Luigi Speranza -- Grice
ed Alderotti: la ragione conversazionale e l’implicatura conversazionale –
filosofia fiorentina – filosofia toscana -- filosofia italiana -- Luigi Speranza,
pel Gruppo di Gioco di H. P. Grice, The Swimming-Pool Library (Firenze). Filosofo
fiorentino. Filosofo toscano. Filosofo italiano. Firenze, Toscana. Grice: “I
like Alderotti; but then his favourite treatise was Aristotle’s little thing to
his son, Niccomaco – which Hardie instilled on me like a leech!” “Alderotti was
what we would call a Florentine-Bologne-oriented Aristotelian; he thought, with
Aristotle, that the heart trumps the head -- Grice: “What I like most about lderotti is his
archiginnasio – no such thing at Oxford! So, as Speranza says in “Colloquenza
all’archiginnasio,” Alderotti knew what he was doing, even if his pupils did
not!”Scienziato e filosofo erudito, scrisse per l'amico e protettore Donati,
uno dei primi testi di medicina in lingua volgare, il Della conservazione della
salute. Il più conosciuto medico del medio evo, tanto da meritarsi una
citazione nel Paradiso d’ALIGHIERI (si veda), insegna a Bologna, applicando,
durante le sue lezioni di medicina, un innovativo metodo scolastico. Inizia la
lezione con una lectio o expositio di un passo tratto da un testo autorevole (di
Ippocrate, Galeno, ecc.). Procede poi per quaestiones con riferimento alle IV cause
aristoteliche. La causa materiale -- la materia della trattazione --, la causa
formale -- la sua forma espositiva --, la causa efficiente -- l'autore
dell'opera -- e la causa finale -- il
fine o lo scopo dell'argomento prescelto. A questo punto il maestro formula una
serie di dubia, cui fanno seguito i momenti euristici della disputatio ed, infine,
della solutio. ALIGHIERI (si veda) lo cita in modo dispregiativo nel “Convivio.”
Temendo che 'l volgare non fosse stato posto per alcuno che l'avesse laido
fatto parere, come fece quelli che transmuta lo latino de l'etica ciò e A.
ipocratista provide. Dizionario biografico degl’italiani, Istituto dell'Enciclopedia
Italiana. Opere. Tra i primi volgarizzatori toscani è A.,
il famoso fiorentino, professore a Bologna, uno dei personaggi più notevoli del
suo tempo. A. è pure il primo traduttore italico della morale a Nicomaco, che
volgarizzata entra oramai a far parte della cultura generale. Di traduzioni
della Nicomachea, c'eran le due greco-latine dell'Ethica vetus e dell'Ethica nova,
frammentarie,e quella del liber Ethicorum completa letterale. Ma il volgarizzatore
non puo certamente servirsi di un testo incompleto o di traduzioni letterali
che avrebbero evidentemente lasciato Aristotele oscurissimo nel volgare come lo
è nelle traduzioni latine. Ci sono le traduzioni arabe: quella del commentario
di Averroe. Ma come si puo presentare per la prima volta a'laici, incapaci di comprendere
un vastosi stema filosofico, Aristotele con tutto il bagaglio delle sue
dottrine logiche e metafisiche che servono di base all'Etica? Resta il
compendio alessandrino-arabo, e questo difatti ammesso alla facile diffusione
del volgare divenne il testo morale aristotelico di moda. A. riduce in volgare
il compendio alessandrino-arabo della morale a Nicomaco. Poco più tardi [Ho in
un lavoro precedente trattato dell'Etica volgare e francese; a quel lavoro
modesto richiamo il lettore il quale, trattandosi di una questione già molto
controversa, voglia con sicurezza accogliere le nostre conclusioni. Giacchè ora
alle conclusioni sono costretto dalle necessità e dall'economia dell'argomento.
MARCHESI, Il Compendio volgare dell'Etica Aristotelica e le fonti del VI libro
del Tresor in Giorn. Stor.della lett.it.] LATINI (si veda), nel Tresor accolge
il volgare di A., modificato secondo il testo originale latino ch'ei conosce e
a cui porta contributo di meditazioni. Sicché tra i due compendi è una notevole
differenza: una differenza che va tutta a favore di ser LATINI (si veda) il
quale ha il vantaggio di lavorar dopo in un tempo in cui, per quella energia
naturale della filosofia novella, si progrede assai rapidamente nel gusto e
nella filosofia. La traduzione di A. in gran parte fedele al contenuto, nella
forma è condotta con una notevole indipendenza rispetto alla frase latina, e
non di rado si vede la sicurezza ch'è nell'intendimento del traduttore e la
buona conoscenza che A. ha del linguaggio filosofico. Spesso compendia la materia.
Daltra parte, allarga tante volte la frase o il concetto e diluisce nel volgare
il testo latino per bisogno di ripetizioni e di esempi o di ampliamenti,
servendosi, come fa in principio, di qualche altro rifacimento, e aggiungendo
dichiarazioni proprie. A. non è un traduttore che si preoccupi dalla frase e
voglia mantenersi fedele alla parola o al tenore dell'esposizione. A. è un COMMENTATORE
E INTERPRETE occupato del contenuto FILOSOFICO che pur vuole spesso acconciare
dal lato espositivo nella maniera più rispondente, secondo lui, a'bisogni della
chiarezza e della semplicità. Generalmente palesa una certa libertà nel
compendiare e nel rendere il concetto con espressioni diverse dall'originale, come
quando, per es., A. traduce il latino “vita scientiæ et sapientiæ” come “vita
contemplatiua”. Qualche volta invece il concetto è più largamente definito per
l’aggiunta di qualche breve dichiarazione che serve a chiarirne il contenuto e
a precisarlo di più rispetto alle considerazioni precedenti. Cosi il testo dice
che l'uomo rifugge dai luoghi solitarî o deserti o ermi, ed A. aggiunge.
“Perchè l'uomo naturalmente ama compagnia. Altrove è detto che beatitudine è
cosa completa che non abbisogna. Delle parti più confuse e difficili a
intendersi fa una para-frasi, invertendo anche l'ordine delle idee e
disponendole in maniera più agevole per la intelligenza finale, seguito in
questo naturalmente da LATINI (si veda). Ecco un esempio. RERVM QVEDAM SVNT
COGNITE APVD NOST ET QVEDAM SVNT COGNITE APUD NATVRAM. OPORTET ERGO VT AMATOR SCIENTIE
CIVILIS PROMTUS SIT AD RES EXIMIAS ET SCIAT OPINIONES RECTAS. OPINIONES AVTEM
RECTE SVNT VT IN ARTE CIVILI INCIPIATVR A REBVS APVD NOS COGNITIS ET IN
CONSVETVDINIBVS PULCRIS ET HONESTIS FACTA SI ASSVETUDO PRINCIPIVM ENIM ESTET
INCEPTIO A QVA RES EST. EX MANIFESTO EXISTENTE SVFFICIENTER QVIA REST EST, NON
INDIGETVR PROPTER QVID RES EST. INDIGET AVTEM HOMO AD PROMPTITVDINEM
HABITATIONIS VERITATIS RERVM BONARVM AVT APTITVDINE BONE INSTRUMENTALITATES EX
QVA SCIAT VERVM AVT FORMA PER QVAM ACCIPANTVR PRINCIPIA RERVM HABEO FACILE. QVI
VERO NEVTRAM BABVERIT HARVM APTITVDINVM AVDIAT SERMONEM HOMERI POETE VBI DICIT
QVIDEM BONVS EST HIC AVTEM APTVS VT BONVM FIAT. La rendizione di A.: Sono cose le quali sono
manifeste alla natura, e sono cose le quali sono manifeste A NOI. Onde, in
questa scienza ch’e l’etica, si dee cominciare dalle cose le quali sono
manifeste a noi. L'uomo lo quale si dee studiare in questa scienza ed
apprendere, si dee ausare nelle cose buone e giuste e oneste. Onde gli conviene
avere l'anima sua naturalmente disposta a quella scienza. Ma quello uomo che
non hæ neuna di queste cose, è inutile a questa scienza – “d'altra cosa.” A.
chiarisce “di fuori da sè.” Altre aggiunte, come quelle di aggettivi, tendono
solo ad accrescere l'efficacia del concetto. D’altra parte, A. co-ordina spesso
le frasi sciolte e le considerazioni staccate del LATINO nella continuata
semplicità di un solo periodo. LATINI (si veda) riempie le lacune. Molte
espressioni trascurate d’A. o tralasciate a dirittura per difficoltà
d'intendimento sono supplite nel “Tresor.” Per es., il testo fa una triplice
divisione delle arti. QVEDAM HABENT SE HABITVDINEM GENERVM ET QVEDAM
HABITUDINEM SPECIERVM ET QVEDAM HABITVDINE INDIVIDVORUM. A. omette la terza categoria
degl’arti, notando solo le generali e le particolari. LATINI, traducendo anche
con finezza etimologica, completa. Altrove sono interi brani del tutto omessi
nel volgare che LATINI (si veda) restituisce alla esposizione del compendio
aristotelico. Diamone un esempio. Arsciuilis non pertinet La scienza da La
science de cité go pueronequeprosecuto- reggerelacittade ridesideriiatqueuicto-
non conviene a fantneàhomequivueille rie,eoquodamboigna- garzonenèauo mais A.
non vide nel compendio alessandrino il legame tra le due considerazioni,e omise
l'ultima;difatti il com pendiatore o il traduttore latino butta giù una frase
fuor di senso che non ha rapporto alcuno con l'originale; Aristotele dice:«non
è acconcio l'uditore giovane perchè èinesperto delle azioni che riguardano la
vita, e i discorsi della nostra verner ne afiert pas à en 1 risuntrerum
seculi, mocheseguitile cequeanduisontnonsa neque proficit ipsis. Non son ensuirre sa volonté, por
tem. que ilse torne me, enim intenuit ars ista scientiam sed conuersio. nem
hominis ad bonita- suevolontadi,pe- chant des choses dou sie rò che non cle:
car ceste ars ne qui savi nelle cose del ert pas la science de l'o secolo. à
bonté. scienza da queste si tolgono e intorno a
queste si aggirano – “οι λόγοι δ'εκ τούτων και περί τούτων”. Non pero tutte le lacune
sono supplite da LATINI. La omissione di qualche concetto importante nel
volgare è giustificata dal fatto ch'esso si trova altre volte particolarmente
espresso e dalla facilità di richiamarlo alla mente nei luoghi ov'esso è
ripetuto. Cosi avviene per il principio più volte enunciato della eccellenza
del bene voluto per sé, rispetto al bene voluto per altro. LATINI elimina pure
qualche ridondanza del volgare. Cosi nell’ “ARS DIRECTIVA CIVITATVM”, che A.
traduce “l'arte civile la quale insegna reggere la cittade”, LATINI omitte
‘civile’. Altre volte, invece, la espressione è più estesa in LATINI, come
quando traduce il semplice « princeps » riferito all'arte civile, mentre più
sicuro intendimento dell'espressione. Dice il testo che la beatitudine, come
l'uomo che dorme, non manifesta alcuna virtù quando l'uomo la possiede in abito
e non in atto. LATINI spande. E poco prima alla definizione della potenza
razionale ch'è più degna quando si è in atto, LATINI aggiunge “chè il bene non
è bene se non è fatto.” Talune espressioni proprie del volgarizzatore vanno
oltre i bisogni della chiarezza e la necessità dell'intendimento. Laddove il
testo latino dice del bene dell'anima ch'è il più degno di tutti, LATINI insere
il concetto della divinità mette di suo la ragione evidentemente per il bisogno
di ribadire il principio che pone in dio il sommo bene e di asservire il
trattato aristotelico alle idea il volgare dice solo « principale e
sovrana ». L'aggiunta comunemente è fatta per maggiore precisione e per
un con « colui che sta nel travito ». LATINI riconduce all'esatta
interpretazione. Nello sfrondare le ridondanze del volgare e nel ridurre la
materia alle proporzioni dell'originale latino, LATINI non sempre riesce a
cogliere l'esatto intendimento della parola, e riducendo smarrisce l'idea che
vi èracchiusa; ilt. Ha. QVEM AD MODVM PERITI AGONISTÆ EATQVE ROBVSTI CORONANTVR
QVIDEM ET ACCIPIVNT PALMAM APVD ACTVM AGONISET VICTORIE. A. traduce. A ė somigliante
di quello che sta nel travito a combattere, chè solamente quelli che combatte
et vince, quelli a la corona della vittoria, e fa vera illustrazione e
IMPLICATUVRA della frase finale. “E se alcuno uomo sia più forte di colui che
vince, non à perciò la corona, perch'egli sia più forte, s'egli non combatte,
avvegna che egli abbia la potenzia di vincere.” LATINI si ferma alla prima
parte trascurando il significato particolare dell’apud che qui sta per post.
Pure nell’intelligenza della parola latina il testo di LATINI è generalmente
più fine del volgare, nel quale tal volta si trova sconvolto l'ordine delle
frasi e delle idee [Un esempio: LATINO: difficile: A. impossibile. LATINO: in
omnibus artificibus. A.: nelle cose artificiali. lità contemporanee della fede.
Generalmente LATINI ha maggiori riguardi per il testo, perciò che riguarda i
concetti semplici e le singole espressioni. Cosi LATINI corregge la frase
talvolta malamente resa o ingiustamente compendiata e confusa d’A.. A. si
restringe talora a molto semplice espressione, impropria, che mal si adatta al
concetto latino, come quando traduce “periti agonistæ atque robusti” per
deviazione dal retto intendimento del latino. Riporto un brano. A. traduce la
seconda parte del periodo: ut pote. come se fosse esplicazione del concetto già
espresso: opera decora exerceat. LATINI la riferisce invece al precedente:
absque materia. Nel volgare italico et al volta anche, in maniera al quanto
diversa, in LATINI l'espressione latina è modificata quando apparisca troppo
cruda. In fine del compendio aristotelico si parla di uomini che non si possono
correggere con parole, per cui occorre “assiduatio verberum tam quam in bestia.”
A. traduce vagamente “pena.” LATINI è più civile ancora. Il volgarizzatore di
LATINI tende spesso, più che A., a modificare quelle che a lui sembrano
asperità di giudizio o durezze d'espressione. Così, nello stesso brano,
de'delinquenti per natura, di coloro che non possono correggersi con parole nė
per castighi, dice il t. «tollendisunt de medio», e A. letteralmente “son datorre
di mezzo.” L. è meno severo. È un riscontro casuale; ma sinoti ad ogni modo
come l'urbanità dell'espressione del volgare e la temperanza cortese di
giudizio pare si accordi coi principi positivi di un diritto criminale molto
recente! E LATINI si accorda talvolta con A. nel m o T. difficile est
enim A. perciò che non homini ut opera decora è possibile all'uomo exerceat
absque mate ch'egli faccia belle o riautpotequodha pereech'egliabbia
beatpartemcompeten arte la quale si con tem rerum bone uite
pertinentiumetcopiam eabbondanzad'amici familieetparentumet ediparenti,eprospe
prosperitatemfortune. rità di ventura sanza venga a buona vita, li beni di
fuori. ne... 5 1 l'on face b e lesoevres, seiln'ia gran part des choses
avenables à bono vie et habondance d'avoir etd'amisetdeparenz, et prosperité de
fortu dificare le opinioni del testo, come quando fieri amendue della
loro vita comunale, rinnegano il detto d'Aristotele che l'ottimo governo sia
nel principato, affermando migliore il governo delle comunità. LATINI qualche
volta fa dei tagli al testo latino e al volgare, sopprimendone talune
espressioni non per amore di brevità, ma evidentemente perch'ei si rifiuta di
accoglierne il giudizio. Ciò risulta chiaro dalla costanza con cui
l'espressione è soppressa ogni qualvolta si presenti nell'intendimento VOLUTO
DALL’AUTORE. Una prova. Il compendio latino e con esso A. fa una duplice
divisione della virtù: virtù intellettuale, come sapienza, scienza, e prudenza,
e virtù morale come castità, larghezza, umiltà. E poi lo esempio. Quando noi
volemo lodare un uomo di virtude intellettuale diciamo. Questo è un savio uomo
intendevile e sottile. Quando volemo lodare un altro uomo di virtude morale,
diciamo. Questo è un casto uomo umile e largo. Nell'uno e nell'altro caso LATINI
sopprime a dirittura l'espressione che racchiude il concetto della umiltà. La
prima volta quando parla della virtù morale, soggiunge un po'in fastidito e non
curante del testo. Ed è curioso e notevole documento questo d’uno tra i più
illustri rappresentanti del laicato dotto del tempo, uomo di parte e d'azione
tenace e bellicosa e guelfo ardente, che si rifiuta cosi chiaramente di
accogliere l'umiltà tra le virtù morali, ribellandosi al giudizio che uomo
umile ė uomo virtuoso. C'è qui l'alto sentire del laico e lo spi [ex parte
moralium largum uel castum uel humilem. uel modestum eum appellamus. Rito sdegnoso
elaboria cavalleresca del tempo, che si annidava bensi nella fierezza solitaria
e nella severa integrita dell'uom casto, o sorrideva nel magnifico gesto
signorile dell'uom largo e cortese, ma non si acconciava a indossare il saio
dell'umile curvato. Quale dei due volgarizzatori ha merito maggiore e
chiaro. A. ha il merito della priorità. Compendia troppo, abbrevia, toglie
parte di considerazioni e di esempi al testo latino. LATINI che lavorò a
ppresso a lui è più fine e completo, e poi anche il suo volgarizzamento si
presta allora assai meglio del volgare d’A.. A. molte volte amplia o riduce la
materia. LATINI traduce con maggiore fedeltà sia nell'evitare le ripetizioni
inutili del volgare sia nel colmarne le lacune rispetto all'ori ginale latino,
le cui espressioni segue con attenzione e riproduce spesso con esattezza. Siamo
nel periodo dei compendi e dell'enciclopedia. Un compendio fatto è fatica ri
sparmiata al mæstro che deve dire le «chose universali ». LATINI, che ha
intelligenza fine, trasse il compendio italico
e l'incluse nell'opera sua e ne colma le lacune e ne affina i contorni e
lo ripuli di fronte al testo latino da cui egli pompeggiandosi dicea di aver
tratto la parte morale. E non fa cenno d’A.: egli accoglie, corregge, assimila;
d'altra parte è tutta una letteratura e una divulgazione anonima e i diritti di
proprietà non sono ancor sorti. C'è però da osservare che nel ritocco della
materia volgare LATINI non va oltre qualche singola espressione o frase,
trascurata o ridondante. Egli non si attenta mai a rimaneggiare e ad acconciare
la materia nel contenuto ideale, per il modo con cui le idee sono esposte nel
volgare o compendiate o disposte o interpretate. Questo dunque testimonia
onorevolmente che A. è allora ritenuto autorevole INTENDITORE – “come Hardie” –
Grice -- del trattato aristotelico anche da un uomo per cultura famoso come ser
LATINI, sebbene al grande discepolo di costui non appare ugualmente felice
dicitore del volgare. Tuttavia le modificazioni introdotte d’A. e assai più
ancora da LATINI non sono tali da farci notare la presenza di nuovi elementi
etici o l'azione modificatrice diretta del volgarizzatore spinto da una evoluta
coscienza sociale del tempo. I filosofi del medio evo accolgono e credono. Sono
ansiosi di notizie. Si accetta tutto, il vero e il falso, anzi più il falso che
il vero. Ad A. che scrive un sonetto sulla pietra filosofale risponde LATINI che
ragiona sulle virtù delle pietre. È ancora intatto l’edificio secolare che più
tardi la critica riduce nei frantumi donde sorge la nuova coscienza degl’individui
e delle genti. MAGLIABECH. Carmina magistri A. de florentia super scientiam
lapidis philosophorum ex Alberto Magno edita feliciter. Solvete i corpi inaqua
a tuti dico voi che intendete di far sol et luna delle duo aque poi prendete
l'una qual più vi piace e fate quel chio dico datella a ber a quel vostro
inimico senza manzare i dicho cosa alguna morto larete e riverso in bruna dentro
dal cuore del lion anticho poi su li fate la sua sepoltura si e in tal modo che
tuto si sfacia la polpa e lossa o tuta sua giuntura. La pietra aretee da poi questo
si facia de terra aqua et daqua terra fare così la pietra uuol multiplicare e
qual intendera ben sto sonetto sera signor de quel a chi e suzetto. Il
compendio alessandrino-arabo presta dunque la materia etica aristotelica al
volgare d'Italia; e la morale a Nicomaco puo cosi divenire libro di attualità
adoperato e sfruttato, nella valutazione dei principi etici e nella decisione
delle finalità umane, dai nuovi scrittori volgari: tra questi ė ALIGHIERI, a
cui A. da motivo di presentare in più nobil veste il volgar di
Toscana, e LATINI ha ad ora ad ora insegnato come l'uom s'eterna ». Questo saggio fa parte di un altro più esteso e
completo sui rifacimenti aristotelici latini e volgari, il quale spero verrà
presto a portare un contributo, non privo d'interesse, alla storia
ell'aristotelismo e a colmare qualche lacuna la conoscenza del movimento filosofico
che è prima: giacchè ne'volgarizzamenti e ne'rifacimenti sta i cultura;
seguendo il volgarizzarsi e il diffondersi della filosofia “classica”,
specialmente, noi troveremo i sentiero ascoso che va d’ALIGHIERI a PETRARCA Ma
ora ho fatto opera molto modesta; trattando solo le spi. ese questioni critiche
agitate intorno al compendio volgare ell'Etica, ho inteso risolvere taluni
dubbî, lungamente mante nūti, ed eliminare molti errori. Il lettore, che
attende forse uno studio riassuntivo sulla influenza della morale aristotelica,
comprende come questo sia possibile solo alla fine dell'opera, quando le
ricerche già fatte e i risultati ottenuti ci metteranno in grado di poter
volgere uno sguardo sicuro e sereno su quel grande campo dove la tradizione
aristotelica alligno rigogliosa e tenace ramificandosi e abbarbicandosi per una
serie copiosis. sima di rampolli viziosi e invadenti. Il compendio volgare
dell'Elica nicomachea e per la prima volta impresso a Lione a cura dell'editore
Tournes, su di un manoscritto appartenente a Corbinelli. Manni stimo inutile,
per le moltissime mende, la edizione,condotta inoltre su un solo manoscritto,e
ristampò il trattato aristotelico valendosi principalmente di II codici
Laurenziani. L'ultima ediz. è condotta da Berlan in base a un esemplare
dell'ediz. lionese emendato e comple tato da Zenone su un ms. Il compendio
volgare dell'Elica aristotelica è quello stesso che forma un ibro del Tresor
volgarizzato, secondo la comune opinione, da Giamboni. Pero si trova anche in
tutte le edizioni del Tesoro volgare: Treviso, Flandrino (de Lisa), Venezia, Fratelli
da Sabbio, Venezia, Sessa;Venezia, a cura di Carrer il quale nel libro VI seguì
anche le due edizioni, Lionese e del Manni;Bologna, ed.da Gaiter il quale si
valse di tutte le stampe precedenti, de'mss.del Tesoro e di raffronti continui
col testo originale Eppure di questo compendio manca una stampa che ne ripro
duca fedelmente e criticamente la lezione;giacchè a tutti gli editori dell'Etica,che
eseguirono le loro stampe sulle precedenti o solo col sussidio di qualche
ms.,sfuggi quella rigogliosa co munione di codici, che abbiam potuto noi
esaminare, da' quali [L'Etica d'Aristotile ridotta in compendio da Latini et
altre tradutioni et scritti di quei tempi. Con alcuni dotti Avvertimenti
intornoallalingua, Lione,Giov.deTornes. L'Etica d'Aristotile e la Rettorica di
M. Tullio aggiuntovi il libro de' Costumi di Catone, Firenze, Dall'edizione
lionese trasse la parte riguardante le quattro virtù un tal Luigi Ruozi che la
pubblicò modifican dola nell'ortografia e nella lezione: Trattato delle quattro
virtù cardinali compendiate da Latini sopra l'Eticad'Aristotile,Verona. Etica
d'Aristotile compendiata da ser Brunetto Latini e due leggende di autore
anonimo,Venezia, sarà possibile, con un esame complessivo, trarre nella sua
veste primitiva l'antico volgarizzamento toscano; d'altra parte gli editori più
recenti del Tesoro nel curare la lezione del VI libro, ritenendolo, com'era
naturale,volgarizzamento dal francese, come tutti gli altri libri, credettero
opportuno acconciarne la lezione anche inbase al testo francese,alterandone
laveste originaria e originale. Intorno a questo antico e primo compendio
volgare dell'Etica si è agitata una lunga e spinosa questione. Esso fin dalle
prime stampe porta il nome di Latini, e il fatto stesso poi che si trova
inserito nel testo volgare del Tresor, di cui costi tuisce appunto la materia
del VI libro, non ha mai fatto dubitare ai critici e agli editori ch'esso non
si debba considerare come una parte del Tesoro e quindi,come tutti gli altri
libri, volga rizzamento di Bono Giamboni.Solo il Mabillon, ritenendo che
Brunetto stesso avesse volgarizzato il suo Tresor, credeva che ciò fosse pure
avvenuto dell'Etica. Il primo dubbio intorno al traduttore del compendio
francese in toscano fu mosso dal Manni, indotto da una nota del Salviati il
quale « trovò in fronte « a un particolar testo dell'Etica: Qui comenza l'Elica
di Ari. « stolile volgarizzata per mæstro A. medico e philosopho
«dignissimo».Ad ogni modo egli si acqueta volentieri all'au. torità della
Crusca che cita il Tesoro « tutto » stampato per traduzione di Bono Giamboni [Altri
che vennero dopo nota rono che qualcuno dei mss. dell'Etica indicava un mæstro A.
come il volgarizzatore dell'opera; difatti il Lami ritiene che ilvero
traduttore sia A., e il Mebus,seguito dal Maffei, sostieneche la versione d’A.,
fatta probabil mente assai prima,venisse più tardi inserita nel Tesoro volga.
rizzato,in tuttiglialtri libri, da Giamboni. Lo Chabaille, Museum Italicum, Paris.
Novelle letterarie, Firenze, Storia della lett. ital., 3a ediz., Firenze. VitaAmbrosii
Traversarii, che curò la edizione critica francese del Tresor, dalla perfetta
somiglianza ch'è tra l'Elica e il vi libro del Tesoro, deduce che Brunetto
avesse tradotto Aristotile in italiano prima ancora di voltarlo in francese, e
che quindi il compendio volgare del l'Etica dev'essere a lui attribuito
Paitoni, che scrisse sopra tale argomento un lungo articolo, finisce col non
sapere da che parte decidersi Zannoni ha spinto in vece la questione molto
avanti,servendosi di un passo del Conrito di Dante (Tratt.), dove è fatto cenno
di un volgarizzamento dal latino dell'Etica per opera di Mæstro A., ilcui
volgare Dante chiama «laido».Lo Zannoni ri tiene « che Brunetto voltasse in
francese il volgare di A. « e che il Giamboni a questo desse luogo nella sua
versione «delTesoro»(3). Questa congetturaèancheaccoltadalPuc cinotti,ch'è
stato il più accanito difensore di A.. Sundby combatte tutte le opinioni
precedenti:quella delloCha. baille e dello Zannoni,opponendo loro le parole
stesse di Bru netto che,nella sua introduzione, assevera di aver tradotto dal
latino in francese,de latin en romans;quella del Mehus, citando il passo di
Dante il quale parla evidentemente di una traduzione dal latino. Egli reputa
diversa da quella che abbiamo la traduzione di A.,dicui sifacenno nel Convito; afferma
recisamente che Brunetto ha tradotto Aristotile dal latino in francese e che il
testo italiano dell'Etica è opera di Giamboni. Gaiter, ch'è il più recente editore
delTesoro, seguendo, come pare, la congettura di Chabaille, confonde la
Lilivresdou Tresor par Brunetto Latini, Paris, Biblioteca degli autori antichi
greci e latini volgarizzati, Venezia, Il Tesoretto e il Favolello di ser
Brunetto Latini, Firenze, Prefazione,pp.XXXV sgg. Storia della
medicina,Firenze, MARCHESI. Della vita e delle opere di Brunetto Latini,
Firenze,1884,pp.139 sgg. La stessa opinione del Sundby aveva esposta prima V.
Nannucci,Manuale, Firenze, Nicomachea con ilLibro de'Vizi e delle Virtù e con
il VI libro del Tesoro, il quale « fu prima compilato e poscia dall'autore
«annestato nella maggior parte del Tesoretto»; e altrove ricorda una nota del
Sorio che attribuiva a Brunetto Latini il volgarizzamento dell'Elica
d'Aristotile; del resto non fa cenno della questione. Il Cecioni, perultimo, trattando
delSecretum Secretorum, in una breve digressione sull'Elica volgare, dopo avere
riassunto tutte le opinioni,assicura che A. deve averne fatto una traduzione,
poichè altrimenti sarebbe inesplicabile il motivo per cui parecchi codici di
rispettabile antichità attribui. scono la traduzione aA.;ma del resto afferma che
la questione circa il volgarizzamento dell'Etica, che noi possediamo, rimane
indecisa nè si potrà forse in alcun modo risolvere. Cosi scetticamente si
chiude la questione, irresoluta. Dopo l'esame dei codici dell'Etica volgare e
latina e del Tesoro, non è più lecito dubitare di poter decidere la questione
in modo definitivo, e a definirla concorrono parecchi dati positivi e sicuri;
il primo, di capitale importanza: la tradizione manoscritta. Il compendio
volgare della Nicomachea ci ha una ben larga ed evidente tradizione
isolata.Nelle biblioteche di Firenze,ove il latino del testo aristotelico ebbe
per la prima volta veste volgare e popolare conoscenza, ben ventidue codici ci
attestano della larga diffusione che il volgarizzamento ebbe come opera a sė,
indipendente da altre opere più larghe che la integrassero. A'codici fiorentini
si aggiungono altri che ho potuto esaminare: due Ambrosiani,tre Marciani,uno
della Nazionale di Napoli, uno della Comunale di Nicosia. Pochi altri mss. dell'Etica
si trovano sparsi per le biblioteche d'Italia, ma da ragguagli cortesi che ho
potuto avere di essi, è lecito dedurre come tutti quanti ade riscano per
contenuto e per lezione al nucleo centrale e fonda mentale dei
mss.fiorentini. Ediz.cit.del Tesoro, Prefaz.,p.xv. Propugnatore. Tutti
icodici presentano una redazione unica del volgarizzamento,che è quella stessa
della edizione Manni, con la quale ho fattolacollazione. Le varianti frequenti nella
lezione, le inversioni,le omissioni reciproche, gli scambi, le lacune del testo
a stampa sopra tutto, si debbono, oltre che alla bontà maggiore o minore del
modello, a sbagli de' trascrittori, e non valgono dinanzi alla somiglianza e
conformità dell'assieme.Molte lacune e accorciamenti si possono attribuire
soltanto a sbada taggine de'copisti per le gravi difettosità che ne vengono al
senso, e sono indubbiamente prodotte dalleespressioni consimili
cheapocadistanza han prodotto la facile omissione: giacchè il copista credendo
di proseguire saltava d'un tratto il brano. Accanto alle lacune, che dànno
qualche volta luogo a strane combinazioni d'idee,va notato un buon numero di
ampliamenti, di cui taluni sono ripetizioni di luoghi antecedenti.Qualche volta
le parole si trovano collocate in maniera diversa nel periodo o sostituite con
altre e mutate con lo scopo di abbreviare o modificare il costrutto (2 ); le
molte differenze ortografiche vann ori ferit e al tempo della trascrizione. Fra
i codici che più si accostano al testoastampa vanno notati 6.c.g.h.4.2.m.p.e
specialmente d ed e,iquali hanno pure comuni con il testo Manni molte
particolarità ortografiche.Le maggiori divergenze presentano i codd.7 e 1;in
quest'ultimo è notevole un'aggiunta al libro sesto Nel cod. V la lezione
presenta spiccate differenze, (1) È da osservare come nel secondo libro (cap.IX
del Tesoro) occorrano tre parole greche trascritte con caratteri
latini:19)apeyrocaliaoapeiorocalia(4.y.) edanche apeyrochilia (6) eapherocalia (g):in
pa recchi codici tale parola è mancante perchè manca il brano che la contiene;
eutrapeles (x.y.4.m.p.)o eutrapelos(2.6.7.d.e.f.g.h.)ed anche eutrapelo (6) ed
eutrapeleos (8); 3o recoples orechoples(e.g.) ed anche recupes (6) erecopls (2).Inqualchecodice,
come nel cod.1, il copista salta il passo dove avrebbe dovuto introdurre le
parole greche. (2 ) Come si nota anche particolarmente nell'Ambr. C. 2 1, i n f.,
ch'è una trascrizione umanistica della seconda metà del '400, (3) Manni, Gaiter,p.115:«in
questo cambio era grande brigæt specialmente nella seconda metà,dalla
lezione comune,e risente dell'influenza dell'opera francese di Brunetto e
dell'azione diretta modificatrice del trascrittore: l'influenza del francese in
questo codice, come nell'Ambros. c. 2 1 i n f., c i è attestata indubbiamente
dal fatto ch'essi vanno oltre il limite solito dell'Elica e proseguono con le
stesse parole, intorno alla differenza tra la retorica e la scienza di fare le
leggi, le quali chiudono il VI. libro del Tresor; ma possiam dire che per
quanto la lezione di V sia in molti punti alterata,non presenta tuttavia una
redazione diversa dalla comune dei mss.e delle stampe del Manni e del Gaiter,
alla quale ultima specialmente aderisce verso la fine.Dall'esame critico della
lezione risulta una somiglianza intima tra icodd.1 e 7; tenendo poi conto delle
particolarità più comuni, possiamo stabilirediversi gruppi di codici:a) 1.a.y.5.6.7.8.x.r.
9. che ci danno la più autorevole lezione;b) g.C.d.e.f.N.r. 2.s.;c) 4.m.p. Come
s'è detto, il compendio volgare dell'Etica si trova pure inserito nel
volgarizzamento del Tresor, di cui forma la prima metà della seconda parte, o
meglio il VI libro, secondo la indicazione comune.Dei venti codici del Tesoro
da me esaminati, dodici solamente contengono il trattato aristotelico: gli
altri sono mutili. La lezione dell'Etica ne' codici del Tesoro, tranne le
solite Jivergenze omai notate come comuni in questa redazione del l'Etica
volgare,è da collegarsi alla stessa famiglia dei codici isolati e de'testi a
stampa. C'è da notare nel complesso un numero maggioredivarianti, omissioni, aggiunte,
frequentissimi sbagli di trascrizione e qualche breve interpolazione del
copista «pero fue trovata una cosa c'aguagliasse et questa cosa si è il danaio.
« percio che l'opera di colui che fa la chasa si aghuaglia ad opere di colui «
che fæ i calzari col danaio; chè per lo danaio puote l'uomo donare et «
prendere le grandi cose e picciole, per cio che 'ldanaio è uno strumento
«perloquale ilgiudicepuotefaregiustizia, pero che el danaio èleggie
«senz'anima. ma il Giudice è leggi ech'à anima et dio glorioso si è leggie «
uniuersale d'ongni cosa », stesso,che sidistingue subito
permancanza di riscontroinaltri codici. Oltrere P, che servirono di base
allastampa fiorentina, uno de'codici più fedeli all'ediz.del Manni è
l'Ambros.G. 75 Sup. e Z,dove pur si trova una grande confusione causata dallo
spostamento di varie parti.Tra icodd.più scorretti dal lato ortografico e P. In
base alle particolarità più comuni icodd.del Tesoro si possonodividere
ne'seguenti gruppi:19) d.v.1. 2°)n. λ.π.φ.3ο)λ.μ.γ.Ρ.Ζ.ε.Ambr. Riassumendo, possiam
dire: la lezione del testo aristotelico volgare appare generalmente,
ne'codd.dell'Etica e del Tesoro, fluttuante,poco sicura.Ma lesolite differenze
nella espressione, nella struttura del periodo, le frequenti omissioni e
aggiunte di parola,gli spostamenti e le lacune,comuni alla maggior parte dei
codici,riguardano più d'ogni cosa la bontà della copia,la correttezza del
modello copiato, la esperienza o la libertà del l'amanuense, ma non
compromettono in alcun modo l'unità del volgarizzamento. La materia dell'Etica
si trova nella maggior parte dei codici ugualmente distribuita.Una grave
inversione presentano 1. d. e.s.; in essi il testo dap.6 Manni [Gaiter 25: compimentoe
forma di uirtu ] va d'un tratto a p. 18 (Gaiter 57: ciascuno huomo che ingiusto
et reo sie] e seguita sino a p.21 (Gait.66: E pero è bestial cosa seguir troppo
la dilettazione del tatto] donde torna indietroap.9 [Gait.34: La potenzia uæ'innanzi
all'acto] e prosegue sino a p. 18 [Gait. 57: dee l'uomo essere punilo];quindi
tornadinuovoap.6 (Gait.25:beatitudoècosa ferma et stabile] seguitando sino alla
fine del primo libro [p.8 M., 31 G.: Questièun casto huomo, humile et largo).È
determi nato cosi uno scambio reciproco, nel principio, de'libri secondo e
terzo. 'T 8 G. MARCHESI Un'altra inversione è nei codd.del Tesoro a.T. X.
u.In essi iltesto dell'Etica dalla fine del cap.XXIX (pp.M.35,G.101: l'uomo si
uiene a fine con grande sottilglianza de li suoi in tendimentine le cose le qualisonbuonema
questasottilglianza e cerlezza e sauere ragion diuina e le dilettationi che
l'uomo elegge per gratia d'altro.son queste ricchezza etc.... Jez.u]
corred'untrattoalcap.XXXVIII (pp.M.41,G.121] e prosegue sino al primo periodo
del cap.XXXIX (pp.M. 43,G. 125:per a u e r e lungamente u i n t i li desideri
della carne. Lo magnanimo serue bene.....u]; quindi ritorna al cap.XXXIV (pp.M.
37, G.110) eva sino al cap.XXXVIII (pp. M.41, G.120:inman. giare e in bere e in
luxuria e tutle dilectationi corporali ne la misura delle quali l'uomo elegge
per se medesimo.et quando ella e rea si detta callidita. ne le cose ree si come
incanta menti.....u]; dopo itre primi periodi del cap.XXXVIII torna cosi
nuovamente al cap.XXIX (pp.M. 35,G. 101). La stessa inversione nell'ordine della
materia h a il m s. V i s i a n i. I codici dell'Etica, in gran
parte,presentano la solita divisione della materia in dodici libri,che non di
rado è limitata alla semplice indicazione numerica,senza alcun accenno
all'argomento svolto (h. 4. ); i n p a r e c c h i c o d i c i (y. c. e. h. 4.
m. r.) l a materia oltre che in libri è divisa in tanti capitoletti; in altri, soltanto
in rubriche le quali sono qualche volta costituite dalle stesse parole del
testo,come in 5 e 6.Altri co. dici mancano di qualunque divisione sia in libri
che in rubriche (p.8.Amb.). L'Ambr. C.21inf.,delsec.XV,presentala partizione
comune fino al decimo libro;la materia degli ultimi due è divisa in tre
capitoli (c.53':tracta di la beatitudine la quale puo hauere in questo mondo:
Di po la uirtu diciamo di labeatitudine; c.57 "tracta che se l'huomo ha buona
natura la ha da dio: sonno huomini che sonno buoni per pauura; c.57'di Gouernamento
dilacittade:lonobilehuomoetbuono regitore di la citta fa nobili et buoni
cittadini). In d in luogo di libri è detto fioretti, e cosi pure al principio
di v: Fioretti dell'Elicha d Aristotile del primo libro. . Dei codici del
Tesoro, taluni (e,u,n) non danno alcuna in dicazione sul modo con cui la
materia è distribuita;altri (a,a) hanno un elenco delle rubriche posto in
principio alla seconda parte dell'opera, vale a dire il VI libro; in 8 è un
rubricario generale posto in principio del Tesoro; le rubriche di t
fanno! parte del testo,e una divisione in capitoli si trova in r
(De leuile nominale de le tre potenzie del'anima Come lobene si diuide de la
polenzia dell'anima de la uerlude intellectuale di che l'omo desidera tre cose
|de le uerlude che ssono inabito comesitroualauerlude comel'omopuo farebene e
male de le tre isposizioni in operatione de le cose che conuienefareperforzætc.).
In due codici (Z eAmb.) tutta la materia del VI libro è divisa in cinque
capitoli: 1°) « Incipit «libro d'eticha Aristotile; Secondo capitolo d'elicha
Ari «stotile:sonooperationi lequali homo fa;39)Terzocapilolo « d'eticha: due
sono le specie d'amista; Quarto capitolo de « eticha: la dilectatione è nata e
notricata; Quinto capitolo « de etica: Dopo le uirtù diciamo oggimai della
beatitudine ».Altri codici presentano la divisione per libri o per rubriche che
si trova nelle stampe. Riferiamo il titolo originario dei dodici libri
dell’Etica, træn dolo da'codici più antichi ed autorevoli, del sec.XIV: «
Prologo « sopra l'etica d'Aristotile Qui si finisce il prologo di questo «
libro d'Aristotile. Qui appresso si comincia il primo libro e « tracta in
questo primo libro della felicitade: le uite nominate ve famose.IQui comincia
ilsecondo libro dell'Etica d'Aristo « tile e comincia a diterminare delle
uirtudi e primieramente « mostra che ongni uirtu che noi abbiamo è per
costumanza « d'opere:Concio siacosa che siano due uirtudi.|Qui comincia “il
terzo libro dell'etica e tratta dell'operazioni le quali sono “volontarie e che
non sono uolontarie: Sono operazioni le quali « l'uomo fæ sanza sua uolontade uqi
comincia il quarto libro « dell'etica d'Aristotile ove si ditermina di quella
uertude la « quale è detta uertude della liberalitade:Larghezza è mezzo in «
dare e in riceuere pecunia qui comincia il quinto libro del « l'etica e
determina della giustizia la quale è uerti che dee « essere nell'operatione
delli huomini: Iustizia si è abilo lau « de u o l e qui comincia il sesto libro
dell'Etica e cominc a a d e « terminare delle uertudi intellettuali per ciò che
infino a quie «ellisiæditerminatodelleuirtudimorali:Due sonolespezie «
delle uirtudi |Qui si comincia il settimo libro dell'etica del « sommo filosofo
Aristotile e ditermina della uertude la quale è detta uertude della contenenza:
Li uizii de costumi molto « reil Qui comincia l'ottavo libro dell'etica
d'Aristotile nel quale «ditermina dell'amistade la quale è cosa necessaria
all'uomo: « Amistade si è una delle uertudi dell'uomo IQui comincia il nono
libro dell'etica d'Aristotile il quale ditermina della pro «prietade
dell'amistade: Lo conueneuole agualliamento si « aguallia le spezie Qui
comincia il decimo libro dell'etica « d'Aristotile nel quale tratta della
dilettazione e della felicitade « per ciò che pare che queste due cose si sieno
fine de la dilet. « tazione et dice qui che la dilectazione si è fine
dell'operazione virtuosa:La diletlazionesiènatænotricata|Quicomincia «
l'undecimo libro dell'etica d'Aristotile nel quale ditermina della beatitudine
la quale puote l'uomo auere in questa uita. Et dice « qui che la beatitudine è
cosa perfecta: Dopo le uirtudi di c i a m o oggi mai | Qui comincia il dodecimo
libro dell'Etica. E t determina come l'uomo il quale à buona natura si l'æ
dalla « grazia di dio, et questi cotali sono disposti ad acquistare uer. « tudi:
Sono uomini che sono buoni per natura ». Del rubricario più comune diamo per
saggio quello del primo libro:«Perqualescienziașireggelacittade delleuiteet «
quale è laudabile |di due modi di bene che è beatitudine «delle potentie naturali
dell'anima demeriti delle operationi adi tre spezie del bene Comes'acquistætconserualabeati.
« tudine |Onde uiene la beatitudine e di che à bisognio chi « non puote auere
la beatitudine per che /che cose sono aspre « a sofferire |come æ similitudine
l'uomo felice con dio onde « procede felicitade in che comunica l'uomo colle
piante et colle «bestieetincheno dell'animacom'æcontrarimouimenti « della uertu
intellettuale e della morale ».Nel codice Marciano II,141,la materia è diversamente
distribuita in dodici «parti»; la prima non è indicata,poi «della forteça:
Diciamo omai di « ciascuno habito della liberalità: largheça è meço in dare «
del conuersare: dopo questo dobbiamo dire di quelle cose «dellagiustitia:
Justiciasi è habilol audabile dello intellecto « dell'anima: Due sono le specie
delle uirtudi |de tre uitii primi: «Vilii e costumi molto rei dell'amistade: Amistade
e una «delle uirtude dell'uomo e d'iddio |dello aguagliamento della «amistade: Lo
conueneuole ad guagliamento della dilectatione: « La dilectatione si è nata e nutricala
della beatitudine:Quando «noiauemodeterminato delcorreggimentodeVitii.depaura.
« della pena: La scienzia delle uirtudi si a questa utilitade ». Il compendio
volgare del Trattato Aristotelico, come si può desumere dall'incipit e
dall'esplicit di ogni codice,veniva più comunementeindicatocoltitolodi Elhica d'Aristotile,
ed anche: Etica del sommo phylosofo Aristotile; molto più raramente: Fioretti
dell'Elica d'Aristotile. Occorre anche talvolta la indi cazione latina: Elhica
Aristotilis, e più sovente quella di Liber Ethicorum. Ne' codici del Tesoro il
titolo più comune è pure: l'Etichad'Aristotile,edanche:l'EtichadelgrandesauioAri
slotile;in parecchi si trova l'indicazione latina:Ethica Ari stolilis. Nei
codici dell'Etica manca ogni notizia intorno alle necessità e a'criteri
dell'opera.Fa eccezione ilcod.Marciano II, 134 il quale contiene, solo fra
tutti, l'epistola proemiale del volgarizzatore ad un amico,che a quella fatica
del tradurre avevalo indotto. « Incipit proemium transductoris huius operis «
uulgaris.— Più uolte essendo amicho mio da la tua gintileza « con grande
instanzia infestato l'Eticha Iconomicha et politicha de « Aristotile de lingua
latina in parlar (moderno] et uulgar ti « transducha. La quale richiesta
considerando truouo la mala «sua axeuolezza uincere ogny mia faculta.Et anche
hauendo « udito altri circha a questa opera auere insudato non m'è pa «ruto
douerse seguire per fugire la riprensione de molti.Ma pure la forza de la tua
amicizia è tanta che mi constringie et fami intraprendere quello che mi
cognosco impossibile.Onde la gratia superna inuocho al principio di tale faticha
doue « mi mecto seguendo el uoler tuo iusta mia possa. Et perche el « dire de
Aristotile è scropoloso et stranio molto dal modo del « nostro parlare, pure
quanto potro ad esso mi acostero.Alcuna « uolta le sue proprie parole et alcun
altra el senso dimostraro «suzinto,seruando la uerità del testo.Ma auanty che
questo « cominci alquanto della persona et essere suo toccharo ad cio « che le
sue opere pergrate siano da te riceuute ». Il prologo non ci porge alcuna
notizia storica,e del resto sulla sua auten ticità ci lascia grandemente
perplessi. Il fatto che,tra tanti manoscritti dell'Etica, noi lo troviamo solo
in questo,abbastanza tardivo,della fine del sec.XV,può destare grave
sospetto,ma non sarebbe ad ogni modo motivo sufficiente per indurci a rin
negarlo senz'altro. Ben altri motivi non ci permettono di prestar fede
all'autenticità del proemio Marciano. In esso il volgarizza tore dice di aver
udito « altri circa a questa opera avere in « sudato »; l'espressione è molto
ambigua; giacchè o si riferisce a precedenti volgarizzatori,e ciò non è
possibile perchè A. fu il primo a volgarizzar l'Etica, o a traduttori latini; ma
per quanto sappiam noi in nessuna delle traduzioni latinedella Ni comachea si
leggono accenni alle difficoltà del traduttore; solo Ermanno ilTedesco,nel
prologodellasuaversione delCommen. tario d'Averroè alla Poetica
d'Aristotele,dice della grande dif ficoltà da lui trovata « propter
disconuenientiam modi metrifi «candiingræco cum modometrificandiinarabo, etpropter
auocabulorumobscuritates»(1);ma ci sembrer ebbe affatto inopportuno scorgere
nel prologo alla Poetica di Ermanno un rapport col prologo all'Etica diA.. Epoinel1200eneltre.
cento è ben difficile trovare la nota individuale,sopratutto nelle traduzioni;
furon più tardi gli umanisti che alteri del merito proprio rivelarono a quattro
venti le difficoltà del lavoro da essi intrapreso e compiuto; del resto tutta
la parte del pro logo, di cui ora parliamo,si connette con la præmunitio tanto
comune agli scrittori del quattrocento, i quali nell'introduzione alle opere
loro ci ricordano spesso la difficoltà dell'argomento e il timore della critica
e la debolezza dell'ingegno e il riguardo Il prologo è pubblicato dal Jourdain
(Recherches critiques sur l'age et l'origine des traductions,latines
d'Aristote, Paris). amorevole per l'amico che la vince sulle giuste
considerazioni e preoccupazioni dell'autore.È questo,ripeto,un motivo comune
agli umanisti,a'quali l'aveva comunicato lo spirito retorico delle composizioni
proemiali latine. Lo stile poi del proemio è assai diverso dal volgare di A.,
ch'è quale potea rampollare schietto di mezzo all'efflorescenza letteraria
dell'ultimo dugento.Lo stile del prologo marciano ri. sente molto invece di
quel volgare farneticante da scuola e da sacrestia che pretendea ingentilirsi
nel '400 signorilmente, usur pando gli addobbi lessicali delle forme latine.C'è
in fine un ultimo argomento decisivo. Nel titolo dell'epistola proemiale è
adoperata la parola transductoris,e nel volgare stesso del pro logo si trova
adoperato il verbo transducere. Ora nel sec. XIII e XIV la espressione latina
traducere non è ancora passata col significato moderno nel latino e nel volgare;
il primo, come pare, ad usare il vocabolo traducere con il significato di
tradurre, fu il Bruni; d'allora soltanto s'introdusse nel latino e quindi
nell'italiano (1). Sicchè possiamo affermare che il prologo Marciano è di avan.
zata fattura quattrocentina.Come sia comparso non sappiamo, nè torna conto
indagare e congetturare sulle cause e sulle ori gini di tutte
lescritturecheapparveroingrande numero,affac cendate e moleste,in quel tempo di
continue esercitazioni re toriche e di finzioni letterarie. Stabilita la unità
del volgarizzamento contenuto ne'codd.del l'Eticædel Tesoro,passiamooramai
allaindicazionedell'autore. De' ventinove codici dell'Elica, da me esaminati,
ventidue sono anonimi;uno,del sec.XIV (5), attribuisce la traduzione a un mæstro
Giovanni Min.(2); sei codici (4.y.&.g.m.p.) danno il nome del
volgarizzatore dell'Elica, traslatata in uulgari a magistro A.. (1) Vedi R.
SABBADINI,Del tradurre iclassici antichi in Italia,in Atene e Roma,an.III,no
19-20,col.202. (2)Explicitethica Aristotilis translate amgio iohemin. vulgare. deo
gratias. Dei codici del Tesoro,tre del sec.XIV,oltre la solita attri. buzione a
Brunetto in principio di tutta l'opera, alla fine del sesto libro ci danno
un'indicazione particolare del volgarizzatore, la quale è sfuggita a tutti gli
studiosi del Tesoro ed è di molta importanza per la questione agitata intorno
all'autore del com pendio volgare. Ecco dunque le soscrizioni.a:Explicit etica
Aristotilis a magistro A. in uulgare traslala; T: Explicit hetica Aristotilis a
magistro A. in uolgare trasleclata; 1:Explicit Elicha Aristotilis a magistro
Tadeo in uulghari traslatlata. Dalla tradizione manoscritta si può dunque
ricavare: 1o) che ilcompendio volgare della Nicomachea ebbe una larghissima
diffusione come testo particolare, indipendente da altra opera; 2°)ch'esso,quando
non correva anonimo,veniva comunemente attribuito a mæstro A.. Ma da'codici del
Tesoro balza fuori un nuovo cumulo d'in dizi gravi e sicuri, che infirmano
seriamente l'unità del vol garizzamento dell'opera di Brunetto,attribuito
sempre con cordemente per intero a Bono Giamboni: 19) Parecchi codici del sec.
XIV danno, come s'è visto, il nome del volgarizzatore del l'Etica: Mæstro A.;
la soscrizione finale, perchè non si possa ritenere aggiunta posteriore,è
sempre di mano del copista che ha trascritto il codice per intero.Questà
attribuzione è l'unicachesitroviintuttoilms.,oltreaquellageneralecon cui va
riferito il complesso dell'opera a Brunetto.Ciò è di spe. ciale importanza per
noi: difatti, giacchè il copista solo per l'Etica sente il bisogno di riferire
il nome del traduttore, vuol dire ch'ei sapeva che solo quella parte del Tesoro
rimaneva estranea al volgarizzamento generale dell'opera, e il volgare di A. vi
si trovava come inserito. In qualche codice anepigr. e mutilo,come
a,l'attribuzione a A. è anzi l'unica indica zione di autore che sitrovi in
tutta l'opera.2 ) Di solitoicodici mutili si fermano prima di giungere
all'Elica; d'altra parte pa recchi mss.del Tesoro si arrestano alla fine del
compendio aristotelico. Ciò dimostra che questo costituiva come un punto
di fermata, era un libro introdotto a parte, si che poteva benis simo
arrestare al libro V l'amanuense che fosse sprovvisto del. l'originale, o
determinare una pausa nella trascrizione,alla fine del libroVI. Nel
cod.r,miscellaneo,l'Elica è preceduta dal VII libro del Tesoro: si può notare
dunque il distacco ch'è tra le due parti, non considerate come legate e
dipendenti nella stessa opera. In qualche ms.,come ri,precede una tavola della
materia che giunge sino a tutto il libro V, escludendo la rimanente, dall'Elica
in poi; e ciò dimostra ancora che l'Elica arrestava quasi il corso regolare
dell'opera volgarizzata ed era estraneaalvolgarizzamento del Tesoro. Un
particolare fon damentale: il cod.d ha questa soscrizione dell'amanuense,al
l'Etica: Ecplicit l'Etica Aristotile in questo tanto che io noe trouata; ciò
significa chiaramente che il copista, per trascrivere la parte dell'opera che
comprendeva il compendio aristotelico, era obbligato a ricorrere ad un altro
testo che non era quello unico del Tesoro. Ci resta finalmente da osservare che
mentre tutti i codici del Tesoro differiscono quasi sempre e in m a niera
notevole nella lezione, mostrano invece una concordanza molto maggiore
nell'Etica; vuol dire che si tratta di un testo particolarmente prefisso
a'trascrittori.Ciò dimostra ancora la maggiore divulgazione del testodell'Etica
lacui lezione più re golare, rispetto alla lezione caotica del Tesoro, era
fissata da una più grande diffusione delle copie. Concludiamo questa prima parte.
Dall'esame dei codici e della materia manoscritta ci risulta che esisteva nel
secolo XIV un compendio volgare della Nicomachea, attribuito a mæstro A., che
noi troviamo anche inserito integralmente nel Tresor vol garizzato, di cui
costituisce il VI libro. Ma nèicodicidelTesoro,nèquellidell'Eticacidicono da Il
Sorio da questo particolare, ch'egli osserva nel cod. Ambr., trasse argomento principale
diattaccoallaautenticità delVIIlibrodel Tesoro.La opinione del Sorio fu
combattuta dal Gaiter (Propugnatore) con argomenti dubbi ed indecisi: l'uno e
l'altro eran difatti fuor di strada. che volgarizzó A..La questione è
importantissima;data la identità tra l'Elica e il volgare del VI libro del
Tresor non resta che una questione di priorità:0 Brunetto si servi di A., o A.
di Brunetto; vale a dire,o mæstro A. volgarizzo il VI libro del Tresor, il
quale ebbe così tradizione e fortuna isolata da tutto il resto del
volgarizzamento, ch'è opera di Bono; o Brunetto si servi per il suo Compendio
francese del volgare di A.,che fu introdotto però intatto nel Tesoro, in luogo
di un volgarizzamento diretto dal francese. Nel Convito di Dante è unpasso che
spinge molto avanti la questione: Tratt.I,cap.10:«La gelosia dell'amico fa
l'uomo «sollecito a lunga provvedenza: onde pensando che perlo desiderio di
intendere queste Canzoni alcuno inletterato avrebbe «fatto il comento latino
trasmutare in volgare,e temendo che 'l volgare non fosse stato posto per alcuno
che l'avesse laido « fatto parere, come fece quelli che trasmutò il latino del
«l'Etica,ciò fu A. Ippocratista,provvididiponere «lui,fidandomi di me più che
d'un altro».IlSundby,che vuole ad ogni costo ritenere di Bono tutto il
volgarizzamento del Tresor,se ne sbriga assai piacevolmente: « Nel caso adunque
che il passo succitato del Convilo fosse esatto in tutte le sue « parti, la
cosa sarebbe chiarissima: la traduzione di A. dovrebbe essere affatto diversa
di quella di cui noi ci occu « piamo,e questa si dovrebbe attribuire a Bono
Giamboni. E non ci sarebbe niente da dire; resterebbe però fin ora da
spiegare,se non altro,la tradizione manoscritta che,laddove non tace,dà il nome
del volgarizzatore:A.,accordandosi col passo di Dante; e d'altra parte non
sarebbe lecito trascurare quegl'indizi che non danno certamente più come sicura
l'unità delvolgarizzamentodiBono.Nedevefareombra l'appellativo di « laido »
dato da Dante al volgare di A., giacchè per MARCHESI. certo questo non è
il modello migliore di prosa trecentistica, e la opinione del Nannucci,di cui
si fa forte il Sundby,può ri tenersi giustificata da un sistema di ammirazione
proprio della fede e dell'entusiasmo delle generazioni passate per tutti i do
cumenti letterarî del nostro trecento. Tutto dunque ci fa credere che il
volgarizzatore sia mæstro A.: Esiste una sola Etica volgare in tutti i codici;
2 )i codici che portano il nome del volgarizzatore l'attribuiscono a mæstro A.;
la dichiarazione esplicita di Dante, il quale ha l'aria di parlarne come
dell'unico, comunemente noto, volgarizzamento ch'esistesse a suo tempo
dell'Etica latina. kesta anche esclusa la prima congettura,che A. volgarizzasse
il francese di Brunetto; Dante ce lo dice esplicitamente: « colui « che
trasmutó lo latino dell'Etica. Del resto, a prescinder da altriargomenti
principali e decisivi, ch'esporremosubito,ilcom: pendio volgare dell'Etica non
può ritenersi come volgarizzamento del VI libro del Tresor per le frequenti
differenze, non solo di forma ma di sostanza, che presenta rispetto al testo
francese: e sono omissioni o aggiunte di pensieri,di esempi,di considerazioni,
ampliamenti o riduzioni di concetti: e tutto questo non può ammettersi nella
traduzione di un'opera,a meno che il traduttore non abbia voluto rimaneggiare
per conto suo l'originale. Dunque A. volgarizzò e compendio da una delle
redazioni latine del testo aristotelico, la quale e nota allora sotto il nome
di Liber Ethicorum, nome ch'è anche particolarmente proprio di un'altra
redazione latina della Nicomachea, letterale e molto oscura, cui il commento
tomistico a v e a spinto allora alla massim a diffusione. Dal testo tomistico
difatti il Sundby fa derivare il compendio francese e volgare dell'Elica,e pone
iraffronti;ve dremo appresso come il critico danese si sia messo su una falsa
(1)Manuale della lett.italiana,vol.I,p.382. IlN. trova anzi l'Etica «adorna di
molta purezza e semplicità di stile». MARCHESI. strada.Ad ogni modo che A. abbia tradotto
direttamente dal Jatino ci è confermato dal confronto tra l'Etica volgare e il
Liber Ethicorum da cui dipende; se avessimo scarsezza di argomenti o mancanza
di prove sicure potremmo anche valerci delle soscri zioni di taluni codici
dell'Etica e del Tesoro che indicano il nostro volgarizzamento come Elhica
Aristotilis e più spesso Liber Ethi corum,facendoci sospettare lasua
provenienza dal testo latino. Di mæstro A. i codici (4. y.) ci dicono soltanto
che su « florentino » e Dante aggiunge ch'ei fu medico, « Ippocratista ». Di un
A., d'Alderotto, fiorentino, « fisico massimo », scrisse, con la solita
ingenuità,una breve vita Filippo Villani,il quale ce lo descrive di parenti
oscuri, poverissimo, dedito ai mestieri più vili, e col cerebro oppilato e
tenebroso fino ai trent'anni. Passati gli anni trenta « si consumarono quegli
umori grossi; A. divenne un altro uomo e rivelòilsuo ingegno dedicandosi allo
studio delle arti liberali,della filosofia e per ultimo della medicina,che
insegnò pubblicamente a Bo logna. Dice il Villani: « Fu costui de' primi infra'
moderni che adimostrò le segretissime cose dell'arti nascoste sotto i detti «
degli autori, e la spinosa terra e inculta solcando all'ottimo « futuro seme
apparecchiò. Questi, sprezzati alcun tempo i so pravvegnenti guadagni,cupido di
gloria e d'onore,si dette a « commentare gli autori di medicina. Nella qual
cosa fu di tanta «autorità,che quello ch'egli scrisse è tenuto per ordinarie
achiose,lequali furono postene'principali libridimedicina. E fu in quell'arte
di tanta reputazione, quanto nelle civili « leggi fu Accorso, al quale egli fu
contemporaneo. Il Villani ci riferisce inoltre un aneddoto molto curioso,
riportato poi da Le Vite d'uomini illustri Fiorentini,colle annotazioni del
co.G. M a z zucbelli,Firenze, Biscioni, in una nota sopra A., inserita nelle
Prose di Dante e del Boccaccio, Firenze, 1723, vuol dimostrare che A. era di
famiglia cittadinesca,che possedeva effetti stabilieche prese per moglie una
de'Ri goletti, il cui padre aveva il titolo di dominus, che in quei tempi si
con cedevasoltantoa cavalieri.Cfr. notadelMazzuchelli, MARCHESI Negri (1) e dal
Fabricio (2), intorno agli eccessivi compensi che A. « tenuto come un altro
Ippocrate da'Signori d'Italia in « fermi » (3), esigeva per le sue visite
giornaliere; e ci narra che chiamato a Roma dal pontefice,Onorio IV,richiese
cento ducati d'oro al giorno; invece,dopo la guarigione del pontefice, n'ebbe
in compenso diecimila. Villani non ci dà alcun cenno cronologico;dice solo che
fu seppellito a Bologna d'anni ottanta.Giovanni Villani (Storie,seguito dal Fa.
bricio, dal Poccianti e dal Cinelli, pone l'anno della morte nel 1303;l'Alidosi
sostiene invece che A. morisse,il Biscioni e il Negri, per approssimazione,
nella fine del sec.XIII.Delle opere di A. ci attesta il Mazzu chelli ch'esiste
una raccolta a stampa col titolo « Expositiones «inarduumAphorismorum Hippocratisvolumen.
Indivinum « Prognosticorum Hippocratis librum. In præclarum regi. a minis
acutorum Hippocratis opus. In subtilissimum Iohan «nitiiIsagogarum
libellumIohan.Bapt.Nicollini Salodiensis a operainluceme missæ.Venetis, apud Luc.Antonium
Iuntam. Scrisse anche in ci. Galeni Artem parvam commen taria, Neapoli,
Mazzuchelli, che attribuisce anch'egli a A. la traduzione in volgare dell'Elica
d'Aristotile, aggiunge che nella libreria dei pp.Minori Osservanti in Cesena si
con serva un ms.intitolato Magistri Taddei Glossæ in Galenum, eiusdem
Aphorismata. Di mæstro A. si conservano in al cuni codici parecchi trattatelli
medicinali e fra questi è par Istoria degli Scrittori Fiorentini, Ferrara,
Biblioth. latina mediæ etinfimæætatis, Patavii, Notissimo anche un distico del
Verino (de illustr.urbis Florent., lib.I)su A.: «Est quoque Thadæi celeberrima
fama,non alter For « sitan in medica reperitur ditior arte ». A proposito di
questo aneddoto vedi la erudita nota del Mazzuchelli, Cfr. Mazzuchelli, Biblioteca
Angelica (Roma),Thaddæi de florentia ticolarmente diffuso un libellus de
seruanda sanitate o libellu's conseruandæ sanitatis, dedicato a Corso Donati. Fra
i m a noscritti che lo comprendono è di speciale importanza l'Ambrosiano J. 108
sup.,del sec.XIII per una nota posta in principio, di mano dello stesso copista
che trascrisse tutto il codice: « Iste « libellus scriptus et compositus per
probissimum et prudentis « simum uirum dominum magistrum Taddeum de Flor.
doctorem « in arte medicine in ciuitate bononie transmissus nobili militi «
domino Curso donati de florentia », È notevole anche il proemio del trattato
medicinale:« Quoniam passibilis et mutabilis a existit humani corporis
conditio, complexionem et consisten « tiam quam a principio sue originis homo
habuit non seruando, « necessarium extitit artem et scientiam inuenire,per quam
in « sanitate et natura et corpus hominis conseruetur, motus igitur « precibus
et amore cuiusdam mei amici,multa mihi dilectionis «teneritate coniuncti nec
non pro utilitate aliorum hominum, « more uiuentium bestiarum ad conseruationem
sanitatis et uite « in humanis corporibus libellum medicinalem inuenire
disposui « de libris et dictis philosophorum breuiter compilatum ». Da queste
ultime parole risulta ancor meglio l'identità ch'è tra l'autore del libellus,
studioso sfruttatore e compendiatore di m a teria filosofica e l'autore del
nostro compendio volgare dell'Etica. Il trattato di A.,molto curioso,contiene
quei precetti igienici che bisognerebbe osservare fin dal principio della
giornata in torno alle abluzioni del capo,all'igiene della bocca,dello stomaco,
libellus medicinalis; Magistri Thaddæi de florentia de r e giminesanitatis; Curacrepotorummagni
Tadeiabeocom posita. Riccardiana, Magliabechiana,cl.21,cod.62;141. Membran.a
due colonne;contiene:19) Vegetii de re militari libri; Isiderus de bellis; a
c.31a segue la notissima epistola de cura et modo rei familiaris di Bernardo,al
gratioso militi et felici domino Raimundo domino CastriAmbrosii;a c.32 asegue
iltrattatodiA..Ilcod.consta d icc. 3 5 n. num., l a c. 3 4 * e 3 5 a v u o t e.
Questo cod. si trova legato assieme con un altro membr. dello stesso formato, di
cc.19 scritte perdisteso,con tenente i Saturnali di Macrobio.
MARCHESI de'cibi,delle bevande, della digestione,del sonno;sulle condi zioni
del corpo umano durante le diverse stagioni e quindi sulla igiene delle
stagioni. Segue a dire della efficacia terapeutica, molto larga,dialcune
pillole,da prendersi avanti o anche dopo ilcibo,compostedaun«frateRobertodeAlamania»conuna
quantità di sostanze vegetali e aromatiche. La parte trascritta nel cod.Ambros.
finisce con la ricetta adatta «ad faciendum «cristerepropassioneyliaca». Questo
A. famosissimo medico del suotempoedanchepoeta(1), autoredicommentari e di
trattati, insegnante l'arte della medicina nell'Accademia di
Bologna,fualtresìquellochetradussedallatinoinvolgare il compendio dell'Etica
aristotelica. E veniamo al VI libro del Tresor. È noto ed è stato detto da
tutti gli editori e gli studiosi del Tresor, ch'esso risulta da m o l teplici e
varie compilazioni fatte in diverso tempo da Brunetto, su scrittori
specialmente latini; poi riassunte e combinate nel compendio enciclopedico
francese del mæstro di Dante. Lo C h a baille anzi afferma che Brunetto avea
preludiato alla compila zione del Tresor con opuscoli separati in prosa e in
verso, fra cui l'Elica d'Aristotile,ch'egli dunque suppone,come parecchi
altri,compendiata e volgarizzata da Brunetto Latini,prima della compilazione
del Tresor (2). Ma su ciò non vale la pena discu tere,giacchè sarebbe
combattere contro imulini a vento. Magliabech. Tadæi magistri de Florentia
Carmina. Op. cit., Introd., p. vi. Riferiamo un passostesso di Brunetto:Liv.I,cap.I:«Il «
(cist livres) est autressi comme une bresche de miel cueillie « de diverses
flors; car cist livres est compilés seulement de « mervilleus diz des autors
qui devant nostre tens ont traitié « de philosophie, chascuns selonc ce qu'il
en savoit partie; car « toute ne la pueent savoir home terrien, porce que
philosophie « est la racine d'où croissent toutes les sciences que home
peut savoir. Egli dunque non dice di essersi limitato
a raccogliere e tradurre scritti latini soltanto; e si deve intendere anche di
volgari. Fra questi è il compendio dell'Etica di mæstro A. che Brunetto,
valendosi anche di raffronti continui con il testo latino originale,trasporto
nel VI libro del suo Tresor. Allo Zannoni, il quale riteneva che A. avesse
tradotto Aristotile di latino in italiano e che Brunetto poscia voltasse il
testo di A., Sundby oppone le parole di Brunetto, che nel Prologo della seconda
parte (il Tesoro volgare) dichiara di tradurre il libro d'Aristotile de latin
en romans. Per venire in aiuto di quanto abbiamo asserito non è necessario
ricorrere alla sottile nota del Paitoni, ilquale sosteneva che il volgare
italiano si chiamava anche « latino »; giacchè essendosi Brunetto servito non
solo del volgare di A., ma anche,come vedremo,della redazione originale latina,anzi
avendo acconciato e rifatto in molti punti il volgare in base al testo latino,
è chiaro come abbia potuto dire d'aver tratto il suo compendio dal latino,che
del resto è anche l'originale dell'Etica diA.. E poniamo le nostre conclusioni.
Il compendio volgare dell'Etica è la traduzione che mæstro A. fece di una delle
redazioni latine del testoaristotelico,laquale ci è rimasta.La traduzione è in
gran parte fedele al contenuto, nella forma è condotta al quanto liberamente:
spesso il traduttore compendia la materia, d'altra parte allarga sempre la
frase o il concetto e diluisce nel volgare il testo latino per bisogno di
ripetizioni o di esempi o di ampliamenti, servendosi, come fa in principio,di
qualche altro rifacimento o aggiungendo delle dichiarazioni proprie.A. non è un
traduttore letterale che si preoccupi della frase e voglia mantenersi fedele
alla parola o al tenore dell'esposizione; egli I codici del Tesoro traducono «
di latino in uolgare », ovvero « di « latino in romanzo » o « di gramaticha in
uolgare ». è solo un interprete occupato del contenuto che pur vuole p a
recchie volte acconciare dal lato espositivo nella maniera più rispondente,
secondo lui, a'bisogni della chiarezza e della s e m plicità.È l'originale una
traduzione latina, di un compendio alessandrino-arabo della Nicomachea, elementarissimo,
semplice e piano, ridotto a una esposizione riassuntiva molto breve, e talvolta
anche efficace, nonostante l'incertezza e la poca fedeltà di talune
espressioni. Molti luoghi fondamentali, anzi diciam pure tutte le parti più
notevoli per gravità e serietà di enunciati, per difficoltà di contenuto
critico, vengono senz'altro omesse interamente, o ri dotte alla loro ultima e
più semplice espressione. Cosi, per dare qualche esempio, nel 1° libro è
saltato il passo importante al principio del cap.3,in cui Aristotile nega la
possibilità diotte. nere una precisione assoluta nei giudizi e pone la
necessità del giudizio per approssimazione; altra omissione considerevole è
quella della prima metà del cap.4,in cui Aristotile passa alla definizione del
supremo de beni, alla critica del concetto di fe licità, e si accinge a
discutere la dottrina platonica del bene assoluto; è tralasciata pure tutta la
confutazione della dottrina platonica delle idee (cap.VI) e l'astrusa enunciazione
fondamen tale dell'Eudaluovía aristotelica considerata come bene vero ed
assoluto che comprende in sè, unificandoli, tutti gli altri beni necessari
all'autarchia della vita; e della seguente trattazione intorno a'principii
(cap. VII) non è alcun cenno nel compendio. Dei brani accolti tuttavia è vero e
proprio ampliamento. Ad ogni modo il testo si prestava benissimo
all'intelligenza comune per l'intendimento più facile e semplice e la forma più
piana che non l'oscurissimo Liber Ethicorum del commento tomistico. (1)Questo
compendio fu conosciuto prima dal Jourdain in un codice della Sorbona; e più
tardi dal Luquet (Hermann l'Allemand, in Revue de l'histoire des Religions,
Paris, in due mss. della Biblioteca Nazionale: il n ° 12954, che pone la data
della versionenel1244,eilno16581 che è forse lo stesso veduto dal Jourdain.
Come compendio poteva anzi dirsi ben riuscito;giacché per ri durre allora in
più brevi proporzioni l'Elica nicomachea, ch'è da per sè una condensazione
poderosa delle norme logiche e de principi esposti nell'Organo, bisognava
appunto sfrondarla di tutti i luoghi più ardui 'a spiegarsi e a comprendersi
senza l'aiuto di richiami e di collegamenti, e semplificarne e chiarirne il
contenuto eliminando la rassegna delle opinioni e la parte critica, sopprimendo
le divisioni minori, togliendo il carico degli argomenti favorevoli o 'contrarî
ad ogni problema e riducendo questo alla sua più semplice ed elementare
espressione.Ilcom pendio arabo latinizzato era dunque il testo etico aristotelico
di moda piùrecente.Essocièrimasto,sottoilnome diLiber Ethico r u m, i n u n
codice Laurenziano, già Gaddiano (Plut.) membr. in fol., a due colonne,di
cc.scr.219,miscell. Enon tuttodiunamano; contiene:una Cronicadianonimo;
laHistoria troiana di Darete frigio,premessa un'epistola:Cor nelius Nepos
Sallustio Crispo suo salutem; Graphia aureæ urbisRomæseuantiquitatesurbisRomæ
dianonimo;Eu tropii historia romanæ Ciuitatis dilatata a Paullo Diacono: Liber
Alexandri regis; un'epistola di Alessandro ad Aristo tile intorno alle regioni
e alle cose notevoli delle Indie; Liber Sibyllæ, di Beda; un'epistola
dell'abate Ioachim; un'ora zione di Seneca a Nerone; i LibrideremilitaridiVegezio;
11) ilLiberEthicorum,d'Aristotile:vadac.131ac.142;la materia è distribuita in
ventidue capitoli indicati dalla iniziale colorata;manca
ognialtradivisione.Com.:Incipitliberprimus Ethicorum. R.;allafine: Incipiamus
ergoetdicamus.Explicit prima pars nichomachie Ar.que se habet per modum theo
rice et restat secunda pars que se habet per modum pratice. Et est expleta eius
translatio ex arabico in latinum. Anno incarnationis uerbi. La soscrizione,
importantissima per la storia di questa reda zione,è di mano dello stesso
copista,scritta con lo stesso in chiostro e coi medesimi caratteri di tutto il
testo aristotelico. Seguono di mano più recente e in carattere minuto alcune
cita zioni dell'andria e dall'Eunuco di Terenzio.La lezione
dell'Etica verso la fine è molto incerta e in taluni punti a dirittura insa
nabile. Dopo il Liber Elhicorum vengono le orazioni catilinarie e iltrattato de
Senectute,l'orazione di Sallustio contro Cicerone, l'invettiva di Cicerone
contro Sallustio, le orazioni pro Marcello, pro Ligario,proDeiotaro,ilibride
Officiis,iParadoxa,epoi la Catilinaria e il Giugurtino di Sallustio; seguono,
di mano del sec.XIV, alcune bolle di papa Bonifacio VIII. La versione
dell'Etica, compiuta nel 1243, si deve con molta probabilità attribuire ad
Ermanno ilTedesco (Hermannus Alemannus),il quale trovandosi in quel tempo nella
Spagna,a Toledo,aveva due anni prima (nel 1241) ridotto in latino il commento
di Averroè alla Nicomachea,e più tardi nel 1256 compi la versione di altri due
testi arabi di Averroè relativi alla poetica e alla retorica d'Aristotile. La
traduzione di A.,che dovette essere di poco,meno di un ventennio, posteriore,
corse ed ebbe fortuna e divulgazione; ce lo attesta il buon numero di codici,
l'uso che ne fece Brunetto, la dichiarazione di Dante che ne parla come di cosa
comune mente nota,egli che molte espressioni del volgare di A. ricorda nella
sua Commedia. Brunetto Latini più tardi si accinse a svolgere nella parte
morale del suo Tresor la dottrina etica di Aristotile. Egli si servi del
volgare di A.,ma prese anche in mano il testo latino: c e l o dimostrano le
aggiunte e le modificazioni introdotte, che corrispondono in tutto con il Liber
Ethicorum; qualche altra volta ridusse il volgare di A. e quindi con esso anche
il latino della redazione araba. Nessuno vorrà certo ancora dubitare che
l'Etica di A. sia tratta dal compendio francese di Brunetto, rivendicando a
questo la priorità; giacche,pur volendo saltare sul passo di Dante, sulla
particolare designazione de'codici,sulla tradizione isolata dell'Elica
volgare,rimane sempre una barriera dinanzi a cui bisogna fermarsi:la materia
de'due Compendî.La dipendenza diretta dell'Elica dal testo latino ci è fra
l'altro attestata dalle numerose espressioni latine trasportate di peso,quando
corrispon dano nel lessico volgare, nel compendio di A.; mentre Brunetto è
costretto tante volte a tradurre dirersamente,m u tando la dizione, e
dall'Elica e dal Liber Ethicorum. D'altra parte poi nell'Etica molte cose ci
sono che mancano nel com pendio franceseeche pur dipendono dal testo
latino.Un'ultima prova: tutti i codici dell'Elica e del Tesoro si chiudono allo
stesso modo, con le stesse parole, e la chiusa non corrisponde al testo
francese. Brunetto va più in là di A.: egli include nel suo compendio tutta la
fine del rifacimento latino. Se si do. vesse considerar l'Etica come un
volgarizzamento del libro VI del Tresor,anzi che come un compendio
indipendente,non si spiegherebbe più quella ostinata lacuna e quella costante
diver genza alla fine. Solo cinque codici dell'Elica, di trascrizione al quanto
tarda, seguono volgarizzando l'opera di Brunetto: i tre codici Marciani e i
coddice Ambros. C 2 1. i n f., i quali rivelano molto chiaramente l'influenza
del testo francese. In essi il brano finale è volgarizzato in modo del tutto
differente; ciò è na turale: giacchè nessun codice dell'Etica e del Tesoro dava
quella parte del testo francese, i trascrittori, che tennero l'occhio al Tresor,
dovettero pensare, ciascuno per conto proprio, a volgarizzarla.Anzi il Marciano
II, 134 contiene tutto quanto ilcompendio di A.,compreso ilbrano finale rias
suntivo,che non si trova invece negli altri codici dell'Etica o del Tesoro
iquali proseguono col testo francese sino alla fine; e questa nel Marc.II,134
ci appare evidentemente come una sovrapposizione voluta dal trascrittore.
Naturalmente tutti i giudizi e i sospetti di ampliamenti, di aggiunte, di
mutamenti arbitrarî del volgarizzatore, di sbagli continuati degli amanuensi,
agitati dagli editori del Tesoro, ca dono innanzi all'entità e al valore
storico diverso dei due com pendi, volgare e francese. E data la priorità del
volgare, cadono anche meschinamente tutti i tentativi di emendazione apportati
dagli editori alla lezione del VI libro in base al testo francese. Nel
Propugnatore Gaiter, che accude allora Quale dei due traduttori, in
fine,abbia merito maggiore non possiam dire.A. ha ilmerito della
priorità;Brunetto che lavoròappresso a lui è più fineecompleto,e poi anche
ilfran cese si prestava allora molto meglio del volgare italico.A. qualche
volta amplia o riduce la materia, Brunetto si richiama al testo.Siamo nel
periodo de compendi e dell'enciclopedia. U n compendio fatto è fatica
risparmiata al mæstro che deve dire le«chose universali».Brunetto,che aveva
intelligenza fine, trasse il compendio italico alla lingua di Francia e
l'incluse n e l l'opera sua e ne colmo le lacune e ne affino i contorni e lo
ripuli di fronte al testo latino,da cui egli pompeggiandosi dicea di aver
tratto la parte morale del Tresor. E non fa cenno di A.:
egliaccoglie,corregge,assimila;d'altraparteètuttauna let teratura e una
divulgazione anonima quella che dall'ultimo m e dievo va al trecento,e i
diritti di proprietà letteraria non sonoancor sorti. E poi mæstro A. forse non
appariva degno di menzione speciale al mæstro di Dante; echisa, forse, che in
questo non dobbiamo trovare indizio di una lotta accademica, svoltasi di mezzo
al laicato dotto della seconda metà del dugento e nel trecento,negli Studi
pubblici,tra medici inchinevoli alle lettere e letterati avversi a'medici? C'è
però da osservare che nel ritocco della materia volgare,in base al testo
latino, Bru netto non va oltre qualche singola espressione o frase, trascurata
o ridondante. Egli non si attenta mai a rimaneggiare e ad ac conciare la
materia nel contenuto ideale, per il modo con cui le idee furono rese nel
volgare o compendiate o disposte o interpretate riguardo all'originale
latino.Questo dunque testi monia onorevolmente che A. era allora ritenuto
autorevole MARCHESI a preparare,con l'aiuto dei mss.e del testo
francese,la sua edizione del l'operadi Brunetto, inunsaggiodicorrezioni alVI
libro,siscagliasempre, con taluni intendimenti spiritosi,contro l'amanuense che
tanto strazio avea fatto del presunto volgare di Bono; e con l'aiuto del testo
francese si affanna a correggere gli sbagli e a colmare le lacune lasciate dai
trascrittori e da Bono stesso. ed esperto intenditore del trattato aristotelico
anche da un uomo per cultura famoso come ser Brunetto, sebbene al grande di
scepolo di costui non apparisse ugualmente felice dicitore del volgare. Dunque
Brunetto si valse del volgare di A. (1), ch'ei ri. dusse e acconciò in molti
punti in conformità al testo latino, come si vedrà chiaramente dal confronto
che faremo. Più tardi gli amanuensi del Tesoro,al posto del VI
libro,introdussero il volgare già ben noto dell'Elica, essendo ben chiara e
conosciuta la dipendenza del compendio francese dall'altro volgare.Cosi resta
anche spiegato il fatto che parecchi codici del Tesoro si fermano all'Etica: Il
compendio di A. rimaneva, rispetto al VI libro del Tesoro, originale e
fondamentale; in un volgariz zamento italico dell'opera di Brunetto esso dovea
necessariamente e naturalmente tenere il posto del francese che da esso
proveniva. Già anche loChabaille noto come la seconda parte del Tresor,
interamente consacrata alla morale, offre «plus d'ensemble « et plus d'unitė »
(2); ed anche noi durante l'esame critico dei codici abbiamo potuto osservare
come appunto il VI libro non presenti quella lezione così fluttuante, incerta,
caotica degli altri libri;ciò è ben chiaro:icopisti avevano un testo già da
lungo tempo fissato. Con questo se abbiamo voluto rilevare la differenza che
l'Etica offre, nell'incertezza minore della lezione, rispetto a'libri volga
rizzati del Tesoro,non intendiamo affermare che la lezione del compendio di A.
siacostante e sicura.La mancanza diuna lezione rigorosamente affine nella
maggior parte dei codici si deve al fatto ch'essi servivano non ad uso
letterario, nel qual caso la lezione avrebbe dovuto essere molto più
rigorosa,ma ad uso morale;per cui itrascrittori,quando non erano affatto (1)
Così lo studio accurato della questione e la inconfutabile testimonianza del
documento son venuti a confermare in parte la fortunata ipotesi dello Zannoni.
MARCHESI Ho già detto che gli amanuensi introdussero il compendio di A. nel
posto del VI libro del Tresor; ho detto gli amanuensi e non il volgarizzatore,
giacchè non mancarono alcuni (non oso affermare se Bono od altri) i quali
vollero volgarizzare tutta l'opera,compreso il VI libro; ma il nuovo volgare
dell'opera francese,di fronte al comunissimo compendio originale di A., rimase
eclissato e restò soltanto in pochi codici quattrocentini, che ho potuto
rinvenire.I codici sono due,di valore e di con tenuto diverso. Magliabechiano
cartac.del sec.X V, in 4o,di cc.53 scritte ed 8
bianche,anepigrafo.Ilcod.contiene l'Etica tratta evidentemente dal Tresor,
giacchè va oltre il limite del compendio di A., e comprende la chiusa del
libroVI dell'originalefrancese.A c.46'segue,senzaalcuna par ticolare
indicazione, il trattato sulla « doctrina di parlare ad Alessandro; infineac.53':
ExplicitAristotilisEuthica uul garis Amen. La lezione si mantiene per una buona
metà fedele al testo comune dell'Elica; dal cap.47 sino alla fine presenta una
grande ed accentuala differenza e mostra evidentemente la Secondo la edizione
Gaiter. ignoranti,semplificavano dove e come volevano,buttando giù il
periodo anche ridotto, che sembrasse loro di rendere in ogni modo fedelmente
l'idea espressa dall'autore e di significare lo stesso concetto. Nei codici
dell'Etica si trovano molte espressioni qualche volta incerte, fluttuanti dalla
differenza ortografica al periodo ridotto o allargato o smembrato o dissennato,
che ci testimonia da una parte della negligenza o della caparbietà di
trascrittori ignorantelli,in un tempo in cui tutti quanti tenevano un crogiolo
dove manipolare la pasta morale delle dottrine ari. stoteliche o supposte tali,
e dall'altra parte dello stato de' testi donde copiavano,che,data lagrande
diffusionedell'opera,doveano a forza portare le tracce di
cancellazioni,aggiunte,modifica zioni,lasciatevi dai possessori:filone di muffa
questo che ci fa tante volte scivolare il piede lungo il percorso delle
trascrizioni trecentistiche di autori ritenuti catechisti o
morali. L'Etica (ediz.Manni, Li Tresors. Liv. II, Magliabech. 21. 8.
pp.52sgg.).L'uomo part.I, chap.XLI.Li 149. c.33. ch'è buono si diletta in bons
hom se delite en semedesimo abbiendo soimeisme, pensantas allegrezza delle
buone bones choses; autressi operazioni, eseegliè sedeliteilavecsonami, buono molto
allegrasi cuiiltientautressi com conl'amico suo, lo quale mesoimeismes. Maisli
eglitienesiccomeun mauvaishomtozjorsest altrosè; mailreofugge enpaor, ets'esloignedes
dallenobiliebuoneope- bonesoevres;etseilest razioni,os'eglièmolto moltmalvais, ils'esloi
reo si fugge daseme- gnedesoimeisme;car desimo,peròchequando egli sta solo si è
ripreso da ricordamento delle maleopere, ch'egliha fatto, enonamanèse, faites, et
blasmesacon. nèaltrui, perciòchela science, etporcehetil natura del bene è
tutta mortificata inluinel profondo della sua iniquità; nènon si diletta
soiettoz homes; etce avientporcequelara cine de touz biens est
ilnepuetseulsdemorer, sanztristesce, porceque illi remember desmau
vaisesoevresqueila influenza continuata del testo francese, si che c'è da
pensare a una nuova redazione sovrapposta. Riporto un brano che valga a far
notare meglio le differenze e le relazioni dell'Etica di A. col testo francese
e il volgare del cod. Magliabechiano. mortefiéeenlui, eten son mal ne se puet
de. tutto el bene è mortifi. pienamente nel male ch'eglifa,perciòchela liter
plainement, car cata in lui.etnel male natura del male si'l træ toutmaintenant que
il non si può dilettare pie. al contrario dellasuadi- sedelite, enune chose
namente,percioche lettazione,edèdiviso malfaite,lanaturede
quand'eglisidilettadi insemedesimo,eperciò son mal si l'atrait au
èinperpetuafatica ed contraire deceluidelit. quellomalesieltræ angoscia, epieno
d'ama- Etàcequelimauvais al contrario di quella ritudineedisozzuradi estpartizensoimeisme,
dilettatione.percioche perversità. Adunquea
siconvientqueilsoitl'uomoreoèdiversoet L'uomo ch'è buono si diletta in se
medesimo pensando nelle buone cose, et similmente si diletta coll'amico suo, el
quale egli reputa se medesimo. Ma l'uomo ch'è reo sempre sta in paura et fuggie
dall'o pere buone; et s'egli ė molto reo fuggie da se medesimo et non può stare
solo sanza tristizia, impercioch'egli si ricor da delle sue rie opere, ch'egli
à fatte et ripren delo la coscienza sua. Et perciò vuole male a se medesimo et
ad ogni altro huomo.Et questo èperchèlaradicedi uno male, la natura di
quello cotale uomo nes- en continuel travail de in se medesimo è m e
sunopuoteessereamico, penseret plains demolt stierechesiain continua per ciò
che l'amico deve insemedesimo,ecompi. ne se laisse cheoir en a lei. Lo
cominciamento lla possa tornare a bene. doit efforcier chamentodellainiquità
lettazione, laquale l'huo piglia accrescimento gars; mais li fermes mo ba nelle
femmine, per usanza di tempo. liensquitozjorsestavec alqualesiuadinanzi
L'officio del confortare l'amistiéetquipointne unodiletteuolesguarda
MARCHESI sance sensible; et ce confortamento,ma pare cede loconfortamento
poonsnosveoirpar.i. essereetsomigliarsia puoteesseredettaami-
homequiaimeparamors llui;mælcomincia stade per similitudine, une dame,car tout
avant mento dell'amista è di infino atanto ch'ella passe unsdelitablesre
scunouomosidee guar- niuno huomo può essere chose quià amer face. amico aquello
tale,per dare ch'egli non caggia in questo pelago d'ini- sere et en itele male
niuna cosa la quale sia quità,anzi si dee isfor- zare di venire a finedi
mecineparcuiilpuisse seria et tale infelicità bontà, perlaqualeabbia Certes, et
en itele mi- cioch'egli non ha in se aventuren'aurailjà daamare. Ettalemi. ainz
se felicitade. Adunquecia. queiln'ænluinule maliceetdeiniquitéque
ch'eglinonsilascica mentononèamistà, ave- l'on ne puet ræmbre,
dereinquestoistraboc gnachè egli si somigli inordinato! Addunque dilettazione e
allegrezza àbienvenir:donques nonhamairimedioche chascuns se gart que il
chascuns que il viegne et della malicia la quale àlafinde bontépar
èsanzarimedio anzisi dell'amistà si è dilettazione sensibileavutadi-
quoiilsepuissedeliter del'uomo sforzare ac nanzi,si come l'amista mento d'allegrezza
colli tel tresbuchement de suoi amici.Lo conforta. Addunque ciaschuno huomo si
de guardare amertume,etyvresde fatichæt pensieroetsia avere in se cosa da a-
laidesceetdeperversité, pieno di molta amari mare.E questo cotale
etqueilsoitdestortpar tudineetèebbrodisoz hæ in se tanta miseria, misere neant
ordenée. zura di peruersita, et che non è rimedio niuno Donc nus ne puet estre
sia distorto per miseria ch'egli possa venire a amisdetelhome,porce en soi
meisme et avec cioch'elli uengha alla d'unafemina,allaquale sonami. Confors
n'est finedellabontaper la v'hadinanzidilettevoli pasamistié,jàsoitce
qualeeglisipossadi guardamenti,eladiletta- que illesembleàestre:
lettareinsemedesimo, zionesièlegamedell'a- mais li commencemens et hauere
compimento mistà,eseguitalainse- d'amistiéestunsdeliz didilettationecolsuo
parabilemente.Ladispo- rasavorez par conois- amico.L'amistà non è sizione dalla
quale pro Gli huomini rei tardo s'accordano nelle oppi nioni: et
sono sanza parte d'amista, et per se desevre, ce est deliz. si pertiene a
colui ch'à insegravezzadicostumi ed esercizio di vertude, unità d'opinione e
con cordia di mettere amore, perciò che le discordie dell'openione sono da
trarre dalla nobile con. gregazione,acciòch'ella rimanga unita di pace e in concordia
di volon tade. Quelle cose che danno altrui vera digni. tade da reggere,sisono
le uirtudi e le loro opere e l'unità dell'oppinione; e questo si truova negli
uomini buoni, concios sia ch'egli sono fermi e costanti in fra loro, e nelle
cose di fuori, perciocch'egli uogliono bene continuamente.Ma rade volte
addiviene che gli uomini si accordino in una oppinione,eper cagione di compiere
gli loro desideri si soste: gnano molta briga e molta angoscia e molta fatica,
ma non per ca. gionedivertude,ehanno moltesottilitadiinseper ingannare
colui,con cui hanno a fare, e perciò sempre sono in rissa e in tenzone. C. MÆCHESI. Cil habiz dont pre
mierementnaistlicon fors puet estre apelez amistié par semblant jusqu'à tant
que il croist par longuesce de tens. Et li ofices dou confort affiert au
preudome et au ferme que il soit griez en moralité de sa vie et es proesces et
es costumes et toutes ver tuz, et plains de science et de bone opinion et de
concorde, desirrous d'a. mor; por ce devroient estre ostées toutes des cordes
et malvais pen. sers d'entre les nobles compaignies des homes, si que il
puissent vivre en pais et en concorde de propre volonté,cele chose qui plus
aide à maintenir et governer les dignitez des vertus et ses oevres.Et la con
corde des opinions et es bons homes,porcequ'il sont parmenant dedans soi et es
choses dehors; car toutes foiz jugent et vuelent bien. mentoellegamechenon si
parte e sempre con lei et la dilettazione (sic). L'abito dal quale pro ciede confortamento si può dire
amista per si. militudine infino a tanto ch'elli crescie per lungo temporale.
L'ufficio del confortatore s'appartie ne a buono huomo et al fermo, el quale è
graue di costumi et exercitato nelle uirtu,et essere pie toso di scienza et
auere accontamento d'oppinio. ni, et concordia intro ducta d'amore (sic),per.
ciò che le discordie delle oppinioni sono per disfa re le diuisioni dell'opere
le quali sono nella nobile congregazione in con cordia di uolontà.Quella cosa
la quale aiuta reg. giereladignitàelavirtu et l'opere delle uirtu.et
concordiadelleoppinioni si truoua negli huomini buoni et costanti intra se et
nel desiderio delle cose di fuori, percio che perano bene et uogliono
Limauvaishomepo bene. s'acordent à lor opinion; car il n'ont en amistie
nulepart, et poracom plir lor desirriers suef questi cotali sempre ado
frentilmaint espoines chagionedicompierele et mainttra va ilconmie le loro
conchupiscienzie poramistié; etsontes eglisostengonomolte mauvaishommesmain-
faticheetmoltitraua tes mauvaises soutil- gli:. per chagione d'a
lancesporengigniercels mista, et molti scaltri quiàel sont à faire, et
mentietmoltesottilita. porcesontil touzjors Et sonohuominireiper enpaineeten angoisse.
chagione d'ingannare L'altro codice, che ci presenta una redazione affatto
nuova e dipendente in tutto direttamente dal testo francese, è il Maglia
bechiano (vecch. segn.), cartac.delsec.XV, a due colonne,di cc.scr.160; con le
didascalie in rosso e rozzo disegno a colore nella prima iniziale e ne'margini
della prima pagina. Contiene il Tesoro; precede un indice della materia:a c.5*:
Questo libro si chiama il Tesoro il quale è chauato per lo mæstro Burneto
Latino di Firenze di piu libri di filosofia che sono strati per li tempi. Qui
comincia l'eticha di Aristotille; finisce l'Etica a c.76: Qui finisce il libro
dell'eticha d'Aristotille. La soscrizione finale a carta Qui finisce il libro
del Tesoro che fa il mæstro Bruneto Latino di Firenze. dio ne sia lodato. La
lezione offertaci dal ms. Mgl. è infelicissima e costellata di sbagli, di
contorcimenti e travisamenti di parola che pare non si possano attribuire tutti
quanti al copista. (“And that’s why Hardie disliked it!” – Grice). Il
volgarizzatore in molti punti dà a vedere di essere poco felice conoscitore del
volgare come poco esatto intenditore degallico. Molte espressioni gallliche o
sono adattate malamente all'idioma italico o lasciate intatte a dirittura e
trasportate di peso nel volgarizzamento. Ma ciò vede il lettore nel confronto
che Hardie e Grice poneno tra il testo del Liber Elhicorum e l'Etica di
coloro ch'anno a fare con loro per cio sempre sono in brigha ed in
angoscia. A. col compendio di LATINI
(vedasi) e il volgare del Tresor; confronto da cui balza fuori un documento
largo e complesso, vivo e certo della tradizione morale aristotelicadel
“Lizio,” come A. chiama la scuola, nel tempo in cui vive e conosce e compone
ALIGHIERI (vedasi). Dell'Etica di A. Hardie
e Grice danno la lezione critica, quale risulta da’codici più autorevoli
dell'Etica e del Tesoro, diversa quindi da quella offertaci dalle stampe che si
son succedute fin ora. Liber Ethicorum. L'Etica d'Aristotile. Omnis ars et
omnis incessus et Ogni arte e ogni dottrina e ogni omnis sollicitudo vel propositumet
operazione e ognie lezione pareado quelibet actionum et omnis electio mandare alcun
bene. Adunque bene ad bonum aliquod tendere videtur. dissero li filosofi, che
lo bene si è Optime ergo diffinierunt bonum di quello lo quale disiderano tutte
le centes quod ipsum est quod intenditur cose. Secondo diverse arti sono diversi
ex modis omnibus. Sunt autem in- fini; che sono tali fini che sono ope
tentaperartes multas diversa. Que- razionie sono tali finiche non sono da menim
sunt actio ipsa metet que- operazioni, ma seguitansi alle opera dam sunt ipsum actum.
Cum quesint zioni. Conciosiachosache siano molte artes ac ipsarum actiones
multe, arti e molte operazioni, ciascuna hæ erunt intenta per ipsas multa. Ac
losuofine.Verbigrazia. La medicina tamen actum in ipsis existit melius si hæ un
suo fine, cio è fare sanitade, actione. Est igitur intentum per me- el'arte della
cavalleria la qualein dicinam sanitas et per artem regiti- segna combattere, si
ha un suo fine uamuelred actiuam exercituum uic- per lo quale ella è trovata, cio
è vittoria et pernauium structiuam naui- toria, e la scienza di fare le navi, si
gatio et perdomus rectiuam diuitie; hæ un altro fine cio è navicare; e la
etista sunt acta honorabilia. Que- scienza che insegna reggere la casa dam autem
artium habentse habi- suæ la famiglia sua ha e un altro tudine generum et quedam
habitu- fine, cio è ricchezza. Sono al quante dine specierum et quedam habitudine
arti le quali sono generali e sono individuorum. Ideoque quedam ipsa. Al quante
le quali sono speciali e con rum sunt sub aliis, ut sub militari factura
frenorum et cetere artium instrumentorum militarium, et sub tengon si sotto quelle.
Verbigrazia. La scienza della cavalleria si è generale, sotto la quale si
contengono altre arte exercitu alicetere omnes bellice scienze particolari, siccome
è la scienza siue litigatorie. Et simpliciter hono- di fare lifrenieleselleele spadee
rabilissima omnium atrium est con- tuttel'altre, le quali insegnano fare stitutiuæt
instructiva ceterarum. cose, le quali sono mistieri abatta Et quemadmodum
quibusque rebus glia; equeste arti universali sono più a natura productis est perfectio
quam degneepiùonorevilidiquelle, im. Perse naturaintendit, etintellegibi. Perciocchè
le particolari sonfatteper libusest perfectio quamintendit per l'universali.
Esiccome nelle cose In tutto il principio del compendio di A., e quindi anche
del testo francese, si sente l'influenza diretta dell'altra redazione del Liber
Ethicorum, che servì di base al commento d’Aquino. Ecco il latino di
quest'altra redazione: « Omnis ars et omnis doctrina, similiter « autem et
actus et electio, bonum quoddam appetere uidentur. Ideo bene enunciauerunt
bonum, beržalglio per suo adirizamento,tutto Tutte arti e tutte opere e tutte in. Tous ars et toutes doctrines et
tramesse sono per chiedere alcuno touteseuvresettouztriemenz sont bene. Dunquedissebeneilfilosafo
porquerre aucun bien, donquesdis- chequeglichetuttelecosedeside trentbienli
philosophequeceque rano è ilbene. Secondo le diuerse toutes choses desirrentest
le bien. arti sono le fini diverse. Chetalifini Selon cdiversars, lesfinssont
di. sonoopere, talisonoch'esconodel verses; cartelesfinssonteneuvres,
l'opere.Eperciochemoltesonol'arti et teles sont celes quel'onensuitpar
el'opereciascuna à suo fine.Che medicina æ una fine cioè a fare
lesarsetlesoevres, chascune a sa santade. Ela fine dela batalgli asi fin; carmedicinea une
fin,ceest ènetoria, el'artedifarenauià àfairesanté; etbatailleasafin,
unaltrofine,cioènauichare. Ela les oevres; et porce que maintes sont
porquoielefutrovée, ceest victoire; scienza cheinsengnaagouernarea et les ars
de faire neis ont une autre l'uomo sua magione e sua familglia fin,
ceestnagier; etlasciencequi àun'altrafinecio è ricchezza. Et sono
enseigneàhomeà governersa maison alcune arti che sono gienerali e al et
samaisnieauneautrefin,ceest cunechesonospezialli, cioèpersua richesce.
Etsontaucunesarsquisont diuisione, eperòsonol'unasottol'al generaus, etaucunesquisontespe-
trasi come la scienza di chaualleria ciaus, c'est particuleres, etaucunes
ch'ègienerale,edisottoaquella sontsarzdevision; etporcesont sono più altre
scienze partichullari, lesunessouzlesautres; sicomme cioè la scienza di fare
frenieselle est la science de chevalerie, quiest espadeetuttel'altre
cosecheinse generaus,etdesozlisontautres gnanoafarecosecheabattalglia
sciencesparticuleres, ceestlascience bisongnano. de faire frains et seles et
espées, et E l'arti universalli sono più dengne toutesautresarsquienseignentà
epiùonoreuolichel'altre, percio fairechosesquiàbataillebesoignent. Chelle
particullarisono trouatteper Et cistartuniversalesontplusdigne leuniversali. E
così tutte le chose queliautre, porcequelesparticu. che sono fatte per natura è
unadi leressont trovees par les universales. retana cosa per a che la natura in
Ettoutaussicommeenchosesqui tendefinalmente. Altre si tutte le cose sont
faites par nature est une dar- chesonofatteperartièunafinale reinechoseàquoila natureentent
cosaachesonoordinatetuttelecose finelment,autressieschosesquisont diquellaarte.
Esicomecoluiche faites par art est une finel chose à Li Tresors.
Magliabech.quoi sont ordenées trestoutes les træ di sua arte a uno sengnio à
uno « quod omnia appetunt. Differentia
uero quædam uidetur finiam. Hi quidem enim sunt opera «tiones; hiueropræterhasopera
quædam. Quorum autemsuntfinesquidampræteroperationes, « in his meliora existunt
operationibus opera. Multis autem operationibus entibus et artibus et doctrinis,multi
sunt et fines. Medicinalis quidem enim sanitas,nanifactiue uero nauigatio,
•yconomicæ uero diuitiæ.Quæcumque autem sunt talium sub una quadam uirtute, quemad
modum sub equestrifrenifactiuætquæcumque aliæ equestrium instrumentorumsunt:hæc
« autem et omnis bellica operatio sub militari; secundum eundem itaque modum
aliæ sub alteris. In omnibus itaque
architectonicarum fines omnibus sunt desiderabiliores his quæ sunt sub ipsis. «
Horum enim gratia et illa prosequuntur. Quest'esempio, che manca nella nostra
redazione latina, è tratto dal Liber Ethicorum del commentotomistico:
Igituretaduitamcognitioeiusmagnum habetincrementum,etquemad modum sagittatores
signum habentes seintellectus,eodem modorebusef. fattepernaturaèunoultimointen
fectisabarteestperfectioquam per seintenditartificiumhumanum.Hac finalmente, cosìnellecosefatteper
autem perfectioestbonum ad quod arteèunointendimentofinale, al intenditur, et
est optimum eorum que queruntur propter ipsum et di quelle arti; siccome l'uomo
che ipsius causa. Scientia igitur istius est sættahalo
segno per suo dirizza scientia diuina maximi existensiuua. mento,
coşiciascunaartehæ menti in uita et CONVERSAZIONE hu. un suo finale
intendimento, loquale mana. Habentes igitur intentionem dirizzalesue
operazioni.Adunqua acpropositumdignum ualdeestut
l'artecivile,laqualeinsegnareggere inueniamus inquisitione remqueest lacittade,
éprincipaleesovranadi perfectiouoluntatis.Arsigiturdi. tuttealtrearti,
perciocchèsottolei rectiuaciuitatumprincepsestartium,
sicontegnonomoltealtrearti, le quali eoquod sub hac continenturresho.
sonoonorevili,siccomelascienzadi norabilesualideconsistentie;utpote farel'ostee
direggere la famiglia, arsexercitualisetarsfamiliedo-
elarettoricaèanchenobile,percio mus dispensatiua ac rethorica,et ch'ella si
ordina e dispone tuttel'altre eoquodipsautitarartibusactiuisomni-
chesicontegnonosottolei, elosuo bus et componitet ordinatlegesearum
compimentoàilfinedituttel'altre. Atqueiuditia etdistinguitinter Adunquelobenelo
qualesiseguita laudabilesetillaudabiles.Huius itaque
artisperfectioacpropositumadpro- l'uomo, percioch'ellalocostringe
priatpropositaomniumartiumreliqua- di fare bene e costringelo di non rum. Bonum
igiturusitatumsecundum fare male. La recta dottrina si è che suum modum est
bonum humanum. L'uomo si proceda in essa, secondo ipsum namque effectiuum estcetero-
chelasuanaturapuotesostenere. rum bonorum omnium artium et
Verbigrazia:l'uomocheinsegnageo saluatartificesnequidaganthorridum metriasidee
procedereperargo dimento lo quale la natura intende quale sono ordinate tutte
l'operazioni di questascienza, sièlobene del
chosesdecelart.Etaussicomme altresiciascunaarteæunafinale
cilquitraitdesonar causeignala cosache'ndirizaquellaopera.Qui celui bersail por
son adrescement, parla del gouernamento della citta tout autressi a chascune
ars Dunque l'arte che insen finelchosequiadrescesesoevres. Gnia la citta
gouernare è principale Donques l'art qui enseigne la cité
àgovernerestprincipausetdame etsoverainedetoutesars, porceque
desouzlisontcontenuesmaintesho- norablesars,sicomme rectoriqueet
lasciencedefaireostetdegoverner e donna di tutte l'arti,
peròchedisottoaleisonotuttii mæstrionoreuoliecontiensisotto luitutte
molteonorabillearti, sicome retoriccha e la scienza di fare oste
edigouernaresuamasnada.E an samaisnie;etencoreestelenoble, coraè nobile peroch'ellamettein
porcequeelemetenordreetadresce toutesarsquisouzlisont,etlisiens compliemensetsafinssiestfinet
compliementdesautres.Donquesest ele li biens de l'ome, porce que ele
constraintdebienfaireetelecons- traint de non mal faire.
Lidroizenseignemenzsiestque onailleselonccequesa naturele
ordineeadirizzaartichesonosotto lui,eilsuocompimentodisuafine
sièfineecompimentodel'altre. Dunque ilbene che diquestascienza uiene si è bene
dell'uomo pero che 'l constringniedinonfarelomale. E il diritto insegniamento
ch'ell'à inleisecondosuanaturalepuote soferire. Cioèadirechecoluiche
puetsofrir; ceestà direquecilqui insengna gouernaredeeandareper
enseignegeometriedoitalerparar- suoi argomenti chesonoapellatidi
gumensquisontapelésdemonstra- mostrazioni.Erittorichadeeandare cions,
etenrectoriquedoitalerpar perargomentieperragioneuedere argumenzetparraisonvoiresembla-
senbiabille, eciò auiene percioche ble. Etceavientporcequechaschuns
ciascunoartieregiudicabeneedicela artiensjugebienetditla veritéde
ueritàdiciòcheapartienealsuome cequiapartientàsonmestier,eten stiere,
ecosiinciòèilsuosenno sottile. ce est ses sens soutis. une e sovrana La scienza di città governare
non La science decitégovernerne sifamichaafanciullonedahuomo
afiertpasàenfantneàhomequi chesegualesueuolontadi,percio vueilleensuirresa volenté,porceque
che amendue sono non sacenti delle anduisontnonsachantdeschosesdou cosse del
seculo, chequestaartenon siecle;carcestearsnequiertpasla chiedela sienza dell'uomo,
mach'egli science del'ome, maisqueilsetorne sitorniabontà.Esapiatechein àbonté.
Etsachiésqueenfesestde. fateèinduemaniere, chel'uomo
ij.manieres;carlihompuetbien puotebeneessereuechioditenpo
estrevielsdeaageetenfes demors; euechioperhonestavita. autillaudabile. Et saluatioquidem
mentifortiliqualisichiamanodimo. Uniuslaudabilis existit,quantomagis strazioni,
elorettoricodeeprocedere gentiumacciuitatum. Rectadoctri. Nella sua scienza per
argomentie natioestinquirereinunoquoquege- ragioniverisimili; equestosièpercio
nerumiuxta mensuramquamsustinet checiascunoarteficegiudichibene naturailliusgeneris;
etutexigitur etdicalaveritadediquellocheap. Quidema mathematico demonstratio
partieneallasuaarte. Lascienzada et a rethore sufficientia persuasiua. reggere
la cittade non conviene a Unusquisque enim artificumrecto garzonenèauomo cheseguitilesue
iuditio iudicat de eo quod est infra h a cose buone e giuste e oneste; onde
Rerumquedamsuntcogniteapud gli conviene avere l'anima sua natu nos, et quedam
sunt cogniteapud ralmentedispostaaquellascienza: naturam. Oportetergoutamator
maquellouomo che non hæneuna scientieciuilispromtussitadres
diquestecose,èinutileaquesta eximiasetsciatopinionesrectas. Opi- scienza Questo
ci prova chiaramente che Brunetto non ebbe tra mani altro testo latino fuor del
compendio alessandrino-arabo; giacché le altre traduzioni greco-latine della
Nicomachea gli avrebbero dato la giusta indicazione del poeta: Esiodo. Ma forse
pertutto il riferimento, che son
volontadi, peroche non > bitum suæ scientiæ, et in hoc est nelle cose del
secolo. E nota che gar perspicax ipsius scientia. ludicans zonesidiceindue modi,
quanto al autem deomni sapiensestomnipe- tempo e quanto alli costumi, che
ritiaimbutus. Arsciuilis non pertinet può taloral'uomo essere vecchio di
pueroneque prosecutori desiderii atque tempo e garzone di costumi, e tal
uictorie, eoquodambo ignarisunt fiata garzone di tempo e vecchio di rerum seculi,
neque proficitipsis. Non costumi. Adunqueacoluisi conviene enim intenditarsista
scientiam sed la scienza di reggere la cittade, lo conuersionem hominis ad bonitatem;
quale non è garzone di costumie neque differt puer et ateautinmo- che non segui
tale sue volontadi, se ribus pueris, non enim aduenit quidem non quando si conviene
e quanto si defectus ex parte temporis sed propter conviene ed ove si conviene.
usum uite in moribus puerilis; pueri ergo dissoluti et desideriorum prose-
cutores non proficiunt penitus ex arte civili. Qui autem utitur desiderio
secundum quod oportet et quando sono cose le quali sono manifeste alla natura, e
sono cose le quali sono manifeste a noi. Onde in questa scienza si dee
cominciare dalle cose, oportet, et quantum oportetet ubi oportet, hic plurimum proficit
ex scientia artis civilis. lo quale dee studiare in questa scienza, ed apprendere,
si dee ausare nelle le quali sono manifeste a noi. L'uomo savi et puet estre enfes par aage et viel Dunque
la sienzia di città ghouer parbonevie.Donqueslasciencede nare è a fare huomo
che non sia governer citez n'afiert à home qui fanciulo de cuore molle e che
non estenfesensesfaizetquiensuie sesvolentės,selorsnonquantille covient faire
et tant comme il co- vient,et là où il se covient,et si comme est covenable.
seguasuauolontadi,senoquelliche siconuengonoetanto com'ellesi debono e la dove
si conuiene e si come conueneuole. E sono chose che sono chonueneuoli a natura
e cose chesonoconueneuolliannui;che Iliachosesquisontconnuesà nature et sontchosesquisontcon-
chisivuolestudiareasaperequesta neuesànos;porquoinosdevonsen scienza, eglideeussarecosegiustee
cestesciencecommencieraschoses buoneeoneste,ond'egligliconuiene quisont conneuesànos,carquise
auerel'armi naturallemente aquesta vuetestudieràsavoircestescience, scienza,macoluichenonanèl'uno
ildoituserdeschosesjustes,droites nèl'altroriguardiaciòchedee.Se et bonnesethonestes,oùillicovient
'lprimoèbuonoel'altroèapere avoirl'ame naturaument ordenée à gliato ad essere
buono. Ma chi da cestescience;maiscilquin'ane ssenonsanienteenonaprendedi
l'onnel'autreregardeàcequeHo- ciò chel'uomogl’insenguia,egliè
merusdist:Selipremiersestbons, deltuttomecciante.- Quidicedelle liautres estappareilliezàestrebons;
treuie Dacontaresono mai squidesoinesetneant,etqui.ij.uie. L'unaèuiadichonchupi.
n'aprentdecequehomlienseigne, senziæ diconuotizia.L'altraèuita
ilestdoutoutmescheanz. Les cittadina,cioèdisennoediproeza viesnomées quisontàcontersont
ed'onore.Laterzaécontenpratiua..ij.L'uneestviedeconcupiscenceet E più ujuono
secondo la uita delle decovoitise;l'autresiestvieciteine, bestie, ch'èapellatauitadichonchu
ceestdesensetdeproesceetd'onor; pisenzia,peròch'egliseghonolaloro la tierce est
contemplative: et li uolontade e loro diletto. E chatuna
plusorviventselonclaviedesbestes, diqueste.ij.uiteàsuapropriafine
quiestapeléeviedeconcupiscence, diuerse dal'altre,tuttoaltresìcome porcequeilensuientlorvolentezet
[lasienzadiconbatteredi]medi lordeliz. Etchascunedeces.ij.vies cina à sua
finediuersa dalla scienza asaproprefin,diversedesautres, delconbattere, chèquellabadaafare
toutautressi comme medicineasa santà,equellaadauereuetoria.Qui
findiversedelasciencedecombatre; diuisadelbene Ubene
carelebéeàfairesanté,etcele ėinduemaniere,che'unamaniera autreàvictoire. Libiensesten
è ch'èdisideratapersemedesimo[e ij.manieres;carunemanieredebien
l'altra)eun'altramanieradibeneè niones autem rectæ sunt ut in arte Le vite
nominate e famose sono ciuiliincipiaturarebusapudnos
tre;l'unasièvitadiconcupiscenza, cognitis, etinconsuetudinibuspul-
l'altrasièvitacittadina,cioèvita crisethonestisfactasitassuetudo diprodezza ed’onore;
la terza si è principium enim est et inceptio a vita contemplativa: e sono
molti quaresest. Exmanifesto existente uominichevivonosecondolavita
sufficienterquiaresest,nonindigetur dellebestie,laqualesichiamavita
propterquidresest.Indigetautem diconcupiscentia,perciòchesegui. Homo adpromtitudinem
habitationis tano tutte le loro volontadi; ecia
leritatisrerumbonarumautaptitudine scunadiqueste vitesihasuofine
boneinstrumentalitatisexquasciat propriodiversodaglialtri,sicome
uerum,autformaperquamaccipian- l'artedellamedicinahadiversofine
turprincipiarerumabeofacile.Qui dalla scienza dicombattere,chè'l
veroneutramhabueritharumaptitu- fine della medicina si èdi fare sani.
dinumaudiat sermonem Homeripoete tade,e'lfinedellascienzadifare ubidicit: Illequidem
bonusest,hic battagliesièvittoria. Benesièse autem aptus ut bonus fiat. Vite
condo due modi, chè è uno bene lo famosetressunt. Uitaconcupiscen-
qualeuomovuoleperse, eunaltro tieetuoluptatis,uitaprobitatiset benelo quale l'uomo
vuole peraltro. honoris,uitascientieetsapientie; Benepersesìcomelabeatitudine,
pluresuerohominumseruisuntuo- bene peraltruisonodettiglionori luptatis uitam
bestiarum eligentes elevertudi,perciòcheuomovuole
inexecutionedelectationum.Sunt questecoseperaverebeatitudine. autem termini
harum uitarum distan. Natura lcosa è all'uomo ch'eglisia teset bonaipsarumbona diuersificata.
cittadino,etconversicongliuomini Sicutergobonum quodestinarte
artefici,econtralanaturadell'uomo exercitualiestaliudabonoquodest
sièd'abitaresoloneldeserto,elà inartemedicinali, sicabinuicemalia
ovenonsianogente,peròchel'uomo sunt bona trium uitarum. Et bonum naturalmente
ama compagnia. quidem medicine est sanitas, bonum Beatitudo si è cosa
compiuta,la exercitualisestuictoria.Estautem qualenonabbisognaneunacosadi
bonumsecundumduosmodos:bonum fuoridase, perlaqualelavitadel per se et bonum
propter aliud; et l'uomosièlaudabileegloriosa.Adun. quesitum qui demproptersemelius
quelabeatitudinesièlo maggior est quesito propter aliud. Nosuero beneelapiùsovranacosælapiù
manca nel compendio di A., BranettosivalseanchedelLiberminorum
moralium:«.aduertat « intentionem poetæ dicentis: Optimus est hominum qui a
semet ipso intelligit quod expedit.Qui « autem ab altero hoc intelligit, est in
uia directionis. Qui uero nec a semet
ipso intelligit nec « ab altero recipit, hic uir est inutilis, est qui est
desirrez por lui meisme, et une autre maniere de bien est qui est desirrez por
autrui. Biens par lui est beatitude,qui est nostre fin,à quoi nos entendons;bien
par autrui sont les honors et les vertuz; car ce desire li hom por avoir
beatitude. Naturale cosa è a l'uomo ch'egli sia
cittadino e ch'egli conuersi in tra le gienti, cioè intra gli uomini e intra
gli artefici. E contra natura sarebe abitare in diserto oue non à persona,però
che l'uomo naturale. mente si diletta in conpangnia. Bea tittudine è cosa
conpiuta, si che non à niuno bisongnio d'altra cosa fuori di lui, per chui la
uita degli uomini ė pregiabile e groliosa:dunque è beatitudine il magiore bene
di tutti, e la più sourana cosa e la trasmil gliore di tutti i beni che sieno.
Qui diuisa di treposanzie Tutte le opere dell'uomo o sono malvagie o
[buone.om.]. Colui che lle fa buone l'opere,egli è degno d'auere il compimento
della uertu di L'anima dell'uomoæ.ij.posanze.
L'una è uegiettative,e questa è co mune ad alberi ed a piante, ch'egli anno
annima uigettatiua,altresìco m'àno gli uomini; la seconda è apel latta
sensitiua; la terza è apellata r a zionabile,l'èperquestoche l'uomoè
ragioneuole e diuisato da tutte le cose, per ciò che niuna altra cosa æ anima
razionale se no l'uomo;e questa possanza è alcuna uolta in natura e al
cunauoltainpodere.Ma beatittudine è quand'ella è in opera e non miga quand'ella
è in podere solamente; chè s ' egli no 'l f a, egli non è mi c h a buono. Naturel chose est à l'ome que il
soit citeiens,etque ilconverseentre les homes et entre les artiens; car contre
nature seroit de habiter en desers où il n'a nule gent,porce que li hom
naturelmentsedeliteen com paignie. Beatitude est chose complie,si que ele n'a
nul besoing d'autre chose fors de li,par quoie la vie des homes est puissanz et
glorieuse: donques est beatitude li graindres biens de touz et la plus
soveraine chose et la très mieudre de touz biens qui soient. L ' ame del' o m e a j i j. puissances. L'une est vegetative, et ce est
c o m mun asarbresetasplantes,caril ont ame vegetative aussi come li home
ont;lasecondeestapeléesen sitive, et est c o m m u n e à toutes bestes, car
eles ont ames sensitives; la tierce est apelée rationable,et por ceste est li
hom divers de toutes choses,porce que nule autre chose n'a ame ratio.
nableselihom non.Etcestepuis sance rationable est aucune foiz en oevre et
aucune foiz en pooir; mais beatitude est quant ele est en oevre, et non pas quant
ele est en pooir seulement; car se il ne le fait, il n'est mie bons. ch'è
disiderata per altrui. Bene per lui è
beatitudine, ch'è nostra fine a che noi intendiamo.Bene per altrui sono gli
onori e le uertu: chè questo si disidera per auere beatitudine. Toutes les
oevres des homes ou Ogni operazione che
l'uomo fæ o ellaèbuonaoellaèrea;equello uomo lo quale fa buona la sua ope.
razione, si è degno d'avere la perfezione della virtude di quella opera
zione.Verbigrazia: lo buono cetera tore,quando egli cetera bene,si è
degnacosach'egliabbiailcompimento di quella arte,e lo rio tutto il con. trario.
Adunque se la vita dell'uomo è secondo l'operazione della ragione, allora si è
laudabile la sua vita, quand'egli la mena secondo la sua propria vertude; ma
quando molte vertudi si raunano insieme nell'animo dell'uomo, allora si è la
vita dell'uo mo molto ottima e molto onorata,e molto degna,sicchè non puote
essere più;perciò che una virtude non puote beatitudinem ultimam propter se uo
lumus,cum sitfinisnosteretintentum à nobis; honores autem et uirtutes propter
beatitudinem, eo quod per ipsas pertingimus ad illam. Homo naturaliter ciuilis
est et con uiuithominibusetsocietatesexercet comel'uomo; lasecondapotenziasi
cumartificibusdecenter,nequeap chiamaanimasensibilenellaquale
petitsolitudinemnequedesertum participal'uomocontuttelebestie, neque heremum.
perciòchetuttelebestiehannoanima Beatitudo es tres completa, nullius
sensibile;laterzasichiamapotenza indigens, perquamuitahominislau. razionale,
perlaqualel'uomosiè dabilisexistit. Beatitudoigiturexce
diversodatuttel'altrecose,perciò lentissimum est eligibilium et opti. che neuna
altra cosa hæ anima ra mumbonorum,cumsitperfectiore zionale, sicomel'uomo.E
questa rumoperabilium. Sicutigiturestin potenziarazionalesiètalorainatto
qualibetartiumbonumquodillaars etalorasièinpotenzia;ondela
intendit,etsicutestcuilibetmem. beatitudinedell'uomosièquandoella
brorumcorporis actuspropriusin vieneinatto, enonquandoellaèin
quoeialiudnoncomunicat,sicest homini actus proprius in quo aliud ei non
comunicat. Homini autem se cundum animam uegetabilem COMUNICANT terræ
nascentia,et secun dum animam sensibilem comunicant ei animalia; actus uero ei
proprius, inquo nullum aliud ipsi comunicat, est actus secundum rationem et di
scretionem. Ratio uero duplex
est: potenzia: ratio uidelicet actualis et ratio poten tialis;dignior autem ad
intentionem rationis et magis cognita est ratio actualis,ut pote actus hominis
di. scernentis et agentis. Et omnis actio quam agit actor aut est bona aut est
mala. Actor autem bene agens in omni arte meretur intentionem uir tutis, ut
bene citharizans citharedus bonus; citharizans autem male malus. ottima che
l'uomo possa avere. L'a nima
dell'uomo si ha tre potenzie; l'una si chiama potenzia vegetabile, nella quale
comunica l'uomo cogli arbori e colle piante,perciò che tutte le piante hanno
anima vegetabile, si
bonesoumauvaisessont.Etcilqui quell'opera.Chècoluichebeneopera fait
lesbonesoevres,ilestdignes è degnod'auereilcompimentodisuo
d'avoirlecomplimentdelavertude mestiere,equeglichemalfanno,il
celeoevre;carcilquibiencitoleest contrario. Dunqueselauitadell'uomo
dignesd'avoirlecomplimentdeson è secondo l'opera di ragione, alora mestier,
etciquimallefait, lecon- è da pregiare quand'eglila mena
traire;doncselaviedel'omeest secondolapropriauertu. Maquando
seloncl'oevrederaison,lorsestele mantieneuertusonogliuominisaui,
prisablequantillamaineseloncla esauioebisongniabile,enorevolee propre vertu;
mais quant maintes moltodengniosichepiùnonpotrebe vertuzsontenl'ome,savieestbesoi.
essere; percidcheunasolauertunon gnableethonoréeetmultdigne, si
puotefarel'uomodeltuttobeatone queplusneparroitestre,porceque
perfetto.Chèunasolarondineche uneseulevertunepuetfairel'ome
uengnianèunosologiornotemperato detoutebeatitudeneparfait;carune nondonaciertanainsengniadelprimo
solearondelequivieigneneunsseus tenpo. Eperciòinunopocodiuita
jorsatemprésnedonentcertaineen- d'uomoeinunopocoditenpoch'egli
seignedouprintens;etporceenpo facciabuoneopere, nonpossiamoperò devied'ome,neenpodetensque
direch'eglisiabeato. Qui ilfacebonesoevres, nepoonnosdire diuisa di tre maniere
di bene. Il queilsoitbeates. Libiensest beneèdiuisatointremaniere,che
devisezen.iij.manieres, carliuns l'unoèilbenedell'anima,el'altro
estbiensdel'ame,etliautresest delcorpo. Mailbene dell'anima è il doucors, etlitiersdehorslecors;
piùdengnio chenullodeglialtri, maislibiensdel'ameestplusdignes
peròcheglièilbenedidio,esua quenusdesautres,carceestlibiens
formanonèchonosutaseperl'opere de Dieu, et saformen'espasconneue
separlesoevresvertueusesnon.Et sanzfaillebeatitudeestenquerre
lesvertuzetenelsuser,maisquant beatitudeestenhabitetaupooir
del'ome,etnonensesfaiz,ceest àdirequantilporroitbienfaireet ilnelefaitmie,
lorsestvertuous aussicommecilquisedort, carses oevres ne ses vertuz ne se
mostrent pas. Mais l'omquiestbeatescovient aussicommeparnecessitéqueilface
uertudiose non.E sanza fallo beati tudineèinchiedereleuertuefarle. Maquando
beatitudine ènell'abitoe inpoteredell'uomononèsenone fatti:questoèadire,quandoeglipuote
benefareeno'lfaaloraèegliuer tudiosoaltresìcomecoluichedorme; chè sue opere e sueuertunonsimo
strano. Ma l'uomo ch'èinbeatitudine conuiene altresì come per necissetà
ch'eglifacciailbeneinoperæsi comeilsauiochampioneeforteche
lebiensenoevre.Etsicommeli sichonbatteuuoleportarelacorona Actusigiturhominisunæstuitarum
l'uomo fare beato,nè perfetto,sic famosarum trium prenominatarum, una rondine
quando appare uitascilicetrationisetscientieet sola, eunosolodietemperatonon
sapientie. Etomnis quidemresbona dànnocertadimostranzachesiave.
existitetdecorapropteruirtutemsibi propriam. Vita ergo hominis actus
estanimeintellectiueperuirtutem sibipropriam;sedcumuirtutesani- memultesint, eritperoptimam
et honoratis simam in fine et dignissimaminfineperfectioniset complementi.
Unanempehyrundononpro- nosticaturuerneque diesunicatem- peratiæris,sicnecuitapaucæt
lobenedell'animasièpiùdegno tempus modicumsignumcertumsunt
benedineuno,elaformadiquesto beatitudinis. bene si non si conosce se non nell'o
Bonum tripliciter diuiditur; est perazioni, le quali sono con vertudi. bonum
anime et bonum corporis et nutalaprimavera;ondeperciò nè.
inpicciolavitadell'uomo,nè in pic ciolotempochel'uomofacciabuone operazioni,
nonpotemodicereche l'uomosiabeato. Lo bene sidivide in tre parti, chè
l'unosièbenedell'anima,l'altrosi è bene del corpo, el'altro si è bene di fuore dalcorpo.
Di questi tre beni, come bonum extra
corpus. Bonum ergo delle vertudi e nell'uso loro; ma
quoddignissimebonumdiciturest quandolabeatitudineènell'uomoin bonum anime,
neque apparet forma abito, e non in atto,allora si è vir istiusboni,
nisiinactibusquisunt tuosacomel'uomochedorme,lacui auirtute. Et beatitude
quidemest operazione e virtudenonsimani. inacquisitioneuirtutumetinusu festa;
mal'uomobuonodinecessità earumsimul.Cumquefueritbeatitudo è bisogno che
l'aoperisecondol'atto, in homine tamquam in possessioneet et è somigliante di
quello che sta habituet non actu, tuncesttamquam neltravitoa combattere; chè
sola uirtuosus dorniiens cu non apparet mente quelli che combatte et vince,
actionequeuirtus. Beatusautemactu quellià la coronadellavittoria; e
necessarioexercet beatitudinem. Et se alcuno uomosiapiùfortedicolui,
quemadmodumperitiagonisteatque chevince, nonàperciòla corona,
robusticoronanturquidemetacci. perch'eglisiapiùforte,s'eglinon piuntpalmam apud
actumagoniset combatte, avvegnach'egliabbiala uictorie, sicuirtuosielectiboniac
potenziadivincere;ecosìlogui. beati laudantur et premia uirtutum derdone della
virtude non ha l'uomo suscipiunt dum apparent operationes se non in fino a
tanto ch'egliadopera ipsorum secundumueritatem;etisto. lavirtudeattualmente;
equestosiè rumuitæstin se ipsa delectabilis. perciòcheloloroguiderdoneela
Unusquisque enim hominum delecta- lorobeatitudineèladilettazione,che La
beatitudine si è nell'acquistare della
uettoria, tutto altresì l'uomo buono e beato æ il guiderdono e la loda della
sua uertu ch'egli fæ et mostra ueracemente per queste opere, perciò che il
guiderdono delle sue opere e della beatittudine è ildiletto ch'egli n'atantoe
com'egli opera la uertu; chè ciascuno si dileta in cid ch'egli ama; il giusto
si dileta in giustizie e l'asagia e gli piacciono, e 'l uertudioso nelle uertu.
Et tutte l'opere che sono per uertu sono belle e dilettabille in se medesime.
Beatitudeestlachoseau monde Beatitudine èl acosa al mondo che
quiesttrèsdelitable,maislabeati tudequiestenterreabesoingdes
biensdedehors;carilestdurechose quel'onfacebelesoevres,seiln'ia grant part des
choses avenables à bonevieethabondanced'avoiret d'amisetdeporenz,etprosperitéde
fortune, et por ce la sapience abe. soigned'aucunechosequifaceco
perciòlasapienzaàbisongniod'al noistre sa valor et ses honors.Se cuna cosa che
faccia conossere suo aucuns done as homes dou monde, ualore e suo onore.Se
alcuno dona disglorious et soverainsfaiz, l'en ahuomodelmondodonogroliosoe
doitbiencroirequecildonssoitbea. Sourano fattol'uomo debenecredere
titude,porcecequeestlamieudre che quellodonosiabeatitudine, perciò
chosequiestrepuisseaumonde; car ch'eglièlamigliorecosachepossa
eleestmulthonorablechose, etest esserealmondo;ch'ell'èmoltoono.
licompliemensetlaformedevertu; rabilecosa[essere]edèilcompimento
neiln'estpasditdouchevalnes elaformadellauertu;nèeglinonè
desautresbestes,nedesenfans,que michadettodelcaualloedel'altrebe ilsoient
beates,porce qu'il ne font oevres de vertu. Beatitude est chose ferme et
estable, tozjors en une fermeté, si que ele ne stie,nè degli fanciulli che
sieno beati, perciò ch'egli non fanno opere di uertu. Beatitudo è cosa ferma et
stabille. Arrestiamo qui la trascrizione del cod. Magliabech., sembrando ci la
parte trascritta suciente ad attestare la propria dipendenza dal testo
francese. milglioreepiugioiosætradiletta bille: mallabeatitudinedeeessere
interræbenidifuori. Chè gliè dura cosa che l'uomo faccia belle opere e ch'egli abbia parte di
cose aueneuolliahuonauitædabondanza d'auereedabondanzad'amiciedi parenti e
prosperita di fortuna, e F sages
champions et fors qui se combat et vaint emporte la corone de victoire,
toutautressilihom bonsetbeatesa le guerredon et la loange de la vertu que il
fait et mostre veraiement par ses oevres, porce que li guerredons de la
beatitude est li deliz que l'om atentcomme iluevrelavertu,car chascuns se
delite en ce que il aime: lijustessedeliteenjustise,etlisages en
sapience,etlivertueusenvertu; et toute oevre qui est par vertu est bele et
delitable en soi meisme. virtude, si è bella e diletteuile in se Beatitudo
autem omnium rerum est medesima. Beatitudo
si è cosa ot optimaiocundissimaatque delectabi- tima, giocundissimæ
dilettabilissima. lissima. Beatitudo tamen quest hic La beatitudine, la quale è
interra, si bonisexterioribusindiget; difficile
abbisognadeglibenidifuori,perciò est enim homini ut opera decora che non è
possibile all'uomo ch'egli exerceatabsquemateriautpotequod
facciabelleopereech'egliabbia habeatpartemcompetentemrerum
artelaqualesiconvengaabuona boneuitepertinentiumet copiam vita, e abbondanza
d'amicie dipa familie et parentum et prosperita- renti, eprosperitàdiventura,sanza
temfortune.Ethacquidemdecausa libenidifuori; eperquestacagione
indigetarssapientiearteregnandi, nonabbisognaalcunacosachefaccia ut apparere
faciat honorificentiam manifestare il suo onore e lo suo va suiatqueualorem.
Etsialiquarerum lore. Sealcundonoèfattodidome donata est hominibus a deo
excelsa nedio glorioso e eccelso agli uomini etgloriosa, dignumestutbeatitudo
delmondo, degnacosaè da credere siue FELICITAS donumsitdiuinum se- che quellodonosiabeatitudine,im
cundumquodipsæstoptimaomnium perciòch'ellasièlapiùottimacosa rerum humanarum;
est igitur de onorevole molto e compimento e rebus prehonorabilibus,cum sit
com. turineoquodestamatumapud eglihanno,
infinoatantoch'egliado ipsum; delectetur ergo iustus in perano la virtude; chè
il giusto si justitiætuirtuosusinuirtuteet dilettanellaiustiziæ'lsavionella
sapiensinsapientia.Etactionesfientes sapienza, elo virtuoso nella virtude;
peruirtuteminseipsissuntdelecta. eognioperazione,laqualesifaper biles uenuste
ac decore. forma di virtude. E neuna genera plementum uirtutis siue forma et
zione d'animali puote avere beatitu fructusipsius Non diciturautem
dine,senonl'uomo,eneunogarzone deequo neque de alio aliquo anima- nonhæ
beatitudine, perciòcheneuno liumhuiusmodi,nequedepueris,quod
animalenèneunogarzonenonado sintbeati,eoquodnequehuiusmodi perasecondovertude.
animalia neque pueri agant opera Beatitudo si è cosa ferma e stabile
uirtutis.Etbeatitudoestresfirma sempresecondounadisposizione, nella stabilis secundum
dispositionemunam, quale non cade varieta denèpermu inquamnoncaditalteratioet permutazione
alcuna, e non v'ha talora tatio, etnoncomitanturipsameuen: beneetaloramale, matuttaviabene,
tusuarii,etnuncbonitasnuncmalitia. E questo siè perciòchelabonitade
Etenimbonitasetmaliciæstin opere elareitadesi ènella operazione hominis; et columpnabeatitudinis
dell'uomo. La colonna della beatitu
estoperasecundumuirtutem; co- dinesièl'operazione, chel'uomofæ 1 se remue pas,et si n'est mie une foiz bien
et autre mal, mais toutes foiz bien,porce que li muemenz de bonté ou de malice
n'est pas se es oevres des homes non. Li pilers de beatitude est lesoevres que
l'onfait selonc vertu,et la colone dou con traire est les oevres que l'on fait
selonc vice; et la vertus ferme et estable est en l'ame de l'ome.Li hom
vertueus ne se contorbe ne ne s'es maie por nule temporal chose qui li
avieigne; car il n'auroit jà beatitude se il s'esmaioit,car dolor et paor
abatent l'oevre de vertu et la joie de beatitude. Felicités est une chose qui
vient par vertu de l'ame, non pas dou cors. Aucunes choses sont mult griez à
sostenir;mais quant l'on les a bien sostenues,lors apert et se mostre la
hautesce de son corage; et sont au tres choses qui ne sont griez à sos tenir,
ne li hom qui les sueffre ne mostre pas que en lui soit force.Et jà soit ce que
mort et maladies de filz soient griez à sostenir, ne doivent pas remuer l'ome
de sa felicité; car bienetfelicité,ethome felixet Dex glorious et benois sont
tant digne chose et tant honorable que nulz pris ne nule loenge ne lor sofit
pas; et nos devons reverer et magnifier et glorifier Dieu sor toutes choses et
si devons croire que en lui sont tuit bien et toutes felicitez.,porce que il
est commencemenz et achoisons de touz biens. secondo virtude,e la colonna del
con trario suo si è l'operazione, la quale l'uomo fæsecondolovizio;equesta
operazione si erma e stante nel. l'anima dell'uomo,et l'uomo virtuoso non si
muove,e non si turba per cosa contraria temporale che gli possa a v venire,
perciò che già non arebbe beatitudine, s'egli si conturbasse, perciò che la
tristizia e la paura si toglie altrui l'allegrezza della beati. tudine. Sono cose le quali sono molto forti a sostenere; ma
quando l'uomo l'à sostenute pazientemente, si dimostra la grandezza del suo
cuore; e sono altre cose le quali sono lievi a sostenere,e perché l'uomo le so.
stegna non si mostra grande fortezza in lui, siccome morte di figliuoli e loro
malitia.Queste cose,avegnache ellesiano forti,non permutano l'uomo di sua
felicitade.La felicitade e l'uomo bene avventurato e domenedio bene detto e
glorioso sono tanto degna cosa e tanto da onorare che le loro lodi non si
possono dicere,e spezial mente si conviene a noi di reverire e magnificare
messere domenedio sopra tutte cose, e dee l'uomo pen sare di lui, che nel suo
pensare ha l'uomo tutto bene, e tutta felicitade, perciò ch'egli è
cominciamento e ca gione di tutto bene.
lumpna uero contrarii beatitudinis est opera secundum contrarium
uirtutis; et optima operationum secundum uir tutem est stabilissima earum in
ani ma;et uita beatorum continua est semperperactioneshonorabilesbonas; et
uirtuosus perfectus absque ex tollentia speculatur in rebus virtuali bus et
substinet irruentia mala et tollerat ea tollerantia decenti et non turbatur cor
neque formidat ex ma. gnis calamitatibus ex temporis malitia occurrentibus;
nisi enim eas decenter sustinuerit conturbabitur eius felicitas et inducentur
super ipsum meror et tristitiaque impedient secundum uir tutes operationes.
Quedam autem actionum malitie difficiles sunt ad sufferendum: sed quando acciderint
homini et eas sustinuerit,demonstrant eius magnanimitatem. Alie uero que. dam
facilepossuntsufferrietheecum inciderint homini et eas sustinuerit, non
demonstrant eius magnanimita tem; et mortuis ex bonitate actionum filiorum et
ex malitia ipsarum con tigit [modicum aliquid tante, in.
quam,quantitatis].transmittetfelices a sua felicitate ad infelicitatem; neque
infelices a sua infelicitate ad felicitatem. Bonum etfelicitasatque felices
et deus benedictus et excelsus digniora sunt et honoratiora quam ut lau dentur.
Immo conuenit quidem uene rari deum et ipsum singulariter m a gnificare et eius
intuitu felicitatem etfelicesetbonum,cum sintresdi. uine, et gratia quorum
omnia alia aguntur;et creditur de eo quod est Felicitade si è un atto il quale
procede da perfetta virtude dell'anima et non del corpo. Principium bonorum etipsorum causa, quod sit
res diuina. Felicitas est quidem actus anime procedens a uirtute perfecta,non
cor poris sed anime. Prima di passare
al raffronto della parte finale nelle diverse redazioni, non sarà inopportuno
riprodurre ancora un brano, del principio del secondo libro, che valga a
confermare le diffe renze e le relazioni da noi stabilite tra i due compendi,
volgare e francese, e il testo latino. Liber Ethicorum. Litresor, Virtus ergo
duplex est – Grice: NONSENSE: Virtue, like philosophy, is entire!--.,
Porceapert uidelicetintellectualiset ilque.ij.manieressont
moralis;intellectualis, devertuz: l'uneestde utsapientiætprudentia
l'entendementdel'home, etsimilia.Laudantese- ceestsapience, science nim hominem
ex parte Et uirtutum quidem tuel,nos disons:ce est uirium intellectualium eum appellamus.
intellectualium genera prisierdevertu intellec uns sages hom etsoutis; par
enseignement,et liumestperbonam et porcelicovientexpe honestam conuersatio-
rience et lonc tens. La nem;nequesuntinno- vertudemoraliténaist bispernaturam.Res et
croistparbonuset enimnaturalesnonegre. honeste;car ele n'est diuntur a natura
sua pas en nos par nature; perassuetudinem,utpe- àcequechosenaturele tra,quæsempertendit
ne puetestremuéede et sens; l'autre est de sapientem eum dicimus
autscientemaut(secun- choses semblables. Et dumaliquidhuiusmodi);
cepuetchascunsveoir sed ex parte moralium clerement; car quant
largumuelcastumuel un home humilem uel modestum mais quant nos le volons
tioetincrementumfit prisierdemoralité,nos inhomineperdoctrinam
etdisciplinam;ideoque chastesetlarges.X.La in eius acquisitione ex- vertu de
l'entendement perimentoindigetettem- estengendréeetescreue pore longo.
Generatio autem uirtutum mora en l'ome par doctrine et moralité,ce est chastée
et largesce, et autres disons:ceestunshom nos volons L'Etica.– Due sono le virtudi; l'una si è
dettaintellettuale,sicco me lasapienza e scienza e prudenza; l'altra si chiama
morale,sicome castitade e larghezza ed umiltade; onde quando noi volemo lodare
alcuno uomo divertudeintellet. tuale,diciamo: questi è un saviouomo,intende
vile e sottile; e quando noi volemo lodare un altro uomo di virtude morale,
cioè de costumi, si diciamo:questi è un uomo umile e largo.- Concio
siacosachesiano due vertudi,una intel lettuale e l'altra morale, la
intellettuale si si in genera e cresce per dottrina e insegnamento,e la virtude
morale si si in. genera e cresce per b u o na usanza;e questa ver tude morale
non è in noi per natura,percioc cbè natural cosa non si puote mutare della sua
disposizione per contra
riausanza.Verbigrazia: ad centrum naturaliter, lanaturadellapietrasi
etignisadcircumferen èl'andareingiuso,onde tia, numquam assue non la potrebbe
l'uomo receptionem, et perfi questevirtudinonsono tiunturinnobisexbona in noi
per natura,la po. A. amplio e chiarì meccanicamente l'esempio della pietra e
del faoco, valendosi del latino del Liber Ethicorum del commento tomistico:
puta lapis natura deorsum latus non autiqueassuescitsursumferri,
nequesideciesmilliesassuescat quis,eumsursumiaciens»;e sopratutto del Liber
minorum moralium: Lapis enim qui naturaliter deorsam descendit quamvis « quis
probiciat ipsum sursum uicibus innumerabilibus, quarum non comprehenditur
multitudo, «uolens per hoc assue facere ipsum mouerisursum, numquam
habebitpossibilitateminhoc.Et similiter ignis non est possibile at recipiat per
assuetudinem diuersum motionis suæ ». nos par usage; por quoijediqueces vertuz
ne sont pas dou tout en nos sanz nature ne dou tout selonc nature; mais li
commencemenz et la racine de recoivre ces vertuz sont en nos par nature,et le
lor c o m pliment est en nos par usage. Et toutes choses tanto gittare in suso, situm; neque aliarum
ch'ella imprendesse ad rerumullaassuescetop. Andareinalto ;elana-
positumnaturesue. turadelfuocosièd'an. Attamen cognationem dareinsuso,ondeno'l
aliquamhabetconsue. potrebbe l'uomo tanto tudo cum natura et co trarreingiuso,
ch'egli gnationemaliquamcum imparassedivenirein intellectu. Nonsuntita que in
nobis uirtutes niunacosanaturalepuo- morales naturaliter, ne tenaturalmente
farelo quepreternaturam; sed contrario della sua na- nati sumus ad earum giuso;
eduniversalmente tura. Mà avvenga che scunt huiusmodi oppo consuetudine. Item
omne puissanced'aprendrela tenziadiriceverleèin quodinnobisestnatura.
estennousparnature, noipernatura,elocom- literpreextititinnobis
etlicomplemenzesten pimentoèinnoiper potentialiter,deindeap usanza. Ondequestever.
paretactualiter.Ethoc tudinonsonoinnoi al manifestumestinsen
postuttopernatura;ma sibus. Sensus enim in laradicee'lcomincia.
nobisnonfiunteoquod mentodiriceverequeste uideamusuelaudiamus multociens,sed e
con trariofitinnobis.Ha bemus enim eos prius naturaliteretpostmo. vertudi si è
in noi per natura, e'lcompimento elaperfezionediqueste virtudisièinnoiper
usanza. Ognicosala
dumexercitamurineis. sonordreparusage con traire.Raison comment: la nature de
la pierre est d'aler tozjors aval, ne nus ne la porrait tant giteramont que ele
seust sus aler; et la nature doufeuestd'aleramont, ne nus ne leporroit tant
avaler que il seust en aval metre la flamme. Et generalment nul na tural chose
ne puet par usage aprendre à faire lecontraire de sa nature. Et jà soit ce que
ceste vertuz ne soit en nous par nature, certes la diusinterextremadicta, Et porunemeismechose et d'oïr, et par celui quella potenziao dee
ethocmodoestinom- pooirvoitetoit,etnus vede, enonvedel'uomo nibus
artificibus.Nam nevoitdevantqueilen prima eode, ch'egliab- hedificatores sumus
ex ait le pooir. Donques bialapotenziadelve- usuhedificandietcytha.
savonsnosquelipooir dereedell'udire. Dunque rediexusucytharizandi; est devant
le faire.Mais vedemo già che la po- ex bene quidem facere es choses de moralité
tenziavadinanziall'atto. hocbonisumusinbiis, estli contraires;car E nelle cose
morali è ex male autem mali. l'uevre et li faiz est de. tutto locontrario, chè
vant le pooir. Raison l'operazioneel'attova eadem
fituirtusetcor- comment:aucunshom dinanzi alla potenzia. rumpitur.....autem a
la vertu de justise, Verbigrazia: l'uomosi similiter sanitates. Et cor
mentneleseustlimais. rumpunturexpaucitate tresseiln'eneustovré fatteprimacase,
edal- etmultitudine,uttimi- autrefoiz. Autressi se trimenti non potrebbe ditas
et procacitas. Ti- vent aucun bien citoler peravereeglimoltevolte
averequellaarte, seegli midusenimfugitomnia, Exeisdemergoetper porce que il a
devant hæ la virtude che si actiones laudabiles cor- fait maintes cevres de
chiamagiustiziapera- rumpunturproptersu- jostise; etunsautresa vereegli
fattoinnanzi perfluitatemautdiminu- lavertudechastée, porce
molteoperazionidigiu. tionem, utexercitia su- que il a devant fait stizia, edhæl'uomola
per fluaaut diminutæt maintesoevresdecha virtudechesichiama
nutrimentisusceptiosu-stée.Toutautressiest castita deperavereope-
perfluaautdiminutafor- des choses de mestier rate dinanzi molte ope- m a m
sanitatis corrum- et de art.On scet faire razionidicastitade;e punt, equalitasautem
maisons,porcequeon cosiadivienedellecose ipsorumsanitatemfacit
enamaintesfaitespre artificiali, chè l'uomo et auget et conseruat. Et mierement; car autre
hal'artedifarelecase uirtutes morales porce que il en sont non
l'avessemoltevolte procax autem omnia in- molt usé. Et li hom est adoperata
dinanzi;esi. uadit. Fortitudo autem bons por bien faire,et migliantemente
l'arte qualeèinnoiperna- Virtutesautemacqui- qui sontennosparna tura, sièprimæpoi
rimusexfrequentatione turesontpremierement sivieneinatto,siccome
actuumhabitusinducen- enpooiretpuisen fait, avviene de sensi del- tes. Iusti
etenim sumus aussi comme li sens de l'uomo,chèprimaha exusuactuumiustitie,
l'ome;cartoutavanta l'uomo la potenzia dive. et casti similiter, scilicet li
hom pooir de veoir dere e d'udire, e per ex usu actuum castitatis, del ceterare
ha l'uomo inhisesthabitusme- mauvaispormal faire. et
inest fortitudo ei qui scit fugere a fugiendis et inuadere inuadenda, ethichabitusacquiritur
Per una medesima exconsuetudineuilipen cosasigeneranoinnoi di (sic)
terribilia.Sicca levirtudi,esicorrom ponosequellacosasifa indiversimodi;eadi
viene della virtude si comedellasanitade,che una medesima cosa in diversi modi
fatta fa ella sanitade e corrompela. Verbigrazia: la fatica s'ella è temperata
si in. genera sanitade nel corpo dell'uomo,e s'ella è più che non si con. viene
o meno che non si conviene,si corrompe lasanitade;esìadiviene della virtude che
si cor rompe per poco e per troppo, e conservase per tenere lo mezzo.Verbi.
grazia: paura e ardi mento corrompono la prodezzadell'uomo;per cio che l'uomo
che ha paura si fugge per tutte le cose, e l'uomo ch'è arditoassalisceognicosa
e credelasi menare fine; e nè l'uno nè l'al. tro non èprodezza;ma la prodezza
si è tenere lo mezzo intra l'ardi mentoelapaura;edee stitatishabitusacqui.
ritur ex consuetudine retrahendiseauolupta tibus,etsimiliterseha
betinceterishabitibus laudabilibus. per avere molte volte ceterato; e l'uomo è
buono per far bene,e lo rio per far male. naissent en nos et se cor rumpent les
vertus,se cele chose est menée en diverses manieres;tout autressi c o m m e la
santé; car travailleratempree. ment engendre santé au corsdel'ome;maistra
vailler o plus ou mains que mestiers n'est,cor ront la santé; mais meenneté la
garde et acroist: autressi est de vertu, car ele corront et gaste par po et par
trop,et si se conserve et maintient par la meenneté.Raison com ment: Paors et
harde corrumpent la proesce del' om e; c a r li hom qui a paor s'enfuit por
toutes choses, ne n'ose nule emprendre; et li hardis emprent à faire toutes
choses,et les cuide mener å fin. Et sachiez que l'une ne l'autre n'est pas proesce: mais
proesce est aler entre hardement et paor. Et doit li hom foïr les choses qui
sont à foïr, et envaïr les choses qui sont à envaïr. Et cist habiz est aquis
par usage de desprisier les terri bles choses,et habiz de chastée est aquis par
u a mens l'altre virtudi,siccome tu hai inteso della pro dezza; chè tutte le
virtù s'acquistanoesisalvano per tenere lo mezzo. Col raffronto del devez entendre de toutes vertuz.
brano finale mettiamo termine a questo prospetto comparativo, che porta un
contributo,non privo d'in teresse, alla conoscenza della fortuna aristotelica,
ed è d'impor tanza fondamentale per la storia dei compendî neolatini del
l'Elica nicomachea. che sono da fuggire.
