Luigi Speranza -- Grice e Spadaro: all’isola – la
ragione conversazionale e la conversazione coll’angelo – la scuola di Messina
-- filosofia siciliana -- filosofia italiana – Luigi Speranza (Messina), Filosofo siciliano. Filosofo italiano.
Messina, Sicilia. Laureato a Messina, entra subito dopo nel noviziato della compagnia
di Gesù. Insegna lettere a Roma. Riceve l'ordinazione presbiterale e pronuncia
i voti solenni nella compagnia di Gesù. Consegue la licenza in Teologia, il
diploma in comunicazioni sociali, il dottorato di ricerca in teologia presso la
pontificia università gregoriana di Roma. Completa la sua formazione negli stati
uniti d’America, nella Provincia dei gesuiti di Chicago. Comincia a scrivere
per la rivista “La Civiltà Cattolica” e entra a far parte in maniera stabile
della redazione. Si occupa soprattutto di teoria della letteratura e di critica
letteraria, in particolare legata ad autori contemporanei italiani (tra questi,
PAVESE, BASSANI, LUZI, TONDELLI. Tra le materie che tratta vi sono anche la
musica, l'arte contemporanea, il cinema e le nuove tecnologie della
comunicazione e il loro impatto sul modo di vivere e pensare (in particolare su,
Second Life, sulla lettura digitale, sui vari social networks, sulla filosofia
hacker o sulla cyberteologia). Ha
fondato Bomba Carta, un progetto culturale che coordina iniziative di scrittura
creativa, produzione video e lettura anche su internet. È curatore della
collana di poesia L'Oblò delle edizioni Ancora. Insegna presso il centro inter-disciplinare
di comunicazione sociale della pontificia università gregoriana -- è a capo del comitato scientifico "La
sfida e l'esperienza" che raccoglie docenti e manager interessati ai temi
della spiritualità e dell'innovazione. Viene incaricato di co-ordinare le
attività culturali della compagnia di Gesù in Italia. -- è il relatore
principale al primo evento organizzato dai Gesuiti sulla musica rock nel quale
riabilita la dignità musicale (non liturgica) del genere nel suo complesso,
limitandone la condanna alla valutazione di rari e singoli casi. Diviene
Rettore della Comunità dei gesuiti de La Civiltà Cattolica. -- è annunciata la
sua nomina a direttore della rivista. Nel numero del 1º ottobre della rivista è apparso il suo articolo di
presentazione nella nuova veste di direttore.
La sua attività in Rete è legata, oltre alla presenza nei social
network, anche allun sito personale e di due blog: uno dedicato alla
CyberTeologia e uno dedicato a O'Connor. Benedetto XVI lo nomina consultore del
Pontificio Consiglio della Cultura e anche consultore del pontificio consiglio
delle comunicazioni sociali. Riceve a Caserta il prestigioso premio "Le
Buone Notizie Civitas Casertana", uno dei più importanti premi di
giornalismo italiani, unico nel suo genere a livello internazionale. Incontra
più volte papa Francesco per conto de La Civiltà Cattolica e di altre 15
riviste della Compagnia di Gesù. Il contenuto delle conversazioni è stato
pubblicato sotto forma di intervista a settembre ed ampiamente ripreso dalla stampa
internazionale. Dedicato un articolo all’utopia.
L'articolo analizza il significato di utopia
nel contesto culturale italiano, ne analizza la storia, e ne mette in evidenza
pregi e limiti. La sua conclusione è che
dalla descrizione e dalle valutazioni compiute comprendiamo bene come rappresenti un sogno illuminista di
descrivere il mondo, che però si scontra con le difficoltà di accreditarsi come
compendio di sapere credibile, mantenendo nel contempo anonimato, flessibilità
e continua apertura a nuovi collaboratori. Nello stesso tempo questa utopia
rovescia il sogno dell'enciclopedia tradizionale, intesa come costruzione
autorevole, organica e integrata del sapere. Infatti è come un organismo vivente: cresce (al ritmo
del 7% ogni mese), si ammala, è sottoposta a composizioni e scomposizioni
interne, ad accrescimenti e riduzioni continue. Ma soprattutto nasconde un'altra utopia, a suo modo, ambigua.
La democrazia assoluta del sapere e la collaborazione delle intelligenze
molteplici che dà vita a una sorta di intelligenza collettiva. Questa utopia
potrebbe nascondere una nuova forma di torre di Babele, che ha il suo tallone
di Achille non solo nell'inaffidabilità, ma anche nel relativismo. Concede
un'intervista a Wikinotizie, Intervista
al gesuita 2.0, nella quale commenta l'articolo e spazia sulle tematiche
inerenti e il mondo della rete internet.
Altri saggi: “Tracce profonde. Il viaggio tra il reale e l'immaginario” (Roma,
Città Nuova); “Radio on. Tra le colonne sonore
(Napoli, Giannini); “Lo sguardo presente. Una lettura teologica dell’amore”
(Rimini, Guaraldi); “Attraversare l'attesa” (Reggio Emilia, Diabasis);
“Laboratorio″. La nuova narrativa italiana (Reggio Emilia, Diabasis); “Un'acuta
sensazione d'attesa” (Padova, Messaggero di Sant'Antonio); “A che cosa «serve»
la letteratura?” Leumann (To)-Roma, Elle Di Ci La Civiltà Cattolica, Premio Capri per la sezione Letteratura e
Premio Crotone sezione Giovane critici italiani); “Lontano dentro se stessi.
L'attesa di salvezza” (Milano, Jaca). Connessioni. Nuove forme della cultura al
tempo di internet” (Bologna, Pardes); “La grazia della parola. La poesia,
Milano, Jaca); Nella melodia della terra” (Milano, Jaca); “Abitare nella
possibilità. L'esperienza della letteratura” (Milano, Jaca), “L'altro fuoco.
L'esperienza della letteratura” (Milano, Jaca); Alla ricerca del lupo. Genio,
tensioni, vanità (Bologna, Pardes); “Nell'ombra accesa. Breviario poetico di
Natale (Milano, Ancora); Web 2.0 Reti di relazione, Milano, Paoline,. “Svolta
di respiro. Spiritualità della vita” (Milano, Vita et Pensiero). Cyberteologia.
Pensare il cristianesimo al tempo della rete, Milano, Vita et Pensiero); “Lasciami
correre via, Padova, Messaggero); “Traversate di un credente, Milano, Jaca); “La
dodicesima notte (Milano, Ancora); La freschezza più cara. Poesie (Milano,
Rizzoli); Canto una vita immense (Milano, Ancora); “Un Dio sempre più grande.
Pregare” (Milano, Ancora). obio, su laciviltacattolica. Saggi su "La
Civiltà Cattolica", su antoniospadaro.net. Antonio Spadaro, BombaCarta, su
bombacarta.com. accesso=16 agosto.
Antonio Spadaro, L'OblòAncora, su ancoralibri. Orazio La Rocca, I
gesuiti benedicono il rock: "La musica di Springsteen et Co parla
all'anima", Repubblica. cogliere pienamente la sfida digitale. Cyberteologia,
Nomina di consultori del Pontificio Consiglio della Cultura, Rinunce e nomine,
su Bollettino della Santa Sede, Bollettino della Santa Sede. Su La Civiltà Cattolica la mia intervista a
Papa Francesco, su cyberteologia, Intervista a papa Francesco. Cyberteologia,
sul RAI Filosofia, su filosofia.rai. Antonio
Spadaro. Keywords: conversazione coll’angelo. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e
Spadaro” – The Swimming-Pool Library. Spadaro.
Luigi Speranza -- Grice e Sparti: la ragione
conversazionale e il ri-conoscimento – filosofia italiana – Luigi Speranza (Roma). Filosofo romano. Filosofo lazio.
Filosofo italiano. Roma, Lazio. Insegna a Siena, Pisa, Milano e Bologna. Fonda
“Studi culturali. Collabora a "Iride", "Paradigmi",
"Rivista di estetica", "Rassegna italiana di sociologia", ed
"Intersezioni". Concentra la sua attenzione sull'estetica
dell'improvvisazione. Saggi: Se un leone
potesse parlare. Indagine sul comprendere e lo spiegare” (Firenze, Sansoni); Sopprimere
la lontananza uccide” “Interpretazione” (Firenze, Nuova Italia) “Epistemologia
delle scienze sociali” (Roma, Nuova Italia); “Soggetti al tempo. Identità
personale fra analisi filosofica e costruzione sociale” (Milano, Feltrinelli);
“Identità e coscienza” (Bologna, Mulino); “Wittgenstein politico” (Milano,
Feltrinelli); “Epistemologia delle scienze sociali” (Bologna, Mulino);
“L'importanza di essere umani: etica del ri-conoscimento” (Milano,
Feltrinelli); “Suoni inauditi. L'improvvisazione nel jazz e nella vita quotidiana”
(Bologna, Il Mulino); “Musica in nero. Il campo discorsivo del jazz” (Torino,
Bollati); “Il corpo sonoro: oralità e scrittura nel jazz” (Bologna, Il Mulino);
“L'identità incompiuta: paradossi dell'improvvisazione musicale” (Bologna,
Mulino); “Sul tango: l'improvvisazione intima” (Bologna, Mulino). Davide
Sparti. Sparti. Keywords: identita personale, interpretare, improvvisare nella
vita. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Sparti” – The Swimming-Pool Library.
Luigi Speranza -- Grice e Spaventa: la ragione
conversazionale e l’origine italico dello spirito filosofico – la scuola di
Bomba -- filosofia italiana -- Luigi Speranza (Bomba). Filosofo abruzzese. Filosofo italiano. Bomba, Chieti,
Abruzzo. Nasce da un'agiata famiglia borghese. Sua madre èpro-zia di CROCE.
Studia a Chieti. Ottenuto l'incarico di docente di matematica, si trasfere a
Montecassino. La
sua formazione continua a Napoli. Studia i filosofi tedesci in tedesco – Grice:
“Which is the right thing to do – and which Ryle, or Strawson, for that matter
– are unable to!” Si avvicina ai circoli liberali e a pensatori come COLECCHI
e TARI. Fonda una scuola di filosofia.
Inoltre partecipa alla redazione de “ Il Nazionale”. Dopo l'abrogazione della costituzione
da parte di Ferdinando II, e costretto a lasciare Napoli. Si trasferire prima a
Firenze, quindi a Torino. Divenne giornalista scrivendo su Il Progresso, Il
Cimento, Il Piemonte, Rivista Contemporanea. Si avvicina al pensiero di Hegel.
Polemizza con La civiltà cattolica, rifiutando l'idea del sacro come passo
necessario per lo sviluppo umano. In tal modo condivise con altri esuli
napoletani gli stessi fermenti patriottici e liberali che avevano
nell'idealismo hegeliano il loro motivo ispiratore. In Napoli la filosofia
di Hegel penetra nelle menti de' cultori della scienza, i quali mossi come da
santo amore si affratellavano e la predicano. Né i sospetti già desti della
polizia, né le minacce e le persecuzioni valsero ad infievolire la fede in
questi arditi difensori della indipendenza del pensiero. I numerosi studenti
raccolti da tutti i punti del Regno nella grande capitale disertano le cattedre,
ed accorrevano in folla ad ascoltare la nuova parola. Era un bisogno
irresistibile ed universale, che li spinge ad un ignoto e splendido avvenire,
all'unità organica dei diversi rami della cognizione umana. I filosofi,
partecipavano al general movimento, ed ambivano soprattutto, come gl’antichi
italiani, di essere veri filosofi. Chi può ridire la gioia, le
speranze, l’entusiasmo di quel tempo? Chi può ridire l’affetto col quale
si amano i maestri e gli allievi, e insieme procedeno alla ricerca della
verità? E un culto, una religione ideale, nella quale si mostrano degni nepoti
dell'infelice Nolano. BRUNO (si veda). “Studii sopra la filosofia di Hegel” (Torino)
«Rivista Italiana». Insegna a Modena, Bologna e Napoli. Vuole liberare la
cultura filosofica italiana dal suo provincialismo, attraverso la diffusione
nella penisola dell'idealismo di Hegel. Sostene una politica laica e legata ad
un forte senso di un stato unitario, considerato come sorgente dei princìpi e
dei valori ispiratori di un armonioso sviluppo di civilita, da cui la comunità dei
cittadini devono trarre l'alimento necessario per una crescita ordinata e
corretta. Circola l’idealismo, che dimostra il percorso dinamico della
filosofia e il suo ritorno in Italia dove ha origine. Riforma la dialettica
hegeliana per salvare l'identità di essere e pensiero escludendo ogni
presupposto oggettivo esterno al pensare. Recupera l'aspetto pratico nel
processo conoscitivo che evita la caduta in un astratto idealismo. La filosofia
italiana del Rinascimento, connotata dal naturalismo e dall'immanentismo, ha
precorso la filosofia, giungendo attraverso Spinoza agli idealisti tedeschi
Fichte, Schelling, Hegel. il ritorno in Italia della filosofia con la terza
Roma e con la riappropriazione dei
filoni spiritualistici europei da parte di ROSMINI e GIOBERTI. Mentre per la
critica tradizionale la filosofia italiana e caratterizzata dalla sua
ininterrotta fedeltà alla linea platonica, S. cerca di dimostrare, con gli
studi dedicati al umanesimo rinascimentale che la filosofia, laica e
idealistica, generalmente associata alla riforma in realtà e nata in Italia. Interpreta
con chiave di lettura hegeliana questo progressivo passaggio dello spirito
filosofico italiano e il suo ritorno, sottolineando la continuità del
razionalismo di Cartesio col principio innatistico di CAMPANELLA della cognitio
abdita, dell'empirismo di Locke con la campanelliana cognitio illata o nozione
acquisita, dell'immanentismo Spinoza col panteismo di BRUNO, del criticismo con
la metafisica della mente di VICO. Poi GALLUPPI e ROSMINI si sarebbero
riappropriati inconsciamente di quello stesso spirito permeato dal kantismo,
come GIOBERTI di quello dell'idealismo. Ripigliare il sacro filo della nostra
tradizione filosofica italiana, ravvivare la coscienza del nostro libero
pensiero nello studio dei nostri maggiori filosofi, ricercare nelle filosofie
delle altre nazioni i germi ricevuti dai primi padri della nostra filosofia
italiana e poi ritornati fra noi in forma nuova e più spiegata di sistema,
comprendere questa circolazione del pensiero italiano, della quale in gran
parte noi avevamo smarrito il sentimento, riconoscere questo ritorno del nostro
pensiero a sé stesso nel grande intuito speculativo del nostro ultimo filosofo
Hegel, sapere insomma che cosa noi fummo, che cosa siamo e che cosa
dobbiamo essere nel movimento della filosofìa, non come membri isolati e
scissi dalla vita universale del popolo, nè come avvinti al carro trionfale
d'un popolo particolare, ma come nazione libera ed eguale nella comunità universale.
Tale, o signori, è stato sempre il desiderio e l'occupazione della mia vita. Prolusione
alle lezioni di Storia della filosofia a Bologna (Modena, Tipografia
Governativa) Uno dei suoi propositi, giustificato dalla stessa tesi della
circolazione della filosofia italiana, e il tentativo di far uscire gli
intellettuali italiani dal provincialismo stagnante in cui versavano,
apportando loro gli elementi più innovativi del pensiero idealistico
d'oltralpe, per dare un fondamento filosofico-culturale al processo
rivoluzionario dell'unificazione nazionale. La rivoluzione storica da attuare
non e il programma neo-guelfo del primato morale e civile di GIBERTI che
ripudia in blocco la filosofia moderna, ma anda intesa hegelianamente come sttoria
della libertà, nella quale lo spiritualismo non significa un'involuzione, bensì
un riallineamento alle nazioni più avanzate. Son molti ancora in Italia i
quali tacciano di astratta e oscura la filosofia alemanna e, reputandola
contraria alla natura speculativa dell'ingegno italiano, si accontentano di una
maniera di sapere che non ha nessuna connessione con la nostra tradizione
filosofica -- è un perpetuo oltraggio alla memoria de' nostri sommi ed infelici
pensatori, e la principal cagione del decadimento della scienza tra noi.
Costoro dimenticano la storia della filosofia italiana, della quale furono gli
eroi e martiri i nostri filosofi. Non ricordano i roghi di BRUNO e di VANINI,
la lunga prigionia di CAMPANELLA, e l'umile pietra che, nel tempio de'
Gerolomini in Napoli, ricopre le ceneri di VICO, luce del nostro mondo
intellettuale. Non i nostri filosofi degli ultimi duecento anni, ma Spinoza,
Kant, Fichte, Schelling ed Hegel, sono stati i veri discepoli di BRUNO, di
VANINI, di CAMPANELLA, di VICO, ed altri illustri. – “Principii di Filosofia”. Non
si limita a recepire passivamente l'hegelismo, ma da avvio ad una sua profonda revision.
Introduce temi originali che cerca di riprendere dalla tradizione autoctona italiana.
In particolare, cerca di rispondere alle critiche di Trendelenburg, il quale
non vede come dal primo momento della logica hegeliana, quello dell'essere puro
e indeterminato, puo scaturire il divenire dialettico dello spirito, se non
tramite un'indebita intromissione dal di fuori. Per dimostrare l'identità
dell'essere col spirito, e quindi che l'Idea è intrinseca alla realtà storica,
avente come scopo la libertà, sostenne l'esigenza di mentalizzare o
kantianizzare» la logica di Hegel, unificando quest'ultima con la fenomenologia,
cioè col percorso conoscitivo del singolo individuo umano, che diventa
progressivamente auto-cosciente di avere in se stesso, nello proprio spirito,
tutta la realtà assoluta logicamente articolata. Riforma così la
dialettica hegeliana nell'ottica di Kant e Fichte, ritenendo prevalente l'atto
soggettivo (no inter-soggetivo) della coscienza trascendentale rispetto ad ogni
presupposto oggettivistico o inter-soggettivistico), valorizzando inoltre il
momento finale dello spirito rispetto alle fasi precedenti della logica e della
natura, situate fuori dall'auto-coscienza. È lo spirito la protagonista di ogni
originaria produzione. In maniera simile a Fischer, infatti, la deduzione
hegeliana, che dalla contrapposizione di essere e nulla faceva scaturire il divenire,
venne intesa in senso kantiano e fichtiano dando il primato alla sintesi
unificatrice del divenire: è lo spirito, nel suo perenne fluire, che dà luogo
all'essere, il quale, originariamente indeterminato e perciò in-concevibile, si
rivela un non-essere, essendo posto all'interno dello spirito stesso. Per
questo primato assegnato all'atto del concivere, fa da apripista all'idealismo
attuale di GENTILE. Per contrastare l'avanzata del positivismo che e penetrato
in Italia dopo la raggiunta unità nazionale, di fronte all'esaurirsi delle
spinte ideali che caratterizzano il Risorgimento, si impegna nella
valorizzazione dell'aspetto pratico del processo spirituale, per evitare la
caduta in un «stratto idealismo, che non cura né pregia lo sperimento. In
particolare riprende da VICO una concezione pratica e storica della metafisica
dell'assoluto, intendendo l'auto-coscienza hegeliana (quale Begierde, cioè
appetizione) come umanità, ovvero impeto che agisce nel soggetto
umano. Analogamente puo sostenere, nel tracciare LA STORIA DELLO SPIRITO
ITALIANO che è il soggetto umano a dare concretezza e coscienza di sè al
processo storico. La Riforma della modernità che abolisce i vecchi principi
della filosofia scolastica si basa per l'appunto sull'immanenza di Dio e sulla
capacità della coscienza umana di auto-determinarsi e di accedere direttamente
all'Infinito, come enunciano BRUNO e CAMPANELLA. Il riconoscimento del valore
infinito dell'uomo ha ripercussioni anche sulla concezione etico-politica, stimolando
studi e interessi sulla filosofia hegeliana del diritto. Permase una viva
concezione etica dello stato italiano, che lo indusse a rinvenire
nell'idealismo hegeliano la sintesi tra la corrente post-illuministica, basata
sull'arbitrio individuale soggetivo e su una concezione meramente
contrattualistica dello stato, ed il cattolicesimo liberale, fondato viceversa
sull'arbitrio divino e sull'aderenza dogmatico-confessionale al principio
d'autorità. Il suo liberalismo rigetta l'individualismo o soggetivismo che
privilegia l'interesse del singolo portandolo a servirsi dell'organismo
universale per i propri fini, distruggendo la società. Allo stato italiano
spetta dunque la funzione pedagogica di promuovere gli interessi DI TUTTI, di
ogni italiano, tutelando la famiglia, in cui si forma l'individuo o soggeto, e
al contempo la società civile. La famiglia e la società civile hanno la
loro verità nello stato. Dove lo stato italiano non è altro che famiglia (lo stato
patriarcale italiano), o una istituzione di pubblica sicurezza (polizia
italiana), non solo lo stato italiano non è il vero stato, ma né la famiglia né
la società civile esistono nella loro vera forma. Lo stato italiano è l'unità
del principio della famiglia e del principio della società civile (della
naturalità umana e del libero volere, del diritto e della moralità). Non è una
semplice associazione fondata mediante il libero arbitrio soggetivo, o il patto
inter-soggetivo etc, né una associazione puramente naturale. È tutto ciò
insieme. È assoluta soggettività etica dei individui.. Assoluta, perché è
sostanza; soggettività, perché è saputa e voluta dagli individui liberamente
come la loro stessa essenza etica e universalità. Dove manca tale sapere e
volere, lo stato italiano non è libera soggettività, e l'individuo non ha vero
valore (individualismo moderno). In altri termini, è la sostanza nazionale,
conscia veramente e realmente di se medesima; lo spirito del popolo (come tale,
come spirito etico) nella sua vera e perfetta esistenza – “Studi sull'etica
hegeliana”. Poiché il potere stesso dello stato italiano può essere utilizzato
da un individuo o da una classe in vista dei suoi interessi di parte, accetta
il modello costituzionale, sebbene non privo di conflitti tra particolarità e
universalità, nel quale la personalità dello stato italiano e elevata sopra la
lotta sociale. Ripudiando l'astratto cosmopolitismo, lo stato italiano va dunque
inteso come l'immanenza di dio, dell'universalità dello spirito italiano calato
nella concretezza della nazionalità del popolo italiano, tutti uguali, ratelli dell'umana
famiglia. È con S. soprattutto che la filosofia in Italia cessa d'essere
esercitazione accademica e vacua speculazione, si avvia a diventare organica
visione del mondo, da cui derivi e consegua una morale, si avvia cioè a
diventare religione laica, dando inizio a quel largo movimento di distacco di
intellettuali dalla chiesa cattolica. -- Arfé, L'hegelismo napoletano e S., in
«Società», Firenze. E uno dei maggiori teorici che si sforzarono dare un
un'impronta ideale e spirituale al percorso risorgimentale verso l'unità d'Italia,
non limitata all'ambito filosofico, come riconobbero in seguito storici e
studiosi del Risorgimento. Con lui e SANCTIS e giunta al culmine quella
motivazione politica della nazione italiana che e la caratteristica in forza
della quale il movimento sorto a Napoli supera i limiti di un episodio
regionale. Da noi, gl’italiani, al contrario che in Inghilterra e in Francia, l'hegelismo
non è stato solo una filosofia ma un elemento della vita civile della nazione italiana
nel momento culminante del suo Risorgimento. Landucci, L'hegelismo in Italia
nell'età del Risorgimento, Studi storici, Roma. Influsce profondamente, attraverso
la mediazione di JAJA, anche l'idealismo italiano di GENTILE, il quale porta a
termine il lavoro di kantianizzazione o mentalizzazione di Hegel avviato da lui,
trasformando la sua dottrina in un compiuto attualismo o filosofia dell'atto,
basata cioè sul perenne dinamismo dell'atto del pensiero. GENTILE cura
inoltre la pubblicazione della spaventiana prolusione e introduzione alle lezioni
di filosofia a Napoli, ri-nominandola significativamente La filosofia italiana,
ritenendola un saggio di carattere non solamente storiografico, ma soprattutto fenomenologico,
in cui cioè lo spirito della filosofia italiana esprime la sua ritrovata coscienza
di sè. GENTILE si confronta ampiamente con lui nella propria riforma della
dialettica hegeliana, oltre a raccogliere e sistemare alcuni suoi scritti
inediti, tra cui un frammento giudicato uno snodo importante verso la genesi
del proprio attualismo, contribuendo alla riscoperta e alla rinascita degli
studi intorno alla dottrina spaventiana. Anche l'idealista CROCE, che dopo
la morte dei genitori anda a vivere da S., segue le sue lezioni, apprezzandone
soprattutto lo spirito profondamente liberale. Altri di suoi scolari, o
allievi sono FIORENTINO, MATURI, JAJA, MASCI, TOCCO, LABRIOLA, ed ALFONSO.
Nuovi studi sono sorti in occasione del bi-centenario della nascita di S. e SANCTIS.
Altri saggi: La filosofia di Kant e la sua relazione colla filosofia italiana, Tipografica,
Torino; Principii di filosofia, Ghio, Napoli; Studi sull'etica di Hegel, Università,
Napoli; La filosofia di GIOBERTI, Tasso, Napoli; Saggi critici di filosofia,
politica e religione, Bruno, Roma, La dottrina della conoscenza di BRUNO, Università,
Napoli; Principi d’etica” (Pierro, Napoli); “La filosofia italiana nelle sue
relazioni con la filosofia europea” GENTILE, Laterza, Bari. “Logica e
metafisica” Gentile, Laterza, Bari. Opere, Gentile, raccolte e aggiornate da
Cubeddu e Giannantoni, Classici della Filosofia, Sansoni, Firenze. Opere,
saggio introduttivo, prefazioni, note e apparati di Valagussa, postfazione di
Vitiello, Bompiani, Milano. Articoli sulla filosofia tedesca (Kant, Fichte,
Schelling, Hegel), Petrone, Il Prato,
Edizione critica delle Opere psicologiche inedite Orsi, Lezioni di
antropologia, Psiche e metafisica Elementi
di psicologia speculativa, Sulle psicopatie in generale. Cit. in S., Antologia
degli scritti, Vacca, Bari, Laterza. Gentile: la filosofia italiana tra
idealismo e anti-idealismo, Angeli, Gentile e S., su treccani. Il contributo italiano alla storia del
pensiero, su treccani. Nel tempo che gl’ustriaci — ‘i tedeschi’ dicemo
generalmente in Italia — dimorano non solo nelle contrade lombarde e venete, ma
anche in Toscana, io non ho il coraggio di dire: filosofia tedesca. (nota di S.). Principii di Filosofia, Napoli, Ghio. Le
tradizioni filosofiche nell'Italia unita, di Rota. Perone, Ferretti,
Ciancio, Storia del pensiero filosofico,
Torino, SEI, Cit. di Gentile in Della vita e degli scritti di S., Scritti
filosofici” (Napoli, Morano). Altri saggi: “Sulle psicopatie in generale, o La legge del più forte, in cui si confronta
tra l'altro col darwinismo. Studi sull'etica
hegeliana, Napoli, R. Università, Il concetto di nazione (nazionalità) segna in
lui un superamento della filosofia hegeliana della storia basata sul
susseguirsi di popoli-guida (cfr. Carratelli, Storia e civiltà della Campania
(Napoli, Electa); Studii sopra la filosofia di Hegel; Unificazione nazionale ed
egemonia culturale, Vacca (Bari, Laterza); Garin, La fortuna nella filosofia
italiana, in L'opera e l’eredità di
Hegel, Bari, Laterza; Cubeddu, Da S. a Gentile: Kant e l’idealismo, in La
tradizione kantiana in Italia, convegno della Società filosofica italiana, Messina,
G. B. M.; La raccolta gentiliana delle sue opere venne riedita e curate da
Cubeddu e Giannantoni, e ri-stampata da Valagussa e Vitiello. Coscienza
nazionale, treccani. Gentile, S. (Firenze, Vallecchi); Vacca, Politica e filosofia
(Bari, Laterza); Bartot, L'hegelismo di S. Firenze, Olschki; Cubeddu, Edizioni
e studi (Firenze, Sansoni); Serra, Etica e politica (Roma, Bulzoni); Franchini,
Dalla scienza della logica alla logica della scienza” (Napoli, Pironti); Garin,
Filosofia e politica, Tognon, Napoli, Bibliopolis; Garin, Napoli, Bibliopolis, Gentile,
Coscienza nazionale, Chieti, Noubs; Origo, Perpetuazione e difesa della
filosofia italica (Roma, Bibliosofica); Savorelli, Il contributo italiano alla
storia del Pensiero Filosofia (Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana); Attualismo
Hegelismo Idealismo italiano Idealismo tedesco Treccani. Istituto
dell'Enciclopedia Italiana. Dizionario
di storia, Dizionario biografico degl’italiani, Fusaro, “S.: Il far intendere
Hegel all'Italia, vorrebbe dire ri-fare l'Italia”. Gentile e S., su treccani. Scritti filosofici.
Gentile. Gli hegeliani di Napoli e il Risorgimento. SAGGI DI S. SAGGI
PUBBLICATI DA S. Sulla quantità considerata nella sua espressione, Giornale
abruzzese, Napoli. Allo stato attuale delle ricerche, è il primo saggio pubblicato
da S. Un manoscritto dell’articolo — datato: Montecassino, e firmato: B. De
Laurentiis — è conservato nella Biblioteca civica di Bergamo. Il saggio non
sviluppa argomenti di carattere filosofico; tratta dell'oggetto e dei metodi
dell’analisi matematica, richiamando l’attenzione del lettore sulla cosiddetta
“serie di Taylor”, introdotta dal matematico Brook Taylor nello scritto
Metbodus incrementorum diretta et inversa. Il saggio Sulla quantità è stato
ristampato da Orsi nella raccolta degli Scritti inediti e rari di S. Pensieri
sull'insegnamento della filosofia, Il Costituzionale, Firenze. È il primo
scritto di S., fin quI conosciuto, che tratti di un argomento filosofico. E
scoperto da GENTILE dopo la pubblicazione del suo S., sicché non comparve nella
riordinata e accresciuta bibliografia inserita nella monografia gentiliana. I
Pensieri indicano nella filosofia della storia la dottrina capace di introdurre
i giovani ad una retta comprensione della filosofia hegeliana; e costituiscono
un documento importante per la ricostruzione del primo “programma” filosofico
di S. Sono stati ristampati da Gentile nel Giornale critico della filosofia
italiana”, Opere. II Socialismo e il Comunismo -- supplemento alla storia del
secolo per Stein Professore in Kiel. Prima versione dell'originale tedesco di S.,
Il Nazionale, Firenze, Rivista italiana, Torino. È un avviso scritto da S. allo
scopo di raccogliere sottoscrizioni per la sua traduzione — forse mai
pubblicata — della nota opera di L. von Stein, Der Socialismus und Communismus
des heutigen Frankreichs (ampliata e ripubblicata nel 1850 col titolo:
Geschichte der sozialen Bewegung in Frankreich vom 1789 bis auf unsere Tage).
Il testo dell’avviso pubblicato nel “Nazionale” di Firenze è stato rintracciato
e ristampato da Sergio Landucci, nel saggio S. fra hegelismo e socialismo;
quello apparso nella “Rivista italiana” di Torino, è stata, ripubblicato da
Orsi, nella sua edizione degli Scritti inediti e rari di S. Studi sopra la
filosofia di Hegel, Torino. In questo estratto sono raccolti due saggi apparsi
sulla “Rivista italiana” Torino, nuova serie, novembre e dicembre 1850. Sono
firmati: S.; non sono stati mai ristampati integralmente. Gli Studi sono un
documento di primaria importanza per intendere la direzione in cui si muovono
le idee filosofiche di S. Offrono al lettore, nella prima parte, una “idea
generale” del sistema hegeliano, costruita attraverso brevi riassunti delle
opere di Hegel; nella parte seconda, propongono una traduzione — che è una parafrasi,
e, sia pure in modesta misura, un commento — della Vorrede alla Fenomenologia
dello spirito. La rivoluzione e l’Italia: Diritto della rivoluzione -- I
filosofi -- Le conquiste della rivoluzione, in “Il Progresso” Torino. Con
questa serie di articoli si apre la collaborazione di S. al giornali torinese
“Il Progresso”, un foglio di sinistra, del cui consiglio di direzione faceva
parte Agostino Depretis. Un primo, importante gruppo di scritti ali S. dedicati
alla polemica sulla libertà di insegnamento in Piemonte, e pubblicati sullo
stesso giornale, è stato identificato e ristampato da Gentile nel volume La
lbertà di insegnamento; nello stesso anno, Gentile ristampava nella rivista “La
Critica” le False accuse contro l hegelismo, due articoli del “Progresso” dei
quali l’a. aveva annunziato la ristampa, con quel titolo, nella raccolta dei
suoi Saggi di critica, interrotta dopo il primo volume. A questi scritti
rintracciati da Gentile (il quale, nel 1924, scriveva che molti altri articoli
anonimi dello S. sono nello stesso giornale “Progresso”, facili a identificare
per la materia e per la forma”), si aggiungono ora, con La rivoluzione e
l’Italia, altri articoli identificati da I. Cubeddu, che rende conto del suo
lavoro nello scritto S. pubblicista (giugno-dicembre 1851) Nello stesso
articolo sono elencati alcuni scritti del “Progresso” che, per il contenuto e
per lo stile, potrebbero attribuirsi a S., ma per i quali non è stato possibile
trovare ragioni più persuasive della loro paternità. Gli articoli scritti per
il “Progresso” costituiscono il documento più interessante delle convinzioni
etico-politiche del filosofo; in quelli identificati da Cubeddu sono più
evidenti le tracce della lettura del libro di Stein, Der Socialismus und
Communismus, che S. si propose di tradurre. Oltre quella gentiliana, già
citata, degli scritti sulla libertà di insegnamento e delle False accuse, si
veda, in “Giornale critico della filosofia italiana”, la ristampa, con il
titolo Rivoluzione e utopia, della serie La rivoluzione e l’Italia, della serie
Le utopie, e dell’artiilo Rousseau, Hegel, Gioberti. L’Armonia e l’Assemblée
Nationale: I. L'idea, ILL L’uomo, in “Il Progresso” Torino. Scritti in polemica
con il quotidiano cattolico torinese “L’Armonia”, questi due articoli sono
apparsi anonimi, e non sono stati fin qui ristampati. Il sedicente partito
cattolico, in “Il Progresso” Torino. Articolo non firmato; non è stato mai
ristampato L'Accademia di filosofia italica, in “Il Progresso” Torino, II, n.
147, 24 giugno 1851. Articolo identificato da Gentile nel suo S. 204, p. 38 sg.
nota (= Opere), ma non incluso poi da lui nella biblioorafia degli scritti di
S. Non è stato mai ristampato; ma cfr. n. 9. Una riunione dell’Accademia di
filosofia italica, in “Il Progresso” Torino, II, n. 150, 27 giugno 1851.
Seguito dell’articolo precedente. Lo scritto è stato ristampato da Gentile nel
volume La libertà di insegnamento 108,135-138 (Opere). La libertà di
insegnamento. Gli scritti raccolti sotto questo titolo furono identificati dal
Gentile, e da lui ristampati. Sono tredici articoli, tutti dedicati alla
polemica sulla libertà di insegnamento in Piemonte, che apparvero nel
“Progresso. I primi cinque portano le date: 27 e 31 luglio, 7, 20 e 24 agosto;
altri due articoli, destinati Az corzpilatori della “Croce di Savoia”, sono del
3 e 12 settembre; gli ultimi sei, scritti in polemica col giornale
“Risorgimento” (Filosofia politico-offaciale), sono del 5, 8, 11 e 30 novembre,
e del 3 e 11 dicembre. Sono probabilmente di S. altri tre articoli che riguardano
la stessa materia, e che apparvero sul “Progresso” (Ura lezione ai fautori della libertà di
insegnamento), il 4 ottobre (La lbertà di insegnamento e il ministro della
Pubblica istruzione) e il 28 ottobre (La lbertà dei gesuiti) dello stesso anno.
Cfr. I Cubeddu, S. pubblicista, nota. False accuse contro l’hegelismo 1851. È
il titolo sotto il quale S. intendeva raccogliere e ristampare, nei Saggi di
critica, gli articoli: L’hegelismo messo in croce, in “Il Progresso” Torino,
II, n. 204, 29 agosto 1851. Lettere filosofiche. Lettera prima, in “Il
Progresso” Torino. I due articoli, firmati: Uro studente di filosofia,
enunciano o riprendono questioni discusse da S. dalle colonne del giornale
torinese: la distinzione di socialismo, comunismo e hegelismo; il problema del
rapporto tra il cosiddetto “panteismo” hegeliano e la libertà dell’individuo;
quello del rapporto di religione e filosofia; l’idea della filosofia “come
principio di rigenerazione nazionale”, ecc. Sono interessanti anche perché
contengono molti riferimenti a testi di Hegel, di Schelling, di Giordano Bruno,
di Karl L. Michelet, ecc. Il primo articolo è una risposta allo scritto di D.
Berti: I/ diritto individuale e il panteismo in politica, apparso nel giornale
“La Croce di Savoia”, di ispirazione cavouriana. S. non giunse a ristampare
questi articoli, che furono ripubblicati dal Gentile nel 1920, con il titolo
voluto dall’autore. Le utopie, in “Il Progresso, Torino. Si tratta di sei
articoli non firmati che, riprendendo da L. Stein la distinzione di “utopie” e
“idee storiche”, discutono il significato delle lotte politiche e sociali degli
ultimi sessant’anni. La serie è stata ripubblicata nel “Giornale critico della
filosofia italiana”, La scienza de’ fratelli della dottrina cristiana, in “Il
Progresso” Torino, II, n. 298, 17 dicembre 1851. Anonimo, mai ristampato.
Rousseau, Hegel, GIOBERTI, in “Il Progresso” Torino, II, n. 305, 26 dicembre
1851. Pubblicato anonimo, questo articolo è dedicato alla discussione del
rapporto che si istituisce tra “libertà oggettiva” e “libertà soggettiva” nelle
dottrine di Rousseau, di Hegel e di Gioberti; e contiene interessanti
riferimenti, oltre che a testi hegeliani, al Rinzovamento civile d'Italia. Le
argomentazioni di S. si sviluppano secondo una linea identica a quella con cui
lo stesso tema è introdotto nei precedenti Studi sopra la filosofia di Hegel 4;
lo stesso discorso svolgerà S. nel 1855, in un articolo di risposta al Tommaseo.
Lo scritto Rousseau, Hegel, Gioberti è ristampato nel “Giornale critico della
filosofia italiana”, Principii della filosofia pratica di Giordano Bruno, in
Saggi di filosofia civile, tolti dagli Atti dell’Accademia di filosofia
italica, Genova. S. aveva dato pubblica lettura di questo saggio a Torino, la
sera del 24 giugno 1851, nel corso di una riunione dell’Accademia di filosofia
italica, fondata da T. Mamiani. Il lavoro su Bruno - ispirato alle idee di
rinnovamento politico e sociale, che S. sosteneva negli articoli pubblicati dal
“Progresso” — è stato ristampato dall’a. nei suoi Saggi di critica Una lunga
recensione dei Princìpî è apparsa
nell’Appendice alla filosofia delle scuole italiane di A. Franchi, Genova (la
recensione è ricordata da G. Vacca, 141 bis, p. 10). Si legge a p. 217 sg. (e
cfr. p. 234 sg.): “il discorso di S., l’unico in cui la filosofia apparisca
trattata da un filosofo, l’unico di cui avrebbero potuto gloriarsi gli At
d’un’Accademia, diventa la censura più severa, per non dire la satira più
acerba, dell’Accademia italica e della sua filosofia; poiché le dottrine
dell’ardito discepolo di Bruno distruggono ad una ad una le teorie monche,
zoppe, tisicuzze, eunuche di Mamiani e Boncompagni”. Ma v. anche235 sgg., dove
si nega l'esattezza “storica” del giudizio per il quale principio del cristia
nesimo sarebbe l'identità di natura divina e natura umana; Franchi vuol
sottolineare la totale divergenza di cristianesimo e “razionalismo”, l’abisso
che separa le dottrine teoriche, morali, sociali del cristianesimo e la
“democrazia moderna”, figlia della Rivoluzione dell’89 e della filosofia. Frammenti
di studii sulla filosofia italiana del secolo XVI, in “Monitore bibliografico”
Torino Nella sua bibliografia delle opere di S., Gentile segnala che lo scritto
era preceduto dalla seguente avvertenza: “L'importante articolo che
pubblichiamo è parte di un lavoro dell’egregio filosofo sig. S. sopra la
filosofia del secolo XVI, particolarmente su quella di Giordano Bruno”. Lo
scritto non è stato mai ristampato; ad esso accenna lo stesso S., citandone
qualche brano, nella prefazione ai Principi di filosofia. La filosofia
neo-cristiana e il razionalismo in Alemagna, in “Il Cimento” Torino È il primo
scritto di rilievo ma cfr. n. 35 stampato nel periodico “Il Cimento”, rivista
di scienze, lettere e arti diretta da Zenocrate Cesari e pubblicata a Torino
fino alla fusione con la “Rivista contemporanea”, diretta da Luigi Chiala. Del
“Cimento” S. fu assiduo collaboratore: vi stampò, oltre a numerose recensioni,
e a polemiche assai note (come quella con la “Civiltà cattolica”), studi di ampio
respiro sulla filosofia italiana del Rinascimento. Il saggio La filosofia
neo-cristiana e il razionalismo in Alemagna, firmato con la sigla D. L. De
Laurentiis, fu scritto in occasione della traduzione italiana, a cura di Pietro
Torre, della Storia della filosofia del diritto di Fr. J. Stahl (Torino); è
importante per il rapporto che S. istituisce tra il pensiero di Gioberti e —
attraverso Stahl — gli sviluppi della filosofia classica tedesca. Il saggio è
stato ristampato da Gentile in Da Socrate a Hegel 98, 213-245 (= Opere, II, 207-236).
Recensione: Studi sopra Gans relativi al DIRITTO ROMANO, di A. Tarchiarulo
Napoli; in “Il Cimento” Torino, 31 marzo 1854, Recensione anonima, non
segnalata da Gentile, e attribuita a S. da A. Plebe. Campanella. Recensione
delle Opere di Campanella, precedute da un discorso sulla vita e le dottrine
dell'autore per Alessandro D'Ancona, Torino 1854; in “Il Cimento” Torino,
Recensione, non firmata, dell’edizione D'Ancona delle Opere di Campanella.
Nell’indice del fascicolo l’autore della recensione è indicato con la sigla B.
S. Lo scritto è stato ristampato da S. nei suoi Saggi di critica, come
introduzione agli altri studi campanelliani, raccolti nello stesso volume.
Congratulazioni e quistioni alla “Civiltà cattolica”, in “Il Cimento” Torino. Articolo,
non firmato, con il quale si apre la serie degli scritti polemici contro la
“Civiltà cattolica”. È stato ristampato da Gentile nel volume La politica dei
gesuiti, (= Opere, Campanella. Teoria della cognizione, in “Il Cimento” Torino,
Dopo la recensione al D'Ancona 19, che intendeva inquadrare la personalità di
Campanella nella storia del pensiero moderno, questi saggi sulla gnoseologia
campanelliana — apparsi nel “Cimento” con la firma: S. — offrono un raffronto
della dottrina del pensatore italiano con gli sviluppi della nuova filosofia
(in particolare, Cartesio, Kant, Fichte, e Hegel). Lo scritto è stato
ristampato da S. nei Saggi di critica 77, pp.33-101. Schelling, in “Il Cimento”
Torino, 15 ottobre 1854, 521-532. Articolo non firmato, scritto in occasione
della morte del filosofo tedesco. È interessante come documento delle letture
che S. andava utilizzando in questi anni (tra l’altro, lo Hegels Leben di K.
Rosenkranz), e per i riferimenti ai motivi “rivoluzionari” presenti nella
filosofia del giovane Hegel e del primo Schelling; infine per il giudizio —
negativo - sugli ultimi sviluppi del pensiero schellinghiano. Larghi brani
dell’articolo sono citati da Sergio Landucci, Il giovane S. tra begelismo e
socialismo 282, 684- 686, 688-690; il saggio è ora ristampato per intero, a
cura di D. D’Orsi, negli Scritti inediti e rari di S. Recensioni: De immacolato
Deiparae semper Vitginis Concepiti Caroli Passaglia e Societ. Jes. Commentarius
Pars I, Romae; (Della concezione immacolata di Maria Vergine ecc.); Elementi di
filosofia del prof. Pier Antonio Corte, vol. Etica e storia della filosofia,
Torino, Tip. Favale e Comp., 1854; Che cosa è il Diritto, ossia Introd. alla
scienza della filosofia del diritto per Antonio Bartoli Avveduti, Firenze 1854.
Dispensa 1; in “Il Cimento” Torino. Scritti non firmati, ristampati in parte
(con esclusione del discorso sugli Elementi di filosofia di P. A. Corte) in La
politica dei gesuiti 101, 219-239 (= Opere, Nuove congratulazioni e quistioni
alla “Civiltà cattolica”, in “Il Cimento” Torino, 16 novembre 1854, 689-704.
Articolo firmato con la sigla: S.; ristampato in La politica dei gesuiti, (=
Opere, 763-796). Recensioni: Proposta di alcune difficoltà, che si oppongono
alla definizione della immacolata concezione della B. Vergine Maria, Torino,
Tipografia del Progresso, 1854; Lettera di un sacerdote cattolico ai Vescovi
della Chiesa di Dio per rappresentar loro, che la sentenza dell’immacolata
concezione della B. Vergine Maria non può essere definita dottrina di fede
cattolica, Torino, Tipografia del Progresso, 1854; in “Il Cimento” Torino. Le
recensioni sono firmate: SS.; e sono state ristampate dal Gentile in La
politica dei gesuiti 101, 241-252 (= Opere, II, 964-975). Recensione: L’origine
e l’ufficio della filosofia dimostrati col fatto da Epifanio Fagnani, Torino
1854, Pelazza, tipografia Subalpina; in “Il Cimento” Torino. Recensione firmata
con la sigla: SS.; non è stata mai ristampata. Recensioni: Questioni di Stato
del conte Clemente Solaro della Margarita..., Torino, tipografia Speirani e
Tortone, 1854; Della responsabilità dello scrittore, orazione recitata nella ...
Università di Torino al 3 novembre 1854 dall'avvocato D. Pier Alessandro
Paravia..., Torino, Stamperia Reale, 1854; in “Il Cimento” Torino. Queste
recensioni, firmate: SS., sono precedute da una breve nota intitolata: Le
rostre riviste e la “Civiltà cattolica”. La recensione del libro del Solaro è
stata ristampata da Gentile in La politica dei gesuiti 101, 253-267 (= Opere,
Il, 976-988); sull'argomento della seconda recensione S. ritorna in un numero
successivo del “Cimento” 34. I Sabbati de’ Gesuiti. Si tratta di articoli
stampati — anonimi — dallo S. nell’appendice del giornale “Il Piemonte”,
quotidiano politico diretto da Luigi Carlo Farini, in due serie, tra il 16
gennaio 1855 e il 28 marzo 1856 (il 30 marzo dello stesso anno, “Il Piemonte”
cessava le pubblicazioni). I primi tre Sabbati sono stati ristampati dal
Gentile in La politica dei gesuiti (Opere); ma l’intera raccolta degli articoli
si può leggere ora negli Scritti inediti e rari di S. a cura di D. D’Orsi 123, 213-489.
Ci limitiamo qui a riprodurre le date degli articoli: “II Piemonte”, Prospetto
filosofico della storia del mondo umano di Cesare della Valle, duca di
Ventignano, Napoli, Alberto Detken libraio editore, 1854; in “Il Cimento”
Torino, 16 gennaio 1855, 66-70. La recensione è firmata con la sigla: SS.; è
stata ristampata in Da Socrate a Hegel (= Opere). Del principio della riforma
religiosa, politica e filosofica, in “Il Cimento” Torino. È un ampio studio,
che apparve, firmato, nel “Cimento”, e che l’a. ristampò nei suoi Saggi di
critica, con la data: Torino. II saggio, che riprende e sviluppa il tema della
genesi del pensiero moderno nell’età del Rinascimento, appare interrotto con la
terza puntata; nel ristamparlo, S. osservò che esso può considerarsi ancora
valido come introduzione alla “moderna filosofia italiana”, e che se ne debbono
considerare prosecuzione e compimento le lezioni napoletane del 1861 68. Una
nota della “Civiltà cattolica” contro “Il Cimento”, in “Il Cimento” Torino, 31
gennaio 1855, 144-146. Articolo firmato con la sigla: S.; è stato ristampato
dal Gentile in La politica dei gesuiti 101, 55-61, con il titolo: Lazzenti
della “Civiltà cattolica” (= Opere, II, 797- 803). Principi elementari di
filosofia morale ad uso delle scuole secondarie, 2a edizione, Torino, tip.
Paravia e comp., 1854; in “Il Cimento” Torino, 31 g. La recensione, firmata:
SS., non è stata mai ristampata. Del sistema della Curia romana opposto all'autonomia
dello stato, in “Il Cimento” Torino. L’articolo, firmato SS., fu scritto in
occasione della stampa della A/locuzione della Santità di Nostro Signore Pio IX
del 22 gennaio 1855, seguita da una esposizione corredata di documenti, ecc.,
Torino, tipografia Franco, 1855. È stato ristampato dal Gentile in La politica
dei gesuiti (Opere). Ancora dell’orazione sulla Responsabilità ecc. del prof.
Paravia; Maria Teresa e Maria Adelaide. Squarci di lezioni del prof. Paravia,
Torino, tip. Marietti; Il governo di Piemonte e la corte di Roma, per Massimo
d’Azeglio, Torino, Tip. Franco, 1855; in “Il Cimento” Torino, 28 febbraio 1855,
336-344. Recensioni firmate: SS. Per la prima, cfr. n. 27. La recensione al
D'Azeglio è ristampata in La politica dei gesuiti (Opere). La nostra polemica
con la “Civiltà cattolica”, in “Il Cimento” Torino, 15 marzo 1855, 438-445.
L’articolo — firmato con la sigla: S. — appartiene alla serie dedicata alla
polemica con la “Civiltà cattolica”. Non fu segnalato da Gentile: lo ha
identificato e ristampato Domenico D’Orsi, nella raccolta degli Scritti inediti
e rari di S. Al D’Orsi sembra che il contenuto di questo articolo (e quello di
uno scritto successivo, anche questo da lui identificato: cfr. n. Presenti una
sostanziale affinità con l’argomento di una “lettera” pubblicata dalla rivista
torinese nel 1852 (A/ direttore del giornale “Il Cimento”. Frammento di una
lettera sulla “Civiltà cattolica”, “Il Cimento”), lettera della quale dovrebbe
essere considerato autore lo stesso S.. Corso d’estetica, letto nell'Università
di Padova nell'anno 1844-45 dal prof. Vincenzo De Castro, seconda edizione,
Milano, Borroni e Scotti, 1855, vol. I; in “Il Cimento” Torino. La recensione,
firmata con la sigla: SS., non è stata mai ristampata. Opere complete di Emm.
Kant tradotte in francese da G. Barni, con introduzioni analitiche e critiche.
1. Critica della ragione pratica ecc. 2. Elementi metafisici della dottrina del
diritto, Parigi, 1848-1854; G. Barni (Esposizione critica della filosofia
pratica di Kant); in “Il Cimento” Torino. Recensione, firmata SS., delle
traduzioni kantiane di Jules Barni, e dell’ Exazzen des Fondements de la
métaphysique des moeurs et de la Critique de la raison pratique dello stesso
Barni (Parigi). Lo scritto è stato ristampato da Gentile nella raccolta Da
Socrate a Hegel 98, 123-150, con il titolo: La filosofia pratica di Kant e
Jules Barni (= Opere. Alcune considerazioni intorno alla separazione dello
Stato dalla Chiesa, del sacerdote Giacomo Margotti, dottore in teologia,
Torino, tip. Deagostini, 1854; in “Il Cimento” Torino. Recensione firmata con
la sigla: SS.; ristampata da Gentile in La politica dei gesuiti 101, 287-300 (=
Opere, Gli scolastici immaginarii della “Civiltà cattolica”, in “Il Cimento”
Torino Breve risposta alla “Civiltà cattolica” — firmata con la sigla: S. — a
proposito della interpretazione delle dottrine politiche di Suàrez e di
Mariana. Lo scritto segue immediatamente, nelle pagine del “Cimento”, alla
recensione del libro del Margotti. Non è stato segnalato da Gentile; lo ha
ristampato D. D’Orsi negli Scritti inediti e rari di S. 123, 205-206. Hegel
confutato da Rosmini. Saggio primo, in “Il Cimento” Torino L’articolo —
firmato: B. S. — denuncia i fraintendimenti sostanziali che stanno alla base di
alcune critiche di Rosmini alla filosofia di Hegel. La seconda parte del
saggio, che avrebbe dovuto illustrare la soluzione — dal punto di vista
hegeliano — delle difficoltà sollevate da Rosmini, non fu mai pubblicata. Ma la
critica di S. ebbe un seguito in un articolo contro il Tommaseo. Lo scritto su
Rosmini è stato ristampato da Gentile in Da Socrate a Hegel 98, 151-191 (=
Opere, Storia di uno studente di filosofia, di Giuseppe Piola, Milano, tip. G.
Bernardoni, ; in “Il Cimento. Torino. Recensione firmata con la sigla: SS.; è
stata ristampata da Gentile in Da Socrate a Hegel (Opere). Lo scritto ha suscitato di recente
qualche interesse, per i severi rilievi di S. alle acritiche osservazioni del
Piola sul socialismo (cfr. ad es. i saggi di Berti e di Landucci. L'Accademia di filosofia italica e Terenzio
Mamiani. Recensione dei Saggi di filosofia civile tolti dagli atti
dell’Accademia di filosofia italica, Genova, Grondona, 1855, vol. 2; in “Il
Cimento” Torino. Articolo firmato: B. S.. Contiene, in fondo, un indice dei
lavori pubblicati dall'Accademia, che non compare nella ristampa della
recensione, inserita dall’a. nei suoi Saggi di critica. Dell’importanza civile
del teatro drammatico, in “Il Cimento” Torino Il saggio è attribuito a S. da
Domenico D’Orsi, che ristampa l’articolo nella sua raccolta degli Scritti
inediti e rari del filosofo. Alla base dell’attribuzione sta il fatto che
l’articolo è firmato con una sigla (= S.), che l’autore soleva apporre ad
alcuni scritti pubblicati nel “Cimento”. Il saggio sembra peraltro presentarsi
come stravagante, per dir così, nella produzione spaventiana di questo periodo:
non tanto per l'argomento trattato, quanto per le idee che vi sono espresse (e,
più che espresse, insinuate) e per la forma in cui tali idee vengono offerte al
lettore. Il tema non è, di per sé, sconcertante: l’autore vuol sostenere il
valore del teatro drammatico come strumento di educazione intellettuale, morale
e sociale, in quanto esso è capace di presentare in veste sensibile l “idea”,
di avvicinare il “popolo minuto” al mondo del sapere. Ma l’autore, nel
giustificare la funzione mediatrice della letteratura drammatica, sembra
inclinare verso una convinzione che mi appare alquanto distante dalle tesi difese
altrove dallo S., in questi stessi anni: finisce infatti col suggerire la
superiorità della “fantasia” e del “sentimento”, del “cuore” e della “fede”,
sulla “ragione” e sull’ “intelletto”. E, similmente, il beneficio che la
letteratura drammatica può arrecare alla società, vien fatto derivare dalla sua
naturale capacità di insegnare le “vedute medie”, di additare una via che è
egualmente distante da ogni estremismo. Corso sommario di filosofia razionale,
del P. Vittorio Mazzini. Filosofia speculativa e filosofia morale, vol. due,
Genova La scienza della lingua di Guglielmo di Humboldt e la filosofia
hegeliana, per Enrico Steinthal, Berlino; in “Il Cimento” Torino Recensioni
firmate con la sigla: SS. Non sono state mai ristampate. Metodo della “Civiltà
cattolica” nel rispondere al “Cimento”, in “Il Cimento” Torino Articolo firmato
con la sigla: SS., e ristampato da Gentile in La politica dei gesuiti 101, 63-78
(= Opere, II, Campanella. III. Metafisica, in “Il Cimento, Torino. L'articolo,
che fa seguito alla recensione al D'Ancona e al saggio sulla gnoseologia di
Campanella, è firmato: B. S.; è stato ristampato dall’autore nei Saggi di
critica È un esame della metafisica campanelliana, della quale S. intende
cogliere e sceverare gli elementi nuovi, attraverso un raffronto con gli ultimi
sviluppi del pensiero moderno. L'analisi viene spinta fino al tentativo di un
confronto con il problema della logica e della fenomenologia di Hegel.
L’articolo doveva essere seguito da un saggio sulla Teoria della volontà; ma
l’ultima parte di questi studi campanelliani non fu mai pubblicata (cfr. Saggi
di critica, p. 135 nota). La nostra
polemica con la “Civiltà cattolica”. La teocrazia, in “Il Cimento” Torino. Articolo
firmato con la sigla: SS.; ristampato da Gentile in La politica dei gesuiti
101, 79-96 (= Opere, La logica o il problema della scienza nuovamente proposto
all'Italia da Paolo Morello, in “Il Cimento” Torino Recensione del libro del
Morello (La logica ecc.), pubblicato a Firenze (Barbera, Bianchi e Comp.). È
firmata: B. S.; è stata ristampata da Gentile in Da Socrate a Hegel 98, 299-321
(= Opere, Una diversa redazione della recensione è stata rintracciata da P. C.
Masini; cfr. Ur “pamphlet” antidemocratica...I trionfi dei gesuiti, in “Il
Cimento” Torino, 30 settembre 1855, 494-500. Articolo firmato con la sigla: AA.
È ristampato in La politica dei gesuiti
(Opere, II, 837- 848). La nostra polemica con la “Civiltà cattolica”.
Gli Scolastici, in “Il Cimento, Torino. Articolo firmato con la sigla: SS.
Ristampato parzialmente (manca una breve parte introduttiva) in La politica dei
gesuiti Joi, 111-28 (= Opere, II, 849-864). Sopra alcuni giudizi di N.
