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Tuesday, February 11, 2025

LUIGI SPERANZA -- GRICE ITALO A-Z A AL

 

Luigi Speranza -- Grice ed Alderotti: la ragione conversazionale e l’implicatura conversazionale – filosofia fiorentina – filosofia toscana -- filosofia italiana -- Luigi Speranza, pel Gruppo di Gioco di H. P. Grice, The Swimming-Pool Library  (Firenze). Filosofo fiorentino. Filosofo toscano. Filosofo italiano. Firenze, Toscana. Grice: “I like Alderotti; but then his favourite treatise was Aristotle’s little thing to his son, Niccomaco – which Hardie instilled on me like a leech!” “Alderotti was what we would call a Florentine-Bologne-oriented Aristotelian; he thought, with Aristotle, that the heart trumps the head --  Grice: “What I like most about lderotti is his archiginnasio – no such thing at Oxford! So, as Speranza says in “Colloquenza all’archiginnasio,” Alderotti knew what he was doing, even if his pupils did not!”Scienziato e filosofo erudito, scrisse per l'amico e protettore Donati, uno dei primi testi di medicina in lingua volgare, il Della conservazione della salute. Il più conosciuto medico del medio evo, tanto da meritarsi una citazione nel Paradiso d’ALIGHIERI (si veda), insegna a Bologna, applicando, durante le sue lezioni di medicina, un innovativo metodo scolastico. Inizia la lezione con una lectio o expositio di un passo tratto da un testo autorevole (di Ippocrate, Galeno, ecc.). Procede poi per quaestiones con riferimento alle IV cause aristoteliche. La causa materiale -- la materia della trattazione --, la causa formale -- la sua forma espositiva --, la causa efficiente -- l'autore dell'opera -- e  la causa finale -- il fine o lo scopo dell'argomento prescelto. A questo punto il maestro formula una serie di dubia, cui fanno seguito i momenti euristici della disputatio ed, infine, della solutio. ALIGHIERI (si veda) lo cita in modo dispregiativo nel “Convivio.” Temendo che 'l volgare non fosse stato posto per alcuno che l'avesse laido fatto parere, come fece quelli che transmuta lo latino de l'etica ciò e A. ipocratista provide. Dizionario biografico degl’italiani, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Opere. Tra i primi volgarizzatori toscani è A., il famoso fiorentino, professore a Bologna, uno dei personaggi più notevoli del suo tempo. A. è pure il primo traduttore italico della morale a Nicomaco, che volgarizzata entra oramai a far parte della cultura generale. Di traduzioni della Nicomachea, c'eran le due greco-latine dell'Ethica vetus e dell'Ethica nova, frammentarie,e quella del liber Ethicorum completa letterale. Ma il volgarizzatore non puo certamente servirsi di un testo incompleto o di traduzioni letterali che avrebbero evidentemente lasciato Aristotele oscurissimo nel volgare come lo è nelle traduzioni latine. Ci sono le traduzioni arabe: quella del commentario di Averroe. Ma come si puo presentare per la prima volta a'laici, incapaci di comprendere un vastosi stema filosofico, Aristotele con tutto il bagaglio delle sue dottrine logiche e metafisiche che servono di base all'Etica? Resta il compendio alessandrino-arabo, e questo difatti ammesso alla facile diffusione del volgare divenne il testo morale aristotelico di moda. A. riduce in volgare il compendio alessandrino-arabo della morale a Nicomaco. Poco più tardi [Ho in un lavoro precedente trattato dell'Etica volgare e francese; a quel lavoro modesto richiamo il lettore il quale, trattandosi di una questione già molto controversa, voglia con sicurezza accogliere le nostre conclusioni. Giacchè ora alle conclusioni sono costretto dalle necessità e dall'economia dell'argomento. MARCHESI, Il Compendio volgare dell'Etica Aristotelica e le fonti del VI libro del Tresor in Giorn. Stor.della lett.it.] LATINI (si veda), nel Tresor accolge il volgare di A., modificato secondo il testo originale latino ch'ei conosce e a cui porta contributo di meditazioni. Sicché tra i due compendi è una notevole differenza: una differenza che va tutta a favore di ser LATINI (si veda) il quale ha il vantaggio di lavorar dopo in un tempo in cui, per quella energia naturale della filosofia novella, si progrede assai rapidamente nel gusto e nella filosofia. La traduzione di A. in gran parte fedele al contenuto, nella forma è condotta con una notevole indipendenza rispetto alla frase latina, e non di rado si vede la sicurezza ch'è nell'intendimento del traduttore e la buona conoscenza che A. ha del linguaggio filosofico. Spesso compendia la materia. Daltra parte, allarga tante volte la frase o il concetto e diluisce nel volgare il testo latino per bisogno di ripetizioni e di esempi o di ampliamenti, servendosi, come fa in principio, di qualche altro rifacimento, e aggiungendo dichiarazioni proprie. A. non è un traduttore che si preoccupi dalla frase e voglia mantenersi fedele alla parola o al tenore dell'esposizione. A. è un COMMENTATORE E INTERPRETE occupato del contenuto FILOSOFICO che pur vuole spesso acconciare dal lato espositivo nella maniera più rispondente, secondo lui, a'bisogni della chiarezza e della semplicità. Generalmente palesa una certa libertà nel compendiare e nel rendere il concetto con espressioni diverse dall'originale, come quando, per es., A. traduce il latino “vita scientiæ et sapientiæ” come “vita contemplatiua”. Qualche volta invece il concetto è più largamente definito per l’aggiunta di qualche breve dichiarazione che serve a chiarirne il contenuto e a precisarlo di più rispetto alle considerazioni precedenti. Cosi il testo dice che l'uomo rifugge dai luoghi solitarî o deserti o ermi, ed A. aggiunge. “Perchè l'uomo naturalmente ama compagnia. Altrove è detto che beatitudine è cosa completa che non abbisogna. Delle parti più confuse e difficili a intendersi fa una para-frasi, invertendo anche l'ordine delle idee e disponendole in maniera più agevole per la intelligenza finale, seguito in questo naturalmente da LATINI (si veda). Ecco un esempio. RERVM QVEDAM SVNT COGNITE APVD NOST ET QVEDAM SVNT COGNITE APUD NATVRAM. OPORTET ERGO VT AMATOR SCIENTIE CIVILIS PROMTUS SIT AD RES EXIMIAS ET SCIAT OPINIONES RECTAS. OPINIONES AVTEM RECTE SVNT VT IN ARTE CIVILI INCIPIATVR A REBVS APVD NOS COGNITIS ET IN CONSVETVDINIBVS PULCRIS ET HONESTIS FACTA SI ASSVETUDO PRINCIPIVM ENIM ESTET INCEPTIO A QVA RES EST. EX MANIFESTO EXISTENTE SVFFICIENTER QVIA REST EST, NON INDIGETVR PROPTER QVID RES EST. INDIGET AVTEM HOMO AD PROMPTITVDINEM HABITATIONIS VERITATIS RERVM BONARVM AVT APTITVDINE BONE INSTRUMENTALITATES EX QVA SCIAT VERVM AVT FORMA PER QVAM ACCIPANTVR PRINCIPIA RERVM HABEO FACILE. QVI VERO NEVTRAM BABVERIT HARVM APTITVDINVM AVDIAT SERMONEM HOMERI POETE VBI DICIT QVIDEM BONVS EST HIC AVTEM APTVS VT BONVM FIAT. La rendizione di A.: Sono cose le quali sono manifeste alla natura, e sono cose le quali sono manifeste A NOI. Onde, in questa scienza ch’e l’etica, si dee cominciare dalle cose le quali sono manifeste a noi. L'uomo lo quale si dee studiare in questa scienza ed apprendere, si dee ausare nelle cose buone e giuste e oneste. Onde gli conviene avere l'anima sua naturalmente disposta a quella scienza. Ma quello uomo che non hæ neuna di queste cose, è inutile a questa scienza – “d'altra cosa.” A. chiarisce “di fuori da sè.” Altre aggiunte, come quelle di aggettivi, tendono solo ad accrescere l'efficacia del concetto. D’altra parte, A. co-ordina spesso le frasi sciolte e le considerazioni staccate del LATINO nella continuata semplicità di un solo periodo. LATINI (si veda) riempie le lacune. Molte espressioni trascurate d’A. o tralasciate a dirittura per difficoltà d'intendimento sono supplite nel “Tresor.” Per es., il testo fa una triplice divisione delle arti. QVEDAM HABENT SE HABITVDINEM GENERVM ET QVEDAM HABITUDINEM SPECIERVM ET QVEDAM HABITVDINE INDIVIDVORUM. A. omette la terza categoria degl’arti, notando solo le generali e le particolari. LATINI, traducendo anche con finezza etimologica, completa. Altrove sono interi brani del tutto omessi nel volgare che LATINI (si veda) restituisce alla esposizione del compendio aristotelico. Diamone un esempio. Arsciuilis non pertinet La scienza da La science de cité go pueronequeprosecuto- reggerelacittade ridesideriiatqueuicto- non conviene a fantneàhomequivueille rie,eoquodamboigna- garzonenèauo mais A. non vide nel compendio alessandrino il legame tra le due considerazioni,e omise l'ultima;difatti il com pendiatore o il traduttore latino butta giù una frase fuor di senso che non ha rapporto alcuno con l'originale; Aristotele dice:«non è acconcio l'uditore giovane perchè èinesperto delle azioni che riguardano la vita, e i discorsi della nostra verner ne afiert pas à en  1 risuntrerum seculi, mocheseguitile cequeanduisontnonsa neque proficit ipsis. Non son ensuirre sa volonté, por tem. que ilse torne me, enim intenuit ars ista scientiam sed conuersio. nem hominis ad bonita- suevolontadi,pe- chant des choses dou sie rò che non cle: car ceste ars ne qui savi nelle cose del ert pas la science de l'o secolo. à bonté.  scienza da queste si tolgono e intorno a queste si aggirano – “οι λόγοι δ'εκ τούτων και περί τούτων”. Non pero tutte le lacune sono supplite da LATINI. La omissione di qualche concetto importante nel volgare è giustificata dal fatto ch'esso si trova altre volte particolarmente espresso e dalla facilità di richiamarlo alla mente nei luoghi ov'esso è ripetuto. Cosi avviene per il principio più volte enunciato della eccellenza del bene voluto per sé, rispetto al bene voluto per altro. LATINI elimina pure qualche ridondanza del volgare. Cosi nell’ “ARS DIRECTIVA CIVITATVM”, che A. traduce “l'arte civile la quale insegna reggere la cittade”, LATINI omitte ‘civile’. Altre volte, invece, la espressione è più estesa in LATINI, come quando traduce il semplice « princeps » riferito all'arte civile, mentre più sicuro intendimento dell'espressione. Dice il testo che la beatitudine, come l'uomo che dorme, non manifesta alcuna virtù quando l'uomo la possiede in abito e non in atto. LATINI spande. E poco prima alla definizione della potenza razionale ch'è più degna quando si è in atto, LATINI aggiunge “chè il bene non è bene se non è fatto.” Talune espressioni proprie del volgarizzatore vanno oltre i bisogni della chiarezza e la necessità dell'intendimento. Laddove il testo latino dice del bene dell'anima ch'è il più degno di tutti, LATINI insere il concetto della divinità mette di suo la ragione evidentemente per il bisogno di ribadire il principio che pone in dio il sommo bene e di asservire il trattato aristotelico alle idea  il volgare dice solo « principale e sovrana ». L'aggiunta comunemente è fatta per maggiore precisione e per un  con « colui che sta nel travito ». LATINI riconduce all'esatta interpretazione. Nello sfrondare le ridondanze del volgare e nel ridurre la materia alle proporzioni dell'originale latino, LATINI non sempre riesce a cogliere l'esatto intendimento della parola, e riducendo smarrisce l'idea che vi èracchiusa; ilt. Ha. QVEM AD MODVM PERITI AGONISTÆ EATQVE ROBVSTI CORONANTVR QVIDEM ET ACCIPIVNT PALMAM APVD ACTVM AGONISET VICTORIE. A. traduce. A ė somigliante di quello che sta nel travito a combattere, chè solamente quelli che combatte et vince, quelli a la corona della vittoria, e fa vera illustrazione e IMPLICATUVRA della frase finale. “E se alcuno uomo sia più forte di colui che vince, non à perciò la corona, perch'egli sia più forte, s'egli non combatte, avvegna che egli abbia la potenzia di vincere.” LATINI si ferma alla prima parte trascurando il significato particolare dell’apud che qui sta per post. Pure nell’intelligenza della parola latina il testo di LATINI è generalmente più fine del volgare, nel quale tal volta si trova sconvolto l'ordine delle frasi e delle idee [Un esempio: LATINO: difficile: A. impossibile. LATINO: in omnibus artificibus. A.: nelle cose artificiali. lità contemporanee della fede. Generalmente LATINI ha maggiori riguardi per il testo, perciò che riguarda i concetti semplici e le singole espressioni. Cosi LATINI corregge la frase talvolta malamente resa o ingiustamente compendiata e confusa d’A.. A. si restringe talora a molto semplice espressione, impropria, che mal si adatta al concetto latino, come quando traduce “periti agonistæ atque robusti” per deviazione dal retto intendimento del latino. Riporto un brano. A. traduce la seconda parte del periodo: ut pote. come se fosse esplicazione del concetto già espresso: opera decora exerceat. LATINI la riferisce invece al precedente: absque materia. Nel volgare italico et al volta anche, in maniera al quanto diversa, in LATINI l'espressione latina è modificata quando apparisca troppo cruda. In fine del compendio aristotelico si parla di uomini che non si possono correggere con parole, per cui occorre “assiduatio verberum tam quam in bestia.” A. traduce vagamente “pena.” LATINI è più civile ancora. Il volgarizzatore di LATINI tende spesso, più che A., a modificare quelle che a lui sembrano asperità di giudizio o durezze d'espressione. Così, nello stesso brano, de'delinquenti per natura, di coloro che non possono correggersi con parole nė per castighi, dice il t. «tollendisunt de medio», e A. letteralmente “son datorre di mezzo.” L. è meno severo. È un riscontro casuale; ma sinoti ad ogni modo come l'urbanità dell'espressione del volgare e la temperanza cortese di giudizio pare si accordi coi principi positivi di un diritto criminale molto recente! E LATINI si accorda talvolta con A. nel m o  T. difficile est enim A. perciò che non homini ut opera decora è possibile all'uomo exerceat absque mate ch'egli faccia belle o riautpotequodha pereech'egliabbia beatpartemcompeten arte la quale si con tem rerum bone uite pertinentiumetcopiam eabbondanzad'amici familieetparentumet ediparenti,eprospe prosperitatemfortune. rità di ventura sanza venga a buona vita, li beni di fuori. ne... 5 1 l'on face b e lesoevres, seiln'ia gran part des choses avenables à bono vie et habondance d'avoir etd'amisetdeparenz, et prosperité de fortu  dificare le opinioni del testo, come quando fieri amendue della loro vita comunale, rinnegano il detto d'Aristotele che l'ottimo governo sia nel principato, affermando migliore il governo delle comunità. LATINI qualche volta fa dei tagli al testo latino e al volgare, sopprimendone talune espressioni non per amore di brevità, ma evidentemente perch'ei si rifiuta di accoglierne il giudizio. Ciò risulta chiaro dalla costanza con cui l'espressione è soppressa ogni qualvolta si presenti nell'intendimento VOLUTO DALL’AUTORE. Una prova. Il compendio latino e con esso A. fa una duplice divisione della virtù: virtù intellettuale, come sapienza, scienza, e prudenza, e virtù morale come castità, larghezza, umiltà. E poi lo esempio. Quando noi volemo lodare un uomo di virtude intellettuale diciamo. Questo è un savio uomo intendevile e sottile. Quando volemo lodare un altro uomo di virtude morale, diciamo. Questo è un casto uomo umile e largo. Nell'uno e nell'altro caso LATINI sopprime a dirittura l'espressione che racchiude il concetto della umiltà. La prima volta quando parla della virtù morale, soggiunge un po'in fastidito e non curante del testo. Ed è curioso e notevole documento questo d’uno tra i più illustri rappresentanti del laicato dotto del tempo, uomo di parte e d'azione tenace e bellicosa e guelfo ardente, che si rifiuta cosi chiaramente di accogliere l'umiltà tra le virtù morali, ribellandosi al giudizio che uomo umile ė uomo virtuoso. C'è qui l'alto sentire del laico e lo spi [ex parte moralium largum uel castum uel humilem. uel modestum eum appellamus. Rito sdegnoso elaboria cavalleresca del tempo, che si annidava bensi nella fierezza solitaria e nella severa integrita dell'uom casto, o sorrideva nel magnifico gesto signorile dell'uom largo e cortese, ma non si acconciava a indossare il saio dell'umile curvato. Quale dei due volgarizzatori ha merito maggiore e chiaro. A. ha il merito della priorità. Compendia troppo, abbrevia, toglie parte di considerazioni e di esempi al testo latino. LATINI che lavorò a ppresso a lui è più fine e completo, e poi anche il suo volgarizzamento si presta allora assai meglio del volgare d’A.. A. molte volte amplia o riduce la materia. LATINI traduce con maggiore fedeltà sia nell'evitare le ripetizioni inutili del volgare sia nel colmarne le lacune rispetto all'ori ginale latino, le cui espressioni segue con attenzione e riproduce spesso con esattezza. Siamo nel periodo dei compendi e dell'enciclopedia. Un compendio fatto è fatica ri sparmiata al mæstro che deve dire le «chose universali ». LATINI, che ha intelligenza fine, trasse il compendio italico  e l'incluse nell'opera sua e ne colma le lacune e ne affina i contorni e lo ripuli di fronte al testo latino da cui egli pompeggiandosi dicea di aver tratto la parte morale. E non fa cenno d’A.: egli accoglie, corregge, assimila; d'altra parte è tutta una letteratura e una divulgazione anonima e i diritti di proprietà non sono ancor sorti. C'è però da osservare che nel ritocco della materia volgare LATINI non va oltre qualche singola espressione o frase, trascurata o ridondante. Egli non si attenta mai a rimaneggiare e ad acconciare la materia nel contenuto ideale, per il modo con cui le idee sono esposte nel volgare o compendiate o disposte o interpretate. Questo dunque testimonia onorevolmente che A. è allora ritenuto autorevole INTENDITORE – “come Hardie” – Grice -- del trattato aristotelico anche da un uomo per cultura famoso come ser LATINI, sebbene al grande discepolo di costui non appare ugualmente felice dicitore del volgare. Tuttavia le modificazioni introdotte d’A. e assai più ancora da LATINI non sono tali da farci notare la presenza di nuovi elementi etici o l'azione modificatrice diretta del volgarizzatore spinto da una evoluta coscienza sociale del tempo. I filosofi del medio evo accolgono e credono. Sono ansiosi di notizie. Si accetta tutto, il vero e il falso, anzi più il falso che il vero. Ad A. che scrive un sonetto sulla pietra filosofale risponde LATINI che ragiona sulle virtù delle pietre. È ancora intatto l’edificio secolare che più tardi la critica riduce nei frantumi donde sorge la nuova coscienza degl’individui e delle genti. MAGLIABECH. Carmina magistri A. de florentia super scientiam lapidis philosophorum ex Alberto Magno edita feliciter. Solvete i corpi inaqua a tuti dico voi che intendete di far sol et luna delle duo aque poi prendete l'una qual più vi piace e fate quel chio dico datella a ber a quel vostro inimico senza manzare i dicho cosa alguna morto larete e riverso in bruna dentro dal cuore del lion anticho poi su li fate la sua sepoltura si e in tal modo che tuto si sfacia la polpa e lossa o tuta sua giuntura. La pietra aretee da poi questo si facia de terra aqua et daqua terra fare così la pietra uuol multiplicare e qual intendera ben sto sonetto sera signor de quel a chi e suzetto. Il compendio alessandrino-arabo presta dunque la materia etica aristotelica al volgare d'Italia; e la morale a Nicomaco puo cosi divenire libro di attualità adoperato e sfruttato, nella valutazione dei principi etici e nella decisione delle finalità umane, dai nuovi scrittori volgari: tra questi ė ALIGHIERI, a cui A. da motivo   di presentare in più nobil veste il volgar di Toscana, e LATINI ha ad ora ad ora insegnato come l'uom s'eterna ».  Questo saggio fa parte di un altro più esteso e completo sui rifacimenti aristotelici latini e volgari, il quale spero verrà presto a portare un contributo, non privo d'interesse, alla storia ell'aristotelismo e a colmare qualche lacuna la conoscenza del movimento filosofico che è prima: giacchè ne'volgarizzamenti e ne'rifacimenti sta i cultura; seguendo il volgarizzarsi e il diffondersi della filosofia “classica”, specialmente, noi troveremo i sentiero ascoso che va d’ALIGHIERI a PETRARCA Ma ora ho fatto opera molto modesta; trattando solo le spi. ese questioni critiche agitate intorno al compendio volgare ell'Etica, ho inteso risolvere taluni dubbî, lungamente mante nūti, ed eliminare molti errori. Il lettore, che attende forse uno studio riassuntivo sulla influenza della morale aristotelica, comprende come questo sia possibile solo alla fine dell'opera, quando le ricerche già fatte e i risultati ottenuti ci metteranno in grado di poter volgere uno sguardo sicuro e sereno su quel grande campo dove la tradizione aristotelica alligno rigogliosa e tenace ramificandosi e abbarbicandosi per una serie copiosis. sima di rampolli viziosi e invadenti. Il compendio volgare dell'Elica nicomachea e per la prima volta impresso a Lione a cura dell'editore Tournes, su di un manoscritto appartenente a Corbinelli. Manni stimo inutile, per le moltissime mende, la edizione,condotta inoltre su un solo manoscritto,e ristampò il trattato aristotelico valendosi principalmente di II codici Laurenziani. L'ultima ediz. è condotta da Berlan in base a un esemplare dell'ediz. lionese emendato e comple tato da Zenone su un ms. Il compendio volgare dell'Elica aristotelica è quello stesso che forma un ibro del Tresor volgarizzato, secondo la comune opinione, da Giamboni. Pero si trova anche in tutte le edizioni del Tesoro volgare: Treviso, Flandrino (de Lisa), Venezia, Fratelli da Sabbio, Venezia, Sessa;Venezia, a cura di Carrer il quale nel libro VI seguì anche le due edizioni, Lionese e del Manni;Bologna, ed.da Gaiter il quale si valse di tutte le stampe precedenti, de'mss.del Tesoro e di raffronti continui col testo originale Eppure di questo compendio manca una stampa che ne ripro duca fedelmente e criticamente la lezione;giacchè a tutti gli editori dell'Etica,che eseguirono le loro stampe sulle precedenti o solo col sussidio di qualche ms.,sfuggi quella rigogliosa co munione di codici, che abbiam potuto noi esaminare, da' quali [L'Etica d'Aristotile ridotta in compendio da Latini et altre tradutioni et scritti di quei tempi. Con alcuni dotti Avvertimenti intornoallalingua, Lione,Giov.deTornes. L'Etica d'Aristotile e la Rettorica di M. Tullio aggiuntovi il libro de' Costumi di Catone, Firenze, Dall'edizione lionese trasse la parte riguardante le quattro virtù un tal Luigi Ruozi che la pubblicò modifican dola nell'ortografia e nella lezione: Trattato delle quattro virtù cardinali compendiate da Latini sopra l'Eticad'Aristotile,Verona. Etica d'Aristotile compendiata da ser Brunetto Latini e due leggende di autore anonimo,Venezia, sarà possibile, con un esame complessivo, trarre nella sua veste primitiva l'antico volgarizzamento toscano; d'altra parte gli editori più recenti del Tesoro nel curare la lezione del VI libro, ritenendolo, com'era naturale,volgarizzamento dal francese, come tutti gli altri libri, credettero opportuno acconciarne la lezione anche inbase al testo francese,alterandone laveste originaria e originale. Intorno a questo antico e primo compendio volgare dell'Etica si è agitata una lunga e spinosa questione. Esso fin dalle prime stampe porta il nome di Latini, e il fatto stesso poi che si trova inserito nel testo volgare del Tresor, di cui costi tuisce appunto la materia del VI libro, non ha mai fatto dubitare ai critici e agli editori ch'esso non si debba considerare come una parte del Tesoro e quindi,come tutti gli altri libri, volga rizzamento di Bono Giamboni.Solo il Mabillon, ritenendo che Brunetto stesso avesse volgarizzato il suo Tresor, credeva che ciò fosse pure avvenuto dell'Etica. Il primo dubbio intorno al traduttore del compendio francese in toscano fu mosso dal Manni, indotto da una nota del Salviati il quale « trovò in fronte « a un particolar testo dell'Etica: Qui comenza l'Elica di Ari. « stolile volgarizzata per mæstro A. medico e philosopho «dignissimo».Ad ogni modo egli si acqueta volentieri all'au. torità della Crusca che cita il Tesoro « tutto » stampato per traduzione di Bono Giamboni [Altri che vennero dopo nota rono che qualcuno dei mss. dell'Etica indicava un mæstro A. come il volgarizzatore dell'opera; difatti il Lami ritiene che ilvero traduttore sia A., e il Mebus,seguito dal Maffei, sostieneche la versione d’A., fatta probabil mente assai prima,venisse più tardi inserita nel Tesoro volga. rizzato,in tuttiglialtri libri, da Giamboni. Lo Chabaille, Museum Italicum, Paris. Novelle letterarie, Firenze, Storia della lett. ital., 3a ediz., Firenze. VitaAmbrosii Traversarii, che curò la edizione critica francese del Tresor, dalla perfetta somiglianza ch'è tra l'Elica e il vi libro del Tesoro, deduce che Brunetto avesse tradotto Aristotile in italiano prima ancora di voltarlo in francese, e che quindi il compendio volgare del l'Etica dev'essere a lui attribuito Paitoni, che scrisse sopra tale argomento un lungo articolo, finisce col non sapere da che parte decidersi Zannoni ha spinto in vece la questione molto avanti,servendosi di un passo del Conrito di Dante (Tratt.), dove è fatto cenno di un volgarizzamento dal latino dell'Etica per opera di Mæstro A., ilcui volgare Dante chiama «laido».Lo Zannoni ri tiene « che Brunetto voltasse in francese il volgare di A. « e che il Giamboni a questo desse luogo nella sua versione «delTesoro»(3). Questa congetturaèancheaccoltadalPuc cinotti,ch'è stato il più accanito difensore di A.. Sundby combatte tutte le opinioni precedenti:quella delloCha. baille e dello Zannoni,opponendo loro le parole stesse di Bru netto che,nella sua introduzione, assevera di aver tradotto dal latino in francese,de latin en romans;quella del Mehus, citando il passo di Dante il quale parla evidentemente di una traduzione dal latino. Egli reputa diversa da quella che abbiamo la traduzione di A.,dicui sifacenno nel Convito; afferma recisamente che Brunetto ha tradotto Aristotile dal latino in francese e che il testo italiano dell'Etica è opera di Giamboni. Gaiter, ch'è il più recente editore delTesoro, seguendo, come pare, la congettura di Chabaille, confonde la Lilivresdou Tresor par Brunetto Latini, Paris, Biblioteca degli autori antichi greci e latini volgarizzati, Venezia, Il Tesoretto e il Favolello di ser Brunetto Latini, Firenze, Prefazione,pp.XXXV sgg. Storia della medicina,Firenze, MARCHESI. Della vita e delle opere di Brunetto Latini, Firenze,1884,pp.139 sgg. La stessa opinione del Sundby aveva esposta prima V. Nannucci,Manuale, Firenze, Nicomachea con ilLibro de'Vizi e delle Virtù e con il VI libro del Tesoro, il quale « fu prima compilato e poscia dall'autore «annestato nella maggior parte del Tesoretto»; e altrove ricorda una nota del Sorio che attribuiva a Brunetto Latini il volgarizzamento dell'Elica d'Aristotile; del resto non fa cenno della questione. Il Cecioni, perultimo, trattando delSecretum Secretorum, in una breve digressione sull'Elica volgare, dopo avere riassunto tutte le opinioni,assicura che A. deve averne fatto una traduzione, poichè altrimenti sarebbe inesplicabile il motivo per cui parecchi codici di rispettabile antichità attribui. scono la traduzione aA.;ma del resto afferma che la questione circa il volgarizzamento dell'Etica, che noi possediamo, rimane indecisa nè si potrà forse in alcun modo risolvere. Cosi scetticamente si chiude la questione, irresoluta. Dopo l'esame dei codici dell'Etica volgare e latina e del Tesoro, non è più lecito dubitare di poter decidere la questione in modo definitivo, e a definirla concorrono parecchi dati positivi e sicuri; il primo, di capitale importanza: la tradizione manoscritta. Il compendio volgare della Nicomachea ci ha una ben larga ed evidente tradizione isolata.Nelle biblioteche di Firenze,ove il latino del testo aristotelico ebbe per la prima volta veste volgare e popolare conoscenza, ben ventidue codici ci attestano della larga diffusione che il volgarizzamento ebbe come opera a sė, indipendente da altre opere più larghe che la integrassero. A'codici fiorentini si aggiungono altri che ho potuto esaminare: due Ambrosiani,tre Marciani,uno della Nazionale di Napoli, uno della Comunale di Nicosia. Pochi altri mss. dell'Etica si trovano sparsi per le biblioteche d'Italia, ma da ragguagli cortesi che ho potuto avere di essi, è lecito dedurre come tutti quanti ade riscano per contenuto e per lezione al nucleo centrale e fonda mentale dei mss.fiorentini.  Ediz.cit.del Tesoro, Prefaz.,p.xv. Propugnatore. Tutti icodici presentano una redazione unica del volgarizzamento,che è quella stessa della edizione Manni, con la quale ho fattolacollazione. Le varianti frequenti nella lezione, le inversioni,le omissioni reciproche, gli scambi, le lacune del testo a stampa sopra tutto, si debbono, oltre che alla bontà maggiore o minore del modello, a sbagli de' trascrittori, e non valgono dinanzi alla somiglianza e conformità dell'assieme.Molte lacune e accorciamenti si possono attribuire soltanto a sbada taggine de'copisti per le gravi difettosità che ne vengono al senso, e sono indubbiamente prodotte dalleespressioni consimili cheapocadistanza han prodotto la facile omissione: giacchè il copista credendo di proseguire saltava d'un tratto il brano. Accanto alle lacune, che dànno qualche volta luogo a strane combinazioni d'idee,va notato un buon numero di ampliamenti, di cui taluni sono ripetizioni di luoghi antecedenti.Qualche volta le parole si trovano collocate in maniera diversa nel periodo o sostituite con altre e mutate con lo scopo di abbreviare o modificare il costrutto (2 ); le molte differenze ortografiche vann ori ferit e al tempo della trascrizione. Fra i codici che più si accostano al testoastampa vanno notati 6.c.g.h.4.2.m.p.e specialmente d ed e,iquali hanno pure comuni con il testo Manni molte particolarità ortografiche.Le maggiori divergenze presentano i codd.7 e 1;in quest'ultimo è notevole un'aggiunta al libro sesto Nel cod. V la lezione presenta spiccate differenze, (1) È da osservare come nel secondo libro (cap.IX del Tesoro) occorrano tre parole greche trascritte con caratteri latini:19)apeyrocaliaoapeiorocalia(4.y.) edanche apeyrochilia (6) eapherocalia (g):in pa recchi codici tale parola è mancante perchè manca il brano che la contiene; eutrapeles (x.y.4.m.p.)o eutrapelos(2.6.7.d.e.f.g.h.)ed anche eutrapelo (6) ed eutrapeleos (8); 3o recoples orechoples(e.g.) ed anche recupes (6) erecopls (2).Inqualchecodice, come nel cod.1, il copista salta il passo dove avrebbe dovuto introdurre le parole greche. (2 ) Come si nota anche particolarmente nell'Ambr. C. 2 1, i n f., ch'è una trascrizione umanistica della seconda metà del '400, (3) Manni, Gaiter,p.115:«in questo cambio era grande brigæt  specialmente nella seconda metà,dalla lezione comune,e risente dell'influenza dell'opera francese di Brunetto e dell'azione diretta modificatrice del trascrittore: l'influenza del francese in questo codice, come nell'Ambros. c. 2 1 i n f., c i è attestata indubbiamente dal fatto ch'essi vanno oltre il limite solito dell'Elica e proseguono con le stesse parole, intorno alla differenza tra la retorica e la scienza di fare le leggi, le quali chiudono il VI. libro del Tresor; ma possiam dire che per quanto la lezione di V sia in molti punti alterata,non presenta tuttavia una redazione diversa dalla comune dei mss.e delle stampe del Manni e del Gaiter, alla quale ultima specialmente aderisce verso la fine.Dall'esame critico della lezione risulta una somiglianza intima tra icodd.1 e 7; tenendo poi conto delle particolarità più comuni, possiamo stabilirediversi gruppi di codici:a) 1.a.y.5.6.7.8.x.r. 9. che ci danno la più autorevole lezione;b) g.C.d.e.f.N.r. 2.s.;c) 4.m.p. Come s'è detto, il compendio volgare dell'Etica si trova pure inserito nel volgarizzamento del Tresor, di cui forma la prima metà della seconda parte, o meglio il VI libro, secondo la indicazione comune.Dei venti codici del Tesoro da me esaminati, dodici solamente contengono il trattato aristotelico: gli altri sono mutili. La lezione dell'Etica ne' codici del Tesoro, tranne le solite Jivergenze omai notate come comuni in questa redazione del l'Etica volgare,è da collegarsi alla stessa famiglia dei codici isolati e de'testi a stampa. C'è da notare nel complesso un numero maggioredivarianti, omissioni, aggiunte, frequentissimi sbagli di trascrizione e qualche breve interpolazione del copista  «pero fue trovata una cosa c'aguagliasse et questa cosa si è il danaio. « percio che l'opera di colui che fa la chasa si aghuaglia ad opere di colui « che fæ i calzari col danaio; chè per lo danaio puote l'uomo donare et « prendere le grandi cose e picciole, per cio che 'ldanaio è uno strumento «perloquale ilgiudicepuotefaregiustizia, pero che el danaio èleggie «senz'anima. ma il Giudice è leggi ech'à anima et dio glorioso si è leggie « uniuersale d'ongni cosa »,   stesso,che sidistingue subito permancanza di riscontroinaltri codici. Oltrere P, che servirono di base allastampa fiorentina, uno de'codici più fedeli all'ediz.del Manni è l'Ambros.G. 75 Sup. e Z,dove pur si trova una grande confusione causata dallo spostamento di varie parti.Tra icodd.più scorretti dal lato ortografico e P. In base alle particolarità più comuni icodd.del Tesoro si possonodividere ne'seguenti gruppi:19) d.v.1. 2°)n. λ.π.φ.3ο)λ.μ.γ.Ρ.Ζ.ε.Ambr. Riassumendo, possiam dire: la lezione del testo aristotelico volgare appare generalmente, ne'codd.dell'Etica e del Tesoro, fluttuante,poco sicura.Ma lesolite differenze nella espressione, nella struttura del periodo, le frequenti omissioni e aggiunte di parola,gli spostamenti e le lacune,comuni alla maggior parte dei codici,riguardano più d'ogni cosa la bontà della copia,la correttezza del modello copiato, la esperienza o la libertà del l'amanuense, ma non compromettono in alcun modo l'unità del volgarizzamento. La materia dell'Etica si trova nella maggior parte dei codici ugualmente distribuita.Una grave inversione presentano 1. d. e.s.; in essi il testo dap.6 Manni [Gaiter 25: compimentoe forma di uirtu ] va d'un tratto a p. 18 (Gaiter 57: ciascuno huomo che ingiusto et reo sie] e seguita sino a p.21 (Gait.66: E pero è bestial cosa seguir troppo la dilettazione del tatto] donde torna indietroap.9 [Gait.34: La potenzia uæ'innanzi all'acto] e prosegue sino a p. 18 [Gait. 57: dee l'uomo essere punilo];quindi tornadinuovoap.6 (Gait.25:beatitudoècosa ferma et stabile] seguitando sino alla fine del primo libro [p.8 M., 31 G.: Questièun casto huomo, humile et largo).È determi nato cosi uno scambio reciproco, nel principio, de'libri secondo e terzo.  'T 8 G. MARCHESI Un'altra inversione è nei codd.del Tesoro a.T. X. u.In essi iltesto dell'Etica dalla fine del cap.XXIX (pp.M.35,G.101: l'uomo si uiene a fine con grande sottilglianza de li suoi in tendimentine le cose le qualisonbuonema questasottilglianza e cerlezza e sauere ragion diuina e le dilettationi che l'uomo elegge per gratia d'altro.son queste ricchezza etc.... Jez.u] corred'untrattoalcap.XXXVIII (pp.M.41,G.121] e prosegue sino al primo periodo del cap.XXXIX (pp.M. 43,G. 125:per a u e r e lungamente u i n t i li desideri della carne. Lo magnanimo serue bene.....u]; quindi ritorna al cap.XXXIV (pp.M. 37, G.110) eva sino al cap.XXXVIII (pp. M.41, G.120:inman. giare e in bere e in luxuria e tutle dilectationi corporali ne la misura delle quali l'uomo elegge per se medesimo.et quando ella e rea si detta callidita. ne le cose ree si come incanta menti.....u]; dopo itre primi periodi del cap.XXXVIII torna cosi nuovamente al cap.XXIX (pp.M. 35,G. 101). La stessa inversione nell'ordine della materia h a il m s. V i s i a n i. I codici dell'Etica, in gran parte,presentano la solita divisione della materia in dodici libri,che non di rado è limitata alla semplice indicazione numerica,senza alcun accenno all'argomento svolto (h. 4. ); i n p a r e c c h i c o d i c i (y. c. e. h. 4. m. r.) l a materia oltre che in libri è divisa in tanti capitoletti; in altri, soltanto in rubriche le quali sono qualche volta costituite dalle stesse parole del testo,come in 5 e 6.Altri co. dici mancano di qualunque divisione sia in libri che in rubriche (p.8.Amb.). L'Ambr. C.21inf.,delsec.XV,presentala partizione comune fino al decimo libro;la materia degli ultimi due è divisa in tre capitoli (c.53':tracta di la beatitudine la quale puo hauere in questo mondo: Di po la uirtu diciamo di labeatitudine; c.57 "tracta che se l'huomo ha buona natura la ha da dio: sonno huomini che sonno buoni per pauura; c.57'di Gouernamento dilacittade:lonobilehuomoetbuono regitore di la citta fa nobili et buoni cittadini). In d in luogo di libri è detto fioretti, e cosi pure al principio di v: Fioretti dell'Elicha d Aristotile del primo libro. . Dei codici del Tesoro, taluni (e,u,n) non danno alcuna in dicazione sul modo con cui la materia è distribuita;altri (a,a) hanno un elenco delle rubriche posto in principio alla seconda parte dell'opera, vale a dire il VI libro; in 8 è un rubricario generale posto in principio del Tesoro; le rubriche di t fanno!   parte del testo,e una divisione in capitoli si trova in r (De leuile nominale de le tre potenzie del'anima Come lobene si diuide de la polenzia dell'anima de la uerlude intellectuale di che l'omo desidera tre cose |de le uerlude che ssono inabito comesitroualauerlude comel'omopuo farebene e male de le tre isposizioni in operatione de le cose che conuienefareperforzætc.). In due codici (Z eAmb.) tutta la materia del VI libro è divisa in cinque capitoli: 1°) « Incipit «libro d'eticha Aristotile; Secondo capitolo d'elicha Ari «stotile:sonooperationi lequali homo fa;39)Terzocapilolo « d'eticha: due sono le specie d'amista; Quarto capitolo de « eticha: la dilectatione è nata e notricata; Quinto capitolo « de etica: Dopo le uirtù diciamo oggimai della beatitudine ».Altri codici presentano la divisione per libri o per rubriche che si trova nelle stampe. Riferiamo il titolo originario dei dodici libri dell’Etica, træn dolo da'codici più antichi ed autorevoli, del sec.XIV: « Prologo « sopra l'etica d'Aristotile Qui si finisce il prologo di questo « libro d'Aristotile. Qui appresso si comincia il primo libro e « tracta in questo primo libro della felicitade: le uite nominate ve famose.IQui comincia ilsecondo libro dell'Etica d'Aristo « tile e comincia a diterminare delle uirtudi e primieramente « mostra che ongni uirtu che noi abbiamo è per costumanza « d'opere:Concio siacosa che siano due uirtudi.|Qui comincia “il terzo libro dell'etica e tratta dell'operazioni le quali sono “volontarie e che non sono uolontarie: Sono operazioni le quali « l'uomo fæ sanza sua uolontade uqi comincia il quarto libro « dell'etica d'Aristotile ove si ditermina di quella uertude la « quale è detta uertude della liberalitade:Larghezza è mezzo in « dare e in riceuere pecunia qui comincia il quinto libro del « l'etica e determina della giustizia la quale è uerti che dee « essere nell'operatione delli huomini: Iustizia si è abilo lau « de u o l e qui comincia il sesto libro dell'Etica e cominc a a d e « terminare delle uertudi intellettuali per ciò che infino a quie «ellisiæditerminatodelleuirtudimorali:Due sonolespezie « delle uirtudi |Qui si comincia il settimo libro dell'etica del « sommo filosofo Aristotile e ditermina della uertude la quale è detta uertude della contenenza: Li uizii de costumi molto « reil Qui comincia l'ottavo libro dell'etica d'Aristotile nel quale «ditermina dell'amistade la quale è cosa necessaria all'uomo: « Amistade si è una delle uertudi dell'uomo IQui comincia il nono libro dell'etica d'Aristotile il quale ditermina della pro «prietade dell'amistade: Lo conueneuole agualliamento si « aguallia le spezie Qui comincia il decimo libro dell'etica « d'Aristotile nel quale tratta della dilettazione e della felicitade « per ciò che pare che queste due cose si sieno fine de la dilet. « tazione et dice qui che la dilectazione si è fine dell'operazione virtuosa:La diletlazionesiènatænotricata|Quicomincia « l'undecimo libro dell'etica d'Aristotile nel quale ditermina della beatitudine la quale puote l'uomo auere in questa uita. Et dice « qui che la beatitudine è cosa perfecta: Dopo le uirtudi di c i a m o oggi mai | Qui comincia il dodecimo libro dell'Etica. E t determina come l'uomo il quale à buona natura si l'æ dalla « grazia di dio, et questi cotali sono disposti ad acquistare uer. « tudi: Sono uomini che sono buoni per natura ». Del rubricario più comune diamo per saggio quello del primo libro:«Perqualescienziașireggelacittade delleuiteet « quale è laudabile |di due modi di bene che è beatitudine «delle potentie naturali dell'anima demeriti delle operationi adi tre spezie del bene Comes'acquistætconserualabeati. « tudine |Onde uiene la beatitudine e di che à bisognio chi « non puote auere la beatitudine per che /che cose sono aspre « a sofferire |come æ similitudine l'uomo felice con dio onde « procede felicitade in che comunica l'uomo colle piante et colle «bestieetincheno dell'animacom'æcontrarimouimenti « della uertu intellettuale e della morale ».Nel codice Marciano II,141,la materia è diversamente distribuita in dodici «parti»; la prima non è indicata,poi «della forteça: Diciamo omai di « ciascuno habito della liberalità: largheça è meço in dare « del conuersare: dopo questo dobbiamo dire di quelle cose    «dellagiustitia: Justiciasi è habilol audabile dello intellecto « dell'anima: Due sono le specie delle uirtudi |de tre uitii primi: «Vilii e costumi molto rei dell'amistade: Amistade e una «delle uirtude dell'uomo e d'iddio |dello aguagliamento della «amistade: Lo conueneuole ad guagliamento della dilectatione: « La dilectatione si è nata e nutricala della beatitudine:Quando «noiauemodeterminato delcorreggimentodeVitii.depaura. « della pena: La scienzia delle uirtudi si a questa utilitade ». Il compendio volgare del Trattato Aristotelico, come si può desumere dall'incipit e dall'esplicit di ogni codice,veniva più comunementeindicatocoltitolodi Elhica d'Aristotile, ed anche: Etica del sommo phylosofo Aristotile; molto più raramente: Fioretti dell'Elica d'Aristotile. Occorre anche talvolta la indi cazione latina: Elhica Aristotilis, e più sovente quella di Liber Ethicorum. Ne' codici del Tesoro il titolo più comune è pure: l'Etichad'Aristotile,edanche:l'EtichadelgrandesauioAri slotile;in parecchi si trova l'indicazione latina:Ethica Ari stolilis. Nei codici dell'Etica manca ogni notizia intorno alle necessità e a'criteri dell'opera.Fa eccezione ilcod.Marciano II, 134 il quale contiene, solo fra tutti, l'epistola proemiale del volgarizzatore ad un amico,che a quella fatica del tradurre avevalo indotto. « Incipit proemium transductoris huius operis « uulgaris.— Più uolte essendo amicho mio da la tua gintileza « con grande instanzia infestato l'Eticha Iconomicha et politicha de « Aristotile de lingua latina in parlar (moderno] et uulgar ti « transducha. La quale richiesta considerando truouo la mala «sua axeuolezza uincere ogny mia faculta.Et anche hauendo « udito altri circha a questa opera auere insudato non m'è pa «ruto douerse seguire per fugire la riprensione de molti.Ma pure la forza de la tua amicizia è tanta che mi constringie et fami intraprendere quello che mi cognosco impossibile.Onde la gratia superna inuocho al principio di tale faticha doue « mi mecto seguendo el uoler tuo iusta mia possa. Et perche el « dire de Aristotile è scropoloso et stranio molto dal modo del « nostro parlare, pure quanto potro ad esso mi acostero.Alcuna « uolta le sue proprie parole et alcun altra el senso dimostraro «suzinto,seruando la uerità del testo.Ma auanty che questo « cominci alquanto della persona et essere suo toccharo ad cio « che le sue opere pergrate siano da te riceuute ». Il prologo non ci porge alcuna notizia storica,e del resto sulla sua auten ticità ci lascia grandemente perplessi. Il fatto che,tra tanti manoscritti dell'Etica, noi lo troviamo solo in questo,abbastanza tardivo,della fine del sec.XV,può destare grave sospetto,ma non sarebbe ad ogni modo motivo sufficiente per indurci a rin negarlo senz'altro. Ben altri motivi non ci permettono di prestar fede all'autenticità del proemio Marciano. In esso il volgarizza tore dice di aver udito « altri circa a questa opera avere in « sudato »; l'espressione è molto ambigua; giacchè o si riferisce a precedenti volgarizzatori,e ciò non è possibile perchè A. fu il primo a volgarizzar l'Etica, o a traduttori latini; ma per quanto sappiam noi in nessuna delle traduzioni latinedella Ni comachea si leggono accenni alle difficoltà del traduttore; solo Ermanno ilTedesco,nel prologodellasuaversione delCommen. tario d'Averroè alla Poetica d'Aristotele,dice della grande dif ficoltà da lui trovata « propter disconuenientiam modi metrifi «candiingræco cum modometrificandiinarabo, etpropter auocabulorumobscuritates»(1);ma ci sembrer ebbe affatto inopportuno scorgere nel prologo alla Poetica di Ermanno un rapport col prologo all'Etica diA.. Epoinel1200eneltre. cento è ben difficile trovare la nota individuale,sopratutto nelle traduzioni; furon più tardi gli umanisti che alteri del merito proprio rivelarono a quattro venti le difficoltà del lavoro da essi intrapreso e compiuto; del resto tutta la parte del pro logo, di cui ora parliamo,si connette con la præmunitio tanto comune agli scrittori del quattrocento, i quali nell'introduzione alle opere loro ci ricordano spesso la difficoltà dell'argomento e il timore della critica e la debolezza dell'ingegno e il riguardo Il prologo è pubblicato dal Jourdain (Recherches critiques sur l'age et l'origine des traductions,latines d'Aristote, Paris).   amorevole per l'amico che la vince sulle giuste considerazioni e preoccupazioni dell'autore.È questo,ripeto,un motivo comune agli umanisti,a'quali l'aveva comunicato lo spirito retorico delle composizioni proemiali latine. Lo stile poi del proemio è assai diverso dal volgare di A., ch'è quale potea rampollare schietto di mezzo all'efflorescenza letteraria dell'ultimo dugento.Lo stile del prologo marciano ri. sente molto invece di quel volgare farneticante da scuola e da sacrestia che pretendea ingentilirsi nel '400 signorilmente, usur pando gli addobbi lessicali delle forme latine.C'è in fine un ultimo argomento decisivo. Nel titolo dell'epistola proemiale è adoperata la parola transductoris,e nel volgare stesso del pro logo si trova adoperato il verbo transducere. Ora nel sec. XIII e XIV la espressione latina traducere non è ancora passata col significato moderno nel latino e nel volgare; il primo, come pare, ad usare il vocabolo traducere con il significato di tradurre, fu il Bruni; d'allora soltanto s'introdusse nel latino e quindi nell'italiano (1). Sicchè possiamo affermare che il prologo Marciano è di avan. zata fattura quattrocentina.Come sia comparso non sappiamo, nè torna conto indagare e congetturare sulle cause e sulle ori gini di tutte lescritturecheapparveroingrande numero,affac cendate e moleste,in quel tempo di continue esercitazioni re toriche e di finzioni letterarie. Stabilita la unità del volgarizzamento contenuto ne'codd.del l'Eticædel Tesoro,passiamooramai allaindicazionedell'autore. De' ventinove codici dell'Elica, da me esaminati, ventidue sono anonimi;uno,del sec.XIV (5), attribuisce la traduzione a un mæstro Giovanni Min.(2); sei codici (4.y.&.g.m.p.) danno il nome del volgarizzatore dell'Elica, traslatata in uulgari a magistro A.. (1) Vedi R. SABBADINI,Del tradurre iclassici antichi in Italia,in Atene e Roma,an.III,no 19-20,col.202. (2)Explicitethica Aristotilis translate amgio iohemin. vulgare. deo gratias. Dei codici del Tesoro,tre del sec.XIV,oltre la solita attri. buzione a Brunetto in principio di tutta l'opera, alla fine del sesto libro ci danno un'indicazione particolare del volgarizzatore, la quale è sfuggita a tutti gli studiosi del Tesoro ed è di molta importanza per la questione agitata intorno all'autore del com pendio volgare. Ecco dunque le soscrizioni.a:Explicit etica Aristotilis a magistro A. in uulgare traslala; T: Explicit hetica Aristotilis a magistro A. in uolgare trasleclata; 1:Explicit Elicha Aristotilis a magistro Tadeo in uulghari traslatlata. Dalla tradizione manoscritta si può dunque ricavare: 1o) che ilcompendio volgare della Nicomachea ebbe una larghissima diffusione come testo particolare, indipendente da altra opera; 2°)ch'esso,quando non correva anonimo,veniva comunemente attribuito a mæstro A.. Ma da'codici del Tesoro balza fuori un nuovo cumulo d'in dizi gravi e sicuri, che infirmano seriamente l'unità del vol garizzamento dell'opera di Brunetto,attribuito sempre con cordemente per intero a Bono Giamboni: 19) Parecchi codici del sec. XIV danno, come s'è visto, il nome del volgarizzatore del l'Etica: Mæstro A.; la soscrizione finale, perchè non si possa ritenere aggiunta posteriore,è sempre di mano del copista che ha trascritto il codice per intero.Questà attribuzione è l'unicachesitroviintuttoilms.,oltreaquellageneralecon cui va riferito il complesso dell'opera a Brunetto.Ciò è di spe. ciale importanza per noi: difatti, giacchè il copista solo per l'Etica sente il bisogno di riferire il nome del traduttore, vuol dire ch'ei sapeva che solo quella parte del Tesoro rimaneva estranea al volgarizzamento generale dell'opera, e il volgare di A. vi si trovava come inserito. In qualche codice anepigr. e mutilo,come a,l'attribuzione a A. è anzi l'unica indica zione di autore che sitrovi in tutta l'opera.2 ) Di solitoicodici mutili si fermano prima di giungere all'Elica; d'altra parte pa recchi mss.del Tesoro si arrestano alla fine del compendio aristotelico. Ciò dimostra che questo costituiva come un punto    di fermata, era un libro introdotto a parte, si che poteva benis simo arrestare al libro V l'amanuense che fosse sprovvisto del. l'originale, o determinare una pausa nella trascrizione,alla fine del libroVI. Nel cod.r,miscellaneo,l'Elica è preceduta dal VII libro del Tesoro: si può notare dunque il distacco ch'è tra le due parti, non considerate come legate e dipendenti nella stessa opera. In qualche ms.,come ri,precede una tavola della materia che giunge sino a tutto il libro V, escludendo la rimanente, dall'Elica in poi; e ciò dimostra ancora che l'Elica arrestava quasi il corso regolare dell'opera volgarizzata ed era estraneaalvolgarizzamento del Tesoro. Un particolare fon damentale: il cod.d ha questa soscrizione dell'amanuense,al l'Etica: Ecplicit l'Etica Aristotile in questo tanto che io noe trouata; ciò significa chiaramente che il copista, per trascrivere la parte dell'opera che comprendeva il compendio aristotelico, era obbligato a ricorrere ad un altro testo che non era quello unico del Tesoro. Ci resta finalmente da osservare che mentre tutti i codici del Tesoro differiscono quasi sempre e in m a niera notevole nella lezione, mostrano invece una concordanza molto maggiore nell'Etica; vuol dire che si tratta di un testo particolarmente prefisso a'trascrittori.Ciò dimostra ancora la maggiore divulgazione del testodell'Etica lacui lezione più re golare, rispetto alla lezione caotica del Tesoro, era fissata da una più grande diffusione delle copie. Concludiamo questa prima parte. Dall'esame dei codici e della materia manoscritta ci risulta che esisteva nel secolo XIV un compendio volgare della Nicomachea, attribuito a mæstro A., che noi troviamo anche inserito integralmente nel Tresor vol garizzato, di cui costituisce il VI libro. Ma nèicodicidelTesoro,nèquellidell'Eticacidicono da Il Sorio da questo particolare, ch'egli osserva nel cod. Ambr., trasse argomento principale diattaccoallaautenticità delVIIlibrodel Tesoro.La opinione del Sorio fu combattuta dal Gaiter (Propugnatore) con argomenti dubbi ed indecisi: l'uno e l'altro eran difatti fuor di strada.  che volgarizzó A..La questione è importantissima;data la identità tra l'Elica e il volgare del VI libro del Tresor non resta che una questione di priorità:0 Brunetto si servi di A., o A. di Brunetto; vale a dire,o mæstro A. volgarizzo il VI libro del Tresor, il quale ebbe così tradizione e fortuna isolata da tutto il resto del volgarizzamento, ch'è opera di Bono; o Brunetto si servi per il suo Compendio francese del volgare di A.,che fu introdotto però intatto nel Tesoro, in luogo di un volgarizzamento diretto dal francese. Nel Convito di Dante è unpasso che spinge molto avanti la questione: Tratt.I,cap.10:«La gelosia dell'amico fa l'uomo «sollecito a lunga provvedenza: onde pensando che perlo desiderio di intendere queste Canzoni alcuno inletterato avrebbe «fatto il comento latino trasmutare in volgare,e temendo che 'l volgare non fosse stato posto per alcuno che l'avesse laido « fatto parere, come fece quelli che trasmutò il latino del «l'Etica,ciò fu A. Ippocratista,provvididiponere «lui,fidandomi di me più che d'un altro».IlSundby,che vuole ad ogni costo ritenere di Bono tutto il volgarizzamento del Tresor,se ne sbriga assai piacevolmente: « Nel caso adunque che il passo succitato del Convilo fosse esatto in tutte le sue « parti, la cosa sarebbe chiarissima: la traduzione di A. dovrebbe essere affatto diversa di quella di cui noi ci occu « piamo,e questa si dovrebbe attribuire a Bono Giamboni. E non ci sarebbe niente da dire; resterebbe però fin ora da spiegare,se non altro,la tradizione manoscritta che,laddove non tace,dà il nome del volgarizzatore:A.,accordandosi col passo di Dante; e d'altra parte non sarebbe lecito trascurare quegl'indizi che non danno certamente più come sicura l'unità delvolgarizzamentodiBono.Nedevefareombra l'appellativo di « laido » dato da Dante al volgare di A., giacchè per MARCHESI. certo questo non è il modello migliore di prosa trecentistica, e la opinione del Nannucci,di cui si fa forte il Sundby,può ri tenersi giustificata da un sistema di ammirazione proprio della fede e dell'entusiasmo delle generazioni passate per tutti i do cumenti letterarî del nostro trecento. Tutto dunque ci fa credere che il volgarizzatore sia mæstro A.: Esiste una sola Etica volgare in tutti i codici; 2 )i codici che portano il nome del volgarizzatore l'attribuiscono a mæstro A.; la dichiarazione esplicita di Dante, il quale ha l'aria di parlarne come dell'unico, comunemente noto, volgarizzamento ch'esistesse a suo tempo dell'Etica latina. kesta anche esclusa la prima congettura,che A. volgarizzasse il francese di Brunetto; Dante ce lo dice esplicitamente: « colui « che trasmutó lo latino dell'Etica. Del resto, a prescinder da altriargomenti principali e decisivi, ch'esporremosubito,ilcom: pendio volgare dell'Etica non può ritenersi come volgarizzamento del VI libro del Tresor per le frequenti differenze, non solo di forma ma di sostanza, che presenta rispetto al testo francese: e sono omissioni o aggiunte di pensieri,di esempi,di considerazioni, ampliamenti o riduzioni di concetti: e tutto questo non può ammettersi nella traduzione di un'opera,a meno che il traduttore non abbia voluto rimaneggiare per conto suo l'originale. Dunque A. volgarizzò e compendio da una delle redazioni latine del testo aristotelico, la quale e nota allora sotto il nome di Liber Ethicorum, nome ch'è anche particolarmente proprio di un'altra redazione latina della Nicomachea, letterale e molto oscura, cui il commento tomistico a v e a spinto allora alla massim a diffusione. Dal testo tomistico difatti il Sundby fa derivare il compendio francese e volgare dell'Elica,e pone iraffronti;ve dremo appresso come il critico danese si sia messo su una falsa (1)Manuale della lett.italiana,vol.I,p.382. IlN. trova anzi l'Etica «adorna di molta purezza e semplicità di stile».  MARCHESI.   strada.Ad ogni modo che A. abbia tradotto direttamente dal Jatino ci è confermato dal confronto tra l'Etica volgare e il Liber Ethicorum da cui dipende; se avessimo scarsezza di argomenti o mancanza di prove sicure potremmo anche valerci delle soscri zioni di taluni codici dell'Etica e del Tesoro che indicano il nostro volgarizzamento come Elhica Aristotilis e più spesso Liber Ethi corum,facendoci sospettare lasua provenienza dal testo latino. Di mæstro A. i codici (4. y.) ci dicono soltanto che su « florentino » e Dante aggiunge ch'ei fu medico, « Ippocratista ». Di un A., d'Alderotto, fiorentino, « fisico massimo », scrisse, con la solita ingenuità,una breve vita Filippo Villani,il quale ce lo descrive di parenti oscuri, poverissimo, dedito ai mestieri più vili, e col cerebro oppilato e tenebroso fino ai trent'anni. Passati gli anni trenta « si consumarono quegli umori grossi; A. divenne un altro uomo e rivelòilsuo ingegno dedicandosi allo studio delle arti liberali,della filosofia e per ultimo della medicina,che insegnò pubblicamente a Bo logna. Dice il Villani: « Fu costui de' primi infra' moderni che adimostrò le segretissime cose dell'arti nascoste sotto i detti « degli autori, e la spinosa terra e inculta solcando all'ottimo « futuro seme apparecchiò. Questi, sprezzati alcun tempo i so pravvegnenti guadagni,cupido di gloria e d'onore,si dette a « commentare gli autori di medicina. Nella qual cosa fu di tanta «autorità,che quello ch'egli scrisse è tenuto per ordinarie achiose,lequali furono postene'principali libridimedicina. E fu in quell'arte di tanta reputazione, quanto nelle civili « leggi fu Accorso, al quale egli fu contemporaneo. Il Villani ci riferisce inoltre un aneddoto molto curioso, riportato poi da Le Vite d'uomini illustri Fiorentini,colle annotazioni del co.G. M a z zucbelli,Firenze, Biscioni, in una nota sopra A., inserita nelle Prose di Dante e del Boccaccio, Firenze, 1723, vuol dimostrare che A. era di famiglia cittadinesca,che possedeva effetti stabilieche prese per moglie una de'Ri goletti, il cui padre aveva il titolo di dominus, che in quei tempi si con cedevasoltantoa cavalieri.Cfr. notadelMazzuchelli, MARCHESI Negri (1) e dal Fabricio (2), intorno agli eccessivi compensi che A. « tenuto come un altro Ippocrate da'Signori d'Italia in « fermi » (3), esigeva per le sue visite giornaliere; e ci narra che chiamato a Roma dal pontefice,Onorio IV,richiese cento ducati d'oro al giorno; invece,dopo la guarigione del pontefice, n'ebbe in compenso diecimila. Villani non ci dà alcun cenno cronologico;dice solo che fu seppellito a Bologna d'anni ottanta.Giovanni Villani (Storie,seguito dal Fa. bricio, dal Poccianti e dal Cinelli, pone l'anno della morte nel 1303;l'Alidosi sostiene invece che A. morisse,il Biscioni e il Negri, per approssimazione, nella fine del sec.XIII.Delle opere di A. ci attesta il Mazzu chelli ch'esiste una raccolta a stampa col titolo « Expositiones «inarduumAphorismorum Hippocratisvolumen. Indivinum « Prognosticorum Hippocratis librum. In præclarum regi. a minis acutorum Hippocratis opus. In subtilissimum Iohan «nitiiIsagogarum libellumIohan.Bapt.Nicollini Salodiensis a operainluceme missæ.Venetis, apud Luc.Antonium Iuntam. Scrisse anche in ci. Galeni Artem parvam commen taria, Neapoli, Mazzuchelli, che attribuisce anch'egli a A. la traduzione in volgare dell'Elica d'Aristotile, aggiunge che nella libreria dei pp.Minori Osservanti in Cesena si con serva un ms.intitolato Magistri Taddei Glossæ in Galenum, eiusdem Aphorismata. Di mæstro A. si conservano in al cuni codici parecchi trattatelli medicinali e fra questi è par Istoria degli Scrittori Fiorentini, Ferrara, Biblioth. latina mediæ etinfimæætatis, Patavii, Notissimo anche un distico del Verino (de illustr.urbis Florent., lib.I)su A.: «Est quoque Thadæi celeberrima fama,non alter For « sitan in medica reperitur ditior arte ». A proposito di questo aneddoto vedi la erudita nota del Mazzuchelli, Cfr. Mazzuchelli, Biblioteca Angelica (Roma),Thaddæi de florentia  ticolarmente diffuso un libellus de seruanda sanitate o libellu's conseruandæ sanitatis, dedicato a Corso Donati. Fra i m a noscritti che lo comprendono è di speciale importanza l'Ambrosiano J. 108 sup.,del sec.XIII per una nota posta in principio, di mano dello stesso copista che trascrisse tutto il codice: « Iste « libellus scriptus et compositus per probissimum et prudentis « simum uirum dominum magistrum Taddeum de Flor. doctorem « in arte medicine in ciuitate bononie transmissus nobili militi « domino Curso donati de florentia », È notevole anche il proemio del trattato medicinale:« Quoniam passibilis et mutabilis a existit humani corporis conditio, complexionem et consisten « tiam quam a principio sue originis homo habuit non seruando, « necessarium extitit artem et scientiam inuenire,per quam in « sanitate et natura et corpus hominis conseruetur, motus igitur « precibus et amore cuiusdam mei amici,multa mihi dilectionis «teneritate coniuncti nec non pro utilitate aliorum hominum, « more uiuentium bestiarum ad conseruationem sanitatis et uite « in humanis corporibus libellum medicinalem inuenire disposui « de libris et dictis philosophorum breuiter compilatum ». Da queste ultime parole risulta ancor meglio l'identità ch'è tra l'autore del libellus, studioso sfruttatore e compendiatore di m a teria filosofica e l'autore del nostro compendio volgare dell'Etica. Il trattato di A.,molto curioso,contiene quei precetti igienici che bisognerebbe osservare fin dal principio della giornata in torno alle abluzioni del capo,all'igiene della bocca,dello stomaco, libellus medicinalis; Magistri Thaddæi de florentia de r e giminesanitatis; Curacrepotorummagni Tadeiabeocom posita. Riccardiana, Magliabechiana,cl.21,cod.62;141. Membran.a due colonne;contiene:19) Vegetii de re militari libri; Isiderus de bellis; a c.31a segue la notissima epistola de cura et modo rei familiaris di Bernardo,al gratioso militi et felici domino Raimundo domino CastriAmbrosii;a c.32 asegue iltrattatodiA..Ilcod.consta d icc. 3 5 n. num., l a c. 3 4 * e 3 5 a v u o t e. Questo cod. si trova legato assieme con un altro membr. dello stesso formato, di cc.19 scritte perdisteso,con tenente i Saturnali di Macrobio.    MARCHESI de'cibi,delle bevande, della digestione,del sonno;sulle condi zioni del corpo umano durante le diverse stagioni e quindi sulla igiene delle stagioni. Segue a dire della efficacia terapeutica, molto larga,dialcune pillole,da prendersi avanti o anche dopo ilcibo,compostedaun«frateRobertodeAlamania»conuna quantità di sostanze vegetali e aromatiche. La parte trascritta nel cod.Ambros. finisce con la ricetta adatta «ad faciendum «cristerepropassioneyliaca». Questo A. famosissimo medico del suotempoedanchepoeta(1), autoredicommentari e di trattati, insegnante l'arte della medicina nell'Accademia di Bologna,fualtresìquellochetradussedallatinoinvolgare il compendio dell'Etica aristotelica. E veniamo al VI libro del Tresor. È noto ed è stato detto da tutti gli editori e gli studiosi del Tresor, ch'esso risulta da m o l teplici e varie compilazioni fatte in diverso tempo da Brunetto, su scrittori specialmente latini; poi riassunte e combinate nel compendio enciclopedico francese del mæstro di Dante. Lo C h a baille anzi afferma che Brunetto avea preludiato alla compila zione del Tresor con opuscoli separati in prosa e in verso, fra cui l'Elica d'Aristotile,ch'egli dunque suppone,come parecchi altri,compendiata e volgarizzata da Brunetto Latini,prima della compilazione del Tresor (2). Ma su ciò non vale la pena discu tere,giacchè sarebbe combattere contro imulini a vento. Magliabech. Tadæi magistri de Florentia Carmina. Op. cit., Introd., p. vi.  Riferiamo un passostesso di Brunetto:Liv.I,cap.I:«Il « (cist livres) est autressi comme une bresche de miel cueillie « de diverses flors; car cist livres est compilés seulement de « mervilleus diz des autors qui devant nostre tens ont traitié « de philosophie, chascuns selonc ce qu'il en savoit partie; car « toute ne la pueent savoir home terrien, porce que philosophie « est la racine d'où croissent toutes les sciences que home peut savoir. Egli dunque non dice di essersi limitato a raccogliere e tradurre scritti latini soltanto; e si deve intendere anche di volgari. Fra questi è il compendio dell'Etica di mæstro A. che Brunetto, valendosi anche di raffronti continui con il testo latino originale,trasporto nel VI libro del suo Tresor. Allo Zannoni, il quale riteneva che A. avesse tradotto Aristotile di latino in italiano e che Brunetto poscia voltasse il testo di A., Sundby oppone le parole di Brunetto, che nel Prologo della seconda parte (il Tesoro volgare) dichiara di tradurre il libro d'Aristotile de latin en romans. Per venire in aiuto di quanto abbiamo asserito non è necessario ricorrere alla sottile nota del Paitoni, ilquale sosteneva che il volgare italiano si chiamava anche « latino »; giacchè essendosi Brunetto servito non solo del volgare di A., ma anche,come vedremo,della redazione originale latina,anzi avendo acconciato e rifatto in molti punti il volgare in base al testo latino, è chiaro come abbia potuto dire d'aver tratto il suo compendio dal latino,che del resto è anche l'originale dell'Etica diA.. E poniamo le nostre conclusioni. Il compendio volgare dell'Etica è la traduzione che mæstro A. fece di una delle redazioni latine del testoaristotelico,laquale ci è rimasta.La traduzione è in gran parte fedele al contenuto, nella forma è condotta al quanto liberamente: spesso il traduttore compendia la materia, d'altra parte allarga sempre la frase o il concetto e diluisce nel volgare il testo latino per bisogno di ripetizioni o di esempi o di ampliamenti, servendosi, come fa in principio,di qualche altro rifacimento o aggiungendo delle dichiarazioni proprie.A. non è un traduttore letterale che si preoccupi della frase e voglia mantenersi fedele alla parola o al tenore dell'esposizione; egli I codici del Tesoro traducono « di latino in uolgare », ovvero « di « latino in romanzo » o « di gramaticha in uolgare ». è solo un interprete occupato del contenuto che pur vuole p a recchie volte acconciare dal lato espositivo nella maniera più rispondente, secondo lui, a'bisogni della chiarezza e della s e m plicità.È l'originale una traduzione latina, di un compendio alessandrino-arabo della Nicomachea, elementarissimo, semplice e piano, ridotto a una esposizione riassuntiva molto breve, e talvolta anche efficace, nonostante l'incertezza e la poca fedeltà di talune espressioni. Molti luoghi fondamentali, anzi diciam pure tutte le parti più notevoli per gravità e serietà di enunciati, per difficoltà di contenuto critico, vengono senz'altro omesse interamente, o ri dotte alla loro ultima e più semplice espressione. Cosi, per dare qualche esempio, nel 1° libro è saltato il passo importante al principio del cap.3,in cui Aristotile nega la possibilità diotte. nere una precisione assoluta nei giudizi e pone la necessità del giudizio per approssimazione; altra omissione considerevole è quella della prima metà del cap.4,in cui Aristotile passa alla definizione del supremo de beni, alla critica del concetto di fe licità, e si accinge a discutere la dottrina platonica del bene assoluto; è tralasciata pure tutta la confutazione della dottrina platonica delle idee (cap.VI) e l'astrusa enunciazione fondamen tale dell'Eudaluovía aristotelica considerata come bene vero ed assoluto che comprende in sè, unificandoli, tutti gli altri beni necessari all'autarchia della vita; e della seguente trattazione intorno a'principii (cap. VII) non è alcun cenno nel compendio. Dei brani accolti tuttavia è vero e proprio ampliamento. Ad ogni modo il testo si prestava benissimo all'intelligenza comune per l'intendimento più facile e semplice e la forma più piana che non l'oscurissimo Liber Ethicorum del commento tomistico. (1)Questo compendio fu conosciuto prima dal Jourdain in un codice della Sorbona; e più tardi dal Luquet (Hermann l'Allemand, in Revue de l'histoire des Religions, Paris, in due mss. della Biblioteca Nazionale: il n ° 12954, che pone la data della versionenel1244,eilno16581 che è forse lo stesso veduto dal Jourdain.  Come compendio poteva anzi dirsi ben riuscito;giacché per ri durre allora in più brevi proporzioni l'Elica nicomachea, ch'è da per sè una condensazione poderosa delle norme logiche e de principi esposti nell'Organo, bisognava appunto sfrondarla di tutti i luoghi più ardui 'a spiegarsi e a comprendersi senza l'aiuto di richiami e di collegamenti, e semplificarne e chiarirne il contenuto eliminando la rassegna delle opinioni e la parte critica, sopprimendo le divisioni minori, togliendo il carico degli argomenti favorevoli o 'contrarî ad ogni problema e riducendo questo alla sua più semplice ed elementare espressione.Ilcom pendio arabo latinizzato era dunque il testo etico aristotelico di moda piùrecente.Essocièrimasto,sottoilnome diLiber Ethico r u m, i n u n codice Laurenziano, già Gaddiano (Plut.) membr. in fol., a due colonne,di cc.scr.219,miscell. Enon tuttodiunamano; contiene:una Cronicadianonimo; laHistoria troiana di Darete frigio,premessa un'epistola:Cor nelius Nepos Sallustio Crispo suo salutem; Graphia aureæ urbisRomæseuantiquitatesurbisRomæ dianonimo;Eu tropii historia romanæ Ciuitatis dilatata a Paullo Diacono: Liber Alexandri regis; un'epistola di Alessandro ad Aristo tile intorno alle regioni e alle cose notevoli delle Indie; Liber Sibyllæ, di Beda; un'epistola dell'abate Ioachim; un'ora zione di Seneca a Nerone; i LibrideremilitaridiVegezio; 11) ilLiberEthicorum,d'Aristotile:vadac.131ac.142;la materia è distribuita in ventidue capitoli indicati dalla iniziale colorata;manca ognialtradivisione.Com.:Incipitliberprimus Ethicorum. R.;allafine: Incipiamus ergoetdicamus.Explicit prima pars nichomachie Ar.que se habet per modum theo rice et restat secunda pars que se habet per modum pratice. Et est expleta eius translatio ex arabico in latinum. Anno incarnationis uerbi. La soscrizione, importantissima per la storia di questa reda zione,è di mano dello stesso copista,scritta con lo stesso in chiostro e coi medesimi caratteri di tutto il testo aristotelico. Seguono di mano più recente e in carattere minuto alcune cita    zioni dell'andria e dall'Eunuco di Terenzio.La lezione dell'Etica verso la fine è molto incerta e in taluni punti a dirittura insa nabile. Dopo il Liber Elhicorum vengono le orazioni catilinarie e iltrattato de Senectute,l'orazione di Sallustio contro Cicerone, l'invettiva di Cicerone contro Sallustio, le orazioni pro Marcello, pro Ligario,proDeiotaro,ilibride Officiis,iParadoxa,epoi la Catilinaria e il Giugurtino di Sallustio; seguono, di mano del sec.XIV, alcune bolle di papa Bonifacio VIII. La versione dell'Etica, compiuta nel 1243, si deve con molta probabilità attribuire ad Ermanno ilTedesco (Hermannus Alemannus),il quale trovandosi in quel tempo nella Spagna,a Toledo,aveva due anni prima (nel 1241) ridotto in latino il commento di Averroè alla Nicomachea,e più tardi nel 1256 compi la versione di altri due testi arabi di Averroè relativi alla poetica e alla retorica d'Aristotile. La traduzione di A.,che dovette essere di poco,meno di un ventennio, posteriore, corse ed ebbe fortuna e divulgazione; ce lo attesta il buon numero di codici, l'uso che ne fece Brunetto, la dichiarazione di Dante che ne parla come di cosa comune mente nota,egli che molte espressioni del volgare di A. ricorda nella sua Commedia. Brunetto Latini più tardi si accinse a svolgere nella parte morale del suo Tresor la dottrina etica di Aristotile. Egli si servi del volgare di A.,ma prese anche in mano il testo latino: c e l o dimostrano le aggiunte e le modificazioni introdotte, che corrispondono in tutto con il Liber Ethicorum; qualche altra volta ridusse il volgare di A. e quindi con esso anche il latino della redazione araba. Nessuno vorrà certo ancora dubitare che l'Etica di A. sia tratta dal compendio francese di Brunetto, rivendicando a questo la priorità; giacche,pur volendo saltare sul passo di Dante, sulla particolare designazione de'codici,sulla tradizione isolata dell'Elica volgare,rimane sempre una barriera dinanzi a cui bisogna fermarsi:la materia de'due Compendî.La dipendenza diretta dell'Elica dal testo latino ci è fra l'altro attestata dalle numerose espressioni latine trasportate di peso,quando corrispon dano nel lessico volgare, nel compendio di A.; mentre Brunetto è costretto tante volte a tradurre dirersamente,m u tando la dizione, e dall'Elica e dal Liber Ethicorum. D'altra parte poi nell'Etica molte cose ci sono che mancano nel com pendio franceseeche pur dipendono dal testo latino.Un'ultima prova: tutti i codici dell'Elica e del Tesoro si chiudono allo stesso modo, con le stesse parole, e la chiusa non corrisponde al testo francese. Brunetto va più in là di A.: egli include nel suo compendio tutta la fine del rifacimento latino. Se si do. vesse considerar l'Etica come un volgarizzamento del libro VI del Tresor,anzi che come un compendio indipendente,non si spiegherebbe più quella ostinata lacuna e quella costante diver genza alla fine. Solo cinque codici dell'Elica, di trascrizione al quanto tarda, seguono volgarizzando l'opera di Brunetto: i tre codici Marciani e i coddice Ambros. C 2 1. i n f., i quali rivelano molto chiaramente l'influenza del testo francese. In essi il brano finale è volgarizzato in modo del tutto differente; ciò è na turale: giacchè nessun codice dell'Etica e del Tesoro dava quella parte del testo francese, i trascrittori, che tennero l'occhio al Tresor, dovettero pensare, ciascuno per conto proprio, a volgarizzarla.Anzi il Marciano II, 134 contiene tutto quanto ilcompendio di A.,compreso ilbrano finale rias suntivo,che non si trova invece negli altri codici dell'Etica o del Tesoro iquali proseguono col testo francese sino alla fine; e questa nel Marc.II,134 ci appare evidentemente come una sovrapposizione voluta dal trascrittore. Naturalmente tutti i giudizi e i sospetti di ampliamenti, di aggiunte, di mutamenti arbitrarî del volgarizzatore, di sbagli continuati degli amanuensi, agitati dagli editori del Tesoro, ca dono innanzi all'entità e al valore storico diverso dei due com pendi, volgare e francese. E data la priorità del volgare, cadono anche meschinamente tutti i tentativi di emendazione apportati dagli editori alla lezione del VI libro in base al testo francese. Nel Propugnatore Gaiter, che accude allora   Quale dei due traduttori, in fine,abbia merito maggiore non possiam dire.A. ha ilmerito della priorità;Brunetto che lavoròappresso a lui è più fineecompleto,e poi anche ilfran cese si prestava allora molto meglio del volgare italico.A. qualche volta amplia o riduce la materia, Brunetto si richiama al testo.Siamo nel periodo de compendi e dell'enciclopedia. U n compendio fatto è fatica risparmiata al mæstro che deve dire le«chose universali».Brunetto,che aveva intelligenza fine, trasse il compendio italico alla lingua di Francia e l'incluse n e l l'opera sua e ne colmo le lacune e ne affino i contorni e lo ripuli di fronte al testo latino,da cui egli pompeggiandosi dicea di aver tratto la parte morale del Tresor. E non fa cenno di A.: egliaccoglie,corregge,assimila;d'altraparteètuttauna let teratura e una divulgazione anonima quella che dall'ultimo m e dievo va al trecento,e i diritti di proprietà letteraria non sonoancor sorti. E poi mæstro A. forse non appariva degno di menzione speciale al mæstro di Dante; echisa, forse, che in questo non dobbiamo trovare indizio di una lotta accademica, svoltasi di mezzo al laicato dotto della seconda metà del dugento e nel trecento,negli Studi pubblici,tra medici inchinevoli alle lettere e letterati avversi a'medici? C'è però da osservare che nel ritocco della materia volgare,in base al testo latino, Bru netto non va oltre qualche singola espressione o frase, trascurata o ridondante. Egli non si attenta mai a rimaneggiare e ad ac conciare la materia nel contenuto ideale, per il modo con cui le idee furono rese nel volgare o compendiate o disposte o interpretate riguardo all'originale latino.Questo dunque testi monia onorevolmente che A. era allora ritenuto autorevole  MARCHESI a preparare,con l'aiuto dei mss.e del testo francese,la sua edizione del l'operadi Brunetto, inunsaggiodicorrezioni alVI libro,siscagliasempre, con taluni intendimenti spiritosi,contro l'amanuense che tanto strazio avea fatto del presunto volgare di Bono; e con l'aiuto del testo francese si affanna a correggere gli sbagli e a colmare le lacune lasciate dai trascrittori e da Bono stesso.  ed esperto intenditore del trattato aristotelico anche da un uomo per cultura famoso come ser Brunetto, sebbene al grande di scepolo di costui non apparisse ugualmente felice dicitore del volgare. Dunque Brunetto si valse del volgare di A. (1), ch'ei ri. dusse e acconciò in molti punti in conformità al testo latino, come si vedrà chiaramente dal confronto che faremo. Più tardi gli amanuensi del Tesoro,al posto del VI libro,introdussero il volgare già ben noto dell'Elica, essendo ben chiara e conosciuta la dipendenza del compendio francese dall'altro volgare.Cosi resta anche spiegato il fatto che parecchi codici del Tesoro si fermano all'Etica: Il compendio di A. rimaneva, rispetto al VI libro del Tesoro, originale e fondamentale; in un volgariz zamento italico dell'opera di Brunetto esso dovea necessariamente e naturalmente tenere il posto del francese che da esso proveniva. Già anche loChabaille noto come la seconda parte del Tresor, interamente consacrata alla morale, offre «plus d'ensemble « et plus d'unitė » (2); ed anche noi durante l'esame critico dei codici abbiamo potuto osservare come appunto il VI libro non presenti quella lezione così fluttuante, incerta, caotica degli altri libri;ciò è ben chiaro:icopisti avevano un testo già da lungo tempo fissato. Con questo se abbiamo voluto rilevare la differenza che l'Etica offre, nell'incertezza minore della lezione, rispetto a'libri volga rizzati del Tesoro,non intendiamo affermare che la lezione del compendio di A. siacostante e sicura.La mancanza diuna lezione rigorosamente affine nella maggior parte dei codici si deve al fatto ch'essi servivano non ad uso letterario, nel qual caso la lezione avrebbe dovuto essere molto più rigorosa,ma ad uso morale;per cui itrascrittori,quando non erano affatto (1) Così lo studio accurato della questione e la inconfutabile testimonianza del documento son venuti a confermare in parte la fortunata ipotesi dello Zannoni. MARCHESI Ho già detto che gli amanuensi introdussero il compendio di A. nel posto del VI libro del Tresor; ho detto gli amanuensi e non il volgarizzatore, giacchè non mancarono alcuni (non oso affermare se Bono od altri) i quali vollero volgarizzare tutta l'opera,compreso il VI libro; ma il nuovo volgare dell'opera francese,di fronte al comunissimo compendio originale di A., rimase eclissato e restò soltanto in pochi codici quattrocentini, che ho potuto rinvenire.I codici sono due,di valore e di con tenuto diverso. Magliabechiano cartac.del sec.X V, in 4o,di cc.53 scritte ed 8 bianche,anepigrafo.Ilcod.contiene l'Etica tratta evidentemente dal Tresor, giacchè va oltre il limite del compendio di A., e comprende la chiusa del libroVI dell'originalefrancese.A c.46'segue,senzaalcuna par ticolare indicazione, il trattato sulla « doctrina di parlare ad Alessandro; infineac.53': ExplicitAristotilisEuthica uul garis Amen. La lezione si mantiene per una buona metà fedele al testo comune dell'Elica; dal cap.47 sino alla fine presenta una grande ed accentuala differenza e mostra evidentemente la Secondo la edizione Gaiter.  ignoranti,semplificavano dove e come volevano,buttando giù il periodo anche ridotto, che sembrasse loro di rendere in ogni modo fedelmente l'idea espressa dall'autore e di significare lo stesso concetto. Nei codici dell'Etica si trovano molte espressioni qualche volta incerte, fluttuanti dalla differenza ortografica al periodo ridotto o allargato o smembrato o dissennato, che ci testimonia da una parte della negligenza o della caparbietà di trascrittori ignorantelli,in un tempo in cui tutti quanti tenevano un crogiolo dove manipolare la pasta morale delle dottrine ari. stoteliche o supposte tali, e dall'altra parte dello stato de' testi donde copiavano,che,data lagrande diffusionedell'opera,doveano a forza portare le tracce di cancellazioni,aggiunte,modifica zioni,lasciatevi dai possessori:filone di muffa questo che ci fa tante volte scivolare il piede lungo il percorso delle trascrizioni trecentistiche di autori ritenuti catechisti o morali. L'Etica (ediz.Manni, Li Tresors. Liv. II, Magliabech. 21. 8. pp.52sgg.).L'uomo part.I, chap.XLI.Li 149. c.33. ch'è buono si diletta in bons hom se delite en semedesimo abbiendo soimeisme, pensantas allegrezza delle buone bones choses; autressi operazioni, eseegliè sedeliteilavecsonami, buono molto allegrasi cuiiltientautressi com conl'amico suo, lo quale mesoimeismes. Maisli eglitienesiccomeun mauvaishomtozjorsest altrosè; mailreofugge enpaor, ets'esloignedes dallenobiliebuoneope- bonesoevres;etseilest razioni,os'eglièmolto moltmalvais, ils'esloi reo si fugge daseme- gnedesoimeisme;car desimo,peròchequando egli sta solo si è ripreso da ricordamento delle maleopere, ch'egliha fatto, enonamanèse, faites, et blasmesacon. nèaltrui, perciòchela science, etporcehetil natura del bene è tutta mortificata inluinel profondo della sua iniquità; nènon si diletta soiettoz homes; etce avientporcequelara cine de touz biens est ilnepuetseulsdemorer, sanztristesce, porceque illi remember desmau vaisesoevresqueila  influenza continuata del testo francese, si che c'è da pensare a una nuova redazione sovrapposta. Riporto un brano che valga a far notare meglio le differenze e le relazioni dell'Etica di A. col testo francese e il volgare del cod. Magliabechiano. mortefiéeenlui, eten son mal ne se puet de. tutto el bene è mortifi. pienamente nel male ch'eglifa,perciòchela liter plainement, car cata in lui.etnel male natura del male si'l træ toutmaintenant que il non si può dilettare pie. al contrario dellasuadi- sedelite, enune chose namente,percioche lettazione,edèdiviso malfaite,lanaturede quand'eglisidilettadi insemedesimo,eperciò son mal si l'atrait au èinperpetuafatica ed contraire deceluidelit. quellomalesieltræ angoscia, epieno d'ama- Etàcequelimauvais al contrario di quella ritudineedisozzuradi estpartizensoimeisme, dilettatione.percioche perversità. Adunquea siconvientqueilsoitl'uomoreoèdiversoet L'uomo ch'è buono si diletta in se medesimo pensando nelle buone cose, et similmente si diletta coll'amico suo, el quale egli reputa se medesimo. Ma l'uomo ch'è reo sempre sta in paura et fuggie dall'o pere buone; et s'egli ė molto reo fuggie da se medesimo et non può stare solo sanza tristizia, impercioch'egli si ricor da delle sue rie opere, ch'egli à fatte et ripren delo la coscienza sua. Et perciò vuole male a se medesimo et ad ogni altro huomo.Et questo èperchèlaradicedi uno male, la natura di   quello cotale uomo nes- en continuel travail de in se medesimo è m e sunopuoteessereamico, penseret plains demolt stierechesiain continua per ciò che l'amico deve insemedesimo,ecompi. ne se laisse cheoir en a lei. Lo cominciamento lla possa tornare a bene. doit efforcier chamentodellainiquità lettazione, laquale l'huo piglia accrescimento gars; mais li fermes mo ba nelle femmine, per usanza di tempo. liensquitozjorsestavec alqualesiuadinanzi L'officio del confortare l'amistiéetquipointne unodiletteuolesguarda  MARCHESI sance sensible; et ce confortamento,ma pare cede loconfortamento poonsnosveoirpar.i. essereetsomigliarsia puoteesseredettaami- homequiaimeparamors llui;mælcomincia stade per similitudine, une dame,car tout avant mento dell'amista è di infino atanto ch'ella passe unsdelitablesre scunouomosidee guar- niuno huomo può essere chose quià amer face. amico aquello tale,per dare ch'egli non caggia in questo pelago d'ini- sere et en itele male niuna cosa la quale sia quità,anzi si dee isfor- zare di venire a finedi mecineparcuiilpuisse seria et tale infelicità bontà, perlaqualeabbia Certes, et en itele mi- cioch'egli non ha in se aventuren'aurailjà daamare. Ettalemi. ainz se felicitade. Adunquecia. queiln'ænluinule maliceetdeiniquitéque ch'eglinonsilascica mentononèamistà, ave- l'on ne puet ræmbre, dereinquestoistraboc gnachè egli si somigli inordinato! Addunque dilettazione e allegrezza àbienvenir:donques nonhamairimedioche chascuns se gart que il chascuns que il viegne et della malicia la quale àlafinde bontépar èsanzarimedio anzisi dell'amistà si è dilettazione sensibileavutadi- quoiilsepuissedeliter del'uomo sforzare ac nanzi,si come l'amista mento d'allegrezza colli tel tresbuchement de suoi amici.Lo conforta. Addunque ciaschuno huomo si de guardare amertume,etyvresde fatichæt pensieroetsia avere in se cosa da a- laidesceetdeperversité, pieno di molta amari mare.E questo cotale etqueilsoitdestortpar tudineetèebbrodisoz hæ in se tanta miseria, misere neant ordenée. zura di peruersita, et che non è rimedio niuno Donc nus ne puet estre sia distorto per miseria ch'egli possa venire a amisdetelhome,porce en soi meisme et avec cioch'elli uengha alla d'unafemina,allaquale sonami. Confors n'est finedellabontaper la v'hadinanzidilettevoli pasamistié,jàsoitce qualeeglisipossadi guardamenti,eladiletta- que illesembleàestre: lettareinsemedesimo, zionesièlegamedell'a- mais li commencemens et hauere compimento mistà,eseguitalainse- d'amistiéestunsdeliz didilettationecolsuo parabilemente.Ladispo- rasavorez par conois- amico.L'amistà non è sizione dalla quale pro   Gli huomini rei tardo s'accordano nelle oppi nioni: et sono sanza parte d'amista, et per  se desevre, ce est deliz. si pertiene a colui ch'à insegravezzadicostumi ed esercizio di vertude, unità d'opinione e con cordia di mettere amore, perciò che le discordie dell'openione sono da trarre dalla nobile con. gregazione,acciòch'ella rimanga unita di pace e in concordia di volon tade. Quelle cose che danno altrui vera digni. tade da reggere,sisono le uirtudi e le loro opere e l'unità dell'oppinione; e questo si truova negli uomini buoni, concios sia ch'egli sono fermi e costanti in fra loro, e nelle cose di fuori, perciocch'egli uogliono bene continuamente.Ma rade volte addiviene che gli uomini si accordino in una oppinione,eper cagione di compiere gli loro desideri si soste: gnano molta briga e molta angoscia e molta fatica, ma non per ca. gionedivertude,ehanno moltesottilitadiinseper ingannare colui,con cui hanno a fare, e perciò sempre sono in rissa e in tenzone. C. MÆCHESI. Cil habiz dont pre mierementnaistlicon fors puet estre apelez amistié par semblant jusqu'à tant que il croist par longuesce de tens. Et li ofices dou confort affiert au preudome et au ferme que il soit griez en moralité de sa vie et es proesces et es costumes et toutes ver tuz, et plains de science et de bone opinion et de concorde, desirrous d'a. mor; por ce devroient estre ostées toutes des cordes et malvais pen. sers d'entre les nobles compaignies des homes, si que il puissent vivre en pais et en concorde de propre volonté,cele chose qui plus aide à maintenir et governer les dignitez des vertus et ses oevres.Et la con corde des opinions et es bons homes,porcequ'il sont parmenant dedans soi et es choses dehors; car toutes foiz jugent et vuelent bien. mentoellegamechenon si parte e sempre con lei et la dilettazione (sic). L'abito dal quale pro ciede confortamento si può dire amista per si. militudine infino a tanto ch'elli crescie per lungo temporale. L'ufficio del confortatore s'appartie ne a buono huomo et al fermo, el quale è graue di costumi et exercitato nelle uirtu,et essere pie toso di scienza et auere accontamento d'oppinio. ni, et concordia intro ducta d'amore (sic),per. ciò che le discordie delle oppinioni sono per disfa re le diuisioni dell'opere le quali sono nella nobile congregazione in con cordia di uolontà.Quella cosa la quale aiuta reg. giereladignitàelavirtu et l'opere delle uirtu.et concordiadelleoppinioni si truoua negli huomini buoni et costanti intra se et nel desiderio delle cose di fuori, percio che perano bene et uogliono Limauvaishomepo bene. s'acordent à lor opinion; car il n'ont en amistie nulepart, et poracom plir lor desirriers suef questi cotali sempre ado   frentilmaint espoines chagionedicompierele et mainttra va ilconmie le loro conchupiscienzie poramistié; etsontes eglisostengonomolte mauvaishommesmain- faticheetmoltitraua tes mauvaises soutil- gli:. per chagione d'a lancesporengigniercels mista, et molti scaltri quiàel sont à faire, et mentietmoltesottilita. porcesontil touzjors Et sonohuominireiper enpaineeten angoisse. chagione d'ingannare L'altro codice, che ci presenta una redazione affatto nuova e dipendente in tutto direttamente dal testo francese, è il Maglia bechiano (vecch. segn.), cartac.delsec.XV, a due colonne,di cc.scr.160; con le didascalie in rosso e rozzo disegno a colore nella prima iniziale e ne'margini della prima pagina. Contiene il Tesoro; precede un indice della materia:a c.5*: Questo libro si chiama il Tesoro il quale è chauato per lo mæstro Burneto Latino di Firenze di piu libri di filosofia che sono strati per li tempi. Qui comincia l'eticha di Aristotille; finisce l'Etica a c.76: Qui finisce il libro dell'eticha d'Aristotille. La soscrizione finale a carta Qui finisce il libro del Tesoro che fa il mæstro Bruneto Latino di Firenze. dio ne sia lodato. La lezione offertaci dal ms. Mgl. è infelicissima e costellata di sbagli, di contorcimenti e travisamenti di parola che pare non si possano attribuire tutti quanti al copista. (“And that’s why Hardie disliked it!” – Grice). Il volgarizzatore in molti punti dà a vedere di essere poco felice conoscitore del volgare come poco esatto intenditore degallico. Molte espressioni gallliche o sono adattate malamente all'idioma italico o lasciate intatte a dirittura e trasportate di peso nel volgarizzamento. Ma ciò vede il lettore nel confronto che Hardie e Grice poneno tra il testo del Liber Elhicorum e l'Etica di  coloro ch'anno a fare con loro per cio sempre sono in brigha ed in angoscia.  A.  col compendio di LATINI (vedasi) e il volgare del Tresor; confronto da cui balza fuori un documento largo e complesso, vivo e certo della tradizione morale aristotelicadel “Lizio,” come A. chiama la scuola, nel tempo in cui vive e conosce e compone ALIGHIERI (vedasi).  Dell'Etica di A. Hardie e Grice danno la lezione critica, quale risulta da’codici più autorevoli dell'Etica e del Tesoro, diversa quindi da quella offertaci dalle stampe che si son succedute fin ora. Liber Ethicorum. L'Etica d'Aristotile. Omnis ars et omnis incessus et Ogni arte e ogni dottrina e ogni omnis sollicitudo vel propositumet operazione e ognie lezione pareado quelibet actionum et omnis electio mandare alcun bene. Adunque bene ad bonum aliquod tendere videtur. dissero li filosofi, che lo bene si è Optime ergo diffinierunt bonum di quello lo quale disiderano tutte le centes quod ipsum est quod intenditur cose. Secondo diverse arti sono diversi ex modis omnibus. Sunt autem in- fini; che sono tali fini che sono ope tentaperartes multas diversa. Que- razionie sono tali finiche non sono da menim sunt actio ipsa metet que- operazioni, ma seguitansi alle opera dam sunt ipsum actum. Cum quesint zioni. Conciosiachosache siano molte artes ac ipsarum actiones multe, arti e molte operazioni, ciascuna hæ erunt intenta per ipsas multa. Ac losuofine.Verbigrazia. La medicina tamen actum in ipsis existit melius si hæ un suo fine, cio è fare sanitade, actione. Est igitur intentum per me- el'arte della cavalleria la qualein dicinam sanitas et per artem regiti- segna combattere, si ha un suo fine uamuelred actiuam exercituum uic- per lo quale ella è trovata, cio è vittoria et pernauium structiuam naui- toria, e la scienza di fare le navi, si gatio et perdomus rectiuam diuitie; hæ un altro fine cio è navicare; e la etista sunt acta honorabilia. Que- scienza che insegna reggere la casa dam autem artium habentse habi- suæ la famiglia sua ha e un altro tudine generum et quedam habitu- fine, cio è ricchezza. Sono al quante dine specierum et quedam habitudine arti le quali sono generali e sono individuorum. Ideoque quedam ipsa. Al quante le quali sono speciali e con rum sunt sub aliis, ut sub militari factura frenorum et cetere artium instrumentorum militarium, et sub tengon si sotto quelle. Verbigrazia. La scienza della cavalleria si è generale, sotto la quale si contengono altre arte exercitu alicetere omnes bellice scienze particolari, siccome è la scienza siue litigatorie. Et simpliciter hono- di fare lifrenieleselleele spadee rabilissima omnium atrium est con- tuttel'altre, le quali insegnano fare stitutiuæt instructiva ceterarum. cose, le quali sono mistieri abatta Et quemadmodum quibusque rebus glia; equeste arti universali sono più a natura productis est perfectio quam degneepiùonorevilidiquelle, im. Perse naturaintendit, etintellegibi. Perciocchè le particolari sonfatteper libusest perfectio quamintendit per l'universali. Esiccome nelle cose In tutto il principio del compendio di A., e quindi anche del testo francese, si sente l'influenza diretta dell'altra redazione del Liber Ethicorum, che servì di base al commento d’Aquino. Ecco il latino di quest'altra redazione: « Omnis ars et omnis doctrina, similiter « autem et actus et electio, bonum quoddam appetere uidentur. Ideo bene enunciauerunt bonum,  beržalglio per suo adirizamento,tutto   Tutte arti e tutte opere e tutte in. Tous ars et toutes doctrines et tramesse sono per chiedere alcuno touteseuvresettouztriemenz sont bene. Dunquedissebeneilfilosafo porquerre aucun bien, donquesdis- chequeglichetuttelecosedeside trentbienli philosophequeceque rano è ilbene. Secondo le diuerse toutes choses desirrentest le bien. arti sono le fini diverse. Chetalifini Selon cdiversars, lesfinssont di. sonoopere, talisonoch'esconodel verses; cartelesfinssonteneuvres, l'opere.Eperciochemoltesonol'arti et teles sont celes quel'onensuitpar el'opereciascuna à suo fine.Che medicina æ una fine cioè a fare lesarsetlesoevres, chascune a sa santade. Ela fine dela batalgli asi fin; carmedicinea une fin,ceest ènetoria, el'artedifarenauià àfairesanté; etbatailleasafin, unaltrofine,cioènauichare. Ela les oevres; et porce que maintes sont porquoielefutrovée, ceest victoire; scienza cheinsengnaagouernarea et les ars de faire neis ont une autre l'uomo sua magione e sua familglia fin, ceestnagier; etlasciencequi àun'altrafinecio è ricchezza. Et sono enseigneàhomeà governersa maison alcune arti che sono gienerali e al et samaisnieauneautrefin,ceest cunechesonospezialli, cioèpersua richesce. Etsontaucunesarsquisont diuisione, eperòsonol'unasottol'al generaus, etaucunesquisontespe- trasi come la scienza di chaualleria ciaus, c'est particuleres, etaucunes ch'ègienerale,edisottoaquella sontsarzdevision; etporcesont sono più altre scienze partichullari, lesunessouzlesautres; sicomme cioè la scienza di fare frenieselle est la science de chevalerie, quiest espadeetuttel'altre cosecheinse generaus,etdesozlisontautres gnanoafarecosecheabattalglia sciencesparticuleres, ceestlascience bisongnano. de faire frains et seles et espées, et E l'arti universalli sono più dengne toutesautresarsquienseignentà epiùonoreuolichel'altre, percio fairechosesquiàbataillebesoignent. Chelle particullarisono trouatteper Et cistartuniversalesontplusdigne leuniversali. E così tutte le chose queliautre, porcequelesparticu. che sono fatte per natura è unadi leressont trovees par les universales. retana cosa per a che la natura in Ettoutaussicommeenchosesqui tendefinalmente. Altre si tutte le cose sont faites par nature est une dar- chesonofatteperartièunafinale reinechoseàquoila natureentent cosaachesonoordinatetuttelecose finelment,autressieschosesquisont diquellaarte. Esicomecoluiche faites par art est une finel chose à Li Tresors. Magliabech.quoi sont ordenées trestoutes les træ di sua arte a uno sengnio à uno   « quod omnia appetunt. Differentia uero quædam uidetur finiam. Hi quidem enim sunt opera «tiones; hiueropræterhasopera quædam. Quorum autemsuntfinesquidampræteroperationes, « in his meliora existunt operationibus opera. Multis autem operationibus entibus et artibus et doctrinis,multi sunt et fines. Medicinalis quidem enim sanitas,nanifactiue uero nauigatio, •yconomicæ uero diuitiæ.Quæcumque autem sunt talium sub una quadam uirtute, quemad modum sub equestrifrenifactiuætquæcumque aliæ equestrium instrumentorumsunt:hæc « autem et omnis bellica operatio sub militari; secundum eundem itaque modum aliæ sub alteris. In omnibus itaque architectonicarum fines omnibus sunt desiderabiliores his quæ sunt sub ipsis. « Horum enim gratia et illa prosequuntur. Quest'esempio, che manca nella nostra redazione latina, è tratto dal Liber Ethicorum del commentotomistico: Igituretaduitamcognitioeiusmagnum habetincrementum,etquemad modum sagittatores signum habentes seintellectus,eodem modorebusef. fattepernaturaèunoultimointen fectisabarteestperfectioquam per seintenditartificiumhumanum.Hac finalmente, cosìnellecosefatteper autem perfectioestbonum ad quod arteèunointendimentofinale, al intenditur, et est optimum eorum que queruntur propter ipsum et di quelle arti; siccome l'uomo che ipsius causa. Scientia igitur istius est sættahalo segno per suo dirizza scientia diuina maximi existensiuua. mento, coşiciascunaartehæ menti in uita et CONVERSAZIONE hu. un suo finale intendimento, loquale mana. Habentes igitur intentionem dirizzalesue operazioni.Adunqua acpropositumdignum ualdeestut l'artecivile,laqualeinsegnareggere inueniamus inquisitione remqueest lacittade, éprincipaleesovranadi perfectiouoluntatis.Arsigiturdi. tuttealtrearti, perciocchèsottolei rectiuaciuitatumprincepsestartium, sicontegnonomoltealtrearti, le quali eoquod sub hac continenturresho. sonoonorevili,siccomelascienzadi norabilesualideconsistentie;utpote farel'ostee direggere la famiglia, arsexercitualisetarsfamiliedo- elarettoricaèanchenobile,percio mus dispensatiua ac rethorica,et ch'ella si ordina e dispone tuttel'altre eoquodipsautitarartibusactiuisomni- chesicontegnonosottolei, elosuo bus et componitet ordinatlegesearum compimentoàilfinedituttel'altre. Atqueiuditia etdistinguitinter Adunquelobenelo qualesiseguita laudabilesetillaudabiles.Huius itaque artisperfectioacpropositumadpro- l'uomo, percioch'ellalocostringe priatpropositaomniumartiumreliqua- di fare bene e costringelo di non rum. Bonum igiturusitatumsecundum fare male. La recta dottrina si è che suum modum est bonum humanum. L'uomo si proceda in essa, secondo ipsum namque effectiuum estcetero- chelasuanaturapuotesostenere. rum bonorum omnium artium et Verbigrazia:l'uomocheinsegnageo saluatartificesnequidaganthorridum metriasidee procedereperargo dimento lo quale la natura intende quale sono ordinate tutte l'operazioni di questascienza, sièlobene del  chosesdecelart.Etaussicomme altresiciascunaarteæunafinale cilquitraitdesonar causeignala cosache'ndirizaquellaopera.Qui celui bersail por son adrescement, parla del gouernamento della citta tout autressi a chascune ars Dunque l'arte che insen finelchosequiadrescesesoevres. Gnia la citta gouernare è principale Donques l'art qui enseigne la cité àgovernerestprincipausetdame etsoverainedetoutesars, porceque desouzlisontcontenuesmaintesho- norablesars,sicomme rectoriqueet lasciencedefaireostetdegoverner e donna di tutte l'arti, peròchedisottoaleisonotuttii mæstrionoreuoliecontiensisotto luitutte molteonorabillearti, sicome retoriccha e la scienza di fare oste edigouernaresuamasnada.E an samaisnie;etencoreestelenoble, coraè nobile peroch'ellamettein porcequeelemetenordreetadresce toutesarsquisouzlisont,etlisiens compliemensetsafinssiestfinet compliementdesautres.Donquesest ele li biens de l'ome, porce que ele constraintdebienfaireetelecons- traint de non mal faire. Lidroizenseignemenzsiestque onailleselonccequesa naturele ordineeadirizzaartichesonosotto lui,eilsuocompimentodisuafine sièfineecompimentodel'altre. Dunque ilbene che diquestascienza uiene si è bene dell'uomo pero che 'l constringniedinonfarelomale. E il diritto insegniamento ch'ell'à inleisecondosuanaturalepuote soferire. Cioèadirechecoluiche puetsofrir; ceestà direquecilqui insengna gouernaredeeandareper enseignegeometriedoitalerparar- suoi argomenti chesonoapellatidi gumensquisontapelésdemonstra- mostrazioni.Erittorichadeeandare cions, etenrectoriquedoitalerpar perargomentieperragioneuedere argumenzetparraisonvoiresembla- senbiabille, eciò auiene percioche ble. Etceavientporcequechaschuns ciascunoartieregiudicabeneedicela artiensjugebienetditla veritéde ueritàdiciòcheapartienealsuome cequiapartientàsonmestier,eten stiere, ecosiinciòèilsuosenno sottile. ce est ses sens soutis.  une e sovrana La scienza di città governare non La science decitégovernerne sifamichaafanciullonedahuomo afiertpasàenfantneàhomequi chesegualesueuolontadi,percio vueilleensuirresa volenté,porceque che amendue sono non sacenti delle anduisontnonsachantdeschosesdou cosse del seculo, chequestaartenon siecle;carcestearsnequiertpasla chiedela sienza dell'uomo, mach'egli science del'ome, maisqueilsetorne sitorniabontà.Esapiatechein àbonté. Etsachiésqueenfesestde. fateèinduemaniere, chel'uomo ij.manieres;carlihompuetbien puotebeneessereuechioditenpo estrevielsdeaageetenfes demors; euechioperhonestavita.   autillaudabile. Et saluatioquidem mentifortiliqualisichiamanodimo. Uniuslaudabilis existit,quantomagis strazioni, elorettoricodeeprocedere gentiumacciuitatum. Rectadoctri. Nella sua scienza per argomentie natioestinquirereinunoquoquege- ragioniverisimili; equestosièpercio nerumiuxta mensuramquamsustinet checiascunoarteficegiudichibene naturailliusgeneris; etutexigitur etdicalaveritadediquellocheap. Quidema mathematico demonstratio partieneallasuaarte. Lascienzada et a rethore sufficientia persuasiua. reggere la cittade non conviene a Unusquisque enim artificumrecto garzonenèauomo cheseguitilesue iuditio iudicat de eo quod est infra h a cose buone e giuste e oneste; onde Rerumquedamsuntcogniteapud gli conviene avere l'anima sua natu nos, et quedam sunt cogniteapud ralmentedispostaaquellascienza: naturam. Oportetergoutamator maquellouomo che non hæneuna scientieciuilispromtussitadres diquestecose,èinutileaquesta eximiasetsciatopinionesrectas. Opi- scienza Questo ci prova chiaramente che Brunetto non ebbe tra mani altro testo latino fuor del compendio alessandrino-arabo; giacché le altre traduzioni greco-latine della Nicomachea gli avrebbero dato la giusta indicazione del poeta: Esiodo. Ma forse pertutto il riferimento, che  son volontadi, peroche non > bitum suæ scientiæ, et in hoc est nelle cose del secolo. E nota che gar perspicax ipsius scientia. ludicans zonesidiceindue modi, quanto al autem deomni sapiensestomnipe- tempo e quanto alli costumi, che ritiaimbutus. Arsciuilis non pertinet può taloral'uomo essere vecchio di pueroneque prosecutori desiderii atque tempo e garzone di costumi, e tal uictorie, eoquodambo ignarisunt fiata garzone di tempo e vecchio di rerum seculi, neque proficitipsis. Non costumi. Adunqueacoluisi conviene enim intenditarsista scientiam sed la scienza di reggere la cittade, lo conuersionem hominis ad bonitatem; quale non è garzone di costumie neque differt puer et ateautinmo- che non segui tale sue volontadi, se ribus pueris, non enim aduenit quidem non quando si conviene e quanto si defectus ex parte temporis sed propter conviene ed ove si conviene. usum uite in moribus puerilis; pueri ergo dissoluti et desideriorum prose- cutores non proficiunt penitus ex arte civili. Qui autem utitur desiderio secundum quod oportet et quando sono cose le quali sono manifeste alla natura, e sono cose le quali sono manifeste a noi. Onde in questa scienza si dee cominciare dalle cose, oportet, et quantum oportetet ubi oportet, hic plurimum proficit ex scientia artis civilis. lo quale dee studiare in questa scienza, ed apprendere, si dee ausare nelle le quali sono manifeste a noi. L'uomo savi   et puet estre enfes par aage et viel Dunque la sienzia di città ghouer parbonevie.Donqueslasciencede nare è a fare huomo che non sia governer citez n'afiert à home qui fanciulo de cuore molle e che non estenfesensesfaizetquiensuie sesvolentės,selorsnonquantille covient faire et tant comme il co- vient,et là où il se covient,et si comme est covenable. seguasuauolontadi,senoquelliche siconuengonoetanto com'ellesi debono e la dove si conuiene e si come conueneuole. E sono chose che sono chonueneuoli a natura e cose chesonoconueneuolliannui;che Iliachosesquisontconnuesà nature et sontchosesquisontcon- chisivuolestudiareasaperequesta neuesànos;porquoinosdevonsen scienza, eglideeussarecosegiustee cestesciencecommencieraschoses buoneeoneste,ond'egligliconuiene quisont conneuesànos,carquise auerel'armi naturallemente aquesta vuetestudieràsavoircestescience, scienza,macoluichenonanèl'uno ildoituserdeschosesjustes,droites nèl'altroriguardiaciòchedee.Se et bonnesethonestes,oùillicovient 'lprimoèbuonoel'altroèapere avoirl'ame naturaument ordenée à gliato ad essere buono. Ma chi da cestescience;maiscilquin'ane ssenonsanienteenonaprendedi l'onnel'autreregardeàcequeHo- ciò chel'uomogl’insenguia,egliè merusdist:Selipremiersestbons, deltuttomecciante.- Quidicedelle liautres estappareilliezàestrebons; treuie Dacontaresono mai squidesoinesetneant,etqui.ij.uie. L'unaèuiadichonchupi. n'aprentdecequehomlienseigne, senziæ diconuotizia.L'altraèuita ilestdoutoutmescheanz. Les cittadina,cioèdisennoediproeza viesnomées quisontàcontersont ed'onore.Laterzaécontenpratiua..ij.L'uneestviedeconcupiscenceet E più ujuono secondo la uita delle decovoitise;l'autresiestvieciteine, bestie, ch'èapellatauitadichonchu ceestdesensetdeproesceetd'onor; pisenzia,peròch'egliseghonolaloro la tierce est contemplative: et li uolontade e loro diletto. E chatuna plusorviventselonclaviedesbestes, diqueste.ij.uiteàsuapropriafine quiestapeléeviedeconcupiscence, diuerse dal'altre,tuttoaltresìcome porcequeilensuientlorvolentezet [lasienzadiconbatteredi]medi lordeliz. Etchascunedeces.ij.vies cina à sua finediuersa dalla scienza asaproprefin,diversedesautres, delconbattere, chèquellabadaafare toutautressi comme medicineasa santà,equellaadauereuetoria.Qui findiversedelasciencedecombatre; diuisadelbene Ubene carelebéeàfairesanté,etcele ėinduemaniere,che'unamaniera autreàvictoire. Libiensesten è ch'èdisideratapersemedesimo[e ij.manieres;carunemanieredebien l'altra)eun'altramanieradibeneè niones autem rectæ sunt ut in arte Le vite nominate e famose sono ciuiliincipiaturarebusapudnos tre;l'unasièvitadiconcupiscenza, cognitis, etinconsuetudinibuspul- l'altrasièvitacittadina,cioèvita crisethonestisfactasitassuetudo diprodezza ed’onore; la terza si è principium enim est et inceptio a vita contemplativa: e sono molti quaresest. Exmanifesto existente uominichevivonosecondolavita sufficienterquiaresest,nonindigetur dellebestie,laqualesichiamavita propterquidresest.Indigetautem diconcupiscentia,perciòchesegui. Homo adpromtitudinem habitationis tano tutte le loro volontadi; ecia leritatisrerumbonarumautaptitudine scunadiqueste vitesihasuofine boneinstrumentalitatisexquasciat propriodiversodaglialtri,sicome uerum,autformaperquamaccipian- l'artedellamedicinahadiversofine turprincipiarerumabeofacile.Qui dalla scienza dicombattere,chè'l veroneutramhabueritharumaptitu- fine della medicina si èdi fare sani. dinumaudiat sermonem Homeripoete tade,e'lfinedellascienzadifare ubidicit: Illequidem bonusest,hic battagliesièvittoria. Benesièse autem aptus ut bonus fiat. Vite condo due modi, chè è uno bene lo famosetressunt. Uitaconcupiscen- qualeuomovuoleperse, eunaltro tieetuoluptatis,uitaprobitatiset benelo quale l'uomo vuole peraltro. honoris,uitascientieetsapientie; Benepersesìcomelabeatitudine, pluresuerohominumseruisuntuo- bene peraltruisonodettiglionori luptatis uitam bestiarum eligentes elevertudi,perciòcheuomovuole inexecutionedelectationum.Sunt questecoseperaverebeatitudine. autem termini harum uitarum distan. Natura lcosa è all'uomo ch'eglisia teset bonaipsarumbona diuersificata. cittadino,etconversicongliuomini Sicutergobonum quodestinarte artefici,econtralanaturadell'uomo exercitualiestaliudabonoquodest sièd'abitaresoloneldeserto,elà inartemedicinali, sicabinuicemalia ovenonsianogente,peròchel'uomo sunt bona trium uitarum. Et bonum naturalmente ama compagnia. quidem medicine est sanitas, bonum Beatitudo si è cosa compiuta,la exercitualisestuictoria.Estautem qualenonabbisognaneunacosadi bonumsecundumduosmodos:bonum fuoridase, perlaqualelavitadel per se et bonum propter aliud; et l'uomosièlaudabileegloriosa.Adun. quesitum qui demproptersemelius quelabeatitudinesièlo maggior est quesito propter aliud. Nosuero beneelapiùsovranacosælapiù manca nel compendio di A., BranettosivalseanchedelLiberminorum moralium:«.aduertat « intentionem poetæ dicentis: Optimus est hominum qui a semet ipso intelligit quod expedit.Qui « autem ab altero hoc intelligit, est in uia directionis. Qui uero nec a semet ipso intelligit nec « ab altero recipit, hic uir est inutilis, est qui est desirrez por lui meisme, et une autre maniere de bien est qui est desirrez por autrui. Biens par lui est beatitude,qui est nostre fin,à quoi nos entendons;bien par autrui sont les honors et les vertuz; car ce desire li hom por avoir beatitude. Naturale cosa è a l'uomo ch'egli sia cittadino e ch'egli conuersi in tra le gienti, cioè intra gli uomini e intra gli artefici. E contra natura sarebe abitare in diserto oue non à persona,però che l'uomo naturale. mente si diletta in conpangnia. Bea tittudine è cosa conpiuta, si che non à niuno bisongnio d'altra cosa fuori di lui, per chui la uita degli uomini ė pregiabile e groliosa:dunque è beatitudine il magiore bene di tutti, e la più sourana cosa e la trasmil gliore di tutti i beni che sieno. Qui diuisa di treposanzie Tutte le opere dell'uomo o sono malvagie o [buone.om.]. Colui che lle fa buone l'opere,egli è degno d'auere il compimento della uertu di  L'anima dell'uomoæ.ij.posanze. L'una è uegiettative,e questa è co mune ad alberi ed a piante, ch'egli anno annima uigettatiua,altresìco m'àno gli uomini; la seconda è apel latta sensitiua; la terza è apellata r a zionabile,l'èperquestoche l'uomoè ragioneuole e diuisato da tutte le cose, per ciò che niuna altra cosa æ anima razionale se no l'uomo;e questa possanza è alcuna uolta in natura e al cunauoltainpodere.Ma beatittudine è quand'ella è in opera e non miga quand'ella è in podere solamente; chè s ' egli no 'l f a, egli non è mi c h a buono. Naturel chose est à l'ome que il soit citeiens,etque ilconverseentre les homes et entre les artiens; car contre nature seroit de habiter en desers où il n'a nule gent,porce que li hom naturelmentsedeliteen com paignie. Beatitude est chose complie,si que ele n'a nul besoing d'autre chose fors de li,par quoie la vie des homes est puissanz et glorieuse: donques est beatitude li graindres biens de touz et la plus soveraine chose et la très mieudre de touz biens qui soient. L ' ame del' o m e a j i j. puissances. L'une est vegetative, et ce est c o m mun asarbresetasplantes,caril ont ame vegetative aussi come li home ont;lasecondeestapeléesen sitive, et est c o m m u n e à toutes bestes, car eles ont ames sensitives; la tierce est apelée rationable,et por ceste est li hom divers de toutes choses,porce que nule autre chose n'a ame ratio. nableselihom non.Etcestepuis sance rationable est aucune foiz en oevre et aucune foiz en pooir; mais beatitude est quant ele est en oevre, et non pas quant ele est en pooir seulement; car se il ne le fait, il n'est mie bons. ch'è disiderata per altrui. Bene per lui è beatitudine, ch'è nostra fine a che noi intendiamo.Bene per altrui sono gli onori e le uertu: chè questo si disidera per auere beatitudine. Toutes les oevres des homes ou   Ogni operazione che l'uomo fæ o ellaèbuonaoellaèrea;equello uomo lo quale fa buona la sua ope. razione, si è degno d'avere la perfezione della virtude di quella opera zione.Verbigrazia: lo buono cetera tore,quando egli cetera bene,si è degnacosach'egliabbiailcompimento di quella arte,e lo rio tutto il con. trario. Adunque se la vita dell'uomo è secondo l'operazione della ragione, allora si è laudabile la sua vita, quand'egli la mena secondo la sua propria vertude; ma quando molte vertudi si raunano insieme nell'animo dell'uomo, allora si è la vita dell'uo mo molto ottima e molto onorata,e molto degna,sicchè non puote essere più;perciò che una virtude non puote beatitudinem ultimam propter se uo lumus,cum sitfinisnosteretintentum à nobis; honores autem et uirtutes propter beatitudinem, eo quod per ipsas pertingimus ad illam. Homo naturaliter ciuilis est et con uiuithominibusetsocietatesexercet comel'uomo; lasecondapotenziasi cumartificibusdecenter,nequeap chiamaanimasensibilenellaquale petitsolitudinemnequedesertum participal'uomocontuttelebestie, neque heremum. perciòchetuttelebestiehannoanima Beatitudo es tres completa, nullius sensibile;laterzasichiamapotenza indigens, perquamuitahominislau. razionale, perlaqualel'uomosiè dabilisexistit. Beatitudoigiturexce diversodatuttel'altrecose,perciò lentissimum est eligibilium et opti. che neuna altra cosa hæ anima ra mumbonorum,cumsitperfectiore zionale, sicomel'uomo.E questa rumoperabilium. Sicutigiturestin potenziarazionalesiètalorainatto qualibetartiumbonumquodillaars etalorasièinpotenzia;ondela intendit,etsicutestcuilibetmem. beatitudinedell'uomosièquandoella brorumcorporis actuspropriusin vieneinatto, enonquandoellaèin quoeialiudnoncomunicat,sicest homini actus proprius in quo aliud ei non comunicat. Homini autem se cundum animam uegetabilem COMUNICANT terræ nascentia,et secun dum animam sensibilem comunicant ei animalia; actus uero ei proprius, inquo nullum aliud ipsi comunicat, est actus secundum rationem et di scretionem. Ratio uero duplex est: potenzia: ratio uidelicet actualis et ratio poten tialis;dignior autem ad intentionem rationis et magis cognita est ratio actualis,ut pote actus hominis di. scernentis et agentis. Et omnis actio quam agit actor aut est bona aut est mala. Actor autem bene agens in omni arte meretur intentionem uir tutis, ut bene citharizans citharedus bonus; citharizans autem male malus. ottima che l'uomo possa avere. L'a nima dell'uomo si ha tre potenzie; l'una si chiama potenzia vegetabile, nella quale comunica l'uomo cogli arbori e colle piante,perciò che tutte le piante hanno anima vegetabile, si    bonesoumauvaisessont.Etcilqui quell'opera.Chècoluichebeneopera fait lesbonesoevres,ilestdignes è degnod'auereilcompimentodisuo d'avoirlecomplimentdelavertude mestiere,equeglichemalfanno,il celeoevre;carcilquibiencitoleest contrario. Dunqueselauitadell'uomo dignesd'avoirlecomplimentdeson è secondo l'opera di ragione, alora mestier, etciquimallefait, lecon- è da pregiare quand'eglila mena traire;doncselaviedel'omeest secondolapropriauertu. Maquando seloncl'oevrederaison,lorsestele mantieneuertusonogliuominisaui, prisablequantillamaineseloncla esauioebisongniabile,enorevolee propre vertu; mais quant maintes moltodengniosichepiùnonpotrebe vertuzsontenl'ome,savieestbesoi. essere; percidcheunasolauertunon gnableethonoréeetmultdigne, si puotefarel'uomodeltuttobeatone queplusneparroitestre,porceque perfetto.Chèunasolarondineche uneseulevertunepuetfairel'ome uengnianèunosologiornotemperato detoutebeatitudeneparfait;carune nondonaciertanainsengniadelprimo solearondelequivieigneneunsseus tenpo. Eperciòinunopocodiuita jorsatemprésnedonentcertaineen- d'uomoeinunopocoditenpoch'egli seignedouprintens;etporceenpo facciabuoneopere, nonpossiamoperò devied'ome,neenpodetensque direch'eglisiabeato. Qui ilfacebonesoevres, nepoonnosdire diuisa di tre maniere di bene. Il queilsoitbeates. Libiensest beneèdiuisatointremaniere,che devisezen.iij.manieres, carliuns l'unoèilbenedell'anima,el'altro estbiensdel'ame,etliautresest delcorpo. Mailbene dell'anima è il doucors, etlitiersdehorslecors; piùdengnio chenullodeglialtri, maislibiensdel'ameestplusdignes peròcheglièilbenedidio,esua quenusdesautres,carceestlibiens formanonèchonosutaseperl'opere de Dieu, et saformen'espasconneue separlesoevresvertueusesnon.Et sanzfaillebeatitudeestenquerre lesvertuzetenelsuser,maisquant beatitudeestenhabitetaupooir del'ome,etnonensesfaiz,ceest àdirequantilporroitbienfaireet ilnelefaitmie, lorsestvertuous aussicommecilquisedort, carses oevres ne ses vertuz ne se mostrent pas. Mais l'omquiestbeatescovient aussicommeparnecessitéqueilface uertudiose non.E sanza fallo beati tudineèinchiedereleuertuefarle. Maquando beatitudine ènell'abitoe inpoteredell'uomononèsenone fatti:questoèadire,quandoeglipuote benefareeno'lfaaloraèegliuer tudiosoaltresìcomecoluichedorme; chè sue opere e sueuertunonsimo strano. Ma l'uomo ch'èinbeatitudine conuiene altresì come per necissetà ch'eglifacciailbeneinoperæsi comeilsauiochampioneeforteche lebiensenoevre.Etsicommeli sichonbatteuuoleportarelacorona Actusigiturhominisunæstuitarum l'uomo fare beato,nè perfetto,sic famosarum trium prenominatarum, una rondine quando appare uitascilicetrationisetscientieet sola, eunosolodietemperatonon sapientie. Etomnis quidemresbona dànnocertadimostranzachesiave. existitetdecorapropteruirtutemsibi propriam. Vita ergo hominis actus estanimeintellectiueperuirtutem sibipropriam;sedcumuirtutesani- memultesint, eritperoptimam et honoratis simam in fine et dignissimaminfineperfectioniset complementi. Unanempehyrundononpro- nosticaturuerneque diesunicatem- peratiæris,sicnecuitapaucæt lobenedell'animasièpiùdegno tempus modicumsignumcertumsunt benedineuno,elaformadiquesto beatitudinis. bene si non si conosce se non nell'o Bonum tripliciter diuiditur; est perazioni, le quali sono con vertudi. bonum anime et bonum corporis et nutalaprimavera;ondeperciò nè. inpicciolavitadell'uomo,nè in pic ciolotempochel'uomofacciabuone operazioni, nonpotemodicereche l'uomosiabeato. Lo bene sidivide in tre parti, chè l'unosièbenedell'anima,l'altrosi è bene del corpo, el'altro si è bene di fuore dalcorpo. Di questi tre beni,  come bonum extra corpus. Bonum ergo delle vertudi e nell'uso loro; ma quoddignissimebonumdiciturest quandolabeatitudineènell'uomoin bonum anime, neque apparet forma abito, e non in atto,allora si è vir istiusboni, nisiinactibusquisunt tuosacomel'uomochedorme,lacui auirtute. Et beatitude quidemest operazione e virtudenonsimani. inacquisitioneuirtutumetinusu festa; mal'uomobuonodinecessità earumsimul.Cumquefueritbeatitudo è bisogno che l'aoperisecondol'atto, in homine tamquam in possessioneet et è somigliante di quello che sta habituet non actu, tuncesttamquam neltravitoa combattere; chè sola uirtuosus dorniiens cu non apparet mente quelli che combatte et vince, actionequeuirtus. Beatusautemactu quellià la coronadellavittoria; e necessarioexercet beatitudinem. Et se alcuno uomosiapiùfortedicolui, quemadmodumperitiagonisteatque chevince, nonàperciòla corona, robusticoronanturquidemetacci. perch'eglisiapiùforte,s'eglinon piuntpalmam apud actumagoniset combatte, avvegnach'egliabbiala uictorie, sicuirtuosielectiboniac potenziadivincere;ecosìlogui. beati laudantur et premia uirtutum derdone della virtude non ha l'uomo suscipiunt dum apparent operationes se non in fino a tanto ch'egliadopera ipsorum secundumueritatem;etisto. lavirtudeattualmente; equestosiè rumuitæstin se ipsa delectabilis. perciòcheloloroguiderdoneela Unusquisque enim hominum delecta- lorobeatitudineèladilettazione,che La beatitudine si è nell'acquistare  della uettoria, tutto altresì l'uomo buono e beato æ il guiderdono e la loda della sua uertu ch'egli fæ et mostra ueracemente per queste opere, perciò che il guiderdono delle sue opere e della beatittudine è ildiletto ch'egli n'atantoe com'egli opera la uertu; chè ciascuno si dileta in cid ch'egli ama; il giusto si dileta in giustizie e l'asagia e gli piacciono, e 'l uertudioso nelle uertu. Et tutte l'opere che sono per uertu sono belle e dilettabille in se medesime. Beatitudeestlachoseau monde Beatitudine èl acosa al mondo che quiesttrèsdelitable,maislabeati tudequiestenterreabesoingdes biensdedehors;carilestdurechose quel'onfacebelesoevres,seiln'ia grant part des choses avenables à bonevieethabondanced'avoiret d'amisetdeporenz,etprosperitéde fortune, et por ce la sapience abe. soigned'aucunechosequifaceco perciòlasapienzaàbisongniod'al noistre sa valor et ses honors.Se cuna cosa che faccia conossere suo aucuns done as homes dou monde, ualore e suo onore.Se alcuno dona disglorious et soverainsfaiz, l'en ahuomodelmondodonogroliosoe doitbiencroirequecildonssoitbea. Sourano fattol'uomo debenecredere titude,porcecequeestlamieudre che quellodonosiabeatitudine, perciò chosequiestrepuisseaumonde; car ch'eglièlamigliorecosachepossa eleestmulthonorablechose, etest esserealmondo;ch'ell'èmoltoono. licompliemensetlaformedevertu; rabilecosa[essere]edèilcompimento neiln'estpasditdouchevalnes elaformadellauertu;nèeglinonè desautresbestes,nedesenfans,que michadettodelcaualloedel'altrebe ilsoient beates,porce qu'il ne font oevres de vertu. Beatitude est chose ferme et estable, tozjors en une fermeté, si que ele ne stie,nè degli fanciulli che sieno beati, perciò ch'egli non fanno opere di uertu. Beatitudo è cosa ferma et stabille. Arrestiamo qui la trascrizione del cod. Magliabech., sembrando ci la parte trascritta suciente ad attestare la propria dipendenza dal testo francese. milglioreepiugioiosætradiletta bille: mallabeatitudinedeeessere interræbenidifuori. Chè gliè dura cosa che l'uomo faccia belle opere e ch'egli abbia parte di cose aueneuolliahuonauitædabondanza d'auereedabondanzad'amiciedi parenti e prosperita di fortuna, e  F sages champions et fors qui se combat et vaint emporte la corone de victoire, toutautressilihom bonsetbeatesa le guerredon et la loange de la vertu que il fait et mostre veraiement par ses oevres, porce que li guerredons de la beatitude est li deliz que l'om atentcomme iluevrelavertu,car chascuns se delite en ce que il aime: lijustessedeliteenjustise,etlisages en sapience,etlivertueusenvertu; et toute oevre qui est par vertu est bele et delitable en soi meisme. virtude, si è bella e diletteuile in se Beatitudo autem omnium rerum est medesima. Beatitudo si è cosa ot optimaiocundissimaatque delectabi- tima, giocundissimæ dilettabilissima. lissima. Beatitudo tamen quest hic La beatitudine, la quale è interra, si bonisexterioribusindiget; difficile abbisognadeglibenidifuori,perciò est enim homini ut opera decora che non è possibile all'uomo ch'egli exerceatabsquemateriautpotequod facciabelleopereech'egliabbia habeatpartemcompetentemrerum artelaqualesiconvengaabuona boneuitepertinentiumet copiam vita, e abbondanza d'amicie dipa familie et parentum et prosperita- renti, eprosperitàdiventura,sanza temfortune.Ethacquidemdecausa libenidifuori; eperquestacagione indigetarssapientiearteregnandi, nonabbisognaalcunacosachefaccia ut apparere faciat honorificentiam manifestare il suo onore e lo suo va suiatqueualorem. Etsialiquarerum lore. Sealcundonoèfattodidome donata est hominibus a deo excelsa nedio glorioso e eccelso agli uomini etgloriosa, dignumestutbeatitudo delmondo, degnacosaè da credere siue FELICITAS donumsitdiuinum se- che quellodonosiabeatitudine,im cundumquodipsæstoptimaomnium perciòch'ellasièlapiùottimacosa rerum humanarum; est igitur de onorevole molto e compimento e rebus prehonorabilibus,cum sit com.  turineoquodestamatumapud eglihanno, infinoatantoch'egliado ipsum; delectetur ergo iustus in perano la virtude; chè il giusto si justitiætuirtuosusinuirtuteet dilettanellaiustiziæ'lsavionella sapiensinsapientia.Etactionesfientes sapienza, elo virtuoso nella virtude; peruirtuteminseipsissuntdelecta. eognioperazione,laqualesifaper biles uenuste ac decore. forma di virtude. E neuna genera plementum uirtutis siue forma et zione d'animali puote avere beatitu fructusipsius Non diciturautem dine,senonl'uomo,eneunogarzone deequo neque de alio aliquo anima- nonhæ beatitudine, perciòcheneuno liumhuiusmodi,nequedepueris,quod animalenèneunogarzonenonado sintbeati,eoquodnequehuiusmodi perasecondovertude. animalia neque pueri agant opera Beatitudo si è cosa ferma e stabile uirtutis.Etbeatitudoestresfirma sempresecondounadisposizione, nella stabilis secundum dispositionemunam, quale non cade varieta denèpermu inquamnoncaditalteratioet permutazione alcuna, e non v'ha talora tatio, etnoncomitanturipsameuen: beneetaloramale, matuttaviabene, tusuarii,etnuncbonitasnuncmalitia. E questo siè perciòchelabonitade Etenimbonitasetmaliciæstin opere elareitadesi ènella operazione hominis; et columpnabeatitudinis dell'uomo. La colonna della beatitu estoperasecundumuirtutem; co- dinesièl'operazione, chel'uomofæ 1   se remue pas,et si n'est mie une foiz bien et autre mal, mais toutes foiz bien,porce que li muemenz de bonté ou de malice n'est pas se es oevres des homes non. Li pilers de beatitude est lesoevres que l'onfait selonc vertu,et la colone dou con traire est les oevres que l'on fait selonc vice; et la vertus ferme et estable est en l'ame de l'ome.Li hom vertueus ne se contorbe ne ne s'es maie por nule temporal chose qui li avieigne; car il n'auroit jà beatitude se il s'esmaioit,car dolor et paor abatent l'oevre de vertu et la joie de beatitude. Felicités est une chose qui vient par vertu de l'ame, non pas dou cors. Aucunes choses sont mult griez à sostenir;mais quant l'on les a bien sostenues,lors apert et se mostre la hautesce de son corage; et sont au tres choses qui ne sont griez à sos tenir, ne li hom qui les sueffre ne mostre pas que en lui soit force.Et jà soit ce que mort et maladies de filz soient griez à sostenir, ne doivent pas remuer l'ome de sa felicité; car bienetfelicité,ethome felixet Dex glorious et benois sont tant digne chose et tant honorable que nulz pris ne nule loenge ne lor sofit pas; et nos devons reverer et magnifier et glorifier Dieu sor toutes choses et si devons croire que en lui sont tuit bien et toutes felicitez.,porce que il est commencemenz et achoisons de touz biens. secondo virtude,e la colonna del con trario suo si è l'operazione, la quale l'uomo fæsecondolovizio;equesta operazione si erma e stante nel. l'anima dell'uomo,et l'uomo virtuoso non si muove,e non si turba per cosa contraria temporale che gli possa a v venire, perciò che già non arebbe beatitudine, s'egli si conturbasse, perciò che la tristizia e la paura si toglie altrui l'allegrezza della beati. tudine. Sono cose le quali sono molto forti a sostenere; ma quando l'uomo l'à sostenute pazientemente, si dimostra la grandezza del suo cuore; e sono altre cose le quali sono lievi a sostenere,e perché l'uomo le so. stegna non si mostra grande fortezza in lui, siccome morte di figliuoli e loro malitia.Queste cose,avegnache ellesiano forti,non permutano l'uomo di sua felicitade.La felicitade e l'uomo bene avventurato e domenedio bene detto e glorioso sono tanto degna cosa e tanto da onorare che le loro lodi non si possono dicere,e spezial mente si conviene a noi di reverire e magnificare messere domenedio sopra tutte cose, e dee l'uomo pen sare di lui, che nel suo pensare ha l'uomo tutto bene, e tutta felicitade, perciò ch'egli è cominciamento e ca gione di tutto bene.  lumpna uero contrarii beatitudinis est opera secundum contrarium uirtutis; et optima operationum secundum uir tutem est stabilissima earum in ani ma;et uita beatorum continua est semperperactioneshonorabilesbonas; et uirtuosus perfectus absque ex tollentia speculatur in rebus virtuali bus et substinet irruentia mala et tollerat ea tollerantia decenti et non turbatur cor neque formidat ex ma. gnis calamitatibus ex temporis malitia occurrentibus; nisi enim eas decenter sustinuerit conturbabitur eius felicitas et inducentur super ipsum meror et tristitiaque impedient secundum uir tutes operationes. Quedam autem actionum malitie difficiles sunt ad sufferendum: sed quando acciderint homini et eas sustinuerit,demonstrant eius magnanimitatem. Alie uero que. dam facilepossuntsufferrietheecum inciderint homini et eas sustinuerit, non demonstrant eius magnanimita tem; et mortuis ex bonitate actionum filiorum et ex malitia ipsarum con tigit [modicum aliquid tante, in. quam,quantitatis].transmittetfelices a sua felicitate ad infelicitatem; neque infelices a sua infelicitate ad felicitatem. Bonum etfelicitasatque felices et deus benedictus et excelsus digniora sunt et honoratiora quam ut lau dentur. Immo conuenit quidem uene rari deum et ipsum singulariter m a gnificare et eius intuitu felicitatem etfelicesetbonum,cum sintresdi. uine, et gratia quorum omnia alia aguntur;et creditur de eo quod est Felicitade si è un atto il quale procede da perfetta virtude dell'anima et non del corpo.   Principium bonorum etipsorum causa, quod sit res diuina. Felicitas est quidem actus anime procedens a uirtute perfecta,non cor poris sed anime. Prima di passare al raffronto della parte finale nelle diverse redazioni, non sarà inopportuno riprodurre ancora un brano, del principio del secondo libro, che valga a confermare le diffe renze e le relazioni da noi stabilite tra i due compendi, volgare e francese, e il testo latino. Liber Ethicorum. Litresor, Virtus ergo duplex est – Grice: NONSENSE: Virtue, like philosophy, is entire!--., Porceapert uidelicetintellectualiset ilque.ij.manieressont moralis;intellectualis, devertuz: l'uneestde utsapientiætprudentia l'entendementdel'home, etsimilia.Laudantese- ceestsapience, science nim hominem ex parte Et uirtutum quidem tuel,nos disons:ce est  uirium intellectualium eum appellamus. intellectualium genera prisierdevertu intellec uns sages hom etsoutis; par enseignement,et liumestperbonam et porcelicovientexpe honestam conuersatio- rience et lonc tens. La nem;nequesuntinno- vertudemoraliténaist bispernaturam.Res et croistparbonuset enimnaturalesnonegre. honeste;car ele n'est diuntur a natura sua pas en nos par nature; perassuetudinem,utpe- àcequechosenaturele tra,quæsempertendit ne puetestremuéede et sens; l'autre est de sapientem eum dicimus autscientemaut(secun- choses semblables. Et dumaliquidhuiusmodi); cepuetchascunsveoir sed ex parte moralium clerement; car quant largumuelcastumuel un home humilem uel modestum mais quant nos le volons tioetincrementumfit prisierdemoralité,nos inhomineperdoctrinam etdisciplinam;ideoque chastesetlarges.X.La in eius acquisitione ex- vertu de l'entendement perimentoindigetettem- estengendréeetescreue pore longo. Generatio autem uirtutum mora en l'ome par doctrine et moralité,ce est chastée et largesce, et autres disons:ceestunshom nos volons L'Etica.– Due sono le virtudi; l'una si è dettaintellettuale,sicco me lasapienza e scienza e prudenza; l'altra si chiama morale,sicome castitade e larghezza ed umiltade; onde quando noi volemo lodare alcuno uomo divertudeintellet. tuale,diciamo: questi è un saviouomo,intende vile e sottile; e quando noi volemo lodare un altro uomo di virtude morale, cioè de costumi, si diciamo:questi è un uomo umile e largo.- Concio siacosachesiano due vertudi,una intel lettuale e l'altra morale, la intellettuale si si in genera e cresce per dottrina e insegnamento,e la virtude morale si si in. genera e cresce per b u o na usanza;e questa ver tude morale non è in noi per natura,percioc cbè natural cosa non si puote mutare della sua disposizione per contra   riausanza.Verbigrazia: ad centrum naturaliter, lanaturadellapietrasi etignisadcircumferen èl'andareingiuso,onde tia, numquam assue non la potrebbe l'uomo receptionem, et perfi questevirtudinonsono tiunturinnobisexbona in noi per natura,la po. A. amplio e chiarì meccanicamente l'esempio della pietra e del faoco, valendosi del latino del Liber Ethicorum del commento tomistico: puta lapis natura deorsum latus non autiqueassuescitsursumferri, nequesideciesmilliesassuescat quis,eumsursumiaciens»;e sopratutto del Liber minorum moralium: Lapis enim qui naturaliter deorsam descendit quamvis « quis probiciat ipsum sursum uicibus innumerabilibus, quarum non comprehenditur multitudo, «uolens per hoc assue facere ipsum mouerisursum, numquam habebitpossibilitateminhoc.Et similiter ignis non est possibile at recipiat per assuetudinem diuersum motionis suæ ». nos par usage; por quoijediqueces vertuz ne sont pas dou tout en nos sanz nature ne dou tout selonc nature; mais li commencemenz et la racine de recoivre ces vertuz sont en nos par nature,et le lor c o m pliment est en nos par usage. Et toutes choses  tanto gittare in suso, situm; neque aliarum ch'ella imprendesse ad rerumullaassuescetop. Andareinalto ;elana- positumnaturesue. turadelfuocosièd'an. Attamen cognationem dareinsuso,ondeno'l aliquamhabetconsue. potrebbe l'uomo tanto tudo cum natura et co trarreingiuso, ch'egli gnationemaliquamcum imparassedivenirein intellectu. Nonsuntita que in nobis uirtutes niunacosanaturalepuo- morales naturaliter, ne tenaturalmente farelo quepreternaturam; sed contrario della sua na- nati sumus ad earum giuso; eduniversalmente tura. Mà avvenga che scunt huiusmodi oppo consuetudine. Item omne puissanced'aprendrela tenziadiriceverleèin quodinnobisestnatura. estennousparnature, noipernatura,elocom- literpreextititinnobis etlicomplemenzesten pimentoèinnoiper potentialiter,deindeap usanza. Ondequestever. paretactualiter.Ethoc tudinonsonoinnoi al manifestumestinsen postuttopernatura;ma sibus. Sensus enim in laradicee'lcomincia. nobisnonfiunteoquod mentodiriceverequeste uideamusuelaudiamus multociens,sed e con trariofitinnobis.Ha bemus enim eos prius naturaliteretpostmo. vertudi si è in noi per natura, e'lcompimento elaperfezionediqueste virtudisièinnoiper usanza. Ognicosala dumexercitamurineis. sonordreparusage con traire.Raison comment: la nature de la pierre est d'aler tozjors aval, ne nus ne la porrait tant giteramont que ele seust sus aler; et la nature doufeuestd'aleramont, ne nus ne leporroit tant avaler que il seust en aval metre la flamme. Et generalment nul na tural chose ne puet par usage aprendre à faire lecontraire de sa nature. Et jà soit ce que ceste vertuz ne soit en nous par nature, certes la   diusinterextremadicta, Et porunemeismechose  et d'oïr, et par celui quella potenziao dee ethocmodoestinom- pooirvoitetoit,etnus vede, enonvedel'uomo nibus artificibus.Nam nevoitdevantqueilen prima eode, ch'egliab- hedificatores sumus ex ait le pooir. Donques bialapotenziadelve- usuhedificandietcytha. savonsnosquelipooir dereedell'udire. Dunque rediexusucytharizandi; est devant le faire.Mais vedemo già che la po- ex bene quidem facere es choses de moralité tenziavadinanziall'atto. hocbonisumusinbiis, estli contraires;car E nelle cose morali è ex male autem mali. l'uevre et li faiz est de. tutto locontrario, chè vant le pooir. Raison l'operazioneel'attova eadem fituirtusetcor- comment:aucunshom dinanzi alla potenzia. rumpitur.....autem a la vertu de justise, Verbigrazia: l'uomosi similiter sanitates. Et cor mentneleseustlimais. rumpunturexpaucitate tresseiln'eneustovré fatteprimacase, edal- etmultitudine,uttimi- autrefoiz. Autressi se trimenti non potrebbe ditas et procacitas. Ti- vent aucun bien citoler peravereeglimoltevolte averequellaarte, seegli midusenimfugitomnia, Exeisdemergoetper porce que il a devant hæ la virtude che si actiones laudabiles cor- fait maintes cevres de chiamagiustiziapera- rumpunturproptersu- jostise; etunsautresa vereegli fattoinnanzi perfluitatemautdiminu- lavertudechastée, porce molteoperazionidigiu. tionem, utexercitia su- que il a devant fait stizia, edhæl'uomola per fluaaut diminutæt maintesoevresdecha virtudechesichiama nutrimentisusceptiosu-stée.Toutautressiest castita deperavereope- perfluaautdiminutafor- des choses de mestier rate dinanzi molte ope- m a m sanitatis corrum- et de art.On scet faire razionidicastitade;e punt, equalitasautem maisons,porcequeon cosiadivienedellecose ipsorumsanitatemfacit enamaintesfaitespre artificiali, chè l'uomo et auget et conseruat. Et mierement; car autre hal'artedifarelecase uirtutes morales porce que il en sont non l'avessemoltevolte procax autem omnia in- molt usé. Et li hom est adoperata dinanzi;esi. uadit. Fortitudo autem bons por bien faire,et migliantemente l'arte qualeèinnoiperna- Virtutesautemacqui- qui sontennosparna tura, sièprimæpoi rimusexfrequentatione turesontpremierement sivieneinatto,siccome actuumhabitusinducen- enpooiretpuisen fait, avviene de sensi del- tes. Iusti etenim sumus aussi comme li sens de l'uomo,chèprimaha exusuactuumiustitie, l'ome;cartoutavanta l'uomo la potenzia dive. et casti similiter, scilicet li hom pooir de veoir dere e d'udire, e per ex usu actuum castitatis, del ceterare ha l'uomo inhisesthabitusme- mauvaispormal faire.   et inest fortitudo ei qui scit fugere a fugiendis et inuadere inuadenda, ethichabitusacquiritur Per una medesima exconsuetudineuilipen cosasigeneranoinnoi di (sic) terribilia.Sicca levirtudi,esicorrom ponosequellacosasifa indiversimodi;eadi viene della virtude si comedellasanitade,che una medesima cosa in diversi modi fatta fa ella sanitade e corrompela. Verbigrazia: la fatica s'ella è temperata si in. genera sanitade nel corpo dell'uomo,e s'ella è più che non si con. viene o meno che non si conviene,si corrompe lasanitade;esìadiviene della virtude che si cor rompe per poco e per troppo, e conservase per tenere lo mezzo.Verbi. grazia: paura e ardi mento corrompono la prodezzadell'uomo;per cio che l'uomo che ha paura si fugge per tutte le cose, e l'uomo ch'è arditoassalisceognicosa e credelasi menare fine; e nè l'uno nè l'al. tro non èprodezza;ma la prodezza si è tenere lo mezzo intra l'ardi mentoelapaura;edee stitatishabitusacqui. ritur ex consuetudine retrahendiseauolupta tibus,etsimiliterseha betinceterishabitibus laudabilibus. per avere molte volte ceterato; e l'uomo è buono per far bene,e lo rio per far male. naissent en nos et se cor rumpent les vertus,se cele chose est menée en diverses manieres;tout autressi c o m m e la santé; car travailleratempree. ment engendre santé au corsdel'ome;maistra vailler o plus ou mains que mestiers n'est,cor ront la santé; mais meenneté la garde et acroist: autressi est de vertu, car ele corront et gaste par po et par trop,et si se conserve et maintient par la meenneté.Raison com ment: Paors et harde corrumpent la proesce del' om e; c a r li hom qui a paor s'enfuit por toutes choses, ne n'ose nule emprendre; et li hardis emprent à faire toutes choses,et les cuide mener å fin. Et sachiez que l'une ne l'autre n'est pas proesce: mais proesce est aler entre hardement et paor. Et doit li hom foïr les choses qui sont à foïr, et envaïr les choses qui sont à envaïr. Et cist habiz est aquis par usage de desprisier les terri bles choses,et habiz de chastée est aquis par u a mens l'altre virtudi,siccome tu hai inteso della pro dezza; chè tutte le virtù s'acquistanoesisalvano per tenere lo mezzo. Col raffronto del devez entendre de toutes vertuz. brano finale mettiamo termine a questo prospetto comparativo, che porta un contributo,non privo d'in teresse, alla conoscenza della fortuna aristotelica, ed è d'impor tanza fondamentale per la storia dei compendî neolatini del l'Elica nicomachea.  che sono da fuggire. E sage de retenir soi contre l'uomo fuggire le cose cosideiintenderein tutte ses covoitises. Autressi   Liber Ethicorum. Educatio puerorum secundum no- Dee essere lo notricamento delli bilem legem necessaria est ad indu- garzoni secondo la nobile legge, e cendumeispermodumcastitatiset ausarliadoperazionidivirtù, ein non per modum continentie. Inde- questo dee essere per modo di castità, lectabilisenimest apud plures homi. enon per modo di continenzia, per. Numususuirtutum per modum con- ciocchèl'uso della CONTINENZA TEMPERANZA non è tinentie.Nequeabstrahendæsteis dilettevolea molti uomini, enonsi manus statim post pueritiam, sed dee ritrarre la mano di gastigare continuanda est eis usque ad con il fanciullo via via dopo la fan sistentiam et robur virilitatis. In ciullezza; anzi dee durare in fino al rectificando quosdam sufficit redar- tempo, chel'uomo è compiuto. Sono gutioetcastigatio sermocinalis, in uomini che si possono correggere aliisautem quibusdam uixsufficitas. per parole e sono altri che non siduatio uerberum tam quam in bestia. si possono correggere per parole, Neutrouerohorummodorumrecti- anziv'èmistieripena. Esonoaltri ficabiles tollendi sunt de medio. No- che non si correggono in niuno di bilisetstrenuusrectorciuitatisciues questiduemodi, equesticotali nobilesefficit, etbonioperatoresha- sono datorredimezzo. Lonobilee'l benteslegemetoperalegisexer- buonoreggitore dellacittafanobili centesaduersantureisqui contraria cittadiniebuoni, li quali servan ola agunt, etsibonaagant. Inpluribus leggeefannol'oper achecomanda ciuitatibus iam abiit regimen uite la legge e sono avversari a coloro hominum ideoque dissolute uiuunt che non osservano gli comandamenti et propriassectantur uoluptates.Et dellalegge, avegnach'ellifacciano regimen quidem conuenientius est bene. In molte citta di èitoviailreg. communis prouisio moderata,cuius gimento della vita dellihuomini,però usum obseruare possible est et non che si vivono dissolutamente ese summedificile: etquodcupitquili. guitanolelorovolontadi. Lopiùcon betseruariinseetamicisetfiliiset venevolereggimentoche porresi familia. Et precipueydoneusadtalis puotenellacittà, sièquellocheè regiminisconstitutionemestillequi temperatoprovedimento, intalmodo sciuerit quod dictum est in hoc libro. che si puoteosservareenonètroppo Scietenimcanonesuniuersalesad grave; equelloloqualedesidera particulariadistrahere. Communis l'uomo che si osservi insèenelli  I codd. ce questicotalisono rei perchè sonopartiti in tutto dal mezo, et « debbono essery odiati si come sono li lupi et cacciati d'ongne buono luogo. Lo nobile etc. L'Etica d'Aristotile. Li Tresors, Magliabech. Et li norrissemens des enfans doit I nodrimenti da fanciulli debbono estrenoblesentelmanierequeil esserenobili, sichesiabeneapreso soientaprisàfaireetàuserlesbones afareedausodibuoneopereper oevresparchastée non mieparcon- chastitænomicapercontinuanza. tinance, carcontinancen'estmiecon- Che continuanza nonemicha conue venablechoseasgens;etl'onne neuollecosaagienti; el'uomo non doitpasostercestusagenecest deemichaleuare questausanzane chastiementmaintenantqueilont questochastighamentoimmantenente enfance passée, mais maintenir la ch'egliàla fanciullezasua, maman jusquesàtant quelidroizaagessoit tenerla insinoa tanto che il diritto acompliz. Iliahomesquipueent estre governé par chastiement de paroles, et autresiaquinepueent mieestrechastiéparparoles,mais par menaces de torment; et autre home sontquel'onnepuet chastier ne parl'unne parl'autre; ettelhome doiventestrechastiésiqueilnede- mourentavecautresgens. Li chacciatisi ch'egli nodimorino con noblesgouverneresdelacitéfaitles l'altrigienti. Quidicedelgouerna citeiensnoblesetlesfaitbienoyrer mentodellacitta Ino. etgarderlaloietcontresterasautres biligouernamentidellacitta defanno quinelagardent, jàsoitcequeil icittadininobilieglifabene operare lefacentbien, Maintescitez sontoù eguardarelalegieecontradirea ligouvernementdelaviedel'ome quegliche nollaguardano,concio sontdestruit, etviventdissoluement, siacosach'eglifaccianobene.Molte car chascuns va après sa volenté. città sono oue il gouernatore della Liplus nobles governemensquisoit ụitadell'uomoè distrutæuiuono enlaviedel'ome, età moinsde disolutamente, chè chattuno poineetdetravail,estcilquel'on apressosuauolonta. Ilpiùconuene consiredemaintenirsoietsamaisnie uolle comandamento egouernamento etsesamis,etcilpuetconvenable- chesianellauita dell'uomo e apena mentmaintenirgensquiaurala dipeneeditraualglioè quellache science de ce livre; porce que il l'uomo considera di mantenere se e saurajoindrelesenseignemensuni. suamasnadæsuoiamici; equeuli verselsaveclesparticulers; carci- puote conueneuollementemantenere teiennecommuneest diversedela gientecheàconsecolascienzadi particulere,aussicommeentozmes- questolibro; peròch'eglisapragiun agiosiacompiuto. Esonohuomini chepossonoesseregouernatipergha. stigamentodiparole,ealtrisonoche nopossonoesseregastigatiperpa role, ma perminacieditormenti; e altrisonochel'uomononpuotees seregastigati nè per l'unonè per l'altro; etallihuominidebbonoessere     A. riduce molto sensibilmente il testo latino e ne sopprime a dirittura la fine. Forse A. ritenne compiuto a quel punto trattato aristotelico della morale e credette opportuno escludere le parole seguenti. Forse a lui medico e mæstro fa ombra quell'accenno, in fine, all'arte della medicina. Probabilmente A. rappresenta più da vicino il metodo pratico, e il libellus de servanda sanitate pnò darcene fede. S'è cosi, A. non puo piacevolmente accogliere l'affermazione aristotelica.  Namque ciuilitas differta particulari suoi figliuoli e negli amici suoi. E quem ad modum in medicina et ceteris lo buono ponitore della legge si è potentiis operatiuis; inhacintentione quegliloqualesale regole universali, nonmodicæstdifferentia. Inomnibus le quali sono determinate in questo ergo huius necessaria cognitio uni. libro,et salle coniungere alle cose uersalium simul et particularium. particulari le quali vegnono altrui Experientia enim sola non est sufficiens in hiis, neque scientiauniuer- saliuminipsissecuræstetcerta absque experimento. Multi ergo m e dicorum sola freti experientia in se ipsis,quidem intendunt,bene uidentur operari et in aliis non proficiunt quicquam,eo quod naturam ignorant. Considerandum est itaque qualiter et per que erit quis peritus legislator. Erit autem hoc per noticiam rerum ciuilium, que subiectum sunt huius potentie. Quemadmodum se habet in ceteris artibus consimilibus huic, posse experientie in inuentione legis non estmodicum.Quidam putauerunt quod hac ars et rethorica sint unum et idem: in uno etiam putauerunt intralemani,peròcheabeneordi. esse uiliorem hanc rethorica: et leue quid reputarunt scientiam condendi le. ges. Non estautem sic;electionam que in arte qualibet actus nobilis est, et quidem per duo est,siue per scien tiam et experientiam: et per scientiam quidem est actus illius inventio et per experientiam est ipsius directio et certificatio. Et universaliter connare le leggi si è mistieri ragionee sperienza.   di uiuere coronpono ibuoni usi di  tiers; carenchascunechoseconvient gniere lo'nsigniamento uniuersale il conoistreles particuleresetlesuni. Chol particullare; chèciertauitadi verseleschoses, porcequeseuleespe. comuneèdiuersadallaparticullare, rience n'estmiesoffisansence; et savoir les universels choses n'est pas altresicomeintutti mestieri, chèin ciascuna cosa conuiene conoscere li seure chose sanz l'esperience; ainsi commenosveonsmaintmirequi par particullari e queste uniuersali cose, peroche solla SPERANZA non èmica soficiente in cio; e sapere l'uniuersali cosenon è mica sicuracosasanza seule experience sevent maint bien faireenlormestieretenseignierne les porroientasautres, porcequeil n'ontsciencedes universels. Donques l'esperienze; sìcomenoiueggiamo molti mediciche per sola speranza seracilparfaizmaistresdelaloi neseguemoltobenefareinsuome. quiseitlesparticulerschosespar stiere, einsengniareno'lpotrebono experience et qui seit les choses agli altri, però ch'elgli non áno universels. scienza de l'uniuersali cose. Dunque Home furent qui cuidierent que sara quegli perfetto mæstro della rectoriqueetla science demaistrie legie chefæle particullari cose deloifussentunemeismechose,et persperienzæ che sa le coseuni penserentquecestesciencefustle- uersali. giere; maislaveritén'estpasainsi, Huomini furono che credottono che porce que li maistres de la loi doit lla retoriccha e la scienza di m o estresemblablesàsesciteiens, et strarelegiefossonounacosa, epen doitsavoircestart, etquilesaura sarono che questa scienza fossele liseraprofitable, etautrementnon; giere; ma llaueritanonècosi,però etseilcommencastà faireloisanz cheimastridellalegiedebbonoes cestescience, ilneporroitdoitrement sere similgli antialoro cittadinie conoistrenejugierlabontéde sana- ture, deacomplirladefautedesa science, mais porcequenoscuidons consirertouteshumaineschosespar legiesanzaquestascienzæglinon guise de philosophie, simetronstout potrebe dirittamentegiudicharenė avant lesdizdesancienssages; et conosere di bontà di sua naturane encepenseronsquelesdes ordenées conpieladifaltadisuascienza. Ma manieres de vivre corrumpentles perochenoi abbiamo d'andarecon bons us des citez, etliconvenable siderandotutteumanecose perguisa les redrescent, etquiestl'achoison diphilosophia,simetonotut'auanti demaleviededanzlacitéetdela i detti deli antichi sauieciòpen bone, et parquoilaloiest semblable seremonoicheledisordinatemaniere as costumes. Debono saperequestaarte: chilese guirrasaràprofitabileealtrimenti non.Es'eglicominciasonoafare   ditio legum similatur potentiis ciui libus, nec potest esse conditor legum qui non habuit scientiam istius artis. Qui uero habuit eam proficiet per experientiam et qui non, non. Et cum inceperintimponere legem absque habitu scientiali, non recte discernent. Neque bene iudicabit, nisibonitaset excellentia multa nature suppleat de. fectum scientie. At quantum cumque natura bene disposita sit, est tamen promtior et expeditior est in uere iudi. cando,cum secum habuerit certudinem artificialem.Quoniam itaque proponi mus speculari in rebus humanis modo philosophico, substinemus primitus dictaantiquoruminhoc; deindeconsi derabimus modos uiuendi,qui extant; qui ipsorum corruptiui sintconsortii ciuilis in ciuitatibus quibusdam et rectificatiui in quibusdam, et qui corruptiui in omnibus et qui rectifi. catiui in omnibus, et que est causa bonæ uite quarundam ciuitatum et que causa quarundam habentium se e contrario, et quarum leges con suetudinibus similantur. Incipiamus ergo et dicamus.  cittadini,e le conueneuoli la dirizzano, e chi è chagione di malla uita dentro alla città e della buona, e perché la legie è sembiante a costumi. Da questo prospetto risulta chiaro quanto abbiamo prima affermato, ed insieme con la questione dell'etica volgare è risoluta quella non meno importante del volgarizzamento del Tresor e delle fonti di esso, che Sundby con molto buona volontà ma con poca fortuna rintraccia nel latino dell'altro Liber Ethicorum, del commento tomistico e nelle chiose d’AQUINO (si veda). È naturale che il critico ha qualche volta gridato all'impossibilità di trovare il passo corrispondente nell'originale, ch’egli rinvenne del resto molto malconcio e scompigliato nel volgare di LATINI. Nè Sundby è il primo a esser tratto in inganno circa le fonti del libro del Tresor. Già Mehus parla di un'etica latina di cui si valse LATINI, compilata per incarico dell'imperatore Federico I a Napoli, e di una traduzione in latino del Liber magnorum Ethicorum, fatta sotto gl’auspici di Manfredi da mæstro Bartolomeo di Messina. Mehus è senza dubbio fuor di strada. Giacchè quest'ultima opera rimane estranea alla tradizione dell'Etica nostra, nè di quella prima imperiale versione d'Aristotile pare che non sia lecito dubitare. De'rifacimenti latini dell'Etica aristotelica dirò compiutamente in un prossimo lavoro; giacchè non è più possibile star paghi alle vecchie notizie,e d'altra parte le buone ricerche del Jourdain non sono affatto compiute e i risultati da lui ottenuti non sono più in buona parte sostenibili. Della Nicomachea si conoscono cinque redazioni latine nel 1300; delle quali tre derivano direttamente dal greco: l'Ethica uetus che comprende solo il secondo e il terzo libro,l'Ethica noua che contiene il primo libro, e il Liber Elhicorum che abbraccia tutti i libri e al posto dei primi tre inserisce con frequenti ritocchi e modificazioni il testo dell'Ethica noua e dell'Ethicauetus. Il Liber Ethicorum, che fu commentato d’AQUINO (vedasi), ebbe larghissima diffusione,come pare anche dal numero e dalla importanza de'mss. che lo contengono, insieme col commento tomistico servi di testo fondamentale per l'instituto filosofico etico del tempo. Per il tramite arabo ci son pervenuti due rifacimenti latini della Nicomachea,d'indole ben diversa: il Liber Ethicorum, volgarizzato d’A., che SERVE DI FONTE al Tresor, e il Liber Minorum Moralium o liber Nickomachiæ, tradotto dall'arabo in latino per opera di Ermanno il Tedesco (Herman nus Alemannus). È questa la parafrasi dell'Etica fatta da Averroè; il rifacitore non volle solo tradurre l'opera m a intese altresi chiarirla e spiegarla,accrescendone e sviluppandone idati dimostrativi che nel testo sono ridotti a'risultati de'processi lo gici.Aristotile parve un po'contratto;l'arabo ne distese imuscoli Fin ora ho potuto esaminare ventidue mss.,di cui quattro del sec.XIII (Laurenzian.89,sup.44;XIII Sin.1;79,13; XIII Sin, diciassettedelse colo (Ambrosian. F. 141 sup.; A. inf.,di mano di Boccaccio; Laurenz. XII Sin.7; XII Sin.9; Nazion.Napoli,VIII G. 11;G. 25; G.27: Riccard. III;Marciana (mss.lat.) cl.VI,39, 41,43,44,122;Uni vers.Padova; Antoniana; Capit. Padova G. 54; e uno del sec.XV:Ambros.R. 50. sup.).  Laurenz. , sup. Trova si pure impresso in tutte le edizioni di Aristotele con il commentario di Averroès (Venezia, Andrea d'Asolo; Giunta). Laurenz. X I I I, Sin. 1 2; V I I I, Dext. 6. (3) Ashburnham.e ne arrotondo icontorni, stemperandone la fibra. Aristotile, ada giatosi nella mollezza araba un po' adiposa, si presento all'in telligenza un po'incerta, bambina alquanto e stentata,delle nuove genti latine che con più agevolezza poterono,cosi in veste più larga,contemplarlo e comprenderlo; e l'opera aristotelica, accresciuta di quel po' di cemento della parafrasi araba che riempiva gl'interstizî apparenti della sua costruzione ideale,poté intendersi e premere sulle coscienze senza l'aiuto di un com mentario apposito che dissolvendone l'unità finale ne facesse a p parire gli elementi semplici di formazione. Cod.Ashburnhamiano955[= 1]membr.sec.XIV,conlaprimapagina miniata.Tit.: L'Etica del sommo phylosofo Aristotile; la soscrizione finale si legge difficilmente; pare: Explicit liber Ethicorum Aristotelis phylo. sophj in uulgari idioma scriptus: di cc. scr. 48, le cui ultime presentano molte abrasioni. Cod.Magliabechiano 12.8.57 [52]membr.sec.XIV;titolieiniziali color.,di cc.scr.26. Com. Prolago sopra l'etichadel sommo phylosofo Aristotile; in fine: Explicit liber ethicorum Aristotilis. deo gratias. In fondo è ilnome del trascrittore «Sander me scrissit». Cod.MagliabechianoA.2.3.2[= 3]membr.sec.XIV;titolieiniziali in rosso,di cc.scr.22. Com.: Prolago sopra l'etica d'Aristotile; in fine: Qui finisce il libro dell'Etica del sommo filosafoAristotile il quale tratta delle uertudi che ssi conuegnono auere a cchostumi ed a buona vita delli huomini. In fondo « Giouanni di Lapo Arnolfi lo fece scriuere. Compiesi di < scriuere m »; più sotto è indicato iltrascrittore«Sanderme scrissit»:è lostessodelcod.precedente. MARCHESI.   Cod.Magliabechiano 2.4.274[= 4) membr.sec.XIVexc.dicc.scr.44, miscell., contiene il Trattato sulle avversità della fortuna (c.1-16'). L'Etica com.: Incipit Ethica Aristotilis translata in uulgari a magistro A. florentino; infine: Explicitethica Aristotilistraslatatape rmæstro A. deo grazias. A c.1a « Qui cominciano le robriche di tutto il libro dell'eticha « d'Aristotile traslatata per lo mæstro A. ». Cod.Marciano (mss.ital.)II,3 [= M]membr.sec.XIV,225 X 164,di cc.46 non numerate;anepigr.Precede il trattato «de la doctrina di tacere «etdi parlare»diAlbertano da Brescia;finisceac.11a:Quifiniscee libro de la doctrina di tacere et di parlare el quale fece messere Alber tano giudice da brescia nell'anno domini Millesimo CCXL V del mese di dicembre Deogratias Amen.Dopo un foglio vuoto,ac.13a seguono alcune « Sententie Tulij et Senece et aliqua dicta Aristotilis », che vanno sino a c.18a. L'Eticii,anepigrafa,vadac.18'ac.46t;iltestoèmolto guasto e scorretto,senza alcuna divisione in libri; in fine: Finitus est liber deo gratiasAmen. Cod.Palatino634[=5] membr.sec.XIV;rubricheeinizialicolorate: di cc. scr.27, più una bianca. Tit.: Incomincia l'eticha d'Aristotile in uol. gare; in fine: Explicit ethica Aristotilis translata a mgio iohe min. deo gratias. Cod.Riccardiano 1538 [= 6;vecch.segn.S.III.47]membr.sec.XIV inc.,miscell.,con belle iniziali colorate e rabescate e numerose vignette intercalate nel testo,di cc. scr.231. Tit.: Incipit etthica Aristotalis. Segue all'Etica il trattato delle quattro Virtù, il Segreto de Segreti e da l t r e scrittur e sacre e profane;il cod.,come sivede dalla soscrizione finale,appartenne a un Bertus de Blanchis che ne fu forse anche il trascrittore. Cod.Riccardiano 1651 [= 7;vecch.segn.N. IV.27]membr.sec.XIV, coniniziali colorateer abescate, dicc.scr.50.Tit.:Prolagosopra l'ethica d'Aristotile;infine:explicitliberEthicorum Aristotelis. Contiene in oltre: Egidio Romano, la esposizione della Canzone di Cavalcanti. Cod. Laurenziano Sup.110[= a]membr.sec.XV, dicc.42.Nella  66 C. MARCHESI Cod. Riccardiano membr. sec. XIV, miscell.; presenta t r a c c e di quattro mani diverse;la più antica riempi ifogli dell'Etica (da c.5a a c. 3 0 ). Com.: Qui comincia l'etica d'Aristotile. Cod. Ambrosiano C.21.inf. membr.del sec.XV, dicc.58,con la prima pagina fregiata e miniata, con lo stemma del possessore e il ri tratto del filosofo; le iniziali di ogni libro colorate e fregiate. Com.: La Prefatione di 'l primo libro di l'Ethica de Aristotele ad Nicomacho suo figliuolo; nessuna soscrizione finale.   prima pagina è lo stemma del possessore con la indicazione « Jacopo di « piero benciuenni ciptadino florentino spetiale a pie'del Ponte Vecchio 1488 ». Tit.:Prolago sopral'eticadelsommo phylosofo Aristotile;infondoporta la data della trascrizione: 1451. Cod. Laurenziano [= r] cartac. sec. X V, di cc. 118. Precede a p. 1 « Insegnamento delle uirtudi e mortificamento de'uitii secondo Aristotile e detti e autorità notabili di Santi et di molti saui et filosafi et poeti » cioè, il VII libro del Tesoro. L'Etica cominciaac. Qui comincia l'etica d'Aristotile; in fine: Explicit l'etica d'Aristotile. Cod. Magliabechiano2.4.106[= m]cartac.sec.XV,dicc.77,miscell.; contiene volgarizzamenti di opere sacre.L'Etica(c.54-72t)com.: Qui co mincia un'opera facta per lo grande sapiente Aristotile detta l'Eticha; in fine: Finita l'eticha d'Aristotile translatata per mæstro A..deo gracias.Sottoèl'indicazionedell'anno Scrittadigennaio1459». Cod.Magliabechiano2.2.72[= p]cartac.sec.XV,miscell.:contiene la dottrina del parlare (estratta dalla P.I,cap.13del Tesoro), il Segreto de Segreti, il volgarizz. da Vegezio Flavio,un libro delle Aringherie etc. Si trova unito a questo un codicetto dello stesso formato, di cc. 18, conte nente una piccola storia o diario della città di Firenze. L’Etica va da c. 5 4 a c. 3 6 ', a n epigr. In fine: Compiuta è l'Etica d'Aristotile translatata in uolgare da mæstro A.. Cod. Magliabechiano21.9.90(= r]cartac.sec.XV exc.miscell.Con tiene una parte del trattato del Governo della famiglia di ALBERTI (vedasi) e dell'Etica solo il libro ottavo e nono; vede bene che il trascrittore ha volutoestrarrelaparte riguardantel'Amicizia;ambedue ilibrisondivisi in capitoletti. A c. 6 1 è l a soscrizione del copista Strozzi », eladata:. Codice Marciano (mss.ital.) I,134(= N) membr.sec.XV,205X 138, cc.64 non numerate,con le iniziali dei libri miniate e dorate. Com.: Incipit proemium transductoris huiusoperisuulgaris; iltestocom.ac.21:Libri Ethicorum siue Moralium Aristotelis qui sunt X in multa capitula diuisi, quia generaliterdemoribussehabet. Nam inprimo librodeterminat de felicitate morali et eius partibus. Segue un semplicissimo ristretto volgare degli Economici,indue libri:Incipiunt libri Ichonomicorum Ari. stotilis duo diuisi in aliqua capitula pertinentis ad gubernationem familie. Nam in primo libro determinat de partibus Iconomiceetde coniugatione mulieris et uiri, quæ dicitur nuptialis,de coniugatione parentum ad filios quæ dicitur paterna,et dominorum ad seruos quæ dicitur dispotica. « La scientia di regiere la casa ha nome Iconomicha et è differente da la scientia di reggiere la cipta la quale ha nome polliticha. Non solamente « perchè una cio e la Iconomica considera el regimento de la casa et la « politica el regimento de la cipta,ma etiandio perché in reggiere la casa «nondieesseresenonuno.».A c.61asegueun Extractum Aristotelis de libro Secreta Secretorum de arte cognoscendi qualitates hominum ad Alexandrum regem. In ultimo è questa soscrizione: « Ex Venetiis primo finis». Codice Marciano (mss.ital.) (= V]cartac.sec.XV inc.,272X200, di cc.48 non numerate,con la iniziale miniata e il titolo rubricato: Hetica d'Aristotile; finisce a c.38 ': Qui finisce il libro detto Ethyca d'Aristotile. Composto per lo nobile phylosapho Aristotile greco Atheniense scritto e compiuto. Nellestinche di firençe nel malleuato di sotto. Seguono due carte bianche, e a c. 41 il libro di sentenze, che si legge pure nel Marciano II, 3. Cod. Mediceo-Palatino membr.sec.XV,di cc.scr.54, più quattro vuote:ititolidei libri e dei capitolicolorati;scrittomolto nitida mente.Per incuriadichirilegòne'due primi quaderni è un'inversione cui pone riparo la opportuna numerazione delle pagine.C o m.: Incipit Ethyca Ari. Stotilistranslatainuulgariamagistro A. florentno; infine:Explicit Ethica Aristotilis traslatata per magistro A..Deo gratias Amen. Cod.Palatino cartac.sec.XV, dicc.44,miscell.;contiene il libro di ammæstramenti,sentenze,il libro di Catone,il trattato delle quattro virtù, e altri volgarizzamenti di carattere morale. L'Etica com.: Questa si è l'etica d'Aristotile; in fine: Explicit etica Aristotilis translata a magistro A.. Cod.Palatino510[= d]cartac.sec.XV inc.,dicc.111,miscell.;con. tiene volgarizzamenti da BOEZIO (vedasi), CICERONE (vedasi), etc. L'Etica com.: Qui chominciano i fioretti dell'etica d'Aristotile; in fine: Finiti i fioretti dell'etica deo gratias. Cod. Palatino  cart a c. sec. X V, dicc. 4 5: iniziali colorate e fregiate. Inc. Qui chomincia il proemio sopra l'ettichia di Aristotile Pren. cipe di filosafi; in fine: Finito e libro chiamato l'eticha d'Aristotile a di X X V d'ottobre mille quatrociento quarantacinque per le mani di filippo Adimari da firenze a uso e stanza di se e di suoi amici deo gratias. Cod.Riccardiano1084 [= c]cartac.sec.XV,dicc.49;inizialieru briche colorate. Inc. Comincia il prolago del libro della hetica d'Aristotile; in fine « deo gratias amen ». Cod.Riccardiano cartac. sec.XV, dicc.248,miscell.;con tiene scritture sacre.L'Etica va da c.49a a c.702. Com.: Prolagho sopra l'eticha del somo filosafo Aristotile; in fine: Finiscie l'eticha del sommo filosafo Aristotile deo grazias. Cod.Riccardiano 2323 sec. XV,di cc.51; rubriche e iniziali grandi colorate.Precede la Introduzione al dittare di «mæstro Giouanni « bonandree da Bologna », con questa ottava al principio « Di Bologna natio «questoautore|nellacittastudiandodou'ènato conallegrezzæmæstral «amore di giouani scolar questo trattato brieuementecomposeilcui ti «nore conciedeachi l'aurabeni studiato sopra quelche la epistola a di. manda et sofficientemente in lei si spanda ». L'Etica è compresa da c.20 ac.51;infine: Explicit Eth. Ar.traslatataamagistro A.inuulgare. Scribere qui nescit nullum putat esse laborem. Cod.Riccardiano1610[= h]cartac. sec.XV, dicc.26, miscell.;contiene il trattato delle quattro virtù.Com.: Incipit liber Ethicorum Aristotilis; infine:ExplicitliberEthicorum Aristotilis.Ilcopistafu«lulianusAndree a de Empoli che lo scrisse « per sè e per i suoi consanguinei ». Cod.Riccardiano cartac.sec.XV,dicc.69:inizialierubriche colorate,con frequenti macchie d'acqua nel margine.Contiene il Segreto de Segreti(1"-44a)el'Etica (441-68a); com.: Fioretti dell'eticha d'Aristotile del primo libro; in finc: Qui finiscie el libro dodecimo ed ultimo delle ticha composto perlonobile filosofo etsommo Aristotile.Amen. Cod. Ambrosiano J. 166 inf. Cartac., trascriz. rec. Il codice consta di più parti cucite insieme. L'ultimo quaderno contiene l’Etica, il Segreto,e il volgarizzamento dell'orazione pro Marcello. La trascrizione è fatta con molta probabilità su di un codice antico, fedelmente. L'Etica è anepigrafa; in fine: Explicit Eth. Ar.Manca ogni divisione della materia. Cod.Erbitense [Biblioteca Comunale di Nicosia].Cartac.,trascriz.rec. Contiene il volgarizzam. toscano del de Amicitia e il compendio dell'Etica, che manca del primo libro. Cod.Napolitano Nasion.XII.E: Copia recente d'un ms. quattrocentino posseduto dalla biblioteca di casa Bentivoglio. Contiene il trattato della fisimomia (sic), ch'è aggiunto in fine come tredicesimo libro dell'Etica.Inc.: Dell'Eticha del sommo filosofo AristotilelibriXIII;in fine: Qui son finiti i dodici libri dell'eticha del sommo Aristotile.  Cod.Ambrosiano G. Sup.(= Amb.)membr.sec.XIV,aduecolonne, con rubriche fregiate e colorate; di cc. scr. 121. L'Etica va da c.56a « In « cipit libro d'eticha Aristotile » a c.73a « Expicit libro d'eticha Aristotile. « Incipit libro costumantie. L'ultimo capitolo con cui si chiude il codice è: Come ilsignoredeestarearendereragione. Finisce (c.121a) «eprenderai « commiato dal consellio e dal comune de la citta e te ne anderai a gloria dea honore. Finiscelo libro di mæstro Brunecto Latini da Fiorenza». Cod. Ashburnhamiano 540 (= a)cartac.sec.XIV;anepigr.e mutilo, dicc. 138. L'Etica finisceac.73t: Explicitelica Aristotilisa Magistro A. in uulgare traslata. Il resto del Tesoro si arresta a cc.88 (lib.VII, cap.27]; a c.90 è un capitolo in terza rima di Dante: lo scrissi già d'amor pii uolte in rime,con una notizia sull'occasione ch'ebbe il poeta di scriver quella poesia;a c.94 è una legienda chome tre monaci andarono nel paradiso di lutiano. il qual e in terra... Seguono altri scritti,tra cui un framm. del Fiore di filosofi. Cod.Gaddiano cartac. sec.XIV,acef.e mut.; ilprimo foglio è aggiunto di mano diJacopo Gaddi, dicc.147, sciupatodall'acqua. Ilcodice si chiude con l'Etica,ed ha questa soscrizione: Finito el libro fatto e chon pulato per Latini. Il cod.come si vede da un'indicazione sulla guardia,apparteneva a'figliuoli di « Giouanni di ser Andrea di Michele « Benci lanaiolo cittadino fiorentino ». Cod.Laurenziano42.23(= ) membr.sec.XIV,contitoliinrossoe le iniziali colorate, e il ritratto del mæstro, in principio, dipinto nell'atto che insegna; di cc. 142. Il testo è diviso in tre parti: dopo la prima è un indice della materia precedente; un altro indice di tutta la rimanente m a teria trovasi alla fine del codice. L'Etica va da c. 59! « Cominciamento del « segondo libro del Tesoro lo quale e appella l'eticha che compuose Ari « slotile » a c.774 « Explicit hetica Aristotilis a magistro A. in uol. «gare traslectata». Infinedelcod.: «Explicitlibroloqualefuecomposto per lo mæstro Brunetto Latino di fiorenza et poi traslectato di fran ciescho in latino (Bondi pisano mi scrisse dio lo benedisse. Testario sopra nome, dio lo caui di gienoua di prigione. et a llui et a li autri che ui sono e da dio abiano benizione.Amen amen). La soscrizione è di mano dello stesso copista. Cod.Laurenziano 90 Inf.46 (= d)cartac.sec.XIV exc.,aduecolonne; titoli in rosso e iniziali colorate; di cc. L'Etica va da c. 74+ (Qui co. mincia l'ectica d'Aristotile et est la segonda parte del Tesoro) a c. 100a (Explicit l'etica Aristotile in questo tanto che io noe trouata).In fine del codice: Qui fenisce lo sourano libro-Explicit lo libro del Tresoro. Cod. Magliabechiano 2. 8. 36 (vecch. segn. 25. 258] secc. XIII-XIV: acefalo e mutilo di cc.91. Comincia al lib.II, P. I,cap.19 efinisceal lib.III,P.II,cap.21. L'Etica finisceac.19a,senza alcuna soscrizione. Tra il compimento della prima parte e il principio della seconda (cc.44-75)sono della stessa mano alcune tavole planetarie e astrologiche, tavole ad lunam et ad Pascham inveniandas etc. Proven.Strozzi. Cod.Palatino cartac. sec.XIVexc.,dicc.214; miscell.Con tiene,oltre il Tesoro,ilLibro di amæstramenti di costumi,le cinque chiari della sapienza,iltrattatodelle quattro Virtù morali,lo libro di Chato. L'Etica va da c.87+ Qui chominciano le robriche del secondo libro del Tesoro, cioèd'eticha d'Aristotile- epoi: Quisi chomincialo secondo libro del Tesoro e primamente dell'ecitta d'Aristotile) a c.115a [Explicit Etica Aristotilis a Magistro Tadeo in vulgari traslatta ta deo grazias. Finisce il Tesoro a c.175a.Al recto dell'ultima carta,dimano di poco po. steriore, si legge « Questo libro è di Giuliano di Giouanni Quaratesi: chi llo « achatta, piaccagli renderlo per l'amore di dio, e dalle lucerne e da' fan «ciullilorighuardi».Com.iltestodel Tesoro: «Questo è lo librochessi «chiama Texoro loqualeèchauato dalla bibbiæde'libridifilosofi a che ssono stati per li tempi ». Cod.Riccardiano 2221 (= 2)membr.sec.XIV,di cc.127; iniziali co lorateefregiate. L'Eticavadac. 58'«Incipit libbro elichaAristotile» a c.75'«Expicit libbrod'etichaAristotile».A c.1224: Qui finiscielo libro di mastro bruneto Latini da fiorensa. Si nota una grande confusione nella distribuzione della materia dell'Etica,prodotta dallo spostamento di varie parti.   Cod.Laurenziano 42. 19 (= P) membr.sec.XIV, a due colonne,con molte miniature e iniziali colorate; di cc.93. L`Etica va da c.40a « Qui « comincia la seconda parte del Tesoro di Burnetto Latino el quale libro e si chiama la ethica d'Aristotile » a c. 51a « Qui finisce l'Eticha d'Ari a stotile ». = u. membr. Cod.Casanatense1911(= )cart.sec.XV,dicc.130;anepigr.mutilo. L'Etica va da c.33* Qui chomincia il nobile libro che fecie il sauio Ari.   stotilefilosafocioèl'Eticasua)ac.45 (fincieillibrodel'etica). Inun'av. vertenza apposta al codice stesso è notata la mancanza della parteche ri guarda la Politica (lib.IX); vi si trova la teologia,divisa in due parti; com.: Voiuoresti ch'ioviconfortassi l'animeuostremaio dubito fare ilchontrario.;(in questo trattato si parla di dio,angeli,sacramenti, del l'anima).Nel fl.r.membr.della guardia è un indice della materia che giunge sino alla natura del delfino (V libro). Cod.Magliabechiano2.2.82(= n)cartac.sec.XV,dicc.111,mutilo; siarresta al principio dell'Elica (cap.1): sièinutileinquestascienza. Inc.: Qui comincia lo libro il quale fece ser Benedecto (sic) Latini di firense e parla della nascienza di tutte le chose e æ nome il Tesoro. L'Etica ha questo tit.: Qui comincia il sechondo libro del Tesoro facto per ser Brunetto latini di firenze il quale parla dell'ethica di Aristotile. Si trovano in questo codice altri volgarizzamenti da Seneca, Boezio, G e ronimo etc. Cod.Magliabechiano2.2.48(= v)cartac. sec.XV,dicc.153,mutilo; e x p l. « Q u i d i c i e della Branchacio e d i c h oncrusione ». I n c.: In comincia il Tesoro di Latini da Firenze conpilato in francescho. L'Etica va da c.60a [Qui parlla il mæstro della beatitudine.coe.parlla Aristotile sopra l'eticha] a c.81* [Qui finisce il secondo libro di questo trattato di ser Brunetto Latini oue brieuemente a trattato della beatitudine e delle uirttu sopra l’etica d’Arisstotile. Al mar g. i n f. della prima pagina si legge il nome di un possessore: Concini. I CODICI MUTILI DEL TESORO. Cod.Leopold.Gaddiano IV (= 0) membr.sec.XIV,a due colonne,con la iniziale dorata e dentro essa l'effigie dell'autore; di cc.40. Inc.: Qui in. chomincia el Tesoro di ser burnetto Latino di firenze. E parla del na. scimento e de la natura di tutte le cose. Si arresta alle parole « allora «uegnonolichacciatoriefanno»,cioè al penultimo capitolodellaprima parte (de unicorno).Sul foglio di custodia in fine si legge il nome del possessore « Liber mei Angeli Zenobii de gaddis de florentia ». Cod.Leopold. Gaddiano 26 (= T)cartac.sec.XIV,a due colonne,di cc.88. Inc.: Questo libro si chiama il Tesoro maggiore il quale fece mæstro brunetto Latini di firenze, e tratta della bibia e di filosofia e delle uecchie istorie ad amæstramento di choloro che leggierano.Contiene tutta la prima parte e il prologo della seconda (c. 85): « E poi uerra il prolagho apresso a questo dicha de l'eticha del grande sauio Aristotole ». Cod.Laurenziano 42. 22 (= E)cartac.sec.XIV,di cc.165;titoli in rosso e iniziali colorate, con l'effigie dell'autore in principio; mutilo. Inc.: In nomine Domini Amen. Qui comincia lo libro del Thesoro maggiore, lo quale libro fece mæstro brunetto Latino di fiorenza. Questo primo libro fauella del nascimento di tutte le cose di filosophia et di sue parti. Prologue de la natura di tutte cose. Si arresta alla prima parte: « per « ragunare la secunda parte di questo thesoro che dia essere da pietre pre «tiosecioecharbonchi perlle diamanti».La lezione di questocodice in moltissimi punti si allontana da quella comune delle stampe e dei codici, non solo per diversità di espressioni,ma anche per copia e qualità di notizie. Cod.Laurenziano 42. 20 (= B)membr.sec.XIV,a due colonne,col ri. tratto dell'autore in principio; titoli in rosso e iniziali colorate, di cc. 112. Inc. « Questo libro e chiamato il tesoro magiore il quale fece ser burnetto. « Latini di firenze il quale tratta de la bibbia et di filosofia et del cho « minciamento del mondo e de l'antichita de le uecchie istorie et de le a nature di tutte chose insomma ad amæstramento e dottrina di molti. «Ed erechato di francescho in uolgare apertamente».Comprende la prima parte e il prologo della seconda: Qui parla alquanto d'eticha d'A ristotile.A c.112a è un elenco de're di Francia. Cod.Laurensinno 42. 21 (= p) cartac.sec.XV,di cc.70. Inc.: Qui comincia il libro del Tesoro il qual fe ser brunetto da fiorença e parla del nascimento di tutte le cose.Contiene fino a tutto il libro V. Molte varianti. Cod.Magliabech.VIII.1375 (= U) membr. sec.XIV. Anepigr.,acef., matilo, dicc.32,aduecolonne,con le iniziali colorate.Proven.Strozzi.ediz.. Romagn., Bologna)ne «elliuengnano. Etperciononæinloropuntodifermeçça ketuttecose ve tutte creature si muouono e si mutano in alimento percio dico ken « questi tre tempi cioe li passati e li presenti e quelli ke sono a uenire non a sono niente se del pensiero noe a chuelli souiene de le cose passate e in « guarda la presente ed atente quelle ke deono uenire » etc.... sino a c. 41 (p. 94, ed. cit.) « e la reina non uolse aconsentire al matrimonio anzi la « uolea donare ». Da questo punto ch'è evidentemente interrotto, per man. canza di nesso con la pagina seguente,la distribuzione e l'entità della m a teria sembra in gran parte diversa dalla comune del Tesoro. Riferiamo talune rubriche: a c. 5a il cod. seguita « dira qui apresso Lamet frate di    Comelore Manfredi prega il ppche li concedess e il ren gno etc. etc. Seguita quindi a dire di Manfredi e della battaglia di Benevento e di Carlo d'Angiò e di Gianni da Procida e de'Vespri,lungamente.Vengono appresso altre narrazioni « Come si lamenta il conte Giordano Cod.Palatino 483 (= Q)cartac.sec.XV,dicc.65. Inc.:Quichomincia lo libro il quale fecie ser Benedetto Latini di firenze e parlla della n a scienza di tutte le chose e a'l nome il Tesoro. Comprende la prima parte e il prologo della seconda. Ne resta esclusa dunque l'Etica e il resto del Tesoro. Insieme con questo codice si trova legato un altro, di mano diversa, contenente iframmenti del Buouo d'Antona,in ga rima. Cod.Riccardiano2196(= w)membr.sec.XV,aduecolonne,dicc.67. Si ferma al punto ove parla del « modo di trovare l'acqua e delle cisterne » È da notare che ci troviamo di fronte a una lezione ben diversa dalla più comune. CONCETTO MARCHESI.  «Giosepoe figliuolo diJacobetc.... Come sicominciai agioaltempo «diSaulediJerusalem– Loquintoagiosicominciaquandoigiudei «eranoinpregione Danielf.gesseediSaul ·delgloriosoreSalomone «profetta de elias deloredugidiTebas– dieliseusprofete. de « isaie profette de germie profette etc. etc. ». A c. 9 abbiamo un cata logo di pontefici: segue la storia della chiesa di Roma e di Costantino. Poi « Come franceschi perdero lo 'perio di lo re imperadore di Roma « primo taliano di beringhieri come perdeo la sengnoria e uenne amao «dotto di Sasogna Reame della mangna Arigho della mangna «Comeloredifranciafusconfitto Comelo'peradorepreseliparlati «difrancia Come la chiesa uacantidi buoni pastoritradivalo'peradore tinuamente la natura lauora in tutte cose seguono figure astrono miche,della luna,del mappamondo. Finisce a c.32. « Dell'altra citta di uerso nasce lo fiume di rodano e uassene dall'altra parte uerso borghon « Francia diuide in « gnia e per proenza molto correndo e anzi che lli sia a mare si «duepartiellamaggioreparteentrainmare presoadArlil'altrobraccio.». Qui si arresta il codice. Come con KLII, A. FLORENTINUS. qua fortuna. Sunt quivelint ex humili prorsus loco, et infima populi fæce.Sed contra aliisvidetur editus exAiderotta gente,non patricia illa et primaria;duplex enim fuit;sed altera,minus quidem nobili,fedhonefta et liberali. A. certe patrem habuit, et ex gente A. di ctus est a Scriptoribus. Fuere A. fratres Simon et Bonaguida, homines obfcuri, quorum vix nomen ad nos pervenit. Ac A. quoque ip sum narrant non minimam ætatis partem non folum inglorie, sed ignominiose etiam transegisse. Adeo enim ftupidum a natura fuiffe tradunt,ut totis triginta annis n e c literas didicerit, nec honetto ulli artificio aprus fit visus. Itaque v i ctitasse ajunt sordido et illiberali quæftu, occupatum præ foribus sacelli S. Mi. chælis in Horto vendendis minutis candelis, quas ibi religionis causa accendi mos erat. Sed exactis triginta ætatis annis, quafi ex veteri somno experre ctum, et dissipata cerebri caligine, incredibili ardore excitatum ad literas, quarum discendarum ftudio Bononiam, adhuc rudem, et vix in Grammatica eruditum convolasse ajunt. Sed hæc, quæ de A. memoriæ tradidit Philip pus Villanius, quamquam et Florentinus, et non indiligens scriptor, et ad m o d u m antiquus, aliquis in dubium revocat, quod fabulis fimilia videan. tur; qua de re integrum erit unicuique judicium. IÌ. C u m igitur Bononiam venisset, ut optimarum artium ftudiis animum excoleret, in quo omnes consentiunt, FILOSOFIA totum, ac Medicinæ le de dit. Incidit A. adventus ad fcholas noftras in illud tempus, cum Medica facultas, quæ antea ufu fere et exercitatione peritorum tota continebatur, a FILOSOFI tractata, nova luce donari cæperat; fi tamen vetus illa Arabum Philosophia, quæ tunc scholas invaserat,n o n ubique tenebras et caliginem offundere poterat. Sed ita persuasum erat hominibus, atque hæc potislima A. laus fuit, quod primus ex noftris Medicinam cum Philofophia arctissi m o fædere conjunxisse visus sit. Tentaverant id quidem ante A. alii, (h) et erantin Academia noitra ante illum Phyficæ, five,ut dicere ama bant, Phyficalis ientiædoctores,& professores, quifacem A. ipfiprætu. lerant; nec dubito, quin eorum aliquem in scholis noftris audierit. Sed ille unus plus operæ contulit inftaurandis Medicina ftudiis ad ejus fæculi guftum, q u a m fuperiores omnes. Extant adhuc ampla ejus commentaria in libros vete rum Magiftrorum artis Medicæ, partim typis edita, partim manu exarata in locupletiorum bibliothecarum pluteis, quæ primum inter docendum in scholis nusprotulitexlibroHH. Excerpt.Scriptur. Annotaz. del Dot. Ant. M. Biscioni al Conventus S Crucis Flor. Vid. Ci.Mazuccbel,in Conv. di Dante. In Firenze   XVI. "Haddæus Florentiæ natus eft paulo post initium sæculi XIII.,(a) incertum THE, Nnn 2 Obiit anno MCCXCV., ut infra dice- teringum et c. Presentibus Mag. Salveto de tur.Cum igitur,Philippo genarius decesserit, natum oportet Villavio auctore, octo annoMCCXV. Com.Bonon. Ferraria et M a g. Santo de Cesena. Ex Mem. ab Pbilip. Villan, in lib. de laut.Florent. in Append. N. XII. Ex tabulisanni MCCLI., quas Biscio.Ci. Mazuccbel. loc.cit. Jul.Mag. A. professor artis Medicine Vid.Jo.Antr.Vunjted defair.viror. fil. qnd.d n.Alderotti de Florentia fecit Joan. illuftr. et c. nem dn. Anglonis fuum procuratorem ad re Petri Hispani, cipiendam pacem et remifsionem a Loteren. Ro.Pontifexrenunciatus,di&tusif Jeannes XXI., go qui dicitur Rigutius et a Bonino fuo fi commentaria babemus in librum Ifaac Medici, quæ lio et ab omnibus et fingulis aliis de consan- Jubtilitatibus dialecticis abundant. Ilm in hipo guinitate ipsorum... de omni injuria, et pucratem w Arijtotelem scripufe dicitur; nec du offenfione que dicebatur eise facta per Mag. bito, quin bæc fcripta aliquanto ante A. A. vel B.naguidam fuum fratrem commentaria prolierint. Sed quantum bæc illis vel per aliquem de contanguinitate ipforum præjliterint, doctorum hominum judiciun postea vel quæ diceretur eise facts per predictos L o vlendit. A.,   ab eo tradita, m o x ab auditoribus excepta, incredibilem ei famam concilia runt. Id autem in eo potissimum mirabantur homines, quod ita Medicinam tractaret, ut ejus facultatis canones et præcepta ad severioris FILOSOFIA ratio nes exigeret; quod nemo ante illum magno fuccefsu perfecerat. III. In hunc modum recepta eft in scholis noftris vetus illa Medicina FILOSOFICA, fi ita appellare licet, quæ brevi tempore omnes Europæ Acade. mias pervafit, et innumeros Scriptores tulit. Hinc agmen interpretum in Hip pocratem, et Galenum, atque Avicennæ in primis, aliosque veterum Medico rum libros, A. duce; cui non satis ad laudem fuit interpretem dici,sed plufquum interpres a quibufdam dici amavit, et ut alter Hippocrates apud Italos habitus eft. Ejus autem gloffæ, præcipuis Medicinæ libris adjectæ, in scholis communi suffragio receptæ sunt, et pro ordinariis, ut dicere folebant, longo tempore habitæ eodem loco fuerunt apud Medicinx Itudiofos, atque Ac curtianæ gloffæ legum libris appofitæ apud Juris Civilis professores. Magister etiam Medicorum jure di&us eft, ob excellentium Medicorum copiam, qui ex ejus fchola prodierunt. Tanta denique ejus nominis fama, et inre Medica celebritas fuit, ut perinde esset in usu popularis fermonis Thaddæum fequi,  ac Medicinam profiteri. IV. Docere cæpit A.., aut non multo fe rius; eodemque tempore scribendo vacabat, neque operam fuam curandis V.Cum igitur æque felix in curandis ægrotis, acdoctusinscholareputa retur, non folum in civitate noftra Medicinam fecit, sed paflim vocabatur ad curandos magnates, et viros principes per alias Italiæ civitates. Hinc aliquis de illo magnifice potius, quam verescriptum reliquit, non confuevisse illum aliis, quam principibus, et nobiliflimisviris curandis operam præftare. Sed il lud tamen indubium eft, non fivisse aliò fe abduci ad curandum quemquam, nifi pacta ingenti mercede, quæ non tam efiet pro loci diftantia, aut difficul tate curationis, quam pro fui dignitate, et facultatibus eorum, ad quos CU randos vocaretur. Neque far erat de mercede pacisci: nam fibi quoque cau. tum volebat de itu et reditu, accepta ingentis pecuniæ sponsione pro fecurita: te itineris·Dignæ sunt, quæ legantur, tabulæ an. scriptæ,cum Thaddæus Mutinam iturus esset ad curandum Gerardum Rangonum. In iisRan goni procuratores A. promittunt, fe facturos, ut liberum iter et expedi ium ad eam civitatem habeat, fufcipientes in se omne periculum, et impen sam: quod si pactis minime ftetiffent, promiserunt, fe eidem reftituturoster mille libras bononinorum, quas depofiti loco a Thaddæo ipfo accepisse fate bantur. Similes tabulas habemus cum Mutinam rurfus ment. in Parad. ALIGHIERI, dou a vellutela. MEDICINE ! Ita appellati:r a Benvenuto ImolenfiCum evo. apud Ercard. Corp. Histor. med. ævi col 1 1 lo ibid. Sed qui plusquam Commentator a Pbi. qui revera opus fuum tum inscripsit, is fuit Turrisanus A. auditor;de quo alibifermo erit. plufquam Commen M a per amor della verace manna Hic homo, cum penes Italos, ut al. fundature, Paradisi, t e r Hipocras haberetur. Pbilip. Villan. de Laud. Tbali læus ad calcem Commentar. ix A Florentiæ,five de Cl. Florentin. Non per lomondo, percuimo's'afo In picciol tempo gran dortorli feo. Dant.Aligber. de S.Dominico Ord.Prædicator. tis defiderari patiebatur. Docendi tamen, et scribendi laborem intermifit an no,utopinor,cum civilebellum, a Lambertacciis, et Jere. miensibusexcitatum, civitatem noftram miserandum in modum conculit.Sed ipfe quoque fatetur,se aliquando a scribendo ceffasse ob quæstum, quem curan dis ægrotis faciebat. Atque hinc apparet, quæ fides habenda fit Philippo Villanio, cum scribit, A., fpreto lucro, fe totum interpretandis vete. rum Magiftrorum libris dedille. Fallitur etiam Villanius, cum scribit, Thaddæum ftipendio publice conftituto Bononiæ docuiffe; nondum enim, eo vivente,Medicin æ profefforibus ftipendia attributa fuerant. lippo Villanio, aliisque Scriptoribus dictus et, fanna Diretro all'Ostiense et a Taldea (c!Eo anno Mag.Thaddæus Medicorum magitter moritur. Ricobald. Compilat.Cbronolog. pborismos Hippocrat. bulm.  Pbilip. Villan. loc. cit. ægro   evocaretur ad curandum Guidonem Guidonum. Utrasque in Appendice dabi mus.Sed quis credat, in his contractibus bona fide actum? Ego fraude caruisse non arbitror. Facit, ut ita credam, infignis Odofredi locus, ad fraudes pertinens Advocatorum sui temporis; qui cum immodicasmercedes præterjus falque pro suis advocationibus et patrociniis extorquere vellent a clientibus eos adigebant ad ftipendium, quali deberent ex causa mutui.Eodem artificio usum arbitror A., quem ne obulum quidem verisimile eft deposuisse apud Rangoni, et Guidoni procuratores. Sed ego tamen existimo, A., probum hominem et pium, non ita immitem fuiffe, ut tam ingentes pecu-, nias exigeret ab iis, quos curandos aggrederetur. Potius crediderim, hanc cau tionem voluiffe, ne jutta mercede fraudaretur, et damna fibi æquo jure præfta rentur, quæ quacumque ex causa pertulisset. Vocatus aliquando ad curandum Romanum Pontificem, negasse dici tur se iturum, nisi centum aurei nummi in dies fingulos penderentur. Quod cum immodicum videretur iis, quibus negotium datum erat, ut cum Thaddæo transigerent, neque ea de re conveniret; concessit tamen Pontifex, grandem quantumvis pecuniam vitæ et incolumitati fuæ pofthabendam ratus. Mox autem, cum arnice Thaddæum argueret, quod tam magno operam suam locaret, ille admirationem fimulans; ego vero, inquit, multo magis obftupesco, cum ceteri fere viri nobiles, et minores Principes quinquaginta et amplius aureos nummos mihi in dies conferre soleant, tibi, qui maximus es Chriftianorum Principum,grave visum esse,quod centum petierim.Sed Pontifex,ubi A. ftudio optime convaluit, decem millia aureorum eidem rependi juffit, non tam ut tantum virum pro dignitate fua, et ejus meritis remuneraretur, quam ut omnem ab se averteret avaritiæ suspicionem. Itanarrat Philippus Villanius, qui tamen Pontificis nomen filet• Sed hunc fuisse Honorium IV. alii Scriptores tradunt, et in primis Joannes Tortellius in libro de Medicina et Medicis ad Simonem Romanum. Sunt etiam qui hæc tribuant Petro Apono illuftri Medico, de quo alio loco dice mus. Sed credibilenon videtur,tum quiapotiormihiet auctoritas Philippi Villanii, et Joannis Tortellii, quam aliorum multo recentiorum, qui hæc de Petro Apono scripserunt;tum quia Honorii IV.ætate Petrus Aponus nondum ad tantam famam pervenire potuerat, ut ad curandum Pontificem accerseretur. Sunt qui immaniter augent pecuniam, quam Pontifex recuperata valetudine Thaddæo numerari jusserit; nec desunt qui non minus, quam ducenta millia aureorum accepisse dicant. Sed nimis multa mihi etiam videntur pro iis t e m poribus vel ea decem millia, quæ Villanius omnium modeftiffimus narrat. A. certe Medicinam faciens ad ingentes divitias pervenit;nec facile est reperire plures ejus facultatis professores, qui majores fint consecuti. Ejus autem commodis, et utilitatibus consuluit etiam non uno modo Populus Bononiensis. Ei nimirum, et ejus hæredibus concessa eft immunitas a vectiga libus, et remissio ab omni munere publico. Additum eft, ut libere a quovis intra fines Agri Bononienfis prædia, et fundos emere posset, quos vellet; modo ne ab exulibus et profcriptis. Itaque eum voluerunt gaudere omnibus civium commodis,neque iis oneribus obnoxium effe,quæ cives reipublicæ causa sustine re debebant. Ejus quoque discipulis eadem. privilegia, et immunitates populi beneficio concessæ sunt,quibus gaudebant ScholaresJuris Civilis et Canonici. Id autem, nominatim pro auditoribus Mag. A.  ftatutum, aliorum Medicina profefforum auditoribus communicatum est. Ita honor additus est Scholæ ad Simonem Romanum Medicum præftantif  Dicit advocatus, fi promittis mihi fimum. Ex Cot. Vatican. aput Apostol. Zenun milleaureos nominefalarii, nonteneris.Sed in Dissert. Volpian.faciasmihiunum inftrumentum, inquo con Ex Stat. Pop. Bon.tineatur, quod tu teneris mihi dare mille ex vel potius in quibus eji Rubri. causamutui. Odofred.inl. Sifubfpecie.C.de cadeprivilegio Mag.A. ductoris Fixi Polulando. Pbilip, Villan, loc. cit. ce et diicipulorum ejus. Vid.,dow Jo.Tortellius de Medicina& MedicisMedi.   Medicæ,quæ A. potissimum opera magis aucta, et nobilitata,parigradu deinceps fuit cum scholis Legum, et Canonum. X. Nescio quid molettiæ illi etiam intulisse credo Clarellum quendam,ut opinor, Medicum, five quod ejus doctrinam impugnaret, five quod medendi rationem carperet. Queritur de illo in Commentariis ad Joannicii Ifago gen, X I. Habere consuevit in familia sua Thaddæus Medicos aliquot, quibus adjutoribus uteretur five in scholæ muneribus, five in ægrotantium cura. Eo rum aliqua mentio eft in ejus teftamento, quod in Appendice damus. Dome ftica quoque negotia, ne quid esset, quo a suis ftudiis interpellaretur, per pro curatoresaliquando agere consuevit. procuratorem suum conftituit Octavantem Florentinum, affinitati fibi conjunctum,eum, qui Jus Pontificium exeunte fæculo XIII. in scholis noftris docuit;de quo fuo loco diximus. Vit. Append. Pertinet  hoc ad annum tisnominedñe Adelefuefilieipfi Mag. A. dum numero, quo luci altitudő indicatur. dieXV.MajiMag. tia. bus dicitur Regalettus Bunaguide de Floren.Quamdiu vixit priinum dignitatis locum tenuit interMedicinæ profef fores; ac multum ei quoque tribuerunt professores aliarum disciplinarum. Sed gravis offenfionis causa ei aliquando fuit cum Bartholomæo Varignana,qui ex ejus schola, ut verisinile eit,prodierat, et magiftro adhuc vivente ma gnopere celebraricceperat. Receperat ille in Medicina erudiendos quofdam, qui ad A. fcholam ante accesserant. Id ei magno crimini datum eft a A.; ac fortasse erat contra leges scholafticas,vel Academiæ noftræ mo rem. Neque vero aliter to'li diffidium potuit,& sarciri injuria,qua affectum fe credebat A., quam ubi Varignana promisisset omnem pænam pora'em, et fpiritualem ultro subiturum, q u a m in e u m ftatuissent Vicarius Ar. chidiaconi Bononienfis, et aliquot doctores ex Collegio Magiftrorum, arbitri ad tam rem delecti. (c) quæ cum scriberet, nondum, ut arbitror, id auctoritatis consecutus erat, ut hujusmodi obtrectatoris importunitatem fortasse A. natura suspiciofus, et ad inanes metus comparatus; quod,ni fallor, oftendunt etiam tot capta de securitate itinerum, et ftipendiorum fuo rum caurelæ, et iterata fæpius testamenta, de quibus diximus. Id porro ex ejus corporis habitu, et temperamento quid fuisse, pro certo habeo. Ipfe enim de se fatetur, fe somnambulum fuil. fe, (e) et interdum ex alio loco dormientem fine fenfu cecidiile. (f) ipfe (a) Vide tabulassocietatisinterMag.Gen A. doctor Fixice fecitsuum procurato tilemde Cingulo, Lou Mag GuilielmumdeDeza reminomnibusfuiscaufis&negotiisdn. ra fcriptas in Append. deo matrimonio unite trescentas libras Pifa.  Finitus eft tractatus de febribus do norum in forenis de duodecim.Pretereado mino Clarello, qui facit nos evigilare, et tran firepermentemno ftramquidquidmalipo. brasejusdemmonete. ErMen.Con. Bonon. test. Tbad. ir Isag. Joannic. Fortale ad Otavantem, qui putea canonum pro f e f. eundem pertinent, quæ babetad finem cap.36. Hoc eft, inquit, quod dicit tallidicus, qui fa. tereaque Adelæ fratrem, intelligimus extabulis cit omnia mala trautire per mentem noftram.scriptis in Mem. Com. Bon., Dequartoficprocedo:videtur,quod inquibuslegitur: Dn.Octavantedñi Guidalo homo poflitdormiendo fentire, nam dorinien do movetur, ficut patet in furgentibus de no. čte,quorumegofuiunus. Guidalottipater Sed locus fortasse mendojus in pe Bunoniæ degebat, ex Mem. Com.Bonon.,inqui a se avertere poffet. Sed erat accidere debebat, in quo insolens ali navit eidem propter nuzias quinquaginta li. for fuit, Guirlalutti Florentini filium fuiffe,propo cti de Florentia scolaris Bonon... emit dige. ftum. pretio lib.L. bon. Regalettusautem tem XII. A. fere sexagenarius uxorem duxit Ade lam Guidalotti Regaletti filiam,Octavantis, quem ante nominavimus, fo rorem, ex eaque filiam suscepit Minam, quæ adhuc innupta erat, cum Magiftrorum collegium jure tunc dice O &avantem deFlorentiasuumcognatum.Ex Mem, Com. Bonon. batur, nonautem Melicorum; quianonsolum Me XV.Jan. Mag. dicinæ, fed alia,um quoque artium liberalium pro fesjures complectebatur, ut ex ipfis hujus controver A. artis Fixice professor fil. and. Alde rotti de Florentia fuit confeffus habuiife a dño fæ actisapparet,quæin Appendiceexbibentur. Guidalottoqnd.dňi Regalettide Florentiado. Teftamentum fæpius, nec uno in loco A. fecit. Et quoniam perpetuo domicilium Bononiæ habuit, cum aliò diverteret ad curandos magnates, itinerum pericula reputans, propterea teftamentum sæpius fecisse videtur. Sed omnium poftremum Bononiæ condidit, quo cete ra omnia revocavit facta Bononiæ, Florentiæ, Ferrariæ, Romæ, Mediola ni, Venetiis, et alibi. Pro anima fua, et ad pias causas x. mille libras bonon. legavit: quæ immanis summa erat pro ætate illa, et privati hominis facultati bus. Ex his bis mille quingentas libras impendi voluit emendis prædiis pro pauperibus verecundis, quorum administrationem esse voluit penes Fratres de Pocnitentia. Viger ad hanc diem ut cum maxime pium hoc inftitutum,a pru dentissimis civibus adminiftratum in civitate noftra, quo consulitur egettati h o neftorum civium, quibus oitiatim mendicare victum vel natalium, vel ætatis, sexusve conditio fine pudore non finit. Fratribus Minoribus, penes quos sepeliri voluit, ubicumque ejus obitus contigisset, multa legavit. Atque illud viri prudentiam maxime demonftrat, quod præftari voluit in perpetuum ali menta uni ex Fratribus ejus Ordinis qui Parisiis theologiæ studeret, fupra numerum eorum, qui ibidem facris ftudiis destinati esse solerent. Jisdem Fra. tribus Minoribus Conventum erigi voluit, in quo tresdecim Fratres ali possent. Viginti ex fuis scholaribus magis egentes ex albo panno vestiri in die obitus sui mandavit, itemque familiares suos omnes masculos, qui secum eo tempore futuri essent. Statuit etiam impensam funeris fibi apud Fratres Minores cele brandi,& certam insuper summam, pro die feptimo obitus sui, trigesimo, cen tefimo, et anniversario, erogandam in Fratrum refectionem, ut iis diebus pro anima fua preces ad Deum funderent; qui mos ab antiquissimis temporibus ad eam ætatem pervenerat. Exliteris NicolaiIV. In Codicediplom. Quisibisuppetias ferrent, ubieffetopus,tumin docendo, tum in medendo. Etiam Bononiæ for Hanc Biscionius in adnotat. ad Convi. talle, antequan iter aliquod susciperet, teflamen vium ALIGHIERI Adolam vocat., sed in testamento tum fecerat, quod indicatum vidinius in Memor. Autograpbo en Adela. mff. Biblioth. publ. Bonon. Com. Bonon. ejus anni. (Quia Fratribus Minoribus quidquam pof Jam inde Uher- fidere non licebat, voluit ut medietas predicte tus facerdos Sanctæ Catharinæ de Saragotia contingentis ipfi Opizo perveniat ad Dominas legaverat X. corbes frumenti pauperibus vere cundis, ut ex ejus tejlamerto apud Fraires Mi- cujus dicte Domine nores: ex quo apparet ejus pii inflituti anti pendere pro necessitatibus Fratrum Minorum quitas. infirmorum fenum et forenfium. Vide teftam. Hos duos Medicos in schola fua, uti T. in Append. credibile efl, eruditos, in sua familia babebat, et Sorores S. Clare civitatis Florentie fructus et Sorores teneantur ex 1 mo N ipse extremum obiit diem. Sed ante illud tempus filium genuerat ex illegiti mo complexu.Hic patrisnomen geflit, & vulgo Thaddæolus dicebatur,cum que Nicolaus jure legitimorum nataliumdonavit. De bibliotheca sua in hunc modum ftatuit.Avicenna opera,quatuor voluminibus contenta, et Galeni item, quæ totidem voluminibus comprehensa erant,Fratribus Minoribus ea conditione legavit,ne ullo umquam tempore alie nari, diftrahive possent, aut e Conventu ipfo exportari. Fratribus B. Marize Servis legavit Metaphysicam Avicenna, Ethicam Aristotelis, et Sextum de N a turalibus Avicenna in majori volumine. Magiftro Nicolao Faventino Glossas fuas omnes, quas scripserat in veterum Medicorum libros, et Almanforem suum, et Magiftro Johanni Affifinati Serapionem suum,& Sextum de N a turalibus Avicennæ in minori volumine, fi quidem uterque in familia sua esset tempore obitus sui. Adelæ uxori fuæ,præter aliquam pecuniæ summam, cu biculi sui supellectilem omnem legavit, & veftes, & gemmas,exceptis dumta. xat valis aureis, et argenteis, et usumfructum domus Florentiæ in via S. Cru cis,& fundosinagro Florentino. Hæredesautem inftituit Minamfiliamsuam A. filium naturalem, et Opizum Bonaguidæ fratris sui filium; quibus, fi abfque filiis masculis legitimis decessissent, Fratres Minores, et pauperes verecundos fubftituit. Nupfit hæc A. filia Dorgo Pulcio Florentino sum X V. Obiit A. cum annos octoginta vixisset. Fuit autem ejus mors repentina, ut narrat Benvenutus Imolenlis, Dantis inter pres. Tumulatus eft apud Fratres Minores, quos vivus magnopere dilexerat, et apud quos ægrotus etiam aliquando sub extremum vitæfuæ tempus jacue rat. Sedejus fepulchrimagnifice extructi, & elegantis,quod eratprope januam Ecclefiæ, propter recentiora ædificia ibidem excitata, nulla jam vefti. Manni degli antichi Sigilli. Nicolaus V.mandavit utHofpitale S.AntoniiPatavini, quod FratresTer dieXX.Marzii A. Ordinis, five de Penitentia,ex bonis bæredita dæus erat in vivis, ut ex charta societatis in riis Mag. A. Bononiæ erexerant,indomum ter Mag. Gentilem Cingulanum, g Mag. Gui. pro Sanétimonialibus Franciscanis, ex Monasterio lielmum Dexarensem, quam in Append. danus. Ferrarienfi Corporis Cbriflitra. lucendis, convertere. Af eodem annoaddiem XVII. Juliiinvivisef tur.Sed r jijtentibus Fratribus,res ita compofita eft de defiderat, ut ex bis tabulis, quas indicavit infequentiannoper Bifurionem Bononiæ Legatum, CI. Montius:, die XVII. Jul. ut iratres Ecclefiam S. Antonii, cu aljacentes D. Ugolinus de Montezanico Dn. Novellonus ætes cum molicocenfuad bufpitalitatemexercen Megloris de Florentia Dn. Amadeus Poete damretinerent; fedbonareliqua,quæadeosex Dn.Frater Raynucciusqund. Deotaiuti com bereditate Mag.7budlæi pervenerant, novo Par milfarii et executores testamenti egregii vi tbenoni pro Sanctimonialibus Corporis Christi con ri& discreti Mag. A. Aruendo attribuerentur:pero qui fuit de Florentia artis Filice profetforis featumest, Catharina Vigria, quamnuncinSan. Fuerunt confeffihabuiffeadñoBartholomeo clarum Virginum album relatam veneramur, cum  MEDICINE mo genere nato. A. autem fivequod cælibem vitam duxerit,five quod filios non genuerit, aut pofteritatis memoria apud nos diu fuperftites non habuerit, certe nulla ejus superfuit. Sed opulenta Mag. A. hæreditas non ita humanis cafibus subjecta fuit, ut nobiles ejus reliquis non exiftant. Sanctillimum enim ad hanc diem civitatis noitræ Monasterium Corporis Chrifti, et Collegium Puellarum S. Crucis ex bonis hæreditariis Mag. A. initium legata insuper alia, quæ legi poffunt in tefta quali acceperunt. Mittimus mento ipso, quod in Appendice exhibemus. Unum addimus, quod maxi me memorandum videtur,aureosnempe florenos xv.in annos fingulos legatos Zco Scansalti Pisado, quamdiu futurus effer in Januensium carceribus, ex qui bus ubi eum liberari contigiffet, cc. libras bonon. eidem perfolvi a suis hæredia bus mandavit. Nota est ex eorum tima Pilanorum cum Januensibus rum vires miserandum in modum temporum scriptoribus infelix pugna mari pugnata,qua Pisano pax convenit. Tunc bello capri, qui supererant, redditi funt, effæti prope enecti. Diligentissimus Mannius jam, et tam longi carceris incommodis proftratæ funt. Magna corum cædes fuit, abductus præfertim ex nobilioribus. Ne atque ingens numerus in captivitatem que ullis conditionibus adduci potuere victores, ut captivos redderent. Ita enim confilium fuit sobolem invifæ primariis civibus detentis, ne procreandis liberis dare operam poffent, fuccide. civitatis impedire, totque fortissimis viris, ac re nervos civitatis, usque in illud tempus potentissimæ. Itaque non ante annos Sigillum Universitatis Carceratorum Januæ detentorum illustrat. Ex eorum numero erat Zeus Scanfalti, amicus, ut opinor, Thaddæi; qui quam pronus effet ad ferendam miseris opem, cum ex hoc, tum ex fingulis fere teftamenti sui capitibus liquet.Dn.Mina quondam Mag. A. Corporis Cbrisi, W Puellarum S. Crucis, quæ A. uxor Dorgiquondam Dorgi dePula vidit, lowindicavitCi.Montius. cis.Ex tabulisan.inarcbiv. publ.Flo vent. Inilicavit Cl. Biscion. Vide Append. gia pauci supererant, Ecclefiam S. Antonii, d adja centes æles, bonaque omnia ad eum locum perti deus confeffus eft quod ipse emit quandam pe. tiam terre... Actum in loco Fratr. Minor, ! Blanchi Cofe for. auri cccc, depofitos ab ipfo aliquot aliis Monialibus ex Ferrariensi Monaste. Mag. A. et c.Ex Mem.Com.Bonon. rio in nouum buc noftrum commigrantibus. Anno autem Fratres sertii Ordinis,qui Pbilippus Villan..die... Mag. A. nentia,erigendoPuellarumpericlitantium domici in camara Ministri ubi Mag. A. ja lio libere tradiderunt, quod in via S. Mamæ acebat infirmus prefentibus Mag. Bertolaccio, mæniffimo civitatis locu, non longe a Monasterio Fratris Venture Mag Nicolao de Faventia Corporis Cbrijli,conjtructumest,a S.Crucisti. &c. ExMem.Com.Bonon. tulo infignitum. Hæc ex monumentis Monialium   gia supersunt. Minime igitur audiendus eft Joannes Villanius, qui A. obitum protrahita, aut fi quis est alius, qui in aliud tempus referat. Paulo poft ejus mortem dillidium ortum est inter Fratres Ter tii Ordinis, five de Pænitentia, et Priorem fratrum Prædicatorum, ac Guardianum Fratrum Minorum in eligendis pauperibus ad præfcriptum teftamenti ip fius Mag. A.. Sed litem omnem fuftulit Dinus Mugellanus, clarus legum interpres, qui per illud tempus Bononiæ docebat, cui utraque pars arbitrium dederat. Possem hic plura Scriptorum teftimonia de A. admodum ho norifica afferre; possem et Scriptores multos emendare, multos supplere,qui de illo vel minus diligenter, vel minus vere scripserunt; in quo numero sunt præsertim scriptores noftri Alidofius, et Ghirardaccius. Sed hæc curabunt, qui magis otio abundant. Nunc ejus scripta recensenda funt, quæ et multa fue. runt, et magno in pretio habita. A. SCRIPTA. Expositio in arduum Ipocratis volumen. Galenus Aphorismos Hippocratis illuftri commentario exornavit. A. et Hippocratis Aphorismos, et Galeni commentarium diligenter exposuit.Cum autem in septem libros, fivepar ticulas Hippocratis volumen Aphorismorum diftributum fit, A. fcripto tradidit expofitionem suam in sex priora capita, eamque absolvit. Decimadie Septemb., utadejuscalcem adnotatum efttam in editis exemplaribus, quam in manu exarato, quod vidi in bibliotheca, Collegii Hispanorum Bononiæ. Eft autem hoc A. opus valde proli xum, cuiscribendo non uno tempore insudavit. Sic enim ad ejus finem ait: In his particulis explanandis diversa fuerunt tempora. N a m cum efjorn in nono anno mei regiminis (qui publice docebant regere tur) incepi gloffare Aphorismos a principio. Et infpatiofex menfium glossa. v i primam, fecundam, tertiam, a quartam particulas, a quintam usque ad illum Aphorismum: Mulieri menstrua fine colore. Tunc autem fupersedi, convertens me ad glosas, quas fuper Tegni feceram, completiores edendas; quas perfeci usque ad illud capitulum caufarum: Ad inventionem vero salu brium. Ibidem vero deftiti impeditus a guerra civitatis Bononiæ, au lucrati va operatione distractus. Poft vero placuit mihi refumere, ut complerem glof fas Aphorismorum, addendo ad eas, quas primo feceram. Et feci additiones Super primam, Be fecundam, no quartam particulam. In tertia vero particu la solum glossas veteres divis: Item in quinta particula super veteribies glosis quas feceram primo nullam additionem feci. Incepi autem de nova glosam in illo Aphorismo: Mulieri menftrua fine colore, ut dictum est. Quod hic habetde Bononiensium bello, pertinerevideturad Lambertacciorum, et Jeremienfium turbas, civitas noftra pæne desolata eft. Cum autem nono anno poftquam docere cæperat, ad inter pretandum Hippocratis Aphorismos le contulerit, in eoque opere tempus aliquod impendere debuerit, et rursum eo dimiffo, librum Tegni interpre tandum susceperit, et in eo verfatus fit, quoad Bononiæ in otio quietus esse potuit; subductis rationibus apparet, debuisse illum publice docendi in scholis noftris munus suscipere, imo ditavit hortulanum fuum. Vixit autem renze, noftro cittadino, il quale fu sommo Fisiciano sopra tutti. Je. scholas diceban  4. ооо annis Fuit Thaddæus medicus famosus, apud Murat. Antiq. med. ævi To. conterraneus auctoris, Dantis qui le In questo tempo morì in Bologna git& scripsit Bononiæ& vocatuseitplus. M. A. detto da Bologna, ma era di Fi. quam commentator.Et factus est ditiflimus, et mortuus est morte repen Villan, tina, et fepultus eft Bononiæ ante portam Extar Dini confilium,five fententia in Minorum in pulchra et marmorea sepultu- arcbivo Fratr. Prædicat. Bonon. ra. Benvenut. Imol. comment, in Purgat. ALIGHIERI Ad   Ad septimam particulam Aphorismorum quod attinet, Thaddæus perpetua in eam commentaria non reliquit, sed monuit auditores suos, fi quis voluif fet ex ore docentis excerpere, quæ in nenda in schola protulisset, fe deinde emendaturum, et utin ordinem re digerentur curaturum. Sic enim inquit: immediate Icribere intendo. Sed fi quis de meis auditoribus notare voluerit eas corrigam, o in petias redigi faciam. Hæc autem verba fcripfi, ut si alicubi minus completa expositio reperiatur, non adfcribatur ignorantiæ, fed potius novitati, a pigritiæ scriptoris. Sed Thaddæi commentaria in septi m a m partem Aphorismorum nufpiam apparent, et ejus loco circumferri solebat expofitio Zancarii, de quo alio loco dicemus. Expositio in divinum Hipocratis Pronosticorum volumen, A d cujus finem ita ada notatum eft in editis exemplaribus. Explicit liber tertius yra ultimus Pro. nofticorum Hipocratis fecundum antiquam translationem a A. Florentina explanatus. Sed revera Thaddäus ipfe non unam translationem præ mani bus habuit, fed faltem duas. Ad extrema vero capita, seu textus libri tertii nihil adnotavit A., aut certe nihil adnotatum reperio in edis tis exemplaribus; manu enim scripta explorare non licuit. A. Florentini in præclarum regiminis acutorum morborum Hipocratis volu men expositio. Hanc Thaddæus in proæmio fatetur se maxime procudisse ut rem gratam faceret Bartholomæo Veronenfi, quem fibi dilectiffimum vocat, et pollentis ingenii; aitque,non minimo fibi adjumento fuisse ad id operis perficiendum. Non attigit A., nisi tres priores libros hujus operis, ratus fortasse, quartum non effe legitimum Hippocratis færum,quod aliis visum erat, ut fatetur Galenus ipfe initio commentariorum in hunc quartum librum de regimine acutorum. Suam porro diligentiam oftendit A. in his commentariis exarandis, appellans ad verfionem Græcam, ubi in ea, quæ ex Arabica facta erat, vitium suspicabatur. Atque hinc apparet, duplicem ejus libri interpretationem per illud tempus in doctorum manibus verfatam fuisse, quarum altera ex Græca, altera ex Ara. bica lingua ducta erat. In fubtiliffimum figogarum Johannicii libellum expositio. E a m fic concludit A.: Scio tamen, quod de his obscure dixi, Jed fellus f u m a deficit charta: misera excusatio, et vix fapienti homine digna. Quæ hactenus recensuimus A. opera in unum volumen redacta Venetiis edita sunt per Lucam Antonium Junctam curante Joan ne Baptista Nicolino Sallodienfi, qui in epiftola nuncupatoria ad Aliobel. lum Averoldum Polenfium Antiftitem, et Romani Pontificis Legatum ad Venetos, impense A. laudat, illumque dicit, nonnisi ad lapsam Extat hic A. liber in Codice Vaticano, ejufque hæc eft æcono. mia. Initio agit de corpore sano, ejusque, ut ita dicam, essentia, et va. riis sanitatis gradibus; tum pergit in hunc modum: Nota quod dicit Johan nicius, quod fi unaquæque res naturalis propriam naturam jervaverit, facit fanitatem, fi vero ipfam dimiferit, facit ægritudinem, vel neutralitatem, fta tum fcilicet, quo necfanum eft, necægrum. Sequitur in hunc modum usque ad finem libri: Nota quod dicit Galenus; nota quod dicit Hipocras, Avicenna.Nota quod venæ non dicuntur oriri ab epate quod oriantur ex ea dem materia v c. Nota differentiam arteriarum ad venarum, originem nervorum W c. Nota quod partes totius capitis funt quatuor B c. Inter has notationes, in quibus totus hic liber decurrit, aliquas quæftiones interferit, Ad text. X. lib. I. ita inquit: Alia quod patet per translationem Græcam. Liba translatio non ponit hic nifi duos colores et c. III. text. X. ea Aphorismorum particula expo Super feptima vero particula nihil principum fanitatem recuperandam vocari consuevisse. Auctoritates are definitiones fuper libro Tegni, quamplures utiles dubitationes. uti Unde dicendum quod litera Arabica, Cod. Vatic. ex qua fumitur illa auctoritas, elt corrupta, 1 uti est illa: Quæritur hic an dari poffit membrum, quod nec recipitur, nec tribuit. Nunquam editus eft hic A. liber, quem ne ipse quidem au ctor satis elimatum cenfuit. Itaque rurlus Artem parvam Galeni, sive li brum Tegni interpretandum suscepit. Habemus hoc A. opus typis editum Neapoli cum hoc titulo: Commentaria in artem parvam Galeni. Neapolianno.Horum initiofatetur, fe præmaturam aliamexpo fitionem Artis parvæ edidisse,hisverbis: Atveroquoniamfuper eundem librum expofitionem facere necessitas compulit præmaturam, in qua non ut expedit Galeni instituta patefeci". Ideo e c. Magiftri A. conflia. In Codice Vaticano consilia Medica A. sunt centum quinquaginta sex.Minore numero,imo perpauca,lirecte memi ni, funt in codice bibliothecæ Cæsenaris Fratrum Minorum. Primum in utroque codice est de debilitate visus. Ultimum in codice Vaticano eft de virtute Aquæ vitis. Docet in eo modum præparandi alembicum cu. preum. Incipit: A d faciendam Aquam vitem, quæ alio nomine dicitur aqua ardens. Eft unum ex his consiliis de minctu urinæ cum fanguine. Incipit: Conqueftus est dn. Bartoločtus comes. Eft is Bartholottus comes Ripæ Insulæ Suzariæ et Bardinæ, de quo plura diximus, ubi de Rolandino Passagerio a r tis Notariæ doctore agebamus. Eft aliud A. confilium ad midtum f a n guinis pro Duce Venetiarum. Aliud item de impedimento loquelæ propter mollitiem linguæ. Incipit: Cura comitis Bertholdi. In librum Galeni de crisi. Eft in codice Vaticano. Magiftri A. de Florentia quæftio de augmento. Eft in codice Vatica A. artis Medicinæ in civitate Bononiæ doctorem. Eft in codice bi. bliothecæ Eftenfis, tefte Muratorio. Idem Italice extat, scriptus in m o d u m epistolæ cuidam ex Neriis Florentinis. Incipit: Imperciocchè la con dizione del corpo umano. Extat etiam latine typis editus Bononiæ cum libelló Mag.Benedicti de Nurlia ejusdem argumenti. Num autem Italice scriptus fit libellus ifte ab auctore suo, an latine, mihi non conftat. Italica tamen lingua, quæ tum nitefcere, et a Scriptoribus nobilitari cceperat, delectatum constat A., qui Ariftotelis Ethicam in eam linguam vertit; quamquam hunc ejus laborem haud magnopere laudandum exiftimarit Dantes in Convivio, ubi ait, velle se suum illum librum Italica, five, ut ipfe inquit, vulgari lingua donare, ne ab alio quopiam interprete vitietur, ut Ethicæ Ariftotelis contigit, quam A. dæus Italicam fecit. Eum purgare nititur Biscionius,vitio vertens non tam A., qui Italicam ex Latina non bonam, quam veteri interpre ti,qui nihilo meliorem ex Græca Latinam fecerat Ariftotelis Ethicam.Sed vix quisquam probabit hanc Biscionii defensionem. Id unum enim r e prehendit in A. Dantes Aligherius, quod Italicam interpretationem ejus libri non bonam dederit. Nihil autem impedit, quominus librum aliquem, licet mendofiffimum, et maxime corruptum, optime, quod ad nitorem verborum attinet, interpretari, et in aliam linguam elegantissime quispiam convertere possit. Habuerat A. Aristotelis Ethicam ex Thesauro Latini, ut observat Laurentius Mehus, qui de his abun de disserit in prolegomenis ad epiftolas Ambrofii Camaldulenfis, nuper Flo rentiæ editas. no. Libellus fanitatis conservandæ factus pay adinventus per probiffimum virum Mag. (f)E temendo,cheilvolgarenonfosse dato posto per alcuno, che l'avelse laido fat.  Epift.Ambrof.Cam. to parere, come fece quegli, che tramutò il Ooo 2  Cod. Vatic. 2 Expe latino dell'Etica, ciò fu A. Ipocratita  provvidi di ponere lui, fidandomi di me più (d) Murat.To.IX.Rer.Ital.Script.p.583. che d'un'altro.Convito di Dante.In Firenze Vid.Biscion.Annot.al Convitodi Dan Experimenta Mag. A. probata ab ipfo. Hunc titulum habet collectio ex. perimentorum Medicinalium Thaddæi in codice Vaticano. (a) Incipit: Omnes herbee a radices quæ debent prius coqui, abluantur mundentur Poit brevem præfationem, fire inftructionem, defcribere incipit primum Syrupos varii generis. Receptio Syrupi majoris fecundum M. T. Syrupus Jor. danus M. T. ad correctiones epatis aut fplenis  c. Deinde describit electua ria, inter quæ hæc confectio locum habet: Confectio qua utuntur magna tes in curia Romana, vagy maxime convenit in æftate fanguinem mundificans, colera fuaviter educitur. R. pulpæ Caffic fi. Tamarindorum 3. pe. nidii.zuc.violati añş.x.Syrupi violati, Ġ.Mirrhæ s3 conficianturfive dissolvantur cum tali fucco. X. Prunorum.ios feminum ordei mundi. lic quir. añ i 2 cum ifta aqua decoquatur usque ad spissitudinem mellis. Dein pergit ad vina medicata. In his ett Aqua vitis ad calculum M. B. ideft, M a. giftri Bartholomæi de Varignana, ut opinor, medici celeberrimi, cujus infra mentionem faciemus. Tum de oleis agitur, ibidemque describitur Tragea M. T. et Tragea M. B., ideft, Magiftri A., et Magiftri Bartholomæi. Pulveres fubinde varii, et pilulæ, et unguenta describuntur, tum remedia quædam ad peculiares morbos. N e c desunt fuperftitiofa quædam, et vanissima. Tale eft illud: Ut homo poffit ire super ignem fine læfio. ne. Dicas ifta verba. ter in nomine individuæ Trinitatis.Abyfon. Dalma. tiu, vel Magata, v e a s nudus. Emplaftra quædam poft hæc describuntur: fed in hujus libri extremis partibus vix ordo ullus apparet, ut conjicere liceat, aliena manu aliquid genuinis Thaddæi experimentis additum; quo ex genere esse arbitror superftitiola illa, quæ dixi. De Interioribus libri VI.a mag. A. correcti. Ita in codice Vaticano. A. de Bononia de aquis, oleis, a vinis medicatis. Extat inter codices mo locorecensuitejus Commentariain Ipocratem, mox Commentariain Avicennam; nam neque in alia Hippocratis opera fcripfit A., quam quæ indicavimus, quæque vel iple Biscionius feorfim poftea enumerat; nec ulla in Avicennam Commentaria scripsisse comperio.Addit tamen idem Biscionius descriptionem pulveris mirabilis Mag. A., quam re perit ad calcem libri M a g. Aldobrandini. E g o alterius pulveris descriptio n e m in hunc m o d u m reperi ad calcem Almansoris, ideft, libri Rasis in codice Vaticano. Recepta quam mag.Taddeusreliquitpauperibus in te ftamento: Cinamomi eleli s Macis. Croci aš 3 ij. Sene s fiat pul vis poftea R u s Tartari albi fubtilissime pulverizati, a misce fimul. Dosis ejus eft; 3 ij cum brodio poteftconfici cum zuccaro ut melius conserve tur. E u m d e m pulverem defcriptum vidi in codice bibliothecæ Cælepatis Fratrum Minorum inter confilia Medica Mag. A. ad libri marginem in hunc modum: Pulvis folutivus A. Cinamomi: 5. Macis.Cra ci añ 7. 3. 1. Sene ad pondus predictorum. Fiat pulvis, cui potes addere de zuccaro albo vel rubeo B eft delectabilior. DON  MEDICINE Thomæ Bodleii. Auxit immaniter Biscionius paucis verbis catalogum operum Thaddæi, dum pri (c) To. I. mill. Angliæ. Cod.  (d) Cod. Vatic. Aderotti. Taddeo Alderotti. Alderotti. Keywords: le quattro cause. Refs.: Luigi Speranza, “Grice ed Alderotti” – The Swimming-Pool Library.