E sage de retenir soi contre l'uomo fuggire le cose cosideiintenderein tutte
ses covoitises. Autressi Liber
Ethicorum. Educatio puerorum secundum no- Dee essere lo notricamento delli
bilem legem necessaria est ad indu- garzoni secondo la nobile legge, e
cendumeispermodumcastitatiset ausarliadoperazionidivirtù, ein non per modum
continentie. Inde- questo dee essere per modo di castità, lectabilisenimest
apud plures homi. enon per modo di continenzia, per. Numususuirtutum per modum con-
ciocchèl'uso della CONTINENZA TEMPERANZA non è tinentie.Nequeabstrahendæsteis
dilettevolea molti uomini, enonsi manus statim post pueritiam, sed dee ritrarre
la mano di gastigare continuanda est eis usque ad con il fanciullo via via dopo
la fan sistentiam et robur virilitatis. In ciullezza; anzi dee durare in fino
al rectificando quosdam sufficit redar- tempo, chel'uomo è compiuto. Sono
gutioetcastigatio sermocinalis, in uomini che si possono correggere aliisautem
quibusdam uixsufficitas. per parole e sono altri che non siduatio uerberum tam
quam in bestia. si possono correggere per parole, Neutrouerohorummodorumrecti-
anziv'èmistieripena. Esonoaltri ficabiles tollendi sunt de medio. No- che non
si correggono in niuno di bilisetstrenuusrectorciuitatisciues questiduemodi,
equesticotali nobilesefficit, etbonioperatoresha- sono datorredimezzo.
Lonobilee'l benteslegemetoperalegisexer- buonoreggitore dellacittafanobili
centesaduersantureisqui contraria cittadiniebuoni, li quali servan ola agunt,
etsibonaagant. Inpluribus leggeefannol'oper achecomanda ciuitatibus iam abiit
regimen uite la legge e sono avversari a coloro hominum ideoque dissolute
uiuunt che non osservano gli comandamenti et propriassectantur uoluptates.Et
dellalegge, avegnach'ellifacciano regimen quidem conuenientius est bene. In
molte citta di èitoviailreg. communis prouisio moderata,cuius gimento della
vita dellihuomini,però usum obseruare possible est et non che si vivono
dissolutamente ese summedificile: etquodcupitquili. guitanolelorovolontadi.
Lopiùcon betseruariinseetamicisetfiliiset venevolereggimentoche porresi
familia. Et precipueydoneusadtalis puotenellacittà, sièquellocheè
regiminisconstitutionemestillequi temperatoprovedimento, intalmodo sciuerit
quod dictum est in hoc libro. che si puoteosservareenonètroppo
Scietenimcanonesuniuersalesad grave; equelloloqualedesidera
particulariadistrahere. Communis l'uomo che si osservi insèenelli I codd. ce questicotalisono rei perchè
sonopartiti in tutto dal mezo, et « debbono essery odiati si come sono li lupi
et cacciati d'ongne buono luogo. Lo nobile etc. L'Etica d'Aristotile. Li
Tresors, Magliabech. Et li norrissemens des enfans doit I nodrimenti da
fanciulli debbono estrenoblesentelmanierequeil esserenobili, sichesiabeneapreso
soientaprisàfaireetàuserlesbones afareedausodibuoneopereper oevresparchastée
non mieparcon- chastitænomicapercontinuanza. tinance, carcontinancen'estmiecon-
Che continuanza nonemicha conue venablechoseasgens;etl'onne neuollecosaagienti;
el'uomo non doitpasostercestusagenecest deemichaleuare questausanzane
chastiementmaintenantqueilont questochastighamentoimmantenente enfance passée,
mais maintenir la ch'egliàla fanciullezasua, maman jusquesàtant quelidroizaagessoit
tenerla insinoa tanto che il diritto acompliz. Iliahomesquipueent estre governé
par chastiement de paroles, et autresiaquinepueent
mieestrechastiéparparoles,mais par menaces de torment; et autre home
sontquel'onnepuet chastier ne parl'unne parl'autre; ettelhome
doiventestrechastiésiqueilnede- mourentavecautresgens. Li chacciatisi ch'egli nodimorino
con noblesgouverneresdelacitéfaitles l'altrigienti. Quidicedelgouerna
citeiensnoblesetlesfaitbienoyrer mentodellacitta Ino. etgarderlaloietcontresterasautres
biligouernamentidellacitta defanno quinelagardent, jàsoitcequeil
icittadininobilieglifabene operare lefacentbien, Maintescitez sontoù
eguardarelalegieecontradirea ligouvernementdelaviedel'ome quegliche nollaguardano,concio
sontdestruit, etviventdissoluement, siacosach'eglifaccianobene.Molte car
chascuns va après sa volenté. città sono oue il gouernatore della Liplus nobles
governemensquisoit ụitadell'uomoè distrutæuiuono enlaviedel'ome, età moinsde
disolutamente, chè chattuno poineetdetravail,estcilquel'on apressosuauolonta.
Ilpiùconuene consiredemaintenirsoietsamaisnie uolle comandamento egouernamento
etsesamis,etcilpuetconvenable- chesianellauita dell'uomo e apena
mentmaintenirgensquiaurala dipeneeditraualglioè quellache science de ce livre;
porce que il l'uomo considera di mantenere se e saurajoindrelesenseignemensuni.
suamasnadæsuoiamici; equeuli verselsaveclesparticulers; carci- puote
conueneuollementemantenere teiennecommuneest diversedela
gientecheàconsecolascienzadi particulere,aussicommeentozmes- questolibro;
peròch'eglisapragiun agiosiacompiuto. Esonohuomini
chepossonoesseregouernatipergha. stigamentodiparole,ealtrisonoche
nopossonoesseregastigatiperpa role, ma perminacieditormenti; e altrisonochel'uomononpuotees
seregastigati nè per l'unonè per l'altro; etallihuominidebbonoessere uæ A.
riduce molto sensibilmente il testo latino e ne sopprime a dirittura la fine. Forse
A. ritenne compiuto a quel punto trattato aristotelico della morale e credette
opportuno escludere le parole seguenti. Forse a lui medico e mæstro fa ombra
quell'accenno, in fine, all'arte della medicina. Probabilmente A. rappresenta
più da vicino il metodo pratico, e il libellus de servanda sanitate pnò darcene
fede. S'è cosi, A. non puo piacevolmente accogliere l'affermazione
aristotelica. Namque ciuilitas differta
particulari suoi figliuoli e negli amici suoi. E quem ad modum in medicina et ceteris
lo buono ponitore della legge si è potentiis operatiuis; inhacintentione
quegliloqualesale regole universali, nonmodicæstdifferentia. Inomnibus le quali
sono determinate in questo ergo huius necessaria cognitio uni. libro,et salle
coniungere alle cose uersalium simul et particularium. particulari le quali
vegnono altrui Experientia enim sola non est sufficiens in hiis, neque
scientiauniuer- saliuminipsissecuræstetcerta absque experimento. Multi ergo m e
dicorum sola freti experientia in se ipsis,quidem intendunt,bene uidentur
operari et in aliis non proficiunt quicquam,eo quod naturam ignorant. Considerandum est itaque
qualiter et per que erit quis peritus legislator. Erit autem hoc per noticiam
rerum ciuilium, que subiectum sunt huius potentie. Quemadmodum se habet in
ceteris artibus consimilibus huic, posse experientie in inuentione legis non
estmodicum.Quidam putauerunt quod hac ars et rethorica sint unum et idem: in
uno etiam putauerunt intralemani,peròcheabeneordi. esse uiliorem hanc
rethorica: et leue quid reputarunt scientiam condendi le. ges. Non estautem
sic;electionam que in arte qualibet actus nobilis est, et quidem per duo
est,siue per scien tiam et experientiam: et per scientiam quidem est actus
illius inventio et per experientiam est ipsius directio et certificatio. Et universaliter connare le leggi si è mistieri
ragionee sperienza. di uiuere coronpono
ibuoni usi di tiers;
carenchascunechoseconvient gniere lo'nsigniamento uniuersale il conoistreles
particuleresetlesuni. Chol particullare; chèciertauitadi verseleschoses,
porcequeseuleespe. comuneèdiuersadallaparticullare, rience
n'estmiesoffisansence; et savoir les universels choses n'est pas
altresicomeintutti mestieri, chèin ciascuna cosa conuiene conoscere li seure chose
sanz l'esperience; ainsi commenosveonsmaintmirequi par particullari e queste
uniuersali cose, peroche solla SPERANZA non èmica soficiente in cio; e sapere
l'uniuersali cosenon è mica sicuracosasanza seule experience sevent maint bien
faireenlormestieretenseignierne les porroientasautres, porcequeil
n'ontsciencedes universels. Donques l'esperienze; sìcomenoiueggiamo molti
mediciche per sola speranza seracilparfaizmaistresdelaloi
neseguemoltobenefareinsuome. quiseitlesparticulerschosespar stiere,
einsengniareno'lpotrebono experience et qui seit les choses agli altri, però
ch'elgli non áno universels. scienza de l'uniuersali cose. Dunque Home furent
qui cuidierent que sara quegli perfetto mæstro della rectoriqueetla science
demaistrie legie chefæle particullari cose deloifussentunemeismechose,et
persperienzæ che sa le coseuni penserentquecestesciencefustle- uersali. giere;
maislaveritén'estpasainsi, Huomini furono che credottono che porce que li
maistres de la loi doit lla retoriccha e la scienza di m o
estresemblablesàsesciteiens, et strarelegiefossonounacosa, epen
doitsavoircestart, etquilesaura sarono che questa scienza fossele
liseraprofitable, etautrementnon; giere; ma llaueritanonècosi,però
etseilcommencastà faireloisanz cheimastridellalegiedebbonoes cestescience,
ilneporroitdoitrement sere similgli antialoro cittadinie conoistrenejugierlabontéde
sana- ture, deacomplirladefautedesa science, mais porcequenoscuidons
consirertouteshumaineschosespar legiesanzaquestascienzæglinon guise de
philosophie, simetronstout potrebe dirittamentegiudicharenė avant
lesdizdesancienssages; et conosere di bontà di sua naturane
encepenseronsquelesdes ordenées conpieladifaltadisuascienza. Ma manieres de
vivre corrumpentles perochenoi abbiamo d'andarecon bons us des citez,
etliconvenable siderandotutteumanecose perguisa les redrescent,
etquiestl'achoison diphilosophia,simetonotut'auanti demaleviededanzlacitéetdela
i detti deli antichi sauieciòpen bone, et parquoilaloiest semblable
seremonoicheledisordinatemaniere as costumes. Debono saperequestaarte: chilese
guirrasaràprofitabileealtrimenti non.Es'eglicominciasonoafare ditio legum similatur potentiis ciui libus,
nec potest esse conditor legum qui non habuit scientiam istius artis. Qui uero habuit eam proficiet
per experientiam et qui non, non. Et cum inceperintimponere legem absque habitu
scientiali, non recte discernent. Neque bene iudicabit, nisibonitaset
excellentia multa nature suppleat de. fectum scientie. At quantum cumque natura
bene disposita sit, est tamen promtior et expeditior est in uere iudi.
cando,cum secum habuerit certudinem artificialem.Quoniam itaque proponi mus
speculari in rebus humanis modo philosophico, substinemus primitus
dictaantiquoruminhoc; deindeconsi derabimus modos uiuendi,qui extant; qui
ipsorum corruptiui sintconsortii ciuilis in ciuitatibus quibusdam et
rectificatiui in quibusdam, et qui corruptiui in omnibus et qui rectifi. catiui
in omnibus, et que est causa bonæ uite quarundam ciuitatum et que causa
quarundam habentium se e contrario, et quarum leges con suetudinibus
similantur. Incipiamus ergo et dicamus. cittadini,e le conueneuoli la dirizzano, e
chi è chagione di malla uita dentro alla città e della buona, e perché la legie
è sembiante a costumi. Da questo prospetto risulta chiaro quanto abbiamo prima
affermato, ed insieme con la questione dell'etica volgare è risoluta quella non
meno importante del volgarizzamento del Tresor e delle fonti di esso, che
Sundby con molto buona volontà ma con poca fortuna rintraccia nel latino
dell'altro Liber Ethicorum, del commento tomistico e nelle chiose d’AQUINO (si
veda). È naturale che il critico ha qualche volta gridato all'impossibilità di
trovare il passo corrispondente nell'originale, ch’egli rinvenne del resto
molto malconcio e scompigliato nel volgare di LATINI. Nè Sundby è il primo a
esser tratto in inganno circa le fonti del libro del Tresor. Già Mehus parla di
un'etica latina di cui si valse LATINI, compilata per incarico dell'imperatore
Federico I a Napoli, e di una traduzione in latino del Liber magnorum
Ethicorum, fatta sotto gl’auspici di Manfredi da mæstro Bartolomeo di Messina. Mehus
è senza dubbio fuor di strada. Giacchè quest'ultima opera rimane estranea alla
tradizione dell'Etica nostra, nè di quella prima imperiale versione
d'Aristotile pare che non sia lecito dubitare. De'rifacimenti latini dell'Etica
aristotelica dirò compiutamente in un prossimo lavoro; giacchè non è più
possibile star paghi alle vecchie notizie,e d'altra parte le buone ricerche del
Jourdain non sono affatto compiute e i risultati da lui ottenuti non sono più
in buona parte sostenibili. Della Nicomachea si conoscono cinque redazioni
latine nel 1300; delle quali tre derivano direttamente dal greco: l'Ethica
uetus che comprende solo il secondo e il terzo libro,l'Ethica noua che contiene
il primo libro, e il Liber Elhicorum che abbraccia tutti i libri e al posto dei
primi tre inserisce con frequenti ritocchi e modificazioni il testo dell'Ethica
noua e dell'Ethicauetus. Il Liber Ethicorum, che fu commentato d’AQUINO
(vedasi), ebbe larghissima diffusione,come pare anche dal numero e dalla
importanza de'mss. che lo contengono, insieme col commento tomistico servi di
testo fondamentale per l'instituto filosofico etico del tempo. Per il tramite
arabo ci son pervenuti due rifacimenti latini della Nicomachea,d'indole ben
diversa: il Liber Ethicorum, volgarizzato d’A., che SERVE DI FONTE al Tresor, e
il Liber Minorum Moralium o liber Nickomachiæ, tradotto dall'arabo in latino
per opera di Ermanno il Tedesco (Herman nus Alemannus). È questa la parafrasi
dell'Etica fatta da Averroè; il rifacitore non volle solo tradurre l'opera m a
intese altresi chiarirla e spiegarla,accrescendone e sviluppandone idati
dimostrativi che nel testo sono ridotti a'risultati de'processi lo
gici.Aristotile parve un po'contratto;l'arabo ne distese imuscoli Fin ora ho
potuto esaminare ventidue mss.,di cui quattro del sec.XIII
(Laurenzian.89,sup.44;XIII Sin.1;79,13; XIII Sin, diciassettedelse colo
(Ambrosian. F. 141 sup.; A. inf.,di mano di Boccaccio; Laurenz. XII Sin.7; XII
Sin.9; Nazion.Napoli,VIII G. 11;G. 25; G.27: Riccard. III;Marciana (mss.lat.) cl.VI,39,
41,43,44,122;Uni vers.Padova; Antoniana; Capit. Padova G. 54; e uno del sec.XV:Ambros.R.
50. sup.). Laurenz. , sup. Trova si pure
impresso in tutte le edizioni di Aristotele con il commentario di Averroès
(Venezia, Andrea d'Asolo; Giunta). Laurenz. X I I I, Sin. 1 2; V I I I,
Dext. 6. (3) Ashburnham.e ne arrotondo icontorni, stemperandone la fibra.
Aristotile, ada giatosi nella mollezza araba un po' adiposa, si presento all'in
telligenza un po'incerta, bambina alquanto e stentata,delle nuove genti latine
che con più agevolezza poterono,cosi in veste più larga,contemplarlo e
comprenderlo; e l'opera aristotelica, accresciuta di quel po' di cemento della
parafrasi araba che riempiva gl'interstizî apparenti della sua costruzione
ideale,poté intendersi e premere sulle coscienze senza l'aiuto di un com
mentario apposito che dissolvendone l'unità finale ne facesse a p parire gli
elementi semplici di formazione. Cod.Ashburnhamiano955[=
1]membr.sec.XIV,conlaprimapagina miniata.Tit.: L'Etica del sommo phylosofo
Aristotile; la soscrizione finale si legge difficilmente; pare: Explicit liber
Ethicorum Aristotelis phylo. sophj in uulgari idioma scriptus: di cc. scr. 48,
le cui ultime presentano molte abrasioni. Cod.Magliabechiano 12.8.57
[52]membr.sec.XIV;titolieiniziali color.,di cc.scr.26. Com. Prolago sopra
l'etichadel sommo phylosofo Aristotile; in fine: Explicit liber ethicorum
Aristotilis. deo gratias. In fondo è ilnome del trascrittore «Sander me
scrissit». Cod.MagliabechianoA.2.3.2[= 3]membr.sec.XIV;titolieiniziali in
rosso,di cc.scr.22. Com.: Prolago sopra l'etica d'Aristotile; in fine: Qui
finisce il libro dell'Etica del sommo filosafoAristotile il quale tratta delle
uertudi che ssi conuegnono auere a cchostumi ed a buona vita delli huomini. In
fondo « Giouanni di Lapo Arnolfi lo fece scriuere. Compiesi di < scriuere m
»; più sotto è indicato iltrascrittore«Sanderme scrissit»:è
lostessodelcod.precedente. MARCHESI. Cod.Magliabechiano 2.4.274[=
4) membr.sec.XIVexc.dicc.scr.44, miscell., contiene il Trattato sulle avversità
della fortuna (c.1-16'). L'Etica com.: Incipit Ethica Aristotilis translata in
uulgari a magistro A. florentino; infine: Explicitethica Aristotilistraslatatape
rmæstro A. deo grazias. A c.1a « Qui cominciano le robriche di tutto il libro
dell'eticha « d'Aristotile traslatata per lo mæstro A. ». Cod.Marciano
(mss.ital.)II,3 [= M]membr.sec.XIV,225 X 164,di cc.46 non
numerate;anepigr.Precede il trattato «de la doctrina di tacere «etdi
parlare»diAlbertano da Brescia;finisceac.11a:Quifiniscee libro de la doctrina
di tacere et di parlare el quale fece messere Alber tano giudice da brescia
nell'anno domini Millesimo CCXL V del mese di dicembre Deogratias Amen.Dopo un
foglio vuoto,ac.13a seguono alcune « Sententie Tulij et Senece et aliqua dicta
Aristotilis », che vanno sino a c.18a. L'Eticii,anepigrafa,vadac.18'ac.46t;iltestoèmolto
guasto e scorretto,senza alcuna divisione in libri; in fine: Finitus est liber
deo gratiasAmen. Cod.Palatino634[=5] membr.sec.XIV;rubricheeinizialicolorate:
di cc. scr.27, più una bianca. Tit.: Incomincia l'eticha d'Aristotile in uol.
gare; in fine: Explicit ethica Aristotilis translata a mgio iohe min. deo
gratias. Cod.Riccardiano 1538 [= 6;vecch.segn.S.III.47]membr.sec.XIV
inc.,miscell.,con belle iniziali colorate e rabescate e numerose vignette
intercalate nel testo,di cc. scr.231. Tit.: Incipit etthica Aristotalis. Segue
all'Etica il trattato delle quattro Virtù, il Segreto de Segreti e da l t r e
scrittur e sacre e profane;il cod.,come sivede dalla soscrizione
finale,appartenne a un Bertus de Blanchis che ne fu forse anche il
trascrittore. Cod.Riccardiano 1651 [= 7;vecch.segn.N. IV.27]membr.sec.XIV,
coniniziali colorateer abescate, dicc.scr.50.Tit.:Prolagosopra l'ethica
d'Aristotile;infine:explicitliberEthicorum Aristotelis. Contiene in oltre:
Egidio Romano, la esposizione della Canzone di Cavalcanti. Cod. Laurenziano Sup.110[=
a]membr.sec.XV, dicc.42.Nella 66 C. MARCHESI Cod. Riccardiano membr. sec.
XIV, miscell.; presenta t r a c c e di quattro mani diverse;la più antica
riempi ifogli dell'Etica (da c.5a a c. 3 0 ). Com.: Qui comincia l'etica
d'Aristotile. Cod. Ambrosiano C.21.inf. membr.del sec.XV, dicc.58,con la prima
pagina fregiata e miniata, con lo stemma del possessore e il ri tratto del
filosofo; le iniziali di ogni libro colorate e fregiate. Com.: La Prefatione di
'l primo libro di l'Ethica de Aristotele ad Nicomacho suo figliuolo; nessuna
soscrizione finale. prima pagina è lo stemma del possessore con la
indicazione « Jacopo di « piero benciuenni ciptadino florentino spetiale a
pie'del Ponte Vecchio 1488 ». Tit.:Prolago sopral'eticadelsommo phylosofo Aristotile;infondoporta
la data della trascrizione: 1451. Cod. Laurenziano [= r] cartac. sec. X V, di
cc. 118. Precede a p. 1 « Insegnamento delle uirtudi e mortificamento de'uitii
secondo Aristotile e detti e autorità notabili di Santi et di molti saui et
filosafi et poeti » cioè, il VII libro del Tesoro. L'Etica cominciaac. Qui comincia
l'etica d'Aristotile; in fine: Explicit l'etica d'Aristotile. Cod. Magliabechiano2.4.106[=
m]cartac.sec.XV,dicc.77,miscell.; contiene volgarizzamenti di opere sacre.L'Etica(c.54-72t)com.:
Qui co mincia un'opera facta per lo grande sapiente Aristotile detta l'Eticha;
in fine: Finita l'eticha d'Aristotile translatata per mæstro A..deo
gracias.Sottoèl'indicazionedell'anno Scrittadigennaio1459».
Cod.Magliabechiano2.2.72[= p]cartac.sec.XV,miscell.:contiene la dottrina del parlare
(estratta dalla P.I,cap.13del Tesoro), il Segreto de Segreti, il volgarizz. da Vegezio
Flavio,un libro delle Aringherie etc. Si trova unito a questo un codicetto
dello stesso formato, di cc. 18, conte nente una piccola storia o diario della città
di Firenze. L’Etica va da c. 5 4 a c. 3 6 ', a n epigr. In fine: Compiuta è
l'Etica d'Aristotile translatata in uolgare da mæstro A.. Cod. Magliabechiano21.9.90(=
r]cartac.sec.XV exc.miscell.Con tiene una parte del trattato del Governo della
famiglia di ALBERTI (vedasi) e dell'Etica solo il libro ottavo e nono; vede
bene che il trascrittore ha volutoestrarrelaparte riguardantel'Amicizia;ambedue
ilibrisondivisi in capitoletti. A c. 6 1 è l a soscrizione del copista Strozzi
», eladata:. Codice Marciano (mss.ital.) I,134(= N) membr.sec.XV,205X 138,
cc.64 non numerate,con le iniziali dei libri miniate e dorate. Com.: Incipit
proemium transductoris huiusoperisuulgaris; iltestocom.ac.21:Libri Ethicorum
siue Moralium Aristotelis qui sunt X in multa capitula diuisi, quia generaliterdemoribussehabet.
Nam inprimo librodeterminat de felicitate morali et eius partibus. Segue un
semplicissimo ristretto volgare degli Economici,indue libri:Incipiunt libri
Ichonomicorum Ari. stotilis duo diuisi in aliqua capitula pertinentis ad
gubernationem familie. Nam in primo libro determinat de partibus Iconomiceetde coniugatione
mulieris et uiri, quæ dicitur nuptialis,de coniugatione parentum ad filios quæ
dicitur paterna,et dominorum ad seruos quæ dicitur dispotica. « La scientia di
regiere la casa ha nome Iconomicha et è differente da la scientia di
reggiere la cipta la quale ha nome polliticha. Non solamente « perchè una cio e
la Iconomica considera el regimento de la casa et la « politica el regimento de
la cipta,ma etiandio perché in reggiere la casa «nondieesseresenonuno.».A
c.61asegueun Extractum Aristotelis de libro Secreta Secretorum de arte cognoscendi
qualitates hominum ad Alexandrum regem. In ultimo è questa soscrizione: « Ex
Venetiis primo finis». Codice Marciano (mss.ital.) (= V]cartac.sec.XV
inc.,272X200, di cc.48 non numerate,con la iniziale miniata e il titolo
rubricato: Hetica d'Aristotile; finisce a c.38 ': Qui finisce il libro detto
Ethyca d'Aristotile. Composto per lo nobile phylosapho Aristotile greco
Atheniense scritto e compiuto. Nellestinche di firençe nel malleuato di sotto.
Seguono due carte bianche, e a c. 41 il libro di sentenze, che si legge pure
nel Marciano II, 3. Cod. Mediceo-Palatino membr.sec.XV,di cc.scr.54, più
quattro vuote:ititolidei libri e dei capitolicolorati;scrittomolto nitida
mente.Per incuriadichirilegòne'due primi quaderni è un'inversione cui pone
riparo la opportuna numerazione delle pagine.C o m.: Incipit Ethyca Ari. Stotilistranslatainuulgariamagistro
A. florentno; infine:Explicit Ethica Aristotilis traslatata per magistro A..Deo
gratias Amen. Cod.Palatino cartac.sec.XV, dicc.44,miscell.;contiene il libro di
ammæstramenti,sentenze,il libro di Catone,il trattato delle quattro virtù, e
altri volgarizzamenti di carattere morale. L'Etica com.: Questa si è l'etica
d'Aristotile; in fine: Explicit etica Aristotilis translata a magistro A..
Cod.Palatino510[= d]cartac.sec.XV inc.,dicc.111,miscell.;con. tiene
volgarizzamenti da BOEZIO (vedasi), CICERONE (vedasi), etc. L'Etica com.: Qui
chominciano i fioretti dell'etica d'Aristotile; in fine: Finiti i fioretti
dell'etica deo gratias. Cod. Palatino
cart a c. sec. X V, dicc. 4 5: iniziali colorate e fregiate. Inc. Qui
chomincia il proemio sopra l'ettichia di Aristotile Pren. cipe di filosafi; in
fine: Finito e libro chiamato l'eticha d'Aristotile a di X X V d'ottobre mille
quatrociento quarantacinque per le mani di filippo Adimari da firenze a uso e
stanza di se e di suoi amici deo gratias. Cod.Riccardiano1084 [= c]cartac.sec.XV,dicc.49;inizialieru
briche colorate. Inc. Comincia il prolago del libro della hetica d'Aristotile;
in fine « deo gratias amen ». Cod.Riccardiano cartac. sec.XV, dicc.248,miscell.;con
tiene scritture sacre.L'Etica va da c.49a a c.702. Com.: Prolagho
sopra l'eticha del somo filosafo Aristotile; in fine: Finiscie l'eticha
del sommo filosafo Aristotile deo grazias. Cod.Riccardiano 2323 sec. XV,di
cc.51; rubriche e iniziali grandi colorate.Precede la Introduzione al dittare
di «mæstro Giouanni « bonandree da Bologna », con questa ottava al principio «
Di Bologna natio «questoautore|nellacittastudiandodou'ènato conallegrezzæmæstral
«amore di giouani scolar questo trattato brieuementecomposeilcui ti «nore
conciedeachi l'aurabeni studiato sopra quelche la epistola a di. manda et
sofficientemente in lei si spanda ». L'Etica è compresa da c.20 ac.51;infine: Explicit
Eth. Ar.traslatataamagistro A.inuulgare. Scribere qui nescit nullum putat esse
laborem. Cod.Riccardiano1610[= h]cartac. sec.XV, dicc.26, miscell.;contiene il
trattato delle quattro virtù.Com.: Incipit liber Ethicorum Aristotilis;
infine:ExplicitliberEthicorum Aristotilis.Ilcopistafu«lulianusAndree a de
Empoli che lo scrisse « per sè e per i suoi consanguinei ». Cod.Riccardiano cartac.sec.XV,dicc.69:inizialierubriche
colorate,con frequenti macchie d'acqua nel margine.Contiene il Segreto de
Segreti(1"-44a)el'Etica (441-68a); com.: Fioretti dell'eticha d'Aristotile
del primo libro; in finc: Qui finiscie el libro dodecimo ed ultimo delle ticha composto
perlonobile filosofo etsommo Aristotile.Amen. Cod. Ambrosiano J. 166 inf.
Cartac., trascriz. rec. Il codice consta di più parti cucite insieme. L'ultimo
quaderno contiene l’Etica, il Segreto,e il volgarizzamento dell'orazione pro
Marcello. La trascrizione è fatta con molta probabilità su di un codice antico,
fedelmente. L'Etica è anepigrafa; in fine: Explicit Eth. Ar.Manca ogni
divisione della materia. Cod.Erbitense [Biblioteca Comunale di
Nicosia].Cartac.,trascriz.rec. Contiene il volgarizzam. toscano del de Amicitia
e il compendio dell'Etica, che manca del primo libro. Cod.Napolitano
Nasion.XII.E: Copia recente d'un ms. quattrocentino posseduto dalla biblioteca
di casa Bentivoglio. Contiene il trattato della fisimomia (sic), ch'è aggiunto
in fine come tredicesimo libro dell'Etica.Inc.: Dell'Eticha del sommo filosofo
AristotilelibriXIII;in fine: Qui son finiti i dodici libri dell'eticha del
sommo Aristotile. Cod.Ambrosiano G. Sup.(=
Amb.)membr.sec.XIV,aduecolonne, con rubriche fregiate e colorate; di cc. scr. 121.
L'Etica va da c.56a « In « cipit libro d'eticha Aristotile » a c.73a « Expicit
libro d'eticha Aristotile. « Incipit libro costumantie. L'ultimo capitolo con cui
si chiude il codice è: Come ilsignoredeestarearendereragione. Finisce (c.121a) «eprenderai
« commiato dal consellio e dal comune de la citta e te ne anderai a gloria dea
honore. Finiscelo libro di mæstro Brunecto Latini da Fiorenza». Cod. Ashburnhamiano
540 (= a)cartac.sec.XIV;anepigr.e mutilo, dicc. 138. L'Etica finisceac.73t: Explicitelica
Aristotilisa Magistro A. in uulgare traslata. Il resto del Tesoro si arresta a
cc.88 (lib.VII, cap.27]; a c.90 è un capitolo in terza rima di Dante: lo
scrissi già d'amor pii uolte in rime,con una notizia sull'occasione ch'ebbe il
poeta di scriver quella poesia;a c.94 è una legienda chome tre monaci andarono
nel paradiso di lutiano. il qual e in terra... Seguono altri scritti,tra cui un
framm. del Fiore di filosofi. Cod.Gaddiano cartac. sec.XIV,acef.e mut.; ilprimo
foglio è aggiunto di mano diJacopo Gaddi, dicc.147, sciupatodall'acqua. Ilcodice
si chiude con l'Etica,ed ha questa soscrizione: Finito el libro fatto e chon
pulato per Latini. Il cod.come si vede da un'indicazione sulla
guardia,apparteneva a'figliuoli di « Giouanni di ser Andrea di Michele « Benci
lanaiolo cittadino fiorentino ». Cod.Laurenziano42.23(= ) membr.sec.XIV,contitoliinrossoe
le iniziali colorate, e il ritratto del mæstro, in principio, dipinto nell'atto
che insegna; di cc. 142. Il testo è diviso in tre parti: dopo la prima è un
indice della materia precedente; un altro indice di tutta la rimanente m a
teria trovasi alla fine del codice. L'Etica va da c. 59! « Cominciamento del «
segondo libro del Tesoro lo quale e appella l'eticha che compuose Ari « slotile
» a c.774 « Explicit hetica Aristotilis a magistro A. in uol. «gare
traslectata». Infinedelcod.: «Explicitlibroloqualefuecomposto per lo mæstro
Brunetto Latino di fiorenza et poi traslectato di fran ciescho in latino (Bondi
pisano mi scrisse dio lo benedisse. Testario sopra nome, dio lo caui di gienoua
di prigione. et a llui et a li autri che ui sono e da dio abiano
benizione.Amen amen). La soscrizione è di mano dello stesso copista.
Cod.Laurenziano 90 Inf.46 (= d)cartac.sec.XIV exc.,aduecolonne; titoli in rosso
e iniziali colorate; di cc. L'Etica va da c. 74+ (Qui co. mincia l'ectica
d'Aristotile et est la segonda parte del Tesoro) a c. 100a (Explicit l'etica
Aristotile in questo tanto che io noe trouata).In fine del codice: Qui fenisce
lo sourano libro-Explicit lo libro del Tresoro. Cod. Magliabechiano 2. 8. 36
(vecch. segn. 25. 258] secc. XIII-XIV: acefalo e mutilo di cc.91. Comincia al
lib.II, P. I,cap.19 efinisceal lib.III,P.II,cap.21. L'Etica finisceac.19a,senza
alcuna soscrizione. Tra il compimento della prima parte e il principio della
seconda (cc.44-75)sono della stessa mano alcune tavole planetarie e
astrologiche, tavole ad lunam et ad Pascham inveniandas etc. Proven.Strozzi.
Cod.Palatino cartac. sec.XIVexc.,dicc.214; miscell.Con tiene,oltre il
Tesoro,ilLibro di amæstramenti di costumi,le cinque chiari della
sapienza,iltrattatodelle quattro Virtù morali,lo libro di Chato. L'Etica va da
c.87+ Qui chominciano le robriche del secondo libro del Tesoro, cioèd'eticha d'Aristotile-
epoi: Quisi chomincialo secondo libro del Tesoro e primamente dell'ecitta
d'Aristotile) a c.115a [Explicit Etica Aristotilis a Magistro Tadeo in vulgari
traslatta ta deo grazias. Finisce il Tesoro a c.175a.Al recto dell'ultima
carta,dimano di poco po. steriore, si legge « Questo libro è di Giuliano di
Giouanni Quaratesi: chi llo « achatta, piaccagli renderlo per l'amore di dio, e
dalle lucerne e da' fan «ciullilorighuardi».Com.iltestodel Tesoro: «Questo è lo
librochessi «chiama Texoro loqualeèchauato dalla bibbiæde'libridifilosofi a che
ssono stati per li tempi ». Cod.Riccardiano 2221 (= 2)membr.sec.XIV,di cc.127;
iniziali co lorateefregiate. L'Eticavadac. 58'«Incipit libbro elichaAristotile»
a c.75'«Expicit libbrod'etichaAristotile».A c.1224: Qui finiscielo libro di
mastro bruneto Latini da fiorensa. Si nota una grande confusione nella
distribuzione della materia dell'Etica,prodotta dallo spostamento di varie
parti. Cod.Laurenziano 42. 19 (= P) membr.sec.XIV, a due
colonne,con molte miniature e iniziali colorate; di cc.93. L`Etica va da c.40a
« Qui « comincia la seconda parte del Tesoro di Burnetto Latino el quale libro
e si chiama la ethica d'Aristotile » a c. 51a « Qui finisce l'Eticha d'Ari a
stotile ». = u. membr. Cod.Casanatense1911(=
)cart.sec.XV,dicc.130;anepigr.mutilo. L'Etica va da c.33* Qui chomincia il
nobile libro che fecie il sauio Ari.
stotilefilosafocioèl'Eticasua)ac.45 (fincieillibrodel'etica). Inun'av.
vertenza apposta al codice stesso è notata la mancanza della parteche ri guarda
la Politica (lib.IX); vi si trova la teologia,divisa in due parti; com.: Voiuoresti
ch'ioviconfortassi l'animeuostremaio dubito fare ilchontrario.;(in questo
trattato si parla di dio,angeli,sacramenti, del l'anima).Nel fl.r.membr.della
guardia è un indice della materia che giunge sino alla natura del delfino (V
libro). Cod.Magliabechiano2.2.82(= n)cartac.sec.XV,dicc.111,mutilo; siarresta
al principio dell'Elica (cap.1): sièinutileinquestascienza. Inc.: Qui comincia
lo libro il quale fece ser Benedecto (sic) Latini di firense e parla della
nascienza di tutte le chose e æ nome il Tesoro. L'Etica ha questo tit.: Qui
comincia il sechondo libro del Tesoro facto per ser Brunetto latini di firenze
il quale parla dell'ethica di Aristotile. Si trovano in questo codice altri
volgarizzamenti da Seneca, Boezio, G e ronimo etc. Cod.Magliabechiano2.2.48(=
v)cartac. sec.XV,dicc.153,mutilo; e x p l. « Q u i d i c i e della Branchacio e
d i c h oncrusione ». I n c.: In comincia il Tesoro di Latini da Firenze
conpilato in francescho. L'Etica va da c.60a [Qui parlla il mæstro della
beatitudine.coe.parlla Aristotile sopra l'eticha] a c.81* [Qui finisce il
secondo libro di questo trattato di ser Brunetto Latini oue brieuemente a
trattato della beatitudine e delle uirttu sopra l’etica d’Arisstotile. Al mar g.
i n f. della prima pagina si legge il nome di un possessore: Concini. I CODICI
MUTILI DEL TESORO. Cod.Leopold.Gaddiano IV (= 0) membr.sec.XIV,a due
colonne,con la iniziale dorata e dentro essa l'effigie dell'autore; di cc.40.
Inc.: Qui in. chomincia el Tesoro di ser burnetto Latino di firenze. E parla
del na. scimento e de la natura di tutte le cose. Si arresta alle parole «
allora «uegnonolichacciatoriefanno»,cioè al penultimo capitolodellaprima parte
(de unicorno).Sul foglio di custodia in fine si legge il nome del possessore «
Liber mei Angeli Zenobii de gaddis de florentia ». Cod.Leopold. Gaddiano 26 (=
T)cartac.sec.XIV,a due colonne,di cc.88. Inc.: Questo libro si chiama il Tesoro
maggiore il quale fece mæstro brunetto Latini di firenze, e tratta della bibia
e di filosofia e delle uecchie istorie ad amæstramento di choloro che
leggierano.Contiene tutta la prima parte e il prologo della seconda (c. 85): «
E poi uerra il prolagho apresso a questo dicha de l'eticha del grande sauio
Aristotole ». Cod.Laurenziano 42. 22 (= E)cartac.sec.XIV,di cc.165;titoli in
rosso e iniziali colorate, con l'effigie dell'autore in principio; mutilo.
Inc.: In nomine Domini Amen. Qui comincia lo libro del Thesoro maggiore, lo
quale libro fece mæstro brunetto Latino di fiorenza. Questo primo libro fauella
del nascimento di tutte le cose di filosophia et di sue parti. Prologue de la
natura di tutte cose. Si arresta alla prima parte: « per « ragunare la secunda
parte di questo thesoro che dia essere da pietre pre «tiosecioecharbonchi
perlle diamanti».La lezione di questocodice in moltissimi punti si allontana da
quella comune delle stampe e dei codici, non solo per diversità di
espressioni,ma anche per copia e qualità di notizie. Cod.Laurenziano 42. 20 (=
B)membr.sec.XIV,a due colonne,col ri. tratto dell'autore in principio; titoli
in rosso e iniziali colorate, di cc. 112. Inc. « Questo libro e chiamato il
tesoro magiore il quale fece ser burnetto. « Latini di firenze il quale tratta
de la bibbia et di filosofia et del cho « minciamento del mondo e de
l'antichita de le uecchie istorie et de le a nature di tutte chose insomma ad
amæstramento e dottrina di molti. «Ed erechato di francescho in uolgare
apertamente».Comprende la prima parte e il prologo della seconda: Qui parla
alquanto d'eticha d'A ristotile.A c.112a è un elenco de're di Francia.
Cod.Laurensinno 42. 21 (= p) cartac.sec.XV,di cc.70. Inc.: Qui comincia il
libro del Tesoro il qual fe ser brunetto da fiorença e parla del nascimento di
tutte le cose.Contiene fino a tutto il libro V. Molte varianti. Cod.Magliabech.VIII.1375
(= U) membr. sec.XIV. Anepigr.,acef., matilo, dicc.32,aduecolonne,con le
iniziali colorate.Proven.Strozzi.ediz.. Romagn., Bologna)ne «elliuengnano. Etperciononæinloropuntodifermeçça
ketuttecose ve tutte creature si muouono e si mutano in alimento percio dico
ken « questi tre tempi cioe li passati e li presenti e quelli ke sono a uenire
non a sono niente se del pensiero noe a chuelli souiene de le cose passate e in
« guarda la presente ed atente quelle ke deono uenire » etc.... sino a c. 41
(p. 94, ed. cit.) « e la reina non uolse aconsentire al matrimonio anzi la «
uolea donare ». Da questo punto ch'è evidentemente interrotto, per man. canza
di nesso con la pagina seguente,la distribuzione e l'entità della m a teria
sembra in gran parte diversa dalla comune del Tesoro. Riferiamo talune rubriche:
a c. 5a il cod. seguita « dira qui apresso Lamet frate di Comelore
Manfredi prega il ppche li concedess e il ren gno etc. etc. Seguita quindi a
dire di Manfredi e della battaglia di Benevento e di Carlo d'Angiò e di Gianni
da Procida e de'Vespri,lungamente.Vengono appresso altre narrazioni « Come si
lamenta il conte Giordano Cod.Palatino 483 (= Q)cartac.sec.XV,dicc.65.
Inc.:Quichomincia lo libro il quale fecie ser Benedetto Latini di firenze e
parlla della n a scienza di tutte le chose e a'l nome il Tesoro. Comprende la
prima parte e il prologo della seconda. Ne resta esclusa dunque l'Etica e il
resto del Tesoro. Insieme con questo codice si trova legato un altro, di mano
diversa, contenente iframmenti del Buouo d'Antona,in ga rima.
Cod.Riccardiano2196(= w)membr.sec.XV,aduecolonne,dicc.67. Si ferma al punto ove
parla del « modo di trovare l'acqua e delle cisterne » È da notare che ci
troviamo di fronte a una lezione ben diversa dalla più comune. CONCETTO
MARCHESI. «Giosepoe figliuolo diJacobetc.... Come sicominciai agioaltempo
«diSaulediJerusalem– Loquintoagiosicominciaquandoigiudei «eranoinpregione
Danielf.gesseediSaul ·delgloriosoreSalomone «profetta de elias
deloredugidiTebas– dieliseusprofete. de « isaie profette de germie profette
etc. etc. ». A c. 9 abbiamo un cata logo di pontefici: segue la storia della
chiesa di Roma e di Costantino. Poi « Come franceschi perdero lo 'perio di lo
re imperadore di Roma « primo taliano di beringhieri come perdeo la sengnoria e
uenne amao «dotto di Sasogna Reame della mangna Arigho della mangna
«Comeloredifranciafusconfitto Comelo'peradorepreseliparlati «difrancia Come la chiesa
uacantidi buoni pastoritradivalo'peradore tinuamente la natura lauora in tutte
cose seguono figure astrono miche,della luna,del mappamondo. Finisce a c.32. «
Dell'altra citta di uerso nasce lo fiume di rodano e uassene dall'altra parte
uerso borghon « Francia diuide in « gnia e per proenza molto correndo e anzi
che lli sia a mare si «duepartiellamaggioreparteentrainmare
presoadArlil'altrobraccio.». Qui si arresta il codice. Come con KLII, A. FLORENTINUS.
qua fortuna. Sunt quivelint ex humili prorsus loco, et infima populi fæce.Sed
contra aliisvidetur editus exAiderotta gente,non patricia illa et primaria;duplex
enim fuit;sed altera,minus quidem nobili,fedhonefta et liberali. A. certe patrem habuit, et ex
gente A. di ctus est a Scriptoribus. Fuere A. fratres Simon et Bonaguida,
homines obfcuri, quorum vix nomen ad nos pervenit. Ac A. quoque ip sum narrant
non minimam ætatis partem non folum inglorie, sed ignominiose etiam
transegisse. Adeo enim ftupidum a natura fuiffe tradunt,ut totis triginta annis
n e c literas didicerit, nec honetto ulli artificio aprus fit visus. Itaque v i
ctitasse ajunt sordido et illiberali quæftu, occupatum præ foribus sacelli S.
Mi. chælis in Horto vendendis minutis candelis, quas ibi religionis causa
accendi mos erat. Sed exactis triginta ætatis annis, quafi ex veteri somno
experre ctum, et dissipata cerebri caligine, incredibili ardore excitatum ad
literas, quarum discendarum ftudio Bononiam, adhuc rudem, et vix in Grammatica
eruditum convolasse ajunt. Sed hæc, quæ de A. memoriæ tradidit Philip pus
Villanius, quamquam et Florentinus, et non indiligens scriptor, et ad m o d u m
antiquus, aliquis in dubium revocat, quod fabulis fimilia videan. tur; qua de
re integrum erit unicuique judicium. IÌ. C u m igitur Bononiam venisset, ut
optimarum artium ftudiis animum excoleret, in quo omnes consentiunt, FILOSOFIA totum,
ac Medicinæ le de dit. Incidit A. adventus ad fcholas noftras in illud tempus,
cum Medica facultas, quæ antea ufu fere et exercitatione peritorum tota
continebatur, a FILOSOFI tractata, nova luce donari cæperat; fi tamen vetus
illa Arabum Philosophia, quæ tunc scholas invaserat,n o n ubique tenebras et caliginem
offundere poterat. Sed ita persuasum erat hominibus, atque hæc potislima A.
laus fuit, quod primus ex noftris Medicinam cum Philofophia arctissi m o fædere
conjunxisse visus sit. Tentaverant id quidem ante A. alii, (h) et erantin
Academia noitra ante illum Phyficæ, five,ut dicere ama bant, Phyficalis
ientiædoctores,& professores, quifacem A. ipfiprætu. lerant; nec dubito,
quin eorum aliquem in scholis noftris audierit. Sed ille unus plus operæ
contulit inftaurandis Medicina ftudiis ad ejus fæculi guftum, q u a m
fuperiores omnes. Extant adhuc ampla ejus commentaria in libros vete rum
Magiftrorum artis Medicæ, partim typis edita, partim manu exarata in
locupletiorum bibliothecarum pluteis, quæ primum inter docendum in scholis
nusprotulitexlibroHH. Excerpt.Scriptur.
Annotaz. del Dot. Ant. M. Biscioni al Conventus S Crucis Flor. Vid.
Ci.Mazuccbel,in Conv. di Dante. In Firenze XVI. "Haddæus Florentiæ
natus eft paulo post initium sæculi XIII.,(a) incertum THE, Nnn 2 Obiit anno
MCCXCV., ut infra dice- teringum et c. Presentibus Mag. Salveto de tur.Cum
igitur,Philippo genarius decesserit, natum oportet Villavio auctore, octo
annoMCCXV. Com.Bonon. Ferraria et M a g. Santo de Cesena. Ex Mem. ab Pbilip.
Villan, in lib. de laut.Florent. in Append. N. XII. Ex tabulisanni MCCLI., quas
Biscio.Ci. Mazuccbel. loc.cit. Jul.Mag. A. professor artis Medicine
Vid.Jo.Antr.Vunjted defair.viror. fil. qnd.d n.Alderotti de Florentia fecit
Joan. illuftr. et c. nem dn. Anglonis fuum procuratorem ad re Petri Hispani,
cipiendam pacem et remifsionem a Loteren. Ro.Pontifexrenunciatus,di&tusif Jeannes
XXI., go qui dicitur Rigutius et a Bonino fuo fi commentaria babemus in librum
Ifaac Medici, quæ lio et ab omnibus et fingulis aliis de consan- Jubtilitatibus
dialecticis abundant. Ilm in hipo guinitate ipsorum... de omni injuria, et pucratem
w Arijtotelem scripufe dicitur; nec du offenfione que dicebatur eise facta per
Mag. bito, quin bæc fcripta aliquanto ante A. A. vel B.naguidam fuum fratrem
commentaria prolierint. Sed quantum bæc illis vel per aliquem de
contanguinitate ipforum præjliterint, doctorum hominum judiciun postea vel quæ
diceretur eise facts per predictos L o vlendit. A., ab eo tradita,
m o x ab auditoribus excepta, incredibilem ei famam concilia runt. Id autem in
eo potissimum mirabantur homines, quod ita Medicinam tractaret, ut ejus
facultatis canones et præcepta ad severioris FILOSOFIA ratio nes exigeret; quod
nemo ante illum magno fuccefsu perfecerat. III. In hunc modum recepta eft in
scholis noftris vetus illa Medicina FILOSOFICA, fi ita appellare licet, quæ
brevi tempore omnes Europæ Acade. mias pervafit, et innumeros Scriptores tulit.
Hinc agmen interpretum in Hip pocratem, et Galenum, atque Avicennæ in primis,
aliosque veterum Medico rum libros, A. duce; cui non satis ad laudem fuit
interpretem dici,sed plufquum interpres a quibufdam dici amavit, et ut alter
Hippocrates apud Italos habitus eft. Ejus autem gloffæ, præcipuis Medicinæ
libris adjectæ, in scholis communi suffragio receptæ sunt, et pro ordinariis,
ut dicere folebant, longo tempore habitæ eodem loco fuerunt apud Medicinx
Itudiofos, atque Ac curtianæ gloffæ legum libris appofitæ apud Juris Civilis
professores. Magister etiam Medicorum jure di&us eft, ob excellentium
Medicorum copiam, qui ex ejus fchola prodierunt. Tanta denique ejus nominis
fama, et inre Medica celebritas fuit, ut perinde esset in usu popularis
fermonis Thaddæum fequi, ac Medicinam
profiteri. IV. Docere cæpit A.., aut non multo fe rius; eodemque tempore
scribendo vacabat, neque operam fuam curandis V.Cum igitur æque felix in curandis
ægrotis, acdoctusinscholareputa retur, non folum in civitate noftra Medicinam
fecit, sed paflim vocabatur ad curandos magnates, et viros principes per alias
Italiæ civitates. Hinc aliquis de illo magnifice potius, quam verescriptum
reliquit, non confuevisse illum aliis, quam principibus, et nobiliflimisviris
curandis operam præftare. Sed il lud tamen indubium eft, non fivisse aliò fe
abduci ad curandum quemquam, nifi pacta ingenti mercede, quæ non tam efiet pro
loci diftantia, aut difficul tate curationis, quam pro fui dignitate, et facultatibus
eorum, ad quos CU randos vocaretur. Neque far erat de mercede pacisci: nam fibi
quoque cau. tum volebat de itu et reditu, accepta ingentis pecuniæ sponsione
pro fecurita: te itineris·Dignæ sunt, quæ legantur, tabulæ an. scriptæ,cum
Thaddæus Mutinam iturus esset ad curandum Gerardum Rangonum. In iisRan goni
procuratores A. promittunt, fe facturos, ut liberum iter et expedi ium ad eam
civitatem habeat, fufcipientes in se omne periculum, et impen sam: quod si
pactis minime ftetiffent, promiserunt, fe eidem reftituturoster mille libras
bononinorum, quas depofiti loco a Thaddæo ipfo accepisse fate bantur. Similes
tabulas habemus cum Mutinam rurfus ment. in Parad. ALIGHIERI, dou a vellutela.
MEDICINE ! Ita appellati:r a Benvenuto ImolenfiCum evo. apud Ercard. Corp.
Histor. med. ævi col 1 1 lo ibid. Sed qui plusquam Commentator a Pbi. qui
revera opus fuum tum inscripsit, is fuit Turrisanus A. auditor;de quo
alibifermo erit. plufquam Commen M a per amor della verace manna Hic homo, cum
penes Italos, ut al. fundature, Paradisi, t e r Hipocras haberetur. Pbilip.
Villan. de Laud. Tbali læus ad calcem Commentar. ix A Florentiæ,five de Cl.
Florentin. Non per lomondo, percuimo's'afo In picciol tempo gran dortorli feo. Dant.Aligber. de S.Dominico
Ord.Prædicator. tis defiderari patiebatur. Docendi tamen, et scribendi laborem
intermifit an no,utopinor,cum civilebellum, a Lambertacciis, et Jere.
miensibusexcitatum, civitatem noftram miserandum in modum conculit.Sed ipfe
quoque fatetur,se aliquando a scribendo ceffasse ob quæstum, quem curan dis
ægrotis faciebat. Atque hinc apparet, quæ fides habenda fit Philippo Villanio,
cum scribit, A., fpreto lucro, fe totum interpretandis vete. rum Magiftrorum
libris dedille. Fallitur etiam Villanius, cum scribit, Thaddæum ftipendio
publice conftituto Bononiæ docuiffe; nondum enim, eo vivente,Medicin æ
profefforibus ftipendia attributa fuerant. lippo Villanio, aliisque
Scriptoribus dictus et, fanna Diretro all'Ostiense et a Taldea (c!Eo anno
Mag.Thaddæus Medicorum magitter moritur. Ricobald. Compilat.Cbronolog.
pborismos Hippocrat. bulm. Pbilip.
Villan. loc. cit. ægro evocaretur ad curandum Guidonem Guidonum.
Utrasque in Appendice dabi mus.Sed quis credat, in his contractibus bona fide
actum? Ego fraude caruisse non arbitror. Facit, ut ita credam, infignis
Odofredi locus, ad fraudes pertinens Advocatorum sui temporis; qui cum
immodicasmercedes præterjus falque pro suis advocationibus et patrociniis
extorquere vellent a clientibus eos adigebant ad ftipendium, quali deberent ex
causa mutui.Eodem artificio usum arbitror A., quem ne obulum quidem verisimile
eft deposuisse apud Rangoni, et Guidoni procuratores. Sed ego tamen existimo,
A., probum hominem et pium, non ita immitem fuiffe, ut tam ingentes pecu-, nias
exigeret ab iis, quos curandos aggrederetur. Potius crediderim, hanc cau tionem
voluiffe, ne jutta mercede fraudaretur, et damna fibi æquo jure præfta rentur,
quæ quacumque ex causa pertulisset. Vocatus
aliquando ad curandum Romanum Pontificem, negasse dici tur se iturum, nisi
centum aurei nummi in dies fingulos penderentur. Quod cum immodicum videretur
iis, quibus negotium datum erat, ut cum Thaddæo transigerent, neque ea de re
conveniret; concessit tamen Pontifex, grandem quantumvis pecuniam vitæ et incolumitati
fuæ pofthabendam ratus. Mox autem, cum arnice Thaddæum argueret, quod tam magno
operam suam locaret, ille admirationem fimulans; ego vero, inquit, multo magis
obftupesco, cum ceteri fere viri nobiles, et minores Principes quinquaginta et amplius
aureos nummos mihi in dies conferre soleant, tibi, qui maximus es Chriftianorum
Principum,grave visum esse,quod centum petierim.Sed Pontifex,ubi A. ftudio
optime convaluit, decem millia aureorum eidem rependi juffit, non tam ut tantum
virum pro dignitate fua, et ejus meritis remuneraretur, quam ut omnem ab se
averteret avaritiæ suspicionem. Itanarrat Philippus Villanius, qui tamen
Pontificis nomen filet• Sed hunc fuisse Honorium IV. alii Scriptores tradunt,
et in primis Joannes Tortellius in libro de Medicina et Medicis ad Simonem
Romanum. Sunt etiam qui hæc tribuant Petro Apono illuftri Medico, de quo alio
loco dice mus. Sed credibilenon videtur,tum quiapotiormihiet auctoritas Philippi
Villanii, et Joannis Tortellii, quam aliorum multo recentiorum, qui hæc de
Petro Apono scripserunt;tum quia Honorii IV.ætate Petrus Aponus nondum ad
tantam famam pervenire potuerat, ut ad curandum Pontificem accerseretur. Sunt
qui immaniter augent pecuniam, quam Pontifex recuperata valetudine Thaddæo
numerari jusserit; nec desunt qui non minus, quam ducenta millia aureorum
accepisse dicant. Sed nimis multa mihi etiam videntur pro iis t e m poribus vel
ea decem millia, quæ Villanius omnium modeftiffimus narrat. A. certe Medicinam faciens ad
ingentes divitias pervenit;nec facile est reperire plures ejus facultatis
professores, qui majores fint consecuti. Ejus autem commodis, et utilitatibus
consuluit etiam non uno modo Populus Bononiensis. Ei nimirum, et ejus hæredibus
concessa eft immunitas a vectiga libus, et remissio ab omni munere publico.
Additum eft, ut libere a quovis intra fines Agri Bononienfis prædia, et fundos
emere posset, quos vellet; modo ne ab exulibus et profcriptis. Itaque eum
voluerunt gaudere omnibus civium commodis,neque iis oneribus obnoxium effe,quæ
cives reipublicæ causa sustine re debebant. Ejus quoque discipulis eadem.
privilegia, et immunitates populi beneficio concessæ sunt,quibus gaudebant
ScholaresJuris Civilis et Canonici. Id autem, nominatim pro auditoribus Mag. A.
ftatutum, aliorum Medicina profefforum
auditoribus communicatum est. Ita honor additus est Scholæ ad Simonem Romanum
Medicum præftantif Dicit advocatus, fi
promittis mihi fimum. Ex Cot. Vatican. aput Apostol. Zenun milleaureos nominefalarii,
nonteneris.Sed in Dissert. Volpian.faciasmihiunum inftrumentum, inquo con Ex Stat.
Pop. Bon.tineatur, quod tu teneris mihi dare mille ex vel potius in quibus eji
Rubri. causamutui. Odofred.inl. Sifubfpecie.C.de cadeprivilegio Mag.A. ductoris
Fixi Polulando. Pbilip, Villan, loc. cit. ce et diicipulorum ejus. Vid.,dow
Jo.Tortellius de Medicina& MedicisMedi. Medicæ,quæ A. potissimum
opera magis aucta, et nobilitata,parigradu deinceps fuit cum scholis Legum, et Canonum.
X. Nescio quid molettiæ illi etiam intulisse credo Clarellum quendam,ut opinor,
Medicum, five quod ejus doctrinam impugnaret, five quod medendi rationem
carperet. Queritur de illo in Commentariis ad Joannicii Ifago gen, X I. Habere
consuevit in familia sua Thaddæus Medicos aliquot, quibus adjutoribus uteretur
five in scholæ muneribus, five in ægrotantium cura. Eo rum aliqua mentio eft in
ejus teftamento, quod in Appendice damus. Dome ftica quoque negotia, ne quid
esset, quo a suis ftudiis interpellaretur, per pro curatoresaliquando agere
consuevit. procuratorem suum conftituit Octavantem Florentinum, affinitati fibi
conjunctum,eum, qui Jus Pontificium exeunte fæculo XIII. in scholis noftris
docuit;de quo fuo loco diximus. Vit. Append. Pertinet hoc ad annum tisnominedñe Adelefuefilieipfi Mag.
A. dum numero, quo luci altitudő indicatur. dieXV.MajiMag. tia. bus dicitur
Regalettus Bunaguide de Floren.Quamdiu vixit priinum dignitatis locum tenuit
interMedicinæ profef fores; ac multum ei quoque tribuerunt professores aliarum
disciplinarum. Sed gravis offenfionis causa ei aliquando fuit cum Bartholomæo
Varignana,qui ex ejus schola, ut verisinile eit,prodierat, et magiftro adhuc
vivente ma gnopere celebraricceperat. Receperat
ille in Medicina erudiendos quofdam, qui ad A. fcholam ante accesserant. Id ei
magno crimini datum eft a A.; ac fortasse erat contra leges scholafticas,vel
Academiæ noftræ mo rem. Neque vero aliter to'li diffidium potuit,& sarciri
injuria,qua affectum fe credebat A., quam ubi Varignana promisisset omnem pænam
pora'em, et fpiritualem ultro subiturum, q u a m in e u m ftatuissent Vicarius
Ar. chidiaconi Bononienfis, et aliquot doctores ex Collegio Magiftrorum,
arbitri ad tam rem delecti. (c) quæ cum scriberet, nondum, ut arbitror, id
auctoritatis consecutus erat, ut hujusmodi obtrectatoris importunitatem
fortasse A. natura suspiciofus, et ad inanes metus comparatus; quod,ni fallor,
oftendunt etiam tot capta de securitate itinerum, et ftipendiorum fuo rum
caurelæ, et iterata fæpius testamenta, de quibus diximus. Id porro ex ejus
corporis habitu, et temperamento quid fuisse, pro certo habeo. Ipfe enim de se
fatetur, fe somnambulum fuil. fe, (e) et interdum ex alio loco dormientem fine
fenfu cecidiile. (f) ipfe (a) Vide tabulassocietatisinterMag.Gen A. doctor
Fixice fecitsuum procurato tilemde Cingulo, Lou Mag GuilielmumdeDeza reminomnibusfuiscaufis&negotiisdn.
ra fcriptas in Append. deo matrimonio unite trescentas libras Pifa. Finitus eft tractatus de febribus do norum in
forenis de duodecim.Pretereado mino Clarello, qui facit nos evigilare, et tran
firepermentemno ftramquidquidmalipo. brasejusdemmonete. ErMen.Con. Bonon. test.
Tbad. ir Isag. Joannic. Fortale ad Otavantem, qui putea canonum pro f e f.
eundem pertinent, quæ babetad finem cap.36. Hoc eft, inquit, quod dicit
tallidicus, qui fa. tereaque Adelæ fratrem, intelligimus extabulis cit omnia
mala trautire per mentem noftram.scriptis in Mem. Com. Bon., Dequartoficprocedo:videtur,quod
inquibuslegitur: Dn.Octavantedñi Guidalo homo poflitdormiendo fentire, nam
dorinien do movetur, ficut patet in furgentibus de no. čte,quorumegofuiunus. Guidalottipater
Sed locus fortasse mendojus in pe Bunoniæ degebat, ex Mem. Com.Bonon.,inqui a
se avertere poffet. Sed erat accidere debebat, in quo insolens ali navit eidem
propter nuzias quinquaginta li. for fuit, Guirlalutti Florentini filium fuiffe,propo
cti de Florentia scolaris Bonon... emit dige. ftum. pretio lib.L. bon.
Regalettusautem tem XII. A. fere sexagenarius uxorem duxit Ade lam Guidalotti
Regaletti filiam,Octavantis, quem ante nominavimus, fo rorem, ex eaque filiam
suscepit Minam, quæ adhuc innupta erat, cum Magiftrorum collegium jure tunc
dice O &avantem deFlorentiasuumcognatum.Ex Mem, Com. Bonon. batur, nonautem
Melicorum; quianonsolum Me XV.Jan. Mag. dicinæ, fed alia,um quoque artium
liberalium pro fesjures complectebatur, ut ex ipfis hujus controver A. artis
Fixice professor fil. and. Alde rotti de Florentia fuit confeffus habuiife a
dño fæ actisapparet,quæin Appendiceexbibentur. Guidalottoqnd.dňi Regalettide Florentiado. Teftamentum
fæpius, nec uno in loco A. fecit. Et quoniam perpetuo domicilium Bononiæ habuit,
cum aliò diverteret ad curandos magnates, itinerum pericula reputans, propterea
teftamentum sæpius fecisse videtur. Sed omnium poftremum Bononiæ condidit, quo
cete ra omnia revocavit facta Bononiæ, Florentiæ, Ferrariæ, Romæ, Mediola ni,
Venetiis, et alibi. Pro anima fua, et ad pias causas x. mille libras bonon.
legavit: quæ immanis summa erat pro ætate illa, et privati hominis facultati
bus. Ex his bis mille
quingentas libras impendi voluit emendis prædiis pro pauperibus verecundis,
quorum administrationem esse voluit penes Fratres de Pocnitentia. Viger ad hanc
diem ut cum maxime pium hoc inftitutum,a pru dentissimis civibus adminiftratum
in civitate noftra, quo consulitur egettati h o neftorum civium, quibus
oitiatim mendicare victum vel natalium, vel ætatis, sexusve conditio fine
pudore non finit. Fratribus Minoribus, penes quos sepeliri voluit, ubicumque
ejus obitus contigisset, multa legavit. Atque illud viri prudentiam maxime
demonftrat, quod præftari voluit in perpetuum ali menta uni ex Fratribus ejus
Ordinis qui Parisiis theologiæ studeret, fupra numerum eorum, qui ibidem facris
ftudiis destinati esse solerent. Jisdem Fra. tribus Minoribus Conventum erigi
voluit, in quo tresdecim Fratres ali possent. Viginti ex fuis scholaribus magis
egentes ex albo panno vestiri in die obitus sui mandavit, itemque familiares
suos omnes masculos, qui secum eo tempore futuri essent. Statuit etiam impensam
funeris fibi apud Fratres Minores cele brandi,& certam insuper summam, pro
die feptimo obitus sui, trigesimo, cen tefimo, et anniversario, erogandam in
Fratrum refectionem, ut iis diebus pro anima fua preces ad Deum funderent; qui
mos ab antiquissimis temporibus ad eam ætatem pervenerat. Exliteris NicolaiIV.
In Codicediplom. Quisibisuppetias ferrent, ubieffetopus,tumin docendo, tum in
medendo. Etiam Bononiæ for Hanc Biscionius in adnotat. ad Convi. talle,
antequan iter aliquod susciperet, teflamen vium ALIGHIERI Adolam vocat., sed in
testamento tum fecerat, quod indicatum vidinius in Memor. Autograpbo en Adela.
mff. Biblioth. publ. Bonon. Com. Bonon. ejus anni. (Quia Fratribus Minoribus
quidquam pof Jam inde Uher- fidere non licebat, voluit ut medietas predicte tus
facerdos Sanctæ Catharinæ de Saragotia contingentis ipfi Opizo perveniat ad
Dominas legaverat X. corbes frumenti pauperibus vere cundis, ut ex ejus
tejlamerto apud Fraires Mi- cujus dicte Domine nores: ex quo apparet ejus pii
inflituti anti pendere pro necessitatibus Fratrum Minorum quitas. infirmorum
fenum et forenfium. Vide teftam. Hos duos Medicos in schola fua, uti T. in
Append. credibile efl, eruditos, in sua familia babebat, et Sorores S. Clare
civitatis Florentie fructus et Sorores teneantur ex 1 mo N ipse extremum
obiit diem. Sed ante illud tempus filium genuerat ex illegiti mo complexu.Hic
patrisnomen geflit, & vulgo Thaddæolus dicebatur,cum que Nicolaus jure
legitimorum nataliumdonavit. De bibliotheca sua in hunc modum ftatuit.Avicenna
opera,quatuor voluminibus contenta, et Galeni item, quæ totidem voluminibus
comprehensa erant,Fratribus Minoribus ea conditione legavit,ne ullo umquam
tempore alie nari, diftrahive possent, aut e Conventu ipfo exportari. Fratribus
B. Marize Servis legavit Metaphysicam Avicenna, Ethicam Aristotelis, et Sextum
de N a turalibus Avicenna in majori volumine. Magiftro Nicolao Faventino
Glossas fuas omnes, quas scripserat in veterum Medicorum libros, et Almanforem
suum, et Magiftro Johanni Affifinati Serapionem suum,& Sextum de N a
turalibus Avicennæ in minori volumine, fi quidem uterque in familia sua esset
tempore obitus sui. Adelæ uxori fuæ,præter aliquam pecuniæ summam, cu biculi
sui supellectilem omnem legavit, & veftes, & gemmas,exceptis dumta. xat
valis aureis, et argenteis, et usumfructum domus Florentiæ in via S. Cru
cis,& fundosinagro Florentino. Hæredesautem inftituit Minamfiliamsuam A.
filium naturalem, et Opizum Bonaguidæ fratris sui filium; quibus, fi abfque
filiis masculis legitimis decessissent, Fratres Minores, et pauperes verecundos
fubftituit. Nupfit hæc A. filia Dorgo Pulcio Florentino sum X V. Obiit A. cum
annos octoginta vixisset. Fuit autem ejus mors repentina, ut narrat Benvenutus
Imolenlis, Dantis inter pres. Tumulatus eft apud Fratres Minores, quos vivus
magnopere dilexerat, et apud quos ægrotus etiam aliquando sub extremum vitæfuæ
tempus jacue rat. Sedejus fepulchrimagnifice extructi, & elegantis,quod
eratprope januam Ecclefiæ, propter recentiora ædificia ibidem excitata, nulla
jam vefti. Manni degli antichi Sigilli. Nicolaus V.mandavit utHofpitale S.AntoniiPatavini,
quod FratresTer dieXX.Marzii A. Ordinis, five de Penitentia,ex bonis bæredita
dæus erat in vivis, ut ex charta societatis in riis Mag. A. Bononiæ
erexerant,indomum ter Mag. Gentilem Cingulanum, g Mag. Gui. pro
Sanétimonialibus Franciscanis, ex Monasterio lielmum Dexarensem, quam in
Append. danus. Ferrarienfi Corporis Cbriflitra. lucendis, convertere. Af eodem
annoaddiem XVII. Juliiinvivisef tur.Sed r jijtentibus Fratribus,res ita
compofita eft de defiderat, ut ex bis tabulis, quas indicavit infequentiannoper
Bifurionem Bononiæ Legatum, CI. Montius:, die XVII. Jul. ut iratres Ecclefiam
S. Antonii, cu aljacentes D. Ugolinus de Montezanico Dn. Novellonus ætes cum
molicocenfuad bufpitalitatemexercen Megloris de Florentia Dn. Amadeus Poete
damretinerent; fedbonareliqua,quæadeosex Dn.Frater Raynucciusqund. Deotaiuti
com bereditate Mag.7budlæi pervenerant, novo Par milfarii et executores
testamenti egregii vi tbenoni pro Sanctimonialibus Corporis Christi con ri&
discreti Mag. A. Aruendo attribuerentur:pero qui fuit de Florentia artis Filice
profetforis featumest, Catharina Vigria, quamnuncinSan. Fuerunt confeffihabuiffeadñoBartholomeo
clarum Virginum album relatam veneramur, cum MEDICINE mo genere nato. A.
autem fivequod cælibem vitam duxerit,five quod filios non genuerit, aut
pofteritatis memoria apud nos diu fuperftites non habuerit, certe nulla ejus
superfuit. Sed opulenta Mag. A. hæreditas non ita humanis cafibus subjecta fuit,
ut nobiles ejus reliquis non exiftant. Sanctillimum enim ad hanc diem civitatis
noitræ Monasterium Corporis Chrifti, et Collegium Puellarum S. Crucis ex bonis
hæreditariis Mag. A. initium legata insuper alia, quæ legi poffunt in tefta
quali acceperunt. Mittimus mento ipso, quod in Appendice exhibemus. Unum
addimus, quod maxi me memorandum videtur,aureosnempe florenos xv.in annos
fingulos legatos Zco Scansalti Pisado, quamdiu futurus effer in Januensium
carceribus, ex qui bus ubi eum liberari contigiffet, cc. libras bonon. eidem
perfolvi a suis hæredia bus mandavit. Nota est ex eorum tima Pilanorum cum
Januensibus rum vires miserandum in modum temporum scriptoribus infelix pugna
mari pugnata,qua Pisano pax convenit. Tunc
bello capri, qui supererant, redditi funt, effæti prope enecti. Diligentissimus Mannius jam, et tam
longi carceris incommodis proftratæ funt. Magna corum cædes fuit, abductus
præfertim ex nobilioribus. Ne atque ingens numerus in captivitatem que ullis
conditionibus adduci potuere victores, ut captivos redderent. Ita enim
confilium fuit sobolem invifæ primariis civibus detentis, ne procreandis
liberis dare operam poffent, fuccide. civitatis impedire, totque fortissimis
viris, ac re nervos civitatis, usque in illud tempus potentissimæ. Itaque non
ante annos Sigillum Universitatis Carceratorum Januæ detentorum illustrat. Ex
eorum numero erat Zeus Scanfalti, amicus, ut opinor, Thaddæi; qui quam pronus
effet ad ferendam miseris opem, cum ex hoc, tum ex fingulis fere teftamenti sui
capitibus liquet.Dn.Mina quondam Mag. A. Corporis Cbrisi, W Puellarum S.
Crucis, quæ A. uxor Dorgiquondam Dorgi dePula vidit, lowindicavitCi.Montius.
cis.Ex tabulisan.inarcbiv. publ.Flo vent. Inilicavit Cl. Biscion. Vide Append.
gia pauci supererant, Ecclefiam S. Antonii, d adja centes æles, bonaque omnia
ad eum locum perti deus confeffus eft quod ipse emit quandam pe. tiam terre...
Actum in loco Fratr. Minor, ! Blanchi Cofe for. auri cccc, depofitos ab ipfo
aliquot aliis Monialibus ex Ferrariensi Monaste. Mag. A. et c.Ex Mem.Com.Bonon.
rio in nouum buc noftrum commigrantibus. Anno autem Fratres sertii Ordinis,qui
Pbilippus Villan..die... Mag. A. nentia,erigendoPuellarumpericlitantium domici
in camara Ministri ubi Mag. A. ja lio libere tradiderunt, quod in via S. Mamæ
acebat infirmus prefentibus Mag. Bertolaccio, mæniffimo civitatis locu, non
longe a Monasterio Fratris Venture Mag Nicolao de Faventia Corporis Cbrijli,conjtructumest,a
S.Crucisti. &c. ExMem.Com.Bonon. tulo infignitum. Hæc ex monumentis
Monialium gia supersunt. Minime igitur audiendus eft Joannes
Villanius, qui A. obitum protrahita, aut fi quis est alius, qui in aliud tempus
referat. Paulo poft ejus mortem dillidium ortum est inter Fratres Ter tii
Ordinis, five de Pænitentia, et Priorem fratrum Prædicatorum, ac Guardianum
Fratrum Minorum in eligendis pauperibus ad præfcriptum teftamenti ip fius Mag. A..
Sed litem omnem fuftulit Dinus Mugellanus, clarus legum interpres, qui per
illud tempus Bononiæ docebat, cui utraque pars arbitrium dederat. Possem hic
plura Scriptorum teftimonia de A. admodum ho norifica afferre; possem et Scriptores
multos emendare, multos supplere,qui de illo vel minus diligenter, vel minus
vere scripserunt; in quo numero sunt præsertim scriptores noftri Alidofius, et Ghirardaccius.
Sed hæc curabunt, qui magis otio abundant. Nunc ejus scripta recensenda funt,
quæ et multa fue. runt, et magno in pretio habita. A. SCRIPTA. Expositio in
arduum Ipocratis volumen. Galenus Aphorismos Hippocratis illuftri commentario
exornavit. A. et Hippocratis Aphorismos, et Galeni commentarium diligenter
exposuit.Cum autem in septem libros, fivepar ticulas Hippocratis volumen
Aphorismorum diftributum fit, A. fcripto tradidit expofitionem suam in sex
priora capita, eamque absolvit. Decimadie Septemb., utadejuscalcem adnotatum
efttam in editis exemplaribus, quam in manu exarato, quod vidi in bibliotheca,
Collegii Hispanorum Bononiæ. Eft
autem hoc A. opus valde proli xum, cuiscribendo non uno tempore insudavit. Sic
enim ad ejus finem ait: In his particulis explanandis diversa fuerunt tempora.
N a m cum efjorn in nono anno mei regiminis (qui publice docebant regere tur)
incepi gloffare Aphorismos a principio. Et infpatiofex menfium glossa. v i
primam, fecundam, tertiam, a quartam particulas, a quintam usque ad illum
Aphorismum: Mulieri menstrua fine colore. Tunc autem fupersedi, convertens me
ad glosas, quas fuper Tegni feceram, completiores edendas; quas perfeci usque
ad illud capitulum caufarum: Ad inventionem vero salu brium. Ibidem vero
deftiti impeditus a guerra civitatis Bononiæ, au lucrati va operatione
distractus. Poft vero placuit mihi refumere, ut complerem glof fas Aphorismorum,
addendo ad eas, quas primo feceram. Et feci additiones Super primam, Be
fecundam, no quartam particulam. In tertia vero particu la solum glossas
veteres divis: Item in quinta particula super veteribies glosis quas feceram
primo nullam additionem feci. Incepi autem de nova glosam in illo Aphorismo:
Mulieri menftrua fine colore, ut dictum est. Quod hic habetde Bononiensium
bello, pertinerevideturad Lambertacciorum, et Jeremienfium turbas, civitas
noftra pæne desolata eft. Cum autem nono anno poftquam docere cæperat, ad inter
pretandum Hippocratis Aphorismos le contulerit, in eoque opere tempus aliquod
impendere debuerit, et rursum eo dimiffo, librum Tegni interpre tandum
susceperit, et in eo verfatus fit, quoad Bononiæ in otio quietus esse potuit;
subductis rationibus apparet, debuisse illum publice docendi in scholis noftris
munus suscipere, imo ditavit hortulanum fuum. Vixit autem renze, noftro
cittadino, il quale fu sommo Fisiciano sopra tutti. Je. scholas diceban 4.
ооо annis Fuit Thaddæus medicus famosus, apud Murat. Antiq. med. ævi To.
conterraneus auctoris, Dantis qui le In questo tempo morì in Bologna git&
scripsit Bononiæ& vocatuseitplus. M. A. detto da Bologna, ma era di Fi.
quam commentator.Et factus est ditiflimus, et mortuus est morte repen Villan,
tina, et fepultus eft Bononiæ ante portam Extar Dini confilium,five fententia
in Minorum in pulchra et marmorea sepultu- arcbivo Fratr. Prædicat. Bonon. ra.
Benvenut. Imol. comment, in Purgat. ALIGHIERI Ad Ad septimam
particulam Aphorismorum quod attinet, Thaddæus perpetua in eam commentaria non
reliquit, sed monuit auditores suos, fi quis voluif fet ex ore docentis
excerpere, quæ in nenda in schola protulisset, fe deinde emendaturum, et utin
ordinem re digerentur curaturum. Sic enim inquit: immediate Icribere intendo.
Sed fi quis de meis auditoribus notare voluerit eas corrigam, o in petias
redigi faciam. Hæc autem verba fcripfi, ut si alicubi minus completa expositio
reperiatur, non adfcribatur ignorantiæ, fed potius novitati, a pigritiæ
scriptoris. Sed Thaddæi commentaria in septi m a m partem Aphorismorum nufpiam
apparent, et ejus loco circumferri solebat expofitio Zancarii, de quo alio loco
dicemus. Expositio in divinum Hipocratis Pronosticorum volumen, A d cujus finem
ita ada notatum eft in editis exemplaribus. Explicit liber tertius yra ultimus
Pro. nofticorum Hipocratis fecundum antiquam translationem a A. Florentina
explanatus. Sed revera
Thaddäus ipfe non unam translationem præ mani bus habuit, fed faltem duas. Ad
extrema vero capita, seu textus libri tertii nihil adnotavit A., aut certe
nihil adnotatum reperio in edis tis exemplaribus; manu enim scripta explorare
non licuit. A. Florentini in præclarum regiminis acutorum morborum Hipocratis
volu men expositio. Hanc Thaddæus in proæmio fatetur se maxime procudisse ut
rem gratam faceret Bartholomæo Veronenfi, quem fibi dilectiffimum vocat, et pollentis
ingenii; aitque,non minimo fibi adjumento fuisse ad id operis perficiendum. Non
attigit A., nisi tres priores libros hujus operis, ratus fortasse, quartum non
effe legitimum Hippocratis færum,quod aliis visum erat, ut fatetur Galenus ipfe
initio commentariorum in hunc quartum librum de regimine acutorum. Suam porro
diligentiam oftendit A. in his commentariis exarandis, appellans ad verfionem
Græcam, ubi in ea, quæ ex Arabica facta erat, vitium suspicabatur. Atque hinc
apparet, duplicem ejus libri interpretationem per illud tempus in doctorum
manibus verfatam fuisse, quarum altera ex Græca, altera ex Ara. bica lingua
ducta erat. In fubtiliffimum figogarum Johannicii libellum expositio. E a m fic
concludit A.: Scio tamen, quod de his obscure dixi, Jed fellus f u m a deficit
charta: misera excusatio, et vix fapienti homine digna. Quæ hactenus
recensuimus A. opera in unum volumen redacta Venetiis edita sunt per Lucam
Antonium Junctam curante Joan ne Baptista Nicolino Sallodienfi, qui in epiftola
nuncupatoria ad Aliobel. lum Averoldum Polenfium Antiftitem, et Romani
Pontificis Legatum ad Venetos, impense A. laudat, illumque dicit, nonnisi ad
lapsam Extat hic A. liber in Codice Vaticano, ejufque hæc eft æcono. mia.
Initio agit de corpore sano, ejusque, ut ita dicam, essentia, et va. riis
sanitatis gradibus; tum pergit in hunc modum: Nota quod dicit Johan nicius,
quod fi unaquæque res naturalis propriam naturam jervaverit, facit fanitatem,
fi vero ipfam dimiferit, facit ægritudinem, vel neutralitatem, fta tum
fcilicet, quo necfanum eft, necægrum. Sequitur in hunc modum usque ad finem
libri: Nota quod dicit Galenus; nota quod dicit Hipocras, Avicenna.Nota quod
venæ non dicuntur oriri ab epate quod oriantur ex ea dem materia v c. Nota
differentiam arteriarum ad venarum, originem nervorum W c. Nota quod partes
totius capitis funt quatuor B c. Inter has notationes, in quibus totus hic
liber decurrit, aliquas quæftiones interferit, Ad text. X. lib. I. ita inquit:
Alia quod patet per translationem Græcam. Liba translatio non ponit hic nifi
duos colores et c. III. text. X. ea
Aphorismorum particula expo Super feptima vero particula nihil principum
fanitatem recuperandam vocari consuevisse. Auctoritates are definitiones fuper
libro Tegni, quamplures utiles dubitationes. uti Unde dicendum quod litera
Arabica, Cod. Vatic. ex qua fumitur illa auctoritas, elt corrupta, 1 uti
est illa: Quæritur hic an dari poffit membrum, quod nec recipitur, nec tribuit.
Nunquam editus eft
hic A. liber, quem ne ipse quidem au ctor satis elimatum cenfuit. Itaque rurlus Artem parvam Galeni, sive li brum Tegni
interpretandum suscepit. Habemus hoc A. opus typis editum Neapoli cum hoc
titulo: Commentaria in artem parvam Galeni. Neapolianno.Horum initiofatetur, fe
præmaturam aliamexpo fitionem Artis parvæ edidisse,hisverbis:
Atveroquoniamfuper eundem librum expofitionem facere necessitas compulit
præmaturam, in qua non ut expedit Galeni instituta patefeci". Ideo e c.
Magiftri A. conflia. In Codice Vaticano consilia Medica A. sunt centum
quinquaginta sex.Minore numero,imo perpauca,lirecte memi ni, funt in codice
bibliothecæ Cæsenaris Fratrum Minorum. Primum in utroque codice est de
debilitate visus. Ultimum in codice Vaticano eft de virtute Aquæ vitis. Docet
in eo modum præparandi alembicum cu. preum. Incipit: A d faciendam Aquam vitem,
quæ alio nomine dicitur aqua ardens. Eft unum ex his consiliis de minctu urinæ
cum fanguine. Incipit: Conqueftus est dn. Bartoločtus comes. Eft is
Bartholottus comes Ripæ Insulæ Suzariæ et Bardinæ, de quo plura diximus, ubi de
Rolandino Passagerio a r tis Notariæ doctore agebamus. Eft aliud A. confilium
ad midtum f a n guinis pro Duce Venetiarum. Aliud item de impedimento loquelæ
propter mollitiem linguæ. Incipit: Cura comitis Bertholdi. In librum Galeni de
crisi. Eft in codice Vaticano. Magiftri A. de Florentia quæftio de augmento.
Eft in codice Vatica A. artis Medicinæ in civitate Bononiæ doctorem. Eft in
codice bi. bliothecæ Eftenfis, tefte Muratorio. Idem Italice extat, scriptus in
m o d u m epistolæ cuidam ex Neriis Florentinis. Incipit: Imperciocchè la con
dizione del corpo umano. Extat etiam latine typis editus Bononiæ cum libelló
Mag.Benedicti de Nurlia ejusdem argumenti. Num autem Italice scriptus fit
libellus ifte ab auctore suo, an latine, mihi non conftat. Italica tamen lingua,
quæ tum nitefcere, et a Scriptoribus nobilitari cceperat, delectatum constat A.,
qui Ariftotelis Ethicam in eam linguam vertit; quamquam hunc ejus laborem haud
magnopere laudandum exiftimarit Dantes in Convivio, ubi ait, velle se suum illum
librum Italica, five, ut ipfe inquit, vulgari lingua donare, ne ab alio quopiam
interprete vitietur, ut Ethicæ Ariftotelis contigit, quam A. dæus Italicam
fecit. Eum purgare nititur Biscionius,vitio vertens non tam A., qui Italicam ex
Latina non bonam, quam veteri interpre ti,qui nihilo meliorem ex Græca Latinam
fecerat Ariftotelis Ethicam.Sed vix quisquam probabit hanc Biscionii
defensionem. Id unum enim r e prehendit in A. Dantes Aligherius, quod Italicam
interpretationem ejus libri non bonam dederit. Nihil autem impedit, quominus
librum aliquem, licet mendofiffimum, et maxime corruptum, optime, quod ad
nitorem verborum attinet, interpretari, et in aliam linguam elegantissime
quispiam convertere possit. Habuerat A. Aristotelis Ethicam ex Thesauro Latini,
ut observat Laurentius Mehus, qui de his abun de disserit in prolegomenis ad
epiftolas Ambrofii Camaldulenfis, nuper Flo rentiæ editas. no. Libellus
fanitatis conservandæ factus pay adinventus per probiffimum virum Mag. (f)E
temendo,cheilvolgarenonfosse dato posto per alcuno, che l'avelse laido
fat. Epift.Ambrof.Cam. to parere, come
fece quegli, che tramutò il Ooo 2 Cod.
Vatic. 2 Expe latino dell'Etica, ciò fu A. Ipocratita provvidi di ponere lui, fidandomi di me più
(d) Murat.To.IX.Rer.Ital.Script.p.583. che d'un'altro.Convito di Dante.In
Firenze Vid.Biscion.Annot.al Convitodi Dan Experimenta Mag. A. probata ab ipfo.
Hunc titulum habet collectio ex. perimentorum Medicinalium Thaddæi in codice
Vaticano. (a) Incipit: Omnes herbee a radices quæ debent prius coqui, abluantur
mundentur Poit brevem præfationem, fire inftructionem, defcribere incipit
primum Syrupos varii generis. Receptio Syrupi majoris fecundum M. T. Syrupus
Jor. danus M. T. ad correctiones epatis aut fplenis c. Deinde describit electua ria, inter quæ
hæc confectio locum habet: Confectio qua utuntur magna tes in curia Romana,
vagy maxime convenit in æftate fanguinem mundificans, colera fuaviter educitur.
R. pulpæ Caffic fi. Tamarindorum 3. pe. nidii.zuc.violati añş.x.Syrupi violati,
Ġ.Mirrhæ s3 conficianturfive dissolvantur cum tali fucco. X. Prunorum.ios
feminum ordei mundi. lic quir. añ i 2 cum ifta aqua decoquatur usque ad
spissitudinem mellis. Dein pergit ad vina medicata. In his ett Aqua vitis ad
calculum M. B. ideft, M a. giftri Bartholomæi de Varignana, ut opinor, medici
celeberrimi, cujus infra mentionem faciemus. Tum de oleis agitur, ibidemque
describitur Tragea M. T. et Tragea M. B., ideft, Magiftri A., et Magiftri
Bartholomæi. Pulveres fubinde varii, et pilulæ, et unguenta describuntur, tum
remedia quædam ad peculiares morbos. N e c desunt fuperftitiofa quædam, et vanissima.
Tale eft illud: Ut homo poffit ire super
ignem fine læfio. ne. Dicas ifta verba. ter in nomine individuæ
Trinitatis.Abyfon. Dalma. tiu, vel Magata, v e a s nudus. Emplaftra quædam poft
hæc describuntur: fed in hujus libri extremis partibus vix ordo ullus apparet,
ut conjicere liceat, aliena manu aliquid genuinis Thaddæi experimentis additum;
quo ex genere esse arbitror superftitiola illa, quæ dixi. De Interioribus libri
VI.a mag. A. correcti. Ita in codice Vaticano. A. de Bononia de aquis, oleis, a
vinis medicatis. Extat inter codices mo locorecensuitejus Commentariain Ipocratem,
mox Commentariain Avicennam; nam neque in alia Hippocratis opera fcripfit A.,
quam quæ indicavimus, quæque vel iple Biscionius feorfim poftea enumerat; nec
ulla in Avicennam Commentaria scripsisse comperio.Addit tamen idem Biscionius
descriptionem pulveris mirabilis Mag. A., quam re perit ad calcem libri M a g.
Aldobrandini. E g o alterius pulveris descriptio n e m in hunc m o d u m reperi
ad calcem Almansoris, ideft, libri Rasis in codice Vaticano. Recepta quam
mag.Taddeusreliquitpauperibus in te ftamento: Cinamomi eleli s Macis. Croci aš
3 ij. Sene s fiat pul vis poftea R u s Tartari albi fubtilissime pulverizati, a
misce fimul. Dosis ejus eft; 3 ij cum brodio poteftconfici cum zuccaro ut
melius conserve tur. E u m d e m pulverem defcriptum vidi in codice bibliothecæ
Cælepatis Fratrum Minorum inter confilia Medica Mag. A. ad libri marginem in
hunc modum: Pulvis folutivus A. Cinamomi: 5. Macis.Cra ci añ 7. 3. 1. Sene ad
pondus predictorum. Fiat pulvis, cui potes addere de zuccaro albo vel rubeo B
eft delectabilior. DON MEDICINE Thomæ Bodleii. Auxit immaniter Biscionius
paucis verbis catalogum operum Thaddæi, dum pri (c) To. I. mill. Angliæ.
Cod. (d) Cod. Vatic. Aderotti. Taddeo Alderotti.
Alderotti. Keywords: le quattro cause. Refs.: Luigi Speranza, “Grice ed
Alderotti” – The Swimming-Pool Library.
Luigi Speranza -- Grice ed Alessandro: il lizio a Roma
– filosofia italiana – Luigi Speranza (Roma). Filosofo
italiano. A member of the Lizio, the friend and teacher of Marco Licinio
Crasso. According to Plutarco, A. lives a very modest life and shows a great
indifference towards material possessions, behaving more like a member of the Portico
than the Lizio. Alessandro
Luigi Speranza -- Grice ed Alessandro: Gl’ortelani --
Roma – filosofia italiana – Luigi Speranza (Roma). A philosopher
of the Orto, and friend of Plutarco. He may have been
the same person as Tito Flavio Alessandro, a sophist and father of another
sophist, Tito Flavio Phoenix. Tito Flavio Alessandro. Alessandro.
Luigi Speranza -- Grice ed Alessandro – Roma –
filosofia italiana – Luigi Speranza (Roma). A public official honoured as a
philosopher. Appio Alessandro. Alessandro.
Luigi Speranza -- Grice ed Alessandro: il portico a Roma
– filosofia italiana – Luigi Speranza (Roma). All that is known
of A. is a funerary inscription found in Rome identifying him as a philosopher
belonging to The Porch. Tiberio Claudio Alessandro. Alessandro.
Luigi Speranza -- Grice ed Alessandro: gl’animali a Roma
– filosofia italiana – Luigi Speranza (Roma). He is discussed
by Filone, in connection th problems concerning providence and the nature of
animals. He pursues a career n public and military life. Tiberio Giulio
Alessandro. Alessandro.
Luigi Speranza -- Grice ed Alessandro: il tutore di
Nerone -- Roma – filosofia italiana – Luig Speranza (Roma). Di
Egea, he was a member of the Lizio and tutor to NERONE for a time. He writes a
commentary on the Categories of Aristotle, but Nerone wasn’t interested “And
that’s how Seneca comes into the picture” – Grice. Alessandro.
Luigi Speranza -- Grice ed Alessandro: la filosofia
dello schiavo -- Roma – filosofia italiana – Luigi Speranza (Roma). He
started life as a slave, but was later freed (or escaped). He goes on to teach philosophy.
Alessandro Polyhistor. Alessandro.
Luigi Speranza -- Grice ed Alfandari: la ragione
conversazionale e le implicature del Deutero-Esperanto – la scuola di Roma –
filosofia lazia -- filosofia italiana – Luigi Speranza, pel Gruppo di Gioco di H.
P. Grice, The Swimming-Pool Library (Roma). Filosofo romano. Filosofo lazio. Filosofo
italiano. Roma, Lazio. Diplomatico. Durante la grande guerra opera come
ufficiale di crittografia per il comando supremo militare. Diplomatico dello
stato. S’incarica di alcuni lavori di esportazione. Grande conoscitore di
lingue. Oltre al “neo,” parla fluentemente sette lingue. Suo è un progetto di
inter-lingua di derivazione esperantista, il neo, dato alle stampe solamente
in “Méthode rapide de Neo.” Coinvolto in prima persona negl’ambienti
bellici e personaggio di spicco della diplomazia, A. sente presto la necessità
dell'istituzione di una lingua comune, convinto che essa è la soluzione alle
incomprensioni tra le nazioni, inclusi tra gl’italiani. Come i suoi
predecessori, vuole che la sua lingua è di facile apprendimento, semplice,
libera da ambiguità [H. P. Grice, “Avid ambiguity”], prevedibile. Per questo,
pur approvando la grammatica dell'esperanto e del deutero-esperanto di H. P.
Grice, decide di semplificare ulteriormente la sua morfologia, prediligendo
radici lessicali più brevi - che talvolta però rischiano di produrre nel
lettore il risultato opposto, peccando d’ambiguità. Il lessico è volto alla
lingua che A. chiama GALLICA, ma sono presenti anche delle influenze dalla
lingua latina e dalla lingua italiana (vedi «forse» 'forse' e «sen» 'senza'; ma
cf. «somo» 'qualcosa' come l'inglese some (thing); «kras» 'domani' come
il latino CRAS) e sintattiche anche dal tedesco e dal russo. La pronuncia, l'accento,
l'alfabeto Nella lingua “neo,” l'alfabeto è LATINO. Ogni lettera
corrisponde ad uno e un solo suono preciso, che deve sempre pronunciarsi. Vi
sono cinque vocali – A, E, I, O, U -- che possono variare in lunghezza, nonostante
la quantità vocalica non sia fonologicamente pertinente, ma ‘implicaturale:
NOIOOOOOSO. In presenza di nessi vocalici, le vocali si pronunciano
sempre separatamente. L'accento cade sulla penultima sillaba nel caso in
cui questa sia aperta (es. CV, CCV, come in «libro» ('libro]), sull'ultima nel
caso sia chiusa (es. CC, VC, CVC, come in «amik» (a ' mik] da: AMIC-O), e la
desinenza del plurale «-s» non modifica l'accento della parola (es. «libros»
['libros]). In una tabella, rappresenta la corrispondenza tra grafi e foni
nella lingua neo. Gli ultimi due sono nessi di consonanti.
abcdefghiikmn kImnopaIsturweyzshes abtfdefghidkl
mnopkwrsturwksis ts. Gl’articoli sono invariabili e si dividono in
determinato («lo») – l’articolo definito di Grice, “il re di Francia e calvo” –
l’operatore iota di Peano -- e indeterminato («un»): some (at least one) (Ex).
Gli aggettivi e avverbi Come nell'esperanto, gl’aggettivi – “shaggy” -- terminano
necessariamente in «-a» e sono invariabili (ad esempio «un bona soro» e «un
bona frato»). Gl’avverbi, allo stesso modo, sono invariabili e, come in
esperanto,terminano in «-e». sostantivi La derivazione esperantista è
evidente anche nella terminazione dei nomi, ottenuta sempre tramite l'aggiunta
della vocale finale «-o». La vocale finale dei nomi può essere omessa durante
la pronuncia delle parole nel caso in cui questo renda più semplice il
continuum del parlato (per esempio nel caso in cui la prima sillaba della
parola successiva cominci con suono vocalico), ma mai se la parola termina con
nessi consonantici che senza vocale finale risulterebbero di difficile
pronuncia (come ad esempio «libr», «metr»; sono permessi invece «garden(o)»,
«frat(o) »).I pronom. È possibile intravvedere una somiglianza con l'esperanto
anche nella scelta dei pronomi soggetto, in particolare nella prima e terza
persona singolare [maschile] (rispettivamente «mi» e «li» in Esperanto). Tratto
differente è invece la scelta d’A. di mantenere distinte le seconde persone
singolari e plurali, quando invece in Esperanto è presente per entrambe
un solo pronome «vi». Soggetto Oggetto Possessivi 1
sing. mi Me ma II sing. tu Te ta
III sing. maschile i Le III sing. femminile el
le/ley III sing. Neutro 1 le/it I plur. nos
Ne Il plur. Ve BS比zzBÆu即即8 III plur. maschile zi
Ze III plur. femminile zel
ze/zey riflessivo SO Se. È inoltre presente alla terza persona
plurale dei pronomi personali soggetto una forma mista che indica gruppi in cui
sono presenti persone o cose di entrambi i sessi «ziel». Si noti che i
pronomi personali che sono preceduti da PREPOSIZIONE semplice si presentano
alla forma soggetto, e non oggetto, come accade invece in inglese (es. ing. Are
you coming with us? [it. 'venite con noi?'] e Neo «Venar vu con nos?»,
non «Venar vu con ne?»). I verbi conoscono quattro modi (otto tempi),
ciascuno dei quali presenta una specifica desinenza: «-ar» presente, «-ir»
passato, «-or» futuro, «-ur» condizionale, «-iu» (monosillabi) o «-u» (polisillabi)
imperativo e infinito, «-at» participio passato, «-ande» participio presente,
«-inde» participio futuro. SONO QUINDI INESISTENTI IL MODO CONGIUNTIVO E LA
MAGGIOR PARTE DEI TEMPI DELL’INDICATIVO ITALIANO. I loro SIGNIFICATI (Grice:
utterer’s meaning) sono da formarsi tramite PERI-FRASI con l'ausilio di
avverbi di tempo e modo. I numeri della lingua Neo ricordano
foneticamente quelli gallici, sebbene il loro sistema di composizione si
avvicini più a quello ITALIANO. I dieci numeri cardinali sono «un, du, tre,
qar, gin, sit, sep, ot, non, is». I numeri tra dieci e diciannove si formano
posponendo le cifre appena viste a «is-» (es. «istre» 'tredici'). Le
decine successive al dieci si formano aggiungendo «-is» al numero della decina
(es. «duis» 'venti', «treis» 'trenta'). A questi è poi possibile apporre altre
cifre, del tipo «duisdu» 'ventidue', «treisqar» 'trentaquattro'). Le centinaia
si indicano con «ek» e le migliaia con «mil». Esempio: 1234 = «mil
duek treisqar». I numeri ordinali si ottengono tramite un processo di
suffissazione dei numeri ordinali, per cui si ha «dua» 'secondo', «trea»
'terzo', e così via. Fa eccezione solamente il primo numero, che si
scrive «prima» e non «una». Con queste poche e semplici regole è possibile
cominciare a scrivere e parlare nella lingua neo. Essa nasce infatti anche per
essere parlata, aspetto che la caratterizza e la differenzia da molti altri
progetti. Ma si badi bene, che non lo differenzia dal suo modello diretto,
ovvero l'esperanto. La sua peculiarità risiede proprio nella sua adattabilità
anche alla prosa letteraria e alla poesia, come dimostrano le numerose
traduzioni che il suo inventore offre nei suoi scritti, e non solo quindi alla
comunicazione scientifica. Circa una ventina di anni dopo la creazione
della lingua, A. si preoccupa anche di pubblicare un manuale di 1300 pagine
contenente la grammatica completa e un vocabolario di 60000 parole del
Neo. La proposta d’A. riscoge notevole successo, tanto che Dumaine, nel suo compendio
delle lingue internazionali ausiliarie, “Précis d'interlinguistique générale et
spéciale”, Parigi, scrive il saggio «Recherche d'un compromis
Esperanto-Ido-Neo» in “Neo-Bulten,” diretta dallo stesso A., accostando il neo
alle altre lingue più conosciute e utilizzate. Proprio questa sua facilità e
semplicità le assicura infatti un posto fra i cinque progetti interlinguistici
più importanti dalla autorevole International Language Review di Denver. BAUSANI,
Le lingue inventate. Linguaggi artificiali. Linguaggi segreti. Linguaggi
universali, Roma, Ubaldini. A. RAPID
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in Belgium. To all the friends of the English language Request to
all our friends Introduction to the English Edition NEO Grammar The
Alphabet Pronunciation Variability of words Stress The
Article The Adjective shaggy The Adverb The Noun
Pronouns The Verb Monosyllabic Verbs Neo N u m e r a t i o
n T i m e A g e Ta b l e of t h e P r i n c i p a l
Prepositions Correlative Adjectives, Pronouns and Adverbs T h e N a
m e Comparaison Degrees Sentence Building AFFIXES
Elision Compound Words Geographical Names Useful Idioms
Some More Colloquialisms and Idiomatic Phrases Proverbs ENGLISH-NEO
CONVERSATION GUIDE: First Contacts The Restaurant The Cafeteria Train Travel
Customs By Car By Coach An Accident At the Hotel Air
Travel Shopping At the Stationer's At the Bookseller's. At the
Gentlemen's Hair-dresser's At the Ladies' Hair-dresser's At the
Doctor's Theatre, Concerts, Movies Railway Coach and Ship
Excursions THE FIVE MAJOR CONSTRUCTED LANGUAGES The LORD'S
PRAYER READING SELECTIONS PROSE THE SERMON ON THE MOUNT New
York Herald Tribune Requiem of Verdi at
Paris St. A. Fradeletto
A. Optimism or Pessimism Gosse Whitman
STRACHEY Princess Charlotte of
England The Times Rediscovered Treasures of Prague Castle New York Herald
Tribune Maugham taken to hospital The Times Stewart arrives in America The Observer World's Farewell to
Churchill The Times Fruitful or sterile
politics? The Times Continental
Bourses New York Herald Tribune West
Europe's growth slackening A. Lettre à mes amis POETRY. (Neo version in front
of every poem) APOLLINAIRE Le Pont Mirabeau (French) BAUDELAIRE L'invitation
au voyage (French) BurNS. - Elegy on Captain Matthew Henderson (English)
CARNER. Canço de vell (Catalan) CocTEAU.
Le Cœur éternel (French) DANTE. - Francesca da Rimini (Italian)
DANTE. - Vita Nova (Italian) ELIot. - The rock (English) ELUARD. - Mon
amour (French) FLAISCHLEN. - Lege das Ohr... (German)
ForT. - La Ronde autour du Monde (French) GEZELLE. - Gij badt op enen Berg
(Dutch) GOETHE. Wanderer's Nachtlied (German) GoETHE. Wer nie sein Brot.. (German) GOETHE. -
Mignon (German).. HARDY. - In Time of « The Breaking of Nations »
(English) HEINE. - Im wunderschönen Monat Mai (German) HEINE. -
Lorelei (German) Hugo von HOFMANNSTHAL.
Ballade des äusseren Lebens (German) HORATIUS. - Carpe
Diem (Latin) Victor HuGo. Mes vers
fuiraient... (French) 136 Victor HuGo. - La fête chez Thérèse
(French) Victor Hugo. Extase
(French) KEATS. La belle dame sans merci
(English) LA FONTAINE. - La cigale et la fourmi (French) Manuel
MACHADO. - Cantares (Spanish) Lorenzo DE' MEDICI. Quant'è bella
giovinezza! (Italian) 142 Alfred DE MUSSET. La chanson de Fortunio (French) READ. -
Day's aMrmation (English) RONSARD. - Pour Hélène (French) SoLoMoN. The Song of Songs
(From a French version) SHAKESPEARE. To be or not to be (English)
SHAKESPEARE. Sonnet
71 (English) VALÉrY. Le Vin Perdu
(French) Paul VA L É r y. - Le s y l p h e (French) Paul VERLAINE.
- E n Prison (French) Paul VERLAINE. Il pleure dans mon cœur
(French) Paul VErLAInE, - Green (French) Paul VERLAINE Colloque
sentimental (French) VIRGILIUS Gallus (Latin) Assia
WErFEL-LACHIN. Merci
(French) Walt WHITMAN. Salut au
Monde! (English) A. The old man's song (original Neo) A. Why do you
feel so happy? (original Neo) D.S.B. — The Motto (English)
D.S.B. The Task (English) NEO'S
OPTIONAL GENITIVE ENGLISH-NEO DICTIONARY NEO-ENGLISH DICTIONARY. TO
ALL FRIENDS OF THE ENGLISH LANGUAGE. No auxiliary language aspires to be more
than a "second language" -- one that is used for communication
when the two mother languages differ too greatly for mutual comprehension.
In each country the national languages soyeei baving nothing to fear from
the rise of a "second Far from constituting any threat to English,
the auxiliary language is a positive safeguard, since it preserves the
essential integrity by sheltering it from the flood of neologisms that
derive from different languages, and which would reduce English to an
impoverished „business pidgin" such as that spoken in
Melanesia. REQUEST TO ALL OUR FRIENDS. The present work is priced $ 3,00
or sh. 22/- (postage free). Encourage the movement by joining the
„Friends of Neo", non-profit legally incorporated society.
Membership fees are as follows: Active hershipp $ 2. sh. 15/- a
year $ 0. 6 0 s h. 4 / - a year Goodwill Membership
(symbolic) $ 0. 5 0 s h. 3 / 6 a year Life Active Membership
(single payment) $ 12,- $ 4/6/- Cheques and Money-Orders should be sent t
o "Friends of Neo", Brussels 5, Belgium: Postal Money Orders o
r LIST OF ABBREVIATIONS ado. arienture Auxiliary
Language Americanism architecture astronomis Basie,
binical n biology botany chemistry cinema dialect future
Greek SC language literary masculine mathematics
measure mechanics
medical military motoring music mythology
noun nautical negative number, numeral participle pejorative person,
-al philology philosophy phrase physics plural poetry,
-tical politics popular possessive past participle
prefix preposition present present participle printing
pronunciation pronoun Russtense reflexive relative
religion Roman science singular slang. Spanish subject
subjunctive suflix technic(al) theatre transitive United
States usually vulgar zoology INTRODUCTION TO THE ENGLISH
EDITION The English edition of the "Méthode Rapide de Neo"
(Brussels) needed much more preparation and time than we had expected. The
work of translating the dictionary from French-Neo to English-Neo
proved to be particularly arduous. No doubt there are many imperfections,
for there is seldom an exact match between a term in one language and a
term in another. We hope readers will bring to our attention the errors
they happen to notice. The coverage is considerably greater than for the
Méthode Rapide, and we estimate the present size at about 20,000 words
for either part. The delay in publication of the English edition has
provided the opportunity of amending a few NEO words and grammatical
usages without impairing the essential structure of the language. Language has to
adapt itself to the needs of the day and to take account of advances in
technology. Otherwise it runs the risk of being discarded like the Latin
that was left behind by its all too prolific progeny. We would have liked
to express our thanks to Blacklock who gave freely of his time for the
early publication of this Rapid Method. But he too is well aware of the
imperfections that must attend any such compilation and of the great debt which all
linguistic engineers owe to those who have toiled in the same field before
their time. So perhaps it would be invidious to single out Blacklock or
any other individual. All we can say is that without him the book could
not have been published in the year after International Cooperation
Ycar. We wish to express to Divall, Cliveden Road, London, our warmest
thanks for his help in the correction of the printing proofs. NEO GRAMMAR
PRONUNCIATION. Neo, like Spanish, is pronounced exactly as it is spelt. No
letter is silent. Every letter has one sound, always the same. VOWELS.
There are 5 vowels: a, e, i, o, and u.They may vary in length and are
indifferently short or long. They are pronounced as follows: a like palm,
father; e like bet, bay, late, leather; i like bit, beet, in, if, easy; o
like on, oft, go, low; u like foot, rule, moon. CONSONANTS: e and ch are
pronounced like church, China; g like go, get, gun; i like jet, John; r
like red, rag, round, rat; s like sit, sue, son, summer: z like zoo; x
like axe,. box, excited (never z like example). All other letters same as
in English. Definite article: “lo,” ‘the’. Ending o may be dropped
before words beginning with a vowel: l'arbo, l'arbos the tree, the trees.
When preceding an invariable word, ending s may be added: los Smith, los
Nelson the Smiths, the Nelsons. It may be added also when suggested by a
want of clearness or euphony. INDEFINITE ARTICLE un: a, an. The
ADJECTIVE ends with the letter a: bona good; forta strong. The ADVERB
deriving from an adjective ends with the letter e: forte The NOUN ends
with o (plural os): frato, fratos brother, brothers; soro, soros sister,
sisters; gardeno, gardenos garden, gardens; tablo, tablos table, tables;
libro, libros book, books. Ending o is frequently dropped IN THE SINGULAR,
so long as NUMBERS: mil milyon million All other numbers by
compounding these 13 elements: isun isdu i s t r e i s g a r isgin issit
issep isot isnon duis duisun 11 12 15 16 2 0 21 o t i s
80 o t i s u n nonis nonisnon ek un ek sepisot duck t r e c k
g a r e k 300 81 101 2 0 0 400 qinek s i t m i l o t m
i l g a r e k s e p m i l n o n i s g i n 7095 500 6000 8400
OR PoNt; NOERS wima, a ast; dud second; trea third; PRONOUNS S U B
J E C T (1) OBJECT (1) P O S S E S S I V E m i I m e m e m a m y;
mine t u t e t a y o u r; y o u r s il you l e l a h i
s e l s h e l e (-y) h e r l a her; hers i t i t le, it it l a i t
s oneself; one s e oneself s a his; one's n o S w e n e u s n
a our; ours v u l v e y o u v a your; yours Zi they 2.0
them their; theirs zel they (fem.) ze (-y) them (fem.)
10 After a preposition the pronoun
takes always the "subject" form: mi gar kon il I go with him;
Venar v u k o n nos ? are you coming with us? Example for
possessive adjective: m a dom, m a d o m o s m y house, my houses;
possessive pronouns end with s in the p l u r a l: lo m a, l o m a s m i
n e. The VERB. Conjugation of the verb i (lo have) (same form for all
persons) P r e s e n t a r mi, tu, il, nos, vu, zi a r I
have, have, he has you Past tense, Imperfect.. ir
mi, tu, il, nos, vu, zi ir I h a d, you h a d h e h a d we h a d F
u t u r e o r mi, tu, il, nos, vu, zi or I shall h a v e, y o u will h a
v e Conditional (3)... u r mi, tu, il, nos, vu, zi u r should have,
y o u w o u l d h a v e Imperative, Subjunctive iu Iu d u l d o ! have
patience! (pron i-u) Past participle had ( m i a r a t I h a v e
had) Present participle a n d e h a v i n g ( a d j e c t i v e: a n d a
) Compound participle.. i n d e having had (adjective
i n d a ) (3) The "conditional" tense may be ignored by
beginners and by persons who don't use this tense in their mother
tongue. This verb i is the pattern and the ending of ALL OTHER VERBS:
t o s e e; n o s v i d a r we s e e; el v i d o r s h e will s e e; v i d i n d
e h a v i n g seen; p r o m e n i to walk; zi p r o m e n i r they
walked; el a r p r o m e n a t she has t h e r e; toye everywhere;
k o m p r e n i to u n d e r s t a n d; p l i t o p l e a s e; p i t o be a b l
e: p a r v u ? c an you ? po for; somo something; epe a little; dezi to
wish; lente slowly; vit quickly; speri to hope; k r a s to-morrow: oje
to-day; yer yesterday; fas almost; mul much, many; muy very. Parlar
vu Anglal ? No, mi xena. Do you speak English? No, I am foreigner.
Mi k o m p r e n a r epe, mo no p a r I understand it a little, but I
cannot Miarur apreni an Neo. I should like t o learn Neo too. s p e
a k it. N
e o u n l i n g u o i z a e p l a z a. Neo is an easy
and pleasant language. P a r m i fi s o m o p o v u ? Can I do something
f o r y o u ? P l i, p a r l u lente, m i no k o m p r e - Please, speak
slowly, I don't under- n a r. s t a n d. M i s p e r a r v e vidi k
r a s. I hope to see you to-morrow. S a r vu of ik ? F a s s e m. A
r e you o f t e n here ? Almost a l w a y s.
Bonid, Sir. Bonser, Madam. Good morning, Sir. Good evening,
Madam. Alvid, Damel Janin. Bonnox. Good-bye, Miss Jane. Good night.
After reading these two pages, you know all essential rules of Neo.
11 FIRST PART G R A M M A R The ALPHABET comprises 26
letters: 5 vowels (a, e, i, o, u) and 21 consonants: Letter N o u n
in Neo Pronunciation Letter Noun in Neo Pronunciation a a that, add n e n
n o, n o n e b e (bay) b e s t lot, n o t e e d ce
(chay) c h u r c h (1) p e (pay) p o o r, p e r s o n de
(day) day g k u (koo) queen, cook(2) e ( a y ) bed, day,
Neo e r (air) r e d, r o o m e l f a t h e r e s
sit, s i s t e r g e ( g a y ) h e ( h a y ) geart, home u te
(tay) t o o l, t e a u (00) tool, cook i (ee) is, e a
r ve (vay) v a i n, v o i d je (jay) w e ( w a y
) w e l l, w a y k e (kay) X x e ( k s a y ) a x ( n e
v e r g z as e x a m p l e 1 e l m e m mother 没 ye (yay)
yes, yet z e (zay) z o o, r o s e 2) Ferte repron cations like
sarisy its wound, just as the sound of x is really ks. Rather than proper
letters, q and x are convenient signs to replace respectively ku (or kw)
and k s; both ku (or kw) and k s a r e a v a i l a b l e if preferred.
Letter q is always followed by a, e, i or o. L e t t e r combinations sh
and kh are pronounced same as in English. P R O N U N C I AT I O N
Neo, like Spanish and Italian, is pronounced exactly as it is spelt. No l
e t t e r is mute. E v e r y l e t t e r h a s o n e s o u n d, a l w a y
s t h e s a m e. mistakes are practically excluded. tong and rare
thy win simple and patie VARIABILITY OF WORDS An endings is added
to nouns and pronouns in the plural. Verbs are conjugated according to
the list on page 17. All other words are invariable. STRESS fails
on: 1) the last but one syllable of words ending with a vowel: lIbro book;
t a b l e; p A t r o f a t h e r; m A t r o m o t h e r; A l m o soul; k o r A
g o courage: k o r A g a courageous; k e m i o chemistry; s e r i o
series; g e o g r a r l o g e o g r A i a geographical; d i s t r i b
o so astribute; OAtma inanimous; unalmEso unanimity. distribution; d i s
t r i b i 2) the last syllable of words ending with a consonant: a m O r
love; a m i k friend; g a r d E n garden; kanOn gun; a v e n t U r
adventure; experimEnt experiment; m i a m A r I l o v e; vu venAr you
come; zi vidOr they will see; vu venUr you would come. The s of the
plural does not displace the stress: lEbros, tAblos, mAtros, serlos,
amikos, gardEnos, aventUros, experimEntos. 12 m o u r n i n g,
Before another vowel, i always gets stress, even in words that already
have another stress: tollo madness; m o p i o shortsightedness; b i o l o g l
o Stress n e v e r falls on t h e vowel u in t h e combination g u o:
lInguo language; a m b I g u e ambiguously, or after a and e: p l A u d i
to applause; kAuzo cause; klAuzo clause; Auto motor-car; nEutra neutral;
rEumo rheumatism; r E u m a rheumatic. nineteen; department.
n O n c k n O n i s n O n 999; v I r v E s t d e p a r t m E n t I s n O
n men's-clothing- THE ARTICLE Definite article l o: the. Lo
patro the father; lo patros the fathers; lo matro the mother; lo matros
the mothers; lo garden, lo gardenos the garden, the gardens. Ending
o may be dropped before a word beginning with a vowel: l ' a r b o, l ' a
r b o s t h e t r e e, t h e t r e e s; l i d e o, - s t h e i d e a, -s; l ' o
k, -os t h e eye, -s; l'uk, -os the corner, -s; l'aventur, -os the
adventure, - s; l'olda vir, -os the old man, men. In t h e plural,
when preceding an invariable w o r d, e n d i n g s may be a d d e d: los
N e l s o n e x i r, los J o h n s o n e n t r i r the Nelsons w e n t
out, the Johnsons came in; los sencesa k u r d'et infan me lasir this
boy's ceaseless "whys" tired me. Ending s may also be
added to give extra weight and when suggested by a want of clearness or
euphony. There are no graphical (written) accents nor any diacritical
signs in Neo. T o m a r k t h e s t r e s s of f o r e i g n o r u n i v
e r s a l w o r d s e n d i n g w i t h a s t r e s s - c a r r y i n g
vowel, a n a c c e n t is put o n t h i s v o w e l: p a s h a, p a p a. T h i
s d o e s "foreign" vorthe principle of accents' absence in
Neo, as it only concerns This accent may optionally be replaced by an
apostrophe: pasha', papa'. Indefinite article u n: a, an. Un v i r e u n
f e m a man and a woman; n o u n sol boy not a single boy. Both
definite and indefinite article may optionally be omitted, as is normal
practice in Russian, in Latin and in several oriental languages. THE ADJECTIVE
The Adjective ends with the letter a: g r a n a large; leta small; forta
d e b l a w e a k; i z a c a s y; d u i a dificult; komoda convenient; d
e c e n t a d e c e n t; b l o n d a b l o n d: b r u n a b r o w n. When
the adjective is used as a n o u n, e n d i n g s m u s t be a d d e d in the p
l u r a l: lo g r a n a s the large ones; lo l e t a s the small ones; l
o b l o n d a s t h e blond ones; lo b r u n a s t h e brown o n e s; l '
a l b a s t h e white o n e s; l o s k u r a s the dark ones.
Ending a may OPTIONALLY be dropped when the adjective PRECEDES the noun t
o which it relates (NEVER WHEN IT FOLLOWS 11), s o long as this elision
does not create confusion, and so long a s after the elision the
adjective has no more than ONE syllable or at most T W O: 13 e t d
o m (eta d o m ) t h i s h o u s e u x n u s f e l e t ( u n n u s a f e
l e t ) m i r i c i r v a b o n b r i t v a b e a u t i f u l f l o w e r
s a pretty little girl I received your good letter u n gentil
d a m venir (un gentila a nice lady came d a m ) let d o m o s e k
l e z o s grana (leta small houses and big churches d o m o s ) il
un gentil boy (gentila boy) he is a nice boy. The ADVERB deriving from an
adjective ends with the letter e: forta strong, forte strongly; e n e r g
a energetic, e n e r g e energetically, e k o n o m a, - o m e economic,
-ically. THE NOUN The Noun ends with o (plural os): frato, f r a t
o s brother, b r o t h e r s; s o r o, table, tables liters; ibras book,
rachos gurden, gardens; tablo, tablos table, tables; libro, Ending
o is frequently dropped IN THE SINGULAR, so long as the ENDING oS IS
NEVER DROPPED. Ending -in is used to design feminine nouns: doktor,
doktorin doctor, lady doctor; roy, royin (usual contraction: roin) king,
queen; leon, v e n d e r i n s e l l e r m, (m, f ); librer,
librerin bookseller (m; f); biblioteker, bibliotekerin (usual
contraction: b i b l i o t e k i n ) l i b r a r i a n (m, f).
PRONOUNS m i (u (3) i l el it S O N O
S v u (3) z i z e l SUBJECT (1) I y o u; t
h o u n e s h e it o n e w e y o u t
h e y they (fem.) OBJECT (1) m e me t e you le
him le, ley her l e, i t it s e oneself n
e v e us y o u z e t h e m ze, zey t h e
m POSSESSIVE (adj. and pron.)(2) m a l a l a l
a l a s a n a v a 2 8 my; mine your;
yours h i s her; hers. h i s: o n e ' s, h i s o w n
our; ours Your; Yoeirs 14 After a preposition, the pronoun
has always the " s u b j e c t " f o r m: v e n a r t u k o n n
o s ? are you coming with us ? m i e x a r kon il I go out with him;
For the indirect object pronoun, you may also say: a mi, a tu, a il and
so on ( t o me, to you, to him); in the third person, you may also
replace le by lu (fem. luy) and ze by zu (fem. zuy), (only for the
indirect object); When, in t h e same sentence, you have two object
pronouns, the one direct and the o t h e r one indirect, the indirect one
is placed first: m i te it v e n d a r I sell it to you; nos ve l e p r e
z e n t o r we shall introduce him to you; nos le (lu) ve prezentor we
shall introduce you to him. 2) Examples: m a dom, m a d o m o s my house,
my houses; possessive pronouns e n d w i t h s in the p l u r a l: lo m a
m i n e; l o m a s mine (plural): There exists also a "rich"
possessive, more expressive: m i a, t u a, i l a, ela, ita, soa, nosa,
vua, zia, zela: nosas plu shira gam vuas ours are more expensive than
yours. T h i s " r i c h " p o s s e s s i v e u s u a l l y
follows the name to which it refers and a d d s e m p h a s i s: P a t r
i o m i a ! My fatherland (mine) !: P a t r o n o s a ! O u r Father
(ours) ! 3) Several Neists suggest using tu when addressing a single
person and v u when addressing two persons or more, as was normal
practice in Latin. SOME OTHER PRONOUNS: l o w h a t: l o k i
m e p l a r w h a t a p p e a l s t o m e; l o k e m i v a r i w h a t I
w a n t t o h a v e (objeet k e n ) who (whom): Ki v e n a r ? Who is
coming ?; k e n v i d a r v u ? w h o m do you s e e ?; possessive k i a:
k i a et l a p ? whose is this pencil? (object ke) relative
pronoun: who (whom). L o v i r ki v e n a r the man who is coming; lo v i
r k e t u v i d a r the man ( w h o m you see. Animals can be "he,
she or it", as in English. When, in the same sentence, o r in t h e
same narrative, you have t w o pronouns, the one relating to a h u m a n
being, a n d the o t h e r one to a n animal, it is suggested, in order
to avoid confusion, to use il (or el) for the human being, and it for t h
e a n i m a l. POSSESSIVE ADJECTIVES ma-, t a -, la-, el(a)-, sa-, na-,
va-, za-, zel(a)- are frequently used as PREFIXES: maopine in my
opnion; savole of his (own) free will; vadomye in your house; raggin
agthen conom ele and in decording to his conte after maelte on my part,
from me, on my behalf; navola decidos our free-will decisions. o h
FEnglisa imsonal pronoun "it, this, that" (in Neo to or 1) is e
legala it h a s n o importance it is all the same to me me p a r a
r strana it seems strange to me nesar agi It is n e c e s s a r y t o a c
t s a r peria! that is all right! o x i ! par bela oje this
may happen! it is fine weather to-day 15 But this pronoun may
not be dropped when used as object or interrogat- ively: M i t r a
r eto t o t e b o n a Libar vu i t ? Sar it posibla ? I find
this quite D o Still, y o u m a y s a y: S a r v e c o a l a
e s... ? Do you mind if... ? because such a useful question cannot be
confused for the statement. Hider ai, zel mean also the one one we
the one who is coming e l k e t u a m a r she whom you love zi k i
k a n t i r y e r s e r t h o s e w h o s a n g yesterday evening i t k e
v u b i l d i r the one you built The pronoun zi has one rather special
form ziel to denote a couple (m, /) or a mixed-sex group. EXERCISE
Mi te vidar, tu no me vidar. Va r vu exi kon mi ? Il d i c a r el no v e n o r.
Mi te dor pan, tu me dor vin. Vo ta d o m ? em lo ma. Va kamos plu
grana gam nas. Ma dom plu leta gam ta. Mi no spar pri ko tu parlar.
Il parlar pril yera axident. El sem dicar to a sa matro. I
see you, you don't see me. Will you go o u t w i t h m e ? H e s a
y s s h e w i l l n o t c o m e. I'll give you bread, you'll give
me w i n e. W h e r e is your house ? Here is mine. Your
rooms a r e larger t h a n ours. M y h o u s e
is smaller than y o u r s. I don't know what
you are speaking about. H e is talking about yesterday's
accident. She always says everything te her m o t h e r. Nos
exor kon zi krasmatin. We'll go out with them to-morrow m o r n i n g.
Lo vir ki venir e ke tu no libar. The man who came and whom you d o n ' t
l i k e. Mi vur spi kia et bel dom. I would like to know t o whom
this b e a u t i f u l h o u s e b e l o n g s. Sar forse lo del
derker. It is perhaps the director's. Mi no spar lo ke t u var fi. I
don't know what you want to do. Ken inkontrir t u etmatin ? Whom did you
meet this morning? Lo dam dey filyo tu konar. The lady whose son you know.
P
ar mi ti m a libros i n ta k a m ? May I put m y b o
o k s in your room ? Ya, mo no tiu lo tas nir lo mas. Yes, but do not put
yours near mine. Ve r m i te vidir k o n t a t r a t. I s a w you
yesterday with your Yer fir bela, mo oje pluvar. Yestethey it was fine,
but to-day it is r a i n i n g. No me vikar resti domye oje. I
don't mind staying home to-day THE VERB THE VERB I, to have, is
conjugated as follows (same form for all persons): Present a r mi,
tu, il, nos, vu, zi a r I have, y o u h a v e, h e h a
s Past tense, Imperfect.. i r F u t u r
e ml, tu, il, nos, vu, zir hehdayou had, O r mi, tu, il, nos, vu, zi or I
shall have, Conditional • u r mi,
tu, il, nos, vu, zi u r should h a v e, y o u w o u l d h a v e
Imperative, Subjunctive i u Iu duldo! have patience! (pron i-u) Past
participle Present participle a t a n d e had ( m i a r at I have had) h
a v i n g ( a d j e c t i v e: a n d a ) Compound participle.. i
n d e h a v i n g h a d ( a d j e c t i v e i n d a ) Trustionte in their
mother od y beginners and by people who This verb i is the pattern and
ending FOR ALL OTHER VERBS (every verb consists of a stem, suffixed by
one of the eight forms of the verb i ): Si to be; m i sar l a m; il s i r
he was; nos s o r we shall be; Sat been; fi to do; t u far you do; vu fir
you did; el fur she would do: l a n d e d o i n g; v i d i to s e e; il v
i d a r he sees; v u v i d o r you will s e e: m i have s e e n; p r o m
e n i to w a l k; zi p r o m e n i r they walked; el a r p r o m e n a t
she has walked. The Imperative-Subjunctive of polysyllabie verbs ends
with u instead of iu: Miru et fem! Look at this woman!; Nos promenu um lo
kastel! Let us walk around the castle! ACTIVE COMPOUND VERBS are as
in English: mi ar s a t I have been; vu ar fat you have done; nos a r
vidat we have seen; el i r pro- menat she had walked; v u ur pensat you
would have thought; zi or e n d a t they will have finished. This
"occidental", construction may be replaced by the Esperanto
modified in Neo i n t o i n d a (with a u x i l i a r y verb s i, to be):
will have s e e n; v u finda you have d o n e; n o s v i d i n d a we have
seen; el s i r p r o m e m n d a she had walked; vu s u r p e n s i n d a
you would have thought; zi s o r e n d i n d a t h e y will h a v e
finished. PASSIVE VERBS (auxiliary verb si): mi (sar) b a t a t I am
beaten; zi s i r b a t a t they were beaten; n o s s u r b a t a t we s h
o u l d b e b e a t e n; vu s o r b a t a t you will be beaten; zi s i r
vidat pe mulunos they were seen by many people. This construction
may be replaced by the verbal suffix a t: m i batatar I am beaten; zi b a
t a t i r they were beaten; nos b a t a t u r we should be beaten; vu b a
t a t o r you will be beaten; zi v i d a t i r pe m u l u n o s they were
seen by many people; il shar si batat he ought to be beaten. REFLEXIVE
VERBS as in English: m i m e mirar I look at myself; il se v u n a r he
injures himself; il se kontrediear he contradicts himself. This
construction may be replaced by the verbal suffix is: m i mirisar I look
at myself; il v u n i s a r he injures himself; il k o n t r e d i c i s a r
he contradicts himself. RECIPROCAL VERBS are conjugated with the
verbal suffix ue: nos a m u e a r we love each o t h e r; zi k o n t i n
u e o f e n d u e a r they continuously offend each other; Amueu e vu sor
ixa! Love each other and you will be h a p p y ! you (are) a
clever b o y; m i p a r l a n d a I (am) talking; nos s i r l u d a n d a
we were playing; van il venir, mi s i r lejanda when he came, I was
reading; mi ju fartor I am going to leave; nos ju arivor we are going to
arrive; i l ju a r i v a r h e is just arriving; nos ju udir we have just
heard; nos i r ju udat we had just heard; e t d o m l u k e n d a
this house is t o let; et kont v e r i f k e n d a this account has t o
be verified (checked, audited); y e n m u z e o v i d e n d a that museum
is worth seeing; ye mul rimarkenda kozos there are many remarkable
things. EXERCISE
Dun tu dansar, mi laborar. A s k u, so t e d o r. Mi vendar e tu
kofar. El no bela, mo muy kleva. D e z u r v u t r a v e l i e t s
i z e ? While y o u dance, I work. will be given to
you. handsome, but very intelligent. you like to travel in
this season ? I l l e k t a r entide. He r e a d s all d a y
long. Kan kostar e t cap ? H o w m u c h d o e s this h a t cost ?
Ka lo presyo d'et cap ? What is the price E t o no m u y c i p a.
This is not very cheap. Mi korespondar kon un Angla. I c o r r e s p o n
d with an Englishman. Mi lu s k r i b a r, il me rispar. I
write him, he replies to me. J u pluvor, dete mi no exar. It is going t o
rain, that is why I d o n ' t g o o u t. Il ju venir da London e me
aportir He has just come from London and un bel libro. b r o u g h t m e
a beautiful book. M i s e m pensar a el, mo me I always think of her, but
she has Shendande dal tren, il kadir e Stepping out of the train, he
fel injured himself. Si o no si, em lo gestyon. To be o r not to
be, t h a t is t h e Mi nur plezantar. Mi krar, tu me mokar. I am
on joe puling my lo6: MONOSYLLABIC VERBS The following monosyllabic
verbs are the contractions of the forms in b r a c k e t s: i ( a v
i t o h a v e p i ( p o s i ) to be able bi (bevi) to drink pli ( p l a z
i ) to please di ( d o n i ) t o give s i ( e s i ) to b e f i
(fari) to do, to m a k e s h i ( s h a l i ) to have to fli ( f u g i )
to fly s p i ( s a p i ) t o k n o w g i ( g i ) t o g 0 s t i (esti) to
stay, to be j i ( i j i ) t o b e c o m e ti ( m e t i ) t o p u t
k r i ( k r e d i ) to believe t r i ( t r o v i ) to find li (lati) to
leave, to let vi (voli) to wish, to will Both forms have exactly the same
meaning; one may therefore optionally use one or the other, according to
one's t a s t e or t h e feeling. Thus, you can choose either form:
l'aglo f a r or Paglo flugar (the eagle flies); mi no p a r fl eto, mi no
posar fi eto, mi no par fari eto or m i no p o s a r f a r i eto (I c a n
' t do this). I t is suggested to use the dissyllabic ( t o syllable)
form of these verbs except for the auxiliary verb i) when addressing
people in an international meeting, i n which case it is also necessary
(whichever language used) to speak slowly, in order to make understanding
easier. NEO NUMERATION CARDINAL NUMBERS: 100 m i
l 1000 All other numbers by compounding these 12 elements:
tsun isdu istre isgar isgin i s issepisgt ison dais disun duise duistre
treis garis qinis sitis sitiolt ogis guis monismon elon 23 30 40 99
ekdu ekis duck treek qinek siteksitissit otek milun milis milekisun 1001
1010 d u m i l t r e m i l o t m i l treismil otismil duekmil
ginekmil 2000 3 0 0 0 8 0 0 0 30000 80000 200000 500000 s i t
e k m i l s i t e k s i t i s s i t m i l y o n t r e m i l s e p e
k g a r i s t r e 6 0 0 6 6 6 m i l l i o n 3743 ginmil
noneksitistre noneksitistre g a r e k s i t m i l 4 0 6 9 6 6
noneksitissit m i l y o n (os) s e p e k n o n i s t r e m i l s i t e k
s i t i s f r a n k o s: 46.793.660 g a r i s s i t f r a n e s.
Tokyo are is mil enos) abiteros: Tokyo hasad, ten milion inhabitants (ab.
= about) S U F F I X E S. Ordinals: -a. U n a ( p r i m a ) first; u n e
( p r i m e ) firstly); third; g a r a f o u r t h; tenth; isdua
twelfth; duisa twentieth; duisnona 29 th; q i n i s a 50th; e k a 100th;
m i l a 1000th. M u l t i p l e s: g a r i p l a fourfold; i s i p
l a tenfold; isipli to Cold; Piplae don, ls doubly deciple; -capia
centupie; e i p l i to . Fractions: -im. D u i m, d i m half; t r i
m 1/3rd; q a r i m 1/4th; isim 1/10th; qinisim 1/50th; e l i m 1/100th;
milim 1/1000th; milyonim o n e m i l l i o n t h. Order, class:
Primala primary; duala secondary; isala ranking tenth. Collective: -0.
Isos tens; isduo dozen; ekos hundreds; milos thous- Grouping: -ope. Unope
one by one; duope two by two; isope in groups of ten; ekope by hundreds;
milope by thousands. Ordinals are needed for: I s g a r a S e k l o
(14a s e k l o ) fourteenth century; D u i s a S e k l o ( 2 0 a s e k l
o ) twentieth century. Ordinals are not needed for:
ARITHMETIC. B a s i c R u l e s: division. Adis addition;
sotrak subtraction; multiplo multiplication; divid 19 2 + 2 3
- 1 X 3 8 : 2 = 4 = 3 = 9 =
4 d u p l u d u far q a r g a r min u n far t r e t r e yes t
r e far n o n ot pe du f a r gar. Big Numbers: m i l y o n
million (1.000.000 or 106) m i l y a r d milliard (U.S.
"billion") 1.000.000.000 or 109) b i l y o n billion (U.S. one
thousand billions) 1.000.000.000.000 or 1012 t r i l y o n trillion (one
million european billions) (1018) g a r i l y o n quadrillion
(1024) q i n i l y o n ' quintillion (1030) Powers: 62: sit d
u p o s a (6/2ps) 8 5: ot t r e p o s a (8/3ps) 1012: is isduposa
(10/12ps) 1024: is duisgarposa (10/24ps). Roots: 2 \
16: duradik de 16 (2rk/16) 1/27: treradik de 27 (38k/27) 1/256:
garradil de 256 (1rk/256). Weights and Measures: g m l i t r
o g r a m m e t r o dag d e k a g r a m d a m d e k a m
e t r o d a l d e k a l i t r o hg h e k t o g r a m hm
h e k t o m e t r o hl h e k t o l i t r o kg k i l o g r a m k m k i l o
m e t r o d e c i l i t r o d g d e c i g r a m d m d e c i m e l r o c
l c e n t i l i t r o cg c e n t i g r a m c m c e n t i m e t r o
Q g i n t a l (100 Kg.) ™ g m i l i g r a m m m m i l l i m e t r o
I n t o n y o (1000 Kg.) i n c o: inch; ped: foot; pundo: pound;
milyo: mile; n o d y o: k n o t; galonyo: gallon; lumanyo:
light-year parsek: parsec (3,26 light-years); m e g a p a r s e k:
megaparsec (one million parsecs). International
signs. Neo has adopted following international signs: (kilo) No has
adopted! ( m i l i ) 10-3 M G T ( m e g a )
106 u ( m i k r o ) 1 0 - 6 ( g i g a ) 109 n ( n a n o )
10-9 ( t e r a ) 1012 ( p i k o ) 10-12 Numbers Sit (6), Is
(10) and Ek (100). We long reflected before adopting these three terms
instead of the more international ones s i x, d e k a n d c e n t, w h i
c h f i r s t n a t u r a l l y c a m e t o our m i n d. O u r o p t i o
n w a s d i c t a t e d b y r e a s o n s o f c l e a r n e s s a n d e u p h o
n y. H e r e are some examples of n u m b e r s c o m p o s e d w i t h
sit, is a n d ek in front of the same numbers composed with six, dek and
cent: s i t i s 60 s i x d e k s i t i s s i t 6 6 s i x d e
k s i x s i t e k s i t i s s i t 6 6 6 s i x c e n t s i d e k s i
x qareksitisqin 4 6 5 g a r c e n t s i d e k g i n q a r e k d u i
s d u 4 2 2 g a r c e n t d u d e k d u s i t m i l s i t e k s i t i s s
i t 6 6 6 6 s i x m i l s i x c e n t s i x d e k s i x s i t i s
a 6 0 t h s i t i s s i t a 6 6 t h otekotisot 8 8 8 s
i x d e k s i x a o t c e n t o t d e k o t 20 These examples
show that six often causes ugly alliterations; is and ek, brief and clear
and beginning with a vowel, compound themselves much more harmoniously
than dek and cent with other numbers them. Nem mbers are those wanted by
our age of radio and telephones An expert's opinion: Here is the
opinion of Mr. F. J. K r ü g e r, Interlinguistics Counsellor of A m s t
e r d a m U n i v e r s i t y ' s L i b r a r y, p r o m m e n t p o l y
g l o t, w h o k n o w l e d g e o f all m a j o r c o n s t r u c t e d l a n
g u a g e s, a n d a l s o o f a h a s g r e a t a w i d e n u m b e
r of natural, living or dead, languages: " N e v e r, in w h i
c h e v e r l a n g u a g e, h a v e i m e t n u m b e r s t h a t s o u n
d a s c l e a r l y a n d a s h a r m o n i o u s l y a s N e o n u m b e
r s. " SHORT VOCABULARY: num number; numa numeral, numerical;
nume numerically; n u r i to number; numazo numbering; numado, n u m i o
n u m e r a t i o n; n u m o z a n u m e r o u s; n u m o z e n u m e r o u s l
y; n u m o z o numerousness; numon big number, great number; sennuma
numberless; n u m b e r l e s s l y; m u l m a n y; m u l u n o s many
people; mulo g a n t o q u a n t i t y; g a n t a quantitative ( a l s o:
" q u a n t a " ); q a n t i to quantify; q a l q u a l i t y;
q a l a qualitative; g a l i, galifi to qualify; g a l a z o
qualification; q a l i a qualifying, qualificative; galat qualified.
zer(o) zero, nought; n i l o nothing; nix nothing at all, naught; nil.. no...; nili to
annihilate; nilazo annihilation; nula worthless; nule in n o w a y.
adisi to add up; sotraki to substract; multipli to multiply; multiplo m u
l t i p l i c a t i o n; m u l t i p l a l plicand; m u l t i p l e r
multiplier; m u l t i p l e s o multiplicity; m u l t i p l i b l a
multipliable; d i v i s i o n; mutaniable disishiti; onidend ditdend,
divizon division (mil). m a t e m a t, - a, - e mathematics, a r i t m e
t i o, -ical, -metist arithmetic, -ically; -ist m a t h e m a t i c i a n;
--etician; g c o m e t r i o, m m e w a, - m e t r i s t geometry, - i s t
a l g e b r a, - a i c, equation; s e n e n d i m a i n f i n i t e
s i m a l; d i f f e r e n t i a l; k a l k u l c a l c u l a t i o n;
calculate; kalkulil, k u l i n g o calculating machine; a d i s i l, a d
i s i n g o a d d i n g m a c h i n e; k o n t a c c o u n t: k o n t i t
o c o u n t, t o r e c k o n; s t a n d e l balance (of account). For
DATES, t h e day's number is generally p u t before t h e m o n t h: u n
j a n a r January first; i s g i n n o v e m November 1 5 t h; t r e i s u n
decem D e c e m b e r 3 1 s t.; k a d a t o o i e ? w h a t is t o - d a
y ' s d a t e ?; k a i d d e l m e s of July; mi n a s i r je duisnon
lebrar I was born on February 29th. EXERCISE Ke vur tu fi oje ?
What would you like to do to-day? M i shar gi shel librer e kof tre I
must go to the bookseller's and buy l i b r o s. t h r e e books. A
r t u s u f d e n g o ? Have you e n o u g h money ? Mi a r d u e k g i n i
s f r a n k o s. I h a v e 2 5 0 f r a n e s. S h a k
libro k o s t a r sepis f r a n k o s. Each book costs seventy francs. L
o s t r e k o s t o r d o n k d u c k i s f r a n k o s. The three will then
cost 210 francs. Ve restor qaris frankos. Y o u
will h a v e 4 0 f r a n c s l e f t. L o d u i s t r e
m a r s or un bel On March 23, we will have a fine concert. Ka lo
presyo del plasos ? What is the price o f the seats? Mi n o s p a r; l a
s t y e s nos pagir ek I don't know; last time we paid g i n i s f r a n
k o s lo p l a s. 150 francs a seat. 21 Ke for tu krasmatin ? What
are you going to do to-morrow Mi sperar gi kinye kon ma frat. I hope to
go to the movies with my Kom gar ta filyo ? Il studar jus
universitye e laborar He studies la an hendersity and Ma m a t r o me dar
un libro. he is working very well. Ta dom me plar mul. My mother
gives me a book. Vur vu veni ne vidi etser ? Mi vur, mo no par; mi
no frida. I would like to, but I cannot; I am Te miru nel spek: ta vizo
lura. Look a t yourself in the mirror; Sar un inka flek. Kom fir tu it ?
It Tsan ink biot. Hoy did you do it ? Mi no spar; forse dun mi skribir et
I don't know; perhaps while I was writing this letter t o my
mother. Cu tu vidinda l'iv ki flir tan vit? Have y o u s e e n t
h e was yvins so fist airplane that Vo tir tu lo lapos ke mi te dir?
Where did® you put the pencils I gave you
? Mize tir ik, mo nun mi no par ze I putt her here, but now I
cannot Aponu ta mant, nos Put on your overcoat, we are soon
Pardonu, Madam, ve fir mi mal? I beg your hert yor pardon, Madam, did I
No dey, vu me fir nil mal. Don't mention it, you did not hurt Mi no ir
vidat vu sir ik. I had not seen you were here. I was twice in F r a n c e.
Mi ik primyese. This is the first time I am here. Kanyes gir vu kinye van
vu Lon- How many times did you go t h e movies when you were
in Mi ye sir plulyes. I was there several times. Unyes mi ye
inkontrir va gefratos. Once I met there your brother(s) and
sister(s). Dim
d ' e t f o r t u n te Ka ma standel, pli pertenar. Half
of this fortune belongs to you. Mesense vu ritirir t r e e k
issit; qinek treisgar S. had £ 850; you drew out £ 316; n o w
y o u h a v e £ 534. Ekos perar shakmes in rutaxidentos. Hundreds (of
persons) perish every i n r o a d - a c c i d e n t s. grek filosof
vivir yo This great Greek philosopher lived t h o u s a n d s of years
ago. VOCABULARY: sekund second; m i n u t minute; oro hour; ordim
half a n h o u r; o r g a r i m q u a r t e r of a n h o u r; i d o d a y; n o
x n i g h t; m a t i n morning; m i d noon; ser evening; minox midnight;
vek week: vekend m o n t h; b i m e s t w o months; t r i m e s quarter,
three months; sitmes half-year; anyo year; seklo century; milanyo
thousand years, millenary; domid afternoon alter to morrow; sem
always; xi neye late; sa, save e p sidago; fra within; inye within; fru
early; day: min t a Sung; VeRan do May day, Sad Tuesday; Mirko
Wednes- J a n a r J a n u a r y; F e b r a r F e b r u a r y; M a r s
March; A p r i l April; Mey May; Jun(yo) June; Jul July; Agost August;
Septem(bro) September; Oktob(ro) October; Novem(bru) November; Decem(bro)
December. Primaver,
Lenso Spring; Zom Summer; Erso, Autumno Autumn; Y e m W i n t e r t
e m p o t i m e; s i z o s e a s o n; p e r i o d p e r i o d; d u r i t o l a
s t; p a s i t o go b y, t o p a s s; pas- l a s t; n a r - c o m i n g,
t o c o m e; d u n w h i l e. W h a t time is
it ? Kaore venor vu ? At what time are you going to Mi venor fra du
oros. S a r is m i n g a r i m. S a r is e q a r i m. I'll be here
a t 5 (o'clock). I t i s now three o'clock. I'll come within two
hours. It is late, it is already ten. It is q u a r t e r t o t e n.
It is quarter past ten. It is five m i n u t e s t o ten. Sar is
min is. Sar non min duis. Sar isun e duisgin. It is ten
minutes to ten. It is twenty minutes to nine. It is 11.25. It
i s almost half past eleven. It will soon be eight. Sar ja ot min
sep. It is already seven minutes to eight. I have been here since
six o'clock. Mi arivir yo sit oros. Mi
ik d e p d u oros. I a r r i v e d s i x h o u r s a g o.
I h a v e b e e n h e r e f o r t w o h o u r s. At
what time is the departure ? Lo ship departar a i s exakte. T h e ship
leaves exactly at ten. We'll be here in a quarter of an hour. Kan
departos ar vu nok inye mes ? How many departures have N o k qar d e p a
r t o s: du departos Four m o r e departures: two de- Mi no par giti pre
un bivek. I cannot leave before a fortnight. Zomoro.
Yemoro. T r e m a t i n e. At any time (of the day). S u m m
e r t i m e. Wi n t e r time. T h r e e o ' c l o c k in t h e m o r n
i n g. Every hour (adv.). By n o w; b y this
time. Il
a t e n d a r sa oro. Il pagat treisqin frankos ore. He
bides his time. thirty-five francs an Suplemtempo pagat sitis
frankos Overtime is paid sixty francs an Il astir e arivir justore. m a d
e h a s t e a n d a r r i v e d a t the right time. a treedim
domide lo On June fifteen, at half past three in the afternoon the t r e
a t y p e a c e w a s s i g n e d. Narzome n o s departor Fransye.
Next summer we'll leave for France. Septembre mi sor Italye. I n
September I'll b e i n Italy. M i libar J u n a long idos. I l o v e J u
n e ' s l o n g d a y s. Mi sor Londonye nartud a is sere. I'll be in
London next Tuesday at Mi sir Swisye pasyeme. I was in Switzerland last
winter. (dun jinge T u k a n a j a ? - Mi isot. Mi sun isot. - Mi nonok
duis. Ma patro ja ginis. I l aspar apene qaris. @inanya,
sitanya, Qarisanya, qinisanya. Sitisanya, sepisanya. AGE
How old are you ? - I am eighteen. I'll soon be eighteen. - I am not
yet My father is already fifty. H e h a r d l y looks f o r t
y. six, ten years old. Quadragenarian, (in h i s f o r t i e
s, in h i s fifties). Sexagenarialioies). septuagenarian (in
Octogenarian, nonagenarian (in his Otisanya, nonisanya. Centenary
(anniversary). Jubilee (50th birtday), Nasid; anyid; Birthday;
anniversary; Saint's Day. Pasanye nos celebrir lo garekado Last
year Shexpir-naso, kespeare's birth. Naranye
nos celebror na nodependo Next w e will c e l e b r a t e o u r
independence jubilce. Pasanye na granpatro
samany g o a t dei easy, Last sate m a n ather became the centenary
y e a r of the Lo pov nonisanyin kadir e vunisir T h e poor ninety y e a
r s o l d w o m a n fell and injured herself badly. Sor l'endo de
ta adol, tu sor adulta. It will be the end of your adolescen- ce, you
will be an adult. TABLE OF THE PRINCIPAL PREPOSITIONS a (al) t o
(1) les according to a b from, beginning with l o n g a l e.
a l o n g, a t t h e s i d e of a k o n t r e c o n t r a r i l y t
o m e d e a m i d s t a n t e ( a n t e l ) before (space)
(2) m e z e b y m e a n s of a p s e ( a p s e l ) n e x t to
n i r n e a r d a ( d a l ) from o b e above, up c i s on
this side o n d e (del) of p e pe) byover d o ( d
o l ) a f t e r (time) ( p o l ) f o r dorse rear, back of на
с
п
и
н
я
po p r e ( p r e l ) before (time) d r e ( d r e l ) b e h i n
d p r i (pril) about, concerning d u n during, w h i l e p r
o for, in favor of, per e s k e ( e s k e l ) except r e k t e l e
o v e r l e a f e x e out, out of r i r b e h i n d f a c e
facing fra r i s p e in r e p l y t o H e r in spite of v i t
r e b e h i n d s e n w i t h o u t i m e i n s i d
e s h e a t, t o i n l o k e i n s t e a d of s u b u n d e
r i n f o l g e f o l l o w i n g sube (subel) under, below
inte (intel) between, among i n t r e ( i n t r e l ) inside i n y
e (inyel) within j e ( j e l ) t o, i n, f o r, by, near (3) ( k a
u z e l ) because o f k o n ( k o l ) w i t h k o n f o r m e
according k o n t r e ( k o n t r e l ) to against s u r over,
above s u r e a b o v e t r a, t r a n s t r u ( t r u l )
through u (ul) at, in possession of u m a r o u n d u n t e
( u n t e l ) down u s u n t i l ver to, towards CORRELATIVE
ADJECTIVES, PRONOUNS AND ADVERBS ADVERBS PRONOUNS ADJECTIVES
(locative: -ye) (individual: -un)
(thing: -0) (mode: -e) ka which, what e t t h i s yen
that k a u n which one e t u n this one y e n u n that
one k a o (usu: ko) what (complement: k e ) e t o t h i
s y e n o t h a t kae ( u s u: k o m ) how | k a y e (usu:
vo) w h e r e e t e t h u s y e n e in that way etye
(usu: i k ) here y e n y e u s u ye) t h e r e 2
5 o s a other s o m s o m e s h a k each, every t o t
all s e r t a c e r t a i n o s u n a n o t h e r o n e t o t
u n o s (usu: tos) (plural) all, all people s e r t u n s o m
e o n e t h i n g something o s e o t h e r w i s e s o m e s
o m e w a y o s y e s h a k o e a c h t h i n g s h a k e in e a c
h w a y t o t o (usu: to) tote quite, wholly s e r t o a
certain thing e l s e w h e r e s o m y e s o m e w h e r e s h a k
y e in each place t o t y e ( u s u toye) everywhere s e r t
e in a certain s e r t y e in a certain a n y w h e r e t a l y e
in such a place nowhere somewhe- nilosye nowhere else k
e l a n y t a l such kelun anybody t a l u n s u c h
one a n y t h i n g t a l o s u c h a thing k e l e a n y h o
w thus, k e l v e nil no etosa this other (2) n i l u n
nobody e t o s u n t h i s other n i l o e t o s o
nothing t h i s o t h e r a w a y n i l e no wise n i l
y e s o m o s a o t h e r n i l o s a
n o s o m e o t h e r o n e s o m o s u n s o m e o n
e e l s e nilosun nobody else thing s o m o s o e l s
e n i l o s o something n o t h i n g else s o m o s e in s o
m e o t h e r w a y n i l o s e in n o o t h e r s o m
o s y e r e else w a y
feminine: kain, etin, yenin, osin, somin, shakin, totinos, sertin,
kelin, talin, nilin, etosin, ete.
the adjectives osa, etosa, somosa, nilosa can never be elided.
