Luigi Speranza: Grice e Veca: la
ragione conversazional e l’implicatura conversazionale della massima
dell’altruismo conversazionale – la scuola di Roma – filosofia romana –
filosofia lazia -- filosofia italiana – Luigi Speranza, pel Gruppo di Gioco di
H. P. Grice, The Swimming-Pool Library (Roma). Filosofo romano. Filosofo
lazio. Filosofo italiano. Roma, Lazio. Grice: “I like Veca. Like me, he
speaks of altruisn, and he has contributed to a collective volume, “Cooperare e
competere.”” Essential Italian
philosopher. Svoge un ruolo chiave nell'introduzione
nel dibattito culturale italiano dell'approccio alla filosofia politica derivato
dall'impostazione di Rawls, divenendo un punto di riferimento filosofico della
sinistra, sia come teorico che come militante. La sua formazione di tipo
analitico -- sensibile quindi alle metodologie e alle questioni della filosofia
del linguaggio e della logica -- insolita rispetto alla figura del teorico
politico così come tradizionalmente concepito in Italia, ha permesso alla sua
riflessione di spaziare anche negli ambiti dell'epistemologia e della
metafisica, indagandone le connessioni con l'ambito della filosofia morale e
politica. V. da un impulso decisive nel dibattito filosofico italiano a
temi quali il realismo, il problema della completezza nelle teorie epistemiche
e politiche, la giustizia globale e la sostenibilità. Studia a Milano, dove si
laurea con una tesi sotto PACI (vedi) e GEYMONAT (vedi). Assistente volontario,
borsista CNR e assistente incaricato presso la cattedra di filosofia teoretica
a Milano. Professore incaricato di filosofia a Calabria. Professore
incaricato di storia delle istituzioni e delle strutture sociali presso la facoltà
di filosofia di Bologna. Professore incaricato, professore incaricato
stabilizzato e professore associato di filosofia politica presso la facoltà di scienze
politiche di Milano. Professore straordinario di filosofia politica presso
la facoltà di filosofia, Firenze. Professore di filosofia politica, facoltà
di scienze politiche, Pavia. Vicepreside della facoltà di scienze politiche, Pavia.
Presidente della Facoltà di Scienze politiche, Pavia. Membro del Comitato
direttivo della Scuola Superiore IUSS di Pavia. rettore del Collegio
Universitario Giasone del Maino, Pavia. Direttore del Centro Inter-Dipartimentale
di Studi e Ricerche in Filosofia sociale a Pavia; prorettore per la didattica
dell'Pavia; componente del Consiglio di amministrazione della Fondazione
Romagnosi di Pavia e del Comitato scientifico dell’European Centre for Training
and Research in Earthquake Engineering presso l'Pavia; parte del Consiglio
d'amministrazione dell'Istituto italiano di scienze umane di Firenze; vicedirettore
dell'Istituto Universitario di Studi Superiori di Pavia. Coordinatore dei corsi
ordinari dell'Istituto Universitario di Studi Superiori di Pavia. Pro-rettore
vicario dell'Istituto Universitario di Studi Superiori di Pavia. Professore
di Filosofia politica presso l'Istituto Universitario di Studi Superiori di
Pavia. Insegna Filosofia politica nelle Classi di Scienze umane e Scienze
sociali dell'Istituto Universitario di Studi Superiori, Pavia. Tienne
seminari e cicli di lezioni a Cambridge (Christ's), a San Paolo, Campinas,
Bogotà, Evora, La Sorbonne, Grenoble, Istituto Universitario Europeo. Svolge un'intensa
attività di consulenza e direzione editoriale. Ha assunto, grazie a un invito di
Bo, la direzione scientifica della Fondazione Feltrinelli di Milano presidente
della Fondazione Feltrinelli, promuovendo lo sviluppo del suo Centro di Scienza
politica. Direttore degli "Annali" della Fondazione, impegna
l'istituzione in una ampia gamma di attività di ricerca, documentazione e
pubblicazione nell'ambito della teoria politica e sociale contemporanea che
perseguono lo scopo di coniugare la tradizione della ricerca storico-sociale
con l'innovazione dei metodi e degli esiti della teoria normativa e descrittiva
della politica. Coordina le attività del Seminario annuale di Filosofia
politica, promosso dalla Feltrinelli in collaborazione con il Centro Studi
Politici Farneti di Torino e la Scuola Normale Superiore di Pisa. Avvia il
progetto della “Biblioteca europea” della Fondazione Feltrinelli, di cui è
direttore. Designato Presidente onorario della Fondazione Feltrinelli ed è
direttore scientifico del suo Laboratorio Expo -- è inoltre stato condirettore
di Aut Aut con PACI (vedi) e ROVATTI. Dirigge la collana Readings per
l'Università della Casa editrice Feltrinelli, di cui è consulente per la
saggistica nel campo della filosofia e della teoria politica e sociale. Consulente
della saggistica de il Saggiatore, di cui ha diretto, con Mondadori, la collana
Theoria. Fa parte del comitato scientifico o di direzione di riviste
quali "Rassegna italiana di sociologia", "Teoria politica",
"Biblioteca della libertà", "Transizione", "Etica
degli affari", "Iride", "European Journal of
Philosophy", "Filosofia e questioni pubbliche",
"Reset", "Quaderni di Scienza politica", "Il
Politico", "Rivista di filosofia", “Italianieuropei”. Direttore
de “Il giornale di Socrate al caffè. Bimestrale di cultura e conversazione
civile; curatore scientifico della Carta di Milano per Expo. Parte del
Comitato direttivo di "Politeia", Centro per la ricerca e la formazione
in politica ed etica di Milano, di cui è stato uno dei fondatori. Comitato
etico dell'Istituto Europeo di Oncologia di Milano e del Comitato etico
dell'Istituto Mondino di Pavia; Comitato scientifico della Fondazione Rosselli
di Torino; coordinatore del Comitato Scientifico dell’Associazione per la
ricerca e l'insegnamento della filosofia, parte del Consiglio direttivo
nazionale della Società Filosofica italiana. Componente del Consiglio nazionale
presso il Ministero dei Beni culturali e ambientali; presidente
dell'Associazione “I quattro cavalieri” che ha promosso le attività
dell’ensemble cameristico “I solisti di Pavia”, diretto da Dindo. Comitato
generale Premi della Fondazione Balzan “Premio” di Milano. Presidente
della Fondazione Campus di Lucca; direttore delle Scuole di formazione politica
dell'Associazione “Libertà e giustizia; presidente della Fondazione Grassi La
voce della culturadi Milano; Presidente del Comitato Generale Premi della
Fondazione Balzan di Milano; membro del Comitato dei Garanti della Scuola
Galileiana di Studi Superiori di Padova. Socio corrispondente residente
della Classe di Scienze morali dell'Istituto lombardo di scienze e lettere; consigliere
della Fondazione del Centenario della BSI di Lugano. Membro del Comitato
Scientifico della Fondazione Gualtiero Marchesi. Accademico corrispondente
non residente della Classe di Scienze Morali dell'Accademia delle Scienze
dell'Istituto di Bologna; designato da Pavia quale Garante dei diritti degli studenti;
presidente della Casa della Cultura di Milano. Socio corrispondente non
residente dell'Accademia delle Scienze di Torino. membro effettivo
dell'Istituto Lombardo di Lettere e Scienze e componente del Comitato dei
Garanti del FAI. Premio Castiglioncello sezione di filosofia per il saggio
“Dell'incertezza” e gli è stata conferita, con decreto del Presidente della
Repubblica, la medaglia d'oro e il diploma di prima classe, riservati ai benemeriti
della Scienza e della cultura. Riceve il premio dell'Accademia di Carrara per
il saggio “La filosofia politica”. Premio per la filosofia “Viaggio a Siracusa”
per La priorità del male e l'offerta filosofica; premio “Ponte per la cultura”
della Fondazione Europea Venosta per il saggio “Etica e verità”. Medaglia d'oro
di benemerenza civica dal Comune di Milano. Nella sua filosofia sono
individuabili tre fasi distinte. La prima fase della sua ricerca è stata
dedicata a questioni di teoria della conoscenza o di epistemologia. Pubblica
“Fondazione e modalità in Kant” e altri saggi su problemi di filosofia della
logica, della matematica e della fisica in Whitehead, Frege, Cassirer e Quine.
Il suo centro di interesse scientifico si sposta sulle teorie di Marx in
rapporto alle scienze economiche, sociali e politiche, delineando una seconda
fase i cui esiti sono formulati in “Marx e la critica dell'economia politica”
e, soprattutto, “Il programma scientifico di Marx.” Si impegna in un
programma di ricerca nell'ambito della filosofia politica influenzato dalla
prospettiva della teoria normativa della politica. Dopo “Le mosse della
ragione,” introduce la discussione sulla giustizia con “La società giusta” ed
elabora e sviluppa la sua prospettiva teorica in “Questioni di giustizia” e “Una
filosofia pubblica.” Dedica un saggio divulgativo agli esiti di questa fase
della sua ricerca, “L'altruismo.” Gli sviluppi successivi della sua ricerca,
orientata al problema dei rapporti fra teoria normativa e teoria descrittiva
della politica e incentrata sulla questione del pluralismo come fatto e come
valore per la teoria democratica, sono rinvenibile in “Libertà e eguaglianza.” Una
prospettiva filosofica in Progetto Ottantanove, in Etica e politica e, in
particolare in “Cittadinanza: riflessioni filosofiche sull'idea di
emancipazione.” Lavora alla stesura di tre meditazioni filosofiche intorno a
questioni di verità, giustizia e identità, in cui estende la gamma dei suoi
interessi teorici. Sviluppando una serie di idee originariamente presentate in Questioni
di vita e conversazioni filosofiche, gli esiti di questa ricerca sono contenuti
in “L’incertezza.” Pubblica “L'idea di giustizia da Platone ad oggi.” Pubblica
un saggio di filosofia sociale e politica, “La lealtà civile: un messaggio nella
bottiglia” e un saggio dedicato alla interpretazione e alla ricostruzione della
teoria politica normative, “La filosofia politica.” Pubblica “La penultima
parola e altri enigmi. Questioni di filosofia” in cui sono approfonditi alcuni
esiti di Dell'incertezza ed è affrontata la questione meta-teorica della
relazione fra l'attività filosofica e la sua storia nel tempo. Pubblica “Il
bello e gl’ppressi: l'idea di giustizia” in cui sono presentate alcune idee di
base per una teoria della giustizia globale. Presenta la sua prospettiva
filosofica nel saggio “Il giardino delle idee: passi nel mondo della
filosofia.” In “La priorità del male e l'offerta filosofica” sviluppa e
approfondisce le questioni di una teoria della giustizia globale e mette a
fuoco, fra l'altro, le connessioni fra l'offerta di filosofia politica e le
circostanze e i soggetti di politica. “Le cose della vita: congetture,
conversazioni e lezioni personali” estende l'esame delle questioni di vita,
inteso come tentativo di autoritratto, e lo connette al problema dell'eredità
intellettuale, nel senso della dimensione storica del sapere filosofico. Il
“Dizionario minimo. Per la convivenza democratica,” esamina e discute alcuni
temi fondamentali per l'interpretazione e la valutazione della forma di vita
democratica, sulla base di una tesi sulla natura della libertà democratica.
“Etica e verità” raccolge saggi incentrati sui rapporti fra la crescita
dell'impresa scientifica e i nostri criteri di giudizio etico. “Quattro lezioni
sull'idea di incompletezza” presenta i primi risultati di una ricerca
filosofica sull'idea di incompletezza, messa a fuoco in distinti domini di
applicazione, quali quello della interpretazione, della giustificazione e della
dimostrazione. In “Incompletezza” espone gli esiti delle sue ricerche
filosofiche cercando di esplicitarne la coerenza e la connessione con
l’incertezza. In “L'immaginazione filosofica” sviluppa la tesi conclusive del
contributo all'idea di incompletezza e sullo sfondo di una definizione delle
principali linee della propria ricerca filosofica. In “Un'idea di laicità”
propone un argomento a favore della laicità delle istituzioni e delle scelte
sociali basato su un'interpretazione della natura della libertà democratica e del
fatto del pluralismo. In “Non c'è alternativa. Falso!” mette a fuoco, in
una prospettiva filosofica, alcuni aspetti rilevanti della crisi economica
strutturale e dei rapporti fra capitalismo e democrazia rappresentativa. In
“La gran città del genere umano” tratta temi differenti accomunati dalla prospettiva
globale “degli occhi del resto d'umanità”. In “La barca di Neurath” affronta
questioni epistemologiche, normative e meta-filosofiche sullo sfondo dell’incertezza
e dell'incompletezza; curatore del volume degli Annali della Fondazione Giangiacomo
Feltrinelli, Laboratorio Expo. “Il senso della possibilità, dove Veca,
raccogliendo intuizioni sviluppate in quegli anni nelle lezioni presso la
Scuola Superiore IUSS di Pavia, espone il suo interesse per la
l'interpretazione filosofica delle modalità. In particolare, le questioni
metafisiche delle modalità (specie il confronto tra mondo attuale e mondi
possibili, esaminando le differenti posizioni di Kripke, Lewis, e Armstrong)
costituirebbero la chiave di volta filosofica a cui si riconducono le questioni
normative ed ontologiche relative all'epistemologia, all'etica e alla politica
esposte nel saggio sull’incompletezza e sull’incertezza. In particolare, la
distinzione tra mondi possibili e realtà modale, che fornirebbe una fondazione alla
compatibilità tra costruttivismo griceiano e realismo, proposta in chiusura,
può considerarsi l'apertura di una nuova fase di sua filosofia, stavolta di
stampo prettamente metafisico, e che si ricollega peraltro all'interesse per le
modalità centrale nella sua opera prima. Altre saggi: “Fondazione e
modalità in Kant” (Milano, Saggiatore); “Marx e le critiche dell'economia”
(Milano, Saggiatore); “Il programma scientifico di Marx” (Milano, Saggiatore);
“Le mosse della ragione” (Milano, Saggiatore); “La società giusta: argomenti
per il CONTRATTUALISMO” (Milano, Il Saggiatore); “Crisi della democrazia e neo-CONTRATTUALISMO”
(Roma, Riuniti); “Questioni di giustizia” (Parma, Pratiche); “Co-operare e
competere” (Milano, Feltrinelli); “Una filosofia pubblica” (Milano,
Feltrinelli); “L'Altruismo” (Milano, Garzanti); “Etica e politica” (Milano,
Garzanti); “Progetto Ottantanove” (Milano, Il Saggiatore); “Cittadinanza.
Riflessioni filosofiche sull'idea di emancipazione” (Milano, Feltrinelli); “Questioni
di vita e conversazioni filosofiche” (Milano, BUR, Biblioteca Universale
Rizzoli); “Questioni di giustizia. Corso di filosofia politica. Torino,
Einaudi, Europa Universitas. Tre saggi
sull'impresa scientifica europea, Milano, Feltrinelli, Filosofia, politica,
società. Annali di etica pubblica, Roma, Donzelli, L'Idea di giustizia da Platone a Rawls, Roma,
Laterza, Dell'incertezza. Milano, Feltrinelli, La politica e l'amicizia,
Milano, Edizioni lavoro, Della lealtà civile: un messaggio nella bottiglia.
Milano, Feltrinelli, La penultima parola e altri enigmi. Roma, Laterza, La
filosofia politica. Roma, Laterza, La bellezza e gli oppressi: sull'idea di
giustizia. Milano, Feltrinelli, Il
giardino delle idee. Quattro passi nel mondo della filosofia. Milano,
Frassinelli, collana "I libri di Arnoldo Mosca Mondadori", La priorità del male e l'offerta filosofica” (Milano,
Feltrinelli); Le cose della vita. Congetture, conversazioni e lezioni
personali. Milano, BUR, Biblioteca Universale Rizzoli, Dizionario minimo. Le parole
della filosofia per una convivenza democratica. Milano, Frassinelli, Quattro
lezioni sull'idea di incompletezza. Milano, La Scuola di Pitagora); “Etica e
verità” Milano, Giampiero Casagrande editore, collana "Attualità e
studi", L'idea di incompletezza. Quattro lezioni. Milano, Feltrinelli, Sarabanda. Oratorio in tre tempi per voce
sola. Milano, Feltrinelli, Kant. Milano,
Book Time, Tolleranza. Le virtù civili.
Milano, ASMEPA, L'immaginazione
filosofica” (Milano, Feltrinelli); “Un'idea di laicità. Bologna, il
Mulino, Ragione, giustizia, filosofia, scritti
scelti, Antonella Besussi e Anna E. Galeotti. Milano, Feltrinelli, Omnia
Mutantur. La scoperta filosofica del pluralismo culturale (Milano, Marsilio,.
Non c'è alternativa. Falso! Roma, Laterza,. La gran città del genere umano. Milano,
Mursia,. La barca di Neurath. SPisa, Scuola Normale Superiore,. Laboratorio
Expo. Milano, Fondazione Giangiacomo
Feltrinelli,. Il giardino di Camilla. Milano, Mursia,.
Responsabilità-Uguaglianza-Sostenibilità. Tre parole-chiave per interpretare il
futuro (Bologna, Dehoniane); Il senso della possibilità” Milano, Feltrinelli);
“Le virtù cardinali: prudenza, temperanza, fortezza, giustizia” (Roma,
Laterza), A proposito di Marx. Milano, Fondazione Giangiacomo Feltrinelli,.
Quasi un diario. Socrate al caffè. Milano, Casagrande, “ Qualcosa di sinistra.
Idee per una politica progressista. Milano, Feltrinelli,. Libertà. Roma,
Treccani. Cura, introdotto la filosofia di Rawls, Nozick, Dahl, Easton, Nagel,
Williams, Parfit, Putnam, Walzer, Berlin, Sen, Goodman, Arrow, Regan, Elster, Passmore,
Pontara, Dunn, Larmore, MacIntyre, Harsanyi, Hempel, Finetti, Meade, Dworkin,
Axelrod, Moore, Hampshire, Pettit, Spence, scrittore britannico Scuola di Milano. Treccani Enciclopedie Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Socrate
al Caffè, su socrate.apnetwork. Biografia. Pavia. Centro di filosofia sociale Scritti
Pavia. Centro di filosofia sociale la teoria della giustizia RAI Filosofia Presentazione del volume
Ragione, Giustizia, Filosofia. Scritti in onore. Le mosse della ragione
conversazionale – La mossa della ragione conversazionale – dinamica
conversazionale – la dinamica della ragione conversazionale. Salvatore Veca. Keywords:
altruismo, Hampshire, Hart, Grice, giustizia, cooperare e competere, – ragione – virtu capitali, le mosse della
ragione – ragione conversazionale -- -- Refs.: The H. P. Grice Papers, Bancroft
MS – Luigi Speranza, “Grice e Veca: la massima dell’altruismo conversazionale”
– The Swimming-Pool Library, Villa Speranza, Liguria. Veca.
Luigi Speranza: Grice e Vecchio: la
ragione conversazionale e l’implicatura conversazionale del criticismo
trascendentale contro il positivismo di neo-Trasimaco – la scuola di Bologna --
filosofia italiana – Luigi Speranza, pel Gruppo di Gioco di H. P. Grice, The
Swimming-Pool Library (Bologna). Filosofo bolognese. Filosofo romagnuolo. Filosofo
italiano. Bologna, Romagna. Essential Italian philosopher. Interessi
principali: Etica, filosofia del diritto, filosofia politica. Influenzato a BOBBIO.
Eminente filosofo italiano del diritto. Tra gl’altri, ha influenzato BOBBIO. Famoso
per il suo saggio “Giustizia.” Insegna a Ferrara, Sassari, Messina, Bologna e
Roma. Rettore a Roma. Aderito al FASCISMO, come molti filosofi del diritto in
Italia -- anche se lui stesso rimosso dal l'ideologia fascista nella fase
iniziale. Perde la sua cattedra per due volte e per ragioni opposte. Per mano
dei fascisti, perché e un ebreo. Per mano di anti-fascisti, perché è accusato
di simpatizzare con il fascismo all'inizio della sua carriera. Reintegrato
nell'insegnamento durante la seconda guerra mondiale, lavora con il Secolo
d'Italia e la rivista Pages libero, pubblicazione regia di Panucci. Fa parte
del comitato organizzatore di INSPE, un Istituto di ricerca che negli anni
Cinquanta e Sessanta si è opposto alla cultura marxista, la promozione di
conferenze internazionali e pubblicazioni. Fondatore e direttore del giornale
internazionale di Filosofia del Diritto. Considerato tra i maggiori interpreti
del kantismo. Criticato il positivismo, affermando che il concetto di ‘ius’ non
può essere derivata dall'osservazione dei fenomeni giuridici. A questo
proposito, le sue convinzioni concordarono con una vertenza che si svolge in
Germania tra filosofia, sociologia e legale Teoria generale che sembra di ridefinire
la "filosofia del diritto" a cui Vecchio ha attribuito questi tre
compiti: compito logico: costruire il
concetto di ‘legge’ -- compito fenomenologico: lo studio del diritto come fenomeno
sociale. Compito ontologico: la natura del ‘giusto’ -- o l'essenza del diritto come – dovere -- dovrebbe
essere. Saggi: “Senso giuridico: presupposti del concetto di legge, Il concetto
di legge, Il concetto di natura e il principio di diritto, Sui principi
generali della legge, Giurisprudenza, Lezioni Filosofia del diritto, La crisi della
scienza del diritto, Storia della Filosofia del diritto, Mutevolezza ed
Eternità della legge, Gli studi sul diritto. Treccani. “Principi generali del
diritto.” Vechio: essential Italian philosopher. Grice: “Note that it is
DelVecchio.” SCOPO DELLO STATO È ATTUARE LA GIUSTIZIA LUG 25, 2022 Giorgio Del Vecchio in una foto d'epoca In
anni di incontrastato positivismo, la pubblicazione in successione di tre opere
di Giorgio Del Vecchio, I presupposti filosofici della nozione del diritto
(1905), Il concetto del diritto (1906), Il concetto della natura e il principio
del diritto (1908), sconvolse il mondo degli studi filosofico-giuridici
italiani. Al suo interno fermenti antipositivistici covavano, ma non trovavano
la via per svilupparsi, mentre molti positivisti si risvegliarono da quello che
si potrebbe chiamare kantianamente il loro sonno dogmatico. Ebbe inizio in
Italia – così come in Germania con R. Stammler – quel capovolgimento dell’impostazione
del problema filosofico del diritto, che vedrà quest’ultimo osservato non dalla
parte dell’oggetto, come fenomeno che il pensiero passivamente conosce, bensì
dalla parte del soggetto. 1. Giorgio Del
Vecchio è rimasto sempre legato a Bologna, dove è nato il 26 agosto 1878, fino
alla morte avvenuta nel 1970, tanto da interessarsi da ultimo anche della
storia cittadina. Il trasferimento a Genova del padre – docente di statistica
–, lo porta a laurearsi e a vivere in questa città, dove nel 1902 pubblica su
Il Convito e sulla Rivista ligure di scienze lettere ed arti. Nello stesso
periodo si dedica a due saggi scientifici, uno “L’evoluzione della ospitalità”,
apparso sulla Rivista italiana di sociologia, e l’altro, “Il sentimento
giuridico”, sulla Rivista italiana per le scienze giuridiche. Insegna Filosofia
del diritto nel 1903 all’Università di Ferrara e pubblica Le dichiarazioni dei
diritti dell’uomo e del cittadino nella rivoluzione francese[1] . Nel frattempo avvia alcune delle relazioni
internazionali che caratterizzeranno la sua attività scientifica, frequentando
l’Università di Berlino, dove conosce Lasson, Kohler e Paulsen[2]. Nel 1906
viene chiamato presso l’Università di Sassari e successivamente, nel 1909, in
quella di Messina; diventato ordinario, si trasferisce dall’Università di
Messina a quella di Bologna, e nel 1920 a Roma. Nel 1905 scrive I presupposti
filosofici della nozione del diritto, nel 1906 Il concetto del diritto e nel
1908 Il concetto della natura e il principio del diritto, raccolte
successivamente nell’opera Presupposti, concetto e principio del diritto,
denominata Trilogia nel 1959, apparsa in America già nel 1914 con il titolo
unitario The formal bases of law, per la Boston Book Company, inserita nel 1921
nella The modern legal philosophy series.
Presupposti, concetto e principio del dirittorappresenta a pieno titolo
il pensiero filosofico-giuridico di Del Vecchio: in esso egli definisce il
diritto come «la coordinazione obiettiva delle azioni possibili tra più
soggetti, secondo un principio etico che le determina, escludendone
l’impedimento». Gli studi su Kant e le riflessioni in un orizzonte di
proiezione universale lo portano ad approfondire e ad avvicinare i neokantiani,
che in Italia vede studiosi come Petrone, Bartolomei e Ravà. Il suo lavoro, in
realtà, si muove tra idealità e prassi del diritto, nella ricerca costante di
un’armonia che chiarifichi le distonie; l’ispirazione a Kant lo fa assimilare
alla Scuola di Marburgo, mentre l’attenzione all’idealismo tedesco lo porta a
criticare, in modo metodico, sia il positivismo filosofico che quello
giuridico. 2. Alla filosofia del diritto
Del Vecchio pone un problema preliminare: quello della possibilità della
determinazione del concetto del diritto. È questa la prima delle tre ricerche
proprie, come già avevano ritenuto Vanni e Petrone, della filosofia del
diritto, la ricerca logica, quella fenomenologica, e quella deontologica. Alla ricerca logica devono accompagnarsi
secondo Del Vecchio quelle fenomenologica e deontologica. La ricerca
fenomenologica, studio misto di filosofia della storia del diritto e di
sociologia giuridica, non è fra gli aspetti più significativi del suo pensiero:
essa dovrebbe consistere nella determinazione delle linee generali dello
svolgimento storico del diritto, che dimostrerebbero la tendenza degli
ordinamenti giuridici positivi a una progressiva adeguazione all’ideale della
giustizia, in quanto nel corso del tempo emergerebbero, sarebbero riconosciute,
e a poco a poco si attuerebbero le prerogative essenziali della persona
umana[3]. Questo fine che Del Vecchio
riconosce nello svolgimento storico del diritto – o piuttosto assegna a esso –
indica quale sia la sua prospettiva riguardo al problema «deontologico», ossia
di ciò che il diritto dovrebbe essere: in altre parole, al problema della
giustizia. In questa materia, da un’iniziale posizione kantiana Del Vecchio via
via si avvicina a quella del giusnaturalismo cattolico: mediante l’attribuzione
di un significato sempre meno formale e più contenutistico del concetto di
persona. Del Vecchio dichiara «legge etica fondamentale» il dovere di operare
«non come mezzo o veicolo delle forze della natura, ma come essere autonomo,
avente la qualità di principio e fine…, non come individuo empirico (homo phaenomenon),
determinato da passioni e affezioni fisiche, ma come io razionale (homo
noumenon), indipendente da esse»[4]. Il concetto, e la stessa terminologia,
sono kantiani, e del resto il richiamo al Kant è esplicito. 3. Nel campo dell’«etica oggettiva», ossia
del diritto, da questa concezione della natura (nel senso di essenza)
dell’uomo, discende logicamente il diritto soggettivo a non essere costretto ad
accettare un rapporto con altri che non dipenda anche dalla propria
determinazione; e questo diritto soggettivo costituisce il «principio, o
idea-limite, di un diritto proprio universalmente della persona, insito in essa
e non esauribile mai in alcun rapporto concreto di convivenza»[5]. Del Vecchio non esita a chiamare tale diritto
«diritto naturale», considerandolo «anteriore ad ogni applicazione e ad ogni
rapporto sociale» – di cui esso è anzi la legge[6] –, ed indipendentemente dal
rispetto che un ordinamento giuridico positivo ne compia. Del Vecchio sostenne
sempre, seguendo un giusnaturalismo che da quello kantiano andò avvicinandosi a
quello tomistico, il limite al potere dello Stato costituito dai diritti
naturali dell’individuo (o della «persona»).
Nella prospettiva ideale di uno «Stato di giustizia» la cui ragione
prima è la tutela di tali diritti, egli respinge ogni teoria che ponga lo Stato
al di sopra o al di fuori del limite giuridico costituito dalla sua intima
ragione d’essere, l’attuazione della giustizia, in quanto solo da questa sua
missione esso trae la propria autorità[7]; anzi, di uno Stato che agisca in
contrasto con la giustizia Del Vecchio giunge a parlare come di «Stato
delinquente»[8] . La giustizia è da lui affermata perciò «valida ed efficace
anche contro un sistema giuridico positivamente vigente» quando questo
contrasti irreparabilmente con le esigenze elementari della giustizia che sono
le ragioni della sua validità: è legittima allora «la rivendicazione del
diritto naturale contro il positivo che lo rinneghi»[9]. Daniele Onori
[1] Del Vecchio, La dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino
nella rivoluzione francese. Tra le sue opere: Il sentimento giuridico, 1902;
L’etica evoluzionista, 1902; Diritto e personalità umana; I presupposti
filosofici della nozione del diritto, 1905; Su la teoria del contratto sociale,
1906; Il concetto del diritto; Il concetto della natura e i principio del
diritto, 1908; Sull’idea di una scienza del diritto universale comparato, 1908;
Il fenomeno della guerra e l’idea della pace, 1909; Sulla positività come
carattere del diritto, 1911; Sui principi generali del diritto, 1921; Sulla
statualità del diritto; Stato e società degli Stati, 1932; La crisi della
scienza del diritto, 1933; La crisi dello Stato, 1933; Il problema delle fonti
del diritto positivo, 1934; Individuo, Stato e corporazione, 1934; Etica,
diritto e Stato, 1934; Diritto ed economia, 1935; L’homo juridicus e
l’insufficienza del diritto come regola della vita, 1936; Sulla involuzione nel
diritto; Sul fondamento della giustizia penale; Verità e inganno nella morale e
nel diritto; Dispute e conclusioni sul diritto naturale, Orecchia, Bibliografia
di V., V., Lezioni di filosofia del
diritto, Milano, V., Il concetto della natura e il principio del diritto, Torino,
V., Etica, diritto e Stato, nel vol. Saggi intorno allo Stato, Roma. Nello
stesso volume, nel saggio Individuo, Stato e corporazione, v. il tentativo di
fare rientrare nel concetto di Stato di diritto lo «Stato corporativo» fascista
(p. 134 ss.). [8] Del Vecchio, Lo Stato
delinquente Del Vecchio, La giustizia, pp. 121-124 della 6 a ediz., Roma, 1959.
Ma le idee di Del Vecchio circa il diritto naturale appaiono in numerosi suoi
scritti: fra quelli dedicati espressamente a tale argomento v. Dispute e
conclusioni sul diritto naturale, Essenza del diritto naturale, e Mutabilità ed
eternità del diritto naturale, gli ultimi due ora in Studi sul diritto, TORINO °0‘0‘’ROMA MILANO FIRENZE BOCCA Estratto dalla
Rwista Italiana per le science gi “7 ? Ù i Città di
Castello Tipografia dello Stabilimento S. Lapi, Nel principio della
Politica, volendo Aristotele definire in che l’uomo si distingua da tutti
gli altri animali, dice questo esser proprio di lui, ch’egli ha il senso
del giusto e dell’ingiusto.! Se fin da tempi antichi si disputò
lungamente su la costituzione semplice o derivata, naturale o artificiale di
questo dato della coscienza, la sua esistenza, cioè la realtà psicologica
del senso della giustizia, non fu posta in dubbio da alcuno.
Il problema della sua essenza ed origine andò congiunto di regola,
come facilmente s'intende, con altri più generali, su la natura etica
dell’uomo, e l’essere obiettivo del giusto; di guisa che non potrebbe
tracciarsi compiutamente la storia di così fatta questione senza
comprendervi quella intera della Filosofia del diritto.
Un'idea sinottica del contrasto si acquista considerando i due
punti nei quali accentraronsi le opposte dottrine. Socrate fondando la
concezione ideale del mondo riconobbe nel cuore dell'uomo l’immagine
della giustizia in universale; e tal principio accolto nel sistema
platonico più non scomparve dagli orizzonti speculativi, benchè sia stato
nei secoli, da quelli stessi che vi sì attennero, variamente inteso e
modificato. Così gli Stoici ammisero un é6pdò3 A6y05, espressione o
riverbero nella coscienza della legge immutabile di natura; 1 Toto yàp
nods TRA taa tots dvdperots lorov, TO povov.... dmatov xal ddlwov.
axiodnow eyew [I, 1 (2) $ 10 (11)]. 6 questa tesi sostenuta eloquentemente
da Cicerone, ‘dritto naturale. D'altra parte essa s'era contemperata nella et mentibus?
non fu mai abbandonato dalla filosofia positiva; #@ 4.0..
si Date E dr: fu acDA SEAA Î colta (benchè in forma men
rigorosa) dai giuristi di Roma; e |’ e . ) O . Ù PIGLIO IO. i St VE gato,
ari divenne poi uno tra i fondamentali principî delle scuole di ||
x DI dottrina teologica d’AQUINO coi dogmi della rivelazione
la vie o della caduta. Allo stesso ordine appartiene la concezione
del Vico, innalzata però a meravigliosa potenza per comprendere insieme storia
e filosofia dell'umanità, .? : LR L’assunto di una imago justitiae,
per naturam impressa. ad esso si riferirono generalmente pure i giuristi,
in armonia. © col comune dettato delle coscienze. Ipo Bensì, mentre
da un lato si considerò il fondamento della. Sopra tutto in quel mirabile
passo della Repubblica ; (w Lactantius, Inst., VI, 8): Est quidem vera
lex recta ratio naturae con-. gruens, diffusa în omnes, constans,
sempiterna. Neque est quaeren- nr dus explanator, aut interpres eius
alius. Nec erit alia lex Romae, alia Athenis, alia nunc, alia posthac;
sed et omnes gentes et omni | tempore una lex, et sempiterna, et
immutabilis continebit;... cui qui. non parebit ipse se fugiet, ac
naturam hominis aspernatus hoc ipso de luet maximas poenas, etiam si
cetera supplicia, quae putantur effugerit,. A ragione disse di questo il
Rosmini, non esservi forse su tal T° soggetto “luogo più splendido in
tutta l’antichità,,. MANO ? Principj di una Scienza nuova (1%), I,
6; II, 4. “Siccome in noi. sono sepolti alcuni semi eterni di vero che
tratto tratto dalla fanciullezza si van coltivando, finchè con l’età e con le
discipline provengono. in ischiaratissime cognizioni di scienze; così nel
genere umano per lo. Vial peccato furono sepolti è semi eterni del
giusto, che tratto tratto dalla fanciullezza del mondo, col più e più
spiegarsi la mente umana sopra (°° la sua vera natura, si sono iti
spiegando in massime dimostrate di giustizia,. se IA GRAVINA, Orig. jur.
civ., lib. III, cap. 11. LIE * Intendasi questa parola nel proprio
senso. Oggi va sotto questo nome la filosofia negativa. i It
> KANT, Grundlegung zur Metaphysilk der Sitten, IT Abschn.:
“Aus. dem Angefihrten erhellt : dass alle sittliche Begriffe vòllig a
priori in . der Vernunft ihren Sitz und Ursprung haben; dass sie von
keinem empirischen und darum bloss zufalligen Erkenntnisse abstrahirt
wer-. den
kònnen; dass in dieser Reinigkeit ihres Ursprunges eben ihre a) Wirde
liege,, ecc. (Cfr. la Hinleitung in die Rechtslehre, $ B. TM FICHTE,
Grundlage des Naturrechts: “ Es wird sonach zu | | Folge der geleisteten
Deduktion behauptet, dass der Rechtsbegriff im |° Wesen der Vernunft
liege, und dass kein endliches verniinftiges Wesen mòglich sey, in welchem
derselbe nicht keinesweges zu Folge
|. der Erfahrung, des Unterrichts, willkihrlicher Anordnungen unter den
.. Menschen, u. s. f. sondern zu Folge seiner verniinftigen Natur, Vols
ue a, N 4 + È nz TERI e
N E s* Mia Len #1 Hp 5 > 04)
ERRO: D Ti (0... a Uur’esigenza intrinseca
della volontà, e l’amore, più che il concetto, della giustizia si
riconobbe innato nell’uomo.! | Il sentimento giuridico ebbe ancora
fondamentale impor| tanza nelle teorie della scuola storica, la quale ad esso
ri condusse come ad original fonte la genesi fenomenica del di| ritto,
? Contto a questa serie di concezioni, aventi a tratto-comune il principio
di una intuizione giuridica immediata ed "irriducibile, un’altra si
svolse, intorno al principio di una ‘formazione progressiva e mediata,
spesso anche artificiale, del senso del giusto, per effetto dell’esperienza e
delle relazioni esteriori, komme,,. ©Ofr. pure
Das System der Rechtslehre (Fichte ?s Nachgelas i sene Werke Zw. B.). Questa massima fu sentita più
profondamente forse che da alcun altro da J. J. Roussmau. Vedi specialmente nel
Discours sur l'origine et les fondementes de l’inégalité parmi les hommes, il
passo in cui si tratteggia la teorica della pietà (nell’ediz. LeFÈvrE delle
Oeuvres complètes); e nell’Emile. la Profession de fot du
vicaire savoyard. Anche in tutti gli altri suoi scritti s'incontrano
accenni a “ cet amour de la Justice, inné dans tous les coeurs, (Confess.).
Analoga è la dottrina di
SCHOPENHAUER, in quanto anch'egli fa scaturire il sentimento della
giustizia dalla naturale compassione, che | {in tal sistema è poggiata su
l’unità trascendente della volontà come cosa in sè. “Dieses Mitleid ist
eine unleugbare Thatsache des menx» sohlichen Bewusstseins, ist diesem
wesentlich eigen, beruht nicht auf Voraussetzungen, Begriffen,
Religionen, Dogmen, Mythen, Erziehung und Bildung; sondern ist
urspriinglich und unmittelbar, liegt in der | menschlichen Natur
selbst, hélt eben deshalb unter allen Verhàaltnissen «Stich, und zeigt
sich in allen Làndern und Zeiten n (Uber die Grundla IISB, et 62,
ge der Moral, $ 17). Cfr. Die Welt als Wille und Vorstellung,
spec. Tale dottrina è però profondamente diversa da l’altre ond’è pri
‘ma fatta menzione. Anzitutto essa non considera il sentimento giu ridico
come un dato della coscienza singola, ma sì quale espressione ipostatica
di un'anima popolare. Questa espressione poi è intesa solo i \6ome
principio sforîco, cioè avente ad unico e necessario riscontro la |
realtà delle istituzioni vigenti. Esso si rappresenta, per conseguenza, quale
principio vivente e organico (benchè invisibile e in parte inconscio), che si
svolge nel tempo e nello spazio e assume forme deter \iminate secondo le
condizioni particolari della nazione. è Questa teorica si raccosta
nella sostanza, e si concilia più che a prima giunta non paia, col sistema di
HegrI. Specialmente nei continua tori di questo è visibile la mutua
tendenza delle due concezioni. ‘Pet altro lato la scuola storica si
connette alla tendenza realistica della i moderna sclenza sociale. V. su
ciò le belle osservazioni del VANNI: giuristi della scuola storica
di Germania nella storia della Sociologia e della Filosofia positiva, in
Rivista di Filosofia scientifica, vol. IV, Milano Bi Questo
concetto, antico quanto il contrario, ! ebbe il suo massimo svolgimento
nella filosofia inglese, ove sempre, in Ì; una od in altra forma,
prevalse; pur non mancando tra essa propugnatori della dottrina
classica dianzi indicata, Al nostro tempo la spiegazione genetica fu
accolta dal i5 maggior numero, come quella che s'accordava colla
generale tendenza empirica del pensiero.® La forma più sostenibile Ne
sono in vero già visibili i tratti nelle teorie dei sofisti; e non
mancano accenni pure anteriori. Che nella filosofia greca sino a Pla-.
tone siano stati toccati presso che tutti i punti di vista onda è
possa sibile speculare, fu già avvertito. Circa i sofisti stessi è
ormai dimostrato che, non ostante alcuni comuni caratteri, le loro dottrine
dif-' più ferivano di non poco, e talvolta direttamente si
contrariavano. Oltre l’opere classiche del Grorn e dello ZELLER, si cfr.
in ispecie il saggio di CHIAPPELLI: Sulle teorie sociali dei sofisti grecî (in
Atti della. ©’ R. Accad. di scienze morali e politiche, vol. XXIII,
Napoli). Il detto notissimo di
ARCHELAO, Tò dlxztoy etvat, nai Tò aloypòv ob oudet, KAAÈ | vép» (su le
varie interpretazioni del quale v. BERTINI, La filosofia greca prima di
Socrate, Torino), pone, forse per la prima volta, il quesito
dell’esistenza di un dato morale nella natura. La risposta
negativa, quale è data qui dal discepolo di Anassagora, fu certo poi tra
È i sofisti la dominante; ma non essa può dirsi assunto generale
di quella scuola, bensi l’astrazione della natura dal fatto storico della
moralità, e la contrapposizione (in un senso o in un altro) di questi due
termini fra di loro. La tesi per la quale il giusto e
l’ingiusto si riconducono al sem- RS plice fatto della posizione storica,
e non se ne ammette un fondamento | in natura, è propria della
filosofia scettica d'ogni tempo. Così se ne può osservare il
ritorno presso MoNnTAIGNE (Essaîs, I, 22: Les loix de. nat la conscience,
que nous disons naistre de nature, naiîssent de la coustume | ecc.); cfr.
PascaL, Pensées, I, art. VI, $ 19; art. IX, $ Se sog. (sec. to tea volta
dagli stessi “ positivisti, ; SA CROATO, L'origine del sentimento
intuitore del ginsto è DI ari problema di pura ragion metafisica. DISPADIAI Noi
teniamo per fermo che la spiegazione storica del ma- o SIE ‘nifestarsi di
un fatto, in connessione con gli altri dati della 0 i natura, non
distrugga la sua esistenza d’idea; la quale è. soggetta come tale ad una
costruzione ontologica, indipendente dall’accidentalità del suo concretarsi. La
mutua incisi ili denza dell'idea in fatto, e del fatto in idea, la loro
trascen= ti denza reciproca è il primo canone della Filosofia e della
vita. tanga: Essere il mondo un prodotto della coscienza non è men
vero, che non sia vero essere la coscienza un prodotto del NARA mondo.
Onde riesce palese l’assurdità dell’assunto materialista: secondo il quale,
provata la condizionalità reale del pen- | siero, sarebbe esclusa per ciò
la condizionalità ideale dei CFR fatti. Most Tale illusione
ritorna non pertanto incessantemente: e. de: benché trovi nella coscienza
di ognuno la sua sufficiente con- d ; Justice, DARWIN, The descent
of man; "BAIN, Mental and Moral Science: Ethics, part Ha, DI (London). È. 1 L’imperfetta posizione
del problema, per la quale vuolsi risol- | du vere l’essere in divenire,
conduce a simili contraddizioni : onde si è costretti ad ammettere in
fine che l'elemento essenziale era già posto in principio. Vedi ad es. il
saggio del LirTRÈ, Origine de l’idée de Dr n. justice (in La
Science au point de vue philosophique, Paris, 1873, p. 331-! 347). Ivi
prima si dice che “la justice, loin d'ètre primordiale, innée, élementaire, est
secondaire, acquise et combplexe,,; però di la si riconduce tosto a un
“fait psychique irréductible,,, e in fine si | ammette che “l’idée de
justice n’est pas autre chose que la dérivation | |’ d’un fait purement
intellectuel, extrèémement simple, véritablement intuitif,, (p.
346). LL Per una critica
originale ed acuta del moderno empirismo nella. tg seg filosofia
giuridica vedi PaTRONE, La fase recentissima della filosofia del dritto in
Germania (Pisa) e La filosofia del diritto al lume del-. © l’idealismo
critico (in Rassegna Nazionale). Su gli © È elementi irriducibili della
coscienza etico- «giuridica v. ancora del medesimo Il valore ed i limiti di una
psicogenesi della morale (Roma, Maori, 1896) e La storia interna ed il
problema presente della filosofia del dis (0 ‘ witto (Modena) . e
dee 4 Men + ARA Mione.
ritenta, a tratti, di costruirsi in ragion filosofica. LI
i) | Questo è in sostanza l’errore fondamentale, il Grundirrtum,
che Schopenhauer diceva non perir mai dalla terra, ma ele| vare di tratto in
tratto il suo capo, finchè l’universale indi gnazione non lo costringa a
rimpiattarsi di nuovo. ! Il problema della natura originale del giusto
comporta dunque in verità più soluzioni, secondo il modo ond’esso
si pone: secondo che si consideri il fenomeno del suo sviluppo, o
la sua essenza d’idea. Questa non può come tale avere alcuna
oreégine storica; poichè i fatti potranno mostrar solo esempi di
sue affermazioni (perfette o imperfette), ma non LI rodurre ciò che,
da questo punto di vista. è condizione del ì ) lor presentarsi. La
storia non potrà però mai soppiantare l’idea, perchè non potrà liberarsi
del suo presupposto ; e l’idea è metempirica per essenza, cioè non si
esaurisce nell’accadere. Così nel proposito nostro le condizioni
storiche della vita. (educazione, abitudine, eredità) non generano l’idea
del giu sto; ma sono le occasioni ed i modi dei fatti che a lei corrispondono,
le ragioni del suo affermarsi o riscontrarsi in concreto. Solo in questo
senso, cioè nel suo aspetto empi rico, la coscienza del giusto può dirsi
subordinata a condizioni storiche di sviluppo. Nel suo aspetto ideale, essa
non ha altra ragione di determinazione o d’interferenza che
quella logica. H in tal senso appunto v’è tra la
personalità ed il diritto una coerenza essenziale, cioò l’un termine
esige l’altro e lo implica nella sua contenenza d’idea. A. questo nesso
ideale corrisponde necessariamente una intrinseca relazione nel fatto, poichè
l’esistenza di un termine è coordinata nella sua possibilità con quella
dell’altro.. Così la personalità ed il diritto considerati quali prodotti nell'ordine
naturale dell’accadere hanno comuni e compenetrate le condizioni empiriche di
sviluppo. Onde il necessario apparire della coscienza giuridica nella
personalità sviluppata, e del diritto nella vita storica in
generale. Parerga und Paralipomena, Ed. di KonBeR Zw. B., p. 207-
208 . ($ 110). 10 n IL SENTIMENTO GIURIDICO La questione
metafisica non pregiudica del resto | in alcun modo l’analisi del dato
psichico e delle sue “DEORPR A funzioni. LEO Il sentimento
del giusto è un dato primario e normale | Mero) della coscienza etica, un
elemento o un aspetto di questa; Ta la sua natura è affettiva al tempo
stesso e ideologica, ine quanto che alla forza dell’animo, che sente
alcunchè giusto ib o ingiusto, necessariamente SO espresso 0 latente, Vin
STA tuito teoretico di un criterio. x ; Facendoci ad
esaminare le funzioni specifiche di questo SS dato, ci proponiamo di
determinare il posto che ad esso "Pata di nella teoria del
diritto. Una vocazione giuridica della coscienza è il presuppo{° sto
della stessa considerazione storica del diritto. Noi dob- PAIA biamo
sentire ripercuotersi in noi la vibrazione ideale che corrisponde
obiettivamente alla struttura del dritto, per comprendere questa. Non la parola
diritto, nè le sue corrispon- |‘ denti od analoghe, nella storia
indaghiamo: ma l'essenziale | (°° verità dell'obietto; il quale ha
naturalmente in noi stessi la sua radice ed il suo fondamento. Chi non sente
in sè gli rt elementi e le ragioni semplici e necessarie degl’istituti
giu- (°° ridici in generale; chi non ha vivo e desto nella
coscienza Il principio teoretico ed emotivo che corrisponde intrinsecamente
ai dati storici del diritto, non potrà sussumerli, non. |’ potrà
assimilarli; sopra tutto non potrà coglierne l'intimo | senso e la vera i
sO E però fallirà nel suo assunto colui che volendo pene-..
trare la ragion naturale del dritto rifiuti per preconcetto di (6 scuola
il ricorso alla sede interiore di esso, e s'avvisi compiet. l'indagine secondo
puri dati meccanici e materiali. Non la Sii. “Lia sperata semplicità ed
esattezza, ma il più pernicioso sviamento | sarà solo l’effetto di questo
metodo: che non potrà mài condurre al nodo essenziale dei rapporti giuridici.
Natura Juris ni ab hominîis repetenda est natura. Rei: Il
fondamento psicologico del diritto ha dunque una funzione gravissima nella
stessa indagine storica ed obiettiva; {|| x dn pi ; n
SANA "pe x è («| ‘ STE, i |
appartenendo ad esso generalmente il darci 1 abito alla giu risprudenza, è
Il sentimento del giusto è altresì presupposto da ogni ordine giuridico
nei suoi componenti, per l’intelligenza e l'osservanza delle sue norme;
in particolare poi si richiede tal fondamento nella coscienza del giudice,
il quale ad esso deve attingere ultimamente, secondo lo spirito
della legge, le sue sentenze. Si pensi in ispecie all’interpretazione
estensiva, e ai giudizi “secondo i principî generali del diritto. LA TEORIA
ROMANA DELL’ÆQVITAS, che tanta e sì viva parte ebbe nello sviluppo di
quel diritto, si riferiva costantemente a questo elemento giuridico della
coscienza; e certo non sa rebbe stata possibile senza di esso. Le
stesse determinazioni legislative e di consuetudine sono d’ordinario un
riflesso organico del sentimento giuridico dominante; ed allo svolgimento
di questo corrisponde in effetto un variare di quelle. Il
processo, per cui il sentimento subiettivo del giusto si traduce
storicamente in istituzioni, è però assai più complesso e meno immediato
che non siasi avvertito dalla Aistorische Rechtsschule. Questa, avendo
posto a priori la massima della “coscienza giuridica popolare,, riferì ad
essa sic et simpliciter, come a fattore storico trascendente, la genesi
del diritto; e in essa ne vide il principio razionale e reale ad un
tempo. Per tal guisa, non uscendo mai dalla ipostasi dogmatica della
“coscienza giuridica popolare,, quella scuola ne trascurò interamente l’analisi
nella sua prima sede, ch’ è la coscienza sin- È importante su questo punto
il raffronto della dottrina storica ‘.con quella dei giuristi
romani. Essi ammettevano pure un intuito primario del giusto, ma
l’estimavano un dato teoretico della ragione, quasi espressione logica
della necessità intrinseca del diritto. Lo spirito popolare all'incontro,
secondo la scuola storica, è una vera potenza dialettica, una ragione
vivente e per se stessa attuosa. Con che s'intende com’esso abbia potuto parers
bastante a spiegare la genesi storica del diritto; laddove i Romani, anzichè su
la naturalis ratio, si fondarono a ciò espressamente sul principio
dinamico della vol/untas, e il momento ideale di quella usaron piuttosto
come argomento della universalità umana del dritto, e come massima
ausiliare e interpretativa, promotrice dell’equa pratica giudiziale.
AN ABETI en ... ubi tOE CSC LA DI ; A 4 . e ile ; Ù 3 R P, Lf
.gola*; dalla quale bisogna appunto tòrre ‘principio per iscoprir | | io poi
le leggi del suo comporsi obiettivamente in fattore storico, La coscienza o
persuasione giuridica popolare, che parve a cotesta scuola un che di
misterioso e d’imperscrutabile,® ha | nella realtà i suoi principî in
quegli stessi elementi dell'essere | © personale, che sono
generalmente le condizioni subiettive 0 psichiche del diritto;
mentre trova d'altro lato i suoi termini. {°° in quei dati della natura
storica, onde il sentimento del giu- et || ° sto ha materia a
determinarsi, e coi quali è pertanto necessariamente connesso nel suo sviluppo
e nelle sue concrezioni, Se non che, anche così risoluto il concetto di
coscienza |giuriaica popolare, non può riconoscersi in questa, come volle
n la scuola storica, la causa imperturbata, semplice e onnipotente della
posizione fenomenica del diritto. Cotesta concezione romantica del
Volksbewusstsein, come di un tutto costantemente pacifico ed omogeneo,
contraddice alla storia | (\° dell'evoluzione giuridica; che ci dimostra
le istituzioni nascere per via di sforzi laboriosi e tenaci, onde
le volontà coesistenti portano a interferire i rispettivi dati delle
coscienze. ‘Lungi d’essere unanimi nella statuizione giuridica, i popoli
trovano in essa un peculiare e quasi non interrotto argomento di
dissidio e di lotta; nella quale non solo il sentimento del Degna di nota
è la luminosa intuizione platonica in questo senso : Tà aUTà Sv Sxdotm
Eveotiv Mudv elòn te xxl NIN, darep Èv Ti moiSt. od Yap mod «AXodev
èneios dopintar. Repubbl., IV, 435 E. Similmente il Vico insegnava che come questo
mondo civile certamente è stato fatto dagli uomini, così se ne debbono
ritruovare i principj dentro la natura e le modificazioni della nostra
medesima mente umana (Scienza nuova, 1? e 2*, passim). La teoria della
coscienza sociale “come sintesi di relazioni delle . coscienze e
dei subietti individuali,, è tracciata con profondità di vedute dal FiLomusi
GusLFI nella eccellente Enciclopedia giuridica $ 18. Vedi quivi ancora i.$$ 16
e 17. Caratteristica è l’ingenua domanda del PucHTA: “Wer wiirde
es unternehmen, den Wegen zu folgen, auf welchen eine Ueberzeugung |
in einem Volk entspringt, keimt, wàchst, sich entfaltet, hervortreibt?,, (Instit.). Tra
questi dati della natura storica che tendono a reagire sulla
coscienza viene a occupare la prima linea, come somma dei processi
LI anteriori, lo stesso ordine giuridico, da che è in fatto
costituito. Si determina così uno stato di azione e reazione reciproca
tra il diritto esistente e la disposizione giuridica della coscienza. In
questa è però sempre un principio attivo: e l'avere in qualche
modo veduto ciò è uno dei meriti principali della scuola storica del
diritto. | © NA CARREO giusto, ma pure ogni altra potenza e passione
interviene e si ripercuote. E la statuizione o posizione del
dritto è determinata dalla volontà sociale preponderante, cioè dalle idee
storicamente più forti. n. Il legislatore stesso è da concepire,
non come il messo fatidico dell'entità del VolKksgeist, ma come il
rappresentante e la voce organica della ragione storica sufficiente.
L'armonia delle statuizioni legislative coll’universale sentimento dei
singoli potrà assumersi a segno della perfezione di esse, ma certo
non è condizione del loro positivo vigere: che anzi mai nella
storia.tale armonia si presentò integramente avverata. Il vedere a
priori nel sistema che avvince un popolo l’espressione fedele del suo proprio
genio è sovrimporre alla storia una formola, contro cui la stessa voce
dei fatti in mille casi apertamente protesta; ed è vuoto e indegno
sofisma, come disse benissimo il Bruns (in Enc. der R. W. di Holtzendorff,
5. Aufl.), il riferire alla coscienza giuridica di una nazione la sua
tolleranza di un’autorità usurpatrice. A simile argomentare aveva già
risposto Jean Jacques: “On pourroit employer une méthode plus
conséquente, mais non plus favorable aux tyrans, (Contr. soc., I, 2).!