 

Luigi Speranza -- Grice ed Alessandro: il lizio a Roma – filosofia italiana – Luigi Speranza (Roma). Filosofo italiano. A member of the Lizio, the friend and teacher of Marco Licinio Crasso. According to Plutarco, A. lives a very modest life and shows a great indifference towards material possessions, behaving more like a member of the Portico than the Lizio. Alessandro

 

Luigi Speranza -- Grice ed Alessandro: Gl’ortelani -- Roma – filosofia italiana – Luigi Speranza (Roma). A philosopher of the Orto, and friend of Plutarco. He may have been the same person as Tito Flavio Alessandro, a sophist and father of another sophist, Tito Flavio Phoenix. Tito Flavio Alessandro. Alessandro.

 

Luigi Speranza -- Grice ed Alessandro – Roma – filosofia italiana – Luigi Speranza (Roma). A public official honoured as a philosopher. Appio Alessandro. Alessandro.

 

Luigi Speranza -- Grice ed Alessandro: il portico a Roma – filosofia italiana – Luigi Speranza (Roma). All that is known of A. is a funerary inscription found in Rome identifying him as a philosopher belonging to The Porch. Tiberio Claudio Alessandro. Alessandro.

 

Luigi Speranza -- Grice ed Alessandro: gl’animali a Roma – filosofia italiana – Luigi Speranza (Roma). He is discussed by Filone, in connection th problems concerning providence and the nature of animals. He pursues a career n public and military life. Tiberio Giulio Alessandro. Alessandro.

 

Luigi Speranza -- Grice ed Alessandro: il tutore di Nerone -- Roma – filosofia italiana – Luig Speranza (Roma). Di Egea, he was a member of the Lizio and tutor to NERONE for a time. He writes a commentary on the Categories of Aristotle, but Nerone wasn’t interested “And that’s how Seneca comes into the picture” – Grice. Alessandro.

 

Luigi Speranza -- Grice ed Alessandro: la filosofia dello schiavo -- Roma – filosofia italiana – Luigi Speranza (Roma). He started life as a slave, but was later freed (or escaped). He goes on to teach philosophy. Alessandro Polyhistor. Alessandro.

 

Luigi Speranza -- Grice ed Alfandari: la ragione conversazionale e le implicature del Deutero-Esperanto – la scuola di Roma – filosofia lazia -- filosofia italiana – Luigi Speranza, pel Gruppo di Gioco di H. P. Grice, The Swimming-Pool Library (Roma). Filosofo romano. Filosofo lazio. Filosofo italiano. Roma, Lazio. Diplomatico. Durante la grande guerra opera come ufficiale di crittografia per il comando supremo militare. Diplomatico dello stato. S’incarica di alcuni lavori di esportazione. Grande conoscitore di lingue. Oltre al “neo,” parla fluentemente sette lingue. Suo è un progetto di inter-lingua di derivazione esperantista, il neo, dato alle stampe solamente in “Méthode rapide de Neo.” Coinvolto in prima persona negl’ambienti bellici e personaggio di spicco della diplomazia, A. sente presto la necessità dell'istituzione di una lingua comune, convinto che essa è la soluzione alle incomprensioni tra le nazioni, inclusi tra gl’italiani. Come i suoi predecessori, vuole che la sua lingua è di facile apprendimento, semplice, libera da ambiguità [H. P. Grice, “Avid ambiguity”], prevedibile. Per questo, pur approvando la grammatica dell'esperanto e del deutero-esperanto di H. P. Grice, decide di semplificare ulteriormente la sua morfologia, prediligendo radici lessicali più brevi - che talvolta però rischiano di produrre nel lettore il risultato opposto, peccando d’ambiguità. Il lessico è volto alla lingua che A. chiama GALLICA, ma sono presenti anche delle influenze dalla lingua latina e dalla lingua italiana (vedi «forse» 'forse' e «sen» 'senza'; ma cf. «somo» 'qualcosa' come l'inglese some (thing); «kras»  'domani' come il latino CRAS) e sintattiche anche dal tedesco e dal russo. La pronuncia, l'accento, l'alfabeto  Nella lingua “neo,” l'alfabeto è LATINO. Ogni lettera corrisponde ad uno e un solo suono preciso, che deve sempre pronunciarsi. Vi sono cinque vocali – A, E, I, O, U -- che possono variare in lunghezza, nonostante la quantità vocalica non sia fonologicamente pertinente, ma ‘implicaturale: NOIOOOOOSO. In presenza di nessi vocalici,  le vocali si pronunciano sempre separatamente.  L'accento cade sulla penultima sillaba nel caso in cui questa sia aperta (es. CV, CCV, come in «libro» ('libro]), sull'ultima nel caso sia chiusa (es. CC, VC, CVC, come in «amik» (a ' mik] da: AMIC-O), e la desinenza del plurale «-s» non modifica l'accento della parola (es. «libros» ['libros]). In una tabella, rappresenta la corrispondenza tra grafi e foni nella lingua neo. Gli ultimi due sono nessi di consonanti.  abcdefghiikmn  kImnopaIsturweyzshes  abtfdefghidkl mnopkwrsturwksis  ts. Gl’articoli sono invariabili e si dividono in determinato («lo») – l’articolo definito di Grice, “il re di Francia e calvo” – l’operatore iota di Peano -- e indeterminato («un»): some (at least one) (Ex). Gli aggettivi e avverbi  Come nell'esperanto, gl’aggettivi – “shaggy” -- terminano necessariamente in «-a» e sono invariabili (ad esempio «un bona soro» e «un bona frato»). Gl’avverbi, allo stesso modo, sono invariabili e, come  in esperanto,terminano in «-e». sostantivi  La derivazione esperantista è evidente anche nella terminazione dei nomi, ottenuta sempre tramite l'aggiunta della vocale finale «-o». La vocale finale dei nomi può essere omessa durante la pronuncia delle parole nel caso in cui questo renda più semplice il continuum del parlato (per esempio nel caso in cui la prima sillaba della parola successiva cominci con suono vocalico), ma mai se la parola termina con nessi consonantici che senza vocale finale risulterebbero di difficile pronuncia (come ad esempio «libr», «metr»; sono permessi invece «garden(o)», «frat(o) »).I pronom. È possibile intravvedere una somiglianza con l'esperanto anche nella scelta dei pronomi soggetto, in particolare nella prima e terza persona singolare [maschile] (rispettivamente «mi» e «li» in Esperanto). Tratto differente è invece la scelta d’A. di mantenere distinte le seconde persone singolari e plurali, quando invece in Esperanto  è presente per entrambe un solo pronome «vi».  Soggetto  Oggetto  Possessivi  1 sing. mi  Me  ma  II sing.  tu Te  ta  III sing. maschile  i  Le  III sing. femminile  el  le/ley  III sing. Neutro 1  le/it I plur.  nos  Ne Il plur. Ve  BSzzBÆu即即8  III plur. maschile  zi  Ze  III plur. femminile  zel  ze/zey riflessivo SO Se. È inoltre presente alla terza persona plurale dei pronomi personali soggetto una forma mista che indica gruppi in cui sono presenti persone o cose di entrambi i sessi «ziel». Si noti che i pronomi personali che sono preceduti da PREPOSIZIONE semplice si presentano alla forma soggetto, e non oggetto, come accade invece in inglese (es. ing. Are you coming with us? [it.  'venite con noi?'] e Neo «Venar vu con nos?», non «Venar vu con ne?»).  I verbi conoscono quattro modi (otto tempi), ciascuno dei quali presenta una specifica desinenza: «-ar» presente, «-ir» passato, «-or» futuro, «-ur» condizionale, «-iu» (monosillabi) o «-u» (polisillabi) imperativo e infinito, «-at» participio passato, «-ande» participio presente, «-inde» participio futuro. SONO QUINDI INESISTENTI IL MODO CONGIUNTIVO E LA MAGGIOR PARTE DEI TEMPI DELL’INDICATIVO ITALIANO. I loro SIGNIFICATI (Grice: utterer’s meaning) sono da formarsi tramite PERI-FRASI con l'ausilio di avverbi  di tempo e modo. I numeri della lingua Neo ricordano foneticamente quelli gallici, sebbene il loro sistema di composizione si avvicini più a quello ITALIANO. I dieci numeri cardinali sono «un, du, tre, qar, gin, sit, sep, ot, non, is». I numeri tra dieci e diciannove si formano posponendo le cifre  appena viste a «is-» (es. «istre» 'tredici'). Le decine successive al dieci si formano aggiungendo «-is» al numero della decina (es. «duis» 'venti', «treis» 'trenta'). A questi è poi possibile apporre altre cifre, del tipo «duisdu» 'ventidue', «treisqar» 'trentaquattro'). Le centinaia si indicano con  «ek» e le migliaia con «mil».  Esempio: 1234 = «mil duek treisqar».  I numeri ordinali si ottengono tramite un processo di suffissazione dei numeri ordinali, per cui si ha «dua» 'secondo', «trea» 'terzo', e così via. Fa eccezione solamente il primo numero, che si  scrive «prima» e non «una». Con queste poche e semplici regole è possibile cominciare a scrivere e parlare nella lingua neo. Essa nasce infatti anche per essere parlata, aspetto che la caratterizza e la differenzia da molti altri progetti. Ma si badi bene, che non lo differenzia dal suo modello diretto, ovvero l'esperanto. La sua peculiarità risiede proprio nella sua adattabilità anche alla prosa letteraria e alla poesia, come dimostrano le numerose traduzioni che il suo inventore offre nei suoi scritti, e non solo quindi alla comunicazione scientifica. Circa una ventina di anni dopo la creazione della lingua, A. si preoccupa anche di pubblicare un manuale di 1300 pagine contenente la grammatica completa e un vocabolario di  60000 parole del Neo. La proposta d’A. riscoge notevole successo, tanto che Dumaine, nel suo compendio delle lingue internazionali ausiliarie, “Précis d'interlinguistique générale et spéciale”, Parigi, scrive il saggio «Recherche d'un compromis Esperanto-Ido-Neo» in “Neo-Bulten,” diretta dallo stesso A., accostando il neo alle altre lingue più conosciute e utilizzate. Proprio questa sua facilità e semplicità le assicura infatti un posto fra i cinque progetti interlinguistici più importanti dalla autorevole International Language Review di Denver. BAUSANI, Le lingue inventate. Linguaggi artificiali. Linguaggi segreti. Linguaggi universali, Roma, Ubaldini. A. RAPID METHOD OF NEO INTER-NATIONAL AUXILIARY LANGUAGE COMPLETE COURSE GRAMMAR, EXERCISES, CONVERSATION-GUIDE  PROSE READINGS AND POEMS  ENGLISH-NEO  and  NEO-ENGLISH  VOCABULARY  EDITIONS BREPOLS S.A. FRIENDS of NEO", A.s.b.l., Avenue de Tervueren, Avenue Duray  BRUXELLES  BRUSSELS Belgium TO HARDIN  Pioneer and Promoter Pioner e Promover  of the Auxiliary Language.  d' Adlinguo.  O H 3 H A A  ГОС. БИБЛИОТЕКА насстраинай литературы  © KOPOREK A., Bruxel.  Print at Belgye.  A., Brussels.  Printed in Belgium.  To all the friends of the English language  Request to all our friends  Introduction to the English Edition  NEO Grammar The Alphabet  Pronunciation  Variability of words  Stress  The Article  The Adjective shaggy The Adverb  The Noun Pronouns  The Verb  Monosyllabic Verbs  Neo N u m e r a t i o n  T i m e  A g e  Ta b l e of t h e P r i n c i p a l Prepositions  Correlative Adjectives, Pronouns and Adverbs  T h e N a m e  Comparaison Degrees  Sentence Building  AFFIXES  Elision  Compound Words  Geographical Names  Useful Idioms  Some More Colloquialisms and Idiomatic Phrases  Proverbs  ENGLISH-NEO CONVERSATION GUIDE:  First Contacts  The Restaurant  The Cafeteria  Train Travel  Customs   By Car By Coach An Accident   At the Hotel  Air Travel  Shopping  At the Stationer's At the Bookseller's. At the Gentlemen's Hair-dresser's  At the Ladies' Hair-dresser's  At the Doctor's  Theatre, Concerts, Movies  Railway Coach and Ship Excursions  THE FIVE MAJOR CONSTRUCTED LANGUAGES  The LORD'S PRAYER  READING SELECTIONS PROSE  THE SERMON ON THE MOUNT  New York Herald Tribune Requiem  of Verdi at Paris St.  A.  Fradeletto  A.  Optimism or Pessimism Gosse Whitman  STRACHEY  Princess Charlotte of England  The Times Rediscovered Treasures of Prague Castle New York Herald Tribune Maugham taken to hospital  The Times Stewart arrives in America  The Observer World's Farewell to Churchill  The Times Fruitful or sterile politics?  The Times  Continental Bourses  New York Herald Tribune West Europe's growth slackening A. Lettre à mes amis POETRY. (Neo version in front of every poem)  APOLLINAIRE Le Pont Mirabeau (French)  BAUDELAIRE L'invitation au voyage (French)  BurNS. - Elegy on Captain Matthew Henderson (English) CARNER. Canço de vell (Catalan)  CocTEAU.  Le Cœur éternel (French)  DANTE. - Francesca da Rimini (Italian) DANTE. - Vita Nova (Italian) ELIot. - The rock (English)  ELUARD. - Mon amour (French) FLAISCHLEN. - Lege das Ohr... (German) ForT. - La Ronde autour du Monde (French) GEZELLE. - Gij badt op enen Berg (Dutch)  GOETHE. Wanderer's Nachtlied (German)  GoETHE.  Wer nie sein Brot.. (German)  GOETHE. - Mignon (German).. HARDY. - In Time of « The Breaking of Nations » (English)  HEINE. - Im wunderschönen Monat Mai (German)  HEINE. - Lorelei (German)  Hugo von HOFMANNSTHAL.  Ballade des äusseren Lebens (German) HORATIUS. - Carpe Diem (Latin) Victor HuGo.  Mes vers fuiraient... (French) 136  Victor HuGo. - La fête chez Thérèse (French)   Victor Hugo.  Extase (French)  KEATS. La belle dame sans merci (English)  LA FONTAINE. - La cigale et la fourmi (French)  Manuel MACHADO. - Cantares (Spanish)  Lorenzo DE' MEDICI. Quant'è bella giovinezza! (Italian) 142  Alfred DE MUSSET.  La chanson de Fortunio (French)  READ. - Day's aMrmation (English)  RONSARD. - Pour Hélène (French) SoLoMoN.  The Song of Songs (From a French version)   SHAKESPEARE.  To be or not to be (English)  SHAKESPEARE.  Sonnet 71 (English)  VALÉrY.  Le Vin Perdu (French)  Paul VA L É r y. - Le s y l p h e (French)  Paul VERLAINE. - E n Prison (French)  Paul VERLAINE. Il pleure dans mon cœur (French)  Paul VErLAInE, - Green (French)  Paul VERLAINE Colloque sentimental (French)  VIRGILIUS Gallus (Latin)  Assia WErFEL-LACHIN.  Merci (French)  Walt WHITMAN.  Salut au Monde! (English)  A. The old man's song (original Neo)  A. Why do you feel so happy? (original Neo)  D.S.B. — The Motto (English)  D.S.B.  The Task (English)  NEO'S OPTIONAL GENITIVE  ENGLISH-NEO DICTIONARY  NEO-ENGLISH DICTIONARY. TO ALL FRIENDS OF THE ENGLISH LANGUAGE. No auxiliary language aspires to be more than a "second language"  -- one that is used for communication when the two mother languages differ too greatly for mutual comprehension. In each country the national  languages soyeei baving nothing to fear from the rise of a "second  Far from constituting any threat to English, the auxiliary language is a positive safeguard, since it preserves the essential integrity by sheltering  it from the flood of neologisms that derive from different languages, and which would reduce English to an impoverished „business pidgin" such as that spoken in Melanesia.  REQUEST TO ALL OUR FRIENDS. The present work is priced $ 3,00 or sh. 22/- (postage free).  Encourage the movement by joining the „Friends of Neo", non-profit legally incorporated society.  Membership fees are as follows:  Active hershipp $ 2. sh. 15/- a year  $ 0. 6 0 s h.  4 / - a year  Goodwill Membership (symbolic) $  0. 5 0  s h. 3 / 6 a year  Life Active Membership (single payment) $ 12,- $ 4/6/-  Cheques and Money-Orders should be sent t o "Friends of Neo",  Brussels 5, Belgium: Postal Money Orders o r  LIST OF ABBREVIATIONS  ado.  arienture  Auxiliary Language Americanism  architecture  astronomis  Basie, binical  n  biology botany chemistry cinema  dialect  future  Greek SC  language  literary masculine  mathematics  measure  mechanics   medical  military  motoring  music  mythology  noun nautical negative number, numeral participle pejorative person, -al  philology  philosophy phrase physics plural  poetry, -tical  politics  popular possessive  past participle prefix  preposition  present  present participle  printing pronunciation  pronoun Russtense reflexive  relative religion  Roman  science  singular slang. Spanish subject subjunctive suflix  technic(al) theatre  transitive  United States  usually  vulgar zoology INTRODUCTION TO THE ENGLISH EDITION  The English edition of the "Méthode Rapide de Neo" (Brussels)  needed much more preparation and time than we had expected. The work  of translating the dictionary from French-Neo to English-Neo proved  to be particularly arduous. No doubt there are many imperfections,  for there is seldom an exact match between a term in one language and a term in another. We hope readers will bring to our attention the errors  they happen to notice. The coverage is considerably greater than for  the Méthode Rapide, and we estimate the present size at about 20,000  words for either part. The delay in publication of the English edition has provided the opportunity of amending a few NEO words and grammatical usages without impairing the essential structure of the language. Language has to adapt itself to the needs of the day and to take account of advances  in technology. Otherwise it runs the risk of being discarded like the Latin  that was left behind by its all too prolific progeny. We would have liked  to express our thanks to Blacklock who gave freely of his  time for the early publication of this Rapid Method. But he too is well  aware of the imperfections that must attend any such compilation  and  of the great debt which all linguistic engineers owe to those who have toiled in the same field before their time. So perhaps it would be invidious to single out Blacklock or any other individual. All we can say is  that without him the book could not have been published in the year  after International Cooperation Ycar.  We wish to express to Divall, Cliveden Road, London, our warmest thanks for his help in the correction of the printing proofs.  NEO GRAMMAR PRONUNCIATION. Neo, like Spanish, is pronounced exactly as it is spelt. No letter is silent. Every letter has one sound, always the same. VOWELS. There are 5 vowels: a, e, i, o, and u.They may vary in length and  are indifferently short or long. They are pronounced as follows: a like  palm, father; e like bet, bay, late, leather; i like bit, beet, in, if, easy;  o like on, oft, go, low; u like foot, rule, moon.  CONSONANTS: e and ch are pronounced like church, China; g like go,  get, gun; i like jet, John; r like red, rag, round, rat; s like sit, sue, son,  summer: z like zoo; x like axe,. box, excited (never z like example).  All other letters same as in English.  Definite article: “lo,” ‘the’.  Ending o may be dropped before words beginning with a vowel: l'arbo,  l'arbos the tree, the trees. When preceding an invariable word, ending s may be  added: los Smith, los Nelson the Smiths, the Nelsons. It may be added  also when suggested by a want of clearness or euphony.  INDEFINITE ARTICLE un: a, an.  The ADJECTIVE ends with the letter a: bona good; forta strong. The ADVERB deriving from an adjective ends with the letter e: forte  The NOUN ends with o (plural os): frato, fratos brother, brothers;  soro, soros sister, sisters; gardeno, gardenos garden, gardens; tablo,  tablos table, tables; libro, libros book, books.  Ending o is frequently dropped IN THE SINGULAR, so long as  NUMBERS:  mil milyon million  All other numbers by compounding these 13 elements:  isun isdu i s t r e i s g a r isgin issit issep isot isnon duis duisun  11 12 15 16 2 0 21  o t i s  80  o t i s u n nonis nonisnon ek un ek sepisot duck  t r e c k  g a r e k  300  81  101 2 0 0 400  qinek s i t m i l o t m i l g a r e k  s e p m i l n o n i s g i n 7095  500 6000 8400  OR PoNt; NOERS wima, a ast; dud second; trea third;  PRONOUNS  S U B J E C T (1) OBJECT (1) P O S S E S S I V E  m i I m e m e m a m y; mine  t u t e t a  y o u r; y o u r s  il you l e l a  h i s  e l s h e l e (-y) h e r l a her; hers  i t i t le, it it l a i t s  oneself; one s e oneself s a his; one's  n o S w e n e u s n a  our; ours  v u l v e y o u v a  your; yours  Zi they 2.0 them their; theirs  zel  they (fem.) ze (-y)  them (fem.)  10   After a preposition the pronoun takes always the  "subject" form: mi gar kon il I go with him; Venar v u k o n nos ?  are you coming with us?  Example for possessive adjective: m a dom, m a d o m o s m y house,  my houses; possessive pronouns end with s in the p l u r a l: lo m a,  l o m a s m i n e.  The VERB. Conjugation of the verb i (lo have) (same form for all persons)  P r e s e n t a r mi, tu, il, nos, vu, zi a r I  have,  have, he has  you  Past tense, Imperfect.. ir mi, tu, il, nos, vu, zi ir I h a d, you h a d  h e h a d we h a d  F u t u r e o r mi, tu, il, nos, vu, zi or I shall h a v e,  y o u will h a v e  Conditional (3)... u r mi, tu, il, nos, vu, zi u r should have,  y o u w o u l d h a v e  Imperative, Subjunctive iu Iu d u l d o ! have patience! (pron i-u)  Past participle had ( m i a r a t I h a v e had)  Present participle a n d e h a v i n g ( a d j e c t i v e: a n d a )  Compound participle.. i n d e having had (adjective i n d a )  (3) The "conditional" tense may be ignored by beginners and by persons  who don't use this tense in their mother tongue.  This verb i is the pattern and the ending of ALL OTHER VERBS:  t o s e e; n o s v i d a r we s e e; el v i d o r s h e will s e e; v i d i n d e h a v i n g seen;  p r o m e n i to walk; zi p r o m e n i r they walked; el a r p r o m e n a t she has  t h e r e; toye everywhere;  k o m p r e n i to u n d e r s t a n d; p l i t o p l e a s e; p i t o be a b l e: p a r v u ? c an you ?  po for; somo something; epe a little; dezi to wish; lente slowly; vit  quickly; speri to hope; k r a s to-morrow: oje to-day; yer yesterday;  fas almost; mul much, many; muy very.  Parlar vu Anglal ? No, mi xena. Do you speak English? No, I am  foreigner.  Mi k o m p r e n a r epe, mo no p a r I understand it a little, but I cannot  Miarur apreni an Neo. I should like t o learn Neo too.  s p e a k it.  N e o u n l i n g u o i z a e p l a z a.  Neo is an easy and pleasant language.  P a r m i fi s o m o p o v u ? Can I do something f o r y o u ?  P l i, p a r l u lente, m i no k o m p r e - Please, speak slowly, I don't under-  n a r. s t a n d.  M i s p e r a r v e vidi k r a s. I hope to see you to-morrow.  S a r vu of ik ? F a s s e m.  A r e  you  o f t e n  here ?  Almost  a l w a y s.  Bonid, Sir. Bonser, Madam.  Good morning, Sir. Good evening,  Madam.  Alvid, Damel Janin. Bonnox. Good-bye, Miss Jane. Good night.  After reading these two pages, you know all essential rules of Neo.  11  FIRST PART  G R A M M A R  The ALPHABET comprises 26 letters: 5 vowels (a, e, i, o, u) and  21 consonants:  Letter N o u n in Neo Pronunciation Letter Noun in Neo Pronunciation  a a that, add n e n n o, n o n e  b e (bay) b e s t lot, n o t e  e  d  ce (chay) c h u r c h (1)  p e (pay)  p o o r, p e r s o n  de (day) day g  k u (koo)  queen, cook(2)  e ( a y ) bed, day, Neo  e r (air)  r e d, r o o m  e l f a t h e r  e s  sit, s i s t e r  g e ( g a y )  h e ( h a y ) geart, home u  te (tay)  t o o l, t e a  u (00)  tool, cook  i (ee) is, e a r  ve (vay)  v a i n, v o i d  je (jay)  w e ( w a y )  w e l l, w a y  k e (kay) X  x e ( k s a y )  a x ( n e v e r g z as  e x a m p l e  1 e l  m e m  mother ye (yay)  yes, yet  z e (zay) z o o, r o s e  2) Ferte repron cations like sarisy its wound, just as the  sound of x is really ks. Rather than proper letters, q and x are convenient  signs to replace respectively ku (or kw) and k s; both ku (or kw) and  k s a r e a v a i l a b l e if preferred. Letter q is always followed by a, e, i or o.  L e t t e r combinations sh and kh are pronounced same as in English.  P R O N U N C I AT I O N  Neo, like Spanish and Italian, is pronounced exactly as it is spelt.  No l e t t e r is mute.  E v e r y l e t t e r h a s o n e s o u n d, a l w a y s t h e s a m e.  mistakes are practically excluded.  tong and rare thy win simple and patie  VARIABILITY OF WORDS  An endings is added to nouns and pronouns in the plural.  Verbs are conjugated according to the list on page 17.  All other words are invariable.  STRESS fails on:  1) the last but one syllable of words ending with a vowel: lIbro book;  t a b l e; p A t r o f a t h e r; m A t r o m o t h e r; A l m o soul; k o r A g o  courage: k o r A g a courageous; k e m i o chemistry; s e r i o series; g e o g r a r l o  g e o g r A i a geographical; d i s t r i b o  so astribute; OAtma inanimous; unalmEso unanimity. distribution; d i s t r i b i  2) the last syllable of words ending with a consonant: a m O r love; a m i k  friend; g a r d E n garden; kanOn gun; a v e n t U r adventure; experimEnt  experiment; m i a m A r I l o v e; vu venAr you come; zi vidOr they will  see; vu venUr you would come.  The s of the plural does not displace the stress: lEbros, tAblos, mAtros,  serlos, amikos, gardEnos, aventUros, experimEntos.  12  m o u r n i n g,  Before another vowel, i always gets stress, even in words that already  have another stress: tollo madness; m o p i o shortsightedness; b i o l o g l o  Stress n e v e r falls on t h e vowel u in t h e combination g u o: lInguo  language; a m b I g u e ambiguously, or after a and e: p l A u d i to applause;  kAuzo cause; klAuzo clause; Auto motor-car; nEutra neutral; rEumo  rheumatism; r E u m a rheumatic.  nineteen; department.  n O n c k n O n i s n O n 999; v I r v E s t d e p a r t m E n t I s n O n  men's-clothing-  THE ARTICLE  Definite article l o: the. Lo patro the father; lo patros the fathers; lo  matro the mother; lo matros the mothers; lo garden, lo gardenos the  garden, the gardens.  Ending o may be dropped before a word beginning with a vowel:  l ' a r b o, l ' a r b o s t h e t r e e, t h e t r e e s; l i d e o, - s t h e i d e a, -s; l ' o k, -os t h e  eye, -s; l'uk, -os the corner, -s; l'aventur, -os the adventure, - s; l'olda  vir, -os the old man, men.  In t h e plural, when preceding an invariable w o r d, e n d i n g s may be  a d d e d: los N e l s o n e x i r, los J o h n s o n  e n t r i r the Nelsons w e n t out,  the Johnsons came in; los sencesa k u r d'et infan me lasir this boy's  ceaseless "whys" tired me.  Ending s may also be added to give extra weight and when suggested  by a want of clearness or euphony.  There are no graphical (written) accents nor any diacritical signs in Neo.  T o m a r k t h e s t r e s s of f o r e i g n o r u n i v e r s a l w o r d s e n d i n g w i t h a s t r e s s -  c a r r y i n g vowel, a n a c c e n t is put o n t h i s v o w e l: p a s h a, p a p a. T h i s d o e s  "foreign" vorthe principle of accents' absence in Neo, as it only concerns  This accent may optionally be replaced by an apostrophe: pasha', papa'.  Indefinite article u n: a, an. Un v i r e u n f e m a man and a woman;  n o u n sol boy not a single boy.  Both definite and indefinite article may optionally be omitted, as is  normal practice in Russian, in Latin and in several oriental languages.  THE ADJECTIVE  The Adjective ends with the letter a: g r a n a large; leta small; forta  d e b l a w e a k; i z a c a s y; d u i a dificult; komoda convenient;  d e c e n t a d e c e n t; b l o n d a b l o n d: b r u n a b r o w n.  When the adjective is used as a n o u n, e n d i n g s m u s t be a d d e d in the p l u r a l:  lo g r a n a s the large ones; lo l e t a s the small ones; l o b l o n d a s t h e blond  ones; lo b r u n a s t h e brown o n e s; l ' a l b a s t h e white o n e s; l o s k u r a s  the dark ones.  Ending a may OPTIONALLY be dropped when the adjective PRECEDES  the noun t o which it relates (NEVER WHEN IT FOLLOWS 11), s o long  as this elision does not create confusion, and so long a s after the elision  the adjective has no more than ONE syllable or at most T W O:  13  e t d o m (eta d o m ) t h i s h o u s e  u x n u s f e l e t ( u n n u s a f e l e t ) m i r i c i r v a b o n b r i t v a b e a u t i f u l  f l o w e r s  a pretty little girl  I received your good letter  u n gentil d a m venir (un gentila a nice lady came  d a m )  let d o m o s e k l e z o s grana (leta small houses and big churches  d o m o s )  il un gentil boy (gentila boy) he is a nice boy.  The ADVERB deriving from an adjective ends with the letter e: forta  strong, forte strongly; e n e r g a energetic, e n e r g e energetically, e k o n o m a,  - o m e economic, -ically.  THE NOUN  The Noun ends with o (plural os): frato, f r a t o s brother, b r o t h e r s; s o r o,  table, tables liters; ibras book, rachos gurden, gardens; tablo, tablos  table, tables; libro,  Ending o is frequently dropped IN THE SINGULAR, so long as the  ENDING oS IS NEVER DROPPED.  Ending -in is used to design feminine nouns: doktor, doktorin doctor,  lady doctor; roy, royin (usual contraction: roin) king, queen; leon,  v e n d e r i n s e l l e r m,  (m, f ); librer, librerin bookseller (m; f); biblioteker, bibliotekerin  (usual contraction: b i b l i o t e k i n ) l i b r a r i a n (m, f).  PRONOUNS  m i  (u (3)  i l  el  it  S O  N O S  v u (3)  z i  z e l  SUBJECT (1)  I  y o u; t h o u  n e  s h e  it  o n e  w e  y o u  t h e y  they (fem.)  OBJECT (1)  m e me  t e you  le him  le, ley her  l e, i t  it  s e  oneself  n e  v e  us  y o u  z e  t h e m  ze, zey t h e m  POSSESSIVE (adj. and pron.)(2)  m a  l a  l a  l a  l a  s a  n a  v a  2 8  my; mine  your; yours  h i s  her; hers.  h i s: o n e ' s, h i s o w n  our; ours  Your; Yoeirs  14  After a preposition, the pronoun has always the  " s u b j e c t " f o r m: v e n a r t u k o n n o s ? are you coming with us ? m i e x a r  kon il I go out with him;  For the indirect object pronoun, you may also say: a mi, a tu, a il and  so on ( t o me, to you, to him); in the third person, you may also replace  le by lu (fem. luy) and ze by zu (fem. zuy), (only for the indirect object);  When, in t h e same sentence, you have two object pronouns, the one direct  and the o t h e r one indirect, the indirect one is placed first: m i te it v e n d a r  I sell it to you; nos ve l e p r e z e n t o r we shall introduce him to you;  nos le (lu) ve prezentor we shall introduce you to him.  2) Examples: m a dom, m a d o m o s my house, my houses; possessive  pronouns e n d w i t h s in the p l u r a l: lo m a m i n e; l o m a s mine (plural):  There exists also a "rich" possessive, more expressive: m i a, t u a, i l a, ela,  ita, soa, nosa, vua, zia, zela: nosas plu shira gam vuas ours are more  expensive than yours.  T h i s " r i c h " p o s s e s s i v e u s u a l l y follows the name to which it refers and  a d d s e m p h a s i s: P a t r i o m i a ! My fatherland (mine) !: P a t r o n o s a ! O u r  Father (ours) !  3) Several Neists suggest using tu when addressing a single person and  v u when addressing two persons or more, as was normal practice in  Latin.  SOME OTHER PRONOUNS:  l o w h a t: l o k i m e p l a r w h a t a p p e a l s t o m e; l o k e m i v a r i w h a t  I w a n t t o h a v e  (objeet k e n ) who (whom): Ki v e n a r ? Who is coming ?; k e n v i d a r  v u ? w h o m do you s e e ?; possessive k i a: k i a et l a p ? whose is  this pencil?  (object ke) relative pronoun: who (whom). L o v i r ki v e n a r the man  who is coming; lo v i r k e t u v i d a r the man ( w h o m you see.  Animals can be "he, she or it", as in English. When, in the same  sentence, o r in t h e same narrative, you have t w o pronouns, the one  relating to a h u m a n being, a n d the o t h e r one to a n animal, it is suggested,  in order to avoid confusion, to use il (or el) for the human being, and it for  t h e a n i m a l.  POSSESSIVE ADJECTIVES ma-, t a -, la-, el(a)-, sa-, na-, va-,  za-, zel(a)- are frequently used as PREFIXES:  maopine in my opnion; savole of his (own) free will; vadomye in your  house; raggin agthen conom ele and in decording to his conte after  maelte on my part, from me, on my behalf; navola decidos our free-will  decisions.  o h FEnglisa imsonal pronoun "it, this, that" (in Neo to or 1) is  e legala it h a s n o importance  it is all the same to me  me p a r a r strana it seems strange to me  nesar agi It is n e c e s s a r y t o a c t  s a r peria! that is all right!  o x i !  par bela oje this may happen!  it is fine weather to-day  15  But this pronoun may not be dropped when used as object or interrogat-  ively:  M i t r a r eto t o t e b o n a  Libar vu i t ?  Sar it posibla ?  I find this quite  D o  Still, y o u m a y s a y:  S a r v e c o a l a e s... ? Do you mind if... ?  because such a useful question cannot be confused for the statement.  Hider ai, zel mean also the one one we  the one who is coming  e l k e t u a m a r she whom you love  zi k i k a n t i r y e r s e r t h o s e w h o s a n g yesterday evening  i t k e v u b i l d i r the one you built  The pronoun zi has one rather special form ziel to denote a couple  (m, /) or a mixed-sex group.  EXERCISE  Mi te vidar, tu no me vidar. Va r vu exi kon mi ? Il d i c a r el no v e n o r. Mi te dor pan, tu me dor vin. Vo ta d o m ? em lo ma. Va kamos plu grana gam nas.  Ma dom plu leta gam ta. Mi no spar pri ko tu parlar.  Il parlar pril yera axident. El sem dicar to a sa matro. I see you, you don't see me.  Will you go o u t w i t h m e ?  H e s a y s s h e w i l l n o t c o m e.  I'll give you bread, you'll give me  w i n e.  W h e r e is your house ? Here is mine.  Your rooms a r e larger t h a n ours.  M y h o u s e  is smaller than y o u r s.  I don't know what you are speaking  about.  H e is talking about yesterday's  accident.  She always says everything te her  m o t h e r.  Nos exor kon zi krasmatin. We'll go out with them to-morrow  m o r n i n g.  Lo vir ki venir e ke tu no libar. The man who came and whom you  d o n ' t l i k e.  Mi vur spi kia et bel dom. I would like to know t o whom this  b e a u t i f u l h o u s e b e l o n g s.  Sar forse lo del derker. It is perhaps the director's.  Mi no spar lo ke t u var fi. I don't know what you want to do.  Ken inkontrir t u etmatin ? Whom did you meet this morning?  Lo dam dey filyo tu konar. The lady whose son you know.  P ar mi ti m a libros i n ta k a m ? May I put m y b o o k s in your room ?  Ya, mo no tiu lo tas nir lo mas. Yes, but do not put yours near mine.  Ve r m i te vidir k o n t a t r a t. I s a w you yesterday with your  Yer fir bela, mo oje pluvar. Yestethey it was fine, but to-day  it is r a i n i n g.  No me vikar resti domye oje. I don't mind staying home to-day  THE VERB  THE VERB I, to have, is conjugated as follows (same form for all  persons):  Present a r mi, tu, il, nos, vu, zi a r I have,  y o u  h a v e, h e  h a s  Past tense, Imperfect.. i r  F u t u r e ml, tu, il, nos, vu, zir hehdayou had,  O r mi, tu, il, nos, vu, zi or I shall have,  Conditional  • u r mi, tu, il, nos, vu, zi u r should h a v e,  y o u w o u l d h a v e  Imperative, Subjunctive i u Iu duldo! have patience! (pron i-u)  Past participle Present participle a t a n d e had ( m i a r at I have had)  h a v i n g ( a d j e c t i v e: a n d a )  Compound participle.. i n d e h a v i n g h a d ( a d j e c t i v e i n d a )  Trustionte in their mother od y beginners and by people who  This verb i is the pattern and ending FOR ALL OTHER VERBS  (every verb consists of a stem, suffixed by one of the eight forms of  the verb i ): Si to be; m i sar l a m; il s i r he was; nos s o r we shall be;  Sat been; fi to do; t u far you do; vu fir you did; el fur she would do:  l a n d e d o i n g; v i d i to s e e; il v i d a r he sees; v u v i d o r you will s e e: m i  have s e e n; p r o m e n i to w a l k; zi p r o m e n i r they walked;  el a r p r o m e n a t she has walked.  The Imperative-Subjunctive of polysyllabie verbs ends with u instead  of iu: Miru et fem! Look at this woman!; Nos promenu um lo kastel!  Let us walk around the castle!  ACTIVE COMPOUND VERBS are as in English: mi ar s a t I have  been; vu ar fat you have done; nos a r vidat we have seen; el i r pro-  menat she had walked; v u ur pensat you would have thought; zi or  e n d a t they will have finished.  This "occidental", construction may be replaced by the Esperanto  modified in Neo i n t o i n d a (with a u x i l i a r y verb s i, to be):  will have s e e n; v u finda you have d o n e; n o s v i d i n d a we have seen; el s i r  p r o m e m n d a she had walked; vu s u r p e n s i n d a you would have thought;  zi s o r e n d i n d a t h e y will h a v e finished. PASSIVE VERBS (auxiliary verb si): mi (sar) b a t a t I am beaten;  zi s i r b a t a t they were beaten; n o s s u r b a t a t we s h o u l d b e b e a t e n;  vu s o r b a t a t you will be beaten; zi s i r vidat pe mulunos they were  seen by many people.  This construction may be replaced by the verbal suffix a t: m i batatar  I am beaten; zi b a t a t i r they were beaten; nos b a t a t u r we should be  beaten; vu b a t a t o r you will be beaten; zi v i d a t i r pe m u l u n o s they were  seen by many people; il shar si batat he ought to be beaten. REFLEXIVE VERBS as in English: m i m e mirar I look at myself;  il se v u n a r he injures himself; il se kontrediear he contradicts himself.  This construction may be replaced by the verbal suffix is: m i mirisar  I look at myself; il v u n i s a r he injures himself; il k o n t r e d i c i s a r he  contradicts himself.  RECIPROCAL VERBS are conjugated with the verbal suffix ue: nos  a m u e a r we love each o t h e r; zi k o n t i n u e o f e n d u e a r they continuously  offend each other; Amueu e vu sor ixa! Love each other and you will  be h a p p y !    you (are) a clever b o y; m i p a r l a n d a I (am) talking;  nos s i r l u d a n d a we were playing; van il venir, mi s i r lejanda when  he came, I was reading;  mi ju fartor I am going to leave; nos ju arivor we are going to arrive;  i l ju a r i v a r h e is just arriving; nos ju udir we have just heard; nos  i r ju udat we had just heard;  e t d o m l u k e n d a this house is t o let; et kont v e r i f k e n d a this account  has t o be verified (checked, audited); y e n m u z e o v i d e n d a that museum  is worth seeing; ye mul rimarkenda kozos there are many remarkable  things.  EXERCISE  Dun tu dansar, mi laborar.  A s k u, so t e d o r.  Mi vendar e tu kofar.  El no bela, mo muy kleva.  D e z u r v u t r a v e l i e t s i z e ?  While y o u dance, I work.  will be given to you.  handsome, but very  intelligent. you like to travel in this  season ?  I l l e k t a r entide. He r e a d s all d a y long.  Kan kostar e t cap ? H o w m u c h d o e s this h a t cost ?  Ka lo presyo d'et cap ?  What is the price  E t o no m u y c i p a.  This is not very cheap.  Mi korespondar kon un Angla. I c o r r e s p o n d with an Englishman.  Mi lu s k r i b a r, il me rispar. I write him, he replies to me.  J u pluvor, dete mi no exar. It is going t o rain, that is why I  d o n ' t g o o u t.  Il ju venir da London e me aportir He has just come from London and  un bel libro. b r o u g h t m e a beautiful book.  M i s e m pensar a el, mo me I always think of her, but she has  Shendande dal tren, il kadir e Stepping out of the train, he fel  injured himself.  Si o no si, em lo gestyon. To be o r not to be, t h a t is t h e  Mi nur plezantar. Mi krar, tu me mokar.  I am on joe puling my lo6:  MONOSYLLABIC VERBS  The following monosyllabic verbs are the contractions of the forms  in b r a c k e t s:  i ( a v i t o h a v e p i ( p o s i ) to be able  bi (bevi) to drink pli ( p l a z i ) to please  di ( d o n i ) t o give s i ( e s i ) to b e  f i (fari) to do, to m a k e s h i ( s h a l i ) to have to  fli ( f u g i ) to fly s p i ( s a p i ) t o k n o w  g i ( g i ) t o g 0 s t i (esti) to stay, to be  j i ( i j i ) t o b e c o m e ti ( m e t i ) t o p u t  k r i ( k r e d i ) to believe t r i ( t r o v i ) to find  li (lati) to leave, to let vi (voli) to wish, to will  Both forms have exactly the same meaning; one may therefore optionally  use one or the other, according to one's t a s t e or t h e feeling.  Thus, you can choose either form: l'aglo f a r or Paglo flugar (the eagle  flies); mi no p a r fl eto, mi no posar fi eto, mi no par fari eto or m i no  p o s a r f a r i eto (I c a n ' t do this).  I t is suggested to use the dissyllabic ( t o syllable) form of these verbs  except for the auxiliary verb i) when addressing people in an international  meeting, i n which case it is also necessary (whichever language used) to  speak slowly, in order to make understanding easier.    NEO NUMERATION  CARDINAL NUMBERS:  100  m i l  1000  All other numbers by compounding these 12 elements:  tsun isdu istre isgar isgin i s issepisgt ison dais disun duise  duistre treis garis qinis sitis sitiolt ogis guis monismon elon  23 30 40 99  ekdu ekis duck treek qinek siteksitissit otek milun milis milekisun  1001 1010  d u m i l t r e m i l o t m i l treismil otismil duekmil ginekmil  2000 3 0 0 0 8 0 0 0 30000 80000 200000  500000  s i t e k m i l s i t e k s i t i s s i t  m i l y o n  t r e m i l s e p e k g a r i s t r e  6 0 0 6 6 6  m i l l i o n  3743  ginmil noneksitistre noneksitistre g a r e k s i t m i l 4 0 6 9 6 6  noneksitissit  m i l y o n (os) s e p e k n o n i s t r e m i l s i t e k s i t i s f r a n k o s: 46.793.660  g a r i s s i t f r a n e s.  Tokyo are is mil enos) abiteros: Tokyo hasad, ten milion inhabitants  (ab. = about)  S U F F I X E S. Ordinals: -a. U n a ( p r i m a ) first; u n e ( p r i m e ) firstly);  third; g a r a f o u r t h;  tenth; isdua twelfth; duisa twentieth; duisnona 29 th; q i n i s a 50th;  e k a 100th; m i l a 1000th.  M u l t i p l e s:  g a r i p l a fourfold; i s i p l a tenfold; isipli to  Cold; Piplae don, ls doubly deciple; -capia centupie;  e i p l i to .  Fractions: -im. D u i m, d i m half; t r i m 1/3rd; q a r i m 1/4th; isim  1/10th; qinisim 1/50th; e l i m 1/100th; milim 1/1000th; milyonim  o n e m i l l i o n t h.  Order, class: Primala primary; duala secondary; isala ranking tenth.  Collective: -0. Isos tens; isduo dozen; ekos hundreds; milos thous-  Grouping: -ope. Unope one by one; duope two by two; isope in  groups of ten; ekope by hundreds; milope by thousands.  Ordinals are needed for:  I s g a r a S e k l o (14a s e k l o ) fourteenth century;  D u i s a S e k l o ( 2 0 a s e k l o ) twentieth century.  Ordinals are not needed for:  ARITHMETIC.  B a s i c R u l e s:  division.  Adis addition; sotrak subtraction; multiplo multiplication; divid  19  2 + 2  3 - 1  X  3  8 : 2  = 4  = 3  = 9  = 4  d u p l u d u far q a r  g a r min u n far t r e  t r e yes t r e far n o n  ot pe du f a r gar.  Big Numbers:  m i l y o n million (1.000.000 or 106)  m i l y a r d milliard (U.S. "billion") 1.000.000.000 or 109)  b i l y o n billion (U.S. one thousand billions) 1.000.000.000.000 or 1012  t r i l y o n trillion (one million european billions) (1018)  g a r i l y o n quadrillion (1024)  q i n i l y o n ' quintillion (1030)  Powers:  62: sit d u p o s a (6/2ps)  8 5: ot t r e p o s a (8/3ps)  1012: is isduposa (10/12ps)  1024: is duisgarposa (10/24ps).  Roots:  2  \ 16: duradik de 16 (2rk/16)  1/27: treradik de 27 (38k/27)  1/256: garradil de 256 (1rk/256).  Weights and Measures:  g m l i t r o  g r a m m e t r o  dag  d e k a g r a m  d a m d e k a m e t r o  d a l d e k a l i t r o  hg  h e k t o g r a m  hm h e k t o m e t r o hl h e k t o l i t r o  kg k i l o g r a m k m k i l o m e t r o d e c i l i t r o  d g d e c i g r a m d m d e c i m e l r o c l  c e n t i l i t r o  cg c e n t i g r a m c m c e n t i m e t r o Q  g i n t a l (100 Kg.)  ™ g m i l i g r a m m m m i l l i m e t r o I n  t o n y o (1000 Kg.)  i n c o: inch; ped: foot; pundo: pound; milyo: mile;  n o d y o: k n o t; galonyo: gallon; lumanyo: light-year  parsek: parsec (3,26 light-years); m e g a p a r s e k: megaparsec (one  million parsecs).  International signs. Neo has adopted following international signs:  (kilo) No has adopted!  ( m i l i ) 10-3  M  G  T  ( m e g a ) 106  u ( m i k r o ) 1 0 - 6  ( g i g a ) 109  n ( n a n o ) 10-9  ( t e r a ) 1012  ( p i k o ) 10-12  Numbers Sit (6), Is (10) and Ek (100).  We long reflected before adopting these three terms instead of the more  international ones s i x, d e k a n d c e n t, w h i c h f i r s t n a t u r a l l y c a m e t o our  m i n d. O u r o p t i o n w a s d i c t a t e d b y r e a s o n s o f c l e a r n e s s a n d e u p h o n y.  H e r e are some examples of n u m b e r s c o m p o s e d w i t h sit, is a n d ek in  front of the same numbers composed with six, dek and cent:  s i t i s 60  s i x d e k  s i t i s s i t 6 6 s i x d e k s i x  s i t e k s i t i s s i t 6 6 6 s i x c e n t s i d e k s i x  qareksitisqin 4 6 5 g a r c e n t s i d e k g i n  q a r e k d u i s d u 4 2 2 g a r c e n t d u d e k d u  s i t m i l s i t e k s i t i s s i t  6 6 6 6 s i x m i l s i x c e n t s i x d e k s i x  s i t i s a  6 0 t h  s i t i s s i t a 6 6 t h  otekotisot 8 8 8  s i x d e k s i x a  o t c e n t o t d e k o t  20  These examples show that six often causes ugly alliterations; is and ek,  brief and clear and beginning with a vowel, compound themselves much  more harmoniously than dek and cent with other numbers  them. Nem mbers are those wanted by our age of radio and telephones  An expert's opinion:  Here is the opinion of Mr. F. J. K r ü g e r, Interlinguistics Counsellor of  A m s t e r d a m U n i v e r s i t y ' s L i b r a r y,  p r o m m e n t p o l y g l o t, w h o k n o w l e d g e o f all m a j o r c o n s t r u c t e d l a n g u a g e s, a n d a l s o o f a h a s g r e a t a w i d e  n u m b e r  of natural, living or dead, languages:  " N e v e r, in w h i c h e v e r l a n g u a g e, h a v e i m e t n u m b e r s t h a t s o u n d  a s c l e a r l y a n d a s h a r m o n i o u s l y a s N e o n u m b e r s. "  SHORT VOCABULARY: num number; numa numeral, numerical;  nume numerically; n u r i to number; numazo numbering; numado,  n u m i o n u m e r a t i o n; n u m o z a n u m e r o u s; n u m o z e n u m e r o u s l y; n u m o z o  numerousness; numon big number, great number; sennuma numberless;  n u m b e r l e s s l y; m u l m a n y; m u l u n o s many people; mulo  g a n t o q u a n t i t y; g a n t a quantitative ( a l s o: " q u a n t a " ); q a n t i to  quantify; q a l q u a l i t y; q a l a qualitative; g a l i, galifi to qualify; g a l a z o  qualification; q a l i a qualifying, qualificative; galat qualified.  zer(o) zero, nought; n i l o nothing; nix nothing at all, naught; nil..  no...; nili to annihilate; nilazo annihilation; nula worthless; nule in  n o w a y.  adisi to add up; sotraki to substract; multipli to multiply; multiplo  m u l t i p l i c a t i o n; m u l t i p l a l  plicand; m u l t i p l e r multiplier; m u l t i p l e s o multiplicity; m u l t i p l i b l a  multipliable; d i v i s i o n;  mutaniable disishiti; onidend ditdend, divizon division (mil).  m a t e m a t, - a, - e mathematics, a r i t m e t i o, -ical, -metist arithmetic, -ically; -ist m a t h e m a t i c i a n;  --etician; g c o m e t r i o,  m m e w a  - m e t r i s t geometry, - i s t a l g e b r a,  - a i c,  equation; s e n e n d i m a i n f i n i t e s i m a l;  d i f f e r e n t i a l; k a l k u l c a l c u l a t i o n; calculate; kalkulil,  k u l i n g o calculating machine; a d i s i l, a d i s i n g o a d d i n g m a c h i n e; k o n t  a c c o u n t: k o n t i t o c o u n t, t o r e c k o n; s t a n d e l balance (of account).  For DATES, t h e day's number is generally p u t before t h e m o n t h:  u n j a n a r January first; i s g i n n o v e m November 1 5 t h; t r e i s u n decem  D e c e m b e r 3 1 s t.; k a d a t o o i e ? w h a t is t o - d a y ' s d a t e ?; k a i d d e l m e s  of July; mi n a s i r je duisnon lebrar I was born on February 29th.  EXERCISE  Ke vur tu fi oje ? What would you like to do to-day?  M i shar gi shel librer e kof tre I must go to the bookseller's and buy  l i b r o s. t h r e e books.  A r t u s u f d e n g o ? Have you e n o u g h money ?  Mi a r d u e k g i n i s f r a n k o s.  I h a v e  2 5 0  f r a n e s.  S h a k libro k o s t a r sepis f r a n k o s. Each book costs seventy francs.  L o s t r e k o s t o r d o n k d u c k i s f r a n k o s. The three will then cost 210 francs.  Ve restor qaris frankos. Y o u will h a v e 4 0 f r a n c s l e f t.  L o d u i s t r e m a r s or un bel On March 23, we will have a fine  concert.  Ka lo presyo del plasos ? What is the price o f the seats?  Mi n o s p a r; l a s t y e s nos pagir ek I don't know; last time we paid  g i n i s f r a n k o s lo p l a s. 150 francs a seat.  21  Ke for tu krasmatin ? What are you going to do to-morrow  Mi sperar gi kinye kon ma frat. I hope to go to the movies with my  Kom gar ta filyo ?  Il studar jus universitye e laborar He studies la an hendersity and  Ma m a t r o me dar un libro. he is working very well.  Ta dom me plar mul.  My mother gives me a book.  Vur vu veni ne vidi etser ?  Mi vur, mo no par; mi no frida. I would like to, but I cannot; I am  Te miru nel spek: ta vizo lura. Look a t yourself in the mirror;  Sar un inka flek. Kom fir tu it ? It Tsan ink biot. Hoy did you do it ?  Mi no spar; forse dun mi skribir et I don't know; perhaps while I was  writing this letter t o my mother.  Cu tu vidinda l'iv ki flir tan vit? Have y o u s e e n t h e  was yvins so fist airplane that  Vo tir tu lo lapos ke mi te dir? Where did® you put the pencils  I gave you ?  Mize tir ik, mo nun mi no par ze I putt her here, but now I cannot  Aponu ta mant, nos  Put on your overcoat, we are soon  Pardonu, Madam, ve fir mi mal? I beg your hert yor pardon, Madam, did I  No dey, vu me fir nil mal. Don't mention it, you did not hurt  Mi no ir vidat vu sir ik. I had not seen you were here.  I was twice in F r a n c e.  Mi ik primyese. This is the first time I am here.  Kanyes gir vu kinye van vu Lon-  How many times did you go  t h e movies when you were in  Mi ye sir plulyes. I was there several times.  Unyes mi ye inkontrir va gefratos. Once I met there your brother(s)  and sister(s).  Dim d ' e t f o r t u n te  Ka ma standel, pli pertenar.  Half of this fortune belongs to you.  Mesense vu  ritirir t r e e k issit;  qinek treisgar S.  had £ 850; you drew out £ 316;  n o w y o u h a v e £ 534.  Ekos perar shakmes in rutaxidentos. Hundreds (of persons) perish every  i n r o a d - a c c i d e n t s.  grek filosof vivir yo This great Greek philosopher lived  t h o u s a n d s of years ago.  VOCABULARY: sekund second; m i n u t minute; oro hour; ordim  half a n h o u r; o r g a r i m q u a r t e r of a n h o u r; i d o d a y; n o x n i g h t; m a t i n  morning; m i d noon; ser evening; minox midnight; vek week: vekend  m o n t h; b i m e s t w o months; t r i m e s quarter, three  months; sitmes half-year; anyo year; seklo century; milanyo thousand  years, millenary; domid afternoon  alter to morrow; sem always; xi  neye late; sa, save e p sidago; fra within; inye within; fru early;  day: min t a Sung; VeRan do May day, Sad Tuesday; Mirko Wednes-  J a n a r J a n u a r y; F e b r a r F e b r u a r y; M a r s March; A p r i l April; Mey  May; Jun(yo) June; Jul July; Agost August; Septem(bro) September;  Oktob(ro) October; Novem(bru) November; Decem(bro) December.  Primaver, Lenso Spring; Zom Summer; Erso, Autumno Autumn;  Y e m W i n t e r  t e m p o t i m e; s i z o s e a s o n; p e r i o d p e r i o d; d u r i t o l a s t; p a s i t o go b y,  t o p a s s; pas- l a s t; n a r - c o m i n g, t o c o m e; d u n w h i l e.  W h a t time is it ?  Kaore venor vu ? At what time are you going to  Mi venor fra du oros. S a r is m i n g a r i m.  S a r is e q a r i m.  I'll be here a t 5 (o'clock).  I t i s now three o'clock.  I'll come within two hours.  It is late, it is already ten.  It is q u a r t e r t o t e n.  It is quarter past ten.  It is five m i n u t e s t o ten.  Sar is min is.  Sar non min duis.  Sar isun e duisgin.  It is ten minutes to ten.  It is twenty minutes to nine.  It is 11.25.  It i s almost half past eleven.  It will soon be eight.  Sar ja ot min sep.  It is already seven minutes to eight.  I have been here since six o'clock.  Mi arivir yo sit oros.  Mi ik d e p d u oros.  I a r r i v e d s i x h o u r s a g o.  I h a v e b e e n h e r e f o r t w o h o u r s.  At what time is the departure ?  Lo ship departar a i s exakte. T h e ship leaves exactly at ten.  We'll be here in a quarter of an hour.  Kan departos ar vu nok inye mes ? How many departures have  N o k qar d e p a r t o s: du departos Four m o r e departures: two de-  Mi no par giti pre un bivek. I cannot leave before a fortnight.  Zomoro. Yemoro.  T r e m a t i n e.  At any time (of the day).  S u m m e r t i m e. Wi n t e r time.  T h r e e o ' c l o c k in t h e m o r n i n g.  Every hour (adv.).  By n o w; b y this time.  Il a t e n d a r sa oro. Il pagat treisqin frankos ore. He bides his time.  thirty-five francs an  Suplemtempo pagat sitis frankos Overtime is paid sixty francs an  Il astir e arivir justore. m a d e h a s t e a n d a r r i v e d a t  the right time.  a treedim domide lo On June fifteen, at half past three  in the afternoon the t r e a t y  p e a c e w a s s i g n e d.  Narzome n o s departor Fransye. Next summer we'll leave for France.  Septembre mi sor Italye. I n September I'll b e i n Italy.  M i libar J u n a long idos. I l o v e J u n e ' s l o n g d a y s.  Mi sor Londonye nartud a is sere. I'll be in London next Tuesday at  Mi sir Swisye pasyeme. I was in Switzerland last winter.   (dun jinge  T u k a n a j a ? - Mi isot.  Mi sun isot. - Mi nonok duis.  Ma patro ja ginis.  I l aspar apene qaris.  @inanya, sitanya, Qarisanya, qinisanya.  Sitisanya, sepisanya.  AGE  How old are you ? - I am eighteen.  I'll soon be eighteen. - I am not yet  My father is already fifty.  H e h a r d l y looks f o r t y.  six, ten years old.  Quadragenarian,  (in h i s f o r t i e s, in h i s fifties).  Sexagenarialioies).  septuagenarian (in  Octogenarian, nonagenarian (in his  Otisanya, nonisanya.  Centenary (anniversary).  Jubilee (50th birtday),  Nasid; anyid; Birthday; anniversary; Saint's Day.  Pasanye nos celebrir lo garekado Last year  Shexpir-naso,  kespeare's birth.  Naranye nos celebror na nodependo Next w e will c e l e b r a t e o u r  independence jubilce.  Pasanye na granpatro  samany g o a t dei easy, Last sate m a n ather became  the centenary  y e a r of the  Lo pov nonisanyin kadir e vunisir T h e poor ninety y e a r s o l d w o m a n  fell and injured herself badly.  Sor l'endo de ta adol, tu sor adulta. It will be the end of your adolescen-  ce, you will be an adult.  TABLE OF THE PRINCIPAL PREPOSITIONS  a (al) t o (1)  les according to  a b from, beginning with  l o n g a l e. a l o n g, a t t h e s i d e of  a k o n t r e  c o n t r a r i l y t o  m e d e a m i d s t  a n t e  ( a n t e l ) before (space) (2)  m e z e b y m e a n s of  a p s e ( a p s e l ) n e x t to  n i r n e a r  d a ( d a l ) from  o b e above, up  c i s on this side  o n  d e (del) of  p e  pe) byover  d o ( d o l ) a f t e r (time)  ( p o l ) f o r  dorse rear, back of  на с п и н я po  p r e ( p r e l ) before (time)  d r e ( d r e l ) b e h i n d  p r i (pril) about, concerning  d u n during, w h i l e  p r o for, in favor of, per  e s k e ( e s k e l ) except  r e k t e l e o v e r l e a f  e x e out, out of  r i r b e h i n d  f a c e facing fra  r i s p e in r e p l y t o  H e r in spite of  v i t r e  b e h i n d  s e n  w i t h o u t  i m e i n s i d e  s h e a t, t o  i n l o k e i n s t e a d of  s u b u n d e r  i n f o l g e f o l l o w i n g  sube (subel) under, below  inte (intel) between, among  i n t r e ( i n t r e l ) inside  i n y e (inyel) within  j e ( j e l ) t o, i n, f o r, by, near (3)  ( k a u z e l ) because o f  k o n ( k o l ) w i t h  k o n f o r m e according k o n t r e ( k o n t r e l ) to  against  s u r over, above  s u r e a b o v e  t r a, t r a n s  t r u ( t r u l ) through  u (ul) at, in possession of   u m a r o u n d  u n t e ( u n t e l ) down  u s u n t i l  ver to, towards  CORRELATIVE ADJECTIVES, PRONOUNS AND ADVERBS  ADVERBS  PRONOUNS  ADJECTIVES  (locative: -ye)  (individual: -un)  (thing: -0) (mode: -e)  ka which, what  e t t h i s  yen that  k a u n which one  e t u n this one  y e n u n that one  k a o (usu: ko) what  (complement: k e )  e t o t h i s  y e n o t h a t  kae ( u s u: k o m ) how | k a y e (usu: vo)  w h e r e  e t e t h u s  y e n e in that way  etye (usu: i k ) here  y e n y e u s u  ye)  t h e r e  2 5  o s a other   s o m s o m e  s h a k each, every  t o t all  s e r t a c e r t a i n  o s u n a n o t h e r o n e  t o t u n o s (usu: tos)  (plural) all,  all people  s e r t u n s o m e o n e  t h i n g something  o s e o t h e r w i s e  s o m e s o m e w a y  o s y e s h a k o e a c h t h i n g  s h a k e in e a c h w a y  t o t o (usu: to)  tote quite, wholly  s e r t o a certain thing  e l s e w h e r e s o m y e s o m e w h e r e  s h a k y e in each place  t o t y e ( u s u toye)  everywhere  s e r t e in a certain s e r t y e in a certain  a n y w h e r e  t a l y e in such a place  nowhere  somewhe-  nilosye nowhere else  k e l a n y  t a l such  kelun anybody  t a l u n s u c h one  a n y t h i n g  t a l o s u c h a thing  k e l e a n y h o w  thus,  k e l v e nil no  etosa this other (2)  n i l u n nobody  e t o s u n t h i s other  n i l o  e t o s o nothing  t h i s o t h e r  a w a y  n i l e no wise  n i l y e s o m o s a o t h e r  n i l o s a  n o s o m e  o t h e r   o n e  s o m o s u n s o m e o n e  e l s e  nilosun nobody else  thing  s o m o s o e l s e  n i l o s o something  n o t h i n g else  s o m o s e in s o m e  o t h e r w a y  n i l o s e  in n o o t h e r  s o m o s y e r e else  w a y   feminine: kain, etin, yenin, osin, somin, shakin, totinos, sertin, kelin, talin, nilin, etosin, ete.   the adjectives osa, etosa, somosa, nilosa can never be elided.  CORRELATIVES are often used as PREFIXES: k a o r e ? at what t i m e ( h o u r ) ?; k a i n t e n t e e x i r il ?  with w h a t i n t e n t did he go o u t ? kaskope v e n i r i l ? for what purpose did he come ?; nilkaze in no case;  kelkaze in any case; etoxe in this occasion; talkondise in such conditions; kelvede whatever the weather.  Vo?  Unde  Vas  Lom  Кі ?  212  1010  2  Kur?  Neo very often contracts the preposition with the definite article  as given in brackets a b o v e ): al to the; a n t e l before t h e; a p s e l next to  the; d a l from the; del of the; dol after the; eskel except for the; grel in  k o n t r e l against the; nel in the; ol on, over the; pel by the; prel before  the; p r i l concerning the; subel under the; trul through the; ul at the  in possession of t h e; u n t e l down the:  Il dir sa dengo al pov vir.  Prel m a r l o de ma  f r a t.  Antel fenso un tablo. M a frat marlir prel guer. Dol g u e r ecos prosperir. El gir al garden kol filin  sener.  Zi parlar pril tertrem. He gave his money to the poor man.  Before my brother's marriage.  A t a b l e ( i s ) before the w i n d o w.  M y b r o t h e r m a r r i e d before the w a r.  After the war business flourished.  del en- She went to the garden with the  t e a c h e r ' s daughter.  T h e y a r e talking about the earth-   The terminal 1 of the contraction does not shift the stress from the  first syllable: Antel, Apsel, Eskel, kOntrel, kAuzel, etc.   je has all sorts of meanings and is used whenever doubt is felt regard-  ing use of other prepositions.  4) the preposition u (replaced i n Latin with the dative) corresponds  to the Russian u: u mi libro I have, I possess a book (Latin: est mihi  liber; Russian: u menyà kniga).  PREPOSITIONS AND ADVERBS are frequently used as PREFIXES, as well for adjective as for adverbial use:  p r e - w a r; p r e g u e r e before the w a r; p r e n a s a  b e f o r e t h e b i r t h; p r e e x i s t a preexistent;  existence; d o s k o l a after-school; d o s k o l e after school; d o g u e r a  a f t e r- w a r ; d o g u e r e after the w a r ; semviva always living; nokviva  n i u d a t never h e a r d ; n i v i n k a t n e v e r v a n q u i s h e d ; m a n a m e e n a m e m a  t r a t in m y name and in my brother's name.  EXERCISE.  Vo lo dom de t a profesor ?  Lo dom del profesor drel kiezo. The professor professor's house?  professor's  h o u s e b e h i n d  t h e church.  Mi j u v e n a r dal klezo. I h a v e just come from the church.  Perdinde lo klil del pordo, il entrir entered through  the kitchen's  El skribir un libro pril guer. She wrote a book about the war,  I'll go o u t e i t h e r with you or w i t h  venir etmatin. Vur tu i somoso ?  N o b o d y  else c a m e this morning.  Wo u l d else you like to have something  Dank, mi nesar niloso. Thank you, I don't want anything  e l s e.  Et labor endenda inyel vek. This work is to be finished within  t h e w e e k.  S a r lo libro ol t a b l o ? Is the book on the table ?  U il du filyos e un filin. He has two sons a n d a daughter.  N o fexu kontre destin! Don't struggle against destiny!  Nel mensocar vi par edi kelore. In t h e dining-car you can eat at  Vidir vu somun nel dom del l i b r e r ? Did y o u s e e a n y b o d y a t t h e b o o k -  seller's h o u s e ?  Ye sir sa filin kon la spozo. There was his daughter with her  husband.  п о ч е м у  L'ensener parlar al alevos.  Il parlar kon u n alevin.  1l parlar pril libro de la patro.  Il p a r l a r pri sa libro.  T h e t e a c h e r t a l k s to t h e p u p i l s.  H e is t a l k i n g w i t h a (girl) p u p i l.  He is talking about  He is talking about his (own) book.  The man with the grey gloves.  l o s v e n i r k u n e k o l n u v v e s t o s. All came t o g e t h e r w i t h t h e new  Kelo il dicar, no Whatever he says, d o n ' t b e afraid.  Mi p r e n a r e t u n ; t o t o s u n o s po vu. I take this one; all others are  Eto me plar, yeno no. This pleases me, that does n o t.  Mi fonir al doktor; somosun rispir. I called the doctor; somebody else  Venu kon mi shel doktor, ose mi Come with me to the doctor's;  otherwise I will not go.  Rispe v a brif, nos glada v'informi In reply t o your letter, we are glad  Es vu par atendi us kras, mi vole  the book y o u a r e looking for.  wait u n t i l t o m o r r o w,  I'll willingly go out with you.  THE NAME  Ka ta n a m ? Ma nam J a n. Skolye tos me namar Net.  Sar it u n s u r n a m ? E t o n u r lo minifa de Jan. Somyes zi me surnamar Nux. your n a m e ? - My name  Al school, everybody call me Net.  I s t h i s a n i c k n a m e:  Jan's diminutive.  s o m e t i m e s  nickname Nuts.  T e n u g a r e t o ? D o e s this bother you ?  N o, m i n o ize a r g a. No, I do not get angry easily.  Tu r a g a ; tu b o n k a r a k t a. E t e tu sor  sem ixa. natured; thus you will always be  Mi m e dicar: ridelu, osunos te I s a y t o myself: smile, others will  smile at you.  Ka ta fanam (familnam) ? names, your family name (sur-  Pli, Madam, ka va felnam? If you please, Madam, what is your  H a v e y o u a nom-de-plume ?  adoptir lo pseudonim "Sen- I adopted the pseudonym  p i n t e r ? Mi l e konar Do you know this painter?  pel nam; il parar i bon fam. a good repation seems to have  Mi sur glada le koneli.  r e p u t a t i o n.  a c q u a i n t a n c e.  Mi inkontrir ye mul ma konelos. I m e t t h e r e m a n y a c q u a i n t a n c e s of  Maname e name tot membros de In my name and in t h e name of all  na Socado, mi dezar ve feliciti. members o f our Society,  t o congratulate you.  Il ju namadat ambaser Parisye. H e has j u s t b e e n a p p o i n t e d a m -  bassador i n Paris.  Il certe meritir et namado. Н е certainly deserved this ap-  pointment.  Il as grana as vu.  Il y u n i r a  gam vu.  Il min exijema gam vu.  COMPARISON DEGREES  He is as big a s y o u.  H e is y o u n g e r t h a n y o u.  H e is less exacting than you.  27  Grana, granira, granega (muy gra- Large, larger, very large;  n a );  fen, bro, genest (doyeran. Bremely lage, the largest one.  belega ( m u y bela); Beautiful, beautiful, very  beautiful;  belisima, lo belesta (lo plu bela).  Leta, letira, letega (muy leta); S m a l l, extremely beautiful; most beautiful.  s m a l l e r, v e r v s m a l l:  letisima, l o letesta (lo plu leta). extremely small, the smallest (one).  Olda, oldira, oldega (muy olda); Old, older, v e r y o l d;  oldisima, l'oldesta (lo plu olda). extremely old; the oldest (one).  Un oldun, un oldin. An old man, a n old woman.  SENTENCE BUILDING  Sentence building is very free in Neo.  The English student may freely  copy the order that comes naturally to him, according to the rules of his  own language.  The adjective may be placed before or after the word to which it relates,  and similarly for the object pronoun and for the adverb. You may say:  M i v e a m a r as well as M i a m a r v e (I love you).  COMPLEMENT'S TRANSPOSITION. Especially in poetry, one  before the subject.  patron libir f l y o = filyo libir patro the son loved the father  Ion mint patre t a t e i n t o the tern fooked at the girl  femon m i r i r lo fel = lo iel m i r i r lo fem the girl looked at the woman. This ending n may be used only in case of transposition. Beginners  may totally ignore it.  For Neo's OPTIONAL GENITIVE see above.  AFFIXES  PREFIXES:  ad-deputy, assistant, under-, sub-  adsekrerunder-secretary;adderkersub-manager;  a d r o y v i c e r o y; a d k o l n e l  lieutenant-colonel;  a d l i n g u o auxiliary language.  a m b - both  a m b e l t a of b o t h s i d e s; a m b e l l e o n b o t h s i d e s;  a m b - d e z o both side's wish; a m b d e c i d e by both  side's decision.  3)  ante- before (place)  a n t e k a m antechamber; antegardo vanguard:  a n t e c e n i r o centre-forward;  a n t e k o r t e l fore-  c o u r t; a n t e b r a s o fore-arm  anti- contrary, anti-  antialkola anti-alcoholic; antiatoma anti-atomic;  a n t i k o l o n y i s m o a n t i - c o l o n i a l i s m; a n t i f e b r a  antipyretic; a n t i p r o t e k i s m o antiprotectionism;  a n t i k o n s t i t u a a n t i c o n s t i t u t i o n a l.  a r e i - higher degree,  most, extreme,  bi-, du- two-, bi-  a r c i d u x a r c h d u k e; a r c i r i k a e x t r e m e l y rich;  areikolma overcrowded; areivesko archbishop;  a r c i v e s k a archiepiscopal  b i l i n g u a bilingual; dalimes nimon languages:  bimetala bimetallic; bimesa bimonthly (of  ¥   m o n t h s )  8 )  b i s - twice, double  bo- kinship by  m a r r i a g e  b i s v e k a t w i c e - w e e k l y; b i s m e s a twice-monthly;  biside twice a day; bisanye twice a year.  b o p a t r o father-in-law; b o m a t r o mother-in-law;  b o f r a t brother-in-law;  b o s o r s i s t e r - i n - l a w:  bofilyo son-in-law;  b o f i l i n daughter-in-law;  b o e l t r o s parents-in-law  di-  1b) do-  privative,  d i f to undo; diarmo disarmament; d i v a n t a g i  to disadvantage; d i p o e z i to depoetize  d o m i d  d o m i d e a f t e r n o o n; in d o m i d a a f t e r n o o n;  afternoon; d o g u e r a postwar;  d o g u e r a p r e s y o s postwar prices; d o s k o l a after-  s c h o o l  I1) dui-  difficult  d u f p l e k i b l a diflicult  to t o  d u f l e k t i b l a difficult t o e x p l a i n; d u i v e n d i b l a  s e l l; d u f k a p i b l a  difficult  g r a s p:  dificult to read; d u f u d e r a  h a r d o f  h e a r i n g   ex- ex-, former  e x r o y ex-king; expresident ex-president;  e x s p o z o f o r m e r  h u s b a n d  13) ge- of both sexes  14) in- entering,  15) inter- between  16) intra- i n t e r i o r  g e s i r o s l a d i e s a n d g e n t l e m e n; a n d s i s t e r s; g e s p o z o s h u s b a n d  g e i r a t o s b r o t h e r s  a n d wife (Gesp.  M r. a n d M r s. )  i n m i x i  t o interfere; inkasi to encash; inkesi  t o encase; involvi to envelop  i n t e r v e n intervention; interlini to interline;  i n t e r n a s y o n a i n t e r n a t i o n a l  i n t r a v e n y a i n t r a v e n o u s; i n t r a m u s k l a i n t r a -  muscular; intraderma intradermic; intracelula  intracellular  17 ize-  e a s y  i z e p l e k i b l a easy to explain; i z e d i c i b l a  easy  to s a y; i z e k o m p r e n i b l a  e a s y u n d e r s t a n d  18) in-  just  ¡ u m a r l a t j u s t m a r r i e d: j u p a r s a t just p u b l i s h e d;  j u n a s a t n e w b o r n: j u a r i v a t j u s t a r r i v e d; j u r i c a t  j u s t received   mal- pejorative  m a l l a m a ill-famed, malformation; m a l i x luck; m a l o n e s t a  d i s h o n e s t; m a l a b i o a w k w a r d n e s s  20 mis- badly  m i s i n i o r m o m i s i n f o r m a t i o n; m i s p o s a l mis-  f e a s a n c e; m i s t r a t i mishandle; m i s p r o n u n c o  m i s p r o n u n c i a t i o n   mul- many, poly, m u c h  m u l f o r m a multiform; m u l d e n g a having m u c h  money; mulsilba polysyllabic; mulsorta artiklos  many s o r t s of articles   nar- next, to come  n a r v e k next week; n a r i e s next m o n t h; n a r m e s a  32 ni-  33 по -  34) pas-  35 pre-  36 re-  n a r s a b a n e x t S a t u r d a y ' s; n a r y e s  n a r o x e on the next occasion  n e v e r  n i u d a t never heard, unheared-of; n i v i d a t never  seen; nivinkat unconquered, never vanquished  n o p o s i b l a i m p o s s i b l e;  n o e n d a t unfinished;  n o v e r a not t r u e; n o v o l e unwillingly; n o k r i b l a  unbelievable; nonegibla undeniable; nonoposibla  last, past  not impossible p a s m i r k o last Wednesday; p a s v e k last. week;  p a s v e k a l a s t week's;  p a s y e m a  last w i n t e r ' s;  p a s a n y a last year's  before (time)  p r e i s t o r a p r e d a n k i orchistorie, in trevance;  t h a n k  preistor  predestination; p r e l a s t a last b u t o n e  repetition  refi to do again; renuvi t o renew; relekti to read  again; reinstal reinstallation; r e p r i n t reprint,  reimpression; r e m a r l o remarriage; redici to say  again  3 7 ri-  cinship replacement  3 8 r i n   rear, back  задний  назад  r i m a t r o s t e p m o t h e r;  ripatro stepfather;rifrat-  by r e m a r r i a g e;  stepbrother,  h a l f - b r o t h e r: r i s o r s t e p s i s t e r, h a l f  sister; r i p y e s o s spare p a r t s; r i r o t s p a r e wheel;  r i g u m o n spare t y r e; r i f o l y o s refills (sheets)  r i r s h o p back-shop; r i r g a r d o rearguard; r i r s i z o  late season: r i p e n s o hidden motive; r i r a k t i v a  retroactive; r i r i g i to go into reverse  2 9  конец созона  3 9 ) s a m -  9 0 s e m i - hall-  41) s e n -  42) s u l - under  similarity,  equality  samlandan fellow-countryman; s a m t e m p e at  t h e same time; s a m k o l o r a o f t h e s a m e color;  ideas; s a m i d e a n,  samidein a man, a woman having the same ideas.  semivege half-way ( a d v. ); s e m i t e r p, - e  half-lime; s e m i l o n g o half-length; semimorta  h a l f - d e a d; s e m i b a k  lack  s e n m o v a i m m o b i l e; s e n m o v o i m m o b i l i t y; seno-  d o r a odourless; s e n k o n d i s a unconditional; s e n -  p o s o powerlessness; sendulda impatient; s e n -  d u l d o impatience  s u b t e r a underground (adj.); s u b m a r a submarine  (adj.); s u b m a r i o r s u b m a r i n e (ship); s u b s u o l  subsoil; subdevolva under-developped; substimi  t o u n d e r r a t e When preceding a vowel, sub- may be replaced by  s u - suagent, sub-agent, sub-agency;  s u e v a l u i undervalue; s u o f i c e r n o n - c o m -  missioned Officer  43)  over, super s u r o m superman; s u r o m a s u p e r h u m a n; s u r s t i -  m a d i t o overvaluate; s u r k o t i t o  44) 10.  s u r a b o n d o s u p e r - a b u n d a n c e  all-, any- multi-coloured;  anyhow; tosorta of all sorts; tosorta jensos all  s o r t s of p e o p l e  45) tri, tre-  t h r e e  t r i m e s  t h r e e months, q u a r t e r; t r i m e s a,  q u a r t e r l y: trigon t r i a n g l e; t r e b e d a k a m bedroom with 3 beds. t r i p e d  tripod;  46) tris- three times,  t h r i c e  trismese three times a month; trisanya periodik  periodical published thrice yearly  47) un-  one, mono-  u n a l m a, - e u n a n i m o u s, -ly; u n a l m e s o u n a n i m -  i t y; unelta, -eso unilateral, - i t y; unkolora  o n e - c o l o r e d; u n d e r k a v e o o n e - w a y  street;  unsilaba monosyllabic  48) y 0 - a g o yolong long time ago; yopok a short time ago;  y o v e k w e e k a g o; y o v e k o s s o m e w e e k s ago;  yoanya koronazo the coronation of a year ago  Neo also uses Greek and Latin prefixes poli-, p a r a -, m o n o -, qasi-,  p e n t a -, e x a -, e p t a -,  S U F F I X E S:  - a C pejorative v i r a c o bad man, ruffian; b o y a c o bad, nasty boy,  g u t t e r s n i p e; l i b r a c o b a d b o o k; v e r k a c i to bungle,  -ad a c t i o n  d u m a d o nonsens e;  T a n f a r o n a d o f a n f a r o n a d e;  s h e n a d o s t a g i n g; s h e n a d e r s t a g e - m a n a g e r: m o -  v a d i to move on  function,  office  b l o w  -al language    botanic family  order, class  p u n c h ; p e d a d o k i c k ; p e d a d i to k i c k  Carmal Parisian slang;"  spanch; spanisa;  lang, Grekaya modern  G r e k: R u s a l R u s s i a n: N e d a l  Dutch; Polnal Polish; Cimal chinese, Japonal  r o z a l ( - o s ) rosaceac; c i p r e s a l cupressaceae; v e r-  b e n a l ( - o s )  t e r t i a r y ; p r i m a l u n a p r i m a r y - s c h o o l p u p i l, a m a n  o f primary culture; u n d a l i ú n a secondary-school  schoolgirl    - a l d o chief,  p r i n c i p a l l  stasyonaldo station-master; partedaldo party-  leader; o r k e s t r a l d o orchestra-leader,  s t a t a l d o  c h i e f of s t a f t  member of  c i v a n, c i v i n c i t i z e n ( m, 1 ) ; f e l d a n, f e l d i n p e a s a n t,  p e a s a n t w o m a n ; s a m r i l i g a n, - g i n c o r e l i g i o n i s t  (m, 1) bovan(-os) bovidea; r u m i n a n r u m i n a n t ;  s h a l a n ( - o s ) o v i d a e ; o v a n  oviparous  - a r o  edaro refectory; pransaro dining-room; ludaro  p l a y i n g p l a c e ; p r e g a r o  chapel  - a r y o  destinaryo addressee; latadaryo legatee; bene-  t i c a r y o beneficiary  - a v a  firava ferriferous; k u p r a v a cupriferous; a u r a v a  a u r i e r o u s ;  n i l a v a  h a v i n g nothing, devoid,  -ayo  material thing  d e s t i t u t e edayo food, victuals, feed; bevayo drink ; dorayo  something hard, callosity; medikayos medecines,  -azo action  f o r m a z o formation; l u s t r a z o polishing; s a p o n a -  -eg large, big, much,  very  -el vaguely connected  w i t h t h e r o o t  very l a rg e ; t o r t e g a  particular meaning; only a n indeter-  minate relation b e t w e e n the word finishing  corresponding H a m e l (from  f l a m flame) will-o'-the-wisp; fansel (from fanso  fancy) gadget  - e I n  good-natured;  w h e e d l i n g: s o n y e m i t o  - e n d a   -ensi  -er   -eso   - e s t  - e t   - e y o   -grat O   -ia   -ibl   -ia  -le    b e m e n d e d: v e r i f i k e n d a t o b e  verifica; l u k e n d a  vidend a valensee B; lakena do besent back;  a g e n d a agenda (things to be done)  s k u r e n s i to d a r k e n ; k l a m e n s i to s t a r t s c r e a m i n g ;  p l o r e n s i to s t a r t weeping  vender seller; kofer  b u y e r ; o p r e r workman;  workwoman ; tennisman;  tenis(er)in tennisplayer(woman);  b o n e s o (contraction of prudenteso) prudence;  whiteness; n e r e s o  b e l e s t a  most beautiful; g r a n e s t a the largest;  b o n e s t a the b e s t ; m a l e s t a the worst  b o y e t little b o y ; f e l e t l i t t l e girl; d o m e t small  h o u s e ;  to sip  o m e y o humanity; y u n e y o young people ; noble y o  nobility (noble people); K r i s t e y o Christendom  g e o g r a l g e o g r a p h e r ; g e o g r a t a g e o g r a p h i c: g e o -  g r a t i o geography; b i o g r a i biographer; biografa  biographical; -flo -aphy  kia whose; nilunia nobody's; tosia everybody's;  l o p o v i a v i v the poor man's life  i b l a available; p o s i b i a possible; v i d i b l a visible;  v e n d i b l a saleable; l e k t i b l a readable; n o p o s i b l a  i m p o s s i b l e  d e s c e n d a n t  Eraklid Heraclidan; Israelid Israelite; latinida  o f l a t i n o r i g i n  c a u s e  kie for what reason, w h y ; e t i e f o r t h i s r e a s o n ;  n i l i e for no reason; kelie for any reason; s o m i e  f o r s o m e r e a s o n  determining, c a u s i n g  d o r m i l a  soporific ; e x i t i l a exciting;  b e n i l a  helpful, beneficial; l e z i l a prejudicial ) - i g  -i¡  -il  to go  to become  i n s t r u m e n t,  t o o l   -in feminine   - i n d having done   -inil small container   -ingo machine   - i o (pron. i - o ) art,  trade; a whole,  a set  bedigi to go to bed; dormigi to go  t e n s i g i to go to the window; laborigi to go to  d o r m i j i t o fall a s l e e p ; o l d i g t o g r o w o l d ; v i d i b l i j i  t o b e c o m e v i s i b l e ; b e l i j i to grow b e a u t i f u l  o r i l clock, watch;  nutcrackers ;  a p p a r a t u s ; s u k r i l sugar t o n g s ; d e n t i l tooth pick ;  d e k t o r i n lady doctor; roin queen; venderin  salesgirl; p i n t e r i n  seamstress; leonin lioness; tigrin tigress  vidinde having s e e n ; r i c i n d e h a v i n g r e c e i v e d ;  o l d i g i n d e having grown old; o l d i j i n d a who has  s u g a r bowl; s a l i n i l salt-  l a v i n g o w a s h i n g - m a c h i n e ; p l a t e n i n g o w a s h i n g - u p  medicine; p a n i o bakery, baker's shop; i n d u s t r i o  industry; oldio old people; old things; socio  49) -д уо (р г:: и-уо)  container, small  place or book  - у е place   -yer, -eyer plant,  s i g a r e t u y o cigarette-case; o k i l u y o spectacle-  c a s e: totuyo hold-all, bin; garduyo sentry-box;  o r d u r u y o  r e c t o r y; t r e n u y o  time-table; fonuyo call-box, t e l e p h o n e b o o t h:  o r u y o  f o n a d r e s u y o telephone directory  klezye at church, to church; kinye at the movies,  to the movies; Londonye in London, to London;  B r u x e l y e  a t Brussels, to Brussels; skolye al,  to s c h o o l; d o m y e h o m e, a t h o m e; t o y e  e v e r y - n o w h e r e  w h e r e; s o m y e somewhere; nilye  apple-tree; r o z y e r r o s e - t r e e; t r u l y e r  peach-tree; pirseyer pear-  tree; fragyer strawberry plant  so a n y times; d u y e s twice; e k y e s  h u n d r e d d a y s t i m e s; i d y e s; o n e d a y; p a s i d y e s a g o; n a r i d y e s o n e o f t h e s e c o m i n g s o m e  d a y s.  to Paris; Fransye in, lo France; Romye in, to Rome; Italye in, to  or when speaking of places in general:  Mi gar klezye I am going to church; mi gar al San Paul klezo I am  going to St. Paul's Church; el gar skolye she goes to school; el g a r al  N o r m a s k o l s h e g o e s t o t h e N o r m a l S c h o o l; il s u n g o r a l I n g e n e r s k o l  he will soon go t o t h e E n g i n e e r i n g S c h o o l; m i U n i v e r s i t y e  the Universily; i l g o r s k o l y e xenye he will go to school a b r o a d; il g o r  a u n x e n a skol b e will go to foreign school; il g o r s k o l v e d o r i v e  he will go to school in the village; il g o r al d o r i o s k o l he will go to the  village school.   -ior m e a n s of  fishing-boat; destroyer; ivior  transport aircraftcarrier;   - i r comparative  a l t i r a t a l l e r, h i g h e r; granira larger;  •smaller; f o r t i r a s t r o n g e r; k l e v i r a more clever;   -is reflexive  o f i r a m o r e f r e q u e n t; o f i r e more often  seirist to loke takesh munisi to punish one-   -ism, -ist doctrine,  p a r t i s a n ) - i l i l l n e s s,  med. affection   - l o g, -a, -io science,  art (pron.: i - o )   - o l young animal   - o n d g o i n g t o;  to c o m e  k o m u n i s m o, -ist(a)  ciner diphtheria; epit hepatitis; uremit urae-  dermolog, - a, - i o dermatologist, -ogical, -ogy;  nel m e s o s v e n o n d a in the  d e p a r t o n d a the ships that are   -orio (pron.: i - o ) factory  b i s g i t o r i o biscuit f a c t o r y; t e l o r i o linen manu-  factory; k o r d o r i o rope-making, rope-manufactory.  -oyo ( p r o n.: o - y o )  skriboyo desk, writing-table; klozoyo cupbora,  T u r n t t u r e  wardrobe; frigoyo refrigerator, cooler   -oz a b u n d a n c e  rikozo great richess; r i k o z a very rich; lumoza  luminous; l u m o z o effulgence, sheen, glare   -ue r e c i p r o c i t y  l i b u c i to love e a c h o t h e r: l i b u c u ! love e a c h o t h e r !:  m u t u a l a i d; b o n b o y o s e l p u e a r good   -ul tiny  boys help one a n o t h e r  o m u l h o m u n c u l e; i n f a n u l t i n y t o t; m a n u l tiny  h a n d; p e d u l tiny foot; k a t u l kitty (cat)  i n d i v i d u a l  lo v u n u n t h e wounded m a n; lo v u n i n the wounded  (fem.: -in) w o m a n; m a l u n  m a n; m a l i n  p r i z u n prisoner; p r i z i n woman prisoner  ELISION  One may OPTIONALY (never obligatorily), and SO LONG AS THIS  DOES NOT INTERFERE WITH EUPHONY AND CLARITY, elide  following words: the article lo before a word beginning with a vowel:  P a r b o,  l ' a r b o s the tree, the trees  l'eldo, l ' e l d i n o s l ' a v e n t u r o s the hero, the heroines  d ' A r t u r A r t h u r ' s a d v e n t u r e s   t h e preposition de and the word ke (pronoun or conjunction), and  also the object pronoun, before a word beginning with a vowel:  l ' a v e n t u r d ' e l boy this boy's adventure  l ' o r e l o s d ' u n a s n o a n a s s ' s e a r s  l ' o k o s d ' u n f e m k ' i l v i d i r the eyes of a w o m a n he saw  m ' a m a r tu a s m i l ' a m a r ?  do you love me as I love you ?  il d i e a r k ' i l V a m a r he says t h a t he loves you   the two-syllable (one syllable after elision) or at most three-syllable  (two syllables after elision) ADJECTIVE, when PRECEDES the  noun to which it relates, NEVER WHEN IT FOLLOWS IT:  e t (a) dom  t h i s h o u s e  yen (a) floros t h o s e f l o w e r s  n u s ( a ) l e t ( a ) k a m o s nice little r o o m s  un gran(a) bel(a) klezo a big b e a u t i f u l c h u r c h  mi ricir ta gentil(a) brif I received your kind letter  let(a) domos c klezos g r a n a S m a l l h o u s e s a n d l a r g e c h u r c h e s  4) the ending o of the NOUN, but ONLY IN THE SINGULAR..  plural's designation os MAY NEVER BE ELIDED see NOUN  mele n u r e the ending at of the past participle, when used as a noun suffixed with  in (feminine) :  l a k u z a t; l'akuzin ma l i b a t; ma libin ma benamat; ma benamin the accused ( m; 1)  my beloved (m; f)  my much beloved (m; /)   t h e sullix er and other suffixes, to reduce the length of a few feminine nouns above):  biblioteker; bibliotekin librarian ( m; /)  m a t e m a t i s t; matematin mathematician ( m;  korespondent; korespondin c o r r e s p o n d e n t m;   a n y word may be elided, when this is suggested by the  r h y t h m or b y T h e poet is of course granted  extra freedom in this matter, as his muse may suggest to bim.  COMPOUND WORDS  C o m p o u n d words are very frequent in Neo. They a r e f o r m e d by  simple joining, b u t a h y p h e n can always be used to help the r e a d e r who  is new to Neo, and when the resulting compound word seems too long :  b o n a good, k o r h e a r t; b o n k o r good-heartedness; b o n k o r a good-hearted  D o n a g o o d; v o l w i l l; b o n v o l g o o d w i l l; b o n v o l a, - e goodwilling, -ly  mala bad, ill; malkore illnaturedly; malvol ill-will  Skol school, m a e s t r o t e a c h e r; s k o l m a e s t r o schoolmaster  d o r i o village,  k l e z o c h u r c h; d o r i o k l e z o village c h u r c h  a r t a r t; i s t o r history; a r t i s t o r art-history; A r t i s t o r - S k o l Art-History  e n t a whole; k o r heart; e n t a k o r e whole-heartedly  a m o r l o v e : p e n sorrow; amorpen love-sorrow  menso dining; car c a r; mensoear dining-car  When writing compound words, it is suggested, as soon as the word  seems too long, or as soon as there is a danger of confusion, we separate  the composing words with a hyphen: skol-maestro, art-istor, dorio-  m e n s o - c a r.  its or sund was have t o r are sister, sach, smoisestro. ceping  English compound words as "cigarette-holder", "cross-bearer", "pen-  "pen-wiper", "windscreen-wiper" are translated in Neo either  directly (with e n d i n g -er for a person, ( s i g a r e t i l ), kruz-porter, plum-tenil, t o o l ) : s i g a r e t - p o r t i l  v i t r e l - s h u g i l,  o r by using t h e infinitive: p o r t i - s i g a r e t, p o r t i k r u z, t e n i p l u m ( p l u m i l ),  Shugiplum,  The English idiom "from day to day",  from year to year", and so on,  is shrunk in Neo t o single words comprising the initial syllable and the  This useful device can be extended to adjectival (ending -a) and to  verbal ( e n d i n g - 1, etc.) u s a g e : l e t l e t a s m a l l e r c o m e s m a l l e r a n d s m a l l e r; l a d l a d a u g l i e r a n d a n d s m a l l e r; l e t l e t i to u g l i e r : o l d o l d i t o be-  g r o w  older and older.  So k o n s t a t a r un idida melazo.  E t land far ananya progres.  Viv ye shirshira.  Nun il melmelar.  Il melar idide.  A d a y to day improvement is  ascertained.  T h i s c o u n t r y  is m a k i n g a year  t o y e a r  p r o g r e s s.  L i f e is there more a n d more expensive. He is now doing better and better.  He is getting better from day to day.  34  El n u s n u s a r idide. She is growing prettier and prettier  f r o m day to day.  Nos adsir al orora pizazo del situo. We witnessed t h e h o u r to h o u r  deterioration of the situation.  " t h e m a n w i t h t h e g r a y g l o v e ",  word: lo nerkapla fel, lo grizganta vir, lo verdroba d a m.  GEOGRAPHICAL NAMES. Geographical names have been arbitrarily established in Neo. They  a r e s u b j e c t t o c h a n g e s, a c c o r d i n g to l o c a l p r e f e r e n c e o r t a s t e, o r for o t h e r  unaccountable reasons. The changes may be no less arbitrary than the  c a r l i e r forms.  H e r e is a list of s o m e of t h e s e n a m e s :  Country name Inhabitant   language  fashion, manner  and adjective  B r i t, b r i t a B r i t a, B r i t i n Great Britain, B r i t i s h  Briton, Britisher,  B r i t i s h w o m a n Anglo, a n g la Angla, Anglin  Angla l England, English Englishman,  English Englishwoman Franso, -a Fransa, -in Fransa l France, French Frenchman, Fren c h  F r e n c h w o m a n  I t a l i o, - a l a I t a l a, - i n I t a h a n, I t a l a l I t a l i a n  I t a l y, I t a l i a n I t a l i a n w o m a n B e l g o, - a  B e l g a, B e l g i n   b r i t a n a, -e a, ado  a f t e r  t h e B r i t i s h  m a n n e r ( s t y l e )  a n g l a n a, - e after  t h e E n g l i s h  m a n n e r  t r a n s a n a, -e  a f t e r the French  m a n n e r  i t a l a n a,  -e the Italian  manner b e l g a n a, - e  a f t e r  Belgium, B e l g i a n, - w o m a n  D e c l a n d, d e u c a D e u c a, Deucin D e u c a l d e a u c a n a, -e  German (1) German, - w. G e r m a n  R u s i o, r u s a  R u s a, R u s i n R u s a l r u s a n a, - e  R u s s i a  Russian, - w.  R u s s i a n  Cin, c i n a China, C i n a, C i n i n C i n a l  c i n a n a, -e  C h i n e s e  Chinaman, - w. Chinese  Ned(o), n e d a Neda, Nedin N e d a l Nedana, -e  Netherlands, Dutchman,  D u t c h  ( H o l l a n d ) D u t c h Dutchwoman  S U R S, s u r s a Sursa, - i n s u r s a n a, -e  U. S. S. R.  G r e k i o, g r e k a Greece, Greek Graka, -in G r e k a l m o d e r n  Greek mod creekrekana, -e  G r e k )  E u r o p, -a E u r o p a, - i n  e u r o p a n a, - e  Europe, A m e r i k, - a Amerika, - i n A m e r i k a l  a m e r i k a n a, -e  A m e r i c a,  Azyo, a z y a Azya, -у і п a z y a n a, - e  Asia, -jatic  A f r i k, a f r i k a A f r i k a, -in afrikana, -e  USA (USIO), usa Usa, -in Usal, Amerikal usana, - e  U.S.A., American   A u s t r a l y o, - y a Australya, -yin australyana, - e  Australia (4)  Austro, austra Austra, - i n austrana, -e  Austria, - i a n  85  Japon, -a Japan, Japona, -in  Japanese  A r a b i o, a r a b a Arab, -in  Arabia, - l a n  T u r k i o, t u r k a Tu r k ( a ), - i n T u r k e y, Swis, a Switzer" S w i s a, -in  land, Swiss  O c e a n y o, -ya Oceanya, - i n  Oceania, - i a n   Mexik, - a Mexico, Mexixa, -in  -an  Mexico, Mexil- Mexikurba, -in  u r b o, - a M e x i - Mexikoa, -oin  co-City A l g e r y o, - y a Algerya, -yin  A l g e r i a, - i a n  A l g e r a, -a A l g e r a, -in  A l g i e r s, o1 -  T u n i s y o, -ya Tunisia, - i a n  T u n i s, - a T u n i s y a, Tunisa, -in  -yin  Tunis, of -  L o n d o n, l o n d o n a L o n d o n a, - i n  London, Londonian  Paris, -a P a r i s a, -in  Paris, -ian  R o m a, - a Rome, Roma, - i n  R o m a n  Japonal  japonana, -e  A r a b a l  a r a b a n a, - e  T u r k a l  turkana, -e  swisana, -e  o c e a n y a n a, - e  m e x i k a n a, - e  mexikurbana, -e  algeryana, -e  algerana, -e  t u n i s y a n a, -e  tunisana, -e  L o n d o n a l   l o n d o n a n a, - e  P a r i s a l   p a r i s a n a, -e  R o m a l   r o m a n a, - e   G e r m a n i o means Old Germany (history) (germana, German, -in;  g e r m a n a n a, - e .   Belgal might mean "French as spoken in Belgium"; same, Swisal  Ameraland Osal rand Amerin (inguage) or „English as  3) A m e r i k a l and U s a l mean  spoken i n America (in t h e United States").  4) "australa" (belter "Suda"), would mean "austral, southern".  5) o c e a n means " o c e a n " ( o c e a n a oceanic).   L o n d o n a l m e a n s: London slang, Cockney; P a r i s a l: Parisian argot;  R o m a l R o m a n dialect. Inhabitants may also be called: Britun, -tin; Anglun, Anglin;  Fransun, Fransin; etc.  For the languages, there are verbal, adjective and adverbial deriv-  a t i o n s:  a n g l a l a, - e in English; a n g l a l i to speak, to k n o w English;  t r a n s a l a, - e i n F r e n c h; t r a n s a l i to speak, to know French;  rusala, -e in Russian; rusali to speak, to know Russian.  C u s o m u n ik f r a n s a l a r ? D o e s a n y b o d y s p e a k F r e n c h h e r e ?  E t a n g l a l a t r a d u k This English translation is not good.  M i b a d u k o r et l i b r o r u s a l e. I'll t r a n s l a t e this book i n t o Russian.  R u s s i a n t e a c h e r w h o  l a r p e r t e. knows English perfectly.  glishman.  Zi a r un t r a n s a anglala klavin. They have a French girl-typist for  English correspondence.  Old, classic, or constructed languages don't need the suffix -al: Latin  Latin; G r e k ancient Greek (modern Greek: grekal); S a n s k r i t Sanskrit;  Esperanto Esperanto; Neo Neo.  I l l a t i n a r m o no g r e k a r.  El esperantar e near.  He knows Latin b u t he does not  k n o w a n c i e n t G r e c k.  She knows Esperanto and Neo. USEFUL IDIOMS  There is nothing so difeult as translating idioms from one language  into another.  When an English idiom does not appear clear enough in a  word for  word translation, try and give this idiom its real meaning in quite simple  l a n g u a g e.  Here are some attempts to translate the true meaning of some English  idioms:  So great a m a n.  Un t a n gran vir.  A certain Mr. Smith.  S e r t S r  Smith.  To set a n example.  Di l'exemplo.  What a surprise you are giving me! K a s u r p r e n vu m e d a r !  I am coming in a f e w minutes. Mi v e n a r fra p o k m i n u t o s.  Three shillings a head. Tre shilingos pro cet.  To go a-hunting. Gi yagi (yagigi).  To a b a n d o n oneself to... A b a n d o n i s i  T a k e n a b a c k,  Tre paid for ki acaried, aghast. Disckurati saton a s t o n o c a.  W h a t ' s the m a t t e r ? К а m a t ?  In broken a c c e n t s.  K o n v o k r o m p a t.  T o m e e t  with acceptance.  I n k o n t r i aprov.  Road  accident.  R u t - a x i d e n t.  Aircraft accident.  I v - a x i d e n t.  T h e d i s p u t e h a s b e e n s e t t l e d. Lo kontendo aranjat.  his a c c o u n t s. L e s la  d i c o s.  To acknowledge receipt of a letter.  R i c a v i z i u n b r i f.  To put in action. Aktadi. - Movadi.  It adds up to ten thousand franes. Montantar ismil frankos.  The lack of a d j u s t m e n t  b e t w e e n  Za malkun.  their t e m p e r a m e n t s.  M u c h a d o a b o u t n o t h i n g, Mul rum po nilo.  W i t h o u t f u r t h e r a d o. Sen plu. - Sen oso.  They found it to their advantage. Zi t r i r it vantaga (po zi).  T o take medical advice. Konsulti mediker. - P r e n i m e d i k a  o p i n.  F o r e i g n  Affairs.  Foreign Office.  Xenecos. Xenecado.  T h a t ' s a n o t h e r a ff a i r !  E t o osa  gestyon!  T o w i n a l t e c t i o n.  G a n i a f e k t o. - G a n i s i m p a t i o.  H o w I w o u l d like to b e y o u n g a g a i n !  K a n mi d e z u r resi y u n a !  Now and again. - From time to time.  Temtempe.  To be over age.  Si s u r a j a; suraji.  This cime ed esur propswith me.  Nos grear va propozo. E t klim no me k o n v e n a r.  A i r - c o n d i t i o n ( t o ); - e d; -ing.  E r k i; e r k a; erko.  (Via) Air-Mail. - By a i r.  I v e. -  E r e.  Air-tight. Air-hostess.  Ermetika. Er-ospin.  A i r- b r i d g e.  E r - p o n t. Er-portat.  A i r - b o r n e.  A l a r m s i g n a l.  A l a r m c l o c k.  Alarmil. Velyil.  F i r s t of a l l.  At all hours. - At a n y time. Toprime. K e l o r e.  N o t a t all.  N i l e. - N i x e.  That's all.  Eto to. Sar to.  All included  To i n s e.  All of a  sudden.  S o d e n e.  All right!  O. K. ! O k e !  To allow oneself.  Alms-house  Permisi Azil Ospizo Altar-boy  Korgoboy.  Neo's OPTION/.L GENITIVE  We may optionally use in Neo the sullix ' ('oy), corresponding to the  English 's to mark the genitive:  ma patro'y dom  ma librer'oy filin  nos no libar et fem'oy modos  et libros-oy print exela  my father's house  my bookseller's daughter  we d o n ' t like this woman's manners  the printing of these books is excellent.  Both OPTIONAL GENITIVE's sullix - y (-oy) and COMPLEMENT  TRANSPOSITION'S sullix -n (-on, -an) (see page 28) were suggested by  Mr. Béla Mariash (Hungary).  Pronunciation of letter "¿". According to Mr. Adrian J. Pilgrim's (Leicester)  convincing suggestion, we have decided to accept for this letter the optional use  of both English (John, jolly) and French (Jean, joli) pronunciations.  Compound infinitive verbs. We wish to p o i n t o u t the equivalence of following  verbal forms:  = s i v i d a n d a ( t o b e s e e i n g ):  v i d i n d i = s i v i d i n d a = i vidat (to h a v e seen):  vidondi = sividonda (to will have seen):  = si vidat (to be seen).Arturo Alfandari. Alfandari. Refs.: Luigi Speranza, “Grice ed Alfandari,” pel Gruppo di Gioco di H. P. Grice, The Swimming-Pool Library. Alfandari.