CORRELATIVES are often used as PREFIXES: k a o r e ? at what t i m e ( h o u r
) ?; k a i n t e n t e e x i r il ? with w h a t i n t e n t did he go o
u t ? kaskope v e n i r i l ? for what purpose did he come ?; nilkaze in no
case; kelkaze in any case; etoxe in this occasion; talkondise in such
conditions; kelvede whatever the weather. Vo? Unde Vas
Lom Кі
? 212 1010 2 Kur?
Neo very often contracts the preposition with the definite article
as given in brackets a b o v e ): al to the; a n t e l before t h e; a p s e l
next to the; d a l from the; del of the; dol after the; eskel except for
the; grel in k o n t r e l against the; nel in the; ol on, over the; pel
by the; prel before the; p r i l concerning the; subel under the; trul
through the; ul at the in possession of t h e; u n t e l down the:
Il dir sa dengo al pov vir. Prel m a r l o de ma f r a t.
Antel fenso un tablo. M a frat marlir prel guer. Dol
g u e r ecos prosperir. El gir al garden kol filin sener. Zi
parlar pril tertrem. He gave his money to the poor man. Before my
brother's marriage. A t a b l e ( i s ) before the w i n d o w. M y
b r o t h e r m a r r i e d before the w a r. After the war business
flourished. del en- She went to the garden with the t e a c h e r '
s daughter. T h e y a r e talking about the earth- The terminal 1 of the contraction does not
shift the stress from the first syllable: Antel, Apsel, Eskel, kOntrel,
kAuzel, etc. je has all sorts of
meanings and is used whenever doubt is felt regard- ing use of other
prepositions. 4) the preposition u (replaced i n Latin with the dative)
corresponds to the Russian u: u mi libro I have, I possess a book (Latin:
est mihi liber; Russian: u menyà kniga). PREPOSITIONS AND ADVERBS are
frequently used as PREFIXES, as well for adjective as for adverbial use:
p r e - w a r; p r e g u e r e before the w a r; p r e n a s a b e f o r
e t h e b i r t h; p r e e x i s t a preexistent; existence; d o s k o l
a after-school; d o s k o l e after school; d o g u e r a a f t e r- w a
r ; d o g u e r e after the w a r ; semviva always living; nokviva n i u
d a t never h e a r d ; n i v i n k a t n e v e r v a n q u i s h e d ; m a n a
m e e n a m e m a t r a t in m y name and in my brother's name.
EXERCISE. Vo lo dom de t a profesor ? Lo dom del profesor drel kiezo.
The professor professor's house? professor's h o u s e b e h i n
d t h e church. Mi j u v e n a r dal klezo. I h a v e just come
from the church. Perdinde lo klil del pordo, il
entrir entered through the kitchen's El skribir un libro pril guer.
She wrote a book about the war, I'll go o u t e
i t h e r with you or w i t h venir etmatin. Vur tu i somoso ? N o
b o d y else c a m e this morning. Wo u l d else you like to have
something Dank, mi nesar niloso. Thank you, I don't want anything e
l s e. Et labor endenda inyel vek. This work is to be finished
within t h e w e e k. S a r lo libro ol t a b l o ? Is the book on
the table ? U il du filyos e un filin. He has two sons a n d a
daughter. N o fexu kontre destin! Don't struggle against destiny!
Nel mensocar vi par edi kelore. In t h e dining-car you can eat at Vidir
vu somun nel dom del l i b r e r ? Did y o u s e e a n
y b o d y a t t h e b o o k - seller's h o u s e ? Ye
sir sa filin kon la spozo. There was his daughter with her husband.
п
о
ч
е
м
у
L'ensener parlar al alevos. Il parlar kon u n alevin. 1l parlar
pril libro de la patro. Il p a r l a r pri sa libro. T h e
t e a c h e r t a l k s to t h e p u p i l s. H
e is t a l k i n g w i t h a (girl) p u p i l. He is talking about
He is talking about his (own) book. The man with the grey gloves. l
o s v e n i r k u n e k o l n u v v e s t o s. All came t o g e t h e r w i t h
t h e new Kelo il dicar, no Whatever he says, d o n ' t b e afraid.
Mi p r e n a r e t u n ; t o t o s u n o s po vu. I take this one; all others
are Eto me plar, yeno no. This pleases me, that does n o t. Mi
fonir al doktor; somosun rispir. I called the doctor; somebody else Venu
kon mi shel doktor, ose mi Come with me to the doctor's; otherwise I will
not go. Rispe v a brif, nos glada v'informi In reply t o your letter, we
are glad Es vu par atendi us kras, mi vole the book y o u a r e
looking for. wait u n t i l t o m o r r o w, I'll willingly go out
with you. THE NAME Ka ta n a m ? Ma nam J a n. Skolye tos me namar
Net. Sar it u n s u r n a m ? E t o n u r lo minifa de Jan. Somyes
zi me surnamar Nux. your n a m e ? - My name Al school, everybody call me
Net. I s t h i s a n i c k n a m e: Jan's diminutive. s o m e t i m e s
nickname Nuts. T e n u g a r e t o ? D o e s this
bother you ? N o, m i n o ize a r g a. No, I do not get angry
easily. Tu r a g a ; tu b o n k a r a k t a. E t e tu sor sem ixa.
natured; thus you will always be Mi m e dicar: ridelu, osunos te I s a y
t o myself: smile, others will smile at you. Ka ta fanam (familnam)
? names, your family name (sur- Pli, Madam, ka va felnam? If you please,
Madam, what is your H a v e y o u a nom-de-plume ? adoptir lo
pseudonim "Sen- I adopted the pseudonym p i n t e r ? Mi l e konar
Do you know this painter? pel nam; il parar i bon fam. a good repation
seems to have Mi sur glada le koneli. r e p u t a t i o n.
a c q u a i n t a n c e. Mi inkontrir ye mul ma konelos. I m e t t h e r
e m a n y a c q u a i n t a n c e s of Maname e name tot membros de In my
name and in t h e name of all na Socado, mi dezar ve feliciti. members o
f our Society, t o congratulate you. Il ju namadat ambaser Parisye.
H e has j u s t b e e n a p p o i n t e d a m - bassador i n Paris.
Il certe meritir et namado. Н
е
certainly deserved this ap- pointment. Il
as grana as vu. Il y u n i r a gam vu. Il
min exijema gam vu. COMPARISON DEGREES He is as big a s y o u.
H e is y o u n g e r t h a n y o u. H e is less exacting than you.
27 Grana, granira, granega (muy gra- Large, larger, very large; n a
); fen, bro, genest (doyeran. Bremely lage, the largest one. belega
( m u y bela); Beautiful, beautiful, very beautiful; belisima, lo
belesta (lo plu bela). Leta, letira, letega (muy
leta); S m a l l, extremely beautiful; most beautiful. s m a l l e r, v e
r v s m a l l: letisima, l o letesta (lo plu leta). extremely small, the
smallest (one). Olda, oldira, oldega (muy olda); Old, older, v e r y o l
d; oldisima, l'oldesta (lo plu olda). extremely old; the oldest
(one). Un oldun, un oldin. An old man, a n old woman. SENTENCE
BUILDING Sentence building is very free in Neo. The English student
may freely copy the order that comes naturally to him, according to the
rules of his own language. The adjective may be placed before or
after the word to which it relates, and similarly for the object pronoun
and for the adverb. You may say: M i v e a m a r as well as M i a m a r v
e (I love you). COMPLEMENT'S TRANSPOSITION. Especially in poetry,
one before the subject. patron libir f l y o = filyo libir patro
the son loved the father Ion mint patre t a t e i n t o the tern fooked
at the girl femon m i r i r lo fel = lo iel m i r i r lo fem the girl
looked at the woman. This ending n may be used only in case of
transposition. Beginners may totally ignore it. For Neo's OPTIONAL GENITIVE
see above. AFFIXES PREFIXES: ad-deputy, assistant, under-,
sub- adsekrerunder-secretary;adderkersub-manager; a d r o y v i c e
r o y; a d k o l n e l lieutenant-colonel; a d l i n g u o
auxiliary language. a m b - both a m b e l t a of b o t h s i d e s;
a m b e l l e o n b o t h s i d e s; a m b - d e z o both side's wish; a
m b d e c i d e by both side's decision. 3) ante- before
(place) a n t e k a m antechamber; antegardo vanguard: a n t e c e
n i r o centre-forward; a n t e k o r t e l fore- c o u r t; a n t
e b r a s o fore-arm anti- contrary, anti- antialkola
anti-alcoholic; antiatoma anti-atomic; a n t i k o l o n y i s m o a n t
i - c o l o n i a l i s m; a n t i f e b r a antipyretic; a n t i p r o t
e k i s m o antiprotectionism; a n t i k o n s t i t u a a n t i c o n s
t i t u t i o n a l. a r e i - higher
degree, most, extreme, bi-, du- two-, bi- a r c i d u x a r c
h d u k e; a r c i r i k a e x t r e m e l y rich; areikolma overcrowded;
areivesko archbishop; a r c i v e s k a archiepiscopal b i l i n g
u a bilingual; dalimes nimon languages: bimetala bimetallic; bimesa bimonthly
(of ¥ ) m o n t h s ) 8 ) b i s - twice,
double bo- kinship by m a r r i a g e b i s v e k a t w i c e
- w e e k l y; b i s m e s a twice-monthly; biside twice a day; bisanye
twice a year. b o p a t r o father-in-law; b o m a t r o
mother-in-law; b o f r a t brother-in-law; b o s o r s i s t e r -
i n - l a w: bofilyo son-in-law; b o f i l i n
daughter-in-law; b o e l t r o s parents-in-law di- 1b)
do- privative, d i f to undo; diarmo disarmament; d i v a n t a g
i to disadvantage; d i p o e z i to depoetize d o m i d d o m
i d e a f t e r n o o n; in d o m i d a a f t e r n o o n; afternoon; d o
g u e r a postwar; d o g u e r a p r e s y o s postwar prices; d o s k o
l a after- s c h o o l I1) dui- difficult d u f p l e k
i b l a diflicult to t o d u f l e k t i b l a difficult t o e x p
l a i n; d u i v e n d i b l a s e l l; d u f k a p i b l a
difficult g r a s p: dificult to read; d u f u d e r a h a r
d o f h e a r i n g ex- ex-,
former e x r o y ex-king; expresident ex-president; e x s p o z o f
o r m e r h u s b a n d 13) ge- of both sexes 14) in-
entering, 15) inter- between 16) intra- i n t e r i o r g e s
i r o s l a d i e s a n d g e n t l e m e n; a n d s i s t e r s; g e s p o z o
s h u s b a n d g e i r a t o s b r o t h e r s a n d wife
(Gesp. M r. a n d M r s. ) i n m i x i t o interfere; inkasi
to encash; inkesi t o encase; involvi to envelop i n t e r v e n
intervention; interlini to interline; i n t e r n a s y o n a i n t e r n
a t i o n a l i n t r a v e n y a i n t r a v e n o u s; i n t r a m u s
k l a i n t r a - muscular; intraderma intradermic; intracelula
intracellular 17 ize- e a s y i z e p l e k i b l a easy to
explain; i z e d i c i b l a easy to s a y; i z e k o m p r e n i b
l a e a s y u n d e r s t a n d 18) in- just ¡ u m a r
l a t j u s t m a r r i e d: j u p a r s a t just p u b l i s h e d; j u
n a s a t n e w b o r n: j u a r i v a t j u s t a r r i v e d; j u r i c a
t j u s t received mal-
pejorative m a l l a m a ill-famed, malformation; m a l i x luck; m a l o
n e s t a d i s h o n e s t; m a l a b i o a w k w a r d n e s s 20
mis- badly m i s i n i o r m o m i s i n f o r m a t i o n; m i s p o s a
l mis- f e a s a n c e; m i s t r a t i mishandle; m i s p r o n u n c
o m i s p r o n u n c i a t i o n
mul- many, poly, m u c h m u l f o r m a multiform; m u l d e n g
a having m u c h money; mulsilba polysyllabic; mulsorta artiklos
many s o r t s of articles nar-
next, to come n a r v e k next week; n a r i e s next m o n t h; n a r m
e s a 32 ni- 33 по - 34)
pas- 35 pre- 36 re- n a r s a b a n e x t S a t u r d a y ' s;
n a r y e s n a r o x e on the next occasion n e v e r n i u
d a t never heard, unheared-of; n i v i d a t never seen; nivinkat
unconquered, never vanquished n o p o s i b l a i m p o s s i b l e;
n o e n d a t unfinished; n o v e r a not t r u e; n o v o l e
unwillingly; n o k r i b l a unbelievable; nonegibla undeniable;
nonoposibla last, past not impossible p a s m i r k o last
Wednesday; p a s v e k last. week; p a s v e k a l a s t week's; p
a s y e m a last w i n t e r ' s; p a s a n y a last year's
before (time) p r e i s t o r a p r e d a n k i orchistorie, in
trevance; t h a n k preistor predestination; p r e l a s t a
last b u t o n e repetition refi to do again; renuvi t o renew;
relekti to read again; reinstal reinstallation; r e p r i n t
reprint, reimpression; r e m a r l o remarriage; redici to say
again 3 7 ri- cinship replacement 3 8 r i n ー rear,
back задний
назад
r i m a t r o s t e p m o t h e r; ripatro stepfather;rifrat- by r
e m a r r i a g e; stepbrother, h a l f - b r o t h e r: r i s o r
s t e p s i s t e r, h a l f sister; r i p y e s o s spare p a r t s; r i
r o t s p a r e wheel; r i g u m o n spare t y r e; r i f o l y o s
refills (sheets) r i r s h o p back-shop; r i r g a r d o rearguard; r i
r s i z o late season: r i p e n s o hidden motive; r i r a k t i v
a retroactive; r i r i g i to go into reverse 2 9 конец
созона
3 9 ) s a m - 9 0 ) s e m i - hall- 41) s e n - 42) s u l -
under similarity, equality samlandan fellow-countryman; s a m
t e m p e at t h e same time; s a m k o l o r a o f t h e s a m e
color; ideas; s a m i d e a n, samidein a man, a woman having the
same ideas. semivege half-way ( a d v. ); s e m i t e r p, - e
half-lime; s e m i l o n g o half-length; semimorta h a l f - d e a d; s
e m i b a k lack s e n m o v a i m m o b i l e; s e n m o v o i m m
o b i l i t y; seno- d o r a odourless; s e n k o n d i s a
unconditional; s e n - p o s o powerlessness; sendulda impatient; s e n
- d u l d o impatience s u b t e r a underground (adj.); s u b m a
r a submarine (adj.); s u b m a r i o r s u b m a r i n e (ship); s u b s
u o l subsoil; subdevolva under-developped; substimi t o u n d e r
r a t e When preceding a vowel, sub- may be replaced by s u - suagent,
sub-agent, sub-agency; s u e v a l u i undervalue; s u o f i c e r n o n
- c o m - missioned Officer 43) over, super s u r o m
superman; s u r o m a s u p e r h u m a n; s u r s t i - m a d i t o
overvaluate; s u r k o t i t o 44) 10. s u r a b o n d o s u p e r
- a b u n d a n c e all-, any- multi-coloured; anyhow; tosorta of
all sorts; tosorta jensos all s o r t s of p e o p l e 45) tri,
tre- t h r e e t r i m e s t h r e e months, q u a r t e r; t
r i m e s a, q u a r t e r l y: trigon t r i a n g l e; t r e b e d a k a
m bedroom with 3 beds. t r i p e d tripod; 46) tris- three
times, t h r i c e trismese three times a month; trisanya
periodik periodical published thrice yearly 47) un- one,
mono- u n a l m a, - e u n a n i m o u s, -ly; u n a l m e s o u n a n i
m - i t y; unelta, -eso unilateral, - i t y; unkolora o n e - c o l
o r e d; u n d e r k a v e o o n e - w a y street; unsilaba
monosyllabic 48) y 0 - a g o yolong long time ago; yopok a short time
ago; y o v e k w e e k a g o; y o v e k o s s o m e w e e k s ago;
yoanya koronazo the coronation of a year ago Neo also uses Greek and
Latin prefixes poli-, p a r a -, m o n o -, qasi-, p e n t a -, e x a -,
e p t a -, S U F F I X E S: - a C pejorative v i r a c o bad man,
ruffian; b o y a c o bad, nasty boy, g u t t e r s n i p e; l i b r a c o
b a d b o o k; v e r k a c i to bungle, -ad a c t i o n d u m a d o
nonsens e; T a n f a r o n a d o f a n f a r o n a d e; s h e n a d
o s t a g i n g; s h e n a d e r s t a g e - m a n a g e r: m o - v a d i
to move on function, office b l o w -al language
botanic family order, class p u n c h ; p e d a d o k i c k
; p e d a d i to k i c k Carmal Parisian slang;" spanch; spanisa;
lang, Grekaya modern G r e k: R u s a l R u s s i a n: N e d a l
Dutch; Polnal Polish; Cimal chinese, Japonal r o z a l ( - o s )
rosaceac; c i p r e s a l cupressaceae; v e r- b e n a l ( - o s )
t e r t i a r y ; p r i m a l u n a p r i m a r y - s c h o o l p u p i l, a m
a n o f primary culture; u n d a l i ú n a secondary-school
schoolgirl - a l d o chief, p r i n c i p a l l
stasyonaldo station-master; partedaldo party- leader; o r k e s t r a l d
o orchestra-leader, s t a t a l d o c h i e f of s t a f t
member of c i v a n, c i v i n c i t i z e n ( m, 1 ) ; f e l d a n, f e
l d i n p e a s a n t, p e a s a n t w o m a n ; s a m r i l i g a n, - g
i n c o r e l i g i o n i s t (m, 1) bovan(-os) bovidea; r u m i n a n r
u m i n a n t ; s h a l a n ( - o s ) o v i d a e ; o v a n
oviparous - a r o edaro refectory; pransaro dining-room;
ludaro p l a y i n g p l a c e ; p r e g a r o chapel - a r y
o destinaryo addressee; latadaryo legatee; bene- t i c a r y o
beneficiary - a v a firava ferriferous; k u p r a v a cupriferous;
a u r a v a a u r i e r o u s ; n i l a v a h a v i n g
nothing, devoid, -ayo material thing d e s t i t u t e edayo
food, victuals, feed; bevayo drink ; dorayo something hard, callosity;
medikayos medecines, -azo action f o r m a z o formation; l u s t r
a z o polishing; s a p o n a - -eg large, big, much, very -el
vaguely connected w i t h t h e r o o t very l a rg e ; t o r t e g
a particular meaning; only a n indeter- minate relation b e t w e e
n the word finishing corresponding H a m e l (from f l a m flame)
will-o'-the-wisp; fansel (from fanso fancy) gadget - e I n
good-natured; w h e e d l i n g: s o n y e m i t o - e n d
a -ensi -er -eso
- e s t - e t - e y
o -grat O -ia
-ibl -ia -le b e m e n d e d: v e r i f i k e n d a t o b
e verifica; l u k e n d a vidend a valensee B; lakena do besent
back; a g e n d a agenda (things to be done) s k u r e n s i to d a
r k e n ; k l a m e n s i to s t a r t s c r e a m i n g ; p l o r e n s
i to s t a r t weeping vender seller; kofer b u y e r ; o p r e r
workman; workwoman ; tennisman; tenis(er)in
tennisplayer(woman); b o n e s o (contraction of prudenteso)
prudence; whiteness; n e r e s o b e l e s t a most
beautiful; g r a n e s t a the largest; b o n e s t a the b e s t ; m a l
e s t a the worst b o y e t little b o y ; f e l e t l i t t l e girl; d
o m e t small h o u s e ; to sip o m e y o humanity; y u n e
y o young people ; noble y o nobility (noble people); K r i s t e y o
Christendom g e o g r a l g e o g r a p h e r ; g e o g r a t a g e o g r
a p h i c: g e o - g r a t i o geography; b i o g r a i biographer;
biografa biographical; -flo -aphy kia whose; nilunia nobody's;
tosia everybody's; l o p o v i a v i v the poor man's life i b l a
available; p o s i b i a possible; v i d i b l a visible; v e n d i b l a
saleable; l e k t i b l a readable; n o p o s i b l a i m p o s s i b l
e d e s c e n d a n t Eraklid Heraclidan; Israelid Israelite;
latinida o f l a t i n o r i g i n c a u s e kie for what
reason, w h y ; e t i e f o r t h i s r e a s o n ; n i l i e for no
reason; kelie for any reason; s o m i e f o r s o m e r e a s o n
determining, c a u s i n g d o r m i l a soporific ; e x i t i l a
exciting; b e n i l a helpful, beneficial; l e z i l a
prejudicial ) - i g -i¡
-il to go to become i n s t r u m e n t, t o o
l -in feminine - i n d having done -inil small container -ingo machine - i o (pron. i - o ) art, trade; a
whole, a set bedigi to go to bed; dormigi to go t e n s i g i
to go to the window; laborigi to go to d o r m i j i t o fall a s l e e p
; o l d i g t o g r o w o l d ; v i d i b l i j i t o b e c o m e v i s i
b l e ; b e l i j i to grow b e a u t i f u l o r i l clock, watch;
nutcrackers ; a p p a r a t u s ; s u k r i l sugar t o n g s ; d e n t i
l tooth pick ; d e k t o r i n lady doctor; roin queen; venderin
salesgirl; p i n t e r i n seamstress; leonin lioness; tigrin
tigress vidinde having s e e n ; r i c i n d e h a v i n g r e c e i v e
d ; o l d i g i n d e having grown old; o l d i j i n d a who has s
u g a r bowl; s a l i n i l salt- l a v i n g o w a s h i n g - m a c h i
n e ; p l a t e n i n g o w a s h i n g - u p medicine; p a n i o bakery,
baker's shop; i n d u s t r i o industry; oldio old people; old things;
socio 49) -д
уо
(р
г::
и-уо)
container, small place or book - у
е
place -yer, -eyer plant, s i g a r e t u y o cigarette-case; o k i
l u y o spectacle- c a s e: totuyo hold-all, bin; garduyo sentry-box;
o r d u r u y o r e c t o r y; t r e n u y o time-table; fonuyo
call-box, t e l e p h o n e b o o t h: o r u y o f o n a d r e s u
y o telephone directory klezye at church, to church; kinye at the
movies, to the movies; Londonye in London, to London; B r u x e l y
e a t Brussels, to Brussels; skolye al, to s c h o o l; d o m y e h
o m e, a t h o m e; t o y e e v e r y - n o w h e r e w h e r e; s
o m y e somewhere; nilye apple-tree; r o z y e r r o s e - t r e e; t r u
l y e r peach-tree; pirseyer pear- tree; fragyer strawberry
plant so a n y times; d u y e s twice; e k y e s h u n d r e d d a
y s t i m e s; i d y e s; o n e d a y; p a s i d y e s a g o; n a r i d y e s o
n e o f t h e s e c o m i n g s o m e d a y s. to Paris; Fransye
in, lo France; Romye in, to Rome; Italye in, to or when speaking of
places in general: Mi gar klezye I am going to church; mi gar al San Paul
klezo I am going to St. Paul's Church; el gar skolye she goes to school;
el g a r al N o r m a s k o l s h e g o e s t o t h e N o r m a l S c h o
o l; il s u n g o r a l I n g e n e r s k o l he will soon go t o t h e E
n g i n e e r i n g S c h o o l; m i U n i v e r s i t y e the
Universily; i l g o r s k o l y e xenye he will go to school a b r o a d; il g
o r a u n x e n a skol b e will go to foreign school; il g o r s k o l v
e d o r i v e he will go to school in the village; il g o r al d o r i o
s k o l he will go to the village school. -ior m e a n s of fishing-boat;
destroyer; ivior transport aircraftcarrier; - i r comparative a l t i r a t a l l e
r, h i g h e r; granira larger; •smaller; f o r t i r a s t r o n g e r;
k l e v i r a more clever; -is
reflexive o f i r a m o r e f r e q u e n t; o f i r e more often
seirist to loke takesh munisi to punish one- -ism, -ist doctrine, p a r t i s a
n ) - i l i l l n e s s, med. affection - l o g, -a, -io science, art (pron.: i
- o ) - o l young
animal - o n d g o i n g t o;
to c o m e k o m u n i s m o, -ist(a) ciner diphtheria; epit
hepatitis; uremit urae- dermolog, - a, - i o dermatologist, -ogical, -ogy;
nel m e s o s v e n o n d a in the d e p a r t o n d a the ships that
are -orio (pron.: i - o )
factory b i s g i t o r i o biscuit f a c t o r y; t e l o r i o linen
manu- factory; k o r d o r i o rope-making, rope-manufactory. -oyo
( p r o n.: o - y o ) skriboyo desk, writing-table; klozoyo
cupbora, T u r n t t u r e wardrobe; frigoyo refrigerator,
cooler -oz a b u n d a n c e
rikozo great richess; r i k o z a very rich; lumoza luminous; l u m o z o
effulgence, sheen, glare -ue r e c
i p r o c i t y l i b u c i to love e a c h o t h e r: l i b u c u ! love
e a c h o t h e r !: m u t u a l a i d; b o n b o y o s e l p u e a r
good -ul tiny boys help one
a n o t h e r o m u l h o m u n c u l e; i n f a n u l t i n y t o t; m a
n u l tiny h a n d; p e d u l tiny foot; k a t u l kitty (cat) i n
d i v i d u a l lo v u n u n t h e wounded m a n; lo v u n i n the
wounded (fem.: -in) w o m a n; m a l u n m a n; m a l i n p r
i z u n prisoner; p r i z i n woman prisoner ELISION One may
OPTIONALY (never obligatorily), and SO LONG AS THIS DOES NOT INTERFERE
WITH EUPHONY AND CLARITY, elide following words: the article lo
before a word beginning with a vowel: P a r b o, l ' a r b o s the
tree, the trees l'eldo, l ' e l d i n o s l ' a v e n t u r o s the hero,
the heroines d ' A r t u r A r t h u r ' s a d v e n t u r e s t h e preposition de and the word ke (pronoun
or conjunction), and also the object pronoun, before a word beginning
with a vowel: l ' a v e n t u r d ' e l boy this boy's adventure l
' o r e l o s d ' u n a s n o a n a s s ' s e a r s l ' o k o s d ' u n f
e m k ' i l v i d i r the eyes of a w o m a n he saw m ' a m a r tu a s m
i l ' a m a r ? do you love me as I love you ? il d i e a r k ' i l
V a m a r he says t h a t he loves you
the two-syllable (one syllable after elision) or at most three-syllable
(two syllables after elision) ADJECTIVE, when PRECEDES the noun to which
it relates, NEVER WHEN IT FOLLOWS IT: e t (a) dom t h i s h o u s
e yen (a) floros t h o s e f l o w e r s n u s ( a ) l e t ( a ) k
a m o s nice little r o o m s un gran(a) bel(a) klezo a big b e a u t i f
u l c h u r c h mi ricir ta gentil(a) brif I received your kind
letter let(a) domos c klezos g r a n a S m a l l h o u s e s a n d l a r
g e c h u r c h e s 4) the ending o of the NOUN, but ONLY IN THE
SINGULAR.. plural's designation os MAY NEVER BE ELIDED see NOUN
mele n u r e the ending at of the past participle, when used as a noun suffixed
with in (feminine) : l a k u z a t; l'akuzin ma l i b a t; ma libin
ma benamat; ma benamin the accused ( m; 1) my beloved (m; f) my
much beloved (m; /) t h e sullix
er and other suffixes, to reduce the length of a few feminine nouns
above): biblioteker; bibliotekin librarian ( m; /) m a t e m a t i
s t; matematin mathematician ( m; korespondent; korespondin c o r r e s p
o n d e n t m; a n y word may be elided, when this is suggested by
the r h y t h m or b y T h e poet is of course granted extra
freedom in this matter, as his muse may suggest to bim. COMPOUND
WORDS C o m p o u n d words are very frequent in Neo. They a r e f o r m
e d by simple joining, b u t a h y p h e n can always be used to help the
r e a d e r who is new to Neo, and when the resulting compound word seems
too long : b o n a good, k o r h e a r t; b o n k o r good-heartedness; b
o n k o r a good-hearted D o n a g o o d; v o l w i l l; b o n v o l g o
o d w i l l; b o n v o l a, - e goodwilling, -ly mala bad, ill; malkore
illnaturedly; malvol ill-will Skol school, m a e s t r o t e a c h e r; s
k o l m a e s t r o schoolmaster d o r i o village, k l e z o c h u
r c h; d o r i o k l e z o village c h u r c h a r t a r t; i s t o r
history; a r t i s t o r art-history; A r t i s t o r - S k o l
Art-History e n t a whole; k o r heart; e n t a k o r e
whole-heartedly a m o r l o v e : p e n sorrow; amorpen love-sorrow
menso dining; car c a r; mensoear dining-car When writing compound words,
it is suggested, as soon as the word seems too long, or as soon as there
is a danger of confusion, we separate the composing words with a hyphen:
skol-maestro, art-istor, dorio- m e n s o - c a r. its or sund was
have t o r are sister, sach, smoisestro. ceping English compound words as
"cigarette-holder", "cross-bearer", "pen-
"pen-wiper", "windscreen-wiper" are translated in Neo either
directly (with e n d i n g -er for a person, ( s i g a r e t i l ),
kruz-porter, plum-tenil, t o o l ) : s i g a r e t - p o r t i l v i t r
e l - s h u g i l, o r by using t h e infinitive: p o r t i - s i g a r e
t, p o r t i k r u z, t e n i p l u m ( p l u m i l ), Shugiplum,
The English idiom "from day to day", from year to year",
and so on, is shrunk in Neo t o single words comprising the initial
syllable and the This useful device can be extended to adjectival (ending
-a) and to verbal ( e n d i n g - 1, etc.) u s a g e : l e t l e t a s m
a l l e r c o m e s m a l l e r a n d s m a l l e r; l a d l a d a u g l i e r
a n d a n d s m a l l e r; l e t l e t i to u g l i e r : o l d o l d i t o
be- g r o w older and older. So k o n s t a t a r un idida
melazo. E t land far ananya progres. Viv ye shirshira. Nun il
melmelar. Il melar idide. A d a y to day improvement is
ascertained. T h i s c o u n t r y is m a k i n g a year t o
y e a r p r o g r e s s. L i f e is there more a n d more
expensive. He is now doing better and better. He is getting better from
day to day. 34 El n u s n u s a r idide. She is growing prettier
and prettier f r o m day to day. Nos adsir al orora pizazo del
situo. We witnessed t h e h o u r to h o u r deterioration of the
situation. " t h e m a n w i t h t h e g r a y g l o v e ",
word: lo nerkapla fel, lo grizganta vir, lo verdroba d a m. GEOGRAPHICAL
NAMES. Geographical names have been arbitrarily established in Neo. They a r e s u b
j e c t t o c h a n g e s, a c c o r d i n g to l o c a l p r e f e r e n c e o
r t a s t e, o r for o t h e r unaccountable reasons. The
changes may be no less arbitrary than the c a r l i e r forms. H e
r e is a list of s o m e of t h e s e n a m e s : Country name Inhabitant
language fashion, manner and adjective B r i t, b r i
t a B r i t a, B r i t i n Great Britain, B r i t i s h Briton,
Britisher, B r i t i s h w o m a n Anglo, a n g la Angla, Anglin
Angla l England, English Englishman, English Englishwoman Franso, -a
Fransa, -in Fransa l France, French Frenchman, Fren c h F r e n c h w o m
a n I t a l i o, - a l a I t a l a, - i n I t a h a n, I t a l a l I t a
l i a n I t a l y, I t a l i a n I t a l i a n w o m a n B e l g o, -
a B e l g a, B e l g i n b r i t a n a, -e a, ado a f t e
r t h e B r i t i s h m a n n e r ( s t y l e ) a n g l a n a,
- e after t h e E n g l i s h m a n n e r t r a n s a n a,
-e a f t e r the French m a n n e r i t a l a n a, -e
the Italian manner b e l g a n a, - e a f t e r Belgium, B e
l g i a n, - w o m a n D e c l a n d, d e u c a D e u c a, Deucin D e u c
a l d e a u c a n a, -e German (1) German, - w. G e r m a n R u s i
o, r u s a R u s a, R u s i n R u s a l r u s a n a, - e R u s s i
a Russian, - w. R u s s i a n Cin, c i n a China, C i n a, C
i n i n C i n a l c i n a n a, -e C h i n e s e Chinaman, -
w. Chinese Ned(o), n e d a Neda, Nedin N e d a l Nedana, -e
Netherlands, Dutchman, D u t c h ( H o l l a n d ) D u t c h
Dutchwoman S U R S, s u r s a Sursa, - i n s u r s a n a, -e U. S.
S. R. G
r e k i o, g r e k a Greece, Greek Graka, -in G r e k a l m o d e r n
Greek mod creekrekana, -e G r e k ) E u r o p, -a E u r o p a, - i
n e u r o p a n a, - e Europe, A m e r i k, - a Amerika, - i n A m
e r i k a l a m e r i k a n a, -e
A m e r i c a, Azyo, a z y a Azya, -у і п a z y a n a, - e Asia,
-jatic A f r i k, a f r i k a A f r i k a, -in afrikana, -e USA
(USIO), usa Usa, -in Usal, Amerikal usana, - e U.S.A., American A
u s t r a l y o, - y a Australya, -yin australyana, - e Australia
(4) Austro, austra Austra, - i n austrana, -e Austria, - i a
n 85 Japon, -a Japan, Japona, -in Japanese A r a b i o,
a r a b a Arab, -in Arabia, - l a n T u r k i o, t u r k a Tu r k (
a ), - i n T u r k e y, Swis, a Switzer" S w i s a, -in land,
Swiss O c e a n y o, -ya Oceanya, - i n Oceania, - i a n
Mexik, - a Mexico, Mexixa, -in -an Mexico, Mexil- Mexikurba,
-in u r b o, - a M e x i - Mexikoa, -oin co-City A l g e r y o, - y
a Algerya, -yin A l g e r i a, - i a n A l g e r a, -a A l g e r a,
-in A l g i e r s, o1 - T u n i s y o, -ya Tunisia, - i a n T
u n i s, - a T u n i s y a, Tunisa, -in -yin Tunis, of - L o
n d o n, l o n d o n a L o n d o n a, - i n London, Londonian
Paris, -a P a r i s a, -in Paris, -ian R o m a, - a Rome, Roma, - i
n R o m a n Japonal japonana, -e A r a b a l a r
a b a n a, - e T u r k a l turkana, -e swisana, -e o c
e a n y a n a, - e m e x i k a n a, - e mexikurbana, -e
algeryana, -e algerana, -e t u n i s y a n a, -e tunisana,
-e L o n d o n a l l o n d o n a n a, - e P a r i s a l
p a r i s a n a, -e R o m a l r o m a n a, - e G e r m a n i o means Old Germany (history)
(germana, German, -in; g e r m a n a n a, - e . Belgal might mean
"French as spoken in Belgium"; same, Swisal Ameraland Osal rand
Amerin (inguage) or „English as 3) A m e r i k a l and U s a l mean
spoken i n America (in t h e United States"). 4) "australa"
(belter "Suda"), would mean "austral, southern". 5) o
c e a n means " o c e a n " ( o c e a n a oceanic). L o n d o n a l m e a n s: London slang,
Cockney; P a r i s a l: Parisian argot; R o m a l R o m a n
dialect. Inhabitants may also be called: Britun, -tin; Anglun,
Anglin; Fransun, Fransin; etc. For the languages, there are verbal,
adjective and adverbial deriv- a t i o n s: a n g l a l a, - e in
English; a n g l a l i to speak, to k n o w English; t r a n s a l a, - e
i n F r e n c h; t r a n s a l i to speak, to know French; rusala, -e in
Russian; rusali to speak, to know Russian. C u s o m u n ik f r a n s a l
a r ? D o e s a n y b o d y s p e a k F r e n c h h e r e ? E t a n g l a
l a t r a d u k This English translation is not good. M i b a d u k o r
et l i b r o r u s a l e. I'll t r a n s l a t e this book i n t o
Russian. R u s s i a n t e a c h e r w h o l a r p e r t e. knows
English perfectly. glishman. Zi a r un t r a n s a anglala klavin.
They have a French girl-typist for English correspondence. Old,
classic, or constructed languages don't need the suffix -al: Latin Latin;
G r e k ancient Greek (modern Greek: grekal); S a n s k r i t Sanskrit;
Esperanto Esperanto; Neo Neo. I l l a t i n a r m o no g r e k a r.
El esperantar e near. He knows Latin b u t he does
not k n o w a n c i e n t G r e c k. She knows Esperanto and
Neo. USEFUL IDIOMS There is nothing so difeult as translating idioms
from one language into another. When an English idiom does not
appear clear enough in a word for word translation, try and give
this idiom its real meaning in quite simple l a n g u a g e. Here
are some attempts to translate the true meaning of some English idioms:
So great a m a n. Un t a n gran vir. A certain Mr. Smith. S e
r t S r Smith. To set a n example. Di l'exemplo. What a
surprise you are giving me! K a s u r p r e n vu m e d a r ! I am coming
in a f e w minutes. Mi v e n a r fra p o k m i n u t o s. Three
shillings a head. Tre shilingos pro cet. To go a-hunting. Gi yagi
(yagigi). To a b a n d o n oneself to... A b a n d o n i s i T a k
e n a b a c k, Tre paid for ki acaried, aghast. Disckurati saton a s t
o n o c a. W h a t ' s the m a t t e r ? К
а
m a t ? In broken a c c e n t s. K o n v o k r o m p a t.
T o m e e t with acceptance. I n k o n t r i aprov.
Road accident. R u t - a x i d e n t. Aircraft
accident. I v - a x i d e n t. T h e d i s p u t e h a s b e e n s
e t t l e d. Lo kontendo aranjat. his a c c o u n t
s. L e s la d i c o s. To acknowledge receipt of a letter. R
i c a v i z i u n b r i f. To put in action. Aktadi. - Movadi. It
adds up to ten thousand franes. Montantar ismil frankos. The lack of a d
j u s t m e n t b e t w e e n Za malkun. their t e m p e r a m e
n t s. M u c h a d o a b o u t n o t h i n g, Mul rum po nilo. W
i t h o u t f u r t h e r a d o. Sen plu. - Sen oso. They
found it to their advantage. Zi t r i r it vantaga (po zi). T o take medical
advice. Konsulti mediker. - P r e n i m e d i k a o p i n. F
o r e i g n Affairs. Foreign Office. Xenecos. Xenecado.
T h a t ' s a n o t h e r a ff a i r ! E t o osa
gestyon! T o w i n a l t e c t i o n. G a n i a f e k t o. - G a n
i s i m p a t i o. H o w I w o u l d like to b e y o u n g a g a i n
! K a n mi d e z u r resi y u n a ! Now and again.
- From time to time. Temtempe. To be over age. Si s u r a j a;
suraji. This cime ed esur propswith me. Nos grear va
propozo. E t klim no me k o n v e n a r. A i r - c o n d i t i o
n ( t o ); - e d; -ing. E r k i; e r k a; erko. (Via)
Air-Mail. - By a i r. I v e. - E r e. Air-tight. Air-hostess.
Ermetika. Er-ospin. A i r- b r i d g e. E r - p o n t.
Er-portat. A i r - b o r n e. A l a r m s i g n a l. A l a r
m c l o c k. Alarmil. Velyil. F i r s t of a l l. At
all hours. - At a n y time. Toprime. K e l o r e. N o t a t
all. N i l e. - N i x e. That's all. Eto to. Sar to.
All included To i n s e. All of a sudden. S o d e n e.
All right! O. K. ! O k e ! To allow oneself. Alms-house
Permisi Azil Ospizo Altar-boy Korgoboy. Neo's OPTION/.L
GENITIVE We may optionally use in Neo the sullix ' ('oy), corresponding
to the English 's to mark the genitive: ma patro'y dom ma
librer'oy filin nos no libar et fem'oy modos et libros-oy print
exela my father's house my bookseller's daughter we d o n ' t
like this woman's manners the printing of these books is excellent.
Both OPTIONAL GENITIVE's sullix - y (-oy) and COMPLEMENT TRANSPOSITION'S
sullix -n (-on, -an) (see page 28) were suggested by Mr. Béla Mariash
(Hungary). Pronunciation of letter "¿". According to Mr. Adrian
J. Pilgrim's (Leicester) convincing suggestion, we have decided to accept
for this letter the optional use of both English (John, jolly) and French
(Jean, joli) pronunciations. Compound infinitive verbs. We wish to p o i
n t o u t the equivalence of following verbal forms: = s i v i d a
n d a ( t o b e s e e i n g ): v i d i n d i = s i v i d i n d a = i
vidat (to h a v e seen): vidondi = sividonda (to will have seen): =
si vidat (to be seen).Arturo Alfandari. Alfandari. Refs.: Luigi Speranza, “Grice
ed Alfandari,” pel Gruppo di Gioco di H. P. Grice, The Swimming-Pool Library.
Alfandari.
Luigi Speranza -- Grice
ed Alfieri: la ragione conversazionale e l’implicatura conversazionale di LVCREZIO,
il filosofo repubblicano – la scuola di Parma – filosofia parmigiana –
filosofia emiliana -- filosofia italiana – Luigi Speranza, pel Gruppo di Gioco
di H. P. Grice, The Swimming-Pool Library (Parma). Filosofo
parmegiano. Filosofo emiliano. Filosofo italiano. Parma, Emilia-Romagna. Grice:
“I like Alfieri; the enzo is vital – Vittorio Alfieri has statues at Torino! V.
Enzo Alfieri dedicated his life to prove that Democritus was more of a poet
than a philosopher. ‘Indeed, I will go as far as to argue that he ain’t no
philosopher!’ Unfortunately, Abbagnano ignored him, and Lucrezio stayed in the
canon! Then Alfieri tried to study the idea of the ‘in-divisibile,’ the ‘atom’
and the ‘clinamen,’ and how Lucrezio was a good poet but a bad philosopher!” Allievo di CROCE (si
veda). Vive a Milano ove si laurea in filosofia e insegna filosofia alla
Bocconi e Pavia. Allievo di MARTINETTI
(si veda) e CROCE (si veda), di cui condivide l'ideologia liberale e il approccio
filosofico, ma anche gentiliano non ortodosso secondo la definizione di Spirito,
è un oppositore del regime fascista che lo arresta quando a Milano scoppia una
bomba all'ingresso della fiera che fa sospettare che si tratta di un fallito
attentato al re. A. è incarcerato a San Vittore assieme a tre altri filosofi: Malfa,
Segre e Vinciguerra. È liberato senza processo per l'interessamento di Croce
che tramite Marinetti ha intervenire MUSSOLINI – il filosofo ufficiale. Un
secondo arresto avvenne presto per la scoperta di lettere ritenute
compromettenti dalla censura fascista. È scarcerato per l'intervento di GENTILE
(si veda) ma dove lasciare entro due giorni l'insegnamento a Modena e
trasferirsi a Milano dove riusce a sopravvivere grazie all'aiuto di amici e di
parenti che lo ospitarono. A Milano
ottenne il primo incarico alla Bocconi dove rimane fino al suo trasferimento a
Pavia. Suoi amici, maestri e testimoni di libertà, come lui stesso li definì,
oltre a Croce, sono Prezzolini, Radice, Flora, Albertelli -- ucciso alle Fosse
Ardeatine -- e, tra i più vicini e affezionati, Spadolini. Fortemente critico nei confronti del
movimento di sinestra e impegnato attivamente per le riforme della scuola,
fondatore "Movimento per la libertà e la riforma dell'università
italiana" e il comitato nazionale per la difesa della scuola e divenne presidente
dell'"Associazione amici dell'Gerusalemme. Collabora a “L’'Italia: che
scrive che riusce a mantenere una certa autonomia nei confronti del fascismo.
Monarchico, iscritto al partito liberale Italiano, si avvicina agli ambienti
della destra, aderendo al Sindacato libero scrittori italiani e collaborando
con Volpe e “Intervento” di Gianfranceschi. Collaboratore per la filosofia de “Il
Giornale” diretto da Montanelli. Tra i
suoi saggi vanno annoverati studii sulla filosofia romana, “La tristezza di
Pindaro”; “Lucrezio”; “Gl’atomisti” e opere di estetica, L'estetica dall'Illuminismo
al Romanticismo. Ad A., oltre ad un suo epistolario con Croce, si devono due
memorie autobiografiche -- “Maestri e testimoni di libertà” e “Nel nobile
castello” -- dove sono originalmente ritratti personaggi della vita culturale e
politica italiana da Croce a Scotti, da Jacini a Casati, a Flora. Troiano, Allievo
di Croce, Corriere della Sera. Ferrari, Martinetti e Banfi, in Il Contributo
italiano alla storia del Pensiero Filosofia Treccani. Tarquini, Gli sviluppi di
LA SCUOLA DI GENTILE: da Carlini
Spirito, in Croce e Gentile Treccani; Mariuzzo, La Scuola di Pisa, in Croce e
Gentile Treccani. Veneziani, LXVIII pensieri sul CXVIII: un trentennio di
sessantottite visto da destra, Firenze, Loggia de' Lanzi; Elia, Monarchici e
partito, su Italia Reale. Croce, A.,
Lettere, Milazzo, Spes; Garosci, Nel
nobile castello, in Tempo presente, Forum per A., Rendiconti, parte generale e
atti ufficiali; Cicalese, A. maestro di studi e di vita, in Antologia, A.:
maestro e testimone di libertà: atti del Convegno, Cremona, Circolo Culturale
Croce; Parente, A. e il nobile castello, in Belfagor. Già A. nell’introduzione al breve primo scritto
bembiano incluso in una strenna dell’editore Sellerio, ha colto una possibile
connessione ai dialoghi platonici più letterari, dove a proposito del piacere
ecfrastico dello scrittore per il podere di S. Maria del Non scrive. Bembo si
compiace a descrivere il luogo a lui caro, il fresco riparo dalla calura
estiva, il fiumicello, i pioppi piantati dal padre, il quale si stupisce che
nella piana verso le pendici dell’Etna vi siano platani, che gli fanno forse
risovvenire i platani d’Ilisso. L’intuizione diviene più. Del resto l’opera
stessa prima del Bembo, il “De Aetna”, richiama a quei molteplici interessi –
spesso da e su testi – che ispira le
Castigationes Plinianae. E la stessa felice ambientazione del dialogo già di
per sé dilata i confini dell’oggetto esegetico e rilancia tutte le più vitali
istanze di plenitudo culturale, di renovatio che Barbaro stesso (e Poliziano
per suo conto) indica tra gli scopi della propria lezione (Mazzacurati). Sono
una plenitudo e una renovatio che si muovono anche da quell’indirizzo
filosofico e umanistico insieme che era stato così caratteristicamente
veneziano, da Barbaro a Valla: nella ripresa di un tutto autentico Aristotele
che Aldo consacra con la sua monumentale edizione delle opere aristoteliche
ispirata alla lezione di Ermolao e dedicata a Pio. Proprio sulla base della
retorica e della poetica aristoteliche, ripresentate come esemplari dopo secoli
e secoli sulla laguna, poteva svilupparsi anche la filologia più nuova del
Bembo, tutta fondata sul concetto di creazione artistica, non come furor o
inventio platoniche, ma come imitatio naturae e su una considerazione critica
nuova della lingua», Branca, La sapienza civile, c Bembo Pietro. De Aetna: il
testo di Bembo presentato d’A., note di Carapezza e Sciascia (Palermo: Sellerio)
concreta se posta a confronto con un altro testimone contemporaneo di Bembo,
Giraldi. Questi infatti nella sua lettera introduttiva a Renata di Francia alla
Historia Poetarum Latinorum, su uno sfondo tutto boccacciano -- l’occasione
della peste e la conseguente riunione di una piccola brigada (Pico e Piso) --,
così si esprime nel presentare la cornice diegetica del trattato. A., critico
verso la cecità dell'eruditismo dei filologi che si affannano a congetturare e
spostare, sminuzzare e riattaccare i luoghi del poema di LUCREZIO, sintetizza
ancora. Il canto del sonno e dei sogni si riattacca a quei canti precedenti, ai
canti delle illusioni, e apre la via ai versi contro la più terribile delle
illusioni: contro l'amore. Ecco come viene il sonno: una parte dell'anima è
dispersa fuori, una parte si è raccolta nel profondo della sua sede, e le
membra si sciolgono, e manca il senso, perché il senso è opera dell'anima. Ma
il senso non manca interamente, perché, se no, non si potrebbe riaccendere mai
più e sarebbe la morte. La causa del sonno è la continua perdita di atomi da
parte del corpo, perdita che avviene specialmente per le incessanti percosse
degli atomi aerei; e questi versi sono bellissimi, nella narrazione
dell'inavvertito conflitto, eppoi nella rappresentazione della sonnolenza, con
versi rotti e con un verso finale di grande dolcezza.POPLITESQVE CVBANTI SÆPE
TAMEN SVMMITTVNTVR VIRISQVE RESOLVUNT. E il sonno segue al cibo e alla
stanchezza, perché allora è avvenuto un tanto più grave turbamento di atomi in
noi. Qui passiamo all’illusioni. Ognuno si sogna quello che è la sua
occupazione del giorno. Gl’avvocati sognano di trattar cause, il generale di
guidare eserciti alla guerra, il marinaio di lottare coi venti, LUCREZIO
d'essere sveglio a scrivere il 'De rerum natura'. Ed ecco quelli che si sognano
i pubblici spettacoli, dopo essersene storditi per tanti giorni. I cavalli, che
sognano le corse. Il cane, che sogna la caccia e fiuta in aria ve si agita; i
merli si sognano di sfuggire ai falchi. Così gl’uomini: sanguinosi e paurosi
sogni di re, sogni terrificanti di uomini che si credono alle prese con pantere
e leoni, e gente che parla dormendo e svela tutti i propri segreti, e gente che
immagina di morire o di precipitare da alti monti, e gente che ha sete e si
sogna di essere presso un fiume e di bere infinitamente”. E' come se all'interno di un'argomentazione piana, di
un'espressione variata, di un vocabolo già abusato, di un ritmo additivo
irrompessero sistematicamente una rivendicazione terminologica, un elemento
imprevisto, un segnale indecifrabile, un'interruzione del ritmo, un vestigio ad
investigare. Non cessano infatti di stupire, per vistosità e normatività,
un'accelerazione espressiva e un turbamento linguistico, i quali tuttavia,
anziché disperdersi in una sorta di dadaismo originario o di impazzire nel
gioco retorico, concorrono al prima e al poi della dimostrazione, alla
proporzione del dettato, alla simmetria e regolarità del verso. Essi stessi
riducibili a struttura, più simile ora ad un reticolo cristallino, ora ad una
tavola aritmetica, ora ad un ordinamento geometrico. Questa compresenza
dell'uno e del molteplice, del medesimo e del diverso, del codificato e del
nuovo -- responsabilità morale di annunciare un nuovo mondo. Linguistica, che
porta alla preoccupazione dell'iso-morfismo, al voler far combaciare vocabolo e
oggetto segnato, segnante ordine linguistic, ordine cosmico. La eversibilità e
convertibilità di ordine fisiologico o naturale, e di ordine filologico --
verbale. Anzi, la fisiologia irrelata e caotica sembra comporsi e prendere
forma in un divenire “caosmico” proprio grazie alla filologia, la quale ordina
sintammaticamente il molteplice -- il complesso nel semplice, nel semplicissimo
(atomon, indivisum), domina il caos, resiste alla morte ed all'amore, e,
anziché immaginare o assecondare l'esistente, lo ferma e se ne appropria. A VT
NOSCAS REFERRE EARVM PRIMORDIA RERVM CVM QVIBVS ET QVALI POSITVRA CONTINEANTVR
ET QVOS INTER SE DENT MOTVS ACCIPIANTQVE QVIN ETIAM REFERT NOSTRIS IN VERSIBUS
IPSIS CVM QVIBVS ET QVALI SINT ORDINE QVÆQVE LOCATA NAMQVE EADEM CÆLVM MARE
TERRAS FLVMINA SOLEM SIGNIFICANT EADEM FRVGES ARBVSTA ANIMANTIS SI NON OMNIA
SVNT AT MVLTO MAXIMA PARS EST CONSIMILIS VERVM POSITVRA DISCREPITANT RES SIC
IPSIS IN REBVS ITEM IAM MATERIAI INTERVALLA VIAS CONEXVS PONDERA PLAGAS
CONCVRSVS MOTVS ORDO POSITVRA FIGVRÆ CVM PERMVTANTVR MVTARI RES QVOQVE DEBENT
ATQVE EADEM MAGNI REFERT PRIMORDIA SÆPE CVM QVIBVS ET QVALI POSITVRA
CONTINEANTVR ET QVOS INTER SE DENT MOTVS ACCIPIANTQVE NAMQVE EADEM CÆLVM MARE
TERRAS FLVMINA SOLEM CONSTITVVNT EADEM FRVGES ARBVSTA ANIMANTIS VERVM ALIIS
ALIOQVE MODO COMMIXTA MOVENTVR QVIN ETIAM PASSIM NOSTRIS IN VERSIBVS IPSIS
MVLTA ELEMENTA VIDES MVLTIS COMMVNIA VERBIS CVM TAMEN INTER SE VERSVS AC VERBA
NECESSEST CONFITEARE ET RE ET SONITV DISTARE SONANTI TANTVM ELEMENTA QUEVNT
PERMUTATO ORDINE SOLO AT RERVM QVÆ SVNT PRIMORDIA PLVRA ADHIBERE POSSVNT VNDE
QVEANT VARIÆ RES QVÆQVE CREARI. Analogia tra formazione di "verba" et
versus e formazione res, espressa dagli eadem e dal parallelismo tra
"significant" e “constituunt” resa esplicita nella spiegazione della
paronomasia ignis/lignum iamne videas eadem paulo inter se mutata creare gnis
et lignum? Quo pacto verba quoque ipsa inter se paulo mutatis sunt
elementis, cum ligna atque ignis DISTINCTA VOCE NOTEMUS. Costituenti minimi
semantica (parola, sillaba, articolazione, prima articolazione, seconda
articolazione, terza articolazione), natura (radice, atomo, molecula).
Reversibilità dei co-efficienti dei costituenti minimi -- “positura”, “motus”, “ordo”
-- che già nella metafisica aristotelica -- dell'aristotele perduto -- sono
indicati come le sole e tutte differenze che possono presentare tra loro le
lettere. Circolarità tra realtà fisica e linguistica con successione
intrecciata delle argomentazioni nei due passi elemento -- ELEMENTUM (gr.
stoicheion) è costituente originario sia di alfabeto che natura, secondo
Democrito e Leucippo, fonte Metafisica, Aristotele. IL PORTICO, nella sua lotta
contro GL’ORTELANI, sostiene la legge finalistica del Logos come vera unica
legge che indirizza la scrittura delle opere e la formazione delle cose.
Platone sostene l'esperienza letteraria come micro-cosmo produttori del reale.
Concursus motus ordo positura figurae. Sono documentati come 'produttori' del
'reale' (res, rerum) in Leucippo, Democrito (dalla Metafisica) ed Epicuro e
sono gl’esatti sinonimi latini dei termini greci – “individuum”, atomon; “elementum”,
stoicheion, simple, simplice, simplicissimum. Il verso è straordinario, dal
punto di vista ritmico, tutto spondaico, e semantico, essendo costituito da
soli sostantivi elencati a-sindeticamente, e culminante dal punto di vista
fonico su “ordo”, quasi palindromo, appena bi-sillabo. Un verso icastico, che
riprende i termini già esposti ma in ordine sparso e vi associa “figurae”,
termine con una doppia valenza (ma monosemia) materiale e linguistica. Numerose
testimonianze nei testi grammaticali latini fanno emergere la perfetta
corrispondenza della terminologia atomistica e linguistica, in quanto tutti i
termini "concurcus", "motus", "ordo" et
"positura" sono specificamente grammaticali. motus concursus gramm:
fenomeni fonetici: sinalefe (contrazione in un'unica sillaba di due vocali,
solitamente dittonghi), sineresi (contrazione in un'unica sillaba della vocale
terminante di una parola e di quella iniziale della successiva), iato (incontro
di vocali forti successive). Il “distaccamento”, l'”accostamento”, il
“mutamento” degl’atomi convertono la natura delle cose nello stesso modo in cui
l'”omissione”, l'”aggiunta”, il “mutamento” delle lettere convertono l'identità
delle parole. Il modello grammaticale sembra in ogni caso essere preminente e
fungere da paragonante per scoprire e chiarificare i meccanismi del mondo
atomico, “ex apertis in obscura”, per rendere più semplice il passaggio
dall'esperienza sensibile della littera scritta all'invisibilità degl’infinitesimi
atomi, elementa. Gramm: flessione (verbo) musica: ritmo retor: figura
retorica ut potius multis communia corpora rebus multa putes esse, ut
verbis elementa videmus. L'assimilazione tra “verbum” e “res” fornisce una
giustificazione e funzione della filosofia, nonché annulla il divario tra filosofia
e poesia, aprendo la strada della ben più successiva divulgazione scientifica. È
convinzione epicurea quella dell'iso-morfismo tra parole e cose, e tale risulta
nella costituzione del poema intero, costruito come un cosmo vero e proprio. La
valorizzazione di ogni singola parola, la sua attenta scelta si riflette in un
innalzamento a materia poetabile delle realtà anche più umili, come “minerali,
piante, fiumi, cielo, mare, terra, fiere, uomini”. Si crea così una democrazia
linguistica ante litteram, lontana dal buonismo religioso, spesso degradato in
ipocrisia, o dagl’esperimenti degl'atomismo logico di Russell, che demolendo la
sintassi o creando l'enumerazione caotica volevano demolire la società borghese
e capitalistica e criticare la massificazione elevando ogni singola parola, pur
immersa nella sua massa uniformemente bianca e nera che è il testo. Vittorio Enzo Alfieri.
Alfieri. Keywords: Lucrezio, l’implicatura di Lucrezio, la folla di Lucrezio,
Croce, filosofia romana, la terminologia della grammatica filosofica di radice
del portico: elemento, figura, individuo, concorso. Refs.: Luigi Speranza,
“Grice ed Alfieri” – The Swimming-Pool Library.
Luigi Speranza -- Grice
ed Alfonso: la ragione conversazionale e l’implicatura conversazionale – scuola
di Santa Severina – filosofia calabrese -- filosofia italiana – Luigi Speranza,
pel Gruppo di Gioco di H. P. Grice, The Swimming-Pool Library (Santa Severina). Filosofo calabrese. Filosofo italiano. Santa Severina,
Crotone, Calabria. Grice: “I like Alfonso – no, he ain’t a Spaniard; the
surname was pretty popular in Southern Italy after the roaming of the
Spaniards! And it’s ultimately barbaric, that is, Goth!” “Typically, for a
philosopher, a professional one, I mean, he started with logic for teenagers
(il ginnasio ed il liceo), but with a twist – he called his lectures (his
ancestor may testify) ‘logica reale,’ or colloquenza reale – and he tried to
criticse “il Vera,” who had written “Il problema dell’assoluto.” “Like me, he
has an interest in S is P and S is not P (questo uomo no est sensibile). His
first utterance is actually, NOT ‘the fat cat sat on the mat, and as he sat on
the mat, he saw a rat” – but the rather naïf ‘il sole e luminoso.’ He gives two
other examples, which are easy to detect, since he does not use quotes but
ITALICS!: “questo corpo est rotondo” and “questa pianta fiorisce.” His idea, like mine, or Peacocke’s,, or Speranza, is
that that is pretty much enough to deal with the most serious problems in
philosophy: the judicatum, and its component Concetto 1 e Concetto 2 – “Questa
pianta fiorisce’” -- Un temperamento di spirito positivo e di evoluzionismo
idealistico, che attesta l’origine del suo metodo e la serietà dei suoi studi,
ma che dimostra pure quanto egli si sia discostato dall’indirizzo del Vera e
dello Spaventa per accostarsi a quella che fu chiamata la sinistra
hegeliana» (Luigi Ferri). Filosofo. Autore di pubblicazioni scientifiche
e di numerosi articoli su riviste letterarie e quotidiani, alcuni dei quali
sulla Calabria e sui personaggi delle tragedie di Shakespeare, che gli fanno
guadagnare l’attenzione per l’approccio singolare alle opere del grande
drammaturgo. Da una famiglia di proprietari terrieri, si dedica
all'approfondimento delle Sacre Scritture, grazie ai due fratelli del padre,
canonici del capitolo metropolitano della cattedrale. Questi studi -- parte dei
quali pubblicati con il titolo “Le donne dei Vangeli” (Firenze, Successori Le
Monnier) -- manifestano un approccio *positivista* sull'analisi del testo
biblico. Terminati gli studi nel suo paese natale si trasfere a Catanzaro,
dove è allievo del letterato e patriota rocchitano Gallo-Arcuri. Frequenta il liceo
ginnasio Galluppi, conseguendo la licenza ginnasiale. Ottenne in seguito la
licenza liceale con lode al liceo classico del convitto Vittorio Emanuele II di
Napoli, che gli fa valere, su concessione del ministero della pubblica istruzione,
la possibilità di iscriversi alla facoltà di filosofia presso la Regia Napoli.
Alla facoltà di Filosofia, dove, allievo di SANCTIS, VERA, e SPAVENTA, ottenne
vari riconoscimenti. Consegue la lauree in filosofia. I lincei gli
assegono il premio reale per la filosofia per il saggio dal titolo “Kant: i suoi
antecessori e i suoi successori”. Su espressa volontà del padre fa ritorno a
Santa Severina. Ma la passione per l'insegnamento prevalse e partecipa ai
concorsi a cattedra per i licei, iniziando a insegnare Filosofia in Sicilia: Caltanissetta,
Messina e Catania. Da questa esperienza di insegnamento cominciarono ad
evidenziarsi sempre di più le sue qualità didattiche, tant'è che il ministro
della Pubblica Istruzione Boselli lo convoca a Roma per affidargli la cattedra
di filosofia nei licei, prima al liceo ginnasio Umberto I e poi al Liceo Visconti.
Comincia a collaborare con le più importanti riviste, tra cui il Nuovo Convito,
la Rivista d’Italia, la Rivista moderna politica e letteraria, la Rivista
italiana di filosofia, la Nuova Antologia, L’Educazione, la Rivista italiana di
Sociologia, la Rivista di filosofia e scienze affini e con diversi quotidiani,
tra cui L'Osservatore Romano. Chiamato dal ministro della Pubblica
Istruzione Boselli ad insegnare filosofia all'Istituto Superiore, dove, in
seguito a concorso, divenne Professore. Ha come colleghi Pirandello e Capuana.
Durante i trantaquattro anni di insegnamento all’istituto superiore, è relatore
di oltre trecento tesi. Per il Dizionario illustrato di Pedagogia, curato da
Credaro e Martinazzoli, redasse la voce Istituti Superiori femminili di
Magistero. Anche libero docente di filosofia alla Regia Roma.
All'insegnamento affianca sempre una prolifica attività di saggista,
pubblicando saggi che spaziano dai temi dell'educazione e della morale
all'economia politica, dagli studi sull'ambiente e sulle foreste all'analisi
criminologica dei personaggi shakespeariani. Il suo sommario delle lezioni di
pedagogia generale (Loescher) è giudicato dalla Reale Accademia dei Lincei
frutto d'amorosa meditazione e di mente abituata alla ricerca e alla
costruzione filosofica, che esce dai confini degl’ordinari trattati di
pedagogia per elevarsi ad una sintesi mentale superiore. Tenne la prolusione
all'Universal Congress of Races di Londra, che è poi pubblicata col titolo “Speculative
psychology and the unity of races” (Loesche). Membro del Congrès indu progrès
religieux a Parigi. Consulente medico della Real Casa d'Italia durante il regno
di Umberto I e del Palazzo Apostolico Vaticano sotto il pontificato di Benedetto
XV. Mai volle aderire ad alcuna corrente filosofica e politica, ed è
fortemente avversato dal ministro della pubblica istruzione GENTILE (si veda), che
decide di mandarlo anzitempo in pensione con un provvedimento ad personam. Si
tratta del Regio Decreto all'interno della Riforma GENTILE, che anticipa, per i
soli professori del Magistero, il collocamento a riposo al compimento del
settantesimo anno anziché al settantacinquesimo, come per gl’altri docenti
universitari. Il suo posto è immediatamente occupato da RADICE, amico di
Gentile. Anche CROCE intervenne nella vicenda in favore di A., chiedendo a GENTILE
una deroga a tale decreto, ottenendo però risposta negativa. La salma è portata
sulla carrozza della Real Casa e seppellita nel Cimitero del Verano. Santa
Severina, gli ha intitolato una via del centro storico e la Scuola
elementare. Saggi: “Le donne dei Vangeli” (Firenze, Monnier); “Sonno e sogni”
(Milano, Trevisini); “Principii di logica reale” (Roma, Paravia); “Lear” (Roma,
Alighieri); “La dottrina dei temperamenti” (Roma, Alighieri); “Psicologia” (Torino,
Boccai); “Pregiudizi sull'eredità
psicologica (genio, delinquenza, follia)” (Roma, Alighieri); “I limiti dell'esperimento
in psicologia” (Roma, Loescher); “La filosofia come economia” (Roma, Loescher);
“Lo spiritismo secondo Shakespeare” (Loescher); “Psicologia criminale. Critica
delle dottrine criminali positiviste” (Roma, Loescher); “Il Cattolicismo e la
filosofia” (Roma, Loescher); “Otello delinquente” (Loescher); e “Pedagogia: l'educazione come economia” (Roma,
Loescher); “Note psicologiche, estetiche e criminali ai drammi di Shakespeare: Macbeth,
Amleto, Re Lear, Otello” (Milano, Società Editrice); “Principii economici
dell’etica”; “Naturalismo economico”; “Principi naturali d’economia politica”
(Roma, Athenaeum); “Gl’alberi e la Calabria dall'antichità a noi” (Roma, Signorelli);
“La dis-occupazione: cause e rimedi” (Torino, Bocca). Nicolò d'Alfonso Il del Sud
Furio Pesci, Pedagogia capitolina. L'insegnamento della pedagogia nel
Magistero di Roma, Parma, Ricerche pedagogiche, Francesco d'Alfonso, Nicolò
d'Alfonso. Ritratto di un intellettuale indipendente, Bisignano, Apollo
edizioni, cit Gallo-Cristiani, In memoria del filosofo Nicolò d'Alfonso, Roma,
A. Signorelli editore, La vicenda del pensionamento di Nicolò d'Alfonso è
ricostruita e ampiamente documentata in Nicolò A.. Ritratto di un intellettuale
indipendente, Francesco A., L'onesto solitario. Vita e opere del filosofo
Nicolò A., Reggio Calabria, Città del Sole edizioni, Francesco A., Nicolò A.. Ritratto di un
intellettuale indipendente, Bisignano,
Francesco A., Amleto e Ofelia. La critica shakespeariana negli scritti
di Nicolò A., Reggio Calabria, Città del Sole; Pesci, Pedagogia capitolina.
L'insegnamento della pedagogia nel Magistero di Roma Parma, Ricerche pedagogiche, Gallo Cristiani,
In memoria del filosofo Nicolò A., Roma, A. Signorelli; Mariantonella,
Marchesini e la «Rivista di filosofia e scienze affini», Angeli; Macris, Nicolò
A.: uno studio introduttivo, in Quaderni Siberenensi, Catanzaro, Ursini, Luca,
Santa Severina. L'antica Siberene, Pubblisfera; Testa, La critica letteraria
calabrese, Pellegrini; Bernardo, Santa Severina dai tempi più remoti ai nostri
giorni, Istituto editoriale del Mezzogiorno; Santa Severina Università La
Sapienza di Roma Accademia dei Lincei Liceo classico Albertelli. Il
prof. Nicolò A. presenta Note psicologiche, estetiche e criminali ai grammi di
Shakspeare Macbeth, Amleto, Re Lear, Otello. Una nuova fase dell'economia
politica; Speculative psychology and the unity of races. Il cattolicismo e
l'insegnamento della storia del cristianesimo nell'Università di Roma; La
filosofia della storia nel nostro tempo; Morgagni e la biologia moderna; In
Calabria». A., come già risulta dall'elenco dei sagg presentati, s'è occu pato
di argomenti disparatissimi, senza che però, a giudizio unanime della
Commissione, egli sia riuscito a trattarne alcuno con metodo scientifico. Per
la più parte sono saggi occasionali e informativi, discorsi, prelezioni. Ma
invano si cercherebbe un'indagine compiuta con intento scientifico. Le nole
psicologiche sui drammi dello Shakspeare, che del resto sono una ristampa di
articoli pubblicati già parecchi anni addietro, per molti rispetti sono
pregevoli, contenendo osservazioni giuste, e in ogni modo attestano l'amoroso
studio che l'A. ha fatto dei drammi dello Shakspeare; ma, a giudizio unanime
della Commissione, non sono titolo sufficiente per l'assegno del premio a cui
il A. aspira. E' un insegnante che ha una lunga e onorata carriera, e moltissime
saggi. Ma queste che pur contengono molti pregi, riguardano la psicologia, la logica
e la pedagogia La stessa opera che s'intitola Saggio di filosofia morale è un
saggio di psicologia applicata alla critica dell'antropologia criminale. Il Sommario
delle lezioni di filosofia generale – LA FILOSOFIA COME ECONOMIA -- in cui
espone i concetti cardinali del suo approccio, non tratta propriamente problemi
morali, al cui studio non arreca contributo notevole l'opuscolo Principi
economici dell'Etica. Formulati in questo modo i giudizi riassuntivi intorno ai
quattordici candidati, e vagliati comparativamente i titoli di ciascuno, e
tenuto conto infine dell'esito della prova orale, la commissione procede alla
votazione definitiva, secondo le norme. La terna risulta così concepita in
ordine alfabetico: Calò con III voti favorevoli e due contrari; Ferrari, con III
voti favorevoli e due contrari; Orestano, a voti unanimi. II voti riporta il candidato
Zini. Essendosi quindi proceduto alla graduazione dei III candidati designati
per la terna, in ordine di merito, si ha il seguente risultato: 1°Orestano con
voti IV contro uno; Ferrari con voti III contro due; Calò con voti III contro
due. Il candidato Calò ha un voto come primo nella terna. La Commissione
pertanto propone a V. E. di nominare Orestano professore di filosofia a Palermo.
Roma, Il Consiglio Superiore di Pubblica Istruzione, esaminati gl’atti del
concorso,li riconobbe regolari e nell'adunanza delibera di restituirli al
Ministero senza vazioni. La Commissione Osser. Quando un maggior
numero di uomini si strinsero in rapporti fradi loro e furono animati dal *fine
comune* (mutual goal) di *aiutarsi* (reciprocal helpfulness) nel superare le difficoltà per la vita, onde
si vide il grande vantaggio del lavoro collettivo, questo fatto ha una grande
importanza per quegl’uomini e pei primordi dell'umanità in genere. È allora
necessaria la dimora fissa in un luogo, ciò che dovea LA STORIA DEL
LINGUAGGIO. diminuire loro idisagi e le incertezze del domani. Si
preferi di dimorare presso le rive dei fiumi, dei laghi e del mare, che
offrivano certi vantaggi. Risoluto il problema dell'esistenza nell'oggi, è reso
possibile il tentativo di produrre pel domani, allora si principio ad allevare
il bestiume ed a coltivare la terra, prendendo insegnamento, come potevano, dalla
natura. Allora è reso maggiore il bisogno di *esprimersi* (express ourselves) e
d'*intendersi* (comprehend ourselves) in un più largo ambito e nacque nell'uomo
il desiderio di ben provvedere al suo avvenire, à quello della tribů o della
piccola società ed a ricordare la vita passata per trarne insegnamento per
l'avvenire. È reso ancora necessario il tradurre in segni materiali, e perció
più memorabili, i rumori e le voci di *espressione*: prima origine della
scrittura e della lettura. Ma, anche in questo caso, quando non si tratta di do
vere riprodurre l'immagine sensibile delle cose, ma di usare SEGNI più o meno
facili ad eseguire e da connettere alle parole, ciascuno dove significare da
principio in modo affatto ARBITRARIO ed inintelligibile agli altri le proprie rappresentazioni.
Solo posteriormente, per mezzo d’accordi, alcuni *segni* (segnante/segnato) sono
ricunosciuti da parecchi siccome *esprimenti* alcune date *rappresentazioni*. Si
*stabilisceno* (Grice – established procedure) cosi tanti segni (segnante,
segnato) per quante sono le parole in uso. Però un cosiffatto costituirsi della
società primitiva non avvenne per un aggruppamento solo, in un solo sito, di
uomini e di famiglie. Dato invece il continuo dirimersi e disgregarsi degli
uomini preistorici, bisogna ammettere che è dovuto avvenire, isolatamente, in
vari punti della superficie della terra; e per ciascuna piccola società
dovettero stabilirsi speciali segni di scrittura e di lettura. Questi
movimenti d’emigrazione e d'immigrazione, di conquiste, raggiunte con la
violenza o con la calma e l'astuzia, sono più frequenti nei primordi della
storia, poichè in quei tempi non tutti i bisogni individuali e sociali
dell'uomo potevano essere sollecitamente soddisfatti, quantunque fosse stato
prepotente in lui il desiderio di soddisfarli. E poichè ogni gruppo sociale migrante,
come ha un complesso di parole, cosi puo avere un complesso di *segni* a quelle
corrispondenti, avvenendo lo stesso per la società che subiva l'immigrazione o
il dominio, con la mescolanza degli uomini dove ancora avvenire una mescolanza
di differenti linguaggi. In questo caso il gruppo sociale più potente dove
esercitare il suo dominio sul popolo nuovo arrivato o sul debole. È necessario
perciò che gl'imponesse anche la propria lingua, altrimenti non sarebbe stata
possibile la comunicazione degl’animi, prima condizione al vivere. Queste
società col vivere a lungo in un sito andarono incontro ad alcuni disagi per lo
sfruttamento del terreno non ancora coltivato secondo la legge naturale o per
la distruzione degl’animali boschivi o infine perchè il loro sviluppo sociale
dove far loro avvertire NUOVI BISOGNI o per dar nuove esplicazioni alle loro
energie. Nasce perciò in loro o in parecchi di essi il bisogno di avvicinarsi
ad altre società, sia per offrire a queste i prodotti particolari del loro
suolo e della loro industria e rice verne altri, sia per offrire loro le
proprie energie organiche dalle quali volevano trarre un profitto. L'avvicinamento
e poi la reciproca compenetrazione degl’animi avvenne per via pacifica o per la
violenza e la forza, onde la società sopravvegnente sottomise a sè
l'indigena. sociale. Ma si deve anche ammettere che il popolo vinto o il
nuovo ha in parte contribuito a modificare la lingua dell'altro, non potendosi
ammettere che esso si fosse potuto così facilmente e presto privare della sua
lingua abituale e l'altro non ne ha subita alcuna modificazione. Cosi, come la parola
(del greco parabola), anche altri segni dove subire molteplici metamorfosi in
ragione del vario congregarsi e disgregarsi degl’uomini, in ragione dei vari
influssi che quelle società esercitarono fra di loro. E quando in mezzo alla
vita indeterminata delle società primitive sorge un popolo energico e forte che
acquisto di sè una coscienza superiore a quella degl’altri popoli che si sforza
di soggiogare e di dominare ed impose loro i suoi costumi, le sue
credenze, è quello il primo popolo
veramente storico e allora la lingua di esso è imposta ai vinti ed ammesso
riconosciuto da questi. Ma un popolo che sa esercitare il suo dominio è
destinato a vivere e a perpetuarsi. È necessario allora che esso diventi
qualche cosa di organico, che ha un ordinamento interno, che ha leggi ed
istituzioni. Un popolo cosi costituito è costretto a conservare ed a coltivare
la propria lingua, dando un valore determinato alle proprie parole; perchè solo
cosi è possibile il governo che deve implicare la stabilità delle leggi e della
istituzioni alle quali deve perció connettersi una lingua determinate e fissa,
altrimenti quel popolo ricadrebbe, come, malgradociò, tende sempre a ricadere, allo
stato primitivo di disgregamento. In un popolo che vive e dura la lingua deve
non solo fissarsi ma le parole di cui consta debbono moltiplicarsi. E ciò
non può non ammettersi se si considera che una società che vive non può non
compiere, per mezzo degl’individui che la costituiscono, un'attività
psicologica scrutativa e conoscitiva sulla natura circostante. Questa che da
principio apparisce come qualche cosa di molto semplice, come un tutto a sè, in
ragione che più si esercita l'attività umana sopra di essa,apparisce distinta
in una molteplicità di gradi o di oggetti i quali alla loro volta da prima
appariscono indeterminati nelle molte proprietà di cui risultano e, progressivamente,
appariscono sempre più determinati. Tale è stato il movimento della conoscenza
dai primordi della storia sino ai nostri tempi e non si è peranco arrestato. Di
nessun oggetto si può dire che esso sia stato cosi studiato ed analizzato in
tutte le sue note, in tutti i suoi rapporti, che un ulteriore studio nulla di
nuovo potrebbe darci. Quantunque questo processo di scrutazione e di conoscenza
si sia eseguito sopra ogni cosa, pure non tutti i popoli hanno all'istesso modo
fatte le loro conquiste in ogni ramo della realtà. Giacchè alcuni hanno
scrutato un ramo ed hanno lasciato intatto un altro di essa e,
conseguentemente, la lingua si è più arricchita in quella regione della natura
che non in un'altra. Inoltre è avvenuto nella storia che, come gli uomini hanno
fatto un progresso nel campo della conoscenza, si sono ingegnati di servirsi
delle loro cognizioni per modificare la natura esteriore a loro profitto,
producendo una molteplicità di beni e sovrapponendo cosi all'opera della natura
una nuova creazione che è quella dell'arte. Tutte le istituzioni sociali
sono creazioni dello spirito, Cosi quando un popolo emerge nell'arte della
guerra e delle conquiste, come il popolo romano, deve anche creare una
nomenclatura in cose militari e guerresche. Giacchè, anche in questo caso, ogni
nuova veduta, ogni nuova invenzione, per quanto possa sembrare poco apprezzabile,
pure deve essere contrassegnata dalla sua parola. Tale lingua non puo riscontrarsi
nei popoli che, nel movimento storico, precedettero quelli. Ed allora la nuova
lingua potrà inprosieguo divenire patrimonio di nuovi popoli; perchè le
conquiste di una nazione nel campo della conoscenza e dell'attività pratica
tendono a divenire patrimonio ed eredità delle altre nazioni, Una nazione che
emerga nel mondo pel suo dominio sul mare, ciò che non può avvenire senza la
costruzione di vascelli di meravigliosa complicazione, come il popolo ligure, deve
creare una nomenclatura marinaresca, sia per le varie parti e di vari apparecchi
di cui consta un vascello, come per la loro funzione e per gli uomini che vi si
addicono, nomenclatura che *prima della formazione di quei vascelli non avea
ragion d'essere* e che ora deve essere accettata dalle altre nazioni che
vogliono costruire nelle quali se la natura interviene, essa non vi è
come puramente tale, ma rianimata da un nuovo soffio. La storia ci fa vedere
che ogni società civile ha prodotto qualche cosa di particolare in un ramo
delle istituzioni sociali; o nelle leggi o nell'industria, nel commercio,
nell'arte militare, nelle belle arti, nella religione, nella scienza. Corrispondentemente
a questo progresso nell'attività intellettuale e pratica, nuove forme
particolari debbono sorgere che contribuiscono ad accrescere la somma delle
parole di un popolo. -- navi di quei tipi o forme, onde quelle parole
genovese o ligure debbono in massima parte essere accettate come tali dalle
altre nazioni. Anche una nuova e grande religione, come il culto di Marte, il
dio della guerra dai romani, dovette formarsi una nuova lingua relativamente
alle antiche religioni, quantunque alcune parole di queste siano state
conservate nella nuova religione, all'istesso modo che qualche cosa del
contenuto delle prime religioni si perpetua nel contenuto delle altre. E,
poichè la religione, sopra tutto la religione istituta dal primo principe,
Ottaviano, compe netra ed informa tutti gli aspetti della vita individuale e
sociale, esercita la sua azione modificatrice nella lingua di tutte le
istituzioni sociali. Nel culto romano di Marte troviamo parole che hanno un
contenuto differente da quello che avevano nei popoli precedenti o che non
ancora hanno accettato il Cristianesimo, quantunque le stesse parole possano
prima essere state usate.E, poichè il Cristianesimo è stato il punto di partenza
di un grande e lungo svolgimento artistico, teologico e filosofico, informato
ai suoi principii, si è dovuto ancora produrre una lingua atta a rendere in tutti
i loro elementi le nuove e grandi concezioni. Cosi l'attività pratica sociale e
le istituzioni contribuiscono a fare arricchire la lingua latina dei romani. Ma
infondo a questo progresso linguistico sociale dobbiamo trovare come principale
fattore l'attività individuale di un CICERONE, di un LUCREZIO, di un VARRONE,
di un ROMOLO! Come avviene delle nazioni che non fanno un passo innanzi nel
progresso dell'umanità se non per l'opera dei grandi uomini che esse nondimeno
hanno creato eeducato, avvieneanche pel progredire della lingua dialettale – o
soziale – altre l’idioletto. Giacchè gl'individui in quanto vedono aspetti
nuovi della natura o della vita s o Però da principio essi hanno ricevuto
dalla società in seno alla quale sono nati e cresciuti un linguaggio che era
patrimonio comune a molti; essi l'hanno solamente arricchito in quel ramo di
attività nella quale hanno espli cato la loro energia e,se questa riguarda
immediatamente la vita del popolo,potranno le nuove parole divenir popolari, altrimenti
rimarranno sempre chiuse nella cerchia dei pensatori e degli studiosi. Così la
lingua filosofica di CICERONE non è popolare o ordinario o volgare come non è
popolare o ordinaria o volgare la filosofia, mentre il linguaggio della
religione e dell'arte potrà più facilmente scendere sino al popolo e divenire
suo patrimonio; perchè esse al popolo sopra tutto s'indirizzano ed in esso
debbono trovare alimento. -- Pertanto se la lingua dell'arte, della filosofia, della
storia differiscono in qualche modo fra di loro, differisce anche la lingua di
un cultore di quella data branca di attività umana da quello di un altro. Così
il idoletto o idioma di Platone differisce da quello di Aristotele e di Hegel.
La lingua, l’idioletto, o l’idioma di Omero differisce da quello d’ALIGHIERI,
di Shakespeare e di Goethe. La lingua, l’idioletto o l’idioma di Tucidide e di
Erodoto differisce da quello di LIVIO, di TACITO, di MACHIAVELLI. E ciò perchè
ciascuno scrittore impiega nella realtà che studia e perciò nella lingua che
trova e contribuisce a creare, quella sua attività particolare che ciale contribuiscono a formare la lingua ed
imprimono parole nuove a nuovi fatti reali che si sono scoperti od escogitati.
Ippocrate, che fu il fondatore della scienza medica nell'antichità, fu anche il
creatore della lingua medica che si conserva in fondo alla compless lingua
medica moderna. Cesare dette nuove determinazioni ed una più grande precisione
alla lingua militare. lo spinge ad usare nuove parole o a dare un nuovo
contenuto o segnato a vecchie parole o it nobilitarle o a degradarle. In questo
modo la lingua di un popolo che, come ogni conquista dell'uomo e dell'umanità, tende
a sminuire e a perdersi, è sostenuto dalla vita nazionale ed è migliorato dal
progresso che essa fa in ogni ramo dell'atti vità umana. Il suo progresso va di
pari passo col progresso dell'umanità, all'istesso
modo che il decadere di questa trae seco il decadere della lingua. Una nazione
mantiene integralmente la sua lingua quando una sola vita ed un solo pensiero
circolano in essa quando vi è, cioè, unità nazionale, onde tutti i cittadini
hanno la stessa educazione, la stessa coltura, le stesse aspirazioni, volgono
la loro attività allo stesso fine collettivo, partecipano intimamente agli
avvenimenti nazionali, sono animati dello stesso spirito religioso, artistico.
Quando lo spirito nazionale si affievolisce o cade, tendendo allora la lingua a
degradarsi, la scuola apparisce come una sostituzione alla vita sociale, la quale
può creare il culto della lingua nazionale, facendo interpretare e gustare i
capilavori letterari, storici e politici che quella data nazione possiede. In
questo caso la scuola può creare un movimento per un nuovo risorgimento
nazionale e per mezzo di essa può la lingua durare e vivere anche quando le
istituzioni che la formarono e la sostennero son decadute. Ma se in quei casi la
scuola manca, tutto va in rovina. Nella scuola va incluso anche il culto
per l'arte, quando questa non rappresenti il puntosalientedella vita nazionale,
come avvenne in Grecia la quale dovette la popolarità di quella meravigliosa
lingua primieramente al culto per Omero I cui canti, artistici e
religiosi insieme, venivano imparati a memoria e ripetuti e cantati da tutto il
popolo. La religione ha anche essa una grande potenza a mantenere in vita una
lingua, quando ogni altra istituzione sia perita in una nazione; perchè essa,
tendendo a difondere un complesso organico di principii e di massime a tutto un
popolo, in modo che tutti gl'individui vengano illuminati e spinti all'azione
da essa (e già la religione esercita la sua azione in tutti i fatti della vita,
onde la lingua religiosa penetra in ogni cosa), deve tenere perciò vivo il
culto per la lingua nazionale. Quando queste condizioni mancano la lingua si discioglie,
soprat tutto se quella nazione continua ad essere il centro d'im migrazione di altri
popoli, come avvenne dell' IMPERO ROMANO dopo la sua caduta, in cui, con la
invasione dei barbari, quando la scuola mancava, nuovi linguaggi e nuovi
costumi penetrarono che dovettero affrettare la disorganizzazione di quella
lingua in tanti linguaggi particolari a varie provincie e luoghi, varianti fra
di loro secondo che varie erano le nuove condizioni di ciascuno. Alcuni di
questi particolari dialetti più tardi divennero ancheessi nuove lingue, quando apparvero
i poeti, gl’oratori, gl’istorici, i legislatori, i religiosi, i quali, per
adattarsi al popolo al qualedoveano volgerel'opera loro, dovettero bene conoscere
il nuovo linguaggio ed,usan dolo, gli accrescevano prestigio e destavano il
culto per esso. In questo modo una grande lingua si discioglie e gli altri
linguaggi che vengon fuori da quella dissoluzione possono di nuovo nobilitarsi
e divenire storici. La lingua tedesca non sarebbe divenuta una nobile e
bella lingua se Lutero, col movimento religioso che egli. Risulta da quel che
si è detto che non è stato un solo il popolo storico, ma vari,quantunque però
si debba a m mettere che questi si sieno manifestati in una regione piuttosto
che in un'altra del mondo e che vi sieno stati p o poli storici di cui non sono
rimaste vestigia;perchè la parte che essi hanno rappresentato per la storia
dell'u manità in genere non è stata di grande importanza, onde non sono
divenuti centro di attrazione di altri popoli e non hanno avuto perciò
l'energia di sottometterne e di dominarne altri. All'istesso modo che ogni
popolo ha una storia parti colare e comparisce e sparisce dal teatro del mondo
e ad un popolo si succedono altri popoli ed ognuno ha la ere dità degli altri
ed ha insieme aspirazioni, tendenze ed uno spirito proprio,si foggia ancora in
modo particolare la propria lingua. E come il suono o la voce è l'espres sione
dello stato interiore psichico indeterminato dell'a fondo ed inizio, in
cui dovea avere gran parte la cultura del popolo, non avesse destato un culto
per essa.I grandi poeti tedeschi, gli storici, i filosofi, gli
scienziati,animati dallo spirito della riforma,contribuirono poi a rendere
importante nel mondo e nella storia quella lingua. L'a vere la Grecia
conservata, dopo la sua caduta, la sua antica lingua la quale, tenuto conto dei
mutamenti necessari che in essa son dovuti avvenire pel progresso del pensiero
umano, si è continuata nella lingua greca moderna, si deve all'essere essa, dopo
la sua caduta, stata quasi tagliata fuori dal grande movimento del mondo, il
cui centro divenne ROMA, e al non essere più essa stata fatta segno alle
invasioni e alle immigrazioni di altri popoli. Quando, dopo la rovina
dell'impero romano, il pen animale
o dell'uomo, anche la lingua, nel complesso si stematico delle sue parole, è
l'indice dello stato intellettuale di un popolo, della sua storia, del grado
della sua eticità, della sua energia, delle sue aspirazioni economi che, artistiche,
sociali, religiose, scientifiche. Sicchè, conosciuta la lingua di un popolo, ci
è dato conoscere la sua vita naturale e spirituale; perchè nulla è nella vita
naturale e spirituale degli uomini che non sia in qualche modo nel suo
linguaggio. Diciamo in qualche modo,per «chè la lingua non è l'espressione
perfetta della vita e del movimento della psiche. Le parole di cui il
linguaggio consta sono sempre vi 'brazioni tradizionali,empiriche o
convenzionali per espri mere alcune rappresentazioni o azioni o energie delle
cose; sono perciò involucri naturali ed estrinseci in cui si avvolge la
coscienza e la mente per esprimere la realtà delle cose e degli avvenimenti; la
cui ricchezza di par tivolari, d'intrecci e di energie è profonda ed
inesauribile. Sono perciò una pallida immagine della realtà e della
mente,quantunque siano però qualche cosa di superiore e di più perfetto
relativamente al linguaggio indetermi nato. E quando vi è dissdio tra realtà e lingua,
di modo che quella apparisce alla mente nel suo progresso di complicazione, mentre
la lingua si pietrifica, questa diviene un impaccio alla espressione dellamente
che di continuo si muove e si svolge; ed è solo rompendo questo in volucro
sensibile e dandogli un valore più nuovo e più altochesi possono intendere e manifestare
le più ascose pieghe del pensiero e della mente; giacchè per intendere il
pensiero non vi vuole che il pensiero. Ad ogni modo la mente nella sua
progressiva formazione si sforza di creare il suo linguaggio; perchè il
linguaggio serve pel pensiero; e foggia nuove parole o nuove combinazioni di
parole o dà un nuovo significato alle vecchie parole. E perció la storia ci fa
vedere che quelle nazioni che sono state ricche di pensiero, co inella sfera di
attività pubblica e sociale,come nella s'era artistica, religiosa, scientifica,
hanno avuto una lingua ancora ricca di parole, di locuzioni,diflessioniper
espri mere i più fuggevoli moti della realtà e dello spirito; ed in quella
nazione in cui la vita del pensiero è stata poverit o nascente si è ancora
avuta una lingua povera. di parole e di uso. Ciascuno di questi gradi
dell'evoluzione del linguaggio è l'espressione dello stato psichico e cerebrale
di quei dati popoli, stato in parte ereditato in parte acquisito; dello stato
degli organi vocali e dell'ambiente cosi na turale come etico che gli uomini si
sono creato ed in cui sono vissuti. Queste tre serie di fattori hanno la parte
principale nella storiadel linguaggio e, secondo il grado. -- del loro accordo
dello sviluppo di esso, costitu'scono la lingua peculiare di un dato
popolo. -siero cristiano che porto seco una nuova civiltà, più pro fonda
e più complessa della romana, a poco a poco si sostituiva alle vecchie istituzioni,
LA LINGUA DEL LAZIO non potè essere più adatta ad esprimere il nuovo pensiero,
sopra tutto dopo le invasioni barbariche; e se fu colti vata dalla Chiesa e dai
dotti,questi per entrare in re lazione col popolo e partecipare perciò alla
vita nazionale, dovettero usare il vulgare. Qualche cosa di analogo avviene
nella storia dell'in è psicologicamente molto simile agli animali,
emette an.che esso dei suoni indeterminati. Ma in ragione che ac. quistano
maggior sviluppo i sistemi del suo organismo e gli organi vocali e le
sensazioni acquistano maggior pre cisione funzionale, il bambino si assimila
gli elementi delle voci o delle parole che ode intorno a sè,assimila zione che
è resa facile da predisponenti condizioni ere ditarie, le riferisce alle cose
con cui è in rapporto, le fissa nella memoria, si sforza di
pronunciarle,riuscendovi male da principio;ma dopo unalunga esercitazione,ar
riva a pronunziare bene ed a mano a mano non solo al cuni monosillabi, ma anche
parole più o meno semplici. Nella storia del fanciullo si ha insomma come
riepilogo quello che è avvenuto nella lunga storia dell'umanità; cosi il
bambino da poco nato non ha altro modo per esprimere isuoi stati interni che
ilgrido,ilpianto,che sono poco più che un moto riflesso, una forte sensazione
che si estrinseca per le vie del respiro. - dividuo. Come il grido
indefinibile che l'animale emette •è l'espressione dello stato indeterminato
dei sentimenti che lo agitano e dello stato informe delle rappresenta
zionichelo muovono,come della povertà dei centridelsuo: sistema nervoso, cosi
il bambino che nei suoi primi anni [Abbiamo usato promiscuamente la parola
linguaggio e lingua; ma è bene dichiarare che la lingua implica maggiori
determinazioni che non il linguaggio che è qualche cosa di più generale ed
inderminato relativamente ad essa. La lingua è un linguaggio divenuto classico o
storico, con nesso cioè ad una vita nazionale, per cui ogni parola ha una
storia e le cui origini si possono seguire anche in altri linguaggi che sono
presupposti della lingua che si Dopo che le parole son divenute
storiche, sono state cioè connesse ad un segno materiale,possono continuare,
sopra tutto in tempi in cui le lingue si formano, ad a vere una storia circa
alla loro struttura. Ed anzi tutto pare non si debba ammettere che, quando LA
LINGUA PREISTORICA abbia principiato a divenire STORICA, si fossero tra dotte
in segni materiali tutte le parole parlate. Invece si deve aminettere che
queste dovettero essere moltissime neila loro gradazione di pronunzia da individuo
ad iudividuo, da tribà a tribù, per la ragione detta precedentemente. E quando
si volle tradurre in segni una parola la quale aveva immense gradazion,essi
furono appunto quasi una. somma di una molteplicitii di parole parlate le quali
se: poterono fissarsi in segni non poterono però definitivamente fissarsi in un
tipo di vibrazione fonica ad esse corrispon denti,quantunque pero questo fosse
stato il fine dell'in venzione dei segni materiali e della scrittur a e questo.
fosse anch e il fine dell'inseegnamento della lettura. Da ció segue che le
parole parlate furono moltissime relativamente alle impresse. Stabilitasi la
forma della parola parlata e della i m pressa non si tenne più alcuna
ricordanza della deriva-. zione primitiva di essa nè si pensó più a modellare
le: parole sulle forme delle vibrazioni naturali. Dovette per - studia.
Si può dire ‘lingua’ della natura, ‘lingua’ degli animali, ‘lingua’ dei bambini,
ma non lingua senza quotazioni. L'uomo che per morbi perde la facoltà di
parlare che prima posse deva in modo perfetto, non *parla* più la lingua, *ha*
però una lingua. La condotta dell'uomo si può chiamare una ‘lingua’ in quanto
manifesta per mezzo di una. serie di atti tutto un concetto interiore della
vita.] ció necessariamente ammettersi che i primi popoli storici dovetterò averə
ciascuno una nomenclatura e corrispondenti forme d'impressione e di scrittura
e,nel loro con tinuo movimento di espansione e di concentrazione, tutto dovette
mutare fino a che un popolo non raggiunse la sua stabilità. Ma anche allora la
stabilità della lingua non fu definitiva. Abbiamo detto che la parola è
qualcosa di molto più complesso del semplice suono o della semplice voce o
esclamazione o della semplice imitazione di suoni o rumori naturali, quantunque
derivi da essi -- è già un suono o più suoni e rumori connessi che
complessivamente e sprimono una rappresentazione formata od un'azione od un
concetto.Vi sono perciò parole di pure voci o suoni, altre di puri rumori ed
altre infine risultanti degli uni e degli altri. Studiando l'acquisizione della
loquela nel l'individuo vedremo come egli dall'attività più semplice passa alla
più complessa, cosa che,come avviene ora nel l'individuo, si veritica anche
nella storia dell'umanità in genere. Dovettero perciò iprimi uomini da
principio pronunziare parole risultanti di pure voci o di puri rumori. Anche
allora, o più tardi poterono pronunziarsi monosillabi, che sono l'unità di un
rumore edi una voce. Il mono-sillabo è perció la parola più conforme alla
possibiliti tisiologica e psicologica di esecuzione fonica dei popoli primitivi
e rappresenta la vibrazione primitiva della cosa, trasformata dall'attività
fisiologica e psicologica degl’uomini. Le lingue dei primi popoli sono per cio
monosillabiche. Ed a questo proposito possiamo noi indagare se le lingue
primitive sono più o meno ricche di parole delle lingue moderne o in generale
delle lingue più complesse. E bisogna dire di si se si pensa che, quantunquepei
primi popoli storici il mondo esteriore fosse qualche cosa di molto semplice, pure,
nel ri produrre gli oggetti essi teneano conto solo della vibra zione la quale
era varia d'intensità nelle cose ed era ancora più variamente ripetuta od
imitata dagli uomini di una popolazione e dalle varie popolazioni. Onde varie
parole doveano primitivamente indicare la stessa cosa. Anche perché, potendo una
stessa cosa dare vibrazioni differenti, essa veniva indicata con quella tale
vibrazione della quale più s'interessava il soggetto. Cosi il cavallo poteva
essere indicato pel suo nitrire, per lo scalpitare, pel m ovimento della
criniera, pel rumore che fa nei masticare il cibo, per la velocità nella corsa,
ecc. cosa assumeva. In tal caso la parola monozillabica primitiva si dice
-- Per questa ragione le parole dovettero molto più delle cose esse represe in considerazione.
Ma in tempi più progrediti abbiamo una lingua più complessa, in cui cioè le
parola o la maggior parte di esse sono risultanti di più sillabe; e in questo
caso le parole monosillabiche non spariscono. E questa le lingue poli-sillabiche
o la agglutinante o l’articolata. Perchè in esse la sillaba si collegano o si
articolano con la sillaba. La parola poli-sillabica potè divenir tale o perchè
mono-sillabi di una lingua si vide che corrispondevano alla stessa cosa, di
modo che, pronunziandole insieme due o più esigenze venivano conciliate. O perchè
una sola sillaba assume una voce nuova secondo che la nuovi movimenti; perchè
le cose assumono ancora nuove energie se l'attività scrutatrice del soggetto si
esercita.su di esse. radice la quale non cessa di essere parola,
perchè esprime una rappresentazione, per quanto indeterminata, ma è considerata
come una parola elementare la quale è come il ceppo comune ed originario di
altre parole. Essa, entrando in rapporto con altre parole più o meno semplici o
pure assumendo varie flessioni, si complica in modo da esprimere una
rappresentazione più complessa o un concetto. Se la lingua mono-sillabica,
esprimendo rappresentazioni indeterminate, e la LINGUA PRIMITIVA, la lingua
agglutinante o articolata segnano un *progresso* relativamente alle precedenti.
Perchè in essa, una parola poli-sillabe e un complesso di al meno due parole mono-sillabe
e perció si parlano da quei popoli nei quali è più sviluppata l'attivitàr appresentativa,
onde un solo mono-sillabo non sempre è sufficiente ad esprimere una rappresentazione
molto complessa. La lingua del Lazio, la maggior parte delle cui parole hanno
flessioni, in cui la “radice” e il “tema” assumono varie forme e una lingua
flettente. E quella che han raggiunto il maggior sviluppo possibile e puo costituire
l'espressione di una tela organica di concetti e di un pensiero dalle più
ricche gradazioni e di sfumature appena apprezzabili. In tale lingua, il nome sostantivo
o aggetivo ed il verbo assumono flessioni (declinazione e congiugazione) e
mediante tali forme si esprimono i vari rapporti delle cose e l'avvenimento
dell'azione nei vari gradi di tempo e di condizione in rapporto con l'avvenimento
di altre azioni. Una lingua flettente e perció *posteriore* anche alla lingua agglutinante,
quantunque non bisogna credere che, quando esse appariscano, le parolea gglutinanti
e monosiilabiche non esistano più. Esse sono le ultime apparse nella
storia - Con lo sviluppo della lingua del Lazio va di pari passo lo sviluppo
del mondo logico. Giacchè sono due aspettidiuna stessa cosa.. Il pensiero e la
sua manifestazione sensibile. Non si può ben comprendere l'importanza della
lingua del Lazio senza vedere l'importanza dell'energia logica che è inclusa in
esso, la quale sottratta, l'attività della loquela rimarrebbe un fenomeno
puramente fisico e *fisiologico* ma non umano, o pure sa rebbe l'espressione di
uno stato interno indeterminato. delle lingue, e sono state parlate e
scritte da popoli ricchi di pensiero e di azione. Se dunque le lingue ultime
dei popoli civili, che noi crediamo le più perfette, perchè ricche di flessioni
(onde tra queste bisogna comprendere la latina o lingua del popolo del Lazio)
ha avuto una così lunga e avventurosa istoria ed alla loro formazione hanno, piùo
meno immediatamente, con corso tanti e cosi disparati elementi e lingue di minore
perfezione e lingue anche complesse e ciascuna lingua, per quanto immediata
sia, risulta di elementi molteplicissiini ed accidentalissimi (per quanto vi
sia qualche cosa di costante),comparisce chiaro quanto debba essese difficile,
fare una compiuta anatomia della lingua del Lazio ed assegnare a ciascuno elenento
di essa, a ciascuna parola di cui essa risulta, il suo vero valore e la sua
vera istoria. Bello stesso; Sonno e sogni. E. Trevisini, Milano-Roma
scolastico. E. Trevisini,Milano-Roma. Il parlare, il leggere e lo scrivere nei bambini,
saggio di 00 1 Saggi di pedagogia: (il problema dell'educazionemorale. Le donne
dei Vangeli. Monnier, Firenze. La rappresentazione psicologica è l'immagine che
l'oggetto della percezione lascia di sè nel campo co sciente quando è sottratto
all'azione stimolante che esso può esercitare sugli organi dei serisi del
soggetto. Questa rappresentazione è tanto più indeterminata ed imprecisa per
quanto più l'oggetto che l'à prodotta risulta di un numero grande di qualità e
di note,per quanto più breve è stato il tempo che essa ha agito da stimolo sul
soggetto, per quanto meno sviluppata è l'attività percettiva cosciente del
soggetto e per quanto meno questa si è esercitata su di esso. Non vi è oggetto
del mondo esterioreilquale,dopo l'osservazione volgare e dopo lo studio
scientifico, non risulti di una molteplicità di note e di qualità ed in cui
queste qualità non abbiano un determinato grado d'intensità; ma queste note non
appariscono determi nate e distinte fra di loro innanzi al soggetto
quando l'oggetto gli si presenta d'innanzi per laprima volta o quando per
la prima volta l'anima principia ad es sere attività cosciente;allora l'oggetto
apparisce come un tutto indistinto,anzi apparisce come una nota sola. Cosi
appariscono il mondo esteriore e gli oggetti di esso al bambino nel primo
sbocciare della sua coscienza e cosi devono essere apparsi all'uopo primitivo
che non ha avuto una potente attività scrutatrice; ed in questa stessa posizione
è l'uomo moderno dirimpetto a quelle cose più o meno complicate che gli si
parano d'innanzi per la prima volta e che non ha avuto il tempo di scrutare. In
ragione che l'attività cosciente si esercita sempre più intensamente sul mondo
este riore gli oggetti a mano a mano appariscono come distinti gli uni dagli
altri ed in ciascuno oggetto la nota uniforme e primitiva che lo designava si
pre senta progressivamente moltiplicata in più note dif ferenti. a mano
ad affievolirsi, a divenire sempre più imprecise, a perdere una parte delle
note che le costituiscono e lentanente a sparire quando non vengano rianimate,
mediante nuove percezioni degli stessi oggetti che le han prodotte, nella
coscienza; 10 Se l'attività del soggetto si esercitasse sulla rap presentazione
dell'oggetto già percepito piuttosto che sull'oggetto ripetutamente percepito,
non vi sarebbe progresso nella scrutazione dell'oggetto, anzi vi sa rebbe
regresso; perchè è legge psicologica infallibile che le rappresentazioni degl’oggetti
già percepiti tendono a mano mentre la ripetuta azione del soggetto
sull'oggetto fa sempre scoprire di questo nuovi aspetti e nuove re lazioni;ed a
questa condizione la rappresentazione dell'oggetto sempre più si arricchisce e
si compie e risponde più precisamente all'oggetto reale. Si può fare a meno dal
percepire più oltre l'og getto e considerare solo la rappresentazione in sè
stessa quando esso è stato cosi studiato ed analizzato e scrutato che un
ulteriore studio non aggiungerebbe nulla di nuovo allarappresentazione
diesso,laquale però, perchè si mantenga integra, deve spesso ripro. dursi nel
campo della coscienza.E ciò può sopra tutto avvenire quando l'oggetto che si
studia risulta di poche qualità e determinazioni; ma quando l'oggetto è
ricchissimo di struttura, di organi e di funzioni, quando presenta un vasto e
ricco sistema di fatti e di fenomeni, riesce quasi impossibile rappresentarlo
compintamente, senza che alcuni aspetti di esso non sfuggano alla coscienza o
non spariscano da essa.In questo caso il soggetto, per quanti sforzi faccia ad
apprendere e conservare la rappresentazione compiuta · dell'oggetto, non può
fare a meno dal tornare a per cepire spesse volte l'oggetto del suo studio per
sem pre meglio comprenderlo e conservarlo. Sicché, parlando qui della
rappresentazione psiclogica, non s'intende dire che quella rappresentazione la
quale rimane nel soggetto dopo la ripetuta azione di esso sull'oggetto: ciò che
è la rappresentazione dell'oggetto percepitu. Ed è questa la condizione pilt importante
perchè la rappresentazione psicologica possa divenire obbietto della logica,
quantunque non sia primitivamente tale. La rappresentazione della sensazione
pura o lo stimolo della sensazione non può mai divenire obbietto della logica;
perchè la sensa zione non consta che di certi stati dell'anima, che sa
distinguere e che anzi attribuisce a sė stessa, senza riferirli allo stimolo: e
ciò per quegli animali che per tutta la loro vita rimangono nella cerchia della
sensazione pura.Ma nell'animale e nel l'uomo che rimane solo temporaneamente
nella cerchia della pura sensazione dove stimolo ed animo si con fondono e che
oltrepassa questa cerchia per divenire percezione e coscienza che è dualità tra
l'anima che ora diviene soggetto e lo stimolo che diviene oggetto, ciò che prima
ha determinato la sensazione (lo stimolo) può divenire
oggettodellapercezioneedellacoscienza e poi della logica; anzi non vi è oggetto
della logica che non sia oggetto della coscienza. Onde segue che la materia
prima del mondo logico è fornita dall'oggetto della percezione che è l'oggetto
della coscienza, senza del quale non potrebbe darsi attività logica di sorta;
perchè l'attività logica del soggetto si deve esercitare sempre sopra un
oggetto, come il soggetto non diviene attività logica senza la sua relazione
coll'oggetto. Il soggetto cosi diviene at tività logica, non nasce tale e la
sua attività dere esercitarsi o sull'oggetto naturale esteriore o sulla
rappresentazione interiore di esso, essa non 12 In una zona
logica cosi ampia non va compreso solamente l'uomo superiore con la sua potente
ener gia logica, nè solamente l'uomo medio con la sua or pura Però il
passaggio nel soggetto dalla pura sensa zione alla logica non è rappresentato
da una linea cosi precisa che si possa dire: Di là dalla linea vi è tutto il
mondo delle sensazioni, di qua vi è tutto il mondo logico compiutamente
formato; giacchè, come avviene in ogni sfera che passa in un'altra sfera,
quella che passa non è completamente esclusa come tale da quella in cui passa.
E non bisogna credere che, superato una volta il confine, questo sia supe rato
per sempre; perchè la vita della o delle rappresentazioni di sensazioni può tornare
come puramente tale anche quando una volta si sia pene trati nel campo logico. Inoltre
è difficile per lo stu dioso tracciare questa linea in cui l'anima cessa di
essere meramente sensitiva e fa il primo ingresso nel campo logico. Come ogni
grado dell'esistenza,la logica occupa una determinata zona, chiusa fra due
determinati limiti, di cui l'uno rappresenta il minimo della logicità,tanto che
dilàda questo limite nonvièattivitàlogicane obbietto logico e l'altro
rappresenta l'entità logica nel suo più alto grado. Dal primo all'ultimo limite
il mondo logico compie un processo che implica una progressiva perfezione,per
cui, partendo dal fatto puramente sensitivo, si allontana sempre più da esso
per divenire entità logica compiuta. sensazione dinaria
potenzialità logica; ma ancora l'uomo volgare, il fanciullo, gli animali
superiori ed alcune specie degli animali inferiori che arrivano a
percepire.Però se, come avviene in ogni sfera dell'esistenza che ha una serie
di gradazioni, la sfera logica presenta un sistema cosi ricco di gradazioni le
quali passano l'una nell'altra in modo appena apprezzabile, tanto che è quasi
difficile distinguerle, pure si può dire che tutte queste gradazioni vanno
comprese in tre grandi sot tozone le quali possono chiamarsi la logica
meccanica o estrinseca, la logica chimica o intima e la logica organica. La
prima zona,rappresentandoleformelogichepiù elementari, se può stare di per sè
come pura logica meccanica, si ritrova però anche nelle due zone sus seguenti;
e cosi la sfera chimica si ritrova ancora nella sfera organica che è la più
compiuta. In generale si può dire che l'oggetto della perce zione ovvero la
rappresentazione di esso principia a mostrare il primo movimento logico
allorché cessa di apparire innanzi al soggetto come risultante di una sola
qualità naturale,ma apparisce come distinto in due o più qualità connesse in
qualsiasi modo fra di loro ed allora si ha la forma primitiva della
rappresentazione logica. Una qualità sola ed incomunicabile ad altre qualità e
zon trasformabile non fornisce al cuna materia logica. E se un fatto
naturale,secondo che è più scrutato dal soggetto, comparisce sempre più ricco
di qualità e si vede la ragione intima per cui le varie qualità convengono
all'oggetto,è chiaro che esso diventa progressivamente obbietto di una entità
logica superiore. Ma può avvenire ancora che,dopo uno studio più profondo e
comprensivo fatto sull'oggetto, questo ap paia innanzi al soggetto come
intimamente connesso ad altri fatti esteriori ad esso, tanto che senza di
questi non potrebbe essere quello che è. E, se vi sono oggetti le cui note ed i
cui rapporti sono immobili e fissi, ve ne sono altri in cui le qualità che li
costi tuiscono ed i loro molteplici rapporti con enti fuori di essi si
trasformano e cangiano. È chiaro allora che l'entità logica dell'oggetto si
accresce e si complica. Può avvenire ancora che l'oggetto che ora è studiato
comparisca come l'ultimo risultato di una storia spe ciale propria o di una
storia di altri enti simili o dis simili da esso; onde l'importanza delle note
attuali che lo costituiscono si accresce e mostra cosi una n a tura assai più
elevata.La rappresentazione logica ha cosi una considerevole latitudine; perchè
principia quando il soggetto vede almeno due note nell'oggetto e si conserva
ancora quando si è scoperto in esso un numero grandissimo di qualità. Si è
detto e ripetuto che è il linguaggio che segna nell'uomo il primo apparire
delle attività logiche. Ma non si considera che la parola “LINGUA”, avendo un
largo contenuto e significando qualsiasi manifestazione dei fatti interni
psichici, siano sensitivi che rappresentativi ed emotivi, ha una larga
applicazione cosi NEL CAMPO ANIMALE come nel campo umano; onde non si vede con
determinazione la necessità del co-esistere solamente nell'uomo della LINGUA e
della funzione logica, si deve però ammettere che la LINGUA che è un linguaggio
formato e divenuto classico (onde vi è differenza tra LINGUA e lingua-GGIO), quando
è bene usata dal soggetto uomo, può far vedere in questo le più grandi energie
logiche, all'istesso modo che una LINGUA imperfetta o poveramente usata può
manifestare nell'uomo rudimentali qualità logiche. Però non si può concedere
che deve necessariamente intervenire LA LINGUA per potersi trovare nella sfera
logica e per potere compiere funzioni logiche. Individui nati muti o sordo-muti
possono compiere con grande coerenza logica i loro atti, all'istesso modo che LA
LOQUELA non sempre rivela una perfetta energia logica, come avviene per
disordini nervosi e mentali o per ritardato sviluppo di tutte le attività
psichiche. Al l'incontro ciò che è indispensabile perchè il soggetto compia le
più elementari funzioni logiche è l'oggetto della percezione e la
rappresentazione molteplice del l'immagine di esso, come è manifestato dagl’atti
e dalla condotta che gl’ANIMALI e l'uomo non ancora parlante hanno verso quegli
oggetti sui quali si eser cita la loro attività e dal giovarsi che l'animale fa
di alcune qualità degl’oggetti. E la rappresentazione molteplice dell'immagine
degli oggetti è anzitutto necessaria ancora per l'uomo logico che parla, la
rappresentazione e l'esecuzione della parola udita, parlata e scritta non
essendo che un'altra specie di rappresentazioni speciali degli stessi oggetti
sopraggiunta alla prima; per cui il lavoro psicologico e logico del l'uomo è
assai PIÙ COMPLICATO DI QUELLO DELL’ANIMALE [cf. H. P. Grice, M-intending] anche
perchè, per la sua grande energia psichica, l'uomo moltiplica le
rappresentazioni relativamente semplici che delle cose hanno gl’animali, onde LA
LINGUA diventa nell'uomo assai più intricata e complessa. Segue da ciò che la
LINGUA umana è una NUOVA AGGIUNTA che si fa alla rappresentazione primitiva
dell'immagine delle cose. Ma rimane sempre questa l'obbietto delle ATTIVITÀ
LOGICHE COSI ANIMALI COME UMANE [Grice, “Method in philosophical psychology, on
an eagle doubting whether p or q]. Questo è ancora dimostrato dalla patologia
della LINGUA UMANA; poichè è stato constatato che, quando l'uomo perde la
memoria della immagine percepita delle cose e conserva la ricordanza della PAROLA
(PARABOLA) udita, parlata o scritta, che ad essa corrispondono, la sua LINGUA è
divenuta un caos; perchè, essendo perduto il nesso tra la cosa e la sua PAROLA
PARABOLA udita e parlata, l'attività logica non si può esercitare sulle PAROLE
PARABOLE, perché non si può esercitare sulle cose, come allora è manifestato
dalla sconnessione e dalla incoerenza della lingua. Del giudizio e
dei suoi elementi. Quando il soggetto distingue per la prima volta un dualismo
nell'oggetto, cioè da una parte quello che, prima di questo atto psichico, costituiva
tutto l'oggetto, indistinto nelle sue qualità, e dall'altra quello che scorge
ora in esso mediante l'atto di distinzione e vede che questo è connesso con
quello in modo che senza di esso non sarebbe, si fa quel che si dice un GIUDIZIO
(Grice, JUDICATING that the a is b – the dog is shaggy -vs. VOLITING). Sicché
per avere un giudizio occorrono due fatti distinti fra di loro ed un atto
psicologico che li connetta. Però bisogna considerare questi tre elementi di
cui consta il giudizio come dati tutti e tre insieme nello stesso atto. Dei due
fatti che possono dirsi anche TERMINI (‘l’A, la B’), perchè SIGNIFICATI con
parole PARABOLE, il primo, quello che prima del l'atto psicologico fa una sola
cosa con la qualità che ora si distingue da esso e che meglio osservato e
scrutato può mostrare altre qualità inerenti a sé, onde può divenire obbietto
di altri giudizii, si chiama SOGGETTO – cf. Strawson, Subject and predicate in
logic and grammar. La nota che gli si attribuisce si dice aggettivo od
attributo – ‘SHAGGY”, predicato. L'atto psicologico col quale gli si
attribuisce è il verbo – in sensu stricto, la copula. Bisogna bene intendersi
sul significato della parola ‘soggetto’, che si usa nel giudizio. In generale
soggetto significa ente attivo, ente operoso. Si chiama soggetto l'anima
cosciente e distinguente sè dall'oggetto e nel l'istesso tempo l'anima che
esercita la sua attività sul mondo esteriore che considera come suo oggetto. E
poichè dall'animale inferiore all'uomo e dall'uomo eminente per pensiero e per
azione questa attività conoscitiva ed operativa sempre più si afferma e cresce,
è cosi che la parola “soggetto”, quantunque possa applicarsi indistintamente
alla serie degl’enti animali, pure compete in sommo grado all'uomo ed all'uomo
che abbia la più grande energia nel campo del pensiero e dell'azione – cf.
Hampshire THOUGHT AND ACTION. Intesa cosi la soggettività, scendendo
dall'animale alla pianta, sembra non essere più il caso di dovere applicare la
parola soggetto. Ma, poichè la pianta è un organismo dutato di attività la
quale consiste nel compiere una serie di funzioni interiori per le quali è
continuamente messa in rapporto coll'ambiente esteriore ad esso (aria, luce, terreno)
e manifesta, quantunque in modo assai più imperfetto di quel che si compia
nell'animale, per mezzo di una serie di fenomeni esteriori, i suoi fatti
interiori ed il suo organismo compie una storia, pure SI PUO CONCEDERE IL NOME
DI “SOGGETO” alla pianta (“Someone is hearing a noise”), la quale cosi
manifesta anche essa una certa energia. Ma i grammatici ed i logici hanno
anche dato il nome di soggetto non solo ad ogni opera dell'uomo, che può
considerarsi come un tutto armonico in sé, avente un determinato fine, ma ad
ogni parte di essa, ad ogni ente della natura inferiore ed inorganica o ad un frammento
di essa, ad ogni minerale, ad ogni fatto meccanico o chimico e financo hanno
considerato come soggetto le qualità e gli attributi stessi delle cose. Però
l'uso che in questo caso i grammatici hanno fatto della parola “soggetto” può
essere giustificato, considerando che ciascuno degli enti inferiori agli enti
organici e psichici è sempre un com plesso, anche quando sia semplice parte, di
qualità o proprietà concentrate e connesse insieme; onde, rigorosamente
parlando, non si può negare ad essi una certa energia senza la quale le
proprietà non potreb bero esistere in essi. Possiamo chiamare questa energia,
meccanica, fisica o chimica; ma è sempre una energia E non si può non concedere
che le qualità stesse che si considerano come attributi delle cose possano
essere considerate ancora esse come soggetti,quando si riconosce che ciascuna
qualità,essendo inerente a molti soggetti i quali hanno altre proprietà
differenti, contribuisce in modo differente all'energia di ciascuno di essi.
Cosi quando si parla della gravità che è una proprietà dei corpi, si vede che
essa si manifesta di versamente secondo che si tratta di an corpo gassoso o di
una pietra o di un liquido o di un pendolo o del sistema planetario.
Quando il soggetto del giudizio è considerato o stu diato dal soggetto psichico
allora può anche chiamarsi oggetto; perchè, quantunque attivo in sè, è sempre
qualche cosa di passivo relativamente al soggetto psi chicoilqualeesercitalasua
azionescrutatricesudiesso. Il secondo termine del giudizio, cioè quella
qualità o quella determinazione che, quantunque insita nel soggetto o estranea
ma conveniente ad esso,per mezzo dell'atto psicologico gli si riconosce come
connessa, è stata chiamata dai logici attributo o predicato.Rap presentando il
soggetto un gruppo di proprietà dif ferenti, suscettivo di ulteriori giudizii,e
l'attributo una sola qualità o determinazione, è chiaro che questo può essere
applicabile a più soggetti, non essendo ciascun soggetto costituito di
attributi assolutamente speciali a sé; ma in mezzo ai tanti attributi comuni a
molti soggetti ha solo qualcuno che conviene esclu sivamente a lui. Dei molti
attributi che costituiscono un soggetto una parte sono sensibili o percettibili
per mezzo degli organi dei sensi. Ogni oggetto del mondo esteriore è fornito di
peso,ha una grandezza variabile, una re sistenza, è situato ad una certa
distanza dallo spet tatore, ha una forma fissa o cangiante,un colore,una
composizione mineialogica, chimica o organica, può presentare una struttura
determinata, uno stato ter mico, può vibrare in modo differente nella intimità
clelle sue molecole, può esercitare un'azione più o meno irritante o elettrica
o offensiva sull'organismo del soggetto,può dare speciali odori,può
essere gn. stato per mezzo della lingua. Ma vi sono altri attri buti i quali
non sono percepiti per mezzo degli or gani dei sensi ma vengono compresi
mediante un atto della mente, quantunque le attività percettive possano
contribuire o avere contribuito alla comprensione di queste nuove specie di
attributi. Sono tutte quelle qualità che riguardano la provenienza od il fine
del soggetto,isuoirapporticon altrioggetti,lasuaazione favorevole o nociva su
di essi o viceversa. Inoltre il soggetto acquista attributi non semplicemente
sensi bili quando desta in noi stati interiori piacevoli o do
lorosi,ricordanze,speranze etimori,ma qualche cosa di più che sensibile, poichè
in quel caso viene scossa l'intimità della nostra vita
interiore. Quantunque a primo aspetto sembri che ogni at tributo sia una
qualità semplice e non suddivisibile in altre qualità,benchè una qualità possa
averevari gradi d'intensità, ciò che non la fa considerare come qualche cosa di
fisso, pure può una qualità essere il risultato di un sistema di altre
condizioni o attributi. Quando diciamo che l'animale è sensibile, la nota della
sensibilità pare che sia una qualità sola; ma, se si pensa che per essere
sensibile l'animale deve im plicare una serie di organi e di funzioni e di
condi zioni esteriori all'organismo, si è costretti ad ammet tere che
quest'attributo è come la risultante di fatti molto complessi, non è dunque un
attributo semplice. Se diciamo che Giulio ė ragionevole quest'attributo è
Il soggetto e l'attributo non potrebbero costituire il giudizio senza l'atto
psicologico col quale l'uno ė connesso con l'altro; senza questo atto i due
termini non avrebbero fra di loro altro legame fuori quello accidentale della
coesistenza e della successione, che è un legame psicologico, non logico.
Rigorosamente parlando,è quest'atto che costituisce ilverogiudizio; però senza
i ter.nini esso non potrebbe essere, non sarebbe che una mera possibilità.
Questo atto che è espresso dal verbo è quella scrutazione che l'anima attiva fa
tra i due termini, per la quale si riconosce che l'uno è connesso
indissolubilmente,intimamente e necessariamente con l'altro. Questo nesso
intimo che lega i due termini è un fatto obbiettivo delle cose, non è una pura
produzione dell'atóività psicologica, però non si pno pervenire ad esso senza
l'attività picologica. È questa un'alta attività a cui l'anima umana per
viene;perché per mezzo di essa può internarsi nella natura dell'obbietto,
vederne il movimento, compren derlo ed assimilarselo. Sicché non si arriva al
fatto logico senza l'attività psicologica e senza di questa l'energia logica
rimarrebbe nella inconsapevolezza delle cose naturali, rimarrebbe per sempre
muta ed inco municabile ad alcuno, Per questo ogni atto giudica di una
natura cosi complessa che deve presupporre un ricco sistema di condizioni
perchè possa darsi. L'attributo ragionevole perciò non implica un fatto cosi
semplice come l'attributo pesante. tivo non è un atto meramente
psicologico,ma è anche obbiettivo, il suo contenuto cioè corrisponde al conte
nuto delle cose;ed in quest'atto si uniscono e com penetrano l'energia psichica
e l'energia delle cose. Con l'atto giudicativo, subbiettivo insieme ed ob
biettivo, si entra nel vero campo logico e si può dire che è sul giudizio che
poggia tutto l'organismo logico e che è il giudizio, considerato nel suo
sistematico svolgimento,che costituisce la parte più importante della logica e
che il primo prodursi della più rudi mentale attività giudicativa dell'uomo o dell'animale
segna ilprimo apparire del mondo logico. In generale si può dire che sempre che
ilsozgetto principia a giudicare l'oggetto della percezione o la 24-
Però'seil giudizio come necessaria convenienza dell'attributo al soggetto è la
forma più perfetta alla quale il soggetto pensante non arriva se non dopo una
lunga educazione,vi sono molte forme di giudizio inferiori ad essa, che possono
considerarsi come tanti tentativi che l'anima fa per penetrare nell'intimità
delle cose ed impadronirsene. Ciò conferma il fatto che non vi è un limite
netto tra la psicologia e la logica e che se vi è una parte della psicologia
quella inferiore, in cui non vi è nulla di logico,e che se vi è un'altra parte
della psicologia, quella ultima e più raffinata, in cui ogni energia o la più
parte delle energie sono logiche, vi è una larga zona psicologica in cui si
manifestano le prime tendenze logiche ed in cui il lavoro logico è eseguito
allo stato bruto. rappresentazione di esso,allora questa
cessadiessere rappresentazione psicologica e diviene rappresenta zione logica;
e non vi è alcuna rappresentazione logica la quale non sia insieme,
implicitamente od esplicitamente, giudizio. E, se l'infimo gra lo della
rappresentazione logica deve implicare un solo giudizio almeno nella sua forma
primitiva e bruta,un'alta rap presentazione logica si ha quando essa implica un
gran numero di giudizii. Delle tre parti in cui si può considerare divisa la
logica (la meccanica, la chimica e l'organica), la rappresentazione logica cosi
intesa esaurisce le due prime parti. Se l'anima non può principiare ad eseguire
funzioni logiche dall'infimo al massimo grado se non quando è divenuta
percettiva,perchè allora solamente distingue fra di loro i fatti del mondo
esteriore e distingue al cune proprietà di ciascun fatto,giacchè senza la mol
teplicità dell'obbietto non può eseguirsi funzione lo gica di sorta, nondimeno
non in tutto quello che per cepisce od in tutto quello che si rappresenta nella
coscienza interiore vi è energia logica o, quando vi è, non vi è all'istesso
grado in tutto. L'anima vivente o va incontro ad una varietà di fatti e
steriorioquestilesipresentano a caso ovvero a s siste ad un inovimento di
rappresentazioni o fa l'una cosa e l'altra insieme ed intercorrentemente.
Questi fatti si succedono o coesistono fra di loro e sono per cepiti dal
soggetto nella loro successione o nella loro coesistenza. Ogni fatto deve
perciò connettersi ad un altro fatto; e questa connessione può essere di
due specie,o casuale estrinseca,ovvero intima,vera,con veniente. Bisogna però
distinguere la casualità e la estrin- sechezza,tra ifatti psichici,che rimane
sempre tale pel soggetto, per quanto questo possa elevarsi alla più alta
attività psichica,dalla casualità e dalla estrin sechezza che apparisce tale al
soggetto solo tempo raneamente nel primo periodo della sua storia,quando non
ancora è giunto al grado di potere compiere un lavoro psicologico cosi intenso
da sapere vedere una connessione intima tra due fatti; onde questa gli si
presenta estrinseca senza esser davvero tale e, con un ulteriore sviluppo
dell'attività soggettiva,sparisce la estrinsechezza e comparisce la intimità.
no Non si può non ammettere però che questa estrin sechezza vera è in certo
modo relativa al grado di sviluppo dell'attività del soggetto psichico;perchè,a
vendo ciascun soggetto nel mondo es'errore un campo Nel caso della
estrinsechezza vera, per quanto in oggetto si succeda ad altri od apparisca al
soggetto in concomitanza con altri oggetti, anche con un ac curato studio, non si
saprà mai trovare una ragione del succedersi di un avvenimento ad un altro o
della coesistenza di un fatto con un altro, di una qualità con un
oggetto;giacchè ciascuno oggetto apparisce come assolutamente indipendente
dirimpetto all'altro, perchè non lo modifica in alcun modo nė ne ė
dificato. speciale nel quale si esercita la sua attività, onde é
messo frequentemeate in rapporto di coscienza solo con un determinato
aggruppamento di oggetti, egli può vedere meno di estrinsechezza tra questi
oggetti che non tra quelli estranei alla sua azione.In ragione che il soggetto
allarga sempre più il suo campo og gettivo e lo scruta con maggiore intensità
l'estrinse chezza si allontana sempre.E quando l'obbietto del l'attività
soggettiva è tutto l'universo allora il filo sofo,guardando le cose dal più
alto punto di vista che è quello dell'unità,non vede più estrinsechezza di
sorta tra le cose;perchè ogni cosa vi apparisce come organo di un vasto sistema
ed è necessariamente connessa a tutti i gradi di esso. La intimità, la verità e
la convenienza tra due oggetti (e perciò tra due rappresentazioni) o tra un og
getto ed una sua proprietà si ha allora quando l'uno non può essere in alcun
modo indipendente dall'altro per cui sempre che è dato l'uno è dato l'altro o, se
prima è dato l'uno, dopo verrà necessariamente dato l'altro. Ora questa
intimità ha vari gradi che possiamo riepilogare in tre zone logiche
principali,presentando ciascuna zona immense gradazioni. La prima zona,
quella più elementare in cui si de signano le prime linee del mondo logico, di
là dalla quale vi è il puro mondo degli oggetti delle percezioni e delle loro
rappresentazioni scomposte e sconnesse, ha questo di particolare che in essa
alcuni oggetti o rappresentazioni sono, è vero, legate, da nessi intimi,
ma questa intimità è al suo minimo grado,rasenta quasi la estrinsechezza; perchè
della loro intimità non si vede altro che il semplice succedersi costantemente
diuna rappresentazione adun'altraodilsemplicecoe sistere di una
rappresentazione con un'altra.E questa conquista il soggetto può avere fatto
non solo per pro pria esperienza ma anche per tradizione o per quel che si è
detto consenso degli uomini. Qui non si vede alcuna ragione della convenienza
delle due rappre sentazioni,alla qualeilsoggettorimaneperfettamente estraneo; e
tutta l'attività del soggetto si esaurisce nel vedere questo puro costante
coesistere e succe dersi delle cose e perciò il giudizio che esso compie è
semplicemente meccanico, non fa che constatare quanto avviene nel mondo
naturale. Così l'attività del soggetto qui è meccanica e delle cose non afferra
che il semplice meccanismo,l'energia più elementare della natura, il muoversi
delle cose per la loro pura gravità o per la loro forza od il muoversi per
forze estranee ad esse ma che agiscono su di esse. In questa zona logica va
compresa anche quella elementare attività giudicatrice mediante la quale si
scopre o constata qualche proprietà o qualità che in teressa gli organi
sensibili e percettivi del soggetto, come il sole è luminoso; è un'attività
giudicativa molto elementare.A questa zona logica possono per venire gli
animali superiori e quegli animali inferiori i quali si elevano alla
percezione, quantunque gli a nimal¡ non possono esprimere con
paroletaligiudizii, poichè bastano certi atti o movimenti che l'animale
esegue a dimostrare che esso hacompiutoungiudizio. Ma questa attività meccanica
logica non solamente rappresenta la prima epoca dell'energia logica umana e
l'energia dialcuni animali,ma anche quando l'uomo è atto ad elevarsi ad una
attività logica superiore compie ordinariamente giudizii logici meccanici. È
questa la posizione dell'uomo incolto. Di tutti gli a v venimenti naturali ed
umani ai quali egli assiste non può vedere altra intimità che quella meccanica
ed estrinseca; alla ragione intima dei fatti egli non perviene. La seconda zona
che si dice chimica e che sta più in alto alla precedente ed alla quale non si
perviene se non per mezzo della precedente rappresenta quel campo della logica
in cui il soggetto può compiere un più complesso lavoro di penetrazione tra gli
og getti, onde quei nessi intimi che prima vedeva in modo quasi estrinseco sono
visti davvero nella loro intimità. La parola chimica sembra bene
adoperata;perchè cor risponde a quello stato della energia della materia in cui
gli elementi relativamente semplici si compe netrano ed uniscono insieme per
formare un corpo di una più elevata natura ed in cui corpi di complessa natura
si scindono nei loro elementi sem plici;ondelachimicadelcampo logico corrisponde
a quel grado delle attività psicologiche per le quali il soggetto afferra la
convenienza vera di un oggetto. e delle sue proprietà e vede le intime ragioni
per le 29 nuovo La zona chimica logica si evolve cosi dalla
mec canica non solo, ma questa coesiste nella chimica; perchè, anche quando
vediamo il rapporto chimico di duerappresentazioni,vièsempreillato meccanico,
l'incontro cioè di due oggetti o di un oggetto ed una qualità, quantunque
questo meccanismo sia assorbito e trasformato dal chimismo. Avviene nel campo
lo gico quel che avviene nel campo naturale in cui il chimismo implica
ilmeccanismo,quantunque non sia semplicemente tale, essendo ilmeccanismotrasformato
ed elevato ad un più alto grado di esistenza nel chi mismo il quale senza di
esso non potrebbe darsi. Però non bisogna credere che, quando l'uomo è ar
rivato alla zona chimica della logica tutti i suoi atti logici siano giudizii
chimici;perchè questi,implicando una grande difficoltà acompiersi, nonpossonofarsida
ciascun uomo che in un campo speciale che ha scelto come materia del suo studio
e delle sue ricerche; il resto della sua attività logica è rappresentato sempre
dal meccanismo e questo può intercorrere nel chimi smo logico od alternarsi ad
esso. quali il soggetto non può fare a meno di quellapro prietà e questa
deve sempre necessariamente andare congiuntaalsoggettoinquellecondizioni.É
questo, si può dire, il campo della conoscenza vera e della scienza dove il
soggetto compie le più elevate forme di giudizio,risultato di una lunga
scrutazione psico logica nei rapporti delle cose. Il giudizio nella sua
for.na più elevata, implicando quell'atto del soggetto cosciente mediante il
quale si riconosce che ad un oggetto del mondo naturale o ad un ente spirituale
che qui diviene soggetto logico con viene intimamente e necessariamente un dato
at tributo, esprime un rapporto tra i due termini che nelle stesse
condizioni,deve essere tale costantemente, sempre vero, oggi e sempre, qui ed
ovunque. Per questa ragione il giudizio non va soggetto a mutazioni per tempo e
perciò si esprime sempre com'è,in tempo presente.Ogni dubbio,'ogni incertezza
circa alla concordanza perfetta dell'attributo col soggetto
nondarebbeilverogiudizio;seperòilsoggetto ri conosce l'incertezza nel suo atto
giudicativo e cerca di uscirne per addurre la verità, sforzandosi di eser.
citare tutto il suo potere percettivo nella scrutazione dei termini e nel loro
rapporto, allora l'incertezza è unbene,perchèciconducealverogiudizio.Per la
stessa ragione, quando in un giudizio interviene il desiderio o la speranza od
iltimore,non siavrà ilvero giudizio. I logici classici si sono molto
occupati della nega zione nei giudizii e li hanno perciò distinti in affer
mativi o positivi e negativi: affermativi sono stati detti quei giudizii in cui
si riconosce che l'attributo conviene al soggetto, negativi quelli in cui
questa convenienza non si ha.Ma evidentemente ilogicinon hanno ammesso che è
sull'oggetto della percezione o della sua rappresentazione che primitivamente
deve volgere ogni giudizio e che bisogna guardarsi bene dal giudicare prima di
avere studiato e scrutato bene l'oggetto.Se questo sifacesse, si vedrebbe la inutilità
e la vacuità di una gran parte di qnesti giudizii ne gativi,come è dimostrato
anche dal fatto che alcuni giudizii negativi possono tradursi in
positivi.Quando si ammette che un dato corpo non è solido, implici tamente si
ammette che è liquido o gassoso.Per que sta ragione i veri giudizii devono
essere tutti positivi; perchè, rigorosamente parlando, lo scienziato deve
conoscere quello che una cosa è non già quello che non è. Quando si tratta che
il soggetto può avere uno di due attributi che sono fra di loro contrari e che
se gli convieneuno di essi gli sconviene neces sariamente l'altro, si dice che
allora si possono for mulare due giudizii, l'uno negativo e l'altro positivo.
Ma è facile osservare che, fatto il giudizio positivo, è perfettamente inutile
formulare il negativo ilquale con parole diverse,per mezzo della
negazione,ripete la positività del primo giudizio. Vi sono però dei casi
in cui pare che il giudizio negativo dovrebbe aver luogo. Cosi noi sappiamo che
una data pianta deve fiorire; se la guardiamo in un'e poca in cui il fiore non
è apparso,dobbiamo dire che la pianta non è fiorita; ma d'altra parte è in es.a
la possibilità di dovere fiorire; poichè in tutti i fatti che implicano uno
svolgimento od una storia non tutte le qualità che devono costituirli possono
essere date belle e compiute dal bel principio; perchè ciò escluderebbe la
storia; a ciò pensando, la pura nega. tività di questo giudizio è spuntato. Che
se poi guar diamo la pianta non fiorita come ci si presenta per cettivamente,
allora non si ha alcuna ragione a par lare di negazione. Sappiamo inoltre che
la sensibilità deve essere un attributo necessario all'uomo; ma
permalattiedelsi stema nervoso questa funzione può perdersi, onde il
direalloraquest'uomonon sensibile, potrebbepa iere un giudizio negativo
incontestabile; ma si tra scura di considerare che quani'o l'uomo è divenuto
insensibile non è pixi l'uomo compiuto, ma l'uomo che è nel declivio della
dissoluzione e della morte e che, dicendo che non è sensibile, si riconosce che
la sua Molti, parlando e scrivendo, anche di cose scienti fiche, fanno
grande uso di questi giudizii negativi; ma è questa una consuetudine di linguaggio
chequalche volta fa anche vedere la poca sicurezza e la povertà delle nostre
cognizioni; perchè il difficilc non sta nel dire quel che una cosa non è,ma
qnelche è davvero. attribuzione sarebbe la sensibilità e che questa si è
perduta solo per condizioni morbose. Nondimeno se il giudizio negativo è
possibile esso può solo avere la ragione di essere in questi casididissoluzione
edi sfacelo degli organismi e delleistituzioni,quantunque anche allora,stando
alla semplice percezione, si po trebbe semplicemente giudicare quel che
l'oggetto pre senta di positivo; m a allora il soggetto che pensa non può fare
a meno dal paragonare la primitiva gran dezza o la perfezione tipica di una
data cosa con la dissoluzione e la rovina presente, onde quel che è ora è la
negazione di quel che era prima. Può avvenire lo stesso quando si tratta di
paragonare varioggetti fra di loro. Il giudizio nella sua forma classica è
rappresentato dal soggetto, dal presente del verbo essere e dall'at tributo. Ma
il soggetto per tenere avvinto a sè l'attributo deve esercitare una certa
energia che indica il vero nesso tra il soggetto ed il suo attributo; ora il
giudizio formulato in quel modo non fa vedere tutta questa attività del
soggetto,ne fa vedere,si può dire, la minima parte. All'incontro sono i verbi
attributivi i quali possono risolversi nel verbo essere e nell'at tributo, che
manifestano la vera energia, la vera at tualità del soggetto, che costituisce
il giudizio nella sua realtà vivente; perchè fanno vedere il soggetto che si
manifesta nel suo attributo e fanno vedere l'at tributo vivificato dal
soggetto.Per questa ragione il giudizio espresso nella sua forma classica trova
più ragione di essere applicato nelle sfere inferiori mec. caniche della
natura,quelle che manifestano una energia più povera, relativamente alla
energia animale ed umana erelativamente all'altaenergiadella vita dello
spirito. Qui tutte le attività, tutte le funzioni che si esercitano e che si
esprimono con verbo sono gin dizii viventi. Se diciamo questo corpo é rotondo
l'a' tributo, quantunque inerente al soggetto, pure è con siderato come qualche
cosa d'indifferente ad esso. Qui si tratta del giudizio nella sua primitiva
forma. Ma se diciamo questa pianta fiorisce facciamo un giudizio della seconda
forma, perchè qui vediamo il soggetto che crea il suo attributo e vive in esso
Ammesso il concetto del giudizio qui dato, risulta evidente che ogni giudizio
implica una sintesi ed una analisi insieme e nello stesso atto. L'analisi vi dà
la dualità dei termini, siano nello stesso soggetto che tra due oggetti; e
l'analisi è un morrento necessario al giudizio; poichè senza il dualismo giudizio
non vi sarebbe; m a d'altra parte cesserebbe l'atto stesso del e per
esso. Più elevata e spirituale è la natura del soggetto e più è ricco di
attività speciali e più verbi glisipos sono attribuire e più giudizii compie,
svolgendosi e vivendo.Più ilsoggetto appartiene alle sfere della materia bruta
e meno verbi gli si possono attribuire più le sue qualità possono essere
espresse con la forma classica del giudizio; ma ciò non toglie che anche
giudizii di questa fatta possano eseguirsi sopra alcuni soggetti di elevata
natura. giudizio se questo non fosse insieme sintetico; cés sando
la sintesi cesserebbe anche l'analisi e viceversa. Non vi sono perciò
giudiziipuramente analiticinè pu ramente sintetici;per
conseguenzailsoggettovivente compie continuamente un'analisi ed una sintesi
delle sue qualità e lo scomparire dell'una o dell'altra ap porta la morte di
esso. Quando diciamo giudizio diciamo ancora ragione, pensiero. Però come il
giudizio consiste più nell'atto psicologico,corrispondente al nesso intimo che
vi è tra due rappresentazioni, che nella distinzione dei ter miui, quantunque i
termini siano necessari al giudizio e senza di essi giudizio non vi sarebbe,lo
stesso deve dirsi del pensiero e della ragione. Se non che queste due parole,
considerate come semplice giudizio,dicono molto meno di quel che dicono quando
sono adoperate nel senso assoluto del loro contenuto. Quando diciamo il
pensiero, la ragione si vuole intendere il sistema di tutti i nessi possibili
di tutte le rappresentazioni delle cose della natura e dello spirito insieme,
sog gettivamente ed oggettivamente considerate. Quando poi sono applicate come
semplice giudizio equivalgono ad un pensiero,una ragione. Per alcuni logici la
parola proposizione esprime la stessa cosa chela parola giudizio
eperòsiadoperano promiscuamente queste due parole. Ma se vi sono verbi
attributivi che possono ridursi a giudizio,ve ne sono però altri i quali non vi
si possono ridurre, perchè non corrispondono pienamente a quel che siè detto
dovere essere un giudizio. Quando conosciamo Si comprende però che gli
avvenimenti storici pos sono essere guardati dal punto di vista estrinseco e
quasi accidentale come fanno gli storici che riprodu cono i fatti semplicemente
nel modo come sono successi; ma questi stessi fatti possono anche essere studiati
scientificamente e filosoficamente, considerati cioè in quel che essi hanno di
intimo,di necessario e di co stante; allora, entrando quei fatti nel dominio
della scienza,possono divenire obbietto di giudizii, le proprietà e le
speciali energie dei fatti naturali o psichiciosociali, ecc.allora possiamo
faregiudizii; perchè si hanno avvenimenti e fatti che sono sempre gli stessi
nelle stesse condizioni e si manifestano co stantemente ad un modo; ma se
narriamo le gesta di Annibale o di Alessandro, ciascun verbo che siamo
costretti ad operare non può essere il verbo di un giudizio; perchè esprime un
avvenimento singolo che non è stato prodotto che da quel tale individuo in
quelle sue particolari condizioni ed in quelle condi zioni di tempo,di luogo,in
quello stato speciale di un popolo,avvenimento che non può più riprodursi e
perciò il giudizio non si ha quando si deve espri mere uii fenomeno che non può
ripetersi frequente mente,che è avvenuto una volta e non piùequando non si vede
alcuna necessità del suo ritorno. In questo caso,più
cheillinguaggioscientificoelogico,abbiamo illinguaggio storico,ed allora,più
che ilgiudiziosi ha la proposizione:cosi è spiccata la differenza tra il
giudizio e la proposizione:questo esprime gli avve nimenti storici, quello i
nessi logici. Il soggetto che giudica é determinato dall'atto stesso del
giudizio alla vitapratica.Ogni essere vivente, dal l'animale infimo all'uomo,
si sforza, come è noto, una condotta assai elevata, presupponendo ciascun suo
atto una molteplicità di giudizii;onde si vede l'intimo rapporto che passa tra
una grande intellettualità e la vita pratica. ancora sottomettere ai suoi
bisogni la natura esteriore, ed ogni atto,ogni movimento che l'animale
esegue,cer cando di fuggire il malessere e di addurre a sè il benessere, presuppone
una distinzione negli oggetti concuièinrapporto.La formicachevaincercadel
frumento, riconoscendo in questo la proprietà di n u trire, non solo compie un
lavorogiudcativo ma anche un atto col quale manifesta tale lavoro psichico. In
tutti i pericoli che gl’animali schivano come in tutti i movimenti che fanno
per prepararsi il nido o per andare in cerca del cibo e per conservarsi, si possono
riconoscere gl'atti che presuppongono il giudizio, per quanto questo possa
essere classificato tra i giudizii meccanici. I psicologi in questo caso
parlano d'istinto. Ma è sempre l'istinto nel giudizio. In questo senso gli atti
degli animali equivalgono ad un linguaggio che esprime alcuni nessi logici, quantunque
sia il lin guaggioin una forma bruta e monca. Intuttigliatti che gli uomini
fanno per raggiungere i loro fini e la loro felicità si può riconoscere la
conseguenza di un giudizio.E si comprende come l'uomo eminente che ha una
perfetta conoscenza delle cose possa avere di Il soggetto può compiere
sull'oggetto un numero grande di giudizii secondo che pixi educato e svilup
pato è ilsuo potere di scrutazione e secondo che più complicata è la natura
dell'oggetto. Cosi, vivendo e studiando, la rappresentazione psicologica
primitiva che il soggetto ha delle cose si arricchisce di attributi e di
qualità ovvero sirisolvein attributiiquali erano primitivamente confusi in quel
che dicevamo oggetto e che costituivano tutto l'oggetto. Nondimeno durante e
dopo questo processo di scrutazione l'oggetto rimane sempre come qualche cosa
in cui alcune qualità sono distinte ed altre indistinte, potendo le qualità
indi stinte ricomparire subito distinte secondo che l'attività giudicatrice si
rivolge su di esse ed allora le distinte ritornano indistinte. Si verifica
anche qui un'applicazione speciale di quella legge psicologica secondo la quale
in una data unità di tempo il soggetto non può compiere che un lavoro limitato
e,come non può scrutare che succes. per la prima volta sipresentino allo
studio del soggetto; in questi casi è la legge generale che pre domina. Dopo
che si è compiuto sopra un oggetto un n u mero considerevole di giudizii non si
deve credere che allora l'oggetto sia conosciuto pienamente. Più chela
conoscenza del soggetto, si ha allora la conoscenza di un mucchio di note
coesistenti; perchè, se il giu dizio è un'alta funzione psicologica e lozica,
non è però la più alta la quale si ha invece quando tutte le note di cui
l'oggetto risulta appariscono in esso come organizzate, cioè si ha un organismo
di giu sivamente un dato numero di oggetti e di rappresen tazioni, per la
stessa ragione non può compiere in una unità di tempo e nello stesso atto
psichico che un numero limitato di giudizii, quantunque succes sivamente
possano essere compiuti sopra un oggetto tutti i giudizii di cui può essere suscettivo.