Tommaseo, in “Il Cimento, Torino. L’occasione a questa risposta di S. venne
offerta dalla commemorazione di Rosmini, che Tommaseo aveva pubblicato nel
1855, in più puntate, nella “Rivista contemporanea” di Torino (cfr. ad es., nel
fascicolo di settembre, 25 sg., una chiara allusione alle argomentazioni
sviluppate da S. in Hegel confutato da Rosmini 40). L’articolo — che è firmato:
B. S. — è importante anche perché ribadisce il raffronto tra Hegel e Gioberti —
già proposto dalle colonne del “Progresso” — a proposito dei concetti di legge,
volontà generale, ecc. Rousseau, Hegel, Gioberti: 14; e perché riprende il
motivo dell’accostamento Gioberti-Stahl. Lo scritto è ristampato in Da Socrate
a Hegel (Opere). Gli Scolastici. Suarez, in “Il Cimento” Torino, Articoli
firmati con la sigla: SS., e ristampati in La politica dei gesuiti (Opere). Gli
Scolastici. Concetto e metodo della dottrina tomistica, in “Il Cimento, Torino.
È l’ultimo degli articoli di S., apparsi sul “Cimento”, dedicati alla
interpretazione delle teorie politiche dei gesuiti del XVI secolo, in polemica
con la “Civiltà cattolica”. Gentile lo aveva ristampato già nel 1905, in Da
Socrate a Hegel 98, 51-64 (con il titolo: Concetto e metodo della dottrina
tomistica del diritto = Opere), prima ancora di raccogliere gli altri scritti
di S. sull'argomento nel volume La politica dei gesuîti. Dell’amore dell'eterno
e del divino di G. Bruno, in “Rivista enciclopedica italiana” Torino dispensa
prima, Il saggio è dedicato alla esposizione del contenuto degli Eroici furori.
È stato ristampato dall’a. nei Saggi di critica La “Civiltà cattolica” e la
“Rivista contemporanea”, in “Il Piemonte” Torino. L’articolo è stato ristampato
dal Gentile nell’appendice (Le tribolazioni di B. S. giornalista, 183-193: dove
sono riprodotti alcuni documenti delle vicende capitate allo S. in seguito alla
fusione del “Cimento” con la “Rivista contemporanea” di Luigi Chiala) del suo S.
204, 189-193 (= Opere, Della filosofia dopo Kant, ragionamenti di Michele
Baldacchini, Napoli 1854; in “Il Cimento” Torino Recensione firmata con la
sigla: SS.; è stata ristampata da Gentile in Da Socrate a Hegel (Opere), La filosofia dopo Kant secondo
Baldacchini. Saggi sulla filosofia del Mamiani (Critica dell’infinità
dell’attributo), in “Il Cimento” Torino. Nell’articolo S. critica
l’interpretazione proposta da T. Mamiani — nella prefazione alla traduzione
italiana del Bruno di Schelling, a cura di M. Florenzi Waddington 1844 — della
dottrina spinoziana della relazione sostanza- attributi. È da collegare agli
studi che S. andava svolgendo in questi anni sulla filosofia di Spinoza, e di
Giordano Bruno. L’articolo è stato ristampato dall’a. nei Saggi di critica 771,
367-403. La Enciclopedia scientifica, per T. Mora e F. Lavarino, Torino 1856;
in “Il Cimento” Torino, febbraio 1856, 212-220; e in “Il Piemonte” Torino, II,
n. 51, 28 febbraio 1856. Recensione, firmata con la sigla: SS., e pubblicata
nell'ultimo fascicolo del “Cimento”, che quindi fu assorbito nella “Rivista
contemporanea”. Nel “Piemonte”, lo scritto è firmato con la sigla: Z. Non è
stato mai ristampato. Il SENSUALISMO, Recensione di Études morales sur le temps présent, par E.
Caro, prof. ecc. (Paris 1856,
Hachette éditeur); in “Rivista contemporanea” Torino, maggio 1856, anno III,
vol. VI, 780-793. Recensione firmata con la sigla: S.; è stata ristampata da
Gentile in Da Socrate a Hegel 98, 247-273 (= Opere, Compendio di logica,
secondo l’ultimo programma, ecc., del prof. Giuseppe Tesio (Torino, Tip.
scolastica di Sebastiano Franco e Comp.); in “Rivista contemporanea, Torino. Recensione
firmata con la sigla: S. Non è stata mai ristampata. Philosophie sensualiste au
dix-buitième siècle par M. Victor Cousin (troisiîme éd. revue et corrigée,
Parigi 1856); in “Rivista contemporanea, Torino. La recensione è firmata con la sigla: S. È stata
ristampata da Gentile in Da Socrate a Hegel (Opere, Considerazioni sulla
dottrina di Socrate del prof. G. M. Bertini (estratte dalle “Memorie della R.
Accademia delle scienze” di Torino, serie II, torno XVI); in “Rivista
contemporanea, Torino. Lo scritto, come molte altre recensioni di S., è in
realtà un ampio studio; e tratta del pensiero di Socrate secondo i principi
dell’hegelismo. A questo articolo — che è firmato: B. S. — doveva seguirne un
secondo, mai pubblicato: cfr. le notizie di Gentile premesse alla ristampa del
saggio, da lui ripubblicato in Da Socrate a Hegel; La dottrina di Socrate
(Opere). Logique, par A. Gratry Paris);
in “Rivista contemporanea” Torino La recensione è firmata: S.; non è stata mai
ristampata. Della logica o della teoria della scienza, libri tre di Vincenzo
Garelli, Oneglia, Tip. Tasso, 1856; in “Rivista contemporanea” Torino.. È
l’ultimo scritto pubblicato da S. nella “Rivista contemporanea”. Non stato mai
ristampato. Articoli per la Nuova enciclopedia popolare. L’'editore Pomba
prepara una nuova edizione — che cominciò a pubblicarsi in quell’anno, ed ebbe
diverse ristampe — della sua Erciclopedia popolare, Torino. A proposito della
collaborazione di S. a questa iniziativa, riassumiamo in breve le notizie
fornite da Gentile nella bibliografia degli scritti del filosofo inserita nel
suo S. Quando, con lettera del 7 dicembre 1858, Francesco Predari, direttore
dell’opera, propose a S. di collaborare all’Enciclopedia, si stava preparando
il materiale relativo alla lettera E. Il primo articolo fornito da S. fu:
Ellenismo; l’ultimo — a quanto pare — fu l’importante scritto su Kant. S. collaborò
all’Enciclopedia fino ai primi mesi del 1860. Sul verso della lettera d’invito
del Predari, S. ha annotato le “voci” — articoli interamente rifatti, oppure
corretti sul testo della prima edizione dell’opera — via via consegnate
all'editore. Ecco l’elenco delle voci annotate: E/leziszo, Empirismo, Ente
supremo, Epicuro, Epitteto, Facoltà dell'anima, Fanatismo, Fantasma, Fatalismo,
Fede, Felicità, Fenomeno, Ferecide, Fichte, Ficino, Filosofia, Galluppi (un
brano di questo articolo si può leggere in G. Gentile, S. 204, 95 sg. = Opere,
Ig 83 sg.), Germanica filosofia, Giamblico, Gioberti (corrisponde in parte al
capitolo su Gioberti delle lezioni napoletane), Giudizio. È probabile, scrive
Gentile, che S. abbia anche provveduto alla stesura di qualche altro articolo,
compreso tra gli esponenti Giudizio e Kant. Come risulta dalla stessa lettera
del Predari, S. avrebbe dovuto compilare anche gli articoli: Italica filosofia,
Ermeneutica, Errore, Esegesi, Esistenza, Esoterico, Esperienza, Essenza,
Essere, Eudemonismo, Evidenza. Gentile dà notizia, infine, di una lettera di
Luigi Pomba allo S. del 2 gennaio 1861, che conteneva un invito a continuare la
sua opera per l’Enciclopedia; e di una lettera di Antonio Tari del 28 luglio
1861, che proponeva a S. di trattare per una eventuale sua collaborazione alla
stessa opera. La filosofia di Kant e la sua relazione colla filosofia italiana,
estratto dalla Nuova enciclopedia popolare, Torino 1860, 72. Cfr. n.
precedente. L’articolo, che si ispira largamente all’interpretazione hegeliana
di Kant, contiene un ampio raffronto, assai articolato, degli sviluppi del
criticismo in Germania e in Italia. Era stato scritto da S. già nel 1856, come
risulta da una sua lettera del 10 dicembre di quell’anno al fratello Silvio
(Silvio S.); ma probabilmente, prima di darlo alla stampa, il filosofo ebbe
modo di integrarlo e correggerlo. È stato ristampato da Gentile negli Scritti
filosofici di S. 96, 1-79 (= Opere, I, 173-255); il saggio è composto di una
breve introduzione, e di tre parti, intitolate rispettivamente: I) Principio
speculativo della filosofia di Kant; 2) Il kantismo in Italia (Galluppi e
Rosmini); Il CHITICISINO. Carattere e sviluppo della filosofia italiana,
prolusione alle lezioni di storia della filosofia nell'Università di Bologna,
Modena 1860, pp.39. È la nota prolusione in cui viene proposta la tesi della
“circolazione del pensiero italiano” nel pensiero europeo, e vengono offerti i
primi risultati dei nuovi studi sulla filosofia contemporanea in Italia,
collegati ai lavori torinesi su Bruno e Campanella, e integrati da una nuova
valutazione della dottrina di Giambattista Vico. Il discorso di S. è ristampato
negli Scritti filosofici (Opere).Prolusione e introduzione alle lezioni di
filosofia nella Università di Napoli. È il testo che raccoglie i risultati
fondamentali delle ricerche di S. intorno al “carattere” e allo “sviluppo”
della filosofia italiana dall’età del Rinascimento fino al Gioberti. La
prefazione è datata: Napoli, ottobre 1862. Il volume contiene: I) la prolusione
Della nazionalità nella filosofia (con una appendice sulla filosofia indiana);
2) le dieci lezioni sulla storia del pensiero italiano, dai filosofi del XVI
secolo ai contemporanei; 3) lo Schizzo di una storia della logica, che rende
conto dello sviluppo “della filosofia occidentale” (i.e. della filosofia
tedesca) considerato “dal punto di vista logico” (sono protagonisti di questa
storia Kant, Fichte, Schelling e Hegel). Una nota allo Schizzo contiene un
breve scritto su Spizoza e Cartesio, che riprende alcuni temi dei primi studi
torinesi su Spinoza (l’interpretazione di Mamiani, la controversia
Erdmann-Fischer sul concetto di attributo, ecc.). Per il “manifesto” che
annunziava la pubblicazione dell’opera, proponendone la vendita per sottoscrizione,
cfr. n. 69. Il volume è stato ristampato da Gentile nel 1908 e, in terza
edizione, nel 1926, sempre con il titolo: La filosofia italiana nelle sue
relazioni con la filosofia europea (99 = Opere, IL 405 sgg.). La filosofia di
Gioberti, Napoli Alla prima parte dell’ampio studio, considerato da molti
critici a partire dal Gentile, che lo definì il “capolavoro” di S.) l’opera
maggiore del filosofo, doveva seguire un secondo volume, che non fu mai pubblicato.
Questo “primo” volume è diviso in quattro libri, che sottopongono a critica: 4)
la dottrina della conoscenza di Gioberti; 5) il carattere dogmatico della
costruzione della formula ideale: l’ente crea l’esistente; c) il contenuto
della formula, identico al contenuto del panteismo (Gioberti = Spinoza); d) il
tentativo di Gioberti di ricorrere alla “rappresentazione” religiosa, per
scongiurare l'esito panteistico della dottrina. Un quinto libro, che avrebbe
occupato l’intero secondo volume, doveva dimostrare il passaggio dell’ultimo
Gioberti (soprattutto dell'autore delle Postuzze) all’idealismo. Nella
prefazione dell’opera, datata: Napoli, ottobre 1863, l’a. dichiara che i
risultati dello studio su Gioberti costituiscono il presupposto e il fondamento
delle tesi esposte nelle prime lezioni napoletane cfr. n. precedente, e che il
seguito del suo lavoro sarebbe stato costruito attraverso un raffronto
minuzioso tra la dottrina di Gioberti e quella di Ilegel. Della Filosofia di
Gioberti usciva, nel 1870, una curiosa “edizione”: Bernardo sic S., La
filosofia di Gioberti, volume unico, Napoli, Tipografia del Tasso (le copie del
1863 recavano l’indicazione: Napoli, Stab. tipogr. F. Vitale). Ma in questa
“edizione” appare cambiato solo il frontespizio; e lo stesso deve dirsi della
“seconda edizione”, Napoli, Domenico Morano, 1886. Come la Prolusione e
introduzione, e insieme ad essa, la Filosofia di Gioberti fu pubblicata per
sottoscrizione, e annunziata con un manifesto, che riproduciamo qui dalla
bibliografia gentiliana del 1924 204, 206-208: “I. La Prolusione tratta della
Nazionalità della Filosofia. — Sono possibili, dopo il medio evo e ne’ tempi
moderni, tante filosofie nazionali, quanti sono i popoli civili di Europa? O
invece quelle che si dicono filosofie nazionali non sono altro che momenti
particolari dello sviluppo comune della filosofia moderna nelle diverse
nazioni? Si può dire, p. e., che ci sia una filosofia italiana essenzialmente
diversa da una filosofia francese, inglese, tedesca, come si dice che ci è
stata una filosofia greca essenzialmente diversa da una filosofia indiana? E in
generale, il genio proprio originario d’una nazione, il quale si specchia e
riconosce così nettamente nella lingua, nella letteratura e nell’arte in
generale, e ne’ costumi, deve e può discernersi anche — oggigiorno e in Europa —
in quella forma e attività universale dello spirito, che si chiama filosofia? E
discernersi in essa, non già come differenza e carattere naturale, letterario o
artistico, ma come intuizione universale o pensiero della realtà delle cose:
come problema, indirizzo, soluzione? “L’autore, compendiando gli ultimi
risultati della storia della filosofia, ed esponendo la differenza essenziale
della nazionalità moderna dall’antica, mostra che — se è vero che la filosofia
indiana e la greca sono, più o meno, intimamente nazionali — comune, invece, ed
unico è il carattere, lo sviluppo e l'indirizzo generale della filosofia ne’
popoli moderni; che, se ci ha una differenza tra il genio filosofico italiano e
quello delle altre nazioni, o in altre parole se esso ha o almeno ebbe un
privilegio sopra gli altri popoli — questo fu solo l’aver precorso due volte i
due principali periodi della filosofia moderna: cioè il cartesiano ne’ filosofi
del Risorgimento e specialmente in Bruno e Campanella, e il kantiano in Vico; e
val quanto dire il nuovo Nazuralismo e il nuovo Spiritualismo; e che se noi
vogliamo ancora e possiamo avere un privilegio, questo è quello di precorrere
ed effettuare un nuovo e più largo indirizzo, una nuova e più ampia soluzione
del problema dello spirito. Ma ciò a un patto; e questo è di non rigettare
tutto quel che si è fatto da un gran pezzo fuori d’Italia o meglio che in
Italia, ma studiarlo, comprenderlo, appropriarcelo; e solo così, entrati in più
largo orizzonte, conosciuto meglio noi medesimi e ritemperata la nostra vita
nella perpetua corrente della vita universale, fare un gran passo innanzi, non
nel vuoto, ma colla piena coscienza delle nostre forze, del nostro cémpito, del
compito comune. “E posto anche, che ci sia stata o ci sia una filosofia propria
italiana, distinta essenzialmente o opposta a quelle delle altre nazioni, quale
è e dove si trova ella mai? Si sa, che di libertà filosofica in Italia ce n'è
stata sempre poca o niente, e chi se l’ha presa, gli è costato assai caro.
Dov'è dunque la filosofia italiana, ne’ libri delle vittime o in quelli de’
persecutori? Il problema più difficile per noi — quello senza la cui soluzione
noi non possiamo fare e progredire davvero — è il riconoscere qual sia e dove
sia il vero pensiero italiano. Finché non si fa ciò — e il farlo non è cosa
così agevole — il gridare nazionalità in ogni cosa servirà bene a eccitare e
intorbidare il sentimento e talvolta anche le passioni, ma non produrrà niente
di serio nella scienza. “La Introduzione è lo sviluppo e la dimostrazione della
intenzione principale della Pro/ustone. L'autore espone il carattere e il
progresso del pensiero italiano nei maggiori nostri filosofi dal secolo XVI
sino al nostro tempo: Campanella, Bruno, Vico, Galluppi, Rosmini, Gioberti; e
dimostra come questo pensiero non solo non si oppone al pensiero europeo, ma
concorda schiettamente con esso; che Campanella e Bruno sono i precursori di
Cartesio e Spinoza (e in parte di Locke e Leibniz); che Vico, esigendo una
nuova Metafisica e fondando la filosofia della storia, anticipa il nuovo
antropologismo, quello che il Gioberti chiama trascendente e identico al vero
ontologismo; che Galluppi, Rosmini e Gioberti rappresentano in Italia questo
nuovo indirizzo; e che Gioberti specialmente non è, come si crede, l’antitesi
di tutta la filosofia moderna, ma differisce dall’ultimo gran filosofo europeo
in tutt'altro che nel vero principio, metodo e risultato della sua filosofia.
“IL Questa breve storia del pensiero italiano, considerato in sé stesso e nella
sua intima connessione col pensiero europeo, è come una naturale introduzione
alla seconda opera di maggior mole: la Filosofia di Gioberti. “Quest'opera è
divisa in cinque parti; la prima delle quali concerne la teorica giobertiana
della conoscenza, e le altre quattro il sistema propriamente detto. “Nella
prima parte l’autore espone gli elementi del conoscere secondo Gioberti:
intuito, riflessione (psicologica e ontologica), parola, sovrintelligenza; e
dimostra come il concetto di questi elementi e della loro relazione (del
conoscere) cangi e si sviluppi nella mente del Gioberti di maniera, che la
teorica sembri una continua contradizione. E pure ciò che pare contradizione
non è altro nel Gioberti, che una determinazione sempre più schietta e profonda
del proprio pensiero. “Secondo l’autore, ci è nel Gioberti davvero una
contradizione, radice di tutte le altre, la quale si manifesta chiaramente
nella prima forma del sistema; e tutto il progresso della speculazione del
nostro filosofo consiste nel risolverla. Così quel che pare contradizione e non
è, è appunto la soluzione della vera contradizione. “Conforme a un tal concetto
l’autore espone nelle tre altre parti questa contradizione, e considera il
sistema nella sua prima forma. L'ultima parte comprende la soluzione più o meno
reale della contradizione, e la seconda forma del sistema. “Tutta questa
esposizione — così della teorica della conoscenza come del sistema — è fatta di
maniera, che la vera e nuova forma della filosofia giobertiana apparisca come
il risultato necessario della critica della prima: come una nuova posizione,
che deriva per una dialettica necessaria dall’antica. Quel che nella storia
della filosofia si vede comunemente solo nella successione de’ filosofi, cioè
che l'uno compia l’altro risolvendo le contradizioni del suo predecessore, qui
si vede in uno stesso filosofo: Gioberti nella seconda forma non fa che
compiere e quasi ricreare sé stesso. Tutta l’opera è corredata di documenti,
specialmente dove l’interpretazione e la critica possono parere arbitrarie e
forse troppo lontane dal modo comunemente ricevuto d’intendere il Gioberti”.
70. Le prime categorie della logica di Hegel, in “Atti della Accademia di
scienze morali e politiche” di Napoli. È il testo che racchiude il primo — e
assai noto — tentativo spaventiano di interpretazione delle prime categorie
della logica hegeliana cfr., per gli altri scritti di S. sull'argomento, i nn.
76, 93, 103. Suscitò già qualche interesse in ambiente hegeliano cfr. n. 1441;
doveva essere discusso più tardi da Gentile come documento della nascita del
“nuovo idealismo. Il saggio, preceduto da una breve introduzione, si divide in
tre parti: i) Esposizione de’ concetti: essere, non essere, divenire, esserci;
2) Obbiezioni e risposte; 3) Il movimento come primo (Trendelenbnrg). Fu letto
all'Accademia napoletana in tre sedute, il 16 agosto, e il 6 e 30 settembre
1863. Un riassunto della memoria fu pubblicato nella “Rivista napoletana di
politica, letteratura e scienze”. Lo scritto si può leggere ora nella raccolta
gentiliana degli Scritti filosofici di S. (Opere, Spazio e tempo nella prima
forma del sistema di Gioberti, in “Rendiconto delle tornate e dei lavori della
Accademia di scienze morali e politiche” di Napoli. Nella concezione
giobertiana dello spazio e del tempo appaiono manifeste le difficoltà e le
contraddizioni della formula ideale, e, quindi, dell’intero sistema. È questo
il tema della “nota”, letta all'Accademia di Napoli il 7 agosto 1864, e
ristampata più tardi negli Scritti filosofici,
(= Opere). La dottrina della conoscenza di Giordano Bruno, in “Atti
dell’Accademia di scienze morali e politiche” di Napoli. Ristampato dall’a. nei
suoi Saggi di critica. Tema centrale dello scritto è l’analisi del concetto di
“mente” in G. Bruno: S. si propone di mostrare che non è legittimo identificare
l’intuito intellettuale di Bruno con un atto di fede, o con una forma di
apprensione nondiscorsiva, mistica, dell’assoluto. Ma il saggio è noto anche
perché contiene una importante e assai discussa digressione sul tema della
separazione dello stato della chiesa. Il
concetto dell’infinità in Bruno, in “Rendiconto delle tornate e dei lavori
dell’Accademia di scienze morali e politiche” di Napoli. Sul concetto di
infinito in Bruno e Spinoza (e Hegel). L’avvio al discorso di S. è dato da una
osservazione contenuta nella Storia della filosofia moderna di H. Ritter: in
Bruno vi sarebbe confusione di infinito e indeterminato. Lo scritto di S.
risale certamente, nel suo nucleo originario, al periodo torinese: nel
ristamparlo nei Saggi di critica 77, 256-267, l’a. vi appose la data: “Torino
1853. Napoli 1866”. 74. Il concetto dell’opposizione e lo spinozismo, in
“Rendiconto delle tornate e dei lavori dell’Accademia di scienze morali e
politiche” di Napoli, VI (1867), 89- 98. In Spinoza è già presente l’esigenza
di attribuire alla sostanza una negatività interna, che consenta di superare
gravi difficoltà della dottrina (il parallelismo degli attributi). Questa
esigenza è soddisfatta dalla logica hegeliana, con il concetto di opposizione;
il tema è, per l’a., ancora attuale, e viene riferito alle discussioni sul
metodo delle scienze comparate. Il saggio fu letto all'Accademia napoletana il
7 luglio 1867; lo ha ristampato Gentile negli Scritti filosofici (Opere). La Scolastica e Cartesio, in “Rendiconto
delle tornate e dei lavori della Accademia di scienze morali e politiche” di
Napoli. È una nota letta all'Accademia di Napoli il 18 agosto 1867. L’autore
l’ha ripubblicata nei Saggi di critica, in appendice alla ristampa del saggio
Del principio della riforma., come “chiarimento” tratto dalle lezioni bolognesi
di storia della filosofia (1860- 61), e dalle lezioni napoletane del 1864-65.
Principii di filosofia, vol. I, Napoli L’opera, che si pubblicava a dispense, è
rimasta interrotta. Comprende una prima sezione (La conoscenza) che riassume
parzialmente il contenuto della Feromzenologia (è caduta tutta la parte
cosiddetta “storica” del testo hegeliano), e una seconda sezione (La logica),
che riproduce liberamente il contenuto della Wisserschaft der Logik, fino alla
prima parte della logica dell’essenza (capitolo secondo della prima sezione: la
differenza). L'esposizione della logica hegeliana accoglie i risultati del
saggio sulle Prizze categorie 70, e si appoggia spesso ai manuali più noti,
circolanti in ambiente hegeliano (Kuno Fischer, Karl Rosenkranz ecc.). Nelle
“aggiunte” che S. introduce nel corso dell’esposizione sono frequenti i
riferimenti e i confronti con i filosofi italiani, anche contemporanei. S.
aveva esposto, e continuò ad esporre più volte la Logica di Hegel nei suoi
corsi napoletani: secondo una testimonianza di Maturi, raccolta da Gentile. In
base a un manoscritto affidatogli da Maturi, Gentile poté pubblicare
l'esposizione completa della logica di Hegel fatta dallo S. (Opere). Interessante
— e assai nota — la prefazione dei Principi; nella quale l’a. rifà la storia
del proprio cammino, e ribadisce le ragioni del suo idealismo, in un clima
filosofico ormai mutato o prossimo a mutare radicalmente. 77. Saggi di critica
filosofica, politica e religiosa, vol. I, Napoli. L’a. cominciò a raccogliere e
a ristampare i suoi scritti in questo primo volume di Saggi, rimasto poi unico.
Una “seconda edizione” della raccolta porta la data del 1886; ma anche in
questo caso, come per la Filosofia di Gioberti 69, è mutata solo l’indicazione
dell’editore (Morano, anziché: Stab. tip. Ghio), e quindi il frontespizio. Nel
volume sono ripubblicati Campanella), Bruno, Del principio della riforma, Mamiani)
di questa bibliografia. L’a. ci offre un elenco generale dei saggi che si
proponeva di ristampare nei prossimi volumi. Oltre a quelli già compresi in
questo primo, avrebbero dovuto essere ripubblicati — raggruppati, anch’essi,
sotto diversi titoli — gli scritti che in questa bibliografia compaiono
Roswzini, Kant, Gioberti, Hegel, Socrate, Carattere e sviluppo ecc. Scorse
bibliografiche). Un ultimo gruppo di saggi, sotto il titolo: Polerzica con la
“Civiltà cattolica”, comprende una scelta degli articoli pubblicati nel
Cimento; ma i titoli forniti in questo elenco non corrispondono sempre a quelli
originali. L’elenco dei saggi compilato da S. fornì a Gentile un valido
strumento per rintracciare molti scritti del filosofo, ed un primo criterio
generale per la sua edizione delle opere del maestro 96. La raccolta spaventiana
dei Saggi di critica è stata ristampata con il titolo: Rinascimento, Riforma,
Controriforma. Paolottismo, positivismo, razionalismo, lettera a Meis, in
“Rivista bolognese di scienze e lettere. La “lettera”, che porta la data: 8
maggio 1868, è una chiara testimonianza dell’ “umanismo” di S.;} ed è anche un
attacco violento rivolto contro certe alleanze strette in quegli anni tra
cattolici e positivisti. Ricca di “sarcasmo heiniano”, come notò il Gentile, ha
conservato gran parte della sua freschezza, ed è uno dei documenti che più
hanno attirato l’attenzione dei critici. È ristampata negli Scritti filosofici
(Opere), con una serie di note che ne chiariscono la genesi e i numerosi
riferimenti. 79. Studi sull’etica hegeliana. L’assoluto, il relativo e la
relavione assoluta, in “Rivista bolognese di scienze e lettere. È il “proemio”
agli Studi sull’etica hegeliana cfr. n. seg., del quale l’a. ha anticipato qui
la pubblicazione. Il proemio ha, del resto, una sua autonomia: è destinato ai
sostenitori del positivismo, per mostrar loro che nell’idealismo hegeliano sono
già accolte, anzi soddisfatte, le esigenze fondamentali della filosofia
positiva. 80. Studi sull’etica hegeliana, in “Atti della Accademia di scienze
morali e politiche” di Napoli. Cfr. n. precedente. Libera esposizione
dell’etica hegeliana, che ripercorre i motivi centrali della Filosofia del
diritto. Occasione esterna dello scritto fu un rilievo di T. Mamiani, il quale
osservò che la filosofia di Hegel comporta la negazione della vita morale.
L’esposizione di S. si apre con un esame dei presupposti metafisici dell’etica;
e contiene, nel suo sviluppo, interessanti riferimenti a questioni attuali
(alle polemiche sulla pena di morte, per esempio, e alle difficoltà interne
alla monarchia costituzionale). Lo scritto è stato ristampato da Gentile nel
1904 (Opere). 81. De’ limiti della cognizione, in “Rendiconto delle tornate e
dei lavori della Accademia di scienze morali e politiche” di Napoli; e in
“Giornale napoletano di filosofia e lettere”, diretto da S., F. Fiorentino e V.
Imbriani. Nel “Giornale napoletano” alla ristampa, col titolo Su limiti della
cognizione, della nota del 1871 (pp. 43-47) è aggiunta la discussione di
un’opera del Savarese del 1856 (pp. 47-56). L’intero saggio è ristampato negli
Scritti filosofici (Opere). 82. Recensione: La vita di Giordano Bruno, scritta
da D. Berti, Torino Giornale napoletano di filosofia e lettere”, diretto da S.,
F. Fiorentino e V. Imbriani, 1872, vol. I, 1-25. Severa recensione dell’opera
del Berti; ripubblicata da Gentile in Da Socrate a Hegel 98, 65-102 (= Opere,
II, 71-105). 83. Sulle psicopatie in generale, in “Giornale napoletano di
filosofia e lettere”, diretto da S., F. Fiorentino e V. Imbriani. A proposito di una lezione di Salvatore
Tommasi Sulle psicopatie, il cui testo fu pubblicato nel “Morgagni, Napoli. Con
questa serie di articoli S. interviene anche nella polemica nata dalle
osservazioni di Luigi De Crecchio (pubblicate dallo stesso “Morgagni”), alle
quali rispose Tommasi in due lettere che replicano ad altrettanti scritti
polemici del De Crecchio. La lezione Sulle psicopatie e le due risposte si
possono leggere in S. Tommasi, I/ naturalismo moderno, scritti vari a cura di
A. Anile, Bari. La discussione sulla natura delle psicopatie è ripresa da S.
sul piano di un discorso che abbraccia il problema generale del rapporto tra
fatti organici e funzioni psichiche; il filosofo vuoi mostrare che l’idealismo
hegeliano ha già superato le difficoltà “metafisiche” che sembrano rinascere
sul piano della scienza. L’anima si distingue certo dal corpo, non però in
virtù di una distinzione reale, sostanziale, ma come “funzione” e “processo”
psichico, come “senso di sé” irriducibile ad una somma di elementi fisici o
chimici: in questo senso le psicopatie non possono ridursi ad una semplice
alterazione fisica o chimica dell’organismo. Gli articoli di S. sono ristampati
in Da Socrate a Hegel 98, 339-430 (= Opere, II, 321-404). La citata raccolta di
scritti del Tommasi contiene in appendice un saggio di G. Gentile, La filosofia
di Salvatore Tommasi (pp. 273-298), in cui sono accostate la prolusione del
medico-filosofo: Il naturalismo moderno (del 15 novembre 1866), e alcune pagine
dei Principi di filosofia di S4 76: 84. Note sulla metafisica dopo Kant, in
“Rendiconto delle tornate e dei lavori della Accademia di scienze morali e
politiche” di Napoli. È una nota che riprende l'argomento già introdotto nel
proemio agli Studi sull’etica begeliana 79, e che fu letta all Accademia
napoletana il 17 ‘agosto 1873; è stata ristampata da Gentile nella raccolta
degli Scritti filosofici 96, 333-338 (= Opere, I, 523-529). 85. La legge del
più forte, in “Rendiconto delle tornate e dei lavori della Accademia di scienze
morali e politiche” di Napoli. Saggio breve, ma importante, che discute dal
punto di vista idealistico la dottrina di Darwin. Fu letto all'Accademia
napoletana il 3 settembre 1874; lo ha ristampato Gentile nella raccolta degli
Scritti felosofici 96, 339-352 (= Opere, I, 531-544). 86. Idealismo o realismo?
Nota sulla teoria della conoscenza: Kant, Herbart, Hegel, in “Rendiconto delle
tornate e dei lavori della Accademia di scienze morali e politiche” di Napoli.
La nota, letta all’Accademia di Napoli il 6 settembre 1874, è stata ristampata
negli Scritti filosofici 96, 353-366 (= Opere, I, 545-559). 86 bis. Una delle
principali difficoltà della Fenomenologia dello spirito, in “Rendiconto delle
tornate e dei lavori della Accademia di scienze morali e politiche” di Napoli,
XV (1876), 10-14. Riproduce, con lievi modifiche, alcune riflessioni che si
leggono in una lettera al fratello Silvio dell’ottobre 1857 (cfr. Silvio S., .
Gli spaventiani S.ti, in “Fanfulla” Roma, 26 marzo 1876. È uno scritto
satirico, in forma di lettera, documento della polemica nata dalle critiche di
F. Acri allo scritto di F. Fiorentino: Considerazioni sul movimento della
filosofia in Italia dopo l’ultima rivoluzione del 1860 (1874). La lettera si
può leggere in F. Fiorentino, La filosofia contemporanea in Italia 158, 467-471.
88. Kant e l’empirismo, in “Atti della Accademia di scienze morali e politiche”
di Napoli. È un ampio studio (ristampato da Gentile negli Scritti filosofici
96, = Opere, nel quale si intrecciano motivi tratti da antiche riflessioni,
rinnovate a contatto o in polemica con gli sviluppi del “nuovo” empirismo, nato
in Germania come revisione o come critica radicale dei risultati della
filosofia di Kant. Il saggio anticipa una serie di argomentazioni e di
conclusioni che saranno elaborate in un manoscritto del 1881, edito nel 1915
dal Gentile con il titolo: Introduzione alla critica della psicologia empirica.
Osservavi ioni del socio S. sulla interpretazione letta dal socio Bonghi di un
luogo di Platone (Repubblica, X, 611a), in “Atti della Accademia di scienze
morali e politiche” di Napoli, XVI (1881), 7. Le Osservazioni sono ristampate
in Scritti filosofici 96, 367-376 (= Opere, I, 561-569). Nella ristampa,
Gentile fornisce chiarimenti sulla discussione sorta attorno alla memoria del
Bonghi: Una prova dell'immortalità dell'anima nella “Repubblica” di Platone
(pubblicata nello stesso volume degli “Atti”). 90. La sintesi a priori e il
nesso causale, in “Rendiconto delle tornate e dei lavori della Accademia di
scienze morali e politiche” di Napoli, XXI (luglio-agosto 1882), 14-16; e in
“Giornale napoletano della domenica”, I, n. 18, 30 aprile 1882. È il sunto di
una memoria letta all’Accademia di Napoli il 2 aprile 1882. È ristampato negli
Scritti filosofici 96, 379-382 (= Opere, L 573-576); nel pubblicarlo, Gentile
osserva che il sunto anticipa in forma contratta gli argomenti sviluppati nel
secondo capitolo di Esperienza e metafisica 94, sicché la memoria intera si
identifica con quel capitolo dell’opera di S. pubblicata postuma, nel 1888. 91.
Un luogo di Galilei, in “Rendiconto delle tornate e dei lavori della Accademia
di scienze morali e politiche” di Napoli, XXI (luglio-agosto 1882), 5-8. Sunto
di una memoria letta all’ Accademia napoletana il 3 luglio 1882; è ristampato
in Scritti filosofici (Opere). Cfr. le notizie date da Gentile intorno a questo
breve scritto: il luogo di Galilei riguarda il rapporto tra intelletto divino e
intelletto umano, ed è tratto dalla Giornata prima, in fine, dei Dialoghi sui
massimi sistemi; il sunto (e quindi la memoria) ha una evidente relazione con
il capitolo XII di Esperienza e metafisica 94. 92. Un fatto logico e un
problema metafisico, in “Rendiconto delle tornate e dei lavori della Accademia
di scienze morali e politiche” di Napoli, XXI (settembre 1882), 3-10. La logica
formale ci insegna che da ogni determinazione del pensiero è possibile derivare
sempre una nuova (anche solo formalmente) determinazione; ma è incapace di
attingere il principio di questa “generazione”, di cogliere quella
“produttività più alta e originaria” che sembra identificarsi con la
“produttività del pensiero in generale”: così conclude S. questa nota letta
all’ Accademia di Napoli il 4 settembre 1882, e ristampata poi dal Gentile
negli Scritti filosofici 96, (Opere). Esame di un’obbieione di Teichmiiller
alla dialettica di Hegel, in “Atti della Accademia di scienze morali e
politiche” di Napoli. Questa memoria apparve negli Atti dell’Accademia
napoletana dopo la morte di S., ma era già uscita in estratto — riferisce
Gentile, ristampandola negli Scritti filosofici (Opere) — l’anno stesso della
scomparsa del filosofo; il quale ne aveva letto un sunto il io dicembre 1882,
che fu pubblicato nel “Rendiconto delle tornate e dei lavori dell’Accademia di
scienze morali e politiche” di Napoli, XXI (novembre- dicembre 1882), 23-24. La
memoria riprende il problema della interpretazione della logica hegeliana, già
impostato nel saggio sulle Prize categorie, ampliandone e in parte rinnovandone
la discussione sotto lo stimolo delle riflessioni, maturate negli ultimi anni,
sui progressi delle scienze naturali e della nuova psicologia. L’obbiezione
alla dialettica di Hegel, a cui S. si riferisce, è nello scritto Die wirkliche
und scheinbare Welt, 1882, dell’herbartiano G. Teichmiller; il quale ricorda lo
scritto e la figura dello S. nella sua Religronsphilosophie. SAGGO PUBBLICATI
DALLA SCUOLA. Esperienza e metafisica. Dottrina della cognizione, Torino. Importante
lavoro, pubblicato postumo a cura di Jaja, il quale rende conto dei criteri
adottati per l'edizione nella prefazione indirizzata a Silvio S.. Jaja accenna
agli ultimi studi di S., che, a partire dal 1870, si interessò esclusivamente
della nuova filosofia dell’esperienza (p. VII), e vide e volle mettere in
chiaro il concetto di una “nuova” metafisica, che non è quella avversata dai
positivisti. Su questa idea e sul problema della nuova metafisica Jaja
ritornerà, con un riferimento diretto a S., nella sua prefazione agli Scritti
filosofici 96 curati da Gentile. Il manoscritto di Esperienza e metafisica fu
elaborato da S. tra il 29 novembre 1881 e i primi di dicembre del 1882;
rifluiscono in esso alcuni brevi scritti dati alle stampe in precedenza cfr.
nn. 90, 91. Nel volume è ristampato, in appendice, l’abbozzo di un saggio su
Protagora del giugno- luglio 1880, che ha una evidente relazione, per la data
della composizione e per il contenuto, con il frammento sulla dialettica
hegeliana edito da Gentile. L’introduzione dell’a. all'opera, per la quale
sembra avesse scelto egli stesso il titolo con il quale fu poi pubblicata, è un
interessante bilancio della storia della filosofia negli ultimi vent'anni. La
domanda, che presenta in forma semplificata il problema implicito in tutte le
discussioni e in tutte le polemiche più recenti, riguarda la possibilità di una
metafisica, dopo la critica kantiana. Il tema è trattato da S. attraverso una
serie di riferimenti a Kant, in primo luogo, poi alla Ferorzenologia e ai
problemi della logica hegeliana, a Darwin, a Spencer, a Stuart Mill, e, in
generale, alle correnti e alle dottrine che confluiscono nel cosiddetto
positivismo; il lavoro appare interrotto in quelle pagine nelle quali l’a.
riprende il tema già abbozzato in Ur luogo di Galilei. Una legione di S. pubblicata da Maturi, Napoli. Sul rapporto tra
scienza (= scienze particolari) e filosofia (“quella sola che realizza
l’umanità del sapere”). La lezione non è stata mal ristampata. SAGGI EDITI DA
GENTILE. Scritti filosofici, raccolti e pubblicati con note e con un Discorso
sulla vita e sulle opere dell'autore da Giovanni Gentile e preceduti da una
prefazione di Donato Jaja, Napoli. Nella raccolta sono ristampati (= Opere) gli
scritti di S. ordinati in questa bibliografia.La breve prefazione di Jaja (pp.
VII-XVII) condensa in poche pagine una decisa — e chiara, nella sua tematica
semplificata — interpretazione della filosofia di S., interpretazione che
costituìù per lo stesso Jaja un presupposto del proprio pensiero, e che era
destinata a passare nella rielaborazione attualistica della problematica
spaventiana. Il punto di partenza della nuova filosofia è nell’idealismo
kantiano (preparato da Vico: secondo la “scoperta” di S.); è, chiarisce Jaja,
nel tentativo di “spiegazione o intellezione, prima che degli avvenimenti che
la storia registra, del grande, unico, perenne e perpetuo avvenimento, che è
l’atto stesso dell’intellezione, l’atto del conoscere, il conoscere. Questa è
l’eredità, questo il problema dell’idealismo “nuovo” (o post-kantiano o
assoluto). La filosofia si riduce all’analisi della “potenza conoscitiva”;
analisi iniziata da Kant, completata, nelle linee essenziali, da Hegel, ma
“aperta sempre al pensiero speculativo”, giacché “per la difficoltà sua e per
la nuova soluzione che prepara a tutti i problemi della vita, deve essere un
farsi e rifarsi perenne nella umana coscienza”. Conclude Jaja: “Se analisi è
luce, non poca è la luce di cui si ha bisogno, perché la potenza conoscitiva,
così varia e complessa nei suoi elementi e nella costituzione sua, e nondimeno
una sempre e identica a se stessa in tutti i periodi di sua storica esistenza, in
tutta la sua sterminata esistenza, passi dallo stato iniziale dell’esser suo al
suo stadio finale, non sopprimendo alcuno dei suoi interni stimoli, ma dando a
tutti una più ordinata e sana e compiuta soddisfazione. Di quest’analisi
splendono gli scritti, che in questo volume si ripubblicano, di S., e tutti gli
altri suoi”. Il “discorso” di Gentile Della vita e degli scritti di S.
(ristampato con integrazioni e modifiche nel 1924, cfr. 204), che si conclude
con la prima bibliografia delle opere del filosofo, è diviso in sette
paragrafi. Il primo raccoglie le notizie intorno agli studi e alle vicende di
S. fino al 1850; va notato l’accenno all’influsso esercitato da O. Colecchi, il
rilievo dato alla figura di S. Cusani (e alla sua “retta” interpretazione del
concetto kantiano di categoria), infine l’assunzione delle idee espresse da
Silvio S. sul “Nazionale” (“un giornale... politico filosofico arieggiante in
qualche modo quelli della sinistra hegeliana tedesca) come documento delle
prime convinzioni etico-politiche di S. Il secondo paragrafo (pp. XXXV sgg.)
tratta degli esordi di S. scrittore a Torino (Studi sopra la filosofia di
Hegel, primi lavori su Bruno, ecc.), con qualche riser va sul carattere “tra
l’enfatico e il declamatorio” di questi scritti. Agli articoli contro la
“Civiltà cattolica” è dedicato il terzo paragrafo: fornisce le notizie
essenziali intorno alla polemica, e ai periodici “Il Cimento” e “Il Piemonte”,
che l’ospitarono; e qualche indicazione sulle rassegne e sulle recensioni
apparse sul “Cimento” e sulla “Rivista contemporanea”, nel decennio torinese di
S. G. sottolinea il pregio anche letterario degli scritti polemici di S., nei
quali l’a., “ingegno satirico”, Si serve con bravura dell’ “ironia”: un’ironia
che coincide con la stessa “ironia della storia”, che veniva “ineluttabilmente
trionfando degli antichi pregiudizi e interessi” della “vecchia reazione”
contrapposta alle “nuove libertà. Il quarto paragrafo, il più ampio di tutti
(pp. LV-XC), è dedicato alla teoria della “circolazione del pensiero italiano”:
che è — giudica ora G. — “il maggior titolo” di S. storico e filosofo, un’
“intuizione geniale”, “che è, ripeto, la parte più originale dell’opera sua. G.
distingue due parti o momenti nella costruzione della teoria, analizzandone
minutamente l’elaborazione: gli studi sul Rinascimento (Bruno, Campanella, e il
loro rapporto con Cartesio e Spinoza), poi quelli su Galluppi, Rosmini e
Gioberti (con particolare attenzione al volume del 1863) e la posizione del
rapporto Vico-Kant (che, malgrado Jacobi, non ha veri precedenti, e resta una
“scoperta” autentica di S.). G. ricorda le vicende relative alla chiamata di S.
a Napoli, introduce una rapida, netta caratterizzazione dell'ambiente
napoletano (sono rimaste le pagine su “il tipo del giobertiano di Napoli”: XCIII
sgg.), riassume la polemica con L. Palmieri sulla “nazionalità” della
filosofia. Passa quindi a trattare dei corsi di S. e dei suoi studi hegeliani,
in primo luogo della memoria su Le prize categorie “dove si agita e risolve in
maniera originale il problema fondamentale della dialettica hegeliana, che è
pure il problema fondamentale di tutta la filosofia di Hegel. Lo studio di S.,
qui riassunto, è giudicato “assai rilevante”; G. ne richiama i precedenti (K.
Werder, K. Fischer), lamentandosi — con Labriola — della scarsa attenzione che
questi lavori hanno destato fuori d’Italia. Si occupa poi dei Prizcipi di
filosofia e degli Studi sull’etica hegeliana, battendo sul carattere non
dommatico dell’idealismo di S. (“non si chiuse mai in quell’astratto idealismo,
che non cura né pregia il sapere sperimentale”, p. CVII), ricordando
l'affermazione — contenuta nei Principi — del carattere pratico del sapere (“la
chiave d’oro della nuova gnoseologia dopo Kant”, già individuata da Marx, e
ancora da sviluppare convenientemente, p. CVIII sg.), e riferendo estesamente
le discussioni sulla pena di morte e la posizione assunta da S., diversa da
quella del Vera (distinto da S., secondo uno schema ormai corrente, come
campione dell’ “ortodossia”). Ricorda, G., il corso di antropologia del
1863-64, e conclude: “Di tal fatta erano tutti i suoi corsi. L’anima
ispiratrice era sempre l’hegelismo; ma la sentenza hegeliana riceveva il
conforto della storia ed era posta a cimento con le più recenti dottrine; infine
raffrontata sempre a quelle dei nostri filosofi e come italianizzata e fatta
nostra” (p. CXIII). Con le notizie intorno alla fondazione del “Giornale
napoletano di filosofia e lettere” e alla lotta contro il “paolottismo”
fiorentino si apre il sesto paragrafo; che discute ampiamente lo scritto sulle
psicopatie, l’interpretazione del darwinismo (“e anche in questa accettazione
del trasformismo naturale il Nostro opponevasi agli insegnamenti di Hegel”),
infine Esperienza e metafisica (con i testi connessi), analizzando la tematica
della “nuova metafisica” (il concetto di apriori, del trascendentale, ecc.;
interessante la saldatura tra questi studi e il saggio sulle Prizze categorie:
“Questa sintesi i.e. la sintesi apriori “presupposta” da Kant da Hegel è rintracciata
nella sua prima origine, nella forma più astratta, indeterminata: nel concetto
del divenire dell'essere che è non essere, in quanto è pensiero, come l’autore
aveva dimostrato nella memoria sulle Prizze categorie”). Un paragrafo tratta
dello scritto contro Teichmuller sulla dialettica hegeliana, e si chiude con un
“ritratto” del filosofo (G. si richiama anche alla commemorazione di
Fiorentino: cfr. n. 163) e con una dedica “ai giovani” del volume: che imposta
«i problemi fondamentali del pensiero moderno” e offre un sicuro orientamento
per il futuro sviluppo degli studi filosofici, riassumendo l’opera di S. “le
nostre tradizioni genuine, donde bisogna trarre gli auspici”. Dopo la
bibliografia degli scritti di S. — che G. ripresenterà, corretta anch’essa e
accresciuta, nella monografia del 1924: cfr. n. 204 — il curatore introduce una
breve nota per chiarire i criteri della raccolta, tracciando anche il piano dei
prossimi volumi. Gl Scritti filosofici raccolgono per ora i saggi più
rilevanti, e “originali”, dell’a., dispersi in atti accademici e riviste non
facilmente reperibili. L’elenco dei saggi spaventiani, introdotto dal filosofo
nella raccolta del 1867 cfr. n. 77 costituì per G., oltre che una guida per la
ricerca, un criterio di scelta (G. rispetta l’esclusione dalla ristampa degli
Studi sopra la filosofia di Hegel, e dei Frammenti del 1852); e un criterio,
infine, per l'ordinamento degli scritti. 97. Principi di etica, Napoli. Ristampa
degli Studi sull’etica hegeliana (80 = Opere, I, 595 sgg.). Alle 173-181, G.
inserisce due brani tolti dai Principi di filosofia: dalle 94-97 (Concetto
della filosofia. Relazione della filosofia con l’esperienza) (Il processo
dell’autocoscienza riconoscitiva). Nella prefazione (ristampata in G. Gentile,
Saggi critici, serie prima, Napoli), dopo aver difeso lo stile e il linguaggio
filosofico di S., G. si sofferma su due punti di qualche importanza; il
rapporto tra diritto e moralità in Hegel (e in S.), il concetto e la
collocazione del “sopramondo” (arte, religione, filosofia) nel sistema.
Particolarmente interessante l’intervento sulla prima questione: la precedenza
— ideale — del diritto (del diritto “astratto”, che non va confuso col diritto
positivo, col diritto come legge) rispetto alla morale, come suo elemento
costitutivo, non autorizza l’identificazione della dottrina hegeliana con
quella “associazionistica”, che fa del sentimento del dovere un semplice
effetto della sanzione. La discussione di questo punto consente a G. di toccare
la questione dello “stato etico”, e di respingere l’interpretazione secondo la
quale Hegel fa dipendere la morale dallo stato. È lo stato, anzi, che si fonda
sulla morale; “né può dirsi, che Hegel torni col suo ideale dello stato al
concetto pagano, per cui l’uomo esisteva per lo stato, e non lo stato per
l’uomo... perché uomo e stato sono unu et idem” (Opere). G. risponde così,
senza nominare l’autore, a un rilievo di F. Masci (“Kant aveva considerato lo
stato come mezzo, Hegel lo concepì come fine. Retrocesse così fino al concetto pagano,
che l’uomo esiste per lo stato, non lo stato per l’uomo...”: La libertà nel
diritto e nella storia secondo Kant e Hegel, Napoli). Da Socrate a Hegel, nuovi
saggi di critica filosofica, Bari. Ristampa (cfr. ora Opere, II, 1-104) degli
scritti ordinati in questa bibliografia. La prefazione di G. (ripubblicata in G.G.,
Saggi critici, serie prima, Napoli 1921, 167-175) spiega, in primo luogo, il
sottotitolo (“nuovi saggi”): la raccolta viene presentata come “compimento” del
“disegno dell’autore”, parzialmente realizzato con i Saggi del 1867 77. Un
volume a sé costituiranno gli articoli ristampati poi sotto il titolo La
politica dei gesuiti 101; altri scritti (le False accuse contro l’hegelismo,
11) non sono stati ancora rintracciati dal curatore; G. dà notizia, infine,
della scoperta dello studio Sulla quantità I. Non era prevista da S. la
ristampa de La filosofia neocristiana e il razionalismo in Alemagna, ma il
curatore ha voluto includere l’articolo, per il suo pregio intrinseco, e per la
diffusione che ebbe in Italia la filosofia del diritto di J. Stahl, criticata
qui da S. Concludono la prefazione alcune osservazioni sulla “forma
clandestina” che ebbe l’attività letteraria del filosofo, e l'invito a
riannodare, attraverso S., il “filo prezioso” della tradizione filosofica
italiana; degna di rilievo la proposta — già introdotta, in forma diversa, nel
Discorso — di un parallelo S. — De
Sanctis: “quello che furono per la letteratura i Saggi critici del De Sanctis,
furono per la filosofia i Saggi di critica dello S.” (p. XIV = Opere, II, p.
8). Tra le recensioni, va ricordata quella, positiva, di M. Losacco (Pagine
sparse di S., “Fanfulla della domenica”, 20 maggio 1906; poi in M. L.,
Educazione e pensiero, Pistoia 1911, 195-201), che sottolinea l’importanza
degli articoli sulle psicopatie (de La frlosofia neocristiana e il razionalismo
inAlemagna e di altri scritti spaventiani dedicati a Schelling discorre M.
Losacco nella rassegna: La filosofia dello Schelling in Italia, in “La cultura
contemporanea, Roma. Una stroncatura di Giuliano il Sofista = Giuseppe
Prezzolini, in “Leonardo”, III (1905), ottobre-dicembre, 204-209, denuncia il
“profondo e fondamentale misticismo, accompagnato da forme teologiche e da
espressioni religiose”, della dottrina di Hegel e di S.. La filosofia italiana
nelle sue relazioni con la filosofia europea, nuova edizione con note e
appendice di documenti, Bari 1908, XXII-307; terza edizione, Bari 1926, XXIII-307.
Ristampa, con il titolo cambiato dal curatore “in quello più determinato che
era suggerito dallo stesso argomento del libro”, della Prolusione e
introduzione del 1861-62 (68 = Opere, II, 405-719); con l’aggiunta, in
appendice, delle lettere (anch’esse del 1861-62) tratte dal carteggio tra
Silvio e S., e già pubblicate da G. nel 1901 127. La prefazione di G.
(ristampata con il titolo La filosofia italiana e B.S. in G. G., Saggi critici,
serie seconda, Firenze 1927, 197-208) è particolarmente importante, per due
motivi. Primo, perché G. ribadisce la continuità tra il programma spaventiano
del1862 e il compito attuale della filosofia (sua giustificazione come “sapere
assoluto”). La ricostruzione dei momenti attraverso i quali S. conquistò per
sé, in queste lezioni, l’unità del punto di vista storico e del punto di vista
scientifico (“il libro pare una polemica, ed è una ricerca; pare una mera
storia, ed è una fenomenologia dello spirito, cioè vera e propria filosofia”)
introduce G. alla discussione (allargata attraverso un rinvio esplicito allo
scritto del 1907 I/ circolo della filosofia e della storia della filosofia) del
secondo punto: identità di filosofia e storia della filosofia (grande storico è
chi realizza, come S., la legge dell’identità di filosofia e storia della
filosofia), identità e distinzione di storia delle idee e storia biografica, di
storia delle idee e storia della civiltà. Se una riserva si può avanzare contro
questa “storia” di S., essa riguarda la denuncia della responsabilità della
chiesa cattolica, che avrebbe impedito il libero sviluppo del pensiero italiano
del Rinascimento, e determinato il “vuoto” tra Campanella e Vico, tra Vico e
Galluppi. Ma la prospettiva storiografica di S. resta, agli occhi di G., salda
e valida tuttora. L’edizione del 1926 si avvale di un accurato raffronto con il
testo del 1862 e scioglie e rende espliciti molti riferimenti di S. ai filosofi
del Rinascimento. Tra le edizioni scolastiche della Filosofia italiana, va
ricordata, in primo luogo, quella curata dallo stesso Gentile per la casa
editrice Sansoni, Firenze 1937; poi un'edizione a cura di G. Tarozzi, Torino
1937; una a cura di E. Vigorita, Napoli 1938; una a cura di G. Ponzano, Padova
1941; e quella più recente curata da B. Widmar, Roma 1955. 100. Due frammenti
di uno scritto inedito di B. S. contro il positivismo (I. La relatività della
conoscenza secondo E. Littré; II. La smaterializzazione del cervello), in “La
Critica.. Si tratta di due frammenti dell’Introduzione alla critica della
psicologia empirica, pubblicata per intero nel 1915 105. La politica dei
gesuiti nel secolo XVI e nel XIX. Polemica con la “Civiltà cattolica”
(1814-T1), Milano- Roma-Napoli 1911, XXXIV-312. Sono ripubblicati qui,
nell’ordine, gli articoli e le recensioni contrassegnate in questa bibliografia
(ctr. Opere, II, 721-1020). Molto
importante la prefazione (si può leggere anche in G. G,, Saggi critici, serie
seconda, Firenze 1927, 173- 196, dov'è ristampata con il titolo Gt scritti
politici di B. S.) anche come documento della presa di posizione di Gentile, in
questi anni, sulla questione dei rapporti tra lo stato e la chiesa. La
prefazione si può dividere in due parti. La prima contiene una analisi delle
opposte ragioni che si scontrano nelle polemiche sulla separazione della chiesa
dallo stato, in Piemonte, nel decennio di preparazione. Sono due logiche che si
oppongono; quella dei gesuiti, più stringente, ma 2456 formale (la logica
“della morte”), e quella della politica di Cavour, la logica “della vita”, una
logica forse “zoppicante”, ma conforme alla realtà, che “non è così
impeccabilmente logica, come la vorrebbe la logica dei gesuiti; e si contenta,
anzi vive di contraddizioni che è atta essa stessa a risolvere” (p. XI = Opere,
II, p. 727). La vera religione dello Statuto era quella consentita dalla
eguaglianza dei cittadini di fronte alla legge, la religione dello stato “che
non riconosce se non se stesso, e nel cittadino non vuole se non il cittadino:
la religione immanente al luogo della cattolica apostolica romana” (Opere).