 

Luigi Speranza -- Grice ed Alfieri: la ragione conversazionale e l’implicatura conversazionale di LVCREZIO, il filosofo repubblicano – la scuola di Parma – filosofia parmigiana – filosofia emiliana -- filosofia italiana – Luigi Speranza, pel Gruppo di Gioco di H. P. Grice, The Swimming-Pool Library (Parma). Filosofo parmegiano. Filosofo emiliano. Filosofo italiano. Parma, Emilia-Romagna. Grice: “I like Alfieri; the enzo is vital – Vittorio Alfieri has statues at Torino! V. Enzo Alfieri dedicated his life to prove that Democritus was more of a poet than a philosopher. ‘Indeed, I will go as far as to argue that he ain’t no philosopher!’ Unfortunately, Abbagnano ignored him, and Lucrezio stayed in the canon! Then Alfieri tried to study the idea of the ‘in-divisibile,’ the ‘atom’ and the ‘clinamen,’ and how Lucrezio was a good poet but a bad philosopher!” Allievo di CROCE (si veda). Vive a Milano ove si laurea in filosofia e insegna filosofia alla Bocconi e Pavia.  Allievo di MARTINETTI (si veda) e CROCE (si veda), di cui condivide l'ideologia liberale e il approccio filosofico, ma anche gentiliano non ortodosso secondo la definizione di Spirito, è un oppositore del regime fascista che lo arresta quando a Milano scoppia una bomba all'ingresso della fiera che fa sospettare che si tratta di un fallito attentato al re. A. è incarcerato a San Vittore assieme a tre altri filosofi: Malfa, Segre e Vinciguerra. È liberato senza processo per l'interessamento di Croce che tramite Marinetti ha intervenire MUSSOLINI – il filosofo ufficiale. Un secondo arresto avvenne presto per la scoperta di lettere ritenute compromettenti dalla censura fascista. È scarcerato per l'intervento di GENTILE (si veda) ma dove lasciare entro due giorni l'insegnamento a Modena e trasferirsi a Milano dove riusce a sopravvivere grazie all'aiuto di amici e di parenti che lo ospitarono.  A Milano ottenne il primo incarico alla Bocconi dove rimane fino al suo trasferimento a Pavia. Suoi amici, maestri e testimoni di libertà, come lui stesso li definì, oltre a Croce, sono Prezzolini, Radice, Flora, Albertelli -- ucciso alle Fosse Ardeatine -- e, tra i più vicini e affezionati, Spadolini.  Fortemente critico nei confronti del movimento di sinestra e impegnato attivamente per le riforme della scuola, fondatore "Movimento per la libertà e la riforma dell'università italiana" e il comitato nazionale per la difesa della scuola e divenne presidente dell'"Associazione amici dell'Gerusalemme. Collabora a “L’'Italia: che scrive che riusce a mantenere una certa autonomia nei confronti del fascismo. Monarchico, iscritto al partito liberale Italiano, si avvicina agli ambienti della destra, aderendo al Sindacato libero scrittori italiani e collaborando con Volpe e “Intervento” di Gianfranceschi. Collaboratore per la filosofia de “Il Giornale” diretto da Montanelli.  Tra i suoi saggi vanno annoverati studii sulla filosofia romana, “La tristezza di Pindaro”; “Lucrezio”; “Gl’atomisti” e opere di estetica, L'estetica dall'Illuminismo al Romanticismo. Ad A., oltre ad un suo epistolario con Croce, si devono due memorie autobiografiche -- “Maestri e testimoni di libertà” e “Nel nobile castello” -- dove sono originalmente ritratti personaggi della vita culturale e politica italiana da Croce a Scotti, da Jacini a Casati, a Flora. Troiano, Allievo di Croce, Corriere della Sera. Ferrari, Martinetti e Banfi, in Il Contributo italiano alla storia del Pensiero Filosofia Treccani. Tarquini, Gli sviluppi di LA SCUOLA DI GENTILE:  da Carlini Spirito, in Croce e Gentile Treccani; Mariuzzo, La Scuola di Pisa, in Croce e Gentile Treccani. Veneziani, LXVIII pensieri sul CXVIII: un trentennio di sessantottite visto da destra, Firenze, Loggia de' Lanzi; Elia, Monarchici e partito, su Italia Reale.  Croce, A., Lettere,  Milazzo, Spes; Garosci, Nel nobile castello, in Tempo presente, Forum per A., Rendiconti, parte generale e atti ufficiali; Cicalese, A. maestro di studi e di vita, in Antologia, A.: maestro e testimone di libertà: atti del Convegno, Cremona, Circolo Culturale Croce; Parente, A. e il nobile castello, in Belfagor. Già A. nell’introduzione al breve primo scritto bembiano incluso in una strenna dell’editore Sellerio, ha colto una possibile connessione ai dialoghi platonici più letterari, dove a proposito del piacere ecfrastico dello scrittore per il podere di S. Maria del Non scrive. Bembo si compiace a descrivere il luogo a lui caro, il fresco riparo dalla calura estiva, il fiumicello, i pioppi piantati dal padre, il quale si stupisce che nella piana verso le pendici dell’Etna vi siano platani, che gli fanno forse risovvenire i platani d’Ilisso. L’intuizione diviene più. Del resto l’opera stessa prima del Bembo, il “De Aetna”, richiama a quei molteplici interessi – spesso da e su testi  – che ispira le Castigationes Plinianae. E la stessa felice ambientazione del dialogo già di per sé dilata i confini dell’oggetto esegetico e rilancia tutte le più vitali istanze di plenitudo culturale, di renovatio che Barbaro stesso (e Poliziano per suo conto) indica tra gli scopi della propria lezione (Mazzacurati). Sono una plenitudo e una renovatio che si muovono anche da quell’indirizzo filosofico e umanistico insieme che era stato così caratteristicamente veneziano, da Barbaro a Valla: nella ripresa di un tutto autentico Aristotele che Aldo consacra con la sua monumentale edizione delle opere aristoteliche ispirata alla lezione di Ermolao e dedicata a Pio. Proprio sulla base della retorica e della poetica aristoteliche, ripresentate come esemplari dopo secoli e secoli sulla laguna, poteva svilupparsi anche la filologia più nuova del Bembo, tutta fondata sul concetto di creazione artistica, non come furor o inventio platoniche, ma come imitatio naturae e su una considerazione critica nuova della lingua», Branca, La sapienza civile, c Bembo Pietro. De Aetna: il testo di Bembo presentato d’A., note di Carapezza e Sciascia (Palermo: Sellerio) concreta se posta a confronto con un altro testimone contemporaneo di Bembo, Giraldi. Questi infatti nella sua lettera introduttiva a Renata di Francia alla Historia Poetarum Latinorum, su uno sfondo tutto boccacciano -- l’occasione della peste e la conseguente riunione di una piccola brigada (Pico e Piso) --, così si esprime nel presentare la cornice diegetica del trattato. A., critico verso la cecità dell'eruditismo dei filologi che si affannano a congetturare e spostare, sminuzzare e riattaccare i luoghi del poema di LUCREZIO, sintetizza ancora. Il canto del sonno e dei sogni si riattacca a quei canti precedenti, ai canti delle illusioni, e apre la via ai versi contro la più terribile delle illusioni: contro l'amore. Ecco come viene il sonno: una parte dell'anima è dispersa fuori, una parte si è raccolta nel profondo della sua sede, e le membra si sciolgono, e manca il senso, perché il senso è opera dell'anima. Ma il senso non manca interamente, perché, se no, non si potrebbe riaccendere mai più e sarebbe la morte. La causa del sonno è la continua perdita di atomi da parte del corpo, perdita che avviene specialmente per le incessanti percosse degli atomi aerei; e questi versi sono bellissimi, nella narrazione dell'inavvertito conflitto, eppoi nella rappresentazione della sonnolenza, con versi rotti e con un verso finale di grande dolcezza.POPLITESQVE CVBANTI SÆPE TAMEN SVMMITTVNTVR VIRISQVE RESOLVUNT. E il sonno segue al cibo e alla stanchezza, perché allora è avvenuto un tanto più grave turbamento di atomi in noi. Qui passiamo all’illusioni. Ognuno si sogna quello che è la sua occupazione del giorno. Gl’avvocati sognano di trattar cause, il generale di guidare eserciti alla guerra, il marinaio di lottare coi venti, LUCREZIO d'essere sveglio a scrivere il 'De rerum natura'. Ed ecco quelli che si sognano i pubblici spettacoli, dopo essersene storditi per tanti giorni. I cavalli, che sognano le corse. Il cane, che sogna la caccia e fiuta in aria ve si agita; i merli si sognano di sfuggire ai falchi. Così gl’uomini: sanguinosi e paurosi sogni di re, sogni terrificanti di uomini che si credono alle prese con pantere e leoni, e gente che parla dormendo e svela tutti i propri segreti, e gente che immagina di morire o di precipitare da alti monti, e gente che ha sete e si sogna di essere presso un fiume e di bere infinitamente”. E' come se all'interno di un'argomentazione piana, di un'espressione variata, di un vocabolo già abusato, di un ritmo additivo irrompessero sistematicamente una rivendicazione terminologica, un elemento imprevisto, un segnale indecifrabile, un'interruzione del ritmo, un vestigio ad investigare. Non cessano infatti di stupire, per vistosità e normatività, un'accelerazione espressiva e un turbamento linguistico, i quali tuttavia, anziché disperdersi in una sorta di dadaismo originario o di impazzire nel gioco retorico, concorrono al prima e al poi della dimostrazione, alla proporzione del dettato, alla simmetria e regolarità del verso. Essi stessi riducibili a struttura, più simile ora ad un reticolo cristallino, ora ad una tavola aritmetica, ora ad un ordinamento geometrico. Questa compresenza dell'uno e del molteplice, del medesimo e del diverso, del codificato e del nuovo -- responsabilità morale di annunciare un nuovo mondo. Linguistica, che porta alla preoccupazione dell'iso-morfismo, al voler far combaciare vocabolo e oggetto segnato, segnante ordine linguistic, ordine cosmico. La eversibilità e convertibilità di ordine fisiologico o naturale, e di ordine filologico -- verbale. Anzi, la fisiologia irrelata e caotica sembra comporsi e prendere forma in un divenire “caosmico” proprio grazie alla filologia, la quale ordina sintammaticamente il molteplice -- il complesso nel semplice, nel semplicissimo (atomon, indivisum), domina il caos, resiste alla morte ed all'amore, e, anziché immaginare o assecondare l'esistente, lo ferma e se ne appropria. A VT NOSCAS REFERRE EARVM PRIMORDIA RERVM CVM QVIBVS ET QVALI POSITVRA CONTINEANTVR ET QVOS INTER SE DENT MOTVS ACCIPIANTQVE QVIN ETIAM REFERT NOSTRIS IN VERSIBUS IPSIS CVM QVIBVS ET QVALI SINT ORDINE QVÆQVE LOCATA NAMQVE EADEM CÆLVM MARE TERRAS FLVMINA SOLEM SIGNIFICANT EADEM FRVGES ARBVSTA ANIMANTIS SI NON OMNIA SVNT AT MVLTO MAXIMA PARS EST CONSIMILIS VERVM POSITVRA DISCREPITANT RES SIC IPSIS IN REBVS ITEM IAM MATERIAI INTERVALLA VIAS CONEXVS PONDERA PLAGAS CONCVRSVS MOTVS ORDO POSITVRA FIGVRÆ CVM PERMVTANTVR MVTARI RES QVOQVE DEBENT ATQVE EADEM MAGNI REFERT PRIMORDIA SÆPE CVM QVIBVS ET QVALI POSITVRA CONTINEANTVR ET QVOS INTER SE DENT MOTVS ACCIPIANTQVE NAMQVE EADEM CÆLVM MARE TERRAS FLVMINA SOLEM CONSTITVVNT EADEM FRVGES ARBVSTA ANIMANTIS VERVM ALIIS ALIOQVE MODO COMMIXTA MOVENTVR QVIN ETIAM PASSIM NOSTRIS IN VERSIBVS IPSIS MVLTA ELEMENTA VIDES MVLTIS COMMVNIA VERBIS CVM TAMEN INTER SE VERSVS AC VERBA NECESSEST CONFITEARE ET RE ET SONITV DISTARE SONANTI TANTVM ELEMENTA QUEVNT PERMUTATO ORDINE SOLO AT RERVM QVÆ SVNT PRIMORDIA PLVRA ADHIBERE POSSVNT VNDE QVEANT VARIÆ RES QVÆQVE CREARI. Analogia tra formazione di "verba" et versus e formazione res, espressa dagli eadem e dal parallelismo tra "significant" e “constituunt” resa esplicita nella spiegazione della paronomasia ignis/lignum iamne videas eadem paulo inter se mutata creare gnis et lignum?  Quo pacto verba quoque ipsa  inter se paulo mutatis sunt elementis, cum ligna atque ignis DISTINCTA VOCE NOTEMUS. Costituenti minimi semantica (parola, sillaba, articolazione, prima articolazione, seconda articolazione, terza articolazione), natura (radice, atomo, molecula). Reversibilità dei co-efficienti dei costituenti minimi -- “positura”, “motus”, “ordo” -- che già nella metafisica aristotelica -- dell'aristotele perduto -- sono indicati come le sole e tutte differenze che possono presentare tra loro le lettere. Circolarità tra realtà fisica e linguistica con successione intrecciata delle argomentazioni nei due passi elemento -- ELEMENTUM (gr. stoicheion) è costituente originario sia di alfabeto che natura, secondo Democrito e Leucippo, fonte Metafisica, Aristotele. IL PORTICO, nella sua lotta contro GL’ORTELANI, sostiene la legge finalistica del Logos come vera unica legge che indirizza la scrittura delle opere e la formazione delle cose. Platone sostene l'esperienza letteraria come micro-cosmo produttori del reale. Concursus motus ordo positura figurae. Sono documentati come 'produttori' del 'reale' (res, rerum) in Leucippo, Democrito (dalla Metafisica) ed Epicuro e sono gl’esatti sinonimi latini dei termini greci – “individuum”, atomon; “elementum”, stoicheion, simple, simplice, simplicissimum. Il verso è straordinario, dal punto di vista ritmico, tutto spondaico, e semantico, essendo costituito da soli sostantivi elencati a-sindeticamente, e culminante dal punto di vista fonico su “ordo”, quasi palindromo, appena bi-sillabo. Un verso icastico, che riprende i termini già esposti ma in ordine sparso e vi associa “figurae”, termine con una doppia valenza (ma monosemia) materiale e linguistica. Numerose testimonianze nei testi grammaticali latini fanno emergere la perfetta corrispondenza della terminologia atomistica e linguistica, in quanto tutti i termini "concurcus", "motus", "ordo" et "positura" sono specificamente grammaticali. motus concursus gramm: fenomeni fonetici: sinalefe (contrazione in un'unica sillaba di due vocali, solitamente dittonghi), sineresi (contrazione in un'unica sillaba della vocale terminante di una parola e di quella iniziale della successiva), iato (incontro di vocali forti successive). Il “distaccamento”, l'”accostamento”, il “mutamento” degl’atomi convertono la natura delle cose nello stesso modo in cui l'”omissione”, l'”aggiunta”, il “mutamento” delle lettere convertono l'identità delle parole. Il modello grammaticale sembra in ogni caso essere preminente e fungere da paragonante per scoprire e chiarificare i meccanismi del mondo atomico, “ex apertis in obscura”, per rendere più semplice il passaggio dall'esperienza sensibile della littera scritta all'invisibilità degl’infinitesimi atomi, elementa. Gramm: flessione (verbo) musica: ritmo retor: figura retorica  ut potius multis communia corpora rebus multa putes esse, ut verbis elementa videmus. L'assimilazione tra “verbum” e “res” fornisce una giustificazione e funzione della filosofia, nonché annulla il divario tra filosofia e poesia, aprendo la strada della ben più successiva divulgazione scientifica. È convinzione epicurea quella dell'iso-morfismo tra parole e cose, e tale risulta nella costituzione del poema intero, costruito come un cosmo vero e proprio. La valorizzazione di ogni singola parola, la sua attenta scelta si riflette in un innalzamento a materia poetabile delle realtà anche più umili, come “minerali, piante, fiumi, cielo, mare, terra, fiere, uomini”. Si crea così una democrazia linguistica ante litteram, lontana dal buonismo religioso, spesso degradato in ipocrisia, o dagl’esperimenti degl'atomismo logico di Russell, che demolendo la sintassi o creando l'enumerazione caotica volevano demolire la società borghese e capitalistica e criticare la massificazione elevando ogni singola parola, pur immersa nella sua massa uniformemente bianca e nera che è il testo. Vittorio Enzo Alfieri. Alfieri. Keywords: Lucrezio, l’implicatura di Lucrezio, la folla di Lucrezio, Croce, filosofia romana, la terminologia della grammatica filosofica di radice del portico: elemento, figura, individuo, concorso. Refs.: Luigi Speranza, “Grice ed Alfieri” – The Swimming-Pool Library.

 

