Luigi Speranza -- Grice e Catalfamo:
FILOSOFO SICILIANO, NON ITALIANO -- all’isola -- l’implicatura conversazionale
e la metafisica della libertà – scuola di Catania -- filosofia italiana – filosofia
siciliana -- Luigi Speranza (Catania). Filosofo
siciliano. Filosofo italiano. Catania, Sicilia. Grice: “I love Catalfamo; his
‘metaphysics of freedom’ is better than anything that soi-dissant Dame Mary
Warnock wrote on ‘existentialism’! Catalfamo, like most Italian philosophers,
take, as Strawson and I do, the concept of a ‘person’ seriously – indeed, so
seriously that he, along with a few other Italian philosopher, turn it into an
–ism: his is a critical personalism, though, best defined as an expansion from
scepsis to hope. Della
corrente del "personalismo storico o critico". Si laurea in Pedagogia e in Scienze
Politiche. Prima assistente volontario di Galvano Della Volpe (che definisce
unico filosofo a livello di Croce), poi discepolo di Vincenzo La Via (che si
era formato alla scuola di Gentile, del quale era stato assistente), e suo
collaboratore dal 1946, diviene libero docente, incaricato di Pedagogia e
infine ordinario di Pedagogia. Fonda e diviene direttore dell'Istituto di
Pedagogia all'Messina. Il suo pensiero
si snoda in quattro fasi: dell'epistemologo, del personalista storico ed
antidogmatico, dello scettico, dell'uomo di fede. La formazione filosofica (fu
Assistente di ruolo di Filosofia e scrisse sulla rivista "Teoresi",
fondata dai suo maestro La Via) traspare nel suo pensiero pedagogico,
concepito, e nel tempo modificato, all'insegna dell'apertura e dell'innovazione
anche didattica. Nel suo personalismo, che ha come principi critici la
storicità, la trascendenza e la problematicità "egli rintraccia nuovi
aspetti... e incomincia a fare i conti con la storia e le sue fenomenologie",
" il personalismo... lentamente ma inesorabilmente si qualificherà come
«storico; la persona assume una significanza fenomenologica di unità... in
costruzione", "Catalfamo collega l'esserci e il farsi della persona
al flusso della realtà oggettiva, nel doppio senso: nell'influenza e
stimolazione di questa verso quella e della trasformazione della realtà
oggettiva ad opera della persona". "L'uomo come soggetto agente
impedisce che l'esperienza sia un limite, cerca di oltrepassarla vedendo in essa
quello che non è e quello che potenzialmente è. La persona, dunque, è una
realtà trascendente". L'aspetto problematico del suo pensiero, infine, fa
riferimento alla "posizione stessa della persona, la quale, costituita
nell'esperienza, è radicata nella problematicità di essa, perché "il mondo
per la persona è sempre un problema, così come un problema è il suo essere nel
mondo". C. è stato fondatore e
direttore della rivista "Presenza" assieme al prof. Gianvito Resta;
fondatore e direttore di "Prospettive pedagogiche". Prorettore
dell'Messina. Gli è stata conferita dal Presidente della Repubblica, la
Medaglia d'oro al merito della Scuola, della Cultura, dell'Arte. La Giunta del
Comune di Messina gli ha intitolato un tratto di strada nei pressi
dell'Università, all'Annunziata alta. Più recentemente, a Messina, si è tenuta
una solenne cerimonia, nel corso della quale è stata scoperta una targa
commemorativa, che riporta una sua rilevante riflessione, e gli è stato
intitolato un Istituto Comprensivo. Altre
opere: Kant, Lezioni di pedagogia, Ed. Messina Empirismo pedagogico e
filosofia, "Teoresi", anno IV, nn.1-2 Pedagogia e Filosofia,
"Biblioteca dell'educatore", AVE, Milano Marxismo e Pedagogia, Avio,
Roma Il fondamento della pedagogia. Disegno di una pedagogia personalistica, Sessa,
Messina Personalismo pedagogico, Armando, Roma La pedagogia contemporanea e il
personalismo, Armando, Roma L'educazione fondamentale, Armando, Roma I
fondamenti del personalismo pedagogico, Armando, Roma La pedagogia dell'idealismo
(corso universitario), Providente, Messina Elementi di psicopedagogia e
pedagogia sperimentale (corso universitario), Providente, Messina Storia della
pedagogia come scienza filosofica, Barbera, Firenze Criteriologia
dell'insegnamento: la didattica del personalismo, Bemporad Marzocco, Firenze
Personalismo senza dogmi, Armando, Roma Giuseppe Lombardo Radice, Ed. La
Scuola, Brescia La pedagogia marxista sovietica (in collaborazione con
Salvatore Agresta), Edizioni dell'Istituto, Messina La filosofia contemporanea
dell'educazione, Istituto di Pedagogia, Messina Compendio di psicopedagogia e
pedopsichiatria (in collaborazione co Vitetta), Parallelo 38, Reggio Calabria
L'individualizzazione dell'insegnamento (in collaborazione con Agresta),
Peloritana editrice, Messina Lo spiritualismo pedagogico, EDAS, Messina
Introduzione alla psicologia dell'età evolutiva (in collaborazione con L.
Smeriglio), A. Signorelli Editore, Roma Ideologia e pedagogia, EDAS, Messina La
pedagogia del personalismo storico, EDAS, Messina L'ideologia e l'educazione,
Peloritana, Messina Aspetti della socializzazione, Peloritana, Messina Le illusioni
della pedagogia, Milella, Lecce Fondamenti di una pedagogia della speranza,La
Scuola, Brescia L'educazione politica alla democrazia, Pellegrini Editore,
Cosenza Educazione della persona e socializzazione, EDAS, Messina Preliminari
ad una dottrina dell'apprendimento, Catalfamo e il personalismo critico. "Nuove
Ipotesi" D.U.E.M.I.L.A., Palermo. Il personalismo Catalfamo, Accademia Peloritana
dei Pericolanti. Di qui appunto si può anticipatamente scorgere, che le
difficoltà più profonde incluse nel concetto di liberta, si potranno
risolvere coll’ idealismo in sè preso, tanto poco quanto con qualunque
altro sistema parziale. L’ idealismo invero porge, della libertà,
da un lato il concetto più generale, dall’altro quello meramente formale.
Ma il concetto reale ’e vivente è, che essa consista in una facoltà
del bene e del male. Questo è il punto della difficoltà più
grave, che, in tutta la dottrina della libertà, è stata da lungo
tempo avvertita, e che tocca, non solo questo o quel sistema, bensì, più
o meno, tutti 1 : nel modo più spiccato di cerio il concetto
dell’immanenza; poiché, o si ammette un male reale, e allora è
inevitabile collocare il male nell’ infinita sostanza o nell’ originario
volere stesso, con che si distrugge interamente il concetto di un essere
perfettissimo; o bisogna negare in qualche maniera la realtà del male,
e con ciò svanisce insieme il concetto reale di libertà. Non minore è
l’intoppo, anche se intendiamo nel modo più esteso la relazione tra Dio e
gli esseri mondani; poiché, dato pure che essa venga limitata al
cosiddetto concursus, o a quella necessaria cooperazione di Dio all’ agire
delle creature, che dev’ esser accettata grazie alla essenziale
dipendenza loro da Dio, anche se vuoisi del resto affermare la libertà:
in tal caso però Dio apparirà innegabilmente come cooperatore del male,
giacché il permetterlo in un essere in tutto e per tutto dipendente non
vai meglio che il contribuire a produrlo; o anche qui, in un modo o
nell’altro, dovrà esser negata la realtà del male. La proposizione che
tutto il positivo della creatura venga da Dio, anche in questo sistema
dev’essere affermata. Ora, se si ammette che nel male vi sia al- Schlegel
ha il merito di aver fatto valere questa difficoltà specialmente contro
il panteismo nel suo scritto sugl’ Indiani e in parecchi luoghi; ma è a
deplorare soltanto che quest’ acuto erudito non abbia creduto opportuno
comunicare la sua propria veduta sull’ origine del male c sul suo
rapporto col bene. cunchè di positivo, anche questo positivo
deriverà da Dio. Qui si potrà opporre: il positivo del male, in
quanto positivo, è bene. Con ciò il male non viene a sparire, benché non
venga neppure spiegato Infatti, se ciò che nel male sussiste' è bene,
donde mai nasce ciò, in cui questo sussistente è, la base, che forma
propriamente il male? Tutta diversa da quest’affermazione (sebbene
spesso, anche di recente, confusa con la prima) è 1’ altra, che nel
male, in ogni caso, non vi sia nulla di positivo, o, per usare
un’espressione diversa, che esso non esista affatto ( neppure con e in un
altro elemento positivo), ma che tutte le azioni siano più o meno
positive, e che la differenza tra loro consista in un semplice plus o
minus di perfezione, con che non si stabilisce alcuna opposizione,
e però il male svanisce interamente. Sarebbe questa la seconda
possibile ipotesi in rapporto alla proposizione, che tutto il positivo
scaturisca da Dio. Allora la forza, che si mostra nel male, sarebbe
sì, al paragone, più imperfetta di quella che appare nel bene, ma,
considerata in sé, o fuori del paragone, sarebbe una perfezione pur sempre, la
quale dunque, come ogni altra, dev’ esser derivata da Dio. Ciò che
noi in tal caso chiamiamo un male, è solo il minor grado di perfezione,
il quale però solo per il nostro bisogno di comparazione appare
come difetto, mentre nella natura non è punto. Che questa sia la vera
opinione di Spinoza, non è possibile negare. Qualcuno potrebbe tentare
di sfuggire a quel dilemma, rispondendo: che il positivo derivante
da Dio sarebbe la libertà, la quale è in se stessa indifferente verso il
male e il bene. Ma, se egli concepisce questa indifferenza, non in
modo puramente negativo, bensì come una Nel testo: « Seietide. vivente e
positiva facoltà di determinarsi al bene e al male, non si vede come da
Dio, che vien considerato come pura bontà, possa mai seguire una
facoltà di eleggere il male. È evidente da ciò, per dirla di passaggio,
che, se la libertà è realmente quel che in conformità di questo concetto
deve essere (ed è immancabilmente), non si può essa giustificare con la
già tentata derivazione della libertà da Dio; poiché, se la libertà è
un potere di far il male, essa dovrà avere una radice indipendente
da Dio. Così incalzati, si può esser tentati di gettarsi in braccio al
dualismo. Ma questo sistema, se dev’ esser concepito effettivamente
come la dottrina di due principii opposti e tra loro indipendenti, non è
se non un sistema del suicidio e dello sconforto della ragione. Se poi il
principio cattivo è pensato come dipendente in un certo senso dal
buono, tutta la difficoltà della derivazione del male dal bene è certo
concentrata in un solo essere, ma viene così ad essere accresciuta
anziché diminuita. Anche supponendo che questo secondo essere fu
dapprincipio creato buono e per propria colpa si staccò dall'essere
originario, resta sempre inesplicabile in tutti i sistemi, che si
son avuti finora, la prima facoltà di un atto di ribellione a Dio.
Perciò, anche se noi finiamo col sopprimere, non solamente l’identità, ma
ogni legame degli esseri mondani con Dio, considerando la loro esistenza
attuale e quella del mondo con essa come un allontanamento da Dio, la
difficoltà è solo spostata di un punto, ma non tolta. Infatti, per potere
scaturire da Dio, essi dovevano già esistere in un certo modo, e non si
potrebbe menomamente opporre al panteismo la dottrina
dell’emanazione, presupponendo essa un’originaria esistenza delle cose in
Dio e quindi naturalmente il panteismo. A spiegare quell’ allontanamento,
si potrebbe solo addurre quanto segue. O esso è involontario
da parte delle cose, ma non da parte di Dio: e allora, siccome esse da
Dio furono gettate nello stato d’ infelicità e di malizia, Dio è 1’
autore di un tale stato. O è involontario da ambe le parti, cagionato
forse da esuberanza dell’ essere, come alcuni affermano: rappresentazione
insostenibile affatto. O è volontario da parte delle cose, uno svellersi
da Dio, dunque la conseguenza di una colpa, alla quale segue una sempre
pivi profonda caduta: e allora questa prima colpa è già per se stessa il
male, e non dà alcuna spiegazione dell’ origine di esso. Senza un tale
espediente poi, che, se spiega il male nel mondo, estingue viceversa, e
interamente, il bene, e invece del panteismo introduce un pandenionismo,
svanisce precisamente nel sistema dell’ emanazione ogni proprio contrasto
di bene e male; il Primo, si perde per infiniti gradi intermedii, mediante
un graduale attenuarsi, in ciò che non ha più alcuna parvenza di
bene, suppergiù allo stesso modo in cui Plotino, 1 con sottigliezza
bensì, ma senza lasciar appagati, descrive il transito del bene
originario nella materia e nel male. Invero, da un costante processo di
subordinazione e di allontanamento, vien fuori un Ultimo, di là dal quale
il divenire è impossibile, e questo appunto (ciò che è incapace di
produrre ulteriormente) è il male. Ovvero: se qualche cosa è dopo il
Primo, dev’ esserci anche un Ultimo, che del Primo non ha più nulla in
sè, e questo è la materia e la necessità del male. Dopo tali
considerazioni, non sembra giusto rovesciare tutto il peso di questa
difficoltà su di un solo sistema, specialmente se ciò che di più
alto si pretende di opporgli, è così poco soddi1 Ennead. I. L. Vili, c.
8. sfacente. Anche le generalità dell’ idealismo non ci
possono dare qui alcun aiuto. Con dei concetti lambiccati di Dio, come /’
actus purissimùs, del genere di quelli che stabiliva la filosofia antica,
o di quelli, che la moderna cava fuori pur sempre, con la
preoccupazione di tenere Dio a gran distanza dall’ intiera natura, non si
riesce a nulla di nulla. Dio è qualcosa di più reale che un semplice
ordinamento morale del cosmo, ed ha in sè ben altre e ben più vive forze
motrici di quelle che P arida sottigliezza degl’ idealisti astratti
gli attribuisce. L’orrore per ogni realtà, quasi che lo spirituale
possa contaminarsi in ogni contatto con essa, deve naturalmente produrre
anche la cecità per l’origine del male. L’idealismo, se non ha per
base un realismo vivente, diviene un sistema altrettanto vuoto e lambiccato,
quanto il leibniziano, lo spinoziano, o qualunque altro sistema
dogmatico. Tutta la nuova filosofia europea dal suo principio (con
Descartes) ha questo comune difetto, che la natura non esiste per essa, e
che le manca un vivo fondamento. Il realismo dello Spinoza è pertanto
così astratto, come l’idealismo del Leibniz. L’idealismo è l’anima della
filosofia; il realismo n’ è il corpo; solo tutti e due insieme fanno
un tutto vivente. Il secondo non può mai offrire il principio, ma
bisogna che sia la base ed il mezzo, in cui quello si realizza, prendendo
carne esangue. Se ad una filosofia manca questo fondamento vivo, il
che d’ ordinario è segno che anche il principio idea'e aveva
originariamente in essa una debole efficacia: essa verrà a perdersi in
quei sistemi, i cui distillati concetti di aseità, modificazioni
ecc. stanno nel più acuto contrasto con la forza vitale e la
pienezza della realtà. Dove poi il principio ideale è fornito davvero e
in alta misura di forza operativa, ma non può trovare una base di
conciliazione e di mediazione, produrrà un torbido e selvaggio entusiasmo,
che finirà nella macerazione di se stessi, o, come accadeva ai sacerdoti
della dea Frigia, nell’ evirazione, la quale in filosofia si compie
abbandonando la ragione e la scienza. È parso necessario
incominciare questo trattato con la giustificazione di concetti
essenziali, che da lungo tempo, ma in particolare ultimamente, sono
stati ingarbugliati. Le osservazioni fatte sinora debbono perciò considerarsi
come semplice introduzione alla nostra indagine vera e propria. Noi
l’abbiamo già dichiarato: solo con i principii d: una vera filosofia della
natura si può svolgere quella veduta, che dà completa soddisfa
zione al tema che ci proponiamo. Noi non neghiamo perciò che una tale esatta
veduta sia stata già da lungo tempo anticipata da alcuni
intelletti. Ma erano anch’ essi appunto quelli, che senza temere gli
epiteti ingiuriosi di materialismo, panteismo ecc., usuali da un pezzo contro
ogni filosofia realistica, cercavano il principio vivente della natura,
e, in contrapposto ai dogmatici ed agl’idealisti astratti, che li respingevano
come mistici, erano filosofi naturali (nell’ uno e nell’altro
senso). La filosofia naturale dei nostri tempi ha per la prima volta
introdotta nella scienza la distinzione tra l’essere, in quanto esiste, e
l’essere, in quanto è semplice fondamento di esistenza. Tale distinzione
è vecchia quanto la prima esposizione scientifica di essa. 1 Nonostante che
proprio in questo punto essa diverga nel modo più reciso dalla via
di Spinoza, pure in Oermania si è poiuto fin adesso affermare che i suoi
principii metafisici siano tutt’uno con quelli di Spinoza; e sebbene quella
distinzione appunto porti nello stesso tempo la più recisa Si veda nella
Zeitschrift tur spekul. Physik Bd. II, Heft 2, § 54 nota, inoltre nota 1
al § 93 e la spiegaz. a p. 114 [S. 203). distinzione della natura
da Dio, ciò non ha impedito che la si accusasse di confondere Dio con la
natura. Poiché sulla medesima distinzione si fonda la presente ricerca,
sia detto quanto segue a fine d’ illustrarla. Non esistendo
nulla prima o fuori di Dio, conviene che egli abbia in se stesso il fondamento
della sua esistenza. Cosi dicono tutti i filosofi; ma essi parlano
di questo fondamento come di un puro concetto, senza farne alcunché di
reale e di effettivo. Questo fondamento della sua esistenza, che
Dio ha in sé, non è Dio assolutamente considerato, cioè in quanto esiste;
poiché esso non è se non il fondamento della sua esistenza, esso è
la natura in Dio; un essere inseparabile, è vero, ma pur distinto da lui.
Questo rapporto si può chiarire analogicamente con quello tra la
forza di gravità e la luce nella natura. La forza di gravità precede la
luce, come suo eternamente oscuro fondamento, il quale per se stesso non
è actu e si dilegua nella notte, mentre la luce (l’esistente)
sorge. 11 suggello, sotto cui essa è chiusa, non è sciolto interamente
neppur dalla luce. ' Appunto perciò essa non è nè l’ essenza pura
nè l’essere attuale dell’ assoluta identità, ma non fa se non seguire
dalla sua natura; o essa è, considerata in altri termini nella potenza
determinata: poiché del resto, anche ciò, che relativamente alla forza di
gravità appare come esistente, in se stesso poi appartiene al fondamento,
e la natura in genere è pertanto ciò che rimane di là dall’essere
assoluto dall’identità assoluta. 3 Per quanto del resto concerne quella
precedenza, essa non è a concepirsi nè come precedenza di tempo, nè
come priorità di essenza. Nel circolo, da cui ogni cosa deriva, non v’ è
alcuna contradizione ad ammettere che ciò, da cui 1’ Uno è
prodotto, sia alla sua volta prodotto da esso. Non v'è qui un primo
ed un ultimo, perchè tutto si presuppone a vicenda, nessuna cosa è 1’
altra e tuttavia non è senza l’altra. Dio ha in sè un intimo
fondamento della sua esistenza, che in questo senso precede lui
come esistente; ma Dio a sua volta è del pari il Prius del fondamento,
giacché questo, anche come tale, non potrebbe essere, se Dio non
esistesse actu. Alla medesima distinzione porta la
riflessione scaturiente dalle cose. Primieramente è da lasciare
affatto in disparte il concetto dell’ immanenza, in quanto esprima per
avventura una morta comprensione delle cose in Dio. Noi riconosciamo piuttosto,
che il concetto del divenire sia l’unico appropriato alla natura delle cose. Ma
queste non possono divenire in Dio, assolutamente considerato, mentre
sono tato genere, o per parlare più giusto, infinitamente diverse da lui.
Per essere staccate da Dio, occorre che divengano in una base
differente da lui. Ma nulla potendo essere fuori di Dio, la contradizione
si scioglie solo ammettendo, che le cose abbiano la loro base in ciò che
in Dio non è Egli stesso ', ovvero in ciò che è base della sua
esistenza. Se vogliamo accostare maggiormente quest’essere all’intelletto
umano, possiamo dire che egli sia il desiderio che sente l’Eterno Uno, di
generare È questo l’unico vero dualismo, cioè quello che nello
stesso tempo concede un’unità. Più su era in questione il dualismo
modificato, secondo cui il principio malvagio è, non coordinato, ma
subordinato al buono. C’e appena datemere che qualcuno confonda il
rapporto stabilito qui con quel dualismo, in cui il subordinato è sempre
un principio essenzialmente cattivo, e appunto perciò rimane totalmente
incomprensibile nella sua origine da Dio. se stesso. Non è l’Uno stesso,
ma pure è coeterno con lui. Vuol generare Dio, cioè l’impenetrabile
unità, ma in questo senso non è in se stess’o an cora V unità. È dunque,
considerato per sè, anche volere; ma volere in cui non c’è intelligenza,
e però anche, non autonomo e perfetto volere, perchè l’intelletto
propriamente è il volere nel volere. Tuttavia esso è un volere che si
dirige all’ intelletto, cioè desiderio e brama di esso; non un conscio,
ma un presago volere, il cui presagio è l’intelletto. Noi parliamo
dell’essenza del desiderio in sè e per sè considerata, che dev’essere ben
tenuta d’occhio quantunque sia stata da gran tempo soppiantata dal principio
superiore, che si è elevato da essa, e quantunque non possiamo
afferrarla sensibilmente, ma solo con lo spirito e col pensiero. Secondo
l’eterno atto dell' auto- rivelazione, tutto invero nel mondo, come lo
scorgiamo adesso, è regola, ordine e forma; ma nel fondo c’è pur
sempre l’irregolare, come se una volta dovesse ricomparire alla luce, e
non sembra mai che l’ ordine e la forma siano l’originario, ma che qualcosa di
originariamente irregolare sia stata sollevata ad ordine. Questo è nelle cose l’inafferrabile
base della realtà, il residuo non mai appariscente, ciò, che, per quanti
sforzi si facciano, non si può risolvere in elemento intellettuale, ma
resta nel fondo eternamente. Da questo Irrazionale è,- nel senso proprio,
nato l’ intelletto. Senza il precedere di questa oscurità, non v’è alcuna
realtà della creatura; la tenebra è il suo retaggio necessario. Dio
solo egli medesimo l’Esistente — abita nella pura luce, poiché egli solo
è da se stesso. La presunzione dell’ uomo si ribella assolutamente
a quest’origine, e anzi va in cerca di principi! morali. Tuttavia non
sapremmo che cos'altro potesse maggiormente spinger l’ uomo a tendere con
tutte le sue forze verso la luce, che la coscienza della profonda notte, da
cui egli è stato tratto all’esistenza. I lamenti feminei, che in tal modo
si ponga F inintelligente come radice dell’intelletto, la notte
come principio della luce, si fondano in parte su di un’equivoca
interpretazione della cosa (in quanto non si capisce, come con questa
veduta la priorità dell’intelletto e dell’essenza secondo il concetto possa
tuttavia sussistere); ma essi esprimono il vero sistema degli odierni
filosofi, che volentieri produrrebbero fumum ex fulgore, al che non
basta la potentissima precipitazione fichtiana. Ogni nascita è nascita dall’
oscurità alla luce; il seme dev’essere profondato nella terra e
morire nelle tenebre, affinchè la bella e luminosa forma vegetale si
aderga e si spieghi ai raggi del sole. L’uomo vien formato nel corpo
della madre; e dal buio dell’irrazionale (dal sentimento, dalla
brama, 1 splendida madre della conoscenza) germogliano i luminosi pensieri. Noi
pertanto dobbiamo rappresentarci la brama originaria, come dirigentesi verso
l’intelletto, che essa non ancora conosce, così come noi nell’aspirazione
aneliamo ad un bene ignoto e senza nome, e agitantesi presaga, come un
mare che ondeggia e ribolle, simile alla materia di Platone, secondo una
legge oscura ed incerta, senza la capacità di formare qualcosa che
duri. Ma, rispondendo alla brama, che, quale fondamento ancora oscuro, è
il primo segno di vita dell’essere divino, si genera in Dio stesso
un’ intima riflessiva rappresentazione, mercè la quale, poiché non può
avere altro oggetto che Dio, Dio contempla in una immagine se
stesso. Tale rappresentazione è la prima forma in cui si realizza
Dio, assolutamente considerato, benché solo in lui stesso ; è in Dio
inizialmente, ed è Dio Nel testo: Sehnsucht ». stesso generato in
Dio. Tale rappresentazione è ad un tempo l’ intelletto il verbo di quell’aspirazione, e l’eterno
spirito, che sente in ih il verbo e insieme l’infinita aspirazione, mosso
dall’amore, che è egli medesimo, esprime il verbo, che oramai, accoppiandosi
l’intelletto all’aspirazione, diviene volontà liberamente creativa e
onnipotente, e nella natura, dapprincipio sregolata, produce come in un suo
elemento o strumento. Il primo effetto dell’ intelligenza in essa è la
separazione delle forze, potendo egli solo così dispiegare l’unità che vi è
contenuta inconsciamente, quasi in un seme, eppur necessariamente, a
quel modo stesso che nell’ uomo la luce s’ insinua nell’oscuro desiderio
di cercare qualcosa, per il fatto, che nel caotico tumulto dei pensieri,
che tutti s’intrecciano, ma ognuno impedisce all’altro di sorgere, i
pensieri si scindono e sorge l’unità, che è nascosta nel fondo e che
tutti li comprende sotto di sè; o come nella pianta, solo nel rapporto
del dispiegarsi e propagarsi delle forze, si scioglie l’oscuro vincolo della
gravità e viene a svilupparsi l’unità nascosta nella materia distinta.
Poiché invero quest’essere (della natura primordiale) non è altro che
l’eterno fondamento dell’esistenza di Dio, perciò deve contenere in se
stesso, benché chiara, l’essenza di Dio, quasi un lume di vita
risplendente nell’oscurità. II desiderio poi, eccitato dall’
intelligenza, tende ormai a conservare quel lume di vita che ha accolto
in sè, e a rinchiudersi in se stesso, per rimanere pur sempre come
fondamento. Quando perciò l’intelletto, o il lume posto nella natura
primordiale, spinge alla separazione delle forze (all’abbandono dell’oscurità)
il desiderio che si ritira in se stesso, facendo sor- Nel senso in
cui si dice: la parola dell’enigma.] gere, appunto in questa separazione,
l’unità inclusa nel distinto, il nascosto lume di vita, nasce in tal modo
per la prima volta alcunché di comprensibile o di singolo, e in verità, non per
via di rappresentazione esterna, bensì di vera immaginazione, ' poiché
quel che sorge nella natura è figurato di dentro; o, più esattamente
ancora, per via di un risveglio, in quanto che l’intelletto fa
sorgere l’unità o l’idea occultata nel fondamentale distinto . Le forze
separate (ma non completamente staccate) in tale distinzione son la materia,
onde poi è configurato il corpo; invece il legame vivente che nasce nella
distinzione, e però dall’imo fondo naturale, come centro delle forze, è
l’anima. Siccome l’intelletto originario trae l’anima, come elemento
interiore, da un fondo indipenden e da esso, rimane perciò anch’essa
indipendente, come un’essenza speciale e sussistente di per sé.
È facile vedere, che nella resistenza del desiderio, necessaria alla
perfetta nascita, il legame strettissimo delle forze si scioglie in uno svolgimento
che avviene per gradi e, ad ogni grado della separazione delle forze,
sorge dalla natura un nuovo essere, la cui anima sarà tanto più perfetta,
quanto più contiene distinto ciò, che negli altri è ancora indistinto.
Mostrare come ogni successivo processo venga ad avvicinarsi sempre più
all’essenza della natura, finché nella massima separazione delle forze si
schiude il più intimo centro, è ufficio di una perfetta filosofia
della natura. Per lo scopo presente è essenziale quanto segue.
Ognuno degli esseri, sorti nella natura Nel testo; Ein-Bildilng, onde un
gioco di parole intraducibile nella nostra lingua. Alla lettera; nel fondamento
distinto; in dcm geschiedenen Grande. secondo la maniera indicata, ha in
sè un doppio principio, che è uno e identico in fondo, ma sipuò
considerare sotto due aspetti. Il primo principio è quello, per cui essi son
distinti da Dio, o per cui sono nel solo fondamento; ma, siccome
tra ciò, che è esemplato nel fondamento, e ciò, che è esemplato
nell’intelletto, ha pur luogo una originaria unità, e il processo della
creazione tende solo a trasmutare internamente o a rischiarare
nella luce il principio originariamente oscuro (perchè l’intelletto, o la
luce introdotta nella natura, cerca in fondo propriamente la luce affine,
rivolta a loro): così il principio tenebroso per sua natura è appunto
quello, che è insieme rischiarato nella luce, ed entrambi, sebbene in
determinato grado, son uno in ogni essere naturale. Il principio, in
quanto nasce dal fondo ed è oscuro, è il volere individuale della
creatura, il quale però, in quanto non è ancora assurto (non
comprende) a perfetta unità con la luce (come principio dell’intelletto),
è mera passione o brama, ossia volere cieco. A questo volere individuale della
creatura si contrappone l’intelletto come volere universale, che si serve del
primo, subordinandolo a sè come semplice strumento. Se infine, procedendo
la trasformazione e separazione di tutte le forze, è messo in piena luce
il punto più interno e profondo della primordiale oscurità in un essere,
allora il volere di quest’essere è bensì, in quanto esso è un individuo,
egualmente un volere particolare, ma in sè, o come centro di tutti gli
altri voleri particolari, è uno col volere originario o coll’intelletto,
cosicché di entrambi si fa ora un unico insieme. Quest’elevazione del
più profondo centro alla luce non accade in nessuna delle creature a noi
visibili fuorché nell’uomo. Nell’uomo è tutta la potenza del principio
tenebroso e ad un tempo tutta la potenza della luce. In lui è il più
profondo abisso e il più alto cielo, o entrambi i centri. Il volere
dell’uomo è il germe occultato nell’ eterna brama di un Dio
esistente ancora nel fondamento; il divino lume di vita chiuso nel
profondo e che Dio vide, quando concepì il volere di crear la natura. In
lui soltanto (nell’ uomo) Dio ha amato il mondo; e la brama accolse
nel suo centro appunto quest’immagine di Dio, quando entrò in conflitto
con la luce. L’uomo per ciò, che egli scaturisce dall’ imo fondo (è
una creatura), ha in sè un principio indipendente per rapporto a Dio; ma per
ciò, che siffatto principio senza cessare tuttavia di essere tenebroso
nel suo fondo è chiarificato nella luce, si schiude insieme in lui
qualcosa di più alto, lo spirito. Infatti l’eterno spirito esprime
l’unità o il verbo nella natura. 11 verbo espresso (reale) poi è solo
nell’unità di luce e tenebre (vocale e consonante). Ora in tutte le cose
vi sono bensì i due principii, ma senza piena consonanza, a causa della
manchevolezza di ciò che è elevato dal fondo. Solo nell’uomo dunque è
pienamente espresso il verbo, che in tutte le altre cose è ancora
arrestato e incompiuto. Ma nel verbo espresso viene a rivelarsi lo
spirito, cioè Dio, esistente come actu. Essendo poi l’ anima identità
vivente dei due principii, essa è spirito; e lo spirito è in Dio. Ora, se nello
spirito dell’ uomo l’identità dei due principii fosse altrettanto
indissolubile che in Dio, non vi sarebbe alcuna differenza, cioè Dio, come
spirito, non si rivelerebbe. Quella medesima unità, che in Dio è
inseparabile, deve essere adunque separabile nell’ uomo, ed ecco la
possibilità del bene e del male. libertà Capacità del soggetto di agire
(o di non agire) senza costrizioni o impedimenti esterni, e di autodeterminarsi
scegliendo autonomamente i fini e i mezzi atti a conseguirli. La l. può essere
definita in riferimento a tre elementi: il soggetto o i soggetti di l. (chi è
libero), i campi entro cui essi sono liberi (definiti dai vincoli), gli scopi o
i beni socialmente riconosciuti che si è liberi di perseguire (che cosa si è
liberi di fare). Come vi sono vari tipi di agenti che possono essere liberi
(persone, associazioni, Stati), così vi sono molti tipi di condizioni che li
vincolano e innumerevoli generi di cose che essi sono liberi o non liberi di
fare. In questo senso esistono molte l. diverse (morale, giuridica, politica,
religiosa, economica, ecc.). Di conseguenza, quando cerchiamo di definire stati
di l., abbiamo a che fare con questioni relative all’identificazione di chi,
sotto quale descrizione pertinente per il riconoscimento collettivo, è libero
di fare che cosa, rispetto a quali vincoli, entro quale campo di azione e
significato sociale. La riflessione sul tema della l. accompagna tutta lo
storia del pensiero filosofico, dall’antichità all’epoca contemporanea, con
accenti e approcci diversi. Il tema della libertà nella filosofia
antica. Nel pensiero di Socrate hanno un grande rilievo i due motivi,
strettamente connessi tra loro, della involontarietà del male e dell’attraenza
del bene. Socrate è convinto che nessuno fa il male volontariamente, cioè per
il gusto di fare il male, e che ognuno agisce sempre in vista di quello che
egli crede sia il bene e il meglio per lui. Se per questo verso Socrate resta
all’interno del cosiddetto soggettivismo dei sofisti, nel senso che anche per
lui non è mai possibile uscire dall’ambito delle valutazioni, dei gusti e delle
preferenze individuali, tuttavia questi vengono continuamente giudicati,
criticati e discussi attraverso il διαλέγεσϑαι («il disputare») e ciò permette
di ritrovare criteri comuni e validi universalmente. Fare il male, per Socrate,
vuol dire seguire un bene apparente invece del bene reale; infatti, se uno
conoscesse il bene, lo farebbe anche, perché il bene è tale che, una volta
conosciuto, attrae irresistibilmente la volontà dell’uomo e si presenta
senz’altro come ciò che è preferibile. Di qui l’equazione socratica di scienza
e virtù, strettamente connessa all’eudemonismo che caratterizza tutta l’etica socratica.
Di qui, implicitamente, una concezione della l. come meta raggiungibile
attraverso la scienza. Questa concezione ritorna anche in Platone, sia pure
all’interno di una prospettiva escatologica: si pensi al mito di Er
(Repubblica), il guerriero che ha passato dodici giorni nell’Ade e che può
ricordare ciò che ha visto. L’anima, che è immortale, deve reincarnarsi
ciclicamente per espiare i peccati che ha commesso, e poiché essa ricorda le
sue vite precedenti, può scegliere fra vari «modelli di vita». Ciascuna anima è
responsabile della propria scelta, «la divinità non vi ha minimamente parte», e
ognuna avrà, per guidarla nella sua vita, il demone che si sarà scelto. Una
volta avvenuta la decisione, non ci sarà più possibilità di sottrarvisi. Ma
solo chi ha ascoltato la filosofia sa riflettere con discernimento: se la
scelta, dunque, è libera, di questa l. è possibile fruire nel migliore dei modi
solo attraverso la filosofia. Anche in Aristotele troviamo il consueto rapporto
greco tra l. e conoscenza. Secondo l’analisi svolta nell’Etica nicomachea (III,
1), involontarie sono quelle operazioni «che avvengono per costrizione» o «per
ignoranza»; la costrizione ha luogo ogni volta che «il principio dell’azione
sia esteriore, di modo che l’agente, o paziente, non vi contribuisca per nulla.
Quanto alle azioni commesse per ignoranza, l’involontarietà deriva dal fatto
che «ogni malvagio ignora ciò che si deve fare e ciò da cui ci si deve
astenere». Pare dunque, conclude Aristotele, che «sia volontario ciò il cui principio
si trova nell’agente che conosce tutte le circostanze particolari dell’azione».
In questo modo Aristotele congiunge strettamente la l. del volere alla scelta
volontaria. Un’ampia analisi dei problemi connessi con la libertà ci dà Plotino
nelle Enneadi. Egli si chiede «se sia qualche cosa rimessa alla nostra
libertà», e poiché moltissime sono le passioni che ci trascinano, «noi ci
domandiamo perplessi», dice Plotino, «se non siamo, per avventura, altro che
nulla, e nulla sia rimesso alla nostra libertà». Plotino riconduce la l. del
volere non a un impulso sensibile, bensì «al retto ragionamento e alla giusta
tendenza»; è necessar io, insomma, che «la ragione e la conoscenza si
rivolgano proprio contro l’impulso e lo vincano». Perciò esse devono rifarsi a
un principio non-sensibile, a una non-sensibile tendenza al bene. Coloro che
sono guidati da impulsi sensibili, non potremo considerarli, sostiene quindi
Plotino, «compresi sotto un principio di l., perché anche agli incapaci, che
agiscono per lo più in quel modo, non riconosceremo mai l. del volere: a chi,
invece, per la virtù operosa del suo intelletto, è immune dalla passionalità
del corpo, attribuiremo veramente la libera indipendenza». Cristianesimo e
Riforma. Sul concetto di l. influisce in modo profondo l’avvento del
cristianesimo. Hegel osservava a questo proposito (Enciclopedia delle scienze
filosofiche in compendio) che intere parti del mondo, l’Africa e l’Oriente, non
avevano mai avuto questa nuova idea della l.; i Greci e i Romani, Platone e
Aristotele, e anche gli stoici sapevano solo che l’uomo è realmente libero in
virtù della nascita (come cittadino spartano, ateniese, ecc.) o in virtù della
forza del carattere e della cultura, in virtù della filosofia (lo schiavo,
anche come schiavo e in catene, è libero). Ma una nuova idea di l. si afferma
per opera del cristianesimo; per il quale l’individuo come tale ha valore
infinito, ed essendo oggetto e scopo dell’amore di Dio, è destinato ad avere
relazione assoluta con Dio come spirito, e a far sì che questo spirito dimori
in lui: cioè l’uomo in sé è destinato alla somma libertà. Se il concetto di l.
del volere diventa centrale per il cristianesimo, perché senza la l. dell’uomo
non sarebbe concepibile il peccato, e dunque non avrebbe senso alcuno la
redenzione, tuttavia il concetto di l. deve congiungersi strettamente a quello
di grazia divina, a un qualcosa cioè di esterno e indipendente. Agostino sente
la necessità di affermare la responsabilità umana e insieme un prestabilito
disegno divino. A Pelagio, che asseriva che il volere umano, dopo il peccato,
può anche volgersi al bene, Agostino risponde che certamente «può»; ma la
maniera in cui riesce concretamente a volere quel bene che «può» volere è che
le reali forze di volerlo gli siano date da quello stesso vivente Bene a cui
volse le spalle. E a Giuliano d’Eclano Agostino risponde che la
predeterminazione divina non annulla ma include il libero arbitrio umano e le
sue scelte, e che, se Dio concede il suo aiuto a chi vuole, ciò non toglie che
con un volere libero, sebbene ridestato dall’aiuto divino, l’uomo riesca a
volere il bene, sicché un reale merito, per quanto reso possibile solo dalla
grazia, è premiato con la salvezza. Tommaso, a sua volta, sostiene che il poter
fare il male proviene sì dalla l., ma da un suo difetto, non da una sua
perfezione: «che il libero arbitrio possa scegliere oggetti diversi rispettando
l’ordine delle finalità, appartiene alla perfezione della l.: ma che scelga
alcunché travolgendo tale ordine – ciò che è peccare – questo appartiene a un
difetto di libertà» (Summa theologiae). Dopo il Medioevo, nel quale la
soluzione agostiniana è accolta da taluni con più intensa accentuazione
dell’onnipotenza della grazia nel volere umano, da altri con maggiore
preoccupazione di mostrare che il libero arbitrio non è tolto neppure
dall’onnipotenza della grazia, il Cinquecento è il secolo nel quale la
questione è ridiscussa interamente. Da un’interpretazione di Agostino sorgono
le dottrine di Calvino e di Lutero, entrambe negatrici di ogni libero arbitrio
umano, entrambe affermatrici di una l. nel bene che coincide con la più
rigorosa necessitazione del volere umano da parte della grazia. Per i rifor-
matori la l. cristiana è una realtà ‘spirituale’: essi avversano con decisione
la sua interpretazione distorta in termini politici. Se Lutero, tornando a
un’interpretazione di Paolo, si impegna a fondo nella critica della l.
cristiana come libertas ecclesiae, che nient’altro diviene se non l’insieme dei
privilegi, delle immunità e delle rivendicazioni dell’istituzione
ecclesiastica, Calvino sottrae al regimen politicum o all’ordinamento civile il
concetto della l. cristiana, che viene invece ascritto all’ambito autonomo
della teologia. La tesi della l. della coscienza vincolata soltanto alla parola
di Dio, in quanto tale non sottoposta ad alcuna autorità ecclesiastica o
secolare, e l’aperta protesta contro una simile coartazione della coscienza, il
rigetto delle pretese mondane di potere della Chiesa e della sua
sovraordinazione all’ambito statuale-secolare prepareranno la strada alla
concezione moderna della l. e al dibattito sul suo significato
politico-giuridico. Il dibattito su libertà e necessità. Nel Seicento,
Spinoza ripristina il concetto stoico dell’universale necessità e il concetto parimenti
stoico di una l. che non presuppone, anzi nega il libero arbitrio, ed è fatta
consistere nel riconoscimento e nell’accettazione della necessità universale
stessa. Nel secolo seguente abbiamo la concezione di Kant, con la sua
distinzione tra leggi della necessità, che regolano i fenomeni dell’Universo
naturale, e le leggi morali o leggi della libertà. Per «l. morale» si deve
intendere, secondo Kant, la facoltà di adeguarsi alle leggi che la nostra
ragione dà a noi stessi. Noi possiamo dunque scegliere tra il seguire la
causalità empirica, che rende il nostro volere eteronomo, e l’obbedire alla
legge morale che, esprimendo l’essenza più profonda del nostro Io, rende il
nostro volere autonomo e, così, libero. E come l’essenza profonda del nostro
essere è la l., così all’origine dell’intero Universo che alla scienza si
presenta determinato, è il libero volere di un Essere intelligente, che ordina
teleologicamente ciò che alla conoscenza scientifica appare invece
meccanicamente causato. La l. come autonomia morale dell’uomo e sua intima
dignità è il grande concetto che Fichte svolge, riprendendolo da Kant. Al
concetto, elaborato da alcuni scolastici, di «l. o arbitrio d’indifferenza»
(facoltà di volere, immotivatamente o indifferentemente, l’una o l’altra di due
cose contrarie o anche nessuna delle due), che, non sapendo o non potendo
risolvere la propria indifferenza, resta in fondo un’inerte possibilità
d’azione, Hegel oppone un concetto più concreto della l., quello della l. come
autodeterminazione e intima spirituale necessità. Al determinismo positivistico
reagiscono tutte le filosofie del «ritorno a Kant», intese a salvare la l.
della condotta morale. E, nel quadro del ritorno all’idealismo classico dei
primi decenni dell’Ottocento, i movimenti neohegeliani insistono sulla
hegeliana coincidenza di l. e necessità, rinnovando la polemica contro il mero
arbitrio o l. d’indifferenza. Il rifiuto della concezione hegeliana della l.
come processo speculativo della ragione universale distingue invece il pensiero
di Marx, che identifica la l. con un processo di liberazione economica,
politica e sociale volto ad affrancare l’uomo dal bisogno e dalla lotta di
classe e a creare le condizioni per una concreta autorealizzazione materiale e
spirituale. Per tutt’altra via passa l’opposizione all’hegelismo intrapresa dal
contingentismo, per il quale nella l. è da vedere anzitutto indeterminazione; e
spontaneità, piuttosto che autodeterminazione, cioè autonomia, è la l. per la
filosofia dello «slancio vitale» (Bergson). Nell’esistenzialismo la l. viene a
coincidere con la stessa necessità della situazione, di fronte alla quale
l’uomo non ha altra scelta che accettarla consapevolmente o piombare nella
«esistenza inautentica», come in Heidegger. In L’essere e il nulla Sartre
sostiene che l’uomo è «essenzialmente» libero di scegliere, in quanto sua
caratteristica è la «mancanza», il «nulla» di essere, ed è perciò continuamente
teso alla scelta di possibilità esistenziali. L’equivalenza, di qui derivante,
di tutte le scelte viene tuttavia eliminata nelle opere successive.
Il dibattito contemporaneo. Il significato politico-giuridico del
concetto di l. è al centro del dibattito contemporaneo. Particolarmente
influente è stata a questo riguardo la distinzione espressa da Berlin fra l.
negativa e l. positiva, fra l. da e l. di: la prima concerne l’area entro la
quale una persona è o dovrebbe essere lasciata fare o essere ciò che è in grado
di fare o essere senza interferenze da parte di altre persone. La seconda riguarda
l’area in cui si situa la fonte del controllo e dell’interferenza che può
determinare che qualcuno faccia o sia una cosa piuttosto che un’altra. La l.
negativa corrisponde alla l. dei ‘moderni’ di Constant, che ne definisce
appunto il senso e il valore nella celebre contrapposizione con la l. degli
‘antichi’; essa è l’indipendenza individuale difesa da J.S. Mill: il soggetto
della l. negativa è l’individuo, e l’arena della l. negativa è circoscritta da
un confine che, per quanto mobile e variamente tracciato, separa la sfera
‘privata’ dalla sfera ‘pubblica’, la sfera individuale da quella collettiva.
L’assenza di vincoli o interferenze va quindi interpretata principalmente come
assenza di vincoli o interferenze da parte dei detentori di autorità legittima,
che è tale se e solo se non viola o viola il meno possibile l’autonomia
individuale. Contro la distinzione analitica dei due concetti di l. si è
espresso Rawls nella sua teoria della giustizia come equità. La l. o, meglio,
il sistema delle l. è oggetto del primo principio di giustizia. Esso prescrive
che il sistema delle l. sia per ciascuno il più ampio possibile,
compatibilmente con il sistema delle l. di ciascun altro. Nella prospettiva di
Rawls, la massimizzazione del sistema delle l. individuali è prioritaria rispetto
a quanto prescritto dal secondo principio di giustizia, il cosiddetto principio
di differenza, che deve modellare le istituzioni responsabili della
distribuzione di una classe particolare di risorse, considerate come beni
sociali primari spettanti a tutti i cittadini. Accettare la priorità
dell’eguale sistema delle l. implica accettare un principio di equità nella
distribuzione dei beni sociali primari, in quanto un eguale sistema di l. non
ha, di regola, eguale valore per individui diversamente dotati. Proponendo un
ordinamento fra l. ed equità, espresso dalla priorità del principio di l. sul
principio di differenza, Rawls ha di mira la soluzione di un conflitto fra la
l. e un altro valore sociale quale l’uguaglianza. A questa prospettiva, e ai
suoi importanti sviluppi ad opera di Sen e di Dworkin, si contrappone
radicalmente la tesi sui diritti negativi propria della teoria libertaria. In
partic., Nozick ha confutato la pretesa di teorie della giustizia distributiva
di proporre criteri o modelli di distribuzione giusta. Se ci si basa
sull’assegnazione di valore intrinseco alla l. individuale, qualsiasi precetto
distributivo è inaccettabile perché non può che violare la l. individuale
stessa. Nella più recente controversia nell’ambito della teoria normativa, il
conflitto distributivo ha finito per lasciare spazio ad altro tipo di
conflitto, il conflitto di identità o conflitto per il riconoscimento. E
questioni relative all’assegnazione di valore alle l. si sono così connesse a
questioni di riconoscimento di nuove identità o di identità prima escluse, a
questioni di inclusione in o esclusione da comunità di ‘pari’ dai differenti
confini.Elzeviro Catalfamo. Il personalismo di Catalfamo. Giuseppe Catalfamo.
Keywords: metafisica della libertà, il concetto di persona, la
transubstanziazione dell’umano nella persona, identita personale, il concetto
di persona, pronome personale, la prima persona duale --, il ‘noi’ -- Refs.:
Luigi Speranza, “Grice e Catalfamo” – The Swimming-Pool Library.
Luigi Speranza -- Grice e Catena: la
ragione conversazionale e l’implicatura conversazionale della logica matematica
-- logica arimmetica – la base arimmetica della metafisica – scuola di Venezia
– scuola veneta – filosofia veeziana – filosofia veeta -- filosofia veneziana
-- filosofia italiana – Luigi Speranza, pel Gruppo di Gioco di H. P. Grice, The
Swimming-Pool Library (Venezia). Filosofo
veneziano. Filosofo veneto. Filosofo italiano. Venezia, Veneto. Grice: “I love
Catena – of course he thought he was being an Aristotelian – and the confusing
title he gave to his philosophising – Universa loca Aristotelis’ would have you
think that – but he is a thorough Platonist – consider ‘pulcher’ as applied to
Alicibiades – but ‘pulcher’ gives ‘pulchrum,’ an universal --!” Precursore
della rivoluzione scientifica rinascimentale, indaga i rapporti tra matematica,
logica e filosofia, occupando la stessa cattedra in seguito occupata da
Galilei. Filosofo, eccellente conoscitore del latino. Lettore pubblico di metafisica
a Padova. Gli succedettero Moleti, poi Galilei.
Pubblica a Venezia “Universa loca in logica Aristotelis in mathematicas
disciplinas” -- la raccolta dei brani delle opere aristoteliche che
riconoscevano il prevalente carattere speculativo del sapere matematico, tema a
cui dedicò anche un'altra opera. Altre opere: “Super loca mathematica contenta
in Topicis et Elenchis Aristotelis”; “Astrolabii quo primi mobilis motus
deprehenduntur canones” (Padova, Fabri); “Oratio pro idea methodi” (Padova, Percacino).
Agostino Superbi, Trionfo glorioso d'heroi illustri, et eminenti dell'inclita e
marauigliosa città di Venetia, per E. Deuchino. Domus Galilæ Biografia
universale antica e moderna; ossia, storia per alfabeto della vita pubblica e
privata di tutte le persone che si distinsero per opere, azioni, talenti, virtù
e delitti; Catalogo breve de gl'illustri et famosi scrittori venetiani (Rossi);
Le filosofie del Rinascimento, B. Mondadori); Alle radici della rivoluzione
scientifica rinascimentale: sui rapporti tra matematica e logica. Con riproduzione dei testi originali, Domus Galilæana. On this subject, Catena
writes two works, in one of which, Universa Loca in Logica Aristotelis in
Mathematicas Disciplinas (Venezia), he tries to supply the lost mathematical
basis for Aristotle's theory of demonstration as explained in the Posteriora
Analytica. Dizionario
biografico degli italiani. Della sua vita si conoscono pochissimi
elementi: nacque a Venezia nel 1501; lettore di matematiche presso l'università
di Padova (la stessa cattedra che occupò più tardi Galileo Galilei). Morì di
peste a Padova. L'importanza storica del C. consiste nel fatto che egli fu uno
dei primi, nel sec. XVI, a porsi il problema della valutazione formale ed
epistemologica della matematica euclidea, naturalmente dal punto di vista della
logica e della filosofia aristoteliche, inserendosi in tal modo autorevolmente
nella quaestio de certitudine mathematicarum che a metà del Cinquecento impegnò
noti autori dell'università padovana, come Francesco Barozzi ed Alessandro
Piccolomini, nell'ambito del più vasto dibattito europeo sulla methodus delle
scienze. ADVERTISING A questo riguardo assumono particolare importanza
tre sue opere: Universa loca in Logicam Aristotelis in mathematicas disciplinas
(Venetiis); Super loca mathematica contenta in Topicis et Elenchis Aristotelis;
Oratio pro idea methodi (Patavii). Nelle prime due il C. svolse un'analisi
formale della matematica euclidea attraverso la quale concluse per una sua
differenza strutturale, e quindi per una sua autonomia logica ed
epistemologica, nei confronti della logica sillogistica aristotelica, basandosi
principalmente sulla constatazione che le dimostrazioni matematiche non
appartengono al genere tradizionale delle cosiddette demonstrationes
potissimae, e giungendo ad affermare decisamente che la scienza matematica si
differenzia nettamente da qualsiasi scienza di tipo aristotelico. La differenza
metodologica che distingueva la matematica euclidea dalle restanti scienze in
uso nel Cinquecento venne posta in rilievo dal C. nella terza opera, ove
affermò chiaramente il legittimo costituirsi della matematica come metodo
scientifico autonomo, intervenendo così costruttivamente nel dibattito sulla
methodus, che ancora si trascinava in quegli anni, e contribuendo soprattutto
alla creazione di un clima culturale favorevole alla rivoluzione scientifica
galileiana con l'ampliare notevolmente la prospettiva gnoseologica
tradizionale. Oltre alle citate, il C. scrisse diverse altre opere:
Astrolabii quo primi mobilis motus deprehenduntur canones (Patavii), che
costituisce una correzione ed un aggiornamento di un'altra opera anonima, che
fu pubblicata a Venezia, e che tratta dell'uso pratico del noto strumento
astronomico; Sphaera (Patavii), un trattato di astronomia, redatto
probabilmente ad uso degli studenti, in cui viene esposto il sistemato
tolemaico, e che, pur basandosi naturalmente su trattati analoghi, allora
notoriamente numerosi, rappresenta l'opera astronomica più compiuta del C.;
Procli Diadochi Sphaera (Patavii), traduzione del noto trattato del matematico
e filosofo neoplatonico; De primo mobili librum singularem; Ephemerides annorum
XII; De calculo astronomico libros II; queste tre ultime sono citate dal
Papadopoli e dal Poggendorff senz'altra indicazione e non se ne è rintracciato
alcun esemplare. Nel corso della sua attività accademica, il C. trattò
successivamente del primo e del settimo libro degli Elementi di Euclide, della
Sphaera del Sacrobosco. della teoria dell'astrolabio, della geografia di
Tolomeo, dell'astronomia del sistema tolemaico, e, probabilmente delle
"meccaniche" di Aristotele, come viene affermato da Baldi, che fu suo
allievo, e da lui stesso in una sua opera (Universa loca); Papadopoli, Historia
Gymnasii Patavini, Venetiis; Cinelli Calvoli, Biblioteca volante..., Venezia; Riccardi,
Biblioteca matematica ital. dalla origine della stampa, Modena; Favaro, I
lettori di matematiche nell'univers. di Padova…, in Istituto per la storia
dell'Università di Padova, Memorie e docum. per la storia della Università di
Padova, Padova, Giacobbe, La riflessione metamatematica di P. C., in Physis;
Id., La riflessione epistemologica rinascimentale: le opere di P. C. sui
rapporti tra matematica e logica, con riproduzione dei testi originali, Pisa;
Ch. G. Jocher, Allgemeines Gelehrten-Lexicon, ad Indicem; Nouvelle Biogr. Universelle, ad Indicem;Biogr. Universelle; British Museum, General
Catalogue of Printed Books; Poggendorff, Biogr.-Lit. Handw. z. Gesch. d. ex.
Wissensch., ARTIVM ET THEOLOGIAE DOCTOR, PROFESSOR PVBLI. CVS ARTI VM
LIBERALIVM IN GYMNASIO PATAVINO, SVPER LOCA MATHEMATICA contenta in Topicis et
Elenchis Aristotelis nunc et non antea, in lucem ædita. ka CVM PRIVILEGIO,
LOLOTILLON 0 V ENETIIS Apud Cominum de Tridinum Montisferrati. C. DOMINICO
MONTE. SORO DOCTORI MEDL song CO EXCELLENTISSIMO OPICORVM libri din Elenchorum
Aristotelis quædamloca obscuriuſću la contincbant qnæ apud Gręcos philofophos
erant in primis clara, et per ea co tera loca maiori difficulta ti inherentia
declaraban tur, ob id autem illis con tingit, quod veritatis amatores et philoſophiæ
principes videri apud exteras nationes cupiebant, quod et re ipfa tales
exiſtimarentur, niſi furto å Caldeis, egiptijs, et alijs abſtuliſſent, id autem,
alįe na ſua feciſſe, vitio non omni ex parte abeſt, La tini vero quidam
auaritiæ fine præſtituto(latinos hoc loco voco cos qui litteris illisRomanis,
vel voce, vel etiam fcriptis ſuos conceptus explicant) philoſophiæ extremis
partibus ita incumbunt A vt ſemper lutuoli,verlantesin excrementa naturæ
appareant, quod quidem laude dignum effet,fi vt præclară prolem, quemadmodú
boni viri faciunt aliqui egros inuiſerent, quo igiturme uerterem in inuio, non
erat conſilium,ničí Reuerendus domi nus Laurentius Venetus ex nobis familia
foſca. rena Canonicus Veronenſis, virum Dominicum Monteſorum Gręca ambitione et
auaritia immu nem oftenderet, cui hæc noſtra loca immo Ari ſtotelis declarata
dedico, quæ fi Aristotelis fco pum attigerint, vt exiſtimo et tibi fore grata
co gnouero ad reliqua philoſophiæ Ariſtotelis loca declarandanon piger animus
noſter erit, quod fi minus,cenſoriam amicorum virgam nonfugiet hæc noftra
expoſitio,interimmegratum habeas. Vale. IN PRIMO CAPITE PRIMI LIBRI TOPIC ORVV
M. I DETV Ř autem hic modus differre à dictis ſyle logiſmis nequeenim ex veris,
&primis ratioci natur pſeudographus,neque ex probabilibus, nem in
deffinitionem non cadit; neque enim quæ omni. bus videntur accipit, neque quæ
plurimu i,neque qnæ fapientibus, et his neque omnibus neque plu. rimum, neque
probatiſſimis; ſed ex proprijs quidem alicuiſcientie fumptis,non tamen veris
ſyllogiſmumfacit,nam vel.eo quod femi circulos deſcribit non vt oportet, vel eo
quòd lineas aliquas dicit non vt ducendæ ſunt paralogiſmum facit. VNC textum
declarant Greci, et Latini vſque ad locum illum quo Ariſtoteles exemplo vtitur
Geometrico,ad quem locum pręclari expoſitores cum per uenerint Tantis Tinebris
vinctum loris, et funibus reliquerunt Ariſtotelem, vt ab Alexandri tempore(vo
reor) vſque modo, omnes qui illas preclaras interpretationes legea rint, illius
loci notitia priuati fint, quos prçclaros expoſitores pro prio ſuo citarem
nomine, vt amatores Aristotelis eos cauerent vt infames ſcopulos acróceraunię,
fed eos prçtereo vt in hacparte inu liles, line Geometria logiculos, legantfine
liuore et vafricia expo fitores illius lociomnes, et has noftras declarationes
non quidem criſpis naribus, ſubinde iudicent,fi intellexerint, quanti ingenö
fuit, ficut in cæteris ipſe Aristoles, hæc citra in Alatas buccasdixiſſe ve lim,
quiſquevt intelligat, fed vt litterarum aliquando illuſores re primantur
pariterque eorum indocta audatia, fufcipiatur igitur recta linea, a bquę
feccetur quomoçunque contingat in puncto c, et ſuper vtranearī a ccb,
ſemicirculus,non vt primīī petitū docet, facto d centro vnius et e alterius
deſcribatur perperā ſemicirculus a h c,alter chb, quiſeſe Tangantin puncto h
ſuſcipiaturque centrū huius ſemicirculiah cipſum d, illius autem ch b ſit
centrum e, a punctis igitur d; et e,ſemicirculorum centris ducantur duæ lineæ
ad h contactum, et intelligatur Triangulus d he, quoniam autem 3 5 dur'lineædc
et dhexeunta centro ad circunferentiam ipfæ per dif finitionem circuli funt
æquales, pariter per eandem definitionem duæ lineæ ec et ehſunt æquales, duæ
igiturdc et ce duabus d h et eheruntæquales, duæ autem ille dc, ceſuntvnum
latus trian guli dhe,ergo vnum latus d e trianguli d heeft æquale duobus la
ceribus eiuſdem triangulidh et e h,quod eſt impoſsibile contra vi gefimam primi
elemērorum Euclidis,duo enim latera omnis trian guli quomodocunque ſumpta, ſunt
maiora reliquo et non æqua lia, vtpſeudographo ſyllogiſmo machinabátur
proteruus,hocau. cem vitium non ex coprouenerat qex falfis fyllogiſmus fic con
fectus,quia ex veris, et immediatis, et exeodem ſcientię genere, vt ex
definitione 17 primi elementorum ſyllogiſthus affectus eſt,ſed error atque
peccatum proceſsit ex co ofemicirculos defcribit non vt oportet, quod notauit
nobiliſsimus geometra Ariſtoteles, fic 1 a 6 etiamhi qui falfo fyllogizant,vnum
fatus trigonimaius eſſe duo bus reliquis trigoni lateribus, no vt oportet
femicirculos diſcriben tes, fic.n.linca a b et puncta in ea ſuſcipiantur cd et circa
vtranq ac, &db, rectam ſemiciruli deſcribantur fe inuicem tangentes in
puncto e alter a ec cuius centrum f,reliquus bed cuius centrum g, &a centro
fprotrahatur recta fe fimiliter a punctog protraliatur gerecta, tunc
triangulusfe g habebit latus f g maius duobus lateribusfe, et ge, quod fic
perſuadetur,lineafc eft æqualis lineæf e cum vtraque exeat,a centro ad
circunferentiam, fimiliter linca g deft æqualis geeadem ratione, fi igitur c d
linea addatur lineis fc, et dg, equalibusfe et gcefficiunt linea fg latus
trigoni fe gma jusduobus lateribus fe, et ge quod eſt impoſsibile per 20 primi
clemcntorum,vel eo q lincas aliquas ducit non vi ducendæ funt d g paralogiſmum
facit, ſi ducatur linea a centro fad centrum g, illa non tranfibit per
contactum e,vtin hac fecunda figura apparet, ve linea abf,in g,non tranſit per
punctum e vt oporteret, per xi tertij clementora Euclidis, fi duo circuli fe
contingunt et acentro ynius ad centrum akerius recta ducatur linea illa de
neceſsitate applicabi tur contractui, ex mala igiturdeſcriptione attulit
Ariſtoteles exem plum de ſyllogiſmo falſigrapho, qui oſtenſiuo fyllogiſmo oppo.
Situs eft. Similiter vero e ſi cubilali magnitudinepoſita dixe rit, quod
ſuppofitum eft cubitalem magnitudinem ere, eo quid eft dicit, et quantum
fignificat. RES duorum generum propinquorum continuiatas diſcre. ti vnius tamen
generis remoti &analogi, quantitatis videlicet, in vnacubitali magnitudine
continetur,obid, duodicit, qui magnicu dinem cubitalem,effe magnitudinem duorum
cubitorum, &quid, quando dicit magnitudinem, et quantum, quando
dicit,cubitorum duorum, hinc manifeftum eft in ynoquod prædicamento reperiri
quid,vthoc Ariſtotelis exemplo patet demagnitudine,aliud eft no tandum, quomodo
vnum accidens,vt duorum,quod ad Arithme ticam pertinet,accidere
magnicudini,quod ad Geometriam attineta. QVAEDAM enim statim &nominibus
alia ſunt,vtacu to in voce contrarium eſt graue, in magnitudine autem, acuto,
obtufum contrarium est. Multiplicita - tem huius vocis # (acutumdemon Itrat
Ariſtoteles, quia et angulum norar, et vocem, # US Angulus accutus rectominor
et contrarius eft obruſo, &voxac cuta graui vociopponitur, et graui
contrariatur accutum in voce, leue in ponderibusgraui oppugnāt. Sed
dubitatur,cum quantitati nihil fit contrarium, quo pacto acuto angulo obtufus
contrarius fit? Dico quod angulus noneft quantitasfed ex quantitate quan.
titati adiuncta proueniens accidit quãtitati vt fit accata vel obtuſa
pariterque pondus &lauitas funt quidem magnitudiniadiuncta, fed no eſ
pondus,et leuitas, quatitas, ſi contraria fint leue et graue. cantus IPSIvero
queà conſiderando eft, quòd diameter cofta incom menfurabile, nihil.
DEincommenfurabilitate coſtæ cum diametro abunde faris in pofterioribus
declaraui,quantum vero adhunc locumattinet, Art ſtoteles inquit, non effe
quippiam oppofitum ipfi incommenſura bilitaci,vrpura commenfurabilitas, inter
coftam atque diametrum quadrati nihil contrarij eft,dubitatur,cum in præcedenti
textu, ſit de terminatum,& ea quęaddita eránt magnitudini, vt pondus et leui
tas contrariarentur,hæc autem quæ magnitudini coſtę et diainetro,
vtincommenſurabilitas, non contrarietur commenſurabilitati? Reſpondeo, prius
dicta cótraria pondus et leue in naturalibus reppe riebantur,hæcautem
incommenſurabilitas in abſtractis geometria cis; Præterea, nonfuit dictum omnia
quæ in magnitudinibus re periuntur eſſe contraria,Pręterea et li
opponanturcommenſurabi liincommenſurabile,non tamen contraria ſunt, vel etiam
fi contra ria fint,non tamen ratione ſubſtractorum,quçſuntquantitates,co fta et
diameter, contraria effe dicuntur, potus enim fitinon eft nifi quodammodo
contrarius, delectatio autem, quæ ex potu prouenit opponitur contrarie
triſtitiæ, quæ prouenit ex fiti, Præterea graue et leweſuntabſoluta quædam in
diuerfis ſubiectis poſita ſeorfim, incommenſurabilitas autem relatio eft; quæ
indiſcriminatim funda tur in coſta,ad diametrum et in diainetro ad coftam. CON
SIMILITER autem et acutum,nam non eodem mo do in omnibus idem dicitur,nam vox
acuta quidem velox,quemad modum quidem dicunt ſecundum numeros armonici. NOTA
dignnm eft hocloco conſiderandum, a vox hoc lo co non accipienda eft pro humana
voce tantum, ſed pro ſono, qui quidem fita cordulis inſtrumentorum, nam
gratilior corda fitan gatur plures aeris percuſsiones facit quain crafsior
cordula, fiea dem vi moueatur, modo inter percuſsiones multas aeris cordulæ
gratilioris ad percuſsiones cordulæ craſsioris fi inultitudine repere ris
duplam,diapaffon, fi fefqualteram, diapente, fi vero epitritam diateſaron, vt
aiunt Armonici continentiam inuenies, quia tamen Ariſtoteles de generatione
animalium libro quinto capite feptimo pucat concinentiam fieri ex alia caufa
quam ex proportione illo, rum ſonorum numeratorum ad alios fonos numeratos,vt
pytha. gorici volunt, ideodicit quemadmodum quidem, vt dicuntarmo nici, quia
fententia Ariſtotelis alia atque diuerfa eft ab illis armoni cis, qui Pythagoræ
affentiri videbantur. ET quòd pun&tusin linea do vnitas in numero, nam
vtrun. que eft principium. PRÍNCIPIV M lineæ punctus, principium autem nu
merivnitas eſt, ſed punctus non componitlineam alős punctis ap pofitus,vtin
pofterioribus demonftraui,vnitas vero cuin alñs vni tatibus numeruin
conftituunt atque componunt, principium tamé lineç atque finis,punctus eſt ex
cuius fluxu linea fit vt Ariſtoteles in mechanicis et ego in diſcurſu geminico
determinaui, non tamen linea ex punctis conſtat, VEL duplicis et dimidij. AN
ſit ne eadein diſciplina duplicis atque dimidă conſiderare oportet, quod
profecto allerere videtur ex capire de relatiuis, cum nemo ſciat duplum,niſi
cuius ſit duplum ſciueric, quod diinidium eft, fi pro relatiuis vtrunque
ſuſcipiatur. HOC autem non ſemper faciendum, fed quando non facile pojumus
communem in omnibus vnam rationem dicere, quemad modum Geometra quòd triangulus
duobus rectis æquos isabet tres angulos. NVLLI id in controuerſiam venit, an
omnis triangulus ha beat tres angulos duobus rectis æquales, ſed illud dubium
eft,an id quod rectilineumeft,habens angulos duobus rectis æqualis,trian gulus
ſir, velquid horuin in plus fe habeat, et non fit vtrunque ſe cundum q ipſum,
ſed vniuerſalius fit, habereangulos duobus reo Ctis æquales, atque comunius,an
potius triangulum effe, ad quam dübitacionein, dico quod duobusrectis pates
habere angulos, eſt quid communius, quam efſetrigonum, id autem inanifeſtum eſt
de pentagono, cuius quodlibet latus, duo ex reliquis lateribus fec cat latera,
id autem per primam partem 32, primiElementorum bis fumptam et per fecundam
partem eiuſdem zz. ſemel ſum pram, vt in figura ſubſcripta deduci facile eft,
et fi habere tres çqua les duobus rectis conuertatur cum trigono,non tamen
habere om nes angulos equales duobus rectis,conuertitur cum effe trigonuir.
Dico igitur, quod habere omnes angulos equales duobus rectis,co mune eſt ipſi
trigono, et pentagono, cuiusvnum latus ſeccat duo ex reliquis latera, habet
tamen penthagonus quinque equales tri bus, qui tres duobus rectis pares funt,
et fic figuramihabentem B omnes angulos duobusrectis pares communius eft, quam
fit trian gulus, non igitur eſt affectio trianguli neque angulorum triangu. li,
fed quid communius trigono, vel tribus angulis trigoni, non eft igitur eius
proprium,quod videturfoluere dubium fuper textu mo tum,fed affectio trianguli
eft habere tantum tres equales duobus rectis,velęqualitas duobus rectis,
conuenit tribus angulis figuræ triangulari, et non omnes angulos, elle çquales
duobus rectis. VEL pt buius a fecundum lechu ius ſecundum acci dens, vt
fecundum Se quidem quòd tri angulus duobus re b Etis æquales habeat tres
angulos, ſecun. dum accidens autē, quòd æquilaterus, quoniam enim acci dit
triangulo,& qui. laterum effe trian gulum, perhocco gnoſcimusquòdduo bus
reétis habeat internos. QVIDAM interprætes fic perperam exponunt Ariſtotele,
quod habere tres duobus rectis pares,ipfi triangulo per ſe infit,ipfi vero
Iſoſcheli cõuenit quidem habere tres duobus rectis parcs, ſed non per ſe,ſed
per accidens, fic vt hæc predicatio, Iloſcheles habet tres duobusrectispares,
ſit accidentalis,hec quidem ſua interprę. tatio et nulla eſt, &nullo modo
ad Ariſtotelis textum facit, quod nulla fit, et falfa, manifeſtum eſt ex capite
de per fe in poſteriori. bus, quia quod enim ſuperiori per fe ineft
&inferiori pariter per ſe ineſt, ineſt tamen ſuperiori perfe et primo,
inferioriautem, per ſe fed non primo. Aliter igitur exponendus venit is textus,
primo igitur aduertendum quod circa idem ſubiectum fit prædicatio per fé et per
accidens, vtpura circa triangulum, per fe quidem fic, tri angulus habet tres
duobus rectis pares, per accidens vero ſic, trian gulus eſt Iloſcheles; vbi
aduertendum,vtin præcedentibus libris declarauit Ariſtoteles,omne inferius ſuo
ſuperiori accidens eſt,cum abeffentia fuperioris omnino fecludatur inferius, et
vt alienum a fui natura ſibi conueniat. SIQVIS infecabiles ponens lineas,
indiviſibile genus earum dicat eſſe, nam linearum habentium diuifionem non eft
quod di Etum eſt genus, cumſint indifferentes ſecundum ſpecicm, indiffe-,
rentes enim ſibi inuicem fecundum fpeciem rectæ lineæ omnes. TRACTATVS quidem
de lineis infecabilibus extat,e greco latinitati donatus quem Ariſtotelis
quidem effe exiſtimant, tametfi Georgii pachimerñ nonnulli effe dicunt, quod,
quia cuiuf cunque fuerit,non facit ad expofitionem litteræ affequendam, me rito
prætermitto auctorem fore inueſtigandum,vt Ariſtotelis decla rationi
infiftamus, pro quo in memoriam reuocandī eft id, quod Porphyrius habet,
ſuperius genus de inferioribus ſpeciebusneceſe, fario predicari, quod fi de
illis non prædicauerit,neque ad illas, illud eſſe genus manifeſtum erit,
quapropter fiquis inſecabiles poſuerit lineas,atque ad illas genus id, quod eft
indiuifibile,effe dicat,ftatim in contradictionem reducitur,ob id, quia,diuiſibile,genus
eſſe ad li ncas conſtat,modo lineas omnes eandem deffinitionem ſuſcipien.
tes,eiufdem ſint fpetiei, fieri autem nequit, vt aliqua eiuſdem ſint ſpeciei,
et genere fint diuerfa, quod quidem contingeret, fi indiuifi bile,ad lineas
aliquas, genus effe diceretur,tunc enim indiuiſibile di ceretur de lineis
infecabilibus p hypothefim cũ fic ſupponatur (fal ſo tamen ) ad illas eſſe
genus, et etiam de alñs, quæ per 10. primi Elementorum ſecabiles ſunt cum etiam
adillas ſit genus, quod qui dein efle, nullo modopoteft, propter
contradictionem, ET ſi differentiam ingenere poſuit tam quimſpeciem,vt im par
quidem numerum, Differentia quidem numeri, impar, et non ſpeties eſt, neque
videtur participare differentia genus,nam omane quod eft, genus, velfpeties,
vel indiuiduum eſt, differentia autem, neque fpeties, neque indiuiduum,
manifeftum igitur quoniam non participat genus differentia, quare neque
imparopetieserit, fed differentia quoniamnon participat genus. B ñ 9 tra NVMERV
S quieſt ex vnitatibus profuſa multitudo,paro; titur in numeruin imparem,
&in numerum parem, vel perhas differentias diuiditur, quę ſunt, paritas, et
imparitas, quarum neu includit numerum, qui genus eſt ad omnes numeri
ſpecies,& fi ifta vera fic,rationale et animal, quando ly rationale
accipitur pro Specie, quæ homo eft, et non pro rationalitate in abſtracto, qux
eſt hominis conſtitutiua differentia,eodem modo, et numerus prædi catur de pari
in concreto et non de abſtracta paritare, hęcenin et fimiles illi, ſunt ſemper
falle, paritas eſt numerus, vel imparitas eſt numerus,quodquia oinnia manifeſta,
et nora Ariſtoteles cíle vo. luit, exemplo arithmetico declarauit, A 11 PLIVS
ſi genus in petie pofirit, vt contiguitatem id ipſum quod eſt continuitatem,
non enim neceſſariuin contingui. tatem continuitaternelle, led e conuerſo,
continuitatem contigui tatem non enim omne contiguum continuatur, led quod
cortina tür contigurn eft. CONTINVVM illum effe dico cuius partes copulantur ad
terminuin vnum communem, qui quidem terminus elt tantuin potentia inter illas
partes ipſius continui, nõ etiam actu, &opere, vt linea lineæ continuatur
per punctum, qui non actu exiſtit, ſed tantum potentia inter illas duas lineas,
velinter duas partes linex, quod et de partibus ſuperficiei, quæ per lineam in
potentia copu lantur, &corporis partes, per ſuperficiem in potentia,
Contiguum autein illud effe dico, quod alteri applicatur et iungitur non per
mediuin potentia exiſtens,fed per mediuin quod actu et opere exi 1tit, vt
manifeſtum eſt de cæleſtibus orbibus, concaua eniin ſuperó ficies ſuperioris
orbis augem defferentis, et fuperficies connexa or bis differentis epy ciclum
ſunt due ſuperficies actu exiſtēres inedia, per quas continguantur adinuicem
illi orbes, non tamen continu: antur adinuicem: Cælum primū continuum quoddam
eſt, et con. tiguaru: Cælo nono ſecundum fuperficiem concauam ipfius pri mi
mobilis actu exiſtentem,non tamen fequitur, primum mobile eſt contiguum cum
nona ſphera, igitur continuum eſt cum nona iphera,quemadmodī non fequitur,
quinque digiti adinuicem funt contigui, igitur quinque digiti ſunt continui,
ſed bene ſequitur, quinque digiti ſunt continui, igiturquinque illi digiri ſunt
conti gui, vt quando clauditur manus, vel manus aperiatur quinæ digi zi aeri
ſunt contigui,vel aquç contigui, li in anforæ aquam inanum ponas, vel etiain
cirotececontiguantur, et ratio eft, quia vnum quodque naturale corpus, alteri
contiguatur, ne vacuum daretur in natura. CONSIDERAN DV M autem eſt, fi quod
translatiue. dictum eſt, ut genus aſsignauit,vt temperantiam, confonantiam, nam
omnegenus proprie deſpeciebusprædicatur,conſonantia ve. ro detemperantia,non
proprie,fed translatiue, omnis enim confo Wantia in ſonis eft. CONSONANTIA eſt
diſsimilium vocum acuti gra. uiſque in vnum redacta concordia, quæ fine ſono,
quę aeris percuſ fio eft fieri nullo modo poteſt, illa autem confonantia quæ
transla tiue dicitur, quæ effrenatam libidinem moderat, non quidem a ſo no, quæ
eft aeris percuſsio, fed illa quidem eſt, quæ a concordia diſsimilium dicitur,
hæc autem non neceſſario in Conis reperitur, vt eſt illa ſupercæleſtis Armonia,
quæ nil aliud eſt, quam coeleſtium motuumdiuerſorum,in vnam munditotius
conſeruationem apta concordia, quam celebrant quidem illi ſapientes pythagorei,
quos gratis in libris de cælo redarguit Ariſtoteles, quam armoniam di ces illam
effe de quaMarcus Tullius in 6 derepublica, cui de ſoin. no Scipionis nomen
indidit, docte meminit, hanc quidein dico nul lo modo conſtare in fonis, ſed
illam quam libro primo capite deci mumtertio et in hoc capite tetigit
Ariſtoteles. AVRSV M ji non ad idem dicitur fpecies 2 ſecundum ſe, da
fecundumgenus, vt fi duplum dimidiy dicitur duplum o multi plum dimide oporter dici,
li autem non, non erit multiplam genus cupli, abundansſimiliter cicitnr
ſimpliciter ſecundum om. nia fuperiora genera ad dimidium dicetur. ABVNDANS
numerus is eſt, cuius partes omnes fimul additæ in vnum exuperant totum illud
cuius partes erant, vt duo, cenarius eſt abundans, quia 6,4, 3, 1, ſiin vnum
aggregentur 16 coinplent maiorem numerum duodenario, de quo quidem abun. danti,
qui eſt fimilis centimanugiganti, non loquitur Ariſtoteles hoc loco, fed
abundansillud eft, quod ſuperius eſt ad multiplum, ad ſuperparticularem, et ſuperparrienrem,
abundans præterea,vthic accipit Ariſtoteles,eſt ad aliquid, quod etiam de
multiplici, at& lu perparticulari, et ſuperparrienti, &de omnibus ſub
illis contentis, dicitur,duplum igitur triplum,quadruplumque cummultiplun lit
et pariter vnumquodq; abundans erit, fi igitur abundansnon eſt, non
eritmultiplum,neque etiam duplum, itaque abundans vniuer lale magis quam
multiplum eft. 1 era QVONIAM autem muſicum, qua muſicum eftfciens,elle muſica
ſcientia qua eft. MVSICA enim quathenusmuſicũ effe facit, nõ quathenus cantorem,
qualitas eſt de prima qualitatis fpecie,quathenus autem ſcientia eft,
&fciens facit, relatiuum quidem eft, vt in capite ad ali quid fuit in
prædicamentis determinatum. NVMERVM diuiſibile,e conuerſo autem non,nam
diuifibi le non omne, numerus, DIVISIBILITAS non modo magnitudini ſed etiam
numero conuenit, non tamen omni numero, ſed numero tantum pari,impari autem ob
vnitatis interuëtum nequaquam, Veletiam melius erit dictu, diuifibilitas in duo
æqualia, numero tantum pari conuenire, diuiſibilitas autem fimpliciter omni
numero conuenire, id quod Ariſtoteles hoc loco velle videturdicere, ſeu in duo
æqua. lia,vel in duo inæqualia numerus ipfe diuidatur, fic vtdiuiſibilitas in
partes integrales cuilibetnumero conueniat, non diuiſibilitas in partes
aliquotas omni numero, ſed tantum numero pari conuenire eft neceffe, aduerte
etiam quod ipfinumero primo conuenit diuili. bilitas in tot partes, quot
vnitates habet;in plus igitur ideft,quod diuiſibile eft, quam id,quod numerum
eſſe, quia diuiſibile, eſt com mune ad diſcretum, quod in partes aliquotas
&in partes integran tes diuiditur etiam ad continuum,ſequitur igitur
recte,numerus eft, igitur diuiſibile, ſi diuiſibile accipiatur commune ad id,
quod in ali quotas et integrantes diuidatur partes, &non econuerſo, vt diui
fibile eft, igitur numerus, LOGICVM problema. PROBLEMA apud Euclidem eſt
propoſitio,in qua vnum datur, et aliud (vt in pluribus) quæritur, vt ſuper
datamrectam li neam triangulum collocare, linea quidem datum eſt, quefitum au
tem ef trigonum ipſum conftituendum ſuper lineam datam, ſem per enim problema
verſatur circa praxim,quapropter, problema Geometricum,eftpropofitio practica,
Theoremavero Geometri. cum,eſt ſpeculatiua propoſitio,modo Ariſtoteles non
ingnarus hu. ius duplicis fignificationis problematis Geometricc, et logice,pro
pofitionem dubiam ad vtráque partem, dixit problema logicum, &non
Geometricum debuifTe intelligi, inquit enim, logicum au tem eſt problema,ad
quod rationes fiunt, &crebræ quidē, et bong ERIT enim ſecundum hoc bene
poſitum humidiproprium, vt qui,qui dixit humidiproprium, corpus quod in omnem
figuranı ducitur, vnum aßignauit proprium, o non plura,erit fecundum boc bene
pofitum humidi propriuns. FIGURA hicaccipiatur in corpore locante humidum,humi.
dum enim cum corpus fluxibile atque dilatabile fit, ſuſcipit quan cunque
figuram a re locànte, quæ figura, feu natura, fiue etiamarti ficis opere
introducta fit, in illo vaſe locantehumidum, accipere igitur hocmodo figuram a
re locante, proprium eft ipfius humi di, et non alterius cuiuſque, NON omne
ſenſibile extra ſenſum faftum,immanifeftum eft, latens enim eft, fi adhuc
ineft, eo quòd fenfu folo cognoſciiur, erit autem verum hoc,in his, quæ non ex
neceſitate ſemper conſequun tur, vt quia, qui pofuitſolis proprium, aštrum quod
fertur fuper terram lucidiſſimum, tale vſus eſtin proprio (ſuper terram in,
quamferri) quod ſenſu cognoſcitur, non vtique erit benefolis af fignatum
proprium immanifeſtum enim erit cum occiderit ſol, si adhuc ferratur fuper
terram, eo quòd nos tunc deſeruimus fenfium. CECVS enim huius quod eft, folem
fuper terram ferri,nul. lam habet ſenſationem,ſed videns, illius ſenſationem
habet quan do folem ſuper terram in die artificiali conſpexerit, quam primum
autem fol occiderit, et fub orizonte conditus fuerit, definit ſenſus percipere
folem fuper terram ferri, fi igitur illud proprium eſſet folis, illo
deficiente, (quod contingeret nullo conſpiciente ſo lem ferri ſuper terram )
proprio, et Sol, effe defficeret, quod quia abſurdum, non igitur proprium eft
folis eum videri ferri fuper terram, licet femper Sol ſuper terram fereatur, id
etiam, haud folis proprium eft, cum fyderibus omnibus, Igni, Aeri ſem per
conueniat, id autem quod proprium eſt, conuenit omni foli et femper,inodo
fecunda particula, (quod eft foli) non conue nit foli, fed etiam alijs a ſole,
et a fyderibus, et elementis, conuenit; Præterea folem femper ferri ſuper
Terram, et fi proprium ſolis ef fet,illud tamen non eſt ſenſibile, led
immaginatum,perceptibile,vel intelligibile, particula tamen illa aftrum
lucidiſsimum, ipfi tantum foli conuenit, CONSTRVENTI vero, fi tale aßignauerit
proprium, quod non ſenſu est manifeſtum, aut cum ſit ſenſibile ex neceſsitate
ineſe manifeftum eft,hoc benepoſitum proprium, vt quia, qui po fuit
fuperficieiproprium quòd primum coloratum eſt, ſenſibili qui dem aliquo vfus
eft (coloratum eſſe inquam) tale quidem quod ma nifeſtum est ineſſe ſemper,
erit fecundum hoc, bene aſsignatum fit perficiei propriim. IMMEDIATVM
ſubiectumn coloris fuperficies eſt, ſub. ftantia enim colorata eſt, quia corpus
coloratum,etideo corpus co loratum eft, quia ſuum extremum eft coloratū,
extreinum autem, ſeu terminus, ſub quo corpuscontinetur ſuperficies eft, in qua
im mediate color fuſcipitur, iſtud autem proprium,non ex natura ſu perficiei
profluit, fed extrinſece aduenit color ipſi ſuperficiei, quæ quantitas quidem
eſt, color, autem qualitas, fed cum ſenſibili per fenfum percipiatur, et fecundum
apprehenſionem fiat exiſtimatio, et quia ſuperficies omnis,affecta ſit colore,
ſequitur quod recte pro prium afsignabit ſuperficiei, fiquis dixerit eain effe
coloratam et erit proprium ſuperficiei, proprium quidem ſenſibile,non tamen ex
intrinſeca natura ſuperficiei. PRIMVMergo deſtruenti quidem, infpiciédum eſt ad
vnum quodque eorum cuius proprium aßignauit, vt ſi nulli ineſt; aut fi non
fecundum boc quidem verificatur, aut fi non eſt proprium c18 iuſ que
eorumſecundum illud cuius proprium aſsignauit; non enim erit proprium,quod
pofitum eſt elle proprium, vt quia de Geome tra non verificatur
indeceptibilemeſe ab oratione (nam decipi tur Geometra cum pſeudographiäfacit )
non erit hocſcientis pro prium, non decipi ab oratione. HIC locus videtur
opponi ei quod Ariſtoteles determinauit de Geometra primo poſteriorum,vbi ait
Geometram non mentiri concipientem 9 concipienten lineam bipedalem, quæ
tamenminimebipedalis eſt, fed fiquis recte inſpiciat,nulla certe oppoſitio
apparebit, fed vtera quelocorum mutuo ſeſe alternatim declarabit, cuinam in
dubium illud venit,fępemens ynī interne concipere, quod falax manus ex
trinſece, illud peruertit: hoc quidé prothagoręfæpe contigiffe reffe runt, vt
aprehenfo, ad ſcribendum calamo,id ſcripfiffe quod men ti fuę opponeretur, et id
vitii non ſolum manui, fed linguæ ſæpe etiam contingit, quis enim id in feipfo
non eft expertus. vt quan doque ynum ex inſperato lingua profferat, Q tamen
aliter mente prius conceperat,id autem etiam cuidam Geometræ, ſi contingar, vt
perperam ſemicirculos deſcribat veltrahat lineas,non vt opor tet (vt
interiusprius mente concepir) ficut primo topicorum capite primo fuit
declaratuin,non tamen id proprium eft Geometræ,cum non ſemper vnicuique
Geometræ conueniat, ſed raſo etiam vni accidat. SIMPLICITER igiturnotius, quod
prius eſt poſteriore, vt punctum linca, o linea ſuperficie, et ſuperficiesſolido,
quem admodum vnitas numero prius enim &principiã omnis numeris. VIDETVR hic
textus contra determinationem philoſophi primo de phiſico auditu capite de
primo cognito, vbi determinat de circulo p priino cognoſcitur, quam quod fit
figura plana vna linea contenta: pro cuius loci huius &illius intelligentia,
fcire debes deffinicum cum ignotum ſit, per deffinitionem explicatur,ipſa vero
definitio per ea quę nota ſunt, ingnotum definitummanife ftum facit, quod
Euclides,vbilineam rectam deffinit primo Elemē. torum prius punctum
explicuit,quiin deffinitionem lineæ ponere, tur, vt furt declaratum capite de
per ſe,primopofteriorum fubinde lineam per punctum, et fuperficies per lineam,
et tandem libro 11, corpus per ſuperficiem deffiniuit, quo autem modo diuerſo
ſe ha heat punctus in linea ab eo modo, quo vnitas in numero,id in na lyticis
capite de per ſe fuit manifeſtīt, ſed id in dubiữ verticur, quo nam modo
corpore ſuperficies, et fuperficie linea, &linae punétus noctiora fint:'cīí
hæc omnia apud Geometrā, et ftereometram ab ſtracte conſiderentur. Dico quod
cum abſtractione in his omnibus minor et maior fimplicitas repperitur,vt in
puncto quam in linea &fic deinceps, Adid autem de primo phiſicorum de
circulo nulla videtur oppofitio in Ariſtotelis verbis, ibi enim de vniuerfali
con fufe aprehenſo hicauté de ſinipliciori dictincte concepto loquitut C 1 pro
no OPORTET autem non latere quædam fortaſſe aliter deffi niri non poffe,
vtduplum, line dimidio. ID notandum euenit hoc loco, quod Ariſtotiles capite de
ad ali quid poft multa examinara ibidemn determinauit,quodad aliquid non eft,
cuius effe fit elle alterius, fed cuius eile eft ad aliud quodam modo refferri,
vt dupli efTe, fic eft, vt abfque relatione ad illud cu ius eft duplum minimne
poflit percipi, licet non cognoſcat illud fub nomine et natura dimidii,ſed
tantum quathenus duplationen ter minat, quę fundatur in eo, quod illa
duplatione duplum eft. OPORTET autem ad deprehendenda talia fummere mine
orationem, vt quod, dies, eſt ſolis latio fuper terram. QVI deffiniet diem
artificialem (qui incipit ab emerſu ſolis ſu pra orizontem vſquequo accidat )
ponit in definitione lationem ſtelle apparentis fuper terram (qui fol dicitur
)nam qui die vtitur et ſole vei neceffe eft, acquiſolem deffinir, ſtellam in
die apparentem dicit, in qua deffenitione alterius,alterum ponit eo modo quo ea,
quæ ad aliquid deffiniuntur, RVRSVS fieo quod e diuerſo diuiditur, id quod e
diuerſo di uiditur diffiniuit, vt impar eſt qui vnitate maror eſt pare, fimul
enim natura, quæ ex eodem genere e diuiſo diuiduntur, impar au. tem et parediuerſo
diuidunt,nam ambonumeri differentia. PRETER eas quas Euclidesin elementis et Boetius
primo Arithmeticæ deffitiones de impari atque,pari numero dederunt,hęc Vna eít,qua
in comparatione et non abfolute imparemnumerum in ordinead parem deffinit fic
vt neuter abfque altero intelligi que at, et alter indeffinitione alterius
ponatur,vtocto par, vnitatem imparem feptem ſuperet, et hic fenarium parem
eadem vnitate maior euadat. Duo enim funt quæ diuidunt e diuerſo ipſum nume rum
par, et impar, et in deffinitione alterius alter ponitur,cum ad feinuicem
rellatiue conſiderantur et non abfolure, SIMILITER autem et fi per inferiora
ſuperiora deffiniuit, pt parem numerum quibipartiteſecatur, name bipartite ſuma
ptumest à duobus quæ paria ſunt. HIC textus obfcuriuſculus redditur in
littera,ſenſus tamen fa. cilis eſt, ſuperius enim fi per ſuum inferius
deffinitur, vt notius fia at, fuperius hic eft quod, bipartire ſecatur,inferius
autem numerus eſt par,optime enim fequitur, hic numerus par eft igitur,
bipartite fecatur,fed fi arguas bipartite ſeccatur igitur numerus eft,incõftans
eft ifta argumentatio, neque y ſquam valida eft, nifi intelligatur 1 numerus in
confequente pro numéro numerato, vt funt etiam ma. gnitudines, quæ nuineri
ſunt, vt in pofterioribusdeciaratum eft per me, ita vtin conſequente accipiatur
numerus pro quodam comu. ni ad numerum numeratū &ad numerum qui eſt ex
vnitaubus profuſus aceruus,fic enim quod bipartitīī par numeruseft, et ficin
deffinitione ſuperioris, quod eſt bipartiri veimur oumero pari,qui inferior eſt
ad bipartiri ſimauis, bipartiri,a binario numero capias qui binarius
inferioreſtad numerum parem,cum quaternarius, et ali quam plurrimi fint pares
numeri,modoqui in deffinitione nu. meri paris vtitur bipartiri, ille quidem in
ſuperioris definitione Vtitur ſuo inferiore, AVT rurſum qui deffinit noĉtum
umbram terra. TERRA eniin cum ſit opacum corpus radë Colaresnon pof. funt illud
ingredi et vltra progredi (quod in traſparenti aericone tingit,) ſed
impediuntur a parte terræ, quæ pars ad folem reſpicit, ex alta autem terræ
parte,luminis priuatio contingit, quæ priuatio luminis folaris fuper terram nox
appellarur et cft liquis igitur no Etem definiat, fic inquiens nox eft priuatio
luininis folis ob er iæ opacitatem proueniens, fimiliter terram quis deftiniens
dicet, terra eſt corpus ex cuius opacitace nox fit, vide quo pacto &ter am
in deffenitione noctis, et noctem in deffitione terræ et vtrun que in vtriufque
deffinitione ponitur, fequuntur quædam Ariſtore lis verba in textu de
multiplici et ſubmultiplici, atque de duplo et dimidio, quæ quia alias
declarata ſunt pretereunda duxi, fed id no. tandum eft quod in deffinitione
priuatiui, vtputa noctis, ponitur poftiuum, vtputa terra, quod etiam in multis
eft aduertendum, quia non ſolum ponitur pofitiuum,fed etiam priuatiuum, vtly
pri uatio lurninis. Si autem aliquurum complexorum aßignetur terminus, con
fiderandum eft aufſerendo alterius eorum, quæ comple et tuntur ora tionem, fi
eft et reliqua reliqui, Nam fi non,manifeftum quonia, neque tota totius, vtſi
quiſpam deffinit lineamfinalem rectam fic nem plani habentis finis, cuius
medium ſuperaditur extremis, ſi finalis linca ratio est,finis plani habētis
fines recte oportet effe re liqui, cuius medium fuperadditur extremis,fed
infinita,neque me dium neque extrema habet, re &ta autem est, quare non est
relo qua reliqui oratio. ст · AVTEM quain ad expofitionem textus deueniam primo
liç terai Ariſtotelis in tralatione Argyropili et in textu Auerois cor rigendam
puto de mense Ariſtotelis ex Euclide iuxta cheonem, le gitur enim in vtroque
textu cuius medium ſuperadditur extre mis, vbi legi debet, cuius mediuin ' non
reſulta ab extremis 86 Aueroes in expofitione fic interpretatur,cuius inedium
non occu. lit duo extrema, et videtur afſentiri ipfi Platoni deffinienti rectă,
recta inquit linea eſt, cuius medium non obumbrat extremna, cæ, terīt mens
Ariſtotelis eſt, quo pacto complexum deftiniatur often dere, vt fi homo
gramaticus deffiniatur,hæcenim erit ſua deffini tio, fíue terminus,aninal
rationale mortale recte legens atque ſcri bens, tota quippehec ratio, huic toti
coplexo, nempe, homo gram maticus,conuenit,modo liably homo, ly gramaticus
aufferatur, &ab ly animal rationale mortalely recte legens atque ſcribens,
vt fic dicatur, homo eſt aniinal rationale mortale, &gramaticus eft
recte,legensatque ſcribens, peroptime data erit deffinitio primo ipſius
complexi,homo gramaticus,quod Ariſtoteles in Geometria exemplificat,iminaginans
(de mente aliorum,) planum efle infini tum ſecundum longitudinem tantum,
finitum ſecundum latitudi. nem, quod quidein terminatur linea recta, quæ eius
finis ſecundū latitudinem ellet, modo ſiquis definiret lineam finalem rectam
die cens,effe finem planihabentis (ſecundum latitudinem ) fines,cuius (quidein
finis) medium non relultat ab extreinis,hæc particula, fi nes plani habentis
fines, in definitione pofica recte conuenit lineæ finalis, fed hæc particala,
cuius medium non reſultat ab extremis, nonconuenit illi particulæ pofitæ in
complexo, quæ eſt ly recta, velly linea, quia non conuenit niſi recrę lineç
finicę, et non infi nitę, quęinfinita, vt fupponebatur, non habet medium, neque
ex. trema,ideo deffinitio ipſius totiuscomplexi minime recte data erat quia
ficut vna ablata particula in deffinitione conueniebat ablatę particule
deffiniti, non fic reliqna particula deffinitionis conuenit relique particule
complexi deffiniti, $ I autem differentia terminum alignauit confiderandum, fi
eg alicuius numerun comunis est aſſignatus terminus, vt cum imparem numerum
aliusmdium habentcm dixerit, deter minandum est, quo pacto medium habentem, nam
numerus qui dem, comunis in vtrique rationibus eſt, imparis autem coaſſum pta
eſt oratio, habent autem &linea et corpusmedium, cum non fintimparia, quare
non vtique erit deffinitio hæc imparis. 12 IMPAR numerusin duoæqua
dicendinequit ob vnitatis in teruentum medium indiuilibilis denumerantis totum
numerum cuius illa vnitasıncdium eft, linea autem et corpus et ſi medium
habeat,linca quidem punctum medium, quod per 10 primielemen torum inuenitur fi
diuidatur, et fuperficies medium habet diame trum, illa tamen media,vt nec
punctum lineam,neque linea ſuperfi ciem dimittuntur, neque illa componunt ea,
quoruin media ſunt, determinatū igitur eft, quo pacto numerus medium habet, et quo
pacto linea atque ſuperficies, et hoc de numero iinpari intelligas, cuius
inedium interduas partes æquales,vnitas eſt, et non de pari, ficut etiam
Ariftoteles ait in textu, ex eis QV AE DA M enim ſic ſe habent ad inuicem, vt
nibil ex fiant; vt linea numerus. LINEA in lineam fiducatur vt 45
primielementorum Eucli dis docet et prima et ſecunda; ſecundi elementorum
fuperficies pro ducitur, pariterque numerus, ſi in numerumduxeris,numerus pro
ducetur, vt ex ſeptimo elementorum manifeftum eſt, non tamen idem prouenit per
additionem, quia linea lineæ addita non facit ſur perficić, &fi hoc
milliesmillienamillia addieris adinuicemlineas, non reſultabit ſuperficies,
neque fi puncta ad fe inuicem addideris linea vnquam reſultabit, vnitas tamê li
vnitatibus, velvnitati,nu. merus (tatim reſultabit, qui acccruus eft ex
vnitatibus protufus, vt etiam in prædicamento quantitatis fuit declaratum. Avr
fi eodem ab vtroque ſublato, quod relinquitur eſt alte rum, vt ſi duplum dimidi,
co multiplum dimidij idem dixerit elje, fublato enim ab vtroque dimidio,
reliquu oporteret indicare, non indicant autem, nam duplum &multiplum non
idem fignificant. VLTRA cà quæ de duplo et multiplo libro quarto capite quarto
ibi dicta ſunt,vnum illud conſiderandum eſt, quod a nega. tionc dupli ad
interremptionem multiplex fiquis argueret commit teret conſequétis falatiam
vniuerſalius enim eft ipfum multiplum ipfo duplo, vt eft animal equo vtrunque
tamen ad aliquid eft, et duplum ad dimidium, &multiplum ad ſubmultiplum.
VIDET V R autem &in diſciplinis quædam ob definitionis deffe &tum, non
facile deſcribi, vt quoniam quæ ad latusſeccat planum linea,fimiliter diuidit
&lineam &locum, definitione au tem di&ta ftatim manifeftum eft quod
dicitur,nam eandem ablatio nem babent.loca d linea, eft autem definitio eius
orationis hac. DEFFINITIO ſecunda tertń elementorum intellectum prebet huius
deffinitionis pofitæ ab Ariſtorele, definitū eft ly linea fec cās planum,
definitio eft ly linea fimi a Jiter diuidēs lineam &lo ct, fic enim Jittera
ordi netur, linea quæ ad latus ſeccat pla num, eft li. nea diuidens lineam et
locuni terminatum ab ipla linea recta, fieri enim non po teft, vt linea ſecet
planum terminatum linea, quin il.. la linea terminans planum ſeccetur ab eadem
feccante linea, id autē manifeſtum g eft ex fecunda, tertia, et quarta
definitione tertń elementorum Euclidis, et alisexipfo tertio elemen forum, et xi
fecundi, ly li. mea quæadlatusfeccat pla num,vocatAriftoreies orationem in
hocloco, vbi ait, oautem: deffinitio eius orationis, hæc, id etiam dignī notatu
cum deffinitio per genus, et differentiam detur,loco generis in hac
definitione, eſt ly linea diuidens lineam, inodo cum linea prior fit plano,
manife, ftum eft,quodde genere dicendum erat in hac definitione, SIMPLICITER
autem prima elementorum, pofitis qui dem definitionibus (vt quid linea vel quid
circulus) facillimum oftendere, verum non multis ad vnumquodque eorum eft
argumen tari, eo quòd nonſunt multa media, ſi autem non ponanturprinci piorum
definitiones,fortaſſe autem omnino impoßibile. PRIM A elementorum hoc loco,non
ſunt intelligenda princie pia, quæ definitiones,petita,& animi conceptiones
ſunt, ſed princi, pia ipſa,ſunt propoſitiones,quæ in probleniata et theoremata
diui duntur, quæ prima elementorum, ideo dicunturcum per ipfa, quæ proponuntur
in alís ſcientñs probentur, vt quid fit linea,videlicet longitudo illatabilis,
et quid linea recta,cuius mediñ ſua ex æquali interiacet figna,tunc ſuper datam
lineam rectam triangulum colo care proponit prima, primi elementorum, et pofita
definitione cir culi per ipſam probatur triangulum ſuper datam lineam colloca.
tum effe æquilaterum, et folum perilla media videlicet definition nem circuli
17 et primam animi conceptionem primi elemento rum, quæ definitio, et animi
conceptio fi prius non ponantur diffi cile erit oftendere, fortaſſe omnino
impoſsibile, quod triangulus conftitutus fuper datam lineam ſit æquilaterus, 1
SIMILITER autem his et in his quæ funtcirca orationes Je habe nt; non igitur
latere oportet, quando difficilis argumenta bilis eft poſitio,quòd eft aliquid
eorumquæ di&ta funt. LINE A quidem, atque circulus ſunt quædam incomplexa
quæ diffinibantur ab Euclide deffinitione tertia et 17 primi ele mentorum,fed
linea quæ ad latus ſeccat planum, fiue linea ſeccans planum ad latus, id totum
complexum eft,atque compoſitum, et licut fieri non poterat, vt oftenderetur
æqualitas laterum trianguli, abſque definitione incomplexicirculi, fic etiam
fieri non poterit, vt quippiam de quopiam demonftretur, quando in
demonſtratione ingreditur aliquod extremum complexum, quia tunc vtimur toto
iſto tanquam principio,ly linea leccans ad latus planum, nifi prius ipfius
complexi atque orationis præierit deffinitio, quę eſt,ly linea fimiliter
diuidens lineam terminantem locum &locum, ita vtpar. ticula illa circa
orationes non intelligatur yt gramatici, et rhetores intelligunt orationes, fed
oratio, pro quodam intelligatur comple xo indiſtantitamen, hoc eft fine copula,
et verbo principali,parti cula illa, pofitio, cum inquit Ariſtoteles quãdo
difficilis eſt pofitio, non intelligitur pro petitione, feu petito, quia
petitum non eft argu mentabile,hoc eſt per argumentum probabile,neque
difficile, ne facile, cum ſit primum principium &non probetur, fed petitio
in hoc loco accipitur pro ipfa propoſitione, quæ probanda venit, ſeu
fpeculatiua,vel etiain practicafit, feu problema, vel etiam theore, ma
fuerit,et tunc talis propofitio difficile argumérabilis eft, quando inter
probandam ipſam,contingit aliquod deffiniendī, quod com plexum fit, quod nifi
delfiniatur,difficilis argumentabilis eſt propo ſitio, et fortaffe omnino
inpoſsibile, quando id quod dictum eſt contigerit,videlicet quod complexum
deffiniendum interueniat, ly fortaffe autem omnino impoſsibile in præcedenti
textu non dubi tatiue ſed magis comprobationis particula accipienda eſt. VELV T
Zenonis quòd non contingitmoneri, neque ſtadium pertranfire. PROTERVI Zenonis
eft fententia dicentis ftadium, quod octaua pars milliaris eft,pertranfiri non
polle, inter genera menſu. rarum quæ magis notæ ſunt,ftadium numeratur,quod
iuxta Ptho. Jamei ſententiã primo Geographiæ eft milliaris Italici pars octaua.
OPORT ET autem eum quibene transfert diale &tice,& non contentioſe
transferre, vt GeometramGeometricæ,fiue falſum fiue verum fit; quod
concludendum eft. DIALECTIC A trallatio eft,quæ apparens quidem eft,et
conuenientiam habet ad illam remi fecundumquam trallatio facta eft, et non
debet effe dubia,contentiofa, et fophiſtica, ſed magis ad inſtar geometræ, qui
nõ errat aliquo pacto circa ſuam materiam er formam, vt primo poſteriorum
declaraui, vel etiam quitransſeng hanc vocem triangulus, a ternario numero, et
quadratum a nunc ro quaternario propter ternarium, et quaternarium numerum vel
æquicrus a duobusæqualibus tibás, vel gradatus propter tria 1112 - qualia
latera, quæ vt gradus concipiuntur, 2 CAPITE QVINTO. AXT fiquis corum qua
ſequuntur ſeinuicem ex neceſſitateal Strumpetat vt latus incomenſurabile cle
diametrofi oportet dia meter lateri. PRIMO pofteriorum fuit declaratum et demonſtratū
quo pacto diameter quadrati coftę fit incommenſurabilis, quantum autem ad hunc
locum attinet, non ſemper per ca que ſe conſequun tur immediate,probatio fieri
debet, fed medium debet effe aliquo modo idem cū extremis,&aliquomodo
diuerſum, vt in 10 clemë torum de diametro, &cofta eftmanifeftū,Prçterea,non
eft proban dumaliquod ingnotum per equc ignotum, quod fi alterum peta tur in alterius
probatione, nil penitus demonſtratur, IN PRIMO ELENCORVM. CAPITE PRIMO,
POSTQVAM enim ipſas per ſe res in difputationem alla tas vfurpare dicendo non
eſt, ſed vocum veluti nutibus,rerum die ce primur, ſiquid in id incidit
vitij,in ipſis eſſe rebus, nõ in vocibus putamus,quod vfu venire his,qui
calculisrationem ineunt, ſolet. CALCULATORES noſtri temporis characteribus
caldaicis vtuntur, per quos, in numerorī cognitionem trahuntur, ficut per voces
in rerum cognitionem ducimur, IN TERTIO CAPITE, DIVISIONE vero,vt quoniam
quinqueſuntduo et tria, fieri vt paria fint imparia, et maius fit æquale. SI
diuiſim ſummas3.& 2. nunquam, quinque faciunt, ſecue autem fi coniunctim,
&ceffatomnisinftantia. Neque dixit terna fium, et binarium, quia due
ſpecies numeri, non componunt terº tiam fpeciem numerorum,ſed quinque vnitatcs
pro materia quiné sii accipiuntur. VD ANTVM vt quale,quale vt quantum. IN primo
pofteriorum in de triplici errore circa vniuerfale fuit oftenfum,proportionem
proprie circa quantum &non circa qua le effe, ita vi ſiquis pPomba
proportionem proprie eſſc circa quale, is quale pro ipſo vretur quanto vitioſe.