Nella seconda parte, G. chiarisce le occasioni delle polemiche di S.,
ricostruisce il programma del “Cimento”, traccia un profilo dei suoi
collaboratori, e riconosce a S. un gran merito: “B. S. con la sua filosofia
diede alla politica cavouriana la coscienza della logica che vi era immanente:
che non era propriamente la logica della separazione della chiesa dallo stato,
ma della negazione (e conservazione) della chiesa nello stato” (pp. XXIX sg. =
Opere). La fede nella immanenza del divino in tutte le forme della vita, e
quindi nello stato, in quanto tale, consentì a S. di muovere, fin dal 1854-55,
“in soccorso della politica emancipatrice dello stato”; la lotta non ebbe
allora pieno successo, ma dagli scritti di S. è possibile trarre ancora serie
indicazioni. “E poiché la lotta non è terminata e c’è sempre una chiesa, in
Italia, contro lo stato, e questo ha sempre bisogno di acquistare la coscienza
distinta della propria laicità, che è la infinità stessa, di cui parlava S.,
quel che la sua opera politica non ottenne nel decennio, l’otterrà senza
dubbio, senza fretta, lungo il cammino della nostra democrazia nella libertà”
(Opere). Da La politica dei gesuiti edita da Gentile dipendono due edizioni più
recenti di questi articoli di S.: la scelta a cura di 2457 F. Fergnani (B. S.,
Polemiche coi gesuiti, Milano), e quella curata da F. Alderisio (B. S., Lo
stato moderno e la libertà di insegnamento, Firenze). Agli studi di S. sulle
dottrine dei gesuiti, anticipatori, nel secolo XVI, di Rousseau e della
sovranità popolare, si riferisce in più luoghi G. Saitta, La scolastica del
secolo XVI e la politica dei gesuiti, Torino 1911, XI-311, soprattutto nella
seconda parte (pp. 113 sgg.), in cui sono esaminate le dottrine di Suàrez,
Bellarmino, Mariana. Va segnalato infine un articolo pubblicato sull’ “Avvenire
d’Italia” (I/ domina dell’immacolata e B.S.) che contiene un aspro attacco
contro il filosofo (ma anche grossolani errori a proposito del testo spaventiano;
cfr. La leggenda dell’idealismo, “Giornale critico della filosofia italiana”,
XVI, 1935, 426 sg... 102. Logica e metafisica, nuova edizione con l’aggiunta di
parti inedite, Bari 1911, XI-456. Ristampa dei Principi di filosofia (76 =
Opere) con l’aggiunta dell’ultima parte, rimasta fin qui inedita. Maturi — che
ebbe modo di ascoltare più volte, tra il 1862 e il 1869, il corso di logica di
S. — fornì a G. una copia dell'intero testo spaventiano. “Così abbiamo
finalmente in Italia una esposizione completa di questa logica, e una
esposizione magistrale, che viene incontro al bisogno sempre più vivo e sempre
più largamente sentito, di essere guidati a penetrare nel segreto processo di
questa nuova intuizione del mondo (ancora da conquistare nella sua integrità),
che è risoluzione assoluta della natura nello spirito, della realtà nella sua
coscienza, dell'esperienza nella logica pura” (p. X = Opere, III, p. 6). 2458
Gentile ha curato anche una edizione scolastica di Logsca e metafisica, Firenze
1933; un’altra edizione per le scuole è quella a cura di E. Vigorita, Torino
1940. 103. Frammento inedito, in G. GENTILE, La riforma della dialettica
begeliana, Messina; ora in G. G., Opere, a cura della Fondazione Giovanni
Gentile per gli studi filosofici. Il frammento, come ha stabilito Gentile,
risale al 1880- 1881. Riprende, e conclude — anche attraverso riferimenti
polemici alla Logigue de Hegel di A. Vera — la discussione sulle Prizze
categorie, del 1863-64 70, correggendo la prima interpretazione o “riforma” della
dialettica hegeliana (“prima non appariva bene che il pensare è, per dir così,
l’essere stesso dell’essere; appariva quasi come una funzione meramente
soggettiva”, Opere) e richiamando nel discorso altri studi (più recenti, come
lo scritto sulle psicopatie 83, 52 sg., e La legge del più forte 85, p. 53; ma
anche l’analisi della distinzione giobertiana di riflessione psicologica e
riflessione ontologica, 54 sgg). Il testo spaventiano (ora in Opere, III, 431-462)
è stato pubblicato da G. in appendice al primo scritto (La riforma della
dialettica hegeliana e B. S., con appendice; porta la data: 1912) della
raccolta, che da quel famoso studio prese il titolo generale; e viene
presentato come il documento che giustifica lo schema di derivazione: Hegel- S.-Gentile.
Il frammento presenta una impostazione del problema della dialettica hegeliana
molto prossima alla soluzione attualistica (anche nella espressione verbale:
“In altri termini, lo spettatore è anco attore. O, come dice Hegel in generale:
la categoria non è soltanto essenza o semplice unità dell'ente, ma è tale unità
solo in quanto è attualità 2459 mentale. E attualità vuoi dire atto: l’essere è
essenzialmente atto del pensare”, 47 sg.; cfr. 55, 60 sg.); nei paragrafi
settimo e ottavo del suo studio, G. ripercorre l’intero sviluppo della
riflessione di S. sull’argomento, dallo scritto del 1863-64 (dove la soluzione
del filosofo sarebbe identica a quella di Fischer) alla risposta a Teichmiiller
93, e, finalmente, a questo inedito che, pur vicino all’attualismo, è gravato
ancora da oscurità (cfr. p. 39: “Ebbe lo S. consapevolezza della portata di
questa sua scoperta? L’oscurità stessa della sua esposizione fa pensare di
no...”). 104. La materia della sensazione, Palermo. È un breve frammento
dell’Introdugione 4/la critica della psicologia empirica 105, pubblicato in un
opuscolo nuziale. 105. Introduzione alla critica della psicologia empirica,
estratto dagli “Annali delle Università toscane”, Pisa. È il testo - completo —
di un manoscritto che, secondo G., fu composto da S. nell’estate del 1881: come
primo abbozzo di Esperienza e metafisica 94, e come sviluppo delle indagini già
avviate nella memoria Kant e l’empirismo 88. Gentile ne aveva già pubblicati
alcuni frammenti nel 1909-10 100 e nel 1913 104. Interessante il giudizio di G.
su questa — pur non completamente svolta — critica dell’empirismo; nella quale
è documentabile l'accostamento dell’a. “alla concezione del formalismo
assoluto, ossia dell’impossibilità di postulare una materia fuori dell’atto o
forma del conoscere” e quindi l'intenzione sua di “risolvere... la matura,
l’antico presupposto dello spirito, nell’atto spirituale... Così gli 2460
ultimi capitoli di questi frammenti cessano evidentemente di essere una
polemica, e mostrano come per necessità la psicologia empirica, attraverso la
teoria della conoscenza, vada a finire nella metafisica dell'anima come atto”
(cfr. ora Opere, e, per il luogo cit. della presentazione di Gentile, p. 469).
106. L’anima e l'organismo, in “Giornale critico della filosofia italiana.. È
il testo delle prime lezioni di un corso di antropologia, tenuto da S.
nell’anno 1863-64. Per l’esposizione
dell’antropologia hegeliana — riferisce Gentile — S. teneva conto anche di
sviluppi posteriori della dottrina; in particolare della Psychologie
dell’hegeliano J. Schaller. Cfr. n. 115 e v. Opere. False accuse contro
l’begelismo, in “La Critica. Ristampa dei due articoli ordinati in questa
bibliografia con il n. 11. Nella breve introduzione, Gentile pubblica anche una
lettera di S. a Eugenio Camerini, dell’11 febbraio 1860; lettera che ha
consentito di rintracciare questi articoli nel quotidiano torinese “Il
Progresso”, ora Opere. La libertà d'insegnamento. Una polemica di settant'anni
fa, Firenze 1920, 187. Alle 41-131 sono ristampati (e in Opere) gli articoli
ordinati in questa bibliografia con il n. lo. Nell’appendice, 135-138, si può
leggere l’articolo già 2461 indicato qui con il n. 9; altri documenti della
polemica, in gran parte articoli di Domenico Berti, apparsi sui giornali “La
Croce di Savoia” e “Il Risorgimento”, sono ristampati alle 139 sgg. I documenti
essenziali che servono a ricostruire le polemiche sulla libertà di insegnamento
in Italia, dal 1840 fino a questi interventi di S., sono raccolti e illustrati
nell'ampia prefazione di Gentile (pp. 7-40 = Opere, III,, il quale dà anche
importanti notizie sul programma e sui col-laboratori del giornale torinese “Il
Progresso”. Una edizione più recente dei tredici articoli sulla libertà di
insegnamento ha curato nel 1962 F. Alderisio 272. 109. Pensieri
sull’insegnamento della filosofia e lettere inedite, in “Giornale critico della
filosofia italiana”, VI (1925), 91-105. Ristampa (pp. 91-99) dell’articolo
ordinato in questa bibliografia col n. 2. Seguono (pp. 99 sgg.) sei lettere o
frammenti di lettere di S. a De Meis (cfr. n. 126 e Opere, III, 831-855). D. SAGGI
PUBBLICATI DA ALTRI AUTORI Una prolusione inedita di S. a un corso di diritto
pubblico, a cura di A. Guzzo, in “Giornale critico della filosofia italiana”, V
(1924), 280-296. È il testo della prolusione di Modena del 25 novembre 1859.
Alle 293-296 è riprodotto uno schema delle lezioni modenesi, tratto da un altro
manoscritto di S. Cfr. n. 122, 2462 111. Lezioni inedite di B. S., a cura di A.
Guzzo, in “Giornale critico della filosofia italiana”, VI (19295), 198-222,
291-295, 360-369. Il primo gruppo di questi inediti è costituito dagli appunti
— di mano “di uno o più scolari modenesi” — relativi a cinque lezioni sulla
filosofia greca dettate da S. per la parte storica del suo corso del 1859-60
(v. lo schema pubblicato da Guzzo nel 1924: cfr. n. precedente). Il secondo
gruppo (pp. 360-369) raccoglie gli abbozzi, di mano dello S., di tre lezioni
tenute nell'università di Bologna il 10 maggio e il 16 dicembre 1860, e 11
marzo 1861. 112. Rinascimento, Riforma, Controriforma e altri saggi critici,
Venezia 1928, 363. Ristampa dei Saggi di critica del 1867 77 nella collana
“Storici antichi e moderni” della Nuova Italia} con l’aggiunta di un indice dei
nomi. 113. Uno scritto inedito di S. sul problema della cognizione e in
generale dello spirito (1858), a cur. ALDERISIO, in “Rendiconti dell’Accademia
dei Lincei. Classe di scienze morali, storiche e filologiche”, serie VI, vol.
IX, fasc. 7-10, luglio- ottobre 1933, 564-667. . Alderisio descrive e commenta
(pp. 564-583) l'importante inedito da lui scoperto in una delle buste dei
manoscritti di S. conservati presso la Biblioteca Nazionale di Napoli,
identificandolo con l’abbozzo in “parentesi” scritto 2463 tra il gennaio e il
marzo del 1858, di cui S. dà notizia al fratello Silvio in una lettera dell’8
febbraio dello stesso anno (cfr. S. S., Dal 1848 al 1861 125, 19232, 248 sgg.).
Una più recente edizione dell’inedito a cura dello stesso Alderisio è: B.S.,
Sul problema della cognizione e in generale dello spirito, Torino 1958, XLIII-156
cfr. n. 266. 114. Rime satiriche di B. S. sul connubio Sella- Nicotera, in
“Rinascita”, XI (1954), p. 32. Queste “rime” sono conservate nel fondo S. della
Società napoletana di storia patria. 115. E. GARIN, Felice Tocco alla scuola di
S., in “Giornale critico della filosofia italiana”, XXXIV (1955), 489-495. Si
tratta di alcuni estratti di F. Tocco, relativi a lezioni sulla filosofia della
natura di Hegel, tenute da S. nel 1863 (i primi appunti sono del 1° gennaio).
E. Garin, nel pubblicare questi estratti da lui scoperti, discute anche dei
rapporti di Tocco con il maestro. Gli estratti sono stati poi ripubblicati in
E. Garin, La cultura italiana tra ‘800 e ‘900, Bari 1962, 67-76. Cfr. anche n.
106. . Un “pamphlet” antidemocratico inedito di S. (1880), a cura di P. C.
MASINI, in “Rivista storica del socialismo”, II (1959), 304-326. Alle 316-326 è
riprodotto — con l’aggiunta di note 2464 esplicative — il testo di un pamphlet
scritto da S. nell’agosto 1880 contro Pietro Siciliani; è intitolato: Le
conferenze pedagogiche a Firenze. Lettera a Fanfulla di Minchione Chiappanuvole
maestro elementare inferiore a Peretola. L’opuscolo, già pronto per la stampa,
come risulta dalle bozze corrette rinvenute (insieme al manoscritto originale)
nella Biblioteca comunale “Angelo Mai” di Bergamo, doveva essere pubblicato
anonimo; rimase inedito per una “indiscrezione dello stampatore’, come attesta
una dichiarazione sul frontespizio del figlio di S., Camillo. Presentando il
testo spaventiano, che contiene aspre invettive non solo contro Siciliani, ma
anche contro De Sanctis, P. C. Masini propone un riesame della collocazione
politica di S., “difensore del vecchio ordine culturale e politico di stampo
moderat”. Il pamphlet contribuirebbe a rivedere la proposta della “linea”
S.-Labriola-Gramsci, lanciata a partire dal 1952, e a smentire il rilievo di
una evoluzione dell’ultimo S. verso il positivismo o il materialismo . La
scoperta dell’opuscolo del 1880 è il frutto di una esplorazione delle carte
spaventiane conservate presso la Biblioteca comunale di Bergamo; alle 304-310
sono riportate notizie su manoscritti editi e inediti del filosofo, dei quali
M. fornisce un primo inventario. V. su questo l’introduzione premessa a questa
bibliografia, 863 sg. Sul lavoro di M. cfr. E. Garin, Un ‘pamphlet’
antidemocratico inedito di B. S., “Giornale critico della filosofia italiana”,
XXXVII (1959), 572-574. Discutendo del testo di S. e della interpretazione di
M., Garin rende noto l’annuncio di una traduzione spaventiana dell’opera di L.
Stein, Der Socialismus und Communismus 2465 des heutigen Frankreichs, diffuso
nel 1850 da una “Stamperia degli artisti tipografi” di Torino. Interessanti
anche i rilievi di Garin sui rapporti di S. con i positivisti (in particolare
con P. Siciliani). Il lavoro e le macchine, a cura di D. D'ORSI, in “Sophia”; e
in “Dialoghi”. Rivoluzione e utopia, a cura di I CUBEDDU, in “Giornale critico
della filosofia italiana. Ristampa di articoli, pubblicati nel 1851 nel
giornale “Il Progresso” di Torino, e elencati in questa bibliografia. L'essenza
metempirica del filosofare, a cura di D. D’ORSI, in “Dialoghi”, XII (1964), n.
1-3 (gennaio- ), 39-50. Cfr. n. 123. 120. II Socialismo e il Comunismo in
Francia — supplemento alla storia del secolo per L. Stein Professore in Kiel.
Prima versione dall'originale tedesco di S., a cura di S. LANDUCCI, in “Annali
dell'Istituto Giangiacomo Feltrinell”, VI (1963), Milano. Ristampa del n. 3 di
questa bibliografia. Cfr. n. 282. 121. Uno scritto ignorato e una lettera
inedita di B. 2466 S., a cura di D. D’ORSI, in “Rivista abruzzese, Lanciano, n.
I, 4-19. Contiene: un annuncio della traduzione di Stein 3, e una lettera di S.
a Villari. Della libertà e nazionalità dei popoli, a cura di D. D’ORSI, in
“Rivista abruzzese, Lanciano. Edizione critica della prolusione di Modena. Scritti
inediti e rari, con prefazione e note a cura di D. D’ORSI, Padova 1966, XVI-590.
Questa raccolta di testi editi e inediti di S. si divide in tre parti, più
un’appendice di documenti. La prima parte (Scritti rari o ignorati o inediti, 1-88)
comprende la ristampa dello scritto Su/la quantità 1, un annuncio della
traduzione dell’opera di Stein sul socialismo e il comunismo in Francia (3;
pubblicato dal D’Orsi anche nella “Rivista abruzzese”, 1965 cfr. n. 121), il
frammento I/ lavoro e le macchine (già pubblicato dal curatore nel 1963; cfr.
n. 117), scritto sotto lo stimolo della lettura di Stein, l'articolo su
Schelling, e finalmente un articolo sul teatro drammatico apparso anonimo nel
“Cimento” 43 e qui attribuito a S. Nella seconda parte sono raccolti tre
scritti filosofici inediti: una Fenomenologia; pubblicata contemporaneamente in
“Sophia”; e v. sopra, p. 864), uno scritto del 1880, Esperienza e coscienza
(pp. 157-162), e uno del dicembre 2467 dello stesso anno, L'essenza metempirica
del filosofare, tratti entrambi dalle carte S. della Biblioteca Nazionale di
Napoli (le prefazioni del curatore a questi tre inediti erano state già
pubblicate nel 1965 285, il testo dell’ultimo inedito nel 1964 119). La parte
terza (Scritti polemici ignorati e rari) raccoglie: due articoli pubblicati nel
“Cimento”, e i ventinove articoli della serie I Sabbati dei gesuiti, pubblicati
nel “Piemonte” cfr. n. 28. Nell’appendice (pp. 491 sgg.) sono riportate
trentasette lettere di S. cfr. n. 141. Delle singole prefazioni ai testi
spaventiani, è da vedere in particolare quella dedicata alla Ferorzerologia, un
testo che, secondo D’Orsi, “finirà col modificare il tradizionale canone
esegetico, invalso dal Gentile, secondo cui la lettura dell’ultimo Gioberti
avrebbe indotto lo S. a mutare o estinguere i suoi più radicati e appassionati
interessi per la Ferorzenologia di Hegel e per le conseguenti interpretazioni
via via formulate dagli esegeti tedeschi della destra hegeliana” (p. 95; sull'importanza
che il curatore attribuisce al testo spaventiano, cfr. anche 99 sg.). Nella
prefazione generale alla raccolta, D’Orsi anticipa le linee di una sua lettura
di S., molto distante dalle interpretazioni più recenti, e dalla stessa
interpretazione di Gentile (si può qui segnalare l'utilizzazione di testi
spaventiani nel volume di D’Orsi Lo spirito come atto puro in Giovanni Gentile,
Padova. Il curatore intende rivalutare
una fondamentale dimensione “spiritualistica” del pensiero di S., il quale risulterebbe,
nell'intero arco della sua attività, un “moderato”, sia in politica che in
filosofia. Nelle polemiche contro i gesuiti, S. combatte le “esagerazioni
pratiche” dell’ortodossia (dommatismo, fanatismo), non il principio cattolico
(p. XII sg.); la suapolemicapuòdefinirsi “anticlericale”, ma “non antireligiosa
o, peggio, ateistica; per i Sabbati, cfr. p. 208: essi “stimolano la
riflessione sui problemi della Politica e della Religione e assicurano come un
duplice antidoto agli opposti inconvenienti della fragile fede e dell’intransi
genza dommatica”; cfr. inoltre la prefazione alla terza parte della raccolta, 181
sgg.). Nella prefazione a I/ lavoro e le macchine, 33 sg., dichiarando la
dipendenza dello scritto dall’opera di Stein, D’Orsi parla di un “chiaro
atteggiamento etico-politico che, per equilibrio e serietà d’indagine, può
ritenersi, nell’ambito della vexatissima questione sociale, ‘una voce di
ragione tra tante grida”” (con questo titolo apparvero sul “Lucifero” di
Napoli, nell’aprile-maggio 1848, alcuni articoli firmati con la sigla: Sp., che
il D’Orsi attribuisce senz’altro a S.; sul “Lucifero”, giornale moderato e
giobertiano prima del 15 maggio 1848, e, in seguito, conservatore, cfr. A.
Zazo, I/ giornalismo politico napoletano nel 1848-9, “Archivio storico delle
province napoletane. Orsi rende nota (p. XVI) la sua intenzione di portare a
compimento una edizione critica di tutte le opere, edite e inedite, di S., a
cui seguirà la pubblicazione di una monografia sul filosofo napoletano. A p. 88
n. è annunciata intanto la prossima pubblicazione di un volume che raccoglie le
Lezioni inedite di Filosofia del diritto (1859- 1860). Su questi Scritti
inediti e rari curati dal D’Orsi, cfr. P. Piovani in “Giornale critico della
filosofia italiana”, XLVI (1967), 160-161. 124. Un articolo inedito di B. S.
circa l’unità organica della filosofia di Bruno e circa l’attinenza di questa
con la filosofia di Spinoa, a cura di F. ALDERISIO, in “Giornale critico della
filosofia italiana. Alle 222-224 è riprodotto il testo fin qui inedito dell’
“avvertenza” di S. a un suo articolo su Giordano Bruno, mai pubblicato. Il
manoscritto dell'articolo non è stato rintracciato. Secondo A., 1’ “avvertenza”
è del 1870-1872; insieme all’articolo, avrebbe costituito l’ultimo lavoro di S.
dedicato a Bruno, scritto, probabilmente, per il “Giornale napoletano di
filosofia e lettere”. CARTEGGIO S. S. Lettere
scritti documenti pubblicati da B. CROCE, Napoli 1898, TX-314:; Bari. I rinvii
alle pagine si riferiscono alla seconda edizione. Fondamentale raccolta di
materiali — lettere, articoli, frammenti di studi ecc. — che illuminano le
vicende personali e la biografia politica e intellettuale dei fratelli S. I
documenti sono collegati da brevi narrazioni, chiarimenti e giudizi di Croce,
che spesso riguardano da vicino anche B. S. Una aggiunta all’avvertenza del
curatore nella seconda edizione — notevolmente accresciuta — porta la data:
agosto 1917, Di B. S. sono riprodotte nel volume: quarantadue lettere al
fratello, la prima del 22 dicembre 1847, l’ultima del 16 dicembre 1861 (p. 361,
nota 2); una lettera al ministro sardo Cristoforo Mameli; una lettera a
Mamiani; una lettera al padre; due lettere alla moglie. A p.5, n. I, 2470 si
legge un brano di una “confessione” del filosofo, a proposito della sua
ordinazione sacerdotale. Le lettere di Silvio al fratello sono più di ottanta.
Si segnalano in particolare le lettere “filosofiche” (sul pensiero italiano del
Rinascimento, su Rosmini, Gioberti, sulla Ferorzenologia di Hegel, ecc.) che i
fratelli si scambiarono. La raccolta comprende anche: una lettera di P. Villari
a B. S., dell’ottobre 1850 (p. 77 sg., nota); due lettere allo stesso di
Antonio Ciccone; due lettere a B. S. di A. C. De Meis, del 23 luglio e del 10
novembre 1860, 346 sg., 355 sg. Ovidio presentò il libro di Croce all Accademia
di scienze morali e politiche di Napoli il 26 giugno 1898, con un discorso che
è ristampato alle 86- 96 della raccolta intitolata: Rirzpianti, Milano-Palermo-
Napoli 1903, XVI-464. Dal discorso di D’Ovidio si può ricavare qualche aneddoto
o qualche coloritura diversa di notizie riguardanti la biografia di B., oltre
che di Silvio, e i rapporti tra i due fratelli. Ma sul libro di D’Ovidio v. B.
Croce, “La Critica. Lettere di A. Camillo De Meis a B. S., pubblicate da G.
GENTILE, Napoli 1901, 32. Quattro lettere, del 9 febbraio e 4 giugno 1868, del
22 gennaio e 6 aprile 1869. Ristampate in G. Gentile, A/bori della nuova
Italia, varietà e documenti, parte seconda, Lanciano. GENTILE, Per la storia
aneddota della filosofia italiana nel secolo XIX, in Raccolta di studi critici
dedicati 2471 aAncona, Firenze 1901, 335-358. Quattordici lettere del 1861-62,
tratte dal carteggio dei fratelli S. Le lettere di B. sono undici: del 27
novembre, dell’8, 17 e 28 dicembre 1861, dell’8, lo, 21, 22 febbraio, del 22
marzo, del 16 giugno e I luglio 1862. Vedile anche ristampate in appendice a B.
S., La filosofia italiana nelle sue relazioni con la filosofia europea (99; e
in Opere, II, 679-719). Cfr. anche n. 139. 128. Documenti inediti
sull’hegelismo napoletano. (Dal carteggio di S.), a cura di CROCE, in “Ia
Critica.. Lettere a S. — corredate di notizie e schiarimenti — di F. Hoffmann
(12 ottobre 1865: tentativo di promuovere in Italia la divulgazione della
filosofia di F. v. Baader), di A. Angiulli (15 dicembre 1862), di H. F. Amiel,
di K. L. Michelet (6 agosto 1870), di A. Labriola, di R. Hamerling, di T. v.
Varnbiiler (17 maggio 1879), di G. Teichmiller (9 agosto 1882). 129. Documenti
inediti sull’hegelismo napoletano. (Dal carteggio di S.), a cura di G. GENTILE,
in “La Critica, 397-410, 483-496. Nella prima parte, una lettera a S. di F. del
Zio, lettere e brani di lettere allo stesso di M. Florenzi Waddington, una
lettera di S. a De Meis del 13 luglio 1880. Nella seconda parte, lettere e
brani di lettere di F. Fiorentino allo S., scritte tra il 1863 e il 1871. Con
notizie e 2472 schiarimenti del curatore. I Documenti sono ristampati, con
aggiunte, in G. Gentile, Frammenti di storia della filosofia, serie prima,
Lanciano CROCE, Ricerche e documenti desanctisiani, VII, Dal carteggio inedito
di Francesco De Sanctis (5865- 28(9), puntata quarta, 32; IX, Dal carteggio
inedito di A. C. De Mess, 36; in “Atti dell’Accademia Pontaniana” di Napoli,
XLV(1915). Nel primo fascicolo sono pubblicate, in appendice (pp. 29-32), tre
lettere di S. a De Meis, del zo novembre cfr. n. 133 e del 16 dicembre 1851,
del 5 agosto 1855. Nel carteggio inedito di De Meis si leggono (pp. 1-16)
dodici lettere di S. allo stesso. ZAGARIA, Per la biografia di Pasquale
Villari, in “La Rassegna” già “Rassegna bibliografica della letteratura
italiana”, fondata da A. D'Ancona, serie III, vol. V, n. 6, dicembre 1920, 333-379.
Riporta (pp. 343-355) tredici lettere di Villari a S., le prime dodici scritte
tra il 1861 e il 1869, l’ultima del 1881. Cfr. n. 140. 132. G. GENTILE, S.,
Firenze s. d. Cfr. n. 204. Nell’appendice (= Opere) sono pubblicate: una
lettera di S. a Meis, una lettera di L. Chiala a S., due lettere di S. a T.
Mamiani (13 luglio e 10 ottobre 1854), due di Mamiani a S. (3 giugno 1852, 12
ottobre 1854). Nel testo: a 55 sg. (= Opere, I, 48 sg.) si legge una lettera di
B. al fratello Silvio sull’abolizione delle facoltà di teologia, del io
febbraio 1876; a 94 sg., nota 2 (= Opere, I, p. 83) una lettera di De Meis a S.
del 2 marzo 1863; alle 162 sgg. (= Opere, I, 140 sgg.) la lettera di S. a De
Meis del 13 luglio 1880 cfr. n. 129, e due lettere di De Ivleis a S.: la prima,
s. d., in risposta alla precedente. Due lettere allo S., di L. Pomba (2 gennaio
1861) e di A. Tari sono segnalate nella bibliografia. B. S., Pensieri
sull’insegnamento della filosofia e lettere inedite, a cura di G. GENTILE, in
“Giornale critico della filosofia italiana”, VI (1925), 91-105. Cfr. nn. 2,
109. Alle 99-109, sei lettere o frammenti di lettere di S. a De Meis: del 30
marzo 1850, s. d., del zo novembre 1851 ma cfr. n. 130, del 16 dicembre 1852,
del 14 dicembre 1872, del maggio 1880 (= Opere, III, 847-855). 134. S. S.,
Lettere politiche, edite da CASTELLANO, Bari. Continuazione del carteggio
pubblicato da B. Croce. Il nucleo più importante è costituito da lettere o
brani di lettere di Silvio a B. S.; contengono interessanti ragguagli e
giudizi, oltre che sulle vicende e sugli uomini politici del periodo, su alcuni
casi più minuti della vita dei due fratelli (reazioni ai tumulti
nell'Università di Napoli, del1862; rapporti col giovane Labriola, nel 1863;
ecc.). Sono anche riprodotte dieci lettere di B. S. al fratello. Interessante
la lettera-prefazione (datata: giugno 1925) di B. Croce al curatore, pubblicata
anche su “La Critica. Croce dissocia gli ideali politici di Silvio dal
“concetto speculativo dello stato” elaborato dal fratello “senza particolare
esperienza e intelligenza della materia, estraendo e compendiando la Filosofia
del diritto dello Hegel” (p. 7). E intende soprattutto respingere, così, il
recente tentativo di “presentare Silvio S. come luomo e il pensatore politico
al quale dottrinalmente risalgono la teoria e la pratica del partito ora
dominante in Italia. ROMANO, La vita culturale italiana dopo il 1860 dal car
teggio degli hegeliani meridionali, I. Un isolato: Vittorio Imbriani, in
“Civiltà moderna. Da un complesso di settantanove tra lettere e biglietti, 2475
scritti dall’Imbriani a S., l'a. sceglie e riproduce brani che contengono
notizie sull'ambiente hegeliano. Le lettere riportate vanno dal dicembre 1871
al dicembre 1879. 136. B. CROCE, Voci da un ergastolo politico. Lettere inedite
di Silvio S., in “Quaderni della Critica”, Il (1946), quad. 4, 99-109. Undici
lettere di Silvio al fratello, ritrovate fortunosamente dal Croce; integrano la
raccolta. Lettere inedite di Labriola a S. a cura di G. BERTI, in “Rinascita,
supplemento, supplemento al n.,pp.65-87. La prima lettera è del 1870-71,
l'ultima del 6 gennaio 1883. Importante l’introduzione del curatore: le
lettere, che contribuiscono a chiarire i modi e i tempi del passaggio di L. al
socialismo, sono la testimonianza di un che corrisponde perfettamente, sul
piano delle relazioni personali e private, a un rapporto di “filiazione
spirituale”. Gli originali sono conservati nel fondo S. della Biblioteca della
Società di storia patria di Napoli. 138. Carteggi di Vittorio Imbriani. Gli
hegeliani di, a cura di N. COPPOLA, Roma. Sono pubblicate qui lettere di S. a
V. Imbriani, e lettere o biglietti di Imbriani a S., spesso non datati, ma
scritti anch'essi a partire dal 1869. Si leggono anche qui, indirizzate allo
stesso S., una lettera di F. Tocco, una lettera di D. Jaja, e una di D. Marvasi
del 9 gennaio 1875 (p. 143). Le altre lettere indirizzate all’Imbriani sono di
Silvio S., A. Vera, G. B. Passerini, A. C. De Meis, P. Siciliani, Tocco, Fiorentino,
Marvasi, Tari e Toscano. Le lettere qui raccolte fanno parte di un
blocco di autografi scoperti da C. nel 1935, e la cui pubblicazione era stata
già iniziata in “Accademie e biblioteche d’Italia.. Per diversi riferimenti ai
fratelli S. cfr. anche Vittorio Imbriani intimo. Lettere familiari e diari
inediti, a cura di N. Coppola, Roma 1963, 402. Cfr. n. 135. 139. Lettere
inedite di Bertrando a Silvio S., a cura di V. MASEL-LIS, in “Critica storica”,
IV (1965), 691-710. Da un fondo spaventiano conservato presso l’archivio
provinciale De Gemmis di Bari sono tratte le lettere qui pubblicate. Sono da
collegare soprattutto alla raccolta, curata da Gentile, e pubblicata. VACCA,
Nuove testimoniane sull’hegelismo napoletano, in “Atti dell’Accademia di
scienze morali e politiche della Società nazionale di scienze, lettere e arti
inNapoli. La memoria è divisa in due parti. Nella prima sono riprodotte circa
cinquanta lettere o brani di lettere — la maggior parte inedite, o pubblicate
solo parzialmente da precedenti editori, soprattutto da Croce — di S. al fratello Silvio. Le lettere
contengono giudizi e informazioni politiche, notizie relative alla attività
didattica di S. (soprattutto a Modena), ai rapporti del filosofo con P. Villari
(lettere di Villari a S.; e cfr. n. 131), a un intervento di A. Tari in favore
di Labriola (v. una lettera di Taxi a S.), ecc. Nella seconda parte del lavoro
sono riprodotte lettere o brani o citazioni tratte da lettere a S. di P.
Siciliani, di F. Masci, di F. D’Ovidio, di Labanca, di F. Del Zio. 140 bis.
Dodici lettere inedite di Antonio Labriola a S., a cura di VACCA, in “Studi
storici. Sono lettere sritrovate nell'Archivio De Gemmis di Bari. B. S.,
Scuitti inediti e rari, con prefazione e note a cura di ORSI, Padova. Chin:
123; Nell’appendice di documenti sono pubblicate trentasette lettere di S.: a)
a Villari; b) a Monnier); a Camerini; d) a Gubernatis; e) a Imbriani; alcune
date coincidono con quelle di lettere già pubblicate da N. Coppola: cfr. n.
138); a Mamiani. A p. 170, n. 6, è riportato un frammento di lettera “ad un
amico”, del quale non è indicato il nome. 141 bis. VACCA, Gli hegeliani di
Napoli nella politica e nella scuola. Carteggi, estratto dagli “Annali della
Facoltà di Giurisprudenza dell’Università di Bari. Le lettere qui pubblicate
sono state ritrovate nella biblioteca provinciale De Gemmis di Bari. La
raccolta comprende: otto lettere di Bertrando al fratello Silvio, sei del
1850-54, una del 1859, una del 1862; due spezzoni di lettere del filosofo a
Labriola; una lettera dello stesso a D. Tartaglia, del 1861; una lettera di S.
alla moglie. Inoltre: lettere allo S. di Mamiani, di P. Villari, di F. Selmi,
di D. Marvasi, di A. Ciccone, di Tommasi, di Tartaglia, di Labriola cfr. 140
bis, di P. Acri, di V. Imbriani, di F. Masci, di F. Tocco, di L. Miraglia, di
L. Barbera, di P. Siciliani, di F. Fiorentino, di D. Jaja. Infine, lettere di
P. Villari a D. Marvasi, di L. Settembrini a Silvio S., di Silvio S. a E.
Pessina, di F. Selmi e C. Monzani a Silvio S., di L. Barbera a R. De Cesare, di
F. Tocco a F. Fiorentino, di P. DelGiudice a L. Miraglia, di F. Fiorentino a
Silvio S.. 142. Trenta lettere inedite di S. al fratello Silvio, a cura di G.
VACCA, in “Atti dell’Accademia di scienze morali e politiche della Società
nazionale di scienze, lettere e arti in Napoli. Le lettere qui pubblicate sono
tratte da copie di mano di Beltrani, conservate nella biblioteca comunale
Giovanni Bovio di Trani; il nucleo più importante è del 1854-56, sicché la
raccolta integra soprattutto il carteggio “filosofico” dei fratelli S., noto
attraverso l’edizione curata da Croce. Le lettere offrono nuovi dati
sull’attività di S. nel periodo torinese, indicazioni sugli studi, su lavori
inediti e sull'attività giornalistica del filosofo, e contengono giudizi su
avvenimenti e uomini politici. I documenti più interessanti sono analizzati dal
curatore; importanti i chiarimenti di Vacca sulla complessa vicenda
dell'archivio epistolare del filosofo, venduto dal figlio Camillo e solo in
parte recuperato da Croce cfr. anche 136. 2480 PARTE SECONDA SCRITTI SU S.
LUCIANI, Del libro di B. S. intitolato “La filosofia di Gioberti”.
Considerazioni, Napoli 1864, pp.21. Non è un’analisi minuziosa del libro di S.,
né vuole esserlo (p. 44); per affrontarla, l’a. aspetta la pubblicazione del
secondo volume. Ma intanto, secondo L., va segnalata subito la minaccia di
“intedeschimento”. S. accoglie da Hegel gli strumenti della sua critica e
finisce col travisare completamente il pensiero di Gioberti. Non ha capito,
soprattutto, il significato e la funzione dell’ “intuito”, perché vuol
risolvere tutto nel “soggetto”; sicché gli sfugge il senso delle “formula
ideale”, e vede dappertutto contraddizioni. MICHELET, S. uber Hegel in der Akademie zu Neapel, in
“Der Gedanke” Berlino. Recensione
del saggio: Le prime categorie della logica di Hegel 70, condotta sul testo del
sunto pubblicato dalla “Rivista napoletana di politica, letteratura e scienze”,
novembre-dicembre 1863. Nel corso dell’esposizione M. introduce due rilievi
particolari. Afferma che è sbagliato attribuire a Hegel, come fa Trendelenburg
(e S. seguendo Trendelenburg), l'intenzione di ricavare l'identità di essere e
nulla dalla loro indeterminatezza (l’essere è il nulla = l’indeterminato è
l’indeterminato); e rimanda, per questo punto, ad un suo intervento pubblicato
nella stessa rivista). Osserva ancora che Hegel ha già posto in rilievo quella
“differenza” nella indeterminatezza o identità di essere e nulla, di cui S. è
andato in cerca nel suo saggio. Eccellente sembra tuttavia a M. la confutazione
di Trendelenburg fatta da S. (da un “non hegeliano”); ma il recensore non
capisce a quali rappresentanti della scuola alluda il filosofo napoletano,
quando afferma che alcuni hegeliani pretenderebbero che l’essere si muova da sé,
senza il pensare. La memoria di S. è giudicata assai acuta, e ingegnosa; se
tondo M., S. si muoverebbe, in questa sua interpretazione e apologia di Hegel,
verso conclusioni simili a quelle raggiunte da K. F. Solger nei suoi Gespriche
tber Sein, Nichtsein und Erkennen. SALVIA, La più bella questione surta non ha
guari dalla Università di Napoli, in “Il Campo dei filosofi italiani” Napoli.
L’articolo non è firmato, ma il nome dell’autore si ricava dall’intervento
successivo di Tuddone. La “più bella questione” è quella della “nazionalità”
della filosofia. Le prime pagine riproducono i tratti essenziali della
prolusione di L. Palmieri del 16 novembre 1861, e una prima parte della
prolusione spaventiana Della nazionalità nella filosofia 68; le 323-328 sono
dedicate ancora alla esposizione del discorso di S.; nelle puntate successive,
sono svolte le considerazioni dell’a. sulle due
prolusioni.Sostenerela“nazionalità”dellafilosofia (come fa Palmieri) è
questione di logica o di dialettica? Sembra che non ci possa essere “nazional
filosofia” con le regole del ragionare, ma solo con quelle del disputare. L’a.
vuole evidentemente salvare le argomentazioni di Palmieri, 2482 correggendole
tuttavia e riproponendole sul piano della scienza: “Mi viene dunque in mente di
cangiare, se io potessi, l'espediente dialettico in argomentazione scientifica,
trovando in certa guisa il passaggio dagli argomenti suoi = di Palmieri, presi
44 borzinerm, e senza più individuati, agli argomenti che vi corrispondono in
uso non pur della logica ma della scienza, che val sicuramente generali. E
corregge il discorso di Palmieri distinguendo “tre capi” dell’argomentazione:
1° “impronta” e l' “indole nazionale”, le “tradizioni”, e l “atteggiamento non
servile” delle arti e delle scienze. Ora, per quel che ci riguarda, l’
“impronta” e l “indole” sono “cattoliche” entrambe. La “tradizione” è quella
antichissima “delle ripruove e delle discussioni” (la tradizione degli
eleatici). Quanto all’ “atteggiamento non servile”, che nasce dalla piena adesione
della coscienza, anche per questo motivo l’hegelismo non può essere importato
tra noi (come può Hegel aver detto in coscienza che l’essere è il nulla, il
bene male, e il sì no? STRAETER, Briefe tber die italienische Philosophie, in
“Der Gedanke” Berlino. Sono, in tutto, nove lettere scritte da Napoli. La prima
offre un ritratto dell'ambiente universitario napoletano (si parla anche di F.
Tocco, che disserta in sede di esame sulle prime categorie della logica di
Hegel). L’a. esprime la convinzione che la filosofia moderna può trovare nuova
vita solo a Napoli; indica poi nella teoria della “circolazione” di S. lo
strumento più efficace per eliminare dalla coscienza degli italiani i residui
di cattolicesimo medievale, e per 2483 favorire la costruzione di uno stato
moderno. La seconda lettera (1865, fasc. 1), tratta del Volksgeist napoletano
(avverso per sua natura ad ogni forma di assurda e fantastica
trascendenza)eparla della prolusione spaventiana del 1861; si conclude con un
ritratto del filosofo: “Er ist dabei eine màachtige, imposante Persònlichkeit,
gross und stark gebaut und von jenem phlegmatisch kraftigen Temperament, dem
Hegel bekanntlich die gròsste Energie und Griindlichkeit vindicirt”. Nella
terza, quarta e quinta lettera, l’a. ritorna ancora sull'ambiente napoletano
(Vera, S.-Vera, ecc.), e ricorda la prolusione bolognese di S. È nella terza
lettera che Strter introduce un raffronto fra Vera e S. (e Tari), assai
fortunato (Gentile lo cita nel Discorso del 1900; Croce lo ricorda nel suo
panorama della vita letteraria a Napoli dopo il 1860; ecc.): S. e Tari
rappresentano a Napoli quella corrente a cui appartengono in Germania K.
Fischer e i suoi scolari, e che si orienta verso una revisione della dialettica
hegeliana su basi kantiane; Vera è la copia dignitosa, italo-francese, del
“vecchio hegeliano” tedesco, degli “ortodossi” di stretta osservanza (p. 123).
La sesta lettera (1869, fasc. 3) riassume la “circolazione” del pensiero
italiano, loda il saggio sulle Prime categorie, e espone l’interpretazione
spaventiana di Gioberti. Le lettere settima, ottava e nona (1865, fasc. 4),
sono dedicate agli scritti di S. su Bruno e Campanella. LUCIANI, Gioberti e la
filosofia nuova italiana, 3 voll., Napoli. Tutti gli scritti di Gioberti — le
opere “essoteriche” (miranti “più a rinverdire il passato, che a gittare i semi
2484 dell'avvenire”; che riguardano la pratica piuttosto che la teoria, e
oppongono il “nazionale” al “forestiere”) e le opere “acroamatiche” (le opere
postume: hanno “carattere più scientifico che pratico”; riguardano l “avvenire”
della filosofia, della religione, della civiltà, e mirano a “scoprire il nuovo
aspetto della scienza e del cattolicismo, la nuova forma civile d’Italia, la
dialettica del secolo ventesimo”) — appaiono composti secondo un disegno ben
preciso e trovano una collocazione esatta entro un edificio armonico,
perfettamente coerente. Negando che vi sia contraddizione, in Gioberti, tra
filosofia essoterica (esposta e analizzata da L. nei primi due volumi) e
filosofia acroamatica (studiata nel terzo volume), l’a. intendetogliere alla
ricostruzione critica resa pubblica da S. il suo fondamento: non è vero che
Gioberti si è arrestato a metà strada, lungo la via che porta a Hegel (di qui
deriverebbero le contraddizioni — in realtà, inesistenti — denunciate da S.),
ma, anzi, è andato “oltre” Hegel. Se si perde di vista il carattere unitario e
armonico del pensiero di Gioberti, se ci si arresta al Gioberti “essoterico”
(al Gioberti in apparenza “clericale”, “regressivo”, ecc.) si favorisce lo
sviluppo dell’hegelismo in Italia. Se si coglie il vero senso delle Postuzze,
si capirà che Gioberti è coerente, non solo, ma supera Hegel nella dottrina di
Dio, dell'uomo e dell’universo; e v. per
un confronto Hegel-Gioberti, che va tutto a vantaggio del secondo; così come è
superiore il “moto civile” italiano a quello tedesco). S. ha giudicato Gioberti
dall’alto di alcuni presupposti hegeliani (identità di pensiero divino e
pensiero umano; dottrina del sensibile e dell’intelligibile, e del loro rapporto,
ecc.) e si è preclusa la via al retto intendimento del pensiero giobertiano; S.
non capisce la soluzione “platonica” di Gioberti, non capisce la dottrina dell’
“intuito”, capace di superare lo psicologismo inaugurato da Cartesio e
“concluso” da Hegel, travisa — da psicologista — la distinzione giobertiana di
psicologismo e ontologismo, attribuisce falsamente a Gioberti un’oscillazione
tra due diversi concetti di intuito e di riflessione, non intende
l’affermazione di Gioberti: l’ente è concreto, non intende il concetto di
creazione, non riesce a capire quale posto occupi la Protologia nel sistema,
stravolge la teoria giobertiana dell’intelligibile. Queste le critiche
principali mosse dall’a. a S.; su di esse, e sul giobertismo di L., v. ora G.
De Crescenzo, La fortuna di Vincenzo Gioberti nel mezzogiorno d'Italia, Brescia
(la prima parte del volume, Luciani e il giobertitmo meridionale, è un
rifacimento e approfondimento di uno studio pubblicato a Napoli nel 1960, con
il titolo Pietro Luciani e il giobertismo). Si legge qui qualche riserva sul
tentativo di confutare“speculativamente” Hegel in base al Gioberti; ma “... i
lavori storiografici di Pietro Luciani
sul Gioberti costituiscono il validissimo precedente, purtroppo ignorato, di
tutta quella odierna storiografia filosofica che ha reagito opportunamente alla
artificiosa interpretazione idealistica del Gioberti, la quale, iniziatasi con S.,
si è poi continuata col Fiorentino, col Gentile, col Saitta, con l’Anzilotti e
col Caramella. La questione della nostra Università superiormente lasciata a
mezzo che si ripiglia qui e si termina da TUDDONE, in “Il Campo dei filosofi
italiani, Napoli. L’autore del
precedente intervento è G. Salvia. Bisogna dargli un seguito, perché “quello
che rende monca finoggi la trattazione, e bisognevole di un supplimento, si
riduce a chiosare e discutere in simil guisa, per la logica un poco ma più per
la dialettica le cose replicate in contrario a Palmieri da S. Per far questo
l’a. divide la prolusione di S. in tre parti: “’’esordio con la proposizione”
(concetto di filosofia nazionale), la “confermazione” (le prove storiche), la
“conclusione” (la vera filosofia attuale è europea). La discussione è molto
faticosa, ma la conclusione è chiara: “questo discorso sulla nazionalità della
filosofia nostra è un cavalletto ben tormentoso per l’autore; il quale avria
certo preferito ad essa ogni altro tema, mettendosi al sicuro dai
divincolamenti, che gli convenne sopportare, e più o meno nascondere, questa
prima volta che ascendea in cattedra. Per l’hegeliano S., è impossibile
accettare l’idea di una filosofia “nazionale” italiana. MARIANO, La pbilosophie
contemporaine en Italie. Essai de philosophie hégélienne, Parigi. Si occupa di Galluppi, Rosmini, Gioberti, A.
Franchi, e, nella conclusione, di A.Vera. Ma nell’introduzione discute (pp.
13-22) la questione della filosofia “nazionale” e la tesi spaventiana della
“circolazione” del pensiero italiano, per rigettarla; v. in particolare la
lunga nota alle 14-20. S. subordina — falsamente — l’oggetto della filosofia
allo spirito nazionale, costruisce un’assurda equazione: Gioberti=Hegel,
introducendo un elemento di confusione; 2487 travisa Hegel, non solo, ma la
storia della filosofia e la stessa filosofia. A_p. 20 qualche riga sui Princìpi
di filosofia 76, appena pubblicati: quello di S. è un linguaggio tortuoso e
ambiguo, un hegelismo che non è hegelismo, una logica che vuol essere nuova, ma
lo è in modo pericoloso: genera l'equivoco, la confusione e l’indisciplina
delle menti. Molti anni dopo, nel vol. X degli Scritti vari (Dall’idealismo
nuovo a quello di Hegel, Firenze) M. accenna a S. come responsabile dei nuovi
sviluppi dell’idealismo in Italia (cfr. la recensione di B. Croce, in “La
Critica. Un tono diverso nei giudizi di M. si coglieva nelle pagine di Uorzini
e idee (vol. VII degli Scritti vari), Firenze 1905. A p. 16 sg., S. è elogiato
per gli studi su Bruno; alle 313 sgg. (nel “saggio biografico” su A. Vera
Napoli 1887, qui ristampato) si legge che S. è stato “un logico e un metafisico
di prima grandezza”, sordo alle tentazioni positivistiche, scettiche o
neokantiane. La sua figura è inseparabile da quella del Vera; ma non riconobbe
lo S., col Vera, il carattere solo universale della filosofia; se è vero che il
pensiero moderno nasce col Rinascimento, l’interpretazione di Gioberti è
tuttavia audace. Di Uomini e idee scrisse F. Tocco (Fra biografie e quadri
storici, “Il Marzocco”, Firenze, 25 giugno 1905), cogliendo l’occasione per
discutere dei rapporti di S. col Vera, e per ricordare l’insegnamento del
maestro: v. l'introduzione di questa bibliografia. MORGOTT, Hegel in Italia, in
“Il Campo dei filosofi italiani” Torino. Si ricava da una nota che l’a., allora
professore di filosofia a Bichstadt, in Baviera, stava lavorando a una storia
della 2488 fortuna di Hegel in Italia, da pubblicare in tedesco. La traduzione
dell’articolo è del prof. F. Rossi. La prima parte è un’esposizione del
pensiero di Vera (pp. 68 sgg) e di S.; per S. l’a. si serve — e lo dichiara —
dei Briefe di Straeter 146. M. si rammarica che ci siano in Italia filosofi che
hanno abbandonato la tradizione, abbracciando una filosofia straniera. Segnala
tuttavia con o cimento — nella seconda parte — il vasto moto di reazione
all’idrillilnto liano guidato da V. De Grazia, da M. Liberatore, dalle riviste
“La scienza e la fede” e “Civiltà cattolica”, e, ancora, da T. Mamiani, da N.
Toni da V. Di Giovanni, da G. Allievo e A. Galasso, da A. Conti. SICILIANI, GX
begeliani in Italia, in “Rivista bolognese di scienze e lettere. È un’ampia rassegna, in cui si discorre dei
Principi di filosofia di S., del libro di De Meis: Dopo la laurea, del saggio
sull’immortalità dell'anima di M. Florenzi Waddington, del Pietro Pomponazzi di
F. Fiorentino, A proposito della “circolazione”, pur respingendo, almeno in
soluzioni di S. (la relazione Gioberti-Hegel è estrinseca), l’a. loda l’
“accortezza” e la “prudenza” del filosofo, che ha saputo introdurre l’idealismo
assoluto in Italia presentandolo come il frutto della nostra più autentica
tradizione. Nel saggio sulle Prizze categorie 70, S. ha certo contribuito a
rendere più “logico” il sistema di Hegel, ma non l’ha reso,perquesto, più vero;
l’a. si dichiara suo conto incapace di penetrare quel buio dell’
“indeterminato”, da viti vrebbe svilupparsi la logica. Sulle Prize categorie,
Siciliani ritorna anche nel libro Su/ 2489 rinnovamento della filosofia
positiva in Italia, Firenze 1871, XVII-542, nel quale propone “via di mezzo”
tra i due estremi rappresentati dall’hegelismo e dal positivismo, appellandosi a
Vico (v., ad es., Il, 31). Per le Prize categorie, cfr. 396 sgg.: quando S.
risponde a Trendelenburg, “giusto nel momento che s’hanno a decidere le sorti
della logica obbiettiva, giusto nell’istante supremo in cui la logica dee poter
rivestire natura e valore di metafisica, egli cangia bruscamente posizione, e
invoca il pensiero, invoca l’astraente, invoca l’astrazione, e così dileguatasi
a un tratto l’obbiettività, ci fa divagare nel mondo delle pure forme, ed
eccoci di bel nuovo ricacciati e ravviluppati per entro alle fitte maglie della
tela di ragno! Il libro è da vedere
anche per molti altri riferimenti a S.: nell’avvertenza, sul tema del
“rinnovamento” della filosofia italiana, è discussa, accanto a quelle di
Mamiani, Rosmini e Gioberti, la posizione di S. (specialmente della Filosofia
di Gioberti. Si discute l’interpretazione spaventiana di Vico; sul rapporto
Vera-S.; sulla “circolazione”; sull’interpretazione di Rosmini 368 sgg.
Siciliani fa comparire S. tra gli interlocutori della “giornata sesta de La
critica nella filosofia zoologica del XIX secolo. Dialoghi, Napoli. Il dialogo
si svolge tra rappresentanti, sostenitori e critici di tre scuole: quella dei
cuvieristi, quella dei trasformisti e quella degli idealisti. Nel dialogo si
colgono allusioni all’intervento di S. nella polemica sulle psicopatie 83, e
alla sua discussione sul metodo delle scienze comparate; ma la conversazione
investe soprattutto le teorie esposte da De Meis ne I tipi animali; e, più in
2490 generale, il valore metodologico della dialettica hegeliana. TAGLIAFERRI,
Ur saggio della modestia e serietà filosopra dei nostri filosofi hegelisti, in
“Il Campo dei filosofi italiani” Torino; e in A. T., Saggi di critica
filosofica e religiosa, vol. I, Firenze 1882, 1-28. Lo scritto di T. è una
pronta replica alla “lettera” Paolottismo, positivismo, razionalismo 78. Il
tono è indignato e predicatorio; l’a. definisce “indegno” di un filosofo lo
scritto di S., respinge l’aggettivo “paolotto”, denuncia l’altezzosità di S.
nei confronti di Mamiani, accetta — ma a disdoro dell’hegelismo — la continuità
(anzi, per T., l'identità) tra materialismo del Settecento eFiosofiahegeliana,
condanna l’adorazione del Dio-stato. Respinge, ancora, il nesso Vico-Kant
stabilito da S. (Vico distingueva tra intelletto divino e intelleno umano, e il
verumz ipsum factum non è accettabile fuori di quella distinzione), e si duole
delle “nebbie teutoniche” trapiantate in Italia. Nelle ultime pagine, si scusa
della “vivacità” del proprio intervento, provocata del resto dal tono
“beffardo” di S.; e dichiara di riconoscere la parte di vero che c’è in Hegel:
“l'universalità e la comprensione del concepire” (ma l’universalità è
dall’armonia del cosmo, non dall’unità di Dio e mondo) e la “presenzialità” del
divino nel mondo e nell’uomo (che non va intesa, tuttavia, né come assoluta
immedesimazione né come assoluta separazione). MEIS, Deus creavit, in “Rivista
bolognese di scienze e lettere. È un dialogo, in cui si discute il problema
studiato da S. nelle Prize categorie della logica di Hegel; uno degli
interlocutori (Giorgio) espone e soomene la soluzione spaventiana. Gentile
interpreta il Deus creavit — nelle sue Origini della filosofia contemporanea in
Italia (v. nell'edizione e nel volume
citato più avanti le 61 sgg.) — come una disputa ideale tra i due filosofi; per
A. Del Vecchio Veneziani (La vita e l’opera di Angelo Camillo de Meis, Bologna)
il dialogo è nato probabilmente da una conversazione realmente avvenuta. Il
volume della Del Vecchio Veneziani è utile per seguire alcune vicende di S.
attraverso la biografia dell’amico (e, per un confronto tra S. e De Meis). Due
pagine dell’opera di De Meis Dopo la laurea (2 voll., Bologna) sono dedicate a
un elogio di S.; del De Meis si veda anche il discorso tenuto a Bologna per
l’inaugurazione dell’anno accademico, Darwin e la scienza moderna (Bologna), in
cui l’a. aderisce alla nota tesi spaventiana secondo la quale l’idealismo
hegeliano è la “profezia”, cioè l’ “organismo” e la “correzione” anticipata
dalla scienza moderna. Cfr. FERRI, Essaz sur l’histoire de la philosophie en Italie au
dix-neuvième siècle, 2 voll, Parigi 1869, IX- 496, 359. S. ha ragione come filosofo, quando cerca di trovare
nell’ultimo Gioberti un punto d’incontro con la filosofia 2492 tedesca: questo punto
d’incontro, di fatto, c'è (F. ne tiene conto: la discussione dell’ultimo
Gioberti fa da introduzione all'esposizione dell’idealisimo italiano; il libro
quinto, dedicato ai filosofi idealisti, si intitola: Derrière philosophie de
Gioberti). Ma ha torto come storico, perché, come Hegel, procede del tutto
apriori; la storia è, per lui, una generazione o genealogia di sistemi; S.
predilige le ipotesi e ignora i fatti, l’osservazione dei fatti: di qui la
debolezza della teoria della circolazione e della ricostruzione storica
proposta nelle prime lezioni napoletane. Nella Filosofia di Gioberti 69 S. non
discute le dottrine del filosofo tenendo conto del loro sviluppo storico; le
diverse fasi del pensiero giobertiano sono per lui compresenti, e S. ha buon gioco
nel moltiplicare le contraddizioni del sistema. A S. sono dedicate in
particolare le 193-206 del secondo volume (capitolo terzo del libro quinto). SICILIANI,
Su/ rinnovamento della filosofia positiva in Italia, Firenze. Choi.
TAGLIAFERRI, I/ materialismo plebeo e il materialismo aristocratico; in A. T.,
Saggi di critica filosofica e religiosa, vol. I, Firenz. L’articolo è datato:
agosto 1872; ma non ho rintracciato indicazioni relative alla prima
pubblicazione. È un’analisi della polemica sulle psicopatie. Tra l’idealismo di
S., il “semi-materialismo” di Tommasi e il “puro materialismo” di De Crecchio,
le differenze sono solo accidentali (quello di De Crecchio è, semmai, un
materialismo “plebeo” o “schietto”; il materialismo di S. è “aristocratico” e “ipocrita”). Gli autori della polemica sono
concordi nel riconoscere che l’anima senza il corpo non è, e riducono l’uomo
alla sua pura “esistenza fenomenica”: tanto basta a qualificarli. S. critica, e
con validi argomenti, il materialismo volgare; ma il suo idealismo non gli
fornisce un principio capace di scongiurarne le conseguenze morali, religiose,
e sociali (l’a. accenna anche ai “comunisti” di Parigi, che hanno senz'altro
ragione, se si nega l’al di là). L'hegelismo ha una parte vera e buona cfr. n. 152,
ma è viziato alla base dalla identificazione di Dio e mondo. Per avvalorare il
rilievo della insufficienza della morale idealistica, T. esamina, nelle ultime
pagine, la recensione di S. a La vita di G. Bruno scritta da D. Berti. E
conclude: “Nel vostro aristocratico materialismo, non vi lasciate vincere di
lealtà e sincerità da’ materialisti plebei, che voi combattete, ma che pur sono
i vostri fratelli carnali”. Dei Saggi di T. v. la recensione di B. Labanca in
“La filosofia delle scuole italiane. ACRI, Critica di alcune critiche di S.,
Fiorentino, Imbriani su i nostri filosofi moderni. Lettera... al prof.
Fiorentino, Bologna. FIORENTINO, La filosofia contemporanea in Italia.