Però non si può sconoscere che le abitudini della mente possono arrivare ad
un'altezza cosi meravigliosa:da conside rare come compiuti una serie di
giudizii che non si haavuto il tempo di compiere pacatamente o di compierli in
un breve atto: è il meccanismo che penetra nelle più elevate regioni psichiche
ed in cui si sem plifica, per mezzo della ripetizione, il processo giu dicativo
primario che è più lungo e difficile. Ma in questi casi si deve trattare di
compiere sempre giu dizii già compiuti altre volte o negli stessi oggetti od in
oggetti differenti già percepiti, non in oggetti che dizii. In
generale con la parola conoscenza si vuol dire non solo l'apprensione e la
ritenzione delle pro prietà dell'oggetto e degli oggetti in connessione fra
diloro,ma ancorailoronessiconlealtreproprietà dello stesso oggetto e con le
proprietà delle altre cose, a differenza del pensare e delragionareincuisitiene
pii conto dei nessi delle cose. Quando l'oggetto è un mucchio di proprietà,
queste aderiscono a quel centro comune che primitivamente costituiva tutto
l'oggetto indistinto in sè stesso;e,se si ha qui il grande vantaggio che
ciascuna nota e per mezzo dell'atto giudicativo connessa all'oggetto, non si
vede la ragione del coesistere di tutte queste qualità nell'oggetto e non
sivede alcuna ragione del l'incontro delle note fra di loro.La parola
mescolanin che usano i naturalisti quando vogliono indicare il
coesistereel'essere diparecchi corpi incontattol'uno dell'altro senza perdere
la loro natura corrisponde a questa sfera dell'obbietto logico in cui si
possono c o m piere molti giudizii sullo stesso obbietto, ma senza che l'uno
eserciti una preponderanza sull'altro,senza che l'uno abbia un valore superiore
all'altro,e perciò ciascun giudizio ha un valore per sè; e considerati tutti
fra di loro costituiscono una mescolanza. Quando il soggetto cominciaa
scorgerenella rapresentazione la proprietà più appariscente, quella sopra tutto
per la quale l'oggetto ha costantemente un valore speciale ed un uso,ed intorno
a questa nota costantemente si aggruppano, con nessi pi'i o meno 3. -
+1 intimi, altre note si principia a scorgere nell'oggettu i primi
rudimenti del sistema il quale può darsi non solamente tra le note dello stesso
oggetto, ma anche tra più oggetti, secondo il campo su cui si esercita
l'attività soggettiva. Intendere logicamente il sistema significa fissarlo nel
suo minimum primitivo ed in una forma più com plicata e seguirlo a mano a mano
sinoallaforma piiz completa in cui cessa di essere puro sistema e di venta
sistema funzionante, sistema di sistemi ed ganismo vivo. un si OL
L'intendimento del sistema è stata una delle pii grandi conquiste che ha fatto
il pensiero filosofico in generale ed il pensiero logico in particolare. Questa
parola che primitivamente ha significato la molte plicità scomposta delle cose
è stata ulteriormente usata ad indicare la molteplicità ordinata di esse. È la
filosofia di HEGEL che ha compreso il sis'ema nella sua forma più alta e come
non era mai stato fatto prima. Considerando Hegel l'universo come stema, si è
molto addentrato nella comprensione delle cose. E, come il sistema occupa una
gran parte cosi nel mondo della natura come in quello dello spirito, perchè
interviene in ogni grado di essi e senza il si stema nessuna cosa potrebbe
intendersi, cosi costi tuisce anche una sfera del mondo logico, tanto che senza
di esso non potrebbe intendersi il concetto che rappresenta in sommo grado
l'energia logica. Il sistema nella sua forma primitiva trova il suo
In questa forma primitiva il sistema apparisee, anche al soggetto
superiore, nel regno minerale ed inorganico od anche in tutto ciò che l'uomo,
serven dosi di materiali bruti ed amorfi, foggia pei suoi bi sogni; poichè qui
si hanno sempre forme inferiori di sistema.Qui le qualità connesse al sistema
sono co stanti finchè dura l'oggetto; non hanno una energia superiore a quella
meccanica, fisica o del chimismo inferiore od inorganico. Il sistema solare
presenta una forma più perfetta di sistema;perchè esso presenta una
molteplicità,un centro ed una periferia e gli uni di cui risulta sono di visi
fra di loro e dal centro per mezzo di grandi tratti di spazio e sono uniti al
centro del sistema riscontro nel regno minerale; il sistema della seconda
forma trova il suo riscontro nel regno della vita; ma anche qui si riproduce, quantunque
trasformato, il sistema della prima maniera. La forma più rudi mentale di
sistema si ha quando ilsoggetto aggruppa intimamente intorno alla nota più
importante dell'og getto altre note secondarie od intorno ad un oggetto principale
altri oggetti di secondaria importanza fra i quali passino rapporti più o meno
estrinseci. È questo il sistema quale apparisce alla soggettività volgare la
quale non sa considerare l'oggetto diver samente anche quando ha dinanzi a sè
un sistema nella sua più alta forma quale può apparire allo scien ziato. per
legge di gravitazione. Per quanto si osservi qui in la alto grado
di sistema, perchè ciascuno degli elementi non è autonomo,ma connesso al
centro, pure serva tra le parti di cui il sistema risulta una grande
estrinsechezza. Per trovare una più elevata forma di sistema dob biamo entrare
nel regno della vita e nei tessuti che co stituiscono l'organismo animale o
vegetale;ma anche qui il sistema si presenta in una grande e meravi gliosa
graduazione; perchè se in questa sfera gli ele menti che devono intervenire non
sono, si os non sono, come nelle formeprecedenti,esseriinorganici,ma
entidotatidi vita e di una più o meno grande energia interiore e non sono
divisi fra di loro per mezzo di distanzepiù o meno grandi,ma sono in qualche
modo in contatto fradiloro, ilcentroperò che deve implicare ilsi stema non è
sempre determinato, anzi non vi è nei sistemi dei tessuti vegetali o nei
tessuti di un'impor tanza inferiore degli animali,comeperesempio iltes
sutograssosoedil connetti vale. Per questa ragione ė più perfetto quel sistema
in cui gli elementi istolo gici che sono dotati di vita sono non solamente con
nessi od in contatto fra di loroma anche unitiinuna comunione funzionale e che
vi sia un centro ove con vergano le attività degli elementi e che l'energia fun
zionale dal centro s'irradii anche verso la periferia. E, come vi è una sola
funzione, quantunque assai multiforme, che circola pel centro e per le parti
che, per contrapporle al centro, possiamo chiamare peri feria, vi deve anche
essere la stessa identità di co stituzione chimica tra gli elementi
istologici di cui risulta il sistema. I biologi distinguono il sistena
dall'apparecchio il qnale consiste in un complesso di organi di varia struttura,
ordinatiinmodo fra diloroda compiere'una: funzione di complessa
natura.Cosisidice apparecchio respiratorio, uditivo, visivo, ecc. Inteso
l'apparecchio in questo senso, ha una importanza logica intermedia tra l'organo
ed il sisteina, superiore a quello, infe riore a questo. Ma un siste.na della
vita non ha che una funzione speciale e non autonoma; perchè è connesso agli
altri sisteini e non può compiere questa funzione senza l'in tervento e l'aiuto
di altri sistemi. È qui che l'auto nomia del sistema principia a venir meno;
perchè cia. scun sistema non fa che compiere una funzione spe ciale in un
sisteina che conprende tutti i sistemi della vita, ciò che s'indica col no.ne
di organismo. Anche dicendo sistema di sistemi si dice sempre meno di quel che
dice la parola organismu, la quale include una grande intimità e reciprocità
funzionale tra i singoli sistemi e tra gli elementi istologici di cui risulta
il sistema. Da questo punto di vistasesideve riconoscere che il sistema
circolatorio sanguigno sia un grande si stema si deve però ammettere che non vi
è nell'orga nismo un sistema più compiuto del nervoso, sia per la elevatezza
della funzione che per la meravigliosa struttura e per la ricchezza e bellezza
delle forme che esso presenta. Nel sistema una parte può venire sottratta
senza cheilrestodies30vadainrovina;maun organo qualunque dell'organismo non può
essere tolto senza che l'organismo non perda una nota fondamentale della vita,
la quale induce una diminuzione generale della perfezione organica e funzionale
e se l'organo ha una importanza grande nell'organismo adduce la caduta o la
morte di esso. La parola fisiologismo adoperata nel senso moderno (non nel
senso antico e greco secondo il quale signi fica semplice attività naturale)
contrassegna la nota più saliente dell'organismo che è la vita animale.Però il
fisiologismo non è una sfera naturale autonoma ed indipendente dalle altre zone
inferiori naturali; in esso -46 Sipuò dire che solamente in questo
secolo,pei grandi progressi che si sono fatti negli studi sulla vita in senso
largo, si è potuta comprendere la grande importanza dell'organismo. Quando si
dice che l'uni verso èun organismosivuole indicare un fattodiuna natura assai
più complessa ed elevata che quando si dice che esso è un sistema. Quegli
elementi che nel sistema diciamo parti nell'organismo diventano organi
iqualisono, è vero, parti, manonconnessialresto più o meno estrinsecamente,
come avviene nel sistema ordinario; e sono elementi attivi e funzionanti pel
resto dell'organismo tanto che contribuiscono grandemente a tutta l'energia
dell'organismo e viceversa, questo dà ad essi un alto significato che, fuori
dell'organismo, non avrebbero. Ilchimismo, quantunquerappresenti una
seriedi fatti inferiori a ciò che costituisceilfisiologismo,pure costituisce
parte integrante di questo, cosi nel senso scientifico come nelsenso
logico,tanto che senzachi mismo non potrebbe darsi fisiologismo; poichè non vi
è funzione fisiologica la quale non implichi una serie di complicazioni e
riduzioni chimiche. E, poichè non vi è fatto chimico che non implichi nello
stesso tempo fatti meccanici e fisici; il fisismo èparte integrale del
chimismo,cosi scientificamente come logicamente,e per conseguenza anche
dell'organismo. Ed il fisismo si trova nel fisiologismo non solo come assorbito
dal chimismo, ma anche come indipendente da questo. Cosi nell'organismo, oltre
ai fatti chimici si trovano fatti anche puramente fisici, quantunque questi si
tro vino in complicazione coi fatti chimici e fisiologici; ma però il soggetto
può fissarlied isolarli dagli aitri fatti e considerarli come puramente fisici.
Avviene cosi nell'organismo logico quel che avviene nella natura in generale in
cui le zone inferiori sono ciascuna autonoma e per sè e nell'istesso tempo in
al troeper altro.La meccanica e la fisica rappresentano invece sono
implicate il chimismo ed il meccanismo ofisismo (adoperando anche questa parola
nel senso moderno non nel senso antico secondo il quale vorrebb e indicare
semplicemente il fatto naturale. Si sa che la fisica moderna studia solamente
alcuni fatti della n a tura, come la gravità, il calorico, la dinamica, l'elet
tricità,la luce,la vibrazione dei corpi,ecc.). alcuni gradi della
natura dove si manifestano in tutto il loro potere.Ed anche la chimica è una
zona per sé della natura,ma frattanto in questa devono ne cessariamente
intervenire le sfere precedenti, mecca nica e fisica, altrimenti non potrebbe
sussistere come chimica.E similmente i fatti più complessi della na tura quali
sono la vita vegetale ed animale non po trebbero sussistere senza le due zone
precedenti; giac chè non vi è fenomeno vegetale ed animale senza che
v'intervengano fatti fisici e chimici. Ifisiologi,inquestiultimitempi,avendo
riscon trato fatti meccanici nell'organismo ed una certa so miglianza
dell'organismo al meccanismo, si sono stu diati a tracciare le differenze che
passano tra l'orga nismo ed il meccanismo ed hanno conchiuso che l'organismo
non è un meccanismo. Per quanto giuste sieno state le osservazioni fatte, pure
avrebbero rag. giunta una più vera conoscenza dell'organismo se avessero detto
che esso implica ilmeccanismo, quan tunque il meccanismo che si trova
nell'organismo non sia come quello che si trova nei congegni meccanici, ma
trasformato e complicato dai fatti della vita;ondeé sempre una sfera
dell'organismo. 18 Nel campo psicologico si raggiunge la sfera della
perfezione quando l'anima èdivenuta organismo degli stati suoi, di sè stessa e
dell'oggetto, ciò che è la mente; e non si raggiunge questo punto senza essere
passati pel meccanismo psichico prima e pel chimismo poi;enondimeno queste due
formediattivitàpsichica esistono sempre nella mente come due sfere
subordi nateefondamentali per essa,tanto che quando l'or ganismo mentale
comincia a decadere, permanentemente o temporaneamente, ricomparisce il
chimismo prima e poi gradatamente il meccanismo come forme autonome
psichiche,e,quandoperunaincompiuta educazione psicologica,l'uomo non raggiunge
la mente, si arre sta al chimismo. Il meccanismo psichico pure contras segna la
vita animale e l'ultimo stadio di decadimento della mente già compiuta. La
parola organismo trova più propriamentelasua applicazione, che non la parola
sistema, quando si vuole significare in modo saliente quel che sia la famiglia,
la società o lo Stato.La molteplicitàdegliin dividui funzionanti di cui una
società risulta,l'essere questi individui animati da un fine comune che è lo
spiritonazionaleecheècomeilcentrodelle individua lità,la varietà di classi,di
funzioni, di aspirazioni, di attività in cui si possono scorgere tanti fini
secon dari o aspetti speciali e necessari del fine comune,onde non tutti
gl'individui partecipano all'istesso modo al raggiungimento di questo fine,
ilpermanere dello spi rito nazionale mentre gl'individui che vivono in esso e
per esso muoiono erinascono, fa diuno stato un or ganismo assai più complesso e
di un'assai più elevata natura che non l'organismo animale. E più lo stato ė
organico in questo senso e più è perfetto. Si può dire anzi che,dal primo costituirsi
dello stato sino allo stato come può essere ai giorni nostri, si nota una
tendenza a raggiungere la forma perfetta della orga nicità. Quando si parla di
organismo, sia che si tratti del l'organismo vegetale od animale, che
dell'organismo etico sihad'innanziunaltro fatto più complesso che ne rende più
difficile la conoscenza ed è che l'organismo non può essere conosciuto in sè
stesso se non è messo in relazione con tutto ciò che lo circonda. La pianta non
può essere conosciuta se non si conoscono le sue relazioni con l'aria,col
terreno,col calorico, ecc.La vita animale non sipuò conoscere pienamente se non
si vedono irapporti che la legano al cibo che rappre senta il mondo esteriore,
all'atmosfera, al clima, al luogo.Sisa che l'animaleassorbisce qualche cosadal
mondo esteriore e lo rende ad esso per altri modi e per altre vie.Anche gli
organismi etici non possono sussistere senza un ambiente non solo naturale, ma
anche etico. Uno stato non può esistere senza il suo territorio,senza un
determinatoclima,senzaiprodotti delsuolo,come non pno aver una vita spirituale
propria senza assimilarsi il pensiero degli altri stati, senza essere in
rapporto con essi e senza esercitare un'azione sugli altri stati. Il soggetto,
passando dall'oggetto in cui questo è una mescolanza a quello in cui è un
sistema ed a quello in cui è un organismo, compie un lavoro giu dicativo
chimico progressivamente intenso.Conseguen temente larappresentazione
dell'oggetto sidetermina sempre più e diventa anche essa sistematica ed
or Perchè si abbia il concetto
logico le note di cui il concetto risulta devono essere comprese tutte nel loro
organismo, di ognuna di esse deve vedersi la neces sità e l'importanza; poichè
se di qualche nota non si sa vedere la necessità, cioè se non si vede diessa la
connessione al tutto e dalle parti o agli altri organi od alle altre parti
dell'oggetto, mediante un giu dizio intimo od una serie di giudizii, non si ha
più ilconcettologico; siha allorala rappresentazione logica. Sicchè la
rappresentazione logica si ha non solamente quando delle proprietà che
costituiscono l'oggetto una o parecchie sono viste nella loro con nessione
intima con esso e le altre sono viste acci dentalmente, ma anche se l'oggetto è
compreso,nella maggioranza delle sue note, nel suo sistema e nel suo organismo
e solamente una nota di esso non è vista nel sistema o nell'organismo, non si
può dire che si abbia allora la conoscenza compiuta dell'og getto;sihasempre
una conoscenza inferiore cheè ganica non solo in sè stessa, ma anche in
connes sione con altre rappresentazioni; cosi anche a mano à mano la
rappresentazione bruta e puramente psico logica diventa rappresentazione
logica. Ma quando l'oggetto o la rappresentazione di esso è un sistema od un
organismo, allora siamo innanzi ad una nuova zona logica che è il concetto che
vuol dire conoscenza sistematica ed organica delle cose. Cosi si può fare una
distinzione precisa tra la rappresentazione logica ed il concetto
logico. Poichè la conoscenza sistematica ed organica del l'oggetto è
l'ultima a raggiungersi dal soggetto,s'in tende che prima di averlo pienamente
raggiunto, un certo numero di note ha dovuto essere considerato come
inesplicato od accidentale e non è stato espli cato se non dopo un ulteriore
studio del soggetto. La perfetta conoscenza di un oggetto o di un fatto può non
essere stata raggiunta dall'individuo che pensa;ma può possedersi dagli
scienziati o conser varsi negli annali della scienza; può ancora non es sere
stata raggiunta dagli scienziati. In tutti e due questi casi si è nella sfera
della rappresentazione lo gica, non del concetto. Finora i logici non han fatto
distinzione tra r'ap presentazione e concetto ed han contrassegnato l'una e
l'altro insieme con la parola idea. Si sa che la pa rola idea è stata
largamente usata dai filosofi greci, dai filosoa del Medio-Evo e del
Rinascimento e dai filosofi moderni e contemporanei. Quantunque dallo studio
delle opere di Platone e di Aristotele appari sca che questi due grandi
filosofi abbiano bene di stinto quel che ora si dice conoscenza rappresenta
tiva dalla conoscenza perfetta delle cose,la opinione dalla verità,pure
essi,usando la parola idea, pare 32 la rappresentazione logica. In questo
caso una o pa recchie note sono considerate come inesplicabili ed accidentali,
mentre le altre sono considerate come ne cessarie ed esplicate (la nota
esplicata è la nota con nessa all'oggetto mediante l'atto giudicativo).
che non abbiano tenuto conto di questa distinzione e l'abbiano invece
adoperata per indicare indistinta mente l'una cosa e l'altra: ciò che,
trattandosi di un fatto di tanta gravità per la scienza, non può non ingenerare
confusione ed equivoci nella mente del lettore. Gli stessi equivoci hanno
sostenuto, adoperando la parola idea i filosofi del Medio-Evo, del Rinascimento,
i filosofi moderni e contemporanei. Non si deve però noverare tra questi HEGEL
il quale frequen:emente nei suoi libri accenna alla differenza che deve pas
sare tra la rappresentazione e la nozione od il col cetto. E se è vero che
anche egli fa moltissimo uso della parola idea, l'adopera però per indicare il
si stema od i vari gradi del sistema dell'universo; ed in questo caso è chiaro
che la parola idea deve corri spondere al concetto. Ma, anche posteriormente
all'Hegel,ilogici, ado perando la parola idea, non han creduto necessario
dichiarare se essa deve corrispondere alla rappresen tazione od al concetto;
però nel fatto l'hanno adope rata per indicare l'una cosa e l'altra
indistintamente come si vede dai trattati di logica che circolano per le scuole
di tutte le nazioni. E vi sono anche alcuni logici che adoperano promiscuamente
le parole idea e concetto;ma non si può dire che la parola concetto che essi
usano corrisponda a quel che si è detto do vere essere il concetto, anzi,
stando a certe divisioni che essi ne fanno, si deve conchiudere che per concetto
essi intendono la rappresentazione. Cosi essi, tra le altre divisioni dei
concetti, ne fanno una in concetti chiari ed oscuri,distinti e confusi, completi
ed incompleti; ma un concetto che sia oscuro o con fuso od incompleto deve
essere una rappresentazione non un concetto. Per l'uso equivoco che della
parola idea si è fatto per tanti secoli e perchè può ancora ingenerare con
fusione nella mente, sembra necessario il non doverla più adoperare,tanto più
che le parole rappresentazione e concetto,che sono anche esse due parole
classiche, corrispondono benissimo a distinguere due gradi dif ferenti di
quello che i logici hanno indicato con la parola idea. La parola concetto
ha nella lingua latina ed ita liana un significato assai profondo e complesso;poiché
esprime l'ultimo e più compiuto risultato di un pro cesso, di una serie di avvenimenti
i quali hanno avuto il loro punto di partenza in un fatto che è il loro
presupposto necessario e la loro possibilità.E questi avvenimenti devono essere
legati fra di loro con legame tale di successione che ciascuno di essi non può
rappresentare che un dato grado del processo, non può prodursi cioè prima che
si sieno dati altri gradiod avvenimenti più o meno elementari che esso pre
suppone e da esso devono prodursi altri gradi più c o m plessi i quali menano
al pieno risultato del processo. Cosi si vede che la parola concetto include w
a storia e che questo processo concettuale si riscontra non solo nella natura,
nel suo insieme, ma anche in ogni grado di essa con questo diparticolare che
più ci eleviamo nelle sfere alte della natura, quali sono la sfera della vita e
dell'umanità,più questo processo. lin si esegue compiutamente e,
relativamente, in breve tratto di tempo ed ogni proprietà di ciascuno entedi
queste importanti zone della natura compie insieme con le altre proprietà una
storia. Quel processo che avviene nella vita dell'animale e della pianta
risponde bene a quel che è un concetto. Si sa che la pianta ha il suo punto di
partenza nel germe che può considerarsi come il grado infimo di essa,di là dal
quale non vi è nulla della pianta. Partendo dal germe la pianta attraversa una serie
di gradi,lo sviluppo delle foglie e la trasformazione di esse nel fusto, nei
rami, nei fiori e nel frutto che racchiude il seme, ciò che segna il grado ed
il limite ultimo dell'esistenza della pianta; onde essa parte dal germe e
ritorna al germe. Si può dire che nel germe sono implicati tutti i gradi della
pianta e che il grado che segue alla trasformazione del germe lo include come
un presupposto necessario e cosi pos siamo dire del grado successivo
relativamente ad es:a. È stato dimostrato che il fiore è una trasformazione
della foglia ed il frutto è una trasformazione del fiore e perciò anche della
foglia e che anche il seme sia una foglia trasformata; onde nel frutto sitrova
come un grado ad un presupposto necessario il fiore e perciò anche la foglia,
all'istesso modo che nel fiore sitrovalapossibilitàdelfrutto.Ora lastoria com
piuta della pianta si ha quando essa attraversa tutti questi gradi e si
considera uno di essi come quello a cui mirano i gradi precedenti, cioè il
frutto ed allora 56 possiamo dire di avere il vero concetto
della pianta. Cosi quando diciamo concetto diciamo anche sviluppo. Da ciò si
vede che il processo del concetto che è il concetto stesso delle cose non deve
essere inteso come una progressione aritmetica.Da un grado non sipassa
all'altro mediante una aggiunzione di qualche cosa a -- Ma gli
avvenimenti di cui risulta il concetto non solo devono essere legati fradi loro
pel nesso di suc cessione ma anche pel nesso di coesistenza; giacchè, quando il
concetto è dato,esso rappresenta un com plesso di avvenimenti o di proprietà le
quali ha con quistato e conservato nel suo processo,di cui ciascuna è
necessaria, benchè non necessaria all'istesso modo
chelealtre,perl'attualitàdelconcetto;enon po trebbe mancare senza che il concetto
venisse sconvolto o degradato. Però bisogna bene intendere questo conservare
che il concetto fa delle proprietà che acquista, nell'at traversare tutti i
gradi necessari prima di attuarsi pienamente; giacchè le proprietà di un grado
non sono conservate come precisamente tali nel grado seguente, ma sono
conservate ed insieme trasformate e complicate. Cosi nel fiore non abbiamo la
somma delle qualità della foglia insieme con quelle del fiore; ma le qualità della
foglia si sono trasformateinquelle del fiore, di modo che vi si conservano ma
non come puramente tali,son divenute cioè proprietà nuove.E questa
trasformazione avviene in tutti i gradi che il concetto
attraversa. qualchecosaltro il quale, dopo l'aggiunta,rimanga come
puramente tale insieme con la cosa aggiunta, di modo che l'ultimo grado possa
essere considerato comelasommadeigradiprecedentiedincuiigradi precedenti si
conservino come puramente tali. In vero iprimi filosofi hanno compreso il mondo
come una progressione quantitativa;peressilaveritàdelle cose non era che un
risultato di una moltiplicazione o di una sottrazione dell'istesso principio
naturale; e l'esplicazione dell'universo dal punto di vista m a t e matico e
quantitativo è stato quasi sempre tenuto di mira dai pensatori e dagli
scienziati. Anche aitempi nostri in cui le scienze particolari possono dare
larghi contributi per arrivare ad una concezione organica delle cose e
dell'universo, è sempre il punto di vista quantitativo che esercita le più
grandi attrattive su gli scienziati, anche quando si tratti di argomenti i più
complessi ed ipiù remoti dalla quantità pura,come la vita sociale o nazionale o
la vita organica; si sa che anche ai giorni nostri ilcervello,come organo
supremo dellavitaorganicaementale dell'uomo, sicrede non po tersi altrimenti
intendere che considerandolo dal puuto divistaquantitativo.Ma ènotoche Platone ed
Aristotele avevanointravistochelamatematicaedilnumero sono insufficienti per la
comprensione piena delle cose e che l'Hegel e VERA, apiùriprese,hanno molto
insi stito nel far vedere l'importanza limitata della mate matica nel sistema
dell'Universo e nel far vedere che il sistema delle cose non può essere
compreso che dal punto di vista qualitativo e specifico il quale
però presuppone come un elemento subordinato la mate matica, ciò che è ben
diverso. a numero, quantità a quantità, mentre la chimica va
dall'identico al non identico, che è il vero processo delle cose. Il processo
chimico non esclude il processo matematico;perchè non può esservi processo
chimico senza il processo matematico; si sa che la chimica procede aggiungendo
atomi ad atomi, molecole a molecole, ciò che è processo quantitativo e, mentre
nella sfera della quantità, aggiungendo quantità a quantità, questa è
semplicemente aggiunta o sovrapposta a quella la quale,dopo questa nuova
aggiunzione, nulla acquista enulla perde della sua natura qualitativa
primitiva; aggiungendo all'in contro chimicamente atomi o molecole specifiche
ad atomi ed a molecole specifiche, viene come risultato un corpo avente
proprietà nuove, tutte diverse dalle proprietà che avevano gli elementi di cui
si compone il nuovo corpo. Si sa che l'idrogeno e l'ossigeno di cui sicompone
chimicamente l'acqua hanno proprietà diverse dalle proprietà che ha l'acqua. E
ciò si può dire di tutti i corpi composti relativamente ai corpi semplici di cui
risultano.È questo illato importante e meraviglioso del processo chimico. Noi
crediamo che il principio chimico, la cui importanza è sfuggita agl’antichi e
si è vista solo ai tempi moderni, possa, più del principio matematico,
esprimere bene il vero svolgimento delle cose; giacchè la matematica procede
dall'identico all'identico, aggiungendo numero a numero, Sembra ora
assodato dalla scienza chimica che l'immensa varietà dei corpi composti
inorganici ed organici si possano tutti scomporre in quei pochi e determinati
corpi semplici ora conosciuti. Ebbene, in qual modo con cosi pochi corpi
semplici si possono ottenere corpi innumerevoli con proprietà differentissime
gli uni dagli altri? Semplicemente mutando le disposizioni chimiche o molecolari;
od aggiungendo semplicemente una molecola di un nuovo corpo a molecole
costituenti prima un altro corpo o moltiplicando una molecola specifica di un
corpo composto di determinate molecoleo sottraendone alcune ad alcune. È questo
processo che ci dà corpi di natura tanto differenti e diversi. Ma se la
chimica occupa un largo campo nella natura, dalla materia prima alla materia cher
aggiunge la più alta forma complicativa, alla sostanza nervosa, dappertutto nella
natura essendo vi più o meno lente e continue complicazioni o semplificazioni chimiche,
il principio però chimico, quello secondo il quale di due o più cose od
elementi che si uniscono si forma un nuovo grado il quale ha proprietà nuove e differenti
da quelli dai quali risulta, rimane non solamente nella natura ma anche nella
storia delle cose naturali ed in quelle dello spirito. L'ANIMALE non s'intende
aggiungendo alle note che costituiscono LA PIANTA, la sensibilità ed il movimento;
e se è vero che ALCUNE QUALITÀ DELLA PIANTA SI TROVANO NELL’ANIMALE, queste
hanno assunto una natura tutta nuova nell'ANIMALE, tanto che, rigorosamente
parlando, ciò che costituisce LA VITA DELLA PIANTA non si rinviene punto COME
TALE nell'ANIMALE; perchè quelle note che costituiscono la pianta sono
nell'animale elevate ad una nuova zona e vivificate e complicate e moltiplicate
da una nuova vita. La nutrizione dell'animale è tutta differente dalla
nutrizione della pianta, all'istesso modo che la struttura organica della
pianta differisce dalla struttura animale. Ciò porta necessariamente una differenza
notevole nella storia della pianta ed in quella dell'animale. Sicchè tutto è
nuovo nell'animale relativamente alla pianta e si ha nell'animale una nuova e
complessa serie di proprietà tutte differenti dalle proprietà vegetali. Cosi
una proprietà che si aggiunga modifica tutte le altre proprietà, come fa la
sottrazione di una data proprietà o funzione nell'animale. Nella storia
organica e psicologica del REGNO ANIMALE troviamo dominare lo stesso principio.
Giacche, se vi è una vasta scala di specie animali, in ciascuna specie la
modificazione di una data proprietà organica e psichica, relativamente ad altre
specie, adduce con sė una corrispondente trasformazione di tutte le altre
proprietà organiche, funzionali e psichiche. Cosi la forma esteriore degl’animali
non è indifferente al loro grado di energia funzionale e di energia psichica. La
sensibilità è varia secondo le varie forme organiche, secondo le varie forme di
sistema nervoso. I movimenti sono vari secondo che è varia la sensibilità ed è
vario il sistema schelettico ed il sistema muscolare. Una Inoltre
l'individuo come tale ha attribuzioni che non -varietà organica dunque
non si ha senza avere unà varietà di tutte le altre proprietà e funzioni
dell'animale; cosi di ogni proprietà animale. Si sa inoltre che alla VITA di
uno stato devono con correretante condizioni, tanti fattori. Ma c'inganniamo se
crediamo che ciascuna condizione non eserciti secondo il suo grado alcuna
azione determinante su tutte le altre condizioni e perciò su tutta la vita
nazionale. La ricchezza non è nè il solo fine né il solo fattore di una nazione.
Ma uno stato ricco può avere un gran mezzo per creare condizioni necessarie ad
elevare lo spirito di una nazione in tutti i suoi aspetti, a far felice la fa
miglia e gl'individui; e d'altra parte uno spirito nazionale elevato trova
molte vie aperte all'acquisto della ricchezza. I grandi individui
contribuiscono a far grande una nazione e d'altra parte sono le grandi nazioni
che fanno le grandi individualità. Un'alta vita reli giosa non può intendersi e
compiersi che nelle grandi nazioni e d'altra parte lo spirito religioso dà un
ele vato contenuto all'arte,allaletteratura, spingegliuo mini alle
investigazioni scientifiche e filosofiche, può dare indirizzi nuovi alla vita
politica, commerciale, economica dei popoli, può dare un'impronta speciale a
quel che sidice spirito nazionale. Ciascun fattore della vita sociale dunque,
mentre è modificato dagli altri fattori, dal loro grado di energia o di
decadimento, contribuisce a modificare,svolgendosi,quale che sia il suo grado,
gli altri fattori. ha come faciente parte della famiglia in cui acquista
nuove e più alte qualità,onde,senza il sacrifizio e senza l'abnegazione
dell'individuo,lafamiglianon può vivere una vita rigogliosa. Cosi le
attribuzioni della famiglia sono differenti da quelle dello stato, quan tunque
senza la famiglia lo stato non potrebbe essere, essendo questo costituito di
una moltitudine di fa miglie e perciò d'individui, i quali nello stato acqui
stano nuove e più alte qualità; onde nello stato le famiglie e gl'individui non
sono come sono fuori dello stato, Il principio chimico domina cosi la vita
della n a tura e dello spirito,non ilprincipio matematico, quan tunque la
chimica implichi e presupponga lamatema tica senza la quale né il chimismo, nè
la natura, nè lo spirito stesso potrebbero essere.Onde,sepuò dirsi che il
chimismo è lo schema dell'organismo delle cose, la matematica può dare lo
schema quantitativo del chimismo e per conseguenza dellecose; ma perquesto è
più lontana che non la chimica dalla realtà che non può intendere e che è sopra
tutto qualitativa; ed è la chimica che fa intendere il concetto e che costi
tuisce la seconda zona logica e che è parte integrante della vita del concetto
più che la quantità la quale può corrispondere alla prima zona logica.
S'intende che qui si parla del chimismo logico, non della chi mica come sfera
della natura, la quale ha anche essa il suo concetto, come qui si parla della
matematica come principio logico;non della matematica come sfera
speciale del pensiero e delle cose; poichè come tale ha anche essa il suo
concetto. Sicché non si nega che la matematica possa dare un certo schema della
realtà e che perciò non sia una certa logica; si afferma solamente che essa ci
dà uno schema assai povero della realtà, che non ce la fa intendere. In vero la
logica classica non è stata che la logica matematica e se vi sono oggi dei
logici i quali, coltivando la logica intesa matematicamente, credono di
coltivare una nuova logica, essi s'ingannano, quantunque però diano nuovi
svolgimenti alla vec chialogicalaquale,se nonpuòesserelalogicadella vita e
dello spirito,può essere però la logica delle sfere inferiori della natura, della
meccanica, in tutti i suoi gradi, e della fisica intesa come grado della natura
in generale. Si sa che tutti i fatti meccanici e fisici possono ridursi a
formole matematiche, quan tunque allora non saranno la meccanica e la fisica
che ci guadagneranno, le quali sono sfere molto più con crete e ricche che le
matematiche pure; onde,ridotti i fenomeni meccanici e fisici a schemi
matematici, essi perdono la loro concretezza, perchè sono semplificati (le cose
non potendo essere intesa che dal punto di vista semplificativo
ecomplicativoinsieme;onde,s'in tende la meccanica e la fisica non solamente
quando sono intese matematicamente, ma quando sono intese matematicamente ed
insieme meccanicamente e fisica mente; in quel caso guadagna però la matematica
la quale estende i suoi confini). I fatti però meccanici e fisici
dell'organismo non sono cosi facilmente riducibili a schemi matematici; non
avendosi allora il meccanismo ed il fisismo puro od inferiore, ma ilmeccanismo
ed ilfisismo come gradi dell'organismo,onde quei fatti sono allora determi nati
da cause chimiche ed insieme fisiologiche e per ciò sono di una provenienza
oscurissima e complica tissima; perchè il fatto meccanico o fisico può essere
effetto di moltissime e svariate condizioni organiche e sono nello stesso tempo
effetto e causa di altri fe nomeniorganici.Cosisipuòdiredei fenomeni psi chici
e sociali; onde, per quanti sforzi la matematica faccia per entrare in questo
regno, essa non potrà impadronirsene mai, potrà però calcolare matematica mente
i fenomeni estrinseci di essi.Ciò conferma sem pre più il principio che non può
essere la matema tica lo schema della realtà; ma è il chimismo. Aristotele, il
primo grande logico dell'antichità e quasi il fondatore della logica, le cui
dottrine per secoli hanno doininato e dominano ancora nelle scuole, perché non
si possedeva ai suoi tempi una conoscenza profonda della natura e dello spirito
come si possiede ora, non poteva darci che la logica quantitativa che si può
considerare come il grado primitivo e più ele È lo studio profondo dei
fenomeni biologici come in gran parte è stato compiuto ai nostri tempi, che può
farci vedere la grande importanza del processo logico chimico per raggiungere
il vero concetto delle cose;e ciò non era possibile prima dei nostri
tempi. mentare della logica. Hegel poi può dirsi il fonda tore
della nuova logica più per avere fatto vedere l'insufficienza della logica
classica ad intendere la realtà anzichè per averci dato compiuta la nuova lo
gica;e ciò perchè anche ai suoi tempi gli studi na turali e biologici non
avevano raggiunto quell'alto grado cheraggiunsero posteriormente. Nondimeno
l'ap parire della logica di Hegel segna nella storia un'e poca
grandiosa;poichè,per mezzo di essa sono state poste le basi e si sono fatti i
primi passi della lo. gica reale come può aversi e svolgersi ai nostri tempi.
Inteso il concetto come l'ultimo risultato del pro cesso storico e chimico
delle cose non ha più quel l'importanza che ha nella logica classica il capitolo
della comprensione e della estensione dei concetti, in cui il concetto è inteso
solo quantitativamente. Bisogna distinguere il concetto che sta per co.n piersi
dal concetto compiuto; quello può essere chia mato concezione o concepimento
che indica appunto l'atto del compiersi del concetto. Ora nell'atto che il
concetto si forma attraversa vari gradi di cui cia scuno, se è considerato come
arrestato nel suo c a m mino,può essereconsiderato come unconcettopersė; e si
considera come grado di un altro concetto se as sume qualità e forme nuove di
esistenza tanto che puòcorrispondere adun concettopiù compiutodiesso; ed in
questo caso esso fa parte della concezione o del concepimento del nuovo
concetto; e ciò può dirsi di ogni concetto. Considerando da questo punto
di vista l'universo, si scorge facilmente che ogni sfera,ogni grado di esso è
insieme concepimento e concetto, cioè è assorbito e complicato chimicamente in
un concetto più alto e nello stesso tempo può essere considerato come un con
cetto in sè. Questo duplice fatto forma dell'universo un vasto sistema e
nell'istesso tempo un grandioso organismo;perchè ciascun concetto è in sè e per
sè ed insieme in altro e per altro. conce Questo principio si osserva con
evidenza in tutte le zone delle mondo della natura. I minerali ed i feno meni
fisici sono insieme in sè e per sè in una deter minata zona della natura
(concetti); ma essi sono per la chimica relativamente alla quale sono
pimento.Cosi la chimica rappresenta anche una de terminata zona del mondo
naturale;ma, mentre è in sè, e perciò è un concetto, è anche concezione;perchè
la chimica è per la vita della pianta e dell'animale e perciò, mediatamente,anche
ilminerale è per lavita. Nel regno della vita questo processo diconcepimento
continua; perchè, quando è data la forma infima della vita vegetale, si passa
da forme vegetali semplici a forme gradatamente e successivamente più complesse
sino all'ultima forma vegetale che potrà dirsi la più compiuta.In questo
processo quei gradi che inatura listi dicono specie rappresentano appunto la
conce zione della pianta;per cui ciascuna specie èinsieme concetto e grado del
concetto superiore.Lo stesso può dirsi della pianta relativamente all'animale e
del mondo della vita animale in generale. Quando si considera l'uomo nell'ordine
della natura sembra che in lui si abbia l'ultimo risultatodellastoria e del
processo naturale; ma d'altra parte l'uomo non è per sè solamente; perchè egli
è quel che è per la famiglia e per lo spirito nazionale che egli contribuisce a
formare ed in cui vive e si muove,all'istesso modo che lo spirito nazionale è
per Dio che è il puro per fetto spirito in cui perciò si ha il vero concetto ed
a cui tutta la concezione dell'universo aspira; perchè Dio non è più per altro
ma per sè ovvero ė inaltro per sè; e tutta la vita ed il movimento della natura
e dello spirito terreno non sono che un processo di ele vazione a lui e fuori
di lui non sarebbero e non po trebbero esplicarsi. Cosi vi è un solo concetto e
l'universo è una serie di concepimenti che sono relativamente concetti.E questi
concetti costituiscono un processo di compli cazione che è chiuso tra due
limiti estremi, il massimo ed il minimo. Il limite minimo si ha nell'elemento
primo della naturaeperciò del pensiero,diqna dal quale vi è il sistema e
l'organismo dei concetti, di là dal quale vi è il nulla della natura e del pen
siero. Come tale questo limite minimo dei concetti può essere concepimento od
elemento del concetto che segue ma non concetto.Il limite massimo ècostituito
dal concetto assoluto, di là dal quale vi ha del pari il nulla e di quà dal
quale vi è tutto ilsistema e l'or ganismo dei concetti. Ciò posto i concetti
sono nella natura e nello spi Le cose sono cosi in se stesse, obbiettivamente,
con cezione e concetti; ed il soggetto, volendo conoscerle, deve seguire lo
sviluppo di ciascuna di esse, dal suo primo ed infimo grado sino alla sua più
compiuta realtà;deve seguire il processo del formarsi e del trasformarsi delle
proprietà costituenti l'oggetto che siconcepiscesinoalsuoultimostato,come
avviene degli enti morti o sino al massimo grado della sua energia, come
avviene degli esseri viventi o degli or ganismi
etici.Quandoilsoggettoavràcompiutoquesto lavoro psicologico insieme elogico di
concezione in modo che questo processo corrisponda alprocesso obbiettivo
rito, e perciò nel pensiero,dispostiinmodo seriale; onde ciascun concetto che è
tra i limiti ha un prima ed un dopo ed è concetto del concepimento 'precedente
e concepimento del concetto seguente.Non sipuò dire però che il concetto che
precede sia compreso come tale e nel senso della logica classica e con tutti i
concetti precedenti dal concetto seguente; poichè il chimismo che domina il
processo dei concetti non a m mette la comprensione nel senso classico, che è
conside ratain senso puramente quantitativo. Del pari non si può dire che
ciascun concetto si estenda in altri concetti; perchè esso è chimicamente
assorbito e trasformato dal concetto che segue immediatamente e non si può tro
vare come semplicemente tale in altri concetti'; onde la estensione secondo la
logica dei secoli non risponde al vero; perchè in questa i concetti sono
estrinseci gliuniagli altri, per cui non vi è organismo di concetti. della cosa,
egli allora avrà raggiunto il concetto di essa: ciò che può dirsi cosi dei
singoli concetti o di un si stema di concetti che del concetto assoluto. L’economia
nella vita dell’animale e dell’uomo. L’attività economica è una nota
propria e fondamentale della vita animale ed umana. Essa è rappresentata
prima dalla fisiologia, cioè dalle funzioni dell’organismo. Ogni funzione
organica, studiata analiticamente, dimostra una dualità, cioè due
termini: l’organismo vivente che rappresenta l’unità degli organi funzionanti;
e il mondo a lui esteriore con cui è in continuo rapporto (alimento, ossigeno
dell’aria, acqua, calore, luce, ecc.). L’uno dei due termini scisso dall’
altro annullerebbe insieme con la vita l’attività economica; e l’organismo
dovrebbe disfarsi. La vita, sostenuta da organi di elevata
struttura e costituzione chimica, implica l’ unità degli elementi istologici,
dei tessuti, dei sistemi e degli organi che la rappresentano. Ma la
funzione di ciascun organo e sistema, mentre ha un fine che si esercita o
dentro l’organismo, in aiuto ad altre funzioni, o fuori dell’organismo,
contro il mondo esteriore per dominarlo e farlo servire ai suoi bisogni,
deve implicare una continua perdita materiale degli organi funzionanti, che
si riduce contemporaneamente in una degradazione chimica di sostanze
componenti i tessuti e gli organi, dallo stato di elevata natura a quello
di più elementare costituzione molecolare. Nello stesso tempo deve
associarsi ad uno sviluppo di forze fisiche (forza meccanica, vibrazioni
molecolari, calorico, elettricità). In tal modo i due termini
debbono entrare in un rapporto molto intimo e continuo fra di loro;
giacché il termine esterno naturale, rappresentato dall’alimento,
dall’ossigeno dell’aria, dall’acqua, deve diventare interno. Infatti l’alimento
da sostanza esterna e morta, quantunque di elevata costituzione
chimica. I giacché è stata vivente, come la carne, le uova, il
latte, le erbe, frutta e semi di varie piante, modificati esternamente e
poi ingeriti dall’animale e dall’uomo, vengono ancora modificati, ridotti in
sostanze relativamente semplici. Passate poi nel circolo sanguigno
vengono ancora modificate dalla presenza dell’ ossigeno che i globuli rossi del
sangue hanno fissato per nutrire i tessuti in contatto dei quali sono
messi e dai quali si compie l’assimilazione. In tal modo il cibo
raggiunge la sua massima elevcizione; da termine esterno e morto diventa
interno e vivo. Ma qui comincia la scissura interiore, onde il termine
interno diventa per mezzo della funzione anche esso morto in alcuni
suoi elementi e le sostanze che lo costituiscono, decadute e semplificate,
vengono così restituite al mondo esterno, per mezzo dei reni, della cute,
del polmone e ancora modificate dalle glandolo di speciale segrezione; all’
istesso modo che l’energia che costituiva il termine interiore si risolve
in forze meccaniche e fisiche le quali si spengono entro l’organismo
stesso e nel mondo esteriore, anche per mezzo del lavoro. Il
termine interiore che da prima è un organismo vivente di elevata
struttura, perchè è e sussiste, si può chiamare bene, secondo lo scrittore
del j)rimo capitolo della Genesi, per cui è bene tutto ciò che è
creato da Dio; ed il termine esteriore, perchè anche esso è e
sussiste, si deve anche esso chiamare bene; ma, poiché deve essere
degradato come tale, e trasfor % maio e ridotto nei suoi
elementi; diviene male. E male il decadere, lo scomporsi, il menomarsi degli
enti. Ma, poiché dai suoi elementi di nuovo si ricompone, si organizza ed
alimenta la vita, diviene di nuovo bene; ma bene interno, come il bene
interno si trasforma in male interno airorganismo da prima, poi in male
esterno; perchè nei suoi elementi primi si trasforma in male esterno,
cioè in elementi inorganici senza una finalità superiore. Ma di nuovo può
divenire bene esterno, perchè per mezzo di essi si possono ricostituire i
beni esterni più elevati (piante, animali, ecc. Il bene cosi si trasforma
in male e questo in bene. L'antico detto corruptio unius gene ratio
alterius esprime un principio che domina il regno della vita vegetale ed
animale, giacché anche la pianta si trova in una posizione dualistica tra sè e
il mondo a lei esteriore (il terreno, Tarla, la luce) ed è perciò in lotta
con esso che tende a conquistare, come questo è in lotta con la
pianta. L'animale è in una lotta più intensa col suo termine
esteriore, la natura, come questa % è in lotta contro l’animale.
E questo lo schema più semplice della vita vegetale ed
animale. Distinta cosi l’attività economica in due termini e fatta l’analisi
di questi, apparisce più chiaro il concetto generico di economia.
Quantunque questa parola sia stata adoperata la prima volta in Grecia ed
intesa come legge, amministrazione della casa, implica anche il concetto
di soddisfazione, di godimento, che gli animali e noi abbiamo di qualche
cosa che dalTesterno penetri nel nostro organismo. Coinvolge anche il
concetto d'integramento, conservazione, elevazione di qualche cosa di materiale
per mezzo del lavoro delTuomo o per opera della natura stessa, ma che rimane
sempre nel mondo esterno alTuomo e di cui questi può cercare di
godere. Importa notare la differenza tra Teconomia della vita animale e
quella delTuomo, che implica insieme con la vita organica o animale, qualche
cosa di superiore o mentale. Benché una grande differenza vi sia anche
nel regno stesso delTanimalità, nelle sue varie specie, dall’aniraale infimo a
quello della più complessa organizzazione, giacché dalla prima alla
seconda specie il processo della vita si va sempre più complicando
e specificando, alT istesso modo che si complica ed aumenta di
volume Torganisrao nei suoi tessuti e nei suoi organi; onde si ha
un'organizzazione più vasta e complessa, pure in quest'arapia graduazione di
animali lo schema dell* economia della vita è identico in tutti; benché
varia sia la quantità dell' alimento ingerito ed assimilato e poi
consumato e ridotto ad elementi semplici, come corrispondentemente varia
sia la somma delle forze fisiche esplicate. L'animale infatti, a
qualunque genere o specie appartenga, non vive che monotonamente, sempre
nel presente, benché varia sia la sua attività esplicata per vivere, secondo la
natura della specie a cui appartiene, e vario sia l'ambiente naturale
e climatico in cui vive. Esso non ha cura che per conservarsi e per
fuggire i pericoli che lo minacciano; cerca la tana, il cibo, e l’acqua
per dissetarsi; alleva con molta cura i suoi nati e provvede per il loro
alimento; li protegge contro le insidie degli altri animali sino a che
essi non possano vivere da sè. Non provvede pel suo avvenire e, durante
la vita, non è suscettivo, a causa delle limitate sue condizioni
psicologiche, a migliorare la sua posizione economica, come è avvenuto
pel suo passato in cui si è riprodotto sempre identicamente lo stesso
tipo e la forma del suo organismo. Dall’animale all’uomo si fa un
passo gigantesco; giacché questi, a causa della superiorità della
struttura del suo organismo e della sua intelligenza, si volge a studiare
continuamente sè e il mondo esteriore. Avendo il suo organismo molteplici
bisogni, egli si sforza di soddisfarli per mezzo delle sostanze che trova
nel mondo esterno; e, a differenza dell’animale, prevede i suoi bisogni
avvenire e provvede come può affinchè nulla abbia a mancargli pel futuro.
E, se tende da prima a sfruttare la natura, come fa l’ animale, di poi,
apprendendo da essa stessa i suoi metodi, si sforza di produrre ciò di
cui ha bisogno per vivere (piante ed animali speciali). Si apn; cosi all’
uomo il campo della produzione dei beni naturali di cui ha bisogno,
e % che può ottenere per mezzo deir ingegno e del lavoro. E
una lotta che egli deve sostenere contro la natura, che ha avuto
principio col suo primo apparire sulla terra, che è andata sempre crescendo ed
intensificandosi lungo il processo della storia e con lo sviluppo della
civiltà; e che non avrà mai fine, finché dura la vita umana. La
materia economica non può perciò essere intesa fuori della sua storia,
anzi essa fa una sola cosa con la storia delr umanità; giacché questa ha la sua
base nell' economia e senza di questa non potrebbe essere; all' istesso
modo che nessun aspetto 0 grado del mondo naturale ed umano sfugge alla
storia e fuori di questa non potrebbe comprendersi. La scienza economica
dunque deve trattarsi storicamente. È questo un tentativo che può farsi solo
oggi, in tempo di un grande sviluppo dell'esperienza e della rifiessione
umana, in cui il pensatore acquista coscienza di sé, dei propri bisogni fisiologici
e mentali e del mondo esterno naturale, in ciò che può soddisfare i detti
bisogni. Questa materia cosi deve essere studiata nei suoi due termini, il
soggetto e l'oggetto, economici, ciascuno nella sua storia e nel suo
rapporto con l'altro, senza del quale nessuno dei due termini potrebbe
sussistere sotto l'aspetto economico; e questo rapporto é tutto tra i due
termini, per lo quale questi si uniscono e dividono continuamente. È la storia
dell’umanità e della natura insieme nel loro aspetto drammatico. Nel
trattare i principii naturali di economia bisogna trarre insegnamento
prima dello studio della storia del’umanità. Ma nella storia fatta dagli
storici più valorosi e rinomati l'aspetto economico non è messo gran
fatto in evidenza; come se per loro non avesse avuto che un' importanza
trascurabile; non veniva perciò compreso e considerato nella sua
obbiettività e non si sognava che un giorno i posteri sarebbero stati
curiosi di conoscere, nei suoi particolari, il metodo e la materia dell'
attività economica dei popoli di cui si narrava la storia. Si
credeva che il cibo e gli altri beni di cui l'umanità ha bisogno
sarebbero stati sempre abbondanti e perciò non meritava che gli uomini se
ne preoccupassero. Del resto anche gli storici più recenti si sono cosi
condotti verso l’aspetto economico della popolazione. Pure in ogni scrittore
non possiamo non trovare qualche accenno alla vita economica delle
nazioni di cui si narra la storia 0, se non alla economia normale,
aireconomia patologica, come la carestia, la pestilenza, i risultati della
guerra, le emigrazioni e le immigrazioni, i perturbamenti della natura
fatti per opera della mano deiruomo, che, facendo vedere la deviazione
del processo economico normale e naturale nella storia, fanno meglio
vedere le necessità di questo. Avviene così nel campo economico
quel che avviene nel regno della vita, per cui le malattie che sono
la deviazione funzionale degli organi dal processo tipico normale
della vita, che apportano anche una corrispondente alterazione chimica,
istologica ed anatomica degli organi, hanno dato non pochi contributi
alla conoscenza delle funzioni normali della vita. Vi sono poi le grandi crisi
economiche nazionali o universali, come quella che ora si attraversa sull’
incarimento del costo della vita, un fenomeno nuovo e gigantesco che non
ha avuto l’eguale nella storia, la cui origine oscura ci obbliga a
riflettere e a meditare per risolvere l’enigma. Vi sono inoltre gli
errori della storia che il popolo stesso compie per suo proprio istinto o che
compiono gli uomini di governo, errori di cui è piena la storia e che,
con le loro conseguenze patologiche, fanno meglio comprendere il processo
logico e progressivo della storia come avrebbe dovuto essere. Cosi è
stato disastroso per la vita dei popoli il non avere compreso la natura
propria della moneta che si è voluta sempre di metallo prezioso, per
cui alla scarsezza di questa si debbono alcune rivoluzioni ed un
arresto nello sviluppo del lavoro e della produzione dei beni e r
arricchirsi di alcune nazioni che ne hanno molta a danno di altre che ne
hanno poca. Ma il presente stato economico del mondo in cui l’
industrialismo ha raggiunto un grado di vitalità • esuberante da
per tutto ed attira l’energia e V operosità del maggior numero degli
uomini i quali affluiscono nelle industrie e nelle città disertando i
campi e i villaggi, ci spinge a studiare il presente fenomeno e, mettendolo in
relazione col passato economico, ci apre la via ad intendere la storia
economica deir umanità. Ma la storia economica che fa una sola cosa con
la storia politica, artistica ed intellettuale delle nazioni, nell’
aggregarsi o disgregarsi continuo di queste, è certo un grande e cospicuo
periodo del processo logico della storia del mondo ed è anche quello più
memorabile: quello cioè che, per essere stato esperimentato primitivamente da
alcuni uomini, riconosciuto e provato da altri, aggruppati da prima in piccole
tribù o società, e poi esteso, ad altri, è trasmesso a mano a mano ai
posteri col contatto degli uomini, attraverso il loro nascere, crescere
e morire. E l’attività economica che è stata sempre viva nella storia,
quantunque abbia operato in modo inconscio agli uomini, negli ultimi due
secoli ha raggiunto uno sviluppo considerevole insieme con lo sviluppo
industriale e con l’estendersi del commercio nel mondo. Questa da prima si è
sviluppata istintivamente ed impulsivamente per mezzo dell' ingegno
dell’uomo che ha saputo trovare ed aprire le vie; poi è venuta la
scienza dell' economia industriale e commerciale, che ha riconosciuto
i fatti compiuti e ne ha formulato e cercato di spiegare le leggi.
Sicché non è stata la scienza economica che ha destato l’attività economica,
bensì questa ha dato origine a quella. Si può rintracciare dunque,
attraverso la storia intellettuale, politica e pratica dell’umanità, una
storia economica. Ma la storia politica rappresenta il processo degli
avvenimenti umani di cui si conserva memoria; si è perciò innanzi ad
un’epoca molto avanzata dalla storia, quella in cui l’uomo ha cominciato
ad acquistare consapevolezza della sua superiorità sulla natura e
della possibilità del suo dominio sugli uomini inferiori per ingegno ed attività
pratica. Ma la storia memorabile e memorata presuppone la preistoria, che
è di là dalla memoria degli uomini e che nondimeno ha dovuto preesistere alla
storia. Come nessun aspetto della civiltà e delle istituzioni umane
sfugge alla preistoria, quale il linguaggio, la politica, l’arte, la
religione, ecc., così avviene dell’economia e della scienza economica. E
la storia d’altra parte si connette alla preistoria di cui è continuazione e
complicazione, onde si può dire che nella preistoria si trovano i principii
economici più semplici ed elementari che nella storia progressivamente si
sono andati complicando; ma che sono sempre vivi ed attivi nella storia
ulteriore: ed appariscono nella loro semplicità nelle grandi crisi di economia
sociale, quando si sente il bisogno di tornare alla vita naturale e
primitiva. Non bisogna però ammettere una barriera tra la preistoria e la
storia. Ciò che fu il principio è la base odierna deir edificio
economico. Quantunque la preistoria pura e primitiva sfugga alla
nostra osservazione, pure, come è avvenuto pel linguaggio, strumento
fondamentale deirintelligenza e deir attività pratica umana e del
progresso scientifico, si può rintracciarla prendendo le mosse
daireconomia naturale che può avere rappresentato essa sola neirepoca
preistorica tutta T umanità, che di poi divenne storica, economia che
anche oggi deve essere considerata come il sostegno deireconomia storica,
industriale odierna, e senza la quale questa è destinata a fallire. In
questo senso, guidati dalla logica della realtà delle cose e dalla
psicologia speculativa, si può rintracciare il processo preistorico dell’
economia. Il punto di partenza è qui Teconomia fisiologica, comune da
prima all’animale e airuomo, giacché ambidue sono soggetti economici che
hanno la natura come termine a loro opposto. Ma, mentre, come si è detto,
la soggettività animale ha un arresto nel suo sviluppo, la soggettività
umana all’ incontro prosegue senza limiti, cercando di conoscere la natura ed
adattarla alla soddistazione dei suoi bisogni, che con la sua intelligenza sa
scoprire in sé, nel suo organismo e nella sua mente, nuove lacune
da colmare. A differenza però deiranimale in cui Torganismo si sviluppa
rapidamente, onde breve è per esso il periodo in cui ha bisogno delle cure
dei genitori, perchè ben presto può fare uso delle sue forze e rendersi
indipendente, onde vive guidato dai suoi istinti, l'uomo all’ incontro ha
bisogno di un certo numero di anni per potere da sé provvedersi del cibo
e colmare tutti i suoi bisogni. Ben presto morrebbe se, appena nato, non
avesse le cure materne, ed anche se venisse abbandonato a sé stesso
neH'infanzia e neiradolescenza. Molte altre cure poi richiede, ed anche
un certo numero d’anni, se egli vuole educarsi, esercitare un facile mestiere
od una difficile professione; e volesse elevarsi nella sfera dell’ alta
cultura, dell’arte o della scienza. In questo lungo periodo della sua
vita il giovanetto è allevato e educato dalla famiglia, o dalle
istituzioni di beneficenza, dall’iinsegnamento pubblico e dalla
religione. In tutto questo periodo dell’infanzia e della
fanciullezza il dualismo è rappresentato dal fanciullo, ente passivo
nella sua attività, e dalle istituzioni familiari e sociali, che sono il
termine veramente attivo, il quale, servendosi di elementi c vie
naturali, eleva e conduce il bambino all’attività pratica, affinchè
possa col tempo provvedere ai suoi bisogni. Il giovanetto,
diventato adulto, deve da sè solo risolvere il problema dell’esistenza,
per quanto possa essere agevolato dalle istituzioni; allora egli si
trova d’innanzi alla natura alla quale domanda i mezzi di vita 0 di
conservazione. Questi sono rappresentati dal ricovero e dall’alimento che
è fornito dagli animali e dai frutti e semi di piante; e vegetali di una
elevata costituzione chimica. Qui comincia la lotta tra 1’ uomo e la natura.
Questa è da prima provvida madre per lui, onde gli concede facilmente ciò di
cui ha bisogno, ma non senza che egli taccia qualche sforzo,
qualche fatica, andando in cerca deU’alimento, sottomettendosi anche
a gravi pericoli e spesso rimanendo vittima delle intemperie o
degli animali che egli ha cercato di abbattere e conquistare. E
questa la condizione dell’ uomo primitivo che non ha avuto dal passato insegnamenti
e tradizioni; per cui l’esperienza e l’osservazione debbono cominciare da
lui che è fornito di un organismo che si presta ad una grande varietà di
lavori; e di intelligenza che gli è guida all’ attività pratica, allo
studio ed alla conoscenza della natura della quale cosi può meglio
servirsi; e conserva memoria delle sue conquiste, passate e presenti. Ma la
natura, dà all’ uomo i mezzi di vita, purché li cerchi, non glieli assicura per
sempre. Comincia cosi l’attività per la ricerca del cibo e comincia
ancora un’epoca di disgregamento per la ricerca dei luoghi dove la natura
fosso più ferace di veg'etabili e di animali, atti a far vivere l’uomo. In
quest’ epoca, certamente non breve, si ha un grande disgregamento del
genere umano, in tutta la superficie della terra, per quei luoghi dove la
vita fosse possibile; giacché in quest’epoca in cui il lavoro collettivo non
era ancora principiato, l’uomo voleva essere solo con la sua famiglia a
conquistare e a godersi la preda. D altra parte 1’ uomo in lotta con la natura
primitiva, che si slanciava ad imprese difficili ed audaci, in tempi in
cui l’aria sulla superficie della terra era buona ed in cui
ralimentazione era prevalentemente carnea, dovea dare al suo organismo
uno sviluppo ed una resistenza ammirevole, che lo rendeva atto a
trionfare dei più grandi ostacoli che nel suo cammino potesse incontrare.
Grande era anche la potenza generativa, per cui gli uomini si
moltiplicavano facilmente. Quel genere di vita tutto naturale dava
un’educazione anche naturale all’ uomo, che gli dava la massima
resistenza all’ impresa e lo rendeva refrattario agli stimoli morbosi
sino alla vecchiezza, se fosse riuscito a superare il periodo della
fanciullezza, flrano i tempi di Ercole. In tutto questo lungo periodo
egli cerca, con l’ingegno che la vita nomade e mal sicura dell’ avvenire
rendono più acuto, a modificare minerali e legna per costruire strumenti
che rendessero più facile il conseguimento del fine di vivere; a rendere
alcuni animali adatti ad essere guidati, a viaggiare, a portare
masserizie ed a ottenere la prole di essi, anche per potersene
alimentare. Finché si é in questo stato di vita nomade ed incerta
in cui non si può essere sicuri della vita avvenire ed in cui gli
uomini tendono continuamente a dividersi, le conquiste iiella conoscenza
dei metodi per servirsi della natura vanno perdute e non é necessario il
linguaggio che é possibile quando é data una certa associazione di uomini
i quali, a intendersi scambievolmente, conservino la tradizione delle
precedenti attività limane che agevolano la vita. Tutto questo lungo periodo
della vita umana sulla terra, di una larga estensione sulla
medesima, può essere indicato col nome di 'preistoria dell’ umanità.
La quale bisogna intendere non come ristretta in un solo angolo
della superfìcie della terra, ma come diffusa da per tutto, e dove la vita
dell’ uomo fosse possibile, e rappresenta la famiglia da per tutto disgregata
in famiglie, di cui ciascuna aspirerà più tardi ad entrare nella storia e
da nomade diventare fìssa. In tutta questa lunga epoca i due termini
dell’attività economica sono r uomo e la natura; 1’ uomo il quale é uscito
da quello stato di felicità del periodo della sua fanciullezza in
cui vive a spese della sua famiglia o della carità altrui; ma
l’uomo che deve fare uno sforzo per andare in cerca dei mezzi di
sussistenza; deve cioè andare incontro ad una perdita di forza muscolare e
psichica, che, aggiunta alla perdita che apporta la vita in sé
stessa, apporta una perdita maggiore o un male interiore maggiore. La
natura, dando da viv^ere all’uomo, ha una perdita in sé 0 una
degradazione, quantunque parziale e limitata; ma questa perdita apporta
all’uomo un bene interiore. La mancanza di sicurezza dell’alimento pel
domani in questo periodo della preistoria in cui non ancora si erano
conosciuti i metodi e non si possedevano i mezzi per ottenere gli
animali di cui avrebbero potuto servirsi e nutrirsi e né anco si sapevano
conservare le carni degli animali di cui si era andati in caccia, é la
nota preminente di questo cosi largo periodo dell’umanità. La storia della
civiltà ha per fondamento la storia dell alimentazione. Il passaggio
dalla preistoria alla storia, dalla vita naturate allo stato di civiltà,
si ebbe quando si potè provedere ad un alimento che potesse conservarsi per
qualche anno, assicurando così il prolungarsi della vita umana ed il
fissarsi di alcune popolazioni in dati siti della superficie della terra
dove la produzione di date sostanze alimentari potesse avvenire. Scambio e
stimoli economici Si eiiira cosi in un altra c più elevata sfera
deH’attività economica che è quella dello scambio (e questo avviene
cosi nella zona industriale propriamente detta che in quella naturale
ed agricola). Si cominciano così a formare dei piccoli mercati in cui r
uomo vende e compra. Jla s’ intende che, prima che nella storia si
stabilissero dei veri mercati, queste operazioni di scambio avvenivano
egualmente, quantunque in modo più vago, appetiii ai)parve la libertà e l’
elezione nel lavoro dell’uomo. Nella sfera dello scambio si ha una
maggiore facoltà di acquisto ed un risparmio di tempo e di forza (ciò che
è propriamente r attività economica); perchè il soggetto economico vende
ciò che ha prodotto facilmente e bene per acquistare ciò che da sè stesso
non avrebbe i)otuto produrre che male e con molta perdita di tempo. E ciò in
generale; perchè l’ ingegno umano poti ebbe in ciò darci una smentita, non
essendo molto rari quegli uomini che hanno saputo tanto bene educare il
loro ingegno e 1.1 loio attività pratica da diventare valenti produttori
di una varietà di beni e in modo perfetto. E questo avviene cosi
per la produzione dei beni inferiori e materiali che dei beni superiori
ed artistici. Importa notare che lo scambio può avvenire tra questi
e quelli, come con le attività intellettuali dell’uomo. Cosi il
letterato, r uomo istruito e dotto, l’ insegnante, il medico, l’ ingegniere, l’
avvocato, scambiano il loro sapere, la loro dottrina e l’arte, con beni
materiali. Anche nella sfera dello scambio, l’acquisto implica una
perdita, quantunque la perdita sia ridotta al minimo; perchè quello che
il produttore perde gli è costato relativamente poco lavoro, mentre quello
che acquista è per lui un guadagno, perchè ha un prodotto che si suppone
buono, che egli non avrebbe potuto eseguire, anche perdendo molto
tempo. Per mezzo del lavoro artistico dunque la produzione dei beni
si specializza, mentre questi si possono moltiplicare senza limiti,
perchè ognuno può trovare nell’uomo una sorgente di bisogni da colmare e
nuove comodità che si desiderano, nuovi beni che riescono a quel fine. E
poiché in tutti gli uomini si ha r istesso metodo e perciò gli stessi
bisogni che si tende a soddisfare, i nuovi beni prodotti sono ambiti da tutti.
Ma qui deve intervenire l’opera dell’istruzione che sveglia e fa
riconoscere aU’uomo i propri bisogni e fa sviluppare in lui il desiderio
di soddisfarli. Moltiplicandosi i beni che l’uomo ambisce,
egli può acquistarli tutti col suo prodotto particolare che alla sua volta
viene ambito dai produttori dello merci altrui, con le quali egli scambia
la sua. Il principio economico qui non solo si conserva, ma si eleva ad
una più alta potenza di acquisto. Ma più tardi 1’uomo ha avuto un
istrumento d’acquisto non solo nel suo ingegno e nelle sue forze
muscolari, ma anche nella macchina che egli, aiutato dalla conoscenza
delle leggi meccaniche ha prodotto ed applica ancora alla produzione di
una grande varietà di beni. E necessario qui promettere che
la macchina come invenzione umana è stata preceduta dalla macchina che è
insieme nell’organismo animale ed umano. L’ organismo infatti è
insieme meccanismo; e se come organismo è qualche cosa di più
elevato del meccanismo che implica, come meccanismo non cessa di
essere macchina; macchina organica si, ma sempre macchina. Lo schema della
macchina si ha infatti in tutti gli organi e i sistemi più importanti
deH’organismo; nel cuore col sistema vasaio annesso; neU’apparecchio digestivo
con le sue glandolo, come in ciascuna glandola; nell’apparecchio respiratorio;
nei reni e nella vescica; nel sistema osseo-muscolare-nervoso. L’occhio
è una macchina, come l’orecchio. Anche nel cervello si trovano gli
elementi più complicati della macchina; all’istesso modo che le funzioni
di tali organi sono insieme funzione e meccanismo. È proprio della
macchina costruita dall’ ingegno umano il venir "•uw'mo'' Hìacchina die è ormo Ne oiganismo, anche essa
per mezzo di questo.nuove l.i macchina esteriore, sia
immediatamente che mediatamente per mezzo delle forze
fisiche.uiawmente, L’apparire della macchina è stato accolto con grande
entusiasmo da tutto il mondo, perchè ha portato una fraudo rivo uz.one
nel campo della produzione, poiché l’A accresciuta co.isierc^olmcnte; ma ha
anche contribuito ad una maggiore speCK hzzaz.one d. produzione. E poiché la
macchina è stata applic a anche al trasporto dei beni in tutto il mondo, per
mare e PCI terra, ha anche contribuito ad accrescere in modo come
non era possibile prima, il commercio mondiale. Sicché ol! e solamente
possibile a pochi uomini godere di una grande J-h nomi I che sono
nel mondo. Si ha cioè il grandioso fenomeno de la umversalizzazione del
godimento dei beni. È questo nsuUato di una lunga storia nell'attivirà
degli scambi che pimcipiata in modo limitato, tra individuo e individuo,
per una’ lunpo tra vari aggruppamenti umani, tra varie popolazioni e
mi/ioiii, e tra tutte le parti del mondo. È questa veramente la
pffffcernza.' dell’industrialismo S’intende che se prima lo
scambio comincia cedendo merce per merce, e in certe condizioni questo
può sempre avvenire lo scambio e.1 commercio che rendono accessibili le
merci da |.cr t„„o, h„„ dovuti avvenire con la moneta che é,m mé.t
tei mine, inventato da governi, tra due merci o più merci; per cui «1
lavora, cioè si danno le proprie forze, il proprio ingegno e a
propria produzione, per guadagnare danaro e si ambisce questo per provvedersi
di tutti i beni di cui si ha bisogno. Segue ancora che, in ragione che la
produzione, gli scambi e il cL-moneta ìr^nmiido; È qui necessario far notare
che, se la parola stimolo interlene a ogni passo nella trattazione dei fenomeni
fisiologici e pa ologici, come nei fenomeni psicologici, intendendo la
psicoogia in tutta la sua ampiezza, in tutte le sue forme e in tutti i
suoi gradi, apparisce chiara la necessità dell’ intervento frequente di
questa stessa parola anche nello studio dei fenomeni economici, giacché anche
questi hanno un fondamento fisiologico e psicologico, senza il quale non
potrebbero essere. Così nella produzione si ha uno stimolo interiore a
produrre, il bisogno interiore organico e psicologico, immediato o prossimo,
che deve sparire, facendo col lavoro esistente il bene che si desidera:
l’immagine interiore cioè deve tradursi in atto col lavoro produttivo e
che diventa anche stimolo esteriore, la materia esteriore ottenuta col lavoro,
per mezzo della coltura (sostanze vegetali) o con rallevamento del
bestiame (sostanze organiche). Queste debbono alimentare e far vivere 1’
uomo, trasformando la materia morta e bruta che deve dargli alcune
comodità o godimenti dell’ animo. Si ]Hiò dire che sono gli stimoli e gli
stati interiori a spingere 1 uomo all attivila; e più questi sono numerosi ed
elevati più muovono l’individuo al raggiungimento dei suoi materiali
od alti filli che egli vorrebbe vedere tradotti nel mondo reale. Ma
alla sua volta gli stimoli interiori sono il riflesso di stimoli esteriori, di
oggetti già percepiti o immaginati. È questo ciò che si esprime con la
parola ambizione umana la quale, se è la nota preminente dei grandi
uomini è anche una nota importante degli uomini mediocri e d’ infimo
ordine, giacché ogni uomo, secondo il grado della sua costituzione
mentale e della conoscenza del mondo esteriore, naturale ed umano,
vorrebbe far suoi tutti i beni che conosce, sia di basso che di elevato
ordine. Il cibo è uno stimolo per l’alimentazione e la fame è uno stimolo
per provvedersi del cibo. Cosi il gusto letterario e le conoscenze
scientifiche possono essere uno stimolo interiore per ajiprofondirsi nel
campo dell’arte e delle.scienze. Non solo sono stimoli i due
termini economici, oggetto e soggetto, 1 uno per 1 altro: nia è anche
stimolo il mezzo termine fra le due merci o tra il soggetto e l’oggetto,
cioè la moneta. L come è nota della natura umana l’insaziabilità dei beni
materiali e spirituali, quando questi siano conosciuti; ciò che è difficile,
come 1 illimitatezza nell’acquisto, cosi avv^iene per la moneta. Di questa
anche 1 uomo non è mai sazio di possederne; perchè riconosce in essa una
possibilità ed uno stimolo per acquistare altri beni. Ed il possesso è di
vari gradi. Vi è il possesso limitato della moneta, per quanto questa possa
essere grande, e di essa l’uomo si contenta e che vuole o conservare o
spendeie, 0 di questa egli si serve come stimolo per la produzione di
nuove ricchezze. Proprio quando la vita economica, industriale,
commerciale, è molto complessa ed estesa, e tutto il mondo umano
sembra un grande mercato come è ora, per cui grandi sono i bisogni
c le richieste dei beni da per tutto; e l’ambizione umana si
estende ed intensifica ovunque, allora la ricchezza può essere
adoperata come strumento (stimolo) per acquistare nuove ricchezze.
Cosi viene stimolata la sete deH’uorno per l’acquisto indefinito
della ricchezza; perchè vi è richiesta di tutti i beni che egli
conosce e di cui vuole godere, come da per tutto viene apprezzato e
richiesto il lavoro dell’uomo..Si comprende in tal modo come piu
sovrabbonda il danaro in una società, più gli uomini.sono spinti all
attività pratica e cresce la loro ambizione per guadagnare e godere. Uomini che
hanno quest’aspirazione e non hanno danaro, ma riconoscono di avere
ingegno, forza muscolare e tempo per arricchirsi, ricorrono al prestito del
danaro. Ma cosi si entra in una categoria economica più elevati, quale è
appunto il presfito, il cui polo opposto è il capitale. Il semplice
possesso della ricchezza, sia questa rappresentata dalla moneta o da
altre specie di beni immobili e mobili o da prodotti industriali od
artistici, se è come semplice servizio personale o della famiglia, non
merita il nome di capitale. Si richiede invece che essa si.a data in
prestito. ll capitale-prestito cosi rappresenta un più alto grado dello
scambio; e, come in questo, ciascuno dei due termini o soggetti economici
acquista e perde, cosi avviene nel capitale-prestito; ma anche qui la
categoria di acquisto e perdita implica una più elevata economicità. Cosi
colui che prende in prestito acquista la ricchezza ma la perdita e
rimandata aH’avvenire; si ha cioè il bene presente; ma la perdita che
dovrà aversi nell’ avvenire consisterà non solo nella restituzione del
capitale, ma anche nell’ interesse convenuto. Frattanto l’uso provvido ed
economico del capitale avrà dovuto fargli acquistare nuove ricchezze. Anche
nuove ricchezze acquista il capitalista, cedendo temporaneamente la sua
ricchezza ad altri; ma va incontro anche ad una perdita temporanea della
sua ricchezza durante il periodo della sua cessione; perchè non se ne può
servire. Col capitale e col prestito l’attività economica da una
sfera limitata e quasi individuale, quale è quella dello scambio, da
prima in una ristretta cerchia, s’ingigantisce ed estende da prima in ciascuna
nazione e più tardi gradatamente in tutto il mondo; con la fondazione o
moltiplicazione delle banche che dànno una grande diffusione al capitale
e al credito, stimolando l’attività economica produttiva e portando la
diffusione delle merci da per tutto. E ciò con l’aiuto della macchina che
ha moltiplicato e specializzato la produzione dei beni industriali
e li fa penetrare, come vi fa penetrare anche i beni naturali, in
tutto il mondo umano. Ma per quest’attività si richiede l’ ingegno;
all’istesso modo che l’esercizio di essa fa sviluppare l’ingegno. La
produzione dunque della ricchezza capitalizzata e capitalizzante, per cui si
tende sempre a ridurre al minimo la perdita, nello stesso tempo che
si tende a jiortare al massimo l’acquisto, deve essere sempre l’obbietto
dell’attività del soggetto economico. Me questa che già fece esistente il
capitale si affievolisce, l’oggetto per mancanza di governo e di direzione
tende ad arrestarsi nel suo processo e, per le mutate condizioni
esteriori, tende a deviare, a perdere la sua potenzialità di acquistare ed a
venire cosi scemato come semplice ricchezza. Sicché, se dalla produzione
diretta primitiva alla produzione capitalistica si ha una progressione
per cui pare che la ricchezza si produca da sé, indipendentemente dal
soggetto, pure l’attività di questo deve intervenire, cercando di farla
progredire ed accrescere. Deve prevedere il cammino che si può e si deve fare e
provvedere alla conservazione della ricchezza ed alla sua diflusione proficua;
ciò che è il lavoro di critica e di speculazione che il soggetto deve
tare. Ad ogni modo questo lavoro, se implica una piccola perdita di tempo e di
forza organica e psichica, pure riduce con l’esercizio al minimo questa
perdita; onde si può dire che se il lavoro di produzione che da prima è
grande, secondo la quantità e la specificità d’impiego del capitale,
esso è di poi menomato e perciò agevolato; anzi deve al meccanismo,
guidato dall’ intelligenza, il suo grande sviluppo. All’incontro nella
produzione naturale il soggetto deve sostenere una lotta intensa contro il suo
oggetto, la natura indomita e ribelle, che può essere vinta temporaneamente ma
non definitivamente; giacché essa offre sempre nuove difficoltà al
soggetto produttore, anzi si può dire che dai primi tempi della vita umana
sulla terra, queste difficoltà si sono andate sempre accentuando. E ciò
perchè, se la natura da prima, dopo uscita dal suo stato selvaggio, dava
facilmente all’ uomo i suoi prodotti, col progresso del tempo gliene ha dato
sempre meno, anche essendosi moltiplicato l’ ingegno e il lavoro dell’ uomo
volto contro di essa. E ciò mentre gli uomini si moltiplicavano ed
accrescevano con la loro associazione i loro sforzi per la produzione
agricola. Sembra che d’ oggi innanzi il lavoro dell’ uomo contro la
natura per obbligarla a produrre ciò di cui ha bisogno diverrà sempre più
intenso ed i mezzi più necessari alla vita diverranno sempre più difficili a conquistare.
In altri termini la lotta tra l’uomo e la natura diverrà sempre più
intensa; perchè la finalità di questa è in opposizione alla finalità di quello;
ed una conciliazione solamente è possibile alla condizione che ciascuno
dei due termini conceda all’ altro qualche cosa di sé, senza annullarsi,
anzi sostenendosi l’ uno con l’altro. Questo fa vedere che r uomo deve
essere limitato nelle sue pretese verso la natura e che, se questa deve
dare qualche parte di sé all’ uomo, non può e non deve dare tutta sé
stessa se non a costo di annullarsi; perchè allora anche la natura,
dominata dall’ uomo ed alla quale questi domanda i mozzi di vita, dovrà
venir meno alle sue promesse, producendo in lui le più grandi delusioni.
Frattanto, mentre i prodotti dell’industria si moltiplicano
indefinitamente e progressivamente da per tutto, in quantità e qualità,
richiedendo questa un esiguo lavoro muscolare e meno tempo, ciò che
incoraggia l’ irregimentazione dei lavoratori, tanto più perchè questi vi
hanno la promessa di una vita agiata e comoda, quasi sempre in città,
senza sospettare che un giorno avessero a scarseggiare gli alimenti
necessari alla vita, i lavoratori delta terra, all’ incontro debbono sostenere
una lotta lunga faticosa ed intensa per procacciarsi di che vivere. Del
valore e delle sue forme inferiori Le attività economiche, come
quelle fisiologiche, sono cosi connesse ecl intralciate fra di loro che
l'esposizione logica e sistematica ne riesce oltremodo difficile, Non si può
trattare un aspetto, una categoria economica se in essa non intervengano,
sottintese o manifeste, altre categorie. Sicché da prima si può avere una
conoscenza parziale o sconnessa di alcune funzioni; e solamente dopo che
si è raggiunta la piena conoscenza di tutte, si può principiare a vederle
ordinatamente. È que.sta la ragione della difficoltà nello spiegarsi i
fenomeni economici. E l’ordine consiste nell’universalizzazione dei vari
principii e nel1’ unificazione di que.sti in tutte le loro gradazioni, in tutti
i loro movimenti, nei loro reciproci rapporti, tanto da apparire
come lo svolgimento di un principio solo. Sotto quest’aspetto molto
importante è il principio del valore in economia politica, cosi in quella
naturale come in quella industriale; e in tutte le istituzioni umane nelle
quali questo concetto interviene. Ma solo una esposizione storica e
sistematica, in che consiste la vera trattazione logica della dottrina, può
farcela intendere in tutti i suoi gradi ed aspetti. Negli ultimi
tempi si è parlato di valore in materia di arte di scienza, di filosofia,
di religione; ma poiché in tali rami di attività umana, cosi come sono
stati trattati, la dottrina del valore non é dedotta da un principio più
universale che comprenda e questi e tutti gli altri rami del mondo
naturale ed umano, quella trattazione riesce incomprensibile e vana. E,
benché si possa dire che la filosofia e la religione implichino la più
alta sfera del valore, pure, se esse vengono considerate come
per sé, senza alcuna comunicazione col resto del mondo, non come
il risultato di uno svolgimento e di una storia, il concetto del
valore che da esse si può trarre non deve essere soddisfacente. E se il
valore è una categoria universale che interviene in tutti i gradi
deiressere, nel mondo metafisico, come nel fisico e nello spirituale, in
ciascun grado ha un aspetto particolare, ha qualche cosa d'identico e di
differente con la stessa categoria di valore degli altri gradi del mondo
reale. Far distinguere perciò le differenze dall’ identità del valore in
ciascun grado della realtà è il dovere di colui che tratta questa
materia. Da prima potrebbe sembrare che la teoria del valore si
identificasse con quella del bene; ed in vero vi è molta identità fra le
due categorie. Però del bene i filosofi e i moralisti hanno dato più un
concetto comprensivo che analitico e storico; ed alcuni Tànno
identificato con Dio stesso, il sommo bene. Essi hanno anche fatto notare
la varietà dei beni che sono nel mondo e l'ànno anche sistematizzati;
hanno messo il bene e tutti i gradi di esso in correlazione col male e
con tutti i mali possibili. Ma la dottrina del valore include quella del bene e
del male insieme, però le compie, mettendole in una posizione dualistica
ed unitaria insieme, quasi drammatica; scinde cioè la materia in due termini in
lotta fra di loro, rorganismo e il mondo esterno che ha valore per
quello, può cioè tornargli a bene; vede una dualità tra l'anima, la mente
e il mondo esterno. E se nella prima zona l’organismo vivente deve accettare
e subire il mondo esterno quale è, pure reagendo contro di esso; nella
seconda zona r anima e la mente possono modificare per sè il mondo
esterno, elevandolo; o produrre addirittura qualità nuove neiroggetto. E
questo l’aspetto nuovo ed originale della dottrina del valore, il cui regno in
verità é quello della vita organica, vegetale ed animale, le zone cioè
superiori della natura; ed anche quello deH’aniraa umana, nelle sue
attività inferiori e nelle superiori, intellettive, pratiche ed anche
creative, che sono i gradi più eminenti del mondo umano. L’attività umana
perciò diventa essa stessa una forma altissima di bene, il bene attivo,
limitrofo a Dio stesso: non il bene immobile che può anche menomare se
stesso e il suo termine opposto che presuppone e per cui è; può produrre
cioè il male, dal quale può, è vero, di nuovo nascere il bene che rientra
nella sua ricostituzione storica e progressiva. Ma, se r organismo e la
mente rappresentano il regno e la vitalità del valore, essi non esauriscono
tutta la natura; vi è in questa qualche cosa che essi presuppongono,
senza di che non potrebbero essere e muoversi; e che si può dire il
loro presupposto. E se si va a fondo nello studio della natura
questo che noi chiamiamo presupposto si risolve in una serie di
presupposti, una serie di gradi di cui ciascuno è presupposto e
presuppone altri. E questa è pure un’ ampia zona del valore che si può
dire puramente naturale, la quale, studiata, apparisce come l’unità e la
sistematizzazione di altre sottozone. Si ha cosi la zona fisica la quale
comprende e quella della materia e quella delle forze. Sembra a prima
vista che questa sia come chiusa in sè ed isolata dal regno della vita e
perciò fuori il mondo del valore. Forme superiori del valore
Il processo ascensivo e discensivo, chimico, minerale, il quale, non
bisogna dimenticarlo, è sempre un processo di elevazione e di menomazione
insieme del valore, diventa più intenso in quella sfera più elevata della
chimica che è 1’ organica in cui entra in composizione il carbonio. Pure
quest’ attività è relativamente qualche cosa di semplice se si studia in
sostanze singole che sono fuori dell’ organismo vegetale ed animale o
estratte da questi. Ma se si.studia entro di questi, l’ intensità
trasformatrice del movimento chimico e di valore organico diventa
straordinariamente complessa, quantunque questa complessità sia minore
nella pianta e maggiore nell’animale. In quella è considerato il lavorio complicati
vo mentre è vivente; e con la morto si ha il lavorio analitico. Nella
vita interna dell’animale albi contro intensissimo è il lavorio di
scomposizione, come è quello di composizione e di reintegramento, in tutti
gli atti della vita, sia considerata in ciascuna cellula e in ciascuna
fibra che in ciascun organo o sistema e nell’ unità funzionale di questi.
Qui il concetto del valore, cosi in ciascuno elemento della vita,
come in ciascun organo e tessuto e nell’ insieme dell’organismo vivente,
diviene di tanta molteplicità, complessità e varietà, che la mente umana
non può seguirlo in tutti i suoi elementi e in tutti i suoi intimi
processi. Vi è una più alta regione della natura, rappresentata
dalla vita animale e vegetale nel loro insieme, come si svolge nel
mare dove vivono insieme piante ed animali in lotta fra loro; e sulla
superficie della terra che è rappresentata dal bosco nel cui mezzo gli
animali vivono e prosperano, come è avvenuto nelle epoche primitive della
natura vegetale ed animale. Qui ciascun animale, ciascuna pianta, è un
elemento della vita natumle, animale e vegetale, nel suo insieme e nella sua
universalità, nella quale si può riscontrare, in proporzioni ancora vaste
ed universali, il processo di elevazione e di riduzione, che si ha in
ciascuno organismo vivente, onde piante e generazioni di piante muoiono
ed altre nascono, come animali e generazioni di ammali muoiono ed altri
nascono; ed alcuni servono di cibo (hanno un valore) per altri: la
corruzione degli uni è la venerazione degli altri. Ma per la vita vegetale ed
animale hanno un valore ancora il clima, le condizioni atmosferiche, le
condizioni del suolo ed anche le condizioni storiche di questo; giacche la vita
vegetale ed animale nella loro lunga storia, come elidono a modificare lo
stato del terreno, contribuiscono ancora a modificare la vita vegetale ed
animale, onde animali si nutrono m modo più o meno rigoglioso di piante e di
altri animali; e la dissoluzione delle piante e degli animali rende più
energica la vitalità delle piante. hin qui vi ò un processo
puramente inconscio di movimenti naturali e di elementi, di cui gli uni
hanno valore per gli altri, -la, benché l’animale distingua ciò che può
avere un valore Ku- lui (positivo o negativo), come l’alimento, l’acqua,
la tana, .1 c ura pei figli, la ricerca del clima a lui propizio, la fuga
dai leiicoli, alcune di queste cose sono un prodotto puramente naurale,
che l’animale trova d’ innanzi a sé; solo alcuni animali ivendo il potere
limitato di costruirsi il nido e la tana altre i Olio tenomeni istintivi.
Apparso l’uomo con l’intelligenza di cui è dotato, che egl’esercita e sul mondo
circostante e su sé stes.so, il suo organismo I sua anima, e tutto ciò
che ha fiuto suo, nel mondo esterno Ultra la natura e gli elementi che la
costituiscono, acquistano I 11 pili alto valore. Studiando sé stesso, egli
non può non avvcrtire e scoprire i bisogni, le lacune che si generano conti1
uamento nel suo organismo e nel campo della sua mente; e con la sua
intelligenza prevede i bisogni avvenire. Nello stesso t ‘inpo, essendo
messo in rapporto col mondo esterno, egli studia questo negli elementi,
nelle qualità e proprietà, che lo costituis-ono, nei suoi movimenti; cerca di
adattarlo a sé; e non solo d colmare i suoi bi.sogni per mezzo di qualche
cosa, di qualche elemento di esso;
ma anche di elevare il proprio benessere, di assicurarlo per sè ed i suoi
per l’avvenire. Tutto questo processo è avvenuto dal principio della
storia dell’ uomo sulla terra e si è andato progressivamente affermando,
intensificando e svolgendo, sino a noi. E non solo non si è arrestato; ma con
lo studio progressivo della natura, nella sua materia e nelle sue
forze, .sembra voglia assumere proporzioni più vaste anche nel
nostro tempo in cui non si lascia nulla di tentare e di studiare
per applicarlo al miglioramento ed al progresso umano. Questo lavoro
l’uomo ha compiuto empiricamente ed inconsapevolmente dai primi tempi; e più
tardi in modo più o meno scientifico, organico e progressivo. Cosi deve
essere inteso il progresso che l’umanità ha fatto nel campo del sapere. A
questo progresso nel regno della conoscenza si è andato sempre associando
un progresso nell’ attività pratica la quale è divenuta anche materia di
studio per l’ uomo; questi due ordini di attività essendo 1’ uno
indivisibile dal’ altro e l’uno stimolando 1 altro nel suo sviluppo. A
questo processo coiioscitivm e pratico, che implica un lavoro distintivo
delle cose si è associato un progresso nel linguaggio. Ad ogni atto
distintivo o cosa distinta applicandosi una nuovni parola, ciò ha
contribuito al lavoro di associazione e di conservazione delle conoscenze
e delle attività umane. Sarebbe un lavoro importante ma lungo
seguire questo fenomeno nella storia, per cui si è riconosciuto un valore
ad un dato minerale, ad una data pianta o animale, che hanno contribuito
alla soddisfazione di un bisogno organico o al mantelli mento della vita
o a dare certe comodità. Si è riconosciuto nelle parti di alcune piante e
nelle sostanze animali un valore nutritivo e conservativo. E il primo valore
che l’uomo ha cercato nelle cose è stato quello che ha potuto contribuire
a mantenerlo in vita, come ha tatto 1 animale. Sono state cioè le cose
necessarie che egli ha cercato. Fatto sicuro del vivere, egli ha cercato
a ben vivere; quindi la ricerca e l’uso delle cose utili. Ma, accanto a questa
attività, si è sviluppata quella inventiva, per cui egli, aiutato sia dal
suo ingegno che dalle scoperte scientifiche, ha cercato di costruire
istrumenti, congegni, apparecchi e più tardi, macchine, che
contribuissero a modificare le inatGrie che dovessero essergli utili. Sicché da
una parte ha impiegato le sue attività intellettive a scoprire, nei regni
delia natura, elementi, sostanze, energie, che potessero giovargli, dall’altra
ha cercato di trovare i mezzi per servirsene. Queste attività dal
loro più primitivo inizio nella storia sino a noi, attraverso i millenni,
si sono andate svolgendo ed estendendo con l’estendersi delle comunicazioni e
delle associazioni umane. Sarebbe una ricerca importante seguire nella
storia il processo per cui 1’ uomo, singolo da prima, ha trovato
un’utilità in un dato animale, in una pianta o in un minerale. Si può
rintracciare questo cammino nelle letterature antiche, medioevali e
moderne di tutte le nazioni; giacché in varie epoche si vedono nominati
speciali metalli, piante ed animali, ai (]uali o alle parti dei quali 1
uomo ha attribuito un valore e di cui si é servito. Così l’uomo mano a
mano ha aggiunto al valore delle cose, latente ed inconscio, un nuovo
valore. E, se da prima questo era qualche cosa di limitato, più tardi al
primitivo valore si sono aggiunti nuovi valori, nuovi usi della cosa;
nuovi congegni si sono inventati, nuovi metodi si sono adoperati per poter
estrarre la cosa, modificarla, farla servire ai vari usi della vita;
metterla in commercio affinché tutti gli uomini ne godano. Tanti
metalli e metalloidi che dalle epoche primitive della natura erano
sepolti nelle viscere della terra, aventi una semplice potenzialità di
valore chimico, vengono disseiipelliti dall’uomo ed ai quali la civiltà
moderna dà alte attribuzioni economiche, come l’oro, 1 argento, il ferro,
il rame, il solfo, il carbonio, ecc. Hi sa che se presentemente ipiesta sola
unica sostanza, il carbonio, venisse a mancare, tutto il ritmo della vita
contemporanea verrebbe arrestato. Giacché é un istrumento di
moltiplicissime attività tisiche, meccaniche, chimiche e perciò, si può
dire, rende possibile la vita economica del nostro tempo. Ma questi bisogni
acciescono l’attività umana la quale si volge a rintracciare le sostanze
di cui ha bisogno, da per tutto, cosi sulla superficie ionie nelle
viscere della terra. Anche le forze fìsiche le quali prima erano in balla
della natura, come le forze meccaniche, il calorico, la elettricità, sono
state non solo conquistate e dominate dall’uomo ma ancora dirette e
specializzate per la produzione di certi dati movimenti, beni o comodità
della vita. La forza meccanica e l’elettricità hanno dato un impulso
straordinario alla civiltà odierna. Più tardi l’uomo crea e dà certe
attribuzioni di valore alle cose, come fa con la moneta, tanto necessaria
al mondo economico. Inoltre il valore acquista un nuovo e più alto
contenuto ed un significato nuovo nel mondo psicologico ed artistico,
come nella sfera religiosa. Ma in queste ultime e così alte sfere
dell’attività umana tale dottrina merita una trattazione a parte. Nicolò Raffaele Angelo
D’Alfonso. N. R. D’Alfonso. Nicolò
d'Alfonso. Keywords: principii economici dell’etica, valore superiore, valore
inferiore, economia, principio di economia di sforzo razionale – scambio,
exchange – worth, assiologia, valore economico, l’economia di Platone,
l’economia di Aristotele, linceo, dissertazione su Kant ai lincei – naturalismo
economico – no positivista – critica a la psicologia criminologica positivista,
Amleto, lo spettro di Amleto, Macbeth. Linguaggio e mente, il sole luminoso,
l’oggetto rotondo, la pianta fiorisce – logica reale – psicologia del
linguaggio, la storia del linguaggio, storia e prestoria. Refs.: Luigi
Speranza, “Grice ed Alfonso” – The Swimming-Pool Library, Villa Speranza.
Alfonso.
Luigi Speranza -- Grice ed Algarotti: la ragione
conversazionale e l’implicatura conversazionale – scuola di Venezia – filosofia
veneziana – filosofia veneta -- filosofia italiana – Luigi Speranza, pel Gruppo
di Gioco di H. P. Grice, The Swimming-Pool Library (Venezia). Filosofo veneziano. Filosofo veneto. Filosofo italiano.
Venezia,Veneto. Grice: “You’ve got to love ‘il conte Algarotti’; he is the
typical Italian philosopher of language, relishing on ‘la bella lingua,’ by
which they do not mean the Roman! “La Latina, in bocca di un popolo di soldati, e concise e
ardimentosa.’” Grice:
“Algarotti thinks that the Florentines have enriched it – ‘Imagine Aligheri in
Latin!” – Grice: “All that should be lost on Oxonians, but it
ain’t!” – Consider ‘conciseness.’ One of my conversational maxims is indeed,
‘be concise, i. e. or viz., avoid unnecessary prolixity [sic].” – So, if the
Roman tongue was the tongue of soldiers, and a soldier needs to be concise in
communicating with another soldier – The justification of the maxim is in the
practice of ‘soldiering.’ With ‘ardimentosa’ we have moer of a problem!” – Grice:
“In any case, Algarotti’s excellent point is that each conversational maxim has
its root in the practice of the corresponding conversants!” -- Grice: “Nobody
can fail to be enchanted by the drawing by Richardson of Algarotti!” -- essential
Italian philosopher. Grice: “I don’t have a monicker, but Algarotti had two: il
cigno di Padova and il Socrate veneziano. Spirito
illuminista, erudito dotato di conoscenze che spaziavano dal newtonianismo
all'architettura, alla musica, è amico delle personalità più grandi dell'epoca:
Voltaire, Argens, Maupertuis, Mettrie. Tra i suoi corrispondenti vi sono Chesterfield,
Gray, Lyttelton, Hollis, Metastasio, Benedetto XIV, Brühl, e Federico II di
Prussia. Saggi. Nacque da una famiglia di commercianti. Dopo un
primo periodo di studio a Roma continua gli studi a Bologna, dove affronta le
diverse discipline scientifiche nella loro vastità. Si trasfere a Firenze per
completare la propria preparazione letteraria. Inizia a viaggiare, raggiungendo
Parigi. Presentare il proprio newtonianismo, opera di divulgazione scientifica
brillante. Il saggio è prima apprezzato, e poi denigrato da Voltaire, che dal
lavoro del suo caro cigno di Padova — come è solito appellarlo — trasse alcuni
temi dei suoi Elementi della filosofia di Newton. Voltaire e A. si sono
conosciuti personalmente a Cirey nello stesso periodo in cui l'italiano
preparava il saggio. Dopo il periodo trascorso in Francia, A. si reca in
Inghilterra, per soggiornare per qualche tempo a Londra, dove è accolto nella
Societa Reale. Tornato in Italia si dedica alla pubblicazione del Newtonianesimo.
Dopo un breve ritorno a Londra, anda a visitare alcune zone della Russia
(fermandosi in particolare a San Pietroburgo) e della Prussia. Quando il
re Federico si reca a Königsberg a incoronarsi, A. si trova in mezzo gl’applausi
e il giubilo di quella potente e valorosa nazione misto e confuso coi principi della
famiglia reale, e stette nel palco col re, spargendo al popolo sottoposto le
monete con l'immagine di Federico. Fu in tale congiuntura che questi conferì a
lui, quanto al fratello Bonomo e ai discendenti della famiglia Algarotti, il
titolo di conte, meno vano quando è premio del sapere, e lo fa suo ciambellano
e cavaliere dell'ordine del merito, mentr'era alla corte di Dresda col titolo
di consigliere intimo di guerra. Dal momento che conosce Federico né
l'amicizia, né la stima del re, né la gratitudine, la devozione e il sincero
affetto del cortigiano vennero meno, né soffersero mai alcuna alterazione. L’amicizia
fra A. ed il re e estesa anche alla sfera più intima. Il re lo volle non solo a
compagno degli studi e dei viaggi, ma altresì dei suoi più segreti piaceri,
essendoché della corte di Potsdam, ora fa un peripato, ed ora la converte in un
tempio di Gnido, il che significa: in un tempio di Venere. Utilizza la
propria influenza anche a favore degli oppositori filosofici a Venezia,
Bologna, e Pisa. Altre saggi: “Viaggi di Russia”; “Il Congresso di Citera” -- un
romanzo dedicato ai costumi galanti e amorosi rivisitati secondo quanto
osservato nei diversi luoci in cui soggiorna. Altre opere: edizione con indice
analitico – reproduzione anastatica -- Poesie -- Epistole in versi --
Annotazioni alle epistole -- Rime giusta l'ediz. di Bologna -- Elegia ad
Francisci Marive Zanotti Carmina -- Dialoghi sopra l'ottica Neutoniana -- Breve
storia della Fisica ed esposizione dell' ipotesi del Cartesio sopra la natura
della luce e de' colori. I principi generali dell'ottica -- La struttura
dell'occhio e la maniera onde si vede; e si confutano le ipotesi del Cartesio e
del Malebranchio intorno alla natura della luce e de colori -- Esposizione del
sistema d'ottica neutoniano. Il principio universale dell'attrazione --
Applicazione di questo principio all'ottica -- Si confutano alcune ipotesi
intorno la natura de colori, e si riconferma il sistema del Neutono -- Opuscoli
spettanti al neutonianismo. Caritea, ovvero dialogo in cui spiega come da noi
si veggano dritti gli oggetti che nell'occhio si dipingono capovolti e come
solo si vegga *un* oggetto, non ostante che negli occhi se ne dipingano *due*
immagini -- Dissertatio de colorum immutabilitate eorum que diversa refrangibilitate
-- Memoire sur la recherche entreprise par m. Du fay, s'il n'y a effectivement
dans la lumie re que trois couleurs primitives -- Sur les sept couleurs
primitives, pour servir de réponse à ce que m. Dufay a dit à ce sujet dans la
feuille du Pour et contre -- Le belle arti. L'Architettura. La Pittura. L'Accademia
di Francia ch'è in Roma. L'opera in musica. Enea in Troja. Ifigenia in en
Aulide: opera -- Sopra la necessità di scrivere nella propria lingua -- La
lingua francese -- La Rima -- La durata de' regni de' re di Roma -- L'impero
degl'incas -- Perchè i grandi ingegni a certi tempi sorgono tutti ad un trat o
e fioriscono insieme -- se le qualità varie de' popoli originate sieno dall'
influsso del clima, ovveramente dalle virtù della legislazione -- Il
gentilesimo. Il Commercio -- Cartesio -- Orazio -- La scienza militare del
segretario fiorentino. Discorso militare -- La ricchezza della lingua italiana
ne' termini militari -- Se sia miglior partito schierarsi con l'ordinanza piena
oppure con intervalli -- La colonna del cav. Folfrd -- Gli studj fatti da
Andrea Palladio nelle cose militari -- L'impresa disegnata da Giulio Cesare
contro a' Parti -- L'ordine di battaglia di Koulicano contro ad Asraffo capo
degli Aguani. L'ordine di battaglia di Koulicano a Leilam contro Topal Osmano.
Gl'esercizi militari de' prussiani in tempo di pace -- Carlo XII re di Svezia
-- La presa di Bergenopzoom. La potenza militare in Asia delle compagnie
mercantili di Europa -- L'ammiraglio Anson -- La scienza militare di Virgilio
-- La guerra insorta tra l'Inghilterra e la Francia -- Il principio della
guerra fatta al re di Prussia dall' Austria, dalla Francia, dalla Russia, etc. --
Gl'effetti della giornata di Lobositz -- La condotta militare e politica del ministro
Pitt -- Il poema dell'arte daila guerra -- Il fatto d'armi di Maxen -- La pace
conchiusa l'anno MDCCLXII tra l'Inghilterra e la Francia -- La giornata di
Zamara -- Viaggi di Russia -- Storia metallica della Russia -- Lettere a milord
Hervey sopra la Russia -- Lettere al marchese Scipione Maffei sullo stesso
argomento -- Congresso di Citera -- Giudicio di Amore sopra il Congresso di
Citera -- Vita di Stefano Benedetto Pallavicini -- Sinopsi di una introduzione
alla Nereidologia -- Lettera sopra il prospetto o Sinopsi della Nereidologia.
387 Risposta dell' Autore -- Gl'effetti dell'invasione dei goti e de'vandali in
Italia -- Le Accademie -- Michelagnolo Buonarroti -- Gl'italiani -- Il
passaggio al sud per il norte -- L'industria. Gl'inglesi -- Bernini --
Metastasio -- Gl'abusi introdottisi nelle scienze e nelle arti -- Le donne
celebri nella letteratura -- La difficoltà delle traduzioni -- Il commercio --
Fontenelle -- La forza della consuetudine -- L'utilità dell' Affrica per il
commercio -- Il secolo del seicento -- Ovidio -- Cicerone -- Plutarco -- I
romani -- L'etimologie -- I principi dotti -- L'eleganza nello scrivere
del Vasari e del Palladio -- Galilei -- La maniera onde si venre a popolar
l'America -- Dante Alighieri -La lingua francese -- Voltaire -- Euclide -- Le
misure itinerarie degli antichi -- La questione della preferenza tra gli
antichi e i moderni -- Il secolo presente -- Omero -- Lettere di Polianzio ad
Ermogene intorno alla traduzione dell'Eneide del Caro -- La Pittura -- Descrizione
dei quadri acquistati per la Galleria di Dresda -- La prospettiva degli antichi
-- Pitture ed altre curiosità di Parma -- Pitture di Mauro Tesi -- Pitture di
Cento -- Pitture di Bologna -- Pitture di varie città di Romagna --
L'Architettura -- Un'antica pianta di Venezia, prete so intaglio di Alberto
Durero -- L'uso dello appajar le colonne -- L'origine delle basi delle colonne
-- Descrizione dei disegni di Palladio ed altri per la facciata di s. Petronio
di Bologna -- Delle antichità ed altri edifizj di Rimini -- Delle cose più
osservabili di Pisa -- Progetto per ridurre a compimento il R. Museo di Dresda
-- Argomenti di quadri dati a dipingere a' più celebri Pittori moderni per
la R. Galleria di Dresda -- Lettere scientifiche -- Lettere erudite -- Il
Cesare tragedia di Voltaire -- EUSTACHIO MANFREDI -- Saggio tritico sulle
facoltà della mente umana dello Swift -- L'opera de natura lucis del Vossio --
Omero -- I poemi del Tasso -- Milton -- La traduzione di Omero fatta dal Salvi
-- Il poema le Api del Rucellai -- Iscrizioni ed epitaffj rimarcabili --
Sandersono -- Iscrizioni per la chiesa cattolica di Berlino -- Le traduzioni
delle sue opere -- Il moto dell'apogeo della luna -- Le comparazioni -- Gli
Scrittori italiani del cinquecento -- L'ANTI- LUCREZIO del card. di Polignac --
Gl'abitanti del Paraguai -- Alcuni plagiati de' francesi -- Le cose che i
irancesi hanno imparato dagl'italiani -- L'invenzione degli specchj ustorj di
Buffon -- L'Edipo di Sofocle -- L'ULISSE del Lazzarini -- L'elettricità -- Il
CATONE dell' Addison -- Elogio di Giovanni Emo -- I fosfori -- La doppia
rifrazione de' prismi di cristallo di rocca. -- La diffrazione della luce. 355
rocca -- Le Poesie di Gio: Pietro Zanotti -- Pope -- Lo stile di Dante --
L'opinioni del Rizzetti intorno la luce -- La stranezza di alcuni paralelli --
Il poema di Milton -- Il libro De orli et progressu morum del p. Stellini --
Elogio del Caldani -- Gl'influssi della luna -- L'abuso della filosofia nella
poesia -- Il Poema del Trissino -- La maniera di seminare insegnata da
Alessandro del Borro -- L'operetta Il Congresso di Citera -- Pregi degli
scrittori toscani -- Le due tragedie di Mason r Elfrida ed il Carattaco --
L'odi di Tommaso Gray -- La necessità di arricchire di voci toscane il
dizionario della Crusca -- La deformità di Guglielmo Hay. Il gnomone di Firenze
rettificato dal p. Ximenes -- Storia de' Dialoghi dell' Autore sopra la luce e
i colori -- L'origine dell'Accademia della Crusca -- Carteggio con Tesi --
Lettere a Zanotti -- Lettere a Conti -- Carteggio con il p. d. Paolo Frisi.
Lettere. Di Eustachio Manfredi al co. A. -- Di Giampietro Zanotti al co. A. --
Di Francesco Maria Zanotti al co: Algarotti -- Del co: A. a Zanotti -- Del co:
A. a Zanotti -- OPERE INEDITE. Lettere. Di Francesco Maria Zanotti al co: A. --
Di Zanotti al co: A. -- Del co:
Algarotti a Francesco Maria Zanotti -- Dell' ab. Metastasio al co: Algarotti --
Dell' ab. Frugoni -- Di Fabri -- Di Flaminio Scarselli -- Di Benedetto XIV.
Sommo Pontefice. -- Del co: Paradisi -- Del co: Giammaria Mazzuchelli – Di Giacomelli.
Del co: A. a Scarselli -- Del co: A. a Benedetto XIV -- Del co: A. a Mazzuchelli.
Dell ab. Clemente Sibiliato al co: A.—Di Bettinelli -- Del consigliere Pecis --
Di Beccari – Di Maffei -- Del co: Aurelio Bernieri – Di Brazolo. Di Bianconi..
Del padre Paolo Paciaudi. Del marchese Gio: Poleni. Di Antonio Cocchi. 291 Del
doge Marco Foscarini. Dell' ab. Giammaria Ortes. Di Grimaldi. Di Metastasio. Di
Belgrado.Di Bianchi. Di Temanza. Del padre Antonio Golini. 350 Dell'ab. Gaspero
Patriarchi. Di Giuseppe Bartoli. Di Pozzo. Del marchese Bernardo Tanucci. 383
Dell'ab. Spallanzani. Di Martorelli. Di Lazzarini. Del co: A. all'ab. Sibiliato.
3 Del co: A. A Bettinelli -- Del co: A. al consigliere Pecis --Del co:
Algarotti al co: Aurelio Bernieri. -- Di Federico II. Re di Prussia al co: A.
-- Del Principe Guglielmo di Prussia -- Del Principe Ferdinando di Prussia --
Del Principe Enrico di Prussia -- Del Principe Brünswic -- Del cardinale di
Bernis -- Del sig. du Tillot. Del co: A. a Federigo II -- Del co: A. al
Principe Guglielmo -- Del co: A. al Principe Ferdinando -- Dello stesso al
Principe Enrico -- Dello stesso al Principe Ferdinando di Brünswic -- Dello
stesso al cardinale di Bernis -- Della marchesa di Châtelet. Di Voltaire -- Di
Maupertuis -- Di Formey ---- Del.co: A. a Voltaire -- Del co: A. a Formey --
Dello stesso a madama Du Boccage -- Di mad. Du Boccage al co: Al. -- Del
co. A. alla stessa -- Del triumvirato di CRÀSSO, POMPEO E CESARE. È
sepolto nel camposanto di Pisa in un monumento di stile archeologizzante, tradotto
in marmo di Carrara. L'epitaffio è quello che per lui dettò il re di Prussia:
“Algarotto Ovidii aemulo” -- Neutoni
discipulo, Federicus rex". Algarotti medesimo si era preparato il disegno
del sepolcro e l'epitafio, non già per orgoglio, ma spinto dal sacro amore del
bello che anche in faccia alla morte non poteva intiepidirsi nel suo petto. Aperto
al progresso e alla conoscenza razionale, esperto del bello (si prodiga come
fautore di Palladio), fu rispetto alla filosofia un grande assertore delle
teorie di Newton, sul conto del quale scrisse uno dei suoi più noti saggi, Il
newtonianesimo. Viene considerato una sorta di Socrate veneziano e per
comprendere la sua statura di insigne filosofo con un'infinita sete di sapere e
divulgare è sufficiente porsi davanti al suo innumerevole campo di interessi.
Al di là del suo ruolo di spicco nell'illuminismo filosofico, fu anche un
diplomatico e un procacciatore d'arte. In particolare viaggia cercando
antichita romani per conto di Augusto III di Sassonia. È noto che fu a comprare
a Venezia il capolavoro di Liotard, il pastello de La cioccolataia, che poi
divenne una delle perle a Dresda. Di bell'aspetto, dotato di un aristocratico
naso aquilino (esiste al Rijksmuseum uno suo ritratto a pastello, sempre di
Liotard, nel Saggio sopra Orazio non perde occasione di far notare come questi
fosse ambi-destro, e tanto lodava i vantaggi di questa disposizione, che c'è
chi suppone che egli la condividesse. Ebbe a filosofare praticamente su tutto,
affrontandocon l'acuta attenzione dello scienziato presso ché ogni aspetto
dello scibile umano. Basti ricordare i saggi “Sopra la pittura”; “Sopra
l'architettura”; “Sopra l'opera in musica”; “Sopra il commercio”; “Poesie”. Il
demone ben temperato. tra scienza e letteratura, Italia ed Europa,
Sinestesie, Note Umberto Renda e Piero Operti, Dizionario
storico della letteratura italiana, Torino, Paravia, 195226. Ugo Baldini, BRESSANI, Gregorio, in
Dizionario biografico degli italiani,
14, Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Treccani Enciclopedie Istituto
dell'Enciclopedia Italiana. Francesco
Algarotti, in Enciclopedia Italiana, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. A.,
su Enciclopedia Britannica, A., in Dizionario biografico degli italiani,
Istituto dell'Enciclopedia Italiana. A., su Find a Grave. Opere di A., su Liber Liber. Opere di A. A. (altra versione), su open MLOL,
Horizons Unlimited srl. Opere di Francesco Algarotti,. Spartiti o libretti di A.,
su International Music Score Library Project, Project Petrucci LLC. Progetto per ridurre a compimento il Regio
Museo di Dresda su horti-hesperidum.com. Sito A. dell'Treviri, su
algarotti.uni-trier.de. La casa d’A. è aperta da settembre come alloggio turistico. A. e Palladio, su
cisapalladio. Il newtonianismo per le dame, su google.com. Opere del conte A.,
su google.Corrispondenza con Federico II di Prussia V D M Illuministi italiani
-- LGBT
LGBT Letteratura Letteratura
Teatro Teatro Categorie: Scrittori
italiani del XVIII secolo Saggisti italiani del XVIII secolo Collezionisti
d'arte italiani Venezia PisaTeorici del restauro Illuministi Scrittori
trattanti tematiche LGBT Membri della Royal SocietyViaggiatori italiani Mercanti
d'arte italiani. Il conte A. adunque per più ragioni, secondo che egli dice,
entra in pensiero, che della metà a un di presso s'avesse ad accorciar la
durata de’ regni de’ re di Roma. Alcune di queste possono considerarsi come certi
sguardi, che getta ad un traito sopra tutto il corso degli anni, che. E per
trattare ordinatamente la quistione reputo necessario l'accennare prima ditutto
il cammino, che ho avvisato dover battere per giungere al vero. Breve lavoro
sarebbe pertanto i l rispondere alle opposizioni della prima maniera, che fa
contro le epoche dagli antichi fissate alla storia de' re, in ispecie a quelle,
che sono in principio del suo saggio, le quali sono tratte, direi cosi, dalla sola
natura del soggetto. P r ciocchè alcune ch'egli aggiugne in fine del suo
saggio, quantunque risguardino in genere tutto il tempo della durata de' sette
regni, contuttociò tratte sono dagli avvenimenti narrati dagli storici, e sono
come un fidicono passati. Sotto cotesti Re. Altre, e queste sono in
maggior copia, risguardano più particolarmente ciascun regno, e s'in gegna con
tutto questo di dimostrare, com e i fatti, che dagli storici, e principalmente
da Livio ci furono tramandati, facciano guerra alle epoche assegnate da esso
altri scrittori di quelle storie; le quali ragioni io non istimo Livio
medesimo, e dagli essere di tal peso, che s'abbia -perciò ad infringere l'autorità
degli storici, ed abbre viare della metà circa la durata de'mentovati Regni.
un risultato delle osservazioni sue sopra ciascun regno. Ma riesce poi più
lunga faccenda il togliere quelle contraddizioni, e ripugnanze, che dice
ritrovarsi tra i fat tiregistrarinegli annali degli storici, e le epoche da elli assegnate.
Ben è vero, che per questo rispetto chi volesse restringersi unicamente a
mettere la cosa in dubbio, quella stessa facilità, con cui prese per guida
que’.foli Storici, che gli andavano a grado, e fece scelta di que ' foli luoghi
di questi, che gli erano favorevoli, potrebbe appigliarsi ad altro Scrittore,
oppure ammertendo gli stesii sceglier da quelli que'luoghi (che al certo non
gli mancherebbono), i quali favorissero l'antico cronologico sistema. Ma questo
sarebbe porre folianto, c o m e disli, in dubbio la cosa; anzi il far vedere,
che non mancano testimonianze in favore sia dell'una, che dell'altra opinione,
riuscireb be di non poca confusione, e darebbe a credere a' poco avveduti, che
la quistione definir non sipossa. Onde io credo, che far si debba un passo più
oltre, vale a dire non appagarsi di ridur la cosa a tal segno soltanto,che
vengano ad indebolirfi le ra gioni addotte d’A. contro l'antico Cronologico
Sistema, per m o d o che non che per l'altra, o pure anche che
venga non fiavi per una parte ragion più forte, a rendersi più probabile
l'antico Sistema, m a di più innalzarlo al grado delle cose più fi cure, che
affermar si possano di quella pri ma età di Roma:ilche per recare adef fetto si
dovrebbono esaminare le qualità, ed il particolarcaratteredi ciascuno degli
Storici, che scrissero gli avvenimenti di que' secoli, e confrontandone i
luoghi, far ragio ne dal tempo, in cui vissero, dal fine,per cui presero a
dettare le loro Storie, in somma ad operarsi per conciliarli fra di loro, ed
accertarsi per mezzo di una sana Critica della verità de'fatti, onde
chiaramente siscopra, se questi, ove sieno ben accertati, sieno poi tali, che
all'epoche ripugnino. Ora adunque seguendo lo stesso ordine te nuto dall'Autore
nel Saggio suo, allorchè mi sarò ingegnato di rispondere a quelle generali
opposizioni, ch'egli fa, e dopo che avrò delineato non dirò già un ritratto, m
a un lieve abbozzo de'tre principali Scrittoridelle Storie di Roma sottoi Re,
mi farò distin tamente ad esaminare quelle irragionevolez ze; ed anche
ripugnanze, com'ei le chiama, per cui stimò doversi abbreviar ciascun R e gno,
e per conseguente di molto, cioèdella i b metà metà forse,
doversi scemar la durata di tutti fette iRegni. Si risponde ad alcune
obbiezioni, che fa A. coniro l'antico dero no, CAPO Cronologico Sistema.
Per farci a considerar quelle ragioni, che adduce prima di tutto l'Autor nostro
nel suo Saggio, e che tutta la quistione abbraccia fa d' ilpremettere, uopo, e
che gli mette troppo bene a conto, ed è che i fatti fieno staticonservati
illesi dalla semplice tradizione, che tro egli chiama vaga, senza ajuto degli A
n nali,i quali perirono nelle fiamme, cui die 1 noftri ultimi tempi alcuni
Letterati Francesi dell'antica avanti Pirro osservato Storia molti luoghi
avendo Roma farono doverne dubitar della certezza nel qual dubbio se fosse per
avventura 'egli en trato, non opporre che, essendo il tutto dubbioso egualmente
egli un partito Ora è da avvertire prender che a questi di sottilmente, p e n
più ragionevolmente potrebbe i fatti dagli Storici narrati all'epo di mezzo per
al dero in preda i Galli la Città di Roma, e le epoche sieno state
interamente distrutte da quell'incendio, nè per quelte sole tradi zioni veruna
valendo, abbiano dovuto gli Storici posteriori immaginarsele a senno loro. Il
qual partito, soggiugne il noitro Autore, ben volentieri presero essi, trovando
modo di appagar con questo quel natural deside rio,che,nonmeno diciascuna
famiglia, ha ciascun popolo di spingere, come e'fece ro, tant'oltre quanto
poterono nella oscuri rità de'tempi la propria origine. E quello che è più lidà
a credere,che a ciò fare giustificati fossero dalla opinione, la quale ei dice
ch'essi aveano, che tante generazio ni corressero quanti Re; onde circa tre R e
gni largamente in ogni secolo si avessero a porre, essendo ogni generazione di
trentatrè anni: laddove egli pensa, che più brevi di molto sieno di Regni, non
giungendo questi l'uno fagguagliato coll'altro se non ai di. ciotto o vent'anni,
secondo che scrisse il Neurone (a), la qual legge, segue egli a dire, si vede
confermata in quella unga fe rie d'Imperadori, che da Yao infino a ' di b2 (a)
“The Chronology of the ancient kingdoms of Rome, amended by Newton. Veggansi
le due tavole Cronologiche in fine. nostri tennero il vasto Impero della
China, D a tutto questo si raccoglie fupporsi dall'Au tor noftro, che quella
vaga tradizione, la quale conservò gli avvenimenti, comechè facili a ricevere
alterazioni, a cagion delle molte circostanze, che fogliono accompagnarli, anzi
che conservò, c o m e di alcuni dovrem notare le epoche precise, in cui non
abbia potuto conservare le altre epoche più notabili, vale a dire la durata di
ciascun Regno, e per conseguen te la somma dello spazio di tempo,che ab
bracciarono tutti isette Regni insieme,quan tunque cosa non meno importante di
m o l tiffimi fatti, che pur furono da cotesta sua tradizion conservari, e non
capace di pren dere come ifatti diverso alpetto passando per le bocche degli
uomini. Non troppo ra gionevole pertanto mi sembra la sua preten. fione, e per
asserire, che gli Storicidique' primi tempi di R o m a non fossero informati di
queste epoche, farebbe mestieri produrre qualche testimonianza, o almeno
congettura, da cui si potesse chiaramente inferire che di quelle veramente
informati non fossero, la qual cosa non facendo egli, io ftimo, che non maggior
ragion fiavi per credere a' fatti, che alle epoche. Cie seguiti sono 1 Ciò
posto o è l'antica Storia di Roma del pari tutta dubbiofa, e d in questo caso
inutili sono le osservazioni sue, o è del pari certa tanto a' farti, ed
rispetto alle epoche allora non hassi a dire,che le, quanto i che sieno state
supposte ci. Senzachè se gli Storici si fossero i m m a ginato a piacer loro le
durate de'Regni se condo la legge delle generazioni, com'egli pensa, non si
sarebbono tolto la briga di far registro di quanti anni precisamente sia stato
ilRegno diciascun Re, edavrebbonodato qualche cenno d' aver seguita una tal
legge; fe pur non vogliam credere, non che seguit sero una regola da essi
giudicata sicura,ma che avessero concepito di tessere un dolce inganno
a'contemporanei loro, il che, senza che se ne adducano le prove, conceder non
si dee a giudizio mio per modo nessuno. epo da'pofteriori Stori- [il malizioso
disegno 1 Quantunque però sia abbastanza Ito, che, quand'anche tutta l'antica
Storia di Roma fi fosse, non solo ugualmente per semplice tradizione conservata
instrutti della Cronologia, che de'fatti por si debbano gli Storici mentovati;
nulla dimeno, fia per salvar dalle fiamme questa Cronologia, d a cui divorata,ma
anche più manife la presume ľ sup Aus b due (6)Quae
incommentariisPontificumaliisquepublicisprive. tisque erant monumentis incenfa
urbe pleraeque interiere. T.Liy. Dec. I.Lib. VI.inprinc. Plut. in Numa
inprinc. non che vorrà negare. Autor noftro, sia perchè resti maggiormen
te confermata la certezza dell'antica Storia di Roma (la quale a vero dire già
ha a v u to troppo più valorosi difensori di quello ch'io m i sia ) stimo
pregio dell'opera il *mostrare, che non fu poi, qual per alcuni si dipinge,si
funesto l'incendio de'Galli per gli annali di Roma. E per cominciar da Livio,
della testimo nianza di cui si fiancheggia in prima il no ftro Autore, oltrechè
mostreremo fra breve, che a lui non poco premeva di fare passar per dubbiosi
gli antichi avvenimenti seguiti avanti l'incendio de'Galli, se si considera no
attentamente le parole di lui (b), que ste non vengono a dir altro, se buona
parte de'monumenti perì in quelle. fiamme,ilche nè io, nè alcuno, penso,
Plutarco poi non dice altro, se non che, secondo quello, che avea osservato un
certo Clodio,supposte erano alcune m e m o rie appartenenti a Numa, essendo le
vere mancate nella presa di Roma. Se da questi ро . 23 due luoghi
di LIVIO, e di Plutarco si possa inferire, che abbiano gli Archivj di Roma
fofferto un generale incendio, lo lascio al giudicio de'giusti estimatori delle
cose. Se Roma fosse itata inaspettatamente presa di asfalto, non riuscirebbe
forse difficile ilcon cepirlo;ma ad ognuno è noto,che iRo mani, dopo l'infaufta
giornata di Allia, in cui furono da’Barbari sconficci, vedendo di ·non potere
per modo nessuno difendere la Città dal vittorioso esercito de'Galli,ebbero
ancora tale spazio di tempo (tre giorni
dicono DiodoroSiculo, e Plutarco) da po ter fornire di munizioni il
Campidoglio,m e t tervi alla difesa il miglior nerbo della solda tesca, i più
valorosi Senatori, e la più vi gorosa gioventù, ove ancora per teftimo nianza
del medesimo Diodoro posero in fal v o quant' oro, argento, vesti preziose, e
cose rare, che s'avessero (f): ebbero t e m b4 Diodor. Sicul, non le
Vertali di ricoverarsi a Cere, non r é itando nella Città fe non que'venerandi
vecchị, che vollero rimanervi. Ora adunque Liv ) Diodor. Sicul. Bibliot. Stor.
ed. Amft.. Plut. in Camillo. ed incerta, ma poco o nulla men pregevole delle
Storie medesime, di cui abbiamo fatto parola sopra, e per mezzo di cui, secondo
quello che abbiamo osservato, riesce non avranno o i guerrieri rinchiusi
nella roca o quelli, che lisottrassero colla fuga. all' eccidio della Città,
falvati dalle fiamme quegli antichi Annali? I n verità bisognereb be far forza
a noi medesimi per idearci Romani accesi com'erano dell'amor Patria, e
solleciti di ogni cosa, che potesse fervire alla gloria di quella, così Voffius
de Hift. Lat. O p a i della ca, ranti delle proprie poco Storie.M a supponiamo
cu che,che questi an fossero periti; il famoso Vossio Annali osserva tacciar
non per questo tica Storia dubbia credibile l'an avessero di Roma, essendo pur
anche i loro Annali, che le circon fi dovrebbe vicine Città, con tuto ad un
bisogno loro; ed in secondo alle luogo non essereda cre dere, che coloro
fra'Romani, i quali li legge vano, custodiyano duto la memoria, scriveano del
tutto: ed ci riduciamo a quella tradizione vaga,, non però,che di falsa, o cui
i Romani abbiano mancanze supplire, avessero in tal caso po per ed, Amst. CICERONE,
de Orat. de Legib. Nulla enim lex neque pax, neque bellum, nequè res ficnotata:
Corn. Nep. in Attico. Senex Historias fcribereinstituit, quarumsuntlibrisep.
Ma che serve affaticarsi di provare con congetture una cosa, di cui abbiamo
cost chiare, e sicure testimonianze? Non giunse ro gli Annali Maslimi. a'rempi
di CICERONE, e non ne reca egli giudizio in più luoghi. delle opere sue? Onde
Fabio Pirrore, Lucio Pilon FRUGI, Valerio Anziate Scrittori che furono tra
lemani dị Dionigi, e di LIVIO, avranno prese le memorie per dettare le Storie
loro, se non da'monumenti, che avanti l'incendio esistessero? Pomponio A t tico
intrinseco amico di CICERONE, che se condo Cornelio Nipote non tralasciò in certo suo libro di porre
sotto l'epoca pre cisa cosa alcuna riguardevole del popolo Romano, CATONE, il
primo libro delle Storie di cui comprende i fatti de’ Re di Roma come riferisce
lo stesso Cornelio, onde avran tratto i materiali per quest' opere loro? VARRONE
il più dotro de'Romani, uomo al tiesce
non solo ugualmente, m a più credi bile eziandio la Cronologia de'fatti. certo
ili luftris estpopuli Romani, quae non in eo,fuo tempore com,primus continet
res gestasRegum populi Romani Corn. Nep. in Cat. certo di non facile
contentatura,su che avrà fondato l'opinion sua contraria a quella di CATONE circa
al tempo della fondazion di Roma, se non sopra monumenti,che a'suoi tempi
ancora esistessero, in cui fosse accura tamente descritta quella prima età? E,va
gliami per ultimo l'autorità di quel diligen te investigatore delle antichità Romane
Dio. nigi d'Alicarnasso, quante tenebre egli non dilegua coi Commentarj
de’Censori, e con altre memorie, le quali pajono anteriori alla famosa
irruzione de'Galli, o almeno sopra quelle compilate? E non è forse da crede. re,
che a quel Dionigi, il quale dovendo per mezzo di un suo computo fissar la giu
Ata epoca della fondazione di Roma, fi Itu dia di portare tanti monumenti, per
venire in cognizione del numero d'anni, che cor sero dalla deposizion di
Tarquinio insino all' incendiodiRoma,e che circa alla durata de'Regni non muove
la minima que stione, anzi concordando con LIVIO, gli af segna il medesimo
numero di anni;a quel Dionigi,cui è data la lode di esattissimo nel fissar le
epoche, come più sotto vedremo, Dionyf. Halic: Antiq. Rom. ex ed, non
Graeco-Lat. Friderici Sylburgii Lipfiae. Che poi per vantare antichità abbiano
gli Storici allungata la Cronologia, è noto a d ognuno esserregola dell'Arte
Critica, doverfi presumere, che alcuno abbia ingan, nato sulla fola luogo bio non
nato in suo pro l'ingannare, m a doversi a d d'aver egli.veramente ciò fatto;
ed oltre a questo non può cade dur prove manifeste sopra Dionigi., come quello,
ch'essendo straniero re per modo nessuno un talsospetto non era tentato
dall'amor della patria a mentire per adularla, e che fece un particolare ftudio
di chiarire l'antica Storia di Roma. che sarebbetor non mancassero i suoi
fondamenti per accer tartaldurata,come cosa fuord'ognidub congettura, Non
istimo ora del resto dover parlare della diversità, che l'Autor nostro dice cor
Tere tra le generazioni, e le successioni de' Regni;giacchè è manifesto non
aver gli Storici seguito una tal regola, e quand'an. che seguita l'avessero
potendosi far veder di leggieri, che se per alcuni motivi da lui e dal Neutone
addotti sembra, che iRegni debbano riuscir più brevi, che le, per altri
rispetti potrebbe più lunghi restassero tazioni. Tanto più che dovrò accennare
in generazio succedere, che i Regni, che le gene ni luogo più opportuno
quelle regole ch'io stimo doverli osservare, nel fiffar queste g e nerazioni,
potendosi queste sotto diversi a f petti riguardar da ' Cronologi.
(mn)Description de l'Empire de la Chine par le P.Dus Halde.Faites de la
Monarchie Chinoise per dare a divedere, che quella rego Mi basterà per
ora notare, ch' in quella lunga serie degli Imperadori della Cina s'in •
contrano n o n una volta sola, m a diverse fiare sette Regni di seguito, i
quali se non giungono, si avvicinano però assai allo spa zio di tempo, che
tolti insieme durarono i Regni de'Re diRoma:per comprovarla qual cosa giova il
recarne alcuni esempj, che m'è venuto fatto di ritrovare ne'fatti di quella
Monarchia descritti dall'accurato P. Du-Halde (m).Nella prima.Dinastía da Ti
Pou-Kiang insino a Kiè corsero dugento e dodici anni. Nella seconda da
Tching-Tang infino a Tai-Vou passarono dugento e quat tro anni; e nella terza
Dinastía dugento 'e venticinque da Tchao -Vang insino a Li-Vang. Facilmente non
saranno questi foli i casi, in cui,non uscendo dalla serie degli Imperadori
della Cina, fecte Regni di seguito abbiano abbracciato più di due secoli; tanto
però basta la, 2.9 gi la, la quale pure è vera, trattandosi di l u n
ghissimo spazio di tempo, riesce falsa nelle itesse Tavole Cronologiche degli
Imperadori Cinesi, quando si reftringa a fette soli R e gni. Ed ecco come si
vengono a sciogliere tutte quelle diffico'tà inosse dall'Avior no stro per
diminuir la credenza, che prestar fi dee agli Storici, e rendere improbabile in
genere la lunghezza di questi Regni. Ora fa di mestieri farsi a considerare
quelle ragioni, ch'ei deduce dalla ripugnanza dei fatti, di cui fecero gli
antichi Scrittori re gistro,alleepoche,per venireadaccorciar
ciascunRegno:Seiodicesli,che concor dando a un dipresso tutti gli Storici nelle
epoche principali, e circa la durata de'Re-. gni, e discordando ne'fatti,
ilconsenso loro nello afferir la durata dee meritar. troppo maggior fede, e
pertanto doversi come lup-, posti rigettar quegli avvenimenti, e quelle epoche
particolari di alcun fatto, che taluno fra essilasciò ne'suoilibri descritte,
che ripugnano a quello, la di cui certezza è chiaramente,e concordemente da
essi affe rita; se jo ciò dicefli, mi servirei di una ragione più atta a far
forza, che a persua dere. Perciocchè resterebbe sempre una c o tal nebbia, ed
oscurità nella mente de'Lega gitori, non vedendo eglino quali oltre
a que ito fieno i motivi, per cui come falsi s'ab biano'a rigettar questi
fatti, che falli certa mente avrebbono a d essere, quando ad una verità fi
opponeffero. Laonde è convenien te o farne vedere per altre ragioni la fal fità,
o mostrarne la non ripugnanza, quan do, come di alcuni veri dovrò fare meno
avvedutamente ripugnanti, sieno stati dall'Au tor nokro creduti.Per condurre a
fine le quali cose, siccome è d'uopo far uso delle regole, che prescrive l'Arte
Critica, stimo pregio dell'opera il premetter quella, la quale più d'ogni altra
ttimali necessaria, ed è il chiarir bene a quale Scrittore s'ab bia per CAPO. Si unus aut alius (Hiftoricus) adverfus plures teftifi: Centur,
Historicorum conferendae dotes, fecundum cas je dicandum. Genuenfis in Arte
Logico-Crit. COSI. l'antica Storia Latina, i di cui av. venimenti cadono nella
nostra quiltione, a ri correre, ed in caso di disparere, a quale fi debba
prestar maggior fede. Trattasi della credenza, che prestar fi dee a LIVIO,
Dionigi d'Alicarnaso Plutarco, per rispetto ai fatti, che R a gli Scrittori, in
cui troviamo descritti i principi di quella Nazione, al di cui co fpecto dovea
tremar l'Universo, primeggia no Tito Livio, Plutarco per le vite, che stese
de'due primi Re, e Dionigi di Alicarnasso. Penso adunque esser buona cosa l'in.vestigare
prima di tutto il vero carattere di ciascuno di questi, per rispetto al
maggiore o minor caso, che far si vuole della au torità di taluno di effi per
riguardo a tal altro,ne’racconti,che pressodiloro sitrovano. per (a) Come Livio
scrive, che non erra, Dante Inf. cant. che non Fra cądono nella presente
quistione. Se farò poi in questa disamiņa precedere Tito Livio agli altri due,
si è, perchè di lui fi pregia più che d'ogni altro l'Autor nostro, e glid à ad
una voce col creatore della nostraLingua,non meno chedellano Itra Poesia la
lode di Scrittore 2 erra, la qual lode se vera se giusta sia. Livius etiam, et Curtius
artem declamatoriam affe&taffe videntur. Nimiam ftyli.curam in Hiftorico fufpettam
ho beo,Genuens. in Arce Logico-Crit. per rispetto a quel tratto della Storia
Latina', che cade sotto la controversia noftra, verrà brevemente esaminando.
pol L'andar dietro alle quistioni, e dubbie tà, che s'incontrano nella Storia
de primi tempi di Roma, il diradar lenebbie,incui si avvolgeva quell'oscuro
secolo, era cofa, che ripugnava all'indole di Livio, il qual certamente più
compiacevafi nel dipingere con quel luo vivo, e maestoso itile i bei giorni di
R o m a, che in ricercarne sottilmen te le origini traendo alla luce gli avveni
menti, che succeduti erano in quelle rimote età. Pare veramente ch'egli dovesse
te mer forte non i suoi lettorifi disgustassero, se egli si fosse messo in un
tale intricato sen tiero, sentiero, che male egli avrebbe p o tuto spargere di
tutti i fiori della sua E l o quenza; la quale fua Eloquenza però, per dirlo
alla sfuggita, rende sospetta a tal Critico la veritàde'fatti da lui narrati
(b). Principale intendimento era adunque di lui lo stendere la Storia più
luminosa di Roma, vale a dire allor quando falira a gran possanza,
ed a grande onore questa Repubblica cominciò a stender le ali Pontificum
libros annosa volumina Storia in fine, la quale troppo più che l'antica era
confacente algeniodi Livio, ed alcomun desiderio dei Romani de'suoi tempi, per
cui preso avea a dettarla.Che se Tacito parago nando le Storie de'tempi suoi a
quelle di que sto secolo, di cui favelliamo, dice, che m i nute,e poco
memorevoli farebbono sembrate le per cose, 1Uni verso. Quando, domati
finalmente i feroci popoli dell'Italia, qual rinchiuso fuoco, che rovescia ogni
ostacolo più forte, avventò le fiamme in grembo all'emula Cartagine, ed a
Corinto, e loggiogata parte coll'armi, par te coll' accortezza la Grecia tutta,
e corsa l' Asia trionfando, essendo, per servirmi delle parole di Tacito,
l'antica, e natural ansietà ne'mortali della potenza cresciuta e scoppia ta
colla grandezza dell'Impero (c), sidivise in quelle fazioni, che tanti e si
gran casi somministrarono alla Storia. Storia di gran di imprese, di gran
personaggi, e di gran di avvenimenti ripiena; Storia non troppo lontana dal
secolo, in cui egli vivea, e per cui non avea a rivoltare Tacit. Hist. Cte
nimia obfcuras, velut, quae magno ex intervallo'lo ci vix cernuntur; tum quod,
et rarae por cadem tempo ra literae fuere,u n a custodia fidelis memoria rerum
g e ftarum; et quod etiam fiquaein commentariis Pontificum, aliisque publicis,
privatisque erant monumentis incenja urbe pleraeque interiere. Clariora
deinceps certioraque ab secun 'da origine velut ab ftirpibus laetius
feraciusque renatas urbis, gefta domi militiaeque exponentur, mo cose,
ch'egli avea a raccontare, e che non erano da eguagliarsi le Storie sue agli A
n nali antichi di Roma, poichè gli Scrit tori di quelle narravano guerre
grosse, Città sforzate, Re prefi, e sconfitti, e dentro di scordie di Consoli
con Tribuni, leggi a'fru menti, zuffe della plebe co'grandi,larghilli mi campi,
scarso all'incontro e stretto effe re il suo: che ne avrà dovuto pensar Livio
paragonandole a quelle di que'rimoti, ed oscuri secoli? Se non tralasciò
pertanto del tutto di far menzione de'principj de’ Romani, non altra ragione,
penso io, averlo a ciò moffo, fe non per non incorrer la tac cia d'aver
composta una Storia mancante, e per potersi in certo modo fpianar la ftra da a
descrivere le susseguenti famose impre se di quel popolo d'Eroi. Ed in fatti
dalle sue stesse parole fi rac coglie non aver egli troppo dibuon ani TACITO, Annal.
&.. cum vetufla m o lavorato a ftendere quel tratto delle sue Storie.
Cofe le chiama oscure per troppa antichità, e che, per così dire, a cagione
della grande distanza appena più sivedeano. Parla di quelli avvenimenti in modo
che fi scorge, che poco o nessun conto ne fa cea, tanto più dicendo, ch'esporrà
più l u minose, ed accertate gelta della quafi da più fertili, e rigogliole
radici rinata Città dopo l'incendio de'Galli. Poco, ei dice, scriveasi avanti
l'irruzione de' Galli, e se al cune memorie eranvi negli Annali de’ Pontefici,
ed in altri pubblici, e privati m o n u menti,buona parte di queste peri nelle
fiam me. La qualcosa, posto che veramente molte memorie ancora esistessero
a'suoi gior ni di que'tempi, come ben feppe rinvenirle Dionigi, dà non lieve
motivo d i dubitare non il dire, che molti di questi monumenti periti fossero
in quell'incendio sia un mendi cato pretesto di lui per ispacciarsi in poche
parole di quelle antichità. Per raccogliere il tutto in breve non p a re, che
in questo tratto di Storia almeno Livio sia quel Livio, che non erra, e che a
più buona ragione, che non quel verso di ALIGHIERI, adattar fe gli.patrebbe il giudicio
di с2 di Quintiliano, ove dice,che quella dol ce facondia di Livio
non sarà mai per a p pagare colui, che non la venuftà del dire, m a la verità
cerca nella Storia. Perlaqual cosa a giudicio non solo del P .Rapino, ma di
quasi tutti i più valenti Critici, e per l'accuratezza, e per lo discernimento,
e per la verità delle cose narrateanteporre fidee a LIVIO Dionigi d'Alicarnasso.
Questo Storico è appunto il nostro caso. Perito egli era della lingua, e
de'costumi de'Latini,fra cui fece lunga dimora.Con temporaneo di Livio, Critico
eccellente p r e se a trattar quella parte della Storia Latina, ch'era più
oscura per la lontananza de'tem consultò tutti gli antichi Romani Scrit tori
diligentemente; e siccome si scorge, se condo quello, che abbiam notato, che
l'in tenzion di Livio era di trattar principalmen te la Storia di Roma dopo
l'incendio de' Galli, così il fine di Dionigi era d'inftrui re i suoi lettori
nelle antichità soltanto di quella Nazione, per le quali sue doti
ftimò pi? il Neque illa Livii
lattea ubertas fatis docebit eum, qui non speciem expofitionis, fed fidem
quaerit. Quiptil. Rapin. Réflex. sur l'Hift. Sto. Bodino di doverlo in
questa parte pre ferire a tutti gli altri Storici Greci e Latini. E se per
avventura non è, come osservò il Rollin (i), nella lingua lua si eloquente, e
si colto come Livio nella Latina, in quanto all'accuratezza, e diligenza il
vince sicura mente d'affai.Che poi più cose, e più ac intorno antichità presso
di lui, che presso Livio fi curatamente descritte ritrovino, è anche il parere di
quel VARRONE dell'Ollanda Gerardo Vossio (k), ilqual coll' autori tà di Eusebio,
e dello SCALIGERO, l'ultimo fuo sentimento egli fiancheggia de quali lo
commenda appunto per quella dote, di cui noi abbisogniamo, voglio dire per
essere stato egli più d'ogni altro dili gente nel fissar le epoche. M a a che
serve andar raccogliendo le testimonianze de'Cri tici? Niuno v'ha fra'
letterari, che ignori quanto Dionigi sia benemerito delle Romane antichità, e
che non sappia esser egli alla C3 alle Romane Dionyfius Halicarnasseus
antiquitates Romanorum ab ipfius urbis origine tanta diligentia confcripfit, ut
Graecos omnes, ac Latinos fuperaffe videatur. John Bodin.
Meth. a d f acil. Hift. cogn. Rollin Histoire Anciene; Voffiusde Hift. Graecis,&ibi
Euseb. in prep. Evang., et Scaligerin animad. Euseb., il qual dice: Curatius co
niemo tempora obfervavit, E'ben vero esservi taluno fra'moderni,il
quale non fa gran calo dell'autorità di lui per riguardo a ciò, che scrive
intorno alle origini de'popoli d'Italia, avendo a parer suo Dionigi,per gloria
della propria nazio ne, dato luogo troppo leggermente alle con getture, per
derivar dalla Grecia i primi abitatori dell'Italia (l). Lascio ad altri il
giudicare le giusta fia, o no quest'accusa; m a, quanrunque fosse ben fondata,
non so avrebbe per questo a dubitare delle cose n a r rate da lui, le quali
cadono nella nostra qui ftione: perciocchè in quella parte dell'Ope ra sua, di
cui servir ci dobbiamo, n o n trattasi più delle prime origini de' popoli
Italici, m a delle origini soltanto primi tempi di Roma; onde non può più aver
luogo quel sospetto, ch'egli abbia v o luto adulare la nazion sua, non
essendovi piùlagloriadiquellainteressata in modo nessuno. Questo Storico
pertanto, quantun que venga una volta fola in campo nel Saga Storia
Latina de primi tempi quello, che è alla Storia d'Italia de'secoli di mezzo
l'eru dito, e diligente.Muratori. e dei gio Guarnacci Origini Italiche. Veniamo
ora finalmente a Plutarco.M o l to discordanti sono i giudici, che di lui re
cato hanno i Critici:perciocchè, se a molti Letterati di grido siattribuisce
per una par te quel detto, che se in uno universale in cendio di tutti i libri
un solo scampar se ne potesse dalle fiamme, si vorrebbono falvare le vite di
Plutarco; non manca per altra parte chi ne rechi troppo più vantaggioso
giudicio, e fra gli altri un celebre Lettera to Inglese il Signor Midleton
giunse a chiamar l'opera di lui un abbozzo piuttosto, che il compimento di un
gran disegno. A chi fu Saggio sopra la durata de'Regni de’ re di Roma. A. ediz.
di Livorno. Nella edizione fatta di questo Saggio in Firenze non è mai citato
Dionigi, anzi nella lettera a Zanotti dice A. che non avea voluto leggere altri
scrittori, che parlassero de’ re di Roma fuor chè LIVIO e Plutarco. Conyers Midleton
prefaz, álla Vita di CICERONE, per gio del nostro Autore (m ), sarà però
quello, che più d'ogni altro ci additerà la strada, che li vuol battere per
giungere al vero nella presente materia, c o m e quello, il quale più
giustamente di Livio merita il nome di P a dre di Romana Storia. ! altro pon
mente alle belle qualità, per cui fu lodato, ed a'diferti, perliquali C4
Del resto per giungere a farci una chia ra idea del merito di questo
Autore fa d' uopo prendere d'alquanto più alto i princi p j.Quantunque pertanto
pregio essenziale della Storia sia la verità de'fatti, si voglio no con tutto
ciò offervare e la scelta che fa l'Autore di questi, e le rifleffioni, e l'ordi
ne, con cui dispone ogni cosa, e la dici tura, di cui si serve, del che tutto
nell'al tra nostra Opera abbiamo copiosamente ragionato. Ora per parlar
soltanto delle riflel fioni, queste son quelle, che danno a vede re il giudicio
dell'Autore intorno alle cose narrate, giudicio,che resta più o meno de gno di
stima a misura, che viene ad esser fondato sopra valide ragioni, e che non esce
di quella scienza, a cui ènoto aver con Jode dato opera lo Storico. Le
considera 1 fu ripreso, riuscirà agevole il comporre i lorodispareri.
Vero è, che ilSignorMidle ton ne recò più svantaggioso giudizio di al cun altro,
perchè forle non ritrovò in lui, come bramato egli avrebbe, abbastanza en
comiato l'Eroe, a gloria di cui egli consa crò una sua assai lunga, ed
elaborata o p e ra, nella quale però sembra ad alcuni, che ne tefla egli
piuttosto il Panegirico, che la Storia. zioni, zioni di un Polibio,
o di un Cesare sopra l'arte della guerra, o di un Tacito sul Inoltre
dalla scelta, che fa de'fatti, fi Arte Poetica di Zanotti verno de'popoli
intanto degne sono di c o m tore le manifeste, in quanto hanno essi fama di ef
mendazione fere stati di quelle facoltà ottimi conoscitori M a fupponiamo, che
sitralascino. dallo Scrita riflessioni,non èforsevero, è per così dir forzato
lo Sto che narrando rico a dar segni della approvazione fapprovazion,odi sua?
Cosi pensa quel dotto, e Scrittore, uno de'primi lumi d' leggiadro Italia, cui
il Conte fto fuo Saggio (o). Ora que ognun Algarotti indirizzo ciò posto
professò principalmente sa, che Plutarco fcienza de'costumi; questa cui le
altre tutte qual più direttamente s'hanno a riferire, come raggi d'un meno
cerchio al centro, esercita l'impero suo so pra le azioni tutte degli uomini,
ond'è m a nifesto, che anche supposto, che Plutarco alcuna osservazione do reca
giudicio dell'azione non aggiugnesse fcrivendo, e giudicio, di cui non piccol
caso facoltà,narran ', che va de uscito dalla penna di un Fifar fi dee,come
losofo de'più rinomati dell'antichità. go la poi, a, qual viene Rag.,Bologna
qual dà maggiormente a conosce re il bellicofo genio di quell'Alessandro del
Settentrione Carlo XII., loggiugne, che tal cosa lasciato non avrebbe
d'inserire nella vita di lui un Plutarco. Remmo. Discordimilitari Disc, e nel
formare il carattere de'perso naggi, di cui stende la vita. Egli non sia p paga
delle azioni pubbliche, e ftrepitose, nè si ferma intorno alla sola corteccia,
m a seguendo, per dir così, i suoi Eroi in ogni lu go, e non temendo di
abbassarsi col de. scrivere certe minute particolarità, entra ne? più fecreti
ripostigli dell'animo loro, e pre fentà al lectore ad un tempo medesimo un
fedel ritratto e di esli, e della umana na. tura. E questa singolar dote di
Plutarco fu giàdal nostroAutore osservata; poichènar rando in un suo discorso
un tal fatto parti colare, il qual dà viene in cognizione della perizia di lui
nello scoprire le più nascoste proprietà del cuore umano, e nel formare Questo
è il favorevole aspetto, fotto cui riguardar fi possono le vite da lui
scritte,e gli encomj,di cui gli furono cortefi iCrie tici,vengono a ridurlia
questo.Ma sevo leffimo poi in materie dubbie, ed oscure ri poläre interamente
sulla fede di lui, corre altri. remmo non piccolo pericolo d'ingannarsi.
Plutarco, con ben raro esempio, congiun geva un ingegno straordinario ad una
credu lità somma (difetto, da cui i rari ingegni fogliono per altro andar
esenti, cadendo più sovente nell' eccesso contrario). Forse ritene va in questo
parte degli influfli del Cielo di Beozia. Occupato da'negozji, ch' ebbe a
trattare, e dall'impiego di dare lezioni di Filosofia, poco tempo gli rimaneva
per ac certarsi della verirà delle cose, che s'accin geva adescrivere.Sifa,ed
eglistessolo con feffa, che ignorava la lingua Latina, nè o b bligato era dalla
necessitàa d iftudiarla, ava vegnachè dimorasse in R o m a, servendo la lingua
Greca a que' tempi presso i Latini di lingua,come fuoldirsidiCorte,cioè par
lata dalla più leggiadra, e brillante parte delpopoloRomano,edi linguadotta.La
(ciopensare di quanti sbaglj una tale igno ranza possa essere itato cagione.
Che della fola autorità di lui pertanto non si debba far molco caso, è il
sentimento del dotto Bodino, del Rualdo, del Dacier, e di Bodin. Method.Hist. Interdum
etiam in Romanorum antiquitatelabitur.Ruald.animad.inPlut. Dacier nelle note
alla fua traduzion francese delle Vite di Plutarco. Vero Vero è,
che l'erudito Giureconsulto Ei neccio (r) per salvar dalle accuse de'Critici un
luogo di Plutarco, ove narra questo Sto rico aver Numa concesso certi privilegj
alle Vestali, i quali si sa indubitatamente non essere stati ad effe concessi
senon dopo que sto R e, avvisofli di fare una mutazione nel teito di lui,di
modo che seavantidiceva: aver conceduro grandi onori alle vergini Ve Itali,
veniffe a dire: loro concedettero (i Romani ei sottointende ) molti onori, e
fog giugne, che per sì fatta maniera salvar li possono molti luoghi di questo
Storico.cen Turati dagli eruditi. M a lasciando stare, che molti non saran no
quelli,che con una talcurafanarfipof fano; non so, perchè con tanta facilitànon.
essendo il luogo di Plutarco un frammento di qualche antico Giureconsulto, il
qual abbia necessariamente cogli altri a concordare, si avventuri da lui questa
emendazione, fen za addurne altra ragione, fe non che ilfal varsi con questa
l'autoritàdi Plutarco.Am mesfa una tal Critica si fanno scomparire con poca
fatica tutti gli sbaglj de'libri, che ci restano dell'antichità. Heineccius ad
legem Papiam Poppaeam. Amít, apud Wetftenios, Sia adunque per la ignoranza
della lingua Latina, lia molto più per lo genio credulo, e poco critico, anzi
qualora trattasi di Sto rie lontane da tempi fuoi portato al meraviglioso
Plutarco, non è guida ficura per chi vuol penetrare nelle più rimote istoriche
notizie. Quella Storia favolosa, che dic' egli rinvenirli nelle origini delle
nazioni prende, e li ftende troppo negli scritti di lui sopra i diritti della
vera Storia maggior mente sgombra dalle finzioni presso altri Scrit tori. M a
per riguardo a quella parte della Storia di Roma, i di cui avvenimenti ca d o n
o nella nostra quistione, potea troppo qui cilmente schivar gli errori.
Non avea egli nella sua stessa lingua le accurate fatiche di Dionigi di
Alicarnasso Scrittore, che ben dovea esfergli noto, e noto veramente gli era,
facendone egli menzione? Perchè adunque non si restrinse a lui solo,
tralasciando quelle fue popolari, e favolose tradizioni? Niuno dubiterà
pertanto, che in questa parte della Romana Storia pofpor si debba Plutarco a
Dionigi. E ben riuscirà singolar cosa, fe recherò in mezzo l'autorità dello
stesso A., il quale, fuori di questa fa Plut, in Theseo in princ. quistione
non lasciò di rendere il dovuto omaggio a Dionigi, e di mostrare il poco caso,
che far fi dee della sola autorità di Plutarco ne 'fatti de' Romani, efefarò ve
dere aver egli in cofamolto più recente negato credenza a quel Plutarco, a cui
tan to s'affida per rispetto ad avvenimenti ri motissimi dalla età di lui.