IN QVARTO CAPITE. AVT quod idem eiuſdem duplum, et non duplum, duplum quidem in
longuni, non duplum antem inlatum. CVM dederic eiufdem ad diuerfa: vt duo ad
uſum &ad tria dat deinceps exemplum eiuſdein ad idem fecundâ diuerfa tama,
Vt linca a b quatuoc,ad lineam a cduo actu dupla eft,no autem dú pla in latū
immo quadrupla elt a badac duo quod eft effe fuũ in potentia, quod manifeſtuin
eſt, in triangulo a bccuius ca b'rectus eft, id autem manifeftum eft ex 46
primi Elementorum, Eucli dis, vel dicas ab duplam ad a cin longitudine, non
autem in latiu dine, qua caret, eft dupla 1: 6 . NEQYE ſi triangulusduobus
rečtis tres æquoshabet, et ei. velfigură,del primum,vel principium eſſe
dicit;quod velfigura, del primum, vel principium eſt triangulus eft, nam non
quathe nusfigura del primum pel principium, ſed quatbenus triangulus
demonftratio erat. TRIANGVLVS enim rectilineus figurarum rectilinea. sum prima
eſt,ita vt fic et figura, et prima, et principium,vt qui buſdam placet omnium
figurarum rectilinearum,non tamen id ve tum eft fecundum Euclidis fcicum; vtAs
primi clementorum dos cet, &vt Amonius determinat capite deſpecie ſupra
porphirit, ſed hoc loco famoſe loquitur Ariſtoteles, et determinat quod no con
uenit criangulo habere tres duobus rectis æquales, ratione corum quæ de eo
dicta funt, fed ratione ſui ipſius,non aucem quathenus,fi gura,vel primī, et principium
neque etiam fi ifta fuſius accipian tur,figura,primüm principium inferunt
triangulum efle, arguere. tur enim ex conſequente ad antecedens, et exmagis
vniuerfale ad minus vniuerfale,ex ſuperiorique ad inferius, figura enim nedum
triangulo conuenit, ſed pentagono &alijs multis,primum nedum figuræ, fed
etiamnumero principium quoque in naturalibus, et his quæ arte fiunt repperitur,
nedum in figuris cöpofitis (vt ais. bant ex triangulo ſape ſumpto, Hoc autem ab
accidente differt, quoniam accidens quidem 1 I 1 in uno ſolo ſummere eft, vt
idem,elle flauum of melse album ege cygnum,quod autem propter confequens in
pluribusſemper opora tet,nam quæ vni et eidem funteadem er fibi ipſa
poſtulantur elle eadem propter quodfit ea quæ propter conſequens eft
redargutio, eſt autem non omnino verum, viſifit album ſecundum accidens, nam
&nix cygnusalbedo idem,autrurſum Melyſji oratio, ide elle poftulat,fa
&tum eſſe, &principium babere', autæqualisfieri Geandem magnitudinem
accipere,quoniam enim principium ba bet quodfa &tum eft.co quod factum eſt,
babet principium,fa &tum elle postulatstam quam ambo eadem fint eo quod
principiū fa &tu elle finitumquc habent, ſimiliter auto e in his que
æqualiafa &ta Junt, ſi eandem magnitudinem et vnam ſumendo æqualia fiunt,
et quæ æqualia faéta funt eandem dim onam magnitudinem ſum munt, quare
conſequens ſummit. TRES modos errandiin falatia conſeguentis adducit philofa
phus, primade accidente, ve de albo,aiebant quidam cõſequencia hác valere,
cignus eft,igitur album eſt, et econuerſo,album eft,ige tur cygnus eft,determinat
Ariſtoteles, quod album elle,vniuerſali us fit,quã effe cygnum, a magis comune
ad minus comuneargud do cõinictitur fallacia cõrequêtis,albedo enim nedum eft
in cygno, fed etiã in niue, et alñs reperitur: Secundo vt Melyflus aiebat, hæc
duo videlicet, ly factum efle, et ly principium habere, vt recte fer quebatur
fecundum Melyſſum factum eft, igitur principiñ habet, principium habet
igiturfactum eſt, principium enim habere, vni uerfalius eft quam factum effe
cælum enim principium habet, ma teriain ſuam ſcilicet &formam, attamen, non
eft factum, quia fer cunduin falſam Ariſtotelis opinionem ſemper fuit, principiữenim.comune
eft et ad id quod materiam &formă haber, et adid quod cæpit efle, in
tempore modo a magis comune ad minus comune arguendo committitur error
confequentis, Tertio loco, aduertic Ariſtoteles quod eadem magnitudo,
&æqualis magnitudonon couertuntur,in plus eniin eſt æqualia effe,quam cadem
effe,fiquis igitur inferat,magnitudo magnitudini eadem eft,igitur magnitudo
'magnitudiniæqualiselt,recte quidem intulit, vi in probatione ſce cunde partis
quintæ lib. primi Elementorī vna &eadem linea di fit balis in duobus
triangulis eft, fibiipfi æqualis et in quinta et ſexta terti Elementorum vna
&eadé linea a centro exiens ad cor cunferentiam (quæ duabos lineis ali
comparatur )elt æqualis fibi, fed non omne quod eft æquaļe alteri,elt fibi ipfi
idem, vipatet, in 1.. tertia primi, Elementorum,cuin de longiori æqualis
breuiuri ſinex linea feccacur, ob id Euclides, In quinto Elementorum propofitio,
ne 11.propoſuit probandum,quod quæ vni ſunt cadera &libica: dem ſunt,quod
fi principiuin primafuiſſet, licuti eft, quæ vni ſunt E qualia inter ſe ſunt
equalia, non propoſuillet illud in quinto eile probandum,quod Ariſtoteles
confiderauit. QVARE manifeftum eft, quodeo demonſtraționes redargu. tiones funt
&veræ quidem,nam quæcunque demonftrare licet, ca Gredarguere eū,qui
contradi tione veri ponet,licet, vtſicomen furabilem diametra
pofuerit;redarguatquis demonftratione, quod incomenſurabilis;quare omnium
oportet efle, nam alia quidem ea quæ in Geometriaſunt principia eorumque
concluſiones &cæt. SIQ VIS diametrum commenſurabilem coſtæ ponat redar,
guitur ab Euclide lib, 10 elementoruin propoſitione 115, vel leo cundum
campanuin, per illam demonſtrationem, quæ ibi adduci. tur,quæ demonftratio,redargutio
eft ipfius proteruiafferentis con. trarium, fic vt pro declaratione huius
textus fatis fit, quod ipía de monſtratio veri,redargutio eft falli allerti,vel
afferendi a proteruo, NAM ſecundum vnamquanque,artem ſyllogiſmus falfus est, vt
fecunlum Geometriam Geometricus, " VIDETVR ex hoc textú quod geometra
paralogizet quod oppoſitum eft ei, quod determinatum eſt in poſterioribus,
Geometram videlicet non paralogizare, Dico Ariſtotelem loqui non de Geometrico
fyllogiſmo in quo,neque circa materiam nec circa formam error contingit, fed de
fyllogiſmo in quo terminus, ſeu vox aliqua repperitur Geometrica, contraria lux
fignifica tioni a Geometra pofita, vt quod triangulus pro circulo accipia
tur,vel error paratur in conſequentia,vt fi triangulus, igitur dua. bus lineis
clauditur, et vtroque modorum erit pfeudogeometri cus fyllogifmus, vt fi quis
pſeudogeometra per numerum inipa sem æqualem pari fyllogizer diametrum
commenſurabilem effe ipfi coſtr,hoc ſuo fyllogilino non falſum redarguit, quin
potius fal fum ingerit, de quo fyllogiſmo pſeudogeometrico, hic Ariſtoteles Intelligatur,
et non de Geometrico, vt in pofterioribus determi, nauit philoſophus, et per me
fuit declararā, quo modo Geometra non paralogizat lad ſyllogizat, et id, hoc
loco in memoriam reuo candum eft, quod in prioribusde prima figura dictum fuit,
quo nam pacto Geometra illa vtatur, IN NONO CAPITE. ET la cuis viletur plura
ſignificare triangulus, deditque, nos, vt cam figuram de qua concludebat quòd
duo re&tis, verum ad in telle &tum illius difputauit,hic an non?
TRIANGVLVS enim eft figura plana tribus rectis li. neis contenta de qua
Euclides ſecīda parte 32.primi elementorum demonſtrat quod habet tres angulos
duobus rectis equales, modo fiquis immaginaretur quod triãgulus aliquid aliud
fit, a tali figura (qui triangulus eſt ) propter id quod omnes anguli ipfius
figuræ fint etiam duobus rectis æqualcs, vtoninesanguli pentagoni,cu. ius
vnumquodque lacusſeccat duo ipſius reliqua latera, talis pro fecto non
diſputabit de triãgulo, quiaad intellectuin triangulinon reſpicit,fed ad aliud,
vt ad talem pentagonum, no enim neceffe eft, vequicquid habet angulos duobus
rectis pares, fit triangulus, nes quod habent tres duobus rectis pares, fed quæ
figura habet tan tum tres angulos duobus rectis pares,ille triangulus eſt.
VNITATEs binarijs in quaternzrijsæquiles efle,at binse rij hic quidemſic infunt
illiautemſecus, SIQ VIS ex illo principio, quæ vni et eidem ſunt æqualia,
inferre tentauerit quod binarij fint quaternarii, hoc medio, omnes vnitates
ſunt ęquales vnitatibus binarë,omnis numeri quaternarij vnitates ſunt
æqualesvnitatibus binarë, iglur omnes vnitates quaternarñ ſunt æquales
Vnitatibus binarij,igitur quacernarius eft binarius,ad maiorem et minorem prime
coufequentiæ dicendum, quod fi vnitates ſingulę et diuiſion accipiantur
concedendæ ſunt vtræque et confequentia prima, fed fecunda confequentia
interris matur, fi vero vnitates in maiori et minori acceruarim ſuſcipian, tur
vtraque præmiſſarum eft falla et fequitur conclufio falfa, et les cundę
conſequentiæ anteccedens eft falluin, et conſequentia fequi tur, et conſequens
etiam falſum eſt. NEOVE liquod pſeudographum circa verum eft vt Hyppo cratis
quadratura que per lunulas, ſed qualiter Brifo circulã qua,
drauit,tametficirculus quadretur,tamen quis non ſecundum rem ideo ſophiſticus
est, quare etiam qui de bis apparens ſyllogiſmus cft,oratio plane eſt
contentiola. / ! HYPPOCRAS tentauit circulum quadrareper lunulas et reduxit
lunulam deſcriptam ſuper coſtarn quadrati inſcripti in ciro culo ad figuram
rectilineam &exiſtimauit omnem lunulam redu ci poffe ad rectilineam figuram,
ob id fuppofuit lunulas deſcrip tas fuper latus exagoni circulo inſcripti,poffe
reduci adrectilineam figuram ex quo ſuppoſito non demonftrato, progreſſus eſt
ad cir. culi quadraturam &variauit diagramma,tranfiens à quadrato ad
exagonum, et tranfiens a lunula exiſtente ſuper lacus quadrati in fcripti
circulo ad lunulam deſcriptam fuper lacus exagoni inſcripti in circulo, et fic
preudographus factus eſt, Briſo fimiliter errauit circunſcribens circulo et infcribens
circulo quadratum,vterque fo phiſtice proceſsit,et fyllogizarunt contētiofe,
fed alter in diagrāma te vt Hyppocras, reliquus vero in principäs proprös neque
in illa rione, reliquus autem in conſequentia, et quia vtebatur principös
coinmunibus, et fi circulus quadretur fophiftice, tamen non fecun dum rem, vt
non per principia propria, neque per deſcriptionetti diagramatum,hoceft per
cõſtructionem debitam figurarum,nec ex neceffaria cófequutione principiorum ad
conclufionem ex illis principñsneceffario illatam, fyllogiſinus igitur quo
Hyppocrates et Briſo fyllogizabant quadraturam circuli, contentioſa erat al
tera,vt quæ Brilonis, non contentiofa vero reliqua, vi hyppocra. cis,vti
Ariſtoteles inferius in hoc capite declarat inquiens, CONTENTIOS A vero quodam
modo ſic ſe ad dialetti cam habet,quemadmodum pleudographa ad Geometriam, namex
eiſdem, diferendi modo,captiose et pſeudographa Geometrice de cipit,fed hæc
quidemnon eſt contentiofa,quia ex principys et con clufionibus quæ funt fub
arte pſeudographa facit,quæ autem ex his eftquafuntfub diale et tica,circa alia
quide contentiofam efle mani feftum eft,vt quadratura quidem, quæper lunulas
non contentio Sa, Brifonis autem contentiofa eft. ILLA ars quę falſum cöcludit
vel potius artifex ille,an potius pſeudoartifex qui ſyllogizat falium ex
principiis veris vel ex theo rematibus probatis, vt fecit Hyppocras in
quadratura circuli,non contentioſe procedit, quia ex propriis principiis et theorematibus
Geometriæ,Briſo autem proceſſic ex his, quæ nedum Geometria, fed etiam aliis
diſciplinis applicari poffunt, vt, quæ vni et eidem funt æqualia inter fe
æquaha effe conftat,quod principium et Geo metriæ Arithmeticæ ſtereometriæ
&ei quæ de ponderibus tractat diſciplinæ applicari poteft, pariter ratio
Antiphontisde quadratu. G 16 ra contentiora eft, qua negat principium Geometriæ,
quod eft fe cundum theorema certii elementorum Euclidis, et negat etiam li.
neain poffe in infinitum diuidi, et dicit rectum eſſe curuum, et cur uum rectum,
et dari duo puncta inmediata in linea circulari, quæ omnia fequuntur ex
conſtitutione hilochilium triangulorum qui conſumunt lunulam contentam a
circunferencia circuli et recta linea. VT impar numerus ejt medium habens, eſt
aut numerus im par, eft igitur numerus, numerus medium habens. IMPAR numerusa
pari differt vnitatis incremento vel im minutione, vt quinarius a quaternario,
et ſenario, in his igitur vo cibus, ly numerus et ly impar committitur vitium
nugationis, quale committitur in his quæ ad aliquid dicuntur, vt fimitas naſi
quidem curuicas eft,modo fic ordineturfyllogiſmus, Omnis impar eſt numerus
habens medium. Sed numerus eft impar Igitur numerus eſt numerus habens medium
Ecce quod bis numerus reppetitur in concluſionc, inaniter factum. ACCIDIT autem
quandoque ficut in mathematicis confia gurationibus, vt illic quæ foluimus
quandoquecomponcre iterum non queamus. OVADRATVM, penthagonum, et cæteras
figuras re. etilineas reſoluimus in triangulos,non tamen ex triangulis quadra
tum fit ſed ex dacta linea recta in fe ducta deſcribitur&, 45primi
clementorum Euclidis, et cæteræ figuræ, vt ex quartolibro elemen torum Euclidis
patet,fed per id non videtur factum effe fatis textui Ariſtotelis,nifi dixeris,
quod non ea facilitate idem componimus, qua facilitate ſoluitur in triangulos,
vel etiam dicas quodin Geo metria abſolute non componitur figura ex triangulis,
et fi omnia figura rectilinea in triangulos refoluatur, fecus auteminri athmetica
de mente pythagoræ, tefte Boetio libro fecundo Arithmetices immo vnaqueque
figurarum ſpecies, componitur ex præcedenu fpecie et triangulo,vt eo loco
demonftratur, vel meliusex tot vni tatibus, quotpræcedensſpeciesconſtat, et vnitatibus
triangulorum, vt illis declaratur locis. VNIVERSA LOCA IN LOGICA M A R то тв
LIS IN MATHBMATICAS DISCIPLINAS HOC NOVVM OPVS DECLARAT. сум PRIVILEGIO. aistas
f 4 VBNBTUIS IN OFICINA FRANCISCI,COLINI GROENIGLICHEN AD LECTORES. Primum
limen huius ingreſſus eft in hunc librum,utintel ligat lector Euclidein citatum
eſſe fecundum Theonem et fecundum Campanuim indiſcriminatim. Pretcrca illud
aduertendum eſt quod Textus Ariſtotelis partiti funt fecundum Ioannem
Grammaticum, et nume rus alius, cui præponitur ly aliàs, aut ly uel,in fronte
ca pitis denotat partitionein Auerois in Paraphraſi, Tertio loco numerus
denotatpartitionem commentationis mas goæ Auerois, Illustriſsimo Venetorum
Confilio cautum eft, ne quis hoc Opus imprimere audeat ante decenniuń, fubpena
Ducatorum centum, áammißionis librorum; ut in Priuilegio conceſſo Domino
Presbitero Petro Cathena artium et facræ Theologie Doétori, pro feßorique
publicoliberalium artium in Gymnaſio Paduano: LASERLICH HOFBIB WIEN L MARCOLINI
GROENIGLICHEN AD LECTORES. Primum limen huius ingreſſus eft in hunc librum,utintel
ligat lector Euclidein citatum eſſe fecundum Theonem et fecundum Campanuim
indiſcriminatim. Pretcrca illud aduertendum eſt quod Textus Ariſtotelis partiti
funt fecundum Ioannem Grammaticum, et nume rus alius, cui præponitur ly aliàs,
aut ly uel,in fronte ca pitis denotat partitionein Auerois in Paraphraſi,
Tertio loco numerus denotatpartitionem commentationis mas goæ Auerois,
Illustriſsimo Venetorum Confilio cautum eft, ne quis hoc Opus imprimere audeat
ante decenniuń, fubpena Ducatorum centum, áammißionis librorum; ut in
Priuilegio conceſſo Domino Presbitero Petro Cathena artium et facræ Theologie
Doétori, pro feßorique publicoliberalium artium in Gymnaſio Paduano: LASERLICH
HOFBIB WIEN LCOLINI GROENIGLICHEN AD LECTORES. Primum limen huius ingreſſus eft
in hunc librum,utintel ligat lector Euclidein citatum eſſe fecundum Theonem et fecundum
Campanuim indiſcriminatim. Pretcrca illud aduertendum eſt quod Textus
Ariſtotelis partiti funt fecundum Ioannem Grammaticum, et nume rus alius, cui
præponitur ly aliàs, aut ly uel,in fronte ca pitis denotat partitionein Auerois
in Paraphraſi, Tertio loco numerus denotatpartitionem commentationis mas goæ
Auerois, Illustriſsimo Venetorum Confilio cautum eft, ne quis hoc Opus
imprimere audeat ante decenniuń, fubpena Ducatorum centum, áammißionis librorum;
ut in Priuilegio conceſſo Domino Presbitero Petro Cathena artium et facræ
Theologie Doétori, pro feßorique publicoliberalium artium in Gymnaſio Paduano:
LASERLICH HOFBIB WIEN LIOTHEK PETRVS CATHENA VENETÝS PRESBITERORVM OMNIVM
MINIMVS REVERENDISSIMO DOMINO MARCO LAVRETANO EPISCOPO NONENSI AC PATRONO S V O
COLENDISSIMO. S. P. மரா NTER munera,quæ diuiniore calculo benigna humanitatis
arti fex natura nobiscontulit, uirtu tum de litterarum facratiſsime antistes,
ad poftremum haud quaquam adducitur ipſa ratio, nempe ad quamomnia prope
quæhumana addicuntur ſubstan tiæ ad unum adhæferunt, cuius munere ſi quis
minime recte ufus fuerit ipſum naturæ aduerſari, atſi bonis artibus que de
periere iam &deciderunt, quippiamſplendoris &utilitatiscor rogauerit et
farcuerit, illum rationismunereperfunctumeſſe ne mo nefciat, hac de
caufaconſiderans hominum mentes eodem effe quo arua fato, quæ ſi excolantur
bona ſinegligantur mala perfe runt germina,uidiſſem multos, qui philofophi
nominari uolunt prepoſteris imbutos litteris,quorum mentes ſentes alunt Gmon
stra, quibusuellicandisne unus quidem Herculesſatiseffet, uin Etum in
inestricabiles laberinthos quin potius in carcerem te terrimum Aristotelem ut
ciuimilites traxiſſe,qui inutilibus que stionibus &Græcis tenue intincti
literis, bomis artibusnegletis, fimiles factifunt oculo, qui quòd in tenebris
fit lucem flocifecerit Aij decreuiquoingenijuires,etiam fi exignas(nam apprime noui
quàm fitmihi curtaſuppellex ) expenderem in eruendo Ariſtotele ex illo obfcuro,
id autem tam comode quàm apte fieri putabam ſi Mathematica exempla ſua
expreſsiora redderem, quibus in ex plicandis Logicis ufusfuit ipſe prefertim
hoc tempore qua publi cis lectionibus Mathematicis in PaduanoGimnaſio
incumbebam, ad huius etiam clariſsimi Philofophi elucidationem accedebat hor
tatio iuuamen ReuerendissD.. Ioannis Marie Piſauri Epiſco pi Paphenſis
&mecenatis optimi cuius expenſis opus imprimeba tur, hortabaturque me ille,
ne opus hocpermiterem ex ire in ho minummanus fine duce aliquo cumpreſertim
milta, &fere difi cilima hac tempestate contineret, que aut ab
interpretibus uniuer fis omiffa, autoppoſita his effent que interpretati ſunt.
Te igitur patronum Dominum meum delegi,qui et Ariſtoteleam Philo ſophiam
uniuerſam cales, &qui has liberalesartes Latinis duri bus inuulgauit.
Itaque ea. Aristoteles loca qua potui diligentia il lustraui, et quæ lucem
claritatemque deſiderare uide bantur, curſimebreuis annotamenti lumine perui
afeci, qua in reſi effe cerim quod uoluizesło iudex &cenfor. Has autem
primores inge - ný nostri fæturastuo nomini Reuerendiss. Domine eam ob rem
dicatas uolui,quo plane intelligeres noftri animigratitudinem pro innumeris
quibus me in dies cumulare deſideras beneficijs, eoque quod aliter non datur
temeum reuerear benefactorem; neque ob aliud ſanete reuerear quàm quòd omni
laude digniſsimum: Vale præfulum decus. ed RE agat, ueletium num in ſemen uiri,
uelmulieris, uel inmatricem, { OTS PORPHYRII DE GENERE PETRI CΑΤΗΕΝΑ PRESBITERI
VENETINOVA INTERPRETATIO. IcetVR et alio modo genus uniuſcuiuſque principium or
tus, tam ab co, qui genuit, quám a loco in quo eft quiſ piam ortus. Dicitur
quòd locus, os pater cauſe funteffè &trices genis ti, diuerfimodetamen,quippe
pater aétiua fit caufa, locus uero conſer uatiua tantum,que ad cauſam effe's
Etricem non immerito reducitur,aps te magis quàm adquodcunque aliud cauſé
genus. Dico tamen quod, et locusnedum conſeruatiuum prin cipium est, fic ut
genitum folummodo conſeruet poftea quam genitum ipfum acquiſiuerit effe fuum,ſed
etiam adiuuin principium eſt ipſe locus affe Ausrefpectu geniti
accidentiumſententia est ipſius Ariſtotelis, quòd per acceſjum atque receſſum
planetarumſub circulo obliquo fiunt in hæc inferioragenerationes
atquecorruptiones, folis igitur, e planetarum aliorum lumine, ac motu, affectus
locus, aštiue agit hoc pacto adgenera = tionem, atque parentes, fi fecus quis
audiuerit, tunc sol, et pater non generarenthominem cum Sol non niſiſuis radijs
reétis reflexis autfrae étis alterando aerem agatin ipſum, ca in contentum, quo
autem pacto age quodmodo eidemſimili,quo etiam in uiſcera terre
producitmineralia, o interræ fuperficie plantas. PORPHY RIVS DE SPE. DE SPET I
E. VLCR A Fucies, debita parilitate demiſſa,coloria bus lineamentiſuć
luculenter affecta,fpetiesà Pors phyrio in prima ſpetiei ſignificatione
uocatur., ut Facies priami dignaeſt imperio, ad cuius fi militudinem, ill. est,
quefub aßignato generepoa nitur, curus pulcritudo, est differentia fpecifica,
qua pulcritudine informe genus contrahitur, atque pulcrumfit. Et Trianguluun,
figuræ fpetiem ſimili modo ſignificat,fie gura rectilinea genus est ad
triangulum, non figura in uniuerſum quamſic fufamfiguram Euclides primo
Elementorum partitur in eam, que una clauditur linea, et in eam quæ pluribus
lineis continetur, qui Triangulus Axties fitfigure reftilinee per hanc
ſpecificam différen tiam qua est, claudi tantum tribus reftis, qua etiam
differentia pula crum redditur figure genus. Indiuidua funt'infinita. Non
intela ligas hoc uelim, niſi potentia,qua infinitatis affectione etiam numerus
ita intelligatur; ſed modo quodam diverſo, numerus enim, quicunque fit,
aexiſtat, finitus eſt, terminatus,ſic pariter indiuidua on nia, quæ exiſtunt
finita funt, sed que preceſſerunt omnia,o que futu rafunt ex utraqueparte
infinita diceret Ariſtoteles, numerus uero cum statum ad unitatemhabeat duplici
modo finitus eſt,« actu, o deſcenden do,uerum indiuidua duobus modis dictis
funt infinita, unico autem modo ut quæ præfentiafunt, finita etiamfunt. IN
PREDICAMENTA ARISTOTELIS. DE QVANTITATE. ENARAI numeri partes, ut quinque, et quinque.
Animaduerſione dignum exemplar hoc in loco pofuit Ariſtoteles, cum dixit
quinque,& quin que partes eſe denarij numeri, non enim dixit quis narium,
oquinarium denarium numerum compone re, quia nulla numerorun fpeties componitur
ex di uerfisſpetiebus,neque etiam ex unis indiuiduis eiufdem fpetiei,ut diuerfa
fpeties fiat, ex unis ternis uel quaternis, ant quinnis numeris nonfitfe
nariusuel oftonarius aut denarius, ex unitatibus tamen quinis o quinis que
materia eft. Cuiuslibet numeri, denari fpeties conflutur, eas ſententia
Euclidis, Nichomaci, atque Boetij. Similiter et in cor pore fuimere
aſsignareque lineam fuperficiemuè comu. nem terininun potes, quo partes
corporis copulantur. Punctum esse lincæ terminum, or lineam ſuperficiei, e
ſuperficiem corporis nemo neſcit, niſi qui Euclidis doctrina dignus est, ſed
illud unum maiori egeret indagine, quo nam pa&o lineaſitforſan etiam ima
mediatus corporis terminus,ne id Ariſtoteles aſſerens, quippiam affe rat contra
Euclidis fcitum, prima enim deffinitione undecimi Elementorum inquit ille,
corpus ſiue ſolidum est, quod longitudinem latitudia nem ocraßitudinem habet,
folidi uero terminus fuperficies est, uide ergo quod ſolidi terminusnonſit
linea ipfa, ut Ariſtoteles aſſerit. Ves rum quòd linea terminusfit corporis
manifeſtum est, fi idquod Euclides ait deffinitione nona undecimi elementorum
non ignores, solidus (inquit) angulus est, qui ſub pluribus duobus planis
angulis comprehenditur non exiſtentibus in eodem plano, ad unum ſignum
conſtitutis, plurium linearum igitur contactus (nulla ſuperficierum habita
conſideratione) qui estfolidus angulus corpus terminat,fub illis igitur lineis
angulusfox Tidus contentus, terminusest illius folidi, ville lineæ termini
ſuntnes dum illarum ſuperficierum corpus ambientium, quin etiam inmediati
terinini funtillius corporis, cum linea continentes illos angulos in puran Etum
unum concurrant. Preterea idipſum Euclides afferit de angulo, quod fit
immediatus terminusfolidi problemate tredecimo, libri tredeci mi Elementorum,
et in fequentibus quatuor problematibus idem uit,in quibus docet conſtruere
corpora regularia, queſuis angulis tangant ſu perficiem concauam
circumſcribentis pheri, qui quidem uniuerſi angis li ſub tribus ad minus
&pluribus tribus rectis lineis ad unum pun &tum concurrentibus
continentur, &punctus ille, nedum est linearum terris minus, fed etiam
regularis corporis finis,cum ſit terminus omnium linearum, quo termino tangit
fphærum,patet igitur id, quod Ariſtoteles dixit de lineis nedum ueritatem
habere, ſed ut etiam pun tusſit terminus ips fius corporis, ſecundum Euclidis
ſcitum, perinde dicendum eft de ſuper ficie, quòd non tantum lineis, ſedetiam
ipſis pun tis terminata fit, fide ea, quæ rectis lineis claudatur fermofiat,
øde corpore Iſoperimetro, fiue quod pluribus re&tis fuperficiebusclauditur,
hocquod dictum est in telligatur. Adid uero, quod Euclides primo Elementorum
ait deſuper ficie fiuefigura rectilinea deffinitione uigefima, refponde, quod
uerum dicit, figura rectilinea, inquit, contineturfub lineis reftis, enon die
cit contineturfub punctis, agequod contineriſub pun &tis diuerfum eſt, ab
terminari punctis. Ariſtoteles hoc uidens, dixit corpus lineis termia narinon
tamenfub illis contineri,quod deſuperficie ſimiliter eft dia cendum. Vel etiam
reétè dices, fi ita fenferis, quòd figura in uniuer. ſali, linea claudatur,
neque una,neque pluribus, et corpus in uniuer far liambitu ſuperficie claudatur,
neque itidem una aut pluribus, o neua tra deffinitio fic in uniuerfum accepta
habet exclufiuam particulam,cum autem ad circulum uel ſpherum defcenderis,unum
linea una clauditur re liquum uero una tantum fuperficie ſcias elſe claufum,reliquæ
uerofigur re rectilineæ non deffiniuntur cum particula exclufiua abEuclide,vel
di cas, quòd in littera Ariſtotelis, eſt fua met interpretatio, ubi enim dixe
rit, in corporefumere aßignarequelineam comunem terminum, statim correxit ſe,
dicens fuperficiem eſſe comuném terminum corporis et Euclides non dixit quòd
punctus, ſed quod angulus tangat fphærum. Rurſus in pago quidem, multos homines,
Athenis au tem paucos dicimus eſſe, qui tamen funt illis plures, et in domo
quidem multos in theatro uero paucos,qui quidem et ipfi multo funt illis plures.Aduertas
Ariſtotelem utroque exi emplo, o paucos et multos dixiſſe, comparationem
faciens hominum ad loca in quibusfunt, non habens rationens hominum ad homines,
ut fimile exemplun daretur ſiquis dicat pauciaurcifunt in arca, @mule ti in
crumena, fi in crumena eſſent tantum fex, decem in arca, DE HIS QVÆ AD ALIQVID.
VADRATIONIS enim circuli, et fcibilis eſt, ſcientia quidem nondum eſſe uidetur
eft autem fcibilis ipſa. Quadam libertate hoc lo co loquutus eſt Arift.afferens
id quod ignorauit, quia ſi non ignoraſcet eam,habuiſſet illiusſcientiam, o non
dixiſſet (niſi forſan mendatio) ſcientia quidem now dum eſſe uidetur,fciens
etiam quod nullus adtempus uſqueſuum proprijs principijs quadraturam inuenerit,
nequecitra ad hanc ufq; horam,quis oftenderit,nififorſan
quibufdamſuppoſitis,quu,et ipfa non minoriproba tione egerent quàm ipſa circuli
quadratio,fedquidper iftud exemplum utilitatis Ariſtot. attulerit, illud effe
puto, ut ammoto fcibili, oſcien tia ARISTOTELIS. tia eiusremoveri neceſſe eſt,
ut putacaufa nunquam cauſante nuſquam effectus erit, quadratio igitur circuli
cum non ſit, nequefcientia de ip. fa quadratura circuließepoteft. Quid nam
antiqui de quadratura ſe na ferint in fractionibus Mathematicis declarabitur.
DE QVALITATE. VARTVM qualitatis gen'us eft figura et ca quæ circa unumquodque
eft forma, et in fuper rectitudo, et curvitas, et quicquid eſt hiſce fimile. De
figura fcias Ariſtotelem lom qui, non ut de ea Geometrica abſtracte
conſiderata, Jed de figura in re figurata exiſtente,ueluti in fubie et o, idem
de forma, rectitudine, atque curuitate intelligas. Aduere tendum tamen ordinem
quendam feruaffe hoc loco Ariſtotelem in his que proponit, à ſimpliciori ad
magis compoſitum. Primo enim defi gura,quæ linea, uel lineis clauditur, fecundo
de his, quæ ſimplici bus lineis, aut ſuperficiebus uniformibus, nempe uel
tantum re tis, aut tantum curuis, uelſolummodo conuexis,aut etiain tantum
concauis continentur, modus iſte ſecundus à primo non nihil differt, in hoc
differentia est inter utrumque, quia primomodo de co quod planum eft, ueluti
ipſa papyrus, ſecundo modo, de eo quod corpus, utmons, ficuti
uulgus,quodfubtile eſt (ut papyrus) planum uocat, quod autem eft ualde craſſum,
corpus appellat, ut montem, a facilioriperſuadens tya runculis ea,quæ etiam à
uulgo principium cognitionis ſumunt. Triana gulus
autem et quadratum cæteræque figuræ, non uidens tur talem rationem ſubire.
Ariſtoteles parum ante dixit, que: nam ſint et, quæ magis, minufue ſuſcipiunt,
ut puta qualia ipſa, gridus fufcipiunt intenfionis,modo uides quod neque
trianguliis,nequequadras tum,qualia ſunt, fed quanta, que intenſione
remißioninonſunt apta. Nam ea, quæ trianguli rationem
circulinefuſcipiunt,trians guli fimiliter, aut circuli ſunt oinnia. Senſus
huius eft, quòd triangulus. quilibet, uel omnia que triangula ſunt, niſi id
quod tribus clauditur lineis,aliud non eſt, a circuli omnes, nil aliud funtquam
und çlaudi linea, in cuius medio punctus eſt quod centrum dicitur, à quo oma.
nes recte linea uſque ad circunferentiam ductæ inter fefunt cquales.com hoc
nihil aliud quàm circulus eſt,nõ enim triangulus circulus,neque cira B 10 IN
PREDICAMENT A culus triangulus eft, neque utrunque aliquid unum eſt, licet
utrunque figura ſit,ſed hoc æquiuoce, et non uniuoce eſt. Neque te turbet hoc
quia Ariſtoteles prius de triangulo, « quadrato propoſuit,c finit ſena tentiam
de triangulo, e circulo, et non de triangulo, quadrato, quia de triangulo o
quadrato dicens, ſubiunxit cæteræque figuræ quo uerbo etiam circulă intellexit,
de quo ultimo loco explicite loquitur. Eorum uero, quæ rationein hanc, non
ſuſcipiunt, nihil alio magis minúſie tale dicetur,non enim quadratum ma gis
quàm altera parte longius circulus elt, quippe cum neu trum circuli fubeat
rationem atque fimpliciter. Si non fubeat propoſiti, in quofit
comparatio rationem, alteruin altero magis tale mi nuſueminimèdicetur.
Quadratum neque circulus eſt, nec etiam altera parte longius circulus eſt,cum
igitur propoſiti circuli rationem neus trum ſuſcipiat, neque quadratum circulus
eft,nec etiam quadratum mas gis quam altera parte longius circulus est, idem
age de altera partelons giore. Atquefimpliter pro hoc uerbo, ſcito
Ariſtot.ſententiam hanc eſe, o ſi quadratum, &altera parte longius circulus
eſſet, atque in eo conuenirent, quia tamen neutrum eorum, atque circulus, non
eft qualis tas, fed quantitas,ideo à quadrato, o abaltera parte longiori, lymas
gisminúfue,ſecludenda funt.Expoſitio hæc uidetur contra id, quòd Aris ſtoteles
determinauit in capite de quali oqualitate, quo loco ait quara tum qualitatis
genus eft figura,ad quodfoluendum, dicas figuram capi uno, atquealtero
modo,primo figura conſideratur in ſe abſtracta aſus bie &to quocunque,
cmſic quantumfeu quantitas eft,o non qualitas,nec etiam in quarto qualitatis
genere, alio autem modo conſideraturfigura in refigurata, cui largitur tale
eſſe, or ſicfigura in fubieéto aliquo,quam. litatis naturam non refutat. Neque
musica, cuiuſpiam musica, niſi generis ratione ad aliquid, et ipsa dicatur. De
uniuersali Aristoteles,& non para ticularimuſica loquens, ſiue humant uoce
uel inſtrumentis praxis fiat, uel Theorica ipſa intelligatur, biffariam eam
conſiderat, quatenus à fubieéto uel obiecto ſeu genere ipſo caufetur,et
quatenus cauſata in ſubie eo quopiam eſt, primo modo ad fubie &tum quod
genus uocat, tan quàm ad effectricem caufam reffertur, ut ad ſonum numeratum,
non due tem ad Platonem in quo recepta est, relatiue dicitur. Vel etiam dicas, quòd refertur rationefuigeneris, ut quatenus scientia
adfcibile. ARISTOTELIS. IL DE MODIS PRIOR IS. HR N DEMONTSRATIVIS scientisprius
eſt nimirum atque pofterius ordine, Elemen ta nanque deſignationibus ordine
priora ſunt. Scito elementa, ut deffinitiones, petita, animi conceptiones
precedere ipfis propoſitiones in ſcientijs, id quod in Euclidis methodo
patet,proa poſitio nem ſubſequitur expoſitio, quam expoſitionem statim deſigndz
tio diagrammatisconſequitur, hancdeſignationem (que beneficio petia torum
tantun fit) determinatio, determinationem demonſtratio, ſexto loco epilogus,
ſiue propoſitionis repetitio. Vel dicas elementa,ipſatana tum eſſe petita
reſpectu deſignationis tantummodo. Elementa etiam non tantum principia,utdeffinitiones,petita,
et conceptiones animi, reſpectu propoſitionum, que per ea probantur dicuntur,
fed ipſa propoſia tiones probatæ, quatenus ad alias fequentes propoſitiones
probandas fumuntur, dicuntur elementa, hac de caufa, quidam uolunt libros
quindecim Euclidis uocari elementa, alij nero non ob id, quindecim libri
dicuntur elementa,ſed quia fingulis libris fua affiguntur principia, ut apud
Campanum, ſed neuter modus dicendi placet, quin potius elea menta dicuntur
oinnia, quæ in illis quindecim libris continentur, nedum propter deffinitiones,
petita, Oʻanimi conceptiones,ut iſti, neque prou pter hoc, quòd alique prime
propoſitiones, que demonſtratæ funt, fint pro alijs propoſitionibus fequentibus
probandis principia, &elea menta,ut illi dicunt, quia tunc ultima
propoſitio noneſſet elementuin ad. quippiam, cum ipſa ultima eſſet, ſed
elementa, atque principia omnia illa dicuntur, reſpectu omnium propoſitionum
per ipfa probandarum infcientijs fubalternatis ad illos quindecim libros. IN
PREDICAMENTA DESPETIEB.V.S. MOTVS. i bЬ et CRET 10 ', alteratio non eft. Hoc
perſuaa det Ariſtot. exs * emplo Geometri co (quod etiam multis modis in
Arithmetica Boetius docet)Gnomon quidem,ut in fecundo clementorum deffinitione
ſecunda ha betur,figura eſt ſex laterum,compoſi ta ex uno quadrato conſiſtente
circa diametrum, « ſuplementis duobus, quefigura ab Euclide primo elemen torum
propoſitione tirgeſima quar ta habetur, quæ est 6, quam fi huic addideris
quadrato a, quadratiſpe ties minime alteratur, licet fiat acre tio quantitatis,
ſic ut in hac figu ra ab, quod una diuerfa peties alteri fpetiei addita non
uariet fpes tiem,exempla plus centum in tabule Pythagora, apud Nicomachum,
Boetium,in numeris inuenies, ut pu ta ex duobus longilateris altrinfecus ad
quadratum pofitis, bis medio fumpto quadrato, quod fit, quadra = tumest,licetfacta
ſit acretio, ut ex duobus, fex, vbis quatuor, ut ofto, ſexdecim exoritur,qui
etiam quadratus eft, pari modo,ex duo bus quadratis, er bis fumptomedio
longilatero, nempe ex quatuor, e nouem,bisfumptoſenario longilate ro, uiginti
quinque quadratus ortus alb ARISTOTELIS.i. 13 est, que intelligas uolo ex in
ateria primi quadrati, atque longilateri, ut ex ipſis unitatibus, ego non de
numeris tūlis formaliter fumptis, cum prius corrumpaturſpeties preceden tis
quadrati minoris, atque longilas • teri, in aliam petiem maioris quas drati,
qui ex illis oritur, acretio. igitur ubique facta eſt, nulla intera ueniente
alteratione in fpetie ipſius quadrati, licet e gnomonis atque longilateri
apertiſsime facta fit alte ratio. Aduertas tamen, ad id quòd Ariſtot. ait in
hoc exemplo de addia • tione gnomonis ad quadratum, ſic, utfpetiesquadrati nõ
alteratur.licet • fiat acretio, in Geometria uniuerſali ter ueritatem habet,
fed non eſt ita planum in Arithmetica, niſi intelles Xeris de fpetie
ſubalternāte,quòd ip fa non uariatur, uaristur tamen qua dratiſþeties
ſubalternata, oſpetia liſsima,quòd patet ex eo quòdſi nu mero quadratoſexdecim,addus
gno monem uiginti, statim ex pariter paa ri, ut puta ſexdecim, fit impariter
par, uidelicet triginta fex, quorums uterque, o fifit quadratus, diucrfarum
tamen fpetierum funt, ut ex libris Euclidis de Arithmetica mani feftum eft,quod
exemplo fubſcripto manifeſtatur fatis, quapropter uni uerfaliter Ariſtotelem
intelligas de quadrati, quatenus quadratum eft ', Apetie, hoceſt de fpetie
quadrati in uniuerfum, non de quadratiſpe= tie ppetialifsima. vel etiam dicas
quòd Ariſtoteles intelligit exemplifia cari in Geometria uniuerfaliter non
autem uniuerfaliter fimpliciter, hoc oft non in omnibus difciplinis. 11 14: IN
PRIMVM LIB. IN PRIMO PRIOR V M AN T E SECVNDVM SEC.TV M. n A M fine uniuerſali
nô erit fyllogiſmus aut non ad pofitum aut quod ex principio pea tetur,ponatur
enim mulicam uoluptatem et c. Sed magis efficitur inanifeſtum in de
ſcriptionibus, ut quòdæquicruriæquales, quiad baſin, ſintadcentruin ductæ a,b,
fi igitur æqualem accipiata, c, d, angulum, ipſib, d, c,non omnino exiſtimans
æquales, qui ſemicirculorum, et rur. fus c, ipfi d,non omnem aſunens eum qui
ſeçti. Amplius ab æquis exiſtentibus, totis Angulis, et ablatorum, æqua les
eflc reliquos e,f; quod ex principio petet, nifi acceperit ab æqualibus
æqualibus demptis,æqualia dereli nqui. Plaa num igitur quòdin omni oportet
uniuerſale exiſtere. Si dubitaret quis,an. ſemicirculi eiuſdem ornnes anguli
ſint equales, ſic perfuaderi uidetur, b omnes diametri eiufdem circuliſunt
æquales per primam deffinitionem tertij elementorum,peripheria eiuſ de circuli
uniformis eſt per xv. def finitionem primi elementorit, o me dietas
circunferentiæ est æqualis al teri medietati eiufdě circunferentia cumque omnes
recte à centro ad cir cunferentiam du &tæ fint æquales,fe quitur igitur,
quod duo anguli a, c, d,cb, d, c, ſemicirculorum eiufdem circuli a, b, c, d,
ſint ad inuicem æquales, hæc perfuafio fiat ei, qui non omnino exiſtimat
æquales, qui ſemicirculorum, rurfus inquit c, ipſi d, angulus uidelicet uterý;
minoris portionis æqualis eft alteri,nonaccepto toto angulo, ideſt,toto angulo
ſemicirculib, d,c, e a cd, quod ſic perſuadetur, árcus c, d, eiuſdem est
peripherie, que unir formis eſt, c, d, eſt unice, om eadem re&ta,ſi igitur
utrunque angus lorum minoris portionis ab utriſque ſemicirculorum angulis
detraxeris, qui anguli reininent uidelicet e, of, erunt æquales æquicrurus
igitur. PRIORVM ARISTOT. 15 triangulus habet ad bafim poſitos æquales angulos,
quod demonſtratum fuit,ſumpta iſta uniuerſali, ſi ab equalibus æqualia
aufferantur, reli qua æqualia remanent, IN PRIMO PRIOR VM ANTE TERTIVM SECTV M.
ECVNDVM uero unumquodque entium elia gere, ut de bono,aut fcientia,priuate
auten fecundum unamquainque, funt plurima quare principia quidem quæ ſecundum
unu quodq; funt,experimenti eſt tradere,dico au tem,ut Aſtrologicam
experientiain aſtrolo gicæ ſcientiæ, acceptis enim apparentibus fufficienter,
ita inuentæ funtaſtrologicæ demonſtrationes, &c. Compertum eſt aſtrolabio
ſolem plus temporis conſumere à principio Arietis ad uſas finem Virginis, quam
à principio Libre uſque ad Piſcium fines,idquod o hiſtoria traditum eft,
propter hoc etiam Hiſtoria dereli&tum est Solem tres habere orbes, quorum
medius,eccentricus eſt. Quibus habis tis apparentibus, facile
eftdemonſtrationes de Sole concludere,oſimili ter in unaquaque diſciplina,
prima principia hiſtoria data, &dereli Eta ſine probation funtpofteris,
quibus principijs tanquàm uerisſupa poſitis (hiſtoriæ enim proprium eft
ueritatem narrare) demonſtratio nes fiuntſi autem de principijs aliquafiat
demonſtratio,illam « impro priain, a poſteriori, feu à ſigno eſſe, nemoeſt
quineſciat. ANTE MVT V AM SYLLOGISMO RVM RESOLVTIONEM. On oportet autein
exiſtimare penes id, quod exponimus, aliquid accidere abfurdum nis hil cnim
utimur eo, quod eft hoc aliquid elle ſed quemadınodum Geometra, pedalem, et rectam
hanc, fine latitudine dicit, quæ non ſunt: Textushic exponitur primo
pofteriorum T. 52 fed hic tantum dubitatur,quo pacto intellectus ea poſsit
ſufficienti appres henſione capere, quenon funt, ut quæ nunquam, fub fenfu
fuerunt? 16 IN SECVNDVM LI B. Adfecundum refpondeo, quod animam eſſe,
intelligit intellectus, quam tamen nunquam uidit oculus, aut manus tetigit. Ideo multa intelligit ins telle &tus,quorum nunquamſenfus ſenſationem
habuit. Ad primum dico, quodficut intellectus concipit coclearem artem
abſtraftam, quætamen kon eſt, niſi indeterminatis, ſingularibus hominibus, fic
etiam li ncam ſuperficie?n intelligit, que tamen non ſunt, niſi in linea atrd.
mento picta, o ſuperficie, in corpore naturali, IN SECVNDO PRIORVM CAPITE DE
PETITIONE PRINCIPII. - o cautem eft quidem fic facere,utſtatim cens ſeat quod
propofitum eſt, contingit uero, et in alia tranſeuntes apta nata per illud mon
ſtrari, per hæc demonftrare quod ex princie pio,uelutiſi,a, monftretur per b,b
autein per C, c autem natun efſet monitrari per a accidit cnim ita
ratiocinantes ipſum a,per ipſuninet a monſtrare, quod faciunt, qui coalternas
putant fcribere latent enim ipſi ſeipſos talia accipientes, quæ non eſt
poſsibile monſtra: re non exiſtentibuscoalternis, quare accidit ita ratiocinans
tibus unumquodque eſſe dicere, fi eft unumquodque, ſed ita omne erit per
feipfum cognoſcibile, quod impoſsibile eft.Si propoſitum ſit probare, quod e
ſit a, &id oftendatur per mes dium b,c fieret talis fyllogiſmus (e est b,
beſt a, igitur e eſt 4. Pros batio primæ minoris uidelicet quæ eſt hæc, e eſt b,
fit per hoc medium f, ut in hoc Syllogiſino (e eftc, c, eſt b, igitur e eſt b)
Cuius minor, uis delicet hæc, et eft c,fiprobetur. Tunc reſumitur prima concluſio
pris mi Syllogiſmi,quæ à principio probanda erat, ut in hoc Syllogiſmo e eſt
4,4 eſt c,igitur e eftc) &fic e eft a,quia e eſt a, Ofic error ijte
uerfatur in probanda minore primi Syllogiſmi per plura media per c, oper a,
propoſitio uero que probanda proponebatur, hæcuidelicet,e eft a, per tria media
per b., perc, et per a, probatur, ſimiliter errant illi, qui nituntur probare
parallelas effe per hoc, quod Triangulum habent tres æquales duobusreftis, quod
quidem hoc probaretur modo, ſit triangu = lus a, b, c. cuius latusbc, ſi
protendatur,caufabitur augulus d, c, d, exterior equalis duobus angulis a, b,
intrinſecis ex oppoſito colla * catis PRIORVM ARISTOT. 19 [ b N catis, ut patet
ex prima parte tri q geſimæſecunde primi elementorun Euclidis, à punéto c,
parallela dua catur ipſi b, a, quæ fitc, e, patea bit per ſecundam partem
eiufdemn tri geſimæſecundæ primi elementorum, - quòd triangulus a, b, c,
habebit tres duobus re&tis æquales. Si aus tem fumatur probandum quod b, a,
uc, e, fint parallelæ, per hoc medium, quia triangulus b, a, c, habeat tres
duobus re&tis æqua. les, ideo ipſe parallelæ ſunt, ſic, exterior æqualis
eft duobus intrinſe cis ex aduerſo poſitis, qui exterior angulus a, c, d, in
duos pars titur angulos in a, c, e,we, c, d,, c, e æqualis eſt b, a,, ere, c, d,
eft æqualis a,b, c; quorum utrunque probatur per lis neas eſſe parallelas,ut
per uigeſimamnonam primi elementorum,feques retur igitur, quod a,b,oc, e,
parallelæ funt,quia parallelæ ſunt,ut b, a,oc, f, parallelæ funt,quia
triangulus a, b, c, habet tres duoc bus rectis equales, fed a, b, c, triangulus
habet tres Angulos duos bus reftis equales, quia a, b, et c,e, parallelæ
ſunt,igitur a, b,a col, parallele ſunt,,quia parallelefunt, quod uanum eft,
oprobare quipe piam prius per aliquod pofterius, quod pofterius æget illo
priori adſui probationem. Aliter exponatur Textus,ut fiintentü fit defcriberec,
d, queſit parallela ipſi a, b, per uiges ſimamtertiam primi Elementorum d fiat
angulus e, c, d, æqualis angulo 4,6,6, et argue poſtea,quod d, 0,4, ſit æqualis
angulo b, a, 6, quod eſſe non poteſt, niſi b, d,egu c, d," parallele
fupponantur, fic b connectatur inductio, quia Trian gulus a, b, c, habet duobus
reftis æquales,parallelæ funt a,b, c,d, &quia paralellæ funt, ideo
Triangulus habet duobus rectis æqualis, igitur paralella funt, quia parallele
fit. a: í с 18.INSECVNDVM LIB. DE EO QUOD NON EST PENES HOC. VONIAM idem utique falſum
per plures fup pofitiones accidere, nihil fortaffe inconue niens,
ueluticoalternas coincidere, et fimas jor eft extrinſecus intrinſeco, et fi
triangu lus haberet plures rectos duobus. Quod autem parallela a, b, c, d,
coincidunt fic perſuaderiui. detur Angulus extrinfecus e, 8, 6, maior eft
angulo intrinſeco g, b, d, (quod quidem ſummitur falfum, pe nes quodſequitur
impoſsibile ) ſed 9 4,8,6,6,8, ho per xiij.primi a -b Elementorumſunt æquales
duobus re&tis igitur b, 8,5,64,6,8, erunt d minores duobus reftis per illam
igi tur communem fententiam, ſi una f recta ſuper duas rectas ceciderit at que
ex una parte cadėtis linee duo anguli intrinſeci fuerint minoris duobus reétis,
illas duas reétas ad pars tem illorum angulorum concurrere neceſſe erit, fi
protrahantur. Et fi triangulushaberet plures rectos duobus. Duo Anguli g, h, k,68,
k, h, ſuntmaiores duo. bus re&tis, multo magis igitur b, h, k, d, k, h,
ſuntmaiores duos, bus rectis,igitur duo a, h, k, k, h, ſunt minores duobus res
a. h b et is, quia omnes quatuor 6, h, k. a, b, k. d, k, h. @c, k, h. og ſunt
æquales quatuor reftis per des cimamtertiam primi Elementorum bis fumptam,igitur
b, a, d, c, f adpartem a, c, protracte concurs rent, per illam animi
conceptionem,fire &ta ſuper duas reétas cadensfes cerit duos angulos'ex una
parte minores duobus reétis, illa duæ lineæ ad illam partem protracte
neceſſario concurrent. ! Co Cс PRIORVM
ARISTOT. IN DE DECEPTIONE QVÆ FIT SECVNDVM SVSPITIONEM. ELVTI fia, ineft omnib,
buero omni c, a omni c inerit, fi itaque quiſpiam nouit quòda ineſt omni, cuib,
nouit et quòd cui c, fed nihil prohibet ignorare c, quòd eft, ut ſia duo recti,
in quo autem b, triangulus,in quo uero c, ſenſibilis triangulus, fufpicari
nanque poflet aliquis non eſſe c,fciens quod omnis trian gulus haberet
duosrectos, quare fimulnoſcet,& ignorabit idem. Textum ſimilem habes in
pofterioribus in principio primi,preu ter ea, quæ ibi dicentur pro nunc ad
explanationem huius Textus, prie mo littera exponatur, omne b eft a, omne c eſt
b, igitur omne ceſta, uel omnis triangulus habet tres duobus rectisæquales, qui
conſtitutus eſt in tabula est triangulus, igitur qui conſtitutus eft in tabula
habet tres: duobus reétis æquales,ſed ſimul dicas o charateres terminos,omne, b
trigonum eſt habens tres angulos duobus rectis æquales, omnec fen.
fibiletriangulum eſt triangulum, igitur omne c ſenſibile triangulum habet tres
angulos æquales duobus re &tis. Cum teneret quis hanc uni uerfalem, omnis
triangulus habet tres angulos æquales duobus reétis nondum fciebat, quòd
ſenſibile triangulum effet huiuſmodi, quòd han beret tres, uidelicet duobus re
&tis æquales, niſi potentia, non autem actu; quàm primum autemfyllogizauit
ſubſumptaminore, statim intua. lit, «cognouit, quod ſenſibilis triangulus, tres
duobus rectis pares haberet. Cum autem ait ſuſpicarinanque poſſet aliquis, non
eſſec, non eft intelligendum, ſic ut Græci, o omnes exponunt, quaſi quod ignos
retur an fit c, fed hoc non uult Ariſtoteles dicere,ſed cum inquit fufpicari
nanque poſſet aliquis non eſſe c, hoc intelligas modo, quod stante prima
uniuerſali, poterit ignorare anc, habeat tres duobus re &tis equales, licet
non ignorauerit c effe, fed ignorabit c eſſe huiuf modi, utputa, quod habeat
tres duobus rectis æquales; ſcietigitur po tentia in uniuerſali propofitione,
Waétu ignorabit in particulari ante quàmfiat fyllogiſmus. Syllogiſmo autem
fačto,feu fa et ainduftione Geos trica de qua inprimo posteriorum
Textufecundo)a et tu ſcit, quòdfenſis bilis triangulus duobus re&tis tres
pares habeat,nihil igitur prohibetfi. Cij 20 IN SECVN. RIO. ARIST.
mulſcire, ignorareidem ſecundum diuerſa, ut ſcire potentia iniſud uniuerſali,
et antequam fiat inductio, oignorare ſimpliciter, ut pus ta in particulari. DE
ABDVCTIONE. UT Rurſus fi pauca ſint media ipſorumb, c, nanque et fic proximius
ipfi cognoſcere uelutiſid eſſet quadrati, in quo autem e,re etilineum, in quo
uero z circulus, fi ipfius é z ſolum eſſet medium,hoc, quod eft cum lunulis,
æqualem fieri circulum rectilineo ce ſīpoflet prope ipfum cognofcere. In
predicamento ad ili quid circa quadrare circulum fuit determinatum quantum
fiebat fa tis ad Ariſtotelis intentionem, e de quadratura fuſius in fragmena
tis noftris, fuper Logicis, multa declarabo, quo ad preſentem te - xtum
Ariſtoteles facit fyllogifmum, cuius minor, cumſit dubia e oba ſcura, dicit
unum eſſe medium ad probandam illam, arguit e, rectilis neun, d quadratur, ſed
z, circulus fit reetilineum, igitur circulum quadrari,poſſet quis eſſe prope
cognoſcere, minorem tentauit Antipho, Hypocrates chiusprobare per id medium,
quod lunulas ad rectilis neas figuras nixi ſunt reducere, diuerſis tamen medijs,
alio enim mos do tentauit Antipho, o aliter Hypocrates chius, qux figure
reetilis neæ reducebantur poſtea ad quadratum, eo artificio, quo Euclides docet
ultima ſecundi Elementorum, oſyllogiſmus connectatur ſic, ut fimul dicam
characteres, me terminos Ariſtotelis, e, rectilinea figura, d quadratur, fed z
circulus e figura rectilinea facta est, igitur zcirculus, d, quadratur. IN
PRIMVM LIBRVM POSTERIORVM ARISTOTELIS, PETRI CATHENÆ NOVA INTERPRETATIO. TEXTVS
SECVNDVS. VPLICITER autem neceffarium eft præ cognofcere, alia nanque, quia
ſunt prius opinarineceffe eft,aliaueroquid eft, quod dicitur intelligere
oportet, quædam autein utraque, ut quoniam omne quidem, quod eſt, aut
affirmare, aut negare uerumeſt quia eſt, Triangulum autem quoniam hoc
fignificat; ſed unitatem utraque, et quid ſignificat, eſt quia eft, non eniin
fimiliter horum unumquodque manifeftum eſt nos bis. Græci omnes, pariter et Latiniuniuerſi
confuſione plenum rede dunthoc in loco Ariſtotelem, nedum qui ſcripſerunt, fed
etiam recens tiores, quihac tempeſtate eum interpretantur, et priuatis
colloquijs, epublicis etiam lectionibus. Anſammultorum errorum pofteris omnis
bus prebuit. Ioannes Grammaticus Cognoinento Philoponus, ſuper hoc Textu in
cuius expoſitione plufquain errorum mille contra Ariſto telis
ſententiamfcripſit, qua decaufa, ipfa ueritate fretus, &uniuers fæ
logicorum utilitati conſulens, lucidum, facilein, atque clarum Aris stotelem in
hac parte reddere decreui, o inſaniam ignorantiæ depri = mere, ne etiam in
futura tempora amplius à forticulis doctrina tamclan
rißimiPhilofophilabefactetur, ſcito in primis, tres eſſe modos pres
cognofcendi, quos Aristoteles ponit, in hoc Textu, unicuique hos rum modorum
aptißimum,atquefacilimum exemplum poſuit, feruans exemplorum ordinem cum ordine
modorum precognofcendi, ſic, ut primo precognofcendi modo primum exemplum aptet,ſecundo
modoſe cundum, atque tertium tertio. Nequete perturbet, quod Ariſtoteles IN
PRIMVM LIB. ait, dupliciter fit neceſſarium præcognoſcere'. Tripliciter autem
dixes rim ego, primo autemmodo, opus eft præcognoſcere, quia eſt tantum, alio
autem modo, quid eft id, quod nomen dat intelligere folummodo quos duos modos
ab inuicem ſeiunctos, in tertio modo in unum aggregat uerum methodum
compoſitiuam ſeruans. Duo igiturfunt modi precos gnoſcendi, alter quidem in
parte oſeparatim, reliquus uero in totum, oin parte quidem biffariam. Vnus
tantum quia eft,reliquus uero tans tum quid ſignificet, in toto uero ille eft
modus, qui horum utrunque in ſe comple &titur. Exempla Ariſtotelis multos
Geometric ignaros turs batosego stupidos reliquerunt, qui ab Apoline reprehenfi,
&fpreti à Platone, uagantes fomniauerunt, hoc in loco, tria attůlliſje
Ariſtotes lem exempla, in ſcientijs diuerſis. Nempe Methaphisica,Geometria, O
Arithmetica, quod chimericum eſt, ex ipſa uunitate magis uanum, fi enim
ueftigijs fapientum Methaphiſices,Geometrie, et Arithmetica, prima limina
attigiſſent, non incidiſſent in hasſuas philoſophicas furias, dicunt enim, quod
artificio, id Ariſt. fecit,ut de demonſtratione agens, que inſtrumentum
uniuerſale est, tria exempla (ſuam oftendensfacuns diam ) in ſcientijs tribus
fpeculatiuis, &uniuerſalißimis attuliffe, ſic, uttandem concludant in ſua
expoſitione Ariſtotelem uoluiſſe equinam ceruicem humano capiti iungere,
&uarias plumas diuerſarum ſcien tiarum inducere, ut tandem tria formoſa,
&pulcru exempla deſinant in nihil dicere. In una demonſtratione, datum
eſſet unitas, queſitum triangulus, e principium Methaphiſicum, ualeat pereatque
cim ins terpretibus hæc interpretatio. Non est Ariſtotelis confuetudo, exeine
pla afferre (aliter effet edire &to contra exemplorum naturam ) niſi,ut
do&trina, que aliquatenus non innitiatis uidetur obfcura, atque diffi cilis,
fole clarior, atque perfacilis omnibus reddatur, quid rogo cons fufius, quàm in
una re logica explicanda, tria exempla mutila, o tim diuerfa afferre? ut in
unotantum quia,in alio exemplo,folum quid,c. in tertio exemplo, ey quia,
&quid, ut tandem in piſcem definat fora mofa demonſtratio. Dico, omnia tria
exempla attulliſſe Ariſtotelem in unica atque determinata Arte; uel diſciplina
Geometrica, quicquid Niphlus fentiat et fequaces, ex nulla eſt alia ueritas in
hoc Ariſtotelis Textu, neque uerus fenfus, qui ad Ariftotelem faciat preter
hunc, quem fubfcribo, uelint nolint omnes atque uniuerſi, qui philoponifena
tentie initi uidentur, quem nullo modo ipſemet nec alij recteintelligunt, fcito
primum, quod de lineis re&tis a centro ad circunferentiam du &tis
POSTERIORVM ARISTOT. Veruin eſt dicere quod ad inuicem funt æquales, uel non
equales, ut etian de quolibet quidem quod est,aut affirmare,aut negare ucrum
est,quia eſt, fimiliter,quòd quæ uni og eidem funt æqualia interſe funtæqualia,uel
in terſe nonſunt æqualia, uerum est dicere quia eſt,ſed alteram partem hu ius
diſiun £ ti fummit Geometra deffinitione xv. primi Elementorum, cum Similiter
alterum alterius diſiunéti partem prebet prima animi conceptio primi
elementorum, &hoc est uerum, quia est linearum à centro ad circunferentiam
protractarum, ut adinuicem ſintequales, « prima ani mi conceptionis,utſiab
æqualibus equalia auferantur remanentia æqua lia erunt. Secundo loco exemplum
poſitum est,quid hæc uox, Triangulus ſignificet,quod etiam fupponit Geometra deffinitione
xxi. primi Elemen torum, ex ſignificatfiguram tribus re &tis lineis
contentam,ſiue illud actu ſit ſiue actu non ſit, Quatenus tamen quæritur,nondü
habetur,poteft tas men eſſe. Tertio loco ponit Ariſt.unitatem,quæ quidem unitas,
a quid ſignificet, quia eft,utrunque habet. Hanc ego unitatem contra oma nes
loquentes, « ad Ariſtotelis ſententiam aio, eſſe non eam, qua unaquaque res una
dicitur,ut ea quæ eft principium numeri, ſed eſtres queuna ab illa unitate, quæ
eſt principium numeri dicitur, nempe una linea recta data ſuper quam triangulum
collocare oportet, ſiue ille fit æquilaterus, ut Euclides proponit, uel
iſoſcelesaut gradatus, ut Arisſtoteles querit in uniuerſum, quod quidem Proclum
diadocum,& Cam panumfuper primum primi Elementorum, non latuit, quæ unitas
linea feu quæ linea una concluditur in decimaquarta primi Elementorum, tàm quàm
queſitum, in qua quidem decimaquarta primi Elementorum ni hil de unitate, quæ
fit principium numeri, ſed, una linea concludi tur, quæ linea una eſt datum
inprimo problemate primi elementorum Euclidis, de qua lineæ unitate
precognoſcitur, quid, utſit a puncto in punctum breuiſsima extenſio per
diffinitionem tertiam primi elemehtoa rum, precognoſcitur etiam, quia est,cum
ipfa detur in prima pros poſitione primi elementorum. Ab Euclidis igitur
methodo non recedens Ariſtoteles facilitat, declarat exemplis ubique
locorumfuam do&tria hæc igitur uera atque germana Ariſtotelis interpretatio
eft, alia, ut dixi nulla, fomnia igitur quæcunque diluantur, putas ne Arie
ftotelem afferre illud Methaphiſice principium, nullo modo ad artem ali quam
peculiarem contractum, uni Tirunculo in Logica inſtituendo? ubi Methodus? que
maior ordinis peruerſio? quis nam in Logicum eua dere poterit niſi prius
Methaphiſicis inniciatus fit? hec omnia uanis 11 nam, IN PRIMVM'LIB. 2 tate
plena ſunt, non faciunt niſi ad buccas inflandas. De unitate aus temdicit Ioannes
ſic Ariſtotelem intelligere, ſicut docet Euclides pros poſitioneſextadecima
ſeptimi Elementorum, fi unitas numeret quemli bet numerum, quoties quilibet
tertius aliquein quartum, erit quoque, pernutatim,ut quoties unitas numerabit
tertium, toties ſecundus quar tum numerauerit, datum inquit Ioannes, eſt
unitas, quæ eft principium numeri, de qua habetur &quid, et quia eft, o ſi
hoc exemplo uidea tur Ioannes ueritatem quidem dicere, licet non ad mentem
Ariſtotelis. Dico tamen quod Ariſtoteles neq; exponitur, et quòdfalfum eft,id
quod Ioannes dicit,ut quod unitas,quæ eſt principium numeri, fit datum,non enim
eſt unitas datum in ſextadecima ſeptimi Elementorum, fed unitas cum refpeétu ad
numerum aliquem, quem numerat, eſt datum, que = ſitum autem eſt, ut ipfa
tertium numerum numeret, ut ſecundus nus merus numerat quartum, quemadmodum
amplius declarabitur in de tris plici errore circa uniuerſale.Preterea dignitas
ſiue premiſſa in hac loan nis indu &tione eſt duodecinaſeptimi Elementorum,
que probatur per precedentes, onon eſt immediatum principium,exponitigitur
Ariſtoc telem per unam demonſtrationem, quæ non procedit per immediata prin
cipia, quod non eſt imaginandumin hoc propoſito, preualet igitur ex poſitio de
unitate lineæ, quia ibifit deductio per immediata principia ut per
xv.deffinitionem,& prima animi conceptionem primi Elementorum Ecce quàm
aliena est loannis expoſitio ſuper Textum Ariſtotelis. Die co igitur datum,
eſſe unam rectam lineam, quæſitum, ut ſuper ipfarn trigonum conſtituatur,
&quod, id conſtitutum, ſit trigonum, probas tur per decimamquintam
deffinitionem, vprimam animi conceptionem primi elementorum. TERTIVS TEXT V S. ST autem cognoſcere alia quidem prius cognofcentem.
Aliorum vero, et fimul notitiam capientem, ut quæcunque, con= tingunt eſſe ſub
uniuerſalibus quorum haa bent cognitionem; quòd quidem omnis triangulus habet
tres Angulos æquales duobus rectis præfciuit, quòd uero hic, qui in ſemicirculo
cft, triangulus fit, fimul inducens cognouit. Duos modos ſciendi POSTERIORVM
ARIST. ſciendi hoc textu tangit Ariſtoteles, primus, qui eft per reminiſcens
tiam,de quo nondubitarunt antiqui. Alter uero, es ſecundus est, quo de nouo
aliquid ſcimus, qui fuit alienus ab antiquorum mentibus, ſur per hocſecundo,
ſit noſtra expoſitio. Ioannes Grammaticushanc para ticulam, fimul inducens
cognouit, interpretatur fic,ut per inducen tem intelligat eum, qui habens
triangulum in ſemicirculo pićtum, ofub penula abſconſum, oftendat eum
triangulum eſſe, quaſi abijciens penus lam, ey aperiens manum obijciat ipfum
triangulumoculis uidere uolens tium, &Latini omnes fimiliter,& Aueroes
fequuntur ipſum in hac interpretatione. Non poſſum non mirari hominisiftius
alias doétißimi expoſitionem et omnium fequatium,que quidem interpretatio, fi
ads mitatur,statim uidetur, quod Ariſtoteles uanus ſophifta effectus, id do
ceat, quod ipſe reprehendit contramale foluentes,ubiinquit in fequenti
textu,Nemoaccipit talem propofitionem,oinnis triangulus quem tu ſcis eſle
triangulum,quod utique illi agebant de dualitate abſconfa inmanu,quòd
neſciebant eameffe parem, quouſq;nonuiderent quòd illa eſſet dualitas. Ioannes
&omnes interpretes Ariſtotelis allucis nati ſunt, putantes quod illa
littera Ariſtotelis ſic debeat legi, quod ues ro est in femicirculo triangulus
fit, fimul inducens cognouit;cognouit quidem quodfit triangulus, per
induétionem, id eſt per oſtenſionem ad oculum, aperta manuin qua abfcondebatur,
ſic ut illa induétio certificet de eſſe triangul, quod ridiculum est, o uſque
ad hæc tempora, falfum pro uero habitum,henuga deſtruunt Ariſtotelis ſententiam;
non enim Ariſtoteles de trigono in ſemicirculo defcripto dubitat an trigonum
ſit, neque igitur estopus, ut dubium remoueatur per oſtenſionem ad oculum quòd
trigonum ſit, quia ut dixi, hoc non reuocatur in dubium, ſed has bita, hac
uniuerſali,omnis triangulus habet tres æquales duobus res Etis, dubitatur an
qui in ſemicirculo eft triangulus, &qui quidein a &tu uideturſit
huiufmodi, utputa, quòd habeattres angulos equales duo bus rečtis, quod quidem
manifeftatur non per ſenſitiuum indu &tio s nem, quia per illam oftenditur
tantum quòd fit triangulus, ut illi mda li interpretes exponunt. Neque id
oftenditur per inductioncm Topia cam, que à particularibus ad uniuerfalem
procedit, ocontrariatur huic poſterioriſtico proceſſui, quifit ab uniuerſali ad
particularia, rea ftat igitur declarare quæ induétio fit illa de qua loquitur
Ariſtoteles, quam dicunt aliqui elle ſenſitiuam, aliter tamen ſenſitiuam quàm
loans nes Grammaticus intelligat, dicunt enim quod talis fenfitiua oftenfio 1 1
D IN PRIM VM LIB. couptatur in Syllogiſmoſic, omnis triangulus habet tres
angulos equat les duobus rectis, ſed hic qui in ſemicirculo, eſt triangulus,
igitur hic qui in ſemicirculo, habet tres duobus rectis aquales,ecce
inquiunt,quos modo minor eſt ſenſitiua, quia ponitur illud pronomen oftenfiuum,
isti funt in errore maiori forſan quàm precedentes, putant eniin quod illud
pronomen, &fimilia pronomina ſint oſtenſiua ad fenfum, quid igitur dicendum
erit de hisloquutionibus,hic Apolo eſt cui barbam abraderefe cit Dioniſius,
huic Apolini coronam Papus, iufsit fieri, et iſte Aurifexfædauit aurum;
ueletiam iſte est Euclides,quem Plato in theetes to commemorat, non ne omnia
ifta pronomina oſtenfiua, funt ad intela lectum, et ſi quandoque per accidens
ad ſenſum ſint oſtenſiua? ideo pronomen in iủa minori, ſiper accidens
oftendatad ſenſum, oſtenſia uum tamen precipue eft ad intellectum, aliter cecus
non poffet illum Syla logiſmum efficere, quòd manifefte falfum eft, ueritas non
eis obuiam uenit ſic interpretantibus.Laborant adhuc dicentes,quod ila inductio
nil aliud est quàmfubfumptio huius minoris, fed hic qui inſemicirculo est
triangulus, fub illa uniuerſali nota, omnis triangulus habet tres angulos
æquales duobus reétis, illam quidem diſpoſitionem premijarum in figus ra
&modo, uocant inductionem, hoc autem non facit fatis ad Ariſtotea lis
litteram; quia ante quam inferatur concluſio, neſcitur de triangulo conſtituto
inſemicirculo quod tres habeat duobus reftis æquales niſi po= tentia, poſt quam
autem illatafuerit concluſio,fcitur a &tu, o noi ama plius potentia, quòd
uult Ariſtoteles,ut poſt quàmfactus fuerit ocoma pletus ſyllogiſmus,
fimpliciter ſcitur,quod qui in tabula,habet tres æqua, les duobus rectis. Agamus igitur et nos,o. Ariſtotelis litteram prius diſponamus, ſubinde
ſententiam exponamus.. De triangulo uero in feinicirculo conſtituto fimul
inducens cognouit. Simulcum uniuerſale triangulo ſcit ipſum particularem
trianguluna, quòd habet tres æquales duobus rectis, &hoc,inducens, uerbum
hoc inducens du asinductiones ſignificat. Alteram Geometricam,reliquam
ſyllogiſticam, quæ etiam ordine ponuntur in littera Ariſtotelis dicentis,antequàm
in duétum ſit,uelfactus fuerit fyllogifmus, quæ duo uerba, non ſunt fynow nima,
ita ut und &eadem res per, utrunque uerbum, inductum ſit, uel fa&
usfuerit fyllogiſmus ſignificetur, quia in doctrinis,non utitur termin nis
ſynonymis,neque Ariſtoteles multiplicat uoces, terminos ean dem rem
ſignificantes. Dicendum igitur, quod aliam rem uox hæc indue dio, &aliam
ifta uox,fyllogiſmus,ſignificat, non gūteſt indu &tio aliqua POSTERIORVM
ARISTT. prediétismodisfupra citatis, ut probatum fuit, relinquitur igitur, ut
inductio per quam ſcimus,quodtreshabeat æquales duobus reitis is,qui
infemicirculo defcriptus est,nulla alia fit,neque excogitari poſsit quàm
Geometrica induétio. Ila autem huiufmodi est, fuppofita deſcription per
trigeſimamprimum primi Elementorum, Angulus c b d eft æquas lis ang ulo et c b,
per primam par tem uigeſimenos lice primi Ele - mentorum Euclia dis,
&Angulus dibe equalis eft ang ulo cab per fecundam partem uigeſimenone
primi elementorum, totus igitu * cbe, eſt æqualis duobus angulis cøa, fed cbre,
cum c b a per xiij. primi Elementorum equiualet duobusrectis, igitur angulia,
cum eodem c b a, funt equales duobus reétis,quod inducendum erat, de triangulo
ac b in ſemicirculo deſcripto,qui triangulus non erat abſcon fus immo ante
oculos offerebatur, tamen illa oblatio,non erat inductio de qua Ariſtoteles
intelligit, quam inductionem quis unquam utcun queetiam intin &tus litteris
dicet, unum eſſe fyllogifmum? quofyllogif mounico (it inferius declarabo)
poteratidemfyllogizari, neque enthis meina unum eft, cum ibi multe ſint
conſequentie, Enthimemaautem und tantum conſequentia eft, quòd neque Topica,
inductio, patet; quia ibi à ſingularibus ad uniuerfalem progredimur,in hac
autem induétioneper decimamtertiam Guigeſimănonam primi Elementorum,quæ
uniuerſales magis funt quàmſecunda pars trigeſimæfecundæ primi Elementorum per
quam patet intentum de triangulo in tabula conſtituto. Neque mi reris quod in
hacinduétione non fumitur illa maior, omnis triangulus habet tresangulos
æqualesduobus re&tis, quia illa fumiturin inductione fyllogiftica, in
inductione uero Geometrica, fumitur decimatertia,cui gefimanona primi
Elementorum, in utraque induktione cumGeometri ca,tum etiam fyllogiſtica fit
proceſfusab uniuerſalı ad particulare,uel ad minus uniuerſale, Syllogiſtica
uero induétio,ex duabus premiſsis, illa ta concluſione conſiſtit,
quafyllogiſtica indu &tione fæpeutitur Ariftoteles ut Tex.xciiy.Secundum
partitionem loan.Grammatici,uel Textu trigeſi monono in paraphraſi, in magna,
pero expoſitione Tex.clxiij.prima Dü IN PRIMVM LI B. poſteriorum, et alibi,
habita o ſcita hac uniuerſali, omnis triangulus habet tres equales duobus
reétis,fatur modo aliquo idem de conſti tuto in ſemicirculo triangulo,
ſimpliciter autem non fcitur,ofacta ine duftione ſyllogiſticaſimpliciter ſcitur,
quod qui in femicirculo eft triane gulus, ſit huiuſmodi, ſicut ſcita
decimitertiaeuigeſimanona primi elee mentoruin ſcitur potentia, quod qui in
ſemicirculo eſttriangulus, duo bus rectis tres habeat pares,licet nefciat, an
qui in ſemicirculo,fit triana gulus,ut Ariſtot,ait Tex.101. uel 169.a{tu autem,
o ſimpliciter fcitur per Geometricam induétionem, quæ ſemper ex ueris, primis,
caufis ila latiuis conclufionis, ex magis notis procedit, non autem ex immediaa
tis ſemper, nequc ex cauſis quedant eße, fed ex his tantum, quæ dant propter
quid iŪationis, tale inſtrumentum quod induétionemGeomes tricam uoco,non est
una conſequentia, fed plures, ut plurimum, neque per immediatafemper procedit,fedalternatim
per immediata, oper ea que probatafunt procedit,inmediata autem, uoco
propoſitiones per fe notas, etiam illas propoſitiones demonſtratas,quæ
immediate proz bant fequentes, de hoc quidem toto inſtrumento non aliter
Ariftoteles traftauit, nifi per particulas illas, utſupra commemoratas, ut ex
ues ris Oc. Tractauit tamen de fuis partibus, ut de enthymemate, quòd pluries
fumitur in tali induétione Geometrica,o de fyllogiſmo, ad quem reducitur talis
inductio,non tamenadunun tantum,ſed ad pluresfyllogif mos, neque uelim dicas
propter hoc, quod Logica, Geometriam debeat precedere,utplacet nonnullis niſi
deLogica,que natura nobis ſuccurrit. Quorundam enim hoc modo diſciplina eft, et
non per inedium ultimum cognofcitur, ut quæcunque fingularia jamelle contingit,
uec de fubiecto quoppiam. Hunc locum Ariſtotelis extorquent penė.omnes,uerum
quidemdicunt, ſed in fua ues ritate duo errores continentur, primus eft, quod
interpretatio non est ad propofitum, fecunduserror, quia id quodaiunt
contradicit huicloa ÇO Ariſtotelis, inquiunt enim, quod per medium, ſcitur
ultimum, hoc est, quod ultimum. Nempe maior extremitas
concluditur per medium de ipſa extremitate minori. V.ideas quanta fit horum
hominum uanitas, Ariſtoteles negatiue loquitur. Et non per medium ultiinum cox
gnoſcitur. Ipfi autem uani exponunt, per medium ultimum cognofcia tur,
aduertendum quod medium in propoſito intelligit Ariſtoteles,quod non tantum
fitu,medium intelligas, quod bis in premißis capitur, fed me dium hoc loco,nil
penitus aliud est quam, quodquid eft ipſius rei, ut POSTERIORVM A R IST.
fparfim in primo poſteriorum, e in ſecundo manifeftuin eſt, in pri moenim,
Textu 201. Juxta partitionein philoponi, uel 39. uel Textu 169. iuxta aliain
partitionem; ait Ariſtoteles, quod uniuerſale mon ſtratur per medium, &non
particulare; uerbi gratia,hic non per mea dium,omnis homoest riſibilis Socrates
eft homoigitur Socrates eſt riſi bilis, ly enim hono, non eft quodquid est, ſed
eſt ſubiectum, hic uero per medium, omne animal rationale eſt riſibile, omnis
homoeſt aniinat rationale, ergo omnishomo eft riſibilis, ibi enim animal
rationale eft mes dium, fi inftes fic,omne animal rationale eſt riſibile
Socrates est animal rationale,igitur Socrates est riſibilis. Dico quòd hoc non
eft per fe,eta primo de Socrate, quòd fit animal rationale, nec etiam riſibile
per ſe, et immediate,argués igitur fic,omnis triangulus habet tres æquales duo
bus rectis,fed qui in ſemicirculo, eſt triangulus, igitur qui in ſemicir= culo
habet tresæqualesduobus rectis. Ibi enim triangulus non eft quot quid eſt, ſed
potius ſubie &tum, feu genus, ibi igitur non eſt demonſtras tio, licet fit
fyllogifmus, &fi adhuc inftetur,quod per decimumtertiam &uigefimamnonam
prini,demonftretur quòd qui in femicirculo, ha beat tres equales duobus rectis,
igitur ei qui in ſemicirculo eſt, non con uenit; quia triangulus;fed per
decimamtertiam euigeſimamnonam pris mi Elementorum. Dico quod in inductione
Geometrica, qua de triana gulo in ſemicirculo cöftituto oftendebatur,quod habet
tres æquales duos bus rectis per decinătertiam (uigefimamnonam primi, id
immediate nõ conuenit triangulo quatenusſit in femicirculo deſcriptus, fed ut
trian. gulus eſt, ut oſtenditur ſecunda parte trigeſimeſecunde primi Elemen
torum,fecundoautem, &per fe non immediate,omnibus alijs triangulis.
Quorundam igitur ſingularium (quorum quodque non predicatur de ali quo ſubiecto,
quiafingularenon predicatur deſubiecto aliquo, ut in pre dicamentis
determinatum est ab Ariſtotele ) diſciplina est, non per medium, ultimum
cognofcitur, cognofcitur quidem ultimum nempe mie iorem extremitatemineſſe
minori,fedhoc non permedium, id est non per quod quid est. Si vero non eft ita,quæ
in Menone contin. get dubitatio, aut enim nihiladdiſcet feruus Menonis,aut quæ
prius nouit addiſcet non eniin iam ueluti quidam ni. tuntur foluere dicendum
eft particula illa. Si uero non eſt ita,videlicet fi non eft fcire de
nouo,ab uniuerſali ad particulare progre diendo; tunc, quæ in Menone eſt,
contingit dubitatio, particuld illa: Non enim iam. Yerbum illud iamfuturi
temporis eſt, fic utfit ſens I N P R IM VM LIB.ſus habita mea doctrina,omodo
quo dixi, nos fcire de nouo,quod id addiſcimus, quod tamen aliquo modo fcimus,
non foluas poſt hac, eo modo, quo illi nitebantur foluere, fed eo palto ut
predocui, it de omni dualitate fciens quod par ſit, de abfconfa in many dicas,
quòd etiam de ea fcis potentia, quodſcit par. Veluti quidam nituntur ſoliere
dicendum eſt. Exponunt Latini &Græci,hunc locum fic,quidam Platonici
dicentes, nos nihil fcia rede nouo,fed fcire noſtrum eratreminiſci arguebant
illos, qui dices bant quod de nouo fcimus, &nitebantur Platonici ducere eos
in contra dictionem,hoc argumento interrogatiuo, aiunt enim Platonici ipſi jos
ne omnem dualitatem eſe parem, nec ne anuunt quidam dicentes nos de nouo ſcire,
ita eſſe, ſübinde atulerunt Platonici dualitatem dicentes, igitur fciebatis
etiam hanc dualitatem, quam manu tegebamus eſſe pas rem, quod tamen effe non
poteſt, quia nefciebatis ipſam eſſe dualitatem ecce contradictio, prius
fatebantur ſeſcire omnemdualitatein eſſe par rem, &tamen
neſciebantdualitatem hanc parem eſſe, quod manifeſtum contradictorium eft,
reſpondebant autem illi, qui dicebant nosfcire de nouo, quod interrogati de
omni dualitate, an par effet, reſponderunt non de omni dualitate abſolute, fed
de dualitate quam utique dualitatem effe ſciebant, modo de illa, quæ abfconfam
tenebant, oque non erat fibi nota, ut eſſe dualitas, non fatebantur illam eſſe
parem, quia neſciebant illam effe dualitatem, ita ut hec expoſitio, eotendat,
ut Ariſtoteles res prehendat illos, qui dicebant nos ſcire de nouo, quia male
foluebant Argumentum Platonicorum, xnihil dicat Ariſtoteles contra Platoni.
Cos. Expositio autem mea, e directo opponitur, huic omnium expofie tioni, ſic
ut Ariſtoteles arguat Platonicos male foluentes argumentum dicentium nosfcire
de nouo, et contra hos dicentes, quòd fcimus deno uo, nihil in hoc Textu dicit
Ariſtoteles. Pro cuiusfententia declaranda, Queritate, est in primis
aduertendum, quod in hoc textu, quoſdam in telligit Ariſtoteles dicentes, quòd
de nouo nos fcire contingit aliquid, quod tamen etiam preſciebamus in
uniuerfali, oiſti inquiſitiuo argu mento probant intentum contra tenentes, quòd
ron ſcimus quippiam de nouo, quorum negantium de nouofcire reſponſionem
redarguit Ariſtoa teles, einterargüendum, peccant og errant in perſuadendo id,
quod probare nituntur, quem errorem, &peccatum dicentium nos de nouo ſcire,
non redarguit Ariſtoteles propter duas cauſas, altera est, quia eft adeo
manifeftus, ut fine reprehenſione à quolibet cognofcatur pre POSTERIORVM ARIST.
meil, habita intelligentia primi textus huius primi, reliqua caufa quare: non
eos redarguit est, quia primo textu feclufit fuam perſuaſionem, dicens omnis doétrina,
o diſciplina intellectiua a diſcurſiua, ex præexiftens ti fit cognitione, ex
preexiſtenti non quidem ſenſitiua, quia illa à Singue laribus ad uniuerſalem,
hæc uero poſterioriſtica e contrario, ab uniuer ſali ad fingulare procedit,
ideo eos non reprehendit Ariſtoteles, quia, quifq; per fe intelle &to primo
Tex.cognoſcit; quo modo errabat ilii inter arguendum. Inquiunt enim arguentes,
noftis neomnem dualitatem effe parem necne? afferentibus Platonicis attullerunt
eis quandam dualitas tem, quam non exiſtimabant eſſe, quare neque parem, en
dicebant iſti arguentes, ſciebatis in uniuerſali, quod omnis dualitas est par,
otas hoc, ideſt paritatem de hac dualitate, qua manu abſcondebatur neſciebatis,
quiaignorabatis quid eſſetin manu, num dualitas,uel quips piam aliud, autnihil,
« nunc uos fcitis iam per apertionem manus prius eam tegentis, in particulari
hanc determinatam, et particularem dualitatem eſſe parem, ecce quomodo ab
uniuerſalicognitione deuentum fuerit in cognitionem particularis, quod prius
dubium apud uos erat. isti ſic arguentes peccant contra primum textum, utſupra
dixi, ocon tra Tex. 112. Neque per ſenſum eft fcire, putabant autem isti ars
guentes illam intuitiuam ſenſationem eſſe doctrinam ſeu diſciplinam. Quia tamen
cum Ariſtotele in intentione, quod de nouo fcimus, et quia etiam error in
perſuadendo manifeſtus eft, ut predocui, de intelle &tiua quidem et diſcurſiua
diſciplina loquitur Ariſtot.ut de uirtute in uniuer ſali etiam in Menone erat
ſermo ideo modo Ariſtoteles dimittit illos,tam quàm non concludentes propoſitum,
quodfatebantur, et diuertit ſe ad Platonicosmale foluentes argumentum,tenentes
quod id quodaliquo mo do ſcimus non poſſumus de nouo addiſcere, uel quòd
nostrum ſcire,fit re miniſci, foluunt argumentum ſic, non enim fatebantur
Platonici ornem dualitatem eſſe parem, neque dixerunt ſeſcire omnem dualitatem
eſſe pa rem,ſed dixeruut dualitatem, quam utique nouerunt dualitatem effe, mo
do cum neſciuerint, an id, quod manu tegebatur effet dualitas, neque ali quo
pacto fciebantipſam eſſe parem uel etiam imparem,quiaſic aiebant,
prius,debemusſcire,an fit dualitas,&poſted,an parfit,uel etiam impar, ita
ut quandointerrogati fuerant,an omnem dualitatein ſcirent eſſe parë uel imparem
reſponderunt utique de dualitate hoc ſcire, quam quidem dualitatem eſſe
nouerant, uerum eſſe, ſed de dualitate in manu abſconſa, nihil fciebant, nec
quippiam deea aliquo modo fciebant, ideo nefciebant IN PRIMVM LIB. 3 idem uno
modo, ut in uniuerſali de illa dualitate,quòd effet par, u idem ut quod effet
par ignorarent in particulari, atqui ſciunt cuius des monſtrationem habent, et cuills
acceperunt. Acceperunt autem non de omni, de quo utique nouerint; quòd
triangulum aut quod numerus ſit, ſed fimpliciter acceperunt; illi arguebant
deomni numero duali, atque triangulo,&c. Similiter reſponderunt illi, quod
ſciebant omnem dualitatem efle parem. Verba hæcfunt Ariſtotelis contra tales
reſpondentes,nullus enim propo nitſeu interrogat, aut nulla propoſitio
accipitur talis, quòd quem tu. noſti eſſe numerum dualem, nofti ne eſſe parem?
aut quam noſti rectili neam figuram eſſe triangulum, quòd habeat tres æquales
duobis reétis? ſed accipit de omni numero duali, ede omni figura rectilinea
trilatera, quis enim proponeretſuo tam inerudito colloquio fic,nunquid nofti
oma nem dualitatem quam eſſe dualitatem nofti, quòd par fit,autnon?ines ptam
igitur, contra loquendi modumfolutionem reprehendit Ariftot. reprehendens
quidem Platonicos malefoluentes, cui non illos de nouo fci re dicentes perperam
arguentes; &modum fciendiquo de nouo fcimus fimpliciter id, quod potentia
ſciebamus epylogando dicit, Sed nihil (ut opinor) prohibet, quod addiſcit
aliquis ſic in particula ri, ante ſciuiſſe in uniuerſali, et in particulari
priusignos raſſe, abfurdum enim non eft,fi nouit quodam modo, quod addiſcit,
ſed ita eſſet abfurdum, ut inquantum ads diſcit, co pacto ſciat. Idem diſcurſus
&expoſitio fiat ſuper Textu fecundo priorum, in capitulo de Deceptione
ſecundum fufpitionem, qué etiam Textum perperam interpretātur pſeudo
philofophi. De dualitate autemſiquis nunc interrogaretur, noſti ne omnem
dualitatem eſſe parent nec ne? annuat quod ſic, o ſi offeratur abfconfa in
manus dualitas, dia cat quod etiam ſcit eam in potentia parem effe, licet
neſciat a et u, quod dualitas ſit,e eft fententia Ariſtotelis Textu 101.0 in
hoc Textuhas bita una atque altera interpretatione, cui dubium eft fecundam
eſſe pres ftantiorem prima?niſi quis dicat primam eſſe preſtantiſsimorum philo
fophorum tàm ueterum Græcorum quàm Latinorum omnium prefertim iuniorum mentem
Ariſtotelis interpretantium, fecunda uero interpre tatio noua est, o hominis
uniusfolius,quæ nullo modo preualere poteft contra tam
preclariſsimosphilofophos, quihæc uerba, &fimilia proa ferunt ex Macrologia
loquuntur,non ualentes intelligere nifi ea, que auctoritate proponuntur, fpreta
ueritate ege ratione, quis iam tam inerudit POSTERIORVM ARIST. neruditus est,
quipPomba Platonicos, qui ætatem confumpferunt in fua opinione de reminiſcentia,
argumentari contra Peripateticos, niſi a Peripateticis prouocati ſint?
&quomodo prouocari poſſunt niſi exci tentur? quo pa &to excitabuntur,
nifi co argumenti modo, quem in ſecunda interpretatione narrauimus? deinde
quare magis redarguit Ari ſtoteles ſemiperipateticos illos, qui
conueniebantfecum in concluſione, quàm illos, quie diametro cpinabantur contra
ipfum? depoſitaigitur emulatone iudicet id quiſque, quodmagisueritatem ſapit,
uerum eſſe, O rationi magis conſentaneum, et erit,fifecunde interpretationi be
rebit, primafpreta, &neglecta omni ex parte. TEXTVS NON VS. ERA quidem
oportet eſſe,quoniam non eſt fcire quod non eft,ut quòd diameter fit fie meter.
De diametro, coſta pluribus locis Arifto telesſermonemfacit, utinprioribus, et in
Methaphy: ficis, quapropter, hoc loco declarabo eius fententiam, ut poſteafit
omnibus in locis clara, primoſcire debes, quod uera eſſe oportet ea, quæ
fciuntur, ita ut ueritas ſuſcipiatur pro illa ueritate que est in concluſione,
&non pro ueritate, quæ in prins cipijs est, a hoc probat indire et te, quia
fi falfum ſciremus, utputa quod diameter eſſet commenfurabilis coſte, tunc
imparia æqualia paribus fierent, o e conuerſo, ut ſi paria equalia
imparibusfunt, igitur diame ter eft coftæ commenfurabilis, quod estfalfumſi
igitur hocſciremus,ſci remus utique quippiam ex non ueris, fed pofuit, quòd
fcire ex ueris fit, igiturſciremus ex non ueris &ex ueris, quod eſſe non
poteft per immea diatam contradi tionem.Diametrum igiturincommenfurabilem cofte
ef ſe noſcimus, quia impar pari æqualisnon eſt,in qua re,talis eſt demons
ftratio ſecundum Euclidis ſcitum in decimo Elementorum, qua ducitur ad
hocincommodum, pofita iſta, quòd diameterſit commenfurabilis co ftæ,fequitur,
quod numerus impar eſſet par, quod eftcontra primum principium ab Euclide
poſitumfeprimo Elementorum ſexta &feptima deffinitionibus,uel etiam nono
Elementorum prima &ſecundafecundum Campanum. In quare demonftranda fit
diameter a b commenfurabis lis lateri a c (li ponatur) erit per quintam decimi
Elementorum ab ad ac, ficut aliquis numerus ad alium numerum, quia illa
communis, mene Б IN: P R I MVM LIB. b Cee '. fo... h... g k.... ei6 fo L. m 64
kıż8 h 81. a. fura,fehabebit ad illas duas lineds, diametrumfilicet,
&coſtam a bigo á c, ficut unitas ad unum atque ad alium numerum,unitas enim
ut duos numeros illos metitur, ſic illa communis menſura diametrum, o coſtam
dimetiretur,cuius rei ſenfus eſt iſte, quòd quoties continebitur in uno ats que
altero numerorum unitas, toties illa communis menfura, quæ linea eft,
continebitur in diametro, atque coſta, fint ergo numeri e @ f, qui ſint minimi
in fua proportione, eritque ob hoc, alter eorum impar, quod fic probatur, fi
enim uterque eorum effet par, non eſſent iammis nimi in fua proportione, ſi
enim par uterqueſit,uterque biffariam die uidi poſſet, outraque mediet asunius
ad utramque alterius medietatem eandem haberet rationemficut totum ad totum,quorumfunt
medietates, ut patet de octonario atq; ſenario, cuius medietates ſunt quatuor,
et qut tuor, atque tria etria,eadem enim fexquitertiaest,octo ad fex, qua
tuorad tria, ſic e ofnon eſſentminimi inſua proportione quod est contra
aſſumptum, quia fuæ medietates effent minores, quadratiigitür illorum minimorum
e « f, ſint ge h, ſi ergo e eſſet impar, a f par, erit quoque per trigeſimam
noni Elementorum g impar, fit itaque k duplus ad h, eritque k par,ex
deffinitione prima noni Eleinentorum, quia igitur a b ad a c, ut e -ad f, erit
per decimamodtauam fexti, ego decimāprimam octaui Elementorum, quadratum ab ad
quadratum ac, ut g ad h, eſt itaque g duplus ad h, ſic enim est quadratun a b
ad quadratum a c per penultimam primi Elementorum, quia ita k, etiam dupluseft
ad h per affumptum,ſequitur per nonam quinti Elemen torum, ut g numerus impar,ſit
equalis K numero pari. Quod fi e fit par, f impar, erit proportio f ad dimidium
e, quod fit L, ficut POSTERIORVM ARIST. 4 c ad dimidium ab, quod ſit ad, o ideo
erit quadrati a c ad quadratum a d, ficut proportio numeri h, quieſt impar per
trigeſi mamnoni Elementorumadquadratuin numeri L, quifit m, cui K poa natur
effe duplus, eritque K per deffinitionem primam noni Elemento rum par, at quia
quadratum a c est duplum ad quadratum a d per penultimam primi Elementorum,
erit h duplus ad m. Cumque Kſit etiam duplus ad m, erit per nonam quinti, impar
b, aequalis K nus mero pari, quod impoßibile à principio proponebatur
demonftrandum C f... go!" k..A Et ſi diceretur, quòd uterque eorum, quiſunt
in fuaproportione mis nimi, ſit impar, ut quinque ad tria, ut ſcilicet e ſit
quinque, ef tria quadrati illorum fint go b, eritigitur utraque eorum quadra=
ta inparia per trigeſimam noni Elementorum, ſit itaque K duplus ad h, eritque k
par ex deffinitioneprimanoni Elementorum,quia igis. tur a bad a c, ut e ad f,
erit per decimamoctauam fextielementorum vundecimam octaui,quadratum ab ad
quadratum a c, ut g ad h, eſt. itaque g duplus ad h, fic enim est quadratum a b
ad quadratum ac, per penultimam primi elementorum, et quia etiam k duplus est
ad h.. per affumptionem fequitur, per nonam quinti elementorum, ut g numea rus
impar ſit, æqualis k numero pari, quod est impoſsibile. Illatum, ſeu concluſio
habita per hanc induftionem Geometricam eft,quod impar par ſit, Ariſtoteles
autem dicit, quòd diametrum effe comenſurabilem coft.e non ſcimus, quia ita non
est, ſic ut illud fit conclufum, wnor af fumptum, ut in predi&ta indutione
fa& um est. Vt autem fiatconcluſio Bij 336 " IN PRIMVM LIB. “, id,
quod aſſumptum fuit, aduertendum, quod ut Ariftoteles in prima Poſteriorum
determinat, Geometra non parallogizat, fed tota illa Geo metrica inductio est
conſequentia formalis,quæ in omnibustenet, cs.com cludit,nequeinquit,
parallogizat Geometra, ut textus 62 probat Arift. ſubinde aliud etiam eſt
aduertendum, ut in Topicis determinatAri ſtoteles, oſparſim in Logica fua, quod
illa formalis eſt conſequentit, quando ex oppoſito confequentis infertur
antecedentis oppoſitum, mos do cum ex contradiétione poſita, ut diametrum cofte
eſſe commenfuram bilem,ſequutum fit quòd impar numerus fit par, exoppoſito
igitur con ſequentis, ut per numerus eft æqualis impari, igitur diameter coms
menſurabilis ex coſte, id autem fequitur ex falfo poſito, ut quod ime parſit
æqualis pari,igitur id quodſciretur, non eſſèt ex ueris, ſedpoſie tum fuit quod
ex ueris oportet eſſe, igitur manifeſta eſt contradi&tio,res linquitur
igitur,quód diameter, nullo modo eſſet coſta commenſurabilis, eft igiturfalfum,
igitur nonſcitur, quia uera effe oportet,quæfcim us TEXTV EODEM VEL TEX. V.
OSITIONIS autem, quæ quidemeſt utram libet partium enunciationisaccipiens,ut
dico aliquid effe,aut no elſe, fuppoſitio eft, quæ ue ro ſine hoc,deffinitio elt;
deffinitio enim pofi tio eft.Ponit enim Arithmeticus unitatem in diuifibilem
effe fecundum quantitatem, lup pofitio enim non eft. Quid enim eſt unitas, et eſſe
unitaté, non idein eſt. Deffinitio inquit Ariſtot. non ponitur, altero membro
contradicéte reiecto,utfit in fuppoſitione accipienda,fed deffinitionis na tura
talis eft, ut ad hocquod ipfa intelligatur aget docente, eſt tamen et ipfa
deffinitio,poft quam intellecta ſit,etiam poſitio,cõmuni uoce diéta,et legatur
textus fic paulatim,ponitenim Arithmeticus unitatem, utſiArithmeticum quis
interroget, an unitas fit, uel non fit? annuat quòd ipſaunitas
fit,indiuiſibilem autem fecundum quantitatem ſuppoſia tio noneſt,ſed definitio,
os exponitur àdocente, quia numerus quilibet diuidi poteſt, cumautem ad
unitatem, ex qua numerus cöponitur deuen tum ſit, impartibilis omnifariam
reperitur, ut poſito quocunquenumes ro, ut ternario, ocirca ſe, ex utraque
parteſuper ſe numeri,esſuper illos, alij circumponantur, id toties
fieripoterit,quousq; ad unitate dem POSTERIORVM'ARIST. 37 SH it 13 uentum
fuerit,at ubi ad ill.im deuentum erit,non fit ultraproceffus,ut cir ca
tres,quatuor,& duo,etfuper hos,quinq; c unum,medium horū aggre gatorī erit
ternaris, hoc exemplari 1 2 345 signum eftigitur unitate eſſe principium
impartibile omnium numerorīt, ut Boetius in Arithmetica, docet,modo,
exſententia Ariſtotelis, non eſt idem,unitatem fupponere, oipſam deffinire, quæ
deffinitio eſt, unitas eft qua unumquodque unum effe dicitur, uel eft
principium numeri, uel eſt indiuiſibilis, ex quo tamen indiuifibili,
diuiſibilis numerus componitur, ad differētiam indiuifibilium fecundum
magnitudinem, quæ indiufibilianon componunt diuiſibile ali quod. Age igitur,ut
Ariſtoteli placet, quòd non eſt fatis ad demonſtratio nem procedere ex
fuppofitionibus, etiam immediatis, fed opus eſt etiam ex immediatis
dignitatibus, que etiam dignitates improprie poſitiones funt, ideo in
precedenti declaratione concludebatur,numerū imparé eſſe parë,quia ex
poſitione, quod diameter.eſſet commenfurabilis coſte, pros cedebatur, &non
ex dignitate &deffinitione intelle &ta,atque poſita. TEXT. DECIMUS
ALIAS QVINTVS, CH fi re Lisa co UE ofi 18 ар 3 VONIAM autem oportet credere et ſcire
ré, in huiuſinodihabendo fyllogifmum, quē 110 cainus demonſtrationein. Eft
autem fic, eò quod ea ſunt,ex quibus eft fyllogiſmus,necef ſe eſt, non
folumpræcognoſcere prima, aut omnia, aut quædain ſed etiam magis. Quico gnoſcit
quòd Triangulus habeat tres equales duobus rečtis, prius nes ceſſe eft,ut
cognofcat XIII. ey xxIx. primiElementorum actu, non autem ufqueaddeffinitiones
fit refolutio pro illa x xXJI cognos feenda, omniaautem prima cognofceremus,ſiuſque
ad deffinitiones ago Elementa, ad que illius XIII. XXIX. primireſolutio fieret,
que &fifitfactibilis, tedio tamennosafficeret, fi femperfieret ufqueadele
mentaiſta reſolutio, fedfatis,quod hoc fieri poßit,ideo dicit Ariſtoteles
neceffe eft præcognoſcere prima,aut omnia,aut quçdam, Sed etiam magis
aduertendum, ut declarabo fuſius Tex. 108. huius primi,quòdquanto notitia eft
deſimpliciori, illa, certior eft, quam que compoſitioriseft.Cum autem
principium fit minus compoſităipfa concluſione, neceffe eft, ut &fua
notitia ſit magiscerta, quam conclue fionis notitia,ideo XIII, XXIX. per quas
probatur fecunda pars IN PRIM VM LIB. trigeſimeſecunde primi Elementorum, ſunt
magis nota, oſcite,quàng illa fecunda pars trigeſimæfecundæ primi. TEXTVS XI.
ALIAS V. MA 1 AGIs enim neceſſe eſt credere principiis, aut oinnibus,aut
quibuſdam quam cons cluſioni. Aduertendum quòd magis credere,fine pluri, nempe
faciliorem effe credentiam aliud eft, à credere per demonſtrationem, et propter
quid, fe ptima, atque octaua propoſitiones quinti Elementos rum, primo intuitu
quando inſpiciuntur, facilius eis adheremus oafa ſentimur, quàm aſſentiamur
deffinitioni fextæ,atque o &taua eiufdé quins ti. Ecce quod non magis illis
principijs credimus primointuitu, quins conclufionibus per ea principia demonſtựatis,
ideo Ariſtoteles ait, aut: quibuſdam, non ſemper omnibus primo intuitu.
Debentem autem habere ſcientiam per deinonſtrationé, non ſolum oportet
principia magis cognoſcere, &, magis ipfis credere, quàm ei quod
deinonſtratur. Sed et cete. Ada uertas quod et finotitia principiorü uideatur
diſtantior intellectui quàm notitia concluſionis, tamen non poteſt uniri
intellectui concluſionis notis tia,niſi per notitiam principiorum,quæ uidebatur
ab intelle &u remotior, ut in illis concluſionibus, &principijs que
precedenti comento citaui. TEXT. XVIII. AVT VIII. I ſiin omnilinea punctum
finiliter eſt. Proprie hoc in propoſito de linea recta intelligas, que atu
punéta habet terminantia, ficut homoactu eſt animal, o fi etiam de circulari
intelligi poßit quæ in puncto à linea recta tangitur, fedde circulas ri
expoſitio uideturfuperftitiofa, aliena à nas tura exempli, quia exempla per
magisfaciliadantur, ita quòd, dequoa cunque uerum eſt dicere, quod fit linea
recta, de co uerum eft dicere, quod in co eſt punctus. POSTERIORVM ARIS T.
TEXT. XIX. VEL IX. 5, Elle P feo to oft 45 oné, 2015 Ado quan ER ſe autem funt,
quæcunqueſunt in co, quod quid cft, utTriangulo ineſt linea, &: punctum
lineę, ſubſtantia enim ipforum ex his eft, et quæcunqueinſunt in ratione di
cente quid eſt. “ Philoponus et parum dicit ſuper hoc textu, uel étiam id quod
dicit non facit ad propo ſitum Ariſtot. declarandum, uidetur enim quod tex. his
contradicat que: determinat Ariſtoteles contra Platonem, uidelicet quodlinea
non compo natur ex punctis, præcipue ſexto phiſicorum, primo de generatione,
tertiometaphiſice,ubiex fententia concludit lineam non poſſe ex punétis
componi, quid autem ſuper hoc textu, qui uidetur oppofitus locis ſupras dictis
dici poßit notaui in prædicamétis, capite de quantitate, uerba aus tem illa,
quia ſubſtantia corum ex ipfis eft, intellige terminatiue, ut linea terminat
ſuperficiem triangularem ', pun &tum lineam termis nat, o nullo modo
intelligendñ eſt compoſitiue, ſic ut puncta lineam com ponant, nec etiam linea
triangulum, tametfi aliter ab indoctis intelligas tur, quiafi aliter textus hic
concipiatur, ftatim fequitur, utſi linea ex punctis componeretur, quod diameter
o coſta eiuſdem quadrati eſſent comenſurabiles, quod textu nono, eſſe falſum «
impoßibile oſtējumeſt, quia utrumque per comunem menfuram dimetiretur, nempe
per pū &tum, quod eft contra Ariftot. sententiam, et contra Euclidis ſcitum.
Preterea tot puncta eſſent in coſta,quot in diametro, &ſic pars effet
æqualis toti, ut coſta ipſi diametro, pro cuius indu &tione, ſit quadratum
a b cd, cuius diameter a d, Cofta uero a c, in qua fuſcipiantur duo puncta e,
f, immediata ſi poßibile ſit, ut aduerfarius ueritatis diceret, cum com ponatur
ex punétis,à quibus, e, of, pun &tis duæ lineæ rectæ aufpicens tur innitia
tranfeuntes per diametrū uſque ad aliă coſtum e regione pri me coſte collocatam,certü
eft, quòd hæ duæ lineæſecabunt ipſam diame trum in duobus pun &tis, quæ
etiam puneta in diametro immediata erunt, propter hoc quia lineæ protracte ex
hypotheſiſunt immediate, igitur ſi recte lineæ tot protendantur à coſta in
coſtam oppoſitam,quot pū &ta fue rint in ipſa coſta, per tot etiam punéta
in diametro poſita tranſibūt eedë linee, nec erit in diametro punétum aliud per
quod non tranſiuerit lined aliqua fic protracta ab immediatis pun&tis
ipſius coſte, in puncta imme motia tunin eſt. Uligas, o achi poßit rcula à ma
eguna dicera IN PRIM VM LIB. diata alterius coſte, ut patet in hac a. figura
ficut f, immediatum eft ipfi e, fic etiam &, ipſih, ſi l, fit immedias tum
ipſi m, patet propoſitum,fi au tem interl,om, intercipiatur pū Aumfitque illud
K; ab illo per xxxi. f primi elemétorum excitetur paralles lus K, o, ipſif, 8,
uel ipſie, he tunc ipſa cadet inter gb, ut in pun Eto, o, igitur g h, non erant
imme diata,quod eſt contraaſſumptum,uel extra utrumqueg,oh, uerſus b, ueld, et tunc
k o, neutri linearū f8, web, erit parallelus,quod eſt contra conſtructionem,
patet igitur quòd tot eſſent in diametro quot in coſta pun&ta. De circulari
autem linea, quod non componatur ex pun ftis, fic demonſtratur per tertium
petitum primi elementorum, fuper centrum a, deſcribatur circulus d minor,
ocirculus bc, maior,ficira cunferentia maioris componatur ex punétis,duo
immediata puneta fi gnentur b @c, &per primum petitum eiufdem primi ducatur
recta alla a ad b, &ab aad c, hæduæ lineæ tranſibunt per circunferentiam
mino ris circuli, ſecabunt igitur circunferentiam in uno,uel in duobus pūétis,
ſi in duobus, tot punčta erunt in minori circulo, ficut in maiori, fed ima
poßibile eft, duo inequalidcomponi ex partibus æqualibus numero, ou
magnitudine,punctusenim unus non excedit alium punctum in magnitudi ne,en tot
funt in minori peripheria puncta quot ſunt in maiori, igitur pe ripheria minor
eft æqualis maiori peripheric,igitur pars æqualis eft toa ti,quod pro
impoßibile relinquitur, b ſi autem due recte linee a, b, 4, C, ſecent minorem
circunferens tiam in eodem puncto, fit ille d, ſu = per illam a c, erigatur
linea recta perpendicularis per xi.primi Elea mentorum ſecansſilicet eam in pun.