Risposta... al professore F. Acri, Napoli. Nel volume è ristampato, alle 1-89,
il testo italiano di uno scritto di F. del 1874: Considerazioni sul movimento
della filosofia in Italia dopo l’ultima rivoluzione del 7860, già pubblicato in
tedesco nel secondo volume del periodico Italia edito da K. Hillebrand (un
estratto dell’articolo che era probabilmente posseduto dallo S., è conservato
presso la Biblioteca civica A. Mai di Bergamo: F. F., Die philosophische
Bewegung Italiens seit 1860, Separatabdruck aus K. Hillebrands Italia, Bd. II,
Lipsia, s. d., 56). Alla Philosophische Bewegung Italiens replicò F. Acri con
una Critica di alcune critiche... v. oltre; e cfr. n. 157; a cui F. fa seguire
ora, alle 91- 464 de La filosofia contemporanea in Italia, una Risposta al
prof. F. Acri. La polemica ebbe ancora un seguito con la pubblicazione dell’opuscolo
di F. Acri I critici della critica... v. oltre; e cfr. n. 159; Acri ristamperà
tutti i suoi interventi nella vicenda, in una raccolta intitolata Dialettica
turbata 186. Nelle Considerazioni sul movimento della filosofia in Italia
pubblicate anche in F. Fiorentino, Scritti vari di letteratura, filosofia e
critica, Napoli 1876, 1-75), l'a. ricorda che la ricostruzione di tutta la
storia della filosofia italiana, dal Rinascimento a oggi, è opera di B. S., il
cui lavoro “sta a capo di tutto quel movimento storico e critico, che dura
tuttavia, e che è il carattere precipuo della nostra filosofia presente” (p.
12). Parla del gruppo dei primi hegeliani, e riassume i risultati dei lavori
storici di S., soffermandosi sugli studi bruniani, sulla Filosofia di Kant, del
1860 (“il miglior modello di critica filosofica, che vanti l’Italia
contemporane”, p. 23), e sull’interpretazione di Galluppi, Rosmini e Gioberti;
la critica di S. a Gioberti è la più ampia e la “più profonda” tra quelle
elaborate dal maestro. S. non è un ripetitore di Hegel, ma ne ha compreso lo
spirito;l’a.accenna all’originalità delle Prime categorie (p. 31), alla
valutazione positiva della scuola di Herbart, per la psicologia (p. 32), e al
riconoscimento della “ragionevole 2495 esigenza” del positivismo “per lo studio
dei fatti storici” (ivi). S., ribadisce Fiorentino, non è un hegeliano
ortodosso, e crede in una “nuova” metafisica, i cui caratteri sono delineati
nella lettera del 1868 Paolottismo, positivismo, razionalismo. Alle 33 sgg., F.
tratta di Vera (e dei suoi rapporti con S.), di Mariano, di Franchi, di Mamiani
(e del “mamianista” L. Ferri; l'a. coglie l’occasione per ribattere le
obbiezioni a S. contenute nell’ Essai del 1869 cfr. n. 154), del Fornari, ecc.
Il giudizio decisamente negativo espresso, nelle Considerazioni, sul Fornari
(già attaccato da V. Imbriani per la sua “estetica”), e, più ancora, l'adesione
incondizionata alle tesi storiografiche di S., provocarono la prima reazione di
F. Acri. Nella Critica di alcune critiche (il libro è stato recensito
favorevolmente da T. Mamiani in “La filosofia delle scuole italiane; v. la
ristampa della recensione in Dialettica turbata), Acri sostiene che il panorama
delineato da Fiorentino è altrettanto sbagliato quanto lo è la ricostruzione
spaventiana della filosofia moderna: l’interpretazione di Galluppi,
l'interpretazione di Rosmini (pp. 40-68) e quella di Gioberti (pp. 68-113).
Acri cerca di mostrare l'infondatezza delle conclusioni di S., contrapponendo
ad affermazione negazione e a negazione affermazione (come dice lo stesso a.).
Va segnalato anche, in queste pagine, il tentativo dell’Acri di provare che la
“lettura” spaventiana di Spinoza discende direttamente dalle pagine della
Geschichte der neuern Philosophie di K. Fischer (sull'argomento Acri ritornerà
in uno scritto del 1877 edito a Firenze: Una nuova esposizione del sistema di
Spinoza, ristampato; vedine la recensione in “La filosofia delle scuole
italiane. Alle 135 sgg. della Critica, Acri si occupa 2496 dello scritto di
Imbriani su V. Fornari estetico, apparso nel “Giornale napoletano” del 1872.
Nella Risposta di Fiorentino al prof. Acri (La filosofia contemporanea) sono
ribattuteuna per una le obbiezioni di Acri a S. S. non intervenne direttamente
in questa polemica contro Acri; cfr., nella Filosofia contemporanea, una sua
lettera a Fiorentino del 10 marzo 1876 (pp. IX-XV; a p. XVI, una lettera allo
stesso di V. Imbriani). Nello stesso volume, è ristampato tuttavia l’articolo
scritto da S. contro Fornari e pubblicato nel 1876 dal “Fanfulla” di Roma 87.
Dell’opuscolo di Acri in risposta alla risposta di Fiorentino cfr. n. 159va
detto che l’a. racconta, nella prima parte, un sogno, in cui S., Fiorentino e
Imbriani compaiono in veste di filosofi che bisticciano (il caposcuola rampogna
i discepoli per l’imprudenza dei loro attacchi); nella seconda parte
l'argomento è continuato sotto forma di dialogo tra l’a. e un amico. La
polemica tra gli hegeliani e F. Acri è ricordata da diversi autori (v. sopra,
introd., 871 sg.); ma v. le pagine di Croce ne La vita letteraria a Napoli dal
1860 al 1900 cfr. n. 185 e, soprattutto, il volume di L. Russo su F. De Sanctis.
ACRI, I critici della critica di alcune critiche, cioè i professori S.,
Fiorentino e Imbriani apparsi in sogno al professore Acri, Bologna. SICILIANI,
La critica nella filosofia zoologica 2497 del XIX secolo. Dialoghi, Napoli.
Christi. dl CESARE, S., in “Fanfulla della domenica” Roma, V (1883), n. 9, 4
marzo; ristampato da G. Gentile in “Giornale critico della filosofia italiana”,
VII (1926), 378-382, con il titolo: Una notizia biografica di B. S.. Necrologio
del filosofo. De Cesare afferma, tra l’altro, che B. collaborò con articoli al
giornale di Silvio, il “Nazionale”. Nel ristampare il breve profilo biografico
di S., Gentile segnala l’importanza di quella indicazione, ma anche alcune
inesattezze dell’a. (p. 382). Qualche anno dopo, Gentile renderà nota la fonte
dell’articolo (e delle inesattezze): il testo di alcuni appunti di De Meis,
consegnati a De Cesare per la pubblicazione del necrologio (A. C. De Meis,
Ricordi di B. S., in “Giornale critico della filosofia italiana. MEIS, S., in
“Gazzettadell'Emilia. Il testo di questo necrologio è riprodotto a p. XVII n. I
della bibliografia degli scritti di De Meis raccolta nel volume di A. Del
Vecchio Veneziani. FIORENTINO, Commemorazione di B. S., letta nell'aula magna
dell’Università di Napoli, in “Rendiconto delle tornate e dei lavori
dell’Accademia di scienze morali e politiche” di Napoli. È il primo ampio
saggio biografico su S.; citato come fonte dal Gentile nel suo Discorso. F.
ricorda, oltre alle vicende del filosofo, le sue opere principali, delineando
in breve anche la tesi dello scritto, ancora inedito, Esperienza e metafisica
94. Tratto fondamentale del filosofo, l’ “ingegno critico”, e l'indipendenza
del pensiero; doti che ben corrispondono alla fermezza del carattere, alla
severità, all’austerità e alla franchezza, talvolta “ruvida”, dell’uomo. La
commemorazione è pubblicata anche nel “Giornale napoletano di filosofia e
lettere”, “Atti” dell’Accademia di Napoli, con una bibliografia e indicazioni
su lavori inediti di S.), nelle Onoranze funebri a S. Vedila ora in Fiorentino,
Ritratti storici e saggi critici, Firenze. Onoranze funebri a S., Napoli.
Contiene: una premessa di D. Jaja, il testo dei discorsi pronunciati da A.
Vera, da E. Pessina, da R. Bonghi, da L. Miraglia, da D. Jaja, da G. Abignente,
da R. Cotugno, da O. Testa. A p. 27, il frammento di un discorso di F.
D’Ovidio; la ristampa della commemorazione di F. Fiorentino WERNER, Die
ttalienische Philosophie des neunzehbnten fabrbunderts, Vienna. La seconda
parte (Die pantbeistischhe Transformation des Ontologismus im italienischen
Hegelianismus, del terzo volume (Die kritische Zersetzunr, und speculative
Umbildung des Ontologismus) è dedicata agli hegeliani. L’a., ricorda le tesi
delle prime lezioni napoletane di S.,eillustra i caratteri che distinguono le
due principali correnti dell’hegelismo, rappresentate da Vera e S. (Vera
ortodosso; S. media Hegel con la tradizione idealistica italiana, e con le
esigenze del realismo contemporaneo, antiidealistico). A_S. sono dedicate in
particolare le 264-287; per esporne la filosofia, W. riassume gli Studi
sull’etica hegeliana. MASCI, Relazione per la proposta di un monumento a S., s.
1., s. d. Napoli. Ribadisce un giudizio sul quale concordano gli scolari di S.:
il filosofo napoletano fu soprattutto un ricercatore, uno spirito critico, che
non trasmise dogmi ai suoi discepoli, ma volle e seppe sviluppare in loro
l’attitudine alla ricerca. S. ebbe il merito di far conoscere all’Italia la
filosofia di Kant, e l’idealismo assoluto; agli occhi dell’a., quest'ultimo
appare come un semplice momento, certo necessario, ma ormai superato dal
“ritorno” a Kant e della “vigorosa ripresa dell’empirismo. Una recensione dello
scritto di M. si legge nella “Filosofia delle scuole italiane. KERBAKER, Per
l'inaugurazione dei monumenti a L. Settembrini e B. S., Napoli. Nel discorso di
K., Settembrini e S. sono riavvicinati e elogiati: a) per l’ “indipendenza” del
loro pensiero (pp. 5 sgg.; in S. “la libera attività del pensiero era più
inquisitiva che ermeneutica”; l’a. sottolinea il temperamento socratico, la
capacità critica del filosofo; il miglior frutto di questa virtù è
rappresentato dalle lezioni sulla filosofia italiana: “comprese pel primo lo S.
l’importanza del problema storico, quello cioè di scoprire le vere e genuine
tradizioni filosofiche del genio italiano e quindi la sua propria attitudine e
vocazione scientifica); b), per “il senno moderato e moderatore, il senso della
giusta misura nel giudicare i fatti del mondo reale e trarne le norme
regolatrici della civil convivenza.: S. “non credeva che il riscatto morale del
popolo italiano fosse compiuto pel sol fatto della sua emancipazione civile e
politica. Scorgeva invece e predicava la necessità che si rifacessero
faticosamente i materiali dell’edificio, si sostituisse cioè a poco a poco, nella
coscienza pubblica, il concetto dello stato organico, operaio, intraprendente a
quello dello stato meccanico, stazionario, pacifico”). LAUREANI, Giordano Bruno e S., Lanciano.
Sembra promettere, all’inizio, un discorso sulle interpretazioni spaventiane di
Bruno; ma si esaurisce in un generico profilo del pensiero di S. FERRI, Ur
Zibro postumo di S.. La dottrina della cognizione nell’Heghelianismo, in
“Rivista italiana di filosofia; Il problema della coscienza divina in un libro
postumo di S., in “Rivista italiana di filosofia. Due saggi su Esperienza e
metafisica. Nel primo, F. dichiara di accogliere la critica spaventiana del
realismo ingenuo, ma di dover rigettare la concezione idealistica della “natura
del vero, ossia della relazione del pensiero con l'essere. S. difende contro i
kantiani il concetto dell’ “assoluto metodologico inseparabile dall'andamento
del pensiero in quanto esso è guidato... dalla... presunta e dimostrabile
unità” di “assoluto naturale, dialettico e religioso; respinge l’idea spenceriana dell’inconoscibile, il concetto
di “posizione assoluta” di Herbart, e la soluzione darwinistica, che poggia
“sopra fatti esteriori e dati empirici. Crede di aver dimostrato che l’uomo è
“capace di pareggiare col pensiero l'essere”, che è capace di “conseguire il
pensiero assoluto, l'assoluto sapere. Ma il timore del dualismo spinge S. “a
diminuire da una parte l’ingerenza dell'esterno, e accrescere talmente quella
dell'interno nella funzione conoscitiva, che alla fine la seconda rimane sola”
(cfr. tutta la discussione di 151 sgg., dove si denuncia l’indebita
identificazione idealistica di processi della coscienza e processi della
conoscenza, che conduce all'affermazione della presenza dell'essere infinito
nell'uomo: F. pensa che si debba mantenere un concetto “ben circoscritto” dell’
“immanenza divina, per salvare sia la personalità divina, sia quella umana.).
Per F. si deve continuare a riconoscere la presenza di dati irriducibili
all’attività psichica; la relatività della conoscenzanonva intesa semplicemente
in relazione alla sua estensione, giacché si fonda sulla “materia” stessa del
conoscere. Nel secondo saggio, riprendendo il tema, già affrontato nella prima
parte, del rapporto tra pensiero divino (“inconscio”, secondo S.) e pensiero
umano (nel quale soltanto si realizzerebbe il sapere come coscienza), F.
difende contro S. le ragioni del teismo. S. S., Lettere scritti documenti
pubblicati da Croce, Napoli; Bari. GENTILE, Della vita e degli scritti di S.,
in B. S., Scritti filosofici, raccolti e pubblicati... da G. Gentile,
Napoli. JAJA, Prefazione a B. S.,
Scritti filosofici, raccolti e pubblicati... da G. Gentile, Napoli. VARISCO,
Razionalismo e empirismo, in “Rivista di filosofia, pedagogia e scienze affini.
L’a. si propone di “esporre e di criticare i concetti fondamentali del
razionalismo kantiano e dell’hegeliano; e di dimostrare la possibilità d’un
empirismo, soddisfacente alle esigenze, che queste due dottrine hanno avuto il
merito di mettere in luce”. Nella sua ricerca, V. tiene presenti i saggi
spaventiani raccolti negli Scritti filosofici. L’a. riconosce a S. il merito di
aver sostenuto le ragioni del “meccanismo”, di averne ammessa la necessità per
la conoscenza dei fenomeni psichici. Ma al di là di alcuni parziali
riconoscimenti, va detto che è fallita la “correzione” di Kant, tentata da
Hegel e da S. L'esigenza di salvare l’oggettività del conoscere non può
ritenersi soddisfatta attraverso la “prova” dell'identità di essere e pensiero,
escogitata da S. nelle Prizze categorie. E la radice della difficoltà va
ritrovata, in fondo, nello stesso Kant, che ha considerato la sensazione come
un fatto soltanto soggettivo, e non come un dato che si “impone” a noi.
All’articolo di V. replica prontamente Gentile, rivendicando a sé il diritto di
rispondere in nome di S., e ribadendo, tra l’altro, la necessità di riprendere
la tradizione rappresentata dal filosofo napoletano. La risposta alle
difficoltà di V. è già contenuta nel saggio sulle Prize categorie. Il critico
fraintende S.(eHegel), perché confonde fenomenologia e logica, confonde una
questione di ordine gnoseologico con una questione di ordine logico ©
metafisico. Un argomento, su cui Gentile insiste per avvalorare questa sua
osservazione, consiste nel rilievo della impossibilità di richiamarsi al
principio di contraddizione, nella discussione del rapporto essere-nulla:
impossibilità ben nota, oltre che allo S., allo stesso Trendelenburg, ma non
intesa da Varisco. Alla risposta di Gentile, V. replica con lo scritto: Per /a
critica, sulla stessa rivista, nel fascicolo di ottobre del medesimo anno.
Gentile chiude la discussione con: Polemica hegeliana, Napoli. I due scritti di
Gentile vedili anche ristampati in Saggi critici, serie prima, Napoli. GENTILE,
Filosofia e empirismo, in “Rivista di 2504 filosofia, pedagogia e scienze
affini. PIANO, L’begelismo a Napoli, Potenza. Nel saggio sono indicate le
ragioni — politiche e religiose, oltre che filosofiche — della fioritura
dell’hegelismo a Napoli, e quelle del suo arresto o della sua “mancata
diffusione”. Il secondo tema è trattato — tra l’altro — attraverso il ricorso a
note argomentazioni (cfr. p. 68: “Alla mente italiana, dotata da natura di
forme troppo originali per soffrire qualunque maniera d’imitazione; al pensiero
italiano, naturalmente bisognoso di realtà e di vita, mal si convengono le astrazioni,
spesse volte, troppo vuote dei Tedeschi”); ma proprio questo taglio del
discorso consente all’a. di lodare in S. la figura del mediatore (v. il
paragrafo, Ragioni del maggior credito e fama dello S. rispetto agli altri
begeliani; e cfr. p. 69: “Ha seguito Hegel non da noioso ripetitore, né da
fedele e servile interprete, ma se ne è assimilato lo spirito più che le
formule e le parole. È l’anello di congiunzione tra l’idealismo di Gioberti e
quello di Hegel; è un moderatore o meglio il termine medio tra la filosofia
esclusivamente nazionale e l’hegelismo puro. Nei paragrafi decimo e undicesimo
l’a, riassume Ia storia della filosofia italiana elaborata da S., la sua
interpretazione delle prime categorie della logica di Hegel, e le tesi di
Esperienza e metafisica; in alcuni punti (v. ad es. p. 55, per il parallelo
S.-Marx) il saggio sembra riflettere — ma senza espliciti riferimenti — qualche
indicazione contenuta nel discorso premesso da Gentile all’edizione degli
Scritti filosofici di S. GENTILE, Prefazione a B. S., Principi di etica, Napoli.
SCHIAVONI, Silvio e S., lettera a Crisafulli; in Onoranze al prof. Vincenzo
Lilla, Messina. È un “ricordo” dei fratelli S.; ma riguarda soprattutto Silvio.
GENTILE, Prefazione a B. S., Da Socrate a Hegel, Bari. MARIANO, Uorzini e idee
(Scritti vari), Firenze. TOCCO, Fra biografie e quadri storici, in “Il Marzocco,
Firenze. CROCE, Giovanni Bovio e la poesia della filosofia, parte prima, in “La
Critica. Contiene alcune pagine su Vito Fornari e B. S., ristampate più tardi
in B. C., La letteratura della nuova Italia. Saggi critici, qui le citazioni
sono tratte dalla seconda edizione del primo volume (lo scritto: V. Fornari-B.
S.. Fornari viene incontrato da C. in “una visita di congedo, se non proprio di
riverenza, alla prosa italiana del buon vecchio tempo, con le sue avvizzite
graziette e moine. S. Si schierò contro la tradizione dei “linguai e frasaioli,
in forza del suo atteggiamento critico (anche rispetto a Hegel), e della sua
attenzione alle nuove forme di pensiero. È un merito che gli va riconosciuto,
“quale che sia il giudizio che si porti sulla sua filosofia. A Fornari S.
oppone l’ “asciuttezza del discorso, che aborre la divagazione e la
chiacchiera, e una eloquenza, che è tuttavia “virilmente semplice”. Croce
ricorda il vigore polemico del vecchio hegeliano, precisando che il “suo
temperamento lo portava non all’ironia, ma al sarcasmo e alla rappresentazione
grottesca”. Di questo tratto del carattere di S. costituisce un documento la
lettera contro Fornari, G/ spaventiani S.ti BARZELLOTTI, Due filosofi italiani,
Augusto Conti e Carlo Cantoni, in “Nuova Antologia”e in G. B., L’opera storica
della filosofia, Milano. Nelle ultime pagine dell’articolo, B. muove alcune
obbiezioni al “programma” degli hegeliani di Napoli — e, in particolare, di S.
— che provocarono una risposta di Gentile. GENTILE, Per la sincerità della
critica e per l'esattezza storica. Risposta al prof. Barzellotti, in “La
Critica”; e in G. G., Saggi critici, serie seconda, Firenze, con il titolo:
False accuse contro lo S.. Risposta...). La risposta di G. all’articolo di B. è
una difesa della tesi della “circolazione” e un richiamo a una più corretta lettura
degli scritti di S. Secondo B., S. avrebbe voluto trapiantare in Italia il
sistema di Hegel, questo prodotto “nazionale” della Germania, senzatenerconto
delle differenze specifiche dei due linguaggi e delle due mentalità, italiana e
tedesca; avrebbe mostrato, ancora, di mancare affatto di “senso storico” nella
sua interpretazione di Rosmini e di Gioberti, e con la sua affermazione del
carattere “solamente europeo” della filosofia moderna. Nella sua risposta, G.
mostra che le accuse di B. si fondano su di una interpretazione affrettata de
La filosofia italiana; e che, in particolare, l’attribuzione a S. del giudizio:
la filosofia è solamente europea, nasce da un errore materiale di lettura.
GENTILE, prefazione a B. S., La filosofia italiana nelle sue relazioni con la
filosofia europea, Bari 1908; terza edizione, Bari. MARIANO, Dall’idealismo
nuovo a quello di Hegel (Scritti vari), Firenze. CROCE, La vita letteraria a
Napoli, in “La Critica. Ampio panorama (ristampato in B. C., La letteratura
della nuova Italia. Saggi critici; qui si cita la sesta edizione, Bari, della
cultura universitaria e extrauniversitaria di Napoli nella seconda metà
dell'Ottocento; con indicazioni ancora preziose sulla vita delle accademie e
delle biblioteche, sulle riviste, sul teatro e sul giornalismo; sulla Società
di storia patria, ecc. Il nome di S. vi compare più volte, e subito (S. rappresentò “nel modo più visibile” la
“trionfante rivoluzione intellettuale”); qui il filosofo è legato al Sanctis (e
al Tari e al Settembrini) con un giudizio (erano, più che insegnanti,
“educatori ed eccitatori di tutte le forze morali) che sarà poi ripreso e
variamente accentuato da altri studiosi. Le 271 sgg. offrono un quadro assai
particolareggiato delle reazioni all’hegelismo di S. da parte dei giobertiani,
dei seguaci di V. Fornari, e di alcuni “ultraprogressisti” in filosofia e
politica (più o meno influenzati dal Mazzini). Degli scolari di S. (ma la sua
scuola fu tutt'altro che una “chiesa. Oltre alle pagine (con richiami alle
testimonianze degli stranieri: di T. Straeter, di Monnier, di I. Taine, ecc.)
sulla vita dell’università napoletana, e sulla sua decadenzadopoil1, sono da
vedere in particolare quelle dedicate alle riviste, che contengono le
indicazioni essenziali sugli scritti polemici di hegeliani e antihegeliani (polemiche
di Fiorentino, Imbriani, S., con V. Fornari, F. Acri, ecc.). ACRI, Dialettica
turbata, Bologna. Nella prefazione l’a. dichiara i sentimenti (assai delicati,
e malinconici) che prova nel ristampare i documenti della disputa. Ripubblica
qui: 1) con il titolo La disputa con Fiorentino e S. e l’Imbriani, la Critica
di alcune critiche; col titolo Un sogno di B. S., la lettera di S. Gl
spaventiani S.ti, con commenti in parentesi; 3) col titolo: Sogno di F. Acri, e
Un dialogo dopo il sogno, lo scritto del 1876: I critici della critica, la
recensione di Mamiani alla Critica; alle 133-243, la Nuova interpretazione
dello Spinoza, seguita da: I/ Fiorentino e lo spirito dello Spinoza celato
entro una fiammella. GENTILE, prefazione a B. S., La politica dei gesuiti.
Polemica con la “Civiltà cattolica, Milano-Roma-Napoli. GENTILE, prefazione a
B. S., Logica e metafisica, nuova edizione con l’aggiunta di parti inedite,
Bari. CROCE, Noterelle di critica hegeliana. I. Il “primo” o il
“cominciamento”, in “La Critica”, La
nota (ad essa si può collegare, per un riferimento esplicito a S., la
discussione dello studio di A. Moni, La dialettica positiva ossia il concetto
del divenire, Teramo, apparsa nella stessa annata della “Critica”; i due
scritti di C. sono stati poi raccolti nel Saggio sullo Hegel, Bari, più volte
ristampato) precisa in termini chiari e definitivi la distanza che l’a. volle
frapporre fra sé e il vecchio hegeliano (per altri giudizi di C. su S.,
formulati per lo più incidentalmente in pagine non dedicate al filosofo, v.
l’introduzione di questa bibliografia). C. non attribuisce dignità di problema
alla questione del “primo scientifico” o del “cominciamento”, e rifiuta come
vana ogni esercitazione, per ingegnosa che sia, sul tema delle prime categorie
della logica di Hegel. Dando credito alla richiesta di una “prova” per il
principio della scienza, S. ha finito con l’escogitare una soluzione davvero
insostenibile: quella che fa nascere la filosofia da un dato immediato epperò
non provato (il “primo” della fenomenologia), e che indica poi nell’ “idea”,
assunta come maximum di intelligibilità (il “più che intelligibile”), il
risultato ultimo del suo processo; sicché può dirsi che S. si muove sul piano
di un duplice empirismo, “un empirismo del fenomeno e un empirismo del
soprafenomeno o misticismo”. L’errore sta nel continuare a mantenere — pur dopo
aver negato l’esistenza di una verità esterna al pensiero — la distinzione
empirica o didascalica della fenomenologia dalla logica, e del non filosofo dal
filosofo; distinzione che appare, ancora, indebitamente presupposta, quando S.
indica nella “risoluzione” del ZIL1 soggetto la possibilità di un cominciamento
necessario per la filosofia. RUGGIERO, La filosofia contemporanea, Bari. Sullo
S., (nella quinta edizione in due
volumi, Bari. Qui il giudizio di De Ruggiero è positivo, in linea con
l’interpretazione di Gentile. Nelle Prime categorie S. svolge, attraverso
Hegel, tutta la ricchezza del cogito cartesiano; della logica di Hegel conserva
“lo scheletro”, sviluppandone il significato “più profondo”, intendendola cioè
nel suo “motivo storico”, come preparazione dell’ “assoluto psicologismo” o
“assoluto empirismo”. S. mantiene, certo, la partizione del sistema, distingue
ancora la fenomenologia dalla logica, i.e. la verità “per noi” dalla verità “in
sé”, e Si mostra, in questo senso, “platonico”, al di qua del “nuovo”
idealismo. Ma c’è anche lo S.immanentista, lo S. della lettera Paolottismo,
positivismo, razionalismo, e dell’introduzione ai Principi di etica, che
raggiunge l'identità di pensiero in sé e di pensiero in noi, di conoscenza e
scienza, e che afferma la coincidenza dell’e eterna soluzione” con l “eterno
problema”: un motto, che è “linsegna della nostra vita speculativa”. Da
confrontare anche l’articolo di De Ruggiero: Echi platonici nella filosofia
italiana contemporanea (in “La Voce”), che accetta la linea di sviluppo:
Rosmini- Gioberti-S.. A S. sono dedicate le ultime pagine di G. De Ruggiero, I/
pensiero politico meridionale, Bari. Quello di S. (e di De Meis) è “uno stato
liberale secondo ragione”, che differisce dalla concezione che ne ebbe il
“classico” liberalismo europeo, fondato sui diritti e la libertà
dell’individuo. Ma Y “astratto razionalismo” di S. e De Meis “venne in buon
punto incontro alla prassi politica dei ‘patrioti’ e formò la filosofia della
Destra liberale italiana. Una dottrina che deduceva l’autorità e la legge dalla
libertà, celando in un nembo la dea generatrice, doveva esser propizia
all’azione storica di quelle minoranze che compirono l’unificazione ed a cui
solo una finzione razionalistica poteva attribuire un titolo di rappresentanza
universale. L’energica affermazione dell'autorità dello stato, dedotta dai
principi stessi dell’autocoscienza, corrispondeva alla pratica
dell’accentramento e della burocratizzazione; il legalismo e il
costituzionalismo come criteri superiori per dirimere tutti i conflitti degli
interessi particolari, erano le armi appropriate a un ceto di proprietari,
cosiddetti liberali, una volta pervenuti al potere. Sicché “la dottrina
filosofica ribadiva un complesso d’interessi conservatori e, in certa misura,
reazionari”; la “grandezza storica” (compimento dell’unità) della Destra appare
“quasi del tutto estranea a ciò che le ha conferito la qualifica liberale”. Nel
volume della sua Storia della filosofia moderna dedicato a Hegel (Bari 1948),
De Ruggiero ricorda S. solo per affermare che la sua opera è affatto inutile in
un “riesame storico-critico del sistema hegeliano”. S. conserva “L’intonazione
teologica” di Hegel, e non importa che il suoteologismoassuma i toni di un
teologismo “laico”. La critica moderna rompe l’involucro del sistema hegeliano,
per coglierne e svolgerne l’interna ricchezza; S. si muove nella direzione opposta,
“verso l’involuzione del sistema. FAZIO ALLMAYER, I/ compito della filosofia
italiana, in “La Voce. L'articolo di F. A. è il primo di una serie di scritti
su La filosofia contemporanea in Italia, tema a cui è dedicato questo numero de
“La Voce” (gli altri contributi sono di G. Gentile, F. Momigliano, A. Carlini,
G. Natoli, L. Salvatorelli, G. Lombardo-Radice, Croce, Parodi, Ruggiero,
Saitta). L’impianto dell’articolo — scritto con indubbia decisione e chiarezza
— riflette le —linee’essenziali del programma spaventianogentiliano (e
dell’ultimo Gioberti), accentuando una tematica (necessità di riassorbire la
filosofia della natura e la logica nella fenomenologia dello spirito) che l'a.
ha sviluppato per suo conto nell’elaborazione del proprio idealismo. Con S. e
Gentile, F. A. legge nell’autentica tradizione italiana “la più forte tendenza
verso l’immanenza e la libertà”; “noi siamo avviati alla concezione della
logica come storia, sviluppo dello spirito umano concreto, e quindi al
rifacimento della Feromzenologia dello spirito in cui, oltrepassato il
dispiegamento della coscienza particolare riferentesi all'oggetto naturale,
mostrata l'identità di coscienza ed autocoscienza fin nel primo atto dello
spirito, si abbia il dispiegamento della coscienza umana come atto concreativo
della storia umana, del mondo umano, quindi come storia e logica allo stesso
tempo. Così riporteremo ai concreti problemi della vita e della storia
quell’idealismo che altrove svapora nel misticismo o si deposita nel
naturalismo”. Per questo articolo, l’a. fu chiamato in causa nel corso della
polemica Boine-Prezzolini; e intervenne con una breve risposta ne “La Voce. Il
compito della filosofia italiana apre la raccolta degli studi ristampati nel
volume di F. A. Ricerche hegeliane, con prefazione di G. Saitta, Firenze; il
saggio è qui pubblicato con un titolo diverso, (S. e l’hegelismo) e “con alcune
lievi modifiche dove era invecchiato per la contingenza di certe affermazioni”.
Nelle Ricerche è ristampato anche, con il titolo Genzile e la riforma della
dialettica hegeliana, 20-42, uno studio già apparso nel “Giornale critico della
filosofia italiana: la riforma gentiliana non si trova già in S., il quale “è
ancora legato alla partizione della Enciclopedia hegeliana e ciò a cui è
arrivato è che non ci è categoria senza pensare (mentalità) oggettivo, e che il
pensiero oggettivo è presente al pensiero soggettivo, senza di che questo non è
pensiero. Si potrà ancora sostenere perciò che per lui c’è una esigenza
realistica qui l’a. introduce un riferimento agli studi spaventiani di F.
Alderisio, la quale invece è superata dal Gentile per cui tutta la realtà si
identifica con quella vita del soggetto, in cui il mondo vive, e rivive; e
rivivere è vivere. RODOLAN, Ieri e oggi. Bertrando e Silvio S., in “La Nazione”
Firenze, 7 aprile 1912. Sulle ragioni che hanno portato lo S. al sacerdozio, e
sulla riconoscenza di Silvio per l’ “olocausto” del fratello. GENTILE, La
riforma della dialettica hegeliana e B. S., con appendice (1912), in G. G., La
riforma della dialettica hegeliana, Messina 1913, 1-71; ora in G. G., Opere, a
cura della Fondazione Giovanni Gentile per gli studi filosofici, Cfr. GENTILE,
La filosofia in Italia dopo il 1850. Gli hegeliani. V. La riforma dello
hegelismo (S.), in “La Critica. Dei saggi gentiliani sulla filosofia italiana
della seconda metà dell’Ottocento, raccolti poi dall’a. sotto il titolo: Le
origini della filosofia contemporanea in Italia, viene tenuta presente in
questa bibliografia l’ultima e definitiva edizione (nelle Opere complete di G.
G. a cura della Fondazione Giovanni Gentile per gli studi filosofici) costruita
attraverso il confronto delle edizioni
(migliorate nello stile, ma mutilate di molti riferimenti ai testi e
delle bibliografie) con il testo apparso ne “La Critica. Il saggio su S. è
ristampato nelle Opere complete; ma sono da vedere anche i volumi precedenti:
per alcuni riferimenti ai rapporti tra Mamiani (e il mamianista Ferri) e S., il
XXXII, che contiene, nelle pagine sul Tommasi, indicazioni sulla polemica intorno
alle psicopatie, e notizie sui rapporti di Angiull i e Siciliani con lo S.;
infine, nel vol. XXXIII, sono da vedere il capitolo su F. Fiorentino, le pagine
su F. Masci e le pagine che introducono alla storia degli hegeliani di Napoli.
Il saggio su S. del 1913-14, scritto quando erano oramai acquisiti (soprattutto
con la pubblicazione del Framzzzento sulla dialettica) i documenti fondamentali
su cui si basa l’analisi di G., fissa in termini conclusivi l’interpretazione
avviata nel Discorso del 1900 96. Le pagine su S. e la riforma dell’hegelismo
sono precedute da due capitoli, intitolati: Ceretti e la corruzione
dell’hegelismo (con paragrafi dedicati a P. D’Ercole, A. Tari, e alla Florenzi
Waddington) e: Mess e la filosofia della natura (sono da vedere le 59 sgg., sui
rapporti De Meis-S., dove si ragiona come e perché il primo non intese “il
motivo segreto e le conseguenze” degli studi spaventiani sulla logica
hegeliana); e precedono l’ultimo capitolo delle Origizi, dedicato agli Scolari
di S., S. Maturi e D. Jaja, da vedere anch'esso, per il rapporto istituito tra
maestro e discepoli: Maturi subisce l’influsso anche di Vera, e dà un peso
eguale alle due posizioni, distinte anzi opposte nella interpretazione
corrente; Jaja “s’afferra al filo che già aveva porto lo S. per uscire da quel
labirinto del congegno della logica hegeliana, determinato dal rapporto delle
prime categorie” e lavora all’elaborazione della metafisica della mente (p.
208). L’ultimo paragrafo dello scritto su S.riprendeeconclude il giudizio
avanzato nella dedica degli Scritti del 1900 961: la filosofia di S. accoglie e
compone “tutte le esigenze varie ed opposte che s’eran venute agitando nel
pensiero italiano nella seconda metà del secolo XIX”, dando ad esse “legittima
soddisfazione e additando la via dell'ulteriore progresso. La ricostruzione del
“punto di vista spiritualistico raggiunto dallo S.” (p. 186) è preparata, in
primo luogo, da una breve presentazione della figura del filosofo, lodato come
“uomo di parte” orientato “verso la concretezza” storica, e opposto, così,
all’ortodosso Vera (sui diversi interessi — per la filosofia della natura e
della religione in Vera, per la logica e la teoria della conoscenza in S. — dei
due filosofi, e per la presentazione della loro opposizione secondo lo schema:
metafisica dell’ente-metafisica della mente) e ai mistici Tari e Ceretti; in
secondo luogo, da una riesposizione degli studi e scritti spaventiani sul
Rinascimento, su Spinoza e sulla filosofia italiana contemporanea: soprattutto
della Fy/osofia di Gioberti, qui giudicata il “capolavoro” di S. Nel corso di
questa riesposizione, e già a proposito dei primi studi bruniani di S., G.
osserva che “questa sua storia della filosofia, che qui si viene studiando, non
è che una prima immagine della sua filosofia; richiama cioè un problema
affrontato nella prefazione a La filosofia italiana già dato per risolto, in
quella stessa prefazione, attraverso la costruzione teorica della identità di
filosofia e storia della filosofia. Nelle Origzzi, questa teorizzazione riaffiora
in più punti, e soprattutto dove si parla della “perfetta fusione di
trattazione storica e filosofica” che solo può realizzare chi, come S., ha
interesse di “intendere tutto il processo, come il processo genetico del
risultato. Ora, approfondito e conosciuto veramente il “risultato” (e cioè
“rivalutata” via via la filosofia di Galluppi, Rosmini, Gioberti), è
abbandonato da S. l’astratto appello al sistema di Hegel: il problema non era
più quello “dei rapporti tra i filosofi del secolo XVI e la posteriore
filosofia europea” (i.e. l’enciclopedia di Hegel), bensì “quello dei rapporti
degli ultimi tre filosofi italiani... con la filosofia tedesca da Kant a
Hegel”. La teoria della “circolazione del pensiero” nasce quando il processo
della filosofia moderna appare a S. non più “rettilineo e centrifugo, rispetto
a noi”, ma anzi “come un moto circolare, che ritorna al suo punto di partenza. Ora,
l'abbandono o la correzione del programma era reso possibile — sottolinea G. —
dall’atteggiamento indipendente assunto da S. nei confronti dello stesso Hegel;
“S., avendo fatto suo succo e sangue la sostanza del pensiero hegeliano, non
pensava né scriveva col modello innanzi, né si faceva dei paragrafi
dell’Erciclopedia la regola del proprio giudizio; e G. si compiace di additare
almeno un luogo della Filosofia di Gioberti in cui S. mostra di avere, del
pensiero, “un concetto conforme bensì alla Ferorzenologia hegeliana, ma non
forse alla Enciclopedia, in cui il pensiero nostro, libero, personale,
presuppone la logica in sé, nella stessa relazione che la riflessione
giobertiana ha con l’intuito come sua base autorevole.. Il vero significato
della “circolazione” sta allora nella critica o meglio “autocritica” del
processo storico del pensiero italiano che in S. si compie: “la vera importanza
della critica dello S. sul Galluppi, sul Rosmini e sul Gioberti è di
rappresentare il progresso del pensiero italiano dopo Gioberti. Con questo
riconoscimento — e qui G. si discosta dai suoi precedenti studi, e
approfondisce un’obbiezione avanzata nella prefazione a La filosofia italiana —
cade tuttavia lo stesso concetto della “circolazione”: “concetto, diciamolo
pure, alquanto fantastico, implicando quello di una nazionalità come una sfera
chiusa di vita spirituale: che, a sua volta, è concetto non sostenibile né
storicamente, néfilosoficamente, fondato su una rappresentazione fantastica
della nazione, come qualche cosa di esistente in sé, in conseguenza di certi
dati naturali. Certo, lo schema “rigido” della “circolazione” fu reso da S. più
flessibile con la “scoperta” del nesso Vico-Kant, anche se il filosofo non
riuscì a individuare la vera origine storica della dottrina vichiana (gli
sfuggì l “aspetto incontestabilmente kantiano del Deantiquissima) e della
esigenza metafisica che pure ad essa riconobbe. Tuttavia, l’obbiezione di G.
all'idea spaventiana del “circolo” resta: e viene giustificata, a) sul piano
storico, attraverso numerosi riferimenti che mostrano come la “circolazione”
sia stata “continua, e h) sul piano filosofico, in virtù dell’equazione:
nazione=spirito=universale (“e se la concretezza dell’universale importa le
differenze, queste non cancellano mai quello: e la varietà della storia non è
che l’eterna variazione dell'uno e l'eterna unificazione del vario). La “circolazione”,
per G., è “continua”, perché coincide col dialettismo del pensiero in atto. Le
pagine, già richiamate, che chiariscono il rapporto Vera-S. avviano G. allo
intelligenza” dell’hegelismo spaventiano. Unico problema di S. quello della
logica o teoria del conoscere, sviluppato nella linea della sinistra hegeliana così
come l’intende G., nella linea cioè di una ricerca volta all’ “affermazione
dell’essere come mente” contro le concezioni imperniate sulla rappresentazione
religiosa del logo. Ma il “problema della mente” come problema del conoscere
diventa centrale in S. non attraverso una mera “riduzione” della filosofia a
gnoseologia; è, infatti, sul piano storico — sul piano di quel reale processo
storico che va da Kant a Hegel — che la critica del conoscere si è rivelata a
S. nel suo valore: non pura gnoseologia, ma metafisica. G. ripercorre allora le
pagine dello Schizzo di una storia della logica 68 dedicate allo svolgimento
del problema della conoscenza in Kant, Fichte, Schelling, Hegel; insistendo per
suo conto — ma con l’indubbio conforto dei testi — sull'importanza della
lettura spaventiana di Kant (della Critica della ragion pura, non della Critica
della ragion pratica né della Critica del giudizio; e, all’interno della prima
Critica, dell’Analitica piuttosto che della Dialettica), che offrì al vecchio
maestro un criterio fondamentale per orientare la sua ricerca teoretica e la
stessa sua interpretazione di Hegel. Il Kant di S., il Kant “inteso a dovere”
(i. e. il Kant della “vera sintesi a priori”, “unità del senso e
dell’intelletto, in cui consiste l’atto deiconoscere), “rimase per lui sempre
la vera pietra di paragone dello stesso hegelismo”), e di ogni altro idealismo;
il cui problema, come è noto, è presentato, nello Schizzo, secondo questo semplice
schema di sviluppo: l’unità (di senso e intelletto, di essere e pensiero)
richiesta da Kant, “pensata” da Fichte (ma solo “pensata”, come processo
formale) e intuita da Schelling (ma solo intuita) come processo reale, fu
“provata” da Hegel. O meglio: Hegel si accinse alla “prova” (a “pensare il
pensiero come l’in sé della realtà”, p. 159); S., sottolinea G., non ci appare
mai persuaso che Hegel fosse riuscito nell’intento attribuitogli, così come non
ci appare mai convinto di essere riuscito a condurre a termine la “prova”
richiesta. G. può procedere ormai alla individuazione del “vero” hegelismo di
S., il quale accenna in più luoghi — e a volte dà inizio — ad un reale
progresso da compiere rispetto a Hegel, spesso restando impigliato in
difficoltà delle quali gli rimase per lo più ignota la radice. Un primo tipo di
difficoltà si rende manifesto già nell’ambito delle riflessioni emergenti nello
Schizzo, e sviluppate in Logica e metafisica, intorno al tema del “primo
scientifico”. La “prova dell’identità” si scinde in S. (come già in Hegel) in
due prove, quella della fenomenologia (la “mente” non è semplice soggettività,
ma è processo reale, è mente assoluta) e quella della logica (il processo della
mente è logico; il logo non è oggetto d’intuito). La distinzione delle due
prove comporta la separazione della logica dalla fenomenologia, e rende
necessario l'abbandono del pensiero fenomenologico per attingere il pensiero
logico, l’ “in sé della natura e dello spirito, destinato a non coincidere mai
col “per sé” o col “per noi” (p. 165). S. volle certo affermate l’ “unità
originaria” di fenomenologia e logica (pp. 166 sg.), e questo è un merito che
gli va riconosciuto; ma la particolare soluzione da lui ora proposta (il
principio della scienza — il “primo scientifico”, immediato in quanto primo — è
mediato, provato, in quanto si identifica con l’ultimo grado della
fenomenologia) appare “illusoria” e accolta solo “per effetto d’una mera
abitudine scolastica”(si ricordi un’obbiezione simile di Croce, che definisce
“didascalica” la distinzione accolta da S. Il rilievo di G., che individua,
senza appesantirne le conseguenze, l'accettazione da parte di S. del sistema
hegeliano nella sua architettura fondamentale (implicante perciò l'esclusione
della Fezorzenologia come semplice “propedeutica”), sembra confortato da
un’osservazione precedente, in cui si parla delle “difficoltà insormontabili
che S. incontrava sempre nel concetto della natura che non è per lui, come il
logo, reale soltanto nel pensiero (ossia, analogamente, nel concetto della
natura) ma in se stessa, benché non per se stessa. Su questo punto però, G. si
affretta a ricorrere ai testi, in particolare alla lettera Paolottismo, per
documentare l’avversione del filosofo al teismo e al naturalismo, egualmente travolti
“dalla sua tendenza al più schietto e assoluto idealismo spiritualistico e
umanistico. E a gettare una miglior luce su quelle riflessioni di S. intorno al
rapporto di pensiero logico e pensiero fenomenologico, interviene l’analisi
degli studi sulle prime categorie della logica hegeliana: lo scritto, preparato
dalla critica di Gioberti, e, soprattutto, il Frazzzzento inedito del 1880-81
103, dove l'essere è finalmente colto come “atto del pensare”; con questa
“nuova soluzione lo S. toccava il più alto segno a cui era indirizzata fin da
principio la speculazione dell’idealismo trascendentale; e iniziava una
radicale riforma dello hegelismo, ricollocando la logica al suo natural posto,
al fastigio della fenomenologia, ma nella stessa fenomenologia; scrollando
dalle fondamenta la nuova fortezza in cui con Hegel s’era andato a chiudere il
vecchio ente — il trascendente — sotto nome di logo, sovrastante alla natura e
allospirito. Un altro gruppo di paragrafi, che prepara la conclusione del
saggio, è dedicato da G. agli studi di S. sul positivismo, o sul “nuovo
empirismo”: l’ultima fatica del filosofo. G. vuoi giustificare la “affinità
sorprendente” dell’idealismo spaventiano con l’empirismo “raccomandato” dai
positivisti; ci ricorda che lo stesso filosofo nella prefazione ai Principi del
1867 si dichiarò positivista, e volle essere riconosciuto come tale, in forza
di una concezione dell’uomo (l’ “uomo è essenzialmente storia”) che ha il suo
sviluppo più conseguente negli Studi sull’etica hegeliana, del 1869: dove S.
oppone alle anime sensibili — a chi si compiace di separare il dover essere
dall’essere, la legge dal fatto, e così via — una concezione “rigorosamente
immanentista”, che si presenta con un “aspetto pauroso di cruda storicità,
ossia di schietto naturalismo. In che senso si muove la critica di S. al
positivismo, se il suo idealismo immanentistico toglie l'opposizione di
assoluto e relativo, apriori e aposteriori ecc.; se può apparite, come apparve
ai difensori della tradizione, una sorta di “materialismo aristocratico”? Dove
s’era dunque cacciato lo spirito coi suoi imprescrittibili diritti”? Alla
domanda, osserva G., si può rispondere solo se si sappiano collocare i concetti
filosofici nel contesto del loro ptocesso storico: materialismo, naturalismo e
empirismo sono momenti dell’idealismo “vero”, “storico”, introdotto da Kant
come “sviluppo” dell’empirismo di Locke e di Hume (e già, per quanto riguarda
S., va rilevato che la sua critica dell’intuito fatta nella Filosofia di
Gioberti “è, per indiretto, la celebrazione dell’empirismo lockiano).
L’empirismo avversato da S. è quello che non riconosce la propria origine
storica (e quindi la propria giustificazione speculativa) nello sviluppo
dell’idealismo cartesiano, come critica dei “residui platonizzanti e
scolastici” di quella filosofia; è l’empirismo che non riconosce più la propria
funzione nella critica dell'esperienza, contro la vecchia metafisica dell'ente.
S. ha contribuito (soprattutto in Kant e lempirismo, e negli scritti postumi
Esperienza e metafisica 94 e Introduzione alla critica della psicologia
empirica) a svelare l'equivoco (astrazione dal processo storico) per cui si
contrapponevano ancora, dai contemporanei, idealismo e positivismo; tenendo
fede, per suo conto, a quel “principio della certezza del vero o della
storicità dell’eterno, che era stato il primo motivo della filosofia cartesiana
e l’idea madre del Saggio di Locke. Di qui l’interpretazione spaventiana di
Galileo, ripresa in Esperienza e metafisica, nel contesto della sua critica dell’
“ontismo: della filosofia che concepisce la realtà come ente o enti (materia o
idea)”; di qui l’affermazione di un “fenomenismo” assoluto (la realtà è
“fenomeno a se stessa, fenomenizzarsi eterno”, p. 184), che accoglie e
legittima le esigenze del vero idealismo e del vero positivismo. Il “nuovo
fenomenismo” di S., conclude G. M), fu “annunziato”, più che “svolto”,
nell'opera pubblicata postuma nel 1888; ma qui il vecchio maestro giunse a
rivendicare l’ “essenza spirituale del mondo, meccanizzatasi nell’astratto
spiritualismo platonico e cartesiano. Agli occhi di G., S. raggiunse proprio in
queste pagine quel “punto di vista spiritualistico” che l’attualismo era
destinato a svolgere, sviluppandone coerentemente il principio. Il
“preattualismo” di S. è disegnato con estrema chiarezza e decisione: per il
“nuovo” fenomenismo, “gli enti son negati nella loro astrattezza, dove non è
dato scorgerne se non l’ombra fissa e fallace: ma riaffermati nella vita
concreta che essi vivono in seno alla realtà spirituale, come saldi momenti del
pensiero. La storia è la teofania di questa filosofia: ma questa storia non è
la dura storia che l’uomo si trova innanzi, già realizzata e diventata una
necessità che allo spirito simponga come limite naturale; è invece la storia
che l’uomo non trova mai innanzi a sé, come un passato, ma che egli realizza,
creandola. Tutto quello che è già, è ente. E l'ente come tale nasce dalla
riflessione e dall’analisi della vera realtà, che non è, ma diviene, facendosi
da sé. MISSIROLI, La monarchia socialista. Estrema destra, Bari. Della
Monarchia socialista v. anche la seconda edizione, Bologna. Su S. Si veda
specialmente il quinto capitolo (I/ pensiero della Destra, prima edizione;
seconda edizione, 71-79), che ricorda gli scritti sul problema del rapporto
dello stato con la chiesa, quello contro Tommaseo sul tema:
Rousseau-Hegel-Gioberti, ecc. La tesi è riassunta in modo chiaro nella
prefazione alla seconda edizione: “lo stato moderno, inteso come stato etico,
non è realizzabile, se non nelle nazioni, che abbiano superato l’idea cattolica
mediante la Riforma protestante”. S., e con lui De Meis e Gioberti,
nell’alternativa: ritorno al puro cattolicesimo e rinuncia alla rivoluzione,
oppure riforma religiosa, ha scelto la
seconda via. Cfr. la recensione di G. Gentile alla prima edizione della
Monarchia socialista in “La Critica”, XII (1914), 234 sg. 195. Un giudizio di
Bovio su B. S., in A. CARLINI, La mente di Giovanni Bovio, Bari. Ristampa di
uno scritto (Augusto Vera) pubblicato nel 1885 sul “Giordano Bruno” di Napoli.
S. è elogiato da Bovio, come il filosofo che seppe rendere esplicito il “lato
nuovo” di Hegel. Il “giudizio” offre nelle prime righe una nuova presentazione
del rapporto Vera-S.: “S., geometra; Vera, dotto...” (nello stesso volume, p.
185, Si legge il testo di un’epigrafe dettata da Bovio per lo Sl. GENTILE,
Prefazione a B. S., Introduzione alla critica della psicologia empirica,
estratto dagli “Annali delle Università toscane “, Pisa. CIPRIANI, La
psicologia di B. S., Bologna. Rapida esposizione e analisi delle vedute di S.
intorno alle origini della percezione, ai rapporti tra fisiologia e psicologia,
ecc.; il saggio segue il testo della Introduzione alla critica della psicologia
empirica, pubblicato dal Gentile. FAZIO ALLMAYER, I/ problema della nazionalità
nella filosofia di B. S., in “Giornale critico della filosofia italiana. Ricostruisce,
con numerose citazioni dalle opere di S. e molti riferimenti e raffronti con le
dottrine dei suoi contemporanei (Gioberti, in particolare, e Mamiani, Luigi
Ferri, ecc.), la genesi e lo sviluppo dell’idea di nazionalità in S.: dalla
primitiva negazione (contrapposta alla “boriosa” affermazione dei sostenitori
di una tradizione propria, perché esclusiva, del pensiero italiano), al
riconoscimento della necessità di una filosofia italiana nella lotta per
l’unità nazionale; infine, al pieno superamento del concetto naturalistico di
nazione (la nazione come “destino”) nell’idea dello “spirito che si crea in una
forma determinata”. Un momento decisivo in questo itinerario di S. è
rappresentato dalla elaborazione di un nuovo concetto di universale-concreto,
che supera ad un tempo le posizioni di Gioberti e di Hegel; Hegel pensava “che
il mondo germanico dovesse assorbire la nazionalità in quanto rappresentante
della verità, e non intendeva lo spirito degli altri popoli né la personalità
autonoma di ciascuno di essi”. Sono “indizi luminosi” di questo processo di
superamento la riforma della dialettica hegeliana, le “lunghe meditazioni sulla
Fenomenologia”, il rifiuto della filosofia della natura, la criticadelrealismo
e del positivismo in funzione di un idealismo “che è storia, vivezza di
problemi, vera ricerca dell’identità del reale col razionale e del razionale
col reale. L’articolo è ristampato in V.F.A., Il problema morale come problema
della costituzione del soggetto e altri saggi, Firenze. GENTILE, prefazione a
B. S., La libertà d'insegnamento. Una polemica di settant'anni fa, Firenze. Cfr.
VENEZIANI, La vita e l’opera di Angelo Camillo De Meis, Bologna. CARAMELLA, Il
liberalismo hegeliano del Mezzogiorno. I. S., in “La Rivoluzione liberale. Il
saggio, completato con due articoli su De Meis e Silvio S. già pubblicati nello
stesso periodic, è ristampato nel volume: La filosofia dello stato nel
Risorgimento, Napoli.. Come si conciliano la sovranità dell'idea e l’autonomia
dell’individuo? Qual è, cioè, “la libertà propria dello stato liberale?”.
Questo il problema di S., problema che investe “la legittimità del
liberalismo”. Per Hegel resta incerto se lo stato integra o disindividua il
singolo. La richiesta spaventiana di una “mediazione tra il singolo e
l’universale, tra la storia e l'assoluto” è studiata attraverso la lettura
delle polemiche coi gesuiti 101, della Libertà d'insegnamento e dei Principi di
etica (97; e C. attribuisce senz'altro a S. un articolo del “Nazionale” del 5
marzo 1848). S. non riesce a conciliare i due termini, e resta fermo alla 2528
conclusione “che l’individuo trova nello stato valori più alti del suo spirito
pratico, e nel suo aderire allo stato riconosce in esso raturaliter il suo più
vero sé. Si son fatti molti passi innanzi e chiarite molte relazioni: ma la
domanda non ha avuto né avrà pià da S. una risposta diretta. Lo stesso
conflitto tra libertà e tradizione, stato di diritto e stato di fatto, viene
risolto senza nessun riguardo all’individuo (che invece lo sente più che mai),
ma solo in rapporto allo stato per sé preso”. Ma S. è anche il critico del
costituzionalismo; e quando afferma che la costituzione non è uno schema astratto
che sisovrappone alla vita dello stato storico, positivo in quanto storico,
indica una via che sarà seguita “con più coerenza” dal fratello Silvio.
“L'opposizione del singolo e della collettività, della coscienza e
dell’autorità, rimasta impigliata nelle maglie della dialettica in S., troncata
imperiosamente a favore del secondo termine dal De Meis, appare nel nostro =
Silvio meno ardua perché storica...”. 202. G. DE RUGGIERO, Il pensiero politico
meridionale, Bari. Cfr. CURCIO, I/ pensiero politico di S., Napoli. È una
rapida ricostruzione e, per lo pè, nella stessa intenzione dell’a., una
parafrasi delle tesi esposte da S. nei Principi di etica, nella Politica dei
gesuiti, nella Libertà d'insegnamento, ecc., a sostegno di un ideale di stato
liberale, che il C. ripropone in questa forma “per mostrare... quale sia il
pensiero di un liberale autentico... del cui nome si son fatto scudo molti e
molti per dire cose assai diverse, nonché tra loro, da quello che fu lo spirito
del filosofo meridionale”. 204. G. GENTILE, S., Firenze. Nuova presentazione
del Discorso premesso agli Scritti filosofici di S. (cfr. n. 96 = Opere). G.
dichiara nella prefazione di ristampare il saggio del 1900 “con nuove cure e
parecchie aggiunte, ma senza mutare una linea a quello che una volta dissi, o
sapevo dire” (p. 9 = Opere, I, p. 7). L'aggiunta piè rilevante è costituita da
un nuovo capitolo (Contro la nuova corruzione italiana, = Opere), costruito con la riproduzione di
una lettera di S. a De Meis, e di due lettere dello stesso De Meis a S.: tre
denunce amare — e, a giudizio di G. ( = Opere), parziali — del “positivismo”
ormai imperante nella vita politica italiana, dopo l’avvento della Sinistra al
potere. Va segnalata inoltre, nell’Appendice (= Opere), la pubblicazione —
sotto il titolo Le tribolazioni di B. S. giornalista —di documenti relativi
alla collaborazione di S. alla “Rivista contemporanea” (una lettera a De Meis,
un promemoria di S., una lettera a S. di L. Chiala, infine la ristampa
dell’articolo di S. La Civiltà cattolica e la Rivista contemporanea, apparso
sul “Piemonte” del 16 gennaio 1856; su queste “tribolazioni” di S. giornalista
vanno confrontate ora le integrazioni e precisazioni di S. Landucci, De Sanctis
e Tommaseo. Lettere inedite, “Belfagor”); e, sotto il titolo B.S. e
l’Accaderzia di filosofia italica, la pubblicazione di due lettere di Mamiani a
S., e di due lettere di S. a Mamiani. La Bibliografia degli scritti di B. S.,
accresciuta e corretta. Le “nuove cure” e le aggiunte minori (o le variazioni
introdotte nel testo del 1900) sono dovute alla pubblicazione di nuovi
documenti (come le Ricerche e documenti desanctisiani di Croce), e alla
scoperta dei nuovi testi spaventiani editi dallo stesso G. tra il 1900 e il
1920 (il Framziento inedito sulla dialettica, l’Introduzione alla critica della
psicologia empirica, ecc.). Così, si legge ora che la teoria della
“circolazione” del pensiero italiano è “uno dei maggiori titoli scientifici del
nostro filosofo” ( = Opere) e non più, senz'altro, il maggiore (com’era detto
nel testo); appare modificato il giudizio sulle Prize categorie (tentativo di
soluzione, rispetto al Framzzzento); e così via. Degna di rilievo è infine la
prefazione della monografia (= Opere; per la ripresa dell’accostamento S.-De
Sanctis (già sottolineato nella prefazione a Da Socrate a Hegel), che si
specifica ora nel senso di una preminenza del primo sul secondo (“lo S., dalla
parte sua, ridusse a concetto filosofico quello che in De Sanctis fu intuito
largo, comprensivo, luminoso, ma non sempre coerente e fermo”); perle riserve
mantenute a proposito della teoria della “circolazione” (cfr. allora i rilievi
nelle Origini della filosofia contemporanea in Italia: n. 193; e, prima ancora,
i rilievi della prefazione a La filosofia italiana); per il compiacimento,
infine, con cui G. può annunciare, dopo venti anni, il “successo” della lezione
spaventiana. PICCOLI, Storia della filosofia italiana, Torino. Su S. cfr. in
particolare alcune pagine del ventisettesimo capitolo (La lotta delle
tendenze.). Malgrado alcuni riconoscimenti parziali, è respinta la
ricostruzione spaventiana della storia della nostra filosofia, il cui carattere
fondamentale va ritrovato, afferma l’a., nell’ “esigenza di un
trascendentalismo che è, necessariamente, antihegeliano” (p. 282). Il nome di
S. è ricordato nel primo capitolo (La tradizione filosofica nazionale); anche
qui si leggono analoghi rilievi, che interessano soltanto come documento della
più ampia discussione sul problema della tradizione del pensiero italiano.