Il sentimento del giusto
ha con tutto ciò una funzione fondamentale e primaria nella
determinazione positiva del dritto. Se non se ne può riconoscere in fatto
l’onnipotenza, esso è però, anche storicamente, una forza viva, e per sua
nas tura tende a tradursi in quegl’istituti, di cui è per se stesso
l’espressione embrionica o potenziale. E di tutte le forze, che
presiedono al vigere storico del diritto, esso è la più profonda e la più
indistruttibile; perchè anche oppresso, vive latente, ed alla fine, tosto
o tardi, si esprime in atto e si fa valere. Gli ordini giuridici sono in
effetto tanto più saldi e durevoli, quanto più ampio e profondo è il loro
consenso col dettame attuoso delle coscienze. Onde il generale paralleUna
rettificazione della teoria della scuola storica nel senso indicato fu del
resto intrapresa al tempo stesso della sua maggior Voga. Rammentiamo in
ispecie la bella polemica sostenuta dal BesELER col suoscritto: Volksrecht
und Juristenrecht e colla appendice ad esso in risposta alla critica del
PUCHTA. i i lismo dianzi notato, tra l'evoluzione interiore e Bit aste:
sia He riore della FA: A wi Il sentimento del giusto è
lungi d’avere un vincolo . od un confine nelle statuizioni vigenti, che
pure esso stesso ha in tutto o in parte determinate. Ai suoi sforzi di
porle in armonia con se stesso, alle sue varie e successive esigenze
segue ordinariamente, secondo i principî accennati, uno sviluppo nella
legislazione; la quale del resto, quasi temendo di porsi in contrasto con
esso, suol riconoscerne la funzione rinnovatrice, e ad esso in molti casi si
riferisce; semprechè la per-. pui suasione giuridica si presenti
esplicata obiettivamente in co- {°° stume. Ma la possibilità di un
conflitto non è perciò tolta: ed in tal caso il sentimento del giusto si
manifesta come elemento perturbatore dell'ordine giuridico istituito; e può
presedere contro di esso ad un’azione occulta o palese, corrosiva o
violenta. Ciò accade generalmente allorchè troppo grave è la discrepanza
tra l’autorità esteriore del reggimento e quella interiore delle coscienze. La
qual discrepanza è a sua volta quasi sempre l’effetto del non aver
potuto, per contingenze storiche quali che siano, il sentimento del
giusto esercitare la sua azione normale rispetto alla genesi del
diritto. Allora manifesta la sua efficacia perturbatrice o
rivolutiva. Certo non è sempre agevole segnare in fatto il
confine tra questa e l’azione ordinaria o legalmente rinnovatrice.
La realtà cl presenta anche in ciò, come vuole la sua natura, una serie
impercettibile di gradazioni. Ma l’averne rico nosciuto nel proprio senso
i due termini basta a mostrare generalmente il carattere del processo. L'aspetto
testò toccato della coscienza giuridica si con nette immediatamente, nel
suo significato teoretico, con un altro, che rappresenta la sua funzione
CATA Greni e ne definisce il valore fondamentale. La coscienza del giusto
ha in sè la potenza di contrap porsi all’autorità del diritto storico, e
di cercare in altro che nella realità del vigere la sua giustificazione
ideale. E ssa ha ai ata v Ù in sè la potenza di
giudicare le leggi vigenti, e precisamente sub specie juris, cioè alla
stregua di quello stesso criterio, che ha pure in esse la sua storica
espressione più forte, e formalmente esclusiva. Certamente una concordanza tra
il sentimento originale della coscienza e la realtà degl’istituti vigenti è,
non che possibile, consueta; nè potrebbero questi durare senza un minimo
di consenso. Ma l'importante è questo: che sotto tal luce, cioè secondo
l’intuito proprio della coscienza, la giustizia delle obiettive
determinazioni giuridiche non è implicita in questa lor qualità, ma è
sempre rispetto ad essa mero accidente: e chi l’affermi enuncia un
giudizio eminentemente sintetico. Noi abbiamo così nella coscienza il
principio di tutto quanto un ordine di determinazioni giuridiche,
indipendenti da quelle storicamente costituite, e comprendenti anzi pur
queste sotto la loro giurisdizione. Molti dottori rifiutano a
determinazioni sì fatte la qualità di giuridiche, e negano che il diritto
si affermi altrimenti che nella storia e come istituto; ma è il
caso di chiedersi se negando i fatti si risolvano le difficoltà che ne
nascono. Il vero è che un principio giuridico è di sua natura il medesimo
se sia affermato da un solo o da tutto un popolo; e similmente non tocca
l’essenza sua logica il fatto, ch’esso sia molto o poco o nulla
applicato. L'applicazione storica presta bensì d’ordinario ai
principî vigenti una minutezza, e una precisione di forme che manca
spesso alle manifestazioni immediate della coscienza; la quale sì
smarrisce talvolta nelle ipotesi complicate, e mossa com’è d'ordinario da
intuito di casi singoli, non sempre eleva le sue sentenze all’universale.
Ma per essere in una od in altra forma espresse e specificate, le
immagini di diritto non sono però meno tali; onde anche da questo lato si
vede che la distinzione tra i dettati giuridici della coscienza e quelli
degl’istituti storicamente posti tiene in realtà solo al modo, onde gli
uni e gli altri sono affermati. L'indipendenza da ogni sanzione
esteriore, il non ripetere la sua autorità da alcun fatto empirico è carattere
distintivo e fondamentale del sentimento del giusto; il quale TINA
CALO ERA, MLN A 9: iL GS Î) È
pone se shesso come assoluto a presi î I E questa qualità
psic | assolutezza noù può esser negata neppure da chi le. ragion
metafisica quale che sia, ti ARMI ATI VA { ; N
|. Nessuna prescrizione di legge potrebbe distrugge . facoltà originale
della coscienza, di contrapporre se come principio supremo, all’autorità
del diritto costitu quando Hobbes dichiara (De Cive) che a nessi |
nella società civile permesso un giudizio su ciò che s » |. sto o
ingiusto, dice cosa non solo ignobile, ma anche van CARTE . L'esame
storico poi ci mostra, che questo principio momo di ragion pratica, debole negli inizi e
quasi ripo - A x è . = | sviluppa gradatamente e si afforza
colla progressiva indi duazione delle coscienze. L'idea etica si scevera
sempre più mente e lucidamente all’essere. Il richiamo a una ragioì
SAIL autorevole per se stessa succede di mano in mano alla ob SEE dienza
passiva e all’indiscusso seguitamento degli usi. ® i Io La coscienza
giuridica sta così a fondamento di un’a ‘.||_°°’‘’‘»..°‘’’‘vità
speculativa, la quale partendo dalle più vaghe indi i UR, i zioni del
sentimento, giunge infine a costruire sistematicamente le immagini ideali della
giustizia; ed illustrando le. ragioni del dritto in universale, offre
agl’istituti vigenti u | criterio d'estimazione ch’essi non
potrebbero mai trovare : se stessi, © go DET, SIERRA 1
Questo carattere spiega altresì la ragione della distinzione verbale tra
giustizia e diritto. Giusto è ciò che è diritto indipendente- © «\
uu... mente dalla sanzione storica posttiva, cioè astrazion fatta da questa;
| SELVA E ‘benchè nel fatto la possa anche avere. RCA CR ALIA .._,
Con ciò non s'intende certo affermare che la parola giustizia ab bia un
solo significato, nè che l’uso rispetti sempre la distinzione A cennata.
Già in Aristotele la parola ètxxtosivy ha due sensi distin Ofr., sul
significato delle parole, la. nota (del resto discutibile) del . SMINI in
Filosofia del Diritto (ed. Milano, 1841; ibid. in “i 2* ed., Intra);
Lasson, System der Rechtsphilosophie | @ seg. e p. 61-62; Mili, On
Utilitarianism. Su la giu: stizia “nel suo concetto più generale
possibile; vedi RomaGNOsI, Degli enti morali, $$ 463-4. ODI .,,} Ciò è
stato avvertito chiaramente dal VANNI, nel Proble della Filosofia del
diritto, e nell’altro notevole s gio: Il Sistema etico-giuridico di Spencer
premesso alla trad, della Giustizia 0% 600 Y si tt
DARILETT . TORO .Du; coscienza raubicitiva: del giusto è però in questo :
senso ‘un principio critico e costruttivo; e le sue esplicazioni rap| (ad
‘appunto gli HOST teoretici ed il programma. Hi ii di quelle
vicende storiche del diritto, alle quali la stessa coscienza giuridica,
costituita in fattore empirico, atti| vamente partecipa. Nella
vocazione giuridica della coscienza ha dunque pure la sua radice la
Filosofia del diritto. Così abbiamo disposto quasi in un cielo le varie, e
pure connesse funzioni del sentimento del giusto. In questo dato della
coscienza (psicologicamente accertato, comunque se n’intenda l’origine) abbiamo
riconosciuto il germe e la condizione di tutte le forme, ideali e storiche,
nelle quali il diritto si afferma. Ognuna di esse se ne dimostra
un’esplicazione particolare od un ramo. Si conterrà dunque nel
sentimento del giusto la verità giuridica in generale, e sarà esso per sè
sufficiente a dimostrarne l’essenza? Le stesse deduzioni analitiche
sinora esposte non consentono sì fatta tesi. Solo un'illusione mentale potrebbe
far ravvisare il diritto in ciò che n'è la ragion subiettiva e il
psicologico fondamento. Nel sentimento del giusto abbiamo in vero
riconosciuto la prova della vocazione ideale della subiettività alla
giustizia. Questa vocazione giuridica non è altro che la naturalità
psicologica del diritto, la ragione della nostra attitudine ad esso.
Ella è quel principio, che sentiamo in noi come forza embrionica,
che fa del diritto un oggetto psichico a noi adeguato, e naturalmente c’induce
all’attribuzione simpatica dei predicati di giusto e ingiusto: onde il
suo presentarsi qual “ sentimento,. Ciò spiega come noi abbiam
potuto ricondurre a questo dato della coscienza la verità giuridica in
ogni aspetto, e vedervi convergere tutti i raggi di essa come in un
focus. Ma al tempo stesso dimostra, che il diritto come espressione
perfetta e verità logica articolata non può trovarsi nel senti‘mento del
giusto. La personalità umana non è il diritto; bensì lo involge
naturalmente in se stessa; lo suggerisce, lo esige; e il sentimento del
giusto è per appunto l’esigenza an |. ideale e storico (quali noi abbiam
tentato ; | propriamente alla Filosofia del diritto; ma non furono
d’ordi | siderate se non per accenni, ovvero in qualche aspetto pai
10 da Ts vaola Lasi sentimento ETA è n, fin au A, Solo nei suoi
termini generali, in quanto essa è coi più larghi assunti di psicologia e
d’etica, ha luogo nei trattati . scienze. La natura specifica e le
funzioni di qu uel ig de 1 esporre) a Rammentiamo,
oltre i già. citati, AuHRENS, Corso di diritto Parte generale, II, $ 2 (trad.
it., Milano); RéDAR, Gi des Naturrechts (2 Aufl., Leipzig, 1860), spec. $
14; Pòzx, U . Rechtssinn (Minchen, 1868); RùmmLIN, Veber das
Rechtsgefuhl den und Aufsàtee, Tibingen); Ueber die Idee tas
Gerecht: (ib., Neue Folge, Freiburg); J Chit Der Kampf um’s- et o}
A'ufl., Wien). w CRT È LOI Torino . FI? \VTELLI BOCCA Enron x
Torino Recentissime pubblicazioni : _—rrwrrrr_21111414_a_
y-y__aoeoeo M. STIRNER \ JA We C) II Con
una introduzione di ETTORE ZOCCOLI Un volume in-8 L. 8 - Legato elegantemente
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moderno Italiano — Un volume in-8 EINAUDI STUDI SUGLI BPRETTI DELLE
IMPOSTE Contributo allo studio dei problemi tributari
municipali Un volume grande FUBINI La dottrina dell'errore in
diritto civile italiano Un volume in-8 grande —s LI TSE
© La Rivista Italiana = “SMI } f L
«€ = per le scienze giuridiche : it. è diretta
dai professori F. Schupfer in Roma e G. Fusinato in Torino. Il
Consiglio di direzione si compone dei Signori: ?. Ellero Senatore,
Consigliere di Stato; N. Filomusi-Guelfi Prof. all’Università di Roma e V.
Scialoia Prof. all’Università di Roma, Hanno promesso la loro
collaborazione i Signori: Abello Abignente Alessio Anirich Arcoleo Ascoli
Barassi Baviera Belotti Bensa Bertolini Besta Bianchi Bianchi Biscaro Boccardo Bolaffio
Bonasi Bonelli Bonolis Brandileone Brezzo Brini Brondi Brugi Brunialti
Brusa Buonamici Buzzati Cantarelli Caporali Carle Catellani Cavagrari
Chiappelli Chiovenda Chironi Ciccaglione Codacci-Pisanelli Cogliolo Corsi Costa
Coviello Cuturi Del Giudice Delogu Demurtas Zichina De Ruggero Dùsi Esperson
Fadda Fedozzi Ferrarini Ferraris Ferri Ferrini Fiore Fioretti Formiggini
Franchi Gabba Galluppi Garofalo Garufi Gaudenzi Gazzilli Gianturco Giorgi
Grasso Grippo Laghi La Mantia Landucci Leporini Loria Lucchini Luzzatto Macrì
Majorana Majorana Malgarini Maltini Manara Mancaleoni Manfredini Manna
Marghieri Mariani Marino Masé Dari Mecacci Melucci Miceli Minguzzi Miraglia
Mondolfo Morelli Moriani Mortara Mosca Moscatelli Navarrini Oliva
Orlando Pacinotti Pampaloni Pantaleoni Patetta Pepere Perozzi Pessina Petrone
Piras Polacco Puglia Puviani Ramponi Ranelletti Ravà Rava Ricci Rocco Ruffini
Sabbatini Sacerdoti Salandra Salvia Salvioli Salvioni Sampolo Seredo Scaduto
Scalvanti Schanzer Schiattarella Sdagrà Semeraro Simoncelli Solmi Squitti
Speranza Stoppato Supino Tartufari Trincheri Tuozzi Vadalà-Papale Vanni
Venezian Vidari Villa Virgilii Vitail Vivante Zocco-Rosa Zdekauer. La Rivista
esce in fascicoli bimestrali di circa 160 pagine ognuno. Il prezzo
dell’associazione annuale è di L. 20, anticipate, per l’Italia e di L.
22,50 (marchi 18) per i paesi stranieri, che formano parte dell’Unione postale.
Ogni fascicolo L. 5. Le associazioni si ricevono dagli editori FRATELLI
BOCCA in Torino, Roma, Milano e Firenze e da tutti i principali
librai. rr. # _—tt1tttttt6t6;60]_'’. Città di Castello, Tipografia
dello Stubilimento S. Lapi, E. IL SENTIMENTO GIURIDICO. TORINO
ROMA MILANO FIRENZE BOCCA ét ni TE cre
fl TTT: TETTI e
ener o nec TT Cosi e re degli
studiosi. Giorgio Del Vecchio. DelVecchio. Vecchio. Keywords:
neo-Trasimaco, Hart, ius, kantismo, positivism, giustizia, il giusto, fascismo,
Bobbio. Refs.: The H. P. Grice Papers, Bancroft, MS – Luigi Speranza, “Grice,
Hart, e Vecchio: il kantianismo dell’ ‘ius.’” Vecchio.
Luigi Speranza: Grice e Vedovelli:
la ragione conversazionale e l’implicatura conversazionale di una furtiva
lagrima – la scuola di Roma – filosofia romana – filosofia lazia -- filosofia
italiana – Luigi Speranza, pel Gruppo di Gioco di H. P. Grice, The
Swimming-Pool Library (Roma). Filosofo romano. Filosofo lazio. Filosofo italiano.
Roma, Italia. Essential Italian philosopher. Filosofo italiano. Rettore a
Siena, assessore alla cultura del comune di Siena. Laureato in filosofia a Roma.
Insegna a Siena, dove Precedentemente svolge attività di ricerca e di docenza a
Heidelberg, Calabria, Roma, e Pavia. I suoi settori di ricerca si muovono nell'ambito
della glossologia, la semiotica, la sociolinguistica e la linguistica acquisizionale.
Introduce il concetto di lingua immigrata. Le sue ricerche si concentrano
sull'insegnamento e apprendimento delle lingue in contesto migratorio. È autore
di un commento al quadro comune europeo di riferimento per l'insegnamento delle
lingue e co-autore della ricerca italiano, indagine motivazionale sui pubblici
dell'italiano all'estero, realizzata sotto la guida di Mauro. Fondatore e direttore
della certificazione di italiano come lingua straniera, e del Centro di eccellenza
della Ricerca Osservatorio linguistico dell'italiano diffuso fra stranieri e
delle lingue immigrate in Italia, istituiti a Siena. Saggi: “Lessico di frequenza
dell'italiano parlato” (Milano, IBMEtas),
Italiano, I pubblici e le motivazioni dell'italiano diffuso tra
stranieri (Roma, Bulzoni); Guida all'italiano per stranieri: la prospettiva del
quadro comune europeo per le lingue” (Roma, Carocci); “Una furtiva lagrima: l'italiano
degli stranieri – specialmente nei tenori di opera” (Roma, Carocci); Lingua in
giallo. Analfabeti, criminali, sordomuti, certificazioni di lingua straniera,
Perugia, Guerra, Storia linguistica dell'emigrazione italiana nel mondo, Roma,
Carocci, Siena Certificazione CILS Linguistica educativa Glottodidattica
Semiotica Registrazioni di V. su Radio
Radicale. Massimo Vedovelli. Vedovelli. Keywords. Refs.: The H. P. Grice
Papers, Bancroft MS, -- Luigi Speranza, “Grice e Vedovelli” – The Swimming-Pool
Library, Villa Speranza, Liguria.
Luigi Speranza: Grice e Vegetti: la
ragione conversazionale e l’implicatura conversazionale dell’accademia di Pater
– vadum boum – la scuola di Milano – filosofia milanese – filosofia lombarda --
filosofia italiana – Luigi Speranza, pel Gruppo di Gioco di H. P. Grice, The
Swimming-Pool Library (Milano). Filosofo milanese. Filosofo lombardo. Filosofo
italiano. Essential Italian philosopher. Filosofo italiano. Insegna a Pavia. Si
laurea a Pavia con la tesi, “La storiografia di Tucidide,” quale alunno del collegio
Ghislieri. Libero docente e successivamente professore incaricato in storia
della filosofia antica. Professore di questa disciplina a Pavia dove ricopre
più volte il ruolo di direttore nel dipartimento di filosofia. Docente presso
la scuola superiore IUSS di Pavia e la scuola europea di studi avanzati
dell'Università degli Studi Suor Orsola Benincasa di Napoli. Membro del Collegium
Politicum e socio dell'Accademia di scienze morali e politiche di Napoli, e
dell'Istituto lombardo accademia di scienze e lettere. Condivise il lavoro
intellettuale e l'impegno sociale con Finzi. Si dedica alla filosofia
greco-romana, secondo l'insegnamento del suo maestro GEYMONAT (vedi). Fa studi
sulla medicina e sulla biologia da Ippocrate a Galeno. Il primo in Italia a
impartire un corso di storia della filosofia antica che prende in
considerazione i riferimenti alla storia della scienza, particolarmente in
ambito greco-romano. Nella ricerca della connessione fra scienze e filosofia,
segue la metodologia di GEYMONAT. Il campo d'indagine approfondito da V.
consistette nello studio degl’aspetti etici e politici della filosofia, in
particolare il platonismo dell’accademia, il aristotelismo del lizio, e il
PORTICO, in rapporto con l'ambito sociale ed ideologico della cultura
greco-romana. Relativamente all'etica, che assimila l'ordine stabilito dalla
legge morale e politica con l'ordine naturale insito nel kósmos, l'universo
ordinato, V. ritenne che si configurasse per la prima volta nell' “Iliade” proseguendo
poi nella riflessione orfica-pitagorica sull'anima. Apprezzato per i suoi studi
su Platone, Aristotele, Ippocrate, Galeno
e sull'etica. Saggi: “Il coltello e lo stilo” (Saggiatore, Milano); “Tra
Edipo e Euclide” (Saggiatore, Milano); “L'etica degl’antichi” (Laterza, Roma);
“La medicina platonica” (Cardo, Venezia); “La Repubblica platonica” (Napoli, Bibliopolis);
“Il platonismo” (Einaudi); “Socrate incontra Marx. Lo Straniero di Treviri, ed.
Guida; “Guida alla lettura della Repubblica di Platone (Laterza, Roma); “Un
paradigma in cielo. Platone politico, ed. Carocci. Collabora in: “Marxismo e
società antica” (Feltrinelli, Milano); “Oralità, scrittura, spettacolo” (Boringhieri,
Torino); Il sapere degl’antichi” (Boringhieri, Torino); “L'esperienza religiosa
antica” (Boringhieri, Torin) (con Giannantoni) La scienza ellenistica,
Bibliopolis, Napoli, Le opere psicologiche di Galeno, Bibliopolis, Napoli,
Nuove antichità, "Aut Aut", "Dialoghi con gl’antichi",
Sankt Augustio. Traduce Ippocrate,
Opere, Vegetti, POMBA, Torino, Aristotele, Opere biologiche, Lanza e V., POMBA,
Torino, Galeno, Opere, Garofalo e Vegetti, POMBA, Torino, Platone, Repubblica,
Vegetti, Libri I-III, Dipartimento di Filosofia, Pavia, "Platone,
Repubblica", Vegetti, BUR Biblioteca Univ. Rizzoli, Milano. “Nell'ombra di
Theuth: dinamiche della scrittura in Platone, in Sapere e scrittura in Grecia,
Detienne (Laterza, Roma); “Tra il sapere e la pratica: la medicina ellenistica”
in Storia del sapere medico occidentale Grmek, Laterza, Roma-Bari. “L' idea del
bene nella Repubblica di Platone, in "Discipline filosofiche", Passioni
antiche: l'io collerico, in Storia delle passioni S. Vegetti Finzi, Laterza,
Roma. Curato inoltre, per Zanichelli, “Filosofie e società.” Biografia su
Enciclopedia multimediale delle scienze filosofiche, su emsf.rai. Vegetti, Finzi,
Celli, Fare società, ed. Einaudi
Entrambi collaboratori della rivista “Iride” delle edizioni del Mulino.
Biografia su Enciclopedia delle scienze filosofiche, su emsf. rai. Filosofo
studioso di Platone, su corriere. Curci,
Intervista a Gastaldi, in ricordo di V., la provincial pavese. Enciclopedia
Treccani alla voce "Galeno" Intervista Carioti, "Critico il
Platone di REALE, il marxismo non c'entra", intervista di V., Corriere
della Sera, Opere su open MLOL, Horizons Unlimited srl. Opere V. Pubblicazioni
su Persée, Ministère de l'Enseignement supérieur, de la Recherche et de
l'Innovation. Registrazioni su Radio Radicale.
L'etica e la filosofia antica, su emsf. La retorica e la persuasione, su emsf. La
medicina greca. Aristotele. I pitagorici. Socrate., su emsf. L'etica in Platone
e Aristotele, su emsf. V.: il primato del filosofo per Aristotele, sul RAI filosofia. Mario Vegetti. Vegetti. Keywords:
ariskant, plathegel. -- Refs.: The H. P. Grice Papers, Bancroft MS, -- Luigi
Speranza, “Grice e Vegetti e il platonismo oxoniense di Pater” – The
Swimming-Pool Library, Villa Speranza, Liguria.
Luigi Speranza: Grice e Velino: la ragione
conversazionale e l’implicatura conversazionale dei velini – la scuola di Velia
-- filosofia italiana – Luigi Speranza, pel Gruppo di Gioco di H. P. Grice, The
Swimming-Pool Library (Velia).
Filosofo campanese. Filosofo italiano. Velia, Ascea, Salerno, Campania. Italian
philosopher Grice: “”A = A,” Parmenides says,” “Le donne sono le donne,” “La
guerra è la guerra.” Enough to
irritate an Italian neo-non-parmenideian“ One of the most important Italian
philosophers, if only because Plato dedicated a dialogue to him!” Grice. -- Parmenide Parmènide di Velia.
Παρμενίδης, Parmenídēs. Velia. Filosofo antico. Autore di un poema sulla
natura. Viene considerato il fondatore dell'ontologia, con cui ha
influenzato l'intera storia della filosofia occidentale. È il filosofo
dell'essere statico e immutabile, in contrasto col divenire d’Eraclito, secondo
il quale viceversa, tutto cambia. A V. si deve la nascita della scuola eleatica
– o velina -- a cui appartenevano anche Zenone, o ‘Senone’ nella grafia antica
più correta -- di Velia e Melisso. La rivalità tra Parmenide ed Eraclito è
stata reintrodotta negli odierni dibattiti sulla concezione del tempo, e della
fisica moderna. Nacque a Velia, in Ascea, da una famiglia aristocratica. Della
sua vita si hanno poche notizie. Secondo Speusippo, nipote di Platone, e
chiamato dai suoi concittadini a re-digere la legge di Ascea. Secondo Sozione è
discepolo del pitagorico AMINIA (vedi), di Crotone. Per altri, è probabilmente
discepolo di Senofane di Colofone. Ad Ascea fonda inoltre una scuola o setta,
insieme al suo discepolo prediletto, Zenone. Platone nel “Parmenide” riferisce
di un viaggio che Parmenide intraprese alla volta di Atene, dove conosce
Socrate col quale ebbe una vivace discussione. L'unica opera di Parmenide è il
poema in esametri “sulla natura”, di cui alcune parti sono citate da Simplicio
in “De coelo” e nei suoi commenti alla fisica del Lizio, da Sesto Empirico e da
altri saggi filosofichi antichi. Di queso poema sulla natura ci sono giunti ad
oggi XIX frammenti, alcuni dei quali allo stato di puro stralcio, che
comprendono un proemio e una trattazione in parti II: la via della verità e la
via dell'opinione. Di quest'ultima abbiamo solo pochi versi. Εἰ δ' ἄγ' ἐγὼν
ἐρέω, κόμισαι δὲ σὺ μῦθον ἀκούσας, αἵπερ ὁδοὶ μοῦναι διζήσιός εἰσι νοῆσαι· ἡ μὲν
ὅπως ἔστιν τε καὶ ὡς οὐκ ἔστι μὴ εἶναι, Πειθοῦς ἐστι κέλευθος - Ἀληθείῃ γὰρ ὀπηδεῖ
-, ἡ δ' ὡς οὐκ ἔστιν τε καὶ ὡς χρεών ἐστι μὴ εἶναι, τὴν δή τοι φράζω παναπευθέα
ἔμμεν ἀταρπόν· οὔτε γὰρ ἂν γνοίης τό γε μὴ ἐὸν - οὐ γὰρ ἀνυστόν - οὔτε φράσαις.
... τὸ γὰρ αὐτὸ νοεῖν ἐστίν τε καὶ εἶναι. Orbene io ti dirò, e tu ascolta
accuratamente il DISCORSO, quali sono le vie di ricerca che sole sono da
pensare. L’una che "è" e che non è possibile che non sia, e questo è
il sentiero della persuasione -- infatti segue la verità. L’altra che "non
è" e che è necessario che non sia, e io ti dico che questo è un sentiero
del tutto inaccessibile. Infatti non potresti avere cognizione di ciò che non è
-- poiché non è possibile -- né potresti esprimerlo. Infatti lo stesso è
pensare ed essere. Sostiene che la molteplicità e i mutamenti del mondo sono
illusori, e afferma, contrariamente al senso comune, la realtà dell'essere:
immutabile, ingenerato, finito, immortale, unico, omogeneo, immobile,
eterno. La narrazione si snoda intorno al percorso intellettuale del
filosofo che racconta il suo viaggio verso la dimora della dea della giustizia la
quale lo conduce al cuore inconcusso della ben rotonda verità. La dea, in
quanto tutrice dell'ordine cosmico, e vista in tal senso anche come garante
dell'ordine logico, cioè del corretto filosofare. La dea gli mostra la via
dell'opinione, che conduce all'apparenza e all'inganno, e la via della verità
che conduce alla sapienza e all'essere -- τὸ εἶναι. Pur non specificando
cosa sia questo essere, è il che per primo ne mette a tema esplicitamente il
concetto. Su di esso egli esprime soltanto una lapidaria formula, la più antica
testimonianza in materia, secondo la quale l'essere è, e non può non essere. Il
non-essere non è, e non può essere -- ἡ μὲν ὅπως ἔστιν τε καὶ ὡς οὐκ ἔστι μὴ εἶναι
… ἡ δ' ὡς οὐκ ἔστιν τε καὶ ὡς χρεών ἐστι μὴ εἶναι -- è, e non è possibile che
non sia … non è, ed è necessario che non sia» -- Simplicio, Phys., Proclo,
Comm. al Tim.). Con queste parole intende affermare che niente si crea dal
niente -- ex nihilo nihil fit -- e nulla può essere distrutto nel nulla. Già i
primi filosofi avevano cercato l'origine (ἀρχή) della mutevolezza dei fenomeni
in un principio statico che potesse renderne ragione, non riuscendo a spiegarsi
il divenire. Ma i cambiamenti e le trasformazioni a cui è soggetta la natura,
tali per cui alcune realtà nascono, altre scompaiono, non hanno semplicemente
motivo di esistere, essendo pura illusione. La vera natura del mondo, il vero
essere della realtà, è statico e immobile. A tali affermazioni giunge
promuovendo per la prima volta una filosofia – discorso filosofico -- basato
non più su spiegazioni mitologiche del cosmo, ma su un metodo razionale,
servendosi in particolare della logica formale di non-contraddizione, da cui si
traggono le seguenti conclusion. L'essere è immobile perché se si muovesse
sarebbe soggetto al divenire, e quindi ora sarebbe, ora non sarebbe. L'essere è
uno perché non possono esserci due esseri. Se uno è l'essere, l'altro non
sarebbe il primo, e sarebbe quindi non-essere. Allo stesso modo per cui, se A è
l'essere, e B è diverso da A, allora B non è. Qualcosa che non sia essere non
può essere, per definizione. L'essere è eterno perché non può esserci un
momento in cui non è più, o non è ancora. Se l'essere è solo per un certo
periodo di tempo, a un certo momento non è, e si cade in contraddizione. L'essere
è dunque ingenerato e immortale, poiché in caso contrario implicherebbe il non
essere. La nascita significa essere, ma è anche non essere prima di nascere. La
morte significa non essere, ovvero essere solo fino a un certo momento. L'essere
è indivisibile, perché altrimenti richiederebbe la presenza del non-essere come
elemento separatore. L'essere risulta così vincolato dalla necessità (ἀνάγχη),
che è il suo limite ma al contempo il suo fondamento costitutivo. La
dominatrice necessità lo tiene nelle strettoie del limite che lo rinserra tutto
intorno. Perché bisogna che l'essere non sia incompiuto. L'essere, secondo
Parmenide: privo di imperfezioni e identico in ogni sua parte come una sfera
paragona l'essere a una sfera perfetta, sempre uguale a se stessa nello spazio
e nel tempo, chiusa e finita -- il finito è sinonimo di perfezione. La sfera è
infatti l'unico solido geometrico che non ha differenze al suo interno, ed è
uguale dovunque la si guardi. L’ipotesi collima suggestivamente con la teoria
della relatività di Einstein. Se prendessimo un binocolo e lo puntassimo nello
spazio, vedremmo una linea curva chiusa all'infinito in tutte le direzioni
dello spazio, ovvero, complessivamente, una sfera. Per lo scienziato infatti
l'universo è finito sebbene illimitato, fatto di uno spazio tondo ripiegato su
se stesso. Fuori dell'essere non può esistere nulla, perché il non-essere,
secondo logica, non è, per sua stessa definizione. Il divenire attestato dai
sensi, secondo cui gl’enti ora sono e ora non sono, è una mera illusione -- che
appare ma in realtà non è. La vera conoscenza dunque non deriva dai sensi, ma
nasce dalla ragione. Non c'è nulla di errato nell'intelletto che prima non sia
stato negli erranti sensi. Questa è la frase che d'ora in poi è attribuita a
Parmenide. Il pensiero è dunque la via maestra per cogliere la verità dell'essere.
Ed è lo stesso il pensare e pensare che è. Giacché senza l'essere non troverai
il pensare, a indicare come l'essere si trovi nel pensiero. Pensare il nulla è
difatti impossibile, il pensiero è necessariamente pensiero dell'essere. Di
conseguenza, poiché è sempre l'essere a muovere il pensiero, la pensabilità di
qualcosa dimostra l'esistenza dell'oggetto pensato.Tale identità immediata di
essere e pensiero, a cui si giunge scartando tutte le impressioni e i falsi
concetti derivanti dai sensi, abbandonando ogni dinamismo del pensiero,
accomuna Parmenide alla dimensione mistica delle filosofie apofatiche
orientali, come il buddhismo, il taoismo e l'induismo. Una volta stabilito che
l'essere è, e il non-essere non è, restava tuttavia da spiegare come nascesse
l'errore dei sensi, dato che nell'essere non ci sono imperfezioni, e perché gl’uomini
tendano a prestare fede al divenire attribuendo l'essere al non-essere. V. si
limita ad affermare che gl’uomini si lasciano guidare dall'opinione (δόξα),
anziché dalla verità. Ossia, giudicano la realtà in base all'apparenza, secondo
procedimenti illogici. L'errore in definitiva è una semplice illusione, e
dunque, in quanto non esiste, non si può trovargli una ragione. Compito del
filosofo è unicamente quello di rivelare la nuda verità dell'essere nascosta
sotto la superficie degl’inganni. Il tema è ripreso da Platone che cerca una
soluzione al conflitto tra l'essere e il molteplice. Per sciogliere il dramma
umano costituito dal divenire per cui tutto muta che si scontra con una
ragione, altra dimensione fondamentale, che è portata a negarlo, Platone conceve
il non-essere non più alla maniera di Parmenide staticamente e assolutamente
contrapposto all'essere, ma come diverso dall'essere in maniera relativa, nel
tentativo di dare una spiegazione razionale anche al tempo e al
molteplice. Il rigore logico di Parmenide gli valse inoltre l'appellativo
di "venerando e terribile" da parte di Platone. La fiducia di
Parmenide in un sapere completamente dedotto dalla ragione, e viceversa la sua
totale sfiducia nei confronti dei sensi e di una conoscenza empirica, fa di lui
un filosofo profondamente razionalista. Parmenide e la scuola di Veli.
Parmenide ne "La scuola di Atene", affresco di Sanzio. Parmenide è il
fondatore della scuola o setta di Velia, dove ha vari discepoli, il più
importante dei quali è Zenone. Il metodo usato dagli velini è la dimostrazione
per assurdo, con cui confutano le tesi dellavversario giungendo a dimostrare la
verità dell'essere, nonché la falsità del divenire e delle impressioni dei
sensi, per una impossibilità logica di pensare altrimenti. Stupiva i
contemporanei un ragionamento che scaturiva dalla radicale contrapposizione
essere/non-essere e da un'immediata conseguenza del principio di
non-contraddittorietà dell'essere e del pensiero, teorizzato in seguito da
Aristotele nel Lizio come evidenza prima e indimostrabile alla ragione senza la
quale diverrebbe impossibile qualsiasi conoscenza necessaria-filosofica,
restando solo il mondo dell'opinione. Parmenide e i velini si
contrapponevano soprattutto al pensiero d’Eraclito, loro contemporaneo,
filosofo del divenire che basa la conoscenza interamente sui sensi. Nella
prospettiva della storia della filosofia, è quindi Hegel a concepire l'essere
in maniera radicalmente opposta a Parmenide. Anche l'atomismo democriteo
intese contrapporsi alla teoria velina dell'essere -- che cerca una soluzione
al problema dell'archè negando alla radice un fondamento originario al divenire
-- presupponendo gl’atomi e uno spazio vuoto, diverso dagl’atomi, in cui essi
potessero muoversi, ipotizzando in una certa maniera una convivenza di essere e
non-essere. In seguito furono i sofisti a cercare di confutare il
pensiero dei velini, opponendo al loro sapere certo e indubitabile (επιστήμη)
sia il relativismo di Protagora, sia il nichilismo di Gorgia di Leonzio. Uno
dei maggiori problemi sollevati da Parmenide riguardava in particolare
l'impossibilità di oggettivare l'essere, di darne un predicato, di sottrarlo
all'astrattezza formale con cui egli l'enuncia, e che sembra contrastare con la
pienezza totale del suo contenuto. È seguendo questa strada che Platone, nel
tentativo di risolvere il problema, approde al mondo delle idee.
L'interpretazione della "doxa" REALE (vedi) ha elencato le diverse
interpretazioni contemporanee sullo statuto e il significato dell'opinione ed
il suo rapporto con la verità. Accanto ad una lettura che le vede contrapporre
radicalmente, ne esiste una diversa, che REALE appoggia, secondo cui l'opinione
(δόξα) non è da intendersi in Parmenide come negazione assoluta della verità,
ma come un modo improprio di accostarsi ad essa. Non si tratterebbe cioè di
puro non-essere, della via dell'errore scartata a priori, ma di una TERZA possibilità
in cui i fenomeni (δοκοῦντα) sarebbero entità pensabili e quindi plausibili, se
non altro come manifestazioni esteriori del fondamento occulto e autentico
dell'essere. Nelle parole della dea, infatti, Parmenide è chiamato a conoscere
anche le opinioni dei mortali, in cui non è certezza verace. Eppure anche
questo imparerai. Come l'esistenza delle apparenze sia necessario ammetta colui
che in tutti i sensi tutto indaga. Si tratta di un'interpretazione condivisa in
varia misura anche da Schwabl, Untersteiner, COLLI (vedi), RUGGIU (vedi), sebbene
respinta da altri, che fa di Parmenide un anticipatore della futura ontologia
platonica, mentre i suoi discepoli invece mantenneno una concezione più
rigorosa dell'essere, quella tradizionalmente attribuita ai velini. Tra le
filosofie volte al recupero del pensiero classico in chiave attuale, in
direzione del quale si sono mossi specialmente gli studi di Heidegger e di BONTADINI,
l'opera di SEVERINO si segnala come una parziale ripresa della dottrina di
Parmenide, e viene perciò definita neo-parmenidismo. In particolare nel suo saggio
“Ritornare a Parmenide”, SEVERINO intende proporre un'originale re-interpretazione
delle categorie fondamentali del pensiero alla luce della rigorosa logica del
velino. Secondo Platone in “Parmenide”. Dopo che è scoperta in uno scavo ad
Ascea un'erma acefala con l'iscrizione Πα[ρ]μενείδης Πύρητος Οόλιάδης φυσικός --
Parmenide figlio di Pirete medico degli Uliadai -- dove Parmenide viene cioè
indicato come capo della scuola medica di Velia degli Ούλιάδαι, si ritrova in
seguito la testa-ritratto con barba qui raffigurata, con la base del collo
adattata ad essere sovrapposta in un'erma del tipo di quella precedentemente
ritrovata con l'iscrizione citata. Altri ritengono invece che questa scultura
riproduca il busto del filosofo epicureo Metrodoro di Lampsaco (Picozzi,
Parmenide, Enciclopedia dell'arte antica Treccani). Logos: rivista internazionale di filosofia,
Bartelli e Verando. I paradossi di Zenone contro il movimento vennero enunciati
proprio per argomentare la posizione filosofica di Parmenide. Lugiato, L'uomo e
il limite, Milano, FrancoAngeli, Secondo Platone in Parmenide, Diogene Laerzio.
Così Plutarco, Contro Colote. Fra questi Aristotele, (Metafisica) e Platone
(Sofista) e così anche Diogene Laerzio, Vite dei filosofi. I presocratici, a
cura di Giannantoni, Bari. Platone, Parmenide, Simplicio, De cœlo. Simplicio,
In Aristotelis Physica commentaria. Sesto Empirico, Adversus mathematicos. Finito
non da intendersi come imperfetto perché per la mentalità antica il segno di
perfezione è la compiutezza, il finito. L'infinito vorrebbe dire che non è
completo, che gli manca qualcosa quindi imperfetto. Sul tema del viaggio in
Parmenide si veda quest'intervista a Ruggiu, tratta dall'Enciclopedia delle
scienze filosofiche. Dalla raccolta I presocratici di Diels e Kranz. Jellamo,
Il cammino di Dike: l'idea di giustizia da Omero a Eschilo, Roma, Donzelli. Sull'ipotesi
che la dea della giustizia è interpretata da Parmenide in una maniera nuova,
filosofica, cfr. Fränkel, Wege und Formen Frühgriechischen Denkens.
Literarische und Philosophiegeschichtliche Studien, München, Beck -- per il
quale essa veniva ora vista come dea della giustezza o esattezza (dikaiosyne),
preludio di quella platonica. Sulla dike "filosofica" cfr. anche Deichgräber,
Parmenides' Auffahrt zur Göttin des Rechts, Untersuchungen zum Prooimion seines
Lehrgedichts, Magonza. La nascita della parola "filosofia" è molto
controversa, in quanto ha diverse accezioni. Già anticamente, così come altri
termini composti col suffisso "philo-" (cfr. Hadot, Che cos'è la
filosofia antica?, Torino, Einaudi) essa indicava una passione, una tensione
(φίλος, fìlos) verso il sapere (σοφία, sofìa). Secondo Capizzi, tuttavia,
Parmenide non era un filosofo nel senso etimologico, in quanto più che al
"sapere per il sapere" propende per le applicazioni politiche del
sapere, ma la questione è tutt'altro che definitiva. Principio enunciato da
Melisso e poi reso in latino da LUCREZIO (vedi), ma implicitamente presente in
un fragmento di Parmenide (cfr. Garrigou-Lagrange, La sintesi tomistica, Fede
et Cultura. Il principio di non-contraddizione, introdotto da Parmenide per
rivelare l'essere stesso, la verità essenziale, è successivamente impiegato
come strumento del pensiero logicamente cogente per qualsiasi affermazione
esatta. Sorsero così la logica e la dialettica -- Jaspers, I grandi filosofi,
Longanesi, Milano). Della raccolta Diels e Kranz. Einstein si espresse tra
l'altro in maniera sorprendentemente simile a Parmenide, in quanto anch'egli
tende a negare la discontinuità del divenire e il suo svolgimento nel tempo.
Secondo Popper, grandi scienziati come Boltzmann, Minkowski, Weyl, Schrödinger,
Gödel e, soprattutto, Einstein hanno concepito le cose in modo similare a
Parmenide e si sono espressi in termini singolarmente simili. La materia,
secondo Einstein, si curverebbe su se stessa, per cui l'universo sarebbe
illimitato ma finito, simile ad una sfera, che è illimitatamente percorribile
anche se finita. Inoltre Einstein ritiene che non ha senso chiedersi che cosa
esista fuori dell'universo (Riva, Manuale di filosofia). Meinong, proprio come Parmenide, difese ad
esempio l'idea che anche la montagna d'oro sussista poiché se ne può parlare.
Diels e Kranz. Sull'analogia tra la posizione parmenidea e le filosofie
dell'Oriente, cfr. Severino. Il Poema, le fonti, le interpretazioni, su
filosofico. Cfr. anche l'intervista a SEVERINO (Venezia, Museo Correr,
Biblioteca Marciana) in Parmenide su Emsf.rai Platone, Teeteto. Un famoso
esempio si ha nelle aporie note come paradossi di Zenone. Si veda La filosofia
dei Greci nel suo sviluppo storico, di Zeller, Mondolfo, Eleati, a cura di Reale,
Firenze, La Nuova Italia, a cura di Girgenti, Milano, Bompiani. Dunque,
Parmenide ha esposto un'opinione plausibile, oltre a quella fallace, e cerca, a
suo modo, di dar conto dei fenomeni -- Reale, Storia della filosofia antica,
Vita e Pensiero, Milano, trad. di Reale. Schwabl, Sein und Doxa bei Parmenides,
Wiener Studien, Untersteiner, La Doxa di Parmenide, in Parmenide. Testimonianze
e frammenti, Sansoni, Firenze, COLLI, Physis kryptesthai philei, ed.
dell'Ateneo, Roma. Ruggiu, Saggio introduttivo e commentario filosofico, in
Parmenide, Poema sulla natura: i frammenti e le testimonianze indirette,
Rusconi, Milano. Di origine evidentemente iranica è il dualismo luce-tenebre
che per Parmenide sta alla base della dóxa, mentre è addirittura di origine
indiana il carattere puramente apparente da lui attribuito al mondo sensibile
(sostenuto dalla corrente Samkya delle Upanishad nella famosa dottrina del
"velo di Maya", ripresa da Schopenhauer), e lo stesso viaggio del filosofo
al cospetto della dea, esposto nel proemio del poema parmenideo, ricorderebbe i
viaggi degli sciamani asiatici -- West, La filosofia greca arcaica e l'Oriente
(Mulino, Bologna). In esso, tuttavia, SEVERINO afferma dapprima di aver
compiuto il secondo grande parmenicidio, dopo quello di Platone. Parmenide
svaluta e quindi annulla i fenomeni. Ma questi appaiono, quindi esistono e, se
esistono, non divengono. Ma tutti sono eterni. In secondo luogo, SEVERINO usa
la logica parmenidea per confutare l'etica e la fede in Dio. Poiché il divenire
non esiste, non sarebbero possibili la libera scelta morale e l'esistenza di un
creatore che tragga l'essere dal nulla, creandolo ex nihilo. Diogene Laerzio,
Vite e dottrine dei più celebri filosofi, a cura di Reale con la collaborazione
di Girgenti e Ramelli (Milano, Bompiani); Albertelli, Gli Eleati: testimonianze
e frammenti (Bari, Laterza); Vitali, Parmenide d'Elea. Peri physeos, una
ricostruzione del Poema (Faenza, Lega); Reale, Ruggiu, Parmenide. Poema sulla
natura (Milano, Rusconi); Cerri, Parmenide. Poema sulla natura (Milano, BUR); Nolletti,
Che cos'è l'essere di Parmenide: spiegazione di un enigma filosofico” (Teramo,
La Nuova Editrice); I presocratici. Prima traduzione integrale con testi
originali a fronte delle testimonianze e dei frammenti di Diels e Kranz, a cura
di Reale (Milano, Bompiani); Untersteiner, Eleati. Parmenide, Zenone, Melisso.
Testimonianze E Frammenti (Milano, Bompiani); Severino, Ritornare a Parmenide
in Essenza del nichilismo (Paideia, Brescia); DIANO (vedi), Parmenide in Studi
e saggi di filosofia antica, successivamente ne Il pensiero greco da
Anassimandro agli Stoici (Bollati Boringhieri); Ruggiu, Parmenide (Venezia,
Marsilio); Capizzi, Introduzione a Parmenide (Laterza, Roma); CAPIZZI (vedi),
La porta di Parmenid: saggi per una nuova lettura del poema” (Ateneo, Roma); CALOGERO,
Studi sull'eleatismo (Roma, La Nuova Italia, Firenze); Hussey, I presocratici,
Rampello (Mursia, Milano); Heinrich, Parmenide e Giona: studi sul rapporto tra
filosofia e mitologia” (Guida, Napoli); Casertano, Parmenide il metodo la
scienza l'esperienza” (Loffredo, Napoli); Popper, “Il mondo di Parmenide: alla
scoperta dell'illuminismo presocratico” (Piemme, Casale Monferrat); Heidegger, “Parmenide”,
a cura di VOLPI (vedi) (Adelphi, Milano); Gadamer, Scritti su Parmenide, a cura
di Saviani (Filema, Napoli); Colli, Gorgia e Parmenide. Lezioni (Adelphi,
Milano); Cordero, “By Being, It is. The Thesis of Parmenides, Parmenides
Publishing, Las Vega); Pulpito, Parmenide e la negazione del tempo.
Interpretazioni e problemi” (LED, Milano); Sangiacomo, La sfida di Parmenide.
Verso la Rinascenza, Il Prato, Padova); Abbate, Parmenide e i neoplatonici.
Dall'Essere all'Uno e al di là dell'Uno” (Edizioni dell'Orso, Alessandria); Toro,
L'enigma Parmenide. Poesia e filosofia nel proemio” (Aracne, Rom); Ferrari, “Il
migliore dei mondi impossibili: Parmenide e il cosmo dei Presocratici” (Aracne,
Roma); Donà (vedi), Parmenide. Dell'essere e del nulla, (Alboversorio, Milano);
Sperduto, Il divenire dell'eterno (Aracne, Roma); Dizionario di filosofia,
Istituto dell'Enciclopedia Italiana,
Parmènide (filosofo), su sapere; Agostini. Spiegazione dell'enigma dell'essere
di Parmenide, su parmenide; Severino. Il Poema, le fonti, le interpretazioni,
su filosofico. Severino: Parmenide, su rai scuola; Sull'Essere" recitato
in greco antico ricostruito, su podium-arts; Un'ampia lista degli studi
dedicati a Parmenide su Parmenides; Parmenides and the Question of Being in
Greek Thought, su ontology. con una bibliografia annotata degli studi recenti e
delle edizioni critiche.Stanford. Refs.: H. P. Grice, “Negation and privation,”
“Lectures on negation,” Wiggins, “Grice and Parmenides”. Parmenide. Keywords:
Velia, velino, velini, la porta. Refs.: Luigi Speranza, “Il parmenideismo
italiano,” Luigi Speranza, "Grice e
Parmenide," per il Club Anglo-Italiano, The Swimming-Pool Library, Villa
Grice, Liguria, Italia. Velia.
Luigi Speranza: Grice e Velia: la ragione
conversazionale e l’implicatura conversazionale dei velini – la scuola di Velia
– Campania -- filosofia italiana – Luigi Speranza, pel Gruppo di Gioco di H. P.
Grice, The Swimming-Pool Library (Velia).
Filosofo campanese. Filosofo italiano. Velia, Ascea, Salerno, Campania. Cf.
senofane, parmenide -- Velia -- (or as
Strawson would prefer, Zeno). Sometimes
spelt ‘Senone’ "Senone *loved* his native Velia. Vivid evidence of the cultural impact
of Senone's arguments in Italia is to be found in the interior of a red-figure
drinking cup (Roma, Villa Giulia, inv. 3591) discovered in the Etrurian city of
Falerii. It depicts a heroic figure racing nimbly ahead of a large
tortoise and has every appearance of being the first known ‘response’ to the
Achilles (or Mercurio, Ermete) paradox. “Was ‘Senone’ BORN in Velia?” -- that is the
question!” -- Grice. Italian
philosopher, as as such, or as Grice prefers, ‘senone’ – Zeno’s paradoxes.
“Since Elea is in Italy, we can say Zeno is Italian.” H. P. Grice. “Linguistic
puzzles, in nature.” H. P. Grice. four
paradoxes relating to space and motion attributed to Zenone di Velia. The race-track,
Achilles and the tortoise, the stadium, and the arrow. Zenoe’s work is known to
us through secondary sources, in particular Aristotle. The race-track paradox.
If a runner is to reach the end of the track, he must first complete an
infinite number of different journeys: getting to the midpoint, then to the
point midway between the midpoint and the end, then to the point midway between
this one and the end, and so on. But it is logically impossible for someone to
complete an infinite series of journeys. Therefore, the runner cannot reach the
end of the track. Since it is irrelevant to the argument how far the end of the
track is -- it could be a foot or an inch or a micron away -- this argument, if
sound, shows that motion is impossible. Moving to any point involves an
infinite number of journeys, and an infinite number of journeys cannot be
completed. The paradox of Achilles and the tortoise. Achilles runs much faster
than the tortoise. A race is arranged between them, and the tortoise is given a
lead. Zenone argues that Achilles never catches up with the tortoise no matter
how fast he runs and no matter how long the race goes on. For, the first thing
Achilles has to do is to get to the place from which the tortoise started. But
the tortoise, though slow, is unflagging. While Achilles is occupied in making
up his handicap, the tortoise advances a little farther. The next thing
Achilles has to do is to get to the new place the tortoise occupies. While Achilles
is doing this, the tortoise has gone a little farther still. However small the
gap that remains, it take Achilles some time to cross it. In that tim, the
tortoise creates another gap. So, however fast Achilles runs, all that the
tortoise has to do, in order not to be beaten, is not to stop. The stadium
paradox. Imagine three equal cubes, A, B, and C, with sides all of length l,
arranged in a line stretching away from one. A is moved perpendicularly out of
line to the right by a distance equal to l. At the same time, and at the same
rate, C is moved perpendicularly out of line to the left by a distance equal to
l. The time it takes A to travel l/2 relative to B equals the time it takes A
to travel to l relative to C. So, it follows that half the time equals its
double. The arrow paradox. At any instant of time, the flying arrow occupies a
space equal to itself. That is, the arrow at an instant cannot be moving, for
motion takes a period of time, and a temporal instant is conceived as a point,
not itself having duration. It follows that the arrow is at rest at every
instant, and so does not move. What goes for arrows goes for everything: nothing
moves. Scholars disagree about what Zenone himself takes his paradoxes to show.
There is no evidence that Zenone offers any “solution” to his paradoxes. One
view is that the four paradoxes are part of a programme to establish that *multiplicity*
-- including motion -- is an illusion of the senses, and that reality is a
seamless whole. Zeno’s argument may be reconstructed like this. If you allow
that reality can be successively divided into parts, you find yourself with
these four insupportable paradoxes. So you must think of reality as a single
indivisible one. Senza le premesse di tale discussione e
problematica si precisano chiaramente nei finissimi argomenti di Zenone di
Velia, discepolo e difensore di Parmenide di Velia, in cui si vede bene il
taglio netto tra l'essere che è e in cui tutto si annulla, e il mondo umano
costruito dall'uomo stesso. All'inizio del “Parmenide” Platone narra che una
volta, durante le grandi Panatenee, Parmenide e Zenone vennero ad Atene.
Parmenide e d'aspetto bello e nobile. Zenone, di grande statura e bell'uomo anche
(“Parmenide”). Platone dice, poi, che in quell'occasione Zenone legge un saggio
che scrive per difendere la tesi di Parmenide di Velia, ma che quel saggio Zenone
compose per amor di polemica e che per giunta un tale glielo ha sottratto, per
cui, Platone fa dire a Zenone. Non ha neppure il tempo di pensare se fosse o no
il caso di darlo alla luce. Platone, forse, per dare avvio alla sua
discussione, probabilmente nei confronti della setta di Velia, si riallaccia di
proposito a Parmenide e a Zenone mettendoli in rapporto con Socrate. Può darsi,
dunque, che Platone forza la notizia di Zenone e Parmenide ad Atene in un'epoca
in cui sembra difficile, per ragioni cronologiche, che Parmenide sia potuto
venire ad Atene. Nulla vieta, invece, di pensare che lui sia stato
effettivamente ad Atene, anche se in epoca diversa. Discepolo di Parmenide,
Zenone nasce a Velia. Platone (“Parmenide”) narra che Zenone e venuto con
Parmenide ad Atene. Tutte le fonti lo presentano come uomo prestante e
altamente intelligente, che prende attiva parte alla vita politica di Velia,
dove sarebbe eroicamente morto combattendo il tiranno Ncarco, quando, preso da
Nearco e torturato, per non parlare si spezza la lingua con i denti, sputandola
addosso al tiranno. Sembra che la struttura originaria del saggio di Zenone, o
dei suoi saggi, e anti-nomica, e che [Altro punto sospetto è che Platone dice
che il saggio che Zenone scrive e stato fatto circolare senza il permesso
dell'autore. Potrebbe questo essere indice che Platone, in effetto, non espone
la tesi vera di Zenone, anche se, nella finzione del dialogo, lui stesso
approvi, con qualche riserva, il sunto che dei punti salienti dà Socrate.
Platone, nel “Parmenide” tende a dimostrare l'impossibilità di pensare l'essere
di Parmenide che porta dietro di sé l'altrettanta impossibilità di pensare i
molti, onde, postici sul piano di Parmenide, risulta impossibile il discorso,
un qual-sivoglia giudizio. Non interessa ora la soluzione di Platone e il suo
tentativo di poter pensare l'essere come dialetticità corrispondente alla
dialetticità del pensiero, per cui si rende possibile porre un tutto oggettivo.
come ordine dialettico e misura su cui scandire, attraverso la conoscenza di
sé, lo stesso ordine politico. È tuttavia importante sottolineare che nei
confronti dell'uno di Parmenide e delle opere di lui -- che accettando
l'ipotesi di Parmenide e anche accettando che l'uno di Parmenide si può,
all'estremo, ritenere assurdo, vuoi dimostrare che altrettanto assurdo è porre
unità accanto a unità, come i pitagorici, quando si ritenga che queste siano
realtà per sé e non puri nomi -- la polemica di Platone chiarifica quella che
storicamente dev'essere stata l'aporia fondamentale in cui si trova il lettore
del saggio di Zenone. In verità - abbietta Zenone nel Parmenide di Platone -
questo mio saggio vuol essere in certo modo una difesa della dottrina di
Parmenide contro quelli che cercano di metterla in ridicolo sostenendo che la
tesi dell'esistenza dell'uno va incontro a molte conseguenze ridicole e contraddittorie.