Luigi Speranza -- Grice ed Alfonso: la ragione conversazionale e l’implicatura conversazionale – scuola di Santa Severina – filosofia calabrese -- filosofia italiana – Luigi Speranza, pel Gruppo di Gioco di H. P. Grice, The Swimming-Pool Library (Santa Severina). Filosofo calabrese. Filosofo italiano. Santa Severina, Crotone, Calabria. Grice: “I like Alfonso – no, he ain’t a Spaniard; the surname was pretty popular in Southern Italy after the roaming of the Spaniards! And it’s ultimately barbaric, that is, Goth!” “Typically, for a philosopher, a professional one, I mean, he started with logic for teenagers (il ginnasio ed il liceo), but with a twist – he called his lectures (his ancestor may testify) ‘logica reale,’ or colloquenza reale – and he tried to criticse “il Vera,” who had written “Il problema dell’assoluto.” “Like me, he has an interest in S is P and S is not P (questo uomo no est sensibile). His first utterance is actually, NOT ‘the fat cat sat on the mat, and as he sat on the mat, he saw a rat” – but the rather naïf ‘il sole e luminoso.’ He gives two other examples, which are easy to detect, since he does not use quotes but ITALICS!: “questo corpo est rotondo” and “questa pianta fiorisce.” His idea, like mine, or Peacocke’s,, or Speranza, is that that is pretty much enough to deal with the most serious problems in philosophy: the judicatum, and its component Concetto 1 e Concetto 2 – “Questa pianta fiorisce’” -- Un temperamento di spirito positivo e di evoluzionismo idealistico, che attesta l’origine del suo metodo e la serietà dei suoi studi, ma che dimostra pure quanto egli si sia discostato dall’indirizzo del Vera e dello Spaventa per accostarsi a quella che fu chiamata la sinistra hegeliana»  (Luigi Ferri). Filosofo. Autore di pubblicazioni scientifiche e di numerosi articoli su riviste letterarie e quotidiani, alcuni dei quali sulla Calabria e sui personaggi delle tragedie di Shakespeare, che gli fanno guadagnare l’attenzione per l’approccio singolare alle opere del grande drammaturgo. Da una famiglia di proprietari terrieri, si dedica all'approfondimento delle Sacre Scritture, grazie ai due fratelli del padre, canonici del capitolo metropolitano della cattedrale. Questi studi -- parte dei quali pubblicati con il titolo “Le donne dei Vangeli” (Firenze, Successori Le Monnier) -- manifestano un approccio *positivista* sull'analisi del testo biblico. Terminati gli studi nel suo paese natale si trasfere a Catanzaro, dove è allievo del letterato e patriota rocchitano Gallo-Arcuri. Frequenta il liceo ginnasio Galluppi, conseguendo la licenza ginnasiale. Ottenne in seguito la licenza liceale con lode al liceo classico del convitto Vittorio Emanuele II di Napoli, che gli fa valere, su concessione del ministero della pubblica istruzione, la possibilità di iscriversi alla facoltà di filosofia presso la Regia Napoli. Alla facoltà di Filosofia, dove, allievo di SANCTIS, VERA, e SPAVENTA, ottenne vari riconoscimenti.  Consegue la lauree in filosofia. I lincei gli assegono il premio reale per la filosofia per il saggio dal titolo “Kant: i suoi antecessori e i suoi successori”. Su espressa volontà del padre fa ritorno a Santa Severina. Ma la passione per l'insegnamento prevalse e partecipa ai concorsi a cattedra per i licei, iniziando a insegnare Filosofia in Sicilia: Caltanissetta, Messina e Catania. Da questa esperienza di insegnamento cominciarono ad evidenziarsi sempre di più le sue qualità didattiche, tant'è che il ministro della Pubblica Istruzione Boselli lo convoca a Roma per affidargli la cattedra di filosofia nei licei, prima al liceo ginnasio Umberto I e poi al Liceo Visconti. Comincia a collaborare con le più importanti riviste, tra cui il Nuovo Convito, la Rivista d’Italia, la Rivista moderna politica e letteraria, la Rivista italiana di filosofia, la Nuova Antologia, L’Educazione, la Rivista italiana di Sociologia, la Rivista di filosofia e scienze affini e con diversi quotidiani, tra cui L'Osservatore Romano. Chiamato dal ministro della Pubblica Istruzione Boselli ad insegnare filosofia all'Istituto Superiore, dove, in seguito a concorso, divenne Professore. Ha come colleghi Pirandello e Capuana. Durante i trantaquattro anni di insegnamento all’istituto superiore, è relatore di oltre trecento tesi. Per il Dizionario illustrato di Pedagogia, curato da Credaro e Martinazzoli, redasse la voce Istituti Superiori femminili di Magistero. Anche libero docente di filosofia alla Regia Roma.  All'insegnamento affianca sempre una prolifica attività di saggista, pubblicando saggi che spaziano dai temi dell'educazione e della morale all'economia politica, dagli studi sull'ambiente e sulle foreste all'analisi criminologica dei personaggi shakespeariani. Il suo sommario delle lezioni di pedagogia generale (Loescher) è giudicato dalla Reale Accademia dei Lincei frutto d'amorosa meditazione e di mente abituata alla ricerca e alla costruzione filosofica, che esce dai confini degl’ordinari trattati di pedagogia per elevarsi ad una sintesi mentale superiore. Tenne la prolusione all'Universal Congress of Races di Londra, che è poi pubblicata col titolo “Speculative psychology and the unity of races” (Loesche). Membro del Congrès indu progrès religieux a Parigi. Consulente medico della Real Casa d'Italia durante il regno di Umberto I e del Palazzo Apostolico Vaticano sotto il pontificato di Benedetto XV.  Mai volle aderire ad alcuna corrente filosofica e politica, ed è fortemente avversato dal ministro della pubblica istruzione GENTILE (si veda), che decide di mandarlo anzitempo in pensione con un provvedimento ad personam. Si tratta del Regio Decreto all'interno della Riforma GENTILE, che anticipa, per i soli professori del Magistero, il collocamento a riposo al compimento del settantesimo anno anziché al settantacinquesimo, come per gl’altri docenti universitari. Il suo posto è immediatamente occupato da RADICE, amico di Gentile. Anche CROCE intervenne nella vicenda in favore di A., chiedendo a GENTILE una deroga a tale decreto, ottenendo però risposta negativa. La salma è portata sulla carrozza della Real Casa e seppellita nel Cimitero del Verano. Santa Severina, gli ha intitolato una via del centro storico e la Scuola elementare. Saggi: “Le donne dei Vangeli” (Firenze, Monnier); “Sonno e sogni” (Milano, Trevisini); “Principii di logica reale” (Roma, Paravia); “Lear” (Roma, Alighieri); “La dottrina dei temperamenti” (Roma, Alighieri); “Psicologia” (Torino, Boccai);  “Pregiudizi sull'eredità psicologica (genio, delinquenza, follia)” (Roma, Alighieri); “I limiti dell'esperimento in psicologia” (Roma, Loescher); “La filosofia come economia” (Roma, Loescher); “Lo spiritismo secondo Shakespeare” (Loescher); “Psicologia criminale. Critica delle dottrine criminali positiviste” (Roma, Loescher); “Il Cattolicismo e la filosofia” (Roma, Loescher); “Otello delinquente” (Loescher);  e “Pedagogia: l'educazione come economia” (Roma, Loescher); “Note psicologiche, estetiche e criminali ai drammi di Shakespeare: Macbeth, Amleto, Re Lear, Otello” (Milano, Società Editrice); “Principii economici dell’etica”; “Naturalismo economico”; “Principi naturali d’economia politica” (Roma, Athenaeum); “Gl’alberi e la Calabria dall'antichità a noi” (Roma, Signorelli); “La dis-occupazione: cause e rimedi” (Torino, Bocca). Nicolò d'Alfonso Il  del Sud  Furio Pesci, Pedagogia capitolina. L'insegnamento della pedagogia nel Magistero di Roma, Parma, Ricerche pedagogiche, Francesco d'Alfonso, Nicolò d'Alfonso. Ritratto di un intellettuale indipendente, Bisignano, Apollo edizioni, cit Gallo-Cristiani, In memoria del filosofo Nicolò d'Alfonso, Roma, A. Signorelli editore, La vicenda del pensionamento di Nicolò d'Alfonso è ricostruita e ampiamente documentata in Nicolò A.. Ritratto di un intellettuale indipendente, Francesco A., L'onesto solitario. Vita e opere del filosofo Nicolò A., Reggio Calabria, Città del Sole edizioni,  Francesco A., Nicolò A.. Ritratto di un intellettuale indipendente, Bisignano,  Francesco A., Amleto e Ofelia. La critica shakespeariana negli scritti di Nicolò A., Reggio Calabria, Città del Sole; Pesci, Pedagogia capitolina. L'insegnamento della pedagogia nel Magistero di Roma  Parma, Ricerche pedagogiche, Gallo Cristiani, In memoria del filosofo Nicolò A., Roma, A. Signorelli; Mariantonella, Marchesini e la «Rivista di filosofia e scienze affini», Angeli; Macris, Nicolò A.: uno studio introduttivo, in Quaderni Siberenensi, Catanzaro, Ursini, Luca, Santa Severina. L'antica Siberene, Pubblisfera; Testa, La critica letteraria calabrese, Pellegrini; Bernardo, Santa Severina dai tempi più remoti ai nostri giorni, Istituto editoriale del Mezzogiorno; Santa Severina Università La Sapienza di Roma Accademia dei Lincei Liceo classico Albertelli.   Il prof. Nicolò A. presenta Note psicologiche, estetiche e criminali ai grammi di Shakspeare Macbeth, Amleto, Re Lear, Otello. Una nuova fase dell'economia politica; Speculative psychology and the unity of races. Il cattolicismo e l'insegnamento della storia del cristianesimo nell'Università di Roma; La filosofia della storia nel nostro tempo; Morgagni e la biologia moderna; In Calabria». A., come già risulta dall'elenco dei sagg presentati, s'è occu pato di argomenti disparatissimi, senza che però, a giudizio unanime della Commissione, egli sia riuscito a trattarne alcuno con metodo scientifico. Per la più parte sono saggi occasionali e informativi, discorsi, prelezioni. Ma invano si cercherebbe un'indagine compiuta con intento scientifico. Le nole psicologiche sui drammi dello Shakspeare, che del resto sono una ristampa di articoli pubblicati già parecchi anni addietro, per molti rispetti sono pregevoli, contenendo osservazioni giuste, e in ogni modo attestano l'amoroso studio che l'A. ha fatto dei drammi dello Shakspeare; ma, a giudizio unanime della Commissione, non sono titolo sufficiente per l'assegno del premio a cui il A. aspira. E' un insegnante che ha una lunga e onorata carriera, e moltissime saggi. Ma queste che pur contengono molti pregi, riguardano la psicologia, la logica e la pedagogia La stessa opera che s'intitola Saggio di filosofia morale è un saggio di psicologia applicata alla critica dell'antropologia criminale. Il Sommario delle lezioni di filosofia generale – LA FILOSOFIA COME ECONOMIA -- in cui espone i concetti cardinali del suo approccio, non tratta propriamente problemi morali, al cui studio non arreca contributo notevole l'opuscolo Principi economici dell'Etica. Formulati in questo modo i giudizi riassuntivi intorno ai quattordici candidati, e vagliati comparativamente i titoli di ciascuno, e tenuto conto infine dell'esito della prova orale, la commissione procede alla votazione definitiva, secondo le norme. La terna risulta così concepita in ordine alfabetico: Calò con III voti favorevoli e due contrari; Ferrari, con III voti favorevoli e due contrari; Orestano, a voti unanimi. II voti riporta il candidato Zini. Essendosi quindi proceduto alla graduazione dei III candidati designati per la terna, in ordine di merito, si ha il seguente risultato: 1°Orestano con voti IV contro uno; Ferrari con voti III contro due; Calò con voti III contro due. Il candidato Calò ha un voto come primo nella terna. La Commissione pertanto propone a V. E. di nominare Orestano professore di filosofia a Palermo. Roma, Il Consiglio Superiore di Pubblica Istruzione, esaminati gl’atti del concorso,li riconobbe regolari e nell'adunanza delibera di restituirli al Ministero senza vazioni.  La Commissione Osser.  Quando un maggior numero di uomini si strinsero in rapporti fradi loro e furono animati dal *fine comune* (mutual goal) di *aiutarsi* (reciprocal helpfulness)  nel superare le difficoltà per la vita, onde si vide il grande vantaggio del lavoro collettivo, questo fatto ha una grande importanza per quegl’uomini e pei primordi dell'umanità in genere. È allora necessaria la dimora fissa in un luogo, ciò che dovea  LA STORIA DEL LINGUAGGIO.   diminuire loro idisagi e le incertezze del domani. Si preferi di dimorare presso le rive dei fiumi, dei laghi e del mare, che offrivano certi vantaggi. Risoluto il problema dell'esistenza nell'oggi, è reso possibile il tentativo di produrre pel domani, allora si principio ad allevare il bestiume ed a coltivare la terra, prendendo insegnamento, come potevano, dalla natura. Allora è reso maggiore il bisogno di *esprimersi* (express ourselves) e d'*intendersi* (comprehend ourselves) in un più largo ambito e nacque nell'uomo il desiderio di ben provvedere al suo avvenire, à quello della tribů o della piccola società ed a ricordare la vita passata per trarne insegnamento per l'avvenire. È reso ancora necessario il tradurre in segni materiali, e perció più memorabili, i rumori e le voci di *espressione*: prima origine della scrittura e della lettura. Ma, anche in questo caso, quando non si tratta di do vere riprodurre l'immagine sensibile delle cose, ma di usare SEGNI più o meno facili ad eseguire e da connettere alle parole, ciascuno dove significare da principio in modo affatto ARBITRARIO ed inintelligibile agli altri le proprie rappresentazioni. Solo posteriormente, per mezzo d’accordi, alcuni *segni* (segnante/segnato) sono ricunosciuti da parecchi siccome *esprimenti* alcune date *rappresentazioni*. Si *stabilisceno* (Grice – established procedure) cosi tanti segni (segnante, segnato) per quante sono le parole in uso. Però un cosiffatto costituirsi della società primitiva non avvenne per un aggruppamento solo, in un solo sito, di uomini e di famiglie. Dato invece il continuo dirimersi e disgregarsi degli uomini preistorici, bisogna ammettere che è dovuto avvenire, isolatamente, in vari punti della superficie della terra; e per ciascuna piccola società dovettero stabilirsi speciali segni di scrittura e di lettura. Questi movimenti d’emigrazione e d'immigrazione, di conquiste, raggiunte con la violenza o con la calma e l'astuzia, sono più frequenti nei primordi della storia, poichè in quei tempi non tutti i bisogni individuali e sociali dell'uomo potevano essere sollecitamente soddisfatti, quantunque fosse stato prepotente in lui il desiderio di soddisfarli. E poichè ogni gruppo sociale migrante, come ha un complesso di parole, cosi puo avere un complesso di *segni* a quelle corrispondenti, avvenendo lo stesso per la società che subiva l'immigrazione o il dominio, con la mescolanza degli uomini dove ancora avvenire una mescolanza di differenti linguaggi. In questo caso il gruppo sociale più potente dove esercitare il suo dominio sul popolo nuovo arrivato o sul debole. È necessario perciò che gl'imponesse anche la propria lingua, altrimenti non sarebbe stata possibile la comunicazione degl’animi, prima condizione al vivere. Queste società col vivere a lungo in un sito andarono incontro ad alcuni disagi per lo sfruttamento del terreno non ancora coltivato secondo la legge naturale o per la distruzione degl’animali boschivi o infine perchè il loro sviluppo sociale dove far loro avvertire NUOVI BISOGNI o per dar nuove esplicazioni alle loro energie. Nasce perciò in loro o in parecchi di essi il bisogno di avvicinarsi ad altre società, sia per offrire a queste i prodotti particolari del loro suolo e della loro industria e rice verne altri, sia per offrire loro le proprie energie organiche dalle quali volevano trarre un profitto. L'avvicinamento e poi la reciproca compenetrazione degl’animi avvenne per via pacifica o per la violenza e la forza, onde la società sopravvegnente sottomise a sè l'indigena. sociale. Ma si deve anche ammettere che il popolo vinto o il nuovo ha in parte contribuito a modificare la lingua dell'altro, non potendosi ammettere che esso si fosse potuto così facilmente e presto privare della sua lingua abituale e l'altro non ne ha subita alcuna modificazione. Cosi, come la parola (del greco parabola), anche altri segni dove subire molteplici metamorfosi in ragione del vario congregarsi e disgregarsi degl’uomini, in ragione dei vari influssi che quelle società esercitarono fra di loro. E quando in mezzo alla vita indeterminata delle società primitive sorge un popolo energico e forte che acquisto di sè una coscienza superiore a quella degl’altri popoli che si sforza di soggiogare e di dominare ed impose loro i suoi costumi, le sue credenze,  è quello il primo popolo veramente storico e allora la lingua di esso è imposta ai vinti ed ammesso riconosciuto da questi. Ma un popolo che sa esercitare il suo dominio è destinato a vivere e a perpetuarsi. È necessario allora che esso diventi qualche cosa di organico, che ha un ordinamento interno, che ha leggi ed istituzioni. Un popolo cosi costituito è costretto a conservare ed a coltivare la propria lingua, dando un valore determinato alle proprie parole; perchè solo cosi è possibile il governo che deve implicare la stabilità delle leggi e della istituzioni alle quali deve perció connettersi una lingua determinate e fissa, altrimenti quel popolo ricadrebbe, come, malgradociò, tende sempre a ricadere, allo stato primitivo di disgregamento. In un popolo che vive e dura la lingua deve non  solo fissarsi ma le parole di cui consta debbono moltiplicarsi. E ciò non può non ammettersi se si considera che una società che vive non può non compiere, per mezzo degl’individui che la costituiscono, un'attività psicologica scrutativa e conoscitiva sulla natura circostante. Questa che da principio apparisce come qualche cosa di molto semplice, come un tutto a sè, in ragione che più si esercita l'attività umana sopra di essa,apparisce distinta in una molteplicità di gradi o di oggetti i quali alla loro volta da prima appariscono indeterminati nelle molte proprietà di cui risultano e, progressivamente, appariscono sempre più determinati. Tale è stato il movimento della conoscenza dai primordi della storia sino ai nostri tempi e non si è peranco arrestato. Di nessun oggetto si può dire che esso sia stato cosi studiato ed analizzato in tutte le sue note, in tutti i suoi rapporti, che un ulteriore studio nulla di nuovo potrebbe darci. Quantunque questo processo di scrutazione e di conoscenza si sia eseguito sopra ogni cosa, pure non tutti i popoli hanno all'istesso modo fatte le loro conquiste in ogni ramo della realtà. Giacchè alcuni hanno scrutato un ramo ed hanno lasciato intatto un altro di essa e, conseguentemente, la lingua si è più arricchita in quella regione della natura che non in un'altra. Inoltre è avvenuto nella storia che, come gli uomini hanno fatto un progresso nel campo della conoscenza, si sono ingegnati di servirsi delle loro cognizioni per modificare la natura esteriore a loro profitto, producendo una molteplicità di beni e sovrapponendo cosi all'opera della natura una nuova creazione che è quella dell'arte. Tutte le istituzioni sociali sono creazioni dello spirito, Cosi quando un popolo emerge nell'arte della guerra e delle conquiste, come il popolo romano, deve anche creare una nomenclatura in cose militari e guerresche. Giacchè, anche in questo caso, ogni nuova veduta, ogni nuova invenzione, per quanto possa sembrare poco apprezzabile, pure deve essere contrassegnata dalla sua parola. Tale lingua non puo riscontrarsi nei popoli che, nel movimento storico, precedettero quelli. Ed allora la nuova lingua potrà inprosieguo divenire patrimonio di nuovi popoli; perchè le conquiste di una nazione nel campo della conoscenza e dell'attività pratica tendono a divenire patrimonio ed eredità delle altre nazioni, Una nazione che emerga nel mondo pel suo dominio sul mare, ciò che non può avvenire senza la costruzione di vascelli di meravigliosa complicazione, come il popolo ligure, deve creare una nomenclatura marinaresca, sia per le varie parti e di vari apparecchi di cui consta un vascello, come per la loro funzione e per gli uomini che vi si addicono, nomenclatura che *prima della formazione di quei vascelli non avea ragion d'essere* e che ora deve essere accettata dalle altre nazioni che vogliono costruire  nelle quali se la natura interviene, essa non vi è come puramente tale, ma rianimata da un nuovo soffio. La storia ci fa vedere che ogni società civile ha prodotto qualche cosa di particolare in un ramo delle istituzioni sociali; o nelle leggi o nell'industria, nel commercio, nell'arte militare, nelle belle arti, nella religione, nella scienza. Corrispondentemente a questo progresso nell'attività intellettuale e pratica, nuove forme particolari debbono sorgere che contribuiscono ad accrescere la somma delle parole di un popolo. -- navi di quei tipi o forme, onde quelle parole genovese o ligure debbono in massima parte essere accettate come tali dalle altre nazioni. Anche una nuova e grande religione, come il culto di Marte, il dio della guerra dai romani, dovette formarsi una nuova lingua relativamente alle antiche religioni, quantunque alcune parole di queste siano state conservate nella nuova religione, all'istesso modo che qualche cosa del contenuto delle prime religioni si perpetua nel contenuto delle altre. E, poichè la religione, sopra tutto la religione istituta dal primo principe, Ottaviano, compe netra ed informa tutti gli aspetti della vita individuale e sociale, esercita la sua azione modificatrice nella lingua di tutte le istituzioni sociali. Nel culto romano di Marte troviamo parole che hanno un contenuto differente da quello che avevano nei popoli precedenti o che non ancora hanno accettato il Cristianesimo, quantunque le stesse parole possano prima essere state usate.E, poichè il Cristianesimo è stato il punto di partenza di un grande e lungo svolgimento artistico, teologico e filosofico, informato ai suoi principii, si è dovuto ancora produrre una lingua atta a rendere in tutti i loro elementi le nuove e grandi concezioni. Cosi l'attività pratica sociale e le istituzioni contribuiscono a fare arricchire la lingua latina dei romani. Ma infondo a questo progresso linguistico sociale dobbiamo trovare come principale fattore l'attività individuale di un CICERONE, di un LUCREZIO, di un VARRONE, di un ROMOLO! Come avviene delle nazioni che non fanno un passo innanzi nel progresso dell'umanità se non per l'opera dei grandi uomini che esse nondimeno hanno creato eeducato, avvieneanche pel progredire della lingua dialettale – o soziale – altre l’idioletto. Giacchè gl'individui in quanto vedono aspetti nuovi della natura o della vita s o  Però da principio essi hanno ricevuto dalla società in seno alla quale sono nati e cresciuti un linguaggio che era patrimonio comune a molti; essi l'hanno solamente arricchito in quel ramo di attività nella quale hanno espli cato la loro energia e,se questa riguarda immediatamente la vita del popolo,potranno le nuove parole divenir popolari, altrimenti rimarranno sempre chiuse nella cerchia dei pensatori e degli studiosi. Così la lingua filosofica di CICERONE non è popolare o ordinario o volgare come non è popolare o ordinaria o volgare la filosofia, mentre il linguaggio della religione e dell'arte potrà più facilmente scendere sino al popolo e divenire suo patrimonio; perchè esse al popolo sopra tutto s'indirizzano ed in esso debbono trovare alimento. -- Pertanto se la lingua dell'arte, della filosofia, della storia differiscono in qualche modo fra di loro, differisce anche la lingua di un cultore di quella data branca di attività umana da quello di un altro. Così il idoletto o idioma di Platone differisce da quello di Aristotele e di Hegel. La lingua, l’idioletto, o l’idioma di Omero differisce da quello d’ALIGHIERI, di Shakespeare e di Goethe. La lingua, l’idioletto o l’idioma di Tucidide e di Erodoto differisce da quello di LIVIO, di TACITO, di MACHIAVELLI. E ciò perchè ciascuno scrittore impiega nella realtà che studia e perciò nella lingua che trova e contribuisce a creare, quella sua attività particolare che   ciale contribuiscono a formare la lingua ed imprimono parole nuove a nuovi fatti reali che si sono scoperti od escogitati. Ippocrate, che fu il fondatore della scienza medica nell'antichità, fu anche il creatore della lingua medica che si conserva in fondo alla compless lingua medica moderna. Cesare dette nuove determinazioni ed una più grande precisione alla lingua militare. lo spinge ad usare nuove parole o a dare un nuovo contenuto o segnato a vecchie parole o it nobilitarle o a degradarle. In questo modo la lingua di un popolo che, come ogni conquista dell'uomo e dell'umanità, tende a sminuire e a perdersi, è sostenuto dalla vita nazionale ed è migliorato dal progresso che essa fa in ogni ramo dell'atti vità umana. Il suo progresso va di pari passo col progresso dell'umanità,  all'istesso modo che il decadere di questa trae seco il decadere della lingua. Una nazione mantiene integralmente la sua lingua quando una sola vita ed un solo pensiero circolano in essa quando vi è, cioè, unità nazionale, onde tutti i cittadini hanno la stessa educazione, la stessa coltura, le stesse aspirazioni, volgono la loro attività allo stesso fine collettivo, partecipano intimamente agli avvenimenti nazionali, sono animati dello stesso spirito religioso, artistico. Quando lo spirito nazionale si affievolisce o cade, tendendo allora la lingua a degradarsi, la scuola apparisce come una sostituzione alla vita sociale, la quale può creare il culto della lingua nazionale, facendo interpretare e gustare i capilavori letterari, storici e politici che quella data nazione possiede. In questo caso la scuola può creare un movimento per un nuovo risorgimento nazionale e per mezzo di essa può la lingua durare e vivere anche quando le istituzioni che la formarono e la sostennero son decadute. Ma se in quei casi la scuola manca, tutto va in rovina.  Nella scuola va incluso anche il culto per l'arte, quando questa non rappresenti il puntosalientedella vita nazionale, come avvenne in Grecia la quale dovette la popolarità di quella meravigliosa lingua primieramente al  culto per Omero I cui canti, artistici e religiosi insieme, venivano imparati a memoria e ripetuti e cantati da tutto il popolo. La religione ha anche essa una grande potenza a mantenere in vita una lingua, quando ogni altra istituzione sia perita in una nazione; perchè essa, tendendo a difondere un complesso organico di principii e di massime a tutto un popolo, in modo che tutti gl'individui vengano illuminati e spinti all'azione da essa (e già la religione esercita la sua azione in tutti i fatti della vita, onde la lingua religiosa penetra in ogni cosa), deve tenere perciò vivo il culto per la lingua nazionale. Quando queste condizioni mancano la lingua si discioglie, soprat tutto se quella nazione continua ad essere il centro d'im migrazione di altri popoli, come avvenne dell' IMPERO ROMANO dopo la sua caduta, in cui, con la invasione dei barbari, quando la scuola mancava, nuovi linguaggi e nuovi costumi penetrarono che dovettero affrettare la disorganizzazione di quella lingua in tanti linguaggi particolari a varie provincie e luoghi, varianti fra di loro secondo che varie erano le nuove condizioni di ciascuno. Alcuni di questi particolari dialetti più tardi divennero ancheessi nuove lingue, quando apparvero i poeti, gl’oratori, gl’istorici, i legislatori, i religiosi, i quali, per adattarsi al popolo al qualedoveano volgerel'opera loro, dovettero bene conoscere il nuovo linguaggio ed,usan dolo, gli accrescevano prestigio e destavano il culto per esso. In questo modo una grande lingua si discioglie e gli altri linguaggi che vengon fuori da quella dissoluzione possono di nuovo nobilitarsi e divenire storici. La lingua tedesca non sarebbe divenuta una nobile e bella lingua se Lutero, col movimento religioso che egli. Risulta da quel che si è detto che non è stato un solo il popolo storico, ma vari,quantunque però si debba a m mettere che questi si sieno manifestati in una regione piuttosto che in un'altra del mondo e che vi sieno stati p o poli storici di cui non sono rimaste vestigia;perchè la parte che essi hanno rappresentato per la storia dell'u manità in genere non è stata di grande importanza, onde non sono divenuti centro di attrazione di altri popoli e non hanno avuto perciò l'energia di sottometterne e di dominarne altri. All'istesso modo che ogni popolo ha una storia parti colare e comparisce e sparisce dal teatro del mondo e ad un popolo si succedono altri popoli ed ognuno ha la ere dità degli altri ed ha insieme aspirazioni, tendenze ed uno spirito proprio,si foggia ancora in modo particolare la propria lingua. E come il suono o la voce è l'espres sione dello stato interiore psichico indeterminato dell'a  fondo ed inizio, in cui dovea avere gran parte la cultura del popolo, non avesse destato un culto per essa.I grandi poeti tedeschi, gli storici, i filosofi, gli scienziati,animati dallo spirito della riforma,contribuirono poi a rendere importante nel mondo e nella storia quella lingua. L'a vere la Grecia conservata, dopo la sua caduta, la sua antica lingua la quale, tenuto conto dei mutamenti necessari che in essa son dovuti avvenire pel progresso del pensiero umano, si è continuata nella lingua greca moderna, si deve all'essere essa, dopo la sua caduta, stata quasi tagliata fuori dal grande movimento del mondo, il cui centro divenne ROMA, e al non essere più essa stata fatta segno alle invasioni e alle immigrazioni di altri popoli. Quando, dopo la rovina dell'impero romano, il pen   animale o dell'uomo, anche la lingua, nel complesso si stematico delle sue parole, è l'indice dello stato intellettuale di un popolo, della sua storia, del grado della sua eticità, della sua energia, delle sue aspirazioni economi che, artistiche, sociali, religiose, scientifiche. Sicchè, conosciuta la lingua di un popolo, ci è dato conoscere la sua vita naturale e spirituale; perchè nulla è nella vita naturale e spirituale degli uomini che non sia in qualche modo nel suo linguaggio. Diciamo in qualche modo,per «chè la lingua non è l'espressione perfetta della vita e del movimento della psiche. Le parole di cui il linguaggio consta sono sempre vi 'brazioni tradizionali,empiriche o convenzionali per espri mere alcune rappresentazioni o azioni o energie delle cose; sono perciò involucri naturali ed estrinseci in cui si avvolge la coscienza e la mente per esprimere la realtà delle cose e degli avvenimenti; la cui ricchezza di par tivolari, d'intrecci e di energie è profonda ed inesauribile. Sono perciò una pallida immagine della realtà e della mente,quantunque siano però qualche cosa di superiore e di più perfetto relativamente al linguaggio indetermi nato. E quando vi è dissdio tra realtà e lingua, di modo che quella apparisce alla mente nel suo progresso di complicazione, mentre la lingua si pietrifica, questa diviene un impaccio alla espressione dellamente che di continuo si muove e si svolge; ed è solo rompendo questo in volucro sensibile e dandogli un valore più nuovo e più altochesi possono intendere e manifestare le più ascose pieghe del pensiero e della mente; giacchè per intendere il pensiero non vi vuole che il pensiero. Ad ogni modo la mente nella sua progressiva formazione si sforza di creare il suo linguaggio; perchè il linguaggio serve pel pensiero; e foggia nuove parole o nuove combinazioni di parole o dà un nuovo significato alle vecchie parole. E perció la storia ci fa vedere che quelle nazioni che sono state ricche di pensiero, co inella sfera di attività pubblica e sociale,come nella s'era artistica, religiosa, scientifica, hanno avuto una lingua ancora ricca di parole, di locuzioni,diflessioniper espri mere i più fuggevoli moti della realtà e dello spirito; ed in quella nazione in cui la vita del pensiero è stata poverit o nascente si è ancora avuta una lingua povera. di parole e di uso. Ciascuno di questi gradi dell'evoluzione del linguaggio è l'espressione dello stato psichico e cerebrale di quei dati popoli, stato in parte ereditato in parte acquisito; dello stato degli organi vocali e dell'ambiente cosi na turale come etico che gli uomini si sono creato ed in cui sono vissuti. Queste tre serie di fattori hanno la parte principale nella storiadel linguaggio e, secondo il grado. -- del loro accordo dello sviluppo di esso, costitu'scono la lingua peculiare di un dato popolo.  -siero cristiano che porto seco una nuova civiltà, più pro fonda e più complessa della romana, a poco a poco si sostituiva alle vecchie istituzioni, LA LINGUA DEL LAZIO non potè essere più adatta ad esprimere il nuovo pensiero, sopra tutto dopo le invasioni barbariche; e se fu colti vata dalla Chiesa e dai dotti,questi per entrare in re lazione col popolo e partecipare perciò alla vita nazionale, dovettero usare il vulgare. Qualche cosa di analogo avviene nella storia dell'in   è psicologicamente molto simile agli animali, emette an.che esso dei suoni indeterminati. Ma in ragione che ac. quistano maggior sviluppo i sistemi del suo organismo e gli organi vocali e le sensazioni acquistano maggior pre cisione funzionale, il bambino si assimila gli elementi delle voci o delle parole che ode intorno a sè,assimila zione che è resa facile da predisponenti condizioni ere ditarie, le riferisce alle cose con cui è in rapporto, le fissa nella memoria, si sforza di pronunciarle,riuscendovi male da principio;ma dopo unalunga esercitazione,ar riva a pronunziare bene ed a mano a mano non solo al cuni monosillabi, ma anche parole più o meno semplici. Nella storia del fanciullo si ha insomma come riepilogo quello che è avvenuto nella lunga storia dell'umanità; cosi il bambino da poco nato non ha altro modo per esprimere isuoi stati interni che ilgrido,ilpianto,che sono poco più che un moto riflesso, una forte sensazione che si estrinseca per le vie del respiro.  - dividuo. Come il grido indefinibile che l'animale emette •è l'espressione dello stato indeterminato dei sentimenti che lo agitano e dello stato informe delle rappresenta zionichelo muovono,come della povertà dei centridelsuo: sistema nervoso, cosi il bambino che nei suoi primi anni [Abbiamo usato promiscuamente la parola linguaggio e lingua; ma è bene dichiarare che la lingua implica maggiori determinazioni che non il linguaggio che è qualche cosa di più generale ed inderminato relativamente ad essa. La lingua è un linguaggio divenuto classico o storico, con nesso cioè ad una vita nazionale, per cui ogni parola ha una storia e le cui origini si possono seguire anche in altri linguaggi che sono presupposti della lingua che si   Dopo che le parole son divenute storiche, sono state cioè connesse ad un segno materiale,possono continuare, sopra tutto in tempi in cui le lingue si formano, ad a vere una storia circa alla loro struttura. Ed anzi tutto pare non si debba ammettere che, quando LA LINGUA PREISTORICA abbia principiato a divenire STORICA, si fossero tra dotte in segni materiali tutte le parole parlate. Invece si deve aminettere che queste dovettero essere moltissime neila loro gradazione di pronunzia da individuo ad iudividuo, da tribà a tribù, per la ragione detta precedentemente. E quando si volle tradurre in segni una parola la quale aveva immense gradazion,essi furono appunto quasi una. somma di una molteplicitii di parole parlate le quali se: poterono fissarsi in segni non poterono però definitivamente fissarsi in un tipo di vibrazione fonica ad esse corrispon denti,quantunque pero questo fosse stato il fine dell'in venzione dei segni materiali e della scrittur a e questo. fosse anch e il fine dell'inseegnamento della lettura. Da ció segue che le parole parlate furono moltissime relativamente alle impresse. Stabilitasi la forma della parola parlata e della i m pressa non si tenne più alcuna ricordanza della deriva-. zione primitiva di essa nè si pensó più a modellare le: parole sulle forme delle vibrazioni naturali. Dovette per  - studia. Si può dire ‘lingua’ della natura, ‘lingua’ degli animali, ‘lingua’ dei bambini, ma non lingua senza quotazioni. L'uomo che per morbi perde la facoltà di parlare che prima posse deva in modo perfetto, non *parla* più la lingua, *ha* però una lingua. La condotta dell'uomo si può chiamare una ‘lingua’ in quanto manifesta per mezzo di una. serie di atti tutto un concetto interiore della vita.] ció necessariamente ammettersi che i primi popoli storici dovetterò averə ciascuno una nomenclatura e corrispondenti forme d'impressione e di scrittura e,nel loro con tinuo movimento di espansione e di concentrazione, tutto dovette mutare fino a che un popolo non raggiunse la sua stabilità. Ma anche allora la stabilità della lingua non fu definitiva. Abbiamo detto che la parola è qualcosa di molto più complesso del semplice suono o della semplice voce o esclamazione o della semplice imitazione di suoni o rumori naturali, quantunque derivi da essi -- è già un suono o più suoni e rumori connessi che complessivamente e sprimono una rappresentazione formata od un'azione od un concetto.Vi sono perciò parole di pure voci o suoni, altre di puri rumori ed altre infine risultanti degli uni e degli altri. Studiando l'acquisizione della loquela nel l'individuo vedremo come egli dall'attività più semplice passa alla più complessa, cosa che,come avviene ora nel l'individuo, si veritica anche nella storia dell'umanità in genere. Dovettero perciò iprimi uomini da principio pronunziare parole risultanti di pure voci o di puri rumori. Anche allora, o più tardi poterono pronunziarsi monosillabi, che sono l'unità di un rumore edi una voce. Il mono-sillabo è perció la parola più conforme alla possibiliti tisiologica e psicologica di esecuzione fonica dei popoli primitivi e rappresenta la vibrazione primitiva della cosa, trasformata dall'attività fisiologica e psicologica degl’uomini. Le lingue dei primi popoli sono per cio monosillabiche. Ed a questo proposito possiamo noi indagare se le lingue primitive sono più o meno ricche di parole delle lingue moderne o in generale delle lingue più complesse. E bisogna dire di si se si pensa che, quantunquepei primi popoli storici il mondo esteriore fosse qualche cosa di molto semplice, pure, nel ri produrre gli oggetti essi teneano conto solo della vibra zione la quale era varia d'intensità nelle cose ed era ancora più variamente ripetuta od imitata dagli uomini di una popolazione e dalle varie popolazioni. Onde varie parole doveano primitivamente indicare la stessa cosa. Anche perché, potendo una stessa cosa dare vibrazioni differenti, essa veniva indicata con quella tale vibrazione della quale più s'interessava il soggetto. Cosi il cavallo poteva essere indicato pel suo nitrire, per lo scalpitare, pel m ovimento della criniera, pel rumore che fa nei masticare il cibo, per la velocità nella corsa, ecc. cosa assumeva. In tal caso la parola monozillabica primitiva si dice  -- Per questa ragione le parole dovettero molto più delle cose esse represe in considerazione. Ma in tempi più progrediti abbiamo una lingua più complessa, in cui cioè le parola o la maggior parte di esse sono risultanti di più sillabe; e in questo caso le parole monosillabiche non spariscono. E questa le lingue poli-sillabiche o la agglutinante o l’articolata. Perchè in esse la sillaba si collegano o si articolano con la sillaba. La parola poli-sillabica potè divenir tale o perchè mono-sillabi di una lingua si vide che corrispondevano alla stessa cosa, di modo che, pronunziandole insieme due o più esigenze venivano conciliate. O perchè una sola sillaba assume una voce nuova secondo che la nuovi movimenti; perchè le cose assumono ancora nuove energie se l'attività scrutatrice del soggetto si esercita.su di esse.   radice la quale non cessa di essere parola, perchè esprime una rappresentazione, per quanto indeterminata, ma è considerata come una parola elementare la quale è come il ceppo comune ed originario di altre parole. Essa, entrando in rapporto con altre parole più o meno semplici o pure assumendo varie flessioni, si complica in modo da esprimere una rappresentazione più complessa o un concetto. Se la lingua mono-sillabica, esprimendo rappresentazioni indeterminate, e la LINGUA PRIMITIVA, la lingua agglutinante o articolata segnano un *progresso* relativamente alle precedenti. Perchè in essa, una parola poli-sillabe e un complesso di al meno due parole mono-sillabe e perció si parlano da quei popoli nei quali è più sviluppata l'attivitàr appresentativa, onde un solo mono-sillabo non sempre è sufficiente ad esprimere una rappresentazione molto complessa. La lingua del Lazio, la maggior parte delle cui parole hanno flessioni, in cui la “radice” e il “tema” assumono varie forme e una lingua flettente. E quella che han raggiunto il maggior sviluppo possibile e puo costituire l'espressione di una tela organica di concetti e di un pensiero dalle più ricche gradazioni e di sfumature appena apprezzabili. In tale lingua, il nome sostantivo o aggetivo ed il verbo assumono flessioni (declinazione e congiugazione) e mediante tali forme si esprimono i vari rapporti delle cose e l'avvenimento dell'azione nei vari gradi di tempo e di condizione in rapporto con l'avvenimento di altre azioni. Una lingua flettente e perció *posteriore* anche alla lingua agglutinante, quantunque non bisogna credere che, quando esse appariscano, le parolea gglutinanti e monosiilabiche non esistano più. Esse sono le ultime apparse nella storia  - Con lo sviluppo della lingua del Lazio va di pari passo lo sviluppo del mondo logico. Giacchè sono due aspettidiuna stessa cosa.. Il pensiero e la sua manifestazione sensibile. Non si può ben comprendere l'importanza della lingua del Lazio senza vedere l'importanza dell'energia logica che è inclusa in esso, la quale sottratta, l'attività della loquela rimarrebbe un fenomeno puramente fisico e *fisiologico* ma non umano, o pure sa rebbe l'espressione di uno stato interno indeterminato.  delle lingue, e sono state parlate e scritte da popoli ricchi di pensiero e di azione. Se dunque le lingue ultime dei popoli civili, che noi crediamo le più perfette, perchè ricche di flessioni (onde tra queste bisogna comprendere la latina o lingua del popolo del Lazio) ha avuto una così lunga e avventurosa istoria ed alla loro formazione hanno, piùo meno immediatamente, con corso tanti e cosi disparati elementi e lingue di minore perfezione e lingue anche complesse e ciascuna lingua, per quanto immediata sia, risulta di elementi molteplicissiini ed accidentalissimi (per quanto vi sia qualche cosa di costante),comparisce chiaro quanto debba essese difficile, fare una compiuta anatomia della lingua del Lazio ed assegnare a ciascuno elenento di essa, a ciascuna parola di cui essa risulta, il suo vero valore e la sua vera istoria. Bello stesso; Sonno e sogni. E. Trevisini, Milano-Roma scolastico. E. Trevisini,Milano-Roma. Il parlare, il leggere e lo scrivere nei bambini, saggio di 00 1 Saggi di pedagogia: (il problema dell'educazionemorale. Le donne dei Vangeli. Monnier, Firenze. La rappresentazione psicologica è l'immagine che l'oggetto della percezione lascia di sè nel campo co sciente quando è sottratto all'azione stimolante che esso può esercitare sugli organi dei serisi del soggetto. Questa rappresentazione è tanto più indeterminata ed imprecisa per quanto più l'oggetto che l'à prodotta risulta di un numero grande di qualità e di note,per quanto più breve è stato il tempo che essa ha agito da stimolo sul soggetto, per quanto meno sviluppata è l'attività percettiva cosciente del soggetto e per quanto meno questa si è esercitata su di esso. Non vi è oggetto del mondo esterioreilquale,dopo l'osservazione volgare e dopo lo studio scientifico, non risulti di una molteplicità di note e di qualità ed in cui queste qualità non abbiano un determinato grado d'intensità; ma queste note non appariscono determi nate e distinte fra di loro innanzi al soggetto quando l'oggetto gli si presenta d'innanzi per laprima volta o quando per la prima volta l'anima principia ad es sere attività cosciente;allora l'oggetto apparisce come un tutto indistinto,anzi apparisce come una nota sola. Cosi appariscono il mondo esteriore e gli oggetti di esso al bambino nel primo sbocciare della sua coscienza e cosi devono essere apparsi all'uopo primitivo che non ha avuto una potente attività scrutatrice; ed in questa stessa posizione è l'uomo moderno dirimpetto a quelle cose più o meno complicate che gli si parano d'innanzi per la prima volta e che non ha avuto il tempo di scrutare. In ragione che l'attività cosciente si esercita sempre più intensamente sul mondo este riore gli oggetti a mano a mano appariscono come distinti gli uni dagli altri ed in ciascuno oggetto la nota uniforme e primitiva che lo designava si pre senta progressivamente moltiplicata in più note dif ferenti.  a mano ad affievolirsi, a divenire sempre più imprecise, a perdere una parte delle note che le costituiscono e lentanente a sparire quando non vengano rianimate, mediante nuove percezioni degli stessi oggetti che le han prodotte, nella coscienza; 10 Se l'attività del soggetto si esercitasse sulla rap presentazione dell'oggetto già percepito piuttosto che sull'oggetto ripetutamente percepito, non vi sarebbe progresso nella scrutazione dell'oggetto, anzi vi sa rebbe regresso; perchè è legge psicologica infallibile che le rappresentazioni degl’oggetti già percepiti tendono a mano   mentre la ripetuta azione del soggetto sull'oggetto fa sempre scoprire di questo nuovi aspetti e nuove re lazioni;ed a questa condizione la rappresentazione dell'oggetto sempre più si arricchisce e si compie e risponde più precisamente all'oggetto reale. Si può fare a meno dal percepire più oltre l'og getto e considerare solo la rappresentazione in sè stessa quando esso è stato cosi studiato ed analizzato e scrutato che un ulteriore studio non aggiungerebbe nulla di nuovo allarappresentazione diesso,laquale però, perchè si mantenga integra, deve spesso ripro. dursi nel campo della coscienza.E ciò può sopra tutto avvenire quando l'oggetto che si studia risulta di poche qualità e determinazioni; ma quando l'oggetto è ricchissimo di struttura, di organi e di funzioni, quando presenta un vasto e ricco sistema di fatti e di fenomeni, riesce quasi impossibile rappresentarlo compintamente, senza che alcuni aspetti di esso non sfuggano alla coscienza o non spariscano da essa.In questo caso il soggetto, per quanti sforzi faccia ad apprendere e conservare la rappresentazione compiuta · dell'oggetto, non può fare a meno dal tornare a per cepire spesse volte l'oggetto del suo studio per sem pre meglio comprenderlo e conservarlo. Sicché, parlando qui della rappresentazione psiclogica, non s'intende dire che quella rappresentazione la quale rimane nel soggetto dopo la ripetuta azione di esso sull'oggetto: ciò che è la rappresentazione dell'oggetto percepitu. Ed è questa la condizione pilt importante perchè la rappresentazione psicologica possa divenire obbietto della logica, quantunque non sia primitivamente tale. La rappresentazione della sensazione pura o lo stimolo della sensazione non può mai divenire obbietto della logica; perchè la sensa zione non consta che di certi stati dell'anima, che sa distinguere e che anzi attribuisce a sė stessa, senza riferirli allo stimolo: e ciò per quegli animali che per tutta la loro vita rimangono nella cerchia della sensazione pura.Ma nell'animale e nel l'uomo che rimane solo temporaneamente nella cerchia della pura sensazione dove stimolo ed animo si con fondono e che oltrepassa questa cerchia per divenire percezione e coscienza che è dualità tra l'anima che ora diviene soggetto e lo stimolo che diviene oggetto, ciò che prima ha determinato la sensazione (lo stimolo) può divenire oggettodellapercezioneedellacoscienza e poi della logica; anzi non vi è oggetto della logica che non sia oggetto della coscienza. Onde segue che la materia prima del mondo logico è fornita dall'oggetto della percezione che è l'oggetto della coscienza, senza del quale non potrebbe darsi attività logica di sorta; perchè l'attività logica del soggetto si deve esercitare sempre sopra un oggetto, come il soggetto non diviene attività logica senza la sua relazione coll'oggetto. Il soggetto cosi diviene at tività logica, non nasce tale e la sua attività dere esercitarsi o sull'oggetto naturale esteriore o sulla rappresentazione interiore di esso,  essa non 12   In una zona logica cosi ampia non va compreso solamente l'uomo superiore con la sua potente ener gia logica, nè solamente l'uomo medio con la sua or pura Però il passaggio nel soggetto dalla pura sensa zione alla logica non è rappresentato da una linea cosi precisa che si possa dire: Di là dalla linea vi è tutto il mondo delle sensazioni, di qua vi è tutto il mondo logico compiutamente formato; giacchè, come avviene in ogni sfera che passa in un'altra sfera, quella che passa non è completamente esclusa come tale da quella in cui passa. E non bisogna credere che, superato una volta il confine, questo sia supe rato per sempre; perchè la vita della o delle rappresentazioni di sensazioni può tornare come puramente tale anche quando una volta si sia pene trati nel campo logico. Inoltre è difficile per lo stu dioso tracciare questa linea in cui l'anima cessa di essere meramente sensitiva e fa il primo ingresso nel campo logico. Come ogni grado dell'esistenza,la logica occupa una determinata zona, chiusa fra due determinati limiti, di cui l'uno rappresenta il minimo della logicità,tanto che dilàda questo limite nonvièattivitàlogicane obbietto logico e l'altro rappresenta l'entità logica nel suo più alto grado. Dal primo all'ultimo limite il mondo logico compie un processo che implica una progressiva perfezione,per cui, partendo dal fatto puramente sensitivo, si allontana sempre più da esso per divenire entità logica compiuta. sensazione   dinaria potenzialità logica; ma ancora l'uomo volgare, il fanciullo, gli animali superiori ed alcune specie degli animali inferiori che arrivano a percepire.Però se, come avviene in ogni sfera dell'esistenza che ha una serie di gradazioni, la sfera logica presenta un sistema cosi ricco di gradazioni le quali passano l'una nell'altra in modo appena apprezzabile, tanto che è quasi difficile distinguerle, pure si può dire che tutte queste gradazioni vanno comprese in tre grandi sot tozone le quali possono chiamarsi la logica meccanica o estrinseca, la logica chimica o intima e la logica organica. La prima zona,rappresentandoleformelogichepiù elementari, se può stare di per sè come pura logica meccanica, si ritrova però anche nelle due zone sus seguenti; e cosi la sfera chimica si ritrova ancora nella sfera organica che è la più compiuta. In generale si può dire che l'oggetto della perce zione ovvero la rappresentazione di esso principia a mostrare il primo movimento logico allorché cessa di apparire innanzi al soggetto come risultante di una sola qualità naturale,ma apparisce come distinto in due o più qualità connesse in qualsiasi modo fra di loro ed allora si ha la forma primitiva della rappresentazione logica. Una qualità sola ed incomunicabile ad altre qualità e zon trasformabile non fornisce al cuna materia logica. E se un fatto naturale,secondo che è più scrutato dal soggetto, comparisce sempre più ricco di qualità e si vede la ragione intima per cui le varie qualità convengono all'oggetto,è chiaro che esso diventa progressivamente obbietto di una entità logica superiore. Ma può avvenire ancora che,dopo uno studio più profondo e comprensivo fatto sull'oggetto, questo ap paia innanzi al soggetto come intimamente connesso ad altri fatti esteriori ad esso, tanto che senza di questi non potrebbe essere quello che è. E, se vi sono oggetti le cui note ed i cui rapporti sono immobili e fissi, ve ne sono altri in cui le qualità che li costi tuiscono ed i loro molteplici rapporti con enti fuori di essi si trasformano e cangiano. È chiaro allora che l'entità logica dell'oggetto si accresce e si complica. Può avvenire ancora che l'oggetto che ora è studiato comparisca come l'ultimo risultato di una storia spe ciale propria o di una storia di altri enti simili o dis simili da esso; onde l'importanza delle note attuali che lo costituiscono si accresce e mostra cosi una n a tura assai più elevata.La rappresentazione logica ha cosi una considerevole latitudine; perchè principia quando il soggetto vede almeno due note nell'oggetto e si conserva ancora quando si è scoperto in esso un numero grandissimo di qualità. Si è detto e ripetuto che è il linguaggio che segna nell'uomo il primo apparire delle attività logiche. Ma non si considera che la parola “LINGUA”, avendo un largo contenuto e significando qualsiasi manifestazione dei fatti interni psichici, siano sensitivi che rappresentativi ed emotivi, ha una larga applicazione cosi NEL CAMPO ANIMALE come nel campo umano; onde non si vede con determinazione la necessità del co-esistere solamente nell'uomo della LINGUA e della funzione logica, si deve però ammettere che la LINGUA che è un linguaggio formato e divenuto classico (onde vi è differenza tra LINGUA e lingua-GGIO), quando è bene usata dal soggetto uomo, può far vedere in questo le più grandi energie logiche, all'istesso modo che una LINGUA imperfetta o poveramente usata può manifestare nell'uomo rudimentali qualità logiche. Però non si può concedere che deve necessariamente intervenire LA LINGUA per potersi trovare nella sfera logica e per potere compiere funzioni logiche. Individui nati muti o sordo-muti possono compiere con grande coerenza logica i loro atti, all'istesso modo che LA LOQUELA non sempre rivela una perfetta energia logica, come avviene per disordini nervosi e mentali o per ritardato sviluppo di tutte le attività psichiche. Al l'incontro ciò che è indispensabile perchè il soggetto compia le più elementari funzioni logiche è l'oggetto della percezione e la rappresentazione molteplice del l'immagine di esso, come è manifestato dagl’atti e dalla condotta che gl’ANIMALI e l'uomo non ancora parlante hanno verso quegli oggetti sui quali si eser cita la loro attività e dal giovarsi che l'animale fa di alcune qualità degl’oggetti. E la rappresentazione molteplice dell'immagine degli oggetti è anzitutto necessaria ancora per l'uomo logico che parla, la rappresentazione e l'esecuzione della parola udita, parlata e scritta non essendo che un'altra specie di rappresentazioni speciali degli stessi oggetti sopraggiunta alla prima; per cui il lavoro psicologico e logico del l'uomo è assai PIÙ COMPLICATO DI QUELLO DELL’ANIMALE [cf. H. P. Grice, M-intending] anche perchè, per la sua grande energia psichica, l'uomo moltiplica le rappresentazioni relativamente semplici che delle cose hanno gl’animali, onde LA LINGUA diventa nell'uomo assai più intricata e complessa. Segue da ciò che la LINGUA umana è una NUOVA AGGIUNTA che si fa alla rappresentazione primitiva dell'immagine delle cose. Ma rimane sempre questa l'obbietto delle ATTIVITÀ LOGICHE COSI ANIMALI COME UMANE [Grice, “Method in philosophical psychology, on an eagle doubting whether p or q]. Questo è ancora dimostrato dalla patologia della LINGUA UMANA; poichè è stato constatato che, quando l'uomo perde la memoria della immagine percepita delle cose e conserva la ricordanza della PAROLA (PARABOLA) udita, parlata o scritta, che ad essa corrispondono, la sua LINGUA è divenuta un caos; perchè, essendo perduto il nesso tra la cosa e la sua PAROLA PARABOLA udita e parlata, l'attività logica non si può esercitare sulle PAROLE PARABOLE, perché non si può esercitare sulle cose, come allora è manifestato dalla sconnessione e dalla incoerenza della lingua.  Del giudizio e dei suoi elementi. Quando il soggetto distingue per la prima volta un dualismo nell'oggetto, cioè da una parte quello che, prima di questo atto psichico, costituiva tutto l'oggetto, indistinto nelle sue qualità, e dall'altra quello che scorge ora in esso mediante l'atto di distinzione e vede che questo è connesso con quello in modo che senza di esso non sarebbe, si fa quel che si dice un GIUDIZIO (Grice, JUDICATING that the a is b – the dog is shaggy -vs. VOLITING). Sicché per avere un giudizio occorrono due fatti distinti fra di loro ed un atto psicologico che li connetta. Però bisogna considerare questi tre elementi di cui consta il giudizio come dati tutti e tre insieme nello stesso atto. Dei due fatti che possono dirsi anche TERMINI (‘l’A, la B’), perchè SIGNIFICATI con parole PARABOLE, il primo, quello che prima del l'atto psicologico fa una sola cosa con la qualità che ora si distingue da esso e che meglio osservato e scrutato può mostrare altre qualità inerenti a sé, onde può divenire obbietto di altri giudizii, si chiama SOGGETTO – cf. Strawson, Subject and predicate in logic and grammar. La nota che gli si attribuisce si dice aggettivo od attributo – ‘SHAGGY”, predicato. L'atto psicologico col quale gli si attribuisce è il verbo – in sensu stricto, la copula. Bisogna bene intendersi sul significato della parola ‘soggetto’, che si usa nel giudizio. In generale soggetto significa ente attivo, ente operoso. Si chiama soggetto l'anima cosciente e distinguente sè dall'oggetto e nel l'istesso tempo l'anima che esercita la sua attività sul mondo esteriore che considera come suo oggetto. E poichè dall'animale inferiore all'uomo e dall'uomo eminente per pensiero e per azione questa attività conoscitiva ed operativa sempre più si afferma e cresce, è cosi che la parola “soggetto”, quantunque possa applicarsi indistintamente alla serie degl’enti animali, pure compete in sommo grado all'uomo ed all'uomo che abbia la più grande energia nel campo del pensiero e dell'azione – cf. Hampshire THOUGHT AND ACTION. Intesa cosi la soggettività, scendendo dall'animale alla pianta, sembra non essere più il caso di dovere applicare la parola soggetto. Ma, poichè la pianta è un organismo dutato di attività la quale consiste nel compiere una serie di funzioni interiori per le quali è continuamente messa in rapporto coll'ambiente esteriore ad esso (aria, luce, terreno) e manifesta, quantunque in modo assai più imperfetto di quel che si compia nell'animale, per mezzo di una serie di fenomeni esteriori, i suoi fatti interiori ed il suo organismo compie una storia, pure SI PUO CONCEDERE IL NOME DI “SOGGETO” alla pianta (“Someone is hearing a noise”), la quale cosi manifesta anche essa una certa energia. Ma i grammatici ed i logici hanno anche dato il nome di soggetto non solo ad ogni opera dell'uomo, che può considerarsi come un tutto armonico in sé, avente un determinato fine, ma ad ogni parte di essa, ad ogni ente della natura inferiore ed inorganica o ad un frammento di essa, ad ogni minerale, ad ogni fatto meccanico o chimico e financo hanno considerato come soggetto le qualità e gli attributi stessi delle cose. Però l'uso che in questo caso i grammatici hanno fatto della parola “soggetto” può essere giustificato, considerando che ciascuno degli enti inferiori agli enti organici e psichici è sempre un com plesso, anche quando sia semplice parte, di qualità o proprietà concentrate e connesse insieme; onde, rigorosamente parlando, non si può negare ad essi una certa energia senza la quale le proprietà non potreb bero esistere in essi. Possiamo chiamare questa energia, meccanica, fisica o chimica; ma è sempre una energia E non si può non concedere che le qualità stesse che si considerano come attributi delle cose possano essere considerate ancora esse come soggetti,quando si riconosce che ciascuna qualità,essendo inerente a molti soggetti i quali hanno altre proprietà differenti, contribuisce in modo differente all'energia di ciascuno di essi. Cosi quando si parla della gravità che è una proprietà dei corpi, si vede che essa si manifesta di versamente secondo che si tratta di an corpo gassoso o di una pietra o di un liquido o di un pendolo o del sistema planetario.  Quando il soggetto del giudizio è considerato o stu diato dal soggetto psichico allora può anche chiamarsi oggetto; perchè, quantunque attivo in sè, è sempre qualche cosa di passivo relativamente al soggetto psi chicoilqualeesercitalasua azionescrutatricesudiesso.  Il secondo termine del giudizio, cioè quella qualità o quella determinazione che, quantunque insita nel soggetto o estranea ma conveniente ad esso,per mezzo dell'atto psicologico gli si riconosce come connessa, è stata chiamata dai logici attributo o predicato.Rap presentando il soggetto un gruppo di proprietà dif ferenti, suscettivo di ulteriori giudizii,e l'attributo una sola qualità o determinazione, è chiaro che questo può essere applicabile a più soggetti, non essendo ciascun soggetto costituito di attributi assolutamente speciali a sé; ma in mezzo ai tanti attributi comuni a molti soggetti ha solo qualcuno che conviene esclu sivamente a lui. Dei molti attributi che costituiscono un soggetto una parte sono sensibili o percettibili per mezzo degli organi dei sensi. Ogni oggetto del mondo esteriore è fornito di peso,ha una grandezza variabile, una re sistenza, è situato ad una certa distanza dallo spet tatore, ha una forma fissa o cangiante,un colore,una composizione mineialogica, chimica o organica, può presentare una struttura determinata, uno stato ter mico, può vibrare in modo differente nella intimità clelle sue molecole, può esercitare un'azione più o meno irritante o elettrica o offensiva sull'organismo   del soggetto,può dare speciali odori,può essere gn. stato per mezzo della lingua. Ma vi sono altri attri buti i quali non sono percepiti per mezzo degli or gani dei sensi ma vengono compresi mediante un atto della mente, quantunque le attività percettive possano contribuire o avere contribuito alla comprensione di queste nuove specie di attributi. Sono tutte quelle qualità che riguardano la provenienza od il fine del soggetto,isuoirapporticon altrioggetti,lasuaazione favorevole o nociva su di essi o viceversa. Inoltre il soggetto acquista attributi non semplicemente sensi bili quando desta in noi stati interiori piacevoli o do lorosi,ricordanze,speranze etimori,ma qualche cosa di più che sensibile, poichè in quel caso viene scossa l'intimità della nostra vita interiore. Quantunque a primo aspetto sembri che ogni at tributo sia una qualità semplice e non suddivisibile in altre qualità,benchè una qualità possa averevari gradi d'intensità, ciò che non la fa considerare come qualche cosa di fisso, pure può una qualità essere il risultato di un sistema di altre condizioni o attributi. Quando diciamo che l'animale è sensibile, la nota della sensibilità pare che sia una qualità sola; ma, se si pensa che per essere sensibile l'animale deve im plicare una serie di organi e di funzioni e di condi zioni esteriori all'organismo, si è costretti ad ammet tere che quest'attributo è come la risultante di fatti molto complessi, non è dunque un attributo semplice. Se diciamo che Giulio ė ragionevole quest'attributo è  Il soggetto e l'attributo non potrebbero costituire il giudizio senza l'atto psicologico col quale l'uno ė connesso con l'altro; senza questo atto i due termini non avrebbero fra di loro altro legame fuori quello accidentale della coesistenza e della successione, che è un legame psicologico, non logico. Rigorosamente parlando,è quest'atto che costituisce ilverogiudizio; però senza i ter.nini esso non potrebbe essere, non sarebbe che una mera possibilità. Questo atto che è espresso dal verbo è quella scrutazione che l'anima attiva fa tra i due termini, per la quale si riconosce che l'uno è connesso indissolubilmente,intimamente e necessariamente con l'altro. Questo nesso intimo che lega i due termini è un fatto obbiettivo delle cose, non è una pura produzione dell'atóività psicologica, però non si pno pervenire ad esso senza l'attività picologica. È questa un'alta attività a cui l'anima umana per viene;perché per mezzo di essa può internarsi nella natura dell'obbietto, vederne il movimento, compren derlo ed assimilarselo. Sicché non si arriva al fatto logico senza l'attività psicologica e senza di questa l'energia logica rimarrebbe nella inconsapevolezza delle cose naturali, rimarrebbe per sempre muta ed inco municabile ad alcuno, Per questo ogni atto giudica  di una natura cosi complessa che deve presupporre un ricco sistema di condizioni perchè possa darsi. L'attributo ragionevole perciò non implica un fatto cosi semplice come l'attributo pesante.   tivo non è un atto meramente psicologico,ma è anche obbiettivo, il suo contenuto cioè corrisponde al conte nuto delle cose;ed in quest'atto si uniscono e com penetrano l'energia psichica e l'energia delle cose. Con l'atto giudicativo, subbiettivo insieme ed ob biettivo, si entra nel vero campo logico e si può dire che è sul giudizio che poggia tutto l'organismo logico e che è il giudizio, considerato nel suo sistematico svolgimento,che costituisce la parte più importante della logica e che il primo prodursi della più rudi mentale attività giudicativa dell'uomo o dell'animale segna ilprimo apparire del mondo logico. In generale si può dire che sempre che ilsozgetto principia a giudicare l'oggetto della percezione o la  24- Però'seil giudizio come necessaria convenienza dell'attributo al soggetto è la forma più perfetta alla quale il soggetto pensante non arriva se non dopo una lunga educazione,vi sono molte forme di giudizio inferiori ad essa, che possono considerarsi come tanti tentativi che l'anima fa per penetrare nell'intimità delle cose ed impadronirsene. Ciò conferma il fatto che non vi è un limite netto tra la psicologia e la logica e che se vi è una parte della psicologia quella inferiore, in cui non vi è nulla di logico,e che se vi è un'altra parte della psicologia, quella ultima e più raffinata, in cui ogni energia o la più parte delle energie sono logiche, vi è una larga zona psicologica in cui si manifestano le prime tendenze logiche ed in cui il lavoro logico è eseguito allo stato bruto.   rappresentazione di esso,allora questa cessadiessere rappresentazione psicologica e diviene rappresenta zione logica; e non vi è alcuna rappresentazione logica la quale non sia insieme, implicitamente od esplicitamente, giudizio. E, se l'infimo gra lo della rappresentazione logica deve implicare un solo giudizio almeno nella sua forma primitiva e bruta,un'alta rap presentazione logica si ha quando essa implica un gran numero di giudizii. Delle tre parti in cui si può considerare divisa la logica (la meccanica, la chimica e l'organica), la rappresentazione logica cosi intesa esaurisce le due prime parti. Se l'anima non può principiare ad eseguire funzioni logiche dall'infimo al massimo grado se non quando è divenuta percettiva,perchè allora solamente distingue fra di loro i fatti del mondo esteriore e distingue al cune proprietà di ciascun fatto,giacchè senza la mol teplicità dell'obbietto non può eseguirsi funzione lo gica di sorta, nondimeno non in tutto quello che per cepisce od in tutto quello che si rappresenta nella coscienza interiore vi è energia logica o, quando vi è, non vi è all'istesso grado in tutto. L'anima vivente o va incontro ad una varietà di fatti e steriorioquestilesipresentano a caso ovvero a s siste ad un inovimento di rappresentazioni o fa l'una cosa e l'altra insieme ed intercorrentemente. Questi fatti si succedono o coesistono fra di loro e sono per cepiti dal soggetto nella loro successione o nella loro coesistenza. Ogni fatto deve perciò connettersi ad un altro fatto; e questa connessione può essere di due specie,o casuale estrinseca,ovvero intima,vera,con veniente. Bisogna però distinguere la casualità e la estrin- sechezza,tra ifatti psichici,che rimane sempre tale pel soggetto, per quanto questo possa elevarsi alla più alta attività psichica,dalla casualità e dalla estrin sechezza che apparisce tale al soggetto solo tempo raneamente nel primo periodo della sua storia,quando non ancora è giunto al grado di potere compiere un lavoro psicologico cosi intenso da sapere vedere una connessione intima tra due fatti; onde questa gli si presenta estrinseca senza esser davvero tale e, con un ulteriore sviluppo dell'attività soggettiva,sparisce la estrinsechezza e comparisce la intimità. no Non si può non ammettere però che questa estrin sechezza vera è in certo modo relativa al grado di sviluppo dell'attività del soggetto psichico;perchè,a vendo ciascun soggetto nel mondo es'errore un campo  Nel caso della estrinsechezza vera, per quanto in oggetto si succeda ad altri od apparisca al soggetto in concomitanza con altri oggetti, anche con un ac curato studio, non si saprà mai trovare una ragione del succedersi di un avvenimento ad un altro o della coesistenza di un fatto con un altro, di una qualità con un oggetto;giacchè ciascuno oggetto apparisce come assolutamente indipendente dirimpetto all'altro, perchè non lo modifica in alcun modo nė ne ė dificato.   speciale nel quale si esercita la sua attività, onde é messo frequentemeate in rapporto di coscienza solo con un determinato aggruppamento di oggetti, egli può vedere meno di estrinsechezza tra questi oggetti che non tra quelli estranei alla sua azione.In ragione che il soggetto allarga sempre più il suo campo og gettivo e lo scruta con maggiore intensità l'estrinse chezza si allontana sempre.E quando l'obbietto del l'attività soggettiva è tutto l'universo allora il filo sofo,guardando le cose dal più alto punto di vista che è quello dell'unità,non vede più estrinsechezza di sorta tra le cose;perchè ogni cosa vi apparisce come organo di un vasto sistema ed è necessariamente connessa a tutti i gradi di esso. La intimità, la verità e la convenienza tra due oggetti (e perciò tra due rappresentazioni) o tra un og getto ed una sua proprietà si ha allora quando l'uno non può essere in alcun modo indipendente dall'altro per cui sempre che è dato l'uno è dato l'altro o, se prima è dato l'uno, dopo verrà necessariamente dato l'altro. Ora questa intimità ha vari gradi che possiamo riepilogare in tre zone logiche principali,presentando ciascuna zona immense gradazioni. La prima zona, quella più elementare in cui si de signano le prime linee del mondo logico, di là dalla quale vi è il puro mondo degli oggetti delle percezioni e delle loro rappresentazioni scomposte e sconnesse, ha questo di particolare che in essa alcuni oggetti o rappresentazioni sono, è vero, legate, da nessi intimi, ma questa intimità è al suo minimo grado,rasenta quasi la estrinsechezza; perchè della loro intimità non si vede altro che il semplice succedersi costantemente diuna rappresentazione adun'altraodilsemplicecoe sistere di una rappresentazione con un'altra.E questa conquista il soggetto può avere fatto non solo per pro pria esperienza ma anche per tradizione o per quel che si è detto consenso degli uomini. Qui non si vede alcuna ragione della convenienza delle due rappre sentazioni,alla qualeilsoggettorimaneperfettamente estraneo; e tutta l'attività del soggetto si esaurisce nel vedere questo puro costante coesistere e succe dersi delle cose e perciò il giudizio che esso compie è semplicemente meccanico, non fa che constatare quanto avviene nel mondo naturale. Così l'attività del soggetto qui è meccanica e delle cose non afferra che il semplice meccanismo,l'energia più elementare della natura, il muoversi delle cose per la loro pura gravità o per la loro forza od il muoversi per forze estranee ad esse ma che agiscono su di esse. In questa zona logica va compresa anche quella elementare attività giudicatrice mediante la quale si scopre o constata qualche proprietà o qualità che in teressa gli organi sensibili e percettivi del soggetto, come il sole è luminoso; è un'attività giudicativa molto elementare.A questa zona logica possono per venire gli animali superiori e quegli animali inferiori i quali si elevano alla percezione, quantunque gli a nimal¡ non possono esprimere con paroletaligiudizii, poichè bastano certi atti o movimenti che l'animale esegue a dimostrare che esso hacompiutoungiudizio. Ma questa attività meccanica logica non solamente rappresenta la prima epoca dell'energia logica umana e l'energia dialcuni animali,ma anche quando l'uomo è atto ad elevarsi ad una attività logica superiore compie ordinariamente giudizii logici meccanici. È questa la posizione dell'uomo incolto. Di tutti gli a v venimenti naturali ed umani ai quali egli assiste non può vedere altra intimità che quella meccanica ed estrinseca; alla ragione intima dei fatti egli non perviene. La seconda zona che si dice chimica e che sta più in alto alla precedente ed alla quale non si perviene se non per mezzo della precedente rappresenta quel campo della logica in cui il soggetto può compiere un più complesso lavoro di penetrazione tra gli og getti, onde quei nessi intimi che prima vedeva in modo quasi estrinseco sono visti davvero nella loro intimità. La parola chimica sembra bene adoperata;perchè cor risponde a quello stato della energia della materia in cui gli elementi relativamente semplici si compe netrano ed uniscono insieme per formare un corpo di una più elevata natura ed in cui corpi di complessa natura si scindono nei loro elementi sem plici;ondelachimicadelcampo logico corrisponde a quel grado delle attività psicologiche per le quali il soggetto afferra la convenienza vera di un oggetto. e delle sue proprietà e vede le intime ragioni per le  29 nuovo   La zona chimica logica si evolve cosi dalla mec canica non solo, ma questa coesiste nella chimica; perchè, anche quando vediamo il rapporto chimico di duerappresentazioni,vièsempreillato meccanico, l'incontro cioè di due oggetti o di un oggetto ed una qualità, quantunque questo meccanismo sia assorbito e trasformato dal chimismo. Avviene nel campo lo gico quel che avviene nel campo naturale in cui il chimismo implica ilmeccanismo,quantunque non sia semplicemente tale, essendo ilmeccanismotrasformato ed elevato ad un più alto grado di esistenza nel chi mismo il quale senza di esso non potrebbe darsi. Però non bisogna credere che, quando l'uomo è ar rivato alla zona chimica della logica tutti i suoi atti logici siano giudizii chimici;perchè questi,implicando una grande difficoltà acompiersi, nonpossonofarsida ciascun uomo che in un campo speciale che ha scelto come materia del suo studio e delle sue ricerche; il resto della sua attività logica è rappresentato sempre dal meccanismo e questo può intercorrere nel chimi smo logico od alternarsi ad esso.  quali il soggetto non può fare a meno di quellapro prietà e questa deve sempre necessariamente andare congiuntaalsoggettoinquellecondizioni.É questo, si può dire, il campo della conoscenza vera e della scienza dove il soggetto compie le più elevate forme di giudizio,risultato di una lunga scrutazione psico logica nei rapporti delle cose. Il giudizio nella sua for.na più elevata, implicando quell'atto del soggetto cosciente mediante il quale si riconosce che ad un oggetto del mondo naturale o ad un ente spirituale che qui diviene soggetto logico con viene intimamente e necessariamente un dato at tributo, esprime un rapporto tra i due termini che nelle stesse condizioni,deve essere tale costantemente, sempre vero, oggi e sempre, qui ed ovunque. Per questa ragione il giudizio non va soggetto a mutazioni per tempo e perciò si esprime sempre com'è,in tempo presente.Ogni dubbio,'ogni incertezza circa alla concordanza perfetta dell'attributo col soggetto nondarebbeilverogiudizio;seperòilsoggetto ri conosce l'incertezza nel suo atto giudicativo e cerca di uscirne per addurre la verità, sforzandosi di eser. citare tutto il suo potere percettivo nella scrutazione dei termini e nel loro rapporto, allora l'incertezza è unbene,perchèciconducealverogiudizio.Per la stessa ragione, quando in un giudizio interviene il desiderio o la speranza od iltimore,non siavrà ilvero giudizio. I logici classici si sono molto occupati della nega zione nei giudizii e li hanno perciò distinti in affer mativi o positivi e negativi: affermativi sono stati detti quei giudizii in cui si riconosce che l'attributo conviene al soggetto, negativi quelli in cui questa convenienza non si ha.Ma evidentemente ilogicinon hanno ammesso che è sull'oggetto della percezione o della sua rappresentazione che primitivamente deve volgere ogni giudizio e che bisogna guardarsi bene dal giudicare prima di avere studiato e scrutato bene l'oggetto.Se questo sifacesse, si vedrebbe la inutilità e la vacuità di una gran parte di qnesti giudizii ne gativi,come è dimostrato anche dal fatto che alcuni giudizii negativi possono tradursi in positivi.Quando si ammette che un dato corpo non è solido, implici tamente si ammette che è liquido o gassoso.Per que sta ragione i veri giudizii devono essere tutti positivi; perchè, rigorosamente parlando, lo scienziato deve conoscere quello che una cosa è non già quello che non è. Quando si tratta che il soggetto può avere uno di due attributi che sono fra di loro contrari e che se gli convieneuno di essi gli sconviene neces sariamente l'altro, si dice che allora si possono for mulare due giudizii, l'uno negativo e l'altro positivo. Ma è facile osservare che, fatto il giudizio positivo, è perfettamente inutile formulare il negativo ilquale con parole diverse,per mezzo della negazione,ripete la positività del primo giudizio. Vi sono però dei casi in cui pare che il giudizio negativo dovrebbe aver luogo. Cosi noi sappiamo che una data pianta deve fiorire; se la guardiamo in un'e poca in cui il fiore non è apparso,dobbiamo dire che la pianta non è fiorita; ma d'altra parte è in es.a la possibilità di dovere fiorire; poichè in tutti i fatti che implicano uno svolgimento od una storia non tutte le qualità che devono costituirli possono essere date belle e compiute dal bel principio; perchè ciò escluderebbe la storia; a ciò pensando, la pura nega. tività di questo giudizio è spuntato. Che se poi guar diamo la pianta non fiorita come ci si presenta per cettivamente, allora non si ha alcuna ragione a par lare di negazione. Sappiamo inoltre che la sensibilità deve essere un attributo necessario all'uomo; ma permalattiedelsi stema nervoso questa funzione può perdersi, onde il direalloraquest'uomonon sensibile, potrebbepa iere un giudizio negativo incontestabile; ma si tra scura di considerare che quani'o l'uomo è divenuto insensibile non è pixi l'uomo compiuto, ma l'uomo che è nel declivio della dissoluzione e della morte e che, dicendo che non è sensibile, si riconosce che la sua  Molti, parlando e scrivendo, anche di cose scienti fiche, fanno grande uso di questi giudizii negativi; ma è questa una consuetudine di linguaggio chequalche volta fa anche vedere la poca sicurezza e la povertà delle nostre cognizioni; perchè il difficilc non sta nel dire quel che una cosa non è,ma qnelche è davvero. attribuzione sarebbe la sensibilità e che questa si è perduta solo per condizioni morbose. Nondimeno se il giudizio negativo è possibile esso può solo avere la ragione di essere in questi casididissoluzione edi sfacelo degli organismi e delleistituzioni,quantunque anche allora,stando alla semplice percezione, si po trebbe semplicemente giudicare quel che l'oggetto pre senta di positivo; m a allora il soggetto che pensa non può fare a meno dal paragonare la primitiva gran dezza o la perfezione tipica di una data cosa con la dissoluzione e la rovina presente, onde quel che è ora è la negazione di quel che era prima. Può avvenire lo stesso quando si tratta di paragonare varioggetti fra di loro. Il giudizio nella sua forma classica è rappresentato dal soggetto, dal presente del verbo essere e dall'at tributo. Ma il soggetto per tenere avvinto a sè l'attributo deve esercitare una certa energia che indica il vero nesso tra il soggetto ed il suo attributo; ora il giudizio formulato in quel modo non fa vedere tutta questa attività del soggetto,ne fa vedere,si può dire, la minima parte. All'incontro sono i verbi attributivi i quali possono risolversi nel verbo essere e nell'at tributo, che manifestano la vera energia, la vera at tualità del soggetto, che costituisce il giudizio nella sua realtà vivente; perchè fanno vedere il soggetto che si manifesta nel suo attributo e fanno vedere l'at tributo vivificato dal soggetto.Per questa ragione il giudizio espresso nella sua forma classica trova più ragione di essere applicato nelle sfere inferiori mec. caniche della natura,quelle che manifestano una energia più povera, relativamente alla energia animale ed umana erelativamente all'altaenergiadella vita dello spirito. Qui tutte le attività, tutte le funzioni che si esercitano e che si esprimono con verbo sono gin dizii viventi. Se diciamo questo corpo é rotondo l'a' tributo, quantunque inerente al soggetto, pure è con siderato come qualche cosa d'indifferente ad esso. Qui si tratta del giudizio nella sua primitiva forma. Ma se diciamo questa pianta fiorisce facciamo un giudizio della seconda forma, perchè qui vediamo il soggetto che crea il suo attributo e vive in esso Ammesso il concetto del giudizio qui dato, risulta evidente che ogni giudizio implica una sintesi ed una analisi insieme e nello stesso atto. L'analisi vi dà la dualità dei termini, siano nello stesso soggetto che tra due oggetti; e l'analisi è un morrento necessario al giudizio; poichè senza il dualismo giudizio non vi sarebbe; m a d'altra parte cesserebbe l'atto stesso del  e per esso. Più elevata e spirituale è la natura del soggetto e più è ricco di attività speciali e più verbi glisipos sono attribuire e più giudizii compie, svolgendosi e vivendo.Più ilsoggetto appartiene alle sfere della materia bruta e meno verbi gli si possono attribuire più le sue qualità possono essere espresse con la forma classica del giudizio; ma ciò non toglie che anche giudizii di questa fatta possano eseguirsi sopra alcuni soggetti di elevata natura.   giudizio se questo non fosse insieme sintetico; cés sando la sintesi cesserebbe anche l'analisi e viceversa. Non vi sono perciò giudiziipuramente analiticinè pu ramente sintetici;per conseguenzailsoggettovivente compie continuamente un'analisi ed una sintesi delle sue qualità e lo scomparire dell'una o dell'altra ap porta la morte di esso. Quando diciamo giudizio diciamo ancora ragione, pensiero. Però come il giudizio consiste più nell'atto psicologico,corrispondente al nesso intimo che vi è tra due rappresentazioni, che nella distinzione dei ter miui, quantunque i termini siano necessari al giudizio e senza di essi giudizio non vi sarebbe,lo stesso deve dirsi del pensiero e della ragione. Se non che queste due parole, considerate come semplice giudizio,dicono molto meno di quel che dicono quando sono adoperate nel senso assoluto del loro contenuto. Quando diciamo il pensiero, la ragione si vuole intendere il sistema di tutti i nessi possibili di tutte le rappresentazioni delle cose della natura e dello spirito insieme, sog gettivamente ed oggettivamente considerate. Quando poi sono applicate come semplice giudizio equivalgono ad un pensiero,una ragione. Per alcuni logici la parola proposizione esprime la stessa cosa chela parola giudizio eperòsiadoperano promiscuamente queste due parole. Ma se vi sono verbi attributivi che possono ridursi a giudizio,ve ne sono però altri i quali non vi si possono ridurre, perchè non corrispondono pienamente a quel che siè detto dovere essere un giudizio. Quando conosciamo  Si comprende però che gli avvenimenti storici pos sono essere guardati dal punto di vista estrinseco e quasi accidentale come fanno gli storici che riprodu cono i fatti semplicemente nel modo come sono successi; ma questi stessi fatti possono anche essere studiati scientificamente e filosoficamente, considerati cioè in quel che essi hanno di intimo,di necessario e di co stante; allora, entrando quei fatti nel dominio della scienza,possono divenire obbietto di giudizii, le proprietà e le speciali energie dei fatti naturali o psichiciosociali, ecc.allora possiamo faregiudizii; perchè si hanno avvenimenti e fatti che sono sempre gli stessi nelle stesse condizioni e si manifestano co stantemente ad un modo; ma se narriamo le gesta di Annibale o di Alessandro, ciascun verbo che siamo costretti ad operare non può essere il verbo di un giudizio; perchè esprime un avvenimento singolo che non è stato prodotto che da quel tale individuo in quelle sue particolari condizioni ed in quelle condi zioni di tempo,di luogo,in quello stato speciale di un popolo,avvenimento che non può più riprodursi e perciò il giudizio non si ha quando si deve espri mere uii fenomeno che non può ripetersi frequente mente,che è avvenuto una volta e non piùequando non si vede alcuna necessità del suo ritorno. In questo caso,più cheillinguaggioscientificoelogico,abbiamo illinguaggio storico,ed allora,più che ilgiudiziosi ha la proposizione:cosi è spiccata la differenza tra il giudizio e la proposizione:questo esprime gli avve nimenti storici, quello i nessi logici. Il soggetto che giudica é determinato dall'atto stesso del giudizio alla vitapratica.Ogni essere vivente, dal l'animale infimo all'uomo, si sforza, come è noto, una condotta assai elevata, presupponendo ciascun suo atto una molteplicità di giudizii;onde si vede l'intimo rapporto che passa tra una grande intellettualità e la vita pratica. ancora sottomettere ai suoi bisogni la natura esteriore, ed ogni atto,ogni movimento che l'animale esegue,cer cando di fuggire il malessere e di addurre a sè il benessere, presuppone una distinzione negli oggetti concuièinrapporto.La formicachevaincercadel frumento, riconoscendo in questo la proprietà di n u trire, non solo compie un lavorogiudcativo ma anche un atto col quale manifesta tale lavoro psichico. In tutti i pericoli che gl’animali schivano come in tutti i movimenti che fanno per prepararsi il nido o per andare in cerca del cibo e per conservarsi, si possono riconoscere gl'atti che presuppongono il giudizio, per quanto questo possa essere classificato tra i giudizii meccanici. I psicologi in questo caso parlano d'istinto. Ma è sempre l'istinto nel giudizio. In questo senso gli atti degli animali equivalgono ad un linguaggio che esprime alcuni nessi logici, quantunque sia il lin guaggioin una forma bruta e monca. Intuttigliatti che gli uomini fanno per raggiungere i loro fini e la loro felicità si può riconoscere la conseguenza di un giudizio.E si comprende come l'uomo eminente che ha una perfetta conoscenza delle cose possa avere di Il soggetto può compiere sull'oggetto un numero grande di giudizii secondo che pixi educato e svilup pato è ilsuo potere di scrutazione e secondo che più complicata è la natura dell'oggetto. Cosi, vivendo e studiando, la rappresentazione psicologica primitiva che il soggetto ha delle cose si arricchisce di attributi e di qualità ovvero sirisolvein attributiiquali erano primitivamente confusi in quel che dicevamo oggetto e che costituivano tutto l'oggetto. Nondimeno durante e dopo questo processo di scrutazione l'oggetto rimane sempre come qualche cosa in cui alcune qualità sono distinte ed altre indistinte, potendo le qualità indi stinte ricomparire subito distinte secondo che l'attività giudicatrice si rivolge su di esse ed allora le distinte ritornano indistinte. Si verifica anche qui un'applicazione speciale di quella legge psicologica secondo la quale in una data unità di tempo il soggetto non può compiere che un lavoro limitato e,come non può scrutare che succes.  per la prima volta sipresentino allo studio del soggetto; in questi casi è la legge generale che pre domina. Dopo che si è compiuto sopra un oggetto un n u mero considerevole di giudizii non si deve credere che allora l'oggetto sia conosciuto pienamente. Più chela conoscenza del soggetto, si ha allora la conoscenza di un mucchio di note coesistenti; perchè, se il giu dizio è un'alta funzione psicologica e lozica, non è però la più alta la quale si ha invece quando tutte le note di cui l'oggetto risulta appariscono in esso come organizzate, cioè si ha un organismo di giu sivamente un dato numero di oggetti e di rappresen tazioni, per la stessa ragione non può compiere in una unità di tempo e nello stesso atto psichico che un numero limitato di giudizii, quantunque succes sivamente possano essere compiuti sopra un oggetto tutti i giudizii di cui può essere suscettivo. Però non si può sconoscere che le abitudini della mente possono arrivare ad un'altezza cosi meravigliosa:da conside rare come compiuti una serie di giudizii che non si haavuto il tempo di compiere pacatamente o di compierli in un breve atto: è il meccanismo che penetra nelle più elevate regioni psichiche ed in cui si sem plifica, per mezzo della ripetizione, il processo giu dicativo primario che è più lungo e difficile. Ma in questi casi si deve trattare di compiere sempre giu dizii già compiuti altre volte o negli stessi oggetti od in oggetti differenti già percepiti, non in oggetti che   dizii. In generale con la parola conoscenza si vuol dire non solo l'apprensione e la ritenzione delle pro prietà dell'oggetto e degli oggetti in connessione fra diloro,ma ancorailoronessiconlealtreproprietà dello stesso oggetto e con le proprietà delle altre cose, a differenza del pensare e delragionareincuisitiene pii conto dei nessi delle cose. Quando l'oggetto è un mucchio di proprietà, queste aderiscono a quel centro comune che primitivamente costituiva tutto l'oggetto indistinto in sè stesso;e,se si ha qui il grande vantaggio che ciascuna nota e per mezzo dell'atto giudicativo connessa all'oggetto, non si vede la ragione del coesistere di tutte queste qualità nell'oggetto e non sivede alcuna ragione del l'incontro delle note fra di loro.La parola mescolanin che usano i naturalisti quando vogliono indicare il coesistereel'essere diparecchi corpi incontattol'uno dell'altro senza perdere la loro natura corrisponde a questa sfera dell'obbietto logico in cui si possono c o m piere molti giudizii sullo stesso obbietto, ma senza che l'uno eserciti una preponderanza sull'altro,senza che l'uno abbia un valore superiore all'altro,e perciò ciascun giudizio ha un valore per sè; e considerati tutti fra di loro costituiscono una mescolanza. Quando il soggetto cominciaa scorgerenella rapresentazione la proprietà più appariscente, quella sopra tutto per la quale l'oggetto ha costantemente un valore speciale ed un uso,ed intorno a questa nota costantemente si aggruppano, con nessi pi'i o meno 3. - +1   intimi, altre note si principia a scorgere nell'oggettu i primi rudimenti del sistema il quale può darsi non solamente tra le note dello stesso oggetto, ma anche tra più oggetti, secondo il campo su cui si esercita l'attività soggettiva. Intendere logicamente il sistema significa fissarlo nel suo minimum primitivo ed in una forma più com plicata e seguirlo a mano a mano sinoallaforma piiz completa in cui cessa di essere puro sistema e di venta sistema funzionante, sistema di sistemi ed ganismo vivo.  un si OL L'intendimento del sistema è stata una delle pii grandi conquiste che ha fatto il pensiero filosofico in generale ed il pensiero logico in particolare. Questa parola che primitivamente ha significato la molte plicità scomposta delle cose è stata ulteriormente usata ad indicare la molteplicità ordinata di esse. È la filosofia di HEGEL che ha compreso il sis'ema nella sua forma più alta e come non era mai stato fatto prima. Considerando Hegel l'universo come stema, si è molto addentrato nella comprensione delle cose. E, come il sistema occupa una gran parte cosi nel mondo della natura come in quello dello spirito, perchè interviene in ogni grado di essi e senza il si stema nessuna cosa potrebbe intendersi, cosi costi tuisce anche una sfera del mondo logico, tanto che senza di esso non potrebbe intendersi il concetto che rappresenta in sommo grado l'energia logica. Il sistema nella sua forma primitiva trova il suo   In questa forma primitiva il sistema apparisee, anche al soggetto superiore, nel regno minerale ed inorganico od anche in tutto ciò che l'uomo, serven dosi di materiali bruti ed amorfi, foggia pei suoi bi sogni; poichè qui si hanno sempre forme inferiori di sistema.Qui le qualità connesse al sistema sono co stanti finchè dura l'oggetto; non hanno una energia superiore a quella meccanica, fisica o del chimismo inferiore od inorganico. Il sistema solare presenta una forma più perfetta di sistema;perchè esso presenta una molteplicità,un centro ed una periferia e gli uni di cui risulta sono di visi fra di loro e dal centro per mezzo di grandi tratti di spazio e sono uniti al centro del sistema  riscontro nel regno minerale; il sistema della seconda forma trova il suo riscontro nel regno della vita; ma anche qui si riproduce, quantunque trasformato, il sistema della prima maniera. La forma più rudi mentale di sistema si ha quando ilsoggetto aggruppa intimamente intorno alla nota più importante dell'og getto altre note secondarie od intorno ad un oggetto principale altri oggetti di secondaria importanza fra i quali passino rapporti più o meno estrinseci. È questo il sistema quale apparisce alla soggettività volgare la quale non sa considerare l'oggetto diver samente anche quando ha dinanzi a sè un sistema nella sua più alta forma quale può apparire allo scien ziato. per legge di gravitazione. Per quanto si osservi qui in la   alto grado di sistema, perchè ciascuno degli elementi non è autonomo,ma connesso al centro, pure serva tra le parti di cui il sistema risulta una grande estrinsechezza. Per trovare una più elevata forma di sistema dob biamo entrare nel regno della vita e nei tessuti che co stituiscono l'organismo animale o vegetale;ma anche qui il sistema si presenta in una grande e meravi gliosa graduazione; perchè se in questa sfera gli ele menti che devono intervenire non sono,  si os non sono, come nelle formeprecedenti,esseriinorganici,ma entidotatidi vita e di una più o meno grande energia interiore e non sono divisi fra di loro per mezzo di distanzepiù o meno grandi,ma sono in qualche modo in contatto fradiloro, ilcentroperò che deve implicare ilsi stema non è sempre determinato, anzi non vi è nei sistemi dei tessuti vegetali o nei tessuti di un'impor tanza inferiore degli animali,comeperesempio iltes sutograssosoedil connetti vale. Per questa ragione ė più perfetto quel sistema in cui gli elementi istolo gici che sono dotati di vita sono non solamente con nessi od in contatto fra di loroma anche unitiinuna comunione funzionale e che vi sia un centro ove con vergano le attività degli elementi e che l'energia fun zionale dal centro s'irradii anche verso la periferia. E, come vi è una sola funzione, quantunque assai multiforme, che circola pel centro e per le parti che, per contrapporle al centro, possiamo chiamare peri feria, vi deve anche essere la stessa identità di co   stituzione chimica tra gli elementi istologici di cui risulta il sistema. I biologi distinguono il sistena dall'apparecchio il qnale consiste in un complesso di organi di varia struttura, ordinatiinmodo fra diloroda compiere'una: funzione di complessa natura.Cosisidice apparecchio respiratorio, uditivo, visivo, ecc. Inteso l'apparecchio in questo senso, ha una importanza logica intermedia tra l'organo ed il sisteina, superiore a quello, infe riore a questo. Ma un siste.na della vita non ha che una funzione speciale e non autonoma; perchè è connesso agli altri sisteini e non può compiere questa funzione senza l'in tervento e l'aiuto di altri sistemi. È qui che l'auto nomia del sistema principia a venir meno; perchè cia. scun sistema non fa che compiere una funzione spe ciale in un sisteina che conprende tutti i sistemi della vita, ciò che s'indica col no.ne di organismo. Anche dicendo sistema di sistemi si dice sempre meno di quel che dice la parola organismu, la quale include una grande intimità e reciprocità funzionale tra i singoli sistemi e tra gli elementi istologici di cui risulta il sistema. Da questo punto di vistasesideve riconoscere che il sistema circolatorio sanguigno sia un grande si stema si deve però ammettere che non vi è nell'orga nismo un sistema più compiuto del nervoso, sia per la elevatezza della funzione che per la meravigliosa struttura e per la ricchezza e bellezza delle forme che esso presenta. Nel sistema una parte può venire sottratta senza cheilrestodies30vadainrovina;maun organo qualunque dell'organismo non può essere tolto senza che l'organismo non perda una nota fondamentale della vita, la quale induce una diminuzione generale della perfezione organica e funzionale e se l'organo ha una importanza grande nell'organismo adduce la caduta o la morte di esso. La parola fisiologismo adoperata nel senso moderno (non nel senso antico e greco secondo il quale signi fica semplice attività naturale) contrassegna la nota più saliente dell'organismo che è la vita animale.Però il fisiologismo non è una sfera naturale autonoma ed indipendente dalle altre zone inferiori naturali; in esso  -46 Sipuò dire che solamente in questo secolo,pei grandi progressi che si sono fatti negli studi sulla vita in senso largo, si è potuta comprendere la grande importanza dell'organismo. Quando si dice che l'uni verso èun organismosivuole indicare un fattodiuna natura assai più complessa ed elevata che quando si dice che esso è un sistema. Quegli elementi che nel sistema diciamo parti nell'organismo diventano organi iqualisono, è vero, parti, manonconnessialresto più o meno estrinsecamente, come avviene nel sistema ordinario; e sono elementi attivi e funzionanti pel resto dell'organismo tanto che contribuiscono grandemente a tutta l'energia dell'organismo e viceversa, questo dà ad essi un alto significato che, fuori dell'organismo, non avrebbero.  Ilchimismo, quantunquerappresenti una seriedi fatti inferiori a ciò che costituisceilfisiologismo,pure costituisce parte integrante di questo, cosi nel senso scientifico come nelsenso logico,tanto che senzachi mismo non potrebbe darsi fisiologismo; poichè non vi è funzione fisiologica la quale non implichi una serie di complicazioni e riduzioni chimiche. E, poichè non vi è fatto chimico che non implichi nello stesso tempo fatti meccanici e fisici; il fisismo èparte integrale del chimismo,cosi scientificamente come logicamente,e per conseguenza anche dell'organismo. Ed il fisismo si trova nel fisiologismo non solo come assorbito dal chimismo, ma anche come indipendente da questo. Cosi nell'organismo, oltre ai fatti chimici si trovano fatti anche puramente fisici, quantunque questi si tro vino in complicazione coi fatti chimici e fisiologici; ma però il soggetto può fissarlied isolarli dagli aitri fatti e considerarli come puramente fisici. Avviene cosi nell'organismo logico quel che avviene nella natura in generale in cui le zone inferiori sono ciascuna autonoma e per sè e nell'istesso tempo in al troeper altro.La meccanica e la fisica rappresentano invece sono implicate il chimismo ed il meccanismo ofisismo (adoperando anche questa parola nel senso moderno non nel senso antico secondo il quale vorrebb e indicare semplicemente il fatto naturale. Si sa che la fisica moderna studia solamente alcuni fatti della n a tura, come la gravità, il calorico, la dinamica, l'elet tricità,la luce,la vibrazione dei corpi,ecc.).   alcuni gradi della natura dove si manifestano in tutto il loro potere.Ed anche la chimica è una zona per sé della natura,ma frattanto in questa devono ne cessariamente intervenire le sfere precedenti, mecca nica e fisica, altrimenti non potrebbe sussistere come chimica.E similmente i fatti più complessi della na tura quali sono la vita vegetale ed animale non po trebbero sussistere senza le due zone precedenti; giac chè non vi è fenomeno vegetale ed animale senza che v'intervengano fatti fisici e chimici. Ifisiologi,inquestiultimitempi,avendo riscon trato fatti meccanici nell'organismo ed una certa so miglianza dell'organismo al meccanismo, si sono stu diati a tracciare le differenze che passano tra l'orga nismo ed il meccanismo ed hanno conchiuso che l'organismo non è un meccanismo. Per quanto giuste sieno state le osservazioni fatte, pure avrebbero rag. giunta una più vera conoscenza dell'organismo se avessero detto che esso implica ilmeccanismo, quan tunque il meccanismo che si trova nell'organismo non sia come quello che si trova nei congegni meccanici, ma trasformato e complicato dai fatti della vita;ondeé sempre una sfera dell'organismo.  18 Nel campo psicologico si raggiunge la sfera della perfezione quando l'anima èdivenuta organismo degli stati suoi, di sè stessa e dell'oggetto, ciò che è la mente; e non si raggiunge questo punto senza essere passati pel meccanismo psichico prima e pel chimismo poi;enondimeno queste due formediattivitàpsichica   esistono sempre nella mente come due sfere subordi nateefondamentali per essa,tanto che quando l'or ganismo mentale comincia a decadere, permanentemente o temporaneamente, ricomparisce il chimismo prima e poi gradatamente il meccanismo come forme autonome psichiche,e,quandoperunaincompiuta educazione psicologica,l'uomo non raggiunge la mente, si arre sta al chimismo. Il meccanismo psichico pure contras segna la vita animale e l'ultimo stadio di decadimento della mente già compiuta. La parola organismo trova più propriamentelasua applicazione, che non la parola sistema, quando si vuole significare in modo saliente quel che sia la famiglia, la società o lo Stato.La molteplicitàdegliin dividui funzionanti di cui una società risulta,l'essere questi individui animati da un fine comune che è lo spiritonazionaleecheècomeilcentrodelle individua lità,la varietà di classi,di funzioni, di aspirazioni, di attività in cui si possono scorgere tanti fini secon dari o aspetti speciali e necessari del fine comune,onde non tutti gl'individui partecipano all'istesso modo al raggiungimento di questo fine, ilpermanere dello spi rito nazionale mentre gl'individui che vivono in esso e per esso muoiono erinascono, fa diuno stato un or ganismo assai più complesso e di un'assai più elevata natura che non l'organismo animale. E più lo stato ė organico in questo senso e più è perfetto. Si può dire anzi che,dal primo costituirsi dello stato sino allo stato come può essere ai giorni nostri, si nota una  tendenza a raggiungere la forma perfetta della orga nicità. Quando si parla di organismo, sia che si tratti del l'organismo vegetale od animale, che dell'organismo etico sihad'innanziunaltro fatto più complesso che ne rende più difficile la conoscenza ed è che l'organismo non può essere conosciuto in sè stesso se non è messo in relazione con tutto ciò che lo circonda. La pianta non può essere conosciuta se non si conoscono le sue relazioni con l'aria,col terreno,col calorico, ecc.La vita animale non sipuò conoscere pienamente se non si vedono irapporti che la legano al cibo che rappre senta il mondo esteriore, all'atmosfera, al clima, al luogo.Sisa che l'animaleassorbisce qualche cosadal mondo esteriore e lo rende ad esso per altri modi e per altre vie.Anche gli organismi etici non possono sussistere senza un ambiente non solo naturale, ma anche etico. Uno stato non può esistere senza il suo territorio,senza un determinatoclima,senzaiprodotti delsuolo,come non pno aver una vita spirituale propria senza assimilarsi il pensiero degli altri stati, senza essere in rapporto con essi e senza esercitare un'azione sugli altri stati. Il soggetto, passando dall'oggetto in cui questo è una mescolanza a quello in cui è un sistema ed a quello in cui è un organismo, compie un lavoro giu dicativo chimico progressivamente intenso.Conseguen temente larappresentazione dell'oggetto sidetermina sempre più e diventa anche essa sistematica ed or   Perchè si abbia il concetto logico le note di cui il concetto risulta devono essere comprese tutte nel loro organismo, di ognuna di esse deve vedersi la neces sità e l'importanza; poichè se di qualche nota non si sa vedere la necessità, cioè se non si vede diessa la connessione al tutto e dalle parti o agli altri organi od alle altre parti dell'oggetto, mediante un giu dizio intimo od una serie di giudizii, non si ha più ilconcettologico; siha allorala rappresentazione logica. Sicchè la rappresentazione logica si ha non solamente quando delle proprietà che costituiscono l'oggetto una o parecchie sono viste nella loro con nessione intima con esso e le altre sono viste acci dentalmente, ma anche se l'oggetto è compreso,nella maggioranza delle sue note, nel suo sistema e nel suo organismo e solamente una nota di esso non è vista nel sistema o nell'organismo, non si può dire che si abbia allora la conoscenza compiuta dell'og getto;sihasempre una conoscenza inferiore cheè  ganica non solo in sè stessa, ma anche in connes sione con altre rappresentazioni; cosi anche a mano à mano la rappresentazione bruta e puramente psico logica diventa rappresentazione logica. Ma quando l'oggetto o la rappresentazione di esso è un sistema od un organismo, allora siamo innanzi ad una nuova zona logica che è il concetto che vuol dire conoscenza sistematica ed organica delle cose. Cosi si può fare una distinzione precisa tra la rappresentazione logica ed il concetto logico. Poichè la conoscenza sistematica ed organica del l'oggetto è l'ultima a raggiungersi dal soggetto,s'in tende che prima di averlo pienamente raggiunto, un certo numero di note ha dovuto essere considerato come inesplicato od accidentale e non è stato espli cato se non dopo un ulteriore studio del soggetto. La perfetta conoscenza di un oggetto o di un fatto può non essere stata raggiunta dall'individuo che pensa;ma può possedersi dagli scienziati o conser varsi negli annali della scienza; può ancora non es sere stata raggiunta dagli scienziati. In tutti e due questi casi si è nella sfera della rappresentazione lo gica, non del concetto. Finora i logici non han fatto distinzione tra r'ap presentazione e concetto ed han contrassegnato l'una e l'altro insieme con la parola idea. Si sa che la pa rola idea è stata largamente usata dai filosofi greci, dai filosoa del Medio-Evo e del Rinascimento e dai filosofi moderni e contemporanei. Quantunque dallo studio delle opere di Platone e di Aristotele appari sca che questi due grandi filosofi abbiano bene di stinto quel che ora si dice conoscenza rappresenta tiva dalla conoscenza perfetta delle cose,la opinione dalla verità,pure essi,usando la parola idea, pare  32 la rappresentazione logica. In questo caso una o pa recchie note sono considerate come inesplicabili ed accidentali, mentre le altre sono considerate come ne cessarie ed esplicate (la nota esplicata è la nota con nessa all'oggetto mediante l'atto giudicativo).   che non abbiano tenuto conto di questa distinzione e l'abbiano invece adoperata per indicare indistinta mente l'una cosa e l'altra: ciò che, trattandosi di un fatto di tanta gravità per la scienza, non può non ingenerare confusione ed equivoci nella mente del lettore. Gli stessi equivoci hanno sostenuto, adoperando la parola idea i filosofi del Medio-Evo, del Rinascimento, i filosofi moderni e contemporanei. Non si deve però noverare tra questi HEGEL il quale frequen:emente nei suoi libri accenna alla differenza che deve pas sare tra la rappresentazione e la nozione od il col cetto. E se è vero che anche egli fa moltissimo uso della parola idea, l'adopera però per indicare il si stema od i vari gradi del sistema dell'universo; ed in questo caso è chiaro che la parola idea deve corri spondere al concetto. Ma, anche posteriormente all'Hegel,ilogici, ado perando la parola idea, non han creduto necessario dichiarare se essa deve corrispondere alla rappresen tazione od al concetto; però nel fatto l'hanno adope rata per indicare l'una cosa e l'altra indistintamente come si vede dai trattati di logica che circolano per le scuole di tutte le nazioni. E vi sono anche alcuni logici che adoperano promiscuamente le parole idea e concetto;ma non si può dire che la parola concetto che essi usano corrisponda a quel che si è detto do vere essere il concetto, anzi, stando a certe divisioni che essi ne fanno, si deve conchiudere che per concetto essi intendono la rappresentazione. Cosi essi, tra le altre divisioni dei concetti, ne fanno una in concetti chiari ed oscuri,distinti e confusi, completi ed incompleti; ma un concetto che sia oscuro o con fuso od incompleto deve essere una rappresentazione non un concetto. Per l'uso equivoco che della parola idea si è fatto per tanti secoli e perchè può ancora ingenerare con fusione nella mente, sembra necessario il non doverla più adoperare,tanto più che le parole rappresentazione e concetto,che sono anche esse due parole classiche, corrispondono benissimo a distinguere due gradi dif ferenti di quello che i logici hanno indicato con la parola idea. La parola concetto ha nella lingua latina ed ita liana un significato assai profondo e complesso;poiché esprime l'ultimo e più compiuto risultato di un pro cesso, di una serie di avvenimenti i quali hanno avuto il loro punto di partenza in un fatto che è il loro presupposto necessario e la loro possibilità.E questi avvenimenti devono essere legati fra di loro con legame tale di successione che ciascuno di essi non può rappresentare che un dato grado del processo, non può prodursi cioè prima che si sieno dati altri gradiod avvenimenti più o meno elementari che esso pre suppone e da esso devono prodursi altri gradi più c o m plessi i quali menano al pieno risultato del processo. Cosi si vede che la parola concetto include w a storia e che questo processo concettuale si riscontra non solo nella natura, nel suo insieme, ma anche in ogni grado di essa con questo diparticolare che più ci eleviamo nelle sfere alte della natura, quali sono la sfera della vita e dell'umanità,più questo processo. lin   si esegue compiutamente e, relativamente, in breve tratto di tempo ed ogni proprietà di ciascuno entedi queste importanti zone della natura compie insieme con le altre proprietà una storia. Quel processo che avviene nella vita dell'animale e della pianta risponde bene a quel che è un concetto. Si sa che la pianta ha il suo punto di partenza nel germe che può considerarsi come il grado infimo di essa,di là dal quale non vi è nulla della pianta. Partendo dal germe la pianta attraversa una serie di gradi,lo sviluppo delle foglie e la trasformazione di esse nel fusto, nei rami, nei fiori e nel frutto che racchiude il seme, ciò che segna il grado ed il limite ultimo dell'esistenza della pianta; onde essa parte dal germe e ritorna al germe. Si può dire che nel germe sono implicati tutti i gradi della pianta e che il grado che segue alla trasformazione del germe lo include come un presupposto necessario e cosi pos siamo dire del grado successivo relativamente ad es:a. È stato dimostrato che il fiore è una trasformazione della foglia ed il frutto è una trasformazione del fiore e perciò anche della foglia e che anche il seme sia una foglia trasformata; onde nel frutto sitrova come un grado ad un presupposto necessario il fiore e perciò anche la foglia, all'istesso modo che nel fiore sitrovalapossibilitàdelfrutto.Ora lastoria com piuta della pianta si ha quando essa attraversa tutti questi gradi e si considera uno di essi come quello a cui mirano i gradi precedenti, cioè il frutto ed allora  56   possiamo dire di avere il vero concetto della pianta. Cosi quando diciamo concetto diciamo anche sviluppo. Da ciò si vede che il processo del concetto che è il concetto stesso delle cose non deve essere inteso come una progressione aritmetica.Da un grado non sipassa all'altro mediante una aggiunzione di qualche cosa a  -- Ma gli avvenimenti di cui risulta il concetto non solo devono essere legati fradi loro pel nesso di suc cessione ma anche pel nesso di coesistenza; giacchè, quando il concetto è dato,esso rappresenta un com plesso di avvenimenti o di proprietà le quali ha con quistato e conservato nel suo processo,di cui ciascuna è necessaria, benchè non necessaria all'istesso modo chelealtre,perl'attualitàdelconcetto;enon po trebbe mancare senza che il concetto venisse sconvolto o degradato. Però bisogna bene intendere questo conservare che il concetto fa delle proprietà che acquista, nell'at traversare tutti i gradi necessari prima di attuarsi pienamente; giacchè le proprietà di un grado non sono conservate come precisamente tali nel grado seguente, ma sono conservate ed insieme trasformate e complicate. Cosi nel fiore non abbiamo la somma delle qualità della foglia insieme con quelle del fiore; ma le qualità della foglia si sono trasformateinquelle del fiore, di modo che vi si conservano ma non come puramente tali,son divenute cioè proprietà nuove.E questa trasformazione avviene in tutti i gradi che il concetto attraversa. qualchecosaltro il quale, dopo l'aggiunta,rimanga come puramente tale insieme con la cosa aggiunta, di modo che l'ultimo grado possa essere considerato comelasommadeigradiprecedentiedincuiigradi precedenti si conservino come puramente tali. In vero iprimi filosofi hanno compreso il mondo come una progressione quantitativa;peressilaveritàdelle cose non era che un risultato di una moltiplicazione o di una sottrazione dell'istesso principio naturale; e l'esplicazione dell'universo dal punto di vista m a t e matico e quantitativo è stato quasi sempre tenuto di mira dai pensatori e dagli scienziati. Anche aitempi nostri in cui le scienze particolari possono dare larghi contributi per arrivare ad una concezione organica delle cose e dell'universo, è sempre il punto di vista quantitativo che esercita le più grandi attrattive su gli scienziati, anche quando si tratti di argomenti i più complessi ed ipiù remoti dalla quantità pura,come la vita sociale o nazionale o la vita organica; si sa che anche ai giorni nostri ilcervello,come organo supremo dellavitaorganicaementale dell'uomo, sicrede non po tersi altrimenti intendere che considerandolo dal puuto divistaquantitativo.Ma ènotoche Platone ed Aristotele avevanointravistochelamatematicaedilnumero sono insufficienti per la comprensione piena delle cose e che l'Hegel e VERA, apiùriprese,hanno molto insi stito nel far vedere l'importanza limitata della mate matica nel sistema dell'Universo e nel far vedere che il sistema delle cose non può essere compreso che dal  punto di vista qualitativo e specifico il quale però presuppone come un elemento subordinato la mate matica, ciò che è ben diverso.  a numero, quantità a quantità, mentre la chimica va dall'identico al non identico, che è il vero processo delle cose. Il processo chimico non esclude il processo matematico;perchè non può esservi processo chimico senza il processo matematico; si sa che la chimica procede aggiungendo atomi ad atomi, molecole a molecole, ciò che è processo quantitativo e, mentre nella sfera della quantità, aggiungendo quantità a quantità, questa è semplicemente aggiunta o sovrapposta a quella la quale,dopo questa nuova aggiunzione, nulla acquista enulla perde della sua natura qualitativa primitiva; aggiungendo all'in contro chimicamente atomi o molecole specifiche ad atomi ed a molecole specifiche, viene come risultato un corpo avente proprietà nuove, tutte diverse dalle proprietà che avevano gli elementi di cui si compone il nuovo corpo. Si sa che l'idrogeno e l'ossigeno di cui sicompone chimicamente l'acqua hanno proprietà diverse dalle proprietà che ha l'acqua. E ciò si può dire di tutti i corpi composti relativamente ai corpi semplici di cui risultano.È questo illato importante e meraviglioso del processo chimico. Noi crediamo che il principio chimico, la cui importanza è sfuggita agl’antichi e si è vista solo ai tempi moderni, possa, più del principio matematico, esprimere bene il vero svolgimento delle cose; giacchè la matematica procede dall'identico all'identico, aggiungendo numero a numero, Sembra ora assodato dalla scienza chimica che l'immensa varietà dei corpi composti inorganici ed organici si possano tutti scomporre in quei pochi e determinati corpi semplici ora conosciuti. Ebbene, in qual modo con cosi pochi corpi semplici si possono ottenere corpi innumerevoli con proprietà differentissime gli uni dagli altri? Semplicemente mutando le disposizioni chimiche o molecolari; od aggiungendo semplicemente una molecola di un nuovo corpo a molecole costituenti prima un altro corpo o moltiplicando una molecola specifica di un corpo composto di determinate molecoleo sottraendone alcune ad alcune. È questo processo che ci dà corpi di natura tanto differenti e diversi. Ma se la chimica occupa un largo campo nella natura, dalla materia prima alla materia cher aggiunge la più alta forma complicativa, alla sostanza nervosa, dappertutto nella natura essendo vi più o meno lente e continue complicazioni o semplificazioni chimiche, il principio però chimico, quello secondo il quale di due o più cose od elementi che si uniscono si forma un nuovo grado il quale ha proprietà nuove e differenti da quelli dai quali risulta, rimane non solamente nella natura ma anche nella storia delle cose naturali ed in quelle dello spirito. L'ANIMALE non s'intende aggiungendo alle note che costituiscono LA PIANTA, la sensibilità ed il movimento; e se è vero che ALCUNE QUALITÀ DELLA PIANTA SI TROVANO NELL’ANIMALE, queste hanno assunto una natura tutta nuova nell'ANIMALE, tanto che, rigorosamente parlando, ciò che costituisce LA VITA DELLA PIANTA non si rinviene punto COME TALE nell'ANIMALE; perchè quelle note che costituiscono la pianta sono nell'animale elevate ad una nuova zona e vivificate e complicate e moltiplicate da una nuova vita. La nutrizione dell'animale è tutta differente dalla nutrizione della pianta, all'istesso modo che la struttura organica della pianta differisce dalla struttura animale. Ciò porta necessariamente una differenza notevole nella storia della pianta ed in quella dell'animale. Sicchè tutto è nuovo nell'animale relativamente alla pianta e si ha nell'animale una nuova e complessa serie di proprietà tutte differenti dalle proprietà vegetali. Cosi una proprietà che si aggiunga modifica tutte le altre proprietà, come fa la sottrazione di una data proprietà o funzione nell'animale.  Nella storia organica e psicologica del REGNO ANIMALE troviamo dominare lo stesso principio. Giacche, se vi è una vasta scala di specie animali, in ciascuna specie la modificazione di una data proprietà organica e psichica, relativamente ad altre specie, adduce con sė una corrispondente trasformazione di tutte le altre proprietà organiche, funzionali e psichiche. Cosi la forma esteriore degl’animali non è indifferente al loro grado di energia funzionale e di energia psichica. La sensibilità è varia secondo le varie forme organiche, secondo le varie forme di sistema nervoso. I movimenti sono vari secondo che è varia la sensibilità ed è vario il sistema schelettico ed il sistema muscolare. Una Inoltre l'individuo come tale ha attribuzioni che non  -varietà organica dunque non si ha senza avere unà varietà di tutte le altre proprietà e funzioni dell'animale; cosi di ogni proprietà animale. Si sa inoltre che alla VITA di uno stato devono con correretante condizioni, tanti fattori. Ma c'inganniamo se crediamo che ciascuna condizione non eserciti secondo il suo grado alcuna azione determinante su tutte le altre condizioni e perciò su tutta la vita nazionale. La ricchezza non è nè il solo fine né il solo fattore di una nazione. Ma uno stato ricco può avere un gran mezzo per creare condizioni necessarie ad elevare lo spirito di una nazione in tutti i suoi aspetti, a far felice la fa miglia e gl'individui; e d'altra parte uno spirito nazionale elevato trova molte vie aperte all'acquisto della ricchezza. I grandi individui contribuiscono a far grande una nazione e d'altra parte sono le grandi nazioni che fanno le grandi individualità. Un'alta vita reli giosa non può intendersi e compiersi che nelle grandi nazioni e d'altra parte lo spirito religioso dà un ele vato contenuto all'arte,allaletteratura, spingegliuo mini alle investigazioni scientifiche e filosofiche, può dare indirizzi nuovi alla vita politica, commerciale, economica dei popoli, può dare un'impronta speciale a quel che sidice spirito nazionale. Ciascun fattore della vita sociale dunque, mentre è modificato dagli altri fattori, dal loro grado di energia o di decadimento, contribuisce a modificare,svolgendosi,quale che sia il suo grado, gli altri fattori.  ha come faciente parte della famiglia in cui acquista nuove e più alte qualità,onde,senza il sacrifizio e senza l'abnegazione dell'individuo,lafamiglianon può vivere una vita rigogliosa. Cosi le attribuzioni della famiglia sono differenti da quelle dello stato, quan tunque senza la famiglia lo stato non potrebbe essere, essendo questo costituito di una moltitudine di fa miglie e perciò d'individui, i quali nello stato acqui stano nuove e più alte qualità; onde nello stato le famiglie e gl'individui non sono come sono fuori dello stato, Il principio chimico domina cosi la vita della n a tura e dello spirito,non ilprincipio matematico, quan tunque la chimica implichi e presupponga lamatema tica senza la quale né il chimismo, nè la natura, nè lo spirito stesso potrebbero essere.Onde,sepuò dirsi che il chimismo è lo schema dell'organismo delle cose, la matematica può dare lo schema quantitativo del chimismo e per conseguenza dellecose; ma perquesto è più lontana che non la chimica dalla realtà che non può intendere e che è sopra tutto qualitativa; ed è la chimica che fa intendere il concetto e che costi tuisce la seconda zona logica e che è parte integrante della vita del concetto più che la quantità la quale può corrispondere alla prima zona logica. S'intende che qui si parla del chimismo logico, non della chi mica come sfera della natura, la quale ha anche essa il suo concetto, come qui si parla della matematica come principio logico;non della matematica come sfera    speciale del pensiero e delle cose; poichè come tale ha anche essa il suo concetto. Sicché non si nega che la matematica possa dare un certo schema della realtà e che perciò non sia una certa logica; si afferma solamente che essa ci dà uno schema assai povero della realtà, che non ce la fa intendere. In vero la logica classica non è stata che la logica matematica e se vi sono oggi dei logici i quali, coltivando la logica intesa matematicamente, credono di coltivare una nuova logica, essi s'ingannano, quantunque però diano nuovi svolgimenti alla vec chialogicalaquale,se nonpuòesserelalogicadella vita e dello spirito,può essere però la logica delle sfere inferiori della natura, della meccanica, in tutti i suoi gradi, e della fisica intesa come grado della natura in generale. Si sa che tutti i fatti meccanici e fisici possono ridursi a formole matematiche, quan tunque allora non saranno la meccanica e la fisica che ci guadagneranno, le quali sono sfere molto più con crete e ricche che le matematiche pure; onde,ridotti i fenomeni meccanici e fisici a schemi matematici, essi perdono la loro concretezza, perchè sono semplificati (le cose non potendo essere intesa che dal punto di vista semplificativo ecomplicativoinsieme;onde,s'in tende la meccanica e la fisica non solamente quando sono intese matematicamente, ma quando sono intese matematicamente ed insieme meccanicamente e fisica mente; in quel caso guadagna però la matematica la quale estende i suoi confini). I fatti però meccanici e fisici dell'organismo non sono cosi facilmente riducibili a schemi matematici; non avendosi allora il meccanismo ed il fisismo puro od inferiore, ma ilmeccanismo ed ilfisismo come gradi dell'organismo,onde quei fatti sono allora determi nati da cause chimiche ed insieme fisiologiche e per ciò sono di una provenienza oscurissima e complica tissima; perchè il fatto meccanico o fisico può essere effetto di moltissime e svariate condizioni organiche e sono nello stesso tempo effetto e causa di altri fe nomeniorganici.Cosisipuòdiredei fenomeni psi chici e sociali; onde, per quanti sforzi la matematica faccia per entrare in questo regno, essa non potrà impadronirsene mai, potrà però calcolare matematica mente i fenomeni estrinseci di essi.Ciò conferma sem pre più il principio che non può essere la matema tica lo schema della realtà; ma è il chimismo. Aristotele, il primo grande logico dell'antichità e quasi il fondatore della logica, le cui dottrine per secoli hanno doininato e dominano ancora nelle scuole, perché non si possedeva ai suoi tempi una conoscenza profonda della natura e dello spirito come si possiede ora, non poteva darci che la logica quantitativa che si può considerare come il grado primitivo e più ele  È lo studio profondo dei fenomeni biologici come in gran parte è stato compiuto ai nostri tempi, che può farci vedere la grande importanza del processo logico chimico per raggiungere il vero concetto delle cose;e ciò non era possibile prima dei nostri tempi.   mentare della logica. Hegel poi può dirsi il fonda tore della nuova logica più per avere fatto vedere l'insufficienza della logica classica ad intendere la realtà anzichè per averci dato compiuta la nuova lo gica;e ciò perchè anche ai suoi tempi gli studi na turali e biologici non avevano raggiunto quell'alto grado cheraggiunsero posteriormente. Nondimeno l'ap parire della logica di Hegel segna nella storia un'e poca grandiosa;poichè,per mezzo di essa sono state poste le basi e si sono fatti i primi passi della lo. gica reale come può aversi e svolgersi ai nostri tempi. Inteso il concetto come l'ultimo risultato del pro cesso storico e chimico delle cose non ha più quel l'importanza che ha nella logica classica il capitolo della comprensione e della estensione dei concetti, in cui il concetto è inteso solo quantitativamente. Bisogna distinguere il concetto che sta per co.n piersi dal concetto compiuto; quello può essere chia mato concezione o concepimento che indica appunto l'atto del compiersi del concetto. Ora nell'atto che il concetto si forma attraversa vari gradi di cui cia scuno, se è considerato come arrestato nel suo c a m mino,può essereconsiderato come unconcettopersė; e si considera come grado di un altro concetto se as sume qualità e forme nuove di esistenza tanto che puòcorrispondere adun concettopiù compiutodiesso; ed in questo caso esso fa parte della concezione o del concepimento del nuovo concetto; e ciò può dirsi di ogni concetto. Considerando da questo punto di vista l'universo, si scorge facilmente che ogni sfera,ogni grado di esso è insieme concepimento e concetto, cioè è assorbito e complicato chimicamente in un concetto più alto e nello stesso tempo può essere considerato come un con cetto in sè. Questo duplice fatto forma dell'universo un vasto sistema e nell'istesso tempo un grandioso organismo;perchè ciascun concetto è in sè e per sè ed insieme in altro e per altro. conce  Questo principio si osserva con evidenza in tutte le zone delle mondo della natura. I minerali ed i feno meni fisici sono insieme in sè e per sè in una deter minata zona della natura (concetti); ma essi sono per la chimica relativamente alla quale sono pimento.Cosi la chimica rappresenta anche una de terminata zona del mondo naturale;ma, mentre è in sè, e perciò è un concetto, è anche concezione;perchè la chimica è per la vita della pianta e dell'animale e perciò, mediatamente,anche ilminerale è per lavita. Nel regno della vita questo processo diconcepimento continua; perchè, quando è data la forma infima della vita vegetale, si passa da forme vegetali semplici a forme gradatamente e successivamente più complesse sino all'ultima forma vegetale che potrà dirsi la più compiuta.In questo processo quei gradi che inatura listi dicono specie rappresentano appunto la conce zione della pianta;per cui ciascuna specie èinsieme concetto e grado del concetto superiore.Lo stesso può dirsi della pianta relativamente all'animale e del mondo della vita animale in generale. Quando si considera l'uomo nell'ordine della natura sembra che in lui si abbia l'ultimo risultatodellastoria e del processo naturale; ma d'altra parte l'uomo non è per sè solamente; perchè egli è quel che è per la famiglia e per lo spirito nazionale che egli contribuisce a formare ed in cui vive e si muove,all'istesso modo che lo spirito nazionale è per Dio che è il puro per fetto spirito in cui perciò si ha il vero concetto ed a cui tutta la concezione dell'universo aspira; perchè Dio non è più per altro ma per sè ovvero ė inaltro per sè; e tutta la vita ed il movimento della natura e dello spirito terreno non sono che un processo di ele vazione a lui e fuori di lui non sarebbero e non po trebbero esplicarsi. Cosi vi è un solo concetto e l'universo è una serie di concepimenti che sono relativamente concetti.E questi concetti costituiscono un processo di compli cazione che è chiuso tra due limiti estremi, il massimo ed il minimo. Il limite minimo si ha nell'elemento primo della naturaeperciò del pensiero,diqna dal quale vi è il sistema e l'organismo dei concetti, di là dal quale vi è il nulla della natura e del pen siero. Come tale questo limite minimo dei concetti può essere concepimento od elemento del concetto che segue ma non concetto.Il limite massimo ècostituito dal concetto assoluto, di là dal quale vi ha del pari il nulla e di quà dal quale vi è tutto ilsistema e l'or ganismo dei concetti. Ciò posto i concetti sono nella natura e nello spi  Le cose sono cosi in se stesse, obbiettivamente, con cezione e concetti; ed il soggetto, volendo conoscerle, deve seguire lo sviluppo di ciascuna di esse, dal suo primo ed infimo grado sino alla sua più compiuta realtà;deve seguire il processo del formarsi e del trasformarsi delle proprietà costituenti l'oggetto che siconcepiscesinoalsuoultimostato,come avviene degli enti morti o sino al massimo grado della sua energia, come avviene degli esseri viventi o degli or ganismi etici.Quandoilsoggettoavràcompiutoquesto lavoro psicologico insieme elogico di concezione in modo che questo processo corrisponda alprocesso obbiettivo  rito, e perciò nel pensiero,dispostiinmodo seriale; onde ciascun concetto che è tra i limiti ha un prima ed un dopo ed è concetto del concepimento 'precedente e concepimento del concetto seguente.Non sipuò dire però che il concetto che precede sia compreso come tale e nel senso della logica classica e con tutti i concetti precedenti dal concetto seguente; poichè il chimismo che domina il processo dei concetti non a m mette la comprensione nel senso classico, che è conside ratain senso puramente quantitativo. Del pari non si può dire che ciascun concetto si estenda in altri concetti; perchè esso è chimicamente assorbito e trasformato dal concetto che segue immediatamente e non si può tro vare come semplicemente tale in altri concetti'; onde la estensione secondo la logica dei secoli non risponde al vero; perchè in questa i concetti sono estrinseci gliuniagli altri, per cui non vi è organismo di concetti. della cosa, egli allora avrà raggiunto il concetto di essa: ciò che può dirsi cosi dei singoli concetti o di un si stema di concetti che del concetto assoluto.  L’economia nella vita dell’animale e dell’uomo. L’attività economica è una nota propria e fondamentale  della vita animale ed umana. Essa è rappresentata prima dalla  fisiologia, cioè dalle funzioni dell’organismo. Ogni funzione organica, studiata analiticamente, dimostra una dualità, cioè due  termini: l’organismo vivente che rappresenta l’unità degli organi funzionanti; e il mondo a lui esteriore con cui è in continuo rapporto (alimento, ossigeno dell’aria, acqua, calore, luce, ecc.). L’uno dei due termini scisso dall’ altro annullerebbe insieme con la vita l’attività economica; e l’organismo dovrebbe  disfarsi.   La vita, sostenuta da organi di elevata struttura e costituzione chimica, implica l’ unità degli elementi istologici, dei  tessuti, dei sistemi e degli organi che la rappresentano. Ma la  funzione di ciascun organo e sistema, mentre ha un fine che si  esercita o dentro l’organismo, in aiuto ad altre funzioni, o fuori  dell’organismo, contro il mondo esteriore per dominarlo e farlo  servire ai suoi bisogni, deve implicare una continua perdita  materiale degli organi funzionanti, che si riduce contemporaneamente in una degradazione chimica di sostanze componenti  i tessuti e gli organi, dallo stato di elevata natura a quello di  più elementare costituzione molecolare. Nello stesso tempo deve  associarsi ad uno sviluppo di forze fisiche (forza meccanica,  vibrazioni molecolari, calorico, elettricità).   In tal modo i due termini debbono entrare in un rapporto  molto intimo e continuo fra di loro; giacché il termine esterno  naturale, rappresentato dall’alimento, dall’ossigeno dell’aria, dall’acqua, deve diventare interno. Infatti l’alimento da sostanza  esterna e morta, quantunque di elevata costituzione chimica. I  giacché è stata vivente, come la carne, le uova, il latte, le erbe,  frutta e semi di varie piante, modificati esternamente e poi ingeriti dall’animale e dall’uomo, vengono ancora modificati, ridotti in sostanze relativamente semplici. Passate poi nel circolo  sanguigno vengono ancora modificate dalla presenza dell’ ossigeno che i globuli rossi del sangue hanno fissato per nutrire i  tessuti in contatto dei quali sono messi e dai quali si compie  l’assimilazione. In tal modo il cibo raggiunge la sua massima  elevcizione; da termine esterno e morto diventa interno e vivo.  Ma qui comincia la scissura interiore, onde il termine interno  diventa per mezzo della funzione anche esso morto in alcuni  suoi elementi e le sostanze che lo costituiscono, decadute e semplificate, vengono così restituite al mondo esterno, per mezzo  dei reni, della cute, del polmone e ancora modificate dalle glandolo di speciale segrezione; all’ istesso modo che l’energia che  costituiva il termine interiore si risolve in forze meccaniche e  fisiche le quali si spengono entro l’organismo stesso e nel mondo  esteriore, anche per mezzo del lavoro.   Il termine interiore che da prima è un organismo vivente   di elevata struttura, perchè è e sussiste, si può chiamare bene, secondo lo scrittore del j)rimo capitolo della Genesi, per cui è   bene tutto ciò che è creato da Dio; ed il termine esteriore,   perchè anche esso è e sussiste, si deve anche esso chiamare   bene; ma, poiché deve essere degradato come tale, e trasfor %   maio e ridotto nei suoi elementi; diviene male. E male il decadere, lo scomporsi, il menomarsi degli enti. Ma, poiché dai suoi  elementi di nuovo si ricompone, si organizza ed alimenta la  vita, diviene di nuovo bene; ma bene interno, come il bene interno si trasforma in male interno airorganismo da prima, poi  in male esterno; perchè nei suoi elementi primi si trasforma in  male esterno, cioè in elementi inorganici senza una finalità superiore. Ma di nuovo può divenire bene esterno, perchè per  mezzo di essi si possono ricostituire i beni esterni più elevati  (piante, animali, ecc. Il bene cosi si trasforma in male e questo  in bene. L'antico detto corruptio unius gene ratio alterius esprime un principio che domina il regno della vita vegetale ed  animale, giacché anche la pianta si trova in una posizione dualistica tra sè e il mondo a lei esteriore (il terreno, Tarla, la luce) ed è perciò in lotta con esso che tende a conquistare,   come questo è in lotta con la pianta. L'animale è in una lotta   più intensa col suo termine esteriore, la natura, come questa   %   è in lotta contro l’animale. E questo lo schema più semplice  della vita vegetale ed animale. Distinta cosi l’attività economica in due termini e fatta l’analisi di questi, apparisce più chiaro il concetto generico di  economia. Quantunque questa parola sia stata adoperata la prima  volta in Grecia ed intesa come legge, amministrazione della  casa, implica anche il concetto di soddisfazione, di godimento,  che gli animali e noi abbiamo di qualche cosa che dalTesterno  penetri nel nostro organismo. Coinvolge anche il concetto d'integramento, conservazione, elevazione di qualche cosa di materiale per mezzo del lavoro delTuomo o per opera della natura stessa, ma che rimane sempre nel mondo esterno alTuomo  e di cui questi può cercare di godere. Importa notare la differenza tra Teconomia della vita animale e quella delTuomo, che implica insieme con la vita organica o animale, qualche cosa di superiore o mentale. Benché  una grande differenza vi sia anche nel regno stesso delTanimalità, nelle sue varie specie, dall’aniraale infimo a quello della  più complessa organizzazione, giacché dalla prima alla seconda  specie il processo della vita si va sempre più complicando e  specificando, alT istesso modo che si complica ed aumenta di  volume Torganisrao nei suoi tessuti e nei suoi organi; onde si  ha un'organizzazione più vasta e complessa, pure in quest'arapia graduazione di animali lo schema dell* economia della vita  è identico in tutti; benché varia sia la quantità dell' alimento  ingerito ed assimilato e poi consumato e ridotto ad elementi  semplici, come corrispondentemente varia sia la somma delle  forze fisiche esplicate. L'animale infatti, a qualunque genere o specie appartenga,  non vive che monotonamente, sempre nel presente, benché varia sia la sua attività esplicata per vivere, secondo la natura  della specie a cui appartiene, e vario sia l'ambiente naturale e  climatico in cui vive. Esso non ha cura che per conservarsi e  per fuggire i pericoli che lo minacciano; cerca la tana, il cibo,  e l’acqua per dissetarsi; alleva con molta cura i suoi nati e provvede per il loro alimento; li protegge contro le insidie degli  altri animali sino a che essi non possano vivere da sè. Non  provvede pel suo avvenire e, durante la vita, non è suscettivo, a causa delle limitate sue condizioni psicologiche, a migliorare  la sua posizione economica, come è avvenuto pel suo passato  in cui si è riprodotto sempre identicamente lo stesso tipo e  la forma del suo organismo. Dall’animale all’uomo si fa un passo gigantesco; giacché  questi, a causa della superiorità della struttura del suo organismo e della sua intelligenza, si volge a studiare continuamente  sè e il mondo esteriore. Avendo il suo organismo molteplici bisogni, egli si sforza di soddisfarli per mezzo delle sostanze che  trova nel mondo esterno; e, a differenza dell’animale, prevede  i suoi bisogni avvenire e provvede come può affinchè nulla  abbia a mancargli pel futuro. E, se tende da prima a sfruttare  la natura, come fa l’ animale, di poi, apprendendo da essa stessa  i suoi metodi, si sforza di produrre ciò di cui ha bisogno per  vivere (piante ed animali speciali). Si apn; cosi all’ uomo il   campo della produzione dei beni naturali di cui ha bisogno, e %  che può ottenere per mezzo deir ingegno e del lavoro. E una  lotta che egli deve sostenere contro la natura, che ha avuto  principio col suo primo apparire sulla terra, che è andata sempre crescendo ed intensificandosi lungo il processo della storia  e con lo sviluppo della civiltà; e che non avrà mai fine, finché  dura la vita umana. La materia economica non può perciò essere intesa fuori  della sua storia, anzi essa fa una sola cosa con la storia delr umanità; giacché questa ha la sua base nell' economia e  senza di questa non potrebbe essere; all' istesso modo che nessun aspetto 0 grado del mondo naturale ed umano sfugge alla  storia e fuori di questa non potrebbe comprendersi. La scienza  economica dunque deve trattarsi storicamente. È questo un tentativo che può farsi solo oggi, in tempo di un grande sviluppo  dell'esperienza e della rifiessione umana, in cui il pensatore acquista coscienza di sé, dei propri bisogni fisiologici e mentali e del  mondo esterno naturale, in ciò che può soddisfare i detti bisogni. Questa materia cosi deve essere studiata nei suoi due termini, il soggetto e l'oggetto, economici, ciascuno nella sua storia  e nel suo rapporto con l'altro, senza del quale nessuno dei due  termini potrebbe sussistere sotto l'aspetto economico; e questo  rapporto é tutto tra i due termini, per lo quale questi si uniscono e dividono continuamente. È la storia dell’umanità e della  natura insieme nel loro aspetto drammatico. Nel trattare i principii naturali di economia bisogna trarre  insegnamento prima dello studio della storia del’umanità. Ma  nella storia fatta dagli storici più valorosi e rinomati l'aspetto  economico non è messo gran fatto in evidenza; come se per loro non avesse avuto che un' importanza trascurabile; non veniva   perciò compreso e considerato nella sua obbiettività e non si  sognava che un giorno i posteri sarebbero stati curiosi di conoscere, nei suoi particolari, il metodo e la materia dell' attività  economica dei popoli di cui si narrava la storia. Si credeva  che il cibo e gli altri beni di cui l'umanità ha bisogno sarebbero  stati sempre abbondanti e perciò non meritava che gli uomini se ne preoccupassero. Del resto anche gli storici più recenti  si sono cosi condotti verso l’aspetto economico della popolazione. Pure in ogni scrittore non possiamo non trovare qualche  accenno alla vita economica delle nazioni di cui si narra la storia  0, se non alla economia normale, aireconomia patologica, come la carestia, la pestilenza, i risultati della guerra, le emigrazioni e le  immigrazioni, i perturbamenti della natura fatti per opera della  mano deiruomo, che, facendo vedere la deviazione del processo  economico normale e naturale nella storia, fanno meglio vedere  le necessità di questo. Avviene così nel campo economico quel  che avviene nel regno della vita, per cui le malattie che sono la  deviazione funzionale degli organi dal processo tipico normale  della vita, che apportano anche una corrispondente alterazione  chimica, istologica ed anatomica degli organi, hanno dato non  pochi contributi alla conoscenza delle funzioni normali della vita. Vi sono poi le grandi crisi economiche nazionali o universali, come quella che ora si attraversa sull’ incarimento del  costo della vita, un fenomeno nuovo e gigantesco che non ha  avuto l’eguale nella storia, la cui origine oscura ci obbliga a  riflettere e a meditare per risolvere l’enigma. Vi sono inoltre  gli errori della storia che il popolo stesso compie per suo proprio istinto o che compiono gli uomini di governo, errori di cui  è piena la storia e che, con le loro conseguenze patologiche,  fanno meglio comprendere il processo logico e progressivo della  storia come avrebbe dovuto essere. Cosi è stato disastroso per  la vita dei popoli il non avere compreso la natura propria della  moneta che si è voluta sempre di metallo prezioso, per cui  alla scarsezza di questa si debbono alcune rivoluzioni ed un  arresto nello sviluppo del lavoro e della produzione dei beni e  r arricchirsi di alcune nazioni che ne hanno molta a danno di  altre che ne hanno poca. Ma il presente stato economico del  mondo in cui l’ industrialismo ha raggiunto un grado di vitalità •   esuberante da per tutto ed attira l’energia e V operosità del  maggior numero degli uomini i quali affluiscono nelle industrie  e nelle città disertando i campi e i villaggi, ci spinge a studiare il presente fenomeno e, mettendolo in relazione col passato economico, ci apre la via ad intendere la storia economica deir umanità.  Ma la storia economica che fa una sola cosa con la storia politica, artistica ed intellettuale delle nazioni, nell’ aggregarsi  o disgregarsi continuo di queste, è certo un grande e cospicuo  periodo del processo logico della storia del mondo ed è anche  quello più memorabile: quello cioè che, per essere stato esperimentato primitivamente da alcuni uomini, riconosciuto e provato da altri, aggruppati da prima in piccole tribù o società, e  poi esteso, ad altri, è trasmesso a mano a mano ai posteri col  contatto degli uomini, attraverso il loro nascere, crescere e  morire. E l’attività economica che è stata sempre viva nella storia, quantunque abbia operato in modo inconscio agli uomini,  negli ultimi due secoli ha raggiunto uno sviluppo considerevole  insieme con lo sviluppo industriale e con l’estendersi del commercio nel mondo. Questa da prima si è sviluppata istintivamente ed impulsivamente per mezzo dell' ingegno dell’uomo  che ha saputo trovare ed aprire le vie; poi è venuta la scienza  dell' economia industriale e commerciale, che ha riconosciuto i  fatti compiuti e ne ha formulato e cercato di spiegare le leggi.   Sicché non è stata la scienza economica che ha destato l’attività economica, bensì questa ha dato origine a quella.   Si può rintracciare dunque, attraverso la storia intellettuale,  politica e pratica dell’umanità, una storia economica. Ma la storia politica rappresenta il processo degli avvenimenti umani di  cui si conserva memoria; si è perciò innanzi ad un’epoca molto  avanzata dalla storia, quella in cui l’uomo ha cominciato ad acquistare consapevolezza della sua superiorità sulla natura e  della possibilità del suo dominio sugli uomini inferiori per ingegno ed attività pratica. Ma la storia memorabile e memorata  presuppone la preistoria, che è di là dalla memoria degli uomini e che nondimeno ha dovuto preesistere alla storia. Come  nessun aspetto della civiltà e delle istituzioni umane sfugge alla  preistoria, quale il linguaggio, la politica, l’arte, la religione, ecc.,  così avviene dell’economia e della scienza economica. E la storia d’altra parte si connette alla preistoria di cui è continuazione e complicazione, onde si può dire che nella preistoria si  trovano i principii economici più semplici ed elementari che  nella storia progressivamente si sono andati complicando; ma  che sono sempre vivi ed attivi nella storia ulteriore: ed appariscono nella loro semplicità nelle grandi crisi di economia sociale, quando si sente il bisogno di tornare alla vita naturale  e primitiva. Non bisogna però ammettere una barriera tra la  preistoria e la storia. Ciò che fu il principio è la base odierna  deir edificio economico.   Quantunque la preistoria pura e primitiva sfugga alla nostra osservazione, pure, come è avvenuto pel linguaggio, strumento fondamentale deirintelligenza e deir attività pratica umana  e del progresso scientifico, si può rintracciarla prendendo le  mosse daireconomia naturale che può avere rappresentato essa  sola neirepoca preistorica tutta T umanità, che di poi divenne  storica, economia che anche oggi deve essere considerata come  il sostegno deireconomia storica, industriale odierna, e senza la  quale questa è destinata a fallire. In questo senso, guidati dalla  logica della realtà delle cose e dalla psicologia speculativa, si  può rintracciare il processo preistorico dell’ economia. Il punto  di partenza è qui Teconomia fisiologica, comune da prima all’animale e airuomo, giacché ambidue sono soggetti economici  che hanno la natura come termine a loro opposto. Ma, mentre,  come si è detto, la soggettività animale ha un arresto nel suo  sviluppo, la soggettività umana all’ incontro prosegue senza limiti, cercando di conoscere la natura ed adattarla alla soddistazione dei suoi bisogni, che con la sua intelligenza sa scoprire  in sé, nel suo organismo e nella sua mente, nuove lacune da  colmare. A differenza però deiranimale in cui Torganismo si sviluppa rapidamente, onde breve è per esso il periodo in cui ha  bisogno delle cure dei genitori, perchè ben presto può fare uso  delle sue forze e rendersi indipendente, onde vive guidato dai  suoi istinti, l'uomo all’ incontro ha bisogno di un certo numero  di anni per potere da sé provvedersi del cibo e colmare tutti  i suoi bisogni. Ben presto morrebbe se, appena nato, non avesse  le cure materne, ed anche se venisse abbandonato a sé stesso  neH'infanzia e neiradolescenza. Molte altre cure poi richiede,  ed anche un certo numero d’anni, se egli vuole educarsi, esercitare un facile mestiere od una difficile professione; e volesse  elevarsi nella sfera dell’ alta cultura, dell’arte o della scienza.  In questo lungo periodo della sua vita il giovanetto è allevato  e educato dalla famiglia, o dalle istituzioni di beneficenza, dall’iinsegnamento pubblico e dalla religione. In tutto questo periodo dell’infanzia e della fanciullezza  il dualismo è rappresentato dal fanciullo, ente passivo nella sua  attività, e dalle istituzioni familiari e sociali, che sono il termine  veramente attivo, il quale, servendosi di elementi c vie naturali,  eleva e conduce il bambino all’attività pratica, affinchè possa  col tempo provvedere ai suoi bisogni. Il giovanetto, diventato  adulto, deve da sè solo risolvere il problema dell’esistenza, per  quanto possa essere agevolato dalle istituzioni; allora egli si  trova d’innanzi alla natura alla quale domanda i mezzi di vita  0 di conservazione. Questi sono rappresentati dal ricovero e  dall’alimento che è fornito dagli animali e dai frutti e semi di  piante; e vegetali di una elevata costituzione chimica. Qui comincia la lotta tra 1’ uomo e la natura. Questa è da prima provvida madre per lui, onde gli concede facilmente ciò di cui ha  bisogno, ma non senza che egli taccia qualche sforzo, qualche  fatica, andando in cerca deU’alimento, sottomettendosi anche a  gravi pericoli e spesso rimanendo vittima delle intemperie o  degli animali che egli ha cercato di abbattere e conquistare.   E questa la condizione dell’ uomo primitivo che non ha avuto dal passato insegnamenti e tradizioni; per cui l’esperienza  e l’osservazione debbono cominciare da lui che è fornito di un  organismo che si presta ad una grande varietà di lavori; e di  intelligenza che gli è guida all’ attività pratica, allo studio ed  alla conoscenza della natura della quale cosi può meglio servirsi; e conserva memoria delle sue conquiste, passate e presenti. Ma la natura, dà all’ uomo i mezzi di vita, purché li cerchi, non glieli assicura per sempre. Comincia cosi l’attività per  la ricerca del cibo e comincia ancora un’epoca di disgregamento per la ricerca dei luoghi dove la natura fosso più ferace di veg'etabili e di animali, atti a far vivere l’uomo. In quest’ epoca,  certamente non breve, si ha un grande disgregamento del genere umano, in tutta la superficie della terra, per quei luoghi  dove la vita fosse possibile; giacché in quest’epoca in cui il lavoro collettivo non era ancora principiato, l’uomo voleva essere  solo con la sua famiglia a conquistare e a godersi la preda. D altra parte 1’ uomo in lotta con la natura primitiva, che  si slanciava ad imprese difficili ed audaci, in tempi in cui l’aria  sulla superficie della terra era buona ed in cui ralimentazione  era prevalentemente carnea, dovea dare al suo organismo uno  sviluppo ed una resistenza ammirevole, che lo rendeva atto a  trionfare dei più grandi ostacoli che nel suo cammino potesse  incontrare. Grande era anche la potenza generativa, per cui gli  uomini si moltiplicavano facilmente. Quel genere di vita tutto  naturale dava un’educazione anche naturale all’ uomo, che gli  dava la massima resistenza all’ impresa e lo rendeva refrattario  agli stimoli morbosi sino alla vecchiezza, se fosse riuscito a superare il periodo della fanciullezza, flrano i tempi di Ercole.  In tutto questo lungo periodo egli cerca, con l’ingegno che la  vita nomade e mal sicura dell’ avvenire rendono più acuto, a  modificare minerali e legna per costruire strumenti che rendessero più facile il conseguimento del fine di vivere; a rendere  alcuni animali adatti ad essere guidati, a viaggiare, a portare  masserizie ed a ottenere la prole di essi, anche per potersene  alimentare.   Finché si é in questo stato di vita nomade ed incerta in  cui non si può essere sicuri della vita avvenire ed in cui gli  uomini tendono continuamente a dividersi, le conquiste iiella  conoscenza dei metodi per servirsi della natura vanno perdute  e non é necessario il linguaggio che é possibile quando é data  una certa associazione di uomini i quali, a intendersi scambievolmente, conservino la tradizione delle precedenti attività limane che agevolano la vita. Tutto questo lungo periodo della  vita umana sulla terra, di una larga estensione sulla medesima,  può essere indicato col nome di 'preistoria dell’ umanità. La  quale bisogna intendere non come ristretta in un solo angolo  della superfìcie della terra, ma come diffusa da per tutto, e dove la vita dell’ uomo fosse possibile, e rappresenta la famiglia da per tutto disgregata in famiglie, di cui ciascuna aspirerà  più tardi ad entrare nella storia e da nomade diventare fìssa. In tutta questa lunga epoca i due termini dell’attività economica sono r uomo e la natura; 1’ uomo il quale é uscito da  quello stato di felicità del periodo della sua fanciullezza in cui  vive a spese della sua famiglia o della carità altrui; ma l’uomo  che deve fare uno sforzo per andare in cerca dei mezzi di sussistenza; deve cioè andare incontro ad una perdita di forza muscolare e psichica, che, aggiunta alla perdita che apporta la vita   in sé stessa, apporta una perdita maggiore o un male interiore  maggiore. La natura, dando da viv^ere all’uomo, ha una perdita in sé 0 una degradazione, quantunque parziale e limitata; ma  questa perdita apporta all’uomo un bene interiore. La mancanza di sicurezza dell’alimento pel domani in questo periodo della preistoria in cui non ancora si erano conosciuti  i metodi e non si possedevano i mezzi per ottenere gli animali  di cui avrebbero potuto servirsi e nutrirsi e né anco si sapevano conservare le carni degli animali di cui si era andati in  caccia, é la nota preminente di questo cosi largo periodo dell’umanità. La storia della civiltà ha per fondamento la storia  dell alimentazione. Il passaggio dalla preistoria alla storia, dalla  vita naturate allo stato di civiltà, si ebbe quando si potè provedere ad un alimento che potesse conservarsi per qualche anno,  assicurando così il prolungarsi della vita umana ed il fissarsi  di alcune popolazioni in dati siti della superficie della terra dove la produzione di date sostanze alimentari potesse avvenire. Scambio e stimoli economici    Si eiiira cosi in un altra c più elevata sfera deH’attività  economica che è quella dello scambio (e questo avviene cosi  nella zona industriale propriamente detta che in quella naturale  ed agricola). Si cominciano così a formare dei piccoli mercati  in cui r uomo vende e compra. Jla s’ intende che, prima che  nella storia si stabilissero dei veri mercati, queste operazioni  di scambio avvenivano egualmente, quantunque in modo più vago, appetiii ai)parve la libertà e l’ elezione nel lavoro dell’uomo. Nella sfera dello scambio si ha una maggiore facoltà di  acquisto ed un risparmio di tempo e di forza (ciò che è propriamente r attività economica); perchè il soggetto economico vende  ciò che ha prodotto facilmente e bene per acquistare ciò che da  sè stesso non avrebbe i)otuto produrre che male e con molta perdita di tempo. E ciò in generale; perchè l’ ingegno umano poti ebbe in ciò darci una smentita, non essendo molto rari quegli  uomini che hanno saputo tanto bene educare il loro ingegno e  1.1 loio attività pratica da diventare valenti produttori di una  varietà di beni e in modo perfetto. E questo avviene cosi per  la produzione dei beni inferiori e materiali che dei beni superiori ed artistici. Importa notare che lo scambio può avvenire tra questi e  quelli, come con le attività intellettuali dell’uomo. Cosi il letterato, r uomo istruito e dotto, l’ insegnante, il medico, l’ ingegniere, l’ avvocato, scambiano il loro sapere, la loro dottrina  e l’arte, con beni materiali. Anche nella sfera dello scambio,  l’acquisto implica una perdita, quantunque la perdita sia ridotta  al minimo; perchè quello che il produttore perde gli è costato relativamente poco lavoro, mentre quello che acquista è per lui  un guadagno, perchè ha un prodotto che si suppone buono, che  egli non avrebbe potuto eseguire, anche perdendo molto tempo. Per mezzo del lavoro artistico dunque la produzione dei  beni si specializza, mentre questi si possono moltiplicare senza  limiti, perchè ognuno può trovare nell’uomo una sorgente di  bisogni da colmare e nuove comodità che si desiderano, nuovi  beni che riescono a quel fine. E poiché in tutti gli uomini si ha  r istesso metodo e perciò gli stessi bisogni che si tende a soddisfare, i nuovi beni prodotti sono ambiti da tutti. Ma qui deve  intervenire l’opera dell’istruzione che sveglia e fa riconoscere  aU’uomo i propri bisogni e fa sviluppare in lui il desiderio di  soddisfarli.   Moltiplicandosi i beni che l’uomo ambisce, egli può acquistarli tutti col suo prodotto particolare che alla sua volta viene  ambito dai produttori dello merci altrui, con le quali egli scambia la sua. Il principio economico qui non solo si conserva, ma  si eleva ad una più alta potenza di acquisto. Ma più tardi 1’uomo ha avuto un istrumento d’acquisto non  solo nel suo ingegno e nelle sue forze muscolari, ma anche nella  macchina che egli, aiutato dalla conoscenza delle leggi meccaniche ha prodotto ed applica ancora alla produzione di una  grande varietà di beni.   E necessario qui promettere che la macchina come invenzione umana è stata preceduta dalla macchina che è insieme  nell’organismo animale ed umano. L’ organismo infatti è insieme  meccanismo; e se come organismo è qualche cosa di più elevato  del meccanismo che implica, come meccanismo non cessa di  essere macchina; macchina organica si, ma sempre macchina. Lo schema della macchina si ha infatti in tutti gli organi e i  sistemi più importanti deH’organismo; nel cuore col sistema vasaio annesso; neU’apparecchio digestivo con le sue glandolo, come in ciascuna glandola; nell’apparecchio respiratorio; nei reni  e nella vescica; nel sistema osseo-muscolare-nervoso. L’occhio è  una macchina, come l’orecchio. Anche nel cervello si trovano  gli elementi più complicati della macchina; all’istesso modo che  le funzioni di tali organi sono insieme funzione e meccanismo. È  proprio della macchina costruita dall’ ingegno umano il venir "•uw'mo''  Hìacchina die è ormo Ne oiganismo, anche essa per mezzo di questo.nuove   l.i macchina esteriore, sia immediatamente che mediatamente  per mezzo delle forze fisiche.uiawmente, L’apparire della macchina è stato accolto con grande entusiasmo da tutto il mondo, perchè ha portato una fraudo rivo  uz.one nel campo della produzione, poiché l’A accresciuta co.isierc^olmcnte; ma ha anche contribuito ad una maggiore speCK hzzaz.one d. produzione. E poiché la macchina è stata applic a anche al trasporto dei beni in tutto il mondo, per mare e  PCI terra, ha anche contribuito ad accrescere in modo come  non era possibile prima, il commercio mondiale. Sicché ol!  e solamente possibile a pochi uomini godere di una grande   J-h nomi I che sono nel mondo. Si ha cioè il grandioso fenomeno de la umversalizzazione del godimento dei beni. È questo  nsuUato di una lunga storia nell'attivirà degli scambi che  pimcipiata in modo limitato, tra individuo e individuo, per una’ lunpo tra vari aggruppamenti umani, tra varie popolazioni e  mi/ioiii, e tra tutte le parti del mondo. È questa veramente la   pffffcernza.' dell’industrialismo   S’intende che se prima lo scambio comincia cedendo merce  per merce, e in certe condizioni questo può sempre avvenire  lo scambio e.1 commercio che rendono accessibili le merci da  |.cr t„„o, h„„ dovuti avvenire con la moneta che é,m mé.t  tei mine, inventato da governi, tra due merci o più merci; per cui  «1 lavora, cioè si danno le proprie forze, il proprio ingegno e   a propria produzione, per guadagnare danaro e si ambisce questo per provvedersi di tutti i beni di cui si ha bisogno. Segue  ancora che, in ragione che la produzione, gli scambi e il cL-moneta ìr^nmiido; È qui necessario far notare che, se la parola stimolo interlene a ogni passo nella trattazione dei fenomeni fisiologici e  pa ologici, come nei fenomeni psicologici, intendendo la psicoogia in tutta la sua ampiezza, in tutte le sue forme e in tutti i  suoi gradi, apparisce chiara la necessità dell’ intervento frequente  di questa stessa parola anche nello studio dei fenomeni economici, giacché anche questi hanno un fondamento fisiologico e  psicologico, senza il quale non potrebbero essere. Così nella produzione si ha uno stimolo interiore a produrre, il bisogno interiore organico e psicologico, immediato o prossimo, che deve  sparire, facendo col lavoro esistente il bene che si desidera: l’immagine interiore cioè deve tradursi in atto col lavoro produttivo  e che diventa anche stimolo esteriore, la materia esteriore ottenuta col lavoro, per mezzo della coltura (sostanze vegetali) o con  rallevamento del bestiame (sostanze organiche). Queste debbono  alimentare e far vivere 1’ uomo, trasformando la materia morta  e bruta che deve dargli alcune comodità o godimenti dell’ animo. Si ]Hiò dire che sono gli stimoli e gli stati interiori a spingere 1 uomo all attivila; e più questi sono numerosi ed elevati  più muovono l’individuo al raggiungimento dei suoi materiali od  alti filli che egli vorrebbe vedere tradotti nel mondo reale. Ma  alla sua volta gli stimoli interiori sono il riflesso di stimoli esteriori, di oggetti già percepiti o immaginati. È questo ciò che si  esprime con la parola ambizione umana la quale, se è la nota  preminente dei grandi uomini è anche una nota importante degli  uomini mediocri e d’ infimo ordine, giacché ogni uomo, secondo  il grado della sua costituzione mentale e della conoscenza del  mondo esteriore, naturale ed umano, vorrebbe far suoi tutti i  beni che conosce, sia di basso che di elevato ordine. Il cibo è uno  stimolo per l’alimentazione e la fame è uno stimolo per provvedersi del cibo. Cosi il gusto letterario e le conoscenze scientifiche  possono essere uno stimolo interiore per ajiprofondirsi nel campo  dell’arte e delle.scienze.   Non solo sono stimoli i due termini economici, oggetto e  soggetto, 1 uno per 1 altro: nia è anche stimolo il mezzo termine  fra le due merci o tra il soggetto e l’oggetto, cioè la moneta.  L come è nota della natura umana l’insaziabilità dei beni materiali e spirituali, quando questi siano conosciuti; ciò che è difficile, come 1 illimitatezza nell’acquisto, cosi avv^iene per la moneta. Di questa anche 1 uomo non è mai sazio di possederne;  perchè riconosce in essa una possibilità ed uno stimolo per acquistare altri beni. Ed il possesso è di vari gradi. Vi è il possesso limitato della moneta, per quanto questa possa essere grande,  e di essa l’uomo si contenta e che vuole o conservare o spendeie, 0 di questa egli si serve come stimolo per la produzione  di nuove ricchezze. Proprio quando la vita economica, industriale, commerciale,  è molto complessa ed estesa, e tutto il mondo umano sembra  un grande mercato come è ora, per cui grandi sono i bisogni c  le richieste dei beni da per tutto; e l’ambizione umana si estende  ed intensifica ovunque, allora la ricchezza può essere adoperata  come strumento (stimolo) per acquistare nuove ricchezze. Cosi  viene stimolata la sete deH’uorno per l’acquisto indefinito della  ricchezza; perchè vi è richiesta di tutti i beni che egli conosce  e di cui vuole godere, come da per tutto viene apprezzato e  richiesto il lavoro dell’uomo..Si comprende in tal modo come  piu sovrabbonda il danaro in una società, più gli uomini.sono  spinti all attività pratica e cresce la loro ambizione per guadagnare e godere. Uomini che hanno quest’aspirazione e non hanno  danaro, ma riconoscono di avere ingegno, forza muscolare e  tempo per arricchirsi, ricorrono al prestito del danaro. Ma cosi  si entra in una categoria economica più elevati, quale è appunto  il presfito, il cui polo opposto è il capitale. Il semplice possesso  della ricchezza, sia questa rappresentata dalla moneta o da altre  specie di beni immobili e mobili o da prodotti industriali od  artistici, se è come semplice servizio personale o della famiglia,  non merita il nome di capitale. Si richiede invece che essa si.a  data in prestito. ll capitale-prestito cosi rappresenta un più alto grado dello  scambio; e, come in questo, ciascuno dei due termini o soggetti  economici acquista e perde, cosi avviene nel capitale-prestito;  ma anche qui la categoria di acquisto e perdita implica una più  elevata economicità. Cosi colui che prende in prestito acquista la  ricchezza ma la perdita e rimandata aH’avvenire; si ha cioè il  bene presente; ma la perdita che dovrà aversi nell’ avvenire  consisterà non solo nella restituzione del capitale, ma anche  nell’ interesse convenuto. Frattanto l’uso provvido ed economico  del capitale avrà dovuto fargli acquistare nuove ricchezze. Anche nuove ricchezze acquista il capitalista, cedendo temporaneamente la sua ricchezza ad altri; ma va incontro anche ad  una perdita temporanea della sua ricchezza durante il periodo  della sua cessione; perchè non se ne può servire.   Col capitale e col prestito l’attività economica da una sfera  limitata e quasi individuale, quale è quella dello scambio, da  prima in una ristretta cerchia, s’ingigantisce ed estende da prima in ciascuna nazione e più tardi gradatamente in tutto il  mondo; con la fondazione o moltiplicazione delle banche che  dànno una grande diffusione al capitale e al credito, stimolando  l’attività economica produttiva e portando la diffusione delle  merci da per tutto. E ciò con l’aiuto della macchina che ha  moltiplicato e specializzato la produzione dei beni industriali e  li fa penetrare, come vi fa penetrare anche i beni naturali, in  tutto il mondo umano. Ma per quest’attività si richiede l’ ingegno;  all’istesso modo che l’esercizio di essa fa sviluppare l’ingegno. La produzione dunque della ricchezza capitalizzata e capitalizzante, per cui si tende sempre a ridurre al minimo la   perdita, nello stesso tempo che si tende a jiortare al massimo  l’acquisto, deve essere sempre l’obbietto dell’attività del soggetto  economico. Me questa che già fece esistente il capitale si affievolisce, l’oggetto per mancanza di governo e di direzione tende  ad arrestarsi nel suo processo e, per le mutate condizioni esteriori, tende a deviare, a perdere la sua potenzialità di acquistare ed a venire cosi scemato come semplice ricchezza. Sicché, se dalla produzione diretta primitiva alla produzione  capitalistica si ha una progressione per cui pare che la ricchezza  si produca da sé, indipendentemente dal soggetto, pure l’attività  di questo deve intervenire, cercando di farla progredire ed accrescere. Deve prevedere il cammino che si può e si deve fare e provvedere alla conservazione della ricchezza ed alla sua diflusione proficua; ciò che è il lavoro di critica e di speculazione  che il soggetto deve tare. Ad ogni modo questo lavoro, se implica una piccola perdita di tempo e di forza organica e psichica,  pure riduce con l’esercizio al minimo questa perdita; onde si  può dire che se il lavoro di produzione che da prima è grande,  secondo la quantità e la specificità d’impiego del capitale, esso  è di poi menomato e perciò agevolato; anzi deve al meccanismo, guidato dall’ intelligenza, il suo grande sviluppo.  All’incontro nella produzione naturale il soggetto deve sostenere una lotta intensa contro il suo oggetto, la natura indomita e ribelle, che può essere vinta temporaneamente ma non  definitivamente; giacché essa offre sempre nuove difficoltà al  soggetto produttore, anzi si può dire che dai primi tempi della vita umana sulla terra, queste difficoltà si sono andate sempre  accentuando. E ciò perchè, se la natura da prima, dopo uscita  dal suo stato selvaggio, dava facilmente all’ uomo i suoi prodotti, col progresso del tempo gliene ha dato sempre meno, anche essendosi moltiplicato l’ ingegno e il lavoro dell’ uomo volto  contro di essa. E ciò mentre gli uomini si moltiplicavano ed accrescevano con la loro associazione i loro sforzi per la produzione agricola. Sembra che d’ oggi innanzi il lavoro dell’ uomo contro la  natura per obbligarla a produrre ciò di cui ha bisogno diverrà  sempre più intenso ed i mezzi più necessari alla vita diverranno sempre più difficili a conquistare. In altri termini la lotta tra l’uomo e la natura diverrà sempre più intensa; perchè la finalità di questa è in opposizione alla finalità di quello; ed una conciliazione solamente è possibile alla condizione che ciascuno dei  due termini conceda all’ altro qualche cosa di sé, senza annullarsi, anzi sostenendosi l’ uno con l’altro. Questo fa vedere che  r uomo deve essere limitato nelle sue pretese verso la natura e  che, se questa deve dare qualche parte di sé all’ uomo, non  può e non deve dare tutta sé stessa se non a costo di annullarsi;  perchè allora anche la natura, dominata dall’ uomo ed alla quale  questi domanda i mozzi di vita, dovrà venir meno alle sue promesse, producendo in lui le più grandi delusioni.   Frattanto, mentre i prodotti dell’industria si moltiplicano  indefinitamente e progressivamente da per tutto, in quantità e  qualità, richiedendo questa un esiguo lavoro muscolare e meno  tempo, ciò che incoraggia l’ irregimentazione dei lavoratori, tanto  più perchè questi vi hanno la promessa di una vita agiata e  comoda, quasi sempre in città, senza sospettare che un giorno  avessero a scarseggiare gli alimenti necessari alla vita, i lavoratori delta terra, all’ incontro debbono sostenere una lotta lunga  faticosa ed intensa per procacciarsi di che vivere. Del valore e delle sue forme inferiori   Le attività economiche, come quelle fisiologiche, sono cosi  connesse ecl intralciate fra di loro che l'esposizione logica e sistematica ne riesce oltremodo difficile, Non si può trattare un aspetto, una categoria economica se in essa non intervengano,  sottintese o manifeste, altre categorie. Sicché da prima si può  avere una conoscenza parziale o sconnessa di alcune funzioni;  e solamente dopo che si è raggiunta la piena conoscenza di  tutte, si può principiare a vederle ordinatamente. È que.sta la  ragione della difficoltà nello spiegarsi i fenomeni economici. E  l’ordine consiste nell’universalizzazione dei vari principii e nel1’ unificazione di que.sti in tutte le loro gradazioni, in tutti i loro  movimenti, nei loro reciproci rapporti, tanto da apparire come  lo svolgimento di un principio solo. Sotto quest’aspetto molto  importante è il principio del valore in economia politica, cosi  in quella naturale come in quella industriale; e in tutte le istituzioni umane nelle quali questo concetto interviene. Ma solo una  esposizione storica e sistematica, in che consiste la vera trattazione logica della dottrina, può farcela intendere in tutti i suoi  gradi ed aspetti. Negli ultimi tempi si è parlato di valore in materia di arte  di scienza, di filosofia, di religione; ma poiché in tali rami di  attività umana, cosi come sono stati trattati, la dottrina del valore non é dedotta da un principio più universale che comprenda  e questi e tutti gli altri rami del mondo naturale ed umano,  quella trattazione riesce incomprensibile e vana. E, benché si  possa dire che la filosofia e la religione implichino la più alta  sfera del valore, pure, se esse vengono considerate come per sé, senza alcuna comunicazione col resto del mondo, non come   il risultato di uno svolgimento e di una storia, il concetto del  valore che da esse si può trarre non deve essere soddisfacente.  E se il valore è una categoria universale che interviene in tutti  i gradi deiressere, nel mondo metafisico, come nel fisico e nello  spirituale, in ciascun grado ha un aspetto particolare, ha qualche  cosa d'identico e di differente con la stessa categoria di valore  degli altri gradi del mondo reale. Far distinguere perciò le differenze dall’ identità del valore in ciascun grado della realtà è  il dovere di colui che tratta questa materia. Da prima potrebbe sembrare che la teoria del valore si  identificasse con quella del bene; ed in vero vi è molta identità  fra le due categorie. Però del bene i filosofi e i moralisti hanno  dato più un concetto comprensivo che analitico e storico; ed  alcuni Tànno identificato con Dio stesso, il sommo bene. Essi  hanno anche fatto notare la varietà dei beni che sono nel  mondo e l'ànno anche sistematizzati; hanno messo il bene e tutti  i gradi di esso in correlazione col male e con tutti i mali possibili. Ma la dottrina del valore include quella del bene e del  male insieme, però le compie, mettendole in una posizione dualistica ed unitaria insieme, quasi drammatica; scinde cioè la materia in due termini in lotta fra di loro, rorganismo e il mondo  esterno che ha valore per quello, può cioè tornargli a bene;  vede una dualità tra l'anima, la mente e il mondo esterno. E se  nella prima zona l’organismo vivente deve accettare e subire il  mondo esterno quale è, pure reagendo contro di esso; nella seconda zona r anima e la mente possono modificare per sè il  mondo esterno, elevandolo; o produrre addirittura qualità nuove neiroggetto. E questo l’aspetto nuovo ed originale della dottrina del valore, il cui regno in verità é quello della vita organica, vegetale  ed animale, le zone cioè superiori della natura; ed anche quello  deH’aniraa umana, nelle sue attività inferiori e nelle superiori,  intellettive, pratiche ed anche creative, che sono i gradi più  eminenti del mondo umano. L’attività umana perciò diventa essa  stessa una forma altissima di bene, il bene attivo, limitrofo a Dio  stesso: non il bene immobile che può anche menomare se stesso  e il suo termine opposto che presuppone e per cui è; può produrre cioè il male, dal quale può, è vero, di nuovo nascere il  bene che rientra nella sua ricostituzione storica e progressiva.  Ma, se r organismo e la mente rappresentano il regno e la  vitalità del valore, essi non esauriscono tutta la natura; vi è  in questa qualche cosa che essi presuppongono, senza di che  non potrebbero essere e muoversi; e che si può dire il loro  presupposto. E se si va a fondo nello studio della natura questo  che noi chiamiamo presupposto si risolve in una serie di presupposti, una serie di gradi di cui ciascuno è presupposto e  presuppone altri. E questa è pure un’ ampia zona del valore  che si può dire puramente naturale, la quale, studiata, apparisce  come l’unità e la sistematizzazione di altre sottozone. Si ha cosi  la zona fisica la quale comprende e quella della materia e quella  delle forze. Sembra a prima vista che questa sia come chiusa  in sè ed isolata dal regno della vita e perciò fuori il mondo  del valore. Forme superiori del valore  Il processo ascensivo e discensivo, chimico, minerale, il quale,  non bisogna dimenticarlo, è sempre un processo di elevazione  e di menomazione insieme del valore, diventa più intenso in  quella sfera più elevata della chimica che è 1’ organica in cui  entra in composizione il carbonio. Pure quest’ attività è relativamente qualche cosa di semplice se si studia in sostanze singole  che sono fuori dell’ organismo vegetale ed animale o estratte  da questi. Ma se si.studia entro di questi, l’ intensità trasformatrice del movimento chimico e di valore organico diventa straordinariamente complessa, quantunque questa complessità sia  minore nella pianta e maggiore nell’animale. In quella è considerato il lavorio complicati vo mentre è vivente; e con la morto  si ha il lavorio analitico. Nella vita interna dell’animale albi  contro intensissimo è il lavorio di scomposizione, come è quello di composizione e di reintegramento, in tutti gli atti della vita,  sia considerata in ciascuna cellula e in ciascuna fibra che in  ciascun organo o sistema e nell’ unità funzionale di questi. Qui  il concetto del valore, cosi in ciascuno elemento della vita,  come in ciascun organo e tessuto e nell’ insieme dell’organismo  vivente, diviene di tanta molteplicità, complessità e varietà, che  la mente umana non può seguirlo in tutti i suoi elementi e in  tutti i suoi intimi processi.   Vi è una più alta regione della natura, rappresentata dalla  vita animale e vegetale nel loro insieme, come si svolge nel  mare dove vivono insieme piante ed animali in lotta fra loro;  e sulla superficie della terra che è rappresentata dal bosco nel  cui mezzo gli animali vivono e prosperano, come è avvenuto  nelle epoche primitive della natura vegetale ed animale. Qui ciascun animale, ciascuna pianta, è un elemento della vita natumle, animale e vegetale, nel suo insieme e nella sua universalità, nella quale si può riscontrare, in proporzioni ancora vaste  ed universali, il processo di elevazione e di riduzione, che si ha  in ciascuno organismo vivente, onde piante e generazioni di  piante muoiono ed altre nascono, come animali e generazioni di  ammali muoiono ed altri nascono; ed alcuni servono di cibo  (hanno un valore) per altri: la corruzione degli uni è la venerazione degli altri. Ma per la vita vegetale ed animale hanno  un valore ancora il clima, le condizioni atmosferiche, le condizioni del suolo ed anche le condizioni storiche di questo; giacche la vita vegetale ed animale nella loro lunga storia, come  elidono a modificare lo stato del terreno, contribuiscono ancora  a modificare la vita vegetale ed animale, onde animali si nutrono m modo più o meno rigoglioso di piante e di altri animali; e la dissoluzione delle piante e degli animali rende più  energica la vitalità delle piante.   hin qui vi ò un processo puramente inconscio di movimenti  naturali e di elementi, di cui gli uni hanno valore per gli altri,  -la, benché l’animale distingua ciò che può avere un valore  Ku- lui (positivo o negativo), come l’alimento, l’acqua, la tana,  .1 c ura pei figli, la ricerca del clima a lui propizio, la fuga dai  leiicoli, alcune di queste cose sono un prodotto puramente naurale, che l’animale trova d’ innanzi a sé; solo alcuni animali  ivendo il potere limitato di costruirsi il nido e la tana altre  i Olio tenomeni istintivi. Apparso l’uomo con l’intelligenza di cui è dotato, che egl’esercita e sul mondo circostante e su sé stes.so, il suo organismo  I sua anima, e tutto ciò che ha fiuto suo, nel mondo esterno  Ultra la natura e gli elementi che la costituiscono, acquistano  I 11 pili alto valore. Studiando sé stesso, egli non può non avvcrtire e scoprire i bisogni, le lacune che si generano conti1 uamento nel suo organismo e nel campo della sua mente; e  con la sua intelligenza prevede i bisogni avvenire. Nello stesso  t ‘inpo, essendo messo in rapporto col mondo esterno, egli studia  questo negli elementi, nelle qualità e proprietà, che lo costituis-ono, nei suoi movimenti; cerca di adattarlo a sé; e non solo  d colmare i suoi bi.sogni per mezzo di qualche cosa, di qualche   elemento di esso; ma anche di elevare il proprio benessere, di  assicurarlo per sè ed i suoi per l’avvenire. Tutto questo processo  è avvenuto dal principio della storia dell’ uomo sulla terra e si  è andato progressivamente affermando, intensificando e svolgendo, sino a noi. E non solo non si è arrestato; ma con lo studio  progressivo della natura, nella sua materia e nelle sue forze, .sembra voglia assumere proporzioni più vaste anche nel nostro  tempo in cui non si lascia nulla di tentare e di studiare per  applicarlo al miglioramento ed al progresso umano. Questo lavoro l’uomo ha compiuto empiricamente ed inconsapevolmente dai primi tempi; e più tardi in modo più o meno  scientifico, organico e progressivo. Cosi deve essere inteso il  progresso che l’umanità ha fatto nel campo del sapere. A questo  progresso nel regno della conoscenza si è andato sempre associando un progresso nell’ attività pratica la quale è divenuta  anche materia di studio per l’ uomo; questi due ordini di  attività essendo 1’ uno indivisibile dal’ altro e l’uno stimolando  1 altro nel suo sviluppo. A questo processo coiioscitivm e pratico,  che implica un lavoro distintivo delle cose si è associato un  progresso nel linguaggio. Ad ogni atto distintivo o cosa distinta  applicandosi una nuovni parola, ciò ha contribuito al lavoro di  associazione e di conservazione delle conoscenze e delle attività umane.   Sarebbe un lavoro importante ma lungo seguire questo  fenomeno nella storia, per cui si è riconosciuto un valore ad un  dato minerale, ad una data pianta o animale, che hanno contribuito alla soddisfazione di un bisogno organico o al mantelli  mento della vita o a dare certe comodità. Si è riconosciuto nelle  parti di alcune piante e nelle sostanze animali un valore nutritivo e conservativo. E il primo valore che l’uomo ha cercato  nelle cose è stato quello che ha potuto contribuire a mantenerlo  in vita, come ha tatto 1 animale. Sono state cioè le cose necessarie che egli ha cercato. Fatto sicuro del vivere, egli ha cercato  a ben vivere; quindi la ricerca e l’uso delle cose utili. Ma, accanto a questa attività, si è sviluppata quella inventiva, per cui  egli, aiutato sia dal suo ingegno che dalle scoperte scientifiche,  ha cercato di costruire istrumenti, congegni, apparecchi e più  tardi, macchine, che contribuissero a modificare le inatGrie che dovessero essergli utili. Sicché da una parte ha impiegato le  sue attività intellettive a scoprire, nei regni delia natura, elementi, sostanze, energie, che potessero giovargli, dall’altra ha  cercato di trovare i mezzi per servirsene. Queste attività dal loro più primitivo inizio nella storia  sino a noi, attraverso i millenni, si sono andate svolgendo ed estendendo con l’estendersi delle comunicazioni e delle associazioni  umane. Sarebbe una ricerca importante seguire nella storia il  processo per cui 1’ uomo, singolo da prima, ha trovato un’utilità  in un dato animale, in una pianta o in un minerale. Si può rintracciare questo cammino nelle letterature antiche, medioevali e  moderne di tutte le nazioni; giacché in varie epoche si vedono  nominati speciali metalli, piante ed animali, ai (]uali o alle parti  dei quali 1 uomo ha attribuito un valore e di cui si é servito. Così  l’uomo mano a mano ha aggiunto al valore delle cose, latente ed  inconscio, un nuovo valore. E, se da prima questo era qualche  cosa di limitato, più tardi al primitivo valore si sono aggiunti  nuovi valori, nuovi usi della cosa; nuovi congegni si sono inventati, nuovi metodi si sono adoperati per poter estrarre la  cosa, modificarla, farla servire ai vari usi della vita; metterla  in commercio affinché tutti gli uomini ne godano. Tanti metalli  e metalloidi che dalle epoche primitive della natura erano sepolti nelle viscere della terra, aventi una semplice potenzialità  di valore chimico, vengono disseiipelliti dall’uomo ed ai quali la civiltà moderna dà alte attribuzioni economiche, come l’oro, 1 argento, il ferro, il rame, il solfo, il carbonio, ecc. Hi sa che se presentemente ipiesta sola unica sostanza, il carbonio, venisse  a mancare, tutto il ritmo della vita contemporanea verrebbe  arrestato. Giacché é un istrumento di moltiplicissime attività  tisiche, meccaniche, chimiche e perciò, si può dire, rende possibile la vita economica del nostro tempo. Ma questi bisogni acciescono l’attività umana la quale si volge a rintracciare le sostanze di cui ha bisogno, da per tutto, cosi sulla superficie  ionie nelle viscere della terra. Anche le forze fìsiche le quali prima erano in balla della natura, come le forze meccaniche,  il calorico, la elettricità, sono state non solo conquistate e dominate dall’uomo ma ancora dirette e specializzate per la produzione  di certi dati movimenti, beni o comodità della vita. La forza meccanica e l’elettricità hanno dato un impulso straordinario  alla civiltà odierna. Più tardi l’uomo crea e dà certe attribuzioni di valore alle cose, come fa con la moneta, tanto necessaria  al mondo economico. Inoltre il valore acquista un nuovo e più  alto contenuto ed un significato nuovo nel mondo psicologico  ed artistico, come nella sfera religiosa. Ma in queste ultime e  così alte sfere dell’attività umana tale dottrina merita una trattazione a parte. Nicolò Raffaele Angelo D’Alfonso. N. R. D’Alfonso. Nicolò d'Alfonso. Keywords: principii economici dell’etica, valore superiore, valore inferiore, economia, principio di economia di sforzo razionale – scambio, exchange – worth, assiologia, valore economico, l’economia di Platone, l’economia di Aristotele, linceo, dissertazione su Kant ai lincei – naturalismo economico – no positivista – critica a la psicologia criminologica positivista, Amleto, lo spettro di Amleto, Macbeth. Linguaggio e mente, il sole luminoso, l’oggetto rotondo, la pianta fiorisce – logica reale – psicologia del linguaggio, la storia del linguaggio, storia e prestoria. Refs.: Luigi Speranza, “Grice ed Alfonso” – The Swimming-Pool Library, Villa Speranza. Alfonso.

 