CROCE, Documenti di vita italiana. V. Silvio S., in “La Critica. È la
prefazione di C. alle Lettere politiche di S. S., a cura di G. Castellano. LICITRA,
La storiografia idealistica. Dal “programma” di B. S. alla scuola di G.
Gentile, Roma. Nel primo capitolo (I/ programma di S.), la. ribadisce che lo
schema delle lezioni napoletane di S. è ancora valido come “programma di tutta
l’attività storiografica e filosofica del nostro secolo” (p. 26); si tratta
tuttavia di uno schema, che nasconde in forma contratta i suoi possibili
sviluppi. Si veda allora il terzo capitolo (La filosofia italiana attraverso
gli studi di Gentile), in cui si mostra come Gentile abbia ZII portato a
compimento il disegno del maestro, superandone le residue incertezze (e, per
l'impostazione teorica del discorso dell’a., cfr. il quinto capitolo, Criteri
storiografici dell’idealismo assoluto. SAITTA, S., in “Il Giornale della
cultura italiana” Bologna. Scritto dopo la pubblicazione della monografia
gentiliana, l’articolo mette in rilievo la solidità e la “serietà” del pensiero
di S., e l'attualità delle opere del filosofo meridionale. GENTILE, Una notizia
biografica di B. S., in “Giornale critico della filosofia italiana, Cfr. RUSSO,
Francesco De Sanctis e la cultura napoletana, Venezia. Lavoro fondamentale per
la ricostruzione dell'ambiente, degli schieramenti, delle polemiche, delle
varie relazioni — scontri, alleanze— tra le diverse “culture” che si incontrano
nello sviluppo della cultura nazionale italiana. Dell’opera viene qui seguita
la terza edizione, Firenze. Sono da vedere le pagine della prefazione alla
seconda edizione — qui riprodotte, XI-XIV — dove sono indicati i motivi
ispiratori e le conclusioni generali della ricerca, in termini suggestivi e
ancora stimolanti (De Sanctis riformatore “di uomini, cioè di indirizzi mentali
e spirituali”; con lui la “cultura dell’Italia in esilio”, maturatasi, trionfa
a Napoli; collocazione della cultura napoletana nella geografia culturale
d’Italia; contributo di Napoli alla formazione di una “cultura nazionale”;
ragioni del successo della cultura vichiana napoletana nel Novecento; ecc.).
Nel primo capitolo (La decadenza dell’Università borbonica e la riforma del De
Sanctis), alle 30 sgg., sono rievocate le sommosse studentesche contro la nuova
università, che toccarono da vicino lo S. Sul carattere dell’insegnamento e
sull’ “antiaccademismo filosofico” di S. si veda il capitolo La nuova cultura e
gli hegeliani; di seguito, alle 202 sgg., è ripreso il tema dell’antitesi Vera-S.
Nel sesto capitolo (Gli scienziati e la reazione alla metafisica) è ricostruita
la polemica sulle psicopatie, tra il Tommasi e S. (accostati, poi: l’ “unità
scientifica” promossa da Tommasi “poteva dirsi analoga a quell’altra che lo S.
realizzava nel campo della filosofia”). S., De Sanctis, De Meis sono
riavvicinati fra loro, 197 sg. (nel capitolo: La cultura extrauniversitaria),
in virtù del più avveduto e critico “positivismo” (“essi, che agli ebbri
gerarchi del nuovo movimento, parevano già filosofi oltrepassati, ‘metafisici
estetici’, ‘idealisti’, forse restavano ancora i più illuminati veggenti e
teorizzatori e interpreti della nuova filosofia, maestri che, nella coscienza
dei limiti di quella, precorrevano già alla sua correzione e al suo svolgimento”);
dopo aver ricordato i difficili rapporti degli hegeliani con il “transfuga
dell’idealismo”, P. Villari (pp. 214 sgg.), sono ribadite da R. le ragioni
“morali” dell’avversione (condivisa dall’a..) di S. al “facile” positivismo,
alleato ai paolotti (pp. 217 sgg.). Il capitolo ottavo (Conflitti tra il
vecchio e il nuovo) è in gran parte dedicato alla battaglia degli hegeliani
contro V. Fornari, e alle polemiche con F. Acri. I capitoli nono (Polerziche
politiche), decimo (Silvio S. e il liberalismo di Destra), undicesimo
(L'educazione nazionale e il pensiero dei napoletani) e dodicesimo (I/ De
Sanctis educatore politico) sono dedicati alla ricostruzione delle posizioni
assunte dagli esponenti della cultura napoletana sul terreno dei conflitti
etico-politici; sono pagine che tendono a concludersi con un elogio di quella
“medietas” politica che De Sanctis seppe dimostrare, e il cui senso mancò agli
altri hegeliani, fatta eccezione per Silvio S. (“il solo napoletano che possa
stare accanto a De Sanctis” per l’ampiezza delle vedute politiche). Silvio S. è
del resto salvato dall’accusa di statolatria, e lodato (come fece già Croce)
per la sua battaglia intesa “a frenare l'eccessiva ingerenza autoritaria dello
stato. Sul De Meis, e su B. S., per le opinioni espresse da loro sul tema
dell'educazione religiosa e del rapporto dello stato con la chiesa, cade un
pesante giudizio di “astrattezza” e un’accusa di “confusione”. S.
“dialettizzava le relazioni tra la chiesa e lo stato, come fossero due concetti
puri, e si trattava invece di due istituzioni storiche; e la separazione
giuridica egli interpretava come separazione dialettica.. S. non vedeva “il
pericolo dello stato etico” da lui teorizzato: “intesa la dottrina dello stato
etico, come s'intende per lo più, come uno stato che dirige, che insegna, che
moralizza, che ordina culti, avremmo uno stato pedantesco e autoritario e, in
fatto di religione, avremmo lo stato teologo, lo stato calvinista, o, per
rimanere nell’ambito della tradizione italiana, una specie di potere temporale,
in laico ammanto” (e mazziniani, democratici e neoriformatori avrebbero ragione
di considerare loro maestri lo S. e il Meis). Il “senso etico” nello stato
moderno appare meglio salvaguardato dai politici che adottarono la formula
cavouriana, intuendo (come intuì Silvio S.) che “la migliore soluzione del
conflitto” era la “perpetuazione del conflitto stesso”, garanzia a un tempo
della libertà religiosa e della libertà di pensiero. Il nome di S. torna ancora
nelle pagine conclusive (Napoli e la cultura nazionale, che riassumono i
caratteri generali della cultura napoletana, “lontana e comune genitrice della
nostra presente cultura nazionale. E vi torna in ogni paragrafo: sia che si
tratti di ribadire la “tendenza antiletteraria e antiaccademica” di
quellacultura(tendenza condivisa da S. nella sua concezione della filosofia
come “consapevolezza”, “riflessione di vita”); sia che si tratti di
sottolinearne l'esigenza “cosmopolitica” (ma in senso nuovo, e moderno; la
scienza e la filosofia diventano veramente nazionali “per la mediazione di una
coscienza europea”) o la “tendenza critica e razionalistica”; sia che si tratti
infine di lodare 1’ “antiteocratismo” dei vecchi maestri — fondato su una nuova
fede religiosa, immanentistica — o il loro “animus critico” (come “senso
storico dei problemi”: la “riforma del sistema hegeliano avviene allora più che
per trasmutati sillogismi, per energica espressione della sua sostanza
storica). Tra le recensioni, si ricorda qui quella di A. Omodeo, in “La
Critica” ristampata in A. O., Difesa dei Risorgimento, Torino). Omodeo
raccoglie e ripete le obbiezioni allo “stato etico”, che può rovesciarsi in
stato autoritario; la moralità è, kantianamente, “forma”, che vive nella
coscienza dell’individuo. MAZZANTINI, Lo begelismo in Italia, in Hegel nel
centenario della sua morte, supplemento speciale della “Rivista di filosofia
neoscolastica”, Nello sviluppo interno del pensiero di S. è prefigurato
l’intero svolgimento dell’hegelismo in Italia; di quel movimento che, nato con
un orientamento umanistico- storicistico, sembra destinato a rovesciarsi in un
positivismo integrale. Come attestano i più recenti sviluppi del neohegelismo:
malgrado le resistenze dei maestri (di Croce, con la sua distinzione di teoria
e pratica, e di Gentile, con la distinzione di io empirico e io
trascendentale), gli ultimi seguaci della dottrina tendono verso un fenomenismo
puro o assoluto positivismo. A S. sono dedicate specialmente le M. richiama i
motivi centrali del suo pensiero (la storia della filosofia italiana — che
viene respinta, soprattutto l’interpretazione di Rosmini —, la dottrina svolta
nelle Prizzze categorie, ecc.), e pone in rilievo la naturale convergenza dell’
“umanismo” di S. col positivismo. S. sperò di poter costruire un “positivismo
idealistico assoluto su basi hegeliane”; ma ci sono, per l’a., antitesi
inconciliabili tra idealismo e positivismo, anche se appaiono facili e
suggestive certe concordanze (carattere “mondano” del filosofare, ecc.). 211
bis. D. CANTIMORI, Sulla storia del concetto di Rinascimento, in “Annali della
Scuola Normale Superiore di Pisa”, Su S. vedi in particolare il paragrafo sesto
(La circolazione del pensiero italiano e l’importanza del Rinascimento per la
filosofia europea); e per un raffronto col De Sanctis, il paragrafo successivo.
Scrive l’a. che per S. la filosofia del Rinascimento “non è soltanto | ‘aurora’
della Riforma religiosa, vero sole meridiano della civiltà e della filosofia,
ma costituisce di per sé la ‘riforma filosofica. L’unilateralità schematica e
sistematica dello 2538 Hegel e del Brucker è superata. La valutazione positiva
della Riforma infatti è mantenuta, in quanto il Rinascimento acquista il suo
valore dal paragone con essa, edèconsiderato come un altro aspetto storico di
quella ‘rivoluzione degli spiriti’, che si manifestò come protesta e come
Riforma in altri paesi. Così il concetto di ‘Riforma’ è allargato, ed il suo
valore non è più derivato dalla sua significazione per la storia ecclesiastica,
ma dalla sua importanza per la storia del pensiero. Anche se permangono qua e
là, in S., suggestioni hegeliane (il Rinascimento come “germe indistinto e
incosciente”, “torbido e inconsapevole”), il filosofo italiano ha colto, meglio
di Hegel, l'intimo nesso di riforma religiosa e rivoluzione filosofica; nella
storia della filosofia il pensiero del Rinascimento è “equivalente” — e non
“subordinato” — alla Riforma: due aspetti di un'unica “rivoluzione spirituale”.
Nello stesso paragrafo, utili indicazioni sui riflessi di questa prospettiva e
“scoperta” spaventiana nella teoria della “circolazione”, e in tutta la
ricostruzione storica del pensiero italiano elaborata dall’hegeliano di Napoli.
GUASTALLA, Gioberti nella critica di B. S., in “Archivio di storia della
filosofia italiana”. Ricostruisce con accuratezza i termini in cui si esprime
la critica di S. alla filosofia di Gioberti. Si tratta della nota
interpretazione che, dopo aver denunciato la contraddizione tra il principio o
contenuto (lo spirito) e la forma o metodo (l’intuito) della metafisica
giobertiana, ritrova, nelle Postume, i germi del superamento idealistico del
dualismo di ente e esistente, Dio e mondo. A questa interpretazione vengono
mossi dall’autrice due rilievi. In primo luogo, S. sopravvaluta le opere
postume, che sono un complesso di appunti frammentari, di materiali
disorganici. In secondo luogo S., chiuso come è in una sua “visione unitaria” e
semplificatrice dei problemi, perde di vistatutta la ricchezza e la vitalità di
quel dualismo, che è certo presente in Gioberti. “Lo S. non intende ‘il fuori’
dello spirito umano, e gli sfugge quell’elemento che si oppone allo schematico
dottrinarismo ed è senso naturale e spontaneo, per cui l’Uno si moltiplica ed
ha due lati, l'oscuro e sovrintelligibile ed il chiaro e intelligibile: quello
oggetto di fede; questo, di ragione. L’idealismo di Gioberti non ha mai
abbandonato del tutto “il suo carattere ontologico-obbiettivo”, il riferimento
all’essere immutabile, “principio fondamentale del teismo, base della
distinzione sostanziale di Dio e mondo”. Il motivo profondo che si esprime
nella doppia formula giobertiana è l'affermazione del valore e della necessità
dell'’immanentismo e del trascendentismo, al di là di ogni tentativo di
concludere per la sola trascendenza o per la sola immanenza. CARAMELLA,
Urnzversalità e nazionalità nella storia della filosofia italiana, in S. C.,
Senso comune, teoria e pratica, Bari. Il saggio era stato già pubblicato negli
“Annali dell’Istituto superiore di Magistero di Messina. La teoria della
“circolazione” è viziata dalla “concezionedella storia della filosofia come
concatenazione dialettica di sistemi fondati sul problema della conoscenza e
come derivazione di essi e dei loro problemi l’uno dall’altro”. L’a. si
dimostra molto sobrio nel porre in rilievo le forzature e gli squilibri cui il
disegno storiografico di S. ha dato luogo, e preoccupato piuttosto di
sottolineare la necessità, che da 2540 quella critica risulta, di allargare le
maglie dello schema spaventiano, tra l’altro rinsanguando la storiografia
filosofica con quella politica e culturale; il che consentirebbe di presentare
in forma nuova il problema spaventiano del rapporto di nazionalità e filosofia,
e di prospettare una più ampia continuità tra Rinascimento e Risorgimento,
individuando i caratteri distintivi della tradizione italiana nella storia del
pensiero europeo (umanismo e laicismo, ma non antiteologismo, cioè
conciliazione, “nel contrasto”, di filosofia e religione; storicismo, coscienza
dei valori storici, piuttosto che scientismo, ecc. GENTILE, Hegel e il pensiero
italiano, in “Leonardo”; e in Verbandlungen des dritten Hegelkongresses in Rom,
a cura di B. Wigersma, Tùbingen-Haarlem 1934, 9-20. È il discorso inaugurale
del terzo congresso hegeliano (Roma); vedilo anche ristampato in G. G.,
Merzorie italiane e problemi della filosofia e della vita, Firenze. L’a. vuol
chiarire in che senso noi italiani siamo hegeliani, “a modo nostro”. E si
appoggia alla ricostruzione storica fatta da S. nelle lezioni napoletane del
1861 (la “prima storia della filosofia italiana”), ne ripete le grandi linee, e
loda la scoperta di Vico, e la nuova concezione della dialettica introdotta da
S. Interessante la presentazione del parallelo S. — De Sanctis, che offre
alcune varianti rispetto a precedenti formulazioni del G. “Entrambi hegeliani,
sebbene il De Sanctis, ingegno più geniale e robusto, dopo i primi passi si
muovesse poi sempre con maggiore originalità e franchezza; ma entrambi
sollevati dallo studio di Hegel al concetto della 2541 vita, che fu il nerbo di
tutto il loro pensiero. Uno scritto inedito di S. sul problema della cognizione
e in generale dello spirito (1858), a cura di ALDERISIO, in “Rendiconti
dell’Accademia dei Lincei. Classe di scienze morali, storiche e filologiche.
Cfr. BARTOLOMEI, S., in “Acta Pontificiae Academiae Romanae S. Thomae. Per S.
l’uomo “è l’assoluto, l’unico e vero spirito, miscuglio d’eternità e di tempo,
d’istantaneo e di successivo, d’intuito e di discorso. È questo il cavallo di
battaglia di tutti i panteisti, ma anche il lato debole del loro sistema. Il
lato debole consiste nell’ “accozzaglia di attributi contraddittori”
(finito-infinito, atto potenziale-atto puro, ecc.). Gliidealisti moderni
propongono, sia pure in forma rinnovata, gli stessi argomenti già in uso presso
i neoplatonici, presso i panteisti indiani ecc.; e cadono sotto le stesse
obbiezioni e la stessa condanna. Alle 105 segg., si legge una critica di S.
storico della filosofia. 217. S. CONTRI, Per una nuova interpretazione della
storia dell’hegelianesimo in Italia, in “Sophia”. L’a, ricerca le ragioni,
storiche e no, dell’atteggiamento 2542 negativo assunto dal neoidealismo
italiano nei confronti del problema della costituzione della scienza, per
confortare una sua tesi, qui accennata, che concilia e accorda la scienza con
la filosofia (i. e. con la metafisica aristotelico-tomistica). In Hegel il
problema si presenta come difficoltà del rapporto fenomenologia-logica; di
fronte alla soluzione “arbitraria”, “dogmatica” dell’Hegel della maturità
(autofondazione della logica o metafisica), S. scelse una posizione di
“centro”, quella per cui si cerca di dimostrare la derivazione della logica
dalla fenomenologia, ovvero la “coordinazione in ordine sistematico di
gnoseologia e metafisica”. Ma l'esigenza rimase insoddisfatta (Logica e
metafisica è una mera ripetizione della logica di Hegel). Gli epigoni
imboccarono la strada della “sinistra”: “soppressione della logica a
profittodella gnoseologia” (mentre la “destra”insiste nella presentazione “dommatica”
della logica). Se è vero lo schema, l’a. spera di aver indicato “il senso di
una nuova linea d’interpretazione della storia delle correnti idealiste in
Italia. GENTILE, S. nel primo cinquantenario della sua morte, in “Annali della
Scuola Normale Superiore di Pisa. È il testo di un discorso letto nell'aula
magna dell’Università di Torino (vedilo
anche in G. G., Memorie italiane e problemi della filosofia e della vita,
Firenze. Il discorso ripropone e chiarisce i “concetti originali” introdotti
dallo S. nella filosofia italiana: la teoria della “circolazione del pensiero”,
la riforma della dialettica hegeliana e il nuovo concetto dell'esperienza come
“esperienza attiva”, raggiunto attraverso il superamento del positivismo e
dell’empirismo e naturalismo posthegeliani. GUASTALLA, La fortuna di S.
nell’idealismo attualistico, in “Archivio di storia della filosofia italiana”,
Richiama i temi e i motivi che giustificano lo sviluppo della linea: Hegel-S.-Jaja-Gentile.
Ma l’autrice vuole soprattutto mostrare la necessità di abbandonare l’idealismo
mistico o dogmatico per riguadagnare il senso di una problematicità più ricca e
articolata (l’a. sembra rifarsi ad alcune indicazioni di A. Banfi, del quale v.
l’articolo Lineamenti della tradizione speculativa italiana, in “Archivio di
storia della filosofia italiana. La lettura attenta e diretta delle opere dello
Hegel ci mette di fronte ad una implicita problematicità del reale, che
scompare del tutto nello Hegel dello S., ma è appunto a quella implicita
problematicità dello Hegelchedobbiamo volgere l’occhio attento. PASTORE, Sulla
“Parentesi” inedita di S., in “Archivio di storia della filosofia italiana; e
in A. P., Scritti di varia filosofia, Milano. A proposito della recente
pubblicazione della “parentesi” cfr. Le riflessioni spaventiane del ‘58,
posteriori alla prima edizione della Protologia, costituiscono il primo
documento fondamentale della scoperta del vero Gioberti da parte di S. Ma
questa scoperta, secondo P., si deve interpretare nel senso che fu proprio la
Protologia ad 2544 “aprire la nuova via ai pensiero di S., destandolo dal suo
anti-giobertismo che era un equivoco e sostanzialmente portandolo a prendere
maggiore e migliore notizia di sé”. L’a. rivendica la necessità di guardare al
pensiero giobertiano come a un tutto unitario; non ci sono due Gioberti, il vecchio,
e quello delle Postuzze, ma uno solo: ed è quello che S. cominciò a scoprire
nel 1858, scoprendo se stesso. ALDERISIO, L'esigenza realistica nell’idealismo
di B. S., in “Archivio di storia della filosofia italiana. L’autore riprende e
sviluppa alcuni temi, da lui già introdotti nella presentazione della
Parentesi, e che ora vengono approfonditi attraverso l'esame delle ultime opere
di S., soprattutto l’Introduzione alla critica della psicologia empirica e
Esperienza e metafisica 94. Nei suoi ultimi lavori, S. si domanda in che senso
il pensiero possa ammettersi come causa delle cose. E la risposta è complessa:
ci sono per S. “due fasi dell’essere (le mezze cose, e la vera realtà attinta
dall’essere rel pensiero e co/ pensiero)”; e c'è anche “un duplice porre la
realtà da parte del pensiero (prima inconsapevole enaturaleepoicosciente:
sintesi apriori primitiva e sintesi secondaria. L’attualismo ha avuto il torto
di assolutizzare — peccando così di unilateralità — l’ “esatto e
importantissimo senso spirituale e idealistico” della soluzione spaventiana;
amputandola della affermazione realistica, del riconoscimento della realtà
delle “cose”, che S. non avrebbe mai negato, perché riteneva di non poter
sacrificare “la innegabile diversità della realtà (il che di essa) dal
pensiero”, da quel pensiero che ne ricerca e afferma il cos'è, e che in tal
modo trae il reale alla sua verità. S., secondo Alderisio, sarebbe più vicino a
Hegel di quanto non faccia pensare la lettura gentiliana: questa convinzione
verrà ribadita dall’a. in un più ampio lavoro del 1940 232 nel quale è
ristampato anche il presente articolo. FIORENTINO, Ritratti storici e saggi
critici, raccolti da Giovanni Gentile, Firenze. Cfr. BRUERS, Pensatori antichi
e moderni, Roma. Contiene la ristampa di uno scritto nel quale si contesta la
soluzione data da S. al problema della nazionalità della filosofia. Il “genio
italiano”, dichiara B., è “sintetico”, ed ha una “tradizione specifica” che si
esprime nella “formula” del “trascendentalismo”; nell’affermazione cioè della
trascendenza come “legame potenziatore di tutte le dottrine e attività umane. ALDERISIO,
Revisioni e orientamenti idealistici, in “Archivio di storia della filosofia
italiana. Sono i primi due capitoli di un lavoro, che l’a. continuò a
pubblicare nella stessa rivista, e che ristampò poi in un volume del 1940:
l’Esazze della riforma attualistica dell’idealismo in rapporto a S. e a Hegel. CARABELLESE,
L’idealismo italiano. Saggio 2546 storico-critico, Napoli; Roma. Tesi centrale
del saggio: l’Italia “ha una sua originalità speculativa”, che si manifesta
soprattutto nel nostro “idealismo storico”; si tratta di un idealismo
“oggettivo” (affermazione dell’ “immanenza dell’Oggetto vero nei soggetti
certi”), che si deve distinguere e opporre all’idealismo soggettivo, così come
è lecito distinguere e opporre, storicamente, il Rinascimento alla Riforma e
Rosmini a Fichte e a Hegel. Per S. va tenuto presente, allora, il capitolo
sesto (Caratteri dell’idealismo storico italiano) e, in particolare, il
paragrafo: L’idealismo italiano nella filosofia europea: inversione e
integrazione delle tesi di S.. S. ha voluto dimostrare il carattere europeo
della filosofia italiana, e si trattava di fare proprio il contrario, di
commisurare la filosofia straniera a quellaitaliana; di affermare la “vitalità”
del nostro pensiero nel pensiero filosofico moderno, non la “circolazione” del
pensiero italiano in quello tedesco. Annotazioni particolari contro S.: non è
vero che dalla Controriforma in poi non ci sia stata libertà filosofica in
Italia), a (S. e Gentile hanno costruito
una interpretazione sbagliata di Vico: il vero Vico sta nel De antiquissima), (sul rapporto S.-Gentile-Croce: nei primi due
è presente almeno l’esigenza dell’oggettività, a Croce sfugge persino il senso
del problema), sul rapporto S.-Gentile; per C. tra i due filosofi c'è una linea
di sviluppo perfettamente coerente). DONATI, L'insegnamento della Filosofia del
diritto e l’attività didattica di S. alla Università di Modena, in “Rivista
internazionale di filosofia del diritto. L'articolo è, in gran parte, frutto di
ricerche di archivio. Sono raccolti qui e illustrati i dati relativi al
conferimento, a S., della cattedra di Filosofia del diritto nell’università di
Modena, al programma del corso e all’attività didattica del filosofo, al suo
trasferimento a Bologna e all’insegnamento “interinale” a Modena, in relazione
alla nomina del fratello Silvio. Importante l’analisi del discorso, e il rilievo
della sua autonomia rispetto alle altre prolusioni di S.: il discorso di Modena
è il tentativo di costruire e di sostituire la “biografia della nazione” a
quella delle grandi personalità. PELLEGRINI, Nazionalità e universalità della
filosofia nel pensiero di B. S., Firenze 1938, 45. Due modi di intendere lo
svolgimento storico della filosofia: Hegel e Vico. “In Hegel, la preoccupazione
che nella sua filosofia sistematica si esprime col concetto dello spirito
obbiettivo dà luogo alla tipizzazione di gradi o momenti o atteggiamenti dello
spirito in singole e diverse nazioni. Nel Vico la sistematicità delle forme
acquista una sua concretezza nella vita di ciascun popolo. Nel concetto della
“circolazione” del pensiero S. fa rivivere la prospettiva vichiana, che sola
offre la possibilità di conciliare
l’universalità della filosofia con la sua “nazionalità”. Ma in S. è
presente anche (per motivi polemici, e di “accondiscendenza storica”, p. 45) la
visione hegeliana; e i due motivi non giungono a fondersi. “In lui c’è la salda
preoccupazione di affermare l’elemento universale come costitutivo della
filosofia e, nello stesso tempo, lo sforzo di rendere giustizia alla esigenza
storicistica che è nel concetto, si potrebbe dire, nazionalistico della
filosofia. Non si può dire che agli abbia potuto dare la vera risoluzione del
problema, la quale avrebbe trasceso i limiti generali entro cui è contenuta
tutta la speculazione spaventiana. La vera risoluzione suppone una filosofia
dello spirito che faccia consapevolmente centro lo spirito come atto, e che in
questo veda il determinarsi delle forme che sono della storia effettiva” (p. 42
sg.). La “realtà” della nazione va cioè, attualisticamente, “dedotta” dal
pensiero, che solo può presentarla come “fatto necessario”. Sull’opuscolo v.
una nota del “Giornale critico della filosofia italiana, che richiama in breve
i termini della discussione del problema dal punto di vista dell’attualismo.
VIGORITA, S., Napoli Di22 Cfr. VIGORITA,
Gerovesi, Galluppi, S., Napoli. A S. sono dedicate le 87-173. Lo scritto vuol
soddisfare una duplice esigenza: a) quella di “delineare lo svolgimento e
illustrare le conclusioni” — “con maggior chiarezza e ampiezza che non si sia
fatto fin qui dagli studiosi del filosofo abruzzese” — delle ricerche che
condussero alla tesi della “circolazione”; b) quella di mostrare che, se S. non
giunse a dare unità sistematica al suo pensiero, ci sono tuttavia nella sua
opera “motivi originali” o “originalmente elaborati” che sono ancora da mettere
in luce (p. 134). Quanto al primo punto, l’a. trascrive 2549 diligentemente
dalle lezioni sulla filosofia italiana, dagli studi su Bruno e Campanella. Per
il secondo punto, riassume accuratamente Logica e metafisica, le Prime
categorie, il frammento sulla dialettica, i Principi di etica. Ne vien fuori
l’immagine di uno S. che non si discosta molto da quello presentato da Gentile,
sia nella valutazione della teoria della “circolazione” (equilibrio di
“universalismo” e “nazionalità”), sia nel giudizio complessivo sull’hegelismo
del filosofo napoletano. S. si mostra indipendente da Hegel almeno in quattro
punti: 1) rielaborazione in senso attuali neo della dialettica hegeliana; 2)
concetto dell’apriori come “attività immanente allo spirito”, i. e. come
“potenza umana”; 3) riconoscimento del valore dell’attività pratica dello
spirito nel costituirsi della conoscenza; 4) risoluzione del dualismo di logica
e fenomenologia sul piano di un «empirismo assoluto”: l'identità di pensiero
edessere non è meramente logica, ma “viene ad identificarsi con lo stesso
processo genetico della coscienza. Il testo di un opuscolo di V. (S., Napoli
presenta in forma abbreviata il contenuto dei primi tre paragrafi del saggio su
S. pubblicato nel Gerovesi, Galluppi, S. BECCARI, Nazionalità e circolazione
della filosofia italiana, in “Atti della Società italiana per il progresso
delle scienze”, Cfr. MONTALTO, Carattere nazionale della filosofia italiana nel
pensiero filosofico di B. S., in “Atti della Società italiana per il progresso
delle scienze. È il testo di una relazione presentata nella ventisettesima
riunione della Società italiana per il progresso delle scienze, Bologna. S.
avrebbe scoperto che “il genio italico è precursore’; l’a. sviluppa questa tesi
riferendosi direttamente alla situazione politica italiana del momento (qualche
richiamo a S. anche nel libro di Montalto L’intuizione e la verità di fatto,
Roma, specialmente nel terzo capitolo). Nello stesso fascicolo è pubblicata una
relazione di A. Beccari (Nazionalità e circolazione della filosofia italiana),
nella quale si afferma che S. non appare libero da pregiudizi universalistici,
e dal “fanatismo per gli oltremontani” (oggi “l’esperienza storica... ci ha
abituati a rifiutare simili intimità universali con nazioni con le quali
preferiamo non identificarci”). S. ebbe anche il torto di affermare che la
religione cattolica ha ostacolato il progresso del sapere. ALDERISIO, Esazze
della riforma attualistica dell’idealismo in rapporto a S. e a Hegel, Todi;
seconda edizione accresciuta, Napoli. Nella prima edizione — che viene tenuta
presente qui — è ristampato il saggio del 1935: L'esigenza realistica.. L’a. si
domanda se S. sia soltanto un precorritore dell’attualismo, oppure se il suo
pensiero “possa e debba... essere rivendicato a se stesso”, come “riviviscenza”
— non come ripetizione — dell’hegelismo, del quale il filosofo corregge qualche
punto, ma intende tuttavia e fa suo e conserva “il motore dialettico. Quello di
S. è “il miglior punto di vista filosofico” guadagnato dal pensiero italiano;
ma venne frainteso, oltre che da Gentile e dai gentiliani, da Benedetto Croce, del
quale l’a. respinge i giudizi negativi (capitoli primo e secondo). Neppure gli
attualisti hanno colto l’esatto senso del rapporto S.-Gentile, e cioè il
carattere tutt'altro che lineare e pacifico dello “svolgimento” prospettato in
quel rapporto. Solo A. Carlini ne ha tentato una revisione, accentuando il peso
della trasformazione del pensiero di S. operata da Gentile, ma in un senso per
cui il nesso viene pur sempre riaffermato come passaggio “da attualismo ad
attualismo. L’analisi delle pagine dedicate da Gentile all’interpretazione di
S. conferma, secondo l’a., che ci fu un “rivolgimento del pensiero del
Gentile”, che rimane oscuro, ma che non è, in ogni caso, imputabile a S.,
proprio perché consiste nella trasformazione dell’originario idealismo
realistico, hegeliano e spaventiano, a cui Gentile rimane ancora fedele nel
discorso La rinascita dell’idealismo, in un idealismo empirico o
soggettivistico di stampo berkeleyano. Lo scritto di A. prosegue con un esame
della Interpretazione e critica del Gentile al dialettismo hegeliano delle
prime categorie; qui si osserva che il “pensare”, in S. e in Hegel, ha un
significato “cosmico, prespirituale e presoggettivo”, che Gentile volle poi
negare), passa allo studio della Interpretazione gentiliana del dialettismo del
Fischer (quarto capitolo, 51 sgg.), poi alla discussione della Interpretazione
gentiliana del dialettismo di S. L’a.
osserva che Gentile ha “isolato” le pagine di S. da lui analizzate nella
Riforzza della dialettica hegeliana sciogliendole dai testi ai quali sono di
fatto ZIIR collegate, da Esperienga e metafisica e dall’Introduzione alla
critica della psicologia empirica, due scritti nei quali risulta evidente l’esigenza
realistica dell'autore. Segue un capitolo sul Frazzzzento (capitolo sesto, 80
sgg.). L'ultimo capitolo si intitola: Senso e valore della memoria su le prime
categorie. La “dichiarazione” finale di S. in Esperienzae metafisica. Nella
“dichiarazione finale” S. riesce a correggere il carattere soggettivistico
della soluzione, mostrando “una intelligenza acutissima ed una rielaborazione e
ripresentazione, insieme personale e fedele, del punto di vista della logica di
Hegel. Nell’epilogo, A. indica le prospettive che vengono aperte da questa
nuova interpretazione di S., che ne afferma il “real-idealismo”, e che lascia
prosperare tutta la ricchezza del pensiero del filosofo napoletano e di Hegel:
l'abbandono dell’equivoca critica alla tripartizione del sistema hegeliano, e
la ripresa o la rielaborazione di tutte le “categorie logiche, naturali,
spirituali” in funzione della possibile “fondazione razionale di una dottrina
tanto della filosofia che della scienza. Nella seconda edizione sono aggiunti:
un “discorso preliminare, nel quale l’a. ripercorre la storia dei suoi studi
spaventiani, e una “postilla” all’epilogo, che discute testi crociani. MEIS,
Ricordi di B. S., in “Giornale critico della filosofia italiana. GRILLI, The Nazionality of
Philosophy and S., in “Journal of the History of Ideas. Contro le posteriori distorsioni “ultranazionalistiche”
dell'idea di filofia nazionale, l’a. avvia qui un tentativo di chiarificazione,
seguendo gli sviluppi del concetto di nazionalità della filosofia nel pensiero
italiano del Risorgimento, e, in particolare, negli scritti di S. L'articolo
riassume le posizioni dei protagonisti della nota discussione (Mamiani,
Gioberti, Rosmini, Vera, Silvio S. riferendosi allo scritto del 1844, reso noto
da Croce, Stanislao Gatti, e, infine, S.), dopo averne individuato i motivi
ispiratori in Herder, Fichte, Hegel (concetto di Vo/ksgeist e sua necessaria
relazione al Weltgeist). Una distinzione preliminare guida l’analisi dell’a.:
quella che oppone le vedute dei negatori della nazionalità della filosofia
(“the universalists”, Vera) alle ragioni dei nazionalisti di stampo
giobertiano, e che da entrambe dissocia “the cosmopolitan view”, affermazione
della “traducibilità” delle idee pur nel riconoscimento della varietà della
loro applicazione nei diversi paesi. L’a. ripercorre le fasi della formazione
del pensiero di S. sull'argomento, soffermandosi sulla prolusione bolognese e,
soprattutto, sulle prime lezioni napoletane. Il filosofo, sottolinea G., non fa
cadere l’accento sulle differenze delle filosofie nazionali, ma cerca di
individuare “la speciale funzione assegnata a ciascuna di esse nel contesto del
pensiero europeo: la via di S. è quella del cosmopolitismo. “From the national to the
international and back again — in the resolution of this dialectical antithesis
— S., the Hegelian, sees the development of philosophy”. Era una prospettiva destinata al successo, efficace; al
di là dei limiti in cui si restringe il programma di Mamiani, al di là dell’
“esagerato” patriottismo di Gioberti e della “sterilità” di Rosmini, S. “dared
to propose a clear-cut program of thoroughgoing reorganization for the future
of philosophic studies in Italy. E nella linea indicata da questo programma si
muoveranno Gentile e Croce, consapevoli degli errori di un vacuo universalismo,
ma anche della necessità di partecipare al più largo moto della filosofia
mondiale. MUELLER,
La pensée contemporaine en Italie et l’influence de Hegel, Ginevra. La prima parte del libro (La tradition
hegélienne en Italie è dedicata agli hegeliani dell'Ottocento (S., Vera, De
Sanctis, Labriola). La seconda e la terza parte, rispettivamente, a Croce e a
Gentile; l’ultima (Philosopbie et culture en Italie) alle scuole di Croce e
Gentile, e alle relazioni del neoidealismo con la vita politica e sociale
italiana. Su S. si vedano in particolare i capitoli primo (La philosophie è
Naples et le Risorgimento), secondo (B. S. interprète de la philosophie italienne,
e terzo (S. contre le posttivisme) della parte prima; che contengono,
nell’ordine, una rapida presentazione del filosofo e delle sue vicende, una
esposizione delle tesi de La filosofia italiana (che l’a. non intende discutere
singolarmente e in modo specifico), e finalmente un riassunto degli studi sulla
dialettica hegeliana; qui l’a. consente nel giudicare la soluzione di S. come
una“véritableébauche” dell’attualismo. Le opere di S. sono il frutto di uno
spirito critico, più che di un pensiero veramente costruttivo; l'originalità
del filosofo si manifesta soprattutto nella 2399 ricostruzione della storia
della filosofia italiana. A distanza di anni, S. ci appare come un vero
precursore, il cui programma risulta pienamente giustificato e confermato dalla
rinascita e dal successo del nuovo idealismo, nei primi anni del nostro secolo.
SCIACCA, La filosofia italiana, Milano 1941, 150. Cfr. in particolare i
capitoli secondo (La filosofia italiana secondo B. S. e G. Gentile) e terzo
(Critica della tesi S.-Gentile), 9-37. Per l’a. “non bisogna commisurare la
filosofia italiana a quella europea, ma la filosofia europea a quella italiana,
perché siano messi in luce e fissati nei loro momenti inconfondibili e precisi
il carattere e il valore del nostro pensiero, la perenne e potente vitalità di
esso entro il pensiero filosofico europeo” -- è discussa la tesi di P.
Carabellese. Il rifiuto degli schemi artificiosi di S. (e di Gentile) e il
rilievo dell’antitesii tradizione italiana (anti immanentistica, cristiana) —
idealismo tedesco, acquistano un significato più specifico nelle pagine dedicate
dall’a, a Rosmini (cfr. p. es.: La filosofia morale di A. Rosmini, Roma 1938, 165;
Antonio Rostrini nella storiografia italiana, in AA. V V.,, Studi rosminiani,
Milano), che respingono l’interpretazione soggettivistica sostenuta da S.-
Gentile. Cfr. anche n. ALLINEY, I pensatori della seconda metà del secolo XIX,
Milano 1942, 423. Nel capitolo terzo (GL hegeliani) della seconda parte (Gt
oncologi) sono dedicati a S. (e al rapporto S.-Gentile) tre paragrafi. Il
paragrafo settimo (S.) espone gli studi del filosofo napoletano su Kant e sulla
filosofia italiana, su Gioberti e sulle prime categorie della logica di Hegel
(i saggi sulla dialettica hegeliana documentano, secondo l’a., la persistenza
di un’oscillazione tra fichtismo dialettica del pensare e hegelismo “magia” del
sistema). L’ottavo paragrafo (S. e Gentile) richiama le difficoltà — per l’a.,
insuperabili — intorno a cui si affaticano invano gli epigoni di Hegel: la
“condanna” dell’idealismo sta nella perdita dell’ “oggetto. Nel paragrafo nono
(Urzanismo dello S.) è respinta la teoria della “circolazione” e, con essa, il
giudizio per cui S. riassumerebbe in sé tutta la problematica filosofica del
secolo scorso; l’a. richiama i tratti dell’ “umanismo” di S. (il suo crudo
storicismo, la sua fede immanentistica) e accentua il rilievo della sua
vicinanza alle posizioni dei positivisti. Collocata una bibliografia degli
scritti di e su S., che non aggiorna completamente la bibliografia gentiliana. BERTI,
Materiali in preparazione del centenario di Antonio Labriola, in “Stato
operaio” New York. L’a. cominciò a pubblicare questi Mazerzali nel fascicolo di
“Stato operaio” (la stampa dei Materiali si arresta col numero del dicembre
1943). Qui sono indicati i fascicoli in cui si discute di S., e del rapporto
S.-De Sanctis e S.-Labriola, in una prospettiva che anticipa il disegno
dell’ampio studio pubblicato dal B., 2091 nel 1954, sulla rivista “Società. BUCCELLATO,
Di un saggio sulla dottrina di Socrate di B. S., in “Sophia”, Analisi del
saggio pubblicato da S. a proposito delle Considerazioni sulla dottrina di
Socrate di G. M. Bertini 62. L’a. sostiene che lo scritto di S. non fornisce
nessun contributo originale, giacché dipende direttamente e passivamente dalle
pagine di Hegel e, soprattutto, di Zeller (un accenno alla nessuna originalità
di S. storico della filosofia si trova nello stesso fascicolo di “Sophia”, in
un noto articolo di A. Tilgher sulle fonti dell’attualismo. GUZZO, Maturi,
Brescia. PAPA, La storiografia filosofica hegeliana in Italia nella seconda
metà del secolo XIX, in “Rivista di storia della filosofia” in seguito:
“Rivista critica di storia della filosofia. Gli autori studiati nell’articolo
sono: S., F. Fiorentino, F. Tocco. All’interno della stessa scuola hegeliana si
è determinata una reazione ai canoni
storiografici dell’idealismo, con l’abbandono delle esigenze e
preoccupazioni speculative che caratterizzano la posizione di S., e con il
maturarsi di una “tendenza filologica” che affiora già in Fiorentino e appare
ulteriormente sviluppata da F. Tocco. CARAMELLA, La filosofia dello stato nel
Risorgimento, Napoli. Cfr. FAZIO ALLMAYER, La riforma della dialettica
hegeliana, in “Giornale critico della filosofia italiana. Cfr. GARIN, Storia
dei generi letterari italiani. La filosofia, Milano Cfr. RUGGIERO, Hegel, Bari.
SCIACCA, La filosofia nell'età del Risorgimento, Milano 1948; seconda edizione
con il titolo: Il pensiero italiano nell’età del Risorgimento, Milano. Su S. v.
in particolare le L’a. Ripete i rilievi contro l’interpretazione “tendenziosa”
di Rosmini, di Gioberti, e, in generale, contro gli schemi della ricostruzione
della storia della filosofia italiana proposta da S. Acuta e sottile, ma
discutibile, è giudicata l’analisi spaventiana della sintesi apriori; incerta,
la riforma della dialettica tentata nelle Prize categorie 70. Il filosofo 2999
continua a oscillare tra soluzione soggettivistica e soluzione realistica, tra
la riduzione della logica a psicologia e il riconoscimento dei diritti della
metafisica. BATTAGLIA, L'insegnamento di S. a Bologna, in “Giornale critico
della filosofia italiana. Chiarisce e precisa, in base a documenti d’archivio,
le vicende del passaggio di S. da Modena a Bologna, e illustra la sua attività
nell’ateneo bolognese; soffermandosi tra l’altro sulla nota prolusione del 1860
67, che nonfu letta, qui si dimostra come è stato detto per una confusione col
discorso proemiale alle lezioni di storia della filosofia. GAETANO, Machiavelli
e alcuni discepoli della scuola idealistica. La politica e lo stato dei
fratelli S., in “Italica” The Quarterly Bulletin of the American Association of
Teachers of Italian, Menasha, Wisconsin. Si vedano le pp., per un raffronto tra
le teorie politiche di S. e quelle di Machiavelli, un autore mai discusso negli
scritti del filosofo meridionale. Le conclusioni si leggono a p. 218: “Quanto
ai fini, non vi sono divergenze per lo S. e il Machiavelli. Entrambi vogliono
uno Stato forte e libero dal clero. I mezzi possono essere anche gli stessi, e S.
cerca di giustificarli. Le disparità si riscontrano nel confrontare due
concetti diversi della verità, cioè il concetto della verità razionale dello S.
col concetto della verità effettuale del Machiavelli”. FERGNANI, L’opera e
l'eredità di S., in B. S., Polemiche coi gesuiti, Milano. Cfr. n. 101. L'introduzione
di Fergnani è divisa in due parti. Nella prima (La posizione filosofica),
l’autore indica la necessità di allargare l’ “angolo visuale piuttosto
ristretto” con cui Gentile guardò al filosofo hegeliano, lasciando “in ombra”
la relazione S.-Labriola. S. ci appare sempre orientato verso la “concretezza”,
sia quando si tratti di cogliere il nesso di riflessione teorica e situazione
storica, sia quando si tratti di considerare lo sviluppo storico della
filosofia, o di impostare il problema del rapporto: filosofia
nazionale-filosofia europea. Tanto basterebbe per comprendere perché
“linsegnamento dello S. sia entrato quale importante coefficiente nella
elaborazione del materialismo storico compiuta da Antonio Labriola”. Ma cisono
punti di contatto più specifici. Risentono della lezione spaventiana
l’ispirazione “strettamente monastica della concezione labriolana della
storia”, le critiche di Labriola a E. v. Hartmann e a Spencer, e ancora
l'affermazione dell'identità di lavoro e di storia, di teoria e prassi. Nella
formulazione dell’identità di “conoscere e fare, e nella critica dell’Assoluto
trascendente che lascia fuori di sé il relativo, sono, certo, i motivi più
vitali dell’insegnamento dello S. passati nel Labriola e confluiti poi nel
ripensamento gramsciano della filosofia della prassi. Solo che S. sembra
restaurare nell’ “al di qua” quella trascendenza che la vecchia metafisica
aveva collocato in un mondo soprannaturale e sovrintelligibile: è questo il
limite dell’ “immanentismo idealistico” di S. Nella seconda parte (La
concezione politica, l’autore afferma la profonda unità e continuità tra opere
teoriche e opere polemiche di S., e il carattere progressivo della sua
concezione dello stato e del rapporto stato-chiesa, politica- filosofia. Per
aver innestato “la concezione dello stato etico nelle sue esperienze e
convinzioni di liberale del Risorgimento italiano, S. sembra anche in grado di
superare i limiti “burocratico-corporativi” della filosofiastatuale di Hegel.
La dottrina della eticità dello stato prospetta, naturalmente, una inversione
mistificata del rapporto società civile-stato; una inversione che va rovesciata
e che sarà rovesciata solo da un movimento “radicalmente innovatore”. Ma allora
si renderanno plausibili ed effettivamente operanti le istanze di immanentismo
e laicismo assoluto, di organicità ed unitarietà del convivere umano, che sono
implicite nella concezione degli S. Nelle ultime pagine, l’autore segnala la
profonda attualità delle polemiche spaventiane: oggi, dopo la “capitolazione
ideologica della borghesia”, la solidarietà dell'ordine borghese con la chiesa
cattolica può essere denunciata con le stesse accuse che S. rivolgeva contro la
collusione di ancien régime e gesuiti, di chiesa romana e movimenti reazionari.
ARFÈ, L’begelisno napoletano e S., in “Società. Gentile ha deformato la figura
di S., lasciando sullo sfondo o travisando il ruolo svolto dal filosofo nella
cultura italiana del secolo scorso. La prospettiva gentiliana va rovesciata:
l’originalità del filosofo “non è grande”, la sua opera teorica “di secondo
piano”, ma importante è la battaglia politico-culturale condotta dal vecchio
hegeliano, che ebbe “alta e sicura fede nella libertà”, fu animato da una
“profonda religiosità laica”, e combatté per l’affermazione di un ideale
giacobino dello stato, concepito come strumento per la realizzazione delle più
moderne e progredite forme di vita sociale. “In S. le formulazioni teoriche
restano confuse, ma gli atteggiamenti pratici affermati con appassionata
decisione. Se la posizione teorica di S. è ambigua, lo è anche nel senso che
poteva dar luogo a sviluppi diversi: Labriola fu «spaventiano di sinistra. Gli
hbegelianid’Italia. Vera, S., Jaja, Maturi, Gentile, a cura di A. Guzzo e A.
PLEBE, Torino Antologia di testi di Vera, S. (pp. 39-72; da Logica e
metafisica), Jaja, Maturi, Gentile. La scelta dei testi è curata da A. Plebe,
autore anche dei brevi profili di Vera, di S., di Jaja, di Gentile. Guzzo ha
firmato la presentazione di Maturi, la prefazione e la prima parte dell’introduzione,
conclusa da Plebe. Il volume è completato da una rapida nota bibliografica. L’antologia
è costruita con l’intento di mostrare i tratti originali — e, complessivamente,
poco “hegeliani” — dell’hegelismo italiano dell'Ottocento, fino a Gentile.
Guzzo ricorda una conferenza di Gentile, “che purtroppo egli non scrisse” (cfr.
l’introduzione alla raccolta La filosofia italiana fra Ottocento e Novecento,
scritti di Tarozzi, Alemanni, Carlini, Marasca, Scatturin, Plebe, Torino; cfr.
inoltre A. Guzzo, Cinquant'anni di esperienga idealistica in Italia, Padova
1964, 203: il libro è utile anche per diversi accenni a S., e ai suoi rapporti
con i discepoli), e nella quale fu espressa forse la valutazione più serena di
quei pensatori, e della loro importanza per il pensiero italiano: “gli
hegeliani nell’ultimo ventennio dell’Ottocento raccolsero dai loro maestri e
trasmisero ai loro discepoli alcuni concetti delicati e difficili che, estranei
alla mentalità positivistica trionfante, sarebbero andati perduti se essi non
li avessero affermati così a lungo da riuscire a dar la mano ai giovani che
contribuirono alla rinascita dell’idealismo nel primo decennio del Novecento”.
Tra questi concetti, in primo luogo, quello del “trascendentale” (per igiudizidiGuzzo
su S.). Plebe individua due caratteri specifici dell’hegelismo italiano: “il
desiderio di studiare Hegel per ‘riformarlo’; l'interesse limitato ad alcuni
problemi, che fa sorgere un'immagine convenzionale di Hegel, propria degli
interpreti italiani; e cfr.: abbandono dei “grandi problemi della metafisica
hegeliana” — con qualche eccezione in Vera —, attenzione esclusiva per alcuni
temi della logica, ecc.). Con questo programma e con questa eredità si spiega
la scarsa o nessuna incidenza, nell’Italia del primo Novecento, degli studi di
Dilthey, di Lasson, ecc. Nella presentazione di S., Plebe accenna alla
discussione di alcuni temi (accettazione, da parte di S., dello schema: Kant-
Fichte-Schelling-Hegel; impianto fenomenologico- gnoseologico della logica,
ecc.) che sono sviluppati in uno scritto dello stesso anno. Plebe attira
l’attenzione del lettore su una caratteristica oscillazione del vecchio
maestro, che si presenta ora come riformatore, ora come ripetitore di Hegel; e
sottolinea il forte interesse di S. per il positivismo. Sui rapporti degli
hegeliani fra loro, sono da vedere in particolare le 4 sg. (Vera e S.), (Jaja
più vicino al gnoseologismo spaventiano), (Gentile erede di S. e dell’hegelismo
italiano dell'Ottocento). Le pagine di Guzzo su Maturi ricordano l’evoluzione
del filosofo dal gnoseologismo spaventiano a un idealismo non del tutto
concorde con la lettura attualistica di S. e di Hegel. Su questo punto si veda
anche il volume di Guzzo Maturi, Brescia; in particolare dove è impostato il
problema del rapporto tra Maturi e S., nel quadro di un più ampio discorso che
chiama in causa Hegel e Vera, e che è svolto in funzione di una “possibilità di
sviluppo critico” del pensiero del Maturi. PLEBE, S. a Torino, in “Filosofia. S.
a Napoli, in “Filosofia. Il saggio è stato ripubblicato dall’a. nel volume S. e
Vera, Torino (aggiuntovi uno studio su Vera, a cui si accenna più avanti); e
nella raccolta: La filosofia italiana fra Ottocento e Novecento. In queste
pagine, P. ha voluto “delineare la figura di S. come hegeliano e come
filosofo”, muovendosi al di fuori dello “schema di derivazione”
Hegel-S.-Gentile, “che è uno dei non pochi preconcetti inesatti che ancora
dominano la storia della filosofia. In base ai risultati raggiunti dall’a., lo
“schema di derivazione” appare meno giustificato nella prima parte (l’hegelismo
di S. è assai distante dalle intenzioni e dai testi di Hegel) che nella
seconda: motivi spaventiani passano senz’altro in Gentile. Ma S. non sta tutto
nel Frazzzento inedito, né si può dire che Gentile “abbia ereditato lo spirito
e l’anima di S.. S. fu un logico, Gentile un’anima intimamente religiosa; S.
amava guardare il positivo, mentre Gentile amava guardare lo spirito puro, e
cfr.: Gentile “preferirà ignorare” quegli aspetti del pensiero dell’ultimo S.,
che documentano il suo orientamentoversouna forma di “idealismo positivo”, che
trovò la sua migliore espressione nell'opera di D. Jaja Sentire e pensare). Le
conclusioni di P. sono raggiunte attraverso vari confronti, spesso dettagliati,
di scritti di S. con pagine di Hegel, o con pagine di note esposizioni o
rielaborazioni del sistema hegeliano. Si tratta di raffronti operati
successivamente all’interno di diverse fasi di sviluppo del pensiero di S., e
che tendono pertanto a misurare la persistenza di alcuni fraintendimenti,
passati definitivamente nel disegno di un idealismo soggettivistico o
gnoseologistico, più fichtiano che hegeliano. Il saggio S. a Torino si apre con
un'analisi degli Studi. Dalla lettura della Vorrede della Feromenologia (la
sola opera di Hegel che, secondo P., il filosofo mostra di conoscere
direttamente, in questi anni) S. ricava già un’idea assai personale delle
intenzioni dell'autore: l’opera di Hegel sta tutta nella polemica antikantiana
e antischellinghiana della Vorrede, e la logicahegeliana è, o sarà, un semplice
sviluppo della fenomenologia. Le False accuse del 1851 documentano il
persistere e il radicarsi di un’idea mai abbandonata da S.: l’idea “della
soggettività dell’essere logico hegeliano”; e registrano ancora, come già gli
Studi, l'accettazione convinta dello schema di derivazione:
Kant-Fichte-Schelling-Hegel. L'articolo su Schelling mostra un notevole
arricchimento delle letture spaventiane, e segna anche l’inizio di un
“caratteristico ondeggiamento per cui S., da una parte, vuol riformare Hegel,
dall’altra si mostra come suo docile e fedele espositore. In una recensione,
non segnalata da Gentile, S. manifesta la sua “fiducia illimitata” in Gans e
negli altri hegeliani tedeschi. Nello Hegel confutato da Rosmini, S. appare
ormai padrone della Scienza della logica edell’Erciclopedia, ma la distinzione
di Denken e Gedanke, da lui sostenuta, è ancora ispirata da preoccupazioni
gnoseologistiche che non possono trovare giustificazione in Hegel. E il
gnoseologismo di S. diventa sempre più dominante nella recensione al Barni;
“Sin da ora egli è convinto della continuità di sviluppo da Kant a Hegel. Che
questa sia un'idea molto suggestiva è dimostrato dal successo che ebbe non solo
in Italia, ma anche in Inghilterra, ad opera dello Stirling The secret of
Hegel; ma che essa sia una via molto pericolosa, che può portare ad un completo
fraintendimento di Hegel, è stato mostrato da cinquant'anni in qua, attraverso
la pubblicazione degli scritti inediti hegeliani) e, in generale, nelle pagine
e negli studi di S. dedicati a Kant. Degli influssi degli hegeliani tedeschi P.
tratta diffusamente; segnalando le citazioni da Werder, da Erdmann, da
Weissenborn, Rosenkranz, ecc., le probabili suggestioni esercitate da Karl Philipp
Fischer (autore della Speculative Charakteristik und Kritik des Hegelschen
Systeras, e dei Crundgtige des Systems der Philosophie), e, infine, la
utilizzazione, da parte di S., della Logik und Metaphysik di Fischer, citata
ben diciotto volte in Logica e metafisica, e seguita anche in pagine che
semplificano eccessivamente o addirittura travisano la Scienza della logica (P.
riporta alcuni esempi, tratti dall’esposizione della dialettica della parvenza,
e della dialettica delle forme del giudizio). Di Fischer, S. condivide
l'entusiasmo per Kant, e da Fischer accoglie le “forzature” del testo hegeliano
che tendono ad attenuare o addirittura a mutare in lode la polemica
antikantiana di Hegel. È nota poi l’affermazione di Fischer, secondo la quale
la logica “comincia” con il Willensakt des Denkens: qui S. trova una conferma
per il proprio soggettivismo, e qui siamo anche alle origini dell’attualismo
gentiliano. A conforto della interpretazione soggettivistica della logica
hegeliana, S. trae dai suoi studi sui filosofi italiani (soprattutto
Campanella) quella idea della “mente” o “mentalità” che passerà senz'altro
nella caratterizzazione spaventiana del problema della filosofia moderna. La
seconda parte del saggio (S. a Napoli) è dedicata, in primo luogo, all'esame
della riforma dell’hegelismo tentata da S.; al tentativo cioè di “chiarire e
sviluppare un hegelismo di tipo italiano (cioè di tipo
gnoseologico-soggettivistico), sistemandolo con più rigore di quel che fece
Gioberti. Persiste anche ora l’oscillazione tra lo S. riformatore e lo S.
ripetitore di Hegel, una oscillazione forse inspiegabile, ma che non impedisce,
in ogni modo, di ricostruire con chiarezza le linee della singolare impresa di
S. L'analisi delle Prize categorie è preparata: 4) da un paragrafo, in cui P.
mostra la fedeltà di S. alla “logica del giudizio” (la critica che S. muove a
Kant — necessità del passaggio dal giudizio al sillogismo — “non esce essa
stessa dalla mentalità diadica ed è una critica rivolta da un punto di vista
non meno soggettivistico di quello kantiano”, perché “quel che importa a S., a
differenza di Hegel, non è già la circolarità logica, bensì l’attività dello
spirito”, p. 603); b), da alcune pagine sull’interpretazione spaventiana della
logica dell'essenza, che occupano una posizione centrale nel saggio di P.; qui
si rende manifesta, nella sua intera misura e nelle sue gravi conseguenze, la
distanza che separa la logica di S. da quella di Hegel. Il movimento che
conduce dall'essere all’essenza è visto da S. come un processo gnoseologico, e
qui è l'origine del fraintendimento radicale: “se ... come voleva Hegel, S.
avesse visto il passaggio dall’essere all’essenza come processo di
auto-internamento, di auto-giustificazione dell'essere, il problema delle prime
categorie sarebbe passato in secondo piano di fronte a quelli della logica
dell'essenza, che ne sono il fondamento. Coerente con questo fraintendimento è
l’introduzione dell’attualità mentale nella logica dell’essenza, ravvisabile,
secondo P., nelle pagine di S. dedicate al concetto di “esser-posto», alla
discussione dell’ “identità” e del “fondamento. La fedeltà alla logica del
giudizio, l’ “incomprensione” della logica dell’essenza, e l’assunzione dell’
“identità” come “atto” illuminano il significato delle Prize categorie, che
confermano il carattere soggettivistico e gnoscologistico della logica
spaventiana, di quella logica per la quale il filosofo ha richiesto, fin dal
1850, una fondazione gnoseologica. Le ultime pagine dell’articolo sono dedicate
ai rapporti di S. col positivismo (pp. 616 sgg.) e, soprattutto, a Esperienza e
metafisica. Due convinzioni sempre più radicate nella mente di S., e già rese
pubbliche negli scritti polemici: “l’affermazione dell’assoluta immanenza della
ragione (e quindi la sua identificazione con la mente umana), e
l’affermazionedella naturalità del principio di ogni cosa, preparano il
maturarsi di un orientamento assai favorevole al positivismo, o almeno a quella
forma di “idealismo positivo” che fu poi condiviso da Jaja. Anche questa
evoluzione è spiegabile con il particolare impianto dell’interpretazione di
Hegel: il kantismo (o neokantismo) e il “fenomenologismo gnoseologico” che
stanno a fondamento di Esperienza e metafisica hanno un’origine assai lontana.