&to d, quæ fit d e, que erit contina gens minorem circulum ex corrolda rio
x vtertij elementorum, iftad, c.cum linea 4 b, ex xIII. primi Elemens POSTERIOR
V MARIST. 2 d IN Elementorum conftituit duos angulos rectos, aut æquales duobus
rectis, @ed cum linea a c facit duos angulos rectos ex conftru &tione, duo
igitur anguli a de, obde, funt æquales duobus angulis a de, cde per tertiam
petitionem prini Elementorum Euclidis, dempto igis tur communiangulo a d'e,
reſidua eruntæqualia, igitur angulus b.de erit æqualis angulo c d é, &pars
toti, quod eftimpoßibile. Adiſtud diceret aduerfarius, quod db, odc, non
includunt ali = b. quem angulum; quia poſſet tunc illi angulo bafis ſubtendià
puncto bad punétum c, quod est oppoſitum po ſiti, quia b c, poſita ſunt ima
mediata, quando igitur diceretur, quod angulus c de, estmaior an gulo b.de
negaretur ab aduerſa rio, quia per angulum b d c, nihil additur in angulo c d
e, quia inter bec nihil mediat, e in concurſu bdoc din d, non est angulus. ifta
reſponſio oſi ex ſe ipſa uideatur ua na, negandoangulum, ubi duæ rectæ line:
bd, cd, concurrunt quæ expanduntur in eadem ſuperficie, oapplicantur non
directe, o fit contra deffinitionem anguli, deffinitione ſexta primi
Elementorum, negando etiam à b inc poffe duci lineam, neget primum petitum
primi Elementorum, tamen quia aduerſarius non putaret iſta inconuenientia, quia
ſequuntur ad id, quod ipſe dicit, ideo contra reſponſionem aliter ar. guo,
angulus c d e includit totüm angulum b de, oaddit ſaltem pun Aum ſuper b de, o
ſiproteruias quòd non addat angulum, et puns Etus per te, eſt pars, igitur c d
e addit ſuper 6 d e partem aliquam, igitur c d e eſt totum adb d e. Aſſumptum
patet, uidelicet quòd c de addat ſuper bd e, quia ſi angulus dicatur fpatium
interceptum inter lineas non includendo lineas,ut Ariſtoteles concipit in
queſtionibus meca nicis, queſtione octaua, tunc pun &tus primus lineæ b d
extra circunfes rentiam minorem nihil erit anguli bde, o eſt aliquid anguli c
de, igitur c d e maior est b de, a probatum fuit, quòd æqualis, igi tur aperta
contradi&tio, fi autem angulus ultra ſpatiuin inter duaslie neas,includat
lineam includentem,fpatium tunc primus punctus lineæ cd extra circunferentiam
minorem nihil erit anguli b de, e est aliquid ans F ino tis 0 th I N PRIMVM LIB.
guli c d e, addit, igitur utroque modo angulus c d e punctum fuper angulum b de,
patet igitur ex principali demonſtratione et folutionis bus ad inſtantias, quod
linea non componatur ex punétis, neque recta; neque circulari, ſubſtantia
igitur lineæ ex punétis est terminatiue, o non compoſitiue, ut in principio
expoſui vel dicas quòd Ariſtoteles famoſe, oexemplo loquitur de cauſa quæ dat
eſe, vel etiam dicas, quod punétus,in deffinitione Geometrica ponitur, onon
Methaphyfice conſiderata. TEX. X X. ALIAS I X.
T rectum ineſt lincæ et rotundum. Verbum il lud rotundum legit Aueroes
circulare, o melius, ut ali bi Ariſtoteles rectum ineft linee o circulare, ſic
ut pro uerbo rotundum,legatur circulare,ratio quia circula re lineæ est
proprium,quod uult Ariſtoteles in princis pijs mechanicarum queſtionum inquiens:In
primis enim lineæ illi, que circuli orbem amplectitur,nullamhabenti latitudinem
contraris quodam modo ineſſe apparent, concauum ſilicet,&conuexum. Rotondum
uero proprie corpori conuenit, non lineæ, ut etiam placet Ariſtoteli libro
fecundo Cali capite primo, quæ lectio non uidetur difplicere etiam Ioan ni
Grammatico, &quodſit iſta mens Ariſtotelis, utfic legatur manife ftum eſt,
per ea, quæ textu decimo ait, non enim, contingunt non ineſſc aut fimpliciter,
aut oppofita,ut lineæ rectum aut obliquum,capiens ob liquum pro circulare. TEXT
VSvs X. T par et iinpar numero. Par quidem ille eft, qui ab impari unitate
differt cremento uel diminue tione, ut quinque à quattuor, uel à fex unitate,
Vel par eſt, qui biffariam ſecatur, impar uero, qui ne in duo æqualia
diuidatur, impedimento eft unia tatis interuentus. POSTERIOR VM AREST. Τ Ε Χ. XXV. ALI AS XI. NIVERSALE autem dico, quòd cum fit de omni, et per ſe
eſt, et ſecundum quod ipfum eſt. Ioannes Grammaticus et fequaces determinant,
ut hæc tria inter ſeſint diſtincta, fic quod id, quodper ſe eſt inſit abſque eo,
quod fecundum, quod ipſum eſt, 1/oſceli quidem per ſe ineſt habere tres æquales
duobus reétis,non tamen ineſt ei (inquit Ioannes).ſecundum quod ipſum, quia
fecundum quod ipſum ineſt triangulo. Aduertendum quod famoſa doctrina (qua
etiam fæpe Ariſtoteles utitur ) perſe Iſoſceli inefthabere tres æquales duobus
reftis non tamen ſecundum quod ipſum. Alio autem modo per fe,id dicitur alicui
conuenire, quod etiam conuenit ſecundum quòd ipfum, ita quod, id quod non
conuenit ſecundum quod ipſum non etiam conueniat perſe, niſi quodam modo, fic
quod perſe non immedia = te, oſecundum quod ipſum, diſtinguntur tanquam magis
&minus uni uerfale per fe autem immediate, &ſecundum quod ipſum, hec
quidem non diſtinguntur,ita ut unumſine alio poßit ineſſe eidem, Peccauit
igitur Joannes ofequaces determinantes uniuerſaliter id, quod particulariter
uerum est, uniuerfaliter autem falfum, Triangulo igitur immediate, cu per ſe, o
ſecundum quod ipſum conuenit habere tresduobusre&tis æqua les, quodam autem
modo non per ſe ipſi iſoſceli conuenit habere tres duobus rečtis equalis. Vt
Ariſtoteles ſententia, hæc ſit, quòd per ſe immediate, ſecundum quod ipſum,
idem fint, neque ab inuicem in aliquo diſtinguuntur, per le autem non primum,
“ſecundum quod ip fum, hec duo uere diſtinguuntur, ut Ioannes ſuisexemplis,
immo Ari ſtoteles in Texu,exemplomanifeſtat. HET luben 10a TE X. X X VI. ALIAS
XI I. ## ling PORTET autem non latere, quoniam fæpe numero contingit errare, et
non eſſe quod demonſtratur primum uniuerſale, ſecundum quòd uidetur uniuerſale
demonſtrari primū, aberramus autem hac deceptione, cum aut ni hil ſit accipere
ſuperius,peti fingulare, aut Fij 44? IN PR ÍMVM LI B. ſingularia. Aduertendum
Ioannem Grammaticum et uniueros Ario ſtotelis interpretes, ſiue Greci, Latini,
uel Arabes fuerint perperam eſſe interpretatos hunc Ariſtotelis Textum,
&tres ſequentes textus @rita male fenferunt de Ariſtotele, quòd litteram
pariter et fenfum omnem peruertunt &corruinpunt. Circa Ariſtotelis litteram,
an tequim ad eius interpretationem acMilani, falſit as loannis, oſequa tium est
hoc loco non pretereunds. Primo circa hunc textum, loans nes adfert exempla
multa quorum neque unum tantum facit pro textus declaratione, ait enim
Ariſtoteles. Cum nihil fit accipere fupes rius. Nihil fit, neque uox quidem,
utputa nomen aliquod fictitium,& acceptum,cui tamen in re nihil refpondeat
ut eſt hoc nomen chimera, cui nomini nihil extra in re conuenit,fic tandem, ut
neque res ſi aliqua fie ue ens aliquod, ita ut nulla ſit res, neque ſit nomen
aliquod ſignifi cans illud non ens. ipſe autem loannes explicat Ariſtot.
litteram cirs ca illud, cui eſt accipere fuperius, &circa illud, cui nomen
impoſitum eſt,ut est, Terra,' Sol, øMundus, &triangulus, horum omnium ex
tant nomina, ut manifeftum eft; o ſingulum ſuperius est ad ſua indiuis dua,
nempe ad hancterram, ad hunc Solem, ad hunc mundum, ad -Scalenonen, perperam
igitur interpretatur loannes hunc textum cum ipfe adferat exemplum de eo, cui
ſit accipere fuperius, cui nomer impofitum eſt, Textus autem Ariſtotelis dicat,
cum non fit accipere fuperius. T E X. XXVII. i VT fi quid eft, fed innominatum
fit in difo ferentibus fpetie rebus. Ioannes Toto errat Cees loo.fequentes
ipfum, circa litteram e doctrinam Ari stetelis,textusfic habet. Si quid eft,illud tamen innominatum fit in differentibus fpetie res bus.
Ioannes inquit, non exiſtente commune aliquo de quo non
exiſtente, prebet exempla deexiſtentibus, contra feipſum V etiam de nominatis
in differentibus petie rebus, contra Ariſtotelis textum, ait enim Ariſtoteles.
Sed innominatum ſit in differens tibus fpetie rebus, exempla adfert Ioannes de
Triangulo, qui nominatur, eft in pluribus fpetiebus differentibus, ut in
Iſopleuro Iſoſcele, Scaler.one, o fimiliter de quanto prebet cxemplum loane nes,
quod nedum nomen habet, fed in differentibus fpetie pluribus est POSTRIO RVM
ARIST. par A @ etiam in pluribus generibusdifferentibus eft, neque mireris
uelimſi Joannes ocæteri expoſitores aliò pedem retullerint, cumfaltus aſperie
tatem ſenſerint &iuerit uſque Gorcie inficias, obfcurans Ariſtotelem
Platonicis ſuadelis. Ut contingat eſſe ficut in parte totum in quomonftratur
his enim quę funt in te, ineft quidem demonſtratio, et erit de omni, ſed tainen
non huius erit primi uni uerfalis demonftratio, dico autem huius primi,
ſecundum quod huius demonſtra tionem, cumfit primi unirerfalis. Bonus Ioannes
ofequaces prefertim Niphus fueſſanus medices Neapolitanus philotheus Augu
ftinus philoſophus, og fequaces multi fimiles ſine nomine, pleni nominis bus,
quos in interglutiendam uniuerſam Ariſtotelis philoſophiam, os ho rum textū
ſuffocauit, cū ad exempla deuenerint,quibus Ariſtoteles cla rum reddit id, quod
in tribus modis errandi circa univerſale dixit, loan nes (eg peius cæteri)
circa finem comenti huius textus fic ait,in reliquia trium modorum exempla per
bec exponit, uerū non utitur ordine exem plorum cum ordine modorum errandi,
propofitum enim exemplum ters tij eſt modi, Dico philofophum fummoartificio
ordiri otexere modos errandi cum exemplis, ſicut modo cuique errandi
correſpondeat pros prium &peculiare exemplum, ut quemadmodum tres
numerauerit ers randi modos circa uniuerfale, tria exempla, ipſis
correſpondentia fubiecit, ſic ut primum exemplum primo errandi modo, fecundum
exem plum; ut in littera Ariſtotelis ponitur fecundo modo errandi correſpon
deat, otertium exemplum ipſi tertio modo errandi apte conueniat, quo ordine
confuſionem omni ex parte inter cxempla os modos errandi fuæ giens, in primis
ſuo artificio, modum errandi &exemplum fibi corre fpondens notificauit
circa id quod debet effe medium demonſtrationis, ſe cundus errandi modus
&exemplum fibi correſpondens, cõcernitfubies Sum demonſtrationis, tertius
modus errandi circa uniuerfale cum exem plo ſibi coherente, concernit totam
demonftrationem, feu arguendi mo dum qui dicitur permutata proportio, errauit
igitur Ioannes v omnes alij, qui aliter quam ut hucufque dixi extorquent
Ariſtotelis textum, non intelligentes. I N P R I M VM LIB. Pro declaratione
igitur uigeſimi fexti textus, fit hæc noftra prima ina ter expoſitores
dilucidatio uel ſi difpliceat, dicas eam eſſe ſecundam,uel etiam millefimam.
Primī modum errandiexpono ſic, ſcias quòd de duas bus lineis reétis, tanquam de
ſubiecto, concluditur hec paßio, nempe quod non intercidant; uidelicet quòd
parallelæ ſint ſeu equidiſt antes, per hoc, tanquam per medium, quia linea recta
ſuper duas line as rectas cadēs eſt poſita in omnibus quatuor angulis rectis,
ideo ille due recte parallelæſunt, oetiam per hoc me dium, quod cum linea recta
ſuper duas lineas rectas cadensfecerit an- A. 6 gulos quomodolibet æquales,
utputa alternos acutos ſibi inuicem æqua- c. d les, uel alternos obtufos ſibi
inuicem equales, illæ duæ lineæ funt æquidis ftantes, iterum per hoc medium
quãdo linea recta cadens fuper duas alias rectas lineas fecerit exterio rem
angulum æqualem interiori ex eadem parte, ille duæ lineæ paraller le ſunt,
&adhuc per iftud medium, ut fi linea recta cadens ſuper duas rectas lineas,
fecerit duos intrinſecos angulos æquales duobus reftis,ut probant X X VII. XXVIII.
primi elementorum quod adhuc illæ due recte linee parallelæ ſunt. Modo ſi
Geometra putaret demonſtras, tionem factam per ſingulum mediorum di&torü,eſſe
uniuerſalem,erraret primo errore circa uniuerfale,quia nullibi medium eſt
uniuerſale et unī; nulla enim natura, nec res aliqua eft cómunisad omnes
quatuor angulos rectos, ad binos acutos, binoſque obtuſos,ad intrinſecum et
extrinfecum ex eadë parteſumptos, et ad duos intrinſecos ex eademparte
acceptos, niſi quis uudeat dicere,quòd quædam cõmunis natura,eſt ad omnes pres
nominutos angulos, utputa æqualitas angulori, quæ quidem angulorum
equalitas,ratio eſſet, ut cõcludas lineas eſſeparallelas, iſtud ſomnium,ul tra
quodfit falfitate plenum, eft etiam nimis procul ab apparenti mena dacio, non
ne etiam in concurrentibus lineis repperitur æqualitas angu lorum? ut puta in his
angulis qui ſunt ad uerticem poſiti, cauſati à linea cadenteſuper duas rectus
lineas,illa enim cadens cum utralibet earumf1. per quas cadit, caufat
uerticales angulos æquales ut ſunt anguli a gd, @ b8f, uel anguli c fe, em gfb,
ſtatim hoc reiciet dicens,quod de al 1 POSTERIORVM ARI'S T. ternis angulis
intelligenda eſt illa equalitas, ut natura illa communis tantum ſit equalitas
coalternorum, hec reſponſio eft uana cũ illa equa a litas ſitequiuoca, uel
dicas analo gam, ad equalitatem retorum, acu torum, obtuforum angulorum, @etiam
dico, quod totã hoc,& qua litas angulorum,non eft und abſolu = ta
naturd,una abſoluta (utputa) eſt unus atq; alter angulorum, reliqua natura eſt
reſpectiua et ad aliquid, ut æqualitas inter utrumq;, ſi diceret quod accipitur
pro medio, tantuin equalitas in omnibus illis fine pluri,dico quòd per
æqualitatem non con cluditur, quod lineæ parallele ſint,niſi per æqualitatě
talium angulorī, Et dico etiam quòd non tantum per equalitatem coalternorīt,
ſed etiam per æqualitatë extrinſeciad intrinfecum, et per duos
intrinſecos,quorīt alter acutus reliquus obtufus,qui equalesfunt duobus re et tis,
quæ omnia non habent unum ſuperiusuniuocum, igitur non eft aliquid accipere ſus
perius ad hæc omnia, igitur petimus tunc ſingularia media in propoſito
concludendo, &ſicerramus, ſi nobis uideatur uniuerſale demonſtrare primū.
Error igitur iſte circa uniuerſale,eſt circa medium demonſtratio nis quod
quidem medium uniuerfale, cum non fit, fingularia media peti mus, ſimile habes
huic per XXVII (XXVIII primi Elementorū, Euclidis per quas Ariſtoteles
manifeſtat propoſitum. Itidem fimile per quintam, fextam, a ſeptimum
fextiElementorum,quibus probat Eucli des per diuerſa media ſingularia, o non
per unum uniuerſale medium, triangula eſſe equiangula. Aliud etiam in Euclide
habes xui primi Elementorum « in ſexto Elementorum propoſitione xxx, quibus lo
cis ſimile huic probat, quod duæ lineæ,in dire&tum cõiun&tafunt et
lines und, ohoc per ſingularia odiuerfa media, quibus non eft aliquid unis
accipere fuperius. Vigefimiſeptimitextusſit hec mea declaratio, immo.eft ipſius
Ariſto telis ad unguem, quam Ioannes grammaticus, neque nouus aliquis, ſiue
antiquus etiam interpres, non percepit, hoctextu affert Ariſtoteles les cundum
errandi modum, à primo modo errandi longe dißimilem, atque diuerfum, in primo
modo errandi nulla natura communis accipiebatur IN PRIM VM LI B. 1 fuperior,
neque nomen aliquod, ſeu quæpiam uox habebatur, in hoc aue, tem ſecundoerrandi
modo, natura ipſa communis eft, o inſuper nomen. ei impoſitum eſt. Verum quia
natura illa non habet ſub ſe plures fpe=; cies, ideo illa, &fi fit,
anominata ſit, in pluribus tamen differentibus fpecie rebus, innominataeſt, ob
defficientiam ipſarum ſpecierum, quiail Leſpecies non ſunt, ut folis, terre,
mundi natura, eſt innominatain plu ribus ſpeciebus terre, quia plures ſpecies
terre nonſunt, fi igitur quiſ piam demonſtrationemde cælo tentaret, et quodfit
dextrum in ipſo com cluderet, &putaret quod eſſet ſuademonſtratio
uniuerſalis, quia no eft aliud primum cælum,erraret quia non de hoc cælo,
primofitdemöſtra tio, fed de natura coeli, ut eft quid uniuerfalius ad hoc
primum cælum, ſeu de cælo, fine contratione ad hoc ſingulare cælum, quam
doctrinants Ariſtotelesſuis mathematicis exemplis, &quidem aptißimis, fole
cans didiorum reddit; inquit enim in exemplo fecundo, quod quidem fecundo
errandi modo correſpondet, oſi triangulus non effet aliud quàm 1f0a) ſceles,
ſecundum quod Iſoſceles eſt. Videretur utiqiie
ineſſe primo,has bere tres æquales duobus rectis, cum nullus effet alius
triangulus,uel nul la alia eſſet ſpecies trianguli quam fofceles, &tunc
error ſecundo mos: do contingeret. Explico Ariſtotelis ſententiam. In primis
eft aduerten dum, quòd triangulus re ipſa hubet ſub ſe tres ſpecies
triangulorum, fo pleurum, iſoſcelem oScalenonen, quod ſi tamen per
imaginationem ponamns, quod non haberet ſub ſe ljopleurum, neque Scalenonen,
per ſecluſionem illarum duarum ſpecierum, tantum haberet ſpeciem unā, ut
iſoſcelem, eſſet tunctriangulu: innominatus in Scalenone atque Iſos: pleuro,
quia fi in illis ſpeciebus triangulus nominaretur, ut fic,Scalenon eft
triangulus, Iſopleurus eft triangulus, iam illæ ſpecies duæ triangu. lorum
effent, quas ſuppofuit Aristoteles, ut non eſſent,ut ſuum oſtendat. propoſitum.
His ſuppoſitis, ſiquis de foſcele concluderet; quòd tres haberet æquales duobus
reétis,o putaret quòd uniuerſalis effet bec des monftratio, quia nullus eft
alius triangulus, quam foſceles, crraretſes. cundo errandi modo, quia Iſoſceles
habet fuperius o uniuerſalius fe, nempe triangulum, de quo primo concluditur
talis affectio, et talis era, ror multa diuerſa à prinoerrandi modo
habet,quorum unum eft, ut pri mus modus errandi,ſit circa.medium, et iſte
ſecundus modus errandi fit. circaſubiectum demonſtrationis. Aliud, ut in primo
nonſitfuperius ali quid nec etiam nominatum, In hoc ſecundo eſte ſuperius og
nominas, tum, ut triangulus, Tertio illud innominatumſit in pluribusmedijs,
hoc. autein? POSTERIORVMARIST DS autemfecundo modo innominatumfit in
duabusfpeciebus tantum, uideli cet in Iſopleuro w Scalenone, Ibi ut in omnibus
fit innominatum, Hic aue tem nominatum ſit tantum in una ſpecie, ut triangulus
in 1fofcele. Advigeſimum octauum textum cã acceſſerit philoponus ad orchos in
greſſus, non potuit ex inextricabılı labirintho egredi, ita ut ea, quæ pue
rilia ſuntin interpretatione, perperam ej tortuoſe ſit interpretatus,vt puta
uerbum hoc, aliquando, non temporaliter,inquit,audiendü eſt, ſed quaſi
diminutius ut ait ipfe, non exacte fit audiendum, fimili modo ergo ijtud uerbum,
Nunc,haud,inquit,temporaliter audiendum eſt, quin po tius, exacte, o ſecundum
Methodum demonftratiuam, Pedagogorā mo dum inſequutus, qui quattuorgrecis
litteris intineti temerario aufu, ſi ne quacunquefcientia aut liberaliarte ad
explicandum Ariſtotelem uens toſi cum accefferint ipſi implicati non ut loannes
plicis binis uel ternis terminos exponit, ſed denis centenis atq; millenis
epiſtolis ſuos codiculos imptent promittunt etiam multis nobilibus ſe
expoſituros Ariſt.uocantų; fepe illos nobiles nominatim ut teftes tādem ſint
ſue infanie, et ut uidean tur etiam ipſi aliquid in Ariſtotele ſuo chere
illuſtraſſe, cum nondum pri ma philoſophie elementa fufceperint, Pereant ipſi
cum ſua ignorantia, uelfuis fericis ueftibus addifcere poft multa těpora
incipiant,oſiferico indueti,atque equoinfedentes, o rabini facti addiſcere
uerecundantur. fufcipiant eam quam decet philofophum, ueftem, o Euclidis
honeſtate accedant ad Socratem; ne fintpoſt hac, fomenta praua difpofitionis
preſtantißimæ iuuentuti in celebratißimis terrarum gymnaſijs. Qui dam alij
interpretes quorum eſſe nefcio, quia ſuum eſſe nihil eft, neq; fuit unquam
abradunt ly nunc, et locofuo,legunt, non, &ly aliquando,fo litarie fine
fenfu relinquunt, quibus expofitionibus uel potius torturis iam iam incipiat
Ariſtotelis lamétatio, Abigatur igitur cum mufcis afta bulòunaatque alteru
interpretatio, feu magis Ariftotelis deprauatio, et legatur textus ut lacet in
greco, quitextus græcus habet has particulas, aliquando, et nunc, que uerba
temporaliter onullo alio modo intelligan tur, neque intelligi aliter poſſunt,
onon legatur, loco de ly nunc, non, ut quidam facit hoc tempore, quenſcies, ſi
tua ſcripta ab ipſo accepta le geris, Pro declaratione igitur uera, queunaſola
eft, quă inferius fübi ciam, et nulla alia ab ifta uers effe poteft, ad
Arijtotelem redeundo, textum expono. Proportionale, quod commutabiliter eſt.
Aduertendū quod iftud de proportionale, exemplum, eft tertij modi, pro cutus
declaratio 03 of 21 that * MA es G so IN PRIMVM LIB, ne dico Ariſtotelem
proprium quantitatis determinaffe in fine predicar menti quantitatis dicentem;
Proprium autě quantitati cft maxi. me çqualitas et inequalitas,reliqua uero
queno ſunt quan ta no proprie æqualia ac inęqualia eſſe dicuntur, Velutidiſpo
ſitio,uel etiam habitus æqualis, inequalisue non omnino propriedicitur, fed
familispotius,atá; dißimilis, et album itidem æqualeinæqualeue non onnino
dicitur, fed fimile dici atque dißimile dicifolet, Proportio ſeu ratio, ut ab
Euclide deffinitur in quintoElemětorum eft duarum quantæcunquefint eiufdem
generis quantitatum alterius ad alte ram habitudo quædam, ex Ariſtotele igitur
habetur, quod proprium eft ipſi quantitati, esſe quale aut inequale. Ex Euclide
uero quòd propora tio eſt quantitatumfolummodo, ex utroqueuero, quod tantum in
quana titate proprie reperitur proportio, quæ quidem eſtæqualitatis, in
equalitatis; inequalitatis uero proportio biffariamſecatur fecundum Boetium in
primo Arithmeticæ in inequalitatem maiorematque minoa, rem,equalitatis
proportio eſt quandofundamentā et terminusfunt æqua lia, ut duo ad duo,
inequalitatis uero proportio eft quando fundamenti eſt maius, terminus autē
minor, et hæceft maior inequalitas.uerominor eft,quando fundamentum eftminus
terminus uero maior,ut sunr ad 21, maior,et 11 ad 1 1 1 1 minor, Præter hæc
ſcito, quidam modiarguenda quibusmathematici utuntur(de quibusEuclides in
quinto) indifferenter applicatur quantitatibus eiufdem, fiue etiam alterius
generis, dummos do bina ſintuniusgeneris et bine alterius, ut in
equaproportionalitate patet, hic autem modus-arguendi qui dicitur commutata
proportio non niſi quantitatibus, quæ eiufdem generisſunt attribuitur. Quibus
pras intelectis o declaratis, uides Platonem improprie applicuiffe uirtutia bus
in Gorgia cõmutată proportionalitaté, quibus etiã qualitatibus,pro portio
nonconuenit, ex deffinitione proportionis fuperius data,quapro, pter non eſt
propria rerum natura, neque uera e propria Ariſtotelis ſententia,aliena
docirina perturbanda. Vbienim ait Ariſtotelesloquens de tertio errandimodo,aut
cótingit efle, ficut in parte totūztoti hoc loco,uniuerſale intelligendum eft,partem
uero inferius ad ipfum uni uerfale, Mododico,quòd antiqui philofophi qui
precefferütEuclidem Ariſtotelem ſæpißime errauerunt hoc tertio errandi modo,
putantes de toto, feu uniuerfalemfacere demonftrationem, que tamen erat in par
te demonstratio,hoc eſt particularis &non univerſalis, ideoait philoſos
plus quemadmodum demonftratum, eft aliquando, uidelicetabantiquis POSTERIORVM
ARIST. philoſophis, qui tempore Ariſtotelem,atque Euclidem preceſſerūt,quia
ipfi non aduerterunt quod quantum, eſt id (id eſt natura aliqua) quod fum
perius accipitur, nominatum eft in pluribus differentibus fpecie res büs,
differt igitur iſte modus à primo, quia ibi non erat accipere aliquid ſuperius,
o etiam differt àſecundo, quia in fecundo illud fuperiusnon erat nominatuin in
pluribus differentibus ſpecie rebus, hoc autem, quod hic conſideratur, eft in
pluribusſpeciebusnominatum, et comune,atque uniuerſale onnibus quantis, fiue
illa diſcreta, ſeu cötinua ſint, quorun effe fucceßiuuki, feuetiam permanensſit,
ut numeri ſunt,lines, folida, tempora, &alia huiufmodiſpecie differentia,
feorfum ab inuicem ali quando acceperunt antiqui deſingulis
demonſtrationemfacientes. Nunc uero, inquit,philofophus uniuerfale
demonftratur, fenſus, uniuerſali ad hæc omnia,modusiſte arguëdi imediate et
perſe attribuitur, ut ipſi quan titati, quatenus tale. Nunc dico, nedum in eo
Ariſtoteleo quidem tempo të, et à philofophis reéte fapientibus, ſed etiam
oprimo abEuclide; cuius clarißimi philofophi beneficio habetur demonſtratio
uniuerſalis omnibus quantis, ut fuo quinto libro Elementorum docet,
propoſitione fextadecima, Errabant igitur antiqui aliquando, arguendo
permutatim in numeris ſeorſun, in lineis feorfum, cæteris feorfum, nunc au =
tem non contingit iſte error his, qui ſequuntur Euclidis ſcitum, quia nunc,
ideſt poſt Euclidis fcripta uniuerſaliter demonſtratur, hoc eſtmo:.
dusiftearguendi primo per fequantitati conuenit, quægenuseft ergo üniverſale
adomnia quanta, hæc autem eſt mea interpretatio, uera og germanaipſi
Ariſtoteli, ut etiam ipſe ſuis uerbis manifeftat Text. 93. ubi apertißime declarat
propoſitum. Propter hoc nec fi aliquis monſtret, unumquēque trian ĝulum
demonſtrationeaut una, aut altera quod duos re čtos habet unuſquiſque
Iſopleurus feorfum et Scalenon,& Iſoſceles, nondum cognouit triangulum,
quòd duos rectos habet, niſi ſophiſtico inodo,rieque uniuerfaliter triangu huum,ne
quidem fi nullus eſt, pręterhæc triangulus alter,no enim fecüdum quod
trianguluseft cognouit,neque fi om= nem triangulum,ſed quatenus ſecundum
numerum, ſecun dum autem fpeciem no omnem, et fi nullus eſt, quem non nouit.
Non eſt ſurdaaure pretereundum artificium fummum, quod in hoc exemplo
Ariſtoteles docet, fcias hoc exemplo de triangulo, comple &ti duos errandi
modos, vel facerepro duobus modis, errandi, ſecun Gij sa IN PRIMVM: LIB. do,
atque tertio, cum primum defingulo modo, fecundo &tertio, fe. paratim
exempla aptißima e peculiaria pofuit, ftatim attulit aliud exemplum utrique,
ſecundo uidelicet,atque tertio modo feruiens, Com. poſitiuam methoduin etiam in
exemplis feruauit. Littera autem per particulas, ſic declaratur; inquit enim,
demonſtratione aut una aut al tera; una enim demonſtratione numero fieri-non
poteft, ut deIſopleuro folcele, C Scalenone, concludatur quod tres equales
duobus reftis habeat, uia igitur fpecie demonſtratio erit, qua de his tribus
triangu lorum fpeciebus demonſtrabitur, quod tres habeat æquales duobusree Atis,
ideo dixit Ariſtoteles demonſtratione aut una aut altera; ac fi dices ret
pluribus numero demonſtrationibus, de tribus ſpeciebus illis cons cludi, quod
tres duobus rectis pares habeat hæc autem demonftratio, nullo modo intelligi
potest, quòd fyllogiſtica ſit, quia tuncmaior pre. miſſa acciperet de
uniuerfalitriangulo, quod haberettres equales duo bus reftis,ſic fyllogizando,
omnis triangulus habet tres angulos æquam les duobus rectis, ſed Iſoſceles, uel
Iſopleurus, uel Scalenon, eſt triangulus, igitur foſceles, uel Iſopleurus,uel
Scalenon habet tres, æquales duobus rectis, Sic igitur fyllogizando uel
particulatim abſque illo diſiunto, fed uno tantum affumpto triangulo, non ne,
ſcio de triangulo uniuerſaliter, in maiori aſſumpta quòd triangulus habet tres
æquales duobus reftis? quod e diametro opponitur ei quod Arift. ait,ut et fi de
Iſopleuro, et cæteris fciuero,quòd habeat tres æquales duo bus,nondūſcio de triangulo,niſiper
accidens,per accidés dico quatenus in ferius omne, ſuperiori accidit,modus
igiturilledicendi, quein uidentur omnes latini atque greciſequi, non
poteſtſtarecum Ariſtotelis ſentena tia, quia iam priusſciretuniuerſale in
maiore fumpta et per uniuerſale in cognitionem particulariñ deueniretur,qui
error non eſt, ſiquis autem di ceret, ut fic intelligi debeat
demonſtratione,aut una fyllogiſtica, aut alte ra Geometrica, dico quod nullo
modode ſyllogiſtica poteft intelligi, quia ſequeretur idein incommodum eo modo
arguendiſyllogistice,contra dos Arinam ex litteram Aristotelis, ut fupra dixi,
quia tunc per cognitio nem uniuerſalis deueniremus in cognitionem particularium
quod ex ſi id uerum ſit, modusquo ipſe textu Il docet, quo modo de nouoſci
mus,non hoctamen in hoc textu pertractat, ſed agit,hoc textu,& in hoc,
exemplo, de errore, qui opponitur uero modo ſciendi,onon de mo: do, quo de
nouofcimus quippiam. Niſi quis de ſyllogiſtica demonſtratio
neintelligensafingularibus ad uniuerſale progredereturfic, omnis 1 / 0 POSTERIO
RVM 'ARIS T. ſceles habet tres equales duobus rectis,fed triangulus iſoſceles
est, igis tur triangulus habet tres duobus rectis pares, &de alijs
fpeciebus limie liter, et tunc fciret iste ſecundum numerum i
particulariſubiecto I fofce le ad uniuerfalem triangulum progrediendo,quod no
diſplicet, et ſic una fpecieſyllogiſtica concluderetur de uniuerſali per
particularia, uel etiã altera,nempe Geoinetrica. Pro cuius ellucidatione, eft
fciendun; ultra ea, quæ de Geometrica demonſtratione dictum eſt in textu tertio,
quod Euclides ſecunda parte trigeſimeſecunde primi Elementorun demonſtrat quod
triangulus qua. tenus triangulus est, habet tres angulos æquales duobus-rectis,
fi quis modo, utcunque intructus bonis litteris (non dico Ariftelis deuoratos,
res uel potius carnium «acephalorum ſeptem, unis bycis uoraces, quiafi
uerbauinitateplena habeant non tainen Aristotelis do& rinam tenent,quam
falſo profitentur)iſus fuerit illa. demonftratione oſtendens de 1fofcele, quòd
habeat tres e qualesduobus reftis per decimamtertiam O vigeſimumnonam primi
Elementorum, aut altera numero, eadem ta menſpetie de Iſopleuro et Scaleno.ne
idein oftendat, ita quòd de ſingus lis trianguloruin þetiebus inducat, quod
habeat unaqueque ſpecies triangulorum tres equales duobus, nonduin cognouit
inquit, triangus lum quòd duobus reftis æquales habet, niſi ſophiſtico modo,
neque uni uerſaliter trianguluna effe huiufmodi, ne quidein fi nullus eft,
preter, hec, triangulusalius, non enim quod triangulus eft huiufmodi cogno uit,
nequeſi omnem triangulum, hoc habere contingut, utputs duobus reftis
æquales,ſed quatenusfecundum numerum, ideft fecundum nume rumfpetierum
triangulorum, ſecunduin autein fpetien, in uno uidelicet uniuerfali, non omnein
ca ſi nullus eft fecundum ſpetiem, id eſt ſe cundumnumerum trium triangulorum
petieruin, ſeparatim,quem non nouit. Erraret igitur duplici errore ille, qui
putaret eße unia uerſale fubie&tum, et totum, id quod effet particulare
fubieétum, parsfubieétiut, quia tunc acciperet in parte totum, id eft partem,
to tum effe exiftimaret. Si autem triangulus immaginetur faluari in
unica tantum fpetie, ut in iſoſcele, tunc exemplum intelligatur, aptari feo
cundo modo errandi tantum, non etiam tertio. Vides igitur amice, quod
Ariſtoteles modos tres attulit errandi circa uniuerfale,quorum cuique proprium,
&peculiare exemplum aptauit. Neque legas poſt hac lyaliquando, prominus
exacte, nequely nunc,pro exacte ita,ut neutrum,tempusſignificet, fed utrunque
temporaliterlegatur, neque 1 i IN P R I M V M L I B. legendum eſt ly nunc
pronon, ut quidam, qui nullus homo est facit. Ad id autem quod Ioannes de
Gorgia tetigit, aie quod quantitas, natura ipſa, qualitatem precedit, fic ut
quantitas, fit prior ipſa qualitate non dico tempore necetiam natura ſed ordine,
oid quod propriumquan titati eſt prius est proprio qualitatis, fimiliter et
modi,quiſunt ipſiquãti tati proprij, ut eſt proportio, et modus arguendi, qui
dicitur permu. tata proportio, funt hæc quantitati propria oſibi primo
conueniunt, deinde etiam qualitatibus ſecundario « improprie attribuuntur. Quem
admodum etiamSyllogiſmus, qui omnibus philoſophiæ partibus eft com munis per
attributionem, de eo tamen primo oproprijsſime Logicafa cultas agit, quòd ſi
ſubſtantijs quantitate prioribus, quis tribuat come mutabiliter proportionari,
tunc uniuerfaliter reſponde, quod omnibus entibus poteft attribui
commutabiliter proportionari improprie tamen, oper quandam attributionem
fecrındariam, quatenus omnia entia,has bent quantitatem molis, aut uirtutis in
ſe,o ſic Plato attribuit in Gori gia commutabiliter proportionari illis
qualitatibus improprie, opro ut ille qualitates includunt quantitatem uirtutis,
quæ funtgradus pera feftionis. TE X. XXIX. ALIAS
XIIII. VANDO igitur non nouit uniuerſaliter, et quando nouit fimpliciter,
manifeftum eft utique. Quoniain, li idem erit triangulo eſſe et Iſopleuro, aut
unicuique,aut omnibus fi uero non idem fed alteruin et cætera. Littera ſic
exponatur, fi eadem deffinitio quæ trianguli est, cſJet ipſius etiam Iſopleuri
propria o peculiaris, aut unicuique 1fos pleuro iſoſceli o Scalenoniſeparatim,
aut etiam omnibus fimul in com muni à quanon ſit alia deffinitio ipſis
conueniens, ſi uero non idem, id est finon est eadem unica deffinitio, quæ bis
omnibus æque primo conue ! niat, fed alterum, id eſt diuerfum nempe deffinitio
trianguli est figura tribus lineis rectis claufa, fed iſopleurus est figura
tribus lineis rectis æqualibus claufa, iſoſceles est figura tribus lineis
duabus nanque æquae libus, una inequali claufa, gradatus eſt figura tribus
lineis inæquae libusclaufa, ecce modo, quàm diuerſa ſint deffinitiones, fi
ineſt igitur tres habere his omnibus, hoc quidem eft unicuique, fecundum quod
eſt triangulus, uelfecundum quod eft figura tribus rectis claufa, o non
POSTERIORVM ARIST. has pro eta quia illis lireis equalibus, uel inequalibus
claudatur. Vtrum autem fecundum quod eft triangulus, aut fecundum quod Iſoſce
les infit, et quãdo ſecundum hoc, eſt primun, &uniuerfale, cuius eſt
demonſtratio, manifeſtūeſt, quando remotis infit primo,ut Iſoſceli, æneo remoto,triangulo
infunt duobus rectis pares, fed æncun eſle remoto, &Ifoſceli etiam remo to
infunt tres duobus rectis pares, fed non inſunt tres duo bus rectis pares
figura et termino remotis, quia etiam ipfis inſunt duobus rectis tres æquales,
fed eis non primo, ut fi gura que clauditur termnino uel terminis, quo
igiturprimo reinoto, cui priino conuenit; remouetur, et habere tres, fi itaque
triangulus remoueatur, remouebitur et habere tres duobus rectis pares, et ſecundum
hoc igitur, id eft few cundum triangulum ineſt, et aliis per ipſum et huiuſmodi
trianguli uniuerſaliter eſt demonſtratio. Littera fic ordináta, artificiun
Ariſtotelis est conſiderandum, in hac regula, quam prebet ad cognofcendum,
quando erit uniuerfaliter demonſtratio, ego exem plum eft contraſecundum modum
errandicirca uniuerſale,ſic,utſeruans hanc regulam,non errabitſecundo modo
errandi circauniuerfale,& pri mo,remotis accidentibus indiuiduorī,utremoto
ere,non remoueturaf feétio uniuerfalis ut habere tres duobus reétis pares, as
enimfeu aneum effe,non conuenit fpeciebus triangulorum, niſi quia indiuiduis
triangulis conuenit remota,fubinde fpecie trianguli, ut Ifofcele remoto, non
pro pterea remouetur affectio uniuerſalis, quæ eft habere tres duobus reétis
pares, quia in alijs fpetiebusſaluatur natura,cui primo conuenit habere tres,ut
in ſopleuro,e Scalenone ſaluatur naturatrianguli,cui prinoco uenit habere
tres,tertio remouet genus ad cuiusremotionem remouetur villa affeétio,ut
remotafigura, &tres habere duobus re &tis pares remo uetur, Quarto
cultimo remota deffinitione generis, ut remoto termino figura enim eſt, que
termino uel terminis clauditur, remouetur og illa affectio ſed non primo, primo
enim conuenit ipſi triangulo, triangulo igitur remoto, statim remouetur et illa
affectio, habere tres duobusre Atis pares, demonftratio igitur qua concluditur
quòd triangulus habet tres angulos equalesduobus reātis, eft uniuerſaliter. et eft
Te i IN PRIMVM LIB. TEX. XXXVII. ALIAS XX. Pro quo VORVM autein genus alterum
eft, ficut Arithmeticæ, et Geometriæ,non eft enim Arithmeticam demonftrationem
accom modare ad inagnitudinum accidentia niſi magnitudines numeri fint. Gnarus
Ari ſtoteles Geometrie et Arithmetica non dubitanz do loquutuseft inquiens,niſi
magnitudines numeri fint, fed fuæ regulæ uniuerfalis exceptionem faciens, niſi
inquit magnitudines numeri ſint. aduertas magnitudines nunquam fieri numeri
nifi numeri nuo merati, o adhuc numeri illi numerati non fit diſcreta quantitas,
ſic ut illinumerati numeri, non copulentur ad aliquem communem terminum, ſicut
numeri, ofillabe, no:1 ad terminum copulantur communem,fed ad comunem terminum
copulantar ille magnitudines que numeri funt per folum tamen intellectum à fe
inuicem feparatæ intelliguntur ille quidem magnitudines quæ numerati
numeri,Sunt non quod intellectus aliter quã ſint, eas percipiat oppoſito modo,
fed eas tantum conhder atparticunt Latim, no intelligendo eas niſi priuatiuenon
effe coniunctas,non tamen in telligendo eas negatiue, non effe coniunétas, ut
pro exemplofufcipiatur id,quod Euclides proponit propoſitione quinta deci f mi
Elementorum commens ar d ſurabiles magnitudines,ad inuicem rationem habent quam
numerusad numeră be cuius deinonftratio talis est. Sint due inagnitudines a b
communicantes, dico quod earum pro portio eft,ſicut alicuius numeri ad alium
numerumfit enim maxima quan titas c cõmuniter menfurans a ®b, reperta ut docet
xiij. Elementorum quæ inenfuret a fecundum numerum d, o b fecundum numerum e,
erita; a ad c, ut d'ad unit atem eo quod ſicut a eft multiplex Citad eſt multiplex
unitatis, at c adi b, ut unit as ad e, quoniam ſicut c eft ſubmultiplex b, ita
unitas eſt ſubmultiplex e, igitur per aquam propor tionalitatem a adb, ut d ad
e quod eft propoſitum, Ecce quod f linea fecans a lineam in puncto F, non
ſeparatprima partē linet a, à fecunda parte CH POSTERIORVM ARIST. st n parte
linee a, quis, punctus copulansprimam partem lineæ et cum fes cunda parte,
manet idem, immo eſt communis punétus &ipfi lined a et ipſi f, intelle
&tus tamen intelligit primam, atquefecundam partem li nea 4, abſque quòd
conſideret,ut ad comunem punétum f copulentur. Ecce uides quomodo Euclides
utitur medio Arithmetico,ut puta nume ro in constructione, «æqua
proportionalitate ad probandam affeétio nëdemagnitudinibus, In vis uel 1 x
propoſitione decimi utitur uns decima octaui, tamquam principio Arithmetico in
concludenda affe ftio ne de magnitudinibus, hocfepißimefacit in toto decimo
libro Eles mentorum Magnitudines, numeri funt, quando ille habent communem
menfuram qua communiter dimetiantur, diameter igitur quadrati, Oſuacostanunquam
funt, neque dicentur quod ipfæ numeriſint,de ma gnitudinibus etiä que numeri
ſunt trattat Euclides in ſecundo Elemento rā à prima propoſitione ufq; ad
undecimãexclufiue, Ecce quo pacto utis mur arithmetico principio,circa
Genusgeometricã, quod græciala - tini non aduertentes prætereunt
exponentesregulam Ariſtotelis uniuerfaliter, quãipſe uult intelligi
cumparticula exceptiua, In hac parte ex= ponenda Aueroesimperitißimusfuit, ita
utſua littera e directoſit con tra Ariſtotelis fenfum, inquiens &propterea
demonſtratio, quæ eft de queſito computatiuo, non poteft trăsferri in aliam à
computatiua,quem uirum clarißimum non miror, ſimendacium hoc dixerit in ifta re
parut ſed magis,eum admiror quòd cum aliàsdiſciplinas mathematicas inuen
taspropter ingenij exercitationem, &quia etiam philofophus dixerit eas
puerost adipiſci, ipſumuero Aueroin,neque pueritia,necſuafeneétu te eas fuo
ingenio intellexiſſe, niſi dixeris, quòd ipſe elleuatus in eſtaſi intelligebat
omnia per intellectum in actu, quo multa peruerſo modo,e ordine intelligebat
ſicut quædam fui fequaces Aueroico uerbo cupientes Aueroiſtas dici, ignorantes
tamen que Ariſt. mathematicis explicanda propofuit, de quo intellectu poßibili,
qui nihil eft eorum quæ uere ſunt ante quam intelligat,utproponit
philoſophus,aliquando aperiam,quòd non de ſeparato illo chimerico intellectu ex
littera cmente Aristotelis, debemus intelligere,ut quidã Aueroiſta perperăget
fequaces peßime in= terpretantur, pertranfeo tamëhæc inpræfentiarü,et quia non
eft hiclo cusdifferendiillud, et utfic docentes falfo,reſipiſcăt, et ueritatem
Arifto telicăianiam incipiãt et intelligeret &alios post millenos annos
docere. Hoc autem quemadmodum contingit in quibuſdam, po fterius dicetur.
littera fic intelligi debet, magnitudines quando ſint 1 1 H S8 IN PRIMVM LIB: 3
numeri in quibufdam,nempein temporibus, ideft quádo ipfa tempord, ut numeri
concipiuntur, Poſterius dicetur,ut in libris de philoſophia et de anima.Hoc
loco habemus artificium ab Ariſtotele, quoGræcorumexpo fitorum abufius mille,o
latinorü millies millena millia errorum cognoſci mus,De interpretibus uero
noſtri temporis,ſierrent,non dico,fed intelli gas uelim, ut quot uerba
proferunt, tot mendacia contra Ariſtotelis or dinem ýmethodum committunt. Quis
enim legit Grecos, Latinos, o noftri temporis expoſitoresAriſtotelis, non
uideret conſiderauerit, illos ſepe, et fepe fepius adducereloca odoctrinam
datamin philofo phia uniuerſá, in libris de anima, methaphiſicis, pro
declaratione lo coruin logices, quis modus iſte obfcuritatis eſt, per
ignotißima declarda re ea, quæ aliquo modo ignota funt? eper ea quibus
accommodantur principia, ipſaprincipia uelle declarare, oper poſterior aignota
decla rare ipſum prius, ſic utfupponant iſti declaratores,hominem eſſe philoa
fophum, animaſticum, et methaphiſicum antequàmfiat logicus,utille no Ater bonus
homo docebat, quòd Ariftoteles attulit tria exempla in fecun do textu,in tribus
ſcientijs,ut ibi notaui ha,ha,pereat modus iſte contra Ariſtotelis doctrinam,qui
poftquàm exceptuationem uniuerſalis regulæ fue fecit, inquit, hoc autem,
quomodo contingit, posterius dicetur, fic ut id,quod inphilofophia dicit,
nonreuocetin logicis declarandis, fedt diuerſo,exceptione qua in hoc locofacit,Pombaur
tanquam nota in philofo phia, ut ex notis ad ignota o utex uniuerfali ad
particularia tēpora procedat,perfuadeturigitur illa exceptio exx. libro
Elementorū ut des claratum eft, et non ex philofophiæ locis, vt proMilanius
utpúta ex his, quæ in Geometria notafunt, ad ea declaranda, quæ inlogicis traa
et antur, ut uera methodo, à notis diſcuramus adignota, fed fi idem in
theologos ſacrosobijcias, qui indiſcriminatim ad declarındas theologia cas
queſtiones loca uniuerſalis philofophiæ adducunt, igitur ipficra rant,refpondeo,
In thcologia cui omnesſcientic &tota uniuerſalis phi lofophia ancilantur
tanquam ſcalares gradus non inconuenit philofoe phic eliberalium artium
theoremata adducere, quia proceditur à nos tis ad ignota declaranda. Ita ut
ultra modum quo intelligimus Sacran do&trinam per reuelationem, ſunt quidam
alij modi intelligendi, ſuppoſia ta tamen reuelatione primo, unus eſt modus
deuotionis fpiritalis, quo particulariter dominusfuisfanétis, licet alias
indoctis tribuit intelligere, ut Petro intelligebat ea,quecontinebantur in
epiſtolis fratris noftri Pau li, quæ indocti deprauant ad fuum fenfum, non
intelligentes, Alius mo POSTERIORVMARIS T. 0 4 Ac LE FO r dus intelligendi
facras litteras prouenit ex ingenij uiuacitate tantum, qui modusmultas hærefes
attulitfidelibus. Tertius eft modus intelligendi beneficio naturalis
philoſophic, &hic etiam decipit innaniterfideles nis fiunctione fanétifpiritusmoliaturfua
duricies, hoc quidem tertio modo non intelligit aliquis facras litteras, niſi
inſtructus illis difciplinis, que precedunt ipfam reginam theologiam, valeant
igitur, eantuna oma nes ad olas carnium, nonadScotia Thome libros, qui, his
artibus &philofophia non callent, non peccant igitur Theologitertio modo di
di, copeccato, quo multiGræci, Latini, &præfertim noui interpretes in
Ariſtotelem peccant,confundentes docendi ordinem. Videtur hæc ex poſitio,
Ariftoteli oppugnare, ubi inquit Ariſt. pofterius dicetur, ut in libris
philofophiæ, dixi tamen ego ex decimo Elementorum. Dico Arie ftotelem
promittere quomodo continuum diſcretum căcipiatur, fed Eye clides quo modo per
principium Arithmeticum de magnitudineaffeflio demonſtretur atq; concludatur. •
Ex codem enim genere cft, extrema et mcdia eſſe, fi namqucnonfunt per ſe
accidentia erunt, propter hoc Geo metrię non eft demonſtrare, quod contrariorum
eadein eſt diſciplina, ſed neque quòd duo cubi ſunt unus cubus, ſit heclitteræ
expofitio, ut media oextrema debeant effe eiufdemgeneris, media intelligas, feu
in conſtructione medium, ſeu medium ad probadum, quod eft, aut principium, uel
etiam propoſitiopredemonftrata,que fus mitur ad probandam aliam, propofitionem;
extremorum autem nos mine (ubiait extrema) intelligende funt ipſa concluſiones,
utfitfenfus facilis, premiſſão concluſiones ex codem genereeſſe debent. Sed ne
que quòdduo cubi unus cubus fit, Quomodounus tantum cus buserit,cum duo fint?duo
prius feparatim erant,quiſi in unum redigan tur, unum tantum efficiunt,ut due
lincæ etiam una linea tantum efficis citur, utdocet XIIII primi Elementorum xxx
ſexti Elementos rum,vltra aduertendum quod cötrariorum cadem eſtdiſciplina,ſed
hoc non probat Geometra ſimilitcr duo cubiunus cubus eft,quod etiam Geo metra
non probat, his habitis odeclaratis., ſtatim perit declaratio. cus iufdam
philoſophi noui qui maiorigrauitate quàm pondere utitur; dicit enim illa ſua
innani interpretatione, duo cubi in Arithmetica non faciunt ynum cubum, quod
eft di&tu, quod duo cubi numeri nonfaciunt unum cu bum numerum,ifta
interpretatio opponitur littere Ariſtotelis; li ttera anim affirmatiuc
loquitur, quòd duo cubi unumfaciuntcubum,oiſte no ни ex 46 in is hi De IN PRIMV M LIB. ) uus philofophus exemplificat negatiue,
quo mododuo eubi non faciunt unum cubum; reiciatur igitur ſuainterpretatio, et Philoponi
expoſitio ſuſcipiatur, quæ hoc in loco fatis conſiderata eft, atque docta;Ratio
enim quare non demonſtrat Geometra,quòd duo cubi unum cubum far ciunt, eſt quia
non uerſatur Geometra circa genus folidorum, ut circa ſuuinſubiectum, fed
uerſatur tantun circa planorum genus, ut circa proprium ſubiectum, Stereometra
autem habet demonſtrare, quod duo cubi adinuicem aditi cubum unum cõficiunt, ut
ftatim explicabo inferius, cum de duplatione are delorum, et in fragmentis
logicis de triplatione, quadruplatione, quincuplatione, fexcuplatione,
eptuplatione, es dein ceps demonſtrationes fecero. In qua re ut Ioannes refert
Apolonij peri gei talis eft demonſtratio ab innumeris mendis purgata, opermepri
ſtino candori redita cum Euclidis propoſitionibus in locis fuis,utdecet
appoſitis, ac ſiab Apolonij manibus nunc procederet. Pro cuiusdemonſtrationis
notitia, aduertas quòd Art Delio Apoli ni dicata, eſto ſiuis ut trium eſſet
pedum, quando Apolo imperauit dea lijs peſte laborantibus, eiuſdem Are
duplationem, qui Geometrie impe riti (ut peneſunt in preſentiarum omnes totius
orbis Gymnaſiste )adide runt alteram tripedalem Aram prime are, etſicturbata,atý;
corrupta forma cubica are primæ,dederunt are duplate formă trabis, fic ut fex
pedű extendereturlongitudine, latitudineuero et craſitie trium pedum extenſa
eſſet Ara, forma in qua complacebat Apolo deperdita,fþreti igi tur propter hoc
delij ab-Apoline, et graue peſte adhuc laborantes, ad Platoně confugerunt,qui
eos redarguens, utGeometric imperitos tana dem eos adhuc dubios reliquit dicens
eis, ut duas lineas medias inter exa tremas inuenirentſecundum eandem
proportionem continuam. Et tunc ſcirent duplare Aram, formam habětem cubicam,
In qua re plurimigre corum laborauerunt tandem unus Apolonius perigeus, duas
inuenit lia neasillas medias Oſummo artificio duplarunt Aram delij,fubinde ad
peſte quieuerunt. Dátis igitur duabus lineis inæqualibus, quarum altera ſit
longitudo Ar et primo fabricatæ triumpedum, fecunda uero lineaſit ed, que deno
tet longitudinem trabis quamcompoſuerunt delij, &eſto pedum fex,ina ter has
duas reperiendæ funt duæ alia medie in continua proportionam litate,quod in
numerisfieri neutiquam eſt poßibile, fint igitur duæ data, primafit b c, quæ
erat longitudo prime Are, e a b.longitudo tras bis, &ponatur per undecimam
primi Elementorum uel per uigeſima POSTERIORVM ARIST. tertiam eiufdem primi, ut
rectumangulum contineant,eum uidelicet qui füb a b c o
compleaturparallelogrammum bd; per tertiam atque tri geſimamprimam primi
Elementorum;qg diameter ipſius per primum po ſtulatum primi Elementorum ducatur
a c o circa triangulum ac di per quintam quarti Elementorum deſcribatur
circulus a d.c, os produ catur linee b a,b c, per fecundum poſtulatum primi
Elementorum in directum ufque ad fe 8,0 per primum poſtulatum coniungan tur f
&, per lineam f g tranſeun b tem per punétum d, ita ut fe, æqualis fit
lineæ e g, hoc enim tan quàm petitum ſummitur indemons Äratum. (De quo, forſan
poſterius noſtra palade non nihil dicetur) ma nifeſtum utique eſt, quod ex fe
æqualis eft ipfi dg per hipoteſim, @primam animi conceptionem. f a f 6 f 6 6 G
gд g fil 6 g ď 6 6 egg f fa d Б6 c 1M14 8 с C f f a d AB Xa -f MC À с a TE lik mo Ma
Quoniam igitur extra circulum a dc punctum fumptum est feab ipſo dufte linee
rette f b, feſecant circulum ad punéta a v d, quod igi tur fit ex bf in fa, per
trigeſimamquintam tertij Elementorum,æqua le eſt ei, quod fit ex ef, in fd, ac
eadem ratione, &quodfit ex b et in c g æquale est, ei, quod fit ex dg ing e,
aquale autem eft id quod fitex dg in g e, ei quodfit ex e f in f d, utraque
enim utrij que equales funt, e f ſilicet ipſi d 8, og f d, ipſi eg, igitur, ego
quòd fit, ex bf in fa, æquale eftei, quod fit ex bg ing c, eſt igitur, 62 IN
PRIM VM.; L 1 B. ut fb ad b et perfecundam partem decimequinteſexti Elementorum,
ita g c ad f a,fed ut fb adb 8, fic es fa ad ad per iij.fextiEleé mentorum,
igitur per xi. quinti Elementorum g c ad f a,ut f a ad ad, fimiliter per eandem
xi. quinti Elementorum, ut dc adc 8, fic cg ad fa, quia utraqueeft,ficutea, que
est fb ad b 8, altera per fecundam partem xv. reliquaper quartam fexti;ut
d.c.ad cgpro pter fimilitudinem triangulorum, est autem dcdqualisipfi ab,04 d,
ipſi b c per xxxiij. primiElementorum, igituraut ab ad cg ita f a ad ad, erat
autem, out f bad bg, ideft ut a bad c g,fic cg ad fa, igitur out ab adog, fic
oipfacg.ad fia, o ipſa fid, ad b c, quatuor igitur rectæ linea 46,8c,fa,bc,
inuicem prom portionales funt,o propter hoc erit; uta bad b c, ita quifit ex 4
b cubus, ad cubum, qui ex g cega qui ex g c, ad illum qui fit ex f a, e qui ex
fa, ad illum qui ex b c ex corrolario xxxiij. undecimi Elementorum, igitur ut a
b ad b ©, ita cubus quiex f a ad cubum qui ex b c, fed a b dupla fumpta fuità
principio, ipſius b.c, eft igia tur cubus, qui exfa, duplus ad cu bum, qui ex b
c, quod demon - g strandum errat. Berlin. g c.8 F G f 6 f 6 6 a. 6 6 G 8 6 g
ggġ Ġ gofa dic figffa d. o ga a 6 2. BВ POSTERIORVM ARIS T. Eleg TEX. XLI. VEL XXII. F G ta 16 ORVM quæ ſæpe
fiuntdemonſtrationes funt et fcientiæ, ut lunæ deffectus, Quee dam noua queſtio
à quodam nouo interprete moues tur, circa particulas in textu poſitas, unde eft,
quòdfæpefiat demonſtratio of ſcientia de lune men ſtruo? Cumſit, quod luna
nonſemper, nequeſe pe eclypſetur, neque meſtruum patiatur? Queſtio mota fuit ex
dus plici ignorantia queex duplici menſtruoſitate contingit, uidelicet Solis Lune,
quia ille, qui eam mouerit, neque in die, neque nocte uidet, quid uelit
Ariftoteles, ſi tamen alta uoce Ariſtoteles streperet in huius doctoris aures,
hoc apponeretforſan miringam, ſın ditë, ſurdus ipſeerit ideo ille bonus
homo,qui quidam homo erat,fed nunc nefcio an aliquis ho mo ipſe ſit,
monſtruoſamde lunæ menſtruo folutionem,uel potius ligas mina tribuit
auditoribus centum. Videas, ſepeenim inquit nofter nos uus interpres, fit Lune
eclipſis, quia quandofit,tunc orientalibus quar ta hora, occidentalibus autem
hora tertia, magis autem occidentalibus hora ſecunda noctis &alijs etiam ad
indos magis tendentibus prima non et is hora apparet luna menſtrua:a, ecce
inquit ille interpres do&tus,quid ſepefit, ut puta intot horis noftis,
utfecunda&tertia atque alijs plu rimis. Quemirabilis doctrina @ſcientia, in
dialogis &fabelis, quas apud ignem raulieres habentreponenda magis, quàm
àuiro quoquo moa do etiam docto redarguenda eft, uel etiam à quouis audienda.
Litteraſic ordinetur, eorum demonſtrationes et fcientia ſunt, eorum dico, que
fæpefiunt. Dico igitur lunc deffe tusſæpe, atque ſemper fieri in plenie lunio,
quum terra diametraliter ponatur inter Solem Lunam, quod quidemnon in omni
plenilunio contingit, fed cum sol in capite, et Lue na in cauda draconisfuerit,
quod Plato explicans ait linea re& ta eft cu ius medium obumbrat extrema,
quamfententiam non intelligens quidam alius potius paraſcitus quàm doctor,
&ille est, quem ſuperius dixi hae, bere grauitatem maioren, quàm pondus,
redarguebat in quodam cons uiuio deffinitionem quam Paduano Gymnaſio in primis
meis le &tionibus publicis dederam, explicans deffinitionem lineæ rectæ,
que eft, à pun Ao in punctum breuißimaextenſio, aut cuius medium ex æquofua
inter 1 incet ſigna, hoc eft, cuius medium non reſultat ab extremis, ſic explis
IN PRIM VM LIB. cabam per fenfitiuam et materialem lineam, ut facilius ipfa
Geomes trica linea à tirunculis intelligeretur, linea recta eft, cuius medium
non obumbrat extrema, neque eſt hæc mea explicatio rectæ lineæ, Contrda ria
illi à Platone datæ, cum hæc in Geometria, illa uero Platonis in Aſtronomia
accomodanda ſit, neque in hoc ignofeendum erat, quia igna rus Grecarum
litterarum eſſem, ut ille efuriens greculus non lingua ne que natione, fed
apparentia tantum, Tipto propter tiptis duo agebat dicens mefalfam
le&tionem Latinam vidiffe, qua legeram in Platone, lie nea recta eſt cuius
medium non obumbrat, cum Græcus textus, affira matiue legatur fic cuius medium
obumbrat extrema, mitto hæc in Cora bonam, oad propoſitum à quo uidebar digredi
redeo, Cauſis igitur illis commemoratis concurrentibus, femper et ſaepe fit
Luna defectus, de qua Luna menſtruata habetur ſcientia, per medium illud, quæ
eft ter re interpoſitio inter Solem atque Lunam diametraliter, que cauſa pro
pria, et propinqua eſt ad Eclipfim de Luna concludendam, modo anfe pe fiat
demonſtratio uelfepe habeatur fcientia de Eclipſi Lune, hoc non tangit
Ariſtoteles., quia ly ſæpe eſemper, non determinant ly demon ſtrationes,
olyſcientia,fed determinantlydeffe &tusLune; illis igia tur cauſis
contingit Luna deffeétus fæpec ſemper,non autem illis quas commemorauit ille
phantaſticus, ſecunda uel tertia hora noétis. TEXTVS XLII ALIAS XXIII. VONIAM
autem manifeftum eft, quod unữ. quodque demoſtrare non eſt, ſed aut ex uno.
quoque principiorum, fi id quod demonſtra tur, ſit,ſecundum quod eft illud, non
eſt ſcire hoc quidem fi ex ueris et indemõſtrabilibus monſtretur, et inmediatis,
eſt enim ficmon, ſtrare, ficuti Briſon Tetragoniſinum,per commune enim
demonſtrant rationes huiuſmodi, quod et alí ineſt, unde et alíjs conueniunt hæ
rationes non cognatis, Quicquid anti qui dequadratura circuli fenferint, dicam
quid fenferim ego, habita prius notia littere, &cognito textusſenſu, li ex
ueris premißis, oins demonſtrabilibus, immediatis, fiat demonſtratio, non autem
fiat ex præmißis proprijs, opeculiaribus illi generi,de quo fcientia queritur,
ex illa demonſtratione per talia principia primadi&ta non habeturſcien tid
POSTERIORVM ARIST. 6 tla,immoneq; illa erit demonftratio, quia per principia
fieret talis pros ceſſus, que non tantum arti Geometrie, fed alijs difciplinis
accommo dari poffunt, quo errore Brifo.crrauit tentans reducere aream circuli
ad figuram rectilineam quadratam, quæ t alia erant principia datur max ius,
datur minus, igitur datur æquale, quidamſciolus laborat, ut hæc principia
uniuerfalia,propria fiant ipſiGeometric,dicens,daturquadra tum maius circulo,
datur quadratā minus circulo, igitur datur quadras kun sequale ipſi circulo, et
gloriaturinnani, et hoc fuum chimericâ con tulerit cum yno do&tißimo huiys
noftri Gymnasij, qui non folum perfua fionemualidam, fed et demonftrationem eam
effe affirmauit; fcito enim, quòd os folidis, e linels, o numeris coaptatur
iſta dedu &tio, ut datur numerus maior denario eminor denario, igitur datur
equalis nume rus denario, es ſic in alijs plurimis, dico tamen quod huius
fcioli do&to ris contra tio in propoſito nulla eft ad oſtendendum intenti,
quia ultra quod Briſo errans,proceßit per comunia principia,errauit etiam
errorç peßimo in conſequentia,ut ex his quæfuperquintadecima terty Elemen torī
Euclidis demonſtrantur &fuper trigeſima ciufdem,Ariſtoteles au tem folum
redarguit ipfum in co, quod egit contra regulam de proprijs principijs,quicquid
de confequentia fitprætermittens tanquam non res Marguendum, ut oppoſitum
ſuedat& regul«. De quadratura, errore Brifonis, Anthiphontis, Hipocratisc
Boetij atque iuniorum trattabo in fragmentis mathematicis ſuper live bro
pofterioruin. TEXTVS XLV ALIAS XXIII. ED demonftratio non.conucnit in aliud
nus, aliter quàm ut dictum eſt, Geometricæ in mechanicas, aut perſpectiuas, et arithme
ticæ in harınonicas. XXXVII textu determis nauit Ariſtoteles quòd ad Geometram
non pertinet de BRAVAS PRINT monſtrare quod duo cubifaciant unum cubum, ratio,
ut ibi declarani aßignabaturquia Geometra O stereometrauerfantur cir ca
diuerſagenera, alter circa planum, et reliquus circafolidum, hoc au fem textu dicit,
quod geometrice demonftrationes conueniunt in genus mechanicum, ait enim
geometrice in mechanicas, pro qua apparenti contradictione, eft aduertendum
quòd Stereometrica per principia Gear I IN PRIMVM.LIB. metric probantur quia in
terminis corporis, qui ſunt ſuperficies, ille geometricæ demonſtrationes
attribuuntur, ideodemonftratio Geometri ca hoc modo in mechanicas,conuenit, o
ſinon fint circa idem genus, necfubfe inuicem diſcipline. TEXTVS XLVI ALIAS
XXIIII. VID quidem igitur fignificent, et prima, et quæ ex his funt,
accipiendum eft, quòd au: tem ſint principia quidem, eft accipere, Alia uero
demonftrare, ut unitas, et quid rectum, et quid triangulus,effe autem unitate
accipe re et magnitudinem,altera uero demonftra re. Dedatoibi quid fignificent
de dignitatibus ibi et priina. De que fito ibi, et quæexhisfunt. Exempla
omniafunt in boc textu dedato; primum eft in decimaſextaſeptimi elementorum ubi
de unitate,que ſe ba bet ad aliquemſecüdum numerum, ficut quilibet tertius
adaliquem quar tum,concluditur q, ipſa unitas, itafe habebit ad tertiã numerum,
ſicutfc cãdus numerus ad quartum,fecundã exemplum eftde data linea in prima
propofitione primiElementorum,de qua demonſtratur quàd fit æqualis, welminor
cæterisduabus lineis re&tis continentibus,Iſopleurum, uel ifo feelem, uel
Scalenonem,uel etiam exemplum hoc apparet indecima pri mi Elementorum ubi
concluditur de linea recta, quòd ſit biffariamfe &ta, Tertium exemplum de
dato, eſt in xxx 11 primi Elementorum, ubi de dato Trigono concluditur. habeat
tres angulos duabus re&tis paresnon tantum, quid ſignificentoportet
preaccipere, fed etiam iſta effe, vt tan dem de dato nonfolum quidfignificet,
quod etiam eſt queſiti,preaccipes re, fed eo quidſignificet effe, vtrumque
fupponendum ſit (licet non femper,)ut quid ſit unitas,et unitatem effe,quemadmodum
ſecundo textu predocuit Ariſtoteles, uerbum hoc, magnitudinem, intelligendum
eſt, rectam lineam,ut decima primi elementorī,et triãgulum,ut trigeſima ſe cīda
primi elemétorum,quem triangulum,et reetū, explicite protulit ab
unitate,inquiens alia uero demonſtrare, ut quid unitas, quid rectiem, Oquid
triangulus fignificet, elle autem unitatem accipere et magnitus dinem, hoc loco
aduertendum est Ariſtotelem, ſeiunctam poſuiſſe unita tem à refto trigono, quæ
duo nempe reétum et trigonum amplexi fuifſe in unico uerbo hoc, magnitudinem,
propter hoc ut intelligenda POSTERIORVM ARIS T. effet unitas de qua hic
loquitur principium numeri feu multitudinis, de. qua quidem unitate alia
affe&tio concluditur, quàm de unitate linee, de qua loquebatur in fecundo
textu huiusprimi, wratio interpretationis apparet exlittera, quia de quolibet
dato. feparatim concluditur pro prium queſitum, ut hoc textu declaraui. TEX.
XLVII VEL XX IIII et 24 Allia 721, pe Court Alle Blato che * with rima alis
-life pri eld Side Vntautē quibus utimur in demonftratiuis ſciētíjs alia quidē
propria uniuſcuiufq fcič tiæ, alia uero cómnunia, comunia autemfer cundum
Analogiă, quoniam utile eft,quá. túeft in eo (quod eft fub fcientia ) genere,
propria quidem, ut lincã elſe huiufinodi. &rectum, De dignitatibus hoc loco
loquens, exempla de dignitatis bus prèbens ait. Alia quidem propria uniuſcuiuſq
et c.Propria Geometrie ſunt ifta, utlineam elfelongitudinem illatabilem or ſine
pro fonditate,hacde caufa dixit lineameſſe buiufmodi,id efthabere banc defa
finitione, et reétum, vt puta recta linea est, que ſua ex æquali intera
iacetſigna,uel linea recta eft à punéto in punctum breuißima extenſio, non
intelligas lineam, &rectum, Jolitarie o incomplexe,quia hoc loco de
dignitatibus,que complexa funtloquitur: non de incomplexis utde linea tantă, ca
de recto tantum ſed, dehoc cöplexo linea est longitudo illa tabilis; ¢ linea
recta eſt,quæ ex æquali ſua interiacet ſigna,de linea in uniuerfali, fubinde de
contracta uſpecificalinea recta exempla explicăs, Communia autein ut æqualia ab
æqualibus ſi auferas,quòd æqualia reliqua ſunt. Aliqui indoctirelatores
interpretum et inter pretes Arifto, non intelligentes hunc locum; naturam
Geometrie ſcien tie perdunt, dicentes Geometram per principia communia
procedere, id autem eft contra ueritatem ex parte rei econtra Ariftotelis do
&tria nam. Pro cuiusdifficultatis nodo extricando, aduertendum quod princi
pium iftud,de quolibet ente,uerum eftdicere quodeſt,uel no eſt tale, nun quam
in demonftratione ponitur, nec eo utimur niſicontrate, oquae dam
determinationeadgenus aliquod terminatum, er pro altera diſiuna Eti
parteaccepto,nulli enim fcientia eft, aut diſciplina, que utatur illo principio
pro utrag; diſiunéti,fed pro altera tantū parte, Sinile de hoc (& alijs
huiufmodi) principio, fi ab.equalibus æqualia auferas, que re MON jpes non exti
ell I i IN PRIM VM LI'B. Manent,æqualia funt, audiendum eft, nulla quippe
diſciplinaest, que es utatur niſi contracte, fic quòd Geometra nunquam eo ufus
eft præters quam inhisquæ circa planum uerfantur, utfi ab equalibus lineis,uel
fu perficiebus,aut angulis,equates lineæ, uel fuperficies aut anguli deman tur,
quæ remanent lineæ,uel fuperficies,aut anguli funtæquales,quão primum autem
principium hoc contrahitur, non eft amplius commune Guniuerfale, fed fit
proprium illius generis fcientiæ ad quod contrahis tur, quod uerohæc noftra
declaratio fit ad Ariſtotelis mentemmanifes. ſtum eſt ex predicamento
quantitatis ubi de diſcreto econtinuo agens, determinat quod utrique proprium
eft peculiare fecundum eamæqua leuel inæquale dici, ſi inſtetur ex
menteAriſtotelis dicentis, principiunt. - iſtud effe commune, inquit enim,cõnunia
autē &c. Dico illud prin cipium eſſe commune, ſi non contrahatur,
quàmprimim uero contrahi tur non eftcommune amplius, ftatim enin fequeretur
contradi&tio, quod eſſet commune ono commune, doétrina hæcmeacoheret
his,quæ Aucroes commentationemagna affentiriuideturfuper hoc textu, o his que
Ariſtoteles hoc loco dicitinquiens;fufficiens eft autemunumquoda que iftorum
quantum in genere eſt,hoc eft quatenusad determinatū get nus contrahitur, de
principijs loquens,ubi de datis dixerit, et tertio lo co de queſitis, ibi
quodautē ſint demóftrant, o fi adhuc inftes e Theon &Campanus non
contracteinquatuor primis libris Elemento rum, a quod Euclides affixit illud
principium primo libro, dico quod Căpanus &TheonbreuiloquioStudentes
accipiuntipſum principiū fne Contractione, femper tamen op ubique uolunt ipſum
intelligi contra &te cum determinatone ad illud genus ad quod-co utimur,
aliter. errarent, Euclides autem primo libro affixit, quid utitur ipfo con
tracto in primis quatuor libris, Adhuc fi fortiuscontra hanc expo fitionem
precipue inſtetur quod fiquid ueritatisſaperet, statim haberea tur circuli
quadratura per hæcprincipia contra&ta, datur quadras tum maius circulo,
datur quadratum minus circulo igitur dabitur quadratum æquale circulo,
refpondeo, quò du os errores commiſit Briſo, o talis argutus doctorolus inter
arguendum, primo quia Brie so per principia comunia, iſte audem do&tor per
contra &ta illa princi pra, feduterque in æquiuocisarguebat, circulus enim
et quadratum equi uoce funt figuræ altera enim curuilinea reliqua uero
re&tilinea eft, hunc errorem fecundum non inuenies in mea hac
expoſitione,&contra ipfam inftantianulla est, de crrore autem
Briſonisfuſius in noftris fragmentis POSTERIOR V MARIS T. 3 Logicis. Idem enim
faciet et fi non de omnibus accipiat fed in magnitudinibus folum, Arithmeticæ
autein in numeris. Diuinus Philoſophus quàmprimum explicuerit, quæ namfunt
propria per duplex exemplum uniusfeientia Geometria, linee uidelicet, &lia
neæ recte, •fubiunxerit, que nam ſint communia principia exent plum prebens
tale, nquit, ut æqualiaab æqualibusfi auferas quod æqua lia ſint remanentia,
ſubiunxit quomodo hoc principium &fimilia cone trahantur ad proprium genus
ſcientiæ &propriafiant dicens, ſuffia ciens eſt,unum quodque iſtorum,
quantum in genere est, fufficiens quie dem acſi peculiaribus atqi proprijs
principijsuteretur Geometra uteng iſto principio, æqualia ab æqualibus ſi
auferas æqualia remanent, non quidemſi de omnibus accipiat, non quidem dico
demonstrabit Geometra: fi fic de omnibus et uniuerfaliter ſine contractione
utatur, fed demon, ſtrabit quidem, inquit Philofophus,ſi in magnitudinibus
folum, id eſt contracte o determinatim,eo ufus fuerit.Vtfic, fi ab æqualibus
lineis ſuperficiebus, angulis, Arithmeticus, fi ab æqualibus numeris æqua les
lineas ſuperficies angulos uel numeros auferas quod æquales linea fuperficies
anguli onumeri remanebunt. Tunc uult Ariſtoteles quód iftud principiumſic
contractumreddatur propriumipſi Geometra, og Arithmetico &unicuique
artifici in fua arte, ac fi peculiari epros prißimo uteretur, non procedit
igiturGeometra per communia prins cipia neque ob id, quia per cominunia
procedit Geometria, ideo non fit dicenda ſcientia ipſa Geometria, ut quidam
ingeniofus noftri teme poris immaginatur. Sunt autem propria quidem et quæ acci
piuntureſſe, circa quæ, fcientia fpeculatur, quæ ſunt per le, ut Arithmetica
unitates, Geometria autem figna et lineas. Euclides in Arithmeticis ab oskaud
propoſitionenoniElemene torum uſque ad tredeci mam incluſiue accipit unitates,
ſed ſigna id eſt punta accepit in ſecunda wtrigeſima prima primi Elementorum,
lie neas uero in primt, ſecunda,& tertia primi,atque in undecima undecimi
Elementorum. Hæc enim accipiunt eſſe, et hoc eſſe, idemo dixit in
principiofecundi textus,ut de dato precognoſcatur utrunque &quid &quia
est, accipiunt eſſe,id est deffinitionemſeu deſcriptionem welquid per
nomenfignificatur, ex hoceffe,nempeactueſſe, uel mente oaštu.confideratiuo
effe, id quod concipiunt, quod eſſe potentia,uel effe aptitudinedicunt. Horum
autem pafsiones funtper fe quid quidem figni IN PRIMVM L'IB. ficet unaquæque
accipiunt, ut Arithmetica quidem quid par, Sicut uigefimaquinta noni
Elementorum, aut impar, ut trige fimanoni Elementorum, Aut quadrangulus,ut
xxxvi. noni Ele mentorum, &quilibet numerus à duobus duplus,ut xxxv.
eiufdem, a eut declaraui ſuper textu xx. de altera parte longiori, Aut cubus ut
quarta noni Elementorum ſic intelligantur termini exemplorum in
Arithmetica;Geometra uero quid irrationale,ut XI. X. Elementorum, aut inflecti
per contactum in unico puncto ex xij.ex xv.tertij Elemen. aut concurrere, ut
xv.xi. Elementorum oprima Elementorum Geo metrie Vitellionis. Animaduerſione
dignum est hoc, quod Geometra nunquàm hanc affectionem, ut irregularitatem
deunica lineafola con = fiderat, neque etiam de una tantum linea id concludit,
quicquid Cama panus ſentiat, fed id de linea una ad aliam comparata atque
relata, cum qua non habet uliquam communem menſuram, ut est diameter wcofta
quadrati. Inflexio uero in una atque eadem linea circulari eft, quætan gat
aliam rectam lineam uel alium circulum interne, uel etiam exterins, in
unopuncto tantum, quia inflexa non fecat nequere et amlineam, nes que etiam
circulum, quorum utrumlibetfaceret linea recta, eifdem ! recte linee 6 circulo
non contingenter neque in directum applicata. Quod autem fint paſsiones per fe
demonſtrant per coin munia et ex his quæ demonftrata furt et Aftronomia funi
liter. De datis dequibusaccipiebamus quid fignificarent &effe, de monſtrant
artifices Arithmeticus OGeometra per communia, idef per uniuerſalia principia
(que tamen unius generis ſint) v ex his etiam propoſitionibus, quæ prius
demonſtrata funt, affectiones illas predis Etas, ſicut etiam aſtronomus facit,
utper ea quæ in Geometria probas ta ſunt, etiam per propoſitiones probatas in
Aſtronomia concludat etfiEtionesfequentrum Theorematun. TEX. XLVIII. ALIAS X
XV. VASDAM tamen fcientias nihil prohibet quædain hortin defpicere, ut genus
non ſupponere effe, et fit manifeftum quoniam eft,non eniin ſimiliter
manifeftuin eft,quo niam numerus fit, et quoniam calidur, et frigidum fit.
Natura enim &per fenfum notum POSTERIO RVM ARIST. $ 200 ill 0 si est,
quonian calidum eft, ideo non eft opus precipere mente o ſuppoi fitione aliqua
intellettuali, «quadamſcrupuloſa indaginefuum quiade calido, quando calidum eſt
ſubiectum ſeu datum uel genus, hoc cafu, quandoeft notum quia est dati,
deſpicitur præcognoſcere mentis inda gatione de dato, an fit? Quod noncontingit
ſimiliter de numero, quans donumeruseft datum, de eo enim eft necefſe mente e
intellectuali acte preaccipere quia numeri, Videlicet quod numerusaétu est
mente con: ceptus, ac fiexifteret aétu, uel aptitudinem ad exiftendum habeat,
en hoc quidempropter hoc, quod numerus neque nataraneque fenfu aetud liter
percipiturquòd fit, fed tantun intelleétu dignofcitur, @ hæc duo exempla de
dito prebetnobis Ariſtoteles,ſubinde de queſito feu paßione facit exceptionem
dicent, et paſsiones non eft accipere quid fi gnificent ſi fint manifeltæ, ut
puta ſi fit notiſsimum quodtale no men -notifsimam rem ſignificet. Tunceo cafu
non prerequiritur indas gando quid fignificet illud nomen, quia iam notum eſt.
De dignitatibus.au tem idein excipit ab uniuerſaliregula,qua dixit fecundo
textu, alia nana que quia funt prius opinari neceſſe eſt,utomne quidem quod est,aut
affir mareaut negare uerum eſt, quia eſt, o textu xlvi.aliud prebet exem plum,
utæqualiaab æqualibus fiauferas, quòd æqualia reliqua ſunt, de his communibus
principijs non eft preſuponerequia eft. Cum ipſorīt ugritas quafi natura nota
fint, quaſi natura dico, utputa quia notis ter minis ipſarum dignitatum, statim
notum est, quia est ipſarum dignitatum fecus autem eft de dignitatibus proprijs
cuique arti,quia tunc non est,fa tis,quid fimplices terminiſignificent
preaccipere,fed opus etiam eſt pré cognofcere copulationem terminorū effe
neceffariam, ueram,ut quòd circulus fit figura plana unicalinea contentain
cuius medio punctus est à quo ad circunferentiam omnes recta linea duétæ
funtæqualesfecludit, igitur ariſt.àfubie&to ipſum quia quandoipſum
eſſe,manifesti est,non ſecludit ipfum quid est, ut exponit loan.Gram.
Alexander, A queſito ſecludit aliquádo quid eft,era comunibus dignitatibus
ipſum quia,quando notumeft quid queſitumfignificet, &quando
ueritasdignitatum eſt mani feftifsima quod autem hæcde datofeuſubiecto
expoſitio ſit germanatex. Ariſt.ut uidelicet excludat àſubiecto ipſum quia,&
non ipſum quid,mani feſtă eſt in littera,ubi ait,Genus non fupponere efle fi
fitmanife ftūquoniã eſt non dicit Arift.genus no ſupponere quid ſitexemplü de
queſito,quandonon accipiturquidſignificet est propoſitione xiiij.primi:
Elemen.quod est,indiređã linea una,quod quidē quid ſignificet non tung OI MI
deo per da Jet OB um 10 et IN PRIM VM LI B. preaccipitur,cumfit notum ex
deffinitione quarta primi Elementorum, quodnon queratur, quia eft, quando est
notum,id apertißime dicit philofophus textu fecundo ſecundi Poſteriorum,inquit
enim,inuenien tes autem, quia deficit pauſamus, et fi in principio ſcirc mus,
quia deficit,nó queremus utruin, cum autem fcimus ipſum quia,ipſum propter quid
querimus et c. TEXTVS LII ALIAS XXV. EQYEGeometra falſa ſupponit,ſicut qui dam
affirmant dicentes, quòd non oportet falſo uti, Geometram autem mentiri, dis
centem lineam eſſe unius pedis,quę unius pedis non eft, autrectam lincam, non
ree &tam cxiſtentem, ut in prima propoſitione prin mi elementorumfuper
datam rectam lineam triangulum collocare, etiam in decima primi Elementorum
datam lineam rectam, eum biffaria diuidere iubet Geometra, os ſiilla linea, que
atramento pingitur, uel penna aut ſtilo protrahitur reta non fit, non ob id
tamen dicendum eft, Geometram errare, quia non ad id intentionem dirigit
Geometra quod oculis fubijcitur, fed ad id potius, quod intus animo concipit,
dirigit intentionem, ideo non contingit Geometram circa aſſumptam materiam
errare et mentiri, Geometra enim nihil concludit fecundum hanc lie neam pitam,
quam ftilo pinxerat, fed fecundum intus conceptam lie neam, demonſtrationem
percurrit,idem habet Ariſtoteles primo priorã ante mutuamfyllogifmorum reſolutionem
non errat etiam Geometra cir ca formam fyllogiſticam, ut textu 59 62, ait
Ariſtoteles, igitur cer tißimefunt diſciplinegeometria, et non quiafenfatæ
fint, ut falfo quis dam dicunt, Quia intus concipiuntur. TEXTVS LIX ALIAS
XXVIII. VONIAM autem ſunt Geoinetricæ inters rogationes non ne funt et non
geometri. cæ? et in unaquaque fcientia,fecundü qua lem ingnorantiam funt
Geoinetricæ? et utrum quiſecundum ingnorantiam fyllo giſmus eft, fit qui ex
oppoſitis fyllogifo mus, POSTERIORVM ARIST. 3 dis 2018 pria vik est 200 gt mus;
an paralogiſinus? In unaquaque fcientia contingunt fieri in terrogationes,
ficut in Geometria, In geometria autembiffariam contin git interrogatiofieri,
uno quidem modo,ut nihil fapiat de illo, quod inter rogat, ut fiquis querat an
icoceruus habeat tres æquales duobus rectis, ignorans omnifariam &quidfit
Icoceruus, et quid ſithabere tres duo bus reétis æquales, hic interrogans habet
ignorantiam fecundum nega. tionem, quia omnis habitus negatur in eo de illa re,
quam querit. Altero autem modo, ut interrogās ſciat quippe partim de illo, quod
querit, par tim uero non, ut adinuicem parallelas concurrere,fciat nanque que
nani lineæ rectæ fint, oſcit quòd in utranque partem protrahuntur, ſcit etiam,
quisnam ſit duarum linearum concurſus, &quatenus iſta nouit et
interrogat,Geometrica queſtio atq; Geometrica interrogatio eft, quate inus
autem opinatur an parallelæ in infinitum protrate concurrant,hac ex parte,non
eft Geometrica quæſtio, et habet hic ignorantium habitus, idest fecundum
habitum, quo fcit lineas rectas, ceas in infinitum pro trahi polle, et
concurſum linearum effe in eadem ſuperficie, cum illo qui dem habitu, ſtat hec
ignorantia, ut ne ſciat quòd etiam ſi in infinitura protrahantur, non
căcurrunt. Errore hoc peßimo in interrogatione er rauit Pſcelus Grecus,
quifuitilla tempeſtate quorundain Grecorum ho minum, qui præter uoces re ipfa
nihil penitusaut parum doctrinæ has bebant, in quam calımitatem credo
plurimosnoſtri temporis Græculos incidiſſe, Tentauit ipfe diuidere tonum, qui fexquioctaua
proportione co ſtat accipiebatô; neruos duos, qui tacti, interuallum foni
haberent, quos rum utrumlibet biffariam diuidebat, fubinde arguens agebat,
totus ners uus maior ad totum neruun minorein habebat toni ratione, igitur
medie tas nerui ad nerui alterius medietate,ut medietas toni ad toni medietaté,
poyo fic putabat dimidium Toni, hoc eſt ſemitonium uerum adinueniſſe, ignorans
pauper, quod proportio totius nerui ad totum neruum eadem eft, que dimidij
nerui ad dimidium alterius nerui per decimamoctauam @decimamnonam ſeptimi
Elemětorum, erat igitur non Armonica quæa ftio, qua quærebat, an tonus dividi
biffariam poſſet? Verus autem Geo. metra ille eft, qui non habet ignorantiam
neque ſecundum negationem, neque fecundum priuationem, «ille non
facitinterrogationes non geo metricas, neque interrogationes partimgeometricas
opartim non geo métricas, ſed interrogationesfacit omnifarians geometricas, ut,
an trian gulus cõſtitutus in tabula, habeat tres æquales duobus reitis pares,
Geo metra non errat, circa uffumptam materiā,ut tex. 52. determinauit phi lik
line et K IN PRIM VM LIB.. lofophus,non errat circa interrogationes, ut hoc
textu patuit, neque era rat in forma, in ſua induftione, ut demonſtrat
Ariſtoteles in textu. 62. nullus igitur error in Geometria contineri poteſt ex
mente Ariſtotelis, hanc eandemfententia habet Galenus in de
erroribuscognoſcendis et cor rigendis, quo loco innumeras Geometrie utilitates
narrat. TEXTVS LXII ALIAS XXIX. ONTINGIT autem quofdam non fyllogi. ſtice
dicere propter id quod accipiunt ad utraque conſequentia, ut et Ceneus facit,
quod ignis in multiplicata analogia fit. Scito Ariſtotelem Cenei mentē recte
intellexiſſe, que quia in formafyllogiſtica errabat parallogizădome rito eum
redarguit, ut Joannes exponit,ſed aduertendum eſt in materia parallogiſmi, quo
modo id cita creſcat in multiplicata analogia, quia ut Alexander errauit in hac
expoſitione quëadmodum Philoponus ei ima ponit non minustamen et ipfe etium
loannes grammaticus grauiter era rauit aliter exponens quàm Alexander,oſi fuam
expofitionem confir met Procli diadochi auctoritate, qui Proclus, ſi ita
fenferit, ut ioana nes refert, perperam hunc locum interpretatus eſt,«mentem
Cenei nõ intellexit,inquit Ariſtoteles de mente Cenei, quod in multiplicata
analo gia creſcit, id cito creſcit, non autem ait, quod in multiplicationetermi
porum analogia creſcit, id cito creſcit ſicut ipſe loannes et Proclus terminos
analogie multiplicentfic, 1,2,4, 8, 16, 32, 64, 128, 256, $ 12, 1024, 2048.
Egouero aliter de mente Ariſtotelis ♡Cenei dico
ex doctrina Eucli dis deffinitione undecima quinti Elementorum, &ex
deffinitione primi Geometrie uitellionis ubi quantitates denominantes ipſas proe
portiones multiplicantur non termini, ut loannes Proclus facies bant,arguebat
ſic Ceneus,quæcung cito creſcit augentur in multiplicata Analogia, ſed ignis
augetur in multiplicata Analogia, igitur ignis cito creſcit,ubi maior
&minor in ſecundafigura ſunt affirmatiua. Talis au tem error parallogizando
à Geometra non committitur, igitur certiſie ma, ca in primo certitudinis gradu
Geometria reponitur, POSTERIOR VM ARIST. 248 2 3 3.2 ov 4 64 16 1 2 8 16 2 S6
256 S 12, 1 256 65536 4 0 24 2 048 ei ad CI, C. qué mee erit 4096 8 1 9 z 1.63
8.4 32768 6 ss36 Julia ima 1 eta infor TEXTVS LXIII ALIAS XXIX. ină Tomi club =
56 wich ro cies ONVERTVNTVR autem magis, quæ funt in mathematicis, quoniam
nullum reci s piunt accidens. Secunda pars trigeſimaſecunde primi Elementorum
eſt, quodomnis triangulus duos bus rectis paret habeat, id autem probat prima
pars trigefimaſecunde,& ſecunda, o prima pars uigefi menone, &tertia
decima primiElementorum, quæ omnes propoſitio nes concurrunt ad probandam illam
conclufionem, quæ conclufio ſi in fua principia illatiua reſoluatur,non niſiin
illareſolui poteſt, que ſupra commemoraui, ubi cernis &compoſitiuam
methodum, ab illis principijs ad illam illatam conclufionem, reſolutiuam
methodum ab illa conclus fione ad illa principia regrediendo, quihabitus
reſolutiuus altißimus eft, e profecto ſignum eft re &te fapientis. Cumautem
conclufiones in mathematicis fequantur ex determinatis principijs, tunc ibi
facie lior eft reſolutio à concluſione in principia quàm in Topicis, ubi ex
uagis, ofolum apparentibus, quandoque etiamfufpeftis odiuerſis, cito # Bie Kij
7.6 IN PRIMVM LIB. @non ex unis principijs
concluditur quippiam de hac re, abundantius infragmentis nostris mathematicis
fuper Ariſtotelis loca dicturus fum. TEXTVS LXIIII ALIAS XXIX. et fit par eſt
ers VGENT VR autein, non per media, ſed in aſſamendo, ut a de b, hoc autem de c,
rurfus hoc de d, et hoc in infinitum. Et in Iatus, ut a de b, et de e, ut eſt
numerus quantus, uel infinitus,hoc autem fit in quo eſt a, nunerus impar
quantus in quo b, numerus imparin quo c,eft ergoade c, et fit quantus numerus,
in quo d par numerus in quo e, go a de e. Exépla duo attulit primo in poſt
ſumendo,ſecüdo in litus ſu mendo, primo exemplī prebet in numerisin
poſtfumendo,ut a numerus, de b numero impari, et b,de numero c primodicitur
igitur a numerus de c numero primodicitur, In latus ſumendo numero pariter
exemplificat, pro cuius notia, imaginare arborem porphirianam,cui fimilē in
numeris finge, &numerum quantū,qui etiam potentia infinitus eſt, loco
ſubſtans tiæ apta; infinitus ait propterhoc, quia omnes imparis atque paris nu
= meriſpecies,quæ in infiritum crefcunt,potentia continet,ſicutſubſtan = tia
fuas inferiores potentia fpeties continet, his autem numerus non po teft effe
aliquis determinatus quantus, quia quicunque daretur, aut par effet, aut impar,
qui non poteft effe communis pari &impari, fed talis debet eſſe numerus
uniuerſaliter ſumptus, noluit autem uti iſto uer bo, uniuerfaliter, quia non
eſt terminus Arithmeticus,ſedſpectat magis ad dialecticuin, ideo loco debito
ufus eſt proprio uerbo hoc, uidelicet, ins finitus,quæ uox numero conuenit,
ſicut incremento creſcat in infinitum inſuis fpetiebus, et numerus fic acceptus
diuiditur in imparem, atque pa rem, &imparis numeri diuiſio est, in primum
numerum,ocompofi tum, prinus autem numerus dicitur in fui natura, &ſine
comparation, ne ad alium quemcunque numerum,o ille eſt quiſola unitate
metitur,ut. 3, 5, 85" 7, 13. Compoſitus numerus eft, qui alio numeroaf e,oo
ab unitate diuerſo, dimetitur, ut 9, aut 25, à ternario, et à quinario
dimetiuntur, is compoſitus diuiditur in parem, atque imparem, et par quidem
numerus ille eſt,qui biffariam ſecari poteft, ohic partitur in pariter parem,
qui in duo æqualia fecantur, partes eius, quoufquc POSTERIORVM ARIST. 1 ad
unitatem uentum ſit, ut trigeſima. In pariter imparem qui quidem in duo equalia
partitur, partes in duo æqualia non fufcipiunt ſectios niem,ut quatuordecim. In
impariter partem, qui quidem in duo æqualia diuiditur partes ſimiliter in duo
æqualia, fed hæc partitio, uſque ad unitatem non peruenit, ut trigintaſex, de
quibus Euclides libris ſeptia mo o octauo, nono Elementoruin, Nicomacus atque
Boetius primo Oſecüdo Arithmetice, Quo autem ad Ariſtotelis textī attinet,
manife ftum erit exemplumſuum, numerus infinitus fiue quantusſit a numerus autē
quantus &determinatus ſub ipſo ſit b, numerus alius nempe infes rior ad b
ſit cog,par autem numerus quantus ſit d, qui trifaria ſeca tur in e k l, ut
dictum fuit fupra, eft ergo a ded, &etiam de e k lo In latus autem dixit,quiane
dum per rectam lineam arboris, fed ex utra que partefumptio facta fuit. ES 11 in Exemplum in poſt.fummendo. 5, Exemplum in latus fummendo. 11:
111erus 111: 11CTUS -is 14 impar primus 13 50 ut impar 6 d par ed S A i primus
compofitis. 16 14 pariterper impariterpar pariter impar. 12 is 14 inte
Aduertendumquod exemplum in numeris eſt contractius, quàm prius propofuerit per
litteras,ideo ne labores in numeris tot numerosfübfea inuicem poſitos, quot
litteras, ibicommemorat, exempla duoin numeris appofui ut alia ipſe in
textufecit, ne alia aliterdefiderentur. mo. 6 8 IN PRIMVM LIB. > TE X.
LXIIII. A LIAS X X X. Iffert autem quia et propter quid fcire primo quidem in
eadem ſcientia et in hac dupliciter uno quidein modo, ſi non per immediata fiat
fyllogiſmus, non enim accipitur prima cau fa, quæ uero fcicntia proprer quid,
per pri mam caufam eft. Hoc quidem primo modo non prebet exemplum aliquod
philofophus, quicquid Aueroes, Philopou nus, fequaces fentiant, fed exemplum
profecundo modo appofuit unicum folummodo pro quia, de ſintillatione planetarum,
de rotons ditate autem Lune dedit etiam exemplum,pro fecundomodo quia,quo ta
men exemplo declarat etiam quo pacto fieret propter quid demonſtratio O ob id
imminutus aut ſuperfluus non fuit, quia primo modo textus est clarus ſatis, c
profecundo modo quia,duo exempla prebetin diuers ſis ſcientijs, utrunque
exemplum est in ſcientijs medijs, alterum est in optica, reliquum est in
Aſtronomia, &quia textus est ſatisclarus in duobus exemplis quantum ad
inductionis modum. Primo declaro prie, mum modum, quo, quia à propter quid
differt de quo primo modo,quo, quia a propter quid differt nullum dat exemplum,ubi
ait uno quidem modo,fi non per immediata fiat fyllogif. ita habet textus Philo
ponio Aucrois Argiropilus autě habet, uno quidē modo fi ratio tinatio non per
ea, quę uacant medio fiat,utloco uerbiſyllogiſ. legatur ratiotinatio, omelius
meo iudicio, cum illud uniuerſalius fit uer bū, fenfus tamen ille est, utfi
fiat deduétio, non per immediata,erit demon ſtratio quia; ut fide homine
concludatur reſpiratio, eo quod ſitanimal, ſi uero de homine concludatur quòd
reſpirat, eo quòd pulmonem habet, eritdemonſtratio propter quid, oin utroque
modo,concluditur res spiratio follogifmo ut omne animal reſpirat,cæt.velomne
habens pul: monemreſpirat et c. Si uero lectiofiat ſecundum Argiropilum,Olegatur
ratiotinatio, Tunc exemplum dari poteft pro primo modo, quando non per
immediata fiat inductio, ut prima pars xxxij. primi Elementorum probatur per
uigefimamnonam primi elementorum, et non per immes diata principia, fic ut
fenfus fit, quod illa que probantur per alias pro poſitiones probatas prius,
talia quidem probatione quia probataſint illa uero queprobanturper immediata
principia propter quid demonftrens POSTERIORVM ARIST. zmo citer fiat maus prio
DOM -cpon cofuit bton uo ta cratio extus iuers mes: FUS IN • prie quo, dem
philo atio ogil uer tur, ut eſt queſitum primi, ſecundi, atque tertij
problematum primi Elea mentorum,que quæfita per immediata principia
demonſtrantur, facta prius deſcriptione, ut conuenit, neque dicendum est, ut quidam
exiſtie mant,quod eafit propter quid,quando perimmediataspropoſitionesfiat
deductio imediationem illam tribuentes adſitum propoſitionū ut fecundit pars
xxvIII. per primam partem illius, oprima pars uigeſimeoctaua per
uigefimumfeptimam primi Elementorum,fed hoc loco, non imme diata accipit
Ariſtoteles, omnes propoſitiones probatas,uel etiam, quæ per prima probare
poſſunt, cum demonftratio fiant ex primis, et im mediatis, oppungat,ut
immediatafint, o non fint primaabſolute. Et in Geometria etiam alio modo quia
eſt, differt à propter quit, ut quando ab effeétu ad caufam progreffus fit,
neinpe quando per æqualitatem an = gulorum concluditur equalitas laterum,ut
fexta primi Elementorum Eu. clidis proponit.Propter quid autem eſt,quádo à
caufa ad effectum proces ditur, utputa quando ab equalitate laterum trianguli
infertur æqualitas angulorum illa latera reſpicientium, ut prima pars quintæ
elementorum Euclidis proponit. Atio autemmodo per immediata quidem non auteng
percauſam, ſed per notius eorum que conuertuntur, ut lucidum non ſcintillare,o
prope eſſe, fimiliter, creſcere per rotunda incrementa luz. cida, ceſſe
rotundum æqualiter defe inuicem prædicant,notius tamen eft, non ſcintillare,
quàm prope effe, ¬ius eſt creſcere per increa menta lucida rotunda, quàm
eſſe rotundum, et primum eft per fenfum per induétionem in fingulisplanetis
notummagis, non tamen caufa eft quare planetæ prope ſint, fed
econtrario.Secundum etiam, ut quod incremento creſcere,non eſt caufa
rotunditatis, licetfit notumfolummo do per ſenſum, non autem per inductionem à
pluribus determinatis ſie mul exiftentibus, quia hoc tantum de unico incremento
creſcente certi fumus, *cum per ipfa, fiunt inductiones, quòd planeta
propefint, aut quod Luna rotundit ſit, talis utriuſque inductio eſt quid, quod
fi ccontra riofieret, tunc propter quid, anon quia, erit demonſtratio, ifti
igitur duo modi à fe diuerſi ſunt, eo quod primus, per priora quidem, non tas
men immediata procedit. Alius autem per immediata non tamen per priora, fed ea
quæeſt propter quid colligit utraque, et quod ex prio ribus fit, atque ex
immediatis. Amplius quare planetæ, haud fcina tillare uideantur fuſius ſuper
problemateultimo quintadecimæfectio nis problematum Ariſtotelis fiet per me
declaratio, quæ etiam faciet fatis huic textui, eft tamen hoc loco aduertendum
Ioannem dicere fira MON mal, het, pw atur non ros illa IN PRIMVM LIB.
tillationem prouenire, quod protendentes uifus ufque ad aſtra fixa de biliores
fiunt, quaſi quòd uiſio fieret per extramißionem radiorum, ut Thimeo
&Empedocli placituin erat, quos Ariſtoteles reprehendit capi te ſexto De
Senſu &ſenſili. In hac igitur parte reiciendus
est Philopo nus, niſi exemplo loquatur famoſo. Alterum De rotunditate Lune fus
per problemate oftauo eiufdem feftionis aperietur, ubi querit Ariftote les unde
eſt, quòd Luna uideatur plana, cum fit rotunda. TEXTVS LXV. ALIAS X XX. MPLIVS
in quibus inedium extraponitur etenim in his nó propter quidſed ipfius, quia
demonſtratio eft, non enim dicitur caufa, ut propter quid non reſpirat paries,
quia eſt ani mał. Tertium modum quo quia in eadem ſcientia à propter quid
differt, nunc affert Ariſtoteles inquiens amplius eft, que quando neque cauſa
probat 1,ut primus modus effe&tum infert, neque est,quando ex effectu caufa
infertur, fed quando ex nega: tione pene cauſe infertur ipſius effe &tus
negatio, feu etiam econuerfo, ut quia non funt parallele, ideo alterni anguli
non funt æquales, opdo ri modo, quia extrinfecus angulus non eft æqualis
intrinſeco'ex eadem parte, igitur parallele non funt; oeſt hic modus tertius,
quo quia à propterquid differt in eadem ſcientia, dixi quando ex negationepene
caufe, oc. Quia parallelas effe,non eft caufa ut alterni anguli ſintæqua les,nifi
fuper ill. linea recta ceciderit, que propinqua caufa eft, quod al terni anguli
fintæquales,ficut animal quidem longinqua caufa eft refpira di, propinqua eſt
pulmo, totalis autem eſt animalhabemus pi Imonem me dium enim ad probandă
affeétionem in perſpectiut accipitur extra perſpe fiuã, utputa in Geometria et Mechanica
ad Stereometriam.ld no tißimum erit pariter v iocundum, fi id quod ait
Ariſtoteles in ques ſtionibus mechanicis questione x l'intelligatur,onera qua
mouentur ſua per ſcytalas facilius mouentur, quam fi ſuper plauftra
mouerentur,ultrd rationes illas Phiſicas quas ibi Ariſtoteles adducit, etiam
ratio propter quidſummitur ex primoſtereometrie Euclidis deffinitione decimao
taud uel undecima ex Theonis littera, Q * tertio Elementorum deffinitione fez
cunda, minus enim offenfant ſeytale, quam plauſtrorum rote, quia ana gulus
fcytalarum longe maior eft, quàmfit angulus rotarum plauftrorit ut angulus
POSTERIORVM ARIST. 1 unt 41 utangulus rota a fe, uel etiam a fd longe minor eft
quàm angulus fcytale af c, et ideo minus ad planum af b offenſat ſcytala quam
rota,quidfcytals,que in uſu noſtro tempore eſt, in questionibus mechaa nicis
declarabo, pro nuncfcito illas eſſe ftangulas,quibus utuntur lapi cide in
trahendis magnis lapidibus, f et Harmonica ad Aritmetica a -6 Tonum in duo
equalia diuidiſemito nia minime poteſt,quod muſicus dea terminat, ut Boetius
re&te fentit lis bro tertio capite primo muſices, le quicquid Pfelus
Greculus ſentiat, fedfecaturin apothomen eſemi tonium minus, huius autem
propter quid ratio, ab Arithmetico reddia tur, quiafuperparticularis propor tio
non poteſt diuidi in duo equalia, ut Boetius in Arithmeticis docet. Tonus autem
cum in ſeſquioctaua ſonorum proportione conſiſtat in duo equalia ſemitonia
diuidi haud quaquam poteft. et Apparentia ad Aſtronomiam. Apparentia, ipfa eft
phenomena de qua Euclides, e Aratus poeta agunt, atque VergiliusAgricolas
docens tempus quo mila lium feminaredebent, ait in Georgicis loquens de occafu
hellaco, Candi dus auratis aperit cum cornubus annum Taurus, oaduerfo cedens
cda nis occidit aſtro,rationemſiqnis agricola deſideret, cur eo tempore cda
nis, qui et Alabor dicitur, occidat beliace,id totum ab aſtronomo petat, qui
rationem propter quid redet; Sol enim in orbe eccentrico à propria
intelligentisex occidente in orientem motus, quicquid fomnietAlpetra gius
Fracaſtorius, et fequaces,accedit annud orbita ad illud fydus, quod eft in
geminis &fuo maximofplendore, non finit illud uideri, id autë fit cum Sol
diſcurrës perſignum Tauri, attingit extremam partem Tauri, tunc enim canis
perdit lumen ſuum, non uidetur amplius, propter So lis ad ipſumſydus uiciniam,
quouſque iterum per motum eccentrici ab co fydere ellongetur Sol, quod iterum
oriri heliace incipit; hi ſunt igitur modi quatuor, quibuspropter quid, à quia
differt, tres quidem funt in eadem ſcientia fubalternante,oquartus, quando id
quoddemon ſtrandum eft inſcientia media,per ea quæ in ſubalternante ſcientia
nota funt, probatur, in quo quarto modo, funt plures demonſtratiomisgraa dus
fpeculandi, quos quia Ariſtoteles non tangit,præterco. L Me hen 1 1 IN PRIMVM
LIB. -7. Sunt autem hæc quæcunque alterum quiddam exiſten tia ſecundum
fubftantiam, utuntur fpeciebils, Mathenati cæ enim ſecundum fpeciein funt, non
enim de ſubiecto alia quo,fi cnim et de fubiecto aliquo Geometrica funt, ſed no
quatenus Geometrica,de fubiecto funt. In præcedenti particu la huius textus
dixit de ſcientia quia, quód fenfibilium eft, inquiens,Hic enim, ipſum quia
ſenſibilă eft fcire, de fcicntia uero propter quid,quòd uniuerfalium ejt, per
caufas habetur,ait,propter quid autem mathemde ticorum, hi enim habent
caufaruin demor.ſtrationes, ofrequenter neſci unt ipſum quia, ficut illi
uniuerſale conſiderantes, fepe quædam ſingula rium neſciunt propter id, quod
non intendunt; Ecce quantimathematis cos ficiat philofophus, dicens eos
noningnaros illorum, que uulgus tra Etat, fed Socratico more, ea non intendere
quæfumuno ſtudio, amplectun tur uulzures, Differentia igitur ipſius,quiu à
propter quid,adhuc magis explicans,ait, funt autě ip / e quidemfcientiæ, quia
quecunq;,utuntur ſpe ciebus (fenfibilibusuidelicet, alterã quiddam fecundum
fubjtantiam pecu lantes, alterum quiddam non folum fecundum ſubſtantium,fed
etiamaltes xum quiddamn in exiſtentia,hoc eft in ſubiecto materiali exiſtens,
Mathem matice enim, nempe quæ propter quid fient, circa fpccies ſunt, dubita.
tur hocloco, cum ſcientia quia utatur fpeciebus, o ſciétia propter quid circa
ſpeciesſit, quo nam puto, in quia, et quo modo in propter quid fpecies
intelligatur. Dico, quod quia ſenſibilium eſt, ut ait Ariſtoteles, utitur, quia
ſpeciebusſenſibilibus,quarum beneficio fenfus ſenſata perci piunt, fed
propterquid,utiturfpeciebus abftractis àſubiecto materiali, ut ſuperficie,
linea, puncto, &ſimilibus, quatenus affectiones aliquas de ipſis inipſis
cognoſcit demonſtrator,non tamē circa hæc uerſatur Geo metra quatenus in
ſubiecto funt,ſed preciſius abſtractione, ea conſides rat, fi talia nufquam,
ſine fubiecto ſint. Habet autem fead perſpectiuam, ficut hæc ad Geome
triam, et alia ad iftam, ut id quod de, iride eft. Traslatio Ar giropoli in hac,
precedenti particula facilior,atque candidior eft, quàmfit textus Philoponi, ne
uidear tamen in precedenti particula, e hac preſenti, litteram ſequi, quam
pedagogio neoterici non doctores, ut fe præferunt, fæpe encruat; loannis textum
in utraque particula ex pono, quo etiam plura uirtute continentur quam,
contineat textus, Are giropoli tum etiam, quia accedit ad hæc Procli
interpretatio, ut teftatur loannes, ſcientiasigitur quas in præfenti
Ariſtoteles cõmemorat,fub ale POSTERIORVM ARIST. terno quodã ordine pofitæ
funt;primo Geometria,cui imediate perſpecti ua,perfpe et iue autē ſpecularia
&huic ſpecularie, ea ſcientia, quæ eft de Iride in qua,
quæponuntur,perfpecularia probantur&, quæ in peculi ria, per ea quæ in
perſpectiua funt notamanifeſtantur, qu: autê in pera fpectiua, per ea quæin
Geometrianoșa, fuerunt, ut quòd iris ſit tricos lor,oquòdnunquamplures duabus
Iridibus appareant; et quòd denigs Rõ fit nidor femicirculo, per fcientias
ſuperiores, hee omnia probatur. Multæ autein et non fubalternarum, ſcienriarun
fe has bent fic, ut medicina ad Geometriam, q eniin uulnera, cir cularia
tardius fanentur medici eft fcire quia, propter quid autein Geometræ. Parum
ſupra in anteprecedenti particula dixit philofophus,qu& namfcientiæ
effentfere uniuoce inquiens, fere autem uniuocefunt hurumſcientiarī alique,ut
aſtrologia ' et mathematicaet na ualis, o harinonica quae mathematica, oque
fecundum auditum, in hac autem particuladeterminat de his fcientijs que nullo
modouniuoce funt. ut Geometria os medicina que etiam fubalternate non funt, he
enim due non ſubalternantur inter ſe, quia ſubiectum Geometrie eſt, id quod
circa planum uerfatur, medicine uero ſubiectum eſt corpus jarabi le,id, eft,
quod proponit; ut quod in alterafcientia proponitur,probatur per ea,quæ in alia
fciētia nota funt; non tamen hæ fevětiæ funt uniuoce, neque fubalternatæ,ut in
chierurgia,que pars eft medicina proponitür uulnusrotundum, difficultate
fanari, ut canumexcoriatoresteftantur. Geometria autem nobilis fcientia reddi
propter quid, primo Elemento * rum deffinitione decimaquinta, quia exomni parte
æqualiter diftat cas o, ficut ibi acentro ipfa circunferentia. ly tie 20 SMS
TEXT VS L XVII ALIAS X X X. 170 ot cs, tro autem modo, differt ipſum propter
quid ab ipfo quia, quodelt, peralia fciené Stianu nrruinqué, ſpeciilari,
Huiuſmodi au Matem funt, quæcunque fic fehabent, utals terum fub altero fit, ut
perſpectina ad Geo metriani. vbi ait, per aliam ſcientiam fic intellis gatur
per altam magis uniuerfalem et fubalternantem in aliam minus univerfalem.