Luigi Speranza -- Grice ed Algarotti: la ragione conversazionale e l’implicatura conversazionale – scuola di Venezia – filosofia veneziana – filosofia veneta -- filosofia italiana – Luigi Speranza, pel Gruppo di Gioco di H. P. Grice, The Swimming-Pool Library  (Venezia). Filosofo veneziano. Filosofo veneto. Filosofo italiano. Venezia,Veneto. Grice: “You’ve got to love ‘il conte Algarotti’; he is the typical Italian philosopher of language, relishing on ‘la bella lingua,’ by which they do not mean the Roman! “La Latina, in bocca di un popolo di soldati, e concise e ardimentosa.’” Grice: “Algarotti thinks that the Florentines have enriched it – ‘Imagine Aligheri in Latin!” – Grice: “All that should be lost on Oxonians, but it ain’t!” – Consider ‘conciseness.’ One of my conversational maxims is indeed, ‘be concise, i. e. or viz., avoid unnecessary prolixity [sic].” – So, if the Roman tongue was the tongue of soldiers, and a soldier needs to be concise in communicating with another soldier – The justification of the maxim is in the practice of ‘soldiering.’ With ‘ardimentosa’ we have moer of a problem!” – Grice: “In any case, Algarotti’s excellent point is that each conversational maxim has its root in the practice of the corresponding conversants!” -- Grice: “Nobody can fail to be enchanted by the drawing by Richardson of Algarotti!” -- essential Italian philosopher. Grice: “I don’t have a monicker, but Algarotti had two: il cigno di Padova and il Socrate veneziano. Spirito illuminista, erudito dotato di conoscenze che spaziavano dal newtonianismo all'architettura, alla musica, è amico delle personalità più grandi dell'epoca: Voltaire, Argens, Maupertuis, Mettrie. Tra i suoi corrispondenti vi sono Chesterfield, Gray, Lyttelton, Hollis, Metastasio, Benedetto XIV, Brühl, e Federico II di Prussia.   Saggi. Nacque da una famiglia di commercianti. Dopo un primo periodo di studio a Roma continua gli studi a Bologna, dove affronta le diverse discipline scientifiche nella loro vastità. Si trasfere a Firenze per completare la propria preparazione letteraria.  Inizia a viaggiare, raggiungendo Parigi. Presentare il proprio newtonianismo, opera di divulgazione scientifica brillante. Il saggio è prima apprezzato, e poi denigrato da Voltaire, che dal lavoro del suo caro cigno di Padova — come è solito appellarlo — trasse alcuni temi dei suoi Elementi della filosofia di Newton. Voltaire e A. si sono conosciuti personalmente a Cirey nello stesso periodo in cui l'italiano preparava il saggio. Dopo il periodo trascorso in Francia, A. si reca in Inghilterra, per soggiornare per qualche tempo a Londra, dove è accolto nella Societa Reale. Tornato in Italia si dedica alla pubblicazione del Newtonianesimo. Dopo un breve ritorno a Londra, anda a visitare alcune zone della Russia (fermandosi in particolare a San Pietroburgo) e della Prussia.  Quando il re Federico si reca a Königsberg a incoronarsi, A. si trova in mezzo gl’applausi e il giubilo di quella potente e valorosa nazione misto e confuso coi principi della famiglia reale, e stette nel palco col re, spargendo al popolo sottoposto le monete con l'immagine di Federico. Fu in tale congiuntura che questi conferì a lui, quanto al fratello Bonomo e ai discendenti della famiglia Algarotti, il titolo di conte, meno vano quando è premio del sapere, e lo fa suo ciambellano e cavaliere dell'ordine del merito, mentr'era alla corte di Dresda col titolo di consigliere intimo di guerra. Dal momento che conosce Federico né l'amicizia, né la stima del re, né la gratitudine, la devozione e il sincero affetto del cortigiano vennero meno, né soffersero mai alcuna alterazione. L’amicizia fra A. ed il re e estesa anche alla sfera più intima. Il re lo volle non solo a compagno degli studi e dei viaggi, ma altresì dei suoi più segreti piaceri, essendoché della corte di Potsdam, ora fa un peripato, ed ora la converte in un tempio di Gnido, il che significa: in un tempio di Venere. Utilizza la propria influenza anche a favore degli oppositori filosofici a Venezia, Bologna, e Pisa. Altre saggi: “Viaggi di Russia”; “Il Congresso di Citera” -- un romanzo dedicato ai costumi galanti e amorosi rivisitati secondo quanto osservato nei diversi luoci in cui soggiorna. Altre opere: edizione con indice analitico – reproduzione anastatica -- Poesie -- Epistole in versi -- Annotazioni alle epistole -- Rime giusta l'ediz. di Bologna -- Elegia ad Francisci Marive Zanotti Carmina -- Dialoghi sopra l'ottica Neutoniana -- Breve storia della Fisica ed esposizione dell' ipotesi del Cartesio sopra la natura della luce e de' colori. I principi generali dell'ottica -- La struttura dell'occhio e la maniera onde si vede; e si confutano le ipotesi del Cartesio e del Malebranchio intorno alla natura della luce e de colori -- Esposizione del sistema d'ottica neutoniano. Il principio universale dell'attrazione -- Applicazione di questo principio all'ottica -- Si confutano alcune ipotesi intorno la natura de colori, e si riconferma il sistema del Neutono -- Opuscoli spettanti al neutonianismo. Caritea, ovvero dialogo in cui spiega come da noi si veggano dritti gli oggetti che nell'occhio si dipingono capovolti e come solo si vegga *un* oggetto, non ostante che negli occhi se ne dipingano *due* immagini -- Dissertatio de colorum immutabilitate eorum que diversa refrangibilitate -- Memoire sur la recherche entreprise par m. Du fay, s'il n'y a effectivement dans la lumie re que trois couleurs primitives -- Sur les sept couleurs primitives, pour servir de réponse à ce que m. Dufay a dit à ce sujet dans la feuille du Pour et contre -- Le belle arti. L'Architettura. La Pittura. L'Accademia di Francia ch'è in Roma. L'opera in musica. Enea in Troja. Ifigenia in en Aulide: opera -- Sopra la necessità di scrivere nella propria lingua -- La lingua francese -- La Rima -- La durata de' regni de' re di Roma -- L'impero degl'incas -- Perchè i grandi ingegni a certi tempi sorgono tutti ad un trat o e fioriscono insieme -- se le qualità varie de' popoli originate sieno dall' influsso del clima, ovveramente dalle virtù della legislazione -- Il gentilesimo. Il Commercio -- Cartesio -- Orazio -- La scienza militare del segretario fiorentino. Discorso militare -- La ricchezza della lingua italiana ne' termini militari -- Se sia miglior partito schierarsi con l'ordinanza piena oppure con intervalli -- La colonna del cav. Folfrd -- Gli studj fatti da Andrea Palladio nelle cose militari -- L'impresa disegnata da Giulio Cesare contro a' Parti -- L'ordine di battaglia di Koulicano contro ad Asraffo capo degli Aguani. L'ordine di battaglia di Koulicano a Leilam contro Topal Osmano. Gl'esercizi militari de' prussiani in tempo di pace -- Carlo XII re di Svezia -- La presa di Bergenopzoom. La potenza militare in Asia delle compagnie mercantili di Europa -- L'ammiraglio Anson -- La scienza militare di Virgilio -- La guerra insorta tra l'Inghilterra e la Francia -- Il principio della guerra fatta al re di Prussia dall' Austria, dalla Francia, dalla Russia, etc. -- Gl'effetti della giornata di Lobositz -- La condotta militare e politica del ministro Pitt -- Il poema dell'arte daila guerra -- Il fatto d'armi di Maxen -- La pace conchiusa l'anno MDCCLXII tra l'Inghilterra e la Francia -- La giornata di Zamara -- Viaggi di Russia -- Storia metallica della Russia -- Lettere a milord Hervey sopra la Russia -- Lettere al marchese Scipione Maffei sullo stesso argomento -- Congresso di Citera -- Giudicio di Amore sopra il Congresso di Citera -- Vita di Stefano Benedetto Pallavicini -- Sinopsi di una introduzione alla Nereidologia -- Lettera sopra il prospetto o Sinopsi della Nereidologia. 387 Risposta dell' Autore -- Gl'effetti dell'invasione dei goti e de'vandali in Italia -- Le Accademie -- Michelagnolo Buonarroti -- Gl'italiani -- Il passaggio al sud per il norte -- L'industria. Gl'inglesi -- Bernini -- Metastasio -- Gl'abusi introdottisi nelle scienze e nelle arti -- Le donne celebri nella letteratura -- La difficoltà delle traduzioni -- Il commercio -- Fontenelle -- La forza della consuetudine -- L'utilità dell' Affrica per il commercio -- Il secolo del seicento -- Ovidio -- Cicerone -- Plutarco -- I romani -- L'etimologie -- I  principi dotti -- L'eleganza nello scrivere del Vasari e del Palladio -- Galilei -- La maniera onde si venre a popolar l'America -- Dante Alighieri -La lingua francese -- Voltaire -- Euclide -- Le misure itinerarie degli antichi -- La questione della preferenza tra gli antichi e i moderni -- Il secolo presente -- Omero -- Lettere di Polianzio ad Ermogene intorno alla traduzione dell'Eneide del Caro -- La Pittura -- Descrizione dei quadri acquistati per la Galleria di Dresda -- La prospettiva degli antichi -- Pitture ed altre curiosità di Parma -- Pitture di Mauro Tesi -- Pitture di Cento -- Pitture di Bologna -- Pitture di varie città di Romagna -- L'Architettura -- Un'antica pianta di Venezia, prete so intaglio di Alberto Durero -- L'uso dello appajar le colonne -- L'origine delle basi delle colonne -- Descrizione dei disegni di Palladio ed altri per la facciata di s. Petronio di Bologna -- Delle antichità ed altri edifizj di Rimini -- Delle cose più osservabili di Pisa -- Progetto per ridurre a compimento il R. Museo di Dresda -- Argomenti di quadri dati a dipingere a' più celebri Pittori moderni per la R. Galleria di Dresda -- Lettere scientifiche -- Lettere erudite -- Il Cesare tragedia di Voltaire -- EUSTACHIO MANFREDI -- Saggio tritico sulle facoltà della mente umana dello Swift -- L'opera de natura lucis del Vossio -- Omero -- I poemi del Tasso -- Milton -- La traduzione di Omero fatta dal Salvi -- Il poema le Api del Rucellai -- Iscrizioni ed epitaffj rimarcabili -- Sandersono -- Iscrizioni per la chiesa cattolica di Berlino -- Le traduzioni delle sue opere -- Il moto dell'apogeo della luna -- Le comparazioni -- Gli Scrittori italiani del cinquecento -- L'ANTI- LUCREZIO del card. di Polignac -- Gl'abitanti del Paraguai -- Alcuni plagiati de' francesi -- Le cose che i irancesi hanno imparato dagl'italiani -- L'invenzione degli specchj ustorj di Buffon -- L'Edipo di Sofocle -- L'ULISSE del Lazzarini -- L'elettricità -- Il CATONE dell' Addison -- Elogio di Giovanni Emo -- I fosfori -- La doppia rifrazione de' prismi di cristallo di rocca. -- La diffrazione della luce. 355 rocca -- Le Poesie di Gio: Pietro Zanotti -- Pope -- Lo stile di Dante -- L'opinioni del Rizzetti intorno la luce -- La stranezza di alcuni paralelli -- Il poema di Milton -- Il libro De orli et progressu morum del p. Stellini -- Elogio del Caldani -- Gl'influssi della luna -- L'abuso della filosofia nella poesia -- Il Poema del Trissino -- La maniera di seminare insegnata da Alessandro del Borro -- L'operetta Il Congresso di Citera -- Pregi degli scrittori toscani -- Le due tragedie di Mason r Elfrida ed il Carattaco -- L'odi di Tommaso Gray -- La necessità di arricchire di voci toscane il dizionario della Crusca -- La deformità di Guglielmo Hay. Il gnomone di Firenze rettificato dal p. Ximenes -- Storia de' Dialoghi dell' Autore sopra la luce e i colori -- L'origine dell'Accademia della Crusca -- Carteggio con Tesi -- Lettere a Zanotti -- Lettere a Conti -- Carteggio con il p. d. Paolo Frisi. Lettere. Di Eustachio Manfredi al co. A. -- Di Giampietro Zanotti al co. A. -- Di Francesco Maria Zanotti al co: Algarotti -- Del co: A. a Zanotti -- Del co: A. a Zanotti -- OPERE INEDITE. Lettere. Di Francesco Maria Zanotti al co: A. -- Di Zanotti al co: A.  -- Del co: Algarotti a Francesco Maria Zanotti -- Dell' ab. Metastasio al co: Algarotti -- Dell' ab. Frugoni -- Di Fabri -- Di Flaminio Scarselli -- Di Benedetto XIV. Sommo Pontefice. -- Del co: Paradisi -- Del co: Giammaria Mazzuchelli – Di Giacomelli. Del co: A. a Scarselli -- Del co: A. a Benedetto XIV -- Del co: A. a Mazzuchelli. Dell ab. Clemente Sibiliato al co: A.—Di Bettinelli -- Del consigliere Pecis -- Di Beccari – Di Maffei -- Del co: Aurelio Bernieri – Di Brazolo. Di Bianconi.. Del padre Paolo Paciaudi. Del marchese Gio: Poleni. Di Antonio Cocchi. 291 Del doge Marco Foscarini. Dell' ab. Giammaria Ortes. Di Grimaldi. Di Metastasio. Di Belgrado.Di Bianchi. Di Temanza. Del padre Antonio Golini. 350 Dell'ab. Gaspero Patriarchi. Di Giuseppe Bartoli. Di Pozzo. Del marchese Bernardo Tanucci. 383 Dell'ab. Spallanzani. Di Martorelli. Di Lazzarini. Del co: A. all'ab. Sibiliato. 3 Del co: A. A Bettinelli -- Del co: A. al consigliere Pecis --Del co: Algarotti al co: Aurelio Bernieri. -- Di Federico II. Re di Prussia al co: A. -- Del Principe Guglielmo di Prussia -- Del Principe Ferdinando di Prussia -- Del Principe Enrico di Prussia -- Del Principe Brünswic -- Del cardinale di Bernis -- Del sig. du Tillot. Del co: A. a Federigo II -- Del co: A. al Principe Guglielmo -- Del co: A. al Principe Ferdinando -- Dello stesso al Principe Enrico -- Dello stesso al Principe Ferdinando di Brünswic -- Dello stesso al cardinale di Bernis -- Della marchesa di Châtelet. Di Voltaire -- Di Maupertuis -- Di Formey ---- Del.co: A. a Voltaire -- Del co: A. a Formey -- Dello stesso a madama Du Boccage -- Di mad. Du Boccage al co: Al. --  Del co. A. alla stessa -- Del triumvirato di CRÀSSO, POMPEO E CESARE. È sepolto nel camposanto di Pisa in un monumento di stile archeologizzante, tradotto in marmo di Carrara. L'epitaffio è quello che per lui dettò il re di Prussia: “Algarotto Ovidii aemulo” --  Neutoni discipulo, Federicus rex". Algarotti medesimo si era preparato il disegno del sepolcro e l'epitafio, non già per orgoglio, ma spinto dal sacro amore del bello che anche in faccia alla morte non poteva intiepidirsi nel suo petto. Aperto al progresso e alla conoscenza razionale, esperto del bello (si prodiga come fautore di Palladio), fu rispetto alla filosofia un grande assertore delle teorie di Newton, sul conto del quale scrisse uno dei suoi più noti saggi, Il newtonianesimo. Viene considerato una sorta di Socrate veneziano e per comprendere la sua statura di insigne filosofo con un'infinita sete di sapere e divulgare è sufficiente porsi davanti al suo innumerevole campo di interessi. Al di là del suo ruolo di spicco nell'illuminismo filosofico, fu anche un diplomatico e un procacciatore d'arte. In particolare viaggia cercando antichita romani per conto di Augusto III di Sassonia. È noto che fu a comprare a Venezia il capolavoro di Liotard, il pastello de La cioccolataia, che poi divenne una delle perle a Dresda. Di bell'aspetto, dotato di un aristocratico naso aquilino (esiste al Rijksmuseum uno suo ritratto a pastello, sempre di Liotard, nel Saggio sopra Orazio non perde occasione di far notare come questi fosse ambi-destro, e tanto lodava i vantaggi di questa disposizione, che c'è chi suppone che egli la condividesse. Ebbe a filosofare praticamente su tutto, affrontandocon l'acuta attenzione dello scienziato presso ché ogni aspetto dello scibile umano. Basti ricordare i saggi “Sopra la pittura”; “Sopra l'architettura”; “Sopra l'opera in musica”; “Sopra il commercio”; “Poesie”. Il demone ben temperato. tra scienza e letteratura, Italia ed Europa, Sinestesie,  Note  Umberto Renda e Piero Operti, Dizionario storico della letteratura italiana, Torino, Paravia, 195226.  Ugo Baldini, BRESSANI, Gregorio, in Dizionario biografico degli italiani,  14, Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Treccani Enciclopedie Istituto dell'Enciclopedia Italiana.  Francesco Algarotti, in Enciclopedia Italiana, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. A., su Enciclopedia Britannica, A., in Dizionario biografico degli italiani, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. A., su Find a Grave.  Opere di A., su Liber Liber.  Opere di A. A. (altra versione), su open MLOL, Horizons Unlimited srl. Opere di Francesco Algarotti,. Spartiti o libretti di A., su International Music Score Library Project, Project Petrucci LLC.  Progetto per ridurre a compimento il Regio Museo di Dresda su horti-hesperidum.com. Sito A. dell'Treviri, su algarotti.uni-trier.de. La casa d’A. è aperta da settembre  come alloggio turistico. A. e Palladio, su cisapalladio. Il newtonianismo per le dame, su google.com. Opere del conte A., su google.Corrispondenza con Federico II di Prussia V D M Illuministi italiani --  LGBT  LGBT Letteratura  Letteratura Teatro  Teatro Categorie: Scrittori italiani del XVIII secolo Saggisti italiani del XVIII secolo Collezionisti d'arte italiani Venezia PisaTeorici del restauro Illuministi Scrittori trattanti tematiche LGBT Membri della Royal SocietyViaggiatori italiani Mercanti d'arte italiani. Il conte A. adunque per più ragioni, secondo che egli dice, entra in pensiero, che della metà a un di presso s'avesse ad accorciar la durata de’ regni de’ re di Roma. Alcune di queste possono considerarsi come certi sguardi, che getta ad un traito sopra tutto il corso degli anni, che. E per trattare ordinatamente la quistione reputo necessario l'accennare prima ditutto il cammino, che ho avvisato dover battere per giungere al vero. Breve lavoro sarebbe pertanto i l rispondere alle opposizioni della prima maniera, che fa contro le epoche dagli antichi fissate alla storia de' re, in ispecie a quelle, che sono in principio del suo saggio, le quali sono tratte, direi cosi, dalla sola natura del soggetto. P r ciocchè alcune ch'egli aggiugne in fine del suo saggio, quantunque risguardino in genere tutto il tempo della durata de' sette regni, contuttociò tratte sono dagli avvenimenti narrati dagli storici, e sono come un  fidicono passati. Sotto cotesti Re. Altre, e queste sono in maggior copia, risguardano più particolarmente ciascun regno, e s'in gegna con tutto questo di dimostrare, com e i fatti, che dagli storici, e principalmente da Livio ci furono tramandati, facciano guerra alle epoche assegnate da esso altri scrittori di quelle storie; le quali ragioni io non istimo Livio medesimo, e dagli essere di tal peso, che s'abbia -perciò ad infringere l'autorità degli storici, ed abbre viare della metà circa la durata de'mentovati Regni.  un risultato delle osservazioni sue sopra ciascun regno. Ma riesce poi più lunga faccenda il togliere quelle contraddizioni, e ripugnanze, che dice ritrovarsi tra i fat tiregistrarinegli annali  degli storici, e le epoche da elli assegnate. Ben è vero, che per questo rispetto chi volesse restringersi unicamente a mettere la cosa in dubbio, quella stessa facilità, con cui prese per guida que’.foli Storici, che gli andavano a grado, e fece scelta di que ' foli luoghi di questi, che gli erano favorevoli, potrebbe appigliarsi ad altro Scrittore, oppure ammertendo gli stesii sceglier da quelli que'luoghi (che al certo non gli mancherebbono), i quali favorissero l'antico cronologico sistema. Ma questo sarebbe porre folianto, c o m e disli, in dubbio la cosa; anzi il far vedere, che non mancano testimonianze in favore sia dell'una, che dell'altra opinione, riuscireb be di non poca confusione, e darebbe a credere a' poco avveduti, che la quistione definir non sipossa. Onde io credo, che far si debba un passo più oltre, vale a dire non appagarsi di ridur la cosa a tal segno soltanto,che vengano ad indebolirfi le ra gioni addotte d’A. contro l'antico Cronologico Sistema, per m o d o che non    che per l'altra, o pure anche che venga non fiavi per una parte ragion più forte, a rendersi più probabile l'antico Sistema, m a di più innalzarlo al grado delle cose più fi cure, che affermar si possano di quella pri ma età di Roma:ilche per recare adef fetto si dovrebbono esaminare le qualità, ed il particolarcaratteredi ciascuno degli Storici, che scrissero gli avvenimenti di que' secoli, e confrontandone i luoghi, far ragio ne dal tempo, in cui vissero, dal fine,per cui presero a dettare le loro Storie, in somma ad operarsi per conciliarli fra di loro, ed accertarsi per mezzo di una sana Critica della verità de'fatti, onde chiaramente siscopra, se questi, ove sieno ben accertati, sieno poi tali, che all'epoche ripugnino. Ora adunque seguendo lo stesso ordine te nuto dall'Autore nel Saggio suo, allorchè mi sarò ingegnato di rispondere a quelle generali opposizioni, ch'egli fa, e dopo che avrò delineato non dirò già un ritratto, m a un lieve abbozzo de'tre principali Scrittoridelle Storie di Roma sottoi Re, mi farò distin tamente ad esaminare quelle irragionevolez ze; ed anche ripugnanze, com'ei le chiama, per cui stimò doversi abbreviar ciascun R e gno, e per conseguente di molto, cioèdella  i b metà   metà forse, doversi scemar la durata di tutti fette iRegni. Si risponde ad alcune obbiezioni, che fa A. coniro l'antico dero  no, CAPO Cronologico Sistema. Per farci a considerar quelle ragioni, che adduce prima di tutto l'Autor nostro nel suo Saggio, e che tutta la quistione abbraccia fa d' ilpremettere, uopo, e che gli mette troppo bene a conto, ed è che i fatti fieno staticonservati illesi dalla semplice tradizione, che tro egli chiama vaga, senza ajuto degli A n nali,i quali perirono nelle fiamme, cui die 1 noftri ultimi tempi alcuni Letterati Francesi dell'antica avanti Pirro osservato Storia molti luoghi avendo Roma farono doverne dubitar della certezza nel qual dubbio se fosse per avventura 'egli en trato, non opporre che, essendo il tutto dubbioso egualmente egli un partito Ora è da avvertire prender che a questi di sottilmente, p e n più ragionevolmente potrebbe i fatti dagli Storici narrati all'epo di mezzo per al  dero in preda i Galli la Città di Roma, e le epoche sieno state interamente distrutte da quell'incendio, nè per quelte sole tradi zioni veruna valendo, abbiano dovuto gli Storici posteriori immaginarsele a senno loro. Il qual partito, soggiugne il noitro Autore, ben volentieri presero essi, trovando modo di appagar con questo quel natural deside rio,che,nonmeno diciascuna famiglia, ha ciascun popolo di spingere, come e'fece ro, tant'oltre quanto poterono nella oscuri rità de'tempi la propria origine. E quello che è più lidà a credere,che a ciò fare giustificati fossero dalla opinione, la quale ei dice ch'essi aveano, che tante generazio ni corressero quanti Re; onde circa tre R e gni largamente in ogni secolo si avessero a porre, essendo ogni generazione di trentatrè anni: laddove egli pensa, che più brevi di molto sieno di Regni, non giungendo questi l'uno fagguagliato coll'altro se non ai di. ciotto o vent'anni, secondo che scrisse il Neurone (a), la qual legge, segue egli a dire, si vede confermata in quella unga fe rie d'Imperadori, che da Yao infino a ' di b2 (a) “The Chronology of the ancient kingdoms of Rome, amended by Newton. Veggansi le due tavole Cronologiche in fine. nostri tennero il vasto Impero della China, D a tutto questo si raccoglie fupporsi dall'Au tor noftro, che quella vaga tradizione, la quale conservò gli avvenimenti, comechè facili a ricevere alterazioni, a cagion delle molte circostanze, che fogliono accompagnarli, anzi che conservò, c o m e di alcuni dovrem notare le epoche precise, in cui non abbia potuto conservare le altre epoche più notabili, vale a dire la durata di ciascun Regno, e per conseguen te la somma dello spazio di tempo,che ab bracciarono tutti isette Regni insieme,quan tunque cosa non meno importante di m o l tiffimi fatti, che pur furono da cotesta sua tradizion conservari, e non capace di pren dere come ifatti diverso alpetto passando per le bocche degli uomini. Non troppo ra gionevole pertanto mi sembra la sua preten. fione, e per asserire, che gli Storicidique' primi tempi di R o m a non fossero informati di queste epoche, farebbe mestieri produrre qualche testimonianza, o almeno congettura, da cui si potesse chiaramente inferire che di quelle veramente informati non fossero, la qual cosa non facendo egli, io ftimo, che non maggior ragion fiavi per credere a' fatti, che alle epoche. Cie seguiti sono 1 Ciò posto o è l'antica Storia di Roma del pari tutta dubbiofa, e d in questo caso inutili sono le osservazioni sue, o è del pari certa tanto a' farti, ed rispetto alle epoche allora non hassi a dire,che le, quanto i che sieno state supposte ci. Senzachè se gli Storici si fossero i m m a ginato a piacer loro le durate de'Regni se condo la legge delle generazioni, com'egli pensa, non si sarebbono tolto la briga di far registro di quanti anni precisamente sia stato ilRegno diciascun Re, edavrebbonodato qualche cenno d' aver seguita una tal legge; fe pur non vogliam credere, non che seguit sero una regola da essi giudicata sicura,ma che avessero concepito di tessere un dolce inganno a'contemporanei loro, il che, senza che se ne adducano le prove, conceder non si dee a giudizio mio per modo nessuno. epo da'pofteriori Stori- [il malizioso disegno 1 Quantunque però sia abbastanza Ito, che, quand'anche tutta l'antica Storia di Roma fi fosse, non solo ugualmente per semplice tradizione conservata instrutti della Cronologia, che de'fatti por si debbano gli Storici mentovati; nulla dimeno, fia per salvar dalle fiamme questa Cronologia, d a cui divorata,ma anche più manife la presume ľ sup Aus b   due (6)Quae incommentariisPontificumaliisquepublicisprive. tisque erant monumentis incenfa urbe pleraeque interiere. T.Liy. Dec. I.Lib. VI.inprinc. Plut. in Numa inprinc.  non che vorrà negare. Autor noftro, sia perchè resti maggiormen te confermata la certezza dell'antica Storia di Roma (la quale a vero dire già ha a v u to troppo più valorosi difensori di quello ch'io m i sia ) stimo pregio dell'opera il *mostrare, che non fu poi, qual per alcuni si dipinge,si funesto l'incendio de'Galli per gli annali di Roma. E per cominciar da Livio, della testimo nianza di cui si fiancheggia in prima il no ftro Autore, oltrechè mostreremo fra breve, che a lui non poco premeva di fare passar per dubbiosi gli antichi avvenimenti seguiti avanti l'incendio de'Galli, se si considera no attentamente le parole di lui (b), que ste non vengono a dir altro, se buona parte de'monumenti perì in quelle. fiamme,ilche nè io, nè alcuno, penso, Plutarco poi non dice altro, se non che, secondo quello, che avea osservato un certo Clodio,supposte erano alcune m e m o rie appartenenti a Numa, essendo le vere mancate nella presa di Roma. Se da questi   ро . 23 due luoghi di LIVIO, e di Plutarco si possa inferire, che abbiano gli Archivj di Roma fofferto un generale incendio, lo lascio al giudicio de'giusti estimatori delle cose. Se Roma fosse itata inaspettatamente presa di asfalto, non riuscirebbe forse difficile ilcon cepirlo;ma ad ognuno è noto,che iRo mani, dopo l'infaufta giornata di Allia, in cui furono da’Barbari sconficci, vedendo di ·non potere per modo nessuno difendere la Città dal vittorioso esercito de'Galli,ebbero ancora tale spazio di tempo  (tre giorni dicono DiodoroSiculo, e Plutarco) da po ter fornire di munizioni il Campidoglio,m e t tervi alla difesa il miglior nerbo della solda tesca, i più valorosi Senatori, e la più vi gorosa gioventù, ove ancora per teftimo nianza del medesimo Diodoro posero in fal v o quant' oro, argento, vesti preziose, e cose rare, che s'avessero (f): ebbero t e m b4 Diodor. Sicul, non  le Vertali di ricoverarsi a Cere, non r é itando nella Città fe non que'venerandi vecchị, che vollero rimanervi. Ora adunque Liv ) Diodor. Sicul. Bibliot. Stor. ed. Amft.. Plut. in Camillo. ed incerta, ma poco o nulla men pregevole delle Storie medesime, di cui abbiamo fatto parola sopra, e per mezzo di cui, secondo quello che abbiamo osservato, riesce  non avranno o i guerrieri rinchiusi nella roca o quelli, che lisottrassero colla fuga. all' eccidio della Città, falvati dalle fiamme quegli antichi Annali? I n verità bisognereb be far forza a noi medesimi per idearci Romani accesi com'erano dell'amor Patria, e solleciti di ogni cosa, che potesse fervire alla gloria di quella, così Voffius de Hift. Lat. O p a i della ca, ranti delle proprie poco Storie.M a supponiamo cu che,che questi an fossero periti; il famoso Vossio Annali osserva tacciar non per questo tica Storia dubbia credibile l'an avessero di Roma, essendo pur anche i loro Annali, che le circon fi dovrebbe vicine Città, con tuto ad un bisogno loro; ed in secondo alle luogo non essereda cre dere, che coloro fra'Romani, i quali li legge vano, custodiyano duto la memoria, scriveano del tutto: ed ci riduciamo a quella tradizione vaga,, non però,che di falsa, o cui i Romani abbiano mancanze supplire, avessero in tal caso po per ed, Amst. CICERONE, de Orat. de Legib. Nulla enim lex neque pax, neque bellum, nequè res ficnotata: Corn. Nep. in Attico. Senex Historias fcribereinstituit, quarumsuntlibrisep.  Ma che serve affaticarsi di provare con congetture una cosa, di cui abbiamo cost chiare, e sicure testimonianze? Non giunse ro gli Annali Maslimi. a'rempi di CICERONE, e non ne reca egli giudizio in più luoghi. delle opere sue? Onde Fabio Pirrore, Lucio Pilon FRUGI, Valerio Anziate Scrittori che furono tra lemani dị Dionigi, e di LIVIO, avranno prese le memorie per dettare le Storie loro, se non da'monumenti, che avanti l'incendio esistessero? Pomponio A t tico intrinseco amico di CICERONE, che se condo Cornelio Nipote  non tralasciò in certo suo libro di porre sotto l'epoca pre cisa cosa alcuna riguardevole del popolo Romano, CATONE, il primo libro delle Storie di cui comprende i fatti de’ Re di Roma come riferisce lo stesso Cornelio, onde avran tratto i materiali per quest' opere loro? VARRONE il più dotro de'Romani, uomo al  tiesce non solo ugualmente, m a più credi bile eziandio la Cronologia de'fatti. certo ili luftris estpopuli Romani, quae non in eo,fuo tempore com,primus continet res gestasRegum populi Romani Corn. Nep. in Cat. certo di non facile contentatura,su che avrà fondato l'opinion sua contraria a quella di CATONE circa al tempo della fondazion di Roma, se non sopra monumenti,che a'suoi tempi ancora esistessero, in cui fosse accura tamente descritta quella prima età? E,va gliami per ultimo l'autorità di quel diligen te investigatore delle antichità Romane Dio. nigi d'Alicarnasso, quante tenebre egli non dilegua coi Commentarj de’Censori, e con altre memorie, le quali pajono anteriori alla famosa irruzione de'Galli, o almeno sopra quelle compilate? E non è forse da crede. re, che a quel Dionigi, il quale dovendo per mezzo di un suo computo fissar la giu Ata epoca della fondazione di Roma, fi Itu dia di portare tanti monumenti, per venire in cognizione del numero d'anni, che cor sero dalla deposizion di Tarquinio insino all' incendiodiRoma,e che circa alla durata de'Regni non muove la minima que stione, anzi concordando con LIVIO, gli af segna il medesimo numero di anni;a quel Dionigi,cui è data la lode di esattissimo nel fissar le epoche, come più sotto vedremo, Dionyf. Halic: Antiq. Rom. ex ed, non Graeco-Lat. Friderici Sylburgii Lipfiae. Che poi per vantare antichità abbiano gli Storici allungata la Cronologia, è noto a d ognuno esserregola dell'Arte Critica, doverfi presumere, che alcuno abbia ingan, nato sulla fola luogo bio non nato in suo pro l'ingannare, m a doversi a d d'aver egli.veramente ciò fatto; ed oltre a questo non può cade dur prove manifeste sopra Dionigi., come quello, ch'essendo straniero re per modo nessuno un talsospetto non era tentato dall'amor della patria a mentire per adularla, e che fece un particolare ftudio di chiarire l'antica Storia di Roma. che sarebbetor non mancassero i suoi fondamenti per accer tartaldurata,come cosa fuord'ognidub congettura, Non istimo ora del resto dover parlare della diversità, che l'Autor nostro dice cor Tere tra le generazioni, e le successioni de' Regni;giacchè è manifesto non aver gli Storici seguito una tal regola, e quand'an. che seguita l'avessero potendosi far veder di leggieri, che se per alcuni motivi da lui e dal Neutone addotti sembra, che iRegni debbano riuscir più brevi, che le, per altri rispetti potrebbe più lunghi restassero tazioni. Tanto più che dovrò accennare in generazio succedere, che i Regni, che le gene ni  luogo più opportuno quelle regole ch'io stimo doverli osservare, nel fiffar queste g e nerazioni, potendosi queste sotto diversi a f petti riguardar da ' Cronologi. (mn)Description de l'Empire de la Chine par le P.Dus Halde.Faites de la Monarchie Chinoise  per dare a divedere, che quella rego Mi basterà per ora notare, ch' in quella lunga serie degli Imperadori della Cina s'in • contrano n o n una volta sola, m a diverse fiare sette Regni di seguito, i quali se non giungono, si avvicinano però assai allo spa zio di tempo, che tolti insieme durarono i Regni de'Re diRoma:per comprovarla qual cosa giova il recarne alcuni esempj, che m'è venuto fatto di ritrovare ne'fatti di quella Monarchia descritti dall'accurato P. Du-Halde (m).Nella prima.Dinastía da Ti Pou-Kiang insino a Kiè corsero dugento e dodici anni. Nella seconda da Tching-Tang infino a Tai-Vou passarono dugento e quat tro anni; e nella terza Dinastía dugento 'e venticinque da Tchao -Vang insino a Li-Vang. Facilmente non saranno questi foli i casi, in cui,non uscendo dalla serie degli Imperadori della Cina, fecte Regni di seguito abbiano abbracciato più di due secoli; tanto però basta la, 2.9 gi  la, la quale pure è vera, trattandosi di l u n ghissimo spazio di tempo, riesce falsa nelle itesse Tavole Cronologiche degli Imperadori Cinesi, quando si reftringa a fette soli R e gni. Ed ecco come si vengono a sciogliere tutte quelle diffico'tà inosse dall'Avior no stro per diminuir la credenza, che prestar fi dee agli Storici, e rendere improbabile in genere la lunghezza di questi Regni. Ora fa di mestieri farsi a considerare quelle ragioni, ch'ei deduce dalla ripugnanza dei fatti, di cui fecero gli antichi Scrittori re gistro,alleepoche,per venireadaccorciar ciascunRegno:Seiodicesli,che concor dando a un dipresso tutti gli Storici nelle epoche principali, e circa la durata de'Re-. gni, e discordando ne'fatti, ilconsenso loro nello afferir la durata dee meritar. troppo maggior fede, e pertanto doversi come lup-, posti rigettar quegli avvenimenti, e quelle epoche particolari di alcun fatto, che taluno fra essilasciò ne'suoilibri descritte, che ripugnano a quello, la di cui certezza è chiaramente,e concordemente da essi affe rita; se jo ciò dicefli, mi servirei di una ragione più atta a far forza, che a persua dere. Perciocchè resterebbe sempre una c o tal nebbia, ed oscurità nella mente de'Lega   gitori, non vedendo eglino quali oltre a que ito fieno i motivi, per cui come falsi s'ab biano'a rigettar questi fatti, che falli certa mente avrebbono a d essere, quando ad una verità fi opponeffero. Laonde è convenien te o farne vedere per altre ragioni la fal fità, o mostrarne la non ripugnanza, quan do, come di alcuni veri dovrò fare meno avvedutamente ripugnanti, sieno stati dall'Au tor nokro creduti.Per condurre a fine le quali cose, siccome è d'uopo far uso delle regole, che prescrive l'Arte Critica, stimo pregio dell'opera il premetter quella, la quale più d'ogni altra ttimali necessaria, ed è il chiarir bene a quale Scrittore s'ab bia per CAPO. Si unus aut alius (Hiftoricus) adverfus plures teftifi: Centur, Historicorum conferendae dotes, fecundum cas je dicandum. Genuenfis in Arte Logico-Crit. COSI. l'antica Storia Latina, i di cui av. venimenti cadono nella nostra quiltione, a ri correre, ed in caso di disparere, a quale fi debba prestar maggior fede. Trattasi della credenza, che prestar fi dee a LIVIO, Dionigi d'Alicarnaso Plutarco, per rispetto ai fatti, che R a gli Scrittori, in cui troviamo descritti i principi di quella Nazione, al di cui co fpecto dovea tremar l'Universo, primeggia no Tito Livio, Plutarco per le vite, che stese de'due primi Re, e Dionigi di Alicarnasso. Penso adunque esser buona cosa l'in.vestigare prima di tutto il vero carattere di ciascuno di questi, per rispetto al maggiore o minor caso, che far si vuole della au torità di taluno di effi per riguardo a tal altro,ne’racconti,che pressodiloro sitrovano. per (a) Come Livio scrive, che non erra, Dante Inf. cant.  che non Fra cądono nella presente quistione. Se farò poi in questa disamiņa precedere Tito Livio agli altri due, si è, perchè di lui fi pregia più che d'ogni altro l'Autor nostro, e glid à ad una voce col creatore della nostraLingua,non meno chedellano Itra Poesia la lode di Scrittore 2 erra, la qual lode se vera se giusta sia. Livius etiam, et Curtius artem declamatoriam affe&taffe videntur. Nimiam ftyli.curam in Hiftorico fufpettam ho beo,Genuens. in Arce Logico-Crit. per rispetto a quel tratto della Storia Latina', che cade sotto la controversia noftra, verrà brevemente esaminando. pol L'andar dietro alle quistioni, e dubbie tà, che s'incontrano nella Storia de primi tempi di Roma, il diradar lenebbie,incui si avvolgeva quell'oscuro secolo, era cofa, che ripugnava all'indole di Livio, il qual certamente più compiacevafi nel dipingere con quel luo vivo, e maestoso itile i bei giorni di R o m a, che in ricercarne sottilmen te le origini traendo alla luce gli avveni menti, che succeduti erano in quelle rimote età. Pare veramente ch'egli dovesse te mer forte non i suoi lettorifi disgustassero, se egli si fosse messo in un tale intricato sen tiero, sentiero, che male egli avrebbe p o tuto spargere di tutti i fiori della sua E l o quenza; la quale fua Eloquenza però, per dirlo alla sfuggita, rende sospetta a tal Critico la veritàde'fatti da lui narrati (b). Principale intendimento era adunque di lui lo stendere la Storia più luminosa di Roma, vale a dire allor quando falira a gran   possanza, ed a grande onore questa Repubblica cominciò a stender le ali  Pontificum libros annosa volumina Storia in fine, la quale troppo più che l'antica era confacente algeniodi Livio, ed alcomun desiderio dei Romani de'suoi tempi, per cui preso avea a dettarla.Che se Tacito parago nando le Storie de'tempi suoi a quelle di que sto secolo, di cui favelliamo, dice, che m i nute,e poco memorevoli farebbono sembrate le per cose, 1Uni verso. Quando, domati finalmente i feroci popoli dell'Italia, qual rinchiuso fuoco, che rovescia ogni ostacolo più forte, avventò le fiamme in grembo all'emula Cartagine, ed a Corinto, e loggiogata parte coll'armi, par te coll' accortezza la Grecia tutta, e corsa l' Asia trionfando, essendo, per servirmi delle parole di Tacito, l'antica, e natural ansietà ne'mortali della potenza cresciuta e scoppia ta colla grandezza dell'Impero (c), sidivise in quelle fazioni, che tanti e si gran casi somministrarono alla Storia. Storia di gran di imprese, di gran personaggi, e di gran di avvenimenti ripiena; Storia non troppo lontana dal secolo, in cui egli vivea, e per cui non avea a rivoltare Tacit. Hist. Cte nimia obfcuras, velut, quae magno ex intervallo'lo ci vix cernuntur; tum quod, et rarae por cadem tempo ra literae fuere,u n a custodia fidelis memoria rerum g e ftarum; et quod etiam fiquaein commentariis Pontificum, aliisque publicis, privatisque erant monumentis incenja urbe pleraeque interiere. Clariora deinceps certioraque ab secun 'da origine velut ab ftirpibus laetius feraciusque renatas urbis, gefta domi militiaeque exponentur, mo cose, ch'egli avea a raccontare, e che non erano da eguagliarsi le Storie sue agli A n nali antichi di Roma, poichè gli Scrit tori di quelle narravano guerre grosse, Città sforzate, Re prefi, e sconfitti, e dentro di scordie di Consoli con Tribuni, leggi a'fru menti, zuffe della plebe co'grandi,larghilli mi campi, scarso all'incontro e stretto effe re il suo: che ne avrà dovuto pensar Livio paragonandole a quelle di que'rimoti, ed oscuri secoli? Se non tralasciò pertanto del tutto di far menzione de'principj de’ Romani, non altra ragione, penso io, averlo a ciò moffo, fe non per non incorrer la tac cia d'aver composta una Storia mancante, e per potersi in certo modo fpianar la ftra da a descrivere le susseguenti famose impre se di quel popolo d'Eroi. Ed in fatti dalle sue stesse parole fi rac coglie non aver egli troppo dibuon ani TACITO, Annal. &.. cum vetufla  m o lavorato a ftendere quel tratto delle sue Storie. Cofe le chiama oscure per troppa antichità, e che, per così dire, a cagione della grande distanza appena più sivedeano. Parla di quelli avvenimenti in modo che fi scorge, che poco o nessun conto ne fa cea, tanto più dicendo, ch'esporrà più l u minose, ed accertate gelta della quafi da più fertili, e rigogliole radici rinata Città dopo l'incendio de'Galli. Poco, ei dice, scriveasi avanti l'irruzione de' Galli, e se al cune memorie eranvi negli Annali de’ Pontefici, ed in altri pubblici, e privati m o n u menti,buona parte di queste peri nelle fiam me. La qualcosa, posto che veramente molte memorie ancora esistessero a'suoi gior ni di que'tempi, come ben feppe rinvenirle Dionigi, dà non lieve motivo d i dubitare non il dire, che molti di questi monumenti periti fossero in quell'incendio sia un mendi cato pretesto di lui per ispacciarsi in poche parole di quelle antichità. Per raccogliere il tutto in breve non p a re, che in questo tratto di Storia almeno Livio sia quel Livio, che non erra, e che a più buona ragione, che non quel verso di ALIGHIERI, adattar fe gli.patrebbe il giudicio  di с2   di Quintiliano, ove dice,che quella dol ce facondia di Livio non sarà mai per a p pagare colui, che non la venuftà del dire, m a la verità cerca nella Storia. Perlaqual cosa a giudicio non solo del P .Rapino, ma di quasi tutti i più valenti Critici, e per l'accuratezza, e per lo discernimento, e per la verità delle cose narrateanteporre fidee a LIVIO Dionigi d'Alicarnasso. Questo Storico è appunto il nostro caso. Perito egli era della lingua, e de'costumi de'Latini,fra cui fece lunga dimora.Con temporaneo di Livio, Critico eccellente p r e se a trattar quella parte della Storia Latina, ch'era più oscura per la lontananza de'tem consultò tutti gli antichi Romani Scrit tori diligentemente; e siccome si scorge, se condo quello, che abbiam notato, che l'in tenzion di Livio era di trattar principalmen te la Storia di Roma dopo l'incendio de' Galli, così il fine di Dionigi era d'inftrui re i suoi lettori nelle antichità soltanto di quella Nazione, per le quali sue doti ftimò   pi? il Neque illa Livii lattea ubertas fatis docebit eum, qui non speciem expofitionis, fed fidem quaerit. Quiptil. Rapin. Réflex. sur l'Hift.  Sto. Bodino di doverlo in questa parte pre ferire a tutti gli altri Storici Greci e Latini. E se per avventura non è, come osservò il Rollin (i), nella lingua lua si eloquente, e si colto come Livio nella Latina, in quanto all'accuratezza, e diligenza il vince sicura mente d'affai.Che poi più cose, e più ac intorno antichità presso di lui, che presso Livio fi curatamente descritte ritrovino, è anche il parere di quel VARRONE dell'Ollanda Gerardo Vossio (k), ilqual coll' autori tà di Eusebio, e dello SCALIGERO, l'ultimo fuo sentimento egli fiancheggia de quali lo commenda appunto per quella dote, di cui noi abbisogniamo, voglio dire per essere stato egli più d'ogni altro dili gente nel fissar le epoche. M a a che serve andar raccogliendo le testimonianze de'Cri tici? Niuno v'ha fra' letterari, che ignori quanto Dionigi sia benemerito delle Romane antichità, e che non sappia esser egli alla C3 alle Romane Dionyfius Halicarnasseus antiquitates Romanorum ab ipfius urbis origine tanta diligentia confcripfit, ut Graecos omnes, ac Latinos fuperaffe videatur. John Bodin. Meth. a d f acil. Hift. cogn. Rollin Histoire Anciene; Voffiusde Hift. Graecis,&ibi Euseb. in prep. Evang., et Scaligerin animad. Euseb., il qual dice: Curatius co niemo tempora obfervavit,   E'ben vero esservi taluno fra'moderni,il quale non fa gran calo dell'autorità di lui per riguardo a ciò, che scrive intorno alle origini de'popoli d'Italia, avendo a parer suo Dionigi,per gloria della propria nazio ne, dato luogo troppo leggermente alle con getture, per derivar dalla Grecia i primi abitatori dell'Italia (l). Lascio ad altri il giudicare le giusta fia, o no quest'accusa; m a, quanrunque fosse ben fondata, non so avrebbe per questo a dubitare delle cose n a r rate da lui, le quali cadono nella nostra qui ftione: perciocchè in quella parte dell'Ope ra sua, di cui servir ci dobbiamo, n o n trattasi più delle prime origini de' popoli Italici, m a delle origini soltanto primi tempi di Roma; onde non può più aver luogo quel sospetto, ch'egli abbia v o luto adulare la nazion sua, non essendovi piùlagloriadiquellainteressata in modo nessuno. Questo Storico pertanto, quantun que venga una volta fola in campo nel Saga  Storia Latina de primi tempi quello, che è alla Storia d'Italia de'secoli di mezzo l'eru dito, e diligente.Muratori. e dei gio Guarnacci Origini Italiche. Veniamo ora finalmente a Plutarco.M o l to discordanti sono i giudici, che di lui re cato hanno i Critici:perciocchè, se a molti Letterati di grido siattribuisce per una par te quel detto, che se in uno universale in cendio di tutti i libri un solo scampar se ne potesse dalle fiamme, si vorrebbono falvare le vite di Plutarco; non manca per altra parte chi ne rechi troppo più vantaggioso giudicio, e fra gli altri un celebre Lettera to Inglese il Signor Midleton giunse a chiamar l'opera di lui un abbozzo piuttosto, che il compimento di un gran disegno. A chi fu Saggio sopra la durata de'Regni de’ re di Roma. A. ediz. di Livorno. Nella edizione fatta di questo Saggio in Firenze non è mai citato Dionigi, anzi nella lettera a Zanotti dice A. che non avea voluto leggere altri scrittori, che parlassero de’ re di Roma fuor chè LIVIO e Plutarco. Conyers Midleton prefaz, álla Vita di CICERONE, per  gio del nostro Autore (m ), sarà però quello, che più d'ogni altro ci additerà la strada, che li vuol battere per giungere al vero nella presente materia, c o m e quello, il quale più giustamente di Livio merita il nome di P a dre di Romana Storia. ! altro pon mente alle belle qualità, per cui fu lodato, ed a'diferti, perliquali C4   Del resto per giungere a farci una chia ra idea del merito di questo Autore fa d' uopo prendere d'alquanto più alto i princi p j.Quantunque pertanto pregio essenziale della Storia sia la verità de'fatti, si voglio no con tutto ciò offervare e la scelta che fa l'Autore di questi, e le rifleffioni, e l'ordi ne, con cui dispone ogni cosa, e la dici tura, di cui si serve, del che tutto nell'al tra nostra Opera abbiamo copiosamente ragionato. Ora per parlar soltanto delle riflel fioni, queste son quelle, che danno a vede re il giudicio dell'Autore intorno alle cose narrate, giudicio,che resta più o meno de gno di stima a misura, che viene ad esser fondato sopra valide ragioni, e che non esce di quella scienza, a cui ènoto aver con Jode dato opera lo Storico. Le considera  1 fu ripreso, riuscirà agevole il comporre i lorodispareri. Vero è, che ilSignorMidle ton ne recò più svantaggioso giudizio di al cun altro, perchè forle non ritrovò in lui, come bramato egli avrebbe, abbastanza en comiato l'Eroe, a gloria di cui egli consa crò una sua assai lunga, ed elaborata o p e ra, nella quale però sembra ad alcuni, che ne tefla egli piuttosto il Panegirico, che la Storia. zioni,   zioni di un Polibio, o di un Cesare sopra l'arte della guerra, o di un Tacito sul  Inoltre dalla scelta, che fa de'fatti, fi Arte Poetica di Zanotti verno de'popoli intanto degne sono di c o m tore le manifeste, in quanto hanno essi fama di ef mendazione fere stati di quelle facoltà ottimi conoscitori M a fupponiamo, che sitralascino. dallo Scrita riflessioni,non èforsevero, è per così dir forzato lo Sto che narrando rico a dar segni della approvazione fapprovazion,odi sua? Cosi pensa quel dotto, e Scrittore, uno de'primi lumi d' leggiadro Italia, cui il Conte fto fuo Saggio (o). Ora que ognun Algarotti indirizzo ciò posto professò principalmente sa, che Plutarco fcienza de'costumi; questa cui le altre tutte qual più direttamente s'hanno a riferire, come raggi d'un meno cerchio al centro, esercita l'impero suo so pra le azioni tutte degli uomini, ond'è m a nifesto, che anche supposto, che Plutarco alcuna osservazione do reca giudicio dell'azione non aggiugnesse fcrivendo, e giudicio, di cui non piccol caso facoltà,narran ', che va de uscito dalla penna di un Fifar fi dee,come losofo de'più rinomati dell'antichità. go la poi, a, qual viene Rag.,Bologna qual dà maggiormente a conosce re il bellicofo genio di quell'Alessandro del Settentrione Carlo XII., loggiugne, che tal cosa lasciato non avrebbe d'inserire nella vita di lui un Plutarco. Remmo. Discordimilitari Disc, e nel formare il carattere de'perso naggi, di cui stende la vita. Egli non sia p paga delle azioni pubbliche, e ftrepitose, nè si ferma intorno alla sola corteccia, m a seguendo, per dir così, i suoi Eroi in ogni lu go, e non temendo di abbassarsi col de. scrivere certe minute particolarità, entra ne? più fecreti ripostigli dell'animo loro, e pre fentà al lectore ad un tempo medesimo un fedel ritratto e di esli, e della umana na. tura. E questa singolar dote di Plutarco fu giàdal nostroAutore osservata; poichènar rando in un suo discorso un tal fatto parti colare, il qual dà viene in cognizione della perizia di lui nello scoprire le più nascoste proprietà del cuore umano, e nel formare Questo è il favorevole aspetto, fotto cui riguardar fi possono le vite da lui scritte,e gli encomj,di cui gli furono cortefi iCrie tici,vengono a ridurlia questo.Ma sevo leffimo poi in materie dubbie, ed oscure ri poläre interamente sulla fede di lui, corre  altri. remmo non piccolo pericolo d'ingannarsi. Plutarco, con ben raro esempio, congiun geva un ingegno straordinario ad una credu lità somma (difetto, da cui i rari ingegni fogliono per altro andar esenti, cadendo più sovente nell' eccesso contrario). Forse ritene va in questo parte degli influfli del Cielo di Beozia. Occupato da'negozji, ch' ebbe a trattare, e dall'impiego di dare lezioni di Filosofia, poco tempo gli rimaneva per ac certarsi della verirà delle cose, che s'accin geva adescrivere.Sifa,ed eglistessolo con feffa, che ignorava la lingua Latina, nè o b bligato era dalla necessitàa d iftudiarla, ava vegnachè dimorasse in R o m a, servendo la lingua Greca a que' tempi presso i Latini di lingua,come fuoldirsidiCorte,cioè par lata dalla più leggiadra, e brillante parte delpopoloRomano,edi linguadotta.La (ciopensare di quanti sbaglj una tale igno ranza possa essere itato cagione. Che della fola autorità di lui pertanto non si debba far molco caso, è il sentimento del dotto Bodino, del Rualdo, del Dacier, e di Bodin. Method.Hist. Interdum etiam in Romanorum antiquitatelabitur.Ruald.animad.inPlut. Dacier nelle note alla fua traduzion francese delle Vite di Plutarco. Vero   Vero è, che l'erudito Giureconsulto Ei neccio (r) per salvar dalle accuse de'Critici un luogo di Plutarco, ove narra questo Sto rico aver Numa concesso certi privilegj alle Vestali, i quali si sa indubitatamente non essere stati ad effe concessi senon dopo que sto R e, avvisofli di fare una mutazione nel teito di lui,di modo che seavantidiceva: aver conceduro grandi onori alle vergini Ve Itali, veniffe a dire: loro concedettero (i Romani ei sottointende ) molti onori, e fog giugne, che per sì fatta maniera salvar li possono molti luoghi di questo Storico.cen Turati dagli eruditi. M a lasciando stare, che molti non saran no quelli,che con una talcurafanarfipof fano; non so, perchè con tanta facilitànon. essendo il luogo di Plutarco un frammento di qualche antico Giureconsulto, il qual abbia necessariamente cogli altri a concordare, si avventuri da lui questa emendazione, fen za addurne altra ragione, fe non che ilfal varsi con questa l'autoritàdi Plutarco.Am mesfa una tal Critica si fanno scomparire con poca fatica tutti gli sbaglj de'libri, che ci restano dell'antichità. Heineccius ad legem Papiam Poppaeam. Amít, apud Wetftenios, Sia adunque per la ignoranza della lingua Latina, lia molto più per lo genio credulo, e poco critico, anzi qualora trattasi di Sto rie lontane da tempi fuoi portato al meraviglioso Plutarco, non è guida ficura per chi vuol penetrare nelle più rimote istoriche notizie. Quella Storia favolosa, che dic' egli rinvenirli nelle origini delle nazioni prende, e li ftende troppo negli scritti di lui sopra i diritti della vera Storia maggior mente sgombra dalle finzioni presso altri Scrit tori. M a per riguardo a quella parte della Storia di Roma, i di cui avvenimenti ca d o n o nella nostra quistione, potea troppo qui  cilmente schivar gli errori. Non avea egli nella sua stessa lingua le accurate fatiche di Dionigi di Alicarnasso Scrittore, che ben dovea esfergli noto, e noto veramente gli era, facendone egli menzione? Perchè adunque non si restrinse a lui solo, tralasciando quelle fue popolari, e favolose tradizioni? Niuno dubiterà pertanto, che in questa parte della Romana Storia pofpor si debba Plutarco a Dionigi. E ben riuscirà singolar cosa, fe recherò in mezzo l'autorità dello stesso A., il quale, fuori di questa fa Plut, in Theseo in princ.   quistione non lasciò di rendere il dovuto omaggio a Dionigi, e di mostrare il poco caso, che far fi dee della sola autorità di Plutarco ne 'fatti de' Romani, efefarò ve dere aver egli in cofamolto più recente negato credenza a quel Plutarco, a cui tan to s'affida per rispetto ad avvenimenti ri motissimi dalla età di lui. Bafta per chiarirfi di quanto ho detto dar un'occhiata a ciò, che scrisse l'Autor nostro intorno all'impre fa di Cesare contro a'Parti. Questo è quanto ho io stimato dover pre mettere circa la fede, che prestar fidee agli Storici, innanzi di farmi ad esaminare. la verità, o falsità de'fatti, e la ripugnan ża o non ripugnanza di questi alle epoche il che mi studierò quanto più brevemente per me sipossa di recare ad effetto. Alicarnasco, Polibio danno una più esatta contez fa delleragioni dei costumi Romani che non fanno i Romani medefimi. Ma quei Greci sapeano a fondo la lingna Latina, buona parte della vita erano viffura co'Romani ec.  A. Disc. Milit. Disc. Sopra la impresa disegnata da Giulio Cesare contro a'Partipo La verità si è, che ognuno si può effere ac corto quanto nelle cose dei Romani fia poco efatro Plu tarcoec., Egli è certo che delle cose Romane le migliori informazionisi può dire che le dob biamo a' Greci. Ed è naturale che così sia. A forestieri ogni cosa giugne nuovo ec, Di qui èche Dionigi   Dis cIsecnedndeenndo ora coll'Autor -noftro al para ricolare, ci si fa innanzi il Regno del bel licoso Fondatore della Romana grandezza, e sarà secondo quello, ch'io Atimo Indole guerriera, dic'egli, danno ad una voce tuttigli Storici al Fondatore di quella Impero, che dovea coll'armi fare la con. quista del Mondo. Questa indole bellicosa piùnonfipuò celebrare in Romolo, quando fi mostrasseaver eglipassatola maggior par te del suo Regno in grembo alla pace:ora le prime guerre di lui contro i Sabini, che ridomandavano le donne loro, e contro al quni altri popoli per gelosia d'Impero, furo no tutte breviffime, e della penultima guerra contro a’ Camerj ce ne dà l' tarco, che non cade più in là dell'anno sedicesimo dalla fondazione di Roma. Ne dopo questa si ha notizia di alira guerra, falvo Regno di Romolo.? cagio ne di non piccola maraviglia il farsi a c o n siderar la prima venir ad abbreviare la durata. ragione,ch'egliadduce per epoca Plu. Plut.in Romulo, salvo di quellaco'Vejemi, i quali doman davano, che fosse loro restituita Fidene, come Città di lorragione, dicui Romolos' era impadronito, avanti che egli s'impadro niffe di Camerio. E questa guerra non si ha da porre più tardi, che sotto l'anno d i ciassettesimo dalla fondazione di Roma 0 là in quel torno non essendo verisimile che una nazione potente com'erano iVejenti tardasse gran tempo a cercare di riavere il suo. Senzachè ognun ben fa, che le guer re tra que popoli erano subitanee, tra loro la vendetta non tardava molto a seguitar l'offesa. Posto adunque, ei soggiu gre, che l'ultima guerra fatta da Romolo cadeffe nell'anno diciassettesimo del suo Regno, se non vogliamo, che i Romani fie no stati più lungo tempo in pace che in guerra fotto il reggimento dilui,nonsivuo le farlo regnar trentotto anni, m a della m e tà circa il Regno di lui accorciar fi dee Questa è la prima ragione, che adduce l'Autor noftro per abbreviar la durata del Regno di Romolo, a proposito di cui,,co m e già disli, strana riuscir dee a chi pon mente quella epoca, su cui fonda egli ilsuo argomento, ed è ľ  epoca della e che tro i Camerj somministrata guerra con da Plutarco. A., che la durata del Regno · di Romolo attestata da tutti gli Storici vuol distruggere, adopera per mandarla in rovi na un'epoca di un fatto particolare,dicui niuno fa menzione, fuorchè il solo Plutarco Storico a tutti i Critici, ed a lui medesimo sospecto. E d in fatti di questa guerra contro i Camerj LIVIO non ne parla punto nè p o co, prova forse della trascuratezza di lui nel tessere l'antica Storia. Dionigi  poi, il quale nel collocarla frale guerre co'Fide nati, e co'Vejenti da Plutarco non discor da,non dice però, che questa precisamen te seguita sia l'anno sedicesimo di Roma. Vede pertanto ognuno,ch'io potrei, rifiu tando la testimonianza di Plutarco, togliere ogni fondamento a questa ripugnanza, m a conveniente mi pare di mostrarmi cortese ful bel principio delle osservazioni mie. Concediamo adunque, che nell'anno fe dicesimo di Romolo succeduta appunto sia questa guerra coi Camerj:.con qual ragio ne si prova, che tantosto abbiano impugna te le armi i Vejenti? Forse perchè avendo i Vejenti mosso contro i Romani per riaver Fi...  Dionyf. Halic. Dice Plutarco, che i popoli circonvicini vedendo riuscir bene tutte le guerre a Romolo, da invidia,e da timore agitati, ftimarono non essere la sua crescente gran dezza da guardar con occhio indifferente, e doversi opprimere una potenza, era ne' suoi principi formidabile Laon de i Vejenti,i qualitenevano un ampio paese, ed erano de'più potenti fra' Tosca ni, mosfero contro Romolo, chiedendo la restituzion di Fidene che dicevano essere di giurisdizion loro; il che, foggiugne Plutarco, non solamente ingiusto,m a ridicolo era, poichè domandavano come ad efli sper tante una Città, che non avean difeso, quan  che già do Fidene come Citrà di lor ragione soggioga ta da Romolo innanzi a Camerio, non è da credere, che un popolo potente come quello abbia tardato molto a farsi rendere il fuo, essendo le guerre a que'tempi fubitanee,nè tardando molto la vendetta a seguitar l'of fela? Ora io intendo dimostrare,anchecollo stesso Plutarco, effer piuttosto da credere, che alla guerra co' Camerj seguita fia las guerra co'Vejenti dopo qualche notabile spa zio di tempo. Plut. in Romulo.   do da Romolo era stata assalita, e lasciati in quel tempo gli uomini in balia de'nemi ci, aspettavano allora a pretenderne lemura. LIVIO poi dice, che presero le armi i V e jenti, non perchè fossero possessori di Fidene loro tolta da Romolo, ma perchè i Fidenati erano anche Toscani, e quel che è più, perchè temevano non le armi de' Romani avessero ad esser fatali alle vicine nazioni; e Dionigi in fine dice, che il pretesto della guerra fu la strage de' Fide nati. Ora adunque, poichè siamo certi,che per gelosíad'Impero, e non per altro im pugnarono le armi i Vejenti, li dee piutto Ito credere effere questa gưerra fucceduta qualche tempo notabile dopo quella coi Ca. meri; perciocchè stava ad osservare questo popolo, le poteva assicurarsi della sua forte Tenza arrischiar nulla, e se riusciva a qual che altra nazione di abbattere i Romani: veggendo poi, che s'erano felicemente sbri gati da quelle, e che anzi salivano ogni sanguinitate (nam Fidenates quoque Etrufci fuerunt ), et quod ipfa propinquitasloci, fiRomana armaomnibusin.  d 2 gior  LIVIO. Belli Pidenatis contagione irritaii Vejentium animi, et con festafinitimis effent, fimulabat. Dionyf. Halic. Oltr' a ciò, avvegnachè seguita fosse., come si dà a credere l'Autor noftro, questa guerra circa all'anno diciassettesimo dalla fondazione di Roma, chi ci assicura, che altre non ce ne sieno state, le quali, come di non gran conseguenza, non sieno state dagli Storici giudicate degne di entrare negli A11 nali loro? Pretende pure egli stesso, che non fisia tenuto accurato registro de'fatti, anzi confervari fi fieno per mezzo di una cotal vaga, ed incerta tradizione? Veda adunque non se gli possano ritorcere le sue stesse ar mi, e ch'egli medesimo ammetter debba p o ter offer fucceduti cali da cotefta fua vaga tradizione non conservati.  giorno a maggior buona cosa il non lasciarli fortificar nella grandezza stimò esfer pa ce. Se ruppe adunque per propria sua ial vezza la guerra, è probabile, che ciò non abbia fatto se non dopo un qualche conside rabil tratto di tempo, nel quale abbia ve duto, che nessuno s'arrischiava di sfidar Romolo a battaglia. Queste osservazioni,a me pare,bastar po trebbono per dimostrare, cheleirragionevo lezze ręcate in mezzo dal nostro Autore non sono di tal peso, che vagliano ad in fringere la Cronologia, e sminuir la durata del   del Regno di Romolo: nulladimeno stimo pregio dell'opera, acciocchè maggiormen te appaja la verità, fare una luppolizione, Orsù adunque abbiasi per non detto tutto ciò, di cui abbiamo ragionato sin ora.Dianli per invincibili le ragioni del nostro Autore. Concedafi la presa di Camerio esser seguita; com'ei pretende,l'anno sedicesimo di Ro m a, l'anno seguente la guerra co'Vejenti, e dopo questopace profonda; che ne segui rà per ciò? Si opporrà questo per avventu ra a quell’indole bellicosa, che gli Scrittori danno ad una voce al Fondatore del R o m a no Imperio? Non potrà un Principe dopo essere felicemente riuscito in molte pericolo se imprese, dopo essersi procacciato stima, e venerazione presso le vicine nazioni colla fua bravura, goder de'frutti delle sue vit torie, e riposando all'ombra allori 9. col mantenere il guerriero valore vivo, e rigoglioso ne'suoi soggetti, fare in modo,che la fama diprode,ed invittoac quistatası, ed il sapersi esser egli a guerega giare sempre apparecchiato, gli proccurino una pace non inquieta,turbata, e vergogno fa,ma ferma,ftabile,sicura,pienadiglo ria, e di virtù. Troppo sarebber funesti all? uman genere gli Eroi, e troppo infelice vi de'conquistati ta d 3  A.. Epistole in verfa ep.16. sopra il Commercio pag. Dionyf. Halic. se per guerra fosse valente, ce ne assicura Dionigi, ove con quanti modi studiato fi di sia ta avrebbono eglino stessi a menare, acquistarsi tal n o m e, viver dovessero o g n o ratra le stragi, e tra'l sangue. E non eb be lo stesso Autor nostro a lodare l'amor delle bell'arti, la profonda Scienza Politica, e le altre civili virtù di quel bellicoso Prin cipe, il quale tanto, vivo, il processe, ed in tanto illustre modo, morto,rese celebre la memoria di lui? E non fu la verità ster fa, che animò la sua tromba, quando ce. lebrò quel paese. Dove un Eroe audace, e saggio Nestore, e Achille in un fa fede al Mondo, Che l'Italo valor non è ancor morto. Troppo fiera fu adunque l'idea, ch'egli fi formò in questo suo Saggio di un Principe guerriero,potendo essere molto bene, e che Romolo abbia la maggior parte del suo Regno passato in pace, e che ciò non ostan te a sminuir non si venga la gloria milita re, dicui gode presso gli Storici. E che nell'arti nonmeno di pace, che 4   fia di ordinare lo stato va divisando. Ne meno di un Romolo vi avrebbe voluto,per assodare, ed unire con faldi nodi una sì mal ferma società, e per ispirare la dovuta fom missione, una sola foggia di vivere, di pen fare in certo modo, l'amordella patriaido. lo de’ Romani., e fonte di tutte levirtù loro, in uomini di varie nazioni, di non ottimi costumi, per l'armi, e per le vittorie feroci. Nè quelle parole, che Plutarco mette in bocca di Numa, quando per sottrarsi dallo accettare il Regno offertogli insiste, dicendo, che di un uomo di spiriti ardenti, e in sul fior dell'età, che non di un re ma di un condottier d’esercito hanno di bisogno i Romani per fronteggiar que'potenti nemici, che Romolo avea lasciato loro sulle braccia; quelle parole, dico, non sono da tanto, come si cre dell’Autor nostro, che, anche concedendo non esservi ftata dopo l' anno diciassettesimo del Regno di Romolo guerra alcuna, perciò ritrar debbasi la morte di lui al diciottesimo, o ventesimo anno del suo Regno. Temeva Numa, che i po poli circonvicini, i quali non s'attentavano di moleftar i Romani, poichè ben sapevane  qual d4 Plut. in Numa, Storici, che finsero aver que'personaggi, i quali a favel lare introducono, ragionato secondo le cir costanze, e giusta l'indole loro. Dalle mal sime, che nel corso del suo Regno dimostrò Numa, dalla non curanza di luiper gli ono ri ricavo Plutarco questa parlata da lui fat ta, rifiutandoil Regno offertogli da'Romani. A proposito del qual nulla trovarsi appreffo Livio, altra prova. forse della sua trascuratezza, e che Dionigi rifiuto è da notare qual prode Principe li reggeffe, non pren dessero animo dal genere di vita tranquillo, e filosofico, che noto era ad ognuno essere da lui professato, e non volessero lasciarsi sfuggir di mano una occafione sì favorevo le di abbattere un popolo, il quale già d a to avea tanti non dubbj fegni di voler fot tomettere le confinanti nazioni, ed in queto modo è da intendere, che Romolo la sciato avesse potenti nemici sulle braccia a' Romani. Senzachè, per non ripeter quello, che già disfi, e di nuovo mi converrà dire intorno al poco credito, che far sidee della autorità di Plutarco, certa cosa è, che quelle parole, le quali presso di lui si leggono come di Numa,s'hanno ariguardarealpari delle altre concioni,sia di LIVIO, chedilui, quai lavori della mente degli Storici 1  fire stringe a dire, che avendoperbuo no spazio di tempo ricusato ilRegno, s'in duffe poi ad incaricarsene a persuasione de' fuoi, è inutil cofa riuscirebbe cercar in Lo stesso Plutarco poi è quello,che fom miniitra il fondamento ad un'altra ragione, con cui ftudiasi il noitro Autore di abbre viare il Regno di Romolo. Ammette.egli adunque, che nel cinquantesimoquarto anno dellasua età giunto siaa morte Romolo, ma conceder poi non vuole,che difolidi ciassette anni abbia cominciato a regnare, la qual cosa è forza dire, quando foftener si voglia, che di anni trentotto stata sia la durata del Regno di lui. Le ragioni, che egli adduce per mostrare non poter Romolo esser cosìper tempo falitolulTrono,non fono altre, se non che ciò ammesso,non po. terli quelle tante cose, che questo Principe facea secondo Plutarco con sì tenera età conciliare; ed essere maggiormente impro babile, che si giovane abbia fondato u n a Città, fiasi fatio Capo di un popolo, ed  pone Plutarco. 1 abbia sto Storico quelle parole, che in bocca gli Dionyf. Halic. Plut. in Romulo. que   A., Disc, milit. Disc. Per via della conversazione, dice che Plutarco conviene instruirsi delle particolarità, che sonos fuggite agli Storici abbia guidato difficilissime imprese, c o m e a tutti è noto. Ma io non so ritrovare in primo luogo ripugnanza veruna tra la età, e la condot ta di Romolo innanzi a'principi del suo R e ' gno,principalmente se vogliamo attenersi a ciò che di lui narrano LIVIO, e Dionigi, e non ricorrere a Plutarco quale pren dendo le notizie dalla bocca di que' Romani, con cui conversa, come stesso'noftro che dalla venerazione, in cui quelli tenevano dell' Imperio leggiadro Autore, ben è da credere, ogni cosa, che appartenesse al Fondatore loro,sia Scrittor erudita, ed elegante, dice che la grandezza sero i Romani cia, e dell'Alia dopo le conquiste, avea (parfo voluttà non ebbe, e di gloria fu que'pri lume di chiarezza de’ m i loro antenari posteri, qual rozzo, e barbaro popolo sem il, i quali senza la fama avverti lo. Un, che in fatto di stato ingannato Francese pari, a cui giun della G r e per così dire un Non so sei moderni noftri Criticii le Clerc, é i Muratorigli avessero menato buono tal fuo Criterio. Euremont Ouvres mélées, pre  Montesq. Consid. sur les causes de la grand. Des Rom. a segnes venando peragrare falous: hinc robore corporis bus animisque fumo jam, non feras tantum fubfiftere, fed in latrones praeda onuftos impetum facere, pastorie busque rapta dividere, et cum his crescente in dies grege juvenum ferias, ac jocos celebrare,  pre 1 farebbono stati riguardati dalle colte n a zioni. Io non voglio per niun modo adot tare il parere di lui, anzi penfo, che lo stesso Montesquieu, il quale osservò c o n occhio si filosofico tutto il corso della Romana Storia, abbia avvilito di non  Dionyf. Halic. ful bel principio della sua Opera (n) l'ori gine di quella Città Regina; ma credo Tuttavia di potere a buona ragione sospetta fondato sopra popolari tradizioni, e proveniente dalla bocre del racconto di Plutarco ca di coloro,che qual Nume Romolo ado ravano, quando nè Dionigi, e nè pur LIVIO danno di ciò il minimo cenno. Ed in fatti Dionigi ci fa sapere soltanto, che i due giovani Principi furono condotti Città de'Gabj, perchè loro s'insegnassero leLettere,laMusica,ed ilmaneggiarle armi alla foggia Greca insino a tanto che pervenissero alla pubertà, e tutti que'p r e gi, i quali attribuisce loro LIVIO. Quum primum adolevit aetas nec inftabulis, nec ad peco troppo alla  disconvengono punto alla giovanile età, a n zi più diquella, ched'ogni altracomecor porali esercizj fon convenienti. M a su via concedasi per vero ciò, che dice Plutarco, sarebbe poi da farne le maraviglie, che un giovane d'ottimo ingegno fornito cominci a dar segni di quella prudenza, che ha da tilucere un giorno in lui. Educato Romolo, come fu, non v'ha inverisimiglianza nessu na,cheinlui,avvegnachè giovanetto,sfa villasse un raggio di qualche cosa maggior del comune Ma dirà egli, per quanto, e dalla natura di belle doti fornito,e dalla educazione in strutto suppor si yoglia Romolo, che abbia edificato una nuova Città, che si sia fatto capo d'un popolo, che abbia guidato diffi cilissime imprese, sempre con si tenera età mal potrafficoncordare. Non sipuò nega re, che di troppo maggior forza, che non  e cominciassero a svilupparsi que'semi di generosità, che dalla sua prin cipesca origine avea tratto? Oltre di che quan te volte il corso dello ingegno è più velo ce di quello degli anni? Una illustre prova ben ce ne diede lo stesso noftro Conte A., il quale nella sua prima età in molte, e varie facoltà dimostrò l'acume, e la perfpicacia dell'ingegno suo. la   la precedente sia questa ragione: vediamo con tutto ciò il modo, con cui Romolo di venne Re, e non parrà più forse tanto dif ficile il concepire, che si giovane sia giun to a tanta grandezza; e prina d'ogni cosa prendiamo le più sicure notizie di quello, che è succeduto dalla nascita di Romolo in Gino al tempo, in cui fu innalzato alTrono. A tutti que'racconti della infanzia diR o molo io ltimo doversi preferire quello di F a bio antico Storico seguito da molti, come dice Dionigi, ed acui più propende egli medesimo, come quello, che favole chia m a le narrazioni degli altri Scrittori. Egli adunque rigettando quella poetica finzione della Lupa, nega insino, che fieno stati ef posti i due gemelli; che anzi afferma aver Numitore per destro modo sottoposti altri fanciulli, i quali furono da Amulio spieta tamente trucidati. Quindi essere stati i due Principi da Faustulo educati, ed inviati, perché ricevessero una insticuzione, secondo che richiedeva la origine loro, alla Città de' Gabj; il qual Fauftulo, per dirlo alla sfuga gita, quaprunque pastore de'Regj armenti, è da credere fosse poco meno di un uomo  Dionyf. Halic. di   di stato de'nostri dì, attesa la semplicità de costumi di que'tempi. Ritornati poi dalla Città de'Gabi, legue a dir Fabio presso Dionigi, di consenso dello stesso Numitore, i due giovani Principi fi azzuffarono co'p a stori di lui, e gli sforzarono di ritirarsi in un co'loro armenti dà certi pascoli tuttoc chè comuni. Questo aver fatto Numitore per poterli accufare, e trovar m o d o di far entrare senza dar sopetto tutti que' pastori nella Città. Ordita una tal trama, esser v e nuto Numitore dal fratello Amulio a lagnarsi, e chiedere a lui, che gli dovesse consegna Te que'due Fratelli col Padre loro, i quali l'aveano sì villanamente oltraggiato, e d a n neggiato nelle cose sue, se pure seguito era ciò senza colpa di esso Amulio.Amulio per dare a divedere, che avuto non ne avea al cuna parte, manda tosto per esli,  dando,che nella Città venir dovessero non il solo Faustulo co'suoi supporti figliuoli, m a tutti coloro eziandio, i quali erano di tale delitto accagionati. E con tal mezzo essen dosi, oltre a 'rei, grandissima moltitudine nella Città introdotta, Numitore, dopo aver a' giovani l'origine loro, i loro cali, e le offele da Amulio ricevute, averli scoperto animati alla vendetta, ed averli persuasi a esli, coman non  non lasciarsi sfuggir di mano sì favorevole occasione di eftirpar quel Tiranno come fe cero. Questo è quanto si raccoglie da Fabio presso Dionigi; narrazione, lia per la quali tà del testimonio, sia per la veritimiglianza, da antiporsi sicuramente a quella di Plutarco, che porta in se stessa scolpito ilca rattere della finzione, e che al primo aspet to si dà a conoscere per lavoro della fanta sía de'Romani de'suoi tempi, da cui attin geva questo Storico le sue notizie, i ogni cosa nel loro Fondatore finsero straordi naria, e maravigliosa. N o n fu adunque solo Romolo in quella impresa, anzi fu a quella stimolato dall'Avo, e fu diretto da quello il suo valore, perchè produr potesse non solo discordie, e sangue, ma utilità, e fi curezza. quali  con Non voglio poi ora parlare diquellaopi nione accennata da Dionigi e se non -abbracciata, nemmeno riprovata da lui, che R o m a stata sia anteriore a Romolo; onde egli non Fondatore diquellaCittà,ma Capo soltanto d'una colonia chiamar 'si debba; Plut, in Romulo. Dionys. Halic. concedo, che ne sia stato ilFondatore,ma è da sapersi, che, ha l'idea di edificare una Città, lia i mezzi per condurla a fine, fu rono opera di Numitore, e non diRomolo. Dionigi di questo ci assicura, dicendoci, che due fini il mossero a ciò fare; primie ramente per dare un ricetto degno di loro a'due giovani Principi, in secondo luogo per isgravare la troppo grande popolazione della Città di Alba, allontanando principal. mente coloro, che avean seguito le parti di Amulio, ond'egli poteffe regnare libero di ogni sospetto. La qual cosa è, avvegnachè oscuramente accennata da Livio (u): per ciocchè dicendo questo contro l'autorità però e di Fabio, e di Dionigi, i quali per ianti rispetti degni sono di maggior fede, che il disegno di fabbricare una nuova Città fu pure Numitore,  opera della mente dei due Fratelli,m a n i felto indizio, che troppo non erasi studiato di diradar le tenebredi que'primi secoli, soggiugne, ch'eravi allora una gran molti tudine diAlbani,e di altri,con cui pote vano popolarla. Nè mancó Lores quoque accefferant, come. Dionyf. Hasic. LIVIO. Supererat multitudo Albanorum, Latinorumque, ad id per come attesta Dionigi, di somministrar loro e danari,ed armi,ed ognialtra cosa,che abbisognasse per edificareuna Città. Ed a quella parte di popolo, che seco condot ta avea Romolo, fra cui eranvi non po chi de' principali di Alba, iecondo il parer dell'Avo, ragionò sul cominciare della edi ficazione. Dal tutto il fin.qui detto pertanto ftati  e Dionyf. Halic. Dionys. Halic. Dionyf, Halic. ramente ne risalta non esserpunto cosa in verisimile, che di soli diciassette anni, o di diciotto abbia potuto Romolo farquello,che pur fece, se lipon mente, che in quelle sue prime imprese ebbe sempre a'fianchi l' Avo, ed ogni cota secondo il consiglio di lui esegui;fu egli l'Achille d'ogni impre fa,Numitore ilChirone. Tanto ho stimato dovermi stendere su que ho particolare, perchè non è Plutarco il solo, che ciò scriva; ma lo stesso Dionigi chiaramente attesta aver Romolo incomincia to il fuo Regno di foli diciotto anni. Vero è, che se si dovessero togliere dagli anni, che corsero avanti N u m a cinquanta giorni, i quali vogliono molti Autori essere 1 chia. stari aggiunti da questo Re, oltre ad undi ci giorni, che pur mancavano all'anno fe condo la riforma, ch'egli ne fece, tre anni fi vorrebbono togliere dalla età di Romolo, quando ascese al Trono, nè vi farebbe per venuto di diciassette, o diciotto anni, di quattordici, o quindici. Anche ciò con cesso nel modo, che divenne Re, non sa rebbe gran meraviglia, che divenuto lo foffe in età si tenera, non avendo forse altro egli fatto, senon imprestare ilsuonome alieim presedell'Avo:ma dipiùsivuolnotare che quegli Autori, da cui raccogliesi esser giunto al Solio Romolo di soli diciassette, • diciott'anni, non sono di parere, che tanti giorni mancassero all'anno avanti Numa. za  r Dionigi, il qual dice (aa) essere il Fon dator di Roma morto di cinquantacinque anni dopo averne regnato trentafette, e che aggiugne sulla testimonianza di tutti gli a n tichi Scrittori, i quali parlarono di lui, che molto giovane fu innalzato al Solio vale a dire di soli diciott' anni, di questa rifor ma dell'anno fatta da Numa, per quanto io ne abbia osservato, non ne dà alcun cen no, silenzio, che congiunto colla accuratez Dionyf. Halic. Plut. in Roinulo. Plut. in Numa. LIVIO;  MACROBIO Salurnal. Numa quin quaginta dies addidit, ut in trecentos quinquaginta qua. suor dies za di lui mi mette in dubbio della verità della cosa.Plutarco poi, che dice esseregli morto di cinquantaquattro anni, onde abbia dovuto incominciare ilsuo Regno di diciassette, parla di questa riforma, ma vuole, che Numa altro non abbia fatto,le non aggiugnere gli undici giorni, che m a n cavano all'anno, e togliere l'irregolarità de' mesi, che erano in uso, essendovene tale, che non giungeva a venti giorni, e tale, che giungeva a trentacinque e più. Che al tro egli non abbiafatto, che regolare i mesi, ed aggiungervi alcuni pochi giorni, è quello pure, c h e intorno a questo raccogliere fi possa da LIVIO. So, che molti Scrittori, come MACROBIO, OVIDIO, CENSORINO, ed altri furono di contrario parere. Si dee però distinguere tra quelli, che asserirono, che l'anno avanti Numa era di soli dieci mesi, e quelli,che dissero precisamente di quanti giorni fosse composto, perchè potrebbe essere, trattan e2 dosi annus extenderetur, OVIDIO, Falt.] dosi di Scrittori molto lontani da'tempi di Numa, che da quelli, i quali lasciarono scritto essere stato l ' anno avanti Nu ma di soli dieci mesi, abbiano altri, come forse Macrobio,argomentato, che l'anno foffe di foli trecento e quattro giorni, la qual congetturą ognun può vedere, quanto sarebbe · fallace, potendo esser benissimo, che fi fa. cessero avanti N u m a dei mesi più lunghi a l fai del convenevole, e si venisse a compor re con foli dieci mesi l'anno di trecento cinquantaquattro giorni, non di foli trecento e quattro. Del resto il.Signor Dacier afferma, che alla opinione, che di soli trecento e quattro giorni fosse composto l'anno avanti Numa prevalse quella, che giugnesse ai trecento cinquantaquattro per l'autorità principalmen te di Fenestella, e di Licinio Macro. Credo pertanto, che ciò basti per togliere quello 'ombra d'inverisimiglianza, c h ' altri ritrovar potesse tra l'età di Romclo, e l'elier egli giunto ad ottener la Corona, dovendosi, le condo la più comune opinione, togliere fol tanto pochi mesi, che risultano dagli undici giorni, i quali mancavano all'anno avanti (f) Dacier nelle note alla vita di Nuina di Plutarco, Numa, Così dice il Signor Dacier nelle mentovate sue annotazioni doversi leggere Plutarco, e non trecento e sessanta, come molto bene lo dà a di vedereil contetto,  Numa, e non tre anni dalla età di diciotto. Senzachè a me baita, come già disfi, che da quegli Autori, da cui fi rica-. va questa età di Romolo quando fali sul Trono, non fi può l'obbiezione dedurre in modo alcuno, anzi il primo glıtoglieilfon damento, non parlando di questa riforma. lui di dell' anno, te, il secondo la confuta espressamen dicendo, che l'anno avantiNuma giun geva ai trecento cinquantaquattro giorni. Onde mi pare a sufficienza dimostrato, che tuttique'fatti,iqualirecatisono inmezzo dall'Autor nostro come ripugnanti alla d u rata del Regno del primo Re diRoma,ot timamente con questa possono conciliarsi, e vengono a perdere.ogni lor forza, e a di. leguarsi cutte le contrarie ragioni. L'Ami des Hommes Des Pro cui  V. Fondare Regno di Numa. CAPO Ondare un Regno, e dargli le leggi sono due operazioni cosi fra loro diverse dice un valente Politico, che richiedono per lo più due distinti Principi per eseguirle. Nascono ordinariamente gl'Imperj nella fe. rocia de'popoli tra la discordia,e learmi: laddove la Legislazione (intendo io di quella, che veramente meriti un tal nome ), è uno de'più preziosi frutti della pace.Ed èben conveniente, che ciò, che rende per quan to si può gli uomini felici, tra quello for ger mal poffa, che ne fa l'infelicità m a g giore. Ed in effetto le leggi di Romolo,. di cui abbiam sopra fatto parola, riguarda vano soltanto lo stato corrente degli affari, erano leggi, che abbisognavano, per così dire, allagiornata. Numa si che fu poi quello, che concepì una vasta pianta di L e gislazione, un general Sistema, il quale m i rar dovea alla eternità; Sistema, che sotto di se comprendeva eziandio la Religione,di hibitions. Ma l'Autor noftro, quafichè ridur non si possa a credere, che senza alcuno indirizzo ira popoli feroci, e pressochè barbari, g i u n gere Per  fia potuto Numa a tanto senno da cui egli secondo l'uso de' Legislatori,iquali furono a' tempi degli Dei bugiardi, utilmen te fi servi per fiancheggiarne quelle leggi, quegli instituti, que'coitumi, e quelle opi nioni, che a parer fuo doveano maggiormen te contribuire alla felicità della Nazione: per se, mette in campo quella tradizione, che correva per bocca de'Romani insin da'tem pi di Augusto, secondo cui dicevasi essere Itato ilRe Numa uditor di Pitagora:onde le belle doti, le quali rilussero in lui, frutto fieno stato degli ammaestramenti di quel Filosofo, la qual tradizione torna molto in a v vantaggio del suo Sistema. Perciocchè, dic' egli, posto che Numa sia stato discepolo di Pitagora, siccome sappiamo da CICERONE, LIVIO, e da altri scrittori esser giunto queIto Filosofo in Italia in età molto lontana dal tempo, in cui comunemente fi pone. Numa, dee questo far accorciare almeno la durata de'cinque susseguenti Regni, perchè il Filosofo possa essere contemporaneo del Re Legislatore. еА 3 da   Per rispetto al qual suo ragionamento dei che se egli si fosse soltanto servito di quella tradi zione, secondo cui dicevasi N u m a essere Itato uditor di Pitagora, da questo n o n avrebbe potuto inferirne cosa alcuna in fa vore del suo Sistema, potendosi una tal voce concordar molto bene coll'antica Cronologia, cioè dicendo, che Pitagora venne in Italia in que'tempi, in cui secondo questa, fi crede regnasse Numa; facendo ascendere in una parola Pitagora a'tempi di lui.Ma siccome egli desiderava farlo discendere a’ tempi pofteriori, non bastavagli questa s e m plice tradizione, bisognava, che d'altronde in cui coreito raccoglier potesse il tempo, Filosofo venne in Italia: preselo da Cicero ne, e da Livio, ma non s'avvide, che vo. lendo servirsi della autoritàloro,erapoi for za rinunciare a quella tradizione base avea posto alla obbiezion sua. Percioc chè vero è bensì, ch'essi dicono esser giun to questo Filosofo molto più tardi in Italia di quel tempo, in cui secondo l'antica C r o nologia regnava N u m a, m a in tanto l'asse riscono in quanto l'uno lo fa contemporaneo di Servio, di Tarquinio il Superbo, o, del Console BRUTO (si veda) l'altro. Volendo pertanto at gno è di particolar considerazione. che per 9 te   266., ed ivi Giamblico, e Diodoro. Diogen. Laert. In Pythagora; Clem. Alex,  il qual venne Pitagora in Italia, poichè ne lia l'epoca, come bene osservò incerta il dotto Gerdil, non però Scritto gran fatto fra loro i più accreditati far ri, i quali di tal sua venuta dovertero fessagesimaleconda te concordano quale asserisce piade 'feffagefima Clemente Alessandri. Diodoro menzione piade sesfagefimaprima sotto la facilmen no, che lo mette conda, e finalmente fotto la pone forto, Giamblico l’Olim, le quali epoche (c), il aver egli fiorito fotro l'Olim con Diogene Laerzio con variano la fessagesimale con Eusebio dice esfer egli morto nel quarto anno della fettantesima Olimpiade Diogene mentovato - ottanta o novant'anni. LIVIO poi, CICERONE- in cui quantunque del in età di, e per attestato Laerzio ne, renerli ad effi, non v'era ragione per a b bracciare soltanto il tempo, e n o n di qual R e fu contemporaneo questo Filosofo le non il tornar questo in avvantaggio del suo Sistema. lo pon parlerò qui del tempo, ntroduz. allo Studio della Relig.; Strom.; Diogen. Laert. ed altri Scrittori in tanto ci danno 19 epoca inquanto,come ho accennato,cidi con di qual Re fu Pitagora contemporaneo le quali epoche però da loro fissate non ef cono dagli anni, che secondo la Cronolo gia comunemente ricevuta, corsero dal fine del Regno diServio, insinoalprincipiodel Consolato; del che niente è da maravigliarsi, poichè essendo probabile aver dimorato in Italia questo Filosofo un notabile spazio di tempo, tale Scrittore avrà tolto l'epoca, di cui fece registro, dall'anno della sua v e nuta,tal altro da un fatto accaduto essendo lui in Italia, tal altro dalla sua partenza, o dal tempo di mezzo della sua dimora, onde possono aver detto tutti ilvero,quando fiasi fermato in Italia non più di venticinque anni, che tanti ne corsero appunto dalla morte di Servio infino al principio del Consolaro. Tutto questo adunque io lafcierò da par te.Concedo, che ammettendo per vera quella popolar voce, essa dovesse piuttosto far discender N u m a a'tempi di Pitagora, che far ascender Pitagora a'tempi di Numa. Ma quello, a cui principalmente badar fi dee, è, che questa tradizione medesima non è fondata sopra alcuna autorevole testimo nianza, che la renda credibile. Vero è,che ne  2 al.  verità  nelsuo gover  alcuni rammentati da Livio, da Dionigi, e da Plutarco furono di parere, che da Pitagora, il quale in quella parte d'Italia, che Magna Grecia nomavası, gittò ifonda menti della sua filosofica serta, N u m a ricevu to avesse quelle maflime di Religione, e di Politica, che pose in opera no. Ma è da considerarsi negar Livio ciò apertamente, non essendo secondo luivenu to Pitagora in Italia,se non sotto ilRegno di. Servio Tullio, e dopo alcune ragioni, con cui studiasi di mostrar l'insusistenza della opinione di costoro, soggiugne, che di sua natura inclinato fosse alla virtù cotesto Re, nè bisogno avesse di straniera instituzione bastandogli la dura, e severa disciplina degli antichi Sabini, de' quali non v'avea una vol ta più incorrotta nazione. E questa se LIVIO. Dionyf. Plut.in Numa.LIVIO. Auétorem doctrinaeejus, quianonexa taralius,falfo Samium Pythagoram edunt: quem Servio Tullio regnante Romaecentum amplius poftannos inul tima Italiae ora.juvenum emulantium ftudia coetus habuiffe conftat..fuopte igitur ingenio, temperatum animum virtutibusfuisfeopinor magis, instru&tumquenon tam peregrinis artibus, quam disciplina teirica, ac tristi veterum Sabinorum, quo genere nullum quondam incorru. prius fuis.   verità origine ebbe per avventura da una Colonia di Spartani venuta in Italia a't e m pi di Licurgo, come appare dalle memorie antiche nazionali portate da Dionigi, e di cui anche ne dà un cenno Plutarco, la qual Colonia è da credere che trasfufo avesse ne’Sabini buona parte de'costumi de' Lacedemoni. CICERONE poi in più luoghi delle opere sue afferma fuor di alcun dubbio esser giunto questo Filosofo in Italia sot to ilRegno di Tarquinio ilSuperbo,eche in Italiapur era a que’tempi,in cui Bruto diedelalibertà a'Romani(h).SottoilCon solato di Bruto lo mette pure Solino, ed AULO GELLIO in fine dice effer venuto questo Filosofo in Italia sotto il Regno dello stesso Tarquinio Superbo. Dirà forse taluno, che l'alterigia de’ Ro Dionyf. Halic. Plut. in Numa in piternum Hanc opinionem discipulus ejus Pythagoras maxime confirmavit, quicum ·Superbo regnanteinItalian veniffet tenait magnam illam Graeciam ec. CICERONE Tusc. BRUTO patriam liberavit. Aulus GELIO Noet. Attic. Poftea Pytagoras Samius in Italiam venit Tarquinii filio regnum obtinente, cui cognomento Superbus fuit,  mani princ. Ferecides Syrus primum dixit animos hominum ellefema Quaeft. Pythagoras, qui fuit in Italia temporibus iisdem, quibus L.   mani fu cagione del non darsi credenza a questa tradizione dai dori, quafichè ellite messero non venir con questo a scemare la gloria di que'primi secoli,, riconoscendo da un Greco l'Institutore della Religione, ed il più favio de'Re loro. Quantunque questa non paja ragion bastante per negare ciò, che gli Scrittori Romani ci dicono: poichè ammessa questa regola, rifiutar fi potrebbe come supporto tutto ciò, che uno Storico narra di avvantaggioso per la nazion sua, v e diam tuttavia ciò, che ne dissero i Greci. E' da credere; che questi sisarebbono recato ad, onore l'aver dato a Romani il Maestro di Numa: che per Greco passò presso Dionigi e Plutarco Picagora, che che ne sia della opinione di alcuni moderni, i quali nè Greco.il. vogliono, e nè, pure di quelle Greche Colonie fondate negli ultimi confini d'Italia.  pal  Ora ciò non oftante Plutarco nonscio glie la quistione, e reca foltanto in mezzo le varie opinioni, che a'suoi di correvano, fra le quali degna è di considerazione quella di coloro, che asserivano essere venuto in Italia un certo Pitagora Spartano, il quale avea nella Olimpiade sedicesima riportata la Plus,in Numar   bre Dacier nelle annotazioni alla sua traduzione francese delle vite di Plutarco; alla vita di Nuina.  palma ne'giuochi Olimpici, fotto Numa terzo anno appunto del Regno di lui il Dacier fi ride di una tale opinione, fembrando a questo Critico ripu gnanza da non potersi comportare, che u n personaggio atto a dare instruzioni ad un Re, e ad un Re,qual fu Numa, abbia gareggiato in Olimpia per ootttenere il premio del corso.Ma a me pare con buona avendo Spartani questi additato parecchj al Re ftrato fondamento uli degli sommini Legislatore alla favola., abbia ed pace di 'un tanto uomo, che le usanze moderne lo abbiano ingannato nel giudicar delle antiche. A tutti è noto, che Socrate il più rinoma to Filosofo della Grecia non isdegnava di suonar la cetra, e che anzi non lasciò di esercitarsi nella lotta; ed oltre a ciò non era poi mestieri, che fosse un gran scien ziato costui per instruire N u m a delle leggi degli Spartani. Si sa, che quel popolo nella rigidezza de' costumi, e privazione di prel so che tutte le cose, le quali rendono dol ce la vita, godeva per altro dell'avvantag gio d'aver leggi, che per la semplicità, e   con  brevità loro, e per la cura del governo nel farle apprendere a'fanciulli erano note a tutti coloro, che doveano obbedirvi. N o n farei pertanto lontano dall'ammettere que fta opinione,se altro non vi fosse in con trario, fuorchè questa ripugnanza ritrovata dal Signor Dacier; m a rinunciar vi fi dee per troppo più forte motivo, ed è la te stimonianza di Dionigi, il qual dice non ri levarsi da alcuna memorabile Istoria, che stato vi sia in Italia altro Pitagora anterio re al famoso Filosofo. Del resto, che il celebre Filosofo di questo nome nonsia stato a'tempi di Numa, con molte, ed incontrastabili ragioni Atelio Dionigi si prova, e di più ac cenna ciò, c h e diede occasione a questa voce sparsası nel volgo, e sono la venuta di Pitagora in Italia, la sapienza di Numa fuori dell'usato della nazion sua, a cui sipuò ag. giugnere la conformità della dottrina, ed il ritrovarsi presso alcuni antichi Scrittori, da cui non dissente Dionigi, che Numa è chiamato al regno il terzo anno della fedi cesima Olimpiade, il qual anno designarono dallo Dionyf. Halic.con dire, che fu quello appunto, in cui quel certo Pitagora Spartano avea riportato il premio de'giuochi Olimpici. E le pure è fondata quella taccia data a Dionigi di derivare da'Greci assai più di quello, che ragion voglia delle cose de’ Romani,Greco da lui efsendo Pitagora stimato, ben è da credere, che nel secolo, in cui eglivivea, fossero i dotii,uomini sicuri della falsità di questa popolar tradizione. Chiaro è adunque abbastanza, che nessun caso si volea fare di questa, quando da'più dotti fra' Romani, e fra' Greci fu non solo rigettata, m 3 confutata eziandio, e quando fondato sopra l'unanime consenso loro già esitato, non avea l'erudito Stanlejo di chiamarla fas vola folenne Quello, di cui abbiamo infino ad ora raa gionato,non risguarda il regno di Numa, m a tendeva ad accorciare i cinque seguenti Regni,ed inquestoluogo se*o'èdovuto trattare, perchè da cosa appartenente a lui ricavata era l'obbiezione. Facciamoci ora a considerare quelle ragioni, per cui accorciar debbasi il Regno di Numa medesimo. Pare adunque primieramente all'Autor nostro, che non Stanlejus in Hift. Philosoph. Io non fo rispondere altro a queste ragio ni,se non lasciare al giudicio di chiha fior di senno,sesianon solo maraviglioso, eri pugnante, ma soltanto fuori dell'ordinario corso delle cose, che, quando un uomo fia stato di singolare ingegno dalla natura for nito, e quand'esso abbia posto cura in col tivarlo, giunga in età di quarant'anni ad acquistarsi il grido di favio: tanto più che sappiamo aver Numa ha l'arte di conciliarsi venerazione presso gente rozza, e per conseguente superstiziosa, collo sfuggire il con  non potesse esser fornito nella fresca età,ei dice, di quarant'anni questo Re di tanta fcienza, e di cosi alto lenno 2 che già ri suonaffe la sua fama non folo pressoi suoi nazionali, m a ancora presso gli stranieri, e che il suo nome già dovesse far tacere in un subito ogni particolar riguardo, e le ani mosità delle parti, che per lo spazio di un anno intero contefo aveano fra loro dello Imperio. Che tale fosse la riputazione, che si avea della sua scienza, nelle cose divine, ed umane, che quantunque i Padri vedes sero la grandezza, che tornava togliendo il Re dalla nazion loro,nondime n o niuno ebbe ardire di preporre ad un tal uomo. alcuno a'Sabini, 7 f   consorzio degli uomini, dimorando ne'sagri boschi, col disprezzar le pompe, M a questo non è il tutto, segue a dire il nostro Autore. Tazio, che reggeva Roma insieme con Romolo, preso al grido della fapienza di N u m a, gli ditde Tazia unica sua figliuola in moglie; ed ancorchè dalla Storia non abbiasi in qual tempo ciò preci samente avveniffe, si può affermare senza tema di errore, questo essere avvenuto nei primi anni del Regno di Romolo dacchè Tazio morì prima della guerra co'Fidenati, e co'Camerį, cioè prima dell'anno sedice TACITO, Annal. Nobis Romulus ut  e le grandezze, e lasciar che corresse la voce dei suoi pretesi congressi colla Ninfa Egeria.La fama della sua giustizia non era tale da afa sicurar i Romani, che non sarebbono stati molestati da 'Sabini, quantunque essi avesse ro tolto il Re della nazion loro? Doveano finalmente concordare una volta i Padri, e stanchi forse i Romani, e mal foddisfatti, come quelli, che dato ne aveano non dubbj segni,del governo di Romolo, il qualpen deva al tirannico, fi contentarono di eleggere a R e loro un Filosofo. fimo, libitum imperitaverat.   fimo, o diciassettesimo del Regno di Romolo; e Plutarco inoltre atteita, che Tazia era morta, quando Numa fu chiamato al Regno, e che era vissutacon effo luilo spazio di ben tredici anni. Quindi ei rac coglie, che gran tempo innanzi fioriva la fama della fapienza di Numa, e dice,che, volendosi ritenere il compuro di Plutarco, sarebbe di necessità asserire contro ogni ve. risimiglianza, che all'età di soli venticinque anni la fama della fapienza di Numa fosse già tanta da indur Tazio Re ad allogare una fua unica figliuola con lui u o m o priva Ed ecco altre opposizioni,a cuidàsem pre il fondamento il folo Plutarco. E che fede fi dee prestar mai a questo Scrittore,  to, f2 е  onde conchiude non potersi fare a m e no di non dare un sessant'anni almeno a Numa, quando ad una voce fu eletto Re di Roma, e ne deduce, che se vogliamo, che, come s'ha dagli Storici, sia vissuto in fino all'età di ottantatré anni, avendo vent' anni più tardi, che non è la comune cre denza, incominciato a regnare, è neceffario, che di altrettanti fi venga ad accorciare il suo Regno. Plut. i n Numa. avanti lui? Per formarci una chiara idea della falsità del ragionamento del nostro A u tore, connettiamo alcune delle epoche di Plutarco, che è il suo Achille per questi due primi Regni col suo Sistema Cronologico. Tredici e più anni avanti alla morte di Romolo ei raccoglie da questo Storicoesser seguite le nozze di Numa con Tazia. Que sto Storico medesimo dice esser nato N u m a nello stesso tempo che Romolo innalzava le mura dell'alta sua Roma: ma vuole il nostro Autore, che di foli diciannove anni circa stato sia il Regno di Romolo, dunque ne seguirebbe a ritenere tutte queste e p o che di Plutarco,e congiungerle col suo S i stema, che nel fefto, o fettimo anno della età  e per rispetto almatrimonio di Numa con Tazia, e per rispetto all'esatto numero di anni, che vissero insieme, minute particola rità, le quali sfuggono agli stessi contempo sanei? D'onde ebbe egli si particolarinoti zie,che aver non potè non già ilsoloLi vio,ma nè pure l'accurato Dionigi,ilqua le tanta maggior diligenza usò nello stende re le sue Storie, che di maggior criterio è fornito, e che visse notabile spazio di tempo Plut. in Numa. 1 età fua N u m a avesse menato moglie, ridi colo affurdo, ed inverisimiglianza troppo maggiore al certo, che non sia quellad' averla menata nell' anno vigesimoquinto. So che rigetterà egli quest'epoca, poichè chia ramente scorgesi doversi secondo il suo Si Itema porre  f 3 la nascita di Numa quarant'anni innanzi alla fondazione di Roma; ma è da riflettere,che se di quelle, direi così, m i nute epoche, di cui favella Plutarco, non ne danno gli altri Scrittori un minimo cen no,nel mettere la nascita diNuma alprin cipio del Regno di Romolo, o là in quel torno, concordano tutti; poichè tanto asse risce Dione, lo stesso si raccoglie a un dipresso da Livio, ed infine l'accurato Dionigi dice che Numa quando giunsealSo lio, era vicino al quarantesimo anno, onde non essendovi, come a luo luogo opportu no abbiam mostrato ragione alcuna di ab breviare il Regno di Romolo, fi vuol pure secondo lui mettere circa a'prinċipj di Roma la nascita di Numa. Perlaqualcosa stra no dee riuscire, che l'Autor noftro rifiuti Dion. Cocej. in fragm. Peiresc. ex ed.Rei. quella mari Hamburg. LIVIO. Dionys, Halic. quella epoca di Plutarco, la quale è atte Iata dagraviffimi Scrittori,ed ammetta quel le, nello asserir le quali trovasi solo questo Stórico. E' adunque forza rigettare le epo che di Plutarco, e queste sue minute noti zie,non solo perchè incerte,ma perchèfe fi colgono tutte insieme mal congiungerli possono col Sistema del nostro Autore. Per rispetto poi a quelle parole di questo R e presso Plutarco, con cui rifiuta il R e gno, le quali pajono a lui disdicevoli i n bocca  M a concediamo, che queste particolarità accertate fieno, e n o n ripugnino col Sitte m a di lui le epoche stesse di Plutarco, che grande assurdo ne seguirebbe poi? Che Tazio avrebbe data lasua figliuola in isposa a Numa, mentre questi era di soli venti cinque anni;a Numa de'principali fra' Sa bini; a Numa, che già erasi acquistato per avventura riputazion d i fapiente; a Numa infine, che quantunque giovane, ben si può far ragione dal gran renno, che poscia di mostrò, che di venticinque anni uguagliasse molti uomini, i quali già fossero avanti nell' età. Qui mi pare in una parola, che la grandezza moderna abbia offuscato l'intellet to del nostro Autore nel recar giudizio dell' antica semplicità. E' ben vero però, che fa d'uopo fer marsi ancora alquanto intorno ad una sua considerazione, la quale entrambi gli abbrac cia,ma spero,chemi verrà fatto di dimo, bocca di un uomo di soli quarant'anni,già ne abbiamo sopra ragionato. .Basta aggiugnere, che quantunque proferite le avel le questo Re Filosofo in taleesà, male non gli sarebbono state in bocca. Forse tuttigli uomini hanno da potersi vantare di militar bravura? E quando vantatosene fosse,non era egli noto, che mai vissuto non avea fra l'armi? Concedası, che questa dote fosse necessaria ad un Principe in quelle circostan ed egli appunto mostrò di stimarla tale e per questo accettar non volea l'offertagli Corona. Non hanno pertanto da parer disdi cevoli, e vergognose in bocca di un Filosofo di quarant'anni, mentre Numa di tutt' altro pregiavasi, che di stare in full armi, ed avea preso b e n diverso cammino per giungere alla gloria. Laonde mi pare, che già li fia fatto chiaramente vedere, che per quello, che spetta a'due primi Regni, non avea l'Autor noftro per accorciarli. alcun bastantemotivo Itrare ze, f A (+) Cap ly.   Strare non aver questa maggior forza delle altre sue obbiezioni. Pare adunque all'Autor noftro improbabile, Tullo Ostiliori accendere petti de'Romani (nervati che abbia la bellica virtù ne® di sessantacinque anni dice risultare l'antica Crono logia da quarantatré anni del Regno di Numa, da un anno d'interregno, e da ven tuno pacifici già da una pace anni, i quali sessantacinque di Romolo. secondo potuto samente potuto Tullo Ostilio delta re dopo sì gran tempo Romani, e guidarli come ei fece si animo alla vittoria: fi ponga però soltan to mente alla pace, da cui uscivano i Romani, e biano interrotto l'ardor guerriero n e ' per qual guerra una e chiaramente fi verrà a comprendere, come ciò fia poflibile. tal pace ab Lasciando ora da parte, se quegli ultimi anni di Romolo sieno stati cosi pacifici come si dà a credere il nostro Autore, o fe almeno, come abbiamo sopra mostrato, non abbia quel bellicolo Principe mantenuti vivi gli spiriti marziali ne'suoi Soggetti; venia mo a vedere, fe ammettendo questasilun ga pace,ne risulti tale inverisimiglianza, per cui abbiasene a negar la possibilità. Tutta la ripugnanza consiste nel concepi come abbia те, La pace de'Romani non era nata dall' ozio, è dal timore, ma era una pace, che ben lungi dal paventar de'nemici era in istato di farsi temer da quelli:onde non dovea pure sembrare improbabile al nostro A u tore, che le circonvicine nazioni gelose della grandezza di Roma non ne abbiano turba ta la tranquillità. E che senno sarebbe stato il loro di romper guerra con un popolo pol sente, e valoroso, che vivea in pace bensi, m a in una pace lontana dalle morbidezze, dura, rigida,anzi feroce, che non le of fendeva in cosa alcuna, che dava speranza in fine di voler depor l'armi, confervar l' acquistato, nè più curarsi di estendere i confini? Aggiungafi inoltre di quai belle doti a b bia il saggio N u m a fornito i suoi soggetti pendente il suo pacifico Regno. Numa acconciò il popolo a Religione, e Divinità, per servirmi delle parole di Tacito, fu, vale a dire, datore di quel freno, e {pro ne sì necessario, promosse, favorì, e ftudioffi in ogni modo di farfiorirel’Agricoltura,co me hassi non già dal solo Plutarco, ma da Dionigi eziandio. Ora ciò posto non iscriffe Plut, in Numa, Dionyf, Halic. TACITO, Annal. Che A. Saggio sopra il Gentilefiro  go lo stesso noftro A., seguendo il parere del Segretario Fiorentino, che, se dove sono le armi, e non Religione, con dif ficoltà fi può quella introdurre, dove è Religione, facilmente si possono introdurre le armi? E in quanto allo avere un popolo di agricoltorinon avrà egliavuto probabilmen te sotto gli occhi una riflessione veramente aurea diPlutarco,laqualequestopiùFilo. fofo, che Storico inserisce nella vita di Numa, ed è, che, se in villa si perde quella temerità, e malnata voglia, che ci spinge a rapire le sostanze altrui, fi conserva però ottimamente tutto il necessario coraggio per difender le proprie? Che più? Non diceegli stesso, che quel Principe, che ha uomini può farne presto de'soldati, che un zappatore, un contadino li avvezza agevole mente a marciare, a patir caldo e gelo, alle fatiche, ed agli ordini della milizia? Ecco in qual maniera da que'robusti contadini, della Religion loro veneratori, amanti della patria abbia Tullo Ofilio potuto ben tosto crarre un poderoso esercito. A. Viaggi di Rusia ra, avere Che se altri poi si volgerà a considerare, per qual guerra abbia questo R e rotti gli ozj dellapatria, e spintii Romani all'ar mi, come s'esprime Virgilio, vedrà,che ca de rovinata del tutto la ripugnanza i m m a ginata dal nostro Autore. Nella prima guer che ebbero i Romani dopo il Regno di Numa, non trattossi di uscire dal proprio paese,e andarad invaderecon armata ma no l'altrui, trattosli di difendere i propri confini dagli Albani', che per gelosía d'ima pero vollero la guerra con esli, e le per avventura non si-sarebbono questi accinti di buon animo ad una straniera espedizione, è da credere, che non avendo ne'campi perduto il necessario coraggio per difende re il suo, con tanto maggior ardore moffi G fieno a rintuzzare la forza degli ingiusti aggressori. Che tali poi fieno stati gli Alba ni, avvegnachè Livio secondo l'usanza fua distintamente non ne favelli, non ce ne lasciano dubitare e Diodoro Siculo, e lo Atesso tante volte lodato Dionigi. Per ciocchè il primo dice, che finfero gli Alba ni di aver motiyo di lagnarside'Romani per LIVIO Diod. Sicul. excerp. Legat. Dionys Halic. iRomani sia per gara di primato, sia a cagione di questo stesso maltalento, che contro esli gli Albani dimostravano, non mancassero di corrisponder loro in malevolenza, e già in questo modo fparli fossero que'semi di odio, i quali scoppiarono poi in guerra manifesta. Nè tralasciarfidee,cheilnuovoReTullo Ostilio già erasi colle sue belle qualità cat tivato l'affetto de'Romani, e col distribui re a'bisognosi cittadini certe terre, le quali aveano appartenuto a'due primi Re, come scrive Dionigi, avea già dato ad effi  avere un pretesto di muovere contro esli, come quelli, che portavano invidia alla p o •tenza loro; e Dionigi attesta, che Cluilio Dittator di Alba volle la guerra co’Roma ni, e permise a'suoi di dare il sacco impu nemente alle terre loro.Aggiungafi, che gli Albani, come sopra abbiam cacciato una parte del popolo loro, la qua le a persuasion di Numitore, che per rego la dibuon governo volea purgarne laCittà lua,era ita con Romolo probabile, che vedessero di mal occhio cre sciuta a tanta grandezza una Città formata de’rifiuti loro, e che d'altra parte riferito, avean a Roma, onde è mo 1 Diony. Halic.  motivo di sperare di dover condurre una vita felice sotto il governo di lui. In abbiano Regni di Tullo Ostilio, Anco Marzio, Ccoci ora giunti al Regno di quel Tullo Oftilio, che meritò di nuovo corona per la sua perizia militare, e guidò alla vittoria. pure il nostro Autore, che d'alcun poco s'ac VIRGILIO, Aeneid,  potuto cor Patria si cara, e che già per le civili, e militari virtù di Romolo, e per lo senno di Numa salita era ingrande stima,ed ono re presso le vicine nazioni. difendere una Eccoci e Tarquinio Prisco. que Ita maniera resta verisimile, che i Romani robusti, e valorofi com'erano dilornatura, offesi da un popolo ad essi odioso, governati, e retti da un favio, e prode Principe, che amavano, Agmina J a m desueta triumphis Questo Regno adunquenon meno diquello del suo fucceffore Anco Marzio defidera   Vero è, che si potrebbe in primo luogo fospettare e dell'età si avanzata di Anco e della stessa asserzione, che questo R e alla morte sua non avesse un figliuolo, il quale giunto fosse alla pubertà. Perciocchè il n o Itro Autore da un'epoca del suo Plutarco raccoglie, che giunto già foffe Anco all' anno sessantesimoprimo dell' età sua, quan do venne a morte, prestando intera fede a questo Storico, allorchè dice, che Anco ni pote di N u m a per parte di una figliuola alla morte dell'Avo già era nel quintoanno dell' età fua; minuta particolarità, di cui egli folo c'instruisce, non facendone motto non solo Livio, m a nè pure Dionigi, entrambi  corcino, avvegnachè non possano chiamarfi di lunga durata, non giungendo ilprimo se non a trentadue anni, ed il secondo a ven tiquattro, secondo la Cronología comunemente ricevuta; e la ragione, che lo spinge ad abbreviarli, non è altra, se non l'improba bilità, che, secondo lui, risulta dal doversi ! fupporre nell'antico Sistema, che il Re Anco Marzio fia morto nella età di anni fel fantuno senza aver figliuoli, i quali già per venuti fossero alla pubertà. Plut. in Numa in fine. i   fe dati questi per ne nyf. Halic. LIVIO. Jam filii  i quali fi restringono a dire, che questo R e nipote era per via di una figliuola del Re Numa. Nè certaèpurequell'altraal serzione del nostro Autore, che alla morte di Anco non fosse ancora alcun suo figliuo lo giunto alla pubertà: perciocchè, te LIVIO descrivendo non troppo accuratamente quel primo secolo di R o m a secondo l'ufan za fua,diceallasfuggita,cheifigliuolidi Anco erano vicini alla pubertà, Dioni gi, il quale con occhio più diligente scorse que'tempi, attefta, che uno de'sopraccen nati figliuoli era già pervenuto alla pubertà, e l'altro ancora fanciullo (e). Dubbiosi sono pertanto,per nondirfalsi,ifondamentidella difficoltà. Vediamo ora, veri fia almeno questa convincente". Perdonimi  A.; ma io debbo con fessare, che quando lessi questa parte del suo Saggio,non potei fare a meno di non com piangere m é costesso la deplorabil sorte della umana ragione, non potendosi coloro, che LIVIO. NumaePom pilii Regis Nepos filia ortus Ancus Martius erat.Dio prope puberem aetatem erant. Dionys, Halic. ne fanno la gloria, qual certamente egli era liberare da'pregiudizi pienamente. Grave presunzioneinvero contro alla giustiziadella causa si è l'esser forzato un u o m o del suo senno a ricorrere a tali ragioni per sostenerla. La grande impressione, che avea fatto in lui il Sistema Cronologico del Neutone, 1'opinione, che aveva della dottrina di quefto Filosofo fecero sì, che lasciò sfuggir dalla penna certe ragioni, le quali eglim e desimo, le altri gliele avesse opposte, non avrebbe né m e n o degnate di risposta se è da credere, che tutti gli uomini facciano, e d Anco medesimo abbia fatto quello,che pru dentemente far fi dovrebbe. Se finalmente anche concesso, che ne'giovani suoi anni abbia   Lascio pertanto al giudizio de'giusti matori delle cose, se l'esser morto il Re Anco Marzio in età di anni sessantuno fen za aver figliuoli, i quali trapassasseroiquac tordici ami, sia tale inverisimiglianza, che ci sforzi a negar fede a'più gravi Scrittori delle cose Romane di que'tempi, e lascio per conseguente pure al giudicio loro, fe, fupposto, cheil partito prudente fosse di tor moglie, essendo egliancor giovane perpo terlasciare, come l'Autor nostro s'esprime, dopo le figliuoli attial governo, esti abbia tolto moglie, sia cosa inverisimile, che se non tardi abbia avuti figliuoli,o pu re morti fieno avanti lui i primi,non rima nendovi che gli ultimi. Tutte queste cose, come dicea,io le lascio al giudicio de'let tori, e mi reftringerò soltanto a dimostrare, che la speranza, la quale prudentemente a y rebbe potuto nodrire, che i suoi figliuoli poteffero succedergli nel Regno, non era tale da spingerlo a tor moglie affai per tempo, la qualcosa per recare ad effetto mi con verrà indagare attentamente quelle leggi, o per dir meglio costumanze,secondo cuicrea vanli i Re di Roma; tanto più che, oltre all' effere materia per se importante, non ci riuscirà forse inutile l'averla trattata nel de. corso di queste osservazioni. Chi dunque prende a considerare la con ftituzione del governo di Roma a que tem pi,hadapormente innanzi di tutto,che le cose non erano ordinate, come sono negli Statide'giorninoftri, ma chesenonrego lavansi gli affari del tutto all' avventura, elea  forza, e l'accortezza aveano per l'ordina rio'non poca parte nelle deliberazioni. Dif ficile pertanto sarebbe trovare le leggi fone damentali, secondo cui fissata fosse la suc cessione al Trono, ovvero il modo della la g   A due capi ridur si può la base della constituzione di qualunque Stato: al modo, con cui si e leggono, od intendonsi eletti quel Principe, o que' Magistrati, che hanno da reggerlo, ed alla autorità, che questi hanno sopra i loro soggerti. Della autorità, che i Re di Roma avessero soprailorosog getti, non appartenendo punto alla presente quistione, io non farò parola. Chi deside raffe per avventura d'esserne informato, potrà ricorrere a Grozio, ed al Cellario ed a que'luoghi degli antichi Scrittori da essi accennati. Mi volgerò bensì a mostra che Grotius de Jure Belli et Pacis Chriftoph. Ceilar. Breviar. Antiq. Roman..feff.1.1 elezione: tuttavia connettendo alcuni luoghi degli Scrittori, e facendovi sopra alcune ri flessioni, verremo in chiaro, per quanto comportar lo possa un si rimoto secolo, di quelle consuetudini, le quali, secondo c h e io stimo, tenevano luogo presso i Romani di leggi fondamentali. per quanto raccoglier si poffa dalle scarse notizie di quella età il Regno di Roma piuttosto elettivo, che altro chiamar li dee. re, 1 E 03.120.  ma E prima di tutto, le dalla qualitàde'Re, i quali fuccedettero l'uno all'altro, si può ricavare alcuno indizio, certa cosa è, che in que'sette Regni mai figliuolo non succe dette al padre, che anzi tutti furono di di verle famiglie. Non parlo di Tarquinio il Superbo, il quale non per giusta strada, m a colla forza, e per mezzo delle scelleratezze giunse al Trono, a cui mai sarebbe in al tro modo pervenuto.Veda adunque l'Au tor noftro, se dalla elezione di Anco, che nipote era per via di una figliuola di N u che non subito dopo il Regno dell' Avo,ma dopo quello diServioTullioasce se al Trono, inferir se ne possa, che piut tosto pendesse ad essere successivo il Regno di Roma. Che se Tarquinio Prisco allonta nò da Roma i figliuoli di Anco nella ele zione del nuovo Re, la qual precauzione egli s'avvisa dimostrar, che vantassero que sti giovani diritto al Trono,si vuol notare, che tutto facea per li figliuoli di Anco,per muovere i Romani a conceder loro il Regno, e tutto era contrario a Tarquinio. Erano i primi discendenti da N u m a figli uoli di Anco Principe, che congiunto avea le più belle qualità de'suoi antecessori, o n de è detto da Livio uguale a qualunque de' pal. g 2  Pa  LIVIO. Medium erat in Anco ingenium,& Numae, et Romuli memor. Id. ibid. Cap. 14. n. 35. Cuilibet fuperiorum Regum belli ) Dionyf. Halic. Lib. III, pag. 184.  1 Too  passati R e nella gloria delle arti sia di Sequitur jactantior Ancus Nunc quoque jam nimium gaudens popu laribus auris. Uno di questi poi secondo Dionigi già era alla pubertà pervenuto.Laddove Tar quinio oltre ad essere straniero essendo stato dal morto Anco fuo fingolar benefattore d e ftinato per tutore a'suoi figliuoli, la qual cosa fece per avventura, lusingandosi, che avrebbe egli tentato ogni modo di aprir loro la strada al Trono,nè per gratitudine questo dovendofi fupporre ignoto a' R o m a ni, certa cosa è, che eravi ragion di teme re per lui di non poter ottenere il suo in tento, quantunque il Regno fosse elettivo, se i figliuoli di Anco avessero potuto chia marlo, esponendo a' Romani i meriti del paces che di guerra, e quello, che è più grandemente amato dal popolo,secondo che disse Virgilio in que'suoi versi, ove più da Storico, che da Poeta favella. pacisque,& artibus, et gloriapar. Virgil. Aeneid. Padre loro, la di cui memoria era ad effi si cara. Sapea benissimo l'astuto, ed a m bizioso Tarquinio, qual impressione far p o tea nel popolo l'aspetto de' giovani Princi pi, ed il rinfacciargli, che avrebbono fatto la sua ingratitudine. Temè pertanto la pre senza loro giustamente, e trovò m o d o di allontanarli da’ Comizj. Dal fin quì detto chiaramente risulta, che non ostante i pregj, che vantavano i figliuoli di Anco, essendo stati esclusi dal Trono, a cui quantunque per molti motivi gliene dovesse esser chiusa la strada, fu innalzato Tarquinio, ben lungi dall'inferire da questo allontanamento, che nella elezio. ne del R e i voti stessero ordinariamente per la ftirpe Reale, 'avendo un tale allontana mento bastato ad escluderli, se ne dovea a più buona ragione dedurre, che i Romani niun riguardo avessero al sangue Regio nella elezione del Re loro. min, Alienum quod exaétum: alienioremquod ortum Corin tho:faftidiendum quod mercatore genitum: erubefcendum quodetiam exule Demararo narum patre, VALERIO MASSIMO, Ma veniamo ora con testimonianze degli Storici a dimostrar maggiormente il diritto de'Romani nell'elezione de’ re loro, eco.. g3  ininciando da Livio: Servio Tullio, dice questo Storico, avvegnachè foffe coll'uso al possesso del Regno, tuttavia perchè sa peva, che il giovane Tarquinio andava dif ieminando esso regnare senza ordine espres so del Popolo, conciliatosi il buon voler della plebe col distribuir certe terre tolte a’ nemici, fi arrischio di porre in deliberazio ne a'Romani, fe volevano, ed ordinavano, che regnasse o no, e con tanto general c o n senso, con quanto per lo innanzi alcun al tro giammai Re fu dichiarato. Ove è da notare,che Tarquinio il Superbo per farsi strada al Trono non vanta già i suoi diritti come figliuolo di Re, nè taccia Servio di usurpatore, perchè coll'occasione di a m m i nistrar la tutela di lui era giunto al Princi pato, m a dice, che fenza espressa elezione del popolo Servio Tullio governava il R e gno: e Servio per dileguar que'rumori,non risponde già non essere un tal consenso n e cessario, ma, assicuratosi prima dell'affetto quam jam ufu haud dubie Regnum poffederat; tamen quia interdum jactari voces LIVIO Serviusquam del a juvene Tarquinio audiebat fe injusu populi regnare, conciliata prius voluntate plebis, agro capto ex hoftibus viritim diviso, aufus eft ferre ad populum, vellent juberentne fe regnare: santoque consena fui, quanto haud quisquam alius ante, Rex eft declarcius;   # Questo è quanto dice Livio lo Storico, di cui l'Autor nostro maggiormente si pre gia; m a per dare a vedere con alcun altro Scrittore la verità medesima, a chi della a u torità del solo Livio non si volesse appaga consideriamo c o m e parla lo ítesso S e r vio presso Dionigi per difendersi dalle accu fe di Tarquinio: mentre io era disposto (ei dice adunque a Tarquinio ) a rinunciare il Regno i Romani mi trattennero, sulqual Regno essi hanno diritto, e non voi altri, o Tarquinj; quindi prosegue: siccome al vostro Avo (cioè a Tarquinio Prisco ) fu dato il Regno, quantunque estero, ed alie nisfimo dalla cognazione diAnco, sprezzati i figliuoli di Anco non fanciulli e nipoti, m a nel fiore dell'età loro, nello stesso modo a m e f u concesso, perchè il Popolo Romano non un erede del Padre metre algo verno della Repubblica, ma un personaggio veramente degno del Principato. Tutto questo vien confermato dalla con g4  'del popolo, pone in deliberazione a’Romani, le volevano, che seguitasse a reggerli, cose tutte, che l'autorità del popolo nella elezione de'Re appieno dimostrano. dotta 1 re, (in) Dionyf.Halic. dotta di Tarquinio Prisco verso i figliuoli di Anco; chi si vorrebbe dare a credere, che un uomo cosi accorto avesse commesso tale inconsideratezza di lasciar dimorare in Roma questi Principi, e non proccurare di al lontanarli per destro modo da quella Città se avesse loro usurpato il Regno? Bisogna credere, ch'ei s'avvisasse dinon esser reo d'ingiustizia veruna contro d'essi, non altro avendo fatto, se non usare una destrezza per ottener dal Popolo una cosa, di cui questo poteva liberamente disporre. Vero è, che sia Anco Marzio, fia Tare. quinio Prisco, destinando per tutori de'pro pri figliuoli personaggi, i quali doveano ef sere per ogni ragione ad elli tenuti grande mente, si lusingarono, che questi proccurasse roa'lorofigliuoli quelRegno, cheime desimi procacciarono per fe, servendosi per l'appunto del credito acquistatofi penden te il governo de'benefattori loro. M a que sta cura medesima, ed il non aver sortito l'effetto desiderato da que’ due Re, dimo-. ftra vie più il poco riguardo, ch'avea il Popolo Romano al sangue Reale nelle ele, zioni de’nuovi Principi. Del resto, se da quel general ritratto de? costumi de'Romani di que'tempi, che racs  Troppo parrà a taluno, che dilungato mi fia in questa materia, la quale in vero non avrei trattato così ampiamente, se non mi fosli dato a credere, che anche prescinden Montes Esprit des Loix LIVIO cogliesi dalla Storia, si può trarre qualche congettura, essendo propria di popoli rozzi peranco e semibarbari una costituzione in forme di governo, non è da credere, che la successione al Trono di padre in figliuo lo stabilita fosse tra esli, essendo questa frut to di secoli più colti, e per recar finalmen. te la testimonianza di qualche moderno Scrit tore ', che questa verità abbia riconoíciuto, basterà per tutte quella del Montesquieu, il quale asserisce chiaramente e fuori di verun dubbio, che il Regno di Roma era elettivo. Veda adunque l'assennato lettore, se la SPERANZA di lasciar figliuoli atti al Regno allamorte fua era tanta da muover Anco a tor moglie assai per tempo, e se anche c o n cedendo tutte le conseguenze, che da que Ro matrimonio cosi per tempo contratto ne deduce il nostro Autore, le quali altri forse non avrebbe alcun ribrezzo a negare il fon damento, che a queste ei pose, siastabile, e fermo fufficientemente. do do dalla nostra quistione, non sarebbe per avventura riuscito discaro il veder posto in pieno lume untal punto. Tempo è ora, che veniamo al Regno di Tarquinio Prisco. Se de'Regni di Tullo Ostilio, ed Anco Marzio toccò per così dire soltanto alla sfug gita il nostro Autore, di troppo più forti r a gioni fi crede afforzato per accorciar la d u rata di quest'ultimo. E qui debbo di nuovo avvertire, che l'essersi egli appagato degli scarsi racconti di Livio, e il non aver rivolto l'occhio a quel lume, che mena di ritto per l'oscuro calle di que' primi tempi di Roma, voglio dire a Dionigi, è stato cagione dell'aver egli ritrovate ripugnanze, che non vi sono. Strana a lui pare, per istringere le sue ragioni in breve,la disfimu lazione de' figliuoli di Anco, che per tren totto anni aspettarono luogo e tempo vendetta, e vendetta ei dice eseguita contro un usurpatore del Regno in pregiudizio loro, avvegnachè fosse itato instituito tor di essi dal Padre medesimo. E d'altra parte a lui pare, che troppo grande disdet ta sia stata la loro, che di tanta dissimula zione dopo aver indugiato intino alla età di cinquant'anni ad operar quel fatto, non ne abbiano colto frutto alcuno alla tu. tuttociò essendo cona rimasi esclusi dal Trono. per altro grido di accurato nel raccogliere i fatti descritti dagli Antichi, e il di cui difetto non è la brevità, cioè, ch'essendo stato ucciso il famoso Augure Accio Nevio colui, di cui si racconta il prodigio vero o supporto della cote tagliata col rasojo, i figliuoli di Anco attribuirono questa uccisione a Tarquinio, fia perchè, essendo il R e entrato in pensiero di far m u tazioni nelle leggi, temeva non gli dovesse di Ma se avesse egli consultato Dionigi, avrebbe veduto, che vero è bensì aver in terposto i figliuoli di Anco trent'otto anni tra la ingiuria, e la vendetta in questo fen fo, che potessero recate ad effetto le loro crame, ma vero poinon è, che in questo frattempo questa medesima scelleratezza altre volte macchinato non avessero,laqual cosa non sivenne a sapere,se non dopochè eb bero eseguita quella tragedia: Chiaramente in farti asferisce Dionigi, ove narra la morte di Tarquinio, che coteíti figliuoli di Anco più volte aveano tentato di togliergli la vita, che anzi aggiugne questa partico larità, omeffa da uno Storico moderno, il quale ha Dionyf. Halic. Rollin Hift. Rom.  di nuovo efier contrario questo Augure,coa m e altre volte trovato lo avea, sia perchè egli non fece le necessarie ricerche per stato a  1 conoscere, e punirne gli uccisori. Riconci liolli Servio Tullio con Tarquinio, ma avendolo ritrovato facile al perdono, dopo tre anni il messero a morte nel modo, che de scrive Livio. Dirà taluno non esser da cre dere, che abbia Tarquinio sì facilmente p e r donato un tale attentato a'figliuoli di Anco; m a forse vero era ciò, di cui l'accagiona vano, e se ne avesse mostrato risentimento, avrebbe dato peso all' accusa. Del rimanen te è da credere, che note non fossero a Tarquinio le antecedenti macchinazioni, perchè dicendo Dionigi unicamente a proposi to di quest' ultima, che lo ritrovarono fa cile al perdono, dimostra, che le altre giun te non erano a cognizione di lui; onde cagion di quella accusa, ben avesse egli m o tivo di tenerli per malcontenti, ma non a segno di volergli toglier la vita. ri che allora pre Anzi di più è da notare cipitarono l'impresa i  figliuoli di Anco, quando sividero chiusa lastrada dipoteredopo la morte del vecchio R e, esponendo i m e riti del Padre loro, procacciarsi il Regno; voglio dire quando giunto Servio inalto   stato presso a Tarquinio, ed instituito tutor re de' figliuolidilui, vedevano, chequesti amato, e ten Tutto questo succeduto non sarebbe, se fosse stato, come pensa l'Autor noftro, Tar quinio un usurpatore, poichè non avrebbo no dovuto tentare tante obblique strade, usar tanta diffimulazione, ed è da credere, che più facilmente, e più presto sarebbono forse venuti a capo de'loro disegni. M a già so pra abbiam messo in chiaro, ch'elettivo ef Tendo ilRegno di Roma ingrato bensi, e sconoscente ad Anco fuo benefattore non usurpatore chiamar fi può Tarquinio Prisco. Strano pertanto non dee riuscire che abbiano frapposto i figliuoli di Anco trentore'anni non già tra l' ingiuria, e la e riverito da'Romani poteva con tro esli servirsi del credito rante ilRegnodi Tarquinio.Fecero per tanto pensiero di arrischiare il tutto iare, le poteva loro venir fatto con una d i {perata impresa di far levare il popolo a r u more,presso cui(prestando fededileggie ri l'uomo a quello, che spera ) stimato a v ranno, potere ancor molto la memoria del di quel Trono, a cui avvisavano di non poter giugnere in Padre, e così impadronirsi altro modo. acquistatofi du ma de   deliberazione, che fecero di vendicarsi,m a tra l'ingiuria, ed il vedere la vendetta loro eseguita non sarebbe questo il solo esempio, che delle contraddizioni c'instruisca dello spirito umano. Non avete, dice pure egli stesso A. Disc,milit.Disc.Sopra la Giornata di Maxen.  Non fa ora quasi più mestieri di farmi a dimostrare, che per non aver esli colto al cun frutto dalla loro lunga dissimulazione, non sidee,come fa l'Autornoftro,negare, che di trentotto anni stato non zio di tempo, il qual corse dalla morte di Anco a quella di Tarquinio Prisco. E chi non sa, che moltissime volte non riescono ad uomini avvedutissimi i loro disegni? Dice pure lo stesso A., che l'efito il quale importa il tutto innanzi agli occhi del volgo, è nulla innanzi a quelli del fa vio? E d ancorchè fuppor fi volesse, che i figliuoli di Anco, i quali aveano per si lungo tempo con tanta cautela l'affare, non avessero poi usate condotto le dovute della c o n giura, non farebbe questo, per servirmi di avvertenze nell'ultimo scoppiar nuovo delle parole di lui in altra sua o p e sia lo spa tan ra  tante volte veduto la medesima nazione, il medesimo uomo prudentissimo ragionevolisii m o in una cosa, imprudente, ed irragione vole in un'altra, benchè in ammendue gli dovessero pur esser di regola le stesse m a l fime, gli itefli principi? Del rimanente chi la, se non si farebbo no gli uccisori impadroniti del Trono, quan do Servio Tullio, e Tanaquilla non foliero stati così avveduti, come e'furono? A tutti è noto, che Tanaquilla fece correr voce, che Tarquinio ancor vivea, affinchè niente si tentaffe di nuovo, e Servio avesse c a m ро di premunirsi. Onde possiam conchiude re, che nè pure in questoRegno diTar quinio vi è ripugnanza tale tra i farti, e le epoche, che ci sforzi ad abbreviarlo. Regni di Servio Tullio, e di Tarquinio E il non aver consultato Dionigi traffe più volte l'Autor noftro in errore, secondo A. Dialoghi sopra l'OtticaNeuron, quello, SE Superbo. Dialog. Per venire adunque prima di tutto alle ragioni, per cui giudica l'Autor nostro d o versi abbreviare il Regno di Servio Tullio: fu Servio, ei dice, ucciso da Lucio Tarquinio, di poi cognominato il Superbo, che voleva ricuperare il Regno paterno toltogli d a effo Tullio, uomo intruso, e dischiattaser vile,e fu ucciso dopo un indugio di qua rantaquattro anni, il che, segue eglia dire, vie maggiormente pare inverifimile a chi fa considerazione, che questo Tarquinio era già uomo da menar moglie, allorchè Servia Tullio divenne Re, ch'egliera dispiritiol tre quello, che abbiam sopra dimostrato, onde ritrovò irragionevolezze, ed inverisimiglian ze tali, che stimò doversi di sì lungo trat to di tempo abbreviar la durata de'Regni de'RediRoma,ilnon aver rivolto lo sguardo a questo Storico assurdi gli fece rinvenire in questi due ulti mi Regni. Perciocchè in vero gliere le difficoltà mosse de'cinque primi Regni contro la durata non avrebbe molte volte fairo mestieri d i mente a Dionigi; m a più difficile riuscireb be il rispondervi per rispetto ultimi,se non si face fleuso della autorità di lui. troppo maggiori ricorrere necessaria. a questi due, per iscio 1   che abbrancato Servio nel mezzo della persona lo si portò di peso fuor della Curia,e gittollo giù perli gradini;ora sea quarantaquattro anni del Regno di Servio si aggiungono venti circa, ch' eidovea ave re alla morte di Tarquinio Prisco,verrà ad esser vecchio di sessantaquattro anni, allor chè dimostrò tanta gagliardía. Questi sono i motivi, per cuistima l’Au tor nostro esser più inverisimile aver Servio regnato quarantaquattro anni, che Tarqui nioPrisco trentotto.Già abbiamosopradi mostrato non esser punto contraria a'fatti la durata del Regno di Tarquinio, ora verre mo a far vedere effer non meno verisimile la durata del Regno di Servio, che quella non  tremodo ardenti, ed ambiziosissimo,.e v e niva tuttodi stimolato ad occupare ilRegno da Tullia sua moglie femmina trista fopra ogni credere, e malvagia. Dal che ne c o n chiude esser m e n o probabile, che Servio Tullio abbia potuto regnare quarantaquattro anni, che Tarquinio Prisco trentotto. Oltre di questo ei riflette, che Lucio Tarquinio, il quale vivente Servio Tullio è sempre q u a lificato giovane, fosse tuttavia giovane, e robusto alla fine del Regno di quello, la qual cosa egli arguisce da ciò, che fi leg ge, LIVIO Tuumeft..... non sia del suo antecessore. Desidererei per tanto prima di tutto lapere, onde abbia r a c colto l'Autor noftro quella particolarità,c h e al principio del Regno di Servio già fosse Lucio Tarquinio in età da menar moglie. Di questo non m i venne fatto di ritrovarne parola presso gli Storici, e non mi posso persuadere, che perchè Livio descriven do le azioni di Servio pone prima di tut to aver egli date in ispose due sue figliuo le a Lucio, ed Arunte, per questo abbia l' Autor nostro stimato di poter mettere q u e sti due matrimoni al principio del Regno di Servio: perciocchè in questo caso ognun vedrebbe sopra quanto fallace congettura egli avrebbe avventuraro questo fatto. M a quando pure da Livio ciò ricavar fi potesse, vorrei di più, ch'altri mi sciogliel se questo nodo, cioè se a tale età già per venuto era Tarquinio Superbo alla morte di Tarquinio Prisco, c o m e riuscir poffa proba bile, che Tanaquilla con quelle si eloquenti parole eforti presso Livio Servio Tullio a Servi fi vir es Regnum, non eorum, qui alienis mani. bus peffimum facinus fecere: erige'te Deosque duces re. quere, qui clarum hoc fore caput divino quondam circum Desidererei pure, ch'altri insegnar mi sa pesse ilmodo dicomporre insieme l'aver Tanaquilla un figliuolo giunto alla luccenna ta età, ed il proccurar, ch'ella fa il R e gno a Servio piuttosto, che a Tarquinio suo figliuolo. E d ecco che senza rivolgere al tro Storico, che il folo Livio, dando vento anni circa a Tarquinio Superbo al princi pio del Regno di Servio, ne risultano in verisimiglianze grandissime, per toglier le quali altro far non si potrebbe, che suppor re fanciullo Tarquinio Superbo alla morte di Tarquinio Prisco; il qual partito essendo a prendere le redini del Regno ancor manti del sangue di Tarquinio Prisco, e a vendicar la morte dell'uccilo fuo marito, A m e sembra, che ad una tal vendetta ad ogni m o d o piuttosto ella proprio figliuolo, se questi già pervenuto era al ventesimo anno dell'erà sua, ed è ben da credere, che u n giovane Principe nel fior de'suoi anni facesse troppo più m e morabil vendetta della uccisione del Padre di quello, che fosse per fare Servio Tullio. fufo igni portenderunt: nunc te illa coeleftisexcitesflama ma:nunc expergifcerevere:& nosperegriniregnavimus: qui fis non unde natus fis, reputa: Si iua, re subita 2 confilia torpent, at tu mea confiliafequere. animar dovesse il fu quello, Posto ora adunque, che ancor fanciullo fosse TarquinioSuperbo alprincipio delRe. gno di Servio Tullio, ne segue, che da lui allevato, non avendo vedute. le grandezze del Regno dell'Avo, del quale lapea. aver Servio vendicata la morte collo allontanarne dal Trono gli uccisori, e per ultimo stret to seco lui in vincolo di parentado, e spe rando di succedere ad un uomo già oltre negli anni per commettere la scelleratezza che commise, dovettero concorrere questi due impulsi, vale a dired' avere a lato una malvagia, ed ambiziosa femmina, e d'ef fer fuori di speranza di poter succedere a Servio Tullio, avendo questi, come ce ne affi e  quello, che toglie tutte le ripugnanze, d altra parte non raccogliendosi dagli Stori ci, di qual' età precisamente ei fosse alla morte di Tarquinio Prisco, sarebbe quello, che prendere li dovrebbe.M a non abbia m o bisogno di congetture, poiché, che Tarquinio Superbo fosse per anco fanciullo, non figliuolo, ma nipote di Tarquinio Pri sco, chiaramente viene attestato da Dionigi; il che dovremo di nuovo notar più fotto. Dionys. Halic. re frapposto qualche indugio, affinchè m a • nifeftamente n o n risaltassero agli occhi i d e suno  5 che ci dicono gli Storici (e), per potere stringere quel scellerato matrimonio, fra l'una delle quali, e l'altra avranno p u assicurano Livio, e Dionigi, fatto pen fiero di rinunciare il Regno, e dare la lic bertà a Romani. Ma è da avvertire, che forse qualche notabil tempo trascorse oltre il ventefimo anno del Regno di Servio, innanzi che si congiungessero con quelle infa m i nozze Lucio Tarquinio, e Tullia: per. ciocchè, fupponendo, che avanti al vente fimo anno del Regno suo non abbia Servio date le sue figliuole in ispose a' Tarquinj, ad ognuno è noto, che Tullia moglie era di Arunte, e non di Lucio, e Lucio a m m o gliato era coll'altra figliuola di Servio, o n de ebbero a passare per tutte quelle scelle ratezze, litti loro. Credo poi veramente, che dopo ch' ebbero coronate le commesse iniquità colle nozze, non si debbano per modo nef h3 LIVIO  tani mite tam moderatum imperium deponere eum inani. mo habuisse quidam Auctores funt, ni fcelus intestinum li. berandae patriae confilia agitanti interveniffet. Dionyfi Halic. LIVIO. Dionyf. Halic. che la ragione, per cui finalmente val sero preffo Tarquinio le persuasioni della sua rea moglie, fu l'aver questi inteso c h e Servio volea dar la libertà a’ Romani, alla qual risoluzione forse fu egli spinto princi. palmente dalle malvagità della figliuola, e di Tarquinio. Vedeva egli benislimo che Tarquinio da lui giudicato indegno del T r o no,appunto perchè tristo,giàdovea forse essersi formato una fazione di ribaldi pari suoi, e che dopo la morte di lui o avreb be forzato i Romani ad eleggerlo a Re lo ro, o pure quando avessero avuto tanto co raggio di eleggerne un altro, prevedeva, che avrebbe tentato ogni mezzo, ed anche accesa una civil guerra per giungere al Trono. E d'altra parte Tarquinio Superbo, se con questa risoluzione di Servio non sifosse veduta tagliata ogni strada, non avrebbe avventurata la sua fortuna e la sua vita LIVIO. Initiumcura  suno passar sotto silenzio i continui stimoli di una donna, quale si era Tullia, onde a buona ragione abbia detto Livio (F), che il principio di sconvolgere ogni cosa da una donna ebbe origine: m a contuttociò io sti me mo, bandi omnia a foemina orium ift   Tolti ora diciannove o venti anni dalla età, che aver dovea Tarquinio il Superbo, onde venga ad essere di soli quarantaquat sro o quarantacinque anni, e non di sessan taquattro, quando gittò giù per ligradini della Curja Servio Tullio, non parrà più in nessun m o d o inverisimile tanta gagliardía. Senzachè io lascio al giudicio degli assen nati, se, anche concedendo, che di sessan taquattro anni abbia Tarquinio fatta una tal prova, menandosi allora una vita più dura, e per conseguente più robusta, ed essendo Tarquinio riscaldato dalla collera, sia poi cosa da farne tanto le meraviglie.Onde mi pare di potere a buona ragion conchiudere, medesima come fece, ma servito fifareb be della fama dell'Avo suo dopo la morte di Servio, che già era oramai pieno di anni per farsi elegger Re da'Romani, cosa, la qual potea giustamente sperare potergli riu sčir più agevole, che d 'intraprendere, com ' egli fece, di usurpare il Regno vivente lui medesimo. Ben vedea, che se tentato avel 1 se inutilmente questo passo di trucidare il suo Suocero, ed impossessarsi coll'armi del Solio, non gli rimaneva più speranza alcu na. Non arrischiò adunque iltutto, senon quando si vide in procinto di tutto perdere. chę ) <che siccome non v'ha motivo di accorcia. re i precedenti Regni, così nè pure ve ne ha alcuno per accorciar quello di Servio Tullio. Siamo finalmente pervenuti al Regno dello steffo Tarquinio Superbo ultimo Re di Roma. La principal ragione, che adduceľ Autor noitro per abbreviare il Regno di lui, e che abbraccia anche i Regni di Tarqui nio Prisco, e di Servio Tullio, è questa. A c cadde,ei dice, che verso la fine del Regno di Tarquinio Superbo, Sefto Tarquinio, e Tarquinio Collatino essendo a campo ad Ardea, vennero a contesa chi di loro avesse moglie più onefta; d'onde poi nacque, c o m e ognun fa, il Consolato, e la libertà di R o m a. Ora questo Tarquinio Collatino a quel tempo secondo le parole di LIVIO era giovane, e secondo lo stesso Autore era figliuolo di Egerio, a cui Tarquinio Prisco suo Zio commise la guardia di Collazia Città novellamente acquistara nella guerra S a Regiiquidem juvenes interdum orium conviviis comeslaf. fionibusve inter fe terrebant; forte potantibus his apud (fratris hic filius erat ) Collasiae in praefidio relictus  bina, Sextum Tarquinium incidit de uxoribus mentio etc. LIVIO. bina, e ciò fu verso il principio del Regno di Tarquinio Prisco, il quale viene acade re fe non prima l' anno centocinquanta se condo il computo comune della edificazione di R o m a. Convien dire, ei soggiugne, che Egerio a quel tempo avesse almeno i suoi quarant'anni, fe vogliamo crederlo atto a Costenere un carico di tanta gelosía, come è quello di castodire una Città, di nuovo a c quisto, e se vogliamo, che fosse nato, come si h a da LIVIO, prima che Tarquinio Prisco veniffe a Roma.Ma come può fta re, ei conchiude, che un uomo di quarant' anni l'anno di Roma centocinquanta avesse un figliuolo'ancor giovane l'anno dugento quarantaquattro? Cioè quasi un secolo dopo, come non fi voglia dire, ch'egli avesse fi gliuoli passati i novant'anni, il che merita va aver luogo secondo lui tra le meraviglie della Storiadi Plinio,non traifattidiquella di Livio. Pensa adunque l'Autor noftro, che s e vogliamo ritenere questa discendenza de'Tarquinj, fa mestieri prendere ilpartito di accorciare i Regni di Tarquinio Prisco, di Servio Tullio, e di Tarquinio Superbo, che occupano il tempo, che è di mezzo tra il figliuolo, ed il Padre. Molte cose io potrei qui porre sotto )Collariae inpraefidio reli&us.T. Liv.loc.fupra cita  opera ucchio del lettore per isciogliere questa dif ficoltà, come farebbe il dire, che non sifa precisamente il tempo, in cui sia stata con quistata Collazia; che Livio Storico non trop po'accurato può esserfi ingannato nel dire, che già nato era Egerio prima che Tarqui nio Prisco venisse a R o m a, che la custodia d'una Città non era carica a que'tempi, per esercitar la quale dovesse u n guerriero effer giunto all'età di quarant'anni: tanto più trattandosi di un Zio, che una tal c u ftodia commette ad un Nipote: perciocchè non essendo in quell'età le cose così rego late,come a'dinostri, piùo sservavasinegli uomini, i quali davano al mestier delle armi,la bravura,elagagliardia,doti, di cui potea egli molto bene esser fornito alla età di venti o venticinque anni che non il senno, che a ' n oftr i tempi in un Governatore fi richiede, per fuppor ilqual sen no ci vorrebbe per avventura più avanzata età. Potrei dire di più, che se vogliamo Itare alle parole di LIVIO, da queste nonfi può dedurre, che la custodia della Città sia Itata a lui principalmente come Capo commesla, ma solamente che fu lasciato di presidio inquella Città dal Re fuo Zio.Por ter essere finalmente, che questo Collatino giovane più non fosse, attesochè, per non far parola della poca esattezza di Livio, questo Storico non dice precisamente, che giovanefosseCollatino,ma cheiRegjgio vani passavano il tempo in conviti, mentre erano occupati in quella piuttosto lunga,che viva guerra, 1 gliuolo sotto le quali parole di Regi giovani può egli aver foltanto intesi i figli uoli del Re, e non Collatino, quantunque della stessa famiglia, tanto più che dicendo egli dopo,che stando essibevendo pressoSe sto Tarquinio, ove pur Collatino cenava, cadde ildiscorso sopra le moglj (k), a me pare, che quelle parole ove pur Collatino cenava, dimoltrino, che sotto quelle ante riori di Regj giovani non altri abbia volu to intendere Livio fuor che ifigliuoli di Tarą quinio. M a comunque fiafi di ciò, s'abbia per nulla il fin quì detto, concedasi essere impossibile, che Egerio abbia potuto avere un figliuolo giovane al fine del Regno di Tarquinio Superbo. Sappiasi adunque, che Dionigi crede Collatino nipote,e non fie Forte potansibus his apud Sextum Tarquinium ubi Collatinus coenabat. LIVIO ) Dionys, Halic. L'ultima ragione, con cui l'Autor nostro ftudiali di abbreviare il Regn o di Tarquinio Superbo, e che abbraccia anche quello del fuo predecessore Servio Tullio, ei la ricava da questo. Tarquinio quando pervenne al Principato, avea secondo lui sessantaquattro anni, a'quali chi aggiugne i venticinque che si dice aver egli regnato, troverà, che era questi in età di Ottantanove anni, a l lorchè fu cacciato dal Regno, la qual par ticolarità posto che vera,n o n sarebbe stata passata dagli Storici sotto silenzio. Che più, segue egli a dire, leggeli, che il medesimo Tarquinio parecchj anni dopo che fu c a c ciato di Roma, combatté a cavallo al L a go Regillo contra il DictatorePostumio, ciò, che verrebbe a cadere l'anno centefimo circa della età fua, onde ei correrebbe la giostra c o n un secolo sulle spalle,affurdo, prosegue egli, non punto diffimile da quello avvertito da Luciano (n), che quella Elena,  gliuolo di "Egerio, ed in questa maniera con un colposolositagliailnodo. 1 i Per cui l'Europa armolli,e guerra feo, E l alto imperio antico a terra sparse, LIVIO. Lucian, in Somnio seu Gallo, quando desto quelle si celebri fiamme i n petto a Paride già fosse coetanea di Ecuba. suo.  Lalcio io qui,d'avvertire, che a Tarqui nio Superbo si vogliono torre que'vent'anni, iquali,come già sopra abbiam mostrato, gli dà di troppo l'Autor noftro, onde per dirlo alla sfuggita, non avea egli da mara vigliarsi, che gli Storici abbiano taciuta quella particolarità, che quando Tarquinio fu cacciato di Roma, già era pervenuto alla età di oitantanove anni. Quello poi, che tronca ogni quistione per rispetto alla giornata del L a g o Regillo si è, che Dionigi (o), ch'egli pure reca in mezzo a questo proposito, e non gli presta fede, riprende quegli Storici, i quali narrano tal fatto, e dice doversi credere suo figliuolo, e non lui medesimo esser quello, che fu,ferito com. battendo contro ilDittatore Poftumio. O v? è da notare che anche facendo il caso, che con sole congetture si dovesse scioglie re questo nodo, essendovi due mezzi noti al nostro Autore per togliere l'inverisimi glianza,, cioè o di abbreviare i due.Regni di Servio Tullio, e di Tarquinio Superbo, o pure di dire non essere stato lui,m a il Dionyf.  Halic.  Si dà risposta a varie opposizioni. Chiaro Hiaro ora resta abbastanza, che le in. verifimiglianze raccolte dal Conte Algarotti, s'altri le viene minutamente osservando,non  fuo figliuolo quello, che ritrovossi alla giord nata del Lago Regillo, il nostro Autorem prende piuttosto il primo, cioè quello, che favorisce l'opinion sua, quantunque a m m e t ter non si possa per modo nessuno, quando si sa, che Dionigi, il quale avea con tan ta cura studiati gli antichi Storici Latini, e che se non altro fu tanti secoli più antico del Conte Algarotti, Dionigi in s o m m a così diligente nel fiffar le epoche, stima più prudente partito prendere il secondo. La scio ora pertanto decidere da chi diritto ragiona, se tali fieno i motivi addotti dallo Autor noftro, che si debba pure accorciare il Regno di Tarquinio Superbo,o se piut tosto,come ioavviso,non resistanoalla autorità degli antichi Storici, e debbano c a dere a terra come damento, del tutto privi di fon fon  folamente non sono valevoli a mandare in rovina la Cronologia comunemente ricevuta, m a nè pure hanno forza per ispargervi fo: pra alcuna ombra di dubbietà,nè efferne cessario ricorrere a quel suo ripiego di a b breviare pressochè della metà la durata de' sette Regni per conciliare la giovanile erà di Romolo colle grandi cose, ch'egli ope To, e l'età di Numa colla sua esalcazione al Trono. Nè secondo quello, che abbia m o osservato, l' uomo indugia troppo cogli ftimoli della vendetta, e dell'ambizione a fianco anzi lungo spazio di tempo non ba fta ad estinguerli; nè quella gagliardía,che trovar non si può nella vecchia età, avvien che vi si trovi, onde senza negar credenza, com 'egli pretende, a' più gravi Storici dell' antichità in cosa, in cui tutti convengono, quale si èla duratade'fette Regni, torna ogni avvenimento (per servirmi delle stesse fue parole in contrario senso ) nell' ordine naturale delle cose.  nolo. 1 Del resto si dee avvertire, e di fatticre do, che ognuno avrà avvertito quanto d e boli, e leggiere fieno le inverisimiglianze ed assurdi,dicuiservisli ilnostro.Autore per distruggere la durata de'mentovati Regni, e venire a confermare il Sistema Cronologico del suo Filosofo. Quand o altri nes gar vuole la verità di un fatto attestato da gravi Storici per folo glianze, o contraddizioni, queste devono ef ler tali, che ammesse per vere il fatto al trimenti fufliftere non pofsa: perciocchè è legge dellaPoesia,non della Storia,ilnarra re soltanto cose verifimili. La.Storiaècon tenta di narrar cose vere; e quante cose, a v vegnachè vere inverisimili ci pajono per una minuta circostanza o smarrita, o di cui non pensarono gli Scrittori di far menzione,per un costume, per una legge, per una fog. gia particolare di vivere, di cui come di cose a'contemporanei loro notiffime, n o n istimarono dover far parola? In s o m m a molte volte assomigliar potrebbefi la Storia ad una macchina, la qual produca maravigliosi ef fetti, ei di cui ordigni sieno ignoti. Tali dicono essere i nostri orologi per rispetto a’cinesi,e noinondirado, inispecieinquan. to allaStoria, laqual'èo da’tempi,oda? paesi nostri lontana, fiamo nel caso loro. Ecco adunque,che leguate non fi fossero le inverisimiglianze i m maginate dall'Autor noftro, sono queste si deboli, che come saette vibrate contro una motivo d'inverisimi quantunque eziandio di falda armatura, ben lungi di recare alcuna offesa,  offesa, cadono effe medesime infrante a terra, chę  E appunto per iscogliereil nodo, ch'egli benissimo vedea, ch'alori gli avrebbe potu to mettere innanzi agli occhi, vale a dire per qual ragione egli opponesse alcuni fatti, in cui discordano gli Storici alla durata di tutti i sette Regni tolti insieme, ed alla d u rata di ciascheduno in particolare, in cui sono a un di presso di un medesimo pare re, ei dice, che la memoria de'fattidovet te con più sicurezza essere conservata dalla tradizione, che non fu da quante volte, mentre quelli avvennero tornato un Pianeta al medesimo sito del Cie lo; la qual risposta io non so, se basterà per appagare chi considera alquanto adden tro nellecose; perciocchè a me pare noti zia non meno importante,e degna di esse re dalla tradizione, e dagli Scrittori a' p o steri trasmessa il numero degli anni, che occupòilTrono un Principe,diquello,che fieno molti fatti, a cui presta l'Autor n o ftro intera credenza. N e aveano i Romani bisogno di troppo fortili astronomiche culazioni, come pare, ch'egli accennar v o glia, per sapere di grosso, quando terminal le,eprincipiassel'anno.Ed unaprova, che questa tradizione del numero degli anni, i essa trasmessa sia {pe   ' epoca di molti de principali fatti, non si sia notato però l'anno preciso, in cui segui ciascun fatto. Ove è da riflettere che lo stesso noftro Autore dicendo non ef fere da credere, che gli Storici sapessero quanti anni sieno trascorsi, mentre andava no fuccedendo i fatti, è forza,che ammet  guerra di Romolo con lo veramente credo poi, che quantunque tenuto fi sia registro non solo del numero degli anni, che durarono i Regni de'Re di Roma, ma ancora del Regno di ciascun. R e, e dell ta, che abbia regnato ciascun Re, e per con seguente della somma di tutti isetteRegni, inratta conservata fi fia, si può dedurre da quella ammirabile concordia degli Storici nella Cronología, concordia, la qual non si vede certamente ne'fatti. che non sapesser nè pure l'anno preci fo, in cui questi avvenimenti seguirono. Ora con questa sua sola concessione viene a ro vinare buona parte delle ragioni, ch'egli apporta per abbreviare ciascun Regno. E d in fatti quante volte non fi serve egli di epoche di avvenimenti minuti, e per lo più; registrati soltanto da un Plutarco, per ritro var ripugnanze nell'antico Cronologico Sistema, come sarebbe,per recarne alcuno esem pio, l'epoca della tro e del diverse guerre; tempo Approssimandosi l’Autor nostro al fine del suo Saggio, reca altra prova contro l'anti co Cronologico Sistema,e ben sivede,che avendola riserbata in ultimo, ei crede, che dia questa l'estremo colpo, e il nodo del tutto recida. Questa prova, ei dice, è c a vata dalle generazioni di uomini, le quali tro i Camerj, che è in Plutarco, l'epoca del matrimonio di Tazia con N u m a, che trovali presso lo Iteffo Storico, come anche il precito numero d'anni, che vissero insie m e, il qual pure èri cavato dallo esatto re giftro, che il medesimo Plutarco ne tenne, per non parlare de cinque anni nè più nė meno,che avea Anco allamortediNuma e degli anni, in cui seguirono precisamente della nascita di Egerio, ch'egli raccoglie da Livio. Le quali epoche tutte oltre all'essere tratte la maggior parte da Plutarco o da Livio, credulo il primo, Itraniero, e lontanissimo da'tempi,poco accurato l'altro,non dovea no per nessun modo addursi da lui, come quello, che pretendea non aver la tradizio ne potuto tramandareepoche di troppom a g gior rilievo, che queste non fieno, e c h e sono da tutti i più gravi Storici ammesse per vere. fono i2   sono indicate dagli Autori nella Storia dei R e diRoma,le qualigenerazionidice,che con vincono di falsa la loro Cronología quanto alle durate de'Regni. Nella vita di Romolo, ei segueadunque, liha,che OttilioAvo lo di Tullo Ottilio mori nella guerra contro a'Sabini, la qual fu ne'primi anni di R o ma,iRegni pertanto,eiconchiude,diRo molo, di Numa, e di Tullo Oftilio non si stendono più là, che il tempo razioni.Da Numa ad Anco Marzio,ei se gué, ci è una generazione sola, perchè l' uno era Avolo dell'altro; dal che seguita, che la generazione tra Numa, ed Anco coincidendo col tempo di Tullo Oftilio, ci fia l'età di un uomo qualche anno più o meno da Tullo al fine del Regno di Anco. Onde dal principio del Regno di Romolo allafinediquellodiAncocorrono datre generazioni. Lucio Tarquinio Prisco, pro legue egli, uno de'Lucumoni dell'Etruria, viene a Roma uomo maturo sotto ilRegno di Anco, de cui figliuoli fu instituito tuto re: e però l'età di Tarquinio convenendo con quella di Anco, non resta che una. e fola generazione tra il Regno di Anco il Regno di Tarquinio Superbo figliuolo del Prisco. Talchè, ei conchiude, dal principio di due gene del   del Regno di Romolo alla fine di quello di Tarquinio Superbo fi contano quattro sole generazioni in circa, e non più. Ora som mando insieme gli anni di quattro genera zioni, che corrono durante ifetteRe diRo. m a fi hanno cento trentadue anni; poiché una generazione di uomini trentatré anni. E fommando insieme gli anni di ciascun Re, secondo il computo di LIVIO, fi hanno d u gento quarantaquattro anni; e vi ha più di un secolo di differenza tra due risultati, che pur avrebbono ad essere uguali. D'altra par te facendo, che tocchi a ciascun R e l'uno ragguagliato coll'altro diciannove anni di Regno, come vuole il Neutone, fi ha cento trentatré anni, e tra questi due risultatinon corre differenza niuna. di comune sentimento vengono dati a  9 fSin quì il nostro Autore. Io per rispon dere a questo lungo ragionamento prima di tutto voglio concedere, che quattro fole g e nerazioni fieno corse da Romolo insino a Tarquinio Superbo: perciocchè ciò si riduce finalmente a dire, che durante i Regni dei serte Re, quattro uomini in tutto il Romano popolo ebbero prole un dopo l'altro di sessanta e un anno. Ora farebbe poi forse questa impossibilità tale fisica, per cui non i3   fi dovesse più prestar fede agli Storici delle antiche memorie de'Romani? Ma, suppo sto (quello però, che in nessun modo con cedere fi può che questa fosse inverisimi glianza tale, per cui sipotesse negar cre denza alla Storia, s'è forse l' Autor nostro bene assicurato, che, non uscendo da quelle persone, di cui egli fece scelta per fissare le generazioni, quattro soltanto corse ne fie no pendente il Regno dei sette Re? Dio nigi (a) attesta pure, che Tarquinio S u perbo fu nipote, e non figliuolo di Tarqui nio Prisco?Questo accuratissimo Storico d o po aver fatto parola di molti assurdi, che ne seguirebbono, fe figliuolo, e non nipote ei fosse di Tarquinio Prisco, fi afforza colla autorevole testimonianza di Pison Frugi, il qual solo tra gli Storici affermò questa cosa. Nè mancadiaccennarequello,cheperav ventura fu cagion dello sbaglio: poichè dice, che dall'essergli nipote per natura, e figli uolo per adozione fieno stati forse gli altri Storici ingannati. Nè giovaildire,comefal'Autornoftro, che la contrarią opinione cioè, che figliuo lo fosse questo Re, e non nipote di Tarqui Dionys, Halic.Hic, L. Tarquinius Prisci Tarquinii Regisfiliusneposre fuerit parum liquet:pluribus tamen auctoribusfiliumcreg diderim LIVIO In quanto a Collatino poi, quà di nuovo addotto dall'Autor nostro p e r confermare il 2 fuo di numerare in quegli arcaismi come le autorità, contentofli e non si fece a pesarle il diligente sciando da Dionigi. In secondo luogo, la perder tempo ľ autorità di Dionigi, la quale, com ' è palese, è molto più da segui re, che non sia quella di Livio, ben diver sa è la maniera di spiegarsi dei due Scritcori intorno a questo affare,l'uno ne tocca alla sfuggitą, l'altro vi si ferma, ragiona reca latestimonianza di uno de'più antichi Storici, e sappiglia a quella opinione, la quale sia per lo credito, che ha all'Autore fia per, quinio Prifco fu opinione dei più, ed opi pione abbracciata da Livio medesimo; d o vendosi in primo luogo riflettere alla manieta, con cui LIVIO s'esprime, vale a dire, che questo punto era assai all'oscuro, che egli peraltro seguendo i più credevalo figliuo lo; il che dimostra aver egli benissimo veduta la difficoltà, ma che non volendo, come sopra abbiam notato lo contesto di tutta la Storia, gli pare più sicura. is   suo Sistema, già sopra abbiamo osservato raccogliersi dallo stesso Dionigi, che n i pote era, e non figliuolo di Egerio. Ciò posto ne viene, che senza uscire da quelle persone, di cui egli osservò le generazioni, non quattro, m a cinque numerar se ne debe bono d a Romolo inlino a Tarquinio Super bo: onde se aver non si dovea per assurdo tale da negar fede alla Storia l' essersi ritro vare quattro persone in tutto il popolo Romano le generazioni, di cui fossero di fef santa e un anno, tanto meno dovrà parer ripugnante, che cinque susseguite ne sieno, ciascheduna delle quali uguagliatamente non oltrepassi i quarantanove anni. Dionyf. Halic. que Ma dirà il nostro Autore, che ad una generazione comunemente si danno soli tren tatré anni, laonde non si può essere così largo, e concederne a ciascheduna di queIte quarantanove. Qui mi convien prendere d'alquanto più alto i principi, e si verrà a conoscere, che quelle generazioni, a cui comunemente fi danno trentatré anni, o secondo altri tren tacinque,non sono della specie di quelle osa servate dal nostro Autore. Vediamo adun  que quali fieno quelle, a cui diedero tal nu: mero di anni i Cronologi, e verremo in chiaro, fe tali fieno le osservate da lui. La Cronologia, come tutte le altre facoltà,dee seguir la natura, come maestro fa ildiscen te, per dirlo alla Dantesca, e pure è che collo.Specularvi sopra molte fiate,in luo go diavvicinarsiaquellaaltrilafugge,e gli ultimi passi sono quelli c h e riconducono a lei nella  vero, L e generazioni pertanto, che fiffarono i Cronologi circa a trentatré anni, sono quelle, che generalmente si osservano in un lungo spazio di tempo nella maggior parte famiglie di una nazione; laonde, fe fiof servano in una sola, o poche famiglie, a n che per lungo tempo questa osservazione, non è più fattasecondo la regola, che general mentela maggior parte abbraccia:percioc chè, se nella maggior parte delle famiglie sono uguagliatamente le generazioni di tren tatré anni,potrebbe succeder benissimo, che fi ritrovasse una famiglia, od anche diver se, in cui queste foffero o più lunghe, più brevi. Se poi non si osservassero in un lungo spazio di tempo, riuscirà ancor più agevole il ritrovarne. M a le generazioni, di cui servifli il nostro Autore, nè corsero delle -   nella maggior parte delle famiglie, nè in lungo tempo, anzi nè pure in unasola fa miglia, essendo composte di diverse perso ne d i varie famiglie. Certamente se si fa un Cronologo ad osservare per tal modo le generazioni, ben tosto fisserà la regola ge nerale di queste a settanta e più anni, per chè in un notabil tratto di paese popolato iopenso,chenon passisecolo,senzachèfi veda uno, o forse più uomini, che di tale età hanno prole. Lo sbaglio in somma d’A. consiste nello aver presa la regola d a quello che suole generalmente avvenire, gli esempj da ciò, che in pochi succede, ed aver pensato, che que'casipar ticolari sotto la general regola cadessero, onde la Cronologia degli Storici delle cose de? Romani sottoi R e s'opponesse a quella legge, che osservaro aveano nella natura i più periti Cronologi. Nel che quanto sia a n dato lungi dal vero credo d'aver fatto ba ftantemente palese. Due ragioni reca ancora finalmente l'Au tore in difesa del Sistema del Neutone,cui è necessario rispondere innanzi di por fine a quelte nostre osservazioni. La prima fiè, che tal Sistema discolpa Virgilio esattissimo Poeta, ci dice, da quello anacronismo i m  putatogli volgarmente per conto de'tempi, in cui vissero Didone, ed Enea. La secon da, perchè giustifica quella comune tradi zione tenuta in Roma, che N u m a foffe fta to uditor di Pitagora. Ora per rispondere alla prima, questa. ammetter fi dovrebbe senza dubbio veruno qualora fosse stato Virgilio tenuto a soddi sfare alle leggi della verità storica;ma non fa mestieri ricordare, che da tali leggi sciolti sono i Poeti.Raro è quel vero, che non abbia bisogno del finto per aggradire ai più, e se non inftillano virtù, col dilet tare mancano i Poeti al principal fine dell' arte loro; tanto più, che fecondo quello che pensa il dotto P. dellaRue (d),non per ignoranza delle antiche Storie, m a per dar ragione de'famosi odj, i quali si lungo tempo fra' Cartaginesi, e la Nazion suam durarono, e per introdurre quel patetico, che tanto piacque, come ce ne assicura OVIDIO, a'suoi contemporanei, e tanto è degno di piacere ad ogni età,e ad ogni popolo, non ebbe difficoltà di commettere (4) Ruaeus in not. ad. VIRGILIO .Aeneid.  quell'OVIDIO Trift. Eleg. Nec legitur pars ulla magis de corpore toto. Quam non legitimo foedere junétus4 mor,   quell'anacronismo.  S'aggiunga, che que ito anacronismo non era tale che facil mente potesse venire scoperto dalla comune de'Leggitori, da'quali soltanto balta, che non vengano scoperti gli errori storici dei Poeti: perciocchè correa fama fecondo A p piano, che Cartagine fosse stata fonda ta alcuni anni avanti all'eccidio di Troja da una colonia di Fenici, presso i quali poi ricoverossi dopo lungo tempo Didone, del che non lascia Virgilio didarne qualche cen nei?  Appian. apud Ruaeum cit. loc. no, > onde trattandosi di tempi assai lontani dalla età di Virgilio, questo rumore basta va per render tale la finzione, che non fof se la verità ad un tratto conosciuta,e vinta a terra cader dovesse la invenzione di lui. Ma abbreviando della metà iltempo,che durarono i Regni de'Re di Roma viene forse a nulla cotesto anacronismo? E che fa rebbe, se il nostro Autore inutilmente ado perato fi fosse, e che anche togliendo pref so che la metà degli anni dalla somma di tutti quelli, che corsero sotto a'Regni dei fette R e, non si venisse con questo a ren der probabile in alcun modo, che Enea, e Didone potessero essere stati contempora   Tre secoli e più corsero,secondo gli an tichi Scrittori, dall'incendio di Troja alla fuga di Didone, come osservaron o il dotto Petavio, e l'erudito Commentator di Vir gilio della Rue: ora da trecento e le dici anni (che tanti ne corlero fecondo il Petavio dall'eccidio di Troja alla fondazion di Cartagine ). togliendone cento e undici, come piace all'Autor noftro,vale adire facendo venire Enea in Italia cento undici anni più sardi, rimangono nulladimeno d u gento e cinque anni di svario. Laonde é chiaro, che nè VIRGILIO abbisogna della di fesa del nostro Autore, nè, quand' anche ne abbisognasse, sarebbe questa bastante per do Petav. Rationar. tempor. Cartagofundata dicitur anno posttemplum incoatum qui est annus poft Trojanam calamitatem Ruaeus loc, supracis.  te svanire l' anacronismo da lui commesso. fa  nei? Sia adunque egli pur certo, che cote fto fuo ripiego nontoglie, ma soltantosmi nuisce l'anacronismo di Virgilio; che anzi questo rimane peranco maggiore di due le coli. N è soltanto vuole il Conte Algarotti, che fia alla più esatta verità conforme ciò,che si legge in un Poeta, purché in alcun m o   anno  > che comunemente credefi centesimo undecimo dalla fondazion di Roma, alprin cipio del Regno, di cui già dovea effer giunto Numa al quarantesimo primo della età fua (se pur vogliamo seguire ical coli dell'Autor nostro, il quale dando diciannove anni circa di Regno a Romolo faprincipiare il suo Regno aNuma giàvec chio di sessant'anni ), e fissando d'altra p art, come già sopra abbiamo osservato, le condo la mente di lui, la venuta di Pitas gora anno soli do favorir possa il suo Sistema; ma preten de eziandio, che maggior credenza prestar fi deggia ad una popolar voce,laqualtor na in avvantaggio della opinion sua che a'più rinomati Storici dell'antichità. Già abbiamo sopra veduto il suo parere circa all'essere stato Pitagora contemporaneo anzi Maestro di Numa, ora adunque a confer mare vie più ilsuo Sistema, lorecadinuo vo in mezzo quasichè ridondar debba in avvantaggio di questo il porgere, che fa fa vorevole interpretazione ad un a tale popolar voce. Avendone però già altrove fuffi cientemente favellato, non mi resta altro da aggiugnere, se non che, anche fiffando il principio del Regno di Romolo secondo lo intendimento del nostro Autore, a quello Queste sono le riflessioni, le quali, fecon do quello, ch'iopenso, chiaramentedimo streranno, che A. cadde trat to dal suo Filosofo in errore. Se parranno per avventura troppo più lunghe di quello, che neceffario fosse, gioveràin primo luo go considerare, che bastano poche parole per mettere una cosa in dubbio, m a effer forza per iftabilirne la certezza ricorrere a' principi, onde riescono sempre le risposte più lunghe delle opposizioni; in secondo luogo, c h e ho stimato dovermi fermare alquanto in torno a certi punti, i quali oltre allo influi re nella materia, che per me trattar fi do vea, poteano essere forse non del tutto inu tili per chiarir la Storia di quella prima età di Roma. Che  gora in Italia circa a quello anno, che giu dicasi dagli Storici dugentefimo quarantesi moquarto diRoma, virimaneciònon ostan te un anacronismo di cento trentatré anni tra la venuta di questo Filosofo in Italia, ed il tempo, rendere in cui Numa-già era perve anno della età sua; o n de il Sistema del Neutone non può nè pure nuto al quarantesimo Pitagora, e Numa contemporanei, come non può affolvere Virgilio te dall’anacronismo interamen di Didone, e di Enea. Che se,come fpero,mi è riuscitodifar vedere l'inganno del Conte Algaroiti, sarà questa una novella prova di quanto sia in tralciato il cammino del vero, quanta 1 sia connesso, ed unito l'errore: collo inge gno umano, poichè gli uomini fommi non tralasciando desser uomini, in tutto spogliar non se ne possono. La più bella discolpa del resto che addur si possa in difesa di lui, îi è il dire, che fe pur s'ingannò, s'ingan nò seguendo un Neurone. L'opinione del Newton fu sostenuta in Italia dal conte Algarolti in un suo saggio sopra la durata de're gni de'Re di Roma,scritto nel 1729,cioè due anni dopo la morte di Newton e un anno dopo la pubblicazione del libro di lui!.Ora,in questo suo saggio l'Algarotti lascia poche censure intentale contro la cronologia dei primi due secoli e mezzo di Roma,procurando di provare in particolare come non fosse succeduto davvero ciò che per una ragione generale il Newton aveva affer malo che non era potuto succedere. Ilsuo fondamento è soprallulto Livio; e in secondo luogo Plutarco, non 1Ilsaggio d’A. si trovanelvol.IV dellesueopere (Cremona), Ma laristampa chequivi n'è fatta non è in tutto conforme all'edizioni anteriori,delle quali ioho la seconda, Firenze presso Bonducci; e dico la seconda perchèl'editoreinunaletteradidedica all'illustrissimo sig. Serristori chiama questaunari stampa,e nonpuò esservistata, se non una sola edizione prima, perchè una lettera d’A a Zanotti, che precede il saggio, è del 24 dicembre 1745, e da essa appare che il saggio non fosse stato stampato prima. In questa lettera A. dice appunto di averlo scritto oramai sedici anni passati,quando dava opera alla Cronologia sotto la scorta di quel lume vero d'Italia, Eustachio Manfredi, e che non vi avrebbe più riguardato, se voi nonmia vesteeccitatoain andarlovi come fate»; e se n'era distolto, perchè « distratto da mille altre cose, e gli pareva,che non fosse da moltiplicare in iscritture e in istampe intorno a cose già trattate,benchè in modo diverso dal mio.» Que gli il quale aveva trattat a questa, era un Inglese di cui non dice il nome,ma di cui gli aveva dato notizia,in un suo viaggio in Inghilterra, Condui t, erudito gentiluomo inglese ed erede del Newton, quello stesso che ha scritto una lettera di dedica alla Regina, messa avanti alla Cronologia.Lo scritto dell'Inglese doveva esser pub blicato in fronte d'una storia Romana. Non so chi fosse. E. M a n fredi scrisse gli « Elementi della Cronologia con diverse scritture appartenenti al Calendario Romano. Sono pubblicati in Bologna Egli accetta la datavarron della fondaz. di Roma, LAMONARCHIA. riferendosi a Dionisio mai; anzi confessando di non avere lello se non i due primi. Ora,ilsuo assuntoé che i fatti che LIVIO racconta dei Re,non s'accordano col numero d'anni che questi, secondo lui stesso, avreb. bero regna lo. Il ce prova, mostrando per Romolo, quanta parte del suo regno resti vuota di avvenimenti,e quanta sial'inverisimiglianza, che, a17anni, ch'è l'etàincui si dice cominciasse a regnare, desse già segno di tanta prudenza civile e virtù di guerriero, quanta gli se ne attribuisce; per Numa,che dovesse,poiché eletto per la fama sua e per avere avuto in moglie Tazia, essere asceso sul regno a sessant'anni; per Tullo Ostilio ed Anco Marcio, che dovessero aver avuto più breve regno, di 32 anni il primo, di 24 il secondo, se dev'es. sere vero, che i figliuoli di queslo, il quale aveva, a detta di Plutarco, cinque anni alla morte di Numa, non fossero ancora maggiorenni alla sua,cioè quando Anco avrebbe avuto sessantun anni; per Tarquinio Prisco, che non può avere regnato trenlolto anni, se dev'essere stato ucciso per opera de'figliuoli di Anco, attentato da giovani, ancora freschi del torto ricevuto, e non da uomini di cinquant'anni quanti ne avreb bero avuto alla morte di Tarquinio dopo cosi lungo re gno, anche supposto che non ne contassero se non soli dodici alla morte del padre; per Servio Tullio,che a i Cosi dice nella lettera allo Zanotti, secondo sta nell'ediz.; ma non è ripetuto in quella dell'edizione,che è variata anche in altri punti. E di fatti in questa seconda edi zioneècitato Dionisio,,permostrare come questi, accor gendosi dell'impossibilità, che Tarquinio Superbo assistesse egli stesso alla battaglia del Lago Regillo, vi fa invece assistere il figliuolo Tito.Però, anchecosi, lostudio d’A. resta,come prima, poggiato tutto sopra Livio e Plutarco.  dargli quarantaquattro anni di regno, Tarquinio Superbo, il quale era già ingrado dimenar moglie al principio diquello, non avrebbe potuto a sessantaquattro anni opress'apoco ucciderlo nel modo che si racconta; per Tarquinio Superbo infine,che Tarquinio Collalino non avrebbe potuto essere giovine alla fine del regno di lui, poichè egli era figliuolo di fratello,se il suo cugino avesse avulosessantaquattro anni al principio del regno stesso; e che, se questi n'aveva tanti allora, n'avrebbe avuto ottantanove, quando su sbalzato dal trono, e cento alla battaglia al Lago Regillo dove avrebbe combattuto a ca vallo,e sarebbe poi morto, si può aggiungere, di cento trèanni. Sicché l'Algarotti crede che questi regni si debbono accorciare lulti, se la storia di ciascun Re si deve accordare colla duratadel regno.E di quanto biso gni accorciarli, egli lo trae da un'altra considerazione, cioè dal numero di generazioni, intervenule durante la monarchia. Queste,egli dice, non poter essere state se nonquattro:poichèiregnidiRomolo, diNuma ediTullo Ostilionon siestendono più di due generazioni, stante ché Ostilio,avolodi quest'ultimo, è contemporaneo di Ro molo; un'altra generazione richiede il regno di Anco, che è vissuto la maggior parte di sua vita durante il regno di ullio; ed un'altra, i regni di Tarquinio Prisco. di Servio Tullio e di Tarquinio il Superbo, poichè il primo ha del pari vissuto la maggior parle di sua vita durante il regno di Anco. Sicché contando ciascuna generazione per trentatré anni,la durata della monar Chia sarebbe stata di centotrentadue anni,e ne tocche rebbero a ciascun Re, l'uno ragguagliato con l'altro, diciannove.  Sopra la durata de'Regni DE RE DI ROMA. Gli è una neceffaria conse guenza delSistemacronolon gico del Neutono abbrevia re considerabilmente i regni de' sette Re di Roma, a ciascun de' quali agguagliatamentegli Storici danno trentacinque anni di regno, mentre il comun corso di Natura secondo le offervazionidel Filosofo, non ne concede loropiù di diciot to o di venti. La qual conseguen za separesse stranaad alcuno,pur dovrà meno parerlo a chi risguar derà, che gli Archivi di Roma perirono dalle fiamme nel tempo che Ma noi (chiarati anco in questa parte dalle of (1) Plut, in Numa in principio p. 59.ed. Grecolat, Francofurti.  16 che i Galli occuparono quella Cita tà(1),onde gliStoricinonebbę. ro dipoi alrro fondamento di quel lo scriveano, se non se la tradi zionevaga ed incerta,ch'era ri masa delle cose passate Talmente che ritenendo esli i nomi de'Re e registrando le azioni di quelli che tuttavia duravano nella m e moria degli uomini, fecero una Cronologia a modo loro. E questa Cronologia allungandola più del dovere, poterono in quella incer tezza fatisfareaquelnaturale ap petitocosidelleFamigliecome del le Nazioni, di cacciar le origini l o r o il pịù in dietro che posso none l la caligine del tempo.Come Livioscrivechenonera ra.DanteInf.29:  offervazioni del Neutono,possiamo rimettere le cose al debito ordine nella serie de'tempi, e ciò fare mo non in altro modo che aflog gettando i Re di Roma a quelle comunileggi diNatura, alle qua li ubbidiscono nelle Tavole cro nologiche tutti gli altri Re della Terra.Pur nondimeno questa par cosa duraa molti che si debba f r a n ger,dicono efli,l'autorità di Sto ricichenonerrano(1),echevo gliano uomini di jeri giudicar m e glio degli antichi di cose passate tantisecoliavanti.A questiioin tendo di ragionare;e perchè ilN e u tono nella fua Cronologia non fa al tro che accennare così in generale la detta quiftione, io intendo d i fputarla con alcune particolari ragioni,e quefte derivate appunto da quegliStorici,dell'autoritàde' quali e'fanno sì gran caso, e maffi-. me daTitoLivioPadre diRoma na Istoria.Nel che io mostrerò, che avolerritenere ifattida efio lui riferiti, egli è forza rigettar le epoche da esso affegnate 'a quelli, come non sivogliaammettere(che niuno ilvorrà) certe irragionevo lezze da non ammettersi,che na scono da'suoi raccontimedefimi, e da quella sua Cronologia, E prima diognialtracosa io metterò innanzi una Tavoletta de' regnidiquestiRe distesagiustal' oppinioncomune la qualeporrà fotto l'occhio in un tratto l'anti co Sistema,eserviràameglio in tendere ilseguente Ragionamento. Tarquinio Superbo Numa muore dopo un regno di anni 38 Tullo Oftiliom u o IV.Anco Marziomuo redopounregnodi anni V. Tarquinio Prifco muore dopo un remgno di anni Tulliomuo ·redopoun regnodi - anni 1 TavolaCronologicade' anni anni RediRomasecondor de' ab oppiniondiT itoLivio. Regn.Romolo muore Interregnodiun'anno Í è cacciato da Roma dopounregnodi anni 25 re dopo un regno di anni DOV i. Servio Ba Dove non sarà fuor di propofi to avvertire quello che avverte lo stelloNeutono comedaltem poincui la Cronologia cominciò ad ellercertaedesatta,non sitrovain tutta laStoria pure un'esempio di sette R e, i più de'quali furono a m mazzatied uno deposto,che ab biano regnato dugenquarantaquat tro anni senza interruzione veruna. Ma venendoal particolare, e in cominciando da Romolo, i fatti di questo Principe dopo il ratto del ledonne,primacagione delmet tersi in arme. Nella Cronol. dellaE  furono le guerre contro i?Sabini, che ripeteano le donne loro, e. leguerrecontroal cuni popoli per gelosia d'imperio. Plutarconedà l'epoca della pe nul-, diz, Franzese giuri sdizione, laqual Fidene era stata soggiogata da Romolo innanzi Camerio. Il che ne somministra assai pro α)και την πόλιν ελών, τοίς. μεν ημίσεις των περιγενομένων εις Ρώμην εξώκισε,τών δ'υσομερόν- τωνδιπλασίους έκ Ρώμης κατώ κισεν εις την Καμερίαν Σεξτιλίαις Καλάνδαις.τοσύτοναυτώ περιήν πολιτών εκκαίδεκα έτησχεδον οί κάντι την Ρώμην. nultima di queste guerre che fu contro i -Camerj, l a quale epoca ca -, de nell'anno sedicesimo della edificazione di Roma,e del Regno di Romolo. E dopo questa e gli non imprese altraguerra se non contro iVejenti, chemoslero cono tro i Romani domandando la resti tuzion diFidere, come di,Città che siapparteneva alla loro probabile argomento di por questa ultima guerra guerra l'anno decimofetti mo della edificazion di Roma o là in quel torno, non essendo punto verisimile che i Vejenti domandaf sero la restituzione di cofa tolta troppo lungo tempo avanti; tanto più che siccome era rozza.a quei di l'arte della guerra,rozza altresì era quella de'Manifesti. Stando an Rom. in fine. In Numa in princip.dunquecosìlacosa,cioè che l'ul tima guerra fatta da Romolo cadel senel'anno decimosettimo delre gno suo, e facendolo regnare tren totto anni,comedicePlutarco, ne rimarrebbe uno spazio di ven tun'anno in bianco, voglio dire tuttopacifico e quieto, e con verria dire che sotto il reggimen to A queste particolariragionidi abbreviare il regno di Romolo se ne aggiugne un' altra non meno ftringente tratta da Plutarco, fe condo cui egli deveaver cominciato diquel Re fosserostatiiRom mani molto più tempu in non in guerra; il che non accorda punto con quella indole bellicosa che tutti gliAutori ad una voce danno al fondatore di quello Iinperio. Ne ciò accorderia pure con quelle pa role che Plutarco mette in bocca á Numa, il quale per rifiutare il Regno offerto gli dalRomani,dice che si convenia loro un Condot tierod'esercitoanzicheunRe per cacciare que' potenti nimici che Romolo avea lasciato loro in sulle braccia. pace che. Plut,in Numa nRom.infine  ciatoa regnare in età di anni di cialette, dacchè egli è morto di anni cinquantaquattro secondoi computi di quello, e ne à regnata trentotto. Ora come sipuò egli mai conciliare con una età cos sì tenera quelle tante cose che fa cea costui secondo lo stesso Plutara co,perlequalisivoleaunaetà più gagliarda, e più ferma?Egli eccellente ne'consigli e nella civil prudenzá mostrò moltepruovedel suo mirabile ingegno inoccasiondi trattar co' vicini, attendeva agli ftudidell'artiliberali;fi esercita vanellefatiche, nellecacce delle fiere,nelperseguitare gliaffaslini, nel purgar levie da'ladroni,e nel difender dalle ingiurie coloro che fusleroftati oppressi dall'altrui fu per perchieria:modi tutticheil feceró crescere in reputazione fra glialtri påstori,e chedebbono fara locrescerdietàapponoi. Nè lo aver' egli guidato a quel tempo impresedifficilisfime,lo efferfi fat to capo di un popolo, e lo aver fondato una Città ne rimoveranno dall'oppinione di farlocominciare a regnar più tardi, e di accorciare ilsuoregno. tore E da Romolo passando a N u ma,eglinoncisonomenfortira gioni per abbreviare il regno anco di questo. Io lascio ftare quella quistione roccata da Livio,e da Plutarco come questo Legisla Plut.in:Rom. Numap. LIVIO. Ed. Ald..:   por Authorem do&trina ejus quia non extat,alius,falfo SamiumP y thagoram edunt,quem Servio Tül lo regnante Rom et centum amplius poft annos in ultima Italiæ ora cir ca Metapontum Heracleamque de Crotonam juvenum æmulantium fta diacatus habuilleconstat.Liv,Ibid.  26 gnan tore potesse essere stato uditor di Pitagora, il quale essendo venuto inItaliapiùtardiche Numa non cominciò a regnare secondo la co mune oppinione, ne farebbe Plut,in Numa  Pherecides Syrus primum di xit animos bominum esse fempiter nos:antiquusfane:fuit enim meo regnante Gentili.Hanc opinionem discipulus ejus Pythagoras maxime confirmavit, quicum Superbo re   fu CICERONE Tusc. Quæft. il regno suo più sotto, e per conseguente accorciare almeno le durate degli altri cinque regni, che furonodaesso Numa fino alRegi fugio;della certezza della qual'e pocanonsi dubitadaniuno lo Jascio, dico,questa quistione,la qua lenon risguarda tanto la durata del regno diquesto Re, quanto il prin cipio di quello:e vengo a cið che ne appartienepiù davicino, porre Plutarco ne dice che Numa aveva quaranta anni, quando gnante in Italiam menisset, tenuit magnam illam Greciam ac. Pythagoras qui fuit in Italia temporibusiisdem,quibusL. Bru tus patriam liberavit. InNuma p.62,   28 qua rantatre, la quale ultima cosa ne dice fimilmente Livio..Ma qui io domando le parrà ragionevole ad altrui,che incosìfrescaetàpo tesseNuma essergiuntoaquelloe minente grado di fapienza, che fi dice;emoltopiùpoiseparrà ve risimile, che tenendo egli maslime modi di vivere differenti dagli u fatinel fuo paese, egli potesse esser salico in così alto grado di re LIVIO fu eletto in Re di Roma, e che la governò per lospaziodi pu Plut. InNuma Romulus feptem do triginta regnavit annos. Numa tres a quadraginta - Vedi Plut. in Numa in princip.   Annumque intervallum regni fuit. Id ab re quod nunc quoque tenet nomen,interregnum appella tum. ld paullo post. Consultissimus vir omnis di  putazione,che lo facesse riverire non solo appo gli stranieri, ma nel proprio paeseeziandio per così straordinario modo,come narrano; e per recar le molte parole in u. na, che l'autorità del nome suo. fossetale,ch'ella dovesse in un subito far ceffare le animosità, e le gare delle parti, che per lo Ipazia di un'anno aveano conteso in Ro.: m a per lo Imperio Ma egli Patrum interim animos certamen regni ac.cupido verfa bat etc.  ci LIVIO. Plut.in Numa  --- a y  ci è ancora alcuna altra confider1 zione da farsi.Tazio che reggeva Roma insieme con Romolo,mcf so dalla gloria e dal nome dilui che tantoalto suonava,selofece genero dandogli per moglie una sua unica figliuola che si chiama va Tazia. Quando questoavvenif feper appunto nonsilegge;ma eglièverobensì,che ciðfumol divini atque'bumani juris dito nomine Nume Patres Romani quamquam inclinari opes ad Sabi nos rege inde fumpto videbantur: t a m enne que se quisquam, nec fa Etionisfuæalium,nec denique Pa trum aut Civium quenquam prefer re illo viro auf ud unum omnes. Numa Pompilio regnumdeferendum decernunt,  LIVIO. Plut. In Rom. sua to di buon'ora nel regno di R o molo,dacchè Tazio muorì prima della guerra co'Fidenati, e co'Cameri,cioè prima dell'anno see dicesimo del regno di Romolo; e d'altra parte ne racconta Plutarco che Tazia era morta quando N u ma fu chiamato al regno, e ch'era vissuta con esso luilo spazio di tredicianni. Dal chetuttofi deeraccogliere,che grantempoa vanti la morte di Romolo fioriva la fama della fapienza di Numa;e converrià dire,ritenendo il computo di Plutarco, cheavendo Numa foli venticinque anni,questa fama fossegiàtanta, che inducefle Tazio Re a dare in matrimonio una Plut .in Numa. sua unica figliuola a lui uomo privato, il che mostra essere alieno da verisimiglianza, Diremo per tantoa salvareilvero, cheNuma dovesse avere sessanta anni almeno quando fu eletto con tanta unani mitàaRediRoma;eciòpofto, gli staranno molto meglio inbocca quelle parole che periscansarsi da questo carico gli fa dire Plutarco, qualmente alle condizioni de'Ro mani era bisogno che laCittà avef seun Re dianimoardente erobu sto, le quali parole più tosto fi disdirieno che no ad un'uomo di quarantaanni.Postoadunque che Numa, come ragion vuole,comin ci a regnare vent'anni più tardi che non si crede,> di altrettanti an ni fi verrà ad accorciare ilsuo re gno   in età in circa di ottantatre anni.  gno, dove si voglia ch'egli sia morto come narrano,  sta E per tal modo abbreviando il regno di Numa, e similmente quello di Romolo, si verrà a render più probabile la lunghezza del la pace di cui godè Roma a tempo attorniata da popoli estre mamente gelosidellasua grandezza, come ellaera.Questapace giusta l'antico computo farebbe dileffan tacinque anni,iqualirisultano dal la somma de'quarantatre del regno diNuma,daun'anno d'interre gno,e da'ventun'anni passati da Romolo, dirò così, nell'ozio e nella cessazion dalla guerra; e g i u C: quel ετελεύτησε δε χρόνον ο σ ο λύντοϊςογδοήκοντα προσβιώσας. Plut,in Numa.   ven  di pre 34 itale cose discorse, questapace viene ad essere di ventiquattro an ni in circa e non più. E da ciò riesce molto più verisimile, come Tullo Ostilioerededelregno,non dell'arti di Numa, abbia potuto facilmente rinvigorir ne' Romani la bellica virtù inspirata loro da R o molo,ecomeabbiapotuto sente combatter con feroci Nazio ni e soggiogarle; il che di troppo fáriafuordell'uso,e della oppi nion comune se la virtù de' R o manifossestata(nervatadauna pa c e di fesfantacinque anni. Io non dirò nulla de' due fuf seguenti regnidiTullo Ottilio,edi Anco Marzio,ilprimo de'qualiè di XXXII anni, l'altro di Tullus magna gloria bel li regna vitannos duosdotriginta. LIVIO. Jam.filii prope puberem etatem erant Id. Ib.  35 ventiquattro, se non che ab breviandogli un tal poco, egli ne parrà piùverisimilequello che di ce Tito Livio de'figliuoli di Anco Marzio: cioè che alla morte del padre e'non fossero ancora ag giunti agli anni della pubertà Regnavit Ancus quatuor dig viginti. Ib.p. 26. a tergo. Anco Marzio aveva cinque anniallamorted iNuma(3):sea cinque se ne giungano trentadue, e ventiquattro, avremo leffantun’ anno,cioè l'età d'Anco Marzio allamorte fua;ilqualeavriadova to naturalmente lasciare figliuoli più adulti, postoche egliavesse regnato ventiquattro anni, e Tul C2 lo annos Plut. in Numa lo trentadue; e cið perchè seconda ragione,un regio uomo come si era Anco Marzio e che fu poi Re, dovea menar moglie assaidibuon' ora per lasciare il regno a'figliuoli nella più ferma età che far fi po tesse. Eniente farebbe ildire,ch' egliavesle avuto figliuoli maggio ri di età che morisfero innanzi a lui, e che questa cura del padre di la fciar figliuoli atti al regno futle del tutto inutile in un regno e lectivo qual sieraquello diRoma, poichè dall ' una parte egli pare improbabile che dovessero ellere morri in tenera età tutti i primi suoi figliuoli più tosto, che gli altrs,edall'altrocanto eglisem bra che si avesse risguardo alla stir pe regia nella elezione del Re. Segno è di questo, che i Romani chiamarono al regno il medesimo An   Ma  Anco Marzio nepote di Numa che Tarquinio Prisco allontand i figliuoli diluida Roma neltem po de'Comizj C3 do peromnia expertus (L.Tarquinius ) postremo tutore diam liberis regis testamento insti tueretur Jam filiiprope pube remætatemerant.EomagisTar quinius instare, utquamprimum comitia regi creando fierent: qui.. bus indi&tisfub tempus pueros vem natum ablegavit:isque primus de petisse ambitiofe regnuin et c. LIVIO atergo. Tum Anci filii duo, etfi a n tea femper pro indignissimo habue rant fepatrio regno tutorisfraude pulsos:regnare Romæ advenäm non modo civica, fed ne Italica qui demftirpis et c..terg. e  Nel luogo citato. Ma non è già così da passar sotto silenzio il regno del medesi mo TarquinioPrisco successoredi Anco.Ne viene costui rappresen tato come usurpatore del regno, secondo che disli, a' figli di quello, de'quali egli era stato istituito tu tore dalpadre. Egliregna tren totto anni,e vien finalmente ammazzato per opera degli stessi fi gliuolidi Anco vaghidi ricuperare il regno paterno tolto loro dalla frande dell'uomo straniero. Nel che Sed injuria dolor in Tarquininın ipsum magis quam in Servium eosftimulabat Duo de quadragefimo fer me anno ex quo regnare cæperat Tarquinius bc.Id.Ib. ipse regiinfidi aparantur.Id. Ib. aullo poft. ob hæc   che chi non ammirerà la flemma incredibile di costoro, che tra la ingiuria e la vendetta polero in mezzo trent'otto anni, spazio di tempo bastante a sedare e spegner forfe nell'animo qualunque più violenta passione? Questo fatto a dunque dovette avvenire nella lo to giovanile età non molti anni d o polamortedel padre; il che quan to è comprovato dalla vatura del fatto medesimo, lo è altresi dal non ne avere effiraccolto frutto alcuno, come coloro che dopo la uccisione di Tarquinio rimasero ne più nè meno esclusidal regno pa terno.La qualcosaben mostraef fere questa stataopera di età gion vanile e inconsiderata, e non di quella ferma e matura di cinquan ta anni, in cui LIVIO gli fa con troogni verisimiglianzaoperarque  Ita. C4   Che diremo oltre del suo suc cessore Servio Tullo, il quale nel fapno regnare quarantaquattro an ni? Se non che dobbiamo di moltoaccorciarean coquesto regno, per quella medesima ragione per la quale abbiamo accorciatoquello di Tarquinio Prifco fuo predeceffore. È Servio Tullo anch' ello mello a morte da chi volea ricuperare il regnopaternotoltoglida essoTul lo,ch'era di schiatta fervile,e chefuportosultronodi Roma per artifiziodi Janaquilę moglie diTar sta Tragedia, E però rimane che fi debbaabbreviareilregnodi Tar quinio Priscocomesiè fattode' superiori. 1 qui Servius Tullus regnavit, annosquatuor quadraginta.. a tergo.   e preso dalla più violenta ambizione; e ch'egliin quinio Prisco. È in ciò dovrà pa rere molto strano che Lucio Tarquinio, che fu poi cognominato il Superbo,abbiaaspettatoa metter lo a morte quarantaquattro anni.E molto più poi le altri vorrà por menteatrecose,chequestoTar quinioera giovine fatto allorchè Servio Tullo fu aflunto al Trono, ilqualela prima cosa diede per moglie due sue figlie a due giova ni Tarquinj Lucio ed Arunte; che questo Tarquinio era di natu ra 3rdentifima EtnequalisAneiliberum animusadversusTarquinium fuerat, talisadversusse Tarquinii liberam esset: duas filias juvenibus, regiis' Lucio atqueAruntiTarquiniisjunio git a tergo    fine era eccitato cotidianamente ad occupare il regno da Tullia fua moglie la più stimolofa è rea f e m mina che fulle mai. Le quali cose considerate che fieno,faranno che debba credersi molto più irra gionevole che Servio Tullo abbia potuto regnare quarantaquattro an ni,che Tarquinio Prisco trentotto. Et ipfe juvenis ardentis animi do domi #xore Tullia in-, quietum inimum stimulante   Sen Servius quanquam jam  fu haud dubie regnum possederat; tamen quia interdum jactari voces a juvene Tarquinio audiebat büs, àtergo. a tergo, quid te stregium juvenem confpici jenis Nel fine del regno di Ser. Tullo. Senzache questoTarquinio,che è sempre chiamato giovine nella vi ta di Servio Tullo, moftra effére robusto e giovinę tuttavia allafi nedelregnodiquello,come co luichepiglioServioperlomez zo della perfona, e sollevatolo in alto lo gittò giù per la scala della Curia. La qual pruova giova nile non avrebbe potuto altrimenti fareseaquarantaquattro anni del regno diServioneaggiungiamo venti più o meno,ch'egli ne do yea avere alla morte di Tarquinio Brisco;.che lo farebbono vecchio di sessantaquattro anni allorchè ei (1)Multo ætateį viribus va lidior medium arripit Servium,es latumque eCuria in inferiorempar temper gradusdejecit.Id.Ib.p.34. a tergo.  per  de uxoribus mentio, Suam quisquelaudat miris modis,  Ora venghiamo finalmente ale lo stesso Tarquinio Superbo che fu l'ultimoRe diRoma iAvvenne verso la fine di questo regno,che nell'offidionedi Ardeainforgesle quistione traSesto Tarquinio e Tarquinio. Collatino marito di quella Lucrezia,chị de'dueavesse più savia moglie, dal che poi nacque, come Yaognuno), Confolato ela libertàRomana,Ora quertoTar quinio Collatina secondo le parole di Livio era giovine","e Yecondo lo ftesto autorem pervenne ad occupare il regno 5. Upitni HI,1, cer era figlio di un Inde IT: Forte potantikusbisapud Sextun Tarquinium ubii collati aus cænabat, Tarquinius Egerii fs lius incidit (fratrisbicfilius e rat Regis) Cyllațiæ in præfidio re lietus.a tery. eerto Egerio,il quale fu lafciato da Tarquinio Prisco alla guardia di Collazia Città di novella con quita nella guerra Sabina verso la metà del regno fuo o la in torno, che viene a cadere nell'an no cencinquantacinqueincircadal Collatio.c quisquid citra Collariam agri erat Sabinisadema ptum Egerius py,sub Indecertamine accenfoCollatinusne gatverbisopus effe; paucisid quide12 horis poffe:frisi,quantum cæteris præftet Lucretia. Quin sivi gor juventa ineft confcendimus, e qws,invifimulqise præsentesstrarun ingenia? LIVIO Vedi'anco la Tavoletta Cronologica registrata di topra.la edificazione di Roma,lomi penso che sarà mestiero darea ques sto Egerioaquel tempo per lo meno XXX anni, sì perchè l'età sua foffe in alcun modo eguale al cari co commessogli dal Re Tarquinio Prisco, sìperchèquesto Egerioera nato prima del tempo in cui Tar quinio venne a Roma sotto il re. gno di Anco (2), Ora come può egli starecheun'uomoditrent'anni ļ' anno di Roma cencinquanta cinque avere unfigliogiovine l'anno du genquarantaquattro,come non sivo glia supporre ch'egli avesse questo figlio dopo l'età degli ottant' an ni? ilche ben vede ognuno quan to LIVIO che è di niez zo tra ilpadre,e ilfigliuolo.  to siacontrario all'ordinario corfo delle cose naturali. Per lo che se vorremo ritenere questa discenden za de'Tarquinj, bisognerà accor ciare ilregiodiTarquinio Prisco di ServioTullo e similmente di TarquinioSuperbo,che occupano tutti e tre il tempo ot Un'altrapruova peracccrcia re ilregnodiTarquinio Superbo e quello eziandio di Servio Tullo fuopredecessore, fipudcavarda questo. Tarquinio Superbo quand? egli occupò il regno avea festanta quattro anni,come abbiani veduto poco innanzi, a'qualichiaggiunga i venticinque che fi dice avere ef fo regnato troverà,ch'egli avea L. Tarquinius Superbus regna ottantanove ánniallorchè fu elpus: fo dalregno;laqualcosapofto che vera, avšia merit:ito d'esser nota=; ta dagli Storici. Che più? Si legno gechequestoTarquinio parecchi annido poil  e g i fugio combattè a cavallo alLago Regillo con tro il Dittatore Postumio, il che gnavit annos quinque la viginti ! Regnatum konæ ab condita Urbe ad liberatam. Id. Ib.infinepo. LIVIO in Pofthumian prima in acie firos adhortantem inftruen temque Tarquinius Superbus quam quam jam '&tate a viribus erat gravior equum infeftus admifit; ietusqueab latere,concursufuorini receptus in tutum eft. du  che verrebbe a cadere nell'anno centesimo e più.là ancora dell'età sua, irragionevolezza troppo mag giore chenon sipuò comportare, e la qual nasce pure anch'essa, co me ognunvede,da uncalcolofon dato sopra leEpoche Liviane. Come adunquesidebbano le var molti e dalle du rate de'regnidi inni cotefti R e, egli si provato rimane abbastanza altrimenti nasco dagliassurdiche insieme i nelvoler comporre no le altre condizioni che ac fatti,e regni; medesimi cer questi conpiù compagnano furono i quali fatti dalla tra a'pofteri men tezdatrasmesli quantevolte dizione,che non un pia tornò. Ed egli abbastanza, come se fi riducano seguirono del Cielo tre quelli sito neta al medesimo provato è medesimamente le,cred'io, SO  durate di cotesti Re allà ordinaria legge diNatura,che li faregna re presi insieme diciotto o venti anniperuno,secondocheàdisco perto il Neutono, tutte le difficol tà siappianano, esvauiscono leir ragionevolezze tutte degli Storịci. La qual cosa benchè sia oramai fuor d'ogni quistione,mi piace aggiu gnere un'altra pruova, perchè fi vegga vie meglio qualmente sorga il vero da ogni lato, come all' in contro da ogni lato si manifefta 1 errore·Questanovellapruova fa rà ricavata dalle generazioni d'uo mini che sono indicate dagl’autori nella storia di detti re, le quali anch’esse arguiscono di falla la tecnica loro cronologia in quanto alle durate de’regni. Nella vita di Romolo fià, che Ottilio Avolo di Tullo Oftilio morì nella guerra   mo [Principes utrinque pugnam ciebant: ab Sabinis Metius Curatius, ab Romanis Hoftius Hoftilius [τετάρτω δε μηνί μεν την κτίσιν ως φάβιο ςισορά τοπε ρι την αρπαγήν ετολμήθη των γυ Voixãi. Plut. in Rom. Plut. descrivendo co mele Sabine divisero la zuffatra i Romani, e Sabini aggiugne: aipšv. muidice κομίζ εσαινήπια προς ταίςαγκάλαις  racontro i Sabini, che viene a cadere ne’ primi anni di quel regno. Il regno pertanto di Rout Hostius cecidit etc. LIVIO. Indo Tullum Hostilium nepotem Hostilii,cujus in infima arce clara pugna adver Sus Sabinos fuerat, regem populus. jussit. Plut. In Rom.] molo di Numa e di Tullo Ottilio, non occupa a un di presso che il tempo di due generazioni: quella del padre,o della madre che dir vogliamo di ello Tullo Ostilio, che duvette nascere al principio del regno di Romolo, e quella di Tullo Ostilio medesimo Da Nuna ad Anco Marzio suno due generazioni, poichè ello Numa era avolo di Anco Marzio; dat che ne seguita che la generazione tra Numa ed Anco finendo al tempo di Tullo Ostilio, rimanga·una generazione sola da Tullo alla fine del regno di Anco. Con che dal principio del regno di Romolo al [Numa Pompilii regis ne pos filia ortus Ancus Martiuserat. LIVIO. Plut. In Numa] ne  la fine di quello di Anco corrono in circa tre generazioni. Lucio Tarquinio Prisco prima detto Lucumo ne viene a Roma uomo maturo nel regno di Anco, onde la generazione di Tarquinio coincidendo con quella di Anco non resta che una sola generazione di uomini tra il regno di Anco e il regno di Tarquinio Superbo figlio di Tarquinio il vecchio o Prisco, Adunque dal principio del regno di Romolo al la fine di quello di Tarquinio Superbo corrono IV sole generazioni in circa di uomini e non più, Egli è il vero che LIVIO dice dubitare alcuni, se questo Tarquinio Superbo fosse figliuolo a [LIVIO eat ergo. Hic L. Tarquinius Prisci Tarquinii filius, ne posve fuerit, parum liquet: pluribus tamen authoribus filium crediderim devolvere retro ad stirpem fratrifi milior quam patri.  a ter go. Quas Anco prius, patre deinde Sito regnante, perpelli fint. Tarquinius reges ambos patrem vie, filium perfecisse a terg.  nepote del Prisco. M a senza che i più erano di oppinione ch'ei gli fusse figliuolo, oppinione abbracciata da esso LIVIO medesimo, egli si può mostrare, che da Tarquinio Prisco al Superbo corresse una sola generazioneper esser Col latino ancora giovane in ful fine del regno di Tarquinio Superbo, mentre il padre suo Egerio è uomo già fatto nel regno di Tarqui nio Prisco,come abbiamo veduto avatt   avanti.Ora fommando insieme gli anni di IV generazioni, ognu na delle quali ragguagliata è di XXXIII anni, si hanno cento e trentadue anni, e dando a ciascun Re XIX anni di regno, si hanno cento trentatre anni, il che derivato dalla legge di natura co sì maravigliosamente conviene col la regola cronologica del Neutono, che le osservazioni astronomiche più a capello non convengono colle teorie ec o'calcoli di quel grand’ uomo. Io non aggiugnerò altroa questo ragionamento, se non che a quel modo che la cronologia di Neutono assolve VIRGILIO che è il più esatto de’ poeti da quello acronismo imputatogli comunemente. Vedi la cronologia di Neutono te in rispetto a’ tempi in cui vissero ENEA e Didone, così ella può giustificare quella comun tradizione tenuta in Roma che NUMA è uditore di Pitagora, e che non meno contribuisse a fondar quello imperio, il qual è signor delle cole, la virtù italiana che la romana sapienza. Algorottus. Francesco Algarotti. Keywords. Refs.: Luigi Speranza, "Grice ed Algarotti," per Il Club Anglo-Italiano, The Swimming-Pool Library, Villa Grice, Liguria, Italia. Algarotti.