E l “aporia fondamentale” dell’ultimo scritto di S. (come può giustificarsi una
metafisica che deve “stare” al “dato”?) coincide con quella
dell’interpretazione spaventiana di Hegel (come è possibile fondare la logica
sulla fenomenologia, “lassoluto sul relativo, l’unità sul dualismo”? . Se
questi rilievi sono esatti, Esperienza e metafisica costituisce il vero
“testamento spirituale” di S.; il Frazzzzento sulla dialettica non aggiunge
nulla, secondo P., alla riforma, anzi oscura in più punti quella soluzione. Che
è stata una soluzione feconda, per un certo aspetto (per lo sviluppo
dell’attualismo), ma anche piena di pericoli: “S., identificando l’essere con
l’atto del pensare, rende impossibile (senza accorgersene) il consistere delle
determinatezze, che vengono tutte affogate nell’unità dell’atto. Dell’a. si
veda anche il saggio: AugustoVera,filosofodella mediazione, in “Filosofia. Vera
accoglie da Hegel il problema di una mediazione “metafisica” di reale e
razionale, che in S. vive solo nella forma ristretta della mediazione
“concettuale”; il saggio è ristampato in A. P., S. e Vera, cit.). P. accenna
ancora a S. (e a Esperienza e meta-fisica) nello scritto: L’empirismo come
filosofia e come antifilosofia, in “Giornale critico della filosofia italiana. Cfr.
inoltre di Plebe la voce “S.” in Enciclopedia filosofica, vol. IV, Venezia-Roma.
ALDERISIO, Cownoscenza scientifica e conoscenza filosofica, Napoli. Del libro
esiste una seconda edizione riveduta e accresciuta, Napoli. Per S. è da vedere
soprattutto il capitolo settimo (La gnoseologia vichiana e galileiana nella
rivalutazione critica di B. S., prima edizione). L’a. discute in particolare:
la “lettera” Paolottismo, positivismo, razionalismo; Un luogo di Galilei;
Esperienza e metafisica. In questi scritti spaventiani, e specialmente
nell’ultimo, “risultano vigorosamente illustrati non solo il vero significato
del collegamento gnoseologico tra il Vico e il Galilei, ma anche la verità e il
senso più alto che si possa dare all’altro rapporto... tra la gnoseologia e
metafisica del Vico e quelle tedesche del periodo da Kant a Hegel. ARFÈ,
Labriola e S., in “Mondo operaio. È riprodotta qui in breve la tesi già
prospettata dall’a. in un articolo precedente. BERTI, S., Labriola e
l’hegelismo napoletano, in “Società. La tesi centrale dello scritto di B. si
lascia riassumere agevolmente: da S. (“la mente filosofica dirigente
dell’hegelisrno napoletano) al Labriola si delinea uno sviluppo dello
storicismo italiano — certo complesso, ma coerente nel suo interno svolgimento,
e conforme alle tendenze già dominanti negli hegeliani più avanzati — che trova
il suo naturale punto di arrivo nella prima elaborazione del marxismo, in
Italia. Gli intellettuali che si raccolsero attorno a S. e a De Sanctis
costituirono un gruppo omogeneo, legato da tre caratteristiche: “lo stretto
legame con la vita, con la lotta politica, con la storia”; l’avversione per l’
“idealismo dommatico, ortodosso...”; infine “il tentativo, nel gruppo a tutti
comune, di un superamento dell’hegelismo che avveniva in tutti in una ZIFA
analoga direzione: dall’astratto al concreto, dalla metafisica delle idee a un
tentativo di filosofia dell'esperienza, di filosofia del reale. Nella prima
parte del lavoro, B. studia soprattutto le riflessioni di S. sulla “grande
questione della filosofia: materialismo-idealismo. Sono riflessioni in cui si
rispecchia lo sforzo di comprendere la necessità del passaggio dal “vecchio” al
“nuovo” (v. Esperienza e metafisica), anzi lo sforzo di favorire questo
passaggio, pur tra incertezze che finirono per arrestare il cammino di S. (e di
Sanctis: sull'indirizzo e sui limiti comuni al De Sanctis e allo S. Il discorso
sui “limiti” di S. non è mai abbandonato dall’a. “Dare un giudizio d’insieme su
B. S. non è semplice” (p. 428), proprio per le “contraddizioni” che permangono
nella sua opera. E come è giusto sottolineare “la contraddizione tra il
drastico radicalismo del suo pensiero e il suo moderato liberalismo, così è
necessario respingere l’idea di una evoluzione chiara ed esplicita di S.
dall’idealismo al materialismo. Tuttavia i limiti di S. si collocano ai confini
estremi di una posizione già prossima al suo rovesciamento. Allo S.
“giacobino”, rappresentante di un “Illuminismo sui gezeris”, di un “illuminismo
dopo Hegel”, bastava avvertire “che il prius doveva consistere non nella
educazione della plebe e nella sua elevazione a popolo, ma nel cambiamento dei
rapporti sociali (che avrebbe esso di conseguenza portato a questa
elevazione)”, per trovarsi nella posizione che fu poi di Labriola, e, per il
“cauto” atteggiamento di S. nei confronti dell'illuminismo francese. Allo
stesso modo, S. appare assai prossimo al materialismo nella polemica col
Tommasi: “è nello studio Sulle psicopatie in generale che S. arrivò alla
formulazione ultima della sua filosofia, allorquando, ZITZ criticando
radicalmente la definizione spiritualistica della psicopatia del Tommasi,
combattendo il concetto di una esistenzasostanziale dell'anima, affermò che lo
spirito era ‘nulla senza la materia’, gli parve cioè, lo spirito, materia e nient'altro
che materia, ma materia che nega e supera se stessa, ‘ed è quella che è solo in
quanto la supera. Lo scritto Si colloca nel punto estremo di “un momento
decisivo” della evoluzione di S., che ha inizio nel 1864. In questi anni,
guidando Labriola, S. “riprese a considerate Feuerbach” (p. 422; e B. ritorna
spesso sulle tracce di un incontro S.-Feuerbach, che gioverebbe, tra l’altro, a
spiegare le ragioni di un rifiuto, l’identificazione di tutto il materialismo
con il materialismo settecentesco). Anche qui, B. nega di voler “puramente e
semplicemente instaurare un parallelo storico-filosofico tra S. e Feuerbach”;
suggerisce tuttavia che un tale parallelo “sarebbe... forte di molte solide
ragioni. In nessun modo, comunque, sarebbe possibile negare l’energica tendenza
del filosofo “a non lasciarsi incasellare... nell’una scuola o nell’altra,
sotto l'una o l’altra denominazione. In lui, in altri termini, l'assoluto non
era più lo spirito come in Hegel... e ... nemmeno la materia ...: l'assoluto,
per lui, era il divenire — ma profondamente differenziato — dell’ ‘una e unica
sostanza’. Qui non regge più il paragone con gli hegeliani spiritualisti o con
Feuerbach. Qui è S.. La seconda parte del saggio è dedicata alla
interpretazione neoidealistica di S. L’a. discute in breve i giudizi incerti —
e viziati, in ultima analisi, “da una antipatia preconcetta” — di Croce, per
affrontare partitamente i tre temi — teoria della “circolazione”, riforma della
dialettica, “tentativo di una filosofia dell’esperienza come esperienza attiva”
— su cui si sofferma l’interpretazione di Gentile. Quanto al primo punto:
Gentile tendearovesciare la prospettiva spaventiana, attribuendo alla
“circolazione” quella priorità che spetta invece al “nesso dialettico vita
sociale-pensiero-storia”; sicché l’idea di S. diventa “una banale teoria dei
vasi comunicanti” (pp. 589- 591). Secondo punto. La riforma della dialettica
tentata da S. si costruisce in due momenti ben precisi: a) riconoscimento che
“il processo dialettico avviene interamente nella natura”, dando luogo al
differenziarsi di spirito e materia come forme distinte di un’unica sostanza;
b) su questa base, ma solo su questa base, affermazione dell'autonomia del
pensiero e trascrizione “logica” delle leggi del divenire naturale. Dato l’impianto
del suo discorso, S. non avrebbe mai potuto concludere, come Gentile, che il
divenire è solo divenire del pensare (e, per un confronto S.-Engels). Infine:
nel concetto di “esperienza attiva” Gentile vede anticipata la costruzione
attualistica della identità di teoria e prassi. Ma la forte accentuazione
spaventiana del “lato attivo” dell’uomo va interpretata tenendo presenti le
indicazioni di Esperienza e meta-fisica: l’esperienza è storia, ed è storia in
quanto è lavoro; qui s'incontrano S. e Labriola. Nell'ultima parte del saggio,
B. richiama, in primo luogo, l’attenzione del lettore sulle dimensioni
politiche delle polemiche sostenute da S. negli anni dell’esilio torinese. Sono
vicende non trascrivibili interamente sul piano di una storia delle idee; non
si intendono appieno, se non si ha presente il quadro dell’ “accerchiamento
ideologico e politico”, il quadro delle “generali e minacciose ostilità che
colpirono gli hegeliani meridionali, a Torino. B. ricorda soprattutto l’attacco
di Gioberti ai giovani hegeliani (democratici, quindi socialisti, comunisti)
dalle pagine del Rinnovamento. La risposta di S. (nell’articolo contro
Tommaseo) è “abile”, se si vuole; ma va notato che mai il filosofo si difende
dissociandosi dagli hegeliani di sinistra, e sottoscrivendo una professione di
“fede moderata. Un’altra importante testimonianza di questo atteggiamento è
offerta dalla recensione alla Storia di uno studente di filosofia di Piola.
Sono fatti che trovano la loro giusta interpretazione in Gramsci, e che
indicano una diversa collocazione politica degli intellettuali meridionali,
rispetto a quella dei liberali piemontesi e lombardi. Da “Hegel gli hegeliani
napoletani avevano elaborata tutta una dottrina sulla funzione degli
intellettuali ai quali sarebbe spettato il compito di elevare la plebe a popolo
e di creare, quindi, le condizioni pregiudiziali per una futura democrazia: che
essi vedevano possibile soltanto proiettata in un lontano avvenire. Sarà, anche
questo, un limite del loro democratismo; ma intanto sta a indicare la presenza
di una ispirazione democratica, che B. trova confermata nel programma politico
degli hegeliani (“utopistico, ma non certo conservatore”) e nelle prime
formulazioni dello “stato etico. Le originarie convinzioni progressiste di un
De Meis non si oscureranno mai del tutto, neppure nel Sovrano; e i Princìpi di
etica di S. confermeranno, ancora, la presenza vitale di un disegno
rivoluzionario (e sia pure di una “rivoluzione intellettuale”). Bertrando più
di Silvio sentì la necessità di conservare al liberalismo il suo slancio
rivoluzionario, il suo momento di rottura col passato” (p. 780). E mantenne una
pur “inconfessata collaborazione” con i positivisti più avanzati, lungo una
strada percorsa anche dal Labriola, che seppe distinguerci positivismo da
positivismo. Anche su questo piano Labriola si incontra col vecchio maestro, e
meglio di ogni altro scolaro di S. Le ZITI ultime pagine dello studio di B.
fissano le tappe del progressivo distacco di Labriola dallo illuminismo posthegeliano”
dello S. e dalla concezione dello stato etico. In una lettera B. individua il
momento in cui, agli occhi di Labriola, appare ormai “rovesciata”, con la
subordinazione della rivoluzione intellettuale alla rivoluzione sociale, la
posizione del maestro. Negli anni in cui Labriola veniva via via precisando il
suo orientamento verso il socialismo, non venne mai meno tuttavia l’amicizia
per il vecchio hegeliano (come non venne meno, più tardi, l'amicizia per
Silvio). Anche questo dato esterno conferma in qualche modo i risultati di
tutta la ricerca. Sui rapporti personali di Labriola e S., cfr. le lettere
pubblicate a cura di B. Per alcune
pagine dello stesso autore che anticipano il discorso. La filosofia italiana
fra Ottocento e Novecento, scritti di TAROZZI, ALEMANNI, CARLINI, MARESCA,
SCATTURIN, PLEBE, Torino. Contiene la ristampa, col titolo S. hegeliano e filosofo,
del saggio pubblicato da A. Plebe in “Filosofia. Accennano variamente a S. i
saggi qui raccolti (e anch'essi già pubblicati nella rivista “Filosofia”) di V.
Alemanni (Ceretti), di A. Carlini (Acri), di M. Maresca (I/ pensiero filosofico
di Nasci. SALVUCCI, Di alcuni recenti interessi per i neohegeliani italiani
dell'’800, in “Studi Urbinati. La rassegna è dedicata all’antologia a cura di
A. Guzzo e A. Plebe 251, ai saggi di A. Plebe, all’articolo di Arfè, allo
scritto di Battaglia. TOGLIATTI, Per una giusta comprensione del pensiero di A.
Labriola, in “Rinascita”. Per S., si veda il quarto paragrafo (Movimento e
crisi del pensiero italiano dell'Ottocento. L’a. rileva gli aspetti “contraddittori” della
posizione del filosofo (S. afferma che la filosofia nasce dalla storia, ma
tenta poi una deduzione logica del processo storico; ci offre una corretta
valutazione del naturalismo, e di Darwin, ma resta imbrigliato
nell’interpretazione “kantiana” di Hegel e precorre, nelle Prize categorie,
l’attualismo, ecc.); ma conclude segnalando quelle pagine spaventiane (in
particolare, la p. 138 di Esperienza e metafisica, dove è affermata l’identità
di storia e lavoro) che ci consentono di comprendere come dalla scuola del “più
grande dei filosofi hegeliani d’Italia” sia potuto uscire Antonio Labriola.
ALDERISIO, R:presa spaventiana, in “Il Saggiatore. Il saggio di A. (vedilo
anche ristampato in volume: Ripresa spaventiana. Considerazioni sull'idealismo
assoluto, sul materialismo evoluzionistico e sul materialismo storico,Napoli;
in questa edizione “riveduta e ZIaccresciuta” l’aggiunta più notevole è lo
scritto: Ri/lessioni di A. Gramsci sul concetto della finalità nella filosofia
della prassi) è una rassegna assai minuziosa di recenti studi spaventiani.
Nella prima parte, dopo un breve accenno al giudizio negativo sul filosofo
napoletano espresso da G. De Ruggiero nel suo Hegel, l'a. ripropone le linee
della propria interpretazione di S., costruita in una serie di scritti ordinati
in questa bibliografia. S., secondo A., non fu, né volle essere, un
“riformatore” della dialettica hegeliana, nel senso voluto dall’attualismo;
intese semmai proporre una migliore interpretazione della deduzione delle prime
categorie della Scienza della logica. Gentile costruì il proprio idealismo
attuale indipendentemente da S.; la sua lettura del Frammento inedito è sostanzialmente sbagliata, e costituisce,
in ogni caso, un riconoscimento post festum. A. discute due scritti: quello di
Berti, e il saggio di Togliatti. A. respinge la tesi di una evoluzione di S.
verso il materialismo, anche nella sua formulazione più cauta (S. avrebbe
“vissuto” la contraddizione di idealismo e materialismo). Ma è giusto poi,
secondo l’a., rivalutare, nell’opera di S., gli aspetti di un orientamento
politico progressista; lo stesso Gentile, individuando nel riconoscimento
spaventiano della natura “pratica” dell’autocoscienza la “chiave d’oro” della
“nuova” gnoseologia, di Marx e di S., ha fornito una prima indicazione sul
carattere “progressivo” di questi sviluppi paralleli di pensiero, nati da una
comune ispirazione hegeliana. Su questo punto, l'a. si sofferma nel paragrafo
intitolato: Breve indagine sul pensiero etico politico di S. riguardante lo
sviluppo storico della coscienza sociale. La terza parte della Ripresa è
dedicata allo studio di Plebe: un saggio, a giudizio dell’a., “troppo denso e
forse scarsamente elaborato”, che si riassume “in una critica negativa ed
acerba”. Contro le stesse intenzioni del suo a. (rottura dello schema:
Hegel-S.-Gentile), lo scritto di Plebe finisce per dar credito
all’interpretazione gentiliana di S., solo rovesciando il giudizio di valore
sui motivi dell’apprezzamento di Gentile per il vecchio maestro. A. discute e
respinge via via le conclusioni di Plebe, difendendo l’autentico hegelismo di
S., la sua corretta lettura dei testi e la sua interpretazione del sistema, per
nulla ispirata dal proposito di una vistosa “riforma”. Né sembra giustificato,
per A., assumere Esperienza e metafisica come il testo di un “idealismo
positivistico”. La revisione delle analisi di Plebe, condotta attraverso una
ricostruzione diversa ma altrettanto particolareggiata dei testi in discussione,
e qui non riproducibile nel dettaglio, si conclude con la riaffermazione della
“profonda hegelianità” del filosofo napoletano. BADALONI, La filosofia di
Giordano Bruno, Firenze. Si veda soprattutto il capitolo quinto (Intorzo alla
fama del Bruno), nel quale sono ricordati gli studi spaventiani sull’argomento.
Gli scritti di S. sono accostati a quelli di Labriola e di De Sanctis (i quali
seppero cogliere il “messaggio di liberazione umana” racchiuso nelle pagine del
filosofo); ma all’a. sembrano poi viziati da un’analisi svolta in termini
speculativi, e sorda alla comprensione del “fondo materialistico” del
pensierobruniano. Si vedano anche sull’interpretazione, in S., del mito di
Atteone) e sulla ricostruzione spaventiana della morale e della politica di
Bruno. CUBEDDU, Interpretazioni di S., in “Rassegna di filosofia”. Resoconto
degli scritti di Arfè, di Berti; limitato alle prime due parti del saggio, e di
A. Plebe. GARIN, Cronache di filosofia italiana, Bari; ristampa in due voll.,
Bari. Cfr. GARIN, Felice Tocco alla scuola di S., in “Giornale critico della
filosofia italiana. Cfr. FICHERA, Il problema del cominciamento logico e la
categoria del divenire in Hegel e nei suoi critici, Catania. I critici di Hegel
studiati dall’autore sono K. Fischer, S. e Gentile. Sullo S., v. in particolare
il capitolo quarto, L’interpretazione spaventiana, che discute le Prime
categorie e il Frammento inedito. Tesi centrale: nell’impostazione del problema
del cominciamento c’è, in Hegel, un vizio di fondo, che riaffiora e permane nel
discorso degli interpreti. Si vedano le pagine in cui l’autore conclude su S.:
“la soluzione spaventiana vale, a nostro avviso, solo a chiarire l’insolubilità
del problema del cominciamento logico e l’inconcepibilità dell'Essere, del
Nulla e del Divenire come categorie, nella cui determinazione è implicito
l'equivoco hegeliano di isolare i momenti strutturali della dialettica’ del
pensiero (l’affermazione, la negazione, il superamento), per farne altrettante
determinazioni categoriali che, come tali, presuppongono e non pongono il farsi
o il dialettizzarsi del pensiero logico. Ecco perché S., allorché vuol
mantenere la posizione hegeliana circa il problema del cominciamento, e parte
dall’Essere come il puro Immediato, si avvolge nelle medesime aporie hegeliane
di presupporre al processo del pensiero ciò che dovrebbe essere invece un suo
prodotto. E quando = nel Framzzento inedito chiarisce l'equivoco, assumendo
l’Essere come pensiero, deve sostanzialmente abbandonare il problema della
deduzione del divenire: il divenire non può essere dedotto, ma è se mai
implicito nell’autoriflessione dell'Essere, come pensare, essendo il pensare
T'Essere stesso dell’Essere. Sviluppi dello begelismo in Italia. Sanctis,
Tommasi, Labriola. Una antologia dagli scritti a cura di M. Rossi, Torino. A S.
sono dedicate in particolare l’introduzione di Rossi, precedute da una
ricostruzione dell'ambiente napoletano del 1840-48, in cui sono indicate le
ragioni del prevalente interesse dei primi hegeliani per i problemi
teoretico-gnoseologici, e quindi per l’interpretazione fischeriana del pensiero
tedesco. All’a. la “circolazione del pensiero” appare una veduta “ingenua,
semplicistica e unilaterale”, che ha avuto tuttavia il merito di
sprovincializzare la nostra cultura, ponendola a contatto col pensiero europeo.
Manca però in S. una reale esperienza e quindi una giusta valutazione
dell’illuminismo. La riforma della dialettica hegeliana proposta da S.
costituisce senz'altro la premessa da cui discende l’attualismo di Gentile.
L’a. osserva che “il tentativo estremo di eliminare ogni residuo ontologico
oggettivo, per quanto possa sembrare legittimo in quanto si operi sul vuoto e
astratto primum che è l’essere”, si allarga fatalmente ad ogni determinatezza.
Il tentativo può sembrare giustificato rispetto a Hegel, perché in Hegel c’è,
appunto, anche questo aspetto; ma c’è anche l’altro, per cui la dialettica deve
provarsi con il contenuto determinato delle scienze, della natura e della
storia. Dall’attenzione per il lato formale nasce l’attualismo, dall’attenzione
per i contenuti la nuova dialettica, della sinistra hegeliana e di Marx. S.
anticipa, dunque, Gentile. Ma non trae tutte le conclusioni della sua riforma,
e lascia vivere il sistema. Questa contraddizione, “positiva”, dal punto di
vista di R., è il riflesso di un’altra contraddizione: tra lo S. prcattualista
e lo S. liberale, l’esule, l’antigesuita, il filosofo attento all’evoluzionismo
e al positivismo. L’accoglimento di Hegel corrispondeva alla volontà di uscire
dal marasma intellettuale di Napoli. Ma S. “cercava la libertà e incontrò la
monotriade dialettica”; “i suoi interessi etici di liberale procedettero
paralleli ai suoi interessi teoretici, vi rimasero giustapposti, e con essi non
s'incontrarono mai”. Tant'è vero, che nei Principi di etica S. lascia cadere la
deduzione della monarchia ereditaria e ignora tutte le pagine reazionarie della
Filosofia del diritto: “liberalizza” Hegel sopprimendo — semplicemente — il
reazionario (a p. LIX cfr. anche un’annotazione particolare a proposito della
polemica sulle psicopatie: S. ci offre una “stranissima soluzione”. che
“contamina” il realismo herbartiano con la dottrina hegeliana
dell’autocoscienza). Dalla linea S.-Gentile divergela linea De Sanctis-
Tommasi-Labriola, la linea “umanistica” dell’hegelismo italiano già proposta da
F. Lombardi nel suo Ludovico Feuerbacb e ribadita in scritti posteriori. Degli
Sviluppi dell’hegelismo cfr. la recensione di N. Merher, in “Società”; e, per
un successivo dibattito: G. Mastroianni, M. Rossi, N. Mediar, A proposito di
alcuni studi recenti sul Labriola, in “Società. ALDERISIO, Introduzione a B.
S., Sul problema della cognizione e in generale dello spirito, Torino. Nuova
presentazione dell’introduzione al testo spaventiano, qui ritoccata e adattata
a “finalità didattiche”. L’a. riafferma la “piena e congeniale aderenza” dello
scritto di S. “col principio e senso fondamentale dell’assoluto razionalismo di
Hegel. FAZIO ALLMAYER, Ricerche hegeliane, con prefazione di G. Saitta, Firenze.
Cfr. MARCIANO, Storia della filosofia italiana, Romza. A S. sono dedicate le
ultime pagine dell’ottavo capitolo, che espone il pensiero italiano. Ma il nome
del filosofo è citato spesso nell’introduzione, che riprende e dibatte la
questione della “filosofia nazionale”, e quindi del “carattere” della filosofia
italiana. La tesi di S. (e di Gentile) vien fatta reagire con quelle di M. F.
Sciacca cfr. nn. 236, 246, di P. Carabellese, e con le vedute di F. De Sarto,
che l’a. è incline ad accettate (la filosofia italiana è filosofia
dell'esperienza, è sperimentalismo, ha carattere realistico, ecc.). 269. Un
“pamphlet” antidemocratico inedito di S., a cura di P. C. MASINI, ir “Rivista
storica del socialismo”, Cfr. GARIN, Ur “pamphlet” antidemocratico inedito di B.
S., in “Giornale critico della filosofia italiana”. Cfr. BERTONDINI, Irtorno al “Socrate” di Labriola
e S., in “Studi Urbinati. Dalla lettura dello scritto di Labriola su Socrate è
possibile far affiorare il rifiuto della impostazione speculativa che
caratterizza l’analisi spaventiana 62 delle Considerazioni di G. M. Bertini.
ALDERISIO, Introduzione a B. S., Lo stato moderno e la libertà d'insegnamento,
Firenze. L'’introduzione contiene utili indicazioni per favorire una prima
lettura delle due polemiche di S., i cui testi — si legge nella “postilla”— ben
si prestavano, per la loro “affinità” e “complementarità”, per la “comune
ispirazione filosofica ed ideologica,tuttaprotesa verso l'ammodernamento della
cultura e dell'educazione e verso il rinnovamento più profondo della filosofia
e della vita politica in Italia”, ad essere presentati in un’unica raccolta
antologica (tra le recensioni dell’antologia cfr. S. C. Landucci in “Critica
storica”; e L. Pinto, in “Il Baretti”, MAZZILLI, L’hegelismo in Italia, in
“Cynthia”. È l'undicesima puntata di un lavoro, che ha come sottotitolo
costante: La problematicità. Qui sono avanzate esplicite riserve contro la
teoria della circolazione e contro l’interpretazione spaventiana di Hegel (cfr.
il saggio precedente, intitolato I/ divenire Iriadico: non è vero che Hegel
volle “provare l'identità”, come pretende S.; ma v. anche le pagine dedicate a
L’attualismo: è vero che S. ebbe una concezione intellettualistica dell’“atto”,
ne vide l'impotenza ad autodeterminarsi; questo, che a Gentile apparve un
limite, è per l’a. un pregio della posizione di S., il quale sembra offrirci
una confutazione anticipata dell’attualismo). ZAMBELLI, Tradizione nazionale
italiana e sovranità etica razionale nel’ideologia degli hegeliani di Napoli,
in Problemi dell’unità d'Italia, atti del secondo convegno di studi gramsciani,
Roma. Contiene una minuziosa analisi e ricostruzione — con ricchi riferimenti
bibliografici - del pensiero etico-politico di S.: dai primi documenti
(Pensieri sull’insegnamento della filosofia; l’a. tocca con la dovuta cautela
la questione della collaborazione di S. al “Nazionale” del fratello Silvio) ai
Principi di elica. La posizione di S. appare all’a. assai “avanzata”, pur nei
limiti suggeriti dalla lettura delle pagine dedicateda Gramsci al Risorgimento
italiano. Muovendo da una primitiva avversione al Cousin, e dai suggerimenti
del fratello Silvio, S. sviluppò il disegno di una storiografia fortemente
critica, ispirata da una corretta concezione del nesso che collega la filosofia
con il processo storico (va riconosciuto, del resto, che “per la provincia
filosofica italiana lo ‘storicismo’ hegeliano non trovò superatori fino al
primo saggio di Labriola); altrettanto progressive appaiono le vedute di S. sul
problema della “nazionalità” della filosofia. Se è lecito riconoscere la
disinvoltura “speculativa” dell'equazione: Gioberti = Hegel, assai più
importante è individuare e ribadire il valore pratico, efficace,
dell’operazione compiuta da S. Nella Libertà d'insegnamento è disegnato il
concetto della moralità autonoma dello stato, i. e. il concetto dello
stato-guida, che prepara il momento della libertà, difendendo e promuovendo gli
interessi dei cittadini; ci muoviamo qui su di un piano ben diverso da quello
su cui Gentile affermerà il suo ideale dello “Stato forte” (cfr. p. 568: appare
equivoca all’a. l'annessione di S. all’attualismo fascista; ai principi di S.
si è potuto richiamare il gruppo liberale borghese più avanzato, rappresentato
da Gobetti). L'analisi dei Principi di etica consente di concludere che nella
prospettiva di S. “i problemi della tradizione nazionale e della autonomia
razionale e etica dello stato vengono a convergere con un'impostazione che (se
mantiene ovviamente il limite di classe di tutte le ideologie borghesi, che non
prendono in considerazione le classi subalterne ed i loro specifici problemi,
fittiziamente ridotti e dissolti nell'unità nazionale) pur rappresenta la
raggiunta maturità della ideologia liberale in Italia; essa venne condivisa da
tutto il gruppo d’opinione che faceva capo ai due S., a De Meis e a Francesco
Fiorentino. Negli scritti della maturità non tornano più le rivendicazioni
democratiche (l’appello alla “ragione”, che si identifica con la richiesta del
suffragio universale e della gestione repubblicana dello stato); ma resta e si
afferma ancora l’idea dell’ “evoluzione progressiva delle costituzioni. S. Si
muoverà certo entro prospettive “borghesi”, e nutrirà forse eccessiva fiducia
negli “espedienti” costituzionali; ma vi sono, nel suo pensiero, spunti e
riconoscimenti che meriteranno di passare negli scritti e nell’opera del suo
allievo Labriola. Nello studio della Z. si dà notizia di una lettera inedita di
S. a G. Del Re, del 12 ottobre 1850, che costituisce un altro documento relativo
al progetto di traduzione del volume di L. Stein sul socialismo e il comunismo
in Francia. CUBEDDU, S. pubblicista, in “Giornale critico della filosofia
italiana”, Lo scritto presenta la ristampa dei testi ordinati in questa
bibliografia. L’autore rende note le ragioni che consentono di attribuirne la
paternità allo S.; riproduce i titoli di altri articoli pubblicati sul
“Progresso” di Torino e attribuibili anch'essi, ma con qualche dubbio residuo,
al filosofo; indica nello scritto di L. Stein Der Socialismus und Communismus
des beutigen Frankreichs la fonte di alcuni articoli spaventiani L'autore
conclude (pp. 62 sgg.) con una cauta valutazione di questi testi “democratici”
di S., nei quali il filosofo esprime convinzioni successivamente attenuate o abbandonate.
LANDUCCI, Di un celebre paragone tra Rivolnione francese e filosofia classica
tedesca, in “Belfagor”. Analisi della formulazione spaventiana del nesso:
Rivoluzione francese-pensiero tedesco (in Paolottismo, positivismo,
razionalismo, 78), estesa dall’a. all'esame della presentazione del paragone
nel discorso di De Meis Darwin e la scienza moderna. L’a. conclude per la
derivazione da Heine (fonte anche del Carducci) del paragone spaventiano; e ne
individua, attraverso le varianti introdotte da S., gli elementi di
originalità. Si legge che S. — con Meis — volle prospettare e sostenere un
“idealismo filosofico” che è “il corrispettivo teoretico delle possibilità
pratiche di razionalizzazione dcl mondo, di umanizzazione della realtà,
potentemente messe in luce dalla Rivoluzione francese. TESSITORE, Crisi e
trasformazioni dello stato, Napoli. Si veda in particolare, nel primo capitolo
(I compiti dello stato), il quinto paragrafo (I/ significato dello stato per
Silvio e S., che contiene un raffronto delle posizioni di Silvio e di B. sul
concetto dello stato libetale e sul problema delle garanzie costituzionali (e
cfr., per B., un’osservazione.: lo S. “trascurava, quasi subito, l'interesse
generoso di Hegel, che pur a tratti lo attirava, per le manifestazioni
‘oggettive’ del diritto, della moralità, dell’ethos, e seguiva... la via meno
certa, meno hegeliana: quella di formulazioni
nell’intimo neogiusnaturalistiche, che ritrovano un’assonanza, certo non
fortuita, con lo statalismo di Fichte. CUBEDDU, Berztrando S., Firenze. Il
libro si divide in quattro capitoli. Nei primi due (La nazione vivente; Ragione
e libertà) sono studiati gli scritti spaventiani, dal programma degli Studi
sopra la filosofia di Hegel e dei Pensieri sull'insegnamento della filosofia,
al frammento sulla riforma filosofica, politica e religiosa nel XVI secolo;
attraverso gli articoli pubblicati sul “Progresso” (è ripreso qui., il tema del
rapporto S.- Stein), le polemiche con la “Civiltà cattolica”, gli scritti sulla
libertà di insegnamento, i saggi su Bruno e Campanella. Un riepilogo di questa
prima parte discute l “ampiezza e la struttura specifica... della problematica
nella quale si compongono e prendono rilievo gli interessi più vivi del
filosofo”, in quegli anni; si allarga “alla considerazione del rapporto di S. a
Hegel e agli hegeliani, del significato che è possibile attribuire agli studi
sul Rinascimento, e all’atteggiamento genericamente negativo nei confronti dei
filosofi italiani contemporanei”; e si conclude “con qualche osservazione sugli
orientamenti pratici e politici del giovane filosofo. Quantoalprimopunto,l’a.indica
in che senso e entro quali limiti le prime riflessioni e polemiche di S.
presentino “uno sviluppo affine alle grandi linee della polemica di Hegel
contro Schelling, contro l’empirismo e contro le filosofie della riflessione in
genere.. Nei saggi sul Rinascimento, viene messo in rilievo un “duplice
orientamento” del filosofo, il quale, per un verso, tenta di rielaborare in
modo autonomo i temi speculativi individuati in Bruno e Campanella, per un
altro verso impegna quegli autori in un confronto esplicito con gli sviluppi
dell’idealismo tedesco; con risultati non del tutto convincenti, o non ancora
convincenti, prima che S. abbia raccolto i frutti degli studi su Spinoza e
Jacobi, e della nuova lettura di Gioberti. I lavori sui Rinascimento vanno
ricondotti tuttavia alla “più estesa prospettiva nella quale si inquadrano le
esigenze e le convinzioni etico-politiche del giovane S.”, che tenta di
cogliere e di elaborare i primi germi di una concezione “organica” della
società, nella quale sia dato finalmente “al’uomo di conciliare la propria
individualità, la soggettività dei suoi impulsi e dei suoi bisogni, con la
necessità della legge. In quella prospettiva appaiono all’a. semplicemente
riaccostati elementi attinti da diverse matrici (come per es. la critica di
Rousseau, che coesisteconlapienaaffermazione della sovranità popolare). All’a.
non sembra dubbio, tuttavia, che le formulazioni di S. “non costituiscono né
vogliono costituire un vero e proprio programma politico chiaramente e
concretamente articolato, e quindi valutabile e criticabile in quanto tale. Il
quadro programmatico di quelle
dichiarazioni va trasposto e interpretato su quello stesso terreno sul quale
fermentano i propositi di una rigenerazione morale e intellettuale del popolo,
che deve attuarsi attraverso una totale rivoluzione filosofica. Se è possibile
ascrivere alla concezione di S. un limite, “che deriva dal carattere parziale
della prospettiva in cui si muove il filosofo”, non sarebbe giustificato
“svalutare i contributi particolari che S. ha voluto apportare nella
discussione di problemi concreti e attuali, come è risultato dall'esame delle
polemiche sostenute in questi anni dalle colonne dei periodici piemontesi. Il
terzo capitolo (Fede e sapere) esamina gli scritti spaventiani Tra i lavori
studiati in queste pagine vanno segnalati, oltre ai primi saggi su Bruno e
Spinoza, l'importante articolo su La filosofia di Kant e la sua relazione con
la filosofia italiana, un manoscritto inedito intitolato a Jacobi e qui datato:
(per l’analisi dell’inedito), e la cosiddetta “parentesi, pubblicata da
Alderisio e qui discussa. L’ultimo capitolo (La metafisica perplessa) è
dedicato all'esame delle prime lezioni napoletane e della Filosofia di Gioberti,
il “capolavoro” di S., minuziosamente ricostruito dall’a.; segue un ampio
paragrafo dedicato agli scritti sulla logica e sull’etica di Hegel; dedicate a
Esperienza e metafisica, e agli scritti sulla psicologia empirica. Un riepilogo
(pp. 290 sgg.), che discute tra l’altro lo scritto: Kart e l’empirismo, chiude
anche questa seconda parte del lavoro. Per una presentazione sintetica delle
conclusioni, si vedano le 290-291: “Se volessimo indicare in breve, trasponendo
queste considerazioni sul piano di un bilancio complessivo, quale sia il limite
che ci sembra risultare dall’analisi della produzione scientifica di S.,
dovremmo parlare di una riflessione critica che ha spunti e accenti fortemente
originali, che abbiamo visto maturarsi sul terreno di una sostanziale armonia
con gli interessi e con le esigenze espresse nel programma, ma che non è
riuscita a tradursi — e a placarsi — nella elaborazione di una dottrina
altrettanto autonoma e originale. Nel corso dell’ultimo capitolo abbiamo
sottolineato di volta in volta quali siano le oscillazioni, le suggestioni, e
soprattutto le esitazioni che è legittimo porre in rilievo attraverso la
lettura delle opere più fortunate ed anche più mature di S. La considerazione
non ci dispensa dal compito di giustificare, almeno in forma sintetica, il
titolo che abbiamo voluto dare all’ultima parte di questo lavoro. In esso si
esprime la convinzione che l’interpretazione di S. data da Gentile sia
sostanzialmente aderente ai motivi fondamentali e alle esigenze autentiche del
pensiero del maestro. Accentuando il tema della perplessità, abbiamo inteso
indicare quali e quanti tributi il filosofo ha voluto pagare all’enciclopedia hegeliana,
pur continuando a prospettarsi la necessità di prolungarne e di rielaborarne,
in forma originale, i risultati e l'insegnamento. Non ci è sembrato proficuo
ricercare minuziosamente quali fraintendimenti si frappongano fra l’analisi di
S. e il testo di Hegel. L’adesione del filosofo al programma della prefazione
alla Ferorzenologia e, più in generale, alle pagine nelle quali Hegel sviluppa
con maggiore asprezza la sua critica dei filosofi contemporanei, avrebbe dovuto
consentire al maestro — tale era l'intenzione di S. — la ricostruzione della
vera ‘enciclopedia giobettiana. Ma il filosofo, a nostro avviso, si è
dimostrato consapevole, e fin nelle sue ultime pagine, che questo programma non
era giunto al suo perfetto compimento”. I risultati ultimi della ricerca sono
resi anche più espliciti nella prefazione: “il proposito di ricondurre a unità
l'insieme dei motivi che si innestano nella speculazione di S., di ricostruirne
la fisionomia complessiva e di riprodurne la problematica in un linguaggio non
troppo distante dalla nostra sensibilità, riesce a raggiungere il proprio scopo
— è una conclusione certamentenonnuova, della quale intendiamo tuttavia assumerci
la nostra parte di responsabilità — soltanto accogliendo la critica spaventiana
di Gioberti come l’unico strumento che ci consenta di penetrare agevolmente il
senso riposto fin nelle pagine più disperse e frammentarie del filosofo, e più
lontane, fra loro, nel tempo, dai primi scritti torinesi del 1850 alle ultime
polemiche contro il positivismo. Svuotata dei toni e degli accenti ormai
estranei al nostro gusto e ai nostri interessi, liberata dalle incrostazioni
che costituiscono l’inevitabile residuo nella produzione di un autore dotato di
una personalità per molti versi fortemente recettiva, la critica di S.,
largamente imperniata sulla polemica con il giobertismo, è in grado di
restituirci l’esatta misura dello hegelismo di cui si nutrì il filosofo; il quale
seppe mostrarsi hegeliano, per quel tanto che riuscì a tenere insieme le
innegabili doti e tentazioni sistematiche con una polemica aderente al
“carattere” e allo “sviluppo” proprio del pensiero moderno, italiano e europeo.
Questo convincimento implica che si ritenga ancora esatto e accettabile, nelle
sue linee essenziali, il giudizio che sull’opera di S. volle dare Giovanni
Gentile; il che non significa, ovviamente, accogliere anche le conclusioni
teoriche dell’attualismo, ma, più semplicemente, attribuire a S. il merito o la
responsabilità di aver avviato — tra incertezze e perplessità che sono pure
messe in luce in queste pagine — un’interpretazione di Hegel alla cui storia il
suo nome ci appare tuttora indissolubilmente legato”. CRESCENZO, La fortuna di
Vincenzo Gioberti nel mezzogiorno d’Italia, Brescia. Cfr. GUZZO, Cinquant'anni
di esperienza idealistica in Italia, Padova. Cfr. LANDUCCI, Cultura e ideologia in Francesco De
Sanctis, Milano. Cfr. LANDUCCI, S. fra
hegelismo e socialismo, in “Annali dell'Istituto Giangiacomo Feltrinelli”, Milano.
Il titolo non vuole indicare un’incertezza o un’oscillazione che sia da
addebitare al giovane S. democratico, collaboratore del “Progresso” e autore
degli Studi sopra la filosofia di Hegel. La ristampa degli articoli su La
rivoluzione e l’Italia e Le utopie, scritti negli stessi mesi in cui il
filosofo combatteva dalle colonne del giornale torinese la sua polemica sulla
libertà d’insegnamento, offre ormai — secondo L. — il materiale necessario per
ricostruire nella sua intera e coerente fisionomia un momento ben preciso della
biografia di S.; quel momento in cui si intrecciano, sostenendosi e
confermandosi a vicenda, un hegelismo “assai preciso e articolato” (anche se
“‘interpretato’ o fortemente sollecitato”, e una autentica fede democratica e
repubblicana, traducibile in termini di “démocratie sociale, alla francese; per
cui gli scritti spaventiani vanno a collocarsi “accanto alle opere dei
repubblicani non mazziniani fiorite in questi stessi anni e caratterizzate dal
continuo riferimento alle vicende francesi. Sullo stesso terreno in cui si
incontrano hegelismo, democrazia e socialismo, fermentano i propositi di
rigenerazione civile e intellettuale della società italiana, che caratterizzano
il primo “programma” di S.; alle discussioni di questo tema L. contribuisce
anche ripubblicando un “annuncio” della traduzione spaventiana di Stein,
rimasto finora ignoto. L’ampio saggio di L. offre al lettore,in sessanta
pagine, tante analisi, riflessioni, suggerimenti,non riproducibili qui nei
particolari. In generale, il discorso è sviluppato con la preoccupazione di
aderire alle varie utilizzazioni — da parte di S. — delle due fonti, Hegel e
Stein, nella specifica situazione politica e culturale di quegli anni; sicché il
rilievo di residue “astrattezze” non nasce da un impianto già “ideologico”
della lettura (cfr. p. es.: “tutte le rappresentazioni dell’hegelismo italiano
che partono da pregiudiziali equazioni ‘ideologiche’ (hegelismo = speculazione,
o hegelismo = conservatorismo, ecc.), talvolta non distinguendo
sufficientemente neppure tra Hegel e i vari ‘hegeliani’, non possono che
fallire il bersaglio. Nelle prime pagine del saggio, L. difende le convinzioni
democratiche e repubblicane di S. (anche contro le riserve di altri interpreti;
e v. ancora, per questi dissensi interpretativi, accettando la derivazione
steiniana degli articoli sul “Progresso, ma rivendicando l’autonomia della
lettura spaventiana in molti punti. Nel democratismo di S. cè un’ “indubbia
precarietà”; c'è una “astrattezza teorica” nella posizione del filosofo che comincia
a orientarsi verso un atteggiamento da ultimo conservatore-autoritario. Gioverà
tener presenti i due aspetti dell'ideologia di S. (e di molti hegeliani, con
lui): l’aspetto, appunto, “conservatore” dello stato etico, e quello
giacobineggiante e antidottrinario, che ha la sue radici nelle polemiche
torinesi, e che continuerà ad operare anche dopo. Ma c'è, poi, “astrattezza” e
“astrattezza”; c’è il socialismo “escatologico” e “universalistico” di La
rivoluzione e Le utopie, c'è il più corposo antidottrinarismo della polemica
sulla libertà d'insegnamento, in cui la prospettiva escatologica, a contatto
con problemi attuali e reali, si precisa come “tentativo di sollecitare da
sinistra un’evoluzione in senso più democratico della politica del Regno sardo.
Gli articoli sul socialismo hanno certo un “carattere tutto teorico,
ideologico’: “la formula democraticorepubblicana del popolo oppresso” non
coglie gli effetti specifici del “meccanismo del profitto industriale; ma da
Stein S. mostra di ricavare anche indicazioni sul rapporto tra das
Gesellschaftliche e das Wirtschaftliche. Nella ricerca delle dimensioni reali,
storiche, che strutturano gli orientamenti del giovane S., acquistano allora particolare
rilievo, per il L., le prime battaglie del filosofo: la sua critica della
religione; e cfr. sull’uso “non speculativo” della dialettica hegeliana dello
spirito assoluto), gli scritti sul problema della libertà d’insegnamento
(contro le tesi del “Risorgimento”, organo dei cavouriani), e la polemica
contro la “Civiltà cattolica”, e contro la critica cattolico-reazionaria
dell’hegelismo (matrice del socialismo, del comunismo ecc.). Se si tiene
presente il contesto storico (anche sotto il profilo della diffusione delle
idee) da cui emergono questi primi scritti di S., sarà possibile trovare una
collocazione reale per il socialismo “astratto” del loro autore; la prospettiva
“escatologica”, espressa in termini “ideologici”, “speculativi”, non si traduce
mai in mera esercitazione “retorica”: sicché non sarebbe giusto sommergere le
formulazioni spaventiane sotto il peso dell’Ideologia tedesca, né sarebbe
esatto, neppure filologicamente, rintracciarne i limiti nel peso esercitato
dagli schemi di una filosofia della storia già distorta in senso speculativo.
Giacché l’hegelismo del primo S. è tutt’altro che “accademico”; il rapporto
filosofia hegeliana-democrazia francese si costruisce, in S., attraverso il
richiamo alle pagine più “progressive” di Hegel (e alle pagine della Filosofia
della storia, prima ancora che a quelle della Filosofia del diritto): si vedano
i rilievi di L. a proposito della concezione della libertà come libertà
“categoriale”, dell’ “assunzione estremamente seria, e praticizzata, dei concetti
hegeliani di Fresbeitsbewusstsein e di freie Personlichkeit”, della
giustificazione delle rivoluzioni in base allo “scarto” tra “ragione” e
“esistente”, tra la realtà e le (nuove) idee, tra la realtà e gli istituti
giuridico-politici ormai superati. Nella critica spaventiana di Rousseau —
sviata, in certa misura, dagli equivoci giudizi di Hegel — va dato rilievo all’
“intenzione giacobina, contro i criteri formalistici di rispetto delle forme
liberaldemocratiche. Nella critica degli appelli alla natura va letto il
rifiuto di quella “tipica commistione del naturalismo biblico teologico con il
naturalismo ideologico della moderna economia politica” che è prospettata nel
Rirzovamento di Gioberti. In queste prese di posizioni, non si ha se non
un’accentuazione estremamente progressiva della concezione hegeliana della
storia: è del tutto superata l’identità settecentesca di ratura e ragione; tra
i due termini è istituita una scissione radicale, e quella razionalità reale
che domina nella storia universale è considerata foto coelo diversa e opposta
alla immediata natura. Questo è il grande acquisto intellettuale ormai
raggiunto dallo S.. È l'acquisto “vichiano” e “hegeliano” di S., la scoperta
del “lato attivo” dell’uomo, nel suo rapporto con la natura; scoperta celebrata
da Marx, e da Labriola. Tutto questo implica l'abbandono del naturalismo
illuministico, in una prospettiva ancora illuministica “se per ‘illuminismo’ si
vuoi semplicemente intendere, categorizzando il termine, il particolare
radicalismo di una critica razionalistica dell’esistente storico. In che senso
le pagine di Hegel riescano a confortare questo orientamento di S. — che si
sostiene, tra l’altro, in base a numerosi richiami a Kant, e al Kant della
Critica della ragione pratica —, L . lo ricava da un’analisi (pp. 683-693)
dell’articolo su Schelling, del 1854, qui largamente riprodotto. Nel necrologio
diSchellingvengono alla luce le origini della riflessione di S., l’ispirazione
rivoluzionaria, francese, l'ispirazione della Filosofia della storia e la polemica
contro l’intuizionismo irrazionalistico, la rivendicazione della ragione e
delle determinatezze in contrasto col formalismo insieme intellettualistico e
mistico’ (i. e. l'ispirazione della Prefazione alla Fenomenologia): i due temi
che strutturano gli Studi sopra la filosofia di Hegel e che rappresentano i due
aspetti di una stessa polemica, contro Gioberti v. anche alcune osservazioni
sulle radici del parallelo Rivoluzione francese — filosofia tedesca in S. Nell’ultima parte del saggio. L. riproduce e
commenta l’ “annuncio” della traduzione di Stein, da lui 2598 scoperto; un
testo più “moderato” degli articoli del ‘51, ma che interviene anch’esso a
confermare il quadro delle “origini” del pensiero di S.: le — prime — fonti
hegeliane (Feromenologia e Filosofia della storia) confluiscono in una
Weltgeschichte, la cui prospettiva universalistica appare anche come il
riflesso del riconosciuto “carattere internazionale dei fenomeni economici e
dei problemi sociali in età moderna” (p. 698). A p. 696 si legge questa
osservazione: “In certo senso si potrebbe dire che la lettura dello Stein tenne
il luogo, per S., di quegli studi degli economisti moderni che lo Hegel aveva
compiuto in gioventù e dei quali il nostro autore poteva avere qualche sentore
solo attraverso la biografia del Rosenkranz”. Ora L. conclude: “Così,
attraverso questa presentazione scil. l’ “annuncio, l'interesse di S. per lo
Stein appare tutt'altro che estemporaneo nella biografia intellettuale del
filosofo: in qualche modo parallelo a quello per Hegel. Da un lato una
traduzione dal francese, dall’altro una traduzione dal tedesco; ma traduzioni
che volevano essere interpretazioni, non ‘calchi’. Non provincialismo, ma
neppure vacuo cosmopolitismo. Dunque queste “origini” forniscono indicazioni
concrete anche rispetto agli sviluppi posteriori del programma degli Stud::
alla teoria della “circolazione” e alle tesi sulla “nazionalità” della
filosofia. Resta il problema del passaggio di S. (e deglialtri hegeliani) dal
democratismo avanzato degli inizi al più tardo conservatorismo, “certo
illuminato ma anche assai chiuso e non di rado arcigno. Lo studio di L. si
chiude con un richiamo alle indicazioni di Gramsci sulle ragioni di “classe”
che determinarono l'assorbimento nelle file dei moderati di quegli
intellettuali democratici. OLDRINI, Gt begeliani di Napoli. Vera e la corrente
ortodossa, Milano. La figura di Augusto Vera merita “la più attenta
considerazione e il più attento esame” per “la complessa natura delle
intersezioni della sua filosofia con i problemi della società contemporanea
lungo tutto l’arco del Risorgimento europeo, in paesi chiave (Francia,
Inghilterra, Italia) e in nodi storici culminanti (il 1848, l’unificazione
italiana, la Comune, i prodromi dell’imperialismo. L'impostazione e il metodo
della ricerca, che tiene conto delvario e complesso intreccio di prospettive
filosofiche e atteggiamenti pratici, sotto la spinta degli eventi via via
maturati nella storia italiana e europea, consentono di offrire allo studioso
di S. (e della sua scuola) nuove prospettive: in primo luogo, la presentazione
del rapporto S.-Vera (del rapporto tra idealismo “critico” e idealismo
“ortodosso”) al di fuori dello schema tradizionale, che oppone i due filosofi
come rappresentanti di due diversi orientamenti speculativi, in ultima analisi
come due diverse “personalità” filosofiche. Interessa lo studioso di S. e della
scuola spaventiana soprattutto il secondo capitolo della parte seconda,
intitolato: Le lotte filosofiche interne del circolo di Napoli. L’unità
apparente (e necessariamente apparente, se si bada alle diverse “radici della
formazione hegeliana di Vera”, che “non sono le stesse di quelle del gruppo
spaventiano dei fuorusciti”; ma su questo punto, si veda tutta la prima parte
del lavoro, dedicata alla “genesi dell’hegelismo napoletano”, alla “formazione
filosofica” e alla svolta hegeliana di Vera) che caratterizza il “fronte
hegeliano” di Napoli, comincia a incrinarsi visibilmente nei primi scontri tra
“ortodossi” e “critici” sul problema della nazionalità della filosofia; la
portata e le ragioni del dissidio che contrappone l’uno all’altro i due
orientamenti si rendono più esplicite attraverso l’analisi delle divergenze
rilevabili nella presa di posizione di S. e di Vera sulla questione del rapporto
fenomenologia-logica: dal momento che S. nella fenomenologia “non sottolinea
come Vera — o non sottolinea accentuatamente come V era — il momento della
denegazione del processo di elevazione della coscienza a scienza in favore
dello sbocco nel‘sapereassoluto’, può anche mantenere nei confronti della
riforma ‘auspicata da Trendelenburg un atteggiamento molto più elastico e
libero... può... scorgere nel ‘movimento’ assunto come ‘primo’ ... il lato
realmente attivo, positivo, che lo assimila al ‘pensiero’, poiché anche il
pensiero, in se stesso, è movimento: movimento logico”). Il contrasto tra le
due scuole si approfondisce sotto la spinta di nuove tendenze (naturalismo,
positivismo...) che si impongono come riflesso del “progresso impetuoso
dell’attività pratica, e che contribuiscono alla formazione di una “terza
scuola” (Siciliani; Fiorentino, Tocco, poi Masci; ecc.), ancora in qualche modo
controllata o almeno ispirata da S.; la nuova scuola si presenta come “fronte
unico” contro l’ortodossia, e costringe gli ortodossi ad arroccarsi “in una
strenua difesa a qualunque costo della filosofia della natura di Hegel. La
paura del positivismo e del materialismo spinge sempre più decisamente Vera
sulla strada che sbocca nella presentazione della scienza e della metafisica
“come rigidi estremi contrapposti. Ma se il destino di Vera e degli ortodossi
si consuma, attraverso il progressivo “isolamento” del gruppo, nella totale
autodissoluzione della dottrina, il profilarsi di una “sinistra materialista”
come espressione di una spinta popolare sempre più minacciosa e temuta blocca
gli intellettuali borghesi meridionali più avanzati su posizioni di difesa. Per
2601 l’analisi del fenomeno, allargata all’individuazione dei suoi fattori
economici e politici. Gli intellettuali borghesi meridionali si stabilizzano
sulle proprie posizioni egemoniche di classe, cessano di rappresentare, sia nei
confronti dell'evoluzione sociale del paese, sia nei confronti della classe
borghese in generale, una forza viva, attiva,storicamente progressiva, e
preoccupati più di non cedere terreno, di non farsi soverchiare dalla pressione
popolare in crescita, che di promuovere una spinta in avanti, perdono in
capacità di iniziativa, organizzazione, penetrazione. Matura così la formazione
di una “nuova destra” (Maturi, Jaja) nel circolo di Napoli. “Come le pericolose
oscillazioni della struttura quanto mai instabile della società spingono la
borghesia a puntare sulla dissoluzione dei vecchi partiti politici, così
altrettanto, in filosofia, la vecchia destra ‘ortodossa’ e la vecchia sinistra
‘critica’sono travolte e dissolte dal movimento della nuova generazione
intellettuale; e come gli ideologi borghesi giustificano l’operazione dell’
‘endosmosi istorica” e del ‘trasformismo’ col pretesto di sbarrare la via alla
marea montante del proletariato e di salvare in questo modo il patrimonio di
libertà e di civiltà faticosamente acquistato nei lunghi anni delle lotte
risorgimentali, così col pretesto di salvare tutt’intera l'eredità culturale
dei vecchi maestri del circolo, di Vera e di S., la tendenza trasformistica del
tardo idealismo filosofico napoletano giustifica il rilancio del loro
insegnamento in guisa volutamente così truccata... da presentarne l’apporto in
sostanza come identico, come due facce della stessa medaglia. Ma né S. né De
Sanctis appaiono travolti in questo processo involutivo: si vedano le pagine
dedicate al loro “tentativo di un superamento ‘critico’ interno dello
hegelismo, seguite da un paragrafo sulla “eredità spaventiana di Antonio
Labriola. Riprendendo, tra l’altro, la proposta di Berti, l’a. scrive: “Contro
la chiusura filosofica della ‘nuova destra’, contro l’involuzione
trasformistica, in politica, della Sinistra storica, De Sanctis e S. attuano in
filosofia e in politica, per quanto riescono, rimedi lungo un arco che va,
politicamente, dalla fondazione di una ‘giovane sinistra’ costituzionale...
alla lotta per la moralizzazione e la riforma dello ‘spirito di consorteria
prevalente nell’andazzo di una politica governativa che alimenta
discriminazioni e privilegi in favore delle classi agiate, e a una linea
programmatica di rinnovamento profondamente democratico del paese, di ricambio
dei quadri dirigenti, di irradiazione e diffusione della libertà, della
civiltà, della cultura, di una moderna concezione laica del mondo; e che ha
d’altra parte il suo correlativo, sul piano delle idee, in un forte movimento
di pressione per una svolta anche filosofica a sinistra, inaugurata proprio dal
tentativo di S. e De Sanctis di un superamento ‘critico’ interno dello
hegelistno, che in loro avviene, come si è detto, nella stessa
direzione:dall’astratto al concreto, dalla metafisica delle idee a un
assorbimento della metafisica nella ‘filosofia del reale. Oltre ai rimanenti,
numerosi richiami a S., si veda il testo di una lettera inedita di Vera a S.
sul rapporto di politica e religione, lettera che è l’“unico documento
epistolare che ci resta” dei rapporti tra i due filosofi. Di Oldrini v. anche
La crisi della cultura filosofica napoletana sul declino dell'Ottocento, in
“Rivista critica di storia della filosofia. WIDMAR, Antonio Labriola, Napoli.