Bafta per chiarirfi di quanto ho detto dar un'occhiata a ciò, che scrisse
l'Autor nostro intorno all'impre fa di Cesare contro a'Parti. Questo è quanto
ho io stimato dover pre mettere circa la fede, che prestar fidee agli Storici,
innanzi di farmi ad esaminare. la verità, o falsità de'fatti, e la ripugnan ża
o non ripugnanza di questi alle epoche il che mi studierò quanto più brevemente
per me sipossa di recare ad effetto. Alicarnasco, Polibio danno una più esatta
contez fa delleragioni dei costumi Romani che non fanno i Romani medefimi. Ma
quei Greci sapeano a fondo la lingna Latina, buona parte della vita erano
viffura co'Romani ec. A. Disc. Milit. Disc. Sopra la impresa disegnata da
Giulio Cesare contro a'Partipo La verità si è, che ognuno si può effere ac
corto quanto nelle cose dei Romani fia poco efatro Plu tarcoec., Egli è certo che
delle cose Romane le migliori informazionisi può dire che le dob biamo a'
Greci. Ed è naturale che così sia. A forestieri ogni cosa giugne nuovo ec, Di
qui èche Dionigi Dis cIsecnedndeenndo ora coll'Autor -noftro al
para ricolare, ci si fa innanzi il Regno del bel licoso Fondatore della Romana
grandezza, e sarà secondo quello, ch'io Atimo Indole guerriera, dic'egli, danno
ad una voce tuttigli Storici al Fondatore di quella Impero, che dovea coll'armi
fare la con. quista del Mondo. Questa indole bellicosa piùnonfipuò celebrare in
Romolo, quando fi mostrasseaver eglipassatola maggior par te del suo Regno in
grembo alla pace:ora le prime guerre di lui contro i Sabini, che ridomandavano
le donne loro, e contro al quni altri popoli per gelosia d'Impero, furo no
tutte breviffime, e della penultima guerra contro a’ Camerj ce ne dà l' tarco,
che non cade più in là dell'anno sedicesimo dalla fondazione di Roma. Ne dopo
questa si ha notizia di alira guerra, falvo Regno di Romolo.? cagio ne di
non piccola maraviglia il farsi a c o n siderar la prima venir ad abbreviare la
durata. ragione,ch'egliadduce per epoca Plu. Plut.in Romulo, salvo di
quellaco'Vejemi, i quali doman davano, che fosse loro restituita Fidene, come
Città di lorragione, dicui Romolos' era impadronito, avanti che egli s'impadro
niffe di Camerio. E questa guerra non si ha da porre più tardi, che sotto
l'anno d i ciassettesimo dalla fondazione di Roma 0 là in quel torno non
essendo verisimile che una nazione potente com'erano iVejenti tardasse gran
tempo a cercare di riavere il suo. Senzachè ognun ben fa, che le guer re tra
que popoli erano subitanee, tra loro la vendetta non tardava molto a seguitar
l'offesa. Posto adunque, ei soggiu gre, che l'ultima guerra fatta da Romolo
cadeffe nell'anno diciassettesimo del suo Regno, se non vogliamo, che i Romani
fie no stati più lungo tempo in pace che in guerra fotto il reggimento
dilui,nonsivuo le farlo regnar trentotto anni, m a della m e tà circa il Regno
di lui accorciar fi dee Questa è la prima ragione, che adduce l'Autor noftro
per abbreviar la durata del Regno di Romolo, a proposito di cui,,co m e già
disli, strana riuscir dee a chi pon mente quella epoca, su cui fonda egli ilsuo
argomento, ed è ľ epoca della e che tro i Camerj somministrata guerra con
da Plutarco. A., che la durata del Regno · di Romolo attestata da tutti gli
Storici vuol distruggere, adopera per mandarla in rovi na un'epoca di un fatto
particolare,dicui niuno fa menzione, fuorchè il solo Plutarco Storico a tutti i
Critici, ed a lui medesimo sospecto. E d in fatti di questa guerra contro i
Camerj LIVIO non ne parla punto nè p o co, prova forse della trascuratezza di
lui nel tessere l'antica Storia. Dionigi
poi, il quale nel collocarla frale guerre co'Fide nati, e co'Vejenti da
Plutarco non discor da,non dice però, che questa precisamen te seguita sia
l'anno sedicesimo di Roma. Vede pertanto ognuno,ch'io potrei, rifiu tando la
testimonianza di Plutarco, togliere ogni fondamento a questa ripugnanza, m a
conveniente mi pare di mostrarmi cortese ful bel principio delle osservazioni
mie. Concediamo adunque, che nell'anno fe dicesimo di Romolo succeduta appunto
sia questa guerra coi Camerj:.con qual ragio ne si prova, che tantosto abbiano
impugna te le armi i Vejenti? Forse perchè avendo i Vejenti mosso contro i
Romani per riaver Fi... Dionyf. Halic.
Dice Plutarco, che i popoli circonvicini vedendo riuscir bene tutte le guerre a
Romolo, da invidia,e da timore agitati, ftimarono non essere la sua crescente
gran dezza da guardar con occhio indifferente, e doversi opprimere una potenza,
era ne' suoi principi formidabile Laon de i Vejenti,i qualitenevano un ampio
paese, ed erano de'più potenti fra' Tosca ni, mosfero contro Romolo, chiedendo
la restituzion di Fidene che dicevano essere di giurisdizion loro; il che,
foggiugne Plutarco, non solamente ingiusto,m a ridicolo era, poichè domandavano
come ad efli sper tante una Città, che non avean difeso, quan che già do
Fidene come Citrà di lor ragione soggioga ta da Romolo innanzi a Camerio, non è
da credere, che un popolo potente come quello abbia tardato molto a farsi
rendere il fuo, essendo le guerre a que'tempi fubitanee,nè tardando molto la
vendetta a seguitar l'of fela? Ora io intendo dimostrare,anchecollo stesso
Plutarco, effer piuttosto da credere, che alla guerra co' Camerj seguita fia
las guerra co'Vejenti dopo qualche notabile spa zio di tempo. Plut. in Romulo.
do da Romolo era stata assalita, e lasciati in quel tempo gli uomini in
balia de'nemi ci, aspettavano allora a pretenderne lemura. LIVIO poi dice, che
presero le armi i V e jenti, non perchè fossero possessori di Fidene loro tolta
da Romolo, ma perchè i Fidenati erano anche Toscani, e quel che è più, perchè
temevano non le armi de' Romani avessero ad esser fatali alle vicine nazioni; e
Dionigi in fine dice, che il pretesto della guerra fu la strage de' Fide nati.
Ora adunque, poichè siamo certi,che per gelosíad'Impero, e non per altro im
pugnarono le armi i Vejenti, li dee piutto Ito credere effere questa gưerra
fucceduta qualche tempo notabile dopo quella coi Ca. meri; perciocchè stava ad
osservare questo popolo, le poteva assicurarsi della sua forte Tenza arrischiar
nulla, e se riusciva a qual che altra nazione di abbattere i Romani: veggendo
poi, che s'erano felicemente sbri gati da quelle, e che anzi salivano ogni
sanguinitate (nam Fidenates quoque Etrufci fuerunt ), et quod ipfa propinquitasloci,
fiRomana armaomnibusin. d 2 gior LIVIO.
Belli Pidenatis contagione irritaii Vejentium animi, et con festafinitimis
effent, fimulabat. Dionyf. Halic. Oltr' a ciò, avvegnachè seguita fosse., come
si dà a credere l'Autor noftro, questa guerra circa all'anno diciassettesimo
dalla fondazione di Roma, chi ci assicura, che altre non ce ne sieno state, le
quali, come di non gran conseguenza, non sieno state dagli Storici giudicate
degne di entrare negli A11 nali loro? Pretende pure egli stesso, che non fisia
tenuto accurato registro de'fatti, anzi confervari fi fieno per mezzo di una
cotal vaga, ed incerta tradizione? Veda adunque non se gli possano ritorcere le
sue stesse ar mi, e ch'egli medesimo ammetter debba p o ter offer fucceduti
cali da cotefta fua vaga tradizione non conservati. giorno a maggior
buona cosa il non lasciarli fortificar nella grandezza stimò esfer pa ce. Se
ruppe adunque per propria sua ial vezza la guerra, è probabile, che ciò non
abbia fatto se non dopo un qualche conside rabil tratto di tempo, nel quale
abbia ve duto, che nessuno s'arrischiava di sfidar Romolo a battaglia. Queste
osservazioni,a me pare,bastar po trebbono per dimostrare, cheleirragionevo
lezze ręcate in mezzo dal nostro Autore non sono di tal peso, che vagliano ad
in fringere la Cronologia, e sminuir la durata del del Regno di
Romolo: nulladimeno stimo pregio dell'opera, acciocchè maggiormen te appaja la
verità, fare una luppolizione, Orsù adunque abbiasi per non detto tutto ciò, di
cui abbiamo ragionato sin ora.Dianli per invincibili le ragioni del nostro
Autore. Concedafi la presa di Camerio esser seguita; com'ei pretende,l'anno
sedicesimo di Ro m a, l'anno seguente la guerra co'Vejenti, e dopo questopace
profonda; che ne segui rà per ciò? Si opporrà questo per avventu ra a quell’indole
bellicosa, che gli Scrittori danno ad una voce al Fondatore del R o m a no
Imperio? Non potrà un Principe dopo essere felicemente riuscito in molte
pericolo se imprese, dopo essersi procacciato stima, e venerazione presso le
vicine nazioni colla fua bravura, goder de'frutti delle sue vit torie, e
riposando all'ombra allori 9. col mantenere il guerriero valore vivo, e
rigoglioso ne'suoi soggetti, fare in modo,che la fama diprode,ed invittoac
quistatası, ed il sapersi esser egli a guerega giare sempre apparecchiato, gli
proccurino una pace non inquieta,turbata, e vergogno fa,ma
ferma,ftabile,sicura,pienadiglo ria, e di virtù. Troppo sarebber funesti all?
uman genere gli Eroi, e troppo infelice vi de'conquistati ta d 3 A.. Epistole
in verfa ep.16. sopra il Commercio pag. Dionyf. Halic. se per guerra fosse
valente, ce ne assicura Dionigi, ove con quanti modi studiato fi di sia ta
avrebbono eglino stessi a menare, acquistarsi tal n o m e, viver dovessero o g
n o ratra le stragi, e tra'l sangue. E non eb be lo stesso Autor nostro a
lodare l'amor delle bell'arti, la profonda Scienza Politica, e le altre civili
virtù di quel bellicoso Prin cipe, il quale tanto, vivo, il processe, ed in
tanto illustre modo, morto,rese celebre la memoria di lui? E non fu la verità
ster fa, che animò la sua tromba, quando ce. lebrò quel paese. Dove un Eroe
audace, e saggio Nestore, e Achille in un fa fede al Mondo, Che l'Italo valor
non è ancor morto. Troppo fiera fu adunque l'idea, ch'egli fi formò in questo
suo Saggio di un Principe guerriero,potendo essere molto bene, e che Romolo
abbia la maggior parte del suo Regno passato in pace, e che ciò non ostan te a
sminuir non si venga la gloria milita re, dicui gode presso gli Storici. E che nell'arti
nonmeno di pace, che 4 fia di ordinare lo stato va divisando. Ne
meno di un Romolo vi avrebbe voluto,per assodare, ed unire con faldi nodi una
sì mal ferma società, e per ispirare la dovuta fom missione, una sola foggia di
vivere, di pen fare in certo modo, l'amordella patriaido. lo de’ Romani., e
fonte di tutte levirtù loro, in uomini di varie nazioni, di non ottimi costumi,
per l'armi, e per le vittorie feroci. Nè quelle parole, che Plutarco mette in
bocca di Numa, quando per sottrarsi dallo accettare il Regno offertogli
insiste, dicendo, che di un uomo di spiriti ardenti, e in sul fior dell'età, che
non di un re ma di un condottier d’esercito hanno di bisogno i Romani per
fronteggiar que'potenti nemici, che Romolo avea lasciato loro sulle braccia;
quelle parole, dico, non sono da tanto, come si cre dell’Autor nostro, che,
anche concedendo non esservi ftata dopo l' anno diciassettesimo del Regno di
Romolo guerra alcuna, perciò ritrar debbasi la morte di lui al diciottesimo, o
ventesimo anno del suo Regno. Temeva Numa, che i po poli circonvicini, i quali
non s'attentavano di moleftar i Romani, poichè ben sapevane qual d4 Plut.
in Numa, Storici, che finsero aver que'personaggi, i quali a favel lare
introducono, ragionato secondo le cir costanze, e giusta l'indole loro. Dalle
mal sime, che nel corso del suo Regno dimostrò Numa, dalla non curanza di
luiper gli ono ri ricavo Plutarco questa parlata da lui fat ta, rifiutandoil
Regno offertogli da'Romani. A proposito del qual nulla trovarsi appreffo Livio,
altra prova. forse della sua trascuratezza, e che Dionigi rifiuto è da notare
qual prode Principe li reggeffe, non pren dessero animo dal genere di vita
tranquillo, e filosofico, che noto era ad ognuno essere da lui professato, e
non volessero lasciarsi sfuggir di mano una occafione sì favorevo le di
abbattere un popolo, il quale già d a to avea tanti non dubbj fegni di voler
fot tomettere le confinanti nazioni, ed in queto modo è da intendere, che
Romolo la sciato avesse potenti nemici sulle braccia a' Romani. Senzachè, per
non ripeter quello, che già disfi, e di nuovo mi converrà dire intorno al poco
credito, che far sidee della autorità di Plutarco, certa cosa è, che quelle
parole, le quali presso di lui si leggono come di Numa,s'hanno
ariguardarealpari delle altre concioni,sia di LIVIO, chedilui, quai lavori
della mente degli Storici 1 fire stringe a dire, che avendoperbuo no
spazio di tempo ricusato ilRegno, s'in duffe poi ad incaricarsene a persuasione
de' fuoi, è inutil cofa riuscirebbe cercar in Lo stesso Plutarco poi è
quello,che fom miniitra il fondamento ad un'altra ragione, con cui ftudiasi il
noitro Autore di abbre viare il Regno di Romolo. Ammette.egli adunque, che nel
cinquantesimoquarto anno dellasua età giunto siaa morte Romolo, ma conceder poi
non vuole,che difolidi ciassette anni abbia cominciato a regnare, la qual cosa
è forza dire, quando foftener si voglia, che di anni trentotto stata sia la
durata del Regno di lui. Le ragioni, che egli adduce per mostrare non poter
Romolo esser cosìper tempo falitolulTrono,non fono altre, se non che ciò
ammesso,non po. terli quelle tante cose, che questo Principe facea secondo
Plutarco con sì tenera età conciliare; ed essere maggiormente impro babile, che
si giovane abbia fondato u n a Città, fiasi fatio Capo di un popolo, ed
pone Plutarco. 1 abbia sto Storico quelle parole, che in bocca gli Dionyf.
Halic. Plut. in Romulo. que A., Disc, milit. Disc. Per via della
conversazione, dice che Plutarco conviene instruirsi delle particolarità, che sonos
fuggite agli Storici abbia guidato difficilissime imprese, c o m e a tutti
è noto. Ma io non so ritrovare in primo luogo ripugnanza veruna tra la età, e
la condot ta di Romolo innanzi a'principi del suo R e ' gno,principalmente se
vogliamo attenersi a ciò che di lui narrano LIVIO, e Dionigi, e non ricorrere a
Plutarco quale pren dendo le notizie dalla bocca di que' Romani, con cui
conversa, come stesso'noftro che dalla venerazione, in cui quelli tenevano
dell' Imperio leggiadro Autore, ben è da credere, ogni cosa, che appartenesse
al Fondatore loro,sia Scrittor erudita, ed elegante, dice che la grandezza sero
i Romani cia, e dell'Alia dopo le conquiste, avea (parfo voluttà non ebbe, e di
gloria fu que'pri lume di chiarezza de’ m i loro antenari posteri, qual rozzo,
e barbaro popolo sem il, i quali senza la fama avverti lo. Un, che in fatto di
stato ingannato Francese pari, a cui giun della G r e per così dire un Non so
sei moderni noftri Criticii le Clerc, é i Muratorigli avessero menato buono tal
fuo Criterio. Euremont Ouvres mélées, pre Montesq. Consid. sur les
causes de la grand. Des Rom. a segnes venando peragrare falous: hinc robore
corporis bus animisque fumo jam, non feras tantum fubfiftere, fed in latrones
praeda onuftos impetum facere, pastorie busque rapta dividere, et cum his
crescente in dies grege juvenum ferias, ac jocos celebrare, pre 1
farebbono stati riguardati dalle colte n a zioni. Io non voglio per
niun modo adot tare il parere di lui, anzi penfo, che lo stesso Montesquieu, il
quale osservò c o n occhio si filosofico tutto il corso della Romana Storia,
abbia avvilito di non Dionyf. Halic. ful
bel principio della sua Opera (n) l'ori gine di quella Città Regina; ma credo
Tuttavia di potere a buona ragione sospetta fondato sopra popolari tradizioni,
e proveniente dalla bocre del racconto di Plutarco ca di coloro,che qual Nume
Romolo ado ravano, quando nè Dionigi, e nè pur LIVIO danno di ciò il minimo
cenno. Ed in fatti Dionigi ci fa sapere soltanto, che i due giovani Principi
furono condotti Città de'Gabj, perchè loro s'insegnassero leLettere,laMusica,ed
ilmaneggiarle armi alla foggia Greca insino a tanto che pervenissero alla
pubertà, e tutti que'p r e gi, i quali attribuisce loro LIVIO. Quum primum
adolevit aetas nec inftabulis, nec ad peco troppo alla disconvengono
punto alla giovanile età, a n zi più diquella, ched'ogni altracomecor porali
esercizj fon convenienti. M a su via concedasi per vero ciò, che dice Plutarco,
sarebbe poi da farne le maraviglie, che un giovane d'ottimo ingegno fornito
cominci a dar segni di quella prudenza, che ha da tilucere un giorno in lui. Educato
Romolo, come fu, non v'ha inverisimiglianza nessu na,cheinlui,avvegnachè
giovanetto,sfa villasse un raggio di qualche cosa maggior del comune Ma dirà
egli, per quanto, e dalla natura di belle doti fornito,e dalla educazione in
strutto suppor si yoglia Romolo, che abbia edificato una nuova Città, che si
sia fatto capo d'un popolo, che abbia guidato diffi cilissime imprese, sempre
con si tenera età mal potrafficoncordare. Non sipuò nega re, che di troppo
maggior forza, che non e cominciassero a svilupparsi que'semi di
generosità, che dalla sua prin cipesca origine avea tratto? Oltre di che quan
te volte il corso dello ingegno è più velo ce di quello degli anni? Una
illustre prova ben ce ne diede lo stesso noftro Conte A., il quale nella sua
prima età in molte, e varie facoltà dimostrò l'acume, e la perfpicacia
dell'ingegno suo. la la precedente sia questa ragione: vediamo con
tutto ciò il modo, con cui Romolo di venne Re, e non parrà più forse tanto dif
ficile il concepire, che si giovane sia giun to a tanta grandezza; e prina
d'ogni cosa prendiamo le più sicure notizie di quello, che è succeduto dalla
nascita di Romolo in Gino al tempo, in cui fu innalzato alTrono. A tutti
que'racconti della infanzia diR o molo io ltimo doversi preferire quello di F a
bio antico Storico seguito da molti, come dice Dionigi, ed acui più propende
egli medesimo, come quello, che favole chia m a le narrazioni degli altri
Scrittori. Egli adunque rigettando quella poetica finzione della Lupa, nega
insino, che fieno stati ef posti i due gemelli; che anzi afferma aver Numitore
per destro modo sottoposti altri fanciulli, i quali furono da Amulio spieta
tamente trucidati. Quindi essere stati i due Principi da Faustulo educati, ed
inviati, perché ricevessero una insticuzione, secondo che richiedeva la origine
loro, alla Città de' Gabj; il qual Fauftulo, per dirlo alla sfuga gita,
quaprunque pastore de'Regj armenti, è da credere fosse poco meno di un
uomo Dionyf. Halic. di di stato de'nostri dì, attesa la semplicità
de costumi di que'tempi. Ritornati poi dalla Città de'Gabi, legue a dir Fabio
presso Dionigi, di consenso dello stesso Numitore, i due giovani Principi fi
azzuffarono co'p a stori di lui, e gli sforzarono di ritirarsi in un co'loro
armenti dà certi pascoli tuttoc chè comuni. Questo aver fatto Numitore per
poterli accufare, e trovar m o d o di far entrare senza dar sopetto tutti que'
pastori nella Città. Ordita una tal trama, esser v e nuto Numitore dal fratello
Amulio a lagnarsi, e chiedere a lui, che gli dovesse consegna Te que'due
Fratelli col Padre loro, i quali l'aveano sì villanamente oltraggiato, e d a n
neggiato nelle cose sue, se pure seguito era ciò senza colpa di esso Amulio.Amulio
per dare a divedere, che avuto non ne avea al cuna parte, manda tosto per esli,
dando,che nella Città venir dovessero non il solo Faustulo co'suoi supporti
figliuoli, m a tutti coloro eziandio, i quali erano di tale delitto accagionati.
E con tal mezzo essen dosi, oltre a 'rei, grandissima moltitudine nella Città
introdotta, Numitore, dopo aver a' giovani l'origine loro, i loro cali, e le
offele da Amulio ricevute, averli scoperto animati alla vendetta, ed averli
persuasi a esli, coman non non lasciarsi sfuggir di mano sì favorevole
occasione di eftirpar quel Tiranno come fe cero. Questo è quanto si raccoglie
da Fabio presso Dionigi; narrazione, lia per la quali tà del testimonio, sia
per la veritimiglianza, da antiporsi sicuramente a quella di Plutarco, che
porta in se stessa scolpito ilca rattere della finzione, e che al primo aspet
to si dà a conoscere per lavoro della fanta sía de'Romani de'suoi tempi, da cui
attin geva questo Storico le sue notizie, i ogni cosa nel loro Fondatore
finsero straordi naria, e maravigliosa. N o n fu adunque solo Romolo in quella
impresa, anzi fu a quella stimolato dall'Avo, e fu diretto da quello il suo
valore, perchè produr potesse non solo discordie, e sangue, ma utilità, e fi
curezza. quali con Non voglio poi ora parlare diquellaopi nione accennata
da Dionigi e se non -abbracciata, nemmeno riprovata da lui, che R o m a stata
sia anteriore a Romolo; onde egli non Fondatore diquellaCittà,ma Capo soltanto
d'una colonia chiamar 'si debba; Plut, in Romulo. Dionys. Halic. concedo, che
ne sia stato ilFondatore,ma è da sapersi, che, ha l'idea di edificare una Città,
lia i mezzi per condurla a fine, fu rono opera di Numitore, e non diRomolo.
Dionigi di questo ci assicura, dicendoci, che due fini il mossero a ciò fare;
primie ramente per dare un ricetto degno di loro a'due giovani Principi, in
secondo luogo per isgravare la troppo grande popolazione della Città di Alba,
allontanando principal. mente coloro, che avean seguito le parti di Amulio,
ond'egli poteffe regnare libero di ogni sospetto. La qual cosa è, avvegnachè
oscuramente accennata da Livio (u): per ciocchè dicendo questo contro
l'autorità però e di Fabio, e di Dionigi, i quali per ianti rispetti degni sono
di maggior fede, che il disegno di fabbricare una nuova Città fu pure Numitore,
opera della mente dei due Fratelli,m a n i felto indizio, che troppo non erasi
studiato di diradar le tenebredi que'primi secoli, soggiugne, ch'eravi allora
una gran molti tudine diAlbani,e di altri,con cui pote vano popolarla. Nè mancó
Lores quoque accefferant, come. Dionyf. Hasic. LIVIO. Supererat multitudo
Albanorum, Latinorumque, ad id per come attesta Dionigi, di somministrar
loro e danari,ed armi,ed ognialtra cosa,che abbisognasse per edificareuna Città.
Ed a quella parte di popolo, che seco condot ta avea Romolo, fra cui eranvi non
po chi de' principali di Alba, iecondo il parer dell'Avo, ragionò sul
cominciare della edi ficazione. Dal tutto il fin.qui detto pertanto ftati
e Dionyf. Halic. Dionys. Halic. Dionyf, Halic. ramente ne risalta non
esserpunto cosa in verisimile, che di soli diciassette anni, o di diciotto
abbia potuto Romolo farquello,che pur fece, se lipon mente, che in quelle sue
prime imprese ebbe sempre a'fianchi l' Avo, ed ogni cota secondo il consiglio
di lui esegui;fu egli l'Achille d'ogni impre fa,Numitore ilChirone. Tanto ho
stimato dovermi stendere su que ho particolare, perchè non è Plutarco il solo,
che ciò scriva; ma lo stesso Dionigi chiaramente attesta aver Romolo incomincia
to il fuo Regno di foli diciotto anni. Vero è, che se si dovessero togliere
dagli anni, che corsero avanti N u m a cinquanta giorni, i quali vogliono molti
Autori essere 1 chia. stari aggiunti da questo Re, oltre ad undi ci
giorni, che pur mancavano all'anno fe condo la riforma, ch'egli ne fece, tre
anni fi vorrebbono togliere dalla età di Romolo, quando ascese al Trono, nè vi
farebbe per venuto di diciassette, o diciotto anni, di quattordici, o quindici.
Anche ciò con cesso nel modo, che divenne Re, non sa rebbe gran meraviglia, che
divenuto lo foffe in età si tenera, non avendo forse altro egli fatto, senon
imprestare ilsuonome alieim presedell'Avo:ma dipiùsivuolnotare che quegli
Autori, da cui raccogliesi esser giunto al Solio Romolo di soli diciassette, •
diciott'anni, non sono di parere, che tanti giorni mancassero all'anno avanti
Numa. za r Dionigi, il qual dice (aa) essere il Fon dator di Roma morto
di cinquantacinque anni dopo averne regnato trentafette, e che aggiugne sulla
testimonianza di tutti gli a n tichi Scrittori, i quali parlarono di lui, che
molto giovane fu innalzato al Solio vale a dire di soli diciott' anni, di
questa rifor ma dell'anno fatta da Numa, per quanto io ne abbia osservato, non
ne dà alcun cen no, silenzio, che congiunto colla accuratez Dionyf. Halic. Plut.
in Roinulo. Plut. in Numa. LIVIO; MACROBIO
Salurnal. Numa quin quaginta dies addidit, ut in trecentos quinquaginta qua.
suor dies za di lui mi mette in dubbio della verità della cosa.Plutarco poi,
che dice esseregli morto di cinquantaquattro anni, onde abbia dovuto
incominciare ilsuo Regno di diciassette, parla di questa riforma, ma vuole, che
Numa altro non abbia fatto,le non aggiugnere gli undici giorni, che m a n
cavano all'anno, e togliere l'irregolarità de' mesi, che erano in uso,
essendovene tale, che non giungeva a venti giorni, e tale, che giungeva a
trentacinque e più. Che al tro egli non abbiafatto, che regolare i mesi, ed
aggiungervi alcuni pochi giorni, è quello pure, c h e intorno a questo
raccogliere fi possa da LIVIO. So, che molti Scrittori, come MACROBIO, OVIDIO,
CENSORINO, ed altri furono di contrario parere. Si dee però distinguere tra
quelli, che asserirono, che l'anno avanti Numa era di soli dieci mesi, e
quelli,che dissero precisamente di quanti giorni fosse composto, perchè
potrebbe essere, trattan e2 dosi annus extenderetur, OVIDIO, Falt.] dosi di
Scrittori molto lontani da'tempi di Numa, che da quelli, i quali lasciarono
scritto essere stato l ' anno avanti Nu ma di soli dieci mesi, abbiano altri,
come forse Macrobio,argomentato, che l'anno foffe di foli trecento e quattro
giorni, la qual congetturą ognun può vedere, quanto sarebbe · fallace, potendo
esser benissimo, che fi fa. cessero avanti N u m a dei mesi più lunghi a l fai
del convenevole, e si venisse a compor re con foli dieci mesi l'anno di
trecento cinquantaquattro giorni, non di foli trecento e quattro. Del resto
il.Signor Dacier afferma, che alla opinione, che di soli trecento e quattro
giorni fosse composto l'anno avanti Numa prevalse quella, che giugnesse ai
trecento cinquantaquattro per l'autorità principalmen te di Fenestella, e di
Licinio Macro. Credo pertanto, che ciò basti per togliere quello 'ombra
d'inverisimiglianza, c h ' altri ritrovar potesse tra l'età di Romclo, e
l'elier egli giunto ad ottener la Corona, dovendosi, le condo la più comune
opinione, togliere fol tanto pochi mesi, che risultano dagli undici giorni, i
quali mancavano all'anno avanti (f) Dacier nelle note alla vita di Nuina di
Plutarco, Numa, Così dice il Signor Dacier nelle mentovate sue annotazioni
doversi leggere Plutarco, e non trecento e sessanta, come molto bene lo dà a di
vedereil contetto, Numa, e non tre anni dalla età di diciotto. Senzachè a
me baita, come già disfi, che da quegli Autori, da cui fi rica-. va questa età
di Romolo quando fali sul Trono, non fi può l'obbiezione dedurre in modo
alcuno, anzi il primo glıtoglieilfon damento, non parlando di questa riforma.
lui di dell' anno, te, il secondo la confuta espressamen dicendo, che l'anno
avantiNuma giun geva ai trecento cinquantaquattro giorni. Onde mi pare a
sufficienza dimostrato, che tuttique'fatti,iqualirecatisono inmezzo dall'Autor
nostro come ripugnanti alla d u rata del Regno del primo Re diRoma,ot timamente
con questa possono conciliarsi, e vengono a perdere.ogni lor forza, e a di.
leguarsi cutte le contrarie ragioni. L'Ami des Hommes Des Pro cui V.
Fondare Regno di Numa. CAPO Ondare un Regno, e dargli le leggi sono due
operazioni cosi fra loro diverse dice un valente Politico, che richiedono per
lo più due distinti Principi per eseguirle. Nascono ordinariamente gl'Imperj
nella fe. rocia de'popoli tra la discordia,e learmi: laddove la Legislazione (intendo
io di quella, che veramente meriti un tal nome ), è uno de'più preziosi frutti della
pace.Ed èben conveniente, che ciò, che rende per quan to si può gli uomini
felici, tra quello for ger mal poffa, che ne fa l'infelicità m a g giore. Ed in
effetto le leggi di Romolo,. di cui abbiam sopra fatto parola, riguarda vano
soltanto lo stato corrente degli affari, erano leggi, che abbisognavano, per
così dire, allagiornata. Numa si che fu poi quello, che concepì una vasta
pianta di L e gislazione, un general Sistema, il quale m i rar dovea alla
eternità; Sistema, che sotto di se comprendeva eziandio la Religione,di
hibitions. Ma l'Autor noftro, quafichè ridur non si possa a credere, che
senza alcuno indirizzo ira popoli feroci, e pressochè barbari, g i u n gere
Per fia potuto Numa a tanto senno da cui egli secondo l'uso de'
Legislatori,iquali furono a' tempi degli Dei bugiardi, utilmen te fi servi per
fiancheggiarne quelle leggi, quegli instituti, que'coitumi, e quelle opi nioni,
che a parer fuo doveano maggiormen te contribuire alla felicità della Nazione:
per se, mette in campo quella tradizione, che correva per bocca de'Romani insin
da'tem pi di Augusto, secondo cui dicevasi essere Itato ilRe Numa uditor di
Pitagora:onde le belle doti, le quali rilussero in lui, frutto fieno stato
degli ammaestramenti di quel Filosofo, la qual tradizione torna molto in a v
vantaggio del suo Sistema. Perciocchè, dic' egli, posto che Numa sia stato
discepolo di Pitagora, siccome sappiamo da CICERONE, LIVIO, e da altri scrittori
esser giunto queIto Filosofo in Italia in età molto lontana dal tempo, in cui
comunemente fi pone. Numa, dee questo far accorciare almeno la durata de'cinque
susseguenti Regni, perchè il Filosofo possa essere contemporaneo del Re
Legislatore. еА 3 da Per rispetto al qual suo ragionamento dei che
se egli si fosse soltanto servito di quella tradi zione, secondo cui dicevasi N
u m a essere Itato uditor di Pitagora, da questo n o n avrebbe potuto inferirne
cosa alcuna in fa vore del suo Sistema, potendosi una tal voce concordar molto
bene coll'antica Cronologia, cioè dicendo, che Pitagora venne in Italia in
que'tempi, in cui secondo questa, fi crede regnasse Numa; facendo ascendere in
una parola Pitagora a'tempi di lui.Ma siccome egli desiderava farlo discendere
a’ tempi pofteriori, non bastavagli questa s e m plice tradizione, bisognava,
che d'altronde in cui coreito raccoglier potesse il tempo, Filosofo venne in
Italia: preselo da Cicero ne, e da Livio, ma non s'avvide, che vo. lendo
servirsi della autoritàloro,erapoi for za rinunciare a quella tradizione base
avea posto alla obbiezion sua. Percioc chè vero è bensì, ch'essi dicono esser
giun to questo Filosofo molto più tardi in Italia di quel tempo, in cui secondo
l'antica C r o nologia regnava N u m a, m a in tanto l'asse riscono in quanto
l'uno lo fa contemporaneo di Servio, di Tarquinio il Superbo, o, del Console BRUTO
(si veda) l'altro. Volendo pertanto at gno è di particolar considerazione. che
per 9 te 266., ed ivi Giamblico, e Diodoro. Diogen. Laert. In Pythagora;
Clem. Alex, il qual venne Pitagora in Italia, poichè ne lia l'epoca, come
bene osservò incerta il dotto Gerdil, non però Scritto gran fatto fra loro i
più accreditati far ri, i quali di tal sua venuta dovertero fessagesimaleconda
te concordano quale asserisce piade 'feffagefima Clemente Alessandri. Diodoro
menzione piade sesfagefimaprima sotto la facilmen no, che lo mette conda, e
finalmente fotto la pone forto, Giamblico l’Olim, le quali epoche (c), il aver
egli fiorito fotro l'Olim con Diogene Laerzio con variano la fessagesimale con
Eusebio dice esfer egli morto nel quarto anno della fettantesima Olimpiade
Diogene mentovato - ottanta o novant'anni. LIVIO poi, CICERONE- in cui
quantunque del in età di, e per attestato Laerzio ne, renerli ad effi, non
v'era ragione per a b bracciare soltanto il tempo, e n o n di qual R e fu
contemporaneo questo Filosofo le non il tornar questo in avvantaggio del suo
Sistema. lo pon parlerò qui del tempo, ntroduz. allo Studio della Relig.; Strom.;
Diogen. Laert. ed altri Scrittori in tanto ci danno 19 epoca inquanto,come ho
accennato,cidi con di qual Re fu Pitagora contemporaneo le quali epoche però da
loro fissate non ef cono dagli anni, che secondo la Cronolo gia comunemente
ricevuta, corsero dal fine del Regno diServio, insinoalprincipiodel Consolato;
del che niente è da maravigliarsi, poichè essendo probabile aver dimorato in
Italia questo Filosofo un notabile spazio di tempo, tale Scrittore avrà tolto
l'epoca, di cui fece registro, dall'anno della sua v e nuta,tal altro da un
fatto accaduto essendo lui in Italia, tal altro dalla sua partenza, o dal tempo
di mezzo della sua dimora, onde possono aver detto tutti ilvero,quando fiasi
fermato in Italia non più di venticinque anni, che tanti ne corsero appunto
dalla morte di Servio infino al principio del Consolaro. Tutto questo adunque
io lafcierò da par te.Concedo, che ammettendo per vera quella popolar voce,
essa dovesse piuttosto far discender N u m a a'tempi di Pitagora, che far
ascender Pitagora a'tempi di Numa. Ma quello, a cui principalmente badar fi dee,
è, che questa tradizione medesima non è fondata sopra alcuna autorevole testimo
nianza, che la renda credibile. Vero è,che ne 2 al. verità
nelsuo gover alcuni rammentati da Livio,
da Dionigi, e da Plutarco furono di parere, che da Pitagora, il quale in quella
parte d'Italia, che Magna Grecia nomavası, gittò ifonda menti della sua
filosofica serta, N u m a ricevu to avesse quelle maflime di Religione, e di
Politica, che pose in opera no. Ma è da considerarsi negar Livio ciò
apertamente, non essendo secondo luivenu to Pitagora in Italia,se non sotto
ilRegno di. Servio Tullio, e dopo alcune ragioni, con cui studiasi di mostrar
l'insusistenza della opinione di costoro, soggiugne, che di sua natura
inclinato fosse alla virtù cotesto Re, nè bisogno avesse di straniera
instituzione bastandogli la dura, e severa disciplina degli antichi Sabini, de'
quali non v'avea una vol ta più incorrotta nazione. E questa se LIVIO. Dionyf. Plut.in
Numa.LIVIO. Auétorem doctrinaeejus, quianonexa taralius,falfo Samium Pythagoram
edunt: quem Servio Tullio regnante Romaecentum amplius poftannos inul tima
Italiae ora.juvenum emulantium ftudia coetus habuiffe conftat..fuopte igitur
ingenio, temperatum animum virtutibusfuisfeopinor magis, instru&tumquenon
tam peregrinis artibus, quam disciplina teirica, ac tristi veterum Sabinorum,
quo genere nullum quondam incorru. prius fuis. verità origine ebbe
per avventura da una Colonia di Spartani venuta in Italia a't e m pi di Licurgo,
come appare dalle memorie antiche nazionali portate da Dionigi, e di cui anche
ne dà un cenno Plutarco, la qual Colonia è da credere che trasfufo avesse ne’Sabini
buona parte de'costumi de' Lacedemoni. CICERONE poi in più luoghi delle opere
sue afferma fuor di alcun dubbio esser giunto questo Filosofo in Italia sot to
ilRegno di Tarquinio ilSuperbo,eche in Italiapur era a que’tempi,in cui Bruto
diedelalibertà a'Romani(h).SottoilCon solato di Bruto lo mette pure Solino, ed AULO
GELLIO in fine dice effer venuto questo Filosofo in Italia sotto il Regno dello
stesso Tarquinio Superbo. Dirà forse taluno, che l'alterigia de’ Ro Dionyf.
Halic. Plut. in Numa in piternum Hanc opinionem discipulus ejus Pythagoras
maxime confirmavit, quicum ·Superbo regnanteinItalian veniffet tenait magnam
illam Graeciam ec. CICERONE Tusc. BRUTO patriam liberavit. Aulus GELIO Noet.
Attic. Poftea Pytagoras Samius in Italiam venit Tarquinii filio regnum
obtinente, cui cognomento Superbus fuit, mani princ. Ferecides Syrus
primum dixit animos hominum ellefema Quaeft. Pythagoras, qui fuit in Italia
temporibus iisdem, quibus L. mani fu cagione del non darsi credenza
a questa tradizione dai dori, quafichè ellite messero non venir con questo a
scemare la gloria di que'primi secoli,, riconoscendo da un Greco l'Institutore
della Religione, ed il più favio de'Re loro. Quantunque questa non paja ragion
bastante per negare ciò, che gli Scrittori Romani ci dicono: poichè ammessa
questa regola, rifiutar fi potrebbe come supporto tutto ciò, che uno Storico
narra di avvantaggioso per la nazion sua, v e diam tuttavia ciò, che ne dissero
i Greci. E' da credere; che questi sisarebbono recato ad, onore l'aver dato a
Romani il Maestro di Numa: che per Greco passò presso Dionigi e Plutarco
Picagora, che che ne sia della opinione di alcuni moderni, i quali nè Greco.il.
vogliono, e nè, pure di quelle Greche Colonie fondate negli ultimi confini
d'Italia. pal Ora ciò non oftante Plutarco
nonscio glie la quistione, e reca foltanto in mezzo le varie opinioni, che
a'suoi di correvano, fra le quali degna è di considerazione quella di coloro,
che asserivano essere venuto in Italia un certo Pitagora Spartano, il quale
avea nella Olimpiade sedicesima riportata la Plus,in Numar bre
Dacier nelle annotazioni alla sua traduzione francese delle vite di Plutarco;
alla vita di Nuina. palma ne'giuochi Olimpici, fotto Numa terzo anno
appunto del Regno di lui il Dacier fi ride di una tale opinione, fembrando a
questo Critico ripu gnanza da non potersi comportare, che u n personaggio atto
a dare instruzioni ad un Re, e ad un Re,qual fu Numa, abbia gareggiato in
Olimpia per ootttenere il premio del corso.Ma a me pare con buona avendo
Spartani questi additato parecchj al Re ftrato fondamento uli degli sommini
Legislatore alla favola., abbia ed pace di 'un tanto uomo, che le usanze
moderne lo abbiano ingannato nel giudicar delle antiche. A tutti è noto, che
Socrate il più rinoma to Filosofo della Grecia non isdegnava di suonar la cetra,
e che anzi non lasciò di esercitarsi nella lotta; ed oltre a ciò non era poi
mestieri, che fosse un gran scien ziato costui per instruire N u m a delle
leggi degli Spartani. Si sa, che quel popolo nella rigidezza de' costumi, e
privazione di prel so che tutte le cose, le quali rendono dol ce la vita,
godeva per altro dell'avvantag gio d'aver leggi, che per la semplicità, e
con brevità loro, e per la cura del governo nel farle apprendere
a'fanciulli erano note a tutti coloro, che doveano obbedirvi. N o n farei
pertanto lontano dall'ammettere que fta opinione,se altro non vi fosse in con
trario, fuorchè questa ripugnanza ritrovata dal Signor Dacier; m a rinunciar vi
fi dee per troppo più forte motivo, ed è la te stimonianza di Dionigi, il qual
dice non ri levarsi da alcuna memorabile Istoria, che stato vi sia in Italia
altro Pitagora anterio re al famoso Filosofo. Del resto, che il celebre Filosofo
di questo nome nonsia stato a'tempi di Numa, con molte, ed incontrastabili
ragioni Atelio Dionigi si prova, e di più ac cenna ciò, c h e diede occasione a
questa voce sparsası nel volgo, e sono la venuta di Pitagora in Italia, la
sapienza di Numa fuori dell'usato della nazion sua, a cui sipuò ag. giugnere la
conformità della dottrina, ed il ritrovarsi presso alcuni antichi Scrittori, da
cui non dissente Dionigi, che Numa è chiamato al regno il terzo anno della fedi
cesima Olimpiade, il qual anno designarono dallo Dionyf. Halic.con dire, che fu
quello appunto, in cui quel certo Pitagora Spartano avea riportato il premio
de'giuochi Olimpici. E le pure è fondata quella taccia data a Dionigi di
derivare da'Greci assai più di quello, che ragion voglia delle cose de’ Romani,Greco
da lui efsendo Pitagora stimato, ben è da credere, che nel secolo, in cui
eglivivea, fossero i dotii,uomini sicuri della falsità di questa popolar
tradizione. Chiaro è adunque abbastanza, che nessun caso si volea fare di
questa, quando da'più dotti fra' Romani, e fra' Greci fu non solo rigettata, m
3 confutata eziandio, e quando fondato sopra l'unanime consenso loro già
esitato, non avea l'erudito Stanlejo di chiamarla fas vola folenne Quello, di
cui abbiamo infino ad ora raa gionato,non risguarda il regno di Numa, m a
tendeva ad accorciare i cinque seguenti Regni,ed inquestoluogo se*o'èdovuto
trattare, perchè da cosa appartenente a lui ricavata era l'obbiezione. Facciamoci
ora a considerare quelle ragioni, per cui accorciar debbasi il Regno di Numa
medesimo. Pare adunque primieramente all'Autor nostro, che non Stanlejus in
Hift. Philosoph. Io non fo rispondere altro a queste ragio ni,se non lasciare
al giudicio di chiha fior di senno,sesianon solo maraviglioso, eri pugnante, ma
soltanto fuori dell'ordinario corso delle cose, che, quando un uomo fia stato
di singolare ingegno dalla natura for nito, e quand'esso abbia posto cura in
col tivarlo, giunga in età di quarant'anni ad acquistarsi il grido di favio:
tanto più che sappiamo aver Numa ha l'arte di conciliarsi venerazione presso
gente rozza, e per conseguente superstiziosa, collo sfuggire il con non
potesse esser fornito nella fresca età,ei dice, di quarant'anni questo Re di
tanta fcienza, e di cosi alto lenno 2 che già ri suonaffe la sua fama non folo
pressoi suoi nazionali, m a ancora presso gli stranieri, e che il suo nome già
dovesse far tacere in un subito ogni particolar riguardo, e le ani mosità delle
parti, che per lo spazio di un anno intero contefo aveano fra loro dello
Imperio. Che tale fosse la riputazione, che si avea della sua scienza, nelle
cose divine, ed umane, che quantunque i Padri vedes sero la grandezza, che
tornava togliendo il Re dalla nazion loro,nondime n o niuno ebbe ardire di
preporre ad un tal uomo. alcuno a'Sabini, 7 f consorzio degli
uomini, dimorando ne'sagri boschi, col disprezzar le pompe, M a questo non è il
tutto, segue a dire il nostro Autore. Tazio, che reggeva Roma insieme con
Romolo, preso al grido della fapienza di N u m a, gli ditde Tazia unica sua
figliuola in moglie; ed ancorchè dalla Storia non abbiasi in qual tempo ciò
preci samente avveniffe, si può affermare senza tema di errore, questo essere
avvenuto nei primi anni del Regno di Romolo dacchè Tazio morì prima della
guerra co'Fidenati, e co'Camerį, cioè prima dell'anno sedice TACITO, Annal. Nobis
Romulus ut e le grandezze, e lasciar che corresse la voce dei suoi
pretesi congressi colla Ninfa Egeria.La fama della sua giustizia non era tale
da afa sicurar i Romani, che non sarebbono stati molestati da 'Sabini, quantunque
essi avesse ro tolto il Re della nazion loro? Doveano finalmente concordare una
volta i Padri, e stanchi forse i Romani, e mal foddisfatti, come quelli, che
dato ne aveano non dubbj segni,del governo di Romolo, il qualpen deva al
tirannico, fi contentarono di eleggere a R e loro un Filosofo. fimo, libitum
imperitaverat. fimo, o diciassettesimo del Regno di Romolo; e
Plutarco inoltre atteita, che Tazia era morta, quando Numa fu chiamato al Regno,
e che era vissutacon effo luilo spazio di ben tredici anni. Quindi ei rac
coglie, che gran tempo innanzi fioriva la fama della fapienza di Numa, e
dice,che, volendosi ritenere il compuro di Plutarco, sarebbe di necessità
asserire contro ogni ve. risimiglianza, che all'età di soli venticinque anni la
fama della fapienza di Numa fosse già tanta da indur Tazio Re ad allogare una
fua unica figliuola con lui u o m o priva Ed ecco altre opposizioni,a cuidàsem
pre il fondamento il folo Plutarco. E che fede fi dee prestar mai a questo
Scrittore, to, f2 е onde conchiude
non potersi fare a m e no di non dare un sessant'anni almeno a Numa, quando ad
una voce fu eletto Re di Roma, e ne deduce, che se vogliamo, che, come s'ha
dagli Storici, sia vissuto in fino all'età di ottantatré anni, avendo vent'
anni più tardi, che non è la comune cre denza, incominciato a regnare, è
neceffario, che di altrettanti fi venga ad accorciare il suo Regno. Plut. i n
Numa. avanti lui? Per formarci una chiara idea della falsità del
ragionamento del nostro A u tore, connettiamo alcune delle epoche di Plutarco,
che è il suo Achille per questi due primi Regni col suo Sistema Cronologico.
Tredici e più anni avanti alla morte di Romolo ei raccoglie da questo Storicoesser
seguite le nozze di Numa con Tazia. Que sto Storico medesimo dice esser nato N
u m a nello stesso tempo che Romolo innalzava le mura dell'alta sua Roma: ma
vuole il nostro Autore, che di foli diciannove anni circa stato sia il Regno di
Romolo, dunque ne seguirebbe a ritenere tutte queste e p o che di Plutarco,e
congiungerle col suo S i stema, che nel fefto, o fettimo anno della età e
per rispetto almatrimonio di Numa con Tazia, e per rispetto all'esatto numero
di anni, che vissero insieme, minute particola rità, le quali sfuggono agli
stessi contempo sanei? D'onde ebbe egli si particolarinoti zie,che aver non
potè non già ilsoloLi vio,ma nè pure l'accurato Dionigi,ilqua le tanta maggior
diligenza usò nello stende re le sue Storie, che di maggior criterio è fornito,
e che visse notabile spazio di tempo Plut. in Numa. 1 età fua N u m a
avesse menato moglie, ridi colo affurdo, ed inverisimiglianza troppo maggiore
al certo, che non sia quellad' averla menata nell' anno vigesimoquinto. So che
rigetterà egli quest'epoca, poichè chia ramente scorgesi doversi secondo il suo
Si Itema porre f 3 la nascita di Numa quarant'anni innanzi alla
fondazione di Roma; ma è da riflettere,che se di quelle, direi così, m i nute
epoche, di cui favella Plutarco, non ne danno gli altri Scrittori un minimo cen
no,nel mettere la nascita diNuma alprin cipio del Regno di Romolo, o là in quel
torno, concordano tutti; poichè tanto asse risce Dione, lo stesso si raccoglie
a un dipresso da Livio, ed infine l'accurato Dionigi dice che Numa quando
giunsealSo lio, era vicino al quarantesimo anno, onde non essendovi, come a luo
luogo opportu no abbiam mostrato ragione alcuna di ab breviare il Regno di
Romolo, fi vuol pure secondo lui mettere circa a'prinċipj di Roma la nascita di
Numa. Perlaqualcosa stra no dee riuscire, che l'Autor noftro rifiuti Dion.
Cocej. in fragm. Peiresc. ex ed.Rei. quella mari Hamburg. LIVIO. Dionys, Halic.
quella epoca di Plutarco, la quale è atte Iata dagraviffimi Scrittori,ed
ammetta quel le, nello asserir le quali trovasi solo questo Stórico. E' adunque
forza rigettare le epo che di Plutarco, e queste sue minute noti zie,non solo
perchè incerte,ma perchèfe fi colgono tutte insieme mal congiungerli possono
col Sistema del nostro Autore. Per rispetto poi a quelle parole di questo R e
presso Plutarco, con cui rifiuta il R e gno, le quali pajono a lui disdicevoli
i n bocca M a concediamo, che queste particolarità accertate fieno, e n o
n ripugnino col Sitte m a di lui le epoche stesse di Plutarco, che grande
assurdo ne seguirebbe poi? Che Tazio avrebbe data lasua figliuola in isposa a
Numa, mentre questi era di soli venti cinque anni;a Numa de'principali fra' Sa
bini; a Numa, che già erasi acquistato per avventura riputazion d i fapiente; a
Numa infine, che quantunque giovane, ben si può far ragione dal gran renno, che
poscia di mostrò, che di venticinque anni uguagliasse molti uomini, i quali già
fossero avanti nell' età. Qui mi pare in una parola, che la grandezza moderna
abbia offuscato l'intellet to del nostro Autore nel recar giudizio dell' antica
semplicità. E' ben vero però, che fa d'uopo fer marsi ancora alquanto
intorno ad una sua considerazione, la quale entrambi gli abbrac cia,ma
spero,chemi verrà fatto di dimo, bocca di un uomo di soli quarant'anni,già
ne abbiamo sopra ragionato. .Basta aggiugnere, che quantunque proferite le avel
le questo Re Filosofo in taleesà, male non gli sarebbono state in bocca. Forse
tuttigli uomini hanno da potersi vantare di militar bravura? E quando
vantatosene fosse,non era egli noto, che mai vissuto non avea fra l'armi?
Concedası, che questa dote fosse necessaria ad un Principe in quelle circostan
ed egli appunto mostrò di stimarla tale e per questo accettar non volea
l'offertagli Corona. Non hanno pertanto da parer disdi cevoli, e vergognose in
bocca di un Filosofo di quarant'anni, mentre Numa di tutt' altro pregiavasi,
che di stare in full armi, ed avea preso b e n diverso cammino per giungere
alla gloria. Laonde mi pare, che già li fia fatto chiaramente vedere, che per
quello, che spetta a'due primi Regni, non avea l'Autor noftro per accorciarli.
alcun bastantemotivo Itrare ze, f A (+) Cap ly. Strare non aver questa maggior forza delle
altre sue obbiezioni. Pare adunque all'Autor noftro improbabile, Tullo
Ostiliori accendere petti de'Romani (nervati che abbia la bellica virtù ne® di sessantacinque
anni dice risultare l'antica Crono logia da quarantatré anni del Regno di Numa,
da un anno d'interregno, e da ven tuno pacifici già da una pace anni, i quali
sessantacinque di Romolo. secondo potuto samente potuto Tullo Ostilio delta re
dopo sì gran tempo Romani, e guidarli come ei fece si animo alla vittoria: fi
ponga però soltan to mente alla pace, da cui uscivano i Romani, e biano
interrotto l'ardor guerriero n e ' per qual guerra una e chiaramente fi verrà a
comprendere, come ciò fia poflibile. tal pace ab Lasciando ora da parte, se
quegli ultimi anni di Romolo sieno stati cosi pacifici come si dà a credere il
nostro Autore, o fe almeno, come abbiamo sopra mostrato, non abbia quel
bellicolo Principe mantenuti vivi gli spiriti marziali ne'suoi Soggetti; venia
mo a vedere, fe ammettendo questasilun ga pace,ne risulti tale
inverisimiglianza, per cui abbiasene a negar la possibilità. Tutta la
ripugnanza consiste nel concepi come abbia те, La pace de'Romani non era nata
dall' ozio, è dal timore, ma era una pace, che ben lungi dal paventar de'nemici
era in istato di farsi temer da quelli:onde non dovea pure sembrare improbabile
al nostro A u tore, che le circonvicine nazioni gelose della grandezza di Roma
non ne abbiano turba ta la tranquillità. E che senno sarebbe stato il loro di
romper guerra con un popolo pol sente, e valoroso, che vivea in pace bensi, m a
in una pace lontana dalle morbidezze, dura, rigida,anzi feroce, che non le of
fendeva in cosa alcuna, che dava speranza in fine di voler depor l'armi,
confervar l' acquistato, nè più curarsi di estendere i confini? Aggiungafi
inoltre di quai belle doti a b bia il saggio N u m a fornito i suoi soggetti
pendente il suo pacifico Regno. Numa acconciò il popolo a Religione, e
Divinità, per servirmi delle parole di Tacito, fu, vale a dire, datore di quel
freno, e {pro ne sì necessario, promosse, favorì, e ftudioffi in ogni modo di
farfiorirel’Agricoltura,co me hassi non già dal solo Plutarco, ma da Dionigi
eziandio. Ora ciò posto non iscriffe Plut, in Numa, Dionyf, Halic. TACITO, Annal.
Che A. Saggio sopra il Gentilefiro go lo stesso noftro A., seguendo il
parere del Segretario Fiorentino, che, se dove sono le armi, e non Religione,
con dif ficoltà fi può quella introdurre, dove è Religione, facilmente si
possono introdurre le armi? E in quanto allo avere un popolo di agricoltorinon
avrà egliavuto probabilmen te sotto gli occhi una riflessione veramente aurea
diPlutarco,laqualequestopiùFilo. fofo, che Storico inserisce nella vita di Numa,
ed è, che, se in villa si perde quella temerità, e malnata voglia, che ci
spinge a rapire le sostanze altrui, fi conserva però ottimamente tutto il
necessario coraggio per difender le proprie? Che più? Non diceegli stesso, che
quel Principe, che ha uomini può farne presto de'soldati, che un zappatore, un
contadino li avvezza agevole mente a marciare, a patir caldo e gelo, alle
fatiche, ed agli ordini della milizia? Ecco in qual maniera da que'robusti
contadini, della Religion loro veneratori, amanti della patria abbia Tullo
Ofilio potuto ben tosto crarre un poderoso esercito. A. Viaggi di Rusia ra,
avere Che se altri poi si volgerà a considerare, per qual guerra abbia questo R
e rotti gli ozj dellapatria, e spintii Romani all'ar mi, come s'esprime
Virgilio, vedrà,che ca de rovinata del tutto la ripugnanza i m m a ginata dal
nostro Autore. Nella prima guer che ebbero i Romani dopo il Regno di Numa, non
trattossi di uscire dal proprio paese,e andarad invaderecon armata ma no
l'altrui, trattosli di difendere i propri confini dagli Albani', che per
gelosía d'ima pero vollero la guerra con esli, e le per avventura non
si-sarebbono questi accinti di buon animo ad una straniera espedizione, è da
credere, che non avendo ne'campi perduto il necessario coraggio per difende re
il suo, con tanto maggior ardore moffi G fieno a rintuzzare la forza degli
ingiusti aggressori. Che tali poi fieno stati gli Alba ni, avvegnachè Livio
secondo l'usanza fua distintamente non ne favelli, non ce ne lasciano dubitare
e Diodoro Siculo, e lo Atesso tante volte lodato Dionigi. Per ciocchè il primo
dice, che finfero gli Alba ni di aver motiyo di lagnarside'Romani per LIVIO Diod.
Sicul. excerp. Legat. Dionys Halic. iRomani sia per gara di primato, sia a
cagione di questo stesso maltalento, che contro esli gli Albani dimostravano,
non mancassero di corrisponder loro in malevolenza, e già in questo modo fparli
fossero que'semi di odio, i quali scoppiarono poi in guerra manifesta. Nè
tralasciarfidee,cheilnuovoReTullo Ostilio già erasi colle sue belle qualità cat
tivato l'affetto de'Romani, e col distribui re a'bisognosi cittadini certe
terre, le quali aveano appartenuto a'due primi Re, come scrive Dionigi, avea
già dato ad effi avere un pretesto di muovere contro esli, come quelli,
che portavano invidia alla p o •tenza loro; e Dionigi attesta, che Cluilio
Dittator di Alba volle la guerra co’Roma ni, e permise a'suoi di dare il sacco
impu nemente alle terre loro.Aggiungafi, che gli Albani, come sopra abbiam
cacciato una parte del popolo loro, la qua le a persuasion di Numitore, che per
rego la dibuon governo volea purgarne laCittà lua,era ita con Romolo probabile,
che vedessero di mal occhio cre sciuta a tanta grandezza una Città formata
de’rifiuti loro, e che d'altra parte riferito, avean a Roma, onde è mo 1 Diony.
Halic. motivo di sperare di dover condurre una vita felice sotto il
governo di lui. In abbiano Regni di Tullo Ostilio, Anco Marzio, Ccoci ora
giunti al Regno di quel Tullo Oftilio, che meritò di nuovo corona per la sua
perizia militare, e guidò alla vittoria. pure il nostro Autore, che d'alcun
poco s'ac VIRGILIO, Aeneid, potuto cor Patria si cara, e che già per le
civili, e militari virtù di Romolo, e per lo senno di Numa salita era ingrande
stima,ed ono re presso le vicine nazioni. difendere una Eccoci e Tarquinio
Prisco. que Ita maniera resta verisimile, che i Romani robusti, e valorofi
com'erano dilornatura, offesi da un popolo ad essi odioso, governati, e retti
da un favio, e prode Principe, che amavano, Agmina J a m desueta triumphis
Questo Regno adunquenon meno diquello del suo fucceffore Anco Marzio
defidera Vero è, che si potrebbe in primo luogo fospettare e
dell'età si avanzata di Anco e della stessa asserzione, che questo R e alla
morte sua non avesse un figliuolo, il quale giunto fosse alla pubertà.
Perciocchè il n o Itro Autore da un'epoca del suo Plutarco raccoglie, che
giunto già foffe Anco all' anno sessantesimoprimo dell' età sua, quan do venne
a morte, prestando intera fede a questo Storico, allorchè dice, che Anco ni
pote di N u m a per parte di una figliuola alla morte dell'Avo già era nel
quintoanno dell' età fua; minuta particolarità, di cui egli folo c'instruisce,
non facendone motto non solo Livio, m a nè pure Dionigi, entrambi corcino,
avvegnachè non possano chiamarfi di lunga durata, non giungendo ilprimo se non
a trentadue anni, ed il secondo a ven tiquattro, secondo la Cronología
comunemente ricevuta; e la ragione, che lo spinge ad abbreviarli, non è altra,
se non l'improba bilità, che, secondo lui, risulta dal doversi ! fupporre
nell'antico Sistema, che il Re Anco Marzio fia morto nella età di anni fel
fantuno senza aver figliuoli, i quali già per venuti fossero alla pubertà.
Plut. in Numa in fine. i fe dati questi per ne nyf. Halic. LIVIO.
Jam filii i quali fi restringono a dire,
che questo R e nipote era per via di una figliuola del Re Numa. Nè
certaèpurequell'altraal serzione del nostro Autore, che alla morte di Anco non
fosse ancora alcun suo figliuo lo giunto alla pubertà: perciocchè, te LIVIO
descrivendo non troppo accuratamente quel primo secolo di R o m a secondo
l'ufan za fua,diceallasfuggita,cheifigliuolidi Anco erano vicini alla pubertà,
Dioni gi, il quale con occhio più diligente scorse que'tempi, attefta, che uno
de'sopraccen nati figliuoli era già pervenuto alla pubertà, e l'altro ancora
fanciullo (e). Dubbiosi sono pertanto,per nondirfalsi,ifondamentidella
difficoltà. Vediamo ora, veri fia almeno questa convincente".
Perdonimi A.; ma io debbo con fessare,
che quando lessi questa parte del suo Saggio,non potei fare a meno di non com
piangere m é costesso la deplorabil sorte della umana ragione, non potendosi
coloro, che LIVIO. NumaePom pilii Regis Nepos filia ortus Ancus Martius
erat.Dio prope puberem aetatem erant. Dionys, Halic. ne fanno la gloria, qual
certamente egli era liberare da'pregiudizi pienamente. Grave presunzioneinvero
contro alla giustiziadella causa si è l'esser forzato un u o m o del suo senno
a ricorrere a tali ragioni per sostenerla. La grande impressione, che avea
fatto in lui il Sistema Cronologico del Neutone, 1'opinione, che aveva della
dottrina di quefto Filosofo fecero sì, che lasciò sfuggir dalla penna certe
ragioni, le quali eglim e desimo, le altri gliele avesse opposte, non avrebbe
né m e n o degnate di risposta se è da credere, che tutti gli uomini facciano,
e d Anco medesimo abbia fatto quello,che pru dentemente far fi dovrebbe. Se
finalmente anche concesso, che ne'giovani suoi anni abbia Lascio pertanto al giudizio de'giusti matori
delle cose, se l'esser morto il Re Anco Marzio in età di anni sessantuno fen za
aver figliuoli, i quali trapassasseroiquac tordici ami, sia tale
inverisimiglianza, che ci sforzi a negar fede a'più gravi Scrittori delle cose
Romane di que'tempi, e lascio per conseguente pure al giudicio loro, fe,
fupposto, cheil partito prudente fosse di tor moglie, essendo egliancor giovane
perpo terlasciare, come l'Autor nostro s'esprime, dopo le figliuoli attial
governo, esti abbia tolto moglie, sia cosa inverisimile, che se non tardi
abbia avuti figliuoli,o pu re morti fieno avanti lui i primi,non rima nendovi
che gli ultimi. Tutte queste cose, come dicea,io le lascio al giudicio de'let
tori, e mi reftringerò soltanto a dimostrare, che la speranza, la quale
prudentemente a y rebbe potuto nodrire, che i suoi figliuoli poteffero
succedergli nel Regno, non era tale da spingerlo a tor moglie affai per tempo,
la qualcosa per recare ad effetto mi con verrà indagare attentamente quelle
leggi, o per dir meglio costumanze,secondo cuicrea vanli i Re di Roma; tanto
più che, oltre all' effere materia per se importante, non ci riuscirà forse
inutile l'averla trattata nel de. corso di queste osservazioni. Chi dunque
prende a considerare la con ftituzione del governo di Roma a que tem
pi,hadapormente innanzi di tutto,che le cose non erano ordinate, come sono
negli Statide'giorninoftri, ma chesenonrego lavansi gli affari del tutto all'
avventura, elea forza, e l'accortezza aveano per l'ordina rio'non poca
parte nelle deliberazioni. Dif ficile pertanto sarebbe trovare le leggi fone
damentali, secondo cui fissata fosse la suc cessione al Trono, ovvero il modo
della la g A due capi ridur si può la base della constituzione di
qualunque Stato: al modo, con cui si e leggono, od intendonsi eletti quel
Principe, o que' Magistrati, che hanno da reggerlo, ed alla autorità, che
questi hanno sopra i loro soggerti. Della autorità, che i Re di Roma avessero
soprailorosog getti, non appartenendo punto alla presente quistione, io non
farò parola. Chi deside raffe per avventura d'esserne informato, potrà
ricorrere a Grozio, ed al Cellario ed a que'luoghi degli antichi Scrittori da
essi accennati. Mi volgerò bensì a mostra che Grotius de Jure Belli et Pacis
Chriftoph. Ceilar. Breviar. Antiq. Roman..feff.1.1 elezione: tuttavia
connettendo alcuni luoghi degli Scrittori, e facendovi sopra alcune ri
flessioni, verremo in chiaro, per quanto comportar lo possa un si rimoto
secolo, di quelle consuetudini, le quali, secondo c h e io stimo, tenevano
luogo presso i Romani di leggi fondamentali. per quanto raccoglier si poffa
dalle scarse notizie di quella età il Regno di Roma piuttosto elettivo, che
altro chiamar li dee. re, 1 E 03.120. ma E prima di tutto, le dalla
qualitàde'Re, i quali fuccedettero l'uno all'altro, si può ricavare alcuno
indizio, certa cosa è, che in que'sette Regni mai figliuolo non succe dette al
padre, che anzi tutti furono di di verle famiglie. Non parlo di Tarquinio il
Superbo, il quale non per giusta strada, m a colla forza, e per mezzo delle
scelleratezze giunse al Trono, a cui mai sarebbe in al tro modo pervenuto.Veda
adunque l'Au tor noftro, se dalla elezione di Anco, che nipote era per via di
una figliuola di N u che non subito dopo il Regno dell' Avo,ma dopo quello
diServioTullioasce se al Trono, inferir se ne possa, che piut tosto pendesse ad
essere successivo il Regno di Roma. Che se Tarquinio Prisco allonta nò da Roma
i figliuoli di Anco nella ele zione del nuovo Re, la qual precauzione egli
s'avvisa dimostrar, che vantassero que sti giovani diritto al Trono,si vuol
notare, che tutto facea per li figliuoli di Anco,per muovere i Romani a
conceder loro il Regno, e tutto era contrario a Tarquinio. Erano i primi
discendenti da N u m a figli uoli di Anco Principe, che congiunto avea le più
belle qualità de'suoi antecessori, o n de è detto da Livio uguale a qualunque
de' pal. g 2 Pa LIVIO. Medium erat
in Anco ingenium,& Numae, et Romuli memor. Id. ibid. Cap. 14. n. 35.
Cuilibet fuperiorum Regum belli ) Dionyf. Halic. Lib. III, pag. 184. 1
Too passati R e nella gloria delle arti
sia di Sequitur jactantior Ancus Nunc quoque jam nimium gaudens popu laribus
auris. Uno di questi poi secondo Dionigi già era alla pubertà pervenuto.Laddove
Tar quinio oltre ad essere straniero essendo stato dal morto Anco fuo fingolar
benefattore d e ftinato per tutore a'suoi figliuoli, la qual cosa fece per
avventura, lusingandosi, che avrebbe egli tentato ogni modo di aprir loro la
strada al Trono,nè per gratitudine questo dovendofi fupporre ignoto a' R o m a
ni, certa cosa è, che eravi ragion di teme re per lui di non poter ottenere il
suo in tento, quantunque il Regno fosse elettivo, se i figliuoli di Anco
avessero potuto chia marlo, esponendo a' Romani i meriti del paces che di
guerra, e quello, che è più grandemente amato dal popolo,secondo che disse
Virgilio in que'suoi versi, ove più da Storico, che da Poeta favella.
pacisque,& artibus, et gloriapar. Virgil. Aeneid. Padre loro, la di cui
memoria era ad effi si cara. Sapea benissimo l'astuto, ed a m bizioso Tarquinio,
qual impressione far p o tea nel popolo l'aspetto de' giovani Princi pi, ed il
rinfacciargli, che avrebbono fatto la sua ingratitudine. Temè pertanto la pre
senza loro giustamente, e trovò m o d o di allontanarli da’ Comizj. Dal fin quì
detto chiaramente risulta, che non ostante i pregj, che vantavano i figliuoli
di Anco, essendo stati esclusi dal Trono, a cui quantunque per molti motivi
gliene dovesse esser chiusa la strada, fu innalzato Tarquinio, ben lungi
dall'inferire da questo allontanamento, che nella elezio. ne del R e i voti
stessero ordinariamente per la ftirpe Reale, 'avendo un tale allontana mento
bastato ad escluderli, se ne dovea a più buona ragione dedurre, che i Romani
niun riguardo avessero al sangue Regio nella elezione del Re loro. min, Alienum
quod exaétum: alienioremquod ortum Corin tho:faftidiendum quod mercatore
genitum: erubefcendum quodetiam exule Demararo narum patre, VALERIO MASSIMO, Ma
veniamo ora con testimonianze degli Storici a dimostrar maggiormente il diritto
de'Romani nell'elezione de’ re loro, eco.. g3 ininciando da Livio: Servio
Tullio, dice questo Storico, avvegnachè foffe coll'uso al possesso del Regno,
tuttavia perchè sa peva, che il giovane Tarquinio andava dif ieminando esso
regnare senza ordine espres so del Popolo, conciliatosi il buon voler della
plebe col distribuir certe terre tolte a’ nemici, fi arrischio di porre in
deliberazio ne a'Romani, fe volevano, ed ordinavano, che regnasse o no, e con
tanto general c o n senso, con quanto per lo innanzi alcun al tro giammai Re fu
dichiarato. Ove è da notare,che Tarquinio il Superbo per farsi strada al Trono
non vanta già i suoi diritti come figliuolo di Re, nè taccia Servio di
usurpatore, perchè coll'occasione di a m m i nistrar la tutela di lui era
giunto al Princi pato, m a dice, che fenza espressa elezione del popolo Servio
Tullio governava il R e gno: e Servio per dileguar que'rumori,non risponde già
non essere un tal consenso n e cessario, ma, assicuratosi prima dell'affetto
quam jam ufu haud dubie Regnum poffederat; tamen quia interdum jactari voces
LIVIO Serviusquam del a juvene Tarquinio audiebat fe injusu populi regnare,
conciliata prius voluntate plebis, agro capto ex hoftibus viritim diviso, aufus
eft ferre ad populum, vellent juberentne fe regnare: santoque consena fui,
quanto haud quisquam alius ante, Rex eft declarcius; # Questo è
quanto dice Livio lo Storico, di cui l'Autor nostro maggiormente si pre gia; m
a per dare a vedere con alcun altro Scrittore la verità medesima, a chi della a
u torità del solo Livio non si volesse appaga consideriamo c o m e parla lo
ítesso S e r vio presso Dionigi per difendersi dalle accu fe di Tarquinio:
mentre io era disposto (ei dice adunque a Tarquinio ) a rinunciare il Regno i Romani
mi trattennero, sulqual Regno essi hanno diritto, e non voi altri, o Tarquinj;
quindi prosegue: siccome al vostro Avo (cioè a Tarquinio Prisco ) fu dato il
Regno, quantunque estero, ed alie nisfimo dalla cognazione diAnco, sprezzati i
figliuoli di Anco non fanciulli e nipoti, m a nel fiore dell'età loro, nello
stesso modo a m e f u concesso, perchè il Popolo Romano non un erede del Padre
metre algo verno della Repubblica, ma un personaggio veramente degno del
Principato. Tutto questo vien confermato dalla con g4 'del popolo, pone
in deliberazione a’Romani, le volevano, che seguitasse a reggerli, cose tutte,
che l'autorità del popolo nella elezione de'Re appieno dimostrano. dotta 1 re,
(in) Dionyf.Halic. dotta di Tarquinio Prisco verso i figliuoli di Anco; chi si
vorrebbe dare a credere, che un uomo cosi accorto avesse commesso tale
inconsideratezza di lasciar dimorare in Roma questi Principi, e non proccurare
di al lontanarli per destro modo da quella Città se avesse loro usurpato il
Regno? Bisogna credere, ch'ei s'avvisasse dinon esser reo d'ingiustizia veruna
contro d'essi, non altro avendo fatto, se non usare una destrezza per ottener
dal Popolo una cosa, di cui questo poteva liberamente disporre. Vero è, che sia
Anco Marzio, fia Tare. quinio Prisco, destinando per tutori de'pro pri
figliuoli personaggi, i quali doveano ef sere per ogni ragione ad elli tenuti
grande mente, si lusingarono, che questi proccurasse roa'lorofigliuoli
quelRegno, cheime desimi procacciarono per fe, servendosi per l'appunto del
credito acquistatofi penden te il governo de'benefattori loro. M a que sta cura
medesima, ed il non aver sortito l'effetto desiderato da que’ due Re, dimo-.
ftra vie più il poco riguardo, ch'avea il Popolo Romano al sangue Reale nelle
ele, zioni de’nuovi Principi. Del resto, se da quel general ritratto de?
costumi de'Romani di que'tempi, che racs Troppo parrà a taluno, che
dilungato mi fia in questa materia, la quale in vero non avrei trattato così
ampiamente, se non mi fosli dato a credere, che anche prescinden Montes Esprit
des Loix LIVIO cogliesi dalla Storia, si può trarre qualche congettura, essendo
propria di popoli rozzi peranco e semibarbari una costituzione in forme di
governo, non è da credere, che la successione al Trono di padre in figliuo lo
stabilita fosse tra esli, essendo questa frut to di secoli più colti, e per
recar finalmen. te la testimonianza di qualche moderno Scrit tore ', che questa
verità abbia riconoíciuto, basterà per tutte quella del Montesquieu, il quale
asserisce chiaramente e fuori di verun dubbio, che il Regno di Roma era
elettivo. Veda adunque l'assennato lettore, se la SPERANZA di lasciar figliuoli
atti al Regno allamorte fua era tanta da muover Anco a tor moglie assai per
tempo, e se anche c o n cedendo tutte le conseguenze, che da que Ro matrimonio
cosi per tempo contratto ne deduce il nostro Autore, le quali altri forse non
avrebbe alcun ribrezzo a negare il fon damento, che a queste ei pose,
siastabile, e fermo fufficientemente. do do dalla nostra quistione, non
sarebbe per avventura riuscito discaro il veder posto in pieno lume untal
punto. Tempo è ora, che veniamo al Regno di Tarquinio Prisco. Se de'Regni di
Tullo Ostilio, ed Anco Marzio toccò per così dire soltanto alla sfug gita il
nostro Autore, di troppo più forti r a gioni fi crede afforzato per accorciar
la d u rata di quest'ultimo. E qui debbo di nuovo avvertire, che l'essersi egli
appagato degli scarsi racconti di Livio, e il non aver rivolto l'occhio a quel
lume, che mena di ritto per l'oscuro calle di que' primi tempi di Roma, voglio
dire a Dionigi, è stato cagione dell'aver egli ritrovate ripugnanze, che non vi
sono. Strana a lui pare, per istringere le sue ragioni in breve,la disfimu
lazione de' figliuoli di Anco, che per tren totto anni aspettarono luogo e
tempo vendetta, e vendetta ei dice eseguita contro un usurpatore del Regno in
pregiudizio loro, avvegnachè fosse itato instituito tor di essi dal Padre
medesimo. E d'altra parte a lui pare, che troppo grande disdet ta sia stata la
loro, che di tanta dissimula zione dopo aver indugiato intino alla età di
cinquant'anni ad operar quel fatto, non ne abbiano colto frutto alcuno alla tu.
tuttociò essendo cona rimasi esclusi dal Trono. per altro grido di
accurato nel raccogliere i fatti descritti dagli Antichi, e il di cui difetto
non è la brevità, cioè, ch'essendo stato ucciso il famoso Augure Accio Nevio colui,
di cui si racconta il prodigio vero o supporto della cote tagliata col rasojo,
i figliuoli di Anco attribuirono questa uccisione a Tarquinio, fia perchè,
essendo il R e entrato in pensiero di far m u tazioni nelle leggi, temeva non
gli dovesse di Ma se avesse egli consultato Dionigi, avrebbe veduto, che
vero è bensì aver in terposto i figliuoli di Anco trent'otto anni tra la
ingiuria, e la vendetta in questo fen fo, che potessero recate ad effetto le
loro crame, ma vero poinon è, che in questo frattempo questa medesima
scelleratezza altre volte macchinato non avessero,laqual cosa non sivenne a
sapere,se non dopochè eb bero eseguita quella tragedia: Chiaramente in farti
asferisce Dionigi, ove narra la morte di Tarquinio, che coteíti figliuoli di
Anco più volte aveano tentato di togliergli la vita, che anzi aggiugne questa
partico larità, omeffa da uno Storico moderno, il quale ha Dionyf. Halic. Rollin
Hift. Rom. di nuovo efier contrario questo Augure,coa m e altre volte
trovato lo avea, sia perchè egli non fece le necessarie ricerche per stato
a 1 conoscere, e punirne gli uccisori. Riconci liolli Servio Tullio con
Tarquinio, ma avendolo ritrovato facile al perdono, dopo tre anni il messero a
morte nel modo, che de scrive Livio. Dirà taluno non esser da cre dere, che
abbia Tarquinio sì facilmente p e r donato un tale attentato a'figliuoli di
Anco; m a forse vero era ciò, di cui l'accagiona vano, e se ne avesse mostrato
risentimento, avrebbe dato peso all' accusa. Del rimanen te è da credere, che
note non fossero a Tarquinio le antecedenti macchinazioni, perchè dicendo
Dionigi unicamente a proposi to di quest' ultima, che lo ritrovarono fa cile al
perdono, dimostra, che le altre giun te non erano a cognizione di lui; onde
cagion di quella accusa, ben avesse egli m o tivo di tenerli per malcontenti,
ma non a segno di volergli toglier la vita. ri che allora pre Anzi di più è da
notare cipitarono l'impresa i figliuoli di
Anco, quando sividero chiusa lastrada dipoteredopo la morte del vecchio R e,
esponendo i m e riti del Padre loro, procacciarsi il Regno; voglio dire quando
giunto Servio inalto stato presso a Tarquinio, ed instituito tutor
re de' figliuolidilui, vedevano, chequesti amato, e ten Tutto questo succeduto
non sarebbe, se fosse stato, come pensa l'Autor noftro, Tar quinio un
usurpatore, poichè non avrebbo no dovuto tentare tante obblique strade, usar
tanta diffimulazione, ed è da credere, che più facilmente, e più presto
sarebbono forse venuti a capo de'loro disegni. M a già so pra abbiam messo in
chiaro, ch'elettivo ef Tendo ilRegno di Roma ingrato bensi, e sconoscente ad
Anco fuo benefattore non usurpatore chiamar fi può Tarquinio Prisco. Strano
pertanto non dee riuscire che abbiano frapposto i figliuoli di Anco
trentore'anni non già tra l' ingiuria, e la e riverito da'Romani poteva
con tro esli servirsi del credito rante ilRegnodi Tarquinio.Fecero per tanto
pensiero di arrischiare il tutto iare, le poteva loro venir fatto con una d i
{perata impresa di far levare il popolo a r u more,presso cui(prestando
fededileggie ri l'uomo a quello, che spera ) stimato a v ranno, potere ancor
molto la memoria del di quel Trono, a cui avvisavano di non poter giugnere in
Padre, e così impadronirsi altro modo. acquistatofi du ma de
deliberazione, che fecero di vendicarsi,m a tra l'ingiuria, ed il vedere
la vendetta loro eseguita non sarebbe questo il solo esempio, che delle
contraddizioni c'instruisca dello spirito umano. Non avete, dice pure egli
stesso A. Disc,milit.Disc.Sopra la Giornata di Maxen. Non fa ora quasi
più mestieri di farmi a dimostrare, che per non aver esli colto al cun frutto
dalla loro lunga dissimulazione, non sidee,come fa l'Autornoftro,negare, che di
trentotto anni stato non zio di tempo, il qual corse dalla morte di Anco a
quella di Tarquinio Prisco. E chi non sa, che moltissime volte non riescono ad
uomini avvedutissimi i loro disegni? Dice pure lo stesso A., che l'efito il
quale importa il tutto innanzi agli occhi del volgo, è nulla innanzi a quelli
del fa vio? E d ancorchè fuppor fi volesse, che i figliuoli di Anco, i quali
aveano per si lungo tempo con tanta cautela l'affare, non avessero poi usate
condotto le dovute della c o n giura, non farebbe questo, per servirmi di
avvertenze nell'ultimo scoppiar nuovo delle parole di lui in altra sua o p e
sia lo spa tan ra tante volte veduto la medesima nazione, il medesimo
uomo prudentissimo ragionevolisii m o in una cosa, imprudente, ed irragione
vole in un'altra, benchè in ammendue gli dovessero pur esser di regola le
stesse m a l fime, gli itefli principi? Del rimanente chi la, se non si farebbo
no gli uccisori impadroniti del Trono, quan do Servio Tullio, e Tanaquilla non
foliero stati così avveduti, come e'furono? A tutti è noto, che Tanaquilla fece
correr voce, che Tarquinio ancor vivea, affinchè niente si tentaffe di nuovo, e
Servio avesse c a m ро di premunirsi. Onde possiam conchiude re, che nè pure in
questoRegno diTar quinio vi è ripugnanza tale tra i farti, e le epoche, che ci
sforzi ad abbreviarlo. Regni di Servio Tullio, e di Tarquinio E il non aver
consultato Dionigi traffe più volte l'Autor noftro in errore, secondo A. Dialoghi
sopra l'OtticaNeuron, quello, SE Superbo. Dialog. Per venire adunque prima
di tutto alle ragioni, per cui giudica l'Autor nostro d o versi abbreviare il
Regno di Servio Tullio: fu Servio, ei dice, ucciso da Lucio Tarquinio, di poi
cognominato il Superbo, che voleva ricuperare il Regno paterno toltogli d a
effo Tullio, uomo intruso, e dischiattaser vile,e fu ucciso dopo un indugio di
qua rantaquattro anni, il che, segue eglia dire, vie maggiormente pare
inverifimile a chi fa considerazione, che questo Tarquinio era già uomo da
menar moglie, allorchè Servia Tullio divenne Re, ch'egliera dispiritiol
tre quello, che abbiam sopra dimostrato, onde ritrovò irragionevolezze, ed
inverisimiglian ze tali, che stimò doversi di sì lungo trat to di tempo
abbreviar la durata de'Regni de'RediRoma,ilnon aver rivolto lo sguardo a questo
Storico assurdi gli fece rinvenire in questi due ulti mi Regni. Perciocchè in
vero gliere le difficoltà mosse de'cinque primi Regni contro la durata non
avrebbe molte volte fairo mestieri d i mente a Dionigi; m a più difficile
riuscireb be il rispondervi per rispetto ultimi,se non si face fleuso della autorità
di lui. troppo maggiori ricorrere necessaria. a questi due, per iscio 1
che abbrancato Servio nel mezzo della persona lo si portò di peso fuor della
Curia,e gittollo giù perli gradini;ora sea quarantaquattro anni del Regno di
Servio si aggiungono venti circa, ch' eidovea ave re alla morte di Tarquinio
Prisco,verrà ad esser vecchio di sessantaquattro anni, allor chè dimostrò tanta
gagliardía. Questi sono i motivi, per cuistima l’Au tor nostro esser più
inverisimile aver Servio regnato quarantaquattro anni, che Tarqui nioPrisco
trentotto.Già abbiamosopradi mostrato non esser punto contraria a'fatti la
durata del Regno di Tarquinio, ora verre mo a far vedere effer non meno
verisimile la durata del Regno di Servio, che quella non tremodo ardenti,
ed ambiziosissimo,.e v e niva tuttodi stimolato ad occupare ilRegno da Tullia
sua moglie femmina trista fopra ogni credere, e malvagia. Dal che ne c o n
chiude esser m e n o probabile, che Servio Tullio abbia potuto regnare
quarantaquattro anni, che Tarquinio Prisco trentotto. Oltre di questo ei
riflette, che Lucio Tarquinio, il quale vivente Servio Tullio è sempre q u a
lificato giovane, fosse tuttavia giovane, e robusto alla fine del Regno di
quello, la qual cosa egli arguisce da ciò, che fi leg ge, LIVIO Tuumeft.....
non sia del suo antecessore. Desidererei per tanto prima di tutto lapere, onde
abbia r a c colto l'Autor noftro quella particolarità,c h e al principio del
Regno di Servio già fosse Lucio Tarquinio in età da menar moglie. Di questo non
m i venne fatto di ritrovarne parola presso gli Storici, e non mi posso
persuadere, che perchè Livio descriven do le azioni di Servio pone prima di tut
to aver egli date in ispose due sue figliuo le a Lucio, ed Arunte, per questo
abbia l' Autor nostro stimato di poter mettere q u e sti due matrimoni al
principio del Regno di Servio: perciocchè in questo caso ognun vedrebbe sopra
quanto fallace congettura egli avrebbe avventuraro questo fatto. M a quando
pure da Livio ciò ricavar fi potesse, vorrei di più, ch'altri mi sciogliel se
questo nodo, cioè se a tale età già per venuto era Tarquinio Superbo alla morte
di Tarquinio Prisco, c o m e riuscir poffa proba bile, che Tanaquilla con
quelle si eloquenti parole eforti presso Livio Servio Tullio a Servi fi vir es
Regnum, non eorum, qui alienis mani. bus peffimum facinus fecere: erige'te
Deosque duces re. quere, qui clarum hoc fore caput divino quondam circum
Desidererei pure, ch'altri insegnar mi sa pesse ilmodo dicomporre insieme
l'aver Tanaquilla un figliuolo giunto alla luccenna ta età, ed il proccurar,
ch'ella fa il R e gno a Servio piuttosto, che a Tarquinio suo figliuolo. E d
ecco che senza rivolgere al tro Storico, che il folo Livio, dando vento anni
circa a Tarquinio Superbo al princi pio del Regno di Servio, ne risultano in
verisimiglianze grandissime, per toglier le quali altro far non si potrebbe,
che suppor re fanciullo Tarquinio Superbo alla morte di Tarquinio Prisco; il
qual partito essendo a prendere le redini del Regno ancor manti del sangue di
Tarquinio Prisco, e a vendicar la morte dell'uccilo fuo marito, A m e sembra,
che ad una tal vendetta ad ogni m o d o piuttosto ella proprio figliuolo, se
questi già pervenuto era al ventesimo anno dell'erà sua, ed è ben da credere,
che u n giovane Principe nel fior de'suoi anni facesse troppo più m e morabil
vendetta della uccisione del Padre di quello, che fosse per fare Servio Tullio.
fufo igni portenderunt: nunc te illa coeleftisexcitesflama ma:nunc expergifcerevere:&
nosperegriniregnavimus: qui fis non unde natus fis, reputa: Si iua, re subita 2
confilia torpent, at tu mea confiliafequere. animar dovesse il fu quello, Posto
ora adunque, che ancor fanciullo fosse TarquinioSuperbo alprincipio delRe. gno
di Servio Tullio, ne segue, che da lui allevato, non avendo vedute. le
grandezze del Regno dell'Avo, del quale lapea. aver Servio vendicata la morte
collo allontanarne dal Trono gli uccisori, e per ultimo stret to seco lui in
vincolo di parentado, e spe rando di succedere ad un uomo già oltre negli anni
per commettere la scelleratezza che commise, dovettero concorrere questi due
impulsi, vale a dired' avere a lato una malvagia, ed ambiziosa femmina, e d'ef
fer fuori di speranza di poter succedere a Servio Tullio, avendo questi, come
ce ne affi e quello, che toglie tutte le ripugnanze, d altra parte non
raccogliendosi dagli Stori ci, di qual' età precisamente ei fosse alla morte di
Tarquinio Prisco, sarebbe quello, che prendere li dovrebbe.M a non abbia m o
bisogno di congetture, poiché, che Tarquinio Superbo fosse per anco fanciullo,
non figliuolo, ma nipote di Tarquinio Pri sco, chiaramente viene attestato da
Dionigi; il che dovremo di nuovo notar più fotto. Dionys. Halic. re frapposto
qualche indugio, affinchè m a • nifeftamente n o n risaltassero agli occhi i d
e suno 5 che ci dicono gli Storici (e), per potere stringere quel
scellerato matrimonio, fra l'una delle quali, e l'altra avranno p u assicurano
Livio, e Dionigi, fatto pen fiero di rinunciare il Regno, e dare la lic bertà a
Romani. Ma è da avvertire, che forse qualche notabil tempo trascorse oltre il
ventefimo anno del Regno di Servio, innanzi che si congiungessero con quelle
infa m i nozze Lucio Tarquinio, e Tullia: per. ciocchè, fupponendo, che avanti
al vente fimo anno del Regno suo non abbia Servio date le sue figliuole in
ispose a' Tarquinj, ad ognuno è noto, che Tullia moglie era di Arunte, e non di
Lucio, e Lucio a m m o gliato era coll'altra figliuola di Servio, o n de ebbero
a passare per tutte quelle scelle ratezze, litti loro. Credo poi veramente, che
dopo ch' ebbero coronate le commesse iniquità colle nozze, non si debbano per
modo nef h3 LIVIO tani mite tam
moderatum imperium deponere eum inani. mo habuisse quidam Auctores funt, ni
fcelus intestinum li. berandae patriae confilia agitanti interveniffet. Dionyfi
Halic. LIVIO. Dionyf. Halic. che la ragione, per cui finalmente val sero preffo
Tarquinio le persuasioni della sua rea moglie, fu l'aver questi inteso c h e
Servio volea dar la libertà a’ Romani, alla qual risoluzione forse fu egli
spinto princi. palmente dalle malvagità della figliuola, e di Tarquinio. Vedeva
egli benislimo che Tarquinio da lui giudicato indegno del T r o no,appunto
perchè tristo,giàdovea forse essersi formato una fazione di ribaldi pari suoi,
e che dopo la morte di lui o avreb be forzato i Romani ad eleggerlo a Re lo ro,
o pure quando avessero avuto tanto co raggio di eleggerne un altro, prevedeva,
che avrebbe tentato ogni mezzo, ed anche accesa una civil guerra per giungere
al Trono. E d'altra parte Tarquinio Superbo, se con questa risoluzione di
Servio non sifosse veduta tagliata ogni strada, non avrebbe avventurata la sua
fortuna e la sua vita LIVIO. Initiumcura suno passar sotto silenzio i
continui stimoli di una donna, quale si era Tullia, onde a buona ragione abbia
detto Livio (F), che il principio di sconvolgere ogni cosa da una donna ebbe
origine: m a contuttociò io sti me mo, bandi omnia a foemina orium ift
Tolti ora diciannove o venti anni dalla età, che aver dovea Tarquinio il Superbo,
onde venga ad essere di soli quarantaquat sro o quarantacinque anni, e non di
sessan taquattro, quando gittò giù per ligradini della Curja Servio Tullio, non
parrà più in nessun m o d o inverisimile tanta gagliardía. Senzachè io lascio
al giudicio degli assen nati, se, anche concedendo, che di sessan taquattro
anni abbia Tarquinio fatta una tal prova, menandosi allora una vita più dura, e
per conseguente più robusta, ed essendo Tarquinio riscaldato dalla collera, sia
poi cosa da farne tanto le meraviglie.Onde mi pare di potere a buona ragion
conchiudere, medesima come fece, ma servito fifareb be della fama dell'Avo suo
dopo la morte di Servio, che già era oramai pieno di anni per farsi elegger Re
da'Romani, cosa, la qual potea giustamente sperare potergli riu sčir più
agevole, che d 'intraprendere, com ' egli fece, di usurpare il Regno vivente
lui medesimo. Ben vedea, che se tentato avel 1 se inutilmente questo passo di
trucidare il suo Suocero, ed impossessarsi coll'armi del Solio, non gli
rimaneva più speranza alcu na. Non arrischiò adunque iltutto, senon quando si
vide in procinto di tutto perdere. chę ) <che siccome non v'ha motivo di
accorcia. re i precedenti Regni, così nè pure ve ne ha alcuno per accorciar
quello di Servio Tullio. Siamo finalmente pervenuti al Regno dello steffo
Tarquinio Superbo ultimo Re di Roma. La principal ragione, che adduceľ Autor
noitro per abbreviare il Regno di lui, e che abbraccia anche i Regni di Tarqui
nio Prisco, e di Servio Tullio, è questa. A c cadde,ei dice, che verso la fine
del Regno di Tarquinio Superbo, Sefto Tarquinio, e Tarquinio Collatino essendo
a campo ad Ardea, vennero a contesa chi di loro avesse moglie più onefta;
d'onde poi nacque, c o m e ognun fa, il Consolato, e la libertà di R o m a. Ora
questo Tarquinio Collatino a quel tempo secondo le parole di LIVIO era giovane,
e secondo lo stesso Autore era figliuolo di Egerio, a cui Tarquinio Prisco suo
Zio commise la guardia di Collazia Città novellamente acquistara nella guerra S
a Regiiquidem juvenes interdum orium conviviis comeslaf. fionibusve inter fe
terrebant; forte potantibus his apud (fratris hic filius erat ) Collasiae in
praefidio relictus bina, Sextum Tarquinium incidit de uxoribus mentio etc.
LIVIO. bina, e ciò fu verso il principio del Regno di Tarquinio Prisco, il
quale viene acade re fe non prima l' anno centocinquanta se condo il computo
comune della edificazione di R o m a. Convien dire, ei soggiugne, che Egerio a
quel tempo avesse almeno i suoi quarant'anni, fe vogliamo crederlo atto a
Costenere un carico di tanta gelosía, come è quello di castodire una Città, di
nuovo a c quisto, e se vogliamo, che fosse nato, come si h a da LIVIO, prima
che Tarquinio Prisco veniffe a Roma.Ma come può fta re, ei conchiude, che un
uomo di quarant' anni l'anno di Roma centocinquanta avesse un figliuolo'ancor
giovane l'anno dugento quarantaquattro? Cioè quasi un secolo dopo, come non fi
voglia dire, ch'egli avesse fi gliuoli passati i novant'anni, il che merita va
aver luogo secondo lui tra le meraviglie della Storiadi Plinio,non
traifattidiquella di Livio. Pensa adunque l'Autor noftro, che s e vogliamo
ritenere questa discendenza de'Tarquinj, fa mestieri prendere ilpartito di
accorciare i Regni di Tarquinio Prisco, di Servio Tullio, e di Tarquinio
Superbo, che occupano il tempo, che è di mezzo tra il figliuolo, ed il Padre.
Molte cose io potrei qui porre sotto )Collariae inpraefidio reli&us.T.
Liv.loc.fupra cita opera ucchio del lettore per isciogliere questa dif
ficoltà, come farebbe il dire, che non sifa precisamente il tempo, in cui sia
stata con quistata Collazia; che Livio Storico non trop po'accurato può esserfi
ingannato nel dire, che già nato era Egerio prima che Tarqui nio Prisco venisse
a R o m a, che la custodia d'una Città non era carica a que'tempi, per
esercitar la quale dovesse u n guerriero effer giunto all'età di quarant'anni:
tanto più trattandosi di un Zio, che una tal c u ftodia commette ad un Nipote:
perciocchè non essendo in quell'età le cose così rego late,come a'dinostri, piùo
sservavasinegli uomini, i quali davano al mestier delle armi,la
bravura,elagagliardia,doti, di cui potea egli molto bene esser fornito alla età
di venti o venticinque anni che non il senno, che a ' n oftr i tempi in un
Governatore fi richiede, per fuppor ilqual sen no ci vorrebbe per avventura più
avanzata età. Potrei dire di più, che se vogliamo Itare alle parole di LIVIO, da
queste nonfi può dedurre, che la custodia della Città sia Itata a lui
principalmente come Capo commesla, ma solamente che fu lasciato di presidio
inquella Città dal Re fuo Zio.Por ter essere finalmente, che questo Collatino
giovane più non fosse, attesochè, per non far parola della poca esattezza di
Livio, questo Storico non dice precisamente, che giovanefosseCollatino,ma
cheiRegjgio vani passavano il tempo in conviti, mentre erano occupati in quella
piuttosto lunga,che viva guerra, 1 gliuolo sotto le quali parole di Regi
giovani può egli aver foltanto intesi i figli uoli del Re, e non Collatino,
quantunque della stessa famiglia, tanto più che dicendo egli dopo,che stando
essibevendo pressoSe sto Tarquinio, ove pur Collatino cenava, cadde ildiscorso
sopra le moglj (k), a me pare, che quelle parole ove pur Collatino cenava,
dimoltrino, che sotto quelle ante riori di Regj giovani non altri abbia volu to
intendere Livio fuor che ifigliuoli di Tarą quinio. M a comunque fiafi di ciò,
s'abbia per nulla il fin quì detto, concedasi essere impossibile, che Egerio
abbia potuto avere un figliuolo giovane al fine del Regno di Tarquinio Superbo.
Sappiasi adunque, che Dionigi crede Collatino nipote,e non fie Forte potansibus
his apud Sextum Tarquinium ubi Collatinus coenabat. LIVIO ) Dionys, Halic.
L'ultima ragione, con cui l'Autor nostro ftudiali di abbreviare il Regn o di
Tarquinio Superbo, e che abbraccia anche quello del fuo predecessore Servio
Tullio, ei la ricava da questo. Tarquinio quando pervenne al Principato, avea
secondo lui sessantaquattro anni, a'quali chi aggiugne i venticinque che si
dice aver egli regnato, troverà, che era questi in età di Ottantanove anni, a l
lorchè fu cacciato dal Regno, la qual par ticolarità posto che vera,n o n
sarebbe stata passata dagli Storici sotto silenzio. Che più, segue egli a dire,
leggeli, che il medesimo Tarquinio parecchj anni dopo che fu c a c ciato di
Roma, combatté a cavallo al L a go Regillo contra il DictatorePostumio, ciò,
che verrebbe a cadere l'anno centefimo circa della età fua, onde ei correrebbe
la giostra c o n un secolo sulle spalle,affurdo, prosegue egli, non punto
diffimile da quello avvertito da Luciano (n), che quella Elena, gliuolo
di "Egerio, ed in questa maniera con un colposolositagliailnodo. 1 i Per
cui l'Europa armolli,e guerra feo, E l alto imperio antico a terra sparse,
LIVIO. Lucian, in Somnio seu Gallo, quando desto quelle si celebri fiamme i n
petto a Paride già fosse coetanea di Ecuba. suo. Lalcio io
qui,d'avvertire, che a Tarqui nio Superbo si vogliono torre que'vent'anni,
iquali,come già sopra abbiam mostrato, gli dà di troppo l'Autor noftro, onde
per dirlo alla sfuggita, non avea egli da mara vigliarsi, che gli Storici
abbiano taciuta quella particolarità, che quando Tarquinio fu cacciato di Roma,
già era pervenuto alla età di oitantanove anni. Quello poi, che tronca ogni
quistione per rispetto alla giornata del L a g o Regillo si è, che Dionigi (o),
ch'egli pure reca in mezzo a questo proposito, e non gli presta fede, riprende
quegli Storici, i quali narrano tal fatto, e dice doversi credere suo figliuolo,
e non lui medesimo esser quello, che fu,ferito com. battendo contro ilDittatore
Poftumio. O v? è da notare che anche facendo il caso, che con sole congetture
si dovesse scioglie re questo nodo, essendovi due mezzi noti al nostro Autore
per togliere l'inverisimi glianza,, cioè o di abbreviare i due.Regni di Servio
Tullio, e di Tarquinio Superbo, o pure di dire non essere stato lui,m a il
Dionyf. Halic. Si dà risposta a
varie opposizioni. Chiaro Hiaro ora resta abbastanza, che le in.
verifimiglianze raccolte dal Conte Algarotti, s'altri le viene minutamente
osservando,non fuo figliuolo quello, che ritrovossi alla giord nata del
Lago Regillo, il nostro Autorem prende piuttosto il primo, cioè quello, che
favorisce l'opinion sua, quantunque a m m e t ter non si possa per modo nessuno,
quando si sa, che Dionigi, il quale avea con tan ta cura studiati gli antichi
Storici Latini, e che se non altro fu tanti secoli più antico del Conte
Algarotti, Dionigi in s o m m a così diligente nel fiffar le epoche, stima più
prudente partito prendere il secondo. La scio ora pertanto decidere da chi
diritto ragiona, se tali fieno i motivi addotti dallo Autor noftro, che si
debba pure accorciare il Regno di Tarquinio Superbo,o se piut tosto,come ioavviso,non
resistanoalla autorità degli antichi Storici, e debbano c a dere a terra come
damento, del tutto privi di fon fon folamente non sono valevoli a mandare
in rovina la Cronologia comunemente ricevuta, m a nè pure hanno forza per
ispargervi fo: pra alcuna ombra di dubbietà,nè efferne cessario ricorrere a
quel suo ripiego di a b breviare pressochè della metà la durata de' sette Regni
per conciliare la giovanile erà di Romolo colle grandi cose, ch'egli ope To, e
l'età di Numa colla sua esalcazione al Trono. Nè secondo quello, che abbia m o
osservato, l' uomo indugia troppo cogli ftimoli della vendetta, e
dell'ambizione a fianco anzi lungo spazio di tempo non ba fta ad estinguerli;
nè quella gagliardía,che trovar non si può nella vecchia età, avvien che vi si
trovi, onde senza negar credenza, com 'egli pretende, a' più gravi Storici
dell' antichità in cosa, in cui tutti convengono, quale si èla duratade'fette
Regni, torna ogni avvenimento (per servirmi delle stesse fue parole in
contrario senso ) nell' ordine naturale delle cose. nolo. 1 Del resto si
dee avvertire, e di fatticre do, che ognuno avrà avvertito quanto d e boli, e
leggiere fieno le inverisimiglianze ed assurdi,dicuiservisli ilnostro.Autore
per distruggere la durata de'mentovati Regni, e venire a confermare il Sistema
Cronologico del suo Filosofo. Quand o altri nes gar vuole la verità di un fatto
attestato da gravi Storici per folo glianze, o contraddizioni, queste devono ef
ler tali, che ammesse per vere il fatto al trimenti fufliftere non pofsa:
perciocchè è legge dellaPoesia,non della Storia,ilnarra re soltanto cose
verifimili. La.Storiaècon tenta di narrar cose vere; e quante cose, a v
vegnachè vere inverisimili ci pajono per una minuta circostanza o smarrita, o
di cui non pensarono gli Scrittori di far menzione,per un costume, per una
legge, per una fog. gia particolare di vivere, di cui come di cose
a'contemporanei loro notiffime, n o n istimarono dover far parola? In s o m m a
molte volte assomigliar potrebbefi la Storia ad una macchina, la qual produca
maravigliosi ef fetti, ei di cui ordigni sieno ignoti. Tali dicono essere i
nostri orologi per rispetto a’cinesi,e noinondirado, inispecieinquan. to
allaStoria, laqual'èo da’tempi,oda? paesi nostri lontana, fiamo nel caso loro.
Ecco adunque,che leguate non fi fossero le inverisimiglianze i m maginate
dall'Autor noftro, sono queste si deboli, che come saette vibrate contro una
motivo d'inverisimi quantunque eziandio di falda armatura, ben lungi di recare
alcuna offesa, offesa, cadono effe medesime infrante a terra, chę E
appunto per iscogliereil nodo, ch'egli benissimo vedea, ch'alori gli avrebbe
potu to mettere innanzi agli occhi, vale a dire per qual ragione egli opponesse
alcuni fatti, in cui discordano gli Storici alla durata di tutti i sette Regni
tolti insieme, ed alla d u rata di ciascheduno in particolare, in cui sono a un
di presso di un medesimo pare re, ei dice, che la memoria de'fattidovet te con
più sicurezza essere conservata dalla tradizione, che non fu da quante volte,
mentre quelli avvennero tornato un Pianeta al medesimo sito del Cie lo; la qual
risposta io non so, se basterà per appagare chi considera alquanto adden tro
nellecose; perciocchè a me pare noti zia non meno importante,e degna di esse re
dalla tradizione, e dagli Scrittori a' p o steri trasmessa il numero degli anni,
che occupòilTrono un Principe,diquello,che fieno molti fatti, a cui presta
l'Autor n o ftro intera credenza. N e aveano i Romani bisogno di troppo fortili
astronomiche culazioni, come pare, ch'egli accennar v o glia, per sapere di
grosso, quando terminal le,eprincipiassel'anno.Ed unaprova, che questa
tradizione del numero degli anni, i essa trasmessa sia {pe ' epoca
di molti de principali fatti, non si sia notato però l'anno preciso, in cui
segui ciascun fatto. Ove è da riflettere che lo stesso noftro Autore dicendo
non ef fere da credere, che gli Storici sapessero quanti anni sieno trascorsi,
mentre andava no fuccedendo i fatti, è forza,che ammet guerra di Romolo
con lo veramente credo poi, che quantunque tenuto fi sia registro non solo del
numero degli anni, che durarono i Regni de'Re di Roma, ma ancora del Regno di
ciascun. R e, e dell ta, che abbia regnato ciascun Re, e per con seguente della
somma di tutti isetteRegni, inratta conservata fi fia, si può dedurre da quella
ammirabile concordia degli Storici nella Cronología, concordia, la qual non si
vede certamente ne'fatti. che non sapesser nè pure l'anno preci fo, in cui
questi avvenimenti seguirono. Ora con questa sua sola concessione viene a ro
vinare buona parte delle ragioni, ch'egli apporta per abbreviare ciascun Regno.
E d in fatti quante volte non fi serve egli di epoche di avvenimenti minuti, e
per lo più; registrati soltanto da un Plutarco, per ritro var ripugnanze
nell'antico Cronologico Sistema, come sarebbe,per recarne alcuno esem pio,
l'epoca della tro e del diverse guerre; tempo Approssimandosi l’Autor
nostro al fine del suo Saggio, reca altra prova contro l'anti co Cronologico
Sistema,e ben sivede,che avendola riserbata in ultimo, ei crede, che dia questa
l'estremo colpo, e il nodo del tutto recida. Questa prova, ei dice, è c a vata
dalle generazioni di uomini, le quali tro i Camerj, che è in Plutarco, l'epoca
del matrimonio di Tazia con N u m a, che trovali presso lo Iteffo Storico, come
anche il precito numero d'anni, che vissero insie m e, il qual pure èri cavato
dallo esatto re giftro, che il medesimo Plutarco ne tenne, per non parlare de
cinque anni nè più nė meno,che avea Anco allamortediNuma e degli anni, in cui
seguirono precisamente della nascita di Egerio, ch'egli raccoglie da Livio. Le
quali epoche tutte oltre all'essere tratte la maggior parte da Plutarco o da
Livio, credulo il primo, Itraniero, e lontanissimo da'tempi,poco accurato
l'altro,non dovea no per nessun modo addursi da lui, come quello, che pretendea
non aver la tradizio ne potuto tramandareepoche di troppom a g gior rilievo,
che queste non fieno, e c h e sono da tutti i più gravi Storici ammesse per
vere. fono i2 sono indicate dagli Autori nella Storia dei R e
diRoma,le qualigenerazionidice,che con vincono di falsa la loro Cronología
quanto alle durate de'Regni. Nella vita di Romolo, ei segueadunque, liha,che OttilioAvo
lo di Tullo Ottilio mori nella guerra contro a'Sabini, la qual fu ne'primi anni
di R o ma,iRegni pertanto,eiconchiude,diRo molo, di Numa, e di Tullo Oftilio
non si stendono più là, che il tempo razioni.Da Numa ad Anco Marzio,ei se gué,
ci è una generazione sola, perchè l' uno era Avolo dell'altro; dal che seguita,
che la generazione tra Numa, ed Anco coincidendo col tempo di Tullo Oftilio, ci
fia l'età di un uomo qualche anno più o meno da Tullo al fine del Regno di
Anco. Onde dal principio del Regno di Romolo allafinediquellodiAncocorrono datre
generazioni. Lucio Tarquinio Prisco, pro legue egli, uno de'Lucumoni
dell'Etruria, viene a Roma uomo maturo sotto ilRegno di Anco, de cui figliuoli
fu instituito tuto re: e però l'età di Tarquinio convenendo con quella di Anco,
non resta che una. e fola generazione tra il Regno di Anco il Regno di
Tarquinio Superbo figliuolo del Prisco. Talchè, ei conchiude, dal
principio di due gene del del Regno di Romolo alla fine di
quello di Tarquinio Superbo fi contano quattro sole generazioni in circa, e non
più. Ora som mando insieme gli anni di quattro genera zioni, che corrono
durante ifetteRe diRo. m a fi hanno cento trentadue anni; poiché una
generazione di uomini trentatré anni. E fommando insieme gli anni di ciascun Re,
secondo il computo di LIVIO, fi hanno d u gento quarantaquattro anni; e vi ha
più di un secolo di differenza tra due risultati, che pur avrebbono ad essere
uguali. D'altra par te facendo, che tocchi a ciascun R e l'uno ragguagliato
coll'altro diciannove anni di Regno, come vuole il Neutone, fi ha cento
trentatré anni, e tra questi due risultatinon corre differenza niuna. di comune
sentimento vengono dati a 9 fSin quì il nostro Autore. Io per rispon dere
a questo lungo ragionamento prima di tutto voglio concedere, che quattro fole g
e nerazioni fieno corse da Romolo insino a Tarquinio Superbo: perciocchè ciò si
riduce finalmente a dire, che durante i Regni dei serte Re, quattro uomini in
tutto il Romano popolo ebbero prole un dopo l'altro di sessanta e un anno. Ora
farebbe poi forse questa impossibilità tale fisica, per cui non i3
fi dovesse più prestar fede agli Storici delle antiche memorie de'Romani?
Ma, suppo sto (quello però, che in nessun modo con cedere fi può che questa
fosse inverisimi glianza tale, per cui sipotesse negar cre denza alla Storia,
s'è forse l' Autor nostro bene assicurato, che, non uscendo da quelle persone,
di cui egli fece scelta per fissare le generazioni, quattro soltanto corse ne
fie no pendente il Regno dei sette Re? Dio nigi (a) attesta pure, che Tarquinio
S u perbo fu nipote, e non figliuolo di Tarqui nio Prisco?Questo accuratissimo
Storico d o po aver fatto parola di molti assurdi, che ne seguirebbono, fe
figliuolo, e non nipote ei fosse di Tarquinio Prisco, fi afforza colla
autorevole testimonianza di Pison Frugi, il qual solo tra gli Storici affermò
questa cosa. Nè mancadiaccennarequello,cheperav ventura fu cagion dello sbaglio:
poichè dice, che dall'essergli nipote per natura, e figli uolo per adozione
fieno stati forse gli altri Storici ingannati. Nè
giovaildire,comefal'Autornoftro, che la contrarią opinione cioè, che figliuo lo
fosse questo Re, e non nipote di Tarqui Dionys, Halic.Hic, L. Tarquinius Prisci
Tarquinii Regisfiliusneposre fuerit parum liquet:pluribus tamen
auctoribusfiliumcreg diderim LIVIO In quanto a Collatino poi, quà di nuovo
addotto dall'Autor nostro p e r confermare il 2 fuo di numerare in quegli
arcaismi come le autorità, contentofli e non si fece a pesarle il diligente
sciando da Dionigi. In secondo luogo, la perder tempo ľ autorità di Dionigi, la
quale, com ' è palese, è molto più da segui re, che non sia quella di Livio,
ben diver sa è la maniera di spiegarsi dei due Scritcori intorno a questo
affare,l'uno ne tocca alla sfuggitą, l'altro vi si ferma, ragiona reca
latestimonianza di uno de'più antichi Storici, e sappiglia a quella opinione,
la quale sia per lo credito, che ha all'Autore fia per, quinio Prifco fu
opinione dei più, ed opi pione abbracciata da Livio medesimo; d o vendosi in
primo luogo riflettere alla manieta, con cui LIVIO s'esprime, vale a dire, che
questo punto era assai all'oscuro, che egli peraltro seguendo i più credevalo
figliuo lo; il che dimostra aver egli benissimo veduta la difficoltà, ma che
non volendo, come sopra abbiam notato lo contesto di tutta la Storia, gli pare
più sicura. is suo Sistema, già sopra abbiamo osservato
raccogliersi dallo stesso Dionigi, che n i pote era, e non figliuolo di Egerio.
Ciò posto ne viene, che senza uscire da quelle persone, di cui egli osservò le
generazioni, non quattro, m a cinque numerar se ne debe bono d a Romolo inlino
a Tarquinio Super bo: onde se aver non si dovea per assurdo tale da negar fede
alla Storia l' essersi ritro vare quattro persone in tutto il popolo Romano le
generazioni, di cui fossero di fef santa e un anno, tanto meno dovrà parer
ripugnante, che cinque susseguite ne sieno, ciascheduna delle quali
uguagliatamente non oltrepassi i quarantanove anni. Dionyf. Halic. que Ma
dirà il nostro Autore, che ad una generazione comunemente si danno soli tren
tatré anni, laonde non si può essere così largo, e concederne a ciascheduna di
queIte quarantanove. Qui mi convien prendere d'alquanto più alto i principi, e
si verrà a conoscere, che quelle generazioni, a cui comunemente fi danno
trentatré anni, o secondo altri tren tacinque,non sono della specie di quelle
osa servate dal nostro Autore. Vediamo adun que quali fieno quelle, a cui
diedero tal nu: mero di anni i Cronologi, e verremo in chiaro, fe tali fieno le
osservate da lui. La Cronologia, come tutte le altre facoltà,dee seguir la
natura, come maestro fa ildiscen te, per dirlo alla Dantesca, e pure è che
collo.Specularvi sopra molte fiate,in luo go diavvicinarsiaquellaaltrilafugge,e
gli ultimi passi sono quelli c h e riconducono a lei nella vero, L e
generazioni pertanto, che fiffarono i Cronologi circa a trentatré anni, sono
quelle, che generalmente si osservano in un lungo spazio di tempo nella maggior
parte famiglie di una nazione; laonde, fe fiof servano in una sola, o poche
famiglie, a n che per lungo tempo questa osservazione, non è più fattasecondo
la regola, che general mentela maggior parte abbraccia:percioc chè, se nella
maggior parte delle famiglie sono uguagliatamente le generazioni di tren tatré
anni,potrebbe succeder benissimo, che fi ritrovasse una famiglia, od anche
diver se, in cui queste foffero o più lunghe, più brevi. Se poi non si
osservassero in un lungo spazio di tempo, riuscirà ancor più agevole il
ritrovarne. M a le generazioni, di cui servifli il nostro Autore, nè corsero
delle - nella maggior parte delle famiglie, nè in lungo tempo, anzi
nè pure in unasola fa miglia, essendo composte di diverse perso ne d i varie
famiglie. Certamente se si fa un Cronologo ad osservare per tal modo le
generazioni, ben tosto fisserà la regola ge nerale di queste a settanta e più
anni, per chè in un notabil tratto di paese popolato iopenso,chenon
passisecolo,senzachèfi veda uno, o forse più uomini, che di tale età hanno
prole. Lo sbaglio in somma d’A. consiste nello aver presa la regola d a quello
che suole generalmente avvenire, gli esempj da ciò, che in pochi succede, ed
aver pensato, che que'casipar ticolari sotto la general regola cadessero, onde
la Cronologia degli Storici delle cose de? Romani sottoi R e s'opponesse a
quella legge, che osservaro aveano nella natura i più periti Cronologi. Nel che
quanto sia a n dato lungi dal vero credo d'aver fatto ba ftantemente palese.
Due ragioni reca ancora finalmente l'Au tore in difesa del Sistema del Neutone,cui
è necessario rispondere innanzi di por fine a quelte nostre osservazioni. La
prima fiè, che tal Sistema discolpa Virgilio esattissimo Poeta, ci dice, da
quello anacronismo i m putatogli
volgarmente per conto de'tempi, in cui vissero Didone, ed Enea. La secon da,
perchè giustifica quella comune tradi zione tenuta in Roma, che N u m a foffe
fta to uditor di Pitagora. Ora per rispondere alla prima, questa. ammetter fi
dovrebbe senza dubbio veruno qualora fosse stato Virgilio tenuto a soddi sfare
alle leggi della verità storica;ma non fa mestieri ricordare, che da tali leggi
sciolti sono i Poeti.Raro è quel vero, che non abbia bisogno del finto per
aggradire ai più, e se non inftillano virtù, col dilet tare mancano i Poeti al
principal fine dell' arte loro; tanto più, che fecondo quello che pensa il
dotto P. dellaRue (d),non per ignoranza delle antiche Storie, m a per dar
ragione de'famosi odj, i quali si lungo tempo fra' Cartaginesi, e la Nazion
suam durarono, e per introdurre quel patetico, che tanto piacque, come ce ne
assicura OVIDIO, a'suoi contemporanei, e tanto è degno di piacere ad ogni età,e
ad ogni popolo, non ebbe difficoltà di commettere (4) Ruaeus in not. ad.
VIRGILIO .Aeneid. quell'OVIDIO Trift. Eleg. Nec legitur pars ulla magis
de corpore toto. Quam non legitimo foedere junétus4 mor,
quell'anacronismo. S'aggiunga, che
que ito anacronismo non era tale che facil mente potesse venire scoperto dalla
comune de'Leggitori, da'quali soltanto balta, che non vengano scoperti gli
errori storici dei Poeti: perciocchè correa fama fecondo A p piano, che
Cartagine fosse stata fonda ta alcuni anni avanti all'eccidio di Troja da una
colonia di Fenici, presso i quali poi ricoverossi dopo lungo tempo Didone, del
che non lascia Virgilio didarne qualche cen nei? Appian. apud Ruaeum cit.
loc. no, > onde trattandosi di tempi assai lontani dalla età di Virgilio,
questo rumore basta va per render tale la finzione, che non fof se la verità ad
un tratto conosciuta,e vinta a terra cader dovesse la invenzione di lui. Ma
abbreviando della metà iltempo,che durarono i Regni de'Re di Roma viene forse a
nulla cotesto anacronismo? E che fa rebbe, se il nostro Autore inutilmente ado
perato fi fosse, e che anche togliendo pref so che la metà degli anni dalla
somma di tutti quelli, che corsero sotto a'Regni dei fette R e, non si venisse
con questo a ren der probabile in alcun modo, che Enea, e Didone potessero
essere stati contempora Tre secoli e più corsero,secondo gli an
tichi Scrittori, dall'incendio di Troja alla fuga di Didone, come osservaron o
il dotto Petavio, e l'erudito Commentator di Vir gilio della Rue: ora da
trecento e le dici anni (che tanti ne corlero fecondo il Petavio dall'eccidio
di Troja alla fondazion di Cartagine ). togliendone cento e undici, come piace
all'Autor noftro,vale adire facendo venire Enea in Italia cento undici anni più
sardi, rimangono nulladimeno d u gento e cinque anni di svario. Laonde é chiaro,
che nè VIRGILIO abbisogna della di fesa del nostro Autore, nè, quand' anche ne
abbisognasse, sarebbe questa bastante per do Petav. Rationar. tempor. Cartagofundata
dicitur anno posttemplum incoatum qui est annus poft Trojanam calamitatem
Ruaeus loc, supracis. te svanire l' anacronismo da lui commesso. fa nei? Sia adunque egli pur certo, che cote fto
fuo ripiego nontoglie, ma soltantosmi nuisce l'anacronismo di Virgilio; che
anzi questo rimane peranco maggiore di due le coli. N è soltanto vuole il Conte
Algarotti, che fia alla più esatta verità conforme ciò,che si legge in un
Poeta, purché in alcun m o anno > che comunemente credefi
centesimo undecimo dalla fondazion di Roma, alprin cipio del Regno, di cui già
dovea effer giunto Numa al quarantesimo primo della età fua (se pur vogliamo
seguire ical coli dell'Autor nostro, il quale dando diciannove anni circa di
Regno a Romolo faprincipiare il suo Regno aNuma giàvec chio di sessant'anni ),
e fissando d'altra p art, come già sopra abbiamo osservato, le condo la mente
di lui, la venuta di Pitas gora anno soli do favorir possa il suo Sistema; ma
preten de eziandio, che maggior credenza prestar fi deggia ad una popolar voce,laqualtor
na in avvantaggio della opinion sua che a'più rinomati Storici dell'antichità.
Già abbiamo sopra veduto il suo parere circa all'essere stato Pitagora
contemporaneo anzi Maestro di Numa, ora adunque a confer mare vie più ilsuo
Sistema, lorecadinuo vo in mezzo quasichè ridondar debba in avvantaggio di
questo il porgere, che fa fa vorevole interpretazione ad un a tale popolar voce.
Avendone però già altrove fuffi cientemente favellato, non mi resta altro da
aggiugnere, se non che, anche fiffando il principio del Regno di Romolo secondo
lo intendimento del nostro Autore, a quello Queste sono le riflessioni, le
quali, fecon do quello, ch'iopenso, chiaramentedimo streranno, che A. cadde
trat to dal suo Filosofo in errore. Se parranno per avventura troppo più lunghe
di quello, che neceffario fosse, gioveràin primo luo go considerare, che
bastano poche parole per mettere una cosa in dubbio, m a effer forza per
iftabilirne la certezza ricorrere a' principi, onde riescono sempre le risposte
più lunghe delle opposizioni; in secondo luogo, c h e ho stimato dovermi
fermare alquanto in torno a certi punti, i quali oltre allo influi re nella
materia, che per me trattar fi do vea, poteano essere forse non del tutto inu
tili per chiarir la Storia di quella prima età di Roma. Che gora in
Italia circa a quello anno, che giu dicasi dagli Storici dugentefimo quarantesi
moquarto diRoma, virimaneciònon ostan te un anacronismo di cento trentatré anni
tra la venuta di questo Filosofo in Italia, ed il tempo, rendere in cui
Numa-già era perve anno della età sua; o n de il Sistema del Neutone non può nè
pure nuto al quarantesimo Pitagora, e Numa contemporanei, come non può
affolvere Virgilio te dall’anacronismo interamen di Didone, e di Enea. Che
se,come fpero,mi è riuscitodifar vedere l'inganno del Conte Algaroiti, sarà
questa una novella prova di quanto sia in tralciato il cammino del vero, quanta
1 sia connesso, ed unito l'errore: collo inge gno umano, poichè gli uomini
fommi non tralasciando desser uomini, in tutto spogliar non se ne possono. La
più bella discolpa del resto che addur si possa in difesa di lui, îi è il dire,
che fe pur s'ingannò, s'ingan nò seguendo un Neurone. L'opinione del Newton fu
sostenuta in Italia dal conte Algarolti in un suo saggio sopra la durata de're
gni de'Re di Roma,scritto nel 1729,cioè due anni dopo la morte di Newton e un
anno dopo la pubblicazione del libro di lui!.Ora,in questo suo saggio
l'Algarotti lascia poche censure intentale contro la cronologia dei primi due
secoli e mezzo di Roma,procurando di provare in particolare come non fosse
succeduto davvero ciò che per una ragione generale il Newton aveva affer malo
che non era potuto succedere. Ilsuo fondamento è soprallulto Livio; e in
secondo luogo Plutarco, non 1Ilsaggio d’A. si trovanelvol.IV dellesueopere
(Cremona), Ma laristampa chequivi n'è fatta non è in tutto conforme
all'edizioni anteriori,delle quali ioho la seconda, Firenze presso Bonducci; e
dico la seconda perchèl'editoreinunaletteradidedica all'illustrissimo sig. Serristori
chiama questaunari stampa,e nonpuò esservistata, se non una sola edizione
prima, perchè una lettera d’A a Zanotti, che precede il saggio, è del 24
dicembre 1745, e da essa appare che il saggio non fosse stato stampato prima.
In questa lettera A. dice appunto di averlo scritto oramai sedici anni
passati,quando dava opera alla Cronologia sotto la scorta di quel lume vero
d'Italia, Eustachio Manfredi, e che non vi avrebbe più riguardato, se voi nonmia
vesteeccitatoain andarlovi come fate»; e se n'era distolto, perchè « distratto
da mille altre cose, e gli pareva,che non fosse da moltiplicare in iscritture e
in istampe intorno a cose già trattate,benchè in modo diverso dal mio.» Que gli
il quale aveva trattat a questa, era un Inglese di cui non dice il nome,ma di
cui gli aveva dato notizia,in un suo viaggio in Inghilterra, Condui t, erudito
gentiluomo inglese ed erede del Newton, quello stesso che ha scritto una
lettera di dedica alla Regina, messa avanti alla Cronologia.Lo scritto
dell'Inglese doveva esser pub blicato in fronte d'una storia Romana. Non so chi
fosse. E. M a n fredi scrisse gli « Elementi della Cronologia con diverse
scritture appartenenti al Calendario Romano. Sono pubblicati in Bologna Egli accetta
la datavarron della fondaz. di Roma, LAMONARCHIA. riferendosi a Dionisio
mai; anzi confessando di non avere lello se non i due primi. Ora,ilsuo assuntoé
che i fatti che LIVIO racconta dei Re,non s'accordano col numero d'anni che
questi, secondo lui stesso, avreb. bero regna lo. Il ce prova, mostrando per
Romolo, quanta parte del suo regno resti vuota di avvenimenti,e quanta
sial'inverisimiglianza, che, a17anni, ch'è l'etàincui si dice cominciasse a
regnare, desse già segno di tanta prudenza civile e virtù di guerriero, quanta
gli se ne attribuisce; per Numa,che dovesse,poiché eletto per la fama sua e per
avere avuto in moglie Tazia, essere asceso sul regno a sessant'anni; per Tullo
Ostilio ed Anco Marcio, che dovessero aver avuto più breve regno, di 32 anni il
primo, di 24 il secondo, se dev'es. sere vero, che i figliuoli di queslo, il
quale aveva, a detta di Plutarco, cinque anni alla morte di Numa, non fossero
ancora maggiorenni alla sua,cioè quando Anco avrebbe avuto sessantun anni; per
Tarquinio Prisco, che non può avere regnato trenlolto anni, se dev'essere stato
ucciso per opera de'figliuoli di Anco, attentato da giovani, ancora freschi del
torto ricevuto, e non da uomini di cinquant'anni quanti ne avreb bero avuto
alla morte di Tarquinio dopo cosi lungo re gno, anche supposto che non ne
contassero se non soli dodici alla morte del padre; per Servio Tullio,che a i
Cosi dice nella lettera allo Zanotti, secondo sta nell'ediz.; ma non è ripetuto
in quella dell'edizione,che è variata anche in altri punti. E di fatti in
questa seconda edi zioneècitato Dionisio,,permostrare come questi, accor
gendosi dell'impossibilità, che Tarquinio Superbo assistesse egli stesso alla
battaglia del Lago Regillo, vi fa invece assistere il figliuolo Tito.Però, anchecosi,
lostudio d’A. resta,come prima, poggiato tutto sopra Livio e Plutarco.
dargli quarantaquattro anni di regno, Tarquinio Superbo, il quale era già ingrado
dimenar moglie al principio diquello, non avrebbe potuto a sessantaquattro anni
opress'apoco ucciderlo nel modo che si racconta; per Tarquinio Superbo
infine,che Tarquinio Collalino non avrebbe potuto essere giovine alla fine del
regno di lui, poichè egli era figliuolo di fratello,se il suo cugino avesse
avulosessantaquattro anni al principio del regno stesso; e che, se questi
n'aveva tanti allora, n'avrebbe avuto ottantanove, quando su sbalzato dal
trono, e cento alla battaglia al Lago Regillo dove avrebbe combattuto a ca
vallo,e sarebbe poi morto, si può aggiungere, di cento trèanni. Sicché
l'Algarotti crede che questi regni si debbono accorciare lulti, se la storia di
ciascun Re si deve accordare colla duratadel regno.E di quanto biso gni
accorciarli, egli lo trae da un'altra considerazione, cioè dal numero di
generazioni, intervenule durante la monarchia. Queste,egli dice, non poter
essere state se nonquattro:poichèiregnidiRomolo, diNuma ediTullo Ostilionon
siestendono più di due generazioni, stante ché Ostilio,avolodi quest'ultimo, è contemporaneo
di Ro molo; un'altra generazione richiede il regno di Anco, che è vissuto la
maggior parte di sua vita durante il regno di ullio; ed un'altra, i regni di
Tarquinio Prisco. di Servio Tullio e di Tarquinio il Superbo, poichè il primo
ha del pari vissuto la maggior parle di sua vita durante il regno di Anco.
Sicché contando ciascuna generazione per trentatré anni,la durata della monar
Chia sarebbe stata di centotrentadue anni,e ne tocche rebbero a ciascun Re,
l'uno ragguagliato con l'altro, diciannove. Sopra la durata de'Regni DE
RE DI ROMA. Gli è una neceffaria conse guenza delSistemacronolon gico del
Neutono abbrevia re considerabilmente i regni de' sette Re di Roma, a ciascun
de' quali agguagliatamentegli Storici danno trentacinque anni di regno, mentre
il comun corso di Natura secondo le offervazionidel Filosofo, non ne concede
loropiù di diciot to o di venti. La qual conseguen za separesse stranaad
alcuno,pur dovrà meno parerlo a chi risguar derà, che gli Archivi di Roma
perirono dalle fiamme nel tempo che Ma noi (chiarati anco in questa parte dalle
of (1) Plut, in Numa in principio p. 59.ed. Grecolat, Francofurti. 16 che
i Galli occuparono quella Cita tà(1),onde gliStoricinonebbę. ro dipoi alrro
fondamento di quel lo scriveano, se non se la tradi zionevaga ed incerta,ch'era
ri masa delle cose passate Talmente che ritenendo esli i nomi de'Re e
registrando le azioni di quelli che tuttavia duravano nella m e moria degli
uomini, fecero una Cronologia a modo loro. E questa Cronologia allungandola più
del dovere, poterono in quella incer tezza fatisfareaquelnaturale ap
petitocosidelleFamigliecome del le Nazioni, di cacciar le origini l o r o il pịù
in dietro che posso none l la caligine del tempo.Come Livioscrivechenonera
ra.DanteInf.29: offervazioni del Neutono,possiamo rimettere le cose al
debito ordine nella serie de'tempi, e ciò fare mo non in altro modo che aflog
gettando i Re di Roma a quelle comunileggi diNatura, alle qua li ubbidiscono
nelle Tavole cro nologiche tutti gli altri Re della Terra.Pur nondimeno questa
par cosa duraa molti che si debba f r a n ger,dicono efli,l'autorità di Sto
ricichenonerrano(1),echevo gliano uomini di jeri giudicar m e glio degli
antichi di cose passate tantisecoliavanti.A questiioin tendo di ragionare;e
perchè ilN e u tono nella fua Cronologia non fa al tro che accennare così in
generale la detta quiftione, io intendo d i fputarla con alcune particolari
ragioni,e quefte derivate appunto da quegliStorici,dell'autoritàde' quali
e'fanno sì gran caso, e maffi-. me daTitoLivioPadre diRoma na Istoria.Nel che
io mostrerò, che avolerritenere ifattida efio lui riferiti, egli è forza
rigettar le epoche da esso affegnate 'a quelli, come non sivogliaammettere(che
niuno ilvorrà) certe irragionevo lezze da non ammettersi,che na scono da'suoi
raccontimedefimi, e da quella sua Cronologia, E prima diognialtracosa io
metterò innanzi una Tavoletta de' regnidiquestiRe distesagiustal'
oppinioncomune la qualeporrà fotto l'occhio in un tratto l'anti co
Sistema,eserviràameglio in tendere ilseguente Ragionamento. Tarquinio Superbo Numa
muore dopo un regno di anni 38 Tullo Oftiliom u o IV.Anco Marziomuo
redopounregnodi anni V. Tarquinio Prifco muore dopo un remgno di anni Tulliomuo
·redopoun regnodi - anni 1 TavolaCronologicade' anni anni RediRomasecondor de'
ab oppiniondiT itoLivio. Regn.Romolo muore Interregnodiun'anno Í è cacciato da
Roma dopounregnodi anni 25 re dopo un regno di anni DOV i. Servio Ba Dove non
sarà fuor di propofi to avvertire quello che avverte lo stelloNeutono comedaltem
poincui la Cronologia cominciò ad ellercertaedesatta,non sitrovain tutta
laStoria pure un'esempio di sette R e, i più de'quali furono a m mazzatied uno
deposto,che ab biano regnato dugenquarantaquat tro anni senza interruzione
veruna. Ma venendoal particolare, e in cominciando da Romolo, i fatti di questo
Principe dopo il ratto del ledonne,primacagione delmet tersi in arme. Nella
Cronol. dellaE furono le guerre contro i?Sabini, che ripeteano le donne
loro, e. leguerrecontroal cuni popoli per gelosia d'imperio. Plutarconedà
l'epoca della pe nul-, diz, Franzese giuri sdizione, laqual Fidene era stata
soggiogata da Romolo innanzi Camerio. Il che ne somministra assai pro α)και την
πόλιν ελών, τοίς. μεν ημίσεις των περιγενομένων εις Ρώμην εξώκισε,τών
δ'υσομερόν- τωνδιπλασίους έκ Ρώμης κατώ κισεν εις την Καμερίαν Σεξτιλίαις
Καλάνδαις.τοσύτοναυτώ περιήν πολιτών εκκαίδεκα έτησχεδον οί κάντι την Ρώμην. nultima
di queste guerre che fu contro i -Camerj, l a quale epoca ca -, de nell'anno
sedicesimo della edificazione di Roma,e del Regno di Romolo. E dopo questa e
gli non imprese altraguerra se non contro iVejenti, chemoslero cono tro i
Romani domandando la resti tuzion diFidere, come di,Città che siapparteneva
alla loro probabile argomento di por questa ultima guerra guerra l'anno
decimofetti mo della edificazion di Roma o là in quel torno, non essendo punto
verisimile che i Vejenti domandaf sero la restituzione di cofa tolta troppo
lungo tempo avanti; tanto più che siccome era rozza.a quei di l'arte della
guerra,rozza altresì era quella de'Manifesti. Stando an Rom. in fine. In Numa
in princip.dunquecosìlacosa,cioè che l'ul tima guerra fatta da Romolo cadel
senel'anno decimosettimo delre gno suo, e facendolo regnare tren totto
anni,comedicePlutarco, ne rimarrebbe uno spazio di ven tun'anno in bianco,
voglio dire tuttopacifico e quieto, e con verria dire che sotto il reggimen
to A queste particolariragionidi abbreviare il regno di Romolo se ne
aggiugne un' altra non meno ftringente tratta da Plutarco, fe condo cui egli
deveaver cominciato diquel Re fosserostatiiRom mani molto più tempu in non in
guerra; il che non accorda punto con quella indole bellicosa che tutti
gliAutori ad una voce danno al fondatore di quello Iinperio. Ne ciò accorderia
pure con quelle pa role che Plutarco mette in bocca á Numa, il quale per
rifiutare il Regno offerto gli dalRomani,dice che si convenia loro un Condot
tierod'esercitoanzicheunRe per cacciare que' potenti nimici che Romolo avea
lasciato loro in sulle braccia. pace che. Plut,in Numa nRom.infine ciatoa regnare in età di anni di cialette,
dacchè egli è morto di anni cinquantaquattro secondoi computi di quello, e ne à
regnata trentotto. Ora come sipuò egli mai conciliare con una età cos sì tenera
quelle tante cose che fa cea costui secondo lo stesso Plutara
co,perlequalisivoleaunaetà più gagliarda, e più ferma?Egli eccellente
ne'consigli e nella civil prudenzá mostrò moltepruovedel suo mirabile ingegno
inoccasiondi trattar co' vicini, attendeva agli ftudidell'artiliberali;fi
esercita vanellefatiche, nellecacce delle fiere,nelperseguitare gliaffaslini,
nel purgar levie da'ladroni,e nel difender dalle ingiurie coloro che
fusleroftati oppressi dall'altrui fu per perchieria:modi tutticheil feceró
crescere in reputazione fra glialtri påstori,e chedebbono fara
locrescerdietàapponoi. Nè lo aver' egli guidato a quel tempo
impresedifficilisfime,lo efferfi fat to capo di un popolo, e lo aver fondato
una Città ne rimoveranno dall'oppinione di farlocominciare a regnar più tardi,
e di accorciare ilsuoregno. tore E da Romolo passando a N u
ma,eglinoncisonomenfortira gioni per abbreviare il regno anco di questo. Io
lascio ftare quella quistione roccata da Livio,e da Plutarco come questo
Legisla Plut.in:Rom. Numap. LIVIO. Ed. Ald..: por Authorem
do&trina ejus quia non extat,alius,falfo SamiumP y thagoram edunt,quem
Servio Tül lo regnante Rom et centum amplius poft annos in ultima Italiæ ora
cir ca Metapontum Heracleamque de Crotonam juvenum æmulantium fta diacatus habuilleconstat.Liv,Ibid.
26 gnan tore potesse essere stato uditor di Pitagora, il quale essendo venuto
inItaliapiùtardiche Numa non cominciò a regnare secondo la co mune oppinione,
ne farebbe Plut,in Numa Pherecides Syrus
primum di xit animos bominum esse fempiter nos:antiquusfane:fuit enim meo
regnante Gentili.Hanc opinionem discipulus ejus Pythagoras maxime confirmavit,
quicum Superbo re fu CICERONE Tusc. Quæft. il regno suo più sotto,
e per conseguente accorciare almeno le durate degli altri cinque regni, che
furonodaesso Numa fino alRegi fugio;della certezza della qual'e pocanonsi dubitadaniuno
lo Jascio, dico,questa quistione,la qua lenon risguarda tanto la durata del
regno diquesto Re, quanto il prin cipio di quello:e vengo a cið che ne
appartienepiù davicino, porre Plutarco ne dice che Numa aveva quaranta anni,
quando gnante in Italiam menisset, tenuit magnam illam Greciam ac. Pythagoras
qui fuit in Italia temporibusiisdem,quibusL. Bru tus patriam liberavit. InNuma
p.62, 28 qua rantatre, la quale ultima cosa ne dice fimilmente Livio..Ma
qui io domando le parrà ragionevole ad altrui,che incosìfrescaetàpo tesseNuma
essergiuntoaquelloe minente grado di fapienza, che fi dice;emoltopiùpoiseparrà
ve risimile, che tenendo egli maslime modi di vivere differenti dagli u fatinel
fuo paese, egli potesse esser salico in così alto grado di re LIVIO fu eletto
in Re di Roma, e che la governò per lospaziodi pu Plut. InNuma Romulus feptem
do triginta regnavit annos. Numa tres a quadraginta - Vedi Plut. in Numa in
princip. Annumque intervallum regni fuit. Id ab re quod nunc quoque
tenet nomen,interregnum appella tum. ld paullo post. Consultissimus vir omnis
di putazione,che lo facesse riverire non solo appo gli stranieri, ma nel
proprio paeseeziandio per così straordinario modo,come narrano; e per recar le
molte parole in u. na, che l'autorità del nome suo. fossetale,ch'ella dovesse
in un subito far ceffare le animosità, e le gare delle parti, che per lo Ipazia
di un'anno aveano conteso in Ro.: m a per lo Imperio Ma egli Patrum interim
animos certamen regni ac.cupido verfa bat etc.
ci LIVIO. Plut.in Numa --- a
y ci è ancora alcuna altra confider1 zione da farsi.Tazio che reggeva
Roma insieme con Romolo,mcf so dalla gloria e dal nome dilui che tantoalto
suonava,selofece genero dandogli per moglie una sua unica figliuola che si
chiama va Tazia. Quando questoavvenif feper appunto nonsilegge;ma
eglièverobensì,che ciðfumol divini atque'bumani juris dito nomine Nume Patres
Romani quamquam inclinari opes ad Sabi nos rege inde fumpto videbantur: t a m
enne que se quisquam, nec fa Etionisfuæalium,nec denique Pa trum aut Civium
quenquam prefer re illo viro auf ud unum omnes. Numa Pompilio regnumdeferendum
decernunt, LIVIO. Plut. In Rom. sua to di buon'ora nel regno di R o molo,dacchè
Tazio muorì prima della guerra co'Fidenati, e co'Cameri,cioè prima dell'anno
see dicesimo del regno di Romolo; e d'altra parte ne racconta Plutarco che
Tazia era morta quando N u ma fu chiamato al regno, e ch'era vissuta con esso
luilo spazio di tredicianni. Dal chetuttofi deeraccogliere,che grantempoa vanti
la morte di Romolo fioriva la fama della fapienza di Numa;e converrià dire,ritenendo
il computo di Plutarco, cheavendo Numa foli venticinque anni,questa fama
fossegiàtanta, che inducefle Tazio Re a dare in matrimonio una Plut .in Numa. sua
unica figliuola a lui uomo privato, il che mostra essere alieno da
verisimiglianza, Diremo per tantoa salvareilvero, cheNuma dovesse avere
sessanta anni almeno quando fu eletto con tanta unani mitàaRediRoma;eciòpofto,
gli staranno molto meglio inbocca quelle parole che periscansarsi da questo
carico gli fa dire Plutarco, qualmente alle condizioni de'Ro mani era bisogno
che laCittà avef seun Re dianimoardente erobu sto, le quali parole più tosto fi
disdirieno che no ad un'uomo di quarantaanni.Postoadunque che Numa, come ragion
vuole,comin ci a regnare vent'anni più tardi che non si crede,> di
altrettanti an ni fi verrà ad accorciare ilsuo re gno in età in
circa di ottantatre anni. gno, dove si voglia ch'egli sia morto come
narrano, sta E per tal modo abbreviando
il regno di Numa, e similmente quello di Romolo, si verrà a render più
probabile la lunghezza del la pace di cui godè Roma a tempo attorniata da
popoli estre mamente gelosidellasua grandezza, come ellaera.Questapace giusta
l'antico computo farebbe dileffan tacinque anni,iqualirisultano dal la somma
de'quarantatre del regno diNuma,daun'anno d'interre gno,e da'ventun'anni
passati da Romolo, dirò così, nell'ozio e nella cessazion dalla guerra; e g i u
C: quel ετελεύτησε δε χρόνον ο σ ο λύντοϊςογδοήκοντα προσβιώσας. Plut,in
Numa. ven di pre 34 itale cose discorse, questapace viene ad
essere di ventiquattro an ni in circa e non più. E da ciò riesce molto più
verisimile, come Tullo Ostilioerededelregno,non dell'arti di Numa, abbia potuto
facilmente rinvigorir ne' Romani la bellica virtù inspirata loro da R o
molo,ecomeabbiapotuto sente combatter con feroci Nazio ni e soggiogarle; il che
di troppo fáriafuordell'uso,e della oppi nion comune se la virtù de' R o
manifossestata(nervatadauna pa c e di fesfantacinque anni. Io non dirò nulla
de' due fuf seguenti regnidiTullo Ottilio,edi Anco Marzio,ilprimo de'qualiè di XXXII
anni, l'altro di Tullus magna gloria bel li regna vitannos duosdotriginta. LIVIO.
Jam.filii prope puberem etatem erant Id. Ib. 35 ventiquattro, se non che
ab breviandogli un tal poco, egli ne parrà piùverisimilequello che di ce Tito
Livio de'figliuoli di Anco Marzio: cioè che alla morte del padre e'non fossero
ancora ag giunti agli anni della pubertà Regnavit Ancus quatuor dig viginti.
Ib.p. 26. a tergo. Anco Marzio aveva cinque anniallamorted iNuma(3):sea cinque
se ne giungano trentadue, e ventiquattro, avremo leffantun’ anno,cioè l'età
d'Anco Marzio allamorte fua;ilqualeavriadova to naturalmente lasciare figliuoli
più adulti, postoche egliavesse regnato ventiquattro anni, e Tul C2 lo annos
Plut. in Numa lo trentadue; e cið perchè seconda ragione,un regio uomo come si
era Anco Marzio e che fu poi Re, dovea menar moglie assaidibuon' ora per
lasciare il regno a'figliuoli nella più ferma età che far fi po tesse. Eniente
farebbe ildire,ch' egliavesle avuto figliuoli maggio ri di età che morisfero
innanzi a lui, e che questa cura del padre di la fciar figliuoli atti al regno
futle del tutto inutile in un regno e lectivo qual sieraquello diRoma, poichè
dall ' una parte egli pare improbabile che dovessero ellere morri in tenera età
tutti i primi suoi figliuoli più tosto, che gli altrs,edall'altrocanto eglisem
bra che si avesse risguardo alla stir pe regia nella elezione del Re. Segno è
di questo, che i Romani chiamarono al regno il medesimo An Ma
Anco Marzio nepote di Numa che Tarquinio Prisco allontand i figliuoli diluida Roma
neltem po de'Comizj C3 do peromnia expertus (L.Tarquinius ) postremo tutore
diam liberis regis testamento insti tueretur Jam filiiprope pube
remætatemerant.EomagisTar quinius instare, utquamprimum comitia regi creando
fierent: qui.. bus indi&tisfub tempus pueros vem natum ablegavit:isque primus
de petisse ambitiofe regnuin et c. LIVIO atergo. Tum Anci filii duo, etfi a n
tea femper pro indignissimo habue rant fepatrio regno tutorisfraude
pulsos:regnare Romæ advenäm non modo civica, fed ne Italica qui demftirpis et c..terg.
e Nel luogo citato. Ma non è già così da passar sotto silenzio il
regno del medesi mo TarquinioPrisco successoredi Anco.Ne viene costui rappresen
tato come usurpatore del regno, secondo che disli, a' figli di quello, de'quali
egli era stato istituito tu tore dalpadre. Egliregna tren totto anni,e vien
finalmente ammazzato per opera degli stessi fi gliuolidi Anco vaghidi ricuperare
il regno paterno tolto loro dalla frande dell'uomo straniero. Nel che Sed
injuria dolor in Tarquininın ipsum magis quam in Servium eosftimulabat Duo de
quadragefimo fer me anno ex quo regnare cæperat Tarquinius bc.Id.Ib. ipse regiinfidi
aparantur.Id. Ib. aullo poft. ob hæc che chi non ammirerà la flemma
incredibile di costoro, che tra la ingiuria e la vendetta polero in mezzo
trent'otto anni, spazio di tempo bastante a sedare e spegner forfe nell'animo
qualunque più violenta passione? Questo fatto a dunque dovette avvenire nella
lo to giovanile età non molti anni d o polamortedel padre; il che quan to è
comprovato dalla vatura del fatto medesimo, lo è altresi dal non ne avere
effiraccolto frutto alcuno, come coloro che dopo la uccisione di Tarquinio
rimasero ne più nè meno esclusidal regno pa terno.La qualcosaben mostraef fere
questa stataopera di età gion vanile e inconsiderata, e non di quella ferma e
matura di cinquan ta anni, in cui LIVIO gli fa con troogni
verisimiglianzaoperarque Ita. C4 Che diremo oltre del suo suc
cessore Servio Tullo, il quale nel fapno regnare quarantaquattro an ni? Se non
che dobbiamo di moltoaccorciarean coquesto regno, per quella medesima ragione
per la quale abbiamo accorciatoquello di Tarquinio Prifco fuo predeceffore. È
Servio Tullo anch' ello mello a morte da chi volea ricuperare il
regnopaternotoltoglida essoTul lo,ch'era di schiatta fervile,e
chefuportosultronodi Roma per artifiziodi Janaquilę moglie diTar sta
Tragedia, E però rimane che fi debbaabbreviareilregnodi Tar quinio Priscocomesiè
fattode' superiori. 1 qui Servius Tullus regnavit, annosquatuor quadraginta.. a
tergo. e preso dalla più violenta ambizione; e ch'egliin quinio
Prisco. È in ciò dovrà pa rere molto strano che Lucio Tarquinio, che fu poi
cognominato il Superbo,abbiaaspettatoa metter lo a morte quarantaquattro anni.E
molto più poi le altri vorrà por menteatrecose,chequestoTar quinioera giovine
fatto allorchè Servio Tullo fu aflunto al Trono, ilqualela prima cosa diede per
moglie due sue figlie a due giova ni Tarquinj Lucio ed Arunte; che questo
Tarquinio era di natu ra 3rdentifima EtnequalisAneiliberum
animusadversusTarquinium fuerat, talisadversusse Tarquinii liberam esset: duas
filias juvenibus, regiis' Lucio atqueAruntiTarquiniisjunio git a tergo
fine era eccitato cotidianamente ad occupare il regno da Tullia fua
moglie la più stimolofa è rea f e m mina che fulle mai. Le quali cose
considerate che fieno,faranno che debba credersi molto più irra gionevole che
Servio Tullo abbia potuto regnare quarantaquattro an ni,che Tarquinio Prisco
trentotto. Et ipfe juvenis ardentis animi do domi #xore Tullia in-,
quietum inimum stimulante Sen Servius quanquam jam fu haud dubie regnum possederat; tamen quia
interdum jactari voces a juvene Tarquinio audiebat büs, àtergo. a tergo, quid
te stregium juvenem confpici jenis Nel fine del regno di Ser. Tullo. Senzache
questoTarquinio,che è sempre chiamato giovine nella vi ta di Servio Tullo,
moftra effére robusto e giovinę tuttavia allafi nedelregnodiquello,come co
luichepiglioServioperlomez zo della perfona, e sollevatolo in alto lo gittò giù
per la scala della Curia. La qual pruova giova nile non avrebbe potuto
altrimenti fareseaquarantaquattro anni del regno diServioneaggiungiamo venti
più o meno,ch'egli ne do yea avere alla morte di Tarquinio Brisco;.che lo
farebbono vecchio di sessantaquattro anni allorchè ei (1)Multo ætateį viribus
va lidior medium arripit Servium,es latumque eCuria in inferiorempar temper
gradusdejecit.Id.Ib.p.34. a tergo. per de uxoribus mentio, Suam
quisquelaudat miris modis, Ora venghiamo finalmente ale lo stesso
Tarquinio Superbo che fu l'ultimoRe diRoma iAvvenne verso la fine di questo
regno,che nell'offidionedi Ardeainforgesle quistione traSesto Tarquinio e
Tarquinio. Collatino marito di quella Lucrezia,chị de'dueavesse più savia
moglie, dal che poi nacque, come Yaognuno), Confolato ela libertàRomana,Ora
quertoTar quinio Collatina secondo le parole di Livio era giovine","e
Yecondo lo ftesto autorem pervenne ad occupare il regno 5. Upitni HI,1, cer era
figlio di un Inde IT: Forte potantikusbisapud Sextun Tarquinium ubii collati
aus cænabat, Tarquinius Egerii fs lius incidit (fratrisbicfilius e rat Regis)
Cyllațiæ in præfidio re lietus.a tery. eerto Egerio,il quale fu lafciato
da Tarquinio Prisco alla guardia di Collazia Città di novella con quita nella
guerra Sabina verso la metà del regno fuo o la in torno, che viene a cadere
nell'an no cencinquantacinqueincircadal Collatio.c quisquid citra Collariam
agri erat Sabinisadema ptum Egerius py,sub Indecertamine accenfoCollatinusne
gatverbisopus effe; paucisid quide12 horis poffe:frisi,quantum cæteris præftet
Lucretia. Quin sivi gor juventa ineft confcendimus, e qws,invifimulqise
præsentesstrarun ingenia? LIVIO Vedi'anco la Tavoletta Cronologica registrata
di topra.la edificazione di Roma,lomi penso che sarà mestiero darea ques sto
Egerioaquel tempo per lo meno XXX anni, sì perchè l'età sua foffe in alcun modo
eguale al cari co commessogli dal Re Tarquinio Prisco, sìperchèquesto Egerioera
nato prima del tempo in cui Tar quinio venne a Roma sotto il re. gno di Anco
(2), Ora come può egli starecheun'uomoditrent'anni ļ' anno di Roma cencinquanta
cinque avere unfigliogiovine l'anno du genquarantaquattro,come non sivo glia
supporre ch'egli avesse questo figlio dopo l'età degli ottant' an ni? ilche ben
vede ognuno quan to LIVIO che è di niez zo tra ilpadre,e ilfigliuolo. to siacontrario all'ordinario corfo delle
cose naturali. Per lo che se vorremo ritenere questa discenden za de'Tarquinj,
bisognerà accor ciare ilregiodiTarquinio Prisco di ServioTullo e similmente di
TarquinioSuperbo,che occupano tutti e tre il tempo ot Un'altrapruova
peracccrcia re ilregnodiTarquinio Superbo e quello eziandio di Servio Tullo
fuopredecessore, fipudcavarda questo. Tarquinio Superbo quand? egli occupò il
regno avea festanta quattro anni,come abbiani veduto poco innanzi, a'qualichiaggiunga
i venticinque che fi dice avere ef fo regnato troverà,ch'egli avea L.