 

Luigi Speranza -- Grice ed Alici:la ragione conversazionale e  l’implicatura conversazionale reciproca – la scuola di Grottazzolina – filosofia marchese -- filosofia italiana – Luigi Speranza, pel Gruppo di Gioco di H. P. Grice, The Swimming-Pool Library (Grottazzolina). Filosofia marchese. Filosofo italiano. Grottazzolina, Fermo, Marche. Grice: “If an Italian philosopher tells me he believes in God, I stop calling him ‘philosopher’!” --. Grice: “I like Alici; he has philosophised on some of the topics *I* did, since it should not surprise anyone, since we are philosophers (if I’m also a cricketer!) --.Grice: “I will organize some overlaps in hashtags: compassione. – serious study – il terzo incluso – I curiazi, i moscheteri -- ”:noi dopo di noi,” ‘we after we’ – the meta-language – romolo e remo; ossia, il bene condiviso;:romolo e remo; ossia, condividere la deliberazione; eurialo e isso, ossia, dall’io al noi; colloquenza romana; amore: l’angelo della gratitudine; eurialo e nisso: amore d legarsi – la reciprocita; pilade ed oreste --  luigi Alici Presidente nazionale dell'Azione Cattolica Italiana. Presidente nazionale dell'azione cattolica italiana, Allievo di Rigobello, insegnato a Perugia, Roma, e Macera. Direttore della Scuola di Studi Superiori Leopardi. Studia Agostino. Saggi dedicati al rapporto tra interiorità e intenzionalità, comunicazione e azione, libertà e bene, con particolare attenzione alle tematiche dell'identità personale e della reciprocità a-simmetrica, esaminate anche sotto il profilo della loro rilevanza morale – anche temi della fragilità e della cura, e il rapporto tra natura, tecnologia e libertà.  Impegnato fin da giovane nell'azione cattolica, ha ricoperto numerosi incarichi, responsabile dell'Ufficio studi; direttore della rivista culturale "Dialoghi"; consigliere dell'associazione dall’assemblea nazionale, e presidente del consiglio. Membro del consiglio dell'Istituto per lo studio dei problemi sociali e politici Bachelet di Roma; Comitato Scientifico della Collana di “Filosofia morale” (Vita e Pensiero, Milano); Comitato di direzione della rivista “Dialoghi” (Roma); Consiglio Scientifico del “Centro di Etica Generale e Applicata” (Pavia); Comitato scientifico della rivista “Hermeneutica” (Urbino). Membro del Comitato Scientifico della Fondazione “Lanza” (Padova). Dirige inoltre la sezione di Filosofia della Collana “Saggi” (La Scuola Editrice, Brescia) e della Collana “Percorsi di etica” (Aracne Editrice, Roma). Altri saggi: “Il linguaggio come segno e come testimonianza. Una rilettura di Agostino”(Edizioni Studium, Roma); “Tempo e storia. Il "divenire" nella filosofia” (Città Nuova Editrice, Roma); “Il pensiero del Novecento Editrice Queriniana, Brescia); “Il valore della parola. La teoria degli "Speech Acts" tra scienza del linguaggio e filosofia dell'azione” (Edizioni Porziuncola, Assisi PG); “Presenza e ulteriorità, Edizioni Porziuncola, Assisi (PG)); “La dignità degli ultimi giorni” (Edizioni San Paolo, Cinisello Balsamo (MI)); “Con le lanterne accese. Il tempo delle scelte difficili, Ave Edizioni, Roma); “L'altro nell'io. In dialogo con Agostino” (Città Nuova Editrice, Roma); “Il terzo escluso, Edizioni San Paolo, Cinisello Balsamo (MI)); “La via della speranza. Tracce di futuro possibile”  (Edizioni Ave, Roma); “Cielo di plastica. L'eclisse dell'infinito nell'epoca delle idolatrie” (Edizioni San Paolo, Cinisello Balsamo), (Premio "CapriSan Michele); “Amare e legarsi. Il paradosso della reciprocità, Edizioni Meudon, Portogruaro); “Filosofia morale” (Editrice La Scuola, Brescia); “I cattolici e il paese. Provocazioni per la politica” (Editrice La Scuola, Brescia); “L'angelo della gratitudine, Edizioni Ave, Roma); “Cittadini di Galilea. La vita spirituale dei laici” (Quaderni di Spello”, Edizioni Ave, Roma,  (Premio “CapriSan Michele); “Il fragile e il prezioso. Bio-etica in punta di piedi, Editrice Morcelliana, Brescia); “InfinitaMente. Lettera a uno studente sull'università, EUM, Macerata,. Edizioni di opere di Sant'Agostino La città di Dio, Rusconi, Milano; Bompiani, Milano. La dottrina cristiana, Edizioni Paoline, Milano; Confessioni, Sei, Torino, Manuale sulla fede, speranza e carità, Collana La vera religione, Città Nuova Editrice, Roma. “Il potere divinatorio dei demoni, Collana La vera religione, Città Nuova Editrice, Roma; La natura del bene, Città Nuova Editrice, Roma; Il libro della pace. «La città di Dio, XIX», Editrice La Scuola, Brescia); “Agostino nella filosofia del Novecento (con R. Piccolomini e A. Pieretti), 4Città Nuova Editrice, Roma (comprende: Esistenza e libertà, Interiorità e persona, Verità e linguaggio, Storia e politica). Azione e persona: le radici della prassi, V&P, Milano, Forme della reciprocità. Comunità, istituzioni, ethos, Il Mulino, Bologna, La filosofia come dialogo. A confronto con Agostino” (Città Nuova Editrice, Roma, Filosofi per l'Europa. Differenze in dialogo con Totaro, Eum, Macerata, Agostino. Dizionario enciclopedico, di Allan D. Fitzgerald edizione italiana curata assieme a Antonio Pieretti, Città Nuova Editrice, Roma); “Forme del bene condiviso, Il Mulino, Bologna, “La felicità e il dolore. Verso un'etica della cura” Aracne Editrice, Roma,. Dialogando. Idee, pensieri, proposte per il nostro tempo, Edizioni Ave, Roma); “Unità e pluralità del vero: filosofia, religioni, culture, Archivio di filosofia); “Il dolore e la speranza. Cura della responsabilità, responsabilità della cura, Aracne Editrice, Roma); “Prossimità difficile. La cura tra compassione e competenza, Aracne Editrice, Roma); I conflitti religiosi nella scena pubblica. I: Agostino a confronto con manichei e donatisti, Città Nuova Editrice, Roma); “Noi dopo di noi. Accogliere, rigenerare, restituire: nella società, nell'educazione, nel lavoro” (FrancoAngeli, Milano); “I conflitti di valore nello spazio pubblico. Tra prossimità e distanza, Aracne Editrice, Roma); “I conflitti religiosi nella scena pubblica. II: Pace nella civitas, Città Nuova Editrice, Roma); “La fede e il contagio. Nel tempo della pandemia, (con G. De Simone eGrassi), Ave, Roma. L'umano e le sue potenzialità: tra cura e narrazione (conNicolini), Aracne, Roma. L’etica nel futuro (con F. Miano), Ortothes, Napoli-Salerno. Pagina di presentazione nel  docenti dell'Università degli Studi di Macerata, su docenti.unimc.  Dialogando. Il blog di Luigi Alici, su luigialici.blogspot. Predecessore Presidente nazionale dell'Azione Cattolica Italiana Successore Paola Bignardi.  “Love and duty are the cement of society” (Elster). “Love and duty are *not* the cement of society. The mechanism is *reciprocity*. Seemingly co-operative, helpful, altruistic behaviour, based on versions of the ‘I’ll-scratch-your- back-you-scratch-mine’ principle, require no nobility of spirit. Greed and fear suffice as motivation: greed for the *fruit* of co-operation, and fear of the consequence of *not* reciprocating the co-operative helpful overture of the other.” (Binmore). Chi tra Elster e Binmore ha ragione? Chi che vede nell’amore il “cemento della società”, o chi che considera invece la reciprocità dei due soggetti, basata su egoismo e paura, come il meccanismo sufficiente per tenere assieme la società? Oppure le cose sono più complicate? Grice propone di penetrare all’interno delle dinamiche della gratuità, della reciprocità e del tipo di razionalità che sottostanno ad esperienze conversazionale che potremmo chiamare “sociali”, come sono quelle dell’Economia di Comunione Conversazionale [cf. Bruni e Pelligra]. In particolare ci domandiamo a quali condizioni un soggetto o un’impresa mossi da una razionalità diversa da quella standard possano sopravvivere e svilupparsi in un contesto dove esiste una eterogeneità di soggetti interagenti. Inizieremo evidenziando le caratteristiche base dell’idea di razionalità che muove l’homo oeconomicus, cioè l’agente considerato “standard” dalla teoria economica convenzionale. Quindi introdurremo un tipo di agente non standard, mosso da una razionalità in cui l’azione donativa ha una ricompensa intrinseca. Questo fa in modo che la reciprocità possa assestarsi come equilibrio stabile. Nella sezione 3 vedremo che, quando agenti eterogenei interagiscono tra di loro, le cose si complicano e gli esiti non sono più scontati. Per far questo ci serviremo della forma più elementare di giochi evolutivi; saremo, così, in grado di mostrare i risultati più interessanti del modello, che espliciteremo nelle conclusioni. Smerilli Bruni  Bellanca, Crivelli, Gori, Gui, Pelligra Zarri. Perché è così difficile cooperare (per l’economia)? L’idea di razionalità è dove sono maggiormente concentrate le assunzioni della scienza economica circa il comportamento umano, che potremmo anche chiamare antropologia filosofica, o psicologia filosofica. La razionalità economica, non cerca, principalmente, di descrivere il comportamento “quale è” nella realtà, ma piuttosto di individuare dei criteri di comportamento ottimo, razionale appunto, che fanno in modo di poter individuare tra i tanti comportamenti possibili quelli ottimizzanti – anche se tra analisi descrittiva e normativa esiste poi uno stretto rapporto. Le caratteristiche base dell’idea standard di razionalità economica, possono essere sinteticamente enucleate guardando alle assunzioni, che restano spesso implicite, del “gioco” più famoso utilizzato oggi in economia: il cosiddetto dilemma del prigioniero. Esso, nell’ambito della teoria dei giochi1, è usato per mostrare come la ricerca dell’individualistico tornaconto, in molte situazioni (in particolare in quelle dove non è possibile stipulare un contratto vincolante per le parti), non solo non porta al bene comune, ma neanche al bene privato dei singoli individui. La logica che sottende il gioco è usata per spiegare molti dei dilemmi dovuti all’assenza o al mal funzionamento dei mercati: dall’inquinamento, alla congestione del traffico, alle difficoltà della co-operazione. Il gioco rappresenta l’interazione tra due individui, che chiamiamo Romolo e Remo, identici (hanno le stesse informazioni e la stessa struttura di preferenze, i due elementi che fanno la diversità tra gli agenti economici –a cui va aggiunto, nel caso di imprese, il potere di mercato). Romolo e Remo si trovano a scegliere in una situazione ‘strategica’ di inter-dipendenza, ciascuno sa di avere di fronte un soggetto identico a sé, con le stesse preferenze, e *entrambi* conoscono la struttura del gioco (le ricompense, o pay-off associati agli esiti, che dipendono dalle proprie azioni o muoti conversazionali e da quelle dell’altro/i). Quali sono le preferenze? Per restare nel concreto, pensiamo ad una situazione famigliare: la raccolta differenziata dei rifiuti (ma il ragionamento, come si capirà immediatamente, è di portata più universale). L’ordine di preferenze dei nostri due giocatori, e in generale dell’homo oeconomicus standard che di norma l’economista ha in mente quando descrive il mondo, sono le seguenti. Al primo posto Romolo ed Remo – o Eurialo e Niso -- mettono: “l’altro fa la raccolta e io no”. A questo esito del gioco associamo il punteggio massimo, diciamo 4 punti. Al secondo posto “tutti la facciamo, me compreso” (3 punti). Al terzo “nessuno la fa” (2 punti). Al quarto “solo io faccio la raccolta differenziata” (1 punti). La tabella e il grafico sottostanti (che sono due modi diversi di rappresentare questa situazione, rispettivamente in forma normale ed estesa) rappresentano sinteticamente la struttura del gioco. La teoria dei giochi è oggi pervasiva nella teoria economica. Essa è soprattutto un linguaggio che consente di rappresentare in modo molto efficace interazioni (chiamate “giochi”) di tipo ‘strategico’, cioè situazioni nelle quali i guadagni, non solo monetari (chiamati pay-off, ricompense), dipendono dalla scelta dell’ altro soggetto o individuo inter-agente con lui, e non solo dalla propria (deliberazione condivisa). La teoria dei giochi ha oggi un campo di applicazione molto vasto, che va dalla collusione tra imprese all’inquinamento, dalle scelte elettorali al rapporto paziente-psicologo. Va notato che sebbene, per semplicità e per ragioni di chiarezza espositiva, abbiamo assegnato pay-off numerici (ipotesi che verrà eliminata nelle prossime sezioni), in realtà siamo all’interno di un orizzonte di tipo ordinalistico. Di per sé i valori numerici non possiedono alcun significato, e quello che conta è l’ordine delle preferenze individuali. Data una tale struttura di preferenze, si dimostra facilmente che Eurialo e Niso, *se sono razionali*, sceglieranno entrambi di *non* co-operare (non fare la raccolta differenziata), ritrovandosi così al terzo livello di preferenza (con due punti ciascuno: 2 punti per Eurialo, 2 punti per Niso), una situazione “dominata” dalla co-operazione reciproca (fare tutti la raccolta), in cui avrebbero ricevuto tre punti ciascuno (3, 3). Eurialo  Co-opera Co-opera 3,3 1,4 Non co-opera Non co-opera 4,1 2,2. Nella rappresentazione in forma estesa, gli esiti del gioco esprimono bene le caratteristiche base dell’idea di soggetto che l’economia normalmente segue nel costruire i suoi modelli. Il suo mondo ideale è quello in cui gode dei benefici (ad esempio un mondo non inquinato) senza sostenerne i costi che preferisce trasferire sull’altro, se può (separare i rifiuti, depositarli in raccoglitori diversi, ecc. ). Da qui il dilemma. Si dimostra facilmente che, poiché si trova di fronte uno/a con la stessa “razionalità” e preferenze, la soluzione del gioco è che entrambi Eurialo e Niso si ritrovano al terzo livello dell’ordinamento di preferenze, cioè nessuno fa la raccolta differenziata, quando invece ciascuno avrebbe preferito che tutti la facessero (che infatti si trova al secondo posto). E la realtà delle nostra città e del nostro pianeta ci dice quanto questi dilemmi siano reali e urgenti, e quanto la scelta ‘sociale’ non si discoste poi tanto dal modello astratto utilizzato dall’economia. Tutto ciò ci dice che la *soluzione* del gioco, e gli esiti dilemmatici dipendono sostanzialmente da due ipotesi base circa la razionalità. Primo, l’individualismo: ragionare esclusivamente nei termini di “cosa è ottimo, o meglio, per me: mittente/recipiente”). Secondo: lo strumentale (la bontà di una azione si misura sulla base della sua capacità di essere un *mezzo* condizionale per ottimizzare i pay-off, non per il suo valore categorico intrinseco. Date queste ipotesi, la non- [Nella tabella i numeri (i pay-off) esprimono utilità, quindi il più è preferito al meno. Il primo numero si riferisce a Niso, il secondo ad Eurialo. Nell’appendice abbandoniamo i numeri e passiamo ad un caso più generale (dove i pay-off è espresso in lettere, ordinate non in modo cardinale). Va aggiunto che non ogni inter-azione rappresentabili come dilemma del prigioniero porta a risultati dilemmatici e sub-ottimale a causa dell’antropologia sottostante. Si pensi, ad esempio, agli  [3  cooperazione (nessuno fa la raccolta) è un *equilibrio* stabile del gioco (o equilibrio di Nash), dal quale nessuno dei giocatori ha convenienza a spostarsi uni-lateralmente, a meno che non si sia capaci di stipulare un *patto* vincolante. Se un patto vincolante non è possibile -- si pensi alle interazioni quotidiane con numerosi agenti, come nel traffico stradale -- o troppo costoso, *non* cooperare risulta la ‘strategia’ ottimale per due ragioni. Prima se Eurialo suppone che Niso è azionale (individualista e strumentale) allora se co-operassi avvierei Eurialo allo sfruttamento (1 punto).Se invece Eurialo ha buone ragioni per pensare che Niso *non* è razionale o, come dice Dawkins, “ingenuo”, e che quindi si lasce sfruttare, Eurialo ha una ragione in più per *non* cooperare. Otterrai infatti 4 punti. Quindi l’esito dilemmatico è una combinazione di paura alla Hobbes e di opportunism. Se va male Eurialo cade in piedi e non si lascia sfruttare. Se va bene Eurialo prende tutto. Una razionalità puo essere con ricompense *non* materiali. In un mondo fatto di due individui mossi da questa razionalità la co-operazione può essere raggiunta solo quando siamo capaci di auto-vincolarci a delle regole non opportunistiche, per un bene individuale maggiore. Io gratto la tua schiena, tu gratti la mia. Questo principio è, in mille varianti, il tipo di co-operazione che può emergere tra due soggetti razionali di questa maniere. Grice lo chiama ‘altruismo reciproco’ -- individuando un comportamento pro-sociale in tutte le specie animali, dove però l’altruismo disinteressato non esiste, ma è solo maschera di più sottili forme di egoismo (o amore proprio e non benevolenza). In ogni caso la co-operazione è interamente condizionale e non un imperativo di tipo kantiano. Eurialo aiuta Niso a condizione che Niso aiuta Eurialo e vice versa. Viene comunque spontaneo chiedersi se negli esseri umani – o almeno due filosofi oxoniensi -- ci sia qualcosa di diverso, in termini di socialità, rispetto alle scimmie o alle formiche. Al di fuori di questi specifici casi nei quali la co-operazione emerge, un atto che non punti a rendere massimo il proprio interesse, di breve o di lungo periodo, è considerato *irrazionale* o ingenuo, poiché si diventa pasto degli altri individui più aggressivi, che cresceranno e prospereranno a spese degli ingenui. Forse molti degli atti di co-operazione a cui assistiamo nella vita quotidiana possono trovare la loro spiegazione sulla base di questo tipo di logica individualistica, strumentale, e condizionale. Non tutti però. E’ infatti nostra convinzione che la convivenza civile, e le dinamiche economiche conversazionale, conoscono anche altre forme di co-operazione, che possono emergere sulla base di un ragionamento mosso da un tipo *diverso* di razionalità non utilitaria ma assoluta. In quanto segue, cercheremo di esplorare le implicazioni che scaturiscono dalla seguente domanda. Come cambia il gioco della vita in comune se complichiamo la visione antropologica sottostante i modelli economici? L’elemento di diversità (rispetto all’approccio standard) che qui introduciamo, è la presenza di un valore *intrinseco* categorico assoluto ingorghi stradali. Questi sono perfettamente rappresentabili come dilemmi del prigioniero. Ma sarebbe impreciso definire gli automobilisti che escono per andare a lavoro individualisti e strumentali. Ma abbiamo a che fare con un problema di mancanza di co-ordinamento in una scelta collettiva, che se vogliamo rimanda anch’esso a una dimensione ‘sociale’ (come la capacità di addivenire a patti vincolanti), ma, antropologicamente, è meno coinvolgente di casi dilemmatici che riguardano l’inquinamento o il rapporto con il fisco. Questo per dire che la teoria dei giochi è un linguaggio che trascende l’ambito economico e la sua tipica forma di razionalità; e infatti essa è utilizzata anche per modelizzare agenti mossi da forme razionalità *non* strumentali (come in parte fa Grice). (Dal nome del matematico che nei primi anni cinquanta introdusse questa nozione di equilibrio stabile). Il fatto che nella realtà concreta riusciamo a non cadere nel dilemma dipende dal fatto che spesso riusciamo a disegnare patti o contratti vincolanti, con sanzioni. Grice mostra che anche il richiamo di allarme che certi uccelli emettono per avvisare il gruppo dell’arrivo di un predatore, a *rischio anche della propria vita*, è il risultato di un calcolo egoista. L’uccello può più facilmente salvare la sua vita se tutto lo stormo si sposta e non rimane isolato. -- associato a un comportamento di gratuità, da cui discende la possibilità di sperimentare una co-operazione, o reciprocità, non primariamente strumentale e condizionale, ma assoluta, costitutiva dell’umano, e categorica. Questo agente economico intende pertanto la reciprocità diversamente da come essa è usata oggi in economia. Rispetta l’ambiente, paga le tasse o edifica la casa rispettando i vincoli del piano regolatore (tutte faccende cooperative), ad esempio, perché questi comportamenti sono per lei dei valori, perché le danno una ricompensa intrinseca, e non solo strumentale (i vantaggi materiali della cooperazione, che pure sperimenta). Questo diverso tipo di agente non è quindi puramente consequenzialista e utilitario come invece è l’agente-individuo. Non valuta cioè la bontà del muoto conversazionale solo sulla base della conseguenza che tale muoto produce, ma tiene conto sia di una componente assiologica o deontologica – non aletica --, legata al valore, sia di una componente procedurale, più legata ai tipi di relazione all’interno delle quali il suo muoto si sviluppa. Sa inoltre che il suo muto è pienamente *efficace* se anche l’altro si comportano allo stesso modo (se reciprocano). Ma non condiziona il suo comportamento a quello dell’altro (come invece farebbe l’homo oeconomcus-individuo standard). Al tempo stesso, se l’altro si comportano sulla base della stessa razionalità assiologica e dello stesso valore intrinseco, allora egli soddisfa al massimo le sue preferenze, e anche il benessere sociale aumenta. In base ad una tale struttura di valori, o cultura della reciprocità gratuita, al primo posto dell’ordine di preferenze questo tipo di agente economico non mette, diversamente dal tipo standard, “tutti co-operano tranne me”, ma “tutti, me compreso, cooperiamo”, o doniamo. E questo perché il comportamento in sé è parte integrante del suo sistema di valori. Al secondo posto dell’ordine di preferenze pone: l’altro co-opera, io no. Al terzo posto: io co-opero, l’altro no. Al quarto, nessuno co-opera. Per capire questi valori si può partire dalla struttura di ricompense (i pay-off, cioè i numeri che misurano le ricompense) del dilemma del prigioniero. Ma occorre aggiungere, o sottrarre, ai pay-off materiali una componente intrinseca, sulla base della teoria classica della felicità o calculo eudaimonico, o beatifico, nella quale il comportamento buono in sé, o *virtuoso*, ha una ricompensa intrinseca. Così, se un soggetto ha fatto propria questa cultura della reciprocità gratuita o, per usare un’espressione più forte ma anche più corretta, della “comunione” (la communita immune), quando Eurialo co-opera e la controparte, Niso, no (pensiamo sempre all’esempio ambientale, o, se si vuole, ad un rapporto di amicizia), il suo pay-off, materialmente uguale a 1 (come nel gioco standard), aumenta a causa delle ricompensa intrinseca (che poniamo pari ad uno), attestandosi a 2. Se Eurialo invece *non* coopera ma la controparte, Niso, sì, ecco allora che il pay-off, pur essendo materialmente pari a 4, diminuisce a 3, perché si inserisce una *sanzione* intrinseca. 4 – 1 = 3. Si pensi a chi, pur avendo fatto propria la cultura della reciprocità, in un certo muoto non è coerente perché non riesce a vincere la tentazione del vantaggio materiale. La sua soddisfazione è comunque minore a causa della sanzione intrinseca, che potremmo chiamare anche insoddisfazione o senso di colpa o vizio. Il mondo peggiore (pay-off = 1) è quello in cui ciascuno è chiuso in se stesso. Qui il pay-off è 1 perché si parte da quello materiale (2) e gli si sottrae il valore intrinseco (2 – 1 = 1). Il mondo migliore è invece la *reciprocità*, un incontro mutuo di gratuità: (4), il pay-off materiale della co-operazione (3) più la componente intrinseca della gratuità. Sui vari usi della categoria di reciprocità nella teoria economica, cf. Crivelli. Questo ordine di preferenze dipende dall’ipotesi che la componente intrinseca dei pay-off sia costante e pari ad uno. Un’analisi più approfondita dovrebbe studiare i casi quando la motivazione intrinseca è maggiore, minore o uguale alla componente materiale. Non è da escludere, ad esempio, che all’aumentare di quest’ultimo dovrebbe aumentare la tentazione di tralasciare gli aspetti intrinseci. Se fare, ad esempio, la raccolta differenziata diventa estremamente costoso e laborioso, il numero di quelli, anche bene intenzionati, che la faranno diminuirà. Inoltre, una tale analisi ammette la possibilità di confronti  -- La componente intrinseca dell’azione è legata alla teoria classica della felicità o calculo eudemonistico di Bentham. La felicità, essendo il risultato di una vita virtuosa, è fuori dalla logica strumentale. La virtù è praticata perché ha un valore intrinseco, non per un calcolo machiavelico strumentale costi/benefici. La virtù, in particolare quella civica, ha bisogno di reciprocità perché porti ad una vita sociale pianamente realizzata, ma non può pretenderla, solo attenderla dalla libertà dell’altro. Ecco perché dagli antichi fino ad oggi alla felicità è associato un elemento *paradossale*. La feicita ha bisogno di reciprocità, ma solo la gratuità può suscitarla senza pretenderla. Un “gioco di reciprocità” (intesa nella maniera appena detta), che rimane sempre del tipo dilemma del prigioniero, può essere dunque rappresentato come segue: Eurialo Dona Non-Dona   Dona 4,4 2,3 Non-Dona 3,2 1,1 Rappresentiamo anche questo gioco in forma estesa. Dalla tabella, o dall’albero decisionale, si nota che se i due giocatori hanno questa stessa struttura di preferenze, l’unico esito stabile del gioco o equilibrio di Nash, dal quale cioè nessuno è incentivato a spostarsi, è “dona-dona”. Quindi per interpersonali di utilità, cosa peraltro non inusuale quando l’utilità attesa si calcola con la funzione di Von Neumann Morgernstern. Per un’analisi approfondita dei pay-off psicologici cf. Pelligra. Sul paradosso della felicità cf. Bruni. Il modello che può essere considerato il capostipite dei giochi del tipo gioco di reciprocità è quello introdotto da Sen -- questi giocatori-persone donare (o co-operare) è ‘strategia’ strettamente dominante, e l’unico equilibrio stabile del gioco è la reciprocità o la *comunione*: dona/dona. Cosa ci suggerisce questo gioco, pur nella sua estrema semplicità? Se sono un soggetto che ha questi valori non ho alternative a cooperare: gli altri possono rispondere o meno, e quindi il mio benessere/felicità è incerto (stando al gioco precedente, posso ottenere in termini materiali 2 o 4 punti): ciononostante per me l’unica possibilità, l’unica azione razionale, è cooperare, o come abbiamo detto, donare. Così, per fare un esempio, se sono alle prese con un fornitore difficile, non ho alternative al donare. Potrò trovare reciprocità o no, ma in ogni caso l’alternativa, ‘non-dona’ – che, nella pratica, significherà ogni volta qualcosa di diverso – è per me la peggiore (perché è sempre dominata dalla co-operazione) a causa della ricompensa (sanzione) intrinseca. E’ questo un soggetto che per alcune scelte non calcola i costi e i benefici. Che senso ha fare la raccolta differenziata se solo io la faccio. Ma agisce sulla base di un valore, o di una norma etica interiorizzata. Ciò spiega, tra l’altro, perché in certe società l’ecologia o il rispetto delle norme civili sono messe in pratica anche in contesti nei quali sarebbe razionale (nel senso standard) non farlo: iclassico fazzoletto di carta buttato fuori dal finestrino quando nessuno ci osserva, e quindi nessuna sanzione può essere applicata. D’altro canto, davanti a queste nostre considerazioni qualcuno potrebbe obiettare. Ma se ipotizzate che gli individui traggano soddisfazione dal muoto conversazionale stesso, diventa banale spiegare l’emergere (dalla perspettiva della psicologia filosofica) della co-operazione. In effetti l’idea è semplice. Ma ci auguriamo non banale, ma bizarra. In particolare, gli aspetti più interessanti intervengono quando pensiamo che nel mondo reale, nel mercato in particolare, non sappiamo normalmente con chi stiamo giocando, se abbiamo cioè di fronte un soggetto del primo tipo o uno del secondo. E qui entriamo in quello che possiamo chiamare il “paradosso della reciprocità” o della comunione, che possiamo sviluppare sinteticamente come segue, mettendo assieme i vari pezzi fin qui costruiti. Una vita buona ha bisogno di reciprocità genuine. La reciprocità genuina però non viene suscitata se la logica che ci muove è primariamente strumentale. La risposta dell’altro, la reciprocità, non possiamo pretenderla, ma solo *attenderla* dalla libertà dell’altro. Co-operare porta quindi a due esiti diversi (indicati con 2 o 4) in base alla risposta o non risposta dell’altro. Per comprendere questi risultati, si consideri che ognuno sa che l’altro ha di fronte due possibili scelte: donare e non donare, e, date le loro preferenze, qualunque scelta faccia l’altro per ciascuno è preferibile donare -- considerando anche il pay-off intrinseco. Se infatti l’altro giocatore (Eurialo) sceglie “donare” i punti di Niso sono 4 (mentre la mossa “non-dona” avrebbe portato solo 2 punti); e anche se Eurialo scegliesse “non donare”, Niso preferisce sempre “donare” che gli dà 2 punti invece di 1 (che è il pay-off di “non-dona/non-dona”). Può valere la pena specificare che qui con “donare” non si intende l’altruismo o la filantropia -- che possono restare atti individualisti. Donare è sinonimo di ciò che la cultura greco-romana chiama “amore”, e cioè un atto gratuito ma che ha sempre di mira la *reciprocità*, il rapporto personale con l’altro (amore-amicizia). Qualcuno potrebbe obiettare sostenendo che più che di una diversa forma di razionalità in questo caso siamo in presenza di un soggetto che ha solo preferenze diverse, ma la cui razionalità resta quella standard strumentale, perché in fondo anche lui massimizza la propria utilità. Noi preferiamo pensare che una persona che agisce mossa da motivazioni intrinseche sia più efficacemente rappresentabile da una forma di razionalità che Grice chiamava “rispetto ai valori” o assiologica che non dalla classica razionalità strumentale, che si caratterizza proprio per il suo essere tutta basata sul calcolo utilitario.Qui infatti nostri soggetti co-operativi fano la scelta non sulla base di un calcolo, ma per un valore. È ovvio che esiste una circolarità tra motivazioni intrinseche e il comportamento dell’altro -- su questo cf. Bruni e Pelligra. Per questo la vita in comune è fragile, come anche i filosofi – da Aristotele in poi - ci insegnano, perché essa dipende dalla risposta dell’altro – l’amore di Eurialo e reciprocato dall’amore di Niso e vice versa. Quale evoluzione? Facciamo ora un passo avanti, e ci domandiamo cosa succede quando soggetti standard e soggetti non standard (il secondo tipo che abbiamo appena descritto) interagiscono tra di loro. Sono situazioni che Grice studia. Sono ormai numerosi i modelli con un agenti altruistico che interage con un agenti auto-interessato. Qui ipotizziamo quattro casi, che, con diversi gradi di astrazione, possono rappresentare alcune situazioni reali che vengono a verificarsi quando l’interazione avviene tra soggetti diversi, perché mossi da culture diverse. Utilizzeremo, allo scopo, i rudimenti della teoria dei giochi evolutivi, nella sua forma più elementare, il cui elemento innovativo è l’introduzione della componente immateriale del pay-off corrispondente alla ricompensa intrinseca. Ipotizzeremo cioè i nostri giocatori immersi in un ambiente abitato da popolazioni diverse, dapprima due, e poi tre. La teoria dei giochi evolutivi utilizza lo stesso linguaggio, e in buona parte la stessa metodologia, della *biologia* evolutiva. Tra più popolazioni esistenti in un dato ambiente, nel tempo sopravvive quella che ha la fitness – capacità di adattamento – maggiore. Se due popolazioni hanno la stessa fitness sopravvivono entrambe. Ma se una ha una fitness minore delle altre è destinata all’estinzione, non nel senso biologico del termine (morte di tutti i soggetti di quella specie), ma che quel comportamento non verrà riprodotto, e saranno imitati i comportamenti vincenti. Il dibattito sull’applicazione di una tale metodologia agli essere umani e alle loro popolazione è aperto, e controverso. In quanto segue noi non intendiamo abbracciare la filosofia, né la metodologia, dei giochi evolutivi. Riteniamo soltanto che il linguaggio dei giochi evolutivi ci aiuti a mettere in luce dinamiche, che riteniamo reali, non facilmente individuabili con linguaggi diversi. Il nostro è quindi un esperimento, che ci piacerebbe, in futuro, portare avanti, mettendo a quel punto in questione alcuni assiomi che nell’attuale teoria dei giochi evolutivi ci appaiono troppo semplificati, come il concetto di fitness: semplificati, ma non inutili, come speriamo di mostrare. Primo caso: Tipi 1 e Tipi 2, non riconoscibili Come primo caso facciamo le seguenti ipotesi. Esistono solo due tipi tra loro non riconoscibili. Chiameremo tipi 1 quelli standard, e tipi 2 quelli non-standard o di reciprocità. Le ricompense intrinseche sono determinanti per la scelta (che, come visto, fanno sì che per il tipo 2 sia sempre razionale, perché strettamente dominante, “donare”). Ma per la sopravvivenza nel tempo di un tipo di agente, la cosiddetta fitness (misurata -- La versione più semplice di tali modelli si può trovare nel Manuale di microeconomia di R. Frank. Un testo classico è quello di Axelrod, e un recente studio, basato su evidenza sperimentale, è quello di Bowles. Un modello vicino a quello qui presentato è Sacco e Zamagni. Interessanti considerazioni metodologiche si trovano in Crivelli. Vale la pena specificare che mentre nella biologia evolutiva l’unità di selezione è il gene, in economia l’unità di selezione è il comportamento; inoltre, mente in biologia la trasmissione è ereditaria in economia essa avviene per imitazione. Sono i vari comportamenti adottati e imitati che rendono un agente più efficiente di un altro. Un contributo importante a questo riguardo è l’articolo The evolutionary turn in game theory diSugden -- dal valore medio dei pay-off materiali), contano solo i pay-off materiali, non i pay- off dovuti alla ricompensa intrinseca. c. I pay-off materiali sono i seguenti. Coopera – coopera. Non coopera – coopera. Coopera – non coopera. Non coopera – non coopera. Con a > b> c> d. La probabilità di incontrare un tipo 1 è p1, mentre quella di incontrare un tipo 2 è p2, dove, per la definizione di probabilità, p2 = 1- p1 In questo primo caso lo scenario non è roseo per i tipi 2. Si dimostra, infatti, che a sopravvivere saranno solo i tipi 1, e questo risultato è indipendente dalla percentuale di tipi 1 e 2 presente nella popolazione. Infatti, anche se i tipi 2 fossero la quasi totalità (ex. 99%) dell’universo, sarebbero destinati ugualmente all’estinzione perché sistematicamente sfruttati dagli individui. SE VALGONO LE IPOTESI PRECEDENTI, SOPRAVVIVONO SOLO I TIPI 1, PER OGNI VALORE DI p1 e p2. Se supponiamo un intervento ridistributivo dello stato che preleva risorse dai tipi 1 per sostenere i tipi 2 (es. ciò che avviene normalmente nei sistemi di stato sociale con le imprese sociali), il gap di fitness si riduce, e in certi casi potrebbe essere nullo, consentendo così la co-esistenza dei due tipi. Situazione diversa se ipotizziamo che i due tipi siano, per l’esistenza di un qualche segnale, riconoscibili, e che il tipo 2 decida di interagire soltanto con i suoi simili.  Aggiungiamo, quindi l’ipotesi. Rispetto ai giochi delle prime due sessioni, ora ricorriamo esplicitamente a pay-off ordinali, dove la sola condizione rilevante nella misurazione dei pay-off è il loro ordine, e cioè che a sia maggiore di b, b di c e c di d. Indichiamo con Fi la fitness dei tipi 1, e con Fp la fitness dei tipi 2. F1 = p1c + p2a F1 = p1c + (1-p1)a F2 = p1d + (1-p1)b. La tesi F1>F2 equivale quindi a: p1(b-a) + p1(c-d) > b-a, per p1 = 0 la disuguaglianza diventa a>b ed è quindi vera per p1 = 1 la disugualglianza diventa c>d ed è quindi vera osservo che valore di p1 (0, 1), p1(c-d) >0 p1(b-a) > b-a, perché b-a è minore di zero, quindi: F1>F2 valore di p1 [0, 1]. È possibile inoltre dimostrare che, per tutti I giochi di questo tipo, quale che sia la posizione iniziale di partenza, l’unico equilibrio evolutivamente stabile verso cui si converge nel tempo è quello che prevede l’estinzione di una delle popolazioni, nel nostro caso dei tipi 2.  9  e. i tipi sono riconoscibili e l’interazione è selettiva (il tipo 2 gioca solo con i simili). Se la riconoscibilità è perfetta (cioè la probabilità di simulazione è nulla), si dimostra facilmente che sarebbero i tipi 2 a sopra-vivere. Infatti, in questo caso vale il Risultato. SE IPOTIZZIAMO PERFETTA RICONOSCIBILITÀ DEI TIPI, SI ESTINGUONO I TIPI 1. Questo secondo risultato ci dice già qualcosa d’importante. La riconoscibilità, anche quando non perfetta (come nella realtà normalmente avviene), aumenta la fitness dei tipi 2. Ciò spiega, ad esempio, l’emergere del fenomeno della “rete”, una realtà tipica dell’economia sociale. Le varie componenti ed espressioni dell’economia sociale tendono infatti a cercarsi e scegliersi l’un l’altra: reti di imprese, reti di consumatori che insieme preferiscono le imprese sociali, reti di imprese (si pensi ai consorzi di co-operative, di veri livelli), risparmiatori e consumatori (il fenomeno delle banche etiche e della finanza etica). Nella realtà, però, supposto che un agente 2 voglia evitare di interagire con i tipi 1 (cosa da non dare per scontata), la perfetta riconoscibilità o la simulazione nulla sono comunque altamente irrealistiche (sono troppi i soggetti con i quali un’impresa e anche una persone interagisce: lavoratori, finanziatori, concorrenti, fornitori, consumatori). E’ quindi necessario ricorrere ad altre ipotesi per giustificare teoricamente lo sviluppo delle imprese sociali nel tempo. E’ quanto di cerca di fare negli altri due casi. Introduciamo ora un *terzo* tipo che si aggiunge ai due precedenti. Potremmo chiamarlo ‘civile’ o griceiano. Ipotizziamo che: f. il tipo 3 gioca una strategia “colpo su colpo”, una strategia intermedia (rispetto alle altre due più “radicali” dei tipi 1 e 2, che, rispettivamente, co-operano mai e sempre), che lo fa co-operare con chi coopera, e *non* cooperare con chi *non* coopera. Quest’ultimo co-opera quindi con chi coopera, e *non* co-opera con chi *non* co-opera. Il tipo civile o griceiano, non attribuendo un valore intrinseco (o attribuendogliene uno troppo basso) all’azione donativa, *non* ha “cooperare!” o “cooperiamo!” come ‘strategia’ *dominante*. La strategia dominante e “Siamo razionali”. Ma se ha di fronte un tipo 2, pur riconoscendolo, non lo sfrutta preferendo reciprocare. E’ un 21 La correlazione esclusiva tra tipi può avvenire per almeno due ragioni: o perché l’agente sceglie il tipo preferito che viene riconosciuto attraverso un segnale (che deve essere affidabile), oppure perché si trova in un cluster, cioè in un’area nella quale si trovano soltanto soggettio dello stesso tipo – pensiamo, ad esempio, ad una comunità locale come il gruppo maschile della sub-faculta di filosofia a Oxford, dove la probabilità che un agente si trovi ad interagire con uno “like- minded” è altissima, ed è indirettamente proporzionale al numero di forestieri – non filosofi non oxoniensi -- presenti in quella comunità. In questa situazione, i casi interessanti si trovano sui confini, dove la probabilità di interazioni miste aumenta (pensiamo agli effetti dell’introduzione di pratiche e comportamenti nuovi da parte del gruppo femminile, di missionari o di emigranti da Cambridge). Il segnale, inoltre, per essere efficace dovrebbe essere troppo costoso da imitare da parte dei tipi 1, come l’adesione ad un codice o procedimento di comportamento o ad una struttura di valori molto forte (come nelle botteghe del commercio equo e *solidale*, o nelle imprese di Economia di Comunione). Con riconoscibilità perfetta, la probabilità di incontrare un tipo simile è 1, mentre la probabilità di incontrare uno diverso è 0. Quindi F1 =(0(a) + 1(c))=c, mentre F2 = (0(d) + 1(b)) = b, quindi: F2 > F1. Rispetto a quella classica, questa versione di colpo su colpo è modificata, poiché non inizia sempre con un muoto di cooperazione, e poi il gioco non è ripetuto --  soggetto leale, che per questo chiamiamo “civile” o griceiano. Si ipotizza quindi l’esistenza di un segnale, utilizzabile solo dal tipo civile o griceiano, che gli permette di discriminare perfettamente tra i tre tipi che ha di fronte. Si ipotizza quindi che le altre due imprese non possono, o non vogliono, utilizzare quel segnale (pensiamo, ad esempio, a chi pur sapendo di rischiare entrando in un ambiente molto opportunistico, rifiuti l’idea della nicchia e accetti di scendere in campo, non utilizzando quindi il segnale di riconoscibilità. Cosa succede in questo caso? Innanzitutto è possibile vedere come la fitness del terzo tipo è sempre maggiore di quella del tipo 2. Infatti vale il risultato. SE E SOLO SE VALGONO LE IPOTESI PRECEDENTI (a. – d., f.) SI HA: F3 > F2 VALORE DI a, b, c, d, VALORE DI p1, p2, p3. Un secondo aspetto che emerge, è che l’evenienza che la fitness dei tipi 2 possa risultare maggiore di quella degli 1 dipende dalla percentuale di tipi 3 civili griceiani presente nella popolazione. Più quest’ultima è alta, maggiore è la fitness dei tipi 2 e minore quella dei tipi 1. Qui per semplicità supponiamo che gli scarti tra i pay-off siano uguali tr aloro, cio è che sia: (a–b) = (b–c) = (c–d). Tali scarti possono essere visti, rispettivamente, come vantaggio dello sfruttamento, premio della cooperazione e costo della coerenza. Anche nell’esempio numerico precedente tali scarti sono uguali (tutti pari ad 1). Con queste semplificazioni, vale il seguente risultato. SE VALGONO LE IPOTESI a.–d., f., g., F2>F1 SE E SOLO SE p +p <p. Il risultato ci dice ancora qualcosa d’importante. La sopra-vivenza dei tipi 2 dipende anche dall’esistenza, e dal numero, degli agenti del terzo tipo, cioè di soggetti che, pur *non* attribuendo un valore intrinseco ma derivato dalla razionalita generale all’azione del co-operare o donare non “sfruttano” il muoto co-operativo (come fa invece il tipo 1), ma reciprocano. Rispondono alla co-operazione. Per questo denominare questi tipi “civili”. Questo risultato può essere utilizzato anche a sostegno del ruolo della cultura civile – la conversazione civile – la civil conversazione del rinascimento italiano popolarizzato in tutta Europa. La sopra-vivenza e lo sviluppo di imprese e un soggetto più radicali, come i tipi 2, dipendono anche dalla “cultura civile” presente nell’ambiente dentro il quale operano. Di qui l’importanza duplice della diffusione della “cultura”, alla quale le imprese sociali non possono non attribuire grande importanza. Le imprese dell’EdC, ad esempio, dedicano un terzo dei propri utili alla formazione alla *cultura del dare*. Da una parte la cultura re-inforza le motivazioni intrinseche dei tipi 2, e dall’altra contribuisce ad aumentare e rafforzare il senso civico e la cultura della co-operazione dalla quale, indirettamente, dipende anche la loro sopra-vivenza e il loro sviluppo. Supponiamo, per assurdo, che la tesi non sia vera: Dovrà essere: F3 ≤ F2  => p1c + p2b + p3 b ≤  p1d + p2b + p3b = > p1c ≤ p1d, disuguaglianza che non e’ mai verificata essendo, per ipotesi, c>d. p1d + p2b + p3b > p1c + p2 a + p3c p1 (d − c) + p2 (b − a) + p3 (b − c) > 0;<=> p1(c−d) + p2(a−b )< p3(b−c) p1+p2 <p3.  Altra implicazione del risultato è il prendere coscienza che affinché i tipi 2 possano svilupparsi, i tipi civili debbono essere abbastanza numerosi. In particolare, si dimostra che la fitness dei tipi 3 è maggiore di quella dei tipi 1 se e solo se i tipi 3 sono in numero maggiore dei tipi 2. Ipotizzando, come nei risultati precedenti, l’uguaglianza tra gli scarti, abbiamo un altro risultato. SE VALGONO LE IPOTESI DEL LEMMA, F3>F1 SE E SOLO SE P2<P3. Rappresentiamo le due fitness nello spazio delle fitness e di p2. 0 P2* 1 P2 F1, F3. Da questo emergono due ordini di considerazioni. Il valore soglia di P2 (P2*) oltre il quale F3 diventa minore di F1 dipende dalle pendenze delle due rette, rispettivamente a per F1 e b per F3: (a – b) misura infatti il vantaggio che i tipi 1 hanno rispetto ai 3 per la presenza dei tipi 2 che sfruttano. Quindi minore è questo vantaggio, maggiore è la quota di tipi 2 che i tipi 3 possono tollerare Se a=b le due rette sarebbero parallele. Si nota che i tipi 3 perdono fitness con l’aumento dei tipi 2, e la differenza di fitness massima si ottiene in corrispondenza di P2 = 0. E’ il meccanismo che potremmo chiamare i figli delle rivoluzioni che uccidono i padri, perché li considerano troppo radicali, come i francescani di seconda generazione che rimossero Francesco dal governo dell’ordine, perché con il suo radicalismo impediva – a loro dire – lo sviluppo del francescanesimo più moderato e minacciava la morte stessa del movimento. Nell’ultimo scenario, ipotizziamo che la motivazione intrinseca, la componente non materiale dei pay-off, possa avere un effetto non solo sulla scelta ma anche sulla fitness. Finora non abbiamo fatto ciò per un senso di realismo. Eurialo puo persuadersi a vivere nella piena correttezza verso Niso perché attribuisce a tale comportamento un valore intrinseco. Se però poi non arrivano i risultati economici, se ho -- F3 >F1 <=> p1c +p2b  + p3b > p1c + p2a + p3c <=> p2pb + p3b > p2pa + p3c <=> p2 (b-a) > p3 (c-b) <=> p2 (a-b) < p3 (b-c) p2 < p3. Il valore soglia P2* è pari a P3, come sappiamo dal risultato.  F1 F3  -- ad esempio costi troppo elevati, la fitness di Eurialo ne risente. Ora però abbandoniamo questa semplificazione, e ipotizziamo che la fitness sia influenzata anche dalle motivazioni. Alcuni esperimenti dimostrano come i comportamenti ispirati da motivazioni intrinseche e da logiche di gratuità, oltre a non avere buoni sostituti - nel senso che in tali casi altre forme di incentivi monetari non funzionano - portano anche una maggiore efficienza in termini di risultati. Perché quindi non ipotizzare una fitness influenzata anche dalle motivazioni intrinseche? Le fitness del primo e del terzo tipo restano le stesse (questi due tipi non hanno motivazioni intrinseche), mentre cambia quella del tipo 2, dove la motivazione intrinseca è rappresentata da un ε > 0,29 che viene aggiunto ai pay-off materiali. Le fitness dei tre tipi diventano perciò le seguenti: h. F1 =p1(c) + p2 (a) + p3 (c) F2 =p1 (d) + p2 (b) + p3(b) + ε F3 = p1 (c) + p2 (b )+ p3 (b). Si dimostra che è possibile che la fitness dei tipi 2 sia maggiore anche di quella dei tipi 3. Vale infatti il: Risultato. SE VALGONO LE IPOTESI a. – d., f., h.: 1. F 2≥ F3, SE E SOLO SE ε≥ p1(C–D)31E 2. F2 ≥ F1, SE E SOLO SE ε≥ P1(C–D) + P2(A–B) + P3(C-B). C’è un rapporto diretto tra ε e (c –d) dove (c – d) misura il costo della coerenza per la fitness dei tipi 2, poiché è quanto questi perdono per essere coerenti con la loro cultura ottenendo “d” quando interagiscono con i tipi 1, invece di giocare, come i tipi 3, *non* coopera, ottenendo così “c”, che è maggiore di “d”. Il valore più piccolo che può assumere ε (cioè l’effetto materiale delle motivazioni intrinseche) affinché valga la disuguaglianza F2>F3, è ε* = p1 (c – d). Possiamo quindi osservare che, maggiore è il costo della coerenza (c – d), maggiore dovrà essere il valore-soglia ε*. Inoltre, c’è un rapporto diretto anche tra ε* e p1: se i tipi 1 sono, relativamente, molto numerosi, allora ε* dovrà essere più alto (e viceversa in caso contrario). Pensiamo, per fare un esempio, ad una impresa di Economia di Comunione che nel campo della legalità si comporta come un tipo 2. Paga le tasse, rispetta le leggi, per una norma etica alla quale attribuisce un valore intrinseco, non strumentale. Un tale imprenditore se opera in un mercato nel quale il costo della coerenza è molto alto o i soggetti opportunistici sono relativamente molti, per non estinguersi dovrà fare in modo che le proprie motivazioni etiche si traducano in maggiore fitness in una misura relativamente maggiore rispetto allo stesso imprenditore operante in un mercato più civile e dove i soggetti opportunisti sono meno. Come a dire che più un mercato, e una -- Rustichini e Gneezy -- A rigore potrebbe anche essere minore di 0. -- Ipotizziamo quindi che solo i tipi 2 e non i 3 “civili” abbiamo motivazioni intrinseche. F2 ≥F3 p1(d) + p2(b) + p3(b) + ε>p1c + p2b + p3b ε ≥ p1(c−d). F ≥ Fp(d) + p(b) + p(b) + ε≥p(c) + p(a)+p(c) 21123123  ε ≥ p1(c−d)+ p2(a−b)+ p3(c−b) -- società, premia i “furbi” (con condoni, ecc.) e penalizza i tipi cooperativi (con leggi che non riconoscono sgravi fiscali per le imprese sociale, ad esempio), più questi ultimi dovranno far sì che le motivazioni etiche si riflettano in maggiore efficienza, altrimenti non sopravvivono. Affinché valga invece la seconda disuguaglianza, F2 ≥ F1, il valore-soglia di ε, che chiameremo “ε ̊”, dovrà essere: ε ̊ = P1(C – D) + P2(A – B) + P3(C- B). E quale il rapporto tra i tipi 3 e i tipi 1? SE VALGONO LE IPOTESI DEL RISULTATO 4.1, F3 > F1, SE E SOLO SE P2 < P3 (b − c). (a − b) Come interpretare questo? (b – c) è il vantaggio dei tipi 3 rispetto ai tipi 1 (solo i tipi 3 co-operano con i tipi 2 ottenendo “b”), possiamo quindi chiamarlo il premio della cooperazione, mentre (a – b) è il vantaggio dei tipi 1 rispetto ai 3, perché è il premio dello sfruttamento che gli standard ottengono nei confronti dei tipi 2, al quale invece i tipi civili rinunciano. Dal Risultato 4.2. emerge un’affermazione a prima vista inquietante: affinché si affermino i tipi 3 (sui tipi 1) sarà necessario che i tipi 2 non siano troppi; in ogni caso questi ultimi potranno essere tanto più numerosi quanto più il “premio della cooperazione” sovrasta il “premio dello sfruttamento”. Se infatti i tipi 2 sono numerosi essi diventano pasto per i tipi 1, che hanno così un vantaggio relativo sui tipi civili. Il risultato potrebbe, infine, essere ulteriormente rafforzato se che quando un tipo 2 incontra un altro tipo 2 ottiene un di più dovuto alla reciprocità (il pay-off diventerebbe in questo caso a). i. F2=P1 (d)+P2(a)+P3(b)+ε La fitness dei tipi 2 potrebbe così essere maggiore di quella dei tipi 3 e 1 con un ε anche minore rispetto al valore di altro risultato. SE VALGONO LE IPOTESI DEL RISULTATO 4.1 E L’IPOTESI i. 1. F2≥F3, SE E SOLO SE ε≥ p1(C–D)+P2(B–A) E 2. F2≥F1, SE E SOLO SE ε≥P1(C–D)+P3(C-B). “ε**” e il valore soglia di ε, affinché valga la disuguaglianza F2≥F3 e, ricordando che la quantità (b – a) è negativa, possiamo subito notare che ε**≤ ε*. Similmente, ε ̊ ̊ =  p1 (c – d) + p3(c –b) è minore di ε ̊. Le motivazioni intrinseche e il di più della reciprocità si rafforzano a vicenda e rappresentano una strada molto interessante per esplorazioni. F<F p(c)+p(a)+p(c)<pc+b+pbp<p(b−c). 1312312323(a−b). F2 ≥F3 p1(d)+p2(a)+p3(b)+ε≥p1c +p2b + p3b ε ≥ p1(c−d)+ p2(b−a). F ≥Fp(d)+p(a)+p(b)+ε≥p(c)+p(a)+p(c) 21123123ε ≥ p1(c−d)+ p3(c−b).  Riassumiamo i punti ai quali siamo giunti ragionando, con l’aiuto della teoria dei giochi, attorno alle prospettive e alle sfide di uno scenario economico nel quale fanno la loro comparsa soggetti diversi da quello standard. Un primo punto emerso in diverse parti di questo scritto è che un agire economico improntato alla gratuità e alla reciprocità, o alla comunione, in un ambiente abitato da agenti eterogenei non cresce con la politica dell’aumento numerico: escludendo l’ipotesi di perfetta riconoscibilità dei tipi, l’aumento numerico, di per sé non basta a far sì che i tipi 2 sopravvivano. Sono invece tre gli aspetti strategicamente cruciali affinché esperienze rette da una logica come quella delineata possano svilupparsi. Lavorare sulla cultura media della società (che noi abbiamo espresso con il “terzo tipo”, quello civile): il messaggio che emerge una volta che abbiamo esteso la dinamica ai terzi tipi è che i tipi 2 possono sopravvivere e svilupparsi soltanto all’interno di un’economia civile, un’economia nella quale sono numerosi gli agenti leali, che pur non attribuendo un alto valore intrinseco all’azione donativa (e quindi non hanno “donare” come strategia strettamente dominante in tutti i tipi di gioco), sono comunque corretti se incontrano un agente co-operativo, non lo sfruttano e co-operano con esso. Poiché le motivazioni intrinseche dipendono in parte dall’approvazione sociale, esiste un effetto di complementarietà strategica. Tanto più tali comportamenti sono diffusi, tanto più saranno premianti36. Infatti, uno sviluppo interessante del modello potrebbe essere quello di vedere sotto quali condizioni i tipi 1 possono trasformarsi evolutivamente in tipi civili, ma in questo scritto non lo abbiamo fatto. Va comunque aggiunto che se è vero che un impegno culturale che si limita a rafforzare le motivazioni intrinseche dei soggetti di tipo 2 non può bastare, al tempo stesso, però, questa seconda direzione ricopre un ruolo fondamentale, per evitare che nel tempo scompaia il tipo 2 e ci si assesti sul terzo tipo. Un mondo senza soggetti che, *almeno in certi contesti* -- ceteris paribus --, *donano* *incondizionalmente*, sarebbe un mondo più povero. La presenza dei due tipi civili e griceiani – Eurialo e Niso -- ci dice che nel tempo saranno questi ultimi gli unici a sopravvivere, a meno che le motivazioni intrinseche si riflettano nei pay-off ed il loro “riflesso” sia relativamente grande. Questo risultato è già di per sé significativo. Anche se in determinati contesti la motivazione intrinseca non riesce a migliorare la performance dei tipi 2, la presenza, magari solo transitoria, dei tipi 2 svolge un importante ruolo civile e culturale: permette cioè che l’incontro (o equilibrio) si assesti sulla reciprocità e non scivoli nella mutua diffidenza. Senza l’esistenza dei tipi 2, o, paradossalmente, senza il loro sacrificio, i tipi civili non avrebbero potuto sperimentare la reciprocità, perché in un mondo popolato solo da loro e da tipi standard, l’unica esperienza possibile è la diffidenza reciproca, la *non* cooperazione (war is war). Ciò serve a gettar luce sul significato culturale e civile che nella storia hanno esperienze radicali -- Ciò implica la possibilità di equilibri multipli ordinabili, cioè la stessa popolazione può essere altamente inefficiente o altamente efficiente a seconda che un numero anche piccolo, al limite anche un solo soggetto, decida di cooperare. 37 E’ infatti verosimile che i tipi 3, quelli civili, abbiano nel loro “programma” la possibilità della cooperazione perché nell’ambiente esiste, o è esistito, il tipo 2: certo si potrebbe teoricamente ipotizzare che i tipi 3 co-operino tra loro anche in assenza dei tipi 2. Ma, storicamente, la cultura civile dell’umanità è andata avanti grazie all’esistenza di esperienze *totalitarie* che hanno creato categorie nuove che poi hanno contaminato la cultura generale. Pensiamo, ancora una volta, alla regola d’oro, o, più recentemente, ai movimenti ecologisti -- come la comunione dei beni totale, certe forme di accademie o monachesimo, e in generale i primi tempi dei fondatori di nuovi carismi (si pensi, per tutti, ad un Francesco d’Assisi e alla sua vicenda storica. Simili esperienze non sempre sono riuscite a sopra-vivere con tutta la loro radicalità, ma senza di quelle chi è venuto in contatto con loro (nella nostra metafora, i “tipi civili”) non avrebbero potuto elevare il livello della convivenza Senza coloro che si sono fatti imprigionare, e hanno dato la vita per i diritti o per la libertà, oggi l’umanità – il tipo umano personale di Grice -- sarebbe meno libera e meno diritti sarebbero riconosciuti. Un po’ come avviene con il sale, che si perde nella massa ma dà quel di più al tutto. La metafora del sale non è però l’unica presente in quel codice della cultura occidentale che è il Vangelo: vi è anche quell della città sul monte, una città che illumina la città sotto monte. La dinamica evolutiva potrà condurre l’economia sociale, e l’economia di comunione, o sul sentiero sale della terra o in quello città sul monte. Ma, in entrambi i casi, occorre che la cultura rafforzi le motivazioni intrinseche. E forse questo il messaggio culturale che il giocco conversazionale griceiano vuole dare. Araujo, V.“Quale visione dell’uomo e della società?”, in Bruni, L. e V. Moramarco, L’Economia di comunione: verso un agire economico a misura di persona, Milano: Vita e Pensiero. Aristotele, Etica Nicomachea, Milano: Rusconi. Axelrod, R. The evolution of cooperation, New York: Basic Books. Binmore, K. Game theory and social contract, Cambridge Mass: MIT Press, Bowles, S. et al. In Search of Homo Economicus: Behavioural Experiments in 15 Small Scales Societies, American Economic Review, 91, Bruni, L. La felicità e gli altri, Città Nuova, Roma. Bruni, L. e R. Sugden, Moral canals: trust and social capital in the work of Hume, Smith and Genovesi, Economics and Philosophy, Bruni L. ePelligra, Economia come impegno civile, Roma: Città Nuova. Crivelli, L. Quando l’homo oeconomicus diventa reciprocans”, in Bruni e Pelligra. Dawkins, R. The selfish gene, Oxford University Press, Oxford. Frank, R. Microeconomia, Milano: McGrow-Hill. Elster, J. The cement of society. A study of social order, Cambridge: CUP. Gneezy, U. e A. Rustichini. A fine is a price, Journal of Legal studies, January. Gui, B. Economic interactions as encounters, mimeo, Università di Padova. Hollis, M. Trust within reason, Cambridge: CUP. Nussbaum, M. C. The fragility of goodness: Luck and Ethics in Greek tragedy and Philosophy, Cambridge: CUP. Pelligra, V. Fiducia r(el)azionale, in Sacco P.L. e S. Zamagni. Putnam, R. Bowling Alone, New York: Simon e Schuster. Sacco P.L. e SZamagni. Un approccio dinamico evolutivo all’alturismo”, RISS, Sacco P.L. e S. Zamagni. Complessità relazionale e comportamento economico, Bologna: Il Mulino. Sen, A. Isolation, assurance and the social rate of discount”, Quarterly Journal of Economics. Sugden, R. The Evolutionary Turn in Game Theory, Journal of Economic Methodology, Weibull, J. Evolutionary Game Theory, Cambridge MA: MIT Press. Zanghì, G. Dio che è amore, Roma: Città Nuova. Luigi Alici. Keywords: reciproco, alici, amore proprio ed amore altrui, self-love and other-love – il paradosso della reciprocita – eurialo e niso – noi – condividere la deliberazione – eidolon – comunita, immunita, genovesi, il canale morale, la fidanza e il capitale sociale in Genovesi. Refs.: Luigi Speranza, “Grice ed Alici” – The Swimming-Pool Library, Villa Speranza. Alici.

 

Luigi Speranza -- Grice ed Alighieri: la ragione conversazionale e l’implicatura conversazionale – la scuola di Firenze -- filosofia fiorentina – filosofia toscana – filosofia italiana -- Luigi Speranza, pel Gruppo di Gioco di H. P. Grice, The Swimming-Pool Library (Firenze). Filosofo fiorentino. Filosofo toscano. Filosofo italiano. Firenze, Toscana. dante. Grice: “Problem with having Alighieri as a philosopher is that rhyming is not usually considered a priority – that’s why the old Romans like Lucrezio never had to rhyme – you might say metre is essential to Parmenide and Lucrezio – and that there is metre in my prose if not in endecasibili!” -- Grice: “This is important for an Oxonian; since Sir Peter once told me that he made an effort to understand Italian – ‘or Tuscan implicature,’ to be more precise – just to be able to digest Inferno compleat with rhyme.’” Grice: “Must say that my favourite Dante is ‘lasciate ogni speranza voi ch’entrate.”” Grice: “The Italians, all being Renaissance men, love to catalogue as ‘philosopher’ those whom the head of the Sub-Faculty of Philosophy at Oxford would NOT: Alighieri, one of them!” Grice: “But then, a sport of Italian philosophers is to ramble on “Pinocchio,” too!” -- “The Commedia and philosophy.” Liste di opere. Refs.: “Philosophical references in Dante’s Commedia.”  Se voleme guardare in LINGUA d'oco e in LINGUA DI si, ec.e  D’oco, ec. Non giudico superfluo il dire alcuna cosa su questa. Massimamente quelli di LINGUA denominazione ancor chè ne sia stato già parlato d’altri. È costume de’ nostri antichi, volendo essi denominare il linguaggio d’una nazione, prendere il suo distintivo dalla particella affermativa del volgare di quella gente. Per tanto la lingua italiana si dice la lingua del si, la tedesca dell' io, la gallica dell’oi, la provenzale dell’hoc. Eco sì si vada discorrendo dell'altre lingue. Varchi nel Tuo Ercolano facendosi interrogare da Castiglione sul particolare della lingua italiana, con queste parole: Cbi la cbie mase la lingua del si? Risponde: seguiterebbe una largbissi modi. visione, che ho fa delle lingue nominandole da quella particella colla quale affermano – come è la lingua d'hoc, chiamata da volgari lingua d'OCA; perciocchè hoc in quella lingua significa quanto væí nella greca, e etiam ita mella lasina, e pelle soffre si; perciò A. dice: Ab Pisa, vitupero delle gesti del bel paese là, dove’l si suona. Ed avanti a Varchi Benvenuto da Imola su questo medesimo luogo. Quia generaliter omnis gens italica ut unturisto vulgari sì. Ubi germani dicunt “io”, do aliqui gallici dicunt “oi”, do aliqui pedemontani dicunt ol vel dic. Leggo foc credendolo errore del copista nel MS Laurenziano Derivano tutte queste particelle dal latino. Il “si” nostro deriva dal “sico”,  “sic est”, e forse più interamente da “sic est bec. “Od” al contrario deriva da “hoc”, “est hoc.” L'altra di queste voci è presa da’ provenzali, cioè l'hoc. E da questa è non solamente illor parlare denominato “lingua d'oco”, che vale a dire lingua dell'hoc. Ma il paese ancora “Linguadoca”. E ne'tempi più balli della latina lingua è detto “Occitania”, il qual paese non è altro che l'antica Gallia Narbonensis. Lo “io” del tedesco derova dal latino “illudbocest”, ed in più perfetta pronunzia “ja”, dal latino “iam est”. Il gallico ai, dall “hec illud est”, che bene si ritrova nell'antico “ouill”, che adesso è diventato “oui”. Ed, in somma, il piemontese ol, dall'istesso “hoc illud”. Sicché, a proposito del passo d’A., in lingua d’oco, e in lingua di sì, vuol dire in lingua provenzale, ed in lingua Italiana. Concioffiacbè  conciosracofache. Lingua, dal lat. 'lingua', voce usata in due significazioni. Principal nel significato proprio, per quell'organo mobilissimo del corpo anide che è posto nella bocca ove si stende dall'osso joide fin dietro denti incisivi. La lingua è la sede del senso del gusto, serve alla funzione del succhiare, alla masticazione, alla deglutizione, alla pronuncia delle parole, ed allo sputare. Varia molto nella grandezza ha la forma d'una piramide, appianata dall'alto al basso, rotonda su i suoi angoli, e terminata da certa punta ottusa che guarda ne davanti. Ma, in uso metaforico, 'lingua' vale pure idioma, linguaggio, favella. A. usa 'lingua' nei due suoi significati principali spesse volte nelle sue opere, nel secondo significato metaforico specialmente nel Vulg. El. Nella Div. Com., 'lingua' si trova XXX volte -- XIX nell'Inferno (II, 25; X1,72; IIV, XV, 87; XVII, 75; XVIII, 60,126; XXI, 137; XXII, 90; xxx,133; IITL 72, 89; XXVII, 18; XXVIII, 4, 101; xxx, 122; XXXI, 1; XXIII, 9, 1146; III volte nel Purgatorio (vii, 17; XI, 98; xix,13) e VIII volte nel Paradiso. 63; X1, 23; XVII, 87; XXIII, 55; XXVI, 124; XXVII,131; XXXIII,70,708. Sulle dottrine d'A. concernenti la lingua – cioè, in uso metaforico, il linguaggio umano, conviene rimandare al Vulg. El., specialmente al libro I di questo saggio. Si notino i seguenti usi. Lingua, riferito a sete; Inferno xxx, 122. Trarre la lingua, per Spingerla fuori della bocca; atto di SPREGIO; Inf. xvii, 75.-3. Mostrare ciò che puote una lingua, per condurre un idioma all'apice della sua perfezione; Purg. VII, 17.-4. Scernere nella lingua, le parole dette o scritte; Purg. XV, 87.-5. la gloria della lingua, Il pregio d'un idioma, e la maestria dell'usarlo; Purg. XI, 98.-6. A. chiama la lingua italiana “lingua di sì”, la provenzale lingua d'oc, la francese lingua d'oil;Vulg. El. 1, 8, 30 eseg.; cfr. Vit. N. xxv, 24 e seg.-7. Concernente la lingua primitiva A. esterna in diversi tempi dee opinioni diverse. Secondo Vulgare Eloquenza I, 6, 29 e seg. la lingua dei primi parenti è parlata da tutti i loro discendenti sino alla edificazione della torre di Babele, e dagl’brei anche dopo, onde la lingua primitiva è semplicemente l'ebraica (dalla quale per A. deriva l’italiano). Invece secondo Par. XXVI, 124 e seg. la lingua primitiva, parlata da Adamo, è tutta spenta già prima della confusione babilonica. La lingua adamica non ha dunque che fare nè coll'ebraica, nè con altre lingue, come la lingua del si o l’italiana. Anche in merito alla maggiore o minor nobiltà della lingua dei Romani  A. muta opinione. Secondo il Convito. I, 5, 76 e seg. la lingua dei romani è più bella, più virtuosa e più nobile dell’italianao. Invece, secondo il Volgare Eloquenza 1, 1,  il volgare è più nobile del Latino. La seconda opinione è tutta propria d'A. e segna un progresso nello svolgimento di quello che Grice chiama ‘la semantica d’A.’. La prima è la corretta e l’opinione dominante del tempo, accettata anche d'A., finchè i suoi studi e l’altri italiani lo indussero a lasciarla. La tèrra d’Occitania a gardat fin a aüra un immense patrimòni gropat simplament a sa lenga, una lenga qu’es istaa la primiera, comà es ressauput, naissuá dal latin, a èsser escrita, una lenga que vuèlh soventar, a donat vita a la primiera literatura moderna europencha, quèla qu’a servit de model per totas las autras lengas, qu’aviá trobat dau l’acomençament sa forma escrita, fòrça unitaria.  Es pas aicí lo luòc adont percorrer l’istòira de nòstra lenga faça als colonialismes qu’an empachat la creacion d’una lenga e de istitucions politicas unitarias mas la retrobaa unitarietat culturala de la tèrra occitana en cèstos darrieri ans a fait creisser un’ideá, beleu un utopiá, quèla de una Nacion, malaürament sença estat, de una Nacion culturala.  Lo mot Occitaniá, ben conoissut fin a la Rivolucion, a retrobat sa modernitat geografica, istorica, lingüistica. Malaürosament nòstra lenga ilh es aüra, apres mila ans, entren de se perdre, de se esvantar al solelh. Un procés qu’a començat a partir dal segle XVI, quand nòstra tèrra occitana a perdut definitivament son autonomiá. Quèlos que los expecialistas de la lenga noman gallicismes, an começat penetrar en Occitaniá sobretot a partir de l’ordonança de Villers-Cotterêts quand lo francés es devengut lenga uficiala de la lei e de l’administracion francesa.  Eissubliaa la cultura dal Meianatge, quèla, per se comprener, dals trobaires, la lenga occitana es chaüta dins l’umbla condicion de, e zo dizo abó una paraula francésa, patois, patés. Cèsta paraula la vòl dire parlar abó las pautas, abó los pès.  Dins las Valadas avem perdut la valor de la paraula patois e l’anobrem tranquilament per dire que parlem a nòstra mòda, comà la se ditz dins tantas valadas. Mas lo mot patois pòl indicar qualsevuèlhe parlar natural dal mond, sença donar una precisa indicacion sus la lenga parlaa. Per aiquò Occitan es l’unica paraula que pòl servir per nomar nòstra lenga, l’unica que rend justiça a mila ans d’istòira. Pas mens de viatge sabem pas de adont arriba nòstre vocabolari, quala istòira an nòstras paraulas.  Comà bien sabon, la plus part dal vocabolari es d’origina latina, comun a quasi totas las lengas romanzas. Un’autra partiá dal vocabolari ven dal grec e decò aicí zo partagem abó las autras lengas; un’autra encara nos ven de las lengas alemandas o germanicas, de quèlos puèples qu’an envaít l’Imperi roman. Resta una fòrta presença de paraulas que beleu nos venon de las lengas parlaas dins nòstros territòris quand los romans sion arribats en çò nòstre: de lengas de sobstrat, que normalment partatgem en lengas anarias, al es a dire d’ancianas lengas mediterranèa comà lo ligure, l’etrusc o de lenga arias pre-latinas comà lo gallic o la lenga celta.  Comà la se pòl comprener sien drant a un tresaur lexical en partiá ben conoissut, mas adont los trabalhs lexicologics abondan pas e adont de ensemb lingüistic comà l’occitan alpec, nomat a son temps vivarò-alpenc, reston mal conoissut.  Comà a escrit Geuljan dins son “Dictionnaire Etymologique de la Langue d’Oc”,  l’occitan est la seule grande langue romane dépourvue d’un dictionnaire etymologique.  Volem pas de segur far concorrença al trabalh qu’es istat entrenat per lo Prof. Geuljan, mas prepausar de trabalhs sus l’etimologiá de paraulas pas gaire conoissuás de nòstra Valadas e de l’encemb occitano-alpenc per arribar, dins lo temps, a la redaccion d’un Diccionari Etimologic de l’Occitan Alpenc.  Pas mens nòstre Diccionari Etimologic sarè bilengas, es a dire li aurè una partiá entierament en lenga occitana e una traducion italiana. Escriure un Diccionari sus nòstra lenga adont per chasca paraula la se dona la traduccion dins una lenga diferenta de la nòstra me sembla una chausa que vai contra la lenga meseima.  Pensatz a un vocabolari de l’italian o dal francés o de un’autra lenga adont la descripcion de la paraula siè dins un’autra lenga.  Per l’occitan pareis siè la nòrma. Lo Tresor dóu Felibrige de Mistral, lo vocabolari de Alibert comà tuts los autri que sion istats realizats dins cèstos ans donan la paraula en occitan, mas tota la descripcion, e pas mesquè la traducion, dins un’autra lenga, o lo francés o l’italian.  Per far un autre exemple, plus recent, cito un grand trabalh de lexicografia comà quel de Jusiana Ubaud, adont tota l’introduccion e la descripcion de l’òbra es en francés. Perquè un’obra sus la lenga occitana deu èsser ilustraa en se servent d’un’autra lenga? Cèstos diccionaris rintran dins la categoriá dals vocabolaris “dialectals”; meseime los pauqui vocabolaris fait aicí dins las Valadas, normalment de l’occitan local a l’italian, rintran dins aicèsta categoriá.  Los catalans non pas, nos mostran, abó sos Diccionaris, que se pòion justament redigir de diccionaris completament en lenga sença la sugecion d’un autra lenga, comà totas las autras lengas nacionalas.  Per aiquò, en cèst espaci, en cèsta rubrica, chercharem de esclarzir l’origina de certenas paraulas, beleu pas gaire conoissuás, de nòstre vocabolari. Ritrovando io, che alcuno avanti me abbia della VOLGARE ELOQUENZA niuna cosa trattato, e vedendo questa cotal eloquenza esesere veramente necessaria a tutti, conciò sia che ad essa non solamente gl’italianai, ma ancora le femine, et i piccoli fanciulli, in quanto la natura permette, sisforzino pervenire. Volendo al quanto lucidare la discrezione di coloro, i quali come ciechi passeggiano per le piazze, e pensano spesse volte, le cose posteriori essere anteriori. Con l’aiuto che Dio ci manda dal cielo, ci sforzeremo di dar giovamento al parlare della gente italiana volgare. Nè solamente l'acqua del nostro ingegno a si fatta bevanda piglie  ma  remo, ma ancora pigliando, ovvero compilando le cose migliori da gl’altri, quelle con le nostre mescoleremo, acciò che d'indi possiamo dar bere uno dolcissimo idromele. Ora perciò che ciascuna dottrina semantica deve non provare, aprire il suo suggetto, acciò si sappia che co sa sia quella, ne la quale essa dimora,dico, che 'l parlar volgare chiamo quello del VOLGO, nel quale i fanciulli sono assuefatti da gl’assistenti, quan do primieramente cominciano a distinguere le voci, o vero, come più brevemente sipuò dire, il Volgar Parlare affermo essere quello, il quale senza altra regola, imitando la balia, s'apprende da nostro padre e da nostra madre (‘lingua matrix’).  Ecci ancora un altro secondo parlare il quale I ROMANI chiamano “letteratura” (greco: grammatica). E questo secondario hanno parimente i greci e altri, ma non tutti – i anglo-sassoni mancano delle lettere ma hanno delle rune -- perciò che pochi a l'abito di esso pervengono. Conciò sia che, se non per spazio di tempo e assiduità di studio, si ponno prendere le regole, e la dottrina di lui. Di questi dui parlari adunque l’italiano volgare è più nobile dell’antico romano, si perchè è il primo ch’è da l'umana generazione italiana usato, si eziandio perchè in esso tut to'l mondo ragiona, avegna che in diversi vocaboli e diverse prolazioni sia diviso. Si ancora per essere NATURALE a noi, gl’italiani,  essendo quel l'altro – come la lingua del VIRGILIO – ‘artificiale’. E di questo più nobile è la nostra intenzione di trattare. Il testo latino dei romani ha: ipsa (locutione) per fruitur. Ossia: di esso si serve.  Nn dico nostro, perchè altro parlar ci sia che quello dell'uomo. Perciò che fra tutte le cose che sono, solamente all’italiano è dato il parlare italiano, sendo a lui necessario solo. Certo non a gl’angeli, non a gli animali inferiori è necessario parlare. Adunque sarebbe stato dato in vano a costoro -- non avendo bisogno di esso. E la natura certamente abborrisce di fare cosa alcuna invano. Se volemo poi sottilmente considerare la intenzione griceiana del parlar nostro, ni un'al trace ne troveremo che il manifestare ad altri i concetti dell’ANIMA nostra. Avendo adunque gl’angeli prontissima, e ineffabile sufficienzia d'intelletto da chiarire i loro gloriosi concetti, per la qual sufficienzia d'intelletto l'uno è totalmente noto all'altro, o per sè, o almeno per quel fulgentissimo specchio, nel quale tutti sono rappresentati bellissimi, e in cui avidis simi sispecchiano; pertanto pare, che diniuno SEGNO di parlare abbiano avuto mestieri. Ma chi oppone a questo, allegando quei spiriti, che cascarono dal cielo; a tale opposizione doppiamente si può rispondere. Prima, che quando noi trattiamo di quelle cose, che sono  che l'uomo italiano – “homo sapiens sapiens” -- solo ha il COMERCIO del parlare. Qeesto, l’italiano, è il nostro vero, naturale, e primo parlare: Qa bene essere, devemo essi lasciar da parte, conciò sia che questi perversi non vollero aspettare la divina cura. Seconda risposta,e meglio è, che questi demoni a manifestare fra sè la loro perfidia, non hanno bisogno di conoscere, se non qualche cosa di ciascuno, perchè è, e quanto è 1: il che certamente sanno; perciò che si conobbero l'un l'altro avanti la ruina loro. A gl’animali inferiori poi non è bisogno provvedere di parlare. Conciò sia che, per solo istinto di natura, siano guidati. E poi tutti quelli animali che sono di una medesima specie hanno le medesime azioni e le medesime passioni. Per le quali loro proprietà possono le altrui conoscere. Ma a quelli che sono di diverse specie non solamente non è necessario loro il parlare, ma in tutto dannoso gli sarebbe stato, non essendo alcuno amicabile comercio tra essi. E se mi è opposto che il serpente che parla a la prima femina, e l'asina di Balaam parla, a questo rispondo, che l'angelo ne l'asina, e il diavolo nel serpente hanno talmente operato, che essi animali mossero gl’organi loro; e così d'indi la voce risultò distinta, come vero parlare; non che quello de l'asina fosse altro che ragghiare e quello del serpente altro che fischiare. Il testo ha: non indigent, nisi ut sciant qui libet de quolibet, quia est, et quantus est. Parrebbe più proprio il tradurre cosi. Non hanno bisogno di CONOSCERE se non ciascheduno di ciaschedun altro che è, e quanto è: ossia l'esistenza e il grado. Se alcuno poi argumentasse da quello, che quel ingenoso romano, OVIDIO, dice nel V de la Metamorfosi che il pico parla; dico che OVIDIO dice ‘parla’ FIGURATAMENTE, intendendo altro. Ma se si dice che il pico  presente o altro uccello  come il papagallo del principe Maurizio ‘parla’, dico ch'egli è FALSO. Tale atto non è parlare, ma è certa imitazione del suono de la nostra voce italiana; o vero che si sforzano di imitare noi in quanto soniamo, ma non in quanto parliamo. Tal che se quello che alcuno espressamente dice, ancora il pico ridice, questo non è se non rappresentazione, o vero imitazione del suono di quello, che prima avesse detto. E così appare a l'uomo italiano solo essere stato dato il parlare l’italiano. Ma per qual cagione esso gli è necessario, ci sforzeremo brievemente trattare. Che fu necessario a l'uomo il comercio Ovendosi adunque l'uomo non per istinto di natura,ma per ragione. Ed essa ragione o circa la separazione, o circa il giudidizio, o circa la elezione diversificandosi in ciascuno. Tal che quasi ogni uno della sua propria. La voce del testo “discrezione” sarebbe resa meglio dalla parola “discernimento” -- del parlare -- specie s'allegra. Giudichiamo che niuno intenda l'altro per le sue proprie azioni, o passioni, come fanno le bestie; nè anche per speculazione l'uno può intrar ne l'altro, come l’archangelo Gabriele, sendo per la grossezza, e opacità del corpo mortale la umana specie da ciò ritenuta. È adunque bisogno che volendo la generazione umana fra sè COMUNICARE i suoi concetti ha qualche SEGNO sensuale e razionale per ciò che dovendo prendere una cosa dalla ragione e ne la ragione portarla, bisognava essere razionale ma non potendosi alcuna cosa di una ragione in un'altra portare se non per il mezzo del SENSUALE è bisogno essere sensuale, perciò che se 'l è solamente razionale, non puo trapassare. Se solo sensuale, non potrebbe prendere da la ragione, nè ne la ragione de porre. E questo è SEGNO che il subietto, di che parliamo, è nobile. Perciò che in quanto è suono, el segno è per natura una cosa sensuale. In quanto che, secondo la volontà di ciascuno, IL SEGNO significa qualche cosa, il segno è, come dice Grice, razionale. Ilt esto ha. Hoc equidem SEGNO est, ipsum subjectum nobile, dequo loquimur. Natura sensuale quidem, in quantum sonus est. Esse; RATIONALE VERO IN QVANTVM ALIQVID SIGNIFICARE VIDETVR AD PLACITVM. A noi pare più giusto l'interpretare questo passo cosi. Questo SEGNO -- l'aliquod rationale signum et sensuale, di cui parla poche righe più sopra) è per l'appunto il nobile soggetto di cui parliamo. Sensuale, per natura, in quanto è suono fisico – la fissi greca la natura romana. Razionale, inquantoche, se   che uomo (zoon logikon) è prima dato il parlare, e che disse prima, et in che lingua. l'uomo italiano solo è dato il parlare l’italiano. Ora istimo che appresso debbiamo investigare, a che uomo è prima dato il parlare, e che cosa prima dice, e a chi l’umo parla, e dove e quando, et eziandio in che linguaggio il primo suo parlare si sciol se. Secondo che si legge ne la prima parte del Genesis, ove la sacratissima scrittura tratta del principio del mondo, si truova la femina, prima che niun altro, aver parlato, cio è la presontuosissima Eva, la quale al diavolo, che la ricercava, dice. Dio ci ha commesso, che non mangiamo del frutto del legno che è nel mezzo del paradiso, e che non lo tocchiamo, acciò che per avventura non moriamo. Ma a vegna che in scritto si trovi la donna aver primieramente parlato, non di meno è ragionevol cosa che crediamo, che l'UOMO è quello che prima parla. Nè cosa inconveniente mi pare secondo la volontà di ciascuno, significa qualche cosa. Contro la quale interpretazione stala punteggiatura, e la voce esse del testo, che sarebbe di troppo; ma, per compenso, il brano riesce più chiaro, e si collega meglio col senso di tutto il Capitolo. Manifesto è per le cose già dette, che a pensare, che così eccellente azione de la il  generazione umana prima da L’UOMO, che da la femina procedesse. Ragionevolmente adunque crediamo ad esso essere stato dato primieramente il parlare da Dio, subito che l’ha formato. – cf. La teoria stoica sull’origine naturale del linguaggio e la prima significazione naturale -- Che voce poi è quella che parla prima, a ciascuno di sana mente può esser in pronto; e io non dubito che la fosse quella, che è Dio, cioè Eli, o vero per modo d'interrogazione, o per modo di risposta.Assurda cosa veramente pare,e da la ragione aliena, che da l'uomo è nominata cosa alcuna prima che Dio; con ciò sia che da esso, et in esso è fatto l'uomo. E siccome, dopo la prevaricazione dell’umana generazione, ciascuno esordio di parlare comincia da heu; così è ragionevol cosa, che quello che è davanti, cominciasse da allegrezza, e conciò sia che niun gaudio sia fuori di Dio, ma tutto in Dio, & esso Dio tutto sia allegrezza, conseguente cosa è che 'l primo parlante dicesse primieramente Dio. Quindi nasce questo dubbio,che avendo di sopra detto, l'uomo aver prima per via di risposta parlato, se risposta è, devette esser a Dio; e se a Dio, parrebbe, che Dio prima avesse parlato, il che parrehbe contra quello che avemo detto di sopra. Al qual dubbio risponderemo, che ben può l'uomo aver risposto a Dio, che lo interrogava, nè per questo Dio aver parlato di quella LOQUELA DEL LAZIO (la latina), che dicemo. Qual è colui, che dubiti, che tutte le cose che sono non si pieghino secondo il voler di Dio, da cuièfatta, governata, e conservata   ciascuna cosa? É conciò sia che l'aere a tante alterazioni per comandamento della natura in feriore si muova, la quale è ministra e fattura di Dio,di maniera che fa risuonare i tuoni, ful gurare il fuoco, gemere l'acqua, e sparge le nevi, e slancia la grandine; non si moverà egli per comandamento di Dio a far risonare al cune parole le quali siano distinte da colui, che maggior cosa distinse?e perchè no? Laon de et a questa, et ad alcune altre cose credia mo tale risposta bastare. Dove, et a cui prima l'uomo parla. ta così dalle cose superiori, come da le inferiori, che il primo uomo drizzasse il suo primo parlare primieramente a Dio, dico, che ragionevolmente esso primo parlante parla subito, che è da la virtù animante ispirato: per ciò che ne l'uomo crediamo, che molto più cosa umana sia l'essere sentito che il sentire, pur che egli sia sentito, e senta come uomo. Se adunque quel primo fabbro, PROMETEO, di ogni perfezione principio et amatore, inspirando il primo uomo con ogni perfezione compi, ragionevole cosa mi pare, che questo perfettissimo animale non prima cominciasse a sentire, che 'l fosse sentito. Se alcuno poi dice contra l’obiezioni, iudicando adunque (non senza ragione trat che non è bisogno che l'uomo parla, essendo egli solo; e che Dio ogni nostro segreto senza parlare, ed anco prima di noi discerne; ora (con quella riverenzia, la quale devemo usare ogni volta, che qualche cosa de l'eterna volontà giudichiamo), dico,che avegna che Dio sa, anzi antivedesse (che è una medesima cosa quanto a Dio) il concetto del primo parlante senza parlare, non di meno volse che esso parla; acciò che ne la esplicazione di tanto dono, colui, che graziosamente glielo avea do nato, se ne gloriasse. E perciò devemo credere che da Dio proceda, che ordinato l'atto dei nostri affetti, ce ne allegriamo. Quinci possiamo ritrovare il loco, nel quale è mandata fuori la prima FAVELLA; perciò che se è animato l'uomo fuori del paradiso, diremo che fuori. Se dentro, diremo che dentro è il loco del suo primo parlare. Ra perchè i negozj umani si hanno ad esercitare per molte e diverse lingue, tal che molti per le parole non  intesi da molti, che se fussero senza esse. Però fia buono investigare di quel parlare, del quale si crede aver usato l'uomo, che nacque senza sono altrimente Di che idioma prima l'uomo parla, e donde è l'autore di quest'opera. madre, e senza latte si nutri, e che nè pupillare età vide, nè adulta. In questa cosa, sì come in altre molte, Pietra mala è amplissima città, e patria de la maggior parte dei figliuoli di Adamo. Però qualunque si ritrova essere di cosi disonesta ragione, che creda, che il loco della sua nazione sia il più delizioso, che si trovi sotto il sole, a costui parimente sarà licito preporre il suo proprio volgare, cioè la sua materna locuzione, a tutti gli altri; e conseguentemente credere essa essere stata quella di Adamo. Ma noi, acui il mondo è patria, sì come a'pesci il mare, quantunque abbiamo bevuto l'acqua d'ARNO avanti che avessimo denti, e che amiamo tanto FIRENZE, che pe averla amata patiamo ingiusto esiglio, non dimeno le spalle del nostro giudizio più a la ragione che al senso appoggiamo. E benchè se condo il piacer nostro, o vero secondo la quiete de la nostra sensualità, non sia in terra loco più ameno di FIRENZE; pure rivolgendo i vo lumi de'poeti e de gli altri scrittori, ne i quali il mondo universalmente e particularmente si descrive, e discorrendo fra noi i varj siti dei luoghi del mondo, e le abitudini loro tra l'uno e l'altropolo, e'lcircolo equatore, fermamente comprendo, e credo, molte regioni e città essere più nobili e deliziose che TOSCANA e FIRENZE, ove son nato, e di cui son cittadino; e molte nazioni e molte genti usare più dilette vole, e più utile SERMONE, che gl’italiani. Ritornando adunque al proposto, dico che una certa forma di parlare è creata da Dio insieme con l'anima prima, e dico forma, quanto ai vocaboli delle cose, e quanto a la construzione de’ vocaboli, e quanto al proferir de le construzioni; la quale forma veramente ogni parlante lingua userebbe, se per colpa de la prosunzione umana non è stata dissipata. Di questa forma di parlare parla Adamo, e tutti i suoi posteri fino a la edificazione de la torre di Babel, la quale si interpreta la torre de la confusione. Questa forma di locuzione hanno ereditato i figliuoli di Eber, i quali da lui furono detti ebrei; a cui soli dopo la confusione rimane, acciò che il nostro Redentore, il quale dove nascere di loro, usasse, secondo l’umanità, della lingua della grazia, e non di quella de la confusione degl’ebrei. È adunque l’ebreo idioma quello, che è fabbricato dalle labbra del primo parlante confuso. ' Il testo ha: qui ex illis oriturus erat secundum humanitatem, non lingua confusionis, sed gratiæ frueretur. E deve tradursi: il quale dove vanascere di loro secondo l'umanità, usasse della lingua della grazia – o di GRICE --, e non di quella della confusione. Hi come gravemente mi vergogno di rin  e per. A en ta generazione umana. Ma perciò che non possia mo lasciar di passare per essa, se ben la faccia diventa rossa, e l'animo la fugge, non starò di narrarla. Oh nostra natura sempre prona ai peccati, oh da principio, e che mai non finisce, piena di nequizia; non era stato assai per la tua corruttela, che per lo primo fallo fosti cacciata, e stesti in bando de la p a tria de le delizie? non era assai, che per la universale lussuria, e crudeltà della tua fami glia, tutto quello che era di te, fuor che una casa sola, fusse dal diluvio sommerso, il male, che tu avevi commesso, gli animali del cielo e de la terra fusseno già stati puniti? Certo assai sarebbe stato; ma come prover bialmente si suol dire, Non andrai a cavallo anzi terza; e tu misera volesti miseramente andare a cavallo. Ecco,lettore, che l'uomo, o vero scordato,o vero non curando de le prime battiture, e rivolgendo gli occhi da le sferze, che erano rimase, venne la terza volta a le botte, per la sciocca sua e superba prosunzio ne. Presunse adunque nel suo cuore lo incu rabile uomo, sotto persuasione di gigante, di superare con l'arte sua non solamente la na tura,ma ancoraessonaturante,ilqualeèDio; e cominciò ad edificare una torre in Sennar, la quale poi fu detta Babel, cioè confusione, per la quale sperava di ascendere al cielo,avendo intenzione, lo sciocco,non solamente di aggua gliare,ma diavanzare ilsuo Fattore.Oh cle menzia senza misura del celeste imperio;qual padre sosterrebbe tanti insulti dal figliuolo? Ora innalzandosi non con inimica sferza, ma con paterna, et a battiture assueta, il ribel lante figliuolo con pietosa e memorabile corre zione castigò. Era quasi tutta la generazione umana a questa opera iniqua concorsa; parte comandava, parte erano architetti,parte face vano muri,parte impiombavano, parte tiravano le corde ", parte cavavano sassi, parte per ter ra,partepermareliconducevano.E cosìdi verse parti in diverse altre opere s’affatica vano, quando furono dal cielo di tanta con fusione percossi, che dove tutti con una istessa loquela servivano a l'opera, diversificandosi in molte loquele, da essa cessavano, nè mai a quel medesimo comercio convenivano; et a quelli soli, che in una cosa convenivano una Witte osserva che in luogo di pars amysibus tegulabant, pars tuillis linebant, come leggeva erro neamente la volgata nel testo latino, si deve leggere: pars amussibus tegulabant, pars trullis (o truellis) linebant, e si deve tradurre: parte arrotavano sulle pietre i mattoni,parte con le mestole intonacavano. istessa loquela attualmente rimase, come a tutti gli architetti una, a tutti i conduttori di sassi una,a tuttiipreparatori di quegli una, e così avvenne di tutti gli operanti; tal che di quanti varj esercizj erano in quell'opera, di tanti varj linguaggi fu la generazione umana disgiunta. E quanto era più eccellente l'arti ficio di ciascuno, tanto era più grosso e barbaro il loro parlare. Quelli poscia, a li quali il sacrato idioma rimase, nè erano presenti nè lodavano lo esercizio loro; anzi gravemente biasimandolo, si ridevano de la sciocchezza de gli operanti.Ma questi furono una minima parte di quelli quanto al numero; e furono, sì come io comprendo, del seme di Sem, il quale fu il terzo figliuolo di Noè, da cui nacque il popolo di Israel, il quale usò de la antiquissima locu zione fino a la sua dispersione. e specialmente in Europa. Er la detta precedente confusione di lingue non leggieramente giudichiamo, che allora primieramente gl’uomini furono sparsi per tutti iclimi del mondo e per tutte le regioni e angoli di esso. E conciò sia che la sottodivisione del parlare per il mondo, principal radice dela propagazione umana sia ne le parti orientali piantata, e d'indi da l'u no e l'altro lato per palmiti variamente diffusi, è la propagazione nostra distesa; final mente in fino a l'occidente prodotta, là onde primieramente le gole razionali gustarono o tutti,o almen parte de i fiumi di tutta Europa. Ma ofussero forestieri questi, cheallorapri mieramente vennero, o pur nati prima in E u ropa, ritornassero ad essa; questi cotali por tarono tre idiomi seco; e parte di loro ebbero in sorte la regione meridionale di Europa, parte la settentrionale, et i terzi, i quali al presente chiamiamo Greci, parte de l’Asia e parte de la Europa occuparono. Poscia da uno istesso idio ma,dalaimmonda confusione ricevuto, nac quero diversi volgari, come di sotto dimostre remo; perciò che tutto quel tratto, ch'è da la foce del Danubio, o vero da la palude Meotide, fino a i termini occidentali (li quali da i confini d'Inghilterra, ITALIA e Gallia, e da l'Oceano sono terminati), tenne uno solo idioma: avegna che poi per Schiavoni, Ungari, Tedeschi, Sassoni, Inglesi e altre molte nazioni fosse in diversi volgari derivato; rimanendo questo solo per segno, che avessero un medesimo prin cipio, che quasi tutti i predetti volendo affir mare, dicono jo. Cominciando poi dal termine di questo idioma,cioè da iconfini de gl’ungari verso oriente,un altro idioma tutto quel tratto occupò. Quel tratto poi, che da questi in qua si chiama Europa, e più oltra si stende,o ve ro tutto quello de la Europa che resta, tenne un terzo idioma 1, avegna che al presente tri partito si veggia; perciò che volendo affermare, altri dicono oc, altri oil, e altri sì, cioè Spa gnuoli, Francesi et Italiani. Il segno adunque che i tre volgari di costoro procedessero da uno istesso idioma, è in pronto;perciò che molte cose chiamano per i medesimi vocaboli, come è Dio,cielo,amore,mare,terra,e vive,muore, ama,& altri molti.Di questi adunque de la meridionale Europa, quelli che proferiscono oc tengono la parte occidentale, che comincia da i confini de’ GENOVESI; quelli poi che dicono sì, tengono da i predetti confini la parte orientale, cioè fino a quel promontorio d'ITALIA, dal quale comincia il seno del mare Adriatico e la Sicilia. Ma quelli che affermano con oil,quasi sono settentrionali a rispetto di questi; perciò che da l'oriente e dal settentrione hanno gli Ale manni, dal ponente sono serrati dal mare in 1 Il testo ha: A b isto incipiens idiomate, videlicet a finibus Ungarorum versus orientem aliud occupa vittotum quod ab inde vocatur Europa, nec non ul terius est protractum. Totum autem, quod in Europa restat ab istis, tertium tenuit idioma. E deve essere tradotto cosi: A cominciare da questo idioma, cioè dai confini degli Ungari verso oriente, un altro idioma occupò l'intero tratto che da quei confini in là si chiama Europa, e che si protrae anche più oltre. Tutto il tratto poi della rimanente Europa tenne un terzo idioma. glese, e dai monti di Aragona terminati, dal mezzo di poi sono chiusi da' Provenzali,e da la flessione de l'Appennino. Noi ora è bisogno porre a pericolo 1 la Il verbo periclitari del testo latino qui vale mettere alla prova, cimentare.  ragione, che avemo, volendo ricercare di quelle cose ne le quali da niuna autorità siamo aiutati, cioè volendo dire de la variazione, che intervenne al parlare, che da principio era il medesimo. Ma conciòsiachepercammininoti più tosto e più sicuramente si vada, però so lamente per questo nostro idioma anderemo,e gli altri lascieremo da parte, conciò sia che quello che ne l'uno è ragionevole, pare che eziandio abbia ad esser causa ne gli altri. È adunque loidioma,deloqualetrattiamo(come ho detto di sopra) in tre parti diviso, perciò che alcuni dicono oc, altri si, e altri oil. E che questo dal principio de la confusione fosse uno medesimo (il che primieramente provar si deve) appare, perciò che si convengono in molti vocaboli,come gli eccellenti dottori dimostrano; De le tre varietà del parlare, e come col tempo il medesimo parlare si muta, e de la invenzione de la grammatica. A la quale convenienzia repugna a la confusione, che fu per il delitto ne la edificazione di Babel. I Dottori adunque di tutte tre queste lingue in molte cose convengono, e massimamente in questo vocabolo, Amor. Gerardo di Berneil,  Surisentis fez les aimes Puer encuser Amor. Il re di Navara, De'finamor sivientsenebenté. M. Guido Guinizelli, Nè fè amor, prima che gentil core, Nè cor gentil,prima che amor,natura. Investighiamo adunque, perchè egli in tre parti sia principalmente variato,e perchè cia scuna di queste variazioni in sè stessa si varii, come la destra parte d'Italia ha diverso par lare da quello de la sinistra, cioè altramente parlano i Padovani, e altramente i Pisani: e investighiamo perchè quelli,che abitano più vi cini,siano differenti nel parlare,come è iMila nesi e Veronesi, ROMANI e Fiorentini;e ancora perchè siano differenti quelli,che si convengono sotto un istesso nome di gente,come Napole tani e Gaetani, Ravegnani e Faentini; e quel che è più maraviglioso, cerchiamo perchè non si convengono in parlare quelli che in una medesima città dimorano, come sono i Bolognesi del borgo di san Felice, e i Bolognesi  della strada maggiore.Tutte queste differenze adunque,e varietàdi sermone,che avvengono, con una istessa ragione saranno manifeste. Dico adunque, che niuno effetto avanza la sua ca gione, in quanto effetto, perchè niuna cosa può fare ciò che ella non è. Essendo adunque ogni nostra loquela (eccetto quella che fu da Dio insieme con l'uomo creata) a nostro benepla cito racconcia,dopo quella confusione,la quale niente altro fu che una oblivione de la loquela prima, et essendo l'uomo instabilissimo e va riabilissimo animale, la nostra locuzione ne durabile nè continua può essere; ma come le altre cose che sono nostre (come sono costumi et abiti), simutano; cosìquesta, secondo ledi stanzie de iluoghi e dei tempi,è bisogno di va riarsi.Però non è da dubitare che nel modo che avemo detto,cioè,che con ladistanziadeltempo il parlare non si varii, anzi è fermamente da tenere; perciò che se noi vogliamo sottilmente investigare le altre opere nostre,le troveremo molto più differenti da gli antiquissimi nostri cittadini, che da gli altri de la nostra età, q u a n tunquecisianomoltolontani1. Il perchè audacemente affermo, che se gli antiquissimi Pavesi ora risuscitassero,parlerebbero di diverso parlare di quello, che ora parlano in Pavia; nè altrimente questo, ch'io dico, ci paja maraviglioso, che I qualicisianomolto lontani (magis....quam a coetaneis perlonginquis).   ciparrebbe a vedere un giovane cresciuto,il quale non avessimo veduto crescere.Perciò che le cose, che a poco a poco si movono, il moto loro è da noi poco conosciuto;e quanto la va riazione de la cosa ricerca più tempo ad essere conosciuta, tanto essa cosa è da noi più stabile esistimata.Adunque non ci ammiriamo,se i discorsi di quegli uomini,che sono poco da le bestie differenti, pensano che una istessa città abbia sempre il medesimo parlare usato, conciò sia che la variazione del parlare di essa città non senza lunghissima successione di tempo a poco a poco sia divenuta, e sia la vita de gli uomini di sua natura brevissima. Se adunque il sermone ne la istessa gente (come è detto) successivamente col tempo si varia, nè può per alcun modo firmarse, è necessario che il par lare di coloro, che lontani e separati dimorano, sia variamente variato; sì come sono ancora variamente variati i costumi et abiti loro, i quali nè da natura,nè da consorzio umano sono firmati, ma a beneplacito, e secondo la conve nienzia de i luoghi nasciuti. Quinci si mossero gl'inventori de l'arte grammatica; la quale grammatica non è altro che una inalterabile conformità di parlare in diversi tempi e luo ghi. Questa essendo di comun consenso di molte genti regulata, non par suggetta al singulare arbitrio di niuno, e consequentemente non può essere variabile.Questa adunque trovarono,ac ciò che per la variazion del parlare, il quale  De la varietà del parlare in Italia da la destra e sinistra parte de l'Appennino. Ra uscendo in tre parti diviso (come di, per singulare arbitrio si move,non ci fossero o in tutto tolte, o imperfettamente date le a u torità, et i fatti de gli antichi, e di coloro da i quali la diversità dei luoghi ci fa esser divisi. sopra è detto) il nostro parlare nella comparazione di se stesso, secondo che egli è tri partito, con tanta timidità lo andiamo ponde rando, che nè questa parte, nè quella, nè quell'altra abbiamo ardimento di preporre, se non in quello sic, che i grammatici si trovano aver preso per avverbio di affirmare: la qual cosa pare, che dia qualche più di autorità a gli Italiani, i quali dicono si.Veramente ciascuna di queste tre parti con largo testimonio si d i fende. La lingua di oil allega per sè, che, per lo suo più facile e più dilette vole Volgare, tutto quello che è stato tradotto, o vero ritrovato in prosa volgare,è suo; cioè la Bibbia,ifatti de i Trojani e dei ROMANI, le bellissime favole del re Artù, e molte altre istorie e dottrine 1. ma: 0 · Il Fraticelli avverte, a ragione, che qui bisognava tradurre non: la Bibbia,ifatti de' Trojani... i libri che contengono i fatti de' Trojani. L'altra poi argomenta per sè, cioè la lingua di oc; e dice che i volgari eloquenti scrissero i primi poemi in essa, sì come in lingua più perfetta e più dolce; come fu Piero di Alver nia et altri molti antiqui dottori.La terza poi, che è de gli Italiani, afferma per dui privilegj esser superiore; il primo è, che quelli, che più dolcemente e più sottilmente hanno scritti poe mi, sono stati i suoi domestici e famigliari, cioè Cino da Pistoja, e lo amico suo; il secondo è, che pare, che più s'accostino a la grammatica, la quale è comune.E questo, a coloro, che vogliono con ragione considerare, par g r a vissimo argomento. Ma noi lasciando da parte il giudicio di questo, e rivolgendo il trattato nostro al VOLGARE ITALIANO, ci sforzeremo di dire le variazioni ricevute in esso, e quelle fra sè compareremo. Dicemo adunque laItalia essere primamente in due parti divisa,cioè ne la de stra e ne la sinistra; e se alcuno dimandasse qual è la linea che questa diparte,brievemente rispondoessere il giogo del'Appennino; il quale, come un colmo di fistula, di qua e di là a diver se gronde piove,e l'acque di qua e di là per lunghi embricia diversi liti distillan, come Lucano nel secondo descrive; et il destro lato ha il mar Tirreno per grondatoio, il sinistro v'ha lo Adriatico. Del destro lato poi sono regioni la Puglia,ma non tutta, Roma, il Ducato 1,  + Ducato di Spoleto, Toscana, la Marca di Genova. Del sinistro so no parte de la Puglia, la Marca d’Ancona, la Romagna, la Lombardia, la Marca Trivigiana, con Venezia. Il Friuli veramente, e l'Istria non possono essere se non de la parte sinistra d'Italia; e le isole del mar Tirreno, cioè Sicilia e Sardigna,non sono se non de la destra, o veramente sono da essere a la destra parte d'Italia accompagnate.In ciascuno adun que di questi dui lati d'Italia, et in quelle parti che si accompagnano ad essi, le lingue de gli uomini sono varie; cioè la lingua de i S i ciliani co iPugliesi, e quella de i Pugliesi coi ROMANI,e dei ROMANI coi Spoletani,edi que sticoiToscani,edeiToscani coiGenovesi,e de i Genovesi co i Sardi. E similmente quella de i Calavresi con gli Anconitani, e di costoro coiRomagnuoli,e dei Romagnuoli coi Lombardi, edeiLombardi coi Trivigiani e Veneziani, e di questi co i Friulani, e di essi con gl'Istriani; ne la qual cosa dico, che nessuno de gl’Italiani dissentirà da noi. Onde L’ITALIA sola appare in X I V Volgari esser variata: cia scuno dei quali ancora in sè stesso si varia: come in Toscana i Senesi e gli Aretini, in L o m bardia i Ferraresi e i Piacentini; e parimente in una istessa città troviamo essere qualche variazione di parlare,come nel Capitolo di so pra abbiamo detto. Il perchè se vorremo cal culare le prime, le seconde, e le sottoseconde variazioni del Volgare d'Italia,avverrà che in Si dimostra, che alcuni in Italia hanno brutto et inornato parlare. Ssendo IL VOLGARE ITALIANO per molte varietà dissonante, investighiamo la più bella et illustre loquela d'Italia; et acciò che a la nostra investigazione possiamo avere un picciolo calle, gettiamo prima fuori de la selva gli a r boriattraversati,elespine. Sicome adunque i Romani si stimano di dover essere a tutti preposti, così in questa eradicazione, o vero estirpazione, non immeritamente a gli altri li preporremo; protestando essi in niuna ragione de la Volgare Eloquenza esser da toccare. Di cemo adunque il Volgare de'Romani,o per dir meglio il suo tristo parlare, essere il più brutto di tutti i Volgari Italiani; e non è maraviglia, sendo ne i costumi e ne le deformità de gli abiti loro sopra tutti puzzolenti. Essi dicono: M e sure, quinte dici 1. Dopo questi caviamo quelli de la Marca d’Ancona, i quali dicono Chigna mente sciate siate 2; con i quali mandiamo via questo minimo cantone del mondo si verrà,non solamente a mille variazioni di loquela, m a ancora a molte più. I Sorella mia, che cosa dici? Qualmente siate state, i Spoletani. E non è da preterire, che in vitu perio di queste tre genti sono state molte can zoni composte, tra le quali ne vidi una drit tamente e perfettamente legata, la quale un certo fiorentino, nominato il Castra, avea com posto; e cominciava,  Una ferina va scopai da Cascoli Cita cita sen gia grande aina Dopo questi i Milanesi, et i Bergamaschi,& i loro vicini gettiam via; in vituperio de i quali mi ricordo alcuno aver cantato, Ciò fu del mes d'ochiover.  Dopo questi crivelliamo gli Aquilejensi, e gli I striani, i quali con crudeli accenti dicono Ces fastù; e con questi mandiam via tutte lem o n tanine e villanesche loquele, le quali di brut tezza di accenti sono sempre dissonanti da i cittadini, che stanno in mezzo le città, come i Casentinesi, et i Pratesi. I Sardi ancora, i quali non sono d'Italia,ma a la Italiaaccom pagnati, gettiam via: perchè questi soli ci p a jono essere senza proprio Volgare, et imitano la grammatica,come fanno le simie gli uomini; perchè dicono, Domus nova,e Dominus meus. Una ferina vosco poi da Cascoli   In te l'ora del vespero, Il Fontanini propone di leggere: Zita zita sen gia a grande aina. Zita vale gita; e aina val fretta.    Ancor che l'aigua per lo foco lassi.  Amor, che longamente m'hai menato. Ma questa fama de la terra di Sicilia, se dirit tamente risguardiamo, appare, che solamente per opprobrio de'principi Italiani sia rimasa; i quali non con modo eroico,ma con plebeo seguono la superbia. Ma quelli illustri eroi Federico Cesare et il ben nato suo figliuolo Manfredi, dimostrando la nobiltà e drittezza de la sua forma,mentre che la fortuna gli fu fa vorevole,seguirono le cose umane,e le bestiali sdegnarono. Il perchè coloro,cheeranodialto De lo Idioma Siciliano e Pugliese. Ei crivellati (per modo di dire) Volgari d'Italia, facendo comparazione tra quelli che nel crivello sono rimasi, brievemente sce gliamo il più onorevole di essi. E primiera mente esaminiamo lo ingegno circa il Siciliano, perciò che pare che il Volgare Siciliano abbia assunto la fama sopra gli altri; conciò sia che tutti i poemi, che fanno gl'Italiani, si chia mino Siciliani,e conciò sia che troviamo molti dottori di costà aver gravemente cantato,come in quelle canzoni, Et,   Se questo poi non vogliamo pigliare, ma quello che esce de la bocca de i principali Si ciliani, come ne le preallegate canzoni si può vedere, non è in nulla differente da quello,che è laudabilissimo, come di sotto dimostreremo. |Traduzione letterale di altripices, chesignifica in gannatori., cuore e di grazie dotati,si sforzavano di ade rirsi alla maestà di sì gran principi; talchè in quel tempo tutto quello, che gli eccellenti Italiani componevano, ne la Corte di sì gran re primamente usciva. E perchè il loro seggio regale era in Sicilia, è avvenuto,che tutto quello che i nostri precessori composero in Volgare, si chiama Siciliano; il che ritenemo ancora noi; et i posteri nostri non lo potranno mutare. Racha, Racha.Che suona ora la tromba de l'ultimo Federico? che ilsonaglio del secondo Carlo? che i corni di Giovanni e di Azzo m a r chesi potenti?cheletibiedeglialtrimagnati? se non, Venite, carnefici; Venite, altripici 1; Venite, settatori di avarizia.M a meglio è tor nare al proposito, che parlare indarno. Or dicemo,che se vogliamo pigliare il Volgar Siciliano,cioè quello che vien da imediocri pae sani, da la bocca de i quali è da cavare il giu dizio, appare, che il non sia degno di essere preposto a gli altri;perciò che 'l non si profe risce senza qualche tempo, come è in  Traggemi d'este focora se t'este a bolontate. I Pugliesi poi, o vero per la acerbità loro, o vero per la propinquità dei suoi vicini, che sono Romaneschi e Marchigiani, fanno brutti barbarismi. E'dicono,  Per fino amore vo'si lietamente.  Il perchè a quelli, che noteranno ciò che si è detto di sopra, dee essere manifesto, che nè il Siciliano, nè il Pugliese è quel Volgare che in Italia è bellissimo; conciò sia che abbiamo m o strato, che gli eloquenti nativi di quel paese sieno da esso partiti.  De lo Idioma de i Toscani e dei Genovesi. per la loro pazzia insensati, pare che a r rogantemente s'attribuiscano il titolo del Volgare Illustre; et in questo non solamente la   Volzera che chiangesse lo quatraro.Ma quantunque comunemente ipaesani pugliesi parlino bruttamente, alcuni però eccellenti tra loro hanno politamente parlato, e posto ne le loro canzoni vocaboli molto cortigiani, come manifestamente appare a chi iloro scritti con sidera,come è, Madonna, dir vi voglio.E, opinione dei plebei impazzisce, m a ritruovo molti uomini famosi averla avuta: come fu Guittone d’Arezzo, il quale non si diede mai al Volgare Cortigiano; Bonagiunta da Lucca, Gallo pisano, Mino Mocato senese,eBrunetto fioren tino, i detti dei quali, se si avrà tempo di esaminarli,noncortigiani,ma proprjdeleloro cittadi essere si ritroveranno. Ma conciò sia che i Toscani siano più de gli altri in questa ebrietà furibondi, ci pare cosa utile e degna torre in qualche cosa la pompa a ciascuno de i Volgari delle città di Toscana.I Fiorentini par. lano, e dicono,  Non facciamo altro.  I Pisani,  Bene andonno li fanti de Fioranza per Pisa. I Lucchesi,  Fo voto a Dio,che ingassara eie lo comuno de Luca. I Senesi,  Vo'tu venire ovelle? Di Perugia, Orbieto, Viterbo e Città Castel lana, per la vicinità che hanno con Romani e Spoletani, non intendo dir nulla.Ma come che quasi tutti i Toscani siano nel loro brutto par Onche rinegata avessi io Siena. Gli Aretini,  Manuchiamo introcque.  lare ottusi,non di meno ho veduto alcuni aver conosciuto la eccellenzia del Volgare,cioè Guido, Lapo et un altro, fiorentini, e Cino Pistojese, il quale al presente indegnamente posponemo, non indegnamente costretti.Adunque se esami neremo le loquele toscane, e considereremo, come gli uomini molto onorati si siano da esse loro proprie partiti, non resta in dubbio che il Volgare, che noi cerchiamo, sia altro che quello che hanno ipopoli di Toscana. Se alcu no poi pensasse che quello, che noi affermiamo de i Toscani,non sia da affirmare de iGenovesi, questo solo costui consideri, che se i Genovesi per dimenticanza perdessero il z lettera, biso gnerebbe loro, o ver essere totalmente muti, o ver trovare una nuova locuzione; perciò che il z è la maggior parte del loro parlare; la qual lettera non si può se non con molta aspe rità proferire.  nino, et investighiamo tutta la sinistra parte d'Italia, cominciando, come far solemo, a levante. Intrando adunque ne la Romagna, dicemo che in Italia abbiamo ritrovati dui Vol gari, l'uno a l'altro con certi convenevoli con  De loIdioma di Romagna, edialcuni Transpadani,especialmentedelVeneto. P Assiamo ora le frondute spalle de l'Appen trarj opposto !, de li quali uno tanto femenile ci pare per la mollizia dei vocaboli e de la p r o nuncia, che un uomo (ancora che virilmente parli) è tenuto femina. Questo Volgare hanno tutti i Romagnuoli, e specialmente i Forlivesi, la città de i quali, avegna che novissima sia, non di meno pare esser posta nel mezzo di tutta la provincia. Questi affermando dicono Deusci, e facendo carezze sogliono dire oclo meo,e co rada mea.Bene abbiamo inteso,che alcuni di costoro ne i poemi loro si sono partiti dal suo proprio parlare,cioèTomaso et Ugolino Buc ciola faentini.L'altro de idue parlari,che ave mo detto, è talmente di vocaboli et accenti ir suto et ispido, che per la sua rozza asperità non solamente disconza una donna che parli, ma ancora fa dubitare, s'ella è uomo. Questo tale hanno tutti quelli che dicono magara, cioè Bressani, Veronesi, Vicentini, et anco i P a doani, i quali in tutti i participj in tus,e de nominativi in tas, fanno brutta sincope, come è merco, e bonté. Con questi ponemo eziandio i Trivigiani, i quali al modo de i Bressani, e de i suoi vicini proferiscono lo v consonante per f, removendo l'ultima sillaba, come è nof per nove, vi f per vivo; il che veramente è barbarissimo, e riproviamlo. I Veneziani ancora non saranno degni de l'onore de l'investigato Il testo latino ha: duo. vulgaria, quibusdam convenientiis contrariis alternata. tra i quali abbiamo veduto uno, che si è sfor zato partire dal suo materno parlare, e ridursi al volgare cortigiano, e questo fu Brandino padoano. Laonde tutti quelli del presente Ca pitolo comparendo alla sentenzia, determiniamo, che nè il Romagnuolo nè ilsuo contrario,come si è detto, nè il Veneziano sia quello Illustre Volgare che cerchiamo. CA Fa gran discussione del parlare nolognese. quello che della italica selva ci resta. D i cemo adunque,che forse non hanno avuta mala opinione coloro, che affermano che i Bolognesi con molto bella loquela ragionano; conciò sia che da gli Imolesi,Ferraresi eModenesi qualche cosa al loro proprio parlare aggiungano; chè tutti, sì come avemo mostrato, pigliano dai loro vicini, come Sordello dimostra de la sua Mantova, che con Cremona, Bressa e Verona confina. Il qual uomo fu tanto in eloquenzia, che non solamente ne i poemi, m a in ciascun modo che parlasse, il Volgare de la sua patria abbandond.Pigliano ancora iprefati cittadini Volgare; e se alcun di loro, spinto da errore, in questo vaneggiasse, ricordisi se mai disse,  Per le plage de Dio tu non verás ; Ra ci sforzeremo, per espedirci,a cercare   la leggerezza e la mollizia da gl'Imolesi, e da i Ferraresi e Modenesi una certa loquacità, la qual è propria de i Lombardi. Questa, per la mescolanza de i Longobardi forestieri, crediamo essere rimasa ne gli uomini di quei paesi; e questa è la ragione, per la quale non ritro viamo che niuno, nè Ferrarese, nè Modenese, nè Reggiano,sia stato poeta;perciò che assue fatti a la propria loquacità, non possono per alcun modo,senza qualche acerbità, al Volgare Cortigiano venire. Il che molto maggiormente de i Parmigiani è da pensare; i quali dicono inonto per molto. Se adunque i Bolognesi da l'una e da l'altra parte pigliano, come è detto, ragionevole cosa ci pare che il loro parlare, per la mescolanza de gli oppositi, rimanya di laudabile suavità temperato: il che per giudi zio nostro senza dubbio esser crediamo.Vero è che se quelli, che prepongono il Volgare S e r mone de iBolognesi,nel compararli essi hanno considerazione solamente a i Volgari de le città d'Italia, volentieri ci concordiamo con loro. M a se stimano simplicemente il Volgare Bolognese essere da preferire, siamo da essi differenti e discordi; perciò che egli non è quello che noi chiamiamoCortigiano& Illustre;ches'elfosse quello,ilmassimo Guido Guinizelli,Guido Ghis liero, Fabrizio, & Onesto,& altripoetinon sariano mai partiti da esso; perciò che furono dottori illustri, e di piena intelligenzia ne le cose volgari.   Più non attendo il tuo soccorso, Amore.  Le quali parole sono in tutto diverse da le pro prie bolognesi. Ora perchè noi non crediamo che alcuno dubiti di quelle città che sono poste ne le estremità d'Italia; e se alcuno pur dubita, non lo stimiamo degno de la nostra soluzione; però poco ci resta ne la discussione da dire. Laonde disiando di deporre il crivello, accid che tosto veggiamo quello che in esso è rimaso, dico che Trento, e Turino,& Alessandria sono città tanto propinque a i termini d'Italia, che non ponno avere pura loquela; tal che se così come hanno bruttissimo Volgare,così l'avessono bellissimo, ancora negherei esso essere vera mente Italiano, per la mescolanza che ha de gli altri.E però se cerchiamo il Parlare Italiano Illustre, quello che cerchiamo non si può in esse città ritrovare.  Il massimo Guido, Fabrizio,  Madonna, ilfermocore. Lo mio lontano gire. Onesto  e pascoli d'Italia, e non avemo quella pantera, che cerchiamo, trovato; per potere essa meglio trovare, con più ragione investi ghiamola; acciò che quella, che in ogni loco si sente, et in ogni parte appare?, con sollecito studio ne le nostre reti totalmente inviluppia mo. Ripigliando adunque inostri istrumenti da cacciaredicemo, cheinognigenerazionedi cose è di bisogno che una ve ne sia,con la quale tutte le cose di quel medesimo genere si abbiano a comparare e ponderare, e quindi la misura di tutte le altre pigliare.Come nel numero tutte le cose si hanno a misurare con la unità;e di consi più e meno, secondo che da essa unità sono più lontane, o più ad essa propinque. E cosi ne i colori tutti si hanno a misurare col bianco; e diconsi più e meno visibili, secondo che a lui più vicini, e da lui più distanti si sono.E sicome diquestichemostrano quan tità e qualità diciamo, parimente di ciascuno I L'edizione del Corbinelli ha: redolentem ubique, etnec apparentem. Witte propone di leggere: nec usquam apparentem.  De lo eccellente Parlar Volgare, il quale è comune a tutti gli Italiani. A poi che avemo cercato per tutti i salti D de i predicamenti e de la sustancia pensiamo potersi dire; cioè che ogni cosa si può misu rare in quel genere con quella cosa, che è in esso genere simplicissima. Laonde ne le nostre azioni, in quantunque specie sidividano,sibi sogna ritrovare questo segno,col quale esse si abbiano a misurare; perciò che in quello che facciamo come simplicemente uomini, avemo la virtù,la quale generalmente intendemo?; perciò che secondo essa giudichiamo l'uomo buono e cattivo;in quello poi che facciamo, come uomini cittadini,avemo la legge,secondo la quale si dice buono e cattivo cittadino;così in quello, che come uomini italiani facciamo, avemo le cose simplicissime. Adunque se le azioni italiane si hanno a misurare e ponde rare con i costumi, e con gli abiti, e col parlare,quelle de leazioni italiane sono simplicissi me, che non sono proprie di niuna città d'Italia, ma sono comuni in tutte 2; tra le quali ora si 2 Il testo latino ha: inquantum uthominesLatini agimus,quædam habemus simplicissima signa,idest morum,et habituum, et locutionis, quibus LATINO actiones ponderantur et mensurantur. Quce quidem nobilissimasuntearum,quæ LATINORVM sunt,actio num, hæc nulliuscivitatisItaliæ propria sunt,sed in omnibus communia sunt: inter que nunc potest di scerni Vulgare. Il Fraticelli raddrizzò la traduzione del Trissino a questo modo: in quello che, come uomini   Il testo latino ha: virtutem habemus, ut genera literillas (actiones) intelligamus.Edevetradursi:ab biamo per intenderle (leazioni) generalmente,lavirtù.   può discernere il Volgare,che di sopra cerca vamo, essere quello,che in ciascuna città ap pare, e che in niuna riposa 1. Può ben più in una,che in un'altra apparere,come fa la sim plicissima de le sustanzie, che è Dio, il quale più appare ne l'uomo che ne le bestie, e che ne le piante, e più in queste che ne le miniere, et in esse più che ne gli elementi,e più nel foco, che ne laterra.E lasimplicissima quantità,che è uno,più appare nel numero dispari che nel italiani facciamo, abbiamo certi segni semplicissimi, cioè de'costumi, degli abiti e del parlare, coi quali le azioni italiane si hanno a misurare e ponderare.Adun que quelle delle azioni italiane sono nobilissime, che non sono proprie di niuna città d'Italia, ma sono co muni in tutte: tra le quali ora si può discernere il Volgare. Il Trissino, in luogo di nobilissime, ha semplicissime;eforselasua lezioneèlavera.Levoci nobilissima, hæc,propria,communiaedinterquo non possono riferirsi ad actiones, ma a signa: cosicchè si dovrebbe tradurre segni nobilissimi. M a il dir segni nobilissimi è, certo, poco conforme al concetto generale del Capitolo, nel quale l'autore non parla che di semplicis simi segni: e quindi la traduzione più propria parrebbe dovesse essere la seguente: ora, quelli, che sono segni semplicissimi delle azioni degli Italiani, quelli non sonpropri di nessuna città,ma comuni a tutte:trai quali....;epiùbrevemente: iqualisegnidelleazioni degli Italiani non son propri di nessuna città.  4 Vulgare.... quod in qualibet civitate apparet, nec cubat in ulla. Il Manzoni, citando questo passo nella lettera al Bonghi, da noi ristampata, traduce più esatta mente: il Volgare, che in ogni città dà sentore di sè, e non si annida in nessuna.   pari; et il simplicissimo colore,che è ilbianco, più appare nel citrino che nel verde. Adunque ritrovato quello che cercavamo, dicemo, che il Volgare Illustre, Cardinale, Aulico e Corti giano in Italia è quello, il quale è di tutte le città italiane, e non pare che sia di niuna, col quale il Volgare di tutte le città d'Italia si hanno a misurare, ponderare e comparare. Perchè questo Parlare si chiami Illustre. Erchè adunque a questo ritrovato Parlare aggiungendo Illustre,Cardinale, Aulico e Cortigiano, cosi lo chiamiamo, al presente di remo; per il che più chiaramente faremo parere quello, che esso è. Primamente adunque d i m o striamo quello che intendiamo di fare, quando vi aggiungiamo Illustre, e perchè Illustre il dimandiamo.Per questonoiildicemo Illustre, che illuminante et illuminato risplende. Et a questo modo nominiamo gli uomini illustri, o vero perchè illuminati di potenzia sogliono con giustizia e carità gli altri illuminare, o vero perchè eccellentemente ammaestrati, eccellen temente ammaestrano, come fe'Seneca e Numa Pompilio; et il Volgare di cui parliamo, il quale innalzato di magisterio e di potenzia, innalza i suoi di onore e di gloria. E ch'el sia da magisterio innalzato, si vede, essendo egli  O n senza ragione esso Volgare Illustre o r niamodisecondagiunta, cioèche Cardinale il chiamiamo, perciò che si come tutto l'uscio seguita il cardine, talchè dove il cardine si volta, ancor esso (o entro, o fuori che 'l si pie  Perchè questo Parlare si chiami Cardinale, di tanti rozzi vocaboli italiani, di tante per plesseconstruzioni,ditante difettivepronunzie, di tanti contadineschi accenti, cosi egregio, così districato, così perfetto e così civile ri dotto, come Cino da Pistoja e l'amico suo ne le loro canzoni dimostrano. Che 'l sia poi esaltato di potenzia, appare: e qual cosa è di maggior potenzia che quella, che può i cuori de gli u o mini voltare, in modo che faccia colui che non vole, volere;e colui che vole, non volere, come ha fatto questo, e fa? Che egli poscia innalzi di onore chi lo possiede, è in pronto: non sogliono i domestici suoi vincere di fama ire,imarchesi,iconti,etuttiglialtrigrandi? certo questo non ha bisogno di pruova.Quanto egli faccia poi i suoi famigliari gloriosi, noi stessi l'abbiamo conosciuto, i quali per la dol cezza di questa gloria ponemo dopo le spalle il nostro esilio. Adunque meritamente dovemo esso chiamare Illustre. NA Aulico, e Cortigiano.  Il testo latino ha: Est etiam merito curiale dicen dum, quia curialitas nil aliud est, etc. Il Fraticelli os serva in questo proposito quanto segue: La Curia è il foro, illuogo o vesitrattanogliaffaripubblici;ma es  ghi)si volge; cosi tutta la moltitudine de i Volgari de le città si volge e rivolge, si move e cessa,secondo che fa questo.Il quale veramente appare esser padre di famiglia; non cava egli ogni giorno gli spinosi arboscelli della italica selva? non pianta egli ogni giorno semente o inserisce piante? che fanno altro gli agricoli di lei se non che lievano, e pongono, come si è detto? Il perchè merita certamente essere di tanto vocabolo ornato. Perchè poi ilnominiamo Aulico, questa è la cagione: perciò che se noi Italiani avessimo Aula,questi sarebbe palatino. Se la Aula poi è comune casa di tutto il regno, e sacra gubernatrice di tutte le parti di esso; convenevole cosa è che ciò che si truova esser tale,che sia comune a tutti,e proprio di niuno; in essa conversi et abiti; nè alcuna altra abi tazione è degna di tanto abitatore.Questo ve ramente ci pare esser quel Volgare, del quale noi parliamo; e quinci avviene, che quelli che conversano in tutte le Corti regali, parlano sempre con Volgare Illustre. E quinci ancora è intervenuto che il nostro Volgare, come fore stiero va peregrinando, et albergando ne gli umili asili, non avendo noi Aula.Meritamente ancora sidee chiamare Cortigiano,perciò che la cortigiania niente altro è,che una pesatura de   le cose che si hanno a fare; e conciò sia che la statera di questa pesatura solamente ne le ec cellentissime Corti esser soglia, quinci avviene, che tutto quello, che ne le azioni nostre è ben pesato, si chiama cortigiano. Laonde essendo questo ne la eccellentissima Corte d'Italia p e sato,merita esser detto Cortigiano.Ma a dire che 'l sia ne la eccellentissima Corte d'Italia pesato, pare fabuloso, essendo noi privi di Corte; a la qual cosa facilmente si risponde. Perciò che avegna che la Corte (secondo che ụnica si piglia, come quella del re di Alema gna) in Italia non sia,le membra sue però non cimancano;ecome lemembra diquelladaun principe si uniscono,cosi le membra di questa dal grazioso lume de la ragione sono unite; e però sarebbe falso a dire, noi Italiani mancar di Corte quantunque manchiamo di principe; perciò che avemo Corte, avegna che la sia cor poralmente dispersa, sendo dal Trissino tradotto la Corte, viene a prodursi confusione, perchè Corte è sinonimo di Aula o Reggia, Per l'esattezza del significato converrà rendere la voce curialitas per curialità: e cosi in appresso per cui curiale le voci curia e curialis., e   Che i Volgari Italici in uno si riducono, Uesto Volgare adunque,che essere Illustre, Q Cardinale,Aulico e Cortigiano avemo dimo strato,dicemo esser quello,che si chiama Vol gare Italiano; perciò che sì come si può tro vare un Volgare che è proprio di Cremona, così se ne può trovar uno che è proprio di Lombardia, et un altro che è proprio di tutta la sinistra parte d'Italia; e come tutti questi si ponno trovare, così parimente si può trovare quello, che è di tutta Italia. E sì come quello si chiama cremonese e quell'altro lombardo,e quell'altro di mezza Italia, così questo che è di tutta Italia si chiama Volgare Italiano.Que sto veramente hanno usato gl’illustri dottori che in Italia hanno fatto poemi in Lingua Vol gare; cioè i Siciliani, i Pugliesi, i Toscani, i Romagnuoli,iLombardi,e quelli delaMarca Trevigiana e de la Marca d’Ancona. E conciò sia che la nostra intenzione (come avemo nel principio dell'opera promesso) sia d'insegnare la dottrina de la Eloquenzia Volgare; però da esso Volgare Italiano,come da eccellentissimo, cominciando, tratteremo nei seguenti libri, chi  e quello si chiama Italiano. siano quelli, che pensiamo degni di usare esso, e perchè, e a che modo, e dove, e quando, et a chi sia esso da dirizzare. Le quali cose chia rite che siano, avremo cura di chiarire i Vol gari inferiori, di parte in parte scendendo sino a quello che è d'una famiglia sola.  e quali no. del nostro ingegno,e ritornando al calamo de la utile opera,sopra ogni cosa confessiamo, che 'l sta bene ad usarsi il Volgare Italiano Illustre così ne la prosa, come nel verso. M a perciò che quelli che scrivono in prosa,pigliano esso Volgare Illustre specialmente da i trovatori; e però quello che è stato trovato, rimane un fermo esempio a le prose,ma non al contrario; per ciò che alcune cose pajono dare principalità Corbinelli e, dietro lui, tutti gli altri hanno poli citantes, che non ha senso ol'hamoltooscuro;ma forse si deve leggere sollicitantes.  Quali sono quelli che denno usare il Volgare Illustre, P. Romettendo 1 un'altra volta la diligenzia La voce inventum qui significa poetato.   al verso; adunque secondo che esso è metrico, versifichiamolo 1, trattandolo con quell'ordine, che nel fine del primo Libro avemo promesso. Cerchiamo adunque primamente, se tutti quelli che fanno versi volgari, lo denno usare, o no. Vero è, che cosi superficialmente appare di sì; perciò che ciascuno che fa versi,dee ornare i suoi versi in quanto 'l può. Laonde non sendo niuno di sì grande ornamento, com'è il Volgare Illustre, pare che ciascun versificatore lo debbia usare. Oltre di questo, se quello, che in suo genere è ottimo, si mescola con lo inferiore, pare che non solamente non gli tolga nulla, ma che lo faccia migliore.E però se alcun versificatore, ancora che faccia rozza mente versi,lo mescolerà con la sua rozzezza, non solamente a lei farà bene, ma appare che così le sia bisogno di fare; perciò che molto è più bisogno di ajuto a quelli che ponno poco, che a quelli che ponno assai;e così appare che a tutti i versificatori sia licito di usarlo. M a questo è falsissimo; perciò che ancora gli eccellentissimi poeti non se ne denno sempre vestire,come per le cose di sotto trattate si po trà comprendere.Adunque questo Illustre Volgare ricerca uomini simili a sé,sì come ancora fanno gli altri nostri costumi et abiti: la m a gnificenzia grande ricerca uomini potenti, la · Il testo latino ha ipsum carminemus, che non vale versifichiamolo, ma pettiniamolo, rimondiamolo.  porpora uomini nobili; così ancor questo vuole uomini di ingegno e di scienze eccellenti; e gli altri dispregia, come per le cose, che poi si diranno, sarà manifesto.Tutto quello adunque, che a noi si conviene, o per il genere, o per la sua specie, o per lo individuo ci si convie ne; come è sentire, ridere, armeggiare; m a questo a noi non si conviene per il genere; perchè sarebbe convenevole anco a le bestie; ne per la specie; perchè a tutti gli uomini saria convenevole: di che non c'è alcun dubbio; chè niun dice,che'lsiconvenga aimontanari.Ma gli ottimi concetti non possono essere, se non dove è scienzia,& ingegno; adunque la ottima loquela non si conviene a chi tratti di cose grossolane; conviene sì per l'individuo; m a nulla a l'individuo conviene se non per le pro prie dignità; come è mercantare, armeggiare, reggere.E però, selecoseconvenienti risguar dano le dignità, cioè i degni; et alcuni possono essere degni, altri più degni, et altri degnissi mi;è manifesto,che le cose buone a i degni,le migliori a i più degni, le ottime a i degnissimi si convengono. E conciò sia che la loquela non altrimenti sia necessario istromento a i nostri concetti, di quello che si sia il cavallo al sol dato; e convenendosi gli ottimi cavalli a gli ottimi soldati, a gli ottimi concetti (come è detto) la ottima loquela si converrà. Ma gli ottimi concetti non ponno essere,se non dove è scien zia,& ingegno;adunque laottimaloquelanon si convien se non a quelli, che hanno scienzia, et ingegno; e così non à tutti i versificatori si convien ottima loquela, e consequentemente nè l'ottimo Volgare; conciò sia che molti senza scienzia,e senza ingegno facciano versi.E però, se a tutti non conviene, tutti non denno usa re esso; perciò che niuno dee far quello, che non si gli conviene.E dove dice,che ogni uno dee ornare i suoi versi quanto può, affermiamo esser vero; m a nè il bove efippito !, nè il porco balteato chiameremo ornato,anzi fatto brutto, e di loro ci rideremo; perciò che l'ornamento non è altro, che uno aggiungere qualche con venevole cosa a la cosa che si orna. A quello ove si dice, che la cosa superiore con la infe riore mescolata adduce perfezione, dico esser vero,quando laseparazionenonrimane;come è, se l'oro fonderemo insieme con l'argento; ma se la separazione rimane,la cosa inferiore si fa più vile; come è mescolare belle donne con brutte. Laonde conciò sia che la senten zia de i versificatori sempre rimanga separata mente mescolata con le parole, se la non sarà ottima, ad ottimo Volgare accompagnata, non migliore,ma peggiore apparerà,a guisa di una brutta donna, che sia di seta o d'oro vestita. Ephipiatum vale insellato, e balteatum vale cin turato. In qual materia stia bene usare Apoichè avemo dimostrato, che non tutti  il Volgare Illustre. D tissimi denno usare il Volgare Illustre, conse i versificatori, m a solamente gli eccellen quente cosa è dimostrare poi, se tutte le m a terie sono da essere trattate in esso, o no; e se non sono tutte, veder separatamente quali sono degne di esso. Circa la qual cosa prima è da trovare quello che noi intendiamo,quando dicemo degna essere quella cosa, che ha di gnità, si come è nobile quello che ha nobiltà; e così conosciuto lo abituante, si conosce lo abituato, in quanto abituato di questo; però conosciuta la dignità, conosceremo ancora il degno. È adunque la dignità un effetto, o vero termino de i meriti;perciò che quando uno ha meritato bene, dicemo essere pervenuto a la dignità del bene; e quando ha meritato male, a quella del male; cioè quello che ha ben c o m battuto, è pervenuto a la dignità de la vittoria, e quello che ha ben governato, a quella del regno; e così il bugiardo a la dignità de la vergogna, et il ladrone a quella de la morte. Ma conciò sia che in quelli, che meritano bene, si facciano comparazioni, e cosi ne gli altri, perchè alcuni meritano bene,altri meglio, altri   ottimamente, et alcuni meritano male, altri peggio,altripessimamente;e conciò ancora sia, che tali comparazioni non si facciano, se non avendo rispetto al termine de imeriti, il qual termine (come è detto) si dimanda dignità, manifesta cosa è,che parimente le dignità hanno comparazione tra sè,secondoilpiù& ilmeno; cioè che alcune sono grandi, altre maggiori, altre grandissime; e consequentemente alcuna cosa è degna, altra più degna, altra degnis sima; e conciò sia che la comparazione de le dignità non si faccia circa il medesimo objetto, ma circa diversi, perchè dicemo più degno quello che è degno di una cosa più grande, e degnissimo quello che è degno d'una altra cosa grandissima; perciò che niuno può essere di una stessa cosa più degno; manifesto è che le cose ottime (secondo che porta il dovere) sono de le ottime degne.Laonde essendo questo Volgare (che dicemo Illustre) ottimo sopra tutti gli altri volgari,consequente cosa è,che solamente le ottime materie siano degne di essere trat tateinesso;ma qualisisianopoiquellema terie,che chiamiamo degnissime,è buono al presente investigarle. Per chiarezza de le quali cose è da sapere, che si come ne l'uomo sono tre anime, cioè la vegetabile, la animale e la razionale, cosi esso per tre sentieri cammina; perciò che secondo che ha l'anima vegetabile, cerca,quello che è utile, in che partecipa con le piante; secondo che ha l'animale, cerca,   quello, che è dilettevole, in che partecipa con le bestie; e secondo che ha la razionale, cer ca l'onesto, in che è solo, o vero a la natura angelica s'accompagna; tal che tutto quel che facciamo, par che si faccia per queste tre cose. E perchè in ciascuna di esse tre sono alcune cose, che sono più grandi, et altre grandissi me; per la qual ragione quelle cose, che sono grandissime, sono da essere grandissimamente trattate, e consequentemente col grandissimo Volgare; ma è da disputare quali si siano que ste cose grandissime. E primamente in quello, che è utile; nel quale, se accortamente consi deriamo la intenzione di tutti quelli, che cer cano la utilità, niuna altra troveremo, che la salute. Secondariamente in quello, che è dilet tevole; nel quale dicemo quello essere massi mamente dilettevole, che per il preciosissimo objetto de l'appetito diletta; e questi sono i piaceridiVenere.Nel terzo,cheèl'onesto, niun dubita essere la virtù. Il perchè appare queste tre cose,cioè la salute,ipiaceridi Ve nere, e la virtù essere quelle tre grandissime materie, che si denno grandissimamente trat tare, cioè quelle cose, che a queste grandissime sono; come è la gagliardezza de l'armi, l'ar denzia de l'amore, e la regola de la volontà. Circa le quali tre cose sole (se ben risguar diamo) troveremo gli uomini illustri aver vol garmente cantato; cioè Beltramo di Bornio le armi; Arnaldo Danielo lo amore; Gerardo de  Bornello la rettitudine; Cino da Pistoia lo a m o re; lo amico suo la rettitudine. Beltramo adunque dice,  Non puesc mudar q'un chantar non esparja.  Arnaldo,  Laura amara fa 'ls broils blancutz clarzir. Gerardo, Non trovo poi, che niun Italiano abbia fin qui cantato de l'armi. Vedute adunque queste cose (che avemo detto), sarà manifesto quello, che sia nel Volgare Altissimo da cantare. In qual modo di rime si debba usare Raci sforzeremo sollicitamente d'investi 0 gareilmodo,colqualedebbiamo stringere quelle materie, che sono degne di tanto Volgare.Volendo adunque dare ilmodo, col quale Per solatz revelhar Que s'es trop endormitz. Degno son io,che mora. Doglia mi reca nelo cuore ardire. il Volgare Altissimo. Cino, Lo amico suo,  queste degne materie si debbiano legare; primo dicemo doversi a la memoria ridurre,che quelli, che hanno scritto Poemi volgari,hanno essi per molti modi mandati fuori; cioè alcuni per Canzoni, altri per Ballate, altri per Sonetti, altri per alcuni altri illegittimi et irregolari modi, Come di sotto simostrerà. Di questi modi adun que il modo de le Canzoni essere eccellentissi m o giudichiamo; là onde se lo eccellentissimo è delo eccellentissimo degno, come di sopra è provato,le materie che sono degne de lo eccel lentissimo Volgare, sono parimente degne de lo eccellentissimo modo,e consequentemente sono da trattare ne le Canzoni;e che 'l modo de le Canzoni poi sia tale, come si è detto, si può per molte ragioni investigare. E prima,essendo Canzone tutto quello che si scrive in versi, et essendo a le Canzoni sole tal vocabolo attri buito, certo non senza antiqua prerogativa è processo. Appresso, quello che per sè stesso adempie tutto quello per che egli è fatto, pare esser più nobile, che quello che ha bisogno di cose che sieno fuori di sè; m a le Canzoni fanno per sè stesse tutto quello che denno; il che le Ballate non fanno, perciò che hanno bisogno di sonatori,aliqualisonofatte;adunque séguita, che le Canzoni siano da essere stimate più n o bili de le Ballate, e consequentemente il modo loro essere sopra gli altri nobilissimo, conciò sia che niun dubiti, che il modo de le Ballate non sia più nobile di quello de i Sonetti. A ppresso pare, che quelle cose siano più nobili, che arrecano più onore a quelli che le hanno fatte; e le Canzoni arrecano più onore a quelli che le hanno fatte, che non fanno le Ballate; adunque sono di esse più nobili, e consequen temente il modo loro è nobilissimo. Oltre di questo, le cose che sono nobilissime, molto ca ramente si conservano; m a tra le cose cantate, le Canzoni sono molto caramente conservate, come appare a coloro che vedeno ilibri; adun que le Canzoni sono nobilissime, e consequen temente ilmodo loro è nobilissimo.Appresso, ne le cose artificiali quello è nobilissimo che comprende tutta l'arte; essendo adunque le cose,che si cantano, artificiali, e ne le Canzoni sole comprendendosi tutta l'arte, le Canzoni sono nobilissime,ecosìilmodo loroènobi lissimo sopra gli altri.Che tutta l'arte poi sia ne le Canzoni compresa, in questo simanifesta, che tutto quello che si truova de l'arte, è in esse,ma non si converte 1. Questo segno adun que di ciò che dicemo, è nel cospetto di ogni uno pronto; perciò che tutto quello che da la cima de le teste de gli illustri poeti è disceso a le loro labbra,solamente ne le Canzoni si ri truova. E però al proposito è manifesto, che quelle cose che sono degne di Altissimo Volgare, si denno trattare ne le Canzoni. Sed non convertitur. Più chiaro di non si converte sarebbe però non e converso,ovvero non al contrario. De la varietà de lo stile secondo la qualità de la poesia. L'adpotiavimus del LATINO nonvaleavemo approvato, ma abbiamo dato a bere. Fraticelli propone che si tra duca per traslato: abbiamo dato un saggio.  A poi che avemo districando approvato 1 co, e che materie siano degne di esso, e parimente il modo, il quale facemo degno di tanto onore, che solo a lo Altissimo Volgare si con venga; prima che noi andiamo ad altro, di chiariamo il modo delle ca nzoni, le quali pajono da molti più tosto per caso che per arte usur parsi. E manifestiamo il magisterio di quel l'arte, il quale fin qui è stato casualmente preso, lasciando da parte il modo deleBallate e de i Sonetti; per ciò che esso intendemo dilu cidare nel quarto Libro di quest'opera nostra, quando del Volgare Mediocre tratteremo. R i veggendo adunque le cose che avemo detto, ci ricordiamo avere spesse volte quelli, che fanno versi volgari, per poeti nominati; il che senza dubbio ragionevolmente avemo avuto ardimento di dire; per ciò che sono certamente poeti, se drittamente la poesia consideriamo; la quale non è altro che una finzione rettorica, e po sta in musica.Non di meno sono differenti da i, grandi poeti, cioè da i regulati; per ciò che quelli 1 hanno usato sermone et arte regulata, e questi (come si è detto) hanno ogni cosa a caso; il perchè avviene, che quanto più stret tamente imitiamo quelli 2,tanto più drittamente componiamo; e però noi, che volemo porre ne le opere nostre qualche dottrina, ci bisogna le loro poetiche dottrine imitare. Adunque s o pra ogni cosa dicemo, che ciascuno debbia pi gliare il peso de la materia eguale a le proprie spalle, a ciò che la virtù di esse dal troppo peso gravata, non lo sforzi a cadere nel fango. Questo è quello, che il maestro nostro ORAZIO comanda,quando nel principio dela sua Poe tica dice,  Voi, che scrivete versi, abbiate cura Di tor subjetto al valor vostro eguale. Dapoinelecose,che cioccorrono + Il testo latino ha isti:quindi non quelli,ma questi; e per conseguenza nella riga seguente non questi, ma quelli. Sarebbe più chiaro dire i primi in luogo di quelli.  devemo usare divisione, considerando da cantarsi con modo tragico,o comico, o ele giaco. Per la Tragedia prendemo lo stile s u periore,per la Commedia lo inferiore, per l'E dei miseri. Se le cose che ci oc legia quello cantate col correno, pare che siano da essere modo tragico, allora è da pigliare il Volgare Illustre, e conseguentemente da legare la Can a dire, se sono  1 Il testo latino ha: tensis fidibus adsumat secure plectrum; che deve essere tradotto: tese le corde, a s suma francamente ilplettro.  zone; m a se sono da cantarsi con cómico, si piglia alcuna volta ilVolgare Mediocre, ed al cuna volta l'Umile; la divisione de i quali nel quarto di quest'opera ci riserviamo a mostra re. Se poi con elegiaco, bisogna che solamente pigliamo l'Umile.M a lasciamo gli altri da parte, et ora (come è il dovere) trattiamo de lo stile tragico. Appare certamente, che noi usiamo lo stile tragico, quando e la gravità de le sen tenzie, e la superbia de i versi, e la elevazione de le construzioni,e la eccellenzia de ivocaboli si concordano insieme. M a perchè (se ben ci ricordiamo) già è provato, che le cose somme sono degne de le somme, e questo stile che chiamiamo tragico, par e essere il sommo dei stili; però quelle cose che avemo già distinte doversi sommamente cantare, sono da essere in questo solo stile cantate; cioè la salute, lo amore e la virtù, e quelle altre cose, che per cagion di esse sono ne la mente nostra conce pute, pur che per niun accidente non siano fatte vili. Guardişi adunque ciascuno, e di scerna quello che dicemo; e quando vuole que ste tre cose puramente cantare, o vero quelle che ad esse tre dirittamente e puramente se gueno, prima bevendo nel fonte di Elicona, ponga sicuramente a l'accordata lira il sommo plettro 1,e costumatamente cominci.Ma a fare   questa Canzone e questa divisione come si dee, qui è la difficultà, qui è la fatica; per ciò che mai senza acume d'ingegno, nè senza assiduità d'arte, nè senza abito di scienze non si potrà fare. E questi sono quelli che 'l Poeta nel VI de la Eneide chiama diletti da Dio, e da la ar dente virtù alzati al cielo, e figliuoli de gli Dei, avegna che figuratamente parli. E pero si confessa la sciocchezza di coloro, i quali senza arte,e senza scienzia,confidandosi solamente del loro ingegno, si pongono a cantar som mamente le cose somme.Adunque cessino que sti tali da tanta loro presunzione; e se per la loro naturale desidia sono oche, non vogliano l'aquila,che altamente vola, imitare sentenzie a bastanza, o almeno tutto quello che a l'opera nostra si richiede; il perchè ci affretteremo di andare a la superbia dei versi. Circa i quali è da sapere, che i nostri pre cessori hanno ne le loro Canzoni usato varie sorti di versi, il che fanno parimente imoder ni; m a in fin qui niuno verso ritroviamo, che abbia oltre la undecima sillaba trapassato, nè sotto la terza disceso. Et avegna che i Poeti, De la composizione deiversi e de la loro varietà sillabica. Noi pare di aver detto de la gravità de le A   Italiani abbiano usate tutte le sorti di versi, che sono da tre sillabe fino a undici, non di meno il verso di cinque sillabe, e quello di sette, e quello di undeci sono in uso più fre quente; e dopo loro si usa il trisillabo più de gli altri; de gli quali tutti quello di undeci sillabe pare essere il superiore sì di occupa zione di tempo, come di capacità di sentenzie, di construzioni e di vocaboli; la bellezza de le quali cose tutte si moltiplica in esso, come manifestamente appare, per ciò che ovunque sono moltiplicate le cose che pesano, si molti plica parimente il peso.E questo pare che tutti i dottori abbiano conosciuto, avendo le loro illustri Canzoni principiate da esso; come Bornello, Ara auzirez encabalitz cantars. Il qual verso avegna che paja di dieci silla be,è però,secondo la verità de la cosa, di undeci; per ciò che le due ultime consonanti non sono de la sillaba precedente.Et avegna che non abbiano propria vocale, non perdono però la virtù dela sillaba; & ilsegnoè,che ivi la rima si fornisce con una vocale; il che essere non può se non per virtù de l'altra che ivi si sottintende. Il re di Navara, De finamor sivient sen e bonté. Ove se si considera l'accento e la sua cagione, apparirà essere endecasillabo. Amor,che longiamente m'hai menato. Per finamore vo silietamente. Amor, che muovi tua virtù dal cielo. Al cor gentil ripara sempre amore. 11 Giudice di Colonna da Messina, Guido Guinicelli, Rinaldo d'Aquino, Non spero che giammai per mia salute. Et avegna che questo verso endecasillalo (co me sièdetto) siasopratuttiperildoverece leberrimo, non di meno se'l piglierà una cer ta compagnia de lo eptasillabo, pur che esso però tenga il principato, più chiaramente e più altamente parerà insuperbirsi, ma questo si rimanga più oltra a dilucidarsi. Così diciamo che l’eptasillabo segue a presso quello che è massimo ne la celebrità. Dopo questo quello che chiamiamo pentasillabo,e poi il trisillabo ordiniamo.Ma quel di nove sillabe, per essere il trisillabo triplicato, o vero mai non fu in onore, o vero per il fastidio è uscito di uso. Quelli poi di sillabe pari, per la sua rozzezza non usiamo se non rare volte; per ciò che ri tengono la natura de i loro numeri,i quali s e m Cino da Pistoja, Lo amico suo: Erchè circa il Volgare Illustre la nostra nobilissimo; però avendo scelte le cose che sono degne di cantarsi in esso, le quali sono quelle tre nobilissime che di sopra avemo pro vate; et avendo ad esse eletto il modo de le Canzoni, si come superiore a tutti gli altri modi, et a ciò che esso modo di Canzoni pos siamo più perfettamente insegnare, avendo già alcune cose preparate, cioèlostile,& iversi; ora de la construzione diremo. È adunque da sapere, che noi chiamiamo construzione una regulata composizione di parole, come è, Ari stotile diè opera a la filosofia nel tempo di Alessandro. Qui sono diece parole poste regu latamente insieme, e fanno una construzione.  pre soggiaceno a i numeri caffi, sì come fa la materia a la forma. E cosi raccogliendo le cose dette, appare lo endecasillabo essere su perbissimo verso; e questo è quello che noi cercavamo. Ora ci resta di investigare de le construzioni elevate e de i vocaboli alti, e fi nalmente, preparate le legne e le funi, inse gneremo a che modo il predetto fascio, cioè la Canzone, si debba legare. De le construzioni, che si denno usare ne le Canzoni. P si   M a circa questa prima è da considerare, che de le construzioni altra è congrua, et altra è incongrua.E perchè(seilprincipiodelano stra divisione bene ciricordiamo)noi cerchiamo solamente le cose supreme, la incongrua in questa nostra investigazione non ha loco; per ciò che ella tiene il grado inferiore de la bontà. Avergogninsi adunque, avergogninsi gli idioti di avere da qui innanzi tanta audacia, che v a dano ale Canzoni;de iquali non altrimenti so lemo riderci, di quello che si farebbe d'un cieco, il quale distingues sei colori. È adun que la construzione congrua quella che cerchia mo.Ma ci accade un'altra divisione 2 di non minore difficultà, avanti che parliamo di quella construzione,che cerchiamo,cioè di quella che è pienissima di urbanità; e questa divisione e, che molti sono i gradi de le construzioni, cioè lo insipido, il quale è de le persone grosse, come è, Piero ama molto madonna Berta. Ecci il semplicemente saporito, il quale è de i scolari rigidi, o vero de i maestri, come è, Di tuttiimiserim'incresce;ma homaggiorpietà di coloro, i quali in esiglio affliggendosi, r i vedeno solamente in sogno le patrie loro. Ecci ancora il saporito e venusto, il quale è di alcuni, che così di sopra via pigliano la Rettorica, come è, La lodevole discrezione del Meglio, forse, ragionasse o giudicasse di colori. 2 Meglio distinzione (discretio). Nuls hom non pot complir adreitamen. Amerigo di Peculiano, Si com’l'arbres,que per sobrecarcar.  Præparata qui ha il senso di preveniente.  Si per mon Sobretot no fos. Il re di Navara,  T a m m'abelis l'amoros pensamens.  Arnaldo Daniello, marchese da Este,e la sua preparata 1 magni ficenzia fa esso a tutti essere diletto. Ecci a p presso il saporito e venusto, ed ancora eccelso, il quale è dei dettati illustri, come è,Avendo Totila mandato fuori del tuo seno grandissima parte de i fiori, o Fiorenza, tardo in Sicilia, e indarno se n'andd. Questo grado di constru zione chiamiamo eccellentissimo, e questo è quello che noi cerchiamo, investigando (come si è detto ) le cose supreme. E di questo sola mente le illustri Canzoni si trovano conteste, come: Gerardo,  Dreit amor qu'en mon cor repaire. Folchetto di Marsiglia,  Sols sui qui sai lo sobrafan, que m sorts. Amerigo de Belimi,  Tegno di folle impresa a lo ver dire.  Avegna ch'io non aggia più per tempo. Amor, che ne la mente mi ragiona. N o n ti maravigliare, lettore, che io abbia tanti autori a la memoria ridotti; per ciò che non possemo giudicare quella construzione, che noi chiamiamo suprema, se non per simili esempj. E forse utilissima cosa sarebbe per abituar quella, aver veduto i regulati poeti, cioè Virgilio, la Metamorfosi di OVIDIO, STAZIO e LUCANO, e quelli ancora che hanno usato al tissime prose; come è Tullio, Livio, PLINIO, Frontino, Paolo Orosio, e molti altri, i quali la nostra amica solitudine ci invita a vedere. Cessino adunque i seguaci de la ignoranzia, che estolleno Guittone d'Arezzo, et alcuni al tri, i quali sogliono alcune volte 1 ne i vocaboli e ne le construzioni essere simili a la plebe. Nunquam invocabulisatqueconstructionedesuetos plebescere. Non dunque alcune volte,ma sempre. CAVALCANTI,  Poi che di doglia cor convien, ch'io porti. > Guido Guinizelli, Cino da Pistoja, Lo amico suo, 1   dere ricerca, che siano dichiarati quelli vocaboli grandi, che sono degni di stare sotto l'altissimo stile. Cominciando adunque, affir miamo non essere piccola difficultà de lo intel letto a fare la divisione dei vocaboli; per cið che vedemo, che se ne possono di molte m a niere trovare.De i vocaboli adunque alcuni sono puerili, altri feminili, et altri virili, e di questi alcuni silvestri,& alcuni cittadineschi chiamia m o 1,& alcuni pettinati, e lubrici; alcuni irsuti e rabuffati conosciamo; tra i quali i pettinati e gl’irsuti sono quelli che chiamiamo grandi; i lubrici poi e i rabuffati sono quelli la cui riso  nel metro volgare. A successiva provincia del nostro proce. Quali vocaboli si debbano porre e quali no 1Corbinelli ha: et horum quædam silvestria,quæ dam urbania:eteorum,quo urbana vocamus,quo dam pesaethirsuta,quædam lubricaetreburrasenti mus. La traduzione del Trissino va raddrizzatacosi:edi questi alcuni silvestri,e alcuni cittadineschi;e di quelli che chiamiamo cittadineschi, alcuni pettinati e irsuti, alcuni lubricierabbuffati. Altrihanno invece:quædam pexaet lubrica, quædam hirsutaetreburra:cioèal cunipettinati e lubrici (ossia scorrenti),alcuni irsuti e rabbuffati., nanzia è superflua; per ciò che si come ne le grandi opere alcune sono opere di magnanimità, altre di fumo, ne le quali avvenga che così di sopra via paja un certo ascendere,a chi però con buona ragione esse considera, non ascendere, m a più tosto ruina per alti precipizj essere g i u dicherà; con ciò sia che la limitata linea de la virtù si trapassi. Guarda adunque, lettore, quanto per scegliere le egregie parole ti sia bisogno di crivellare; per ciò che se tu consi deri il Volgare Illustre, il quale i Poeti Vol gari, che noi vogliamo ammaestrare, denno (come di sopra si è detto) tragicamente usare, averai cura, che solamente i nobilissimi vocaboli nel tuo crivello rimangano. Nel numero dei quali ne i puerili per la loro simplicità, com'è mamma e babbo,mate epate,per niun modo potrai collocare; nè anco i feminili, per la loro mollezza, come è dolciada e placevole; nè i contadineschi per la loro austerità, come è gregia e gli altri; nè i cittadineschi, che siano lubrici e rabuffati, come è femine e corpo, vi si denno porre. Solamente adunque i citta dineschi pettinati et irsuti vedrai che ti resti no, i quali sono nobilissimi, e sono membra del Volgare Illustre. E noi chiamiamo pettinati quelli vocaboli, che sono trisillabi, o vero v i cinissimi al trisillabo, e che sono senza aspi razione, senza accento acuto, o vero circum flesso, senza z nè a duplici, senza gemina zione di due liquide, e senza posizione, in cui Qucecampsarenon possumus, cioèchenonsipos sono scansare. la muta sia immediatamente posposta, e che fanno colui che parla quasi con certa soavità rimanere, come è amore, donna, disio, virtute, donare, letizia, salute, securitate, difesa. Ir sute poi dicemno tutte quelle parole, che oltra queste sono o necessarie al parlare illustre, ornative di esso. E necessarie chiamiamo quel le che non possiamo cambiare 1; come sono al cune monosillabe, cioè si, vo, me, te, se, A, E, I, O, U; e le interjezioni, et altremolte. Ornative poi dicemo tutte quelle di molte sillabe, le quali mescolate con le pettinate fanno una bella armonia nella struttura, quantunque abbiano asperità di aspirazioni, di accento, e di duplici, e di liquide, e di lunghezza, come è: terra, onore, SPERANZA, gravitate, alleviato, impossibilitate, benavventuratissimo, avventuratissimamente, disavventuratissimamente, sovramagnificentissimamente, il quale vocabolo è endecasillabo. Potrebbesi ancora trovare un vocabolo, o vero parola, di più sillabe, m a perchè egli passerebbe la capacità di tutti i nostri versi, però a la presente ragione non pare opportuno; come è onorificabilitudinitate, il quale in volgare per dodeci sillabe si compie; et in grammatica per tredeci, in dui obliqui però. In che modo poi le pettinate siano da es sere ne i versi con queste irsute armonizate,   lascieremo ad insegnarsi di sotto.E questo che si è detto de l'altezza dei vocaboli, ad ogni gentil discrezione 1 sarà bastante. Ra preparate le legne e le funi, è tempo da legare il fascio; ma perchè la cogni zione di ciascuna opera dee precedere a la ope razione,laquale ècome segno avanti iltrarre de la sagitta,ovvero del dardo; però prima,e principalmente veggiamo qual sia questo fascio, che volemo legare. Questo fascio adunque bene ci ricordiamo tutte le cose trattate) è la Canzone; eperòveggiamochecosasia Canzone, e che cosa intendemo quando dicemo Canzone. La Canzone dunque,secondo la vera significa zione del suo nome, è essa azione o vero pas sione del cantare; sì come la lezione è la pas sione o vero azione del leggere; m a dichiariamo quello che si è detto, cioè, se questa si chiama Canzone, in quanto ella sia azione o in quanto passione del cantare. Circa la qual cosa è da considerare, che la Canzone si può prendere in dui modi, l'uno de li quali modi è, secondo "Ingenuce discretioni,cioè ad ogni non viziato di scernimento., Che cosa è Canzone, e che in più maniere può variarsi.   o tuono, o nota, o melodia. E niuno trombetta, o organista, o citaredo chia m a il canto suo Canzone, se non in quanto sia accompagnato aqualche Canzone;ma quelli che compongono parole armonizate, chiamano le opere sue Canzoni.Et ancora che tali pa role siano scritte in carte e senza niuno che le proferisca, si chiamano Canzoni; e però non pare che la Canzone sia altro, che una c o m  che ella è fabbricata dal suo autore; e così è azione; e secondo questo modo Virgilio nel primo de l'Eneida dice,  lo canto l'arme e l'uomo. L'altro modo è, secondo il quale ella da poi che è fabbricata si proferisce, o da lo autore, o da chi che sia,o con suono,osenza,ecosì è passione. E perchè allora da altri è fatta, et ora in altri fa, e così allora azione, et ora passione essere si vede.Ma conciò sia che essa è prima fatta,e poi faccia;pero più tosto,anzi al tutto par che si debbia nominare da quello che ella è fatta, e da quello che ella è azione di alcuno,che da quello che ella faccia in altri. Et il segno di questo è, che noi non dicemo mai, questa Canzone è di Pietro perchè esso la proferisca, m a perchè esso l'abbia fatta. O l tre di questo è da vedere, se si dice Canzone la fabbricazione de le parole armonizate, o vero essa modulazione, o canto; a che dicemo, che mai il canto non si chiama Canzone, ma 0 suono, piuta azione di colui, che detta parole a r m o nizate, et atte al canto. Laonde così le Canzo ni, che ora trattiamo, come le Ballate e Sonetti, e tutte le parole a qualunque modo armoni zate, o volgarmente, o regulatamente, dicemo essere Canzoni; m a perciò che solamente trat tiamo le cose volgari,però lasciando le regulate da parte,dicemo,che dei poemi volgari uno ce n'èsupremo, il quale persopraeccellenziachia miamo Canzone;  Donne, che avete intelletto di amore. E così è manifesto che cosa sia Canzone,e se condo che generalmente si prende, e secondo che per sopraeccellenzia la chiamiamo. Et a s sai ancora pare manifesto che cosa noi inten demo,quandodicemoCanzone;e consequente Meglio forse, quiealtrove, un collegamento (conjugatio), che la Canzone sia una cosa suprema, nel terzo Capitolo di questo Libro è provato;ma conciò sia che questo,che è dif finito, paja generale a molti, però risumendo detto vocabolo generale,che già è diffinito,di stinguiamo per certe differenzie quello che so lamente cerchiamo.Dicemo adunque che la Canzone,la quale noi cerchiamo,in quanto che per sopraeccellenzia è detta Canzone, è una con giugazione 1 tragica di Stanzie equali senza risponsorio, che tendono ad una sentenzia, come noi dimostriamo quando dicemmo 2 2Iltestolatinoha:utnosostendimus,cum diximus.   mente qual sia quel fascio,che vogliamo legare. Noi poi dicemo, che ella è una tragica congiu gazione; perciò che quando tal congiugazione si fa comicamente, allora la chiamiamo per diminuzione cantilena, de la quale nel quarto Libro di questo avemo in animo di trattare.   Stanzie,e non sapendosi che cosa sia Stan zia, segue di necessità, che non si sappia a n cora che cosa sia Canzone; perciò che de la cognizione de le cose, che diffiniscono, resul ta ancora la cognizione de la cosa diffinita, e però consequentemente è da trattare de la Stanzia, accio che investighiamo, che cosa essa si sia, e quello che per essa volemo intendere. Ora circa questo è da sapere, che tale voca bolo è stato per rispetto de l'arte sola ritro vato; cioè perchè quello si dica Stanzia, nel quale tutta l'arte de la Canzone è contenuta, e questa è la Stanzia capace, overo il recettacolo di tutta l'arte; perciò che sì come la Canzone è il grembo di tutta la sentenzia,così la Stan zia riceve in grembo tutta l'arte; nè è lecito di arrogere alcuna cosa di arte a le Stanzie s e quenti; m a solamente si vestono de l'arte de la. Quali siano le principali parti de la Canzone, e che la Stanzia n'è la parte principalissima. Ssendo la Canzone una congiugazione di   prima: il perchè è manifesto, che essa Stanzia (de la qual parliamo ) sarà un termine, o vero una compagine di tutte quelle cose, che la Canzone riceve da l'arte;le quali dichiarite, il descrivere che cerchiamo,sarà manifesto.Tutta l'arte adunque de la Canzone pare, che circa tre cose consista, de le quali la prima è circa la divisione del canto, l'altra circa la abitu dine1deleparti, laterzacircailnumero dei versi e de le sillabe; de le rime poi non face mo menzione alcuna;perciò che non sono de la propria arte de la Canzone.È lecito certamente in cadauna Stanzia innovare le rime, e quelle medesime a suo piacere replicare; il che, se la rima fosse di propria arte de la Canzone, le cito non sarebbe.E se pur accade qualche cosa de le rime servare, l'arte di questo ivi si con tiene,quando diremo de la abitudine de le parti. Il perchè così possiamo raccogliere da le cose predette, e diffinire, dicendo, la Stanzia è una compagine 2 diversi e di sillabe, sotto un certo canto, e sotto una certa abitudine limitata. 2 Il testo latino ha: limitatam compaginem. La voce abitudine, qui e altrove, significa propor zione, disposizione. S ne la Canzone. Che sia il canto de la Stanzia, e che la Stanzia si varia in parecchi modi Apendo poi che l'animale razionale è uomo, e che sensibile è l'anim a, et il corpo è animale; e non sapendo che cosa si sia quest'a nima, nè questo corpo,non possemo avere per fettacognizionedel'uomo;perciòchelaperfetta cognizione di ciascuna cosa termina ne gli ul timi elementi, sì come il maestro di coloro che sanno, nel principio de la sua Fisica affer ma.Adunque pera vere la cognizione dela Canzone, che desideriamo, consideriamo al presente sotto brevità quelle cose,che diffiniscano il dif finiente di lei; e prima del canto,da poi de la abitudine,e poscia de i versi e de le sillabe in vestighiamo.Dicemo adunque,che ogni Stanzia è armonizata a ricever una certa oda, o vero canto; ma pajono esser fatte in modo diverso, che alcune sotto una oda continua fino a l’ul timo procedeno, cioè senza replicazione di al cuna modulazione, e senza divisione;e dicemo divisione quella cosa, che fa voltare di un'oda in un'altra;la quale quando parliamo col VULGO, chiamiamo Volta.E questeStanziediun'oda   sola Daniello usò quasi in tutte le sue Canzoni; e noi avemo esso seguitato quando dicemo, · Il testo ha syrma, che è quanto dire strascico.   Al poco giorno,& al gran cerchio d'ombra. Alcune Stanzie sono poi, che patiscono divi sione. E questa divisione non può essere nel modo che la chiamiamo, se non si fa replica zione di una oda o davanti la divisione, o da poi, o da tutte due le parti, cioè davanti e da poi. E se la repetizion de l'oda si fa avanti la divisione, dicemo, che la Stanzia ha piedi; la quale ne dee aver dui; avegna che qualche volta se ne facciano tre, ma molto di rado.Se poi essa repetizion di oda si fa dopo la divi sione, dicemo la Stanzia aver versi. M a se la repetizione non si fa avanti la divisione,di cemo la Stanzia aver fronte; e se essa non si fa da poi,la dicemo aver sirima?,o vero coda. Guarda adunque, lettore, quanta licenzia sia data a li poeti che fanno Canzoni; e considera per che cagione la usanza si abbia assunto si largo arbitrio; e se la ragione ti guiderà per dritto calle, vederai, per la sola dignità de l'autorità essergli stato questo,che dicemo con cesso.Di qui adunque può essere assai mani festo a che modo l'arte de le Canzoni consista circa la divisione del canto; è però andiamo a la abitudine de le parti.e de la distinzione de'versi che sono da porsi nel componimento. tudine,sia grandissima parte di quello,che è de l'arte; perciò che essa circa la divisione del canto, e circa il contesto dei versi, e circa la relazione de le rime consiste; il perchè a p pare, che sia da essere diligentissimamente trat tata.Dicemo adunque,che la fronte coi Versi 1, et i piedi con la sirima, o vero coda, e pari mente i piedi co i Versi possono diversamente ne la Stanzia ritrovarsi; perciò che alcuna fia ta la fronte eccede i Versi, o vero può ecce dere di sillabe e di numero di versi; e dico può, perciò che mai tale abitudine non avemo veduta. Alcune fiate la fronte può avanzare i Versi nel numero de i versi, et essere da essi Versi nel numero de le sillabe avanzata; come 1 Trissino traduce con la stessa voce verso tanto il carmen che da Dante fu usato nel significato proprio e comune di verso, quanto il versus che fu invece usato da lui per indicare una data parte della stanza,che consta d'un certo numero di versi. Per togliere ogni equivoco noi stamperemo in corsivo e con l'iniziale maiuscola la parola Verso quando corrisponde al latino versus. De la abitudine de la Stanzia, del numero de ipiedi e de le sillabe, noi pare, che questa che chiamiamo abi, se la fronte fosse di cinque versi, e ciascuno dei Versi fosse di due versi, et i versi de la fronte fosseno di sette sillabe,e quelli de i Versi fosseno di undeci sillabe. Alcuna altra volta i Versi avanzano la fronte di numero di versi e di sillabe come in quella che noi dicemmo, Ove la fronte di quattro versi fu di tre ende casillabi e di uno eptasillabo contesta:la quale non si può dividere in piedi; conciò sia che i piedi vogliano essere fra sè equali di numero di versi, e di numero di sillabe,come vogliono essere frà sè ancora i Versi. M a siccome dice mo, che i Versi avanzano di numero di versi e di sillabe la fronte, così si può dire, che la fronte in tutte due queste cose può avanzare i Versi; come quando ciascuno de i Versi fosse di due versi eptasillabi, e la fronte fosse di cinque versi; cioè di due endecasillabi e di tre eptasillabi contesta. Alcune volte poi i piedi avanzano la sirima di versi e di sillabe, come in quella che dicemmo, Et alcuna volta i piedi sono in tutto da la si rima avanzati; come in quella che dicemmo,  Donna pietosa, e di novella etate. E si come dicemmo, che la fronte può vincere di versi, et essere vinta di sillabe, et al con Traggemi de la mente amor la stiva. Amor, che movi tua virtù dal cielo.trario; così dicemo la sirima. I piedi ancora ponno di numero avanzare i Versi, et essere da essi avanzati; perciò che ne la Stanzia pos sono essere tre piedi e dui Versi, e dui piedi e tre Versi; nè questo numero è limitato, che non si possano più piedi e più Versi tessere insieme. E siccome avemo detto ne le altre cose de lo avanzare de i versi e de le sillabe, così dei piedi e dei Versi dicemo, i quali nel medesimo modo possono vincere, & essere vinti. Nè è da lasciare da parte, che noi pigliamo i piedi al contrario di quello che fanno i Poeti regulati; perciò che essi fanno il verso de i piedi, e noi dicemo farsi i piedi di versi, come assai chiaramente appare. Nè è da lasciare da parte, che di nuovo non affermiamo, che i piedi di necessità pigliano l'uno da l'altro la abitudine et equalità di versi e di sillabe, perciò che altramente non si potrebbe fare repetizione di canto. E questo medesimo affermiamo doversi servare nei Versi. De la qualità de i versi, che ne la Stanzia si pongono, e del numero de le sillabe ne i versi. Cci ancora (come di sopra si è detto) una certa abitudine, la quale quando tessemo iversi devemo considerare;ma acciò che di  E, quella con ragione trattiamo,repetiamo quello che di sopra avemo detto de i versi; cioè che ne l'uso nostro par che abbia prerogativa di essere frequentato lo endecasillabo, lo eptasil labo, et il pentasillabo; e questi sopra gli altri doversi seguitare affermiamo. Di questi adun que,quando volemo far poemi tragici, lo endecasillabo, per una certa eccellenzia che ha nel contessere, merita privilegio di vincere; e però alcune Stanzie sono che di soli endecasillabi sono conteste, come quella di Guido da Fiorenza, Donna mi prega, perch'io voglio dire.  Donne, che avete intelletto di amore. Questo ancora li Spagnuoli hanno usato, e dico li Spagnuoli che hanno fatto poemi nel volgare Oc. Amerigo de Belmi,  Nuls h o m non pot complir adreitamen.  Altre Stanzie sono, ne le quali uno solo epta sillabo sitesse;e questo non può essere,se non ove è fronte, o ver sirima, perciò che (co me sièdetto)neipiedieneiVersisiri cerca equalità di versi e di sillabe. Il perchè ancora appare, c h e il numero disparo dei versi non può essere se non fronte o coda; ben chè in esse a suo piacere si può usare paro, o disparo numero deiversi.E così come al  Et ancora noi dicemo:cuna Stanzia è di uno solo eptasillabo formata, così appare,che con dui,tre,o quattro si possa formare; pur che nel tragico vinca lo endecasillabo,e da esso endecasillabo si co minci.Benchè avemo ritrovatialcuni,chenel tragico hanno da lo eptasillabo cominciato, cioè Guido de iGhislieri,e Fabrizio Bolognesi, Et alcuni altri.Ma se al senso di queste Can zoni vorremo sottilmente intrare, apparerà tale tragedia non procedere senza qualche ombra di elegia. Del pentasillabo poi non concedemo a questo modo; perciò che in un dettato grande basta in tutta la Stanzia inserirvi un pentasil labo, ovver dui al più ne i piedi; e dico ne i piedi, per la necessità !, con la quale i piedi et i versi si cantano; ma b e n non pare che nel tragico si deggia prendere il trisillabo, che per sè stia;e dico,che per sè stia;perciò che per una certa repercussione di rime pare, che frequen Propter necessitatem,qua pedibusque versibusque cantatur; per la necessità che nei piedi e nei Versi si deve cantare. (Fraticelli.)  E, E, 1  Di fermo sofferire, Donna,lofermocuore,  Lo mio lontano gire. temente si usi; come si può vedere in quella Canzone di Guido fiorentino,  Donna mi prega, perch'io voglio dire, Poscia che amor del tutto m 'ha lasciato. Nè ivi è per sè in tutto ilverso,ma è parte de lo endecasillabo, che solamente a la rima del precedente verso a guisa di Eco risponde. E quinci tu puoi assai sufficientemente conoscere, o lettore,come tu dei disponere, o vero abituare la Stanzia; perciò che la abitudine pare che sia da considerare circa i versi. E questo ancora principalmente è da curare circa la disposizione de i versi: che se uno eptasillabo si inserisce nel primo piede,che quel medesimo loco,che ivi piglia per suo, dee ancora pigliare ne l'altro; verbigrazia, se 'l piè di tre versi ha il primo et ultimo verso endecasillabo,e quel di mezzo, cioè il secondo, eptasillabo, così il secondo piè dee avere gli estremi endecasillabi, et il mezzo eptasillabo; perciò che altrimenti stando, non si potrebbe fare la geminazione del canto,per usodelqualesi fannoi piedi,come sièdetto;e consequentemente non potrebbono essere piedi. E quello che io dico de i piedi, dico parimente de i Versi; perciò che in niuna cosa vedemo i piedi essere differenti da i Versi,se non nel sito; perciò che ipiedi avanti ladivisione della Stan zia,ma i Versi dopo essa divisione si pongono., Et in quella che noi dicemmo: De la relazione de le rime, e con qual ordine ne la Stanzia si denno porre. T dealcuna cosa al presente non trattando però de la essenzia loro; perciò che il proprio trat tato di esse riserbiamo, quando de i mediocri poemi diremo.Ma nel principio di questo Ca pitolo ci pare di chiarire alcune cose di esse; de le quali una è, che sono alcune Stanzie, ne le quali non si guarda a niuna abitudine di rime, e tali Stanzie ha usato frequentissima mente Daniello,come ivi,  Si m fos amors de joi donar tan larga?  E noi dicemo, L'altra cosa è che alcune Stanzie hanno tutti i versi di una medesima rima, ne le quali è superfluo cercare abitudine alcuna; e così resta che circa le rime mescolate solamente debbia mo insistere;in che e da sapere,che quasi  Et ancora sì come si dee fare ne i piedi di tre versi, così dico doversi fare in tutti gli altri piedi. E quello che si è detto di uno endeca sillabo, dicemo parimente di dui e di più, e del pentasillabo, e di ciascun altro verso. Alpocogiorno, & algrancerchiod'ombra. Il testo LATINO ha: qui suas multaset bonas cantiones nobis ore tenus intimavit. Fraticelli traduce: ci canto a voce, ossia ci canto improvvisando.  tutti i Poeti si hanno in cið grandissima licen zia tolta;conciò sia che quinci la dolcezza de l'armonia massimamente risulta.Sono adun que alcuni, i quali in una istessa Stanzia non accordano tutte le desinenzie de i versi; m a alcune di esse ne le altre Stanzie repetiscono, o veramente accordano; come fu Gottoman tuano, il quale fin qui ci ha molte sue buone Canzoni intimato Costui sempre tesseva ne la Stanzia un verso scompagnato, il quale essò nomina chiave. E come diuno, così è lecito di dui e forse di più. Alcuni altri poi sono, e quasi tutti i trovatori di Canzoni, che ne la Stanzia mai non lasciano alcun verso scompa gnato, al quale la consonanzia di una o di più rime non risponda. Alcuni poscia fanno le rime de i versi, che sono avanti la divisione, diverse da quelle dei' versi, che sono dopo essa; et altri non lo fanno; ma le desinenzie de la pri ma parte de la Stanzia ancor ne la seconda in seriscono. Non di meno questo spessissime volte si fa, che con l'ultimo verso de la prima parte, il primo de la seconda parte ne le desinenzie s'accorda; il che non pare essere altro, che una certa bella concatenazione di essa stanzia. La abitudine poi de le rime,che sono ne la fronte e ne la sirima,è sì ampla, che 'l pare che ogni atta licenzia sia da concedere a ciascuno, m a non di meno le desinenzie de gli ultimi versi sono bellissime, se in rime accordate si chiudeno; il che però è da schifare ne i piedi, ne i quali ritroviamo essersi una certa abitudine servata; la quale dividendo dicemo, che il primo piè di versi pari, o dispari, si fa; e l'uno e l'altro può essere di desinenzie accompagnate,o scom pagnate; il che nel pie diversi pari non è dubbio; m a se alcuno dubitasse in quello di dispari, ricordisi di ciò che avemo detto nel Capitolo di sopra del trisillabo,quando essendo parte de lo endecasillabo, come Eco risponde. E se la desinenzia de la rima in un de i piedi è sola, bisogna al tutto accompagnarla ne l'al tro; ma se in un piede ciascuna dele rime è accompagnata, si può ne l'altro o quelle ripe tere, o farne di nuove,o tutte,o parte, secondo che a l'uom piace,pur che in tutto si servi l'ordine del precedente: verbigrazia, se nel primo piè di tre versi le ultime desinenzie s'accordano con le prime, così bisogna accor darvisi quelle del secondo; e se quella di mezzo nelprimo piè è accompagnata, oscompagnata; così parimente sia quella di mezzo nel secondo piè; e questo è da fare parimente in tutte le altre sorti di piedi. Ne i Versi ancora quasi sempre è a serbare questa legge; e quasi s e m pre dico, perciò che per la prenominata con catenazione,e per la predetta geminazione de le ultime desinenzie,ale volte accade il detto or 8 Il testo latino ha: cum in isto libro nil ulterius de r i t h i morum doctrina tangere intendamus. E si dovrebbe tradurre: che in questo libro non vogliamo parlar pivo della dottrina delle rime. Nel Corbinelli questo ultimo capitolo è diviso in due. Il decimoterzo finisce con le parole: tanta sufficiant. (a bastanza è.); e il decimoquarto comincia con le parole: di ne mutarsi. Oltre di questo ci pare conve nevol cosa aggiungere a questo capitolo quelle cose che ne le rime si denno schifare, conciò sia che in questo libro non vogliamo altro che quello che si dice della dottrina de le rime toccare Adunque sono III cose, che circa la posizione di rime non si denno frequentare da chi compone illustri poemi. L’una è la troppa repetizione di una rima, salvo che qualche cosa nuova ed intentata de l'arte ciò non si assuma, come il giorno de la nascente milizia, il quale si sdegna lasciare passare la sua giornata senza alcuna prerogativa. Questo pare che noi abbiamo fatto ivi. Amor, tu vedi ben, che questa donna. La seconda è la inutile equivocazione la qual sempre pare che toglia qualche cosa a la sentenza. La terza è l'asperità dele rime, salvo che le non siano con le molli mescolate, per ciò che per la mescolanza delle rime aspere e delle molli la tragedia riceve splendore. E questo dell’arte, quanto a l'abitudine si ricerca, a bastanza è. Avendo quello che è de l'arte [Il testo latino ha: discretionem facere che qui vale trattare partitamente della Canzone assai sufficientemente trattato, ora tratteremo del terzo, cioè del numero di versi e delle sillabe. E prima alcune cose ci bisognano vedere secondo tutta la stanza, e altre sono da dividere, le quali poi secondo le parti loro vederemo. A noi adunque prima s’appartiene fare separazione di quelle cose, che ci occorrono da cantare. Perciò che alcune stanze amano la lunghezza e altre no. Con ciò sia che tutte le cose che cantiamo, o circa il destro o circa il sinistro si canta, cioè che alcuna volta accade suadendo, alcuna volta dissuadendo cantare, e alcuna volta allegrandosi, alcuna volta con ironia, alcuna volta in laude e altra in vituperio dire. E però le parole, che sono circa le cose sinistre, vadano sempre con fretta verso la fine, le altre poi con longhezza condecente vadano passo passo verso l'estremo Ex quo quo sunt artis. Avendo quello che è de l'arte. Ed ha il titolo seguente: De numero car minum et syllabarum in Stantia. Del numero dei versi e delle sillabe nella stanza.). Grice: “Alighieri’s theory of language is a simple one – hardly as sophisticated as that of the Stoics. We communicate the passions of our souls – And he concludes that it’s the Toscani who communicate best, even if ‘tosco’ means ‘rough’ in Toscano!” -- Alighieri. Keywords: lingua del si, la divina implicitura, lasciate ogne [sic] speranza voi ch’entrate, inferno – section on ‘divina commedia’ in philosophical dictionaries. ‘inferno’ catabasis, -- la catabasis d’Enea di Virgilio --  Refs.: Luigi Speranza, “Grice ed Alighieri” – The Swimming-Pool Library, Villa Speranza.