Viene citato qui soprattutto per il primo capitolo della seconda parte,
dedicata a Labriola e i suoi critici; il capitolo presenta un’ampia rassegna di
studi, fra i quali il saggio di Berti, lo scritto di Togliatti, gli articoli di
Plebe, la Ripresa spaventiana di F. Alderisio 259, gli Sviluppi dell’hegelismo
di M. Rossi, ecc. Per i rapporti S.-Labriola vedi anche il primo capitolo della
parte prima (La giovinezza di A. Labriola, . L’a. tende ad attenuare il nesso
S.-Labriola, rifiutando la tesi proposta da G. Berti (per il rilievo dei limiti
della posizione di S., cfr. anche l’introduzione di W. All’edizione de La
filosofia italiana, da lui curata. D'ORSI, Uxa scoperta di notevole importanza;
il testo inedito della “Fenomenologia” di S., in “Sophia”. GARIN, Antonio
Labriola e i saggi sul materialismo storico, introduzione a A. LABRIOLA, La
concezione materialistica della storia, Bari, LANDUCCI, L’hegelismo in Italia
nell’età del Risorgimento, in “Studi storici. Alcuni temi già individuati in
precedenti analisi sono ripresi qui e riproposti nel più ampio disegno di “un
problema autentico nostro, di noi italiani: un problema di “tradizione”, nei confronti
di quell’hegelismo che “non è stato solo un movimento accademico, di
professori, ma è stato un elemento della vita civile della nazione nel momento
culminante del suo Risorgimento. C'è una duplice “eredità teorica” dello S. La
scoperta delladimensione“pratica” dell’autocoscienza, nella rielaborazione
della Ferorzenologia; la rivalutazione del positivo umano; la reinterpretazione
della logica hegeliana nei termini di una metodologia imperniata sulla
“definizione genetica” e il disegno di una antropologia filosofica, non
naturalistica: questa è l'eredità ripresa da A. Labriola. C’è anche l'eredità
dell’ultimo S., raccolta da Jaja e da Gentile: la “rivendicazione dell’apriori
gnoseologico”, che mette capo a “una forma di umanismo spiritualistico; l’ultimo
S. lavora alla “conservazione del sistema hegeliano con modificazioni al suo
interno”; sul “riformismo” di S. in sede di logica, e relativa nota). Più
complesso appare il discorso sullo S. politico. Per lui (come per De Sanctis,
De Meis, ecc.) si “fanno subito avanti problemi di sviluppo ideologico legati
allo sviluppo politico del nostro paese”; problemi che non si risolvono
registrando -— semplicemente — la “conversione” di alcuni intellettuali
democratici a posizioni di moderatismo variamente colorato, o rubricando, per
S., le polemiche contro la “Civiltà cattolica” e le riflessioni sul rapporto
stato-chiesa sotto la voce: “anticlericalismo” di moda. L’hegelismo italiano
acquistò un vigore civile” che non andò perduto. “Se nacque in provincia e finì
poi come fenomeno ‘europeo’, nel suo momento di maggior vigore l’hegelismo
italiano fu altro: un fatto nazionale — come interpretazione della rivoluzione
‘nazionale’ che s'andava compiendo e sollecitazione per uno sviluppo moderno,
avanzato, di essa; e come teoria, in una parola, della connotazione
eminentemente politica che avrebbe dovuto assumere il concetto di nazionalità.
Riaffiorano ora nel discorso di L. temi già emersi nello scritto su S. :
l’appello alla Filosofia della storia, il motivo hegeliano-illuministico della
ragione che “rovescia l'esistente”, il superamento del cosmopolitismo astratto
(Vera) e del cosmopolitismo reazionario, controriformistico (Gioberti), nelle
prime lezioni napoletane. Nella teoria della “circolazione”, al di là degli
schemi e delle forzature, va letto “l’avvertimento di un problema reale, e di
ungrande problema, anzi la prima esatta presa di coscienza di esso in senso
critico, il problema stesso al quale si ritroverà di fronte anche il Labriola
in rapporto al materialismo storico”: il problema della tradizione nazionale.
“Che l’hegelismo di S. non sia stato solo teoria della rivoluzione nazionale,
ma anche, in connessione, posizione del problema stesso della ‘tradizione
nazionale’, comporta di nuovo ch’esso non risulta chiuso nella sua epoca
storica, bensì lascia un’altra eredità che attraverso una linea precisa torna a
giungere a noi. Inoltre, della concreta ricostruzione spaventiana rimangono
indicazioni non più smentite: Bruno, Campanella, Vico. E restano la battaglia
contro il giobertismo, contro l’ “abito retorico” e la “mentalità retrograda”
dei secoli bui, resta la rivendicazione dell’Italia del “libero pensiero”
contro l’Italia “dei carnefici e degli oscurantisti. Le ultime pagine (622
sgg.) ribadiscono il “carattere accentuatamente radicale” che l’hegelismo di S.
seppe mantenere anche negli ultimi scritti dedicati alla discussione di
questioni etico-politiche; i motivi ispiratori del “giovane” S. continuarono ad
operare nella difesa dello stato laico, che trae “la sua legalità dalla
sovranità popolare anziché dal diritto storico o da consacrazioni superiori”, e
nella delineazione di un ethos nuovo. Questa è l'eredità che rimane, malgrado
le formulazioni “ideologiche” di cui pur appare rivestita; “se una memoria
tragica si è storicamente interposta fra noi e la formula dello ‘stato etico’,
ben di qui si impone di riattingere nella sua genuinità il contenuto di
quell’eticità reale che allora rivendicarono, quando si costruiva una realtà
nuova, i nostri hegeliani. Dello stesso autore va segnalato anche il volume:
Cultura e ideologia in Francesco De Sanctis, Milano. Il nome di S. è avvicinato
più volte a quello del De Sanctis, per indicare i numerosi punti di contatto
tra i due autori, sul piano di un comune impegno culturale sviluppato in una
direzione “nazionale” e non astrattamente intellettualistica o
anacronisticamente cosmopolitica, con.
la piena consapevolezza del compito “politico-pedagogico” che spetta al lavoro
degli intellettuali. ALDERISIO, Ur articolo ineditodi B. S. circa l’unità
organica della filosofia di Bruno e circa l’attinenga di questa con la
filosofia di Spinga, in “Giornale critico della filosofia italiana”. ORSI,
prefazione a B. S., Scritti inediti e rari, Padova. GARIN, Storia della
filosofia italiana, Torino. Da vedere l’ “avvertenza, per il raffronto tra
questa edizione e la precedente. La seconda edizione presenta integrazioni e
correzioni soprattutto nell’apparato delle note, “trasformato in un inizio di
bibliografia essenziale ma sistematica”, che rende conto di nuove e mutate
prospettive storico-critiche. Le pagine che riguardano direttamente S. appaiono
sostanzialmente identiche nelle due edizioni. Si vedano, dell’introduzione,
dedicate alle tesi delle prime lezioni napoletane di S. (con qualche riserva
sulla storiografia spaventiana “fatta di precorrimenti”, ma anche col
riconoscimento della sua fecondità), nel corso di una rassegna delle diverse
interpretazioni e valutazioni della tradizione filosofica italiana nella
storiografia illuministica e risorgimentale, fino a Croce e Gentile e agli
storici più recenti. Nel capitolo sugli hegeliani italiani, a S. sono dedicate
dieci pagine. L’itinerario di S. si snoda, secondo G., senza fratture lungo una
linea la cui coerenza risulta soprattutto se si tengono presenti il programma
di rinnovamento culturale e i bersagli polemici del maestro; le pagine sulla
nazionalità, la tesi della “circolazione”, la ricerca di un hegclismo
“autonomo” (S. “intendeva ascendere alla sua logica attraverso una sv4
fenomenologia”) si accordano bene con le ultime indagini sul “valore
dell’esperienza”, rivalutata appieno in nome di un “assoluto umanismo”, che è
“rigida aderenza all'attualità spirituale nella sua storica concretezza”. Un
“epilogo” (rinascita e tramonto dell’idealismo) aggiunto nella edizione del
1966, indica già nel titolo il taglio con cui è condotto il discorso sulla
filosofia italiana del Novecento. Si conclude accennando a una
“problematicanuova”, ispirata alla lezione di Gramsci; e si apre con un
richiamo alle reali, autentiche esigenze di S., filosofo “della rivoluzione”
negli anni giovanili, aperto più tardi a una problematica ‘positiva’, anche se
antipositivistica, mai chiuso entro “limiti provinciali”; interprete, sì, di
Galluppi, Rosmini e Gioberti, teorico certo della “circolazione”, ma “sotto la
doppia urgenza di un processo politico in atto, e di una presa di posizione
polemica all’interno di quel processo politico medesimo”. La figura di S.
appare nella sua giusta luce, più che nelle interpretazioni “speculative” dei
suoi scritti, nella lettura attenta delle sue pagine polemiche, contro la
tradizione platonizzante della filosofia italiana, contro il “rinnovamento” del
Mamiani; si disegna chiara nella «più sfumata discussione del positivismo: una
discussione, questa, ben consapevole dell’importanza dell’avversario”. Qui, S.
si incontra con De Sanctis. Questa insistenza sull’umanismo di S., sul
carattere “positivo”, “critico” del suo filosofare; questa nuova presentazione
del parallelo S.-De Sanctis (e del rapporto S.- Labriola), rimandano alla
lettura di altre pagine di G. Intanto, al primo capitolo delle Cronache di
filosofia italiana (nell'edizione Bari. Poi,
allo scritto Antonio Labriola e i saggi sul materialismo storico,premesso a
Labriola, La concezione materialistica della storia, Bari. Sono da vedere, qui,
sull’insegnamento di S. e sul peso che ebbe, quell’insegnamento, nella
formazione di Labriola. Il “rapporto fra Labriola e S., così come l’hegelismo e
l’herbartismo coesistenti dialetticamente in Labriola, e il suo atteggiamento
tanto duramente polemico contro il positivismo, e poi il suo movimento verso il
marxismo, non si intendono se non si restituisce il suo volto al magistero
napoletano di S. dal ‘62 in poi, così poco hegeliano ‘ortodosso’, ma anche così
lontano dalle vie percorse, attraverso l’esperienza feuerbachiana, dai ‘giovani
hegeliani” tedeschi. L'incontro S.-Labriola ha avuto un significato decisivo,
che va ribadito, non certo “ai fini di più o meno artificiose genealogie
(Hegel-S.-Labriola) o di improponibili simmetrie (Hegel-S.-Labriola, corze
Hegel- Feuerbach-Marx). Quel che importa sottolineare è altro: è la
trascrizione della ‘circolazione’ operata da Labriola sul terreno storico, nel
senso che nell’Italia comunale si individua l’avvio della società borghese
(‘comincia prima che altrove... e poi si arresta’), ponendosi così il problema
dei motivi di quell’arresto, e l’esigenza di una consapevolezza, necessaria per
rientrare nel circolo del processo politico europeo. Non basta, però: c’è un
passaggio reale, un legame che resta, tra il rigore critico e scientifico del
maestro, e quello dello scolaro, avviatosi poi su altra strada. Da S., Labriola
eredita l’ “immagine della filosofia come ‘scienza’, come elaborazione di
concetti, come coscienza critica”, “contrapponendola alla ‘filosofia
scientifica”; con S., Labriola vede in Hegel “un punto fermo, ma non un sistema
definitivo”; più tardi, “vedrà analogamente in Marx una conquista in campi
determinati, una tappa necessaria, un’acquisizione metodica essenziale, non un’
‘onniscienza’, una enciclopedia da ripetere per sempre. In questa prospettiva
si può parlare di un nesso S.-Labriola, presentato qui in pagine che vogliono
servire a illuminare la figura e l’opera di entrambi i filosofi. RASCHINI,
Validità e limiti dell’interpretazione spaventiana del Rosmini e del Gioberti, in
“Giornaledi metafisica. S. afferma che la coscienza o unità originaria del
conoscere come puro conoscere, in quanto è sintesi, è relazione tra i termini
ad essa immanenti. In questo concetto fondamentale di relazione sta il problema
attraverso cui cercare l’incontro; esso è veramente il centro della
problematica post-kantiana e, per quel che ci interessa, spaventiana,
rosminiana, giobertiana”. Su questo piano, che fissa i limiti entro i quali è
autentico l’incontro di S. con Rosmini e Gioberti, può svilupparsi un discorso
che indica nel concetto di “relazione” proposto da S., e nella dialettica che
dovrebbe esprimerla, la “contrazione di una tesi più ampia”, di una più valida
“mediazione” che, in Rosmini e Gioberti (e sia pure con qualche differenza tra
i due autori), è aperta alla ricerca di una fondazione ontologica. VACCA,
Recenti studi sull’hegelismo napoletano,
in “Studi storici. L’ampia rassegna prende in esame tutti gli studi apparsi
nell’ultimo quindicennio, ma si richiama anche a lavori e prospettive meno
recenti (Croce, Gentile, L. Russo...) per presentare un preciso raffronto delle
diverse linee in cui si svolgono, convergendo o divergendo fra loro, le varie
interpretazioni. Il discorso critico di V. — sviluppato in forma autonoma nella
ricerca condotta dall’a. sul nesso di politica e filosofia nello S.— è ispirato
dalla esigenza di riconoscere nel momento etico-politico e politico-culturale
il filo conduttore di tutta l’opera del filosofo napoletano. Tra le opere
richiamate o esaminate dall’a. interessa qui segnalare: gli studi di Arfè,
Berti, Zambelli, I/ giovane S. di S. Landucci; ma anche il lavoro su De Sanctis
e la relazione), lo S. e Vera di A. Plebe, i lavori di I. Cubeddu e di Oldrini.
AGRIMI, S. e l'eredità hegeliana, in “Trimestre. Ampia nota, che prende l’avvio
dal recente volume di Vacca, “un lavoro rigoroso e certamente il più completo
ad articolato sull'argomento, che inquadra l’accurata informazione critica e la
dettagliata e lucida ricostruzione dello svolgimento del pensiero spaventiano
in una più ampia prospettiva storiografica. A proposito del libro di Vacca,
l’a. conclude: “Una così energica rivalutazione di S. non può comunque non
determinare un riesame della linea di svolgimento del pensiero italiano
contemporaneo: linea peraltro in più parti indistinguibile o appena
tratteggiata. Può muovere da S. un filone di pensiero in direzione di una
filosofia della prassi? Non è facile ammetterlo, e comunque si dovrebbe passare
per mediazioni e recuperi molto difficili. Ma sono ancora ammissibili ricerche
di genealogie filosofiche ‘nazionali’, in cospetto di eventi storici che ci
costringono a ‘pensare mondialmente’? Gramsci, come si sa, su questo terreno
urtava non di rado in contraddizioni e incertezze. Per l’a., resta aperto il
problema di “stabilire le ragioni per cui, malgrado l'appassionato sforzo
spaventiano, l’hegelismo non riuscì a divenire l’ideologia politica e culturale
del nuovo Stato nazionale.: cfr.“lhegelismo spaventiano esce dalle pagine del
Vacca ricco di una carica innovatrice e progressista, che non sembra però
incidere sulla vita nazionale del tempo”). Per qualche suggerimento offerto
dall’a., si veda, tra l’altro, 148. sg.: la teoria spaventiana della
circolazione, l'adattamento dell’hegelismo “all’antica tradizione italiana”
finisce col ricongiungersi — o comincia a ricongiungersi — con le intenzioni di
uno storicismo pacificatore, che ha perduto il senso della lezione
illuministica, il senso della “insopprimibile distanza” e dello “scontro
dialettico tra ‘razionale e reale’, tra ‘verità’ e ‘storia’, tra ‘pensiero’ e
‘realtà’, condizione indispensabile di una tensione costruttiva e progressiva
rivolta a trasformare la realtà.. ONUFRIO, Lo “stato etico” e gli hegeliani di
Napoli, in “Nuovi Quaderni del Meridione. Ampia rassegna degli studi sul
pensiero politico degli hegeliani napoletani, pubblicati (l’a. esamina tra gli altri i lavori di De
Ruggicro, Caramella, Russo, il S/vz0 S. di Romano Alatri, gli studi della
Zambelli e di G. Berti, il volume di Oldrini su Vera. Onufrio affronta un
riesame degli articoli del “Nazionale” (anche in connessione con le indicazioni
di Vacca); e offre al lettore una analisi degli scritti politici di S. — dagli
articoli sul “Progresso” ai Principi di etica — che, pur accogliendo diverse
indicazioni dei più recenti studi sull'argomento, si conclude con il rilievo
dell’ispirazione sostanzialmente liberale della filosofia politica del vecchio
hegeliano. VACCA, Politica e filosofia in S., Bari. Tutti gli scritti di S.
sono sorretti da “un’intenzione politico-culturale, risalente ad una precisa’
visione dell’unificazione nazionale e della necessaria ricostruzione culturale.
La curvatura ideologica con cui S. visse i fatti e le passioni del Risorgimento
italiano, si delinea dunque come il filo rosso della sua filosofia”. L'analisi,
condotta attraverso il continuo riferimento al terreno in cui si incontrano
passione politica e riflessione teorica, restaura la connessione “genetica”
dell’ “intero impianto” della filosofia di S. e consente la presentazione di
uno S. “modernissimo e ‘europeo’, che andava smarrito nella prospettiva
attualistica. La monografia di V. è sviluppata nella linea dei recenti studi,
che tendono a recuperare la dimensione etico-politica dell’opera di S. (per una
discussione di questi scritti impostata dall’a. del libro. V. disegna tuttavia
con tratti più decisi la figura del primo S. democratico, ricollegando gli
scritti sul “Progresso”, anche quelli ristampati, all’attività del “Nazionale”,
e restaurando le linee di una “formazione politica militante” dei due S.; e
rimette in discussione l’opera dello S. maturo, dello storico, del riformatore
della dialettica e del critico del positivismo, che nasconde “a livelli sempre
nuovi e a volte estremi di mediazione, senza però abbandonarla, l’ispirazione e
le esigenze originarie (l’ultimo capitolo si intitola: Storicismo e
antropologia. La filosofia come fondazione metafisica della prassi). Il primo
capitolo (Il “Nazionale” e il ‘48 napoletano nella formazione degli S.) si
conclude con un’importante appendice, in cui l’a. affronta il problema della
formazione di B., riprendendo l’ipotesi della sua collaborazione attiva al
“Nazionale” e alla rivista di Silvio. È evidente lo stretto rapporto (identità
di temi, e finanche di espressioni letterali) che lega gli articoli di B. a
quelli del “Nazionale”, attribuiti a Silvio. Le origini delle convinzioni
democratiche e repubblicane degli S., la fonte — non libresca — del socialismo
(si parla però di “una non ben precisa forma di socialismo) di B., piuttosto
che nella lettura del noto libro di L. Stein sul socialismo e comunismo in
Francia, vanno ritrovate nell’azione politica dei due fratelli, nella loro
appartenenza ad “uno schieramento politico che concepiva la lotta per
l'indipendenza strettamente intrecciata alla lotta per l'emancipazione politica
e costituzionale, senza ancora una precisa subordinazione della seconda alla
prima. Contro il vecchio giudizio di Croce, V. parla dello schietto liberalismo
democratico. (e non, semplicemente, “progressista”) degli S.; i quali, quando
cederanno all'iniziativa piemontese, rimarranno tuttavia sempre fedeli alla
loro concezione dello stato come formazione storica destinata ad evolversi
sotto la spinta di nuove idee e dì nuovi bisogni. AI di là di una prima
caratterizzazione degli schieramenti politici e delle varie correnti compresenti,
anche contraddittoriamente, nella stessa redazione del “Nazionale”, la
ricostruzione della linea seguita dagli S. viene precisandosi attraverso la
lettura del giornale di Silvio: V. documenta le “simpatie repubblicane” del
“Nazionale, ravvisa nei suoi articoli la difesa di una democrazia “piena,
politica e sociale’, contro il contrattualismo giusnaturalistico, chiarisce il
carattere “strumentale” dell’ “albertismo” di Silvio e dell’accostamento al
programma neoguelfo, distingue dall’ “unitarismo” e dal “gradualismo” tattico
un complesso di richieste illuminate da principi più avanzati. E l’analisi si
concentra su due temi che saranno costantemente presenti nei primi scritti di
B. a Torino: l’idea di nazione e di stato, e la sovranità popolare. Quanto al
primo: il rapporto fra Stato e nazione è costruito secondo una dialettica
idea-esperienza, dover essere-essere, che comporta e mantiene una polarità, per
cui giammai l'essere annichila il dover-essere. E, per il secondo punto, V.
spiega la coesistenza della difesa della sovranità popolare con la critica
della “volontà generale”, riadducendo quest’ultima non ai paragrafi
antigiacobini della Filosofia del diritto di Hegel, ma alla convinzione che la
legge del numero, meccanicamente intesa, serve a contrabbandare una forma
particolare di volontà, in luogo della volontà del popolo. Emergono ancora, a
chiusura del capitolo, tre punti importanti: il rilievo di una prima critica
del diritto di proprietà come diritto innato; quello dell’apertura alle masse
popolari, come sostegno indispensabile della rivoluzione; infine, in
connessione con il punto precedente, la “formulazione di una teorica politico-
pedagogica dello stato — che sarà compito degli S. maturi sviluppare —, nella
quale è sempre più chiaramente visibile la preoccupazione di accompagnare la
fondazione del nuovo Stato alla fondazione di una reale egemonia borghese. Il
capitolo (Politica e filosofia nel primo S.), studia gli scritti spaventiani,
rilevando il carattere “pratico” dell’hegelismo di S., accolto in origine come
strumento di rottura dell’egemonia eclettica operante nel liberalismo moderato
napoletano. Questa genesi dell’idealismo spaventiano va tenuta presente per una
corretta lettura delle pagine “hegeliane” di questi anni. La difesa, dalle colonne
del “Progresso”, della democrazia repubblicana e l'affermazione della necessità
della “riforma sociale”, condizione anch'essa della pacifica convivenza di
libere nazioni, vanno ricondotte ad un’autonoma concezione della storia, in cui
è accentuato “laspetto deontologico del principio della libertà e della
razionalità del reale. La funzione degli intellettuali così come è prospettata
da S. richiama l’immagine illuministica del philosophe, piuttosto che la figura
dell’ “eroe” hegeliano. La distinzione di “utopie” e “idee storiche”, e la
critica delle “utopie”, si sviluppa in virtù di “un criterio di discriminazione
fra filosofie teologiche e filosofie scientifiche”, conformemente al “principio
di una perfetta rispondenza, sempre, del pensiero con determinate posizioni
della vita. Quello di S. è uno “storicismo avanzato”; la realtà è storia in
quanto “opera umana”, “lavoro”; e 1° “assoluta mediazione” coincide col
processo infinito della prassi. La concezione politico- pedagogica dello stato,
primo nucleo dello “stato etico”, nasce da una critica degli stati liberali
sorti dalle rivoluzioni borghesi; nella polemica spaventiana sulla libertà
d'insegnamento è posto in primo piano il problema “dell’eguaglianza materiale
delle condizioni sociali dei destinatari dell’insegnamento. S. mira ad “una
egemonia ideale laica come portato e cemento di una moderna costruzione
pubblica dell’organizzazione della cultura; la richiesta si fonda sulla
“concezione della filosofia come coerenza e rigore di principi, come unità
logica del pensare e dell’operare degli uomini”: un “dato permanente del
‘carattere’ di S. La fedeltà a Hegel è apparente; nel processo di “adattamento
dell’hegelismo alle lotte rivoluzionarie del Risorgimento. Si determina una
elaborazione autonoma di temi hegeliani che tocca questioni di principio e di
metodo. L’a. torna ora sulla “caratterizzazione deontologica del nesso
reale-razionale”, che distingue la filosofia di S. dalle ricostruzioni
speculative del processo storico; l'identità di pensiero e essere affermata
negli Studi implica che la riflessione possa “spaziare fino ad identificarsi
con tutta la storia degli uomini, nel senso di costituirne e rivelarne l’unità,
l’intercompenetrazione e la conoscibilità da parte dell’uomo, come conseguenza
dell’essere quella opera sua. La riflessione non è abbandonata al gioco
dell’astrazione indeterminata; S. sa che la concretezza del nesso delle
determinazioni astratte (ma non, appunto, generiche) fissate dalla riflessione
non riposa su una mera “autoconsapevolezza dell’unità dell'esperienza, che
rifiuti, in ultima analisi, la differenza; lo sa “per un’originaria
intelligenza della dialettica come nesso del pensiero come riflessione con
l’essere come lavoro umano”, come mostrano proprio le sue pagine sul tema del
lavoro, visto sempre alla luce di rapporti e relazioni concrete. Le pagine
conclusive del capitolo offrono un primo quadro dei motivi che caratterizzano
l’autonomia dell’hegelismo spaventiano (uso determinato della astrazione,
consapevolezza del nesso storico di filosofia e vita, critica della metafisica
teologica, teorizzazione del primato del fare, rifiuto, in ultima analisi,
della “scissione hegeliana degli opposti. I mutamenti che affiorano nel
programma di S. sono studiati nel terzo capitolo (Etica e politica della
maturità), che si conclude con un’analisi degli Studi sull’etica hegeliana.
Negli anni in cui il filosofo dà la sua adesione alla politica ufficiale del
Piemonte, va registrato un atteggiamento più distaccato — ma sempre “oggettivo”
— nei confronti del socialismo. La democrazia difesa da S. perde molti contorni
specifici; il riferimento alle lotte sociali in Francia sembra abbandonato per
il richiamo a un liberalismo di tipo inglese. È cambiato, del resto, il
bersaglio della polemica: ora S. combatte i clericali, i fautori
dell’assolutismo, anche a difesa delle “grandi conquiste della civiltà
borghese”, ma “senza identificarsi”, sottolinea V., “specie sotto il profilo
delle matrici culturali — con i valori della civiltà liberale. S. si mostra del
resto ancora un giacobino nella nota discussione del rapporto
religione-filosofia, stato-chiesa (e qui V. respinge i rilievi di “astrattezza”
avanzati da Croce e da L. Russo. S. difende una “concezione dello stato ‘in
termini di egemonia’, destinata ad una resa dei conti critica con l'ideologia
liberale” e che “non ha nulla a che spartire con le successive ideologie
totalitarie” dello stato etico; è in questa prospettiva — di “critica dei
limiti formalistici della democrazia liberale — che vanno letti gli articoli
sulla politica dei gesuiti e il rifiuto della rousseauiana volontà generale. Ed
è ancora questa prospettiva che consente di far riaffiorare tutti i contorni
del “disegno politico” implicito negli studi sulla filosofia italiana e sulla
filosofia classica tedesca, disegno che presenta ormai in forma molto mediata,
ma non stravolta, l’originaria ispirazione democratica del suo autore.
“L’unificazione reale della società, che ancor il ‘51 era un compito politico,
per Bertrando, è divenuto, al momento dell’unità, un compito di i/luminazione
culturale e ideale. S. Si limita ora a “vagheggiare una missione
pedagogicopolitica della scienza in quanto tale” (p. 180); elabora temi e
affina strumenti “ideali” di unificazione (l’ “unità dello spirito”, della “mente”,
1’ “identità di conoscere e fare”, l “autonomia del pensiero” e la sua
“infinità”) che valgono come premesse di una realtà ancora da costruire; ma
abbandona, anche, le analisi storiche in termini di dialettica delle “classi”,
e accorda la sua preferenza a categorie come “nazione”, “spirito nazionale”,
ecc. Senza riprodurre le numerose osservazioni che riguardano gli altri scritti
spaventiani (soprattutto le lezioni napoletane) vediamo come l’a. si serve di
questi rilievi per la lettura degli Studi sull’etica begeliana. La preferenza
accordata a certe categorie (la comunità nazionale, identificata senz'altro con
la comunità etica) può condurre e di fatto conduce S. ad un uso non corretto
della astrazione (assunzione di strutture particolari dello stato nazionale
moderno come contenuto “puro” dell’ethos). Un caso macroscopico è offerto dalla
deduzione della “eternità” delle classi e della divisione in classi in base
allo schema generico della divisione del lavoro. Tuttavia nelle riflessioni
sullo stato, ‘organoessenziale del disegno egemonico di S., Si assiste “ad una
più corretta combinazione del metodo dialettico. con. un uso relativamente
determinato dell’astrazione. Lo stato è la “mediazione vivente dei processi
storici che maturano nella società civile”, è l’unità-risultato “della più
ampia e libera partecipazione dei singoli a formare la volontà politica che
nello stato si fa soggetto. La concezione dello stato come funzioneverità della
società civile è costruita proprio attraverso la denuncia di una serie di
mediazioni mancate: come mostrano, p. es., le pagine sulla “costituzione”,
nelle quali si legge la condanna di chi vorrebbe mantenere lo stato al di sopra
delle lotte sociali, “mentre il problema è di fondare uno stato etico, capace
di interpretare e di tradurre in istituzioni, al limite sempre nuove, tutta
l’eticità di un popolo: i suoi bisogni materiali e spirituali, le sue ragioni,
le ragioni della sua storia. Certo, l'esigenza di un legame più stretto dello
stato con la società civile è in primo luogo, in questi anni, ricerca di un
“consenso ideale delle masse popolari italiane al nuovo stato”, su di un piano
“culturale; ma la critica del contrattualismo e della concezione
sostanzialistica dello stato, costruita in virtù di una logica che sa vedere la
matrice comune delle opposte teorie, liberale e assolutistica, corrisponde
ancora a una concezione democratica: purché con tale aggettivo si intenda non
già riferirsi alle esperienze storiche degli stati liberal-democratici”, ma ad
“una forma di stato, se si vuole originale, che abbia una funzione attiva e
motrice verso la società civile, nell’intento di superare la propria scissione
da essa, prodotta dalla civiltà borghese. L’ultimo capitolo è dedicato
all’interpretazione della “metafisica” di S., i. e. della sua filosofia della
“relazione” o “mediazione assoluta”, sviluppata attraverso una critica sempre
più approfondita di Hegel e nella prospettiva di una nuova impostazione del
rapporto teoriaprassi, scienza-filosofia. Sono anticipate le conclusioni
generali, attraverso un diretto riferimento ai risultati acquisiti nei capitoli
precedenti. La costruzione della filosofia come fondazione metafisica della
prassi avviene in varie tappe. La prima è individuata nella cosiddetta
“parentesi”, che studia il rapporto fenomenologia-logica, giungendo tuttavia a
un risultato ancora “idealistico” (nel senso dell’idealismo soggettivo: il
soggetto è, immediatamente, autocoscienza, e non viene superato il parallelismo
di natura e pensiero. Le riflessioni sullo stesso tema raccolte nelle prime
lezioni napoletane rappresentano un secondo momento della costruzione: qui S.
continua ad avvertire l’insufficienza dell'identità logica di essere e pensiero
(tutto è logico, ma la logica non è tutto) e cerca, invano, di uscire dallo
schema della mera pensabilità attraverso “il sistema della logica e della
fenomenologia, combinate”; invano, giacché la fenomenologia, che dovrebbe
fondare la logica, non riesce a fondare neppure se stessa, dato che la
coscienza è assunta originariamente come un fatto che non siprova. L'identità
(e l'opposizione) immediata — e quindi “inerte” — che si presenta nella
coscienza, come fenomeno, si riproduce come tale sulla soglia della logica;
Trendelenburg rischia di avere ragione. Tra le riflessioni e il saggio sulle
Prize categorie (quarta fase) si collocano le lezioni di antropologia, e la
Filosofia di Gioberti: in queste pagine V. rintraccia l'acquisizione di un
punto di vista (è il “vario sensibile” che “discrimina” l’esperienza del
soggetto; il vero immediato-mediato è la natura, non la coscienza; e il
rapporto di materia e idea è un rapporto di “continuità e compenetrazione
dialettica”) che prepara la soluzione delle Prize categorie. Qui S. afferma l’
“identità del puro pensiero-essere con il puro pensiero-volere”: autocoscienza,
certo, ma come “risultato e espressione formale di quell’eterna mediazione con
se stesso che è il soggetto pratico-storico”, cioè come “il più alto attributo”
dell’ “uomo storico concreto”. Il pensiero dal quale non si esce, che nella
massima astrazione (l’astrazione da sé) ritrova se stesso e la conferma di sé,
“non è se non la prova della infinità e della processualità del pensiero come
esserci, esistenza, esperienza, la necessità, pensata, dell’infinita attività
umana: attività, i. e. “risoluzione”, “deliberazione”, “e non certo solo
giudizio. Ai due momenti immediatamente precedenti — che rappresentano la “fase
più acutamente evolutiva” degli studi hegeliani di S. — si ricollega Logica e metafisica: la
lettura del manuale conferma la analisi degli scritti sull’antropologia e sulle
Prizze categorie. “Le categorie che S. deduce dialetticamente attraverso tutta
la logica, partendo dal puro essere, sono quelle delle scienze nei loro diversi
gradi e momenti. Tutte queste categorie culminano nella posizione della diade
logica per eccellenza: la posizione del soggetto e dell’oggetto; e una volta
posta questa, provano di dipendere da essa, che è la posizione del nesso
dialettico assoluto capace di comprenderle (produrle) tutte in quanto posizione
dell’uomo storico concreto. La logica prova allora la storicità di tutto il sapere,
nel duplice senso che esso dipende e riceve senso e valore dalla posizione
storica del soggetto umano. E la prassi umana, che è tutto il reale, è
veramente tale in quanto si conosce: si fa sistema, logismo, scienza (certezza
di sé)”. E questa è l “istanza umanistica” di S. “Il suo problema è di
costruire scientificamente la certezza umana del mondo in quanto mondo
naturale-umano. E tale disegno la sua filosofia esegue provando questa
certezza, in ultima analisi, in uno schema logico risultante dalla suprema
astrazione di cui il pensiero come tale è capace rispetto a se stesso in quanto
determinato. La filosofia come mediazione o “relazione assoluta” è
“intelligenza del contesto umano nel quale le scienze particolari ricevono
significato; non dissoluzione delle scienze, ma esigenza “di una loro
integrazione umanistica, presentata in maniera speculativa; non “sistema” come
“riduzione delmondo a filosofia” (= auto-coscienza), ma “sistema
dell’esperienza in ogni momento del suo farsi”, “critica della ragione storica
e scientifica. Come risulta dalla lettura di Esperienza e metafisica, e degli
scritti ad essa collegati, le riflessioni sul rapporto scienza-filosofia, che
caratterizzano l’ultima fase del pensiero di S., confermano i risultati fin qui
acquisiti: S. ricerca i “princìpi che presiedono all'elaborazione delle scienze
umane nella loro autonomia e distinzione dalle scienze naturali, sul piano di
una metafisica delle e idee che non rinnega la continuità-distinzione di physis
e psiche, ma solo colpisce le “rozze” metafisiche che vorrebbero ricondurre la
psicologia, dal terreno delle scienze storico sociali, su quello del
naturalismo meccanicistico. La polemica antipositivistica e antinaturalistica e
la critica a Hegel appaiono, del resto, complementari: si vedano (a proposito
del rapporto scienza- filosofia) le indicazioni. L'appello a Kant e la difesa
del “trascendentale” — in Esperienza e metafisica 6 non’ rappresentano una
“ricaduta nell’epistemologismo”, ma continuano a ribadire “la posizione della
conoscenza come assoluta produzione”. In che senso poi le ultime opere di S.
accentuino e specifichino la distanza che ormai separa il filosofo da Hegel, si
legge. Nello scritto contro Teichmiiller, la “negazione” è difesa come semplice
“ipotesi” dell’ “unità razionale” di una esperienza non defraudata dei suoi
nessi empiricoprammatici. Ancora: la nota critica a Hegel — che rifiutò
l’evoluzione naturale — investe uno dei caposaldi del sistema hegeliano: l’
“opposizione” di natura e spirito. Riflessioni altrettanto eterodosse si
leggono in Esperienza e metafisica, a proposito di Aufhebung e salto
qualitativo. Da queste pagine, e da quelle precedentemente esaminate, V. ricava
due osservazioni: l'accoglimento del meccanismo, che scongiura la
trasfigurazione dei processi naturali in processi ideali, “è la premessa di
quel definitivo ripudio della filosofia come sistema analizzato in Esperienza e
metafisica”. Ma è anche vero che S. non conclude senz’altro per la risoluzione
della filosofia nelle scienze, “senzaresidui”;e continua a mantenere
l’hegelismo come termine di confronto con le scienze. Le due osservazioni si
fondono e autorizzano una conclusione: “il problema filosofico di S. è sempre
più chiaramente quello di provare l’unità razionale dell’esperienza e l’unità
critica del sapere. “Vi è perciò, in S., lo sforzo di esprimere nella filosofia
il senso della scienza moderna, di rendere esplicito, in quella, l’interno
problema di questa. S. ha scritto che la metafisica hegeliana è la “profezia”
della “scienza della moderna esperienza”. Ma Hegel “avrebbe certo ricusato una
tale lettura della sua filosofia. Tra le pubblicazioni apparse ci limitiamo a
segnalare qui: BORTOT, L’hbegelismo di S., Firenze; ONUFRIO, Vico maestro di S.,
in “Nuovi Quaderni del Meridione”; I/ primo begelismo italiano, a cura di G.
Oldrini, con prefazione di E. Garin, Firenze
(riproduce testi di Mazzoni, Passerini, Cusani, Gatti, Sanctis, Vera e
B. S.. Di S. sono ristampati i Pensieri sull’insegnamento della filosofia e, in
parte, gli Studi. Molto. importante l'introduzione, che offre un quadro assai
chiaro delle vicende dell’hegelismo italiano; ricchissime le indicazioni
bibliografiche); S., Unificazione nazionale ed egemonia culturale, a cura di G.
Vacca, Bari (nell’antologia sono
ristampati: un brano degli Studi sopra la filosofia di Hegel, alcuni articoli
apparsi sul “Progresso”, lo scritto I/ lavoro e le macchine, una scelta dalla
Politica dei gesuiti, lo scritto Del principio della riforma, brani della
corrispondenza tra i fratelli S., la prolusione di Modena no, lo scritto
Paolottismo, positivismo, razionalismo, una scelta dai Princìpi di etica.
Seguono tre-dici lettere inedite di Meis a B. S. e Ricciardi, già pubblicate in
“Il pensiero politico”; nella stessa annata della rivista, era già apparsa, con
il titolo Introduzione alla riflessione politica di B. S., l'introduzione
all’antologia); VACCA,Lo hegelismo a Napoli, in “Rinascita. Alcune Lettere
inedite di B. S. a Imbriani ha pubblicato A. Pellicani in «Realtà del
mezzogiorno», Pagine di Gentile sullo S. si leggono ora in GENTILE, Storia
della filosofia italiana, a cura di E. Garin, Firenze (con una notevole introduzione, che discute
tra l’altro della interpretazione gentiliana dell’opera e delle tesi storiografiche
di S.). Importanti, anche per seguire le vicende della stampa degli Scritti
filosofici, le lettere di Croce a Gentile pubblicate nel “Giornale critico
della filosofia italiana”; e i due volumi delle lettere Gentile-Jaja (in
GENTILE, Opere, a cura della Fondazione Gentile per gli studi filosofici,
Carteggio a cura di M. Sandirocco, Firenze). Si ricordano infine i saggi di
Garin, Problemi e polemiche dell’ begelismo italiano, di V. A. Bellezza, La
riforma spaventiano-gentiliana della dialettica hegeliana, di I. Cubeddu, B. S.
riformatore di Hegel nella cultura italiana del 900, raccolti nel volume
Incidenza di Hegel (Napoli), a cura di F. Tessitore -- v. anche, nella stessa
opera, la bibliografia a cura di G. Cacciatore Hegel in Italia e in italiano, S.,
La filosofia italiana nelle sue relazioni con la filosofia europea, MARCHESI
(cur.), Minerva italica, ISTE: Opere, CUBEDDU I. (a cura di), Sansoni, Firenze.
Un frammento inedito di S. su Vico e Darwin, SAVORELLI A. (cur.), in
“Bollettino del Centro di studi vichiani. La filosofia italiana nelle sue
relazioni con la filosofia europea, OTTONELLO (cur.), Marzorati, Milano. Opere
psicologiche inedite, in D. D’ORSI, Contributi alla ricostruzione integrale del
pensiero di B. S.: inediti, accertamenti filologici, nuovi itinerari e assetti
critici, in “Le ragioni critiche”. Lezioni di antropologia, ORSI (cur.), Casa
editrice G. D'Anna, Messina-Firenze. Psiche e metafisica, ORSI (cur.), Casa
editrice G. D'Anna, Messina-Firenze. Una lettera di S. a Pasquale Villari, RASCAGLIA (cur.), Istituto italiano per gli
studi filosofici, Napoli. Lezioni inedite di Filosofia del diritto. Modena. TOGNON
(cur.), in “Archivio storico bergamasco. Esperienza e metafisica, SAVORELLI
(cur.), Morano, Napoli. Prolusione di B. S. al corso di Filosofia del diritto
(Modena), G. TOGNON (cur.), in GARIN, Filosofia e politica in S., Bibliopolis,
Napoli. Testi di S., in Rivoluzione, partiti politici e stato nazionale,
ATTILIO (cur.), Giuffrè, Milano. LOTZE, Elementi di psicologia speculativa,
Traduzione italiana di S., ORSI (cur.), Casa Editrice G. D'Anna,
Messina-Firenze. Epistolario, RASCAGLIA M., (a cura di), Istituto poligrafico
dello Stato, Roma. Lettera sulla dottrina di Bruno: scritti inediti, SAVORELLI
A e RASCAGLIA M. (cur.), Bibliopolis, Napoli, Bruno edizioni per la scuola, La
città del Sole, Napoli. Sulle Psicopatie in generale. Con appunti e frammenti
inediti, D. D'ORSI (a cura di), Cedam, Padova. Studi sopra la filosofia di
Hegel. Prime categoriedella logica di Hegel, E. COLOMBO (a cura di), CUSL,
Firenze. Le “Lezioni” sulla storia della filosofia italiana nell’anno
accademico RIZZO (a cura di), Siciliano, Messina, La filosofia italiana nelle
sue relazioni con la filosofia europea, SAVORELLI A. (cur.), Storia e
letteratura, Roma. La filosofia del Risorgimento: le prolusioni di S., La
scuola di Pitagora, Napoli. Saggi di critica filosofica, critica e religiosa,
DE GIOVANNI B. (a cura di), La scuola di Pitagora, Napoli. SAGGI SU S.
FRANCHINI, La cultura a Napoli, in AAVV, Storia di Napoli, Napoli
contemporanea, E.S.I., Napoli, ora anche in I/ diritto alla filosofia, SEN,
Napoli. Nella prima parte del saggio, dedicata alla cultura filosofica
napoletana, si mostra grande attenzione alla prolusione, con cui iniziò
l'insegnamento napoletano di S., sulla Nazionalità della filosofia. Oltre a
ricordare le numerose contestazioni subite da S. orchestrate dall'abate Vito
Fornari, da Capocelatro, Mola e Crocchetti, si precisa che l’opposizione al
pensiero del filosofo abruzzese era assai forte persino nelle aule
universitarie, citando il caso di Tulelli, Professore di filosofia morale ed
allievo di Galluppi e dallo stesso Tari, benché legato a S. da una amicizia di
vecchia data, per finire con il caso di Vera, hegeliano di prospettive
radicalmente differenti da quelle di S.. La superiorità di S. rispetto a questi
suoi rivali si manifesta, secondo, Franchini, se si tiene conto della
discepolanza del filosofo di Bomba, nella quale si possono annoverare
personalità come Angiulli e Labriola, quest’ultimo influenzato poi dalla
corrente degli herbartiani. Franchini ricorda anche l’altra figura di grande
levatura della tradizione classica napoletana, Sanctis, che però non viene mai
posto in conflitto o in contrapposizione rispetto a S.. Viene menzionata,
inoltre, l’esperienza del “Giornale Napoletano di filosofia e lettere”, diretto
da S., Imbriani e Fiorentino. Il saggio prosegue poi analizzando le altre fasi
dello sviluppo culturale della città di Napoli, affrontando la prima e la
seconda scuola crociata, oltre al tema della filosofia nell'Università. GARIN,
La “fortuna” nella filosofia italiana, in AAVV, L'eredità di Hegel dopo due
secoli dalla nascita, “Terzoprogramma”, Nell’intervento di Garin la “presenza”
di Hegel viene giudicata non neutrale né accademica e proprio per questa
vittima di alterne fortune. Se Romagnosi non esitava a definire nebulosa la
nozione di “spirito del mondo”, benché nemmeno Mazzini svalutasse a tal punto
l’hegelismo, S. e De Sanctis terranno una posizione diversa, se non addirittura
opposta. A ragione si precisa quale fosse l’importanza della Filosofia della
storia nella stesura per la penetrazione del pensiero hegeliano in Italia: da
Passerini, che ne curò la prefazione, a Cattaneo, molti intellettuali si
accorserodelgenio del filosofo di Stoccarda. All’Hegel rivoluzionario di
Napoli, segue, nel percorso spaventiano, una più attenta lettura della
Fenomenologia, che lo porterà ad una nuova interpretazione della filosofia
italiana ed europea: Garin ripercorre con puntualità le tappe di questa
evoluzione, dai primi studi, fino alla prolusione napoletana del °61, passando
per le crisi e le svolte (comuni a S. e Sanctis. L’autentica esigenza di creare
una ideologia di supporto alla rivoluzione italiana condusse
all’interpretazione della filosofia hegeliana come alternativa al neotomismo in
Italia. Garin sostiene che ai tempi eroici dei primi hegeliani si scivolò
nell’aneddoto pittoresco: non solo Maturi, ma nemmeno Jaja riuscì a recuperare
la forza di S. o Sanctis. Soltanto grazie a Croce e Gentile Hegel tornò ad
essere studiato e commentato, dando vita poi nel corso del Novecento alle
correnti più disparato, citato a sostegno sia dell’esistenzialismo, sia della
teoria dello Stato etico. MALUSA, S. interprete della filosofia di Vico, in
AAVV, Saggi e ricerche su Aristotele, Marsilio da Padova, M. Eckhart, Rosmini, S.
etc, Editrice Antenore, Padova. La rilevanza di S. nel panorama culturale
italiano si coglie anche considerando la sua influenza sul modo di fare storia
della filosofia. Il suo scontro con Palmieri sul ruolo della scolastica
all’interno della tradizione italiana. Venendo all’analisi di Vico, si deve rilevare
che l’indubbia affinità con Vico sulle questioni relative alla distinzione del
mondo in natura e spirito trovano però un luogo di scontro a proposito del
ruolo del cogito, sostenuto da S. e avversato dal filosofo napoletano. Avendo
come obiettivo quello di guadagnare grazie all’analisi del pensiero filosofico
italiano progressiva indipendenza dall’autorità della Chiesa, non stupisce che S.
abbia svalutato il ruolo della grazia e della Provvidenza presente in Vico. Se
la linea Vico- Kant-Hegel divenne quasi un dogma della filosofia neohegeliana
italiana, ciò è dovuto indubbiamente all'influenza di S. che per primo percorse
le tracce di questo rapporto. GARIN, Hegel nella storia della filosofia
italiana, in “De Homine. Garin rileva il che “il nome di Hegel è
indissolubilmente legato alla storia d’Italia, considerando non solo
l’hegelismo napoletano, ma anche i successivi sviluppi legati al fascismo.
Riferendosi a Orestano, Gentile e Gemelli, Garin mostra l’influenza della
filosofia hegeliana nel dibattito culturale italiano, accennando a quel
singolare destino per cui il filosofo di Stoccarda che aveva inteso la
filosofia come nottola di Minerva inaugurò quella stagione in cui la filosofia
contribuì ad influenzare direttamente gli eventi storici e non solo a
comprenderli ex post. Proprio su questo punto decisiva è la figura di S., che
rivisitò il sistema hegeliano in chiave antigesuitica. Garin cita anche
Passerini come precursore e Villari come compagno dello S. in questa difficile
operazione intellettuale: riportando un lungo intervento di S. Garin vuole
trasmettere il clima di entusiasmo che caratterizzò l'avvento dell’hegelismo
nella Napoli prequarantottesca. L'esigenza di un’ideologia del Risorgimento,
avvertita da Mamiani e Gioberti, fu soddisfatta proprio da S. con l’immagine
del “sacro filo della tradizione”, benché Garin rivaluti la posizione di
Rosmini e Gioberti rispetto al giudizio negativo di S., il quale fu molto
tentato—a giudizio di Garin — dalla soluzione dell’attualismo ed del
soggettivismo. L’articolo prosegue sottolineando l’atteggiamento sarcastico
assunto da S. di fronte al tentativo di accostamento di Hegel a Comte: proprio
l’importanza del ruolo del positivo rendeva del tutto contraddittoria la
posizione del positivismo. L'intervento di Garin termina citando le posizioni
di Labriola, Gentile e Croce di fronte al sistema hegeliano. M. QUARANTA,
Posttivismo ed hegelismo in Italia, in GEYMONAT, Storia del pensiero filosofico
e scientifico, vol. VI, Dall’Ottocento al Novecento, Garzanti, Milano. Le
sezioni VII e VIII del saggio di Quaranta sono dedicate rispettivamente alla
vita e opere di S. e al suo pensiero. Nella prima si analizza la vita del
pensatore abruzzese e si elencano gran parte delle sue opere, nella seconda ci
si concentra sui tre contributi essenziali: un riesame della tradizione
filosofica italiana, in particolar modo con la teoria della circolazione; una
reinterpretazione di Hegel tale da escludere qualsiasi intento materialistico o
teologico; la proposta di una serie di strumenti concettuali contro il
positivismo, attraverso la figura di Kant, al fine di rivalutare umanesimo.
CANTIMORI, La circolazione del pensiero italiano e l’importanza del
Rinascimento per la filosofia europea, in Storici e storia, Einaudi, Torino. Il
capitolo dedicato all’interpretazione
del Rinascimento di S. mostra il tentativo di superamento della visione
neoguelfa di Gioberti e di maggiore profondità rispetto a quelle di Mazzini e
Ferrari. In particolare si evidenzia quanto stretto sia il nesso tra la teoria
della circolazione ed il concetto di nazionalità: se è vero da un lato che S.
definisce la filosofia moderna come europea, ciò non significa l’eliminazione
del concetto di nazione, anzi, proprio dal contributo delle diverse nazioni si
può parlare della modernità all’insegna dell'Europa. Naturalmente il
Rinascimento italiano in quanto per primo ha turbato l’uniformità di pensiero
imposta dalla Scolastica. In tal senso si rileva una dipendenza profonda da
schemi illuministici più che dalle tesi hegeliane, che continuano comunque ad
essere il panorama di riferimento. Il pensiero di S. viene dunque definito come
quella consapevolezza di sé che era mancata al pensiero italiano al suo primo
sorgere e che fu assunta dal pensiero tedesco grazie alla Riforma protestante.
Problema di S. non era solo quello di superare Rosmini e Gioberti, bensì di
assegnare un senso e uno scopo alla tradizione filosofica italiana. La
rivendicazione dell’Italia come nazione e come tradizione filosofica mirava ad
un inserimento all’interno del contesto europeo. TARALLI, S. tra Stato etico e
democrazia, in “Trimestre. Il grande problema del rapporto tra nazionalità e
libertà, già posto da Mazzini, tormenta anche il pensiero di S., con
l'aggravante di una piena consapevolezza della debolezza delle istituzioni
democratiche, elemento che rese assai difficile il governo della Destra
storica. Taralli esponecomechiaveinterpretativa forte l’acattolicesimo
spaventiano, derivante senz’altro dalla mondanizzazione dello spirito di
matrice hegeliana: le aporie presenti nel pensiero spaventiano dipenderebbero
in tal senso dalle tensioni irrisolte tra Illuminismo ed hegelismo; se da un
lato è vero che la ragione storica avrebbe dovuto assicurare una risoluzione
delle contraddizioni, il conflitto tra S. e la corrente socialista testimonia
una tensione irrisolta tra Stato e società, tra governo e rivoluzione. E.
GARIN, Rassegna di studi spaventiani, in “Rivista critica di storia della
filosofia”. In questo intervento Garin sottolinea l’importanza
dell’interpretazione del pensiero di S. proposta da autori quali Battaglia,
Cubeddu, Landucci e Masini, per concludere citando i due volumi del Vacca..
ONUFRIO, Lo “Stato etico” e gli hegeliani di Napoli, Celebes, Milano. Il testo
ripropone gli interventi di Onufrio apparsi sui “Nuovi quaderni del Meridione e
sulla “Rassegna di Politica e storia, già parzialmente presenti nella
bibliografia di Italo Cubeddu. Il primo capitolo riepiloga lo status
quaestionis, mediante una rassegna delle tesi di De Ruggiero, Santino
Caramella, Russo e Tagliacozzo. Il secondo capitolo è dedicato alla
storiografia marxista e al tentativo di sostituire a Gentile la figura di Labriola
come autentico discepolo ed erede di S.. Il terzo capitolo si concentra sugli
sviluppi della concezione dello Stato in S. dall’attività giornalistica
piemontese ai Principi di Etica. Il capitolo quarto prende in considerazione il
tema dello Stato etico nelle riflessioni della Destra storica. L’ultimo
capitolo esamina il rapporto tra Stato e nazionalismo oltre alle reazioni della
Destra storica dopo l'avvento della Sinistra storica al potere. Il libro si
conclude con tre appendici: Vico e il liberalismo moderato; Vico maestro di S.;
Unificazione nazionale ed egemonia nazionale (commento al testo di Vacca). I.
CUBEDDU, Bibliografia in B. S., Opere, Sansoni, Firenze. L’amplissimo studio di Cubeddu è suddiviso in
duesezioni, la prima è dedicata alle opere edite di S., la seconda elenca le
opere scritte sul pensiero del filosofo abruzzese; si compone di un’ampia
introduzione, una prima parte sugli scritti di S. ed una seconda parte relativa
ai saggi e gli studi sulla figura del pensatore abruzzese. TESSITORE, La
cultura filosofica tra due rivoluzioni, in Storia di Napoli, vol. IX, Dalla
restaurazione al crollo del Reame, E.S.I., Napoli. Il saggio di Tessitore si
articola in quattro sezioni, la prima dedicata all’eco vichiana in Cuoco,
Salfi, Jannelli e Delfico, all'insegna di quella umanologia che tenta di
recuperare l’ “uomo intero”, secondo differenti prospettive; alla trattazione
dell’eclettismo napoletano legato ai nomi di Manna, Piccolini, Borrelli e
Bozzelli, segue una rapida presentazione di Galluppi e del suo rivale
Collecchi. La terza sezione si concentra sul passaggio dall’eclettismo
all’hegelismo e affronta le figure di Cusani e Gatti, precisando l'influenza
francese nella scoperta dell’idealismo tedesco in Italia. L’ultima parte del
lavoro è esplicitamente legata all’hegelismo e allo storicismo: un ruolo di
primo piano è svolto da De Sanctis, di cui si sottolinea l’esigenza di purismo
e la tensione verso la semplicità della lingua, atteggiamenti che lo portarono
a respingere, sulla scorta della lezione vichiana, l’apriorismo del sistema ed
il panteismo hegeliano. Alcuni brevi cenni alle teorie del Gioberti (che
ricevettero la benedizione di Papa Pio IX) introducono la personalità di S.,
fiero sostenitore di Hegel, tanto da considerarlo una sorta di demiurgo del
mondo, in polemica con il Palmieri. CUMIS, Herbart e Herbartiani alla scuola di
S., in “Giornale Critico della Filosofia italiana. De Cumis non vuole solo
mostrare l’ormai indiscutibile legame, confermato da più parti, tra S. e
Herbart, ma in particolare anche l’attenzione di cui questi è oggetto anche da
parte del Fiorentino e del Labriola, fino a suggerire l'ipotesi che S. sia
stato un caposaldo nella formazione del Labriola proprio per averlo introdotto
allo studio del filosofo tedesco, quasi vi fosse una “curvatura herbartiana
dello hegelimso nel Labriola”. La stessa contrapposizione tra S. e Herbart
vorrebbe essere se non attenuata per lo meno sfumata e a sostegno di queste
tesi De Cumis indica un’ampia raccolta di luoghi nei quali S. parla
esplicitamente delle tesi herbartiane, per sottolineare l’accordo tra i due per
lo meno su alcune istanze dell’hegelismo. E. GARIN, Noterella spaventiana, in
“Rivista critica di storia della filosofia. Il testo appare quasi come una
recensione delle Opere di S. curate da Cubeddu, sottolineandone anche alcune
carenze, come ad esempio il mancato inserimento del testo Esperienza e
metafisica. A questo proposito si sviluppa il tema del rapporto tra S. e le
nuove scoperte scientifiche del suo tempo, prima tra tutte la teoria della
selezione naturale. Per rafforzare la sensazione della problematicità del
rapporto si cita un frammento. Obiettivo di Garin è mostrare che in S. non si
accetta il meccanicismo, ma vi si vuole contrapporre l’idea di disegno, di
teleologia, senza con questo dover ammettere l'intervento soprannaturale. G.