Vuole confutare perciò questo mio saggio quelli che asseriscono l'esistenza dei
molti e render loro la pariglia e anche di piu, cercando di mostrare che la
loro ipotesi dell'esistenza dei molti va incontro a CONSEQUENZE ANCOR PIU RIDICOLE di quella dell'uno se si vuole
andare in fondo alla ricerca. In effetto, qui Platone corregge la sua prima
affermazione che Zenone e Parmenide diceno la stessa cosa ("dite su per
giu la cosa medesima”), e per i suoi intenti lascia cadere la precisazione di
Zenone. Ma ciò è fondamentale, perché, in genere, è con questi abili accenni
che Platone distingue, quello che a Platone importa da quello che accantona, ma
che corrisponde, quasi sempre, alla verità storica. Zenone, quaranta fossero gl’argomenti
contro la tesi che sostiene il molteplice e il moto. Platone che vede in Zenone
il difensore dell’Uno di Parmenide, lo chiama il "palamede eleatico"
(Fedro) ] dunque, sarebbe parmenideo alla rovescia. Zenone accetta che l'uno-tutto
di Parmenide porta alla finale contraddizione dell'impensabilità -- proprio
sulla via del pensiero -- dell'uno stesso. Solo che la facile critica
dell'annullarsi dell'uno deve tener presente che, ammessa la esistenza dei
molti, di punti accanto a punti, come enti reali, si cade nelle stesse
contraddizioni di chi pone l'uno. Zenone non dice mai cosa sia l'essere. Zenone
nega che posti i molti come esistenti, sul piano logico i molti esistano,
confermando cosi la tesi di Parmenide che i molti in quanto tali, in quanto
definizioni, non sono che puri *nomi* (nel piano linguistico) o illusione (nel
piano cognoscitivo). Ammessa, dunque, pitagoricamente, l'esistenza di punti
reali costituenti le cose, bisogna necessariamente ammettere che ciascuna di
tali unità in quanto punto ha una grandezza, anche se minima, onde in ogni
punto vi sono infiniti punti e quindi ogni punto-unità e infinitamente grande.
Se il punto poi non ha gradezza, poiché le cose si costituiscono come aventi
grandezza per l'unione dei punti, come e mai possibile che punti senza
grandezza diano luogo a grandezze? Un punto dunque, se non ha grandezza, non è.
Ancora: ammesse piu cose costituite di punti, esse saranno ad un tempo in
numero finito e infinito, il che è contraddittorio. Saranno in numero finito,
perché non possono essere piu o meno di quante sono. Saranno in numero nfinito
perché tra l'una e l'altra ve ne sarà un'altra ancora, e tra questa e l'altra
un'altra ancora all'infinito. Ancora: ammessa la molteplicità di cose reali per
sé, bisogna ammettere o che sono continue, onde la molteplicità si annulla
nella continuità, che, essendo divisibile all'infinito, è costituita d’infiniti
punti a loro volta divisibili all'infinito, fino al nulla; oppure che ogni
cosa, limitando l'altra, occupa uno spazio e si distingue dall'altra per uno
spazio. Ma allora ogni spazio in quanto luogo implica un altro luogo e cosi
all'infinito, sino all'unico luogo cioè l'uno, cioè il nulla (Aristotele,
Fisica; Simplicio, Fisica). Entro questa linea rientra anche il cosiddetto
argomento del grano di miglio. Un grano o la decimillesima parte di un grano di
miglio fa rumore. Ora, se fra un grano di miglio e un medimmo c'è proporzione,
vi sarà proporzione anche tra i suoni, per cui se un medimmo di miglio fa
rumore lo fa anche un solo grano (Aristotele, Fisica; Simplicio, Fisica). Ma
ciò non avviene. Evidentemente quest'ultimo argomento rientra nei termini dei
primi. Se l'uno, o la totalità, è impensabile irrelativamente, altrettanto
impensabili sono i molti qualora si pongano quali realtà accanto a realtà.
Nessuna parte del molteplice costituie il limite ultimo e nessuna e senza una
relazione con un'altra. Poiché i molti sono impensabili, se non determinati
come variazione di quantità di un CONTINUO, e poiché IL CONTINUO si può
rappresentare come retta all'infinito, fino al nulla, i molti, se posti come
realtà per sé, non sono. Cosi nell'ipotetica retta -- nulla è pensabile se non
in quanto estensione ed estensione che si qualifica -- altrettanto
inconcepibile è il moto, o meglio la possibilità dello spostamento e del
passaggio da punto a punto, ché, dato, ad esempio, un segmento AB, tra A e B
posta una metà A', necessariamente tra A e A', vi sarà una metà A" e cosi
vita all'infinito – eis apeiron -- (argomento della dicotomia, cioè della
divisione in due: Aristotele, Fisica; Simplido, Fisica). Evidentemente non vi è
allora passaggio tra un ipotetico primo punto A e il punto della linea accanto
ad A, onde si può dire che Achille piè veloce" in A non raggiunge mai la
tartarugà che sia un passo avanti in A", ché, in effetto, logicamente, né
l'uno né l'altra si muovono -- argomento dell'Achille—pie-veloce: cfr.
Aristotele, Fisica; Simplicio), tanto piu che la linea, essendo costituita
d'infiniti punti, è divisibile all'infinito, e quindi, all'infinito, si
annulla. Analogamente LA FRECCIA non raggiungerà mai il bersaglio, dovendo
percorrere l'infinito e rimanendo sempre ferma al punto di partenza -- argomento
della freccia: cfr. Aristotele, Fisica; Simplicio, Fisica; Filopono, Fisica;
Temistio, Fisica). Infine, dei presunti XL argomenti con i quali Zenone
dimostra la contraddittorietà in cui pone o l'esperienza sensibile o la
definizione dei dati che implicano la molteplicità o il movimento, abbiamo
l'argomento detto dello stadio. Considerando in uno stadio un punto mobile che
va ad una certa velocità, se lo si considera rispetto ad un punto fermo andrà,
ad esempio, a X chilometri l'ora. Se lo si considera invece rispetto a un altro
punto mobile che vada alla sua stessa velocità in senso opposto, quello stesso
mobile va a XX chilometri all'ora. Il argomento IV - dice Aristotele - è quello
delle due serie di masse uguali che si muovono in senso contrario nello stadio,
lungo altre masse uguali, le une cioè a partire dalla fine dello stadio, le
altre dalla metà, con velocità uguale. La conseguenza è che la metà del tempo è
uguale al doppio (Fisica; cfr. anche Simplicio, Fisica). I celebri argomenti contro
il movimento, con cui, accettata la premessa che esiste il moto, con ferrea
consequenzialità, di deduzione in deduzione, si dimostra come sul piano logico,
contraddicendosi, non si possa se non negare il moto -- onde, appunto,
Aristotele, secondo Diogene Laerzio, nel “Sofista” andato perduto - ha potuto
dire che lui e padre della DIALETTICA, e non Gorgia da Leonzio -- come arte del
confutare -- ci sono rimasti attraverso le discussioni e le critiche di
Aristotele. Non sappiamo, in effetto, se tali argomenti sono proprii del saggio
di Zenone, ché le fonti precedenti, ivi compreso Platone -- che fa intravedere
solo gli argomenti contro l'esistenza della molteplicità -- ne tacciono. Certo
gl’argomenti contro il movimento potevano essere conseguenza di quelli sulla pluralità,
che, portando a dimostrare l'intraducibilità della fisica in termini
logico-matematici, per l'impensabilità del CONTINUO SPAZIALE, portano anche a
rendere impensabile il continuo spazio-temporale su cui si determinano,
definendoli, i punti-geometrici, i cui rapporti di movimento divenivano
rapporti spaziali e, quindi, ancora una volta impensabili o contraddittori. La sua
polemica sembra quindi rivolta sia contro i punti-cose dei primi della setta di
CROTONE (o se si vuole contro la riduzione a numeri interi delle cose da parte
dei primi de quella setta), supponendo i numeri irrazionali, sia contro
l'impossibilità di ridurre le esperienze della vita, della mutevolezza, alla
sfera della ragione e dei numeri, senza perdere in puri nomi quella stessa
vitalità. Le conseguenze della discussione di Zenone di V., tenendo presenti
certe posizioni a lui contemporanee o immediatamente posteriori - lasciando da
parte le implicazioni che vi hanno veduto certi storici, riferendo le sue tesi ad
alcune delle concezioni della matematica e della fisica moderna -- sembrano
potersi indicare nei seguenti punti. L’impossibilità di ridurre la fisica in
termini matematici. La conseguente impossibilità di pensare, e quindi di
definire, sia l'essere come totalità, sia la molteplicità. La consapevolezza
che ogni ricostruzione matematica è valida, in quanto ipotetica e che
altrettanto ipotetica è ogni ricostruzione fisica. Sul piano storico si
determinano cosi. Posizioni diverse, a seconda di quale aspetto della
problematica, impostata da Zenone, viene approfondito. O si insistito sul
continuo giungendo a risolvere e ad annullare i molti (che restano come
determinazioni valide su di UN PIANO PURAMENTE LINGUISTICO) nel continuo stesso,
cioè nell'infinita unità (Melisso).O si è risolto l'uno su di un piano
puramente matematico, per cui l'uno non è nessuno dei punti della serie, né il
pari né il dispari, ma la possibilità dell'uno e dell'altro, e che
nell'opposizione-armonia dà luogo a un'ipotesi logica che spiega un'ipotesi
fisica (CROTONE e TARANTO). O si è assunta l'ipotesi fisica del continuo
divisibile all'infinito in infiniti punti ognuno dei quali, infinito, ha in sé
tutte le infinite possibilità, gl'infiniti semi vitali, onde in ogni punto
tutto è tutto (Anassagora); o si è fatta l'ipotesi che gli infiniti punti,
proprio perché infiniti e quindi escludenti un passaggio dall'uno all'altro
all'infinito costituiscono infiniti limiti, d'onde una infinita serie di
limiti, d'indivisibili (atomi) implicanti nel limite una separazione, cioè un
altro limite come vuoto (Leucippo, che fu discepolo di Zenone di V., e
Democrito). Infine, se da un lato la sua problematica portava a impostare
l'intelligibilità del reale non come afferrante la struttura in sé del reale
stesso, ma come ipotesi o fisica o matematica, dall'altro lato portava, nella
consapevolezza dell'impossibilità logica dell'essere o del divenire, della verità,
a rimanere sul piano dell'opinione e del discorso umani, entro i termini dello
stesso mondo dègl’uomini e dei loro rapporti (Protagora, Gorgia). Grice: “At Oxford, it would
be ridiculous to refer to Occam, the philosopher, as William. Mutatis mutandis,
Parmenides of Velia and Zenone of Velia should be referred to as “Velia.” I propose to call Parmnide VELIA, and Zenone VELINO,
to avoid ambiguity!”. Senone di Velia. Keywords: reductio ad absurdum, alievo
di Parmenide di Velia, scuola di Velia, scuola di Crotone, i veliati, i
veliani, Adorno, velino. Refs.: H. P. Grice, “Zeno’s sophisma;” Luigi Speranza, "Senone e Grice," “Grice e
Zenone” -- The Swimming-Pool Library, Villa Grice, Liguria, Italia. Velino.
Luigi Speranza: Grice
e Velleio: la ragione converazionale a Roma –- l’orto divino -- filosofia
italiana – Luigi Speranza, pel Gruppo di Gioco di H. P. Grice, The
Swimming-Pool Library (Roma).
Filosofo
italiano. L’orto. Used by Cicerone as a representative of L’orto -- on the topic
of the divine in “De natura deorum.” Although a senator, his philosophical
views lead him to steer clear of ‘dirty’ politics. Gaio Velleio. Velleio.
Keywords: Roma antica. Luigi Speranza, for H. P. Grice’s Play-Group, The
Swimming-Pool Library, Villa Speranza. Velleio.
Luigi Speranza: Grice e Venanzio: la
ragione conversazionale e l’implicatura conversazionale dell’estetica – la
scula di Portogruaro – filosofia veneziana – filosofia veneta -- filosofia
italiana – Luigi Speranza, pel Gruppo di Gioco di H. P. Grice, The
Swimming-Pool Library (Portogruaro). Filosofo veneziano. Filosofo veneto. Filosofo
italiano.Portogruaro, Venezia, Veneto. Essential talian philosopher. Filosofo italiano. Dov'e
nato gli e dato a precettore Fortis, prete onesto, né senza ingegno. A' tredici
anni studiò nel patrio seminario belle lettere e filosofia; ed è ben curioso a
pensare, come a quel tempo, che pur anch'esso gloriavasi di civiltà e
cominciava a combattere la tirannia de vecchii errori, non mancasse più d'uno
che con ra-gionamento, meglio specioso che giusto, sentenziasse doversi
apprendere prima filosofia e poscia retorica, perché, innanzi di scrivere, era
debito d'imparare a pensare. Una fedele immagine di quelle scuole ci presenta
lo stesso V. In retorica continue traduzioni dei classici latini, affatto
pedantesche, per non dire meccaniche; della letteratura italiana neppure un
cenno; Dante, Petrarca, Tasso, Ariosto, nomi ignoti; non si prefiggeva allo
scrivere italiano altro modello, che il Cesarotti nei versi, ed il Thomas nella
prosa; onde chi produceva versi più sonanti, o periodi più tronchi, più
smozzicati, più era lodato. In FILOSOFIA, la lettura di qualche TESTO LATINO DI
LOGICA E DI METAFISICA, che poscia si mandava alla memoria senza bene
intenderlo; qualche libamento di fisica; le quattro operazioni fondamentali
dell'aritmetica ed una occhiata al calcolo delle frazioni; le prime
proposizioni d'Euclide; a ciò tutto riducevasi allora il tirocinio
filosofico'». qualche cosa. Il Venanzio abbracciò coll'acutezza dell'ingegno e
con solerte diligenza la filosofia e la giurisprudenza: nella quale fu
addottorato; e fra la gravità degli studii continui, che lo fecero
prematuramente vecchio, fra le publiche cure e l'esemplare affetto alla sua
famiglia può dirsi ch'egli abbia spesa la vita. E fu la sua veramente vita non
vaga di brighe, né di mondano romore, ma quale si conviene a chiunque ami
sinceramente gli studii e voglia rendersi non talso sacerdote del bello. La
natura lo aveva arricchito di tutte le doti che sono richieste al filosofo e al
letterato. V. abbraccia coll'acutezza dell'ingegno e con solerte diligenza la
filosofia e la giurisprudenza: nella quale fu addottorato; e fra la gravità
degli studii continui, che lo fecero prematuramente vecchio, fra le publiche
cure e l'esemplare affetto alla sua famiglia può dirsi ch'egli abbia spesa la
lunga vita. E fu la sua veramente vita non vaga di brighe, né di mondano
romore, ma quale si conviene a chiunque ami sinceramente gli studii e voglia
rendersi non talso sacerdote del bello. La natura lo aveva arricchito di tutte
le doti che sono richieste al filosofo e al letterato. Forza e acume
d'intellet-to, tenace memoria, pronta e fervida fantasia; animo capace di
sentir alto e soave. Tentata, non intelicemente, la lirica e la drammatica, non
tardò a comprendere il grandissimo bisogno che di buoni prosatori, più che di
poeti, aveva l'Italia. E a conseguire il nobilissimo fine stimò necessarii gli
studii estetici; ai quali si siede con largo apparecchio di filosofia e
filologia, apprendendo altresì con volere fermissimo il greco. Onde compose e
pubblica quell'opera, che dall'amore del bello non saprei perché intitolasse
Callofilia me-glio, che Filocalia. Della quale meritamente egli colse a que'
giorni bellissima fama, come di lavoro d'alta natura e di sottili
investiga-zioni, chiaramente e ordinatamente esposte e di certa eleganza e
amenità di stile vestite. Divide la
materia in tre libri. Parla nel primo del bello naturale; e definito essere la
bellezza non una verità, ma un sentimento, dimostra che in tutte le età, in
tutte le condizio-ni, in tutte le sue principali tendenze l'uomo è dominato
dalla forza del principio estetico, e prova sempre il bisogno di porre in
movimento le proprie facoltà vitali. Famiglia, patria, religione, aspetti
naturali, avvenimenti storici d'ogni maniera, tutto agita, tutto commuove,
tutto modifica la sua vita. La storia de popo-li, tanto somigliante alla vita
degl'individui, (poiché questi fanno per giorni ciò che quelli per secoli) ne
fa certi che la brama di senti-re, di pensare, è in tutte le nazioni operosa e
assidua. Ondeché, ristrignendo le osservazioni al bello e alle facoltà
sensitive, pone l'autore che il bello naturale consiste nell'at-titudine che
hanno gli oggetti componenti la universale natura di esercitare
proporzionatamente le facoltà sensitive dell'uomo. Svolge ampiamente e
sottilmente le conseguenze che se ne traggono; e, detto della differenza tra il
vero, il bello e il buono, dimostra come l'accoppiamento del vario coll'uno sia
il necessario generatore della bellezza. E poiché primo bisogno dell'anima
nostra è, che sieno le facoltà convenientemente esercitate, ed è proprio ed
essenziale uffizio della bellezza il soddisfare a questo bisogno, per quanto
spetta alle facoltà sensitive, il Venanzio stabilisce i principii, secondo che
si può conoscere quali tra le passioni abbiano veracemente in sé il pregio
della morale bellezza, e in qual grado e per quali motivi. Di che si fa
manifesto che la morale bellezza, la quale è l'esemplare della vita e la regola
de' costumi, non è un ente speculativo dipendente dai pensamenti e dai capricci
degli uomini, talora dagli errori oscurato, spesso alterato e contraffatto da'
bisogni, dalle vicende, da ogni maniera di malvagità; ma un ente che per le sue
ispirazioni può dirsi reale ed effettivo, reggentesi sul fondamento posto dalla
natura e dettante le leggi sue con una voce, ch'è una in tutti. Per la qual
cosa, essendo la bellezza morale riproduzione della naturale, ne segue che le
stesse norme e condizioni attribuite all'una sieno da attribuire anche
all'altra; onde primieramen-te e solamente la vista e l'udito sono organi della
morale bellezza; della cui molteplice e ordinata varietà d'aspetti egregiamente
discorre V., e ne addita la scala, che una serie di gradi progressivi
d'efficacia e di forza compone. E così procedendo a faticosa e ingegnosa
analisi pon fine al secondo libro.
Materia al terzo è il bello artificiale; obietto precipuo dell'opera.
Quando in un uomo perfettamente costituito la bellezza genera le sue
impressioni, havvi un punto, in cui la sensazione si trasforma in imagine; e
per l'ettetto simultaneo della della imagine sorgono nell'anima gl'impul-si
creatori e le determinazioni della volontà.
Ivi è l'origine della poesia, ch'è nel suo più ampio concetto la
commozione dell'animo eccitato dalla bellezza a operare. Tutte le opere
dell'uomo, nate dalle ispirazioni della bellezza, costituiscono vera e schietta
poesia; ma come non tutte le azioni della vita hanno in sé l'impronta della
bellezza, così alcune sono di lor natura poetiche, e altre non sono. Senza che, varie son le maniere di presentare
le inspirazioni del bello; o cercando nelle forze fisiche e morali, commosse a
splendidi impeti, la via di palesare con fatti la propria commozione; o, in
luogo di fatti, figurando un sentimento vero con mezzi che non son veri. Di qua
l'origine della imitazione; la quale viene l'autore mirabilmente considerando
in tutte le possibili relazioni e in tutte le varietà de fenomeni ch'ella
presenta; né meno maestrevolmente esamina quella parte della poesia, che nella
imitazione è riposta, distinguendo in essa il concetto, la composizione e la
esecuzione. Molto poi sottilmente ragiona del bello ideale, che tanto e
lungamente diede a pensare e discutere. E vinti tutti i sofismi, egli ammette
l'esistenza di questo bello idea-le, che molti pur negano, e n'espone gli
ufficii e ne dimostra i caratteri con assai giuste ragioni ed esempii
autorevoli. Né con minore importanza tralascia di parlare della esecuzione,
punto in cui nascono e si partono le arti imitative, onde l'ingegno rende
manifesti e sensibili i suoi proprii concepimenti. E, o imiti l'artista il
bello naturale per mezzo delle arti del disegno, o il bello morale per quelle
dell'armonia, si troveranno spesso amendue queste parti rannodate fra loro
dall'espressio-ne; santissimo vincolo della bellezza naturale colla bellezza
morale. Appartiene finalmente all'estetica e alla retorica, non meno che alle
pratiche istituzioni additar l'uso de' mezzi materiali, particolari a
ciascun'arte; e insegnare le forme, le figure, i modi acconci ad efficacemente
e nobilmente rappresentare il concetto. In fine conchiude, non essere il bello
argomento di diletto e di piacevoli in-vestigazioni, ma motore principalissimo
della natura morale, dalla quale e impulso e norma e qualità e misura ricevono
le passioni; doversi e per importanza e per dignità agguagliare alla logica;
perocché l'una mira a bene indirizzare la mente; l'altra educa il cuore; questa
segue il lume della verità: quella, della bellez-za; potere insomma e l'etica e
la metafisica e il diritto in generale e l'economia trarre grandissima utilità
dall'amore della bellezza.Carrer. Pietose esequie per lui si celebrarono nella
Basilica di S. Marco, e il dolore apparve su tutti i volti, qual era in tutti i
cuori, solenne e profondo; ed il municipio di Venezia gli decreta sepoltura
propria ed iscrizione monumentale nel comunale cimiterio. Così quella feconda
vita innanzi tempo si spense e la gloria dell'estinto ormai più non dura che
nella memoria delle sue virtù e nella splendida bellezza delle sue opere.
Sventura acerbissima! che priva la patria di un cospicuo decoro e tolse alla
italiana filosofia di cogliere il pieno frutto dei nobili studj di un tanto filosofo,
ed a questo di godere più a lungo, dopo i sofferti infortunj, il meritato
riposo e e ben conseguite ricompense. -- Dal Comentario della vita e delle
opere di Carrer, in Carrer, Poesie (Le Monnier, Firenze). Sulla eccellenza dei
prosatori. Chiunque alle prime origini ed alle rarie vicende della italiana filosofia
volga la mente, scorgerà dì leggieri, che ogni epoca di essa è renduta dalle
altre singolare da pregi non solo segnalati in se stessi, ma eziandio ai
progressi della letteratura medesima in partìcolar modo accomodati; cosicché,
mentre le altre nazioni la maggior loro gloria in un solo secolo ripongono, la nostra
può a giusto diritto di molti egualmente vantarsi. Amore ardentissimo di
patria, zelo di libertà e quel senso squisito del bello che alla prima aurora
della civiltà corse a risvegliare gli animi per lungo sonno inoperosi, mossero
i nostri padri del trecento a fondare la lingua e la letteratura italiana; e
tanta fu la fiamma allora accesa nei petti sdegnosi dell'antica barbarie, che
sursero ad un tratto quei miracoli di sapere e d'ingegno, Dante, Petrarca, e
Boccaccio; ai quali tenne dietro la onorata comitiva dei Villani, dei Cavalca,
dei Passavanti, dei Compagni, e di parecchi illustri Volgarizzatori, dalle cui
scritture la purissima vena discorre dell'italiano favellare. E nella eccelsa carriera, dappertutto, ed
alla testa di tutti si mostra GALILEI; spirito che più che a decoro della sua
patria e del suo secolo parve nato a lume ed a stupore dell'universo. Ch'egli
pensò e previdde come Bacone, ma con alacrità inoltrossi pel sentiero che
quegli aveva soltanto additato; dubitò come Cartesio, ma alle opinioni rivocate
in dubbio non sostituì come quello vane chimere e sognate ipotesi; osservò e
scoprì come Newton; ma la progressione dei tempi riservò al filosofo inglese il
vanto di dare il suo nome al grande sistema per cui l'italiano aveva in gran
parte approntato i materiali. Imperciocchè dopo avere in terra stabilite le
leggi della caduta dei gravi, delle velocità, delle resistenze, delle percosse,
e dopo aver per così dire valutati i corpi in numero, peso e misura, colla
pupilla armata del telescopio da lui forse inventato e certamente perfezionato
speculò arditamente nel cielo, ed ivi con invitta forza stabilì l'impero del
sole ed il nostro mondo gli rese soggetto, vide valli e monti nella luna, vide
di nuove stelle risplendere il firmamento, e Giove che prima per solitaria via
moveva deserto fornì d'astri seguaci, ed il vaghissimo volto di Venere a
seconda dei tempi e delle vicende fece che in vari aspetti ai cupid'occhi si
mostrasse: felice! chè le opere ed i trovati mostrarono quanto in lui vi fosse
di divino, le sole sventure quanto di mortale. Il Dizionario della Crusca è il
solo da cui e precettori e discepoli trar possano norme e soccorsi, serbiamo
con ogni cura intatta la fede e la dignità di questo libro reverendo; e non
feriamone l'autorità coll'arme del ridicolo. Gli alti pensieri, lo stile
acconcio e severo e le scelte ed accresciute parole costituiscono le qualità
distintive delle prose dei buoni scrittori del seicento; per le quali la lingua
italiana giunse in quel secolo ad un vigore e ad un nerbo, che fra le splendide
pompe e le floride eleganze del secolo antecedente non aveva forse saputo
acquistare. A niuno inferiore e superiore a molti è Redi, e sia che il proprio
animo manifesti nella epistolare corrispondenza, sia che della inferma salute
de' suoi ammalati discorra, sia ch'espenga le sue gravissime osservazioni alla
istoria naturale pertinenti, sia che si applichi ad illustrare la patria
favella ed a risolverne le più sottili questioni, dagli altri di lunga mano si
distingue per la spontanea leggiadria con cui le scritture condisce senza
renderle affettate o leziose, per le grazie ingenue e festive di cui le sparge,
pel patrimonio prezioso di schiette e adequate parole di cui le arricchisce,
esoprattutto per certi ritorcimenti e per certe giudiziose piegature con cui
nuovi significati e vaghezza nuova alle voci radicali sa dare. Girolamo Venanzio, Sulla eccellenza dei
prosatori, in Memorie scientifiche e letterarie dell'Ateneo di Treviso, Andreola,
Treviso. Girolamo Venanzio Venanzio. Keywords: filocallia, callofilo, il bello,
l’estetica. Refs.: The H. P. Grice Papers, Bancroft, MS – Luigi Speranza,
“Grice e Venanzio” – The Swimming-Pool Library, Villa Speranza, Liguria. Venanzio.
Luigi Speranza: Grice e Vera: la
ragione conversazionale e l’implicatura conversazionale dell’idealismo italiano
– la scuola d’Amelia – filosofia umbra -- filosofia italiana – Luigi Speranza,
pel Gruppo di Gioco di H. P. Grice, The Swimming-Pool Library (Amelia). Filosofo umbro. Filosofo
italiano. Amelia, Terni, Umbria. Essential Italian philosopher. Senatore del Regno d'Italia. Filosofo italiano. Grice:
“One of my own favourite unpublications is “Absolutes,” which took its
inspiration from a little tract by Vera which was especially influential on
Flaubert, “Il problema dell’assoluto.” Strawson remarked: “it was a boojum, you
see!” Senatore del Regno d'Italia. Compe
i suoi studi alla Sapienza di Roma, terminandoli alla Sorbona di Parigi. Mostra
subito un immenso talento per l'insegnamento, caratterizzato da lucidità di
esposizione e genuino spirito filosofico, reggendo svariate cattedre in città
importanti della Francia e della Svizzera. Il colpo di stato di Napoleone
III lo costrinse a rifugiarsi in Inghilterra a causa delle sue idee eterodosse.
Qui intraprese la stesura in francese dell’“Introduzione alla filosofia” di Hegel. Torna
in Italia, riuscendo a diventare il più geniale e originale comunicatore della
filosofia di Hegel, insegnando storia della filosofia dapprima all'accademia di
Milano, e poi, su invito di SANCTIS (vedi), a Napoli. Continua a intrattenere
scambi fecondi con la Società filosofica di Berlino e con gl’ambienti hegeliani
tedeschi e francesi. Divenne socio nazionale dell'accademia dei lincei. E
suo fedelissimo allievo MARIANO. E durante i suoi studi con Cousin a
Parigi che V. arriva a conoscere la filosofia, risentendo fortemente
dell'hegelismo allora in voga, di cui divenne in Italia promotore indiscusso. Si
deve infatti a V. il risveglio in Italia dell'interesse per la filosofia
idealista ed hegeliana in particolare, anche se egli godette di maggior fortuna
all'estero, mentre ha un influsso molto minore in patria rispetto a quello
esercitato ad esempio dai lavori di SPAVENTA. A differenza di SPAVENTA, infatti,
che reinterpreta la filosofia di Hegel in chiave critica, V. si mantenne
sostanzialmente fedele al dettato ortodosso della dottrina. Nei suoi saggi,
che esaltano la capacità di Hegel nel collegare ogni aspetto della realtà in un
sistema organico, prevale l'attenzione per il problema religioso. V. interpreta
l'idea logica hegeliana in senso trascendente, come il concetto del divino venendo
per questo accostato in certa misura alla destra hegeliana in Germania, sebbene
una tale lettura possa apparire una forzatura. Centrale è il primato
dell'idea, che si articola nella storia come organismo spirituale, e per
attingere la quale occorre trascendere la natura. L'idea esiste bensì anche
nelle piante e neg’animali, ma in maniera incosciente, e nel’imperatore di
Prussia in maniera consciente. Solo nell'essere umano – la persona -- essa
giunge a pensarsi come idea, divenendo in tal modo storia, e rendendo possibile
anche il progresso delle entità collettive di personi che sussistono come una nazione. Finché
una nazione vive nella sfera del suo essere sensibile e animale, essa non si
muove. Essa ripete ogni giorno la stessa vita e gli stessi eventi. Essa prova
sempre gli stessi bisogni. Che se non fosse possibile trascendere questa sfera,
la storia stessa non sarebbe possibile. Queste poche considerazioni ci spingono
adunque a riconoscere con più pieno convincimento che solo l'idea o l'assoluto
è il motore della nazione italiana e dell'umanità, ovvero il principio
determinante della storia” -- “Introduzione alla filosofia della storia” (Monnier,
Firenze). La sua “Introduzione alla filosofia di Hegel” influenza Flaubert
nella stesura di Bouvard e Pécuchet. In Italia invece è stato
determinante per aver stimolato, insieme a SPAVENTA, la nascita dell'idealismo
con CROCE e GENTILE. Il suo saggio filosofico più famoso è “Il problema
dell'assoluto.” Si dedica anche a tematiche giuridiche e politiche su Cavour
con Libera Chiesa in libero Stato, in cui attribuie il ritardo del processo di
rinnovamento liberale in Italia alla mancanza, durante il suo rinascimento, di
una riforma luterana come quella d'oltralpe. Tesi in latino: “Platonis,
Aristotelis et Hegelii: de medio termino doctrina. Quaestio philosophica”. Saggi:
“Amore e filosofia: orazione inaugurale nel solenne riaprimento dell'accademia
(Milano); “La pena di morte” (Napoli); “Prolusioni alla storia della filosofia
e alla filosofia della storia” (Napoli); “Ricerche sulla scienza speculativa e
sperimentale” (Napoli); “La filosofia della storia” (Firenze); “Cavour e libera
Chiesa in libero Stato” (Napoli); “Problema dell'assoluto” (Napoli); “Platone e
l'immortalità dell'anima” (Napoli); “Saggi filosofici” (Napoli). Cavaliere
dell'Ordine dei Santi Maurizio e Lazzaro nastrino per uniforme ordinaria. Cavaliere
dell'Ordine dei Santi Maurizio e Lazzaro. Enciclopedia Italiana. V., su treccani.
La Civiltà cattolica, Firenze, libraio L. Manuelli. Sträter osserva in
proposito che V. sembra la degna riproduzione italo-francese di quel tipo a cui
in Germania usiamo dare il nome di hegeliani o anche di ortodossi di stretta
osservanz -- cit. in Tortora, Le filosofie italiane, de "Le filosofie contemporanee",
Università degli Studi Federico II di Napoli. La rinascita hegeliana a Napoli,
su eleaml. altervista.o. Lezioni di V.,
raccolte e pubblicate con l'approvazione dell'autore da Mariano, Monnier,
Firenze, Revue Flaubert, L'escatologia pitagorica nella tradizione occidentale,
su rito simbolico. Cotroneo, Filosofia e storiografia, Rubbettino, Mariano,
Introduzione alla filosofia della storia. Lezioni di V. raccolte e pubblicate
con l'approvazione dell'autore da Mariano (Firenze, Monnier). Gentile, V. e
l'ortodossismo hegeliano, in Le origini della filosofia contemporanea in Italia, Messina, Enciclopedia Italiana, Roma,
Istituto dell'Enciclopedia Italiana Treccani, PLEBE, Spaventa e V., Torino,
Edizioni di Filosofia, Oldrini, “Gli hegeliani di Napoli. V. e la corrente
ortodossa” (Milano, Feltrinelli); Cricelli, V. e la filosofia hegeliana, Il
Testo. Treccani Enciclopedie, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. V., Enciclopedia Italiana, Istituto
dell'Enciclopedia Italiana. V., Senatori d'Italia, Senato della Repubblica. Vita
e opere di V., su malerba. Introduzione alla filosofia della storia. Lezioni di
V. raccolte e pubblicate con l'approvazione dell'autore da Mariano (Firenze
Monnier). Gatti, per far meglio conoscere ai lettori della sua Rivista
napoletana Augusto V., il pensatore illustre che insegnava già da due anni
nell'Università di Napoli, ma non pare godesse la riputa-zione e la simpatia di
altri professori aderenti alla stessa scuola filosofica e assai men noti fuori
d'Italia, pubblicava due inediti frammenti di filosofia hegeliana del V.:
e si accingeva quindi a voltare in italiano e a divulgare in elegante
o puscolo una discussione dell'empirismo inglese, dall'autore già
pubblicata a Londra nel 1856 %. Gli pareva che le questioni toccatevi
fossero cosi fondamentali e riguardassero cosi da vicino l'essenza stessa del
sapere filosofico da poter giovare all'Italia non meno che all'Inghilterra,
aiutando gli studi nostri ad orientarsi verso un concetto esatto della
filosofia come scienza dell'assoluto, da conseguire con un metodo adeguato al
suo oggetto, ossia parimenti assoluto: che era la tesi propugnata dal V. dal
punto di vista dello hegelismo, che è a come a dire l'ultima parola della
scienza». Giac-ché la reazione sorta in Germania, in quegli anni, contro questa
filosofia, era, agli occhi del nostro Gatti, fallita, non essendo riuscita ad
opporre allo hegelismo e un altro sistema della medesima comprensione, il quale
abbia potuto come quello impadronirsi di tutto il sapere e penetrarne tutte le
parti». E intanto il Gatti vedeva che non c'era campo di studi che il pensiero
hegeliano non avesse fecondato, « e le scienze naturali e le filologiche e le
istoriche son tutte piene del suo spirito. Prova indu-bitata che quel sistema
rappresenta la general maniera di pensare e le esigenze del pensiero
contemporaneo e che ha le sue radici, come ogni altra filosofia le ha avute,
nelle intime condizioni dello spirito stesso del secolo», Le proteste
individuali erano state sopraffatte dall'energia del pensiero; e lo spirito della
filosofia combattuta aveva, senza che essi lo sapessero, soggiogato i suoi
stessi avver-sari, « riducendoli, quasi direi, a muoversi nella sua atmo-sfera,
a respirarne l'aria, a guardare attraverso di essa le cose e i fatti e le loro
relazioni e trasformazioni ». Questa filosofia con sforzi perseveranti e
con ricchezza non comune di sapere V. s'era studiato di diffondere, di renderla
accessibile al maggior numero in Francia, «d' inocularla colle sue genuine
fattezze in Italia » e d'ini-ziarvi anche l'Inghilterra. Di questa vasta
filosofia il Gatti non conosceva « né più intero interprete, né più ardente
propagatore, né più libero e insieme più fedel seguace; e ne tesseva l'elogio
con evidente intenzione di contrapporlo a un altro interprete della stessa
filosofia, che insegnava allora nella Università di Napoli accanto al V., e che
molti pel rigore e la profondità del pensiero come pel libero atteggiamento
verso l'autore del sistema propendevano a mettere al di sopra del V.. « Con una
conoscenza profonda del sistema che ha accettato, con una persuasione intima
che fuori di quello non sia salvezza per la filosofia, V. è lontano da quella
pedan-teria che fa consistere la profondità o la sostanza di un sistema in
certe astruserie di formole, le quali spesso perdono il significato passando di
una lingua in un'altra. Né meno è lontano da quella affettazione d' indipendenza
per la quale i discepoli più pedissequi si credono talora ambiziosamente
obbligati a cercare un punto in cui si possano mostrare in disaccordo col
maestro». Dove par di udire l'eco di certi giudizi privati dello stesso V.,
che, come vedremo, fu di proposito e per forza il più ortodosso degli
hegeliani. Non v'ha dubbio d'altronde che egli, in perfetto accordo col Gatti,
fosse convinto che la sua perfetta ortodossia non stesse per nulla a scapito
della sua originalità: « Francamente e compiutamente hegeliano ha invece tutta
quell'aria di originalità che viene dall'intera padronanza di una dottrina
divenuta propria x 1. 2. Pure
questo franco e compiuto hegeliano, questo geniale e originale espositore di
Hegel in un paese cosi ben preparato a ricevere un insegnamento di filosofia
hegeliana, come forse nessun altro in Europa, insegnò a Napoli per circa un
quarto di secolo senza quasi lasciarvi traccia della sua opera. E il suo nome,
se vivo ancora in Francia e altrove come quello del traduttore francese dell'
Enciclopedia e di parte della Filosofia della religione di Hegel, è presso che
dimenticato in Italia, dove Hegel ora si può leggere in traduzioni italiane
migliori e s'è spenta la fievole eco de suoi scritti. Il discepolo, l'unico
discepolo del V., fu Raffaele Mariano che, a furia di dilucidare in prolisse
elucubrazioni quei profondi concetti che gli pareva d'aver imparato a intendere
alla scuoladel suo maestro, fini col non raccapezzarne più nulla 1. E
anche lui non mancò mai di fare le proteste del Gatti intorno all'originalità
del maestro, sciogliendole bensi nel suo stile lungo e nella sua più libera
logica. La mente dell' Hegel, disse egli, una volta, tessendo l'elogio
del V., «appunto per la novità, e ancora più per la vastità sintetica ed
organica, era apparsa pressoché impene-trabile. Non solo fuori della Germania,
ma quivi stesso la forma astrusa ed inviluppata aveva fatto intoppo agli
stessi discepoli immediati di lui, i quali in molti, e forse nei punti più
essenziali, non giunsero ad affer-rarla». Ma quel che non giunsero ad afferrare
gli scolari immediati, l'afferrò, miracolosamente, V., che mai non vide l' Hegel;
e con sapiente accorgimento poté comunicarlo a chiunque poi ne avesse voglia. *
A renderla universalmente accessibile e intelligibile, era necessario spezzarne
il rigido involucro formalistico, schiuderne e rivelarne lo spirito e le intime
e recondite potenze. E tale è lo scopo a cui V. ha mirato». Egli non
riprodusse, non ripeté le cose da colui insegnate; ma vi aggiunse la
spontaneità ed originalità del proprio pensiero ». Come si possa aggiungere
alle cose un'originalità e spontaneità di pensiero, lasciando le cose quelle
cose che erano, il Mariano naturalmente non può dirci se non ripetendo, alla
sua volta, la metafora del viluppo formalistico che V. spezzò, per assicurarci
che « passando attraverso la mente di lui, l' Hegel esce rifatto, rinnovato,
compiuto; non è più l'Hegel, che, nel primo intuire e manifestare i suoi nuovi
e profondi concetti rimane incompreso e riesce in molta parte incomprensibile;
ma è l' Hegel che, a dir così, s'è ripiegato sopra di sé, è ritornato
suiconcetti suoi, e, pel ripetuto lavorio riflessivo e cogita-tivo, vi ha
acquistato consapevolezza perspicua e piena ». L'originalità non consiste
« nell'avere e nel propalare una dottrina di nostro capo». La dottrina del V. è
quella di Hegel: tal quale. Ma l'essenziale dell'originalità consiste, a
giudizio del Mariano, nel contribuire a mantener viva, svolgendola ed
allargandola, la tradizione filosofica (anzi «la continuità» di questa
tradizione): consiste nel concorrere « a spingere, a condurre il pensiero
e la ragione ad una più intima, ad una più consapevole comprensione di sé e
dell'universo». O che volete che V. inventasse? L'invenzione non è affar della
filosofia (ciò che proverebbe troppo, perché bisognerebbe allora indurne o che
Hegel non ha trovato nulla di nuovo, o che quel che ha trovato, non ha che fare
con la filosofia). « Più dell'escogitare e porre nuove questioni, vale a
gran pezza il dare alle antiche questioni soluzioni soluzioni più adeguate, più
determinate e concrete che penetrino più addentro nella natura di quelle»*
In- somma, V. fu più originale di Hegel! 3. - Ma se l'originalità è
stata per solito messa in dubbio, la fedeltà, invece, agl' insegnamenti dell'
Hegel, la schiettezza e rigorosità dell' hegelismo da lui professato sono state
sempre riconosciute universalmente; e perfino hegeliani tedeschi come il
Rosenkranz lo proclamarono tra i più autorevoli e felici interpreti della
dottrinaOnde spesso nei paesi di lingua latina è accaduto che detti e modi del V.
passassero per detti e modi di Hegel, e che i più trovassero comodo di cercare
l'immagine del filosofo tedesco nel suo traduttore e manipolatore
italo-francese, fattosi l'apostolo ispirato e il privilegiato maestro del suo
verbot. Hegel e V. furono per molti anni due nomi inseparabili. Lo stesso V.,
rinato nello spirito hegeliano, non serbò quasi più nessuna memoria della sua
vita precedente e dovette finire col persuadersi di non essere mai stato altro
che illuminato da quella su-periore luce, che fu per lui l'hegelismo. Non pare
che il suo scolaro e intimo amico, che se ne fece biografo, cono- scesse
direttamente i primi scritti di lui; né si può spie-gare se non come un'eco di
conversazioni dello stesso V. quel che racconta dell'esame pel dottorato
sostenuto dal V. alla Sorbona: dove gia egli si sarebbe presentato,
nel 1845, paladino dell'idealismo assoluto. Fu questo il momento,
racconta il Mariano, in cui gli screzi già latenti tra lui e il Cousin si
fecero mani-festi. L'appoggio da costui prestatogli non era valso a far velo
alla mente del V.. Le dottrine e un po' anche il carattere, tutt'altro
che schietto e sincero, dell'uomo gli avevano ispirato sin dal principio forte
ripugnanza. Ora che nella filosofia di Hegel s'era addentrato e ne aveva
misurato davvero l'intimo e profondo valore,gli faceva sopra tutto nausea la
guerra sleale da colui mossale, dopo averla sfruttata». Guerra che avrebbe
fatto tremare un candidato meno del V. coraggiosamente risoluto a scendere in
campo per le proprie idee. Questi invece, irremovibile nelle sue
convinzioni, deciso ad affermate a viso aperto, facendo tacere considerazioni e
rispetti umani e mondani, quella che egli reputava la verità, non esitò un
istante a presentare due tesi pel dottorato, il Problème de la certitude e il
Pla-tonis, Aristotelis et Hegeli de medio termino doctrina, delle quali il
Cousin non voleva affatto sentir parlare.. Fortuna che, se il Cousin fu
fieramente avverso (argo-mentando, ci assicura il Mariano, contro quelle tesi a
in modo poco degno, nonché per un filosofo, ma per un uomo serio*), tutti gli
altri membri della commissione furono unanimi nel dire che « da un pezzo alla
Sorbona non s'era avuto un esame si splendido»; e uno di essi, il
Saint-Marc-Girardin, « discutendo sull'essere e non essere, fece una specie di
professione di fede hegeliana i con grande sorpresa del Saisset che lo sapeva
solito ad andare a messa tutte le domeniche. Ma il Mariano lascia credere che
dopo quell'esame si sarebbe voltata in Francia pel V. la ruota della Fortuna,
che vi aveva percorso piuttosto rapidamente la carriera
dell'insegnamento. Sicché il filosofo italiano avrebbe incominciato fin
d'al-lora, a proprie spese, il suo apostolato, durato fin presso alla morte,
incoltagli nella solitudine e nell'abbandono, a Napoli, in mezzo alla quasi
indifferenza d'una nazione incapace d'apprezzare l'alto valore scientifico e
morale della dottrina e dell'uomo che se n'era fatto campione.imparare da
giovinetto l'inglese. Compiuti gli studi letterari nei seminari di Amelia,
Spello, Todi, era passato a studiar leggi nella Università di Roma; ma non pare
venisse a capo di nulla. E nell'inverno 1835 cedé agl' inviti d'un suo parente,
archeologo e antiquario, che dimorava in Francia; e si recò a Parigi. Dove
conobbe alcuni scrittori illustri; frequentò la Sorbona; e il 1837 poté
ottenere il posto d'insegnante di latino e letteratura francese nell'Istituto
di Hofwyl, presso Berna, diretto dal Fellenberg, discepolo del Pestalozzi. Vi
rimase un anno, e vi studio il tedesco e la filosofia germanica, specialmente
Kant; ma alla fine di quell'anno gli convenne dimettersi a causa delle sue
opinioni religiose non cosi rigidamente cristiane come le avrebbe volute il
direttore dell'Istituto, quantunque V. allora riconoscesse la divinità di
Cristo. Passò in un altro istituto, a Champel, vicino a Ginevra 1; e vi
comincio a insegnareanche filosofia. A Champel un suo collega hegeliano
l'introdusse nella conoscenza della filosofia di Hegel. Ma nel 1839 era
tornato a Parigi, dove il Cousin cono-sciutolo e avuto con lui un colloquio
intorno alle condizioni degli studi filosofici, gli avrebbe chiesto:
Voules-vous vous enrôler sous ma bannière? E di li a pochi giorni gli avrebbe
recato a casa egli stesso il diploma di professore di filosofia nel collegio
comunale di Mont-de-Marsan, L'anno dopo Cousin, ministro dell'istruzione, lo
promoveva a Tolone. Donde V., che intanto s'era fornito dei necessari gradi
accademici, era nel 43 trasferito a Lilla. Di qui nel novembre 1845 a Limoges:
dove rimase fin al 48, quando per un anno suppli il Franck in un liceo di
Parigi. Da Limoges nell'aprile 49 passò a Rouen, e quindi nel settembre 1850 a
Strasburgo. Che fu l'ultima tappa del suo insegnamento in Francia. Dopo il
colpo di Stato, non si sa perché, lasciò questa sua seconda patria; e si recò
in Inghilterra. Dove sperò da principio di ottenere una cattedra filosofica
nell'Università di Londra; ma dovette contentarsi di vivere de' magri proventi
di conferenze private e lavori letterari. Torno in Italia, e Mamiani lo nomina
alla cattedra di Storia della filosofia nell'Accademia scientifico-letteraria
di Milano; donde il ministro Sanctis lo tramuta, insieme con Spaventa, a Napoli.
E qui rimase tutto il resto della vita. Quandera a Tolone nel maggio 1843,
secondo il Mariano, egli avrebbe pubblicato nella Revue du Lyon- nais «il
suo primo scritto filosofico»: Philosophie alle-mande: Doctrine de Hégel, che
dovette essere un breve articolo informativo. " Rapido schizzo», e'
informa lo stesso Mariano, « della filosofia germanica da Kant ad Hegel
»: e continua: Certo, come primo scritto, si risente dell' insufficienza
degli studi. Il pensiero non vi è per anco profondo né appieno sicuro e maturo:
pure, er ungue leonem: ci è uno sguardo a dir cosi fatidico sulla seconda
maniera della filosofia di Schelling, che allora insegnava a Berlino. Quel che
essa propriamente fosse, V. non mostra saperlo in modo chiaro e preciso; e,
nondimeno, in una nota osserva che non potrebbe aggiungere nulla di nuovo al
pensiero filosofico tedesco, il quale con Hegel aveva toccato al più alto punto
di svolgimento, e che con le sue nuove speculazioni lo Schelling. lungi
di accrescersi gloria, se la sarebbe diminuita 1 Checché ne sia di
questo scritto (che io non ho potuto vedere), a leggere il giudizio che del
sistema di Hegel V. faceva anche due anni dopo, si stenta a credere che questo
sistema potesse nel '43 esser detto da lui il più alto punto di svolgimento
della speculazione germa-nica. Certo, non fu quello il primo scritto di
carattere filosofico pubblicato dal V.. Nel Museo scientifico, letterario ed
artistico, che si pubblicava a Torino sotto la direzione del poeta estemporaneo
Luigi Cicconi (che V. conobbe in Francia e fu da lui presentato a Mme Louise
Colet, presso la quale ebbe frequente occasione d'incontrarsi col Cousin) 3,
egli aveva già inserito il 16 febbraio 1839 un articolo sulla Filosofia della
storiadel Ballanche, annunziando il proposito di « scrivere alcun cenno sui più
famosi sistemi che governano il movimento delle idee de tempi nostri, in
Francia e in Ale-magna, al fine di « spargere in Italia alcun soffio della vita
intellettuale che si vive», egli diceva, al di qua de' monti». Egli avrebbe
fatto soltanto la parte dell'espo-sitore, lasciando al lettore quella del
critico e riserbandosi intatta la propria opinione. Ma non cela le sue idee a
tal punto da non lasciare scorgere che il Ballanche, che fu uno dei primi
scrittori francesi che egli personalmente conobbe e coi quali strinse relazioni
amichevoli, un forte influsso aveva esercitato sulla sua mente giovanile, Per
spiegare infatti il vivo interesse cosi largamente diffuso nel periodo della
restaurazione per gli studi di filosofia della storia, V. rappresenta coi
colori proprii dei tradizionalisti cattolici del tempo il senso di sgomento
onde fu presa la società in seguito all'opera demolitrice delle dottrine del
sec. XVIII. Le quali avevano distrutto, anche secondo il giovane scrittore
umbro, « l'edificio sociale, senza poterlo ristorare. e abbandonata
«l'umanità come perduta in una vasta solitudine senza religione, senza costumi,
senza leggi ». Il turbine della rivoluzione, dopo aver solcato il suolo
di Francia e dell'Europa, dopo aver scosso e scompaginato i troni e gli altari,
e offerto dappertutto olocausti di sangue umano colpevole e innocente, andava a
spegnersi sulle spiaggie lontane e deserte dell'Africa. La ragione gemette
allora sui suoi travia-menti, gittò uno sguardo pieno d'ansia e di dolore sul
passato e sul terribile avvenire, e non vide ovunque che ruite, nazioniin aspro
travaglio, credenze affievolite o spente, l'uomo avvolto nel fango del senso,
dimentico di sé, di Dio e dell'alto fine a cui è creato. Ma in mezzo a questo
trambusto d'opinioni.... vi furono degli uomini generosi e santi, che
custodirono puro ed intatto il sacro deposito della verità e della scienza, e
lo condussero a salvamento a traverso gli incendi e le ruine, e lo mostrarono
qual segno di salute all' Europa attonita e sfiduciata. Si nobile officio
adempirono l'illustre autore del Genio del Cristianesimo, il conte De Maistre,
De Bonald e Ballanche. Dopo la Rivoluzione, la società dovette pensare al
proprio avvenire per rialzare quanto era stato demolito; e per questo bisogno
sarebbe sorta questa profonda riflessione di tanti pensatori sull'andamento
delle cose umane e sulle leggi che governano il corso della storia. *Noi
rigettiamo a tutta possa le dottrine del XVIII se-colo, e gli effetti che ne
sono derivati. Saremmo però ingiusti e irragionevoli se ricusassimo loro il
beneficio di aver risvegliato una novella energia nella società ». Anche nel
1839 dunque dopo la prima conoscenza dell' hege-lismo fatta già in Svizzera,
egli era dominato dallo spirito tradizionalista e aspirava anche lui alla
ristaurazione nella religione; e se inneggiava alla novella energia della
ragione risvegliatasi in Francia e in Germania, (e doveva ignorare quel che
intanto, più profondamente, aveva fatto in Italia il Rosmini, e già
s'apprestava a fare con maggior forza il Gioberti), questa energia non gli
appariva ancora nella forma più possente dell'idealismo assoluto; quantunque
gli studi che in quel torno continuava sugli scrittori tedeschi gli facessero
intravvedere di là dal Reno una gran luce nuova. Caratteristico, sotto
questo riguardo, l'esordio di un articolo su Koerner pubblicato nello stesso
giornale, nell'aprile dell'anno dopo. In esso, ricordata la Germania di Tacito,
scritta con la speranza che al paragone i concittadini avrebbero provato onta
della propria degradazione e si sarebbero indotti a ristorare le vecchie e
cadenti istituzioni della patria, protestava:Io non ho né la forte penna, né
l'autorità dell'austero patrizio di Roma, ma ho ugual affetto pel mio paese,
ugual sentimento della grandezza e dignità dell'uomo, e mi stimerei ben
fortunato se questi scritti invogliassero i miei concittadini a comprendere e
studiar il movimento della scienza e letteratura tedesca. Allorché Tacito
scrivea, era ben lungi dal prevedere ciò che segui. Il settentrione fece
irruzione sul mezzodi, e il giovin sangue germano scese a rinvigorire le razze
vecchie e spossate degl' itali. Ora l'umanità è più ricca d'esperienza e
di previsione; e chi può e sa esaminare lo stato della società e della scienza,
vede chiaramente che avvenimenti analoghi si preparano; ma ora i popoli non si
rinnovellano per dir cosi fisicamente, per mezzo d'emigrazione e di grandi
catastrofi, ma spiritualmente. per virtù e commercio delle idee e della
scienza. E questa si e una delle più grandi, e forse la più gran differenza tra
il vecchio e il nuovo mondo. Idea non mantenuta poi interamente, dopo che
ebbe meglio conosciuto Hegel; ma che già era attinta a quella stessa corrente
del romanticismo tedesco, da cui era sorto il pensiero hegeliano, e che, meglio
determinata più tardi in conformità delle opinioni espresse da Hegel, segnatamente
nella Filosofia della storia, resterà uno degli articoli più saldi del credo di
V.. Gli articoli, che tra il 40 e il '45 dovette venite scrivendo in vari
giornali, da lui stesso poi dimenticati (o rifiutati), ci aiuterebbero forse a
illuminare questo periodo di formazione della sua mente, e a determinare quindi
meglio il carattere del suo posteriore sviluppo. Ma siamo costretti a
saltare alla tesi francese e alla tesi latina del 45, che lo stesso V. citò
sempre nelle sue opere degli anni più tardi come contenenti dottrine
hege-liane; e invece serbano alla nostra curiosità la inaspet-tata scoperta di
un V. (del più vecchio V., non destinato presumibilmente a sparire del tutto
nel nuovo !) antihegeliano. V. antihegeliano! Si direbbe una contradictio
in adiecto. Eppure in questi due scritti V. non solo combatte Hegel, dandogli
battaglia sul terreno stesso della sua logica, e come nella piazza forte della
sua dot-trina; ma si inspira a tutta una concezione recisamente avversa allo
spirito hegeliano. Ci sia permesso di studiare con qualche cura
questo V. antihegeliano, nella speranza che la conoscenza di esso ci
giovi ad intendere meglio V. di dopo, e fors'anco a darci la soluzione di quel
problema storico, in cui ci siamo di sopra incontrati: di un cosi poderoso
hegeliano, che per molti anni insegnò e scrisse liberamente con l'autorità di
un ufficio universalmente tenuto in grande estimazione e reverenza, e in un
paese già pregno di spirito hegeliano, senza lasciar quasi nessuna
traccia dell'opera propria. Sedici pagine della tesi francese 1
contengono una rapida esposizione e una critica dei principii fondamentali della
logica hegeliana; ma delle sedici, l'esposizione ne ha sole quattro. Dove si
dice che, secondo Hegel, l'essere e la conoscenza, l'esistenza e la verità
fanno uno: sono due forme d'una stessa unità, percorrono gli stessi gradi, si
sviluppano e finiscono simultaneamente. L'essenza delle cose è la ragione, e la
ragione è il pensiero puro, perché il pensiero non ha altro oggetto che se
stesso, cioè la nozione o l'idea. Porre con un processo d'analisi ciò che è
essenzialmente contenuto nell'idea, sviluppare L'idea sotto tutte le sue
forme, seguirla e, per cosi dire,ritrovarla ne' diversi gradi dell'esistenza,
questo il compito della filosofia. Ed ecco spuntare un' interpretazione dello
hegelismo, che si può certamente difendere sotto il riguardo storico, ma che
può anche condurre a una radicale falsificazione del significato storico di
questa filosofia. Giacché altro è dire che l'essere e la conoscenza, il reale e
l'idea sono uno, altro che siano due forme, due facce di un'unità, tra loro
perfettamente parallele. Nel primo caso siamo sulla via dell'idealismo
assoluto; e nel secondo siamo nello spinozismo e potremmo finire addirittura
nel platonismo accentuando, come fa V., l'organismo dell'idea come unico
oggetto della filosofia. L'idea, secondo V., è da prima, nel suo stato
astratto e assoluto, separata da ogni esistenza concreta e da ogni oggetto.