 

Luigi Speranza -- Grice ed Aliotta: all’isola: la ragione conversazionale e l’implicatura conversazionale dell’esperienza – la scuola di Palermo -- filosofia siciliana – filosofia italiana – Luigi Speranza (Palermo). Filosofo siciliano. Filosofo italiano. Palermo, Sicilia. Grice: “I like Aliotta; he has philosophised on most things I’m interested in: ‘la guerra eterna’ is a bit of a hyperbole if you go by a principle of helpfulness, but that’s Aliotta! – He has focused on Lucrezio, which is fine – But he has also studied ‘colloquenza romana’ systematically – and more into the Italian rather than Roman idiom, he has explored Galileo (not the father, thouh: “Some like Galileo Galiei, but Vincenzo Galilei is MY man); he is also like me a ‘philosophical psychologist,’ along the lines of Stout and Wundt, that is – he as given proper due to the idea of ‘esperienza’ – unlike Oakeshott, who abuses of the notion! – and indeed, others see his attachment to ‘esperienza’ as an ‘ism’ (lo sperimentalismo).  He has also discussed the semiotics of Vico, and the idea of life-form, following Witters (‘cricket come forme di vita’). And he has explored one intriguing idea, that the so-called ‘meaning’ of life (‘il significato del mondo,’ actually) is that of ‘sacrificio’ which is very fine with me – but then it would, since I like ‘Another country’ – the ‘sacrifice’ Dei Lincei, nonché dell'Accademia Pontaniana e della Società Nazionale di Scienze, Lettere e Arti. Fonda la rivista di filosofia “Logos”. Allievo di TOCCO (si veda) e SARLO (si veda), è influenzato molto dalla concezione della conoscenza scientifica del secondo, che si riface alle teorie di Brentano.  Si interessa in particolar modo alla psicologia e l’epistemologia.  Tra i suoi allievi vi sono ABBAGBABI (su veda), Carcano, Carbonara, Lazzarini, Martano, Marzi, Petruzzellis, Sciacca, e Stefanini, anche se la sua indole non dogmatica e aperta a diverse culture e suggestioni non da luogo alla formazione di una vera e propria scuola riferibile al suo nome, ma incoraggia i suoi allievi a indirizzarsi su percorsi culturali autonomi, emancipandosi dall'egemonia esercitata dall’idealismo di Croce e di Gentile.  Al suo magistero può essere associato anche la figura di Musatti, che si indirizza allo studio della psicologia dopo aver assistito alle lezioni sull'argomento tenute d’A. a Padova, divenne socio dell'Accademia delle scienze di Torino.  A lui è intitolato il dipartimento di filosofia di Napoli. Nella sua prima fase, prettamente psicologica, A, afferma che un fatto psichico non puo essere quantificata come avviene con un fatto naturale fisico esistente e misurabile, in quanto un fatti psichico e un elemento costitutivi della coscienza. La psicologia, perciò, essendo una scienza empirica che studia un fatto psichico interno al soggetto, si serve del metodo dell'INTROSPEZIONE -- riferendosi a una formulazione matematica al solo scopo simbolico (cf. Grice, “Personal Identity”). La particolare concezione della conoscenza dell'autore, intesa né come esistente in sé, né come iscritta nel processo dialettico del pensiero, lo allontana sia dalle posizioni positiviste che da quelle idealiste.  Nella sua filosofia emerge una visione contraria all'idealismo. Né Hegel, nemmeno Fichte, né tanto meno Schelling col loro proposito di racchiudere tutta la realtà nel pensiero, sebbene con sfumature diverse, soddisfano A., che invece paragona il pensiero a un processo VIVENTE, costruito da tanti centri individuali tesi verso una armonia, continuatrice dei fenomeni dell'universo. A. si sofferma sulla co-ordinazione o co-operazione delle conoscenze, sulle intese fra al meno due persone, sulla sintesi della scienza e soprattutto sulla ricerca filosofica a cui assegna il compito particolare di supervisione dei campi di conoscenza con il fine di limitarne i dissidi e di ampliare, il più possibile, il punto di vista delle scienze particolari. A. afferma che l'unico metodo che consente la ricerca della verità sia l'esperimento. La verità stessa non è assoluta e unica ma prevede vari livelli, i superiori dei quali sfruttano e inglobano quelli inferiori. La ricerca filosofica possiede, secondo l'autore, un formidabile strumento di indagine e di verifica che si chiama "storia".  In alcuni saggi  ("Il sacrificio come significato del mondo”) A. sembra avvicinarsi a un modello di pensiero a metà strada tra il pragmatismo e lo spiritualismo, nel quale mette in rilievo l'esperienza morale e il sacrificio – l’eroe di J. O. Urmson -- considerato come l'esempio di re-alizzazione più elevato, sia per l'individuo sia per la collettività – la diada eroica d’Eurialo e Niso. L'affermarsi dello sperimentalismo produce in A. una serrata critica all'astratto intellettualismo nonché apre la strada alla ricezione di studi avanzati sulla cosiddetta 'filosofia scientifica', in un panorama di reazione idealistica contro la scienza e di graduale affermazione in Italia di scienze come la sociologia (Rinzivillo, A.. L'idea scientifica dello sperimentalismo in Una epistemologia senza storia, Roma, Nuova Cultura. Altri saggi: “Platone”, “Aristotele”; “LUCREZIO”; “Epitteto”. La reazione idealistica contro la scienza; La guerra eterna e il dramma dell'esistenza; L'estetica di Kant e degl’idealisti romantici; Il sacrificio come significato del mondo; Il relativismo dell'idealismo e la teoria di Einstein”; “Evoluzionismo e spiritualismo”; “Il problema del divino e il nuovo pluralismo”; “Le origini dell'irrazionalismo”; “Filosofi tedeschi”; “Critica dell'esistenzialismo”; “L'estetica di CROCE e la crisi dell'idealismo”; “Il nuovo positivismo e lo sperimentalismo”; “Relatività” (Sansoni Editore). Belardinelli, in Dizionario Biografico degl’Italiani, accademia delle scienze Abbagnano, Dizionario di filosofia, Torino, Pomba, Abbagnano, Dizionario di filosofia, Torino, Pomba,  Sciacca, Lo sperimentalismo di A., Napoli, Abbagnano A., in "Rivista di Filosofia", Dentone, Il problema morale e religioso in A., Napoli, Mecacci, A., in Cimino,  Dazzi, La psicologia: i protagonisti e i filosofici (Milano, LED); Enciclopedia Italiana, Appendice, Roma, Istituto dell'Enciclopedia italiana Treccani, Roma, Enciclopedia Italiana, Istituto dell'Enciclopedia Italiana.  A., su open MLOL, Horizons Unlimited srl. A. consultabili nell'Archivio di Storia della Psicologia, su archivio di storia psicologia roma Filosofia Filosofo Accademici italiani Professore Palermo Napoli Accademici dei Lincei Professori Università degli Studi di Napoli Federico II Membri dell'Accademia delle Scienze di Torino. LIMENTANI MASNOVO LEVI MARESCA VOLPE LAMANNA LA FILOSOFIA IN ITALIA, PERRELLA, NAPOLI,Città di Castello, Società Anonima, Vinci. Il saggio, che è l'estratto di Logos, non vuol essere una visione sintetica della filosofia italiana da un punto di vista unico, ma solo una guida analitica allo studio di essa con informazioni bibliografiche. Chi vuole orientarsi nel LABIRINTO DELLA FILOSOFIA ITALIANA può trovare nel volume del Sommario di Storia della Filosofia ( Napoli, Perrella) IL FILO D’ARIANNA che lo guida attraverso il cammino della filosofia italiana, che dal positivismo con una progressiva eliminazione d’ogni realtà trascendente giunge all'assoluta immanenza dell’idealismo attuale per ritornare poi insoddisfatto a una nuova affermazione della trascendenza. L’idealismo assoluto ormai declina verso il tramonto. Una nuova forma di realismo albeggia all'orizzonte. La crisi della guerra conduce molti spiriti verso l'irrazionalismo scettico-mistico, quando non li persuade a rifugiarsi nella tradizione cattolica. Noi siamo fermamente convinti che è sterile ogni tentativo di ritorno al passato, perchè è negazione della storia. Crediamo che la speculazione, se vuol essere feconda, deve procedere sulla via tracciata dallo sviluppo della filosofia moderna. Un realismo che pretendes ritornare all’immobilità delle essenze platoniche, che togliesse alla coscienza ogni efficacia reale nella costruzione del mondo della realtà e della verità, facendone solo una luce che rischiara ciò che è fatto ab aeterno; un realismo insomma del tipo di quello che è l’ultima moda tedesca, toglie alla vita ogni significato, facendoci perdere le migliori conquiste della filosofia moderna. Ci auguriamo che IL GENIO ITALIANO rimane immune da quella brutta moda e si mantiene sulla linea gloriosa del suo rinascimento, che è affermazione dell’attività dell'uomo nel mondo concreto della sua esperienza. Contro il dogmatismo platonico, le sottigliezze scolastiche, le nebbie mistiche, le negazioni scettiche, contro tutti gl’arbitrii della fantasia e della ragione a priori non vi è che un solo metodo sicuro, cioè l’esperimento storico delle nostre umane verità. Napoli, A. Prego di perdonare qualche omissione. Una sopratutto debbo segnalarne: quella del nome di RENDA (si veda) che per la finezza dei suoi studii di psico- dissociazione psicologica, Torino; Le passioni, Torino; L oblio, Torino, è tra i migliori positivisti. Nella seconda fase del suo pensiero Renda si è accostato all’idealismo assoluto e alla filosofia dell’azione di Blondel col suo libro La validità della religione, Città di Castello.  Dice LIMENTANI (si veda) nel Positivismo italiano, che le difficoltà che s’incontrano in una rassegna del ‘positivismo’ italiano dipendono, in primo luogo, dall’incerto significato del nome stesso, onde puo essere ugualmente designate come POSITIVA, filosofia -- della quale sembra più interessante mettere in luce le caratteristiche differenziali che non i tratti comuni. I positivisti non si definiscono come tali per la concorde adesione a una rigida dottrina, o per la collaborazione consapevole alla costruzione di un sistema ben determinato: si tratta piuttosto di un indirizzo metodico, di una forma mentale che impronta di sè non solamente la ricerca filosofica propriamente detta, ma l’intiero mondo della cultura. Il positivismo ripone e ricerca la verità nel fatto, intende la conoscenza come relativa, la esperienza come unica fonte del sapere e ultimo criterio della certezza, ritiene che la cognizione filosofica non sia diversa per natura dalla scientifica, e anche non possa se non prepararla e integrarla, assume di fronte ai problemi della metafisica un atteggiamento agnostico o semplicemente negativo, concepisce la natura come universale meccanismo, escludendone la teleologia e, pure affermando la irreducibile diversità della materia dallo spirito, non crede che da ciò rimanga spezzata la unità e interrotta la continuità del reale, interpetra il mondo dei valori come prodotto della evoluzione psicologica, e dei valori stessi domanda la spiegazione e la giustificazione alle leggi della psicologia. Ma l’accordo che può anche essere parziale sopra questi principii non esclude la possibilità di svolgimenti molteplici e autonomi, perchè i principii stessi valgon piuttosto a dirigere nella selezione e nella discussione dei problemi, che non ad anteciparne in concreto la soluzione: onde, chi voglia essere cronista esatto del vasto e vario movimento, si trova di necessità a ravvicinare pensatori che si sono reciprocamente ignorati e che proverebbero senza dubbio grande maraviglia di trovarsi messi insieme: particolarmente in Italia il positivismo è affermazione perenne della libertà filosofica, sì che sembra vano ogni tentativo di esprimerlo con una formula, e si manifesta la necessità di determinarne la fisionomia, considerando in modo distinto la operosità de’ suoi seguaci. E tale necessità risulta ancora dal fatto che nella maggior parte dei positivisti italiani, sopra il gusto delle costruzioni sistematiche, ha prevalso la tendenza a esplorare determinati campi della indagine: e però limitarsi a registrare le concezioni generali del mondo e della vita, trascurando i contributi recati da più modesti studiosi alle scienze filosofiche speciali, equivarrebbe a dare del movimento una idea affatto inadeguata. Inoltre, appunto perchè in alcune almeno tra le fondamentali assunzioni del positivismo possono, senza chiaro intendimento del loro più profondo significato, consentire anche quegli scienziati che sono affatto estranei agl’interessi speculativi, avvenne che si decorasse del nome di positivismo anche la loro afilosofia, che fu qualche volta, per dirla con Bruno, la loro filasofia, cioè una metafisica grossolana, ingenua sino alla inconsapevolezza, e di gran lunga peggiore di quella metafisica contro la quale il positivismo era sceso in campo: positivismo non può infatti essere ignoranza della tradizione metafisica e incapacità d’intenderne le ragioni, bensì dev’esspre revisione critica dei postulati assunti e dei metodi tenuti dalla metafisica stessa. Eppure in un quadro sommario che aspiri a riuscire completo, anche queste manifestazioni di pensiero più povere di critica hanno il loro significato e debbono trovare il loro posto. D’altra parte, in Italia, in questi ultimi anni, le fortune della filosofia idealistica, soprattutto nella sua forma attualistica, indussero i dissenzienti a costituire una fronte unica contro una dottrina che romanticamente presentava la filosofia, piuttosto come opera di fantasia e prodotto di subbiettiva ispirazione, che non come sistemazione di conoscenze vere: e il comune, se pur tutt’altro che uguale, atteggiamento di opposizione e di reazione, ebbe come conseguenza che tendessero a obliterarsi i caratteri differenziali del positivismo da altri indirizzi. A far la rassegna dei filosofi che pròfessano oggi di essere positivisti, si sarebbe indotti a conchitidere che i « quadri  non sono stati mai poveri come adesso: eppure mai come in questo momento è apparsa chiara la influenza del positivismo sopra la educazione mentale e la posizione dottrinale di quei pensatori che non si sono ralliés alla filosofia di moda. 2.Il periodo storico che qui si considera, coincide con il cinquantennio dell’attività filosofica di R. Ardigò; questi, nato nel 1828 a Casteldidone, pubblicò nel 1870 « La psicologia come scienza positiva , segnandovi le linee fondamentali della sua dottrina, già preannunziata l’anno precedente, quand’egli era ancora prete, nella commemorazione di P. Pomponazzi e morì a Mantova nel 1920, avendo atteso fin quasi all’ultimo giorno, all’opera sua di scrittore. Ma alla costruzione del sistema ardighiano erano precorse in Italia altre manifestazioni di pensiero positivistico. Il sorgere e vigoreggiare della filosofia del fatto si lega in Italia come all’estero, a ragioni complesse, fra le quali prevalgono i mara- vigliosi progressi della scienza, nell’ordine cosi delle invenzioni come delle scoperte, il fervore degli studi storici, la reazione contro le intemperanze del pensiero metafisico, il disgusto dei sistemi dogmatici. Le origini prossime del movimento positivista sono da ricercare nella scuola di G. D. Romagnosi, dalla quale uscirono Giuseppe Ferrari e Carlo Cattaneo. Ma il Ferrari, rappresentante di un fenomenismo estremo che reca le tracce d’influenze discordi e tende a sboccar nello scetticismo, non orientò il suo pensiero verso il positivismo così decisamente come il Cattaneo: questi è comunemente riconosciuto come l’iniziatore del movimento e il più ef. ficace banditore della dottrina, nel ventennio 1850-70. Nel Cattaneo, patriotta insigne, cittadino intemerato, scrittore magnifico, mente poliedrica, si manifesta l’interesse per la glottologia, la storia e la politica, la demografia, la economia e la organizzazione tecnica della industria e dell’agricoltura: ne’suoi scritti filosofici, non ammette conoscenza che non sia di fatti, e attribuisce alla filosofia una funzione sintetica rispetto alle altre scienze: raccogliendo la eredità del Vico, pone come fondamentale il pro-^ bleina deH’incivilimento: la civiltà è opera dell’uomo; ma l’Uomo dei metafisici è una finzione mentale, che non può adeguarsi alla varietà e alla concretezza del mondo umano; la psicologia individuale deve integrarsi nella psicologia sociale, o psicologia delle menti associate; mente non si dà, nè funziona e si forma se non in un giuoco di azioni e reazioni, che, poiché i conviventi operano uno sopra l’altro e ogni generazione scomparsa sopra le successive. è a un tempo il fondamento della unità sociale e della continuità storica. La dottrina del Cattaneo s'intona al positivismo del Comte e all’umanismo del Feuerbach, sebbene si sia costituita in perfetta indipendenza dall'uno e dall’altro, e contiene germi che dovranno maturare nella filosofia dell’Ardigò (« Opere edite e inedite di C. C.). Maestro acclamato e autorevolissimo nelle scienze storiche, Villari, che aveva mostrato, nel « Saggio sull’origine e sul progresso della Filosofia della Storia, di risentir la influenza di Comte e Mill, illustrò e favori («La Filosofia positiva e il metodo storico», 1865) l’indirizzo storico già prevalente nelle scienze morali, sostenendo che queste non avrebbero potuto fiorire come le scienze naturali, se non ne avessero fatto proprio il metodo, positivo o sperimentale. La influenza esercitata dalla divulgazione della dottrina darwiniana, che apriva nuovi orizzonti agli studi biologici ed ebbe fra noi il suo apostolo più fervido in Giovanni Canestrini ( « Antropologia » * 1888 « La teoria dell’evoluzione esposta ne’ suoi fondamenti ’ » 1887 « La teoria di Darwin » 1887 ), è manifesta negli scritti di Tommasi, medico insigne che promosse il progresso delle scienze biologiche dallo stato metafisico allo stato positivo, e ammoniva i discepoli a porsi dinanzi ai problemi della natura, con l’animo sgombro da ogni apriorismo dottrinale e metodico. Il suo naturalismo è concezione della filosofia come organamento del sapere scientifico, è realismo rigoroso, che tende a identificarsi con il materialismo, e non meno rigoroso empirismo: è evoluzionismo che esclude da sè ogni teleologia («Il naturalismo moderno» 1866 «Il rinnovamento della medicina in Italia» 1888). Positivista fu pure Cantani, collega del Tommasi e suo successore nella clinica di Napoli. 3. Il positivismo italiano non è tutto nella dottrina delI’Ardigò e della sua scuola: ma l’Ardigò ne è, per concorde giudizio, la figura più rappresentativa. Di lui gli undici volumi delle Opere Filosofiche rispecchiano il genio speculativo e l’animo candido e generoso, la fede inconcussa nel Vero e il culto operoso dell’ideale etico, celebrato nella esemplare austerità della vita. Il positivismo del Comte era stato giudicato impari, se pur non affatto insensibile, alla esi genza gnoseologica: nè questa era sodisfatta, in modo positivo, dalITnconoscibiie spenceriano, che rappresenta ancora una entità ontologica, onde si mantiene l’antitesi di sostanza e di fenomeno, e il fenomeno è un relativo che postula un Assoluto e trova alla soglia di questo il proprio limite: il sistema dell'A. si forma fuori da ogni diretta influenza di queste dottrine, per la rivoluzione che lo studio delle scienze naturali opera nella sua mente, resa, da lunga consuetudine, familiare con i classici della teologia e della metafisica: il distacco dalle vecchie credenze non è definitivo, fin ch’egli non ha trovato la soluzione del problema gnoseologico, e non ha inteso come si possa spiegare la origine delle idee, senza ricorrere alla trascendente facoltà dell’intelletto. La posizione centrale assegnata alla teoria della conoscenza è la caratteristica più significativa del sistema dell’A. « Non è senza significato che il positivismo assuma in Italia, quasi al suo apparire coll’A., fisonomia spiccata di naturalismo sistematico affrontando subito il problema dell’infinito cosmico e traducendone la visione in una concezione organica dell’universo, e che in questa, come unicamente esteriore ed obiettiva non si acqueti, ma la integri subito colla ricostruzione sintetica dell’uiiità della coscienza, e invece che tener separata la questione gnoseologica dalla cosmologica trasfonda l’una nell’altra creando un nuovo concetto si della natura, sì dell’esperienza, tale che l’uria dall’altra non si separano se non per distinzione sopravveniente; questo non è il positivismo di Comte, nè quello di Spencer, è il positivismo di un popolo ove è indigeno il naturalismo del Rinascimento» (Tarozzi). Il fatto è divino, i principii sono umani: ma il fatto primo e assolutamente certo, per la consapevolezza immediata che ne abbiamo, è il fatto di coscienza, la sensazione: la esperienza che sta a fondamento di ogni verità e che non si può tentar di trascendere senza trascorrere dal reale nel chimerico, è esperienza psicologica. Il monismo dell’A. che elimina ogni residuo di trascendenza, esclude come fantastica così la contrapposizione dell’oggetto al soggetto, come l’annichilazione dell’oggetto nel soggetto; e sfugge al pregiudizio del realismo ingenuo senza incorrere nei sofismi del soggettivismo radicale. La contrapposizione è fra termini di pensiero, fra gruppi di sensazioni: la sensazione afferma se stessa assolutamente, il conoscere non si deve che alla sua virtualità; ma la sensazione, e l’attività psichica in generale, ponendosi, si sdoppia in due mondi, per il doppio sguardo (diblemma psicologico) onde si compie da un lato la sintesi delle sensazioni interne (Autosintesi, Me), dall’altro, la sintesi delle sensazioni esterne (F.terosintesi, Non-Me): le sensazioni non sono per se stesse nè interne nè esterne, ma il differenziamento si opera, per la specificazione degli organi di senso e per il contrastare di attività stabili e costanti, ad altre accidentali e intermittenti. La sensazione, in quanto tale, è solo quello che è essa stessa in se medesima; ma la reciproca integrazione delle sensazioni pertinenti a sensi diversi (le quali son tutte fra loro incommensurabili o reciprocamente trascendenti), converte la sensazione in percezione, aggiunge alla osservazione l’esperimento («Il fatto psicologico della percezione» 188?). Ed è un imperativo logico la sensazione, non soltanto in se stessa, in quanto conoscenza assoluta o posizione di se medesima, ma anche come percezione, o conoscenza relativa e posizione della propria causa: si definisce cosi la oggettività del sapere, mentre si evita l’errore di risolvere il soggetto nell’oggetto. La conoscenza è relativa, ma non perchè abbia il suo termine antitetico in un Assoluto che trascenda la esperienza e figuri come possibile oggetto di una Mente sovrumana, bensì per quel rapporto d’irreducibilità che il pensiero stesso pone fra i propri termini sensibili, e che, come tale, è noto («L’Inconoscibile di H. Spencer e il positivismo» 1883). La materia non farà mai conoscere lo spirito, nè lo spirito la materia: ma la trascendenza così intesa, in senso affatto diverso dal tradizionale, non esclude la fondamentale unità, che è l ’indistinto sottostante ai distinti (Me e Non-Me) che vi si costituiscono, collegandosi in un organismo logico unico. «L’unità dell’indistinto sottostante alla molteplicità dei distinti, e la continuità del processo della duplice distinzione ('spaziale e temporale) caratterizzano la concezione naturalistica del cosmo » (Marchesini). È una formazione naturale la psiche, e la legge della distinzione, che ne spiega l’essere e ne domina lo sviluppo, è legge di tutte le formazioni nelle quali si specifica la realtà: la preminenza e la priorità del problema gnoseologico rispetto a tutti gli altri problemi filosofici si esprimono nel fatto che appunto dallo studio del fenomeno cogitativo induttivamente si ricava il concetto della natura come indistinto, matrice onnigena inesauribile, infinita virtualità di successivi che si realizza nella infinità dei coesistenti. Il processo dall’indistinto al distinto è governato dalla legge del ritmo, la quale spiega come ogni formazione naturale debba sempre essere un ordine, malgrado le accidentalità proprie di ogni ordine dato, che è sempre l’effettuazione di uno tra infiniti altri possibili. Per la universale ritmicità si ha infatti nella natura non il caso, ma la cosa e il fatto, il tipo e la legge, l’impero, dunque, della causalità; ma causalità non è forma a priori dello spirito, nè semplice successione che generi per abitudine l’attesa del riprodursi del passato; l’idea di causa è una formazione naturale endogenetica per l’esperienza subita dal mondo esterno, onde avvertendo costante- mente una determinata successione, siamo costretti ad ammettere che il fatto precedente ha in sè una condizione e ragione di causare: ogni fatto, dunque, emerge in modo necessario dall’indistinto che lo determina. Ma, d’altra parte, la necessità non esclude il caso, perchè l’ordine si attua in seno all’universo che è infinito: onde il fatto può a un tempo dirsi, per la sua intrinseca necessità, equazione del determinato, e, per la imprevedibilità della sua determinazione necessaria, equazione dell’infinito: poiché l’indistinto non è un sistema chiuso, il distinguersi di uno o dell’altro ordine è casuale. Il determinismo non elimina dunque la casualità, nè semplicemente l’ammette come espressione della nostra ignoranza: ma la riconduce alla varietà infinita che è un positivo aspetto della realtà, non meno che la causalità: il caso è l’effetto prodotto per necessità naturale da una causa imprevedibile, assolutamente parlando, e quindi non assegnabile, o non fissata nella stessa natura, a motivo dell’infinità del suo principio, non solo nei momenti del tempo, che è senza limiti, ma anche negli elementi costitutivi, eccedenti ogni confine di spazio (« La formazione naturale nel fatto del sistema solare » 1877; la trilogia: « Il Vero» 1891 «La Ragione» 1894 «L’Unità della Coscienza» 1898). E’ una formazione naturale anche la filosofia, che non soltanto ha funzione coordinatrice e sintetica rispetto alle scienze, ma è la matrice perennemente feconda del sapere scientifico e dei problemi che alla scienza appartiene di risolvere. Come l’indistinto si specifica, per un processo di ascendenza dinamica, nei sistemi ritmici, corrispondenti a gradi sempre più alti di autonomia, cosi la filosofia si viene differenziando nelle discipline speciali che in essa si unificano e di essa risentono l’azione propulsiva (« Lo studio della Storia della filosofia » « Il compito della filosofia e la sua perennità » 1884). Sopra i contributi recati dall’A. alle distinte scienze filosofiche non posso intrattenermi qui: basti ricordare come il suo realismo psicofisico e il prevalente interesse gnoseoiogico lo abbiano portato alla costruzione di un sistema di psicologia, dove la unità della coscienza figura come idea direttrice, e la critica del vecchio associazionismo prepara la teoria della confluenza mentale come inoltre sovra basi fisiopsicologiche si eriga una concezione della vita morale, nella quale la impulsività della sensazione è assunta a spiegare la imperatività della idealità sociale antiegoistica (« La Morale dei positivisti » 1879) come, ancora, la morale s’integri in una sociologia che è piuttosto una filosofia del diritto, o lo studio della formazione naturale della Giustizia, intesa come forza specifica della società («Sociologia» 1886) come infine le dottrine fondamentali si coordinino e sbocchino in ima pedagogia, che pone l’esercizio a fondamento cosi della educazione intellettuale come della educazione morale (La Scienza dell’educazione).  L’A., dal 1881 prof, di storia della fil. a Padova, fu un caposcuola, e fra i suoi discepoli vogliono essere ricordati in primo luogo il Marchesini, il Dandolo, il Tarozzi, il Ranzoli, il Troilo. Giovanni Marchesini (n. 1868), prof, di ped. a Padova, fondatore e direttore della « Rivista di Filosofia, pedagogia e scienze affini» (1899-1908), illustrò la figura del Maestro e ne propagò la dottrina, elevandosi dalla esposizione acuta e fedele alla originale ricostruzione e rielaborazione (« La vita e il pensiero di R. A. » 1907 «R. A. L’uomo e l’umanista). Il M. ha definito il positivismo dell’Ardigò come naturalismo umanistico e questa denominazione designa la duplice direzione nella quale egli stesso ha svolto la propria attività di scrittore, integrando felicemente il sistema, che rivela così nella varietà e la novità degli sviluppi la propria feconda vitalità. Il naturalismo del M. si fonda sopratutto sul principio dell’unità come sintesi universale: egli concepisce la unità come continuità dinamica dei fatti fisico, biologico, psichico, postulando il « fatto minimo », come idea-limite, in armonia con lo stesso concetto della continuità nella eterogeneità, e spiegando con la impossibilità di depotenziarci la presunta inintelligibilità del trapasso, alla quale si devono le due estreme concezioni, idealistica e materialistica. La conoscenza, in quanto è determinata dal reale, in ordine al principio della continuità stessa ha un valore assoluto ed obbiettivo, non già puramente simbolico (« La crisi del positivismo e il problema filosofico» 1893 «Il simbolismo nella conoscenza e nella morale» 1901). Umanistico è detto dal Marchesini il naturalismo dell’Ardigò, principalmente perchè riesce alla celebrazione della persona umana e dà fondamento razionale e positivo all’idealismo etico e alla dottrina dell’autonomia; negli ultimi libri del M., e non soltanto in quelli che hanno più diretta attinenza con la pedagogia (« L’educazione morale» 1914 «I probi, fond. dell’ed. » 1923 «Disegno stor. delle dottr. ped. 7 » 1922), si manifesta più che mai spiccata la sua eminente vocazione di educatore. Anche per il M. la continuità non esclude, ma comprova l’autonomia del soggetto umano, come formazione naturale e pedagogica superiore, sulla quale si fonda il diritto a un orgoglio umano razionale come vera e propria virtù etica (« Il dominio dello spirito, ossia il problema della personalità eildiritto all’orgoglio » 1902). Sulla stessa autonomia si fonda il principio della tolleranza come rispetto della personalità nella sua costituzione specifica (« L’intolleranza e i suoi presupposti). L’ideale è relativo alla personalità, ma pensato come assoluto acquista da ciò uha particolare potenza utilizzabile pedagogicamente («Le finzioni dell’anima » 1905). In esso, e nelle sue singole specie, si reintegrano le inclinazioni umane fondamentali, all’infuori d’ogni trascendenza metafisica, ch’è puramente simbolica («La dottrina positiva delle idealità » 1914). Nella teoria del M. si ravvisa ante- cipata in alcuni de’ suoi elementi più caratteristici e significativi la filosofia del « come se », che ha avuto in questi ultimi anni singolare fortuna e grande diffusione. Giovanni Dandolo (1861-1908), prof, di fil. teor. a Messina, concepì il problema gnoseologico come problema psicologico, e lo fece oggetto d’indagine accurata e penetrante, rivelando rare attitudini all’analisi e alla rappresentazione della vita mentale. Tra fatti psichici e fatti fisiologici corre un rapporto unitario di correlazione: il fatto psichico non è il riverbero di un evento fisiologico, ma ha la sua specie caratteristica nella coscienza, che è autonoma, è un distinto che si pone assolutamente e del quale è artificioso e vano ricercare il perchè. I limiti dell’esperienza edelconoscerecoincidono; e continuo è il processo dal senso all’intelletto, se pur non sia possibile risolvere senza residuo la conoscenza nella sensazione; ciò che è necessità di origine si conserva come necessità di sviluppo: la pura sensazione, unità indistinta, s’integra nella percezione, come l’appetito s’integra mercè la conoscenza nel desiderio, e mercè la ragione nella volontà. Contro il realismo ingenuo e l’idealismo dogmatico il D. afferma la relatività reciproca di soggetto e oggetto; il conoscere in generale, mentre si pone come fatto di coscienza, accenna alla necessità di un eterogeneo, d’un termine correlativo esteriore, distinto e in pari tempo inseparabile dal pensiero. Questo incontra nella esperienza un limite alla propria libertà: nella oggettività della percezione ha fondamento la oggettività della causa, della legge, della scienza. Contro la dottrina della scienza sostenuta dal Mach, il D., mentre riconosce la incommensurabilità della spiegazione scientifica con i fenomeni naturali, sostiene che fra questi e quella intercede un vincolo, che è un adattamento speciale della intelligenza alle cose: il vero è adattamento conquistato dal pensiero sulla realtà naturale (« Le integrazioni psichiche e la percezione esterna» 1898 « Le integrazioni psichiche e la volontà» 1900 «La causa e la legge nell’interpretazione dell’universo» 1901 «Intorno al valore della scienza» 1907 «Studi di psicologia gnoseologica» 1905-7, oltre a numerosi altri saggi, soprattutto di psic. e di st. della psic.). Giuseppe Tarozzi (n. 1866), prof, di fii. a Bologna, occupa in Italia, rispetto alla tradizione storica del positivismo sistematico, una posizione spiccatamente personale: è stato, e si è professato sempre, discepolo delI’Ardigò: e del positivismo infatti accetta il metodo e alcuni fondamentali postulati: la filosofia è anche ricerca, perennemente promossa dai risultati della scienza e dallo sviluppo dei pensiero comune; scienza e filosofia si differenziano non per il metodo bensì per l’oggetto, e insieme tendono a un fine comune cioè alla obbiettività, la quale può essere raggiunta dallo spirito umano solo entro l'ambito della categoria quantitativa, onde ha grande valore filosofico lo sforzo di esprimere il qualitativo in termini quantitativi; la esperienza non è di atti ma di fatti; non è concreto se non ciò che è sicuramente determinabile nel tempo e nello spazio. Ma la originalità del T. si è rivelata anzitutto nelle critiche alle quali egli sottopose il determinismo, ravvisando in questo un residuo metafisico e un elemento estraneo allo spirito del positivismo. il suo indeterminismo, diverso da quelli del Boutroux, del Bergson, del Mach, congiunge le due concezioni del divenire e della spontaneità del fatto singolo, senza lasciarsi sedurre dal Xóyo; àgy ò? del finalismo (« Della necessità nel fatto naturale e umano » 1896-7). Con l’indeterminismo si collega il realismo gnoseologico, li principio che « la realtà è il fatto della esperienza » consente una soluzione esauriente della questione relativa alla determinazione qualitativa e quantitativa della realtà; ma non basta a dar fondamento alla persuasione della esistenza della realtà: la conoscenza è contingente, e però presuppone il reale come altro da se stessa, e implica l’idea della esistenza come incondizionalità dell’essere rispetto alla conoscenza; da ciò s’inferisce un reale, di cui tutte le determinazioni appartengono alla esperienza, tranne una, cioè la esistenza, che le si sottrae. Il reale così inteso sfugge a quella determinazione del finito che è propria della conoscenza razionale: e però è l’infinita varietà, che come tale non può essere se non II dinamica: infinito dev’essere dunque il principio dinamico dell’in- finitamente vario in ciascun essere che l’esperienza ci presenta come determinato e finito. La contingenza della conoscenza, da un lato, giustifica la distinzione della conoscenza pura dalla conoscenza empirica e quindi il riconoscimento di leggi proprie del pensiero, dal¬ l’altro, ha in tale distinzione e nella esistenza di queste leggi la propria riprova. Nella conoscenza pura, intesa come conoscenza deH’autonomia dello spirito, consiste il fondamento gnoseologico e logico, dell’idealismo etico. Caratteri dell’idealismo etico sono la coscienza della libertà dello spirito, la responsabilità, l’impero effet¬ tivo dell’ideale. La libertà dello spirito, come rivelazione dell’in¬ finito nella coscienza, e capacità che ha l’uomo di creare il regno della sua umanità morale, non esclude ma implica la obbligazione, l’impero dell’universale: l’antitesi che sussiste fra necessario e infi¬ nito, in quanto quello pone un limite che questo esclude, vien meno, infatti, nella necessità morale, e in essa soltanto, perchè in essa l’infinito si limita non negandosi, ma rivelandosi. La responsabilità, in quanto è correlativa alla obbligazione, è responsabilità non soltanto del male, ma anche del bene, in quanto è indipendente dalla obbliga¬ zione, trascende i limiti dell’attività del soggetto, onde questi tende ad assumere sopra di sè il carico del male della umanità intiera. Effettivo è l’impero dell’ideale, perchè esso come autonomia dello spirito, è, per natura sua, un fine: ma non può essere fine a se stesso, bensì presup¬ pone un reale ateleologico che si offre come oggetto e materia al teleo- logismo in cui esso ideale si esplica; presuppone dunque, nell’ordine degli oggetti, la natura indifferente, nell’ordine dei valori, l’utile, il regno dell’interesse egoistico, in cui l’uomo a questa natura indif¬ ferente obbedisce. Moralità è spiritualità, e spiritualità è successiva trascendenza di fini gli uni rispetto agli altri. Con il sentimento dell’infinito ha affinità profonda il sentimento estetico: l’estetica non determina una distinta regione dello spirito, ma si afferma sovrana, come espressione sintetica della humanitas. La pedagogia idealistica che risolve la educazione nell’autoeduca¬ zione, ripugna al senso comune: la educazione dev’essere spiritua¬ listica, perchè promuovere negli educandi il loro valore propria¬ mente umano, significa avviarli a pensare come vera vita la loro vita interiore. Nonostante le ragioni profonde di dissenso, la dottrina del T. appartiene alla storia del positivismo italiano: il suo spirito fervido, aperto a interessi molteplici, non si ferma appagato sulle posizioni raggiunte, bensì è portato a rispondere con sintesi sempre più alte e più vaste e logicamente meglio coerenti, all’esigenze poste dalla fede generosa e sincera nei valori umani; ma egli non ha mai dubitato che quella rivendicazione morale dell’energia dello spirito, che è nello spirito suo il bisogno fondamentale (Gentile), non sia appunto il programma che il positivismo propone a se stesso e ha virtù di realizzare (Del T„ che finora non ha divulgato in modo sistematico tutte le idee qui accennate, vedi: « La coltura intellettuale contemporanea » 1897 « Ricerche intorno ai fond. della certezza raz. » 1899 «Menti e caratteri » «La virtù contemporanea» 1900 « Idee di una scienza del bene » 1901 « Il contenuto mor. della libertà del n. tempo» 1911 «L’educazione e la scuola» 1918-21 «Note di estetica sul Par. di Dante» 1922). Anche Erminio Troilo (n. 1874), prof, di fil. a Padova, operoso cultore della st. della fil. (« La dottrina della conoscenza nei mod. precursori di Kant» 1904» B. Telesio » 1910 « La fil. di G. Bruno » «Figure e studii di st. della fil.), manifesta, nella esposizione delle sue vedute teoretiche, il travaglio perenne di uno spirito che si cerca: tutta la sua feconda attività di scrittore è infusa di pathos profondo. Egli riferisce a un’antitetica che si rivela fondamentale nell’attività dello spirito, il perenne avvicendarsi dei due indirizzi, positivistico e idealistico: e tende a uscirne con una dottrina, che superando la unilateralità delle contrastanti vedute, integri il positivismo con una sua propria costruzione teoretica (« Idee e ideali del Pos. » 1909 «Il Pos. e i diritti dello spirito» 1912). Il suo atteggiamento di calda simpatia per il sistema dell’Ardigò non gli vieta di criticarne il concetto dell’Indistinto psicofisico, nel quale ravvisa una pericolosa concessione al dualismo; d’altra parte, il fenomenismo puro riesce a una finale identificazione con il soggettivismo idealistico: a questi indirizzi egli oppone lo schietto Monismo ontologico, la necessità dell’Essere come Dato primo assoluto, assolutamente autonomo. Monismo ontologico, ma, d’altra parte, dualismo gnoseologico: nell'Essere, includente in sè quella forma della Realtà ch’è lo Spirito, la legge è l’Unità: nel Conoscere, il quale altro non è che funzione, la legge è la Dualità: cosi organicamente si compongono Immanenza e Trascendenza, spoglie di ogni residuo metafisico. Ogni filosofia, come espressione integrale teoretica e pratica dello spirito, è filosofia morale, pedagogia dello spirito umano: Philosophia sire Vita : la filosofia che non deve limitarsi a interpetrare il mondo e deve mutarlo, trapassa in storia (« Filosofia, vita, modernità » 1906 « La conflagrazione » 1918). Il positivismo del Trailo si determina come Realismo Assoluto : e un Realismo assoluto è anche la dottrina di Cesare Ranzoli (n. 1876), prof, di SI. teor. a Genova. L’oggetto della conoscenza non è nè una ima- gine dell’oggetto esterno, nè una creazione del soggetto, bensi lo stesso oggetto che conosce se stesso, e, conoscendosi, .si pone come identico a sè e come diverso da sè, come conoscente e conosciuto, come spirito e come natura (« L’idealismo e la fil. » 1920). Porsi come natura significa rappresentarsi e « distendersi » in quei rapporti spaziali e temporali che risultando dalla mutua irreducibilità degli elementi della conoscenza, e quindi del reale, si possono definire come la visione panoramica che il reale ha di se stesso («Teoria del tempo e dello spazio» 1923). Lo spirito costituisce il ritmo supremo dell’esistenza, ossia il limite di quel processo d’individuazione che rappresenta la legge fondamentale della realtà : legge che non ha nulla in sè di finalistico, ma esprime al contrario la fusione del caso con la causalità (« Il caso nel pensiero e nella vita» 1913). Queste idee sono espresse dal R. in una prosa ch’è sovente un modello di stile filosofico: anche di lui può dirsi, come del Dandolo, che la natura sobria dell'ingegno si riflette nella composizione nitida e organica delle dottrine, ma non vieta di avvivarne efficacemente la espressione con imagini colorite e vaghe. Ranzoli, in un pregevole saggio sopra « La fortuna di E. Spencer in Italia» (1904), ha dimostrato che il positivismo nostro mosse i suoi primi passi sotto la sola guida del Comte e del Littré, ma se n’è staccato ben presto, attratto dalle ampie formule della filosofia spenceriana, che meglio si accordavano con la natura del nostro ingegno e delle nostre tradizioni filosofiche, rappresentate non soltanto dal naturalismo del Rinascimento, ma anche da quel filone solitario di filosofia sperimentale che si continua ininterrotto attraverso il Sette e l’Ottocento: il positivismo dello Spencer, meglio di quello del Comte, aiutò l’ingegno italiano a ritrovare se stesso: l’Italia di platonica che era, divenne spenceriana, passando per lo hegelismo: fra questo e il positivismo è l’abisso, ma la scuola hegeliana, dalla quale uscirono alcuni fra i primi positivisti (Marselli, Villari, Angiulli) annovera anche pensatori (basti ricordare il Fiorentino) che, rimanendo sul terreno dello hegelismo, riconobbero, nei limiti della filosofia della natura, il valore del principio della evoluzione. E il positivismo italiano fu, per molta parte, evoluzionistico: il fascino esercitato sopra le menti dalla idea di evoluzione trae il sacerdote giobertiano Gaetano Trezza (1827-92), bene a ciò preparato dagli studi storici filosofici religiosi, a convertirsi a una intuizione naturalistica, della quale egli fu il poeta piuttosto che il filosofo: le sue idee si organizzarono («La critica moderna» 1874) intorno ai due concetti, della relatività di tutti i fenomeni, onde natura e storia gli appaiono come una serie di trasformazioni perenni e. della immanenza delle leggi cosmiche che sottrae la natura e la storia all’intervento e all’arbitrio delle volontà trascendenti (Melli). La sintesi spenceriana trovò largo consenso fra gli scienziati: minor favore incontrò la dottrina dell’Inconoscibile, combattuta, per opposte ragioni, da hegeliani e da neo-criticisti, da spiritualisti e da positivisti; ma è manifesta la influenza dello Spencer sopra quel movimento di pensiero che ebbe per organo la « Rivista di filosofia scientifica, fondata e diretta da Enrico Morselli (n. 1852), prof, di psichiatria a Genova. L’opera di lui è soprattutto notevole per lo sforzo assiduo di richiamare i filosofi alla scienza e gli scienziati alla filosofia, combattendo la metafisica an- tiintellettualistica, e reagendo contro io spirito antifilosofico, manifestato o anche ostentato da molti scienziati puri. Il M. rappresentò autorevolmente una filosofia monistica ed evoluzionistica, consapevole della propria funzione sintetica e non ignara delle proprie intime difficoltà, ma da ciò indotta non a cedervi bensì a superarle - e una psicologia che si rende conto dei limiti, ma anche del valore del metodo introspettivo («La fil. mon. in Italia» 1887 « Id. id.» 1904 « L’evoluz. monistico nella conosc. e nella realtà» 1889 «Il darwinismo e l’evoluzionismo» 1891 «La psic. scient. o pos. e la reaz. neo-ideal. » 1906 ecc.). Classiche sono le ricerche biopsicoso- ciologiche del M. sul suicidio (1879). Anche a dire del M. («C. L. e la fil. scient.» 1906), Cesare Lombroso (1836-1910), prof, di antrop. crim. a Torino, non fu un filosofo: la sua Weltanschauung è schiettamente materialistica, la sua psicologia è puro somatisino; ma se si pensa quanta luce è derivata dalle indagini ch’egli compì o promosse, alla conoscenza delle manifestazioni psicologiche anormali o supernormali; se si considera quante idee, accolte, quand'egli le mise in circolazione, come scandalose o ridicole, sono diventate, quasi insensibilmente, elementi vitali della comune cultura e hanno agito sopra la costituzione deila nostra coscienza morale: se infine si pensa alla influenza che la sua antropologia criminale, ispirata a un rigoroso determinismo bio sociologico, ha esercitato in tutto il mondo sopra la legislazione penale è debito di giustizia ricordare l’attinenza dell’opera di lui e de’ suoi discepoli, con il movimento della filosofia scientifica («L’uomo delinquente» 1878 « L’anthrop. crim.» 1891 «L’uomo di genio» 1888 «Nuovi studi sul genio» 1901-2). Alla negazione del libero arbitrio e alla fondazione .di una dottrina della imputabilità penale non costituita sopra la responsabilità morale, diede opera, con altri, Enrico Ferri (n. 1856), fondando quella scuola del diritto penale, o piuttosto della criminologia, che fu detta positiva, e che propugnò lo studio e la considerazione non del delitto, ma del delinquente. Il Lombroso diffuse in Italia (1869) « La circolazione della vita » di Jacopo Moleschott (1822-93): questo libro, nel quale il fisiologo olandese, prof, a Torino, sostenne le proprie vedute materialistiche, ebbe parte notevole nella ispirazione della dottrina lombrosiana. Al materialismo aderirono o per lo meno inclinarono molti fra i cultori delle scienze biologiche : e un tale indirizzo è manifesto nelle ricerche psico-fisiologiche del tedesco J. Maurizio Schiff (1823-96), prof, di fisiologia a Firenze («Sulla misura della sensaz. e del movimento» 1869 «La fisica nella filosofia» 1875), del suo discepolo, il russo Alessandro Herzen (18391906: « Fisiol. e psicol. » 1878 « La condizione fisica della coscienza » « Della nat. dell’attività psich. » «Il moto psich. e la coscienza » 1879) che nell’« Ana¬ lisi fisiologica del libero arbitrio umano » (2 a . ed., 1870) illustrò il doppio determinismo, organico e sociologico, delle azioni umane; e dell’antropologo Giuseppe Sergi (n. 1841), già prof, a Roma (« Elem. di psic. » 1879 «L’origine dei fenomeni psichici» 1885), studioso anche di problemi pedagogici (« Per l’educazione del carattere » 1884 «Educazione e istruzione» 1892). Le vedute del Sergi furono impugnate dall’antropologo Ettore Regalia (1842-1914), sostenitore della tesi che il dolore è l’antecedente costante e immediato di ogni azione (saggi vari, cinque raccolti nel voi. « Dolore e azione » 1916). Un altro antropologo, Tito Vignoli (1827-1915), coltivò la psicologia comparata (animale e etnografica) e genetica (« Peregri¬ nazioni psicologiche » 1895). L’esclusivismo psicologico nella spiegazione delle malattie men¬ tali e le ragioni filosofiche che sono poste a suo fondamento fu¬ rono combattuti dal grande clinico Augusto Murri (n. 1841; «Noso¬ logia e psicologia» 1924). 6. Non si staccò dall’indirizzo materialistico Gabriele Buccola, il quale a Reggio Emilia dpve sotto la direzione di Augusto Tamburini, e più recentemente di Giuseppe Guiceiardi, ebbero grande impulso la psicopatologia e la freniatria avviò ricerche psico¬ metriche che ebbero larga eco anche all’estero («La legge del tempo nei fenomeni del pensiero » 1883). Ma scarso è il contributo diret¬ tamente recato dai filosofi positivisti alla psicologia con ricerche sperimentali, alle quali attesero prevalentemente seguaci di altri indirizzi o studiosi estranei alla milizia filosofica. Allo studio spe¬ rimentale delle emozioni contribuì poderosamente Angelo Mosso, prof, di fisiologia a Torino (1846-1910: «La paura» 1884 «La fa¬ tica» 1891), studioso anche di problemi educativi, il quale aderì alla teoria Lange-James: a lui e alla sua scuoia (particolarmente al lombrosiano Mariano Luigi Patrizi, prof, di fisiologia a Modena) è dovuto il primo impulso alle ricerche di psicologia applicata ai problemi sociali e del lavoro (psicotecnica). Il nome del Patrizi è legato anche a tentativi d’interpretazione delle opere d’arte con il sussidio della psicologia positiva («Saggio psico antropol. su 0. Leopardi» 1895 «Il Caravaggio e la nuova crit. d’arte » 1921) . Zaccaria Treves, scolaro del Mosso, contribuì alle stesse ricerche (per es. con studi sopra le relazioni fra emozioni e lavoro musco¬ lare) e particolarmente coltivò le applicazioni della psicologia alla pedagogia e alia tecnica scolastica, portando modificazioni alla scala metrica del Binet. Al problema della valutazione della intelligenza, e inoltre agli studi di psicologia e pedagogia dei deficienti («Edu¬ cazione dei deficienti»1915)si dedicò Sante De Sanctis, prof, di psicol. a Roma (n. 1862), autore anche di apprezzate ricerche sopra i sogni (1899). Benemerito della pedagogia correttiva è Q. C. Fer¬ rari, direttore dal 1905 della Rivista di Psicologia. Angelo Brofferio (1846-94), prof, di st. della fil. a Milano («La filosofia delle Upanishadas », postumo), esercitò la propria attività nella sistemazione della psicologia e, sopra saldo fondamento psi¬ cologico, della gnoseologia positivistica : si propose il problema della classificazione delle specie della cognizione, come propedeutico rispetto al problema dell’origine, razionale o sperimentale, della cognizione, e ridusse le intuizioni, per le quali la esperienza è resa possibile, alla intuizione fondamentale del numero (unità e molte¬ plicità), la quale s’integra in quelle della quantità (intensità) e della qualità; ma di quella intuizione egli illustrò la natura sperimentale: (I) Scarso è il contributo recato dai positivisti, alla estetica : oltre all’antro¬ pologo Mantegazza, professore a Firenze (« Epicuro » 1891-2), autore anche di molto fortunati studi sulle emozioni, si può appena ricordare Mario Pilo («Estetica» 1894 «Psicologia musicale» 1904) e Adelchi Baratono («Sociol. estetica» 1899): quest’ultimo, autore anche di lodati «Fondamenti di psicologia sperimentale» (1906) ha coltivato poi di preferenza la pedagogia, con indirizzo criticistico. il preteso a priori non è se non la esperienza accumulata della razza. Il positivismo affermando, in contrasto con il materialismo degli scienziati, la relatività della cognizione e precludendosi la via alla ricerca della realtà assoluta, lascia la possibilità di fondare sovra prove morali la credenza nella esistenza di Dio e di appagare la invincibile aspirazione alla immortalità. Il B. ravvisò poi nelle esperienze spiritiche la verificazione sperimentale di quelle ipotesi che aveva da prima accolte per volontà di credere («Le specie dell’esperienza » 1884 « Man. di psic. » 1889 « Per lo spiritismo » 1891). Anche Ettore Galli, lib. doc. a Padova, pone a fondamento della filosofia la psicologia, analitica e genetica: origine del conoscere è il sentire, che è fatto biologico. Le leggi della ragione sono le leggi dell’apprendere; e si apprende quando un fatto di sentire - secondo una legge dinamica universale - si fonde, in ciò che ha di comune, con virtualità di sensazioni anteriori: tale processo si ripete in tutte le operazioni del pensiero. La realtà è tutta relativa al conoscere, e quindi al sentire: dal sentire nascono così l’io come il non-io. E il sentire è anche base della morale. La vita, la quale per conservarsi e integrarsi suggerisce agli uomini la collaborazione e la divisione del lavoro, ha nel dovere un mezzo che poi agli effetti pratici vien postulato come fine delle azioni. E al dovere s’informa anche la educazione, in quanto è mossa dall’esigenze della vita («Nel regno del conoscere e del ragionare» «Alle radici della morale» «Nel dominio dell’io» 1919 «Alle soglie della metafisica» 1922). 7. Dell’attività esplicata dall’Ardigò, dal Marchesini, dal Tarozzi come pedagogisti, già si è fatto cenno. L’indirizzo positivistico ebbe, in generale, grande influenza sopra la scienza della educazione: e si onora anzitutto del nome di Aristide Gabelli (1830-91), che professò un positivismo agnostico, combattendo le degenerazioni materialistiche; ma più che ai problemi speculativi, volse la mente ai problemi della pratica: propugnò l’applicazione del metodo sperimentale alle scienze morali, e delineò un’etica utilitaria, fondata sopra l’amor di sè, distinto daH’amor proprio (« L’uomo e le scienze morali » 1869). Esplicò la sua missione socratica (Credaro) con la diagnosi severa condotta da un punto di vista rigidamente conservatore dei mali morali del popolo italiano e con la indicazione del rimedio, che doveva consistere in una educazione diretta a formare le teste, a bandire l’artifizio, il verbalismo, la retorica, ad assumere come elementi integranti del carattere idee chiare verificate al paragone della esperienza: il miglioramento morale è indissolubilmente legato al progresso intellettuale: non sussiste contraddizione tra il fine umanistico e l’indirizzo realistico della educazione («Il metodo d’insegnamento nelle scuole elementari d'Italia » 1880 « Riordinamento dell’istruzione elementare. Relazione, Istruzioni e programmi» 1888 «L’istruzione in Italia» 1891). Andrea Angiulli (1837-90), prof, di ped. a Napoli, reagisce contro l’imperante hegelismo con un sistema, ispirato alla fede nel valore teoretico e sociale della scienza positiva, .che è legata con la filosofia da un vincolo d’interdipendenza: ripudia l’Inconoscibile e ammette la possibilità, per la virtualità dell’astrazione, di una metafisica critica e scientifica, evoluzionistica e relativistica. La dottrina della evoluzione cosmica informa di sè anche la morale scientifica progressiva (migliorismo), la quale s’integra con la cosmologia in una religione nuova: l’A., determinista, ammette negl’individui anche il determinismo dell’ideale. Ma l’ideale non si realizza se non nella e per la educazione, intesa non come sempiice adattamento alle condizioni esistenti, ma come preparazione a nuove conquiste. Tutti i problemi sociali s’incontrano nel problema pedagogico, che dev’essere risolto teoricamente con la costituzione della pedagogia sopra fondamento scientifico e filosofico, praticamente con l’attuazione sua negli ordini della scuola e della vita. Liberale in politica, l’A. rivendica allo Stato il diritto, che è dovere, d’impartire la educazione nazionale e la istruzione obbligatoria e laica. L’incremento della cultura femminile deve render possibile che si armonizzino, nella scienza, la educazione domestica e la pubblica. La istruzione scientifica deve in tutti i suoi gradi essere animata da spirito filosofico («La Filosofia e la ricerca positiva » 1868 «La Ped., lo Stato e la Famiglia» 1876 «La Fil. e la Scuola» 1888). Siciliani, prof, di ped. a Bologna, aspirò a una sistemazione del positivismo italiano, sulla traccia di Galileo e del Vico e in armonia con l’evoluzionismo («Sul Rinnovamento della Fil. pos. in Italia» 1871). La sua pedagogia ha a fondamento la storia della educazione e ne ricava i due principii della dignità intrinseca della «santa» personalità umana, e dell’autodidattica (« La Scienza nell’Educ. » 1879 «Rivoluzione e Ped. moderna» 1882). Fornelli, prof, di ped. a Napoli, contribuì a diffondere in Italia la dottrina herbartiana (« Studi herbartiani » 1913), la quale tuttavia dovette la sua maggiore fortuna fra noi all’opera di Luigi Credaro (« La Ped. di G. F. Herbart » 1900): ebbe vivo il senso della importanza del problema pedagogico nello Stato liberale e propugnò la laicità della scuola che deve trovare nella scienza il proprio centro. La misura dell’esigenze che si pongono sopra il fanciullo dev’essere ricavata dalla considerazione non della sua costituzione psicologica, ma della finalità civile della educazione. La volontà è determinata, ma tra i fattori che la determinano è compresa anche la individualità: e in ciò la responsabilità trova il proprio fondamento. Fu sostenitore, nella istruzione secondaria, di un temperato classicismo («Educazione moderna» 1884 «L’Insegnamento pubblico ai tempi nostri» 1881 «L'adattamento nell’educazione» 1891). Saverio Francesco De Dominicis, già prof, dì ped. a Pavia, si è ispirato ai principii dell’evoluzionismo e del darwinismo («La dottrina dell’evoluzione» 1878-81); ha determinato, in base alla esperienza naturalistica e storica, i fattori, le leggi, i fini della educazione, il fondamento e i limiti della sua efficacia, acutamente analizzando la vita interna della scuola (« Scienza comparata della Educ. » 1907-13), e ha esercitato grande influenza («Linee di Ped. elem. » 1896) sopra la formazione dei maestri. Giovanni Antonio Colozza (n. 1857), prof, di ped. a Palermo, concepisce non diversamente dal suo maestro Angiulli la scienza della educazione nel sistema della filosofia scientifica ed evoluzionistica («Saggio di Ped. comparata» 1885 «La Ped. nei suoi rapporti con la Psic. e le Se. Soc. » 1903): ma ha temprato il forte e indipendente ingegno nell’analisi psicologica, nella ricerca del fondamento psicologico della pedagogia, nello studio di problemi educativi e didattici, nella revisione di concetti comunemente accolti senza discernimento critico: dal ripensamento originale della dottrina del Rousseau ha tratto conforto alla fede nella virtù del metodo attivo; ha risposto negativamente al quesito se esista la educazione dei sensi («Il giuoco nella psic. e nella ped.» 1895 «Del potere d’inibizione» 1898 «La meditazione» 1903 «Questioni di Ped.» 1911 «Il metodo attivo nell 'Emilio. Ripensando l ’Emilio » 1912 «La matematica nell’opera educativa» 1915). Guido Della Valle (n. 1884), prof, di ped. a Napoli, studiò la formazione dell’autocoscienza, nel riguardo della forma e del contenuto (« La Psicogenesi della coscienza », 1905): ma prevale nell’opera sua il gusto delle vaste costruzioni. La vita umana dà materia alla indagine sperimentale del lavoro mentale (che è sempre un mezzo), e alla indagine speculativa del Valore (che è sempre un fine,): donde due dottrine pure (Psicoenergetica, Axiologia) e due dottrine applicate (Psicotecnica, Teleologia). Il D. V. può dirsi positivista, quando ricava « Le Leggi del lavoro mentale » per induzione da esperienze, anche originali, e ravvisa nella pedagogia sperimentale un capitolo della psicotecnica (come la ped. fil. è un capitolo della teleologia). Ma la sua axiologia realistica lo allontana dal positivismo. I Valori (esistenziali, logici, estetici, morali, economici) sono rivelati ma non contenuti dalla coscienza: sono il prodotto di una sintesi a priori ; possono esser creduti, ma non dimostrati; sono assoluti, trascendenti, cioè indipendenti da ogni singola mente e validi potenzialmente, anche se non intuiti empiricamente da alcuno. Si unificano oggettivamente nella Realtà assoluta trascendente (Dio), soggettivamente nella coscienza generica assoluta. L’educazione consiste nella creazione e acquisizione delle varie classi di valore (« Teoria Gen. e Formale del Valore, come fondamento di una ped. fil.: Voi. I. Le premesse dell’Axiol. pura» 1916,). Maria Montessori ha coltivato l’« Antropologia pedagogica », ma il suo nome è soprattutto legato alle Case dei bambini, che hanno avuto ampia diffusione anche all’estero e nelle quali il principio di spontaneità è portato alle sue estreme applicazioni («Il met. della ped. scient. applicato all’educ. inf. nelle Case dei bambini» 1910 « L’autoeduc. nelle se. elem. » 1916 «Manuale di ped. scient. » 1920). Giacomo Tauro (n. 1873), lib. doc. a Roma, autore di un lodato profilo del Pestalozzi, ha propugnato il metodo positivo ed evoluzionistico nella ped., scient. e filosofica, della quale ha delineato un piano sistematico (« Introd. alla ped. gen. * 1906): ha studiato « Il probi, delia coltura nelle sue attinenze con la scienza e con la scuola» (1911), ha affrontato questioni di ped. applicata, relative alla educaz. intellettuale (« L’unità mentale e la concentraz. della istruz. » 1907) e alla formazione del maestro (« La preparaz. degl’insegnanti elem. e lo studio della ped. » 1920), ha, infine, assunto il silenzio a oggetto di analisi psicologiche e di ricerche storiche accurate, fermandosi a considerare il silenzio interiore come mezzo e processo dell’autoeducazione («Il Silenzio e l’Educazione dello Spirito» 1922). Per Raffaele Resta (n. 1876), lib. doc. a Roma, realtà propria del vivere umanno è non l’errare a caso in balia delle contingenze (attualità,ed eterogenesi dei fini), ma la conformità dei risultati complessivi a un piano di svolgimenti progressivi (persistenza, e omo- genesi dei fini). Occorre perciò (ed è tendenza dell’uomo) una forma o norma di vita, per la progressiva riduzione dell’ordine naturale e attuale dello sviluppo umano, secondo l’ordine ideale o finale della vita. Una tale forma o legge delle realizzazioni umane è la educazione: e questa è, da un lato, inerente al vivere umano, ma si rivela anche, dall’altro lato, specifica cioè distinta e originale, in quanto si definisce come legge di maestria, cioè come il farsi maestro e far da maestro, mediante una progressiva azione di corrispondenza delle potenzialità ed inclinazioni del soggetto (ordine attuale) alle finalità della vita (ordine finale). La educazione è dunque attività di sforzi perfettivi possibili (legge di convenienza progressiva) che si trasformano in abilità o autonomia (legge di maestria) del soggetto nei fini della vita: suo modello dev’essere la personalità più saldamente autarchica (l’autonomia) nella migliore realizzazione dell’ordine ideale (Peunomia) « L’anima del fanciullo e la ped. » 1908 «I probi, fond. della ped. » 1911 «Trattato di Ped. 1 » 1919 « L’educaz. del geografo » 1922. 8 11 carattere umanistico della morale dei positivisti è stato già rilevato. Paolo Raffaello Troiano, prof, di fil. mor. a Torino, studioso benemerito dell’etica greca, defini come umanismo la sua filosofia : umanismo critico e integrale, distinto dall’umanismo pragmatistico, perchè tien separate le categorie gnoseologiche e quelle pratiche. L’uomo è il centro teoretico e appreziativo del mondo: tutto da lui prende luce e si predica, tutto da lui prende senso e si avvalora. Fondamento di ogni valutazione è uno spirito individuale, che è l’unico reale: lo spirito assoluto è impensabile, lo spirito collettivo una metafora. Ma nell’individuo esistono pure tendenze collettive e storiche, e tendenze universali: individualismo e universalismo sono aspetti inseparabili deH’umanesimo concreto. Ogni etica metafisica è essenzialmente eteronoma e dogmatica: la concezione subbiettivi- stica dei valori porta a costruire la morale sopra fondamento psicologico. Centro della vita psichica, organo dei valori finali, regolatore supremo della vita è il sentimento, che è il Iato subbiettivo e vissuto d’ogni fenomeno psichico, e però espressione immediata dello stato del soggetto: fondamento di una morale autonoma è il sentimento non come dolore (tendenza) o piacere (fruizione), bensì come sentimento di calma che rivela lo stato di tregua per la so- disfazione avvenuta e l’armonia di tutte le tendenze: all’edonismo va sostituito l’alipismo: il senso di tutto il mondo dello spirito umano è spirito, sospiro o conato di pace, di liberazione dal dolore. L’umanismo pedagogico assume a fine della educazione la perfetta formazione degli organi individuali dei valori umani, informandoli al sistema storico della coltura: la educazione deve tendere a sostituire i valori religiosi con valori spirituali più alti, vincendo la superstizione del divino con la celebrazione divina dell’umano (« Etilica. I » 1897 « Ricerche sistematiche per una fil. del costume. I 1900 «La fi!, mor. e i suoi probi, fond. » 1902 « Le basi dell’umanismo » 1907 «L’umanismo ped. » 1908»). L’umanismo etico di Giovanni Cesca (1859-1908), prof, di st. della fil. e di ped. a Messina, è fondato sul fenomenismo gnoseologico ed esclude da sè il trascendentalismo, ma culmina nella concezione di una religione morale e umanitaria (« La religione morale dell’umanità» 1902 «La Fil. della vita» 1903 « La Fil. del- l’az. » 1908). La religione identificata con la forza della idealità continuamente aspirante al meglio, viene anche a identificarsi con la educazione moderna che, distinguendosi dall’addestramento, deve rivolgersi all’Io profondo dell’educando («Religiosità e ped. mod. » 1908). Il C. costruisce la pedagogia generale (1900) sopra fondamento evoluzionistico: il suo pluralismo critico tende a superare « Le antinomie psicologiche e sociali della educazione» (1896) nella concezione della educazione stessa come processo unitario, realiz- zantesi nella concordia di discordi molteplici fattori. In Erminio Juvalta (n. 1863), prof, di fil. mor. a Torino, è particolarmente viva la consapevolezza della esigenza critica. Non ha scritto molto: ma gli scritti suoi (« Prolegomeni a una morale distinta dalla metafisica » 1901 « Su la possibilità e i limiti della morale come scienza» 1907 «II vecchio e il nuovo problema della morale » 1914 « I limiti del razionalismo etico » 1919) son tutti il frutto di meditazione severa, promossa da un irresistibile bisogno di chiarezza che lo trae a rivedere assiduamente non soltanto le soluzioni dei problemi etici che sono state proposte nel corso della storia, ma anche i termini e la posizione dei problemi stessi. Le esigenze di ordine morale sono fondamentali e decisive nella posizione e nella soluzione dei problemi di ordine metafisico; e direttamente o indirettamente ne dipendono anche le questioni filosofiche, che a primo aspetto si presentano come d’interesse prevalentemente teoretico. È dunque, nonché opportuno, necessario affrontare i problemi morali indipendentemente da presupposti di qualsiasi indirizzo filosofico, implicanti una particolare soluzione dei problemi della realtà e della conoscenza. Nella scelta fra le diverse intuizioni religiose, o fra i diversi sistemi filosofici, prevale l’atteggiamento personale della coscienza morale. Lo J. crede alla possibilità di una scienza normativa etica, ma la fa consistere in un sistema di relazioni e di leggi, le quali non hanno valore di norme da seguire, se non nella ipotesi che sia assunto come fine quell’effetto o quell’ordine di effetti, del quale esse leggi esprimono le condizioni e i fattori. Una tale scienza differisce dalle altre scienze precettive soltanto perchè suppone che al fine suo sia riconosciuto un valore di universale preferibilità e precedenza sopra ogni altro fine. Perchè la determinazione delle norme etiche possa dirsi scientifica, si richiede che il fine sia umanamente possibile, cioè in relazione di dipendenza da una certa forma di condotta collettiva o individuale (e particolarmente per questa maniera d’intendere il carattere scientifico della morale, il punto di vista dello J. si differenzia da quello che ha prevalso tra i positivisti). Perchè le norme sieno norme etiche, si richiede che sia ammesso come postulato che il riconoscere al fine assunto valore di universale preferibilità e precedenza rispetto a qualsiasi altro fine umanamente possibile, è una esigenza morale. L’esigenza caratteristica di una norma morale (esigenza giustificativa, diversa dalla esigenza esecutiva, che è relativa ai mezzi di assicurare la osservanza della norma stessa) è quella di una universale giustizia; e il fine che sodisfa a questa esigenza è una forma di società umana tale, che tutti i socii trovino nelle sue stesse condizioni di esistenza la medesima o equivalente possibilità esteriore di rivolgere la loro attività alla ricerca di qualsivoglia dei beni ai quali la convivenza e cooperazione sociale è mezzo. Allo studio del conflitto fra i criteri fondamentali di valutazione morale, lo J. ha recato, e ancora promette, notevoli contributi. Francesco Orestano (n. 1873), prof, di st. della fil. a Palermo, ha coltivato la storia della filosofia e della pedagogia («Der Tu- gendbegriff bei Kant» 1901 «Le idee fondam. di F. Nietzsche» 1903 «L’originalità di Kant» 1905 « Comenio » « Angiulli » 1907 «Rosmini» « L. da Vinci») e la filosofia morale (« I Valori umani» 1907 «La scienza del bene e del male» 1911 « Gravia Levia» 1914 «Prolegomeni alla scienza del bene e del male » 1905 « Pensieri’ » 1923). Meglio che fra i positivisti, va annoverato fra i seguaci dell’indirizzo critico. Egli ritiene che il positivismo coerente non possa uscire dalla descrizione della vita morale: ma la scienza si rivela insufficiente di fronte alle questioni più essenziali che la mente umana può proporsi di fronte alla realtà, e delle quali nell’operare umano è implicita una soluzione : la esperienza morale, forse tutta la esperienza umana, non rivela al pensiero la totalità delle condizioni sue: non tutta la realtà è nell’esperienza. 11 progresso dello spirito è segnato dall’accrescimento dei problemi. D’altra parte l’O. ha finora soprattutto inteso a costruire sul terreno della esperienza una scienza del bene e del male, che si limita alla descrizione più economica, cioè più semplice e più completa, dei rapporti funzionali elementari (espressi possibilmente nella forma del calcolo) dei fenomeni morali; e ha portato nn ricco geniale contributo al problema del valore e della valutazione, considerato cosi in generale come dal punto di vista etico. Ogni sistema di vita morale consiste infatti in un complesso di valutazioni, tendenti a obicttivarsi mediante azioni e a svilupparsi in un sistema di prin- cipii e di leggi. Ammessa la subbiettività del valore, non per questo se ne assume come sufficiente la spiegazione psicologica: la coscienza non è che una piccola sezione della personalità: e quest’ul- tima è coestensiva col sistema della vita, il quale presenta, nell’aspetto organico psicologico sociale, una composizione multipla e pluricentrica. L’unità trascendentale dell’io è un mito che non spiega nulla. La valutazione è una funzione dell’interesse (che è reazione totale dell'io): è la coscienza riflessa di uno stato d’interesse riferito al suo oggetto. Il concetto ontologico del valore non può essere fondamento della scienza morale, la quale deve adoperare il concetto del valore come un principio formale di sintesi dell’esperienza morale senza obbedire ad alcuna intuizione concreta; caratteristico della reazione morale è pertanto il riferimento di un oggetto particolare d’interesse al concetto fondamentale che si ha della vita nella totalità de’ suoi scopi: questo concetto è il vero fondamento di tutt’i giudizi etici: fondamento relativo, ma che una volta fissato, agisce come principio assoluto. Tale definizione s’integra nella definizione del fatto morale come impiego effettivo, cosciente e volontario della vita in funzione di un tale concetto unitario, esplicito o implicito, di essa: è la vita che pensa e vuole se stessa, che sceglie da sè i suoi propri modi di essere: il mondo morale è una teleologia in azione. Ma la vita non può pensarsi nè volersi che socialmente: la personalità sociale è il soggetto della esperienza etica, la quale presenta cosi due aspetti, sociale e personale. L’O. riconduce tutte le valutazioni a un comune denominatore, la vita, che è la massima misura umana della realtà e del valore: il valore della vita, poi, è una funzione dipendente del valqre supremo idealmente concepito: per Luigi Valli, lib. doc. a Roma, «Il Valore Supremo » (1913) s’identifica con la vita stessa. La sua teoria generale del valore come simbolo di una corrente d’impulsi o di volontà concordi in una direzione, mette in luce la legge di proiezione dei valori, per la quale la coscienza crea ai valori stessi una meta fittizia, considerando come valore proprio l’ujtima parte consapevole di ogni processo vitale, e con ciò crea i falsi assoluti della morale, che devono via via decadere. Valore proprio, rispetto al quale tutti gli altri sono valori relativi, è soltanto la vita, unico valore vero e perciò supremo, nel quale e per il quale esistono gli altri valori, compresi i valori conoscitivi che sono anch’essi valori strumentali della vita. In questa stessa Rivista (III, 2), il V. ha presentato modificata in senso antiintellettualistico, la teoria della religione sostenuta nel libro « Il fondamento psicol. della religione » (1904). Zino Zini, lib. doc. a Torino, aderisce, sul terreno della gnoseologia, al realismo critico: afferma l’intima unità o mutua compenetrazione dello spazio e del tempo, e svolge una teoria dinamica dello spazio, concepito come emanazione del tempo: la nostra sensibilità, cioè ia nostra vera vita spirituale in quanto è formata di rappresentazioni e di sentimenti, d’intuizione e di volontà, è soggetta alla legge fondamentale del tempo e delio spazio; ma le condizioni per cui nella realtà soggettiva sorgono queste forme fonda- mentali, esistono nella realtà oggettiva, nella natura (« La doppia maschera dell’universo»). Nel campo della morale, lo Z. haprofessato sempre la insufficienza dell’empirismo e si è venuto sempre più accostando (« La morale al bivio» 1914) alla posizione cri- ticistica, in antitesi con il naturalismo etico e il determinismo: ma può essere annoverato qui per l’opera data alla costruzione di una morale logica, la quale sia l’applicazione alla condotta dei sistemi di cognizioni formulati dalla scienza. Lo Z. ha vigorosamente criticato la morale religiosa, emotiva ed eteronoma, tutta volta alla espiazione del passato e alla redenzione dai peccato, e, svelandone il meccanismo psicologico, l’ha presentata come impedimento alla formazione della personalità libera e responsabile (« Il pentimento e la morale ascetica» 1902): egli ha ricostruito la storia psicologica del sentimento e della idea di « Giustizia », e studiato il problema sociale come problema che è anche morale e che trova la sua soluzione non nella socializzazione della proprietà, ma nella partecipazione di tutti alle condizioni di una civiltà superiore (« Proprietà individuale o proprietà collettiva?» 1902). Scolaro dell’Ardigò e del Marchesini, Ludovico Limentani (n. 1884), prof, di fil. inor. a Firenze, ha sostenuto che un’etica indi- pendente dalla metafisica deve abbandonare ogni pretesa normativa o deontologica: il valore morale si specifica come rapporto formale fra la coscienza del dovere la quale si spiega con la costituzione pluralistica della personalità e della società e la condotta effettivamente praticata: misura del valore morale è lo sforzo, ed è però competente a giudicarne, in più eminente grado, lo stesso soggetto agente. Dalla valutazione morale strido sensu vanno distinte come « quasi morali » altre valutazioni, fra le quali caratteristiche son quelle dipendenti dalla relazione fra la condotta del soggetto e le aspettazioni dei socii (« I presupposti formali della indagine etica » 1912 «La morale della simpatia» 1914 «Moralità e normalità» 1919 «L’onore e la vita morale» 1923). Guglielmo Salvadori (n. 1879), lib. doc. a Roma, contribuì efficacemente alla diffusione della dottrina evoluzionistica, con traduzioni di opere dello Spencer e monografie illustrative (« H. S. e l’opera sua» 1900 «La scienza economica e la teoria dell’evoluzione. Saggio sulle teorie econ.-soc. di H. S.» 1901 «L’etica evoluzionista. Studio sulla fil. mor. di H. S.» 1903); combattè gli errori del trasformismo meccanico («Natura, evoluzione e moralità» 1909) ed ebbe a guida l’evoluzionismo così nel sostituire una spiegazione razionale dei sentimenti morali alle spiegazioni metafisica e puramente empirica, rivelatesi insufficienti ( « Determinaz., classificaz. e spiegaz. dei sent. mor.», 1903), come nel fondare sopra la conciliazione dell’antitesi essere-divenire, un concetto positivo del diritto naturale («Das Naturrecht und der Entwicklungsgedanke» 1905). 9. Il positivismo italiano già nel suo fondatore, il Cattaneo, è, sulle orme del Vico, storicismo: Marselli, scolaro del De Sanctis, dopo avere, ne’ primi suoi lavori di fil. della st. e di estetica, ormeggiato lo Hegel, provò poi il disgusto dello abuso che gli hegeliani avevano fatto della Idea astratta e della scienza a priori, e concepì la storia come la più alta tra le scienze di osservazione, che con lo stesso metodo adottato dalle scienze naturali, deve rivelarci le manifestazioni della natura umana e le sue leggi. Il positivismo del M. è una metafisica monistica, che non oppone lo spirito alla natura, nè risolve questa in quello, ma spiega con la legge di evoluzione il progresso da una all’altro («La scienza dellastoria» 1873 80 «Le leggi storiche dell’incivilimento», postumo). P. R. Troiano diede opera alla costituzione de «La storia come scienza sociale» (Voi. I. 1898), combattendo il concetto dellastoria come opera d’arte. Da apprezzate ricerche d’etnologia preistorica e protostorica («L’origine degli Indoeuropei» 1903), condotte sulla traccia luminosa d’intuizioni del Cattaneo, Enrico De Michelis procedette ad approfondire il problema della conoscenza storica. Le scienze di leggi dalla matematica alla sociologia e la storia lato sensu, rispondono a due distinte esigenze del pensiero: le prime hanno per oggetto quei rapporti condizionalmente necessari delle cose e dei fenomeni che costituiscono la «Natura»: la seconda riesce invece alla costruzione e rappresentazione del reale a titolo di « mondo » o «universo». Hanno torto quei positivisti che vorrebbero sostituire la storia con le scienze di leggi, estendendo a quella il contenuto logico e il tipo epistematico di queste; ma è anche infondata (o fondata soltanto sopra un’analisi insufficiente delle categorie sotto le quali viene pensato il reale come natura, e sovra persistenti vedute astrattistiche e sostanzialistiche) la svalutazione del conoscere matematico-naturalistico. Se la costruzione della storia è il termine d’arrivo di tutto il conoscere, ogni progresso della conoscenza storica ha per condizione il progredire delle scienze di leggi; e se queste avessero un valore puramente convenzionale, neanche la storia potrebbe aspirare a un valore filosofico («II problema delle scienze storiche» 1914). Giambattista Grassi Bertazzi (n. 1867), prof, di st. della fil. a Catania, fecondo studioso del pensiero antico, medievale e moderno, ha avviato ampie ricerche sovra «I presupposti fondamentali della storia della filosofia. Asturaro, prof, di fil. mor. a Genova, considerò i problemi morali dal punto di vista dell’evoluzionismo, che, meglio del semplice associazionismo, offre il modo di conciliare il naturale egoismo con l’ideale del disinteresse («Saggi di fil. mor.» 1881): si adoperò sopratutto a sistemare la sociologia mediante la classificazione e seriazione dei fatti sociali : approfondì la dottrina del metodo delle scienze morali e la dottrina della classificazione delle scienze ( « La sociologia, i suoi metodi e le sue scoperte», 2. Ed. 1907). Ma della vastissima letteratura sociologica che dilagò per l’Italia sul finire dello scorso secolo e nel primo decennio del presente, non è il caso di far parola: sopra quella emergono per l’austera serietà degli intendimenti e la rigorosa fedeltà al metodo positivo gli « Elementi di scienza politica» di Gaetano Mosca ( 2' ed., 1923), prof, di diritto costituzionale a Roma, (n. 1858) e il «Trattato di sociologia generale» di Pareto (1848-1923): questi scrittori, se pure non fecero professione di filosofia, con il loro pensiero robusto e originale esercitarono grandissima influenza sopra la formazione delle giovani generazioni. Scolaro dell’Ardìgò, Achille Loria (n. 1857), prof, di economia politica a Torino, sociologo ed economista dei più eminenti, ricercò un principio che lo guidasse alla spiegazione organica della vita sociale: non si propose la soluzione di problemi speculativi, ma intese il materialismo storico come un ferreo determinismo economico e ne trasse nel modo più intransigente estreme illazioni («Le basi economiche della costituzione sociale). Diffuse con parola lucida colorita efficace la conoscenza del movimento sociologico contemporaneo («La sociologia, il suo compito, le sue scuole, i suoi recenti progressi» 1900 «Verso la giustizia sociale » 1904-15). La concezione della storia come divenire automatico e fatale dei processi economici, e la interpretazione del materialismo storico come applicazione della filosofia materialistica alla storia, sono state vigorosamente combattute da MONDOLFO (si veda), prof, di st. della fi!, a Bologna. Già Labriola, prof, di fil. mor. a Roma, aveva sostenuto che il materialismo storico deve fondarsi sopra una dottrina di attività, sopra la marxista filosofia della praxis: l’uomo non è un essere passivo e inerte, docile all’azione delle condizioni esistenti: queste, mentre limitano e ostacolano la sua azione, lo stimolano a volgersi contro di esse per reagirvi e trasformarle: le condizioni stesse che l’uomo ha create sono da lui, nel processo della lotta fra le classi, superate e trasformate. Il mar- ximo del L., contro ogni teoria dei fattori storici, artificiosamente separati ed entificati, rivendica il principio della unità della vita e della storia («Saggi intorno alla concez. mater. della st. » 1895-8). Anche il Mondolfo, autore di pregevoli saggi di psicologia (* Studi sui tipi rappresentativi» 1909) e di storia della filosofia (« E. B. de Condillac » 1902 « La morale di Hobbes » 1903 « Le teorie mor. e poi. di Helvétius » 1904 «Il dubbio metodico e la st. della fil.» 1905 «Il pensiero di R. Ardigò» 1908 «La fil. di G. Bruno nella interpretaz. di F. Tocco» 1911 « Rousseau nella formaz. della cose, mod. » 1913 « F. Acri e il suo pensiero» 1914) e studioso di problemi pedagogici e culturali («Libertà della scuola» 1922), interpreta il materialismo storico come intuizione volontaristica della vita e concezione critico-pratica della storia (« 11 materialismo stor. di F. Engels» 1912 «Sulle orme di Marx J » 1923). A fondamento della ricostruzione della dottrina sta lo stesso criterio, per cui la dialettica reale del Marx si opponeva alla dialettica hegeliana della idea, ossia il principio, derivato dall’umanismo del Feuerbach, che restituisce all’uomo la sua concreta realtà ed azione nella vita, affermando di fronte alla realtà dello spirito la realtà della natura. La conoscenza e la storia umana si sviluppano in un rapporto dialettico fra soggetto (bisogni, aspirazioni, volontà degli uomini) e oggetto (condizioni naturali e storiche): questo si pone come limite, ostacolo e perciò stimolo progressivo all’attività umana e alle conquiste e creazioni, ch’essa compie nella diuturna sua lotta, e che si convertono nelle condizioni nuove, alle quali nuovamente spetterà la funzione di limite e perciò d’impulso a nuovi sforzi di superamento. In questo volontarismo concreto, che riconosce fra i bisogni umani la preminente impellenza del bisogno economico, è l’essenza del processo storico e, insieme, la direttiva di ogni azione aspirante a inserirsi efficacemente nella storia. Alla conoscenza della dottrina e dell’attività politica degli estremi partiti rivoluzionari ha contribuito validamente Ettore Gambigliani Zoccoli (« L’anarchia - Gii agitatori - Le idee - I fatti - 1907), autore anche di saggi sopra la filosofia dello Schopenhauer e del Nietzsche e già prof, di fil. mor. a Catania. 11 - Largo contributo recarono i positivisti agli studi di filosofia giuridica, nei quali aveva già stampato un’orma profonda Roberto Ardigò con la sua Sociologia. Uno sforzo di conciliazione fra le dottrine positivistiche e il criticismo si ravvisa nei tre volumi delle Opere (1908) di Icilio Vanni (1855-1903), prof, di f. d. d.° a Roma, che assegnò alla fil. del dir. il triplice problema gnoseologico, fenomenologico, deontologico: mise in luce la esigenza gnoseologica implicita nello stesso positivismo conitiano e illustrò la dottrina etico-giuridica dello Spencer: segnò le linee fondamentali di un programma critico di sociologia, riconoscendo la caratteristica della vita sociale nella «storicità-. Le sue Lezioni ebbero grande efficacia sulla educazione mentale di parecchi giuristi. Piuttosto eclettica che propriamente positivistica è la dottrina di Giuseppe Carle (1845-1917), prof, di f. d. d.° a Torino (« La vita del diritto nei suoi rapporti colla vita soc.» 1880 «La F. d. d°. nello Stato mod. 1902-3), ispirata ai principii dello storicismo. La necessità di una larga concezione sociologica e storicistica del diritto fu sostenuta da Biagio Brugi, prof, d’istituz. di d° civ. a Pisa (n. 1855: « Introduzione enciclopedica alle Se. giur. e soc. 4 » 1907), seguace e propugnatore dei principii della scuola storica, il quale accolse e illustrò la dottrina dell’Ardigò ; da Gino Dallari (n. 1872: «La esigenza del posit. crit. per lo studio fil. del dir. » 1903 « Il pensiero fil. di H. Spencer » 1904 « Il nuovo contrattualismo nella fil. soc. e giur.» 1911 « F. d. d.° e scienza storica dell’incivilimento» 1913); e da Gioele Solari (n. 1872: «La scuola del diritto naturale nelle dottrine etico-giuridiche dei sec. XVII e XVIII» 1904 «La idea individ. e la idea soc. nel d°. privato» 1911 «li probi, mor. » 1900), professori di f. d. d°. a Pavia e Torino. Rigoroso positivista fu Salvatore Fragapane, prof, di f. d. d°. a Bologna (1868-1909), che sostenne contro il contrattualismo l’unità dell’individuo e del gruppo, dell’idea e del fatto, della coscienza e della società («Contrattualismo e sociol. contemp. » 1892), applicò al campo della filosofia giuridica il metodo genetico evolutivo (« Il probi, delle origini del dir. » 1896) e combattè l’eclettismo del Vanni, negando il compito deontologico della f. d. d.° (« Obbiettò e limiti della f. d. d.° » 1897-9). Scolaro del Fragapane e illustratore dell’opera del Vanni è Antonio Falchi (n. 1879), prof, di f. d. d.° a Parma («L’opera di I. Vanni» 1903 «Sulla differenziaz. del diritto dalla mor. » 1904 «Le mod. dottrine teocratiche» 1908 « I fini dello Stato e la funz. del Potere»), che negò la legittimità della esigenza metafisica nella f. d. d.° Particolare attenzione all’aspetto psicologico della fenomenologia giuridica prestò Vincenzo Miceli, prof, di f. d. d.° a Pisa, che sostenne la riduzione della f. d. d.° per la parte speculativa alla filosofia morale, e per la parte tecnica alla dottrina generale del diritto (« Le fonti del d.° dal p. d. v. psichico-soc. » 1905 « Prin- cipii di F. d. d.° » 1914). Considerarono la vita del diritto da un punto di vista evoluzionistico e antropologico Raffaele Schiattarella (1839-1902), Giuseppe d’Aguanno (1862-1908) e Giuseppe Vadalà Papale (1854-1921), prof, di f. d. d.° rispettivamente a Palermo, Messina, Catania. Dalla scuola dell’Ardigò sono usciti Alessandro Grappali e Alessandro Levi: il primo (n. 1874), prof, di f. d. d.° a Modena, contribuì alla critica della Sociologia del Maestro dal punto di vista del materialismo storico (« La genesi soc. del fenomeno scientifico» 1899), fece conoscere in Italia le principali correnti del pensiero sociologico straniero (« Saggi di sociologia » 1899 « I fondamenti giu.el solidarismo » 1914) e assegnò alla sociologia la triplice funzione critica, sintetica e teleologica («Sociologia e psicologia» 1902). Il Levi (n. 1881), prof, di f. d. d.°a Catania, assegna alla filosofia il compito di discutere il problema gnoseologico, e conseguentemente intende la f. d. d.°come logica o gnoseologia del diritto, differenziato dalla economia e dall’etica come una distinta forma logica o «guisa» dello spirito umano; assume come concetto fondamentale dell’ordinamento giuridico, quello di rapporto giuridico, individuazione della forma logica del diritto, che è l’apprezzamento delle attività nel loro profilo intersoggettivo: «ubi societas, ibi ius». («Contributi ad una teoria fil. dell’ordine giur.» 1914 « F. d. d.°e tecnicismo giuridico» 1920 «Saggi di teoria del d.° » 1924 « La Fil. poi. di G. Mazzini » 1917). Alfredo Bartolomei (n. 1874), prof, di f. d. d.° a Napoli, in un saggio giovanile discusse, alla stregua di una metafisica monistica e apprezzò con equanimità e acume « I principii fondam. dell’etica di R. Ardigò e le dottrine della fi], scientifica » 1900, ma il suo ulteriore pensiero si svolse in direzione piuttosto criticistica che non positivistica. Benvenuto Donati (n. 1883), prof, di f. d. d.° a Macerata, ha portato contributi allo studio del diritto come fenomeno, e si è poi rivolto specialmente alle ricerche storiche, rendendosi benemerito degli studi vichiani («Interesse e attività giuridica» 1909 «11 socialismo giur. e la riforma del d.° » 1910 « Il rispetto della legge dinanzi al principio di autorità. Critica alla Fil. civ. di Hobbes » 1919 «Autografi e documenti vichiani inediti o dispersi » 1921 « Essenza e finalità della scienza del d° » 1924). Roberto Vacca ha tracciato le linee di un programma di f. d. d.° sulla base del metodo sperimentale («Il d.° sperimentale» 1923). 12. Il positivismo fu portato naturalmente a contribuire a quel movimento che può definirsi di filosofia della scienza. Positivistico è l'atteggiamento assunto nel suo libro «Scienza e opinioni» da Bernardino Varisco (n. 1850), prof, di fil. a Roma, il quale non potrebbe esser annoverato oggi più tra i positivisti, dopo la revisione e le integrazioni alle quali è stato indotto dal suo indomito spirito di ricerca. Il V. distingue assolutamente pensiero e realtà. Questa si compone d’infiniti corpuscoli, estesi ma fisicamente indivisibili, dotati di proprietà psico-fisiche. Fisicamente, i corpuscoli si muovono e all’occasione si urtano; e, quantunque duri, negli urti si comportano come se fossero elastici. La fisica del V. si riduce integralmente a una meccanica, sul genere di quella del P. Secchi: l’accadere fisico è quello che ha luogo tra i corpuscoli, mentre l’accadere psichico è provocato, In ogni corpuscolo, degli urli a cui va soggetto. Non esistono mentalità indipendenti dal fatto del nostro pensare (il V. mantiene anche oggi questo suo concetto, che per altro ha reso più coerente). L’esigenza del nostro pensiero non è se non l’esigenza causale dei fatti psichici che lo costituiscono, Ciascun fatto psichico (separatamente preso) è insieme una forza, e un conoscere affatto embrionale, ma certo assolutamente. Quello che è vero va distinto da quello che consta. P. es.: consta che C è conseguenza necessaria di P; consta che il remo nell’acqua si vede spezzato. Ma C non è vera che sotto condizione; e che il remo sia spezzato, non è punto- vero. Quello che consta non è dunque vero, in generale, che relativamente; peraltro è un vero noto e certo. Al di là di quello che consta c’è un vero assoluto (p. es., la dipendenza necessaria di C da P è assolutamente vera), che può essere in parte ignoto, o non conosciuto con certezza. Per giungere alla cognizione del vero assoluto, è necessario che ci fondiamo su quello che consta. E a ciò si riduce quello, che dal V. fu chiamato il suo positivismo: constano soltanto le conclusioni delle scienze positive (dimostrative, secondo Galileo, il quale riteneva opinabili tutte le altre dottrine). Fine della filosofia,secondoilV.,ilqualeinpropositononmutò molto le sue opinioni, è la discussione del problema, se oltre alla natura psico-fisica ci sia o non ci sia un soprannaturale, cioè se la religione sia o non sia giustificata. Ed egli rispondeva allora che alla riflessione il soprannaturale non può constare; il sentimento del soprannaturale, qualunque ne sia il valore oggettivo, non può essere tradotto in cognizione distinta, non può servire di fondamento alla costruzione del sapere. 1 nomi di Federigo Enriques e di Eugenio Rignano si trovano associati nell’impresa di promuovere con la rivista « Scientia > (fondata nel 1907 e tuttora fiorente sotto la direzione del R.) la coordinazione del lavoro scientifico, la critica dei metodi e delle teorie, e di affermare un apprezzamento più largo dei problemi della scienza. «Problemi della scienza» s’intitola il libro (1906) con il quale l’E. (n. 1871), matematico di fama già mondiale, si annunziò come rappresentante di un positivismo che può dirsi critico, dominato come tale, dalla consapevolezza della esigenza gnoseologica. La teoria della conoscenza, sostenuta dall’E., deriva dall’esame della scienza, non accettata dogmaticamente ma investigata nelle sue origini e nel suo significato: ed è ben giustificata la definizione della sua costruzione come positivismo critico: l’E. infatti elimina il dualismo di assoluto e relativo, sostanza e fenomeno rappresenta il lavoro scientifico come un progresso senza fine, perchè sono senza fine i rapporti che legano fra loro le cose, e il concatenamento delle cause naturali: e questo progresso concepisce come procedimento di approssimazioni successive, dove dalle deduzioni parzialmente verificate e dalle contraddizioni eliminanti l’errore delle ipotesi implicite, sorgono nuove induzioni più precise, più probabili, più estese ricerca la origine empirica delle concezioni metafisiche, alle quali può attribuirsi soltanto il valore d’ipotesi, capaci talora di preparare scoperte e teorie scientifiche fa oggetto di studio il fondamento psicologico e il contenuto sperimentale delle supreme categorie logiche opera una revisione delle stesse dottrine positivistiche, con il fine di escluderne i residui metafisici assume come criterio della verità la esperienza, la quale dimostra se sussista o meno l’accordo fra l’elemento subiettivo della previsione e l’elemento obbiettivo della realtà riconosce come dati immediati della realtà non le sensazioni pure, ma piuttosto i rapporti fra sensazioni e volizioni che condizionano le nostre aspettative, e ne esprimono gl’invarianti elementari riconosce pertanto che la nostra credenza a qualcosa di reale suppone un insieme di sensazioni che invariabilmente susseguono a certe condizioni volontariamente disposte riesce con la definizione del reale come invariante della corrispondenza fra volizioni e sensazioni a unificare, contro le teorie della scienza, nominalistiche e convenzionalistiche, la comprensione del «fatto bruto» e quella del «fatto scientifico». Tutta l’opera dell’E. è ispirata alla fede razionale nel valore della scienza e al principio della continuità e interdipendenza di scienza e filosofia. Nella valutazione del contrasto « razionalismo-storicismo » il pensiero dell’E. va sempre più evolvendosi nel senso del razionalismo, ch’egli cerca tuttavia di comporre con l’empirismo da un lato e con lo storicismo dall’altro («Scienza è razionalismo» 1912 «Per la storia della logica » 1922). Rignano, lib. doc. a Pavia, ha coltivato gli studi sociologici biologici psicologici: ha esposto criticamente la sociologia comtiana, soprattutto dal punto di vista metodologico («Là sociol. nel Corso di Fil. pos. di A. C. » 1904): ha spiegato il meccanismo di trasmissione ereditaria dei caratteri acquisiti con una ipotesi ontogenetica, che rende conto dei fatti recati a favore così del preforniismo come della epigenesi. L’altra ipotesi sussidiaria suH’accutnulazione specifica, che sarebbe la proprietà fondamentale ed esclusiva della energia nervosa, base della vita, spiega i fenomeni mnemonici propriamente detti e la proprietà mnemonica della sostanza vivente in generale. Così la ipotesi centroepigenetica rientra fra le teorie delio sviluppo, ed è fornito un modello energetico, capace di dare una idea della natura intima della vita («Sulla trasmissibilità dei caratteri acquisiti). Hanno origine e natura mnemonica anche le tendenze affettive (« Essais de synthèse scien- tifique» 1912). L’analisi del ragionamento, cioè del più complesso tra i fatti psichici, porta a studiare gli altri fatti, sempre meno complessi, che lo costituiscono, fino ai due più elementari, che dànno luogo a tutti gli altri: da un lato, cioè, sensazioni ed evocazioni sensoriali, dall’altro, tendenze affettive (« Psicologia del ragionamento » 1920). Così la sola proprietà mnemonica spiega e unifica tutte le manifestazioni finalistiche della vita, dalla ontogenesi e dal preadattamento anatomo-fisiologico ali’ambiente, fino agl’istinti più complessi e alle più alte manifestazioni del pensiero (« La memoria biologica » 1922). I nomi del Varisco, dell’Enriques e del Rignano mostrano come il pensiero italiano abbia preso parte attiva a quel movimento di revisione critica della scienza, che è una delle caratteristiche più notevoli del pensiero contemporaneo. Ma non debbo dimenticare pur vedendomi costretto, per non esorbitare dai limiti del mio tema, a un accenno sommario e pur troppo insufficiente — l’opera di Giuseppe Peano (« Calcolo geometrico » 1888 « 1 principii di Geometria logicamente esposti » 1889) e de’ suoi discepoli Mario Pieri, Alessandro Padoa, Cesare Burali-Forti, la quale tanto ha contribuito a dare alla matematica una rigorosa sistemazione logico-deduttiva, con tendenza nominalistica, escludendo qualsiasi appello all'intuizione. E vuol essere anche ricordato il valore logico e filosofico che, partendo dagl’insegnamenti del Peano e di Antonio Gar- basso (« Fisica d’oggi. Filosofia di domani » 1910), Annibaie Pastore, prof, di fil. teor. a Torino, ha dato alla logica-matematica e alla teoria dei modelli meccanici (« Sopra una teoria della scienza » 1903 « Logica formale dedotta dalla consideraz. di modelli meccanici » 1906 «Del nuovo aspetto della scienza e della fil.» 1907 «Sillogismo e proporzione» 1910 «Il pensiero puro» 1913 «Il problema della causalità» 1921). Il calcolo logico, secondo il P., non è che uno degl’infiniti modelli con cui si può rappresentare l’ordine dei fenomeni e prevederli; e tutti sono immagini o simboli equivalenti dell’infinita verità. Ma nelle sue ultime opere il P., superando la posizione di questo suo iniziale nominalismo, accenna ad orientarsi verso unaforma di panlogismo. 13. — Al positivismo — anzi al positivismo più rigoroso ed estremo — va pure ascritta la « filosofia scettica » di Giuseppe Rensi (n. 1871), prof, di fil. mor. a Genova, pensatore fervido, scrittore suggestivo, polemista animoso. Egli muove in tutt’i suoi libri principali una vivace battaglia contro l’idealismo assoluto, negando radicalmente ogni assolutezza delle forme o attività spirituali, e sostenendo che nell’ambito della sfera della pura ragione (in quanto cioè la pura ragione, o lo spirito, costruisca cavando esclusivamente dal proprio fondo, a priori, e si concepisca non come determinata dal fatto, dal dato, ma come generante essa l’oggetto) impera sovrana e invincibile l’antinomica ossia lo scetticismo. Ma, quindi, certezza v’è solo nella constatazione sensibile del fenomeno come tale, e a questa certezza è parallelo l’accordo universale, in ciò, delle menti. Comincia il regno dell’incertezza, della mera opinione, e quindi della fantasia (e perciò in un certo senso dell’arte) quando si vuole salire oltre la constatazione del fenomeno per interpretarlo. Dunque, o la filosofia è la constatazione del fenomeno, ed è positivismo e scienza; o è l'interpretazione di esso, ed è mera espressione d'impressioni, cioè arte, e, dal punto di vista del sapere, scetticismo (« Lineamenti di Fil. scettica » 1919). Di conseguenza, anche nel campo pratico, morale e diritto non sono costruzioni razionali che lo spirito cavi con apodittica assolutezza dal proprio fondo, ma sono determinati, qua e là variamente, dalla «Autorità» del fatto esteriore, come il positivismo sofistico e quello hobbesiano avevano scorto («Il diritto», ib. «Filosofia dell’Autorità» 1920 «Introduzione alla scepsi etica» 1921). Anche l’estetica è, come forma a priori dello spirito, nient’altro che scepsi estetica (« La scepsi estetica» 1919) e come «bello» non può valere se non la valutazione di fatto che pronuncia il gruppo sociale o la specie. Negli ultimi suoi scritti («L'irrazionale, il lavoro, l’amore» 1923 « Interiora Rerum » « Realismo » 1924) il R. accentua i caratteri realistici e nello stesso tempo pessimistici del suo scetticismo. Non come positivista, ma come scettico, vuol essere qui ricordato Levi, prof, di st. d. fil. a Pavia e operoso cultore della st. d. fil. ant. (« Il concetto del tempo nei suoi rapporti coi probi, dell’essere e del divenire nella fil. gr. sino a Platone» 1910 « Id. nella fil. di Platone» 1920 «Sulle interpretaz. immanentistiche della fil. di PI.» 1920), mod. («La fil. di Berkeley» 1922) e conteinp. (« L’indeterminismo nella fil. frane, contemp. » 1904 ecc.). Il L. («Sceptiea*) rappresenta un radicale scetticismo che eliminando da sè ogni elemento dommatico, sfugge alla consueta accusa d’intima contraddizione. Tutte le metafisiche, compreso l’idealismo assoluto, si fondano sopra una concezione realistica, che, in quanto voglia rispondere a esigenze non pratiche ma puramente teoretiche, è senza giustificazione, anzi in contrasto con il presupposto fondamentale del conoscere (costituito dal mio io pensante): tutte - dico fuorché una, il solipsismo, che da questo presupposto direttamente deriva, e che, sebbene criticabile perchè includente innegabili irrazionalità, è fra tutte la più plausibile. Contro il positivismo, il solipsismo sostiene che il dato dell’esperienza esige una interpretazione del pensiero, e però non ha valore per sè. L’estetica del L. («La fantasia estetica» 1913) si riassume nella tesi che « l’opera d’arte nasce dal mistero, ha caratteri non determinabili completamente ed esaurientemente e suscita in chi la contempla uno stato particolarissimo, irreducibile e non del tutto definibile ». 14 In Sicilia il positivismo si presenta con aspetti caratteristici nella filosofia dell’identità di Corleo, prof, di fil. mor. a Palermo, e nel radicale empirismo di Cosmo Guastella (1854-1922), prof, di fil. teor. a Palermo. Nel C., positivistico è il metodo, o il punto di partenza: ma egli con la pura osservazione dei fatti e senza nulla presupporre vuol giungere alla metafisica e a conclusioni eminentemente razionalistiche. Non vi è qualità la quale non si riduca a quantità, e questa riduzione che è il compito della scienza, rende possibile la costruzione di una filosofia che adegui la esattezza della matematica. Il C. ha una concezione atomistica della vita psicologica: dalle percezioni che sono gli atti primordiali del pensiero, e, presentandosi come in parte identiche, in parte non identiche fra loro, sono tutte complessi, identici con la somma delle parti risultano l’analisi e la sintesi spontanee, che operano sopra le percezioni stesse, onde i punti simili di queste si presentano similmente, e i punti per cui si differenziano si separano naturalmente: così si spiegano le formazioni mentali superiori. Lo stesso fondamentale assioma della identità non è dunque che un dato della esperienza, emergente dalla osservazione del fatto del pensiero: ma è un tale dato che consente di trovare nell’empirico l’assoluto, perchè assoluto è che identicamente apparisca ciò che identicamente apparisce. La noologia del C. è per un verso psicologia empirica: ma per l’altro verso è, in quanto la sua psicologia è piuttosto una schematizzazione matematica di esperienze psicologiche, anche logica e gnoseologia. La esperienza si eleva al grado di concetto per virtù della legge di priorizzazione, onde gli elementi costanti della rappresentazione di un oggetto «prendono il davanti», diventando tipo e norma degli altri, e quel che vieti dopo, o si assimila a ciò che precedette e riproduce quegli elementi costanti, o non si assimila e non li riproduce: qui è la fonte della universalità e della necessità: ma i giudizi si fondano tutti sull’analisi del fatto o del concetto e sul riconoscimento d’un’identità parziale o totale: non esistono giudizi sintetici a priori. Alla stregua del principio d’identità il C. esamina e critica le idee madri (categorie) e procede a rettificare e giustificare, contro i positivisti, le idee della metafisica, da quella di atomo a quella di Dio, mostrando che esse hanno pure fondamento positivo e valore obiettivo, perchè sono composte con elementi presi dalla esperienza mediante l’astrazione e la sintesi degli astratti (« Fil. univ. » 1860-3 «Il sistema della fil. univ. ovvero la fil. dell’identità» 1880). Guastella procede sulle orme del Mill, sforzandosi di ridurre il pensiero di lui a maggior coerenza, e professa un assoluto nominalismo. Il suo sistema nell’aspetto ontologico, è un fenomenismo radicale (esse est percipi) e, nell’aspetto logico, psicologico e gnoseologico, un non meno radicale empirismo. Fenomenismo, perchè questa dottrina non afferma niente, nè come conosciuto nè come inconoscibile, ai di là del mondo empirico, intendendosi per mondo empirico l’insieme dei fatti di cui si ha esperienza o che s’inferiscono da questi in virtù della generalizzazione dei rapporti costanti osservati fra di essi, ed essendo esso null’altro che la stessa esperienza. Empirismo, cioè una dottrina sul criterio della verità, che tra i motivi delle nostre affermazioni di quelle che non sono semplici atti di memoria o comparazione non ammette come legittimo che la induzione, e respinge come illegittimi l’evidenza intrinseca (non confermata dall’induzione) e l’influenza della passione e della volontà. Il pensiero ha natura sensibile, e non è costituito se non da imagini concrete e particolari: non esistono giudizi a priori : tutte le nostre proposizioni sono affermazione o negazione della esistenza di certi fatti particolari. Anche le nozioni di causa (notevole la critica dissolvente del concetto di causa efficiente) e di sostanza derivano daglielementi del senso. Non si può affermare altra esistenza che quella dei fenomeni: fenomeni interni o subbiettivi nei quali si risolve il Me, fenomeni della natura esteriore, che si risolvono in sensazioni reali o possibili: non vi è altra scienza possibile che quella delle uniformità di successione, coesistenza, somiglianza tra i fenomeni. E il fenomeno è il fatto dell’esperienza, e non esiste se non in quanto se ne ha esperienza: ma questa conoscenza fenomenica è completa e assoluta. Anche la credenza nella esistenza degli altri soggetti ha fondamento nella esperienza, che dà cosi la via di sfuggire al solipsismo. Il postulato della corrispondenza tra spirito e realtà deve essere ammesso come obbiettivamente valido, senza uopo di prova, perchè esso è anzi implicito in ogni prova, e non si potrebbe contestarlo senza rinunziare all’uso del pensiero: rientra, in sostanza, nel postulato universale, che noi dobbiamo aver fiducia nelle nostre facoltà. La parte più originale della dottrina dei G. è la Filosofia della Metafisica, cioè la ricerca del fondamento psicologico delle costruzioni metafisiche e la dimostrazione del loro carattere illusorio. Quel fatto che è la metafisica, richiede di essere spiegato: come nasce la tendenza irresistibile a trascendere la esperienza, e come si determinano le varie forme sotto cui ci apparisce questo preteso al di là dei fenomeni? Tale tendenza è tutt’uno con quella che porta ad assimilare tutti i fenomeni e tutte le idee che ci formiamo su di essi ai fenomeni, e alle idee sui fenomeni, che ci sono più familiari: particolarmente ai fenomeni dell’azione della volontà sul nostro corpo donde la filosofia volizionale e del movimento per urto donde la filosofia meccanica o impulsionistica («Saggi sulla teoria della con. I. Sui limiti e l’ogg. della con. a priori 1897. II. Fil. della Metafisica 1905» «Le ragioni del fenomenismo» 1921-3). Non era mio compito considerare le relazioni del positivismo italiano con le filosofie ch’esso trovò già vigoreggianti al suo primo manifestarsi, e con le altre correnti che successivamente, in antitesi o in continuità con esso, hanno avuto o'ritrovato fortuna tra noi. La precedente rassegna analitica basta a dimostrare la profondità, l’ampiezza, la fecondità di un movimento che scaturisce da una necessità, immanente allo spirito umano. Fin dal suo apparire il positivismo fu accompagnato in Malia con i segni aperti di una ostilità che non ha disarmato mai : è leggenda tanto più insistentemente ripetuta quanto più esaurientemente sfatata ch’esso abbia mai ottenuto il predominio nell’insegnamento superiore o aspirato a esercitarvi una tirannica dittatura. Ha tenacemente resistito all’imperversare di polemiche, le quali hanno sovente trasceso i limiti segnati alla critica onesta e serena, mossa unicamente da zelo di verità. Seguendo la traccia di Roberto Ardigò, e trovando in sè la virtù di reagire contro la tendenza al semplicismo e al rozzo empirismo, è venuto progressivamente interiorizzandosi e affinando in sè il senso della esigenza storica e critica: inflessi- bile nel rivendicare alla filosofia la stffi autonomia e la sua distinta funzione, ha tenuto fede al patto di alleanza con la scienza, stretto sul fondamento della unità di metodo : e non è certamente questa la sua minore benemerenza verso la cultura nazionale. Firenze, R. Università. Dice MASNOVO (si veda) in “IL NEOTOMISMO IN ITALIA” che nel tracciare in poche pagine le vicende del TOMISMO (AQUINO (si veda)) italiano ferma l’attenzione piuttosto sulle situazioni che sugl’uomini: la quale cosa, se torna utile sempre nella storia della filosofia, molto più torna utile quando il periodo a cui si guarda è abbastanza recente. Le ragioni sono di prima evidenza. Entriamo in argomento. Non ò possibile caratterizzare secondo verità l’AQUINO AQUINISMO senza prima formarsi un’idea esatta dell’AQUINO AQUINISMO anteriore. Certo le scuole domenicane italiane mantenneno sempre in qualche efficenza il loro AQUINO (si veda) AQUINISMO e prima e dopo. Nonpertanto se l’AQUINISMO d’AQUINO italiano s’afferma vivamente e risolutamente e via via negli anni successivi, ciò è dovuto principalmente al canonico piacentino BUZZETTI (si veda), le cui lezioni sono già diffuse in manoscritti per l’Italia, e i cui scolari avevano già iniziato all’AQUINISMO d’Aquino, più o meno fortunatamente, TAPARELLI (si veda), LIBERATORE (si veda) e tant’altri dentro e fuori della compagnia di Gesù. PECCI (si veda) a Perugia è certamente sotto, l’influsso di Sordi, piacentino e scolaro di Buzzetti: è lecito pensare il medesimo del canonico napoletano Gaetano Sanseverino (3).  A. Masnovo, Il Neotomismo in Italia, p. 129. (Società Editrice « Vita e Pensiero», Milano, 1924).  Cfr. «L’amico d’Italia», anno IV, Torino, 1825, voi. Vii, p. 200. Quivi Don Carlo Gazola, tessendo l’elogio In morte dello zio Vincenzo Buzzetti, ci fa sapere che lo zio « tracciò egli un corso breve di filosofia, che tiensi nel seminario vescovile di Piacenza e nelle pubbliche scuole di Reggio e in quelle di Napoli; filosofia in che null’altro difetto ritrovasi fuor quello di sommamente piacere a tutti i giovani d’ingegno». (3) A. Masnovo, Il Neotomismo in Italia. Buzzetti rimetteva a nuovo il tomismo, consapevolmente o no, sotto la spinta del movimento romantico, e l’inseriva, certo consapevolmente, nella reazione che, tra la fine del 1700 e l’inizio del 1800, si scatenava anche in Italia, compreso il ducato di Parma, avverso l’empirismo del Locke e il sensismo del Condillac. Anzi si può e si deve dire che in Italia il Buzzetti è (cronologicamente almeno) il primo grande rappresentante della reazione anti- sensistica. Certo non può venire in gara col Buzzetti il Rosmini, la cui attività letteraria comincia quando il Buzzetti è morto (1824). Quanto al Galluppi la sua reazione all’empirismo data dal 1819: anno nel quale egli inizia la pubblicazione del «Saggio filosofico sulla critica della conoscenza... ». Or noi sappiamo che prima del 1816 il Buzzetti professava il suo battagliero tomismo in contrasto al sensismo. Infatti il P. Serafino Sordi, entrato nella Compagnia di Gesù verso la fine del 1816 , aveva già seguito il corso tomistico dettato nel Seminario di Piacenza sotto l’ispirazione del Buzzetti. Questo tomismo, per cosi dire, buzzettiano, che riprende non già come un effimero capriccio ma come sforzo e forza davvero vitali, e che, col Sordi e col Taparelli col Liberatore e col Sanseverino, si svolge perennemente a contatto del pensiero e delle preoccupazione ambienti, a che punto trovasi del suo svolgimento nel decennio 1870-1880? A questa dimanda risposi ampiamente in altra circostanza (3). Qui basti ricordare che il Liberatore nel 1858 aveva già scritto i due volumi « Della conoscenza intellettuale » destinati ad affermare la dottrina tomistica della conoscenza frammezzo alle opposte correnti del tradizionalismo, dell’ontologismo e del rosmi- nianesimo; che nel 1875 aveva terminato il trattato «Dell’uomo» risultante dei due volumi «Del composto umano» già pubblicato nel 1862 e dell’« Anima »; che fin dal 1860 aveva impresso alle sue « Institutiones » l’indirizzo decisamente tomistico (4), svolgendovi la metafisica generale e la speciale. Quanto al Sanseverino, egli 0) L’opuscolo galluppiano «Dell’analisi e della sintesi», scritto fino dal 1807, prescindeva dall’origine semplicemente sensistica o no delle idee che entrano a formare le nostre conoscenze ossia i nostri giudizi (Galluppi, Saggio filosofico. . ., Libro 1, c. Il, paragr. 37 e ss.).  A. Masnovo, // Neotomismo in Italia. Masnovo, Il Neotomismo in Italia, p. 115. (4) Cfr. «Institutiones Philophiae .. Romae, Typis Civilitatis Catholicae, 1869. Quivi da pag. 3 a p. G è riportata la prefazione dell’edizione del 1860; la quale prefazione appunto ci avverte del deciso indirizzo tomistico che ormai assumono le «Institutiones» liberatoriane. E l'avvertimento non è disdetto dall’opera. era sceso prematuramente sì nel sepolcro il 1865 a soli 54 anni, ma ci aveva lasciato di suo « I principali sistemi della filosofia sul criterio», e la monumentale « Pliilosophia Christiana cum antiqua et nova comparata  ». Non occorrono aggiunte per convincersi che, mentre il decennio 1870-1880 fila i suoi giorni, la restaurazione del tomismo quanto a metafisica, cioè per la sua parte capitale, è già un fatto compiuto. Il dualismo di Dio immobile e del mondo diveniente, nonché l’altro dualismo di potenza e di atto in ogni cosa creata e più precisa- mente di materia e di forma nelle cose corporee, il Neotomismo li ha già affermati risolutamente. Di più il Ncotomismo ha già applicato l’ilemorfismo ai viventi in genere (dove la forma è l’anima) e in particolare al composto umano che è una unità sostanziale vivificata da un’anima sussistente, spirituale, immortale. A proposito della cognizione umana il Ncotomismo ha già proclamato l’irriducibilità della medesima a semplice risultato di senzazioni, e insieme riconosciuto per ciascun uomo la necessità dell'intervento di un proprio e intimo principio spirituale (l’intelletto agente) affine di universalizzare il dato del senso. I principii poi onde si svolge la vita conoscitiva dominano soggetto ed oggetto. Passando dall’ordine speculativo a quello pratico, Dio (ben inteso, personale e trascendente) è già stato proclamato fonte del dovere nella vita morale e fonte dell’autorità nella vita sociale. Ma il Neotomismo italiano del periodo 1870-1880 oltre a trovarsi dinnanzi a la metafisica dell’Aquinate, già restaurata, ha piena consapevolezza della cosa. Nel 1875 sulla Civiltà Cattolica  il Liberatore dichiara che « rimessa oggimai in onore la vera metafisica, è mestieri porre in armonia con essa la scienza fisica»; parimenti nel 1875 lo stesso Liberatore nell’ultima pagina del suo « Dell’anima umana » ripete che « la vittoria per ciò che riguarda la parte metafisica sembra assicurata massimamente dopo che il movimento ristoratore dall’Italia si propagò nella Francia, nella Germania e nella Spagna. Ma il trionfo della sana dottrina non è compiuto se non viene esteso anche alla fisica, compilandone una che stia in perfetta armonia colla metafisica, e che, facendo tesoro  Com’è detto nel Monitum Editorum apposto al primo dei sette volumi della « Philosophia Christiana » (ed. 1878), il Can. Nunzio Signoriello, dopo la morte del Sanseverino suo maestro —, « bisce voluminibus manus admovit eaque in meliorern ordinem redegit, et quartum Logicai voliimen condidit prae- cedentibus omnino aequale».  Civiltà Cattolica. di tutti i progressi delle scienze esperimentali, mostri come essi, lungi dal contrastare, confermano anzi la parte razionale dell’antica filosofia. A questo convien che sieno volte quinci innanzi le cure dei veri sapienti; e io non dubito che il provvido Iddio susciterà tra breve tra i cultori delle scienze naturali chi sappia trionfalmente applicarvi l’ingegno e la fatica». Al Liberatore fa eco il Card. Giuseppe Pecci, il quale aH’inaugurazione dell’Accademia Romana di San Tommaso d’Aquino il giorno 8 Maggio 1880 pronunciava queste parole all’indirizzo degli accademici: «Dunque la vostra restaurazione (filosofica) si stende per indiretto ma efficacemente alla restaurazione eziandio di tutte le scienze. E quanto alle scienze razionali, richiamata una volta in luce la dottrina di San Tommaso, la restaurazione può dirsi quasi fatta: non rimane che arricchirla e ampliarla nelle applicazioni. Più lungo studio richiederanno dal vostro ingegno le scienze naturali...  ». Adunque secondo il Pecci, come secondo il Liberatore, non vanno cercati nel decennio 1870-1880 gl’inizi del neotomismo: che anzi, secondo loro, il movimento neotomistico propriamente filosofico si conclude in questo stesso decennio. Che se particolari caratteri assume, comeassumeeffettivamente.il Neotomismo in questo decennio, uno possiamo riporlo fin d’ora, come autorizzano e ce ne fanno dovere il Liberatore e il Card. Giuseppe Pecci, nel tentativo di porre a contatto la filosofia scolastica, ormai risorta, con il mondo delle scienze fisiche e naturali. Col bisogno di penetrazione nel campo scientifico si fa sentire anche il bisogno d’intensificare la volgarizzazione. Appunto sui mezzi di diffondere la ristorata filosofia chiama l’attenzione una serie di articoli della Civiltà Cattolica, comparsi nel 1870. Mentre caratterizziamo cosi il neotomismo dopo il 1870 non vogliamo escludere da questo periodo ogni sviluppo di speculazione; come non vogliamo escludere dal periodo precedente l’opera di volgarizzazione e di penetrazione scientifica. Caratterizzando, ci basta guardare agli elementi che, pur non essendo esclusivi, hanno una prevalenza indiscussa. Vediamo dunque quali forme concrete vanno assumendo dal 1870 in poi i propositi di penetrazione scientifica e di volgarizzazione. * * * Guardiamo anzitutto all’opera di volgarizzazione. Se la restaurazione del tomismo nel secolo XIX è dovuta all’iniziativa privata  L’accademia Romana di S. Tommaso d’Aquino (pubblicazione periodica). che deve superare autorevoli contrasti (I), la divulgazione si compie in gran parte per l’intervento dell’autorità ecclesiastica e più precisamente dal Pontificato Romano. Ed è naturale. Filosofia e Chiesa, in fondo in fondo, risolvono il problema della vita. Quando le due soluzioni armonizzano, benché ottenute dalla Filosofia e dalla Chiesa con mezzi propri anzi finché cosi ottenute , il mutuo appoggio torna onorevole e vantaggioso per entrambe, e risponde certo a un diritto, ma più ancora a un preciso dovere. Nell’opera di volgarizzamento dopo il 1870 possiamo distinguere due aspetti: uno positivo consistente nell’emissione di documenti ecclesiastici a favore del Neotomismo, nell’istituzione di accademie, nella pubblicazione di riviste e simili; uno, per cosi dire, negativo consistente nell’eliminare dalla circolazione dottrine che si fanno passare come di ispirazione tomistica, ed effettivamente tali non sono. I due aspetti, idealmente distinti, praticamente si confondono. L’aspetto positivo richiama subito alla mente l’enciclica « Aeterni Patris» ossia «De Philosophia Christiana ad mentem S. Thomae Aquinatis doctoris Angelici in scholis catholicis instauranda », prò mulgata nel 1879 addi 4 agosto festa di San Domenico dal pontefice Leone XIII, fratello dell’ex gesuita e fervido tomista Card. Giuseppe Pecci. Da questa enciclica i cattolici sono invitati a dare il loro nome alla filosofia che si ispira a San Tommaso d’Aquino. Nello stesso anno 1879 si imprende, per ordine e per munificenza del Pontefice, una grande edizione delle opere dell’Aquinate, non ancora terminata oggidì. Un anno dopo, cioè nel 1880, e ancora il 4 agosto, San Tommaso è proclamato da Leone XIII patrono delle scuole cattoliche. È facile comprendere l’influsso capitale di questi documenti, che non creano certo il neotomismo; cooperano però validissimamente alla sua diffusione. Le accademie tomistiche pullulano per ogni diocesi accanto ai vescovadi e ai seminari. Si può convenire che il movimento guadagnando in estensione perde in proti) Basti pensare all’iiitervento dello stesso Superiore Generale contro quei gesuiti che a Napoli circa il 1833 tentarono la restaurazione del tomismo. (Cfr. A. Masnovo. Il Ncotomismo in Italia, p. 61).  Se il Gentile, dedicando sulla «Critica» del 20 novembre 1911 un capitolo della sua Filosofia in Italia dopo il 1850 ai Neotomisti, e parimenti il Saitta nel suo volume Le origini del Neotomismo nel secolo XIX avessero ben notato il momento esatto e il significato preciso dell’intervento ecclesiastico a prò’ del Neotomismo, già spontaneamente affermatosi prima del 1870, non avrebbero tratto motivo da questo stesso intervento per svalutare il Neotomismo. Fatto questo rilievo, è giusto tributare omaggio tanto al Gentlte quanto al Saitta per l’interesse addimostrato verso il neotomismo. fondita. Ma è questa la naturale vicenda delle cose umane, e meravigliarsene sarebbe da ingenui. Tra le accademie del periodo che c’interessà merita particolare men 2 ione l’« Accademia Romana di S. Tommaso d’Aquino» , inaugurata, come sopra fu detto, l’otto maggio 1880. Suo organo è il periodico omonimo « L’accademia romana di San Tommaso d’Aquino », che inizia le pubblicazioni subito nel 1881 ed esce annualmente in due fascicoli. 1 collaboratori principali sono, oltre il Card. Giuseppe Pecci, i professori Francesco Satolli, Benedetto Lorenzelli, Giuseppe Prisco e i P.P. Tommaso Zigliara O. P. e Camillo Mazzella S. I. , che, tutti, finiranno cardinali della Chiesa Romana. Si aggiungano i padri gesuiti Liberatore e Cornoldi, il can. Nunzio Signoriello, mons. Salvatore Talamo, l’avv. Giovanni Fabri, il prof. Giannantonio Zanon ed altri ancora. Abbondano naturalmente i commenti a San 1 ommaso. Il Card. Pecci pubblica nel volume secondo la sua « Parafrasi e dichiarazione dell’opuscolo di San Tommaso «De ente et essentia » ; altri si fermano di preferenza intorno agli articoli che S. Tommaso dedica alla cognizione umana nella Somma Teologica dalla questione LXXXIV alla LXXXVIII. Questi commenti anche oggi si possono leggere con profitto. Oltre i commenti a San Tommaso, trovano largo posto gli attacchi al rosminianesimo, come portava la necessità del momento. Non era infatti possibile diffondere la genuina filosofia dell’Aquinate senza incrociare le armi con i fautori del rosminianesimo, i quali tenevano a far apparire coincidenti rosminianesimo e tomismo: coincidenza perfettamente illusoria, sopratutto dopo che, morto il Ro- mini, era venuta alla luce la sua «Teosofia», sdrucciolante ornai, sulla buccia dell’ente ideale, troppo apertamente ancorché preterin- tenzionalmeute, verso l’ontologismo o intuizionismo divino che dir si voglia, e verso il panteismo. A mente calma e fredda, con animo scevro da ogni passione di parte, oggi si può convenire che il sistema ideologico del « Nuovo Saggio sull origine delle idee » prc disponeva ai mali passi. Ebbi altra volta occasione di scrivere che Già a Napoli nel 1874, ricorrendo il sesto centenario della morie di San Tommaso d’Aquino, era stata istituita un’« Accademia di S. Tommaso d’Aquino» ; e pure in Roma nello stesso anno 1874 aveva incominciato a vivere !’