Tarquinius Superbus regna ottantanove ánniallorchè fu elpus: fo
dalregno;laqualcosapofto che vera, avšia merit:ito d'esser nota=; ta dagli
Storici. Che più? Si legno gechequestoTarquinio parecchi annido poil e g i fugio combattè a cavallo alLago Regillo
con tro il Dittatore Postumio, il che gnavit annos quinque la viginti !
Regnatum konæ ab condita Urbe ad liberatam. Id. Ib.infinepo. LIVIO in
Pofthumian prima in acie firos adhortantem inftruen temque Tarquinius Superbus
quam quam jam '&tate a viribus erat gravior equum infeftus admifit;
ietusqueab latere,concursufuorini receptus in tutum eft. du che verrebbe
a cadere nell'anno centesimo e più.là ancora dell'età sua, irragionevolezza
troppo mag giore chenon sipuò comportare, e la qual nasce pure anch'essa, co me
ognunvede,da uncalcolofon dato sopra leEpoche Liviane. Come adunquesidebbano le
var molti e dalle du rate de'regnidi inni cotefti R e, egli si provato rimane
abbastanza altrimenti nasco dagliassurdiche insieme i nelvoler comporre no le
altre condizioni che ac fatti,e regni; medesimi cer questi conpiù compagnano
furono i quali fatti dalla tra a'pofteri men tezdatrasmesli quantevolte dizione,che
non un pia tornò. Ed egli abbastanza, come se fi riducano seguirono del Cielo
tre quelli sito neta al medesimo provato è medesimamente le,cred'io, SO
durate di cotesti Re allà ordinaria legge diNatura,che li faregna re presi
insieme diciotto o venti anniperuno,secondocheàdisco perto il Neutono, tutte le
difficol tà siappianano, esvauiscono leir ragionevolezze tutte degli Storịci.
La qual cosa benchè sia oramai fuor d'ogni quistione,mi piace aggiu gnere
un'altra pruova, perchè fi vegga vie meglio qualmente sorga il vero da ogni
lato, come all' in contro da ogni lato si manifefta 1
errore·Questanovellapruova fa rà ricavata dalle generazioni d'uo mini che sono
indicate dagl’autori nella storia di detti re, le quali anch’esse arguiscono di
falla la tecnica loro cronologia in quanto alle durate de’regni. Nella vita di Romolo
fià, che Ottilio Avolo di Tullo Oftilio morì nella guerra mo [Principes
utrinque pugnam ciebant: ab Sabinis Metius Curatius, ab Romanis Hoftius
Hoftilius [τετάρτω δε μηνί μεν την κτίσιν ως φάβιο ςισορά τοπε ρι την αρπαγήν
ετολμήθη των γυ Voixãi. Plut. in Rom. Plut. descrivendo co mele Sabine divisero
la zuffatra i Romani, e Sabini aggiugne: aipšv. muidice κομίζ εσαινήπια προς ταίςαγκάλαις
racontro i Sabini, che viene a cadere ne’ primi anni di quel regno. Il regno pertanto
di Rout Hostius cecidit etc. LIVIO. Indo Tullum Hostilium nepotem
Hostilii,cujus in infima arce clara pugna adver Sus Sabinos fuerat, regem
populus. jussit. Plut. In Rom.] molo di Numa e di Tullo Ottilio, non
occupa a un di presso che il tempo di due generazioni: quella del padre,o della
madre che dir vogliamo di ello Tullo Ostilio, che duvette nascere al principio
del regno di Romolo, e quella di Tullo Ostilio medesimo Da Nuna ad Anco Marzio
suno due generazioni, poichè ello Numa era avolo di Anco Marzio; dat che ne seguita
che la generazione tra Numa ed Anco finendo al tempo di Tullo Ostilio, rimanga·una
generazione sola da Tullo alla fine del regno di Anco. Con che dal principio
del regno di Romolo al [Numa Pompilii regis ne pos filia ortus Ancus
Martiuserat. LIVIO. Plut. In Numa] ne la fine di quello di Anco corrono
in circa tre generazioni. Lucio Tarquinio Prisco prima detto Lucumo ne viene a
Roma uomo maturo nel regno di Anco, onde la generazione di Tarquinio coincidendo
con quella di Anco non resta che una sola generazione di uomini tra il regno di
Anco e il regno di Tarquinio Superbo figlio di Tarquinio il vecchio o Prisco, Adunque
dal principio del regno di Romolo al la fine di quello di Tarquinio Superbo
corrono IV sole generazioni in circa di uomini e non più, Egli è il vero che
LIVIO dice dubitare alcuni, se questo Tarquinio Superbo fosse figliuolo a [LIVIO
eat ergo. Hic L. Tarquinius Prisci Tarquinii filius, ne posve fuerit, parum
liquet: pluribus tamen authoribus filium crediderim devolvere retro ad stirpem
fratrifi milior quam patri. a ter go. Quas
Anco prius, patre deinde Sito regnante, perpelli fint. Tarquinius reges ambos
patrem vie, filium perfecisse a terg. nepote del Prisco. M a senza che i
più erano di oppinione ch'ei gli fusse figliuolo, oppinione abbracciata da esso
LIVIO medesimo, egli si può mostrare, che da Tarquinio Prisco al Superbo corresse
una sola generazioneper esser Col latino ancora giovane in ful fine del regno
di Tarquinio Superbo, mentre il padre suo Egerio è uomo già fatto nel regno di
Tarqui nio Prisco,come abbiamo veduto avatt avanti.Ora fommando
insieme gli anni di IV generazioni, ognu na delle quali ragguagliata è di XXXIII
anni, si hanno cento e trentadue anni, e dando a ciascun Re XIX anni di regno,
si hanno cento trentatre anni, il che derivato dalla legge di natura co sì
maravigliosamente conviene col la regola cronologica del Neutono, che le osservazioni
astronomiche più a capello non convengono colle teorie ec o'calcoli di quel
grand’ uomo. Io non aggiugnerò altroa questo ragionamento, se non che a quel
modo che la cronologia di Neutono assolve VIRGILIO che è il più esatto de’ poeti
da quello acronismo imputatogli comunemente. Vedi la cronologia di Neutono te
in rispetto a’ tempi in cui vissero ENEA e Didone, così ella può giustificare quella
comun tradizione tenuta in Roma che NUMA è uditore di Pitagora, e che non meno
contribuisse a fondar quello imperio, il qual è signor delle cole, la virtù italiana
che la romana sapienza. Algorottus. Francesco Algarotti. Keywords. Refs.: Luigi
Speranza, "Grice ed Algarotti," per Il Club Anglo-Italiano, The
Swimming-Pool Library, Villa Grice, Liguria, Italia. Algarotti.
Luigi Speranza -- Grice ed Alici:la
ragione conversazionale e l’implicatura
conversazionale reciproca – la scuola di Grottazzolina – filosofia marchese -- filosofia
italiana – Luigi Speranza, pel Gruppo di Gioco di H. P. Grice, The
Swimming-Pool Library (Grottazzolina). Filosofia marchese. Filosofo italiano. Grottazzolina, Fermo, Marche. Grice:
“If an Italian philosopher tells me he believes in God, I stop calling him
‘philosopher’!” --. Grice: “I like Alici; he has philosophised on some of
the topics *I* did, since it should not surprise anyone, since we are
philosophers (if I’m also a cricketer!) --.Grice: “I will organize some
overlaps in hashtags: compassione. – serious study – il terzo incluso – I
curiazi, i moscheteri -- ”:noi dopo di noi,” ‘we after we’ – the meta-language –
romolo e remo; ossia, il bene condiviso;:romolo e remo; ossia, condividere la
deliberazione; eurialo e isso, ossia, dall’io al noi; colloquenza romana; amore:
l’angelo della gratitudine; eurialo e nisso: amore d legarsi – la reciprocita;
pilade ed oreste -- luigi Alici
Presidente nazionale dell'Azione Cattolica Italiana. Presidente nazionale dell'azione
cattolica italiana, Allievo di Rigobello, insegnato a Perugia, Roma, e Macera.
Direttore della Scuola di Studi Superiori Leopardi. Studia Agostino. Saggi dedicati
al rapporto tra interiorità e intenzionalità, comunicazione e azione, libertà e
bene, con particolare attenzione alle tematiche dell'identità personale e della
reciprocità a-simmetrica, esaminate anche sotto il profilo della loro rilevanza
morale – anche temi della fragilità e della cura, e il rapporto tra natura,
tecnologia e libertà. Impegnato fin da
giovane nell'azione cattolica, ha ricoperto numerosi incarichi, responsabile
dell'Ufficio studi; direttore della rivista culturale "Dialoghi";
consigliere dell'associazione dall’assemblea nazionale, e presidente del
consiglio. Membro del consiglio dell'Istituto per lo studio dei problemi
sociali e politici Bachelet di Roma; Comitato Scientifico della Collana di
“Filosofia morale” (Vita e Pensiero, Milano); Comitato di direzione della
rivista “Dialoghi” (Roma); Consiglio Scientifico del “Centro di Etica Generale
e Applicata” (Pavia); Comitato scientifico della rivista “Hermeneutica”
(Urbino). Membro del Comitato Scientifico della Fondazione “Lanza” (Padova). Dirige
inoltre la sezione di Filosofia della Collana “Saggi” (La Scuola Editrice,
Brescia) e della Collana “Percorsi di etica” (Aracne Editrice, Roma). Altri
saggi: “Il linguaggio come segno e come testimonianza. Una rilettura di
Agostino”(Edizioni Studium, Roma); “Tempo e storia. Il "divenire"
nella filosofia” (Città Nuova Editrice, Roma); “Il pensiero del Novecento Editrice
Queriniana, Brescia); “Il valore della parola. La teoria degli "Speech
Acts" tra scienza del linguaggio e filosofia dell'azione” (Edizioni Porziuncola,
Assisi PG); “Presenza e ulteriorità, Edizioni Porziuncola, Assisi (PG)); “La
dignità degli ultimi giorni” (Edizioni San Paolo, Cinisello Balsamo (MI)); “Con
le lanterne accese. Il tempo delle scelte difficili, Ave Edizioni, Roma); “L'altro
nell'io. In dialogo con Agostino” (Città Nuova Editrice, Roma); “Il terzo
escluso, Edizioni San Paolo, Cinisello Balsamo (MI)); “La via della speranza.
Tracce di futuro possibile” (Edizioni
Ave, Roma); “Cielo di plastica. L'eclisse dell'infinito nell'epoca delle
idolatrie” (Edizioni San Paolo, Cinisello Balsamo), (Premio "CapriSan
Michele); “Amare e legarsi. Il paradosso della reciprocità, Edizioni Meudon,
Portogruaro); “Filosofia morale” (Editrice La Scuola, Brescia); “I cattolici e
il paese. Provocazioni per la politica” (Editrice La Scuola, Brescia); “L'angelo
della gratitudine, Edizioni Ave, Roma); “Cittadini di Galilea. La vita
spirituale dei laici” (Quaderni di Spello”, Edizioni Ave, Roma, (Premio “CapriSan Michele); “Il fragile e il
prezioso. Bio-etica in punta di piedi, Editrice Morcelliana, Brescia); “InfinitaMente.
Lettera a uno studente sull'università, EUM, Macerata,. Edizioni di opere di
Sant'Agostino La città di Dio, Rusconi, Milano; Bompiani, Milano. La dottrina
cristiana, Edizioni Paoline, Milano; Confessioni, Sei, Torino, Manuale sulla
fede, speranza e carità, Collana La vera religione, Città Nuova Editrice, Roma.
“Il potere divinatorio dei demoni, Collana La vera religione, Città Nuova
Editrice, Roma; La natura del bene, Città Nuova Editrice, Roma; Il libro della
pace. «La città di Dio, XIX», Editrice La Scuola, Brescia); “Agostino nella
filosofia del Novecento (con R. Piccolomini e A. Pieretti), 4Città Nuova
Editrice, Roma (comprende: Esistenza e libertà, Interiorità e persona, Verità e
linguaggio, Storia e politica). Azione e persona: le radici della prassi,
V&P, Milano, Forme della reciprocità. Comunità, istituzioni, ethos, Il
Mulino, Bologna, La filosofia come dialogo. A confronto con Agostino” (Città
Nuova Editrice, Roma, Filosofi per l'Europa. Differenze in dialogo con Totaro,
Eum, Macerata, Agostino. Dizionario enciclopedico, di Allan D. Fitzgerald edizione
italiana curata assieme a Antonio Pieretti, Città Nuova Editrice, Roma); “Forme
del bene condiviso, Il Mulino, Bologna, “La felicità e il dolore. Verso
un'etica della cura” Aracne Editrice, Roma,. Dialogando. Idee, pensieri,
proposte per il nostro tempo, Edizioni Ave, Roma); “Unità e pluralità del vero:
filosofia, religioni, culture, Archivio di filosofia); “Il dolore e la
speranza. Cura della responsabilità, responsabilità della cura, Aracne
Editrice, Roma); “Prossimità difficile. La cura tra compassione e competenza,
Aracne Editrice, Roma); I conflitti religiosi nella scena pubblica. I: Agostino
a confronto con manichei e donatisti, Città Nuova Editrice, Roma); “Noi dopo di
noi. Accogliere, rigenerare, restituire: nella società, nell'educazione, nel lavoro”
(FrancoAngeli, Milano); “I conflitti di valore nello spazio pubblico. Tra
prossimità e distanza, Aracne Editrice, Roma); “I conflitti religiosi nella
scena pubblica. II: Pace nella civitas, Città Nuova Editrice, Roma); “La fede e
il contagio. Nel tempo della pandemia, (con G. De Simone eGrassi), Ave, Roma.
L'umano e le sue potenzialità: tra cura e narrazione (conNicolini), Aracne,
Roma. L’etica nel futuro (con F. Miano), Ortothes, Napoli-Salerno. Pagina di
presentazione nel docenti
dell'Università degli Studi di Macerata, su docenti.unimc. Dialogando. Il blog di Luigi Alici, su luigialici.blogspot.
Predecessore Presidente nazionale dell'Azione Cattolica Italiana Successore
Paola Bignardi. “Love and duty are the cement of society” (Elster). “Love and duty are *not*
the cement of society. The mechanism is *reciprocity*. Seemingly co-operative,
helpful, altruistic behaviour, based on versions of the ‘I’ll-scratch-your-
back-you-scratch-mine’ principle, require no nobility of spirit. Greed and fear
suffice as motivation: greed for the *fruit* of co-operation, and fear of the
consequence of *not* reciprocating the co-operative helpful overture of the
other.” (Binmore).
Chi tra Elster e Binmore ha ragione? Chi che vede nell’amore il “cemento della
società”, o chi che considera invece la reciprocità dei due soggetti, basata su
egoismo e paura, come il meccanismo sufficiente per tenere assieme la società?
Oppure le cose sono più complicate? Grice propone di penetrare all’interno
delle dinamiche della gratuità, della reciprocità e del tipo di razionalità che
sottostanno ad esperienze conversazionale che potremmo chiamare “sociali”, come
sono quelle dell’Economia di Comunione Conversazionale [cf. Bruni e Pelligra].
In particolare ci domandiamo a quali condizioni un soggetto o un’impresa mossi da
una razionalità diversa da quella standard possano sopravvivere e svilupparsi
in un contesto dove esiste una eterogeneità di soggetti interagenti. Inizieremo
evidenziando le caratteristiche base dell’idea di razionalità che muove l’homo
oeconomicus, cioè l’agente considerato “standard” dalla teoria economica
convenzionale. Quindi introdurremo un tipo di agente non standard, mosso da una
razionalità in cui l’azione donativa ha una ricompensa intrinseca. Questo fa in
modo che la reciprocità possa assestarsi come equilibrio stabile. Nella sezione
3 vedremo che, quando agenti eterogenei interagiscono tra di loro, le cose si
complicano e gli esiti non sono più scontati. Per far questo ci serviremo della
forma più elementare di giochi evolutivi; saremo, così, in grado di mostrare i
risultati più interessanti del modello, che espliciteremo nelle conclusioni.
Smerilli Bruni Bellanca, Crivelli, Gori,
Gui, Pelligra Zarri. Perché è così difficile cooperare (per l’economia)? L’idea
di razionalità è dove sono maggiormente concentrate le assunzioni della scienza
economica circa il comportamento umano, che potremmo anche chiamare
antropologia filosofica, o psicologia filosofica. La razionalità economica, non
cerca, principalmente, di descrivere il comportamento “quale è” nella realtà,
ma piuttosto di individuare dei criteri di comportamento ottimo, razionale
appunto, che fanno in modo di poter individuare tra i tanti comportamenti
possibili quelli ottimizzanti – anche se tra analisi descrittiva e normativa
esiste poi uno stretto rapporto. Le caratteristiche base dell’idea standard di
razionalità economica, possono essere sinteticamente enucleate guardando alle
assunzioni, che restano spesso implicite, del “gioco” più famoso utilizzato oggi
in economia: il cosiddetto dilemma del prigioniero. Esso, nell’ambito della
teoria dei giochi1, è usato per mostrare come la ricerca dell’individualistico
tornaconto, in molte situazioni (in particolare in quelle dove non è possibile
stipulare un contratto vincolante per le parti), non solo non porta al bene
comune, ma neanche al bene privato dei singoli individui. La logica che
sottende il gioco è usata per spiegare molti dei dilemmi dovuti all’assenza o
al mal funzionamento dei mercati: dall’inquinamento, alla congestione del
traffico, alle difficoltà della co-operazione. Il gioco rappresenta
l’interazione tra due individui, che chiamiamo Romolo e Remo, identici (hanno
le stesse informazioni e la stessa struttura di preferenze, i due elementi che
fanno la diversità tra gli agenti economici –a cui va aggiunto, nel caso di
imprese, il potere di mercato). Romolo e Remo si trovano a scegliere in una
situazione ‘strategica’ di inter-dipendenza, ciascuno sa di avere di fronte un
soggetto identico a sé, con le stesse preferenze, e *entrambi* conoscono la
struttura del gioco (le ricompense, o pay-off associati agli esiti, che
dipendono dalle proprie azioni o muoti conversazionali e da quelle
dell’altro/i). Quali sono le preferenze? Per restare nel concreto, pensiamo ad
una situazione famigliare: la raccolta differenziata dei rifiuti (ma il
ragionamento, come si capirà immediatamente, è di portata più universale).
L’ordine di preferenze dei nostri due giocatori, e in generale dell’homo
oeconomicus standard che di norma l’economista ha in mente quando descrive il
mondo, sono le seguenti. Al primo posto Romolo ed Remo – o Eurialo e Niso --
mettono: “l’altro fa la raccolta e io no”. A questo esito del gioco associamo
il punteggio massimo, diciamo 4 punti. Al secondo posto “tutti la facciamo, me
compreso” (3 punti). Al terzo “nessuno la fa” (2 punti). Al quarto “solo io
faccio la raccolta differenziata” (1 punti). La tabella e il grafico
sottostanti (che sono due modi diversi di rappresentare questa situazione,
rispettivamente in forma normale ed estesa) rappresentano sinteticamente la
struttura del gioco. La teoria dei giochi è oggi pervasiva nella teoria
economica. Essa è soprattutto un linguaggio che consente di rappresentare in
modo molto efficace interazioni (chiamate “giochi”) di tipo ‘strategico’, cioè
situazioni nelle quali i guadagni, non solo monetari (chiamati pay-off,
ricompense), dipendono dalla scelta dell’ altro soggetto o individuo inter-agente
con lui, e non solo dalla propria (deliberazione condivisa). La teoria dei
giochi ha oggi un campo di applicazione molto vasto, che va dalla collusione
tra imprese all’inquinamento, dalle scelte elettorali al rapporto
paziente-psicologo. Va notato che sebbene, per semplicità e per ragioni di
chiarezza espositiva, abbiamo assegnato pay-off numerici (ipotesi che verrà
eliminata nelle prossime sezioni), in realtà siamo all’interno di un orizzonte
di tipo ordinalistico. Di per sé i valori numerici non possiedono alcun
significato, e quello che conta è l’ordine delle preferenze individuali. Data
una tale struttura di preferenze, si dimostra facilmente che Eurialo e Niso, *se
sono razionali*, sceglieranno entrambi di *non* co-operare (non fare la
raccolta differenziata), ritrovandosi così al terzo livello di preferenza (con
due punti ciascuno: 2 punti per Eurialo, 2 punti per Niso), una situazione
“dominata” dalla co-operazione reciproca (fare tutti la raccolta), in cui
avrebbero ricevuto tre punti ciascuno (3, 3). Eurialo Co-opera Co-opera
3,3 1,4 Non co-opera Non co-opera 4,1 2,2. Nella rappresentazione in forma
estesa, gli esiti del gioco esprimono bene le caratteristiche base dell’idea di
soggetto che l’economia normalmente segue nel costruire i suoi modelli. Il suo
mondo ideale è quello in cui gode dei benefici (ad esempio un mondo non
inquinato) senza sostenerne i costi che preferisce trasferire sull’altro, se
può (separare i rifiuti, depositarli in raccoglitori diversi, ecc. ). Da qui il
dilemma. Si dimostra facilmente che, poiché si trova di fronte uno/a con la
stessa “razionalità” e preferenze, la soluzione del gioco è che entrambi Eurialo
e Niso si ritrovano al terzo livello dell’ordinamento di preferenze, cioè
nessuno fa la raccolta differenziata, quando invece ciascuno avrebbe preferito
che tutti la facessero (che infatti si trova al secondo posto). E la realtà
delle nostra città e del nostro pianeta ci dice quanto questi dilemmi siano
reali e urgenti, e quanto la scelta ‘sociale’ non si discoste poi tanto dal
modello astratto utilizzato dall’economia. Tutto ciò ci dice che la *soluzione*
del gioco, e gli esiti dilemmatici dipendono sostanzialmente da due ipotesi
base circa la razionalità. Primo, l’individualismo: ragionare esclusivamente
nei termini di “cosa è ottimo, o meglio, per me: mittente/recipiente”).
Secondo: lo strumentale (la bontà di una azione si misura sulla base della sua
capacità di essere un *mezzo* condizionale per ottimizzare i pay-off, non per
il suo valore categorico intrinseco. Date queste ipotesi, la non- [Nella
tabella i numeri (i pay-off) esprimono utilità, quindi il più è preferito al
meno. Il primo numero si riferisce a Niso, il secondo ad Eurialo. Nell’appendice
abbandoniamo i numeri e passiamo ad un caso più generale (dove i pay-off è
espresso in lettere, ordinate non in modo cardinale). Va aggiunto che non ogni
inter-azione rappresentabili come dilemma del prigioniero porta a risultati
dilemmatici e sub-ottimale a causa dell’antropologia sottostante. Si pensi, ad
esempio, agli [3 cooperazione (nessuno fa la raccolta) è un *equilibrio*
stabile del gioco (o equilibrio di Nash), dal quale nessuno dei giocatori ha
convenienza a spostarsi uni-lateralmente, a meno che non si sia capaci di
stipulare un *patto* vincolante. Se un patto vincolante non è possibile -- si
pensi alle interazioni quotidiane con numerosi agenti, come nel traffico
stradale -- o troppo costoso, *non* cooperare risulta la ‘strategia’ ottimale
per due ragioni. Prima se Eurialo suppone che Niso è azionale (individualista e
strumentale) allora se co-operassi avvierei Eurialo allo sfruttamento (1
punto).Se invece Eurialo ha buone ragioni per pensare che Niso *non* è razionale
o, come dice Dawkins, “ingenuo”, e che quindi si lasce sfruttare, Eurialo ha
una ragione in più per *non* cooperare. Otterrai infatti 4 punti. Quindi
l’esito dilemmatico è una combinazione di paura alla Hobbes e di opportunism. Se
va male Eurialo cade in piedi e non si lascia sfruttare. Se va bene Eurialo
prende tutto. Una razionalità puo essere con ricompense *non* materiali. In un
mondo fatto di due individui mossi da questa razionalità la co-operazione può
essere raggiunta solo quando siamo capaci di auto-vincolarci a delle regole non
opportunistiche, per un bene individuale maggiore. Io gratto la tua schiena, tu
gratti la mia. Questo principio è, in mille varianti, il tipo di co-operazione
che può emergere tra due soggetti razionali di questa maniere. Grice lo chiama
‘altruismo reciproco’ -- individuando un comportamento pro-sociale in tutte le
specie animali, dove però l’altruismo disinteressato non esiste, ma è solo
maschera di più sottili forme di egoismo (o amore proprio e non benevolenza). In
ogni caso la co-operazione è interamente condizionale e non un imperativo di
tipo kantiano. Eurialo aiuta Niso a condizione che Niso aiuta Eurialo e vice
versa. Viene comunque spontaneo chiedersi se negli esseri umani – o almeno due
filosofi oxoniensi -- ci sia qualcosa di diverso, in termini di socialità,
rispetto alle scimmie o alle formiche. Al di fuori di questi specifici casi nei
quali la co-operazione emerge, un atto che non punti a rendere massimo il
proprio interesse, di breve o di lungo periodo, è considerato *irrazionale* o
ingenuo, poiché si diventa pasto degli altri individui più aggressivi, che
cresceranno e prospereranno a spese degli ingenui. Forse molti degli atti di co-operazione
a cui assistiamo nella vita quotidiana possono trovare la loro spiegazione
sulla base di questo tipo di logica individualistica, strumentale, e condizionale.
Non tutti però. E’ infatti nostra convinzione che la convivenza civile, e le
dinamiche economiche conversazionale, conoscono anche altre forme di co-operazione,
che possono emergere sulla base di un ragionamento mosso da un tipo *diverso*
di razionalità non utilitaria ma assoluta. In quanto segue, cercheremo di
esplorare le implicazioni che scaturiscono dalla seguente domanda. Come cambia
il gioco della vita in comune se complichiamo la visione antropologica sottostante
i modelli economici? L’elemento di diversità (rispetto all’approccio standard)
che qui introduciamo, è la presenza di un valore *intrinseco* categorico
assoluto ingorghi stradali. Questi sono perfettamente rappresentabili come
dilemmi del prigioniero. Ma sarebbe impreciso definire gli automobilisti che
escono per andare a lavoro individualisti e strumentali. Ma abbiamo a che fare
con un problema di mancanza di co-ordinamento in una scelta collettiva, che se
vogliamo rimanda anch’esso a una dimensione ‘sociale’ (come la capacità di
addivenire a patti vincolanti), ma, antropologicamente, è meno coinvolgente di
casi dilemmatici che riguardano l’inquinamento o il rapporto con il fisco.
Questo per dire che la teoria dei giochi è un linguaggio che trascende l’ambito
economico e la sua tipica forma di razionalità; e infatti essa è utilizzata
anche per modelizzare agenti mossi da forme razionalità *non* strumentali (come
in parte fa Grice). (Dal nome del matematico che nei primi anni cinquanta
introdusse questa nozione di equilibrio stabile). Il fatto che nella realtà
concreta riusciamo a non cadere nel dilemma dipende dal fatto che spesso
riusciamo a disegnare patti o contratti vincolanti, con sanzioni. Grice mostra
che anche il richiamo di allarme che certi uccelli emettono per avvisare il
gruppo dell’arrivo di un predatore, a *rischio anche della propria vita*, è il
risultato di un calcolo egoista. L’uccello può più facilmente salvare la sua
vita se tutto lo stormo si sposta e non rimane isolato. -- associato a un
comportamento di gratuità, da cui discende la possibilità di sperimentare una
co-operazione, o reciprocità, non primariamente strumentale e condizionale, ma
assoluta, costitutiva dell’umano, e categorica. Questo agente economico intende
pertanto la reciprocità diversamente da come essa è usata oggi in economia. Rispetta
l’ambiente, paga le tasse o edifica la casa rispettando i vincoli del piano
regolatore (tutte faccende cooperative), ad esempio, perché questi
comportamenti sono per lei dei valori, perché le danno una ricompensa
intrinseca, e non solo strumentale (i vantaggi materiali della cooperazione,
che pure sperimenta). Questo diverso tipo di agente non è quindi puramente
consequenzialista e utilitario come invece è l’agente-individuo. Non valuta
cioè la bontà del muoto conversazionale solo sulla base della conseguenza che
tale muoto produce, ma tiene conto sia di una componente assiologica o
deontologica – non aletica --, legata al valore, sia di una componente
procedurale, più legata ai tipi di relazione all’interno delle quali il suo
muoto si sviluppa. Sa inoltre che il suo muto è pienamente *efficace* se anche
l’altro si comportano allo stesso modo (se reciprocano). Ma non condiziona il suo
comportamento a quello dell’altro (come invece farebbe l’homo
oeconomcus-individuo standard). Al tempo stesso, se l’altro si comportano sulla
base della stessa razionalità assiologica e dello stesso valore intrinseco,
allora egli soddisfa al massimo le sue preferenze, e anche il benessere sociale
aumenta. In base ad una tale struttura di valori, o cultura della reciprocità
gratuita, al primo posto dell’ordine di preferenze questo tipo di agente
economico non mette, diversamente dal tipo standard, “tutti co-operano tranne
me”, ma “tutti, me compreso, cooperiamo”, o doniamo. E questo perché il
comportamento in sé è parte integrante del suo sistema di valori. Al secondo
posto dell’ordine di preferenze pone: l’altro co-opera, io no. Al terzo posto: io
co-opero, l’altro no. Al quarto, nessuno co-opera. Per capire questi valori si
può partire dalla struttura di ricompense (i pay-off, cioè i numeri che
misurano le ricompense) del dilemma del prigioniero. Ma occorre aggiungere, o
sottrarre, ai pay-off materiali una componente intrinseca, sulla base della
teoria classica della felicità o calculo eudaimonico, o beatifico, nella quale
il comportamento buono in sé, o *virtuoso*, ha una ricompensa intrinseca. Così,
se un soggetto ha fatto propria questa cultura della reciprocità gratuita o,
per usare un’espressione più forte ma anche più corretta, della “comunione” (la
communita immune), quando Eurialo co-opera e la controparte, Niso, no (pensiamo
sempre all’esempio ambientale, o, se si vuole, ad un rapporto di amicizia), il suo
pay-off, materialmente uguale a 1 (come nel gioco standard), aumenta a causa
delle ricompensa intrinseca (che poniamo pari ad uno), attestandosi a 2. Se
Eurialo invece *non* coopera ma la controparte, Niso, sì, ecco allora che il
pay-off, pur essendo materialmente pari a 4, diminuisce a 3, perché si
inserisce una *sanzione* intrinseca. 4 – 1 = 3. Si pensi a chi, pur avendo
fatto propria la cultura della reciprocità, in un certo muoto non è coerente
perché non riesce a vincere la tentazione del vantaggio materiale. La sua
soddisfazione è comunque minore a causa della sanzione intrinseca, che potremmo
chiamare anche insoddisfazione o senso di colpa o vizio. Il mondo peggiore
(pay-off = 1) è quello in cui ciascuno è chiuso in se stesso. Qui il pay-off è
1 perché si parte da quello materiale (2) e gli si sottrae il valore intrinseco
(2 – 1 = 1). Il mondo migliore è invece la *reciprocità*, un incontro mutuo di
gratuità: (4), il pay-off materiale della co-operazione (3) più la componente
intrinseca della gratuità. Sui vari usi della categoria di reciprocità nella
teoria economica, cf. Crivelli. Questo ordine di preferenze dipende
dall’ipotesi che la componente intrinseca dei pay-off sia costante e pari ad
uno. Un’analisi più approfondita dovrebbe studiare i casi quando la motivazione
intrinseca è maggiore, minore o uguale alla componente materiale. Non è da
escludere, ad esempio, che all’aumentare di quest’ultimo dovrebbe aumentare la
tentazione di tralasciare gli aspetti intrinseci. Se fare, ad esempio, la
raccolta differenziata diventa estremamente costoso e laborioso, il numero di
quelli, anche bene intenzionati, che la faranno diminuirà. Inoltre, una tale
analisi ammette la possibilità di confronti -- La componente intrinseca
dell’azione è legata alla teoria classica della felicità o calculo
eudemonistico di Bentham. La felicità, essendo il risultato di una vita
virtuosa, è fuori dalla logica strumentale. La virtù è praticata perché ha un
valore intrinseco, non per un calcolo machiavelico strumentale costi/benefici.
La virtù, in particolare quella civica, ha bisogno di reciprocità perché porti
ad una vita sociale pianamente realizzata, ma non può pretenderla, solo
attenderla dalla libertà dell’altro. Ecco perché dagli antichi fino ad oggi
alla felicità è associato un elemento *paradossale*. La feicita ha bisogno di
reciprocità, ma solo la gratuità può suscitarla senza pretenderla. Un “gioco di
reciprocità” (intesa nella maniera appena detta), che rimane sempre del tipo
dilemma del prigioniero, può essere dunque rappresentato come segue: Eurialo Dona
Non-Dona Dona 4,4 2,3 Non-Dona 3,2 1,1 Rappresentiamo anche questo
gioco in forma estesa. Dalla tabella, o dall’albero decisionale, si nota che se
i due giocatori hanno questa stessa struttura di preferenze, l’unico esito
stabile del gioco o equilibrio di Nash, dal quale cioè nessuno è incentivato a
spostarsi, è “dona-dona”. Quindi per interpersonali di utilità, cosa peraltro
non inusuale quando l’utilità attesa si calcola con la funzione di Von Neumann
Morgernstern. Per un’analisi approfondita dei pay-off psicologici cf. Pelligra.
Sul paradosso della felicità cf. Bruni. Il modello che può essere considerato
il capostipite dei giochi del tipo gioco di reciprocità è quello introdotto da
Sen -- questi giocatori-persone donare (o co-operare) è ‘strategia’
strettamente dominante, e l’unico equilibrio stabile del gioco è la reciprocità
o la *comunione*: dona/dona. Cosa ci suggerisce questo gioco, pur nella sua
estrema semplicità? Se sono un soggetto che ha questi valori non ho alternative
a cooperare: gli altri possono rispondere o meno, e quindi il mio
benessere/felicità è incerto (stando al gioco precedente, posso ottenere in
termini materiali 2 o 4 punti): ciononostante per me l’unica possibilità, l’unica
azione razionale, è cooperare, o come abbiamo detto, donare. Così, per fare un
esempio, se sono alle prese con un fornitore difficile, non ho alternative al
donare. Potrò trovare reciprocità o no, ma in ogni caso l’alternativa,
‘non-dona’ – che, nella pratica, significherà ogni volta qualcosa di diverso –
è per me la peggiore (perché è sempre dominata dalla co-operazione) a causa
della ricompensa (sanzione) intrinseca. E’ questo un soggetto che per alcune
scelte non calcola i costi e i benefici. Che senso ha fare la raccolta differenziata
se solo io la faccio. Ma agisce sulla base di un valore, o di una norma etica
interiorizzata. Ciò spiega, tra l’altro, perché in certe società l’ecologia o
il rispetto delle norme civili sono messe in pratica anche in contesti nei
quali sarebbe razionale (nel senso standard) non farlo: iclassico fazzoletto di
carta buttato fuori dal finestrino quando nessuno ci osserva, e quindi nessuna
sanzione può essere applicata. D’altro canto, davanti a queste nostre
considerazioni qualcuno potrebbe obiettare. Ma se ipotizzate che gli individui
traggano soddisfazione dal muoto conversazionale stesso, diventa banale
spiegare l’emergere (dalla perspettiva della psicologia filosofica) della co-operazione.
In effetti l’idea è semplice. Ma ci auguriamo non banale, ma bizarra. In
particolare, gli aspetti più interessanti intervengono quando pensiamo che nel
mondo reale, nel mercato in particolare, non sappiamo normalmente con chi
stiamo giocando, se abbiamo cioè di fronte un soggetto del primo tipo o uno del
secondo. E qui entriamo in quello che possiamo chiamare il “paradosso della
reciprocità” o della comunione, che possiamo sviluppare sinteticamente come
segue, mettendo assieme i vari pezzi fin qui costruiti. Una vita buona ha bisogno
di reciprocità genuine. La reciprocità genuina però non viene suscitata se la
logica che ci muove è primariamente strumentale. La risposta dell’altro, la
reciprocità, non possiamo pretenderla, ma solo *attenderla* dalla libertà
dell’altro. Co-operare porta quindi a due esiti diversi (indicati con 2 o 4) in
base alla risposta o non risposta dell’altro. Per comprendere questi risultati,
si consideri che ognuno sa che l’altro ha di fronte due possibili scelte:
donare e non donare, e, date le loro preferenze, qualunque scelta faccia
l’altro per ciascuno è preferibile donare -- considerando anche il pay-off
intrinseco. Se infatti l’altro giocatore (Eurialo) sceglie “donare” i punti di
Niso sono 4 (mentre la mossa “non-dona” avrebbe portato solo 2 punti); e anche
se Eurialo scegliesse “non donare”, Niso preferisce sempre “donare” che gli dà
2 punti invece di 1 (che è il pay-off di “non-dona/non-dona”). Può valere la
pena specificare che qui con “donare” non si intende l’altruismo o la filantropia
-- che possono restare atti individualisti. Donare è sinonimo di ciò che la
cultura greco-romana chiama “amore”, e cioè un atto gratuito ma che ha sempre
di mira la *reciprocità*, il rapporto personale con l’altro (amore-amicizia). Qualcuno
potrebbe obiettare sostenendo che più che di una diversa forma di razionalità
in questo caso siamo in presenza di un soggetto che ha solo preferenze diverse,
ma la cui razionalità resta quella standard strumentale, perché in fondo anche
lui massimizza la propria utilità. Noi preferiamo pensare che una persona che
agisce mossa da motivazioni intrinseche sia più efficacemente rappresentabile
da una forma di razionalità che Grice chiamava “rispetto ai valori” o
assiologica che non dalla classica razionalità strumentale, che si caratterizza
proprio per il suo essere tutta basata sul calcolo utilitario.Qui infatti
nostri soggetti co-operativi fano la scelta non sulla base di un calcolo, ma
per un valore. È ovvio che esiste una circolarità tra motivazioni intrinseche e
il comportamento dell’altro -- su questo cf. Bruni e Pelligra. Per questo la
vita in comune è fragile, come anche i filosofi – da Aristotele in poi - ci
insegnano, perché essa dipende dalla risposta dell’altro – l’amore di Eurialo e
reciprocato dall’amore di Niso e vice versa. Quale evoluzione? Facciamo ora un
passo avanti, e ci domandiamo cosa succede quando soggetti standard e soggetti
non standard (il secondo tipo che abbiamo appena descritto) interagiscono tra
di loro. Sono situazioni che Grice studia. Sono ormai numerosi i modelli con un
agenti altruistico che interage con un agenti auto-interessato. Qui ipotizziamo
quattro casi, che, con diversi gradi di astrazione, possono rappresentare
alcune situazioni reali che vengono a verificarsi quando l’interazione avviene
tra soggetti diversi, perché mossi da culture diverse. Utilizzeremo, allo
scopo, i rudimenti della teoria dei giochi evolutivi, nella sua forma più
elementare, il cui elemento innovativo è l’introduzione della componente
immateriale del pay-off corrispondente alla ricompensa intrinseca. Ipotizzeremo
cioè i nostri giocatori immersi in un ambiente abitato da popolazioni diverse,
dapprima due, e poi tre. La teoria dei giochi evolutivi utilizza lo stesso
linguaggio, e in buona parte la stessa metodologia, della *biologia* evolutiva.
Tra più popolazioni esistenti in un dato ambiente, nel tempo sopravvive quella
che ha la fitness – capacità di adattamento – maggiore. Se due popolazioni
hanno la stessa fitness sopravvivono entrambe. Ma se una ha una fitness minore
delle altre è destinata all’estinzione, non nel senso biologico del termine
(morte di tutti i soggetti di quella specie), ma che quel comportamento non
verrà riprodotto, e saranno imitati i comportamenti vincenti. Il dibattito
sull’applicazione di una tale metodologia agli essere umani e alle loro popolazione
è aperto, e controverso. In quanto segue noi non intendiamo abbracciare la
filosofia, né la metodologia, dei giochi evolutivi. Riteniamo soltanto che il
linguaggio dei giochi evolutivi ci aiuti a mettere in luce dinamiche, che
riteniamo reali, non facilmente individuabili con linguaggi diversi. Il nostro
è quindi un esperimento, che ci piacerebbe, in futuro, portare avanti, mettendo
a quel punto in questione alcuni assiomi che nell’attuale teoria dei giochi
evolutivi ci appaiono troppo semplificati, come il concetto di fitness:
semplificati, ma non inutili, come speriamo di mostrare. Primo caso: Tipi 1 e
Tipi 2, non riconoscibili Come primo caso facciamo le seguenti ipotesi. Esistono
solo due tipi tra loro non riconoscibili. Chiameremo tipi 1 quelli standard, e
tipi 2 quelli non-standard o di reciprocità. Le ricompense intrinseche sono
determinanti per la scelta (che, come visto, fanno sì che per il tipo 2 sia
sempre razionale, perché strettamente dominante, “donare”). Ma per la
sopravvivenza nel tempo di un tipo di agente, la cosiddetta fitness (misurata
-- La versione più semplice di tali modelli si può trovare nel Manuale di
microeconomia di R. Frank. Un testo classico è quello di Axelrod, e un recente
studio, basato su evidenza sperimentale, è quello di Bowles. Un modello vicino
a quello qui presentato è Sacco e Zamagni. Interessanti considerazioni
metodologiche si trovano in Crivelli. Vale la pena specificare che mentre nella
biologia evolutiva l’unità di selezione è il gene, in economia l’unità di
selezione è il comportamento; inoltre, mente in biologia la trasmissione è
ereditaria in economia essa avviene per imitazione. Sono i vari comportamenti
adottati e imitati che rendono un agente più efficiente di un altro. Un
contributo importante a questo riguardo è l’articolo The evolutionary turn in
game theory diSugden -- dal valore medio dei pay-off materiali), contano solo i
pay-off materiali, non i pay- off dovuti alla ricompensa intrinseca. c. I
pay-off materiali sono i seguenti. Coopera – coopera. Non coopera – coopera.
Coopera – non coopera. Non coopera – non coopera. Con a > b> c> d. La
probabilità di incontrare un tipo 1 è p1, mentre quella di incontrare un tipo 2
è p2, dove, per la definizione di probabilità, p2 = 1- p1 In questo primo caso
lo scenario non è roseo per i tipi 2. Si dimostra, infatti, che a sopravvivere
saranno solo i tipi 1, e questo risultato è indipendente dalla percentuale di
tipi 1 e 2 presente nella popolazione. Infatti, anche se i tipi 2 fossero la
quasi totalità (ex. 99%) dell’universo, sarebbero destinati ugualmente
all’estinzione perché sistematicamente sfruttati dagli individui. SE VALGONO LE
IPOTESI PRECEDENTI, SOPRAVVIVONO SOLO I TIPI 1, PER OGNI VALORE DI p1 e p2. Se
supponiamo un intervento ridistributivo dello stato che preleva risorse dai
tipi 1 per sostenere i tipi 2 (es. ciò che avviene normalmente nei sistemi di
stato sociale con le imprese sociali), il gap di fitness si riduce, e in certi
casi potrebbe essere nullo, consentendo così la co-esistenza dei due tipi. Situazione
diversa se ipotizziamo che i due tipi siano, per l’esistenza di un qualche
segnale, riconoscibili, e che il tipo 2 decida di interagire soltanto con i
suoi simili. Aggiungiamo, quindi
l’ipotesi. Rispetto ai giochi delle prime due sessioni, ora ricorriamo
esplicitamente a pay-off ordinali, dove la sola condizione rilevante nella
misurazione dei pay-off è il loro ordine, e cioè che a sia maggiore di b, b di
c e c di d. Indichiamo con Fi la fitness dei tipi 1, e con Fp la fitness dei
tipi 2. F1 = p1c + p2a F1 = p1c + (1-p1)a F2 = p1d + (1-p1)b. La tesi F1>F2
equivale quindi a: p1(b-a) + p1(c-d) > b-a, per p1 = 0 la disuguaglianza
diventa a>b ed è quindi vera per p1 = 1 la disugualglianza diventa c>d ed
è quindi vera osservo che ∀ valore di
p1∈ (0, 1), p1(c-d) >0 p1(b-a) >
b-a, perché b-a è minore di zero, quindi: F1>F2 ∀
valore di p1∈ [0, 1]. È possibile inoltre dimostrare
che, per tutti I giochi di questo tipo, quale che sia la posizione iniziale di
partenza, l’unico equilibrio evolutivamente stabile verso cui si converge nel
tempo è quello che prevede l’estinzione di una delle popolazioni, nel nostro
caso dei tipi 2. 9 e. i tipi sono riconoscibili e l’interazione è
selettiva (il tipo 2 gioca solo con i simili). Se la riconoscibilità è perfetta
(cioè la probabilità di simulazione è nulla), si dimostra facilmente che
sarebbero i tipi 2 a sopra-vivere. Infatti, in questo caso vale il Risultato. SE
IPOTIZZIAMO PERFETTA RICONOSCIBILITÀ DEI TIPI, SI ESTINGUONO I TIPI 1. Questo
secondo risultato ci dice già qualcosa d’importante. La riconoscibilità, anche
quando non perfetta (come nella realtà normalmente avviene), aumenta la fitness
dei tipi 2. Ciò spiega, ad esempio, l’emergere del fenomeno della “rete”, una
realtà tipica dell’economia sociale. Le varie componenti ed espressioni
dell’economia sociale tendono infatti a cercarsi e scegliersi l’un l’altra:
reti di imprese, reti di consumatori che insieme preferiscono le imprese
sociali, reti di imprese (si pensi ai consorzi di co-operative, di veri
livelli), risparmiatori e consumatori (il fenomeno delle banche etiche e della
finanza etica). Nella realtà, però, supposto che un agente 2 voglia evitare di
interagire con i tipi 1 (cosa da non dare per scontata), la perfetta
riconoscibilità o la simulazione nulla sono comunque altamente irrealistiche
(sono troppi i soggetti con i quali un’impresa e anche una persone interagisce:
lavoratori, finanziatori, concorrenti, fornitori, consumatori). E’ quindi
necessario ricorrere ad altre ipotesi per giustificare teoricamente lo sviluppo
delle imprese sociali nel tempo. E’ quanto di cerca di fare negli altri due
casi. Introduciamo ora un *terzo* tipo che si aggiunge ai due precedenti.
Potremmo chiamarlo ‘civile’ o griceiano. Ipotizziamo che: f. il tipo 3 gioca una
strategia “colpo su colpo”, una strategia intermedia (rispetto alle altre due
più “radicali” dei tipi 1 e 2, che, rispettivamente, co-operano mai e sempre),
che lo fa co-operare con chi coopera, e *non* cooperare con chi *non* coopera.
Quest’ultimo co-opera quindi con chi coopera, e *non* co-opera con chi *non* co-opera.
Il tipo civile o griceiano, non attribuendo un valore intrinseco (o
attribuendogliene uno troppo basso) all’azione donativa, *non* ha “cooperare!” o
“cooperiamo!” come ‘strategia’ *dominante*. La strategia dominante e “Siamo
razionali”. Ma se ha di fronte un tipo 2, pur riconoscendolo, non lo sfrutta
preferendo reciprocare. E’ un 21 La correlazione esclusiva tra tipi può
avvenire per almeno due ragioni: o perché l’agente sceglie il tipo preferito
che viene riconosciuto attraverso un segnale (che deve essere affidabile),
oppure perché si trova in un cluster, cioè in un’area nella quale si trovano
soltanto soggettio dello stesso tipo – pensiamo, ad esempio, ad una comunità
locale come il gruppo maschile della sub-faculta di filosofia a Oxford, dove la
probabilità che un agente si trovi ad interagire con uno “like- minded” è
altissima, ed è indirettamente proporzionale al numero di forestieri – non
filosofi non oxoniensi -- presenti in quella comunità. In questa situazione, i
casi interessanti si trovano sui confini, dove la probabilità di interazioni
miste aumenta (pensiamo agli effetti dell’introduzione di pratiche e
comportamenti nuovi da parte del gruppo femminile, di missionari o di emigranti
da Cambridge). Il segnale, inoltre, per essere efficace dovrebbe essere troppo
costoso da imitare da parte dei tipi 1, come l’adesione ad un codice o
procedimento di comportamento o ad una struttura di valori molto forte (come
nelle botteghe del commercio equo e *solidale*, o nelle imprese di Economia di
Comunione). Con riconoscibilità perfetta, la probabilità di incontrare un tipo
simile è 1, mentre la probabilità di incontrare uno diverso è 0. Quindi F1
=(0(a) + 1(c))=c, mentre F2 = (0(d) + 1(b)) = b, quindi: F2 > F1. Rispetto a
quella classica, questa versione di colpo su colpo è modificata, poiché non
inizia sempre con un muoto di cooperazione, e poi il gioco non è ripetuto -- soggetto leale, che per questo chiamiamo
“civile” o griceiano. Si ipotizza quindi l’esistenza di un segnale,
utilizzabile solo dal tipo civile o griceiano, che gli permette di discriminare
perfettamente tra i tre tipi che ha di fronte. Si ipotizza quindi che le altre
due imprese non possono, o non vogliono, utilizzare quel segnale (pensiamo, ad
esempio, a chi pur sapendo di rischiare entrando in un ambiente molto opportunistico,
rifiuti l’idea della nicchia e accetti di scendere in campo, non utilizzando
quindi il segnale di riconoscibilità. Cosa succede in questo caso? Innanzitutto
è possibile vedere come la fitness del terzo tipo è sempre maggiore di quella
del tipo 2. Infatti vale il risultato. SE E SOLO SE VALGONO LE IPOTESI
PRECEDENTI (a. – d., f.) SI HA: F3 > F2 ∀
VALORE DI a, b, c, d, ∀ VALORE DI
p1, p2, p3. Un secondo aspetto che emerge, è che l’evenienza che la fitness dei
tipi 2 possa risultare maggiore di quella degli 1 dipende dalla percentuale di
tipi 3 civili griceiani presente nella popolazione. Più quest’ultima è alta,
maggiore è la fitness dei tipi 2 e minore quella dei tipi 1. Qui per semplicità
supponiamo che gli scarti tra i pay-off siano uguali tr aloro, cio è che sia: (a–b)
= (b–c) = (c–d). Tali scarti possono essere visti, rispettivamente, come
vantaggio dello sfruttamento, premio della cooperazione e costo della coerenza.
Anche nell’esempio numerico precedente tali scarti sono uguali (tutti pari ad
1). Con queste semplificazioni, vale il seguente risultato. SE VALGONO LE IPOTESI
a.–d., f., g., F2>F1 SE E SOLO SE p +p <p. Il risultato ci dice ancora
qualcosa d’importante. La sopra-vivenza dei tipi 2 dipende anche
dall’esistenza, e dal numero, degli agenti del terzo tipo, cioè di soggetti
che, pur *non* attribuendo un valore intrinseco ma derivato dalla razionalita
generale all’azione del co-operare o donare non “sfruttano” il muoto co-operativo
(come fa invece il tipo 1), ma reciprocano. Rispondono alla co-operazione. Per
questo denominare questi tipi “civili”. Questo risultato può essere utilizzato
anche a sostegno del ruolo della cultura civile – la conversazione civile – la
civil conversazione del rinascimento italiano popolarizzato in tutta Europa. La
sopra-vivenza e lo sviluppo di imprese e un soggetto più radicali, come i tipi
2, dipendono anche dalla “cultura civile” presente nell’ambiente dentro il
quale operano. Di qui l’importanza duplice della diffusione della “cultura”,
alla quale le imprese sociali non possono non attribuire grande importanza. Le
imprese dell’EdC, ad esempio, dedicano un terzo dei propri utili alla
formazione alla *cultura del dare*. Da una parte la cultura re-inforza le motivazioni
intrinseche dei tipi 2, e dall’altra contribuisce ad aumentare e rafforzare il
senso civico e la cultura della co-operazione dalla quale, indirettamente,
dipende anche la loro sopra-vivenza e il loro sviluppo. Supponiamo, per
assurdo, che la tesi non sia vera: Dovrà essere: F3 ≤ F2 => p1c + p2b + p3 b ≤ p1d + p2b + p3b = > p1c ≤ p1d,
disuguaglianza che non e’ mai verificata essendo, per ipotesi, c>d. p1d +
p2b + p3b > p1c + p2 a + p3c ⇔ p1 (d − c)
+ p2 (b − a) + p3 (b − c) > 0;<=> p1(c−d) + p2(a−b )< p3(b−c) ⇔
p1+p2 <p3. Altra implicazione del risultato è il prendere coscienza
che affinché i tipi 2 possano svilupparsi, i tipi civili debbono essere
abbastanza numerosi. In particolare, si dimostra che la fitness dei tipi 3 è
maggiore di quella dei tipi 1 se e solo se i tipi 3 sono in numero maggiore dei
tipi 2. Ipotizzando, come nei risultati precedenti, l’uguaglianza tra gli
scarti, abbiamo un altro risultato. SE VALGONO LE IPOTESI DEL LEMMA, F3>F1
SE E SOLO SE P2<P3. Rappresentiamo le due fitness nello spazio delle fitness
e di p2. 0 P2* 1 P2 F1, F3. Da questo emergono due ordini di considerazioni. Il
valore soglia di P2 (P2*) oltre il quale F3 diventa minore di F1 dipende dalle
pendenze delle due rette, rispettivamente a per F1 e b per F3: (a – b) misura
infatti il vantaggio che i tipi 1 hanno rispetto ai 3 per la presenza dei tipi
2 che sfruttano. Quindi minore è questo vantaggio, maggiore è la quota di tipi
2 che i tipi 3 possono tollerare Se a=b le due rette sarebbero parallele. Si nota
che i tipi 3 perdono fitness con l’aumento dei tipi 2, e la differenza di
fitness massima si ottiene in corrispondenza di P2 = 0. E’ il meccanismo che
potremmo chiamare i figli delle rivoluzioni che uccidono i padri, perché li
considerano troppo radicali, come i francescani di seconda generazione che
rimossero Francesco dal governo dell’ordine, perché con il suo radicalismo
impediva – a loro dire – lo sviluppo del francescanesimo più moderato e
minacciava la morte stessa del movimento. Nell’ultimo scenario, ipotizziamo che
la motivazione intrinseca, la componente non materiale dei pay-off, possa avere
un effetto non solo sulla scelta ma anche sulla fitness. Finora non abbiamo
fatto ciò per un senso di realismo. Eurialo puo persuadersi a vivere nella
piena correttezza verso Niso perché attribuisce a tale comportamento un valore
intrinseco. Se però poi non arrivano i risultati economici, se ho -- F3 >F1
<=> p1c +p2b + p3b > p1c + p2a +
p3c <=> p2pb + p3b > p2pa + p3c <=> p2 (b-a) > p3 (c-b)
<=> p2 (a-b) < p3 (b-c) p2 < p3. Il valore soglia P2* è pari a P3,
come sappiamo dal risultato. F1 F3
-- ad esempio costi troppo elevati, la fitness di Eurialo ne risente. Ora però
abbandoniamo questa semplificazione, e ipotizziamo che la fitness sia
influenzata anche dalle motivazioni. Alcuni esperimenti dimostrano come i
comportamenti ispirati da motivazioni intrinseche e da logiche di gratuità,
oltre a non avere buoni sostituti - nel senso che in tali casi altre forme di
incentivi monetari non funzionano - portano anche una maggiore efficienza in
termini di risultati. Perché quindi non ipotizzare una fitness influenzata
anche dalle motivazioni intrinseche? Le fitness del primo e del terzo tipo restano
le stesse (questi due tipi non hanno motivazioni intrinseche), mentre cambia
quella del tipo 2, dove la motivazione intrinseca è rappresentata da un ε > 0,29
che viene aggiunto ai pay-off materiali. Le fitness dei tre tipi diventano
perciò le seguenti: h. F1 =p1(c) + p2 (a) + p3 (c) F2 =p1 (d) + p2 (b) + p3(b) +
ε F3 = p1 (c) + p2 (b )+ p3 (b). Si dimostra che è possibile che la fitness dei
tipi 2 sia maggiore anche di quella dei tipi 3. Vale infatti il: Risultato. SE
VALGONO LE IPOTESI a. – d., f., h.: 1. F 2≥ F3, SE E SOLO SE ε≥ p1(C–D)31E 2. F2 ≥ F1,
SE E SOLO SE ε≥ P1(C–D) + P2(A–B) + P3(C-B). C’è un rapporto diretto tra ε e (c
–d) dove (c – d) misura il costo della coerenza per la fitness dei tipi 2, poiché
è quanto questi perdono per essere coerenti con la loro cultura ottenendo “d” quando
interagiscono con i tipi 1, invece di giocare, come i tipi 3, *non* coopera, ottenendo
così “c”, che è maggiore di “d”. Il valore più piccolo che può assumere ε (cioè
l’effetto materiale delle motivazioni intrinseche) affinché valga la
disuguaglianza F2>F3, è ε* = p1 (c – d). Possiamo quindi osservare che,
maggiore è il costo della coerenza (c – d), maggiore dovrà essere il
valore-soglia ε*. Inoltre, c’è un rapporto diretto anche tra ε* e p1: se i tipi
1 sono, relativamente, molto numerosi, allora ε* dovrà essere più alto (e
viceversa in caso contrario). Pensiamo, per fare un esempio, ad una impresa di
Economia di Comunione che nel campo della legalità si comporta come un tipo 2.
Paga le tasse, rispetta le leggi, per una norma etica alla quale attribuisce un
valore intrinseco, non strumentale. Un tale imprenditore se opera in un mercato
nel quale il costo della coerenza è molto alto o i soggetti opportunistici sono
relativamente molti, per non estinguersi dovrà fare in modo che le proprie
motivazioni etiche si traducano in maggiore fitness in una misura relativamente
maggiore rispetto allo stesso imprenditore operante in un mercato più civile e
dove i soggetti opportunisti sono meno. Come a dire che più un mercato, e una
-- Rustichini e Gneezy -- A rigore potrebbe anche essere minore di 0. -- Ipotizziamo
quindi che solo i tipi 2 e non i 3 “civili” abbiamo motivazioni intrinseche. F2
≥F3 ⇔p1(d) + p2(b) + p3(b) + ε>p1c + p2b
+ p3b⇔ ε ≥ p1(c−d). F ≥ F⇔p(d)
+ p(b) + p(b) + ε≥p(c) + p(a)+p(c)⇔
21123123 ε ≥ p1(c−d)+ p2(a−b)+ p3(c−b) -- società, premia i “furbi” (con
condoni, ecc.) e penalizza i tipi cooperativi (con leggi che non riconoscono
sgravi fiscali per le imprese sociale, ad esempio), più questi ultimi dovranno
far sì che le motivazioni etiche si riflettano in maggiore efficienza,
altrimenti non sopravvivono. Affinché valga invece la seconda disuguaglianza,
F2 ≥ F1, il valore-soglia di ε, che chiameremo “ε ̊”, dovrà essere: ε ̊ = P1(C
– D) + P2(A – B) + P3(C- B). E quale il rapporto tra i tipi 3 e i tipi 1? SE
VALGONO LE IPOTESI DEL RISULTATO 4.1, F3 > F1, SE E SOLO SE P2 < P3 (b −
c). (a − b) Come interpretare questo? (b – c) è il vantaggio dei tipi 3
rispetto ai tipi 1 (solo i tipi 3 co-operano con i tipi 2 ottenendo “b”),
possiamo quindi chiamarlo il premio della cooperazione, mentre (a – b) è il
vantaggio dei tipi 1 rispetto ai 3, perché è il premio dello sfruttamento che
gli standard ottengono nei confronti dei tipi 2, al quale invece i tipi civili
rinunciano. Dal Risultato 4.2. emerge un’affermazione a prima vista
inquietante: affinché si affermino i tipi 3 (sui tipi 1) sarà necessario che i
tipi 2 non siano troppi; in ogni caso questi ultimi potranno essere tanto più numerosi
quanto più il “premio della cooperazione” sovrasta il “premio dello
sfruttamento”. Se infatti i tipi 2 sono numerosi essi diventano pasto per i
tipi 1, che hanno così un vantaggio relativo sui tipi civili. Il risultato
potrebbe, infine, essere ulteriormente rafforzato se che quando un tipo 2 incontra
un altro tipo 2 ottiene un di più dovuto alla reciprocità (il pay-off
diventerebbe in questo caso a). i. F2=P1 (d)+P2(a)+P3(b)+ε La fitness dei tipi
2 potrebbe così essere maggiore di quella dei tipi 3 e 1 con un ε anche minore
rispetto al valore di altro risultato. SE VALGONO LE IPOTESI DEL RISULTATO 4.1
E L’IPOTESI i. 1. F2≥F3, SE E SOLO SE ε≥ p1(C–D)+P2(B–A)
E 2. F2≥F1, SE E SOLO SE ε≥P1(C–D)+P3(C-B). “ε**” e il valore soglia di ε,
affinché valga la disuguaglianza F2≥F3 e, ricordando che la quantità (b – a) è
negativa, possiamo subito notare che ε**≤ ε*. Similmente, ε ̊ ̊ = p1 (c – d) + p3(c –b) è minore di ε ̊. Le
motivazioni intrinseche e il di più della reciprocità si rafforzano a vicenda e
rappresentano una strada molto interessante per esplorazioni. F<F⇔
p(c)+p(a)+p(c)<pc+b+pb⇔p<p(b−c).
1312312323(a−b). F2 ≥F3 ⇔p1(d)+p2(a)+p3(b)+ε≥p1c
+p2b + p3b⇔ ε ≥ p1(c−d)+ p2(b−a). F ≥F⇔p(d)+p(a)+p(b)+ε≥p(c)+p(a)+p(c)⇔
21123123ε ≥ p1(c−d)+ p3(c−b). Riassumiamo
i punti ai quali siamo giunti ragionando, con l’aiuto della teoria dei giochi,
attorno alle prospettive e alle sfide di uno scenario economico nel quale fanno
la loro comparsa soggetti diversi da quello standard. Un primo punto emerso in
diverse parti di questo scritto è che un agire economico improntato alla
gratuità e alla reciprocità, o alla comunione, in un ambiente abitato da agenti
eterogenei non cresce con la politica dell’aumento numerico: escludendo l’ipotesi
di perfetta riconoscibilità dei tipi, l’aumento numerico, di per sé non basta a
far sì che i tipi 2 sopravvivano. Sono invece tre gli aspetti strategicamente
cruciali affinché esperienze rette da una logica come quella delineata possano
svilupparsi. Lavorare sulla cultura media della società (che noi abbiamo
espresso con il “terzo tipo”, quello civile): il messaggio che emerge una volta
che abbiamo esteso la dinamica ai terzi tipi è che i tipi 2 possono
sopravvivere e svilupparsi soltanto all’interno di un’economia civile,
un’economia nella quale sono numerosi gli agenti leali, che pur non attribuendo
un alto valore intrinseco all’azione donativa (e quindi non hanno “donare” come
strategia strettamente dominante in tutti i tipi di gioco), sono comunque
corretti se incontrano un agente co-operativo, non lo sfruttano e co-operano
con esso. Poiché le motivazioni intrinseche dipendono in parte
dall’approvazione sociale, esiste un effetto di complementarietà strategica. Tanto
più tali comportamenti sono diffusi, tanto più saranno premianti36. Infatti,
uno sviluppo interessante del modello potrebbe essere quello di vedere sotto
quali condizioni i tipi 1 possono trasformarsi evolutivamente in tipi civili,
ma in questo scritto non lo abbiamo fatto. Va comunque aggiunto che se è vero
che un impegno culturale che si limita a rafforzare le motivazioni intrinseche
dei soggetti di tipo 2 non può bastare, al tempo stesso, però, questa seconda
direzione ricopre un ruolo fondamentale, per evitare che nel tempo scompaia il
tipo 2 e ci si assesti sul terzo tipo. Un mondo senza soggetti che, *almeno in
certi contesti* -- ceteris paribus --, *donano* *incondizionalmente*, sarebbe
un mondo più povero. La presenza dei due tipi civili e griceiani – Eurialo e
Niso -- ci dice che nel tempo saranno questi ultimi gli unici a sopravvivere, a
meno che le motivazioni intrinseche si riflettano nei pay-off ed il loro
“riflesso” sia relativamente grande. Questo risultato è già di per sé
significativo. Anche se in determinati contesti la motivazione intrinseca non
riesce a migliorare la performance dei tipi 2, la presenza, magari solo
transitoria, dei tipi 2 svolge un importante ruolo civile e culturale: permette
cioè che l’incontro (o equilibrio) si assesti sulla reciprocità e non scivoli
nella mutua diffidenza. Senza l’esistenza dei tipi 2, o, paradossalmente, senza
il loro sacrificio, i tipi civili non avrebbero potuto sperimentare la
reciprocità, perché in un mondo popolato solo da loro e da tipi standard,
l’unica esperienza possibile è la diffidenza reciproca, la *non* cooperazione
(war is war). Ciò serve a gettar luce sul significato culturale e civile che
nella storia hanno esperienze radicali -- Ciò implica la possibilità di
equilibri multipli ordinabili, cioè la stessa popolazione può essere altamente
inefficiente o altamente efficiente a seconda che un numero anche piccolo, al
limite anche un solo soggetto, decida di cooperare. 37 E’ infatti verosimile
che i tipi 3, quelli civili, abbiano nel loro “programma” la possibilità della
cooperazione perché nell’ambiente esiste, o è esistito, il tipo 2: certo si
potrebbe teoricamente ipotizzare che i tipi 3 co-operino tra loro anche in
assenza dei tipi 2. Ma, storicamente, la cultura civile dell’umanità è andata
avanti grazie all’esistenza di esperienze *totalitarie* che hanno creato
categorie nuove che poi hanno contaminato la cultura generale. Pensiamo, ancora
una volta, alla regola d’oro, o, più recentemente, ai movimenti ecologisti -- come
la comunione dei beni totale, certe forme di accademie o monachesimo, e in
generale i primi tempi dei fondatori di nuovi carismi (si pensi, per tutti, ad
un Francesco d’Assisi e alla sua vicenda storica. Simili esperienze non sempre
sono riuscite a sopra-vivere con tutta la loro radicalità, ma senza di quelle
chi è venuto in contatto con loro (nella nostra metafora, i “tipi civili”) non
avrebbero potuto elevare il livello della convivenza Senza coloro che si sono
fatti imprigionare, e hanno dato la vita per i diritti o per la libertà, oggi
l’umanità – il tipo umano personale di Grice -- sarebbe meno libera e meno
diritti sarebbero riconosciuti. Un po’ come avviene con il sale, che si perde
nella massa ma dà quel di più al tutto. La metafora del sale non è però l’unica
presente in quel codice della cultura occidentale che è il Vangelo: vi è anche
quell della città sul monte, una città che illumina la città sotto monte. La
dinamica evolutiva potrà condurre l’economia sociale, e l’economia di
comunione, o sul sentiero sale della terra o in quello città sul monte. Ma, in
entrambi i casi, occorre che la cultura rafforzi le motivazioni intrinseche. E forse
questo il messaggio culturale che il giocco conversazionale griceiano vuole
dare. Araujo, V.“Quale visione dell’uomo e della società?”, in Bruni, L. e V.
Moramarco, L’Economia di comunione: verso un agire economico a misura di
persona, Milano: Vita e Pensiero. Aristotele, Etica
Nicomachea, Milano: Rusconi. Axelrod, R. The evolution of cooperation, New
York: Basic Books. Binmore, K. Game theory and social contract, Cambridge Mass:
MIT Press, Bowles, S. et al. In Search of Homo Economicus: Behavioural
Experiments in 15 Small Scales Societies, American Economic Review, 91, Bruni,
L. La felicità e gli altri, Città Nuova, Roma. Bruni, L. e R. Sugden, Moral
canals: trust and social capital in the work of Hume, Smith and Genovesi,
Economics and Philosophy, Bruni L. ePelligra, Economia come impegno civile,
Roma: Città Nuova. Crivelli, L. Quando l’homo oeconomicus diventa
reciprocans”, in Bruni e Pelligra. Dawkins, R. The
selfish gene, Oxford University Press, Oxford. Frank, R. Microeconomia, Milano:
McGrow-Hill. Elster, J. The cement of society. A study of social order,
Cambridge: CUP. Gneezy, U. e A. Rustichini. A fine is a price, Journal of Legal
studies, January. Gui, B. Economic interactions as encounters, mimeo, Università
di Padova. Hollis, M. Trust within reason, Cambridge: CUP. Nussbaum, M. C. The
fragility of goodness: Luck and Ethics in Greek tragedy and Philosophy, Cambridge:
CUP. Pelligra,
V. Fiducia r(el)azionale, in Sacco P.L. e S. Zamagni. Putnam, R. Bowling Alone, New York: Simon e Schuster. Sacco P.L. e
SZamagni. Un
approccio dinamico evolutivo all’alturismo”, RISS, Sacco P.L. e S. Zamagni. Complessità
relazionale e comportamento economico, Bologna: Il Mulino. Sen, A. Isolation,
assurance and the social rate of discount”, Quarterly Journal of Economics. Sugden, R. The Evolutionary Turn in Game Theory, Journal of Economic
Methodology, Weibull, J. Evolutionary Game Theory, Cambridge MA: MIT Press. Zanghì, G. Dio
che è amore, Roma: Città Nuova. Luigi Alici. Keywords: reciproco, alici, amore
proprio ed amore altrui, self-love and other-love – il paradosso della
reciprocita – eurialo e niso – noi – condividere la deliberazione – eidolon –
comunita, immunita, genovesi, il canale morale, la fidanza e il capitale
sociale in Genovesi. Refs.: Luigi Speranza, “Grice ed Alici” – The
Swimming-Pool Library, Villa Speranza. Alici.
Luigi Speranza -- Grice ed Alighieri:
la ragione conversazionale e l’implicatura conversazionale – la scuola di
Firenze -- filosofia fiorentina – filosofia toscana – filosofia italiana -- Luigi
Speranza, pel Gruppo di Gioco di H. P. Grice, The Swimming-Pool Library (Firenze). Filosofo fiorentino. Filosofo toscano. Filosofo italiano. Firenze,
Toscana. dante. Grice: “Problem with having Alighieri as a philosopher is that
rhyming is not usually considered a priority – that’s why the old Romans like
Lucrezio never had to rhyme – you might say metre is essential to Parmenide and
Lucrezio – and that there is metre in my prose if not in endecasibili!” -- Grice:
“This is important for an Oxonian; since Sir Peter once told me that he made an
effort to understand Italian – ‘or Tuscan implicature,’ to be more precise –
just to be able to digest Inferno compleat with rhyme.’” Grice: “Must say that
my favourite Dante is ‘lasciate ogni speranza voi ch’entrate.”” Grice: “The
Italians, all being Renaissance men, love to catalogue as ‘philosopher’ those
whom the head of the Sub-Faculty of Philosophy at Oxford would NOT: Alighieri,
one of them!” Grice: “But then, a sport of Italian philosophers is to ramble on
“Pinocchio,” too!” -- “The Commedia and philosophy.” Liste di opere.
Refs.: “Philosophical references in Dante’s Commedia.” Se voleme guardare
in LINGUA d'oco e in LINGUA DI si, ec.e
D’oco, ec. Non giudico superfluo il dire alcuna cosa su questa. Massimamente
quelli di LINGUA denominazione ancor chè ne sia stato già parlato d’altri. È
costume de’ nostri antichi, volendo essi denominare il linguaggio d’una nazione,
prendere il suo distintivo dalla particella affermativa del volgare di quella
gente. Per tanto la lingua italiana si dice la lingua del si, la tedesca dell'
io, la gallica dell’oi, la provenzale dell’hoc. Eco sì si vada discorrendo dell'altre
lingue. Varchi nel Tuo Ercolano facendosi interrogare da Castiglione sul
particolare della lingua italiana, con queste parole: Cbi la cbie mase la lingua
del si? Risponde: seguiterebbe una largbissi modi. visione, che ho fa delle lingue
nominandole da quella particella colla quale affermano – come è la lingua d'hoc,
chiamata da volgari lingua d'OCA; perciocchè hoc in quella lingua significa
quanto væí nella greca, e etiam ita mella lasina, e pelle soffre si; perciò A. dice:
Ab Pisa, vitupero delle gesti del bel paese là, dove’l si suona. Ed avanti a
Varchi Benvenuto da Imola su questo medesimo luogo. Quia generaliter omnis gens
italica ut unturisto vulgari sì. Ubi germani dicunt “io”, do aliqui gallici
dicunt “oi”, do aliqui pedemontani dicunt ol vel dic. Leggo foc credendolo
errore del copista nel MS Laurenziano Derivano tutte queste particelle dal
latino. Il “si” nostro deriva dal “sico”, “sic est”, e forse più interamente da “sic est
bec. “Od” al contrario deriva da “hoc”, “est hoc.” L'altra di queste voci è presa
da’ provenzali, cioè l'hoc. E da questa è non solamente illor parlare
denominato “lingua d'oco”, che vale a dire lingua dell'hoc. Ma il paese ancora “Linguadoca”.
E ne'tempi più balli della latina lingua è detto “Occitania”, il qual paese non
è altro che l'antica Gallia Narbonensis. Lo “io” del tedesco derova dal latino
“illudbocest”, ed in più perfetta pronunzia “ja”, dal latino “iam est”. Il
gallico ai, dall “hec illud est”, che bene si ritrova nell'antico “ouill”, che
adesso è diventato “oui”. Ed, in somma, il piemontese ol, dall'istesso “hoc
illud”. Sicché, a proposito del passo d’A., in lingua d’oco, e in lingua di sì,
vuol dire in lingua provenzale, ed in lingua Italiana. Concioffiacbè conciosracofache. Lingua, dal lat. 'lingua',
voce usata in due significazioni. Principal nel significato proprio, per
quell'organo mobilissimo del corpo anide che è posto nella bocca ove si stende
dall'osso joide fin dietro denti incisivi. La lingua è la sede del senso del
gusto, serve alla funzione del succhiare, alla masticazione, alla deglutizione,
alla pronuncia delle parole, ed allo sputare. Varia molto nella grandezza ha la
forma d'una piramide, appianata dall'alto al basso, rotonda su i suoi angoli, e
terminata da certa punta ottusa che guarda ne davanti. Ma, in uso metaforico,
'lingua' vale pure idioma, linguaggio, favella. A. usa 'lingua' nei due suoi
significati principali spesse volte nelle sue opere, nel secondo significato
metaforico specialmente nel Vulg. El. Nella Div. Com., 'lingua' si trova XXX volte
-- XIX nell'Inferno (II, 25; X1,72; IIV, XV, 87; XVII, 75; XVIII, 60,126; XXI,
137; XXII, 90; xxx,133; IITL 72, 89; XXVII, 18; XXVIII, 4, 101; xxx, 122; XXXI,
1; XXIII, 9, 1146; III volte nel Purgatorio (vii, 17; XI, 98; xix,13) e VIII
volte nel Paradiso. 63; X1, 23; XVII, 87; XXIII, 55; XXVI, 124; XXVII,131;
XXXIII,70,708. Sulle dottrine d'A. concernenti la lingua – cioè, in uso
metaforico, il linguaggio umano, conviene rimandare al Vulg. El., specialmente
al libro I di questo saggio. Si notino i seguenti usi. Lingua, riferito a sete;
Inferno xxx, 122. Trarre la lingua, per Spingerla fuori della bocca; atto di
SPREGIO; Inf. xvii, 75.-3. Mostrare ciò che puote una lingua, per condurre un
idioma all'apice della sua perfezione; Purg. VII, 17.-4. Scernere nella lingua,
le parole dette o scritte; Purg. XV, 87.-5. la gloria della lingua, Il pregio
d'un idioma, e la maestria dell'usarlo; Purg. XI, 98.-6. A. chiama la lingua
italiana “lingua di sì”, la provenzale lingua d'oc, la francese lingua
d'oil;Vulg. El. 1, 8, 30 eseg.; cfr. Vit. N. xxv, 24 e seg.-7. Concernente la
lingua primitiva A. esterna in diversi tempi dee opinioni diverse. Secondo Vulgare
Eloquenza I, 6, 29 e seg. la lingua dei primi parenti è parlata da tutti i loro
discendenti sino alla edificazione della torre di Babele, e dagl’brei anche
dopo, onde la lingua primitiva è semplicemente l'ebraica (dalla quale per A.
deriva l’italiano). Invece secondo Par. XXVI, 124 e seg. la lingua primitiva,
parlata da Adamo, è tutta spenta già prima della confusione babilonica. La
lingua adamica non ha dunque che fare nè coll'ebraica, nè con altre lingue,
come la lingua del si o l’italiana. Anche in merito alla maggiore o minor
nobiltà della lingua dei Romani A. muta
opinione. Secondo il Convito. I, 5, 76 e seg. la lingua dei romani è più bella,
più virtuosa e più nobile dell’italianao. Invece, secondo il Volgare Eloquenza
1, 1, il volgare è più nobile del Latino. La seconda opinione è tutta
propria d'A. e segna un progresso nello svolgimento di quello che Grice chiama
‘la semantica d’A.’. La prima è la corretta e l’opinione dominante del tempo,
accettata anche d'A., finchè i suoi studi e l’altri italiani lo indussero a
lasciarla. La tèrra d’Occitania a gardat fin a
aüra un immense patrimòni gropat simplament a sa lenga, una lenga qu’es istaa
la primiera, comà es ressauput, naissuá dal latin, a èsser escrita, una lenga
que vuèlh soventar, a donat vita a la primiera literatura moderna europencha,
quèla qu’a servit de model per totas las autras lengas, qu’aviá trobat dau
l’acomençament sa forma escrita, fòrça unitaria. Es pas aicí lo luòc
adont percorrer l’istòira de nòstra lenga faça als colonialismes qu’an empachat
la creacion d’una lenga e de istitucions politicas unitarias mas la retrobaa
unitarietat culturala de la tèrra occitana en cèstos darrieri ans a fait
creisser un’ideá, beleu un utopiá, quèla de una Nacion, malaürament sença
estat, de una Nacion culturala. Lo mot Occitaniá, ben conoissut fin a la
Rivolucion, a retrobat sa modernitat geografica, istorica, lingüistica. Malaürosament nòstra lenga ilh es
aüra, apres mila ans, entren de se perdre, de se esvantar al solelh. Un procés
qu’a començat a partir dal segle XVI, quand nòstra tèrra occitana a perdut
definitivament son autonomiá. Quèlos que los expecialistas de la lenga noman
gallicismes, an começat penetrar en Occitaniá sobretot a partir de l’ordonança
de Villers-Cotterêts quand lo francés es devengut lenga uficiala de la lei e de
l’administracion francesa. Eissubliaa la cultura dal Meianatge, quèla,
per se comprener, dals trobaires, la lenga occitana es chaüta dins l’umbla
condicion de, e zo dizo abó una paraula francésa, patois, patés. Cèsta paraula
la vòl dire parlar abó las pautas, abó los pès. Dins las Valadas avem perdut
la valor de la paraula patois e l’anobrem tranquilament per dire que parlem a
nòstra mòda, comà la se ditz dins tantas valadas. Mas lo mot patois pòl indicar
qualsevuèlhe parlar natural dal mond, sença donar una precisa indicacion sus la
lenga parlaa. Per aiquò Occitan es l’unica paraula que pòl servir per nomar
nòstra lenga, l’unica que rend justiça a mila ans d’istòira. Pas mens de viatge
sabem pas de adont arriba nòstre vocabolari, quala istòira an nòstras
paraulas. Comà bien sabon, la plus part dal vocabolari es d’origina
latina, comun a quasi totas las lengas romanzas. Un’autra partiá dal vocabolari
ven dal grec e decò aicí zo partagem abó las autras lengas; un’autra encara nos
ven de las lengas alemandas o germanicas, de quèlos puèples qu’an envaít
l’Imperi roman. Resta una fòrta presença de paraulas que beleu nos venon de las
lengas parlaas dins nòstros territòris quand los romans sion arribats en çò
nòstre: de lengas de sobstrat, que normalment partatgem en lengas anarias, al
es a dire d’ancianas lengas mediterranèa comà lo ligure, l’etrusc o de lenga
arias pre-latinas comà lo gallic o la lenga celta. Comà la se pòl
comprener sien drant a un tresaur lexical en partiá ben conoissut, mas adont
los trabalhs lexicologics abondan pas e adont de ensemb lingüistic comà
l’occitan alpec, nomat a son temps vivarò-alpenc, reston mal conoissut. Comà a escrit Geuljan dins son “Dictionnaire
Etymologique de la Langue d’Oc”,
l’occitan est la seule grande langue romane dépourvue d’un dictionnaire etymologique.
Volem pas de segur far concorrença al trabalh qu’es istat entrenat per lo Prof.
Geuljan, mas prepausar de trabalhs sus l’etimologiá de paraulas pas gaire
conoissuás de nòstra Valadas e de l’encemb occitano-alpenc per arribar, dins lo
temps, a la redaccion d’un Diccionari Etimologic de l’Occitan Alpenc. Pas
mens nòstre Diccionari Etimologic sarè bilengas, es a dire li aurè una partiá
entierament en lenga occitana e una traducion italiana. Escriure un Diccionari
sus nòstra lenga adont per chasca paraula la se dona la traduccion dins una
lenga diferenta de la nòstra me sembla una chausa que vai contra la lenga
meseima. Pensatz a un
vocabolari de l’italian o dal francés o de un’autra lenga adont la descripcion
de la paraula siè dins un’autra lenga. Per l’occitan pareis siè la nòrma.
Lo Tresor dóu Felibrige de Mistral, lo vocabolari de Alibert comà tuts los
autri que sion istats realizats dins cèstos ans donan la paraula en occitan,
mas tota la descripcion, e pas mesquè la traducion, dins un’autra lenga, o lo
francés o l’italian. Per far un autre exemple, plus recent, cito un grand
trabalh de lexicografia comà quel de Jusiana Ubaud, adont tota l’introduccion e
la descripcion de l’òbra es en francés. Perquè un’obra sus la lenga occitana
deu èsser ilustraa en se servent d’un’autra lenga? Cèstos diccionaris rintran
dins la categoriá dals vocabolaris “dialectals”; meseime los pauqui vocabolaris
fait aicí dins las Valadas, normalment de l’occitan local a l’italian, rintran
dins aicèsta categoriá. Los catalans non pas, nos mostran, abó sos
Diccionaris, que se pòion justament redigir de diccionaris completament en
lenga sença la sugecion d’un autra lenga, comà totas las autras lengas
nacionalas. Per aiquò, en cèst espaci, en cèsta rubrica, chercharem de
esclarzir l’origina de certenas paraulas, beleu pas gaire conoissuás, de nòstre
vocabolari. Ritrovando io, che alcuno avanti me abbia della VOLGARE
ELOQUENZA niuna cosa trattato, e vedendo questa cotal eloquenza esesere
veramente necessaria a tutti, conciò sia che ad essa non solamente gl’italianai,
ma ancora le femine, et i piccoli fanciulli, in quanto la natura permette, sisforzino
pervenire. Volendo al quanto lucidare la discrezione di coloro, i quali come
ciechi passeggiano per le piazze, e pensano spesse volte, le cose posteriori
essere anteriori. Con l’aiuto che Dio ci manda dal cielo, ci sforzeremo di dar
giovamento al parlare della gente italiana volgare. Nè solamente l'acqua del
nostro ingegno a si fatta bevanda piglie ma remo, ma ancora
pigliando, ovvero compilando le cose migliori da gl’altri, quelle con le nostre
mescoleremo, acciò che d'indi possiamo dar bere uno dolcissimo idromele. Ora
perciò che ciascuna dottrina semantica deve non provare, aprire il suo
suggetto, acciò si sappia che co sa sia quella, ne la quale essa dimora,dico,
che 'l parlar volgare chiamo quello del VOLGO, nel quale i fanciulli sono
assuefatti da gl’assistenti, quan do primieramente cominciano a distinguere le
voci, o vero, come più brevemente sipuò dire, il Volgar Parlare affermo essere
quello, il quale senza altra regola, imitando la balia, s'apprende da nostro
padre e da nostra madre (‘lingua matrix’).
Ecci ancora un altro secondo parlare il quale I ROMANI chiamano
“letteratura” (greco: grammatica). E questo secondario hanno parimente i greci e
altri, ma non tutti – i anglo-sassoni mancano delle lettere ma hanno delle rune
-- perciò che pochi a l'abito di esso pervengono. Conciò sia che, se non per
spazio di tempo e assiduità di studio, si ponno prendere le regole, e la
dottrina di lui. Di questi dui parlari adunque l’italiano volgare è più nobile
dell’antico romano, si perchè è il primo ch’è da l'umana generazione italiana usato,
si eziandio perchè in esso tut to'l mondo ragiona, avegna che in diversi
vocaboli e diverse prolazioni sia diviso. Si ancora per essere NATURALE a noi,
gl’italiani, essendo quel l'altro – come
la lingua del VIRGILIO – ‘artificiale’. E di questo più nobile è la nostra
intenzione di trattare. Il testo latino dei romani ha: ipsa (locutione) per fruitur.
Ossia: di esso si serve. Nn dico nostro, perchè altro parlar ci sia che
quello dell'uomo. Perciò che fra tutte le cose che sono, solamente all’italiano
è dato il parlare italiano, sendo a lui necessario solo. Certo non a gl’angeli,
non a gli animali inferiori è necessario parlare. Adunque sarebbe stato dato in
vano a costoro -- non avendo bisogno di esso. E la natura certamente abborrisce
di fare cosa alcuna invano. Se volemo poi sottilmente considerare la intenzione
griceiana del parlar nostro, ni un'al trace ne troveremo che il manifestare ad
altri i concetti dell’ANIMA nostra. Avendo adunque gl’angeli prontissima, e ineffabile
sufficienzia d'intelletto da chiarire i loro gloriosi concetti, per la qual
sufficienzia d'intelletto l'uno è totalmente noto all'altro, o per sè, o almeno
per quel fulgentissimo specchio, nel quale tutti sono rappresentati bellissimi,
e in cui avidis simi sispecchiano; pertanto pare, che diniuno SEGNO di parlare
abbiano avuto mestieri. Ma chi oppone a questo, allegando quei spiriti, che
cascarono dal cielo; a tale opposizione doppiamente si può rispondere. Prima,
che quando noi trattiamo di quelle cose, che sono che l'uomo italiano –
“homo sapiens sapiens” -- solo ha il COMERCIO del parlare. Qeesto, l’italiano, è
il nostro vero, naturale, e primo parlare: Qa bene essere, devemo essi lasciar
da parte, conciò sia che questi perversi non vollero aspettare la divina cura.
Seconda risposta,e meglio è, che questi demoni a manifestare fra sè la loro
perfidia, non hanno bisogno di conoscere, se non qualche cosa di ciascuno,
perchè è, e quanto è 1: il che certamente sanno; perciò che si conobbero l'un
l'altro avanti la ruina loro. A gl’animali inferiori poi non è bisogno
provvedere di parlare. Conciò sia che, per solo istinto di natura, siano
guidati. E poi tutti quelli animali che sono di una medesima specie hanno le
medesime azioni e le medesime passioni. Per le quali loro proprietà possono le
altrui conoscere. Ma a quelli che sono di diverse specie non solamente non è
necessario loro il parlare, ma in tutto dannoso gli sarebbe stato, non essendo
alcuno amicabile comercio tra essi. E se mi è opposto che il serpente che parla
a la prima femina, e l'asina di Balaam parla, a questo rispondo, che l'angelo
ne l'asina, e il diavolo nel serpente hanno talmente operato, che essi animali
mossero gl’organi loro; e così d'indi la voce risultò distinta, come vero
parlare; non che quello de l'asina fosse altro che ragghiare e quello del
serpente altro che fischiare. Il testo ha: non indigent,
nisi ut sciant qui libet de quolibet, quia est, et quantus est. Parrebbe
più proprio il tradurre cosi. Non hanno bisogno di CONOSCERE se non ciascheduno
di ciaschedun altro che è, e quanto è: ossia l'esistenza e il grado. Se
alcuno poi argumentasse da quello, che quel ingenoso romano, OVIDIO, dice nel V
de la Metamorfosi che il pico parla; dico che OVIDIO dice ‘parla’ FIGURATAMENTE,
intendendo altro. Ma se si dice che il pico presente o altro uccello come il papagallo del principe Maurizio ‘parla’,
dico ch'egli è FALSO. Tale atto non è parlare, ma è certa imitazione del suono
de la nostra voce italiana; o vero che si sforzano di imitare noi in quanto
soniamo, ma non in quanto parliamo. Tal che se quello che alcuno espressamente
dice, ancora il pico ridice, questo non è se non rappresentazione, o vero
imitazione del suono di quello, che prima avesse detto. E così appare a l'uomo
italiano solo essere stato dato il parlare l’italiano. Ma per qual cagione esso
gli è necessario, ci sforzeremo brievemente trattare. Che fu necessario a
l'uomo il comercio Ovendosi adunque l'uomo non per istinto di natura,ma per
ragione. Ed essa ragione o circa la separazione, o circa il giudidizio, o circa
la elezione diversificandosi in ciascuno. Tal che quasi ogni uno della sua
propria. La voce del testo “discrezione” sarebbe resa meglio dalla parola “discernimento”
-- del parlare -- specie s'allegra. Giudichiamo che niuno intenda l'altro per
le sue proprie azioni, o passioni, come fanno le bestie; nè anche per speculazione
l'uno può intrar ne l'altro, come l’archangelo Gabriele, sendo per la grossezza,
e opacità del corpo mortale la umana specie da ciò ritenuta. È adunque bisogno che
volendo la generazione umana fra sè COMUNICARE i suoi concetti ha qualche SEGNO
sensuale e razionale per ciò che dovendo prendere una cosa dalla ragione e ne
la ragione portarla, bisognava essere razionale ma non potendosi alcuna cosa di
una ragione in un'altra portare se non per il mezzo del SENSUALE è bisogno
essere sensuale, perciò che se 'l è solamente razionale, non puo trapassare. Se
solo sensuale, non potrebbe prendere da la ragione, nè ne la ragione de porre.
E questo è SEGNO che il subietto, di che parliamo, è nobile. Perciò che in
quanto è suono, el segno è per natura una cosa sensuale. In quanto che, secondo
la volontà di ciascuno, IL SEGNO significa qualche cosa, il segno è, come dice
Grice, razionale. Ilt esto ha. Hoc equidem SEGNO est, ipsum subjectum nobile, dequo
loquimur. Natura sensuale quidem, in quantum sonus est. Esse; RATIONALE VERO IN
QVANTVM ALIQVID SIGNIFICARE VIDETVR AD PLACITVM. A noi pare più giusto l'interpretare
questo passo cosi. Questo SEGNO -- l'aliquod rationale signum et sensuale, di
cui parla poche righe più sopra) è per l'appunto il nobile soggetto di cui
parliamo. Sensuale, per natura, in quanto è suono fisico – la fissi greca la
natura romana. Razionale, inquantoche, se che uomo (zoon logikon) è
prima dato il parlare, e che disse prima, et in che lingua. l'uomo italiano
solo è dato il parlare l’italiano. Ora istimo che appresso debbiamo
investigare, a che uomo è prima dato il parlare, e che cosa prima dice, e a chi
l’umo parla, e dove e quando, et eziandio in che linguaggio il primo suo
parlare si sciol se. Secondo che si legge ne la prima parte del Genesis, ove la
sacratissima scrittura tratta del principio del mondo, si truova la femina,
prima che niun altro, aver parlato, cio è la presontuosissima Eva, la quale al
diavolo, che la ricercava, dice. Dio ci ha commesso, che non mangiamo del
frutto del legno che è nel mezzo del paradiso, e che non lo tocchiamo, acciò
che per avventura non moriamo. Ma a vegna che in scritto si trovi la donna aver
primieramente parlato, non di meno è ragionevol cosa che crediamo, che l'UOMO è
quello che prima parla. Nè cosa inconveniente mi pare secondo la volontà di
ciascuno, significa qualche cosa. Contro la quale interpretazione stala
punteggiatura, e la voce esse del testo, che sarebbe di troppo; ma, per
compenso, il brano riesce più chiaro, e si collega meglio col senso di tutto il
Capitolo. Manifesto è per le cose già dette, che a pensare, che così eccellente
azione de la il generazione umana prima da L’UOMO, che da la femina
procedesse. Ragionevolmente adunque crediamo ad esso essere stato dato
primieramente il parlare da Dio, subito che l’ha formato. – cf. La teoria
stoica sull’origine naturale del linguaggio e la prima significazione naturale
-- Che voce poi è quella che parla prima, a ciascuno di sana mente può esser in
pronto; e io non dubito che la fosse quella, che è Dio, cioè Eli, o vero per
modo d'interrogazione, o per modo di risposta.Assurda cosa veramente pare,e da
la ragione aliena, che da l'uomo è nominata cosa alcuna prima che Dio; con ciò
sia che da esso, et in esso è fatto l'uomo. E siccome, dopo la prevaricazione dell’umana
generazione, ciascuno esordio di parlare comincia da heu; così è ragionevol
cosa, che quello che è davanti, cominciasse da allegrezza, e conciò sia che
niun gaudio sia fuori di Dio, ma tutto in Dio, & esso Dio tutto sia allegrezza,
conseguente cosa è che 'l primo parlante dicesse primieramente Dio. Quindi
nasce questo dubbio,che avendo di sopra detto, l'uomo aver prima per via di
risposta parlato, se risposta è, devette esser a Dio; e se a Dio, parrebbe, che
Dio prima avesse parlato, il che parrehbe contra quello che avemo detto di
sopra. Al qual dubbio risponderemo, che ben può l'uomo aver risposto a Dio, che
lo interrogava, nè per questo Dio aver parlato di quella LOQUELA DEL LAZIO (la
latina), che dicemo. Qual è colui, che dubiti, che tutte le cose che sono non
si pieghino secondo il voler di Dio, da cuièfatta, governata, e conservata
ciascuna cosa? É conciò sia che l'aere a tante alterazioni per
comandamento della natura in feriore si muova, la quale è ministra e fattura di
Dio,di maniera che fa risuonare i tuoni, ful gurare il fuoco, gemere l'acqua, e
sparge le nevi, e slancia la grandine; non si moverà egli per comandamento di
Dio a far risonare al cune parole le quali siano distinte da colui, che maggior
cosa distinse?e perchè no? Laon de et a questa, et ad alcune altre cose credia
mo tale risposta bastare. Dove, et a cui prima l'uomo parla. ta così dalle cose
superiori, come da le inferiori, che il primo uomo drizzasse il suo primo
parlare primieramente a Dio, dico, che ragionevolmente esso primo parlante parla
subito, che è da la virtù animante ispirato: per ciò che ne l'uomo crediamo, che
molto più cosa umana sia l'essere sentito che il sentire, pur che egli sia
sentito, e senta come uomo. Se adunque quel primo fabbro, PROMETEO, di ogni
perfezione principio et amatore, inspirando il primo uomo con ogni perfezione
compi, ragionevole cosa mi pare, che questo perfettissimo animale non prima
cominciasse a sentire, che 'l fosse sentito. Se alcuno poi dice contra l’obiezioni, iudicando
adunque (non senza ragione trat che non è bisogno che l'uomo parla,
essendo egli solo; e che Dio ogni nostro segreto senza parlare, ed
anco prima di noi discerne; ora (con quella riverenzia, la quale devemo
usare ogni volta, che qualche cosa de l'eterna volontà giudichiamo), dico,che
avegna che Dio sa, anzi antivedesse (che è una medesima cosa quanto a Dio) il
concetto del primo parlante senza parlare, non di meno volse che esso parla;
acciò che ne la esplicazione di tanto dono, colui, che graziosamente glielo
avea do nato, se ne gloriasse. E perciò devemo credere che da Dio proceda, che
ordinato l'atto dei nostri affetti, ce ne allegriamo. Quinci possiamo ritrovare
il loco, nel quale è mandata fuori la prima FAVELLA; perciò che se è animato
l'uomo fuori del paradiso, diremo che fuori. Se dentro, diremo che dentro è il
loco del suo primo parlare. Ra perchè i negozj umani si hanno ad esercitare per
molte e diverse lingue, tal che molti per le parole non intesi da molti, che
se fussero senza esse. Però fia buono investigare di quel parlare, del quale si
crede aver usato l'uomo, che nacque senza sono altrimente Di che idioma prima
l'uomo parla, e donde è l'autore di quest'opera. madre, e senza latte si
nutri, e che nè pupillare età vide, nè adulta. In questa cosa, sì come in altre
molte, Pietra mala è amplissima città, e patria de la maggior parte dei
figliuoli di Adamo. Però qualunque si ritrova essere di cosi disonesta ragione,
che creda, che il loco della sua nazione sia il più delizioso, che si trovi
sotto il sole, a costui parimente sarà licito preporre il suo proprio volgare,
cioè la sua materna locuzione, a tutti gli altri; e conseguentemente credere
essa essere stata quella di Adamo. Ma noi, acui il mondo è patria, sì come
a'pesci il mare, quantunque abbiamo bevuto l'acqua d'ARNO avanti che avessimo
denti, e che amiamo tanto FIRENZE, che pe averla amata patiamo ingiusto
esiglio, non dimeno le spalle del nostro giudizio più a la ragione che al senso
appoggiamo. E benchè se condo il piacer nostro, o vero secondo la quiete de la
nostra sensualità, non sia in terra loco più ameno di FIRENZE; pure rivolgendo
i vo lumi de'poeti e de gli altri scrittori, ne i quali il mondo universalmente
e particularmente si descrive, e discorrendo fra noi i varj siti dei luoghi del
mondo, e le abitudini loro tra l'uno e l'altropolo, e'lcircolo equatore, fermamente
comprendo, e credo, molte regioni e città essere più nobili e deliziose che TOSCANA
e FIRENZE, ove son nato, e di cui son cittadino; e molte nazioni e molte genti
usare più dilette vole, e più utile SERMONE, che gl’italiani. Ritornando
adunque al proposto, dico che una certa forma di parlare è creata da Dio
insieme con l'anima prima, e dico forma, quanto ai vocaboli delle cose, e
quanto a la construzione de’ vocaboli, e quanto al proferir de le construzioni;
la quale forma veramente ogni parlante lingua userebbe, se per colpa de la
prosunzione umana non è stata dissipata. Di questa forma di parlare parla Adamo,
e tutti i suoi posteri fino a la edificazione de la torre di Babel, la quale si
interpreta la torre de la confusione. Questa forma di locuzione hanno ereditato
i figliuoli di Eber, i quali da lui furono detti ebrei; a cui soli dopo la
confusione rimane, acciò che il nostro Redentore, il quale dove nascere di loro,
usasse, secondo l’umanità, della lingua della grazia, e non di quella de la
confusione degl’ebrei. È adunque l’ebreo idioma quello, che è fabbricato dalle
labbra del primo parlante confuso. ' Il testo ha: qui ex illis oriturus erat
secundum humanitatem, non lingua confusionis, sed gratiæ frueretur. E deve
tradursi: il quale dove vanascere di loro secondo l'umanità, usasse della
lingua della grazia – o di GRICE --, e non di quella della confusione. Hi
come gravemente mi vergogno di rin e per. A en ta generazione umana. Ma
perciò che non possia mo lasciar di passare per essa, se ben la faccia diventa
rossa, e l'animo la fugge, non starò di narrarla. Oh nostra natura sempre prona
ai peccati, oh da principio, e che mai non finisce, piena di nequizia; non era
stato assai per la tua corruttela, che per lo primo fallo fosti cacciata, e
stesti in bando de la p a tria de le delizie? non era assai, che per la
universale lussuria, e crudeltà della tua fami glia, tutto quello che era di
te, fuor che una casa sola, fusse dal diluvio sommerso, il male, che tu avevi
commesso, gli animali del cielo e de la terra fusseno già stati puniti? Certo
assai sarebbe stato; ma come prover bialmente si suol dire, Non andrai a
cavallo anzi terza; e tu misera volesti miseramente andare a cavallo. Ecco,lettore,
che l'uomo, o vero scordato,o vero non curando de le prime battiture, e
rivolgendo gli occhi da le sferze, che erano rimase, venne la terza volta a le
botte, per la sciocca sua e superba prosunzio ne. Presunse adunque nel suo
cuore lo incu rabile uomo, sotto persuasione di gigante, di superare con
l'arte sua non solamente la na tura,ma ancoraessonaturante,ilqualeèDio; e
cominciò ad edificare una torre in Sennar, la quale poi fu detta Babel, cioè
confusione, per la quale sperava di ascendere al cielo,avendo intenzione, lo
sciocco,non solamente di aggua gliare,ma diavanzare ilsuo Fattore.Oh cle menzia
senza misura del celeste imperio;qual padre sosterrebbe tanti insulti dal
figliuolo? Ora innalzandosi non con inimica sferza, ma con paterna, et a
battiture assueta, il ribel lante figliuolo con pietosa e memorabile corre
zione castigò. Era quasi tutta la generazione umana a questa opera iniqua
concorsa; parte comandava, parte erano architetti,parte face vano muri,parte
impiombavano, parte tiravano le corde ", parte cavavano sassi, parte per
ter ra,partepermareliconducevano.E cosìdi verse parti in diverse altre opere
s’affatica vano, quando furono dal cielo di tanta con fusione percossi, che
dove tutti con una istessa loquela servivano a l'opera, diversificandosi in
molte loquele, da essa cessavano, nè mai a quel medesimo comercio convenivano;
et a quelli soli, che in una cosa convenivano una Witte osserva che in luogo di
pars amysibus tegulabant, pars tuillis linebant, come leggeva erro neamente la
volgata nel testo latino, si deve leggere: pars amussibus tegulabant, pars
trullis (o truellis) linebant, e si deve tradurre: parte arrotavano sulle
pietre i mattoni,parte con le mestole intonacavano. istessa loquela
attualmente rimase, come a tutti gli architetti una, a tutti i conduttori di
sassi una,a tuttiipreparatori di quegli una, e così avvenne di tutti gli
operanti; tal che di quanti varj esercizj erano in quell'opera, di tanti varj
linguaggi fu la generazione umana disgiunta. E quanto era più eccellente l'arti
ficio di ciascuno, tanto era più grosso e barbaro il loro parlare. Quelli poscia,
a li quali il sacrato idioma rimase, nè erano presenti nè lodavano lo esercizio
loro; anzi gravemente biasimandolo, si ridevano de la sciocchezza de gli
operanti.Ma questi furono una minima parte di quelli quanto al numero; e furono,
sì come io comprendo, del seme di Sem, il quale fu il terzo figliuolo di Noè,
da cui nacque il popolo di Israel, il quale usò de la antiquissima locu zione
fino a la sua dispersione. e specialmente in Europa. Er la detta precedente
confusione di lingue non leggieramente giudichiamo, che allora primieramente gl’uomini
furono sparsi per tutti iclimi del mondo e per tutte le regioni e angoli di
esso. E conciò sia che la sottodivisione del parlare per il mondo, principal
radice dela propagazione umana sia ne le parti orientali piantata, e d'indi da
l'u no e l'altro lato per palmiti variamente diffusi, è la propagazione nostra
distesa; final mente in fino a l'occidente prodotta, là onde primieramente le
gole razionali gustarono o tutti,o almen parte de i fiumi di tutta Europa. Ma
ofussero forestieri questi, cheallorapri mieramente vennero, o pur nati prima
in E u ropa, ritornassero ad essa; questi cotali por tarono tre idiomi seco; e
parte di loro ebbero in sorte la regione meridionale di Europa, parte la
settentrionale, et i terzi, i quali al presente chiamiamo Greci, parte de
l’Asia e parte de la Europa occuparono. Poscia da uno istesso idio
ma,dalaimmonda confusione ricevuto, nac quero diversi volgari, come di sotto
dimostre remo; perciò che tutto quel tratto, ch'è da la foce del Danubio, o
vero da la palude Meotide, fino a i termini occidentali (li quali da i confini
d'Inghilterra, ITALIA e Gallia, e da l'Oceano sono terminati), tenne uno solo
idioma: avegna che poi per Schiavoni, Ungari, Tedeschi, Sassoni, Inglesi e
altre molte nazioni fosse in diversi volgari derivato; rimanendo questo solo
per segno, che avessero un medesimo prin cipio, che quasi tutti i predetti
volendo affir mare, dicono jo. Cominciando poi dal termine di questo
idioma,cioè da iconfini de gl’ungari verso oriente,un altro idioma tutto quel
tratto occupò. Quel tratto poi, che da questi in qua si chiama Europa, e
più oltra si stende,o ve ro tutto quello de la Europa che resta, tenne un terzo
idioma 1, avegna che al presente tri partito si veggia; perciò che volendo
affermare, altri dicono oc, altri oil, e altri sì, cioè Spa gnuoli, Francesi et
Italiani. Il segno adunque che i tre volgari di costoro procedessero da uno
istesso idioma, è in pronto;perciò che molte cose chiamano per i medesimi
vocaboli, come è Dio,cielo,amore,mare,terra,e vive,muore, ama,& altri
molti.Di questi adunque de la meridionale Europa, quelli che proferiscono oc
tengono la parte occidentale, che comincia da i confini de’ GENOVESI; quelli
poi che dicono sì, tengono da i predetti confini la parte orientale, cioè fino
a quel promontorio d'ITALIA, dal quale comincia il seno del mare Adriatico e la
Sicilia. Ma quelli che affermano con oil,quasi sono settentrionali a rispetto
di questi; perciò che da l'oriente e dal settentrione hanno gli Ale manni, dal
ponente sono serrati dal mare in 1 Il testo ha: A b isto incipiens idiomate,
videlicet a finibus Ungarorum versus orientem aliud occupa vittotum quod ab inde
vocatur Europa, nec non ul terius est protractum. Totum autem, quod in Europa
restat ab istis, tertium tenuit idioma. E deve essere tradotto cosi: A
cominciare da questo idioma, cioè dai confini degli Ungari verso oriente, un
altro idioma occupò l'intero tratto che da quei confini in là si chiama Europa,
e che si protrae anche più oltre. Tutto il tratto poi della rimanente Europa
tenne un terzo idioma. glese, e dai monti di Aragona terminati, dal mezzo di
poi sono chiusi da' Provenzali,e da la flessione de l'Appennino. Noi ora è
bisogno porre a pericolo 1 la Il verbo periclitari del testo latino qui vale
mettere alla prova, cimentare. ragione, che avemo, volendo ricercare di
quelle cose ne le quali da niuna autorità siamo aiutati, cioè volendo dire de
la variazione, che intervenne al parlare, che da principio era il medesimo. Ma
conciòsiachepercammininoti più tosto e più sicuramente si vada, però so lamente
per questo nostro idioma anderemo,e gli altri lascieremo da parte, conciò sia
che quello che ne l'uno è ragionevole, pare che eziandio abbia ad esser causa
ne gli altri. È adunque loidioma,deloqualetrattiamo(come ho detto di sopra) in
tre parti diviso, perciò che alcuni dicono oc, altri si, e altri oil. E che
questo dal principio de la confusione fosse uno medesimo (il che primieramente
provar si deve) appare, perciò che si convengono in molti vocaboli,come gli
eccellenti dottori dimostrano; De le tre varietà del parlare, e come col tempo
il medesimo parlare si muta, e de la invenzione de la grammatica. A la
quale convenienzia repugna a la confusione, che fu per il delitto ne la
edificazione di Babel. I Dottori adunque di tutte tre queste lingue in molte
cose convengono, e massimamente in questo vocabolo, Amor. Gerardo di Berneil, Surisentis fez
les aimes Puer encuser Amor. Il re di Navara, De'finamor
sivientsenebenté. M. Guido Guinizelli, Nè fè amor, prima che gentil core, Nè
cor gentil,prima che amor,natura. Investighiamo adunque, perchè egli in tre
parti sia principalmente variato,e perchè cia scuna di queste variazioni in sè
stessa si varii, come la destra parte d'Italia ha diverso par lare da quello de
la sinistra, cioè altramente parlano i Padovani, e altramente i Pisani: e
investighiamo perchè quelli,che abitano più vi cini,siano differenti nel
parlare,come è iMila nesi e Veronesi, ROMANI e Fiorentini;e ancora perchè siano
differenti quelli,che si convengono sotto un istesso nome di gente,come Napole
tani e Gaetani, Ravegnani e Faentini; e quel che è più maraviglioso, cerchiamo
perchè non si convengono in parlare quelli che in una medesima città dimorano,
come sono i Bolognesi del borgo di san Felice, e i Bolognesi della strada
maggiore.Tutte queste differenze adunque,e varietàdi sermone,che avvengono, con
una istessa ragione saranno manifeste. Dico adunque, che niuno effetto avanza
la sua ca gione, in quanto effetto, perchè niuna cosa può fare ciò che ella non
è. Essendo adunque ogni nostra loquela (eccetto quella che fu da Dio insieme
con l'uomo creata) a nostro benepla cito racconcia,dopo quella confusione,la
quale niente altro fu che una oblivione de la loquela prima, et essendo l'uomo
instabilissimo e va riabilissimo animale, la nostra locuzione ne durabile nè
continua può essere; ma come le altre cose che sono nostre (come sono costumi
et abiti), simutano; cosìquesta, secondo ledi stanzie de iluoghi e dei tempi,è
bisogno di va riarsi.Però non è da dubitare che nel modo che avemo
detto,cioè,che con ladistanziadeltempo il parlare non si varii, anzi è
fermamente da tenere; perciò che se noi vogliamo sottilmente investigare le
altre opere nostre,le troveremo molto più differenti da gli antiquissimi nostri
cittadini, che da gli altri de la nostra età, q u a n tunquecisianomoltolontani1.
Il perchè audacemente affermo, che se gli antiquissimi Pavesi ora
risuscitassero,parlerebbero di diverso parlare di quello, che ora parlano in
Pavia; nè altrimente questo, ch'io dico, ci paja maraviglioso, che I qualicisianomolto
lontani (magis....quam a coetaneis perlonginquis). ciparrebbe a
vedere un giovane cresciuto,il quale non avessimo veduto crescere.Perciò che le
cose, che a poco a poco si movono, il moto loro è da noi poco conosciuto;e
quanto la va riazione de la cosa ricerca più tempo ad essere conosciuta, tanto
essa cosa è da noi più stabile esistimata.Adunque non ci ammiriamo,se i
discorsi di quegli uomini,che sono poco da le bestie differenti, pensano che
una istessa città abbia sempre il medesimo parlare usato, conciò sia che la
variazione del parlare di essa città non senza lunghissima successione di tempo
a poco a poco sia divenuta, e sia la vita de gli uomini di sua natura
brevissima. Se adunque il sermone ne la istessa gente (come è detto)
successivamente col tempo si varia, nè può per alcun modo firmarse, è
necessario che il par lare di coloro, che lontani e separati dimorano, sia
variamente variato; sì come sono ancora variamente variati i costumi et abiti
loro, i quali nè da natura,nè da consorzio umano sono firmati, ma a
beneplacito, e secondo la conve nienzia de i luoghi nasciuti. Quinci si mossero
gl'inventori de l'arte grammatica; la quale grammatica non è altro che una
inalterabile conformità di parlare in diversi tempi e luo ghi. Questa essendo
di comun consenso di molte genti regulata, non par suggetta al singulare
arbitrio di niuno, e consequentemente non può essere variabile.Questa adunque
trovarono,ac ciò che per la variazion del parlare, il quale De la varietà
del parlare in Italia da la destra e sinistra parte de l'Appennino. Ra uscendo
in tre parti diviso (come di, per singulare arbitrio si move,non ci fossero o
in tutto tolte, o imperfettamente date le a u torità, et i fatti de gli antichi,
e di coloro da i quali la diversità dei luoghi ci fa esser divisi. sopra è
detto) il nostro parlare nella comparazione di se stesso, secondo che egli è
tri partito, con tanta timidità lo andiamo ponde rando, che nè questa parte, nè
quella, nè quell'altra abbiamo ardimento di preporre, se non in quello sic, che
i grammatici si trovano aver preso per avverbio di affirmare: la qual cosa
pare, che dia qualche più di autorità a gli Italiani, i quali dicono
si.Veramente ciascuna di queste tre parti con largo testimonio si d i fende. La
lingua di oil allega per sè, che, per lo suo più facile e più dilette vole Volgare,
tutto quello che è stato tradotto, o vero ritrovato in prosa volgare,è suo; cioè
la Bibbia,ifatti de i Trojani e dei ROMANI, le bellissime favole del re Artù, e
molte altre istorie e dottrine 1. ma: 0 · Il Fraticelli avverte, a ragione, che
qui bisognava tradurre non: la Bibbia,ifatti de' Trojani... i libri che
contengono i fatti de' Trojani. L'altra poi argomenta per sè, cioè la
lingua di oc; e dice che i volgari eloquenti scrissero i primi poemi in essa,
sì come in lingua più perfetta e più dolce; come fu Piero di Alver nia et altri
molti antiqui dottori.La terza poi, che è de gli Italiani, afferma per dui
privilegj esser superiore; il primo è, che quelli, che più dolcemente e più
sottilmente hanno scritti poe mi, sono stati i suoi domestici e famigliari,
cioè Cino da Pistoja, e lo amico suo; il secondo è, che pare, che più
s'accostino a la grammatica, la quale è comune.E questo, a coloro, che vogliono
con ragione considerare, par g r a vissimo argomento. Ma noi lasciando da parte
il giudicio di questo, e rivolgendo il trattato nostro al VOLGARE ITALIANO, ci
sforzeremo di dire le variazioni ricevute in esso, e quelle fra sè compareremo.
Dicemo adunque laItalia essere primamente in due parti divisa,cioè ne la de
stra e ne la sinistra; e se alcuno dimandasse qual è la linea che questa
diparte,brievemente rispondoessere il giogo del'Appennino; il quale, come un
colmo di fistula, di qua e di là a diver se gronde piove,e l'acque di qua e di
là per lunghi embricia diversi liti distillan, come Lucano nel secondo descrive;
et il destro lato ha il mar Tirreno per grondatoio, il sinistro v'ha lo
Adriatico. Del destro lato poi sono regioni la Puglia,ma non tutta, Roma, il Ducato
1, + Ducato di Spoleto, Toscana, la Marca di Genova. Del sinistro so no
parte de la Puglia, la Marca d’Ancona, la Romagna, la Lombardia, la Marca
Trivigiana, con Venezia. Il Friuli veramente, e l'Istria non possono essere se
non de la parte sinistra d'Italia; e le isole del mar Tirreno, cioè Sicilia e
Sardigna,non sono se non de la destra, o veramente sono da essere a la destra
parte d'Italia accompagnate.In ciascuno adun que di questi dui lati d'Italia,
et in quelle parti che si accompagnano ad essi, le lingue de gli uomini sono
varie; cioè la lingua de i S i ciliani co iPugliesi, e quella de i Pugliesi coi
ROMANI,e dei ROMANI coi Spoletani,edi que sticoiToscani,edeiToscani
coiGenovesi,e de i Genovesi co i Sardi. E similmente quella de i Calavresi con
gli Anconitani, e di costoro coiRomagnuoli,e dei Romagnuoli coi Lombardi, edeiLombardi
coi Trivigiani e Veneziani, e di questi co i Friulani, e di essi con
gl'Istriani; ne la qual cosa dico, che nessuno de gl’Italiani dissentirà da
noi. Onde L’ITALIA sola appare in X I V Volgari esser variata: cia scuno dei
quali ancora in sè stesso si varia: come in Toscana i Senesi e gli Aretini, in
L o m bardia i Ferraresi e i Piacentini; e parimente in una istessa città
troviamo essere qualche variazione di parlare,come nel Capitolo di so pra
abbiamo detto. Il perchè se vorremo cal culare le prime, le seconde, e le
sottoseconde variazioni del Volgare d'Italia,avverrà che in Si dimostra,
che alcuni in Italia hanno brutto et inornato parlare. Ssendo IL VOLGARE
ITALIANO per molte varietà dissonante, investighiamo la più bella et illustre
loquela d'Italia; et acciò che a la nostra investigazione possiamo avere un
picciolo calle, gettiamo prima fuori de la selva gli a r
boriattraversati,elespine. Sicome adunque i Romani si stimano di dover essere a
tutti preposti, così in questa eradicazione, o vero estirpazione, non
immeritamente a gli altri li preporremo; protestando essi in niuna ragione de
la Volgare Eloquenza esser da toccare. Di cemo adunque il Volgare de'Romani,o
per dir meglio il suo tristo parlare, essere il più brutto di tutti i Volgari
Italiani; e non è maraviglia, sendo ne i costumi e ne le deformità de gli abiti
loro sopra tutti puzzolenti. Essi dicono: M e sure, quinte dici 1. Dopo questi
caviamo quelli de la Marca d’Ancona, i quali dicono Chigna mente sciate siate
2; con i quali mandiamo via questo minimo cantone del mondo si verrà,non
solamente a mille variazioni di loquela, m a ancora a molte più. I Sorella mia,
che cosa dici? Qualmente siate state, i Spoletani. E non è da preterire, che in
vitu perio di queste tre genti sono state molte can zoni composte, tra le quali
ne vidi una drit tamente e perfettamente legata, la quale un certo fiorentino,
nominato il Castra, avea com posto; e cominciava, Una ferina va scopai da Cascoli Cita cita sen
gia grande aina Dopo questi i Milanesi, et i Bergamaschi,& i loro vicini
gettiam via; in vituperio de i quali mi ricordo alcuno aver cantato, Ciò fu del
mes d'ochiover. Dopo questi crivelliamo
gli Aquilejensi, e gli I striani, i quali con crudeli accenti dicono Ces fastù;
e con questi mandiam via tutte lem o n tanine e villanesche loquele, le quali
di brut tezza di accenti sono sempre dissonanti da i cittadini, che stanno in
mezzo le città, come i Casentinesi, et i Pratesi. I Sardi ancora, i quali non
sono d'Italia,ma a la Italiaaccom pagnati, gettiam via: perchè questi soli ci p
a jono essere senza proprio Volgare, et imitano la grammatica,come fanno le
simie gli uomini; perchè dicono, Domus nova,e Dominus meus. Una ferina vosco
poi da Cascoli In te l'ora del
vespero, Il Fontanini propone di leggere: Zita zita sen gia a grande aina. Zita
vale gita; e aina val fretta. Ancor che l'aigua per lo foco lassi. Amor, che longamente m'hai menato. Ma questa
fama de la terra di Sicilia, se dirit tamente risguardiamo, appare, che
solamente per opprobrio de'principi Italiani sia rimasa; i quali non con modo
eroico,ma con plebeo seguono la superbia. Ma quelli illustri eroi Federico
Cesare et il ben nato suo figliuolo Manfredi, dimostrando la nobiltà e
drittezza de la sua forma,mentre che la fortuna gli fu fa vorevole,seguirono le
cose umane,e le bestiali sdegnarono. Il perchè coloro,cheeranodialto De lo
Idioma Siciliano e Pugliese. Ei crivellati (per modo di dire) Volgari d'Italia,
facendo comparazione tra quelli che nel crivello sono rimasi, brievemente sce
gliamo il più onorevole di essi. E primiera mente esaminiamo lo ingegno circa
il Siciliano, perciò che pare che il Volgare Siciliano abbia assunto la fama
sopra gli altri; conciò sia che tutti i poemi, che fanno gl'Italiani, si chia
mino Siciliani,e conciò sia che troviamo molti dottori di costà aver gravemente
cantato,come in quelle canzoni, Et, Se questo poi non vogliamo
pigliare, ma quello che esce de la bocca de i principali Si ciliani, come ne le
preallegate canzoni si può vedere, non è in nulla differente da quello,che è
laudabilissimo, come di sotto dimostreremo. |Traduzione letterale di altripices,
chesignifica in gannatori., cuore e di grazie dotati,si sforzavano di ade rirsi
alla maestà di sì gran principi; talchè in quel tempo tutto quello, che gli
eccellenti Italiani componevano, ne la Corte di sì gran re primamente usciva. E
perchè il loro seggio regale era in Sicilia, è avvenuto,che tutto quello che i
nostri precessori composero in Volgare, si chiama Siciliano; il che ritenemo
ancora noi; et i posteri nostri non lo potranno mutare. Racha, Racha.Che suona
ora la tromba de l'ultimo Federico? che ilsonaglio del secondo Carlo? che i
corni di Giovanni e di Azzo m a r chesi potenti?cheletibiedeglialtrimagnati? se
non, Venite, carnefici; Venite, altripici 1; Venite, settatori di avarizia.M a
meglio è tor nare al proposito, che parlare indarno. Or dicemo,che se vogliamo
pigliare il Volgar Siciliano,cioè quello che vien da imediocri pae sani, da la
bocca de i quali è da cavare il giu dizio, appare, che il non sia degno di
essere preposto a gli altri;perciò che 'l non si profe risce senza qualche
tempo, come è in Traggemi d'este focora
se t'este a bolontate. I Pugliesi poi, o vero per la acerbità loro, o vero per
la propinquità dei suoi vicini, che sono Romaneschi e Marchigiani, fanno brutti
barbarismi. E'dicono, Per fino amore
vo'si lietamente. Il perchè a quelli,
che noteranno ciò che si è detto di sopra, dee essere manifesto, che nè il
Siciliano, nè il Pugliese è quel Volgare che in Italia è bellissimo; conciò sia
che abbiamo m o strato, che gli eloquenti nativi di quel paese sieno da esso partiti.
De lo Idioma de i Toscani e dei
Genovesi. per la loro pazzia insensati, pare che a r rogantemente
s'attribuiscano il titolo del Volgare Illustre; et in questo non solamente
la Volzera che chiangesse lo
quatraro.Ma quantunque comunemente ipaesani pugliesi parlino bruttamente,
alcuni però eccellenti tra loro hanno politamente parlato, e posto ne le loro
canzoni vocaboli molto cortigiani, come manifestamente appare a chi iloro
scritti con sidera,come è, Madonna, dir vi voglio.E, opinione dei plebei
impazzisce, m a ritruovo molti uomini famosi averla avuta: come fu Guittone
d’Arezzo, il quale non si diede mai al Volgare Cortigiano; Bonagiunta da Lucca,
Gallo pisano, Mino Mocato senese,eBrunetto fioren tino, i detti dei quali, se
si avrà tempo di esaminarli,noncortigiani,ma proprjdeleloro cittadi essere si
ritroveranno. Ma conciò sia che i Toscani siano più de gli altri in questa
ebrietà furibondi, ci pare cosa utile e degna torre in qualche cosa la pompa a
ciascuno de i Volgari delle città di Toscana.I Fiorentini par. lano, e
dicono, Non facciamo altro. I Pisani,
Bene andonno li fanti de Fioranza per Pisa. I Lucchesi, Fo voto a Dio,che ingassara eie lo comuno de
Luca. I Senesi, Vo'tu venire ovelle? Di
Perugia, Orbieto, Viterbo e Città Castel lana, per la vicinità che hanno con
Romani e Spoletani, non intendo dir nulla.Ma come che quasi tutti i Toscani
siano nel loro brutto par Onche rinegata avessi io Siena. Gli Aretini, Manuchiamo introcque. lare ottusi,non
di meno ho veduto alcuni aver conosciuto la eccellenzia del Volgare,cioè Guido,
Lapo et un altro, fiorentini, e Cino Pistojese, il quale al presente
indegnamente posponemo, non indegnamente costretti.Adunque se esami neremo le
loquele toscane, e considereremo, come gli uomini molto onorati si siano da
esse loro proprie partiti, non resta in dubbio che il Volgare, che noi
cerchiamo, sia altro che quello che hanno ipopoli di Toscana. Se alcu no poi
pensasse che quello, che noi affermiamo de i Toscani,non sia da affirmare de
iGenovesi, questo solo costui consideri, che se i Genovesi per dimenticanza
perdessero il z lettera, biso gnerebbe loro, o ver essere totalmente muti, o
ver trovare una nuova locuzione; perciò che il z è la maggior parte del loro
parlare; la qual lettera non si può se non con molta aspe rità proferire. nino, et investighiamo tutta la sinistra parte
d'Italia, cominciando, come far solemo, a levante. Intrando adunque ne la
Romagna, dicemo che in Italia abbiamo ritrovati dui Vol gari, l'uno a l'altro
con certi convenevoli con De loIdioma di Romagna, edialcuni
Transpadani,especialmentedelVeneto. P Assiamo ora le frondute spalle de l'Appen
trarj opposto !, de li quali uno tanto femenile ci pare per la mollizia dei
vocaboli e de la p r o nuncia, che un uomo (ancora che virilmente parli) è
tenuto femina. Questo Volgare hanno tutti i Romagnuoli, e specialmente i
Forlivesi, la città de i quali, avegna che novissima sia, non di meno pare
esser posta nel mezzo di tutta la provincia. Questi affermando dicono Deusci, e
facendo carezze sogliono dire oclo meo,e co rada mea.Bene abbiamo inteso,che
alcuni di costoro ne i poemi loro si sono partiti dal suo proprio
parlare,cioèTomaso et Ugolino Buc ciola faentini.L'altro de idue parlari,che
ave mo detto, è talmente di vocaboli et accenti ir suto et ispido, che per la
sua rozza asperità non solamente disconza una donna che parli, ma ancora fa
dubitare, s'ella è uomo. Questo tale hanno tutti quelli che dicono magara, cioè
Bressani, Veronesi, Vicentini, et anco i P a doani, i quali in tutti i
participj in tus,e de nominativi in tas, fanno brutta sincope, come è merco, e
bonté. Con questi ponemo eziandio i Trivigiani, i quali al modo de i Bressani,
e de i suoi vicini proferiscono lo v consonante per f, removendo l'ultima
sillaba, come è nof per nove, vi f per vivo; il che veramente è barbarissimo, e
riproviamlo. I Veneziani ancora non saranno degni de l'onore de l'investigato
Il testo latino ha: duo. vulgaria, quibusdam convenientiis contrariis
alternata. tra i quali abbiamo veduto uno, che si è sfor zato partire dal
suo materno parlare, e ridursi al volgare cortigiano, e questo fu Brandino
padoano. Laonde tutti quelli del presente Ca pitolo comparendo alla sentenzia, determiniamo,
che nè il Romagnuolo nè ilsuo contrario,come si è detto, nè il Veneziano sia
quello Illustre Volgare che cerchiamo. CA Fa gran discussione del parlare nolognese.
quello che della italica selva ci resta. D i cemo adunque,che forse non hanno
avuta mala opinione coloro, che affermano che i Bolognesi con molto bella
loquela ragionano; conciò sia che da gli Imolesi,Ferraresi eModenesi qualche
cosa al loro proprio parlare aggiungano; chè tutti, sì come avemo mostrato,
pigliano dai loro vicini, come Sordello dimostra de la sua Mantova, che con
Cremona, Bressa e Verona confina. Il qual uomo fu tanto in eloquenzia, che non
solamente ne i poemi, m a in ciascun modo che parlasse, il Volgare de la sua
patria abbandond.Pigliano ancora iprefati cittadini Volgare; e se alcun di
loro, spinto da errore, in questo vaneggiasse, ricordisi se mai disse, Per le plage de Dio tu non verás ; Ra ci
sforzeremo, per espedirci,a cercare la leggerezza e la mollizia da
gl'Imolesi, e da i Ferraresi e Modenesi una certa loquacità, la qual è propria
de i Lombardi. Questa, per la mescolanza de i Longobardi forestieri, crediamo
essere rimasa ne gli uomini di quei paesi; e questa è la ragione, per la quale
non ritro viamo che niuno, nè Ferrarese, nè Modenese, nè Reggiano,sia stato
poeta;perciò che assue fatti a la propria loquacità, non possono per alcun
modo,senza qualche acerbità, al Volgare Cortigiano venire. Il che molto
maggiormente de i Parmigiani è da pensare; i quali dicono inonto per molto. Se
adunque i Bolognesi da l'una e da l'altra parte pigliano, come è detto,
ragionevole cosa ci pare che il loro parlare, per la mescolanza de gli oppositi,
rimanya di laudabile suavità temperato: il che per giudi zio nostro senza
dubbio esser crediamo.Vero è che se quelli, che prepongono il Volgare S e r
mone de iBolognesi,nel compararli essi hanno considerazione solamente a i
Volgari de le città d'Italia, volentieri ci concordiamo con loro. M a se
stimano simplicemente il Volgare Bolognese essere da preferire, siamo da essi
differenti e discordi; perciò che egli non è quello che noi
chiamiamoCortigiano& Illustre;ches'elfosse quello,ilmassimo Guido
Guinizelli,Guido Ghis liero, Fabrizio, & Onesto,& altripoetinon sariano
mai partiti da esso; perciò che furono dottori illustri, e di piena
intelligenzia ne le cose volgari. Più non attendo il tuo soccorso, Amore. Le quali parole sono in tutto diverse da le
pro prie bolognesi. Ora perchè noi non crediamo che alcuno dubiti di quelle
città che sono poste ne le estremità d'Italia; e se alcuno pur dubita, non lo
stimiamo degno de la nostra soluzione; però poco ci resta ne la discussione da
dire. Laonde disiando di deporre il crivello, accid che tosto veggiamo quello
che in esso è rimaso, dico che Trento, e Turino,& Alessandria sono città
tanto propinque a i termini d'Italia, che non ponno avere pura loquela; tal che
se così come hanno bruttissimo Volgare,così l'avessono bellissimo, ancora
negherei esso essere vera mente Italiano, per la mescolanza che ha de gli
altri.E però se cerchiamo il Parlare Italiano Illustre, quello che cerchiamo
non si può in esse città ritrovare. Il massimo Guido, Fabrizio, Madonna, ilfermocore. Lo mio lontano gire. Onesto
e pascoli d'Italia, e non avemo quella
pantera, che cerchiamo, trovato; per potere essa meglio trovare, con più
ragione investi ghiamola; acciò che quella, che in ogni loco si sente, et in
ogni parte appare?, con sollecito studio ne le nostre reti totalmente
inviluppia mo. Ripigliando adunque inostri istrumenti da cacciaredicemo, cheinognigenerazionedi
cose è di bisogno che una ve ne sia,con la quale tutte le cose di quel medesimo
genere si abbiano a comparare e ponderare, e quindi la misura di tutte le altre
pigliare.Come nel numero tutte le cose si hanno a misurare con la unità;e di
consi più e meno, secondo che da essa unità sono più lontane, o più ad essa
propinque. E cosi ne i colori tutti si hanno a misurare col bianco; e diconsi
più e meno visibili, secondo che a lui più vicini, e da lui più distanti si
sono.E sicome diquestichemostrano quan tità e qualità diciamo, parimente di
ciascuno I L'edizione del Corbinelli ha: redolentem ubique, etnec apparentem. Witte
propone di leggere: nec usquam apparentem. De lo eccellente Parlar
Volgare, il quale è comune a tutti gli Italiani. A poi che avemo cercato per
tutti i salti D de i predicamenti e de la sustancia pensiamo potersi dire;
cioè che ogni cosa si può misu rare in quel genere con quella cosa, che è in
esso genere simplicissima. Laonde ne le nostre azioni, in quantunque specie
sidividano,sibi sogna ritrovare questo segno,col quale esse si abbiano a
misurare; perciò che in quello che facciamo come simplicemente uomini, avemo la
virtù,la quale generalmente intendemo?; perciò che secondo essa giudichiamo
l'uomo buono e cattivo;in quello poi che facciamo, come uomini cittadini,avemo
la legge,secondo la quale si dice buono e cattivo cittadino;così in quello, che
come uomini italiani facciamo, avemo le cose simplicissime. Adunque se le
azioni italiane si hanno a misurare e ponde rare con i costumi, e con gli
abiti, e col parlare,quelle de leazioni italiane sono simplicissi me, che non
sono proprie di niuna città d'Italia, ma sono comuni in tutte 2; tra le quali
ora si 2 Il testo latino ha: inquantum uthominesLatini agimus,quædam habemus
simplicissima signa,idest morum,et habituum, et locutionis, quibus LATINO actiones
ponderantur et mensurantur. Quce quidem nobilissimasuntearum,quæ LATINORVM
sunt,actio num, hæc nulliuscivitatisItaliæ propria sunt,sed in omnibus communia
sunt: inter que nunc potest di scerni Vulgare. Il Fraticelli raddrizzò la
traduzione del Trissino a questo modo: in quello che, come uomini Il testo latino ha: virtutem habemus, ut
genera literillas (actiones) intelligamus.Edevetradursi:ab biamo per intenderle
(leazioni) generalmente,lavirtù. può discernere il Volgare,che di
sopra cerca vamo, essere quello,che in ciascuna città ap pare, e che in niuna
riposa 1. Può ben più in una,che in un'altra apparere,come fa la sim plicissima
de le sustanzie, che è Dio, il quale più appare ne l'uomo che ne le bestie, e
che ne le piante, e più in queste che ne le miniere, et in esse più che ne gli
elementi,e più nel foco, che ne laterra.E lasimplicissima quantità,che è
uno,più appare nel numero dispari che nel italiani facciamo, abbiamo certi
segni semplicissimi, cioè de'costumi, degli abiti e del parlare, coi quali le
azioni italiane si hanno a misurare e ponderare.Adun que quelle delle azioni
italiane sono nobilissime, che non sono proprie di niuna città d'Italia, ma
sono co muni in tutte: tra le quali ora si può discernere il Volgare. Il
Trissino, in luogo di nobilissime, ha semplicissime;eforselasua
lezioneèlavera.Levoci nobilissima, hæc,propria,communiaedinterquo non possono
riferirsi ad actiones, ma a signa: cosicchè si dovrebbe tradurre segni nobilissimi.
M a il dir segni nobilissimi è, certo, poco conforme al concetto generale del
Capitolo, nel quale l'autore non parla che di semplicis simi segni: e quindi la
traduzione più propria parrebbe dovesse essere la seguente: ora, quelli, che
sono segni semplicissimi delle azioni degli Italiani, quelli non sonpropri di
nessuna città,ma comuni a tutte:trai quali....;epiùbrevemente: iqualisegnidelleazioni
degli Italiani non son propri di nessuna città. 4 Vulgare.... quod in
qualibet civitate apparet, nec cubat in ulla. Il Manzoni, citando questo passo
nella lettera al Bonghi, da noi ristampata, traduce più esatta mente: il
Volgare, che in ogni città dà sentore di sè, e non si annida in nessuna.
pari; et il simplicissimo colore,che è ilbianco, più appare nel citrino
che nel verde. Adunque ritrovato quello che cercavamo, dicemo, che il Volgare
Illustre, Cardinale, Aulico e Corti giano in Italia è quello, il quale è di
tutte le città italiane, e non pare che sia di niuna, col quale il Volgare di
tutte le città d'Italia si hanno a misurare, ponderare e comparare. Perchè
questo Parlare si chiami Illustre. Erchè adunque a questo ritrovato Parlare
aggiungendo Illustre,Cardinale, Aulico e Cortigiano, cosi lo chiamiamo, al
presente di remo; per il che più chiaramente faremo parere quello, che esso è.
Primamente adunque d i m o striamo quello che intendiamo di fare, quando vi
aggiungiamo Illustre, e perchè Illustre il dimandiamo.Per questonoiildicemo
Illustre, che illuminante et illuminato risplende. Et a questo modo nominiamo
gli uomini illustri, o vero perchè illuminati di potenzia sogliono con
giustizia e carità gli altri illuminare, o vero perchè eccellentemente
ammaestrati, eccellen temente ammaestrano, come fe'Seneca e Numa Pompilio; et il
Volgare di cui parliamo, il quale innalzato di magisterio e di potenzia,
innalza i suoi di onore e di gloria. E ch'el sia da magisterio innalzato, si vede,
essendo egli O n senza ragione esso Volgare Illustre o r
niamodisecondagiunta, cioèche Cardinale il chiamiamo, perciò che si come tutto
l'uscio seguita il cardine, talchè dove il cardine si volta, ancor esso (o
entro, o fuori che 'l si pie Perchè questo Parlare si chiami Cardinale,
di tanti rozzi vocaboli italiani, di tante per plesseconstruzioni,ditante
difettivepronunzie, di tanti contadineschi accenti, cosi egregio, così
districato, così perfetto e così civile ri dotto, come Cino da Pistoja e
l'amico suo ne le loro canzoni dimostrano. Che 'l sia poi esaltato di potenzia,
appare: e qual cosa è di maggior potenzia che quella, che può i cuori de gli u
o mini voltare, in modo che faccia colui che non vole, volere;e colui che vole,
non volere, come ha fatto questo, e fa? Che egli poscia innalzi di onore chi lo
possiede, è in pronto: non sogliono i domestici suoi vincere di fama
ire,imarchesi,iconti,etuttiglialtrigrandi? certo questo non ha bisogno di
pruova.Quanto egli faccia poi i suoi famigliari gloriosi, noi stessi l'abbiamo
conosciuto, i quali per la dol cezza di questa gloria ponemo dopo le spalle il
nostro esilio. Adunque meritamente dovemo esso chiamare Illustre. NA Aulico, e
Cortigiano. Il testo latino ha: Est etiam merito curiale dicen dum, quia
curialitas nil aliud est, etc. Il Fraticelli os serva in questo proposito
quanto segue: La Curia è il foro, illuogo o vesitrattanogliaffaripubblici;ma
es ghi)si volge; cosi tutta la moltitudine de i Volgari de le città si
volge e rivolge, si move e cessa,secondo che fa questo.Il quale veramente
appare esser padre di famiglia; non cava egli ogni giorno gli spinosi arboscelli
della italica selva? non pianta egli ogni giorno semente o inserisce piante?
che fanno altro gli agricoli di lei se non che lievano, e pongono, come si è
detto? Il perchè merita certamente essere di tanto vocabolo ornato. Perchè poi
ilnominiamo Aulico, questa è la cagione: perciò che se noi Italiani avessimo
Aula,questi sarebbe palatino. Se la Aula poi è comune casa di tutto il regno, e
sacra gubernatrice di tutte le parti di esso; convenevole cosa è che ciò che si
truova esser tale,che sia comune a tutti,e proprio di niuno; in essa conversi
et abiti; nè alcuna altra abi tazione è degna di tanto abitatore.Questo ve
ramente ci pare esser quel Volgare, del quale noi parliamo; e quinci avviene,
che quelli che conversano in tutte le Corti regali, parlano sempre con Volgare
Illustre. E quinci ancora è intervenuto che il nostro Volgare, come fore stiero
va peregrinando, et albergando ne gli umili asili, non avendo noi
Aula.Meritamente ancora sidee chiamare Cortigiano,perciò che la cortigiania
niente altro è,che una pesatura de le cose che si hanno a fare; e
conciò sia che la statera di questa pesatura solamente ne le ec cellentissime
Corti esser soglia, quinci avviene, che tutto quello, che ne le azioni nostre è
ben pesato, si chiama cortigiano. Laonde essendo questo ne la eccellentissima
Corte d'Italia p e sato,merita esser detto Cortigiano.Ma a dire che 'l sia ne
la eccellentissima Corte d'Italia pesato, pare fabuloso, essendo noi privi di
Corte; a la qual cosa facilmente si risponde. Perciò che avegna che la Corte
(secondo che ụnica si piglia, come quella del re di Alema gna) in Italia non
sia,le membra sue però non cimancano;ecome lemembra diquelladaun principe si
uniscono,cosi le membra di questa dal grazioso lume de la ragione sono unite; e
però sarebbe falso a dire, noi Italiani mancar di Corte quantunque manchiamo di
principe; perciò che avemo Corte, avegna che la sia cor poralmente dispersa,
sendo dal Trissino tradotto la Corte, viene a prodursi confusione, perchè Corte
è sinonimo di Aula o Reggia, Per l'esattezza del significato converrà rendere
la voce curialitas per curialità: e cosi in appresso per cui curiale le voci curia
e curialis., e Che i Volgari Italici in uno si riducono, Uesto
Volgare adunque,che essere Illustre, Q Cardinale,Aulico e Cortigiano avemo dimo
strato,dicemo esser quello,che si chiama Vol gare Italiano; perciò che sì come
si può tro vare un Volgare che è proprio di Cremona, così se ne può trovar uno
che è proprio di Lombardia, et un altro che è proprio di tutta la sinistra
parte d'Italia; e come tutti questi si ponno trovare, così parimente si può
trovare quello, che è di tutta Italia. E sì come quello si chiama cremonese e
quell'altro lombardo,e quell'altro di mezza Italia, così questo che è di tutta
Italia si chiama Volgare Italiano.Que sto veramente hanno usato gl’illustri
dottori che in Italia hanno fatto poemi in Lingua Vol gare; cioè i Siciliani, i
Pugliesi, i Toscani, i Romagnuoli,iLombardi,e quelli delaMarca Trevigiana e de
la Marca d’Ancona. E conciò sia che la nostra intenzione (come avemo nel
principio dell'opera promesso) sia d'insegnare la dottrina de la Eloquenzia
Volgare; però da esso Volgare Italiano,come da eccellentissimo, cominciando,
tratteremo nei seguenti libri, chi e quello si chiama Italiano. siano
quelli, che pensiamo degni di usare esso, e perchè, e a che modo, e dove, e
quando, et a chi sia esso da dirizzare. Le quali cose chia rite che siano,
avremo cura di chiarire i Vol gari inferiori, di parte in parte scendendo sino
a quello che è d'una famiglia sola. e quali no. del nostro ingegno,e
ritornando al calamo de la utile opera,sopra ogni cosa confessiamo, che 'l sta
bene ad usarsi il Volgare Italiano Illustre così ne la prosa, come nel verso. M
a perciò che quelli che scrivono in prosa,pigliano esso Volgare Illustre
specialmente da i trovatori; e però quello che è stato trovato, rimane un fermo
esempio a le prose,ma non al contrario; per ciò che alcune cose pajono dare
principalità Corbinelli e, dietro lui, tutti gli altri hanno poli citantes, che
non ha senso ol'hamoltooscuro;ma forse si deve leggere sollicitantes.