Come tale si sviluppa in una serie di termini, il cui insieme costituisce la
logica. Questo sviluppo ha luogo in virtù d'un movimento proprio e interno alla
stessa Idea, prodotto dalla dialettica dell'Idea, ossia da una necessità
inerente a questa, per cui l'Idea si nega e passa nel suo contrario, e annulla
quindi l'opposizione in un terzo termine che ci dà l'unità e la conciliazione
dei due primi. Con questo processo l'Idea attraversa tutte le forme logiche
fino all'ultima, che è l'Idea asso-luta: con la quale si compie la logica che è
«l' Idea allo stato astratto», ossia: una realtà, una forza infinita, ma una
realtà, una forza che ignora se stessa ». Essa deve realizzare l'idea della sua
infinità, deve acquistare la coscienza di sé: deve, per dir cosi, manifestarsi
a se medesima, ponendo un oggetto alla propria attività .. Evidentemente,
qui V. concepisce il passaggio dall'Idea alla Natura, o dall'astratto, com'egli
dice, all'esi- stenza, come un'aggiunta anzi che come uno
sviluppo. L'oggetto che l'Idea si dà nella natura, non par che ei lo
concepisca come la stessa Idea. E vero,
che chiarendo poi l'antinomia di Logica e Natura, dice: «l'Idée, DEVENUE
NATURE, se sépare en quelque sorte d'elle même»; ma, poco dopo, definisce lo
Spirito (il tetzo termine in cui concilia Logica e Natura) «un idéal où l'Idée
a acquis la conscience d'elle même, où, APRÈS AVOIR, pour ainsi dire, FAÇONNÉ
SON OBJET el s'être retrouvée en lui, elle rentre dans son absolue antén.
Ma, e questo è più notevole, pel V., lo Spirito, come mediatore
dell'Idea logica e della Natura, non è, logi-camente, dopo la Natura; bensi
nella stessa Natura, quantunque non vi si possa realizzare. V' è dentro, ed
esso (come finalità) la muove da dentro. Onde la triade vien capovolta. Non è
la dialettica dell'Idea che crea il mondo. La dialettica dell'Idea hegeliana,
al pari della pigra dialettica delle idee platoniche, non genera nulla, non
vive, non si muove. « L'Idée ne devient
pas, à pro-prement parler; car elle est éternelle et infinie.. E
lo Spirito farebbe proprio le parti del demiurgo del Timeo. * Son oeurre consiste à faire descendre l'Idée dans la
Nature, et puis à vamener la Nature à l'Idée par un acte pur et simple de la
pensée». E cosi col divenire dello Spirito l'Idea spiegherebbe tutta la
ricchezza delle sue forme, penetrando nella Natura ed entrando in possesso
della sua esistenza assoluta. Per se stessa, adunque, la Logica potrebbe
restare un arsenale di armi arrugginite. Ma non è meraviglia se qui V.
non penetrasse nell'intimo del sistema hegeliano, poiché protestava che esso
«donne lieu à des graves objections», pur giudicandolo una delle più vaste e
profonde concezioni della filosofia moderna. I due elementi, egli notava, di
questo sistema, sono 1' Idea e il movimento dialettico, Gravi difficoltà
s'affollano intorno ad entrambi. L'Idea è da principio essere puro, che trova
la sua negazione nel puro niente, e la conciliazione con questo nel divenire.
Ma, dice il futuro hegeliano: è proprio vero che l'essere puro contiene il
niente? «L'essere puro, dice Hegel, richiama [appelle)il niente, perché non c'è
in esso nessun segno, nessun carattere, e niente si può pensare né affermare di
esso ». Questa spiegazione dell'identità essere - niente più tardi
apparirà anche a lui ineccepibile: qui invece non riesce a rendersene conto.
L'essere, egli dice, o è, o non è. Se non è, allora tanto vale cominciare dal
niente, quanto dall'essere. Se è, ci sarà soltanto l'essere, e non si vedrà il
suo contrario. Così, in due parole, la prima proposizione della Logica è
bella e spacciata. Non monta che Hegel inviti a considerare che proprio lo
stesso concetto dell'essere che è, puramente e semplicemente, s' identifica col
non-essere, da se medesimo (e che insomma richiami l'attenzione sulla
impossibilità di tener separati i due concetti di essere e non-essere). V. non
sa vedere altro essere che l'essere di Parmenide (l'idea stessa platonica): e
però sentenzia che «l'idea del niente è qui aggiunta all'essere da un pensiero
finito, anzi che esser dedotta dall'analisi pura dell'idea stessa dell'essere».
E così anche V., almeno qui, resta tra le corna di quello stesso dilemma, in
cui si impiglio, come vedemmo, il Passerini *. E come era da prevedere, non
riesce quindi a capacitarsi del terzo termine della triade: il divenire. Questo
termine non si può, egli dice, dedurre legittimamente dai primi due.
Infatti, se di fronte all'essere puro c'è il puro niente, il niente annullerà l'essere,
e non ci sarà punto divenire. Inoltre: di ciò che diviene si può dire che i o
che non è, ma non che è e non è a un tempo; perché, se ciò che diviene è
realmente a un dato momento del suo divenire, non si potrà dire di esso se non
che ¿, e il niente sarà avanti o dopo di esso. Che se al contrario si
concepisce ciò che diviene come tale che in ogni momento del suo divenire non
sia, tutto quello che se ne potrà dire, è che non i, e non che diviene. Ancora:
da quale dei due termini il divenire è dedotto? O dall'essere o dal niente
divisi, o dall'esseree dal niente congiunti. Ma non può esser dedotto dal
niente, perché il niente, non essendo, non può divenire. Né dall'essere, perché
l'essere è, e non diviene. Né dall'essere e dal niente presi insieme, perché,
quel che non possono separati, non potranno neppure congiunti. E del resto, chi
li congiunge? il divenire ? ma allora il divenire non sarà dedotto dalla loro
combinazione. Ovvero sono riuniti prima di divenire? ma allora non si
vede più quale sia l'ufficio [le vôle] del divenire. Sofismi dello stesso
genere di quelli di Zenone, di Gor-gia, dei Megarici; e che avevano un
grandissimo valore quando la logica era la logica degli Eleati, dell'essere che
non può essere altro che essere: la logica che con Platone e Aristotele si
fisso e s' irrigidi come logica dell'idea astratta; ma che dopo Hegel giova
conoscere soltanto come documento dell'educazione mentale del V. trentaduenne,
indugiantesi tuttavia agli antipodi della nuova concezione dialettica
hegeliana. Procedendo, l'oscurità si addensa, com'è ovvio, al passaggio
dalla Idea logica alla Natura. « Questo passaggio non è spiegato». Si dice che
l'Idea nella natura si dà l'oggetto, per conoscersi poi nello spirito. Dunque,
nella logica non si conosce. E come da questa idea senza oggetto e ignara di sé
può ricavarsi la realtà e la cono-scenza? E se non ha un oggetto in cui
conoscersi, come va che la meta di tutto lo sviluppo è la conoscenza appunto
dell'Idea nella sua pura idealità logica? - Voi volete dedurre da questa Idea
logica la natura e lo spirito. Ma, quantunque sia difficile vedere come
si possa, con una deduzione pura l'intervento dell'esperienza,
cavare l'idea della natura dall'idea logica, ad ogni modo non si potrà
tirare altro da un essere logico che un essete egualmente logico: e cosi non si
avrà più una natura reale, ma una natura ideale: non si avrà esseri
organizzati, qualità e una materia concrete, ma esseri organizzati, qualità e
una materia astratte. E in fine sarà sempre l'Idea logica. Solamente,
I'Idea-natura espri- merá altra cosa dell'Idea-logica, ma, in quanto
Idea,non ci sarà tra loro nessuna differenza. E lo stesso si dica dello
spirito, Giacché, con una simile deduzione, si avrà uno spirito ideale e non
uno spirito reale e personale. Obbiezioni, senza dubbio, tutt'altro che
lievi, ma che provano appunto che egli aveva inteso la dottrina di Hegel come
una nuova edizione non corretta, in verità, né riveduta della platonica: l'Idea
fuori del mondo, e non come lo stesso principio interno e assoluto del mondo.
La Idea hegeliana, non essendo natura né spi-rito, è astratta, pel V., e cioè
non reale. E invece per Hegel è la stessa realtà. Onde lo sforzo maggiore che
egli dovrà fare per entrare nell' hegelismo, e quasi la breccia che gli dovrà
aprire il varco per introdursi in questa filosofia, consisterà proprio in
questo punto: d'intendere l'idea come realtà, e fin da principio l'es-sere, non
come l'idea dell'essere, ma l'essere dell'Idea. Quanto allo Spirito, ci
sono altre gravi ripu-gnanze, O l'Idea, egli dice, pensa fin da principio,
nello stato d'Idea logica, o pensa quando diviene Spirito. Ma nel primo
caso l'edifizio hegeliano crolla; ed Hegel infatti esclude questa alternativa.
Per pensare, adunque, deve farsi Spirito. E allora o la facoltà di pensare
c'era nell'Idea fin da principio, o le si viene ad aggiungere quando si
trasforma in Spirito, Ma, se l'Idea come tale avesse già la facoltà di pensare,
non potrebbe non pensarsi, almeno come Idea. Se questo pensiero le si aggiunge,
allora il pensiero sarà altra cosa dall'Idea, e dovrà avere un'altra origine. E
poiché il pensiero, non derivando dall' Idea, conterrebbe in sé l'Idea e la
rea-lizzerebbe, sarebbe un principio superiore all'Idea, la quale non si
potrebbe più dire essenza di tutte le cose. - Obbiezione anche questa assai
grave, ma fondata sulla falsa concezione dell'Idea hegeliana come
contenuto-oggetto di pensiero, e non, qual'è, forma assoluta e cioèassoluto
soggetto, sich wissende Wahrheit, come dice Hegel: onde, se si
distingue uno Spirito da un Logo, anche questo, per Hegel, è pensiero. Se
si nega, insiste V., la successione di Idea, Natura e Spirito, facendone tre
termini inseparabili e simultanei di un'unità, che è la pienezza dell'esistenza
e la vita del mondo, viene a mancare il movimento: tutto è, e nulla diviene. Il
divenire nel sistema hegeliano non è nell'Idea in sé. « Si elle devient, c'est-à-dire si elle se ma-nifeste,
c'est par l'action successive de l'esprit qui la pense». Bisogna
dunque ammettere una successività, che importa nello spirito qualche cosa che
non è nell'Idea: bisogna concepire questo Spirito non come l'idea dello
Spirito, bensi come pensiero di un soggetto uno e indivisibile, che genera le
idee e comunica loro attività e vita. Cosi a questa unità dell'essere e
del conoscere, che si pretende realizzare nell'unità dell'Idea, sfugge, e la
molteplicità degli elementi riapparisce ». Anche ammesso che il pensiero possa
ricavarsi dall' Idea, esso penserebbe bensi insieme i due contrari, ma
distinguendoli, non unificandoli. Essere e non-essere, idea e natura, bene e
male, giustizia e crimine restano nel pensiero opposti. E del resto «
lors même que la pensée pourrait effacer l'op-position des contraires, il ne
suivrait pas de là nécessai-rement que l'opposition aurait disparu dans la
réalité », Ora che l'opposizione non possa esser cancellata dal pensiero, si è
visto per le due categorie di essere e non- essere: ma si può dimostrare
in un modo più generale «en signalant un vice qui atteint el ruine, suivant
nous, tout le système d' Hégel. Quest'ultima critica è il suggello
dell'incapacità del V. a superare, con tutto l'aiuto di Hegel, la posizione
platonica. In questo sistema, egli dice, la verità e l'essere non sono
principii, ma risultati. La natura e ilpensiero non sono mossi da un principio
posto fuori del mondo, e in possesso della pienezza dell'essere e della verità.
L'essere da sé non si muove, né muove. Il non- essere piuttosto sollecita
l'essere; e come essere e non- essere si uniscono nel divenire, il
principio non è l'essere ma il divenire. E lo stesso si dica della triade
maggiore Idea-Natura-Spirito. L'Idea in sé è morta, e non si moverebbe
mai. Dev'esser negata nella Natura, perché abbia luogo la vita dello Spirito.
Se mai, la Natura, non l'Idea, dovrebbe considerarsi come principio dello
Spi-rito, svegliando in certo modo l'Idea e comunicandole con la sua negazione
una certa energia. Ma il vero principio è lo Spirito, in cui si concilia
l'opposizione di Idea e Natura; e che trascinerà nel flusso del suo divenire
l'essere e il non-essere dell'Idea, ossia Idea e Natura. E insomma: o
nulla diviene facendosi l'Idea principio di una Natura come Idea-natura e di
uno Spirito che è Idea-spirito; che sarebbe il partito della logica; o tutto
diviene, facendosi lo Spirito principio di tutto; che sarebbe il partito
dell'esperienza. Nel primo caso si hanno tre idee pure ed immobili, e non si ha
il mondo, Nel secondo si ha il divenire dello Spirito, e quindi della Natura e
della stessa Idea, ma non si ha più principii, né asso-luto: e lo stesso
spirito del mondo, di cui parla Hegel, non sarà, in fondo, se non una
generalizzazione dell'esperienza e degli spiriti finiti. In conclusione,
la principale esigenza della critica del V. è il concetto dell'assoluto
estramondano; e la legge del suo pensiero il principio astratto
d'identità. 10. - Nella tesi latina (dove la dottrina hegeliana
confrontata a quella platonica e a quella aristotelica del termine medio è
appunto la dialettica, la cui sintesi vien considerata come termine medio tra
tesi e antitesi) V. ripete in parte la critica che abbiamoesposta della sua
tesi francese, ma formula pure la prima: e capitale obbiezione nella più
schietta forma teistica, che giova a determinare nettamente la sua posizione mentale.
Dice qui presupposto gratuito quello di Hegel quando ideas aeternas rerum
causas el principia esse contendit!. Le idee possono aver questo valore, oppone
V., si cui vi, vel menti, insint, quod sensit Plato. Ciò che non è storicamente
esatto, ma serve a dirci in che modo il V. intendesse il platonismo da cui era
do-minato. E accumula contro le prime categorie altre difficoltà.
Hegel vede il niente nell'essere come una sua determinazione (o nota), perché
dell'essere non si può dire se non che è. Ma questo è piuttosto una ragione
perché l'essere respinga da sé il nulla. Affinché infatti si possa dire che
l'essere è, non occorre che in esso ci sia determinazione di sorta: e il niente
vi sarebbe se l'essere fosse in qualche modo determinato: - Poi, se tutto deve
cominciare con l'essere e niente ci dev'esser prima del- l'essere, nec
vor, nec res, nec cognitio, allora prima dell'essere non ci sarà altro che il
niente; e dal niente si dovrebbe cominciare piuttosto che dall'essere. Ancora:
per Hegel l'essere diviene; e niente è. Ma, affinché qualche cosa divenga,
bisogna che qualcosa sia, e non divenga. Giacché se a prima vista pare
che quel che diviene sia e non sia insieme, in realtà, chi consideri con più
diligenza, esso non è, solamente. Giacché quel che ora diviene,dev'essere stato
e non divenuto; e poiché era, diviene. - Inoltre, essere e niente son cose; il
divenire, invece, è stato o proprietà d'una cosa; e non può quindi congiungere
l'essere e il niente. Hae enim verum proprietatibus virtus inesse nequit. - La
verità e la potenza che e è nel divenire, deve ricavarsi da quel che era e che
è. Sicché l'essere dovrebbe essere alcunché di più perfetto di quel che ne
deriva, realtà o cognizione. Laddove Hegel muove da un essere, che non è il
primo essere, ma un essere, per così dire, passato attraverso il niente. Onde
il processo va dal meno al più, dall' imperfetto al per- fetto; il
divenire invece è incremento di perfezione. Verum haec rationi
repugnant. E c'è altro. O c'è un principio delle cose, o no. Se c'è,
qualunque sia, o una forza (vis quaedam), o solo una idea (ens logicum), deve
preceder tutto, rispetto alla forza, al tempo, al moto, al vero. Hegel muove
dall'essere: ebbene da quest'essere, se forza, dovrà ricavarsi la forza di
tutto; se idea, tutte le idee. E non si uscirà mai quindi dall'essere; il
principio sarà sempre l'essere. - Che se la conclusione dovesse essere il
divenire, il divenire non cessa mai, non è mai un atto esaurito: e il processo
del reale e del conoscere andrebbe all'infinito. - E guardando ai rapporti non
più intelligibili dell'Idea con la Natura e con lo Spirito, la tesi latina, con
qualche variante dalla tesi francese, trae questo colpo finale contro la
dottrina di Hegel: « Infine, se lo spirito sta di mezzo tra la natura e la idea
e per ciò stesso va innanzi alle idee, le idee non sono i principii. E ammesso
che siano principii, poiché lo spirito diviene, e le idee sono inerenti allo
spirito, è necessario che divengano anch'esse. Se non che quel che
diviene, non è, ma sarà; né intende, ma intenderà; sicché né spirito né idea
avranno coscienza di sé, né ci sarà un fine nel mondo, ma il tutto andrà
soggetto alla cieca necessità delle idee. Dei quali errori tutti il V. trova la
prima origine in due cause principali. L'una, che Hegel torse la dialettica dal
suo vero ufficio, che è di respingere il falso, alla scoperta e dimostrazione
del vero: pretendendo di edificare con uno strumento di demolizione. L'altra,
che ben vide doversi cercare nell'infinito la ragione del suo rapporto col
finito, ma errò presumendo di rendersi conto del modo di questo rapporto, onde
fu costretto a cercare il finito nella stessa natura necessaria dell' in-
finito: ponendo un infinito semplice che si dirompe suapte natura e quodam
necessario impetu nelle cose finites, e non potendovi poi restare si sforza di
tornare a sé e ri-staurare certo infinito composto, con un circolo che Hegel
per altro non riesce a chiudere, perché l'infinito, una volta mescolatosi alle
cose finite, non può più tornare infinito. Egli è, insomma, che Hegel
vide il vero problema della scienza; mai però appunto andò più lungi dal segno
(sed ob ipsum forsan longius a vero provectum). Perché il V. è convinto che
tale problema è troppo più grave che non possa sostenere l'omero mortale.
Funzione del termine medio, fulero d'ogni dimostrazione, è unire il finito con
l'infinito. Ma come questa unione avvenga né Aristotele, né Hegel, né lo stesso
Platone, quantunque la sua dottrina sia la più soddisfacente, han potuto
ad-ditare, perché il rapporto muove dall'infinito, la cui natura sfugge alla
mente umana. Si enim intelligeremus (dice il V. riecheggiando un motivo della
filosofia ales-sandrina, già accolto dal Ficino, e tornato in onore nel De
antiquissima Italorum sapientia del Vico) *, Si enim intelligeremus (infiniti
naturam], non solum rerum ratio, sed el quomodo res perficiuntur nobis
innotesceret, neque id tantum, sed el res ipsas quodammodo perficere
nobisconcessum esset. Qui enim verum vim naturamque pentus
agnoscit, his recte uti ad res ipsas conficiendas valebit. Isque
absolute demonstrat qui non modo res intelligit, sed et intelligendo conficit. Quemadmodum summus is est artifex qui opus non modo in
mente revolvit, sed et conficit et confi-ciendo sibi et aliis mentem suam
patejacit et demonstrat. Di questo scetticismo teistico
il V. tratto di proposito nel Problème de la certitude. Dove, è superfluo
dirlo, non solo Hegel, ma anche Kant è assai bistrattato. Basti per un
esempio la prima obbiezione che il V. muove contro la Critica; ed è che la
distinzione di senso, intelletto e ragione è più artificiale che reale; perché
né la sensazione è altro che un giudizio, né la categoria ha caratteri diversi
dalle idee. « Che l'atto intellettuale non venga ad aggiungersi [sic]
all'impressione esterna, e la sensazione non avrà luogo. Essa è dunque un
giudizio sollecitato da una causa esterna, ma che, come ogni altro giudizio,
non può aver luogo senza l'intervento dell'in-telletto. Sicché senso e
intelletto non sono due facoltà distinte; ciò che Kant stesso confessa
implicitamente, allorché attribuisce certe categorie al senso non meno che
all'intelletto. Infatti, il tempo e lo spazio sono concetti puri
dell'intelligenza, né più né meno della causa, della sostanza, ecc., e quelli
non sono meno di queste condizioni essenziali di ogni pensiero. Non si vede
dunque in che differiscano queste due facoltà, poiché sono sede di nozioni
della stessa natura»?. E con osservazioni della stessa forza continua a
dimostrare che non c'è modo di distinguere per davvero le categorie dalle idee,
fino a far sospettare che il V. non avesse mai letto la Critica (per la quale
infatti rinvia 3 alle lezioni del Cousin).In tutta la storia della filosofia
non vede se non sforzi vani per superare lo scetticismo; e il suo lavoro vuol
essere un nuovo saggio di teoria della conoscenza. Ogni conoscenza riguarda i
fatti o i principii. Fatti sono le esistenze e le qualità fenomeniche;
principii, le cause delle une e delle altre. La causa d'un fenomeno non è il
fenomeno che lo precede, ma il principio interno, la natura dell'essere che si
manifesta nel fenomeno: l'es-senza. Altro è la sostanza, sostrato o soggetto
delle qualità; altro l'essenza, forma intelligibile della stessa sostanza. Ed è
chiaro che il pensiero non può mirare di là dell'essenza alla sostanza; perché
di questa che altro potrebbe cercare che l'essenza? La vera cognizione, che non
si arresti al puro fenomeno, s' indirizza all'essenza. Ma l'essenza non è conoscibile,
per ragioni derivanti in parte dalla natura sua, in parte dalla costituzione
della nostra intelligenza. L'essenza è una; e intanto è uopo che si
moltiplichi negl' individui. Che è il problema della creazione, inespli-cabile,
Si ammetterà un'essenza per le cose periture e una per le eterne? Ma quale sarà
il loro rapporto? e quale la loro differenza se, come essenze, saranno pure
entrambe eterne ed infinite? Si ammetteranno soltanto essenze individuali
(atomismo): e allora l'essenza in sé sarà una semplice astrazione. - O si
ammetterà una sola essenza; e allora tutti gli individui diverranno fenomeni
transitori e apparenze. - E poi è necessario ridurre tutte le essenze a un solo
principio, e che questo esista; perché quando ve ne fossero molte, dovrebbero
sempre essere tra loro in un rapporto; e questo importerebbe un principio
superiore, il quale sarebbe perciò il vero principio e unico. E che sarà questo
principio? Gli si possono attribuire, come s'è fatto in tutti i sistemi, tanti
caratteri; ma questi caratteri non ci faranno mai vedere l'intimo del principio
e la sua propria natura.La natura poi della nostra mente ci toglie la
possibilità di montare all'unità assoluta; perché niente possiamo pensare che
non si presenti alla nostra coscienza come suo oggetto e che, sia esso Io o
non-lo, non si ponga pel fatto stesso d'esser pensato come non-lo di contro al
nostro Io. Né giova la pretesa intuizione intellettuale di Schelling. Perché o
in essa il pensiero conserva la coscienza di sé, e allora permane la dualità: o
smarrisce questa coscienza, e assorbendosi nell'oggetto, non sarà più pensiero,
ma il niente del pensiero. Ignorando l'essenza, non si possono spiegare i
rapporti. Si conoscono le esistenze e si conoscono i rapporti degli
esseri; ma dal che non si passa al come. Non si può contestare che io sia, e
che siano i prodotti della mia attività interna e del mio pensiero e gli
oggetti e fenomeni del mondo esterno. Saranno tutti fenomeni, apparenze fugaci;
ma non si potrà negar loro un certo essere e dire che non siano, almeno nel
momento in cui sono. Chi si provasse a farlo, si contraddirebbe. Ma se vi sono
esistenze che cominciano, che sono e non erano, e, insomma, effetti, questi
effetti devono avere una causa. La quale causa o bisognerà cercarla tra le cose
finite, o sarà la collezione delle cose finite, o la sostanza infinita di cui
le sostanze finite siano emanazioni, o infine un principio separato dal mondo e
avente esistenza propria e indivi- duale. Le prime tre ipotesi sono da
escludere. a) E evidente che non può esser causa del finito un fini-to,
che come tale è effetto, e richiede esso stesso una causa. 6) La
collezione dei finiti non aggiunge ai finiti se non una unità artificiale ed
astratta, esistente solo nel soggetto che la pensa. Quindi non può contenere
più dei finiti, né essere altro che finita: cioè un effetto, anch'essa.
Senza dire che la collezione è risultato e non principio, e suppone una causa
radunatrice degli elementi e quindi costitutiva di essa collezione.c) La sostanza
che producesse eternamente le cose, effondendosi in esse senza potersene
distinguere, anzi facendone parte, potrebbe essere o un Io, o una causa
meccanica. Un lo, di cui le coscienze individuali fossero parti integranti,
sarebbe tanto causa di queste, quanto queste di esso. Giacché in un tutto
essenziale alle parti come le parti al tutto, non ci può essere efficienza o
causalità vera, ma solo una causalitá logica. Che se l'Io assoluto si
concepisca come una forza infinita manifestantesi negli individui, si potrà
chiedere: e perché si manifesta o sviluppa? per darsi così una coscienza più
chiara e più larga? ovvero per passare dalla potenza all'atto? In un caso e
nell'altro l'effetto conterrebbe qualche cosa di più che la causa, e questo di
più resterebbe senza causa. - O sarà la sostanza una causa cieca e meccanica?
Ma la sola vera causa è la libertà. Se un corpo in movimento ne mette in moto
un altro, noi diciamo impropriamente il primo causa del movimento del secondo;
laddove ne è solo la condizione. Infatti esso non può non muovere il corpo, e
non può non muoverlo con la velocità e la direzione con cui lo muove perché non
è esso stesso la causa del proprio movimento, né quindi del movimento che ha
comunicato. La vera causa del movimento non dev'esser mossa, ma deve muovere da
sé: esser libera. Sicché la causa assoluta dev'essere separata dal
finito, libera, persona assoluta. Libera, in quanto indipendente dal suo
effetto; ma legata bensi alla legge della sua es-senza. Questo già vede il V.:
che la necessità interna non è incompatibile con la libertà, almeno quando si
tratti della causa assoluta. Perché nell'uomo, che non s'è dato il suo essere,
il V. crede bene che la necessità interna sia anche esterna; quantunque anche
l'uomo che fa il bene, se fare il bene si concepisce come legge della sua
natura, debba dirsi libero. La necessità, invece, della causa assoluta le è,
per dir così, più intimamente interna.Il V., in questa tesi, non ammette
nessuna reciprocità tra la causa e l'effetto. Questo richiama quella: ma
«l'idea di causa, lungi dal contenere quella dell'effetto, l'esclude pel fatto
stesso che è causa», Insomma, dualismo assoluto. La causa assoluta,
essendo libera, è intelligente, perché non è libertà senza intelligenza. E
semplice e indivisibile; perché se il suo atto non fosse uno, e si risolvesse
p. e. in due parti, una di queste agirebbe sull'altra, e la causa non sarebbe
causa, e le due azioni causali, esercitandosi successivamente, darebbero luogo
ad effetti a un dato istante sottratti alla causa, che cesserebbe perciò di
essere assoluta causa. E l'atto uno suppone la sostanza una. E già una
sostanza composta sarebbe materiale, e non sarebbe più libera. Né occorre dire
che, per essere asso-luta, la causa dev'essere universale. La causalità
conferisce realtà all'idea di sostanza, concepita come principio del finito, e
conferisce realtà ugualmente a tutte le idee effettrici delle esistenze finite:
al bene assoluto, causa del bene relativo, alla verità assoluta, alla bellezza
assoluta, e via discorrendo. Con la sola categoria di sostanza potremo avere
l'idea di Hegel, l'essere puro, come una « concezione logica ». La causa
ci fa fermare il piede nel reale; e la certezza del fenomeno si fonda
sull'intuizione della causalità reale supposta dal fenomeno. * Il pensiero non
comincia con l'affermazione d'una causalità astratta, ma d'una causalità reale.
Il sentimento della mia finità è inseparabile dalla mia esistenza, e col primo
sentimento della vita si produce a un tempo il sentimento del mio niente e d'un
principio che mi ha fatto passare dal niente all'es-sere. Ecco già l'idea di
causa che si manifesta a me insieme con la mia esistenza. E non è una causa
astratta e possibile, ma una causa reale e attuale come il suo ef-fetto; non è
una causa che deduco da un principio, mauna causa che colgo con un' intuizione
semplice e imme-diata, con un atto analogo a quello col quale affermo me
stesso». Nel libro non è citato mai il Gioberti; ma questa dottrina coincide a
capello con quella della formola ideale, che cinque anni prima il Gioberti
aveva propugnata nell'Introduzione allo studio della f-losofia.
Immediatezza della cognizione, inconoscibilità dell'es-senza, e quindi
misticismo scettico; opposizione assoluta tra essere e pensiero, Dio
estramondano e quindi negazione della libertà e della verità dello spirito come
della spiritualità del vero; concezione conseguente della verità o idea come
contenuto trascendente del pensiero, retto quindi dalla legge dell'identità, e
della dialettica come funzione meramente negativa del pensiero soggettivo:
tutta la somma delle dottrine essenziali alla vecchia intuizione platonica del
mondo, contro le quali da secoli e secoli combatteva la filosofia moderna, e
che furono definitivamente superate dal principio hegeliano, faceva intoppo
nella mente del V. all'intelligenza dello hege-lismo. La folla incomposta delle
difficoltà che egli vi in- contrava, attesta chiaramente la refrattarietà
del suo spirito agli incitamenti e alle suggestioni della nuova filosofia, cosi
rudemente paradossale a chi non sia preparato da un vivo affiatamento con tutta
la storia del pensiero moderno (e si può dire anche del pensiero cri-stiano, in
opposizione al greco) a guardare il mondo con gli occhi nuovi dello spirito
conscio della sua vita assoluta. Come fece il V. negli anni seguenti a
liberarsi dalla grave mora de vecchi pregiudizi, per rifarsi con nuovo e fresco
vigore intorno allo hegelismo, romperne la dura scorza, e penetrarne l'intimo
spirito? Rifece egli più metodicamente il cammino percorso dal pensiero speculativo
da Cartesio a Hegel13. - Dopo il 1845, i primi lavori del V. sono quattro
articoli del 1848, scritti per una rivista La liberté de penser, fondata a
Parigi dopo la rivoluzione di febbraio da alcuni giovani professori, come il
Simon, il Saisset, il Jacques e lo stesso V.. E in essi il demolitore
della logica e di tutto il sistema di Hegel ci si presenta in veste di
hegeliano. Nessun documento illumina la crisi antecedente del suo pensiero; e
bisogna contentarsi di osservare in questi articoli il suo primo atteggiamento nel
nuovo indirizzo. Il primo (La Religion et l'Etat) fu scritto a proposito
delle discussioni dell'Assemblea Nazionale per definire i rapporti tra Stato e
Chiesa; e combatte l'idea della se- parazione. Sarà più tardi, come
vedremo, uno degli argomenti su cui più si travaglierà il pensiero del V.,
senza riuscire mai a dar nettamente la soluzione del pro-blema. In questo primo
saggio, forse perché lo scrittore non sente ancora tutta la difficoltà della
questione, il suo pensiero tocca il massimo della chiarezza, che abbia mai
raggiunto. Vede il progresso storico dei rapporti tra Chiesa e Stato
indirizzato verso la libertà di coscienza; e giudica la Riforma protestante,
malgrado la sua proclamazione del libero esame, inferiore a cotesto principio,
per cui la ragione umana può sottrarsi alla tutela dell'autorità sacerdotale;
perché la Riforma non proclamò insieme l'abolizione delle religioni di Stato. E
religione di Stato significa autorità che è compressione della li-bertà, in
quanto non è l'autorità della ragione invisibile e universale, conciliatrice
della regola con la libertà, della disciplina col movimento, ma quell'autorità
visibile e materiale, che, come imprigionata nel fatto e nella lettera
della legge, colpisce d'immobilità il pensiero, contrasta ogni espansione nuova
dello spirito e riesce alla violenza e all'asservimento delle coscienze. La
Rivoluzione francese ha compiuto l'opera della Riforma,ispirandosi a un
principio superiore: il principio dei diritti dell'uomo in generale, onde la
libertà nuova da lei proclamata non è più quella di una società particolare, ma
del mondo. E abolisce la religione di Stato, presupponendo quella religione
ideale e assoluta - scoperta dalla filosofia, di cui la Rivoluzione è figlia ed
erede - la quale si sviluppa e manifesta successivamente nella coscienza dei
popoli, domina e abbraccia tutte le religioni positive e compone ad armonia
nella propria unità le credenze parziali del genere umano: la religione,
in- somma, naturale o razionale. Ma né la Francia né l'Europa eran
preparate alla riforma religiosa, che questi principii, rigorosamente
applicati, avrebbero richiesta: e ad essi occorre tuttavia far capo per gettare
le basi della nuova carta religiosa. In un articolo successivo, ma dello
stesso anno, il V., accintosi ad esporre la filosofia della religione di Hegel,
giudicherà con lui e rifiuterà, come idealismo ordinario, cotesto deismo
prevalso nel sec. XVIII, il quale astrattamente foggiava la religione ideale e
filosofica, che giace in germe nel fondo d'ogni intelligenza »1, Ma, pure
appigliandosi per qualche altro particolare alla dottrina di Hegel, è fermo
nella convinzione che basti svolgere razionalmente il principio posto dalla
rivoluzione francese, fondato, come s'è visto, sulla dottrina della religione
naturale. Segno che egli non era ancor giunto a possedere un concetto
determinato della religione, né, comunque, a impadronirsi di quello di
Hegel. Svolgere il principio della Rivoluzione, della libertà di coscienza,
non era ciò che dal Lamennais in poi venivano chiedendo in Francia i cattolici,
e avevano finito con invocare gli stessi gesuiti? Ecco, dice il V.: «
nellapresente questione, come nella maggior parte delle questioni sociali, la
difficoltà consiste nel conciliare l'ordine e la libertà. Se si sopprime una di
queste due condizioni, s' incorrerà nell' inevitabile alternativa, o di tornare
all'autorità e alle religioni ufficiali, o di rinunziare a ogni azione normale
ed efficace sugli spiriti ", Temeva il V.. che se l'Impero, la
Ristaurazione e la Monarchia di Luglio avevano piegato dal lato della
tradizione e del-l'autorità, ora si piegasse dal lato opposto, esagerando il
principio della libertà. Si preoccupava degli effetti di una libertà assoluta,
che avrebbe portato all'anarchia delle coscienze, all'impossibilità di ogni
governo morale e quindi d'ogni governo politico. Se la pigliava con la stessa
espressione di libertà illimitata, che non può essere, diceva, se non una
figura rettorica lusingatrice degli orecchi e del gusto del pubblico, non
potendosi concepire potere che non sia limite della libertà. Né pertanto è
ammissibile la separazione. I sostenitori della quale si rappresentano la
società come una sorta di d'ag-gregato di parti unite insieme da legami estrinseci:
laddove la storia e la teoria ci mettono innanzi un'unità sociale organica, in
cui tutto è concatenato e la vita di una parte va di conserva con quella del
tutto, e un'unità invisibile vi circola dentro. Perciò Hegel disse che le
rivoluzioni politiche e religiose sono inseparabili; e un popolo che ne fa una
e non fa l'altra, ha lasciato a mezzo la sua opera, mantenendo un antagonismo,
che dovrà rimuovere, se non vuol soccombere. E questo basta qui al V. per
concludere che Chiesa e Stato sono insepara-bili. Quantungue non sia difficile
vedere che il suo argomento supponga provato quel che è da provare:
l'imma-nenza dell'elemento religioso, anzi della Chiesa, nell'organismo dello
Stato. La separazione è voluta da coloro che dividono con un taglio netto
la sfera religiosa da quella del diritto:nella prima delle quali lo spirito
umano si solleva all'eterno e all'infinito, laddove nella seconda l'uomo rimane
stretto ai suoi bisogni passeggeri e terreni, e quindi implicato negli
interessi, nelle passioni, nelle lotte, da cui si libera affatto mercé la
religione. In questo argomento V. riconosce, a primo aspetto, un'apparenza di
verità. Ma gli studi che in quel torno ei doveva fare della filosofia
hegeliana, gliene additano il difetto. «
Au fond, il repose sur une notion incomplète de la vie religieuse, et il se
rat-tache à cette métaphysique qui ne saisit qu'un seul élément dans les êtres,
el qui, en négligeant l'élément contraire, n' aboutit qu'à des abstractions ou
à des inconséquences... E vero che Dio, comunque si concepisca,
trascende ogni limite, ed è termine immutabile e infinito. Ma Dio è un termine
solo del rapporto religioso, onde Dio si manifesta, e l'altro è l'uomo con le
sue condizioni sensibili e finite. Né la religione è un fatto isolato, chiuso
nella coscienza del-l'individuo, ma un'istituzione sociale, la quale ha per
iscopo l'istruzione e la guida delle anime; e pertanto non può sorgere,
conservarsi e svolgersi senza determinate condizioni materiali ed esterne,
insegnamento orale e simbolico, associazione, disciplina, mezzi finanziari
ecc.: tutte cose che rannodano la Chiesa con lo Stato, Ebbene,
esclusa la separazione (lo stesso V. si pro-pone, come sarà sempre suo costume,
l'obbiezione), come sfuggire all'alternativa dell'oppressione della Chiesa
sullo Stato, o dello Stato sulla Chiesa? Ma (come sarà pur sempre suo costume)
se n'esce pel rotto della cuffia, perché non si spinge fino a una rigorosa
definizione dei concetti che adopera. La soluzione qui la trova in quella
astratta filosofia della religione, che ha accettata dal secolo XVIII, e che è
pure quella dottrina eclettica della verità relativa di tutte le religioni
positive nell'assolutaverità della religione naturale, che, nei nostri filosofi
della Rinascenza (BRUNO (si veda) e sopra tutto CAMPANELLA (si veda), che ne è
il vero fondatore, a lui, molto probabilmente, essendosi inspirato Herbert di
Cherbury) ' portava logicamente alla religione di Stato. Lo Stato, pel V., deve
sanzionare la libertà di coscienza: ma in questo stesso postulato è implicata
l'attribuzione allo Stato di legiferare in materia religiosa, riconoscendo a
tutte le religioni positive quella legittimità che è loro conferita dalla
religione ideale in cui tutte sono comprese. Se lo Stato non s'incontrasse
nella religione, non potrebbe né anche riconoscerne e garentirne la libertà. Lo
Stato s' investe in questo suo atto di un principio filosofico, e la filosofia
gli conferisce la potenza e il diritto di dettar legge in re-ligione. La
filosofia che è « la fonte della vera libertà, perché essa sola proclama ed
assicura quell'alta libertà dello spirito che è il principio di ogni libertà, e
perché essa solleva continuamente l'umanità al di sopra di se medesima, e delle
cose periture e finite, alla regione dell'eterno e dell'infinito». E però
nell'alleanza dello Stato con la filosofia è il fondamento di ogni libertà:
alleanza tutt'altro che facile, di certo, anzi, sotto certi aspetti. né
possibile né desiderabile: ma perciò appunto fornita del carattere di ogni
ideale, che genera il progresso in quanto meta inattingibile. «Tout progrès
possible repose sur un principe impossiblen 3. E un altro punto, in
cui il V. non si solleva fino allo hegelismo, restando al dover essere (Sollen)
kantiano, messo in derisione dal pensatore di Stoccarda. E la coscienza dell'
irrealità dell'ideale limita l'astrattezza, tutta platonica, di questo Stato
filosofico, in cui si rifugia ilV., assai imbarazzato poi quando si tratta di tornare
fuori, per rimettersi in rapporto con la realtà storica. Se Stato e
Chiesa sono inseparabili, il prete è, pel V., un funzionario dello Stato.
Dacché un culto è legalmente ammesso, esso diventa una funzione di Stato.
Funzione varia, diversa, molteplice, perché lo Stato ammette tutti i culti,
quantunque non s' immedesimi con nessuna religione. E lo Stato perciò
retribuirà i ministri di tutti i culti. - Ma proprio tutti? - Sì certamente,
perché « tutti i culti, quali che siano le dottrine che professano e la parte
di verità che contengono, devon o incontrarsi in un pensiero e in un'opera
comune, dovendo tutti, sotto una forma o un'altra, per vie e gradi differenti,
disciplinare le anime non soltanto a salvarsi, ma ad adempiere i loro doveri
civili». Devono in - contrarsi: ma s'incontrano realmente? Lo Stato solo può
giudicare se e in quel misura una dottrina religiosa soddisfi questa
condizione. Che se si contesta allo Stato questa facoltà, bisognerà
contestargli anche quella di concedere la libertà dei culti: poiché la libertà
dei culti, ripeto, suppone questo criterio: suppone che lo Stato abbia saputo
riconoscere che la verità non è prerogativa d'un solo culto, e che saprà anche
distinguere, fra le dottrine nuove, quelle che bisognerà ammettere o rigettare
». Ossia, in conclusione, saranno ammessi tutti i culti, che lo Stato con
la sua filosofia approverà, poiché pare ce ne possano anche essere di quelli
che non siano compatibili coi fini essenziali dello Stato. E allora? Noi
crediamo, conchiude il V., che « nello stato presente del mondo, appartenga ai
poteri civili e alla civiltà laica l'iniziativa della riforma religiosa, e che
questa riforma debba essere imposta alla Chiesa nell'interesse della libertà e
della Chiesa stessa ». Ma allora abbiamo lo Stato teologo e la religione
di Stato! - Parola più speciosa che vera», risponde l'au-tore. « Noi
pretendiamo che lo Stato, quale l'abbiamo definito, quale l'han reso la
filosofia e la Rivoluzione, sia perfettamente competente nella questione religiosa.
Lo Stato, bensì, non fa della teologia scolastica, non disserta sulla grazia,
il peccato originale e la trinità. Lascia queste dispute ai teologi e ai
filosofi. Ma può dire fino a che punto una religione risponda ai bisogni della
società, e studiando seriamente questi bisogni, giovandosi dei lumi della
filosofia e della libera discussione, ha il diritto e il potere di imprendere
la riforma delle istituzioni religiose, modificarle e ringiovanirle, facendovi
penetrare i germi di verità nuova na 14. - Come possa lo Stato riformare
una religione senza entrare nella teologia; come giovarsi della filosofia,
senza intendere la filosofia stessa, e quindi filosofare: come proclamare la
libertà dei culti e riconoscere a tutti i culti un valore, dovendone pure eventualmente
respingere qualcuno con un criterio suo; come imporre una riforma alla Chiesa,
rispettando il principio della libertà: sono tutti certamente punti molto
oscuri, e non i soli, della soluzione caldeggiata dal V.. Ma qui giova soltanto
fermare l'attenzione sul carattere permanente di questa filosofia del V.,
malgrado il giudizio sulla Rivoluzione francese, cosi diverso da quello
enunciato otto anni prima, e malgrado gli spunti hegeliani contro le astrazioni
dell'intelletto. Essa evidentemente è ancora una filosofia non compenetrata dal
concetto della razionalità del reale e della realtà del razionale: una
filosofia di una ragione concepita come sovrapposta alla vita, alla storia, al
reale. L'infinito si vuole congiunto essenzialmente col finito (e però la
Chiesa con lo Stato). Ma l'infinito è infinito, e il finito è finito. Lo Stato
non hainfinità (non ha valore), se non gli viene comunicata dalla Chiesa;
né esso può acquistarsela da sé, incorpo- randosi e risolvendo in
sé la Chiesa: a fine di stabilire i suoi rapporti con la Chiesa deve ricorrere
alla filosofia, che non è nello Stato, e non è perciò lo Stato. Tutta la
storia, come progresso compiuto in virtù d'un principio impossibile, ha il
proprio valore fuori di sé: ossia, non ha valore. Questo non era il nuovo mondo
di Hegel. Segui la prima parte dello studio sulla Philo-sophie de la
religion de Hégel, non continuato, perché la Liberté de penser cessò di
pubblicarsi. E in questo scritto il V. espose il punto di vista di Hegel in
questa parte del suo sistema e il suo concetto in generale della filosofia con
manifesti segni di adesione, sebbene qui ancora non s'incontrino quell'
iperbolici elogi della filosofia hegeliana che poi diverranno frequentissimi
nei suoi libri. Tornò ad esporre brevemente il concetto della filosofia
hegeliana col metodo stesso adoperato nelle tesi di tre anni prima, quantunque
le difficoltà formidabili intorno ai punti fondamentali e preliminari che tre
anni prima gli sbarravano l'adito al sistema, pare siano già come per incanto
sparite: quel metodo, il quale consiste nel saltar dentro a una filosofia, dopo
averla distaccata dal complesso della storia, in cui essa sorse e visse, e nel
muovervisi dentro come altri può percorrere una galleria di quadri che non
sappia come e donde raccolti. Il metodo più antihegeliano che ci sia. E cosi
ora, così sempre: anche quando egli diventerà assai più esperto hegeliano e più
fervido propugnatore di questa filosofia, Hegel sarà un filosofo, per V., tutto
chiuso in sé, che si lascia indietro, a mille miglia di distanza, non pure la
filosofia prekantiana, ma Kant, Fichte e lo stesso Schelling: e se qualche
riscontro potrà consentire, richiamerà Platone e Aristotele (che sono poi gli
antesignani dell'oppostaconcezione del mondo). Per ora, non una parola di altri
filosofi, e le determinazioni della filosofia hegeliana, strappate dal loro
terreno storico, si presentano, com'è na-turale, in un aspetto equivoco ed
incerto. La filosofia ricerca l'universale, l'infinito, l'assoluto in
tutte le sfere sulle quali si esercita l'attività del pensiero»›, Definizione,
che, se non è detto quale sia la natura di questo universale, eterno, infinito,
può competere tanto alla filosofia di Hegel, quanto a qualunque altra. «
Secondo Hegel, l'oggetto della filosofia è la conoscenza dell'Idea». Anche
questo è troppo poco. E tutto quello che segue non giova a differenziare
1 he-gelismo dal platonismo: « L'assoluto è lIdea, la quale si divide e si
specifica in una serie di determinazioni, di cui ciascuna costituisce un modo
della Idea, nonché un grado e una faccia dell'esistenza. Questa Idea e questa
serie di idee non si producono a caso e secondo rapporti arbitrari ed
esteriori, ma sono legate da rapporti necessari ed eterni, e formano un
organismo interno, e come una trama indistruttibile su cui sono fondate l'unità
e la vita del mondo»2. Lo stesso V. sa che così c' è una profonda differenza
tra l'idealismo « ordinario» e l'idea-lismo « assoluto » di Hegel. L'idea di
quello è astratta, e l'idea di questo è concreta. Cioè? - Le idee del primo
sono poste meccanicamente l'una accanto all'altra: quelle del secondo
hanno un concatenamento e una necessità interna. - Distinzione così, sulle
generali, ille-gittima: perché non c'è filosofia idealistica che non miri
appunto a questo intimo concatenamento delle sue idee; e in questo senso le
idee di tutti gli idealisti sono state concrete. La concretezza hegeliana non
consiste tantonella concatenazione delle idee, che, tutte concatenate, possono
essere nondimeno tutte fisse, immobili: quanto nell'atto stesso del
concatenamento, per cui l'idea non è legata più a un'altra idea, ma è l'altra;
è, e non è se stessa; si muove, e movendosi, divenendo, è un'idea ed è un'altra
idea. Sicché non più catena, ma medesi-mezza, coincidenza di opposti. E se non
si guarda a questa concretezza, l'idealismo hegeliano smarrisce la sua
fiso-nomia, e si confonde con l'antico idealismo. 17. - Il V. nota che
l'idea concreta è una triade: nè prima se stessa, poi il suo contrario, e
infine la loro unità»; dove il 'prima', il 'poi' e l'infine', possono già dar
luogo ad equivoci grossi. « Cosi il vero non è né nel- Tessere, nénel
non-essere, né nella causa, nénell'effetto, nénel tempo, né nello spazio
ecc. L'essere e il non-essere, la causa e l'effetto, il tempo e lo spazio
sono elementi essenziali del vero, ma questo non è se non nella loro
identificazione in un terzo termine: nel divenire, nel movimento ecc. essi
attingono la loro completa realtà. Qui la cosa è diventata chiaris-sima, e le
critiche di tre anni prima contro le prime categorie della logica hegeliana
sono cose dimenticate. Capi l'autore che egli mal si era apposto,
cercando come il non-essere possa uscire dall'essere, ed essere e non-essere,
messi insieme, produrre il divenire? Intende egli ora il processo logico come
superamento dell'astrattezza nella realtà della sintesi? Parrebbe ora la sua
interpre-tazione. Ma anche qui può risorgere il malinteso, assai più
pericoloso, perché chi non se n'accorga, crederà d'essere già dentro l'
hegelismo, e non sarà giunto invece né anche a Platone. Se l'essere e il
non-essere sono elementi del vero, e il vero completo, la realtà è nel
dive-nire, unità concreta dei due elementi, il passaggio del-l'astratto al
concreto si può intendere in doppio modo:come passaggio dello stesso astratto
alla propria con- cretezza; ovvero come passaggio del pensiero che pensa
la realtà e che, dopo averla pensata astrattamente ne' suoi elementi, si sforza
di pensarla in concreto nella sua unità. Nel primo caso si tratta di un
passaggio oggettivo, che è in fondo un passaggio soggettivo; nel secondo, di un
semplice passaggio soggettivo, che importa un oggettivo non-passaggio. Giacché
nel primo caso si muove, realizza od invera l'oggetto, la stessa realtà; che in
tanto si muove, realizza od invera in quanto la stessa realtà è pensiero, Nel
secondo invece è il pensiero, postosi di fronte alla realtà, o foggiatasi una
realtà opposta a sé, che si muove nello sforzo di adeguarsi alla realtà stessa:
segno che, se vi si adegua o quando vi si adegua, non avrà più bisogno di
muoversi perché la realtà è immobile. La strada eraclitea che è la stessa
strada nelle opposte direzioni in su e in giù (ádóc ava váTo pía xai
duTi) dà luogo a una contrarietà e a un movimento appartenenti soltanto
al soggetto: ma in sé è una, immutabile e immobile, come l'essere eleatico.
L'idea (dell'essere elea-tico o del divenire eracliteo) si può concepire in due
modi: o come una cogitatio (modus cogitandi, ipsum intelligere) come
profondamente voleva Spinoza, o come un quid mutum instar picturae in tabula.
Anche il fiume eracliteo infatti può esser dipinto! E allora non scorre,
quantunque noi vi scorriamo sopra con la fantasia. Questo è stato il problema
secolare del concetto del divenire, che non poteva risolversi se non nella
filosofia moderna dopo il cogito (ergo sum) di Cartesio, e quell'idea che è
l'ipsum intelligere di Spinoza, e il nuovo concetto leib-niziano della monade,
e la sintesi di Kant, e l'Io di Fichte e l'Identità di Schelling- Se lo stesso
divenire è visto come esterno al pensiero, si ferma e sta, come pictura in
tabula. Il divenire è vero divenire del reale quando il reale non è di fronte
al pensiero che lo pensa (movendosi lui, o illudendosi di far muovere il
reale), ma dentro il pensiero, lo stesso pensiero che pensando diviene e genera
appunto quella realtà che esso è. Qui è il punto. E la costruzione difficile
dell' hegelismo è cosiffatta, che molti han potuto, prima e dopo il V.,
scambiare l'Idea lo-gica hegeliana con l'Idea platonica, oggetto del pensiero
solo considerando la posizione di essa di fronte alla na- importante ed
essenziale, che si la natura come lo spirito (fin allo spirito assoluto, e alla
stessa filosofia del filosofo che sta filosofando) sono la realizzazione
dell' Idea stessa, e cioe la stessa Idea nel processo autonomo del suo
svolgimento. 18. - Come l'intende il V. in questo suo primo saggio di
filosofia hegeliana? Dice: Tout le
travail de la pensée consiste à poser un élément de l'idée, - moment immédiat,
— à saisir dans cet élément un élément contraire, — moment de médiation,
analyse — et à trouver un troisième terme qui concilie et unit les deux
pre-miers, - synthèse — puis à dégager de ce troisième terme une nouvelle
détermination qui enveloppe les précédentes, et qui, à son tour, engendre une
détermination opposée, laquelle se trouve conciliée avec la première dans une
troisième, et ainsi de suite, jusqu'à ce qu'on s'élève à une esistence, à une
idée suprême qui efface et absorbe tous les moments, toutes les contradictions
précédentes dans son unité. C'est là la vie et le mouvement éternels de la
pensée, et, partant, la vie et le mouvement éternels de la réalité ! 1.
Il pensiero, di cui qui si narrano le gesta, è il pensiero in sé, lo stesso
reale, o il pensiero che intende il reale, il pensiero del filosofo che tesse
la faticosa tela della lo-gica? Nel primo caso il pensiero sarebbe la stessa
idea;e la maniera in cui il V. si esprime, facendo del pensiero l'artefice e
dell'idea la materia del suo lavoro, sarebbe per lo meno molto fantastica e
metaforica. Non che queste espressioni siano illegittime; ma qui dan luogo al
ragionevole sospetto che l'autore abbia veramente inteso il rapporto del
pensiero con l'idea in senso dua-listico, in guisa che la conchiusione (c'est
là la vie et le mouvement éternels de la pénsée, et, partant, la vie et le
mouvement étérnels de la réalité) non possa avere altro significato che di una
dommatica inferenza, contraria del tutto allo spirito dello hegelismo. Giacché
quel partant. in astratto, potrebbe avere due significati ben diversi: o dire
che il processo logico è il processo della realtà, perché la realtà è pensiero
(identita); o dire che il processo logico è anche il processo della realtà,
perché la forma della realtà è intelligibile come pensiero, il pensie-ro si
attua nella realtà, e (nella forma più rigorosa di questa concezione) ordo et
connexio verum idem est ac ordo et con-nexio idearum (parallelismo, e, in
fondo, duali-smo). Ma nel nostro caso l'interpretazione dualistica é confortata
dalla più ovvia interpretazione dei periodi prece-denti, dove è evidente che
l'autore non avrebbe mancato di richiamare esplicitamente l'attenzione sul vero
e proprio rapporto del pensiero con l'idea, se egli ne fosse stato
nettamente consapevole.18. - Ed è anche confermata dal modo in cui il V. passa
ad esporre la triade Idea-Natura-Spirito, L'Idea, egli dice, è da prima in uno
stato « d' indeterminazione e semplice virtualità», quando è idea logica, e
contiene le determinazioni più generali degli esseri. Giunta al limite estremo
della sua evoluzione logica, l'Idea e esce da questa esistenza formale e
indeterminata, e si dà per sua virtù propria, e come spinta da una necessità
interna, una esistenza oggettiva e determinata nella natura n. L'Idea infatti
genera la Natura; ma in questa non esiste nella sua forma logica, generale ed
assoluta, nella purezza perfetta delle sue determinazioni: diviene esterna a se
stessa, si spezza in prodotti particolari esposti alla contingenza e al caso.