« Accademia filosofico medica di San Tommaso d Aquino. Nel 1892 dalla tipografia vaticana usciva, sotto il velo dell’anonimo, la celebre « Rosminianarum propositionum quas S. R. U Inquisitio, approbante S. P. Leone XIII, reprobavit, proscripsit, damnavit Trutina theologica ». Si seppe di poi esserne autore il Card. Mazzella. Rosmini disimpegnò nella prima metà del secolo XIX una funzione veramente utile in prò’ del Neotomismo, sospingendone i cultori a prendere contatto con la filosofia ambiente estranea od avversa. Aggiungo ora che gli si può e gli si deve riconoscere il merito di aver insistito, sia pure deviando, sull’elemento divino nella cognizione umana. Il domani filosofico ritornerà sicuramente su questo elemento. Ma fu, almeno almeno, un gran perditempo quel volersi da troppi e sistematicamente nella seconda metà del secolo XIX indurare, o per illusione o per arte polemica, nel difendere una coincidenza assolutamente irreale. Questo nocque oltremodo al rosminianesimo nel giudizio degli uomini imparziali ed equilibrati, che dovettero scorgervi o troppa ingenuità o troppa (come dire?) virtuosità. Certo San Tommaso non ha nulla di comune con le debolezze intuizionistiche e panteistiche del Rosmini: senza dire che San Tommaso attribuisce proprio all’astrazione la formazione degli universali, mentre il misconoscimento di questo potere dell’astrazione è la base stessa della speculazione rosminiana nel « Nuovo saggio sull’origine delle idee ». Fra coloro che sulle pagine dell’* Accademia Romana di San Tommaso d’Aquino » polemizzarono più diffusamente e più autorevolmente contro il rosminianesimo va ricordato Liberatore. Il neotomismo aveva chiarita e giustificata le sua posizione speculativa di fronte al rosminianesimo ed alla sua ideologia pericolosa fino dall’opuscolo di Sordi. Dice VOLPE nel “HEGELIANISMO ITALIANO”, 6,P Svill, PP° dell ° he g elis "'° SUl !° He sei, dopo aver affermato che il gran mento dello H. sta nella scoperta della dialettica come relazione sintesi di opposti e aver soggiunto che oltre la sintesi degli opposti c è la sintesi dei distinti, conclude che il torto dello H è di aver confuso quella dialettica con questa. Oltre gli opposti, essere e nulla, spiiito e natura, vero e falso, ecc., i quali non sono reali che nella sintesi di cui costituiscono i momenti astratti ; ci sono, dunque, pel Croce, i distinti: bello, vero, utile, buono, i quali non si trovano fra loro nella stessa relazione degli opposti, reali solo nella sintesi- ma sono, invece, egualmente, tutti reali e concreti, così da poter sussistere I nno accanto all’altro. Posto ciò, il rapporto fra i gradi orme dello spinto è, pel C., questo: esso procede per diadi (invece che per triadi), nelle quali il primo termine sussiste da sè cornar 0 ’ PU k aV, end ° anch ’ esso una sua sussistenza concreta come tale, assorbe .1 primo: così, l’arte, si è visto, è alogica, ma filosofia, sintesi di intuizione e concetto, è anche arte, cioè ha etica^ ° rC espress . lv ° : la volizione economica è amorale, ma quella senni n* V, ’T economica > la volizione morale essendo anche sempre utile Lo spinto, poi, è di natura circolare, e però passa da un grado all altro: passa dal grado intuitivo al logico, all’economico, all etico, e dall’ultimo trapassa ancora al primo, all’intuitivo ornendo .1 contenuto pratico alla nuova intuizione, e così in eterno’ nfa°tfi ni a gra t ÌmP ' ÌCÌta resistenza di tu, “ i quattro gradii nfatti, appunto perchè nel grado intuitivo, ad es., è già implicito 11 ’° glC0 Sl P uò P assa re dall’uno all’altro. E il passaggio consisterebbe, infine, nel divenire esplicito ciò che era Lplidtò Ili Ora è necessario osservare subito, che in questa teoria del Croce vengono così in contatto due dialettiche contrarie: quella degli opposti e quella dei distinti. Sono, dunque, due differenti specie di rapporti che concorrono al ritmo dialettico, crociano, dei gradi: il mutuo rapporto dei gradi in quanto tali, cioè distinti, concreti, e quello degli stessi in quanto astratti momenti di ognuno dei gradi concreti. Il grado intuitivo, ad es., ha due significati ben diversi, quello di momento della sintesi a priori logica (sintesi, si è visto, d’intuizione e concetto), e quello di sintesi a priori estetica, grado concreto e indipendente, come tale, dal grado logico, che, a sua volta, come tale, è in egual relazione verso di quello. Ove è palese, che, nel primo caso su accennato, si ha una relazione di opposti, e nel secondo una relazione di distinti. È in questo punto dell’incontro delle due dialettiche, che si sono soffermati più a lungo i critici del Croce. È stato osservato, ad esempio, che le due dialettiche si annullano l’un l’altra ; che il concetto dell’implicito-esplicito, che deve spiegare il passaggio da un distinto all’altro, è un semplice mito, non differente, essenzialmente, da quello del passaggio dall’inconscio al conscio ; che il concetto stesso di circolo è mitologico, e così via. Il carattere espositivo di questo scritto c’impedisce di entrare nella questione: si è ricordato ciò per informazione del lettore. Fin’ora si è discorso dell’estetica, della logica, della filosofia della pratica: veniamo ora alla Teoria della storiografìa (1917) che conclude il sistema della filosofia dello spirito quasi con una brusca correzione. In quest’ultima opera il C. vuole integrare la sua unificazione precedente della filosofia e della storia nel giudizio percettivo, col concetto della contemporaneità della storia. La storia, antichissima o recente che sia, è storia contemporanea, cioè sempre relativa al soggetto presente, che col pensarla la suscita, la fa; badando però a intendere questa presenza come assoluta e ideale, tale, cioè, che condizioni essa e superi l’empirico presente e passato del tempo. Ma intesa così la storia, come procedente dall’universalità del soggetto, come attualità piena dello spirito, essa appaga allora l’esigenza filosofica di possedere la realtà nella sua pienezza e totalità, e la filosofia come Logica, come un distinto momento dello spirito, viene sminuita di valore. In relazione, infatti, al nuovo concetto di storia, la filosofia, nel senso più adeguato e profondo, viene ad  G. De Ruggiero, La Filosofia Contemporanea, voi. Il, p. 164.  N. Spirito, Il nuovo idealismo italiano. essere il momento trascendentale della conoscenza storica, alla quale appresta le categorie necessarie a pensare la totalità del reale. « La filosofia non può essere altro che il momento metodologico della storiografia, dilucidazione delle categorie costitutive dei giudizi storici...». Dilucidazione che «si muove nelle distinzioni dell’Estetica e della Logica, dell’Economica e dell’Etica; e tutte le congiunge nella filosofia dello spirito ». Il pensiero del C. conclude, dunque, ad una sopravvalutazione della storia, o filosofia in largo senso, di fronte alla logica, o filosofia stricto sensu: conclude, infine, parrebbe a due concetti di filosofia: la logica, o filosofia stretta, che come tale resta al di qua dell 'atto storiografico, o filosofico in senso profondo. Ecco quel ch’è sfato chiamato, anche recentemente, l’umanismo del Croce. Umanismo, si è detto, perchè tutta la storia della storiografia assume il valore di una storia della filosofia incentrata nel concetto dell’uomo, del mondo ch’è il suo mondo (Vico), e dei suoi bisogni spirituali . È stato ancora osservato, che quel ch’è la funzione della filosofia rispetto al problema della scienza nei filosofi del neo-criticismo positivista, si ritrova nel Croce, come coscienza critica immanente all’atto storiografico, di cui essa è il momento puramente trascendentale . IL La formazione mentale di G. Gentile ha origini diverse da quella crociana. A Bertrando Spaventa, e, attraverso questi, a Hegel, Fichte, Kant, Cartesio, e ai nostri Gioberti, Vico e Bruno, si riallaccia, fin dagli inizi, la meditazione del fondatore dell’idealismo dell’atto. È, poi, partendo in particolare dallo Hegel, con la riforma ch’ei propone, indipendentemente dal Croce, e sulle orme dello Spaventa, della dialettica hegeliana, che il pensiero del G. dà i primi frutti originali. Lo Spaventa, studiando le tre prime categorie della Logica hegeliana, essere, non-essere, divenire, aveva osservato, sorpassando i precedenti interpreti (Trendelenburg, Vera etc.), che « questa posizione imbrogliata dell’essere e del non-essere (lo stesso e non-lo stesso) è la viva espressione della natura del pensare. Se si toglie di mezzo il pensare non se ne capisce niente». E il Gentile, negli studi intitolati, appunto, La Riforma della dialettica hegeliana (1913), affermò, che « Se l’essere non è più un’idea in sè, ma una cate (Carlini) goria, e categoria è atto mentale, come può realizzarsi l’atto della mente altrimenti che come unità di essere e non-essere, cioè divenire? L’atto si fa, fit, diviene. È in quanto diviene... Quando è semplicemente, non è». E potè concludere, altrove: « L’essere che Hegel dovrebbe mostrare identico al non-essere nel divenire che solo è reale, non è l’essere che egli definisce come l’assoluto indeterminato (l’assoluto indeterminato non può essere che l’assoluto indeterminato I); ma l’essere del pensiero che definisce, e, in generale, pensa: ed è, come vide Cartesio, in quanto pensa, ossia non essendo (perchè, se fosse, il pensiero non sarebbe quello che è, ossia un atto), e perciò ponendosi, divenendo». In conclusione, l’essere, il non-essere, il divenire, non sono più, pel G., posizioni logiche, obbiettive del reale, com’erano per ('Hegel, ma momenti della coscienza in atto, del pensiero pensante, in cui il divenire, come sintesi degli altri due termini, esprime nient’altro che il processo del sapere, che vince nella sua concretezza i momenti astratti, rigidi, in cui l’analisi lo rompe : e cosi, com’è stato già osservato, tutta la sovrastruttura della logica hegeliana crolla. Crolla, perchè vien mostrato che la deduzione hegeliana delle categorie, che voleva essere sistematica, contro quella empirica di Kant, e conciliare la molteplicità con l’assoluta unità, non riesce a questa conciliazione, perchè anche in essa vi si analizzano concetti invece di realizzarli nella loro unità vivente: è dialettica di pensieri pensati usando la terminologia gentiliana; e cioè non-dialettica, perchè il pensato, come tale, non si svolge, non si dialettizza. Manca, insomma, l’unità, la vita: anche Hegel si smarrisce, a un tratto, dietro ipostasi, immobili e ferme: platonismo, in fondo. L’unità, dice il G., non può esser data che dal pensiero in atto, dall’atto in atto. La vera Idea è atto, l’unica categoria è Yatto spirituale ; onde «tutti gli atti del pensiero, quando non si considerino come meri fatti, quando non si guardino dall’esterno, sono un atto solo. E però per il nuovo idealismo le categorie sono infinite di numero, in quanto categorie del pensare che si guarda come pensato (la storia); e sono una sola infinita categoria, in quanto categoria del pensare nella sua attualità». Ma allora la deduzione hegeliana si risolve proprio, anch’essa, in fondo, in una deduzione empirica (anche Hegel ha, come Kant, numerato le categorie!); e la sua non può essere la deduzione delle categorie, ma « un caso fra infiniti casi possibili di deduzione, o meglio... un frammento o un moti ) Cfr. De Ruoqiero. mento della eterna deduzione, in cui consiste la storia non pure del pensiero, come s’intende comunemente, ma del mondo ». Non pure del pensiero, ma del mondo, perchè l’atto, a cui si riduce l’Idea pel ò., è occorre dirlo? actus purus, nel senso più moderno e integrale, come atto che è tutta forma perchè è tutta materia, generata dalla forma: forma formante, davvero: è quel processo autocreatore del puro pensiero ch’è l’Autocoscienza nella sua concreta individualità: onde l 'io empirico e particolare non è che l’attuarsi dell’Io puro, trascendentale. La stessa istanza critica che la Riforma compie in rapporto alla Logica hegeliana, l’Introduzione del Sommario di Pedagogia (1913-14) la compie come è stato acutamente osservato in rapporto alla Fenomenologia. Come il pensiero puro non ha bisogno di percorrere i gradi categorici dell’essere, del conosciuto, secondo gli schemi della logica formale, per giungere alla piena coscienza di sè, perchè si pone a priori come pensiero consapevole e attuale; cosi non ha nemmeno bisogno di passare per i gradi psicologici della conoscenza, la sensazione, la percezione, la rappresentazione, etc., perchè non può mutuare da altri che da sè, non soltanto la sua forma, ma anche il suo contenuto . La dottrina psicologica tradizionale che concepisce il processo psichico effettuantesi per gradi monadisticamente distinti, è possibile soltanto per una concezione analitica dello spirito; onde questo può essere di volta in volta, sensazione, percezione, concetto etc., solo in quanto venga considerato, naturalisticamente, come un aggregato di momenti giustapposti, gli uni fuori degli altri. Ma se si concepisce io spirito come vivente unità originaria, come pensiero pensante, pensare e non pensato, ogni molteplicità scompare e tutti i gradi psichici si risolvono n eli’unico atto dello spirito. Nella sensazione è già lo spirito nella sua intierezza, e la sensazione è perciò necessariamente anche percezione, giudizio, concetto, conoscenza, volontà, come tutti questi gradi non sono che sensazione: quel sensus sui ch’è, infatti, lo spirito. Tuttavia non si creda che manchi nel O. il concetto di un processo fenomenologico: c’è anzi, e originale: ed è una fenomenologia che, identificatasi con la logica, non è altro che la stessa storia dello spirito. Le distinzioni risorgono, dunque, nel processo spirituale, ma non più come gradi tipici, giustapposti, ma come distinzioni concrete, storiche, vieppiù ricche col progredire del processo. Cioè, ogni  De Ruooiero. atto dello spirito non è che la coscienza più profonda di un atto anteriore, che è il contenuto del primo, il quale naturai mente è la forma di quello. « La sensazione-contenuto è dentro la sensazione- forma, risolta e assorbita nell’attualità di questa ». Ogni atto di coscienza può dirsi percezione rispetto a una sensazione precedente, la quale, in quanto atto spirituale, fu anch’essa percezione. Cosicché si passa da percezione a percezione, o, è Io stesso, da sensazione a sensazione. E in sostanza la sensazione è una sola: l’atto spirituale nel suo interno mediarsi, e che, mediandosi m eterno, si svolge attraverso infiniti momenti, infinite sensazioni. Venendo alla dottrina propriamente pedagogica del Sommano, ne accenneremo il concetto fondamentale: che educatore e educando sono due momenti di un’unica realtà, l’Universale, io Spirito, onde hanno in esso la loro profonda unità: scompare così ogni hiatus fra l’uno e l’altro; e il processo educativo non è che processo di reciproca autoeducazione: ognuno vede nell’altro sè stesso, lo Spirito, e attraverso l’altro forma un migliore, un più alto sè stesso. Processo di universalizzazione, dunque, processo eminentemen e etico. 11 miracolo dell'educazione è spiegato; e la prassi educativa ha nel concetto d e\\’autoeducazione il suo miglior lume, la guida più certa. È stato riconosciuto che nella storia della pedagogia 1 Sommario segna una tappa ideale confrontabile solo con YEmilio. Questo realismo spiritualistico del Sommario venne assumendo - è stato osservato  - negli scritti successivi, L'esperienza pura e la realtà storica, e Teoria generale dello spinto come atto puro un carattere più univeversale in quanto dal problema del a formazione dell’uomo si passò a quello di dimostrare in esso la radice di tutti gli altri problemi concernenti la realta e le sue categorie. Il principio dell’idea come atto acquistò sempre piu carattere metafisico. . Già nel primo dei due scritti suaccennati 1 atto viene concepito come pura esperienza che lo spirito fa di sè, eliminando in tal modo qualunque presupposto dello spirito, sia oggettivo che soggettivo, e generando da sè ogni realtà: tutta l’esperienza nelle sue infinite concrete distinzioni è posta dall’atto e. nell’atto in un'esperienza storica, non nei senso della storia presupposta all atto e quindi empiricamente concepita, ma della storia che si attua quale vita eterna dello spirito. Nell’atto veniva così risolta l’antitesi di a priori ( 1 ) Carlini, op. cit., p. 232. e di a posteriori, e si concludeva a un formalismo assoluto, o, che è lo stesso, a un empirismo assoluto . Ma questo esplicito significato metafisico appare in tutto il suo sviluppo nella Teoria, uno dei capolavori del G. Qui, attraverso i problemi della storia della filosofia, attraverso soprattutto il problema kantiano e hegeliano, è dimostrato dal G. come lo spirito generi da sè stesso la natura: il mondo del molteplice e crei nella sua dialettica unificatrice moltiplicatrice spazio e tempo. Lo spirito viene concepito come conceptussui, concetto che pone sè stesso, autoctisi. Ma questo porsi è, naturalmente, non immediato, ma mediato. Lo spirito si pone attraverso la natura, l’oggetto; il soggetto si pone mediandosi come oggetto. Quell’unità ch’è lo spirito si pone, perciò, come molteplicità, attraverso la molteplicità, appunto perchè non è unità immediata, statica, ma mediata in sè stessa, dialettica, unità, insomma, dinamica e concreta, vivente. In altri termini, lo spirito si afferma negando, non si svolge se non negando perennemente il suo opposto, la natura, che è per ciò suo essenziale momento dialettico, e però spirito anch’essa, e non un’entità a sè, concepibile come astratta dallo spirito. La natura, insomma, come non-essere di quell’essere ch’è lo spirito: e cosi l’errore, il male, il dolore sono egualmente il non-essere di quell’essere; eterno momento del processo della verità, del bene, della vita. Certo, se la verità, il bene, si concepiscono immutabili, ab aeterno, l’errore, il male sono inconcepibili. Ma se la verità e il bene, come pensa il Gentile, sono divenire, atto, essi devono perennemente superare sè stessi, ritrovando in sè l’errore, il male da superare. E però, errore e verità, male e bene non sono realtà distinte, indipendenti, ma i momenti di una sintesi, che è « errore nella verità, come suo contenuto che si risolve nella forma», è «male onde il bene si nutre, nel suo assoluto formalismo». Finiremo con un cenno, purtroppo frettoloso e assai inadeguato, dell ultima grande opera del G., forse il suo maggior capolavoro, certo, a tutt oggi, il suo testamento filosofico, per la compiutezza della sistemazione: il Sistema di logica come teoria del conoscere. Uno dei concetti fondamentali della speculazione gentiliana, naturalmente implicito nei precedenti, è quello dell’identità della filosofia con la sua storia: infatti se la filosofia è concepita come processo di autocoscienza, essa è storia, storia eterna in tempo; e però  Carlini. ogni sistema coincide col corso storico del pensiero, in quanto esso riassume e potenzia in sè, giustificandoli, i sistemi precedenti, che non sono che momenti idealmente anteriori di que\Yunico processo di pensiero autocosciente, ch’è — eminenter — la filosofia. Orbene, il sistema di logica attinge certo la sua capitale impor¬ tanza, nell’assieme dell’opera del G., da questo: che esso vuol es¬ sere ed è l’ultima riprova concreta, effettuale del suaccennato prin¬ cipio dell’identità di filosofia e storia della filosofia. Esso ci mostra, di fatti, come il sistema gentiliano, la nuova logica del pensiero pensante, si costituisca a patto di ricapitolare in sè, di conservare e giustificare, inverandola, l’antica logica ari¬ stotelica, la logica del pensiero pensato. Infatti, la dialettica aristo- teiico-scolastica vien mostrata come grado necessario alla dialettica del concreto, in quanto essa, dandoci la legge del pensiero pensato (A — A) ci spiega il momento dell 'oggettività del pensiero a sè stesso, oggettività necessaria, se —ricordiamolo — il puro pensiero dev’essere concepito non come immediata soggettività, ma come soggettività-oggettività, soggetto-oggetto, mediazione, dialetticità. Occorre osservare, che qui il logo della logica del pensato, del¬ l’astratto, cioè A = A, viene negato al tempo stesso che conser¬ vato, perchè non è più considerato a sè, da un punto di vista astratto, ma è considerato dal punto di vista concreto, cioè in fun¬ zione del logo della logica concreta, cioè del pensiero pensante, A = non A? Conservare ch’è negare; inverare, come è, difatti, di quel divenire ch’è lo spirito, la filosofia. E però è giusto -riconoscere, ancora, che in tal modo « tutto il processo storico del concetto di logica si risolve, identificandovisi, nel nuovo concetto dialettico » : quello del Gentile; e che, ripetiamolo, la verità del principio del circolo di filosofia e storia della filosofia, è dimostrata dal sistema stesso del G.; che, mentre convalida quel principio, ne è, a sua volta, — si noti — convalidato, fondato po¬ sitivamente: storicamente. Croce e Gentile hanno suscitato, da anni, un gran movi¬ mento di idee, e di discepoli, attorno a sè: il primo soprattutto nell’ampio campo della cultura letteraria e storica in genere: il se¬ condo nel campo della filosofia teoretica e della storia della filosofia. Nominare discepoli del Croce non è cosa facile, perchè, facen¬ ti) Spirito. dosi sentire il suo influsso nel largo campo della cultura storico- letteraria, tutti, in quest’ultimo ventennio, sono stati e sono ancora, in certo senso, crociani: in ispecie i critici di letteratura e arte e gli storici sono permeati di pensiero crociano, anche se lo negano- Soprattutto, il concetto crociano dell’arte è, si può dire, entrato a far parte del patrimonio di idee necessario a chi voglia pensare e vivere in armonia col progresso effettivo del pensiero della storia. Dei critici letterari, che hanno subito, consapevolmente o no, l’influsso dell’estetica crociana, ricordiamo qui G. A. Borgese, che, per quanto staccatosi in seguito da Croce, serba traccie di pensiero crociano nelle pagine migliori; Emilio Cecchi; Alfredo Gargiulo, autore d’un d’Annunzio; Luigi Russo, autore d’on Di Giacomo e di un Verga; e infine Attilio Momigliano ( Studi Manzoniani, Goldoni, Verga). Nella critica delle arti figurative ci piace notare Lionello Venturi; nella critica musicale F. Torrefranca e G. Bastianeili. Piò facile è far qualche nome di discepoli del Gentile, essendo più tecnico, e quindi più ristretto, il campo su cui si è irradiato il pensiero gentiliano: filosofia teoretica e storia del pensiero speculativo, come si è detto. Ricorderemo, anzitutto, due pensatori, Armando Carlini e Giuseppe Saitta, che si posson dire i rappresentanti di due interpretazioni e svolgimenti opposti del pensiero del Maestro: la dottrina di destra come è stato detto (I) - del Carlini, in cui si tenta di svolgere entro l’ambito de\V attualismo alcune esigenze empiristiche come quella della pluralità dei soggetti e quella di un mondo soggettivo, morale, distinto dal mondo oggettivo, della percezione, della conoscenza: si veda La vita dello Spirito (1921); e la dottrina di sinistra del Saitta, che tende a un’ulteriore, più profonda identificazione di io empirico e Io trascendentale: si legga Lo spirito come eticità (1920). « Armando Carlini, professore nella R. Univ. di Pisa, proviene dalla filosofia crociana. Egli tende a elaborare il lato spiritualistico piuttosto che quello logico-dialettico della filosofia gentiliana. L’attualismo del maestro ubbidisce, a suo avviso, a due motivi diversi: l’uno costituisce l'originalità propria della filosofia gentiliana, ed è il motivo psicologico e lo sforzo di risolvere la dialettica nel ritmo stesso della vita interiore, onde l’autocoscienza e la personalità coincidono nel processo autocreatore dello spirito; l’altro è un ritorno al problema hegeliano-spaventiano della dialettica come logica melati) Cfr. Spirito. fisica, onde l’atto, più che spiegare se stesso si assume il compito di spiegare il mondo della natura e dello spirito. L’attualismo diventa cosi, dice il C., un puntualismo, in cui tutte le distinzioni di problemi spirituali si neutralizzano in un concetto generico dell’attività del pensare. Egli tenta, perciò, di ripigliare la prima posizione e di svolgere il concetto del ritmo interno all’atto come il problema fondamentale dell’attualismo. L’atto realizza se stesso come quello. « Io penso» ch’è unità in una dualità di vita e di pensiero, di personalità morale e di riflessione filosofica su essa. La distinzione posta in seno all’atto gli permette di riguardare questo come condizione trascendentale di una dualità tra il mondo dell’esperienza sensibile o mondo del conoscere, e quello dell’azione ch’è propriamente il mondo storico-morale. Nello stesso tempo, l’atto, non coincidendo più dentro sè con se stesso, fa appello a un punto di vista trascendente, in cui quel dissidio venga pacificato, e pone così il problema fondamentale della vita religiosa. Il Carlini e il Saitta sono anche storici, in ispecie il secondo: al Carlini si deve un’ampia monografia sul Locke, al Saitta monografie sul Gioberti, sul Ficino e vari saggi. Alla destra appartengono ancora il Ferretti e il Codignola, pedagogisti; alla sinistra Guido De Ruggiero, autore di un saggio sulla Filosofia contemporanea e di una Storia della Filosofia, opere di carattere critico, prevalentemente. La posizione mentale del de Ruggiero, di fronte aH’idealismo del Croce e del Gentile, può essere caratterizzata da una più viva preoccupazione dell’importanza speculativa dei problemi sulla scienza della natura. Il D. R. fin dal 1913 in una monografia dal titolo : La scienza come esperienza assoluta ripudiava nettamente le dottrine prammatistiche della scienza accolta nel sistema crociano e poneva il problema dell’unità della scienza della natura e della filosofia, abbozzando una teoria del positivismo assoluto, in cui le scienze, guardate nella loro intima genesi spirituale, piuttosto che nell’astratta oggettivazione naturalistica, erano reintegrate nella vita speculativa dello spirito. E più recentemente in un saggio sui Problemi della scienza e della umanità ha ulteriormente sviluppato questo punto di vista, mostrando la necessità che le due correnti dell’idealismo moderno, quello storicista che fa capo al Vico e allo Hegel e quella scientifica, che fa capo alla Critica della ragion pura di Kant, a torto dissociate dall’idealismo contemporaneo, vengano ricomposte in una unità articolata e sintetica, per cui, pur riconoscendo il carattere storico della vita spirituale, questa storia non s’isterilisca in un mero umanesimo, ma includa in sè l’opera delle scienze naturali, e attraverso di esso, il mondo stesso della natura nella sua pienezza. Ampia attività storica hanno esercitato altri due pensatori più ligi alle dottrine del Maestro: Vito Fazio-Allmayer, con saggi.su Galileo e sulla Teoria della libertà in Hegel-, e Adolfo Omodeo autore di una Storia delle origini cristiane in più volumi. È da ricordarsi ancora Antonio Anzilotti, autore di un Gioberti, studiato nella sua filosofia e prassi politica e Cecilia Dentice D’Accadia, che ha dedicato specialmente la sua attività allo studio del problema religioso in Schleiermacher e Kant. In pedagogia, Giuseppe Lombardo- Radice, autore di una Teoria e storia dell'educazione e di molti saggi pedagogici, è il maggiore interprete e prosecutore della pedagogia idealistica del Maestro, nella teoria e nella pratica. POSTILLA BIBLIOGRAFICA SU CROCE E GENTILE. Delle seguenti opere si cita solo l’ultima ediz. Croce (Pescasseroli, prov. di Aquila): Estetica come, scienza dell’espressione e linguistica generale. Teoria e Storia 5» ediz. Bari, Laterza; Logica come scienza del concetto puro. 4‘ ediz. Bari, Laterza, 1920; Filosofia della pratica. Economica ed etica. 9* ediz. Bari, Laterza, 1923; Teoria e storia della storiografia. 2* ediz. Bari, Laterza, 1920; Problemi di Estetica e contributi alla storia dell’Estetica italiana. Bari, id. 1910; La Filosofia di G. B. Vico. 2 1 ed. Bari, id. 1922; Saggio sullo Hegel. 2” ed. Bari, id. 1913; Nuovi Saggi di estetica. Bari, id. 1921. Giovanni Gentile (n. a Castelvetrano, prov. di Trapani): La riforma della dialettica hegeliana. 2* ed. Messina, Principato; 1 problemi della scolastica e il pensiero italiano. 2» ed. Bari, Laterza, 1923; Sommario di Pedagogia come scienza filosofica. 2* ed. Bari, id. 1920-22; Teoria generale dello Spirito come atto puro. 3* ed. Bari, id. 1920; Sistema di logica come teoria del conoscere. 2» ed. Bari, id. 1921-23; Discorsi di religione. Firenze, Vallecchi, 1920; Giordano Bruno e il pensiero del Rinascimento. Firenze, id. 1920; La Riforma dell’educazione. Bari, Laterza, 1920; Frammenti di estetica e letteratura. Lanciano, Carabba. Dice Lamanna in “IL REALISMO PSICOLOGISTICO NELLA NUOVA FILOSOFIA ITALIANA” che Sarlo, nato nel 1864 in un paesello della Basilicata (San Chirico Raparo), venne alla filosofia dalla medicina. E ve Io condusse intima vocazione, oltre, e più, che esterna vicenda di casi. Già durante gli studi universitari, a Napoli, si compiaceva di frequentare, con le lezioni della Facoltà cui era iscritto, quelle di lettere e filosofia: e fu, tra l’altro, uditore dello Spaventa negli ultimi anni del suo insegnamento. La stessa sua prima pubblicazione un volumetto di Studi sul Darwinismo, ch’egli scrisse ancor giovanetto nel 1887 attesta la tendenza di lui a studiare, anche nel campo delle scienze biologiche, le questioni più generali, quelle che sono poi stimolo e offrono motivi alla speculazione filosofica. Questa tendenza divenne in lui sempre più consapevole durante gli anni che passò, come medico, nel Manicomio di Reggio Emilia, dove compì ricerche psichiatriche che, mettendolo a contatto più diretto con i problemi dell’anima, determinarono il suo passaggio alla psicologia e alla filosofia. In questo campo non ebbe maestri: fu un autodidatta: dovette cercar da sè, come a tentoni, la sua strada, ed era naturale che la trovasse solo attraverso deviazioni, incertezze, ritorni. La sua educazione naturalistica e l’influenza dell’ambiente culturale del tempo, impregnato di positivismo, lo portarono dapprima a seguire questo indirizzo di pensiero: e in uno degii organi della filosofia positivistica, la Rivista dell’Angiulli, egli fece le sue prime armi. Ma non tardò ad allontanarsi dal positivismo, a mano a mano che venne ac - quistando coscienza delle deficienze di quella dottrina cosi in ordine all’interpretazione del fatto conoscitivo come in ordine alla fondazione della moralità e religiosità umana: deficienze, che illustrò poi in quelle Note sul positivismo contemporaneo in Italia, pubblicate in appendice agli « Studi sulla Filosofia contemporanea » nel 1901, una delle critiche più penetranti e conclusive che della gnoseologia positivistica siano state fatte in Italia. La sua coscienza filosofica si venne formando nel decennio 1890- 1900. Concorsero a questa formazione lo studio del Rosmini, i rapporti personali o spirituali con alcuni dei più cospicui rappresentanti italiani dello spiritualismo e del neo-criticismo, come Luigi Ferri, Filippo Masci e, in particolare, Francesco Bonatelli, e, più specialmente, lo studio diretto delle correnti più significative del pensiero filosofico e psicologico contemporaneo, segnatamente inglese e tedesco, alcune delle quali egli per primo, o tra i primi, fece conoscere in Italia. E di questa sua attività furono frutto due saggi rosminiani: La logica di A. Rosmini e i problemi della logica moderna e Le basi della psicologia e della biologia secondo A. Rosmini considerate in rapporto ai risultati della scienza moderna (Roma) poi rifusi in altri lavori ; due volumi di Saggi filosofici (Torino, Clau- sen) posteriormente anch’essi rielaborati e rifusi —; studi su autori stranieri sparsi in varie riviste, alcuni dei quali furono poi, con altri di epoca posteriore, raccolti nel volume Filosofi del tempo nostro (Firenze, La « Cultura Filosofica» editrice); saggi di psicologia; il volume Metafisica, Scienza e Moralità (Roma, Balbi, 1898), e il volume già ricordato Studi sulla Filosofia contemporanea : La Filosofia scientifica (Roma, Loescher, 1901). L’esigenza che si rivela come fondamentale in questi studi del De Sarlo, è quella di mostrare le vie per le quali le scienze positive, e più particolarmente quelle naturali, sboccano, per una necessità imposta dalla logica a loro immanente, in una concezione filosofica nella quale il naturalismo è superato, cosi per il riconoscimento dei poteri originari e irriducibili dello spirito quale soggetto conoscente e quale persona morale, come per il coronamento del sapere filosofico in un’interpretazione teistica della realtà universale; mentre, dall’altro lato, la filosofia stessa, come sistemazione e critica del sapere, riceve dalle scienze particolari continuo alimento e stimolo. E la necessità di questo connubio fecondo, nella loro reciproca azione, della scienza e della filosofia, è rimasta come uno dei motivi principali del pensiero del De Sarlo, anche quando, nel periodo di piena maturità della sua attività di studioso, ha tratto i principii del suo filosofare non più dal neo-criticismo, di cui si sente l’influsso neghi scritti sinora citati, ma dallo sperimentalismo inglese da Locke a Mill —; dall’intuizionismo della scuola scozzese specie per il rilievo costantemente dato agli assiomi così gnoseologici come etici, costitutivi dello spirito umano, e apprensibili con evidenza immediata nell’esperienza interna e infine dal realismo dell’Her- bart e del Lotze. Conseguita nel 1894 la libera docenza in filosofia presso l'Università di Roma, insegnò questa disciplina nei licei di Benevento, di Torino, di Roma, fino al 1900, quando ottenne per concorso la cattedra di filosofia teoretica all’Istituto di Studi Superiori di Firenze, cattedra ch’egli ha tenuto e tiene ancor oggi con l’autorità e l’efficacia di un Maestro. Presso lo stesso Istituto Superiore fondò nel 1903 un Gabinetto di Psicologia Sperimentale, il primo del genere in Italia, e che è rimasto anche oggi il più ricco di apparecchi: molte e importanti ricerche vi sono state compiute sotto la sua direzione, sebbene, in questi ultimi anni, la potenzialità scientifica- mente produttiva del Gabinetto sia stata assai ridotta per le condizioni materiali veramente miserevoli nelle quali si è venuto a trovare. Dal 1907 al 1917 il De Sarlo ha diretto la Cultura Filosofica, una Rivista che ebbe un programma ben definito e, specie nei primi anni, fu vivacemente battagliera cosi contro il positivismo ormai declinante, come, e più, contro il risorgente idealismo. La sua operosità di studioso ha dispiegato con assiduità e intensità instancabile nel campo della psicologia, dell’etica, della filosofia generale, pubblicando poderosi volumi, ai quali specialmente noi ci riferiremo nella esposizione e caratterizzazione della sua filosofia. Il valore della sua opera ha avuto riconoscimento ufficiale nel premio Reale per la filosofia, conferitogli dall’Accademia dei Lincei, della quale egli è, dal 1921, socio nazionale. Elenchiamo qui le opere principali del De Sarlo, escluse le prime già citate che poi sono state rifuse nelle successive: Metafisica Scienza e Moralità. Studi di Filosofia morale. Roma, Balbi. Contiene: Il naturalismo Il telismo L’idealismo e la moralità Il socialismo come concezione filosofica Vita morale e vita sociale]. Studi sulla Filosofia contemporanea. Prolegomeni : La « Filosofia scientifica ». Roma, Loescher. Sarlo d’ordinario è presentato come un teista e uno spiritualista. Tale egli stesso ha sovente dichiarato esplicitamente [Contiene : Du Boys-Reymond, Helmholtz, Darwin, Il positivismo contemporaneo in Italia ]. I dati dell’esperienza psichica. Firenze, Pubblicazioni del R. Istituto di Studi Superiori, 1903, 1. voi. di pagg. 430 in-8. L’attività pratica e la coscienza morale. Firenze, Seeber. Principii di Scienza etica, con un’Appendice su La patologia mentale in rap- perto all’etica e al diritto. Palermo, Sandron, in collaborazione con Q. Calò). II Pensiero Moderno. Palermo, Sandron, 1 voi. di pagg. 410 in-8. [Contiene: a) Tre studi che possiamo dire introduttivi : La formazione della coscienza filosofica odierna Uno sguardo alla filosofia I compiti della filosofia nel momento presente. b) Altri tre studi che costituiscono come la parte centrale del volume, la più vasta per il contenuto che abbraccia e per l’estensione che ha: ! problemi gnoseologici nella filosofia contemporanea Lo psicologismo nelle sue principali forme; I diritti della Metafisica, nel quale ultimo specialmente sono sottoposti a un rapido e vigoroso esame critico i principali indirizzi della filosofia contemporanea. c) Altri quattro studi su particolari problemi o correnti filosofiche : Il significato filosofico dell'evoluzione [Filosofia e scienza dei valori Stillo spiritualismo odierno]. Filosofi del tempo nostro. Firenze, La «Cultura Filosofica» editrice, 1916. [Contiene studi su Paulsen, Hodgson, Ward, Bradley, Reitike, Hartmann, Zeller, Bonatelli]. Psicologia e Filosofìa. Studi e ricerche. Firenze, La « Cultura Filosofica » [Contiene: Alcuni studi di filosofia generale, importantissimi per la comprensione della posizione del De Sarlo nel campo filosofico, e della concezione dei rapporti tra filosofia e psicologia: Vecchia e nuova Psicologia  La psicologia e le scienze normative L’esperienza psichica L’individuo dal punto di vita psicologico Il soggetto La causalità psichica Sensazione e coscienza. b ) Due ampi studi di psicologia metafisica: Il concetto dell'anima nella psicologia contemporanea Idee metafisiche intorno all’anima Saggi contenenti la materia per un orgànico trattato sulle funzioni psichiche : La classificazione dei fatti psichici L’attività conoscitiva  L’attività immaginativa Vita affettiva ed attività pratica, con i quali saggi è strettamente connesso un amplissimq studio intorno a Le determinazioni formali della vita psichica, e più particolarmente all'azione dell’esercizio e dell'abitudine su tutte le funzioni fisiologiche e psichiche. (Appartengono a questo gruppo altri saggi minori.- Sulla teoria somatica delle emozioni Sullo studio dei sentimenti nella psicologia inglese contemporanea - Sulla percezione delle forme). d) Studi di psicologia fisiologica e patologica: Cervello e attività psichica  L’attività psichica incosciente  Sulla psicologia della suggestione Le alterazioni della vita psichica  La psicologia degli animali]. di essere. E tale, certo, egli si rivela nei suoi scritti, dai più antichi ai più recenti. Ma, è da aggiungere subito, non è data così la caratteristica più saliente della sua figura di pensatore: sfugge a quella designazione gran parte, e forse la più significativa, della sua opera filosofica; viene, comunque, lasciata cosi nell’ombra quella concezione della filosofia e del metodo di filosofare che, meglio d’ogni altro elemento, vale a individuare la sua posizione personale nel movimento filosofico italiano contemporaneo. Uno dei suoi primi lavori, anzi il primo veramente organico che l’ulteriore sviluppo del suo pensiero abbia lasciato immune da quelle rielaborazioni più o meno sostanziali cui, come abbiamo già detto, egli ha sottoposto altri suoi scritti di quel tempo, voglio dire il volume Metafìsica, Scienza e Moralità, è tutto una riaffermazione dei princìpi fondamentali della dottrina teistica cosi contro il naturalismo come contro l’idealismo assoluto. La concezione di Dio quale Ragione che si esprime continuamente ed eternamente nel mondo, e non come legge o ordinamento astratto, bensì come soggetto concreto e vivente, è in quel libro svolta e presentata come la sola concezione metafisico-religiosa, che, gravitando sulle esigenze morali più profonde della coscienza umana, sulla considerazione del valore assoluto della persona, contenga di queste esigenze il riconoscimento e la giustificazione più piena, e fornisca per ciò stesso il principio di quella sistematica unificazione di tutta la realtà, a cui la mente umana tende per sua natura, e in cui possono essere inverate le particolari connessioni di frammenti di realtà che le scienze della natura stabiliscono mediante le serie causali dei fenomeni. E tra gli scritti meno antichi, due saggi, dei più elaborati e ricchi d’idee, I diritti della Metafìsica (nel volume « Pensiero Moderno ») e Idee metafìsiche intorno all’anima (nel II voi. di « Psicologia e Filosofia »), giungono, attraverso l’analisi dei concetti di causa e di sostanza, alle medesime conclusioni teistico-spiritualistiche intorno a Dio e all’anima umana. Dio è la Causa prima, la causa che non è effetto, postulata qual condizione essenziale della comprensibilità di qualsiasi fatto particolare in quanto anello di una serie causale: causa la quale non può esser concepita, se non come analoga alla sola causa vera a noi nota, che è la nostra stessa volontà in quanto libera, in quanto costitutiva d’un cominciamento assoluto; non può quindi esser concepita se non come volere essa stessa, e quindi come causa finale. E Dio è la Sostanza Assoluta. l’Essere nel quale trova compiuto soddisfacimento l’esigenza del pensiero a cui risponde il concetto di sostanza: che è il concetto di essere che non è in altro nè per altro, ma è essere per sè, condizione e presupposto di ogni altra determinazione, principio e unità reale di ogni molteplicità. E anche per questo rispetto esso non può venir concepito se non in analogia con quella che è per noi l’espressione più immediata e genuina della sostanzialità, ossia la coscienza, che è appunto esistenza per sè, l’io che è immediatamente percepito come principio unico di una molteplicità di funzioni e di atti, in cui manifesta la sua realtà. E le sostanze finite possono anche esser considerate come pensieri di Dio, e quindi come atti di quest’Essere per sè per eccellenza, purché però l’atto e la funzione di Dio siano intesi come tali che il termine di essi abbia un essere almeno parzialmente indipendente e sia fornito della capacità di esistere per sè, di spontaneità e di libertà. Appunto queste proprietà degli esseri finiti rileva e illustra il De S. nel tentativo di determinare cosi l’origine come il destino delle anime. L’origine dell’anima la quale implica, per un lato, la produzione di qualcosa di nuovo e, per l’altro, la conformità a un ordine di leggi immutabile, può, secondo il De S., esser posta in rapporto con l’azione divina, purché questa s’intenda appunto come sostrato reale in cui ha il suo sostegno quell’ordinamento di leggi, per il quale, in date condizioni, nuovi fatti accadono o nuovi fini e valori vengono realizzati. E poiché quelPordinamento è eterno, anche delle anime può dirsi che esistono ab aeterno, come principi potenziali, i quali aspettano che i destini si maturino per poter divenire attuali. E una volta divenuti attuali, i centri reali di vita e di coscienza sono, secondo il De S-, indistruttibili, appunto in forza del pregio intrinseco che essi posseggono come sostanze: onde l'affermazione dell’immortalità di tutte le anime. È innegabile, dunque, che del problema metafisico per eccellenza il De S. presenta costantemente una soluzione conforme, nei suoi principii fondamentali, al teismo e spiritualismo tradizionale. Ma bisogna subito aggiungere che nella trattazione di questo problema della realtà egli è sempre consapevole del carattere meramente congetturale di quella soluzione, quantunque questa gli sembri meno inadatta delle altre a dare dei fatti e della realtà conoscibile una certa quale interpretazione sistematica. Egli non si nasconde mai le oscurità che si oppongono alla piena intelligibilità dell’Assoluto: non dissimula le antinomie tra le quali la ragione umana si dibatte ogni volta che pretende di dare della realtà ultima una definizione esauriente. E’ troppo persuaso dello scarso valore dimostrativo che possono avere le analogie in base alle quali noi trasportiamo dal finito all’infinito o estendiamo da una ad altra sfera di realtà i nostri concetti, perchè si possa credere che egli s’illuda sulla portata effettiva di quelle ipotesi, anche se l’intimo convincimento suo della preferibilità di quelle ad altre ipotesi dia talora alla sua trattazione un tono che può parere alquanto dommatico. Le riserve prudenziali che spesso interrompono la sua trattazione di tali problemi potrebbero anzi indurre a ritenere ch’egli sia in fondo un agnostico in fatto di metafisica: ed egli non disdegnerebbe certo questo epiteto, se per agnosticismo s’intende la persuasione che il mistero dell’universo è e rimarrà ineluttabilmente un mistero per la mente umana. Agnosticismo, che ben si concilia in lui con la fede questa, si, veramente dommatica nel senso migliore delia parola con la fede sulla validità assoluta dei princìpi razionali, con l’affermazione che nel fondo della realtà è la Ragione : si concilia, perchè, data appunto l’ind'pendenza relativa delle coscienze finite dall’Essere assoluto di Dio, possono da ognuna di quelle essere colti soltanto frammenti della razionalità in cui questo si rivela come immanente all'universo. È uno dei caconi della maniera di filosofare del De S. questo, che l’esigenza dell’unità, la quale è essenziale alla ragione e si esprime nel suo grado più alto nella posizione del problema metafisico, non può e non deve essere sodisfatta con l’eliminazione delle differenze che la realtà presenti e la ragione stessa riconosca come irriducibili, anche se non riesca poi facile o possibile alla mente umana stabilire come questa molteplicità irreduttibile possa esser ricondotta o comunque messa in relazione con quel principio reale di unità assoluta che è Dio. Cito due esempi caratteristici, relativi al concetto fondamentale di sostanza. Della sostanza, come s’è visto, noi abbiamo, secondo il D. S., una conoscenza immediata nell’apprensione del nostro io, in quanto questo è un essere per sè e si manifesta nei fatti psichici come in atti suoi, senza esaurirsi in nessuno di essi. Da ciò parrebbe lecito dedurre che il mondo sia costituito di sostanze omogenee, ossia di esseri che siano per sè come unità di coscienza, anche se tra le varie sostanze si debba stabilire una differenza di grado: parrebbe cioè giustificato il monismo spiritualistico. Invece il De S. dedica due saggi ad una critica stringente di questa soluzione del problema metafisico, che pur parrebbe la più conforme ai suoi supposti spiritualistici (// monismo psichico e Sullo spiritualismo odierno, nel volume « Pensiero Moderno »). È vero, egli dice, che tutto ciò che esiste, per il fatto che esiste, agisce in una data maniera, e noi non possiamo rappresentarci codesta attività che facendo uso di nozioni attinte alla nostra esperienza intima, e che quindi in ultimo siamo sempre spinti a identificare l’esistenza con una forma, per quanto attenuata, di psichicità. Ma l’analogia non deve far perdere di vista le profonde differenze esistenti se non altro tra il modo di comportarsi degli obietti e fatti costituenti la natura esterna e quello degli esseri e processi psichici. Anzi, per il De S., a rigore non basterebbe opporre al monismo, sia esso materialistico o immaterialistico, il dualismo : sarebbe più logico parlare di pluralismo senza aggettivi, esprimente una pluralità di energie e di attività tanto differenti tra loro,' che a rigore non possono essere accomunate nè sotto la rubrica spirito né sotto qualsiasi altra rubrica. Come e perchè esista quel dato numero di principii, cornee perchè esistano quelli e non altri, non è possibile dire: è un fatto che va constatato, e non si può e non si deve spiegare; come vanno indagate, constatate e descritte le varie maniere di agire e reagire reciprocamente di questi vari esseri, ma non si può presumere di spiegare, nel vero senso della parola, come e perchè si stabilisca la connessione reciproca di tali esseri che sono esistenti per sè, sebbene nelle maniere speciali di agire e reagire essi affermino e rivelino la loro esistenza. Ma vi ha di più: la sostanza vivente e, più in particolare, la sostanza psichica esiste ed agisce in quanto si sviluppa. Ora uno dei saggi più penetranti del De S. (Il significato filosofico dell'evoluzione, nel volume « Il Pensiero moderno ») è dedicato all’analisi del concetto di evoluzione, ed è uno dei più significativi per dimostrare come nella concezione metafisica del De S. si conciliino un temperato razionalismo e un prudente agnosticismo. Il concetto di evoluzione, lungi dall’essere come vuole, ad es., l’hegelismo un principio esplicativo, e lungi dal dare un’espressione compiuta della realtà ultima, ha bisogno esso stesso di venir reso intelligibile. E l’analisi critica di tal concetto rivela la presenza in esso di vere e proprie contradizioni, che non possono essere eliminate se non considerando lo sviluppo non già come il prius della realtà, ma come qualcosa di accessorio e di secondario. Il processo evolutivo, mentre implica necessariamente il tempo, esige l’illusorietà del tempo; mentre vuol essere creazione, implica già la preesistenza del termine a cui arriva; si può leggere in esso, almeno post factum, la rispondenza a un ordine razionale, ma chi dice razionalità, dice estra- temporaneità. Ogni evoluzione implica dunque qualcosa di assoluto, di perfetto, di stabile, che rappresenta il principio vero dell’evoluzione. Ecco il risultato, positivo, certo, cui conduce l’analisi del concetto di evoluzione: ma è una certezza che fa sorgere nuovi interrogativi: allora, ci si domanda, come e perchè i reali concreti e finiti sono cosi fatti da dover attuare i fini solo mediante il processo evolutivo, come e perchè l’ordine si realizza per gradi e attraverso lo sviluppo? Il che equivale a domandarsi come e perchè esistano esseri finiti che si trovano con l’assoluto in quegli speciali rapporti. E a questi interrogativi non è possibile rispondere: ed ecco come, conclude il De S., l’evoluzione è un aspetto del « my- sterium magnurn » della realtà. Il problema dell’evoluzione reale conduce al problema del tempo, e come questo resulta dalla connessione del flusso con la permanenza, della successione con la durata, così l’evoluzione poggia sul rapporto del divenire o variare con ciò che è immutabile, permanente e eterno. Compito df;fa filosofia, dunque, di fronte al problema più propriamente metafisico sembrerebbe essere, per il De S., quello di rendere chiare e in un certo senso acuire e dimostrare insuperabili, piuttosto che superare, le difficoltà che quel problema offre alla mente umana; di illuminare i limiti di essa, piuttosto che additarle un varco alla conoscenza piena dell’Assoluto. Ma non è questo, per il De S., l’unico compito della filosofia: o meglio, per assolvere questo stesso compito, per condurre la mer*e umana appunto a queste posizioni che sono al margine del mistero, a queste che possono dirsi frontiere della conoscenza umana, e per dimostrare che sono frontiere invalicabili, la filosofia deve, secondo il De S., percorrere il dominio stesso che innanzi alla conoscenza si stende, di qua da quelle frontiere: ed è il dominio dell’esperieza nel senso più pieno e più ampio di questa parola. Prima della « Dialettica trascendentale » e quindi prima della Critica della Ragion pratica con i suoi postulati, vi è e vi deve essere una « Estetica » e una «Analitica», per servirci della terminologia usata da Kant, a designare un atteggiamento di pensiero analogo, per questo rispetto, a quello criticistico, anche se, come vedremo, muova da supposti e segua un. procedimento e giunga a risultati profondamente diversi. L’attività filosofica del De S. ha avuto sempre, sin dalle sue prime manifestazioni, un’impronta di positività, disdegnosa di ogni audacia speculativa, derivante così dalla tempra del suo spirito come dalla sua educazione scientifica, oltre che dal convincimento del valore nullo di ogni concezione che non sia un portato necessario della critica della conoscenza positiva e non abbia quindi una larga base empirica. Ma questo convincimento, si può dire, si è venuto in lui sempre più radicando col maturarsi del suo pensiero, sino a divenire il motivo fondamentale sempre più insistente del suo filosofare; sì che con questa designazione appunto di filosofia dell'esperienza egli ama contrassegnare la sua dottrina e il suo metodo, in recisa opposizione alla speculazione idealistica dei neo hegeliani, che si è andata sempre più affermando in Italia. Si direbbe che il diffondersi di quell’antiempirismo dialettico ch’egli considera un vero « contagio » delle menti, l’abbia indotto ad accentuare sempre più la necessità di ricorrere a cautele immunizzatrici, in un contatto sempre più stretto, e più esclusivo, della filosofia col sapere empirico; di ricondurre la filosofia, come in rifugio sicuro, in quei confini entro i quali essa possa mantenere il carattere di scienza, essere, ai pari delle altre scienze, un prodotto dei processi logici comuni della mente umana, anziché l’espressione mistica o lirica che sia, notevole quanto si voglia per novità e originalità, ma non suscettibile d’una dimostrazione razionale l’espressione, dicevo, di una coscienza e quasi d’un temperamento individuale traverso il quale la realtà si rifranga. E inaugurando, nello scorso ottobre, l’ultimo Congresso italiano di filosofia a Firenze, giunse alle affermazioni estreme che le attuali condizioni della cultura filosofica in Italia esigono un più o meno lungo periodo di astinenza dall’alta speculazione, e che non il problema filosofico, quello metafisico intorno alla natura della realtà ultima e assoluta, ina / problemi filosofici particolari, o meglio questi prima e con più fiducia e anzi con più sicurezza di successo che quello, e come condizione per la stessa impostazione non che per ogni tentativo di soluzione di quello, meritano di essere oggetto dell’indagine filosofica. Ma con ciò, si può osservare, non è stato sacrificato proprio quello che è il carattere distintivo del sapere filosofico rispetto alle scienze particolari, e che è appunto la determinazione della relazione dei distinti, il riferimento della molteplicità delle distinzioni a un principio unitario? Il De S. risponde che la filosofia è aspirazione alla unità dell’Essere, senza che perciò il filosofo debba trasformarsi in un allucinato dell’unità. La varietà e la inconciliabilità dei tentativi compiuti nella storia della filosofia per unificare i reali e-le conoscenze e per dedurre la complessità dei fatti da un unico principio, sta a dimostrare, secondo lui, che all’unificazione si giunge colmando con l’immaginazione le lacune della conoscenza certa e dimostrabile. Gli si può replicare con l’obiezione consueta, che la vanità di quei tentativi risulta dall’aver cercato la unità nell’oggetto invece che nel soggetto, nella natura (o in Dio, che è lo stesso) invece che nello Spirito. Ma il De S. ribatte che anzi appunto attraverso quel riferimento degli oggetti al soggetto conoscente, appunto attraverso quella unificazione, diremmo, metodologica e gnoseologica, di tutto il reale nell’io che è propria del sapere filosofico —, si rivela la irriducibilità, diremo, ontologica degli oggetti e dei valori. Infatti, per il De S., se da un lato la filosofia non può non scindersi in una molteplicità di discipline, fondate su principii irriducibili (essere e valere, p. es.), dall’altro lato queste hanno caratteri comuni, che valgano a fare di esse appunto un unico gruppo, quello delle disciplini; filosofiche. E questi caratteri comuni sono: I) determinazione dei concetti universali, attraverso i quali la realtà può essere razionalizzata; 2) riferimento di tutta la realtà allo spirito del soggetto, in cui e per cui l’esperienza in ogni sua forma si costituisce. Due caratteri, questi, che sono per il De S. strettamente uniti e come interdipendenti: perchè le idee universali ossia le nozioni metafisiche fondamentali intanto assurgono a quel grado di fecondità per cui rappresentano i mezzi di razionalizzazione della realtà, in quanto o sono il risultato della giustii.jata estensione a tutta la realtà di concetti che abbiamo direttamente appreso nella coscienza (sostanza, fine, causa), ovvero sono il prodotto della riflessione sui modi in cui la realtà diviene intelligibile e acquista consistenza nella mente umana. Lo spirito, in quanto termine comune di riferimento di tutti gli elementi e fatti della realtà, viene ad occupare una posizione centrale nel mondo, e la psicologia, come scienza dello spirito, costituisce il terreno di incontro delle diverse discipline filosofiche. Si è detto, la psicologia come scienza dello spirito : e di questa determinazione v’è bisogno per non cadere nei facili equivoci cui può dar luogo la parola psicologia o psicologismo. Già nei 1903, nel suo poderoso volume I dati dell'esperienza psichica, il De S. insisteva sulla profonda differenza esistente tra la psicologia come scienza empirica e la psicologia coinè scienza filosofica. La prima, quale si è venuta costituendo negli ultimi decenni, studia l’anima umana come un « obietto» tra gli altri obietti della natura, ha aspetto e procedimento di una scienza naturale e non mira che alla spiegazione causale dei fenomeni. Per essa la vita psichica è un complesso di « stati » di coscienza: i quali, sì, implicano tutti una certa coscienza dell’io (in maniera che per il De S. non è possibile una psicologia « senz’anima », anche se sia psicologia empirica): ma il soggetto non è còlto, da questa, in funzione, ossia nella sua attività tendente a determinati scopi. Si tratta di una considerazione statico di dati, a cui il concetto di atto è necessariamente estraneo; di una considerazione che tende a fissare i rapporti condizionali dei vari ordini di stati psichici e a ridurre il complesso al semplice. La psicologia empirica deve quindi limitarsi all’«analisi morfologica» della coscienza, escludente qualunque funzionalità e quindi qualunque dinamismo. Ora « lo spirito dice il De Sarlo (p. 412) non è una cosa tra le altre cose, ma è il mezzo di rivelazione della realtà. Come tale lo spirito è universale: universalizza sè stesso nelle sue funzioni ed universalizza per ciò stesso l’obietto a cui è rivolta la sua attività ». Ecco perchè lo spirito può considerarsi come in una posizione centrale rispetto a tutte le cose: e la scienza che lo studia, ossia la psicologia come “ fisiologia „ dello spirito, è necessariamente scienza filosofica. Nella considerazione funzionale dello spirito s’impone il concetto di valore e quindi di fine. Le funzioni dello spirito mercè i loro atti oggettivano i dati e stati soggettivi; perchè sono determinazioni che qualificano, sì, il soggettò, ma lo qualificano in rapporto all’oggetto, e danno quindi luogo a ciò che è universalmente valido, a quelli che sono i valori oggettivi. La verità, il bene, il bello non sono dei dati o dei fatti: sono degl’ideali, sono appunto valori, distinti da ogni altro valore unicamente soggettivo per questo carattere, che sono forniti di una speciale necessità che è la necessitàdi diritto ben diversa dalla necessità di fatto degli stati psichici. Quest’ultima denota soltanto che uno stato è inevitabilmente determinato, nella sua insorgenza, da certe condizioni, una volta che queste siano date, cioè siano determinate da altre condizioni, e così via; denota cioè che uno stato o un fatto psichico ha sempre la sua ragione d’essere in altro. Ma è indifferente al valore di quello stesso stato o fatto, se per valore s’intende ciò che ha la ragion d’essere in sè e non in altro ossia un valore incondizionato e assoluto, ciò che deve essere anche se le condizioni dell’essere non sussistano e quindi la realtà non sia ad esso adeguata. La necessità psicologica abbraccia indifferentemente nella sua spiegazione così il valore come il disvalore, così il vero, il bello, il bene, come l’errore, il brutto, il male. Una tale distinzione di valore, come distinzione obiettiva e universale, non si può avere se non mediante il riferimento alle leggi costitutive delle funzioni originarie ed essenziali dello spirito, leggi non meccaniche, superiori anzi al meccanismo psichico, perchè essenzialmente teleologiche, indicanti cioè la maniera in cui quelle funzioni agiscono ogni volta che raggiungono il termine che è costitutivo della loro natura spirituale, leggi rivelanti la loro natura attraverso una forma di evidenza che è indizio della loro necessità e universalità. Le leggi logiche e gnoseologiche definiscono la natura del pensiero, le leggi etiche quelle della volontà, le leggi estetiche quelle della fantasia. Sono principii o assiomi i quali significano che il pensiero, il volere e la fantasia in tanto meritano veramente questo nome e in tanto raggiungiamo il termine che ad esse è proprio, in quanto si esplicano nel senso indicato da quelle leggi piuttosto che in altro senso. La distinzione tra psicologia empirica, come scienza dell’anima morfologica, naturalistica e la psicologia come scienza dello spirito funzionale e filosofica, così nettamente affermata dal De S. nell’opera su citata del 1903, è forse stata successivamente attenuata in altri scritti, nel senso che, a suo giudizio, la conoscenza del meccanismo psichico risulta utile alla determinazione dei modi in cui lo spirito si eleve al di sopra di esso r e reciprocamente la conoscenza dei fini dello spirito è indispensabile per l’apprensione esatta del meccanismo che serve di mezzo al raggiungimento di t'°i. Ma l’attenuazione si riferisce ai rapporti tra le due considerazioni dell’anima e non elimina con ciò la distinzione. E comunque il De S. non ha mai cessato di differenziare nettamente ed energicamente il suo psicologismo da quello naturalistico, che considera i valori dello spirito come « o applicazioni di leggi psicologiche già operative in altre direzioni, ovvero particolari, originarie manifestazioni dell’attività psichica, le quali però attingono il loro significato dall’essere effetti necessari di certe cause psichiche o risultati inevitabili di processi mentali naturali, e non già dal rispondere a certi fini od esigenze valide anche se non mai realizzate». Si leggano specialmente, in proposito, i saggi Lo psicologismo nelle sue principali forme (nel voi. < Pensiero Moderno »), Vecchia e nuova psicologia, La psicologia e le scienze normative, e La classificazione dei fatti psichici (nel I voi. di « Psicologia e Filosofia. Lo psicologismo del De S. non è dunque naturalismo, ma non è neppure immanentismo: offre anzi a lui il mezzo per affermare e dimostrare, contro ogni forma d’idealismo immanentistico, il suo realismo gnoseologico. Se nella determinazione di ciò che è l’essere e, in genere, di ciò che è oggetto di conoscenza, il De S. ritiene di dovere attenersi ai criteri generali su esposti del suo psicologismo, non è già perchè egli ritenga che la psiche e i processi psichici costituiscano la stessa realtà, anzi lo stesso essere, ma è solo in considerazione delle prerogative che, in ordine alla conoscenza, sono proprie dell’esperienza psichica di fronte ad ogni altra forma di esperienza. E queste prerogative sono due: 1) innanzi tutto la così detta esperienza estèrna si rivela e acquista consistenza sempre attraverso l'interna, perchè ciò che è direttamente percepito, anche in quelli che sono comunemente detti oggetti esterni, è sempre il contenuto d’un atto psichico; l’esperienza interna presenta la nota dell’evidenza (evidenza di fatto) derivante dalla coincidenza del percepire col percepito; e perciò l’esperienza psichica rappresenta il vero fondamento per la constatazione di qualunque esistenza reale, e quindi di ogni sapere empirico. 2) In secondo luogo, l’esperienza psichica è il solo tramite attraverso il quale tutto ciò che è (reale o pensabile che sia), l’essere in generale ci si può rivelare. L’io distinguendosi da tutta la realtà traspare a sè medesimo, e insieme tutta la realtà diviene trasparente attraverso di esso. Nulla esiste che sia propriamente nell’io, tranne l’io stesso, e insieme, in un certo senso, nulla di cui si può discorrere esiste al di fuori dell’io, perchè la cosa, per essere affermata e riconosciuta, deve in qualche maniera esser presente alla coscienza. In questo consiste ciò che si può chiamare funzione rappresentativa della mente. Ma proprio da questo carattere essenziale alla mente il De S. deriva la necessità di affermare la trascendenza dell’oggetto rispetto alla mente che lo afferma e lo pone. Noi, egli dice, arriviamo, è vero, al concetto di essere e di obietto solo mediante la riflessione sull’atto di riconoscimento: ma questo in tanto è tale, in quanto è provocato da qualcosa di diverso da sè. La mente, non contenendo la realtà come tale, nè identificandosi con essa, non può giungervi se non attraverso qualcosa che rappresenti o sostituisca la realtà medesima. Le rappresentazioni mentali forniscono i segni in base a cui l’intelletto costituisce la realtà. La realtà, si può anche direche sia « percipi « e « intelligi », purché con ciò non si voglia significare che l’essere si esaurisca nel fatto di essere percepito e inteso, ma solo che non si ha modo di definire quest’essere prescindendo dalle sue rivelazioni nella coscienza individuale. La conoscenza vale sempre per altro, si riferisce sempre ad altro. Non che si tratti di una specie di corrispondenza tra l’obietto trascendente e la rappresentazione mentale come grossolanamente si ritiene da molti critici di tale concezione —, quasi fosse ammissibile un’apprensione dell’oggetto qual’è in sé al di fuori della coscienza e quindi un confronto tra la Cosa e 1 idea- L affermazione della trascendenza è imposta dal bisogno di dare un senso alla funzione conoscitiva qual’è còlta in atto, al fatto conoscitivo nel suo significato e nell’intendimento che lo anima. Certo, per il De S., non si deve con Jiò pregiudicare la soluzione del problema metafisico della costituzioile intima della realtà ultima. La metafisica può anche giungere alla conclusione che la realtà, divelta da qualsiasi rapporto con la coscienza, è un non senso, che tutto ciò che esiste, esiste in quanto è connesso con una coscienza. Ma questo rapporto metafisico non può essere identificato col rapporto gnoseologico tra obbietto e coscienza in quanto conoscente. La coscienza nel riferimento alla quale può farsi consistere la realtà di tutto ciò che è, non è certo la coscienza individuale del soggetto che conosce questa realtà e la conosce riferendola a sé come altro da sè: anche quando si sia ridotta metafisicamente la realtà a coscienza, tale coscienza rispetto al soggetto conoscente, a questo o quel soggetto, è sempre un reale, un oggetto, è sempre appresa da esso come altro da sè. Il quale ultimo punto non potrebbe essere negato se ì.'in dimostrando che la distinzione delle singole coscienze è illusoria e che i rapporti tra gli obietti costituenti l’universo sono identici ai rapporti tra i fatti psichici di ciascuno. Questa dimostrazione, per il De S., non può essere data: e ne vedremo il perchè, tra poco, a proposito della natura del soggetto come reale. E, comunque, allo stesso modo che la soluzione del problema gnoseologico non deve accogliersi come tale da contenere o assorbire in sè la soluzione del problema metafisico, cosi questa che, d’altronde, può essere solo punto d’arrivo dell’indagine filosofica, e irta, come s’è già detto, di difficoltà e oscurità d’c^ni sorta —, non può e non deve pregiudicare la soluzione del problema gnoseologico, sino a eliminare ciò che è costitutivo del fatto della conoscenza, la dualità di soggetto e oggetto. L’esperienza psichica l’abbiamo già detto è, per il De S., costituita di atti : e perciò anche il pensiero è atto. Ma chi dice atto, dice qualcosa che accade nel tempo, qualcosa che sorge e si dilegua in un determinato punto della durata. E allora, secondo il De S., non si può sfuggire a questo quesito: se tutta l’esperienza psichica si risolve in un complesso di atti e se in conseguenza tutto ciò che può essere conosciuto non lo può che attraverso atti, come é possibile arrivare al concetto di ciò che non è atto, al concetto, poniamo, di una relazione universale e necessaria tra idee, com'è possibile arrivare al concetto del mondo della pensabilità, che esclude qualsiasi elemento di efficienza, di azione reale, e che non è nel tempo? Appunto per rispondere a questo quesito, occorre negare l’immanenza o l’inclusione dell’oggetto nell’atto psichico corrispondente. Mentre vi sono contenuti di coscienza i quali si moltiplicano come si moltiplicano i centri di coscienza, ve ne sono altri che, pur essendo in speciale rapporto con i primi, rimangono unici e anzi non sono concepibili che come unici. E anche quando agli obietti in quanto parvenze non è attribuibile nessuna consistenza reale, non è lecito affermare che essi si identifichino con gli atti stessi, giacché anche in tali casi è sempre necessario presupporre ddle condizioni indipendenti atte a provocare l’esplicazione dell’attività psichica riconosciuta poi come illusoria. L’esistenza di siffatte condizioni è un presupposto ineliminabile : o l’attività psichica ch’esse hanno provocata è adeguata alle condizioni medesime, e allora si è autorizzati a identificarle con obietti reali, aventi un’esistenza indipendente; o tale esplicazione è inadeguata, e allora s’impone la necessità di ricercare quale forma di realtà e di esistenza possa essere attribuita a quelle condizioni. Ma come si può decidere se vi sia o no adeguazione dell’atto all’oggetto? Qui il De S. insiste sulla distinzione tra i due ordini di oggetti conoscibili: gli obietti concreti e individuali (con le loro qualità) da una parte, e gli elementi ideali o intelligibili, dall’altra. L’esistenza è fornita sempre dall’esperienza: o è dato sensoriale, o è dato della coscienza, e non può non occupare tempo ; l’intelligibile, invece, è sempre formulabile per mezzo di un rapporto o di un complesso di rapporti, ed è estraneo alle vicende del tempo. E il fondamento della cognizione, in rapporto a questi due ordini di obietti, è da un lato la percezione dei fatti psichici e di ciò che è relativo ad essi, e dall’altro la conoscenza di certi principii e assiomi costituenti come l’ossatura della ragione; da un lato, cioè, l’evidenza di fatto, fornita, come si è già accennato, dalla diretta esperienza che abbiamo di noi stessi, e, dall’altro, la necessità razionale, qual’è còlta nei principii logici. Questa distinzipne, però, non è da intendere, secondo il De S., nel senso che l’apprensione dell’esistente e della sua qualità possa farsi indipendentemente dal pensiero logico. Il fatto individuale non è caratterizzabile che mediante nozioni universali; e 1 intelligibile, se può essere considerato per sè (astratto) solo per opera della mente, è tanto intimamente connesso (consubstanziale) con resistente, col puro fatto, che questo non può formare oggetto di conoscenza se non per ciò che contiene di inttj ligibile. È il pensiero che deve in certo modo investire di sè i dati'dell’esperienza psichica per og- gettivarli affermandoli, facendone cioè termini di atti giudicativi, e trasformarli così in reali conosciuti. Più in particolare, è il pensiero che fa di quella sfera dell’esperienza psichica che è la sensibilità, il tramite di una realtà trascendente la coscienza, e fa delle qualità sensoriali non soltanto contenuti psichici aventi la realtà stessa di altri contenuti psichici, come sentimenti, volizioni ecc., aventi cioè resistenza che è propria degli stati o atti di quel prototipo di realtà individuale che è l’io —, ma fenomeni d’una realtà trascendente. Il pensiero pone e risolve il problema della realtà di un correlato obiettivo delle q alità sensoriali, in quanto da un Iato queste non sono meri contenuti di coscienza o creazione del soggetto come dimostrano la coerenza e permanenza che presenta l’esperienza sensibile e le variazioni a cui questa può andar soggetta indipendentemente da qualsiasi rapporto con la coscienza individuale ; e dall’altro lato non sono cose in sè come dimostra la loro relatività alle condizioni subiettive, per cui è impossibile dire chiaramente in che cosa consistano, per sè prese. D’onde risulta che esse hanno una forma di esistenza speciale che è appunto l’essere proprio dei fenomeni. Ora questo correlato obiettivo delle qualità sensoriali può essere raggiunto solo per opera del pensiero e non è determinabile nei suoi tratti essenziali che in base ai principii razionali. Il pensiero rappresenta, pertanto, il solo mezzo per distinguere l’apparenza dalla realtà, anzi il solo mezzo per attribuire un significato a tale distinzione. Le parvenze sensoriali, i puri fenomeni e le forme intuitive dello spazio e del tempo non possono non essere constatati, e quindi come pseudo-esistenze, non possono non divenire obietti di conoscenze immediate, nella forma di giudizi percettivi (pensiero tetico, immediato, concreto). E quando i dati così affermati si trovino in contrasto col sistema delle conoscenze organizzate intorno ai principii razionali, il pensiero medesimo è chiamato a decidere in ultima istanza su ciò che va affermato come reale e ciò che va riguardato come apparenza, è chiamato a decidere intorno all’obbiettivo e al subbiettivo. Se già l’esistenza come tale esige, secondo il De S., l’intervento del pensiero logico, s’intende che anche l’essenza del reale non possa, e con più forte ragione, esser determinata che dal pensiero. Essa consiste in relazioni, nelle quali la mente traduce ciò che dapprima è soltanto sperimentato e vissuto (somiglianza e differenza, nesso di dipendenza, rapporti quantitativi, rapporti di azione e passione, rapporti spaziali e temporali atti a fornire le coordinate per l’individuazione). L’intelligibile, distrigato dal reale per mezzo dei processi intellettivi, finisce per assumere l’ufficio di segno rispetto a ciò che è posto come indipendente dal soggetto e come sussistente. E il progressivo sviluppo della conoscenza è determinato dal bisogno di fissare ciò che nella realtà vi ha di conforme alla ragione e quindi di assimilabile da essa mediante la traduzione della realtà stessa in rapporti razionali. La credenza che l’obietto sia sempre risolubile in elementi intellettuali è il presupposto e anzi l’anima di qualsiasi conoscenza. La realtà esistente, dunque, non può essere posta che dal pensiero in quanto giudizio tetico; e non può essere conosciuta nella sua struttura se non nella misura in cui il pensiero la traduce in un complesso di rapporti intelligibili. Ma e con ciò il De Sarlo riafferma il carattere nettamente realistico del suo razionalismo i termini di questi rapporti e il contenuto di quelle « tesi » non sono risolvibili in pensiero.Vi è sempre distinzione, secondo il De S., tra lo sperimentare e il pensare, nel senso che quello non è derivabile da questo, anche se non possa divenire sperimentare «obiettivo », e quindi conoscere, che per mezzo dell’attività del pensiero; vi è distinzione tra il pensiero come oggetto di conoscenza, come pensabile o pensato, e il pensiero come attività d’un soggetto, volta a raggiungere la verità sia questa un dato di fatto o un’idea —, come pensiero pensante. È questa la natura dei rapporti, il cui complesso costituisce la pensabilità del reale: da un lato essi sono il risultato di atti (riferimento) compiuti dal soggetto, sì che, come tali, parrebbero immanenti a una mente e quindi il prodotto di un soggetto. Ma dall’altra parte IL REALISMO PSICOLOGISTICO 139 non sono posti arbitrariamente; sono, più che suggeriti, imposti da esigenze obiettive. Nè l’inlelligibiiità dei rapporti viene ad essere facilitata dal riferimento di essi ad una Mente universale. Con ciò i rapporti vengono consideratifcome creazione arbitraria di tale Mente ? E allora ogni analogia di questa con la mente umana verrebbe ad essere cancellata, e il ricorso ad essa diverrebbe inutile allo scopo. Vengono, invece, i rapporti considerati come espressione di una necessità intrinseca alla natura delle cose? E allora la Mente universale non è che il nome per esprimere la coerenza logica, l'intelligibilità nel suo aspetto obiettivo; i»/telligibilità che può condurre la mente ad ammettere un’Intelligenz.l! assoluta, senza che però questa sia assunta a principio esplicativo della razionalità: la razionalità vale per sè, indipendentemente dall’essere insidente in una mente. Quel che noi possiamo dire, conclude in proposito il De S. t è che i rapporti, quali possono essere studiati dall’intelletto finito individuale, suppongono obietti (termini) nella cui proprietà hanno il loro fondamento, e che le relazioni, realizzate in questa o quella coscienza mediante gli atti di riferimento, sono il riflesso delle relazioni obiettive. Il problema gnoseologico, s’è visto, non può, secondo il De S., essere convenientemente trattato se non quando si tenga presente che il soggetto a cui, nel fatto conoscitiva, vien riferito l’oggetto, è il soggetto individuale; e la soluzione réalistica ch’egli ha dato al problema potrebbe essere compromessa esclusivamente nel caso che si fosse riusciti a dimostrare, in sede metafisica, non solo che la realtà non può esser resa intelligibile che quando sia considerata come il pensiero di una Mente Universale, ma anche che la distinzione delle coscienze individuali tra loro e dalla Mente Universale sia illusoria. La dimostrazione di questo secondo punto è per il De S. impossibile. Intanto l’aver riconosciuto che l’esperienza psichica è costituita essenzialmente di atti, non significa per il De S. affermare che il soggetto dell’esperienza psichica si risolve in null’altro che in un complesso di atti. È il concetto e l’esperienza stessa di atto che rinvia per necessità al concetto di soggetto come di un reale distinto da ogni altro reale e quindi da ogni altro soggetto. Certo, non è possibile determinare la natura del soggetto (unità reale) senza riferirsi agli atti ch’esso compie: ma alla variabilità degli atti non corrisponde la variabilità dell’unità del soggetto. L’individuo non può non aver coscienza di essere in rapporto con altro da sè per mezzo di atti da sè stesso compiuti; ma se esso non distinguesse sè (come principio degii atti) dagli atti stessi, e questi dagli obietti a cui gli atti sono rivolti, non potrebbe parlare di atti suoi numericamente distinti da quelli degli altri individui. Inoltre il soggetto si fa, si crea con i suoi atti, ma perchè possa farsi e crearsi, occorre che vi sia un principio reale, un dato iniziale e quindi qualcosa di già fatto. La creazione non è ex nihilo; e la stessa potenzialità o capacità è concepibile soltanto come inerente a qualcosa di attuale, come funzione possibile di un essere. Non può, dunque, la coscienza essere ridotta al mero complesso degli atti e fatti psichici. Ma non può neppure, d’altra parte, sostiene il De S., confutando in svariatissime occasioni la tesi idealistica —, non può neppure essere ridotta a una mera equazione di pensante e pensato, alla pura relazione formale d’identità tra conoscente e conosciuto. L’idealismo afferma che la suicoscienza è il grado supremo dell’evoluzione d’un principio ideale, d’una legge, d’un universale; quello in cui la realtà, che negli stadi inferiori si presenta come scissa dall’idea, come essere distinto dal pensiero, come oggetto opposto al soggetto, rivela invece la sua più intima natura, che è appunto unità e identità di soggettivo e di oggettivo, di pensante e di pensato, di essere e di pensiero. Quest’affermazione è per il De S. risultato d’una confusione derivante dal significato equivoco della parola coscienza. Quando si parla di coscienza e di suicoscienza, egli dice, bisogna distinguere tra la suicoscienza vera e propria, fondata sulla capacità che ha l’io di ripiegarsi su se stesso e di percepire il complesso dei fatti psichici come incentrantisi in un punto; e la coscienza, in senso largo, come espressione dello speciale rapporto che può esistere tra l’oggetto e l’io come conoscente. Quanto alla prima, l’equazione di pensiero e di pensato non è che l’espressione, in termini intellettuali, d’una esperienza vissuta sui generis, di un fatto che può essere indicato ma non definito, perchè per sè preso oltrepassa il pensiero, e non può assumere carattere di necessità razionale. E quanto alla seconda, la identificazione dei due termini del rapporto conoscitivo non può ottenersi se non sostituendo all’io empirico il cosi detto io universale o coscienza in generale o io trascendentale. Ma osserva il De S., o con ciò s’intende quello che è comune alle menti individuali ; e allora non si vede come si possa distinguere il soggettivo psicologico dal soggettivo gnoseologico. 0 s’intende qualcosa che vale indipendentemente da questa o quella coscienza empirica, che esprime il modo come lo spirito deve operare perchè sia veramente tale, le esigenze dell’intelligibilità significanti veri e propri compiti impditi da ciò che è indipendente dal soggetto; e allora non v’è più ragione di parlare di io, di soggetto, quando la soggettività si è identificata/con la razionalità, con l’intelligibilità, che è anzi l 'oggetto della conoscenza e del pensiero pensante. Ma da tale concezione della coscienza come di categoria delle categorie, questo solo, secondo il De S., si ricava, che la realtà in tanto può essere conosciuta ed essere compenetrata dal pensiero, in quanto è concepita essa tessa come implicante pensiero. Il che poi significa che la realtà è fcosì fatta da imporre certe esigenze alla mente individuale, ossia che nell’obietto vi è qualcosa atto a provocare il riconoscimento. Ma il passaggio dalla intelligibilità in quanto esigenza del riconoscimento da parte del soggetto, alla riduzione della realtà a un processo di autocoscienza, all’affermazione che nella realtà stessa non si trovi niente di più di ciò che è in noi stessi quando giungiamo a identificarci e a riconoscerci, non è affatto giustificato. L’autocoscienza, piuttosto, è già nel fondo della realtà, indipendentemente da noi: non è dunque l’autocoscienza, quale si presenta negli individui singoli, l’espressione genuina e compiuta della realtà. Nè vale ammettere l’autocoscienza come potenzialmente esistente ab aeterno e attuantesi poi negli individui: si riaffaccia allora quella suprema difficoltà contro cui, come già si è accennato, urta sempre il pensiero umano, la difficoltà d’intendereA:ome da ciò che è puramente pensabile, ideale, estratemporaneo, uno, si passi a ciò che è reale, attuale, temporaneo, contingente, diverso, mutevole. Non è possibile considerare soggetti molteplici che sono nel tempo e hanno uno sviluppo e sono direttamente impenetrabili e incomunicabili, come determinazioni, differenziazioni o sezioni dell’Uno, sol perchè essi hanno il potere di superarci limiti del tempo idealmente e di elevarsi al mondo della pura razionalità. E una riprova di questo è l’esistenza dell’errore logico, etico, estetico che dimostra, come già si è visto, la possibilità d’una discrepanza fra le funzioni psichiche e le categorie o principii ideali, di qualunque ordine siano, tra la necessità psicologica e quella deontologica. Questa distinzione tra la necessità di fatto e la necessità di diritto, tra ciò che è ed è per opera di un soggetto reale e quel che dovrebbe essere in virtù di principii razionali, è il presupposto da cui, è naturale, muove più particolarmente il De S., nelle sue indagini di etica (per cui v. specialmente VAttività pratica e la coscienza morate e i Principii di scienza etica). Per lui tutta la vita morale ha il suo fondamento in certi principii valutativi che si rivelano alla coscienza come forniti d’evidenza immediata analoga a quella logica: veri e propri assiomi morali, la cui azione pervade le particolari contingenze della vita pratica. Compiti dell’Etica sono perciò questi: a) determinare la natura del- Vevidenza pratica (necessità e universalità) e- il contenuto di queste condizioni essenziali nella vita morale (e per il De S. tali principii si riducono a quelli della dignità e della perfezione personale, della giustizia e della benevolenza); porre in luce lo svolgimento storico di tali principii, in quanto, pur essendo stati sempre operativi, hanno dispiegato variamente la loro efficacia in relazione con il variare delle condizioni della civiltà; considerare tutte le istituzioni per qualunque via primamente sorte alla luce degl’ideali etici, come organi dell’attuazione di essi. II De S., nella trattazione di questi problemi, afferma l’autonomia dello spirito nel senso che il soggetto è tratto dalla sua stessa natura a dare l’assentimento a principii superiori al suo io empirico. Egli quindi ammette una forma di esperienza morale specifica e distinta da ogni altra forma di esperienza spirituale, scientifica, estetica, religiosa ecc. La specificità di questa esperienza è la condizione che rende possibile una scienza etica: della quale egli insiste nel rivendicare l’autonomia e la priorità rispetto a qualsiasi concezione propriamente metafisica. La Metafisica ha nell’etica una delle sue basi più solide e a tal principio è ispirato, come abbiamo visto, tutto il volume del De Sarlo "Metafisica, Scienza e Moralità „ ; ma nessuna teoria morale può, secondo lui, essere costruita alla luce di una determinata concezione generale dell’universo, piuttosto che sulla base dell’analisi dell’esperienza morale. Come si vede, di fronte al problema etico il De S. mantiene fermo quello stesso atteggiamento che abbiamo più particolarmente illustrato a proposito del problema gnoseologico di stretta aderenza all’esperienza, come tramite traverso il quale soltanto ci si rivela nella sua efficienza e nella pienezza del suo contenuto ciò è che universale e razionalmente necessario. A coloro che trovassero troppo modesto il compito cosi assegnato alla filosofia, il De S opporrebbe volentieri le parole che Kant scrisse all’indirizzo dei «metafisici» del suo tempo: «Il nostro disegno può mirare a costruire una torre alta fino al cielo: ma il materiale è appena sufficiente per una casa, spaziosa tuttavia abbastanza per le occupazioni nostre sul piano dell’esperienza e alta a sufficienza per abbracciare questa d’uno sguardo ». E comunque « le alte torri e i grandi metafisici simili ad esse, intorno a cui (sia le une che gli altri) generalmente spira molto vento, non sono fatti Der me. Il mio posto è la feconda bassura dell’esperienza. Dalla scuola di SARLO (si veda) usce A. (n. Palermo, professore di filosofia nell’Università di Napoli). A. inizia la sua attività di studioso con un saggio sulla misura in psicologia sperimentale, Firenze, R. Istituto di Studi. Nel campo specificamente FILOSOFICO, A. si afferma, oltre che con saggi minori e con l’attivissima sua collaborazione alla Cultura Filosofica di Sarlo, col saggio, “La reazione idealistica contro la scienza” (Palermo), che è una bella battaglia in difesa del valore della scienza contro tutte le forme d’intuizionismo, di prammatismo e d’idealismo assoluto, che tendono a svalutare i concetti scientifici. (cf. H. P. Grice, IL DIAVOLO DEL SCIENTISMO]. Il motivo centrale di questo saggio è che i concetti della scienza – e. g. psico-logia -- non sonò un impoverimento della realtà, ma un arricchimento del mondo dell’intuizione. Il concetto, infatti, non è nello schema convenzionale che serve a comunicarlo praticamente, e che per se stesso non ha certamente valore di realtà, ma nella sintesi di esperienze concrete che attraverso quello schema si realizza e nella quale l’intuizione si eleva ad una superiore potenza, inquadrandosi in un contesto più largo di relazioni, completandosi con altr’intuizioni che sfuggono alla veduta dell’attimo fuggitivo e ai nostri sensi limitati. Questo modo d’INTENDERE IL CONCETTO SCIENTIFICO, come processo d’integrazione dell’esperienza, che non sostituisce l’intuizione e non può mettersi al suo posto, ma la completa ed arricchisce, già nelle sue discussioni con CROCE (si veda), ora raccolte in L’estetica del Croce e la crisi dell’idealismo moderno, Napoli. A. contrappone alla teoria dello pseudo-concetto, con la quale Croce innesta nel ne^hegelianismo la dottrina di Mach intorno al valore puramente pratico ed economico dei concetti. E questo motivo di ri-vendicazione del valore teoretico della scienza è il nucleo che è rimasto costante nel pensiero d’A. anche quando dal teismo delle sue prime Linee d’una concezione spiritualistica del mondo, La Cultura filosofica, comparse poi come conclusioni della traduzione inglese del suo saggio La reazione idealistica contro la scienza (The Idealistic Reaction against Science, London) egli passa attraverso la crisi della guerra mondiale a una concezione pluralistica del mondo. Questa fase della sua filosofia, che comincia col saggio, La guerra eterna e il dramma dell’esistenza (Napoli) e si sviluppa e completa per la parte gnoseologica nei saggi La teoria di Einstein e le mutevoli prospettive del mondo (Palermo), Relativismo e Idealismo (Napoli), Il problema di Dio e il nuovo pluralismo (Città di Castello), è caratterizzata da un radicale sperimentalismo, il quale però sia per i principi! da cui muove e le conclusioni a cui arriva, sia specialmente per gli arditi procedimenti che segue, si allontana di parecchio dallo sperimentalismo di Sarlo, come è facile scorgere dalla esposizione che segue. La realtà, per A., è l’atto stesso di esperienza che ha due aspetti, distinti, ma sempre uniti, il soggettivo e l’oggettivo. Non posso aver coscienza di me senza distinguermi dal mondo e dalle altre persone. L’affermazione della mia individualità implica dunque l’affermazione degl’altri individui e del mondo, da cui mi distinguo. Non ha senso parlare d’un soggetto in sè o d'un oggetto in sè, nè di soggetti come monadi solitarie fuori di questa relazione. L’io e il mondo e le varie anime non esistono che nella sintesi concreta dell’esperienza, come momenti, distinguibili, ma inseparabili, del suo processo. Questa sintesi è, per A., l’unico vivente modello a immagine del quale possiamo costruire le altre attività reali che non ci son date all’intuizione immediatamente. E l’atto di esperienza col suo processo di unificazione e distinzione del soggettivo e dell’oggettivo, come dell’individuo e delle altre persone, col suo ritmo di concreta durata e la sua intuizione dello spazio concreto, è l’unica forma a priori, soggettiva ed oggettiva insieme. Le forme della nostra conoscenza, dunque, non sono pure apparenze; bensì le forme stesse della realtà che si svolge, essendo questa appunto il concreto processo dell’esperienza. Questo processo, per A., è inesauribile; non ha nè principio, nè fine. Non ha senso domandarsi donde sia derivata la esperienza. Ed è originaria la forma della sua distinzione nella pluralità degli individui; pluralità che non esclude, come abbiamo già detto, la concreta unità dell’esperienza, perchè nell’atto stesso in cui si coglie la distinzione, si coglie insieme indissolubilmente l’unità dei termini distinti. I soggetti d’esperienza son dunque originarli e imperituri nella loro eterna correlazione. Possono da una forma oscura di vita elevarsi a una forma più consapevole e chiara, o dalla luce della coscienza discendere nella penombra, ma non si estinguono mai, non cessano di essere e di agire come spontanee energie motrici del processo della realtà. Queste attività non sono originariamente coordinate al raggiungimento d’un fine, allo svolgimento di un piano razionale che si at- turi nella storia del mondo. La materia corrisponde alla fase in cui esse si urtano disordinatamente in continui conflitti, dirigendosi a caso per la loro spontaneità in tutte le direzioni. Statisticamente ne risultano medie costanti di azioni complessive delle masse; onde l’apparente inerzia e uniformità della materia. La vita dalle sue forme più semplici alle più complesse è il coordinarsi di quella attività a un fine comune, che si raggiunge provando e riprovando attraverso secolari esperimenti nell’evoluzione biologica e sociale. E l’armonia del mondo non è mai completa, ma si va ancora realizzando attraverso le più alte funzioni dello spirito: l’arte, la scienza, la religione e la filosofia, che sono tutte forme diverse per le quali la vita dell’individuo si integra progressivamente con la vita degli altri. E le sintesi più alte si raggiungono sempre con l’esperimento: non c’è nessuna teoria e nessun sistema che possa pretendere una giustificazione a priori: la dialettica è arbitraria e infeconda. Agli abusi logici dei neo-hegeliani l’Aliotta contrappone l’assoluto sperimentalismo della sua dottrina della verità. Il vero non è nella corrispondenza a un modello oggettivo, sussistente in sè; ma non è neppure nel processo puramente dialettico del pensiero. Una teoria è vera se le azioni da essa suggerite riescono a realizzare un superiore accordo delle nostre attività umane e delle altre innumerevoli energie operanti nel mondo. E questo criterio non vale soltanto per le teorie scientifiche, ma anche per i sistemi religiosi e filosofici che debbono sottoporsi anch’essi all’esperimento storico. Non vi sono categorie immutabili e definitive, nè nel mondo della natura nè in quello dello spirito. Tutte le forme di sistemazione sono provvisorie e relative. Non c’è una verità assoluta, ma gradi diversi di verità e realtà, secondo che realizzano forme più complete e integrali di vita d’esperienza. L’errore, il falso non è quindi neppur esso tale in senso assoluto; ma è una visione parziale, frammentaria, unilaterale rispetto a una veduta più alta e più comprensiva. Tutte le intuizioni individuali, tutte le varie prospettive sono vere e reali, ciascuna dal suo punto di vista; ma è più vera e reale quella che riesce a coordinarle in una visione più completa da un punto di vista più alto. E questo non esclude e cancella i punti di vista inferiori, ma in sè li comprende integrandoli; dimodoché il progresso verso i più alti gradi di verità è insieme un elevarsi a una maggiore ricchezza di vita. Nel nostro pensiero è la realtà stessa che si tormenta nello sforzo di attingere una superiore armonia. CALÒ (si veda) (n. Francavilla Fontana, in prov. di Lecce) è professore di pedagogia nell’Istituto di Studi di Firenze. Rivolse la sua attenzione dapprima ai problemi morali, ma con preferenza a quelli che più direttamente si connettono a problemi filosofici d’ordine generale e metafisico. Il suo primo lavoro importante, infatti, è quello intorno al Problema della libertà nel pensiero contemporaneo (Palermo, Sandron), che contiene un’analisi molto penetrante e un’ampia e sottile critica del contingentismo e del prammatismo e di altre correnti contemporanee come il neo-criticismo renouvieriano; e giunge all’affermazione del potere di libertà come attitudine propria dello spirito individuale, presupposto indispensabile della libertà etica; attitudine che si confonde con la stessa proprietà della coscienza di porsi come un io, cioè come centro assoluto indeducibile e irreducibiie d’ordinamento della realtà psichica e insieme d’energia produttrice di fatti. Altri lavori ha dedicato il Calò a esaminare particolari tendenze dell’etica moderna, come quello su l’ Individualismo etico nel sec. XIX, premiato dall’Accademia Reale di Napoli, un quadro vasto e vivace delle varie forme d’individualismo affermatesi non soltanto nella filosofia ma anche nella letteratura del secolo scorso. Di fronte ad esse il C., mentre afferma l’obiettività e universalità dei valori morali, riconosce insieme che questi non hanno esistenza concreta nè azione effettiva se non nella sintesi vivente della personalità, che è per ciò da porre come il valore etico supremo, come la sola realtà fornita d’intrinseco valore morale. Queste idee che, nei due citati lavori, costituiscono la conclusione o i principii ispiratori dell’esame critico di svariati indirizzi dell’etica contemporanea, furono poi sviluppate e sistemate, in forma di trattazione teorica della coscienza morale, nel volume Principii di Scienza etica (Palermo, Sandron), preparato insieme col De Sarlo e scritto dal C. In esso si illustra la specificità e l’immediatezza dell’esperienza morale attraverso la quale si rivelano i principii etici fondamentali, contro tutte le teorie che vogliono ridurre la necessità ideale a necessità d’altro genere  al che il C. ha dedicato anche altri scritti minori, tra cui notevole il saggio su L’in- terpretàzione psicologica dei concetti etici (in « Atti del Congresso di psicologia » Roma). Vi sono inoltre definiti nel loro contenuto gli oggetti-fini dell’attività umana, il cui va- ìore intrinseco è connaturato all’esperienza etica. Ed è dato infine particolare sviluppo all’evoluzione storica dei principii morali, la quale si fa consistere dal C.  come, l’abbiamo visto, dal De S.  nel successivo chiarirsi e purificarsi di quei principii da elementi extramorali o paramorali; nella loro più rigorosa e coerente esplicazione, resa possibile dallo sviluppo, oltre che della sensibilità e della discriminazione etica, della cultura e del pensiero ; nella successiva soluzione dei conflitti nei quali essi a volte vengono a trovarsi, e nello sforzo sempre meglio riuscito di armonizzarli in valutazioni sintetiche; nella estensione della loro applicazione a una sfera di realtà sempre più larga. Pur occupandosi di problemi etici, il C. non ha mancato di portare il suo contributo ad altri campi di discipline filosofiche (notevoli, p. es., i suoi studi sulla dottrina del Brentano intorno al giudizio tetico e intorno alla classificazione dei processi psichici, e parecchi saggi storici e critici sul Boutroux, sul Bergson, sull’Allievo, sul Naville, sul Ladd, ecc.). Da questi studi risulta che il C. è un seguace dello spiritualismo realistico, e concorda sostanzialmente, in metafisica e gnoseologia, con le idee sopra esposte del De Sarlo. Voltoli alla Pedagogia, il C. ha lavorato sulle medesime basi. In questo campo i suoi principali lavori sono: La Psicologia dell'attenzione in rapporto alla scienza educativa (Firenze, Tip. Cooperativa); Fatti e problemi del mondo educativo (Pavia, Mattei e Speroni); Il problema della coeducazione e altri studi pedagogici (Roma, Soc. ed. D. Alighieri); L'educazione degli educatori. (Napoli, Perrella); Dalla guerra mondiale alla scuola nostra (Firenze, Bemporad); per non citare i suoi scritti minori, specie di storia della pedagogia, come quelli sul Lambruschini e sul Rousseau, premessi ai volumi di questi autori, da lui stesso curati, nella Biblioteca pedagogica ch’egli di¬ rige presso l’editore Sansoni. Il valore e il carattere dell’opera pedagogica del Calò furono rilevati, con giudizio non sospetto, dal Codignola, che nel 1916 af¬ fermò essere Calò « il più serio avversario della pedagogia idea¬ listica in Italia » . Invero, il C., mentre ammette una filosofia del¬ l’educazione e ne riconosce la fecondità,' non crede peraltro, come l’idealismo sostiene, che la dottrina dell’educazione si riduca a filosofia. Vi sono metodi relativi allo sviluppo delle attività psichiche, sia in sè stesse sia in rapporto con quelle organiche, i quali non possono non essere ricavati direttamente dalla conoscenza della realtà psichica e delle sue leggi, quali si offrono all’esperienza e alla sperimentazione; vi sono norme educative che si ricavano dalla determinazione dei fini etici dell’attività umana, considerati in rap¬ porto al progressivo potere d’attuazione del fanciullo; vi sono in¬ fine tipi e norme didattiche che si ricavano dall’esperienza storica e da necessità storiche. Per il C., perciò, la pedagogia non può trovare la sua sicura costituzione e la sua vera fecondità di vedute e di applicazioni che in una concezione la quale, correggendo e integrando, riprenda la posizione herbartiana e consideri le leggi psicologiche in funzione delle finalità etiche. L’educazione è per lui pur sempre fatto essenzialmente spiri¬ tuale, che si distingue da ogni altra forma di sviluppo o di perfezio¬ namento in quanto vi collabora la libera attività del soggetto educando, e porta a un sempre più pieno uso della propria libertà e all’acquisto sempre più consapevole di valori intrinseci alla persona. Ciò che il C. nega è che l’azione educativa si definisca per questo solo rispetto e sussista indipendentemente da ogni forma di eteronomia: là dove i’eteronomia svanisce ovvero si riduce a pura materia della libera determinazione del soggetto, si ha l’attività etica strettamente intesa, non più il processo educativo. Per la tendenza a psicologizzare il metodo, l’educazione appare al C. come un processo di formazione nel quale le attività del soggetto e la forma valgono anche più dei contenuto, degli oggetti, della materia del sapere o dell’operare, e gl 'interessi, nel senso her- bartiano, sono le forze che si tratta di nutrire e di promuovere in  Kant nella storia della pedagogia e dell'etica, Napoli Nonostante ciò  o forse appunto per ciò —Codignola, facendo la storia della pedagogia italiana contemporanea (nel libro Monroe Codignola, Breve corso di storia dell’educazione, voi. II, Vallecchi, Firenz), si è contentato di accennare al Calò ponendolo accanto a G. M. Ferrari, come seguace di un «indirizzo spiritualistico eclettico»;  e questo raccostamelo come questa caratterizzazione sono stati poi echeggiati dal Saitta nel suo Disegno storico della educazione, Bologna, Cappelli. modo da creare la personalità più viva e compiuta e armonica. Perciò egli ha insistito sui diritti della cultura Jormale, senza peral¬ tro porre nel nulla il valore degli acquisti concreti (conoscenze e abilità), come vorrebbe fare un certo formalismo e subiettivismo pedagogico superficiale. Ha mostrato la rispettiva necessità e in¬ sostituibilità della cultura umana e storica e di quella realistica e scientifica. Ha rivendicato l'esigenza d’un’educazione religiosa, elementare e aconfessionale prima, storica poi nella scuola, confessio- sionale nella famiglia. Infine dalla legge della storicità come aspet¬ to essenziale dell’anima umana, egli deduce l'immanenza dell’idea di patria alla vita dello spirito e quindi alla sua educazione. Questa perciò non può, secondo il C., non essere nazionale, non può cioè non curare che ideali di cultura e di moralità traggano dalla tradi zione storica e dalla organizzata esperienza del fanciullo forma e colore che ne facciano, traverso le coscienze individuali, elemento di vita, di coesione, di prosperità della società nazionale. E perciò, in tutto quel che abbia riflessi e importanza per questo fine, l’istruzione, l’educazione, la scuolà non possono non costituire ufficio e dovere dello Stato, che è coscienza suprema, organizzazione unita¬ ria, garanzia conservatrice della vita della nazione. Alla luce di questa concezione il C. ha discusso  e non soltanto in sede scientifica, ma anche in Parlamento, dove egli ha seduto per due legislature  problemi concreti, come quello del¬ l’ordinamento della Scuola media, della preparazione magistrale, della riforma universitaria, dei rapporti tra scuola e famiglia, della coeducazione ecc., mostrando sempre lucidità e prontezza di visione dei termini essenziali di ogni problema e dei rapporti di esso con i principii dottrinari generali, calore vivace e penetrazione nelle proposte di soluzioni. Lamanna (n. a Matera, in Basilicata, professore di filosofia nell’Università di Messina) ha spiegato la sua attività nel campo della filosofia della religione, dell’etica, e della filosofia del diritto e della politica. Dopo alcuni studi minori sulle dottrine religiose dello Schleiermacher, del Pfleiderer e delle scuole sociopsicologiche più recenti, pubblicò un volume su La religione nella vita dello spirito, (Firenze, La «Cultura Filosofica» edit.,), nel quale, attraverso un ampio esame critico dei principali indirizzi di filosofia religiosa del sec. XIX, da Kant a Blondel e a James, si sforza di determinare quale è per lui l’essenza della religione, intesa questa essenza come il sostrato spirituale di tutte le forme storiche della religione, come il principio dinamico informante e determinante l’evoluzione della vita religiosa attraverso i secoli. Per il L. la religiosità è elemento essenziale e perenne della vita spirituale umana: è un’esigenza irriducibile alla coscienza dell’ideale (conoscitivo o estetico o morale), sebbene nella coscienza dell’ideale, o, meglio, nella coscienza dell’universalità e necessità dei valori costitutivi degli ideali immanenti allo spirito, essa trovi la sua radice. In ogni atto spirituale v’è la rivelazione, fatta a un’autocoscienza individuale, di qualcosa d 'assoluto (universalità e necessità dei prin- cipii della ragione, intesa questa nel suo senso più ampio) e, insieme, di qualcosa di relativo (elementi naturali, particolaristici e contingenti, nei quali l’universale e il necessario volta a volta si determina, ma sempre inadeguatamente). La natura stessa della razionalità, la quale o è tutto o è nulla, o è universale o è una fantasmagoria, determina nell’uomo l’aspirazione ad attuare pienamente in sè e ad estendere a tutto l’universo il dominio dell’Assoluto. Ma, d altra parta, la presenza del «relativo» dimostra per un lato che l’oggetto della razionalità, il vero, il bene, il bello è indefinito, e contingente e parziale e continuamente minacciato ne è, per l’attività umana, il possesso; e per l’altro lato che nella realtà v’è qualcosa che non dev essere, qualcosa di anormale, di opposto alla razionalità. Da questa situazione tragica lo spirito si libera mercè la credenza in Dio, come fondamento reale di quello che nell’uomo è ideale, che spiega, per una parte, la validità delle leggi ideali costitutive della razionalità, e garantisce, per l’altro, l’indefinita attuabilità di esse, nonostante l’inadeguazione ad esse della realtà empirica. Dimostrare come dall’esercizio stesso delle funzioni fondamentali dello spirito scaturisca necessariamente l’idea di Dio, nell’affermazione che quel che dev’essere è, quel che pér noi è soltanto un ideale, ha già la sua piena attuazione in una sfera trascendente di realtà, questo è il termine a cui tendono le dimostrazioni del volume del L. I problemi morali sono stati dal L. esaminati specialmente nei due volumi II sentimento del valore e la morale criticistica (Firenze,) e II fondamento morale della politica secondo Kant (Firenze), a cui si collegano studi minori, Il bene per il bene, L’amoralismo politico, L'esperienza giuridica, Il diritto correlativo al dovere nell’idea di bene. In quei due volumi si prende lo spunto dall’esame critico della dottrina Kantiana, rilevandovi il contrasto, così tra il principio dell’autonomia e le conclusioni rigoristiche dell’etica in generale, come tra le premesse idealistiche e democratiche e alcune conclusioni assolutistiche e realistiche della morale politica; e si dimostra che quel contrasto è conseguenza necessaria del formalismo nella determinazione dell’ideale e del pessimismo nella considerazione della realtà, inquanto, ipostatizzata la legislazione autonoma nella volontà in sè e nella respublica noumenon, Kant vede nella realtà individuale e sociale null’altro che inclinazioni al male e giuoco meccanico di passioni. Da questi rilievi e dimostrazioni di carattere storico il L.. prende occasione per affermare la necessità di un tramite che, eliminando il dualismo tra l’ideale e il reale, renda possibile la compenetrazione di questo da parte di quello. E siffatto tramite egli trova nella caratteristica funzione della valutazione morale, rivelante con evidenza immediata oggetti della volontà forniti d’intrinseco valore (beni universali e necessari), nell’amore attivo per i quali si costituisce come valore supremo la personalità, e nella cui indefinita attuabilità attraverso il succedersi delle generazioni è posta la possibilità del progresso morale e della unificazione spirituale sempre più piena della specie umana. Alla luce di questo principio il L.: 1) riconduce nell’ambito della nozione di dovere —caratteristica dell’esperienza morale anche quegli elementi che in opposizione al rigorismo kantiano son posti in rilievo nella concezione morale dell’* anima bella» (Schiller e Fics), a proposito della quale egli fa un ampio esame dei rapporti tra la funzione etica e quella estetica. Illustra l’ordinamento giuridico come tecnica per l’ordinamento morale: confutando i tentativi di ridurre il diritto a qualche concetto estramorale, ne trova la radice nell’idea di bene morale e nella correlatività al concetto di dovere, in quanto l’idea di lecito scaturisce dalla coscienza della legittimità di respingere il limite e l’ostacolo  postoda altri individui all’attuazione di un bene conforme a un principio etico riconoscibile anche da questi ultimi: onde la conclusione che se il contrasto è occasione per l’insorgenza della coscienza del diritto, la sostanza ideale di questo è Varmonia, Y accordo-, e da questo punto di vista sono idealmente giustificati gli elementi empirici costitutivi della giuridicità (potere supremo e coattività). Afferma, infine, la sovranità della morale in politica, mostrando come, entro l’amb'to stesso di una rigorosa moralità politica, possano essere pienamente sodisfatte quelle esigenze alle quali l’amoralismo politico dà il massimo rilievo; e dimostra, rimettendo in valore alcuni elementi delle concezioni giusnaturalistiche, il valore deontologico e il concetto ideale di certe nozioni della coscienza politica moderna (come volontà generale, contratto originario, società dei popoli ecc.). BONAVENTURA (si veda), libero docente e incaricato di psicologia nell’Istituto di Studi Superiori di Firenze e assistente del De Sarlo nel Laboratorio di psicologia sperimentale, dopo alcuni scritti minori di psicologia e di logica, pubblicò un grosso volume su Le qualità del mondo fisico: studi di filosofia naturale (Firenze, « Pubblicazioni del R. Ist. di St. Sup. »,), in cui i dati della fisica, della chimica, della fisiologia non dirò solo che siano largamente utilizzati, ma costituiscono addirittura la base per la soluzione del problema, se sia o no possibile spiegare le differenze qualitative tra le diverse energie fisiche riducendole ad un unico tipo di energia: problema che il B. risolve in modo negativo, dimostrando che la riduzione delle molteplicità qualitative delle energie fisiche ad un’unica forma nel senso del meccanismo e di taluni indirizzi energetici, è illusoria. Posteriormente egli ha volto la sua attività più in particolare agli studi e alle ricerche di psicologia, compiuti, nel laboratorio diretto dal De Sarlo, coi metodi rigorosi propri della psicologia moderna; ma la ricerca psicologica sebbene abbia anche, per lui, un valore in sè stessa, come ricerca scientifica, e un valore sociale, per le sue applicazioni, è stata ed è sempre, nell’economia dal suo pensiero, il punto di partenza e di appoggio per salire verso la filosofia. Tra i problemi psicologici, oltre ad alcune questioni di metodo (come queile del valore dell’introspezione e- delle sue illusioni, a cui è dedicato il volume intitolato appunto Ricerche sperimentali sulle illusioni dell'introspezione, Firenze, 1915), quello che lo ha più attratto e su cui ha più lavorato, è il problema della percezione, concepita come elaborazione intellettuale dei dati sensoriali, e in ispecie della percezione dello spazio e del tempo: problema che da un lato connette la ricerca psicologica con concezioni d’importanza fondamentale per la fisica e per la matematica, dall’altra forma il punto centrale della teoria della conoscenza. Intorno a questo problema egli ha lavorato da vari anni, sia sottoponendo a revisione critica tutto il lavoro sinora compiuto sull’argomento, sia compiendo egli stesso ricerche sperimentali per chiarire quei punti che ancora gli sembravano non abbastanza illuminati. Alcune di queste ricerche (concernenti l’attività del pensiero nella percezione tattile dello spazio; i mezzi coi quali si stabilisce e i limiti entro i quali si contiene l’accordo tra dati spaziali visivi e dati spaziali tattili; le illusioni ottico-geometriche; l’importanza dei giudizi spaziali visivi nella psicofisica) sono state già pubblicate in Riviste di psicologia italiane e straniere; ma la somma di tutte le ricerche e di tutti gli studi costituisce un grosso volume già pronto, ma ancora inedito —, in cui il problema psicologico dello spazio e del tempo e le conseguenze filosofiche che ne scaturiscono, sono trattati in tutti loro asp. Antonio Aliotta. Aliotta. Keywords: esperienza, l’implicatura di Lucrezio, sacrificare, significare, sacrificare, guerra eternal. aliotta l’implicatura di lucrezio il filosofo di campagna la guerra eterna — sacrificare/significare — croce — il latinismo dello storicismo — galilei — vico – lucrezio -- epicureismo campano -- Refs.: Luigi Speranza, Grice ed Aliotta” – The Swimming-Pool Library.

 

Luigi Speranza -- Grice ed Allegretti: la ragione conversazionale e l’implicatura conversazionale della colloquenza – la scuola di Forlì –filosofia emiliana -- filosofia italiana – Lugi Speranza, pel Gruppo di Gioco di H. P. Grice, The Swimming-Pool Library (Forlì). Filosofo emiliano. Filosofo italiano. Forli, Forli-Cesena, Emilia-Romagna. Grice: “I love Alegretti; very Italian; imagine: after tutoring for a while on dialettica at Firenze,, he retires to Villa Allegretti, Rimini, where he philosophises ‘De propositionibus’ (sulle enunciate) as part of the Dialettica!”  Grice: “He was so proud of the meetings at his villa that he called it ‘our Parnassus’!” Grice: “Allegretti’s idea of the villa meetings was modeled after Plato who, with fewer means, met at the gym in theVIlla Echademo!” -- – cf. Raffaello, “Il Parnaso.” -- Stemma della famiglia Allegretti Coa fam ITA allegretti Blasonatura cuore d'oro su campo azzurr. Noto per aver fondato, secondo alcuni storici, la prima accademia letteraria d'Italia.  Fu figlio di Leonardo A., giudice a Forlì, di parte guelfa. Appartene ad un'antica e cavalleresca famiglia, il cui capostipite fu Mazzone A. (Mazzonius Alegrettus), che prende parte alla crociata in Terra Santa e per arma scelse un cuore d'oro su campo azzurro.  Legge filosofia a Bologna e Firenze.  Fonda la prima accademia con un gruppo di intellettuali: Calbolo, Orgogliosi, Sigismondi, Speranzi, Arfendi, Morandi, Aldrobandini, Aspini e A.. Per motivi politici, gl’Ordelaffi, signori di Forlì ghibellini, imposero il confino ai fratelli Si trasfere perciò a Rimini. Richiamato dall'esilio, coinvolto in una faida familiare degl’Ordelaffi, è nuovamente costretto a fuggire a Rimini, ove fonda una accademia, dei Filergiti – cf. Firlegito -- con vocazione insieme letteraria e scientifica.  La sua prosapia s'innestò negl’Aspini mediante una Margherita di Francesco A., che sposa un Lodovico, che è erede degl’averi e del cognome degl’A.. Si trova il seguito di questa famiglia nel senese e nel modenese (a Ravarino).  Note  Fonte: Valenti, Dizionario Biografico degli Italiani, riferimenti in. Il suo saggio principale e considerato il “Bucolicon”.  Ma scrive anche un epicedio per la morte di Galeotto I Malatesta, signore di Rimini; un carme al Conte di Virtù; un carme per la divisa della tortora; Eglogae, in latino; un carme sulla bissa milanese, cioè lo stemma dei Visconti, il biscione.Marchesi, Memorie storiche dell'antica, ed insigne Accademia de' Filergiti della città di Forlì..., Forlì, per Barbiani, Bonoli, Storia di Forlì scritta da Bonoli corretta ed arricchita di nuove addizioni, Forlì, Bordandini, Valenti, A. Dizionario biografico degli italiani, Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. A., Filosofi. Nasce a Ravenna, da Leonardo A., appartenente a famiglia guelfa di Forlì, in un anno da porsi tra quelli immediatamente precedenti il 1326. È supposizione abbastanza fondata (cfr. Massera) che legge FILOSOFIA nello studio bolognese. Lettore di DIALETTICA a Firenze. Benché se ne perdano poi le tracce, è indubbio che si trova da qualche tempo a Forlì quando e colpito, nella sua qualità di guelfo, dal bando d’Ordelaffi. Ma la fama di dottrina in filosofia che lo circonda e tale che egli e ben presto richiamato alla corte forlivese, dalla quale, però, dovette di nuovo fuggire per aver rivelato la congiura che Ordelaffi tramando contro suo zio. A. si rifugia a Rimini, dove e precettore di Malatesta. La sua villa e luogo di raccoglimento, di studio e, di dotti convegni, cui si compiace di dare il nome di Parnaso; donde la notizia, tratta dagl’annali forlivesi di Ravennate, secondo cui A. "Arimini novum constituit Parnasum", notizia ripetuta ed elaborata poi da vari scrittori nel senso, del tutto fantastico, che egli fonda già allora una vera e propria accademia. Ha rapporti abbastanza stretti con la corte viscontea. Muore a Rimini. A. gode di non piccola fama. Citato nel “De fato et fortuna” di Salutati, e in corrispondenza col Salutati di cui si ha una lettera a lui con unito un lungo carme latino, e con Loschi, del quale si conservano due epistole metriche (ed. in Massera) a lui dirette.  Fatta eccezione per un problematico trattato in prosa “DE PROPOSITIONIBVS”, attribuitogli da Cobelli nelle sue Cronache forlivesi (Bologna), tutte le opere d’A. di cui si ha notizia si riferiscono alla sua attività fantasiosa. Ci rimangono: un lungo carme a sfondo mitologico-pastorale intitolato Falterona, pieno di IMPLICATURE – o CONTORTE ALLEGORIE POLITICHE (Venezia, Bibl. Marciana); un componimento a carattere araldico-encomiastico dedicato a Visconti (ed. da  Novati in appendice allo studio Il Petrarca ed i Visconti in Petrarca e la Lombardia, Milano); un Epitaphium in onore di Malatesta (Milano, Bibl. Ambriosana); un carme Ad Ludovicum Ungariae inclitissimum Regem (Venezia, Bibl. Marciana). La sua fama, però, e legata soprattutto al “Bucolicon,” che Biondo, nella sua Italia illustrata (Basilea), giudica seconda soltanto alle Bucoliche di VIRGILIO e che Massera ha tentato con buoni argomenti di identificare in una raccolta di egloghe attribuita a Mussato. Ad A., infine, come opina Sabbadini, andano attribuiti i cosiddetti Endecasyllabi di Gallo, che egli ha, secondo la tradizione, scoperti a Forlì ma che, invece, molto probabilmente contraffa, credendo erroneamente che quel poeta e nativo di Forlì. Epistolario di Salutati, ed. Novati, Roma, in Fonti per la storia d'Italia, Sabbadini, Le scoperte dei codici latini, Firenze, Carrara, La Poesia pastorale, Milano, Massera, A. da Forlì, Atti e memorie d. R. Deput. di storia patria per le prov. di Romagna, Thorndike, A history of magic and experimental science, New York, Bertalot, L'antologia di epigrammi d’Abstemio nelle edizioni sonciniane, Miscellanea Mercati, Città del Vaticano. La stessa origine hanno le presunte accademie di Rimini e di Forli, che gli scrittori fanno fondare a A. da Mantova, uomo versato nella filosofia. Uno storico di Forli, Bonoli, appunto nelle sue Istorie della Città di Forlì? Dice. Strepita ancora di Forlivesi la fama d’A., FILOSOFO. Compone La Bucolica, che doppo quella di VIRGILIO non vede forse il mondo la più bella; tra le tenebre dell'antichità, manifesta molte compositioni del nostro Gallo, e in Rimini, ove poi ricovrossi, per schivar l'ira degl’Ordelaffi, erresse una fioritissima Accademia. La notizia passa indi nel proemio delle Leggi vecchie, di stinte in XII Tavole, dell'antica Accademia de’ Filergiti di Forlì e nuovi ordini-sopra essa Accademia, aggiungendovisi però oltre l'Accademia riminese anche un'Accademia in Forli, che e pure stata fondata d’A: l'Accademia dei Filergiti. A. – vi si dice – Filosofo illustre, non si contenta di esercitare in Forli sua patria virtuose sessioni, che ancora in Rimini, dove sbandito ricovrossi, er gette una nuova Accademia. Queste parole sono ripetute tali e quali da Malatesta nel L'Italia Accademica però nella parte ancora inedita di quest'opera che giace nella Gamba lunghiana, e dove si tratta appunto in particolare delle Accademie. Petrarcae Epistolae de Rebus Familiaribus et Variae, curate da FRACASSETTI, Firenze. Forli,  In Memorie storiche dell'antica ed insigne Accademia de'Filergiti della città di Forlì, Rimini. Ma anche qui si tratta di un abbaglio. Aspettando che maggior luce venga data in proposito in quella vita d’A., che Novati promette da parecchio tempo, basta notare che a base delle notizie circa queste due Accademie stanno le seguenti parole degl’Annales Forolivienses. Tempore ecclesiae Arces in his civitatibus factae sunt: Bononiae, Imolae, Faventiae et Forolivii. A. Forli viensis philosophus clarus agnoscitur, qui plures Endecasyllabos Galli civis Forliviensis poetae invenit et Arimini novum constituit. Par Quest'ultima parola e interpretata senz'altro per Accademia, a cui, come al solito, furono ascritti i personaggi principali del tempo, perfino Petrarca. Cfr. La Coltura letteraria e scientifica in Rimini di Tonini, Rimini; cfr. anche del medesimo: VitaeVirorum Illustrium Foroliviensium. Forli Cfr. Della vita e delle opere d’Urceo detto Codro di Carlo MALAGOLA. Bologna. Cfr.Epistolario di Salutati per cura di Novati, Roma, Rerum Italicarum Scriptores, Milano, di Rimini. Egli dice di più che l'Accademia fondata d’A. in Rimini si radunava in una sala del palazzo Malatesta, adornata dei ritratti dei filosofi più celebri,e che vi e ascritto anche il Petrarca. Marchesi dal canto suo circa l'Accademia fondata d’A. in Forli dice che costui lasciata da parte la se verità degli studi filosofici, ne'quali aveva spesi con molta gloria i suoi giorni, fraccolti in una degna Assemblea i filosofi più perspicaci, fa la memorabile fondazione, benchè senza nome particolare, regolamento ed impresa, invenzioni delle succedute età, ma col solo generico d’Accademia. Sono i suoi colleghi, o piuttosto discepoli Calbolo, Orgogliosi, Sigismo ndi, Speranza dei Speranzi, Arsendi, Morandi, Aldobrandini, Aspini e A., tutti illustri per sangue, ed assai più per l'affetto che professavano per la filosofia. Per le frequenti sessioni che, tenevano a porte aperte, e per gli ammaestramenti e saggi dati d’A, il fondatore, s'avanzarono molto i primi Accademici colla coltivazione della filosofia, sopra ogni altra scienza da essi tenuta in pregio. Esiliato poi A. da Forli, l'Accademia anda dispersa, eleraunanze vennero riprese solo nel secolo xv per opera d’Urceo. nasum DELLA TORRE Orbene si osservi che A. e in Rimini maestro di filosofia di Malatesta; e qual cosa più naturale che assieme al Malatesta si trovassero altri membri delle principali stirpi Riminesi? Epperò quel Parnasum va senza dubbio inteso per scuola di umanità e non già per Accademia nel senso che l'intendono gli scrittori su riferiti. Quanto poi all'Accademia di Forli, come osserva giustamente Tiraboschi, severamente e esistita, lo scrittore degl’Annales Forolivienses che nota il Parnasum aperto d’Allegretti in Rimini, ha a tanto maggior ragione notata un'Accademia. fondata in Forli, le cui vicende appunto egli si propone di narrare; ed invece nulla. Come alsolito, gli scrittori di cose forlivesi, che, interpretando Parnasum per Accademia credevano che A. fonda appunto un'Accademia in Rimini, sapendo che A. e anche a Forli, gliene fa fondare sen z'altro una anche in Forli, ascrivendovi come al solito quanti in quel tempo vi erano di filosofi insigni per ingegno e per cultura. E con questa mania, si andò tanto oltre, che si raggrupparono insieme perfino gli architetti del duomo di Milano per farne un'Accademia; la quale e cominciata mentre Visconti anda pensando di gettar le fondamenta del Duomo. Vi si sarebbe atteso a quella maniera di fabricare,che i moderni chiamano alemana. Avrebbe àvuto sede nella corte ducale compiacendosi in estremo quello stesso duca del fabricare e dell'udirne talvolta discorrere i maggiori architetti di que'tempi, che sono Giovannuolo e Michelino, da'quali sono ammaestrati i compagni di Bramante. Non occorre certamente fermarci piú a lungo per dimostrare l'assurdità di queste affermazioni. Basti il dire che questa volta a base di esse non sta il più piccolo dato di fatto. Cfr.ANGELO BATTAGLINO, Della corte filosofica di Malatesta Signore di Rimini in Basinii Parmensis poetae Opera prae stantiora. Rimini, e Lettera di Salutati a Malatesta in Epistolario di Salutati a cura di NOVATI, Roma. Velim igitur, simichicredideris, eum (Giovanni da Ravenna) decernas inter tuos recipere et in locum magistri tui, viri quidem eruditissimi, quondam A. et in eius provisionem acceptes et loces. Cfr. BORSIERI Il supplimento della Nobiltà ili Milano. Milano, e ZANON, Catalogo etc.iSi dia in proposito la più semplice scorsa alla prima parte di il duomo di Milano di Boito, Milano. Jacopo Allegretti. Giacomo Allegretti. Allegretti. Keywords: colloquenza, dialettica, villa, villa Allegretti a Rimini, Bucolicon, Andrea Speranzi, i filergiti, “De propositionibus”, scuola di Firenze, dialettica a Firenze, accademie italiane dall’A alla Z, Andrea Speranzi, il primo accademico italiano a Firenze. Refs.: Luigi Speranza, “Grice ed Allegretti” – The Swimming-Pool Library.

 

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