Vtrunquefpeculari, utrunque dixit refferens &propter. quid, quia, alia enim
fcientia fpeculatur propter quid, c alia fpecus Ljj 84 IN PRIMVM LIB. 1.3 latur
ipſum quia, ut Geometria proprer quid, perfpeétiuauero, quia, inquitenim
Ariſtoteles. Hæ enimipſum quia, fenfibiliumest fcire, prom pter quid autem mathematicorum.
Verbi gratia,oculus exiſtens in a uidens cd, uidet ipfam quantitatens minorem,
quamſi idein oculus fiat in b, quia inquit perfpe&tiuus,uide tur ca
ſubmaiori angulo ab oculo exiſtente in b, quam ab eodem oculo in a
exiſtente,& quód angulus dbc ſit maior da c, Geometra id demon ſtrat primo
Element propoſitione xxi. Dubitatur circa hoc, quod di cebatur de mente
Ariſtotelis in dia et o exemplo perſpectiuo, quodne que percurrendum eſt ſicco
pede,ut indoctifaciunt no intelligétes bonas artes, quicum ad Mathematica ex
empla accedunt,pedem referunt,dia centes non eſſe uim ponëdum in illis. Ego
autem econtrario dico, totum neruiim rei, eſſe in exempli intelles ione, ubi
ait, quod perſpectiuus oftendit maius uideri id, quod de prope eft,
demonftratione quia, o Geometra, idein propter quid, demonſtrat in
vigeſimaprima primi Ele mentorum, qua uigefimaprimaprimi Elemen.non propter
quid demon ſtratur, fed demonſtratione quia, ut demonftratio quia diſtinguitur,
a propter quid primo modo, ficut textu 64. declaratumfuit, quòd illa des
monftratio, quæ per mediata a probatas propoſitiones procedit, eft demonftratio
quia, diftinguiturab illa ineadem ſcientia, quæ proces dit per immediata
principia,quæ demonftratio propter quid dicitur,mo do ex fexagefimoquarto textu,determinatur
quòd demonftratio uig eſi miprima primi Elementorum eſt, quia, hoc autem
exemplo perſpectis uo dicit, quod eft propter quid, contradictio igitur
manifeſta uidetur. Dico de mente Ariſtotelis hoc loco,&eft etiam
loannis Grammatici ins tentio fuper textu fexagefimoquarto,dicentis. Quodammodo
autem in precedéribus dicebamusquod ipſum quia eſt primomado,permediata mo
firare, cum fecundo modo ipſumquia per immediata,ſimiliter w propter quid, unde
aduertendum, quod demonftratio, quæfit fuper uigeſimam primam primi Elementorum,que
per uigefimam decimāfextam primi elementorum procedit, fi ad demonſtrationem
prime propoſitionis Elc. POSTERIORVM ARIST. es mentorum, quæ per
immediataprincipia procedit comparetur demon Atratio quia, merito dicitur, ſi
mero comparetur adperſpectiuam demone ftrationein, tunc propter quid dicetur,
quia perſpectiuus pier eam pros bat intentum, u ſictricic apparentis argumenti
explicite funt,fc cundum philofophiſcitum. TEX. LXVIII. ALIAS XXXI. IGVR A R v
M autem faciens ſcire maxime pri ma eſt, etenim Mathematicæ fcientiarum per
hanc demonſtrationes ferunt, ut Arith metica, et Geometria, et perſpectiua, et fes
re (ut eſt dicere) quæcunque,quæ ipfius pro pter quid faciunt conſiderationem,aut
enim omnino,aut licut frequentius, et in plurimisper hanc fi guram (quieſt propter
quid fyllogifmus) fit, Textus hic uis detur edirecto contra expoſitionem nouam
factam permeſuper iỹ. tex tu de inductione illa Geometrica, que tanquam
fictitium quoddam, uanißimum, &nullo Greco et Latinoexpoſitore
do&tißimoexcogitatū, inquit enim Ariſtoteles, etenim Mathematicæ
ſcientiarum, per banc primam figuram demonſtrationes ferunt, non igitur
Mathematic et fea runt demonftrationes per illam Geometricam inductionē,
utibifuit des terminatum. Inftantia hæc,eft hominisuaniloqui,qui ea
profert& fcri bit; quæ nonfunt notæ earum, quæin anima paßionumſunt, cum
non folumanimamtanquàm abraſam tabellam habeant, fed potius tanquam
ficcamcucurbitain, in qua nonniſi uentus reperitur, quia tamen nonfo lummodo
fapientuin habenda eft ratio, stultis etians atque infipientibus pariter
reſpondendum effearbitror, ne in fua ignorantia glorientur ua ne. In hoc textu
Ariſtoteles nil aliud determinat, niſi quod preſtantior est prima, quàm fecunda
et tertis figuræ,&quód Mathematica hac fepe utuntur, &hoc quidem
quandofyllogiſtica arguunt, ut ait in tex. dicens, oin plurimis per hancfiguram,
que eſt propter quidfyllogif mus fit, modo quid refert, ſi Geometra, utatur
fyllogifmo, non nece ibi in tertio textu fuit declaratum, quo modofyllogiſmo
utitur Geomes tra, &quomodo inductione Geometrica?fimodo quis ex hoc textu
uca lit inferre, quod illa indu&tio Geometrica non detur, ipfe faciet
mendas cem Ariftotelem, dicentem in tertio textu, quòd nedum fyllogifmo fed 70
IN PRIMVM LIB., oinduétione, ſcitur quòd triangulus in femicir culo
conftitutus, habeus tres angulos æquales duobus reitis. TEX. LXXXVII. ALIAS
XXXVI. EMONSTRATTO enim eft ex his, quæcun queipſa quidem inſunt, fecundum
ſeipſa rebus, ſecundum feipſa uero, dupliciter, quæcunque enim in illis infunt
in co quòd quid eft, et in quibus, ipſa in eo quodqınd eft inſunt ipſis, ut in
numero, impar, quod ncit quidem numero, eft autem ipfe numerus in ratione
ipfius, et iteruụn multitudo,aut diuiſibile in ratione nua meri, horum autem
neutrum contingit infinita eſſe,nec ut impar numeri, Secundum fe ipſum
bipartitur, ut quando prie mum deffinitio de deffinito predicatur. uel etiam
quädo deffinitum de def finitione, ut numerus est multitudo ex unitatibus
aggreguta, ut Euclia des ait fecundadeffinitione ſeptimi Elementori,et etiam
multitudo ex unii tatibus agregata numerus est: impar nuſquà inuenitur in
deffinitione nu meriupud Arithmeticū, neq; etiä numerusin deffinitione paris,
quid igi tur uelit Arift. hoc exemplo noſatis à Græcis etLatinis explicatum
est, puto tamen egoquod ficut in deffinitionibus, quædum fecüdum quod ipfa
inueniuntur,pariter etiam id in diuiſione fit, ut fi quippiam, nume rus eſt, id
quidem impar uel par statim eſſe dignoſcitur,oſi quid ims par uel parfit illud
tale numerumeffe patet, ſic ut exempluinprimum Ariſtotelis, ſit circa
diuiſionem, fecundum exemplum de deffinitios ne, quia tamen addit, aut
diuiſibile in rationenumeri, nullibi apud Eus clidem reperitur quod diuſibile in
numeri ratione ponatur, quatenus nu merus eſt, fed in deffinitione numeri paris;
recteponitur, ut diuidatur in æqualia, ut primadeffinitione noni Elementorum
manifeſtum eſt, par numerus eft, qui in duo æqualia poteſt diuidi, et quicquid
in duo equa lia diuiditur, id numerus effe patet, fiueboc de numero, quo
numerisa mus, feude numero numerato, hoc intellexeris, ueritatemhabet. Meto
dumdiuifiuam, in his exemplis ſeruauit Ariſtot. primo enim in diuiſione ſubinde
in deffinitione,et tertio loco infpecie contenta, fub deffinito ufus eft
exemplo,Numeriigitur primadiuiſio eſt in imparem atqueparem; ut Boetius docet
capite tertioprimi Arithmetica, definitio estſecunda septimi Elementorum,
deffinitio autem paris; patet ex prima definitione noni Elementorum. Horum
autem omnium nullum contingit infinita eſſe, numerus enim in imparem atque
parem, impar in primum, compoſia tum, compoſitum in quadratun, o non quadratum,
igitur quadratus compoſitus impar numerus eft, onumerus, eſt impar compoſitus
qua dratus, feu numerus eft impar prinus, er prinus, impar numerus eft, ſicuti
status eſt innumero,ut tandem ſit ultima particulaque à par te fubieéti ponatur,
ſiiniliter ſtatus erit in alijs particulis, que ponun tur à parte predicati,
quando ipfe numerus àparte ſubiecti pofitus erit neque igitur inſurlum,ncque
igitur in deorſum infinita pre dicantia contingit eſſe in demonſtratinis
fcientís, de quiz bus intentio eft, in furfum ait deffinitionem refpicientes,
neque in deorfum diuiſionein feu partitionem animaduertit. d ac 38 mi TEX.
LXXXVIII ALIAS XXXVII. for ONSTRATJslautem his, &e. Non te prea terit, quòd
habere tres duobus reétis equales conie nito Joſcelio Scalenoni, neutri tamen
per alte, rumconuenit,fed utriqueperhoc, quodfigurarea Eilinea trilatera eft,
idfæpe fuit in precedentie bus declaratum exfecunda parte trigeſimeſecunda
primi Elementorum.. other VA 16. TEXTVS.XCI. ALIAS XXXVIII. M ST autem inuin
cuin iinmediatun fiat et una propoſitio ſinplex eft immediata et queinadınodum
in alís eſt principium fimplex, hocautem non idem ubiqueeſt, fed in graui
quidem untia, in melodia,alle tem diefis, aliud autein in alio, fic eft in
fyllogitno unum, propofitio immediata, Secundum antiquos rumfcitum, ut Campanus
refert ſuper oriaus xiiij. Elementorum unumquodqueintegrum in xij.partes
æquales per rationen og intelle Etum diuiferunt, ipſum totuin fic diuifum in
partes illas, aſſem uoc4 = werunt, undecim earum dixerunt deuncem, decem
dextantem, nchem IN PRIM V M. LIB: dodrantem, o &to beſſem, feptem
ſeptuncem, fex uero partes femiffen, quinque quincuncem, quatuor trientem, tres
quadrantem, duas ſexa tantem, unam autem appellauerunt unciam, quam unciam in
minorafra gmenta nonfecat philoſophus, quia eft ultimum fragmentum integri à
quofuum initium fumit ipfum integrum, tanquàm ab immediato prins cipio,ex
quo,fumiturfimile, quod in fyllogifmo etiam est ipſa immediata propoſitio,
ultra quam nonfit refolutio in terminos,ſicut etiam ultra un ciam non fecit
conſiderationem in minoresminutias, licet hoc fieripoßit, ficut propoſitio in
terminos etiam quandoquidem refolui poterit. In melodia autem dieſis, Non eſt
pretereundum filentio id,quod hoc loco Ariſtoteles tangit, id autem eſt, quod
qui Logicam ipſiusprofi tetur quiſquis fit ille,omnibus diſciplinis
Mathematicis debetin primis fſe inſtitutus,aliter enim euenietei, ut in adagio
dicitur, operam fimul ooleum perdet, quid per dieſim intelligat, notum erit
fitonum ſimpli cem, interuallum integrum, nondum ad armoniam pertingens diuidi
in duas equus partes eſe impoßibile quis prius perceperit, ut etiam in tex.
Lix. prædemonftratum eft, duas tamen in partes inæquales diuidi, quarum altera
maior eft, quæ apothomen, ſeu ſemitonium mas ius, reliqua uero eft minor, quæ
minusfemitonium nuncupatur, oip fum minus femitonium in duas partes æquales
diuiditur, quartum utras que dieſis appellatur à uetuftioribus muſicis, ut
Boetio atque Nicomas co primo libro Muſicæ,capite xxi. placet,idprincipium toni
eft, quid minimum. Practici uero Muſici dieſim uocant inciſionem duarum
linearumfuper alias duas ſic *quam incifionem fignant ipfi practici Cantores,
ſuper eam notam, ſub quain deſenſus toni, faciunt defen fum ſemitonij, ſed id cantoribus
relinquatur, prima dieſis acception Ariſtotelis ſententiam explicat, quia
dieſis in illa acceptione, eft minia mum conſideratum à mufico, fiue id,
quodminimum eſt in concinentia conſideratum, ſicut uncia in ponderibus
oimmediata propofitio in de monſtrutione fyllogiſtica, o boc intelligas de
minutijs integri, non de minutiaruin minutijs, de quibus phylolaus apud Boetium
libro tera tio capite octauo agit,quiabec ad Ariſtotelisfententiam non faciunt
pretermito. MAGIS tur POSTERIOR VM ARIST. 89 TEXTVS XCII. ALIAS XXXIX. AGIs
autein ſeiinus unumquodque, ciim ipfum cognoſcimus ſecundun ipſum, quam
fecundum aliud,utmuficun Coriſcum,quá do Coriſcus muſicus eſt, quàm quod homo
muſicus fit, Hoc loco tentat Ariſtoteles elencho ar gumento probarequod
particularis demonſtratio ſit uniuerfali potior. Quis nam fit muſicus aperit
Nicomacus atque Boes tius primo libro muſices capite xxx111. ille quidem eft,
quinon ex eo quod manu cytheram pulfat, fed ille qui rationis imperio
cantillenas rum distonice, cromatice,atque enarmonice ratum, atque firmum ſta
tum agnoſcit diiudicat, atque imperat, qua re intellectu,quærit Ariſto
teles,num illa demonftratio, qua Coriſcus muſicus, an illa, qua homo mu ſicus
co:rcluditur, quod eft, an particularis, uel ipſa uniuerfalis fit pos tior, Cui
rationi reſpondendum; ut Ariſtoteles innuit per interemptios nem, negando
quodCoriſcusſit muficus per fe, fiue quòd ifta cognofca tur per fe, Coriſcus
eft muſicus. BI 74 1 142 ca TEXTVS XCIII. ici ha 10% OTior autem eſt, quæ eſt
de eſſe quain de non eſſe, et propter quam non errabi tur quàin proptcr quam
crrabitur eſt au tem uniuerſalis huiuſmodi, procedentes enim demonſtrant
uniuerſale, quemadmo dum de eo quod eſt proportionale,ut quo = niam quod utique
fit talc,erit proportionale, quod ncque linea; neque numerus, ncque ſolidum,
neque planum eft, fed præter hæc aliquid. illud idem totum quod text. xx v
di& um fuit, hoc loco repetatur, ubi Ariſtoteles text. xx v dixit hæc uer
ba, nunc uniuerſalemonſtratur,hoc textu, magis aperit dicens, proces dentes
enim demonſtrant uniuerfale, quod neque lined, &cæt. fed pre ter hæc
aliquid, quod quidem eſtipſum quantum, quatenus quátum eft, quod uniuocum eft
omnibus quantis, neque illudeſſe tale immagineris, quod oquanto &quali
communefit,ut immaginabatur,lo4nnes gram M IN PRIMVM LIB. maticus afequaces,
quia illud,analogum eſſet, quod à propoſitoſecludit Ariſtotelesnonagefimo
quinto textu reſpondens ad fecundam difficulta tem. TEXTVS XCIIII. S IGIT VR
triangulus in plus eft, et ratio eadem, et non fecundum æquiuocationem,
conuenit triangulo et Iſoſceli, et ineſt oinni triangulo duobus rectis
æquales,non utique triangulus ſecundum quod eſt Iſoſceles, led Iſoſceles
ſecundum quod eft triangulus,ha bet huiufmodi angulos. Concludit Ariſtoteles
hoc textu uniuers falem demonſtrationem particulari demonſtratione potiorem
eſſe, o eft quando per rationem uniuocam concluditur affectio de ipſo
uniuerfali, eper eandem uniuocam rationem concluditur eademet affeétio de par.
ticulari aliquo, ut habere tres æqualesduobus reétis, probatur infecun da parte
x x x 11primi Elementorum de triangulo primo, deinde de iſopleuro, ſoſcele,
oScalenone non primo, fed quatenus trianguli ſunt, &hoc idem de illis
concluditur perfyllogifmum, uel etiam per ean dem induétionem trigeſimæ ſecñde
primiElementorum Eft in hoc textu non minima conſideratione dignum, quod etiam
non eft prætereundura immobili calamo, Ratio enimtrianguli uniuoca eſt, quia o
nomine for rede uniuerfali triangulo ode particulari Ifofcele prædicatur, utpuu
tafigura,quæ tribus reétis lineis clauditur, non tamen per ipfam ratios nem,
cõcluditur de Trigono uel iſoſcele habere tres duobus reftis equa les, ſed per
primam partem trigeſimæ ſecunda, eper uigeſimā nonam Otertiä decimă
primiElementorum, quapropter non uidetur quod exemplumſit ad propoſitum regulæ
Ariſtotelis,de ratione uniuoca,Di cendum, quod naturaexemplieſt, ut non
conueniat. Cum re in omni mor do,quia tunc non eſſet exemplü rei, ſed eſſet res
ipſa.Dico fecundo quod memoria eſt dignum cum præfertimà nullo fit hucuſque
perpéfum,quod nulla demonftratio mathematica eſt potißima, et ob idmathematicæ
nul leſunt ſciētie ſiſtetur in doétrina Aristotelisratio,quia in nulla conclu
ditur aliqua affectio deſubie &to per deffinitionem fubie &ti,quod
tamen uo lunt uirigraues de mente Scoti, neque etiam per deffinitionem paßionis
ut alij determinant de mente Thomæ, Modo dicas,quod quando per cane dem
deffinitionem,fiue uniuocam rationem, demonſtratur affectio aliqua POSTERIORVM
ARIST. ineſſeſubie o uniuerſali, &eadem ineſſeparticulari per eandem
deffini tionem, quòd de uniuerſali, immediate et per fe,de particulari autem
non immediate, neque per ſe, ſed per uniuerſale concluditur, ideo uniuer. falis
ipſa particulari demonſtratione potior, atque præftantior est, ut fi per
rationale mortale, concludatur de homine riſibilitas, &deinde per id, de
Socrate, quod fit riſibilis, illa in qua de homine, quàm illa in qua de Socrate
demonftratio, eft potior, ſicuti de triangulo uerbigratia,in fecunda parte
trigeſime ſecunde primi Elementorum, &etiam de 1foſce le, probatur habere
tresæquales duobus reftis, illa tamen inductio,que probat de triangu o
potioreſt illa industione, quæ de iſoſcele idem cons cludit, quia primo de
triangulo uniuerſali, ſubinde de particulari trian. gulo concluditur, hoc pacto
Ariſtotelis regula o exemplum intel ligendafunt. TEXTVS XCVII. fed 72 th po 1
MPLIvs uſque ad hoc quæriinus propter quid, et tunc opinamur ſcire, cum non fit
aliquid aliud propter quid fciamus, quàm hoc, aut quòd fiat, aut quòd fit, et cetera
uſque ibi, Cum igitur cognoſcamus quidē, quod quiſunt extra æquales funt
quatuor ſcétis, quoniam æquitibiarum,adhuc decft propter quid, quia triangulus,
et hoc, quia eft figura rectilinea, ſi aus. tem hoc, non amplius propter quid
aliud, tum maxi mc ſcimus et uniuerſale, tunc uniuerſalis itaque eft. Hoc tex
tu Ariſtoteles determinatquòd, tunc arbitramurſcire cum ufque ad ul timas
cauſas procedit nofter reſolutiuus diſcurſus, ait enim cum igitur cognoſcamus
quidem quod, hi, quiſunt extra æquales ſunt quatuor rea &tis, o redit
rationem, quoniam equitibiarum, ſed quia æquitibic figu ræ funt etiam
quadrilatere, pentágone, adiecit proximiorem cau Jam dicens, quia triangulus,
quia tamen trianguli diuerfa funt latera,ut curua, conuexa, conuexa o curua,
curua Qrecta,conuexa a recta,ut omnia hæc excludat ait, qui eſt figura re{
tilinea, que cauſa magis udhuc proxima eft, quæ quidem ultima& propinqua
cauſa, cumfucrit inuens taoaßignuta, non amplius propter quid aliud querimus,
pq tunc mas xime fcimus, uniuerſale, o cæt. Quantum autem ad id, quod exem =
plo, Ariſtoteles ait, paucis explicetur in fubie&ta figura a bc, cuius 1 1
Mij IN PRIM VM LIB. mnes extrinfecos angulos, quatuor reétis æquales effe dico,
protrahan tur enim omnis latera a b, br, ca, uſque add, e, f, eritqüe per
tertiã decimam primi elementorum duo anguliad c, pofiti æquales duobusrex et is,
eadem ratione duoilli ad a, o reliqui duo ad b ſimiliter equales duobus re&
tis, itaque omnes fex intrinfeci uidelicet,o extrinfeci,ſunt æquales ſex reftis,
fed per fecundam partem trigefimæ fecunde prie mi Elementorum, tres
intrinfecifunt æquales duobus re&tis, igitur tres reliqui extrinſeciſunt
quatuor reftis equales,quod demonſtrandū erat. Non enim omnis triangulus uni
uerfaliter fumptus, hahet tres an gulos duobus reétis equales, ſed ali quis
habet duos angulos rectos, tertium acută, et quidam triangulus eft qui habet
tres angulos rectos, ut Ptholameus cap. x. ſecüda dictionis magnæ cõſtructionis
theoremate pri G mo, e ſequentibus manifestum faa cit, neque tamen id
cötrariatùr pro poſitioni xyli primi elementorum, Euclidis ut quod duo anguli
cuiusli bet trianguli fint minores duobus rectis, nec etiam eſt contra fecundam
partem xxxl primi Elemen. Euclidis, quòd uidelicet omnis triangulos, habet tres
duobus reftis æquales, ratio, quòdnulla inter hos fapientißia mosſit
contradictio, eſt, quia de rectilineis Euclides, de fphelaribus ues ro
Ptholameus et curuilineis triangulis agit, quod aduertens Ariftotea les adiecit,
quia est figura rectilinea; ut fit abſolutus fenfus, quod equis tibia figura
trilatera rectilinea, habet extrinſecos angulos quatuor ree Stis equales. TEXTV
S CI. I MPLIV's autein et fic, uniuerſale enim ina. gis demonſtrare eft, co
quòd eſtper medium demonſtrare, cuin propius fit principio, pro xime autem
immediatum eſt, hoc autem eft principium;fi igitur quæ ex principio eſt, ea quæ
non eft cx principio, quæ magis ex prin POSTERIORVM ARIST. cipio, ea quæ minus
eft, certior eft demonſtratio. Hoc textu Ariſtoteles apponit extremammanum
determinans,quòd uniuerfalis ſit particulari demonfiratione dignior, in quo
quædamnon conſiderata à grecis,neque à latinis., difta tamen ohic ab Ariſtotele
tertio tex tu, ibi, quorundam enim hoc modo diſciplina eſt, onon permedium ube
timum cognoſcitur, ut quæcunque iam fingularia eſſe contingit, nec de fubiecto
quopiam, ubi aduertit quod quidammodus est, quo fciuntur af fertiones
deſingularibus, onon per medium,modus etiam est quo affea &tiones fciuntur
de particularibus per medium, fed non primo de eis, ut declaraui in textů
tertio 'nonageſimoquarto huius, affectiones uero que de uniuerſali
cognofcuntur, he quidem per medium cognoſcuntur, hac de caufa uniuerfalis
demonſtratio, eſt ipſa particulari potior, quia particularis non per medium,
uniuerfalis uero per medium demonftrat, ut ait, uniuerſale enim magis
demonſtrare est,eo quod eft per medium de monstrare,id autem Geometrico
exemplo-manifeſtat dicens,quod ſi quis cognouit, quia omnis triangulus
habettresduobus rectis æqualesfciuit, quodammodo, et quod ifcoſceles duobus
reftis tres pares habet,utputa potentiafcit, quia uniuerfale fciens aetu,
potentia etiam fcit. ea, quæfub. ipfo continentur, &ſi non cognouerit
1fofcelem quòd actu,oper aper tionemmanus (ut Philoponus tertio textu ofequaces
interpretabane tur) triangulus ſit, hanc habens propoſitionem,hæcparticula
legenda eft, cum particula aduerfatiua fic,hanc autem habens propoſitionem,
nempefciens tantum potentia quod Ifoſceles habet tres duobus rectis pa rés,
uniuerſale nullo modo cognouit, ut quòd triãgulushabeat tres equa les duobus
rectis, neque potentia, neque actu, non quidem potentia, quia Iſoſceles non eſt
uniuerfale ad triangulum,uniuerſale enim potentia ſua inferiora continet.
Accedit ad hoc etiã, quia ſi non fcitur uniuerſale atu, non ſcitur potentia
fuum particulare, fi igitur particulare non ſcie tur actu, ſed potentia tantī,quifieripoteft,ut
propter id,ſuū uniuerſale potentia fciatur? non etiam actu fcitur
uniuerfalepropterea,quòd fuum particularefcitur potentia, quia ex ſcibile
potētia, non inferturſcitum actu. Exhoc textuę precedentibus quibus determinat
Ariſtot.uniuerſa lem demonftrationem esſe potiorem demonftratione particulari
habetur de particularibus difciplinam eſſe, particularem eſſe demonſtratioa nem
quæcunquefit illa,aliter enim nulla effet comparatio Ariſtotelis in ter
uniuerfalem o particularem demonſtrationem. Preterea etiam nos tatu dignum
habetur, contra omnes interpretes, id autem eft, quod ali IN PRIMVM LIB.
quatenus ij. textu ta&tum fuit, ubi determinat quod de nouo quippians
ſcimus, introducit eos, qui tenentes quòd de nouo fciebamus interrogae bant
Platonicos tentantes oſtendere ipſis Platonicis, quod de nouo ſci mus inquiunt
enim, noftis ne quod omnis dualitas par ſit,nec ne? Vel etiam, quòd omnis
triangulus tres duobus re et tis æquales habeat, annuen tibus autem Platonicis
attulerunt dualitatem, uel triangulum manu aba fconfum dicentes, ecce quomodo
uos de nouoſcitis, hanc dualitatem eſſe parem, quia priusneſciebatis hanc eſſe
dualitatem Neotericies antiqui expoſitores inuoluunt locum, ſic ut nedum ipſi
intelligant, fed eshi qui cos audiunt ita faſcinentur, ut nedum Ariſtotelem fed
et feipfos pers dant. Dicunt enim ſine propoſito, quod prius non
poterantfcirede dua litate in manu abfconſa, ueltriangulo conſtituto in tabula
quod eſſet par, uel duobus rectis æquales haberet, quia neſciebant illam eſſe
dualitatem, vel illum effe triangulum, putant iſti exponere
Ariftotelis"doctrinam fic dicentes, anon aduertunt, quòd id dicunt quod
Ariſtoteles reprehens, dit, quod illi qui dicebant de nouo fcire, male tamen
perſuadentes per oſtenſionem ad fenfum, egr reſpondentes perperam, dicebant fe
nonſcia re eſſe purem, niſi quam dualitatem eſſe ſciebant,apertißimehic Aristo.
teles dicit, quòd qui ſcit omnem dualitatem eſſe parem, uel quòd omnis
triangulus tres duobus re &tis pares habet, fcit quòd dualitas ſitpar, quod
Ifofceles, tres duobus reftis æquales habet potentia, licet neſciat a &tu
perſenfum, quòd iſoſceles triangulus ſit, quem locum à me notae tum inter
cetera pulcriora exiftimo animaduerſione dignum propter fal fos Ariſtotelis
interpretes ad hanc ufque noftram etatem. TEXTVS CVII. ALIAS XLII. T ca certior
quæ non eſt de ſubiecto, ca quæ eſt de ſubiecto, ut Arithmetica armo nica.
Numerus, ſubiectum eſt in ipfa Arithmetica qui quidem abſtractißimus est,
nullum materiale ſubie &tum concernens, Armonica, uero de nume ro ſonoro,
uel magis, de ſono numerato, quod magis concernitmateriain, ut fonum ipſum.,
qui fonus numeratus, ſub iectum in armonia eft, ut Boetio placet libro primo
muſices, modo Arithmetica cum circa ſubiectum minus immerfum matericfit,
certior POSTERIORVM ARST. estquamſit ipſa Armonia, quæfubie£tum conſiderat
magis immerſum ipſimateria, eftigitur alia certioraltera propterſubiecti
maioremabe ſtractionem? TEXTVS CVIII. T quæ eft ex minoribus certior eſt, et prior
ea, quæ eft ex appofitione, utArithmetica Geometria. Dico autem ex appoſitione,ut
unitas fubftantia eft fine poſitione, pun. tum autein fubftantia pofita,hoc
autem eft ex appoſitione. Hoc in primis conſiderandum eft, quod hoc textu non
loquitur Ariſtoteles de ſubie&to fcientiæ.,ſecundum quòd magis og minus
abſtracteconſideratur, quia id in precedenti tex. determinauit; una
enimſcientia determinat de abſtracto numero, reli qua uero defono numerato,
unitas enim de qua hoc textu loquitur, non est ſubiectum in Arithmetica,
niſiforfan in aliqua particularidemonftra tione, utin 15 ſeptimi
ElementorumEuclidis,in quibuſdam alijs des monſtrationibus trium librorum Arithmeticæ
Euclidis. Dico autem,ut unitas, ſubſtantia eſt, fine appoſitione, punetum
autemfubftantia poſia ta, hoc est ex appoſitione,Nicomacus,Boetius, Tonſtallus
Anglus,Lu cas Paciolus, in primis lordanus, o Euclides recte interpretarentur
huncAriſtotelis textum ſiadeſſent, quem locum obſcurant rabini cum * ueſtra
excellétia ex appoſitione nominati,heu me, in manusquorü inter pretum incidifti
Ariſtoteles? quæ hominum dementia te torquet: erant ne ſimile hominum genus tuo
tempore, ita inſipidi atque macrologia op preßi, qui Platonem, quique te
audirent, expoliati Geometricis, &dis fciplinis orbati?ut funthoc tempore
nedum iuuenes non recte imbuti lite teris, fed magis ſeneſcentes in fua, non
tua philoſophia homines, exurs gant Romani uiri, liberalibus diſciplinis
præditi, quorum bonarum are tium hereditas, negligentia pofteritatis, uerfa eft
ad extruneas nationes o inter Barbaros fruftratim etiam dilaniatur, eo locum
hunc inter pretentur. Non eget unitas ipſa;ut ſit in ſua natura,quod fit puncto
affe et a, uellined, uelalio quoppiam alieno, fed punctus, uel linea', ſeufuæ
perficies, uel etiam corpus,impoſsibile eft, quod ſit,quin pun &tus unus,
uel una ſuperficies, aut corpusunum, uel plurafint: Plura autem pun et a, eſſe
non poffunt, niſi prius punctum unum,uel unafuperficies,aut corpus unumfit,
minus igitur eft unitas, quim punétum unum, Pombaiam IN PRIMVM LIB. ipfa
uocemanifeſtum eſt.Vnitatem Arithmetica conſiderat: non ut fuum fubie &tum,
fed ut id, quod adſuum ſubie tum quodam ordine attribuia tur tanquàm pars ad
ſuum totum. Vnum pun &tum, feu lineam unam, uel etiam unum corpus Geometra,
atque stereometraconſiderans appos nit lineam,pun et um &corpus ipſum
unitati, uel illis unitatem appos nens, ex pluribusfacit fuam conſiderationem,quàm
fit illi Arithmetici, qui unitatem conſiderat abſtractiſsime, nulli
reiappoſitam. Ex hac declaratione patet id quod Ariſtoteles ait primo de anima
in principio, quòd fcientia de anima nobiliſsima, eſt, duabus de cauſis prima
ex nobi litate ſubie &ti, ſecunda ex certitudine, ex certitudine dico, non
ut quis dam inueterati in philofophia craſſa exponunt, uidelicet ex demonſtra
tionis certitudine,ſedcertior dico, quia exſubiecto ſimpliciori eft, que anima
eſt, atque minus compoſito, quàmſint ſubiecta librorum,librum de anima
precedentium, ex precedentis textus, atque huius expoſis tione id totum
colligas uelim, ex precedenti, ſi de anima, ex præfens ti autem ſi de anime
particula, loca libri de anima intelligantur. Claret etiam, ex hac noftra
interpretatione,quod Mathematicæ diſcipline non ideo dicendæfunt non ſcientia,
quia non funt circafubftantias, ut ans tiquusætate indostus quidam in hac parte,
philoſophus non erubes fcitaſſerere', ofequaces,quia illas inquit merito
dicendasſcientias los quitur, quæ tantum circa fubftantiasfunt; non autem que
circa accia dentia, ut funt Mathematicæ, quod apud Ariſtotelem nunquam legitur
Dico quòd Mathematice uere e in primis ſcientie, ſecundum nos et re ipfa funt,
ex fententia doétifsimi Boetij in principiofue Arithmeticæ,ubi ait, ſcientiæ
atque ſapientia uerehe funt, quæſunt circa res, quæ nunquàm mutantur, fed fua
natura femper funt,utſunt fubftantia,a quantitates; quo nammaiore auctore hec
noſtra ſentens tia corroboratur, quàm ſitipſemet Ariſtot. in hoc præexpoſito
textu ! qui in fua doctrina conftans, punctum ſubſtantiam appellit, itidem
unitatem ſubſtantiam dicit, ſi igitur fole ille ſint ſcientiæ, quæ circa
fubftantiasfunt, in primis Arithmetica atque Geometria merito (quics quid
balbitiant alij) ſcientiæ appellande nedum nomine, fed natura digna funt. Quia
tamen de mente Ariſtotelis teneo Mathematicas diſciplinas, non eſſe ſcientias,
non ob id, quia de accidentibus ſint,neque ex eoquod percominunia principia
procedunt, ſed quia affectiones que in ipſis con cluduntur, non
perdemonſtrationem, quemfyllogifmum ſcientialem Ariſtoteles uocat, concluduntur
ut declaratum fuit textu nonageſia men, mo POSTERIORVM ARIST. moquarto,merito
ſcientia non funt, ſiſcrupulofa indagine ſcientiæ not men indagari, quis uelit.
TEX. CXII. ALIAS XLIII. 3 EYE per fenfum eft ſcire id, Exemplis duobus. Altero
Geometrico reliquo, Vero Aſtro Nnomico, declarat Ariſtoteles, ſi enim ſenſus
uifus uideret id, quod intellefius percipit fecunda par te
trigeſimæſecundeprimi Elementorum,quód trian gulus. uidelicet, habet tres
duobus rellis pares, non tamen propterea uidens illud diceretur fciens, fed ut
fciensfieret ad huc demonſtrationem quereret,o huius rationem reddit dicens,
necef= feenimquidem eſt ſentireſingulariter, ſcientia autem eſt in cognoſcen=
douniuerfale, unde eſi ſupra Lunam eſſentus, utputa inſupremo orbe defferente
augem Lune, uel in orbe defférente caput draconis,uel etiam in cælo Mercurij,
uideremus Lunam ingredi umbram terra, e par timenftruum non propter hoc
diceremur fcientes, quia illud, quod uiá deretur,effet ſingulare, &cum
ſcientia ſit circa uniuerſale diſcurrene do, o per intellectionem ipſius
uniuerfalis, ſequitur, quod per ſenſum non eft fcire. Aliter etiam exponaturſic,
ut ſi eſſemusſuper planetum, qua Luna est, &in illa parte planete que
terram, et centrum uniuerſi confpicit, &foc'es noſtra uerſus idem centrum
mundi,quod.eſtterre cen trum ſentiremusquidem per ſenſum uifus, quòd deficeret
Lund tunc, fed non propter quidomnino,quiaſenſus non plures percipit ecclipſes
ſimul neque actu,neque potentia,fed unam tantum,necobid tumen ſcientes dice
remur, non enim uniuerfalis est ſenfus, fed particularis ut ait, ex conſi
deratione multotiesaccidente univerſale uenantes demonſtrationem ha bemus, non
ſecludit hoc loco Ariſtoteles ſcientiam de purticularibus, ut Tex. iij. fuit
determinatum, fed ita intelligas, quod ſenſus eft tantum particularium,
intellectus autem utriuſque, Sunt tamen quædam reducta ad fenfus defeétum in
propofitis et c. · In hac particula huius textus, idem perſuadet diuerſo
exemplo, quòd. videlicet neque per ſenſum eſt ſcire, in prima huius textus
particulas Exemplum attulit in phænomena eGeometria, in hac autem particula
exemplum est in perſpectiua, eft etiam quoddam aliud diuerfum, quia
precedensexemplumeft,de unica wſingulari eclypſi. In hac auten pars N IN PRIM
VM LIB. ticula exemplum præbet de multis illuminationibus faétis per uitra pera
forata, ſiue foraminailla ſint pori uitrorum, feu etiam foramina ſint ma
gna,artificio quodam facta, que fenfusuifus in multis uitris confpiciens,
compertum haberet, &manifeſtum eſſet, et propter quid illuminat, id
eft,propter,quid illuminationes multæ fierent,quoniam, ut inquit,uis deremus
quid ſeparatum in unoquoque uitro, id est foramina multa, per qua
radijtranſeuntes illuminationes multe fierent in pariete e re gione collocato,
uel in pauimento domus,quapropterſi plures eclypſes ſimul perciperet fenfus
uifus,quodtamenfierinequit, &uideret etiam hoc euenire ex obiectu terræ
inter Solem of Lunam, illud de Luna ex emplum nullo modo diuerfum eſſet ab iſto
de uitris perforatis, niſi quod alterum in Phænomena, reliquum eſſet in
perſpectiua; Ne.credas tam men propter multas irradiationes a uiſu
ſimulperſpectas, Q uiſis etiam fingulis foraminibusſimul, uel poris in uitris
per quos radiationes fica rent, quòd quis ob id diceretur fciens,ſed ex his
fingularibusfenfu pera ceptis unum uniuerfale intellectus
intelligens,deeo.fcientiam generaret qua poftea merito quis diceretur fciens,
illud autem uniuerfale non cola ligebatur, ab intellectu ex unica tantum
eclypſi uiſa, fed ex pluribus die uerſis temporibusobſeruatis,Ex hoc loco
habetur quod non est ſatisad demonſtrationem habere propter quid., niſi propter
quid habeatur, per difcurfum (fenſus autem non difcurit ) ab uniuerſalibus ad
minus uniuer ſalia, ſenſusenim percipiebat quod multæ illuminationes propter
multa foramina fiebant, nulla tamen erat ibu demonſtratio. TEXTVS CXIIII. IRCA
Textus particulam illam, Aut æquale maius, autminus, Scire eſt, quod primi Elea
mentorum eſt conceptio animi apudEuclidem, ut fi una quantitas comparetur ad
aliam eiufdem genes ris, aut erit ei æqualis, aut eadem maior, uel e46 dem
minor, ut quatuor, ad quatuor, uel ad tria, aut ad quinque,ſi comparentur,
fieri nequit, quod eadem quantitas qus tuor,ad quantitatem unam di &tarum
comparata, fit æqualis, a maior minoreadem,statim enim fequitur
contradictio,fedfi ad diuerfas quan titates comparetur, verumquidein poteft
effe, quòd unaſit maior emi nor et equalis,ſi non ad unicam tantum, fedfi ad
plures fit comparata, POSTERIORVM ARIST P TEX. CX V. ARTIC VI. A huius Textu,
Neque omnium. uerorum principia funt eadem, neque con ueniunt,ut unitates
punétis non conueniūt, læ quidem enim non habent poſitionein,illa autem habent,
Deappoſitione in punétis, eo pacto intelligas, ut tex.108 declaraui. Exemplo
enim loqui tur de principijs,non quidem ex quibus inferatur conclufio, fed ex
qui dus compoſitumfit, quia ex unitatibus pluribus ſimul coaceruatis com
ponitur numerus, ex pluribusautem punctis non componitur quippiam ut terminaui
tex. xix.huius, ſimpliciores ob idfunt ipſe unitates, que funt numerorum
principia, quamfint puncta,que lineas terminant, uni tas enim,uel etiam
unitates non ſupponunt punétum,uel punéta,punétus 'tamen uel puncta eſſe non
poſſunt, quin uel punctum unum,uel plura pun et ta fint,non igiturconueniunt
inter fe propter appoſitionem unitatis pñ to appoſite, wepropter non
appoſitionem, puncti ipſi unitati, unitas enim non ideo unitus est, propter
unum punétū,ſicutpunctum unum eſt, propter unitatis appofitionem, ®ultra ait,
quòd diuerſafuntgenere, ille enim in diſcreta, hecuero in continua
conſiderantur quantitate: TEX. CXX. ALIAS XLIIII. VONIA'M autem idein
multipliciter dicitur eft autem, ut non commenfurabilein enim eſſe diametrum
uere opinari inconueniens eſt, ſed quia diameter (circa quam ſunt opi. niones)
idem, fic eiufdem eſt, ſed quod quid erat eſſe unicuique,ſecundum rationem non
eſt idem, Circa eandemdiametrum ſcientia poteſt eſſe, opinio per media tamen
diuerſa, falfam quidem opinionem habet ille qui diametrum commenſurabilem coſte
eſſe ſentiet, ueram autem obtinebit ille qui Eucli dis demonftrationibus
inftrúctus diametrum inconmenſurabilem coſte efje protulerit in qua re tex: 1x.
huius determinatum et demonſtratum fuit, quod ipſe diameter incommenſurabilis
eſt ipſi coſte,aliter enin, par numerus, impar effet, Circa idem igitur
contingit diuerſitas, feu idem multipliciter dicitur, ut quòd diameter ſit
commenfurabilis &inz commenfurabilis cofta. Nij IN SECVNDVM LIBRVM
POSTERIORVM ARISTOTELIS, PRESBITER PETRVS CATHENA: V ENETV S. 3 TEX T VS II ALIAS I. TEATRI V M enim utrum
hoc infit, aut hoc, quærimus in nume rumponentes,ut utrum deffi ciat Sol, uel
non, ipſuin quia quærimus. Luna enim defficit in ſe a lumine, a patitur
menſtruum, propter interpoſitam terram diame traliter inter Solem u Lunam, Sol
autem non defficit lumine unquam in ſe, fed tantum non illuminat, quana do in
capite uel cauda draconis res peritur fimul cum Luna hoc quidem prouenit, ex eo
quod inter afpes Eum noſtrum o corpus folare interponitur Lund, quæ cum ſit
core pus denfum, coppacum magis quàm alia pars fui orbis impedit fo lares
radios, enon finit eos ad afpe&tum nostrum protellari. Dubita tur circa id
quod fuit di&tum paruin ante,o quód fæpißimeait Ariſtote les, præfertim in
ſequentibus,ufque ad textum nonum an Luna defficiat penitus lumine, quando
patitur menftruum, quod eſt querere,an Luna habeat aliquod lumen àfe, uelſi non
àfe, an conſeruet lumen in ſe imbis bitum tamen à Sole, utfomniat Aueroes,
propterea quod, quandotota eclypfatur uidetur non nihilhabere luminis, apparere
fubnigra, etiam apparet uideri eius rotunditas extra plenilunium, ad quod
reſõſio abſolutißimafit,quod Luna nullum habet lumen,niſi à Sole ſecundoquod
non imbibit lumen, quemadmodum ſpongia liquorem aquæum, cauſaaus të
apparitionis luminis tempore eclypſis, uelfuæ rotunditatis antequam POSTERIOR V
MARIS T. fit in oppoſitione Solis eft, quă ſtatim declarabo quibuſdam paucis
pres intellectis, cum ipſa ſint corpus denfum &politum quemadmodum cæte ra
fydera, radijſolaresquifortes ſunt, cuin ad ipfam pertingunt non talentes ultra
penetrare propter denſitatem ad terram reuerberantur, Tempore autem eclypſis,
radij ſolares impediti a terre occurſu nõ attın gunt lunam, ſed tunc radij
aliorum fyderum, qui debiliores ſuntſolaribus radijs, pertingunt corpus lunare,
&fua tenui uirtute Lunam illuftrat, ob id Luna uidetur habere nõ nihil
luminis tempore ſuæ eclypſis, et pro pter hanc eandem caufam dicatur quod eius
rotunditas apparet citra ple nilunium. TEXT VS I x. + 1 1 + VID conſonantia,
ratio numerorü,in acu to et graui, et propter quid conſonat acue tum graui,
propter id, quòd rationem has bent numerorum graue et acutum, utrum eſt
conſonare acutum et graue, utrum ſit in numeris ratio corum,accipientes autem
quia eſt, quid igitur eſt ratio querimus. inter ea quæ elucidan da funt in hoc
textu, idin primis occurrit, notatu dignum; graue enim Cum motum fuerit, citius
ad quietem redit quam leue æquali pulſumo tüm, Aliud etiam eft animaduerſione
dignum hic notandum quòd neruus cumpellitur ininftrumentis non unumfolummodo
ſonum efficere ſedmul tos, quiquidem multi à feinuicem distinti non
percipiuntur, ut diſtins Eti, propter celeritatein unius poſt alium, Exemplum
præberem de Tur bone,uiride, aut rubra linea lineato,qui propter celerem
motumtotus ui deretur uiridis, aut rubcus, ſunt igiturmulti foni à grsui corda
effceti ad quos, fi foni illi, qui leuiori neruo procreatifunt,comparentur has
beanto ad illos ratione, ut quatuor ad tria,tūc diateſſaron cõfonantiaria
minimam efficient, fi ueroeam quæ eſt nouem adſex diapente, odiapaf fon fi
illam efficient, quæ quatuor ad duo, que concinentie, cum ſint ſimplices;
exipſis aliæ que compoſitæ funt generantur,tanquam ex ſuis proximis elementis,
ut eft diapentediapaffon,o biſdiapaſſon, quæ ome nia ex Boetio clara habentur,
o ſibi do toresqui Calepino student, in declaratione Ariſtotelis hec gratis
prætereant, Alia exempla à tertio textu uſque ad undecimum,que Ariſtoteles
præbetfua Palade in mathea 1 IN SECVNDVM
Ľ IB maticis, quæ quiaaliàs in præcedétibus dilucidata per mefuerunt,nunc
conſulto pretereo, fed quæ di&ta funtfuper hoc textu non plane ſatisfae
ciunt nostre menti,ubi enim nonfuerintplures pulfus ad pa uciores com parati,
ut in humand uoce, căcinentia quidem reperitur inter re, ala licet nõ niſi
ſingula,&fingula uox emittatur,non igitur interfonos paus ciores tantum, eu
plures concinentia, ſed primo inter graue ego acutum reperitur, quæ autein
uocum diftantia inter ſe reperiatur, ut debita; fiat concinentia, tum ex
hominum ufu ab inſtrumentis accepto, cumetiä per ea que Boetius tractat
manifeſtum est, ſed'in dubium occurrit illud, quod muſicifaciunt, quando fuper
breuem ſillabam, plus temporis cona ſummunt, quim par ſit, eſuperfillabam
longam, breui temporis notu la festinant, ita ut ea,quæ naturaſunt breues,
fiant longe, &quæ longe ſuntſillabæ,breuesfiant, ſic ut'nonmodesta
&doctaſit ipfa muſica, fed Barbara o contra ufum loquendi appareat, Ad quod
dico, ſequen tia dubia quæ funt,an concinentia proueniat ex mouente, ut
Aristoteles in libris degeneratione animalium, uel ex motis rebus, ut in
rethoricis, an exnumeratis pulſibus, ut hoc textů tangit, quòd in nostris
fragmens tis logicis hæc omnia clarafient, fed pro declaratione littera, huius
tex tus,uideturexpoſitio feciſſe fatis. TEXTVS XIX. ¿ ALIAS II: MPLIvs omnis
demonſtratio aliquid de aliquo demonſtrat, ut quia eſt, aut non eft, in
deffinitione autem nihil alterum de altero prædicatur, ut neque animal de bis
pede,neque hoc de animali,neque de plano figura, non eniin planum figura eſt,
neque figura planum eft. Euclides póst quam deffinitionem plani dederit in
primoElementoruin deffinitione quinta, ſtatim de angulis planis, e de fiquris
planis adiecit deffinitiones, que figure ideo planæ dicuntur, quia in plano
picte ſunt,feu quia in ſuperficie plana ſunt deſcripte, fi gura plana, hefunt
due particulæ deffinitionis, quarum altera deals tera non predicatur, quia id
quod planum, et id que in plano figura fit, 11on idem eft, demonſtratio uero
cõcludit, quia eft hoc de hoc, ut de trian gulo, quod tres duobus rectis
equales habeat, et q latus trigoni, quod fubtendien maiori angulo, nõ eft
minies lateri fubtenſo minori angulo. POSTERIORVM ARIST. TEXTVS XLIX ALIAS X I.
V ANIFEST VM eft autem et fic, propter quid rectus eſt, qui in ſemicirculo eft,
quo exiftente rectus eft,fit igitur rectus in quo a, inediun duorum rectorü in
quob, qui eft in feinicirculo in quo c, eius igitur, quod eſt a rectum inelle
c, qui eſtin ſemi circulo caufa eft b, hic quidem ipfi a æqualis eft, c autem
ipſi b, duorum enim rectorum dimidium eft b, igitur exia ſtente dimidio diiorum
rectorum a, ineſt ipſi c, hoc autem erat in ſemicirculo rectum eſſe. Euclides
xxx tertij uniuerſa lius proponit id, quod Ariſt. hoc loco ait magis contracte,
ut ſecundum Ariſtotelem conſtruatur fic, ſit ſemicirculus a b d cuiuscentrum c,
quo perpendicularis excitetur per undecimā primi Elementorum cd, ſecans arcum a
b in puncto d, à quo, duæ lineæ protrahantur ad ter minos diametri dia,db,
ſequiturper quintam primi angului a dc, bdc effe medietates reéti,quæ
ſimulmedietates additæ faciunt angų lum a d bre&tum,ficut duæ unitates bi
narium numerum, quia tamē non uide tur quòd philofophus particulariter proponat
id, quod uniuerfaliter Eucli des docet, ut uidelicet quod perpendi çularis à
puncto c excitetur, &quòd folus angulus,qui fit in puncto de deter minato,
ubi perpendicularis ſecat ar cum, re et tus ſit, licet illa due medietates
formaliter ſint unius re &ti, fina gulađ; dimidium refti, quæ pro materia
recti accipiuntur, ficut due uni tates materia numeri binarij, Ideo aliter
declaro et litteræ philoſoa phi magis cohærebit non in figura præfcripta,ſit
angulus rectus a datus, b autemfit medietas duorum rectorum, c uero in
ſemicirculo conſtitus tus, ſit æqualis b, quæ uero uni veidēfunt æqualia inter
ſe funt æquae lia, cum autem a ſit æqualis b, quia uterqueeſt medietas duorum
res. et orum, or ſimiliter c qui in ſemicirculo eſt ſit eidem b æqualis, c ipfi
a equalis erit, a quippe rectus eſt ex dato igitur c, in ſemicircula
conſtitutus rectus eſt, quod propoſuit Ariſtoteles, quis ſit angulus rer IN
SECVNDVM L I B. Aus patet per deffinitionem octauam primi Elementorum, quod
autem b in quocunque puncto peripherie femicirculi fit medietas duorum rectos
rum, patet per trigeſimam tertij Elementorum, quodetiam omnis alius angulus in
quocunque puncto arcus ſemicirculi fit æqualis 6, utputa 0, patet per uigeſimam
tertij Elementorum, qubi in priori expoſitione di cebatur,quòd duæ medietates
erant materia totius relti anguli, hic dica's tur,quòd illiduo partiales anguli
b, ſunt materia torius anguli recti, fic ut demonftretur, quod angulus, qui in
ſemicirculo conſtitutus, eſt re ctus, per materialem caufam, quæ materialis
caufa, ſunt iple partes recti anguli ipſum integrantes. TEXTVS LIII. ONTINGIT
autem idein et gratia alicuius eſſe, et ex neceſsitate, ut propter quid pe
netrat laternam lumen, etenim ex neceſsitas te pertranſit, quod in parua eft
partibilius, per maiores poros fiquidein lumen fit per tranſeundo,
Minutiſsimæenimſunt; aut potius fub tiliſsime ſpecies uiſibiles ignis,quæ
propter ſubtilitatem ſuam per poros uiri in quofranguntur exeuntes clarum iter
oſtendunt, ne adlapidem pe: des offendamius, exemplum eſt in optica,inaterialis
caufa eft uitrum, fi nalis,neolfendamus; fornalis eft illa compago uitrorum,lignorumq;,
efficiens autem,eſt ipſe luterne artifex,quantum ad matheſimſpectat non eft
niſi materialis cauſa in conſideratione, o radios fractos ipfius ignis in
corpus disphinum, per quos illuminationes fiunt. TEXTVS LVI. ALIAS XII. CLIPSIS
Lunæ futura, preſens, atque prete rita,medio interpofitionis terre,
diametraliter in ter Solem et Lunam,nunc, olum, et in futurum con cluditur,
cumfuerit Luna in capite uel cauda dras conis uelprope, o ſub'nadir Solis.
SICVT POSTERIORVM ARIST. 105 TEX.LVII. ALIAS XIIII. IGVt ergo non funt puncta,
adinuicem co pulata, ticque, quæ facta ſunt, utraque enim indiuifibilia funt.
Puncta enim fiadinuicem copula rentur, statim haberetur, lineam ex pun &tis
componi quod impoßibile effe demonftratum eft in primo, textu Wdecimo octauo.
TEXTVS LX. ALIAS X VII. I co autein in plus ineſſe quæcúque, infunt quidem
unicuique uniuerfaliter, Atuero et alij,ut eft aliquid quod oinni Trinitati, in
eft fed et non Trinitati, ficut ens ineft Trini tati, ſed et non numero,
numerum quemlibet ex materia oforma conſtare nemo eft qui neſciat, aliter cnim
numerorumſpecies noneſſent numerofinitæ, potentia ueroinfis nite per unitatis
additionem, fpecies autemexgenere odifferentia con ftat, genus uero materia
differentia autemforma eft in numero, materia numeriſunt ipfæ unitates, ut in
ternario numero, tres unitates materia eft numeri ternarij,formaautem eft ipfa
Trinitas, ens inquit ineſt Trinita ti népe ternario numero,o hoc prædicatū,
ens, extra genus arithmetică eft, quod quidem ens, alijs multo diuerſis genere
à numeroconuenit. Impar uero et ineft omni Trinitati& in plus eſt. Etenin
ipſi quinario ineft, fed non extragenus, ens quidem alijs ab arithmetico genere
conuenit, imparuero nullis alijs niſi his, quæ infra arithmeticum genus
continentur cõuenire poteſt,utquinariofeptinario &alijs multis.
Huiufmodiigitur accipienda funt uſque ad hoc quouſ: que, tot accipiantur primum,
quorum unumquodque qui dem in plus ſit, omnia autem non in plus. inquit
quouſque tot dccipiantur primum, uerbum hoc, primum intelligatur ex æquo, feu
ad equate, ut tot uenetur quis particulas deffinientes,quòd non fint ſuper
abundantes, neque diminuteparticule, ſed ad idtendat, ad quod ille,qui
tetragonicum latus alicuius figuræ quærit, utin libris de anima iubet phi
bofophus. Duo præterea funt hic notanda precepta,ut unumquodquefit LO 6 IN
SECVNDVM LIB. cum non in plus, nempeunaqueque particula deffinitionis
uniuerſalior ſitdeffini to, ut animal,rationale,mortale,capaxbeatitudine, que
omnes particu ie, in hominis deffinitione ſuntpofitæ, cunaqueque uniuerſalior
eft ip sohomine, omnesautem fimul fumpte,nihilaliudnifihomo funt,Dubie tatur,
an illa, quae in Elementorum Euclidis libris deffinitiones poſite funt,
utunapromultis fimilibus excogitetur hæc,triãgulusredilineus, eft figura, plana,claufa,tribuslineis
re&tis,fit conftituta ex omnibus par ticulis deffinientibus,quarū una,et
altera,atqueſingulaſit uniuerſalior, ipſo triangulo rectilineo? Dicendum
confequenteradAriftotelem pro pter particulam illam, tribus lineis reftis,
illam non eſſe deffinitionem, fit uniuerſalior ipſo triangulo rectilineo,
quapropter ſunt ma gis dignitates appellande, quàm deffinitiones,nifidixeris,
quodAriſtote les intelligit de his particulis definientibus, quæ recto cafu, et
non oblis quo explicantur, et fic proprie dicerentur deffinitiones, que
interpreta tio qualiſcunque fit,non habetur ex Ariſtotelis littert, neque tamen
ual de difplicet. Hanc enim neceſſe eſt fubftantiam rei eſſe, ut trinitati in
cft oinni, numerus,impar, primusutroque modo, et ficut non menfurari numcro, et
licut non componi ex numeris, hæ duæ particulæ,numerus,impar,nõ patiuntur,
difficultaté,quinipſo. ternario uniuerſaliores ſint, ſed particula iſta primus
utroq; modo,decla ratur ab ipfo Arift. quod fit uniuerſalior ternario numero,propter
altes rī modorū, quonumerus primus dicatur eſſe ut unitatefola metiri poßit,
multis conuenit numeris, ut quinario, ſeptenario,atque ternario, et alijs
multis non cõponi ex numeris pariter multis cõuenit, ut ternario, qui ex
binario ounitate conſtat, ſimiliter binario,qui conſtat non ex pluribus numeris,fed
ex binis unitatibus, Ex hoc locohabeturnefcio quid contras Etius,quàm Euclides
proponat,in feptimo Elementorü deffinitione x 15, XIII, quibus ait, quod primus
numerus eſt, qui fola unitatemetie tur, Compoſitus autem eſt, qui dimetitur
alio à fe ego ab unitate numero, quo loco uidetur quòdaliud fit dimetiri numero;
&aliud numeris dia uerſis componi, ut ſeptenarius, nullo alio número ab
unitate dimetina tur eſi componatur ex diuerfis numeris,ut ex binario o
quinario,c. ex ternario &quaternario, primo enim modo aliquis poterit effe
pris inus, qui compoſitus erit fecundo modo ut-XI, 0 X111, atque alij, quos
vagu VI, VITI V Componunt nullus tamen eorum dimetia tur eorum alterum, var vi
nullo modo dimetitur XI, VIII pariter POSTERIORVM ARIST.to v nullo modo
dimetiuntur x1, cum neuter fit alicuius maioris pars, ut ex prima deffinitione
quinti, &tertia deffinitione feptimiEle.. mentorum Euclidis manifeſtum eſt,hoc
igitur loco dico, quod Ariſtotea les non loquitur fecundum Euclidis ſcitum,fed
famoſe, ut philofophoa rum quorundam aliqui, Vbifecundum Ariftotelem tam partes
aggregae tiua, que c irrationales, e integrantes dicuntur, quàm partes ali
quote,qua rationales, odimetientes, dicuntur numerum compone re, ſed ſecundum
Euclidis fcitum, non niſi partes proprie fumpte, que aliquotæfunt, numerum
componunt; quod etiam Nicomachus et Boce. tius in arithmeticis aſſentiuntur,
niſi dixeris quod etiam fecüdum Euclia dem,non omnem numerum,qui alium componit
compoſitum dimetiri, fed ubi hoc Euclides fomniet non uidi. TEXTVS LXXVIII
ALIAS XXV. ARTICVLA difficultatis ſe offert in hoc textu, quam Grecio Latini
pretereunt, Aueroes tamen magna comentatione tangit nefcioquid, fed fcopum rei
non tetigit iudicio eorü qui Ariſt.et Euclidis inſe quuntur,ueſtigis, Textus
Ioannis grāmatici etArgi lopili obfcurăt aliquo modo primo intuitu pulchram
Ariſtot.doctrinam, quam aperit textus Aucrois, ſiue Abramum, ſeu Bu, rinam
inſpexeris, ipfius Aucrois interpretes, qua Ariſtotelis doctrina ex Aueroico
textu bahita, illam poſtea ex loanne grammatico, Argi ropilo uidebis neceſſario
effluere, loannis textus ita habetur, fi uero ficut in genere, finiliter fe
habebit,ut propter quid con mutabiliter, Analogum eſt. Alia enim eit cauſa in
lineis, et in numeris, et eadem, inquantum quidem lineæ, alia eft,in quantuin
nero habens augınentun tale, eadem eſt, fic in omnibus, Argilopilus ſichabet fi
fint ut in genere, medium ha bebunt finiliter,ueluti propter quid etiam mutato
ordia oc, funilitudinein ſubeunt rationum, eft enim alia caufa in lincis, et in
numeris, atque eadem alia quidem eſt, ut linea rum rationem fubit,eadem autem,
ut tale habet incremen tum, et codem in omnibus modo; Aueroes fic habet
commentar tionc magna,li autem fuerit fecundum modum generis,eft eis. affection
IN'SECVNDVM LI B. uinum fimilitudine, uerbi gratia, cur quando permutantur:
fint proportionalia, huius cnim caufæ in lineis et numeris ſunt diuerfæ, qua
autem addit, hac ſpecie additionis, hoci modo eft una per ſe in omnibus,hoc
textu nõ minus laboris fum pſi propter uarietatem textuum, quam etiam ob id,
quod interpretes: non ita interpretari uidentur, ut textui Ariſtotelis
cohæreant fue interpretationes aut nug et potius, præter Aueroin, qui magna
come mentatione, confuſo tamen ordine dicit aliquid, faciens ad Aristotex: lis
ſententiam, non tamen aperit uerum fenfum littera Ariſtotelis Pro vera igitur
Ariſtotelis ſententia, in primisſcire debes, quod mas gnitudines ſeu continue
quantitates, &multitudines feu quantitates die ſcrete omnes, uerfantur
circa unum genus quanti, omnes enim quane titates funt, quæ antequàm permutentur,
proportionalia eſſe debent, ut affeétio hæc,permutata proportionalitas,ſeu
permutatim proportios nari, concluditur de quantitatibus proportionalibus,
ratio autem qua concluditur hoc; de lineis, fuperficiebus,temporibus, vt
corporibus, eadem de numeris concluditur, primum demonftratur propoſitione dea
cimafexta quinti Elementorum Euclidis per alia principia, opropos ſitiones
diuerſas ab his propoſitionibus &principijs, quibus de nume ris eadem
permutata proportio concluditur in feptimo Elementorum, propoſitione
decimatertia uel decimaquarta. Ecce igitur alia ratio in li neiseft,quia
diuerſa e uniuerſalior, atque per diuerſa media, à ratio: ne qua idem de
numeris concluditur, huius enim caufæ in lineis &nume ris ſunt diuerfæ,
cauſas has, eas uoco, quæ folum dant propter quid et de his cauſis, que etiam
dant eſſe, hoc loco minime intelligas uelim, quia tamen dicebam,quòd non
concludebatur hæc affe &tio,permutata pro portio niſi de proportionalibus
quantitatibus. Si modofieret queſtio, o cauſainueftigaretur,quare quantitates
dicantur proportionales, uel que nam ſint quantitates proportionales, aut
quando proportionales funt, Ariſtoteles dicit unam eſſe cauſam in omnibus, cum
difcretis tum etiam continuis, quæ eft ex additione fimili utrobique pro cuius
notitia mania feſta deffinitio ſexta quinti Elementorum, minime negligenda eſt,
oeft Quantitates quedicuntur eſſe fecundum proportionem unam, prima ad fecundam
vtertia ad quartam ſunt, quarum prime otertiæ æques multiplices, ſecunde
«quarte equemultiplicibus comparat &, fimiles fuerint uel additione,
ueldiminutione,uel æqualitate,eodem ordinefum POSTERIORVM ARI T. 10% ple. V'nica
eſt héc caufâ, ut quantitates feu difcrete ſint, feu etiam continuefuerint,héc
uidelicet fimilis additio,ueldiminutio,feu æquatio inter equemultiplicia,hoc
autem eſt.quod ait in textu Ariſtoteles, in quantum uero habens augmentum tale,
eadem eft fic in omnibus,hac igi: tur ſpecie additionis est una pér fe caufa in
omnibus. Similem autem eſſe colorem colori, et figuram figuræ, aliam efſe alñ
æquiuocum enim eft fimile in his. Hic quis dem eſt fortaſsis ſecundum analogiam
habere latera, et æquales angulos. Figuræ rectilinee funtfimiles ex prima
deffinitione fexti Elemen.quæ habent angulos omnesæquales, es latera
illosæquales angulos continentia proportionalia,ſimilitudo igitur,non habet
commus nefiguris ocoloribus, niſi nomenclaturam, non autem rem naturam unam, in
coloribus enim non concernes, neque latera, neque angulos. Habent autem fe fic
propter conſequentiam ad inuicem caufa, et cuius caufa,& cui eſt cauſa,
unumquodque tamen accipienti, cuius eſt. cauſa, in pluseſt, utquatuor rectis
æquales, qui funt extra plus ſunt, quàm triangulus, aut quadrangulus, in
omnibusautem æqualiter. Quæcunque eniinquatuor rectis equales,qui ſuntextra,textus
hicdeffétis uus eft, et mutilus apud Ioannem Grammaticum et Argiropilum, ma.
gne commentationis textus est clarior, ſed non ad plenumfacit fatis,ut mens
Ariſtotelis, fatim appareat. Caufe illationis, ſeu conſequentie, que mutuæ funt,
feinuicem inferunt pro cuius exemplo, ad ea, quæ pri mo libro tex. xcvij. di
&ta fuere inſpiciendum eſt, oultra aduertas quod uniuerſaliuseft habere
omnes angulos extrinfecos æquales quatuor res Ais,quàm eſſe triangulum,uel
quadrangulum,aut pentagonum,uel exago num, aut quippiamtale feorfum, fi autem
accipiatur fic reétilineum est, igitur omnes anguli quiſunt extra, funt equales
quatuor re& is, oecon uerfo, fic infertur, omnes anguli quiſunt extra funt
æquales quatuor rectis,igiturid cuiusfunt anguli extrinſeci accepti, rectilineñ
eft,quo uet bo, re &tilineum, comprehenduntur nedum triangulus,
quadrangulus,co penthagonus, fed omnes figuræ re& ilinec, hoc igitur uult
Ariſtoteles quandoinquit, quod habere extrinfecos quatuor re&tis æquales,
uniuer Jalius eſt trigono, otetragono, ſi uero hec omuia accipiantur, ut in hoc
uerbo, rectilineum, omnes figure rectilineæ comprehenduntur, ajo fic hoc pacto
habentſe propter confequentiam,ut ad inuicem caufa «cu us caufa, &cui eft
caufa. ilo: CAVSAB IGITVR ILLI SVMMAB SIT ILLS LAVS QY AM LINGVA ET VNIVERSA
MENS CONCIPERE POTEST. FINISI RE G I S T R V M.. A B Omnes ſuntduerni. Pac. 4. lined s publicis, à publicis.
fac.4.li.6 incumbebam,abſtinere decreui..li.io laberinthos,labyrinthos.li.21
literis litteris ubique. Pd.4 li.3 comode, commode.li. 11 prefertim, præfertim
ubique. li.12cales, calles. li. 16 Ariſtoteles, Ariſtotelis. Facis li.24 age, aie. Fac. 6.li. 2 pulcra, pulchra ubique. li, z fpetie,
fpecie percubique. li. 32. quinnis, quinis. lin. unis,pluribus ubique. Fac. 7 lin.6 neſcit,
fcit.Fa.8 li.25 comunem,communem ubique. F2.13 li. 3 precedentis,precedentis
ubique F &c.14 li.9 affumens, afſummens ubique. li.16 ſempliciter,
fimpliciter. li. 12 equales æqualesubique. Fac.15.li.20 probation, probatione.
Fa. 26 li. 26 reſumitur, reſummitur ubique. Fd. 19.3 1 Geotrica, Geomes trica.
fac. li. o quadrati, quadrari. li. 10 e e Spoffet, effe poffet. li. 20
eeſſ;eſe. Fac. li. 10 A poline, A polline. Pac.
li. innitide tus,initatus. Fac.30 li. 12 fcit,ſit.fac.31.li.12 atulerunt
attulerunt. fa. 3 2.li.27 manus, manu. fac. 34.li.7 ſilicet, ſcilicet ubique.
fuc.36.li.4 Textus, Textu. li.25. aget, et get. fac.41. li:3 2 queſtione,
queſtione ubique. fac.4.3 li. 25 texu, textu.fa. 48 li.34 prinus, primus.
Fac.49 li.16.fue, ſua. fac.49.li.20 induéti, induti. fac. stili. 12recte,recti.
fac.53 li. 11 A'riſtelis, Ariſtotelis.fac.53 li. 12 bucis, buccis ubique. li. 6
nltera, altera. fac.54.li.2.ie, git. fac. 57 li. 24 puerost, pueros, li. 25
illeuatus, eleuatus. fac.59 li. 7 olas, ollas. li. 3i ſimilitcr, ſimili ter.
li. 3 4.innani,inani ubique. fac. 60 li.z eubi,cubi. li.25. apolini, apollini
per,, ubique.lin. 28 pret, preti.fac.61.li.14.palade,pallade, li.24 filicet,
ſcilicet ubique.fac.62 li. 23 rrrat, erat. fac.64. lin. 31 nos tid,
notitia.fa.67 li.14 prebens,prebens.li.16.profonditate,profundis tate. fac. 68
li. 20 queſitis, quæfitis.fa, 9.li.6.nquiinquit. fac.75 li. s. paret, pares.
fac. 76 li.16.notia.notitia. fac. 8 2.li. 13 ingnaros, ignaros.li. 27
preciſiua, preciſiua. li. 31. preedenti,precedentiubique fac. 83. li.
8.ſcienriarum, ſcientiarum. lin. 21.chierurgia, chirurgia. fac. 86 li. 10.
neft, ineft.li. 17.angregata, aggregata. fac. 88 lin. 10 pretereundum,
prætereundum.fac.91.li. 10.triangu o, triangulo. li.28.
redit,reddet.fac.95li,31. eget,eget.fac.96.li.20 fequacea, fequaces. li. 32,
balbitiant,balbutiant.fac. 104.11.18.uirum,uitrum. Et fi qua alia (que non funt pauca ) pretermiffa funt, diligens le&
tor surum colligat &mufcas abigat.Grice: “The motivation behind my Immanuel
Kant Lectures, Aspects of reason and reasoning, was to shed light on what
Catena calls ‘demostrazione potetissima’.” Grice: “The Latin language – and the
Italian language to some degree – allows for some fine inflections: there’s
potius, which when cmbined with esse, gives posse, or potere – the ‘t’ is
sometimes inarticulated as a ‘d’, as in ‘poderoso’, which goes for potius. Now,
the interesting thing about potius, as Ross, and Mansel, and Aldrich and some
Italian semioticians have found out – dealing with Roman law – is that a
demonstrazione cn be ‘able’ (potis), in the positive degree. When it becomes
comparative, the demonstrazione becomes ‘dimonstratio potior’, i.e. not able,
but abler not capable, but capabler. Finally, if it’s the ablest or capablest,
it’s demostrazione potissima, or demonstratio potissima. The ‘scuola
padovana’ goes on to qualify ‘dimonstrazione potisima’ into two types,
‘dimonstrazione potissima affirmative,’ and ‘dimostrazione potisima negativa’. These are higher types of demonstration than the ‘demonstratio potior
affirmativa’ and ‘demonstratio potior negativa’.” Petrus Cathena. Petrus
Catena. Pietro Catena. Keywords: logica matematica, logica aritmetica, logica
arimmetica. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Catena” – The Swimming-Pool
Library.
Luigi
Speranza -- Grice e Catone Maggiore – Roma – filosofia italiana – Luigi
Speranza. Marco
Porcio Catone Voce Discussione Leggi Modifica Modifica wikitesto
Cronologia Strumenti Aspetto nascondi Testo Piccolo
Standard Grande Larghezza Standard Largo
Disambiguazione – Se stai cercando altri personaggi con lo stesso nome, vedi
Marco Porcio Catone (disambigua). Marco Porcio Catone Censore della Repubblica
romana Particolare del Patrizio Torlonia, busto identificato con Catone
il Censore Nome originale Marcus Porcius Cato Nascita Tusculum Morte Roma
Coniuge Licinia Salonia Figli Marco Porcio Catone Liciniano Marco Porcio Catone
Saloniano Gens Porcia Padre Marco Porcio Tribuno militare Questura Edilità Pretura
Consolato Censura. Ceterum censeo Carthaginem esse delendam.» (IT) «Per
il resto ritengo che Cartagine debba essere distrutta.» (Marco Porcio
Catone) Marco Porcio C. (in latino Marcus Porcius C.; nelle epigrafi
M·PORCIVS·M·F·C.; Tusculum – Roma) è stato un filosofo, politico, generale e
scrittore romano, chiamato anche C. il Censore (C. Censor), Catone il Sapiente
(Cato Sapiens), Catone l'Antico (Cato Priscus), Catone il Vecchio per aver
superato di molto l'età media massima di vita allora a Roma o C. il Maggiore (C.
Maior) per distinguerlo dal pronipote Catone l'Uticense. Biografia
Ritratto Plutarco, autore delle Vite parallele, dà questo ritratto di
Catone: «Quanto al suo aspetto, aveva capelli rossastri e occhi azzurri,
come ci rivela l'autore di questo poco benevolo epigramma: Rosso, mordace,
dagli occhi azzurri, Persefone non accoglie Porcio in Ade neanche da morto. Fisicamente
era ben piantato; il suo corpo s'adattava a qualunque uso, era tanto robusto
quanto sano, poiché fin da giovane si applicò al lavoro manuale - saggio metodo
di vita - e partecipò a campagne militari.[1]» Origini familiari De
re rustica, 1794 Nacque nel 234 a. C. a Tusculum, da un'antica famiglia plebea
che si era fatta notare per qualche servizio militare, ma che non aveva mai
avuto esponenti tra le più importanti cariche civili. Fu allevato, secondo la
tradizione dei suoi antenati latini, perché divenisse agricoltore, attività
alla quale egli si dedicò costantemente quando non fu impegnato nel servizio
militare. Ma, avendo attirato l'attenzione di Lucio Valerio Flacco, fu condotto
a Roma, e divenne successivamente questore, edile, pretore e console
percorrendo tutte le tappe del cursus honorum assieme al suo vecchio
protettore; divenne infine censore. C. è considerato il fondatore della Gens
Porcia. Ebbe due mogli: la prima fu Licinia, un'aristocratica della Gens
Licinia, da cui ebbe come figlio Marco Porcio C. Liciniano; la seconda, è
Salonia, figlia di un suo liberto, sposata in tarda età dopo la morte di
Licinia, da cui ebbe Marco Porcio C. Saloniano, nato quando il Censore aveva 80
anni. Carriera politica «I ladri di beni privati passano la vita in
carcere e in catene, quelli di beni pubblici nelle ricchezze e negli
onori» (Marco Porcio Catone, citato in Aulo Gellio, Notti attiche) Prest
servizio in Africa come questore con Scipione l'Africano, ma lo abbandonò dopo
un litigio a causa di presunti sperperi. S’oppone invano all'abrogazione della
lex Oppia, emanata durante la seconda guerra punica per contenere il lusso e le
spese esagerate da parte delle donne. Comandò poi in Sardegna, dove per la
prima volta mostrò la sua rigidissima moralità pubblica, e in Spagna, che
assoggettò spietatamente, guadagnando di conseguenza la fama di
trionfatore. Ricopre il ruolo di tribuno militare nell'esercito di Manio
Acilio Glabrione nella guerra contro Antioco III il Grande di Siria, giocò un
ruolo importante nella battaglia delle Termopili e attaccando alle spalle Antioco
permise la vittoria dei romani, che segnò la fine dell'invasione seleucide
della Grecia. Nel 189 a.C. condusse un processo sia contro Scipione l'Africano
sia contro il fratello Scipione l'Asiatico, accusandoli di aver concesso dei
favori personali al re di Siria Antioco III e di aver dissipato il tesoro dello
Stato. Il caso degli Scipioni consiste in uno dei più grandi scandali della
Repubblica Romana, considerando che, soprattutto Scipione L'Africano, era
considerato l'eroe della Seconda Guerra Punica. Opera pubblica La sua
reputazione di soldato era quindi consolidata; da quel momento in poi egli
preferì servire lo Stato a casa, esaminando la condotta morale dei candidati
alle cariche pubbliche e dei generali sul campo. Pur non essendo egli personalmente
coinvolto nel processo per corruzione contro gli Scipioni (l'Africano e
l'Asiatico), fu tuttavia lo spirito che animò l'attacco contro di loro. Persino
Scipione l'Africano, che si rifiutò di rispondere all'accusa, affermando solo:
"Romani, questo è il giorno in cui io sconfissi Annibale", venendo
assolto per acclamazione, trovò necessario ritirarsi, auto-esiliandosi, nella
sua villa a Liternum. L'ostilità di Porcio Catone risaliva alla campagna
d'Africa quando discusse con Scipione per l'eccessiva distribuzione del bottino
tra le truppe, e la vita sfarzosa e stravagante che quest'ultimo
conduceva. Censore Al secondo tentativo, nel 184, egli fu eletto censore
ed esercitò questa carica per quattro anni così bene che gli venne assegnato il
soprannome di Censore (anche per il suo carattere severo, per il suo austero
moralismo e per l'asprezza delle critiche rivolte da lui contro ogni indizio di
corruzione delle antiche virtù romane). Contro l'ellenismo Catone si
oppose inoltre all'ellenizzazione, ossia il diffondersi della cultura
ellenistica, che egli riteneva minacciasse di distruggere la sobrietà dei
costumi del vero romano, sostituendo l'idea di collettività con l'esaltazione
del singolo individuo. Fu nell'esercizio della carica di censore che questa sua
determinazione fu più duramente esibita e ovviamente il motivo dal quale gli
derivò il suo celebre soprannome. Revisionò con inflessibile severità la lista
dei senatori e degli equites, cacciando da ogni ordine coloro che riteneva
indegni, sia per quanto riguarda la moralità, che per la mancanza dei requisiti
economici previsti. L'espulsione di Lucio Quinzio Flaminino per ingiustificata
crudeltà, fu un esempio della sua rigida giustizia. Contro il lusso La
sua lotta contro il lusso fu assai serrata. Impose una pesante tassa sugli
abiti e gli ornamenti personali, specialmente delle donne, e sui giovani
schiavi comprati come concubini o favoriti domestici (leggi sumptuariae). Appoggia
la lex Orchia (secondo altri egli prima si oppose alla sua introduzione, e
successivamente alla sua abrogazione), la quale prescriveva un limite al numero
di ospiti in un ricevimento, e nel 169 a.C. la lex Voconia, uno dei
provvedimenti che miravano a impedire l'accumulo di un'eccessiva ricchezza
nelle mani delle donne, nei cui confronti in realtà Catone appare quasi un
nemico. Ne limitò il lusso degli abiti e dei gioielli, e si oppose al possesso
da parte della donna di denaro e ricchezza, sempre in difesa dei valori morali
della Repubblica. Con le donne di casa, mogli, figlie o schiave, fu assai
severo, fino a sfiorare talvolta la tirannia; una delle cause di dissenso con
gli Scipioni era proprio la libertà e il lusso che questi concedevano alle loro
donne. Contro i Baccanali Fu assai disgustato, assieme a molti altri dei
romani più conservatori, dalla diffusione dei riti misterici dei Baccanali, che
egli attribuì all'influenza negativa dei costumi greci; perciò sollecitò con
veemenza l'espulsione dei filosofi greci (Carneade, Diogene lo Stoico e
Critolao), che erano giunti come ambasciatori da Atene, sulla base della
pericolosa influenza delle idee diffuse da costoro. Contro i medici
Catone provava ripugnanza per i medici, che erano principalmente greci. Ottenne
il rilascio di Polibio, lo storico, e dei suoi compagni prigionieri, chiedendo
sprezzante se il Senato non avesse niente di più importante da discutere del
fatto che qualche greco dovesse morire a Roma o nella sua terra. Era quasi
ottantenne quando, secondo quanto dicono le fonti biografiche, ebbe il suo
primo contatto con la letteratura greca; anche se, dopo aver esaminato i suoi
scritti, è verosimile ritenere che possa aver avuto un contatto con le opere
greche per gran parte della sua vita. Contro Cartagine Il suo ultimo
impegno pubblico fu di spronare i suoi compatrioti verso la terza guerra punica
e la distruzione di Cartagine. È uno dei delegati mandati a Cartagine per
arbitrare tra i cartaginesi e Massinissa, re di Numidia. La missione fu
fallimentare e i commissari ritornarono a casa. Ma Porcio Catone fu colpito
dalle prove della prosperità dei cartaginesi a tal punto da convincersi che la
sicurezza di Roma dipendesse dalla distruzione totale di Cartagine. Da quel
momento egli continuò a ripetere in Senato: «Ceterum censeo Carthaginem
delendam esse.» ("Per il resto ritengo che Cartagine debba essere
distrutta."). È noto che egli ripeteva ciò alla conclusione di ogni suo
discorso. Altre attività Riguardo alle altre questioni egli fece riparare
gli acquedotti di Roma, pulire le fognature, impedì a soggetti privati di
deviare le acque pubbliche per il loro uso personale, ordinò la demolizione di
edifici che ostruivano le vie pubbliche, e costruì la prima basilica nel Foro
vicino alla Curia (Livio, Ab Urbe condita; Plutarco, Vita di C.). Aumentò
inoltre la somma dovuta allo stato dai pubblicani per il diritto di riscuotere
le tasse e allo stesso tempo diminuì il prezzo contrattuale per la
realizzazione di lavori pubblici. Morte Dalla data della sua carica di
censore alla sua morte, avvenuta nel 149 a.C. sotto il consolato di Manio
Manilio Nepote e Lucio Marcio Censorino, Porcio C. non occupò nessun'altra
carica pubblica, ma continuò a distinguersi in Senato come tenace oppositore ad
ogni nuova influenza. Solo dopo la sua morte si iniziò la spedizione
contro Cartagine, che lui aveva voluto. La visione della società Per
Porcio Catone la vita individuale era un continuo auto-disciplinarsi, e la vita
pubblica era la disciplina dei molti. Egli riteneva il singolo pater come il
principio della famiglia, e la famiglia come il principio dello stato.
Attraverso una rigida organizzazione del suo tempo egli realizzò un'enorme
quantità di opere; pretese inoltre la medesima applicazione dai suoi
dipendenti. Riconoscimenti Per i Romani stessi ci fu poco nella sua condotta
che sembrasse necessario censurare; fu sempre rispettato e considerato come un
esempio tradizionale degli antichi e più genuini costumi romani. Nel notevole
passo in cui Livio descrive il carattere di Porcio Catone, non c'è alcuna
parola di biasimo per la rigida disciplina della sua condotta domestica.
Opera letteraria Porcio Catone è tra le principali personalità della
letteratura latina arcaica: egli fu oratore, storiografo e trattatista. Fu
autore di una vasta raccolta di manuali tecnico-pratici, con i quali intendeva
difendere i valori tradizionali del mos maiorum contro le tendenze ellenizzanti
dell'aristocrazia legata al circolo degli Scipioni, indirizzata al figlio
Marco, i Libri ad Marcum filium o Praecepta ad Marcum filium, di cui si
conserva per intero soltanto il Liber de agri cultura, in cui esamina,
soprattutto, l'azienda schiavile che tanto spazio si conquisterà poi in età
imperiale. Affrontò inoltre la tematica dei valori tradizionali romani anche in
un Carmen de moribus, di cui sono ad oggi pervenuti pochissimi frammenti.
Fin dalla giovinezza si dedicò all'attività oratoria: sul finire della
Repubblica erano note ben 150 sue orazioni, mentre attualmente sono conservati
solo frammenti, di varia estensione, riconducibili a circa ottanta orazioni
diverse. Si distinguono tra esse orationes deliberativae, ovvero discorsi
pronunciati in Senato a favore o contro una proposta di legge, e orationes
iudiciales, discorsi giudiziari di accusa o difesa. Fu inoltre autore, in
vecchiaia, della prima opera storiografica in lingua latina, le Origines, il
cui argomento era la storia romana dalla leggendaria fondazione fino al II
secolo a.C. Dell'opera, pur significativa dal punto di vista ideologico, si
conservano scarsi frammenti. C. individua nel culmine del percorso educativo la
formazione di un vir bonus, dicendi peritus (uomo di valore, esperto nel dire),
espressione che sarà il cardine del successivo modello educativo romano.
L'opera letteraria di Catone, in particolare quella storica e oratoria, fu
elogiata da Cicerone, che definì il censore primo grande oratore romano e il
più degno d'essere letto. Nella prima età imperiale, nonostante l'ideologia
catoniana coincidesse in buona parte con la politica restauratrice del mos
maiorum promossa da Augusto, l'opera di Catone fu oggetto di sempre minore
interesse. Con l'affermarsi delle tendenze arcaizzanti nel II secolo, invece,
essa fu oggetto di grandi attenzioni, seppure a carattere esclusivamente
linguistico ed erudito: Gellio e Cornelio Frontone ne tramandarono molti
frammenti, e l'imperatore Adriano dichiarò di preferirlo addirittura a
Cicerone.[9] A partire dal IV secolo iniziò a perdersi la conoscenza
diretta della sua opera, con l'eccezione del manuale sull'agricoltura. Grande
diffusione ebbe invece la raccolta di proverbi in esametri erroneamente
attribuitagli, denominata Disticha Catonis (con anche alcuni Monosticha
Catonis). Edizioni Scriptores rei rusticae, Venetiis, apud Nicolaum
Ienson Contiene i De re rustica di Catone, Varrone, Columella e Rutilio Tauro
Palladio] (editio princeps). De agri cultura liber, Recognovit Henricus Keil,
Lipsiae, in aedibus B.G. Teubneri, 1895. De agri cultura, ad fidem Florentini
codicis deperditi edidit Antonius Mazzarino, Lipsiae, in aedibus B.G. Teubneri Marci
Porci C. Oratio pro Rhodiensibus. Catone, l'Oriente Greco e gli Imprenditori
Romani. Introduzione, Edizione Critica dei Frammenti, Traduzione Ital. e
Commento, a cura di Gualtiero Calboli, Bologna 1978. Traduzioni italiane
Catone, De re rustica, con note, [Traduzione di Giuseppe Compagnoni], Tomo
I-III, Venezia, nella stamperia Palese Rustici latini volgarizzati C.,
Dell'agricoltura, Versione di Alessandro Donati, Milano, Notari, 1929. Liber de
agricoltura, Roma, Ramo editoriale degli agricoltori. L'agricoltura, a cura di
Luca Canali e Emanuele Lelli, Milano, A. Mondadori, Opere, a cura di Paolo
Cugusi e Maria Teresa Sblendorio Cugusi, 2 voll., Torino, UTET Note
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supersunt opera, Venetiis excudit Joseph Antonelli Les agronomes latins, Caton,
Varron, Columelle, Palladius, avec la traduction en français, M. Nisard (a cura
di), Paris, Firmin Didot Fréres, Historicorum Romanorum Reliquiae, Hermannus
Peter (a cura di), vol. 1, in aedibus B. G. Teubneri, Lipsiae, 1914², pagg.
55-97. M. Catonis praeter librum de re rustica quae extant, Jordan (a cura di),
Lipsiae, in aedibus B. G. Teubneri Predecessore Fasti consulares Successore Lucio
Furio Purpureo e Marco Claudio Marcello con Lucio Valerio Flacco Publio
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delle fonti. Marco Porcio Catone Uticense Pretore della Repubblica romana
Jean-Baptiste Roman e François Rude (1832-1835), Catone Uticense legge il
Fedone prima di togliersi la vita. Museo del Louvre, Parigi. Nome originale Marcus
Porcius Cato Uticensis Nascita Roma Morte Utica Coniuge Atilia Marzia Figli Marco
Porcia Gens Porcia Padre Marco Porcio Catone Saloniano il Giovane Madre Livia
Drusa Tribuno militare Questura in Cipro Tribunato della plebe Pretura Propretura
in Cipro in Sicilia 47 a.C. in Africa Marco Porcio Catone Uticense (in latino
Marcus Porcius Cato Uticensis, detto anche Minor per distinguerlo dal suo avo
Marco Porcio Catone, detto pertanto Maior; Roma, 95 a.C. – Utica, 12 aprile 46
a.C.) è stato un politico, militare, scrittore e triumvir monetalis
romano. Se si eccettua l'accusa, non verificata, di ebrius (ubriacone)
mossagli da Gaio Giulio Cesare, l'Uticense è descritto persino dalle fonti a
lui ostili e dai suoi più aspri nemici come una figura di somma rettitudine,
incorruttibile ed imparziale, molto scomodo per i suoi avversari. È mostrato
come il campione delle prische virtù romane per antonomasia, uomo fuori del suo
tempo, citato ogni qual volta si volevano lodare (o anche sbeffeggiare, come in
Marziale) i Romani dei tempi eroici. Seguace della filosofia stoica e
celebre oratore, Catone Uticense viene ricordato, oltre che per la sua caparbietà
e tenacia, per essersi ribellato alla presa di potere da parte del suo rivale
Cesare, preferendo il suicidio all'umiliazione di farsi graziare da Cesare e
assistere alla fine dei valori repubblicani di Roma, che aveva sempre
difeso. Fu pronipote di Catone il Censore. Biografia Origini
familiari Il figlio di Marco Porcio Catone il Censore e di Salonina, Marco
Porcio Catone Saloniano, ebbe due figli, il maggiore dei quali, Marco Saloniano
il Giovane, sposò Livia, figlia di Marco Livio Druso, console nel 112 a.C. Da
questo matrimonio nacque, oltre quel Marco, che sarà l'Uticense, Porcia. Da un
precedente matrimonio di Livia con Quinto Servilio Cepione erano nati Servilia
e Quinto Servilio Cepione. Quest'ultimo avrà una figlia anch'essa di nome Servilia.
Pertanto Marco (il futuro Uticense) e Porcia, Servilia e Quinto Servilio
Cepione, erano figli della stessa madre. Dal matrimonio di Servilia
(sorellastra dell'Uticense e amante di Gaio Giulio Cesare) con il tribuno della
plebe Marco Giunio Bruto, nascerà Marco Giunio Bruto il futuro cesaricida, che
sposerà la cugina Porcia (figlia di Catone). L'altra Servilia, nipote
dell'Uticense, andrà sposa a Lucio Licinio Lucullo e verrà da questi ripudiata
per la sua scandalosa condotta. Una menzione a parte merita la moglie
dell'Uticense, Marcia, ceduta dallo stesso al famoso oratore Ortensio,
ricchissimo, e ripresa in casa dopo la morte di quest'ultimo. Giovinezza
e studi Plutarco, nella sua raccolta di biografie intitolata Vite parallele,
descrive il giovane Catone Uticense come un ragazzo molto composto e deciso,
dal carattere imperturbabile, sia nel parlare che nelle attività fisiche. Data
la sua modestia e il suo coraggio sviluppato nel corso degli anni, Catone stava
lontano da chi tentava di adularlo e si dimostrava autoritario invece nei
confronti di chi lo voleva intimidire; tuttavia non era un tipo violento e non
si lasciava sopraffare dall'ira. Sempre secondo Plutarco, Catone non sorrideva
quasi mai e si rilassava solo in determinate occasioni. Catone Uticense
durante gli anni scolastici risultava essere molto più impacciato e duro di
comprendonio rispetto ai suoi compagni, anche se aveva una grande capacità
mnemonica. Nonostante le difficoltà negli studi, Catone li viveva molto
seriamente e laboriosamente, ascoltando ed obbedendo sempre agli insegnamenti
del suo saggio e comprensivo tutore, l'anziano Sarpedonte. Durante questo
periodo, gli alleati italici di Roma facevano di tutto per ottenere la
cittadinanza romana, il che preoccupava non poco i militari e i senatori
romani. Il condottiero marso Quinto Poppedio Silone, che alloggiava allora
nella casa di Livio Druso, incitava il piccolo e suo fratello a prendere parte,
una volta diventati uomini, alla battaglia per la cittadinanza:
"Orsù, fate in modo che in favore nostro preghiate lo zio ad adoperarsi
per i nostri diritti." Il fratello di Catone, Cepione, accettò sorridendo,
mentre Catone rimase in silenzio a guardare Silone e gli altri ospiti con
disprezzo, quindi Silone lo afferrò da terra e lo avvicinò alla finestra,
minacciando che l'avrebbe ucciso facendolo cadere da lì, ma Catone continuò a
non dire niente. Silone, resosi conto che il ragazzo non aveva nessuna paura,
lo rimise giù e disse: "Quale fortuna per l'Italia che questi è un
fanciullo; poiché se fosse stato adulto credo che neppure un voto ci sarebbe
stato per noi nell'assemblea popolare"[1]. Carriera politica Nel 72 a.C.
Catone combatté come volontario nella terza guerra servile contro Spartaco. Nel
67 a.C. venne nominato tribuno militare in Macedonia e legato di Pompeo per la
guerra contro i pirati. Fu questore nel 64 a.C. e tribuno della plebe nel 62
a.C. Essendo tribuno designato, nel 63 a.C. ottenne dal senato la condanna a
morte per alcuni seguaci di Catilina (pena che sarà poi eseguita dall'allora
console Cicerone), in opposizione a Cesare, che proponeva pene più miti. Quindi
fu questore e propretore tra il 58 a.C. e il 56 a.C., con l'incarico di ridurre
a provincia romana l'isola di Cipro sottratta all'Egitto, pretore nel 54 a.C..
Intorno al 49 a.C. lo troviamo in Sicilia, non si sa bene se col grado di
questore o di propretore. Poco portato al compromesso e indifferente agli
interessi dei compagni di partito, quello degli optimates, conobbe anche
l'insuccesso elettorale, nel 55 a.C., anno in cui si era candidato per la
carica di pretore. Oltre che da Seneca, questo particolare ci viene riferito da
Petronio Arbitro che considera tale bocciatura cosa disonorevole non per
Catone, ma per il popolo romano. Nell'esercizio delle sue funzioni, si
oppose all'illegalità, dichiarandosi custode del mos maiorum e delle
istituzioni repubblicane, attaccando chiunque non si muovesse entro quei
limiti. Uniformò tutta la sua vita ai precetti dello Stoicismo, mostrando
grande intransigenza nei confronti di potenti autocrati e dei più spregiudicati
mestieranti della politica del tempo, non facendosi per nulla intimorire da
minacce palesi contro la sua incolumità. Contro i futuri Triumviri Si
scagliò, infatti, contro Gneo Pompeo Magno, il conquistatore della provincia
d'Oriente, al quale, opponendosi coi suoi seguaci in senato, negò il trionfo,
le terre che Pompeo stesso chiedeva per ricompensare i suoi veterani e il
riconoscimento della sistemazione che egli aveva dato ai territori sottomessi.
Pompeo infatti, nel conquistare i territori della suddetta nuova provincia era
andato oltre il suo mandato, violando la legge che prevedeva l'intervento del
senato ove un governatore di provincia si fosse spinto oltre i limiti
territoriali di sua competenza: Pompeo, nelle intenzioni di Catone, avrebbe
dovuto rispondere all'accusa di interesse privato nella sistemazione
territoriale, nella nomina di suoi clienti in posti chiave della provincia e al
mantenimento, ai confini, di re e governanti che molto probabilmente avevano sborsato
ingenti somme per essere mantenuti o posti sul trono. Si oppose anche a
Marco Licinio Crasso, (il vincitore della rivolta servile del 73 a.C., guidata
da Spartaco e terminata, nel 71 a.C., con la crocifissione di 6000 schiavi
lungo la via Appia) che chiedeva per i suoi amici, appartenenti all'ordine
equestre, una parziale restituzione di somme, da costoro versate e già
incamerate dall'erario, relative e conseguenti all'aggiudicazione delle gare
d'appalto per la riscossione delle tasse nella provincia d'Oriente; anche in
questo caso l'opposizione di Catone non lasciò spazio a ulteriori discussioni:
le trattative si erano svolte regolarmente secondo contratti letti, accettati e
sottoscritti dagli interessati; si accontentassero gli appaltatori delle imposte
di guadagnare un po' meno. Coppe di propaganda politica di Catone e
Catilina. Non meno violenta fu l'opposizione di Catone a Gaio Giulio Cesare,
(rinfocolata da animosità personali, se vogliamo credere ai pettegolezzi
riferiti da Sallustio) sia quando questi proponeva, contro i congiurati che
avevano fiancheggiato Lucio Sergio Catilina, pene alternative a quella di
morte, proposta invece con vigore da Marco Tullio Cicerone e dallo stesso
Catone, sia quando chiedeva, contestualmente al trionfo per le imprese di
Gallia, la rielezione a console per l'anno successivo. Prassi voleva, rispose
Catone, che il consolato non si potesse chiedere in absentia e che il trionfo
si potesse celebrare dopo che il comandante avesse congedato le proprie
milizie: rimproverava inoltre a Cesare l'essersi arricchito in Gallia a tal
punto da poter pagare ingenti somme per saldare i debiti dei suoi tanti amici e
fiancheggiatori, residenti in Roma: Catone, inoltre, voleva che Cesare
deponesse la carica che deteneva da otto anni illegalmente, rientrando in Roma
da privato cittadino. Su quest'atteggiamento ostile verso Cesare non si sa se e
quanto avrà potuto influire la lunghissima relazione extraconiugale tra il
conquistatore delle Gallie e Servilia, sorellastra dell'Uticense: di certo
almeno in un'occasione l'Uticense ne rimase irritatissimo. Con Cesare
diventavano tre gli scontentati, rappresentanti della fazione dei populares: a
questo punto i tre, Pompeo, Crasso e Cesare, umiliati da Catone, decidono di
stringere un patto di mutua alleanza, il cosiddetto primo triumvirato, per
impossessarsi del potere. In più di un'occasione Cicerone addebiterà
all'Uticense la responsabilità d'aver rotto, col suo rigido atteggiamento, da
stoico intransigente, la concordia ordinum, ossia quel delicato equilibrio su
cui si reggeva, ma ancora per poco, il vecchio sistema repubblicano. La
svolta pompeiana Soltanto quando, morto Crasso nella battaglia di Carre contro
i Parti, tra Cesare e Pompeo cominciano a manifestarsi gelosie e reciproci sospetti,
Catone, in un estremo tentativo di difendere le istituzioni repubblicane, si
avvicinò a Pompeo, che nel frattempo strizzava l'occhio agli optimates in
funzione anticesariana: intanto Cesare, il conquistatore delle Gallie, varca il
Rubicone, puntando con le sue legioni su Roma: Pompeo, il senato romano e i
catoniani abbandonano la città, sperando di ricongiungersi alle legioni
anticesariane delle province. Gli eventi precipitano, portando allo scontro tra
Cesare e Pompeo, e quando quest'ultimo, in fuga, dopo la battaglia di Farsalo
(48 a.C.), viene ucciso a tradimento in Egitto, per ordine del quattordicenne
faraone Tolomeo XIII, fratello di Cleopatra, per Catone e i suoi seguaci,
incalzati dalle legioni di Cesare, non rimane che tentare un'estrema resistenza
nelle Province. La più sicura di esse era la Numidia, governata all'epoca dal
re Giuba I, anticesariano e protettore dei catoniani, già distintosi per aver
inferto gravi sconfitte all'avversario, ma prossimo anche lui alla
capitolazione, avvenuta nella battaglia di Tapso, e al suicidio (46 a.C.). Le
milizie cesariane puntano ora su Utica, dove sono arroccati i Catoniani e dove
si consuma l'estremo sacrificio di Catone. Vita privata Catone ebbe due
mogli. La prima fu Atilia, figlia di Caio Atilio Serranus, sposata nel 73 a.C.,
da cui ebbe il figlio Marco, morto a Filippi nel 42 a.C., e la figlia Porcia,
che sposò Bruto. Da Atilia, Catone divorziò nel 63 a.C. per adulterio. La
seconda moglie di Catone fu Marzia, che venne da questo "data in
prestito" a Quinto Ortensio. Dopo la scomparsa di questo secondo marito
ella però tornò dal primo, divenendo un simbolo di fedeltà coniugale, citato da
numerosi autori, da Lucano a Dante Alighieri. La fine La morte di
Catone, nell'interpretazione dell'artista francese Bouillon. Morto Pompeo,
Catone raggiunse Utica con un contingente forte di ben diecimila legionari, con
i quali era riuscito a percorrere ben 2253 km (da Arsinoe in Cirenaica a Utica)
in condizioni estreme e in poco meno di quattro mesi. A Utica i suoi fautori,
in un primo tempo decisi a difendersi con il favore degli abitanti, si
perdettero d'animo e cominciarono a parlare di arrendersi a Cesare.
Catone non voleva abbassarsi a chiedere grazia; perciò diede a coloro che
volevano partire i mezzi per il viaggio, pranzò con tranquillità, trascorse le
ultime ore in discussioni filosofiche e nella lettura di alcuni passi del
Fedone di Platone, ovvero il libro che parla della sopravvivenza dell'anima
dopo la morte, poi si trafisse con la spada il ventre dopo aver letto il libro
per l'intera nottata, esclamando: «Virtù, non sei che una parola».
Accorsi, i suoi amici gli fasciarono la ferita, ma egli, strappate le bende,
volle morire infierendo nervosamente contro i suoi visceri. Per lui, stoico, la
morte non era un male ma uno strumento di liberazione, dal momento che ogni
altra via era preclusa. È per questo che Dante nel Purgatorio lo sceglie, pur
suicida, come esempio di libero arbitrio, dono di Dio. Si disse che
Cesare avesse parole di ammirazione per questo suo ostinato avversario; ma
quando Cicerone, Bruto e Fabio Gallo scrissero per esaltare la virtù e la
preveggenza di Catone, Cesare rispose con gli Anticatones, due libelli polemici
diretti a confutare l'esaltazione dell'Uticense, presentato dai suoi amici come
martire della libertà repubblicana, dal tono volutamente denigratorio (anche in
base a motivi di rancore personale poiché una figlia di Catone, Porcia, era
appena diventata moglie di Bruto suscitando scandalo). Opere
letterarie La morte di Catone l'Uticense, nell'opera di Guillaume Guillon
Lethière, 1795, San Pietroburgo, Ermitage. Alla morte di Catone, vennero
pubblicate parecchie opere commemorative, andate perdute, compreso il già
citato Anticato (= Contro Catone), scritto da Cesare in chiave ironica, per
svilirne l'operato e il ricordo. Del medesimo tenore, com'è dato capire da un
passo di Svetonio, è verosimile che fossero i rescripta Bruto de Catone
(=risposte a Bruto su Catone) dell'imperatore Augusto. Può quindi desumersi che
la figura di Catone Uticense assunse, già fin dagli anni immediatamente
successivi alla sua morte, le proporzioni di un simbolo, prima nazionale, poi
universale[2]. Letteratura classica Lo stesso argomento in
dettaglio: Storia della letteratura latina. Fonte principale su Catone Uticense
è la biografia di Plutarco nelle Vite parallele che accentua i caratteri
politici della sua figura e che sarà il modello delle elaborazioni moderne del
personaggio. Sulla sua azione politica abbiamo notizie, soprattutto da Cicerone
(Epistolario) e da Sallustio (Bellum Catilinae), suoi contemporanei tra i più
noti. L'azione politica e le imprese di Catone sono state anche oggetto
di trasposizione poetica da parte di Lucano, nella sua Pharsalia o dir che si
voglia Bellum civile che pone l'accento sulla sua integrità morale e sulla sua
eroica fedeltà ad un ideale di libertà politica difesa fino alla morte.