Questa contraddizione è superata in una terza forma dell'esistenza, superiore
alle due prime e che le involge nella sua unità: lo Spirito, il pensiero, dove
l'idea concreta e determinata, risolleva la natura all'unità ed universalità ed
acquista coscienza di sé nella libertà. - Orbene: il processo nello stesso
Hegel è tutt'altro che facile; e lo vedremo a suo tempo; ma ha un carattere
determinato, che a chi sia penetrato, secondo le osservazioni già fatte, nello
spirito dello hegelismo, non può sfuggire. Dev'essere tutto un processo logico:
una via che il pensiero pensando deve necessariamente percorrere. Ora il V. non
si mette per questa via. Egli è appunto come lo spettatore della pictura in
tabula: vede uscire dall'Idea la Natura, o l'Idea generare o farsi la Natura, e
non sa né può sapere per quale interna necessità: non si prova nemmeno a fare
(egli che è pen-siero, quella stessa idea) quel medesimo che vede fare
all'idea: non si prova a pensarlo. E come potrebbe pen-sarlo, dopo aver
definito il logo una semplice vir-tualità? Posta l'assolutezza del logo, se
s'intende la virtualità al modo di Leibniz (ossia nel modo più fa-vorevole),
donde la ragion sufficiente ?I9. — Ma il senso di questa virtualità della idea
logica ci può essere svelato da scritti posteriori del V., il quale, sia detto
qui subito, rimase fermo a questo con-cetto. Apriamo l'Introduction à la
philosophie de Hégel (1855), che è il suo lavoro più organico su Hegel,
ed ebbe molta fortuna in Francia e in Italia come autorevole esposizione della
filosofia hegeliana: che i più si contentarono di non conoscere altrimenti 1.
In questo libro si legge che nella sfera della logica, Dio è la possibilità e
la forma assoluta; è l'essere anteriore a ogni cosa creata, e che contiene
perciò stesso, virtualmente, tutte le cose » 3: dove possibilità non significa
altro che pensabilità, Infatti l'autore è stato trascinato innanzi a svelare e
confessare quel suo segreto concetto della logica, come non la storia eterna,
la gesta eterna, dell'idea, ma come la semplice scienza dell'idea, poiché
intanto era germogliato il seme da noi sospettato nel saggio del 1848. Qual è,
ora egli si chiede, l'oggetto della logica? La logica è « la scienza delle
forme universali e assolute del pensiero e dell'esi-stenza»: forme, bensi, che non
sono semplici forme, perché queste forme si compenetrano col con- tenuto,
sono le forme del contenuto, che è l'idea stessa nella serie delle sue
determinazioni. Come tale, la logica è il fondamento di tutte le scienze.
La Nature et 1 Esprit costituent, il est
vrai, des états, des sphères plus concrétes et plus réelles de l'Idée, et, a
cet égard la Logique peut être considérée comme une science formelleou comme la
science de la méthode, mais comme la science de la forme et de la méthode
absolues, comme le type, le modèle intérieur, sur lequel la Nature et l'Esprit
doivent se développer et s'organiser, comme la forme, en un mot, sous laquelle
l'être et la vérité existent 5. Dove si può bensi
distinguere tra logica e idea, di cui la prima è la scienza; ma è chiaro che
quel che il V. dice tipo e modello della natura e dello spirito è appunto la
logica e non l'idea. Non già che egli finisca nel concetto della categoria
kantianamente intesa come condizione soggettiva della costituzione
dell'esperienza, e però della natura fenomenica, quale si trova nella nostra
esperienza. Il V. rimane molto più indietro di Kant. Oscillando tra la
sua ingenua interpretazione soggetti-vistica e la lettera degli scritti di
Hegel, dove l'Idea é lo stesso assoluto, egli, se da una parte non sa concepire
la logica se non come una elaborazione scientifica della mente contemplatrice
della verità e della mente che pensa di fatto questa verità per le idee
dell'essere, della qualità, della quantità, della causa ecc., dall'altra non
riesce a conferire altrimenti valore oggettivo a siffatte
condizioni della pensabilità del reale se non ipostatiz-zandole platonicamente
come tipo e modello della natura e dello spirito: ai quali l'Idea fornisce -
egli dice esplicito - una parte del loro contenuto: (e chi darà il resto ?). Su
questo punto il V. si spiega chiaramente, notando che si potrebbe dire la
Logica, cosi concepita, la scienza delle possibilità assolute, non nel senso
che le idee logiche siano possibilitàe non realtà, ma in questo senso che
niente non e possibile né può esser pensato se non per queste idee .1. E
ricorda Kant, che aveva riconosciuto le idee logiche come « condizione
necessaria di ogni esistenza e verità »; ma le aveva concepite come condizioni
negative, indotto in errore dal termine stesso di condizione; laddove 1'
idea ¿ condizione come elemento integrante e costitutivo
delle cose. La possibilità insomma, di cui parla V., ¿ possibilità
rispetto alla natura e allo spirito: in sé e reale e principio di realtà. La
possibilità, egli dice in fine, non può toccare i principii; perché i principii
o sono o non sono. Possibile è questo individuo, questo triangolo, ma non
l'essenza dell' individuo e del triangolo. I concetti universali, realizzati;
ecco la logica di Hegel, per V.: che e per l'appunto, sostanzialmente, il mondo
ideale di Platone, con la sua impossibilità di risolversi nel mondo
dell'esperienza :. Ma nel saggio hegeliano la conchiusione è che la
logica, la natura e lo spirito formano una triade indivisibile; sono tre
termini consustanziali di cui l'idea è il fondo comune, ed è l'azione reciproca
e la fusione eterna di queste tre sostanze che fanno l'unità e la vita del
mondo«3. Dove quel che si vede è la tri-plicità delle sostanze, e quel che si
dice di vedere l'unità dell' idea. Insomma, abbiamo fin qui un
hegeliano che vuol esser tale, perché ha studiato Hegel e ha creduto
d'intravve-dere il vasto mondo della sua filosofia, assai più sícuro rifugio
dallo scetticismo del Problème de la certitude, chenon fosse quella ragnatela
di teismo intuizionistico in cui dapprima gli parve di poter riparare. Ma il
segreto di quella filosofia rimane ancora per lui un segreto; e il suo spirito
continua a gravitare verso la trascendenza platonica. 20. - Nel terzo
articolo Un mot sur la philosophie el la Revolation française, il V., prendendo
le mosse dal giudizio dato da Hegel nella Filosofia della Storia sulla
Rivoluzione, come opera del pensiero, ritorna sul tema del primo scritto, sulla
libertà di coscienza che lo Stato deve garentire ispirandosi alla filosofia. Ma
veniamo all'ultimo La souveraineté du peuple, che, come il V. ci fa sapere, la
direzione della Liberté de penser, all'in-domani della rivoluzione di febbraio,
non credette op-portuno pubblicare perché « il aurait trop heurté les opinions
du moment». Vi era infatti combattuta la sovranità del popolo e il suffragio universale,
sostenendo che la vera autorità è l'autorità della ragione; che la ragione non
raggiunge lo stesso grado di forza, di chiarezza in tutte le intelligenze, qui
restando latente e oscura, li ma-nifestandosi in una maniera incompleta, e in
pochi rag- giungendo il maggiore sviluppo; e che pertanto l'autorità
spetta alla minoranza. E guardando questo lato solo della verità che egli
vedeva, difende la sua tesi con quel calore d'entusiasmo, che fu con la
facilità della forma una delle cause più efficaci della riputazione
conquista-tasi dallo scrittore: Si toute vérité a son origine dans
l'esprit, elle est d'abord à l'état théorique et idéal avant de revêtir une
forme matérielle et de passer dans les faits. Dans cet état, elle se trouve en face de la réalité
matérielle, il faut qu'elle lutte contre des intéréts et des croyances
séculaires, contre des habitudes invétérées; contre les préjugés et
l'ignorance. C'est cette vue antérieure et prophétique de la vérité, c'est ce
combat pour le triomphe d'une idée, qui constitue l'héroisme et le génie. Or
les massesne sauraient s'élever à la conception de l'idéal; car l'idéal ne se
révéle qu'à la contemplation solitaire et réfléchie, il demande une culture
speciale, une organisation d'élite, et cette inspira- tion, qui a
sa source dans les profondeurs cachées de l'ame, et qui ne s'éveille que sous
l'action paisible et soutenue de l'intelligence et de la volonté. Les masses
sont comme emprisonnées dans la réalité visible, et par le gente de leurs
travaux, par leurs goûts, leurs habitudes, et par la nécessité où elles sont de
pour-voir a leurs besoins matériels, elle ne peuvent franchir les limites du
fait et de l'ordre actuel des choses, ni discerner le vrai et le faux, le
possibile et l'impossibile 1. Il vero uomo di Stato non si
confonde infatti col po-polo, non se ne fa strumento - che sarebbe interdirsi
ogni azione durevole e salutare su di esso; non abdica alla propria
individualità, ma la fa servire al bene del paese. Ebbene, se la luce nella società
e perciò l'autorità, non sale ma scende dall'alto, al sommo della vita sociale
ci sono tre sfere d'attività che riassumono e dominano tutte le altre: la
politica la religione e la filosofia. In quale di esse risiederà l'autorità
suprema? Nell'uomo politico, nel prete, o nel filosofo? Il V. rinvia la ricerca
a un altro studio; ma la risposta è implicita nel suo scritto e nel primo di
questi articoli: il potere cioè spetta all'uomo politico, che prende voce e
norma dal filosofo. - Con tutto l' hegelismo del V., siamo ancora, almeno fino
a questo punto, al concetto della repubblica di Platone! 21. - L'
hegelismo tuttavia, a poco per volta, divenne un credo fermissimo pel V.; e la
storia della filosofia fini con l'esser messa da parte. Non abbiamo certo Coup
d'oeil sur l'Idéalismes, che dovette esser pubblicato prima che il V. passasse
in Inghilterra. E di anterioreall'Introduction à la philosophie de Hégel non ci
resta che l'opuscolo inglese del 18554, scritto in proposito di una
Teorica dell' infinito del filosofo scozzese Calder-wood (contro Hamilton) e
delle Istituzioni di metafisica del Ferrier: libri che parvero notevoli al V.
perché questi autori si sollevavano al di sopra del solito
empi- rismo inglese e della filosofia del senso comune. Il giudizio del
Ferrier su Hegel (che a guisa di gigantesco serpente boa avrebbe stretto nelle
spire delle sue dottrine impenetrabili come diamante tutti gli errori
correnti) dava qui occasione al V. di dichiarare che « ci ha nella
filosofia dell' Hegel una certa natural direzione, certi tratti cosi
determinati e certe principali conseguenze che non possono sfuggire a chiunque
vi si sia accostato, e che formeranno d'oggi innanzi il criterio e la norma
direttiva di ogni ricerca filosofica; e di accennare quindi questi punti
fondamentali della filosofia hegeliana. In questi punti, evidentemente, si
condensa l' hegelismo del V.. In primo luogo: la filosofia è la
scienza dell'assoluto: postulato indimostrabile, perché ogni dimostrazione 1o
presuppone, non essendovi intendere che non sia intendimento dell'assoluto.
Quindi l'assurdità di tutte le dottrine che cominciano dal negare o mettere in
dubbio il valore della conoscenza. In secondo luogo: chi dice scienza
dell'assoluto, dice scienza delle idee, perché tutto si conosce per mezzo delle
idee», né possiamo conoscer nulla di là dai limiti del mondo delle idee: onde,
se diciamo che l'anima non è un'idea, ma una forza, una causa, una sostanza,
che è semplice, immateriale ecc., anche allora, senza riflettervi « noi usiamo
delle idee, e descriviamo l'oggetto come unaggregato di quelli stessi elementi
che abbiamo respinti sotto un'altra forma ». In terzo luogo: il metodo filosofico
è il metodo proprio della conoscenza dell'assoluto, o delle idee: metodo
as-soluto, non essendo altro che la forma dello stesso as-soluto, o la forma in
cui le cose esistono e sono cono-sciute: ossia il sistema, nel suo ordinamento
dialettico. In quarto luogo: il sistema importa l'unità e la
molte-plicità, elementi identici e contradittori. Il metodo assoluto o
speculativo si distingue appunto per questa sua conciliazione dei contrari,
onde gli elementi discordi si compongono in armonia. Con questi concetti
Hegel ha dato corpo a uno de' più comprensivi e profondi sistemi che mai
vennero fuori della mente umana, il quale abbraccia tutte le parti del sapere,
la logica, la filosofia dello spirito, la filosofia della natura, la politica,
la filosofia dell'istoria, l'estetica, la religione. Anzi, strettamente
parlando, si può dire che nell'istoria della scienza il suo sia il primo e vero
sistema, imperocché né Platone, né Ari-stotele, né alcun moderno filosofo hanno
avuto un cosi vasto concetto della scienza, e così abbracciato e legato insieme
i diversi anelli dell'aurea catena a cui l'universo è sospeso. E uno de' tratti
principali di questo maraviglioso filosofo si è che le sue più alte
speculazioni hanno un carattere tutto istorico, e un risultamento positivo e
una pratica applicazione. Cosi potente e cosi comprensiva era la sua mente,
cosi profondo lo sguardo che egli getta nella natura delle cose 1, E il
primo inno cantato dal V. al suo autore, che tornerà a dire nella sua
prolusione napoletana: « quella mente prodigiosa e sovrana, che i nostri tempi
hanno prodotta, e che, non esito a procla-marlo, per la profondità, per la
vastità delle cognizioni, e anzitutto per la mente speculativa e
sistematizzatrice tutte le altre ha vinte, ma le ha vinte in sé riepilogandolee
concentrandole»*; e altrove: « le plus grand génie dont s'honore l'humanité»=;
colui nella cui filosofia e' è tutto, e c'è « comme il doit y être, par là qu'
il y est dans SON existence systématique»3; e la cui Enciclopedia
si compiacerà di considerare come una nuova Bibbia, « la Bibbia dell'
hegelismo, Ed è altresì la prima volta che egli enuncia come titolo
singolarissimo della filosofia hegeliana questa sua prerogativa, che poi non si
stancherà mai di esibire: la sua sistematicità, parendogli pregio altissimo
questo di Hegel di aver trattato ex projesso tutte le parti del sistema della
sua filosofia, ed esteso il suo sguardo a tutti i rami del sapere, legandoli
fortemente tra loro e creando un vero sistemas: non considerando che non c'è filosofia,
né pensiero mai, che non abbia la sua perfetta sistematicità; e che il sistema
non consiste nella configurazione esteriore delle parti (al qual patto Wolff è
più sistematico assai di Leibniz, e ogni pedante espositore dell'autore
esposto), sibbene nella universalità del principio e nella profondità
dell'intuizione originaria. Egli superficialmente si contentava della forma
estrinseca e non cercava più in là, lasciandosi sfuggire i titoli più autentici
del genio di Hegel.22. -— Ma, tornando ai quattro punti essenziali che
gli pareva di scorgere, quando già meditava la sua Intro-duzione, nella
filosofia hegeliana, non occortono commenti ad assodare che il suo hegelismo
era tuttavia un hegelismo abbastanza platonico; e platonico di quel platonismo
della decadenza della filosofia greca, in cui, sorto già lo scetticismo contro
la primitiva posizione platonica, la fede nelle idee era ristaurata con nuova e
peggior forma di dommatismo. Che sono infatti quelle idee, in cui si risolvono
tutte le categorie della realtà, così come il V. ce le presenta, se non le
stesse idee vuote della vecchia metafisica wolfiana, riduzione ideale
evanescente del mondo, onde tutto si pensa senza nulla fare? quella specie
d'oro di Mida, in cui si converte tutto il mondo del povero re, esposto alla
dura sorte di morirsi di fame e di sete ? Questa concezione rimase fitta
nella mente del V.. Il quale, nella sua prolusione di Milano Amore e
filosofia (11 novembre 186t), uno degli scritti, di cui più egli si
compiacque!, ripetendo il ritornello che la filosofia è la scienza
dell'assoluto, che l'assoluto è l'idea, in cui si concentrano e unificano la
molteplicità e le diffe-renze, sostenne che perciò « la filosofia e la scienza
delle scienze e, rigorosamente parlando, la sola scienza, e che tutte le
scienze e tutte le filosofie, che lo vogliano o non lo vogliano, che lo
sappiano o l'ignorino, sono parti di una sola scienza e di una sola filosofia»:
o, come dirà altrove :, tutti gli uomini sono hegeliani senza saperlo. Poiché
pensare e intendere è pensare e intendere idee, e non e' è altra filosofia o
scienza che l'idealismo assoluto 3. Sicché il materialista, che non pensa « la
materia, la forza, la na-tura senza le idee di forza, di materia e di natura»,
è anche lui a suo marcio dispetto dentro l'idealismo, e non se n'accorge. E
come il materialista, lo scienziato, il fisico e il matematico sono idealisti
senza saperlo; perché tutti maneggiano le idee; e non potrebbero fare
altrimenti. E nella già citata prolusione della fine dello stesso anno ripeté
le stesse cose ponendo in forma più ingenua l' inconsapevole dualismo e il
conseguente dom-matismo in cui egli restava sempre impigliato. « Nella stessa
guisa che non si può pensare il triangolo, o il bene, o la giustizia, o la
luce, o il tempo, o lo spazio, o un altro ente qualsiasi senza l'idea che ad
essi corrisponde, così non si può pensar l'assoluto senza l'idea dell'assoluto
» 1. Non si potrebbe più chiaramente confessare che questo assoluto, il
quale deve generare non solo l'essere ma la cognizione dell'essere, non si sa
d'altra parte concepire se non come l'obbietto della mente, in sé, perciò,
estraneo alla mentalità, e l'idea della mente come altro dall'assoluto a cui
deve corrispondere. E come corrispondere ? 23. - Il V. non ebbe mai un
orientamento storico degno di una filosofia come la hegeliana, che concepisce
tutte le filosofie precedenti come suoi momenti. Chiusosi nello hegelismo, ei
fu subito tratto instintivamente dal suo cattivo genio a tagliare i ponti con
tutti gli altri sistemi e principii filosofici, di cui avrebbe invece dovuto
cercare i rispettivi gradi di verità. Nelle Ricerche sulla scienza speculativa
e sperimentale, combattendo l'empi-rismo inglese, si rifà dalla dottrina
baconiana dell'indu-zione, e giudica a questo proposito Bacone. E lo giudica
cercando se nel Novum Organum ci sia un principio nuovo. L'induzione? Ma
negli Analitici di Aristotele la natura di questo metodo, le sue leggi, i suoi
limiti, le sue rela-zioni con la conoscenza oggettiva Sono State
descritte con quella maniera concisa ma sostanziale che è propria del
filosofo greco. Né Bacone vi ha fatto alcuna giunta essenziale. Peggio: Bacone
non aveva un concetto esatto della natura della scienza e delle sue esigenze, e
però né anche della stessa induzione, come è dimostrato dalla sua pretesa che
la scienza non si possa ottenere se non induttivamente. Bacone, troppo poco
versato nella flo-soha greca, non vide che le sue novità erano vecchie: i suoi
contemporanei « non meglio istruiti di lui sulle fonti originali e sul vero
valore delle teoriche aristoteliche, accettarono leggermente le sue opinioni.,
Insomma, tutta la fama di Bacone è una fama scroccata, fondata su errori di
fatto, cui basterebbe a correggere il solo voltare la pagina di un libro».
E con questi profondi criteri storici scrisse in inglese nel 57 uno studio su
Bacone, in certo giornale, Emporio italiano, che egli stesso dirigeva:: dove le
stesse considerazioni delle Ricerche sono svolte e confortate dall'analisi di
alcune dottrine baconiane per conchiudere egualmente, che si può cancellare
dalla storia del pensiero speculativo un così importante momento qual è, per
chi l'intenda, questa prima affermazione, nell'età moderna, della storicità del
sapere o del momento della certezza. Il saggio finisce con una sentenza
che potrebbe esser profonda, ma è piuttosto superficiale: « La scienza, anziché
essere la esatta riproduzione e la copia fedele del-l'esperienza, dev'esser in
certo senso l'opposto dell'espe-rienza; e quindi voler fondare la scienza sulla
esperienza è andare a ritroso della scienza stessa ». Frase che, ristampando il
saggio nel 1883, l'autore stesso senti il bisogno di commentare con
autocorrection.cancel lunga nota, poiché gli si affac-ciò il sospetto che una
volta che c'è il mondo dell'esperienza e dell'induzione, il mondo fenomenale
debb'avere anch'esso la sua ragion d'essere e contenere la verità; sicché
esagera negando alla cognizione empirica ogni ragione ed ogni verità». E si
scusava adducendo che il suo scritto aveva carattere popolare, e che egli vi
s'era proposto di mettere sopra tutto in rilievo il lato vulnerabile
del-l'empirismo, e che infine la verità della cognizione empirica è una «
verità subordinata, una verità, cioè, che non rinchiude in se stessa la ragione
del suo essere, e suppone quindi una più alta verità; e che perciò quando
l'empirismo pretende di essere il solo e vero organo della verità, «esso
sconvolge l'ordine delle cose e nel fatto nega ogni verità e cognizione. Scuse
troppo magre, perché queste ragioni potevano limitare, non negare il valore di
Bacone. 24. - E in realtà quale sia la verità dell'empirismo né allora né
poi il V. volle mai dire 1. Nelle Ricerche, postosi sullo stesso terreno
dell'empirista, l'esperienza la concepisce, per rigettarla, allo stesso modo di
chi ne fa l'unica fonte della conoscenza quasi sbocco nel pensiero, di una
realtà esterna. E contro Locke sostiene che tutte le idee sono innate, perché
non c'è sensazione che possa essere avvertita, e cioè pensata, come una
sensazionesenza un idea corrispondente; che il non esserne mai consapevoli non
prova, come credette il Locke, che non esistano, come non si può dire « che non
vi siano leggi che regolano le operazioni organiche del corpo perché da
prima camminiamo, mangiamo, digeriamo senza es-serne consci, ed ignorandole».
L'empirista, intento ad osservare e raccoglier fatti, non s'accorge di
adoperare una quantità di principii, che pur « debbono preesistere nella sua
mente, e dee la sua mente concepirli, ancorché oscuramente e sotto un' incerta
e confusa luce.. - Dove parrebbe di scorgere una prova che ancora il V. non si
fosse dato la pena di studiare la Critica della ragion pura, né i Nuovi Saggi
sull' intelletto umano. Di Leibniz si occupò nel 186r nella sua polemica
col Saisset e col Janet ‹, poiché il primo di questi, parlando
insieme di Leibniz e di Hegel, aveva accennato a met-tere il filosofo della
Teodicea al di sopra di quello della Fenomenologia: e il nome del Leibniz,
grazie all' interesse per gli studi storici suscitato e nudrito dall' impulso
del Cousin, era salito in auge in Francia, e Foucher de Careil aveva dato i due
volumi del carteggio di Leibniz con Bossuet, e l'Accademia aveva messo a
concorso un tema sulla filosofia leibniziana, ottenendo due lavori degni del premio,
uno dello stesso Foucher de Careil e l'altro del Nourrisson. Il V., che gia
insegnava storia della filosofia, e si professava hegeliano, dice a questo
pro-posito in tono tra l'ironico e lo stizzito: J'ai moi aussi le culte
des morts, qui est une religion, on l'a dit, je crois, et qui, comme toute
religion, est utile aux vivants. Aussi
l'Acadentie mettrait-elle au concours la vie et les gestes de Confucius, ou de
Menou qu'il faudrait lui en savoir gré. A plus forte raison, faut-il lui en
savoir, lorsqu'elle fait de son mieux pour entourer d'une nouvelle auréole un
nom comme celui deLeibriz. Jusque là c'est très-bien. Mais ce qui est moins
bien, ce que du moins je ne puis approuver, et ce qui pourrait même au besoin
m'indigner et me révolter, c'est qu'on fasse du bruit autour d'un mort pour
étouffer la voix des vivants, c'est qu'on veuille donner à une ombre des
proportions gigantesques pour couvrir et effacer un véritable géant. E
alzando sempre più il tono: Voilà ce que je ne veux point, et ce que je
combattrai de toutes mes forces, eusse-je devant moi l'ombre de Platon ou
d'Aristote. Et, en combattant ainsi, je croirai combattre, non sculement pour
la vérité et la justice, mais pour la dignité de mon siècle, et de la nature
humaine. E pare credesse sul serio che si « esumasse » Leibniz, e si «
facesse chiasso» intorno a questo nome per dirci che l'epoca dei giganti è
passata e siamo a quella dei pigmei; sicché oggi « per colpire Hegel» ci
serviamo di Leibniz; domani si potrà esumare Plotino, Giamblico, per
mostrare, come diceva il Saisset, che la dottrina di Hegel è quella del vecchio
panteismo: et nous reculerons ainsi, s'il le faut, jusqu'au paradis terrestre1
Onde ridu-ceva la questione a questi termini: Ainsi donc, vous nous dites,
Leibniz est un grand personnage, et Hégel n'est pas un grand personnage, car
c'est là, au fond, la pensée qui domine dans l'écrit de M. Saisset. À cela je repon-drai sans hésiter, si Leibniz est grand,
Hégel est plus grand encore. passi. Ma il V., per rendere,
com'egli dice, più preciso e più sensibile il proprio pensiero, aggiunge che
«se Leibniz non fosse esistito, la catena della scienza non sarebbe punto
spezzata, perché noi avremmo Newton a prendere il posto lasciato da Leibniz»,
che è un gran matematico, ma un mediocre filosofo e un diplomatico: diplomatico
non solo nelle controversie religiose, ma nella stessa filosofia. « La sua
filosofia è la filosofia degli espe-dienti, delle parole e delle apparenze.
Quando non intende la cosa, mette una parola al suo posto; quando una
difficoltà lo stringe, non vi si sottrae attaccandola sinceramente e di fronte,
ma per l'uscio di dietro ». E della sua critica concreta basti un
esempio. Che è la monade di Leibniz? Questi parte dal principio che ogni essere
o ogni sostanza composta, in quanto tale, deve risolversi negli elementi
componenti semplici e indivi-sibili; che sono appunto le monadi. - Ora che
metodo è questo? Decomporre un tutto nelle sue parti: il metodo che aveva
prodotto l'atomismo: metodo volgare, arbi-trario, che non si preoccupa niente
niente di giustificarsi. Perché si decompone? a qual fine? che si cerca?
Nessuna risposta. E si può decomporre un tutto? Ma se certi elementi sono uniti
in un tutto, il loro essere dipende anche dalla loro unione, e separarli è distruggerli.
Donde poi le escogitazioni puramente verbali dell'armonia prestabilita e delle
fulgurazioni della monade delle mo-nadi, necessarie per ricostruire alla meglio
quell'unità malamente infranta. - Critica, che è vera certamente ed hegeliana:
ma ha il gravissimo difetto (e difetto tutt'altro che hegeliano!) di essere
soltanto negativa, e non saper vedere il pregio grandissimo della monade
leibni-ziana, come la prima concezione, nella storia del pensiero umano,
dell'autonomia assoluta dello spirito. Né più penetrazione e simpatia
storica ebbe per l'altro grande filosofo prussiano, E. Kant, malgrado la sua
capitale importanza nella genesi dell' hegelismo. Ogni volta che ne
scrisse 1, ne disconobbe affatto il va-lore, guardando solo al lato negativo
della filosofia critica,e sconvolgendo co' suoi giudizi tutta la storia
che la pre- para. Non può intendere Kant, chi non intenda Cartesio.
E che è Cartesio pel V.? Uno scettico, da dar dei punti a Carneade. E vero che
la dottrina della versimiglianza è per l'accademico il risultato della scienza;
e il dubbio è, invece, per Cartesio un punto di partenza e il mezzo di
purificare la mente che deve accingersi alla ricerca della verità. « Tuttavia,
questa differenza fra le sue dottrine è più apparente che reale. Imperocché
ogni qual volta si fa del dubbio una condizione o un elemento essenziale della
cognizione, ch'egli si mostri al punto d'arrivo... o al punto di
partenza.... il risultato è lo stesso: si colpi-sce, cioè, la scienza nella sua
essenza, che è l'affermazione, e la si rende impossibile »1. E non riesce a
scorgere mai né la ragione metodica del dubbio cartesiano, dimostrazione di
quel carattere essenziale della conoscenza, che è la certezza, o presenza del
soggetto nella verità; né della necessità di quel dubbio, per giungere
all'affermazione tutta cartesiana del cogito; né il significato di questo
cogito 326. - Scettico Cartesio, due volte scettico Kant. Contro il quale
il V. non si stancò mai di ripetere la critica hegeliana (che in Hegel ha un
valore affatto in-cidentale) della assurdità di una ricerca sul valore della
cognizione come necessario preliminare all'uso della cognizione stessa.
Critica, sulla quale non giova insistere troppo contro Kant, che dal bisogno di
una preliminare teorica della conoscenza non parte per giungere allo
scet-ticismo, ma alla giustificazione di una sua positiva filo-sofia; essendo
questa la natura propria di ogni filosofia, ossia della filosofia, di essere un
circolo, in cui non si può muovere da un punto senza volgere le spalle a tutto
il resto del cerchio che si ha da percorrere. Ma, a parte questo punto, che non
fu chiaro nemmeno a Hegel, del V. è tutta la scoperta (in un suo articolo del
'60) che uno dei risultati» dell'analisi kantiana dell'intelligenza « fu, com'
è noto, la discoperta di un doppio elemento in ogni atto o operazione del
pensiero, di un elemento estrinseco, cioè contingente e variabile, il
feno-meno, e d'un elemento intrinseco, necessario e inva-riabile, il noumeno:
il quale venne da Kant suddiviso in categorie e idee:!. Confusione tra noumeno
e categorie o idee (ossia di ciò che vi ha di più opposto per Kant), che non
impedisce al V. di identificare poi il noumeno con la cosa in sé, mediante
l'equazione del noumeno con « Dio, l'idea, l'assoluto». Onde la sua critica di
Kant culmina in quest'accusa, che in realtà, la sensazione costituisce il
criterio della filosofia critica, e tutti i suoi ragionamenti vertono intorno a
questo principio: l'assoluto, il noumeno, la cosa in sé (Ding an sich), come
Kant la chiama, non possono esser conosciuti ed affermati, perché non possono
essere sentiti e imaginati ». Così non v'ha dubbio che Kant stesso (quellosopra
tutto dalla seconda edizione della Critica) si sarebbe visto camuffato da
scettico! Il V. dovette più tardi, io credo, leggere l'opera maggiore di
Kant, e della sua dottrina tornò a discorrere un po' distesamente all'Accademia
delle scienze morali e politiche di Napoli nel 1882. Dopo la solita accusa di
scetticismo larvato, prese ad esporte umoristicamente la teoria kantiana
dell'esperienza, accennando la decomposizione dell'atto dell' intendimento in
forma a priori e contenuto a posteriori, o categoria e dato sensibile. Due
elementi, che non sono separati, ma uniti indivisibil-mente. Come, adunque,
S'incontrano e si uniscono? Nulla di più semplice. Quando il mondo esterno, la
natura, viene col concorso della sensibilità a bussare alla porta della
intelligenza, questa sorge dal suo letargo, trae fuori dal suo arsenale le
categorie, e risponde alla chiamata battezzando e imponendo un nome
al-l'obbietto, e impartendo con ciò a se stessa una esistenza e una realtà
obbiettiva. Quindi l'esperienza è un battesimo in cui il neonato, l'obbietto
esterno, riceve un nome, una forma razionale che lo trasforma in un qualché d'
intelligibile 1. E dopo questa caricatura, eccolo a far la voce seria e a
rimproverare Kant di aver diviso i due elementi del-l'esperienza: chiudendo gli
occhi, malgrado i magistrali lavori dello Spaventa, che c'erano stati in Italia,
e malgrado le profonde interpretazioni di Schultze e di Beck prima, e poi di
Fichte (che il V. non avrebbe dovuto ignorare), su tutta l'attività creatrice
dello spirito, che plasma e governa l'esperienza di Kant. Qui, se non
confonde più categorie e noumeni, continua a ritenere sinonimi nel linguaggio
kantiano noumeni, cosa in sé e idee, e la ragione chiama • facoltà dei
nou- meni, cioè delle idee propriamente detten e dalla semi-passività
delle categorie, la cui funzione è subordinata al concorso dell'oggetto esterno,
argomenta: Se gli elementi, o principii che costituiscono l'esperienza,
sono limitati, subordinati e passivi, ne siegue ch'essi presuppongono un
principio attivo che li domina, che è il loro comune prin-cipio, la loro unità,
e di cui sono le differenze, i momenti. La cosa in sé, il noumeno, l'idea di
Kant altro non può essere che siffatto principio. Il noumeno è principio del
fenomeno, vale a dire della categoria e dell'obbietto sensibile, come anche del
loro rapporto, della loro unione, cioé, nell'atto sperimentale, nel fe-
nomeno. E cosi, per intendere la sintesi a priori guarda all'estremo
opposto di quello, a cui la storia della filosofia già, continuando Kant, aveva
guardato. Eppure, nell' Introduction à la philosophie de Hégel il V.
riconobbe che accanto ai risultati negativi della critica, vi son pure in
quella filosofia « des germes si fé-conds, des vues si larges et si riches, et
une intuition si profonde de la science, qu'elle était destinée à susciter un
grand et nouveau monvement» t. Ma li dall' indirizzo stesso della sua ricerca,
in cui si proponeva di sbozzare in qualche modo il risorgimento dell'idealismo
fino al suo culminare in Hegel, era stimolato a cercare in Kant l'addentellato
della filosotia posteriore. Ma anche li, quali sono pel V. i meriti di Kant?
Tutto si riduce a questo: che Kant, pel primo nei tempi moderni, ha ricondotto
l'idealismo sul terreno dell'ontologia, provocando cosi, dopo Platone, una
nuova ricerca sulla natura delle idee. Infatti, « movendo dal principio
che ogni conoscenza si fonda su una forma primitiva del pensiero, fu condotto a
seguire il pensiero in tutte le sue applicazioni e in tutte le sfere della sua
attività, e a fissare per ciascuna d'esse l'elemento essenziale che la regge e
determina. Dondenumerose ricerche concernenti la cerchia intera delle
cognizioni, la metafisica, la morale, la natura, la religione, il diritto,
l'arte, . dove Kant si sforza sempre di cogliere le leggi invariabili e
assolute dell'intelligenza ». Sicché il pregio dell'idealismo kantiano
consisterebbe nell'esempio dato di una indagine universale governata da unità
di principii: l'unità della scienza e del metodo: « voilà le côté posilij el
vraiment fécond de la philosophie de Kant, et c'est par ce côté qu'elle se
rattache au monvement ulté-rieur de la philosophie allemande». Concetto che non
gli potrebbe servire a una qualunque ricostruzione di questa filosofia; se egli
(messo, forse, sulla strada dalla fonte di cui si doveva servire) non passasse
poi a determinarlo altrimenti, facendo consistere l'unità di principio, portata
da Kant in tutta la scienza, nell'idea considerata come condizione assoluta
della conoscenza, e il processo speculativo da Kant ad Hegel nel passaggio
dell'idea stessa da condizione della conoscenza a principio assoluto delle
cose. Quel che segue infatti, dove passa a mostrare che i germi di questa
trasformazione erano già in Kant, non può essere pensiero del V., il quale non
se ne ricordo mai, in séguito, nei suoi giudizi sul criticismo. Il passaggio da
Kant a Hegel era per lui oscuro, e chi sa donde è attinta questa giustissima
osservazione, dove per altro talune espressioni incerte e poco esatte
tradiscono una conoscenza indiretta: che « nella filosofia kantiana, quantunque
essa faccia una larga parte all'esperienza, considerata come condizione
all'esercizio dell'intelletto e il solo mezzo di verificare il valore oggettivo
delle sue leggi, il pensiero conserva la sua superiorità sull'esperienza, e,
anzi che ricevere da essa le sue leggi, gliele impone in guisa che esso foggia
(jaçonne] e si assimila i fenomeni, i quali non possono giungere a lui se non
attraverso le sue forme e le sue leggi»; e quest'altra idea, più profonda, che
«l'atto trascendente e sintetico della coscienza, iopenso, vi è presentato come
la condizione essenziale e, per dir cosi, il substratam di ogni conoscenza, e
costituente l'unità della coscienza e di tutti i suoi elementi, delle sue
appercezioni interne o esterne, delle categorie e delle idee come dei materiali
forniti dall'esperienza. Anche il passaggio da Kant a Fichte (il V. pare non
sappia nulla dei minori kantiani che spianano la via a Fichte) è bene
rappresentato, almeno in appa-renza: osservandosi che le leggi del pensiero non
sono poi elementi vuoti e inerti, ma potenze, forze che producono i fenomeni; e
che il loro centro è in quell'unità profonda dell'Io («la cui forma più elevata
è l'atto sintetico del pensiero i); e però dall'Io scaturisce ogni attività
dell'intelletto, e quindi questo mondo esterno e oggettivo, su cui l'intelletto
si esercita. Donde Fichte, che pone nell'Io l'unità delle cose. Ma le poche
pagine dedicate al pensiero di Fichte sono seguite da critiche, che dimostrano
la scarsa familiarità del V. con quel pensiero in relazione ai principii più
profondi della Cri-tica, e la sua incapacità di apprezzare storicamente questi
punti capitali della preparazione allo hegelismo. Tutto il progresso di
Fichte è raccolto in queste tre osservazioni, superficiali o del tutto erronee:
che Fichte ristabili l'unità della intelligenza, che Kant aveva spezzata con la
sua divisione della ragione, in pratica e spe-culativa; 2) dedusse con metodo
rigoroso l'una dall'altra le varie parti della conoscenza, facendo così sentire
sempre di più il bisogno e mostrando insieme la possibilità di organizzare la
scienza secondo i rapporti interni delle sue parti; 3) facendo dell'Io il
principio del pensiero e dell'essere, «provocava ricerche più profonde sulla
natura e le leggi del pensiero e i loro rapporti con le cose, e preparava la
via alla filosofia dello spirito di Hegel ». Ma la parte negativa, al
solito, supera di gran lunga lapositiva; e le censure si accumulano l'una
sull'altra con una desolante inintelligenza. Eccone qualche esempio. Le
deduzioni di Fichte non penetrano gran che nella natura delle cose, di modo che
non si vede né perché né come si producano le opposizioni e come si passi da un
termine all'altro. — Il non-io è contenuto bensi nell'Io (anzi, dice il V.,
dans la notion même du moi) ma questo punto non è dimostrato; perché Fichte non
s'era elevato a quel metodo che ricava dal concetto di una cosa la sua
differenza e la sua unità. Il suo metodo era ancora accidentale ed estrinseco;
e però egli ridusse tutte le opposizioni a quelle di lo e non-Io, laddove la
contradizione c'è anche nel non-lo preso separatamente (bel gusto, invero, a
prenderlo separatamente, dopo Fichte!). - E poi l'Io è un concetto o una forza?
(domanda, che è una rivelazione o una confessione rispetto alla posizione del V.
nell'intendere la natura del movimento del pensiero nella logica hegeliana). -
Ancora: I' Io di Fichte, se è un lo relativo, contingente e finito, si lascia
sfuggire l'assoluto e l'infinito della scienza; se è l'Io assoluto, allora la
sua tendenza, il suo sforzo infinito per attingere l'assoluto è inesplicabile.
E via di questo passo, o con questi salti. Ma il più curioso è che il V. infine
dice: «Telles (0 sont les lacunes que présent la doctri-ne de Fichle et que
Schelling s'efforça de faire disparaitre. E sorte non migliore, per iscarsa o
nessuna conoscenza diretta e per divergenza di punto di vista, capita quindi a
Schelling, di cui il V., non occorre dirlo, non sospetta nemmeno il reale
motivo speculativo e il progresso vero su Fichte: e il cui sistema giudica, a
un tratto, come « plutot une oeuvre d'arl qu'ane ocuore waiment scientifique,..
plutôt le produit de la jeunesse que de la maturité de la pensée d'une vive et
riche imagi-nation que de celle intuition profonde et réféchie, qui est le
résultat des procédés sevères de la sciencent. Se cosi giudicava i
maggiori filosofi tedeschi, che non fossero Hegel, qual meraviglia che non
tenesse in nessun conto tutti i filosofi italiani? Quanto più d' ingegno e di
dottrina spiegava il suo collega napoletano B. Spaventa a mettere, come
si dice, in valore la filosofia italiana, dimostrando con le sue penetranti
investigazioni i tesori di pensiero che si celavano nelle sue viscere, tanto
più il V., la cui cultura s'era formata fuori d'Italia, e che, scrivendo in
Francia, aveva finito col non dire più 'i francesi ' ma 'noi'=; e
imbevutosi dell' hegelismo, non aveva più saputo guardare all'Italia con altri
occhi, che quelli onde, in generale, tutti i romantici tedeschi vi guardarono
commiserando 3; tanto più, il V., per cuidunque non esisteva il problema dello
Spaventa, di edificare sulle fondamenta, e svolgere il pensiero italiano,
movendosi dentro di esso e movendosi con esso, più s' impuntava, assai poco
hegelianamente, ad asserire che in Italia non s'era mai filosofato, e che
bisognava rifarsi da capo. Una eccezione parve talora farla pel Bruno,
celebrato da Hegel come » nobile anima, che sente in sé l' immanenza dello
spirito e intende l'unità della sua essenza e dell'essenza universale come
tutta la vita del pensiero. Nella sua prolusione a Napoli, la occasione stessa
l'obbligò quasi a ricordare i due grandi nomi na-poletani: Bruno e Vico. E il
primo mise al di sopra del secondo, quantunque manchi a quello « sopratutto il
punto di vista, o concetto istorico, concetto importantissimo e che è il segno
caratteristico, e dirò come il trionfo della filosofia moderna»: e l'abbia
invece il Vico, e sia anzi la sua originalità. Pure, «Bruno è un profondo
me-tafisico, a tal segno ch' è come l'eco dell'antica filosofia e il precursore
della moderna». Ma non andò (né credo potesse con la cognizione che doveva
averne) oltre tali e simili generalità. A cui si attenne anche lo scolaro
Raffaele Mariano in quel suo pamphlet sulla filosofia contemporanea italiana,
in cui si fece, come già in altri scritti, organo del pensiero del V.. Tra BRUNO
(si veda) e VICO (si veda) V. non vedeva
che tenebre. Di Campanella mai una parola, che io sappia. Vico è lodato
caldamente in un articoletto (L'esegesi), scritto in Inghilterra con qualche
accento di italianità: lodato come « genio profondo e originale», « uno dei
primi, per non dire il primo, ad entrar nella carrieran in cui andarono poi
tanto innanzi i tedeschi, della critica erudita e della filologia: come quegli
che nel De antiquissima Italorum sapientia « ha poste le basi della critica
filosofica delle lingue», nel De unico principio et fine tris (sic) « ha poste
le basi della critica del diritto e nella Scienza nuova ha fondato la filosofia
della storia, e quindi i principii della critica storica. e con la sua teoria sul
« vero Omero » va considerato «come il punto di partenza e il motore di tutte
le ricerche posteriori sulla questione omerica.. Giudizio molto
modificato più tardi:, in parte corretto (in ciò che concerne il De
antiquissima ne aveva bisogno), in parte peggiorato e ravvolto in un
apprezzamento complessivo superficialissimo. « Vico è un mediocre me-tafisico.
Trasportando l'idea platonica, e anzitutto l'idea della repubblica di Platone
nella storia comprese che avervi una storia ideale. Questo intese, ma mal
comprese; e mal comprese ed attuò, perché alla verità e altezza del concetto
non aggiunse una facoltà vera-mente speculativa». Non seppe addentrarsi nella
cognizione dell'idea, «sia con uno studio profondo delle dottrine platoniche e
aristoteliche, sia con indagini proprie e veramente originali». Avrebbe dovuto
costruire prima l'idea della storia, e indi desumere il fatto o storia reale
delle nazioni. E invece mosse dal fatto, la storia di Roma, e però non poté
intendere l'Oriente, la Grecia, il Cristianesimo e le nazioni e la storia
moderna (che sono, come ognun vede dall'indice della Filosofia della Storia di
Hegel, le altre parti della trattazione hegeliana, oltre la storia romana). Più
tardi disse che Vico intravvide, non vide la vera idea della storia!.
Viceversa, discorrendone più di proposito nella Introduzione alla filosofia
della Storia :, tornava ad asserire che « il gran pregio di VICO (si veda), che
niuno potrà rapirgli, sta in questo, nell'aver pel primo riconosciuto che
l'idea è il principio della storia». Ma, con l'usata deplorevole
confusione, accettava l'inter- pretazione platonica che il Vico
stesso fa delle sue idee, parendogli chiaro che «studiando la teorica platonica
delle idee, comprendendo, cioè, l'importanza e la funzione dell'idea dell'universo,
si giunge naturalmente al punto di vista di Vico. E d'altra parte, guardando
poi all'applicazione che il Vico aveva fatto della sua dottrina alla scoperta
del vero Omero, dove il Vico non avrebbe inteso che l'idea non si manifesta se
non incarnandosi in certi individui, non dubitava di arguirne che *Vico
non intese la vera natura dell'idea, né quella del suo rapporto con la storia e
con l'individuo ». E dopo Vico? «Vico», risponde per lui il Mariano, « è
un'apparizione che non ha antecedenti e non lascia tradizione »3. E poiché Vico
non ebbe coscienza della me-tafisica richiesta dal suo concetto storico della
scienza, si può dire che « il pensiero italiano chiuda il suo ciclo storico con
Bruno, e s'estingua, se cosi può dirsi, sul suo rogo». Doloroso a dirsi:
l'Italia moderna non esiste nella storia, se esistere nella storia significa
rappresentare un'idea; o esiste pel suo papato. Dall'alto di questo
giudicatorio universale, che diventavano quei pigmei di un Galluppi, di un
Rosmini, di un Gioberti, di cui faceva tanto caso lo Spaventa? Il Mariano
risponde: « A nostro avviso, i filosofi italiani degli ultimi tempi non
hanno contribuito in nessuna maniera con le loro dottrine al movimento e allo
sviluppo del pensiero filo-sofico; poiché, oltre a venire quando tutto lo
sviluppo di questo pensiero era già compiuto, essi si chiudono in punti di
vista esclusivi e subordinati. Le loro dottrine non sono siste-matiche, nascono
non si potrebbe dire donde né come, senza aver nemmeno una coscienza
chiara di se stesse, né della filosofia in generale; e infine segnano un
regresso e una decadenza del pensiero. La tesi dello Spa-venta, che non
intendeva si potesse trapiantare in Italia una filosofia la quale non avesse
nessun appiglio nella tradizione del suo pensiero, e che andava orgoglioso di
aver dimostrato che tutti i nostri più grandi pensatori da Bruno a Campanella
al Gioberti s'erano mossi nello stesso circolo del moderno pensiero europeo,
pareva al Mariano e al V. « falsasse il concetto della filosofia, del suo
oggetto e della sua storia», uno di quei « tours de force intellettuali, che
non sono rari, che sono anzi disgraziatamente troppo comuni, e consistono nel
mettere in una dottrina quel che è nel nostro proprio pensiero e nel pensiero
d'un altro». Bella testa davvero quello Spaventa, che veniva a dire 'a
questi asini papalini degl' Italiani, che alla fine la filosofia di Hegel non
era poi l'ultima parola dello spirito speculativo, e non si doveva ripetere e
commentare meccanicamente le sue deduzioni come tante formole sacramentali. «
Parole sonore, ma vuote. L'essenziale è intendere quelle deduzioni e quelle
formole, come piace allo Spaventa di chiamarle. Ma lo Spaventa le intende
? Par di no, dacché identifica [e non era vero] Gioberti e Hegel. Poi che
il pensiero di Hegel possa essere ulteriormente svolto e compiuto entro certi
limiti, nessuno hegeliano, noi crediamo, si rifiuterà di ammetterlo. Ma se lo
Spaventa avesse inteso la storia della filosofia e l'hegelismo, avrebbe visto
che non sono possibili svolgimenti ulteriori deviando o uscendo dal pensiero
hegeliano, e in questo senso può dirsi che la filosofia di Hegel sia per
l'appunto l'ultima parola dello spirito speculativo. Che poteva essere magari
la convinzione dello Spaventa, ove si dia a questa frase un significato
rigoroso, che non era disposto di certo a darle né il Mariano né il V., quando
questi scriveva p. e, che « la filosofia di Hegel chiude, quanto alle parti
costitutive, il ciclo storico della filosofia; quantunque non vogliamo negar
con ciò la possibilità di altri svolgimenti, ma sempre di un ordine particolare
e subordinato, che il pensiero filosofico potrà ammettere »3. - Uomo pericoloso
quello Spaventa, infido hegeliano! Quei suoi Principii di filosofia, cominciati
a pubblicare nel 1867! Sempre quel suo fare d'uomo che dice e non dice (les
mêmes allures contournées et de-tournées !), quell'ambiguità di linguaggio,
quell' hegelismo che non è punto hegelismo: « una logica hegeliana che si dà
delle arie di non sappiamo qual'altra logica: infine, una filosofia nuova, ma
stranamente nuova, prima perchévi si dà per nuovo quel che Hegel stesso e dopo
Hegel alcuni de suoi discepoli hanno esplicitamente e da lungo tempo insegnato,
e poi, sopra tutto, perché non si potrebbe dire che cosa è, donde viene e dove
va, e perché non può avere altro risultato che di creare o perpetuare
l'equivoco, la confusione e l'indisciplina degli spiriti». Cosi dal V.
aveva imparato a giudicare dello Spaventa, uno scrittorello, che, tanto per
accreditare la filosofia hegeliana, rifaceva in quattro e quattr'otto e
tenendosi sempre sulle generali, senza analisi di testi, né discussione di
punti controversi, la storia della filosofia italiana, e sentenziava che quella
specie di eclettismo del Galluppi era un « fenomeno isolato e accidentale, che
non s'era accorto di venire al mondo quando il movimento filosofico tedesco con
Hegel era « achevé, lorsque l'idéalisme étail une doctrine constituée» (povero
Galluppi!). Il pensiero del Rosmini è più vasto e completo, ma è un vano sforzo
• di risuscitare la filosofia scolastica, e, per questo rispetto, un regresso.
Gioberti poi « non soltanto un'apparizione inutile nell'ordine del pensiero
come in quello della storia, ma la negazione della storia e della scienza
" 5 Spaventa ne aveva fatto la satira anticipata. A proposito di
costoro che non vedevano nulla di nulla in Italia, e la filosofia morta da due
o trecento anni, e si scalmanavano a raccomandare l'idea, a rifarsi dalla idea,
e sopra tutto a far come loro (e guardate a noi, fate come facciamo noi, e dite
come diciamo noi: uno, due, tre; e ritornerete vivi, sani e salvi; e sarete
felici ») aveva ricordato « un tale, bravomo del resto; il quale un
giorno, di pien meriggio, nel mese di luglio, non sapendo che fare e avendo
accolto in casa, nel suo gabi-netto, numerosi amici, chiuse ermeticamente le
impostedelle finestre e l'uscio, e all'oscuro accese subitamente un suo
lumicino, e fattosi in mezzo, non per gioco, ma col maggior senno del mondo,
esclamò: - Non temete; ecco, io vi riporto la luce!* E la satira conchiudeva: «
Mi fu detto poi, che il brav'omo fini i suoi giorni al mani-comio, e non
parlava d'altro che del lume spento e del suo lumicino. Quando imprese la sua
volgarizzazione della filosofia hegeliana, V. non s'era proposto se non di
tradurre in francese la piccola Enciclopedia di Hegel, come già erano state
tradotte le opere principali di Kant, Fichte, Schelling, l' Estetica dello
stesso Hegel e una parte della Logica. Ma estremamente prolisso com'era, e
com'è degli scrittori che non approfondiscono il pensiero e scivolano sulle
difficoltà, postosi a scrivere un proemio introduttivo alla traduzione, la
materia gli crebbe ben presto tra mani fino ad imporgli la necessità di
pubblicare questo scritto a parte, come formante da solo un tutto «
indipendente, sotto certi aspetti, dal sistema di Hegel», le cui tre parti
pensò quindi di dare poi in tre volumi distinti. Se non che quando poté
cominciare a pubblicare la sua traduzione, penso che se a tutta l'Enciclopedia
aveva mandato innanzi una introduzione generale, una speciale per la Logica,
ossia per la prima parte, da cui gli toccava di cominciare, sarebbe stata pure
opportuna. E cosi per la sola Logica occorsero già due volumi 3;come tre
gliene occorsero poi per la Filosofia della natura 5 infarcita di
lunghissime note, oltre la solita vasta introduzione; e due infine per la
F'ilosofia dello spiritos, ma grossi: perché, pubblicato a tre anni di distanza
dal primo, il secondo gli parve che non potesse andar privo di una nuova
speciale introduzione. E tra introduzioni prime e seconde, avant-propos e
avertissements premessi agli avant-propos, commenti perpetui, appendici,
pole-miche, si esauri tutta la sua attività letteraria non impiegata nel tradurre
il testo. Tutta, o quasi tutta. Quando parve proporsi un tema di trattazione
originale, come il Cavour e il Problema dell'Assoluto, in fatto continuò
egualmente a discettare intorno all'uno o all'altro punto di dottrina
hegeliana; e quando, come nel Problema dell Assoluto, doveva pure levar l'ala
pervoglia di volare, finiva tosto per fare come il cicognino dantesco,
che non s'attenta D'abbandonar lo nido, e giù la cala. E
lasciava interrotto il lavoro. L'opuscolo sulla Pena di morte (1863) 1,
che, per il vivo interesse che suscitava allora la questione in Italia, fu
degli scritti più noti, più letti e discussi del V. 3, è anch'esso un commento
a un'opinione dell' Hegel. L'Introduzione alla filosofia della storia sono
corsi di lezioni raccolte da uno scolaro, le quali non hanno nessuna pretesa
d'originalità scientifica. Lo Strauss, l'ancienne et la nouvelle foi (1873) si
propone di chiarire e confermare la filosofia della religione di Hegel contro
il radicalismo teologico dello Strauss. Si può dire pertanto che tutta l'opera
del V. si riduca alla traduzione e al commento dell' Enciclopedia di Hegel con
speciale insistenza sulla parte che riguarda la filosofia della
religione. Opera certamente assai benemerita pei vantaggi arrecati alla
cultura delle nazioni latine, principalmente della Francia e dell'Italia, in un
tempo in cui la filosofia di Hegel era venuta in discredito, le sue opere
apparivano in conseguenza assai più difficili che in realtà non siano, e facevano
torcere il muso agli studiosi, i quali non avrebbero forse letto nulla di lui,
se non avessero avuto a portata di mano quell' Hegel volgare (come avrebbero
dettoi nostri antichi), così agevolmente accessibile nello sciolto francese in
cui il V. lo dilavò, e cosi largamente illustrato da chi non dubitava di
parlare come l'autentico interprete dello hegelismo. Soltanto in questi ultimi
anni le sue traduzioni sono state, nel rinnovato studio di Hegel, riscontrate
accuratamente con l'originale; e trovate malfide. Se nella prima traduzione
della Logica gli errori d'interpretazione erano frequenti, i lettori non lo
seppero forse prima che ne li avvertisse lo stesso V. quando li corresse nella
seconda?. Lo stile discorsivo, senza muscoli e senza nervi, del traduttore non
somigliava punto a quello di Hegel: ma chi se n'accorgeva ? I punti più
delicati ed essenziali dello hegelismo nelle interpretazioni veriane andavano
alterati. Il colorito generale e il carattere fondamentale di questa filosofia
attraverso quelle interpretazioni eran cancellati o apparivano troppo sbiaditi.
E questo era certamente difetto ingente per la fortuna del pensiero hegeliano e
il progresso speculativo. Ma non è per altro da credere che una più schietta
traduzione e una interpretazione più rigorosa del pensiero hegeliano sarebbe
bastato in quel ventennio tra il 186o e l'8o in cui cadde l'opera del V., a
dare una direzione diversa allo spirito filosofico, preso com'era dalla brama
dei fatti e dal disgusto d'ogni speculazione. E d'altra parte, c'è in
ogni grande filosofo e in ogni grande scrittore una folla di verità
particolari, frammenti e scheggie luminose di pensiero, di cui giova pure
arricchire ed accade sempre provvidenzialmente che venga arricchito il
patrimonio generale della cultura, e impinguato quello che si può dire il
terreno spirituale, da cui germogliano, maturate che siano le stagioni
opportune,i nuovi pensieri, e da cui pur continuamente traggono il loro succo
vitale tutte le forme dell'attività umana. Chi potrebbe dire, da questo
aspetto, quanto sia il benefizio arrecato alla cultura dalle fatiche di V.?