Quali sono quelli che denno usare il Volgare Illustre, P. Romettendo 1 un'altra
volta la diligenzia La voce inventum qui significa poetato. al
verso; adunque secondo che esso è metrico, versifichiamolo 1, trattandolo con
quell'ordine, che nel fine del primo Libro avemo promesso. Cerchiamo adunque
primamente, se tutti quelli che fanno versi volgari, lo denno usare, o no. Vero
è, che cosi superficialmente appare di sì; perciò che ciascuno che fa versi,dee
ornare i suoi versi in quanto 'l può. Laonde non sendo niuno di sì grande
ornamento, com'è il Volgare Illustre, pare che ciascun versificatore lo debbia
usare. Oltre di questo, se quello, che in suo genere è ottimo, si mescola con
lo inferiore, pare che non solamente non gli tolga nulla, ma che lo faccia
migliore.E però se alcun versificatore, ancora che faccia rozza mente versi,lo
mescolerà con la sua rozzezza, non solamente a lei farà bene, ma appare che
così le sia bisogno di fare; perciò che molto è più bisogno di ajuto a quelli
che ponno poco, che a quelli che ponno assai;e così appare che a tutti i
versificatori sia licito di usarlo. M a questo è falsissimo; perciò che ancora
gli eccellentissimi poeti non se ne denno sempre vestire,come per le cose di
sotto trattate si po trà comprendere.Adunque questo Illustre Volgare ricerca
uomini simili a sé,sì come ancora fanno gli altri nostri costumi et abiti: la m
a gnificenzia grande ricerca uomini potenti, la · Il testo latino ha ipsum
carminemus, che non vale versifichiamolo, ma pettiniamolo, rimondiamolo. porpora
uomini nobili; così ancor questo vuole uomini di ingegno e di scienze
eccellenti; e gli altri dispregia, come per le cose, che poi si diranno, sarà
manifesto.Tutto quello adunque, che a noi si conviene, o per il genere, o per
la sua specie, o per lo individuo ci si convie ne; come è sentire, ridere,
armeggiare; m a questo a noi non si conviene per il genere; perchè sarebbe
convenevole anco a le bestie; ne per la specie; perchè a tutti gli uomini saria
convenevole: di che non c'è alcun dubbio; chè niun dice,che'lsiconvenga
aimontanari.Ma gli ottimi concetti non possono essere, se non dove è
scienzia,& ingegno; adunque la ottima loquela non si conviene a chi tratti
di cose grossolane; conviene sì per l'individuo; m a nulla a l'individuo
conviene se non per le pro prie dignità; come è mercantare, armeggiare, reggere.E
però, selecoseconvenienti risguar dano le dignità, cioè i degni; et alcuni
possono essere degni, altri più degni, et altri degnissi mi;è manifesto,che le
cose buone a i degni,le migliori a i più degni, le ottime a i degnissimi si
convengono. E conciò sia che la loquela non altrimenti sia necessario
istromento a i nostri concetti, di quello che si sia il cavallo al sol dato; e
convenendosi gli ottimi cavalli a gli ottimi soldati, a gli ottimi concetti
(come è detto) la ottima loquela si converrà. Ma gli ottimi concetti non ponno
essere,se non dove è scien zia,& ingegno;adunque laottimaloquelanon si
convien se non a quelli, che hanno scienzia, et ingegno; e così non à tutti i
versificatori si convien ottima loquela, e consequentemente nè l'ottimo Volgare;
conciò sia che molti senza scienzia,e senza ingegno facciano versi.E però, se a
tutti non conviene, tutti non denno usa re esso; perciò che niuno dee far
quello, che non si gli conviene.E dove dice,che ogni uno dee ornare i suoi
versi quanto può, affermiamo esser vero; m a nè il bove efippito !, nè il porco
balteato chiameremo ornato,anzi fatto brutto, e di loro ci rideremo; perciò che
l'ornamento non è altro, che uno aggiungere qualche con venevole cosa a la cosa
che si orna. A quello ove si dice, che la cosa superiore con la infe riore
mescolata adduce perfezione, dico esser vero,quando laseparazionenonrimane;come
è, se l'oro fonderemo insieme con l'argento; ma se la separazione rimane,la
cosa inferiore si fa più vile; come è mescolare belle donne con brutte. Laonde
conciò sia che la senten zia de i versificatori sempre rimanga separata mente
mescolata con le parole, se la non sarà ottima, ad ottimo Volgare accompagnata,
non migliore,ma peggiore apparerà,a guisa di una brutta donna, che sia di seta
o d'oro vestita. Ephipiatum vale insellato, e balteatum vale cin turato. In
qual materia stia bene usare Apoichè avemo dimostrato, che non tutti il
Volgare Illustre. D tissimi denno usare il Volgare Illustre, conse i
versificatori, m a solamente gli eccellen quente cosa è dimostrare poi, se
tutte le m a terie sono da essere trattate in esso, o no; e se non sono tutte,
veder separatamente quali sono degne di esso. Circa la qual cosa prima è da
trovare quello che noi intendiamo,quando dicemo degna essere quella cosa, che
ha di gnità, si come è nobile quello che ha nobiltà; e così conosciuto lo
abituante, si conosce lo abituato, in quanto abituato di questo; però
conosciuta la dignità, conosceremo ancora il degno. È adunque la dignità un
effetto, o vero termino de i meriti;perciò che quando uno ha meritato bene,
dicemo essere pervenuto a la dignità del bene; e quando ha meritato male, a
quella del male; cioè quello che ha ben c o m battuto, è pervenuto a la dignità
de la vittoria, e quello che ha ben governato, a quella del regno; e così il
bugiardo a la dignità de la vergogna, et il ladrone a quella de la morte. Ma
conciò sia che in quelli, che meritano bene, si facciano comparazioni, e cosi
ne gli altri, perchè alcuni meritano bene,altri meglio, altri
ottimamente, et alcuni meritano male, altri peggio,altripessimamente;e
conciò ancora sia, che tali comparazioni non si facciano, se non avendo
rispetto al termine de imeriti, il qual termine (come è detto) si dimanda
dignità, manifesta cosa è,che parimente le dignità hanno comparazione tra sè,secondoilpiù&
ilmeno; cioè che alcune sono grandi, altre maggiori, altre grandissime; e
consequentemente alcuna cosa è degna, altra più degna, altra degnis sima; e
conciò sia che la comparazione de le dignità non si faccia circa il medesimo
objetto, ma circa diversi, perchè dicemo più degno quello che è degno di una
cosa più grande, e degnissimo quello che è degno d'una altra cosa grandissima;
perciò che niuno può essere di una stessa cosa più degno; manifesto è che le
cose ottime (secondo che porta il dovere) sono de le ottime degne.Laonde
essendo questo Volgare (che dicemo Illustre) ottimo sopra tutti gli altri
volgari,consequente cosa è,che solamente le ottime materie siano degne di
essere trat tateinesso;ma qualisisianopoiquellema terie,che chiamiamo
degnissime,è buono al presente investigarle. Per chiarezza de le quali cose è
da sapere, che si come ne l'uomo sono tre anime, cioè la vegetabile, la animale
e la razionale, cosi esso per tre sentieri cammina; perciò che secondo che ha
l'anima vegetabile, cerca,quello che è utile, in che partecipa con le piante;
secondo che ha l'animale, cerca, quello, che è dilettevole, in che
partecipa con le bestie; e secondo che ha la razionale, cer ca l'onesto, in che
è solo, o vero a la natura angelica s'accompagna; tal che tutto quel che
facciamo, par che si faccia per queste tre cose. E perchè in ciascuna di esse
tre sono alcune cose, che sono più grandi, et altre grandissi me; per la qual
ragione quelle cose, che sono grandissime, sono da essere grandissimamente
trattate, e consequentemente col grandissimo Volgare; ma è da disputare quali
si siano que ste cose grandissime. E primamente in quello, che è utile; nel
quale, se accortamente consi deriamo la intenzione di tutti quelli, che cer
cano la utilità, niuna altra troveremo, che la salute. Secondariamente in
quello, che è dilet tevole; nel quale dicemo quello essere massi mamente
dilettevole, che per il preciosissimo objetto de l'appetito diletta; e questi
sono i piaceridiVenere.Nel terzo,cheèl'onesto, niun dubita essere la virtù. Il
perchè appare queste tre cose,cioè la salute,ipiaceridi Ve nere, e la virtù
essere quelle tre grandissime materie, che si denno grandissimamente trat tare,
cioè quelle cose, che a queste grandissime sono; come è la gagliardezza de
l'armi, l'ar denzia de l'amore, e la regola de la volontà. Circa le quali tre
cose sole (se ben risguar diamo) troveremo gli uomini illustri aver vol
garmente cantato; cioè Beltramo di Bornio le armi; Arnaldo Danielo lo amore;
Gerardo de Bornello la rettitudine; Cino da Pistoia lo a m o re; lo amico
suo la rettitudine. Beltramo adunque dice,
Non puesc mudar q'un chantar non esparja. Arnaldo,
Laura amara fa 'ls broils blancutz clarzir. Gerardo, Non trovo poi, che
niun Italiano abbia fin qui cantato de l'armi. Vedute adunque queste cose (che
avemo detto), sarà manifesto quello, che sia nel Volgare Altissimo da cantare. In
qual modo di rime si debba usare Raci sforzeremo sollicitamente d'investi 0
gareilmodo,colqualedebbiamo stringere quelle materie, che sono degne di tanto
Volgare.Volendo adunque dare ilmodo, col quale Per solatz revelhar Que
s'es trop endormitz. Degno son io,che mora. Doglia mi reca nelo cuore ardire.
il Volgare Altissimo. Cino, Lo amico suo, queste degne materie si
debbiano legare; primo dicemo doversi a la memoria ridurre,che quelli, che
hanno scritto Poemi volgari,hanno essi per molti modi mandati fuori; cioè
alcuni per Canzoni, altri per Ballate, altri per Sonetti, altri per alcuni
altri illegittimi et irregolari modi, Come di sotto simostrerà. Di questi modi
adun que il modo de le Canzoni essere eccellentissi m o giudichiamo; là onde se
lo eccellentissimo è delo eccellentissimo degno, come di sopra è provato,le
materie che sono degne de lo eccel lentissimo Volgare, sono parimente degne de
lo eccellentissimo modo,e consequentemente sono da trattare ne le Canzoni;e che
'l modo de le Canzoni poi sia tale, come si è detto, si può per molte ragioni
investigare. E prima,essendo Canzone tutto quello che si scrive in versi, et essendo
a le Canzoni sole tal vocabolo attri buito, certo non senza antiqua prerogativa
è processo. Appresso, quello che per sè stesso adempie tutto quello per che
egli è fatto, pare esser più nobile, che quello che ha bisogno di cose che
sieno fuori di sè; m a le Canzoni fanno per sè stesse tutto quello che denno;
il che le Ballate non fanno, perciò che hanno bisogno di
sonatori,aliqualisonofatte;adunque séguita, che le Canzoni siano da essere
stimate più n o bili de le Ballate, e consequentemente il modo loro essere
sopra gli altri nobilissimo, conciò sia che niun dubiti, che il modo de le
Ballate non sia più nobile di quello de i Sonetti. A ppresso pare, che quelle
cose siano più nobili, che arrecano più onore a quelli che le hanno fatte; e le
Canzoni arrecano più onore a quelli che le hanno fatte, che non fanno le
Ballate; adunque sono di esse più nobili, e consequen temente il modo loro è
nobilissimo. Oltre di questo, le cose che sono nobilissime, molto ca ramente si
conservano; m a tra le cose cantate, le Canzoni sono molto caramente conservate,
come appare a coloro che vedeno ilibri; adun que le Canzoni sono nobilissime, e
consequen temente ilmodo loro è nobilissimo.Appresso, ne le cose artificiali
quello è nobilissimo che comprende tutta l'arte; essendo adunque le cose,che si
cantano, artificiali, e ne le Canzoni sole comprendendosi tutta l'arte, le
Canzoni sono nobilissime,ecosìilmodo loroènobi lissimo sopra gli altri.Che
tutta l'arte poi sia ne le Canzoni compresa, in questo simanifesta, che tutto
quello che si truova de l'arte, è in esse,ma non si converte 1. Questo segno
adun que di ciò che dicemo, è nel cospetto di ogni uno pronto; perciò che tutto
quello che da la cima de le teste de gli illustri poeti è disceso a le loro
labbra,solamente ne le Canzoni si ri truova. E però al proposito è manifesto,
che quelle cose che sono degne di Altissimo Volgare, si denno trattare ne le
Canzoni. Sed non convertitur. Più chiaro di non si converte sarebbe però non e
converso,ovvero non al contrario. De la varietà de lo stile secondo la qualità
de la poesia. L'adpotiavimus del LATINO nonvaleavemo approvato, ma abbiamo dato
a bere. Fraticelli propone che si tra duca per traslato: abbiamo dato un
saggio. A poi che avemo districando approvato 1 co, e che materie siano
degne di esso, e parimente il modo, il quale facemo degno di tanto onore, che
solo a lo Altissimo Volgare si con venga; prima che noi andiamo ad altro, di
chiariamo il modo delle ca nzoni, le quali pajono da molti più tosto per caso
che per arte usur parsi. E manifestiamo il magisterio di quel l'arte, il quale
fin qui è stato casualmente preso, lasciando da parte il modo deleBallate e de
i Sonetti; per ciò che esso intendemo dilu cidare nel quarto Libro di
quest'opera nostra, quando del Volgare Mediocre tratteremo. R i veggendo
adunque le cose che avemo detto, ci ricordiamo avere spesse volte quelli, che
fanno versi volgari, per poeti nominati; il che senza dubbio ragionevolmente
avemo avuto ardimento di dire; per ciò che sono certamente poeti, se
drittamente la poesia consideriamo; la quale non è altro che una finzione
rettorica, e po sta in musica.Non di meno sono differenti da i, grandi poeti, cioè
da i regulati; per ciò che quelli 1 hanno usato sermone et arte regulata, e
questi (come si è detto) hanno ogni cosa a caso; il perchè avviene, che quanto
più stret tamente imitiamo quelli 2,tanto più drittamente componiamo; e però
noi, che volemo porre ne le opere nostre qualche dottrina, ci bisogna le loro
poetiche dottrine imitare. Adunque s o pra ogni cosa dicemo, che ciascuno
debbia pi gliare il peso de la materia eguale a le proprie spalle, a ciò che la
virtù di esse dal troppo peso gravata, non lo sforzi a cadere nel fango. Questo
è quello, che il maestro nostro ORAZIO comanda,quando nel principio dela sua
Poe tica dice, Voi, che scrivete versi,
abbiate cura Di tor subjetto al valor vostro eguale. Dapoinelecose,che
cioccorrono + Il testo latino ha isti:quindi non quelli,ma questi; e per
conseguenza nella riga seguente non questi, ma quelli. Sarebbe più chiaro dire
i primi in luogo di quelli. devemo usare divisione, considerando da
cantarsi con modo tragico,o comico, o ele giaco. Per la Tragedia prendemo lo
stile s u periore,per la Commedia lo inferiore, per l'E dei miseri. Se le cose
che ci oc legia quello cantate col correno, pare che siano da essere modo
tragico, allora è da pigliare il Volgare Illustre, e conseguentemente da legare
la Can a dire, se sono 1 Il testo latino ha: tensis fidibus adsumat
secure plectrum; che deve essere tradotto: tese le corde, a s suma francamente
ilplettro. zone; m a se sono da cantarsi con cómico, si piglia alcuna
volta ilVolgare Mediocre, ed al cuna volta l'Umile; la divisione de i quali nel
quarto di quest'opera ci riserviamo a mostra re. Se poi con elegiaco, bisogna
che solamente pigliamo l'Umile.M a lasciamo gli altri da parte, et ora (come è
il dovere) trattiamo de lo stile tragico. Appare certamente, che noi usiamo lo
stile tragico, quando e la gravità de le sen tenzie, e la superbia de i versi,
e la elevazione de le construzioni,e la eccellenzia de ivocaboli si concordano
insieme. M a perchè (se ben ci ricordiamo) già è provato, che le cose somme
sono degne de le somme, e questo stile che chiamiamo tragico, par e essere il
sommo dei stili; però quelle cose che avemo già distinte doversi sommamente
cantare, sono da essere in questo solo stile cantate; cioè la salute, lo amore
e la virtù, e quelle altre cose, che per cagion di esse sono ne la mente nostra
conce pute, pur che per niun accidente non siano fatte vili. Guardişi adunque
ciascuno, e di scerna quello che dicemo; e quando vuole que ste tre cose
puramente cantare, o vero quelle che ad esse tre dirittamente e puramente se
gueno, prima bevendo nel fonte di Elicona, ponga sicuramente a l'accordata lira
il sommo plettro 1,e costumatamente cominci.Ma a fare questa
Canzone e questa divisione come si dee, qui è la difficultà, qui è la fatica;
per ciò che mai senza acume d'ingegno, nè senza assiduità d'arte, nè senza
abito di scienze non si potrà fare. E questi sono quelli che 'l Poeta nel VI de
la Eneide chiama diletti da Dio, e da la ar dente virtù alzati al cielo, e
figliuoli de gli Dei, avegna che figuratamente parli. E pero si confessa la
sciocchezza di coloro, i quali senza arte,e senza scienzia,confidandosi
solamente del loro ingegno, si pongono a cantar som mamente le cose
somme.Adunque cessino que sti tali da tanta loro presunzione; e se per la loro
naturale desidia sono oche, non vogliano l'aquila,che altamente vola, imitare sentenzie
a bastanza, o almeno tutto quello che a l'opera nostra si richiede; il perchè
ci affretteremo di andare a la superbia dei versi. Circa i quali è da sapere,
che i nostri pre cessori hanno ne le loro Canzoni usato varie sorti di versi,
il che fanno parimente imoder ni; m a in fin qui niuno verso ritroviamo, che
abbia oltre la undecima sillaba trapassato, nè sotto la terza disceso. Et avegna
che i Poeti, De la composizione deiversi e de la loro varietà sillabica. Noi
pare di aver detto de la gravità de le A Italiani abbiano usate
tutte le sorti di versi, che sono da tre sillabe fino a undici, non di meno il
verso di cinque sillabe, e quello di sette, e quello di undeci sono in uso più
fre quente; e dopo loro si usa il trisillabo più de gli altri; de gli quali
tutti quello di undeci sillabe pare essere il superiore sì di occupa zione di
tempo, come di capacità di sentenzie, di construzioni e di vocaboli; la
bellezza de le quali cose tutte si moltiplica in esso, come manifestamente
appare, per ciò che ovunque sono moltiplicate le cose che pesano, si molti
plica parimente il peso.E questo pare che tutti i dottori abbiano conosciuto,
avendo le loro illustri Canzoni principiate da esso; come Bornello, Ara auzirez
encabalitz cantars. Il qual verso avegna che paja di dieci silla be,è
però,secondo la verità de la cosa, di undeci; per ciò che le due ultime
consonanti non sono de la sillaba precedente.Et avegna che non abbiano propria
vocale, non perdono però la virtù dela sillaba; & ilsegnoè,che ivi la rima
si fornisce con una vocale; il che essere non può se non per virtù de l'altra
che ivi si sottintende. Il re di Navara, De finamor sivient sen e bonté. Ove se
si considera l'accento e la sua cagione, apparirà essere endecasillabo. Amor,che
longiamente m'hai menato. Per finamore vo silietamente. Amor, che muovi tua
virtù dal cielo. Al cor gentil ripara sempre amore. 11 Giudice di Colonna da
Messina, Guido Guinicelli, Rinaldo d'Aquino, Non spero che giammai per mia
salute. Et avegna che questo verso endecasillalo (co me sièdetto) siasopratuttiperildoverece
leberrimo, non di meno se'l piglierà una cer ta compagnia de lo eptasillabo,
pur che esso però tenga il principato, più chiaramente e più altamente parerà
insuperbirsi, ma questo si rimanga più oltra a dilucidarsi. Così diciamo che
l’eptasillabo segue a presso quello che è massimo ne la celebrità. Dopo questo
quello che chiamiamo pentasillabo,e poi il trisillabo ordiniamo.Ma quel di nove
sillabe, per essere il trisillabo triplicato, o vero mai non fu in onore, o
vero per il fastidio è uscito di uso. Quelli poi di sillabe pari, per la sua
rozzezza non usiamo se non rare volte; per ciò che ri tengono la natura de i
loro numeri,i quali s e m Cino da Pistoja, Lo amico suo: Erchè circa il
Volgare Illustre la nostra nobilissimo; però avendo scelte le cose che sono
degne di cantarsi in esso, le quali sono quelle tre nobilissime che di sopra
avemo pro vate; et avendo ad esse eletto il modo de le Canzoni, si come
superiore a tutti gli altri modi, et a ciò che esso modo di Canzoni pos siamo
più perfettamente insegnare, avendo già alcune cose preparate, cioèlostile,&
iversi; ora de la construzione diremo. È adunque da sapere, che noi chiamiamo
construzione una regulata composizione di parole, come è, Ari stotile diè opera
a la filosofia nel tempo di Alessandro. Qui sono diece parole poste regu
latamente insieme, e fanno una construzione. pre soggiaceno a i numeri
caffi, sì come fa la materia a la forma. E cosi raccogliendo le cose dette,
appare lo endecasillabo essere su perbissimo verso; e questo è quello che noi
cercavamo. Ora ci resta di investigare de le construzioni elevate e de i
vocaboli alti, e fi nalmente, preparate le legne e le funi, inse gneremo a che
modo il predetto fascio, cioè la Canzone, si debba legare. De le construzioni,
che si denno usare ne le Canzoni. P si M a circa questa prima è da
considerare, che de le construzioni altra è congrua, et altra è incongrua.E
perchè(seilprincipiodelano stra divisione bene ciricordiamo)noi cerchiamo
solamente le cose supreme, la incongrua in questa nostra investigazione non ha
loco; per ciò che ella tiene il grado inferiore de la bontà. Avergogninsi
adunque, avergogninsi gli idioti di avere da qui innanzi tanta audacia, che v a
dano ale Canzoni;de iquali non altrimenti so lemo riderci, di quello che si
farebbe d'un cieco, il quale distingues sei colori. È adun que la construzione
congrua quella che cerchia mo.Ma ci accade un'altra divisione 2 di non minore
difficultà, avanti che parliamo di quella construzione,che cerchiamo,cioè di
quella che è pienissima di urbanità; e questa divisione e, che molti sono i
gradi de le construzioni, cioè lo insipido, il quale è de le persone grosse,
come è, Piero ama molto madonna Berta. Ecci il semplicemente saporito, il quale
è de i scolari rigidi, o vero de i maestri, come è, Di
tuttiimiserim'incresce;ma homaggiorpietà di coloro, i quali in esiglio
affliggendosi, r i vedeno solamente in sogno le patrie loro. Ecci ancora il
saporito e venusto, il quale è di alcuni, che così di sopra via pigliano la
Rettorica, come è, La lodevole discrezione del Meglio, forse, ragionasse o
giudicasse di colori. 2 Meglio distinzione (discretio). Nuls hom non pot
complir adreitamen. Amerigo di Peculiano, Si com’l'arbres,que per
sobrecarcar. Præparata qui ha il senso
di preveniente. Si per mon Sobretot no fos. Il re di Navara, T a m m'abelis l'amoros pensamens. Arnaldo Daniello, marchese da Este,e la sua
preparata 1 magni ficenzia fa esso a tutti essere diletto. Ecci a p presso il
saporito e venusto, ed ancora eccelso, il quale è dei dettati illustri, come
è,Avendo Totila mandato fuori del tuo seno grandissima parte de i fiori, o
Fiorenza, tardo in Sicilia, e indarno se n'andd. Questo grado di constru zione
chiamiamo eccellentissimo, e questo è quello che noi cerchiamo, investigando
(come si è detto ) le cose supreme. E di questo sola mente le illustri Canzoni
si trovano conteste, come: Gerardo,
Dreit amor qu'en mon cor repaire. Folchetto di Marsiglia, Sols sui qui sai lo sobrafan, que m sorts. Amerigo
de Belimi, Tegno di folle impresa a lo ver dire. Avegna ch'io non aggia più per tempo. Amor,
che ne la mente mi ragiona. N o n ti maravigliare, lettore, che io abbia tanti
autori a la memoria ridotti; per ciò che non possemo giudicare quella
construzione, che noi chiamiamo suprema, se non per simili esempj. E forse
utilissima cosa sarebbe per abituar quella, aver veduto i regulati poeti, cioè
Virgilio, la Metamorfosi di OVIDIO, STAZIO e LUCANO, e quelli ancora che hanno
usato al tissime prose; come è Tullio, Livio, PLINIO, Frontino, Paolo Orosio, e
molti altri, i quali la nostra amica solitudine ci invita a vedere. Cessino
adunque i seguaci de la ignoranzia, che estolleno Guittone d'Arezzo, et alcuni
al tri, i quali sogliono alcune volte 1 ne i vocaboli e ne le construzioni
essere simili a la plebe. Nunquam invocabulisatqueconstructionedesuetos
plebescere. Non dunque alcune volte,ma sempre. CAVALCANTI, Poi che di doglia cor convien, ch'io porti.
> Guido Guinizelli, Cino da Pistoja, Lo amico suo, 1 dere
ricerca, che siano dichiarati quelli vocaboli grandi, che sono degni di stare
sotto l'altissimo stile. Cominciando adunque, affir miamo non essere piccola
difficultà de lo intel letto a fare la divisione dei vocaboli; per cið che
vedemo, che se ne possono di molte m a niere trovare.De i vocaboli adunque
alcuni sono puerili, altri feminili, et altri virili, e di questi alcuni
silvestri,& alcuni cittadineschi chiamia m o 1,& alcuni pettinati, e
lubrici; alcuni irsuti e rabuffati conosciamo; tra i quali i pettinati e
gl’irsuti sono quelli che chiamiamo grandi; i lubrici poi e i rabuffati sono
quelli la cui riso nel metro volgare. A successiva provincia del nostro
proce. Quali vocaboli si debbano porre e quali no 1Corbinelli ha: et horum
quædam silvestria,quæ dam urbania:eteorum,quo urbana vocamus,quo dam
pesaethirsuta,quædam lubricaetreburrasenti mus. La traduzione del Trissino va raddrizzatacosi:edi
questi alcuni silvestri,e alcuni cittadineschi;e di quelli che chiamiamo
cittadineschi, alcuni pettinati e irsuti, alcuni lubricierabbuffati. Altrihanno
invece:quædam pexaet lubrica, quædam hirsutaetreburra:cioèal cunipettinati e
lubrici (ossia scorrenti),alcuni irsuti e rabbuffati., nanzia è superflua; per
ciò che si come ne le grandi opere alcune sono opere di magnanimità, altre di
fumo, ne le quali avvenga che così di sopra via paja un certo ascendere,a chi
però con buona ragione esse considera, non ascendere, m a più tosto ruina per
alti precipizj essere g i u dicherà; con ciò sia che la limitata linea de la
virtù si trapassi. Guarda adunque, lettore, quanto per scegliere le egregie
parole ti sia bisogno di crivellare; per ciò che se tu consi deri il Volgare
Illustre, il quale i Poeti Vol gari, che noi vogliamo ammaestrare, denno (come
di sopra si è detto) tragicamente usare, averai cura, che solamente i
nobilissimi vocaboli nel tuo crivello rimangano. Nel numero dei quali ne i
puerili per la loro simplicità, com'è mamma e babbo,mate epate,per niun modo
potrai collocare; nè anco i feminili, per la loro mollezza, come è dolciada e
placevole; nè i contadineschi per la loro austerità, come è gregia e gli altri;
nè i cittadineschi, che siano lubrici e rabuffati, come è femine e corpo, vi si
denno porre. Solamente adunque i citta dineschi pettinati et irsuti vedrai che
ti resti no, i quali sono nobilissimi, e sono membra del Volgare Illustre. E
noi chiamiamo pettinati quelli vocaboli, che sono trisillabi, o vero v i
cinissimi al trisillabo, e che sono senza aspi razione, senza accento acuto, o
vero circum flesso, senza z nè a duplici, senza gemina zione di due liquide, e
senza posizione, in cui Qucecampsarenon possumus, cioèchenonsipos sono
scansare. la muta sia immediatamente posposta, e che fanno colui che parla
quasi con certa soavità rimanere, come è amore, donna, disio, virtute, donare,
letizia, salute, securitate, difesa. Ir sute poi dicemno tutte quelle parole,
che oltra queste sono o necessarie al parlare illustre, ornative di esso. E
necessarie chiamiamo quel le che non possiamo cambiare 1; come sono al cune
monosillabe, cioè si, vo, me, te, se, A, E, I, O, U; e le interjezioni, et altremolte.
Ornative poi dicemo tutte quelle di molte sillabe, le quali mescolate con le
pettinate fanno una bella armonia nella struttura, quantunque abbiano asperità
di aspirazioni, di accento, e di duplici, e di liquide, e di lunghezza, come è:
terra, onore, SPERANZA, gravitate, alleviato, impossibilitate,
benavventuratissimo, avventuratissimamente, disavventuratissimamente, sovramagnificentissimamente,
il quale vocabolo è endecasillabo. Potrebbesi ancora trovare un vocabolo, o
vero parola, di più sillabe, m a perchè egli passerebbe la capacità di tutti i
nostri versi, però a la presente ragione non pare opportuno; come è
onorificabilitudinitate, il quale in volgare per dodeci sillabe si compie; et in
grammatica per tredeci, in dui obliqui però. In che modo poi le pettinate siano
da es sere ne i versi con queste irsute armonizate, lascieremo ad
insegnarsi di sotto.E questo che si è detto de l'altezza dei vocaboli, ad ogni
gentil discrezione 1 sarà bastante. Ra preparate le legne e le funi, è tempo da
legare il fascio; ma perchè la cogni zione di ciascuna opera dee precedere a la
ope razione,laquale ècome segno avanti iltrarre de la sagitta,ovvero del dardo;
però prima,e principalmente veggiamo qual sia questo fascio, che volemo legare.
Questo fascio adunque bene ci ricordiamo tutte le cose trattate) è la Canzone; eperòveggiamochecosasia
Canzone, e che cosa intendemo quando dicemo Canzone. La Canzone dunque,secondo
la vera significa zione del suo nome, è essa azione o vero pas sione del
cantare; sì come la lezione è la pas sione o vero azione del leggere; m a
dichiariamo quello che si è detto, cioè, se questa si chiama Canzone, in quanto
ella sia azione o in quanto passione del cantare. Circa la qual cosa è da
considerare, che la Canzone si può prendere in dui modi, l'uno de li quali modi
è, secondo "Ingenuce discretioni,cioè ad ogni non viziato di scernimento.,
Che cosa è Canzone, e che in più maniere può variarsi. o tuono, o
nota, o melodia. E niuno trombetta, o organista, o citaredo chia m a il canto
suo Canzone, se non in quanto sia accompagnato aqualche Canzone;ma quelli che
compongono parole armonizate, chiamano le opere sue Canzoni.Et ancora che tali
pa role siano scritte in carte e senza niuno che le proferisca, si chiamano
Canzoni; e però non pare che la Canzone sia altro, che una c o m che ella è fabbricata dal suo autore; e così è
azione; e secondo questo modo Virgilio nel primo de l'Eneida dice, lo canto l'arme e l'uomo. L'altro modo è,
secondo il quale ella da poi che è fabbricata si proferisce, o da lo autore, o
da chi che sia,o con suono,osenza,ecosì è passione. E perchè allora da altri è
fatta, et ora in altri fa, e così allora azione, et ora passione essere si
vede.Ma conciò sia che essa è prima fatta,e poi faccia;pero più tosto,anzi al
tutto par che si debbia nominare da quello che ella è fatta, e da quello che
ella è azione di alcuno,che da quello che ella faccia in altri. Et il segno di
questo è, che noi non dicemo mai, questa Canzone è di Pietro perchè esso la
proferisca, m a perchè esso l'abbia fatta. O l tre di questo è da vedere, se si
dice Canzone la fabbricazione de le parole armonizate, o vero essa modulazione,
o canto; a che dicemo, che mai il canto non si chiama Canzone, ma 0
suono, piuta azione di colui, che detta parole a r m o nizate, et atte al
canto. Laonde così le Canzo ni, che ora trattiamo, come le Ballate e Sonetti, e
tutte le parole a qualunque modo armoni zate, o volgarmente, o regulatamente,
dicemo essere Canzoni; m a perciò che solamente trat tiamo le cose volgari,però
lasciando le regulate da parte,dicemo,che dei poemi volgari uno ce n'èsupremo, il
quale persopraeccellenziachia miamo Canzone;
Donne, che avete intelletto di amore. E così è manifesto che cosa sia
Canzone,e se condo che generalmente si prende, e secondo che per
sopraeccellenzia la chiamiamo. Et a s sai ancora pare manifesto che cosa noi
inten demo,quandodicemoCanzone;e consequente Meglio forse, quiealtrove, un
collegamento (conjugatio), che la Canzone sia una cosa suprema, nel terzo
Capitolo di questo Libro è provato;ma conciò sia che questo,che è dif finito,
paja generale a molti, però risumendo detto vocabolo generale,che già è
diffinito,di stinguiamo per certe differenzie quello che so lamente cerchiamo.Dicemo
adunque che la Canzone,la quale noi cerchiamo,in quanto che per
sopraeccellenzia è detta Canzone, è una con giugazione 1 tragica di Stanzie
equali senza risponsorio, che tendono ad una sentenzia, come noi dimostriamo
quando dicemmo 2 2Iltestolatinoha:utnosostendimus,cum diximus.
mente qual sia quel fascio,che vogliamo legare. Noi poi dicemo, che ella
è una tragica congiu gazione; perciò che quando tal congiugazione si fa
comicamente, allora la chiamiamo per diminuzione cantilena, de la quale nel
quarto Libro di questo avemo in animo di trattare. Stanzie,e non sapendosi che cosa sia Stan zia,
segue di necessità, che non si sappia a n cora che cosa sia Canzone; perciò che
de la cognizione de le cose, che diffiniscono, resul ta ancora la cognizione de
la cosa diffinita, e però consequentemente è da trattare de la Stanzia, accio
che investighiamo, che cosa essa si sia, e quello che per essa volemo
intendere. Ora circa questo è da sapere, che tale voca bolo è stato per
rispetto de l'arte sola ritro vato; cioè perchè quello si dica Stanzia, nel
quale tutta l'arte de la Canzone è contenuta, e questa è la Stanzia capace,
overo il recettacolo di tutta l'arte; perciò che sì come la Canzone è il grembo
di tutta la sentenzia,così la Stan zia riceve in grembo tutta l'arte; nè è
lecito di arrogere alcuna cosa di arte a le Stanzie s e quenti; m a solamente
si vestono de l'arte de la. Quali siano le principali parti de la Canzone, e
che la Stanzia n'è la parte principalissima. Ssendo la Canzone una
congiugazione di prima: il perchè è manifesto, che essa Stanzia (de
la qual parliamo ) sarà un termine, o vero una compagine di tutte quelle cose,
che la Canzone riceve da l'arte;le quali dichiarite, il descrivere che
cerchiamo,sarà manifesto.Tutta l'arte adunque de la Canzone pare, che circa tre
cose consista, de le quali la prima è circa la divisione del canto, l'altra circa
la abitu dine1deleparti, laterzacircailnumero dei versi e de le sillabe; de le
rime poi non face mo menzione alcuna;perciò che non sono de la propria arte de
la Canzone.È lecito certamente in cadauna Stanzia innovare le rime, e quelle
medesime a suo piacere replicare; il che, se la rima fosse di propria arte de
la Canzone, le cito non sarebbe.E se pur accade qualche cosa de le rime
servare, l'arte di questo ivi si con tiene,quando diremo de la abitudine de le
parti. Il perchè così possiamo raccogliere da le cose predette, e diffinire,
dicendo, la Stanzia è una compagine 2 diversi e di sillabe, sotto un certo
canto, e sotto una certa abitudine limitata. 2 Il testo latino ha: limitatam
compaginem. La voce abitudine, qui e altrove, significa propor zione,
disposizione. S ne la Canzone. Che sia il canto de la Stanzia, e che la Stanzia
si varia in parecchi modi Apendo poi che l'animale razionale è uomo, e che
sensibile è l'anim a, et il corpo è animale; e non sapendo che cosa si sia
quest'a nima, nè questo corpo,non possemo avere per
fettacognizionedel'uomo;perciòchelaperfetta cognizione di ciascuna cosa termina
ne gli ul timi elementi, sì come il maestro di coloro che sanno, nel principio
de la sua Fisica affer ma.Adunque pera vere la cognizione dela Canzone, che
desideriamo, consideriamo al presente sotto brevità quelle cose,che diffiniscano
il dif finiente di lei; e prima del canto,da poi de la abitudine,e poscia de i
versi e de le sillabe in vestighiamo.Dicemo adunque,che ogni Stanzia è
armonizata a ricever una certa oda, o vero canto; ma pajono esser fatte in modo
diverso, che alcune sotto una oda continua fino a l’ul timo procedeno, cioè
senza replicazione di al cuna modulazione, e senza divisione;e dicemo divisione
quella cosa, che fa voltare di un'oda in un'altra;la quale quando parliamo col VULGO,
chiamiamo Volta.E questeStanziediun'oda sola Daniello usò quasi in
tutte le sue Canzoni; e noi avemo esso seguitato quando dicemo, · Il testo ha
syrma, che è quanto dire strascico.
Al poco giorno,& al gran cerchio d'ombra. Alcune Stanzie sono poi,
che patiscono divi sione. E questa divisione non può essere nel modo che la
chiamiamo, se non si fa replica zione di una oda o davanti la divisione, o da
poi, o da tutte due le parti, cioè davanti e da poi. E se la repetizion de
l'oda si fa avanti la divisione, dicemo, che la Stanzia ha piedi; la quale ne
dee aver dui; avegna che qualche volta se ne facciano tre, ma molto di rado.Se
poi essa repetizion di oda si fa dopo la divi sione, dicemo la Stanzia aver
versi. M a se la repetizione non si fa avanti la divisione,di cemo la Stanzia
aver fronte; e se essa non si fa da poi,la dicemo aver sirima?,o vero coda.
Guarda adunque, lettore, quanta licenzia sia data a li poeti che fanno Canzoni;
e considera per che cagione la usanza si abbia assunto si largo arbitrio; e se
la ragione ti guiderà per dritto calle, vederai, per la sola dignità de
l'autorità essergli stato questo,che dicemo con cesso.Di qui adunque può essere
assai mani festo a che modo l'arte de le Canzoni consista circa la divisione
del canto; è però andiamo a la abitudine de le parti.e de la distinzione
de'versi che sono da porsi nel componimento. tudine,sia grandissima parte di
quello,che è de l'arte; perciò che essa circa la divisione del canto, e circa
il contesto dei versi, e circa la relazione de le rime consiste; il perchè a p
pare, che sia da essere diligentissimamente trat tata.Dicemo adunque,che la
fronte coi Versi 1, et i piedi con la sirima, o vero coda, e pari mente i piedi
co i Versi possono diversamente ne la Stanzia ritrovarsi; perciò che alcuna fia
ta la fronte eccede i Versi, o vero può ecce dere di sillabe e di numero di
versi; e dico può, perciò che mai tale abitudine non avemo veduta. Alcune fiate
la fronte può avanzare i Versi nel numero de i versi, et essere da essi Versi
nel numero de le sillabe avanzata; come 1 Trissino traduce con la stessa voce
verso tanto il carmen che da Dante fu usato nel significato proprio e comune di
verso, quanto il versus che fu invece usato da lui per indicare una data parte
della stanza,che consta d'un certo numero di versi. Per togliere ogni equivoco
noi stamperemo in corsivo e con l'iniziale maiuscola la parola Verso quando
corrisponde al latino versus. De la abitudine de la Stanzia, del numero de
ipiedi e de le sillabe, noi pare, che questa che chiamiamo abi, se la fronte
fosse di cinque versi, e ciascuno dei Versi fosse di due versi, et i versi de
la fronte fosseno di sette sillabe,e quelli de i Versi fosseno di undeci
sillabe. Alcuna altra volta i Versi avanzano la fronte di numero di versi e di
sillabe come in quella che noi dicemmo, Ove la fronte di quattro versi fu di
tre ende casillabi e di uno eptasillabo contesta:la quale non si può dividere
in piedi; conciò sia che i piedi vogliano essere fra sè equali di numero di
versi, e di numero di sillabe,come vogliono essere frà sè ancora i Versi. M a
siccome dice mo, che i Versi avanzano di numero di versi e di sillabe la fronte,
così si può dire, che la fronte in tutte due queste cose può avanzare i Versi;
come quando ciascuno de i Versi fosse di due versi eptasillabi, e la fronte
fosse di cinque versi; cioè di due endecasillabi e di tre eptasillabi contesta.
Alcune volte poi i piedi avanzano la sirima di versi e di sillabe, come in
quella che dicemmo, Et alcuna volta i piedi sono in tutto da la si rima
avanzati; come in quella che dicemmo,
Donna pietosa, e di novella etate. E si come dicemmo, che la fronte può
vincere di versi, et essere vinta di sillabe, et al con Traggemi de la
mente amor la stiva. Amor, che movi tua virtù dal cielo.trario; così dicemo la
sirima. I piedi ancora ponno di numero avanzare i Versi, et essere da essi
avanzati; perciò che ne la Stanzia pos sono essere tre piedi e dui Versi, e dui
piedi e tre Versi; nè questo numero è limitato, che non si possano più piedi e
più Versi tessere insieme. E siccome avemo detto ne le altre cose de lo
avanzare de i versi e de le sillabe, così dei piedi e dei Versi dicemo, i quali
nel medesimo modo possono vincere, & essere vinti. Nè è da lasciare da
parte, che noi pigliamo i piedi al contrario di quello che fanno i Poeti
regulati; perciò che essi fanno il verso de i piedi, e noi dicemo farsi i piedi
di versi, come assai chiaramente appare. Nè è da lasciare da parte, che di
nuovo non affermiamo, che i piedi di necessità pigliano l'uno da l'altro la
abitudine et equalità di versi e di sillabe, perciò che altramente non si
potrebbe fare repetizione di canto. E questo medesimo affermiamo doversi servare
nei Versi. De la qualità de i versi, che ne la Stanzia si pongono, e del numero
de le sillabe ne i versi. Cci ancora (come di sopra si è detto) una certa
abitudine, la quale quando tessemo iversi devemo considerare;ma acciò che
di E, quella con ragione trattiamo,repetiamo quello che di sopra avemo
detto de i versi; cioè che ne l'uso nostro par che abbia prerogativa di essere
frequentato lo endecasillabo, lo eptasil labo, et il pentasillabo; e questi
sopra gli altri doversi seguitare affermiamo. Di questi adun que,quando volemo
far poemi tragici, lo endecasillabo, per una certa eccellenzia che ha nel
contessere, merita privilegio di vincere; e però alcune Stanzie sono che di
soli endecasillabi sono conteste, come quella di Guido da Fiorenza, Donna mi
prega, perch'io voglio dire. Donne, che avete
intelletto di amore. Questo ancora li Spagnuoli hanno usato, e dico li
Spagnuoli che hanno fatto poemi nel volgare Oc. Amerigo de Belmi, Nuls h o m non pot complir adreitamen. Altre Stanzie sono, ne le quali uno solo epta
sillabo sitesse;e questo non può essere,se non ove è fronte, o ver sirima,
perciò che (co me sièdetto)neipiedieneiVersisiri cerca equalità di versi e di
sillabe. Il perchè ancora appare, c h e il numero disparo dei versi non può
essere se non fronte o coda; ben chè in esse a suo piacere si può usare paro, o
disparo numero deiversi.E così come al Et ancora noi dicemo:cuna Stanzia
è di uno solo eptasillabo formata, così appare,che con dui,tre,o quattro si
possa formare; pur che nel tragico vinca lo endecasillabo,e da esso
endecasillabo si co minci.Benchè avemo ritrovatialcuni,chenel tragico hanno da
lo eptasillabo cominciato, cioè Guido de iGhislieri,e Fabrizio Bolognesi, Et
alcuni altri.Ma se al senso di queste Can zoni vorremo sottilmente intrare,
apparerà tale tragedia non procedere senza qualche ombra di elegia. Del
pentasillabo poi non concedemo a questo modo; perciò che in un dettato grande
basta in tutta la Stanzia inserirvi un pentasil labo, ovver dui al più ne
i piedi; e dico ne i piedi, per la necessità !, con la quale i piedi et i versi
si cantano; ma b e n non pare che nel tragico si deggia prendere il trisillabo,
che per sè stia;e dico,che per sè stia;perciò che per una certa repercussione
di rime pare, che frequen Propter necessitatem,qua pedibusque versibusque
cantatur; per la necessità che nei piedi e nei Versi si deve cantare.
(Fraticelli.) E, E, 1 Di fermo
sofferire, Donna,lofermocuore, Lo mio
lontano gire. temente si usi; come si può vedere in quella Canzone di Guido
fiorentino, Donna mi prega, perch'io
voglio dire, Poscia che amor del tutto m 'ha lasciato. Nè ivi è per sè in tutto
ilverso,ma è parte de lo endecasillabo, che solamente a la rima del precedente
verso a guisa di Eco risponde. E quinci tu puoi assai sufficientemente
conoscere, o lettore,come tu dei disponere, o vero abituare la Stanzia; perciò
che la abitudine pare che sia da considerare circa i versi. E questo ancora
principalmente è da curare circa la disposizione de i versi: che se uno
eptasillabo si inserisce nel primo piede,che quel medesimo loco,che ivi piglia
per suo, dee ancora pigliare ne l'altro; verbigrazia, se 'l piè di tre versi ha
il primo et ultimo verso endecasillabo,e quel di mezzo, cioè il secondo,
eptasillabo, così il secondo piè dee avere gli estremi endecasillabi, et il
mezzo eptasillabo; perciò che altrimenti stando, non si potrebbe fare la
geminazione del canto,per usodelqualesi fannoi piedi,come sièdetto;e consequentemente
non potrebbono essere piedi. E quello che io dico de i piedi, dico parimente de
i Versi; perciò che in niuna cosa vedemo i piedi essere differenti da i
Versi,se non nel sito; perciò che ipiedi avanti ladivisione della Stan zia,ma i
Versi dopo essa divisione si pongono., Et in quella che noi dicemmo: De la
relazione de le rime, e con qual ordine ne la Stanzia si denno porre. T
dealcuna cosa al presente non trattando però de la essenzia loro; perciò che il
proprio trat tato di esse riserbiamo, quando de i mediocri poemi diremo.Ma nel
principio di questo Ca pitolo ci pare di chiarire alcune cose di esse; de le
quali una è, che sono alcune Stanzie, ne le quali non si guarda a niuna
abitudine di rime, e tali Stanzie ha usato frequentissima mente Daniello,come
ivi, Si m fos amors de joi donar tan
larga? E noi dicemo, L'altra cosa è che
alcune Stanzie hanno tutti i versi di una medesima rima, ne le quali è
superfluo cercare abitudine alcuna; e così resta che circa le rime mescolate
solamente debbia mo insistere;in che e da sapere,che quasi Et ancora sì
come si dee fare ne i piedi di tre versi, così dico doversi fare in tutti gli
altri piedi. E quello che si è detto di uno endeca sillabo, dicemo parimente di
dui e di più, e del pentasillabo, e di ciascun altro verso. Alpocogiorno, &
algrancerchiod'ombra. Il testo LATINO ha: qui suas multaset bonas cantiones
nobis ore tenus intimavit. Fraticelli traduce: ci canto a voce, ossia ci canto
improvvisando. tutti i Poeti si hanno in cið grandissima licen zia
tolta;conciò sia che quinci la dolcezza de l'armonia massimamente risulta.Sono
adun que alcuni, i quali in una istessa Stanzia non accordano tutte le
desinenzie de i versi; m a alcune di esse ne le altre Stanzie repetiscono, o veramente
accordano; come fu Gottoman tuano, il quale fin qui ci ha molte sue buone
Canzoni intimato Costui sempre tesseva ne la Stanzia un verso scompagnato, il
quale essò nomina chiave. E come diuno, così è lecito di dui e forse di più.
Alcuni altri poi sono, e quasi tutti i trovatori di Canzoni, che ne la Stanzia
mai non lasciano alcun verso scompa gnato, al quale la consonanzia di una o di
più rime non risponda. Alcuni poscia fanno le rime de i versi, che sono avanti
la divisione, diverse da quelle dei' versi, che sono dopo essa; et altri non lo
fanno; ma le desinenzie de la pri ma parte de la Stanzia ancor ne la seconda in
seriscono. Non di meno questo spessissime volte si fa, che con l'ultimo verso
de la prima parte, il primo de la seconda parte ne le desinenzie s'accorda; il
che non pare essere altro, che una certa bella concatenazione di essa stanzia.
La abitudine poi de le rime,che sono ne la fronte e ne la sirima,è sì ampla,
che 'l pare che ogni atta licenzia sia da concedere a ciascuno, m a non di
meno le desinenzie de gli ultimi versi sono bellissime, se in rime accordate si
chiudeno; il che però è da schifare ne i piedi, ne i quali ritroviamo essersi
una certa abitudine servata; la quale dividendo dicemo, che il primo piè di
versi pari, o dispari, si fa; e l'uno e l'altro può essere di desinenzie
accompagnate,o scom pagnate; il che nel pie diversi pari non è dubbio; m a se
alcuno dubitasse in quello di dispari, ricordisi di ciò che avemo detto nel
Capitolo di sopra del trisillabo,quando essendo parte de lo endecasillabo, come
Eco risponde. E se la desinenzia de la rima in un de i piedi è sola, bisogna al
tutto accompagnarla ne l'al tro; ma se in un piede ciascuna dele rime è
accompagnata, si può ne l'altro o quelle ripe tere, o farne di nuove,o tutte,o
parte, secondo che a l'uom piace,pur che in tutto si servi l'ordine del
precedente: verbigrazia, se nel primo piè di tre versi le ultime desinenzie
s'accordano con le prime, così bisogna accor darvisi quelle del secondo; e se
quella di mezzo nelprimo piè è accompagnata, oscompagnata; così parimente sia
quella di mezzo nel secondo piè; e questo è da fare parimente in tutte le altre
sorti di piedi. Ne i Versi ancora quasi sempre è a serbare questa legge; e
quasi s e m pre dico, perciò che per la prenominata con catenazione,e per la
predetta geminazione de le ultime desinenzie,ale volte accade il detto or
8 Il testo latino ha: cum in isto libro nil ulterius de r i t h i morum
doctrina tangere intendamus. E si dovrebbe tradurre: che in questo libro non
vogliamo parlar pivo della dottrina delle rime. Nel Corbinelli questo ultimo
capitolo è diviso in due. Il decimoterzo finisce con le parole: tanta
sufficiant. (a bastanza è.); e il decimoquarto comincia con le parole: di ne
mutarsi. Oltre di questo ci pare conve nevol cosa aggiungere a questo capitolo
quelle cose che ne le rime si denno schifare, conciò sia che in questo libro
non vogliamo altro che quello che si dice della dottrina de le rime toccare
Adunque sono III cose, che circa la posizione di rime non si denno frequentare
da chi compone illustri poemi. L’una è la troppa repetizione di una rima, salvo
che qualche cosa nuova ed intentata de l'arte ciò non si assuma, come il giorno
de la nascente milizia, il quale si sdegna lasciare passare la sua giornata
senza alcuna prerogativa. Questo pare che noi abbiamo fatto ivi. Amor, tu vedi
ben, che questa donna. La seconda è la inutile equivocazione la qual sempre
pare che toglia qualche cosa a la sentenza. La terza è l'asperità dele rime,
salvo che le non siano con le molli mescolate, per ciò che per la mescolanza delle
rime aspere e delle molli la tragedia riceve splendore. E questo dell’arte,
quanto a l'abitudine si ricerca, a bastanza è. Avendo quello che è de l'arte [Il
testo latino ha: discretionem facere che qui vale trattare partitamente della
Canzone assai sufficientemente trattato, ora tratteremo del terzo, cioè del
numero di versi e delle sillabe. E prima alcune cose ci bisognano vedere
secondo tutta la stanza, e altre sono da dividere, le quali poi secondo le
parti loro vederemo. A noi adunque prima s’appartiene fare separazione di
quelle cose, che ci occorrono da cantare. Perciò che alcune stanze amano la
lunghezza e altre no. Con ciò sia che tutte le cose che cantiamo, o circa il
destro o circa il sinistro si canta, cioè che alcuna volta accade suadendo,
alcuna volta dissuadendo cantare, e alcuna volta allegrandosi, alcuna volta con
ironia, alcuna volta in laude e altra in vituperio dire. E però le parole, che
sono circa le cose sinistre, vadano sempre con fretta verso la fine, le altre
poi con longhezza condecente vadano passo passo verso l'estremo Ex quo quo sunt
artis. Avendo quello che è de l'arte. Ed ha il titolo seguente: De numero car
minum et syllabarum in Stantia. Del numero dei versi e delle
sillabe nella stanza.). Grice: “Alighieri’s theory of language is a simple one
– hardly as sophisticated as that of the Stoics. We communicate the passions of
our souls – And he concludes that it’s the Toscani who communicate best, even
if ‘tosco’ means ‘rough’ in Toscano!” -- Alighieri. Keywords: lingua
del si, la divina implicitura, lasciate ogne [sic] speranza voi ch’entrate,
inferno – section on ‘divina commedia’ in philosophical dictionaries. ‘inferno’
catabasis, -- la catabasis d’Enea di Virgilio -- Refs.: Luigi Speranza, “Grice ed Alighieri” –
The Swimming-Pool Library, Villa Speranza.
Luigi Speranza -- Grice
ed Aliotta: all’isola: la ragione conversazionale e l’implicatura
conversazionale dell’esperienza – la scuola di Palermo -- filosofia siciliana –
filosofia italiana – Luigi Speranza (Palermo). Filosofo
siciliano. Filosofo italiano. Palermo, Sicilia. Grice: “I like Aliotta; he has
philosophised on most things I’m interested in: ‘la guerra eterna’ is a bit of
a hyperbole if you go by a principle of helpfulness, but that’s Aliotta! – He
has focused on Lucrezio, which is fine – But he has also studied ‘colloquenza
romana’ systematically – and more into the Italian rather than Roman idiom, he
has explored Galileo (not the father, thouh: “Some like Galileo Galiei, but
Vincenzo Galilei is MY man); he is also like me a ‘philosophical psychologist,’
along the lines of Stout and Wundt, that is – he as given proper due to the
idea of ‘esperienza’ – unlike Oakeshott, who abuses of the notion! – and
indeed, others see his attachment to ‘esperienza’ as an ‘ism’ (lo
sperimentalismo). He has also discussed
the semiotics of Vico, and the idea of life-form, following Witters (‘cricket
come forme di vita’). And he has explored one intriguing idea, that the so-called
‘meaning’ of life (‘il significato del mondo,’ actually) is that of
‘sacrificio’ which is very fine with me – but then it would, since I like
‘Another country’ – the ‘sacrifice’ Dei Lincei, nonché dell'Accademia
Pontaniana e della Società Nazionale di Scienze, Lettere e Arti. Fonda la rivista di
filosofia “Logos”. Allievo di TOCCO (si veda) e SARLO (si veda), è influenzato
molto dalla concezione della conoscenza scientifica del secondo, che si riface
alle teorie di Brentano. Si interessa in
particolar modo alla psicologia e l’epistemologia. Tra i suoi allievi vi sono ABBAGBABI (su
veda), Carcano, Carbonara, Lazzarini, Martano, Marzi, Petruzzellis, Sciacca, e Stefanini,
anche se la sua indole non dogmatica e aperta a diverse culture e suggestioni
non da luogo alla formazione di una vera e propria scuola riferibile al suo
nome, ma incoraggia i suoi allievi a indirizzarsi su percorsi culturali
autonomi, emancipandosi dall'egemonia esercitata dall’idealismo di Croce e di
Gentile. Al suo magistero può essere
associato anche la figura di Musatti, che si indirizza allo studio della
psicologia dopo aver assistito alle lezioni sull'argomento tenute d’A. a Padova,
divenne socio dell'Accademia delle scienze di Torino. A lui è intitolato il dipartimento di
filosofia di Napoli. Nella sua prima fase, prettamente psicologica, A, afferma
che un fatto psichico non puo essere quantificata come avviene con un fatto naturale
fisico esistente e misurabile, in quanto un fatti psichico e un elemento
costitutivi della coscienza. La psicologia, perciò, essendo una scienza
empirica che studia un fatto psichico interno al soggetto, si serve del metodo
dell'INTROSPEZIONE -- riferendosi a una formulazione matematica al solo scopo
simbolico (cf. Grice, “Personal Identity”). La particolare concezione della
conoscenza dell'autore, intesa né come esistente in sé, né come iscritta nel
processo dialettico del pensiero, lo allontana sia dalle posizioni positiviste
che da quelle idealiste. Nella sua filosofia
emerge una visione contraria all'idealismo. Né Hegel, nemmeno Fichte, né tanto
meno Schelling col loro proposito di racchiudere tutta la realtà nel pensiero,
sebbene con sfumature diverse, soddisfano A., che invece paragona il pensiero a
un processo VIVENTE, costruito da tanti centri individuali tesi verso una
armonia, continuatrice dei fenomeni dell'universo. A. si sofferma sulla co-ordinazione
o co-operazione delle conoscenze, sulle intese fra al meno due persone, sulla
sintesi della scienza e soprattutto sulla ricerca filosofica a cui assegna il
compito particolare di supervisione dei campi di conoscenza con il fine di
limitarne i dissidi e di ampliare, il più possibile, il punto di vista delle
scienze particolari. A. afferma che l'unico metodo che consente la ricerca
della verità sia l'esperimento. La verità stessa non è assoluta e unica ma
prevede vari livelli, i superiori dei quali sfruttano e inglobano quelli
inferiori. La ricerca filosofica possiede, secondo l'autore, un formidabile
strumento di indagine e di verifica che si chiama "storia". In alcuni saggi ("Il sacrificio come significato del
mondo”) A. sembra avvicinarsi a un modello di pensiero a metà strada tra il
pragmatismo e lo spiritualismo, nel quale mette in rilievo l'esperienza morale
e il sacrificio – l’eroe di J. O. Urmson -- considerato come l'esempio di re-alizzazione
più elevato, sia per l'individuo sia per la collettività – la diada eroica
d’Eurialo e Niso. L'affermarsi dello sperimentalismo produce in A. una serrata
critica all'astratto intellettualismo nonché apre la strada alla ricezione di
studi avanzati sulla cosiddetta 'filosofia scientifica', in un panorama di
reazione idealistica contro la scienza e di graduale affermazione in Italia di
scienze come la sociologia (Rinzivillo, A.. L'idea scientifica dello
sperimentalismo in Una epistemologia senza storia, Roma, Nuova Cultura. Altri
saggi: “Platone”, “Aristotele”; “LUCREZIO”; “Epitteto”. La reazione idealistica
contro la scienza; La guerra eterna e il dramma dell'esistenza; L'estetica di
Kant e degl’idealisti romantici; Il sacrificio come significato del mondo; Il
relativismo dell'idealismo e la teoria di Einstein”; “Evoluzionismo e
spiritualismo”; “Il problema del divino e il nuovo pluralismo”; “Le origini
dell'irrazionalismo”; “Filosofi tedeschi”; “Critica dell'esistenzialismo”; “L'estetica
di CROCE e la crisi dell'idealismo”; “Il nuovo positivismo e lo
sperimentalismo”; “Relatività” (Sansoni Editore). Belardinelli, in Dizionario
Biografico degl’Italiani, accademia delle scienze Abbagnano, Dizionario di
filosofia, Torino, Pomba, Abbagnano, Dizionario di filosofia, Torino, Pomba, Sciacca, Lo sperimentalismo di A., Napoli,
Abbagnano A., in "Rivista di Filosofia", Dentone, Il problema morale
e religioso in A., Napoli, Mecacci, A., in Cimino, Dazzi, La psicologia: i protagonisti e i
filosofici (Milano, LED); Enciclopedia Italiana, Appendice, Roma, Istituto
dell'Enciclopedia italiana Treccani, Roma, Enciclopedia Italiana, Istituto
dell'Enciclopedia Italiana. A., su open MLOL,
Horizons Unlimited srl. A. consultabili nell'Archivio di Storia della
Psicologia, su archivio di storia psicologia roma Filosofia Filosofo Accademici
italiani Professore Palermo Napoli Accademici dei Lincei Professori Università
degli Studi di Napoli Federico II Membri dell'Accademia delle Scienze di Torino.
LIMENTANI MASNOVO LEVI MARESCA VOLPE LAMANNA LA FILOSOFIA IN ITALIA, PERRELLA, NAPOLI,Città
di Castello, Società Anonima, Vinci. Il saggio, che è l'estratto di Logos, non
vuol essere una visione sintetica della filosofia italiana da un punto di vista
unico, ma solo una guida analitica allo studio di essa con informazioni
bibliografiche. Chi vuole orientarsi nel LABIRINTO DELLA FILOSOFIA ITALIANA può
trovare nel volume del Sommario di Storia della Filosofia ( Napoli, Perrella) IL
FILO D’ARIANNA che lo guida attraverso il cammino della filosofia italiana, che
dal positivismo con una progressiva eliminazione d’ogni realtà trascendente
giunge all'assoluta immanenza dell’idealismo attuale per ritornare poi
insoddisfatto a una nuova affermazione della trascendenza. L’idealismo assoluto
ormai declina verso il tramonto. Una nuova forma di realismo albeggia
all'orizzonte. La crisi della guerra conduce molti spiriti verso
l'irrazionalismo scettico-mistico, quando non li persuade a rifugiarsi nella
tradizione cattolica. Noi siamo fermamente convinti che è sterile ogni
tentativo di ritorno al passato, perchè è negazione della storia. Crediamo che
la speculazione, se vuol essere feconda, deve procedere sulla via tracciata
dallo sviluppo della filosofia moderna. Un realismo che pretendes ritornare
all’immobilità delle essenze platoniche, che togliesse alla coscienza ogni
efficacia reale nella costruzione del mondo della realtà e della verità,
facendone solo una luce che rischiara ciò che è fatto ab aeterno; un realismo
insomma del tipo di quello che è l’ultima moda tedesca, toglie alla vita ogni
significato, facendoci perdere le migliori conquiste della filosofia moderna.
Ci auguriamo che IL GENIO ITALIANO rimane immune da quella brutta moda e si
mantiene sulla linea gloriosa del suo rinascimento, che è affermazione
dell’attività dell'uomo nel mondo concreto della sua esperienza. Contro il dogmatismo
platonico, le sottigliezze scolastiche, le nebbie mistiche, le negazioni
scettiche, contro tutti gl’arbitrii della fantasia e della ragione a priori non
vi è che un solo metodo sicuro, cioè l’esperimento storico delle nostre umane
verità. Napoli, A. Prego di perdonare qualche omissione. Una sopratutto debbo
segnalarne: quella del nome di RENDA (si veda) che per la finezza dei suoi
studii di psico- dissociazione psicologica, Torino; Le passioni, Torino; L
oblio, Torino, è tra i migliori positivisti. Nella seconda fase del suo
pensiero Renda si è accostato all’idealismo assoluto e alla filosofia
dell’azione di Blondel col suo libro La validità della religione, Città di
Castello. Dice LIMENTANI (si veda) nel
Positivismo italiano, che le difficoltà che s’incontrano in una rassegna del ‘positivismo’
italiano dipendono, in primo luogo, dall’incerto significato del nome stesso,
onde puo essere ugualmente designate come POSITIVA, filosofia -- della quale
sembra più interessante mettere in luce le caratteristiche differenziali che
non i tratti comuni. I positivisti non si definiscono come tali per la concorde
adesione a una rigida dottrina, o per la collaborazione consapevole alla
costruzione di un sistema ben determinato: si tratta piuttosto di un indirizzo
metodico, di una forma mentale che impronta di sè non solamente la ricerca
filosofica propriamente detta, ma l’intiero mondo della cultura. Il positivismo
ripone e ricerca la verità nel fatto, intende la conoscenza come relativa, la
esperienza come unica fonte del sapere e ultimo criterio della certezza,
ritiene che la cognizione filosofica non sia diversa per natura dalla
scientifica, e anche non possa se non prepararla e integrarla, assume di fronte
ai problemi della metafisica un atteggiamento agnostico o semplicemente
negativo, concepisce la natura come universale meccanismo, escludendone la teleologia
e, pure affermando la irreducibile diversità della materia dallo spirito, non
crede che da ciò rimanga spezzata la unità e interrotta la continuità del
reale, interpetra il mondo dei valori come prodotto della evoluzione
psicologica, e dei valori stessi domanda la spiegazione e la giustificazione
alle leggi della psicologia. Ma l’accordo che può anche essere parziale sopra
questi principii non esclude la possibilità di svolgimenti molteplici e
autonomi, perchè i principii stessi valgon piuttosto a dirigere nella selezione
e nella discussione dei problemi, che non ad anteciparne in concreto la
soluzione: onde, chi voglia essere cronista esatto del vasto e vario movimento,
si trova di necessità a ravvicinare pensatori che si sono reciprocamente ignorati
e che proverebbero senza dubbio grande maraviglia di trovarsi messi insieme:
particolarmente in Italia il positivismo è affermazione perenne della libertà
filosofica, sì che sembra vano ogni tentativo di esprimerlo con una formula, e
si manifesta la necessità di determinarne la fisionomia, considerando in modo
distinto la operosità de’ suoi seguaci. E tale necessità risulta ancora dal
fatto che nella maggior parte dei positivisti italiani, sopra il gusto delle
costruzioni sistematiche, ha prevalso la tendenza a esplorare determinati campi
della indagine: e però limitarsi a registrare le concezioni generali del mondo
e della vita, trascurando i contributi recati da più modesti studiosi alle
scienze filosofiche speciali, equivarrebbe a dare del movimento una idea
affatto inadeguata. Inoltre, appunto perchè in alcune almeno tra le
fondamentali assunzioni del positivismo possono, senza chiaro intendimento del
loro più profondo significato, consentire anche quegli scienziati che sono
affatto estranei agl’interessi speculativi, avvenne che si decorasse del nome
di positivismo anche la loro afilosofia, che fu qualche volta, per dirla con
Bruno, la loro filasofia, cioè una metafisica grossolana, ingenua sino alla
inconsapevolezza, e di gran lunga peggiore di quella metafisica contro la quale
il positivismo era sceso in campo: positivismo non può infatti essere ignoranza
della tradizione metafisica e incapacità d’intenderne le ragioni, bensì
dev’esspre revisione critica dei postulati assunti e dei metodi tenuti dalla metafisica
stessa. Eppure in un quadro sommario che aspiri a riuscire completo, anche
queste manifestazioni di pensiero più povere di critica hanno il loro
significato e debbono trovare il loro posto. D’altra parte, in Italia, in
questi ultimi anni, le fortune della filosofia idealistica, soprattutto nella
sua forma attualistica, indussero i dissenzienti a costituire una fronte unica
contro una dottrina che romanticamente presentava la filosofia, piuttosto come
opera di fantasia e prodotto di subbiettiva ispirazione, che non come
sistemazione di conoscenze vere: e il comune, se pur tutt’altro che uguale,
atteggiamento di opposizione e di reazione, ebbe come conseguenza che
tendessero a obliterarsi i caratteri differenziali del positivismo da altri
indirizzi. A far la rassegna dei filosofi che pròfessano oggi di essere
positivisti, si sarebbe indotti a conchitidere che i « quadri non sono stati mai poveri come adesso: eppure
mai come in questo momento è apparsa chiara la influenza del positivismo sopra
la educazione mentale e la posizione dottrinale di quei pensatori che non si
sono ralliés alla filosofia di moda. 2.Il periodo storico che qui si considera,
coincide con il cinquantennio dell’attività filosofica di R. Ardigò; questi,
nato nel 1828 a Casteldidone, pubblicò nel 1870 « La psicologia come scienza
positiva , segnandovi le linee fondamentali della sua dottrina, già
preannunziata l’anno precedente, quand’egli era ancora prete, nella
commemorazione di P. Pomponazzi e morì a Mantova nel 1920, avendo atteso fin
quasi all’ultimo giorno, all’opera sua di scrittore. Ma alla costruzione del
sistema ardighiano erano precorse in Italia altre manifestazioni di pensiero
positivistico. Il sorgere e vigoreggiare della filosofia del fatto si lega in
Italia come all’estero, a ragioni complesse, fra le quali prevalgono i mara-
vigliosi progressi della scienza, nell’ordine cosi delle invenzioni come delle
scoperte, il fervore degli studi storici, la reazione contro le intemperanze
del pensiero metafisico, il disgusto dei sistemi dogmatici. Le origini prossime
del movimento positivista sono da ricercare nella scuola di G. D. Romagnosi,
dalla quale uscirono Giuseppe Ferrari e Carlo Cattaneo. Ma il Ferrari,
rappresentante di un fenomenismo estremo che reca le tracce d’influenze
discordi e tende a sboccar nello scetticismo, non orientò il suo pensiero verso
il positivismo così decisamente come il Cattaneo: questi è comunemente
riconosciuto come l’iniziatore del movimento e il più ef. ficace banditore
della dottrina, nel ventennio 1850-70. Nel Cattaneo, patriotta insigne,
cittadino intemerato, scrittore magnifico, mente poliedrica, si manifesta
l’interesse per la glottologia, la storia e la politica, la demografia, la
economia e la organizzazione tecnica della industria e dell’agricoltura:
ne’suoi scritti filosofici, non ammette conoscenza che non sia di fatti, e
attribuisce alla filosofia una funzione sintetica rispetto alle altre scienze:
raccogliendo la eredità del Vico, pone come fondamentale il pro-^ bleina
deH’incivilimento: la civiltà è opera dell’uomo; ma l’Uomo dei metafisici è una
finzione mentale, che non può adeguarsi alla varietà e alla concretezza del
mondo umano; la psicologia individuale deve integrarsi nella psicologia
sociale, o psicologia delle menti associate; mente non si dà, nè funziona e si
forma se non in un giuoco di azioni e reazioni, che, poiché i conviventi
operano uno sopra l’altro e ogni generazione scomparsa sopra le successive. è a
un tempo il fondamento della unità sociale e della continuità storica. La
dottrina del Cattaneo s'intona al positivismo del Comte e all’umanismo del
Feuerbach, sebbene si sia costituita in perfetta indipendenza dall'uno e
dall’altro, e contiene germi che dovranno maturare nella filosofia dell’Ardigò
(« Opere edite e inedite di C. C.). Maestro acclamato e autorevolissimo nelle
scienze storiche, Villari, che aveva mostrato, nel « Saggio sull’origine e sul
progresso della Filosofia della Storia, di risentir la influenza di Comte e
Mill, illustrò e favori («La Filosofia positiva e il metodo storico», 1865)
l’indirizzo storico già prevalente nelle scienze morali, sostenendo che queste
non avrebbero potuto fiorire come le scienze naturali, se non ne avessero fatto
proprio il metodo, positivo o sperimentale. La influenza esercitata dalla
divulgazione della dottrina darwiniana, che apriva nuovi orizzonti agli studi
biologici ed ebbe fra noi il suo apostolo più fervido in Giovanni Canestrini (
« Antropologia » * 1888 « La teoria dell’evoluzione esposta ne’ suoi fondamenti
’ » 1887 « La teoria di Darwin » 1887 ), è manifesta negli scritti di Tommasi,
medico insigne che promosse il progresso delle scienze biologiche dallo stato
metafisico allo stato positivo, e ammoniva i discepoli a porsi dinanzi ai
problemi della natura, con l’animo sgombro da ogni apriorismo dottrinale e
metodico. Il suo naturalismo è concezione della filosofia come organamento del
sapere scientifico, è realismo rigoroso, che tende a identificarsi con il
materialismo, e non meno rigoroso empirismo: è evoluzionismo che esclude da sè
ogni teleologia («Il naturalismo moderno» 1866 «Il rinnovamento della medicina
in Italia» 1888). Positivista fu pure Cantani, collega del Tommasi e suo
successore nella clinica di Napoli. 3. Il positivismo italiano non è tutto
nella dottrina delI’Ardigò e della sua scuola: ma l’Ardigò ne è, per concorde
giudizio, la figura più rappresentativa. Di lui gli undici volumi delle Opere
Filosofiche rispecchiano il genio speculativo e l’animo candido e generoso, la
fede inconcussa nel Vero e il culto operoso dell’ideale etico, celebrato nella
esemplare austerità della vita. Il positivismo del Comte era stato giudicato
impari, se pur non affatto insensibile, alla esi genza gnoseologica: nè questa
era sodisfatta, in modo positivo, dalITnconoscibiie spenceriano, che
rappresenta ancora una entità ontologica, onde si mantiene l’antitesi di
sostanza e di fenomeno, e il fenomeno è un relativo che postula un Assoluto e
trova alla soglia di questo il proprio limite: il sistema dell'A. si forma
fuori da ogni diretta influenza di queste dottrine, per la rivoluzione che lo
studio delle scienze naturali opera nella sua mente, resa, da lunga
consuetudine, familiare con i classici della teologia e della metafisica: il
distacco dalle vecchie credenze non è definitivo, fin ch’egli non ha trovato la
soluzione del problema gnoseologico, e non ha inteso come si possa spiegare la
origine delle idee, senza ricorrere alla trascendente facoltà dell’intelletto.
La posizione centrale assegnata alla teoria della conoscenza è la caratteristica
più significativa del sistema dell’A. « Non è senza significato che il
positivismo assuma in Italia, quasi al suo apparire coll’A., fisonomia spiccata
di naturalismo sistematico affrontando subito il problema dell’infinito cosmico
e traducendone la visione in una concezione organica dell’universo, e che in
questa, come unicamente esteriore ed obiettiva non si acqueti, ma la integri
subito colla ricostruzione sintetica dell’uiiità della coscienza, e invece che
tener separata la questione gnoseologica dalla cosmologica trasfonda l’una
nell’altra creando un nuovo concetto si della natura, sì dell’esperienza, tale
che l’uria dall’altra non si separano se non per distinzione sopravveniente;
questo non è il positivismo di Comte, nè quello di Spencer, è il positivismo di
un popolo ove è indigeno il naturalismo del Rinascimento» (Tarozzi). Il fatto è
divino, i principii sono umani: ma il fatto primo e assolutamente certo, per la
consapevolezza immediata che ne abbiamo, è il fatto di coscienza, la sensazione:
la esperienza che sta a fondamento di ogni verità e che non si può tentar di
trascendere senza trascorrere dal reale nel chimerico, è esperienza
psicologica. Il monismo dell’A. che elimina ogni residuo di trascendenza,
esclude come fantastica così la contrapposizione dell’oggetto al soggetto, come
l’annichilazione dell’oggetto nel soggetto; e sfugge al pregiudizio del
realismo ingenuo senza incorrere nei sofismi del soggettivismo radicale. La
contrapposizione è fra termini di pensiero, fra gruppi di sensazioni: la
sensazione afferma se stessa assolutamente, il conoscere non si deve che alla
sua virtualità; ma la sensazione, e l’attività psichica in generale, ponendosi,
si sdoppia in due mondi, per il doppio sguardo (diblemma psicologico) onde si
compie da un lato la sintesi delle sensazioni interne (Autosintesi, Me),
dall’altro, la sintesi delle sensazioni esterne (F.terosintesi, Non-Me): le
sensazioni non sono per se stesse nè interne nè esterne, ma il differenziamento
si opera, per la specificazione degli organi di senso e per il contrastare di
attività stabili e costanti, ad altre accidentali e intermittenti. La
sensazione, in quanto tale, è solo quello che è essa stessa in se medesima; ma
la reciproca integrazione delle sensazioni pertinenti a sensi diversi (le quali
son tutte fra loro incommensurabili o reciprocamente trascendenti), converte la
sensazione in percezione, aggiunge alla osservazione l’esperimento («Il fatto
psicologico della percezione» 188?). Ed è un imperativo logico la sensazione,
non soltanto in se stessa, in quanto conoscenza assoluta o posizione di se
medesima, ma anche come percezione, o conoscenza relativa e posizione della
propria causa: si definisce cosi la oggettività del sapere, mentre si evita
l’errore di risolvere il soggetto nell’oggetto. La conoscenza è relativa, ma
non perchè abbia il suo termine antitetico in un Assoluto che trascenda la
esperienza e figuri come possibile oggetto di una Mente sovrumana, bensì per
quel rapporto d’irreducibilità che il pensiero stesso pone fra i propri termini
sensibili, e che, come tale, è noto («L’Inconoscibile di H. Spencer e il
positivismo» 1883). La materia non farà mai conoscere lo spirito, nè lo spirito
la materia: ma la trascendenza così intesa, in senso affatto diverso dal
tradizionale, non esclude la fondamentale unità, che è l ’indistinto
sottostante ai distinti (Me e Non-Me) che vi si costituiscono, collegandosi in
un organismo logico unico. «L’unità dell’indistinto sottostante alla
molteplicità dei distinti, e la continuità del processo della duplice
distinzione ('spaziale e temporale) caratterizzano la concezione naturalistica
del cosmo » (Marchesini). È una formazione naturale la psiche, e la legge della
distinzione, che ne spiega l’essere e ne domina lo sviluppo, è legge di tutte le
formazioni nelle quali si specifica la realtà: la preminenza e la priorità del
problema gnoseologico rispetto a tutti gli altri problemi filosofici si
esprimono nel fatto che appunto dallo studio del fenomeno cogitativo
induttivamente si ricava il concetto della natura come indistinto, matrice
onnigena inesauribile, infinita virtualità di successivi che si realizza nella
infinità dei coesistenti. Il processo dall’indistinto al distinto è governato
dalla legge del ritmo, la quale spiega come ogni formazione naturale debba
sempre essere un ordine, malgrado le accidentalità proprie di ogni ordine dato,
che è sempre l’effettuazione di uno tra infiniti altri possibili. Per la
universale ritmicità si ha infatti nella natura non il caso, ma la cosa e il
fatto, il tipo e la legge, l’impero, dunque, della causalità; ma causalità non
è forma a priori dello spirito, nè semplice successione che generi per
abitudine l’attesa del riprodursi del passato; l’idea di causa è una formazione
naturale endogenetica per l’esperienza subita dal mondo esterno, onde
avvertendo costante- mente una determinata successione, siamo costretti ad
ammettere che il fatto precedente ha in sè una condizione e ragione di causare:
ogni fatto, dunque, emerge in modo necessario dall’indistinto che lo determina.
Ma, d’altra parte, la necessità non esclude il caso, perchè l’ordine si attua
in seno all’universo che è infinito: onde il fatto può a un tempo dirsi, per la
sua intrinseca necessità, equazione del determinato, e, per la imprevedibilità
della sua determinazione necessaria, equazione dell’infinito: poiché
l’indistinto non è un sistema chiuso, il distinguersi di uno o dell’altro
ordine è casuale. Il determinismo non elimina dunque la casualità, nè
semplicemente l’ammette come espressione della nostra ignoranza: ma la
riconduce alla varietà infinita che è un positivo aspetto della realtà, non
meno che la causalità: il caso è l’effetto prodotto per necessità naturale da
una causa imprevedibile, assolutamente parlando, e quindi non assegnabile, o non
fissata nella stessa natura, a motivo dell’infinità del suo principio, non solo
nei momenti del tempo, che è senza limiti, ma anche negli elementi costitutivi,
eccedenti ogni confine di spazio (« La formazione naturale nel fatto del
sistema solare » 1877; la trilogia: « Il Vero» 1891 «La Ragione» 1894 «L’Unità
della Coscienza» 1898). E’ una formazione naturale anche la filosofia, che non
soltanto ha funzione coordinatrice e sintetica rispetto alle scienze, ma è la
matrice perennemente feconda del sapere scientifico e dei problemi che alla
scienza appartiene di risolvere. Come l’indistinto si specifica, per un
processo di ascendenza dinamica, nei sistemi ritmici, corrispondenti a gradi
sempre più alti di autonomia, cosi la filosofia si viene differenziando nelle
discipline speciali che in essa si unificano e di essa risentono l’azione
propulsiva (« Lo studio della Storia della filosofia » « Il compito della
filosofia e la sua perennità » 1884). Sopra i contributi recati dall’A. alle
distinte scienze filosofiche non posso intrattenermi qui: basti ricordare come
il suo realismo psicofisico e il prevalente interesse gnoseoiogico lo abbiano
portato alla costruzione di un sistema di psicologia, dove la unità della
coscienza figura come idea direttrice, e la critica del vecchio associazionismo
prepara la teoria della confluenza mentale come inoltre sovra basi
fisiopsicologiche si eriga una concezione della vita morale, nella quale la
impulsività della sensazione è assunta a spiegare la imperatività della
idealità sociale antiegoistica (« La Morale dei positivisti » 1879) come,
ancora, la morale s’integri in una sociologia che è piuttosto una filosofia del
diritto, o lo studio della formazione naturale della Giustizia, intesa come
forza specifica della società («Sociologia» 1886) come infine le dottrine
fondamentali si coordinino e sbocchino in ima pedagogia, che pone l’esercizio a
fondamento cosi della educazione intellettuale come della educazione morale (La
Scienza dell’educazione). L’A., dal 1881
prof, di storia della fil. a Padova, fu un caposcuola, e fra i suoi discepoli
vogliono essere ricordati in primo luogo il Marchesini, il Dandolo, il Tarozzi,
il Ranzoli, il Troilo. Giovanni Marchesini (n. 1868), prof, di ped. a Padova,
fondatore e direttore della « Rivista di Filosofia, pedagogia e scienze affini»
(1899-1908), illustrò la figura del Maestro e ne propagò la dottrina,
elevandosi dalla esposizione acuta e fedele alla originale ricostruzione e
rielaborazione (« La vita e il pensiero di R. A. » 1907 «R. A. L’uomo e
l’umanista). Il M. ha definito il positivismo dell’Ardigò come naturalismo
umanistico e questa denominazione designa la duplice direzione nella quale egli
stesso ha svolto la propria attività di scrittore, integrando felicemente il
sistema, che rivela così nella varietà e la novità degli sviluppi la propria
feconda vitalità. Il naturalismo del M. si fonda sopratutto sul principio
dell’unità come sintesi universale: egli concepisce la unità come continuità
dinamica dei fatti fisico, biologico, psichico, postulando il « fatto minimo »,
come idea-limite, in armonia con lo stesso concetto della continuità nella
eterogeneità, e spiegando con la impossibilità di depotenziarci la presunta
inintelligibilità del trapasso, alla quale si devono le due estreme concezioni,
idealistica e materialistica. La conoscenza, in quanto è determinata dal reale,
in ordine al principio della continuità stessa ha un valore assoluto ed
obbiettivo, non già puramente simbolico (« La crisi del positivismo e il
problema filosofico» 1893 «Il simbolismo nella conoscenza e nella morale»
1901). Umanistico è detto dal Marchesini il naturalismo dell’Ardigò,
principalmente perchè riesce alla celebrazione della persona umana e dà
fondamento razionale e positivo all’idealismo etico e alla dottrina
dell’autonomia; negli ultimi libri del M., e non soltanto in quelli che hanno
più diretta attinenza con la pedagogia (« L’educazione morale» 1914 «I probi,
fond. dell’ed. » 1923 «Disegno stor. delle dottr. ped. 7 » 1922), si manifesta
più che mai spiccata la sua eminente vocazione di educatore. Anche per il M. la
continuità non esclude, ma comprova l’autonomia del soggetto umano, come
formazione naturale e pedagogica superiore, sulla quale si fonda il diritto a
un orgoglio umano razionale come vera e propria virtù etica (« Il dominio dello
spirito, ossia il problema della personalità eildiritto all’orgoglio » 1902).
Sulla stessa autonomia si fonda il principio della tolleranza come rispetto
della personalità nella sua costituzione specifica (« L’intolleranza e i suoi
presupposti). L’ideale è relativo alla personalità, ma pensato come assoluto
acquista da ciò uha particolare potenza utilizzabile pedagogicamente («Le
finzioni dell’anima » 1905). In esso, e nelle sue singole specie, si
reintegrano le inclinazioni umane fondamentali, all’infuori d’ogni trascendenza
metafisica, ch’è puramente simbolica («La dottrina positiva delle idealità »
1914). Nella teoria del M. si ravvisa ante- cipata in alcuni de’ suoi elementi
più caratteristici e significativi la filosofia del « come se », che ha avuto
in questi ultimi anni singolare fortuna e grande diffusione. Giovanni Dandolo
(1861-1908), prof, di fil. teor. a Messina, concepì il problema gnoseologico
come problema psicologico, e lo fece oggetto d’indagine accurata e penetrante,
rivelando rare attitudini all’analisi e alla rappresentazione della vita
mentale. Tra fatti psichici e fatti fisiologici corre un rapporto unitario di
correlazione: il fatto psichico non è il riverbero di un evento fisiologico, ma
ha la sua specie caratteristica nella coscienza, che è autonoma, è un distinto
che si pone assolutamente e del quale è artificioso e vano ricercare il perchè.
I limiti dell’esperienza edelconoscerecoincidono; e continuo è il processo dal
senso all’intelletto, se pur non sia possibile risolvere senza residuo la
conoscenza nella sensazione; ciò che è necessità di origine si conserva come
necessità di sviluppo: la pura sensazione, unità indistinta, s’integra nella
percezione, come l’appetito s’integra mercè la conoscenza nel desiderio, e
mercè la ragione nella volontà. Contro il realismo ingenuo e l’idealismo
dogmatico il D. afferma la relatività reciproca di soggetto e oggetto; il
conoscere in generale, mentre si pone come fatto di coscienza, accenna alla
necessità di un eterogeneo, d’un termine correlativo esteriore, distinto e in
pari tempo inseparabile dal pensiero. Questo incontra nella esperienza un
limite alla propria libertà: nella oggettività della percezione ha fondamento
la oggettività della causa, della legge, della scienza. Contro la dottrina
della scienza sostenuta dal Mach, il D., mentre riconosce la incommensurabilità
della spiegazione scientifica con i fenomeni naturali, sostiene che fra questi
e quella intercede un vincolo, che è un adattamento speciale della intelligenza
alle cose: il vero è adattamento conquistato dal pensiero sulla realtà naturale
(« Le integrazioni psichiche e la percezione esterna» 1898 « Le integrazioni
psichiche e la volontà» 1900 «La causa e la legge nell’interpretazione
dell’universo» 1901 «Intorno al valore della scienza» 1907 «Studi di psicologia
gnoseologica» 1905-7, oltre a numerosi altri saggi, soprattutto di psic. e di
st. della psic.). Giuseppe Tarozzi (n. 1866), prof, di fii. a Bologna, occupa
in Italia, rispetto alla tradizione storica del positivismo sistematico, una
posizione spiccatamente personale: è stato, e si è professato sempre, discepolo
delI’Ardigò: e del positivismo infatti accetta il metodo e alcuni fondamentali
postulati: la filosofia è anche ricerca, perennemente promossa dai risultati
della scienza e dallo sviluppo dei pensiero comune; scienza e filosofia si
differenziano non per il metodo bensì per l’oggetto, e insieme tendono a un
fine comune cioè alla obbiettività, la quale può essere raggiunta dallo spirito
umano solo entro l'ambito della categoria quantitativa, onde ha grande valore
filosofico lo sforzo di esprimere il qualitativo in termini quantitativi; la
esperienza non è di atti ma di fatti; non è concreto se non ciò che è
sicuramente determinabile nel tempo e nello spazio. Ma la originalità del T. si
è rivelata anzitutto nelle critiche alle quali egli sottopose il determinismo,
ravvisando in questo un residuo metafisico e un elemento estraneo allo spirito
del positivismo. il suo indeterminismo, diverso da quelli del Boutroux, del
Bergson, del Mach, congiunge le due concezioni del divenire e della spontaneità
del fatto singolo, senza lasciarsi sedurre dal Xóyo; àgy ò? del finalismo («
Della necessità nel fatto naturale e umano » 1896-7). Con l’indeterminismo si
collega il realismo gnoseologico, li principio che « la realtà è il fatto della
esperienza » consente una soluzione esauriente della questione relativa alla
determinazione qualitativa e quantitativa della realtà; ma non basta a dar
fondamento alla persuasione della esistenza della realtà: la conoscenza è
contingente, e però presuppone il reale come altro da se stessa, e implica
l’idea della esistenza come incondizionalità dell’essere rispetto alla
conoscenza; da ciò s’inferisce un reale, di cui tutte le determinazioni
appartengono alla esperienza, tranne una, cioè la esistenza, che le si sottrae.
Il reale così inteso sfugge a quella determinazione del finito che è propria
della conoscenza razionale: e però è l’infinita varietà, che come tale non può
essere se non II dinamica: infinito dev’essere dunque il principio dinamico
dell’in- finitamente vario in ciascun essere che l’esperienza ci presenta come
determinato e finito. La contingenza della conoscenza, da un lato, giustifica
la distinzione della conoscenza pura dalla conoscenza empirica e quindi il
riconoscimento di leggi proprie del pensiero, dal¬ l’altro, ha in tale
distinzione e nella esistenza di queste leggi la propria riprova. Nella
conoscenza pura, intesa come conoscenza deH’autonomia dello spirito, consiste
il fondamento gnoseologico e logico, dell’idealismo etico. Caratteri
dell’idealismo etico sono la coscienza della libertà dello spirito, la
responsabilità, l’impero effet¬ tivo dell’ideale. La libertà dello spirito,
come rivelazione dell’in¬ finito nella coscienza, e capacità che ha l’uomo di
creare il regno della sua umanità morale, non esclude ma implica la
obbligazione, l’impero dell’universale: l’antitesi che sussiste fra necessario
e infi¬ nito, in quanto quello pone un limite che questo esclude, vien meno,
infatti, nella necessità morale, e in essa soltanto, perchè in essa l’infinito
si limita non negandosi, ma rivelandosi. La responsabilità, in quanto è
correlativa alla obbligazione, è responsabilità non soltanto del male, ma anche
del bene, in quanto è indipendente dalla obbliga¬ zione, trascende i limiti
dell’attività del soggetto, onde questi tende ad assumere sopra di sè il carico
del male della umanità intiera. Effettivo è l’impero dell’ideale, perchè esso
come autonomia dello spirito, è, per natura sua, un fine: ma non può essere
fine a se stesso, bensì presup¬ pone un reale ateleologico che si offre come
oggetto e materia al teleo- logismo in cui esso ideale si esplica; presuppone
dunque, nell’ordine degli oggetti, la natura indifferente, nell’ordine dei
valori, l’utile, il regno dell’interesse egoistico, in cui l’uomo a questa
natura indif¬ ferente obbedisce. Moralità è spiritualità, e spiritualità è
successiva trascendenza di fini gli uni rispetto agli altri. Con il sentimento dell’infinito
ha affinità profonda il sentimento estetico: l’estetica non determina una
distinta regione dello spirito, ma si afferma sovrana, come espressione
sintetica della humanitas. La pedagogia idealistica che risolve la educazione
nell’autoeduca¬ zione, ripugna al senso comune: la educazione dev’essere
spiritua¬ listica, perchè promuovere negli educandi il loro valore propria¬
mente umano, significa avviarli a pensare come vera vita la loro vita
interiore. Nonostante le ragioni profonde di dissenso, la dottrina del T.
appartiene alla storia del positivismo italiano: il suo spirito fervido, aperto
a interessi molteplici, non si ferma appagato sulle posizioni raggiunte, bensì
è portato a rispondere con sintesi sempre più alte e più vaste e logicamente
meglio coerenti, all’esigenze poste dalla fede generosa e sincera nei valori
umani; ma egli non ha mai dubitato che quella rivendicazione morale
dell’energia dello spirito, che è nello spirito suo il bisogno fondamentale
(Gentile), non sia appunto il programma che il positivismo propone a se stesso
e ha virtù di realizzare (Del T„ che finora non ha divulgato in modo
sistematico tutte le idee qui accennate, vedi: « La coltura intellettuale
contemporanea » 1897 « Ricerche intorno ai fond. della certezza raz. » 1899
«Menti e caratteri » «La virtù contemporanea» 1900 « Idee di una scienza del
bene » 1901 « Il contenuto mor. della libertà del n. tempo» 1911 «L’educazione
e la scuola» 1918-21 «Note di estetica sul Par. di Dante» 1922). Anche Erminio
Troilo (n. 1874), prof, di fil. a Padova, operoso cultore della st. della fil.
(« La dottrina della conoscenza nei mod. precursori di Kant» 1904» B. Telesio »
1910 « La fil. di G. Bruno » «Figure e studii di st. della fil.), manifesta,
nella esposizione delle sue vedute teoretiche, il travaglio perenne di uno
spirito che si cerca: tutta la sua feconda attività di scrittore è infusa di
pathos profondo. Egli riferisce a un’antitetica che si rivela fondamentale
nell’attività dello spirito, il perenne avvicendarsi dei due indirizzi,
positivistico e idealistico: e tende a uscirne con una dottrina, che superando
la unilateralità delle contrastanti vedute, integri il positivismo con una sua
propria costruzione teoretica (« Idee e ideali del Pos. » 1909 «Il Pos. e i
diritti dello spirito» 1912). Il suo atteggiamento di calda simpatia per il
sistema dell’Ardigò non gli vieta di criticarne il concetto dell’Indistinto
psicofisico, nel quale ravvisa una pericolosa concessione al dualismo; d’altra
parte, il fenomenismo puro riesce a una finale identificazione con il
soggettivismo idealistico: a questi indirizzi egli oppone lo schietto Monismo
ontologico, la necessità dell’Essere come Dato primo assoluto, assolutamente
autonomo. Monismo ontologico, ma, d’altra parte, dualismo gnoseologico: nell'Essere,
includente in sè quella forma della Realtà ch’è lo Spirito, la legge è l’Unità:
nel Conoscere, il quale altro non è che funzione, la legge è la Dualità: cosi
organicamente si compongono Immanenza e Trascendenza, spoglie di ogni residuo
metafisico. Ogni filosofia, come espressione integrale teoretica e pratica
dello spirito, è filosofia morale, pedagogia dello spirito umano: Philosophia
sire Vita : la filosofia che non deve limitarsi a interpetrare il mondo e deve
mutarlo, trapassa in storia (« Filosofia, vita, modernità » 1906 « La
conflagrazione » 1918). Il positivismo del Trailo si determina come Realismo
Assoluto : e un Realismo assoluto è anche la dottrina di Cesare Ranzoli (n.
1876), prof, di SI. teor. a Genova. L’oggetto della conoscenza non è nè una
ima- gine dell’oggetto esterno, nè una creazione del soggetto, bensi lo stesso
oggetto che conosce se stesso, e, conoscendosi, .si pone come identico a sè e
come diverso da sè, come conoscente e conosciuto, come spirito e come natura («
L’idealismo e la fil. » 1920). Porsi come natura significa rappresentarsi e «
distendersi » in quei rapporti spaziali e temporali che risultando dalla mutua
irreducibilità degli elementi della conoscenza, e quindi del reale, si possono
definire come la visione panoramica che il reale ha di se stesso («Teoria del
tempo e dello spazio» 1923). Lo spirito costituisce il ritmo supremo
dell’esistenza, ossia il limite di quel processo d’individuazione che
rappresenta la legge fondamentale della realtà : legge che non ha nulla in sè
di finalistico, ma esprime al contrario la fusione del caso con la causalità («
Il caso nel pensiero e nella vita» 1913). Queste idee sono espresse dal R. in
una prosa ch’è sovente un modello di stile filosofico: anche di lui può dirsi,
come del Dandolo, che la natura sobria dell'ingegno si riflette nella
composizione nitida e organica delle dottrine, ma non vieta di avvivarne
efficacemente la espressione con imagini colorite e vaghe. Ranzoli, in un
pregevole saggio sopra « La fortuna di E. Spencer in Italia» (1904), ha
dimostrato che il positivismo nostro mosse i suoi primi passi sotto la sola
guida del Comte e del Littré, ma se n’è staccato ben presto, attratto dalle
ampie formule della filosofia spenceriana, che meglio si accordavano con la natura
del nostro ingegno e delle nostre tradizioni filosofiche, rappresentate non
soltanto dal naturalismo del Rinascimento, ma anche da quel filone solitario di
filosofia sperimentale che si continua ininterrotto attraverso il Sette e
l’Ottocento: il positivismo dello Spencer, meglio di quello del Comte, aiutò
l’ingegno italiano a ritrovare se stesso: l’Italia di platonica che era,
divenne spenceriana, passando per lo hegelismo: fra questo e il positivismo è
l’abisso, ma la scuola hegeliana, dalla quale uscirono alcuni fra i primi
positivisti (Marselli, Villari, Angiulli) annovera anche pensatori (basti
ricordare il Fiorentino) che, rimanendo sul terreno dello hegelismo,
riconobbero, nei limiti della filosofia della natura, il valore del principio
della evoluzione. E il positivismo italiano fu, per molta parte,
evoluzionistico: il fascino esercitato sopra le menti dalla idea di evoluzione
trae il sacerdote giobertiano Gaetano Trezza (1827-92), bene a ciò preparato
dagli studi storici filosofici religiosi, a convertirsi a una intuizione
naturalistica, della quale egli fu il poeta piuttosto che il filosofo: le sue
idee si organizzarono («La critica moderna» 1874) intorno ai due concetti,
della relatività di tutti i fenomeni, onde natura e storia gli appaiono come
una serie di trasformazioni perenni e. della immanenza delle leggi cosmiche che
sottrae la natura e la storia all’intervento e all’arbitrio delle volontà
trascendenti (Melli). La sintesi spenceriana trovò largo consenso fra gli
scienziati: minor favore incontrò la dottrina dell’Inconoscibile, combattuta,
per opposte ragioni, da hegeliani e da neo-criticisti, da spiritualisti e da
positivisti; ma è manifesta la influenza dello Spencer sopra quel movimento di
pensiero che ebbe per organo la « Rivista di filosofia scientifica, fondata e
diretta da Enrico Morselli (n. 1852), prof, di psichiatria a Genova. L’opera di
lui è soprattutto notevole per lo sforzo assiduo di richiamare i filosofi alla
scienza e gli scienziati alla filosofia, combattendo la metafisica an-
tiintellettualistica, e reagendo contro io spirito antifilosofico, manifestato
o anche ostentato da molti scienziati puri. Il M. rappresentò autorevolmente
una filosofia monistica ed evoluzionistica, consapevole della propria funzione
sintetica e non ignara delle proprie intime difficoltà, ma da ciò indotta non a
cedervi bensì a superarle - e una psicologia che si rende conto dei limiti, ma
anche del valore del metodo introspettivo («La fil. mon. in Italia» 1887 « Id.
id.» 1904 « L’evoluz. monistico nella conosc. e nella realtà» 1889 «Il
darwinismo e l’evoluzionismo» 1891 «La psic. scient. o pos. e la reaz.
neo-ideal. » 1906 ecc.). Classiche sono le ricerche biopsicoso- ciologiche del
M. sul suicidio (1879). Anche a dire del M. («C. L. e la fil. scient.» 1906),
Cesare Lombroso (1836-1910), prof, di antrop. crim. a Torino, non fu un
filosofo: la sua Weltanschauung è schiettamente materialistica, la sua
psicologia è puro somatisino; ma se si pensa quanta luce è derivata dalle
indagini ch’egli compì o promosse, alla conoscenza delle manifestazioni
psicologiche anormali o supernormali; se si considera quante idee, accolte,
quand'egli le mise in circolazione, come scandalose o ridicole, sono diventate,
quasi insensibilmente, elementi vitali della comune cultura e hanno agito sopra
la costituzione deila nostra coscienza morale: se infine si pensa alla
influenza che la sua antropologia criminale, ispirata a un rigoroso
determinismo bio sociologico, ha esercitato in tutto il mondo sopra la
legislazione penale è debito di giustizia ricordare l’attinenza dell’opera di
lui e de’ suoi discepoli, con il movimento della filosofia scientifica («L’uomo
delinquente» 1878 « L’anthrop. crim.» 1891 «L’uomo di genio» 1888 «Nuovi studi
sul genio» 1901-2). Alla negazione del libero arbitrio e alla fondazione .di
una dottrina della imputabilità penale non costituita sopra la responsabilità
morale, diede opera, con altri, Enrico Ferri (n. 1856), fondando quella scuola
del diritto penale, o piuttosto della criminologia, che fu detta positiva, e
che propugnò lo studio e la considerazione non del delitto, ma del delinquente.
Il Lombroso diffuse in Italia (1869) « La circolazione della vita » di Jacopo
Moleschott (1822-93): questo libro, nel quale il fisiologo olandese, prof, a
Torino, sostenne le proprie vedute materialistiche, ebbe parte notevole nella
ispirazione della dottrina lombrosiana. Al materialismo aderirono o per lo meno
inclinarono molti fra i cultori delle scienze biologiche : e un tale indirizzo
è manifesto nelle ricerche psico-fisiologiche del tedesco J. Maurizio Schiff
(1823-96), prof, di fisiologia a Firenze («Sulla misura della sensaz. e del
movimento» 1869 «La fisica nella filosofia» 1875), del suo discepolo, il russo
Alessandro Herzen (18391906: « Fisiol. e psicol. » 1878 « La condizione fisica
della coscienza » « Della nat. dell’attività psich. » «Il moto psich. e la
coscienza » 1879) che nell’« Ana¬ lisi fisiologica del libero arbitrio umano »
(2 a . ed., 1870) illustrò il doppio determinismo, organico e sociologico, delle
azioni umane; e dell’antropologo Giuseppe Sergi (n. 1841), già prof, a Roma («
Elem. di psic. » 1879 «L’origine dei fenomeni psichici» 1885), studioso anche
di problemi pedagogici (« Per l’educazione del carattere » 1884 «Educazione e
istruzione» 1892). Le vedute del Sergi furono impugnate dall’antropologo Ettore
Regalia (1842-1914), sostenitore della tesi che il dolore è l’antecedente
costante e immediato di ogni azione (saggi vari, cinque raccolti nel voi. «
Dolore e azione » 1916). Un altro antropologo, Tito Vignoli (1827-1915),
coltivò la psicologia comparata (animale e etnografica) e genetica (« Peregri¬
nazioni psicologiche » 1895). L’esclusivismo psicologico nella spiegazione
delle malattie men¬ tali e le ragioni filosofiche che sono poste a suo fondamento
fu¬ rono combattuti dal grande clinico Augusto Murri (n. 1841; «Noso¬ logia e
psicologia» 1924). 6. Non si staccò dall’indirizzo materialistico Gabriele
Buccola, il quale a Reggio Emilia dpve sotto la direzione di Augusto Tamburini,
e più recentemente di Giuseppe Guiceiardi, ebbero grande impulso la
psicopatologia e la freniatria avviò ricerche psico¬ metriche che ebbero larga
eco anche all’estero («La legge del tempo nei fenomeni del pensiero » 1883). Ma
scarso è il contributo diret¬ tamente recato dai filosofi positivisti alla
psicologia con ricerche sperimentali, alle quali attesero prevalentemente
seguaci di altri indirizzi o studiosi estranei alla milizia filosofica. Allo
studio spe¬ rimentale delle emozioni contribuì poderosamente Angelo Mosso,
prof, di fisiologia a Torino (1846-1910: «La paura» 1884 «La fa¬ tica» 1891),
studioso anche di problemi educativi, il quale aderì alla teoria Lange-James: a
lui e alla sua scuoia (particolarmente al lombrosiano Mariano Luigi Patrizi,
prof, di fisiologia a Modena) è dovuto il primo impulso alle ricerche di
psicologia applicata ai problemi sociali e del lavoro (psicotecnica). Il nome
del Patrizi è legato anche a tentativi d’interpretazione delle opere d’arte con
il sussidio della psicologia positiva («Saggio psico antropol. su 0. Leopardi»
1895 «Il Caravaggio e la nuova crit. d’arte » 1921) . Zaccaria Treves, scolaro
del Mosso, contribuì alle stesse ricerche (per es. con studi sopra le relazioni
fra emozioni e lavoro musco¬ lare) e particolarmente coltivò le applicazioni
della psicologia alla pedagogia e alia tecnica scolastica, portando
modificazioni alla scala metrica del Binet. Al problema della valutazione della
intelligenza, e inoltre agli studi di psicologia e pedagogia dei deficienti
(«Edu¬ cazione dei deficienti»1915)si dedicò Sante De Sanctis, prof, di psicol.
a Roma (n. 1862), autore anche di apprezzate ricerche sopra i sogni (1899).
Benemerito della pedagogia correttiva è Q. C. Fer¬ rari, direttore dal 1905
della Rivista di Psicologia. Angelo Brofferio (1846-94), prof, di st. della
fil. a Milano («La filosofia delle Upanishadas », postumo), esercitò la propria
attività nella sistemazione della psicologia e, sopra saldo fondamento psi¬
cologico, della gnoseologia positivistica : si propose il problema della
classificazione delle specie della cognizione, come propedeutico rispetto al
problema dell’origine, razionale o sperimentale, della cognizione, e ridusse le
intuizioni, per le quali la esperienza è resa possibile, alla intuizione
fondamentale del numero (unità e molte¬ plicità), la quale s’integra in quelle
della quantità (intensità) e della qualità; ma di quella intuizione egli
illustrò la natura sperimentale: (I) Scarso è il contributo recato dai
positivisti, alla estetica : oltre all’antro¬ pologo Mantegazza, professore a
Firenze (« Epicuro » 1891-2), autore anche di molto fortunati studi sulle
emozioni, si può appena ricordare Mario Pilo («Estetica» 1894 «Psicologia
musicale» 1904) e Adelchi Baratono («Sociol. estetica» 1899): quest’ultimo,
autore anche di lodati «Fondamenti di psicologia sperimentale» (1906) ha
coltivato poi di preferenza la pedagogia, con indirizzo criticistico. il
preteso a priori non è se non la esperienza accumulata della razza. Il
positivismo affermando, in contrasto con il materialismo degli scienziati, la
relatività della cognizione e precludendosi la via alla ricerca della realtà
assoluta, lascia la possibilità di fondare sovra prove morali la credenza nella
esistenza di Dio e di appagare la invincibile aspirazione alla immortalità. Il
B. ravvisò poi nelle esperienze spiritiche la verificazione sperimentale di
quelle ipotesi che aveva da prima accolte per volontà di credere («Le specie
dell’esperienza » 1884 « Man. di psic. » 1889 « Per lo spiritismo » 1891).
Anche Ettore Galli, lib. doc. a Padova, pone a fondamento della filosofia la
psicologia, analitica e genetica: origine del conoscere è il sentire, che è
fatto biologico. Le leggi della ragione sono le leggi dell’apprendere; e si
apprende quando un fatto di sentire - secondo una legge dinamica universale -
si fonde, in ciò che ha di comune, con virtualità di sensazioni anteriori: tale
processo si ripete in tutte le operazioni del pensiero. La realtà è tutta
relativa al conoscere, e quindi al sentire: dal sentire nascono così l’io come
il non-io. E il sentire è anche base della morale. La vita, la quale per
conservarsi e integrarsi suggerisce agli uomini la collaborazione e la
divisione del lavoro, ha nel dovere un mezzo che poi agli effetti pratici vien
postulato come fine delle azioni. E al dovere s’informa anche la educazione, in
quanto è mossa dall’esigenze della vita («Nel regno del conoscere e del
ragionare» «Alle radici della morale» «Nel dominio dell’io» 1919 «Alle soglie
della metafisica» 1922). 7. Dell’attività esplicata dall’Ardigò, dal
Marchesini, dal Tarozzi come pedagogisti, già si è fatto cenno. L’indirizzo
positivistico ebbe, in generale, grande influenza sopra la scienza della
educazione: e si onora anzitutto del nome di Aristide Gabelli (1830-91), che
professò un positivismo agnostico, combattendo le degenerazioni
materialistiche; ma più che ai problemi speculativi, volse la mente ai problemi
della pratica: propugnò l’applicazione del metodo sperimentale alle scienze
morali, e delineò un’etica utilitaria, fondata sopra l’amor di sè, distinto
daH’amor proprio (« L’uomo e le scienze morali » 1869). Esplicò la sua missione
socratica (Credaro) con la diagnosi severa condotta da un punto di vista
rigidamente conservatore dei mali morali del popolo italiano e con la
indicazione del rimedio, che doveva consistere in una educazione diretta a
formare le teste, a bandire l’artifizio, il verbalismo, la retorica, ad
assumere come elementi integranti del carattere idee chiare verificate al
paragone della esperienza: il miglioramento morale è indissolubilmente legato
al progresso intellettuale: non sussiste contraddizione tra il fine umanistico
e l’indirizzo realistico della educazione («Il metodo d’insegnamento nelle
scuole elementari d'Italia » 1880 « Riordinamento dell’istruzione elementare.
Relazione, Istruzioni e programmi» 1888 «L’istruzione in Italia» 1891). Andrea
Angiulli (1837-90), prof, di ped. a Napoli, reagisce contro l’imperante
hegelismo con un sistema, ispirato alla fede nel valore teoretico e sociale
della scienza positiva, .che è legata con la filosofia da un vincolo
d’interdipendenza: ripudia l’Inconoscibile e ammette la possibilità, per la
virtualità dell’astrazione, di una metafisica critica e scientifica,
evoluzionistica e relativistica. La dottrina della evoluzione cosmica informa
di sè anche la morale scientifica progressiva (migliorismo), la quale s’integra
con la cosmologia in una religione nuova: l’A., determinista, ammette
negl’individui anche il determinismo dell’ideale. Ma l’ideale non si realizza se
non nella e per la educazione, intesa non come sempiice adattamento alle
condizioni esistenti, ma come preparazione a nuove conquiste. Tutti i problemi
sociali s’incontrano nel problema pedagogico, che dev’essere risolto
teoricamente con la costituzione della pedagogia sopra fondamento scientifico e
filosofico, praticamente con l’attuazione sua negli ordini della scuola e della
vita. Liberale in politica, l’A. rivendica allo Stato il diritto, che è dovere,
d’impartire la educazione nazionale e la istruzione obbligatoria e laica.
L’incremento della cultura femminile deve render possibile che si armonizzino,
nella scienza, la educazione domestica e la pubblica. La istruzione scientifica
deve in tutti i suoi gradi essere animata da spirito filosofico («La Filosofia
e la ricerca positiva » 1868 «La Ped., lo Stato e la Famiglia» 1876 «La Fil. e
la Scuola» 1888). Siciliani, prof, di ped. a Bologna, aspirò a una sistemazione
del positivismo italiano, sulla traccia di Galileo e del Vico e in armonia con
l’evoluzionismo («Sul Rinnovamento della Fil. pos. in Italia» 1871). La sua
pedagogia ha a fondamento la storia della educazione e ne ricava i due
principii della dignità intrinseca della «santa» personalità umana, e
dell’autodidattica (« La Scienza nell’Educ. » 1879 «Rivoluzione e Ped. moderna»
1882). Fornelli, prof, di ped. a Napoli, contribuì a diffondere in Italia la
dottrina herbartiana (« Studi herbartiani » 1913), la quale tuttavia dovette la
sua maggiore fortuna fra noi all’opera di Luigi Credaro (« La Ped. di G. F.
Herbart » 1900): ebbe vivo il senso della importanza del problema pedagogico
nello Stato liberale e propugnò la laicità della scuola che deve trovare nella
scienza il proprio centro. La misura dell’esigenze che si pongono sopra il
fanciullo dev’essere ricavata dalla considerazione non della sua costituzione
psicologica, ma della finalità civile della educazione. La volontà è
determinata, ma tra i fattori che la determinano è compresa anche la
individualità: e in ciò la responsabilità trova il proprio fondamento. Fu
sostenitore, nella istruzione secondaria, di un temperato classicismo
(«Educazione moderna» 1884 «L’Insegnamento pubblico ai tempi nostri» 1881
«L'adattamento nell’educazione» 1891). Saverio Francesco De Dominicis, già
prof, dì ped. a Pavia, si è ispirato ai principii dell’evoluzionismo e del
darwinismo («La dottrina dell’evoluzione» 1878-81); ha determinato, in base
alla esperienza naturalistica e storica, i fattori, le leggi, i fini della
educazione, il fondamento e i limiti della sua efficacia, acutamente
analizzando la vita interna della scuola (« Scienza comparata della Educ. »
1907-13), e ha esercitato grande influenza («Linee di Ped. elem. » 1896) sopra
la formazione dei maestri. Giovanni Antonio Colozza (n. 1857), prof, di ped. a
Palermo, concepisce non diversamente dal suo maestro Angiulli la scienza della
educazione nel sistema della filosofia scientifica ed evoluzionistica («Saggio
di Ped. comparata» 1885 «La Ped. nei suoi rapporti con la Psic. e le Se. Soc. »
1903): ma ha temprato il forte e indipendente ingegno nell’analisi psicologica,
nella ricerca del fondamento psicologico della pedagogia, nello studio di
problemi educativi e didattici, nella revisione di concetti comunemente accolti
senza discernimento critico: dal ripensamento originale della dottrina del
Rousseau ha tratto conforto alla fede nella virtù del metodo attivo; ha
risposto negativamente al quesito se esista la educazione dei sensi («Il giuoco
nella psic. e nella ped.» 1895 «Del potere d’inibizione» 1898 «La meditazione»
1903 «Questioni di Ped.» 1911 «Il metodo attivo nell 'Emilio. Ripensando l
’Emilio » 1912 «La matematica nell’opera educativa» 1915). Guido Della Valle
(n. 1884), prof, di ped. a Napoli, studiò la formazione dell’autocoscienza, nel
riguardo della forma e del contenuto (« La Psicogenesi della coscienza »,
1905): ma prevale nell’opera sua il gusto delle vaste costruzioni. La vita
umana dà materia alla indagine sperimentale del lavoro mentale (che è sempre un
mezzo), e alla indagine speculativa del Valore (che è sempre un fine,): donde
due dottrine pure (Psicoenergetica, Axiologia) e due dottrine applicate
(Psicotecnica, Teleologia). Il D. V. può dirsi positivista, quando ricava « Le
Leggi del lavoro mentale » per induzione da esperienze, anche originali, e
ravvisa nella pedagogia sperimentale un capitolo della psicotecnica (come la
ped. fil. è un capitolo della teleologia). Ma la sua axiologia realistica lo
allontana dal positivismo. I Valori (esistenziali, logici, estetici, morali,
economici) sono rivelati ma non contenuti dalla coscienza: sono il prodotto di
una sintesi a priori ; possono esser creduti, ma non dimostrati; sono assoluti,
trascendenti, cioè indipendenti da ogni singola mente e validi potenzialmente,
anche se non intuiti empiricamente da alcuno. Si unificano oggettivamente nella
Realtà assoluta trascendente (Dio), soggettivamente nella coscienza generica
assoluta. L’educazione consiste nella creazione e acquisizione delle varie
classi di valore (« Teoria Gen. e Formale del Valore, come fondamento di una
ped. fil.: Voi. I. Le premesse dell’Axiol. pura» 1916,). Maria Montessori ha
coltivato l’« Antropologia pedagogica », ma il suo nome è soprattutto legato
alle Case dei bambini, che hanno avuto ampia diffusione anche all’estero e
nelle quali il principio di spontaneità è portato alle sue estreme applicazioni
(«Il met. della ped. scient. applicato all’educ. inf. nelle Case dei bambini»
1910 « L’autoeduc. nelle se. elem. » 1916 «Manuale di ped. scient. » 1920).
Giacomo Tauro (n. 1873), lib. doc. a Roma, autore di un lodato profilo del
Pestalozzi, ha propugnato il metodo positivo ed evoluzionistico nella ped.,
scient. e filosofica, della quale ha delineato un piano sistematico (« Introd.
alla ped. gen. * 1906): ha studiato « Il probi, delia coltura nelle sue
attinenze con la scienza e con la scuola» (1911), ha affrontato questioni di
ped. applicata, relative alla educaz. intellettuale (« L’unità mentale e la
concentraz. della istruz. » 1907) e alla formazione del maestro (« La preparaz.
degl’insegnanti elem. e lo studio della ped. » 1920), ha, infine, assunto il
silenzio a oggetto di analisi psicologiche e di ricerche storiche accurate,
fermandosi a considerare il silenzio interiore come mezzo e processo
dell’autoeducazione («Il Silenzio e l’Educazione dello Spirito» 1922). Per
Raffaele Resta (n. 1876), lib. doc. a Roma, realtà propria del vivere umanno è
non l’errare a caso in balia delle contingenze (attualità,ed eterogenesi dei
fini), ma la conformità dei risultati complessivi a un piano di svolgimenti
progressivi (persistenza, e omo- genesi dei fini). Occorre perciò (ed è
tendenza dell’uomo) una forma o norma di vita, per la progressiva riduzione
dell’ordine naturale e attuale dello sviluppo umano, secondo l’ordine ideale o
finale della vita. Una tale forma o legge delle realizzazioni umane è la
educazione: e questa è, da un lato, inerente al vivere umano, ma si rivela
anche, dall’altro lato, specifica cioè distinta e originale, in quanto si
definisce come legge di maestria, cioè come il farsi maestro e far da maestro,
mediante una progressiva azione di corrispondenza delle potenzialità ed
inclinazioni del soggetto (ordine attuale) alle finalità della vita (ordine
finale). La educazione è dunque attività di sforzi perfettivi possibili (legge
di convenienza progressiva) che si trasformano in abilità o autonomia (legge di
maestria) del soggetto nei fini della vita: suo modello dev’essere la
personalità più saldamente autarchica (l’autonomia) nella migliore
realizzazione dell’ordine ideale (Peunomia) « L’anima del fanciullo e la ped. »
1908 «I probi, fond. della ped. » 1911 «Trattato di Ped. 1 » 1919 « L’educaz.
del geografo » 1922. 8 11 carattere umanistico della morale dei positivisti è
stato già rilevato. Paolo Raffaello Troiano, prof, di fil. mor. a Torino,
studioso benemerito dell’etica greca, defini come umanismo la sua filosofia :
umanismo critico e integrale, distinto dall’umanismo pragmatistico, perchè tien
separate le categorie gnoseologiche e quelle pratiche. L’uomo è il centro
teoretico e appreziativo del mondo: tutto da lui prende luce e si predica,
tutto da lui prende senso e si avvalora. Fondamento di ogni valutazione è uno
spirito individuale, che è l’unico reale: lo spirito assoluto è impensabile, lo
spirito collettivo una metafora. Ma nell’individuo esistono pure tendenze
collettive e storiche, e tendenze universali: individualismo e universalismo
sono aspetti inseparabili deH’umanesimo concreto. Ogni etica metafisica è
essenzialmente eteronoma e dogmatica: la concezione subbiettivi- stica dei
valori porta a costruire la morale sopra fondamento psicologico. Centro della
vita psichica, organo dei valori finali, regolatore supremo della vita è il
sentimento, che è il Iato subbiettivo e vissuto d’ogni fenomeno psichico, e
però espressione immediata dello stato del soggetto: fondamento di una morale
autonoma è il sentimento non come dolore (tendenza) o piacere (fruizione),
bensì come sentimento di calma che rivela lo stato di tregua per la so-
disfazione avvenuta e l’armonia di tutte le tendenze: all’edonismo va
sostituito l’alipismo: il senso di tutto il mondo dello spirito umano è
spirito, sospiro o conato di pace, di liberazione dal dolore. L’umanismo
pedagogico assume a fine della educazione la perfetta formazione degli organi
individuali dei valori umani, informandoli al sistema storico della coltura: la
educazione deve tendere a sostituire i valori religiosi con valori spirituali
più alti, vincendo la superstizione del divino con la celebrazione divina
dell’umano (« Etilica. I » 1897 « Ricerche sistematiche per una fil. del
costume. I 1900 «La fi!, mor. e i suoi probi, fond. » 1902 « Le basi
dell’umanismo » 1907 «L’umanismo ped. » 1908»). L’umanismo etico di Giovanni
Cesca (1859-1908), prof, di st. della fil. e di ped. a Messina, è fondato sul
fenomenismo gnoseologico ed esclude da sè il trascendentalismo, ma culmina
nella concezione di una religione morale e umanitaria (« La religione morale
dell’umanità» 1902 «La Fil. della vita» 1903 « La Fil. del- l’az. » 1908). La
religione identificata con la forza della idealità continuamente aspirante al
meglio, viene anche a identificarsi con la educazione moderna che,
distinguendosi dall’addestramento, deve rivolgersi all’Io profondo
dell’educando («Religiosità e ped. mod. » 1908). Il C. costruisce la pedagogia
generale (1900) sopra fondamento evoluzionistico: il suo pluralismo critico
tende a superare « Le antinomie psicologiche e sociali della educazione» (1896)
nella concezione della educazione stessa come processo unitario, realiz- zantesi
nella concordia di discordi molteplici fattori. In Erminio Juvalta (n. 1863),
prof, di fil. mor. a Torino, è particolarmente viva la consapevolezza della
esigenza critica. Non ha scritto molto: ma gli scritti suoi (« Prolegomeni a
una morale distinta dalla metafisica » 1901 « Su la possibilità e i limiti
della morale come scienza» 1907 «II vecchio e il nuovo problema della morale »
1914 « I limiti del razionalismo etico » 1919) son tutti il frutto di
meditazione severa, promossa da un irresistibile bisogno di chiarezza che lo
trae a rivedere assiduamente non soltanto le soluzioni dei problemi etici che
sono state proposte nel corso della storia, ma anche i termini e la posizione
dei problemi stessi. Le esigenze di ordine morale sono fondamentali e decisive
nella posizione e nella soluzione dei problemi di ordine metafisico; e
direttamente o indirettamente ne dipendono anche le questioni filosofiche, che
a primo aspetto si presentano come d’interesse prevalentemente teoretico. È
dunque, nonché opportuno, necessario affrontare i problemi morali
indipendentemente da presupposti di qualsiasi indirizzo filosofico, implicanti
una particolare soluzione dei problemi della realtà e della conoscenza. Nella
scelta fra le diverse intuizioni religiose, o fra i diversi sistemi filosofici,
prevale l’atteggiamento personale della coscienza morale. Lo J. crede alla
possibilità di una scienza normativa etica, ma la fa consistere in un sistema
di relazioni e di leggi, le quali non hanno valore di norme da seguire, se non
nella ipotesi che sia assunto come fine quell’effetto o quell’ordine di
effetti, del quale esse leggi esprimono le condizioni e i fattori. Una tale
scienza differisce dalle altre scienze precettive soltanto perchè suppone che
al fine suo sia riconosciuto un valore di universale preferibilità e precedenza
sopra ogni altro fine. Perchè la determinazione delle norme etiche possa dirsi
scientifica, si richiede che il fine sia umanamente possibile, cioè in
relazione di dipendenza da una certa forma di condotta collettiva o individuale
(e particolarmente per questa maniera d’intendere il carattere scientifico
della morale, il punto di vista dello J. si differenzia da quello che ha
prevalso tra i positivisti). Perchè le norme sieno norme etiche, si richiede
che sia ammesso come postulato che il riconoscere al fine assunto valore di
universale preferibilità e precedenza rispetto a qualsiasi altro fine
umanamente possibile, è una esigenza morale. L’esigenza caratteristica di una
norma morale (esigenza giustificativa, diversa dalla esigenza esecutiva, che è
relativa ai mezzi di assicurare la osservanza della norma stessa) è quella di
una universale giustizia; e il fine che sodisfa a questa esigenza è una forma
di società umana tale, che tutti i socii trovino nelle sue stesse condizioni di
esistenza la medesima o equivalente possibilità esteriore di rivolgere la loro
attività alla ricerca di qualsivoglia dei beni ai quali la convivenza e
cooperazione sociale è mezzo. Allo studio del conflitto fra i criteri
fondamentali di valutazione morale, lo J. ha recato, e ancora promette,
notevoli contributi. Francesco Orestano (n. 1873), prof, di st. della fil. a
Palermo, ha coltivato la storia della filosofia e della pedagogia («Der Tu-
gendbegriff bei Kant» 1901 «Le idee fondam. di F. Nietzsche» 1903
«L’originalità di Kant» 1905 « Comenio » « Angiulli » 1907 «Rosmini» « L. da
Vinci») e la filosofia morale (« I Valori umani» 1907 «La scienza del bene e
del male» 1911 « Gravia Levia» 1914 «Prolegomeni alla scienza del bene e del
male » 1905 « Pensieri’ » 1923). Meglio che fra i positivisti, va annoverato
fra i seguaci dell’indirizzo critico. Egli ritiene che il positivismo coerente
non possa uscire dalla descrizione della vita morale: ma la scienza si rivela
insufficiente di fronte alle questioni più essenziali che la mente umana può
proporsi di fronte alla realtà, e delle quali nell’operare umano è implicita
una soluzione : la esperienza morale, forse tutta la esperienza umana, non
rivela al pensiero la totalità delle condizioni sue: non tutta la realtà è
nell’esperienza. 11 progresso dello spirito è segnato dall’accrescimento dei
problemi. D’altra parte l’O. ha finora soprattutto inteso a costruire sul
terreno della esperienza una scienza del bene e del male, che si limita alla
descrizione più economica, cioè più semplice e più completa, dei rapporti
funzionali elementari (espressi possibilmente nella forma del calcolo) dei
fenomeni morali; e ha portato nn ricco geniale contributo al problema del
valore e della valutazione, considerato cosi in generale come dal punto di
vista etico. Ogni sistema di vita morale consiste infatti in un complesso di
valutazioni, tendenti a obicttivarsi mediante azioni e a svilupparsi in un
sistema di prin- cipii e di leggi. Ammessa la subbiettività del valore, non per
questo se ne assume come sufficiente la spiegazione psicologica: la coscienza
non è che una piccola sezione della personalità: e quest’ul- tima è coestensiva
col sistema della vita, il quale presenta, nell’aspetto organico psicologico
sociale, una composizione multipla e pluricentrica. L’unità trascendentale
dell’io è un mito che non spiega nulla. La valutazione è una funzione
dell’interesse (che è reazione totale dell'io): è la coscienza riflessa di uno
stato d’interesse riferito al suo oggetto. Il concetto ontologico del valore
non può essere fondamento della scienza morale, la quale deve adoperare il
concetto del valore come un principio formale di sintesi dell’esperienza morale
senza obbedire ad alcuna intuizione concreta; caratteristico della reazione morale
è pertanto il riferimento di un oggetto particolare d’interesse al concetto
fondamentale che si ha della vita nella totalità de’ suoi scopi: questo
concetto è il vero fondamento di tutt’i giudizi etici: fondamento relativo, ma
che una volta fissato, agisce come principio assoluto. Tale definizione
s’integra nella definizione del fatto morale come impiego effettivo, cosciente
e volontario della vita in funzione di un tale concetto unitario, esplicito o
implicito, di essa: è la vita che pensa e vuole se stessa, che sceglie da sè i
suoi propri modi di essere: il mondo morale è una teleologia in azione. Ma la
vita non può pensarsi nè volersi che socialmente: la personalità sociale è il
soggetto della esperienza etica, la quale presenta cosi due aspetti, sociale e
personale. L’O. riconduce tutte le valutazioni a un comune denominatore, la
vita, che è la massima misura umana della realtà e del valore: il valore della
vita, poi, è una funzione dipendente del valqre supremo idealmente concepito:
per Luigi Valli, lib. doc. a Roma, «Il Valore Supremo » (1913) s’identifica con
la vita stessa. La sua teoria generale del valore come simbolo di una corrente
d’impulsi o di volontà concordi in una direzione, mette in luce la legge di
proiezione dei valori, per la quale la coscienza crea ai valori stessi una meta
fittizia, considerando come valore proprio l’ujtima parte consapevole di ogni
processo vitale, e con ciò crea i falsi assoluti della morale, che devono via
via decadere. Valore proprio, rispetto al quale tutti gli altri sono valori
relativi, è soltanto la vita, unico valore vero e perciò supremo, nel quale e
per il quale esistono gli altri valori, compresi i valori conoscitivi che sono
anch’essi valori strumentali della vita. In questa stessa Rivista (III, 2), il
V. ha presentato modificata in senso antiintellettualistico, la teoria della
religione sostenuta nel libro « Il fondamento psicol. della religione » (1904).
Zino Zini, lib. doc. a Torino, aderisce, sul terreno della gnoseologia, al
realismo critico: afferma l’intima unità o mutua compenetrazione dello spazio e
del tempo, e svolge una teoria dinamica dello spazio, concepito come emanazione
del tempo: la nostra sensibilità, cioè ia nostra vera vita spirituale in quanto
è formata di rappresentazioni e di sentimenti, d’intuizione e di volontà, è
soggetta alla legge fondamentale del tempo e delio spazio; ma le condizioni per
cui nella realtà soggettiva sorgono queste forme fonda- mentali, esistono nella
realtà oggettiva, nella natura (« La doppia maschera dell’universo»). Nel campo
della morale, lo Z. haprofessato sempre la insufficienza dell’empirismo e si è
venuto sempre più accostando (« La morale al bivio» 1914) alla posizione cri-
ticistica, in antitesi con il naturalismo etico e il determinismo: ma può essere
annoverato qui per l’opera data alla costruzione di una morale logica, la quale
sia l’applicazione alla condotta dei sistemi di cognizioni formulati dalla
scienza. Lo Z. ha vigorosamente criticato la morale religiosa, emotiva ed
eteronoma, tutta volta alla espiazione del passato e alla redenzione dai
peccato, e, svelandone il meccanismo psicologico, l’ha presentata come
impedimento alla formazione della personalità libera e responsabile (« Il
pentimento e la morale ascetica» 1902): egli ha ricostruito la storia
psicologica del sentimento e della idea di « Giustizia », e studiato il
problema sociale come problema che è anche morale e che trova la sua soluzione
non nella socializzazione della proprietà, ma nella partecipazione di tutti
alle condizioni di una civiltà superiore (« Proprietà individuale o proprietà
collettiva?» 1902). Scolaro dell’Ardigò e del Marchesini, Ludovico Limentani
(n. 1884), prof, di fil. inor. a Firenze, ha sostenuto che un’etica indi-
pendente dalla metafisica deve abbandonare ogni pretesa normativa o
deontologica: il valore morale si specifica come rapporto formale fra la
coscienza del dovere la quale si spiega con la costituzione pluralistica della
personalità e della società e la condotta effettivamente praticata: misura del
valore morale è lo sforzo, ed è però competente a giudicarne, in più eminente
grado, lo stesso soggetto agente. Dalla valutazione morale strido sensu vanno
distinte come « quasi morali » altre valutazioni, fra le quali caratteristiche
son quelle dipendenti dalla relazione fra la condotta del soggetto e le
aspettazioni dei socii (« I presupposti formali della indagine etica » 1912 «La
morale della simpatia» 1914 «Moralità e normalità» 1919 «L’onore e la vita
morale» 1923). Guglielmo Salvadori (n. 1879), lib. doc. a Roma, contribuì
efficacemente alla diffusione della dottrina evoluzionistica, con traduzioni di
opere dello Spencer e monografie illustrative (« H. S. e l’opera sua» 1900 «La
scienza economica e la teoria dell’evoluzione. Saggio sulle teorie econ.-soc.
di H. S.» 1901 «L’etica evoluzionista. Studio sulla fil. mor. di H. S.» 1903);
combattè gli errori del trasformismo meccanico («Natura, evoluzione e moralità»
1909) ed ebbe a guida l’evoluzionismo così nel sostituire una spiegazione
razionale dei sentimenti morali alle spiegazioni metafisica e puramente
empirica, rivelatesi insufficienti ( « Determinaz., classificaz. e spiegaz. dei
sent. mor.», 1903), come nel fondare sopra la conciliazione dell’antitesi
essere-divenire, un concetto positivo del diritto naturale («Das Naturrecht und
der Entwicklungsgedanke» 1905). 9. Il positivismo italiano già nel suo
fondatore, il Cattaneo, è, sulle orme del Vico, storicismo: Marselli, scolaro
del De Sanctis, dopo avere, ne’ primi suoi lavori di fil. della st. e di estetica,
ormeggiato lo Hegel, provò poi il disgusto dello abuso che gli hegeliani
avevano fatto della Idea astratta e della scienza a priori, e concepì la storia
come la più alta tra le scienze di osservazione, che con lo stesso metodo
adottato dalle scienze naturali, deve rivelarci le manifestazioni della natura
umana e le sue leggi. Il positivismo del M. è una metafisica monistica, che non
oppone lo spirito alla natura, nè risolve questa in quello, ma spiega con la
legge di evoluzione il progresso da una all’altro («La scienza dellastoria»
1873 80 «Le leggi storiche dell’incivilimento», postumo). P. R. Troiano diede
opera alla costituzione de «La storia come scienza sociale» (Voi. I. 1898),
combattendo il concetto dellastoria come opera d’arte. Da apprezzate ricerche
d’etnologia preistorica e protostorica («L’origine degli Indoeuropei» 1903),
condotte sulla traccia luminosa d’intuizioni del Cattaneo, Enrico De Michelis
procedette ad approfondire il problema della conoscenza storica. Le scienze di
leggi dalla matematica alla sociologia e la storia lato sensu, rispondono a due
distinte esigenze del pensiero: le prime hanno per oggetto quei rapporti
condizionalmente necessari delle cose e dei fenomeni che costituiscono la
«Natura»: la seconda riesce invece alla costruzione e rappresentazione del
reale a titolo di « mondo » o «universo». Hanno torto quei positivisti che
vorrebbero sostituire la storia con le scienze di leggi, estendendo a quella il
contenuto logico e il tipo epistematico di queste; ma è anche infondata (o
fondata soltanto sopra un’analisi insufficiente delle categorie sotto le quali
viene pensato il reale come natura, e sovra persistenti vedute astrattistiche e
sostanzialistiche) la svalutazione del conoscere matematico-naturalistico. Se
la costruzione della storia è il termine d’arrivo di tutto il conoscere, ogni
progresso della conoscenza storica ha per condizione il progredire delle
scienze di leggi; e se queste avessero un valore puramente convenzionale,
neanche la storia potrebbe aspirare a un valore filosofico («II problema delle
scienze storiche» 1914). Giambattista Grassi Bertazzi (n. 1867), prof, di st.
della fil. a Catania, fecondo studioso del pensiero antico, medievale e
moderno, ha avviato ampie ricerche sovra «I presupposti fondamentali della
storia della filosofia. Asturaro, prof, di fil. mor. a Genova, considerò i
problemi morali dal punto di vista dell’evoluzionismo, che, meglio del semplice
associazionismo, offre il modo di conciliare il naturale egoismo con l’ideale
del disinteresse («Saggi di fil. mor.» 1881): si adoperò sopratutto a sistemare
la sociologia mediante la classificazione e seriazione dei fatti sociali :
approfondì la dottrina del metodo delle scienze morali e la dottrina della
classificazione delle scienze ( « La sociologia, i suoi metodi e le sue
scoperte», 2. Ed. 1907). Ma della vastissima letteratura sociologica che dilagò
per l’Italia sul finire dello scorso secolo e nel primo decennio del presente,
non è il caso di far parola: sopra quella emergono per l’austera serietà degli
intendimenti e la rigorosa fedeltà al metodo positivo gli « Elementi di scienza
politica» di Gaetano Mosca ( 2' ed., 1923), prof, di diritto costituzionale a
Roma, (n. 1858) e il «Trattato di sociologia generale» di Pareto (1848-1923):
questi scrittori, se pure non fecero professione di filosofia, con il loro
pensiero robusto e originale esercitarono grandissima influenza sopra la
formazione delle giovani generazioni. Scolaro dell’Ardìgò, Achille Loria (n.
1857), prof, di economia politica a Torino, sociologo ed economista dei più
eminenti, ricercò un principio che lo guidasse alla spiegazione organica della
vita sociale: non si propose la soluzione di problemi speculativi, ma intese il
materialismo storico come un ferreo determinismo economico e ne trasse nel modo
più intransigente estreme illazioni («Le basi economiche della costituzione
sociale). Diffuse con parola lucida colorita efficace la conoscenza del
movimento sociologico contemporaneo («La sociologia, il suo compito, le sue
scuole, i suoi recenti progressi» 1900 «Verso la giustizia sociale » 1904-15).
La concezione della storia come divenire automatico e fatale dei processi
economici, e la interpretazione del materialismo storico come applicazione
della filosofia materialistica alla storia, sono state vigorosamente combattute
da MONDOLFO (si veda), prof, di st. della fi!, a Bologna. Già Labriola, prof,
di fil. mor. a Roma, aveva sostenuto che il materialismo storico deve fondarsi
sopra una dottrina di attività, sopra la marxista filosofia della praxis:
l’uomo non è un essere passivo e inerte, docile all’azione delle condizioni
esistenti: queste, mentre limitano e ostacolano la sua azione, lo stimolano a
volgersi contro di esse per reagirvi e trasformarle: le condizioni stesse che
l’uomo ha create sono da lui, nel processo della lotta fra le classi, superate
e trasformate. Il mar- ximo del L., contro ogni teoria dei fattori storici,
artificiosamente separati ed entificati, rivendica il principio della unità
della vita e della storia («Saggi intorno alla concez. mater. della st. »
1895-8). Anche il Mondolfo, autore di pregevoli saggi di psicologia (* Studi
sui tipi rappresentativi» 1909) e di storia della filosofia (« E. B. de
Condillac » 1902 « La morale di Hobbes » 1903 « Le teorie mor. e poi. di
Helvétius » 1904 «Il dubbio metodico e la st. della fil.» 1905 «Il pensiero di
R. Ardigò» 1908 «La fil. di G. Bruno nella interpretaz. di F. Tocco» 1911 «
Rousseau nella formaz. della cose, mod. » 1913 « F. Acri e il suo pensiero»
1914) e studioso di problemi pedagogici e culturali («Libertà della scuola»
1922), interpreta il materialismo storico come intuizione volontaristica della
vita e concezione critico-pratica della storia (« 11 materialismo stor. di F.
Engels» 1912 «Sulle orme di Marx J » 1923). A fondamento della ricostruzione
della dottrina sta lo stesso criterio, per cui la dialettica reale del Marx si
opponeva alla dialettica hegeliana della idea, ossia il principio, derivato
dall’umanismo del Feuerbach, che restituisce all’uomo la sua concreta realtà ed
azione nella vita, affermando di fronte alla realtà dello spirito la realtà
della natura. La conoscenza e la storia umana si sviluppano in un rapporto
dialettico fra soggetto (bisogni, aspirazioni, volontà degli uomini) e oggetto
(condizioni naturali e storiche): questo si pone come limite, ostacolo e perciò
stimolo progressivo all’attività umana e alle conquiste e creazioni, ch’essa
compie nella diuturna sua lotta, e che si convertono nelle condizioni nuove,
alle quali nuovamente spetterà la funzione di limite e perciò d’impulso a nuovi
sforzi di superamento. In questo volontarismo concreto, che riconosce fra i
bisogni umani la preminente impellenza del bisogno economico, è l’essenza del
processo storico e, insieme, la direttiva di ogni azione aspirante a inserirsi
efficacemente nella storia. Alla conoscenza della dottrina e dell’attività
politica degli estremi partiti rivoluzionari ha contribuito validamente Ettore
Gambigliani Zoccoli (« L’anarchia - Gii agitatori - Le idee - I fatti - 1907),
autore anche di saggi sopra la filosofia dello Schopenhauer e del Nietzsche e
già prof, di fil. mor. a Catania. 11 - Largo contributo recarono i positivisti
agli studi di filosofia giuridica, nei quali aveva già stampato un’orma
profonda Roberto Ardigò con la sua Sociologia. Uno sforzo di conciliazione fra
le dottrine positivistiche e il criticismo si ravvisa nei tre volumi delle
Opere (1908) di Icilio Vanni (1855-1903), prof, di f. d. d.° a Roma, che
assegnò alla fil. del dir. il triplice problema gnoseologico, fenomenologico,
deontologico: mise in luce la esigenza gnoseologica implicita nello stesso
positivismo conitiano e illustrò la dottrina etico-giuridica dello Spencer:
segnò le linee fondamentali di un programma critico di sociologia, riconoscendo
la caratteristica della vita sociale nella «storicità-. Le sue Lezioni ebbero
grande efficacia sulla educazione mentale di parecchi giuristi. Piuttosto
eclettica che propriamente positivistica è la dottrina di Giuseppe Carle
(1845-1917), prof, di f. d. d.° a Torino (« La vita del diritto nei suoi
rapporti colla vita soc.» 1880 «La F. d. d°. nello Stato mod. 1902-3), ispirata
ai principii dello storicismo. La necessità di una larga concezione sociologica
e storicistica del diritto fu sostenuta da Biagio Brugi, prof, d’istituz. di d°
civ. a Pisa (n. 1855: « Introduzione enciclopedica alle Se. giur. e soc. 4 »
1907), seguace e propugnatore dei principii della scuola storica, il quale
accolse e illustrò la dottrina dell’Ardigò ; da Gino Dallari (n. 1872: «La
esigenza del posit. crit. per lo studio fil. del dir. » 1903 « Il pensiero fil.
di H. Spencer » 1904 « Il nuovo contrattualismo nella fil. soc. e giur.» 1911 «
F. d. d.° e scienza storica dell’incivilimento» 1913); e da Gioele Solari (n.
1872: «La scuola del diritto naturale nelle dottrine etico-giuridiche dei sec.
XVII e XVIII» 1904 «La idea individ. e la idea soc. nel d°. privato» 1911 «li
probi, mor. » 1900), professori di f. d. d°. a Pavia e Torino. Rigoroso
positivista fu Salvatore Fragapane, prof, di f. d. d°. a Bologna (1868-1909),
che sostenne contro il contrattualismo l’unità dell’individuo e del gruppo,
dell’idea e del fatto, della coscienza e della società («Contrattualismo e
sociol. contemp. » 1892), applicò al campo della filosofia giuridica il metodo
genetico evolutivo (« Il probi, delle origini del dir. » 1896) e combattè
l’eclettismo del Vanni, negando il compito deontologico della f. d. d.° («
Obbiettò e limiti della f. d. d.° » 1897-9). Scolaro del Fragapane e
illustratore dell’opera del Vanni è Antonio Falchi (n. 1879), prof, di f. d.
d.° a Parma («L’opera di I. Vanni» 1903 «Sulla differenziaz. del diritto dalla
mor. » 1904 «Le mod. dottrine teocratiche» 1908 « I fini dello Stato e la funz.
del Potere»), che negò la legittimità della esigenza metafisica nella f. d. d.°
Particolare attenzione all’aspetto psicologico della fenomenologia giuridica
prestò Vincenzo Miceli, prof, di f. d. d.° a Pisa, che sostenne la riduzione
della f. d. d.° per la parte speculativa alla filosofia morale, e per la parte
tecnica alla dottrina generale del diritto (« Le fonti del d.° dal p. d. v.
psichico-soc. » 1905 « Prin- cipii di F. d. d.° » 1914). Considerarono la vita
del diritto da un punto di vista evoluzionistico e antropologico Raffaele
Schiattarella (1839-1902), Giuseppe d’Aguanno (1862-1908) e Giuseppe Vadalà
Papale (1854-1921), prof, di f. d. d.° rispettivamente a Palermo, Messina,
Catania. Dalla scuola dell’Ardigò sono usciti Alessandro Grappali e Alessandro
Levi: il primo (n. 1874), prof, di f. d. d.° a Modena, contribuì alla critica
della Sociologia del Maestro dal punto di vista del materialismo storico (« La
genesi soc. del fenomeno scientifico» 1899), fece conoscere in Italia le
principali correnti del pensiero sociologico straniero (« Saggi di sociologia »
1899 « I fondamenti giu.el solidarismo » 1914) e assegnò alla sociologia la
triplice funzione critica, sintetica e teleologica («Sociologia e psicologia»
1902). Il Levi (n. 1881), prof, di f. d. d.°a Catania, assegna alla filosofia
il compito di discutere il problema gnoseologico, e conseguentemente intende la
f. d. d.°come logica o gnoseologia del diritto, differenziato dalla economia e
dall’etica come una distinta forma logica o «guisa» dello spirito umano; assume
come concetto fondamentale dell’ordinamento giuridico, quello di rapporto
giuridico, individuazione della forma logica del diritto, che è l’apprezzamento
delle attività nel loro profilo intersoggettivo: «ubi societas, ibi ius».
(«Contributi ad una teoria fil. dell’ordine giur.» 1914 « F. d. d.°e tecnicismo
giuridico» 1920 «Saggi di teoria del d.° » 1924 « La Fil. poi. di G. Mazzini »
1917). Alfredo Bartolomei (n. 1874), prof, di f. d. d.° a Napoli, in un saggio
giovanile discusse, alla stregua di una metafisica monistica e apprezzò con
equanimità e acume « I principii fondam. dell’etica di R. Ardigò e le dottrine
della fi], scientifica » 1900, ma il suo ulteriore pensiero si svolse in
direzione piuttosto criticistica che non positivistica. Benvenuto Donati (n.
1883), prof, di f. d. d.° a Macerata, ha portato contributi allo studio del
diritto come fenomeno, e si è poi rivolto specialmente alle ricerche storiche,
rendendosi benemerito degli studi vichiani («Interesse e attività giuridica»
1909 «11 socialismo giur. e la riforma del d.° » 1910 « Il rispetto della legge
dinanzi al principio di autorità. Critica alla Fil. civ. di Hobbes » 1919
«Autografi e documenti vichiani inediti o dispersi » 1921 « Essenza e finalità
della scienza del d° » 1924). Roberto Vacca ha tracciato le linee di un
programma di f. d. d.° sulla base del metodo sperimentale («Il d.°
sperimentale» 1923). 12. Il positivismo fu portato naturalmente a contribuire a
quel movimento che può definirsi di filosofia della scienza. Positivistico è
l'atteggiamento assunto nel suo libro «Scienza e opinioni» da Bernardino
Varisco (n. 1850), prof, di fil. a Roma, il quale non potrebbe esser annoverato
oggi più tra i positivisti, dopo la revisione e le integrazioni alle quali è
stato indotto dal suo indomito spirito di ricerca. Il V. distingue assolutamente
pensiero e realtà. Questa si compone d’infiniti corpuscoli, estesi ma
fisicamente indivisibili, dotati di proprietà psico-fisiche. Fisicamente, i
corpuscoli si muovono e all’occasione si urtano; e, quantunque duri, negli urti
si comportano come se fossero elastici. La fisica del V. si riduce
integralmente a una meccanica, sul genere di quella del P. Secchi: l’accadere
fisico è quello che ha luogo tra i corpuscoli, mentre l’accadere psichico è
provocato, In ogni corpuscolo, degli urli a cui va soggetto. Non esistono
mentalità indipendenti dal fatto del nostro pensare (il V. mantiene anche oggi
questo suo concetto, che per altro ha reso più coerente). L’esigenza del nostro
pensiero non è se non l’esigenza causale dei fatti psichici che lo
costituiscono, Ciascun fatto psichico (separatamente preso) è insieme una
forza, e un conoscere affatto embrionale, ma certo assolutamente. Quello che è
vero va distinto da quello che consta. P. es.: consta che C è conseguenza
necessaria di P; consta che il remo nell’acqua si vede spezzato. Ma C non è
vera che sotto condizione; e che il remo sia spezzato, non è punto- vero.
Quello che consta non è dunque vero, in generale, che relativamente; peraltro è
un vero noto e certo. Al di là di quello che consta c’è un vero assoluto (p.
es., la dipendenza necessaria di C da P è assolutamente vera), che può essere
in parte ignoto, o non conosciuto con certezza. Per giungere alla cognizione
del vero assoluto, è necessario che ci fondiamo su quello che consta. E a ciò
si riduce quello, che dal V. fu chiamato il suo positivismo: constano soltanto
le conclusioni delle scienze positive (dimostrative, secondo Galileo, il quale
riteneva opinabili tutte le altre dottrine). Fine della
filosofia,secondoilV.,ilqualeinpropositononmutò molto le sue opinioni, è la
discussione del problema, se oltre alla natura psico-fisica ci sia o non ci sia
un soprannaturale, cioè se la religione sia o non sia giustificata. Ed egli
rispondeva allora che alla riflessione il soprannaturale non può constare; il sentimento
del soprannaturale, qualunque ne sia il valore oggettivo, non può essere
tradotto in cognizione distinta, non può servire di fondamento alla costruzione
del sapere. 1 nomi di Federigo Enriques e di Eugenio Rignano si trovano
associati nell’impresa di promuovere con la rivista « Scientia > (fondata
nel 1907 e tuttora fiorente sotto la direzione del R.) la coordinazione del
lavoro scientifico, la critica dei metodi e delle teorie, e di affermare un
apprezzamento più largo dei problemi della scienza. «Problemi della scienza»
s’intitola il libro (1906) con il quale l’E. (n. 1871), matematico di fama già
mondiale, si annunziò come rappresentante di un positivismo che può dirsi
critico, dominato come tale, dalla consapevolezza della esigenza gnoseologica.
La teoria della conoscenza, sostenuta dall’E., deriva dall’esame della scienza,
non accettata dogmaticamente ma investigata nelle sue origini e nel suo
significato: ed è ben giustificata la definizione della sua costruzione come
positivismo critico: l’E. infatti elimina il dualismo di assoluto e relativo,
sostanza e fenomeno rappresenta il lavoro scientifico come un progresso senza
fine, perchè sono senza fine i rapporti che legano fra loro le cose, e il
concatenamento delle cause naturali: e questo progresso concepisce come
procedimento di approssimazioni successive, dove dalle deduzioni parzialmente
verificate e dalle contraddizioni eliminanti l’errore delle ipotesi implicite,
sorgono nuove induzioni più precise, più probabili, più estese ricerca la origine
empirica delle concezioni metafisiche, alle quali può attribuirsi soltanto il
valore d’ipotesi, capaci talora di preparare scoperte e teorie scientifiche fa
oggetto di studio il fondamento psicologico e il contenuto sperimentale delle
supreme categorie logiche opera una revisione delle stesse dottrine
positivistiche, con il fine di escluderne i residui metafisici assume come
criterio della verità la esperienza, la quale dimostra se sussista o meno
l’accordo fra l’elemento subiettivo della previsione e l’elemento obbiettivo
della realtà riconosce come dati immediati della realtà non le sensazioni pure,
ma piuttosto i rapporti fra sensazioni e volizioni che condizionano le nostre
aspettative, e ne esprimono gl’invarianti elementari riconosce pertanto che la
nostra credenza a qualcosa di reale suppone un insieme di sensazioni che
invariabilmente susseguono a certe condizioni volontariamente disposte riesce
con la definizione del reale come invariante della corrispondenza fra volizioni
e sensazioni a unificare, contro le teorie della scienza, nominalistiche e
convenzionalistiche, la comprensione del «fatto bruto» e quella del «fatto
scientifico». Tutta l’opera dell’E. è ispirata alla fede razionale nel valore
della scienza e al principio della continuità e interdipendenza di scienza e
filosofia. Nella valutazione del contrasto « razionalismo-storicismo » il
pensiero dell’E. va sempre più evolvendosi nel senso del razionalismo, ch’egli
cerca tuttavia di comporre con l’empirismo da un lato e con lo storicismo dall’altro
(«Scienza è razionalismo» 1912 «Per la storia della logica » 1922). Rignano,
lib. doc. a Pavia, ha coltivato gli studi sociologici biologici psicologici: ha
esposto criticamente la sociologia comtiana, soprattutto dal punto di vista
metodologico («Là sociol. nel Corso di Fil. pos. di A. C. » 1904): ha spiegato
il meccanismo di trasmissione ereditaria dei caratteri acquisiti con una
ipotesi ontogenetica, che rende conto dei fatti recati a favore così del
preforniismo come della epigenesi. L’altra ipotesi sussidiaria
suH’accutnulazione specifica, che sarebbe la proprietà fondamentale ed
esclusiva della energia nervosa, base della vita, spiega i fenomeni mnemonici
propriamente detti e la proprietà mnemonica della sostanza vivente in generale.
Così la ipotesi centroepigenetica rientra fra le teorie delio sviluppo, ed è
fornito un modello energetico, capace di dare una idea della natura intima
della vita («Sulla trasmissibilità dei caratteri acquisiti). Hanno origine e
natura mnemonica anche le tendenze affettive (« Essais de synthèse scien-
tifique» 1912). L’analisi del ragionamento, cioè del più complesso tra i fatti
psichici, porta a studiare gli altri fatti, sempre meno complessi, che lo
costituiscono, fino ai due più elementari, che dànno luogo a tutti gli altri:
da un lato, cioè, sensazioni ed evocazioni sensoriali, dall’altro, tendenze
affettive (« Psicologia del ragionamento » 1920). Così la sola proprietà
mnemonica spiega e unifica tutte le manifestazioni finalistiche della vita,
dalla ontogenesi e dal preadattamento anatomo-fisiologico ali’ambiente, fino
agl’istinti più complessi e alle più alte manifestazioni del pensiero (« La
memoria biologica » 1922). I nomi del Varisco, dell’Enriques e del Rignano
mostrano come il pensiero italiano abbia preso parte attiva a quel movimento di
revisione critica della scienza, che è una delle caratteristiche più notevoli
del pensiero contemporaneo. Ma non debbo dimenticare pur vedendomi costretto,
per non esorbitare dai limiti del mio tema, a un accenno sommario e pur troppo
insufficiente — l’opera di Giuseppe Peano (« Calcolo geometrico » 1888 « 1
principii di Geometria logicamente esposti » 1889) e de’ suoi discepoli Mario
Pieri, Alessandro Padoa, Cesare Burali-Forti, la quale tanto ha contribuito a
dare alla matematica una rigorosa sistemazione logico-deduttiva, con tendenza
nominalistica, escludendo qualsiasi appello all'intuizione. E vuol essere anche
ricordato il valore logico e filosofico che, partendo dagl’insegnamenti del
Peano e di Antonio Gar- basso (« Fisica d’oggi. Filosofia di domani » 1910),
Annibaie Pastore, prof, di fil. teor. a Torino, ha dato alla logica-matematica
e alla teoria dei modelli meccanici (« Sopra una teoria della scienza » 1903 «
Logica formale dedotta dalla consideraz. di modelli meccanici » 1906 «Del nuovo
aspetto della scienza e della fil.» 1907 «Sillogismo e proporzione» 1910 «Il
pensiero puro» 1913 «Il problema della causalità» 1921). Il calcolo logico,
secondo il P., non è che uno degl’infiniti modelli con cui si può rappresentare
l’ordine dei fenomeni e prevederli; e tutti sono immagini o simboli equivalenti
dell’infinita verità. Ma nelle sue ultime opere il P., superando la posizione
di questo suo iniziale nominalismo, accenna ad orientarsi verso unaforma di
panlogismo. 13. — Al positivismo — anzi al positivismo più rigoroso ed estremo
— va pure ascritta la « filosofia scettica » di Giuseppe Rensi (n. 1871), prof,
di fil. mor. a Genova, pensatore fervido, scrittore suggestivo, polemista
animoso. Egli muove in tutt’i suoi libri principali una vivace battaglia contro
l’idealismo assoluto, negando radicalmente ogni assolutezza delle forme o
attività spirituali, e sostenendo che nell’ambito della sfera della pura
ragione (in quanto cioè la pura ragione, o lo spirito, costruisca cavando esclusivamente
dal proprio fondo, a priori, e si concepisca non come determinata dal fatto,
dal dato, ma come generante essa l’oggetto) impera sovrana e invincibile
l’antinomica ossia lo scetticismo. Ma, quindi, certezza v’è solo nella
constatazione sensibile del fenomeno come tale, e a questa certezza è parallelo
l’accordo universale, in ciò, delle menti. Comincia il regno dell’incertezza,
della mera opinione, e quindi della fantasia (e perciò in un certo senso
dell’arte) quando si vuole salire oltre la constatazione del fenomeno per
interpretarlo. Dunque, o la filosofia è la constatazione del fenomeno, ed è
positivismo e scienza; o è l'interpretazione di esso, ed è mera espressione
d'impressioni, cioè arte, e, dal punto di vista del sapere, scetticismo (« Lineamenti
di Fil. scettica » 1919). Di conseguenza, anche nel campo pratico, morale e
diritto non sono costruzioni razionali che lo spirito cavi con apodittica
assolutezza dal proprio fondo, ma sono determinati, qua e là variamente, dalla
«Autorità» del fatto esteriore, come il positivismo sofistico e quello
hobbesiano avevano scorto («Il diritto», ib. «Filosofia dell’Autorità» 1920
«Introduzione alla scepsi etica» 1921). Anche l’estetica è, come forma a priori
dello spirito, nient’altro che scepsi estetica (« La scepsi estetica» 1919) e
come «bello» non può valere se non la valutazione di fatto che pronuncia il
gruppo sociale o la specie. Negli ultimi suoi scritti («L'irrazionale, il
lavoro, l’amore» 1923 « Interiora Rerum » « Realismo » 1924) il R. accentua i
caratteri realistici e nello stesso tempo pessimistici del suo scetticismo. Non
come positivista, ma come scettico, vuol essere qui ricordato Levi, prof, di
st. d. fil. a Pavia e operoso cultore della st. d. fil. ant. (« Il concetto del
tempo nei suoi rapporti coi probi, dell’essere e del divenire nella fil. gr.
sino a Platone» 1910 « Id. nella fil. di Platone» 1920 «Sulle interpretaz.
immanentistiche della fil. di PI.» 1920), mod. («La fil. di Berkeley» 1922) e
conteinp. (« L’indeterminismo nella fil. frane, contemp. » 1904 ecc.). Il L.