Lusinghieri i giudizi sulla onestà, dirittura morale, fermezza d'opinione e
coraggio messi in atto per la difesa della legalità che si leggono in autori di
ogni epoca, quali Livio, (com'è dato supporre dalle periochae, riassunto della
sua monumentale opera), Valerio Massimo, Seneca, Tacito, Marziale, Quintiliano,
Publio Papinio Stazio per parlare dei più noti. In particolare il nome di
Catone ricorre spesso in un'opera storica, per certi aspetti singolare, meglio
conosciuta come Historia Augusta (HA), serie di biografie imperiali da Adriano
a Numeriano (dal 117 al 284): esso viene evocato per elogiare imperatori
"liberali", sotto i quali, dice l'autore (o dicono gli autori, cf. il
libro di S. Mazzarino appresso indicato) "sarebbe stato felice di vivere
persino Catone"; era il massimo elogio che si potesse tributare ad un
imperatore. Catone, di Giovanni Battista Langetti, 1660-1680,
Ermitage, San Pietroburgo. Giudizi sull'Uticense si leggono anche in molti
autori di letteratura latina cristiana: interessante è la posizione di
Sant'Agostino che avanza più di un dubbio sulla coerenza dell'Uticense (cf. De
civitate Dei), dandone un giudizio negativo. Fortuna letteraria e
nell'arte L'Uticense viene comunemente considerato come un grande politico,
molto capace, ma soprattutto, un uomo che non avrebbe mai abbandonato la
propria libertà politica. Piuttosto di essere catturato e arrestato, preferiva
la morte per mano propria, infierendo addirittura contro il suo corpo mentre
moriva. È certamente il massimo simbolo della libertà sociale, di pensiero e
politica in assoluto, fatto ripreso da Dante Alighieri nel Purgatorio, Canto I,
ponendolo non fra i suicidi, ma a guardia del Purgatorio. «Or ti piaccia
gradir la sua venuta: libertà va cercando, ch'è sì cara, come sa chi per lei
vita rifiuta. Tu 'l sai, che non ti fu per lei amara in Utica la morte,
ove lasciasti la vesta ch'al gran dì sarà sì chiara» (Dante Alighieri,
Purgatorio, Canto I vv 70-75) In epoca medioevale l'Uticense ha quindi
una notevole importanza, come personaggio di primo piano, nella Divina
Commedia; egli, simbolo di rettitudine morale e di martire per la libertà
viene, infatti, posto, da Dante, a custodia del Purgatorio, dove giacciono le
anime che devono espiare le proprie colpe prima di poter salire al cielo.
Tuttavia, nella stessa epoca, influenzati dalla posizione già detta di
Sant'Agostino, valutano, fra gli altri, negativamente l'estremo gesto di
Catone: Tommaso d'Aquino, Remigio dei Girolami, fra' Tolomeo da Lucca, Enrico
di Gand, Vincenzo di Beauvais e nella stessa scia si colloca anche Francesco
Petrarca. La tragica fine dell'Uticense ha ispirato artisti di varie
epoche, tra i quali vanno segnalati: Pietro Metastasio, per il suo melodramma
Catone in Utica, i tragediografi Joseph Addison e Johann Gottsched,
rispettivamente per Cato e Catone morente, i pittori Guercino, Guillaume
Lethière, Giovan Battista Langetti. Di ottima fattura e inneggianti al tema
della libertas si conservano monete, che circolarono in epoca romana, con la
legenda M. P. Cato e la relativa indicazione della carica al momento
ricoperta[senza fonte]. Statue e busti marmorei o di bronzo raffiguranti
l'Uticense sono custoditi nei più importanti musei della romanità. Nel XVIII
secolo, nei pressi di Frascati, sul versante di Monte Porzio Catone, sono stati
rinvenuti ruderi di una villa romana che gli archeologi, confortati
dall'autorevole parere del Winckelmann, sostengono essere appartenuta
all'Uticense. La moralità di Catone e il suo atto estremo sono stati e
continuano ad essere oggetto di appassionati studi e dibattiti. Note ^
Ciò accadde probabilmente nel 91 a.C., quando Catone aveva quattro anni; ad ogni
modo, vista la sua educazione esemplare, è possibile che avesse già sviluppato
la propria opinione politica. L'evento è stato descritto anche da Valerio
Massimo in Factorum et dictorum memorabilium libri IX, III, 1.2. ^ Una rassegna
di autori antichi, più o meno contemporanei che si occuparono dell'Uticense,
trovasi ne "Il pensiero storico classico" di Santo Mazzarino
(Laterza, Bari. Bibliografia Fonti primarie Valerio Massimo, Factorum et
dictorum memorabilium libri IX. Plutarco, Catone il Giovane,
Vite parallele. Fonti secondarie Badian, E. "M. PorciusC.and the
Annexation and Early Administration of Cyprus", Journal of Roman Studies,
Bellemore, J., "C. the Younger in the East in 66 BC", Historia Earl,
D.C. The Political Thought of Sallust, Cambridge Fantham, E., "Three Wise
Men and the End of the Roman Republic", "Caesar Against
Liberty?", ARCA (43), 2003: 96-117. Fehrle, R. C.Uticensis, Darmstadt,
Goar, R. The Legend of C.Uticensis from the First Century BC to the Fifth
Century AD, Bruxelles, 1987. Goodman, Rob. Soni, Jimmy. Rome's Last Citizen:
The Life and Legacy of Cato, Mortal Enemy of Caesar. Gordon, H. L. "The
Eternal Triangle The Classical Journal Hughes-Hallett, Lucy. Heroes: A History
of Hero Worship, Alfred A. Knopf, New York, New York, Marin, P. "Cato the
Younger: Myth and Reality", Ph.D (unpublished), UCD, 2005 Marin, P. Blood
in the Forum: The Struggle for the Roman Republic, London: Hambledon Continuum Marin,
P. The Myth of C.from Cicero to the Enlightenment (forthcoming) Nadig, Peter.
"Der jüngere C. und ambitus", in: Peter Nadig, Ardet Ambitus,
Untersuchungen zum Phänomen der Wahlbestechungen in der römischen Republik,
Peter Lang, Frankfurt am Main 1997 (Prismata VI), S. 85-94, ISBN 3-631-31295-4
Syme, R., "A Roman Post-Mortem", Roman Papers I, Oxford, 1979 Taylor,
Lily Ross. Party Politics in the Age of Caesar, University of California Press,
Berkeley, California. Catóne, Marco Porcio, detto Uticense, su Treccani.it –
Enciclopedie on line, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Modifica su Wikidata
Francesco Arnaldi e Massimo Lenchantin De Gubernatis -, CATONE, Marco Porcio,
detto Uticense, in Enciclopedia Italiana, Istituto dell'Enciclopedia Italiana C.,
Marco Porcio detto Uticense, in Dizionario di storia, Istituto
dell'Enciclopedia Italiana, 2010. Modifica su Wikidata Catóne, Marco Pòrcio,
detto Uticénse, su sapere.it, De Agostini. Marcus Porcius Cato, su Enciclopedia
Britannica, Encyclopædia Britannica, Inc. Opere di Marco Porcio Catone
Uticense, su PHI Latin Texts, Packard Humanities Institute. Modifica su
Wikidata (EN) Marco Porcio Catone Uticense, su Goodreads. Modifica su Wikidata
(EN) Traduzione in inglese del capitolo delle Vite di Plutarco dedicato a
Catone Uticense, su penelope.uchicago.edu. Catone Uticense nella Divina
Commedia, su litterator.it. V · D · M Guerra civile romana (49-45 a.C.) V · D ·
M Gens Porcia C. V · D · M Stoicismo V · D · M Plutarco V · D · M Divina
Commedia Portale Antica Roma Portale Biografie Portale
Esercito romano Portale Filosofia Portale Letteratura Categorie:
Politici romani del I secolo a.C.Militari romaniScrittori romaniMilitari del I
secolo a.C.Scrittori del I secolo a.C.Nati nel 95 a.C.Morti nel 46 a.C.Morti il
12 aprileNati a Roma (città antica)Personaggi citati nella Divina Commedia
(Purgatorio)Morti per suicidioPorciiRetori romaniStoiciTresviri monetalesMorti
in Tunisia[altre]Marco Porcio C. -- M. Porcio C. il Giovane ha come maestri due
stoici, Atenodoro Cordilione -- che si reca a visitare a Pergamo perchè lo
seguisse a Roma ove lo tenne come ospite -- e Antipatro di Tiro. In
Sicilia Catone Uticense conosce l’accademico Filostrato. Nei suoi ultimi
giorni in Utica, Catone Uticense ha vicino a sè lo stoico Apollonide e il
liceale Demetrio. Catone Uticense e questore e pretore.Catone Uticense i
oppose ai triumviri e nella guerra civile si schiera con Pompeo. Dopo
Tapso, Catone Uticense si reca a presidiare Utica, ove si uccide.Catone
Uticense coltiva con molto successo l’eloquenza e si compiace di introdurre
discussioni filosofiche nelle orazioni. Catone Uticense scrive anche
giambi. Cicerone chiama Catone Uticense perfettissimo stoico e nel
"De finibus" gli assegna l'esposizione delle dottrine etiche di
quella scuola di cui aveva studiato intensamente le opere. A statesman and a philosopher, he studied the philosophy of the Porch.
He was a pupil of Antipater of Tyre and later befriended Apollonides and
Demetrius the Peripatetic, and looked after Athenodorus Cordylion. A staunch
republican, he committed suicide when he believed the ultimate victory of
Giulio Cesare in the civil war was inevitable. He was much admired by Cicerone
and many regarded him as an embodiment of traditional Roman values, just as his
great-grandfather, C. the Censor, had been before him. C. A TRAGEDY BY ADDISON.
C. TRAGEDIA DEL SIGNORE ADDISON.. Addison, Salvini C. Ut xAGEDY BY ADDISON. C. TRAGEDIA DEL SIGNORE
ADDISON TRADOTTA DA SALVINI GENTILUOMO
FIORENTINO IN FIRENZE. Nella Stamperia di Michele Neftenus . Con \UM
Stftr. A iattanza di Battiano Scaletti.
Catoni autem quum ìncredibilem trihuijjet Na*
tura gravitatevi, eamque ipfe perpetua con [tanna roboravìjjet, femperquc in propth Jtto fufceptoqut confili* permanfijfet, tnoriutidum potim, quam tyranni vultus afpiciendui fuit. Cic.de Officlib. x.cap.jn ALL' ILLUSTRISSIMO SIGNORE &c. Enrico
Mylord Colerane. iBajtrifàm Signore E molte bbbligazioni, che io protetto alla gentilezza di VS.
Illuftriflìma, e la fperienza avuta da'
primi Letterati di emetta Città del fuo
profondo fapere, già predicato dalla Fama, ed ammirato da i etti
elfi per mezzo della fua dotta convenzione, mi fpirano un umile ardire
di dedicarle la celebre Traduzione della infìgne Inglefe Tragedia del C., che addio efee di nuovo col fuo
fteflò Originale alla luce; ficuro che
Ella 1' accetterà di buon animo, come
fuole, eftimatore giu- ftiifimo,
doverofamente incontrare tutte le buone
e belle opere degl' in- gegni più
follevati, e come prove- niente da chi
fi pregia d* effere Di VS.
Illuftrifsima Ewotiffino e Obbligai
iffmo Servitù? Baftiano Scaletti . BE- C 5 difperando il SigMuUin di poter venire felicemente a capo nella
intra- prefa verfione, lafcio Ubero il
campo ad altro fpirito 9 o più ardito o
più attivo del fm > cui più
agevolmente potejfe fot tire quefta nobile impre- fa . Frattanto pero > perche il Tubblico
non re- ftajfe a fatto privo della
lettura di qucfto inge- gnofiffimo
componimento, il fiprannominato Sig.
Boyer fi contento di pubblicare la fua verfione in in profa, impreffa . 10 Londra per Air. Giacomo Toh fon : della quale,
quantunque fedele, perocché priva della
fua naturale armo- nio/a bellezza,
poffiamo dir giallamente, cta e/- /# è
mancante del fuo più chiaro fpleudore. Quefle d'ufi citila pero di non
esprimere felice- mente i [entimemi più
vivaci e gagliardi degli fr ameri
liuguàggi, in qualunque maniera fi fie-
no rapprefentati, non le pruova certamente il no (irò Tofcano Idioma, // quale > giù a
la f rafie del noftro celebraùjftmo
Carlo Dati di dolcezza e di eleganza non cede al ftcuro ad alcuna delle lingue
vive, e colle morte più cele- „ tri
contende di parità, e forfè afpira alla
5 > maggioranza : fe pure non vogliamo dire af- filatamente col Cavaliere Lionardo Salvi ati
$ che ficcome la lingua Latina ha
dolcezza mino- re, che la Greca non ha;
così nella nojlra, non ritrovando fi
quella pronunzia difficultofa efpia-
cevole, che nella Greca fi trova, accagionatagli dagli accoppiamenti multiplici delle
confonanti, j quali comunemente rendono
a/prezza; n£ no* Siri vocaboli, come in
quella addiviene, quefta durezza non e
che rade volte 0 non mai . Ala non
efendo, queffo. luogo qppropofito per difcorr
rere rere difufamente delle lodi del noftro volgare Idioma, e particolarmente per effere (lata
que- fi a materia trattata con tanta
aggiuflatezza, con tanto gufto e di
fornimento non folo dà* fo- pr
-accennati chiarirmi autori, ma inoltre
cora dal Varchi, dal Bu orti watt ci, e da altri, che niente più; mi riftrignerò a dir
brevemente quanto appartiene a quefla
prefente Tragedia: cui fe non ha goduto
la bella forte di e fere (la- ta trapiantata
felicemente nel? Idioma Franze- fe>
renduto per altro oramai qua fi che neceffa-
rio air wtiverfale letteratura; la ha ben ritro- vata nel no Uro linguaggio per la fu a
maravi- glia efpreffione y fecondità, e
dolcezza. Vin* figne w flro e non mai
abbaflanza lodato Abate \Anton Maria Salvini, quegli „ che d' alto fapere il petto pregno „ Scorre a fua voglia il dotto e bel
paefe „ Dell' alma Grecia, e cui fon
lievi imprefe ^Spogliarla d' ogni fuo
più caro pegno; ( come di lui con aurea
Tofana eloquenza can- to P inclito
Segretario della Reale %A ce ad ernia di
Frància, P cibate Regnier Des-31arais, )
tratto dalla fama di queflo nobiHfimo componi- vi eutO) e dejiderofo di contemplarne neff
Origi+ 1 t naie naie le fue rare bel
Uzze, (limo lene rivoltare tutto il fuo
(ìndio a riajjumere P Inglefe Idioma, da
e/lo può a quel tempo traforato : lo che nel
breve giro di foli due mefi, non tanto per la fua pertinace fatica, quanto per lo metodo
eti- mologico, fuo famigli ariffimo e
quaft che natura* le, in tal maniera gli
venne fatto, che franca* mente P
attività penetrandone, poti con mae*
jlofa franchezza tutte le difficuìta fuperare, che nel tradurre queir Opera altrui fi erano
at* tr aver fate . Vedeva egli, come
pratichi/fimo del tradurre [ avendo
arricchito delle fue {limati^ lifjime
traduzioni la noSlra favella di tutte le
foavi, leggiadre, fièli mi, ed eleganti maniere, che negli immenfi tefori de' Greci Toeti fi
/lavano chiufe, e per così dire nafcofe] quanto a tal fatto ella fia capaci fflma; maneggevole
per fe medefima e fendo, e atta qual
molle cera a rapprefentar fedelmente i
concetti, le parole, e le ftefe
efprefioni; anzi, ciò che ì più malage-
vole, Paria ftejfa, il colore, e 7 carattere di tutte quelle fembianze, che dagli Autori, che
fi prendono a tradurre, furono impreffe
nette loro compofizioni . Contribuigli a
queflo inoltre non poco la finora
dolcezza del noftro maggior ver* fi fi
Tofcanó, il quale, oltre al non ejfere in fimi-
li componimenti inceppato, per così dire, e ri- ftretto dalP orpellato vincolo delle rime,
rifpon- de il più delle volte in certo
modo per la fua mi fura a una fpezie
degli Jambici degli Anti- chi, i quali,
come fi e detto di [opra, /limati furono
tanto proprj della Dramatica, che di
niuno altro mai non fi fervirono più facilmente tutti gli antichi Greci t Latini Poeti .
Impe- gnatoli adunque il no/Ir o Salvini
nella verfione di quefta eccellente
Tragedia : e sì per la pafto- ftta della
lingua y da effo tante volte in fimili
congiunture fperimentata : e sì pel maeflofo con- certo de % ver fi, in cui la traduceva, a lei
propriijfimi, quanto altri mai, felicemente venuto- ne a capo, vemie nelle mani degli
Accademici Compatiti della Citta di
Livorno, da' quali nel Carnovale dell*
anno 1 7 1 4. recitata con bella maniera,
e con maeflofo apparato; per la viva- ce
efprejfione, e per la fedeltà fmcerijftma fu
tanto ammirata da i Sig. Inglefi dimoranti in quel Torto, che (limolarono il medeftmo a
per- metterne la pubblicazione, fuc
ceduta /' anno ap- preso in Firenze per
mezzo delle Stampe de 9 Guidacci e
Franchi, con applaufo univerfale de* t * gli
3( sii )fr £/' Intendenti deW
uno e dell' altro linguaggio, mot* //*
atteflano i Sig. Giornalifti di Venezia
nel loro Tomo XXll.pag.^/^. Ma per non de* rogare alP ingenua modeflia del no/Iro chiarij/t- ino Traduttore non ini pare fuor di propofito
il ripetere in queflo luogo, e colle fue
flejje parole, /' obbligazioni che egli
profeta ad alcuni nobili /piriti Inglefi,
che non poco gli conferirono a
perfezionare quefta verfione; primizia, come egli la chiama, del fuo fiudio in queW Idioma
: „ E perche ( dice egli nella
Prefazione al Lettore » appo Sia alla
prima edizione ) fecondo il famofo detto di Plinio eft plenum ingenui pudo- „ ris, fateri per quos profeceris; non
debbo „ non confeflare, molto dovere al
già Inviato J9 noftro d Inghilterra,
genero fo ed ornato Ca- yy valsere y
Sig. Giovanni Moles-Worth, fitto i „ cui
aufpicj quefta mia traduzione nacque, e
„ al dotto Sigi Lochart, ambedue delle finezze „ della noftra Lingua intendentifsimi . *Da quefta Verfione ne efcì toffo in
Venezia un altra, ftampata peH Coletti,
della quale non fa di meftieri il
parlarne, per effere in efta in più
parti travi fata la prima, troncando mol-
to del r e cit amento, sì per fervire, come dice il fuo Imprefario, al
gufto moderno del Teatro Ita- li ano,
ricucendola a foli tre Atti; dovecch},come
fono tutte le antiche, ella è compofla di cinque : sì ancora per lo continuo fnervamcnto della
for- za e della energia, cagionatole
dalla mutazione delle parole e de' ver
fi, folo per piacere all' orecchio del
comun Topolo, che pago e contento di
quel femplice titillamento e prurito, non pe-
netra addentro nel midollo e nella foftanza del- la materia .
•Ma per ritornare alla nojlra, appena ella fu e f cita felicemente alla luce, che
divenuta ra- rifjìma non fu poffibile
ritrovarne ne pure m filo efemplare per
foddisfare alle continue in- ftanze, che
giornalmente da tutte le parti ne erano
fatte; onde conofcendo io da gran tempo
quanto gli amatori delle lettere fojjero defide- rofi di vederne una nuova impresone,
final- mente mi fon rifoluto di farla
comparire di nuo- vo alla luce,
arricchita dello (lejfo fuo Originale
lnglefe. Ne perocché fieno molti filmi quegli, che alla cognizione di quel nobil linguaggio non
fi fono per anco affacciati, giudico io,
che fia per efjere alt univerfale
difaggradevole quei/o mio penfamento,
potendolo almeno ciafcuno riputar- 3( xiv )fr C. A TRAGEDY C. TRAGEDIA /7^ the
So»l by tender Strokes of Arp y fig| f;i
r*//S? /Zrr G*///**, W / 7o Mankindtn
cotifctous Virtue bold, Liwe oer eacb
Scene, and Be isohat tbey he bold: Tot
thts the Tragic>Mnfe firfi trod the Stage,
Commanding Tears to Jlream thro euery Age; Tyrants no more the ir Savage Nature kept, And Foes to V trtue monderà how tbey ivcft. Our Atttbor shunt
by *vulgjtr Springs to mwc The Heros
Glory, or the Virgin s Love; In ptytng
Love ive but our JVeaknefs show, And
-wild Ambttton isoell deferves tts ÌVoe.
Here
Tears shall flo-w from a more genrons Caufe y
Sucb Tears as Tatrtots shed f or dying Lawsi He bidsyour Breafts witb Ancient Ardor rife
And PROLOGO Del Sig. POPE Alma fvegliar con madri tocchi d'arte, Erger Jo fpirto, ed emendare il cuore, Far l'uomo in fua virtù franco ed ardito, Ch'ogni feena fi a norma di Aia vita, E s' ingegni effer ciò eh' ivi fi mira ì Qucfto, quando da prima entrò in Teatro, Fu di Tragica Mufa il fin fublime; Per quefto comandò, che in ciafeun tempo Le lagrime a diluvj ne correderò. I Tiranni, non più fieri e felvaggi : E; nimici a virtù ftupiano, come Contra lor voglia disfaceanfi in pianto. Sdegna V Autor per volgar modi muovere Nelle femmine amor, gloria negli uomini. In donare all'amor la pietà nottra, Non facciam che moftrar noftra fiacchezza
: E fiera ambizion metta fuoi guai. Da più nobil cagion qui feorreranno Le lagrime: tai lagrime, quai fpargono Di Patria amanti fu fpiranti leggi. Rcfpirin voftri
petti antico ardore « Ai E flit Digitized by Google And calli forth Roman Drops from Brtthb
Eyet. Vtrtue conferà in human Sbape be
drawt, What Plato Tbougbt, and GodMe
Caio Wat : No common Objetl to your
Sigbt dtfplayt, Bnt wbat wttb Pleafure
Heavn tt felf furueys > A brame Man
ftrttggling tn the Stormi of Fate y And
greatly falltng wttb a falli ng State !
li bile Caio giva bit little Settate Laws, IVbat Bojom beati not in bis Country i Caufe
? li bo feet btm aft, bnt crrviet enjry
Deed t Wbobeart bim groan y and doei not
witb to bleedt E*vn when proud Cafar
'midft triumpbal Cari, The Spaili of Nat
ioni, and the Pomp of Wars,. Ignobly
Vain, and impotently Great, Òbowd Rome
ber C. t Figure drawn in State 5 Ai ber
dead Fatbert revrend Image paft y The
Pomp wat darkend, and tbe Day oercaft,
The Trinmpb ceatd Teart gmb % d from enfry Eye; Tbe M r orl£t great Viclor paft unbeeded by; Her Latt good Man de] e eie d Rome adord, And bonottrd C&fart Ufi tban Catat
Sword, Britaìnt attend : Be Wortb Itke
tbif approdi d, And ibow yon bave tbe
Virine to be mcwd. Wttb bonejl Scorn
the firft favi d C. miewi Rome £ ftillln Roman pianto occhi Britanni. In forma umana è qui Virtù ritratta : Quel che Platon pensò, fu il divin Cato. Non oggetto comun fi fpiega in vifta; Ma ciò che il Gel con fuo piacer rimira. Un uom prode, che lotta del dettino Traile temperie, c grandemente cade Mifto a ruine di cadente Stato. Mentre dà leggi al fuo picciol Senato C., e qual mai fcn non batte allora Nella gran caufa della Patria fua ? Chi oprar lo mira, e non invidia l'opra? Chi miralo fpirar, nè morir brama ? Pure allora, che Cefarc fuperbo Tra i carri trionfali, e tra le fpoglie Delle nazioni, e pompa della guerra, Ignobil vano, e fattamente grande Moftrò a Roma del fuo Caton V imago j Del Padre fuo la reverenda imago, Mentre ch'ella pattava, era feurata La pompa, e'1 dì rannuvolato, e bruno: Il Trionfo ceflava :da ciafeuno Occhio fcn gian le lagrime fgorgando; Ed il sì grande Vincitor del Mondo Pattava fenza pur etter guardato : L* ultimo fuo prod' uom Roma adorava Abbattuta, dolente, e più la fpada Di Caton, che di Cefare onorava. Britanni, a un merto tal donate plaufo, E moftratevi d'efferne commoffi, Se tanto di valore ancor ci retta. Con bello sdegno il primo C. vide ìearning Arti from G ree ce, wbom $he
fubdnd Our Scene frecarionfly fubjtfts too
lovg On Frencb Transattoti y and Italtan
Song. Dare to bave
Senfe your fehes', AJfert tbe Stage \ Be
jnttly ivartrìd isottb your ow» Native Kage.
Sue b Plays alone sbonld pleafe a Brtttsb Ear, As Catos felf bad not dtjdaind to bear. V
C. Roma da Grecia vinca apparar
l'Arti. Troppo lunga ftagion la noftra
Scena Di Francia da i teatri, e dell 1
Italia Ha mendicato V umil fuo foftegno. Voftre forze provate, ed al Teatro Voftro la fua ragion ne richiamate. Accefi fiate del nativo foco. A Britannico orecchio, folo quelle Opre deggion piacere, che Io (ledo C. d'afcolcar non sdegnerebbe. «3C 8 )S» L t
Portius, Marcus. He Dawn
isover-cafl 5 tbe Mornìng ìovSrs\ And
bcavily in Clouds brings on tbe Day Tbe
grcatjb* import ant Day\big r witb tbe Fate
Of tato and of Rome. Our Fatbefs
Deatb Wouldfill tip ali tbe Gtuìt
ofCivil ÌVar, And clofe tbe Scene of
Flood. Already C&far Has ravaged
more tban balf ebe Globe 9 and fees
Mankind grown tbin by bit definiti tue Sbordi Sbottld he go furtber > Humbcrs isoould be
wanting To form new Battelt, and fupport
bis Crimet. Te Gods, wbat Hawock does
Ambition make Among your Works ! Marc. Tby fteddyTemper, Portiate Can look on Guilt, Rebellion, Fraud, and
Gufar, In tbe cairn Ligbts of mild
Fbìlofopby; Tm tortured^ e Greatìy unfortunate, he figbts the Caufe Of Honour, Virine, Liberty, and Rome. Hts S-word nc"er fili but oh tbeGutlty
Head} Oppreffton, Tyranny, and Fowr
tifar fi, Draw ali tbe Vengeanee of bis
Àrm mponem. Marc. Wbo kn * Tofto che *J nome luo gìugne al mio orecchio
3 Farfalla al'a mia villa fi prcfenta
: Veggio calcar V infultator tiranno II laitricato campo di Romani Cadaveri, e inzuppato in civil ftrage, E di fangue patrizio bagnate Degli orgogliofi fuoi cavalli V unghie. Scelta maledizion non avvi, o Porzio, Nelle armerie del CicI fulmin riporto Di non comune ira di Dio vermiglio, Ad abbattere, a ilruggere queir uomo, Che della Patria fua lui le ruine, Erge ( oh beati Iddii ! ) la fua grandezza? Por£ Certo, Marco, eh' è quefta empia
grandezza, E ha troppo ortor per effere
invidiata. Quanto del noftro Padre i
fatti illuftri, De i mali, che *J
circondan, tra le nubi, Spuntan
brillanti di più chiara luce/ Di gloria
1* incorona il Tuo (offrire. Sfortunato,
maggior di fua feiagura, Ei combatte
collante per la caufa D 1 Onor, Virtute,
Libertate, e Roma. Sovra rea teda foi
cadde fua fpada: L* oppreffion, la
tirannia fol traforo Sopra lor, del fuo
braccio la vendetta. Marc. E chi noi *i
fa ? ma che può far C. Contr' ad un
Mondo, un vile e guado Mondo, Che a
Cefar piega il collo, e corre al giogo?
Di Romana grandezza ei forma indarno
Pover compendio in Urica rifpinto:
E da guardie Numidiche attorniato
Una ficvol Armata, ed un Senato
B 2 Voto Remnants of mìgbty
Battei: fongbt tn matti. By Heavns, /ivi Virtues,jo/nd witb fucb Sttccefs } Diflratl wy very Soul : Our Fatber s
Fontine Wond almoft tempt ut to renounce
bis Frecepts. Por. Remember -wbat our
Fatber oft bas told us : Tbe Ways of
Heavn are dark and intricate ^ Fu^led in
Ma^es, and perplext ivttb Errors >
Our Under si andtv.g traces 'em in wain y Lofi and brwtlderd in tbe fruttlefs Searcb
5 Nor fees ikutb bow mucb Art tbe
Wtnitngs run, Nor wbere tbe reguìar
Confufion ends. Marc. Tbefe are
Suggeftions of a Mind at Eafe: Ob r erti
us, dtdft tbott tafle b«t balf tbe Griefs
Tbat wrtng wy Soul, tbou coudfl not talk tbus coldly. Fajjìon unpttyd, and fuccefslefs Love, Flant Dagpers tn my Heart, and aggravate My otber Grtefs. Were but wy Lucia hnd! Por. Tbou feeft not tbat tby Brotber is tby
Rivai: Bnt I wufl bidè ìt.for I know
tby Tewper. [ afide Novj, Marcus y
»0u>, tby Vtrtues on tbe Froof: Fut
fortb tby tttwofl Strengtb, >work evry Nerve, And cali up ali thy Fatber tn tby Soul: To quell tbe Tyrant Love, and guard tby
Heart On tbts iveak Side, nvbere moft
our Nature fails, Would he a Conqucft
isoortby Catos Son. Marc. Fort ìris, tbe Council wbicb I cannot taie y Ioftead of beali ng, but npbraids wy Weaknefs. Btd me for Honour pi unge into a iVar Of tbtchft Foety and Voto dirige, riraafuglio
e avanzo D'afpre battaglie combattute
invano. Oh Ciel ! tali virtù con tai
fucceflì Confondon V Alma : la maligna
forte Del noftro Padre, a' begli fuoi
precetti Quafi di rinunziarci
tenterebbe. For%. Del noftro Padre ti
rammenta quello Ch' ei ci dicea
fovente: che del Cielo Sono feure le
vie, ed intrigate: Noftro intelletto le
rintraccia indarno, Perfo e fmarrito nella
vana inchiefta. Nè vede con quant'arte
i giri vanno, Nè dell* ordin confufo il
termin feorge. Marc. Pender fon quefti
d' oziofa mente. Porzio, fe la metà
guftato avefli Di quei dolor, che V
alma mi trafiggono, Freddamente così
non parlerefti. Paftìon non compatita,
amor fgradito PafTanmi il cuore, e gli
altri duoli aggravano. Oh fe a me fuffe
Lucia pietofa ! Tor%. Non vede che '1
fratello è fuo rivale : Uopo è eh' io
il celi : il genio tuo conofeo. a parte
Or, Marco, ora al cimento è tua virtude. Prova tutta tua forza, opra ogn' ingegno, Spira nell* alma tua tutto il tuo Padre. Vincer Y amor tiranno, e *1 cuor
guardare Da quella debol parte, ov* uom
più manca, Conquida fia da figlio di C.. Marc. Porzio, il configlio, eh' io prender
non poffò, Non fana, nò, rinfaccia mia
fiacchezza. Fa che Y onor comandi di
cacciarmi In guerra tra foltiflìmi
nemici, E cor- D W r*/& ou certa/ n Dcatb } Then fbalt tbou fee that Marcus is not JIo jj To follali) Glory f and confefs bts Fathcr. Love is not to he
reafond down y or lofi In htpb Amhttton,
and a Tbtrfl of Greatnefs > 'Tss
ficond Ltfc, tt grows into the Soni,
Warms evry Vein y and beati in evry Fulfe y I feel it bere : My Refolutton meltt Por. Beboldyoung ]uba, the Numidi an
Vrinceì Wtth bow mucb Care be forni s
bimfelf to Glory, And breaks the
Fiercenefs of bts Native Temper To copy
out our Fatber s brigbt Examplt. He
loves our Stfter Marcia, greatly lovet ber,
Hts Eyes, bis Looks, bis Acltons ali betray it : But fidi the fmotherd Fondnefs burns wttbtn
bìm y When moti tt fwells and lahours
for a Veni, The Senfe of Honour and
Dejire of Fame Drive the big FaJJìcn
back into htt Heart, Wbat ì fball an
Afrtcan, fiali Jubas Ueir Eeproacbgreat
CatosSon, and fbo-jj the World A Virttte
voantivg in a Roman Sotti f Ma re.
Fortius, no more ìyonr Words leave Stings befana* em. lVben-e % rc did Juba, or dtd Fort in s,
fhow A V ir tue that bat caji me at a
Dtftance, And tbrown me out in the
Furfnitt of Honoar ì Por. Marcus, I
know tby generous Temper weli; Fling but
tV Appe arance of Dtfbonour on it,
Itftrait takes Fire, and mounts iato a Bla^e. Marc. A Brothers Suff rtngs clatm a Brothers
Fity. Por. jitized E correr frettolofo a certa morte y Vedrefti alior, che Marco non è pigro A feguir gloria, ed a ritrar dal Padre. Amor non cede, nè a ragion, nè ad aita Ambizion, nè a fete di grandezza. Alma novella egli è della ftefs* Alma : Scalda ogni vena, e batte in ciafcun
pollo. II Tento io qui : disfatto è il
mio coraggio. for^. Mira il Giovine
Giuba, di Numiviia Il Principe, con
quanta cura ci forma Se medefmoalla
gloria, e la natia Fierezza frena, a far
vedere in lui Del noftro Padre il vivo
illuftre efempio. La noftra fuora Marzia
egli ama, e molto L* ama : il dicon fuoi
fguardi, atti, e fembianti j Ma chiufo
il fuoco pur gli arde nel petto. Quand*
ei più crefce, ed a sfogarfi a (pira,
Sentimento d' onor, defio di fama
Spingon la fiamma a ritornare al cuore.
Che! un Affricano, ed un di Giuba erede
Rinfaccerà del gran C. al figlio,
E potrà al Mondo tutto ancor moftrare
Una Virtù, che in cuor Romano manca ?
Marc. Porzio, non più : voflre parole lafciano Puntura dietro a lor : quando mai Giuba, O Porzio ancor, mi trapaflaro tanto Nella virtudc, e dell' onor nel corfo ? Tor^ Marco, la gencrofa indole tua Io ben ravvifo> che fe pur sù quella, Di difonor la minima favilla Cada, ella prende fuoco, e forge in fiamma. Marc. Vuol
fraterno foffrir pietà fraterna. Por^.
Il, Or muti at lengthgvvc up the World
to Cafar. Sempr. Noi ali the Pomp and
Majefly of Rome Can rat fa ber Senate
more tban Catos f re fame % Hit Vtrtues
render our Affcmbly awful, Tbey ftrike
ntsth fometbmg Itke religioni Fear And
make enfn Cafar trcmble at the Head
OfArmies fin fa d witb Conqaeft : 0 my Portiti, Could I but cali tbat ivondrous Man my Fatber
y Woùd but t'by Sifter Marcia he
propitiont To tby Friend / Vowt : I
migbt he blefad indeedi Por. Alas !
Sempronio, woud/i tbou talk of home To
Marcia, wbitti ber Fatbert Lifes in Danger ?
Tbou migbift at ivell court the pale trembling Veftal, Wben fbe beboldt the boly Fiume expiring. Sempr. The more Ifae the Wonders ofthy
Race The more Tm charm d. Tbou maft
takcòeed y my Portimi Tbe World bai ali
its Eyet on Catos Som. Tby Fatbert Merit
fan tbe* up to View, And fbowt tbee in
tbe f aere ft poi ut of Ltgbt, To make
tby Virenti ir tby Fomiti confatemi. Por.
Welldoft tbou feem to check my Lìngring bere
On tbit importuni Hour FU Jlruit avuay,
And -nobile tbe Fatbert of the Semate meet In Quefta mattina il picciol
fuo Senato [ Avanzi di Farfalia ] adunar
vuole, A confuicar fe ancora ei puote
opporfi Al torrente, che in giù
precipitofo Roma porta e i fuoi Dei : o
pure al fine Cedere il Mondo a Cefare.
Sempr. Di C. La prefenza fol può Roman
Senato Erger non men, che maeftà di Roma. Noltra affemblea fan reverenda Tue Virtudi, e infpiran un devoto orrore. E fanno ancora Cefare tremare Alla tefta d' altiere vincitrici Armate: Porzio mio, oh s' io potetti Padre appellar qucnV uom maravigliofo, E propizia la tua Sorella Marzia A i voti fu (Te dell* amico tuo; Veracemente io mi faria beato. ?or£. Ah Sempronio, vuoi tu parlar d'
amore A Marzia, or che la vita di fuo
Padre Sta in periglio ? tu puoi carezzar
anco Una Veftale pallida tremante, Che già miri fpirar la fanta fiamma. Semfr. Quanto le meraviglie di tua
ftirpe 10 feorgo, tanto più ne fon
rapito. Prenditi guardia, Porzio : il
Mondo tutto Tien gli occhi fuoi fui
figlio di C.. 11 merito paterno ponti
in vifta, E ti moftra di luce al più
bel punto, A far più chiari tuoi vizj o
virtudi. Por%. Incolpi con ragion la mia
lentezza Su queft* ora importante... Or
ora io parto : E mentre i Padri del
Senato fono Ci In In clofe Belate, to
iveigb tV Eventi ofJFar, TU ammcte the
Soldtcrs drooptng Courage, Wttb Lowe of
Freedom, and Contempt of Life. TU tbunder tn thetr Ears their Country s Caufe ? And try to rouje up ali tbais "Roman tn
*cm. not tu Mori ah to command Succefs, But veli do more y Scmprontus noe II deferve
it. [ Exit • Sempronius folus. Cnrfe on the Stripling ! bow be Ape's bis
Sire ? Rmbitioufly fententious ! But I wonder
Old Sypbax comes not j bis Numidtan Genius Is weli dtfpofed to Mtftbtef, were be
prompt And eager on it > but be muft
be fpurrd, And ciìry Moment qutckr.ed to
the Courfe. C. bas ufed me 111 : He bas
refufed Hts Daugbter Marcia to my ardent
Vorws. Befides, bis baffled Arms and
rutned Caufe Are Barrs to my Ambition.
Cafars Favour, Tbat fboisSrs down
Greatneff on bis Friends, wsll raife me
To Kome's firft Honours. If 1 give up Cato, I clatm in my Reward bis Captine Daugbter. Bnt Sypbax comes ! Syphax, Sempronius. Syph. Q Empronius, ali it ready, O l v w founded my Numidi ans, Man ly Man, Ami
Digitized by Google In ferrato
contratto a bilanciare Gli eventi della
guerra j V abbattuto E fcorrente
coraggio de* foldati Ergerò coir amor di
lìbertade, Col difprezzo di vita : al
loro orecchio Intonerò la caufa della
Patria, Ciò eh 1 è Romano in lor, dettar
tentando. Non è dell* uomo i) comandar
fortuna 3 Ma quel eh* è più, Sempronio,
è il meritarlo, parte Sempronio filo. Maledetto Garzon ! come fuo Padre Contraffa egli, c 'I fentenziofo affetta
! Stupifco, che Siface ancor non viene. Il fuo genio Numidico è ben atto Alla cattività; fufs* egli pronto; Ma d' uopo a ogni momento egli ha dì fprone. Meco non ben Caton s* è diportato. Rifiutato ha la fua figliuola Marzia A gli ardenti miei voti : in oltre V
armi Sue abbattute e rumata caufa Oftacol ranno all' ambizione mia. Il favore di Cefare, ed il fuo Piover grandezza fu gli amici fuoi Alzerà me di Roma a i primi onori. S* io tradifeo Caton, la figlia fua Sarà mio premio. Ma Siface viene. Ut
Siface, e Sempronio* Sif. Q
Empronio, tutto è prefto : ho io tentati
O Tutti i Numidi miei ad uno ad uno :
In And fini Vw ripe for a Remoli : Tbcy ali Complatn aloud of Catos Dtfcipltne, And watt but the Communi to clange their
Majler. Sempr. Believe me, Sypbax,
tberes no Time to wafie $ £ il vincitor
s* accoda, £ campo fopra noi prende a
momenti. L* attività di Celar non
conofe?, Che con tremendo corfo Io
precipita Di guerra in guerra : invan
formò natura Montagne e mari a opporli a
fuo paffaggio : Ei formonca in Tua
marcia, e varca tutto; SpiananG avanti a
lui Pirene ed Alpi : Per entro a i venti,
e V onde, e le tempefte La via fi fa
bramofo di battaglia. Un giorno più,
porrallo a noftre porte. Ma dimmi; hai
guadagnato il giovin Giuba? A Cefar ciò
si ti farà più grato, E ti farà più
vantaggiofo. Stf. Ohimè ! E* perduto,
Sempronio, egli è perduto. Son tutti i
fuoi pender delle virtuti Pieni di Caro...
Ma io vo provare Anco una volta [
perciocch' io V attendo Qui a momenti ]
s' ancor vincer poffo Quelle m aflìme
dure ed infleflibili Di fe, d* onore, e
di non so qu ai cofe, Che r indole
Numidica hangli guada, E tutta 1* alma
fua tinta ed infetta. Scmpr. Imprimigli
ben ben ciafeun motivo. Se Giuba fi
rcndeffe, poicrf è morto Il Padre fuo;
darebbe nelle mani A Cefar Y Affrica, c
farebbel Sire Della And mah btm Lord of
balf tbe buruing Zone. Syph. Bup is it trae, Sempronius, tbat your Settate Is calfd togetber ? Gods ! Tbou musi b'e
cauttous ! C. bas piercing Eyes,
andivill dtfcern Oitr Brands, unles (bey
re cover d tbtck isoitb Art. Scmpr. Let
me alone, good Sypbax, TU conceal My
Tbougbts in Fajjton ( *$$$ tbefureft *way > ) TU bello w cut for Rome and f or my Country, And moutb at Cafar ttll I fbake tbe Settate. Tour cold Hypocrtjjc's a ti ale Dewice y A wotm out Trick: Wonldsl tbou betbougbt in
Farne ftì Cloatb tbyfetgnd Zeal in Rage,
in Ftre, in Fury ! Syph. In trotb y
tbotirt ablc to inftrutl Grey bairs, And
teacb tbe wily African Deceit ! Scmpr
Once more, Le fare to try tby Skill on Jnba.
Mean *wbi!e FU baslcn to my Roman Soldiers, Infame tbe Muttny, and under band BlocJ »p tbeir Dijcontentt, tilt tbey break
out Unlocìid for, and dtf ebarge
tbemfehes on C.. Remembcr, Sypbax, we
muft work in Hafle : O thrà wbat anxious
Moment s pafs betwen Tbe Btrtb of Flots
3 and tbeir laft fatai Periods. Obi *tts
a dreadful Internai of Time, Ftltd up
isottb Horror ali, and big witb Deatb !
Deftrutlton bangs on c*vry Word we fpeak, On evry Tbougbt, *till tbe concludi ng
Stroke Determtncs ali, and clofes our
Dcfign. (
Exit • Syphaxfolus TU try ifyst I can reduce to Reafon Thit
«3( Della metà dell'infocata
Zona. Stf. E' egli ver, Sempronio, che
'J Senato Vollro s* adunerà ? Sii ben
guardingo : C. ha occhi sì acuti e penetranti, Ch' egli fi accorgerà di noli re frodi, Se ben non fi ricuoprono con arte. Sempr. Lafciami far, Siface : afeonder
voglio Dentro la paffione i miei
penfieri. Quefla è la via la più ficura
: io voglio Aito gridar per Roma e per
mia Patria Contra Cefar, Anch' io
fcuota il Senato. Le fredde ipocrifie
fon moda antica, E ufato giuoco. Eflfer
tu vuoi creduto Sincero ? vedi il
fimulato zelo E di rabbia, e di fuoco,
e di furore. Stf Inver tu puoi infimi r
vecchi anco fcaltri, E infegnar frode
all'Affocano ifteffo. Sempr, A Giuba
guadagnar tue arti impiega, Mentre al
Romano efercito m' affretto A
incoraggiar gli ammutinati, e loro Odii
infiammar, foffiando fottomano, Finché
impenfati rompan fopra C., Vuolfi,
Siface, qui celeritade. Quanto
angofeiofi padano i momenti Fra '1
nafeer di Congiure, e '1 fin fatale !
Oh qua 1 dubbio intervallo, afpro, e tremendo, Colmo tutto d' orror, pregno di morte ! Da ogni voce pende la ruina, Da ogni penfier, finché P ultimo colpo Termine ponga a perigliofa imprefa. farte. Siface foìo. Tentar vo*, s' anco pofso alla ragione D Rad-
TWj beadìlrong Youtb, andmake bìm fpurn at Cato. Tbe Ttme a Jbort,
Csfar comes rufbtng on ut Bnt boldl
young Julafeet me y and approdi bes.Juba, Syphax. Jub. O Tpbax, / joy to meet tbee thus alone. O ì ha*V* objemed of late tby Looks are
falYn y Cfcrcaft "ysottb gloomy
Cares 5 and Dtfcontent > 77>f » /f
// wrf, Sypbax, / coniare tbee, w, Wbat
are tbe T bonghi tbat hit tby Brow in Frownt y
And turn tbtne Eye tbus coldly on tby Prènce ? Syph. Tèi not my Talent to conceal my
Tbougbtt, • Nor carry Smtlet and
Sun-fbtne in my Face, Wben Dtfcontent
fits beany at my He art. I baue not yet
fo mucb the Roman in me. Jub. Wby doji
tbou caft ont facb ungenrout Termi
Againft tbe Lordi and Swreigm of tbe World ? Doft tbou not fee Mankind fall down he f or e
W, And 9 )» Il feroce deftriero, e Jo maneggia ? Chi meglio in truppe guida gli
Elefanti A ramaelt rati, carichi di
guerra? Quefte fon, Prence mio, quelle
fon Farti, Per cui non cede Zama vofìra
a Roma. Gtnb. Arti d'inferior ordine
fon quefte, Forza e perfezion d' o da e
di nervi. Più alto mira un'anima Romana; A formar rozzo e mal polito Mondo, E fottoporlo al freno delle leggi, E render l'uomo all'uom mite ed amico; Con fenno e difciplina e nobili arti Domefticar felvaggi, e ornar la vita. Tali arti fplender fan natura umana, Riforman l'alma, e i barbari fann'
uomini. S/f. O Cieli, fofferenza / d'
un uom vecchio Sia feufato il calor:
quali fon quefte Mirabili arti, e Romana
vernice, E pulito contegno, che cotanto Fan domeftico l'uomo, e civilizzalo? Buone non fon, che a mafeherar gli affetti, E dal volto feordar fare i penfieri, E frenar la natia voga dell'alma, E romper Aio commercio colla lingua, E in altre creature trasformarci Contra il difegno di Natura e Dio. Ciuk Perchè tu taccia, volgi gli occhi a
Cato. In lui rimira, quanto predo a
Dio Virtù Romana innalza un uom
mortale. Per gli amici follecito,
indulgente, A fe fteftb fevero, il fonno
niega, Il ripofo, ed il comodo, ed
il Col- He ftriues witb TbnJI and
Hungcr, Toil and Heat; And wb:n bts
Fortune fets before btm ali • Tbe Bomps
and Bleafures tbat bis Sortì can wifb y
Hts rtgtd Vtrtne wtll accept of none.
Syph. Bcltcvc ine, Prtnce, theres not an Afri can Tbat tra'verfes our wafi Numtdtan
Dejarts In qtteft of Prey, and Iwes upon
bis Bow, Brtt better praclifes tbefe
boafted Virtues. Coarje are bts Meals,
tbe Fortune of tbe Cbafe, Amtdft tbe
rttnmng Stream be Jlakes bts Tbtrfl,
ToiFs ali tbe Day, and at tb' approacb of Ntgbt On tbe firft friendly Bank be tbrows btm down, Or rejìs bts Head upon a Boti "ttll Morn
: Tben rifes frefb, pttrfues bis wonted
Game, And tf tbe followtng Day be chance
to fini A fiew Repafl y or an untafled
Sprtng y Bleffes bts Start y and tbtnks
tt Luxury. Jub. Tby Prejudices, Sypbax,
wont dtf certi Wbat Vtrtues growfrom
Ignorance and Cboice y Nor bow tbe Hero
dtffers from tbe Brute. But gtant tbat
Otbers coti d witb equal Glcry Look do
cjn on Pleafuret and tbe Batts of Senfe 5
IV bere fiali we find tbe Man tbat bears Affiitlion, Great and Majefttck in bts Griefs, ìtke C. ? Heaiins y wttbwbat Strengtb, wbat Steadtnefs
ofMind, He Triumpbs in tbe mtdft of ali
bts Sujferings ì How does be rife againll
a Load of Woes, And tbank tbe Gods tbat
tbrow tbe IVetgbt upon btm \ Syph. T## Bnde y
tank Bride y and Havgbttnefs of Soul; /
tbink Colla fete combatte, e colla famcj
Collo ftento, col caldo : e quando ancora Tutte le pompe ed i piacer del Mondo A contentargli l'alma s' offerì fsero, Sua rigida virtù rigctterebbegli. S/f. Credimi, Prence: non ci è
Affricano, Che varchi noftre vafte erme
contrade Di preda a inchieda, e di fuo
arco viva, Che tai virtù meglio non
metta in opra. Rozzo mangiar ciò che gii
da la caccia : Nel corrente rufcel
traflì la fete; Tutto il dì (tenta, e
quando vien la notte Gettali filila
prima amica ripa, O fopra rupe la fua
tetta pofa Infino a giorno. Pofcia
frefeo ci forge A profeguir fuo giuoco:
e fe'l vegnente Giorno accade eh' ci
trovi un nuovo pafto, O fcaturire un non
guftaro fonte, Dio benedice, e crede
effer ciò ludo. Ginb. La tua prevenzion
quelle virtudi Da non faper prodotte, da
queir altre, Che figlie fon d' elezione
umana, Nè dal bruto diftinguer fa
l'eroe. Ma porto che con egual gloria
fprezzi Altri i piaceri e il lufinghevol
fenfo, Dove fi troverà mai un C. Nel fuo dolore maeftofo e grande ? Dei ! con qual fermo e valorofo cuore Nel mezzo a i fuoi fofFriri egli trionfa, Sotto T incarco de* fuoi guai s' innalza, £ di quel pefo ne ringrazia i Numi / Sif. Orgoglio è quefto, e Romana alterigia, / ri/ffl the Romani cali tt Storci/m. Had aot your Royal
Fatber tbougbt fi b/ghty Of Roman
Virtù* y and of Catos Caufe y He had
not fui In by a Slave'; Hand inglorious :
Nor would bis slangbterd Army now baue lain On Africk's Sands, dtsfigurd iutth their
Wounds, To gorge the IFohes and
Vttltures of Numtdta. Jub. IV by doft
tboa cali my Sorrows np afrejb ? My
Fatber s Name brtngs Tears into my Eyes.
Syph. Oh, tbat youd profit by your Fatber s tilt ! Jub. JVbat ivortd(i tbou baie me do ? Syph. Abandon tato. Jub. Sypbax, / fiori d be more tban twice
art Orpban Byfucb a Lofi. Syph. Ay, tbere's the Tie tbat binds you
! Toh long to cali bim Fatber. Marctas
Cbarms Work in your He art unfeen y and
pie ad f or C.. No 'wonderyou are deafto
ali I Jay. Jub. Sypbax,your Zeal
becomes importunate; httherto permitted
it to rame, And talk at large 5 but
learn to keep it in, Leaft tt fio» Id
take more Freedom tban VII gfae it.
Syph. Sir, your great Fatber newer ujed me tbus. Alas, he s Dead ì But canyou eer forget The tender Sorrows, and the Pangs of Nature
3 The foud Embraces, and repeated
Blvjjìngs, Wbtch you dreisofrom bim in
your laìt Fareivel ? Sttll muft I
chertfb the dear fad Remembrance, At
once to torture and to plcafe my Seul. Chiamata da lor, credo,-
Stoicifmo. Non avtfle il reale padre
voftro Tanto avuto concetto del
Romano Valore, e della caufa di C.; Non faria fenz'onor così caduto Per man fervile: nè Tarmata Tua Sconfitta giacerla fu gli arenofì Campi d'Affrica, caica di ferite A ingraffar gli avoltoi della Numidia. Giub. Perchè vuoi rinnovar mio cruccio
atroce? Chiamami al pianto di mio padre
il nome. Sif. Oh profittale delle fue
fciagure / Gtub. Che vuoi eh' io faccia?
S$f. Abbandonar C.. Giub. Orfano mi
farei più di due volte. Sif. Oh, il
vincolo è quefto che vi lega ! D
l'aerare di chiamarlo padre. Di Marzia
i vezzi opran fui voftro cuore Quelli fon gli avvocati di C., E a tutto quel ch'io dico vi fan fordo. Giub. Siface, voftro zelo efee
importuno. Fin qui di vaneggiare io t'
ho permeffo, E parlar largo; ora a
frenarlo impara, Nè voler franco effer
più eh* io non voglio. Sif. Sir; non sì
meco usò voftro gran padre. Laflb/ egli
è morto: ed obbliar potete I teneri
dolori, e le trafitte Di natura, ed i
cari abbracciamenti Le replicate
benedizioni, Ch'egli vi diede nelf
cftremo addio ? E' d' uopo eh* f
accarezzi la foave Trifta rammemoranza,
onde ne fente Tormento in uno, e
compiacenza l'alma. E II Di Tbe good old King, at parting, wrung my Hand
9 ( Hts Eyes brim-full of Tears ) tbeu
figbtng cryd, Prttbce be careful of my
Som ! hts Grtcf Swelfd uf fo htgb be
coudnot utter more. Jub. Alas, tby
Story mclss away my Soni. Tbat beft of
Fatbers ! Ixrw /ball I dtfebarge Tbe G
rat nude and Duty, nsJbteb 1 o*we bim !
Syph. By ìaytng up bts Counctìs tn your He art. Jub. Hts Counctìs bade me yteld to tby
Dtretltons; Tben, Sypbax, cbtde me tu
jevercjl Terms, Vcnt ali tby Pajfton,
and III fland tts fbock, Cairn and
unruffled as a Summer-Sea, IV ben not a
Breatb of IVtnd fltes oer its Sur face.
Syph. Alas, my Prtnce, ld guide you to your Safety. Jub. I do beitele tbou ivoud/i i but teli me
bovu ? Syph, Flyfrom tbe Fate tbat
follorws Cdjars Foes. Jub. My Fatber
feornd to dot. Syph. And tberefore
dyd. Jub. Better to die ten tboufand
tboufattd Deatbs y Tban isoound my
Honour. Syph. Ratber fay your
Lame. Jub. Sypbax y l ite promtsd to
preferve my Temper. Wby wilt tbon urge
me to confefs a Fiume y 1 long bave
fitfled, and woud fatn conce al ? Syph.
Beitele me, Prtnce > 'tts bard to conquer Love y But eafie to drvert and break tts Force
: Abjence mtgbt cure tt, or a fecond
Mtflrefs Ltpbt up anotber Flame, and fut
out tbts. Tbe glowsng Dames of Zamds
Royal Court Have Faces flu[bt -witb more
exalted Cbarms. Tbe Sun, tbat rolls
bis Cbariot oer tbeir Headt, Works up
more Ftre ani Colour tn tbetr Cbcckt :
Were Il buon vecchio al partir la man mi ftrinfe [ Gli occhi pieni di pianto ] c fofpirando Di ile; Deh cura abbi del mio figliuolo. E '1 gonfiato dolor così fe crollo, Ch* egli più non poteo formar parola. Gtub. Latto ! il racconto tuo mi ft r ugge
1* Alma. Ottimo Padre / come potre*
io Adempir verfo lui i miei doveri
? Sif. Gli avvifi fuoi nel voftro cuor
ferbaee. Gtub. Quefti tur di feguir gì*
indrizzi tuoi. Co' termin più feveri
adunque bravami, Siface : sfoga pur
tutto il tuo sdegno; AH' impeto di lui
ftarommi quieto £ tranquillo, qual mar
di (late, in calma \ Quando nè pure un
venticcl 1* increfpa. Sif. Prence, mia
mira è fol voftra falvezza. Gtub. C
redolo j ma qual via ad effer falvo ?
Stf. De i nemici di Cefar fuggi il fato. Gtub. Mio Padre ciò sdegnò. Stf. Perciò
morio. Gtub. Mille volte morrei, che
fare oltraggio Al mi* onor. Stf. Dite
pure, al voftro amore. Gtub. Data ho
parola già di (tarmi quieto. Perchè
forzarmi a palefar la fiamma Chiufa
tenuta, e eh* io pur vo* celare? Stf.
Prence, amor fuperare è forte cofa; Ma
romperlo è leggiera, e divertirlo.
Lontananza lo farà, od altro amore
Accende un* altrafiamma, e eftingue quella. Le Dame alla Real Corte di Zama Splendono accefe d* un più bel vermiglio. Il Sol, che fu (or tette il cocchio gira, Le guance tinge in più vivace fuoco. E 2 Quc-Were yon
ivìtb tbefe, my Prtnce,youd foonforget
The pale unripend Beauttes of the Nortb. Jub. Tts not a Sett of Fatture:, or Compie
xio» y The Ttnfiure of a Sktn, tbat I
admire. Beauty [oon grows famtltar to
the Louer, Fades in h/s Eye y and palls
upon the Senfe. The nìtrtuous Marcia
towrs abo*ve ber Sex : True y [he is
fair, [ Ob 3 bow dtutnely fair ì ] But
ftìll the ìcvely Matd improbe s ber Charmi
Wilb inward Greatnefs, «naffctled Wtfdom, And Santltty of Manners. Catos Soul Shtnes out tn enery tbtng (he atls or fpeakf, Wbtle isoinning Mtldnefs and attrattive
Smilcs Dwell in ber Lookf, and - with
becoming Grace Soften the Rigour of ber
Fatbers Vtrtues. Syph. How does yottr
Tongtte gro-w u)anton in ber Praife §
Bnt on my Knees I begyoa isooud confider Enter Marcia, and Lucia. Jub. Bah ! Sypbax 5 f/V not fbe ! - Sbe mowes tbis Way; And njttb ber Lucia, Lucius s fair Daughter, My Heart beats tbick • I prttbee Sypbax lea
*o «yi Troops, «^«(/ /ir* ffo/r langutd
Souls witb Catos Vtrtue; If e' re I Uad
tbem io the Fteld y wben ali The lì ar
Jball ftanà ranged m tts juft Array, And
dreadful Fomp : 1 ben wtll I tbtnk on ti: se l
0 lowely Matd, Tben wtll I tbtnk on Tbee ! And, in tbe Jbock of cbarging Hcfts,
remember U'bat glonous Deeds fboud grate
tbe man, wbo bopes Ter Marcia s Leve. Lue. Marcia, you re too federe : Hgvd ccud you cbide te young goodnatured
Prince, And drt*vc htm f rem you witb fo
ftern an Air, A Prtnce tbat Icves and
dotet on you to Deatb ? Mar. T/x
tberefore, Lucia, tbat 1 cbtde htm front me
Hit Air, bts Voice, bis Locks y and bonetl Sotti Speak ali fo mwingly in bis Bebalf, 1 dare not truft my felfto bear btm talk. Lue. IV ly ivi II you fighi agatnft fo fweet
a Paffton y And fi rei yeur Heart to
fucb a World of Cbarms ? Mar. Hciv,
Lucìa, ivoudft tbou baie me fink away In
fleajing Drcams, and lofe my felf in Leve y
Wen enìry moment Catos Ltfes at Stake ?
Cafar comes arnid witb Terror and E^venge, And atms bts Tbunder at my Fatbers Head
: Sboud not tbe fad Occafion fwallow
up My otber Cares, and draw tbem ali
tnto it ? Lue. Wby baie not I tbts
Conftancy ofMtnd y Wbo Nè tanti cari momenti perduto. Giub. Sono giudi i rimproveri,
Donzella Valorofa : nV invio alle mie
truppe Col valor di C. a infiammar V
alme. Se mai ai campo condurrolle,
quando La battaglia fchierata fi
preferiti In fiera pompa; in te terrò
il penfiero, Vaga Donzella, in te terrò
il penfiero: £ nel più forte della dura
zuffa Sovverrommi, quai fatti
gloriofi Un* amante fregiar deggian,
che afpira AH* amore di Marzia.
fané Lue. Sete,o Marzia, Troppo fevera. Come il cuor fofTrio Di fgridar così buon giovine Prence, E fcacciarlo con aria così torva, Prence, che v' ama più della fua vita ? Marifr Per quello, Lucia, da me lo
difeaccio. L' aria, la voce, il guardo,
il gentil core Parlan per lui con tal
podente incanto, Che d' udirlo parlare
io pur non ofo. Lue. Perchè combattere
un fi dolce affetto? Perchè indurare a
tanti vezzi il core ? Mar^ Come mai,
Lucia, vuoi eh* io mi disfaccia In
piacevoli fogni e in folli amori, Orche
in cimento èognor vita di Cato? Vien di
vendetta e di terrore armato Cefare, e
di Caton mira alla teda II fulmin fuo :
la trifta congiuntura Impiega tutti
quanti i miei penfieri, E sì gli unifee
e rinconcentra in ella. tue. Se tanti ho
io così gravofi affanni, F P Ih fond
Compiami Have Perchè una tal fermezza
non m' è data ? Fcmmi natura di più
molle parta, Co' più teneri affetti
infievoiimmi, £ caricò Copra il mio
debol fedo: Pietà e Amor dittringommi a
vicenda. Mar%. Lucia, le cure tue fopra
me pofa; Mettimi a parte de* tuoi cupi
affanni. Dimmi, chi detta in te quello
conflitto? Lue. Non ho da aver rollar di
nominare I tuoi fratelli, e figli di C.. Mar%- Coli' occhio di lor fuora ambi ti mirano, E il loro amor fovente hanmi fvelato. Ma dimmi, qual de i due più favorifei? Bramo faperlo, c pur temo d* udirlo. Lue. Qual 1 è quegli, che Marzia brameria
? Mar^. Niun de due, - e forfè anco
amenduni - Di Marzia nelle brame hanno
egual parte I giovani, e dividon la
forella. Ma dimmi: Lucia qua* di loro
elegge? Lue. Marzia, ambo fon nella mia
(lima grandi, Ma nel mi* amor... perchè
vuoi tu eh' io '1 nomini Ben tu fai,
come è cieco amore e folle, II qual, ne
fa perchè, vuole e difvuole. Mar%. Lucia,
io fon perplcffa. O dimmi, quale
Appellar deggia il mio fratel felice.
Lue. Se foffe Porzio, me 'n da re (le biafmo ? O Porzio, m* hai involata Y alma mia. Con qual leggiadra tenerezza egli ama ! Spira i difii più fchictti, e più gentili. Verità, cortetla, mafehia dolcezza Pulifcon le parole ed i penfieri. Fervido è Marco, e impetuofi troppo F 2 Sono
*3( 44 )fr /firw mncb
Farr.ejìnefs and PcJJton in tbem\ 1
bcur bim ivitb a /cerei kind of Dread y
And tremile at bis Vebemence of Temper
Mar. Alas poor Tontb ! low cari fi tbou tbrow bim front the
? Li: :ìa, tbou knormB not balf tbe
Love be bears tbee\ H benecr be jpeaks
of ti ce, bis Hearfs in Flames, lls
fendi ottt ali bis Soul in ewry Word, ,
'mi tbixks, and talks, and looks like one tranfportcd. Vnbappy Tontb! boiu v/ill thy CoUnefs
raife . i t v pijis and Stcrms in bis
ajflicled Bojom ! I dread tbe
Conjeqnence Lue. Toh feem to plead Agaìnfl your Bratber Tortius ~~ Mar. Heanin
forbiti Hail Ter t iris btcn tbe
unfuccefsful Lonjer y Tbe ft;;?;e
Cofzpfffìofi ivoud baite falTn on bim.
Lue. Wus ever Virgin Loie dì/ìre/l like mine! T ert ivi bimje.fcft falls in Tears before me
y /it if be mournd hit Rival's ili
Succefs. Tben liJs me bidè tbe Motions
of my Heart, Nor fbow wbicb Way it
turns. So mneb be fears The (ad Fjfetts,
tbat it ^ould bame on Marcus. Mar. He
knor&s tco xoell boisj eafly bc'sfired,
And -xijorìd not plunge bis Brolber in Defpatr, But isjaits for bappier Times, and kinder
Moments i Lue. Alas % tco late Ifindmy
felf fn*vohed Ln endlefs Griefs and
Labyrintbs of Woe y Eh» to affici my
Marcia" s Family, And fow
Diffention in tbe He art s of Brotbers.
Tormentine Tbonght ! it cuts into my Soul. Mar. Lct us not y Lncia, aggravate our
Sorrowt y But to tbe Gods permit tU
Euent of Tbinps. Our Li'ves, difcolonrd
witb our prefetti ìVoes, May flill
gro-jj hrtgbt, and Sono anco i fuoì più teneri lamenti. Un fegreto timor provo in udirlo, £ tremo a) fiero fuo genio bollente. 2Aar%. Povero giovin / perchè sì
cacciarlo? Lucia, non fai a mezzo,
quanto ci t* ama. Quand* ei parla di te,
fuo cuore avvampa : E in ciafcun detto,
Y anima efce fuore : Ne i penfier, voci,
fguardi, egli vaneggia. O fventurato !
quante a lui nel feno La tua freddezza
fveglierà tempefte ! V efito io temo.
Lue. Par, che voi facciate Contro 'I
voftro fratel Porzio la caufa. Mar%.
Tolgalo il Ciel, fe Porzio flato folTc
Un* infelice amante, la msdefma
Compadrone avrebbe avuta in forte.
Lue. Fuvvi amor di donzella al mio limile? Porzio d' avanti a me dà fpeffo in pianti, Come di fuo rivai piangendo il fato. Poi vuol, eh* io celi del mio cuore i
moti, E non moitri la via, end' ei fi
porta. Tanto per Marco i tritìi effetti
teme. Mar%. Sa quanto facilmente egli
fi accenda, Nè vuol giammai, che il fuo
fratel difperi, E i momenti più comodi
egli afpetta. Lue. Tioppo tardi mi
trovo inviluppata Di guai in labirinti,
e immenfe doglie, La cafa a affligger di
mia Marzia nata, E ne i cuor de i fratti
difeordia porre. Tnfto pender, che V
alma mi divide ! Mar^ Lucia, non
aggraviamo i noftri duoli. Delle cofe
gli eventi a i D i lafctacno. Le nolhe
vite or torbide di guai Goder « ( 4* ) 8» • and fmile isSitb bappicr Hourt. So tbe pure limptd
Stream y *wben foul 'wìtb Status Of
rujbing Torrenti, and defeendivg Rains,
Works ìt felfclear, and as it rum, refines \ Tilt by Degrees, tbe fioating Mirrour jbines, Rtfletts eacb Floisor that on tbe Border
gro-ws, And a neuo Hca And cnvics us cvn Ubyas fultry Defarts. Fatbers, pronounce your Tbougbts, «tv,/?///
j£r* 7*0 £o/ Stili may you fi and bigb in yonr Country s
Honours y Do but comply, and makeyour
Peace ivitb Cafar. Rome isoill rejoict,
and casi its Eyes on C., As on tbe
Second of Mankind. Cito. No more ! I muft not tbink of Life on fucb Conditions. DtC. Cafar is well acquainted miri you*
Virtues, And tberefore fets tbis Vaine
on yonr Life : Let bim but know tbe
Price of Catos Friendfbif, And nume yonr
Terms. Cato. Bid bim disband bis
Legions, Reflore tbe Common ive alth to
Liberty, Submit bis Afcons to tbe
Publick Cenfure, Da trattar non avete
col Senato ? Dee. Mio negozio è
con C. : vede Cefare V anguftie, nelle
quai voi vi trovate : E come eh' ei V
alto valor conofee Di C., gli cai della
Tua vita. Cat. La mia vita è di Roma al
fato unita » Vuol falvar C. ? la fua patria
ei falvi. Al voftro dittator ditegli
quefto: Ditegli, che Caton sdegna una
vita, Cui egli in dono ha d' offerir la
poffa. Dee. Roma e '1 Senato riconofeon
Cefare. Più non fon già quei Generali c
Confoli, Ch* arreftarfue conquifte, e
fuoi trionfi. Perchè a un tal Cefar non
è amico C. ? Cat. Quett* ifteffe ragion,
che porti, il vietano. Dee. C., ordini
ho io di fare inftanza, £ ragionar con
voi, come da amico. Guardate alla
borrafea, che s' aduna Sul voftro capo,
e di fcopplar minaccia, Alti onori
occupare in voftra Patria Potete ancor,
purché cediate al tempo, £ fia pace tra
Cefare e C.. Godranne Roma, e mirerà C., Come dell' uman genere il fecondo • Cat. Non più : vita non voglio a tal partito. Dee. A Cefar note fon voftre virtudi, Perciò tanto valuta voftra vita. Della voftra amiftà ditegli il prezzo E le condizioni. Cat. Che licenzi Le Legion, la libertà alla Patria Reftituifca, i fatti fuoi fommecta Alla Cenfura publica, e sì ftiafi H i
the Jndgment of a Roman Settate. Bid bim do tbis, and Caso is bis Friend. Dee. C., the World talk's londly ofyour
Wijdom C.. Afcy/, Catos Voice was ne\r employd
To clear the Guilty, and io marnifb Crime:, My fa ffwill mount the Refi rum tn bis Fawour
y And flrinje to gain bis Fai don from
the Feofle. Dee. A Stile like tbis
hecome's a Conqueror. C.. Decius, a Stile like tbis hecome's a Roman. Dee. What is a Roman, tbat is Cafars Foe
? C.. Greater than Cafar, bes a Friend to Virtne. Dee. Confider, C., yonre in U tic a s And at the Head ofyour own little
Senate; Ton dont now ti under in the
Capito!, Witb ali the Mouths of Rome to
fecond you. C.. Let him confider Tbat wbo driues us bit
ber : *Tis Cafars Sword bas made Rome's
Senate little 9 And thinnd its Ranks.
Alas, thy dasglcd Eye BeboltPs tbis Man
in a falfe glaring Ligbt, Whicb Conqueft
and Saccefs baie thrown ufon bim; D'vlft
thon hut But y by the Gods I fwear,
Millions of Worlds Shoud nenser bay me
to he like tbat Cafar. Dee. Dos C.
fend tbis Anfwer back to Cafar,
For Alla fentenza d un Roman
Senato : Ch' ei faccia quefto, ed è Tuo
amico Cato. Dee. Caton decanta il Mondo
il voitro ferino Cat. Ancor di più;
benché non mai la voce Di Caton s*
impiegale a purgar rei, O a colorir
delitti > tuttavia Io dello
monteronne fopra i roftri A ottenergli
dal popolo il perdono. Dee. Quefto
ftile convienfi a un vincitore. Cat.
Decio, quefto convienfi ad un Romano.
Dee. Che Roman? Chi è di Cefare nemico ? Cat. E' più che Cefar, chi è a virtute amico. Dee. Confiderà, Caton, che tu fei in Ucica, £ a tuo Senato picciolo prefiedi; Tu non fulmini aderto in Campidoglio Di Roma favorito dagli applaufi. Cat. Lo confideri quel, che ci ha qua fpinti; Spada di Cefar fe il Roman Senato Picciolo, ed il fuo numero ha feemato. Latto / Che gli abbagliati lumi tuoi Miran queft* uomo in una falfa luce, Onde i felici eventi circondaronlo ! Mirai diritto, e sì *1 vedrai tu nero Di tradigion, micidio, facrilegio, £ d' altri brutto ancor gravi delitti, Che percuoton d* orror 1* anima mia, Che fi fpaventa folo a nominargli. Io fo, che mi riguardi qual mefehino Cinto di mali, e colmo di feiagure; Ma giuro per gli Dii, milion di mondi Non mi farebber mai effer qual Cefare. Dee. Tal rifpofta C.
a Cefar manda jftv *// bis genrous
Care*, « nà profftrd Friend/hip ? Cato.
tiis Caresfor me are infolent and uain :
Prefumptuous Man ! The Gods tuie Care of C.. IVoud Cafar fbow tbe Greatnefs of bis Sorti
y Bid bim cmploy bis Care for tbeje my
Friends y And rnake good ufe of bis ili
gotten FoitSr, By fbeltring Men mucb
better tban bimfclf. Dee. Tour bigb
unconquerd Heart makes you forget
Tbatyoure a Man. Tou rufb on your Dejhutlion. But Ibave done. Wben I relate bereafter Tbe Tale of tb 'ts unbappy Embaflìe Ali Rome ivill be tu Te ars. [ exit Deci
US Sempr. Cato, uve tbank tbee. Tbe migbty Genius of Immortai Rome Speak' s in tby V oice, tby Soul breatb's
Liberty : C^far -will Jbrink to bear tbe
ll 'ords tbou utterft, And fbudder in
tbe miJft of ali bis Conquefts. Lue.
Tbe Senate owns its Gratis ude to C.,
IVbo isoitb fo great a Soul confulis its Safety, And guarà* s ourLives, nobile be negletTs bis
onson. Sempr. Sempronius giws no Tbanks
on tbis Account. Lucius feemsfond
ofLifcy but Per tutte lue sì generofc cure,
E per fua amiflade a lui proferta ?
Cat.
Per me fue cure, ed infoienti, e vane:
Prcfontuofo ! cura di C. Prendon
gli Dei : vuol Cefare moftrare Del fuo
cuor la grandezza? digli, che In quefti
amici miei Tua cura impieghi y Ed il
malprefo Tuo poter ben ufi In protegger
migliori di fé fteflfo. Dee. V altiero
voftro, ed indomabil core Obbliare vi
fa, che voi fete uomo. A voftra certa
diftruzion n* andate. Ho detto; ma
quand' io narrerò pofeia D*efta
Ambafciata V infelice evento,
Diftruggeraffi tutta Roma in pianto. parte Decio .
Sempronio, Lucio, e C... Sempr. Ato a te grazie noi tutti Parla in tua voce il Genio potente Di Roma eterna, e *i cor libertà fpira. Cefar sbigottirà la tua rifpofta, E tremerà in mezzo alle conquide. Lue. II Senato a C. il fuo buon grado Confetta; che con alma cosi grande Confulca del Senato la falvezza, E difende le noft re proprie vite, Mentre la propria fua mette in non cale. Sempr. Sempronio
non ringraziati per qucfto. Lucio tenero
fembra della vita 5 but wbat is Life
ì % Tis not toftalk ahout, and drawfrefb
Air From time to time, or ga^e upon tbe
Sun 5 % Tis to he f ree. When Liberty is
gotte, Life grorwt injipid, and bat loft
its Relifb. O coud my dying Hand but
lodge a Sisjord In C& fars Bofom,
and reixnge my Country, By Heavns Icond
enjoy tbe Pangs of Deatb y And Smile in
Agony. Lue. Otk rs perbapt May ferve tbe ir Country witb at warm a
Zeal, Tbo % tis not kindled imo fo ntucb
Rage. Scmpr. Tbis fober Conduci ts a
migbty Vertue In luke-warm Patriot s. C.. Come ! no more, Sem proni ut, Ali bere are Friends to Rome, and to eacb
otber. Let ut not vveakcn ftill tbe
weaker Side, By our Dnjìfions. Sempr. Cato, my Refentments Are facrificed to Rome 1 fi and reproved. Cato. Fatbers, >*# time you tome to a
Refolve. Lue. C., isje ali go into your
Opinion. Cafars Bebaiìiour bus convìneed
tbe Senati Wc ougbt to bold it out tilt
Terms arrive. Scmpr. We ougbt to bold it
out till Deatb i but, Cato, My private
Voice is drown d amid tbe Semate 's.
Cato. Tben let ns rife, my Friends, and ftrive to fili Tbis little Internai, tbis Paufe of Life, [ IVbile yet our Liberty and Fates are
doubtful ] IVitb Revolution, Frìendfbip
f Roman Brani ry, Aad ali tbe Virtues
isjc can crowd into it; Tbat *S )fr
Ma che è vita? Non è in piede ftarfi^
E la frefea aria trar di mano in mano,
O il Sol mirare; è libero efler, vita.
Allorché Libertà è andata, viene
Infipida la vita, e foiza gufto.
Piantaffe pur mia moribonda mano
Dentro il feno di Cefare una fpada 9
E così vendicaffi la mia Patria !
Per Io Ciel goderia della mia morte,
E nella mia agonia io riderei.
Lue. Per ventura altri può fervir fua Patria Con così caldo zel, bench' ei non Ca Da tanta rabbia e furia infiammato. Sempr. A i tiepidi amatori della Patria Sobria condotta è una virtù poflente. Cat. Non piò : Sempronio, tutti Cam qui
amici A Roma, e Y uno all' altro; ah non
volere Infiacchir la già troppo debol
parte Per noftre divifion. Sempr. Caton
de i miei Rifcntimenti un facrificio io
faccio A Roma, e a voftri rimproveri io
cedo. Cat. Padri, qui di rifolvere fia
d' uopo. Lue. Tutti in voftro parer,
qui fiam concordi. Cefare per fuoi modi
fa rifolvere Al Senato, che attendanti
1' offerte. Sempr. Anzi la morte 5 ma,
Caton, la mia Voce non è più udita.
Cat. Andiamo, Amici E temiam riempir
quefto intervallo Picciolo, quella
paufa della vita [ Mentre libertà
noftra, e faro pende ] Di coftanza,
amicizia, e cuor Romano, E di tutte
virtù, che entrar vi ponno; *( 66
)>• That Hearìn may Jay y U ougbt to
le prolong i. Fatbcrs, fareweli Tbe young
Numidian Trina Comes for-ward) and
expetfs to know ottr Connetti. [ exit
Sena to rs. cntcr Juba • C..
Juba 5 ibi Roman S enate bas reJoln)d y
Till Time gi luba, il Roman Senato ha rifoluto \J Attender miglior tempo: e fguainata Contra Cefar tener Ja fpada intanto. Giub. Quefto conviene ad un Roman Senato. Soffri, C., e condifeendi alquanto Ad un giovane udir. Mio Padre, quando Alcuni giorni avanti la Tua morte Di marciare per Urica ordinommi, [ Laflo ! fua morte io non credea sì preflò
] Piangendo mi firingea in fue vecchie
braccia. E come il duol gli permettea :
mio figlio, Dille [ qual forte avvenga
al Padre tuo ] Sii di C. amico; egli
alle illuftri £ valorofe imprefe a Ile
vera rt i : Tu ben Y oiferva;
apprenderai da lui, O fchivar le
(venture, o fopportarle. Cat. Giuba, era
un degno Principe tuo Padre, E degno (
ahi Jaffo ! ) di miglior dettino >
Ma altramente difegnaro i Cieli.
Giub. Il deftin di mio Padre, ad onta ancora Di tutta la fortezza, che- rifplende Nel vivo e grande efempio di C., L'anima doma, e gli occhi empie di
pianto. Cat. E' un onefto dolore, e ti
ila bene. I i Giub. Fca- Jub. My Vatber drew
Refpecl front forcìgn Climes : The Kings
of Africk fought bim for tbsir Friend;
Kittgsfar remote, that rule, as Fame r efori*, Behind the btdden Som ce s of the Nile, In diflant JVorlds, on iother fide the
San: Oft bave the ir Hack Amhaffadors
appeard y Loadett witb Gifts, and fiWi
the Court s of Zama. Cato. / am no S
franger to thy Fathers Greatnefs. Jub.
Iwould Kot boaìi the Greatnefs of my Fatbcr,
Bttt poÌKt out new Alliances to C..
Had we not better leave tbis Utica,
To arm Numidia in our Caufe, and court
Tb % Ajjtftancc of my Fathers powrful Friends t Did tbey know C., our remoteft Kings Woud pour embattled Multitudes about bim;. Their fwartby Hofts wottld darken ali our
Flains y Doubling the native Horrour of
the IVar 5 And making Deatb more grim. Cato. Andcanft thou thivk C. will
fly before the Sword of C&far ?
Reduced, like Hannibal, to feek Relief
From Court to Court, and wander up and down y A Vagabond in Africk ! Jub. C., perbaps Tm too cjficious, bttt my forward Cares JVoud fatn preferxe a Life of fi mucb
Vaine. My Heart is wounded, wlen I fee
fucb Virtue Affiitled by the Weight of
fueb Mhfortunes C.. Thy Hoblenefs of Soni obliget me.
Gìtìb. Feano a mio Padre ftrani climi onore :
Cercavan fua amiftà Regi Africani,
Remotiflìmi Re, che come fama
Rapporta, dietro alle nafcofe fonti
Del Nilo regnano, in lontani Mondi,
Di là dal Sol : fovenje fon comparii
Lor negri Ambafciator, carchi di doni,
Ed empiute di Zama hanno le Corti.
Cat. Della grandezza di tuo Padre ignaro
Non fon. Givi. Non la decanto; ma fol voglio Additare a Caton nuove allianze. Non è il miglior, quefV Utica Jafciare Per armare Numidia in noftra caufa, E cercar 1' aflìftenza de' potenti Amici di mio Padre? Se a ior noto Fotte C.; i più remoti Regi Turbe battaglierefche intorno ad eflo Verferian pronti : Ior morefche armate Ofcureriano tutti i noftri piani, Della guerra l'orror natio doppiando, E crefcendo alia morte lo fpavento. Cat. E puoi penfar che C. fuggir voglia Così di Cefar d'avanti alla fpada, Ridotto, come Annibale, a cercare Di Corte in Corte mendicando aita, E per T Affrica errare vagabondo ? Gìnb. Caton, forfè eh' io fon troppo
officiofo > Ma P ultronee mie cure
volentieri Prefervar voglion vita di tal
pregio. Vien ferito il mio cuor, quand'
io rimiro Un tal valor, di tai fventure
afflitto. Cat. Tua nobiltà di cuor molto m* aggrada • Ma
Digitized by Google Bnt faow,
young Prince, /taf V atout foars alone
Wbat the World calli Misfortune and Afflicìion. Tita/ff, I cortld piene myHcart, MjfooJifù He art ! Was ever Wretcb Vile Juba
f Syph. Alas, tny Prince boisj are you
ebanged of late ! Fve known young Juba
rife, before tbe San y To beat tbe
Tbicket vjhere tbe Tyuer flept, Or feek
tbe Don in bis dreadfnl Haunts : Ho-w
àid tbe Cclour mount into yo&r Cbecks,
IV ben firfì you rotti d bim to tbe Cbace ! Tve feen you Eva in tbe Lybian Dog- day s bunt btm
down, Tben ebarge btm clofe 3 protoke
bim to tbe Rage Of Fangs and Claws, and
ftooping from your Horfe liivet tbe
panting Savage to tbe Ground, Frisbee y
no more !. Syph. Hoc nuoti d tbe old
King f mite To [ce you voùgh tbe Faws,
vubcM tìffitsAtb Gold, Ani Non è tempo
a parlar, che di catene : O di conquida,
Jibertade, o morte. fmeCat) SCENA
V. Sifacc, e
Giaba. « Sif. Ty Rence, che è ciò ? perchè cosi
confutò? Jt Par giudo, come fequedo
Filofofo Rigido, or or v' a vede
rampognato. Ciab. Ah Siface, fon morto.
Sif. Io ben Io veggio.' Club.
Difpregiami Caton. Sif Sì faran tutti.
Ciub. Io aveva a lui feoperta la fiacchezza Di mi* alma, 1* amor eh* io porto a
Marzia. Sif Bel perfonaggio certo quel
di C. A confidargli un' iftoria d'
amore ! Ciub. Oh potefs' io paffarmi il
cuor, mio feiocco Cuore; fu feiagurato
mai qual Giuba ? Sif Prence, oh quanto
da quel di pria cangiato/ Da quel che
fi levava avanti al Sole, Battea la
macchia, ove dormia la tigre, £ cercava
il lion nella fua tana. Come il color
montava in vodre guance," Todochè
di/cacciato ei fuor fcappava ! Io ho
veduto voi ancor ne* giorni Canicolari
d* Affrica sforzarlo, Caricarlo
ferrato, provocarlo Alla rabbia de
denti e delle zampe: £ dal veltro
deftriero giù badandovi Al fuolo
conficcar 1' anfante belva. Ciub. Deh
non più. Sif Come forride va il vecchio
Rege a vedervi delle gravi zampe
K - Guar-And tbrow tbe jbnggy Spoils about your Shouìders /* Jub. Syfbax, fai/ o/i
Afa» V Talk [ Honry fl May fuba ever
live in Ignorarne ì Syph. Go, go>
youreyotitjg. Jub. Coir, muft I tamely
bear Ibis Arrogance unanfwerd ! Tbourt
a Traitor 1 AfalfeoldTraitor.. Syph. / baie gone too far. ( Afide i Jub. C. fball know tbe Bafenefs of tby
Soul. Syph. Imuft appeafe
tbisStorm^orpcrìfbinit. ( Afide à Toung
Prince, Moli tbefe Locks, tbat aregrown wbito
Beneatb a Helmet in your Fatbers Battels. Jub. Tbofe Locks fball neer profeti tby
Infoiente. Syph. Muft one rafb Word y tb
y Infirmity ofAge y Tbrow down tbe Merit
of my better T earsì Tbis tbe Reward of
a wbole Life of Service ! Carfe on tbe
Boy ! How fteadily be bcars me ! ( Afide,
Jub. // it becattfe tbe Tbrone of my Fore-fatbers Stili (lands unfiird, and tbat Numidìas
Crown Hangs doubtful yet, wbofe Head it
fball enelofe, Tbou tbus prefumeft to
treat tby Prince witb Scorn ? Syph. Wby
isoill you rive my He art vjìtb fnch Exprefflons ? Do / not old Sypbax follow yon to War ? Wlat
Digitized by *3( n)b
Ed i Catoni ( queiY Iddìi terrcftri )
Di violate vergini, e rapite
Sabine, tutti fon la fpuria razza. u
Club. Temo,
che in quefti tuoi capei canuti j
S'appiattiairoppo TAfiFricane frodi. j \
Sif. Certo, mio Prence, non avete il Mondo Per anco apprefo, nèftudiato l'uomo. Giovane ammiri d* anima Romana Le dog] iole gonfiezze, e di C. Gli arditi voli, e di virtù ftranezza. Club. Senei fa pere il Mondo,
l'uomofafli Disleal, viva ognor Giuba
ignorante. Sif. Via via : giovin fete.
Giub. Oh Cicl ! degg'io Cheto fofFrir
queft' arroganza ? Sei Tradicor, falfo
vecchio traditore. Sif. a fané. Troppo
lungi fon corfo. Giub. Saprà C. La viltà
del tuo cuor. Sif. Bi fogna eh' io Calmi
quefta tempefta, o che perifeavi. a parte.
Mira qucfti capei venuti bianchi
Sotto l'elmetto là nelle battaglie
Del Padre voftro, o Prence ? Giub. Quefti tuoi Capei non copriranti Y infolenza. Sif. Da un debol vecchio uno (cappato
motto Porterà via de* migliori anni il
meno? A ciò vengono i dì fpefi in
fervizio? Maledetto fanciul / Com'duro
afcoltami! a parte* Giub. Forfè perchè
de' miei maggiori il trono E* voto
ancora, e ancor dubbiofa pende La corona
Numidica, pjefumi Di fchernire il tuo
Prence ? Sif. Perchè vuoi Partirmi il
cor con qqefti duri accenti ? Siface il vecchio non vi fegue in guerra ? Ch'è Wbat are bis Aims ì Wby dos be load
witb Darts His trembling Hand y and
crufb lene ai b a Cask His wrinkled
Brows ? Wbat is it be afpires to ? Is it
not (bis ? to fbedtbe jlow Remains, His
laft poor Ebb of Blood in your De f enee 1
Jub. Sypbax y no more ! I wou d not bear you talk. Syph. Not bear me talk ! Wbat y wben my
Fatto to ]t*ba y My royal Maflers Son y
is eaWd in queftion f My P fine e may
ftrike me dead, and TU be dumb : But
wbìlft I li ve I mufi not bold my Tongue^
And languifb ont old Age in bis Difpleafure. Jub. Tbon knowfl tbe IVay too well into my
He art, / do bclicve tbee loyal to tby
Prince. Syph. Wbat greater hi fl ance
can l girne ì Fwe offerd To do an Aftion
wbub my Soni abbors y And gain you
wbomyou love at any Priee. Jub. Was
tbis tby Motive ? I bave been too bafty.
Syph. And 'tis for tbis my Prince bas caWd me Traytor. Jub. Sure tbou miflakeft j I did not cali
tbee fa. Syph. Ton did indeed y my
Prince y you calN me Traytor : Nay y
furtber y tbreatendyoud complain to C..
Of wbat, my Prince y wou d you complain to C. ? Tbat Sypbax lo r vesyoa, and woud
facrifice His Life y nay more y bis
Honour in your Service. Jub. Sypbax y 1
know tbou lowft me y but indted Tby Z e
al for Juba carried tbee too far,
Honottrs a facred Tie, tbe Law of Kings y Tbe noble Mintfs diflinguifbìng Perfeùìion
y Tbat aià's and ftrengtbens Virtue y
wbere it meets ber, And imitates ber
Aclions y wbere fbe is not: It ougbt not
to be fported witb. Syph. By
Heavns Imrawfht wben you talk tbus y
tbo yoa thide me Ch'è Aia mira? perchè di dardi carica La tremula fua mano, e forco Telmo Preme rugofa fronte ? a che afpir* egli, Altro che a ciò ? Spargere i pigri
avanzi, E il fil di fangue eftreroo in
tua difefa. Giub. Taci, Siface; udirti
io più non voglio. Sif Non più udirmi ?
allorché mia fede a Giuba Il figlio del
mio Re, viene in contefa ? Può darmi
morte il Prence, ed io fio quetoj Ma
viver non G può tacendo, e trarre La
mala età languendo in fua difgrazia.
Giub. Ben conofei le vie dentro al mio cuore : Credo, che al Prence tuo tu fii leale. Sif Qual maggior prova io potea dar, che a
tua Amata guadagnarti ad ogni prezzo, Cofa proporre, che'l mio cuore abborre? Ciub. Fu quefto il tuo motivo? Io corfi
troppo. Sif. Perciò il mio Prence
traditor chiamommi. Giub. T'inganni:
così io non ti chiamai. Sif. Certo, o
mio Prence, traditor chiamaftimi. Anzi
più: minacciarti a C. dirlo: Che dir,
mio Prence, fe non che Siface V'ama, e
facrificar vuol la fua vita In fervizio
di voi, anzi il fuo onore. Giub. Siface,
so che ra' ami \ ma di vero Tuo zel per
Giuba andava troppo innanzi. Santo
vincolo è onor, legge de* Regi, Delle
menti gentili illuftre impronta, Che
virtude avvalora ove fi trova; Ed ove
non fi trova, egli 1* imita. Non fi dee
far beffe di lui. Sif. Oh Cieli ! Il tuo
parlar, benché mi fgridi, incantami. Laffo:
AUt y T*vc hìtberto been nfed to tbink A
blind officious Zeal to ferve my King
Tbe ruìing Principle, tbat ougbt to bum
And qucncb ali otbers in a SubjetJs Heart. Happy tbe People
iscbo f re ferve tbe ir Honour By tbe
fame Duties tbat oblige tbeir Prince !
Jub. Sypbax y tbou uow beginfi to fpeak tby felf, Numidia s grown a Scorn among tbe
Nations For Breacb of publick Vowt. Our
Punici Faitb Is infamous > and
branded to a Proverb. Sypbax, Tvclljo'm
our Cares, topurge away Our Country t
Crime t, and clear ber Reputatoti.
Syph. Belirve me, Prince, you moke old Sypbax isjeef To bear you talk ■ but 7ix isoitb Teart offof. lfe*reyour Fatbers Crown adornyour Browt, Numidia voill be bleft by Catot
Leèluret. Jub. Sypbax, tby Hand ! ve'
Il mutuai ly forget Tbe IVarmtb ofToutb
y and Frowardnefs of Age: Tby Prince
etieems tby Wortb, and loiìct tby Perfon.
// ere tbe Scepter comet into my Hand,
Sypbax fball fi and tbe fecond in my Kingdom. Syph. IV bk v) di you owerwbelm my Age vSitb
Kindnefsì My Joy grows burdeafome, I fba
ut fupport it. Jub. Sypbax, farewell.
27/ beate, aad try to find Some bleft
Occofioa tbat may fet me rigbt In Catos
Tbougbtt. Td ratber bave tbat Man Apprwe
my Deedt y tban Worldtfor my Admirert. [ Exit.
Syphax folus. Toung Mea fooa
gicd y and glorie s in its Htigè?. Sucb
is tbat bawghty Man y bis fo-tv ring Soni 9
% Mìdft ali the Shock s and Injuries òfPorttfne- 9 Rifes fuperiòr, and looks downon Cafar. Syph. But *wbats tbis Meftengér* Sempr. Vwe praElisd vótlrblm, Andfound a Mèàns to let tbe Vitlor know Tbat Sypbax and Sempronio are bis- Fritnds. But
Tradltor: quelle voci, temerario Garzon,
chi sa? ti cofteran ben caro. Folle
affetto per te finora avea; Ma via, è
andato, io lo confegno a i venti, Cefar,
fon tutto tuo S'tface, e Sempronio. Sif. Ob / ben venuto Sempronio; sì, che rifolvè il Senato Di Caro, d'afpcttare d' un' affedio Il furore più tofto, che di cedere. Semp. Siface, ambo del fato all'orlo
fummo, Lucio volea la pace, e di
trattarne A C. offriva il meflaggier di
Ce fa re. Se il Senato ù folle
fortomeffo Pria che i noftri difegni
maturaffero, Nella comun ruina ambo
rinvolti Perivamo indiftinti. Sif. Che
fa C. ? Semp. Scorgerti il Monte
Atlante: mentre in cima Fulminan le
borrafche, e le temperie £ i mari al
piede fuo rompono l' onde, Superbo di
fua altezza, immobil ftaffii Tal quefto
altier. Su' alma torreggiarne Tra i
contratti e gli affronti di fortuna Sta
fopra, e guarda Cefar giù nel fondo.
Sif. Ma qual è quefto meffaggicr? Semp. Con lui Io praticai, e lo trovai buon mezzo A far fapcre al vincitor, che fìamo Ambi del fuo partito, or tu mi lafcia L a Efami- Bar Ut me now examine in my Tarn
: Is Juba fixtì Syph. Tes, but U is to
Caio. Fw tryd the Force of e^ry Reafon
on bìm, Soottid and carrefsd y been
angry, footUd agaia 9 Layd Safety, Life,
and Ini refi in bis Sigbt, Bue ali are
vain y be feorns tbem ali f or Caco.
Sempr. Come y Uis no Matter, uve /ball do -witbout bim; Hill mate a p retry ligure in a Triumpb, And ferme to trip before tbe Viclois
Cbariot. Syphax, I tio-w may bope tbou
hafl forfook Thy Juba s Caufe, and
"jjifbesl Marcia mine. Syph. May
jbe be ibi ne as fafl as tbou ivo/i dsl bave ber! Sempr. Syphax, / loie tbat Woman\tbo
Icnrfe Hcr and my felf \ yet flight
ofme, I love ber. Syph. Make C. Jure,
and gi> > - famttt :bet. / farri to tbhl hs not but witb Life. Marc. Fortius, tbou knowfi my Soul in ali hi
Weahtefs Then pritbee fpare me on its
tender Side, Indulge me but in Love, my
otber Fajftons Sball ri [e and fall by
Virtues niceft Kules. Porr. Wben Loves
wcll t'irne à, *tis not a Fault tolove.
Tbe Stro»? y the Brave, the Virtnons, anà the IVifc y Sink tu the foft Captìvity together. I
wotid Marco, e Tornio. Mar. Razie alle
flellc, ch'io non ho cercato _ Per T
erme ftrade della vita amico. E per
tempo infegnommi, per fegreta Forza
d'amar, la tua perfona, avanti Che il
gran merito tuo io conofceffi $ Finché
quel ch'era inftinto, amiftà venne.
Tor£. Marco, del Mondo l'amiftadi fpeffo
Leghe di vizj fono e di piaceri.
La noftra in bafe di virtù fondata
Terminare non può, che colla vita.
Mar. Porzio, tu fai tutte le mie fiacchezze : Rifparmia il cor dalla Tua debol parte : Solamente in amor fi imi indulgente. La virtù colle Tue più efatte norme Degli altri affetti miei farà alto e
baffo." Por%. Allora quando è di
ftagion l'amore, Non è fallo l'amare: il
forte, il bravo, L' uom dabbene, e '1
prudente sì fi danno In una dolce
fchiavitude infieme. Natura a me prima additò il mio Porzio; Non J u>o*V not urge tbee to difmifs tby
Faffton ] [ / kuou) 'fwere *vain ] but
to fupprefs iti Force l Till Inter Times
may moke it look more graceful * Marc.
Alasi tbou talìCft like one isolo ncvcr feh
Tti imjatient Throbbs and Lottgittgs of a Sotti, Tbat panis, and reacbes after difiant
Good. A Lcver dos not li And yet ivben 1 beboldibe cbarming Maid Tm tentimes more undonej isolile Hope, and
Feafy And Grief, and Ragr, and Love,
rife up at once, And isoitb Variety of
Pain diftratl me. Port. Wbat can tby
Portius do togiue tbee Help ? Marc.
Forti us, tbou oft enjoyfi tbe Fair Qnc*s Frefeuctt Tben undcrtake my Cauje y and plead it to
ber IVitb ali tbe Strengtb and Heats of
Eloquence Fraternal Love and Friendjbip
can infpire. Teli ber tby Brotber
langttifbe's to Deatl, And f ade s
aisoay, andwitbers in bis Bloom; Tbat be
forgets bis Sleep y and loatìfs bis Food,
Tbat Totttb, and Healtb, and War are joylefs to htm : Dejcribe bis anxious Days, and reftlefs Night, And ali tle Torments fiat tbou feefi me
fuffer. Port. Marcus, I beg tleegive me
net un Office Tbat fuits witb mefo ili.
Tbou bnowft my Temper. Marc. IVilt tbou
bebold me finking in my IVoes f And wilt
tbou not reacb out a friendly Arm r
To Di Non prefserom a cacciar tua paffione ( Sò che farebbe van ) ma a raffrenarla, Finché tempo miglior ne la ftagìoni. Mar. Eh che tu parli come uom, che non
mai Provò Je dure e le cocenti cure D'un cor gì' impazienti afpri
tlnghiozzì, Che ftiran I alma dietro a
un ben lontano. Non è tempo comun quel
dell'amante. Porzio, allorché mia Lucia
era lontana, Ptfava e m' era a carico la
vita; Ma quando poi rimiro la
vezzoia Donzella, fua prefenza mi
disface: Mentre fpeme, timor, dolor,
furore, Ed amor fi follevano ad un tempo, Em'arrabbian con varj lor tormenti. Tor%. Qual può tuo Porzio a te donare
aita? Mar. Porzio, tu godi fpeffo la
prefenza Della bella: or tu prendi la
mia caufa, E in mia difefa tutta quella
forza, E vivo ardore d' eloquenza adopra, Che amor fraterno ed amiftade infpirì. Dille, che il tuo fratel languifce a
morte, Ed appafsifce e feccafi in fuo
flore s Tal ch'oblia il fon no, ed
abborrifee il cibo» Gioventù, fanitade,
e guerra fono A lui prive di gioja : sì,
deferivi le Gli anfiofi giorni, e le
inquiete notti, E ogni martir, che tu
vedi eh' io fofTro. Tor. Marco, io ti
priego non m* ingiugner carico Che mi
torni sì mal : tu mi conofei. Mar. Voi
tu mirarmi morto ne' miei guai? Negando
porger amichevol braccio Mi A tr To raìfe me from amidft tbis Flange
ofSorrows ? Port. Marcus, tbou tanfi
notask wbat Vd refife. But bere beitele
me Tue a tboufand Reafons Marc. / know
tbou le Jay my Pafftons out of Seafon y
Tbat Catosgreat Examfle and Misfortunes
Sbould botb candire to drive itfrom my Tbougbtt. But ivlai* ali
ibis to one *wbo love* like me ! Ob
Portius y Portius, from my Soul I vuifb
Tbou dìdfl but know tby felf wbat Vii to love i Tben woudfi tbou pity and ajjìft tby Brotber. Porr. Wbatfboud I do! If I difclofe my
Fafson Our Friend/hip 1 s at an end: If
I conceal ìt 9 Tbe World will cali me f
alfe to a Friend and Brotber. Afide'.
Mar. But Jee wbere Lucia at ber wonted Hor/r y Amid tbe tool ofyou bìgb Marble Arcb y Enjoyt tbe Noon-day Bree^e ! Obferve ber,
Portius f Tbat Facejtbat Sbapejbofe
Eyes, tbat Heavn of Beauty # Obferve ber
wcll, and blame me if tbou tanfi. Port.
Sbe fees tts, and advances Marc. TU
witbdraw, And leaue you for a vjlile.
Remember, Fortini \ Tby Brotber s Life
depends upon tby Tongue. [ Exit » Entcr
Lucia. Lue. Did notlfee yonr Brother
Marcus bere? Wby did be fly tbe Place,
and fbun my Prefence * Port. Ob, Lucia,
Language is too faint to fbou> Hit
Rage of Love j it preys upon bis Life >
He pine*) be fickens, be defpairs, be dìes; Hit A
trarmi fuor di quefto mar d' affanni? For%.
Marco, chieder non puoi cofa, ch'io nieght;
Ma qui, credimi, ho io mille ragioni...
Mar. So, che fuor di ftagion tu dì, il mio affetto, Di C. il grand' efempio e le (venture Cofpirare a cacciar me '] dalla mente j Ma che è tutto ciò ad un amante, Qual io fon? Porzio, Porzio, che tu
ftefso, Che cofa è amor, provafsi,
adorerei : Pietade allor di tuo
fratello a v retti. Tor%. Or che farò ?
Se mia pafsion difeuopro, Noftr'
amicizia è ita : s'io la celo, Falfo
amico e fratel dirammi il Mondo, a [arte
Mar. Ma vedi dove all' ufata ora Lucia
Della marmorea loggia in mezzo al frefeo Sta godendo il meriggio ! Porzio, mirala. Che occhi, volto, vita! che bellezza ! Mirala bene : e fe tu puoi, mi biafma. tor%. Eliaci vede, e avanza. Mar. Io voglio
andare £ per un poco di tempo lafciarti. Sovvienti, Porzio, che di tuo fratello Dalla tua lingua la vita dipende. [arte
Lucìa, e Forgio * lue. V 7 Oo ho veduto
qui voftro fratello ? lN Perchè fuggì,
fchivo di mia prefenza ? lors>. O
Lucia, troppo è debole la lingua A
dimoftrar il fuo rabbiofo amore. StruggeG, langue, fidifpera, e more. Hit
paffions ani bis Virtues He confaci, And
mixt togetber in fo wild a Tumuli, Tbat
tbe tubale Man is qu'ite disfiguri in bini,
Heawnt ! njouà one tbink Uivcre pojjìble for Love To mah fftcb Ravage in a noble Soni ! Ob, Lucia, Vm
diftrefsdì my Heart bleeis for bìm\ m
Evn now, nobile tbus I ftand bleft in tby Prefenct, * A fecret Dump of Grief comes oer my Tbougts, And Vm unbappy > tbo tbou fmilesl upon me. Lue. How vuilt tbou guard tby Honour, in tbe
Shock Of Love and Friendjbip ! tbsnk
betimes, wy Porti us, Tbink bow tbe
Nuptsal Tie, tbat migbt enfure Our
mutuai Blijs, vvoud raife to fuch a Height
Tby Brothers Grief s, us migbt perbaps deftroy bim. Porr. Aìas,poor Toutb! wbat dofi tbou tbink
} my Lucia ? His genrous, open,
undefigning Heart Has btgd bis Rivai to
folliàt for him. Tben do not firike bim
dead witb a Dentai, But bold bim ttp in
Ltfe, and ebeer bis Seul Witb tbe faint
glimm ring of a doubtful Hope: Perbafs,
wben bave pafsd tbefe gloomy Hottrs, And
weatber'd ora tbe Storm tbat beats erpon us
Lue. No, Portius, no ! Ifee tby Sislers Tears, Tby Fathers Avguijb, and tby Brotbers Deatb, In the Purfuit of our illfated Loves. And, Portius, bere Ifwear, to Heavn I
fwear, To Heavn, and ali tbe PoisSrs
tbat judge Mankind ì Never to mix my
flight ed Hands -witb thinc y
Wbih Sì con un certo Incognito
indiftinto Son virtudi ed affetti in un
confufi, Che tutto Tuom dei tutto è in
Jui disfatto. Cieli ! come è
pofsibil, che cotanto Abbia guado V
amor sì gentil' alma? O Lucia, fono in
grande angofeia; è il cuore Per mio
fratel trafìtto : anco in queft' ora,
Che felice mi trovo at tuo cofpetto,
Segreta nebbia di dolor mi grava :
Mi fero io fon, benché da te gradito.
Come vuoi tu il tuo onor guardare
In contratto d'amore e d' amicizia?
Penfa per tempo, caro Porzio, penfa,
Che il vincol nuzial, che ri afsicura
Noftri mutui contenti, a sì fublime
Punto alzerà del tuo fratel le pene,
Che di fua diftruzion fian la cagione.
?or%, Povero giovan / Che penfi, mia Lucia ? Suo generofo, aperto, e fchietto cuore Chiefc al rivai follecitar per lui. Dunque non dargli morte con un niego 5 Ma tienlo io vita, e V alma gli carezza Con fottil tremolar di dubbia fpeme. Forfè, quando i di fofchi avrem pafsati, £ alla tempefta, che ci batte 9 retto.... Z*r. Nò, Porzio: veggio di tua fuora il
pianto, Del padre il duolo, e del fratel
la morte Nel (eguir reo deflin di noftri
amori. Io giuro, Porzio, per 11 cieli io
giuro, Per li cieli, e per tutte le
potenze, Che l'uman gener giudican, non
mai Gon tue mifchiar le mie congiunte
mani „ Men-h IVhìU faci a Ciotti of Mifcbicfs bangs ahut
ttt l But to forgct onr Loves y and
drive tbec cut From ali my Tbougbts y as
far as I am abh Port. Wbat baft tbou
Jaid ! Tm tbunder-JIruck !..Recali Tbofe
bafìy IVords, or I am loft for ever.
Lue. Has not tbe Vow already pafs'd my Lips ? Tbe Cods bave beard it y and Vii fcaCd in
Heavn. May ali tbe Vengeance y tbat was
cver pourd On perjurd Heads y o\r-j;belm
me y if I break it ! [ After a
Paufe, Port. Fixt in Aftonifbmcnt y I
ga^e ujton tbe e; Like one jufi blafted
by a Stroak from Hcavn, il bo pani s for
Breatb y and fliffens y yet alive y In
dr e ad fui Looks : A Montment of Wratb !
Lue. At lengtb Fve acled my fevereft Fart y Ifeel the IVoman breaking in vpon me y Jind mclt atout my Heartl my Tears utili
flow. But oh VII tbìnk no more ! tbe
Hand of Fate Has torn tbee from me y and
I muft forge t the e. Port.