3L. - Questa fu la sua parte: la parte del commen-tatore, che si chiude nel
pensiero del suo autore, quasi in un cerchio di Orbilio, e non vede come sia
più possibile uscirne. Il « Commentatore» per antonomasia del medio evo disse
di Aristotele, che egli era stato la regola della natura e come un modello in
cui essa aveva cercato di esprimere il tipo dell'ultima perfezione; posto al
più alto grado dell'eccellenza umana, cui nessun uomo mai aveva saputo
pervenire: disse la sua dottrina « la verità sovrana: perché il suo intelletto
è stato il limite dell'intelletto umano, sicché di lui possa a ragione dirsi
esserci stato dalla Provvidenza dato per imparare tutto ciò che è possibile
sapere»; e che insomma egli « è il principio di ogni filosofia: non si può
differire se non nell'interpretazione delle sue parole e nelle conseguenze da
ricavarne». E le stesse cose, su per giù, ripete di Hegel, come già in parte
abbiamo visto, V., lieto di potersi dire «un hégélien pur, un hégélien à
outrance n3; pronto a protestare che gli anni e la riflessione non facevano che
fortificare la sua convinzione che la philosophie de Hégel est la sente
philosophie véritable, la philosophie absolue »3; che sempre Hégel a raison
contre tous4, perché egli è non pure uno dei più potenti pensatori, ma il più
potente forse che sia mai esistito s. Nella Introduction driconosceva ancora un
qualche valore al concetto (hegelianeggiante) di Leibniz della philosophia
perennis; ma nel 1873. polemizzando con lo Strauss « in nome della filosofia »
teneva a dichiarare com'egli la intendesse. « Per me, lo confesso, quando sento
parlare di una filosofia in generale, di quella filosofia che Leibniz e altri
sulle sue tracce chiamano col nome sonoro di philosophia perennis, chiudo gli
occhi e gli orecchi, e preferisco non vedere né sentire, che sentire e vedere
mercé d'una tale filosofia». E si appellava al principio, hegeliano senza
dubbio, che la filosofia non può essere che una determinata filosofia; ma
continuava, distruggendo ipso facto il valore di quel principio: « E questa
filosofia non mi stancherò di ripeterlo, e, per quanto è in me di dimostrarlo,
è la filosofia hegeliana; laddove una delle determinazioni essenziali della
filosofia hegeliana era appunto questa di adeguarsi alla storia della filosofia
o, se si vuole, alla philosophia pe-rennis, in cui tutte le determinate
filosofie sono la filosofia veramente determinata. E da quest'angusta e
in certo senso materialistica concezione della filosofia hegeliana, tutta
chiusa in una individualità semifantastica, sorretta dalla rappresentazione di
certi libri e di certe parole o di una certa persona vissuta in certi tempi e
luoghi, il V. era trascinato a perpetrare un vero tradimento di Hegel: da lui
disarmato e consegnato, legato mani e piedi, al primo venuto dei suoi
avversari. Poiché, una volta concepito un sistema filosofico come chiuso in sé,
senza rapporti con gli altri sistemi, prodotto di una speciale visione del
mondo, che non ha che fare con gli altri possibili punti di vista, quasi
spettacolo che si goda in una stanza, e di cui non sia dato saper nulla a chi
non vi entri, cotesto sistema non si può più dimostrare a chi non sia già
persuaso della sua verità; perde cioè la sua universalità,la sua verità, il suo
valore di pensiero, che non è mai atto di uno senza esser atto di tutti: perde
la vita del pensiero che è espansione e forza invadente, conquistatrice e
trionfatrice; per diventare una cosa, che sta dove la mettete, in eterno,
ignara di sé, inerte, esposta al libito di chi vi si abbatta! Concezione
strana, umiliante, ad accettar la quale, coraggiosamente, il V. fu anche spinto
da un profondo concetto hegeliano, da lui inteso a metà: che la verità di un
sistema sta dentro il sistema e in tutto il sistema. Ma Hegel stesso andava
subito incontro al pericolo d'una possibile interpretazione materialistica di
questa proposizione, per cui il suo pensiero sarebbe rimasto disteso sovra
un'altura inacces-sibile, concependo dapprima come una prima parte del sistema
una Fenomenologia dello spirito come autoaf- fermazione della
propria filosofia attraverso tutte le posizioni storiche e ideali del pensiero,
e premettendo poi all' Enciclopedia un'introduzione critica e polemica
destinata a giustificare il proprio punto di vista di fronte a quelli
inferiori. Talché, se pure era nella sua dottrina, quale si venne
scolasticamente consolidando attraverso le varie redazioni dell' Enciclopedia
(nata per la scuola), la tendenza a fare del sistema un dato circolo chiuso,
nel quale bisognasse penetrare per non so quale grazia sovrannaturale o luce
illuminante ogni privilegiato hege-liano; questa tendenza era spontaneamente
frenata e corretta dalla possente vita del genio investito dalla forza della
verità. Ed era intanto punto capitale della sua dottrina, che la critica di un
sistema filosofico - e quindi il passaggio a un sistema superiore - non è
critica soggettiva che altri possa fare movendo da principii di sistemi
diversi, ma critica interna, autonoma, sgorgante dalle viscere dello stesso
sistema; sicché non si sale slanciandosi in alto per aggrapparsi con la punta
delle dita alla proda delle balze superiori, ma fermando bene ilpiede sul grado
già raggiunto, e di li sforzandosi di salire, costretti dallo stesso disagio
della via erta ed arta, - per tornare ancora una volta alle immagini dantesche.
Sicchè la vera dottrina di Hegel è che la verità della sua filosofia, se, come
sistema, vive nel circolo del suo pensiero siste-matico, si conquista
attraverso tutte le filosofie, e si pone percio per motivi di verità che
giacciono in tutti i sistemi. L' hegelismo che si chiude gli occhi e gli
orec-chi, e, come la Notte di Michelangelo, vuole « non veder, non sentir, non
è quell'originale hegelismo che figge per tutto il suo occhio sereno, certo che
tutto che è reale è anche razionale, ma un hegelismo veriano, alquanto
adulterato. E cosi accadeva al V., malgrado tutta la forza del suo
hegelismo, di trovarsi come chi, in paese straniero di cui ignori la lingua,
abbia bisogno di far valere le proprie ragioni, e non trovi né anche un
interprete. Non sapeva parlar altro che l'« hegeliano » 1 Nella introdu-zione
alla Filosofia dello spirito, dopo avere intravvedute ben sei gravi obbiezioni
contro il concetto da lui esposto del sistema hegeliano, dovendo ribatterle, si
ricordò della sua teoria dell'hegelismo chiuso, gia spiattellata
tre anni prima nella nuova prefazione all' Introduction à la philosophie de
Hégel, a proposito delle critiche del Foucher de Careil e del Trendelenburg; e
si senti in dovere di fare questa confessione: Nous commencerons par
avouer que ces objections nOuS embarassent très-fort, et que nous
ne voyons pas comment nous pourrions y répondre d'une manière satisfaisante,
d'une manière, voulons-nous dire, qui satisfasse complètement celui qui nous
les adresse. Car ce n'est pas nous autres hégéliens, bien
entendu. qui nous faisons ces objections, ou si nous nous les faisons, nous en
trouvons aussi la solution. Seulement cette solution est valable pour nous,
mais elle ne l'est pas, len général, pour les au-tres, c'est-à-dire pour les
non-hégéliens (!).Et la raison en est bien simple. C'est que la solution est
dans le système, et que par suite elle ne saurait être entendue et acceptée
qu'autant qu'on est dans le système. Par conséquent, celui qui fait des
objections, qui les fait hors du système, c'est-à-dire en se plaçant au point
de vue de l'opinion, de la conscience vulgaire et irréfléchie du sens commun
comme on l'appelle, et même de la philosophie de l'entendement, et qui, avant
d'entrer dans le système, demande qu'on lui réponde d'une façon qui leve
complètement ses doutes, demande ce qu'en réalité il n'est pas raisonnable de nous
demander. Car ces doutes viennent précisément de ce qu'il demeure hors du
système, et que sa pensée est impuissante à saisir la vérité systématique. Par
con-séquent, tant qu'il n'aura pas franchi cette limite, et qu'il ne sera pas
entré dans le système, toutes nos réponses et toutes nos explications devront
nécessairement lui paraitre insuffisantes, par la même que sa pensée et notre
pensée ne sont pas la même pensée 1. Non era
questo un disarmare Hegel e consegnarlo agli avversari? Tommaso d'Aquino,
convinto che oltre gli articuli fidei, ci siano anche i preambula ad articulos,
aveva potuto scrivere una somma de veritate catholicae fidei contra gentiles;
ma contro i gentili dell' hegelismo il nuovo apostolis gentium non vedeva come
un povero diavolo d'apostolo se la potesse cavare: e badava a ri-petere il
motto di Anselmo: fides quaerens intellectum, ma senza ottemperare troppo
alacremente al maggior detto dello stesso Anselmo (Cur Deus homo, c. 2): «
Ne- gligentiae mihi esse videtur, si postquam confirmali sumus in fide,
non studemus, quod credimus intelligere! ». Il momento della fede, come vedremo
più chiaramente, era l'essenziale per lui. Questo infatti gli bastava a reggere
l'opera sua di paladino di Hegel. Non confessó quel tale, che moriva in duello
pel Tasso contro l'Ariosto, di non aver letto nessuno dei due ?I libri di Hegel
il V. certamente li aveva letti e ri-letti. Non tutti, forse, quando scese in
campo per lui con l'Introduction, né tutti poi con la stessa attenzione e
diligenza. Il Janet • notò che in quella Introduzione manca ogni menzione della
Fenomenologia; e la critica che già ne abbiamo rilevata contro lo Schelling
autorizza a crede che ei non avesse ancor letta la prefazione di quell'opera di
Hegel. Doveva allora conoscere l'Enciclopedia e, in parte, la Filosofia della
religione: in parte anche la Scienza della logica; ma così male, da non essersi
ancora reso conto ben chiaro della redazione di queste opere. Cosi allora
dimostrava di sconoscere che le appendici (Zusätze) ai singoli paragrafi dell'
Enciclopedia non furono aggiunte da Hegel stesso, bensi dagli scolari (Henning,
Mi-chelet e Boumann) che ne curarono l'edizione postuma e si giovarono di
appunti del maestro e di quaderni di scuola: Anzi, confondendo con tali
appendici le osservazioni che Hegel infatti aggiunse per la prima volta nel
1827 ai singoli paragrafi, - che da soli formavano il testo della prima
edizione, - asseri 3 che Hegel nella seconda edizione credette di aggiungere
co-teste appendici, per rendere il suo pensiero meno astratto e più
accessibile. E questo errore ripeté nel '59 nell'avvertenza premessa alla
Logica, aggravandolo di un'altra inesattezza che potrebbe far credere non aver
egli allora col secondo e col terzo volume dell' Enciclopedia postuma (detta ordinariamente
Grande Enciclopedia, per distinguerla dalla Piccola, cui mancano quelle
appendici) la familiarità che dovevaaver acquistato col primo contenente la
Logica: perché dice che Hegel non diede propriamente una seconda edizione di
tutta l'Enciclopedia accresciuta delle appendici, ma della sola Logica: « Par
les deux autres parties de la Grande Encyclopédie n'ont paru qu'après la mort
de Hégel dans Védition complète de ses oeuvres qui a été publiée par le soin de
ses disciples et de ses amis » 1. Apparse dopo la morte di Hegel: ma già
redatte da lui stesso, comprese le appendici, come il V. tornò a dire
chiaramente nell'avvertenza al primo volume della Filosofia della natura.
Confusionis che potrebbero anche ascriversi a sbadataggine di studioso inesperto
d'ogni buona usanza filologica: ma che, se in parte son pure indizio di scarsa
familiarità coi testi hegeliani, in questo caso son pure da riportarsi
all'indole del suo spirito, di cui abbiamo già cominciato a intendere alcuni
tratti essenziali. Il V. era cominciato mistico: scettico verso i metodi
razionalisti, aveva asserito l' inconoscibilità delle essenze, e certa
intuitiva rivelazione originaria di Dio, alla Jacobi. Il mistico non può
essere idealista che a mo' di Platone: per cui la verità non è processo, ma
conoscenza immediata e miracolosa, presenza dell'oggetto, in cui si prescinde
dal soggetto o in cui perciò il pensiero tende a risolvere e seppellire la
propria soggettività. L'idea a chi cerchi una tale verità si presenta e impone
da sé; è se stessa; e non può farsi, ancorché definita come processo (diventa
allora idea del processo, e, come idea, immobile). In quanto sistema, diventa
sistema in sé, che non forma la mente, ma è innanzi alla mente; e non è
svolgimento;ma un tutto perfetto, in sé, senza passaggio da altro a esso, né da
esso ad altro. E filosofia che non è la filosofia, ma una filosofia, che ha
fuori di sé le altre, il pensiero volgare, l'opinione, la filosofia
intellettualistica, senza un ponte da queste forme mentali a essa. - O tutto, o
niente; o scetticismo, o cognizione assoluta (idest, il sistema di Hegel), come
badava a ripetere V.. E che cosa era per lui la mente fuori dell' hegelismo? Se
la verità era tutta dall'altra parte, di qua non ci restava nulla. La sua
pertanto era una concezione mistica del1' hegelismo, per cui il rapporto dello
spirito con la vera filosofia, o illuminazione mentale, veniva concepito come
una unione soprarazionale, di là dalla quale si sarebbe instaurata la
razionalità dello spirito. E questa tendenza mistica del V., se io non m'
inganno, gli faceva prendere in mano i libri di Hegel e non guardare
attentamente alle prefazioni, non cercare le varie edizioni, non studiare la
storia dei testi: giacché in ogni tempo la misticità è stata nimica mortale di
tutte le questioni concernenti la lettera, come ad esse piace di dire, e non lo
spirito, quali son quelle di filologia. Pericolosissima china; giacché se
questa tendenza nel V. col dispregio della filologia portò l'impossibilità di
una vera dottrina storico-filosofica, nel discepolo Mariano, che avrebbe dovuto
essere di professione uno storico del cristianesimo, frutto tutta una boriosa e
vuota teorica di metodo storico, che è una delle più solenni e funeste
falsificazioni della dottrina hegeliana, cioè della prima filosofia venuta in
luce dacché il pensiero prosegue la sua eterna fatica, a giustificare non solo,
ma ad esaltare ogni forma di storia; e nella scuola del V., tra i suoi
insegnamenti di storia della filosofia e di filosofia della storia, fu piegata
goffamente a significare un pensiero rispettoso bensi a parole della storia,
dello svolgimento, della determinatezza, ma, nei fatti, di una tracotante
svalutazione d'ogni sincera ricerca dellastoria, ossia dei particolari più
determinati, in cui pur consiste il concreto svolgimento del reale. Della
quale tendenza, mistica e però antisto-rica, della mente del V. si potrebbero
raccogliere ne' suoi scritti molte manifestazioni. Il Janet, in un suo articolo
sul primo volume della Filosofia della religione notava finemente che il V.,
nella lunghissima introduzione che mise di suo in quel volume per ragionare dei
rapporti tra filosofia e religione, «est encore ici fort dans la discussion,
vague et obscur dans la conclusion. Il
ré-sume très-bien toutes les manières de se rapresenter le rap-port de la
religion et de la philosophie. Mais on ne vort trop quelle
est la vaie». E nel '73 lo stesso V. contro Strauss osservava che la posizione
da costui assunta era très-nette. E,
soggiungeva «les positions très-nettes sont souvent, surtout dans la science,
très-fausses, par la raison même qu'elles sont très-nettes, par la raison,
veux-je dire, qu'elles mutilent les problèmes, et qu'en les simplifiant les
faussent». Ragione hegeliana e piena di verità; ma pretesto, pel V., e
conforto a non trarsi fuori da quel- l'oscuro, da quel vago che il Janet
gli rimproverava, e a restare irresoluto tra il sì e il no. Giacché sarebbe
invero assai volgare insolenza asserire di Hegel, nuovo e pit rigoroso
assertore della dialettica del sic et non, che ei si tenesse perciò di qua
dalle soluzioni très-nettes! Ché se rifiutava, e metteva in satira anche lui,
le soluzioni semplicistiche dell' intelletto astratto, poneva nettissime, per
suo conto, quelle della ragione. E non era il V. che potesse in nome della
dialettica accamparsi contro il semplicismo e l'astrattismo dei semplificatori;
egli chenon sapeva entrare nella realtà se non armato di astratte definizioni;
e si scalmanava contro chi nella realtà vedeva si quei concetti, ma limitati e
commisti ai loro contrari; e lo Stato reale, p. e., essere e non essere Stato:
la Chiesa essere e non essere Chiesa; e l'esercito essere e non essere
esercito; e cosi ogni cosa, non in quanto considerata nel mondo intelligibile,
a cui egli platonicamente guardava, ma in quello reale, in cui, con tanto poco
gusto (a quel che pare), era pur costretto a vivere. Egli è piuttosto
che, com'è proprio dei mistici, il V., da una parte, doveva dilettarsi di
cotesto mondo di puri intelligibili, che appunto perché tali sono estranei alla
vita dell'intelligenza e non si pongono se non per negazione o una mera
affermazione immediata dell'in-telligenza, e poteva d'altra parte riuscir più
nella critica e demolizione che nell'affermazione e nella dimostrazione.
Giacché questo è uno dei caratteri del misticismo: che non rifugge bensi dalla
filosofia, ma si pasce di una filosofia negativa che ha per conchiusione, com'
è facile scorgere nella storia della mistica, una dotta ignoranza: hoc unum
scio. Così nel Problème de la certitude, della età giovanile, il verbo della
speculazione veriana era stato lo scetticismo: la sua affermazione dommatica un
timido e vago tentativo di filosofia dell'intuizione immediata di Dio,
conosciuto come che, ma non come quale: postu-lato, non propriamente
conosciuto. Quella stessa menta-lità, abbattutasi quindi a una conoscenza meno
superficiale dello hegelismo, presa di ammirazione per quella vasta
sistemazione del mondo contemplato sub specie aeterni, cambiò forma, non
sostanza; e sotto il nuovo abito rimase presso che immutato il vecchio V..
L'oggetto del suo mistico intuito (conoscenza immediata, senza processo) era
prima quel Dio inconoscibile e indi- mostrabile, di cui non si poteva
fare a meno; ora è il sistema hegeliano, cioè, non propriamente una
filosolia,ma un xóguo vontós, e insomma Dio stesso, quello di prima, egualmente
indimostrabile e irraggiungibile con un processo di pensiero. E pure
nell' Introduction volle scrivere anche lui, come già tanti altri mistici, il
suo itinerario della mente a Dio: o come egli disse, mettere sotto gli occhi
del lettore «les recherches qui nous ont conduit nous-mêmes à l'intelligence de
la philosophie hégélienne»t, Ma, posto quel concetto del sistema chiuso, che
per allora covava nel profondo della sua mente, che itinerario poteva essere il
suo? Sarebbe facile dimostrare che questa specie di itinerario procede, non
altrimenti da tutti gli scritti consimili, per presupposizione, fin da
principio, del punto d'arrivo, e per conseguente critica e negazione delle
posizioni diverse: non muove da queste, e non dimostra realmente il punto a cui
vuol pervenire; non è insomma un processo. E già noi vedemmo a che
si riduca pel V. il movimento da Kant a Hegel. Dopo un brevissimo capitolo (di
tre pagine) sulla « fisonomia generale della filosofia di Hegel», in cui si
coglie, ma assai estrinsecamente, un tratto senza dubbio essenziale di essa,
qual è quello della storicità sua, oggettiva e soggettiva, in quanto essa
concepisce il suo oggetto come manifestantesi attraverso il movimento storico e
sé stessa in intima e necessaria relazione con la propria storia 1, il V. passa
subito a dimostrare quella sua tesi, che già conosciamo, tutti ifilosofi essere
idealisti senza saperlo: poiché, nell'antichità e nei tempi moderni, tutti,
compresi i materialisti, han sempre mirato all'idea; poiché nessun filosofo mai
ha potuto fare a meno dei principii che sono al di là dell'esperienza. Basta
pel V. esser metafisico per CS- sere idealista; e in questo senso
egli pensa che in ogni filosofia sia un germe di verità, che si deve svolgere e
compiere, e non si può negare. Vale a dire, all'esclusi-vismo dei vari sistemi
che ricorrono a una o più idee, bisogna sostituire una filosofia comprensiva
che le accolga tutte e le organizzi; fare insomma quel che aveva fatto Platone,
quantunque ora si possa fare un po' meglio. Sicché l'oggetto della
filosofia, quale egli lo concepisce, non è diverso da quello che aveva dato
vita all'idealismo platonico; né egli sapeva concepire altra filosofia che sul
tipo di quell'idealismo, e quasi frammento di esso. Quindi tutto il resto della
sua Introduzione, prima di quel rapidissimo schizzo dell'Enciclopedia hegeliana
che forma la seconda parte del volume, è tutta una polemica per determinare il
concetto della filosofia, come scienza delle idee, e il metodo di essa, che
all'organismo delle idee non può adeguarsi se non mercé la dialettica. Tutto 1'
itine-rario, adunque, consiste nel mettersi dentro alla verità, fin da
principio, e difenderla contro gli errori. Ma se la filosofia per Platone
e pel mistico era pura contemplazione, parrebbe che il V. ne avesse un concetto
assai più profondo e nuovo, dove sostiene che essa è non solo una spiegazione
della realtà (inten-dendo per spiegazione la contemplazione appunto di tutto il
reale in idea), ma « anche e per ciò stesso, una creazione": e
una creazione, com'egli dice, nel solo e vero senso del termine»!. Ma dal
detto al fatto corre8ran tratto; e quando deve realmente concepire questa
creazione che dice di concepire, la cosa non gli riesce; perché tutto si riduce
a dire che le essenze, l'assoluto, le idee sono eterne, e che di creato e
generato non v'è se non i fenomeni, le esistenze particolari e finite; le quali
sono create appunto, dall'assoluto, che ne è la ragion d'essere; e che la
filosofia, se ha per oggetto l'assoluto, deve non solo sapere come l'assoluto
genera le esistenze particolari e finite, ma deve in certo modo (d'une certaine
façon»!) generarle essa stessa, perché, se non si vuol negare la scienza,
bisogna ammettere «qu' il y a un point où la connaissance et l'être, la pensée
et son objet coincident et se confondenti. Bisogna ammettere; ma è questo il
punto: hoc opus! E il V. si sente tanto poco di superate questo punto, che
passa subito a intendere la creazione in un altro modo: nel senso cioè che la
scienza, elevandosi all'assoluto e cogliendo la natura intima degli esseri,
elle refait et dédouble en quelque sorte leur existence». Sicché, «d'une
certaine façon » prima, e «en quelque sorte » poi: e la creazione vera e
propria «nell'unico senso del ter-mine» non si vede e non si tocca mai.
Giacché, se c' è duplicità tra il processo dall'assoluto al relativo e il
processo dalla conoscenza dello assoluto alla conoscenza del relativo, il due
non è uno, e non solo si rinunzia alla creazione delle cose per tenersi
soltanto alla cognizione delle cose, ma pare anche si abbia una certa voglia di
tinunziare altresi a quell'unità del sapere e dell'essere, senza di cui pur
s'intravvede non essere vero sapere. Conchiusione innanzi alla quale si
ritira sgomento il pensiero del nuovo hegeliano. Egli infatti, a questo punto,
per garentire il carattere creativo della cognizione assoluta sottraendola a
quell'ombra che sarebbe per lei quel doppio, contorce e trae a un significato
improprio la dottrina hegeliana del rapporto della natura con lo spi-rito. La
vera creazione, egli dice, non è quella che dal-l'assoluto va al particolare
delle esistenze finite. Perché la natura, considerata in se stessa e
indipendentemente dallo spirito, è un'esistenza morta, priva di coscienza e di
pensiero, un aggregato di elementi e forze individuali e isolate, che non hanno
in se stesse il loro legame, il loro principio e il loro fine; e lo spirito
stesso ne' suoi gradi inferiori, per cui è a contatto della natura, in quella
sua vita oscura e irriflessa in cui s'ignora e mescola e confonde tutto, e si
lascia avvolgere nell'infinita varietà dei fenomeni e delle sensazioni, ha
un'esistenza imperfetta, « che non risponde né all'idea della scienza, né a
quella dell'assoluto». Ora questa imperfezione sparisce per opera della
scienza, la quale « completa e rifa l'esistenza della natura e dello spirito,
elevandoli, con la riflessione e col pensiero, fino al loro principio, dando
loro la coscienza di se medesimi e ordinandoli secondo la ragione. 1. Se
non che, questo processo dall' imperfetto al perfetto, dalla natura allo
spirito, e dai gradi inferiori di questo ai gradi superiori, in Hegel è, e non
può essere altro che un processo ontologico, il processo dall'assoluto alla
coscienza dell'assoluto, o dalla idea logica allo spirito as-soluto. Ma, per
intendere qui la creatività di questa scienza che rifà, noi dovremmo ritornare
sul processo stesso e ripercorrerlo, secondo la concezione del V.. Chi gli
garentisce che il secondo viaggio non sia inutile, e serva anch'esso a creare
qualche cosa? Perché il processo gnoseologico creasse davvero, non dovrebbe
rifare l'ontologico, mettendosi fuori di esso, come altro da esso, ma fare,
semplicemente, continuando quell'identico processo; e la scienza non dovrebbe
guardarsi indietro. V. non ha quest'orientamento. Il suo assoluto è
dietro le sue spalle; ed è necessario che egli si rivolti.Con la scienza si
corregge il fatto e la realtà materiale, con una specie di creazione continua,
« per cui l'assoluto entra più profondamente nella vita del mondo per imprimervi
una impronta sempre più visibile di se stesso, e farlo sempre più a sua
immagine». Egli è persuaso che « sans doute, l'absolu et le monde, l'idée et le
fail, la pensée et sa réalisation matérielle demeureront fowjours distinels, et
même, dans une certaine mesure, opposés » 1, L'Assoluto è prima del mondo, che
deve rassomigliarvisi; deve e non può, pei limiti della materia, al di sopra
della quale lo spirito si solleva, per riunirsi alla sua origine ideale.
E la vecchia posizione platonica. L'essenza, inconoscibile nel Problème
de la cer-titude, ora per definizione è conoscibile. E un progresso questo?
Quella scepsi conteneva un bisogno e un'affer-mazione: quel bisogno e
quell'affermazione che minavano da secoli l'universale astratto della filosofia
greca, e che dopo Hume dovevano far nascere la critica di Kant: la realtà non
si coglie con idee astratte; cento talleri si possono pensare benissimo senza
che perciò esistano. Che cosa manca loro? Cartesio aveva trovata la via:
cogito ergo sum: un ergo che non è sillogismo, che non muove da idee, da quegli
universali, in cui ancora V. faceva
consistere l'assoluto. E si domandava: se di ogni essere c'è un'idea
corrispondente, ne segue che quella idea sia la sua essenza? O c'è, oltre
l'idea, « un'esistenza più alta e più profonda di cui l'idea non sarebbe se non
la forma, una forza di cui la natura intima ci sfugge, e che avrebbe la sua
radice nell'essenza divina, o che, per dir meglio, non sarebbe altro che
quest'essenza stessa?». Questa era la dottrina sua. - Ora la sua risposta suona
il contrario; e la ragione che gliha fatto cangiare avviso è questa: che ove si
ammetta un'essenza di là dall'idea, quest'altro quid non è pensabile se non per
mezzo di idee. Ma la verità è che, non avendo egli prima approfondito,
attraverso Kant (che non aveva letto), il significato della esigenza a cui
obbediva il suo scetticismo, ora è di troppo facile contenta-tura; togliendosi
per essenza appunto quello che come mera idea gli appariva una volta ben altra
cosa dall'es-senza, e rinunziando di fatto all'essenza più preziosa, che allora
desiderava. E che? dice ora per consolarsi, facendo il verso al Socrate di
Platone: « quando studiamo l'anima, non tale anima in particolare, ma l'anima
in generale noi vogliamo conoscere, né crediamo di possedere la scienza
dell'anima se non quando possediamo cotesta conoscenza: come se con l'anima in
generale ci fosse, o ci potesse essere un'anima! Giacché il destino curioso di
questo hegelismo veriano, come del platonismo, è proprio questo: che queste
idee che son tutto, poi non sono niente: e per V. rimangono come abbiamo visto
assolute possibilità o virtualità. Ma come con un tal concetto dell'idea,
che non è Thathandlung dell' Io (per usare la gran parola di Fichte), ma
termine esterno o eterno presupposto del pensiero, può egli ammettere una
dialettica nel senso hegeliano? Sorvoliamo sui rapporti che il V. vede
tra la dialettica di Hegel e quella di Platone; e tocchiamo brevissimamente del
suo modo d' intendere la prima nell'Introduction e nelle opere posteriori. Qui
è il centro del suo hegelismo. In tutti i suoi seritti, se si paragonano
a quell'articolo del 48, che abbiamo altra volta analizzato, non c'è
pro-gresso, ma sempre un medesimo concetto che torna su se stesso, si rafferma
sempre maggiormente e si ribadisce. Li egli saltò il fosso, sembratogli
già abisso invalicabile,affermando, come vedemmo, la posizione, innanzi al
pensiero, non dei contrari singolarmente presi in astratto, ma della loro
unità. Nella Introduction dice che, se i membri della contraddizione presi
separatamente sono incompleti e falsi, si contraddicono in quanto sono in
rapporto tra loro mediante un terzo termine, che « non è nessuno di essi presi
sia separatamente sia congiunta-mente, ma è tutto insieme se stesso e i due
termini che esso involgen 1, sicché « l'essere e il non-essere si trovano
identici nel divenire n. Posti cosi l'essere e il non-essere, e in generale
tesi e antitesi, non come momenti, ma come elementi della sintesi, ci può
essere quel movimento soggettivo, che già illustrammo: ma oggettivamente c' è
la sintesi, stabile e fissa, identica a se stessa. Dei tre termini, idea
logica, natura e spirito, la realtà appartiene al terzo termine, che contiene
nel suo seno fin dal principio gli altri due: e dentro lo spirito ogni triade
non avendo mai una tesi, da cui sia da sviluppare un'anti-tesi, è come un fiume
dipinto, la cui acqua non scorre. Tutto il congegno del movimento è
arrestato da un pensiero intuitivo che impietra l'oggetto suo. Quasi
tutti gli hegeliani s'erano travagliati e si travagliavano nell'intelligenza
del dialettismo dell'idea hegeliana. Vedremo quali sforzi costasse questo punto
a Bertrando Spaventa. A V., quand'ebbe pensato che essere e non essere fanno
uno nel divenire, il passaggio dall'uno all'altro apparve cosi ovvio, così
semplice, che nulla più (infatti era un passaggio che non passava!). A proposito delle critiche di Janet: « Il fant voir »,
diceva tutto meravigliato, «dans quel dédale inestricable de rai-sonnements M.
Janet s'engage à cet égard, sans se rendre compte ni du point de départ ni du
point d'arrivée».era dimenticato, a quel che pare, del suo labirinto). L'essere,
che è il termine più astratto, da cui il pensiero possa muovere, non è se non
l'essere: e tutto ciò che si può dire di esso è, che esso è. E anche dicendo
questo, non si rappresenta il suo concetto secondo verità; perché il
pronome e la terza persona vi aggiungono elementi e gli danno una forma che gli
sono estranei, e appartengono a determinazioni ulteriori dell'idea. Peggio poi
se vi s' introduce il concetto del vuoto, come ha fatto l'Erdmann, o pure il
pensiero, come ha fatto Kuno Fischera. Qui noi siamo nella sfera della
scienza, e l'essere è colto dal pensiero tal quale è nel suo concetto. L'essere
è nel pensiero, è l'essere pensato, ma il pensiero, per coglierlo nel suo vero
concetto, deve pensarlo qui come essere e non come pensiero, perché, pensandolo
come essere pensato, vi aggiunge un elemento o una proprietà, che esso, in
quanto essere, non ha. Con quest'aggiunta si facilita la dimostrazione, ma non
si ha più la vera dimostrazione. L'essere non è altro che l'es-sere, l'essere
assolutamente indeterminato, e però non si può dire neanche che esso è, e per
ciò stesso non è, o è il non-essere. Ora l'essere che non è, o che è il
non- essere, è anche il non-essere che è, ossia è il divenire. E la
dimostrazione più semplice, più diretta e più vera del passaggio dall'essere al
non essere nella loro unità, il divenire »3. Dimostrazione, la cui ingenuità
salta agli (Si —occhi; perché mentre si dice che all'essere non si deve
aggiungere il pensiero, si fa divenire l'essere mettendoci dentro questo
pensiero: che non si possa né anche dire che esso sia, - Nella introduzione
alla Logica aveva dice. L'essere puro è
l'essere, ma l'essere che non è se non l'essere, e che, per questo fatto che
non è se non l'essere, richiama il non-essere, o il non-essere dell'essere, o,
se si vuole, ciò che l'essere non e.... In altri termini, i due concetti di
essere e non-essere sono inse-parabili: dato l'uno, è dato anche l'altro, e
quel che è uno, è l'altro. Formano, per conseguenza, un solo e stesso concetto,
e questo concetto è il divenire ». Dove di chiaro non c'è se non l'unità del
divenire; ma quell'essere che si tira dietro il non-essere, anch'esso, come
l'altro di prima, non può farlo se non aiutato dal pensiero, che lo mette in
rapporto con quel che esso non è. - In una nota al § 87 della Logica in altra
forma ripete lo stesso. « L'essere che non è se non l'essere, è l'essere
assolutamente indeterminato, e per quanto è permesso di far intervenire qui la
possibilità e la cosa, si potrebbe dire che esso è la possibilità assoluta di
tutte le cose, ma che non è nessuna cosa, non è niente; e che quindi è il
niente, il non-essere », Se non che qui ha un vago sentore di certe difficoltà;
ma non le affisa di fronte, e se ne lascia sfuggire tutto il valore. In primo
luogo egli si obbietta: Altro è dire che l'essere non è niente, altro dire che
è il niente. Cioè la prima volta si nega dell'essere ogni determinazione;
la seconda lo stesso essere indeterminato. Ma il V. non intende la cosa con
tutto questo rigore, perché risponde che « qui si tratta del niente
assolutamente astratto, o, se si vuole, del niente assoluto; di guisa che dire
l'es-sere non è niente, torna lo stesso che dire: l'essere è niente o il
niente. Il che non è vero, evidentemente. L'assolu- tamente astratto, il
niente, di cui si parla qui, è il non - determinato, non già il
non-indetermi-nato!. - In secondo luogo: questo niente, questa negazione prima
e assolutamente astratta non Viene qui ad aggiungersi all'essere,
dal di fuori? - E anche qui una risposta insufficiente: « Il niente non è se
non il niente dell'essere: il non essere. E l'essere che si nega egli
stesso. La risposta può avere un significato solo a un patto: che
s'intenda il non-essere come non-essere dell'essere, in quanto il concetto
dell'essere non può prescindere (come fu detto nell' Introduction) dal concetto
del non- essere; e che cioè il divenire è prima dell'essere e del
non-essere. L'essere, insisteva contro il Trendelen-burg, passa nel non-essere
perché non è altro che essere, per la sua assoluta indeterminatezza e
astrattezza: e nella massima astrattezza dell'essere e della sua negazione sta
la difficoltà del passaggio. Via via che si procede nell'evoluzione dell'idea,
si coglie più facilmente il passaggio reciproco dei termini, perché si hanno
termini più concreti, come lo stesso e l'altro, l'uno e il più, la causa e
l'effetto, ecc., tra i quali si trova più facilmente un rapporto, laddove al
principio non si ha se non l'essere ». Questa è certamente la via da
battere per afferrare il senso segreto della dialettica hegeliana: la quale,
ormai è chiaro, malgrado le proteste dei semplicisti alla maniera del V. 3, non
pervenne in Hegel alla chiaracoscienza della propria natura, come è dimostrato
dal ginepraio, in cui si son trovati involti i suoi seguaci. Ma quella è una
via che non spunta, o meglio riconduce alla vecchia filosofia da cui si crede
di allontanarsi, se non si bada bene a considerare che non è via già bella e
fatta innanzi al pensiero, e che al pensiero non resti se non di percorrere, ma
è la via del pensiero, la via che esso si apre e che prolunga in eterno. Essere
e non-essere sono identici (e differenti) nel divenire; ma il divenire non è
niente più dell'essere che si pretende di superare, se esso stesso rimane di
fronte al pensiero, e non è appunto esso il pensiero che ha negato l'essere.
Perché il divenire non ha da essere giustapposizione de due momenti, ma
compenetrazione e unità intima: la quale non è cosa, ma atto: non è termine di
pensiero, ma pensiero; non è punto a cui il pensiero pervenga e da cui poi
debba muovere, ma lo stesso movimento del pensiero; non è limite, ma posizione
di limite, e opera dell' illimitato. Se il divenire si vuol concepire come
l'organismo, di cui essere e non-es-sere siano le membra indivisibili, ebbene,
si badi che l'organismo non è il corpo che la vita debba investire o con cui
debba accoppiarsi: l'organismo in tale astrattezza esanime non vale né più né
meno di un membro avulso dal resto: è la morte. L'organismo è organizzazione
continua e attualità, è anima, che crea gli organi. E così il divenire, se
dev'essere la risoluzione vera degli opposti, dev'essere pure l'energia
creatrice di essi: cioè, come di- cevo, il pensiero.Non basta perciò dire
rapporto, anteriore ai termini: bisogna concepire questo rapporto come rapporto
vivo. E dalla logica movendo, come fa il V., per la natura allo spirito,
non basta dire, com'egli dice, coerentemente alla sua intuizione del mondo
hegeliano che a c'est l'esprit lui-même, ou l'idée en tant qu'esprit, qui pose
la logique et la nature»t; e che «la pensée (= l'esprit) est l' idée active et
creatrice»; e che questa attività non è l'activité qui crée accidentellement,
ni l'activité qui crée hors d'elle-même un monde antre qu'elle-même, mais
L'activité qui crée au dedans d'elle-même, qui crée un monde qui n'est pas
autre qu'elle-même, mais l'autre d'elle-même, si l'on peut ainsi s'exprimer, et
qui crée pour être elle-même, c'est-á-dire pour être dans la plénitude de sa
nature et de sa réalité»: bisogna che questo non sia soltanto il pensiero in
sé, il pensiero che pensa se stesso, di cui parla Aristotele, il pensiero
divino: ma appunto il nostro stesso pensiero, tanto più divino quanto più
nostro, colto nella realtà massima della nostra intima soggettività e
indivi-dualità, dove più vibra l'attualità del mondo. E perché questo pensiero
sia davvero il pensiero vivo, esso appunto bisogna che divenga, e si muova, e
viva insomma, e vibri, e in esso vibri il mondo: e che non rappresenti il
termine fisso d'ogni desio, la morta gora ove precipiti ogni acqua corrente
dell'universo. Che se col V. si dice "tout devient hormis la pensée,
et tout devient parce qu' il n'est pas la pensée, et pour devenir pensée, el
exister en tant que pensée»3, questo pensiero diventa qualche cosa di
trascendente il pensiero storico e il mondo, e però assolutamente trascendente;
e quindi il suo stesso processo ideale (posizione e negazione del logo e della
naturaper la posizione di se medesimo) diventa tutto un processo trascendente,
come la processione dello spirito nella teologia cristiana; e tutto l'
immanentismo di Hegel sfuma, e la sua dialettica s'irrigidisce nel mondo
ideale, di là da ogni reale accadimento, e concepito ancora una volta, alla
maniera del vecchio Platone, come natura (ancorché ideale) e non più come
spirito. Il V. vi dirà in tanti modi diversi, perché
messo sull'avviso da tante esigenze interne dell' hegelismo, che «ce qui
devient n'est pas étranger à la pensée» e che « il faut même dire que c'est la
pensée qui pose son devenir, et que, s' il devient, c'est précisément que la
pensée est en lui». Ma distinguerà allora tra pensiero in
potenza e pensiero in attor e il pensiero immanente nel mondo lo portà come
pensiero virtuale («sculement la pensée n'est en lui que virtuellements).
Tal quale è concepito il pensiero da
Aristotele. « Tout se ment en vue de la pensée, et tout est má par la pensée». Il
pensiero è il motore immoto. Perché il pensiero « atto assoluto» è unità
d'intelligenza e intelligibile, come totalità dell'idea una e
sistematica. Due, dunque, i difetti capitalissimi di questa dialet-tica,
a cui si solleva V.: 1) che il pensiero, e nel pensiero tutto il processo del
reale nelle sue forme ideali o intelligibili che aristotelicamente il V. è
costretto a inchiudere nel pensiero stesso, è un pensiero trascendente, il cui
processo pertanto è egualmente trascendente; che, come trascendente,
cotesto processo è un processo ideale senza essere un processo reale; non è un
vero processo. Due difetti che sono un solo: la negazione pura e semplice della
dialettica hegeliana, sfuggita dal mondo, di sopra alla testa del filosofo. Situazione
disperante per una filosofia che avesse mirato alla comprensione della realtà
determinata, attuale, storica, del sistema, insomma, in cui è il soggetto
artefice della filosofia, anzi dello stesso mondo nel sistema di esso soggetto;
ma il più comodo dei piani inclinati in cui potesse scivolare un temperamento
mistico, portato perciò stesso alla negazione di ogni determinatezza e della
propria concreta individualità. E allora s' intende da una parte il vuoto di
tutte le discussioni di V. intorno ai problemi storici e concreti: esempi
solenni le sue lezioni di filosofia della storia, uno dei libri più flosci e
vacui, che si siano mai pubblicati, pur essendovi gettati dentro, come in un
sacco, taluni dei più forti pensieri che siano stati mai pensati, ma tolti dal
sistema e dall'anima che li regge nella mente poderosa di Hegel; nonché quella
lunga filatessa che reca il titolo di Cavour e libera Chiesa in libero Stato,
con annessa prefazione, apparsa la prima volta nella traduzione francese, la
più strana discussione che si possa immagi-nare: rivolta a combattere il
pensiero d'un uomo e un uomo e un sistema e tutta la storia d'un popolo, il
tutto speculato dentro una formola (libera Chiesa ecc.), quando il più
elementare buon senso richiedeva che si cercasse com'era nata
quella formula, nel pensiero dell'uomo, nelle circostanze e dottrine che
all'uomo l'avevan sug-gerita, e quali problemi, dentro quali limiti, essa
mirava a risolvere, e insomma quale ne era il proprio e genuino e determinato
significato. Perché egli è chiaro che l'intelligenza del V. era la più
antistorica e antibegeliana che ci potesse essere. E s'intende d'altra parte il
segreto motivo della preminente importanza da lui attribuita alla questione
religiosa e quel suo perpetuo bisogno di rifarsi da essa, quantunque la
filosofia che aveva alle mani non gli desse modo di ottenerne una soluzione per
lui molto soddisfacente.Egli è che al V., come a tutti i mistici, il mondo
restava scisso in due mondi: uno dei quali non era il suo, e (ahimé!) era
tutto. In fondo alla lunga introduzione premessa al primo volume della
Filosofia della religione, dopo centocinquanta pagine di schiarimenti, sentiva
che gli si sarebbe potuto opporre. Voi dite che il pensiero è l'assoluto, e che
come tale è il principio supremo e generatore delle cose. Sicché, tutte le cose
saranno pensieri. Intanto, riconoscete anche voi che c'è qualche altra
cosa oltre i pensieri, poiché parlate di rappresentazione, fenomeno, natura e
spirito finito. Questa qualche altra cosa, avrà essa un altro principio? E com'
è che l'asso-luto non basta a se stesso? E come conciliate l'idea o il pensiero
con la storia? « La storia è moto, sviluppo, trasformazione, laddove l'idea, il
pensiero, l'assoluto è l'assoluto precisamente perché esclude ogni
trasformazione ogni cangiamento, ogni divenire. Infine voi dite che l'idea è
insieme forma e contenuto. E sta bene. Ma l'idea sarà sempre un contenuto
ideale, laddove il contenuto che la storia sviluppa e aggiunge incessantemente
a se stessa è un contenuto sensibile, fenomenico, reale. Cosi ci sono due
mondi. Obbiezioni che colpivano in pieno petto. Ebbene, risponde V., noi
in parte abbiamo risposto a queste obbiezioni; ma le ripiglieremo e le
esamineremo nei volumi seguenti, che trattano più specialmente delle questioni
a cui queste obbiezioni si riferiscono, e che si possono in generale designare
come il problema storico. Ma nel secondo volume il problema è appena accennato;
gli altri volumi non vennero più; e li dove il problema è accennato, la
soluzione non è una soluzione, e lascia intatto il problema. Nous disons que si l'absolu est le devenir, il n'y a ni
histoire ni absolu, si l'histoire n'est pas un moment de l'absolu
lui-même. Par consequent notre thèse est que l'histoire est un moment de
l'absolu, mais qu'elle n'est qu'un moment, et qu'ainsi pendant que d'un côté,
l'absolu crée et engendre l'histoire, et qu'il est lui-même dans la création et
l'histoire, il s'élève, de l'autre, au-dessus de l'histoire, la nie, il est la
negativité absolue. Dove l'unico senso possibile è quello
aristotelico già indicato, che è in realtà la negazione della storia: per cui
cioe l'atto assoluto del pensiero è di là dalla storia. E però ogni volta
che risorgeva questo problema storico, che V. pur sapeva essere il segreto
dell' hegelismo, era un tormento pel suo povero cervello, rimasto in pre-senza
di quel Dio pronto, peggio che Saturno, a divo-rate le sue creature. Suo
vero problema non era quello storico, bensi il religioso. Il suo hegelismo era
cominciato, come s'e visto, con uno studio sulla Filosofia della religione di
Hegel, quando non gli pareva possibile concepire altri-menti lo Stato che
subordinato al divino della religione professata nella Chiesa 3, E quando con
la Filosofia dello spirito ebbe condotta a termine la versione dell'
Enci-clopedia, le ultime pagine di questa Filosofia lo ricon-dussero a meditare
il problema religioso secondo la filo-sofia hegeliana. E allora scrisse il
Cavour, lo Strauss, e la prefazione all'edizione francese del Cavour; e si
accinse a lavorare attorno alla Filosofia della religione di Hegel, che,
pubblicandone il primo volume, annunziava di voler accompagnare de plusieures
introductions. Poiché qui si imbatteva in un arduo pro-blema: in cui egli disse
di veder chiaro, ma di cui parlò tanto da dimostrare che non ci vedeva poi
tutta quellachiarezza che diceva: il problema dei rapporti tra religione e
filosofia: «un des problèmes les plus difficiles », come protesto una volta con
tutta franchezza, « peut-être même le problème le plus difficile que
l'intelligence trouve devant elle, ou, pour mieux dire, en elle-même et dans
les profondeurs de sa nature ». La soluzione hegeliana, infatti, si
presenta tutt'altro che facile. Dire che la religione e la filosofia hanno lo
stesso contenuto (conoscenza dell'assoluto) ma in una forma diversa (conoscendo
l'una per rappresentazioni, miti, simboli, e l'altra per concetti) è porre anzi
che risolvere un problema per una filosofia che non concepisce forma separabile
dal contenuto, e non può porre perciò un contenuto in due forme. Questo bensi
non è un problema speciale in seno allo hegelismo: ma sempre quello stesso
problema che s'incontra già sulla soglia, dell'unità di identità e differenza
implicita nel concetto del dive-nire. La forma della religione hegeliana non è
una veste soggettiva, onde nell'anima degl' ignoranti si rivesta Iddio: è una
forma dello stesso Dio. Il Dio dello spirito assoluto, che è religione, diviene
il Dio dello spirito assoluto che è filosofia. Il rapporto tra religione e
filosofia è il rapporto tra questi due momenti di Dio o dello spirito assoluto.
Come si passa da un momento all'altro ? O, in generale, come si passa?
Ecco il problema. E il povero V. che non era venuto a capo di questo pro-blema,
se lo ritrovava avanti in fondo all'Enciclopedia; e per pronto che fosse a
sobbarcarsi a svelare altrui l'enigma, badava a ripetere: « Sans donte,
déterminer, saisir l'idée de la religion, et la saisir à la fois en elle-même,
et dans son rapport avec l'idée de la philosophie, c'est le problème le plus
ardu peut-être qui s'ofre à notre intelligence». E dopo le molte pagine spese
attorno a questa difficoltà nel primo volume della Filosofia della religione,
passandosi una mano sul petto, confessava:C'est celle difficulté que je me suis
appliqué à lever.... L'ai-je complètement levée? Eh non! je le sais». Gli
si affacciava alla mente, a confortarlo, quella bella e comoda idea che non si
può ai non-hegeliani togliere le difficoltà di Hegel. E accennava anche ciò; ma
soggiungeva subito con una osservazione che è una rivelazione intima: « On peut
même dire qu'il est impossible de la lever [cette diffi-culté] complètement
dans un livre. Un livre est toujours une ouvre imparfaite.
C'est plus ou moins la lettre, ce n'est pas l'esprit. Un
livre a toujours besoin d'être complété et vivifié. Osservazione, che è forse
anche una reminiscenza dell'immortale discorso di Socrate nel Fedro ma è pure
la sincera confessione del personal sentimento dello autore analogo a quello
del poeta: Ahi, fu una nota del poema eterno Quel ch'io sentiva, e
picciol verso or e: quel sentimento appunto del mistico che non vede
proporzione tra il picciol verso e il poema eterno, e questo gli suona dentro
come ineffabile; e se gli apparisce sotto forma di problema, è un problema
senza soluzione. Se la filosofia, infatti, è pensiero assoluto, se questo è di
là dal divenire, qual uomo mortale che ad ora ad ora viene imparando a meglio
pensare avrà la tracotanza di pre-tendersi in possesso di quel sistema dentro
il quale sarebbe la soluzione? Ora è chiaro che in questa situazione di spirito
la filosofia, in quanto filosofia negativa o dimostrazione dell'impossibilità
di raggiungere l'assoluta cono-scenza, non può menare ad altra soluzione del
problema religioso che a quella direttamente opposta professata da Hegel. Di
tale soluzione, non occorre dirlo, V. non farà mai esplicita asserzione, non
essendo tale il suo atteggiamento mentale verso la dottrina di Hegelda
permettergli di questi aperti dissensi; ma non perciò essa sarà meno la base di
tutti i suoi ragionamenti intorno alla questione religiosa, e il centro della
sua vita spirituale. Particolarmente significativa in questo proposito
l'ultima lettera da lui scritta al suo diletto Mariano, prima di morire:
Se al vostro ritorno [gli scriveva] la Parca fatale avrà troncato il filo della
mia vita, io me ne sarò andato col dolce pensiero che la mia immagine, e piú
della mia immagine, il mio insegnamento mai non si cancellerà dalla vostra
memoria. Perché credo che il mio insegnamento sia la vera e genuina esposizione
della dottrina hegeliana. E la filosofia hegeliana è la sola e vera filosofia;
e lo è anzitutto, perché è essenzialmente reli-giosa, e religiosa nel senso
profondo della dottrina cristiana. Ed è questo tratto saliente che la
distingue da tutte le altre filosofie, che a lei mi attiro sin dai primi passi
della mia carriera filosofica, come ne fa fede uno scritto pubblicato, se ben
ricordo, nella Liberté de penser. Ed
anche CAVOUR (si veda) non ha altra origine. Perché io sono, e sono sempre
stato, e per indole e per riflessione, un uomo religioso. E la religione io ho
sempre considerata come uno dei più alti privilegi della natura nostra. Senza
di essa l'uomo è un essere degradato e miserabile. E la dottrina hegeliana
insegna ad amare ed adorare Iddio col cuore e con la mente, due cose che in una
anima bene equilibrata non si esclu-dono, anzi si compiono a vicenda. E da
questa via, caro Mariano, non vi scostate. Solo in essa troverete e conforto e
la forza per traversare questa vita si ripiena di disinganni e di
amarezze. Perché Iddio é il sommo e il solo bene, onde, vivendo col cuore
e con la mente e con tutto l'esser nostro con lui e in lui, diventiamo
partecipi delle sue eterne ed immortali perfezioni. Ora la filosofia hegeliana
è sì una filosofia essenzialmente religiosa, ma appunto in quanto risolve in sé
la religione, ed è religione: si concepisce come la rivela-zione, anzi
realizzazione di Dio; e nella unità sua di sapere e saputo, concepisce tutto il
suo mondo, in tutti isuoi gradi, come rivelazione o realizzazione di Dio: onde,
mediando Dio, supera l'immediatezza propria della religione come tale
(insufficiente coscienza che lo spirito, secondo la dottrina hegeliana, avrebbe
della propria natura, e però del reale assoluto), e non lascia posto per lei,
in quanto religione pura (in quanto non fi-losofia) in nessuna parte del suo
mondo. Il mondo hegeliano, d'altra parte, non è soltanto il mondo della
filosofia, in cui tutti i gradi anteriori siano già risoluti. Una tale
filosofia sarebbe astratta e trascendente. La sua concretezza importa, quel che
il V. non poté vedere, il suo eterno divenire, ossia l'eterno risolversi degli
altri gradi in questo grado supremo del processo dialettico della realtà. Di
guisa che la filosofia hegeliana è portata a concepire tutto ciò che non è
filosofia e la stessa religione come momento necessario di se medesima: e in
questo senso, a concepire razionale tutto il reale. La religione come tale è conservata
dallo hegelismo, ma dichiarata momento della filosofia, e quindi subordinata,
nella filo-sofia, a questa. Sit viva, dum non sit diva. Pertanto il filosofo
hegeliano: 1) ha la sua religione nella sua filosofia; 2) riconosce che
ognuno, di qua dallo hegelismo, ha la propria religione nella sua filosofia, o
la filosofia nella propria religione. Le questioni adunque in cui si
travagliò il V., se nella vita delle nazioni ci sia nulla che possa sostituire
la religione (ed egli era d'avviso che non ci fosse nulla, né la scienza, né la
filosofia): se la Chiesa debba essere subordinata allo Stato, o lo Stato alla
Chiesa, o se debbano separarsi (ed egli inclinava alla seconda ipotesi, benché
non sapesse poi concepire il come della subordi-nazione, né determinare la
Chiesa a cui lo Stato si sarebbedovuto subordinare) *; queste e simili
questioni sono questioni suscettibili, nello hegelismo, di una sola solu-zione,
che è quella derivante dal concetto filosofico hegeliano della manifestazione
mediata di Dio in tutto il reale e in sommo grado nella filosofia; ma anche di
infinite soluzioni per tutti coloro, che non essendo hegeliani aspirano
soltanto, secondo l'hegelismo, a esser tali, quantunque non lo sappiano. Ma è
pur chiaro che se la verità dell' hegelismo deve valere per lui come la sola
verità, egli non potrà non combattere le soluzioni diverse dalla sua, ossia
tutte le altre filosofie in quanto vogliano passare per filosofia, e dominare.
Il filosofo hegeliano non solo rispetterà tutte le credenze religiose, ma avrà
interesse ad alimentarle come quel terreno da cui soltanto essa potrà
germogliare; così come entra negli interessi dello spirito, secondo la sua
filosofia, la cura della salute fisica. Le soluzioni del V. erano invece
non per il dominio od autonomia della filosofia e di tutte le forme spirituali
che entrano nel mondo della filosofia, ma per la soggezione di tutto alla
religione: come di chi non ha la propria religione nella filosofia, ma la
propria filosofia nella religione. Egli, insomma, per usare il linguaggio
hegeliano, non si sollevò mai veramente dalla sfera della rappresentazione a
quella del concetto nello spirito assoluto. 4I. - Non si poteva
sollevare, pel suo radicale misti- cismo. Al quale non mi pare contrasti
la tesi presa a sostenere nella Introduction contro l'immortalità
dell'anima: onde la sua autorità d'interprete consumato dello hege-lismo
era opposta poi alla Florenzi Waddington, solatra gli hegeliani d'Italia a
propugnare il concetto dell'immortalità dell'anima. Giacché non è vero quello
che Kant e tutti i filosofi della religione naturale sosten-gono, che la
credenza nella immortalità sia un principio essenziale dello spirito religioso.