(«Sceptiea*) rappresenta un radicale scetticismo che eliminando da sè ogni
elemento dommatico, sfugge alla consueta accusa d’intima contraddizione. Tutte
le metafisiche, compreso l’idealismo assoluto, si fondano sopra una concezione
realistica, che, in quanto voglia rispondere a esigenze non pratiche ma
puramente teoretiche, è senza giustificazione, anzi in contrasto con il
presupposto fondamentale del conoscere (costituito dal mio io pensante): tutte
- dico fuorché una, il solipsismo, che da questo presupposto direttamente
deriva, e che, sebbene criticabile perchè includente innegabili irrazionalità,
è fra tutte la più plausibile. Contro il positivismo, il solipsismo sostiene
che il dato dell’esperienza esige una interpretazione del pensiero, e però non
ha valore per sè. L’estetica del L. («La fantasia estetica» 1913) si riassume
nella tesi che « l’opera d’arte nasce dal mistero, ha caratteri non
determinabili completamente ed esaurientemente e suscita in chi la contempla
uno stato particolarissimo, irreducibile e non del tutto definibile ». 14 In
Sicilia il positivismo si presenta con aspetti caratteristici nella filosofia
dell’identità di Corleo, prof, di fil. mor. a Palermo, e nel radicale empirismo
di Cosmo Guastella (1854-1922), prof, di fil. teor. a Palermo. Nel C.,
positivistico è il metodo, o il punto di partenza: ma egli con la pura
osservazione dei fatti e senza nulla presupporre vuol giungere alla metafisica
e a conclusioni eminentemente razionalistiche. Non vi è qualità la quale non si
riduca a quantità, e questa riduzione che è il compito della scienza, rende
possibile la costruzione di una filosofia che adegui la esattezza della
matematica. Il C. ha una concezione atomistica della vita psicologica: dalle
percezioni che sono gli atti primordiali del pensiero, e, presentandosi come in
parte identiche, in parte non identiche fra loro, sono tutte complessi,
identici con la somma delle parti risultano l’analisi e la sintesi spontanee,
che operano sopra le percezioni stesse, onde i punti simili di queste si
presentano similmente, e i punti per cui si differenziano si separano
naturalmente: così si spiegano le formazioni mentali superiori. Lo stesso
fondamentale assioma della identità non è dunque che un dato della esperienza,
emergente dalla osservazione del fatto del pensiero: ma è un tale dato che
consente di trovare nell’empirico l’assoluto, perchè assoluto è che
identicamente apparisca ciò che identicamente apparisce. La noologia del C. è
per un verso psicologia empirica: ma per l’altro verso è, in quanto la sua
psicologia è piuttosto una schematizzazione matematica di esperienze
psicologiche, anche logica e gnoseologia. La esperienza si eleva al grado di
concetto per virtù della legge di priorizzazione, onde gli elementi costanti
della rappresentazione di un oggetto «prendono il davanti», diventando tipo e
norma degli altri, e quel che vieti dopo, o si assimila a ciò che precedette e
riproduce quegli elementi costanti, o non si assimila e non li riproduce: qui è
la fonte della universalità e della necessità: ma i giudizi si fondano tutti
sull’analisi del fatto o del concetto e sul riconoscimento d’un’identità
parziale o totale: non esistono giudizi sintetici a priori. Alla stregua del
principio d’identità il C. esamina e critica le idee madri (categorie) e
procede a rettificare e giustificare, contro i positivisti, le idee della
metafisica, da quella di atomo a quella di Dio, mostrando che esse hanno pure
fondamento positivo e valore obiettivo, perchè sono composte con elementi presi
dalla esperienza mediante l’astrazione e la sintesi degli astratti (« Fil.
univ. » 1860-3 «Il sistema della fil. univ. ovvero la fil. dell’identità»
1880). Guastella procede sulle orme del Mill, sforzandosi di ridurre il
pensiero di lui a maggior coerenza, e professa un assoluto nominalismo. Il suo
sistema nell’aspetto ontologico, è un fenomenismo radicale (esse est percipi)
e, nell’aspetto logico, psicologico e gnoseologico, un non meno radicale
empirismo. Fenomenismo, perchè questa dottrina non afferma niente, nè come
conosciuto nè come inconoscibile, ai di là del mondo empirico, intendendosi per
mondo empirico l’insieme dei fatti di cui si ha esperienza o che s’inferiscono
da questi in virtù della generalizzazione dei rapporti costanti osservati fra
di essi, ed essendo esso null’altro che la stessa esperienza. Empirismo, cioè
una dottrina sul criterio della verità, che tra i motivi delle nostre
affermazioni di quelle che non sono semplici atti di memoria o comparazione non
ammette come legittimo che la induzione, e respinge come illegittimi l’evidenza
intrinseca (non confermata dall’induzione) e l’influenza della passione e della
volontà. Il pensiero ha natura sensibile, e non è costituito se non da imagini
concrete e particolari: non esistono giudizi a priori : tutte le nostre
proposizioni sono affermazione o negazione della esistenza di certi fatti
particolari. Anche le nozioni di causa (notevole la critica dissolvente del
concetto di causa efficiente) e di sostanza derivano daglielementi del senso.
Non si può affermare altra esistenza che quella dei fenomeni: fenomeni interni
o subbiettivi nei quali si risolve il Me, fenomeni della natura esteriore, che
si risolvono in sensazioni reali o possibili: non vi è altra scienza possibile
che quella delle uniformità di successione, coesistenza, somiglianza tra i
fenomeni. E il fenomeno è il fatto dell’esperienza, e non esiste se non in
quanto se ne ha esperienza: ma questa conoscenza fenomenica è completa e
assoluta. Anche la credenza nella esistenza degli altri soggetti ha fondamento
nella esperienza, che dà cosi la via di sfuggire al solipsismo. Il postulato
della corrispondenza tra spirito e realtà deve essere ammesso come
obbiettivamente valido, senza uopo di prova, perchè esso è anzi implicito in ogni
prova, e non si potrebbe contestarlo senza rinunziare all’uso del pensiero:
rientra, in sostanza, nel postulato universale, che noi dobbiamo aver fiducia
nelle nostre facoltà. La parte più originale della dottrina dei G. è la
Filosofia della Metafisica, cioè la ricerca del fondamento psicologico delle
costruzioni metafisiche e la dimostrazione del loro carattere illusorio. Quel fatto
che è la metafisica, richiede di essere spiegato: come nasce la tendenza
irresistibile a trascendere la esperienza, e come si determinano le varie forme
sotto cui ci apparisce questo preteso al di là dei fenomeni? Tale tendenza è
tutt’uno con quella che porta ad assimilare tutti i fenomeni e tutte le idee
che ci formiamo su di essi ai fenomeni, e alle idee sui fenomeni, che ci sono
più familiari: particolarmente ai fenomeni dell’azione della volontà sul nostro
corpo donde la filosofia volizionale e del movimento per urto donde la
filosofia meccanica o impulsionistica («Saggi sulla teoria della con. I. Sui
limiti e l’ogg. della con. a priori 1897. II. Fil. della Metafisica 1905» «Le
ragioni del fenomenismo» 1921-3). Non era mio compito considerare le relazioni
del positivismo italiano con le filosofie ch’esso trovò già vigoreggianti al
suo primo manifestarsi, e con le altre correnti che successivamente, in
antitesi o in continuità con esso, hanno avuto o'ritrovato fortuna tra noi. La
precedente rassegna analitica basta a dimostrare la profondità, l’ampiezza, la
fecondità di un movimento che scaturisce da una necessità, immanente allo
spirito umano. Fin dal suo apparire il positivismo fu accompagnato in Malia con
i segni aperti di una ostilità che non ha disarmato mai : è leggenda tanto più
insistentemente ripetuta quanto più esaurientemente sfatata ch’esso abbia mai
ottenuto il predominio nell’insegnamento superiore o aspirato a esercitarvi una
tirannica dittatura. Ha tenacemente resistito all’imperversare di polemiche, le
quali hanno sovente trasceso i limiti segnati alla critica onesta e serena,
mossa unicamente da zelo di verità. Seguendo la traccia di Roberto Ardigò, e
trovando in sè la virtù di reagire contro la tendenza al semplicismo e al rozzo
empirismo, è venuto progressivamente interiorizzandosi e affinando in sè il
senso della esigenza storica e critica: inflessi- bile nel rivendicare alla
filosofia la stffi autonomia e la sua distinta funzione, ha tenuto fede al
patto di alleanza con la scienza, stretto sul fondamento della unità di metodo
: e non è certamente questa la sua minore benemerenza verso la cultura nazionale.
Firenze, R. Università. Dice MASNOVO (si veda) in “IL NEOTOMISMO IN ITALIA” che
nel tracciare in poche pagine le vicende del TOMISMO (AQUINO (si veda))
italiano ferma l’attenzione piuttosto sulle situazioni che sugl’uomini: la
quale cosa, se torna utile sempre nella storia della filosofia, molto più torna
utile quando il periodo a cui si guarda è abbastanza recente. Le ragioni sono
di prima evidenza. Entriamo in argomento. Non ò possibile caratterizzare
secondo verità l’AQUINO AQUINISMO senza prima formarsi un’idea esatta dell’AQUINO
AQUINISMO anteriore. Certo le scuole domenicane italiane mantenneno sempre in
qualche efficenza il loro AQUINO (si veda) AQUINISMO e prima e dopo.
Nonpertanto se l’AQUINISMO d’AQUINO italiano s’afferma vivamente e
risolutamente e via via negli anni successivi, ciò è dovuto principalmente al
canonico piacentino BUZZETTI (si veda), le cui lezioni sono già diffuse in
manoscritti per l’Italia, e i cui scolari avevano già iniziato all’AQUINISMO
d’Aquino, più o meno fortunatamente, TAPARELLI (si veda), LIBERATORE (si veda) e
tant’altri dentro e fuori della compagnia di Gesù. PECCI (si veda) a Perugia è
certamente sotto, l’influsso di Sordi, piacentino e scolaro di Buzzetti: è
lecito pensare il medesimo del canonico napoletano Gaetano Sanseverino
(3). A. Masnovo, Il Neotomismo in
Italia, p. 129. (Società Editrice « Vita e Pensiero», Milano, 1924). Cfr. «L’amico d’Italia», anno IV, Torino,
1825, voi. Vii, p. 200. Quivi Don Carlo Gazola, tessendo l’elogio In morte
dello zio Vincenzo Buzzetti, ci fa sapere che lo zio « tracciò egli un corso
breve di filosofia, che tiensi nel seminario vescovile di Piacenza e nelle
pubbliche scuole di Reggio e in quelle di Napoli; filosofia in che null’altro
difetto ritrovasi fuor quello di sommamente piacere a tutti i giovani
d’ingegno». (3) A. Masnovo, Il Neotomismo in Italia. Buzzetti rimetteva a nuovo
il tomismo, consapevolmente o no, sotto la spinta del movimento romantico, e
l’inseriva, certo consapevolmente, nella reazione che, tra la fine del 1700 e l’inizio
del 1800, si scatenava anche in Italia, compreso il ducato di Parma, avverso
l’empirismo del Locke e il sensismo del Condillac. Anzi si può e si deve dire
che in Italia il Buzzetti è (cronologicamente almeno) il primo grande
rappresentante della reazione anti- sensistica. Certo non può venire in gara
col Buzzetti il Rosmini, la cui attività letteraria comincia quando il Buzzetti
è morto (1824). Quanto al Galluppi la sua reazione all’empirismo data dal 1819:
anno nel quale egli inizia la pubblicazione del «Saggio filosofico sulla
critica della conoscenza... ». Or noi sappiamo che prima del 1816 il Buzzetti
professava il suo battagliero tomismo in contrasto al sensismo. Infatti il P.
Serafino Sordi, entrato nella Compagnia di Gesù verso la fine del 1816 , aveva
già seguito il corso tomistico dettato nel Seminario di Piacenza sotto
l’ispirazione del Buzzetti. Questo tomismo, per cosi dire, buzzettiano, che
riprende non già come un effimero capriccio ma come sforzo e forza davvero
vitali, e che, col Sordi e col Taparelli col Liberatore e col Sanseverino, si
svolge perennemente a contatto del pensiero e delle preoccupazione ambienti, a
che punto trovasi del suo svolgimento nel decennio 1870-1880? A questa dimanda
risposi ampiamente in altra circostanza (3). Qui basti ricordare che il
Liberatore nel 1858 aveva già scritto i due volumi « Della conoscenza
intellettuale » destinati ad affermare la dottrina tomistica della conoscenza
frammezzo alle opposte correnti del tradizionalismo, dell’ontologismo e del rosmi-
nianesimo; che nel 1875 aveva terminato il trattato «Dell’uomo» risultante dei
due volumi «Del composto umano» già pubblicato nel 1862 e dell’« Anima »; che
fin dal 1860 aveva impresso alle sue « Institutiones » l’indirizzo decisamente
tomistico (4), svolgendovi la metafisica generale e la speciale. Quanto al
Sanseverino, egli 0) L’opuscolo galluppiano «Dell’analisi e della sintesi»,
scritto fino dal 1807, prescindeva dall’origine semplicemente sensistica o no
delle idee che entrano a formare le nostre conoscenze ossia i nostri giudizi
(Galluppi, Saggio filosofico. . ., Libro 1, c. Il, paragr. 37 e ss.). A. Masnovo, // Neotomismo in Italia. Masnovo,
Il Neotomismo in Italia, p. 115. (4) Cfr. «Institutiones Philophiae .. Romae,
Typis Civilitatis Catholicae, 1869. Quivi da pag. 3 a p. G è riportata la
prefazione dell’edizione del 1860; la quale prefazione appunto ci avverte del
deciso indirizzo tomistico che ormai assumono le «Institutiones» liberatoriane.
E l'avvertimento non è disdetto dall’opera. era sceso prematuramente sì nel
sepolcro il 1865 a soli 54 anni, ma ci aveva lasciato di suo « I principali
sistemi della filosofia sul criterio», e la monumentale « Pliilosophia
Christiana cum antiqua et nova comparata
». Non occorrono aggiunte per convincersi che, mentre il decennio
1870-1880 fila i suoi giorni, la restaurazione del tomismo quanto a metafisica,
cioè per la sua parte capitale, è già un fatto compiuto. Il dualismo di Dio
immobile e del mondo diveniente, nonché l’altro dualismo di potenza e di atto
in ogni cosa creata e più precisa- mente di materia e di forma nelle cose
corporee, il Neotomismo li ha già affermati risolutamente. Di più il Ncotomismo
ha già applicato l’ilemorfismo ai viventi in genere (dove la forma è l’anima) e
in particolare al composto umano che è una unità sostanziale vivificata da
un’anima sussistente, spirituale, immortale. A proposito della cognizione umana
il Ncotomismo ha già proclamato l’irriducibilità della medesima a semplice
risultato di senzazioni, e insieme riconosciuto per ciascun uomo la necessità
dell'intervento di un proprio e intimo principio spirituale (l’intelletto
agente) affine di universalizzare il dato del senso. I principii poi onde si
svolge la vita conoscitiva dominano soggetto ed oggetto. Passando dall’ordine
speculativo a quello pratico, Dio (ben inteso, personale e trascendente) è già
stato proclamato fonte del dovere nella vita morale e fonte dell’autorità nella
vita sociale. Ma il Neotomismo italiano del periodo 1870-1880 oltre a trovarsi
dinnanzi a la metafisica dell’Aquinate, già restaurata, ha piena consapevolezza
della cosa. Nel 1875 sulla Civiltà Cattolica
il Liberatore dichiara che « rimessa oggimai in onore la vera
metafisica, è mestieri porre in armonia con essa la scienza fisica»; parimenti
nel 1875 lo stesso Liberatore nell’ultima pagina del suo « Dell’anima umana »
ripete che « la vittoria per ciò che riguarda la parte metafisica sembra
assicurata massimamente dopo che il movimento ristoratore dall’Italia si
propagò nella Francia, nella Germania e nella Spagna. Ma il trionfo della sana
dottrina non è compiuto se non viene esteso anche alla fisica, compilandone una
che stia in perfetta armonia colla metafisica, e che, facendo tesoro Com’è detto nel Monitum Editorum apposto al
primo dei sette volumi della « Philosophia Christiana » (ed. 1878), il Can.
Nunzio Signoriello, dopo la morte del Sanseverino suo maestro —, « bisce
voluminibus manus admovit eaque in meliorern ordinem redegit, et quartum Logicai
voliimen condidit prae- cedentibus omnino aequale». Civiltà Cattolica. di tutti i progressi delle
scienze esperimentali, mostri come essi, lungi dal contrastare, confermano anzi
la parte razionale dell’antica filosofia. A questo convien che sieno volte
quinci innanzi le cure dei veri sapienti; e io non dubito che il provvido Iddio
susciterà tra breve tra i cultori delle scienze naturali chi sappia
trionfalmente applicarvi l’ingegno e la fatica». Al Liberatore fa eco il Card.
Giuseppe Pecci, il quale aH’inaugurazione dell’Accademia Romana di San Tommaso
d’Aquino il giorno 8 Maggio 1880 pronunciava queste parole all’indirizzo degli
accademici: «Dunque la vostra restaurazione (filosofica) si stende per
indiretto ma efficacemente alla restaurazione eziandio di tutte le scienze. E
quanto alle scienze razionali, richiamata una volta in luce la dottrina di San
Tommaso, la restaurazione può dirsi quasi fatta: non rimane che arricchirla e
ampliarla nelle applicazioni. Più lungo studio richiederanno dal vostro ingegno
le scienze naturali... ». Adunque secondo
il Pecci, come secondo il Liberatore, non vanno cercati nel decennio 1870-1880
gl’inizi del neotomismo: che anzi, secondo loro, il movimento neotomistico
propriamente filosofico si conclude in questo stesso decennio. Che se
particolari caratteri assume, comeassumeeffettivamente.il Neotomismo in questo
decennio, uno possiamo riporlo fin d’ora, come autorizzano e ce ne fanno dovere
il Liberatore e il Card. Giuseppe Pecci, nel tentativo di porre a contatto la
filosofia scolastica, ormai risorta, con il mondo delle scienze fisiche e
naturali. Col bisogno di penetrazione nel campo scientifico si fa sentire anche
il bisogno d’intensificare la volgarizzazione. Appunto sui mezzi di diffondere
la ristorata filosofia chiama l’attenzione una serie di articoli della Civiltà
Cattolica, comparsi nel 1870. Mentre caratterizziamo cosi il neotomismo dopo il
1870 non vogliamo escludere da questo periodo ogni sviluppo di speculazione;
come non vogliamo escludere dal periodo precedente l’opera di volgarizzazione e
di penetrazione scientifica. Caratterizzando, ci basta guardare agli elementi
che, pur non essendo esclusivi, hanno una prevalenza indiscussa. Vediamo dunque
quali forme concrete vanno assumendo dal 1870 in poi i propositi di
penetrazione scientifica e di volgarizzazione. * * * Guardiamo anzitutto
all’opera di volgarizzazione. Se la restaurazione del tomismo nel secolo XIX è
dovuta all’iniziativa privata
L’accademia Romana di S. Tommaso d’Aquino (pubblicazione periodica). che
deve superare autorevoli contrasti (I), la divulgazione si compie in gran parte
per l’intervento dell’autorità ecclesiastica e più precisamente dal Pontificato
Romano. Ed è naturale. Filosofia e Chiesa, in fondo in fondo, risolvono il
problema della vita. Quando le due soluzioni armonizzano, benché ottenute dalla
Filosofia e dalla Chiesa con mezzi propri anzi finché cosi ottenute , il mutuo
appoggio torna onorevole e vantaggioso per entrambe, e risponde certo a un
diritto, ma più ancora a un preciso dovere. Nell’opera di volgarizzamento dopo il
1870 possiamo distinguere due aspetti: uno positivo consistente nell’emissione
di documenti ecclesiastici a favore del Neotomismo, nell’istituzione di
accademie, nella pubblicazione di riviste e simili; uno, per cosi dire,
negativo consistente nell’eliminare dalla circolazione dottrine che si fanno
passare come di ispirazione tomistica, ed effettivamente tali non sono. I due
aspetti, idealmente distinti, praticamente si confondono. L’aspetto positivo
richiama subito alla mente l’enciclica « Aeterni Patris» ossia «De Philosophia
Christiana ad mentem S. Thomae Aquinatis doctoris Angelici in scholis
catholicis instauranda », prò mulgata nel 1879 addi 4 agosto festa di San
Domenico dal pontefice Leone XIII, fratello dell’ex gesuita e fervido tomista
Card. Giuseppe Pecci. Da questa enciclica i cattolici sono invitati a dare il
loro nome alla filosofia che si ispira a San Tommaso d’Aquino. Nello stesso
anno 1879 si imprende, per ordine e per munificenza del Pontefice, una grande
edizione delle opere dell’Aquinate, non ancora terminata oggidì. Un anno dopo,
cioè nel 1880, e ancora il 4 agosto, San Tommaso è proclamato da Leone XIII
patrono delle scuole cattoliche. È facile comprendere l’influsso capitale di
questi documenti, che non creano certo il neotomismo; cooperano però
validissimamente alla sua diffusione. Le accademie tomistiche pullulano per
ogni diocesi accanto ai vescovadi e ai seminari. Si può convenire che il
movimento guadagnando in estensione perde in proti) Basti pensare
all’iiitervento dello stesso Superiore Generale contro quei gesuiti che a
Napoli circa il 1833 tentarono la restaurazione del tomismo. (Cfr. A. Masnovo.
Il Ncotomismo in Italia, p. 61). Se il
Gentile, dedicando sulla «Critica» del 20 novembre 1911 un capitolo della sua
Filosofia in Italia dopo il 1850 ai Neotomisti, e parimenti il Saitta nel suo
volume Le origini del Neotomismo nel secolo XIX avessero ben notato il momento
esatto e il significato preciso dell’intervento ecclesiastico a prò’ del Neotomismo,
già spontaneamente affermatosi prima del 1870, non avrebbero tratto motivo da
questo stesso intervento per svalutare il Neotomismo. Fatto questo rilievo, è
giusto tributare omaggio tanto al Gentlte quanto al Saitta per l’interesse
addimostrato verso il neotomismo. fondita. Ma è questa la naturale vicenda
delle cose umane, e meravigliarsene sarebbe da ingenui. Tra le accademie del
periodo che c’interessà merita particolare men 2 ione l’« Accademia Romana di
S. Tommaso d’Aquino» , inaugurata, come sopra fu detto, l’otto maggio 1880. Suo
organo è il periodico omonimo « L’accademia romana di San Tommaso d’Aquino »,
che inizia le pubblicazioni subito nel 1881 ed esce annualmente in due
fascicoli. 1 collaboratori principali sono, oltre il Card. Giuseppe Pecci, i
professori Francesco Satolli, Benedetto Lorenzelli, Giuseppe Prisco e i P.P.
Tommaso Zigliara O. P. e Camillo Mazzella S. I. , che, tutti, finiranno
cardinali della Chiesa Romana. Si aggiungano i padri gesuiti Liberatore e
Cornoldi, il can. Nunzio Signoriello, mons. Salvatore Talamo, l’avv. Giovanni
Fabri, il prof. Giannantonio Zanon ed altri ancora. Abbondano naturalmente i
commenti a San 1 ommaso. Il Card. Pecci pubblica nel volume secondo la sua «
Parafrasi e dichiarazione dell’opuscolo di San Tommaso «De ente et essentia » ;
altri si fermano di preferenza intorno agli articoli che S. Tommaso dedica alla
cognizione umana nella Somma Teologica dalla questione LXXXIV alla LXXXVIII.
Questi commenti anche oggi si possono leggere con profitto. Oltre i commenti a
San Tommaso, trovano largo posto gli attacchi al rosminianesimo, come portava
la necessità del momento. Non era infatti possibile diffondere la genuina
filosofia dell’Aquinate senza incrociare le armi con i fautori del
rosminianesimo, i quali tenevano a far apparire coincidenti rosminianesimo e
tomismo: coincidenza perfettamente illusoria, sopratutto dopo che, morto il Ro-
mini, era venuta alla luce la sua «Teosofia», sdrucciolante ornai, sulla buccia
dell’ente ideale, troppo apertamente ancorché preterin- tenzionalmeute, verso
l’ontologismo o intuizionismo divino che dir si voglia, e verso il panteismo. A
mente calma e fredda, con animo scevro da ogni passione di parte, oggi si può
convenire che il sistema ideologico del « Nuovo Saggio sull origine delle idee
» prc disponeva ai mali passi. Ebbi altra volta occasione di scrivere che Già a
Napoli nel 1874, ricorrendo il sesto centenario della morie di San Tommaso
d’Aquino, era stata istituita un’« Accademia di S. Tommaso d’Aquino» ; e pure
in Roma nello stesso anno 1874 aveva incominciato a vivere !’« Accademia
filosofico medica di San Tommaso d Aquino. Nel 1892 dalla tipografia vaticana
usciva, sotto il velo dell’anonimo, la celebre « Rosminianarum propositionum
quas S. R. U Inquisitio, approbante S. P. Leone XIII, reprobavit, proscripsit,
damnavit Trutina theologica ». Si seppe di poi esserne autore il Card.
Mazzella. Rosmini disimpegnò nella prima metà del secolo XIX una funzione
veramente utile in prò’ del Neotomismo, sospingendone i cultori a prendere
contatto con la filosofia ambiente estranea od avversa. Aggiungo ora che gli si
può e gli si deve riconoscere il merito di aver insistito, sia pure deviando,
sull’elemento divino nella cognizione umana. Il domani filosofico ritornerà
sicuramente su questo elemento. Ma fu, almeno almeno, un gran perditempo quel
volersi da troppi e sistematicamente nella seconda metà del secolo XIX
indurare, o per illusione o per arte polemica, nel difendere una coincidenza
assolutamente irreale. Questo nocque oltremodo al rosminianesimo nel giudizio
degli uomini imparziali ed equilibrati, che dovettero scorgervi o troppa
ingenuità o troppa (come dire?) virtuosità. Certo San Tommaso non ha nulla di
comune con le debolezze intuizionistiche e panteistiche del Rosmini: senza dire
che San Tommaso attribuisce proprio all’astrazione la formazione degli
universali, mentre il misconoscimento di questo potere dell’astrazione è la
base stessa della speculazione rosminiana nel « Nuovo saggio sull’origine delle
idee ». Fra coloro che sulle pagine dell’* Accademia Romana di San Tommaso
d’Aquino » polemizzarono più diffusamente e più autorevolmente contro il
rosminianesimo va ricordato Liberatore. Il neotomismo aveva chiarita e
giustificata le sua posizione speculativa di fronte al rosminianesimo ed alla
sua ideologia pericolosa fino dall’opuscolo di Sordi. Dice VOLPE nel
“HEGELIANISMO ITALIANO”, 6,P Svill, PP° dell ° he g elis "'° SUl !° He
sei, dopo aver affermato che il gran mento dello H. sta nella scoperta della
dialettica come relazione sintesi di opposti e aver soggiunto che oltre la
sintesi degli opposti c è la sintesi dei distinti, conclude che il torto dello
H è di aver confuso quella dialettica con questa. Oltre gli opposti, essere e
nulla, spiiito e natura, vero e falso, ecc., i quali non sono reali che nella
sintesi di cui costituiscono i momenti astratti ; ci sono, dunque, pel Croce, i
distinti: bello, vero, utile, buono, i quali non si trovano fra loro nella
stessa relazione degli opposti, reali solo nella sintesi- ma sono, invece,
egualmente, tutti reali e concreti, così da poter sussistere I nno accanto
all’altro. Posto ciò, il rapporto fra i gradi orme dello spinto è, pel C.,
questo: esso procede per diadi (invece che per triadi), nelle quali il primo
termine sussiste da sè cornar 0 ’ PU k aV, end ° anch ’ esso una sua
sussistenza concreta come tale, assorbe .1 primo: così, l’arte, si è visto, è
alogica, ma filosofia, sintesi di intuizione e concetto, è anche arte, cioè ha
etica^ ° rC espress . lv ° : la volizione economica è amorale, ma quella senni
n* V, ’T economica > la volizione morale essendo anche sempre utile Lo
spinto, poi, è di natura circolare, e però passa da un grado all altro: passa
dal grado intuitivo al logico, all’economico, all etico, e dall’ultimo trapassa
ancora al primo, all’intuitivo ornendo .1 contenuto pratico alla nuova
intuizione, e così in eterno’ nfa°tfi ni a gra t ÌmP ' ÌCÌta resistenza di tu,
“ i quattro gradii nfatti, appunto perchè nel grado intuitivo, ad es., è già
implicito 11 ’° glC0 Sl P uò P assa re dall’uno all’altro. E il passaggio
consisterebbe, infine, nel divenire esplicito ciò che era Lplidtò Ili Ora è
necessario osservare subito, che in questa teoria del Croce vengono così in
contatto due dialettiche contrarie: quella degli opposti e quella dei distinti.
Sono, dunque, due differenti specie di rapporti che concorrono al ritmo
dialettico, crociano, dei gradi: il mutuo rapporto dei gradi in quanto tali,
cioè distinti, concreti, e quello degli stessi in quanto astratti momenti di
ognuno dei gradi concreti. Il grado intuitivo, ad es., ha due significati ben
diversi, quello di momento della sintesi a priori logica (sintesi, si è visto,
d’intuizione e concetto), e quello di sintesi a priori estetica, grado concreto
e indipendente, come tale, dal grado logico, che, a sua volta, come tale, è in
egual relazione verso di quello. Ove è palese, che, nel primo caso su
accennato, si ha una relazione di opposti, e nel secondo una relazione di
distinti. È in questo punto dell’incontro delle due dialettiche, che si sono
soffermati più a lungo i critici del Croce. È stato osservato, ad esempio, che
le due dialettiche si annullano l’un l’altra ; che il concetto
dell’implicito-esplicito, che deve spiegare il passaggio da un distinto
all’altro, è un semplice mito, non differente, essenzialmente, da quello del
passaggio dall’inconscio al conscio ; che il concetto stesso di circolo è
mitologico, e così via. Il carattere espositivo di questo scritto c’impedisce
di entrare nella questione: si è ricordato ciò per informazione del lettore.
Fin’ora si è discorso dell’estetica, della logica, della filosofia della
pratica: veniamo ora alla Teoria della storiografìa (1917) che conclude il
sistema della filosofia dello spirito quasi con una brusca correzione. In
quest’ultima opera il C. vuole integrare la sua unificazione precedente della
filosofia e della storia nel giudizio percettivo, col concetto della
contemporaneità della storia. La storia, antichissima o recente che sia, è
storia contemporanea, cioè sempre relativa al soggetto presente, che col
pensarla la suscita, la fa; badando però a intendere questa presenza come
assoluta e ideale, tale, cioè, che condizioni essa e superi l’empirico presente
e passato del tempo. Ma intesa così la storia, come procedente
dall’universalità del soggetto, come attualità piena dello spirito, essa appaga
allora l’esigenza filosofica di possedere la realtà nella sua pienezza e
totalità, e la filosofia come Logica, come un distinto momento dello spirito,
viene sminuita di valore. In relazione, infatti, al nuovo concetto di storia,
la filosofia, nel senso più adeguato e profondo, viene ad G. De Ruggiero, La Filosofia Contemporanea,
voi. Il, p. 164. N. Spirito, Il nuovo
idealismo italiano. essere il momento trascendentale della conoscenza storica,
alla quale appresta le categorie necessarie a pensare la totalità del reale. «
La filosofia non può essere altro che il momento metodologico della
storiografia, dilucidazione delle categorie costitutive dei giudizi
storici...». Dilucidazione che «si muove nelle distinzioni dell’Estetica e
della Logica, dell’Economica e dell’Etica; e tutte le congiunge nella filosofia
dello spirito ». Il pensiero del C. conclude, dunque, ad una sopravvalutazione
della storia, o filosofia in largo senso, di fronte alla logica, o filosofia
stricto sensu: conclude, infine, parrebbe a due concetti di filosofia: la
logica, o filosofia stretta, che come tale resta al di qua dell 'atto
storiografico, o filosofico in senso profondo. Ecco quel ch’è sfato chiamato,
anche recentemente, l’umanismo del Croce. Umanismo, si è detto, perchè tutta la
storia della storiografia assume il valore di una storia della filosofia
incentrata nel concetto dell’uomo, del mondo ch’è il suo mondo (Vico), e dei
suoi bisogni spirituali . È stato ancora osservato, che quel ch’è la funzione
della filosofia rispetto al problema della scienza nei filosofi del
neo-criticismo positivista, si ritrova nel Croce, come coscienza critica
immanente all’atto storiografico, di cui essa è il momento puramente
trascendentale . IL La formazione mentale di G. Gentile ha origini diverse da
quella crociana. A Bertrando Spaventa, e, attraverso questi, a Hegel, Fichte,
Kant, Cartesio, e ai nostri Gioberti, Vico e Bruno, si riallaccia, fin dagli
inizi, la meditazione del fondatore dell’idealismo dell’atto. È, poi, partendo
in particolare dallo Hegel, con la riforma ch’ei propone, indipendentemente dal
Croce, e sulle orme dello Spaventa, della dialettica hegeliana, che il pensiero
del G. dà i primi frutti originali. Lo Spaventa, studiando le tre prime
categorie della Logica hegeliana, essere, non-essere, divenire, aveva
osservato, sorpassando i precedenti interpreti (Trendelenburg, Vera etc.), che
« questa posizione imbrogliata dell’essere e del non-essere (lo stesso e non-lo
stesso) è la viva espressione della natura del pensare. Se si toglie di mezzo
il pensare non se ne capisce niente». E il Gentile, negli studi intitolati,
appunto, La Riforma della dialettica hegeliana (1913), affermò, che « Se
l’essere non è più un’idea in sè, ma una cate (Carlini) goria, e categoria è
atto mentale, come può realizzarsi l’atto della mente altrimenti che come unità
di essere e non-essere, cioè divenire? L’atto si fa, fit, diviene. È in quanto
diviene... Quando è semplicemente, non è». E potè concludere, altrove: «
L’essere che Hegel dovrebbe mostrare identico al non-essere nel divenire che
solo è reale, non è l’essere che egli definisce come l’assoluto indeterminato
(l’assoluto indeterminato non può essere che l’assoluto indeterminato I); ma
l’essere del pensiero che definisce, e, in generale, pensa: ed è, come vide
Cartesio, in quanto pensa, ossia non essendo (perchè, se fosse, il pensiero non
sarebbe quello che è, ossia un atto), e perciò ponendosi, divenendo». In
conclusione, l’essere, il non-essere, il divenire, non sono più, pel G.,
posizioni logiche, obbiettive del reale, com’erano per ('Hegel, ma momenti
della coscienza in atto, del pensiero pensante, in cui il divenire, come
sintesi degli altri due termini, esprime nient’altro che il processo del
sapere, che vince nella sua concretezza i momenti astratti, rigidi, in cui
l’analisi lo rompe : e cosi, com’è stato già osservato, tutta la sovrastruttura
della logica hegeliana crolla. Crolla, perchè vien mostrato che la deduzione
hegeliana delle categorie, che voleva essere sistematica, contro quella
empirica di Kant, e conciliare la molteplicità con l’assoluta unità, non riesce
a questa conciliazione, perchè anche in essa vi si analizzano concetti invece
di realizzarli nella loro unità vivente: è dialettica di pensieri pensati usando
la terminologia gentiliana; e cioè non-dialettica, perchè il pensato, come
tale, non si svolge, non si dialettizza. Manca, insomma, l’unità, la vita:
anche Hegel si smarrisce, a un tratto, dietro ipostasi, immobili e ferme:
platonismo, in fondo. L’unità, dice il G., non può esser data che dal pensiero
in atto, dall’atto in atto. La vera Idea è atto, l’unica categoria è Yatto
spirituale ; onde «tutti gli atti del pensiero, quando non si considerino come
meri fatti, quando non si guardino dall’esterno, sono un atto solo. E però per
il nuovo idealismo le categorie sono infinite di numero, in quanto categorie
del pensare che si guarda come pensato (la storia); e sono una sola infinita
categoria, in quanto categoria del pensare nella sua attualità». Ma allora la
deduzione hegeliana si risolve proprio, anch’essa, in fondo, in una deduzione
empirica (anche Hegel ha, come Kant, numerato le categorie!); e la sua non può
essere la deduzione delle categorie, ma « un caso fra infiniti casi possibili
di deduzione, o meglio... un frammento o un moti ) Cfr. De Ruoqiero. mento
della eterna deduzione, in cui consiste la storia non pure del pensiero, come
s’intende comunemente, ma del mondo ». Non pure del pensiero, ma del mondo,
perchè l’atto, a cui si riduce l’Idea pel ò., è occorre dirlo? actus purus, nel
senso più moderno e integrale, come atto che è tutta forma perchè è tutta
materia, generata dalla forma: forma formante, davvero: è quel processo
autocreatore del puro pensiero ch’è l’Autocoscienza nella sua concreta individualità:
onde l 'io empirico e particolare non è che l’attuarsi dell’Io puro,
trascendentale. La stessa istanza critica che la Riforma compie in rapporto
alla Logica hegeliana, l’Introduzione del Sommario di Pedagogia (1913-14) la
compie come è stato acutamente osservato in rapporto alla Fenomenologia. Come
il pensiero puro non ha bisogno di percorrere i gradi categorici dell’essere,
del conosciuto, secondo gli schemi della logica formale, per giungere alla
piena coscienza di sè, perchè si pone a priori come pensiero consapevole e
attuale; cosi non ha nemmeno bisogno di passare per i gradi psicologici della
conoscenza, la sensazione, la percezione, la rappresentazione, etc., perchè non
può mutuare da altri che da sè, non soltanto la sua forma, ma anche il suo
contenuto . La dottrina psicologica tradizionale che concepisce il processo
psichico effettuantesi per gradi monadisticamente distinti, è possibile
soltanto per una concezione analitica dello spirito; onde questo può essere di
volta in volta, sensazione, percezione, concetto etc., solo in quanto venga
considerato, naturalisticamente, come un aggregato di momenti giustapposti, gli
uni fuori degli altri. Ma se si concepisce io spirito come vivente unità
originaria, come pensiero pensante, pensare e non pensato, ogni molteplicità
scompare e tutti i gradi psichici si risolvono n eli’unico atto dello spirito.
Nella sensazione è già lo spirito nella sua intierezza, e la sensazione è
perciò necessariamente anche percezione, giudizio, concetto, conoscenza, volontà,
come tutti questi gradi non sono che sensazione: quel sensus sui ch’è, infatti,
lo spirito. Tuttavia non si creda che manchi nel O. il concetto di un processo
fenomenologico: c’è anzi, e originale: ed è una fenomenologia che,
identificatasi con la logica, non è altro che la stessa storia dello spirito.
Le distinzioni risorgono, dunque, nel processo spirituale, ma non più come
gradi tipici, giustapposti, ma come distinzioni concrete, storiche, vieppiù
ricche col progredire del processo. Cioè, ogni
De Ruooiero. atto dello spirito non è che la coscienza più profonda di
un atto anteriore, che è il contenuto del primo, il quale naturai mente è la
forma di quello. « La sensazione-contenuto è dentro la sensazione- forma,
risolta e assorbita nell’attualità di questa ». Ogni atto di coscienza può
dirsi percezione rispetto a una sensazione precedente, la quale, in quanto atto
spirituale, fu anch’essa percezione. Cosicché si passa da percezione a
percezione, o, è Io stesso, da sensazione a sensazione. E in sostanza la
sensazione è una sola: l’atto spirituale nel suo interno mediarsi, e che,
mediandosi m eterno, si svolge attraverso infiniti momenti, infinite
sensazioni. Venendo alla dottrina propriamente pedagogica del Sommano, ne
accenneremo il concetto fondamentale: che educatore e educando sono due momenti
di un’unica realtà, l’Universale, io Spirito, onde hanno in esso la loro
profonda unità: scompare così ogni hiatus fra l’uno e l’altro; e il processo
educativo non è che processo di reciproca autoeducazione: ognuno vede
nell’altro sè stesso, lo Spirito, e attraverso l’altro forma un migliore, un
più alto sè stesso. Processo di universalizzazione, dunque, processo
eminentemen e etico. 11 miracolo dell'educazione è spiegato; e la prassi
educativa ha nel concetto d e\\’autoeducazione il suo miglior lume, la guida
più certa. È stato riconosciuto che nella storia della pedagogia 1 Sommario
segna una tappa ideale confrontabile solo con YEmilio. Questo realismo
spiritualistico del Sommario venne assumendo - è stato osservato - negli scritti successivi, L'esperienza pura
e la realtà storica, e Teoria generale dello spinto come atto puro un carattere
più univeversale in quanto dal problema del a formazione dell’uomo si passò a
quello di dimostrare in esso la radice di tutti gli altri problemi concernenti
la realta e le sue categorie. Il principio dell’idea come atto acquistò sempre
piu carattere metafisico. . Già nel primo dei due scritti suaccennati 1 atto
viene concepito come pura esperienza che lo spirito fa di sè, eliminando in tal
modo qualunque presupposto dello spirito, sia oggettivo che soggettivo, e
generando da sè ogni realtà: tutta l’esperienza nelle sue infinite concrete
distinzioni è posta dall’atto e. nell’atto in un'esperienza storica, non nei
senso della storia presupposta all atto e quindi empiricamente concepita, ma
della storia che si attua quale vita eterna dello spirito. Nell’atto veniva
così risolta l’antitesi di a priori ( 1 ) Carlini, op. cit., p. 232. e di a
posteriori, e si concludeva a un formalismo assoluto, o, che è lo stesso, a un
empirismo assoluto . Ma questo esplicito significato metafisico appare in tutto
il suo sviluppo nella Teoria, uno dei capolavori del G. Qui, attraverso i
problemi della storia della filosofia, attraverso soprattutto il problema
kantiano e hegeliano, è dimostrato dal G. come lo spirito generi da sè stesso
la natura: il mondo del molteplice e crei nella sua dialettica unificatrice
moltiplicatrice spazio e tempo. Lo spirito viene concepito come conceptussui,
concetto che pone sè stesso, autoctisi. Ma questo porsi è, naturalmente, non
immediato, ma mediato. Lo spirito si pone attraverso la natura, l’oggetto; il
soggetto si pone mediandosi come oggetto. Quell’unità ch’è lo spirito si pone,
perciò, come molteplicità, attraverso la molteplicità, appunto perchè non è
unità immediata, statica, ma mediata in sè stessa, dialettica, unità, insomma,
dinamica e concreta, vivente. In altri termini, lo spirito si afferma negando,
non si svolge se non negando perennemente il suo opposto, la natura, che è per
ciò suo essenziale momento dialettico, e però spirito anch’essa, e non
un’entità a sè, concepibile come astratta dallo spirito. La natura, insomma,
come non-essere di quell’essere ch’è lo spirito: e cosi l’errore, il male, il
dolore sono egualmente il non-essere di quell’essere; eterno momento del
processo della verità, del bene, della vita. Certo, se la verità, il bene, si
concepiscono immutabili, ab aeterno, l’errore, il male sono inconcepibili. Ma
se la verità e il bene, come pensa il Gentile, sono divenire, atto, essi devono
perennemente superare sè stessi, ritrovando in sè l’errore, il male da
superare. E però, errore e verità, male e bene non sono realtà distinte,
indipendenti, ma i momenti di una sintesi, che è « errore nella verità, come
suo contenuto che si risolve nella forma», è «male onde il bene si nutre, nel
suo assoluto formalismo». Finiremo con un cenno, purtroppo frettoloso e assai
inadeguato, dell ultima grande opera del G., forse il suo maggior capolavoro,
certo, a tutt oggi, il suo testamento filosofico, per la compiutezza della
sistemazione: il Sistema di logica come teoria del conoscere. Uno dei concetti
fondamentali della speculazione gentiliana, naturalmente implicito nei
precedenti, è quello dell’identità della filosofia con la sua storia: infatti
se la filosofia è concepita come processo di autocoscienza, essa è storia,
storia eterna in tempo; e però Carlini. ogni
sistema coincide col corso storico del pensiero, in quanto esso riassume e
potenzia in sè, giustificandoli, i sistemi precedenti, che non sono che momenti
idealmente anteriori di que\Yunico processo di pensiero autocosciente, ch’è —
eminenter — la filosofia. Orbene, il sistema di logica attinge certo la sua
capitale impor¬ tanza, nell’assieme dell’opera del G., da questo: che esso vuol
es¬ sere ed è l’ultima riprova concreta, effettuale del suaccennato prin¬ cipio
dell’identità di filosofia e storia della filosofia. Esso ci mostra, di fatti,
come il sistema gentiliano, la nuova logica del pensiero pensante, si
costituisca a patto di ricapitolare in sè, di conservare e giustificare,
inverandola, l’antica logica ari¬ stotelica, la logica del pensiero pensato.
Infatti, la dialettica aristo- teiico-scolastica vien mostrata come grado
necessario alla dialettica del concreto, in quanto essa, dandoci la legge del
pensiero pensato (A — A) ci spiega il momento dell 'oggettività del pensiero a
sè stesso, oggettività necessaria, se —ricordiamolo — il puro pensiero
dev’essere concepito non come immediata soggettività, ma come
soggettività-oggettività, soggetto-oggetto, mediazione, dialetticità. Occorre
osservare, che qui il logo della logica del pensato, del¬ l’astratto, cioè A =
A, viene negato al tempo stesso che conser¬ vato, perchè non è più considerato
a sè, da un punto di vista astratto, ma è considerato dal punto di vista
concreto, cioè in fun¬ zione del logo della logica concreta, cioè del pensiero
pensante, A = non A? Conservare ch’è negare; inverare, come è, difatti, di quel
divenire ch’è lo spirito, la filosofia. E però è giusto -riconoscere, ancora,
che in tal modo « tutto il processo storico del concetto di logica si risolve,
identificandovisi, nel nuovo concetto dialettico » : quello del Gentile; e che,
ripetiamolo, la verità del principio del circolo di filosofia e storia della
filosofia, è dimostrata dal sistema stesso del G.; che, mentre convalida quel
principio, ne è, a sua volta, — si noti — convalidato, fondato po¬ sitivamente:
storicamente. Croce e Gentile hanno suscitato, da anni, un gran movi¬ mento di
idee, e di discepoli, attorno a sè: il primo soprattutto nell’ampio campo della
cultura letteraria e storica in genere: il se¬ condo nel campo della filosofia
teoretica e della storia della filosofia. Nominare discepoli del Croce non è
cosa facile, perchè, facen¬ ti) Spirito. dosi sentire il suo influsso nel largo
campo della cultura storico- letteraria, tutti, in quest’ultimo ventennio, sono
stati e sono ancora, in certo senso, crociani: in ispecie i critici di
letteratura e arte e gli storici sono permeati di pensiero crociano, anche se
lo negano- Soprattutto, il concetto crociano dell’arte è, si può dire, entrato
a far parte del patrimonio di idee necessario a chi voglia pensare e vivere in
armonia col progresso effettivo del pensiero della storia. Dei critici
letterari, che hanno subito, consapevolmente o no, l’influsso dell’estetica
crociana, ricordiamo qui G. A. Borgese, che, per quanto staccatosi in seguito
da Croce, serba traccie di pensiero crociano nelle pagine migliori; Emilio
Cecchi; Alfredo Gargiulo, autore d’un d’Annunzio; Luigi Russo, autore d’on Di
Giacomo e di un Verga; e infine Attilio Momigliano ( Studi Manzoniani, Goldoni,
Verga). Nella critica delle arti figurative ci piace notare Lionello Venturi;
nella critica musicale F. Torrefranca e G. Bastianeili. Piò facile è far
qualche nome di discepoli del Gentile, essendo più tecnico, e quindi più
ristretto, il campo su cui si è irradiato il pensiero gentiliano: filosofia
teoretica e storia del pensiero speculativo, come si è detto. Ricorderemo, anzitutto,
due pensatori, Armando Carlini e Giuseppe Saitta, che si posson dire i
rappresentanti di due interpretazioni e svolgimenti opposti del pensiero del
Maestro: la dottrina di destra come è stato detto (I) - del Carlini, in cui si
tenta di svolgere entro l’ambito de\V attualismo alcune esigenze empiristiche
come quella della pluralità dei soggetti e quella di un mondo soggettivo,
morale, distinto dal mondo oggettivo, della percezione, della conoscenza: si
veda La vita dello Spirito (1921); e la dottrina di sinistra del Saitta, che
tende a un’ulteriore, più profonda identificazione di io empirico e Io
trascendentale: si legga Lo spirito come eticità (1920). « Armando Carlini,
professore nella R. Univ. di Pisa, proviene dalla filosofia crociana. Egli tende
a elaborare il lato spiritualistico piuttosto che quello logico-dialettico
della filosofia gentiliana. L’attualismo del maestro ubbidisce, a suo avviso, a
due motivi diversi: l’uno costituisce l'originalità propria della filosofia
gentiliana, ed è il motivo psicologico e lo sforzo di risolvere la dialettica
nel ritmo stesso della vita interiore, onde l’autocoscienza e la personalità
coincidono nel processo autocreatore dello spirito; l’altro è un ritorno al
problema hegeliano-spaventiano della dialettica come logica melati) Cfr.
Spirito. fisica, onde l’atto, più che spiegare se stesso si assume il compito
di spiegare il mondo della natura e dello spirito. L’attualismo diventa cosi,
dice il C., un puntualismo, in cui tutte le distinzioni di problemi spirituali
si neutralizzano in un concetto generico dell’attività del pensare. Egli tenta,
perciò, di ripigliare la prima posizione e di svolgere il concetto del ritmo
interno all’atto come il problema fondamentale dell’attualismo. L’atto realizza
se stesso come quello. « Io penso» ch’è unità in una dualità di vita e di
pensiero, di personalità morale e di riflessione filosofica su essa. La
distinzione posta in seno all’atto gli permette di riguardare questo come
condizione trascendentale di una dualità tra il mondo dell’esperienza sensibile
o mondo del conoscere, e quello dell’azione ch’è propriamente il mondo
storico-morale. Nello stesso tempo, l’atto, non coincidendo più dentro sè con
se stesso, fa appello a un punto di vista trascendente, in cui quel dissidio
venga pacificato, e pone così il problema fondamentale della vita religiosa. Il
Carlini e il Saitta sono anche storici, in ispecie il secondo: al Carlini si
deve un’ampia monografia sul Locke, al Saitta monografie sul Gioberti, sul
Ficino e vari saggi. Alla destra appartengono ancora il Ferretti e il
Codignola, pedagogisti; alla sinistra Guido De Ruggiero, autore di un saggio
sulla Filosofia contemporanea e di una Storia della Filosofia, opere di
carattere critico, prevalentemente. La posizione mentale del de Ruggiero, di
fronte aH’idealismo del Croce e del Gentile, può essere caratterizzata da una
più viva preoccupazione dell’importanza speculativa dei problemi sulla scienza
della natura. Il D. R. fin dal 1913 in una monografia dal titolo : La scienza
come esperienza assoluta ripudiava nettamente le dottrine prammatistiche della
scienza accolta nel sistema crociano e poneva il problema dell’unità della
scienza della natura e della filosofia, abbozzando una teoria del positivismo
assoluto, in cui le scienze, guardate nella loro intima genesi spirituale,
piuttosto che nell’astratta oggettivazione naturalistica, erano reintegrate
nella vita speculativa dello spirito. E più recentemente in un saggio sui
Problemi della scienza e della umanità ha ulteriormente sviluppato questo punto
di vista, mostrando la necessità che le due correnti dell’idealismo moderno,
quello storicista che fa capo al Vico e allo Hegel e quella scientifica, che fa
capo alla Critica della ragion pura di Kant, a torto dissociate dall’idealismo
contemporaneo, vengano ricomposte in una unità articolata e sintetica, per cui,
pur riconoscendo il carattere storico della vita spirituale, questa storia non
s’isterilisca in un mero umanesimo, ma includa in sè l’opera delle scienze
naturali, e attraverso di esso, il mondo stesso della natura nella sua
pienezza. Ampia attività storica hanno esercitato altri due pensatori più ligi
alle dottrine del Maestro: Vito Fazio-Allmayer, con saggi.su Galileo e sulla
Teoria della libertà in Hegel-, e Adolfo Omodeo autore di una Storia delle
origini cristiane in più volumi. È da ricordarsi ancora Antonio Anzilotti,
autore di un Gioberti, studiato nella sua filosofia e prassi politica e Cecilia
Dentice D’Accadia, che ha dedicato specialmente la sua attività allo studio del
problema religioso in Schleiermacher e Kant. In pedagogia, Giuseppe Lombardo-
Radice, autore di una Teoria e storia dell'educazione e di molti saggi
pedagogici, è il maggiore interprete e prosecutore della pedagogia idealistica
del Maestro, nella teoria e nella pratica. POSTILLA BIBLIOGRAFICA SU CROCE E
GENTILE. Delle seguenti opere si cita solo l’ultima ediz. Croce (Pescasseroli,
prov. di Aquila): Estetica come, scienza dell’espressione e linguistica
generale. Teoria e Storia 5» ediz. Bari, Laterza; Logica come scienza del
concetto puro. 4‘ ediz. Bari, Laterza, 1920; Filosofia della pratica. Economica
ed etica. 9* ediz. Bari, Laterza, 1923; Teoria e storia della storiografia. 2*
ediz. Bari, Laterza, 1920; Problemi di Estetica e contributi alla storia dell’Estetica
italiana. Bari, id. 1910; La Filosofia di G. B. Vico. 2 1 ed. Bari, id. 1922;
Saggio sullo Hegel. 2” ed. Bari, id. 1913; Nuovi Saggi di estetica. Bari, id.
1921. Giovanni Gentile (n. a Castelvetrano, prov. di Trapani): La riforma della
dialettica hegeliana. 2* ed. Messina, Principato; 1 problemi della scolastica e
il pensiero italiano. 2» ed. Bari, Laterza, 1923; Sommario di Pedagogia come
scienza filosofica. 2* ed. Bari, id. 1920-22; Teoria generale dello Spirito
come atto puro. 3* ed. Bari, id. 1920; Sistema di logica come teoria del
conoscere. 2» ed. Bari, id. 1921-23; Discorsi di religione. Firenze, Vallecchi,
1920; Giordano Bruno e il pensiero del Rinascimento. Firenze, id. 1920; La
Riforma dell’educazione. Bari, Laterza, 1920; Frammenti di estetica e
letteratura. Lanciano, Carabba. Dice Lamanna in “IL REALISMO PSICOLOGISTICO
NELLA NUOVA FILOSOFIA ITALIANA” che Sarlo, nato nel 1864 in un paesello della
Basilicata (San Chirico Raparo), venne alla filosofia dalla medicina. E ve Io condusse
intima vocazione, oltre, e più, che esterna vicenda di casi. Già durante gli
studi universitari, a Napoli, si compiaceva di frequentare, con le lezioni
della Facoltà cui era iscritto, quelle di lettere e filosofia: e fu, tra
l’altro, uditore dello Spaventa negli ultimi anni del suo insegnamento. La
stessa sua prima pubblicazione un volumetto di Studi sul Darwinismo, ch’egli
scrisse ancor giovanetto nel 1887 attesta la tendenza di lui a studiare, anche
nel campo delle scienze biologiche, le questioni più generali, quelle che sono
poi stimolo e offrono motivi alla speculazione filosofica. Questa tendenza
divenne in lui sempre più consapevole durante gli anni che passò, come medico,
nel Manicomio di Reggio Emilia, dove compì ricerche psichiatriche che,
mettendolo a contatto più diretto con i problemi dell’anima, determinarono il
suo passaggio alla psicologia e alla filosofia. In questo campo non ebbe
maestri: fu un autodidatta: dovette cercar da sè, come a tentoni, la sua
strada, ed era naturale che la trovasse solo attraverso deviazioni, incertezze,
ritorni. La sua educazione naturalistica e l’influenza dell’ambiente culturale
del tempo, impregnato di positivismo, lo portarono dapprima a seguire questo
indirizzo di pensiero: e in uno degii organi della filosofia positivistica, la
Rivista dell’Angiulli, egli fece le sue prime armi. Ma non tardò ad
allontanarsi dal positivismo, a mano a mano che venne ac - quistando coscienza
delle deficienze di quella dottrina cosi in ordine all’interpretazione del fatto
conoscitivo come in ordine alla fondazione della moralità e religiosità umana:
deficienze, che illustrò poi in quelle Note sul positivismo contemporaneo in
Italia, pubblicate in appendice agli « Studi sulla Filosofia contemporanea »
nel 1901, una delle critiche più penetranti e conclusive che della gnoseologia
positivistica siano state fatte in Italia. La sua coscienza filosofica si venne
formando nel decennio 1890- 1900. Concorsero a questa formazione lo studio del
Rosmini, i rapporti personali o spirituali con alcuni dei più cospicui
rappresentanti italiani dello spiritualismo e del neo-criticismo, come Luigi
Ferri, Filippo Masci e, in particolare, Francesco Bonatelli, e, più
specialmente, lo studio diretto delle correnti più significative del pensiero filosofico
e psicologico contemporaneo, segnatamente inglese e tedesco, alcune delle quali
egli per primo, o tra i primi, fece conoscere in Italia. E di questa sua
attività furono frutto due saggi rosminiani: La logica di A. Rosmini e i
problemi della logica moderna e Le basi della psicologia e della biologia
secondo A. Rosmini considerate in rapporto ai risultati della scienza moderna
(Roma) poi rifusi in altri lavori ; due volumi di Saggi filosofici (Torino,
Clau- sen) posteriormente anch’essi rielaborati e rifusi —; studi su autori
stranieri sparsi in varie riviste, alcuni dei quali furono poi, con altri di
epoca posteriore, raccolti nel volume Filosofi del tempo nostro (Firenze, La «
Cultura Filosofica» editrice); saggi di psicologia; il volume Metafisica, Scienza
e Moralità (Roma, Balbi, 1898), e il volume già ricordato Studi sulla Filosofia
contemporanea : La Filosofia scientifica (Roma, Loescher, 1901). L’esigenza che
si rivela come fondamentale in questi studi del De Sarlo, è quella di mostrare
le vie per le quali le scienze positive, e più particolarmente quelle naturali,
sboccano, per una necessità imposta dalla logica a loro immanente, in una
concezione filosofica nella quale il naturalismo è superato, cosi per il
riconoscimento dei poteri originari e irriducibili dello spirito quale soggetto
conoscente e quale persona morale, come per il coronamento del sapere
filosofico in un’interpretazione teistica della realtà universale; mentre,
dall’altro lato, la filosofia stessa, come sistemazione e critica del sapere,
riceve dalle scienze particolari continuo alimento e stimolo. E la necessità di
questo connubio fecondo, nella loro reciproca azione, della scienza e della
filosofia, è rimasta come uno dei motivi principali del pensiero del De Sarlo,
anche quando, nel periodo di piena maturità della sua attività di studioso, ha
tratto i principii del suo filosofare non più dal neo-criticismo, di cui si
sente l’influsso neghi scritti sinora citati, ma dallo sperimentalismo inglese
da Locke a Mill —; dall’intuizionismo della scuola scozzese specie per il
rilievo costantemente dato agli assiomi così gnoseologici come etici,
costitutivi dello spirito umano, e apprensibili con evidenza immediata
nell’esperienza interna e infine dal realismo dell’Her- bart e del Lotze. Conseguita
nel 1894 la libera docenza in filosofia presso l'Università di Roma, insegnò
questa disciplina nei licei di Benevento, di Torino, di Roma, fino al 1900,
quando ottenne per concorso la cattedra di filosofia teoretica all’Istituto di
Studi Superiori di Firenze, cattedra ch’egli ha tenuto e tiene ancor oggi con
l’autorità e l’efficacia di un Maestro. Presso lo stesso Istituto Superiore
fondò nel 1903 un Gabinetto di Psicologia Sperimentale, il primo del genere in
Italia, e che è rimasto anche oggi il più ricco di apparecchi: molte e
importanti ricerche vi sono state compiute sotto la sua direzione, sebbene, in
questi ultimi anni, la potenzialità scientifica- mente produttiva del Gabinetto
sia stata assai ridotta per le condizioni materiali veramente miserevoli nelle
quali si è venuto a trovare. Dal 1907 al 1917 il De Sarlo ha diretto la Cultura
Filosofica, una Rivista che ebbe un programma ben definito e, specie nei primi
anni, fu vivacemente battagliera cosi contro il positivismo ormai declinante,
come, e più, contro il risorgente idealismo. La sua operosità di studioso ha
dispiegato con assiduità e intensità instancabile nel campo della psicologia,
dell’etica, della filosofia generale, pubblicando poderosi volumi, ai quali
specialmente noi ci riferiremo nella esposizione e caratterizzazione della sua
filosofia. Il valore della sua opera ha avuto riconoscimento ufficiale nel
premio Reale per la filosofia, conferitogli dall’Accademia dei Lincei, della
quale egli è, dal 1921, socio nazionale. Elenchiamo qui le opere principali del
De Sarlo, escluse le prime già citate che poi sono state rifuse nelle
successive: Metafisica Scienza e Moralità. Studi di Filosofia morale. Roma,
Balbi. Contiene: Il naturalismo Il telismo L’idealismo e la moralità Il
socialismo come concezione filosofica Vita morale e vita sociale]. Studi sulla
Filosofia contemporanea. Prolegomeni : La « Filosofia scientifica ». Roma,
Loescher. Sarlo d’ordinario è presentato come un teista e uno spiritualista.
Tale egli stesso ha sovente dichiarato esplicitamente [Contiene : Du
Boys-Reymond, Helmholtz, Darwin, Il positivismo contemporaneo in Italia ]. I
dati dell’esperienza psichica. Firenze, Pubblicazioni del R. Istituto di Studi
Superiori, 1903, 1. voi. di pagg. 430 in-8. L’attività pratica e la coscienza
morale. Firenze, Seeber. Principii di Scienza etica, con un’Appendice su La
patologia mentale in rap- perto all’etica e al diritto. Palermo, Sandron, in
collaborazione con Q. Calò). II Pensiero Moderno. Palermo, Sandron, 1 voi. di
pagg. 410 in-8. [Contiene: a) Tre studi che possiamo dire introduttivi : La
formazione della coscienza filosofica odierna Uno sguardo alla filosofia I
compiti della filosofia nel momento presente. b) Altri tre studi che
costituiscono come la parte centrale del volume, la più vasta per il contenuto
che abbraccia e per l’estensione che ha: ! problemi gnoseologici nella
filosofia contemporanea Lo psicologismo nelle sue principali forme; I diritti
della Metafisica, nel quale ultimo specialmente sono sottoposti a un rapido e vigoroso
esame critico i principali indirizzi della filosofia contemporanea. c) Altri
quattro studi su particolari problemi o correnti filosofiche : Il significato
filosofico dell'evoluzione [Filosofia e scienza dei valori Stillo spiritualismo
odierno]. Filosofi del tempo nostro. Firenze, La «Cultura Filosofica» editrice,
1916. [Contiene studi su Paulsen, Hodgson, Ward, Bradley, Reitike, Hartmann,
Zeller, Bonatelli]. Psicologia e Filosofìa. Studi e ricerche. Firenze, La «
Cultura Filosofica » [Contiene: Alcuni studi di filosofia generale,
importantissimi per la comprensione della posizione del De Sarlo nel campo
filosofico, e della concezione dei rapporti tra filosofia e psicologia: Vecchia
e nuova Psicologia La psicologia e le
scienze normative L’esperienza psichica L’individuo dal punto di vita
psicologico Il soggetto La causalità psichica Sensazione e coscienza. b ) Due
ampi studi di psicologia metafisica: Il concetto dell'anima nella psicologia
contemporanea Idee metafisiche intorno all’anima Saggi contenenti la materia
per un orgànico trattato sulle funzioni psichiche : La classificazione dei
fatti psichici L’attività conoscitiva
L’attività immaginativa Vita affettiva ed attività pratica, con i quali
saggi è strettamente connesso un amplissimq studio intorno a Le determinazioni
formali della vita psichica, e più particolarmente all'azione dell’esercizio e
dell'abitudine su tutte le funzioni fisiologiche e psichiche. (Appartengono a
questo gruppo altri saggi minori.- Sulla teoria somatica delle emozioni Sullo
studio dei sentimenti nella psicologia inglese contemporanea - Sulla percezione
delle forme). d) Studi di psicologia fisiologica e patologica: Cervello e
attività psichica L’attività psichica
incosciente Sulla psicologia della
suggestione Le alterazioni della vita psichica
La psicologia degli animali]. di essere. E tale, certo, egli si rivela
nei suoi scritti, dai più antichi ai più recenti. Ma, è da aggiungere subito,
non è data così la caratteristica più saliente della sua figura di pensatore:
sfugge a quella designazione gran parte, e forse la più significativa, della
sua opera filosofica; viene, comunque, lasciata cosi nell’ombra quella
concezione della filosofia e del metodo di filosofare che, meglio d’ogni altro
elemento, vale a individuare la sua posizione personale nel movimento
filosofico italiano contemporaneo. Uno dei suoi primi lavori, anzi il primo
veramente organico che l’ulteriore sviluppo del suo pensiero abbia lasciato
immune da quelle rielaborazioni più o meno sostanziali cui, come abbiamo già
detto, egli ha sottoposto altri suoi scritti di quel tempo, voglio dire il
volume Metafìsica, Scienza e Moralità, è tutto una riaffermazione dei princìpi
fondamentali della dottrina teistica cosi contro il naturalismo come contro
l’idealismo assoluto. La concezione di Dio quale Ragione che si esprime
continuamente ed eternamente nel mondo, e non come legge o ordinamento
astratto, bensì come soggetto concreto e vivente, è in quel libro svolta e
presentata come la sola concezione metafisico-religiosa, che, gravitando sulle
esigenze morali più profonde della coscienza umana, sulla considerazione del
valore assoluto della persona, contenga di queste esigenze il riconoscimento e
la giustificazione più piena, e fornisca per ciò stesso il principio di quella
sistematica unificazione di tutta la realtà, a cui la mente umana tende per sua
natura, e in cui possono essere inverate le particolari connessioni di
frammenti di realtà che le scienze della natura stabiliscono mediante le serie
causali dei fenomeni. E tra gli scritti meno antichi, due saggi, dei più
elaborati e ricchi d’idee, I diritti della Metafìsica (nel volume « Pensiero
Moderno ») e Idee metafìsiche intorno all’anima (nel II voi. di « Psicologia e
Filosofia »), giungono, attraverso l’analisi dei concetti di causa e di
sostanza, alle medesime conclusioni teistico-spiritualistiche intorno a Dio e
all’anima umana. Dio è la Causa prima, la causa che non è effetto, postulata
qual condizione essenziale della comprensibilità di qualsiasi fatto particolare
in quanto anello di una serie causale: causa la quale non può esser concepita,
se non come analoga alla sola causa vera a noi nota, che è la nostra stessa
volontà in quanto libera, in quanto costitutiva d’un cominciamento assoluto;
non può quindi esser concepita se non come volere essa stessa, e quindi come
causa finale. E Dio è la Sostanza Assoluta. l’Essere nel quale trova compiuto
soddisfacimento l’esigenza del pensiero a cui risponde il concetto di sostanza:
che è il concetto di essere che non è in altro nè per altro, ma è essere per
sè, condizione e presupposto di ogni altra determinazione, principio e unità
reale di ogni molteplicità. E anche per questo rispetto esso non può venir
concepito se non in analogia con quella che è per noi l’espressione più
immediata e genuina della sostanzialità, ossia la coscienza, che è appunto
esistenza per sè, l’io che è immediatamente percepito come principio unico di
una molteplicità di funzioni e di atti, in cui manifesta la sua realtà. E le
sostanze finite possono anche esser considerate come pensieri di Dio, e quindi
come atti di quest’Essere per sè per eccellenza, purché però l’atto e la
funzione di Dio siano intesi come tali che il termine di essi abbia un essere
almeno parzialmente indipendente e sia fornito della capacità di esistere per
sè, di spontaneità e di libertà. Appunto queste proprietà degli esseri finiti
rileva e illustra il De S. nel tentativo di determinare cosi l’origine come il
destino delle anime. L’origine dell’anima la quale implica, per un lato, la
produzione di qualcosa di nuovo e, per l’altro, la conformità a un ordine di
leggi immutabile, può, secondo il De S., esser posta in rapporto con l’azione
divina, purché questa s’intenda appunto come sostrato reale in cui ha il suo
sostegno quell’ordinamento di leggi, per il quale, in date condizioni, nuovi
fatti accadono o nuovi fini e valori vengono realizzati. E poiché
quelPordinamento è eterno, anche delle anime può dirsi che esistono ab aeterno,
come principi potenziali, i quali aspettano che i destini si maturino per poter
divenire attuali. E una volta divenuti attuali, i centri reali di vita e di
coscienza sono, secondo il De S-, indistruttibili, appunto in forza del pregio
intrinseco che essi posseggono come sostanze: onde l'affermazione dell’immortalità
di tutte le anime. È innegabile, dunque, che del problema metafisico per
eccellenza il De S. presenta costantemente una soluzione conforme, nei suoi
principii fondamentali, al teismo e spiritualismo tradizionale. Ma bisogna
subito aggiungere che nella trattazione di questo problema della realtà egli è
sempre consapevole del carattere meramente congetturale di quella soluzione,
quantunque questa gli sembri meno inadatta delle altre a dare dei fatti e della
realtà conoscibile una certa quale interpretazione sistematica. Egli non si
nasconde mai le oscurità che si oppongono alla piena intelligibilità
dell’Assoluto: non dissimula le antinomie tra le quali la ragione umana si
dibatte ogni volta che pretende di dare della realtà ultima una definizione esauriente.
E’ troppo persuaso dello scarso valore dimostrativo che possono avere le
analogie in base alle quali noi trasportiamo dal finito all’infinito o
estendiamo da una ad altra sfera di realtà i nostri concetti, perchè si possa
credere che egli s’illuda sulla portata effettiva di quelle ipotesi, anche se
l’intimo convincimento suo della preferibilità di quelle ad altre ipotesi dia
talora alla sua trattazione un tono che può parere alquanto dommatico. Le
riserve prudenziali che spesso interrompono la sua trattazione di tali problemi
potrebbero anzi indurre a ritenere ch’egli sia in fondo un agnostico in fatto
di metafisica: ed egli non disdegnerebbe certo questo epiteto, se per
agnosticismo s’intende la persuasione che il mistero dell’universo è e rimarrà
ineluttabilmente un mistero per la mente umana. Agnosticismo, che ben si
concilia in lui con la fede questa, si, veramente dommatica nel senso migliore
delia parola con la fede sulla validità assoluta dei princìpi razionali, con
l’affermazione che nel fondo della realtà è la Ragione : si concilia, perchè,
data appunto l’ind'pendenza relativa delle coscienze finite dall’Essere
assoluto di Dio, possono da ognuna di quelle essere colti soltanto frammenti
della razionalità in cui questo si rivela come immanente all'universo. È uno
dei caconi della maniera di filosofare del De S. questo, che l’esigenza
dell’unità, la quale è essenziale alla ragione e si esprime nel suo grado più
alto nella posizione del problema metafisico, non può e non deve essere sodisfatta
con l’eliminazione delle differenze che la realtà presenti e la ragione stessa
riconosca come irriducibili, anche se non riesca poi facile o possibile alla
mente umana stabilire come questa molteplicità irreduttibile possa esser
ricondotta o comunque messa in relazione con quel principio reale di unità
assoluta che è Dio. Cito due esempi caratteristici, relativi al concetto
fondamentale di sostanza. Della sostanza, come s’è visto, noi abbiamo, secondo
il D. S., una conoscenza immediata nell’apprensione del nostro io, in quanto
questo è un essere per sè e si manifesta nei fatti psichici come in atti suoi,
senza esaurirsi in nessuno di essi. Da ciò parrebbe lecito dedurre che il mondo
sia costituito di sostanze omogenee, ossia di esseri che siano per sè come
unità di coscienza, anche se tra le varie sostanze si debba stabilire una
differenza di grado: parrebbe cioè giustificato il monismo spiritualistico.
Invece il De S. dedica due saggi ad una critica stringente di questa soluzione
del problema metafisico, che pur parrebbe la più conforme ai suoi supposti
spiritualistici (// monismo psichico e Sullo spiritualismo odierno, nel volume
« Pensiero Moderno »). È vero, egli dice, che tutto ciò che esiste, per il
fatto che esiste, agisce in una data maniera, e noi non possiamo rappresentarci
codesta attività che facendo uso di nozioni attinte alla nostra esperienza
intima, e che quindi in ultimo siamo sempre spinti a identificare l’esistenza
con una forma, per quanto attenuata, di psichicità. Ma l’analogia non deve far
perdere di vista le profonde differenze esistenti se non altro tra il modo di
comportarsi degli obietti e fatti costituenti la natura esterna e quello degli
esseri e processi psichici. Anzi, per il De S., a rigore non basterebbe opporre
al monismo, sia esso materialistico o immaterialistico, il dualismo : sarebbe
più logico parlare di pluralismo senza aggettivi, esprimente una pluralità di
energie e di attività tanto differenti tra loro,' che a rigore non possono
essere accomunate nè sotto la rubrica spirito né sotto qualsiasi altra rubrica.
Come e perchè esista quel dato numero di principii, cornee perchè esistano
quelli e non altri, non è possibile dire: è un fatto che va constatato, e non
si può e non si deve spiegare; come vanno indagate, constatate e descritte le
varie maniere di agire e reagire reciprocamente di questi vari esseri, ma non
si può presumere di spiegare, nel vero senso della parola, come e perchè si
stabilisca la connessione reciproca di tali esseri che sono esistenti per sè,
sebbene nelle maniere speciali di agire e reagire essi affermino e rivelino la
loro esistenza. Ma vi ha di più: la sostanza vivente e, più in particolare, la
sostanza psichica esiste ed agisce in quanto si sviluppa. Ora uno dei saggi più
penetranti del De S. (Il significato filosofico dell'evoluzione, nel volume «
Il Pensiero moderno ») è dedicato all’analisi del concetto di evoluzione, ed è
uno dei più significativi per dimostrare come nella concezione metafisica del
De S. si conciliino un temperato razionalismo e un prudente agnosticismo. Il
concetto di evoluzione, lungi dall’essere come vuole, ad es., l’hegelismo un
principio esplicativo, e lungi dal dare un’espressione compiuta della realtà
ultima, ha bisogno esso stesso di venir reso intelligibile. E l’analisi critica
di tal concetto rivela la presenza in esso di vere e proprie contradizioni, che
non possono essere eliminate se non considerando lo sviluppo non già come il
prius della realtà, ma come qualcosa di accessorio e di secondario. Il processo
evolutivo, mentre implica necessariamente il tempo, esige l’illusorietà del
tempo; mentre vuol essere creazione, implica già la preesistenza del termine a
cui arriva; si può leggere in esso, almeno post factum, la rispondenza a un
ordine razionale, ma chi dice razionalità, dice estra- temporaneità. Ogni
evoluzione implica dunque qualcosa di assoluto, di perfetto, di stabile, che
rappresenta il principio vero dell’evoluzione. Ecco il risultato, positivo,
certo, cui conduce l’analisi del concetto di evoluzione: ma è una certezza che
fa sorgere nuovi interrogativi: allora, ci si domanda, come e perchè i reali
concreti e finiti sono cosi fatti da dover attuare i fini solo mediante il
processo evolutivo, come e perchè l’ordine si realizza per gradi e attraverso
lo sviluppo? Il che equivale a domandarsi come e perchè esistano esseri finiti
che si trovano con l’assoluto in quegli speciali rapporti. E a questi
interrogativi non è possibile rispondere: ed ecco come, conclude il De S.,
l’evoluzione è un aspetto del « my- sterium magnurn » della realtà. Il problema
dell’evoluzione reale conduce al problema del tempo, e come questo resulta
dalla connessione del flusso con la permanenza, della successione con la
durata, così l’evoluzione poggia sul rapporto del divenire o variare con ciò
che è immutabile, permanente e eterno. Compito df;fa filosofia, dunque, di
fronte al problema più propriamente metafisico sembrerebbe essere, per il De
S., quello di rendere chiare e in un certo senso acuire e dimostrare
insuperabili, piuttosto che superare, le difficoltà che quel problema offre
alla mente umana; di illuminare i limiti di essa, piuttosto che additarle un
varco alla conoscenza piena dell’Assoluto. Ma non è questo, per il De S.,
l’unico compito della filosofia: o meglio, per assolvere questo stesso compito,
per condurre la mer*e umana appunto a queste posizioni che sono al margine del
mistero, a queste che possono dirsi frontiere della conoscenza umana, e per
dimostrare che sono frontiere invalicabili, la filosofia deve, secondo il De
S., percorrere il dominio stesso che innanzi alla conoscenza si stende, di qua
da quelle frontiere: ed è il dominio dell’esperieza nel senso più pieno e più
ampio di questa parola. Prima della « Dialettica trascendentale » e quindi
prima della Critica della Ragion pratica con i suoi postulati, vi è e vi deve
essere una « Estetica » e una «Analitica», per servirci della terminologia
usata da Kant, a designare un atteggiamento di pensiero analogo, per questo
rispetto, a quello criticistico, anche se, come vedremo, muova da supposti e
segua un. procedimento e giunga a risultati profondamente diversi. L’attività
filosofica del De S. ha avuto sempre, sin dalle sue prime manifestazioni,
un’impronta di positività, disdegnosa di ogni audacia speculativa, derivante
così dalla tempra del suo spirito come dalla sua educazione scientifica, oltre
che dal convincimento del valore nullo di ogni concezione che non sia un
portato necessario della critica della conoscenza positiva e non abbia quindi
una larga base empirica. Ma questo convincimento, si può dire, si è venuto in
lui sempre più radicando col maturarsi del suo pensiero, sino a divenire il
motivo fondamentale sempre più insistente del suo filosofare; sì che con questa
designazione appunto di filosofia dell'esperienza egli ama contrassegnare la
sua dottrina e il suo metodo, in recisa opposizione alla speculazione
idealistica dei neo hegeliani, che si è andata sempre più affermando in Italia.
Si direbbe che il diffondersi di quell’antiempirismo dialettico ch’egli
considera un vero « contagio » delle menti, l’abbia indotto ad accentuare
sempre più la necessità di ricorrere a cautele immunizzatrici, in un contatto
sempre più stretto, e più esclusivo, della filosofia col sapere empirico; di
ricondurre la filosofia, come in rifugio sicuro, in quei confini entro i quali
essa possa mantenere il carattere di scienza, essere, ai pari delle altre
scienze, un prodotto dei processi logici comuni della mente umana, anziché
l’espressione mistica o lirica che sia, notevole quanto si voglia per novità e
originalità, ma non suscettibile d’una dimostrazione razionale l’espressione,
dicevo, di una coscienza e quasi d’un temperamento individuale traverso il
quale la realtà si rifranga. E inaugurando, nello scorso ottobre, l’ultimo
Congresso italiano di filosofia a Firenze, giunse alle affermazioni estreme che
le attuali condizioni della cultura filosofica in Italia esigono un più o meno
lungo periodo di astinenza dall’alta speculazione, e che non il problema
filosofico, quello metafisico intorno alla natura della realtà ultima e
assoluta, ina / problemi filosofici particolari, o meglio questi prima e con
più fiducia e anzi con più sicurezza di successo che quello, e come condizione
per la stessa impostazione non che per ogni tentativo di soluzione di quello,
meritano di essere oggetto dell’indagine filosofica. Ma con ciò, si può
osservare, non è stato sacrificato proprio quello che è il carattere distintivo
del sapere filosofico rispetto alle scienze particolari, e che è appunto la
determinazione della relazione dei distinti, il riferimento della molteplicità
delle distinzioni a un principio unitario? Il De S. risponde che la filosofia è
aspirazione alla unità dell’Essere, senza che perciò il filosofo debba
trasformarsi in un allucinato dell’unità. La varietà e la inconciliabilità dei
tentativi compiuti nella storia della filosofia per unificare i reali e-le
conoscenze e per dedurre la complessità dei fatti da un unico principio, sta a
dimostrare, secondo lui, che all’unificazione si giunge colmando con
l’immaginazione le lacune della conoscenza certa e dimostrabile. Gli si può
replicare con l’obiezione consueta, che la vanità di quei tentativi risulta
dall’aver cercato la unità nell’oggetto invece che nel soggetto, nella natura
(o in Dio, che è lo stesso) invece che nello Spirito. Ma il De S. ribatte che
anzi appunto attraverso quel riferimento degli oggetti al soggetto conoscente,
appunto attraverso quella unificazione, diremmo, metodologica e gnoseologica,
di tutto il reale nell’io che è propria del sapere filosofico —, si rivela la
irriducibilità, diremo, ontologica degli oggetti e dei valori. Infatti, per il
De S., se da un lato la filosofia non può non scindersi in una molteplicità di
discipline, fondate su principii irriducibili (essere e valere, p. es.),
dall’altro lato queste hanno caratteri comuni, che valgano a fare di esse
appunto un unico gruppo, quello delle disciplini; filosofiche. E questi
caratteri comuni sono: I) determinazione dei concetti universali, attraverso i
quali la realtà può essere razionalizzata; 2) riferimento di tutta la realtà
allo spirito del soggetto, in cui e per cui l’esperienza in ogni sua forma si
costituisce. Due caratteri, questi, che sono per il De S. strettamente uniti e
come interdipendenti: perchè le idee universali ossia le nozioni metafisiche
fondamentali intanto assurgono a quel grado di fecondità per cui rappresentano
i mezzi di razionalizzazione della realtà, in quanto o sono il risultato della
giustii.jata estensione a tutta la realtà di concetti che abbiamo direttamente
appreso nella coscienza (sostanza, fine, causa), ovvero sono il prodotto della
riflessione sui modi in cui la realtà diviene intelligibile e acquista
consistenza nella mente umana. Lo spirito, in quanto termine comune di
riferimento di tutti gli elementi e fatti della realtà, viene ad occupare una
posizione centrale nel mondo, e la psicologia, come scienza dello spirito,
costituisce il terreno di incontro delle diverse discipline filosofiche. Si è
detto, la psicologia come scienza dello spirito : e di questa determinazione
v’è bisogno per non cadere nei facili equivoci cui può dar luogo la parola
psicologia o psicologismo. Già nei 1903, nel suo poderoso volume I dati
dell'esperienza psichica, il De S. insisteva sulla profonda differenza esistente
tra la psicologia come scienza empirica e la psicologia coinè scienza
filosofica. La prima, quale si è venuta costituendo negli ultimi decenni,
studia l’anima umana come un « obietto» tra gli altri obietti della natura, ha
aspetto e procedimento di una scienza naturale e non mira che alla spiegazione
causale dei fenomeni. Per essa la vita psichica è un complesso di « stati » di
coscienza: i quali, sì, implicano tutti una certa coscienza dell’io (in maniera
che per il De S. non è possibile una psicologia « senz’anima », anche se sia
psicologia empirica): ma il soggetto non è còlto, da questa, in funzione, ossia
nella sua attività tendente a determinati scopi. Si tratta di una
considerazione statico di dati, a cui il concetto di atto è necessariamente estraneo;
di una considerazione che tende a fissare i rapporti condizionali dei vari
ordini di stati psichici e a ridurre il complesso al semplice. La psicologia
empirica deve quindi limitarsi all’«analisi morfologica» della coscienza,
escludente qualunque funzionalità e quindi qualunque dinamismo. Ora « lo
spirito dice il De Sarlo (p. 412) non è una cosa tra le altre cose, ma è il
mezzo di rivelazione della realtà. Come tale lo spirito è universale:
universalizza sè stesso nelle sue funzioni ed universalizza per ciò stesso
l’obietto a cui è rivolta la sua attività ». Ecco perchè lo spirito può
considerarsi come in una posizione centrale rispetto a tutte le cose: e la
scienza che lo studia, ossia la psicologia come “ fisiologia „ dello spirito, è
necessariamente scienza filosofica. Nella considerazione funzionale dello
spirito s’impone il concetto di valore e quindi di fine. Le funzioni dello
spirito mercè i loro atti oggettivano i dati e stati soggettivi; perchè sono
determinazioni che qualificano, sì, il soggettò, ma lo qualificano in rapporto
all’oggetto, e danno quindi luogo a ciò che è universalmente valido, a quelli
che sono i valori oggettivi. La verità, il bene, il bello non sono dei dati o
dei fatti: sono degl’ideali, sono appunto valori, distinti da ogni altro valore
unicamente soggettivo per questo carattere, che sono forniti di una speciale
necessità che è la necessitàdi diritto ben diversa dalla necessità di fatto
degli stati psichici. Quest’ultima denota soltanto che uno stato è
inevitabilmente determinato, nella sua insorgenza, da certe condizioni, una
volta che queste siano date, cioè siano determinate da altre condizioni, e così
via; denota cioè che uno stato o un fatto psichico ha sempre la sua ragione
d’essere in altro. Ma è indifferente al valore di quello stesso stato o fatto,
se per valore s’intende ciò che ha la ragion d’essere in sè e non in altro
ossia un valore incondizionato e assoluto, ciò che deve essere anche se le
condizioni dell’essere non sussistano e quindi la realtà non sia ad esso adeguata.
La necessità psicologica abbraccia indifferentemente nella sua spiegazione così
il valore come il disvalore, così il vero, il bello, il bene, come l’errore, il
brutto, il male. Una tale distinzione di valore, come distinzione obiettiva e
universale, non si può avere se non mediante il riferimento alle leggi
costitutive delle funzioni originarie ed essenziali dello spirito, leggi non
meccaniche, superiori anzi al meccanismo psichico, perchè essenzialmente
teleologiche, indicanti cioè la maniera in cui quelle funzioni agiscono ogni
volta che raggiungono il termine che è costitutivo della loro natura
spirituale, leggi rivelanti la loro natura attraverso una forma di evidenza che
è indizio della loro necessità e universalità. Le leggi logiche e gnoseologiche
definiscono la natura del pensiero, le leggi etiche quelle della volontà, le
leggi estetiche quelle della fantasia. Sono principii o assiomi i quali
significano che il pensiero, il volere e la fantasia in tanto meritano
veramente questo nome e in tanto raggiungiamo il termine che ad esse è proprio,
in quanto si esplicano nel senso indicato da quelle leggi piuttosto che in
altro senso. La distinzione tra psicologia empirica, come scienza dell’anima
morfologica, naturalistica e la psicologia come scienza dello spirito
funzionale e filosofica, così nettamente affermata dal De S. nell’opera su
citata del 1903, è forse stata successivamente attenuata in altri scritti, nel
senso che, a suo giudizio, la conoscenza del meccanismo psichico risulta utile
alla determinazione dei modi in cui lo spirito si eleve al di sopra di esso r e
reciprocamente la conoscenza dei fini dello spirito è indispensabile per
l’apprensione esatta del meccanismo che serve di mezzo al raggiungimento di
t'°i. Ma l’attenuazione si riferisce ai rapporti tra le due considerazioni
dell’anima e non elimina con ciò la distinzione. E comunque il De S. non ha mai
cessato di differenziare nettamente ed energicamente il suo psicologismo da
quello naturalistico, che considera i valori dello spirito come « o
applicazioni di leggi psicologiche già operative in altre direzioni, ovvero
particolari, originarie manifestazioni dell’attività psichica, le quali però
attingono il loro significato dall’essere effetti necessari di certe cause
psichiche o risultati inevitabili di processi mentali naturali, e non già dal
rispondere a certi fini od esigenze valide anche se non mai realizzate». Si
leggano specialmente, in proposito, i saggi Lo psicologismo nelle sue
principali forme (nel voi. < Pensiero Moderno »), Vecchia e nuova
psicologia, La psicologia e le scienze normative, e La classificazione dei
fatti psichici (nel I voi. di « Psicologia e Filosofia. Lo psicologismo del De
S. non è dunque naturalismo, ma non è neppure immanentismo: offre anzi a lui il
mezzo per affermare e dimostrare, contro ogni forma d’idealismo immanentistico,
il suo realismo gnoseologico. Se nella determinazione di ciò che è l’essere e,
in genere, di ciò che è oggetto di conoscenza, il De S. ritiene di dovere
attenersi ai criteri generali su esposti del suo psicologismo, non è già perchè
egli ritenga che la psiche e i processi psichici costituiscano la stessa
realtà, anzi lo stesso essere, ma è solo in considerazione delle prerogative
che, in ordine alla conoscenza, sono proprie dell’esperienza psichica di fronte
ad ogni altra forma di esperienza. E queste prerogative sono due: 1) innanzi
tutto la così detta esperienza estèrna si rivela e acquista consistenza sempre
attraverso l'interna, perchè ciò che è direttamente percepito, anche in quelli
che sono comunemente detti oggetti esterni, è sempre il contenuto d’un atto
psichico; l’esperienza interna presenta la nota dell’evidenza (evidenza di
fatto) derivante dalla coincidenza del percepire col percepito; e perciò
l’esperienza psichica rappresenta il vero fondamento per la constatazione di
qualunque esistenza reale, e quindi di ogni sapere empirico. 2) In secondo
luogo, l’esperienza psichica è il solo tramite attraverso il quale tutto ciò
che è (reale o pensabile che sia), l’essere in generale ci si può rivelare.
L’io distinguendosi da tutta la realtà traspare a sè medesimo, e insieme tutta
la realtà diviene trasparente attraverso di esso. Nulla esiste che sia
propriamente nell’io, tranne l’io stesso, e insieme, in un certo senso, nulla
di cui si può discorrere esiste al di fuori dell’io, perchè la cosa, per essere
affermata e riconosciuta, deve in qualche maniera esser presente alla
coscienza. In questo consiste ciò che si può chiamare funzione rappresentativa
della mente. Ma proprio da questo carattere essenziale alla mente il De S.
deriva la necessità di affermare la trascendenza dell’oggetto rispetto alla
mente che lo afferma e lo pone. Noi, egli dice, arriviamo, è vero, al concetto
di essere e di obietto solo mediante la riflessione sull’atto di
riconoscimento: ma questo in tanto è tale, in quanto è provocato da qualcosa di
diverso da sè. La mente, non contenendo la realtà come tale, nè identificandosi
con essa, non può giungervi se non attraverso qualcosa che rappresenti o
sostituisca la realtà medesima. Le rappresentazioni mentali forniscono i segni
in base a cui l’intelletto costituisce la realtà. La realtà, si può anche
direche sia « percipi « e « intelligi », purché con ciò non si voglia
significare che l’essere si esaurisca nel fatto di essere percepito e inteso,
ma solo che non si ha modo di definire quest’essere prescindendo dalle sue
rivelazioni nella coscienza individuale. La conoscenza vale sempre per altro,
si riferisce sempre ad altro. Non che si tratti di una specie di corrispondenza
tra l’obietto trascendente e la rappresentazione mentale come grossolanamente
si ritiene da molti critici di tale concezione —, quasi fosse ammissibile
un’apprensione dell’oggetto qual’è in sé al di fuori della coscienza e quindi
un confronto tra la Cosa e 1 idea- L affermazione della trascendenza è imposta
dal bisogno di dare un senso alla funzione conoscitiva qual’è còlta in atto, al
fatto conoscitivo nel suo significato e nell’intendimento che lo anima. Certo,
per il De S., non si deve con Jiò pregiudicare la soluzione del problema
metafisico della costituzioile intima della realtà ultima. La metafisica può
anche giungere alla conclusione che la realtà, divelta da qualsiasi rapporto
con la coscienza, è un non senso, che tutto ciò che esiste, esiste in quanto è
connesso con una coscienza. Ma questo rapporto metafisico non può essere
identificato col rapporto gnoseologico tra obbietto e coscienza in quanto
conoscente. La coscienza nel riferimento alla quale può farsi consistere la
realtà di tutto ciò che è, non è certo la coscienza individuale del soggetto
che conosce questa realtà e la conosce riferendola a sé come altro da sè: anche
quando si sia ridotta metafisicamente la realtà a coscienza, tale coscienza
rispetto al soggetto conoscente, a questo o quel soggetto, è sempre un reale,
un oggetto, è sempre appresa da esso come altro da sè. Il quale ultimo punto
non potrebbe essere negato se ì.'in dimostrando che la distinzione delle
singole coscienze è illusoria e che i rapporti tra gli obietti costituenti l’universo
sono identici ai rapporti tra i fatti psichici di ciascuno. Questa
dimostrazione, per il De S., non può essere data: e ne vedremo il perchè, tra
poco, a proposito della natura del soggetto come reale. E, comunque, allo
stesso modo che la soluzione del problema gnoseologico non deve accogliersi
come tale da contenere o assorbire in sè la soluzione del problema metafisico,
cosi questa che, d’altronde, può essere solo punto d’arrivo dell’indagine
filosofica, e irta, come s’è già detto, di difficoltà e oscurità d’c^ni sorta
—, non può e non deve pregiudicare la soluzione del problema gnoseologico, sino
a eliminare ciò che è costitutivo del fatto della conoscenza, la dualità di
soggetto e oggetto. L’esperienza psichica l’abbiamo già detto è, per il De S.,
costituita di atti : e perciò anche il pensiero è atto. Ma chi dice atto, dice
qualcosa che accade nel tempo, qualcosa che sorge e si dilegua in un
determinato punto della durata. E allora, secondo il De S., non si può sfuggire
a questo quesito: se tutta l’esperienza psichica si risolve in un complesso di
atti e se in conseguenza tutto ciò che può essere conosciuto non lo può che
attraverso atti, come é possibile arrivare al concetto di ciò che non è atto,
al concetto, poniamo, di una relazione universale e necessaria tra idee, com'è
possibile arrivare al concetto del mondo della pensabilità, che esclude
qualsiasi elemento di efficienza, di azione reale, e che non è nel tempo?
Appunto per rispondere a questo quesito, occorre negare l’immanenza o l’inclusione
dell’oggetto nell’atto psichico corrispondente. Mentre vi sono contenuti di
coscienza i quali si moltiplicano come si moltiplicano i centri di coscienza,
ve ne sono altri che, pur essendo in speciale rapporto con i primi, rimangono
unici e anzi non sono concepibili che come unici. E anche quando agli obietti
in quanto parvenze non è attribuibile nessuna consistenza reale, non è lecito
affermare che essi si identifichino con gli atti stessi, giacché anche in tali
casi è sempre necessario presupporre ddle condizioni indipendenti atte a
provocare l’esplicazione dell’attività psichica riconosciuta poi come
illusoria. L’esistenza di siffatte condizioni è un presupposto ineliminabile :
o l’attività psichica ch’esse hanno provocata è adeguata alle condizioni medesime,
e allora si è autorizzati a identificarle con obietti reali, aventi
un’esistenza indipendente; o tale esplicazione è inadeguata, e allora s’impone
la necessità di ricercare quale forma di realtà e di esistenza possa essere
attribuita a quelle condizioni. Ma come si può decidere se vi sia o no
adeguazione dell’atto all’oggetto? Qui il De S. insiste sulla distinzione tra i
due ordini di oggetti conoscibili: gli obietti concreti e individuali (con le
loro qualità) da una parte, e gli elementi ideali o intelligibili, dall’altra.
L’esistenza è fornita sempre dall’esperienza: o è dato sensoriale, o è dato
della coscienza, e non può non occupare tempo ; l’intelligibile, invece, è
sempre formulabile per mezzo di un rapporto o di un complesso di rapporti, ed è
estraneo alle vicende del tempo. E il fondamento della cognizione, in rapporto
a questi due ordini di obietti, è da un lato la percezione dei fatti psichici e
di ciò che è relativo ad essi, e dall’altro la conoscenza di certi principii e
assiomi costituenti come l’ossatura della ragione; da un lato, cioè, l’evidenza
di fatto, fornita, come si è già accennato, dalla diretta esperienza che
abbiamo di noi stessi, e, dall’altro, la necessità razionale, qual’è còlta nei
principii logici. Questa distinzipne, però, non è da intendere, secondo il De
S., nel senso che l’apprensione dell’esistente e della sua qualità possa farsi
indipendentemente dal pensiero logico. Il fatto individuale non è
caratterizzabile che mediante nozioni universali; e 1 intelligibile, se può
essere considerato per sè (astratto) solo per opera della mente, è tanto
intimamente connesso (consubstanziale) con resistente, col puro fatto, che
questo non può formare oggetto di conoscenza se non per ciò che contiene di
inttj ligibile. È il pensiero che deve in certo modo investire di sè i
dati'dell’esperienza psichica per og- gettivarli affermandoli, facendone cioè
termini di atti giudicativi, e trasformarli così in reali conosciuti. Più in
particolare, è il pensiero che fa di quella sfera dell’esperienza psichica che
è la sensibilità, il tramite di una realtà trascendente la coscienza, e fa
delle qualità sensoriali non soltanto contenuti psichici aventi la realtà
stessa di altri contenuti psichici, come sentimenti, volizioni ecc., aventi
cioè resistenza che è propria degli stati o atti di quel prototipo di realtà
individuale che è l’io —, ma fenomeni d’una realtà trascendente. Il pensiero
pone e risolve il problema della realtà di un correlato obiettivo delle q alità
sensoriali, in quanto da un Iato queste non sono meri contenuti di coscienza o
creazione del soggetto come dimostrano la coerenza e permanenza che presenta
l’esperienza sensibile e le variazioni a cui questa può andar soggetta
indipendentemente da qualsiasi rapporto con la coscienza individuale ; e
dall’altro lato non sono cose in sè come dimostra la loro relatività alle
condizioni subiettive, per cui è impossibile dire chiaramente in che cosa
consistano, per sè prese. D’onde risulta che esse hanno una forma di esistenza
speciale che è appunto l’essere proprio dei fenomeni. Ora questo correlato
obiettivo delle qualità sensoriali può essere raggiunto solo per opera del
pensiero e non è determinabile nei suoi tratti essenziali che in base ai
principii razionali. Il pensiero rappresenta, pertanto, il solo mezzo per
distinguere l’apparenza dalla realtà, anzi il solo mezzo per attribuire un
significato a tale distinzione. Le parvenze sensoriali, i puri fenomeni e le
forme intuitive dello spazio e del tempo non possono non essere constatati, e
quindi come pseudo-esistenze, non possono non divenire obietti di conoscenze
immediate, nella forma di giudizi percettivi (pensiero tetico, immediato,
concreto). E quando i dati così affermati si trovino in contrasto col sistema
delle conoscenze organizzate intorno ai principii razionali, il pensiero
medesimo è chiamato a decidere in ultima istanza su ciò che va affermato come
reale e ciò che va riguardato come apparenza, è chiamato a decidere intorno
all’obbiettivo e al subbiettivo. Se già l’esistenza come tale esige, secondo il
De S., l’intervento del pensiero logico, s’intende che anche l’essenza del
reale non possa, e con più forte ragione, esser determinata che dal pensiero.
Essa consiste in relazioni, nelle quali la mente traduce ciò che dapprima è soltanto
sperimentato e vissuto (somiglianza e differenza, nesso di dipendenza, rapporti
quantitativi, rapporti di azione e passione, rapporti spaziali e temporali atti
a fornire le coordinate per l’individuazione). L’intelligibile, distrigato dal
reale per mezzo dei processi intellettivi, finisce per assumere l’ufficio di
segno rispetto a ciò che è posto come indipendente dal soggetto e come
sussistente. E il progressivo sviluppo della conoscenza è determinato dal
bisogno di fissare ciò che nella realtà vi ha di conforme alla ragione e quindi
di assimilabile da essa mediante la traduzione della realtà stessa in rapporti
razionali. La credenza che l’obietto sia sempre risolubile in elementi
intellettuali è il presupposto e anzi l’anima di qualsiasi conoscenza. La
realtà esistente, dunque, non può essere posta che dal pensiero in quanto
giudizio tetico; e non può essere conosciuta nella sua struttura se non nella
misura in cui il pensiero la traduce in un complesso di rapporti intelligibili.
Ma e con ciò il De Sarlo riafferma il carattere nettamente realistico del suo
razionalismo i termini di questi rapporti e il contenuto di quelle « tesi » non
sono risolvibili in pensiero.Vi è sempre distinzione, secondo il De S., tra lo
sperimentare e il pensare, nel senso che quello non è derivabile da questo,
anche se non possa divenire sperimentare «obiettivo », e quindi conoscere, che
per mezzo dell’attività del pensiero; vi è distinzione tra il pensiero come
oggetto di conoscenza, come pensabile o pensato, e il pensiero come attività
d’un soggetto, volta a raggiungere la verità sia questa un dato di fatto o
un’idea —, come pensiero pensante. È questa la natura dei rapporti, il cui
complesso costituisce la pensabilità del reale: da un lato essi sono il
risultato di atti (riferimento) compiuti dal soggetto, sì che, come tali,
parrebbero immanenti a una mente e quindi il prodotto di un soggetto. Ma
dall’altra parte IL REALISMO PSICOLOGISTICO 139 non sono posti arbitrariamente;
sono, più che suggeriti, imposti da esigenze obiettive. Nè l’inlelligibiiità
dei rapporti viene ad essere facilitata dal riferimento di essi ad una Mente
universale. Con ciò i rapporti vengono consideratifcome creazione arbitraria di
tale Mente ? E allora ogni analogia di questa con la mente umana verrebbe ad
essere cancellata, e il ricorso ad essa diverrebbe inutile allo scopo. Vengono,
invece, i rapporti considerati come espressione di una necessità intrinseca
alla natura delle cose? E allora la Mente universale non è che il nome per
esprimere la coerenza logica, l'intelligibilità nel suo aspetto obiettivo;
i»/telligibilità che può condurre la mente ad ammettere un’Intelligenz.l!
assoluta, senza che però questa sia assunta a principio esplicativo della
razionalità: la razionalità vale per sè, indipendentemente dall’essere
insidente in una mente. Quel che noi possiamo dire, conclude in proposito il De
S. t è che i rapporti, quali possono essere studiati dall’intelletto finito
individuale, suppongono obietti (termini) nella cui proprietà hanno il loro
fondamento, e che le relazioni, realizzate in questa o quella coscienza
mediante gli atti di riferimento, sono il riflesso delle relazioni obiettive.
Il problema gnoseologico, s’è visto, non può, secondo il De S., essere
convenientemente trattato se non quando si tenga presente che il soggetto a
cui, nel fatto conoscitiva, vien riferito l’oggetto, è il soggetto individuale;
e la soluzione réalistica ch’egli ha dato al problema potrebbe essere
compromessa esclusivamente nel caso che si fosse riusciti a dimostrare, in sede
metafisica, non solo che la realtà non può esser resa intelligibile che quando
sia considerata come il pensiero di una Mente Universale, ma anche che la
distinzione delle coscienze individuali tra loro e dalla Mente Universale sia
illusoria. La dimostrazione di questo secondo punto è per il De S. impossibile.
Intanto l’aver riconosciuto che l’esperienza psichica è costituita
essenzialmente di atti, non significa per il De S. affermare che il soggetto
dell’esperienza psichica si risolve in null’altro che in un complesso di atti.
È il concetto e l’esperienza stessa di atto che rinvia per necessità al
concetto di soggetto come di un reale distinto da ogni altro reale e quindi da
ogni altro soggetto. Certo, non è possibile determinare la natura del soggetto
(unità reale) senza riferirsi agli atti ch’esso compie: ma alla variabilità
degli atti non corrisponde la variabilità dell’unità del soggetto. L’individuo
non può non aver coscienza di essere in rapporto con altro da sè per mezzo di
atti da sè stesso compiuti; ma se esso non distinguesse sè (come principio
degii atti) dagli atti stessi, e questi dagli obietti a cui gli atti sono
rivolti, non potrebbe parlare di atti suoi numericamente distinti da quelli
degli altri individui. Inoltre il soggetto si fa, si crea con i suoi atti, ma
perchè possa farsi e crearsi, occorre che vi sia un principio reale, un dato
iniziale e quindi qualcosa di già fatto. La creazione non è ex nihilo; e la
stessa potenzialità o capacità è concepibile soltanto come inerente a qualcosa di
attuale, come funzione possibile di un essere. Non può, dunque, la coscienza
essere ridotta al mero complesso degli atti e fatti psichici. Ma non può
neppure, d’altra parte, sostiene il De S., confutando in svariatissime
occasioni la tesi idealistica —, non può neppure essere ridotta a una mera
equazione di pensante e pensato, alla pura relazione formale d’identità tra
conoscente e conosciuto. L’idealismo afferma che la suicoscienza è il grado
supremo dell’evoluzione d’un principio ideale, d’una legge, d’un universale;
quello in cui la realtà, che negli stadi inferiori si presenta come scissa
dall’idea, come essere distinto dal pensiero, come oggetto opposto al soggetto,
rivela invece la sua più intima natura, che è appunto unità e identità di
soggettivo e di oggettivo, di pensante e di pensato, di essere e di pensiero.
Quest’affermazione è per il De S. risultato d’una confusione derivante dal
significato equivoco della parola coscienza. Quando si parla di coscienza e di
suicoscienza, egli dice, bisogna distinguere tra la suicoscienza vera e
propria, fondata sulla capacità che ha l’io di ripiegarsi su se stesso e di
percepire il complesso dei fatti psichici come incentrantisi in un punto; e la
coscienza, in senso largo, come espressione dello speciale rapporto che può
esistere tra l’oggetto e l’io come conoscente. Quanto alla prima, l’equazione
di pensiero e di pensato non è che l’espressione, in termini intellettuali,
d’una esperienza vissuta sui generis, di un fatto che può essere indicato ma
non definito, perchè per sè preso oltrepassa il pensiero, e non può assumere
carattere di necessità razionale. E quanto alla seconda, la identificazione dei
due termini del rapporto conoscitivo non può ottenersi se non sostituendo
all’io empirico il cosi detto io universale o coscienza in generale o io
trascendentale. Ma osserva il De S., o con ciò s’intende quello che è comune
alle menti individuali ; e allora non si vede come si possa distinguere il
soggettivo psicologico dal soggettivo gnoseologico. 0 s’intende qualcosa che
vale indipendentemente da questa o quella coscienza empirica, che esprime il
modo come lo spirito deve operare perchè sia veramente tale, le esigenze
dell’intelligibilità significanti veri e propri compiti impditi da ciò che è
indipendente dal soggetto; e allora non v’è più ragione di parlare di io, di
soggetto, quando la soggettività si è identificata/con la razionalità, con
l’intelligibilità, che è anzi l 'oggetto della conoscenza e del pensiero
pensante. Ma da tale concezione della coscienza come di categoria delle
categorie, questo solo, secondo il De S., si ricava, che la realtà in tanto può
essere conosciuta ed essere compenetrata dal pensiero, in quanto è concepita
essa tessa come implicante pensiero. Il che poi significa che la realtà è fcosì
fatta da imporre certe esigenze alla mente individuale, ossia che nell’obietto
vi è qualcosa atto a provocare il riconoscimento. Ma il passaggio dalla
intelligibilità in quanto esigenza del riconoscimento da parte del soggetto,
alla riduzione della realtà a un processo di autocoscienza, all’affermazione
che nella realtà stessa non si trovi niente di più di ciò che è in noi stessi
quando giungiamo a identificarci e a riconoscerci, non è affatto giustificato.
L’autocoscienza, piuttosto, è già nel fondo della realtà, indipendentemente da
noi: non è dunque l’autocoscienza, quale si presenta negli individui singoli,
l’espressione genuina e compiuta della realtà. Nè vale ammettere
l’autocoscienza come potenzialmente esistente ab aeterno e attuantesi poi negli
individui: si riaffaccia allora quella suprema difficoltà contro cui, come già
si è accennato, urta sempre il pensiero umano, la difficoltà d’intendereA:ome
da ciò che è puramente pensabile, ideale, estratemporaneo, uno, si passi a ciò
che è reale, attuale, temporaneo, contingente, diverso, mutevole. Non è
possibile considerare soggetti molteplici che sono nel tempo e hanno uno
sviluppo e sono direttamente impenetrabili e incomunicabili, come
determinazioni, differenziazioni o sezioni dell’Uno, sol perchè essi hanno il
potere di superarci limiti del tempo idealmente e di elevarsi al mondo della
pura razionalità. E una riprova di questo è l’esistenza dell’errore logico,
etico, estetico che dimostra, come già si è visto, la possibilità d’una
discrepanza fra le funzioni psichiche e le categorie o principii ideali, di
qualunque ordine siano, tra la necessità psicologica e quella deontologica.
Questa distinzione tra la necessità di fatto e la necessità di diritto, tra ciò
che è ed è per opera di un soggetto reale e quel che dovrebbe essere in virtù
di principii razionali, è il presupposto da cui, è naturale, muove più
particolarmente il De S., nelle sue indagini di etica (per cui v. specialmente
VAttività pratica e la coscienza morate e i Principii di scienza etica). Per
lui tutta la vita morale ha il suo fondamento in certi principii valutativi che
si rivelano alla coscienza come forniti d’evidenza immediata analoga a quella
logica: veri e propri assiomi morali, la cui azione pervade le particolari
contingenze della vita pratica. Compiti dell’Etica sono perciò questi: a)
determinare la natura del- Vevidenza pratica (necessità e universalità) e- il
contenuto di queste condizioni essenziali nella vita morale (e per il De S.
tali principii si riducono a quelli della dignità e della perfezione personale,
della giustizia e della benevolenza); porre in luce lo svolgimento storico di
tali principii, in quanto, pur essendo stati sempre operativi, hanno dispiegato
variamente la loro efficacia in relazione con il variare delle condizioni della
civiltà; considerare tutte le istituzioni per qualunque via primamente sorte
alla luce degl’ideali etici, come organi dell’attuazione di essi. II De S.,
nella trattazione di questi problemi, afferma l’autonomia dello spirito nel
senso che il soggetto è tratto dalla sua stessa natura a dare l’assentimento a
principii superiori al suo io empirico. Egli quindi ammette una forma di
esperienza morale specifica e distinta da ogni altra forma di esperienza
spirituale, scientifica, estetica, religiosa ecc. La specificità di questa
esperienza è la condizione che rende possibile una scienza etica: della quale
egli insiste nel rivendicare l’autonomia e la priorità rispetto a qualsiasi
concezione propriamente metafisica. La Metafisica ha nell’etica una delle sue
basi più solide e a tal principio è ispirato, come abbiamo visto, tutto il
volume del De Sarlo "Metafisica, Scienza e Moralità „ ; ma nessuna teoria
morale può, secondo lui, essere costruita alla luce di una determinata
concezione generale dell’universo, piuttosto che sulla base dell’analisi
dell’esperienza morale. Come si vede, di fronte al problema etico il De S.
mantiene fermo quello stesso atteggiamento che abbiamo più particolarmente
illustrato a proposito del problema gnoseologico di stretta aderenza
all’esperienza, come tramite traverso il quale soltanto ci si rivela nella sua
efficienza e nella pienezza del suo contenuto ciò è che universale e
razionalmente necessario. A coloro che trovassero troppo modesto il compito
cosi assegnato alla filosofia, il De S opporrebbe volentieri le parole che Kant
scrisse all’indirizzo dei «metafisici» del suo tempo: «Il nostro disegno può
mirare a costruire una torre alta fino al cielo: ma il materiale è appena
sufficiente per una casa, spaziosa tuttavia abbastanza per le occupazioni
nostre sul piano dell’esperienza e alta a sufficienza per abbracciare questa
d’uno sguardo ». E comunque « le alte torri e i grandi metafisici simili ad
esse, intorno a cui (sia le une che gli altri) generalmente spira molto vento,
non sono fatti Der me. Il mio posto è la feconda bassura dell’esperienza. Dalla
scuola di SARLO (si veda) usce A. (n. Palermo, professore di filosofia
nell’Università di Napoli). A. inizia la sua attività di studioso con un saggio
sulla misura in psicologia sperimentale, Firenze, R. Istituto di Studi. Nel
campo specificamente FILOSOFICO, A. si afferma, oltre che con saggi minori e
con l’attivissima sua collaborazione alla Cultura Filosofica di Sarlo, col saggio,
“La reazione idealistica contro la scienza” (Palermo), che è una bella
battaglia in difesa del valore della scienza contro tutte le forme
d’intuizionismo, di prammatismo e d’idealismo assoluto, che tendono a svalutare
i concetti scientifici. (cf. H. P. Grice, IL DIAVOLO DEL SCIENTISMO]. Il motivo
centrale di questo saggio è che i concetti della scienza – e. g. psico-logia --
non sonò un impoverimento della realtà, ma un arricchimento del mondo
dell’intuizione. Il concetto, infatti, non è nello schema convenzionale che
serve a comunicarlo praticamente, e che per se stesso non ha certamente valore
di realtà, ma nella sintesi di esperienze concrete che attraverso quello schema
si realizza e nella quale l’intuizione si eleva ad una superiore potenza,
inquadrandosi in un contesto più largo di relazioni, completandosi con altr’intuizioni
che sfuggono alla veduta dell’attimo fuggitivo e ai nostri sensi limitati.
Questo modo d’INTENDERE IL CONCETTO SCIENTIFICO, come processo d’integrazione
dell’esperienza, che non sostituisce l’intuizione e non può mettersi al suo
posto, ma la completa ed arricchisce, già nelle sue discussioni con CROCE (si
veda), ora raccolte in L’estetica del Croce e la crisi dell’idealismo moderno,
Napoli. A. contrappone alla teoria dello pseudo-concetto, con la quale Croce
innesta nel ne^hegelianismo la dottrina di Mach intorno al valore puramente
pratico ed economico dei concetti. E questo motivo di ri-vendicazione del
valore teoretico della scienza è il nucleo che è rimasto costante nel pensiero
d’A. anche quando dal teismo delle sue prime Linee d’una concezione
spiritualistica del mondo, La Cultura filosofica, comparse poi come conclusioni
della traduzione inglese del suo saggio La reazione idealistica contro la
scienza (The Idealistic Reaction against Science, London) egli passa attraverso
la crisi della guerra mondiale a una concezione pluralistica del mondo. Questa
fase della sua filosofia, che comincia col saggio, La guerra eterna e il dramma
dell’esistenza (Napoli) e si sviluppa e completa per la parte gnoseologica nei
saggi La teoria di Einstein e le mutevoli prospettive del mondo (Palermo),
Relativismo e Idealismo (Napoli), Il problema di Dio e il nuovo pluralismo
(Città di Castello), è caratterizzata da un radicale sperimentalismo, il quale
però sia per i principi! da cui muove e le conclusioni a cui arriva, sia
specialmente per gli arditi procedimenti che segue, si allontana di parecchio
dallo sperimentalismo di Sarlo, come è facile scorgere dalla esposizione che
segue. La realtà, per A., è l’atto stesso di esperienza che ha due aspetti,
distinti, ma sempre uniti, il soggettivo e l’oggettivo. Non posso aver
coscienza di me senza distinguermi dal mondo e dalle altre persone. L’affermazione
della mia individualità implica dunque l’affermazione degl’altri individui e
del mondo, da cui mi distinguo. Non ha senso parlare d’un soggetto in sè o d'un
oggetto in sè, nè di soggetti come monadi solitarie fuori di questa relazione.
L’io e il mondo e le varie anime non esistono che nella sintesi concreta dell’esperienza,
come momenti, distinguibili, ma inseparabili, del suo processo. Questa sintesi
è, per A., l’unico vivente modello a immagine del quale possiamo costruire le
altre attività reali che non ci son date all’intuizione immediatamente. E
l’atto di esperienza col suo processo di unificazione e distinzione del
soggettivo e dell’oggettivo, come dell’individuo e delle altre persone, col suo
ritmo di concreta durata e la sua intuizione dello spazio concreto, è l’unica
forma a priori, soggettiva ed oggettiva insieme. Le forme della nostra conoscenza,
dunque, non sono pure apparenze; bensì le forme stesse della realtà che si
svolge, essendo questa appunto il concreto processo dell’esperienza. Questo
processo, per A., è inesauribile; non ha nè principio, nè fine. Non ha senso
domandarsi donde sia derivata la esperienza. Ed è originaria la forma della sua
distinzione nella pluralità degli individui; pluralità che non esclude, come
abbiamo già detto, la concreta unità dell’esperienza, perchè nell’atto stesso
in cui si coglie la distinzione, si coglie insieme indissolubilmente l’unità
dei termini distinti. I soggetti d’esperienza son dunque originarli e
imperituri nella loro eterna correlazione. Possono da una forma oscura di vita
elevarsi a una forma più consapevole e chiara, o dalla luce della coscienza
discendere nella penombra, ma non si estinguono mai, non cessano di essere e di
agire come spontanee energie motrici del processo della realtà. Queste attività
non sono originariamente coordinate al raggiungimento d’un fine, allo
svolgimento di un piano razionale che si at- turi nella storia del mondo. La
materia corrisponde alla fase in cui esse si urtano disordinatamente in
continui conflitti, dirigendosi a caso per la loro spontaneità in tutte le
direzioni. Statisticamente ne risultano medie costanti di azioni complessive
delle masse; onde l’apparente inerzia e uniformità della materia. La vita dalle
sue forme più semplici alle più complesse è il coordinarsi di quella attività a
un fine comune, che si raggiunge provando e riprovando attraverso secolari esperimenti
nell’evoluzione biologica e sociale. E l’armonia del mondo non è mai completa,
ma si va ancora realizzando attraverso le più alte funzioni dello spirito:
l’arte, la scienza, la religione e la filosofia, che sono tutte forme diverse
per le quali la vita dell’individuo si integra progressivamente con la vita
degli altri. E le sintesi più alte si raggiungono sempre con l’esperimento: non
c’è nessuna teoria e nessun sistema che possa pretendere una giustificazione a
priori: la dialettica è arbitraria e infeconda. Agli abusi logici dei
neo-hegeliani l’Aliotta contrappone l’assoluto sperimentalismo della sua
dottrina della verità. Il vero non è nella corrispondenza a un modello
oggettivo, sussistente in sè; ma non è neppure nel processo puramente dialettico
del pensiero. Una teoria è vera se le azioni da essa suggerite riescono a
realizzare un superiore accordo delle nostre attività umane e delle altre
innumerevoli energie operanti nel mondo. E questo criterio non vale soltanto
per le teorie scientifiche, ma anche per i sistemi religiosi e filosofici che
debbono sottoporsi anch’essi all’esperimento storico. Non vi sono categorie
immutabili e definitive, nè nel mondo della natura nè in quello dello spirito.
Tutte le forme di sistemazione sono provvisorie e relative. Non c’è una verità
assoluta, ma gradi diversi di verità e realtà, secondo che realizzano forme più
complete e integrali di vita d’esperienza. L’errore, il falso non è quindi
neppur esso tale in senso assoluto; ma è una visione parziale, frammentaria,
unilaterale rispetto a una veduta più alta e più comprensiva. Tutte le
intuizioni individuali, tutte le varie prospettive sono vere e reali, ciascuna
dal suo punto di vista; ma è più vera e reale quella che riesce a coordinarle
in una visione più completa da un punto di vista più alto. E questo non esclude
e cancella i punti di vista inferiori, ma in sè li comprende integrandoli;
dimodoché il progresso verso i più alti gradi di verità è insieme un elevarsi a
una maggiore ricchezza di vita. Nel nostro pensiero è la realtà stessa che si
tormenta nello sforzo di attingere una superiore armonia. CALÒ (si veda) (n.
Francavilla Fontana, in prov. di Lecce) è professore di pedagogia nell’Istituto
di Studi di Firenze. Rivolse la sua attenzione dapprima ai problemi morali, ma
con preferenza a quelli che più direttamente si connettono a problemi
filosofici d’ordine generale e metafisico. Il suo primo lavoro importante,
infatti, è quello intorno al Problema della libertà nel pensiero contemporaneo
(Palermo, Sandron), che contiene un’analisi molto penetrante e un’ampia e
sottile critica del contingentismo e del prammatismo e di altre correnti
contemporanee come il neo-criticismo renouvieriano; e giunge all’affermazione
del potere di libertà come attitudine propria dello spirito individuale,
presupposto indispensabile della libertà etica; attitudine che si confonde con
la stessa proprietà della coscienza di porsi come un io, cioè come centro
assoluto indeducibile e irreducibiie d’ordinamento della realtà psichica e insieme
d’energia produttrice di fatti. Altri lavori ha dedicato il Calò a esaminare
particolari tendenze dell’etica moderna, come quello su l’ Individualismo etico
nel sec. XIX, premiato dall’Accademia Reale di Napoli, un quadro vasto e vivace
delle varie forme d’individualismo affermatesi non soltanto nella filosofia ma
anche nella letteratura del secolo scorso. Di fronte ad esse il C., mentre
afferma l’obiettività e universalità dei valori morali, riconosce insieme che
questi non hanno esistenza concreta nè azione effettiva se non nella sintesi
vivente della personalità, che è per ciò da porre come il valore etico supremo,
come la sola realtà fornita d’intrinseco valore morale. Queste idee che, nei
due citati lavori, costituiscono la conclusione o i principii ispiratori
dell’esame critico di svariati indirizzi dell’etica contemporanea, furono poi
sviluppate e sistemate, in forma di trattazione teorica della coscienza morale,
nel volume Principii di Scienza etica (Palermo, Sandron), preparato insieme col
De Sarlo e scritto dal C. In esso si illustra la specificità e l’immediatezza
dell’esperienza morale attraverso la quale si rivelano i principii etici
fondamentali, contro tutte le teorie che vogliono ridurre la necessità ideale a
necessità d’altro genere al che il C. ha
dedicato anche altri scritti minori, tra cui notevole il saggio su L’in-
terpretàzione psicologica dei concetti etici (in « Atti del Congresso di
psicologia » Roma). Vi sono inoltre definiti nel loro contenuto gli
oggetti-fini dell’attività umana, il cui va- ìore intrinseco è connaturato
all’esperienza etica. Ed è dato infine particolare sviluppo all’evoluzione
storica dei principii morali, la quale si fa consistere dal C. come, l’abbiamo visto, dal De S. nel successivo chiarirsi e purificarsi di
quei principii da elementi extramorali o paramorali; nella loro più rigorosa e
coerente esplicazione, resa possibile dallo sviluppo, oltre che della
sensibilità e della discriminazione etica, della cultura e del pensiero ; nella
successiva soluzione dei conflitti nei quali essi a volte vengono a trovarsi, e
nello sforzo sempre meglio riuscito di armonizzarli in valutazioni sintetiche;
nella estensione della loro applicazione a una sfera di realtà sempre più
larga. Pur occupandosi di problemi etici, il C. non ha mancato di portare il
suo contributo ad altri campi di discipline filosofiche (notevoli, p. es., i
suoi studi sulla dottrina del Brentano intorno al giudizio tetico e intorno
alla classificazione dei processi psichici, e parecchi saggi storici e critici
sul Boutroux, sul Bergson, sull’Allievo, sul Naville, sul Ladd, ecc.). Da
questi studi risulta che il C. è un seguace dello spiritualismo realistico, e
concorda sostanzialmente, in metafisica e gnoseologia, con le idee sopra
esposte del De Sarlo. Voltoli alla Pedagogia, il C. ha lavorato sulle medesime
basi. In questo campo i suoi principali lavori sono: La Psicologia
dell'attenzione in rapporto alla scienza educativa (Firenze, Tip. Cooperativa);
Fatti e problemi del mondo educativo (Pavia, Mattei e Speroni); Il problema
della coeducazione e altri studi pedagogici (Roma, Soc. ed. D. Alighieri);
L'educazione degli educatori. (Napoli, Perrella); Dalla guerra mondiale alla
scuola nostra (Firenze, Bemporad); per non citare i suoi scritti minori, specie
di storia della pedagogia, come quelli sul Lambruschini e sul Rousseau,
premessi ai volumi di questi autori, da lui stesso curati, nella Biblioteca
pedagogica ch’egli di¬ rige presso l’editore Sansoni. Il valore e il carattere
dell’opera pedagogica del Calò furono rilevati, con giudizio non sospetto, dal
Codignola, che nel 1916 af¬ fermò essere Calò « il più serio avversario della
pedagogia idea¬ listica in Italia » . Invero, il C., mentre ammette una
filosofia del¬ l’educazione e ne riconosce la fecondità,' non crede peraltro,
come l’idealismo sostiene, che la dottrina dell’educazione si riduca a
filosofia. Vi sono metodi relativi allo sviluppo delle attività psichiche, sia
in sè stesse sia in rapporto con quelle organiche, i quali non possono non
essere ricavati direttamente dalla conoscenza della realtà psichica e delle sue
leggi, quali si offrono all’esperienza e alla sperimentazione; vi sono norme
educative che si ricavano dalla determinazione dei fini etici dell’attività
umana, considerati in rap¬ porto al progressivo potere d’attuazione del
fanciullo; vi sono in¬ fine tipi e norme didattiche che si ricavano
dall’esperienza storica e da necessità storiche. Per il C., perciò, la
pedagogia non può trovare la sua sicura costituzione e la sua vera fecondità di
vedute e di applicazioni che in una concezione la quale, correggendo e
integrando, riprenda la posizione herbartiana e consideri le leggi psicologiche
in funzione delle finalità etiche. L’educazione è per lui pur sempre fatto
essenzialmente spiri¬ tuale, che si distingue da ogni altra forma di sviluppo o
di perfezio¬ namento in quanto vi collabora la libera attività del soggetto
educando, e porta a un sempre più pieno uso della propria libertà e
all’acquisto sempre più consapevole di valori intrinseci alla persona. Ciò che
il C. nega è che l’azione educativa si definisca per questo solo rispetto e
sussista indipendentemente da ogni forma di eteronomia: là dove i’eteronomia
svanisce ovvero si riduce a pura materia della libera determinazione del
soggetto, si ha l’attività etica strettamente intesa, non più il processo
educativo. Per la tendenza a psicologizzare il metodo, l’educazione appare al
C. come un processo di formazione nel quale le attività del soggetto e la forma
valgono anche più dei contenuto, degli oggetti, della materia del sapere o
dell’operare, e gl 'interessi, nel senso her- bartiano, sono le forze che si
tratta di nutrire e di promuovere in
Kant nella storia della pedagogia e dell'etica, Napoli Nonostante
ciò o forse appunto per ciò —Codignola,
facendo la storia della pedagogia italiana contemporanea (nel libro Monroe
Codignola, Breve corso di storia dell’educazione, voi. II, Vallecchi, Firenz),
si è contentato di accennare al Calò ponendolo accanto a G. M. Ferrari, come
seguace di un «indirizzo spiritualistico eclettico»; e questo raccostamelo come questa
caratterizzazione sono stati poi echeggiati dal Saitta nel suo Disegno storico
della educazione, Bologna, Cappelli. modo da creare la personalità più viva e
compiuta e armonica. Perciò egli ha insistito sui diritti della cultura
Jormale, senza peral¬ tro porre nel nulla il valore degli acquisti concreti
(conoscenze e abilità), come vorrebbe fare un certo formalismo e subiettivismo
pedagogico superficiale. Ha mostrato la rispettiva necessità e in¬
sostituibilità della cultura umana e storica e di quella realistica e
scientifica. Ha rivendicato l'esigenza d’un’educazione religiosa, elementare e
aconfessionale prima, storica poi nella scuola, confessio- sionale nella
famiglia. Infine dalla legge della storicità come aspet¬ to essenziale
dell’anima umana, egli deduce l'immanenza dell’idea di patria alla vita dello
spirito e quindi alla sua educazione. Questa perciò non può, secondo il C., non
essere nazionale, non può cioè non curare che ideali di cultura e di moralità
traggano dalla tradi zione storica e dalla organizzata esperienza del fanciullo
forma e colore che ne facciano, traverso le coscienze individuali, elemento di
vita, di coesione, di prosperità della società nazionale. E perciò, in tutto
quel che abbia riflessi e importanza per questo fine, l’istruzione,
l’educazione, la scuolà non possono non costituire ufficio e dovere dello
Stato, che è coscienza suprema, organizzazione unita¬ ria, garanzia
conservatrice della vita della nazione. Alla luce di questa concezione il C. ha
discusso e non soltanto in sede
scientifica, ma anche in Parlamento, dove egli ha seduto per due
legislature problemi concreti, come quello
del¬ l’ordinamento della Scuola media, della preparazione magistrale, della
riforma universitaria, dei rapporti tra scuola e famiglia, della coeducazione
ecc., mostrando sempre lucidità e prontezza di visione dei termini essenziali
di ogni problema e dei rapporti di esso con i principii dottrinari generali,
calore vivace e penetrazione nelle proposte di soluzioni. Lamanna (n. a Matera,
in Basilicata, professore di filosofia nell’Università di Messina) ha spiegato
la sua attività nel campo della filosofia della religione, dell’etica, e della
filosofia del diritto e della politica. Dopo alcuni studi minori sulle dottrine
religiose dello Schleiermacher, del Pfleiderer e delle scuole sociopsicologiche
più recenti, pubblicò un volume su La religione nella vita dello spirito,
(Firenze, La «Cultura Filosofica» edit.,), nel quale, attraverso un ampio esame
critico dei principali indirizzi di filosofia religiosa del sec. XIX, da Kant a
Blondel e a James, si sforza di determinare quale è per lui l’essenza della
religione, intesa questa essenza come il sostrato spirituale di tutte le forme
storiche della religione, come il principio dinamico informante e determinante
l’evoluzione della vita religiosa attraverso i secoli. Per il L. la religiosità
è elemento essenziale e perenne della vita spirituale umana: è un’esigenza
irriducibile alla coscienza dell’ideale (conoscitivo o estetico o morale),
sebbene nella coscienza dell’ideale, o, meglio, nella coscienza
dell’universalità e necessità dei valori costitutivi degli ideali immanenti
allo spirito, essa trovi la sua radice. In ogni atto spirituale v’è la
rivelazione, fatta a un’autocoscienza individuale, di qualcosa d 'assoluto
(universalità e necessità dei prin- cipii della ragione, intesa questa nel suo
senso più ampio) e, insieme, di qualcosa di relativo (elementi naturali,
particolaristici e contingenti, nei quali l’universale e il necessario volta a
volta si determina, ma sempre inadeguatamente). La natura stessa della
razionalità, la quale o è tutto o è nulla, o è universale o è una
fantasmagoria, determina nell’uomo l’aspirazione ad attuare pienamente in sè e
ad estendere a tutto l’universo il dominio dell’Assoluto. Ma, d altra parta, la
presenza del «relativo» dimostra per un lato che l’oggetto della razionalità,
il vero, il bene, il bello è indefinito, e contingente e parziale e continuamente
minacciato ne è, per l’attività umana, il possesso; e per l’altro lato che
nella realtà v’è qualcosa che non dev essere, qualcosa di anormale, di opposto
alla razionalità. Da questa situazione tragica lo spirito si libera mercè la
credenza in Dio, come fondamento reale di quello che nell’uomo è ideale, che
spiega, per una parte, la validità delle leggi ideali costitutive della
razionalità, e garantisce, per l’altro, l’indefinita attuabilità di esse,
nonostante l’inadeguazione ad esse della realtà empirica. Dimostrare come
dall’esercizio stesso delle funzioni fondamentali dello spirito scaturisca
necessariamente l’idea di Dio, nell’affermazione che quel che dev’essere è,
quel che pér noi è soltanto un ideale, ha già la sua piena attuazione in una
sfera trascendente di realtà, questo è il termine a cui tendono le
dimostrazioni del volume del L. I problemi morali sono stati dal L. esaminati
specialmente nei due volumi II sentimento del valore e la morale criticistica
(Firenze,) e II fondamento morale della politica secondo Kant (Firenze), a cui
si collegano studi minori, Il bene per il bene, L’amoralismo politico,
L'esperienza giuridica, Il diritto correlativo al dovere nell’idea di bene. In
quei due volumi si prende lo spunto dall’esame critico della dottrina Kantiana,
rilevandovi il contrasto, così tra il principio dell’autonomia e le conclusioni
rigoristiche dell’etica in generale, come tra le premesse idealistiche e
democratiche e alcune conclusioni assolutistiche e realistiche della morale
politica; e si dimostra che quel contrasto è conseguenza necessaria del
formalismo nella determinazione dell’ideale e del pessimismo nella
considerazione della realtà, inquanto, ipostatizzata la legislazione autonoma
nella volontà in sè e nella respublica noumenon, Kant vede nella realtà
individuale e sociale null’altro che inclinazioni al male e giuoco meccanico di
passioni. Da questi rilievi e dimostrazioni di carattere storico il L.. prende
occasione per affermare la necessità di un tramite che, eliminando il dualismo
tra l’ideale e il reale, renda possibile la compenetrazione di questo da parte
di quello. E siffatto tramite egli trova nella caratteristica funzione della
valutazione morale, rivelante con evidenza immediata oggetti della volontà
forniti d’intrinseco valore (beni universali e necessari), nell’amore attivo
per i quali si costituisce come valore supremo la personalità, e nella cui
indefinita attuabilità attraverso il succedersi delle generazioni è posta la
possibilità del progresso morale e della unificazione spirituale sempre più
piena della specie umana. Alla luce di questo principio il L.: 1) riconduce
nell’ambito della nozione di dovere —caratteristica dell’esperienza morale
anche quegli elementi che in opposizione al rigorismo kantiano son posti in
rilievo nella concezione morale dell’* anima bella» (Schiller e Fics), a
proposito della quale egli fa un ampio esame dei rapporti tra la funzione etica
e quella estetica. Illustra l’ordinamento giuridico come tecnica per
l’ordinamento morale: confutando i tentativi di ridurre il diritto a qualche
concetto estramorale, ne trova la radice nell’idea di bene morale e nella
correlatività al concetto di dovere, in quanto l’idea di lecito scaturisce
dalla coscienza della legittimità di respingere il limite e l’ostacolo postoda altri individui all’attuazione di un
bene conforme a un principio etico riconoscibile anche da questi ultimi: onde
la conclusione che se il contrasto è occasione per l’insorgenza della coscienza
del diritto, la sostanza ideale di questo è Varmonia, Y accordo-, e da questo
punto di vista sono idealmente giustificati gli elementi empirici costitutivi
della giuridicità (potere supremo e coattività). Afferma, infine, la sovranità
della morale in politica, mostrando come, entro l’amb'to stesso di una rigorosa
moralità politica, possano essere pienamente sodisfatte quelle esigenze alle
quali l’amoralismo politico dà il massimo rilievo; e dimostra, rimettendo in
valore alcuni elementi delle concezioni giusnaturalistiche, il valore
deontologico e il concetto ideale di certe nozioni della coscienza politica
moderna (come volontà generale, contratto originario, società dei popoli ecc.).
BONAVENTURA (si veda), libero docente e incaricato di psicologia nell’Istituto
di Studi Superiori di Firenze e assistente del De Sarlo nel Laboratorio di
psicologia sperimentale, dopo alcuni scritti minori di psicologia e di logica,
pubblicò un grosso volume su Le qualità del mondo fisico: studi di filosofia
naturale (Firenze, « Pubblicazioni del R. Ist. di St. Sup. »,), in cui i dati
della fisica, della chimica, della fisiologia non dirò solo che siano
largamente utilizzati, ma costituiscono addirittura la base per la soluzione
del problema, se sia o no possibile spiegare le differenze qualitative tra le
diverse energie fisiche riducendole ad un unico tipo di energia: problema che
il B. risolve in modo negativo, dimostrando che la riduzione delle molteplicità
qualitative delle energie fisiche ad un’unica forma nel senso del meccanismo e
di taluni indirizzi energetici, è illusoria. Posteriormente egli ha volto la
sua attività più in particolare agli studi e alle ricerche di psicologia,
compiuti, nel laboratorio diretto dal De Sarlo, coi metodi rigorosi propri
della psicologia moderna; ma la ricerca psicologica sebbene abbia anche, per
lui, un valore in sè stessa, come ricerca scientifica, e un valore sociale, per
le sue applicazioni, è stata ed è sempre, nell’economia dal suo pensiero, il
punto di partenza e di appoggio per salire verso la filosofia. Tra i problemi
psicologici, oltre ad alcune questioni di metodo (come queile del valore
dell’introspezione e- delle sue illusioni, a cui è dedicato il volume
intitolato appunto Ricerche sperimentali sulle illusioni dell'introspezione,
Firenze, 1915), quello che lo ha più attratto e su cui ha più lavorato, è il
problema della percezione, concepita come elaborazione intellettuale dei dati
sensoriali, e in ispecie della percezione dello spazio e del tempo: problema
che da un lato connette la ricerca psicologica con concezioni d’importanza
fondamentale per la fisica e per la matematica, dall’altra forma il punto
centrale della teoria della conoscenza. Intorno a questo problema egli ha
lavorato da vari anni, sia sottoponendo a revisione critica tutto il lavoro
sinora compiuto sull’argomento, sia compiendo egli stesso ricerche sperimentali
per chiarire quei punti che ancora gli sembravano non abbastanza illuminati.
Alcune di queste ricerche (concernenti l’attività del pensiero nella percezione
tattile dello spazio; i mezzi coi quali si stabilisce e i limiti entro i quali
si contiene l’accordo tra dati spaziali visivi e dati spaziali tattili; le
illusioni ottico-geometriche; l’importanza dei giudizi spaziali visivi nella
psicofisica) sono state già pubblicate in Riviste di psicologia italiane e straniere;
ma la somma di tutte le ricerche e di tutti gli studi costituisce un grosso
volume già pronto, ma ancora inedito —, in cui il problema psicologico dello
spazio e del tempo e le conseguenze filosofiche che ne scaturiscono, sono
trattati in tutti loro asp. Antonio Aliotta. Aliotta. Keywords: esperienza,
l’implicatura di Lucrezio, sacrificare, significare, sacrificare, guerra
eternal. aliotta l’implicatura di lucrezio il
filosofo di campagna la guerra eterna — sacrificare/significare — croce — il
latinismo dello storicismo — galilei — vico – lucrezio -- epicureismo campano
-- Refs.:
Luigi Speranza, Grice ed Aliotta” – The Swimming-Pool Library.
Luigi Speranza -- Grice
ed Allegretti: la ragione conversazionale e l’implicatura conversazionale della
colloquenza – la scuola di Forlì –filosofia emiliana -- filosofia italiana –
Lugi Speranza, pel Gruppo di Gioco di H. P. Grice, The Swimming-Pool Library (Forlì). Filosofo
emiliano. Filosofo italiano. Forli, Forli-Cesena, Emilia-Romagna. Grice: “I
love Alegretti; very Italian; imagine: after tutoring for a while on dialettica
at Firenze,, he retires to Villa Allegretti, Rimini, where he philosophises ‘De
propositionibus’ (sulle enunciate) as part of the Dialettica!” Grice: “He was so
proud of the meetings at his villa that he called it ‘our Parnassus’!” Grice:
“Allegretti’s idea of the villa meetings was modeled after Plato who, with
fewer means, met at the gym in theVIlla Echademo!” -- – cf. Raffaello, “Il
Parnaso.” -- Stemma della famiglia Allegretti Coa fam ITA allegretti Blasonatura
cuore d'oro su campo azzurr. Noto per aver fondato, secondo alcuni
storici, la prima accademia letteraria d'Italia. Fu figlio di Leonardo A., giudice a Forlì, di
parte guelfa. Appartene ad un'antica e cavalleresca famiglia, il cui
capostipite fu Mazzone A. (Mazzonius Alegrettus), che prende parte alla
crociata in Terra Santa e per arma scelse un cuore d'oro su campo azzurro. Legge filosofia a Bologna e Firenze. Fonda la prima accademia con un gruppo di
intellettuali: Calbolo, Orgogliosi, Sigismondi, Speranzi, Arfendi, Morandi,
Aldrobandini, Aspini e A.. Per motivi politici, gl’Ordelaffi, signori di Forlì
ghibellini, imposero il confino ai fratelli Si trasfere perciò a Rimini. Richiamato
dall'esilio, coinvolto in una faida familiare degl’Ordelaffi, è nuovamente
costretto a fuggire a Rimini, ove fonda una accademia, dei Filergiti – cf.
Firlegito -- con vocazione insieme letteraria e scientifica. La sua prosapia s'innestò negl’Aspini
mediante una Margherita di Francesco A., che sposa un Lodovico, che è erede
degl’averi e del cognome degl’A.. Si trova il seguito di questa famiglia nel
senese e nel modenese (a Ravarino).
Note Fonte: Valenti, Dizionario Biografico
degli Italiani, riferimenti in. Il suo saggio principale e considerato il “Bucolicon”. Ma scrive anche un epicedio per la morte di
Galeotto I Malatesta, signore di Rimini; un carme al Conte di Virtù; un carme
per la divisa della tortora; Eglogae, in latino; un carme sulla bissa milanese,
cioè lo stemma dei Visconti, il biscione.Marchesi, Memorie storiche
dell'antica, ed insigne Accademia de' Filergiti della città di Forlì..., Forlì,
per Barbiani, Bonoli, Storia di Forlì scritta da Bonoli corretta ed arricchita
di nuove addizioni, Forlì, Bordandini, Valenti, A. Dizionario biografico degli
italiani, Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. A., Filosofi. Nasce a Ravenna, da Leonardo A., appartenente a
famiglia guelfa di Forlì, in un anno da porsi tra quelli immediatamente
precedenti il 1326. È supposizione abbastanza fondata (cfr. Massera) che legge FILOSOFIA
nello studio bolognese. Lettore di DIALETTICA a Firenze. Benché se ne perdano
poi le tracce, è indubbio che si trova da qualche tempo a Forlì quando e
colpito, nella sua qualità di guelfo, dal bando d’Ordelaffi. Ma la fama di
dottrina in filosofia che lo circonda e tale che egli e ben presto richiamato
alla corte forlivese, dalla quale, però, dovette di nuovo fuggire per aver
rivelato la congiura che Ordelaffi tramando contro suo zio. A. si rifugia a
Rimini, dove e precettore di Malatesta. La sua villa e luogo di raccoglimento,
di studio e, di dotti convegni, cui si compiace di dare il nome di Parnaso;
donde la notizia, tratta dagl’annali forlivesi di Ravennate, secondo cui A.
"Arimini novum constituit Parnasum", notizia ripetuta ed elaborata
poi da vari scrittori nel senso, del tutto fantastico, che egli fonda già
allora una vera e propria accademia. Ha rapporti abbastanza stretti con la
corte viscontea. Muore a Rimini. A. gode di non piccola fama. Citato nel “De
fato et fortuna” di Salutati, e in corrispondenza col Salutati di cui si ha una
lettera a lui con unito un lungo carme latino, e con Loschi, del quale si
conservano due epistole metriche (ed. in Massera) a lui dirette. Fatta
eccezione per un problematico trattato in prosa “DE PROPOSITIONIBVS”, attribuitogli
da Cobelli nelle sue Cronache forlivesi (Bologna), tutte le opere d’A. di cui
si ha notizia si riferiscono alla sua attività fantasiosa. Ci rimangono: un
lungo carme a sfondo mitologico-pastorale intitolato Falterona, pieno di IMPLICATURE
– o CONTORTE ALLEGORIE POLITICHE (Venezia, Bibl. Marciana); un componimento a
carattere araldico-encomiastico dedicato a Visconti (ed. da Novati in appendice allo studio Il Petrarca
ed i Visconti in Petrarca e la Lombardia, Milano); un Epitaphium in onore di
Malatesta (Milano, Bibl. Ambriosana); un carme Ad Ludovicum Ungariae inclitissimum
Regem (Venezia, Bibl. Marciana). La sua fama, però, e legata soprattutto al “Bucolicon,”
che Biondo, nella sua Italia illustrata (Basilea), giudica seconda soltanto
alle Bucoliche di VIRGILIO e che Massera ha tentato con buoni argomenti di
identificare in una raccolta di egloghe attribuita a Mussato. Ad A., infine,
come opina Sabbadini, andano attribuiti i cosiddetti Endecasyllabi di Gallo,
che egli ha, secondo la tradizione, scoperti a Forlì ma che, invece, molto
probabilmente contraffa, credendo erroneamente che quel poeta e nativo di
Forlì. Epistolario di Salutati, ed. Novati, Roma, in Fonti per la storia
d'Italia, Sabbadini, Le scoperte dei codici latini, Firenze, Carrara, La Poesia
pastorale, Milano, Massera, A. da Forlì, Atti e memorie d. R. Deput. di storia
patria per le prov. di Romagna, Thorndike, A history of magic and experimental
science, New York, Bertalot, L'antologia di epigrammi d’Abstemio nelle edizioni
sonciniane, Miscellanea Mercati, Città del Vaticano. La stessa origine hanno le
presunte accademie di Rimini e di Forli, che gli scrittori fanno fondare a A.
da Mantova, uomo versato nella filosofia. Uno storico di Forli, Bonoli, appunto
nelle sue Istorie della Città di Forlì? Dice. Strepita ancora di Forlivesi la
fama d’A., FILOSOFO. Compone La Bucolica, che doppo quella di VIRGILIO non vede
forse il mondo la più bella; tra le tenebre dell'antichità, manifesta molte
compositioni del nostro Gallo, e in Rimini, ove poi ricovrossi, per schivar
l'ira degl’Ordelaffi, erresse una fioritissima Accademia. La notizia passa indi
nel proemio delle Leggi vecchie, di stinte in XII Tavole, dell'antica Accademia
de’ Filergiti di Forlì e nuovi ordini-sopra essa Accademia, aggiungendovisi
però oltre l'Accademia riminese anche un'Accademia in Forli, che e pure stata
fondata d’A: l'Accademia dei Filergiti. A. – vi si dice – Filosofo illustre,
non si contenta di esercitare in Forli sua patria virtuose sessioni, che ancora
in Rimini, dove sbandito ricovrossi, er gette una nuova Accademia. Queste parole
sono ripetute tali e quali da Malatesta nel L'Italia Accademica però nella
parte ancora inedita di quest'opera che giace nella Gamba lunghiana, e dove si
tratta appunto in particolare delle Accademie. Petrarcae Epistolae de Rebus
Familiaribus et Variae, curate da FRACASSETTI, Firenze. Forli, In Memorie storiche dell'antica ed insigne
Accademia de'Filergiti della città di Forlì, Rimini. Ma anche qui si tratta di un
abbaglio. Aspettando che maggior luce venga data in proposito in quella vita d’A.,
che Novati promette da parecchio tempo, basta notare che a base delle notizie
circa queste due Accademie stanno le seguenti parole degl’Annales Forolivienses.
Tempore ecclesiae Arces in his civitatibus factae sunt: Bononiae, Imolae,
Faventiae et Forolivii. A. Forli viensis philosophus clarus agnoscitur, qui
plures Endecasyllabos Galli civis Forliviensis poetae invenit et Arimini novum
constituit. Par Quest'ultima parola e interpretata senz'altro per Accademia, a
cui, come al solito, furono ascritti i personaggi principali del tempo, perfino
Petrarca. Cfr. La Coltura letteraria e scientifica in Rimini di Tonini, Rimini;
cfr. anche del medesimo: VitaeVirorum Illustrium Foroliviensium. Forli Cfr. Della
vita e delle opere d’Urceo detto Codro di Carlo MALAGOLA. Bologna. Cfr.Epistolario
di Salutati per cura di Novati, Roma, Rerum Italicarum Scriptores, Milano, di
Rimini. Egli dice di più che l'Accademia fondata d’A. in Rimini si radunava in
una sala del palazzo Malatesta, adornata dei ritratti dei filosofi più
celebri,e che vi e ascritto anche il Petrarca. Marchesi dal canto suo circa
l'Accademia fondata d’A. in Forli dice che costui lasciata da parte la se
verità degli studi filosofici, ne'quali aveva spesi con molta gloria i suoi
giorni, fraccolti in una degna Assemblea i filosofi più perspicaci, fa la
memorabile fondazione, benchè senza nome particolare, regolamento ed impresa,
invenzioni delle succedute età, ma col solo generico d’Accademia. Sono i suoi
colleghi, o piuttosto discepoli Calbolo, Orgogliosi, Sigismo ndi, Speranza dei Speranzi,
Arsendi, Morandi, Aldobrandini, Aspini e A., tutti illustri per sangue, ed
assai più per l'affetto che professavano per la filosofia. Per le frequenti
sessioni che, tenevano a porte aperte, e per gli ammaestramenti e saggi dati d’A,
il fondatore, s'avanzarono molto i primi Accademici colla coltivazione della
filosofia, sopra ogni altra scienza da essi tenuta in pregio. Esiliato poi A.
da Forli, l'Accademia anda dispersa, eleraunanze vennero riprese solo nel
secolo xv per opera d’Urceo. nasum DELLA TORRE Orbene si osservi che A. e in
Rimini maestro di filosofia di Malatesta; e qual cosa più naturale che assieme
al Malatesta si trovassero altri membri delle principali stirpi Riminesi?
Epperò quel Parnasum va senza dubbio inteso per scuola di umanità e non già per
Accademia nel senso che l'intendono gli scrittori su riferiti. Quanto poi
all'Accademia di Forli, come osserva giustamente Tiraboschi, severamente e esistita,
lo scrittore degl’Annales Forolivienses che nota il Parnasum aperto d’Allegretti
in Rimini, ha a tanto maggior ragione notata un'Accademia. fondata in Forli, le
cui vicende appunto egli si propone di narrare; ed invece nulla. Come alsolito,
gli scrittori di cose forlivesi, che, interpretando Parnasum per Accademia
credevano che A. fonda appunto un'Accademia in Rimini, sapendo che A. e anche a
Forli, gliene fa fondare sen z'altro una anche in Forli, ascrivendovi come al
solito quanti in quel tempo vi erano di filosofi insigni per ingegno e per
cultura. E con questa mania, si andò tanto oltre, che si raggrupparono insieme
perfino gli architetti del duomo di Milano per farne un'Accademia; la quale e
cominciata mentre Visconti anda pensando di gettar le fondamenta del Duomo. Vi
si sarebbe atteso a quella maniera di fabricare,che i moderni chiamano alemana.
Avrebbe àvuto sede nella corte ducale compiacendosi in estremo quello stesso duca
del fabricare e dell'udirne talvolta discorrere i maggiori architetti di
que'tempi, che sono Giovannuolo e Michelino, da'quali sono ammaestrati i
compagni di Bramante. Non occorre certamente fermarci piú a lungo per
dimostrare l'assurdità di queste affermazioni. Basti il dire che questa volta a
base di esse non sta il più piccolo dato di fatto. Cfr.ANGELO BATTAGLINO, Della
corte filosofica di Malatesta Signore di Rimini in Basinii Parmensis poetae
Opera prae stantiora. Rimini, e Lettera di Salutati a Malatesta in Epistolario
di Salutati a cura di NOVATI, Roma. Velim igitur, simichicredideris, eum
(Giovanni da Ravenna) decernas inter tuos recipere et in locum magistri tui,
viri quidem eruditissimi, quondam A. et in eius provisionem acceptes et loces. Cfr.
BORSIERI Il supplimento della Nobiltà ili Milano. Milano, e ZANON, Catalogo etc.iSi
dia in proposito la più semplice scorsa alla prima parte di il duomo di Milano
di Boito, Milano. Jacopo
Allegretti. Giacomo Allegretti. Allegretti. Keywords: colloquenza, dialettica,
villa, villa Allegretti a Rimini, Bucolicon, Andrea Speranzi, i filergiti, “De
propositionibus”, scuola di Firenze, dialettica a Firenze, accademie italiane
dall’A alla Z, Andrea Speranzi, il primo accademico italiano a Firenze. Refs.:
Luigi Speranza, “Grice ed Allegretti” – The Swimming-Pool Library.
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