Hard-bcartcd\ cruci Maidl Lue Ob ftop
tbofe Sounds y Tbofe killing Sound: !
IV by doft tbou frorwn upon me t My
Bloodmns cold, my Hcart forge fs to beave,
And Life itt felf goes out at tby Difpleafure. Tbe Gods forbid as to indulge our Loves, But ob ! I cannot bear tby Hate and live
! Port. Talknot of Love y tbou nevcr
kncwft Ut Force. Fve becn delti ded, led
info a Dream Of fancied Blifs. 0 Lucia,
cruci Maidl Tby dreaJful Vow y loaden
isoitb Deatb y Jlill fottni s In my
fiumi d E ars. IVbat [ball I fay or do?
Qvick y /et r/s part ! Ferdìtìons in tby Frcfence, And
Digitized by Google Mentre tal
nube di feiagura pende Ma obbliar noftri
amori, e fuor cacciarti De' miei penfier...
si lungi... quant'io pofso. Tor^. Ch'ai
detto? fulminato fon : richiama Le
temerarie voci, och'io fon perfo. Lue.
Pacate ha le mie labbra il giuramento:
Dei l'anno udito, ed è firmato in cielo.
Può tutta -la vendetta, che giammai
Si versò fopra le fpergiure tede,
Inondar me, fe '1 giuramento io rompo.
apprejfo uvapaufo, Tor^. Fifso
in ifmarrimento, io pur ti guato, Qua]
divampato da celefte foco, Che anfanando
intirizzati ancor vivo In fieri fguardi,
monumento d' ira. Lue. Già fatta ho io
la più fevera parte: Spuntare in me la
femmina ornai fento, Ed ammollirti il
cuor: verrammiH pianrrj Mai' non vo'più
penfar. La man del Fato T ha da me
fvelto, ed io debbo obbliarti. ?or%.
Difpietata, crudel ! Lue. Ferma gli accenti
I fieri accenti : a che sì corvo mirimi?
S'agghiaccia il fangue, e più non batte il cuore, E pe *1 tuo difpiacer la vita manca. Ceflan gli Dei de' noftri amori il
corfo; Ma da te odiata, ohimè, viver non
poffo. For%. Taci d'amor: tu noi provarti
mai. Stato fono ingannato con un
fogno D'immaginato ben. Lucia crudele
! Tuo voto fier, carco di morte,
ognora Mi rintruona l'orecchie 5 or che
degg'io Dire o far? tolto > via : sì,
fepariamoci : N Ster- HG/ror W/r 4fo*f / Hai, yj* f
flPrtft £ I am ! what bas my Rafbnefs done ! Lucia, tbou injurd
Innocencc / tbou beft Andlovclyft of tby
Sex ! awake, my Lucia f Or Portins
rnfbe's on bis Sword tojoin tbee. He r
Imprecations reacb not to tbe Tomb, Tbey
jbut not out Society in Dcath. But Hab
! Sbe monjes \ Life wandert up and down
Tbrougb ali ber Face, and ligbt's uf enjry Cbarm. Lue. 0 Portius, was ibis vocìi I tofrown on ber Tbat lives upon tby Smiles ! to cali in
Doubt Tbe Faitb ofone expiring at tby
Feet, Tbat Ionie*! tbee more tban euer
Woman lovd ! Wbat do I Jay ? My balf-
recover d Senfe Forge? s tbe Vow in
vjbicb my Soni is bound. Deftrutlion
ftani s betwixt us\We muti part. Porr.
Name not tbe IVord, my frigbted T bonghi t run back, And tlartle into Madnefs at tbe Sound. Lue. Wbat woudfi tbou baite me do ? Confider
well Tbe Traìn of llls onr Love woud
draw bebind it. Tbink, Portius ^ tbiuk,
tbou [ce ft thydying Brotbet
Stabb"d at bis He art, ani ali befmeard -witb Blood y Storming at Heavn and tbee ! Tby arwful
Sire Sternly demani s tbe Caufe, tV
aeeurfed Caufe, Tbat robb's bim of bis
Son ! poor Marcia trembles % Tben tearet
ber Hair, and frantici in ter Griefs
CalFs out on Lucia ! Wbat Sterminio e orror t'attornia... Ah! Ella
fviene. Sciagurato eh* io fon / Che feci
mai ? Oltraggiata innocenza ! Oh tu, che
fei La migliore e più amabil delle Donne
! Svegliati, Lucia mia; fe nò, il tuo
Porzio Cade falla fua fpada a unirti
teco. I tuoi giuri non flendonfi alla
tomba, Nè vietan noftro unirci nella
morte,.. Ma ecco ! ella refpira, ella fi
muove; Già la fmarrita vita al fuo
fembiante Ritorna, e accende quivi ogni
fuo vezzo. Lue. O Porzio, parti fofse
buona cofa Torvo guardar chi del tuo
rifo vive? £ rivocare in dubbio di
colei, Che fpira a' piedi tuoi la ferma
fede ? Ch'ama più ch'altra femmina
giammai?Ma che difsi ? il mio mezzo ricovrato
• Senfo dell' alma obblia lo ftabil voto. Sta ruina fra noi / d'uopo è Earrjyc^ - Por%. Non dir ciò: miei penfier tremando
arretrano, E fuggon delirando a quelli
accenti. Lue, Che vuoi eh* io faccia ?
be n rip enfa al treno De guai, che'l
noftro amor portati dietro. Pcnfa,
Porzio, deh pente, che tu vedi Tuo
fratel moribondo effer trafitto Nel fuo
cuore, e grondar tuttodì fangue, II
Cielo e te fgridando: il venerando
Signor, forte dimanda la cagione,
La cagion maledetta, che il fuo figlio
Gl'invola: Marzia cattivella trema»
Quindi il crin (traccia, e in fuo gravofo duolo Farneticando, fi richiama a Lucia. N 2 Equal 4( *oo >jt Wfo* Lucia anfwerf Or bow ftand up in fucb a Scene of Sorrow
! Porr. To my Confufion, and Eternai
Gricf, 1 mufl acrome the Sentence tbat
deftroys me \ The Mijl tbat bung about
my Msnd clears up > And now, atbwart
tbe Terrori tbat tby Voiso Has flanted
round tbee ^ tbou appearft more fair y
More ami alle, andrifefl in tby Charmi,
LoDÌyJl of\Vomen\ Heavn is in tby Soul.
Beauty and Virtue fbìne for ever round tbee y Brighi ning eacb other ! Tbou art ali Divine
! Lue. Portius, no more ! tbyWordt
fboot tbro my Usarti Melt my Rejohes,
and turn me ali to Love. Wby are tbofe
Tcars of Fondnefs in tby Eyet ? IVby
bsavss tby Heart ? Wby fwells tby Soul witb Sorrtrwt It foftens me too mricb Farrwell, my Portius, Pareteli y tbo Deatb is in tbe Word, For-evcr
! Port. Stay, Lucia 5 ftay ! IVbat doft
tbou fay ? For-cver ! Lue. Have I not
feorn ? If, Portius, tU Succefs Muft
tbrow tby Brotber on bis Fate, Farewell,
Ob, bow fiali Irepeat tbe Wordì For-evcr ! Port. Tbus oer tbe dying Lamp tb % unfteady
Piarne Hangs quivring on a Point y
leap's off vy Fits y And fair s again y
as loatb to quit itt Hold Tbou mufl not
go } my Saul flill hovers oer tbse- And
can V get loofe. Lue. If tbe firm
Portius fbuke To bear of Parting, tbink
wbat Lucia fiffers ! Port. Ti*
true; unruffled and fcrene F{. A mia confufione, e eterno cruccia Ho da approvar Temenza, che m'atterrai Quella nebbia > che mia mente ingombrava y Schiarafi, ed a traverfo de* terrori, Che 'I giuramento tuo t' ha podi intorno
> Tu più bella e più amabile apparila, £ ricrei ccndo fpiccano i tuoi vezzi. Obelliflima donna ! hai il ciel
nell'alma. Beltà e virtù fplendeti
ognora intorno, L' una altra ornando :
fei tutta divina. la:. Porzio, non più :
paffanmi il cuor tue voci y Dhhn la mia
fermezza, e a amar mi sforzano. Perchè
negli occhi tuoi coterie lacrime ?
Perchè il cuor batte, c di duol s' empie V alma ? Troppo m* intenerito : addio, mio Porzio, Addio; benché morte fta in quel : Per
Tempre. Tor%. Pian, Lucia, pian. Che
detto hai tu : Per fernp Lue. Giurato
non ha io ? Porzio > k tua Ventura al
tuo- fratello effer fatale Dovefse,
addio; oh come potrò ora Quella parola
ripeter: Per fempre. For%. Così cade, e
riforge in un fol punta Stretta, e mal
volentier fuo pofto lafcia La tremolante
e moribonda fiamma. ... Tu non hai da partir; l' alma mia fopra Te fi rigira, e non può mai lafciaru. ve Se ad udir di partenza, il fermo
Porzia Trema, penfa che cofa foffre
Lucia / Trovavanmi fereno e
imperturbato r comuni accidenti della
vita; Ma ♦J( 102 kfc Sucb an unlook % d for Storm of Uh fair s on
me, It bcais down ali my Strengtb. I tannot bear it. We muft noi
part. Lue. Wbat do fi thou fayf Not part
? Haft tbou forgot tbe Vow tbat I bave
madef Are tbere not Heavns and Gods and
Thunder oer us ! « Bu{ fee tby Brotber
Marcus benàtt tbis way ! 1 ficken at
tbe Sigbt. Once more, Farewell, Farewell,
and know tbou wrongft me, if tbou tbinVfl
Ever was Love, or ever Gnef, like mine • [ Exit. Enter Marcus. Marc. Fortius, wbat Hopes ? bow flands Sbe ì
Ami doomd To Life or Deatb 1 Port. Wbat woudft tbou bave me fay t Marc. Wbat meant tbis penfive Fotturc t tbou
appeaiH Like one ama^ed and
terrified. Port. Ive Re a fon. Marc. Tby down-caft Looks, and tby
diforderdTbougbtt Teli me my Fate. I a
si not tbe Suctefs • My Cauje bas
found. Port. Vm grievd l undertook
it. Marc. Wbat ? dos tbe barVrous Maid
infult my Heart, My ahtng He art ! and
triumpb in my Paint? Tbat I coud casi
ber from my Tbougbts for ever ! Port.
Away ! youre too fujpicious in your Griefs >
Lucia, tbougb fworn ttever to tbink of Love, Compajftonate s your Fains, and pitie s you. Marc. Compajftonate s my Fains, and pitie s
me! Wbat is Com paffton when 'tis void
of Love ! Fool i
•!( *°i )h Ma quefta di fciagure
non previdi Burrafca, batte giù tutta
mia forza. Io non vaglio a (offrirla: ah
non partiamo. Lue. Che cofa hai detto
mai: Ah.non partiamo? Non thfovvien del
giuramento fatto? Che Cieli, e Dei, e
fulmin ci fon fopra ? ... Ma vedi il tuo fratcl Marco, che viene. Mi rincrefee il vederlo. Ancora addio, Addio : e fappi, che a torto crederai Altro amore o dolore eguale al mio- parte
Lucìa.Marea y e Tornio. Mar. Ty Orzio,
ci è fpeme? che fa ella? fono JL
Detonato alla vita od alla morte? Fonr.
Che vuoi ch'io dica? Mar. Che vuol dir cotefla
Politura penfofa? tu mi fembri
Spaventato e fmarrito. Por%. Honne ragione. Mar. Queft' occhi baffi, e confufi
penCeri M'annunziano il mio fato: io
più non chiedo, Qua! fia il fucceffo
della caufa mia. Por^. D'averla prefa a
far, forte mi pefa. Mar. Forfè la cruda
ATI mio. cuore infulta? Su 1 cuor
trafitto e nel mio duol trionfa ?
Poteffila dal cuor cacciar per fempre !
Por%. Via: troppo fofpettofo il duol fi rende. Lucia, benché giurò di non penfare D'amor, pure ha pietà di voftre pene. Mar. Di mie pene ha pietà ? ma qual
pietate Vota d' Amor ! folle eh' i' era
a fcegliere Edi ( KM ) S»
Tool tbat I mas to elafe fo colà a Friend To urge my Canfe ! Compafftonates my Paint] Tritbse
niSbat Art, what Rbet'rick d'tdffi thou fife
To gain tbis mighty Booti ? Sbe pitie s me ! To one tbat ask's tbe warm Return? of Love, Compaffions Crueky, Vw Scora 5 9 $it
Death Porr. Marcus, no more! bave 1
deferì % d tbis Treatment ? Marc IVat
bave I faidì O Fortius, 0 forgile me ! A
Sotti exafprated in llls falls ont Wìth
entry tbing, Ut Friend, its felf But
bah, IV but means tbat Sbottt, big witb
tbe Soands ofìVar? What new Alarm ? Porr. A fecond y louder yet, Swells in tbe Winds, and comes more fall
npon ut. Marc. Ob, fcr fome glorio» s
Caufe tofall in Battei ! Lucia, thou
baffi undone me i tby Difdain Has Iroke
my Heart : 'tis Death muffi giqje me Eafe,
Porr. Quid, lei ut benec, wbo kno-ws ifCatos Life Stand furel 0 Marcus y I am vjarmd, my
Heart Le api at tbe Trumpeft Voice y and
burns fot Glory; [ Excunt: Enter Sempronius vvith the Lcadcrs of the
Mutlny : Sempr. At lengtb tbe Winds are
raisdfhe Storm blowshigb, Be ityonr Care,
my Friends, to ieep it up In ii sfidi
Fury, and direft it right, Ti// // has f
pent it felf on Catos Head. Mean Tubile
FU bird among bis Friends, and feem One
of tbe Number, tbat isohateer arrive,
My x r „ «?( »*J
)&* Un così freddo amico a
proccurare Mia caufa. Ella ha pietà de]
le mie pene ? Deh qual'arte o rettorica
impiegaci A procacciarmi quefta gran
mercede ? Ella ha pietà di me? A un che
chiede Vicendevole fiamma ncir amore, Pietate è crudeltade, è fdegno e morte For%. Marco, non più: ho io ciò
meritato? Marc. Che mai ho detto ?
Porzio, perdóno. Un'alma, eh' è
inafprita ne'fuoi mali, D'ogni cofa
s'annoja; degli amici, Di fe ftefla. Ma
oh ! quefto rumore Che vuol dir, di
guerrieri (boni pregno ? Qual nuovo
all' arme? Por%. Un' altro ancor più alto *
Gonfio dal vento, e vien più forte a noi ? 5 Marc. Oh per degna cagion cadeffi in Guerra
I Lucia, tu tn hai feonfitto : il tuo
difdegno * Spezzommi il cuor: fia morte
il mio ripofo. Tor%. Pretto, leviamei:
forfè è mal ficura Di C. la vita. O
Marco, il cuore Alla tromba fvegliato
arde di gloria. partoM SCENA IV. Eatra Sempronio co i Condottieri dell'
Ammutinamento. Sempr. Q Offian già i
venti, e la tempefta sbuffa : O Sia
voftra cura, amici, mantenerla Nella fua
piena furia, e dirizzarla A feoppiar
fulla tefta di C.. Mentre tra' fuoi
amici mi frammifehio, E rafsembro un di
lor > comunque accaggia, O Miei Afy
Friends and Fellow Soldiers may be /afe.
i. Lcad. «// if# 7*/*, Sempronius is our Friend. Sem proni us is as brame a Man as Caio. But beark ! be Enters. Bear up boldly to bìm; Be fare you bear bim down, and bind bìm fa/i
: This Day will end our Toils, and giwe
as Refi j Fear notbing, for Semfronius
is our Friend. En ter C., Semproni u s, Lucius, Por t ius, a n d Marcus. C.. Wbere are tbefe bold intrefid Sons of War y Tbat greatly tnrn tbeir Backs upon tbt Foe, And to tbeir General fend a brame Defiance
? Sempr. Carfe on tbeir Daflard Souls,
tbey ftand aftonifb* d\ [ Afide. C..
Perfidious Men ! and willyou tbus difbonoar
Tour pafi Exploit s, and fully ali yoar Warsì Doyou tonfefs 'twas not a Z e al for
Rome, Nor Love of Liberty, nor Tbirtl of
Houour, Dre-w you tbus far i but bopes
to /bare tbe Spot! Of conquerd Towns,
and pi under d Province s ? Fired witb
fu eh Motives you do isoell to join Witb
Catos Foes, andfollow Céfars Banner s.
JVby did 1 fcape tbe invenomd Afpics Rage, And ali tbe fiery Monfiers of tbe Defart, To fee tbit Day ? JVby coud not C. fall Witboutyour Guilt ì Bebold, ungrateful Men, B e bold my Bofom naked to your Simrds, And let the Man tbafs injured flrike tbe
Blorw • Wbub Miei amici, e compagni falverannofi. Tr. Cond. Siam tutti fai vi, e ci è
Sempron io amico. Sempronio puote
pareggiar C.. Ma piano! egli entra:
Andate arditi incontro: Battetti giufo,
ebenlegatel forte. Oggi avran fine i
guai, e noi ripofo. Nulla temete: ci è
Sempronio amico. Entra C., Sempronio, Lucio, Tornio, e Marco. Cat. T 7' Sono quefti intrepidi Guerrieri, vJ Che bravamente ali* inimico volgono Le fpalle, e al General mandan disfida
? Sempr. Codardi, maladetti ! ah, (tanno
attoniti ! a parte Cat. Traditori, così
vituperate Voftre prodezze, e le
pattate guerre ? Chiaro non è, che non
lo zel di Roma, Amor di libertà, defio
d'onore Portovvi quà; ma fpeme di
partire Di Città conquiftate e di
Provincie Saccheggiate le fpoglie ? Da
tai fini Spinti, ben vi giugnete co*
nemici Miei, feguendo di Cefar le
bandiere. Dunque fcappato io fono dalla
rabbia D' afpidi velenofi e fieri
moftri Del deferto, acciocch' io tal dì
vedeffi ? Cader non potea C. fenza
voftra Malvagità ? Or ecco, uomini
ingrati, Ecco il mio feno a voftre
fpade ignudo. Chi oltraggiato fi crede,
il colpo faccia. O i Ma *?( io* )p
Ritiri 0/ ^0*4// fttfpctTs that he is nsorongd, Or fuffers greater llls tban C. ? Am I dtftinguifV d
from you but by Toils, Super ior Toils
y and beavier Weigbt ofCares ! Tainful
Pre-emincnce ! Sempr. By He ani m tbey
drcop ! Confufion to the Villains ! Ali
is loft. [ Afide. Cato. Have yo»
forgotten Lyhta s bttrning Waft, ///
barre» Rocks, par eh' J Eartb, and Hìlls of Sancì, Its tainted Air, and ali its Broods of Poi
fon t Wbo iva; tbe firft to explore tV
untrodden Fatò, Wben Life vuas ha^arded
in eniry Step ? Or, fainting in tbe long
laborious March, Wben on tbe Banks of an
unlookdfor Stream Toufunk tbe River
nsuith repeated Drangbts, Wbo -was tbe
laft in allyour HoH tbat tbirfted ?
Sempr. Iffome penurious Source by chance appeard, Scanty of IVaters, wben yon fcoop'd it dry, And offerd tbe fall Helmet up to C., Did not he dafb tb* untafted Moift are from
bim } Did not he leadyon tbrougb tbe
Midday Sun, And Clouds of uuft ? Did not
bis Temples gloiu In the fame fultry
Winds, and fcorcbing Heats ? C.. Hence -wortblefs Men ! Hence } and
complain to Csfar Tou could not undergo
the Toils of War, Nor bear tbe Hardfbips
that yonr Leader bore. Lue. See, C.,
fee tti ttnhappy Men / tbey weep ! Fear,
and Remorfe, and Sorrow for tbeir Crime,
Appear in eniry Look, and pie ad for Mercy. C..
Learn to he boneft Men, give up yonr Leader s > And Pardon fball defeend on ali tbe reti. Sempr. Cato, Ma chi di voi può creder d'
efler tale, O di (offrir più guai, che
C. ideilo? Sol da voi mi diftinguon le
fatiche, Affai maggior fatiche e più
pefanti. Penofa diftinzione! Sempr.
OhCiel, s'abbattono, Sconfondonfi i
vallati / tutto è perduto. a parte Cat.
I torridi deferti della Libia, Le
ignude rupi, adotto fuol, montagne
D'arena, ed aria infetta, e tutte fue
Ragioni di venen v' ufcir di mente ?
Chi fu il primo a fpiar vie non battute, Quando vita iva a rifchio ad ogni paflb
? O quando nella lunga fatico(a Marcia l'uom fianco fi veniva meno, Allorché di corrente pria non vifta Fiume afciugafte in replicati forfi, Chi dopo tutti la fua fere fpenfe? Sempr. Se qualche rivo per cafo appariva Povero d'acque, quando il pieno elmetto Offrirle a C., non rigettò egli Da fe lontano il non guftato umore ? Per nuvoli di fabbia ei non guidovvi ? E non furo infiammate le fue tempie Da arficci venti, e fieri ed afpri
caldi? Cat. Via dunque indegni, via: e
dite a Cefare, Che voi non potevate le
fatiche Portar, che ben foffriva il
voftro Duce. Lue. Mira,Caton, mira
queft' infelici: Timor, rimorfo, e duol
di lor delitto Son ne 1 lor fguardi, e
gridano mercè. Cat Da qui avanti il
dover voftro imparate. Dateci i Duci in
man : perdono al retto. Semp. A Digitized by
Google «8( no )S» Scmpr. C*/o, commit tbefe Wretcbes to my
Cari. Firfi let f em eacb he broken on
tbe Rack, Tben y witb wbat Life remata
/, imfaled, and left To uoriibe at
lei/are round the bloody Stake. \ Tbere
Ut % em bang, and taint the Southern IVittd.
Tbe T art neri of tbeir Crime iuill learn Obedience, ìVben tbey look up and (ee tbeir Fellow Trattori Stuck on a Fork, and blacVning in tbe Sun. Lue. Sempronius, wby, wby -wilt tbou urge
tbe Fate Ofwretebed Meni Sempr. How ! woudft tbou clear Rebellion
! Lucius, [ good Man ] pitie s tbe foor
Offenders Tbat woud imbrue tbeir Hands
in Catos Blood. Cato. Forbeaty
Sempronius! See tbey fuffer Deatb, But
in tbeir Deatbs remember tbey are Men.
Strain not tbe Larws to moke tbeir Tortures Lucius, tbe bafe degenerate Age requiret Sewity and Juftice in its Rigour j Ibis WW* an impious, bold y offenàing World, Commandos Obedience, andgiwes Force to
Lau>s. Wben by jttft Vengeance guilty
Mortals ferifb, Tbe Gods bebold tbeir
Punisbment witb Pleafure, And lay tb %
uplifted Tbunder-Bolt afide. Scmpr.
CatOy L execute thy Wtll'witb Pleafure.
Cato. Mcan-uobilc watt Jacrifice to Liberty. Remember, O my Frieuds, tbe Laws, tbe Rigbts
y Tbe genrous Pian of Pouer deltuerd
down, From Age to Age, by your renorwnd
Forefathers, [ So dearly bougbt, tbe
Price of fo mucb Blood ] O let it never
perifb in your Hands ! But poufly
tranfmit it to your Cbildren. Do tbou,
great Liberty, infpire our Souls,
And Digitized by Google Hs»
&i0/r. A cura mia fien, Caco, etti fciaurati. Rotti fien fui martoro, e con gli
avanzi Delia vita impalati: ivi
Jafciati A (torcerli fui palo, ed
infettare Gli auftrali venti;
impareranno i complici Ubbidienza,
quando mireranno Lor fozii traditori
Tulle forche Starti confìtti ad annerir
fi al Sole. Lue. Perchè a'mefchini
caricare il fato? Sempr. Come! Vuoi tu
fcufarquefti ribelli? Lucio il buon
uom, compiange i poveretti, ChediC.l fangueardean bruttarti. Cut. Pian j Sempronio : guardate eh* effi
muojano; Ma fov vengavi infieme, che
fon uomini : Per lor penar le leggi non
(lira ce. Lucio, il fecolo vile e
tralignante Severa chiede e rigida
giuftizia. Quella pon freno a un' empio
ardito Mondo, Rifpetto imprime, e dà
forza alle leggi. Quando puniti
giuftamente i rei Qui perifeon, rimiran
con piacere Gli Dei il gaftigo, e il
fulmine rifparmiano. Sempr. C.,
volentieri io v* ubbidifeo. Cat.
Facciam' or faenfìcio a libertade.
Sovvengavi, o amici, delle leggi,
Della nobi le forma di governo,
£ di quei dritti, a voi di mano in mano
Da'voftri Avoli illuftri confegnati.
[Di fangue sì gentil comprati a prezzo]
Oh non perifean mai in voftre mani !
Ma pi; a* voftri figli tramandateli.
Tu, fama Libertade, i cuor e infpira;
Facci Entcr Syphax. Syph. Ourfirft Dcjtgn, my Friend, Las proved abortive i Stili tbere remains art After-game to play
: My Troops are mounted; tbeir Numidion
Steeds Snuffup the IVind, and long to
fcow'rtbc Defart : Le: but Sempronius
bead us in our Flight, Well force the
Gate wbere Marcus keeps bis Gttard, And
bew down ali tbat would oppofe our Fajfage.
A Day vili bring us info Cdfars Camp»
Sempr. Confufion \ I bave faiU of half my Furpofe. Marcia, the ebarming Marcia s Uff
bebind! Syph. How? will Sempronius
turnaWomans Slave! Sempr. Tbitik not thy
Friend can ever fcel the foft Unmany
iVarmtb, and Tendcmcfs of Love. I long
to claff that baughty Maid, And bend ber
ftnbborn Virtue to my Faffion : Wben l
bave game tbt/s far, Vd cafl ber off.
Syph. WellfaUI thafs fpoken like tbyfclf, Sempronius. JVbat bindefs tben, but tbat tbou find ber
out > And burry ber ansoay by manly
Force ì Sempr. But boia to gain
Admìffion ì for Accefs Is givn to none
but ]uba, and ber Brothers. Syph Tbou
sbare bave Jubas Drefs, andjubas Guardi :
Tbe Doors will open, -wben Numidia sFnncc Seems to appear before the Slave*, that vatcb
tbem. Sempr. Hcavns,what a Tbought is
tbere! Marcia s my Siface, e Sempronio. Stf. \ Mico, a male andò '1 primo difegno; XjL Ma ancor ci retta un colpo di riferva. Prette mie truppe fono : i dettrier
Numidi Sbuffano, e braman fcorrere il
deferto. Sol fia Sempronio a noftra fuga
capo. Le porte forzerem, che guarda
Marco : Uccidercm, chi s' opporrà al
paflaggio, Ed in un giorno noi faremo a
Ceìare. Stmpr. Ciel! mi è fallito a
mezzo i! mio difegno. Lafciata è
indietro la vezzofa Marzia ! Sif. Come
? Sempronio è fchiavo d' una femmina
Sempr. Non penfar, che '1 mio cuor poco virile S'infiammi e intenerita da IV amore. Stringere io bramo fol l'altiera donna, E piegar V inflelTibile al mio foco. Fatto ciò, la rigetto. Sif. Oh che ben detto
! Parlare da Sempronio ! Or perchè
dunque Non la trovi, e la porti via per
forza ? Sempr. Come trovarla? s'alia
fua prefenza Non è ammefso che Giuba e i
fuoi fratelli ? •Si/. Avrai di Giuba l'abito
e le guardie: Apriranfi le porte a tua
comparfa. Sempr, Cieli ! che bel
penfier / Marzia è già mia. Di qual fia
colmo anfiofa gioja, quando La terrò
contrattante in le mie braccia, Con
beltà accefa, e fcrrmigliate trecce,
Mentre ch'ira c timor con vezzo alterno
P 2 Ba 4g( Iltf )> jP
Juba might moke tbe proudefi of our Sex y Any of IVomankind, bnt Marcia, bappy. Lue. And -wby not Marcia ? Come y yon
flrinje in Ma chi ha di quelli, al par
di Porzio, incanto ? Mar%. Fammi un
piacer: non nominar Sempronio. Quel Tuo
altiero Crepitar, m* è noja. A eroica
bravura aggiugne Giuba Tenero amore, e
kmminil dolcezza. La più fuperba ei può
del no (ho fefso Feliciflima far, fuori
che Marzia. Lue, E Marzia, perchè nò?
via, in van tentate Celarvi ad una, che
ben fa per prova GÌ* interni ardor
d'innamorato cuore. Mari£ E' ragion, che
la figlia di C., Non To ione or bcf, liti c » kUì direcls. Lue. But ficu. Ih
Fi !.. ^rjeyou to Ssmpronius? Ma-c.
tiare net; • -v v ìli : bai if be fboud
Why issili tbort a ! d to ali theòriefs Ififfer . Imstginary llls > and fancyd Tot tur et
? I bear the Sound of Feet ! they march
this IVay ! Let ut retire, and try if wc
cai: droisjn E a eh fofter Tbougbt in
Scufj of prefint'Danger, IVhen Love once
fead's AdmJJton to our He arti ( In J
fighi of ali the Virine ive ca'i boaft )
The II oman that Deliberata is lofi. ( Exeunt. Entcr Scmpronius, drefs'J likejuba,
vvicli Numidiam Guards. Scmpr. TheDeertslodgd.tnetrach ber to ber
Contri. Be fnreyou mini the Word, and
wben Igine it y Bufi in at once, and
fii^e uponyour Prey. Let not ber Cria or
Te ars bane Force to mone yOM. • i FIow
ivi II the yottn* Numidi an rane, to fi e
Hit Miflrefs lofi ? If augbt coti d gì ai my Sotti, Beyond tb % Ettjoywent of fo brighi a Fri^e, ^Tisjoud be to torture that yonv.g, gay,
Barbariatt. But bark, isùhat Nei fi !
Death to my Hopes ! % tis be y 'Tis
fubas filfl there it but one Way le fi
- He muft be murder V, anà a
Fafiage cut Through thofe bis
Guards ttfi, Daftardsjoyotttrcmblcl Or att lite Me ts > or by yon a^ure Heann
Enter fc Non odii od ami alcun, ch- a
al (no piacere. Lue. Ma fe'J tuo
Padre defseci a Sempronio? Mar^. Io non
ofo penta rio; ma fe pure... Perchè
giugner vuoi tu a i guai, di' io fo&o
Di finti mali immaginate larve ?
Odo il fuono del piè: ei qua ne viene.
Ritiriamci a veder, fe cacciar puotc
Rifchio prefente i reneri penficri.
Qiiando amor tenta entrar ne'noftri cuori, [ Malgrado del valor, che noi vantiamo] La donna, che delibera, è perduta. fartom. Entra Sempronio in Abito di Giuba con
Guardie Numidicbe. Stmfr. T A Lepre è a covo : T ho fin qui
tracciata. JL/ Attenti al cenno : e
quando io dolio, a un Su correte,
ghermite voftra preda. [ tratto Non vi
muovan fue lagrime, nè (Irida. Qual Ha
la rabbia del giovan Numidico, Di Tua
dama alla perdita ! fe cofa Potefse
rallegrarmi, oltre al godere D* un si
bel premio, certo farla quella Di dar
martoro a quel bel giovan barbaro. ... Ma zitto / che rumor ? morta è mia fpeme
• Egli è, è Giuba ftefso : fol ci refta... D* ucciderlo, e far via tra le fue Guardie.,. Codardi! ah ! voi tremate ! o voi fiate
uomini, O pur per quefto azzurro Ciel..., CL 'Entra Enterjuba. Jub. What do I fee
? Wbos tbis tbat daret ufurf Tbe Guards
and Habits of Nnmidias Prènce f Sempr.
One tbat was horn to fcourge tby Arrogane* >
Prefumftuous Toutb! Jub. What
can tbis mean 1 Sempronio! Scmpr. My
Sword [ball anfwertbee. Have at tby Heart.
Jub. Mai i tban to*>*r* *h (mn > P r0U(i > barbrous Man I ( Serr.pr. fai Is. His Guards furrender. Sempr. Curfe on my Stars I Am I tbcn doomd
to fall By a Boys Hand? disfidar d in a
vile Numidi an Drefs y and f or a
wortblefs Woman ì Gods, Tm Diftratled !
Tbis my Clofe of Life ! O for a Peal of
Tbnnder tbat wo*d make Eartb,Sea y and
Air, and Hea& jE//rr* Giuba. Giub. Che vedo ! Chi è quel, ch'ofa ufurpar le Guardie e gli
abiti Del Prence di Numidia ? Sempr.
Uno, che nato A fruttar tua arroganza,
audace giovane. Giub. Che è quello ?
Sempronio / Sempr. La rifpo da Farà
meglio mia fpada : ecco, al tuo cuore.
Giub. Ah guarda bene il tuo, fuperbo, barbaro. Sempronio cade, e le fre Guardie fi rendono. Sempr. Maledetta deftin / dunque ho a
cadere Per mano d' un garzon ? da
ignobii Numido Mafcherato, e per vìi
feraina? oh Cieli, Arrabbio, e cosi
termino la vita. Scocchi fulmin, che
faccia e Terra, c Mare, Ed Aria, e Cielo,
e C. in un tremare. muore. Giub. Con
qual furor la cruda alma fi fciolfe Dal
corpo, che ancor fpringa in fieri guizzi/
Orsù rechiamo, quelli fchiavi a Caco.
Ivi potremo a lungo di/coprire
Quefto milleriofo e reo difegno.
parte Giuba ci Prigionieri. Entra Lucia, e Marcia. Lue. S~>il era rumor di fpade: ho così
l'alma VJ Abbattuta e fommerfa nel
dolore, Singhiozza dal timore, e a ogni
fuono trema. O Marzia, i tuoi fratelli a
conto mio... )fr 1 die awdy
10 fvcngo dall' orrore al fol penfarlo.
Jkfar^. Ve*, Lucia, ve': ci è fangue ed omicidio. Ah! un Numido ! oh Dei falvate il
Prence. E* la faccia rinvolta nella
vede. Ma, ah orrida vifta ! un
diadema, Purpurea vefta! oh Dei / egli
è, egli è. Giuba il giovin più bel, che
mai 'nvaghifse Donzella, Giuba, ahi
morto qui fi giace. Lue. Or, Marzia, ora
richiama in tuo ioccorfo L* ufata forza,
e del tuo cuor coftanza; Tu por non la
puoi certo a maggior prova. Mar%. Lucia,
qui mira, e ammira il mio foffcire. Non
ho ragion di vaneggiar, di battermi 11
petto, e'l cuor fpezzare di dolore ?
Lue. Che penfar pollo o dire a tuo conforto? Mar%. II conforto riferba a leggier mali: Ecco vifta, che uccide ogni conforto. Entra Giuba, ascoltando. Sfogar voglio il dolore, e fcior la
briglia AI mio furor penofo e difperato. QuefVUom, quelVottim'uomo ben Io
merita. Giuk Che afcolto? era ottim
uomo, queir uomfalfo Di Sempronio ? Oh
cadeffi io come lui ! Fofs* io pianto
così, farei felice. Lue. Qui mi darò
compagna ne* tuoi guai: T'aiterò col
mio pianto. Qua od' io miro Perdita
qual la tua, la mia dimentico. Mar%. Non
può il dettino alleggerir mio duolo. Il
van Mondo, ora a me trifto deferto,
Nulla lafciò per far Marzia felice.
Giub. Sto full* cculeo; er' ci da lei sì amato ? Mar% Oh Marc. Oi le was ali made up of Love and
Cbarm, IVbatcvcr Maid coud But 'wben be talk V, tbe prondeft Roman
bluftid To bear bis Virtues, and old Age
grew isoije. Jub. 1 fiali run Mad Marc. O Juba ! Juba ! Juba ! Jub. Wbat means tbat Voice? did fie not cali
onjuba ? Marc. Wby do I tbink 01* wbat
be was! be's dead ! Hes dead, and nrver
knew bow mneb I lonìd bim. Lucia, ivlo
kmnsSs but bis poor bleeding Heart
Amidjl its Aponics, rememberd Marcia y
And tbe lafl Words be ut ter d calfd me Cruci / Alas, be kneiv not, baplefs Toutb, be kneuu
not Mar ad t wbole Soni was full of Love
and Juba ! Jub. IV bere am il do l live
! or am indeed Wbat Marcia tbink' 5 !
ali it Elifium round me f Marc. Te dear
Remains of tbe mojl lonid of Men ! Nor
Modefty nor Virtue bere forbid A loft
Embrace tubile tbus - Jub. See y Marcia, fee, Tbe happy Juba lives ! be linxs to catcb
% Tbat dear Embrace, ondo to return it
too Witb mutuai Warmtb and Eagernefs of
L Ciò che amar fa donzella, o ammirar
uomo, Piacer degli occhi / Quand'egli
apparia, Segreta gioja rallegrava tutti. Ma al Aio parlare s* arroffia il
Romano Il più fuperbo in udir Tuo
valore; £ i vecchi (tedi n'apprendeano
fenno. Giub. Io verrò folle. Mar%. O
Giuba I Giuba ! Giuba f Ciub. Che vuol
tal voce? nonchiamonne Giuba ? Mar%.
Perchè pcns' io a quel ch'eifu? è morto;
E' morto, e non fapea quant' io l'amava. Lucia, chi fa, fe il fanguinante cuore Traile agonìe non raramentaffe Marzia, E crudel la chiamale in voci eftreme ? Non fapea, pover giovin, non fapea, Empier tutto il mio cuore Amore e Giuba. Ciub. Ove (od? vivo? o fono in fatti
quello, Che Marzia penfa? io fon ne'
Campi Elisj. Mar%, Cari avanzi di quel,
eh* io tanto amai » Nè oneftà, nè
modeftia qui ne vietano L'ultimo
ampleffo, mentre... Giub. Marzia vedi,
gettandofi alianti di Uh. Vedi,
che vive Giuba; ei vive a accogliere Il
caro ampleflfò, e a ritornarlo ancora
Con reciproco ardordi vìvo amore.
Mar%. Con piacere e ftupore io redo attonita. Certo, eh' è un fogno : morto e in vita a un
tempo. Se tu fei Giuba, chi è quello ?
Giub. Un mifero Mascherato da Giuba in
reo difegno. Lungo è il racconto :
parte fol n' ho udito. Tuo Padre tutto
il fa : io non fofferfi Lafciarti in
vicinanza della morte s Ma a 1 coud not
bear To le ave tbee in tbe Neigbbourbood
of Deatb, But flew y in ali tbe bafte of
Love, to find tbcc. 1 forinà tbee ^eping, and confefs tbis once, Am wrafd witb Joy to fee my Marcia 's
Tears. Marc. Tvebcen furpri^ed in
anunguarded Hour 9 But mufi not now go
back : Tbe Love, that lay lialf fmotbsrd
in my Breafi, bai broke tbrougb ali Its
weak Kefir aints, and burri $ in its full Luflrc y I cannot, if l woud, concedi it from tbee. J jb. Tm lofi in Extafìe \ and dofi tbou
lowe, Thou cbarming Maidì Marc. And dofi tbott lime to ask it ? Jub. Tbis, tbis ss Life iudced ! Life
isjortb preferving ! Srich Life as Jub a
never felt till now ! Marc. Belicve me,
Vrince, le f ore I tbougbt tbee dead, I
d'nl not knrw my felf bow mach 1 lovd tbee.
Jub. O fortunate Mifiake ! Marc.
O happy Marcia! Jub. My Joy! mybeft
Beloved! my only Wifb! How {ball I jpeak
tbe Tranfport of my Soul ! Marc. Lucia,
tbyArm! Ob let me refi *pon />/ Tbe
Vi tal Blood, tbat badforfook my He art,
Return s again in fucb tnmnltuous Tidet,
It quite oercomes me. Lead to my Apartment. 0 Vrince! I blufb to tbink wbat I bave fatd, But Fate bas wrefted tbe Confejjìon from me; Go on, and profper in tbe Patbs of Honour, Tby Virtue will exenfe my Paffìon far tbee, And Make tbe Gods propitious to our Love. [
Ex.Mar.and Jub. lam Jo blefsd, I fear
'tis ali a Dream. [Lue. Tor-
Ma a te Volai in amorofa frerra.
Io ti trovai piangente : e ti confefso
Che quefta volta io fui colmo di gtoja
Nel rimirar della mia Marzia il pianto.
Mar%. In mal guardata ora fon ftata prefa. flitrarfi non fi può: l'amor, che in
mio Petto quafi affogato fi giacca, Diè fuor, rompendo i fuoi deboli freni, E rifplende or nella fua piena luce: Nè pofTo, s io voleffi, a te celarlo. Club. Io fon rapito in eftafi : e tu
ami, Bella figlia r Mar%. E tu vivi a
domandarlo ? Ciub. Quella di vero è vita
: vita degna Di confervar, qual non
fentì mai Giuba. Mar%. Pria, ch'io
t'avelli, Principe, per morto,~ Io
fletta non fapea quant' io t' amava.
Ciub. O fortunato crror Mar^. Marzia felice ! Ciub. Mia gioja, mio amor, mia fola brama
! Come pofs* io ridir dell'alma
l'cftafi? Mar^ Lucia, il braccio; oh di
quel fammi foftegno. Quello, che il
cuore avea abbandonato, Vital fangue,
ritoma ancora indietro Tumultuofo, e in
rapidi rifluffi, Che del tutto m'
opprime. Or via conducimi A rìpofare al
mio appartamento. Prencipe, arroflò di
penfare a quello, Che ho detto, ma il
deflin me '1 fece dire, E la confeflìon
mi t rafie a forza. Va, et' avanza
nelle vie d'onore. Tuo valore al mio
amor farà ragione, E faragli proprizj
anco gli Dei. pare. Marq% c Lue Ciub.
Felice sì io fon, che il temo un fogno.
R Di I Tortane, thou now bufi made amcnds for
ali Tby faft Unkindnefs. / abfolve my
Stars. What tho Numidi a add ber conquerd
Tonuns And Prwinccs to fwell tbe
Viilors Triumpb ? Juba will ncver at
bis Fate repine, Let Csfar bave tbe
World, if Marcia s mine. [exit. A March
ata Diftance, Enter C. and Lucius. »
Lue. I sland aflonijljt ! What, the hold Sempronius ! % Tbat (lill breke foremoft througb the Croud
of Patriot*, As witb a Hurricane of Zeal
tranfported, And virtttous cvn to
Madnefs • Cato. Truft me, Lucius, Our civil Dìfcords bave froduced fucb Crimes, Sucb monftrous Crimes, I am furfrisred at notbing. - 0 Lucius, l am fick of this had World
! Tbe Day-ligbt and tbe Sun grow painful
to me. , • Enter Portius, But fee
e Cefar prenda il Mondo, parte Giuba*
SCENA IV. Una Marcia in
lontananza. Entra C. y e Lucio. r
Loc. QTupifco: che? Sempronio V audace ? O Quel g ran campiondi libertadc, quello,
Che da turbin di zelo era rapito, Di Patria amante sì, che n'era folle. Cut. Le
civili difcordie tai delitti, Moltruofi
delitti hanno prodotto, Che nulla
ammiro. Io fon del viver fianco : Il
giorno fteffo e '1 Sol mi fon penofi.
Entra Tortilo. Ecco vien Porzio
: perchè quefta fretta, E codefto
ferobiante tuo cangiato ? Tor%. E'
gravato il mio cuor; trifte novelle Al
Padre mio io reco. Cat. Ha Cefar forfè
Sparfo ancor più del Roman fangue ? For%. Nò II traditor Siface, le fu e
truppe Mentre che nella Piazza
efercitava, Dato il cenno, volò co'
cavai Numidi AirAultral Porta, cui
guardava Marco- R 2 Per- Totbc South Gate, wbere Marcus bolds th
Watck. Ifaw y and
calfd to ftop bim, but in vai» Ih tojsd
bis Arm aloft, and proudly told me, He
woud notftay and pertfb Uke Sempronius /
Cato. Perfidious Men ! But bafte my Som, and fee Tby Brotber Marcus alTs a Roman s Pari.
[exit Port. Lucius, the Torrent bears
too hard upon me : Juftice gives Way to
Force : tbe conquerd World Is Csjars :
C. bus no Bufine fs in it. Lue. Wbile
Pride, Opprejfion, and In juftice rtìgn
Tbe World will ftill demand ber Catos Prefence. In Pity to Mankind, fubmit to Cd far, And reconcile tby Migbty Soul to Life. C.. Woud Lucius bave me live to f-well the
Nnmber OfC&fars Slavet, or by a bafe
Submiflion Give up tbe Caufe of Rome y
andowna Tyrant ? Lue. Tbe VtBor ntver
vaiti impofe on C. Ungcnrous Terms. His
Enemies confefs. Tbe Virtues of Humanity
are Cafars. Cato. Carfe on bis Virtues !
T bey ve tendone bit Country. Sucb
Popular Humanity is Trcajon • But fee youngjubal tbe goodToutb appears Full of tbe Guilt ofbis perfidious Subjecls. Lue. Alas y pow
Princel bis Fate deferves Compaffion.
Enterjuba. Jub. / blufb, and am confounded to appear Before tby Prefence, Cato,. Cato. Wbat's tby
Crime > Jubt I m a Numi di an, C..
And a brave one toa 9 Tbou bufi a Roman
Soul. Jub. Haft tbou not he ani Ofmy
falfe Countrymen t C.. Alas, young Prince,
Falfbood and Fraud fboot up in evry Soli, Tbe P rodati of ali Climcs Rome bas iti
Cafart. Jub. Ferma, io
gridava: ohJà, ferma; ma indamo. Alzava
il braccio, e mi dicea bravando: Non
refto qui a perir, come Sempronio. Cat
Traditori / ma via, mio figlio, e vedi,
Che il fracel Marco faccia da Romano. parte Por^. O Lucio, come reggere al torrente ? Cede alla forza la Giustizia: il Mondo E' di Cefar: non ci ha che far C.. Lue. Finché orgoglio, oppreffione, c il torto
regna, Al Mondo necefsario fia C.. Del Mondo per pietà, fopponti a Cefare. Di vita il tuo gran cuor rientri in grazia. Cat. Vuoi, eh* io con vii fommiffione il
numero Di fchiavi a Cefar gonfi, e a
Roma vinta Io dia la caufa, ed un
Sovran confeffi? Lue. Il vincitor non
porrà mai a C. Dure leggi. I nimici
ancor ravvi fa no Virtù d* umanitade
effer di Cefare. Cat. Maledetta virtù,
di Patria pefte ! Tal popolaritade è
sradigione. Ma ecco Giuba : il buon
Giovane appare Qual reo di colpa de'
malvagi fudditi. Lue. Povero Prence / è
degno di pietate. Entra Giuba. Giub. Confufo, mi vergogno d' apparire D'avanti a Cato. Cat. Quai*è il tuo delitto
? Giub. Numido io fono, Cat. E valorofo
Numido : Hai un'alma Romana. Giub. Non
udifti De' miei perfidi Numidi [ Cat.
Ohimè Prence! Perfidia e frode fpunta io
ogni fuolo, Sotto ogni clima vien : Roma
ha i Cuoi Cefari. Giub. E Jub. Tu gen rotti tbut to
comfort the Diftrefsd. Cato. Tu juft
(ogive Applaufe wbere V/j defervi; Thy
Virtue, Prince, hat flood the Tefl of Fortune,
Like pure fi Glod y that, torturi in the Fumate, Cowf/ o/i/ J»or* brighi, bringi forth ali iti
IVcight Jub. ffia* yZw// I anfwer thee ?
my raviftìd Heart O'crflowi witb fecret
Joy : Vi rathsr gain Thy Praifc, O Cato,
than Namidiat Empire. Entcr Portlus
haftily. Porr. Miifortune on
Mitfortutte] Criefon Griefl My Brother
Marcut Caco. Hab ! what hai he ione
? Hat he forfook bit Pofl ? bai he givn
way t Did he look tameìy on, and letern
pafs f Porr. Scarce bad I left my
Futber, but I met him Born on the
Shieldi of hit furviving Soldiert,
Breathleft and pale, and cover i oer witb ÌVounit. Long^ at the Head of bit few faitbful Friendt
y He flood the Shock of a wbole Hoft of
Foet, Till olftinately Brave, and bent
on Deatb, Opprsft witb Multitudet, he
greatly fell. Caro. Tm fatitfyd. Porr.
Nor did he fallbefore Hit Sword bad
piercd throrigb the f alfe Heart ofSyphax:
Tonder he lie*t. I faw the hoary Traytor Grin in the Pungi of Death, and bite the
Ground. Caro. Tbankt to the Godi ! my
Boy hai ione hit Duty. - Portiut, when
£ am dead y befure tbou place Hit Urne
near mine. Porr. Long may tbey keep afunder!
Lue. O Caio, arm tby Soni witb ali Ut Patience j Sec wbtrctbc Corp of thy dsad Son approachet
! The «3( hs )h Giub. E'generofo il confolargli afflitti.C.
E* giufto dare applaufo al vero merto.
Tua virtù è ftata a prova di fortuna,
Come finiflìmo Or, che nel cruccjuolo
Tormentato, più fplende, e ftanne al pefo, Giub, Che ti rifponderò ? mio cuor
rapito Trabocca in gioja : pregio io, C., Tua lode più, che di Numidia il Regno. Entra Tornio frettolosamente. For%. Difgrazia trae difgrazia, e duolo
duolo. Miofratel Marco... C. Ahimè!
Ch'ha egli fatto' Ha abbandonato il
pofto ? ha egli ceduto ? O freddamente
gli ha paffar lafciati ? Torsfr Partii
da voi appeua, che incontrailo Portato
fopra feudi de 1 Soldati, Pallido,
fmorto, efangue, ricoperto Di ferite :
più tempo egli alla teda De'fuoi pochi
fedeli amici, flette Delle fchiere
nemiche incontr'all' urto, Ed oftinatamente bravo, e fermo Di morire, da folta turba oppreffo, Grandemente al fin cadde. Cat. Io fon
contento. For%. Nè cadde pria, che la
fuafpada il perfido Cuor di Siface
trapalato aveflTe. Là giace. Vidi il
traditor canuto Nella morte ringhiar,
mordere il Aiolo. Cat. Grazie al Ciel !
fatto ha *1 fuo dover mio figlio.
Porzio, quand' io morrò, fa che fia pofta Sua Urna alla mia accanto. Por%. Oh Ha ciò
tardi! Lue C., arma tuo cuor di
fofferenza: Ecco il corpo di tuo figlio
s* appreffa, ICit. The Citizen: ani Senators, alami d,
Rame gatberd round it 3 and attend it isjeeping. C. meeting
theCorps. Cato. Welcome my Son ! Here
lay htm down ^my Friends Full In my Sigbt,
tbat I may wiew at lei/tre The bloody
Coarfe, and counr iljofe glorious Womds.
How beautiful is Death, tuberi earnd hy Vìrtue ! Wbo wond not he tbat Toutb ? ivbat Fity is
ir Tbat we can die but once to Jerve our
Country \ W by fifs tbis Sadnefs on your
Brows, my Friends ì 1 fbotidhave blufb'd
ifCatos Houfe bad flood
Secure^andflourifb'd in a CìdìI War.
Fortius, bebold tby Brotber y and remember Thy Life is not tby own, wben Rome demands
ir. Jub. Was enxr Man like tbis ! [
afide. Cato. Alas my Friends ! Why monrn you tbus ? Let not a private
Loft Afflici your Hearts. Tii Rome
requires our Tears. The Mitfrcfs of tbe
World, the Seat of Empire y The Nurfe of
Heroes, tbe Deligbt ofGods, Tbat bumbled
tbe proud Tyrants of tbe Eartb y Avd fet
tbe Nations free, Rome is no more. 0
Liberty ! 0 Virtue ! 0 my Country !
Jub. Bebold tbat uprigbt Man ! Rome fills bis Eyes Witb Tears, tbat flowd not o % er bis own
dead Son. [afide. C.. Wbateer tbe Roman Virtue bas fubdud, Tbe Sun s wbole Courfe, tbe Day and Tear,
are Cafar V. For bim tbe fclf-dcvoted
Decii dyd, The Fabii fell y and tbe
great Scipio s tonquerd: Evn Fompey
fougbt for Cafar. Ob my Friends ! How is
tbe Toil of Fate, the Work of Ages,
The Digitized by I Cittadini e' Senator dolenti Circondante, e accompagnante piangendo C. incontrando il Corpo. Cat. Benvenuto, o mio figlio : giù
ponetelo Qui in mia vifta, acciocch* io
con agio miri E conti T onorate fue
ferite. ' Bella è la morte per valor
fudata. Chi d' effer quefto Giovan non
torrebbe ? Qual' è difgrazia, per la
Patria fua II non poter morir ch'una
fol volta/ Amici, perchè quefta in voi
meftizia? Se cafa di C. in ci vii
guerra Salda e profpera fufse, onta
farebbemi. Mira, Porzio : e fovvengati,
la vita Non effer tua, fe Roma
l'addimanda. ( mici; Gikb.afart. Fu mai
Uom come quefto ? Cat. PerchèJU Pianger
così una privata perdita? Roma è quella,
che chiede il noftro pianto « Donna del
Mondo, fede dell' Impero, D'Eroi
nutrice, degli Iddi; diletto, Che i
tiranni abballava, ed affrancava
Nazioni; quella Roma or non è più.
Oh libertà / oh virtù ! oh Patria mia !
Oìuk Prod' uom ! Roma da lui fpreme le lagrima, Che trar non può del figlio fuo la morte, a
{arte Cat, Tutto quel che domò Roman
valore, Tutto il corfodel fole, il
giorno, V anno Son di Cefar : per lui i
votati Decti, I Fabii cadder, vinfer
gliScipioni. Anco Pompeo pugnò per
Cefar. Cieli! Fatica del deftin, lavor
de' fecoli, S Gran- Tbe Roman Empire falVn ! O curfl Ambition! T alln into
Cd/ars Hands ! Our great Fore-Fatbert
Had left b'im nongbt to Conquer but bis Country. Jub. IVbile C. lives, Cafar voill blufb to
fee Mankind cvflavcd, and be afbamed of
Empire, C. Ce far ajbamed ! Has not bc
fccn P bar fall a ! Lue. Cato, Vi/ Time
tbou fave tby felf and us. Cat. Lofi
not a Tbougbt on me. fm out of D anger.
Heavn voill not leave me in tbe Viftors Hand. Cafar fball never fay Fve conquer d C.. But ob ! my Friends, your Safcty fillt my
Heart Witb anxious Tbougbt s : A tbou f
and fecret Terrors > Rife in my Soul
: How fball I fave my Friends ì Ti/ now,
O Cafar y I hegin to fear tbee. Lue.
Cafar bas Mercy, if we ask it of bim.
Cat. Tben ask it, l conjure you ! let bim know IVbate'er was done againft bim, C. did it. Aid, if you pleafe, tbat I requeft it of bim, Tbat l my felf \ vSitb Te ars, requeft it cf
bim y Tbe Virtue of my Friends may pafs
unpunifb'd, fui? a, my He art is
trifbled for tby Sake. Sboud I advìfe
tbte to regain Numidia, Or feek tbe
Conqueror ì Jub. If Iforfah tbee 1 Whìlfc l bave Life, may Heavn chandon Juha
! Cat. Tby Virtues, Fri are, if If ore
fee arìgbt, IVill ove Day make ibee
Grece; at Rome, bereafter, *T vaili be
no Crime to bave been C. s Friend.
Vortius, drava near ! My Son, tbou oft baft feen Tby Sire engaged in ù corrttytcd State, IVreflling -witb Vice atsd Fatlion : N>w
tbou fee fi me Spent 5 overpoisSrd,
defpairing of Succefs; Let me advìfe
tbee to retreat betimes U( 119 )S*
J Grande Imperio Roman, com lei caduto
! , Oh maladetta ambizion ! caduto Nelle mani di Cefare. I Maggiori Non lafciargli altro a vincer, che fua
patria. Club. Vivente C., arroffiraffi
Cefare D' un Mondo fchiavo, e avrà V
Impero ad onta. C. Ad onta Cefar ? non
vide ei Farfalla ? Lue. Cato, egli è
tempo te fai vare, e noi. Cat. Deh non
penfare a me : fon fuor di rifehio; In
man del vincitore io mai non fia : Ne
Cefar mai dirà : vinto ho C.. Ma oh /
Amici miei, voftra falute Stammi fui
cuor : mille fegrete angofee Spaventar!
l'Alma. Oh come falverò I miei amici /
Or, Cefare, io ti temo. Lue. Cefar, fe
a lui chieggiamla, avrà clemenza. Cat.
Chiedila, te'n feongiuro: il tutto [ ei fappia ] Che contra lui fu fatto, il feo C.. Soggiungi, fe ti piace, eh* io '1 richiedo, ' Che il valor de* miei amici fia impunico. Giuba, per amor tuo turbato è il cuore. A Numidia tornar configlierotti, O andare a Cefar ? Club. Se giammai ti lafcio Finch' io vivo, abbandoni il Cielo Giuba. Cat. Tue virtù, Prence, s' io prevedo dritto
> T esalteranno, c a Roma in
avvenire Non fia delitto l'amirtà di
Cato. Porzio, quà traggi : Figlio mio,
tu hai vitto Sovente me impanato in
guado Stato, Con vizj e con fazioni
contrattante : Or fianco e difperante
del {uccellò, Io ti configlio a
ritirarti a tempo S 2 A tua To tby Patemal Seat, tbe Sabine Fieli, Wbere the great Cenfor toiN witb bis ow»
Hands, And ali our frugai Anceftors
-were bit fi i In bumble Vtrtues, and a
Kural Life. There Uve retired, prayfor tbe Feace of Rome ^ Content thy felf to be Objcurely good. When
Vice prevails, and impìous Men bear Sway,
Tbe loft of Honour is a frisate Station. Port. 1 bope, my Fatber does not
recommend A life to Forti as, tbat be
feorns bimfelf. Cat. Farewcl, my
Friends ! iftbere be any ofyotà Tbat
dares not truft tbe Vitlort Clemency,
Know tbere are Sbips prepared by my Command, [ Tbeir Saìls already ofning to tbe Winds
] Tbat f ball convey you to tbe
wifbt-for Port. 2> tbere augbt elfe y
my Friends, I can do f or you ? Tbe
Conqueror draws ne or. Once more Fare-wel !
Ifeer we me et ber eafter, we fiali meet
In bappter Climes, andona fafer Sbore,
Wbere Capir never fiali approacb us more
Tbere tbe brave Toutb, vitb Love ofVirtue fired, Pointing to the Body of his dead Son. Wbo greatly in bis Country s Caufe ex pire d, Sball ino-w be Conquerd. Tbe firm Patriot
tbere l Wbo made tbe Welfare of Mankind
bis Care ] Tho'ftill, by Fatlion, Vice,
and Fortune, croft y Shall fmd the
genrous Lahour was not lofi* «3( '4i )S*
A tua fede paterna, al Sabin campo, Che 'J gran Cenforc a Tua mano
facra. Là 've i frugali
Avoli noftri in umili Virtudi, c in
rurar vita eran beaci. Per la pace di
Roma ivi tu prega, Celato ftando e in
tua virtute involto.. Quando il vizio
prevale, e gli empi regnano, Il più
onorevol pofto è il più privato. ' Tor£
Spero, che il Padre mio non raccomandi
A Porzio vfta, eh* ei medefmo fdegni. Cat. Addio, Amici : fc v' è alcun,
che tema Del vincitor fidarfi alla
clemenza > Sappia, che per mi ordine
fon prede Navi, lor vele già
fpiegandoai venti, Che condurranvi al deGato Porto. Altro c è, Amici, che per voi far debba
? S* appreffa il vincitor : di nuovo,
addio. Se mai e incontrerem, e'
incontreremo In più felici climi, e in
miglior fpiaggia, U* Cefar non fia mai
a noi vicino. additando il corpo del morto Tiglio Il prode Giovan di virtude
accefo, Che fpirò nella cauta di fu a Patria,
Vi faprà, eh* ei vincca. Il fermo amante Del fuo Paefe y eh' ha fatta Aia cura La falute del Mondo, ancorcri egli
abbia Fazion, Vizio, Fortuna a lui
contrarj, Non perderà fuoi generofi
affanni. C. folus, fttttng in a thoughtful Po/Iure : hi bis Hand Tlato's Book on the Im- mortality of the Sotti. A dravvn Svvord on the Table by bim. IT T wuft he fo
fiato, tbou reafonsl wett ! | Elfe
uuhsnce tbis pleafing Hope, tbis fond De/ire,
J Tbis Longing after lmmortality ?
Or ivbence tbis fccret Dread, and inward Horror, Of falling info Nongbt ? IV by fbrinks the
Soni Back on ber felf y and ftartles at
Deftrvtlion ? *Tis tbe DWinity tbat
flirt witbin us, Ti/ Heanìn its felf y
tbat point's out an Hereafter, And
intimate t Eternitj to Man. Eternit j !
tbon pleafing y dreadful, Tbotrgbt l Tbrougb
wbat Variety of untryd Being, Tbrougb
wbat nevu Scenes and Cbanges mnfl tue pafs !
Tbe ispide, tb % unbonnded Pro/peti y lie's before me > But Sbadows y Clouds } and Darbiefs, refi
u$on it. Here
C. folo, fedendo iti una pofoura penfierofa
In mano il Libro di Platone dell' Immorta- lità delT Anima. Spada [gita mata folla Tavola vicino a Lui. E Lia è cosi; Platon, tu hai ragione. Se nò; donde vien quella lufinghevole Speranza : quel desìo e ardente brama Dell' immortalità ? e donde qucfto Tcrror fegreto, e naturale orrore Di cader nel niente ? Perchè V alma Ritirata in fé ftefla, e impaurita Alla diftru/ion s' aombra e fugge ? E* la Divinità, che muove dentro; Il Cielo è quel che 1' avvenire addita, E air Uom V eternitade accenna e moftra • Eternità ! pender grato, tremendo ! Per qual elTer diverfo, e non provato, E per qual mutazion di nuove feene Dobbiam pattar? la vafta (terminata Villa avanti fi (tende j ma in ombre, In nubi, in fcuiità fi da rinvolta. Mi ( M4 )8l Urti volli 1 lold. Jf
tberes a Boisor ahove m j \ And tbat
there is ali Nature cries alwd Through
ali ber Works ] He mujl delight in Virine \
Ani tbat vvbicb be delight s in mufl he happy. But ivben ! or wbere ! Tbis World mas madefor Cafar. Vm weary of Conjeclures Tbis m ufi end 'em. ( Laying his Hand on his Svvord. Tbns am Idouhìy armd: my Deatb and life, My
Barn and Antidote are botb before me :
Ibis in a Moment brings me to an End :
But tbis informs me I /ball newer die,
The Sovl, fecurd in ber Exiftence 5 fmiWs At the drawn Dagger, and deficit iti Point. The Stars /ball fade v&ay, the Sun
bimfelf Grow àim isSitb Age, and Nature
fink in Tears > But thou fbalt
flourifbin immortai Toutb, Unburt amidfi the War of Elemcnts, The Wrecks of Master, and tbe Crufb
ofWorlds* Wbat means tbis Heavtnefs
tbat bangs upon me t Tbis Letbargy tbat
creeps through ali my Senfes t Nature
ofprefs'd, and barrafsd out litb Care, Sinks down to "Refi. Tbis once
Fllfauour ber. Tbat my awakend Soni may
take ber Flight, Renrwd in ali ber
Strengtb, and frefb witb Life An Ofringfitfor Heavn. LetGuiltor
Fear Difiurb Mans Resi : C. knows
neitber of f Indijfrenì in bis Cboice
tojleep or die Eotcr Mi fermo io qui :
fe ci è un Potei fovrano [ E eh* ei ci
fia, alto Natura grida ] Dilettarfi
egli dee nella virtude ; £ dee ciò che
'1 diletta, efter felice. Ma quando, o
dove ? Il Mondo è fol per Cefare. Ma/
che dubbi/.... Firmagli quefto. ponendo
la fra mano alla Spada. Armato a doppio
io fon: mia morte e vita, Mio veleno ed
antidoto ho d' avanti. Quefto in un
punto recami alla fine. M' infegna, quel,
eh io non finirò mai. L* alma nel Aio
Eller ficura, ride AI tratto ferro, e la
fua punta sfida. Le fte/Je mancheranno,
il Sole fteffo Fia abbacinato, e fu- voi
la Natura Inveccherà sfi cirrata, ma tu
frefea D* immortai gioventù /rcr/Vat*
&mpre, Degli elementi infra le
guerre illefa, Tra naufraga materia,
urto di Mondi • Che è qu'éfta triftezza,
che m' affale? Qual letargo ferpeggia
entro a mici fenfi ? Natura oppreffa e
faticata cafea, E vuol ripofo :
contentarla or giovami. Dettata Y alma
piglierà il fuo volo, Rinnovata in fua
forza, e frefea in vita, Degna offerta
pe '1 Ciel. Colpa o timore Sveglino
altrui : Caton non gli conofee, A
dormire o morire indifferente. Enter Portius. But labi hows tbtty my Son t Wby ibis
Intrufoli ? Were not my Orders tbat 1
woud le private ? Wby am 1 difobeyd
f Port. Alat y my Fatber ! Wbat Ì72GCWS tbis Swordì tbis Inflrument
ofDcatbl Lct me convey it bence i C.. Rafb Toutb, forbear t Port. 0 let tbe Frayrs, tb* Entreatiss of
your Friends, Tbeir Tears y tbeir common
Danger vvre/t it from you. C.. Woudfft tboubetray meì Wou % d ti tbou giue me
up A Slave, a Cattive, iato Cafars Hands
l Retire, and learn Obedience to a
Fatber, Or know, you*tg Man ! Port. 0 Sir, foi >give your Son, JVbofe Grief bangs beavy on bim\ O my Fatber
! How am I fare it it not tbe la/I Ttme
t I c*er {ball cali you fo ! Be not
difpleafcdy O be not angry vitb me
isobilft I weep, And, in tbe Anguifb of
my He art, befeeeb yon To quit tbe
dreadfnl Furpofe of your Soul * Cato.
Tbou bafi been ever good and dati fui. (Embracing him. JVeep not, my Son. Ali ivi II be -meli
again. Tbe rigbt.ousGods y wbom I bave
fougbt to pie afe ? Carne, e forgio.
Gifc V ^ A, che è ciò, mio Figlio? Perchè quà? JlVJI Non avea detto, ch'io volea ttar foio?
perchè cjifubbidire ? Pot%. Ohimè! mio Padre 1 . :Che fa efta fpada qui di
morte arredo ? .-Via ^crterolla. Cat. Temerario, ferma. P0f£ Le infìanze, i preghi degli amici, il
pianto, li comun lor periglio a voi la
(veglione Cat. Vorrefti tu tradirmi ? e
darmi fchiavo, Prigioniero, di Cefar
nelle mani ? Va* via: e ad ubbidire un
Padre impara, Ofappi, giovin... Por%.
Non mirar sì torvo» Morrei più tofto,
che difubbidirvì. Cat. Ben fia! Torno
Padrone di me ftefso. AtTedi) r>r,
Cefar, pur le noftre porte, Ed ogni
adito chiudi: le tue Flotte CuopT*»no
il mare, e ferrino ogni porto*,
Carr^.'.Vv/rà a fe medefimo un patio, \
E li. *anr ;rà le tue fperanze... Por%. Al figlio Tritio /dolente tuo perdona. Oh Padre/ Ahi / forfè quefta ria V ultima volta, Ch' io ti chiami così! non difguftarti, Nè t' adirar con meco, mentr* io
piango, E tra l'angofcia del mìo cuor
ti prego A lafcìar tuo orribile pi n
fiero. Cat. Tu hai fempre adempiuto!
tuoi doveri, {abbrac- Non pianger,
Figlio: il tutto anderà bene» (dandolo
I giudi Dei, cui mi ftudiai piacere, ... T z Pre-
Will fuccour C. f and preferve bit Cbildren.
Port. Tour Wordt girne Comfort tù my droofing Heart. C. Portiut y tbou mayft rely upon my
Conduci. Jby Fatber will not aQ wbat
mtsbecomct bim. But go ymySotty and fee
if augbt bc wantìng Among tby Fatber t
Friendt ; fra tbem embarqued ; And teli
me if tbe IVinds and Seat be friend tbem.
My Soni it quite weigb'd down witb Care, and ash Tbefoft Refrefbment of a Moment' t Sleep. [
Exit. Port. My Tbongbtsare more at
Eafe, my Heart rrvivet. Enter Marcia 0
Marcia, O my Sifler, fiill tbere't Hcfe !
Our Fatber wtll not caft away a Life.
So needful to ut ali, and to bit Country. He it r air ed to Refi, and feemt to
eberifb Tbougbtt full of Peate. He bat
difpatcbt me benee Witb Ordert, tbat
befpeak a Mind compofed, And fiudiout
for tbe Safetby of bit Friendt. ' Marcia,
tale tare tbat none difturb bit Slumbert. [ Exit Marc. 0 ye immortai Powert, tbat guard tbe
Good y ìVatcb round bit Coucb 9 and
foften bit Repof*, i \ Banijb bit
Sorrowt, and becalm bit Sosti Witb eafie
Dream s ; remember ali bit Virtuet ì And fbaw Mantind tbat Goodneft it your
Care. Enter S» Prcfervcran C. c i figli fuoi. Tori» Voi conf° r " tc »• mio abbattuto
cuore. Cat. Di me fidati, o Porzio : il
Padre tuo Non farà cofa mai', che gli
(convenga. 1 Or va, mio Figlio: e Ve*,
che nulla manchi A i noftri amici :
vedigli imbarcare ; Dimmi, fe venti e
mar gli favorifcono. Tratta è giù P
alma da pefanti cure, E d' un breve
dormir follievo chiede. parte C. For£
Miei penficrfon più qucti, c'1 cor refpira. m % I Tornio, e Marcia. Fors?.f~\ Marzia, o mia Sorella, ci è ancor
fpcrac. V_/ Il Padre, via non butterà
una vita A noi sì neceffaria ed alla
Patria . Ripofa, e fembra intrattener
penfieri Di p?ce . Ei rn ha con ordini
fpedito, Ch' una mente comporta ed
anfiofa Della falvezza de gli amici
moftrano . Marzia ; fa che niun (turbi
i fuòi fonni . fatte Mar^ Numi immortali,
che guardate il giudo. Vegliate intorno
al letto, e '1 fuo ripofo Addolcite,
bandire i fuoi dolori E con facili
fogni gli calmate L'anima: rammentatevi
di fue Virtudi : e a tutti gli uomini
inoltrate, Che degP Iddi) è la bontà
penfiero . •se w )i» and
awf#l ss a, God y. He knows not bow to
winì at bumnc Frail ty, Or pardon
IVcaknefs, tbatbe ne*ver felt-. Marc.
Tlwr/gb fieni and aufuì to tbc Foes ofRome y
He is ali Goodncfs. i Lucìa,, jlways mìld, Compaffionate, and gentle to Vis Friends
. F'i\ld n>itb Domtfl'tck Tendernefs,
the b'eff 9 The ìùnJeft Fatììet t I bave
c*vtr fpuud bim Eafie, and good,
audfanfeoustojnylVifbes. Lue. Til bit Confent aloni tan male m blefid, Marc ta, we botb tre eQuallyivpol'V'd ; In tbe fame intricate >iFtff'*4i Difircfs
. . r f - The cruci Handof Fata, ìbat
fa- deflroyd T£y £ro*kr Man*; y infoia
ta* botb- lamtnì Marc, -/W fwr lamenta
unbappyToutb ! Lue. Ha/ /5r/ my Soul at
largo, W uow Ifiand Loofe ofmyVowr £ut
y tybo Jinows Catos Thugbts ? IVbo
faow's bowyet b^ m^Afpofe ff Portiat e t
Or bas determini fi \ of' tby felfì . * J Marc. Zs»
Entcr Lucius '. Lue. Sweet are
the Slumbers of the wìrtuous Man ! 0
Marcia, I bave Jeen thy Godlike Fatbcr :
Some Tornir invsfible fupporis bis Soul^
And bears it up in ali its wonted Grcatnefs, A kittd refrefling Sleep isfalTnupon
bini: 1 faw bìm ftretcbt at Eafc, bis
Fancy loft In pleafeng Dream * as I
drew near bis touch, He fmiUd, and cryd^
Cafar tbon canft not burt me . Marc. His
Mind ftill labours witb fome dreadful Tbougbt
Lue. Lucia, wby ali tbis Grief y tbefe Floods ofSorrow Dry up thy Tears, my Cbild, we ali are
fafe Wbtle Caso iives His Prefence bile
Rome furvived, Woud not bave match' d
bis Daugbter witb a King , But Cafar s
Arms bave tbrowndown ali Dijlinclion ;
Whoe'er is Brave and Vìrtuous , is a Roman Vm ftck to Deatb O wben (ball I get
loofe From tbis vain World , tV Abode
ofGuilt and Sorrow ! And yet metbìnks a
Beam of Ligbt breaks in On my departing
Soul . Ala s , Ifear Tve beentoo bajly.
Oye Powrs, tbat fearcb The Re art ofMan,
and uteigb bis inmo/t Tbougbts , // I
bave done amtfs , impute it not ì The
beft may Erre , butyou are Good , and oh
! [Dics Lue. Tbere fled tbe greatefl
Soul tbat ever ivarmd A Roman Brcaft . O
C. ! 0 my Friend ! Thy WiU fiali be
religionjly obfervd Bui Ut us bear tbis
awful Corps to Cafar, Ani Ch’io pago al
Padre gli ultimi doveri. Giuk Quefti
i Trionfi fon , tue Imprefc , o Cefare !
Lue. Ora Roma è caduta daddovero /
C., portato avanti nella fua feJia .
C. Po fa temi qui giù. Porzio t'accoda.
Son gli amici imbarcati ? Puoffi fare
Alcuna cofa ancor per lorfcrvigio,
Mentre ancor vìvo? ch'io non viva in vano/ O Lucio , fei tu qui? Sei troppo tenero! Tra
i noftri figli V amicizia viva: Porzio felice fa nella tua Lucia. Pover' Uom /
piange! Marzia , la mia Figlia. Oh/ mandatemi avanti. Giuba t'ama. Di Roma un
Senaror, vivente Roma, Sposata non avrìa con Re fua Figlia; Ma tutto confuso
han di Cesar V armi . Chi è bravo e
valorofo , egli è Romano. Morir mi fento/ Oh ! quando farò fciolto Dal Mondo , di dolor di colpe albergo ! Pur
parmi , che di luce un raggio fpunti
All'alma che fi parte. Laffo / io temo
D'aver troppo affrettato. Oh / Numi, voi, Che penetrate il cuor dell'
uomo , e i fuoi Intimi movimenti ne
pefate, Se fallit'ho , a me non l'imputate
I migliori crran: buoni fiete , e .oh ! . . muore. Lue. La più bell'alma ora volò, che mai Un Roman petto rifcaldafle. O C.! Amico mio
! farà tua volontade Da noi con fomma
religion fervata. Portianne il corpo venerando a Cefare :
In « US )fc ^«J /ay U in bis Sigbt , that it may fi
and A Fence betwixt ut and the Vittor i
Wrath s Cato , thò dead, fiali ftill
proteB bis Friend. Trom bence, le t farce contendìng Nations know what dire
Effecls from Ci quai crudi effetti da civile
Difcordia featurifeoo. Quefta è quella, Che le noftre contrade ne feompiglia, E Roma dà a Romane armi in preda : Crudeltà, Lite, Frode partorifee, £ invola al Mondo reo vita di Caco, Stante la relazione fatta dal M. R. Sie.
Francefco Giufeppe Morelli Profefsore di
lingua Inglcle concordare la pre- lente
Traduzione col Tuo Originale in queir idioma ftam- pato,
Si riftampi l'un, e V altra.
Orazio Ma^ei Vicario Generale. Attefa la relazione del P. Ilario Flood
Agoftiniano nativo di Scozia , Si (rampi.
Maeftro Fr. Gio: Francefco Mefftni Mi». Covri). Vicario del S. Ufi^io della Città di Colle , e Provicario
Generale del S.Ufiyo di Firenze.
Filippo Buonarroti Sem , e Aud. di S. A. R. Catone. Keywords: portico. Refs.:
Luigi Speranza, “Grice e Catone.”
Luigi Speranza -- Grice e Cattaneo: la
ragione conversazionale e l’implicatura conversazionale longobarda -- Vico e la
sapienza italiana – il dialetto milanese e il sostratto latino – scuola di
Milano – filosofia milanese – filosofia lombarda -- filosofia italiana – Luigi
Speranza, pel Gruppo di Gioco di H. P. Grice, The Swimming-Pool Library (Milano).
Filosofo milanese. Filosofo Lombardo. Filosofo italiano. Milano, Lombardia. Grice:
“I like Cattaneo; in fact, I LOVE Cattaneo; he is so much like me! I taught at Rossall, and he defended the the teaching in what the
Italians (and indeed the ‘Dutch’) call the ‘gym’ not just of Grecian and Roman,
but Hebrew – He famously claimed to know Hebrew when he interviewed for a job
as a librarian! – From a semiotic point of view, he saw semiotics as the
phenomenon the philosopher must consider when dealing with communication – he
explored semantics, but also ‘sintassi’ in connection with ‘logic,’ and
obviously, pragmatics – He was interested in comparing systems of communication
in Homo sapiens sapiens and other species – and being an Italian, he was
especially interested in how Roman became Latin – he opposed the Tuscany rule!”
-- Grice: “Only a philosopher like
Cattaneo is can understand Cattaneo’s contributions to semiotics!”. Figlio di
Melchiorre, un orefice originario della Val Brembana, e di Maria Antonia
Sangiorgio, trascorse gran parte della sua infanzia dividendosi tra la vita
cittadina milanese e lunghi e frequenti soggiorni a Casorate, dove era spesso
ospite di parenti. Fu proprio durante questi soggiorni che, approfittando della
biblioteca del pro-zio, un sacerdote di campagna, si appassioa alla filosofia,
soprattutto dei classici della filosofia romana. Il suo amore per le
lettere humanistiche classiche lo indusse a intraprendere gli studi nei
seminari di Lecco prima e Monza poi, che avrebbero dovuto portarlo alla
carriera ecclesiastica, ma già all'età di diciassette anni, abbandonò il
seminario papista per continuare la sua formazione presso il Sant'Alessandro di
Milano e in seguito al ginnasio e liceo classic di Porta Nuova dove si diploma.
La sua formazione filosofica fu plasmata, durante gli studi superiori, da
maestri quali Cristoforis e Gherardini, i quali gli aprirono le porte del mondo
filosofico milanese. Grazie a queste opportunità, oltre alla passione per gli
studi classici, Cattaneo inizia a nutrire interessi di carattere sstorico. Sempre
in questo periodo furono fondamentali per la sua formazione filosofica le
letture presso la Biblioteca di Brera e il contatto con il cugino paterno,
direttore del gabinetto numismatico, era anche un importante esponente del mondo
filosofico milanese. Altro punto chiave per il percorso formativo degli suoi
interessi furono la frequentazione assidua dell’Ambrosiana, grazie alla sua
parentela materna Sangiorgio con il prefetto Pietro Cighera, e della biblioteca
personale dello zio. La Congregazione Municipale di Milano lo assunse come
insegnante di latino e poi di umanita nel ginnasio comunale di Santa Marta.
Approfondizza le sue frequentazioni con gli filosofi milanesi, entrando a far
parte della cerchia di Monti. Di questi stessi anni sono le sue amicizie con
Franscini e Montani. Dopo aver iniziato a frequentare le lezioni di Romagnosi
nella sua villa, ne divenne presto amico e allievo. Si laurea Pavia con il
massimo dei voti. Risale il suo saggio dato alla stampa e apparso sull’antologia,
si tratta di una recensione all'assunto primo del concetto di “giure naturale”.
Saggio sulla Storia della Svizzera italiana. Convinto sostenitore di richieste
di maggiore autonomia del regno lombardo-veneto dalla corte di Vienna, pensava
di puntare su una politica non violenta per avanzare tali richieste. Il motivo
del suo rifiuto nei confronti della violenza si può comprendere da questa
affermazione poco conosciuta del filosofo milanese che al tempo stesso lascia
trasparire cosa egli ne pensasse di un'annessione al Regno di Sardegna. Siamo i
più ricchi dell'impero, non vedo perché dovremmo uscirne. Ottenne alcune
concessioni dal vice-governatore austriaco, subito annullate dal generale
austriaco Radetzky. Purtroppo l'evoluzione tragica delle Cinque giornate
di Milano, degenerate in violenza, fecero capire a C. che un dialogo tra la nobiltà
lombarda e la corte di Vienna e effettivamente difficile, stessa impressione che
curiosamente ebbe anche Radetzky che nel periodo del suo governo nel lombardo-veneto
punta a cercare il favore del volgo. C. e i suoi amici parteciparono quindi e
contribuirono alle cinque giornate di Milano, senza agire con azioni di
violenza gratuita. Ma dopo di esse, rifiuta l'intervento piemontese. Considera
il Piemonte meno sviluppato della Lombardia e lontano dall'essere democratico.
Presidente del Consiglio di guerra di Milano, che governa insieme al Governo
provvisorio fino alla caduta di Milano al ritorno degli austriaci. Dopo una
serie di moti popolari, nel frattempo, viene proclamata la repubblica romana,
guidata da un triumvirato costituito da Mazzini, Saffi ed Armellini. In
seguito alla conclusione dei moti ripara nella ivizzera e si stabilì a
Castagnola, nei pressi di Lugano, nella villa Peri. Qui ebbe modo di stringere
maggiormente la sua amicizia con Franscini, potente filosofo ticinese, e di
partecipare alla vita filosofica del Cantone e della città. Fonda il liceo di
Lugano, che volle fortemente per creare un'istruzione pubblica laica libera dal
giogo del papa, al fine di formare una generazione liberale e laica che era
alla base dello sviluppo economico del resto della Svizzera. Amico di Manara,
anda a Napoli per incontrare Garibaldi, ma poi tornò in Svizzera, perché deluso
dall'impossibilità di formare una confederazione di repubbliche. Pur
essendo più volte eletto in Italia come deputato del Parlamento dell'Italia
unificata, rifiuta sempre di recarsi all'assemblea legislativa per non giurare
fedeltà ai Savoia. Viene ricordato per le sue idee federaliste impostate
su un forte pensiero liberale e laico. Acquista prospettive ideali vicine al
nascente movimento operaio-socialista. Fautore di un sistema politico basato su
una confederazione di stati italiani sullo stile della svizzera. Avendo stretto
amicizia con filosofi ticinesi come Franscini, ammira nei suoi viaggi
l'organizzazione e lo sviluppo economico della Svizzera interna che imputa
proprio a questa forma di governo -- è più pragmatico del romantico Mazzini -- è
un figlio dell'illuminismo, più legato a Verri che a Rousseau, e in lui è forte
la fede nella ragione che si mette al servizio di una vasta opera di
rinnovamento della communità. Pur essendogli state dedicate numerose logge
massoniche e un monumento realizzato a Milano dal massone Ferrari, una sua
lettera a Bozzoni, consente di escludere la sua appartenenza alla massoneria,
per sua esplicita dichiarazione, sovente in quel periodo tenuta segreta e
negata. Per lui scienza e giustizia devono guidare il progresso della
communità, tramite esse l'uomo ha compreso l'assoluto valore della libertà di
pensiero. Il progresso umano non deve essere individuale ma collettivo,
comunitario, attraverso un continuo confronto con l’altro. La partecipazione
alla vita della communita à è un fattore fondamentale nella formazione
dell'individuo. Il progresso può avvenire solo attraverso il confronto
collettivo comunitario. Il progresso non deve avvenire per forza o
autoritarismo, e, se avviene, avverrà compatibilmente con i tempi: sono gli
uomini che scandiscono le tappe del progresso. Nega il concetto di
“contratto” comunitario o sociale. Due uomini si sono associati per istinto. La
comunita, la diada, la società è un fatto naturale, primitivo, necessario,
permanente, universale -- è sempre esistito un federalismo delle intelligenze
umane -- è sorto perché è un elemento necessario di due menti
individuali. Pur riconoscendo il valore della singola intelligenza
monadica, afferma però, che più scambio, conversazione, dialettica, e confronto
ci sono, più la singola intelligenza monadica diventa tollerante dell’altro
nella diada. In questo modo anche la società e la comunita diadica e più
tollerante. Le due sistemi cognitivi dei individui della diada devono essere
sempre aperti, bisogna essere sempre pronti ad analizzare nuove verità.
Così come le due menti si devono federare, lo stesso devono fare gli stati
europei che hanno interessi di fondo comuni. Attraverso il federalismo i popoli,
le comunita, possono gestire meglio la loro partecipazione alla cosa pubblica.
La communita, il popolo deve tenere le mani sulla propria libertà. La comunita,
il popolo non deve delegare la propria libertà ad un popolo lontano dalle
proprie esigenze. La libertà economica è fondamentale per C. -- è la
prosecuzione della libertà di fare -- la libertà è una pianta dalle molte
radici. Nessuna di queste radici va tagliata sennò la pianta muore. La libertà
economica necessita di uguaglianza di condizioni. La disparità ci saranno ma
solo dopo che tutti avranno avuto la possibilità di confrontarsi nella
conversazione aperta. E un deciso repubblicano e una volta eletto
addirittura rinuncia ad entrare in parlamento rifiutandosi di giurare dinanzi
all'autorità e la forza del re. Viene richiamato quale iniziatore della
corrente di pensiero federalista in Italia. Fonda il periodico Il Politecnico,
rivista che divenne un punto di riferimento dei filosofi lombardi, avente come
intento principale l'aggiornamento tecnico e scientifico della cultura
nazionale. Guardando all'esempio della Svizzera cantonale (improntata alla
democrazia diretta), define il federalismo come "teorica della
libertà" in grado di coniugare indipendenza e pace, libertà e unità. Nota
al riguardo che abiamo pace vera, quando abiamo gli stati uniti dell’Europa,
alla svizzera. Cattaneo e Mazzini videro negli nella Svizzera l’unico esempio di
vera attuazione dell'ideale repubblicano. Federalista repubblicano laico di
orientamento radicale-anticlericale, fra i padri del Risorgimento, e alieno
dall'impegno politico diretto, e punta piuttosto alla trasformazione culturale
della società. La rivista Il Politecnico fu per lui il vero parlamento
alternativo a quello dei Savoia. In accordo con il Tuveri redattore del
Corriere di Sardegna, intervenne in merito alla questione sarda in chiave
autonomistica locale. In tal senso, denuncia l'incapacità ed incuranza del
governo centrale nel trovare una nuova destinazione d'uso al mezzo milione di
ettari (più di un quinto della superficie dell'isola) che avevano costituito i
soppressi demani feudali, sui quali le popolazioni locali esercitavano il
diritto di ademprivio, per usi civici. A lui è dedicato l'omonimo
istituto di ricerca. Altre saggi: “Scritti filosofici”; “Interdizioni
israelitiche”; “Psicologia delle menti associate” – questo saggio –
associazione -- non è stata completata e rimane allo stato di frammenti. Il
tema de saggio sarebbe dovuto consistere nel cercare un'interpretazione sociale
– diadica -- nello sviluppo dell'individuo o monada. La città – cittadino –
cittadinanza -- considerata come principio ideale delle istorie italiane;
Dell'India antica e moderna; Notizie naturali e civili su la Lombardia Vita di
ALIGHIERI (si veda) di Cesare Balbo Il Politecnico, Repertorio mensile di studi
applicati alla prosperità e coltura sociale e comunitaria; Dell'Insurrezione di
Milano e della successiva guerra. Rapporto sulla bonificazione del piano di
Magaldino a nome della società promotrice, In Lugano, Tipografia Chiusi. Le
cinque giornate di Milano di Carlo Lizzani -- interpretato da Giannini. C. e le
cinque giornate di Milano Secondo una
tesi, non comprovata e non accolta dai dizionari biografici, C. sarebbe nato a
Villastanza, frazione del comune di Parabiago in provincia di Milano. Certamente
più antica è la Villa prospiciente la Chiesa, sulla piazza ed attualmente in
proprietà del signor Luigi Gagliardi, cui è giunta per eredità dagli avi.
Un'insistente tradizione vuole che in questa casa, abbia avuto i natali
nientemeno che C.. Ma C. deve aver passato qui soltanto alcuni anni della sua
infanzia, ospite nei mesi estivi della famiglia amica ai propri genitori. Si
veda, a tal riguardo, “Storia di Parabiago, vicende e sviluppi dalle origini ad
oggi, Unione Tipografica di Milano. (Tortora), da Filosofico (Fusaro) Arch. Fant Milano Bertone, Camagni, Panara, La buone società:
Milano industria. Almanacco istorico d'Italia, Battezzatti. C. genealogy
project, su geni_family_tree. Il Famedio, su
del Comune di Milano; Lacaita, Gobbo, Turiel La biblioteca di C., Le
riforme illuministiche in Lombardia, articolo dal saggio introduttivo a Notizie
naturali e civili della Lombardia, come riportato da Pazzaglia in Antologia della
letteratura italiana, Il monumento
milanese che lo raffigura reca l'iscrizione, A C. -- La massoneria italiana, Mola, Storia della
Massoneria italiana dalle origini ai nostri giorni, Milano, Bompiani. Fonte:// manfredi
pomar.com/. l'Enciclopedia, alla voce
"Politecnico", in La Biblioteca di Repubblica, POMBA-DeAgostini; Petrone,
Massoneria e identità, Taranto, Bucarest; Fiorentino, Non proprio un modello:
gli Stati Uniti nel movimento risorgimentale italiano; Teodori, "C.,
Garibaldi, Cavallotti": i radicale anti-clericali, anti-papa, in
Risorgimento laico. Gli inganni clericali sull'Unità d'Italia, Rubbettino; M.
Politi, D. Messina, G. Pasquino, Teodori, Dibattito "Risorgimento
laico". Presentazione del saggio di Teodori, su Radio Radicale, Milano,
Fondazione Corriere della Sera. Tuveri, in Rassegna storica del Risorgimento; Ambrosoli
(scelta e introduz. di). C. e il federalismo, Roma, Ist. Poligrafico e Zecca
dello Stato, Archivi di Stato, Bobbio,
Una filosofia militante: studi su C., Einaudi, Torino; Campopiano, "C. e
La città considerata come principio ideale delle istorie italiane", in
"Dialoghi con il Presidente. Allievi ed ex-allievi delle Scuole
d'eccellenza pisane a colloquio con Ciampi", M. CampopianoL. Gori; Martinico,
E. Stradella, Pisa, La Normale. C. e Tenca di fronte alle teorie linguistiche di
Manzoni, in «Giornale storico della letteratura italiana; Colombo, Montaleone,
C. e il Politecnico, Angeli, Milano, Frigerio, dir. de Rougemont, Bruylant,
Bruxelles, Fubini, Gli scritti letterari di C., in Romanticismo italiano,
Laterza, Bari. Lacaita, L'opera e l'eredità di C., Feltrinelli, Milano. Puccio,
Introduzione a Cattaneo, Einaudi, Torino); C. nel primo centenario della morte,
antologia di scritti, edizioni Casagrande, Bellinzona, Antonio Gili, Pagine
storiche luganesi, Arti grafiche già Veladini, Lugano; Lacaita, Economia e riforme
in C., Ibidem; Cotti, C. in una lettera inedita di Lavizzari, C.: studio
biografico dall'Epistolario»; opera di Michelini
(Milano, NED), C. scrittore, in Manzoni e la via italiana al realismo, Napoli,
Liguori, Cattaneo una biografia. Il padre del Federalismo italiano, Garzanti,
Milano; Il ritratto carpito di C., Casagrande, Bellinzona; Cattaneo federalista
europeo, in «Il Cantonetto, Lugano, Fontana Edizioni SA, Pregassona, L'istruzione educante nel pensiero di C., Carlo
Moos, Carlo Cattaneo: il federalismo e la Svizzera, Mariachiara Fugazza, Una
lettera inedita di Cattaneo a De Boni. La Repubblica Romana, Ibidem, Moos, C. in Ticino, Bollettino della Società Storica
Locarnese, Tipografia Pedrazzini, Locarno, Michelin Salomon, C.. Una pedagogia
socialmente impegnata, Messina, Samperi; Mario: C. Cenni. Cremona. Cantoni, Il
sistema filosofico di C., Milano; Torino: Dumolard, Matteucci, Romagnosi Cinque
giornate di Milano Federalismo in Italia, Ferrari (filosofo) Liceo di Lugano
Stati Uniti d'Europa Sostrato (linguistica) Università Ca. C. su Treccani Enciclopedie
on line, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. C. in Enciclopedia Italiana,
Istituto dell'Enciclopedia Italiana. C.,
in Dizionario di storia, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. C., su
Enciclopedia Britannica, C. in Dizionario biografico degli italiani, Istituto
dell'Enciclopedia Italiana. C., su siusa. archivi. beniculturali, Sistema
Informativo Unificato per le Soprintendenze Archivistiche. Opere C., su open MLOL, Horizons Unlimited
srl. Opere C., su storia.camera, Camera dei deputati. Raffaelli, C., in Il
contributo italiano alla storia del Pensiero: Economia, Istituto
dell'Enciclopedia Italiana, Colombo, C.,
in Il contributo italiano alla storia del Pensiero: Filosofia, Istituto
dell'Enciclopedia Italiana, Opere Scritti di C. in classicis; Scritti di C.:
testi con concordanze e lista di frequenza Indice Carteggi di C. Altro
Cronologia della vita di C. su storia dimilano. C. Il contemporaneo dei posteri
a cura del Comitato nazionale per le celebrazioni del bicentenario della
nascita Filosofia Letteratura Letteratura Politica Politica Risorgimento Risorgimento Categorie: Patrioti italiani
Filosofi italiani Politici italiani Professore Milano Lugano Scrittori italiani
Personalità del Risorgimento Positivisti Insegnanti italiani Filosofi della
politica Repubblicanesimo Linguisti italiani Sepolti nel Cimitero Monumentale
di MilanoPolitologi italiani Federalisti Deputati della VII legislatura del
Regno di Sardegna Deputati dell'VIII legislatura del Regno d'Italia Deputati
della IX legislatura del Regno d'Italia. Linguaggio e ideologia: la posizione
di C., Comitato di Redazione matania edoardo ritratto di c. xilografia, Matania, Ritratto di C.,
xilografia, di Prato La centralità della figura di C. nell’ambito della
cultura italiana giustamente ricollegata
al suo pensiero liberale e laico, agli studi giuridici che hanno contrassegnato
l’intera sua formazione, all’interesse verso l’etnografia e la psicologia
sociale. La sua personalità di studioso poliedrico e sfaccettato, fortemente
influenzata dalla cultura classicista e dalla filosofia dell’illuminismo, si è
concretizzata in varie forme tutte di grande rilevanza: il filosofo,
l’economista, il critico, lo storico, lo scrittore politico, il fondatore della
rivista Il Politecnico e, non da ultimo, il linguista. Nel quadro di
questa ricerca intellettuale così ricca e variegata un posto rilevante assumono
i suoi studi etnico-linguistici di impianto storico-positivo e i suoi progetti
politici orientati sul concetto di “nazionalità”. Con questo termine egli si
riferiva allo stesso tempo sia alla più alta e unitaria aggregazione culturale,
sia alla diretta partecipazione popolare allo sviluppo della società
civile. Proprio sugli interessi linguistici di C. concentreremo la nostra
attenzione mettendo in evidenza l’impulso che egli ha dato alla
costruzione dell’italiano come lingua comune che riflette il nesso tra la
vitalità della lingua e la vitalità culturale della nazione di cui la lingua
stessa è «il vincolo unitario in senso geografico e sociale» (Vitale), perché è
da essa che dipende la possibilità per gli italiani di partecipare al progresso
della cultura del proprio Paese. La forte coscienza del carattere comune della
lingua faceva sì che C. potesse prescrivere la rinnovabilità della lingua –
rifiutando quindi le angustie del purismo, i grecismi e i particolarismi
provinciali – e sostenere anche un’opposizione recisa, basata su una coerente
visione culturale di impronta europea, sia al neotoscanismo e al fiorentinismo
manzoniano, sia all’accademismo della Crusca, in nome di un principio di unità
di cultura e di vita civile nazionale. Questa impostazione spiega poi la
sua duplice posizione rispetto ai dialetti: da una parte riproponeva in termini
nuovi, non antitetici, i rapporti fra i dialetti e la lingua,
riconoscendo la validità dei dialetti in quanto depositari di un patrimonio
storico da preservare, apprezzando i valori riposti nelle culture popolari e
sottolineando anche il valore della letteratura dialettale; dall’altra però
considerava i dialetti come elementi superabili nel processo dialettico
fondativo della lingua comune, essendo consapevole che il coinvolgimento dei
parlanti nella lingua comune poteva avvenire nella misura in cui essi
riuscivano progressivamente ad abbandonare l’uso esclusivo del dialetto.
Il primo scritto di linguistica di C. è quello sul Nesso della nazione e della
lingua Valacca coll’italiana, pubblicato come parte di un lavoro più generale
che riguardava l’influenza delle invasioni barbariche sulla lingua italiana e
che non venne mai condotto a termine. Si tratta di uno studio sul passaggio
dalla società tardo romana a quella feudale e poi comunale, condotto sulla scia
dell’insegnamento di Romagnosi ma con una sostanziale differenza: mentre
Romagnosi tendeva a ridurre la storia della civiltà in storia degli istituti
giuridici e solo marginalmente si interessava di questioni linguistiche, C. già
in questo primo scritto – il cui carattere storico generale è evidente –
metteva al centro della sua trattazione il problema linguistico, considerando
la lingua come espressione della nazionalità e testimonianza delle vicende
della storia dei popoli. La funzione sociale e in senso lato
politica della lingua viene così enfatizzata con la finalità di studiare le
interconnessioni tra le cose, cioè gli anelli che compongono le catene sociali
che tengono uniti gli individui in quanto membri di una comunità: le parole,
che sono ricche di sottili significati, possono essere comprese pienamente solo
se situate in un contesto sociale più ampio di quello del loro svolgersi
immediato (Lewis). Il nucleo che tiene insieme le memorie individuali e
collettive è insomma costituito dalla lingua e l’esercizio della lingua
rafforza tale nucleo dal quale poi dipende in buona parte l’identità di un
popolo, la sua coscienza storica. In questo caso C. non si riferiva alla lingua
solo come insieme di regole sintattiche e di etichette fonologiche, ma anche come
modalità socialmente e regionalmente differenziata, dunque non la lingua come
sistema, bensì come norma e istituzione: «è nelle parole della lingua che si
condensano i path, i “sentieri” della memoria propri di ciascuna comunità»
(Mauro). Poli C. mostrò fin dagli anni giovanili grande interesse per
l’opera di VICO, anche grazie all’influenza che ebbero su di lui le opere di
Romagnosi e Ferrari che la interpretavano alla luce dell’antropologia laica
dell’illuminismo. Proprio dal saggio di Ferrari, Vico e l’Italie uscito a
Parigi, egli prese spunto per un saggio Sulla scienza nuova che pubblicò sul
Politecnico nello stesso anno. L’interesse per le età primitive e per la vita
collettiva dei popoli, il rapporto tra lingua e nazione denotano la presenza di
motivi vichiani, con i quali C. corresse certi eccessi del razionalismo
settecentesco, senza mai però rinunciare all’idea di progresso, e allo stesso
tempo senza farsi influenzare dagli aspetti teologici della filosofia di Vico.
La sua formazione illuminista lo portò a non condividere nessun mito del
Risorgimento romantico e spiritualista, a celebrare come maestro Locke
contrapponendolo alle fumosità dell’idealismo, ad avversare le posizioni di
Rosmini, Gioberti e anche Mazzini. L’illuminismo nella sua opera «si
rivela sotto il carattere di una radicale antimitologia» (Alessio). Rispetto al
Romanticismo la posizione di C. è contrassegnata da una sostanziale estraneità:
giustamente Timpanaro osserva che parlare – come spesso si è fatto – di un
romanticismo di Cattaneo può essere giusto se ci riferiamo al romanticismo come
una categoria spirituale generale, definendo romantico ogni forma di interesse
per le età primitive, per le tradizioni popolari e per il nesso lingua\nazione.
Ma questo non ci deve far dimenticare che per il Romanticismo inteso come
movimento culturale storicamente definito Cattaneo – come del resto anche
Leopardi – mostrò sempre un atteggiamento critico e distante motivato dalla sua
avversione al medievalismo, a quella concezione religiosa della vita che i
romantici – sia pure con sfumature diverse – condividevano e al modo ambiguo
con cui veniva da loro esaltato lo spirito popolare, inteso più come
attaccamento alle tradizioni locali e forma di ingenuità, che come aspirazione
democratica. Sui rapporti tra romani e barbari e sulle origini della
lingua italiana C. tornò diverse volte in altri scritti successivi quel saggio,
sostenendo la derivazione dell’italiano dal latino volgare e limitando al
massimo l’influsso delle lingue dei barbari sulla formazione dell’italiano,
tanto più che secondo lui il numero dei barbari dominatori era stato assai
esiguo contrariamente a quanto pensavano molti storici. Per valutare al meglio
questa continuazione dell’italiano dal latino volgare per C. era necessario
tener conto anche dell’influsso esercitato dalle antiche lingue dei popoli
italici conquistati dai romani (etrusco, umbro, celtico ecc..). Questa è
l’importante teoria del sostrato senza la quale è difficile ad esempio spiegare
la varietà dei dialetti italiani e che coinvolge soprattutto la fonetica
piuttosto che il lessico: non si tratta quindi di una generale mescolanza di
lingue, ma della stessa nuova lingua pronunciata in modo diverso in base ad
abitudini fonetiche precedenti che rimanevano vive perché radicate dall’uso dei
parlanti. Gli studi sull’origine dell’italiano sono importanti anche per
spiegare la posizione che C. ha assunto nel dibattito sulla questione della
lingua, che ha avuto del resto una grande rilevanza nella cultura italiana del
tempo. C., infatti, non vedeva una scissione tra il suo impegno di linguista
militante e i suoi studi di linguistica storica, al contrario riteneva lo
studio storico delle lingue come la base, e dunque il fondamento, della
linguistica normativa. Di fronte al problema di come la lingua italiana avrebbe
dovuto essere formata e regolarizzata, egli sosteneva una rigorosa battaglia
antitoscana, svolta su due fronti essenziali. Il primo era diretto –
riprendendo una polemica che era stata inaugurata dagli illuministi lombardi
del Caffè – contro il modello arcaico e passatista dell’Accademia della Crusca,
che sosteneva una concezione immobilistica della lingua, estranea a ogni
innovazione e fondata sulla netta scissione tra lingua e cultura. Il secondo
fronte riguardava il modello certamente più moderno e funzionale del Manzoni,
ma che ai suoi occhi risultava troppo accentrato e basato su un concetto di
popolarità che egli non condivideva: «la dottrina della popolarità da cui
primamente si presero le mosse, oramai non significa più che si debba agevolare
l’intendimento e l’arte della lingua agli indotti: ma bensì che si debbano
raccogliere presso uno dei popoli d’Italia le forme che, più domestiche a
quello, riescono più oscure a tutti li altri. Si intende un’angusta e inutile
popolarità d’origine, non la vasta e benefica popolarità dell’uso e dei frutti»
In alternativa, C. opponeva una forma di lingua che costituisse un punto
d’incontro delle varie tradizioni dialettali italiane in maniera da poter
svolgere veramente una funzione unificatrice della nazione. Una lingua, allo
stesso tempo illustre, «insieme austera e moderna» (Timpanaro), adeguata non
solo alla cultura letteraria, ma anche a quella scientifica e
filosofica. Fin da quel primo articolo, cui abbiamo già fatto riferimento,
C. dimostra inoltre di avere due maggiori capacità rispetto ad altri autori
italiani suoi contemporanei. La prima era quella di saper andare al di là dei
ristretti confini nazionali, interessandosi ad esempio delle lingue germaniche
e del romeno. La seconda consisteva nell’avere ben presente il principio che la
comunanza di origine tra due lingue è dimostrata dalla somiglianza delle
strutture grammaticali, più che dei vocaboli – principio che ricavava dalla
nuova linguistica comparata di Bopp e dei fratelli Schlegel che, proprio in
quegli anni, erano diventati per lui importanti interlocutori anche polemici e
avevano impresso nuovi sviluppi alle sue idee linguistiche. Biondelli pubblica sul
Politecnico una serie di articoli sulla linguistica indeuropea, recensendo
anche importanti opere dei comparatisti, informando così il pubblico italiano
sui risultati scientifici da loro raggiunti. Questi articoli hanno indotto C. a
prendere una posizione critica di fronte a questa corrente di studi e a
scrivere il saggio Sul principio istorico delle lingue europee. In questo
saggio C. critica l’idea che dall’affinità delle lingue fosse possibile
ricavare una comunanza d’origine dei popoli, perché era invece convinto che non
ci fosse una connessione essenziale tra affinità linguistica e affinità
razziale e che la linguistica e l’antropologia andassero attentamente distinte;
inoltre credeva che si fosse troppo insistito sull’unità dell’indoeuropeo,
trascurando le differenze tra le varie lingue dovute al sostrato. Guardava con
sospetto l’esaltazione orientalizzante che costituiva forse la conseguenza più
effimera e fuorviante del comparatismo indoeuropeo (Marazzini). Per Schlegel il
sostrato svolgeva soprattutto una funzione negativa corrompendo la perfetta forma
del sanscrito; per C., al contrario, la commistione del sanscrito con le lingue
europee primitive ha dato luogo a un innesto fecondo perché il sostrato
«rappresentava appunto il principio della varietà linguistica, non cancellata
dall’azione unificatrice esercitata dal popolo colonizzatore» (Timpanaro). La
parentela linguistica non è quindi nel sistema di C. identità di origine, bensì
il risultato di un lento e progressivo avvicinamento delle popolazioni, dovuto
all’istaurarsi fra di esse di rapporti politici, economici e culturali. Non si
tratta, quindi, di un punto di partenza, ma di arrivo: «Le lingue vive
d’Europa non sono le divergenti emanazioni d’una primitiva lingua comune, che
tende alla pluralità e alla dissoluzione; ma sono bensì l’innesto d’una lingua
commune sopra i selvatici arbusti delle lingue aborigene, e tende
all’associazione e all’unità. Se una volta in diverse parti d’Italia e delle
isole si parlò il fenicio, il greco, l’osco, l’umbro, l’etrusco, il celtico, il
carnico, e Dio sa quanti altri strani linguaggi, come tuttora avviene nella
Caucasia, la sovraposizione d’una lingua commune avvicinò tanto tra loro i
nostri vulghi, che ora agevolmente s’intendono tra loro. Il tempo che cangiò le
lingue discordandi in dialetti d’una lingua, corrode ora sempre più le
differenze dei dialetti; e lo sviluppo delle strade e la generale educazione
promovono sempre più l’unificazione dei popoli. Non è che una lingua
madre si scomponga in molte figlie; ma bensì più lingue affatto diverse, assimilandosi
ad una sola, divengono affini con essa e fra loro; e per poco che l’opera si
continui, o a più riprese si rinovi, divengono suoi dialetti e infine mettono
foce commune in lei. (C.) Sulla base di queste considerazioni, C., nell’ambito
dell’acceso dibattito sulla monogenesi o poligenesi del linguaggio, sosteneva
una posizione particolare: rifiutava evidentemente il primo, ma allo stesso
tempo era anche distante da quel particolare tipo di poligenismo sostenuto da
Schlegel, che consisteva nel separare nettamente pochi tipi linguistici
originali dai quali sarebbero derivate tante lingue cosiddette “figlie”. Per
lui invece esistevano tante lingue primitive originarie che si erano ridotte di
numero, via via che le tribù avevano cominciato a unirsi in aggregati più ampi.