Che anzi la più profonda radice della religione, nel senso più stretto del misticismo,
è riposta nel senso della vanità e nullità dell'individuo, nella nichiltade
cantata così fervidamente da Jacopone, nell'aspirazione al nirvana bud-distico,
nell'affermazione della divinità sola; e non si capisce l'anima immortale se
non si concepisce la sostanzialità assoluta dell'io individuale, senza
riconoscere l'infinito nello stesso finito e insomma superare, come fa il
cristianesimo, l'astrattezza della religione imme-diata. Che anzi nella
incertezza del V. nella Intro-duction circa l'interpretazione di questo punto
di dottrina in conseguenza dei principii hegeliani, la sua pro-pensione verso
la tesi negativa non credo si possa altrimenti spiegare che con la sua tendenza
generale a negare il finito nell'infinito, e il pensiero dell'uomo e lo spirito
individuale nel divino. Alla stessa tendenza riporterei anche l'interesse
da lui posto nella questione dell'abolizione della pena di morte, che a lui non
si presentava tanto, come ad Hegel, come una conseguenza ferrea della
dialettica della legge, che non si può volere disvolendola, e da accettare
virilmente come il taglio del chirurgo che arreca la vita, quanto una delle
parti più belle e più sante della filosofia della morte: poiché gli piacque
considerarla più come un diritto dello Stato sull'individuo colpevole che come
un logico momento del diritto, in cui si realizza la vita dello stato insieme e
dello stesso individuo, che ne è parte. E però ricondusse la legittimità della
pena di morte a una questione più generale: della razionalità della morte
inflitta dallo Stato; passando quindi a quella del diritto che lo Stato ha di
far guerra. E scioglieva appassionati inni alla guerra, che fa sentire ai
popoli quel che valgono e quel che possono operare, dà loro la coscienza dei
propri diritti, sveglia tutte le energie dello spirito, è stromento di civiltà
e di progresso: alla guerra, dove l'uomo non muore per sé, ma per la patria e
per l'umanità, e la morte adempie a un più alto ufficio e raggiunge più alti
fini della semplice morte naturale: poiché in essaL'individuo si sacrifica non
ai fini naturali della specie, sì a quelli morali della civiltà. E in generale,
sempre, « la morte è un bene, ora per l'individuo, ora per l'uma-nità; per
l'individuo anche se tutto egli perisce con la morte: perché se la morte lo colpisce
nella vecchiaia, lo colpisce quando la sua vita non ha più pregio né per lui né
per gli altri; e se lo coglie nel vigor degli anni, essa lo eleva nello stesso
istante al più alto grado della libertà e dell'amore. Ma sopra tutto per
l'umanità la morte è un bene, sempre un bene. Infatti, la gioventù, la
bellezza, la potenza, l'espansione dello Spirito suppongono la morte:
dell'individuo, come dei popoli: giacché lo Spirito non si conserva, non si
rafforza, non cresce che per la morte. L'individuo, per potenti che siano le
sue facoltà, è uno spirito limitato pel solo fatto che vive in organi limitati;
ond'è che, dopo aver con-tribuito, per la sua parte, allo svolgimento e alla
vita dello Spirito, non pure ei diviene un ostacolo a nuovi svolgimenti, ma s'abbandona
egli stesso, se può dirsi cosi: ciò che v' ha di profondo e di eterno nel suo
pensiero gli sfugge, e cade come colpito d'atonia e d'impotenza. E quel
che è vero per l'individuo, è vero altresi per i popoli. Cosi la Grecia e Roma,
dopo aver elevato il mondo antico alla più alta civiltà, diventano un ostacolo
alla civiltà nuova. - Bisogna dunque che la morte, affrancando lo Spirito dai
lacci della Natura, gli permetta di vivere una vita sempre giovane e sempre
nuova, e d'in-nestare sull'antico lo spirito nuovo. Cosi si spiega perché
l'individuo cresce dopo la morte nella coscienza dell'u-manità, e perché la
morte è considerata come la consacrazione dell'amore e il segno della
riconciliazione dello spirito. E infatti come la pace, che viene dopo la guerra
e la termina, la pace che è il risultato dell'esercizio di tutte le potenze
della vita, val meglio, checché se ne dica, di quella pace artificiale che
snerva e ammollisce il corpoe l'anima; così la morte, liberando lo spirito
dalle sue pastoie, fa brillare la verità eterna di cui egli era l'organo d'un
più vivo splendore, la rende più visibile agli altri spiriti, la propaga e la
fortifica con la loro adesione e trionfa così della natura. Quest'argomento fa V.
eloquente, come corda che risuonava dal profondo del suo animo. E altrove,
cantando l'amore, a mo' di Platone, come l'aspirazione allo Assoluto o
filosofia, si riscaldava all' ispirazione leo-pardiana di Amore e morte,
facendo della morte « il segno, la consacrazione e il trionfo dell'amore.:. E
nella morte inflitta dallo Stato, vindice dell'eterna giustizia dello Spirito,
egli vedeva pertanto l'olocausto dell'individuo sull'altare dello Spirito:
poiché nell'individuo vedeva, come testé ci ha detto, l'organo dello Spirito,
ma non lo Spirito stesso, che come tale non è individualità finita. Non
era questa l'interpretazione della filosofia hegeliana, che potesse concorrere
al progresso del pensiero speculativo. Ma è indubitabile che essa pure
traeva alimento da uno di quei forti amori dell'eterno e del divino,
senza i quali lo spirito umano non sarebbe a volta a volta distratto dagl'
interessi mondani e spinto alla ricerca filosofica. E per questo verso il V. fu
uno degli scrittori più vigorosi, più sinceri, più alacri che ci siano stati in
Italia negli ultimi tempi; e non possiamo passare innanzi a lui senza
inchinarci. Il suo fu un vano sforzo di impadronirsi di quell'ideale di
sistema, unità di religione e di filosofia, che Hegel gli fece balenare alla
mente: vano sopra tutto per mancato orientamento nella storia della filosofia,
dacui l' hegelismo aveva con stretta possente voluto spremere il succo vitale.
Perciò una costante meditazione di trent'anni non valse a fargli superare
definitivamente il punto di vista, da cui
nelle sue tesi di dottorato aveva cominciato a combattere Hegel.
Nell'ultimo suo scritto Dio secondo Platone, Aristotele ed Hegel sentiva egli
stesso di « tornare ai primi e quindi vecchi amori, poiché l'argomento» che vi
esaminava « non differisce in fondo da quello trattato nell'opuscolo Platonis,
Aristotelis el Hegeli de medio termino doctrina», e prendeva di nuovo a
studiarlo e svolgendo ed allargando la prima tratta-zione, chiarendone e
correggendone alcuni punti, e in tal senso compiendola». Ma le correzioni non
toccavano, in verità, la sostanza delle sue giovanili speculazioni.
Poiché egli ancora, come nel 1845, toglieva a difendere la tesi che la
filosofia muove da una fede; dalla fede dell'intelligenza in se stessa; dalla
fede nella conoscenza; nella conoscenza della verità; cioè dell'Assoluto o di
Dio: dalla fede dell' Efesio:
ady pi huntoy auniatow oin EfEupnGEL, aveEepeivntoy Eoy xoi aopov. E se
ora bensi diceva, che questa fede è l'alfa della scienza e la sola
possibilità di essa, la scienza, pur troppo, non seguiva. Lo scritto,
condotto innanzi fino al punto in cui ancora una volta il filosofo stanco si
ritrovava innanzi al problema della differenza tra religione e filosofia, si
arre- stava, troncato dalla morte.Augusto Vera. Vera. Keywords. Refs.:
Luigi Speranza, “Grice e Vera” – The Swimming-Pool Library. Vera.
Luigi Speranza -- Grice e Vercellone:
la ragione conversazionale e l’implicatura conversazionale del bello e
l’estetico – la scuola di Torino – filosofia torinese – filosofia piemontese --
filosofia italiana – Luigi Speranza, pel Gruppo di Gioco di H. P. Grice, The
Swimming-Pool Library (Torino). Filosofo torinese. Filosofo piemontese. Filosofo
italiano. Torino, Piemonte. Essential Italian philosopher. Filosofo italiano. La
sua filosofia si svolge inizialmente intorno all’ermeneutica e il concetto di
‘classico’ – as in English ‘classy’, in Loeb’s classy library --. Anche il
nichilismo: la sua “Introduzione al nichilismo” edito da Laterza. Continuando a muoversi intorno al rapporto tra
estetica ed ermeneutica, il suo percorso filosofico verte in seguito su ambiti
decisivi: il rapporto tra temporalità
storica e coscienza estetica, la dispersione dell'estetico; il problema del
‘pulcer’ (‘il bello’) (“Oltre il bello” – Castiglioncello, Bologna, Il Mulino);
e il concetto di ‘immagine’. Soprattutto quest'ultima linea occupa le sue
ricerche orientate sull'idea di un radicamento estetico. Insengna a Torino. Direttore
del centro inter-universitario inter-dipartimentale di ricerca sulla morfologia
dell’Udine. Presidente dell’Associazione italiana degli studiosi d’stetica. Vice-Presidente
della Società italiana d’estetica. Collabora con La Stampa. Altre saggi: “Identità
dell' ‘antico’ – (drawing from the antique”) – il concetto di ‘classico’” (Torino, Rosenberg e Sellier);
“Apparenza e interpretazione” (Milano, Guerini e Associati); “Pervasività dell’arte: ermeneutica ed estetizzazione”
del mondo della vita” (Milano, Guerini); “Nature del tempo. Novalis e la forma
poetica del romanticismo tedesco” (Milano, Guerini); “Estetica”, Bologna, Il Mulino);
“Storia dell’estetica” (Bologna, Il Mulino); “Morfologie del moderno” (Genova,
Il Melangolo); “Lineamenti di storia dell’estetica. La filosofia dell’arte”
(Bologna, Il Mulino); “Pensare per immagini: tra scienza e arte” (Milano,
Mondadori); “Le ragioni della forma” (Milano-Udine, Mimesis); “Dopo la morte
dell'arte” (Bologna, Il Mulino); “Il futuro dell'immagine” (Bologna, Il
Mulino); “Simboli della fine” (Bologna,
Mulino); “Morte dell'arte e rinascita dell'immagine: saggi in onore di V.” (Roma,
Aracne); Perniola, “Estetica italiana” (Bompiani; D’Angelo); “L’estetica
italiana” (Laterza); Franzini, Immagini del moderno, in Bertinetto, Garelli,
Morte dell'arte e rinascita dell'immagine. Saggi in suo onore, Roma, Aracne. Vattimo, L'arte è morta, anzi no: è
"dopo", Repubblica, Bertinetto, Garelli, Morte dell'arte e rinascita
dell'immagine. Saggi in onore di V. Belpoliti, “Tra bello e brutto non c'è più
differenza” La Stampa, Bodei, “Là dove rinasce il bello” Il Sole 24 Ore, Bodei,
Salto nel vuoto dell'immagine, Il Sole 24 Ore, Mattazzi, Aprire lo sguardo.
Stili della visione in grado di agire sul reale, Il Manifesto; Vallora, Nelle
torri di Kiefer per trovare un senso in mezzo alle rovine, La Stampa, Università
degli Studi di Torino. La filologia, il tragico, lo spazio
letterario. Per una rilettura del giovane Nietzsche, in «Rivista di estetica»,
Oriente e ornamento nell'estetica di Hegel, in «Rivista di Estetica«, L'Oriente
romantico, in «Rivista di estetica», 1Scheda di "The British Journal of
Aesthetics", vol. 21, n.2, primavera 1981, in "Rivista di
Estetica", Scheda di "The British Journal of Aesthetics", vol. 21,
n.3, estate 1981, in "Rivista di Estetica", Scheda di "Revue
d'Esthétique", Musique présente, in "Rivista di Estetica", Scheda
di "The British Journal of Aesthetics", "Rivista di
Estetica", Scheda di "Revista de estética","Rivista di
Estetica", Dal simbolo alla scrittura. Friedrich Creuzer, in «Rivista di
estetica», La riappropriazione del senso e l'opacità della lettera. Modelli
della comprensione storica, in "Rivista di Estetica", Cura
della sezione dedicata a L'Ottocento di AA.VV., Il pensiero ermeneutico, Scheda
di "Revue d'Esthétique", n.8, 4, 1985, in "Rivista di
Estetica", Scheda di "Zeitschrift für Asthetik und allgemeine
Kunstwissenschaft "Rivista di Estetica",Scheda di "Revue
d'Esthétique", n. 12, 1986, in "Rivista di Estetica", Al di là
della lettera. Lo studio dell'antichità nel pensiero di Ast, in M. Ravera,
F. Vercellone, T. Griffero, Estetica ed ermeneutica, Palermo,
Aesthetica. 16) Scheda di "Zeitschrift für Asthetik und allgemeine
Kunstwissenschaft "Rivista di Estetica", Identità
dell'antico . L'idea del classico nella cultura tedesca del primo Ottocento,
Torino, Rosenberg. L'estetica moderna.
Percorsi bibliografici, in S. Givone, Storia dell'estetica, Roma- Bari,
Laterza. Per una storia del circolo ermeneutico in : AA. VV., Ciò che
l'autore non sa, Milano, Guerini. Apparenza e interpretazione, Milano,
Guerini. Con Gianni Carchia, Premessa a Romanticismo e poesia, in
"Rivista di Estetica", Scheda di "The Journal of Aesthetics and
Art Criticism", 'Rivista di Estetica", Sublime
e memoria. A partire dal giovane Nietzsche, in Dicibilità del sublime, a cura
di T. Kemeny e E. Cotta Ramusino, Udine, Campanotto. Pervasività
dell'arte, Milano, Guerini. Aparencia
y desencanto. Nihilismo y hermenéutica en la Frühromantik, in «Revista de
Occidente», Scheda di "The British Journal of Aesthetics, in
"Rivista di Estetica", rasa a della di resenca, Mila D, a Rimanik a
Niezsche, in Teatro Heidegger e Bäumler interpreti di Nietzsche, in
«Immediati dintorni». Introduzione al nichilismo, Roma-Bari, Laterza. Allegoria
del contesto. Note su ermeneutica e modernità, in Oltre la linea
dell'avanguardia, a cura di E. Calvi, Milano, Guerini. Forma
ed estetismo nella Torino di Gobetti e di Lionello Venturi, in Alberto
Sartoris. Novanta gioielli, a cura di A. Abriani e J. Gubler, Milano, Mazzotta.
L'utopia del visibile. Note sull'ermeneutica dell'immagine a
partire dalla 'Romantik', in «aut aut», Introduzione a W. H. Wackenroder,
Scritti di poesia e di estetica, Torino, Bollati Boringhieri. Anmerkungen
zur Romantik, Hermeneutik, Nihilismus, in H.M.Baumgartner und W. Jacobs (a cura
di) Philosophie der Subjektivität? Zur Bestimmung der neuzeitlichen
Philosophierens, Stuttgart, Fromman-Holzboog. Autocoscienza,
immaginazione e temporalità nelle Fichte-Studien di Novalis, in «Annuario
filosofico», Milano, Mursia. Estetica
ed ermeneutica nella filosofia italiana contemporanea, in AA. VV. L'estetica
italiana del '900, Napoli, Tempi Moderni. Recensione
a G. Moretti, L'estetica di Novalis, Torino, Rosenberg et Sellier, in «Itinerari», n.2. Voci:
«Nichilismo», «Jonas», «Koselleck», «K. Ph.Moritz», «Wackenroder» in
Enciclopedia Garzanti di Filosofia. Classicità fra natura e artificio. Goethe e
Nietzsche, in «Itinerari», 3 (ripubblicato poi in «Paradosso», a cura di S. Givone, Sul pensiero simbolico).
Modernità e progetto; lezione tenuta nell'ambito del corso di
perfezionamento in Progettazione Architettonica della Facoltà di Architettura
di Roma (prof. F.Purini), in «Bolletino della Biblioteca del Dipartimento di
Architettura di analisi della città», La volontà e l'informe. In margine alla
recente riedizione della «Volontà di potenza», in «Iride», Prospettiva
sull'Ofterdingen di Novalis, in «Paradosso», n. 9. Recensione
a E. Calvi, Tempo e progetto, Milano, Guerini, 1991, in «Rivista di estetica»,
La questione della forma parte della voce Estetica, redatta in collaborazione
con M. Ferraris e Sergio Givone, in La filosofia, vol.III, diretta da P. Rossi,
Torino, Utet. Storicità e destino. A proposito del Nietzsche di Heidegger, in
«Iride», La temporalità del poetico in Goethe e Novalis in Atti del Convegno
dell'«Associazione Italiana Studi di Estetica», 1993, Milano, Luni. 17)
Depregia del sublime at onl sed e anore di Citici della Pri comanik.
Carchia e M. Ferraris, Milano, Cortina. 48) P. Szondi, Saggio sul
tragico, (a cura di F. Vercellone, trad. it. di G. Garelli), Torino,
Einaudi. Estetica, in collaborazione S. Givone e M. Ferraris, Milano, TEA
(riproduce n.44). Recensione a U. Perone, Nonostante il soggetto, Torino, Rosenberg
et Sellier, 1995, su «Iride», L'ermeneutica e l'autore, in Prima dell'autore.
Spettacolo cinematografico, testo, autorialità dalle origini agli anni Trenta,
Udine, Forum, Romanticismo e modernità, a cura di C. Cianc io e F.
Vercellone, Torino, Zamorani. L'altro
sublime: note sull'ontologia del primo romanticismo tedesco in Romanticismo e
modernità, cit. Recensione del vol. di
G. Carchia, Arte e bellezza. Saggio sull'estetica della pittura (Bologna, Il
Mulino), in «Iride», Note su caos e morfogenesi nel romanticismo tedesco, in Il
paesaggio dell'estetica, Torino, Trauben. M.
Frank, Individualità. Difesa della soggettività dai suoi detrattori, ediz. it.
a cura di F. Vercellone, Udine, Campanotto. Nature
del tempo. Novalis e la forma poetica del romanticismo tedesco, Milano, Guerini
et Associati. 58) Nichilismo e cristianesimo, intervista a mia cura di L.
Pareyson, comparsa originariamente su «L'Ora», Liberatevi da ogni colpa);
versione ampliata in «Annuario filosofico», Pareyson, Opere complete, Essere
Libertà Ambiguità, a cura di F. Tomatis, Milano, Mursia, Categorie
estetiche. in Estetica. Storia, categorie, bibliografia, a cura di S.
Givone, Firenze, La Nuova Italia. Einführung
zum Nihilismus, München, Fink (trad. ted. con lievi modifiche del vol. di cui a
29). L'Occidente della verità. Identità e destino della cultura
europea, a cura di C. Ciancio e F. Vercellone, Milano, Guerini. Arte e
bellezza (testo della conferenza tenuta a Jesi, presso il Palazzo dei Convegni
di Jesi nel ciclo L'estetica e i suoi luoghi a cura del Circolo Culturale
Jesino «Massimo Ferretti»), in AA.VV., L'estetica e i suoi luoghi, Jesi,
Arti Grafiche Jesine). Recensione a: Maria Moneti Codignola, Moralità e
soggetto in Hegel, Pisa, ETS, su «Iride») Estetica dell'Ottocento, Bologna, Il
Mulino (trad. portoghese: A estética do século X/X Editorial Estampa,
Lisbona, 2000; trad. spagnola: Estetica del siglo X/X, Madrid, Machados.,
Corpo, memoria, storia., in «Iride» nella rubrica «Libri in discussione», a
proposito del volume di D. Dietrich Harth, Das Gedächtnis der
Kulturwissenschaften, Dresden, Dresden Recensione al vol. di N. Humphrey, Una
storia della mente, trad. it. di B. Antonielli, Torino. Instar Libri, 1998 su
«Iride», Recensione a G. Carchia, L'estetica antica, Roma-Bari, Laterza, 1999,
su «Iride», Composizione dell'infinito: Goethe e Novalis, in «Annali
dell'Istituto Universitario Orientale di Napoli-Sezione Germanica»,mMerce come
ornamento, in Le provocazioni dell'estetica. Dibattiti a Gargnano, Torino,
Trauben. L'eredità estetico-filosofica di Goethe, In Omaggio a Goethe.
Fotografie di Dario Lanzardo, Torino, Museo Regionale di Scienze Naturali. L'artificio
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Filosofia dell'Università della Calabria, a cura di R. Bufalo e P.
Colonnello, Napoli, Luciano (riproduce con alcune modifiche ...). Note
su Gadamer e la filosofia italiana, in «Iride» Trad. con Serenella lovino del
saggio di P. Maisak, Parole e immagini sono correlati che incessantemente si
ricercano, in J.W. Goehte, Immagini per la prospettata edizione italiana del
Viaggio in Italia, a cura di C. Diekamp, Torino, Museo Regionale di Scienze
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cofirmata con: G. Morra; Heidegger
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autocoscienza, in «Multiverso. Pes o m d eco in Le de Fori, Primat
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a cura di M. Bozzetti, (versione rivista e ampliata Mimesis, Menas atejus jo
pabaigai. Pastabos apie meno mirti siandien (Art
after Its End: Notes on the "Death of Art" Today, in "Religija
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und Ohnmacht des Wortes. Ethische Grundfragen einer
personalen Medizin, Göttingen, Wallstein, ntroduzione a Ontologia
dell'immagine, con di Ciancio, Cantillo, Trione. Nietzsche y la imagen. ¿El mundo verdadero se ha
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Su enerthe marima di ) ion Sardi
(rietino) Di Sedi laso 2, evione
monografica di del resataio di e aria c.09, e de pensi, Hacia
la morfo-logia in : " Escritura e Imagen", ripreso anche in 150) L'Estetica
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in onore di Franco Bernabei,a cura di M.Nezzo e G. Tomasella, Padova?, Canova,
L'esperienza dell'arte di Massimo Poldelmengo, in Poldelmengo l'opera del
prima, a cura di S. Chiarandini, Udine, Venti d'Arte, (con traduzione inglese e
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come metafora del mondo, «Iride. Filosofia e discussione pubblica» der
Prescione, Milal, Malisia, talk I Fi orali, a cura di G. Gareli c La
finzione necessaria. La fine dell'arte e la nascita dell'estetica, in
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futuro prossimo, in «Annuario Filosofico», Milano, Mursia, Note
sul destino artistico della tenologia, in : Confini dell'estetica. Studi in
onore di Salizzoni, a cura di Antonelli e Martinengo, volume edito in collana
Tropos Orizzonti - opere collettanee 7, Aracne Editrice Roma Il nichilismo e le
nuove forme dell'immaginario tardo-moderno, in Aut Aut, Il Saggiatore, Milano, Nihilism
and the New Forms of Late-Modern Imaginery, in Listening to Art, ed. Givone and
Magherini, Firenze, Nicomp Bredekamp, Immagini che ci guardano Teoria dell'atto
iconico, a cura V., Milano, Cortina, Immagini
immaginanti, Introduzione all'edizione italiana) Modificazioni dell'infinito,
in Collezioni, a cura di D. Eccher, vol quarto, Allestimento Torino, Allemandi,
L'immagine senza logos. All'alba dell'estetica in «ISLL Papers»,
Dossier, La vita nelle forme. Il diritto e le altre arti. Atti del VI Convegno
Nazionale ISLL, Urbino a cura di L. Alfieri e P. Mittica, Cascia see cia, Me
eliana, Festschift in onore di Massimo 1ctitenet d mott, a i di A,
Matheng, Rom, Apere Modificazioni
dell'esperienza estetica tardo-moderna Abitare Possibile. Estetica,
architettura, new media, Milano, Mondadori. The
lost Experience of Art, in «Cosmo», Art and aesthetic experience, InSpe iosotto
Nuneto - F StA I, Spaio Fisoridlco. regolazians socie, Miens il no 201n
Romanticism, in Teoria e Critica ella 3orelone Mence, Tit SEN rad K
Veves. F. tamell, F. Das
Ende der Kunst und die Geburt der Ästhetik Nemo contra deum nisi deus ipse. Il
nichilismo dell'apparenza e il re- Ricensament onicanidate su. X, o losofico»
Vichlismo e moderità. Concepts
of Morphology, edited by O. Breidbach et F. Vercellone, rist. rivista di 122),
Milano-Udine, Mimesis International- Chaos and Morphogenesis in German
Romanticism, in Visiocrazia. Immagine e forma della legge/ Visiocracy. Image
and Form of Law, Milano-Udine, Mimesis, trad. Inglese con lievi modifiche pe
estelica Rico do riach, in «Anuario, Misil osare in eie ne ritrea prima pal do
e ell eranza, Prefazione
a A. Vianello, Sapere e fede. Un confronto credibile, Udine, Forum, Identità a
venire nello specchio del Grand Tour, in «nuova informazione bibliografica», Braco
Dimitrijevic. La storia oltre la storia, in Braco Dimitrijevic, a cura di D.
Eccher, L'universalità dell'ermeneutica
nel tempo dell' "immagine del mondo". Note e riflessioni, in «Lo
sguardo». Rivista di filosofia. Herméneutique et interculturalité, a cura di
C.Berner, C.Canullo, J.-J. Wunenburger,
LoSguardo While Love is not a Feeling, in Love. Contemporary Art meets
Amour, edited by Eccher, Milano, Skira, Nuovo romanticismo: la civiltà
dell'immagine, in G. Lingua e Sergio Racca (a cura di), La cornice simbolica
del legame sociale. Prospettive sugli immaginari contemporanei, Mimesis,
Milano, Francesca Iannelli, Gianluca Garelli, Federico Vercellone, Klaus Vieweg
(a cura di), Fine o nuovo inizio dell'arte. Estetiche della crisi da Hegel al
pictorial turn, ETS, Pisa, La fine
dell'arte e la nascita dell'estetica, in lannelli, G. Garelli, F. Vercellone,
K. Vieweg, Oltre la leggenda della fine dell'arte, El nihilismo y las nuevas
formas de la imagen tardomoderna, in «Bajo Palabra. Revista de Filosofia, La
morte dell'arte dopo Hegel, in Gabilondo, Méndez, Ramos, Tudela, Lozano (cur.),
La herida del concepto, UAM, Madrid, Preface,
in C. Concilio, M. Festa (a cura di), Word and Image in Literature and Visual
Arts, Mimesis, Milano,Bertram, L’ARTE COME PRASSI UMANA: un'estetica, edizione
italiana, cur. V., Cortina, Milano, Introduzione
Il futuro dell'immagine, il Mulino, Bologna, Fantasmi,
fantasmagorie, agnizioni, in D. Eccher (a cura di), Boltanski: Anime, di luogo
in luogo, Cinisello Balsamo, Silvana Editoriale, Trad. ingl., Ghosts,
Phantasmagorias, Agnitions, in D. Eccher (ed.), Boltanski: Souls, from Place to
Place, Cinisello Balsamo, Silvana Editoriale, Nuovo romanticismo? La civiltà
dell'immagine, in «Teologia», Beyond
Beauty, New York, SUNY, tIl
lusso come problema filosofico, in «Iride», Cura del numero monografico di
«Azafea», La Nueva Morfologia, Perspectives
On A New Morphology, Kiefer e I Sette Palazzi Celesti. Ovvero l'inizio come la
fine e l'inverso, in «Bollettino filosofico», Pareyson, Suny Press, Albany
Simboli della fine, Bologna, il Mulino, con esteria Maria e ilesia di) Champo
delo, logaica, Palarono, Palermo, Libri in discussione: Vita quotidiana
di Enrica Lisciani-Petrini (con M. Garda e S. Forti), in Iride -
Filosofia e Discussione Pubblica, Dream, Geist. Strategie del Regno, in Dream -
L'arte incontra i sogni - catalogo. Skira, Roma, In uscita o da
verificare: en el siglo XIX Universidad Internacional Menéndez
Pelayo; traduzi lituana in corso; L'educazione estetica nella civiltà
dell'immagine. Ipotesi sul futuro prossimo in versione spagnola negli Atti del
con vegno Schiller a Madrid La morfologia oltre l'estetica. Ricordo di
Olaf Breidbach, trad. tedesca in Atti del convegno «Anschauen, Ordnen, Deuten,
Wissen». Gedächtnissymposium zur Erinnerung von Olaf Breidbach, Jena. Federico Vercellone. Vercellone. Keywords: bello,
estetico, immagine. Refs.: The H. P. Grice Papers, Bancroft MS – Luigi
Speranza, “Grice e Vercellone: l’estetico e il bello’ – The Swimming-Pool
Library, Villa Speranza, Liguria. Vercellone.
Luigi Speranza -- Grice e
Verdiglione: la ragione conversazionale e l’implicatura conversazionale della
congiura degl’idioti – la scuola di Reggio Calabria – filosofia calabrese – la
scuola di Caulonia -- filosofia italiana – Luigi Speranza, pel Gruppo di Gioco
di H. P. Grice, The Swimming-Pool Library (Caulonia). Filosofo calabrese.
Filosofo italiano. Caulonia, Reggio Calabria, Calabria. Essential Italian
philosopher. Filosofo italiano. Grice: “I like
Verdiglione; my favourite: his “La congiura degl’idioti” – I have used the
Greek root which Boezio translated as ‘proprium’ twice in my seminar on
implicature. The first time to
refer to ‘kick the bucket’ as a ‘recognised idiom’ – idioma in Latin and
idIoma, with stress on the i, in the Grecian; but more importantly – since
‘recognised by who?’ – in the next session I referred to a conversationalist
using a one-off signaling which I referred to as a ‘signalling idiolect.’ Yes, Speranza and I can be pretty idiosyncratic!”. Vincitore
di una borsa di studio nel collegio Augustinianum, studia a Milano, dove si
laurea con una tesi sulla filosofia semiotica di PIRANDELLO (vedi). Formatosi
con Lacan, pubblica con le case editrici Marsilio, Rizzoli, Feltrinelli e
Sugarco, con cui collabora. Per quest'ultima dirige la collana
"Bordi". Traduce la raccolta di testi Scilicet di Lacan per
Feltrinelli e il Seminario XXII. Con la sua casa editrice, Spirali, pubblica
testi come la traduzione del Malleus Maleficarum, Il martello delle streghe, il
manuale dell'Inquisizione per la caccia alle streghe, e in seguito, sempre per
le edizioni Spirali, pubblica alcuni testi di BRUNO, come “Le ombre delle idee”
e “Cabala del cavallo pegaseo.” Traduce per Feltrinelli libri che in Francia
animano il dibattito in ambito culturale, come il saggio di Irigaray Speculum.
L'altra donna edito da Feltrinelli nella traduzione di Muraro, il saggio di Mannoni,
Educazione impossibile. Introduce in Italia Kristeva. Incontra anche Oury,
fondatore assieme a Guattari della clinica La borde, di cui pubblica “Creazione
e schizophrenia”, “Psicosi e logica istituzionale”. “Il collettivo”, Babele e
la Pentecoste. La Borde e la scrittura della psicosi, La psicosi e il tempo.
Traduce sempre per Feltrinelli l'edizione del libro di Jean-Goux, Freud, Marx:
economia e simbolico. Fonda il Movimento freudiano e la Spirali Edizioni. Con
Spirali, pubblica autori come Daniel,
Lévy, Glucksmann, Halter, Arrabal, Grillet. Esce in edicola il primo
numero del mensile “Spirali: giornale di cultura”, a cui segue l'edizione
francese Spirales, Il Secondo Rinascimento. V. e il Collettivo “Semiotica e
psicanalisi” organizzano a Milano, in V sedi differenti, il Congresso
internazionale "Sessualità e politica" seguito dai media italiani. Partecipano
molte filosofi. Sempre con il Collettivo “Semiotica e psicanalisi”, organizza
il congresso “La follia”, che si svolge in più sedi, tra cui il Palazzo dei
Congressi e il Museo della scienza e della tecnica. Il congresso è seguito
dalla stampa di vari paesi. Intanto, inventa la “cifre-matica,” la cosiddetta
scienza della parola. Nell'Enciclopedia Rizzoli Larousse viene così definita la
cifrematica come dottrina della parabola intesa come cifra -- dottrina
elaborata da V. e utilizzata all'interno di esperienze di conversazione,
lettura, ecc. Secondo la cifre-matica, ogni parabola può essere analizzata
secondo la sua logica idiomatica – cfr. Grice, “Idioma, not language” -- o la
sua qualità cifratica, come ‘cifrema.’ C’e logica idiomatica della relazione, dello
stigma, della funzione, della operazione, e della dimensione. C’e tre 'strutture':
struttura sintattica, struttura frastica e struttura pragmatica – o griceiana, secondo
cui ogni expression – idioma -- può
essere 'de-cifrata.’ E a Milano, su invito di V. Ionesco. In un'assemblea di intellettuali
e lettori, c’e un convegno organizzato da lui, portando la testimonianza della
sua vita e della sua attività filosofica, documentata nel libro Una vita di
poesia. La sua Università internazionale del Secondo Rinascimento
acquista dalla famiglia Borromeo la Villa di Senago e il parco, lasciati per
anni in uno stato di abbandono. I nuovi proprietari decidono pertanto di
avviare un primo importante restauro che mira alla salvaguardia stessa del
bene. Il restauro si è protratto nel tempo, fedele a criteri conservativi, con la
collaborazione di ingegneri, esperti, architetti, tecnici, storici e filologi
che hanno lavorato, insieme, sotto la direzione della sopra-intendenza ai beni ambientali
ed architettonici di Milano. L'attività editoriale prosegue quanto già
avviato e si indirizza soprattutto sulla dissidenza, in particolare romanzieri.
Pubblica libri di Bukovskij, Zinovev, Naghibin, Maksimov e molti altri.
L'interesse per la dissidenza lo porta a pubblicare saggisti come Suvorov, gl’ambasciatori
russi in Italia Adamishin, Jurij, il teorico della perestrojka Jakovlev, e l'ex
ministro per l'energia e leader dell'opposizione di destra Nemtsov. Oltre agl’autori,
pubblica dissidenti provenienti da tutto il pianeta. In questa direzione sono
stati organizzati i convegni internazionali Festival della modernità che
propongono, in ciascuna edizione, diverse tematiche -- scrittura, libertà,
politica. Prosegue il lungo processo di restauro della Villa San Carlo
Borromeo di Senago, restituendo all'edificio la sua originaria bellezza e
trasformandolo in un palazzo del turismo culturale e artistico, nella sede
dell'Università internazionale del Secondo Rinascimento e della casa editrice
Spirali. In questi anni, la villa è sede di congressi, di corsi, di seminari,
di riunioni di enti pubblici e privati, italiani e stranieri, di un museo
permanente e di un museo per grandi mostre. V. ha totalizzato X anni e VI
mesi di carcere per reati vari. È stato condannato a IV anni e due mesi per
truffa, tentata estorsione e circonvenzione di incapace. Dopo un patteggiamento
è stato condannato a I anno e IV mesi. è stato di nuovo condannato in primo
grado a IX anni (e la moglie a VII) per associazione a delinquere, frode
fiscale, truffa alle banche e allo stato. In seguito la pena è stata ridotta a V
anni. In tale occasione ha causato sofferenze bancarie per 73,4 milioni: 18,3
sono in capo a Intesa Sanpaolo, altri 25,9 milioni a Banca Etruria. Truffa,
tentata estorsione e circonvenzione di incapace V. è al centro di una serie di
vicende giudiziarie (Affaire V.) relative all'attività sua, della sua fondazione
e dei suoi collaboratori. Viene condannato a IV anni e due mesi di reclusione
per truffa, tentata estorsione e circonvenzione di incapace, condanna che passa
in giudicato. Intellettuali di vari paesi -- tra cui Lévy, Ionesco, Arrabal,
Halter, Benamou, Henric, Bukovskij, Safouan, Xenakis, Zinovev, Mathé, Lanzmann
-- acquistano una pagina del quotidiano “Le Monde” in cui pubblicano e
sottoscrivono un appello rivolto al presidente della repubblica italiana e ai
giudici milanesi, col quale denunciano un presunto clima di caccia alle
streghe. Il caso V. secondo i firmatari mette in discussione le nozioni di
diritto, giustizia e libertà di parola in Italia. Daniel, direttore del Nouvel
Observateur, pubblica su la Repubblica una lettera, intitolata "Difendo V.",
rivolta al direttore del quotidiano. Il Partito Radicale organizza un incontro
internazionale in piazza Montecitorio sul Ve., a cui partecipano anche
importanti esponenti del "Comitato Internazionale per V.", promosso
da MORAVIA, Ionesco, Lévinas, Arrabal, Bukovskij, Lévy, Halter. La Repubblica scrive
che dopo quello di Tortora ci e la sponsorizzazione da parte del PR del caso
giudiziario di V.”. Il programma satirico Drive In lo fa conoscere anche al
grande pubblico, attraverso la parodia del "Dottor Vermilione, psicanalista
santone" impersonato da Greggio. Il caso V. è anche citato in relazione al
disegno di legge per l'abolizione del reato di circonvenzione d'incapace -- articolo
del codice penale. Dopo la condanna in Cassazione, la vicenda giudiziaria si
conclude con il rinvio a giudizio per i capi di imputazione stralciati in
occasione del primo procedimento giudiziario e con il definitivo patteggiamento
a una pena di I anno e IV mesi e indennizzi di oltre 3 miliardi di lire a ex
allievi. Si concludono le indagini della Guardia di Finanza coordinate dalla
Procura della Repubblica di Milano, Viene indagato per evasione fiscale in
relazione all'emissione di fatture false, e appropriazione indebita. A seguito
della richiesta avanzata dalla procura di Milano, due dimore storiche
riconducibili al professore (tra cui la Villa San Carlo Borromeo di Senago) per
ordinanza del Gip vengono poste sotto sequestro preventivo, pur mantenendone la
disponibilità. A meno di III settimane di distanza il Tribunale del Riesame di
Milano annulla i decreti di sequestro concessi dal GIP C. Mannocci al PM
Albertini, e restituisce gli immobili alle proprietà, in quanto non sussiste
l'accusa di evasione fiscale. Si tratta invece di neutralità fiscale, in quanto
l'IVA dovuta sarebbe sempre stata pari a zero. In base alle conclusioni del
giudice, sarebbero state emesse fatturazioni fittiziema regolarmente pagatetra
società facenti capo a V., allo scopo di ottenere crediti presso gli istituti
finanziari, potendo esibire bilanci dai quali risultano entrate ingenti, in realtà
fasulle. La giudice Marchiondelli rinvia a giudizio V. per associazione a
delinquere finalizzata a frode fiscale e truffa allo stato. Viene condannato a
IX anni per i reati di associazione a delinquere finalizzata a frode fiscale,
truffa alle banche e truffa allo stato. Nel medesimo processo vengono emesse
condanne anche a carico della moglie
Angeli e di due sue società, intanto fallite. Viene altresì disposta la
confisca, fino ad un valore equivalente rispettivamente di 100 milioni e 10
milioni di euro, di beni come la storica dimora trecentesca Villa San Carlo
Borromeo a Senago con 10 ettari di parco. La sentenza di secondo grado
conferma la prima, nonostante che Procuratore generale, nella sua requisitoria,
abbia chiesto l'annullamento della sentenza di primo grado per assoluta
indeterminatezza e intrinseca contradditorietà delle accuse. La condanna a V
anni di reclusione diventa esecutiva. Nel pieno delle inchieste giudiziarie,
l'associazione da lui fondata viene definita setta dallo psicoterapeuta
infantile Foti. Analoga affermazione fu fatta da Calefato, professoressa
associata di sociolinguistica, che così si espresse in un'intervista per un
quotidiano locale in occasione dell'incontro con Verdiglione organizzato a Bari
da Ponzio, Professore di filosofia del linguaggio, intitolato "La cifra
del Levante". MUSATTI, considerato il fondatore della psicanalisi
italiana, prova una profonda avversione per V. che etichetta come "“il
magliaro di Caulonia” e come "cialtrone". V. ha ospitato come
relatori, nell'ambito di alcuni congressi organizzati alla Villa San Carlo
Borromeo, autori come Duesberg, virologo statunitense, scopritore dei
retrovirus, e Rasnick, biologo, che negano l'esistenza dell'AIDS, sostenendo
che gli ammalati di tale morbo morissero in realtà sia a causa dell'assunzione
di droghe sintetiche fortemente immune-soppressive sia a causa delle cure che
erano loro imposte nella prima fase sperimentale, dove si ricorreva
all'utilizzo di farmaci come l'AZT, originariamente sintetizzato a scopo anti-neoplastico
e poi abbandonato per l'elevata tossicità. Saggi: “Il carcere. La questione
della parola, Associazione Amici di Spirali,
Ur-kommunismus; “La paura della parola”, Associazione Amici di Spirali, “La
grammatica dello spirito,” L'androgino trinitario e la bilancia dell'orrore,
Associazione Amici di Spirali, “I padroni del nulla” Associazione Amici di
Spirali, L'Operazione guru, Associazione
Amici di Spirali, La rivoluzione
dell'imprenditore, Associazione Amici di Spirali, Il bilancio di guerra, Associazione Amici di
Spirali, In nome del nulla. L'accusa di
blasfemia, Associazione Amici di Spirali,
Il bilancio intellettuale dell'impresa, Associazione Amici di
Spirali, Parola mia, Spirali, La realtà intellettuale, Spirali, L'Affaire fiscale ovvero il dispensario del
tempo, Spirali, Scrittori, artisti,
Spirali, La libertà della parola, Spirali, “La politica e la sua lingua”,
Spirali, La nostra salute, Spirali, Il capitale della vita, Spirali, Master dell'art ambassador, Spirali, Master
del brainworker, Spirali, Master del cifrematico, Spirali, “L'interlocutore”, Spirali, Il Manifesto di
cifrematica, Spirali, La rivoluzione cifrematica, Spirali, Artisti, Spirali, Il
brainworking. La direzione intellettuale. La formazione dell'imprenditore. La
ristrutturazione delle aziende, Spirali, Edipo e Cristo. La nostra saga,
Spirali, La famiglia, l'impresa, la finanza, il capitalismo intellettuale,
Spirali, Venere e Maria. La fiaba originaria, Spirali, MACHIAVELLI,
Spirali/Vel, Vinci, Spirali/Vel, La congiura degl’idioti, -- cfr. Grice,
“L’idioma dell’idiota” -- Spirali/Vel, L'albero di San Vittore, Spirali, Lettera
all'eccellentissima corte di appello, Spirali, Quale accusa?, Spirali, Processo
alla parola, Spirali, Il giardino dell'automa, Spirali, Manifesto del secondo
rinascimento, Rizzoli, Spirali, La mia industria, Rizzoli Spirali, Dio, Spirali, La peste, Spirali, La
psicanalisi questa mia avventura, Marsilio, Spirali, La dissidenza freudiana,
Feltrinelli, Spirali. E. Roudinesco, Histoire de la psychanalyse en France, Paris: Le Seuil
(réédition Fayard ) dal sito web italiano per la filosofia. il domenicale
arretrati n. Domenicale miei libri Scienze umane Sociologia e comunicazione
Sollers-scrittore La dissidenza della scrittura Lacan e altri, Scilicet:
rivista dell'école freudienne de Paris, trad. di V., Feltrinelli, Milano, Lacan, Il seminario, in «Ornicar? Venezia. Institor
(Krämer), Sprenger, V., Il martello delle streghe. La sessualità femminile nel
"transfert" degli inquisitori, Spirali, Milano, BRUNO, Caiazza, Le
ombre delle idee, Spirali, Milano, BRUNO, Sini, Cabala del cavallo pegaseo,
Spirali, Milano, Mannoni, Educazione impossibile, (Feltrinelli, Milano). Spirali
pubblica le opere La rivoluzione del linguaggio poetico. L'avanguardia, :
Lautrémont e Mallarmé e Poteri dell'orrore. Saggio sull'abiezione Guattari /spirali books-of-Jean+Oury. Php Goux, Freud, Marx: economia e simbolico,
introduzione e cura di V., Milano, Feltrinelli, atti del Convegno Sessualità e
politica edito da Feltrinelli, 2000 partecipanti al Congresso di Psicanalisi
con tema "Sessualità e Politica", svoltosi a Milano", Anquetil,
"A Milan, le sage congrès de la folie", Les Nouvelles Littéraires, Dadoun,
"A Milan F comme Folie", La Quinzaine littéraire, Descamps, "A Milan au congrès de
psychanalyse on a débattu (vivement) de “Sexe et politique”", La Quinzaine
littéraire, Congres v Milanu, “Razprave problemi”, Maggiori, "La 'Jet
Society' psychanalytique reunie a Milan", Liberation, Italianistica, Cifrematica: di che cosa
parliamo? Enciclopedia Universale
Rizzoli Larousse, Rizzoli, Milano, Mascheroni, il Giornale, Borzi, Etruria
perde 26 milioni nel crack V., in Il Sole 24 ore, V. affidato al servizi
sociali, la Repubblica, in Archiviola Repubblica. "Pour V.", Le Monde, "Difendo
Verdiglione", di Daniel, direttore di Le Nouvel Observateur pubblicato da
la Repubblica, Caso v.:, all'hotel nazionale in piazza montecitorio, a partire
dalle ore 11.45, incontro internazionale sul tema: "il caso v.".
marco pann..., su radio radicale. I radicali bocciano pannella, la Repubblica,
in Archivio la Repubblica legislature camera dati/leg10/lavori/ stampati Milano,
18 rinvii a giudizio per la vicenda v., Repubblica » Ricerca, non profit, v. fa
lo sponsor e le associazione danno forfeit, la Repubblica, in Archivio la
Repubblica. Turano, V. spa, in Corriere Economia, V., ovvero come sposare lo
sponsor e viver felici Corriere della
Sera, su milano.corriere. Archivio
Corriere della Sera, su archivio storico.corriere. Corriere della Sera, su
archivio storico.corriere. Frode
fiscale, IX anni a V. confiscati beni per 110 milioni, in Corriere della Sera. Lo
psicanalista V. dai fasti al ritorno in carcere, su milano corriere. sito dell'associazione diretta da Foti, 'V.
fuori dall'Ateneo' la Repubblica, in Archivio la Repubblica. Il chiaccierato V.,
la Repubblica, in Archivio la Repubblica. musatti Analisi laica, su Analisi
laica. Italian guru, la Repubblica, in Archivio la Repubblica. Szaz, La
battaglia della salute, Spirali. «L'Aids non è contagioso in nessun modo, non
si trasmette né attraverso rapporti eterosessuali né attraverso rapporti
omosessuali e neanche senza rapporti, non si trasmette in nessun modo; l'Hiv è
un retro-virus che, secondo Dusberg, è innocuo." "Muoiono per via
della cura. È la cura, che li ammazza."».
Dizionario di cifrematica, su dizionario di cifrematica. V. Com: Recenti Vicende, su tg mediaset. Armando
Verdiglione. Verdiglione. Keywords: de-ciphering the cipher, cifra decrifrata,
implicatura e cifra, Bruno, Machiavelli. Refs.: The H. P. Grice Papers,
Bancroft MS – Luigi Speranza, “Grice e Verdiglione e l’idioma dell’idiota” –
The Swimming-Pool Library, Villa Speranza, Liguria. Verdiglione.
Luigi Speranza -- Grice e Vernia: la
ragione conversazionale e l’implicatura conversazionale dei peripatetici del lizio – la scuola di
Chieti – filosofia abruzzese -- filosofia italiana – Luigi Speranza, pel Gruppo di
Gioco di H. P. Grice, The Swimming-Pool Library (Chieti). Filosofo abruzzese.
Filosofo italiano. Chieti, Abruzzo. Grice: “I love Vernia, but then any
Englishman would, especially when learning that Saint Thomas (Aquino) would
have made such a fuss about him!” -- Essential Italian philosopher. Allievo a Padova di PERGOLA e Thiese
e successore di quest'ultimo. Ha come collega POMPONAZZI (il Pomponaccio). Tra
i suoi allievi: NIFO e PICO. Seguace dell'ermetismo imperante a Padova, cura
un'edizione di Aristotele, il lizio. V. sostenne l'unità dell'intelletto -- dottrina
poi abbandonata a causa di una condanna inflittagli dal vescovo di Padova --, l'autonomia
della fisica rispetto alla meta-fisica, e la superiorità della scienza della
natura sulle scienze dell'uomo. Saggi: “Contra perversam Averrois opinionem de
unitate intellectus et de animae felicitate”; “De unitate intellectus et de
animae felicitate”; “Expositio in posteriorum capitulum secundum in fine”; “Expositio
in posteriorum librum priorem”; “Quaestio de gravibus et levibus”; “Quaestio de
rationibus seminalibus”; “Quaestio de unitate intellectus”; “Quaestio in De
anima. Bellis, “L’aristotelismo” – del lizeo (Firenze, Olscheki editore, Treccani
Enciclopedie Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Esaminiamo in prima
quali sieno le sue cose stampate, le quali sono poco conosciute, si perché si
trovano inserite in altre opere, si perché scritte con caratteri molto fitti,
danno pena all'occhio anche molto paziente. La dissertazione più
conosciuta é l'ultima, contro l' unità dell'intelletto di Averroe; tanto è
vero, che nella seconda iscrizione apposta al monumento trasportato dalla
chiesa di S. Bartoloneo all'oratorio dell'ospedale civile di Vi-cenza, è
precisamente questo ultimo scritto ricordato. Del Vernia sono stampate sei
dissertazioni. La prima porta la data del 1480 (') ed è: quuestio un ens mobile
sit toliusphilosopine nuturalis siljectum ('); essa si trova nel commento sul
de general. et corrupt. di Aristotele, di Egidio Romano, di Marsilio Ingnen, e
di Alberto di Sassonia. La seconda é collegata colla terza, e tratta
della partizione della filosofia; è una prolusione ad un corso di un anno
intorno alla fisica di Aristotele. La terza è: utrum medicina jure civili sit
nobilior: è come una conclusione della seconda (°); tutte e due sono nella
fisica di Burleo, e sono precedute da una lettera a Sebastiano Baduario,
censore di Vicenza (3), nella quale ricorda il Vernia la grandezza della di lui
famiglia, di cui i capitani sono scolpiti nelle immagini del Palazzo Ducale di
Venezia. Il Badua-rio fu discepolo, come il Vernia, di Paolo della Pergola, ed
addivenne illustre scotista. In sua casa fu educato il compaesano del Vernia,
Nicola Manupello, di Chieti, che fu fisico e medico. E qui soggiunge, che
essendo stato pregato dagli stampatori di emendare il libro sulla fisica di
Burleo che era corrotto e che doveva leggere agli scolari, volle premettere la
divisione della filosofia e l'ampia questione de inchoatione formaruin da lui
trattita, ed al Baduario dedicata. Questa ultima questione è andata perduta;
almeno finora non la rinvenni. La partizione della filosofia e l'altra sulla
medicina portano la data della fine di febbraro 1482 (*). La quarta
dissertazione è sul de gracibns et lucciles, dedicata a Berardo Bolderio
filosofo e medico veronese; tratta se i gravi ed i leggeri inanimati si muovano
da se stessi o da altro, quando sia rimosso ogni impedimento. Essa si trova
nello scritto sull'intelletto contro Averroe. La data non ci è veramente
segnata; ma siccome essa é citata nella quinta dissertazione, e non nelle altre
prevedenti, è da dirsi essere la quarta. La quinta dissertazione é: questio an
denter unicersalin realia, ed é premessa al commento sulla fisica di Urbano
Servita, Averroista. Il Renan seguendo l'Hain, ha creduto che sia una
prefazione ('); invece è una questione a se, che la poca relazione propriamente
culla fisica. Antonio Alabante scrive al Vernia di leggere ed esaminare il
manoscritto di Urbano Servita, e di vedere se ne sia stato l'autore Giovanni
Marcanova, ovvero Urbano. Il Vernia risponde che il manoscritto nel primo
esemplare è di Urbano: Marcanova lo copiò e fu trovato nei libro di costui
senza indice: che è degno di essere stampato, jerche Urbano supera moltissimi
averroisti, e non islugge le questioni le più difficili della fisica.
Corrisponde alla gentilezza e stima di Alabante di Bologna con pari condutta,
mandandogli la dissertazione sugli universali, perché la legga e gli dica se
può essere stanpata. La lettera di accompagnamento porta la data del
giugno 1492 da Padova; e la dissertazione è stata terininita nel 17 febbraio
1492 (*). Sino a questo tempo il Vernia è un pretto averroista, mostrando nei
suoi scritti unlampo di razionalitá e di liberta di filosofare pregevole e
rarissima a quei tempi. Ma alla sorveglianza del Vescovo di Padova e alla
• pietá di un uomo dottissimo quale era il Barozzi non poteva sfuggire il
libero pensiero del Vernia. Imperocche il Barozzi nel 4 maggio 1489 aveva
emanata la scomunica lutae sententiae a tutti quelli che disputavano
pubblicamente quoris quaesito colore, sull'unità dell' intelletto. Il
Vernia con tutto ciò si mantiene ancora fermo ai suoi principii; sperava che
essi fossero mantenuti illesi colla pubblicazione delle sue dottrine, affidata
alla protezione di uomo colto ed autorevole che l'aveva accolta. Cio non
basto a salvarlo: una più severa minaccia di seomunica direttamente al Vernia
dovette venire, la quale l'obbligava a ritrattarsi. Non si puù spiegare
diversamente la vicinanza delle due date, della quarta e della sesta
dissertazione, nella quale ultima il Vernia si ritratta interamente del suo
averroismo. La questione degli universali porta la data del 17 febbraio. La
lettera poi di accompagnamento di questa dissertazione diretta ad Antonio
Alabante porta la data di giugno 1492; mentre quella contro l'unità
dell'intelletto è del 18 settembre, dello stesso anno, 1192. Non
dustrente ophtelmia quae me tune molestant, soggiunge il Vernia in fine: una
circostanza tuti'altro favorevole a fare scrittura. Argomento da ciò, che il
Vernia la dovuto affrettarsi a fare questa ritrattazione. Che la dissertazione
sesta sia un po' affrettata ed un poco anche confusi, é in qualcle parte
evidente. Che rimanga il dubbio di avere abbandonato l' averroismo
perfettamente, e evidentissimo; ed il Barozi se n'era già accorto. Epperò non
possiamo noi accettare come veridica la sua confessione, cioé, che solo per
disputare e per aguzzare l'ingegno tentò di corroborare con argonenti
l'opinione di Averroe intorno all'unico intelletto. Contro tale
dichiarazione sta non solo la dissertazione precedente dello stesso anno sugh
universali, in cui si professa puru averroista, ma anche un'altra che è
sparita, intorno al1180 nella prina questione preliminare intorno al soggetto
della fisica ('). Ma la vita di insegnante per 33 anni nell' università
di Padova sarebbe stata troppo scarsa di frutti intellettivi, se il Vernia si
fosse limitato a queste sole sei dissertilzioni. Giá abbiamo visto che egli
emendo la fisica di Burleo. Anche ai tempi di POMPONAZZI (si veda) Burleo gode
allcora grande autoritá nella scienza. Ed alcune opere di lui erano già andate
perdute (°). Un altro lavoro di currezione di edizione lo fece intorno al de
caelo et murulo del Gianduno. Pellenegra di Troja che insegno filosofia morale
a Padova, ci da notizia di avere più accuratamente stampate le questioni del
Giandono che furono emendate da V. Noto questa notizia molto rilevanImperocché
sono di credere che molti hanno pubblicato dei lavori del Vernia, non originali
però, ma intorno ai commenti di Aristotele, appropriandosi in tutto e per tutto
gli scritti del filosofo chietino. Che V. non perde il tempo sulla cattedra, si
rileva dalle sue stesse parole nelle quali dice che essendo stato professore
per anni a Padova, crede essere poco decoroso, se non avesse pubblicato ció che
avea raccolto con diligenza per tanti anni dai filosofi latini. Egli non cessa
tutti i giorni di forbire e ritrallare i commenti che aveva fatto su tutti i
libri del LIZIO, perché potessero meritare di essere pubblicati . Ma manda alla
stampa in prima l'opuscolo sulla immortalità secondo la fede cattolica, aífinché
fosse esso come il conduttiero delle altre opere. Prega inoltre Grimani di
accettare questo dono durante il tempo, che egli da un'aitra mano ai coinmenti
di Aristotele. Se la lettera dedicatoria è scritta nel 1499, nella quale
confessa che egli ha già pronti questi commenti, ma non li pubblica perché
hanno bisogno di essere ricorsecondo il tenore del suo opuscolo, cioè contraria
ad Averroe, di cui era stato per tanti anni fautore. Quindi si può supporre, o
che egli non li abbia pubblicati prima per la minaccia del Barozzi, ovvero che
dal 1499 egli siasi messo a ritrattare tutti i commenti in senso antiaverroistico,
e che non li abbia finiti per gli acciacchi della sua età. Pochissimo é stato
anche il tempo dalla pubblicazione dell'opuscolo alla sua morte; quindi si può
ritenere che i suoi scritti sieno andati nelle mani degli altri. Una
caratteristica quasi costante si può notare negli scritti del Vernia, la quale
è duplice, materiale e formale. Il Vernia è molto ordinato nel suo
scrivere: quasi tutte le sue dissertazioni sono divise in tre parti: la prima
espone tutti coloro che hanno deviato da Aristotele e dal suo commentatore,
Averroe; la seconda, che cosi al buno sentito entrambi intorno al quesito
proposto, e la terza contuta le opposizioni addotte dagli avversari. Questo
tenore di dividere in tre parti l'argomento era però comune a tutti i tomisti e
scotisti. Ciò riguarda la materia dei suoi argomenti. Circa la sua opinione, a
quale cioé, dei filosofi più si accostava, è da dire in genere, che egli
sebbene averroista, era piu veramente un albertista. Tomista non mai
periettanente. Il suo storzo è di mostrare che l'opinione di Averroe poco
differisce da quella di Alberto. Lo dice finanche nella sua sesta questione
contro l'unità dell'intelletto. Sebbene in quest'ultima sia stato costretto ad
essere tonista, per avvalorare la sua ritrattazione. Il Vernia insegnava
propriamente li tisica a Padova, e non poteva sottrarsi all'esameseguace, d’AQUINO
(si veda), o di Alberto. Tale questione era, se l'oggetto della filosofia
naturale era l'ens mobile, come disse S. Tommaso, ovvero il corpres mobile,
come opinó Alberto. Osserva che Egidio Romano combatté l'opinione di S.