Non esistevano quindi – come per Schlegel – delle lingue perfette fin
dall’inizio (le lingue flessive); tutte le lingue avevano origini umili o, come
scriveva lui stesso, “ferine”. I modelli di questo modo di intendere il
poligenismo linguistico sono Epicuro, VICO e Cesarotti Sempre contro Schlegel,
rivendica la giustezza della teoria agglutinante secondo la quale anche le
forme flessionali più perfette e sofisticate derivavano dall’agglutinazione di
monosillabi che all’origine avevano una funzione autonoma. E in quel articolo
osserva infatti che le declinazioni della lingua latina e greca potevano
derivare da semplici nomi con un articolo affisso (C.). Psicologia delle menti
associate carlocattaneoeditoririuniti La polemica con Schlegel riguardava anche
la questione dell’origine del linguaggio: mentre per il primo la flessione
indoeuropea era dovuta sostanzialmente a un intervento divino, per Cattaneo,
l’origine del linguaggio non poteva che essere umana, e su questo avrebbe
mantenuto una posizione coerente anche negli scritti successivi come le Lezioni
di ideologia, dove, ad esempio, confutava il sofisma di Bonald che negava
all’uomo la facoltà di costruirsi un linguaggio. Su questo tema come per tanti
altri Cattaneo è vicino alla grande tradizione della linguistica illuminista
che con Locke e Herder aveva respinto recisamente la concezione delle idee
innate e l’origine divina del linguaggio (Prato) ed è del tutto immune dalla
concezione misticheggiante della linguistica tanto cara ai romantici.
Proprio nel Saggio sul principio istorico delle lingue europee, C. si propone
di verificare il rapporto tra fenomeni linguistici e tradizioni culturali,
considerando la ricerca linguistica in stretta correlazione con una riflessione
propriamente filosofica. L’analisi dei fenomeni linguistici non si riduceva per
lui solo a una raccolta estemporanea di dati ma si traduceva in una vera e
propria scienza sociale. Alla filosofia analitica degli Idèologues – che era
rappresentata per gli scrittori italiani soprattutto da Condillac e Tracy –
egli riconosceva senz’altro il merito di aver esaminato con acume e precisione
i problemi del linguaggio, inserendoli in una prospettiva il più possibile
concreta e razionale. Allo stesso tempo era tuttavia consapevole anche dei suoi
limiti, che consistono nell’aver indicato come proprio oggetto di riflessione
una figura di uomo dai caratteri astratti e indipendente dal rapporto con i
suoi simili. Proprio «la famosa ipotesi della ‘statua’ condillachiana gli
appariva emblematica di un concetto destorificato della natura umana»
(Gensini). Non a caso alle conferenze tenute presso l’Istituto Lombardo di
Scienze e Lettere, C.volle dare il titolo di Psicologia delle menti associate,
dove il termine di “psicologia sociale” è inteso appunto in senso antropologico
sia come riflessione sull’uomo a partire dai rapporti che lo legano agli altri
suoi simili, sia come ricostruzione delle mentalità e dei sistemi simbolici
quale risultato di mediazioni sociali. In queste lezioni Cattaneo osservava che
il lievito che fa fermentare le idee non si svolge in una mente sola perché «la
corrente del pensiero vuole una pila elettrica di più cuori e di più intelletti.
(C.). La genesi delle idee, che Locke aveva dimostrato scaturire dal
linguaggio, in questa nuova prospettiva aperta da C., non può che radicarsi
nella pratica sociale: «Nel commercio degli intelletti, promosso da felici
condizioni, si svolgono le idee, come nel mondo materiale, al contatto delli
elementi, si svolgono le correnti elettriche e le chimiche affinità. (C.) Il
linguaggio stesso è la società (C.), ed è proprio su questo terreno che
l’ideologia – ovvero l’analisi delle idee – iincontra la linguistica. Ideologia
è del resto il titolo di una parte del corso di Filosofia che C. aveva tenuto
presso il liceo di Lugano. Non a caso aveva scelto questo titolo se
consideriamo che per la sua chiara derivazione illuminista, l’ideologia
rappresentava la sola reale forma di opposizione al conformismo della cultura
del suo tempo perché l’ideologia era «un’arma efficace per una filosofia
democratica, atta ad opporsi alla marea montante della filosofia restaurata,
allo spiritualismo eclettico in Francia, all’ontologismo cattolico in Italia»
(Formigari). I principi che contrassegnano l’intera ricerca di C. e che
spaziano dal riconoscimento del valore del pensiero scientifico, alla negazione
della metafisica e alla difesa della laicità, la rendono insomma pienamente
aderente ai problemi e alle esigenze del nostro tempo, oltre che aperta a
ulteriori forme di sviluppo e approfondimento. Dialoghi
Mediterranei. Per un ritratto
complessivo di C. e dei rapporti con i suoi contemporanei rimandiamo a Alessio e
Mazzali. Studiati in particolare da Timpanaro. Si veda anche Gensini; Benincà; Geymonat.
Negli Annali universali di statistica, si leggono ora in C. Si trova in C. [Anche
per Giordani la lingua è il vincolo di una comunità che si identifica con la
nazione (Cecioni). Per esempio nella recensione alla Vita di Dante di Balbo
pubblicata sempre sul Politecnico(ora in C.) di cui viene criticato il
contenuto religioso e metafisico e la difesa del neo-guelfismo. Questa teoria
del sostrato come è noto verrà ripresa da Ascoli nei suoi celebri scritti
linguistici. Sul rapporto tra Cattaneo e Ascoli rimandiamo alle dense pagine di
Timpanaro e Timpanaro. Qui lo scrittore lombardo riprendeva un’idea ben
radicata nella cultura italiana e che risaliva al De vulgari eloquentia di
Dante. Su questo si può cogliere l’eco della Proposta di alcune correzioni ed
aggiunte al Vocabolario della Crusca del Monti che Cattaneo del resto aveva
letto fin da giovanissimo con passione e interesse. Sulla linguistica dei
comparatisti si veda Morpurgo Davies. Sulla funzione positiva svolta da Biondelli
per lo sviluppo degli studi linguistici in Italia vedi De Mauro. Per esempio la
Deutsche Grammatik di Jacob Grimm. Pubblicato sul Politecnico è certamente il
suo scritto linguistico-etnografico più ampio e originale. Qui C. fa
riferimento a Uber die Sprache und Weisheit der Indier, Sulle idee
filosofico-linguistiche di Schlegel vedi Timpanaro; In particolare su Cesarotti
e sul suo Saggio sulla filosofia delle lingue, che è stato per Cattaneo una
lettura importante vedi Gensini. Pubblicate postume da Bertani nella raccolta
di Opere edite e inedite, ora in C. Ideologia è del resto il titolo stesso di
una parte del corso di Filosofia che aveva tenuto presso il liceo di Lugano: si
trova ora in C.; Alessio, C. illuminista”, in C.; Benincà, “Linguistica e
dialettologia italiana”, in Lepschy; Bobbio, “Introduzione”, in C., Scritti filosofici,
Firenze, La Monnier, C. Scritti letterari, artistici, linguistici e vari, a
cura di Bertani, Firenze, Le Monnier. C. Scritti filosofici, letterari e vari,
a cura di F. Alessio, Firenze, Sansoni; C., Scritti filosofici, a cura di N.
Bobbio, Firenze, Le Monnier. C., Scritti su Milano e la Lombardia, a cura di E.
Mazzali, Milano, Rizzoli. Cecioni, Lingua e cultura nel pensiero di Pietro
Giordani, Roma, Bulzoni. Mauro, Idee e ricerche linguistiche nella cultura
italiana, Bologna, Il Mulino. De Mauro, Il linguaggio tra natura e storia,
Milano, Mondadori Università. Formigari,L’esperienza e il segno. La filosofia
del linguaggio tra Illuminismo e Restaurazione, Roma, Editori Riuniti.
Formigari, L. e Lo Piparo, a cura di,
Prospettive di storia della linguistica. Lingua linguaggio comunicazione
sociale, Roma, Editori Riuniti. Gensini, Volgar favella. Percorsi del pensiero
linguistico leopardiano da Robortello a Manzoni, Firenze, La Nuova Italia.
Gensini, Cesarotti nei dibattiti linguistici del suo tempo”, in Roggia; Geymonat;
C. linguista. Dal “Politecnico” milanese alle lezioni svizzere, Roma, Carocci.
Lepschy, a cura di, Storia della linguistica, Bologna, Il Mulino; Lepschy,
“Presentazione”, in Timpanaro; Lewis, Prospettive di antropologia, Roma,
Bulzoni. Marazzini, Conoscenze e riflessioni di linguistica storica in Italia
nei primi vent’anni dell’Ottocento”, in Formigari e Lo Piparo, Mazzali,
Introduzione”, in C. Morpurgo Davies, La
linguistica, in Lepschy; Prato, Filosofia e linguaggio nell’età dei lumi. Da
Locke agli idéologues, Bologna, I libri di Emil. Roggia, a cura di Cesarotti.
Linguistica e antropologia nell’età dei lumi, Roma, Carocci. Timpanaro,
Classicismo e illuminismo nell’Ottocento italiano, Pisa, Nistri-Lischi.
Timpanaro, Sulla linguistica dell’Ottocento, Bologna, Il Mulino. Vitale; La
questione della lingua, Palermo, Palumbo. Almagià, Anghiera, Pietro Martire d’,
in Dizionario biografico degli italiani, Roma, Istituto della Enciclopedia
italiana; Baldi, L’origine del significato romantico di ‘ballata’, in Id.,
Studi sulla poesia popolare d’Inghilterra e di Scozia, Roma, Edizioni di storia
e letteratura. Biondelli, Atlante linguistico d’Europa, Milano, Rusconi-Chiusi.
C., Epistolario, raccolto e annotato da Caddeo, Firenze, Barbèra. Id.; Gli
antichi Messicani, in Id., Scritti storici e geografici, a cura di Salvemini e
Sestan, Firenze, Le Monnier; Tipi del genere umano, in Id., Scritti storici e
geografici, a cura di Salvemini e Sestan, Firenze, Le Monnier, Lezioni, in Id.,
Scritti filosofici, a cura di Bobbio, Firenze, Monnier; On the origin etc.
Sulla origine delle specie con mezzi di scelta naturale, ossia la Conservazione
delle razze favorite nella lotta per vivere, di Darwin, Londra, in Id., Scritti
letterari, a cura di Treves, Firenze, Monnier; Id. Carteggi, serie I. Lettere
di C., cur. Cancarini Petroboni e M. Fugazza, Firenze-Bellinzona,
Monnier-Casagrande. Id.; Carteggi, sLettere dei corrispondenti, a cura di C.
Agliati, G. Albergoni e R. Gobbo, Firenze-Bellinzona, Le Monnier-
Mondadori-Casagrande. Cella, I gallicismi nei testi dell’italiano antico,
Firenze, Crusca. Cortelazzo; Zolli, Dizionario etimologico della lingua
italiana, Bologna, Zanichelli. Cotugno, «Rinascimento» e «Risorgimento», in
“Lingua e stile”; Ancona; Carteggio,
D’Ancona-Mussafia, a cura di L. Curti, Pisa, Scuola Normale Superiore; Filippi,
L’uomo e le scimie, in “Il Politecnico”; Forcellini E. Totius latinitatis
Lexicon, Padova, Tipografia del Seminario, Bettinelli. Foscolo, Epoche della
lingua italiana, in Id., Opere, a cura di Puppo, Milano, Mursia, Fugazza. C., Scienza
e società, Milano, Angeli. Galton F., C., Osservazioni meteorologiche sincrone
fatte in Inghilterra e ridutte in forma di mappa dal Sig. F. Galton di Londra,
in “Il Politecnico”; Geymonat, C. linguista, Roma, Carocci, C. prepara le Lezioni di Ideologia a Lugano, in
“Nuova informazione bibliografica”; Gherardini, Voci e maniere di dire italiane
additate a’ futuri vocabolaristi, Milano; Bianchi. Id., Supplimento a’
vocabolari italiani, Milano, Bernardoni. Giovannetti, Nordiche superstizioni.
La ballata romantica italiana, Venezia, Marsilio. Lacaita, Gobbo, Priano.,
Laforgia (a cura di), Il Politecnico” di C.. La vicenda editoriale, i
collaboratori, gli indici, Lugano-Milano, Casagrande; Marazzini, L’ordine delle parole. Storia di vocabolari
italiani, Bologna, il Mulino. Mussafia, Reihenfolge der Schriften Ferdinand
Wolf’s, Wien, Hof- und Staatsdruckerei. Ramusio, Navigationi et viaggi,
Venezia, Giunti, vol. III Ranalli, Vite di uomini illustri romani dal
risorgimento della letteratura italiana, Firenze, Pagni. Romanini, Se fossero
più ordinate, e meglio scritte. Ramusio correttore ed editore delle Navigationi
et viaggi, Roma, Viella. Rusconi, Sopra i lai o canti degli anglo-normanni, in
“Giornale dell’I. R. Istituto Lombardo di scienze, lettere ed arti o Biblioteca
italiana”; Delle Lezioni tenute al Liceo di Lugano tra anni Cinquanta e
Sessanta, si analizzano le versioni preparatorie di un paragrafo dedicato
all’originarsi della poesia da canti e balli popolari, con particolare
attenzione alla cosiddetta ballata. Ciò consente di riconoscere in C., che in
quel periodo ha ripreso l’attività di studio e divulgazione, il perdurare
d’interessi terminologici e il legame con dibattiti che avevano coinvolto suoi
maestri, colleghi e amici. Curiosità e passioni s’intrecciano con letture,
alcune delle quali avranno eco nella seconda serie de "Il
Politecnico", altre rimarranno limitate alla pratica didattica e si
possono in parte scoprire grazie agli appunti preparatori. Indice del saggio su
C. linguista – recensione Resurggimento. Anche il latino è lingua di tutta
Italia, ma gl'itali non sono tutti romani. I dialetti ne sono testimonianza. La
serbata integrità nativa delle molteplici favelle del Caucaso di fronte alle
indo-perse riflette l'imagine di quelle che popolano l'Italia innanzi che la
copre LO STRATO LATINO. Ne invasioni armale, né importazioni di civiltà, ne sovrapposizioni di lingue alterarono i confini etno-grafici dei
TUSCI, dei LIGURI, dei CISALPINI, dei veneti
e d'ogni altra. Non conosciamo ancora le svariate forme naturali del nostro
paese, e nemmeno i nostri dialetti e le riposte
loro derivazioni. Non conosciamo i secreti nessi che collegano QUESTA
LINGUA NOSTRA alla civiltà precoce della Persia e dell'India, e alla lunga
barbarie dell'antico settentrione. La
filologia puo classificare le duemila lingue e dialetti morti e vivi in
famiglie, come si costuma nelle faune e nelle flore – la botanica linguistica
di H. P. Grice e J. L. Austin. La
scienza della lingua è luce aggiunta alla scienza dei luoghi, dei tempi e dei
monumenti, a rischiarare il buio della storia. Per lei si scoprono le cause onde i popoli
comunicarono tra loro con certi modi peculiari i propri pensieri. Per lei si
rileva, da lieve indizio di scrittura salvata, una gente ignota alla storia. Si
sorprendono sorelle nazioni che l’idioma apparentemente diverso inimica e in un
dialetto si palesano segni d’origine disforme e
di ANTICHI ODII IN NAZIONE
STIMATA OMOGENEA. Per lei si assiste al ritorno su straniere labbra d'un
vocabolo esulato dalla patria in età remota. Per ei si rintracciano in una valle le reliquia d’una
lingua fuggita dalla pianura negl’attriti del commercio o della conquista. Per
lei si contemplas il transito d'una favella celebrata d’una letteratura e
l'ascensione d'oscuro dialetto del Lazio
a dignità d’idioma illustre
in compagnia della fortuna militare del popolo romano. Per
lei rilucono le affinità e
le diversità delle
lingue tutte. LA NOSTRA LINGUA
ITALIANA ha una nota affinità primamente
col latino -- e colla altra lingua
dal latino derivata: il francese.
Queste due lingue viventi e li
innumerevoli loro dialetti si classificano dai linguisti sotto il
nome commune di lingue romane o
romanze o latine. Come una famiglia, si deduce che i dialetti
e pronuncie provinciali sono fili
conduttori ad un’origine prima. Si
deduce che la varietà dei dialetti, delle
pronuncie e dell'aspetto degl’italiani trova
esplicazione e commento nella varietà
delle stirpi e di quella lingua dei romani. Si deduce che l'azione cementatrice della lingua dei romani s’è compiuta soltanto sovra popoli barbari, e tali sono gl’europei alla
comparizione delle caste
asiatiche; che avendo raggiunto un
certo grado di
coltura, ì baschi
RESISTENO alla lingua dei romani. Quando noi troviamo nel tedesco
e nel gotico
la radice della
parola latina iraesagus, dobbiamo indurre che qualche
antichissima relazione vi fu tra li
avi dei romani e
li avi de’goti. Nello stesso
modo in cui
possiamo riferire l'italiano ed
il francese – o lingua gallica, come
preferisco (i franci sono piu barbari) -- alla
commune loro madre, la lingua latina, o dei romani, come preferisco, possiamo riferire il latino, il
greco, il sanscrito,
il zendo ad
una commune origine celata
nella notte dei tempi. Se si paragona la lingua dei romani alle
due lingue sue figlie, l’italiano e il gallico, si trova
che queste, cioè
le lingue moderne, hanno maggior copia di voci astratte.
La lingua dei romani ha lavoce “fortis”
-- ma non ha la voce “forza.” Da
vir abbiamo della lingua dei romani la “virtus”,
l'italiano e il
francese virtù, vertu. Ma l'italiano e il francese hanno inoltre le parole
derivate “virtuoso”, “virtuosamente”, vertueux,
vertueusement; e il
francese ha inoltre il
verbo évei^tuer. Le voci
italiane ente, entità, essenza,
essenziale, essenzialmente, se
vengono ricondotte alla
forma della lingua de romani: ens,
entitas, essentia, essentialis,
essentialiter, non si trovano mai nei romani antichi, ma
solo in quelli dei
bassi tempi. L’'inglese, che
per una metà de'suoi
vocaboli deriva dall'antica
lingua anglo-sassone e per
l'altra metà dalla lingua dei romani. Nelle lingue
indo-europee la radice è quasi
sempre uni-sillaba. Una radice bi-sillaba
-- come animo, columna,
vidua, susurrus, titubare,
vacillare, oscillare tentennare, dondolare -- si puo considerare
o come raddoppiamento o come derivazione
di una voce semplici più antiche. Nella lingua dei romani, un
verbo semplice p. e.
mitto, fero, traho, colle
sue inflessioni di persona,
di numero, di tempo, di modo,
e coi diversi
casi de’suoi participj, produce, nella sola forma
attiva, circa un centinaio d’inflessioni -- mitto,
mittis, mittens, missuriis
etc. etc. -- coir aggìuiìta
delle forme nella voce passiva --
mittor, mitteris, missus,
mittendus -- e dei nomi
ed aggettivi verbali
-- missio, missilis y missivus -- ne forma duecento. Questo numero può
ripetersi tante volte quanti sono i
verbi derivati e composti, p. e. mittito, AD-mitto, A-mitto, eie.
epperò dalla sola radice uni-sillaba
di mitt-o possono diramarsi tremila suoni piu o meno
diversi, ciascuno dei quali esprime un'idea in qualche grado modificata e
distinta. P. e., nelle tre
voci mitto, misi,
mitfam, vi è per
lo meno la differenza del tempo. Nelle
voci missuris e
mittendis sono espresse tutte
quelle idee che in
italiano significhiamo con
dire: a quelli
che manderanno, ovvero
a quelli che DEVONO ESSERE mandati. Cosicché qui tre sillabe della
lingua dei romani equivalgono da sette
a tredici sillabe
nella lingua degl’italiani. Codesti tremila vocaboli nell’idioma
primitivo sono rappresentati da
una sola sillaba: “mit.” È come
la quercia rappresentata d’una ghianda.
Qualunque sia dunque la
dovizia delle forme nelle
lingue derivate, abbiamo questa
legge di linguistica
che le lingue veramente primitive
hanno potuto consistere in
poche centinaia di
radici monosillabe. È un fatto linguistico che la lingua dei romani, la lingua madre, nel propagarsi di paese in
paese e nel venir adottate da
numerose persone, hanno perduto gran numero delle loro
inflessioni. La lingua degl’italiani, paragonata alla lingua dei Romani,
non ha più i verbi passivi, né i participi futuri,
né i partecipali, né il genere
neutro, e le declinazioni dei nomi
sono ridutte a due sole
desinenze: singolare e plurale.
Per rilevare le affinità non basta paragonare isolatamente una
lingua con un'altra. È necessario
ravvicinarla a tutta la serie delle lingue della stessa famiglia. A prima vista
non appare similitudine
tra il vocabolo dormire e il tedesco
traumen, che vuol dire
sognare. Ma appare di
più nell’inglese “dream”,
che ha le stesse
consonanti della lingua dei romani
e lo stesso senso del tedesco. Inoltre
nelle due voci della lingua dei romani,
somniis e somnium, e
nelle italiane “sonno”
e “sogno” si trova il doppio
senso di dormire -- e sognare. La
pronuncia della lingua dei romani e della lingua degl’italiani proviene dalle
loro origini, ossia dal genio imitativo più
o meno DELICATO, dalli
organi vocali più o
meno flessibili, e dall’abitudini passate
in tradizione. E più facile mutare il VOCABOLARIO dagl’italiani, dargli una
nuova lingua, che mutare la sua
pronuncia. Questa pronuncia sopravvive
nei dialetti,anche dopo che
le lingua è mutata. Ancora oggi,
la pronuncia e il
dialetto segnano in Italia precisamente i confini antichi
della Gallia Cisalpina
e della Carnia con
la Venezia, la
Toscana e la
Liguria. In Italia, due soli
dialetti hanno aspirazione:
il toscano e il bergamasco. I due
dialetti PIÙ DOLCI (forse) sono il
veneto e il
siciliano, alle opposte
estremità dell'Italia. VICO rinvenne
nelle radici latine le
vestigia d'una antica
sapienza italica e fa
essendo a quei
tempi ignota ancora
la scienza linguistica
e non osservata
la consonanza della lingua dei Romani col zendo
e col sanscrito,
Vico attribuì quella
sapienza alli aborigeni dell'Italia,
e perciò scrive
il De antiqiiissima
Italorum sapientia et
latinae linguae originibus
emenda, e correttamente! Carlo Cattaneo. Keywords: cinque giornate,
community, communita, diada, monada, associazione, contratto sociale,
conversazione, psicologia filosofica, psicologia, sociologia filosofica, ego e
alter ego, logica e linguaggio, il latino, l’italiano di lombardia, il natale
di Cattaneo – regione Lombardia – provincia -- – Milano. Refs.: Luigi Speranza,
“Grice e Cattaneo” – The Swimming-Pool Library.
Luigi Speranza -- Grice e Cattaneo:
la ragione conversazionale e l’implicatura conversazionale dello stratto -- scuola di Roma – filosofia romana – filosofia
lazia -- filosofia italiana – Luigi Speranza, pel Gruppo di Gioco di H. P.
Grice, The Swimming-Pool Library (Roma). Filosofo romano. Filosofo lazio. Filosofo italiano. Roma, Lazio. Grice:
“I love Cattaneo, but then you would, wouldn’t you – He reminds me of H. L. A.
Hart, and then *I* am reminded that Cattaneo translated Hart to Italian as a
pastime! What I like about Cattaneo is that instead of focusing on “Roman law”
and Cicero – he focuses on Pinocchio!”. Si laurea a Milano sotto
Treves. Su consiglio di Treves e Bobbio ha soggiornato al St. Antony's,
criticando Hart, professore di Giurisprudenza, di cui su suggerimento di Bobbio
e Entreves ha tradotto “Il concetto di legge”. Insegna a Ferrara, Milano,
Sassari, Treviso. Analizza l'evoluzione storica delle teorie della pena e le
opere dei grandi giuristi italiani. Membro della Società Italiana di Filosofia
Giuridica e Politica. Altre opere: Il concetto di rivoluzione nella scienza del
diritto” (Milano); “Il positivismo giuridico” (Milano); “Il partito politico
nel pensiero dell'Illuminismo e della Rivoluzione” (Milano); “Le dottrine
politiche” (Milano); Illuminismo e legislazione” (Milano); “Filosofia della Rivoluzione”
(Milano); “Diritto liberale” “Giurisprudenza liberale” (Ferrara); “Filosofia
del diritto, Ferrara); La filosofia della pena” (Ferrara); Delitto e pena”
(Milano); Il problema filosofico della pena, Ferrara); Stato di diritto e stato
totalitario, Ferrara); Dignità umana e pena nella filosofia di Kant, Milano); “Metafisica
del diritto e ragione pura, studi sul platonismo giuridico di Kant” (Milano);
“Goldoni ed Manzoni: illuminismo e diritto penale, Milano); “Carrara e la
filosofia del diritto penale, Torino); “Libertà e Virtù” (Milano); Pena,
diritto e dignità umana” (Torino); Diritto e Stato nella filosofia della
rivoluzione” (Milano); Suggestioni penalistiche”; “Persona e Stato di diritto
Discorsi alla nazione europea, Torino); Critica della giustizia, Pisa); L'umanesimo
giuridico penale” (Pisa); Pena di morte e civiltà del diritto” (Milano); Terrorismo
ed arbitrio, Il problema giuridico del totalitarismo, Padova); Il liberalismo
penale di Montesquieu” (Napoli); Dignità umana e pace perpetua, Kant e la
critica della politica” (Padova); “L’idolatria sociale (Napoli); “L’umanesimo
giuridico, Napoli); Kant e la filosofia del diritto” (Napoli); Diritto e forza.
Un delicato rapporto, Padova); Giusnaturalismo e dignità umana, Napoli); Dotta
ignoranza e umanesimo” (Napoli); La radice dell'Europa: la ragione, uno studio
filosofico-giuridico (Napoli). “Analisi del linguaggio e scienza politica”
(Filosofia del diritto); “Il concetto di rivoluzione nella scienza del diritto,
Milano, Istituto editoriale Cisalpino); “Il positivismo giuridico e la
separazione tra il diritto e la morale” (Istituto Lombardo di Scienze e
Lettere, Milano. Richiamo a istituti di diritto privato per la risoluzione del
problema dell'origine dello stato, in “La norma giuridica: diritto pubblico e
diritto privato, Atti del IV Congresso di Filosofia del diritto, Pavia, Milano,
Giuffre); “Il realismo giuridico” in »Rivista di Diritto Civile”; Alcune
osservazioni sui concetto di giustizia in Hobbes, in Il problema della
giustizia: diritto ed economia, diritto e politica, diritto e logica, Atti del
V Congresso Nazionale di Filosofia del Diritto, Roma (Milano, Giuffre); “Hobbes
e il pensiero democratico nella Rivoluzione inglese e nella Rivoluzione
francese, in »Rivista critica di storia della filosofia”; “Il positivismo
giuridico inglese: Hobbes, Bentham, Austin, Milano, Giuffre); Il partito
politico nel pensiero dell'illuminismo e della Rivoluzione francese, Milano,
Giuffre); Le dottrine politiche di Montesquieu e di Rousseau, Milano, La Goliardica
Stampa); Il positivismo giuridico, in »Rivista Internazionale di Filosofia del
Diritto«, “Il concetto di diritto” (Milano, Einaudi); “Considerazioni sul ‘significato’
della proposizione, ‘I giudice crea diritto«, in »Rivista Internazionale di
Filosofia del Diritto«; Illuminismo e legislazione, Milano, Edizioni di
Comunita); Leggi penali e liberta del cittadino, in »Comunita«, Montesquieu,
Rousseau e la Rivoluzione francese, Milano, La Goliardica); dispense del corso
di Storia delle dottrine politiche, Milano); Quattro Punti, in »Rivista
Internazionale di Filosofia del Diritto«, Liberta e virtu nel pensiero politico
di Robespierre, Milano-Varese, Istituto Editoriale Cisalpino); Considerazioni
sull'idea di repubblica federale nell'illuminismo francese, in »Studi
Sassaresi”,Liberta e virtu nel pensiero politico di Robespierre, Milano, Istituto
Editoriale Cisalpino); Filosofo e giurista liberale, Milano, Edizioni di
Comunita); Filosofia politica e Filosofia della pena, in Tradizione e novita
della filosofia della politica, Atti del Primo Simposio di Filosofia della
Politica, Bari, Bari, Laterza); Pigliaru: La figura e l'opera, testo della
commemorazione tenuta i125 giugno 1969 nell' Aula Magna dell'U niversita di Sassari,
in »Studi sassaresi«, Milano); Le elezioni e il liberalismo. Autonomia
dell'Universita e neo-corporativismo, in »La Rassegna Pugliese«, Anti-Hobbes,
ovvero i limiti del potere supremo e il diritto co-attivo dei cittadini contro
il sovrano (Milano, Giuffre); Anti-Hobbes o il diritto co-attivo dei cittadini
--; Considerazioni suI diritto di resistenza e liberalismo, in »Studi
Sassaresi«, Ill, Autonomia e diritto di resistenza, Milano); La dottrina penale
nella filosofia giuridica del criticismo, in Materiali per una Storia della
Cultura Giuridica, ICorso di filosofia del diritto, Ferrara, Editrice
Universitaria); La filosofia della pena nei secoli XVII e XVII: corso di
filosofia del diritto, Ferrara, De Salvia). Discutendo giurisprudenza con
Treves, pone il problema che sarebbe stato al centro di tutta la sua vita di
uomo impegnato nello studio, nell'insegnamento, nella vita civile. Interrogandosi
suI rapporto fra “rivoluzione” e “ordine giuridico”, vale a dire fra “fatto”
(de facto) e “diritto” (de iure), giunge alIa conclusione che da un punto di
vista epistemico-doxastico-giudicativo-conoscitivo-descrittivo non e possibile
distinguere tra ordine giuridico e regime di violenza, autoritatismo, perche il
diritto non e giusto per sua intrinseca natura, ma soltanto se e concretamente rivolto
ad attuare il valore del giusto e rispetto della persona umana. Il rapporto fra
forza autoritaria e la forza della legge, che da il titolo a uno suo
saggio, e la relazione fra diritto o gius come valore, costituisce infatti la
questione su cui non cessa mai di interrogarsi, nella prospettiva del
fondamento metafisico (escatologico, propriamente) del concetto di ‘giure’ non e
riducibile alla volizione o ragione pratica del legislatore propriamente
adgiudicato (alla Aristotele). In questo modo, C. indica la ricerca del giusto
come compito specifico della filosofia del diritto e pre-annuncia il suo
intero percorso filosofico caratterizzato da un assunto basilaro. La filosofia,
come assere Socrate, ha il suo carattere precipuo nel porre un problema
piuttosto che nel risolverlo o dissolverlo, e, come nel mito platonico della
caverna, l’analisi concettuale si muove suI piano della trascendenza
escatologica, diverso e superiore a quello della realta empirica o naturale. Anche
la filosofia giuridica, in quanto filosofia, e aperta alla escatologia metafisica
e, avendo come base la conoscenza del codice u ordine del diritto
romano-italiano *positivo*, pone il problema della sua valutazione escatologica
alIa luce del valore della dignita kantiana umana e del concetto di un “stato
di diritto”. Compito del filosofo non e dunque *descrivere* il diritto positive
fattico empirico esistente, ma conoscerlo per condurne una meta-analisi critica
al fine del suo adeguamento al modello ideale platonico socratico di giustizia
contro il neo-trasimaco di Hart. Il problema giuridico della rivoluzione. Il concetto di rivoluzione nella scienza e nel
diritto, Milano-Varese. Neokantismo nella filosofia del diritto di Treves, in
Diritto, cultura e liberta. Diritto e forza. Un delicato rapporto, Paova. La filosofia
del diritto: il problema della sua identita, in Filosofia del diritto. Identita
scientifica e didattica oggi, Cattania. IL tema del rapporto tra Diritto e
Letteratura è stato più volte trattato dal Prof. Mario Cattaneo che ha
pubblicato i seguenti saggi: ”Riflessioni sul <De Monarchia> di Dante
Alighieri”, “L’Illuminismo giuridico di Alessandro Manzoni” pubblicato nelle
Memorie del Seminario della Facoltà di Magistero di Sassari., “Goldoni e
Manzoni. illuminismo e diritto penale” e “Suggestioni penalistiche in testi
letterari. Nella Introduzione del volume su Goldoni e Manzoni rileva che i
rapporti tra diritto e letteratura e la discussione di problemi giuridici in
opere letterarie non sono stati in generale molto studiati; non mancano
tuttavia alcune ricerche concernenti soprattutto il diritto nel teatro
Sono stati compiuti degli studi sul significato giuridico di alcune opere di
Shakespeare daJhering e Kohler ed è stato esaminato il pensiero di
alcuni poeti tra cui in Italia soprattutto Dante del quale si sono occupati
Carrara, Vaturi, Vecchio, Mossini e lo stesso Cattaneo. Vi
sono importanti opere della letteratura europea che hanno affrontato problemi
giuridici rilevanti come il “Kolhaas” pubblicato da H. von Kleist e “Delitto e Castigo” di Dostoevskijj,l’
Autore rileva peraltro che la presenza di temi giuridici nella letteratura è
particolarmente rilevante nell’illuminismo data la sensibilità civile di questo
movimento. Il volume è dedicato all’esame degli aspetti giuridici – soprattutto
di diritto penale – di due grandi autori italiani: Goldoni ed Manzoni.
Cattaneo rileva l’accostamento tra i due grandi letterati deriva da alcuni
elementi di contatto: Goldoni passò l’ultima parte della vita in Francia e vide
il declino dell’ancien regime francese e Manzoni trascorse parte della
giovinezza in Francia nel periodo napoleonico. Goldoni visse gli ultimi anni
della sua vita a Parigi nei primi anni della Rivoluzione francese ma non
sappiamo come abbia seguito le fasi della stessa mentre Manzoni li seguì e
scrisse l’ode “Del trionfo della libertà” che manifesta le opinioni del suo
Autore e verso la conclusione della vita scrisse “La rivoluzione francese e la
rivoluzione italiana” un saggio che fu pubblicato postumo e che, secondo C.,
è ispirato a sentimenti di libertà i due scrittori hanno un
orientamento differente Goldoni, bonario ed ottimista, esamina gli
aspetti gioiosi della vita pur con una punta di satira e critica della società
mentre Manzoni esamina gli aspetti essenziali e drammatici della
esistenza umana, sotto il profilo religioso Goldoni risulta tiepido ed alquanto
indifferente mentre Manzoni nelle sue opere affronta il problema
religioso. Cattaneo evidenzia che l’accostamento tra i due letterati è
già stata istituita da alcuni studiosi e cita l’opinione espressa da Ferdinando
Galanti che evidenzia che Goldoni diede all’ Italia la nuova commedia, il
ritratto della vita sulla scena, Manzoni è importante per la nuova tragedia ed
il romanzo lasciando un popolo di caratteri originali, vivi e che rimarranno
nella memoria di tutti come figure casalinghe, parlanti, che saranno ereditate
di generazione in generazione quale caro tesoro di famiglia. Galanti ritiene
che Manzoni abbia continuato, nel cammino della verità, l’opera di
Goldoni. Questo giudizio è ripreso da Federico Pellegrini in uno scritto
che indica come elemento comune <il rispetto della natura> e ricorda i
giudizi favorevoli di Manzoni su Goldoni in materia di lingua. Pellegrini
rileva che nelle Commedie di Goldoni come nei Promessi Sposi l’esuberanza della
fantasia non offende la sobrietà dell’insieme e vi è una processione di
personaggi buoni e cattivi al di sopra dei quali vi è una idealità: la vittoria
del bene sul male, questo è la morale di tutti i drammi. Pellegrini raffronta
ed accosta i personaggi delle opere dei due letterati e conclude
affermando che: i geni si incontrano. Il Mazzoleni ha istituito un confronto
fra “I Promessi Sposi” e “La Putta onorata” commedia in cui Bettina,
fidanzata di Pasqualino, viene rapita dal marchese Ottavio. Le coincidenze tra
le due opere peraltro escludono l’influsso di Goldoni su Manzoni, per cui vi è
affinità non dipendenza. Il Petronio nel suo libro ”Parini e l
‘illuminismo lombardo” mette in rilievo che. “ben quattro volte l’Italia ha
tentato una letteratura realistica”: “Una prima volta con l’illuminismo, col
Parini e Goldoni; una seconda con il romanticismo lombardo, i tentativi
generosi del Berchet nel verso e i risultati luminosi del Manzoni nella prosa;
una terza col verismo meridionale e la soluzione geniale ma singolare, senza
seguito, del Verga; una quarta in questo secondo dopoguerra” Passarella ha
associato Goldoni, Manzoni e Collodi nel suo studio “Goldoni filosofo” ed ha
definito i tre letterati “i più grandi umoristi del mondo” scrivendo che
“Mentre Manzoni narra di lotte intime di uomini travolti dalla malvagità e
Collodi sorride delle cadute e degli sforzi di quel Pinocchio fatto di legno ed
emotivo e vivo di tutti gli elementi dell’essere umano, sintesi di tutta
l’umanità aggrappantesi sulla ripida china che conduce a essere degni di
chiamarsi umani, il sorriso col quale Goldoni guarda i suoi attori dice che il
suo problema è la socialità: scontri ed incontri, beffe e incomprensioni,
cadute e risollevamento nelle opinioni altrui” C. evidenzia anche
che un breve cenno comparativo tra Goldoni e Manzoni sotto il profilo giuridico
è svolto anche daJemolo il quale scrive a riguardo che Goldoni, che aveva
studiato giurisprudenza, cercò nella commedia “L’Avvocato veneziano” di darci una
figurazione di avvocato virtuoso, per cui la toga è davvero una divisa di
soldato: Manzoni nel mondo del diritto non ci ha lasciato che la immagine
imperitura di Azzecca-garbugli, il ricordo caricaturale delle Gride dei
Governatori e quello del conte-zio, alto burocrate del suo tempo, il quadro
atroce dei giudici della Colonna infame. Padoan ha rilevato in un suo
scritto che anche oggi, e non senza qualche ragione, potremmo indicare in
Goldoni una polemica contro l’ozio nobiliare, anteriore al Parini; un
atteggiamento di interesse verso il mondo degli umili, che non fu senza
influenza sul Manzoni. C. conclude l’introduzione al volume affermando che
le citazioni prima esposte sono sufficienti a giustificare la trattazione dei
due autori in un unico volume, la sua analisi prende in considerazione la
visione del problema giuridico dei due scrittori ed analizza il pensiero
giuridico nelle sue premesse di fondo.nelle sue fondazioni filosofiche, nella
misura in cui fare questo è possibile; a tal fine ritiene che l’elemento
unificatore dei due autori in relazione al diritto, indicato anche nel titolo è
l’illuminismo L’autore evidenzia che nel Goldoni avvocato, difensore
della professione forense, che mette in rilievo diversi problemi giuridici in
molte sue commedie, si risente, in modo non marcato, l’influenza
dell’Illuminismo, che è la radice della sua satira sociale, della sua garbata
critica della nobiltà e delle disuguaglianze sociali, come in Manzoni critico
della giustizia umana e della incertezza giuridica, che satireggia i pubblici
funzionari e gli avvocati, raccogliendo l’eredità del grande nonno
Beccaria. C. ritiene che, oltre le apparenti differenze,.<< sia
rintracciabile, nel pensiero di Goldoni e di Manzoni, il filo conduttore dato
dai principi fondamentali dell’illuminismo giuridico, principi che si possono
individuare essenzialmente nella certezza del diritto e nella dignità della
persona umana. L’autore riferisce degli Studi su Goldoni avvocato rilevando che
la critica ha tenuto presente in modo primario del significato letterario delle
sue opere un breve cenno agli studi giuridici di Goldoni era stato fatto
da un grande recensore contemporaneo al commediografo Schiller nelle due
recensioni alla traduzione tedesca dei “MÉMOIRES.” nella
letteratura italiana Zanardelli, importante esponente dell’Italia
risorgimentale, cita Goldoni in alcuni passi del volume “L’Avvocatura”
soffermandosi sulla figura della commedia “L’Avvocato veneziano” delineato come
il tipo ideale dell’avvocato. Gli scritti italiani più importanti dedicati
a Goldoni avvocato, scarsamente ricordati nelle bibliografie goldoniane,
sono opere di due studiosi parenti di C. Il primo è l’articolo “Goldoni
avvocato” di Pascolato il secondo è di Cevolotto, avvocato di Treviso
Pascolato rifiuta la tesi che Goldoni sia stato un dilettante della
giurisprudenza ed afferma la reale e profonda cultura giuridica attestata
dall’esercizio dell’attività forense a Pisa dove vinse persino tre cause in un
mese e che evidenziano il carattere schietto e buono anche in mezzo ai volumi
dei dottori; Cervolotto esamina gli studi giuridici di Goldoni di tre anni a
Pavia, ad Udine, la sua attività di coadiutore del cancelliere criminale a
Chioggia e la sua laurea in legge a Padova. Un capitolo è dedicato alla
attività professionale a Pisa dove esercitò più nel criminale che nel civile.
Il penultimo capitolo è dedicato all’esame degli aspetti giuridici delle
commedie goldoniane specie la commedia “L’Avvocato veneziano” che costituisce
una esaltazione del foro veneto e altre note commedie. Cervolotto ritiene che
Goldoni fu senza dubbio giurista, oltre che avvocato di valore non certo
mediocre o comune evidenziando i buoni studi benché saltuari da lui compiuti e
la sua conoscenza di molte questioni giuridiche presenti nelle sue opere.
Cattaneo cita anche gli studiCozzi e di Zennaro Il secondo capitolo
è intitolato “Goldoni, la procedura criminale e Il problema penale” e C.
riporta un passo dei “Mémoires” di Goldoni che tratta il tema della procedura
criminale ed è commentato dal Pascolato che rileva che <<quella procedura
criminale, colla continua ricerca della verità, coll’assiduo studio dei
caratteri, lo aveva ammaliato: è una lezione interessantissima per lo studio
dell’uomo. Di verità e di caratteri Goldoni faceva allora provvisione per i
giorni, ancora lontani, della sua gloria. E intanto voleva diventare
cancelliere Goldoni sottolinea la presenza nel diritto vigente di limiti
posti all’inquisizione dell’imputato, a tutela di questi ma non appaiono nelle
sue opere chiari intenti riformatori della procedura criminale. IL terzo
capitolo è intitolato “L’Avvocato veneziano: Goldoni fra diritto civile e
diritto naturale” C. rileva che Goldoni stesso mette in rilevo i due
fondamentali temi della commedia: la difesa della onorabilità della professione
forense mettendo in scena la figura di un avvocato onesto ed onorato e la
contrapposizione di due sistemi giuridici e giudiziari, quello di diritto
comune e quello veneto, dando a quest’ultimo la preferenza; la commedia
come è stato evidenziato da alcuni studiosi, rompe una tradizione letteraria e
teatrale di derisione e messa in cattiva luce della figura dell’avvocato, dell’uomo
di legge che troveremo invece nella figura completamente negativa del dottor
Azzeccagarbugli ne “I Promessi sposi” Il quarto capitolo si
intitola “Il giusnaturalismo illuministico di Goldoni: La Pamela e altre
opere” C. rileva che le radici illuministiche e giusnaturalistiche
del Goldoni si manifestano in rapporto alla procedura penale, al diritto
penale, al problema delle fonti del diritto, ai rapporti fra la funzione del
giudice e le opinioni dei giuristi. Il giusnaturalismo e l’Illuminismo di Goldoni
si manifestano soprattutto nelle opere teatrali aventi come oggetto, o come
sottofondo, il tema fondamentale della uguaglianza fra gli uomini, al di là
delle differenze fra le classi sociali. Tra le opere significative per questa
prospettiva giuridica teatrali emergono “La Pamela”, “Il Cavaliere e la Dama”,
“Il Feudatario” “Le femmine puntigliose” il dramma giocoso per musica “I
portentosi effetti della Madre Natura” e la tragicommedia (così definita
dall’autore stesso) in versi “La bella selvaggia” che trattano il contrasto tra
natura e società, infine la commedia in versi “La peruviana” che vengono
esaminate negli aspetti più essenzialmente rilevanti sotto il profilo
filosofico-giuridico dall’autore che conclude il capitolo
affermando che: “Quando si trattava dei valori supremi, come la pace, anche
Goldoni sapeva essere religioso e invocare la grazia del cielo” La
seconda parte del volume è dedicata all’analisi di Alessandro Manzoni. Il
primo capitolo si intitola “Studi su Manzoni e il diritto” e Cattaneo
passa in rassegna gli studi esistenti dedicati espressamente ed esclusivamente
o all’idea di giustizia nel pensiero di Manzoni, o agli aspetti giuridici della
sua opera. L ‘autore commenta il lungo articolo di Zino, “Il diritto privato
nei “ Promessi Sposi”, esamina poi l’articolo di Alessandro Visconti “Il
pensiero storico-giuridico di Alessandro Manzoni nelle sue opere”.. Il più
importante e più completo studio sul pensiero giuridico di Manzoni è il volume
di Roberto Lucifredi. “Manzoni e il diritto”. Tale volume si conclude con
alcune considerazioni generali sulla mentalità giuridica di Manzoni e Lucifredi
ritiene che Manzoni era molto dotato per lo studio del diritto e sarebbe
divenuto un ottimo cultore delle discipline giuridiche, un ottimo magistrato,
un ottimo avvocato nel senso più nobile della parola e della funzione.. Nel
1939 Fortunato Rizzi ha pubblicato il volume “Alessandro Manzoni. Il Dolore e
la Giustizia” di cui la terza parte è dedicata al problema della
giustizia. Nel 1942 è uscito il saggio di Opocher “ Il problema della giustizia
nei Promessi Sposi” in cui ribadisce che tutto il capolavoro manzoniano è
essenzialmente un poema sulla giustizia e conclude affermando: ”I Promessi
Sposi non costituiscono soltanto la storia attraverso cui la Provvidenza sana
le sofferenze del giusto, ma anche, e vorrei dire soprattutto, la storia
attraverso cui la Provvidenza feconda queste sofferenze, facendone lo strumento
della redenzione degli oppressori” Nel 1961 il Tanarda ha pubblicato uno
scritto “Il diritto nell’opera di Alessandro Manzoni” in cui ribadisce
che Manzoni era cresciuto in una famiglia coperta da una grande aureola
giuridica, nipote di Cesare Beccaria, familiare dei Verri, amico di Rosmini;
per lo scrittore lombardo l’uso del diritto autentico non può mai contrastare
con la morale. Concludo ricordando la strenna natalizia dell’editore
Giuffrè pubblicata in occasione del bicentenario manzoniano con il titolo
“<Se a minacciare un curato c’è penale>”Il diritto nei Promessi
Sposi” con saggi di noti docenti quali E. Opocher e Cotta. In “Valori morali, giustizia, diritto
naturale” C. ritiene opportuno esaminare la concezione manzoniana della
giustizia, anche nelle sue premesse teoriche sulla base sia di alcuni brani, di
pensieri inediti e di scritti di sapore filosofico. Dalla analisi di due
postille redatte da Manzoni e da un brano scritto dallo stesso C. deduce che il
grande scrittore lombardo esalta la tesi della certezza delle verità morali,
tra le quali l’idea del giusto istituendo un paragone tra verità morali e
verità matematiche. Secondo C. questo brano manzoniano è affine alla
dottrina platonica delle idee espressa nel dialogo “Parmenide”, vi è inoltre
una affinità con Kant che afferma che non è cosa assurda pretendere di far
derivare il concetto di virtù dall’esperienza, perché ciò significherebbe fare
della virtù qualcosa di ambiguo e di mutevole secondo le circostanza. In realtà
è sulla base della idea di virtù che si giudicano gli esempi empirici di
virtù e di comportamento morale. L’Autore richiama anche la filosofia di
Rosmini, il più grande filosofo italiano, la cui filosofia si fonda sull’idea
dell’essere e cita un brano del “Nuovo saggio sull’origine delle idee” .Va
anche evidenziato che Manzoni ribadisce una sostanziale e piena identità fra
morale e religione, come si rileva dalle “Osservazioni sulla morale cattolica “
dedicato alla critica della distinzione fra filosofia morale e teologica.
Cattaneo sottolinea che per Manzoni le leggi umane non raggiungono mai la
giustizia, viceversa, la religione conduce naturalmente alla giustizia, senza
ostacoli, perché si appella alla coscienza, perché porta a dare volontariamente
(in vista di un bene futuro), il che non provoca opposizioni, ma solo
ringraziamenti e benedizioni. In “Le gride e l’illuminismo giuridico ne
< I Promessi sposi>”. C. rileva che se il problema morale e
religioso della giustizia pervade tutta l’opera di Manzoni, ed in particolare
il suo celebre romanzo, Stampa, figliastro dello scrittore lombardo, narra che
Manzoni dichiarò che la prima idea del suo romanzo gli venne dalla lettura
della grida fatta vedere dal dottor Azzeccagarbugli a Renzo, nella quale sono
minacciate pene contro coloro i quali <con tirannide> e con minacce
costringono un prete a non celebrare un matrimonio. Dall’esame dei brani
di ”Fermo e Lucia” e dei “I Promessi sposi” risulta che Manzoni muove una
pesante critica al sistema, in quei tempi diffuso, di consorterie e di caste,
inoltre, descrivendo criticamente la società e la situazione giuridica di
Milano sotto la dominazione spagnola, indica chiaramente il modo in cui le
leggi penali non dovrebbero essere e le caratteristiche che le stesse non
dovrebbero avere Il risultato pratico di quella legislazione è da un lato
l’impunità del colpevole e dall’altro la vessazione degli innocenti e dei
privati indifesi da parte dell’autorità Manzoni raccoglie l’eredità
dell’Illuminismo giuridico nella critica alla proliferazioni delle leggi e
dell’incertezza giuridica, che può sorgere sia dalla mancanza di determinazione
precisa delle fattispecie penali, sia dalla enumerazione eccessivamente
prolissa dei delitti, a questa critica è connessa la denuncia dell’arbitrio
degli esecutori della legge, che possono aumentare a capriccio le pene delle
gride ed ai quali è sottoposta ogni mossa dei cittadini Lo scrittore lombardo
critica anche la comminazione di pene sproporzionate, misura considerata
ingiusta ed inefficace per la prevenzione dei crimini, l’impunità dei colpevoli
è indicata dagli illuministi come il risultato pratico che spesso deriva dalla
eccessiva severità o crudeltà delle pene. Il quarto capitolo si
intitola “La critica dell’utilitarismo e della prevenzione sociale”.
Cattaneo sottolinea che la sfiducia di Manzoni nella giustizia penale umana si
traduce in un atteggiamento critico verso la prevenzione generale come compito
e funzione della pena, che si riscontra in numerosi passi de “I Promessi Sposi”;
l’autore cita a proposito il brano del capitolo V in cui è inserita la
conversazione alla tavola di Don Rodrigo, a cui assiste Padre Cristoforo,
relativa al tema della carestia. Il conte Attilio raccoglie la tesi che la
carestia dipenda dagli intercettatori e dai fornai che nascondono il grano e
ribadisce che bisogna impiccare senza misericordia tali delinquenti senza
processi, in tal modo il grano sarebbe saltato fuori da tutte le parti.. Questo
brano rappresenta la mentalità violenta ed aggressiva che sta alla base della
teoria della pena come <esempio>, cioè una pena esemplare esorbitante
rispetto alla effettiva colpevolezza del reo, mirata esclusivamente a <dare
un esempio> agli altri, per uno scopo sociale ed utilitaristico; in tal modo
viene peraltro giustificata la punizione dell’innocente. In altri passi
del celebre romanzo manzoniano si rileva un atteggiamento mirato ad indicare
non solo l’ingiustizia ma anche l’inefficacia e l’inutilità della prevenzione
generale, unitamene ad una condanna della moltiplicazione dei supplizi, che finisce
per favorire l’impunità, come messo n evidenza dagli scritti di molti giuristi
illuministi. Significativo è a riguardo la conversione dell’Innominato e le
ragioni per cui il potere pubblico non intende procedere contro lo stesso per i
suoi passati delitti, in al modo viene dimostrata l’inefficacia della punizione
nel caso di una persona che ha cambiato vita perché questa potrebbe avere solo
l’effetto opposto a quello voluto Nel penultimo capitolo il commento di
Manzoni sulla situazione del bando di Renzo dal Ducato di Milano dopo le
vicende della giornata di San Martino denota la tesi dell’impunità come
risultato dell’eccessiva proliferazione di minacce legislative e del carattere
esorbitante, situazione che porta ad una frattura tra il comando legislativo e
l’esecuzione della pena. C. conclude istituendo un parallelo sostanziale
ed oggettivo (se pure a qualcuno potrà apparire sforzato) tra Manzoni e Kant,
dato che: “la visione della morale, nonché del diritto, ed in particolare
del diritto penale è svolta in una prospettiva anti-empiristica e
ani-utilitaristica, ed è caratterizzata da un <liberalismo cristiano >,
vòlto a difendere la persona umana da ogni prevenzione collettivistica e
<sociale>” Il quinto capitolo si intitola“ La storia della
Colonna Infame” L’autore ribadisce che il motivo fondamentale della
critica conto la ragione di stato, contro l’utilitarismo sociale, contro il
prevalere dell’interesse generale e sociale sui diritti individuali sta
alla base dello scritto “Storia della Colonna Infame” due anni dopo l’edizione
definitiva de “I Promessi Sposi”.. Di recente tale opera ha sollevato critiche
severe sotto il profilo storiografico e si è accusato il Manzoni di non essere
uno storico, ma di guardare alla storia da moralista, sul modello del
cosiddetto <astrattismo> illuministico settecentesco, e quindi di non
studiare le vicende storiche con partecipazione e simpatia ma di giudicare i
comportamenti umani secondo un codice morale superiore Tale critica è stata
formalizzata da Benedetto Croce . Dopo una lunga ed attenta analisi dello
scritto e di alcuni dei suoi maggiori studiosi C.conclude che i punti di vista
in relazione ai quali il volume manzoniano ha dato un importante contributo
sono tre:Manzoni ha dato un contributo alla comprensione della storia,
affermandone la non inevitabilità e questo punto ha suscitato le maggiori discussioni
interpretative e le reazioni negative dei seguaci dello storicismo. Tale
scritto manzoniano, come ha sottolineato Rovani, <non è per nulla inferiore alle
altre opere del Manzoni, anzi rivela il suo ingegno e la sua dottrina e la
profonda sua acutezza anche nelle materie giuridiche> Tale scritto è
un’opera giuridica, è senza dubbio la più giuridica del Manzoni. Il significato
più importante del saggio è quello morale, come rilevato da Tenca, Rovani e
Passerin d’Entreves e consiste nella difesa del libero arbitrio, della libertà
del volere e nella rivendicazione della responsabilità morale dell’uomo.
Libertà interiore dell’uomo, responsabilità morale, dignità umana; questo è il
trinomio in cui Manzoni fonda la sua lezione morale o, come potremmo dire, la
sua lezione etico-giuridica Il sesto capitolo si intitola “Manzoni
e la criminologia” L’autore evidenzia che l’analisi della “Storia della
Colonna Infame” ha portato a mettere in rilievo l’idea del libero arbitrio
dell’uomo quale elemento centrale dell’impostazione manzoniana dei problemi
giuridico-penali, della sua condanna dell’operato dei giudici milanesi. Vi sono
studiosi come Graf e Sergi che hanno creduto di vedere in tale opera di
Manzoni ed in alcune figure di criminali de “I Promessi Sposi” dei
precorrimenti delle correnti criminologiche sviluppatesi nell’ambito della
Scuola positiva di diritto penale, che, rileva Cattaneo, ha respinto l’idea del
libero arbitrio dal problema dell’imputabilità penale ed ha seguito la strada
del determinismo. L’autore esamina in particolare lo scritto di C Leggiadri
Laura “Il delinquente ne <Promessi Sposi> rivolto ad interpretare il
pensiero manzoniano in chiave naturalistico-deterministica e lo
scritto del Preve “Manzoni penalista” che segue l’interpretazione del Leggiadri
Laura e delinea nelle figure dei criminali del romanzo i tipi classificati
dalla scienza lombrosiana. Dopo un attento esame critico di numerosi passi
delle opere dei due autori prima citati e di altri studiosi C. conclude
che non ritiene valida la concezione di Manzoni come precursore del positivismo
penale e criminologico, dato che per i positivisti non è questione di giustizia
e di libertà del volere, bensì di determinismo e di difesa sociale. In Manzoni
teorico generale del diritto?, secondo C., la forma mentis giuridica di Manzoni appare
evidente anche negli scritti storici e storico-giuridici, in particolare essa
si manifesta in modo tipico nel “Discorso sur alcuni punti della storia
longobardica in Italia” oltre che nello scritto postumo sulla Rivoluzione
francese. C. mette in evidenza un aspetto meno noto che è peraltro presente nel
libro: le osservazioni concernenti il rapporto tra Romani e Longobardi e le
leggi regolanti la loro convivenza, osservazioni che sono di natura di una teoria
generale del diritto. Le osservazioni riguardano in particolare la
concessione data agli Italiani di vivere secondo la legge romana che fu
considerata dal Muratori <un bel tratto di clemenza, e una prova, fra le
mole, della dolcezza e saviezza dei conquistatori longobardi> Manzoni
dimostra una sensibilità moderna perché si preoccupa secondo C. di rendersi
conto di come fosse strutturato l’ordinamento giuridico sotto i Longobardi e
evidenzia la <struttura a gradi> dell’ordinamento giuridico, per dirla
come Kelsen e definisce alcune norme <leggi costituzionali>, le
leggi così designate sono le <norme di competenza> di Ross e le
norme secondarie di Hart, cioè le norme che conferiscono il potere di emanare,
modificare, abrogare le altre norme, concernenti direttamente il comportamento
dei cittadini. Manzoni si preoccupa di esaminare quali fossero le norme di
statuto, di competenza o secondarie, espressione del potere longobardo, le
quali regolavano la permanenza delle leggi romane, che regolavano il
comportamento dei cittadini di origine romana. L’ottavo capitola si
intitola “Manzoni e la Rivoluzione francese” Il rapporto tra Manzoni e la
Rivoluzione francese durò in varie forme per tutta la vita del letterato
lombardo. Questi visse molti anni in Francia nel periodo napoleonico, scrive il
“Trionfo della Libertà“ un poemetto di sentimenti giacobini ed
anti-monarchici con la condanna delle spietate repressioni penali. Nel ”5
Maggio” Manzoni fornisce un giudizio equanime su Napoleone dapprima
glorioso e poi rapidamente caduto e rileva la caducità degli idoli umani
Nel dialogo “Dell’Invenzione” Manzoni esamina la figura di Robespierre ed
abbandona il cupo giudizio di <mostro> del politico francese pur non
abbandonando la tesi di una responsabilità avuta da Robespierre nel Terrore
ridimensionata dalle moderne storiografie Lo studio che esprime nel modo
più chiaro il rapporto di Manzoni con la Rivoluzione francese è il saggio
pubblicato postumo a cura di Ruggero Bonghi “La rivoluzione francese e la rivoluzione italiana” I
motivi su cui si basa La critica di Manzoni alla Rivoluzione francese
sono La mancanza di un giusto motivo per la distruzione del governo di
Luigi XVI e di una autorità competente nei deputati del Terzo Stato che ne
furono gli autori. Questa distruzione avvenne indirettamente ma effettivamente
in conseguenza dei loro atti. Il nesso di queste cause con gli effetti indicati
Le riforme legittime, sentite dal popolo francese, avrebbero potuto avvenire
per vie pacifiche e legali; Manzoni peraltro non si rende conto che la
sua critica non tiene conto della situazione dell’ancien régime, in cui il
potere trovava la legittimità dal diritto divino mentre la critica da lui
avanzata è accettabile entro i presupposi giuridico-costituzionali creati dalla
Rivoluzione francese Il letterato lombardo sottolinea l’aumento del
dispotismo dal Terrore, al Direttorio, al bonapartismo come risultato
immediato degli atti iniziali della Rivoluzione francese. Trattando della
“Dichiarazione francese dei diritti dell’uomo” Manzoni discute il suo rapporto
con la precedente Dichiarazione americana sottolineando le differenze. Lo
scritto di Manzoni ha senza dubbio il merito di evidenziare il contrasto fra
gli ideali e le realizzazioni pratiche della Rivoluzione francese, nella sua
critica lo scrittore lombardo critica, come in altre opere, il potere politico
umano che riveste in forme giuridiche la sostanza dell’arbitrio e della
prepotenza ed ad esso contrappone il valore assoluto dell’idea del diritto, che
è <una verità> Tale considerazione induce C. a proporre un altro
parallelo fra la posizione di Manzoni e quelle di Kant e Robespierre. Kant ha
negato il diritto di un popolo alla rivoluzione ed ha considerato l’esecuzione
di Luigi XVI un crimine inespiabile ma nello stesso tempo è stato un convinto
sostenitore della Rivoluzione francese; Robespierre <rivoluzionario
legalitario, giudicato non equamente dal Manzoni, fu un uomo dal forte
sentimento giuridico e, nel momento della sua caduta,pur proscritto e
ricercato all’Hotel de la Ville, benché fosse esortato dagli amici a redigere
un appello all’insurrezione popolare esitò e si chiese <Au nom de
qui?> come è attestato dalla sorella Charlotte Nella lunga
ed articolata conclusione C. ribadisce che il pensiero giuridico di due
letterati ha numerosi elementi in comune e svolge alcune considerazioni sul
metodo seguito. L’autore evidenzia che il suo saggio ha <un taglio
diverso> dagli studi citati sull’attività forense di Goldoni, sul
significato riformatore delle sue commedie e sulle implicazioni politiche del
pensiero di Manzoni. Il punto di vista seguito nel volume dal docente è
quello della considerazione a un lato del diritto come <categoria
autonoma>, dotato delle sue specifiche caratteristiche e dall’altro del
diritto inteso come fondato filosoficamente, posto in relazione con problemi
storici, politici e sociali. Lo studio degli aspetti giuridici e dei problema
del diritto nl pensiero e nell’opera di Goldoni e Manzoni non è stato disgiunto
all’esame dei temi della riforma sociale e della riflessione politica nella
loro attività letteraria. Il punto di vista seguito sempre dall’autore, come da
lui steso dichiarato, è stato quindi¨<quello dell’ autonomia del diritto, ma
non inteso secondo una prospettiva meramente logico-formale, bensì basato su
una fondazione filosofica, e dotato di rilevanza politica. . L’angolo visuale
usato come punto di riferimento per i due letterati è l’illuminismo giuridico.
L’illuminismo è coevo di Goldoni, che anticipa Rousseau nella
proclamazione del principio dell’uguaglianza naturale ed è aperto al problema
della riforma sociale,come è riconosciuto da numerosi interpreti delle sue
opere. I rapporti tra Goldoni e l’illuminismo giuridico sono più evidenti nel
passo dei “Mémoires “ sulla procedura criminale e nelle commedie L’uomo
prudente e L’Avvocato veneziano . Manzoni è posteriore all’illuminismo ma
l’autore ha cercato di indicare la presenza di una eredità Illuministica, con
riferimento ai problemi giuridici, ne “I Promessi sposi” e nella “Storia
della Colonna infame” dove peraltro sono presenti degli elementi di superamento
delle concezioni illuministiche. Il docente ritiene di rifiutare la tesi
diffusa di coloro che interpretano Manzoni esclusivamente dall’angolo visuale
della linea agostiniana-pascaliana con venature giansenistiche negando il
profondo legame con l’illuminismo, in realtà Manzoni si dimostra erede
dell’illuminismo per l’habitus mentale razionalistico del suo pensiero, per la
sua considerazione della ragione e per la sua ricerca delle radici razionali
della fede; in tal modo il grande scrittore lombardo fa propria l’eredità
migliore dell’illuminismo, il filone etico-religioso che si contrappone al
filone ateo e materialistico di alcune correnti.
Ragonese e Caretti hanno bene sottolineato i rapporti
tra Manzoni e l’illuminismo. C. conclude il suo saggio ribadendo che il
motivo comune fondamentale di Goldoni e Manzoni è il principio cristiano ed
illuministico (e kantiano) della dignità umana. In Goldoni questo
principio è meno evidente ma è legato soprattutto all’idea della comune natura
umana, al di là delle differenze sociali, che appare in numerose commedie ed
opere drammatiche, in Manzoni la difesa della dignità umana è svolta ad un
livello di maggior profondità ed è connessa ad una prospettiva religiosa come
traspare chiaramente dal testo recitato dal coro de “Il Conte di
Carmagnola” Nella Appendice viene riproposto lo studio di
Pascolato “ Goldoni Avvocato” pubblicato su “Nuova Antologia” Cattaneo pubblica
“Suggestioni penalistiche in testi letterari”. Il libro, che è dedicato
alla memoria del Prof. Renato Treves, per molti anni ordinario di Filosofia del
Diritto all’Università degli Studi di Milano, tratta le opere di numerosi
letterati. Il libro, che si articola in 12 capitoli ed una appendice, tratta
di scrittori che nelle loro opere hanno affrontato il tema
della pena o problemi di natura giuridica. Il lavoro, rileva l’Autore, non ha
avuto una genesi unitaria Il primo saggio scritto riguardava Parini, un
“poeta civile” rappresentante di un Illuminismo cristiano ed equilibrato, è
seguito il saggio su Collodi, l’uomo del Risorgimento che ha combattuto a
Curtatone e che mostra nel suo aperto scetticismo nei confronti della legge e
dell’autorità costituita una opinione diffusa di molti uomini dell’Italia
post-unitaria tra cui il grande giurista liberale Carrara..Il terzo saggio è
stato dedicato a Foscolo che nello scritto < L’orazione sulla giustizia>
ed altri due scritti <La difesa del sergente Armani> ed <una lettera
al “Monitore Italiano”> tratta problemi relativi alla pena Il primo saggio
del volume si intitola “Studi Dante e il diritto penale” Lo studio
riguarda il rapporto tra il grande poeta ALIGHIERI ed il diritto penale.. C.
rileva che gli studi di storici e filosofi del diritto che hanno trattato il
pensiero giuridico di Dante hanno trascurato l’aspetto penalistico. ALIGHIERI non
si è occupato di diritto penale ma l’analisi del suo capolavoro mostra un
elaborato sistema di rapporti tra colpa e pena. Numerosi studiosi hanno
rilevato che le pene crudeli descritte nell’Inferno del poema dantesco sono
molto lontane dalle prospettive della legislazione penale moderna anche se
occorre distinguere tra la prospettiva morale e religiosa del poema dantesco e
le finalità delle legislazioni penali attuali Dante peraltro opera una
distinzione tra peccati puniti fuori e dentro la città di Dite che può
corrispondere ad una distinzione tra peccati e delitti, il più rilevante
contributo indiretto dato da Dante al diritto penale è il criterio di
graduazione delle gravità delle colpe e le corrispondenti pene come è stato
evidenziato da Vecchio. Il maggior contributo diretto di Dante alla
cultura giuridica moderna sono l’affermazione del principio di uguaglianza e di
personalità delle pene e l’affermazione della volontà del volere dell’uomo
quale presupposto della conseguente valutazione del merito o del demerito delle
sue azioni. C. conclude che:” Certamente, fare apparire Dante come un
grande giurista, un grande penalista, può risultare sforzato e retorico. Ma
nello stesso tempo, non è assolutamente possibile e lecito ignorare il
contributo, diretto o indiretto, che Dante ha dato anche al diritto penale; la
Divina Commedia è un costante punto di riferimento per qualunque problema,
religioso, filosofico, umano; ricordo che mio Padre diceva che nella
Commedia <<c’è tutto>>” Nella introduzione ho accennato a due
recenti approfonditi studi su Dante ed il diritto, un tema caro a molti
studiosi Il secondo saggio si intitola “Giuseppe Parini e L’Illuminismo
giuridico”. C. rileva che Parini, sacerdote non per vocazione ma
uomo profondamente credente, fu sensibile a numerosi ideali illuministici di
riforma civile ed attraverso una delle sue Odi riprende le idee
illuministiche sul diritto penale, che propugnavano il principio umanitario
della doverosità della mitigazione delle pene considerando l’inefficacia di
pene eccessive in determinati contesti sociali. Vi è dunque una continuità di
principi da Parini, cattolico ed illuminista, a Manzoni e Rosmini, cattolici
liberali, una continuità di principi ed ideali umanitari relativi al problema
della pena e nell’ode Il bisogno è presente una concezione penale cristiana ed
illuminista. C. conclude il suo saggio affermando che Parini poeta civile
e morale interpreta il momento migliore dell’Illuminismo e si fa portavoce dei
suoi più significativi valori. In “Foscolo e la giustizia come forza,” C.
rileva che notoriamente Foscolo fu un poeta impegnato nelle vicende politiche
del suo tempo segnato dalla rivoluzione francese e dall’epopea napoleonica.
Negli scritti di natura penalistica il poeta accoglie i principi della
dottrina giuridica illuministica, come la difesa della certezza del diritto ed
il rispetto delle garanzie processuali. Foscolo inoltre critica la teoria della
retribuzione morale e quella della prevenzione generale. Il quarto capitolo è
intitolato. “Le <veglie notturne> di Bonaventura e la critica dei
giuristi” un libro tedesco poco conosciuto in Italia, opera uscita
anonima nel 1805 a Penig (Sassonia) presso il poco noto editore F Dienemann,
che l’aveva pubblicata nel suo <Journal von neuen deutschen Original
Romanen>. C. evidenzia che nelle pagine dedicate a temi giuridici viene
messo in rilievo l’invito a rendere il diritto più umano ed a metterlo al
servizio degli uomini. La descrizione del giudice freddo paragonato ad una
macchina o ad una marionetta, il rimprovero ai giuristi che si assumono il
compito di tormentare i corpi, come i teologhi tormentano le anime, l’uccisione
della giustizia da parte dei tribunali, il richiamo al diritto naturale, che
dovrebbe essere il vero diritto positivo, la critica di una giurisprudenza
svincolata dalla morale sono chiari segnali di una aspirazione ad
umanizzare il diritto, specie quello penale. In “Heine e la satira delle teorie
della pena”, C. analizza il breve scritto che Heine aveva aggiunto quale
appendice al suo volume “ Lutezia”Lo scritto è dedicato al problema della
riforma delle prigioni ed alla legislazione penale e porta il titolo
<Gefaengnisreform und Strafgesetzgebung>. Il saggio, pur nella
brevità, è un esame attento delle teorie fondamentali della pena. C.
suggerisce che l’analisi critica del poeta si traduce in una satira delle
dottrine della retribuzione, dell’intimidazione e dell’emenda e coglie i punti
centrali di tali concezioni. Heine sottolinea l’ingiustizia della teoria
dell’intimidazione generale ed evidenzia il carattere patriarcale e
paternalistico delle teoria dell’emenda. Nell’esaminare il principio di una
prevenzione dei delitti commessi con mezzi diversi dalla pena, Heine ritiene
che bisogna agire con durezza, reclusione ed addirittura con la pena di morte
concepite come prospettiva di difesa sociale. C. rileva che è sempre più chiara
e più facile la parte negativa della filosofia penale, cioè la critica delle
dottrine sulle pena che la parte costruttiva cioè l’indicazione di un
fine positivo nella funzione penale. Heine critica inoltre il sistema
carcerario filadelfiano e quello auburniano In “Victor Hugo e la pena
come fonte di delitti,” C. rileva che il problema giuridico penale è presente
nell’opera letteraria di Hugo con una severa critica del sistema penale
dell’epoca e la sua difesa della dignità dell’uomo. Il problema emerge
chiaramente nel celebre romanzo “Les Miserables” e nel suo protagonista
l’ex-forzato Jean Valjean. Il romanzo affronta il problema di una pena
sproporzionata ed inumana, che è causa di nuovi delitti e di una spirale
indefinita di reati e pene successive. Il tema è sviluppato nella figura
centrale di Valjean. Tutte le tragiche vicende del protagonista nascono
da un tentativo di furto dovuto alla miseria ed alla fame; a causa del furto di
un pezzo di pane,che poi viene gettato via,Valjean è condannato a 5 anni di
detenzione e, in seguito a tre successive evasioni di breve durata, la sua
detenzione dura ben 19 anni. Vi è una enorme sproporzione tra il
danno causato dal reato e la pena che trasforma ed indurisce Valjean, la cui
psicologia viene analizzata in profondità da Hugo. La pena continua a gravare
su Valjean anche dopo la liberazione per cui questi riesce a lavorare solo per
una giornata data la sua qualità di ex-forzato. Hugo critica sia
l’atteggiamento di diffida e di rifiuto di tutta la popolazione sia la macchia
di infamia stabilita dalla legge. C. rileva che è ammirabile la battaglia
combattuta da Hugo contro la pena di morte, la sua denuncia della
sproporzione tra la gravità dei delitti e le pene, la critica dell’assurdo
criterio nel valutare la recidiva. Queste battaglie sono importanti
contributi all’evoluzione del diritto penale ed alla difesa della dignità
umana. In “Dostoevskij la coscienza e la pena,” C. evidenzia la centralità del tema del delitto,
della colpa e della pena nello scrittore russo, come è stato rilevato nel
profondo scritto di Italo Mancini, che ha evidenziato sia la validità di una
ricerca su Dostoevskij pensatore e filosofo sia che per lo scrittore
russo < la questione penale non rappresenta solo un contenuto ma il
contenuto>. Gobetti a proposito dei personaggi dello scrittore russo ha
rilevato che <I suoi personaggi non si sforzano mai di arrivare ad una
verità, ma piuttosto di chiarire e capire sé stessi>> Nel volume “I
ricordi della casa dei morti “ lo scrittore russo ricorda l’esperienza
personale della prigionia in Siberia e sottolinea chiaramente
l’incapacità del carcere di procurare l’emenda del reo dato che Dostoevskij
rileva che nel corso di parecchi anni non ha visto tra quella gente il minimo
segno di pentimento, il minimo rimorso per il delitto commesso; lo scrittore
russo indica anche nella solitudine e nella mancanza di privatezza un
elemento di particolare tormento della prigione. Il lavoro nella
prigione, rileva lo scrittore russo, non era faticoso ma era penoso
perché obbligato sotto la minaccia di un bastone. Dostoevskij evidenzia anche
l’ineguaglianza della pena per i medesimi delitti in relazione alla classe
sociale, da cui deriva l’ingiustizia e l’inefficacia della pena. Radicale è la
sua critica svolta nei confronti del regolamento carcerario e del comportamento
ottuso e crudele delle guardie carcerarie, severo è il giudizio sulla prassi
della fustigazione definita una piaga della società> Nel
<L’idiota> lo scrittore russo pone un giudizio duro e severo
sulla pena di morte in bocca al principe Miskin nelle prime pagine del
romanzo. Nel brano Dostoevskij sottolinea la svalutazione del carattere meno
afflittivo della decapitazione rispetto ai supplizi accompagnati da tormenti e
la sofferenza morale generata dalla attesa della esecuzione, che è peggiore
della sofferenza fisica. Nel romanzo “Delitto e castigo” Dostoevskij
evidenzia la tesi della necessità della pena giuridica quale espiazione della
colpa e come risultato del rimorso avvertito dal colpevole. La trama del
romanzo mette in luce la progressiva conversione, il rimorso e la ricerca di
espiazione del colpevole. Cattaneo sottolinea che il Leitmotiv del celebre
romanzo è la ricerca della espiazione sulla base di una spinta interiore e del
rimorso e che tale impostazione pone lo scrittore russo sulla linea del
Platone del Gorgia e di BOEZIO nel <Consolatio philosophiae>. La
conclusione giuridica processuale del romanzo rileva una sensibilità giuridica
moderna che pende in considerazione le circostanze attenuanti, le cause
sociali, psicologiche e morali del delitto ed il recupero morale e sociale del
colpevole. Il finale giuridico evidenzia la complessità del problema penale e
l’interesse di Dostoevskij, spirito umanitario e riformatore, per la
riforma del procedimento penale, d’altra parte, sul piano morale, rileva
il desiderio di espiazione che conduce all’emenda.
Dostoevskij manifesta l’atteggiamento del cristiano che si sente
corresponsabile delle colpe degli altri e riprende le parole di Cristo “Chi di
voi è senza peccato, scagli la prima pietra contro di lei” C. ribadisce che per
Dostoevskij il punto che più conta è il rimorso per la colpa commessa e la
auto-condanna da parte del delinquente. La pena giuridica non ha rilevanza, ciò
che conta è il processo di autocondanna, di espiazione e di redenzione che
avviene nella coscienza del colpevole. In “Tolstoj e la abolizione della pena,”
C. ribadisce che lo scrittore russo
postula una radicale abolizione del diritto penale in una prospettiva di amore
cristiano e di non violenza. I temi giuridici vengono affrontati da Tolstoj un
due opere “Resurrezione” e la novella “Il racconto di Koni”. Il romanzo
Resurrezione è fondato su una vicenda processuale, la condanna ad alcuni
anni di deportazione in Siberia della protagonista Ekaterina Maslova, diventata
prostituta a seguito di tristi vicende. Tolstoj analizza il processo e la
successiva pena dei forzati deportati ed evidenzia che negli istituti di pena
gli uomini erano sottoposti ad ogni genere di umiliazioni inutili, catene,
teste rasate, divise infamanti per cui si inculcava l’idea che qualsiasi
violenza, crudeltà e atrocità era autorizzata dal governo per chi si trovava in
prigionia nella sventura. Lo scrittore sottolinea il distacco tra la condanna e
la concreta esecuzione della pena con le sue brutalità. In Tolstoj il tema
fondamentale è l’indicazione dell’ingiustizia dell’intero sistema
repressivo-penale e la sottolineatura delle cause sociali dei delitti come
Victor Hugo. Lo scrittore suggerisce anche la necessità di abolire
la pena e sostituirla con il perdono, un ideale sublime ma difficile da
realizzare in pratica e che indica tutta la complessità del problema, C. si
chiede se si tratta “del sogno di un visionario, una utopia generosa o di un
ideale verso cui la società deve tendere.” In “Pinocchio e il diritto”,
C. rileva che l’opera di Collodi è stata oggetto di numerose indagini . Le
ricerche sulla natura pedagogica ed educativa sono state sviluppate da
Bertacchini, Il testo di Collodi è stato esaminato sotto il profilo filosofico
e teologico nei due volumi scritti da Frosini e Biffi . Frosini evidenzia
che: << Il mito di Pinocchio si rivela come un mito tipicamente
risorgimentale, al tramonto di un’epoca; e anzi proprio di un
risorgimentalismo di stampo repubblicano e mazziniano>> basato su
principi di umanitarismo positivistico. Biffi sottolinea che Pinocchio fu
scritto quando l’Italia era unita politicamente ma non era una nazione
consapevole di sé e concorde sui valori che danno senso alla vita. Il Collodi
aveva un cuore più grande delle sue persuasioni, un carisma profetico più alto
della sua militanza politica, così poté porsi in comunione forse ignara con la
fede dei suoi padri e con la vera filosofia del suo popolo. . La lettura
di Pinocchio evidenzia interessanti problemi e temi di natura giuridica e
filosofico-giuridica e lo scritto di Cattaneo evidenzia soprattutto i temi più
rilevanti dal punto di vista penalistico. Cattaneo sottolinea che
Lorenzini (ovvero Collodi) era un fine umorista che sapeva cogliere il
lato ridicolo ed insieme doloroso della vita umana (opinione espressa
anche da Lina Passarella nel suo scritto prima citato su Goldoni filosofo), e
cita ad esempio l’episodio dei pareri opposti dei medici al capezzale di
Pinocchio in casa della Fata dal Corvo e dalla Civetta e quello della condanna
del burattino derubato degli zecchini dal giudice-scimmione. Pinocchio scappa
di casa ed è acciuffato da un carabiniere per il naso (Cattaneo rileva in
tal modo la naturale predisposizione dei cittadini ad essere oggetto delle
interferenza da parte del potere); dopo la riconsegna di Pinocchio a Geppetto e
le sue proteste il carabiniere, a seguito dei commenti della gente, rimette in
libertà il burattino e conduce in prigione Geppetto che piange disperatamente.
L’episodio mostra un membro dell’apparato giudiziario che arresta Geppetto
sulla base delle opinioni della <voce pubblica> compiendo un atto
arbitrario senza motivazioni precise e mostra un innocente debole ed inerme che
non riesce a difendersi di fronte all’atto arbitrario del potere. Un
altro episodio interessante è narrato nel capitolo XXVII, dove si descrive la
battaglia con i libri di testo fra Pinocchio ed i suoi compagni. Un grosso
volume scagliato verso Pinocchio colpisce alla tesa un compagno che cade come
morto. Tutti i ragazzi fuggono e rimane Pinocchio a soccorrere il compagno.
Arrivano due carabinieri che,dopo un breve colloquio, arrestano Pinocchio
malgrado le sue dichiarazioni di innocenza. Il burattino fugge inseguito dal
cane Alidoro al quale salva la vita mentre stava per annegare. Cattaneo
evidenzia a riguardo che la vittima del potere è l’innocente, l’unico trovato
vicino ad Eugenio, che viene arrestato perché le circostanze sono contro di lui
La frase dei carabinieri “Basta così” è commentata da Biffi che evidenzia che
l’invito a ragionare insospettisce spesso l’autorità, la quale è incline a tagliar
corto. In molte vicende giudiziarie si nota che una concatenazione di indizi
sfavorevoli dà l’avvio a processi indiziari seguiti da condanne di persone
innocenti. Un altro episodio clamoroso di palese ingiustizia è la vicenda
che conclude il rapporto tra Pinocchio ed il due truffatori La Volpe ed il
Gatto. Pinocchio incontra la Volpe ed il Gatto e viene convinto a
seminare i 4 zecchini d’oro nel Campo dei miracoli vicino alla città di
Acchiappacitrulli. Tale città descritta minuziosamente da Collodi è,secondo
C., e il simbolo dell’ingiustizia e di un diritto positivo basato sul puro
potere politico; tale città esprime in modo chiaro il pericolo del prevalere
della politica sulla giustizia nella amministrazione della giustizia,
come dimostra l’episodio giudiziario che riguarda Pinocchio. Pinocchio
accortosi di essere stato derubato delle monete d’oro torna in città e denunzia
al giudice i due malandrini che lo avevano derubato, ma,invece di ottenere
giustizia, è vittima di una tragica beffa. Il giudice scimmione, al quale
Pinocchio si era rivolto, ordina che il burattino venga messo in
prigione. L’ordine viene eseguito da due mastini che tappano la bocca al
burattino, il quale resta 4 mesi in prigione e viene liberato a seguito di una
vittoria dell’imperatore della città di Acchiappacitrulli. Per ottenere
la libertà Pinocchio dichiara al carceriere di appartenere al numero dei
malandrini e così viene salutato rispettosamente e può scappare. C. rileva che
la figura dello scimmione sottolinea la miseria della giustizia umana ed il
carattere insoddisfacente dei tribunali umani dove, come scrive Platone, si
discute sulle “ombre della giustizia” Biffi nel suo volume rileva dapprima
l’aspetto positivo della figura del giudice che è descritto come un personaggio
rispettabile, benevolo, attento al racconto del burattino, successivamente
Biffi sottolinea che la figura dello scimmione della razza dei gorilla
rappresenta la caricaturalità della giustizia terrena rispetto a quella vera,
per cui il giudice finisce con applicare la legge umana che con i suoi
meccanismi colpisce il debole anche se innocente. Cattaneo rileva che la
situazione proposta da Collodi ricorda quella descritta da Manzoni ne I
Promessi Sposi dove i violenti erano organizzati e protetti ed i deboli, non
sorretti da consorterie, erano vittime dei soprusi del potere. La
lettura di Pinocchio di Collodi ed in particolare di alcuni brani può dar luogo
a considerazioni di natura filosofico-giuridica e giuridico- penale, come
suggerisce acutamente C. nel suo volume. Merito indubbio di Collodi è
descrivere alcune situazioni caratterizzate da abuso di potere, oppressione dei
deboli e sfasamento dei corretti rapporti stabiliti dagli ordinamenti
giuridici, come del resto è stato rilevato da numerosi importanti interpreti.
E’ opportuno sottolineare che il capolavoro di Collodi, come molte altre opere
letterarie, affronta importanti problemi giuridici tra i quali va segnalata
l’importante e costante aspirazione perenne che la legge in essere non sia solo
la volontà del gruppo sociale dominante, una forma di controllo sociale, e che
inoltre l’ordinamento giuridico tuteli la dignità e le aspirazioni degli uomini
come attesta la storia del diritto. Il capitolo decimo è intitolato “Wilde e le
sofferenze del prigione” Wilde in alcune sue opere ha descritto la sua
penosa esperienza carceraria ed il clima del carcere., lo scrittore inglese fu
condannato a due anni di carcere che scontò interamente. C. evidenzia che
<Wilde fu il tipico capro espiatorio dell’ipocrisia della società vittoriana
Lo stesso letterato nel De Profundis, redatto in carcere, attesta di
essere passato dalla gloria all’infamia con un mutamento dell’opinione pubblica
dalla esaltazione al disprezzo. Le osservazioni di Wilde sul problema della
pena nel suo celebre <De Profundis> e nella accorata <The Ballad of
Reading Gaol> hanno fornito un importante contributo alla battaglia per la
riforma del sistema carcerario. Il volume <De profundis> fu redatto da
Wilde negli ultimi anni carcere. L’opera è redatta sotto forma di lettera
all’amico Alfred Douglas <Bosie> e contiene molti rimproveri all’amico
per i suoi atteggiamenti durante il processo ed il successivo carcere. L’opera,
dopo molte controversie, fu pubblicata definitivamente dal figlio di Wilde
Vyvyan Holland. All’inizio dell’opera Wilde rimprovera l’amico Douglas
e soprattutto sé stesso e riflette sul suo stato di persona imprigionata
e rovinata <a disgraced and ruined man> lo angoscia dopo la
sentenza e l’esperienza carceraria e e. Lo scrittore inglese rileva che per chi
vive in carcere la sofferenza che lo domina è la misura stessa del tempo ed il
fondamento del proprio continuare ad esistere Wilde evidenzia che la
terribile esperienza in prigione sia stata per lui più dolorosa che per altri e
si e si lamenta per la perdita della patria potestà sui due figli e rimarca
l’ingiustizia di tale procedimento che incrina il rapporto familiare. Lo
scrittore rileva che per i poveri la prigione è un dramma che tuttavia suscita
peraltro la simpatia delle altre persone mentre per gli uomini del suo ceto la
prigione li rende dei <paria>, per cui i condannati di ceto abbiente non
hanno più diritto all’aria ed al sole,la loro presenza infetta i piaceri degli
altri e bisogna tagliare i legami con l’esterno dato che l’onore e la
reputazione della persona condannata è leso. Wilde evidenzia anche
che molte persone,quando escono di prigione, nascondono il fatto di essere
stati in carcere che considerano una sciagura e, rileva lo scrittore inglese,,
è orribile che la società li costringa a tale comportamento. La società ha il
diritto di punire i colpevoli ma non riesce a completare ciò che ha fatto e
lascia l’uomo al termine della pena, quando dovrebbe iniziare la
riabilitazione, sarebbe giusto invece che non ci fosse amarezza o rancore tra
le parti (colpevoli e vittime). Cattaneo evidenzia l’ipocrisia che sta dietro
l’idea della retribuzione morale e cioè che subendo la pena il colpevole
abbia pagato il suo debito verso la società, se si applicasse tale principio,
dopo la fine della pena tutto dovrebbe cessare e non dovrebbero esservi più né
fedine penali né casellari giudiziari. Nella realtà comune resta una macchia
sulla persona che è stata in carcere, un pregiudizio che la società perpetua e
l’onta non deriva dal delitto commesso ma dalla pena scontata. La società
riconosce implicitamente l’inutilità della pena perché l’onta del colpevole
incarcerato rimane. Analizzando la vita in carcere Wilde sottolinea che le
privazioni e restrizioni del carcere rendono una persona ribelle ed impietrisce
i cuori dei condannati. L’abito dei carcerati li rende grotteschi come clowns,
oggetto di derisione e berlina della gente. Tali sofferenze ed umiliazioni dei
condannati sono contrari al principio della dignità umana che Wilde riafferma
come profonda esigenza morale della società. Lo scrittore afferma anche che
tutti i processi sono processi per la propria vita e tutte le sentenze sono
sentenze di morte; spesso anche una condanna alla prigione genera delle
sofferenze che conducono alla morte e va rilevato che Wilde stesso morì pochi
anni dopo il carcere in Francia . Wilde scrisse anche <The Ballad of
Reading Goal>, l’anno del suo rilascio. in questa lunga ballata il poeta
inglese descrive le sofferenze e le crudeltà cui aveva assistito durante
la prigionia e dalle sue considerazioni sulla triste sorte dei carcerati
risulta un grande senso di pietà per i carcerati ed i condannati a morte. La
poesia è pervasa da spirito religioso e Wilde mette in confronto il vero
spirito cristiano, la pietà per i sofferenti ed i peccatori con l’atteggiamento
chiuso, duro ed indifferente delle istituzioni religiose ufficiali e dei
cappellani delle carceri . Cattaneo rileva che la tragica esperienza
personale ha portato Wilde ad affrontare il tema della riforma delle prigioni e
del sistema penale del quale si era occupato nello scritto “The soul of man
under socialism” . Dalle riflessioni dello scrittore inglese redatte nelle
opere dopo il carcere si ricava una denuncia della brutalità del trattamento carcerario
e della inumanità nell’esecuzione della pena con critiche alla utilità sociale
della stessa In “Gide e il non giudicare,” il problema
giuridico-penale è stato esaminato anche da un noto scrittore francese
contemporaneo Gide, che lo ha affrontato in tre stimolanti scritti “Souvenir de
la Cour d’Assise” che racchiude la sua esperienza quale giurato in alcuni
processi penali, “L’affaire Redureau” e “La sequestrée de Poitiers” che poi
sono stati pubblicati insieme in una raccolta dal titolo ”Ne jugez pas” C.
rileva che di tale scritto non si sono occupati molto i critici ed i
commentatori, come sempre avviene quando si tratta di problemi giuridici in
veste letteraria. L’analisi del volume di Gide è interessante perché il libro è
molto rilevante per lo studio di rapporti tra diritto penale e
letteratura e costituisce delle precise prese di posizione dirette su temi
giuridico-penali, desunti dalla realtà della vita. C. mette in luce
l’attenzione, la precisione, la serietà e la preparazione dimostrate dallo
scrittore francese nel trattare i temi giuridici, soprattutto per la precisione
del linguaggio giuridico. Gide dimostra competenza nel trattare problemi
giuridico-penali e probabilmente “l’ indagine di certi casi criminali lo induce
all’analisi di talune zone inesplorate della psiche umana” L’atteggiamento
dominante di Gide è il “favor rei” che si esprime in due modi o a
due livelli: da un lato sul piano processuale lo scrittore volge l’attenzione
al rispetto delle garanzie dell’imputato, ad una equilibrata ed equa conduzione
dell’interrogatorio, alla escussione di tutti i testimoni, specie quelli della
difesa. Lo scrittore francese solleva anche nei suoi scritti l’esigenza
di una riforma del modo di porre le domande ai giurati e di chiarire il loro
contenuto. Gide si mostra sempre umano e compassionevole verso i colpevoli,
mostra l’esigenza che la pena sia in generale ridotta e che si tenga conto
degli elementi che valgono a titolo di difesa, quali motivi di giustificazioni
e scuse. Lo scrittore francese si preoccupa che la pena possa causare mali
peggiori e cerca di evitare risultati negativi della stessa. C. evidenzia che
in sostanza nel libro di Gide “è primaria l’attenzione per l’uomo, la sua
complessità e la sua imperscrutabilità psicologica, che porta al dubbio e alla
perplessità circa il fatto che alcuni uomini possano giudicare altri uomini,
queste pagine sono dunque dominate dal monito evangelico, per cui
particolarmente adatto risulta il titolo complessivo della raccolta: Ne jugez
pas.” In “Franz Kafka, la legge e il totalitarismo” C. ha
discusso in molte opere il problema del totalitarismo che è stato analizzato
soprattutto nel suo volume “Terrorismo ed arbitrio Il problema giuridico del
totalitarismo” Analizzando le opere di Kafka C. premette che è
particolarmente rilevante il pericolo di un forte divario fra la letteratura
critica ed interpretativa ed il testo originario dello scrittore per cui
ritiene che siano legittime molte diverse interpretazioni dell’opera di Kafka,
e molte <chiavi di lettura> ., certamente l’interpretazione più
interessante dello scrittore ceco è quella data dall’amico Max Brod, che
evidenzia la religiosità ebraica presente nelle opere di Kafka ed in questa
chiave interpreta i brani relativi al problema della legge, del processo e
della colpa. Una interpretazione giuridica delle opere di Kafka è stata
compiuta da Pernthaler.C. intende esaminare alcune opere di Kafka dalle quali
il problema della legge emerge anche dal punto di vista
filosofico-giuridico In tali opere di Kafka ricorre il tema del difficile
rapporto dell’uomo con la legge, che è interpretato in chiave religiosa o in
chiave psicologica o psicoanalitica ma che può essere analizzato anche dal
punto di vista filosofico-giuridico. C. esamina alcuni temi che emergono da “Il
Processo” dall’apologo “Vor dem gesetz”, dallo scritto ”Zur Frage der
Gesetze” e dalla novella “In der Strafkolonie” e dall’analisi complessiva di
tali opere interpreta Kafka come profeta e critico del totalitarismo che fu
instaurato in alcune nazioni dopo la sua morte, lo scrittore ceco delinea
situazioni di angoscia, di incertezza, di impossibilità di comunicazione, di
errore e di ferocia tipiche del totalitarismo. Kafka collega la burocrazia e
l’oppressione del potere sugli uomini caratteristica del nascente
totalitarismo . PCitati rileva che <Nel Processo, l’immenso Dio
sconosciuto, di cui non ascoltiamo mai pronunciare il nome, ha invece una vita
così intensa e un potere così illimitato, come forse non ha ma avuto nei
tempi> L’interpretazione di Citati è più psicanalitica che religiosa ma è
priva di prospettiva giuridico-politica. Di impronta psicoanalitica è
l’interpretazione data da Sgorlon del <Processo> di Kafka ma la
prospettiva giuridico politica, trascurata da questi studiosi, è presente e C. evidenzia che proprio nel primo capitolo, in
cui è narrato l’improvviso arresto mattutino di Joseph K esprime in modo
preciso proprio la sensazione del passaggio graduale ed insensibile dallo Stato
di diritto allo Stato totalitario .Di seguito le indicazioni che Joseph K
riesce a ricevere da parte di vari personaggi connessi al Tribunale concernenti
il meccanismo, il funzionamento, l’andamento del processo mettono in luce la
totale assenza di garanzie giuridiche e processuali, di tutela dell’imputato,
elementi che costituiscono l’esatta antitesi dello Stato di diritto Il tema
della inconoscibilità e irragiugibilità delle leggi è ripreso da Kafka nello
scritto <Zur Frage der Gesetze> In tale scritto Kafka delle <nostre
leggi> che non sono conosciute da tutti, ma sono un segreto del piccolo
gruppo della nobiltà che ci domina. Kafka dichiara di non avere in mente tanto
gli svantaggi derivanti dalle diverse possibilità di interpretazione, quando
questa è riservata ad alcuni e non all’intero popolo, questi svantaggi non sono
poi molto grandi. Le leggi sono antiche, secoli hanno lavorato alla loro
interpretazione, l’interpretazione è diventata essa stessa legge, e sussistono
sempre, benché limitate, alcune libertà di scelta dell’interpretazione Il
motivo dominane l’intero scritto è il carattere inconoscibile della legge, dato
che la legge è misteriosa e nessun membro del popolo è in grado di conoscerla
per cui è comprensibile che vi sia qualcuno che arriva a negare l’esistenza
delle leggi e riconosce peraltro il diritto all’esistenza della nobiltà
La fredda descrizione di uno strumento di supplizio, nell’ambito di un sistema
processuale completamente privo delle fondamentali garanzie è il messaggio del
racconto <In der Strafkolonie> (Nella colonia penale) e la conclusione
della novella di Kafka riflette la logica del totalitarismo per cui quando il
viaggiatore comunica all’ufficiale di essere avversario di questo sistema
punitivo, l’ufficiale si rende conto di essere rimasto il solo difensore di
tale sistema punitivo e libera il soldato dalla macchina del supplizio, si
denuda e si pone lui stesso sul lettino al posto del condannato, la macchina
del supplizio inizia a funzionare e l’ufficiale muore senza aver capito
il senso del supplizio come ogni sistema totalitario si
autodistrugge e divora i propri figli C. cita la fucilazione dei coniugi
Ceausescu operata nell’ambito del totalitarismo comunista. L’Appendice del
volume è intitolata “Vaclav Havel e la legge come <<alibi>> nel
sistema post-totalitario” Havel, noto scrittore contemporaneo, che è stato
Presidente della repubblica cecoslovacca, è autore di numerose opere letterarie
e teatrali. C. ritiene che se Kafka rappresenta il tempo del pre-totalitarismo,
Havel rappresenta il post-totalitarismo,al quale ha dedicato uno scritto
bblicato che l’autore del volume esamina nella traduzione tedesca. Havel
delinea l’opposizione al comunismo, nel suo momento post-totalitario, come
tentativo di vivere nella verità; la verità, intesa come opposizione ad un
sistema che si fonda e si regge sulla menzogna. Lo scritto ha un carattere
etico-politico ma contiene importanti pagine di natura giuridica e di critica
dell’ordinamento giuridico proprio del regime totalitario e
post-totalitario. Tale sistema politico è caratterizzato, secondo lo
scrittore ceco, come una dittatura della burocrazia politica su una
società livellata. Lo scrittore ceco elenca le caratteristiche del
sistema <post-totalitario> che lo distinguono dalla dittatura
tradizionale ed evidenzia che tale sistema non è delimitato
territorialmente ma domina in un ampio blocco di forze ed è retto da una
superpotenza mentre le dittature classiche non hanno una solida radice
storica, la radice di tale sistema dono i movimenti operai e socialisti. Tale
sistema dispone di una ideologia strutturata ed elastica che ha i caratteri di
una religione secolarizzata ed offre una risposta ad ogni domanda dell’uomo in
una epoca di crisi delle certezze esistenziali. Alle dittature tradizionali
spettano elementi di improvvisazione per quanto attiene alla tecnica del potere
mentre lo sviluppo di anni nell’Unione sovietica e di anni nei paesi dell’Est
europeo ha dimostrato la creazione di un meccanismo perfetto, che permette la
manipolazione diretta ed indiretta della società. La forza di tale sistema è
incrementata dalla proprietà statuale e dalla amministrazione
centralizzata dei <mezzi di produzione> Nella dittatura classica vi
è una atmosfera di entusiasmo rivoluzionario, di eroismo, di spirito di
sacrificio che sono scomparsi nel blocco sovietico. Tale blocco sovietico, che
è un elemento solido del nostro mondo, è caratterizzato dalla stessa gerarchia
di valori presenti nei paesi occidentali sviluppati e sono una forma di
società consumistica ed industriale. Il sistema sopra descritto è
designato da Havel come <post-totalitario> perché è un sistema
totalitario con caratteristiche diverse dalle dittature classiche e, rispetto
al totalitarismo classico, è caratterizzato da una misura più attenuata di
terrore ed arbitrio Havel considera il sistema post-totalitario come
caratterizzato dalla menzogna, ciò è un effetto del dominio della ideologia;
gli uomini non devono credere alle mistificazioni totalitarie ma tollerarle in
silenzio ed accetta, ciò è un vivere nella menzogna e lo scrittore
insiste sul valore e sul significato morale ed esistenziale della dissidenza.
Per quanto riguarda l’ordinamento giuridico nel sistema post-totalitario
lo scrittore rileva che tale sistema sente la necessità di regolare tutto
con una rete di prescrizioni, norme, istituzioni e regolamenti per cui gli
uomini sono delle piccole viti di un meccanismo gigantesco. Le
professioni, le abitazioni ed i movimenti dei cittadini e le sue manifestazioni
sociali e culturali sono controllate, ogni deviazione viene considerata un
passo falso ed una manifestazione di egoismo ed anarchia. Havel rileva che non
bisogna prendere alla lettera l’ordinamento giuridico e ciò che conta è come è
la vita e se le leggi servono alla vita o la opprimono ¸la battaglia per la
legalità deve vedere questa legalità sullo sfondo della vita come è
realmente. Analizzando il rapporto tra la società post-totalitaria e la
moderna civiltà tecnologica, con riferimento anche agli scritti di Heidegger,
Havel rileva che il sistema post-totalitario è solo un aspetto della generale
incapacità dell’uomo contemporaneo di divenire <padrone della propria
situazione> e la prospettiva giusta è quella di una rivoluzione esistenziale
generalmente comprensiva L’aspetto più interessane di Havel è la
delineazione dei caratteri del sistema post-totalitario come fenomeno sorto
dall’incontro della dittatura con la società industriale e consumistica.
Per quanto riguarda i problemi giuridici, Cattaneo rileva che Havel sottolinea
il significato autentico del diritto, che deve avere coscienza dei propri
limiti naturali, il diritto ha un significato esteriore, deve difendere alcune
esigenze minime (tutela della convivenza civile dalla violenza e dalle
invasioni nei diritti altrui ma non deve pretendere di adempiere a compiti per
cui non è adatto - In tal modo, sottolinea C., il letterato ceco riprende
la migliore lezione del liberalismo classico per cui il diritto non è al
servizio del potere, ma può essere un valore solo in quanto esso sia un mezzo
di difesa e la garanzia della libertà e della dignità dell’uomo Il
grande insegnamento del letterato Havel è la tutela del valore più calpestato
dal totalitarismo, la dignità umana che è lo scopo fondamentale ed essenziale
del diritto, dato che diritto e libertà sono collegati ed il diritto ha
valore se garantisce e protegge la libertà. DISSERTAZIONE SULL’ORIGINE DELL’ANTICA
IDOLATRIA E SULLA FORMA DE’PRIMI IDOLATRICI SIMULACRI COMPOSTA
DALL'ABATE; Giuseppe luigi traversari H Patrizio Ravennate, Canonico
Arciprete della Infigne Collegiata di Meldola, e tra gli Arcadi.LANIO'
ATENIENSH. PRESSO GIOSEFFANTONIO ARCHI. DISSERTAZIONE
SULL' ORIGINE DELL’ ANTICA IDOLATRIA E SULLA FORMA DE'
PRIMI IDOLATRICI SIMULACRI. AL NOBILISSIMO CAVALIERE, E
DOTTISSIMO LETTERATO IL SIGNOR CONTE AURELIO GUARNIERI
PATRIZIO OS1MANO L’AUTORE. Veneratissimo Signor
Conte fi 'S T fi Aria, intralciata, difficile, e per nju- /. X
no, ch’io fappia, di proposto rifchia- tt » rata fi è la Queftione,
che mi vien pro- OS A porta a trattare, veneratiffimo Sig. Conte ;
cioè fe i Simulacri primieri delle pagane divinità fodero lemplici e rozze
Pietre, o quadrate, o rotonde, lenza veruna umana, o animalelca ferabianza . Io
ricevo con Ibmmo giubbilo per una parte l’onore de’ voftri cenni, e vi
fi) al maggior fegao buon grado per avermeli gentilmente partecipati. E’
una degnazion Angolare la voftra il credermi pur capace di l'oddisfarvi
in materia di erudizione . Ma per l’ altra ben coaofcendo la pochezA 3 za
del v/ 6 ' Dksert. sull* Origine za del mio talento, e la
fcartezza di mie cognizioni, provo un eftremo roflòre di non potervi ubbidire
in quel modo, che ad un voftro pari, ed alla qualità dell’ argomento fi
converrebbe. Inclinato per genio all’ amena Letteratura, ma Tempre da
impieghi fagri, e da gravi Itudj recinto, e fommerlo in occupazioni tutte
diverte, lenza tempo, lènza relpiro come potrò teftenere la qualità di
Letterato innanzi a Voi, che in ogni maniera di colte Lettere liete
Maeflro ? E ben fapete quanto male incontrante a colui, che fu ardito parlar di
guerra inT 4 nanzi ad Annibaie. Ciò non pertanto, fcnibrandomi più teoncia la
taccia di malcreato, e di (conofcente, che non quella d’ignorante, e di mal
efperto, a telo fine di tellimoniarvi per alcun modo la mia oltervanza,
mi farò lecito di comunicarvi i miei penlamenti. Sarà quindi gentile
impiego del voltro bel cuore infieme, e della vofira dottrina il
compatirli te rozzi, o il rigettarli fe erranti. Permettetemi però,
gentilifitmo Sig. Conte, che io nel diitenderli mi allontani alquanto dal
metodo fecco e digiuno, che per alcuni fi tiene, e che foltanto
confine nel produrre Autori a rifate, e inzeppar felli, e affafteflar
citazioni. Comecché molto io lodi la fatica e l’ induftria di chi procede
fifFattamente, la materia, che abbiamo tra mano, fe io non vò lungi
dal vero, brama di fpaziare in più aperto cammino, « di venir rintracciata da’
Tuoi vetulti principi. In due parti perciò credo ben fatto il dividere
la prefente Dillèrtazione, che a Voi trafmetto, e coufacro. Ragionerò
nella prima alcun poco della origine, delle maniere, e degli oggetti di quella
fatale Idolatria, che a poco a poco lopprimendo i lumi della natura,
della ragione, della Religione, della lloria, coprì di tenebre, e
manommite tutta la faccia dell’ Univerfo . Difcenderò pofeia naturalmente
nella feconda a rendere, per quanto io polla, probabile la opinione, che t
primi Idolatrici Simulacri tollero di quadrata, o rotonda forma, e non
aventi figura alcuna o di Animale, o di Uomo . In questa
dell'antica Idolatria 7 quella guila crederò di potere all*
autorità voìtra, ed alla mia ubbidienza per alcuna via
foddisfare. Si laici a Maimonide ( i J, ed alla Scuola Rabinica il fidare
lenza prove agli Antidiluviani tempi l’epoca della nafcente fuperftizione.
Entrando nell’argomento, quel che puolli da noi con certezza affermare fi
è, che poco tempo dopo il Di* luvio s’ intrulè il Politeifmo a pervertir
le menti degli Uomini . Il libro di Giosuè f a ) ne avverte, che Tare
Padre di Abramo, e di Nachor aveva fervito a* Dei menzogneri . Óra la nalcita
di Tare ? fecondo i calcoli dell’ Uflerio, accadde non più di 22 1.
anni dopo la generale inondazione del nofiro Globo. Il libro poi di
Giuditta ci fa lapere, che non pur Tare, ma eli Antenati di Abramo
feguivano gli empj riti della Caldea adoratrice di più falle Divinità.
Labano chiama Tuoi Dei gl’ Idoli * che Rachele tua Figliuola gli avea
involati , e Giacobbe prima di offrire un facrificio all’ Altiifimo fa
recarli da tutti quelli di fua comitiva gl’ Idoli, che ferbavano, e li nafconde
(otterrà. Molto, dagli Eruditi fi difputa qual folle dell*
Idolatria nafcente il primiero oggetto. Pretende il Clerico ( 5 J elfère
fiati gli Angeli adorati lenza limitazione, e lenza relazione all*
Onnipotente. Volilo d* altra parte lòltiene, che il Dogma de’ due
Principi buono, e cattivo folle dell’ Idolatria più antica generatore. Noi non
fiamo per dipartirci dalla fentenza più comune, e più comprovata, cioè che gli
Altri, e quindi gli < Elementi follerò i primi a rifcuoter l’
adorazione de’ tralignanti mortali. Fra un nembo di monumenti, e di autorità,
che in conferma di tale fentenza recar po. A 4 * ' trei * \ r
» De Idolat. curri Interpr. Dionyfi VoJJìi. Cape 24. v. 2. Cap. p. v. 8. C4) Genef.cap. 31.
v. 19. £?. 30., Cap. 3$. v. 2. 4 * (5 J Index Philolog. ad HiJÌ.
Thil. Orienta in voce Angelus, V Ajlra. ( 6 ) De idolat. lib. 1.8
Dissert. sull* Origine trei 3 e che in Macrobio C i ), in Gerardo
VofTio già citato C 2 )> ne l Le Plucne ( 3 ), nel Bergero lt
polfòno agevolmente vedere, io trafcelgo il folo Eufebio Cefarienlè,
tanto più che in Lui rinvengo accennata non pur 1 ’ origine, ma V
ingànnevol motivo di quella umana depravazione.' Egli adunque colia
(corta del gravilTìmo Diodoro Siciliano, parlando prima degli Egiziani, poi de’
Fenici, popoli, fra’ quali ebbe forfè 1 ’ Idolatria la fua culla, e
finalmente de’ Greci, dice, che,, i „ primi Abitatori di Egitto, avendo
volti gli occhi a contemplare il Mondo, e con alto ilupo„ re coixfiderando la
natura di tutte le cole, ili3> marono, che il Sole, e la Luna follerò Dei
lem3, piterni, e primarj, de’ quali per certo rapporto „ chiamarono
1’ uno Ofiride, e 1’ altra Ilide,, infegnando eller quelli due Dei dell’ Univerfo
3, tutto moderatori. Rapporto poi ai Fenicj egli afferma che •,, i primi
fra loro datifi ( 7 ) a filo-,, fofare, tennero unicamente in luogo di Dei il,,
Sole, e la Luna, e gli altri Pianeti, e gli Ele-,, men33. >
Saturnale lib. 1. C 2 ) De Idololat. Orig. lib ». 3. per totum. Storia del Cielo Tom. I. C 4 )
Trattat. Storie, della Relig. Yraparat. Evang. lib. I. c.