Tommaso, perché la scienza naturale non è subalterna della metafisica; poiché
tre sono gli abiti speculativi, il metafisico, il matematico, ed il naturale. E
se la mobilità è un' accidentalità, questa non deriva punto dall' essere, in
quanto questo è obbietto della metafisica. La scienza naturale non é
parte della metafisica, ma questa e quelle sono diverse parti della filosofia.
D’AQUINO (si veda) la la più buona opinione, dicendolo il migliore espositore
tra i latini; ma pure non solo in questa, ma in altre questioni gli é spesso
contrario. Lo Scoto volevi invece clie l'oggetto dalla fisica fosse la sostanza
naturale, che é soggetto del moto e di altre aflezioni. Ma se per naturale s'
intende il sensibile, soggiunge il Vernia, esso è il soggetto che é
principio di moto e di quiete. Sostiene perció che il corpo mobile sia il
soggetto della fisica. Otto sono le condizioni requisite per un subbietto di
una scienza: che sia reale, uno almeno per unitá analogica, universale,
adeguato, primo noto in quanto alla sua ragion formale, che abbia parti, che
abbia affezioni, che abbia principii. Ora l'errore di Antonio Andrea è di aver
posto l'essere come comune a Dio ed alla creatura. Queste otto condizioni si
trovano nel corpo mobile,l'ammettere il noto come soggetto di scienza, risponde
che quell'accidente solo non entra nella scienza, il quale non ha causa.
Due difficoltá considerevoli s'incontravano in tale definizione della fisica.
Se il corjo mobile é il subbietto della fisica, gli angeli sono mobili, ma non
sono corpi: inoltre, il cielo non é composto di materia e forma, e quindi cone
può essere l'obbietto della fisica? La questione dell'an gelo intorbidava
la liberta di filosofare nella scienza naturale. Intorno alle specie ci era
quella della plurabilita, o moltiplicabilità dell'angelo, che non era
ammessa da S. Tommaso, perché ogni angelo rappresentava la specie tutta.
Per l'anima umana invece si doveva sostenere la plu rabilita, altrimenti
si cadeva nell'averroismo, e si riconosceva l'unita dell'intelletto umano. Il
Vernia confessa che egli intende di parlare secondo la ragion naturale in tale
questione: e dice che gli angeli non si possono muovere con una velocita
infinita, perché la velocita dura un certo tempo: il loro moto locale, se fosse
veloce infinitamente, dovrebbe avere uno spazio infinito ; locché non conviene
all'angelo. Esso é dunque una sostanza semplice ricettiva di luogo, e quindi di
moto. Era giá il primo indizio, con cui egli si dipartiva dalle veritá di fede
e della teologia ('). I teologi invero volevano concedere all'angelo il moto
infinitamente veloce, ovrero l'ubiquità, negandogli il luogo. Locché e
contraddittorrio per V. E se con AQUINO (si veda) ammette che l'angelo
rappresentando tutta la specie, era implurificabile, lo stesso sosteneva
rispetto all'intelletto umano. Ma si riserva di trattare tale questione
in quella dell'intelletto. Se questo scritto sia stato pubblicato, non si
sa: forse dovette sparire dietro la persecuzione del Barozzi; non credo però
che gli fu impedito di pubblicarlo. Il Nifo pare che lo accenni. Imperocché e
chiaro che la citazione sui concorda perfettamente colla dottrina che espone e
che pol Il Nito combatte. Cioé, che per sostenere l' unità dell'intelletto,
disse un nuoro espositore, che una stessa forma spirituale informa
subbiettivamente la fantasia e l'intelletto. Imperocché la forma spirituale può
essere una di numero in diversi soggetti, come il colore nell'acqua e
nell'aria. L'intelletto in se come uno in atto informa il nostro intelletto, ed
é la specie intelligibile; informa anclie la fantasia, ed è il fantasma.
La seconda difficolta era: se Averroe aveva ammes so che il cielo
non è coinposto di materia e foria, perché é ingenerabile e pur tuttavolta è
mobile, come poteva abbracciare l'idea del corpo mobile il cielo e le cose
terrestri? V.risponde che la sostanza mobile è cio che è soggetto alla triplice
dimensione. Pare accostarsi per ciò all'opinione di Egidio COLONNA ROMANO (si
veda) che pone identici natura nel cielo e nella terra. Ma pure non é veramente
cosi; perché confessa altrove che il cielo è atto, e non si da in esso
passaggio dall' essere al non essere. Il punto di vista interessante per
caratterizzare fin da ora il chietino filosofo è questo nel primo suo lavoro,
dichiarare, cioè, la fisica indipendente della metafisica: sottrarre la natura,
per quanto poteva, dall'influenza della teologia. Fin di ora i fisici non
stunno in accordo coi metafisici. E una linea di condotta che è troppo
costante in V. La seconda dissertazione intorno alla partizione
delli filosofia è una prolusione che fece in un anno del suo insegnamento; nel
quale dovendo esporre la filosofia naturale, esamina quali sieno le relazioni
delle varie parti del sapere al tutto. La filosofia, dice il Vernia, è la
perfezione del sapere; essa è prattica, speculativa e razionale; e riducendo, è
reale e razionale. Questa ultima è la logca; dando a questa il solo valore
razionale e non reale, il Vernia si dichiara vero occamista: non tomista, né
scotista. In tal guisa seguiva la tradizione patavina cirça la logica, la
quale, non solo di Nicoletto Veneto e da Nicola della Pergola era stata
ritenuta come speculativa secondo Alberto, il differenza di alcuni tomisti che
la dissero pratica, ma anche di valore nominale; e cio era la massima
distinzione degli occanisti moderni dai logici antichi che erano o tomisti, o
scotisti. Siccome tre sono gli atti di ragione in eni jo siano errare, tre sono
le parti della logica che servono a dirigerci alla verita. Le Categorie
che Aristotele e Platone ricevettero da Archita da TARANTO (si veda), servono a
non attribuire id una cosa uni qualitá che conviene ad un'altra. Il libro de
interpretalione tratta delle enunciazioni singole, in cui vi è la composizione,
o la divisione dell'intelletto. Il terzo atto é il sillogino pertetto: ed è
questa l'arte nuova che fu da Aristotele ritrovata. Questa parte é divisa
nell'inventiva e nella giudicativa: quindi la topica e la sofistica. Lia
giudicativa è l'analitica, di cui la prima tratta del sillogismo comune in cui
si risolve la conclusione nella preinessa;la seconda é quella che riduce gli
elletti alle loro cause. La risolucione prima é relativa alla seconda ;
perché quella é comune ad ogni sillogismo, questa é speciale al sillogismo che
versa intorno alle cose necessarie. Al libro dei primi analitici viene
quello dei topici; e poi quello dei secondi analitici, e finalmente quello
degli elenchi. Doyo, la rettorica e la pratica. La scienza reale poi é
divisa in prattica e speculativa. Quella in fattiva come la medicina, ed
in attiva clie comprende l'etica, l'economica e la politica. Questa compren Je
la naturale, la matematica e la divina. La considerazione intorno al mobile in
se è della fisica, che è priuna tra le parti della filosofia naturale: se si
considera il solo moto locale, ecco la trattzione del cielo; se verso la
forina, ecco il libro della generazione; se verso il misto, si la il libro dei
meteorologici, e quello dei minerali : se é animato, questo o è in genere ed
ecco il libro de parcis naturalibus, o é specitico, ed e il de planlis et
de animalibus. La scienza dell' anima contiene tre parti : la prima il
trattato deila vita e della morte, poi quello de respirationo e il de jucentute
et seneclule, de causis lougitulinis et bieritatzs citae, de sunate et
acgriedine el de nutrimento, i quali due ultimi libri non ci pervennero. La
seconda ciò che riguarda il motivo, de cresis motes animalium et de pingresse
animalium. La terra cio che è propriamente del sensitivo, quindi de sense
et sensat), de memoria et reminiscentia, de sonno et vigiliu. Ma perché dai
sinili si procede al dissimile, perció dopo il libro dell'anima in genere, vien
quello del senso, del sonno e della veglia. L'intelletto non a. endo
concretez/a nel corjo, é delle sostance separate che appartengono alla
metatisica. Sbagliano perciò coloro che dicono soggetto del libro dell'anima il
corpo animato e che l'anima sia sostanca del corpo. Perché il corpo animato
secondo le operazioni comuni a tutti i corpi animati,è soggetto del libro
perenni animalinm: considerato poi secondo le operazioni specifiche è il
soggetto dei libri de animalibus et plantis. Il Vernia è nella dottrina
dell'anima in armonia colla dottrina del cielo. L'anima è propriamente
l'intelligenza, così nel cielo, come nell'uomo L'intelligenza è sostanza
separata; eppero non appartiene veramente alle cose né celesti, né umane.
L'anima come senso, come fantasia, appartiene alla natura, siccome la forma e
la materia del cielo danno il cielo nella sua pienezza. Questa dottrina del
1482 è in pieno accordo colla dissertazione inedita, se il cielo é
animato. Di qui è chiaro l'ordine delle arti liberali: cioé, prima
apprendiamo la grammatica, indi la logica e la parola, poi la filosofia
naturale e la matenatica: da ultimo la divina sapienza. Da questa seconda
dissertazione non comparisce per noi nulla di notevole, salvo una mente
abbastanza ordinata in mezzo a tutto il ginepraio dei trattati aristotelici. Si
può ritenere che il Vernia gia si era dichiarato per l'unità dell'intelletto
fin dal 1482, perché dichiara l'intelletto non avere concreteria nel corpo,
essendo una potenza separata. Una dottrina che aveva per conseguenza la
mortalitá dell'anima. Imperocché egli confessa che non solo la sensazione, ma
anche la memoria appartengono alla vita sensitiva. Il senso non è che una
specie dell'anima. L'intelletto come unico appartiene alla metafisica.
Non sappiamo se a quest'ora avesse gia pubblicato il suo traltato de unitute
intellectus. Forse no: ma questa dichiarazione è già abbastanza, oltre quella
che si trova nella prima dissertazione, per dichiararlo rigido
averroista. La terza dissertazione, se sia jiù nobile la professione
della medicina o quella del dritto civile ('), ha qualcheche di spiritoso.
Nissuno si deve meravigliare che il Vernia abbia preso a trattare
quest'argomento; poichè era egli un medico e filosofo. Difatti, distingue in
questo lavoro la medicina come scienza di cui parla, dalla medicina come arte,
la quale dipende da quella. I medici artisti sono quelli che discreditano la
nostra medicina, dice lui: e dovrebbero essere espulsi dalle città
('). Dopo avere esposto alcuni argomenti in contrario, tra cui, che il
fine del dritto è fare l'uomo virtuoso, quello della medicina conservarlo nel
suo essere solamente, che con questa si sana il corpo, con quello si sana
l'anima, ragiona cosi per la parte vera. La medicina riguarda la conservazione
dell'individuo, che è come la sostanza migliore di ogni accidente. Il dritto si
appoggia sull'autorità dei dottori, la medicina dá una certezza
dimostrativa. Essa veramente dipende immediatamente dalla filosofia naturale.
Senza di quella nulla si conoscerebbe: ed in essa consiste la felicità, anzi
che nella convivenza, che è una certa felicita. Dimostra a lungo la felicità
consistere nella speculazione; e gli pare clie il giurista sia più lontano
dall'ultimo fine che attinge il naturalista. La medicina fu sempre avuta più in
onore, epperò fu bene ricompensata. Qui non gli mancano vari esempi dalla
storia. Una scienza indeterminata e variabile non può mai essere davvero
scientifica. Tale è la legge degli atti umani, in cui è impossibile dire
universalmente un vero: anzi è utile in certi casi particolari osservare
l'opposto di una legge (°). I forestieri che entrano nella cittá, sono
puniti: ma se questa è assediata, ed entrano per liberarla, sono degnidi premio.
Cne leges cariantui secundum locorum commoditutes et ad libitum hominum. Leges
enim Justiniani in Gallia nihil culent. Aristotele nel V dell'etica le
rassomiglia alle misure del vino e del frumento. Similiter non naturalia et
lumana justa non eadem ubique. Dopo aver distinto la inedicina come scienza da
quella come arte, osserva che gli scicnziati medici non solo fanno gli
esperimenti, ma ricercano le cause di essi dalle cose naturali. E se ad
Esculapio gli Ateniesi, ad Antonio Musso i Romani per avere sanato
Ottavio Augusto ere:sero una statua di bronzo, che cosa dovremmo fare noi a
Gerardo Bolderio di Verona, principe tra i moderni medici? (').
Osserva clie i legislatori dei suoi tempi sono privi di cultura e li disprezza,
perclé non conoscono le scienze morali, nè quelle dell'anima. Tali non furono
gli antichi legislatori, come Solone ed Aristotele, che erano periti nella
scienza naturale. Dopo aver riferita l'autorità di (icerone nella pro Murena,
in cui dice che se Servio Sulpicio aprese dritto civile, non perciò trova aperta
la via al consolato, mette in ridicolo alcune glosse che si trovano nel codice
giustinianeo (*). Fra le risoluzioni delle difficoltà poste nella prima
parte della discussione, noto questa. Sebbene la virtú siapreferibile alla vita
nel genere dei costumi, perchè la morte è preferibile alla vita turpe, perché è
più lodevole chi muore per virti di chi vive ozioso; pure nel genere della
natura non è cosi, anzi è l'opposto, essendo preferibile l'essere alla virtú. E
siccome, più essenziale è il genere di natura di quello del costume, è meglio
vivere cle è il fine della medicina, che essere virtuoso che è il fine della
legge. Acuta riflessione! Questa dissertazione mi è apparsa la più originale
tra tutte, perché, oltre che è lasciata interamente la forma scolastica,
essendo scritta in maniera molto spigliata e libera, è piena di osservazioni
punto, sprezzabili. Né si dica che era usuale a quei tempi l'invettiva dei
professori di vari studi contro i legisti, i quali erano decaduti nella stima
jer l'aridità delle loro dottrine. Imperocchè V. si mostra jiuttosto inspirato
ad un altissimo concetto che è vero : cioè, che la scienza della natura è la
sola che ci procaccia una felicita per le verità conosciute, le quali non sono
variabili come le leggi umane. Comprendo che da essa risulta pure evidente lo
stato di decadimento della giurisprudenza a quei tempi. Ma V. indica pure il
modo come rinsanguare quegli studi coll' estendere la coltura a quelle
sorgenti, da cui puó fluire la vita del pensiero che era rimasta assiderata
nella forma e nella parola. La questione de paritus et lecilus è di poca
importanza: tratta se i gravi e leggieri inanimati, rimosso l'impedimento, si
muovono localmente da se, o da altro. Espone secondo il solito, le
opinioni devianti da Aristotele e le confuta, quella di Averroe che é la stessa
di Aristotele, e finalmente risponde alle obbiezioni. L’Accademia che pone
l'anima e le cose inanimate muoversi da se, è in opposizione ad Aristotele, che
volle nissuna cosa poter muovere se stessa. Alberto disse muoversi per
accidente; e che non ci è bisogno del movente nel moto naturale, ma solo nel
violento: e questo è l'aria. Ma osserva che ogni moto ricerca per se il
movente, e tali sono i gravi. Contro AQUINO (si veda) che dice i gravi finmaliter
si muovono da se, ed effectire dal movente, dice che per il moto in atto ci è
bisogno del movente in atto. Neppure l'opinione di Gianduno che disse il
movente essere la forma, e la materia la cosa mossa, sta benc, perché allora la
forma sarebbe movente e mossi, perché il moto in atto è distinto dal motore.
Alcuni teologi separarono la gravità dalla sostanza; e dissero clie l'ostia
consacrata cade in giù come gravità, non come sostanza. Ma questa opinione
non è naturale: e non ne parla perciò. Egli dice che i gravi e leggieri, dopo
che sono generati, si muovono da se, rimosso l'ostacolo, ai loghi naturali
propri, e fuori di essi sono mossi dall'aria per l'impeto dato dal morente
violento. I proiettili sono mossi dall'aria secondo Averroe, la quale è causa
della velocita. Imperocché il mobile in fine è più veloce, perché
maggiore quantità d'aria lo segue nel fine, che nel principio.Lo stesso succede
per l'acqua, perché aria ed acqua sono corpi interminati, indifferenti a
qualunque figura, come non é dei solidi. Cosi si spiega, perché la balista percuote
più a certa distanza che vicino, perché i raggi si uniscono nello specchio a
certa distanza. E curioso che si mantiene più fedele ad Averroe che ad Alberto,
il quale secondo lui non ha detto bene che i gravi sono mossi dall'impeto ad
essi dato e non dall'aria e dall'acqua, perché i gravi misti terminati non sono
nati a ricevere tali violenze. Altrimenti un uomo getterebbe a maggiore
distanza una piuma che un pezzo di ferro; locché è contro l'esperienza. E se il
maestro Gaetano risponde, che avendo il ferro più materia, riceve più impeto e
va quindi a maygiore distanza, gli osserva V. che, data una pietra ed un pezzo
di ferro della stessa quantita, il ferro dovrebbe andare a maggiore distanza.
Cio proviene perché la mano si applica meglio alla pietra, che alla
piuma. Questa dissertazione fa troppo desiderare la venuta di BONAIUTI
(si veda )per isciogliere questo quesito della fisica che arriluppo nel buio le
povere menti aristoteliche. Nella quinta dissertazione, un dentur
unirersalia vealia, il Vernia è ancora pretto averroista, cioè sino algiugno
del 1492. Espone secondo il solito le opinioni devianti da Aristotele e dal
commentatore, poi quella di questi due, e finalmente risolve un numero immenso
di obbiezioni. Dice che gli universali o sono concetti puri secondo Occam,
ovvero sono reali secondo Burleo nel prologo della fisica; oppure ci è la via
media in quanto sono reali nella cosa singolare e formali
nell'intenzione. V. prende lo stato della questione non dai primordi della
discussione, ma dalle ultine forme che aveva assunte nella scienza. Perché il
Burleo discepolo di Occam stando alla pura questione filosofica, aseva guardato
più alla parte fisica dei generi e delle specie, ed Occam aveva ridotto la
soluzione al puro nominalismo. Non crede dover fare lunga discussione sugli
universali ante rem, parendogli fuori proposito pei tempi della scienza. Noi
che camminiamo nella via media, dice lui, affermiamo che l'essenza di ogni cosa
si può considerare doppiamente, cioè in se, e nella materia, in quanto è
quell'aptitudo realis che nou è particolare, perche è una essenza non di unitá
di numero, ma l'unità secondo l'aptiludinem communicabilitatis. È una comunità
non di materia, ma di forma. Ed é appunto questa inchoulio formae che é reale.
Cosi nello sperma non cessa mai la forma umana, fin tanto chie l'nomo si
perfeziona. Altrimenti la forma sarebbe creata dal niente di se. Il Vernia è un
fisico, e non può trattare la questione degli universali, se non dal lato della
sua scienza. Essa si può dire che si identiticacon quella dei germi della vita,
sino ad un certo punto.Occam sciolge la questione degli universali negando ogni
esistenza astratta e tutto riducendo il loro valore al puro termine. Ma la
specie non ha valore in se? Ecco il Burleo che ammette quest' universale nella
specie : il Vernia lo chiama unita di forma che é increata, eterna, appunto per
negare la creazione temporanea della specie. La difficoltà era per l'anima
intellettiva, ritenendosi che essa è creata prima e poi infusa nel corpo.
Sebbene ciò, dice il Vernia, é secondo la mente dei sacri teologi, non è però
secondo la mente di Aristotele ('). Poichè secondo Averroe nel settimo della
metafisica non può uno stesso effelto essere prodotto da due agenti che non
sono subordinati nell'operare, e che non concorrono aggiustatamente allo stesso
effetto. Cosi sarebbe di Dio e di un particolare agente nella generazione di
Socrate. Epperó egli é di opinione clie la dottrina di Alberto a questo punto
poco differisca da quella di Averroe. Il quale volle tutte le forme prodotte ed
emanate dalla potenza della materia e non per creazione, la quale credette
essere impossibile. Quindi l'anima intellettiva non è creata, maché la volle
creata. Ma cio che ha esistenza preesistente, è al aeterno. Il Vernia
nella questione dell'anima vede la cosa secondo il fatto. L'uomo genera l'uomo
per l'apretito naturale clie non può essere indarno. L'agente fa la mil
tazione, trasmutando la materia dalla potenza all'atto, non congregando due
cose jer fare l'unità di un effetto: cosi si approssima alla creazione. La
forma non si crei, ma si produce per generazione. La creazione de noco non gli
va. La generazione non é per trasferimento secondo Anassagora, nè per le idee
secondo Platone. Per Averroe quando succede la generazione, vi è qualche cosa
che si completa: la forma è il termine di essa. La forma particolare è distinta
dalla essenza che la include; jercio essa non si crea, ma si genera. Se Alberto
dice che è creata dal niente di se stessa, rispondo che è jer accidente generata.
E se soggiunge che incomincia ad essere de noco, rispondo anche dicendo non dal
niente di se stessa, ma da qualche clie di se, cioè dalla essenza che è
l'incoazione ed il seme nella stessa specie. E coloro che non intendono queste
cose, non hanno il cervello abilitato al bene, e non sono atti a filosofare
secondo i principi di Aristotele ('), il cui assioma è dal niente niente farsi.
La quale dottrina fu accolta da tutti quelli che parlano naturalmente. Ottima
confessione! Ma osserva ancora che la forma della specie non è distinta da
quella dell'individuo; perché nell'uomo vi è una forma particolare che si dice
l'anima cogitativa. Nello sperma da cui si ha l'uomo, non si distruggono le
parti di esso, ma si generano successivamente le forme dell'uono, finchè si
perfeziona la forma umana. L'incoativo sene non è una potenza subbiettiva, ma
potenza formale, distinta dalla materia ('). Da ciò segue darsi gli universali
reali. Anzi arriva a dire che tutte le specie rimangono in ogni ora, altrimenti
tutto sarebbe corruttibile, locché appartiene al solo singolare. Perfino il
concetto di finalità nella natura non lo ammette; poiché il fine è ens
rationis, il quale è ben diverso dal processo naturale, che non dipende
dall'anima nostra. L'incoazio ne è reale, dice più prima, é nella
materia, non è nell'intuizione delle cause agenti (*). Segue una immensità di
obbiezioni che tralascio per brevità: qualcuna solo voglio menzionare. Con
questa teoria in ogni uomo vi sarebbe qualche che dell' asino; risponde : in
potenza vi é questa indifferenza della specie, in atto no. Essendo questi
universali separati dall'individuo, non vi sarebbe la necessita dell'intelletto
agente. Risponde: questo essere necessario a produrre nell'intelletto jossibile
mediante i fantasmi le intenzioni dell'intelletto in atto. Nota poi con Alberto
che questi universali incorporei sono sempliciquiddità ulique eristentes, come
la quantità indeterminata. Infine a Burleo che nega gli universali nella mente,
altrimenti si andrebbe all'infinito nei concetti comuni, e cosi non vi
sarebbero principi primi della scienza, risponde, che il concetto dell' essenza
in ratione entis è singolare, in ratione signi è comunissimo. Un uomo e un uomo
sono lo stesso rutione signi, ma differiscono materialiter. Per questa dottrina
egli si avvicina di molto ad Occam che è un puro terminista; ritiene con lui
gli universali nella mente rutione signi, e combatte Burleo clie li negó nella
mente: ma ritiene con costui la realtà degli universali come enti obbiettivi,
che nego l'Occam. In questa dissertazione vi è del buono, vi è del falso. Ad
ogni modo è la ultima manifestazione del suo averroismo. Il Vernia nega la
creazione perché riconosce in natura la sola generazione: ed arriva sino a
toccare la questione nebulosa della generazione spontanea colla dottrina della
indifferenza dei generi. Non fa eccezione per l'uomo e neinmeno per l'anima
cogitativa, dicendola una specie non diversa dall'individuo, un' accidentalità
della natura, per cui non ci è bisogno della creazione de noco. Nega
l'infondersi dell'anima nel corpo umano secondo S. Tommaso, reputando
sufficiente la generazione per l'appetito naturale inerente all'uomo. Questo è
il lato più vero dell'arerroismo professato dal Vernia. E se ritiene gli
universali separati dai singolari in quanto sono in se, non è meraviglia che
sia costretto ad ammettere anche l'intelletto agente che completa nell'uomo la
cognizione. Il Vernia mi pare proprio sospeso tra il cielo e la terra, tra la
scolastica antica a cui non può dare un totale addio, e la nuova dottrina della
realtá della natura di cui ne ha qualche presagio. E certo peró, che se altro
scritto mancasse a conoscere qualche valore negli studi naturali, questa quinta
dissertazione è la più valida prova del suo talento negli studi filosofici. Con
questa dissertazione quinta preceduta dall'altra, se il cielo èanimato,
inedita, il Vernia chiude il suo averroismo il più deciso. E si noti che è una
dissertazione in cui fu minacciato della scomunica; cioé prima della sua
ritrattazione, e prima del saggio de
intellecte di Nifo, che ne è il preludio. Discepolo e maestro, cioe Nifo
prima e V. scrivono due saggi contro* l'unità dell'intelletto di Averroe.
Il trattato de intellectu di Nifo è molto più lungo: maci sostara e quine di io
iu pablicato nel 1503, cosi quello di V. vidde la luce nel 1499. Naude ha detto
che il de intellecte di Nifo fu prima di quello de unitrle di V. É vero, perché
nella dedica del libro a Baduario, patrizio veneto, dice che gli avevabe
procurato di stamparla, se non ci fossero stati gli invidiosi che lo accusavano
di eresia. Da ció si è argomentato che Nifo ha giá fatto il trattato; e che
avendo diteso V., si attirò sopra di lui accuse di eresia; epperò fu costretto
a pubblicarlo nell'anno dopo, avendolo prima del tutto emendato. E questo
ha potuto essere sino a quando V. è ancora averroista. Ma mutatosi d'opinione
il maestro, si muto anche lo scolaro. Kimane la difficoltà rispetto al Vernia,
che è maggiore di quella di Nifo, come dopo più di due mesi soltanto cambio
opinione, cive da averroista addivenne antiaveroista col trattato de unitute
intellectus contro Averroe. Di cosi subitanea mutazione la causa dovette essere
la scomunica di Barozzi fattasi sentire un po' più efficacemente. Che il
Nifo ricerette dal Vernia l'indirizzo fondamentale dalla sua ritrattazione,
risulta non solo dall'andamento del libro de intellecte nel tutto insieme, ma
anche da un'altra circostanza che c' induce a credere cosi. Nifo confessa nella
dedica del commento de anima al Giulio cardinale dei Medici, che tutte le cose
raccolte sul de anima da lui fin da quasi fanciullo gli furono rubate e
stampate a sua insaputa e col suo nome, acciocché la cosa fosse più verosimile
(). Si capisce che queste cose raccolte furono sotto scuola del Vernia. E se il
de intellectu a confessione del Nifo si intende per il commento de anima, e
deve succedere a questo, ed è giudicato il primo parto suo giovanile, è
ragionevole supporre che l'un e l'altro libro sieno stati inspirati dal suo
maestro nei punti principali della ritrattazione. Percorriamo ora
brevemente la sesta dissertazione, per vederne il contenuto. Dice che
Anassagora, Esiodo, Senofane, Melisso di VELIA e VELIA convengono nel porre che
sia lo stesso Dio e l'anima intellettiva: unico Dio, unico intelletto. Di qui
nacque l'errore di Averroe e di altri peripatetici che dicono uno essere
l'intelletto in tutti. Democrito e Leucippo non facendo differenza tra senso
ed intelletto, ammisero l'anima fatta di atomi. Empedocle volle l'anima
composta degli stessi principii delle cose, perché conosce queste cose. Costoro
dunque ammettono l'anima generabile. Riferisce l'opinione di Pitagora che pose
l'anima immortale per la metempsicosi, e di Platone che disse l'anima da Dio
creata, infusa nei corpi. Ma Origene secondo AQUINO (si veda) volle l'anima
creata de noronon eterna, rinchiusa nel corpo pel peccato
originale. Avicenna che ammise l'immortalità, disse le specie non causate
dai fantasmi per l'agente intelletto, ma clie questi dispongano l'anima a
ricevere le specie. Dopo ciò, magna discordia inter peripateticos, perché in
Aristotele non si trova sciolta né la prima ne la seconda questione, cioe an
anima intellection sit forina substantiulis humani corporis, utrunce sit in eo
felicitabilis. Alessandro ammise l'anima intellettiva essere eterna, e
pose l'intelletto agente e possibile come eterni. Averroe non avendo conosciuto
il horo dell'anima di Aristotele, disse l'intelletto possibile corruttibile, ed
intese per intelletto possibile l'anima cogitativa. Ma se è immortale l'agente,
tale è anche il possibile. La sua attitudine a tutto ricevere è in consonanza
colla libertà. Qui ci è una esposizione delle ragioni per cui Averroe ammise
l'unita dell'intelletto; perché è impossibile l'infinita moltitudine
d'intelletti, perché non non vi è moltitudine nella stessa specie se non per la
materia, perché è impossibile la creazione. E subito dopo una imprecazione ad
Arerroe. Conchiude coi peripatetici più famosi che tra Platone ed
Aristotele non ci è discordia, se non nelle parole, e che l' anima sia
sostanziale dans esse forinaliter corpori hurano, moltiplicata in singulis
hominibus, ab acteïno creata a deo et corporibus infusa. E ciò secundum
sacrosanctam Rom. Ecclesiam et veritatem. Ma ci è qualche cosa di più: sostiene
che queste cose non solo bisogna credere ex fide, sei philosoplice, non dicendo
nulla di contrario ai principii di Aristotele. Arriva ad ascrivere ad
Aristotele anche la creazione: locché é la cosa più strana per il Vernia, che a
questo profosito si era cosi decisanente espresso cessario cambiarne altre con
quella connesse. Ritiene perciò che all'anima non conviene mutazione per
l'acquisto della scienza. Per l'unione ai fantasmi è l'universale co
nosciuto. Ma il singolare non può essere conosciuto prima dall'intelletto, ma
solo dal senso in cui vi è mutazione. Nega quindi al Gianduno che
l'intelletto per conoscere l'universale abbia prima bisogno della conoscenza
del particolare; altrimenti vi sarebbe mutazione nella scienza, e quindi
alterazione nell'intelletto. Cosi spiega che l'intendere è per reminiscenza.
Similmente circa la indivisibilità dell'anima, il cui opposto ammise Averroe,
Osserva che se l'anima non fosse tale, l'uomo non sarebbe lo stesso da mane a
sera. Un altro inciampo era, come l'anima intellettiva dá l'essere al corpo
umano. Crede una stoltezza l'affermare col Gianduno che non può avvenire se non
jer miracolo, che una forma inestesa dia l'estensione. Qui intanto anche
lui si rifugia alla fede, ut fideles ponunt. Finalmente ne dimostra la
immortalità: ciò che é indebilitabile per la esistenza dell'oggetto, è
immortale. L'intelletto è tale: è eterno, come gli universali, non è
organico, jerché la sua operazione non è corporea. Un argomento spesso riprodotto
dal Pomponazzi, è questo : non si va da un estremo all'altro senza un mezzo.
Tri la forma astratta e la nateriale ci è la media che dá l'essere alla
materiale: e jer questo conviene colla be-stia, ed è incorrutibile come la
celeste natura. In mezzo a tante difficoltà che tratta, egli è però convinto
che lasoluzione si trova nella fede: e e Platone si accostò alla verità, non la
vidde completamente. Sei soluin ficiles inspirationis lemine fidei illuminati
ceritatem attingere complete, et soli complete salisfuciunt omnies poesi-
tis in his difficultatibies. Da questa dissertazione si vede che V. mostra
di aver perduto ogni vigoria speculativa, ed ogni connes sione stretta di
pensare. Ed essa si può piuttosto accettare come una confessione di fede, anzi
che come una vera tesi scientifica. Il rifugio nella scienza è AQUINO (si veda),
od un Platonismo cristiano. Tale era l'intonazione che da Bessarione venendo in
Italia: e questa si seguito piuttosto a Firenze, che a Padova. E nissnn dubbio
che questo indirizzo lo segue il Vernia. E credo che gli faceva coin-modo per
levarsi dagli impicci che gli dava il Baroz-zi, e perché desiderava il
canonicato di Aquileia, al quale avrebbe trovato ajerta la via con tale
pubblica con-tessione. Ma, siccome è troppo difficile abbandonare quelle idee
che sono state il nutrimento di un giovane intelletto; cosi anche qui si vede
in mezzo alle imprecazioni ad Averroe ed alle eccessive dottrine di fede, una
tendenza a mitigare l'averroismo, cioè a con-temperarlo colle dottrine della chiesa.
Ed il Barorzi gli dice nella lettera di risposta che lui la fatto bene di fare
questo opuscolo, sia che senta cosi, sia che no, perché la sua autorità è
grandissima. E lo paragona a S. Paolo con- vertito; ma pure il sospetto
sulla sua fede non cessó to-talmente. Epperò egli replica la sua confessione
dopo pochi mesi dalla pubblicazione del suo opuscolo nel suo testamento.
Il Nifo nella età giovane imito in tutto il suo mae.tro nella tarda etá colla
sua barcollante fede nell' arerroi-smo. Cosa che il Pomponazzi gli osservò bene
nel de-fensorium. Che autorità ha quest'uomo (ei dice) che mentre ora segue
l'unita dell'intelletto che noi diciano essere di Averroe, prima l'ha
condannata! Allude appunto al trat-se il sistema secondo il Bessarione, di non
avere nissun criterio proprio. E nella prefazione al de Anima egli professa col
Bessarione che né Platone ne Aristotele arrivarono perfettamente alla fede
ortodossa; ma in loro si osserva una parvenza della nostra religione, che poi
il creatore per mezzo della dottrina del suo figlio rivelò più manife-stamente.
Le sentenze perció di Platone e di Aristotele si debbono accomodare a quella di
Cristo. Tale fu il Ver-nia nell'eta decrepita, e tale il Nifo nella
gioventi. Il sistema era molto commodo non solo a non avere disturbi
quali ebbe il Vernia, ma anche ad aprirsi una via sicura agli onori che la
chiesa impartiva. Era il tempo della simonia allora: una fede anche larvata ci
voleva semj re, come scala alle lucrose onorificenze. Noi non ci
meraviglieremo delia confessione del Ver-nia, o meglio della sua ritrattazione,
perclé ancle il povero Pomponari fu obbligato a confessare che gli argomenti
del Padre Crisostomo, dell'ordine dei predicatori, contro il suo trattato de
immortalitale erano fuori ogni dubbio. E si obbliga che il suo libro non puù
esser venduto senza quella aggiunzione! Solo ci possiamo meravigliare del suo
discejolo che seppe imitare a proprio vantaggio ció che fu un tratto di
deboleza senile del suo maestro, senza aver mai dato in tutte le sue 44 opere
un lampo di ingegno un po' libero e meno servile alla chiesa. Nicoletto Vernia. Vernia. Keywords: i parepatetici, i
parepatetici padovani – i parepatetici di padova, il lizio, unita, Aquino,
method in philosophical psychology -- Refs.: The H. P. Grice Papers, Bancroft
MS – Luigi Speranza, “Grice e Vernia: viva Aristotele!” – The Swimming-Pool
Library, Villa Speranza, Liguria. Vernia.
Luigi
Speranza -- Grice e Vero: la ragione conversazionale a Roma – l’implicatura
conversazionale del fratello d’Antonino – la scuola di Roma – filosofia romana
– filosofia lazia -- filosofia italiana – Luigi Speranza, pel Gruppo di Gioco
di H. P. Grice, The Swimming-Pool Library (Roma). Filosofo romano. Filosofo
lazio. Filosofo italiano. Roma, Lazio. Like
Antonino, he is adopted by Antonino Pio. They share many tutors, including
Erode Attico, Frontone, Apollonio, and Sesto. They both succeed the throne when
their adoptive father dies. When he dies, his brother deifies him for the Roman
people. Quando Marco Aurelio, gia’ Cesare di
Antonino Pio, divenne Augusto alla morte del padre adottivo, si verifico’ un
fatto straordinario : l’ Impero Romano ebbe per la prima volta nella sua storia
due Imperatori legittimi ; ma come si giunse a questa anomala circostanza
? L' Imperatore Adriano aveva stabilito
che alla sua morte l’ Impero passasse all’ adottato Cesare, Lucio Ceionio
Commodo, meglio conosciuto come Lucio Elio Vero, non tutti i consiglieri di
Adriano approvarono questa scelta, ma cosi’ fu ; Lucio Elio dopo una breve
permanenza lungo la frontiera del Danubio, tipiche di questo periodo sono le
monete emesse con al rovescio Pannonia, tornò a Roma per pronunciarvi il primo
giorno del 138, un discorso innanzi al Senato riunito . La notte prima del
discorso però si ammalò e morì di emorragia nel corso della giornata . Il 24
gennaio del 138 Adriano scelse allora come successore Aurelio Antonino, che
assunse poi l’ appellativo di Pio, obbligandolo a sua volta di adottare il
futuro Imperatore Marco Aurelio e Lucio Vero il figlio di Elio Cesare . Marco Aurelio, nato come Marco Annio Catilio
Severo, divenne Marco Annio Vero, che era il nome di suo padre, al momento del
matrimonio con sua cugina Faustina, figlia di Antonino, assunse quindi il nome
di Marco Aurelio Cesare, figlio dell' Augusto, durante l'impero di Antonino Pio
. Marco Aurelio Antonino fu dunque, su
espressa indicazione di Adriano, adottato nel 138 dal futuro suocero e zio
acquisito Antonino Pio che lo nominò erede all' Impero . Alla morte di Antonino
Pio il Senato voleva confermare solo Marco ma si rifiutò di entrare in carica
senza che Lucio ricevesse gli stessi onori, alla fine il Senato fu costretto ad
accettare e insignì anche Lucio Vero del titolo di Augustus . Marco divenne
nella titolatura ufficiale, Imperatore Cesare Marco Aurelio Antonino Augusto
mentre Lucio divenne Imperatore Cesare Lucio Aurelio Vero Augusto . Per la
prima volta Roma veniva governata da due imperatori contemporaneamente . Marco conservò una preminenza, dovuta al
fatto che era stato Cesare dell’ ultimo Imperatore Antonino Pio, fatto che Vero
non contestò mai sebbene la sua elezione ad Augusto fosse stata voluta da
Adriano per onorare la memoria di Lucio Elio adottandone il figlio e al tempo
stesso lasciare l' Impero anche a Marco
Aurelio di cui aveva capito le grandi qualità . A dispetto della loro
uguaglianza nominale, Marco ebbe maggior autorita' di Lucio Vero e fu Console
una volta di più avendo condiviso la carica già con Antonino Pio ; fu anche il
solo tra i due a divenire Pontifice Massimo . In pratica l' Imperatore più
anziano, Marco Aurelio aveva circa 10 anni piu' di Lucio Vero, deteneva un
comando superiore al fratello più giovane .
Marco Aurelio durante l’ Impero tenuto in fratellanza con Lucio Vero
ebbe diversi figli da Faustina minore ma uno solo sopravvisse, il futuro
Imperatore Commodo . Apparentemente sembra che i due Imperatori regnassero in
armonia con l’ unica informazione certa che Marco Aurelio non approvasse lo
stile di vita del fratello adottivo in quanto da lui ritenuta troppo libertina
per un Imperatore, come dimostro’ Lucio nella campagna partica nella quale
affido’ in loco gran parte della guerra ai suoi generali mentre lui si
divertiva in Antiochia ; Lucio ebbe anche qualche remora nel seguire Marco
nella campagna in Germania essendo da poco tornato dall’ Oriente . A questo punto della storia sorge la domanda
del titolo, la morte di Lucio Vero ad Altino vicino Venezia a causa di un colpo
apoplettico, fu casualita’ naturale o dovuta ad altra causa ? La domanda nasce
spontanea per due motivi principali, il primo, forse meno importante, si riferisce
al fatto che Cassio Dione nel narrare dei fatti di questa epoca, tace
completamente sulla morte di Lucio Vero e questo fatto e’ alquanto strano aver
taciuto sulla morte di un Imperatore conoscendo la serieta’, scrupolisita’ e
precisione dello storico greco, una dimenticanza ? Forse, ma rimane comunque un
fatto strano . Secondo motivo, piu’
importante, e’ che Marco Aurelio aveva quasi 10 anni in piu’ di Lucio vero e
sapendo sempre tramite Cassio Dione che Marco Aurelio era di costituzione
fisica non perfetta anzi cagionevole, in teoria sarebbe forse morto con molta
probabilita’ prima di Lucio Vero e a quell’ epoca avere 10 anni in piu’
rispetto ad altra persona era quasi una naturale condanna a morire prima . Cio’
avrebbe comportato il fatto che Lucio Vero sarebbe rimasto un giorno unico
Imperatore legittimo in carica, alla barba di Commodo figlio di Marco, oppure
se questi avesse rivendicato l’ Impero anche per se, si sarebbe verificato il
rischio di una guerra civile, come in seguito avvenne tra Marco e Avidio Cassio
. Insomma i motivi per eliminare Lucio Vero erano seri, a Marco non piaceva il
suo stile di vita e si sentiva anche legato nelle scelte di politica imperiale,
inoltre lo strano assoluto silenzio di Cassio Dione sulla morte di Lucio lascia
quanto meno perplessi essendo stato questi un Imperatore . Occorre anche aggiungere che Giulio Capitolino
nel narrare la Vita di Marco Aurelio riporta un passo secondo cui Marco Aurelio,
nonostante le sue grandi qualita’ morali da tutti riconosciutegli, “sapesse
anche abilmente fingere o almeno di essere meno leale di quanto sembrava” Al termine di questo discorso si puo’
affermare che non esiste nulla di concreto, si ipotizza soltanto, ma le basi
per avere dei blandi sospetti esistono ; naturalmente se di omicidio si tratto’,
non e’ detto che sia avvenuto per volonta' di Marco Aurelio, contrasterebbe
troppo con la sua natura umana, potrebbe essere stato deciso da altra persona
della cerchia imperiale, i pettegolezzi circa la sua morte, inseriti nella Vita
di Lucio Vero, in questo senso non mancano .
In foto un cammeo antico in sardonice con Marco e Lucio, due busti al
Museo di Londra, una moneta celebrante la Concordia degli Augusti e una di
Lucio Elio con la Pannonia .Lucio Vero. Vero. Keywords: il principe filosofo.
Luigi Speranza, “Grice e Vero”. Vero.
Luigi Speranza -- Grice e Veronelli:
la ragione conversazionale e l’implicatura conversazionale del sadismo italiano
– la scuola di Milano – filosofia milanese – filosofia lombarda -- filosofia
italiana – Luigi Speranza, pel Gruppo di Gioco di H. P. Grice, The
Swimming-Pool Library (Milano). Filosofo milanese. Filosofo lombardo. Filosofo italiano.
Milano, Lombardia. Essential Italian philosopher. Figura centrale nella valorizzazione e diffusione del
patrimonio eno-gastronomico. Antesignano di espressioni e punti di vista che
poi sono entrati nell'uso comune e protagonista di caparbie battaglie per la
preservazione delle diversità nel campo della produzione agricola e alimentare,
attraverso la creazione delle denominazioni comunali, le battaglie a fianco
delle amministrazioni locali, l'appoggio ai produttori al dettaglio. V. assieme
ad alcuni sommelier F.I.S.A.R. Originario del quartiere Isola di Milano, dopo
il r. ginnasio Parini, compie studi di filosofia a Milano, diventando
assistente di BARIE (vedi). Si professa per tutta la vita di fede anarchica,
rifacendosi anche alle ultime lezioni tenute da CROCE a Milano. Inizia
l'esperienza di editore, pubblicando tre riviste: “I problemi del socialismo,”
“Il pensiero”, e “Il gastronomo.” Pubblica “La questione sociale di Proudhon” e
“Historiettes, contes et fabliaux di De Sade”. Per quest'ultima viene
condannato, insieme a MANFREDI (autore dei disegni, poi assolto), a tre mesi di
reclusione per il reato di pornografia. L’opera di De Sade e poi messa al rogo nel
cortile della procura di Varese. Subisce anche una condanna di VI mesi di
detenzione per aver istigato i contadini piemontesi alla rivolta, con
l'occupazione della stazione di Asti e dell'auto-strada, per protestare contro
l'indifferenza della politica per i problemi dei contadini e dei piccoli
produttori. Diventa collaboratore de Il Giorno. L'attività giornalistica
lo impegna, e i suoi articoli, di stile aulico e provocatorio, ricchi di
neologismi e arcaismi, faranno scuola nel giornalismo eno-gastronomico e no.
Tra le testate cui collabora vanno ricordate, oltre a Il Giorno: Corriere della
Sera, Class, Il Sommelier, V. EV, Carta, Panorama, Epoca, Amica, Capital, Week
End, L'Espresso, Sorrisi e Canzoni TV, A Rivista Anarchica, Travel e Wine
Spectator, Decanter, Gran Riserva ed Enciclopedia del Vino, The European.
L'apparizione televisiva ne aumenta notevolmente la fama, in particolare A
tavola alle 7, in cui conduce il programma prima a fianco di Scala e di Orsini,
poi di Ave Ninchi, e il Viaggio Sentimentale nell'Italia dei Vini, dove
realizza l'aggiornamento, provocatorio e di denuncia, della viti-coltura
italiana, con inchieste, interviste, proposte che hanno scosso quel
mondo. La sua attività di ricerca e di approfondimento nel campo eno-gastronomico
lo porta alla pubblicazione di alcune opere fondamentali, anche di carattere
divulgativo. Da segnalare: “I Vignaioli Storici”, “Cataloghi dei Vini d'Italia”,
dei “Vini del Mondo”, “Degli Spumanti e degli Champagne, delle Acquaviti e
degli Oli extra-vergine”, “Alla ricerca dei cibi perduti”, “Il vino giusto”, e
la collana Guide V. all'Italia piacevole. Fondamentale anche la collaborazione
con Carnacina, maître e gastronomo celeberrimo e Guazzoni maître e sommelier.
Ne nascono, ad esempio, “La cucina italiana” e “Il Carnacina.” Fonda la
seconda V. Editore col puntuale obiettivo di approfondire la classificazione
dell'immenso patrimonio gastronomico italiano e contribuire ad accrescere la
conoscenza dell’attrattive turistiche del “paese più bello del mondo,” secondo
Platone. La casa editrice cessa l'attività a fine. Collabora con Derive\Approdi
scrivendo le prefazioni ad alcuni libri di carattere storico, politico e
gastronomico. L'intenso rapporto epistolare sulle pagine di Carta con Echaurren
costituisce un forte stimolo di riflessione sulle questioni legate alla terra e
alla qualità della vita materiale per il movimento contro la globalizzazione. Isieme
ad alcuni centri sociali, tra cui La Chimica di Verona e il Leoncavallo di
Milano, al movimento Terra e libertà. Sempre di questi anni le battaglie per le
denominazioni comunali, una salvaguardia dell'origine di un prodotto; per il
prezzo-sorgente, cioè l'identificazione del prezzo di un prodotto alimentare
all'origine, per rendere evidenti eccessivi ricarichi nei passaggi dal produttore
al consumatore; per l'olio extra vergine d'oliva, contro le prepotenze e il
monopolio delle multi-nazionali e le ingiustizie della legislazione per i
piccoli olive-coltori. Di idee anarchiche, si è anche interessato di
questioni filosofiche, pubblicando anche articoli su A/Rivista Anarchica e
saggi. Le pubblicazioni hanno subito il segno dei suoi interessi
libertari, libertini, eno-gastronomici: racconti, novelle e novelline di de
Sade -- che gli procurerà una denuncia e la condanna al rogo dei libri, tra gli
ultimi roghi di libri avvenuti in Italia --, le poesie di Pagliarani, la
rivista Il gastronomo e quella di filosofia “Il pensiero”, poi interessante per
qualche anno e l'editore della rivista Problemi del socialismo, diretta da BASSO.
In seguito mise un po' in disparte le questioni filosofiche per concentrarsi su
quelle più propriamente eno-gastronomiche e agricole. In A-Rivista Anarchica si
definisce V. l'"anarchenologo" ritenendo che l'attività di V. vada
inquadrata in un ambito libertario e contro l'attività delle multi-nazionali agricole.
Gli anarchici della Cellula V., con l'intento di mostrare l'aspetto più
propriamente politico di V., hanno organizzato un incontro intitolato "V. politico",
a cui hanno preso parte personalità del calibro di MURA, giornalista di La
Repubblica, FERRARI della Federazione Anarchica Reggiana (promotrice
dell'evento biennale, ideato nella sua prima edizione insieme allo stesso
Veronelli, Le cucine del popolo) e TIBALDI. Dag’anarchici è sempre stato considerato
un compagno. V. e un libertario, un uomo colto, senza dogmi, senza ipocrisie,
in perenne lotta contro l’armate schiaviste delle multi-nazionali (Pagliaro,
Umanità Nova, Milano gli attribuisce l'ambrogino d'oro. Rassegna stampa. A-Rivista,
Lettera i giovani estremi Proudhon: La
questione sociale – V. politico. L'ultimo dei vini artigianali sarà sempre
migliore del primo dei vini industriali, perché avrà un'anima -- Il canto della
Terra. Il nostro anarchenologo. Un incontro inatteso. Cellula V. Veronelli politico.
Circolo Cucine del Popolo, l'addio, Bosana Salsa suprema. Luigi Veronelli.
Veronelli. Keywords. Refs.: The H. P. Grice Papers, Bancroft – Luigi Speranza,
“Grice e Veronelli: metafisica dell’amore” – The Swimming-Pool Library,
Liguria. Veronelli.
Luigi Speranza -- Grice e Verrecchia:
la ragione conversazionale e l’implicatura conversazionale della falena dello
spirito – la scuola di Vallerotonda – filosofia lazia -- filosofia italiana – Luigi
Speranza, pel Gruppo di Gioco di H. P. Grice, The Swimming-Pool Library (Vallerotonda). Filosofo italiano. Filosofo
lazio. Vallerotonda, Frosinone, Lazio. Essential Italian philosopher. Studia a
Torino. Trascorse un certo periodo nel parco nazionale del Gran Paradiso,
considerato come il più formativo della sua vita. Lì contempla in modo
disinteressato i fenomeni della natura. Fa tre università -- e solito dire -:
quella vera e propria, che non mi ha dato nulla o quasi; la collaborazione alle
pagine dei quotidiani come elzevirista, che mi ha costretto a leggere libri che
altrimenti non avrei mai letto; e infine l'università più utile in assoluto, vale
a dire il soggiorno nel Gran Paradiso a contatto con la natura. Frutto di quel
soggiorno è il saggio che contiene la sua filosofia, potentemente aforistica. I
manoscritti riaffiorati molto più tardi spiegano la tardività della sua pubblicazione,
avvenuta presso Fògolasi tratta del Diario del Gran Paradiso. Visse poi a
Berlino ed e per addetto culturale all'ambasciata d'Italia a Vienna. Collabora
alle pagine culturali di giornali italiani, tra cui Il Resto del Carlino, La
Stampa, Il Giornale. Collabora stranieri (Die Presse, Die Welt). Non parla
volentieri della sua vita privata perché, dice, di un filosofo ciò che
interessa sono gli teorie e non le vicissitudini personali. Traduttore di Lichtenberg,
appassionato studioso di BRUNO e Nietzsche, nel suo orizzonte culturale, però,
la figura che risalta di più è senz'altro quella di Schopenhauer, da lui
considerato a tutti gl’effetti un maestro da tradurre e continuare. Elementi
caratteristici dei suoi saggi sono l'irriducibile vena polemica e una sacra
bilis, ma la sua prosa spicca anche per chiarezza ed energia. La sua prosa insieme
a quella di CERONETTI, SGALAMBRO e GIAMETTA è stata giudicata la migliore prosa
filosofica. Saggi: “L'eretico dello spirito” (Firenze: Nuova Italia); “La
catastrofe di Nietzsche a Torino” (Torino: Einaudi), “La tragedia di Nietzsche
a Torino: la catastrofe del filosofo che sogna un super-uomo al di là del bene
e del male (Milano: Bompiani); “Incontri viennesi” (Genova: Marietti), “Cieli
d'Italia (Milano: Spiral); “Diario del Gran Paradiso (Torino: Fogola), “BRUNO:
la falena dello spirito” (Roma: Donzelli); “Rapsodia viennese: luoghi e
personaggi celebri della capitale danubiana” (Roma: Donzelli), “Schopenhauer e
la Vispa Teresa: l'Italia, le donne, le avventure” (Roma: Donzelli), “Vagabondaggi
culturali” (Torino: Fogola); “La stufa dell'Anti-cristo: altri vagabondaggi
culturali” (Torino: Fogola), “Batracomachia di Bayeruth: nietzschiani contro wagneriani;
Padova: il prato, Lettere Mercuriali (Torino: Fògola). “Il cantore filosofo” (Firenze,
Clinamen); “Il mastino del Parnaso: elzeviri e polemiche” (Firenze: Clinamen); Saggi
introduttivi, traduzioni e cure Viaggio in Italia di Mommsen (Torino: Fogola). Libretto di
consolazione (Milano: Rizzoli); Le civiltà pre-colombiane (Milano: Bompiani,).
Colloqui (Milano: Rizzoli), poi: “Il filosofo che ride” (Milano: Rizzoli), “Metafisica
dell'amore sessuale: l'amore inganno della natura” (Milano: Rizzoli); “Sulla
filosofia di Schopenhauer (Milano: TEA); “Aforismi per una vita saggia”
(Milano: Fabbri); “O si pensa o si crede: sulla religione” (Milano: Rizzoli); “Lo
scandaglio dell'anima” (Milano: Rizzoli); “Breviario spirituale” (Torino: POMBA).
A Bogotà c'è un erede di Montaigne. Tuttolibri de La Stampa, Allora basta un
rospo per finire al rogo. Tutto libri de La Stampa, MATHIEU, Tre giorni in
giallo. Tutto libri de La Stampa, Risvolto di copertina della Rapsodia
viennese. Verrecchia, su digilander libero.
Lanterna, V. venerando e terribile, Pulp Libri, (ora in Lanterna, Il
caleidoscopio infelice. Note sulla letteratura di fine libro, Clinamen, critica
Lanterna, Il caleidoscopio infelice. Note sulla letteratura di fine libro,
Clinamen. Dotti, I vagabondaggi culturali di V., in rivista. Le case illustri,
di Lisa Elena su archivio la stampa. Addio al filosofo V., di Sorrentino, su
poesia. RAInews. L'Anticristo goloso, di Rota, su piemontemese. Anacleto
Verrecchia. Verrecchia. Keywords: la metafisica dell’amore, Nietzsche a Torino,
Bruno, la falena dello spirito. Refs.: The H. P. Grice Papers, Bancroft MS –
Luigi Speranza, “Grice e Verrecchia: metafisica dell’amore” – The Swimming-Pool
Library, Villa Speranza, Liguria. Verrecchia.
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