9. ( 6 ) Tot* owj xotr A lyuirrov Avd’p'jìTHS ro 7 rcchctiQt
ywofJLtviss ccvccfihr^ccvrcce tov xo$[jlov, xou rlw rctfr oKw
xa.rcLT'Kccyv/rcts re xoui rocrras UTTohccfìett/ uvea Osar otihas re xou
irpuru$ vihiW) xou rlw <relwnv y w rov \xiv Osipiv; rlw ’Be Kit
ovoyxKOA rara? Sé.Tttf Ozag u<pirrocvr<u rov $i[/,tccvtcc
xospLw ì>ioixe*v. HA/ok, xcu (reXlw/iv 5 xou r»? Tkoittxs
T rKetfY\rots ctrrepccs, xou rot sto%£cc } xta tvtoìs nwoufiiy pLQvov
lyivwsxov. dell'antica Idolatria. 9 „ menti in oltre
con quanto a !or fi congiunge,, Finalmente paHando a far parola dei Greci,
reca il bel palio di Platone nel Cratilo, che in queite note fi
elprime ( i ):,, A me certamente ralfem-,,bra, che i primi ad abitare la Grecia
quelli fol„ tanto per Dei riputalfero, che dalla maggior, pane de’ Barbari
prefentemente fi adorano, il ’, Sole cioè, la Luna, la Terra, gli Altri,
il Cielo, quali vedendo e.fi con perpetuo corlb aggi-,, rarfi, dalla parola ra
G«y correre, Aosi Dei li,, chiamarono.,, t Il lèntimento di
Eulebio, o di Diodoro, che dee chiamarli il lèntimento di tutti gli
Storici più fenfati, potrebbe!! agevolmente con facra autorità
comprovare. Mosè ( *J, Giobbe (i ), I* .Autore del libro della Sapienza (
4 ) col profcrivere il culto fuperltiziofo degli Altri, e degli Elementi, il
fuppongono tacitamente come il più antico, perchè il dipingono come il più
lulinghiej>o, e capace a pervertire l'umano cuore. Così fu
veramente. Il cuore umano aggirato da un fafeino teuebrofo di licenziole
palliont, ammollito dal lbverchio amor del piacere, fcollò dal natio
genio d' indipendenza, languido, e indifferente negli efercizj della Religione,
la quale già inftillata nel primo Padre erafi poi tutta pura da
INoè trafmellà ne' difeeudenti, cominciò palio palio a tyojyovTout
tj.ot 01 t porrà ruv P 1 tìpuiruv rwv Trìpi TW EAÀa^a J T 8 TKf
^JjOVtSi Stai «y«>' 6 cU, • WiTTlp vuù T0XK01 TVV (locpQctpW,
t{KlOV, XOU xcu ylw, xou carpa, xou tspcaov. art OVLU tWTOC
OpWTK TTOO/TCO OMrl 10 VTCL, XOU Piovra, j curo tojuths tìk
<piKi'j>s rns tu Orir Qks curasi (tovoijlkìou. Deuter. c. 4. v.
ip. Job. C. 31. V. 16. 1 Sap. c. 1 3. Digitized by
Google io Dissert. sull'Origine fo a perdere la giufta idea
del vero Nfume, elio gli brillava all’ intorno con tanta luce* Un
guitto* e terribil giudizio di Dio medeilmo, il quale, come avverte
S. Agostino, fparge penali tenebre (opra. le illecite cupidigie, permife
nell’ Domo un sì fatale dementamento. Chi fdegnava di rendere al Facitore
1’ onor dovuto come a Sovrano, meritò di perder colpevolmente lino le
tracce per ravvifarlo. Abbandonato così alla stoltezza de' Tuoi penfieri,
fcambiò la gloria sfolgoreggiarne, ed immenia dell' incorruttibile Iddio
co'’ limitati riverberi, che ne vedea nelle Creature. Gli Astri pri-. ma
di tutto a lui parvero contrallegnati co' maggiori caratteri della Divinità.
Quel movimento . loro non interrotto, que’ periodi tempre uniformi,
quello fplendore Tempre brillante, quegl' in Aulii: sempre benefìci
fermarono il corfo alla di lui ammirazione, e riconofcenza, quando pur
dovevano lervirgli di guida per falire ad amar la bontà, a riconofcere la
potenza del Creatore. Egli lcioccamente impadulò ne’ rulcelli, e dimenticò la
lòrgente, e invece di riguardarli come Ministri delle divine beneficenze,
li adorò come Dei. L’ amor proprio, la fuperbia, la mollezza, il
libertinaggio trovarono il loro conto in fimil delirio. Gli Astri
comparivano Dei benigni, comodi, utili, che nul* la eligevano, nulla
vietavano, per nulla al più corrotto genio opponevanlì, nè mettean freno alle
più torte inclinazioni. Il culto degli Elementi, della Terra, del
Fuoco, dell’Aria, de’ Venti lì congiunte ben presto con quello degli Astri,
perchè appoggiato fopra gli stelli principj, e come un palio mal mifurato
lud’un pendio fdrucciolevole cagiona precipizi Tempre maggiori, fi venne ad
attribuire la divinità alle inlenfibili cole, ed infieme agli
utili, e dannofi animali, agli uni per riconolceili de’ benefizi, che
fanno agli Uomini \ agli altri per placarli, e distornarli dall’ infierire. L’
antichiflima opmio- Afojì. ad Rom, c. x. dell' antica
Idolatria. n opinione de’ due Principj buono, e cattivo ebbe forfè gran
parte in questi folleggiamenti, eia verace, ma poi alterata dottrina degli
Angeli, de’ Demoni, delle Anime de’ trapalfati trovolfi molto opportuna per
dilatarli. Si volle credere tutta la natura animata. Animati lì tennero gli
Astri dagl’ Indiani, dai Caldei, dagli Egizj, dai Maghi, da
Pitagora, da Platone, da Cicerone, da Varrone. Il mare, i fiumi, le
fontane, la pioggia, il tuono, le rupi, le caverne, le pietre, i monti,
gli alberi, le piante, gli erbaggi, e tutti poi gli Animali li
coniìderarono come alberghi d’ una infinità di attive prelìdi
Intelligenze producitrici di quelli effetti or nocevoli,.or vantaggiolt,
che feulcono il fenlo umano. Le Anime de’ Trapalfati o dalla riconolcenza,
o dall’ amor degli Uomini confecrate ricevettero ben prello 1’Apoteolì, ed
accrebbero il numero delle Intelligenze motrici della natura. Come MACROBIO C i
), e Pluche,il primo in aria da FILOSOFO, il fecondo in aria da Storico,
diffiifamente ci mollrano, Oliride, Ifidè, Amone,Oro, Serapide degli
Egizj; Zeus, o Dios Giove, Marte, Saturno, Venere, Mercurio,
Giunone, Cibele de’ Greci, e de’ Romani; Dionilìo, Urotalt,e Alilat degli
Arabi; Marnas de’ Fililtei; Moloch degli Ammoniti; Adad de’ Sirj;
Adonai, Achad, Architi, Baelet, Belfamin, Melchet de’ Paleltini, non erano da
principio che il Sole, la Luna, o la Terra, e quindi in progredii
Anime di Principi o Principelle, d’ Eroi o Eroine ite a regnar nel Sole, nella
Luna, negli Altri, o a preledere alla Terra. Quindi la turba degl’ Iddj
Confenti o maggiori, degl’ Iddj fecondar) o minori; e 1’ altra infinita
plebaglia di unte varie Divinità regolatrici di tutti gli effetti, e di
tutti gli elleri naturali, quale non meno accuratamente, che
leggiadramente ci viene dal grande Agostino Saturnal. lib. I. f a J Star,
del Ciel. lib. I* i2 Dissert. sull* Origine ftino C 1 J
accennata. In Quella guifa le due opinioni del Volito, e del Clerico
amichevolmente fi legano colla opinione comune, e tutte unite ci
additano la prima origine del più grande accecamento degli Uomini.,,
Deplorabile acciecamen-,, to ! (" concluda quello paragrafo il facro
Autore del Libro della Sapienza ) vana illufione di quelli, „ che
non conolcono Dio ! Attorniati da’ Tuoi be-,, nefizj non hanno veduta la mano,
che li dif„ fonde; dalla magnificenza delle opere della natura non ne hanuo
faputo riconofcere 1’ Artefice. Si fono perfuafi, che il fuoco, 1’ aria, i,,
venti, le llelle. Tacque, il Sole, la Luna fof fero i Dei, che reggono il'
Mondo Più miferabili ancora, perchè ripongono la lor fìducia in simulacri
morti, ed inanimati; elfi dan„ no il nome di Dei all’ opera della mano
degli „ Uomini, alT oro, all’ argento indullriofamente,, lavorati a
figure d’ animali, a pietre modellate, fecondo il gulto di un Artefice L’Uomo,,
fi forma un Dio d’ un tronco inutile, a cui dà •la propria forma dia',
oppur quella d’ un Ani„ male.,, Qui però vuole avvertirli, che T
ufo de’ Simulacri in figura d’ Uomini, e d’ Animali appartiene bensì a’ tempi
della già groil'olana, ed avanzata Idolatria, ma non a quelli della
nalcente.,, Un Uom fa J, che dritto ragioni f pro fieeue fi)
De Civit. Dei lib.. AM' ort y.ev oi rpurrot } koa tMcuot« TOl
TUV (XV&pWTUJV, «Té VOCUy O/XoBojWfOWf TpOtìx.o *, «Té hot#
ccipttpufjLcuriv j «tu t ore ypot~ tylXJfc, «Sé xA.afT.XW J yi yAlTTtXW,
» « vlpict rrOTQITLKH f rCKVYK tpiUpyifAWYIS, 8^£ fJ.IV QLKQÒOUt*W, B^é
op^iTtKTOVtKVis o-vujKTurrg y ra.ru ry o ifjca mfaoyityj.(vy ìiyiXov
etra*dell'antica Idolatria;. fiegue il noftro Eufebio,
rapportandoli alle tellimonianze di tutti gli Autori gentili ) può facil„ mente
rimanere perfuafo, che i primi ed an„ tichiffimi Uomini niuna fatica, o Audio
ripofe„ ro nel fabbricare Templi, ed innalzar Simulacri, non etlèndo Aate per
anco inventate le „ Arti della Pittura, della Statuaria, della Scol„
tura, anzi neppure 1’ Architettonica. Quindi dopo avere ripetuto il già
detto circa la primigenia adorazione degli Astri conclude, che „ da „
principio niuna menzione vi fu di greca, o di yy babilonica Teogonia,
niun ufo di Simulacri y „ niuna ridevole vanità nella denominazione degli
Dei parte mafchj, e parte femmine • fi) È veramente lembra cofa aliai
naturale, che la fòrgente Idolatria ne' vetustiffimi tempi,
comecché avelie cangiato l’oggetto della Religion prima e verace,
non giungeiìè però sì tosto a cangiarne i riti e le cerimonie. Porfirio
fcortato da Teofrasto, e citato da Eufebio
J pretende delinearci il religiofo culto innocente degli antichi
Politeisti. Ma in verità quell'impostore Filofofo nemico giurato del
Cristianefimo nell’ adombrarci ì* estrinseca religione de’ primi
adoratori de’ falfi Dei, non fa che prendere in prestito que’ colori,
con cui la Scrittura Santa ci adombra la Religione de’ Patriarchi
adoratori del vero Dio. Nulla infatti di più fèmplice e di più fchietto.
Que' fanti IH mi v Uomini negli efercizj di Religione poco
curavanfi dell’esteriore, e del fasto. Ellì la facev.an confistere in
picciol numero di estrinfeche azioni, perfuafi, che il vero culto è quello del
cuore. L’innalzamento de’ Templi non oltrepalla per avventura l’età di Mosè. Un
femplice Altare in un luogo Oux tstpct ng Iw Qtoyoviccs EXXfuwX'f?,
# fiapGctpiKK rote TaXouTaTOtf f «^6/x »; tcw 7\oy<K y • bhe
&X.0VW ìlpustS y ìtìt Ó c. « Prjepar. Evang. lib, J,Djssert.
sull’Origine go mondo, e fpartato, lènza statue e lènza figure,
lènza adornamenti e lènza ricchezze, in un bofco, o fovra d’ una eminenza
era il luogo dove Abele, Noè, Abramo, Ifiacco, Giacobbe colle loro
famiglie fi raunavano per tributare all* Altiflìmo i loro voti ed omaggi.
Ivi a Lui predavano le primizie dell’ erbe e de’ frutti, ovvero il latte,
i «radumi, e le lane degli Animali, che dopo il Diluvio cominciarono ad
immolarli. Ora fu quelle medefime tracce di religiofa femplicità io tengo
per certo, che nella fua infanzia procedette la Idolatria. Intela a
venerar come Dei il Sole, la Luna, la milizia celefte, gli elementi, le
prelidi Intelligenze non Teppe sì tofto ufare altra forma di culto, fe
non fe quella, con cui aveva intefo, e veduto adorarli da’ Patriarchi
fedeli il fommo Conditore dell’ Univerfo. Niun ulo adunque per anco de’
Simulacri rapprelentanti fiotto animalefica, o umana lembianza le pretelè
Divinità. Niun ufo di quelle datue, che rozzamente in feguito, e
grottefcamente modellate dagli Egizj, ottennero poi e castigato difiegno, e
fipiccata *. motta, ed energico atteggiamento lotto lo ficalpello indulìre di
Dedalo. Anzi qui dee acconciamente fioggiungerfi, che anche dopo la
coftruzione de’ Templi fi tardò molto prefi* fo le antiche Nazioni ad
ergere in elfi le llatue figurate; come degli Egiziani parlando afièrma Luciano,
il quale aggiunge ( i ) d’ aver nella Siria veduti Templi dell’ antichità
più remota lènza immagine, o rapprefientanza veruna. Che più? Roma detta, che
in paragon degli Egizj, e de’ Greci nacque sì tardi, per oltre anni 170.
( come ci atteda Varrone citato da S. Agofiino ) Simulacri non ebbe ( 3 )
ne’ proprj Templi,, finché Tarquinia Fri fico De Dea Syria. De Civit. Dei lib. 4. c. 3 1. Dicit
eiiam Varrò, antiquos Rcmanos ylufi quam annos 170. Deos fine
Simulacro coluijje. Qiiod fi adhuc, inquit, manfijjet y caflius Dii
ob fervarcntur. S. Auguft. citat. dell’antica Idolatria. t?
Prifco Uomo di Greco, e di Tofcano genio tutta di Simulacri
inondolla. Anzi più didimamente aflerifce Zonara ellervi date leggi,
forfè di NUMA (vedasi), £ roibitive a’ Romani di rapprelentare la
immagine livina fotto la forma di Uomo, ovvero di Animale.( i ) Ma l’
Idolatria finalmente è l’opera delle tenebre, e per poco crefciuta, non potea a
meno di non addenfarle nel cuor dell’Uomo. L’Uomo divenuto più empio circa gli
oggetti dell’interno fuo culto, non tardò guari a fard ridicolo circa le
maniere di elercitarlo. Egli avea degradata abballala la fua ragione, adorando
come Dei le femplici Creature. Quello medelìmo fpirito di vertigine il tratte
ben pretto ad avvilirli viemmaggiormenfe coll’ adorare 1’ opera fletta delle
fue mani. Ei volle oggetti fenfibili e materiali anche all’
•efterno fuo culto. Ei pretefe di circolcrivere li fuoi Dei per
converfarvi più da vicino, ed innalzò, e venerò.Simulacri. Or di qual forma
erederem noi, che follerò in quello genere le prime invenzioni dell’ umana
ttoltezza > Quali gli fcogli, in cui da quella banda urtarono
primamente gli Uomini deliranti ? Eccomi alla feconda parte della
Dittertazione pervenuto, ed eccomi al punto di nianifeltare la mia opinione.
Io reputo adunque probabiliflìmo, che follerò in primo luogo i
Pilieri, o le grotte pietre quadrate, le quau chiamate furon Betilie, e che
ori f linariamente non erano, che Are ferventi alle rcigiole adunanze.
Sanconiatone, Scrittore antichitfimo delle tradizioni Fenicie, portato da
Portino fino alle ftelle, e da Lui creduto informatilfimo della
Storia Giudaica, come non molto dittante dalla età di Mosè, nel celebre
fuo frammento, là dove narra le imprefe del Dio Urano, o Cielo,
affer ( i ) At'typvrou$v, xan tyofiop$ov nxwa. tu Sa eariSTca
Pvy.yjois aTe-r/wcoo'. / uuar. Tom. a. y. io I T 6 DlSSEftf. sull*
Ortgtné afferma, che,, Egli trovò le Betilie ( i ) coftrtien„ do
con inlolita mirabil arte Pietre animate.,, Io non ho letto di tale
Frammento fé non la verdone greca fatta già da Filone Biblico, e riportata
diftefamente da Eufebio. ( 2 J So, che il Signor di Gebelin colla fpiegazione
di quello antico irjonumento ha fatto vedere, che il Traduttor grecò ne
avea malamente recato il lenfo, e che riducendo i termini al vero loro
fignificato, 1 ’ Autor Fenicio trovali uniforme al Legislator degli
Ebrei. Checché ne fia, dilHetto non vengami di leguir le tracce già
legnate dal grande Uezio, e dall* erudito Calmet, affermando, che
Sanconiatone in quell’ accennato ritrovamento delle Betilie, e costruzion
di Pietre animate ci adombra, benché in modo affai alterato, la vera
Storia del celebre monumento, o Altare di Giacobbe. Quest’ottimo Patriarca (~ 4
J nel fuo viaggio da Berfabee in Melopotamia postoli in certo luogo a dormire
fu di un grande, e ruvido Saffo acconciatoli a forma di guanciale, ebbe
la sì nota vifion della Scala corfeggiata dagli Angeli, fu la di cui lòmmità
appoggiato flava 1 ’ AltilTìmo, da cui lènti rinnovarli le grandi
promelfe fatte ad Abramo. Deftatofi egli, efclamò Quanto è mai terribile quello
luogo / Veramente non è egli altro, che la Cafa di Dio, e la porta del
Cielo. Diede a quel luogo il nome di Beth - el, che lignifica nell’ ebreo
linguaggio Cafa. di Dio Conlècrò il Saffo, che la notte lèrvUo gli
aveva di guanciale, verfandovi dell’ Olio, e in monumento 1 * erefle.
Quindi concependo un Voto, il conclufe col dire cs II Signore farà il mi®
Dio se e quella Pietra chiameraffì Cafa di Dio c 5 ( I ) Et/ miwe
0»? Oupcao? ( 2 ) Pr*p. Evang. lib. I. c. 9. C 3 ) AUeg. Orientai.
p. 22. e 9 5. Memor. de V Accad. des Infcrip* T. 6 1. in 12. p, 24 3. (4)
Cenef.. Dalla V* dell'antica Idolatria; Dalla Mefopotamia
tornando nella Terra di Ca* naan, giunto allo Stello luogo, e Soddisfar
volendo al già fatto voto d’ offerire a Dio la decima de’ Tuoi beni,
innalzò fimil mente un Altare di pietra, e replicò il nome di Beth - el,
Cafìz di Dio. Finalmente di bel nuovo in que’ contorni felicitato
dall’ apparizien del Signore, nove! monumento di pietra cortrulle, d’ olio, e
di libazioni Spalmandolo, ed a lui pure comunicando la denominazione di
Beth - el. Io ammetterò, che quello termine Beth - el dato agli Altari,
ed ai monumenti facri, quanto all’ edema efprelfione, fofr fe uri
ritrovamento di Giacobbe; ma follerrò con egual verità, che quanto all’
idea, ed all’interno . concetto degli Uomini ei difcendelfè dalla
tradi' zion più rimota. Beth - el, Caja di Dio, potea fimilmente
confiderai, e chiamarli 1’ Altare nell* ulcir dall’ Arca edificato dal
buon Noè, perchè ivi 1’ AltiSTimo a lui diede fegni fenfibili di
fua prelenza, e mifericordia. Beth-el per Somigliante ragione potea
appellarli 1’ Altare edificato da Abramo fui monte Moria per fagrificare
il Figliuolo; éd egli infatti chiamò quel monte Dominus vi debit. Beth-el
giuftamente nomar fi poteano tutti gli Altari innalzati da’ Patriarchi
fedeli per ufo antichilfimo, forle dagli antidiluviani fecoli procedente,
perchè tutti onorati da qualche' Speciale commercio della Divinità, percnè
diftinti da qualche fuperna verfata beneficenza, perchè in certo
modo protetti, ed invertiti dal Nume, e destinati a tributargli culto,
Sacrifizio, e riconofcenza dalle circostanti Generazioni. Ora da
quefti Altari, e monumenti di pietra, chiamati da Giacobbe per la prima
volta Beth - el, cioè Caja di Dio, e già tenuti per tali fino da*
remotiSfimi tempi, chi non conofce ( entra qui acconciamente Pluche) (i J
etìerne derivate le sì note Betilie, quelle grolle pietre quadrate,
B che to Stor. del Cielo, 1 8 D r SSERT. SULL’ORIGINE
che con ol) preziofi, ed aromatiche eircnze irrigavano, e che poi furono in
tanti luoghi oggetto di veturtiffima adorazione, come da più Autori, e
nominatamente da Fozio nella fua Biblioteca dintoftrafi ? Chi non conofce dal
Bethel di Giacobbe C foggiunge opportunamente il Voflìo ) derivato il
famofò Betilos, quel (allo prelentato a Saturno invece di Giove, come per
relazione favolofa Efichio ci narra, e che ottenne poi tanto culto dalla
forfennata Gentilità ? Ed io al Vofiìo, ed al Le Pluche fottofcrivendomi,
concludo: Chi non conofce in quelti monumenti, ed Altari il primo
inciampo degl’ Idolatri, ed il primo oggetto fènfìbile, e materiale delle
adorazioni fuperìtiziofe ? Mettiamci di grazia in varj punti di villa
naturalismi. Confideriamo il genere umano dopo la confufion delle lingue,
e la differitone delle .Nazioni già prefo da uno fpirito di vertigine,
e già declinante al Politeifmo. Malgrado le volontarie tenebre, che
incominciano ad acciecarlo et l'erba tuttora nel cuore il fème della
religion primigenia; e nella memoria i fagri riti, e le religiofe cerimonie dal
Patriarca Noè tramandate. Egli perciò innalza, e confagra in ogni luogo
pietre modellate a fòggia d’ Altare per onorarvi la Divinità: ei vi ft
proftra all’ intorno: ci vi celebra le religiofè adunanze: ei vi prefenta i
Tuoi Sagrifizj, comecché forfè non più al folo, e vero Nume, nta
agli altri ' ancora, agli elementi, agli fpiriti. Ei fa però, ed una
tradizione non rimota glielo rammenta, che il primo Riparatore degli Uomini
dopo il Diluvio ergendo un limile Altare, il vide torto adombrato dalla
fènfibil prelenza, e maeftà dell’ Altiflìmo difeefo in atto di ricevere,
e di gradire placabilmente i fuoi Olo caufti. CO De PhU. ChriJIUn. C? Theol. Gent. Vib. 6. t.:p. BatTuho? «toj
fjtocXe-fTO o AtGo; to> K poeti) cari &ios, Dell* antica
Idolatria; taufti. Comecché la Scrittura noi dica, io noa
credo temerità 1* aderire, che limili degnazioni compartifle talvolta il
Signore anche ai Figliuoli, o ai Nipoti di Noè, che fi mantenner fedeli
prima d' Aoramo. Ben il vecchio Sacerdote, e Re di Salem Melchifedecco ne
avea tutto il merito. Checché ne fia, certamente il genere umano
non può non confiderar quelle pietre, od Altari, che qual cola
rilpettabile, e (anta. Fi le vede fèrbate ad un culto Speciale della
Divinità, e ad un peculiar commercio col Cielo: ei le vede
in nalzate o per rinnovar la memoria d' alcun luperno ricevuto favore, o
per invitar gli animi ad una fedele riconofceitza: ei le vede anche ufate
per edere teftimonio, e monumento durevole delle alleanze, de'
patti, delle folenni prometle, e de' giuramenti, ne’ quali s’ interpone il
tremendo nome » e la Maeftà Divina. Gli efempli, che fu di ciò
abbiamo nella Scrittura, non fanno, che dinotarci una vetuftidìma
poftumanza. A tutto quello s' aggiunga 1' opinione già di fopra accennata, e
che fino dai primi tempi fi propagò fra i mortali, cioè che tutto ripieno
folle d’ Intelligenze regolatrici degli elleri, e degli effetti della
natura. Connettali pure l’altra opinione d’ antichità non minore da S. Agoffino
rammentataci ( i J colle parole del celebre Mercurio Trifmegifto, cioè
che per certe conlecrazioni rimanellèro li Simulacri non pure
inveititi, ma realmente animati dalli Dei venuti ad abitarvi, affin di
nuocere, o d? giovare più da vicino ai loro adoratori. Ciò, che
forfè adombrar volle Sanconiatone con quella ef preffione di 7 ^ 0 ^$
Pietre animate. Con siderando noi il genere umano in tali profpetti,
qual cola più probabile, e naturale a concluderli, eh' egli, parte
abufando delle antiche tradizioni veraci, parte ingannato dalle nuove
folli perlua B 2 fioni, C t J De Civit. Dei lib. 7. e. 23. e 24*
f 2 o Dissert. sull* Origine fioni j e già rilbluto di
voler oggetti fenfibili al proprio culto, cominciale ben pretto a
venerare quegli Altari, que’ monumenti di pietra, quelle Eetilie,.riguardandole
o come Alberghi della Divinità, o come fimboli della prefenza divina, e
finalmente, tempre più creteendo 1* accecamento, come tanti veraci Iddii ? Se
il genere umano è pure intefiato di adorare l’opera delle tee mani, qual
cofa più reverenda, e più degna di culto ai di lui occhi pretentali, che
i mentovati Altari, o monumenti, o Betilie ? Qui vorrà alcuno
per avventura obbjettarmi, che quando trattali d’antichità olcurilfima,
più che col raziocinio, voglionfi colla fioria, e co’ fatti fiabilir le
opinioni j ed io non fono per contenderlo. Forte però, che l’opinione da me
proposta non li deduce naturalmente in gran parte dai Libri Storici di
Mosè, i quali ( lanciando anche ftare quella ifpirazione divina, che li
confacra, e mirandoli tei con occhio di Filotefo non tumido per
alterezza, nè da paliioni alterato ) ben vagliono aliai più, che tutti li Vedam
de’Bramini, gli Zend di Zoroaftro, i Kinghi di Confucio, e di
Se-ma-fiien, ed i racconti favololi di Erodolo ? Pur i*on fi creda, che io
voglia in quella materia lafciare affatto il mio Leggitore digiuno di
monumenti, e di autorità. Il Volilo C i ) rapportaci, che il Beth - el,
o Pietra di Giacobbe, di cui tanto abbiamo parlato, fu a
fomiglianza del Serpente di bronzo, per lunga età foggetto di fuperfiiziofa
adorazione a molti Giudei, finché da’ veri Ifraeliti prete giuftameute in
abbominio, gli fu cambiato il nome di JBef/iel % Cafa di Dio, in quel di Beth -
ave, cioè Cafa della Menzogna. Quali poi furono i primi Simulacri
degli Arabi, tra i quali i Moabiti, e gli Ammoniti fi comprendevano? Gli Autori
antichi, a’ quali rapportali i ) lai’, d. r. 2p. dell’
antica Idolatria. 21' tali il Calmet, e che ci parlano delle
prime Divinità di que’ Popoli, le defcrivono come fempjici Pietre
informi, o fcalpellate, ma non con umana forma.,, Voi ridete, dice
Arnobio, „ che ne’ vetufti tempi gli
Arabi adoraflero una,, Pietra informe. „ Malììmo Tirio ( 3 ) o di que*
ito, o d’ altro Arabico Simulacro parlando il chiania Tfrrpxyjìm Pietra,
quadrangolare. Ed Eu timio Zigabeno nella fua Panoplia ragionando
co’ Saraceni:,, Ed in tjual modo, efclama, voi ab-,, bracciate la Pietra di
Brachthan, e la baciate ?,, Alcuni rilpondono: Perchè Abramo fopra di efc
„ fa eboe il fuo primo commercio con Agar. Altri poi: Perchè ad ella legò
il fuo CameTo quan-,, do fu per lagrifìcare Ilàcco. f „ Non penio di meritar la taccia di
capricciofo, fe giudico quelle Pietre adorate in feguito nell’ Arabia
nuli* altro elfere fiate da principio, che vetulte Betilie, o rozzi
Altari fors’ anche al vero Dio confecrati. Certamente Mosè, ("5 J in ciò
ieguendo S er avventura la tradizione, e il più vetullo coume, prefcrive,
che di rozze Pietre dal ferro non tocche, e informi fallì, ed impoliti
follerò gli Altari, che dopo il patlàggio del Giordano fi volelfero
al Dio d’ Ifraello innalzare; e nuli’ altro, che grandi Pietre fpalmate
alquanto di calce folfero i monumenti defiinati. a fcrivervi lòpra
le parole della legge. Temette forfè il grande LeB 3 gisla 7 efor.
cP Antich. tratto dai Coment, del Calmet T. 2. ( 2 J Lib. 6. C 3 J Sermon. 3 8.
Ili* VfJUHi TposrpiQtsrt toj ?u 9 u» t ts Bpxyficxv j xou tpiKsirt raro»;
kou tiiik j aa> ewrw tpctti y %tQTi tir coki) aura s trasloca rn Ay
cefi 0 Afipaont. AÀA01 ?>£ ori rpotilìiKur carro» thv xxiju iXov,
fJ.iKho»r (jusai rov I sotux.. C s ) Deuter. Dissert.
sull’Origine gislatore, che fé tali monumenti, ed Altari fi f 0
f. fero con più eleganza collutti, divenilfero più facilmente al rozzo
fuo Popolo, e vacillante pietra d’inciampo, e fomento d’idolatrica
fuperllizione. E qui, giacché dell’ Arabica fuperllizione ho
fatto parola, voglio avvertire, che della per lungo tempo mantenne!!
nella lua primigenia feniplicità. Giobbe Arabo, o Idumeo, forfè
contemporaneo, lenon anteriore a Mosè, accenna lenza meno l’ Idolatria del fuo
Pael'e. Or ei non parla nè di llatue, nè di figure. Indica fidamente 1’adorazione,
ed il faluto del Sole, e della Luna, che poi Uroralt, ed Alilat furono nominati.
Segno manifelto, che fra que’ popoli non fi era introdotto per anco quel
lopraccarico di moftruole follie, con cui dalle Scolture Egiziane rimale
aggravata l’ Idolatria. Che fe non pertanto gli Arabi ab antico proltravanfi a
Pietre informi, o quadrate, quali io reputo Betilie, ed Altari, ben concluder
potrai!!, che quelli follerò il primo. fcoglio, e il primo fcandalo al/
materialifmo de’ più antichi Politeilli. Teltiinonio ne facciano i
primi Abitatori della Germania. Colloro finché rimaforo nella vernila loro
rozzezza, finché la fuperllizione fra eli! col commercio delle arti
Greche, e Romane non giunfe a farli più vaga infieme, e più llolta, altri
Simulacri non ebbero, come Tacito ( a J avverte, che folli informi di legno, e
di rozze pietre. Erano quelle le forme degl’ Iddii, che portavanocon elfo loro
alla guerra, penlando, che folle un offendere la Divinità il
rapprelèntarla fotto umana fembianza. Ciò, che pure da molti
altri C. 31. v. 16. ( 2 J De Morìb. Germart. Sta tua ex
stipitibus rudibus, i? impolito lapide effigi e s, CP Jìgna quxdam detracia
luci s in prxlium ferunt. Nec cohibere parietibus Deos, ncque in
ullam humani oris Jpeciem affimilare ex magnitudine cotlejìium
arbitrantur. altri Popoli di non peranche ingentilito collume, per
quanto narrano gravi Autori, collantemente penfolfi. Ma e dove lalcio la
celebre Madre degl* Iddìi, o fia Cibele di Frigia portata in Roma
da Pelìinunte col miniftero di Scipione Nafica, e da* Romani
ottenuta per mediazione del Re di Pergamo al tempo della feconda guerra
Cartagine!? ? Livio le dà il nome di fagra Pietra„ Pietra informe la
chiama Minuzio Felice. Arnobio la defcrive come una Selce non grande di
forco, ed atro colore, e per angoli prominenti ineguale. Eravi fra quei
Popoli tradizione, che quella Pietra caduta folle dal Cielo, e che
appunto da jrK&y cadere la Città Pelfinunte folle Hata chiamata.
La Grecia ftefTa non fu priva di quelle foggie di Simulacri. Paufania ci
attefta, che in una loia parte d’ Acaja furono da trenta Pietre tagliate
in quadro, aventi ciafcuna il nome di una qualche Divinità, e con fomma
venerazione riguardate, fendo llato collume antico de’Greci il prellar
culto a limili Pietre, non meno di quello, che pofcia faceflèro alle
figure, e alle llatue. Mi farà egli difdetto il probabilmente congetturare
per le ragioni di fopra addotte, che quelle, ed altre* limili
Pietre di Grecia nuli’ altro da principio foffero, che Betilie ? Servirono un
tempo a niun altro ufo, che agli efercizj delle facre adunanze. L’Idolatria col
farli più tenebrola giunte a divinizzarle. Betilie ùmilmente, o imitazione
fenza meno delle Betilie pollòno crederli gli Ermi, di cui la Grecia, e
Roma furono ripiene, e che pofcia ad abellire fervirono fpecialmente le
Biblioteche. Bili non erano da principio, che tronchi informi di
legno, o di marmo, o di pietre tagliate in quadro fenza mani, e fenza
piedi: T runcoque fiinillimus Herinu?, dille Giovenale. Ne* quattro di loro
lati pretendeva!! dinotare o le quattro ltagioni, o le quat B 4
tro ( 1 J Lib. 2$4 ( 2 J Lib. 6 • ("3 ) SiiU Dissert. sull*
Origine. tro parti del Mondo. Si confiderarono poi come ilatue degli
Dei, e di Mercurio principalmente „ Il di lui capo, che vi fi aggiunfe,
fu fenza meno un poderiore ornamento. Anche il Dio Termine non fu
nell* età più vetude rapprefentato, che fotto la figura di grolfi Saffi
quadrati, cubici, privi di mano, e di piede: Ttrpctywoi,
xuQoziìitls y K'Xttp&y xou airone?; quantunque al Dio
Termine pur s’aggiungere la teda umana ne’ fecoli confeguenti. E che non
può in quella parte una matta perfuafione a poco a poco crelciuta fra i barlumi
di tradizioni parte vere* e parte mendaci? A tutti è noto, che da
molti Popoli fi giunte per fino a venerare le Montagne, quali grandilfimi
Simulacri della Divinità. Il monte Atlante era il Dio degli AfFricani.
Occidentali: un monte il Dio de’Oappadoci per allerzione di Malfimo Tirio:
Moni a pud Cappadoces prò Deo ejl, prò jur amento, atquc
Simulacrum. Un monte, o fia rupe SxotéA© r y xoputplw il
chiama Stefano, rifcoire pure adorazione dagli Arabi. Giove fi venerava
nella cima de’ più alti monti, come dell’ Olimpo, del Callo, dell’
Ida; e il nome quindi ne rifcuotea di Giove Oljmpico, di Giove Cafio, di
Giove Ideo. Gl’ Italiani ilelfi predarono al monte Appennino
venerazione, come apparifce da una Ifcrizione riferita dal Matfèi nel tuo Mufeo
Veronefe, la quale comincia IOVI APENINO. Ora e per qual ragione crederemo noi,
che adorati veniflero tal» monti, te non per la della, che confecrate
avea le Betilie ? Ce la prelenta naturalmente il Bergero. Fu fcelta la cima de’ monti per
offrirvi de’ facrihzj, perchè credevano gli Uomini d’ e fiere più
vicini al Cielo, e conseguentemente agli Dei, qualora fi adoravano gli
Altri. Per tal motivo In Avsccpq. Trattai, della vera
Relig. ìf tfvo <i feielfero le pili alte. Tali cime per eli .«lercizj
della Religione confècrare ben predo dir vennero rilpettabili Immaginoifi,
che gli Dei vi fodero difcefi^ p®* ricevervi T’ incenfo, e gli omaggi
degli Uomini. Pài non vi volle. Riguardata prima come abitazione de* Numi,
fi confidcrarono ben predo quai Simulacri immenfi animati dalla
Divinità, ed ottennero una fpecie d’Apoteofi. Gon quanto fi è da me finora
ragionato, e che, le il tempo lo permettelle, con altre notizie, e
cagioni facilmente potrebbe!* dilatare, io giudico refa ormai probabile
la opinione di chi accinger vogliali a fo denere, che. i primi Simulacri
delìq Gentilefche Divinità fodero femplicl Pietre riquadrate, od informi,
fenza alcuna umana, q anima• Jefca fembianza. Reda ora, che alcuna cola
ragionili de* Simu» * a, cr * ° rot °ndi, o tendenti a rotondità, a cui
preito fuo culto primiero la cieca' fuperdizione, pfi* ma che folle ai
figuri te Statue provveduta. Io non fono per ripetere quanto di
fapra ba* ftevolmente ti £ detto intorno a| culto degli Adri* e
degli Elementi, degli Spiriti, e degli Eroi. Aggiungerò (blamente, che non
sdendo per anche giunto lo fcalpello Adirio, o. Egiziano a rapprefentar
le figure degli Uomini, e degli Animali, e per elprelfioni di Arnobio, (
i J avanti 1’ ufo, e U difciplina della fcoltura, già penfato avea
1* Idolatria a procacciarli, oltre le Betilie, oggetti temibili
alle lue adorazioni. Gonfiitevano quelli iti certi fimboli q dinotanti,
la potenza, e dabihta de’ Numi, o adombranti in qualche modo alcuna or qualità,
J Battoni, le Verghe, le Afte, che al dir di Trago Pompeo furono la
prima “^gna.dei Re, lignificavano il fommo imperio . de Numi, Le
colonne, i cilindri, le pur non erano una imitazione più ‘ ingrandita dei
Badoni da comando, ne accennavano l’ eternità. Gli Obe B 5 Ufchi,
' fi) Lib, et (Lib % ultima
t6 Dissert. sull* Origine lifchi, le Piramidi, i Coni
efprimevano i »gg* «}el • Sole, e delle Stelle, o la natura del fuoco,
che -in alto vibrava!! acuminato. Menianrto pur buone a Porfirio le
interpretazioni sì fatte. Concediamogli ancora, fe piace, che tali
monumenti alzati dalla pili vetulla gentilità non fi riguarda fiero da
principio, che come fimboli, o meri Pegni d’ onore. Il Volfio, e forfè
con troppo impegno, è dello fleflo parere; ma poi di Porfirio più ragionevole,
perchè non tanto foffifta, nè così empio, s’ arrende a concludere, che
ben pretto divennero occafione di lcandalo alla materiale Idolatria, e
oggetto furono di profane adorazioni. Elfi in una parola ne’ primi tempi
fletterò in luogo di quelle ftatue figurate, che poi ottenner l’ incenfo dalle
corrotte umane generazioni. E qui bramo s’ avverta ? che dove di fopra io
dilli, aver preffo molte nazioni tardato non poco le ftatue ad innalzarfi
ne’ Templi anche dopo la erezione de’medefimi, io intefi favellar
foltanto delle Statue rapprefentanti le Teodie fotto la forma di Uomo,
oppur d’ Animale; ma non volli giammai includere i Simulacri, per così
dire, fimEolici, e non aventi figura. Quelli fono anteriori, non pure alla
ftabil mole de’ grandi Templi, ma eziandio a quei Padiglioni, o
Tabernacoli, o Tempietti portatili, con cui gli antichi Idolatri ebbero
in ul'o di condurre a patteggio i loro Numi. Ora di quelli
non figurati Simulacri parlando, m’aprirò il varco con l'autorità di
Filone Biblico ( aj, il quale nel fuo proemio alla interpretazione di
Sanconiatone, diftinguendo gli Dei immortali, come il Sole, e la Luna, dagli
Dei mortali, cioè da que’ Principi, ed Eroi, che per le loro getta
avevano confeguita l’ Apoteofi, ci avverte «fiere flato vetullo
immcmorabil collume, fpecialmente (ij Apud Eufeb. Trap. Evang. lib,
3. c. 7. JW. lib. 1. e.. mente degli Egiziani, e Fenici, da’ quali
preferì norma le altre fazioni, d’ innalzare a quelle Chili d’Iddii
Colonnette, o Baftoni, o fia Scettri di le • J_ - -t fn..: ninmimpntl il
nome di (cerando. ,„ Sanconiatone poi nel fuo
frammento raccontaci fa J, che molti fecoli prima della coftruzione de’
Templi, e formazione delle Statue Ufoo primo navigatore avea dedicate due
Colonne %uo sTtfKxS al fuoco, e al vento, e prellato ad entrambe
culto, e facrificio col fangue degli Animali. Proiie: f He indi a
narrare, che dopo la morte de primi roi già divinizzati la grata
pofterita onorata avea la lor memoria, lotto i loro nomi confecrando
verghe, e colonne, e con feftivi giorni, e fagre cerimonie adorandole.
Finalmente ci addita, che dopo lunghiffima età fu innalzata al Dio Agro
vera effigiata Statua nella Fenicia.Giu Teppe Ebreo f non diubmigliantl
notizie prefentaci, aderendo, che i Tir) da principio a’ loro Dii
fornirono Afte, e Baftoni, poi Colon* ne, e finalmente le Statue..Certo
nella primitiva Egiziana Scrittura fimbolica non in altra foggia, che d’ un
Bafton da comando con un occhio efiprimevafi Ofmde, il S uale
originariamente fu il Sole, fignificar voleno la fua regale potenza, ed il
mirar ch’egli fa dall’alto tutte le cole. Ed io ben credo efftre
agli Eruditi notiffime le Piramidi, gli Obelifchi, ed i Coni dall’ Egitto
al Sole innalzati, come per imitar * i 'Tru'Xas rt,
xcu pa<i; aipitpoiw coopero? ccuTiM, xoa rocurot ju.yaAw?, kou
ioprrccs m/J.or carrots Taf pryisrccs. fi) Apud Eufeb. ibi c.
io. Cont. Apìon. lib. I. (4J Macrok. SatumaL lib. I.c. ai. aS
DisserY. ' suit* Ormine imitarne I fuqi raggi. Da ciò forfè
provennero quelle corna, d* cui in fedito 1 Egizia bizzaria li
compiacque ornar gentilmente il capo del tuo Giove Amone, del fpo Apollo
d*Eliopoli,e della fua Ifide. Ove à no\ piaccia di ftare * certe lezioni
per altro antiche del tetto di Quinto Curzio, CO ammetter dovremo, che 1' Amone
adorato da’ Trogloditi, e proceifionalmente a fpalle di Uomini condotto
in una dorata barchetta per averne eli Oracoli, altra forma non avea, che d
un Goiìò, ó d’ un Ombelico tutto di fmeratdi, e P rc ~ ziofe gemme
fmaltato. Almeno rigettar non potralTi 1* autorità di Brodiano,f 2 J il quale
ci delcrive il Simulacro del Sole (otto nome di Elegalu, venerato
iq Edeilfo della Siria Apamena • Di tale Simulacro (e ne può vedere
adombrata «. forma in una medaglia pretto il Vaillant battuta all’ùltimo
e più pazzo degl’ Imperadori Antonini. Or ecco la defcrizione di
Erodiano, giufta la verfione latina fatta dal ^oliziarfo. „ In Edefla non
v’ ha Simulacro atta Greca, o alla Romana em” «iato fecondo P immagine di
quel Dio -, ma un latto grande rotondo da imo > e, a P oco a P
oco crefcente in punta quali a figura di Cono. Nero V, è il color
della pietra, cui facciano eflere ca V, data dal Cielo. ed affermano
quella 1 ” fer 1* immagine del Sole no n da umano artificio
3y lavnrata Su tali parole fa una riflettìone op /.ante voi* citato
G^> del soie: uiciiuc, 7 -, -, Tentare gl* Iddìi fotto
umana fembianza fu de pofteriorf Greci, e Romani. Ma gli Afiatici più
ve., tutti, ecl anche gli Egizj moltq divamente fi *i P ° rt Chi °fà
pertanto, che, fe ci rimane^ro le merie delle più antiche orientali Divinità,
^noi^noi* mone Lib. s. Lih 5- CO Uh. 9. c. io >
dell'antica IdoiatrYa. 19 le trovaffimo quali tutte in figura di
Colonne, d? Obelifchi, di Piramidi, o di Coni rappreleutate ? Certo
non fenza ragione i Settanta hanno in co(ìu« me di traslatar per Colonne
la voce ebrea Matgaba, che ordinariamente traduce!! per ljìatue; e come
il Calmet ( t J ci avverte, il nome di Colonne lembra meglio
corrifpondere al lignificato del termine originale. Forfè que’ dottilììmi
Interpreti vollero dinotare la forma antica, con cui 1’Oriente, e
la Terra di Canaan rapprefentar foleva i fuoi Numi; E forfè Mosè
coll’ imporre, che fi demolillèr tutte le ftatue delle profane incontrate
Divinità, nuli’ altro impofe nella maggior parte, che la demolizione di
Piramidi, e di Colonne. Dilli nella maggior parte, e non in univerfale,
poiché quel Sacrificaverunt fiulptilibus Canaan, che abbiamo nel Salmo, mi lece
ellèr più continente nelle parole. E de’ famofi Serafini di Rachele,
primo monumento d’ Idolatria materiale, che s’ incontri nella Scrittura,
e degli altri Idoletti elìdenti prellb la làmiglia di Giacobbe dalla
Melopotamia recati, che diremo noi ? S’ io pretendelfi figurarmeli come
piccioli Coni, o colonnette, con quai monumenti, ed autorità potrei
ellère contradetto? Per verità io miro Giacobbe, che intefo a ripurgare la fua
Famiglia, prende, e (otterrà, non folo gl’ Idoli chiamati Dei ftranieri: Deos
alienos, ma angora i pendenti, che fi trovavano all’ orecchie de’ fuoi
feguaci Io non crederò già, che le Pedone della comitiva di
Giacobbe, e malTìme le piilfime Donne Lia, e Rachele ardlllèro di portare
sfacciatamente agli orecchi appefe le (lamette, od immagini d’ alcuna profana
Divinità. Primieramente potrebbe!! con tutta ragione foftenere, che di que’
tempi non eranò peranco T. 2. DiJJìrt. de' Templi degli
Antichi. Genef C. 25. Dederunt ergo ei omnes Dcos alienos, quos
habebant, IP inaures, qua: erant in auribus eorum. At ille infodit eas
subter Terebin -thum.30 Dissert. sull* Origine perineo in ufo le dame
figurate. Le Rabbiniche tradizioni dell’ arte datuaria efercitata
fuperdiziofamente da Tare Padre di Àbramo fono già (ereditate prellò degli
Eruditi. La pretefa antichità della Statua di Nino alzata a Belo fuo Padre
rella dai calceli dell’UHèrio fmentita. Nino regnò in Affina parecchj
fecoli dopo Giacobbe. All’etàdique^ fio Patriarca il Sole, gli Aflri, e
malfime il fuoco adorati nella Caldea, Affiria, e Mofopotamia
probabiliffimamente non aveano che Simulacri fimbolici. Quando pure fenza
fondamento ammetter fi voleflèro le Statue figurate ai giorni dello
ftefiò Giacobbe, io non potrò perfuadermi giammai, che 1’Uom fanto
permeili avelie in alcun tempo ne’ fuoi l’ irreligiol'a ollentazione di
tenerle appele agli orecchi, comecché per folo ornamento. Il motivo
ideilo, oltre a varj altri, che addurre potrei, mi trattiene dal
fottolcrivermi all’ opinione del Grazio, e del Wandale, i quali
pretendono, che tali orecchini follerò fuperdiziofi Amuleti. Quale
relazione adunque degli orecchini cogl’ Idoli per dovere anch’ «Ili
meritare il fotterramento ? Se avefi fi luogo ad edernare un mio non
inverifimil pendere, direi, che la relazione confidelle in una certa edrinfeca
fomiglianza colla fimbolica figura degl’ Idoli. Forle l’ ornato di quegli
orecchini potea edere qualche gemma, o preziofo metallo cadente, e
travagliato a maniera di goccia, di cono, o vergherà, che molto raflòmiglialTe
la forma appunto degl’ Idolatrici Simulacri. Quindi Giacobbe volendo
abolita per fempre di quedi ultimi la memoria predo de’luoi, nalcolè
unitamente fotterra tutti quegli ornamenti, che per la loro forma, e
lavoro potuto avrebbero in alcun tempo rifvegliarne la rimembranza. Ma
fi torni in carriera, e col Voffio ( i ) ornai fi rammenti, che non in
figura umana, ma bensì in figura di colonne o piramidi acuminate
furono i Si Lib. g. c. 5. i Simulacri, a cui nei
primi, e più rimoti fuoi tempi l’ idolatrante Grecia prodrofli; che le per
conientimentò di tutti gli Autori ebbe la Grecia dagli Orientali, e dall'
Egitto principalmente i fuoi Numi, e le cerimonie di Religione, farà quella
una riprova novella, che di cilindrica, piramidale, o conica forma
federo i Simulacri almen più vetulli dall’Oriente, e dall' Egitto
inventati. Ora nuli’ altro appunto, che una Colonna fu la
Giunone Argiva. Ce lo atteda Clemente Aleffandrino recando alcuni verlì di un vecchio
Poeta Greco in lode di Callitoe prima Sacerdotellà di quella Diva predò gli
Argivi. Io mi farò lecito di darne una mia Traduzione; Della Donna
del Ciel preliede al Tempio Clavigera Callitoe, che intorno Di
ferti, e bende un dì già ornò primiera Dell’ Argiva Giunon 1 ’ alta
Colonna. Non altro, che femplici acuminate Colonne, o
Piramidi furono i Simulacri podi ad Apollo, e a Diana, come lo Scaligero
(3 ) dalle antiche memorie deduce. Non altro, erte una rozza Colonna di legno
la Statua di Pallade Attica.,, Quan„ to ( dicea perciò Tertulliano) ( aJ
diltinguelt,, dallo dipite d' una croce la Pallade Attica, o „ la Cerere
Farrea, che lènza effigie coda d’ un „ rozzo palo, e d’ un legno informe.
Un legno „ non dolato ( proliegue Arnobio ) adorodì,, da que’ di Caria in luogo di Diana:
in luogo di Giunone un Pluteo da
que’ di Samo; un’ Atta „ dai Romani in luogo di Marte, come le Mule
» ài 'Zrpuu.eerwv I K «XfaQoti cXifjLTtcìbos
BajiAtw H/W fi pryutK W> {Tìia/axsi, XM buiOCVOKl ripa
irti tx.orjj.tKur rtpt tttwx jJMxpw curctsitK. Ad an. Eufib. 377, f
4 ) AJverf. Cent. C 5 J Lib. 6. 3 2 Dissert. suix’
Origine „ di Vairone ci additano.,, E giacché Arnobio un
Romano Autore ha citato, qui giovi connetterne un altro, cioè Trogo Pompeo, o
fia il Tuo Compilatore Giurino, il quale d’ Amulio,~e di Numitore
parlando ultimi fra i Re d’ Alba, in quella foggia h efprime.,, In que’
tempi tuttora,, dai Re invece di Diadema portavanfi 1 ’ alle »,, che lcettri
dai Greci furon chiamate. Conciof-,, liachè dalla prima origine delle cofe
furono ado-,, rate 1 ’ Alle in luogo de’Simulacri degl' Iddii im-,, mortali. Ed
in memoria di tal religione ai Si„ mulacri degl’ Iddii tuttora 1' Alte s’
aggiungono. „ Finalmente non altro, che un rozzo malconcio legno, e
deforme» liccome Ateneo ne fa fede era il Simulacro di Latoua prello a quelli
di Deio y c per fitìfatta guilà ridevole, che al ibi vederlo n’
ebbe a icoppiar dalle rifa quel Parmenilco di Metaponto, che dopo 1 *
ufeita dall’ antro di Triionio non avea rifo giammai. Quindi non ci ltupiremo
altrimenti al fapere» che un breve defeo attaccato ad una lunghi ifima
pertica folle il Simu* lacro del Sole venerato da que’ di Peonia; e
che informi tronchi, maltagliati, e fenz' arte fodero 1 Numi degli
antichi Germani e de’ prilchi Galli, come ne allicura Lucano. Molto mena
furem meraviglia in vedere queiti primi idolatrici monumenti di legno più
tolto, che d’ altra materia lavorati. Per poco che fiali nell’ erudizione
verfato » non può ignorarli » che i Simulacri primieri dell’ ancor giovane
Idolatria materiale, giulta il collume degli Orientali pattato nella Grecia
» e nel Lazio, furono quali comunemente d’ argilla, o di legno, a cui
fuccedè ben prello il marmo quindi i metalli v e finalmente 1’avorio. Non
lafcianci dubitarne i be' palli, che abbiamo in C O Lib.
43. Mb. Simulacraque moejla
Deorum Arte careni, caefisque extant informia truficis. in Ifiaia,
in Geremia in Ofiea, e nel Libro della Sapienza. Gli eleganti verfi
poi di Tibullo CìJ 1 non Ibi rapporto a quello capo, ma tutta in generale
confermano la mia presente opinione. Non di legno però - ma di pietra in
figura di gran piramide, al dir di Pautania, fi il Simulacro fiotto il
nome di Apollo da’ Megarefi guardato, e Umilmente una pietra fu la sì celebre
Venere Pafia, il di cui Santuario tanta venerazione rifico Uè non pur
dall’ Ifiola di Cipro, ma dalla Grecia tutta, e dall’Alia minore. Venere
Pafia, che ha data occafione, e primo impullò al mio fieri vere,
quella fi a appunto, che ornai gli dia compimento. Il di lei
Simulacro viene da Maflimo Tirio ad una piramide bianca paragonato.
Noi però più efatta ne prenderemo la detenzione da TACITO (vedasi), le di
cui parole nel fiuo nativo linguaggio mi fo lecito di produrre: Haud crtt
longum initi a religionis, temyli fitum, formanti Dea 9 ncque alibi fic
habetur, vaucis dijjerere. Simulacrum Dea non effigie fiumana continuus orbis,
la tiore initio tenuem m ambitum, met a modo exurgens, C? ratio in obfcuro - Or
di quefia Venere Pafia noi coi noftri proprj occhi ne potremo facilmente
rilevar Ja figura tutta appunto conforme alla C o f. . I. f 3
) 4. 12, co «$• Eleg.) Nam veneror, jèu Jìiyes habet defertus in
agris, $eu vetits in trivio florida Certa lapis f Eleg. io. lib.
Sed yatrii fervute lares, coluiflis CP idem Curfarem veflros cum tener
ante lares; Kec yudeat yrifios vos ejfe e fliyite faclos, Sic
veteris JeJes incoluiflis evi. T unc melius tenuere fidem, cum ytniyere
teSÌ 9 l Stabat in exigua ligneus ade Q$us Orat. Dissert.
sull'Origine alla defcrizione di Tacito. Balla oflervar tre
Me** daglie riportateci dal Patino. La prima battuta dalla Città di Paflo
a Drulo Celare. La feconda coniata da’Cipriotti a Vefpalìano La
terza da’ Cipriotti Umilmente dedicata a Tramano C4J • Anzi non l’ Itola lòia
di Cipro, come di lòpra toccai, e come attella, e comprova P eruditiffimo
incomparabile Spanemio, adorò la Venere Pafia. Il di lei culto
propagolfi ancora in altre Nazioni, e Città, le «juali perciò lì
fecero vanto di ornare col di lei Simulacro, e Tempio i rovefci di lor
medaglie. Fede ne faccia la Medaglia di Adriano battuta da que’di Sardi
nell’ Afia minore, e riferita dal Sirmondo, e Umilmente un’ altra coniata
da Pergameni fpettante ad Euripilo prellò il citato Spanemio; ed anche
un’ antica Corniola prodotta dall’ Agoltini, fenza accennare però, le Greca, o
Romana. Ed io lòn di parere, che dal tempo, e dagli Eruditi altri limili
monumenti o fcoperti lì fieno, o (coprire lì pollano dinotanti la
venerazione dilatata, in che lì ebbe quella folle Palla divinità, e
infieme comprovanti la veridica deferii zione, che del di Lei Simulacro
Tacito ci rapprefenta. Debbo però confettare, che quanto ne* monumenti
addotti io riconol'co per vera ed el'atta la delcrizione mentovata, mi
lòrprende altrettanto il modo, con cui Tacito la conclude: Met.r modo exurgens,
ei dice, i? ratio in olj'curo. Poffibile, che ad un Uom si erudito, quale fu
Tacito, sì gran meraviglia facelle il mirar Venere Pafia in figura di un
cono, o di una piramide ? Non dovea egli piuttollo da una tale figura
defumere 1* antichità di tal Simulacro, o almeno la derivazione di
C 1 J Imy. Roin. Numis. C De Praeft., t? Ufìi Numism.
Dijf. Colleg. delle Med. del Col. Chiaram. di Parigi. C»J DiaL. ne di una
veturtilfima coltomanza ? Non dovea Tape re, che ne’ più rimoti tempi, e come
Trogo dicea, ab origine rerum, altri Simulacri non ebbero i Numi, che o
pietre quadrate, o piramidi, od obelifchi, o coni, o colonne di legno, e di
fallo ? Come ignorar potea il conico Simulacro d’ Apollo in Megara,
e del Sole in Ed e Ila, e gli obelifchi, è le piramidi al Sole ideilo
alzate in Egitto ? Come gli ufeiron di mente i furti, o colonnette rozze
di legno, e le impolite pietre, che per di lui alferzione rifeuoteano le
adorazioni della Germania ? Come sfuggirono alla di lui maflima
erudizione le due colonne porte a Giove nel Tempio d’ Ercole in
Tiro; come le altre molte collocate nel Tempio di Gadi; come le due
confecrate al Sole dal Re Ferone nel di lui Tempio in Egitto? Tante
colonne infine fi J, con cui adombrar (i folevano e Giove, e Giunone, e
Bacco chiamato perciò TUputiovios Colutnnarius, e Apollo detto
Ayiftfs Compitali, ed Ercole, e Marte, e Bellona, non dovevano
farlo falire all’ origine delle cole, ai coltomi dell’antica, e primiera
rozzezza, e deporre la meraviglia circa la forma del Simulacro di
Venere Pafia ? Ma qual cofa Tacito fi penfaflè in quella Tua
fofpenfione, egli fel vegga, e noi non ce ne brigheremo altrimenti.
Raccoglieremo bensì le vele ad una Dillertazione, che in vallo pelago
trafeorfe ornai troppo lungi. Voi, o dottiamo Sig. Conte, farete
telfimonio o del Tuo felice tragitto, o del Ilio infaufto naufragio; e
onorar dovrete o di compatimento i fuoi rilicofi viaggi, o i luoi errori
di correzione. Se 1 amor proprio non mi fa velo al giudizio, ere.
c " e ^ della tratto avelie a qualche porto di 1 ufficiente
probabilità 1 opinione da Voi propolla™ l. \ c }°£ che i Simulacri più vernili
delle pagane Divinità follerò di quadrata, o di rotonda figura, o
al- C O Ue^io Aìnetan. Qjiejì. lib. 3<5 Dissert. SuliTdolatria;
( o almeno tendente a rotonditi. Un più ralente Piloto e di forze,
e di tempo, e di finimenti più agiato faprà condurla felicemente ad un
porto di fìcurezza. Quanto a me, fe altro non averti potato ottenere,
Tarò almeno contentiamo d avervi f er alcun modo tellimoniata la
mia. ubbidienza, alto pregio, in che tengo 1’ autorità voftra, e ij
voltro merito Angolare. l'idi t prò lUtàe, ac Revino D. V. Domini
co Al archi one Mancinforte Epifcopo F aventino Albertus Raccagni
Farocbus Sanfli Antonini. Fr. Angelus Maria Merenda Ordinis
Predicatorum Sacra Scripturx LeElor, ac f^icartus Gg~ neralis SaaEli
Offici* F aventi a. In tale direzione, si riscontra la necessità di
condurre la ricerca a un livello sem iotico-sem iosico, ricorrendo alla sem
iotica di Peirce, e in particolare alla sua definizione di “interpretante
iconico”, segno creativo capace di comprendere meglio ciò che è altro
dall’identico, ciò che differisce dal segno “idolo”. Attraverso una semiotica
dell’interpretazione, si cercherà quindi di spiegare teoricamente il
funzionamento degli elementi che compongono un testo, per una comprensione del
concetto di scrittura e le prospettive che questa propone per la costruzione di
un approccio critico alla problematica della lettura del testo BACON, LE
QUATTRO SPECIE DI IDOLI Bacon espone in queste pagine la sua teoria sugli idola
(i pregiudizi) che occupano la mente umana e le rendono difficile “l’accesso
alla verità”. Bacon, Novum Organon, Gli idoli e le false nozioni che
penetrarono nell’intelletto umano fissandosi in profondità dentro di esso, non
solo assediano le menti umane in modo da rendere difficile l’accesso alla
verità, ma addirittura (una volta che quest’accesso sia dato e concesso) di
nuovo risorgeranno e saranno causa di molestia nella stessa instaurazione delle
scienze: almeno che gli uomini, preavvertiti, non si agguerriscano, per quanto
è possibile contro di essi. Quattro sono le specie degli idoli che assediano le
menti umane. Per farci intendere abbiamo imposto loro dei nomi: chiameremo la
prima specie idoli della tribú; la seconda idoli della spelonca; la terza idoli
del mercato; la quarta idoli del teatro. Gli idoli della tribú sono
fondati sulla stessa natura umana e sulla stessa tribú o razza umana. Pertanto
si asserisce falsamente che il senso umano è la misura delle cose ché al
contrario tutte le percezioni, sia del senso sia della mente, derivano
dall’analogia con l’uomo, non dall’analogia con l’universo. Rispetto ai raggi
delle cose l’intelletto umano è simile a uno specchio disuguale che mescola la
sua propria natura a quella delle cose e la deforma e la travisa. Gli
idoli della spelonca sono idoli dell’uomo in quanto individuo. Ciascuno infatti
(oltre alle aberrazioni proprie della natura in generale) ha una specie di
propria caverna o spelonca che rifrange e deforma la luce della natura: o a
causa della natura propria e singolare di ciascuno, o a causa dell’educazione e
della conservazione con gli altri, o della lettura di libri e dell’autorità di
coloro che si onorano e si ammirano, o a causa della diversità delle
impressioni a seconda che siano accolte da un animo preoccupato e prevenuto o
calmo ed equilibrato. Cosicché lo spirito umano (come si presenta nei singoli
individui) è cosa varia e grandemente mutevole e quasi soggetta al caso. Perciò
giustamente affermò Eraclito che gli uomini cercano le scienze nei loro mondi
particolari e non nel piú grande mondo a tutti comune. Vi sono poi gli
idoli che derivano quasi da un contratto e dalle reciproche relazioni del
genere umano: li chiamiamo idoli del mercato a causa del commercio e del
consorzio degli uomini. Gli uomini infatti si associano per mezzo dei discorsi,
ma i nomi vengono imposti secondo la comprensione del volgo e tale errata e
inopportuna imposizione ingombra in molti modi l’intelletto. D’altra parte le
definizioni o le spiegazioni, delle quali gli uomini dotti si provvidero e con
le quali si protessero in certi casi, non sono in alcun modo servite di
rimedio. Anzi le parole fanno violenza all’intelletto e confondono ogni cosa e
trascinano gli uomini a controversie e a finzioni innumerevoli e vane.
XLIV Vi sono infine gli idoli che penetrano negli animi degli uomini dai vari
sistemi filosofici e dalle errate leggi delle dimostrazioni. Li chiamiamo idoli
del teatro perché consideriamo tutte le filosofie che sono state ricevute o
create come tante favole presentate sulla scena e recitate che hanno prodotto
mondi fittizi da palcoscenico. Non parliamo solo dei sistemi filosofici che già
abbiamo o delle antiche filosofie e delle antiche sètte perché è sempre
possibile comporre e combinare moltissime altre favole dello stesso tipo: le
cause di errori diversissimi possono essere infatti quasi comuni. Né abbiamo
queste opinioni solo intorno alle filosofie universali, ma anche intorno a
molti princípi e assiomi delle scienze che sono invalsi per tradizione,
credulità e trascuratezza. Il pensiero di F. Bacon, a cura di P. Rossi,
Loescher, Torino. The idol fixes one's gaze on itself; the icon, for its
part, demands that one go throughGrice: “Cattaneo’s philosophical background is
much stronger than Hart’s! Hart always doubted his philosophical abilities – as
he kept comparing himself to me! When Cattaneo was at St. Antony’s, Hart found
that he had to play brilliant, since a ‘continental’ was watching! Cattaneo is
especially good in the study of Roman-Italian giurisprudenza, from Cicero,
Goldoni, Carrrara, and Manzoni, onwards! They don’t need no stinking Hart!” -- M.
A. Cattaneo. Mario A. Cattaneo. Mario Alessandro Cattaneo. Mario Cattaneo.
Keywords: eidolon, idolo, idol of the market place – bentham -- autorita,
autoritarismo, positivismo di H. L. A. Hart, il concetto della legge, filosofia
del linguaggio ordinario, scuola oxoniense di filosofia del linguaggio
ordinario, il gruppo di giocco di Austin, il primo o vecchio gruppo di giocco
di Austin al All Souls, giovedi notte; il nuovo gruppo di giocco di Austin
sabato alla mattina. Hart, Hampshire, Grice. Grice, neo-Trasimaco, giustizia, fairness,
valore legale, valore morale, le legge e la morale, priorita della moralita
sulla legalita, concetti di priorita, priorita evaluativa, neo-trasimaco,
neo-socrate, platonismo giuridico, positivismo pre-Kelsen: hobbes, bentham,
autin. I giuristi italiani. Storia della giurisprudenza italiana. Goldoni,
Carrara, Manzoni, Collodi, Lorenzini, Pinocchio, Foscolo, Perini, Beccaria,
Colonna infame, letteratura italiana, fizione italiana, prosa italiana,
giurisprudenza italiana, avvocatura ed implicatura. Refs.: Luigi Speranza,
“Grice e Cattaneo” – The Swimming-Pool Library. Cattaneo.
Luigi Speranza -- Grice e Catucci: la
ragione conversazionale e l’implicatura conversazionale d’ego et alter, E ed A
– i giocchi cooperativi – Meinong et al. teoria del valore -- l’altro – scuola
di Roma –filosofia romana – filosofia lazia -- filosofia italiana – Luigi
Speranza, pel Gruppo di Gioco di H. P. Grice, The Swimming-Pool Library (Roma). Filosofo romano. Filosofo lazio. Filosofo italiano. Roma, Lazio. Grice: “I
love Catucci – Ogden and Richards, whom I’ve read profusely, expand on Husserl
– and Catucci is “our man in Husserlian phenomenology of intersubjectivity!” –
Grice: “As a typical Itaian philosopher, viz. eclectic, he has philosophised on
Luckacs, and Foucault, too!” -Grice: “Catucci’s approach to Lukacks is via
‘poverty,’ which has little to do with my idea that the poorer the semantics
the richer the pragmatics: ‘His semantics was poor, but it was honest!”. Altre
opere: “La filosofia critica di Husserl, Milano, Guerini et Associati); Beethoven
Opera Omnia. Le Opere. Fabbri Classica); Bach e la musica barocca, Roma, La
Biblioteca); Introduzione a Foucault, Bari-Roma, Laterza); La storia della
musica, Roma, La Biblioteca); Spazi e maschere, Roma, (a cura di, con Umberto
Cao), Meltemi Editore); Per una filosofia povera, Torino, Bollati Boringhieri);
Imparare dalla Luna, Macerata, Quodlibet. Si laurea a Roma sotto Garroni.
Studia a Bologna. Legge Tugendhat e Tertulian. Insegna a Camerino e Roma. Pubblica
il saggio La filosofia critica di Husserl (ed. Guerini e Associati) la cui
preparazione ha richiesto un periodo di ricerca presso lo
"Husserl-Archief” di Leuven, in Belgio. Il lavoro sui manoscritti di
Husserl lo ha portato alla pubblicazione di diversi saggi di carattere
fenomenologico, tra cui “Le cose stesse”; “Note su un’autocritica
trascendentale della fenomenologia di Husserl”, basato sull’analisi di testi
husserliani inediti. Pubblicato per Laterza un saggio su Foucault. Quindi è
stata la volta del saggio “Per una filosofia povera”, uno studio ad ampio
spettro sulla filosofia italiana nella Grande Guerra (ed. Bollati Boringhieri).
Ha inoltre collaborato alla stesura del Dizionario di Estetica curato per
Laterza da Gianni Carchia e Paolo D'Angelo. Ha numerosi saggi su Foucault (La
linea del crimine) sull’estetica, sull’architettura e sulla musica, in
particolare musicisti come Wagner e Stockhausen. Potere e visbilità (ed.
Quodlibet). La sua ricerca Imparare dalla Luna (ed. Quodlibet) ha ottenuto
ampia risonanza anche al di là del campo degli studi filosofici, portandolo fra
l’altro a tenere conferenze al Festival delle Scienze di Roma, al Festival
Wired di Milano, e al Congresso
Nazionale della Società Italiana di Fisica. Membro della Società Italiana di
Estetica. Coordina “I Concerti del Quirinale”. “Tutto Wagner”. Collabora
regolarmente con l’Accademia Nazionale di S. Cecilia, Orchestra Sinfonica
Nazionale della Rai, Teatro dell’Opera di Roma, Teatro Regio di Torino,
Festival Mi-To Settembre Musica) e ha organizzato manifestazioni di tipo
filosofico-musicale per la Biennale Musica di Venezia e per il Festival Play.it
di Firenze, L'arte è un progetto? C. Estetica Elementare - L'esperienza del
coro fra etica e tecnica C.-Prefazione/Postfazione book: Insieme. Canto,
relazione e musica in gruppo - La storia dell'estetica come critica e come
filosofia C. -AESTHETICA. PRE-PRINT (Centro internazionale studi di estetica) -
Di cosa parliamo quando parliamo di teoria C. Cinque temi del moderno
contemporaneo. Memoria, natura, energia, comunicazione, catastrofe - Bellezza C.
Voce di Enciclopedia/Dizionario book: Parole. Il Kitsch: ieri,
oggi, domani C. Riga - Aesthetics and Architecture Facing a Changing Society C.
International Yearbook of Aesthetics (JP Službeni glasnik, ) Introduzione a
Foucault. Saggio,
Trattato Scientifico Imparare dalla Luna. Nuova edizione riveduta e
ampliata C. Il corpo e le forme. Note
sul discorso spirituale nella filosofia e nell'arte C. Della materia spirituale
dell'arte - On the spiritual matter of art - - Perché gli artisti nei luoghi
del disastro C. -Terre in movimento - The Prison Beyond its Theory. Between Foucault's Militancy and Thought C.- Prison Architecture and
Humans - Postfazione C. - Prefazione/Postfazione book: Qualcosa
sull'architettura. Figure e pensieri nella composizione - Prefazione.
Vite di architetture infami C. - Incompiute, o dei ruderi della contemporaneità
- Potere e visibilità. Studi su Foucault C. Prefazione a L. Romagni, Strutture
della composizione C. Strutture della composizione. Architettura e musica - -
Presentazione. Leo Popper: l'etica e le forme C. Articolo in rivista paper:
AESTHETICA. PRE-PRINT (Centro internazionale studi di estetica) L'angelo della
matematica C. La vetrata artistica della
Scuola di Matematica. Disegno di Gio Ponti per Luigi Fontana - A roadmap toward
the development of Sapienza Smart Campus Pagliaro; Mattoni; Gugliermetti;
Bisegna, Fabio; Azzaro, Bartolomeo; Tomei, Francesco; Ca. Atto di convegno in volume conference: 16th International Conference on
Environment and Electrical Engineering, EEEIC
(Florence Italy) book: EEEIC 2016 - International Conference on
Environment and Electrical Engineering - Luce, Illuminazione, Illuminismo C. -
I percorsi dell'immaginazione. Studi in onore di Pietro Montani - L'opera
d'arte e la sua ombra C. L'estetica e le
arti. Studi in onore di Giuseppe Di Giacomo - (La linea del crimine. Foucault e
la vita degli uomini infami C. AGALMA (-Roma: Meltemi -Roma: Castelvecchi, =
Materia primordiale e Growing Design C.; Lucibello, ANANKE (Firenze: Alinea,
Preliminari a un'estetica della plastica C.Plastic Days. Materiali e Design /
Materials et Design - Antropomorfismo C.Voce di Enciclopedia/Dizionario book:
Wikitecnica - Arte C. - 02d Voce di Enciclopedia/Dizionario book: Wikitecnica -
Einfühlung Catucci, Stefano - 02d Voce di Enciclopedia/Dizionario book:
Wikitecnica - Movimento Catucci, Stefano - 02d Voce di Enciclopedia/Dizionario
book: Wikitecnica - (Sovrastruttura C. - 02d Voce di Enciclopedia/Dizionario
book: Wikitecnica - Strutturalismo Catucci, Stefano - 02d Voce di
Enciclopedia/Dizionario book: Wikitecnica Il nome del presente. The name of the
present C. DOMUS (Rozzano Milan Italy: Editoriale Domus) Imparare dalla Luna C.-
03a Saggio, Trattato Scientifico book: Imparare dalla Luna - Filosofia
dell'eccedenza sensibile C. - 02a Capitolo o Articolo book: Vice Versa - La
Gaia estetica C. - 02a Capitolo o Articolo book: Costellazioni estetiche: dalla
storia alla neoestetica. Studi offerti in onore di Luigi Russo - -
Conversazione con S. Gregory, Paola; C. - 02a Capitolo o Articolo book:
Progetto e Rifiuti. Design and Waste. No-Waste - La contingenza impossibile:
note su alcuni modelli espositivi dell'opera d'arte. C. - 02a Capitolo o
Articolo book: Il museo contemporaneo. Storie, esperienze, competenze -
Metamorfosi: un'architettura dopo il postmoderno C. - 02c
Prefazione/Postfazione book: Autocostruzioni. O degli ultimi spazi del progetto
- - Mission to Mars- C.- HORTUS (Roma: Facoltà di Architettura "Valle
Giulia", universita' la "Sapienza" Direttore -Necessity and
Beauty C. - 02c Prefazione/Postfazione book: Parks and territory: new
perspective in planning and organization -
Eyes Wide Shut. Architecture without Philosophy C. - 04b Atto di
convegno in volume conference: The Signifiance of Philosophy in Archtectural
Education (Patrasso - Grecia - Dipartimento di Architettura dell'Università di
Patrasso) book: The Signifiance of Philosophy in Archtectural Education -
Estetica della speranza C. - 02c Prefazione/Postfazione book: Teoria critica
del desiderio - "Reimparare a sognare". Note su sogno, immaginazione
e politica in Foucault Catucci, Stefano - 02a Capitolo o Articolo book: La
coscienza e il sogno. A partire da Valéry -Visione e dispersione. La regia
architettonica Moretti Catucci, Stefano -
Atto di convegno in volume conference: Moretti architetto del Novecento
(Facoltà di Architettura, Università di Roma "Sapienza") book:
Moretti architetto del Novecento - Critica del contesto C. - 01a Articolo in
rivista paper: PIANO PROGETTO CITTÀ (-Avezzano (AQ): LISt- Laboratorio
Internazionale di Strategie editoriali,
-Avezzano (AQ): Ed'A- Editoriale d'Architettura -Pescara: Sala Editore
Pescara Pescara: Clua) Essere giusti con Marx C. - 02a Capitolo o Articolo
book: Foucault-Marx: paralleli e paradossi - La terza dimensione C. Articolo in
rivista paper: VEDUTE (Roma-Macerata: Quodlibet, «Eine eigene fremde Welt»: le
utopie terrestri di Karlheinz Stockhausen C. - 01a Articolo in rivista paper:
ATENEO VENETO (Ateneo Veneto:Campo S. Fantin Venice Italy: "Des moustiques
domestiques”: Notes on the Tautology of Visual Writing C. Atto di convegno in
volume book: Beyond Media: Visions, catalogo della 9. Edizione
dell’International Festival for Architecture and Media - Prolegomeni a
un'architettura della relazione C. Capitolo o Articolo book: L'esplosione
urbana - I generi musicali: una problematizzazione C. Voce di
Enciclopedia/Dizionario book: (Enciclopedia Treccani Terzo Millennio), vol. II,
Comunicare e rappresentare - Senso e progetto. Il contributo dell’estetica C. -
Capitolo o Articolo book: Il progetto di architettura come sintesi di
discipline - Il progetto di architettura come sintesi di discipline C.;
Strappa, Giuseppe - 03a Saggio, Trattato Scientifico Il lavoro della
dispersione C.- Capitolo o Articolo book: L’idea e la differenza. Noi e gli
altri, ipotesi di inclusione nel dibattito contemporaneo. - Introduzione a
Foucault C. Tutto quello che "la musica può fare". Conversazione con
Francesco e Max Gazzè. Magrelli, Valerio; Moretti, Giampiero; Piperno, Franco;
Giuriati, Giovanni; C.; Scognamiglio, Renata; Caputo, Simone - Capitolo o Articolo book: Parlare di
musica Costruire, abitare, patire C. -
Capitolo o Articolo book: Arte, Scienza, Tecnica del Costruire - Elogio del
parlare obliquo: la musica classica alla radio C. Parlare di musica - La
proprietà intellettuale come problema estetico C. FORME DI VITA (Roma:
DeriveApprodi) L’architettura al tempo di Nikolaj Rostov C. GOMORRA (Roma:
Meltemi- Roma: Castelvecchi Milano: Costa et Nolan, - Per una critica delle
narrazioni urbane Catucci, Stefano - 01a Articolo in rivista paper: PARAMETRO
(Faenza Italy: Gruppo Editoriale Faenza Editrice) Foucault filosofo
dell’urbanismo C. Lo sguardo di Foucault - La cura di scrivere C. Atto di
convegno in volume book: Dopo Foucault. Genealogie del postmoderno -La via
dialogica dell’arte: i nuovi linguaggi urbani C. Atto di comunicazione a
congresso conference: Nel convivio delle differenze. Il dialogo nelle società
del terzo millennio (Roma - Pontificia Università Urbaniana) book: Nel convivio
delle differenze. Il dialogo nelle società del terzo millennio, a cura di E.
Scognamiglio e A. Trevisiol - Spartacus: i dilemmi della libertà Catucci,
Stefano - 02a Capitolo o Articolo book: Una strana rivista: «Gomorra»
Dizionario di Estetica C.Voce di Enciclopedia Dizionario book: Dizionario di
Estetica - Il colosso senza immaginazione C. Osservatorio Nomade: immaginare
Corviale. Pratiche ed estetiche per la città contemporanea Il visibile e
l’invisibile. Riflessioni sul potere in Foucault C.- 02a Capitolo o Articolo
book: Conoscenza e potere. Le illusioni della trasparenza - Un passato che non
passa. Bachelard e la fine dell’abitare C. Simbolo, metafora, esistenza. Saggi
in onore di Trevi - Corridoi Transeuropei C. - 01a Articolo in rivista paper:
GOMORRA (Roma: Meltemi- Roma: Castelvecchi Milano: Costa et Nolan, La “natura”
della natura umana Catucci, Stefano - Prefazione/Postfazione book: Della Natura
Umana. Invariante biologico e potere politico. - Estetica e Architettura C. Capitolo
o Articolo book: Contaminazioni culturali. Materiali di studio del Dottorato di
Ricerca in Riqualificazione e Recupero Insediativo - (Criticare l’estetica per
criticare il presente C.Articolo in rivista paper: GOMORRA (Roma: Meltemi-2001
Roma: Castelvecchi Milano: Costa et Nolan, Le Corbusier a Pessac: un paradigma
moderno Catucci, Stefano - 01a Articolo in rivista paper: SPAZIO RICERCA
(CAMERINO:DIPARTIMENTO PROCAM DELL'UNIVERSITA' DEGLI STUDI DI CAMERINO)
Foucault: dalla novità storica all’estetica dell’esistenza C. Articolo in
rivista paper: FORME DI VITA (Roma: DeriveApprodi La pensée picturale C. Atto di convegno in volume conference:
Colloque de Cerisy - Foucault: La littérature et les arts (Cerisy - Francia)
book: Michel Foucault, la littérature, les arts - Attraverso Velázquez:
Foucault, Las Meninas, la filosofia Catucci, Stefano - 02a Capitolo o Articolo
book: Il classico violato. Per un museo letterario- Tre versioni del misurare C.
SPAZIO RICERCA (CAMERINO:DIPARTIMENTO PROCAM DELL'UNIVERSITA' DEGLI STUDI DI
CAMERINO) Per una filosofia povera: la Grande Guerra, l'esperienza, il senso; a
partire da Lukács C. - 03a Saggio, Trattato Scientifico book: Per una filosofia
povera: la Grande Guerra, l'esperienza, il senso; a partire da Lukács -
L'angelo dei rifiuti Catucci, Stefano Articolo in rivista paper: GOMORRA (Roma:
Meltemi-Roma: Castelvecchi Milano: Costa et Nolan, Estetica dell'abitare C.
Capitolo o Articolo book: La nuova Estetica italiana - Spazi e maschere
Catucci, Stefano - 06a Curatela Ambiguità C. - 02d Voce di Enciclopedia Dizionario
book: Dizionario di Estetica Poetica Catucci, Stefano - Voce di Enciclopedia Dizionario
book: Dizionario di Estetica - Architettura, teorie della C. Voce di
Enciclopedia/Dizionario book: Dizionario di Estetica - Censura Ca. -Voce di
Enciclopedia Dizionario book: Dizionario di Estetica - Distruzione delle opere
d'arte C. Voce di Enciclopedia Dizionario book: Dizionario di Estetica -
Fenomenologica, estetica C. Voce di Enciclopedia Dizionario book: Dizionario di
Estetica - Fisiognomica C. Voce di Enciclopedia/Dizionario book: Dizionario di
Estetica - Fotografia, teorie della C.
Voce di Enciclopedia Dizionario book: Dizionario di Estetica Kitsch C.Voce
di Enciclopedia Dizionario book: Dizionario di Estetica - Marxista, estetica C.
Voce di Enciclopedia Dizionario book: Dizionario di Estetica - Musica, teorie
della C. Voce di Enciclopedia Dizionario book: Dizionario di Estetica - Opera
d'arte C.Voce di Enciclopedia Dizionario Dizionario di Estetica - Originalità C/
Voce di Enciclopedia/Dizionario book: Dizionario di Estetica - Particolarità
Catucci, Stefano Voce di Enciclopedia/Dizionario book: Dizionario di Estetica -
Realismo C.-Voce di Enciclopedia Dizionario book: Dizionario di Estetica - -
Retorica C. Voce di Enciclopedia Dizionario
book: Dizionario di Estetica - Rispecchiamento C.Voce di Enciclopedia Dizionario
book: Dizionario di Estetica - Ritmo C.Voce di Enciclopedia/Dizionario book:
Dizionario di Estetica - - Scientifica, estetica C. Voce di Enciclopedia Dizionario
book: Dizionario di Estetica - Sociologia dell'arte C.Voce di Enciclopedia Dizionario
book: Dizionario di Estetica - Storicità C.Voce di Enciclopedia/Dizionario
book: Dizionario di Estetica - Struttura C. Voce di Enciclopedia Dizionario
book: Dizionario di Estetica - Strutturalista, estetica C. Voce di
Enciclopedia/Dizionario book: Dizionario di Estetica - Terapie artistiche C. -
Voce di Enciclopedia/Dizionario book: Dizionario di Estetica - Tipico C.Voce di
Enciclopedia Dizionario book: Dizionario di Estetica - - Autenticità C.Voce di
Enciclopedia/Dizionario book: Dizionario di Estetica - Oggetto estetico C.
-Voce di Enciclopedia/Dizionario book: Dizionario di Estetica - - Estetica e
politica C. Voce di Enciclopedia Dizionario book: Dizionario di Estetica - Fra tempo e spazio: rassegna sul vuoto in
musica C. GOMORRA (Roma: Meltemi-Roma: Castelvecchi Milano: Costa et Nolan) -
Estetica della censura C. Capitolo o Articolo book: La cortina invisibile -
Figures de l’art, figures de la vie. Une idée de philosophie chez le jeune
Lukács C. - 02a Capitolo o Articolo book: Life - L'etica e le forme C. Capitolo
o Articolo book: Scritti di estetica - - Saggi di Estetica Catucci, Stefano -
06a Curatela - Gli animali di Céline Catucci, Stefano - 01a Articolo in
rivista paper: RIVISTA DI ESTETICA (Rosenberg et Sellier:via Andrea Doria
1Turin Italy:: tina.cesaro rosenbergesellier.it, Dall’estetica all’ontologia.
Lukács lettore della «Critica del Giudizio» C. Senso e storia dell'estetica - La filosofia
critica di Husserl C. Saggio, Trattato Scientifico book: La filosofia critica
di Husserl - La fenomenologia negli Stati Uniti: metodo e fondazione C. Capitolo
o Articolo book: Specchi americani. La filosofia europea nel Nuovo Mondo - La
fenomenologia come teoria estetica. Note in margine a: Recensione a F.
Fellmann, Phänomenologie als ästhetische Theorie Catucci, Stefano - 01a
Articolo in rivista paper: STUDI DI ESTETICA (Sesto San Giovanni MI:
Mimesis, Bologna: CLUEB) LA TEORIA
COOPERATIVA Come accennato in precedenza, l’idea di gioco cooperativo `e stata
introdotta da von Neumann e Morgenstern. Il contributo del loro libro `e fonda-
mentale per aver reso lo studio dei giochi una disciplina sistematica, e per
aver proposto un cambiamento radicale nel modo di studiare i problemi
dell’economia, delle scienze politiche e di quelle sociali. Il metodo proposto
consiste nel tradurre i problemi in giochi opportuni, nel trovare le soluzioni
di questi con le tecniche sviluppate dalla teoria, e nel ritradurre le
soluzioni trovate in termini di comportamenti economici ottimali. L’idea di GIOCO
COOPERATIVO dall’esigenza di analizzare il comportamento razionale di agenti
che interagiscono in situazioni non strettamente competitive. In tal
15Strategia dominata invece `e quella tale che, ne esiste un’altra che procura
al giocatore maggiore utilit`a, qualunque cosa faccia l’altro. Una strategia
dominata non pu`o far parte di un equilibrio di Nash. caso `e ragionevole
pensare che i giocatori possano fare alleanze, formare coalizioni ecc. Ogni
coalizione sar`a in grado poi di garantire una certa distribuzione di utilit`a
all’interno dei suoi membri. Che cosa distingue IL GIOCO COOPERATIVO da quello
non cooperativo? Il fatto che si ipotizzi la nascita delle coalizioni non
significa che si suppone che i giocatori siano diversi, meno egoisti; le
coalizioni sono uno strumento possibile per ottenere migliori risultati
individuali, come nel caso non cooperativo. La differenza nei due approcci sta
in un’altra cosa: secondo Harsanyi, con Nash, per l’Economia, un gioco `e
definito cooperativo se GL’ACCORDI TRA I DUE GIOCATORI SONO VINCOLANTI. In caso
contrario, il gioco `e non cooperativo. All’interno dei giochi cooperativi, la
teoria distingue fra quelli d’utilit`a trasferibile e quelli d’utilit`a non
trasferibile. Qui ci limitiamo a qualche esempio di gioco d’utlita trasferibile
gi`a sufficiente comunque a introdurre le idee principali di questo approccio.
Per definire un gioco cooperativo abbiamo bisogno dell’insieme N = {1,. . ., n}
dei giocatori, e dal dato, per ogni A ⊂ N, di un
numero reale, denotato con v(A). “A ⊂ N” rappresenta
una possibile coalizione; “v(A)” rappresenta l’utilit`a, o in altri casi un
costo, che la stessa `e in grado di garantirsi se i giocatori di A si alleano. V
`e detta la funzione caratteristica del gioco. Il modo migliore di capire
l’idea sottostante questa definizione `e di illustrarla con qualche esempio.
Due persone sono interessate ad un bene che `e in possesso di una terza
persona. Il giocatore 1, che possiede il bene, lo valuta meno di chi lo vuole
comprare (altrimenti non c’`e situazione di interazione tra i tre). Fissiamo
per esempio a 100 il valore che il possessore assegna al bene. Gli altri due,
che chiamiamo rispettivamente 2 e 3, valutano il bene 200 e 300. Possiamo
allora definire il gioco come N = {1,2,3}, e le coalizioni sono otto: {φ, {1},
{2}, {3}, {1, 2}, {1, 3}, {2, 3}, {1, 2, 3} = N}16. Possiamo inoltre porre
v({1}) = 100, v({2}) = v({3}) = v({2, 3}) = 0, v({1, 2}) = 200, v({1,3} = v(N)
= 30017. Consideriamo invece il caso di un compratore (giocatore 1) e due
venditori dello stesso bene; la situazione pu`o essere descritta efficacemente
ponendo v(A) = 1 se A = {1, 2}, {1, 3}, {1, 2, 3}, zero altrimenti. In questo
caso, quando la funzione caratteristica v assume solo valori zero e uno, il
gioco si chiama semplice, e v assume piu` il significato di indice di forza
della coalizione (A `e coalizione vincente se e solo se v(A) = 1). Il gioco non
cambia se al posto di 1 mettiamo un altro numero positivo. 16φ rappresenta
l’insieme vuoto, cio`e la coalizione che non contiene giocatori. Anche se pu`o
sembrare inutile, `e invece opportuno tenerla in considerazione; qualunque sia
v, si assume che v(φ) = 0. 17 Perch ́e abbiamo definito in questo modo il
gioco? Vediamo un paio di casi. Ad esempio, v({2,3}) = 0 perch ́e la coalizione
{2,3} non possiede il bene, v({1,3}) = 300 perch ́e la coalizione {1, 3}
possiede il bene, che valuta 300 (infatti non se ne priva per meno).
Esempio: La pista dell’aeroporto, la bancarotta, la societ`a per azioni). Gli
Esempi 4, 5 e 6 sono anch’essi descrivibili come giochi cooperativi. Nel caso
della pista dell’aeroporto, v rappresenta un costo e non un’utilit`a. E`
naturale pensare che a una coalizione venga assegnato il costo della pista piu`
lunga necessaria per le compagnie che formano la coalizione. Dunque si ha v({1})
= c1, v({2}) = c2, v({3}) = c3, v({1,2}) = c2, v({1,3}) = v({2,3}) = v(N) = c3.
Il caso della bancarotta, anche se si intuisce facilmente che `e un problema
analogo a quello dell’areoporto, `e un pochino piu` complicato, perch ́e non `e
chiaro a priori che cosa una coalizione possa garantire per s ́e. Una stima
molto prudente potrebbe essere quello che rimane dopo che tutti gli altri
creditori sono stati pagati. Nel caso della societ`a per azioni, siamo in
presenza di un gioco semplice, e daremo valore 1 a quelle coalizioni in grado
da avere la maggioranza dei voti necessaria nei vari tipi di votazioni
(semplice, qualificata ecc). Una generica soluzione di un gioco cooperativo con
N = {1, 2, . . ., n} come insieme di giocatori `e un vettore ad n componenti,
ciascuna delle quali `e un numero reale. Il significato dovrebbe essere chiaro:
se (x1, x2, . . ., xn) `e tale vettore, allora xi `e l’utilit`a assegnata (o il
costo, se v rappresenta dei costi) al giocatore i. Tanto per fare un esempio,
nel caso dei due compratori e un ven- ditore, se proponessimo come soluzione
(100,100,100) ci`o significherebbe che l’esito del gioco prevede un’utilit`a di
100 a testa per i tre18. Un concetto di soluzione invece rappresenta un modo
per trovare vettori che soddisfino particolari propriet`a. Ad un gioco una
soluzione pu`o associare un insieme grande di vettori, ad un altro nessun
vettore, ad altri ancora un solo vettore. E` bene osservare che la soluzione in
genere non `e interessata a quanto viene assegnato alle coalizioni, ma solo a
quel che viene dato ai giocatori. Ancora una volta va ricordato che le
coalizioni sono solo un mezzo che gli individui utilizzano per ottenere il
meglio per se. L’idea di gioco cooperativo `e cos`ı generale da rendere
necessaria l’introduzione di molti concetti di soluzione: qui accenniamo
rapidamente ad alcuni fra i piu` importanti. Una soluzione deve per prima cosa
essere un’imputazione, cio`e un vettore (x1, . . ., xn) tale che: 1. xi ≥
v({i}) per ogni i; 2. x1 +x2 +···+xn =v(N)19. SI RICHIEDE CIOE AD OGNI
SOLUZIONE DI GODERE DELLE PROPRIETA DI *RAZIONALITA* INDIVIDUALE E DI
EFFICIENZA COLLECTIVE. Ogni giocatore deve ricavare almeno quel che `e in grado
di garantirsi da solo (altrimenti esce dal gioco), e tutto l’utile disponibile.
Per il momento, non ci poniamo il problema se la suddivisione di utili proposta
sia ragionevole. Vogliamo semplicemente capire che cosa significa in questo
modello soluzione. Ad esempio sono imputazioni i vettori (100,100,100) nel
gioco dei due compratori e un venditore
( 13, 13, 31 ) nel gioco dei due venditori e un compratore, mentre in
quest’ultimo non lo sono (0, 0, 0) e (1, −1, 1). va distribuito (e
ovviamente non di piu`). Questa richiesta `e quindi da ritenere minimale. In
realt`a, visto che le coalizioni sono possibili, sembra naturale richiedere che
esse stesse gradiscano una distribuzione di utilit`a, altrimenti una parte dei
giocatori potrebbe ritirarsi. Si arriva cos`ı ad uno dei concetti fondamentali
di soluzione: il nucleo del gioco v `e l’insieme di quelle distribuzioni di
utilit`a che nessuna coalizione ha interesse a rifiutare. D’altra parte, la
coalizione A rifiuta quel che le viene proposto se la somma delle utilit`a
proposte ai suoi giocatori `e inferiore al valore v(A) che, come detto, rappresenta
quel che lei `e complessivamente in grado di procurarsi. Per capire meglio
l’idea vediamo di caratterizzare il nucleo in un esempio. Quello dei due
venditori e un compratore. Un elemento del nucleo `e un vettore x fatto da tre
elementi, scriviamo x = (x1, x2, x3). Ora scriviamo i vincoli che questo
vettore deve soddisfare: x1 ≥0,x2 ≥0,x3 ≥0 x 1 + x 2 ≥ 1 x1 + x3 ≥ 1 .
x 2 + x 3 ≥ 0 x1 + x2 + x3 = 1. La prima riga impone le disequazioni
relative alle coalizioni fatte dai singoli individui. Essi non accettano meno
di zero, evidentemente. La seconda riga riguarda il vincolo imposto dalla
coalizione {1, 2}; essa `e in gradi di garantirsi 1, quindi la somma di quel
che viene proposto ai giocatori 1 e 2, cio`e x1 +x2, deve essere maggiore o
uguale a 1. E cos`ı via, fino all’ultima coalizione N = {1, 2, 3}. Ora,
confrontando l’ultima equazione con la seconda si vede che deve essere x3 ≤ 0,
ma la prima dice x3 ≥ 0, quindi x3 = 0. Analogamente x2 = 0. Poich ́e la somma
delle utilit`a deve essere uno, allora x1 = 1. Quindi, il nucleo consiste del
solo vettore (1, 0, 0). Vediamo ora che cosa ci propone il nucleo in alcuni dei
giochi. Nel gioco dei due compratori e un venditore, la soluzione proposta dal
nucleo `e che il primo vende l’oggetto al terzo (che lo valuta di piu` rispetto
al secondo), ad un prezzo che pu`o variare fra 200 e i 300 Euro (quindi il
nucleo propone in questo caso piu` spartizioni possibili). Nel gioco invece in
cui ci sono un compratore e due venditori dello stesso bene, come abbiamo visto
il nucleo consiste nell’unico vettore (1,0,0), il che significa che il
compratore ottiene il bene per nulla. E` interessante notare che, nel primo
esempio, il ruolo del secondo giocatore, che pure alla fine non fa nulla, `e
messo in evidenza dal fatto che il prezzo di vendita `e influenzato dalla sua
presenza. D’altra parte questo `e logico. Se il terzo facesse un’offerta minore
di 200 Euro, allora il secondo potrebbe a sua volta fare un’offerta superiore,
fino a un massimo di 200 Euro. 20Anche se non si assume esplicitamente,
l’ipotesi che v(N) ≥ v(A) per ogni A ⊂ N `e
verificata in quasi tutti i giochi interessanti. Anzi, spesso i giochi
verificano l’ipotesi detta di superadditivit`a, che cio`e v(A ∪
B) ≥ v(A) + v(B) se A ∩ B = ∅, che
stabilisce che l’unione fa la forza. Questo fa s`ı che sia ragionevole assumere
che i giocatori si metteranno d’accordo per spartirsi tutta la quantit`a
v(N). In questo caso, il nucleo propone tante soluzioni possibili.
Nel secondo caso ci`o che indica il nucleo `e un fatto ben noto in economia,
anche se qui espresso in maniera brutale: l’eccesso di offerta mette i
venditori in balia del compratore. Infatti nel nucleo sta solo il vettore che
assegna tutto al compratore, nulla ai venditori. Altre soluzioni propongono una
soluzione diversa, che tiene conto del fatto che in qualche modo i due
venditori non sono del tutto inutili. Un esempio ancora piu` interessante di
come il nucleo possa proporre soluzioni bizzarre `e il famoso gioco dei guanti,
di cui esistono infinite varianti. Una versione che ne mette bene in luce la
stranezza `e quando si hanno 4 giocatori; il primo ed il secondo possiedono uno
e due guanti sinistri, rispettivamente, mentre il terzo e quarto un destro
ciascuno. Naturalmente lo scopo del gioco consiste nel formare paia di guanti.
In questo caso il nucleo `e costituito dal solo vettore (0, 0, 1, 1), il che
significa che i possessori di un guanto sinistro (guanti che sono in eccedenza)
devono cedere il loro per nulla. Risultato che appare ancora piu` bizzarro se
si pensa che il giocatore due potrebbe cambiare la situazione semplicemente
eliminando un guanto in suo possesso. A dispetto del fatto che a volte le
soluzioni proposte dal nucleo sembrino controintuitive, esso rappresenta un
concetto di soluzione molto importante, soprattutto in applicazioni economiche.
Per`o il nucleo presenta ancora un altro problema: `e facile verificare che in
molti casi pu`o essere vuoto! L’esempio piu` semplice `e quando siamo in
presenza di tre giocatori che si devono spartire a maggioranza una somma
fissata (possiamo porre l’utilit`a della stessa uguale a 1). In tal caso, le
coalizioni di due giocatori risultano vincenti (v(A) = 1) se il numero dei
componenti la coalizione A `e almeno due, 0 altrimenti-ancora un gioco
semplice- ed un calcolo immediato mostra che il nucleo `e vuoto21. Il che rende
indispensabile la definizione di altre soluzioni, che possano suggerire
possibili spartizioni anche nel caso in cui almeno una coalizione non sia
soddisfatta della spartizione proposta. Una soluzione, che qui illustro solo a
parole, considera, per ogni possibile imputazione, il grado di insoddisfazione
e(A, x) della xi. L’imputazione x sta nel nucleo, ad esempio, se e solo se e(A,
x) ≤ 0 per ogni A, cio`e se nessuna coalizione si lamenta. Se per`o il nucleo
`e vuoto, allora qualunque sia la distribuzione proposta c’`e almeno una
coalizione che si lamenta. Che fare in questo caso? Un’idea intelligente `e di
considerare, per ogni imputazione x, il lamento della coalizione piu` sfavorita
(cio`e di quella che si lamenta maggiormen- te), e poi scegliere quella
distribuzione di utilit`a efficiente che minimizza questo lamento massimo. Se
poi sono molte le distribuzioni che hanno questa propriet`a, fra queste si pu`o
scegliere quelle che minimizzano il secondo massimo lamento, e cos`ı via. Si
dimostra che in questo modo si arriva ad un’unica distribuzione di utilit`a,
che viene chiamata il nucleolo del gioco. Nel gioco precedente dei compratori,
il prezzo di vendita `e 250, e cio`e il prezzo 21Supponiamo (x1, x2, x3) sia un
vettore del nucleo. Le condizioni x1 + x2 ≥ 1, x1 + x3 ≥ 1, x2 + x3 ≥ 1,
imposte dalle coalizioni formate da due giocatori implicano, prendendo la loro
somma, 2(x1 + x2 + x3) ≥ 3, che `e in contraddizione con la condizione di
efficienza x1 + x2 + x3 = 1. Quindi il nucleo `e vuoto. coalizione A per la
distribuzione dell’imputazione x: e(A, x) = v(A) − i∈A
intermedio fra quello minimo e quello massimo proposti dal nucleo; nel
gioco di maggioranza a tre giocatori, propone l’imputazione ( 13, 13, 31 ): in
questo caso ogni coalizione di due giocatori si lamenta 13, e non `e difficile
verificare che ogni distribuzione di utilit`a diversa farebbe lamentare di piu`
una coalizione. I risul- tati precedenti non sono sorprendenti, dal momento che
il nucleolo `e soluzione che gode di forti propriet`a di simmetria; purtroppo
per`o anche il nucleolo pu`o dare risultati bizzarri: ad esempio, siccome
appartiene al nucleo, purch ́e natu- ralmente questo non sia vuoto, nel gioco dei
due venditori ed un compratore il nucleolo assegna tutto al compratore.
Passiamo al terzo concetto di soluzione che qui consideriamo: si chiama indice
di Shapley. La sua formula `e un po’ complicata, ad una prima lettura, ma non
bisogna spaventarsi. Se poi non si capiscono i dettagli, come ha scritto Nash
nella sua celebre tesi, questo non impedisce a chi vuole di capire lo stesso le
idee. Dunque, intanto va osservato che questa soluzione, come il nucleolo, ha
l’interessante propriet`a di assegnare un’unica distribuzione di utilit`a ad
ogni giocatore. La indichiamo con S, in onore di Shapley. Risulta cos`ı
definita, per un qualunque gioco v22: Si(v) = (a − 1)!(n − a)![v(A) − v(A \ {i})]. i∈A⊂N
n! L’indice di Shapley associa al giocatore i i contributi marginali23 che esso
porta ad ogni coalizione, pesati secondo un certo coefficiente (per la
coalizione A \ {i} esso `e (a−1)!(n−a)! ). Tale coefficiente ha
un’interpretazione probabilistica inte- n! ressante: supponendo che
i giocatori decidano di trovarsi per giocare, in un certo luogo e ad una data
ora, il coefficiente (a−1)!(n−a)! rappresenta la probabilit`a n! 24 che i
al suo arrivo trovi gli altri giocatori della coalizione A, e solo loro . Nel
gioco di maggioranza semplice fra tre giocatori, l’indice di Shapley pro- pone
( 31, 13, 13 ), come il nucleolo. Nel gioco dei guanti, invece la soluzione `e
( 1, 7, 7, 7 ). Vettore che presenta caratteristiche interessanti: tiene conto
del 4 12 12 12 fatto che c’`e un eccesso di offerta di guanti sinistri, il che
rende un po’ piu` debole degli altri il giocatore uno; il secondo ne risente
relativamente, perch ́e sfrutta il fatto di poter soddisfare da solo la domanda
dei giocatori col guanto destro. Questo mostra che il valore tiene conto di
altri aspetti, ignorati dal nucleo. L’indice di Shapley ha applicazioni
importanti anche nei giochi semplici. Come esempio, si pu`o pensare all’analisi
della composizione di un Parlamento, potrebbe essere il Parlamento Europeo, o
il Congresso negli Stati Uniti. Il problema fondamentale in questi casi `e come
ripartire i seggi fra i vari stati. Tutti i metodi di ripartizione dei seggi
hanno dei difetti: esiste persino un celebre risultato che lo afferma: si
tratta del teorema di Arrow. Data una coalizione A, indicheremo con a la sua
cardinalit`a, cio`e il numero dei giocatori che formano la coalizione A. 23Il
contributo marginale che il giocatore i porta alla coalizione C `e la quantit`a
v(C ∪ {i}) − v(C). Chiaramente pu`o
essere interpretato come l’apporto che il giocatore porta alla coalizione.
24Assumendo equiprobabile l’ordine d’arrivo dei giocatori. per
l’Economia), forse il piu` celebre di tutte le Scienze Sociali. Il valore
Shapley `e quindi uno dei modi possibili per valutare il potere dei giocatori
in un gioco. Per concludere, ecco la risposta che d`a l’indice di Shapley al
problema di come suddividere le spese per la costruzione della pista
dell’aeroporto (Esempi 4 e 12): il primo paga 13c1, il secondo 12c2 − 16c1, il
terzo c3 − 16c1 − 12c2. Detto cos`ı non sembra molto significativo ma, per
prima cosa `e utile osservare che la somma dei tre pagamenti fa proprio c3, il
che mostra su un esempio quel che `e vero sempre, e cio`e che l’indice `e
efficiente; poi, e questo `e molto interessante, il risultato, ha la seguente
interpretazione molto naturale: il primo, che da solo spenderebbe c1, divide
questa spesa equamente con gli altri due, che usufrui- scono dello stesso
servizio. Il secondo chilometro porta un costo aggiuntivo di c2 − c1: questa
spesa viene equamente divisa tra gli altri due che utilizzano la pista. Il
resto che manca (c3 − c2) infine `e pagato dall’unico utente che ha bisogno del
terzo chilometro. Concludo questo paragrafo riprendendo un concetto gi`a
espresso: il fatto che esistano tante soluzioni per i giochi cooperativi non
deve essere considerato sintomo di confusione. La variet`a di situazioni che
vengono descritti come gioco cooperativo impone, in un certo senso, che si
considerino diverse soluzioni possibili. Sta a chi utilizza questi modelli scegliere
la soluzione piu` adatta. E nessuna soluzione `e adatta ad ogni gioco: per
esempio l’indice di Shapley per il gioco del venditore e dei due compratori `e
( 650, 50, 200 ), cui sembra difficile dare un 333 significato sensato. Per
questo le varie soluzioni vengono caratterizzate da pro- priet`a che servono a
descriverle: abbiamo ad esempio ricordato che l’indice di Shapley ed il
nucleolo godono di propriet`a di simmetria, il che significa che non
privilegiano alcuni giocatori rispetto ad altri.Stefano Catucci. Catucci. Keywords:
la via conversazionale, l’originarieta della conversazione; estetica della
conversazione, filosofia dell’eccedenza sensibilie, rispecchiamento, parlare
obliquo, Lukacks, filosofia povera, filosofia ricca, Husserl, Husserl-Archief,
Leuven, Belgio, “la cosa stessa”, “la linea del crimine”, potere, la luna,
musica, estetica della musica, estetica dell’archittetura, critica
fenomenologia, Foucault. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Catucci” – The
Swimming-Pool Library. Catucci.
Luigi
Speranza -- Grice e Catulo – Roma – filosofia italiana – Luigi Speranza (Roma). Ccombatte
a Numanzia sotto Scipione Emiliano l'Affricano minore e così fu accolto nel suo
circolo. C. e console con Mario e partecipa con lui alla vittoria di Vercelli
sui cimbri. Sorse allora fra loro una mutua gelosia che provoca l’implacabile
inimicizia di Mario la quale costrinse C., che era stato dalla parte del
Senato, a darsi la morte col veleno per sottrarsi alla condanna capitale che lo
attende. Compose epigrammi latini, un liber de consulatu et de rebus
gestis suis, che CICERONE loda al pari dei suoi discorsi. Gaio Lutazio
Catulo.Catulo.
Luigi
Speranza -- Grice e Catulo: il portico a Roma – filosofia italiana –
Luigi Speranza (Roma). A member of the Porch and a tutor of Antonino. Cinna
Catulo. Catulo.
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