OLDRINI, La cultura filosofica napoletana dell'Ottocento, Laterza, Bari. Nel
volume di Oldrini il nome di S. risulta il più citato dopo quello del De
Sanctis. Alcune sezioni del testo, che tuttavia affronta un tema assai vasto,
sono dedicate specificamente al filosofo, ad esempio come modello paradigmatico
di intellettuale fuoriuscito da Napoli che contribuisce ad alimentare focolai
rivoluzionari e liberali nel Piemonte. Si segnala anche il peso dell’autore
nell’evitare qualsiasi compromesso tra hegelismo ed ideologie, nella ricerca di
una terza via tra realismo e idealismo. PIOVANI, I/ pensiero idealistico, in
AAVV., Storia d’Italia, I documenti, Einaudi, Torino. La figura di S. viene
posta in risalto soprattutto in relazione al primo punto della trattazione, dedicato
alla predicazione dell’idea hegeliana e nel terzo, in cui si mostrano i
tentativi di superare l’hegelismo in nome del realismo, anche per contrastare
lo strapotere del positivismo. Da ultimo, nel quinto punto, si evidenzia la
differenza di interpretazione del pensiero spaventiano proposta da Croce e
Gentile. BROCCOLINI, Finamore e le origini dell’hegelismo in Italia, in “De
Homine”. Per evitare di conformarsi alla vecchia interpretazione dell’idealismo
napoletano secondo cui all’ortodossia di Vera si contrappone il criticismo di S.,
si deve tentare, secondo Broccolini, di leggere l'evoluzione della cultura
filosofica napoletana indipendentemente dai suoi sviluppi economici e sociali.
Broccolini sostiene l’analogia tra la legittimazione hegeliana dello Jurkertum
prussiano e quella napoletana della nuova classe egemone; il parallelismo
prosegue individuando in De Sanctis, Tommasi, Villari e Labriola gli Strass,
Bauer, Feuerbach e Marx napoletani. Il retroterra da cui emerge l’hegelismo
napoletano deve essere comunque ricercato nelle vicissitudini: l’intelligentia
partenopea sfrutterà Hegel per “patinare di nuovo l'antico”. Non sono
risparmiate le critiche alla conoscenza frammentaria di Hegel da parte di S.,
di contro alla conoscenza integrale che poteva vantare Vera. L’analisi della
Napoli prequarantottesca attraversa le figure di Colecchi, Cubani e Gatti,
rispetto ai quali le elaborazioni di S. sono giudicate “tardive”. Finamore sl
inserisce in questa rassegna e si ascrive immediatamente a questa figura la
paternità della teoria della circolazione del pensiero e dell’analisi della
logica hegeliana, al fine di mostrare quanti e quali punti oscuri si possono
ancora rintracciare nello studio dell’hegelismo italiano. SERRA, Oltre la
lettura idealistica di S., in “Giornale critico della Filosofia italiana. La
possibilità di un superamento dell’interpretazione idealistica di S. si basa,
secondo Teresa Serra, su una rivalutazione storicisticadell'autore.L'ombra
nella quale rimase S. anche rispetto a Rosmini e Gioberti non si può spiegare
soltanto con la clandestinità della sua attività di pubblicista peraltro
giustamente segnalata da Gentile: se è vero che il legame S. Hegel non può
essere radicalizzato, d’altra parte non può nemmeno svaporare, eliminando il
carattere sistemico e logico del pensiero spaventiano. La versatilità di S. ne
fa un precursore dell’attualismo Gentiliano da un lato e un anticipatore del
Labriola dall’altro: certamente sottolineare la forte laicità, il rigore
scientifico ed il vigore storicistico consente a Teresa Serra di mostrare come
il pensiero del filosofo di Bomba si presti a diverse interpretazioni. S.
supera l’astratto coscienzialismo, ma senza giungere alle conseguenze che la
Serra definisce antispeculative, di Feurbach e Marx. Persino l’ultima fase,
legata alla polemica con il positivismo, mira a riproporre l’istanza e la
concretezza del sistema. OTTONELLO, Introduzione a S., La filosofia italiana
nelle sue relazioni con la filosofia europea, Marzorati, Milano 1974. Nella
breve presentazione vengono sottolineati i caratteri salienti del programma di
riabilitazione della filosofia italiana agli occhi del dibattito filosofico
europeo: mostrare l'originaria presenza di temi filosofici tipici della
modernità europea nel pensiero rinascimentale voleva produrre il duplice
effetto di rivalutare la filosofia italiana e di aggiornarla al dibattito
europeo. A. SAVORELLI, Ux frammento inedito di S. su Vico e Darwin, in
“Bollettino del Centro di Studi vichiani. Il frammento, recuperato nella
Biblioteca civica “A. Mai” di Bergamo, testimonia gli intensi studi spaventiani
degli anni ’70 attorno a Vico e al problema dellascienza. È Savorelli a
segnalare che S., come ogni buon hegeliano, esclude l’intervento
soprannaturale, ma senza con ciò cedere ad una mera dimensione evoluzionistica,
da inserire in quella totalità spirituale di cui le scienze naturali fanno
parte. Duro è l’attacco verso la critica tradizionalista a Darwin, legata a
Vera e alla sua scuola. Del manoscritto di diciotto pagine è riportata soltanto
la seconda parte. CAMILLERI, Problemi inediti dell'ultimo S., Scuola salesiana
del libro, Catania. Il primo ed il secondo capitolo del libro sono dedicati
rispettivamente alla biografia e alla bibliografia dell’autore, mentre il terzo
si dedica all’analisi di Esperienza e metafisica all’interno della parabola del
pensiero spaventiano, ricordando il silenzio editoriale e la polemica con i
positivisti che caratterizzerà i suoi ultimi dieci anni di vita. La
rivalutazione del ruolo dello spirito, come attività che ricrea l’oggetto
rappresenta l'elemento essenziale del pensiero spaventiano, capace di
conciliare, in tal modo, teoretica e pratica. Obiettivo centrale della polemica
sono teismo e materialismo, analizzati nel quarto capitolo in relazione alla
nuova teoria dell’evoluzionismo: è nota la volontà di conciliare dialettica
hegeliana e darwinismo, superando da un lato il dualismo proposto dal teismo,
dall’altro l’insano monismo su cui si basa la concezione materialistica. Il
problema della conoscenza trova nel quinto capitolo un’ampia trattazione,
grazie alla quale si evidenzia l’affinità di S. con la filosofia idealistica ed
il suo rifiuto dell’origine biologica e psicologica del pensiero: tale tema
impone di ritornare sul rapporto tra darwinismo e metafisica, già nel capitolo
successivo. Attraverso un uso abbondante di citazioni da Esperienza e
Metafisica Camilleri ripercorre l'itinerario di S., disposto ad accogliere
quanto vi sia di valido anche nella posizione dell’avversario, senza alcun
pregiudizio di carattere teoretico. Oltre alla figura di Darwin, obiettivo
della critica spaventiana è il positivismo di Spencer, colpevole di concepire l
Assoluto come separato dalla realtà e quindi totalmente inconoscibile: il
capitolo settimo mostra l’inconciliabilità di questa posizione con l’hegelismo
di S.. La prospettiva si allarga sulla critica dell’empirismo in generale, dove
emerge la crescente influenza della filosofia kantiana sul pensiero dell’ultimo
S.: si tratta quasi di un prologo al capitolo nono in cui si affronta il
problema della coscienza e della conoscenza, da intendere all'insegna del
processo come attività assoluta. Le considerazioni critiche finali sono
precedute da una introduzione al manoscritto inedito dal titolo Che cos'èè il
materialismo, riportato al termine del I. CUBEDDU, S.. Edizioni e studi,
Sansoni, Firenze. Il testo ripropone per intero la bibliografia curata da
Cubeddu per l'edizione Sansoni delle Opere di S. Si mantengono le stesse
scansioni: un’ampia introduzione, seguita da una prima parte sugli scritti di S.
e una seconda sui testi scritti sulla figura di S.. Si deve aggiungere,
inoltre, una appendice dedicata a S. come riformatore di Hegel nella cultura
italiana del Novecento, in cui sono presentate le differenti interpretazioni,
da quella di Gentile a quella di Vacca, passando per Berti, Garin e Landucci.
T. SERRA, S.. Etica e politica, Bulzoni Editore, Roma. Il volume, introdotto da
una breve presentazione di Negri nella quale si sottolinea l’immanentismo
dinamico di S., mira a ridimensionare il durogiudiziodi Benedetto Croce secondo
il quale l’autore abruzzese sarebbe stato soltanto un purus logicus,
concentrando l’attenzione sul rapporto conoscere-fare. Innanzitutto un tratto
essenziale viene individuato
nell’attenzione al religioso, benché assunto nell’immanenza del divino:
per questo la visione logico-metafisica della mente viene valutata senza
perdere la ricchezza dell'orizzonte storico. Si vuole rimarcare l’idealismo di S.,
avverso ad ogni degenerazione materialista e determinista, senza dimenticare
però la sua attenzione per la scienza e la storia. Se troppo spesso il
logicismo hegeliano viene interpretato come foriero di una insuperabile
staticità del reale, l’interpretazione spaventiana mostra l’insostenibilità di
tale tesi. Eterno è il dualismo che genera e assicura una continua evoluzione
sul piano storico, scientifico e politico: in questo senso il dualismo
dell’autore è contrapposto al monismo del suo più grande divulgatore e allievo
(benché indiretto) Gentile. La seconda parte del testo è dedicata
specificamente a problemi di carattere politico, legati soprattutto alla
contraddizione tra Stato etico ed purzanitas: il tentativo di divinizzare lo
Stato da parte del filosofo di Bomba non giunge mai ad un profetismo
metafisico; si mantiene sempre un atteggiamento di grande umiltà nei confronti
della storia. Opere psicologiche inedite, in ORSI, Contributi alla
ricostruzione integrale del pensiero di B. S.: inediti, accertamenti
filologici, nuovi itinerari e assetti critici, in “Le ragioni critiche. Il
primo articolo si apre con una presentazione di D’Orsi nella quale si rivendica
il profilo antidogmatico del pensiero spaventiano, fortemente debitore nei
confronti dell’hegelismo; si evidenzia la discontinuità tra il corso sulla
Filosofia della natura rispetto a quello sull’antropologia, che raccoglieva una
serie di appunti e di riflessioni cui l’autore non aveva mai dato una forma
sistematica. Elemento essenziale del corso, secondo D’Orsi è la distinzione tra
la meccanica ripetitività dell'animale e la possibilità di mutazioni da parte
dello spirito. Citando un passo di Gentile, dove si presenta S. come uomo dal
pensiero tormentato sino agli ultimi giorni di vita, si sottolinea che
l’inesausto tentativo di conciliare analisi e critica concerne non solo il suo
ruolo di filosofo e di storico della filosofia, bensì anche quello di pensatore
che si interroga di fronte ai progressi del pensiero scientifico. Il primo
articolo prosegue riportando la prima parte del testo originale di S. dal
titolo L’arnzzza universale; i due articoli successivi, riportano il secondo
capitolo Animali e uomo, e il capitolo terzo intitolato Dall’universalità alla
particolarità dell'anima. ROSA, La cultura, in AAVV., Storia d'Italia, IV, 2.
Dall’Unità ad oggi, Einaudi, Tornino. S. viene citato, insieme a Villari, come
uno dei maggiori responsabili della rinascita di Campanella e Bruno. Rosa presenta
anche un breve estratto di S. tratto dagli Studi sopra la filosofia di Hegel,
ma il tema cardine rimane l'influenza dell’autore abruzzese nel dibattito
sull’hegelismo all’interno della Destra storica: alla sintesi speculativa per
un certo verso raggiunta tra il sistema hegeliano e il liberalismo di sicuro
non seguì una attuazione pratica e politica. RASCHINI, L’idealismo
anglosassone, francese e italiano, in Grande antologia filosofica, vol. XXII,
Il pensiero contemporaneo, Milano 1975, 607-614. S. è qui presentato come
autore di grande vigore, all’insegna della continuità tra Kant e Hegel, a
differenza di Vera. L’opera di S. viene giudicata come fenomenismo che tuttavia
non riuscì né a rinnovare il sistema hegeliano, né ad instaurare un proficuo
dialogo con il positivismo. GENTILE, La Scolastica, Cartesio e S., Filosofia. Dal
parallelismo tra Cartesio e S., entrambi contestatori della scolastica, ma
altresì allievi dei Gesuiti, Gentile individua proprio nel dualismo
intelletto-verità il luogo di dissidio tra S. e la filosofia scolastica.
Rivendicando il ruolo attivo del soggetto e l’immanenza del reale, S. critica
aspramente la prova ontologica di Anselmo preferendovi quella cartesiana,
benché anche quest’ultima risulti imperfetta. Gentile tende a rilevare che il
punto di vista dal quale S. polemizza contro la Scolastica prima e Cartesio
poi, può inficiare la validità stessa della critica, dal momento che l’idea di
Dio come mediazione assoluta non sarebbe accettata da nessuno dei due
avversari. CAVALLO, Note sulla cultura filosofica napoletana dell'Ottocento, in
“Protagora”. Il saggio di Cavallo tratteggia per sommi capi il panorama
culturale napoletano, all'insegna di una rivisitazione del ruolo e della figura
del Sanctis, mediante la quale si rivaluta anche S., Meis, Vera, Imbriani e
Villari. Concentrandosi sul libro di Oldrini, del quale si sottolinea la
visione organica che evita di proporre trattazioni isolate dei diversi autori,
un ruolo di primo piano viene ravvisato nell’analisi dell’arretratezza culturale
di Napoli nell’ultima parte del XVIII secolo, dovuta alla mancanza di
personalità di spicco e ad una ripresa dell’autorità religiosa
appoggiatadaiBorboni per evitare il dilagare di movimenti rivoluzionari.
Cavallo cita due passaggi di S. sul tema della rivoluzione proprio per
rilevarne la stretta relazione con la filosofia hegeliana, e affermata
definitivamente solo negli anni ’60. L’articolo si conclude sottolineando la
reinterpretazione in chiave speculativa del darwinismo offerta da S.. D.
D'ORSI, Introduzione a S., Lezioni di antropologia, Casa editrice G. D'Anna,
Messina-Firenze. Per avvalorare l’immenso lavoro filologico svolto sulle carte
S. al fine di correggere in alcuni tratti la versione gentiliana, D’Orsi
ricorre ad una vera e propria comparazione dei luoghi in cui sono poste le
differenze più significative, con l’intento di rilevare che la tensione al
vero, anche in un senso filologico, contribuisce a mantenere aperto il sistema
spaventiano. Oltre all’analisi di alcune interpretazioni storiche offerte da S.,
l’attenzione si concentra sugli effetti che il materialismo provocava nel
filosofo abruzzese, sempre impegnato nell’affermare una discontinuità tra
natura e spirito, non certo nell’ottica di una separazione tra le due sfere, ma
nella consapevolezza che la nascita della coscienza non potesse essere spiegata
in soluzione di continuità rispetto alla natura animale. S. LANDUCCI, Hegelismo
e positivismo in Italia, in AAVV., Storia della filosofia contemporanea, vol.
IX, Vallardi, Milano L’intervento di Lancucci si apre con una rassegna della
traduzione spiritualistica, cui segue la trattazione dell’hegelismo napoletano,
capitolo nel quale si nominano oltre a Passerini, S., De Meis e Vera, anche gli
eredi di quella tradizione come Jaja e Gentile. Un'attenzione particolare è
dedicata a S. e al suo primo corsonapoletano nel quale viene presentata in
forma compiuta la teoria della circolazione. Gli inizi della ripresa del
pensiero scientifico sono affrontati proprio attraverso la figura di S. che nel
’67 individua proprio il positivismo ed il materialismo quali nuovi avversari
dell’idealismo al posto dello spiritualismo. Si accenna ‘anche alla polemica
sull’eredita di Galilei, nominando la figura di Villari e Gabelli. Le sezioni
successive sono dedicate al pensiero di Ardigò in connessione alla morale dei
positivisti, alla psicologia e all'evoluzione cosmica. Sergio Landucci conclude
con la presentazione della cultura positivistica e con il marxismo di Antonio
Labriola, di cui si ricorda l'appartenenza alla scuola spaventiana. VILLA, S. in Piemonte, in “Studi piemontesi. La
rassegna del clima culturale del Piemonte degli anni ‘40, in cui si evidenzia
la censura di giornali e libri, le difficoltà di Gioberti, il domino
incontrastato di Rosmini, contribuisce a mostrare perché l’attività di S. si
stata particolarmente tormentata durante il decennio torinese. Lo scontro con
il teismo di Bertini farà di S. il campione della nuova filosofia hegeliana,
sui principi della quale giungerà a proporre persino una modifica dello
Statuto, in nome dell’istanza nazionale. Il filosofo abruzzese studia le
relazioni tra Risorgimento italiano e idealismo tedesco; individuando nella
libertà assoluta il principio della modernità, S. potrà avvalorare la tesi di
un pensiero italiano costretto in catene nel XV secolo e rinato in Germania nel
XIX secolo. In questa ottica sono collocate le dispute contro la logica di
Rosmini, il teismo di Schelling e la disputa con i Gesuiti. MALUSA, La
storiografia filosofica italiana nellaseconda metà dell'Ottocento, I Tra
positivismo e neokantismo, Marzorati, Milano. Il volume di Malusa contiene una
prima parte interamente dedicata alla scuola di S. e a Fiorentino. Di S. si
parla già nell’Introduzione, individuando nella sua opera uno dei maggiori contributi
all'elaborazione dell’hegelismo. Degno di nota è il fatto che, insieme a
Gentile e Fiorentino, S. è l’autore più citato nel testo di Malusa. I primi due
capitoli della prima parte, esplicitamente incentrati su S., lo presentano come
il maggior pensatore del Meridione della seconda metà dell'Ottocento: indubbi
restano i meriti per aver elaborato la tesi della circolazione del pensiero
italiano. Il compito di aggiornare il dibattito e la cultura della penisola per
dare vita ad una unità autentica viene considerato sia un impegno speculativo,
sia una missione civile. S., che combatteva senza posa il dilettantismo e ogni
tendenza divinatoria, non pretese mai di aver concluso la scienza, ma si
sforzava sempre di sviluppare una critica capace di riaprire il sistema. Se è
vero che nessun allievo seguì S. sulla via troppo ardua di una storiografia
speculativa, si deve ammettere che la serietà speculativa dei suoi discepoli,
pur allontanando i consensi, mantenne vivo il suo pensiero, ancorché in un
circolo assai ristretto di pensatori. PICCONE, From S. to Gramsci, in Telos. A Quarterly
Journal of Radical Thought. Nel
tentativo di far risalire le influenze esercitate sul pensiero di Gramsci non
più soltanto ad Antonio Labriola, ma all’hegelismo napoletano della seconda
metà del XIX secolo, l’autore mostra quale peso abbiano avuto le speculazioni
di S. sullo storicismo assoluto di Gramsci, poco incline alle grandi
astrazioni, incapaci di cogliere la multidimensionalità della vita reale. Dopo
una rapida panoramica sulla ricezione di Hegel in Europa, ad esempio in Gran
Bretagna grazie ai lavori di James, Stirling e Green, si sottolinea come in
Italia l’hegelismo abbia avuto un impatto non solo accademico, ma socio
politico assai profondo. Per sottolineare il legame S.- Gramsci si cita la
famosa lettera dell’8 ottobre del 1851 in cui dice di temere di più le idee e
l'influenza del papato che non i cannoni austriaci. Il pensiero hegeliano,
giunto in Italia grazie alla mediazione francese (viene citato naturalmente il nome
di Victor Cousin) fu bollato subito come pensiero della Rivoluzione francese,
precursore dell’ateismo e del socialismo: contro questa tesi si è battuto S.,
cercando di mostrare la continuità tra il Rinascimento italiano e l’idealismo
tedesco. Se è vero che il nazionalismo spaventiano verrà poi strumentalizzato
da Gentile e dal fascismo, è anche vero che la tesi della circolazione del
pensiero era l’unico modo per non presentare Hegel come pensatore straniero
“piovuto dal cielo”, come afferma Piccone. Il parallelismo S.- Gramsci viene
ribadito sottolineando che entrambi hanno vissuto il fallimento di una
rivoluzione, hanno cercato di interpretare la sconfitta in senso concettuale
negli anni successivi, e sono stati apprezzati soltanto due decenni dopo la
morte. L'articolo si conclude sottolineando la differenza tra hegelismo
ortodosso di Vera e hegelismo critico di S., continuato idealmente da Gramsci.
SAVORELLI, Da Darwin a Vaihinger; scienza e filosofia nell'ultimo S., “Atti
dell’Accademia di scienze morali”, Napoli. Tema di fondo dell’articolo è la
volontà spaventiana di garantire alla metafisica una funzione all’interno dello
studio scientifico. Nonostante la fase sistematica si fosse già conclusa,
sarebbe errato interpretare il cedennio successivo se non alla luce di una
esigenza di sistematicità. Lo stesso antipositivismo cui si ispira da principio
il “Giornale napoletano di filosofia e lettere” non mirava alla rigida
contrapposizione, bensì a mostrare lo sviluppo interdipendente di filosofia e
scienza. Savorelli sottolineacome gli appunti di S. testimonino la lettura di
Leclair, Schuppe, Goring, Bagehot e Vaihinger, quest’ultimo in particolare
criticato proprio perché le sue categorie empiristiche potevano essere ottenute
mediante un procedimento dialettico. L’esigenza del fenomenismo di Vaihinger di
trovare la legge fondamentale della realtà contraddiceva, secondo S., l’idea
della sensazione come posizione assoluta. La rivisitazione persino
dell’evoluzionismo in chiave hegeliana mostra un intento preciso: eliminata la
trascendenza, si doveva recuperare una prospettiva teleologica per non cedere
al mero determinismo meccanicistico. Savorelli segnala come l’attenzione alla
scienza verrà segnalata anche dal Gentile, per il quale però soprattutto certe
tematiche non costituiscono più motivo di interesse. CESA, Hegel in Italien.
Positionen im Streit um die Interpretation der
Hegelschen Rechtsphilosophie, in
“Allgemeine Zeitschrift fur Philosophie. A differenza che in Francia, in Italia
lo studio dell’hegelismo fu recepito solo all’insegna del rinnovamento della
nazione e dell'idea di Sato. La prima traduzione italiana di Hegel apparve in
Svizzera e i Lineamenti di filosofia del
diritto furono tradotti a Napoli, città simbolo degli studi hegeliani in
Italia. Dopo aver rilevato che in S. e Meis la perspicacia speculativa si univa
ad una incapacità pratica (ovviamente diverso è il giudizio su Sanctis), Cesa
mostra a quali opere si deve la diffusione del pensiero politico di Hegel. Si
sottolinea la l’attività giornalistica di Silvio S., anche al fine di
dimostrare la differenza di opinione dei due fratelli sul concetto di
Rivoluzione. Dopo aver analizzato l'influsso e la diffusione del pensiero
hegeliano sulla prima generazione (significativi in tal senso gli accenni al
pensiero di Vera), ci si concentra sulla seconda generazione, in particolare su
Croce e Gentile. D. ORSI, Introduzione a B. S., Psiche e metafisica, Editrice
G. D'Anna, Messina-Firenze. Nell’introduzione al volume D’Orsi sottolinea le significative
variazioni al testo spaventiano in seguito al suo lavoro filologico, anche
attraverso una valutazione comparata con i testi editati dal Gentileeutilizzati
poi da Cubeddu. Si sottolinea la sfortuna delle vicende editoriali di S.,
benché in chiave filosofica si possa interpretare questo fenomeno come tensione
che anche a livello filologico e non solo contenutistico contribuisce a
mantenere aperto il sistema. Venendo specificamente al testo, S. appariva
turbato dal materialismo, a motivo del fatto che l’anima doveva essere
mantenuta come garante dell'unità organica e sistemica del mondo spirituale. La
continuità scimmia-uomo era un elemento inaccettabile per l’autore abruzzese,
sempre preoccupato di opporre al mero meccanicismo l’idea di una unità viva,
tipica della concezione organicistica. TESSITORE, S. e il “Giornale napoletano
di filosofia e lettere”, Bibliopolis, Napoli. Presentando le vicissitudini
dell’organizzazione si un giornale filosofico a Napoli, tentativo più volte
fallito e più volte tenacemente ripetuto fino alla sua definitiva riuscita,
soprattutto in risposta alla “Nuova Antologia” nata a Firenze, Tessitore si
concentra sulle polemiche suscitate dall’articolo piuttosto polemico di S.
sulla Vita di Bruno scritta dal Berti. Elemento essenziale per comprendere il
senso e l’intento con cui venne fondato il “Giornale napoletano di filosofia e
lettere” è comprendere l’espressione di S. secondo il quale si rendeva
necessario “ripigliare il sacro filo della nostra tradizione filosofica”. Al
termine del volume sono inserite sei lettere di S. (Carte Fiorentino) e quattro
lettere di VImbriani (Carte Filosofiche, busta. BRESCIA, Editori e autori
dell’idealismo. LL S. postumo nel carteggio del fratello Silvio, Donato Jaja e
Benedetto Croce, in “Rivista di studi crociani”. L’articolo rileva come alla
complicata vicenda della stesura degli appunti da parte di S., che secondo
Gentile scrupolosamente scriveva i suoi testi senza mai pubblicarli, sia
seguita una seria problematica anche nell’editarli. Il Loscher fu editore
soltanto di nome, perché l'onere della pubblicazione dei manoscritti di S. fu
assunta dal Vecchi di Trani, con il quale si avviò una fitta corrispondenza da
parte di Silvio S., Jaja e Croce. Il travaglio editoriale angustierà S. e Croce,
anche a motivo dello smarrimento della pagina ventuno del manoscritto nella
tipografia del Vecchi, puntualmente ricordata da Brescia. FRANCHINI, La
storiografia filosofica da S. a Gentile, in “Nord e Sud, I/ diritto alla
filosofia, SEN, Napoli. La “Rivista di filosofia” avviata da Silvio S. viene
considerata da Franchini come anticipazione della teoria della circolazione che
sarà poi affermata con ben altro tenore dal fratello Bertrando quasi vent'anni
dopo. Anche Silvio, non solo Bertrando, vedeva una strettissima connessione tra la rinascita
della tradizione filosofica e la rinascita nazionale. Introdurre Hegel
all’interno del dibattito filosofico italiano rappresentava un azzardo, a causa
delle forti resistenze del neoguelfismo e del neotomismo; l’unico modo per
inserire l’idealismo tedesco in Italia, rendendolo accettabile senza farlo
percepire come elemento straniero, consisteva nel rivalutare il pensiero
rinascimentale italiano come anticipatore degli sviluppi della filosofia
moderna. In particolare Bruno come antesignano di Spinoza ed Hegel da una parte
e Vico come precursore di Kant dall’altra. Si ricorda anche lo sfortunato
episodio del rifiuto dell'editore Le Monnier di pubblicare l’opera di S. su
Bruno, nonostante l’influenza e l’insistenza del Villari. Nazionalità e
precorrimento sono i tratti tipici del pensiero di S. secondo Franchini. La
seconda parte dell'intervento riguarda Gentile e la sua assimilazione del
concetto di storia della filosofia mutuato da S., che tuttavia non viene mai
citato esplicitamente: Gentile attribuirà piuttosto molto peso all’influenza di
Windelband. Il saggio si trasforma poi in una valutazione del pensiero stesso
di Gentile, il cui errore principale, secondo Franchini, sarebbe stato quello
di non aver distinto tra teoretica e pratica, tentando di mostrarne la profonda
identità. MICHELI, Scienza e filosofia da Vico ad oggi, in Storia
d’Italia-Annali, 3. Scienza e tecnica nella cultura e nella società dal
Rinascimento ad oggi, Einaudi, Torino. Alla figura di S. sono dedicate alcune
pagine in cui si tratta la sua critica ai principi della filosofia vichiana
sulla scorta del pensiero hegeliano. Si accenna anche alla sua teoria della
nazionalità della filosofia, rimasta in Gentile. Forse un po’ troppo
sbrigativamente si annovera il pensatore abruzzese tra coloro che adattarono il
pensiero kantiano ed hegeliano alla cultura napoletana, in parte tradendone gli
effettivi contenuti. Brevi cenni sull’attività di S. sono presente anche nella
trattazione del rapporto tra Illuminismo e positivismo. SAVORELLI, Le carte S.
della biblioteca nazionale di Napoli, Bibliopolis, Napoli. Il preziosissimo
lavoro di catalogazione delle carte S. eseguito da Savorelli trova una
testimonianza editoriale in questo volume nel quale l’autore lamenta
l’incompiutezza del lavoro fino a quel momento eseguito sulle carte ed in
generale mostra il livello di dispersione dei lavori del filosofo abruzzese,
dovuto non tanto, come voleva il Gentile, alla sua attività pubblicistica su
giornali e alla mancata pubblicazione in vita dei suoi studi, quanto piuttosto
ai litigi occorsi tra il fratello Silvio e il figlio Camillo. Un secondo
momento di dispersione riguarda il periodo successivo alla morte del Maturi. Si
accenna anche al ritrovamento di alcune carte presso la Biblioteca civica “A.
Mai” di Bergamo da parte di Masini. Sicuramente, però, la situazione più
complessa è legata alla Biblioteca Nazionale di Napoli. Se si tiene conto del
lavoro filologico di Jaja, Masci e Maturi, oltre a quello di Gentile (che sicuramente
occupa un posto di eccezione nella riscoperta del pensiero di S.) e quello di Orsi
nel dopoguerra, risulta frustrante che vi siano ancora delle notevoli lacune
nello studio dell’autore: soprattutto per quanto riguarda il primo periodo di
Torino. GUZZO, Hegel in Italia, in “Filosofia. Nell’articolo l’importanza del
Cousin per la diffusione di Hegel in Italia viene avvalorata dall’interesse del
Galluppi per l’intellettuale francese. Non si dimentica la lettura di Hegel da
parte di Rosmini e Gioberti, ma ci si concentra soprattutto sullo studio
dell’autore tedesco, approfondito a più riprese, da parte di S.: da Torino, a
Modena, a Napoli. Guzzo collega la lettura di S. alla nuova corrente europea
inaugurata dallo Zeller con la formula “Zurick zu Kant”; in dialogo ed in
polemica con questa tesi, S. non accentuò mai le differenze, quanto piuttosto
la continuità tra Kant ed il movimento dell’idealismo tedesco. Nella seconda
parte dell’articolo l’attenzione si concentra su Gentile e Croce (di cui Guzzo
riporta l’incontro con Nyman e Martinetti): le divergenze di pensiero tra i due
non intaccheranno la solida amicizia, compromessa solo dopo il delitto
Matteotti e la presa di posizione di Gentile a favore del fascismo. LANDUCCI,
Scienza, cultura e ideologia nello stato unitario, in Storia della società
italiana, Milano. Fin dalle premesse emerge il contributo portato da S. alla
riforma dell’università avviata da De Sanctis, precisando l’importanza della
prolusione e l’opposizione al darwinismo, appoggiata dall’amico Meis. Due
fattori sono individuati come caratteri imprescindibili del pensatore
abruzzese: il riferimento alla nazionalità e la strenue lotta contro ogni forma
di materialismo. Al positivismo dilagante De Sanctis e S. opposero la validità
della critica e della dialettica come metodo del conoscere. La presentazione
della riforma intellettuale avviata dal De Sanctis precede una disamina dello
scritto postumo Esperienza e metafisica, nel quale si ribadiva il rifiuto ad
ogni concezione che affermasse l’inconoscibilità o peggio l'assenza
dell’assoluto. S. al termine è definito “l’intelletto filosofico più dignitoso
che l’Italia unita aveva avuto. SAVORELLI, Alla vigilia di un centenario dieci
anni di studi su S., Cultura e società. Nel suo breve articolo Savorelli
ripercorre le linee guida della diffusione del pensiero di S., dominata per
tutta la metà del XX secolo dalle tesi gentiliane, criticate soltanto nel
secondo dopoguerra da interventi militanti, con l’intento di recuperare la
linea S.-Labriola-Gramsci. Il lavoro di Teresa Serra del ’74 mostra già
l’infondatezza delle interpretazioni marxiste, mentre la lettura di Oldrini è
ricordata a proposito della distinzione tra hegelismo ortodosso di Augusto Vera
ed hegelismo critico di S.. Si accenna all’articolo di Cumis sui rapporti tra S.
ed Herbart e alle Lezioni di Antropologia curate da D’Orsi. Al termine
Savorelli propone la tesi secondo cui l’originalità ed insieme il limite di S.
sarebbe stato quello della rinuncia all’eclettismo in favore di un sistema che
tenesse insieme le differenze. OLDRINI., L’hegelismo italiano tra Napoli e
Torino, in “Filosofia. Volontà dichiarata di Oldrini è mostrare la linea di
continuità tra il periodo napoletano prequarantottesco e gli sviluppi torinesi,
soprattutto in virtù dello stretto rapporto tra la scientificità come
metodologia filosofica e la cultura dell’Italia unita, nel senso che si
reputava necessaria una trattazione scientifica del pensiero per farne emergere
la nazionalità. Oldrini individua nel coscienzialismo di Galluppi e
nell’eclettismo di Cousin il retroterra dello sviluppo dell’hegelismo a Napoli;
dopo l’esperienza del “Museo di letteratura e filosofia” di Gatti e Cubani, il
tenore culturale della città subì, se non un tracollo, per lo meno una drastica
involuzione. Il processo di sviluppo dell’hegelismo continuò a Torino,
soprattutto grazie all’apporto degli esuli meridionali tra i quali spiccano S.
e De Sanctis. TOGNON, S. Lezioni inedite di filosofia del diritto. Modena e in
“Archivio storico bergamasco. L’articolo di Tognon illustra le disavventure
della biblioteca dei fratelli S., trasferita a Bergamo, divisa tra Silvio e il
figlio di Bertrando, Camillo, con riferimento alle carte recuperate da Croce e
donate alla Biblioteca di Napoli. Si elogia il lavoro di riordino e
catalogazione di Savorelli. Si riporta poi il testo parziale delle lezioni di
“Filosofia del diritto” e di “Storia della filosofia” tenuti a Modena e
Bologna. Alla difficoltà nel ricostruite il calendario delle lezioni supplisce
una notevole chiarezza del progetto steso da S. all’inizio dei corsi. Si
riporta il manoscritto per i primi sei fogli. TOGNON, S.. Lezioni inedite di
filosofia del diritto. Modena, Archivio storico bergamasco”. L’introduzione di
Tognon ribadisce l’influenza di Hegel sulle lezioni di S., in particolare
l’Hegel della Fenomenologia e dei corsi sulla Filosofia della storia. S. coglie
l'occasione per sottolineare che in Italia manca completamente la coscienza del
diritto. Secondo Tognon “mai filosofo straniero divenne più italiano di quanto
lo fu lo Hegel dello S.”. Segue lo scritto di S. che completa la pubblicazione.
SAVORELLI, Note sul Vico di S., in “Bollettino del Centro Studi Vichiani. Vico
costituisce un caso quasi unico di riscoperte e abbandoni continui da parte
degli studiosi, ed è in questo senso che Gentile poteva parlare di storia a
doppia faccia, di sporadici omaggi in uno sfondo di completa dimenticanza.
Merito di S. è quello di aver rivalutato la figura di Vico agganciandola al
panorama europeo, in quanto precursore dell’idealismo. Savorelli tende comunque
a ridimensionare l’importanza della lettura spaventiana di Vico, in quanto si
appoggia in larga misura a canoni e modelli di critica vichiana ottocentesca;
la stessa lezione del corso dedicata a Vico, sembra inserita di getto in uno
schema completamente indipendente ed autonomo. Savorelli riconosce, d’altra
parte, il ruolo essenziale che la lettura di Vico ebbe nello sgretolamento
delle teorie hegeliane sulla filosofia della storia: nel frammento del 1875 S.
giunge a considerare addirittura Vico e non Hegel come filosofo della storia.
La crisi dell’idealismo cui S. assiste nell’ultimo decennio della sua vita lo
portò a rivalutare Vico, ma non come radicale critica dello Hegel, bensì
piuttosto come interpretazione alternativa della filosofia della storia che
tuttavia mantiene imprescindibile la distinzione tra mondo della natura e mondo
dello spirito. M. BISCIONE, Rinascimento, Riforma, Restaurazione cattolica nel
pensiero di S., Clio. A partire dalla scarsa diffusione all’estero come tratto
che accomuna l’opera di De Sanctis e di S., Biscione tenta una messa a fuoco
del personaggio in quanto storico della filosofia, anche per smarcarlo
dall’interpretazione in chiave esclusivamente idealistica proposta da Gentile e
dominante almeno per tutta la prima metà del Novecento. Se da un lato hanno un
valido fondamento le critiche del Croce relative ad una trascuratezza da parte
di S. verso i dettagli storici in favore della prospettiva teoretica, bisogna
precisare che non si tratta di puro razionalismo, bensì piuttosto di una fede
moderna nella storia. Benché si tenda ad accentuare l’influenza di Michelet e
di Mazzini, non si può negare una larga concessione nei confronti delle
suggestioni hegeliane. La filosofia della storia proposta da S. coincide, in
sostanza, con la teoria della circolazione del pensiero italiano: ruolo
principale è svolto dalla figura di Campanella, senz'altro tra le più studiate
da S., insieme a quella di Bruno. L’interpretazione che S. propone del
Rinascimento e della restaurazione cattolica assume una notevole distanza
rispetto alle teorie hegeliane, anzi, per certi versi le sue tesi sulla
soggettività liberata anticipano di qualche anno le tesi di Burckhardt. Dal
lavoro di Campanella del 1854, che l’autore definisce poco più che una
osservazione supportata da alacre speranza, furono necessari anni di studio
prima di giungere alla teoria della circolazione intesa come autentica
metafisica della storia. GARIN,
Filosofia e politica in S., Bibliopolis, Napoli. Il testo di Garin si apre con
la citazione di una lettera del Labriola che informa Engels della connessione
trovata da S. tra hegelismo e darwinismo. Se è vero che negli sviluppi
successivi della tradizione hegeliana la nottola lascia il posto alla talpa che
trasforma il terreno lavorando nel sottosuolo, risulta inefficace l’idea di
Passerini secondo la quale la filosofia della storia di Hegel non tiene conto
del futuro: piuttosto lo spirito che si diffonde nel mondo mostra il potere del
concetto che vuole ricreare la realtà. Garin precisa che S. non tradì mai il
suo autentico maestro, lo Hegel, a differenza di quanto accadde per il De
Sanctis, cui Hegel aveva seccata l’anima: l’interpretazione originale del
pensiero hegeliano, mai allinsegna di una mera ripetizione meccanica, portò S.
ad utilizzare gli strumenti della dialettica per ribadire l’importanza dei due
soli (Rinascimento italiano e Idealismo tedesco) e per legittimare l’intima
affinità tra i due, accomunati da una intrinseca avversione a qualsiasi forma
di dogmatismo. In appendice è riportato un intervento di Tognon, la prolusione
bolognese, di cui si sottolinea una correzione e infine una lettera di Bertando
S. al fratello Silvio. OLDRINI, U/tizzi contributi alla storia della cultura
filosofica napoletana dell'Ottocento, in “Rivista critica di storia della
filosofia”, XXXVIII, 1983, 325-357. Mostrando l’interconnessione tra la storia
della vita reale e la storia della cultura nella Napoli dell'Ottocento, Oldrini
si sofferma sul centralismo della classe dirigente italiana e sulla
malformazione dello sviluppo del meridione come fattori della crisi della città
negli anni ’30. Oldrini lamenta numerose lacune della storiografia sulla
pubblicistica e sul vichismo napoletano, contestando la tesi di Broccolini,
secondo cui S. sarebbe un epigono di Finamore. Veri snodi critici sono i legami
tra hegelismo e Destra storica da un lato e ridimensionamento dell’hegelismo e
del vichismo in favore del positivismo dall’altro. Per questi motivi si
apprezza il monumentale lavoro di Malusa, dedicato al positivismo e al
neokantismo, benché alcuni limiti siano rintracciati per esempio nell’eccesso
di analisi espositive e in alcuni difetti di interpretazione sul pensiero del
Fiorentino. FRANCHINI, Cozze riscoprire S., Il Tempo, Roma. Di contro
all’interpretazione comune di S. come bieco immanentista, Franchini rivendica
tutto il criticismo del filosofo abruzzese, sottolineando che “non credette mai
all’unicità e alla definitività della costruzione hegeliana”; oltre allo straordinario
sforzo di chirificazione del pensiero di Hegel, si deve aggiungere la capacità
di elevare il dibattito italiano ai livelli di quello europeo, tratto che
dovrebbe delegittimare ogni tentativo di interpretare la sua esperienza
filosofica all’insegna del provincialismo. Alla base del pensiero spaventiano
Franchini individua l’unità del sapere, esposta nella prolusione. MARTANO, S. e
la filosofia del Rinascimento, in “Discorsi. La nomina di S. a Professore di
Logica e Metafisica a Napoli, voluta da Sanctis, scandalizza il resto del corpo
docente, a causa dell’elogio del panteismo germanico proposto dal filosofo
abruzzese: suo autentico obiettivo, d’altro canto, era mostrare l’intima
affinità tra il pensiero idealistico tedesco e quello rinascimentale italiano.
L’assunzione della realtà soltanto nel suo essere pensata costituiva il nucleo
dell’insegnamento spaventiano, per cui Cusano, Valla, Pomponazzi, Telesio e lo
stesso Leonardo con il suo richiamo alla sperienza dovevano essere visti quali
precursori di Kant ed Hegel. Privilegiato fu il rapporto con Bruno e Spinoza,
che S. associò tra loro, ma non sulla base di interpretazioni teologizzanti. Da
ultimo Campanella viene certamente considerato come filosofo della
Restaurazione cattolica, ma non di può dimenticare il suo senzzr di sentire,
l’importanza del ruolo della soggettività, benché ancora compromesso da un
residuo naturalistico. Il carattere precursore di Vico rispetto all’idealismo
tedesco è dichiarato da S. con il preciso intento di mostrarne le affinità
nella trattazione del materiale storico. Tutto questo percorso deve essere
valutato alla luce della profonda fede che S. nutriva verso il progresso,
alimentato da costanti e continui sforzi umani. P. DI ATTILIO, Rivoluzione,
partiti politici e stato nazionale. Nuovi testi di S., Giuffrè, Milano. Analizza
la formazione del giovane S., riferendosi all’influenza di padre Testi al
monastero di Montecassino; proprio in quegli anni emerge già una vocazione più
pratica del fratello Silvio rispetto all'anima teoretica di Bertrando. Il
capitolo secondo si concentra sulla prolusione di Modena del 1859, dove si
mostrava la nuova scienza storica in contrapposizione al puro arbitrio della
libertà da un lato e alla bieca necessità meccanicistica dall'altro. Nella
disamina degli articoli pubblicati sul “Progresso”, all’interno del capitolo
terzo, si sottolinea l’importanza e la superiorità delle idee nel creare
l’unità, laddove al Dio Cannone veniva contrapposta la Dea Ragione. A.
SAVORELLI, Riforma della dialettica, riforma del sistema: crisi e
trasformazioni dell’'hegelismo in S., in B. S., Esperienza e metafisica,
Napoli, Morano. Savorelli sottolinea che la prima fase degli anni ’60 è legata
ad un utilizzo della filosofia hegeliana nel senso di una filosofia della
storia che attraverso la teoria della circolazione del pensiero italiano
consolida su basi metafisiche l'indipendenza e l’unità d’Italia, mentre invece
S. dove affrontare la cosiddetta crisi dell’idealismo (già un quegli anni
Zeller si faceva promotore dell’esigenza di ritorno a Kant). I temi sollevati
dalle teorie di Darwin e dal positivismo imponevano un serio confronto con il
sistema della dialettica: il progressivo sgretolamento del sistema comportò per
S. non un abbandono del pensiero hegeliano, quanto piuttosto il consolidamento
di un nucleo originario di verità metafisiche idealistiche, non certo nel senso
di una rigidità dogmatica, quanto piuttosto di apertura del sistema a nuovi
sviluppi che tuttavia, lungi dallo smentire, contribuivano a confermare la
logica dialettica correttamente interpretata. M. LEOTTA, La filosofia di Tari,
Istituto italiano per gli studi storici, Napoli. L’opera, che analizza il
pensiero di Tari secondo una triplice scansione, ossia Metafisica, Estetica e
Filosofia della natura, prevede un’ampia Introduzione dove si presenta una
biografia molto dettagliata dell’autore: in queste pagine il riferimento a S. è
assai frequente. Si ricorda la passione per la matematica che accomunava i due
pensatori, l'amicizia nata nel soggiorno a Montecassino nel soggiorno durante
il quale Tari insegna a S. i rudimenti della lingua tedesca ed infine la
collaborazione all’Università di Napoli dopo la riforma avviata da De Sanctis.
Nell’introduzione sono anche riportate due lettere di Tari a S., nelle quali si
ringrazia il filosofo abruzzese per l’aiuto offerto in occasione della nomina
di Tari rispettivamente a Professore straordinario e la ben più sofferta ed
attesa nomina del ‘73 a Professore ordinario. Nell’ultima parte
dell’Introduzione si riportano anche alcune parti della lettera con cui Tari
raccomandava a S. Antonio Labriola, allora giovane studente di filosofia notato
da Tari per la sua vivacità intellettuale. ORSI, Introduzione a LOTZE, Elementi
di psicologia speculativa, Casa Editrice G. D'Anna, Messina- Firenze. La
prefazione di Negri elogia Orsi come il più fedele studioso di S..
L’Introduzione di D’Orsi interpreta il binomio Lotze-S. come anticipazione di
quella collaborazione tra filosofo e psicologo tanto comune nel Novecento. Di
entrambi si sottolinea l’anticonformismo rispetto al positivismo e al
materialismo imperanti. Lotze in Germania e Maine de Biran in Francia adottano
una visione non riduzionistica della mente umana, privilegiando
l’impenetrabilità dell’intimità dell'anima. Il recupero di un'ottica
speculativa e metafisica, precisa Orsi, implica una ripresa della prospettiva
teleologica ed una esaltazione della valenza critica della soggettività.
L’affinità elettiva e speculativa tra S. e Lotze è dovuta al medesimo
atteggiamento di rifiuto della trascendenza e insieme di rifiuto del mero
materialismo; nel caso di S. D’Orsi sottolinea quanto la vicenda personale di S.,
che è stato prete per circa un decennio prima dell’esilio torinese. Questa
psicologia speculativa — secondo D’Orsi — appare quale autentico gioiello
speculativo. All’Introduzione segue la traduzione di S. degli Elementi di
psicologia, preceduta da una serie di appunti e preliminari che costituiscono
il materiale preparatorio. R. ROMEO, Cavour e il suo tempo, Laterza, Bari. Nell’ampio
studio di Romeo sulla figura di Cavour, articolato in tre libri, alcune pagine
dedicate esplicitamente a S. si trovano nell’ultimo volume, dove lo si presenta
come autore di una nuova interpretazione di Hegel come filosofo
dell’innovazione, contro le tesi che circolavano a Napoli prima del ’48 per cui
il filosofo tedesco era considerato filosofo del fatto compiuto. Altri cenni
sporadici a S. riguardano la sua attività di scrittore su “Il Cimento”, assieme
a De Sanctis ed il suo giudizio negativo sulla situazione piemontese espresso
in una lettera al fratello Silvio. BARONE, S. e il positivismo, in “Libro
aperto”, Barone ricorda di aver attraversato il pensiero di S. nei suoi studi
sul positivismo, riferendosi in particolare alle opere psicologiche edite dal
Gentile. Prendendo spunto dalla famosa lettera del Labriola ad Engels in cui S.
viene presentato come conciliatore tra Darwin e Hegel, Barone concorda con
l’opinione di Gentile secondo la quale S. fece sempre i conti onestamente con
il positivismo, benché lo stesso Gentile svaluti troppo il ruolo ed il peso
della scienza nel suo sistema: certamente il gran valore assegnato alle
riflessioni politiche e metafisiche contribuisce a porre in secondo piano il
rapporto di S. con la scienza. L’elemento che ogni autore tende a sottolineare,
da Cubeddu a D’Orsi passando per Vacca, è la volontà di evitare ogni
riduzionismo fisiologico a proposito della psichicità, rivendicando la
superiorità dell’atto rispetto al fatto da cui prende avvio ogni analisi
scientifica. Barone non risparmia critiche
all’interpretazione superficiale dell’evoluzionismo darwiniano proposta
da S., ma concorda sull'efficacia e l’attualità delle analisi critiche di S. ai
concetti utilizzati dalla fisiologia. L'articolo confluirà poi nel volume Dalla
scienza della logica alla logica della scienza. FOCHER, S. di fronte al
positivismo, Criterio. Dopo aver presentato S. come uno di quegli intellettuali
convinti che la propria epoca coincidesse con la piena manifestazione del regno
dello Spirito, Focher precisa che le riflessioni del filosofo abruzzese, nel
tentativo di rendere popolare Hegel e non volgare, come scrisse al Villari,
risultano ancora assai attuali sul piano politico, molto meno su quello
scientifico, a causa delle grandi novità della scienza del XX secolo. Per
recuperare il valore della critica spaventiana al positivismo, si deve quindi
porre in risalto il valore che assume l’uomo nel contesto storico: la storia è
positivismo, è l'assoluto fare umano. In questa chiave è possibile vedere in S.
un elemento di stringente attualità in quanto esalta l’uomo in quanto essere
libero e assoluto. L’articolo di Focher sarà inserito tra gli interventi che
compongono il libro Dalla scienza della logica alla logica della scienza. SAVORELLI, Hegel e Gioberti: Prime
reinterpretazioni e revisioni in S., Annali della Scuola Normale Superiore di
Pisa. Il rapporto tra S. e Gioberti ha subito numerose modifiche nel corso
degli anni: Savorelli rileva che al superamento di una lettura e di una
comprensione generica dell’hegelismo segue una rivalutazione da parte di S. del
pensiero italiano ed in particolare di Gioberti. Se è vero che nel ‘49 Gioberti
viene denigrato da S., già nel ’55 si assiste ad una parziali rivalutazione del
suo pensiero, in quanto conciliatore della nuova visione del mondo hegeliana
con il cattolicesimo. Nel ’57, tuttavia, Gioberti è di nuovo “un fanfarone” e
soltanto negli anni ’60 ‘anche per consolidare la tesi di circolazione del pensiero
italiano Gioberti viene definitivamente rivalutato. Savorelli, tuttavia, non
accetta l’idea che l'apprezzamento per il teorico del neoguelfismo sia dovuto
solo ad una esigenza del momento, ma tende piuttosto ad inserirlo all’interno
di una più vasta operazione di aggiornamento del dibattito filosofico italiano.
Gioberti verrebbe rivalutato anche come risposta ad Hegel: la stessa riforma
della dialettica mira ad un superamento della dicotomia arbitrio/necessità
all’interno della filosofia della storia. A questo proposito Savorelli avanza
l'ipotesi che anche lo Schelling sia stato utilizzato da S. non tanto per
confutare, quanto piuttosto per integrare e consolidare le tesi hegeliane. La
medesima integrazione e difesa di Hegel avviene sul campo politico: Savorelli
tende a precisare che la soluzione individuata da S. in questo campo è il calco
di quella attuata sul piano logico e metafisico. AAVV., S. Dalla scienza della
logica alla logica della scienza, Pironti, Napoli. Il volume raccoglie una
serie di saggi ed è introdotto da Franchini con un analisi sui caratteri del
pensiero spaventiano in rapporto al tema della nazionalità. Il saggio di
Francesco Valentini riguarda il rapporto Hegel-S. in relazione alla Scienza
della logica. L'intervento di Italo Cubeddu si concentra sul binomio Gentile-S.
e sull'importanza della circolazione a proposito della riforma della dialettica
hegeliana. Vittorio Stella contribuisce a mostrare l'influenza di S. sul
pensiero di Gentile e di Croce, pur nella diversità delle loro interpretazioni
sulla vicenda del filosofo abruzzese. Martano presenta S. storico della
filosofia, la cui teoria della circolazione si muove all’insegna della fede nel
progresso della storia (articolo apparso in “Discorsi”). Mentre Verra
approfondisce i nessi tra S. ed il trio di logici tedeschi Trendelenburg-
Werder-Fischer, Tessitore si occupa del nesso decadenza-rinascenza,
evidenziando due linee di continuità, Machiavelli-Lutero e Cartesio-Lutero,
nella quale si inserisce anche la figura di Galileo. D’Orsi si sofferma sui
criteri ecdotici nella ricostruzione filologica del pensiero di S.. Barone e
Focher specificano il rapporto tra S. e la scienza della seconda metà
dell'Ottocento (rispettivamente in “Libro aperto” e Criterio. Cotroneo
distingue all’interno della scuola spaventiana la direttrice Maturi-Jaja da
quella di Tocco e Masci. Roehssen esamina la figura del fratello di S.. A
questi saggi si aggiungono interventi di Pasquale Socco, Attilio, Savorelli,
Reda e Brescia. Al termine del volume è presentata una bibliografia di testi
scritti su S., curata da Savorelli, Rascaglia e Reda, come prosecuzione della
bibliografia ragionata di Italo Cubeddu. CUBEDDU, Da S. a Gentile: Kant e il
neotdealismo, in La tradizione kantiana in Italia, Atti del convegno della
Società filosofica italiana (Messina Edizioni G. B. M., Messina. Secondo
Cubeddu l’interpretazione del pensiero kantiano offerta da S. dipende nelle sue
linee essenziali dalle critiche presenti in Fede e sapere, benché il difetto
del dualismo e della “tenerezza per le cose del mondo” non impedisca al
pensatore di Bomba di ammirare l’idea dell’unità della coscienza e della
sintesi a priori. Assai apprezzato risulta il capolavoro su Gioberti, nel quale
Kant, pur non essendo un protagonista assoluto, non è mai relegato al ruolo di
semplice comprimario. Passando al Novecento, Cubeddu si sofferma sulla
posizione gentiliana che aveva proposto un ritorno da Kant a Hegel, ravvisando
nell’intrascendibilità del pensare il guadagno comune di entrambi. A tal
proposito si cita il saggio sulla Riforzza della dialettica, dove si tenta di
correggere la posizione kantiana mediante l’hegelismo, corretto esso stesso nel
Sistema di logica, nel quale si propone una categoria unica del pensare.
Cubeddu precisa come S. non abbia mai compiuto quella riforma neohegeliana di
Kant, in quanto non considerò la conoscenza come pura unità analitica della
mente. MARCHI, S. e Popper, in “Criterio. Molti sono i preamboli necessari a
Marchi per introdurre questo insolito parallelismo: nonostante la diversa, per
non dire opposta, interpretazione che i due autori offrono di Hegel e
dell’idealismo tedesco in generale, l’elemento comune ai due pensatori è il
rifiuto di qualsiasi prospettiva riduzionistica. Non è certo necessario
precisare quanto S. sia sensibile alle sollecitazioni delle scienze del proprio
tempo, senza però mai rinunciare all'importanza dell’analisi critica, possibile
solo tramite il pensiero filosofico: le sue tesi contrarie ad ogni riduzionismo
dell'anima (del pensiero) al semplice cervello o ad un insieme di elementi
materiali sono ben note. A partire da un percorso intellettuale decisamente
differente, anche Popper si oppone alla “chiusura del mondo fisico”,
dimostrandosi non molto lontano, su questo punto, dallo S. di Psiche e
Metafisica. Popper, particolarmente, rinvia all'esistenza di tre mondi, quello
materiale, quello della coscienza e quello della cultura, interagenti tra di
loro, ma di certo non riducibili al primo. Infine, mediante alcune citazioni
dall'opera di Popper Lio e #/ suo cervello, si tende a sottolineare come
l’autore sia convinto che l’io possieda il cervello e non viceversa,
avvicinandosi molto in tal senso alle tesi spaventiane del “senso di sé” come
nucleo profondo del pensare. Gli begeliani di Napoli e la costruzione dello
stato unitario, Istituto italiano per gli studi filosofici, Napoli Già
nell’Introduzione al volume il ruolo svolto dai fratelli S. assume
un'importanza centrale nella costruzione teorica e pratica dello stato
unitario. Se il lungo intervento di Croce si riferisce spesso alla figura di S.,
nella lettera di Strater, pubblicata per intero nel volume, appare evidente
l'ammirazione nei confronti del filosofo di Bomba per aver posto in relazione
pensiero italiano e pensiero europeo. La prima parte dell’opera, curata da
Saverio Ricci, sottolinea il declino culturale di Napoli causato dalle
emigrazioni degli intellettuali nel ’99 e nel ’21; altro elemento cruciale è la
sostanziale inefficacia del tentativo di educazione delle masse che portò alla
repressione. La seconda sezione, di Maria Rascaglia, mostra quale fosse
l’arretratezza del Piemonte in campo culturale rispetto a Napoli e quindi le
difficoltà di De Sanctis e S., costretti all’attività di giornalisti. Ben
diversa la situazione al ritorno a Napoli dove ai due protagonisti si aggiunge
anche la figura di Vera. La terza parte è dedicata alla scuola di S., in
particolare a Fiorentino e Labriola. Una quarta sezione è dedicata al fratello
Silvio. Il volume si conclude con due appendici di Giampiero Griffo e Piera
Russo. SAVORELLI, S. e Galileo, in Galileo a Napoli (LOMONACO e TORRINI cur.),
Guida, Napoli. L’intervento di Savorelli tende a precisare che le letture
spaventiane e le sue tesi sui precorrimenti, benché segnate da forti
deformazioni e distorsioni, rappresentano un contributo originale e sempre
innovatore rispetto al dibattito storico-filosofico dell'Ottocento. Galileo non
solo non è un autore classico della trattazione spaventiana, anzi, viene citato
raramente nei suoi lavori e viene studiato in maniera specifica. Spesso S.
attenuò il lato di modernità attribuito dalla critica a Galileo, che fu
pertanto escluso dalla ricostruzione del pensiero italiano, in quanto
considerato un uomo di scienza piuttosto che un intelletto speculativo; ben
nota è la ritrattazione a pochi mesi dalla morte. Essenziale, secondo
Savorelli, l’influenza di Natorp nella riscoperta di un Gelileo criticista e
non semplice empirista: sotto questa luce Galileo fu assimilato forse troppo
frettolosamente da S. alla linea Kant- Hegel, accentuandone alcuni tratti, come
ad esempio lo studio dell'a priori che lo distingueva dall’ingenuità dei
positivisti della seconda metà dell'Ottocento. Forse eccessive sono le tesi di
un Galileo precursore di Kant, anche perché lo studio di S. assume un taglio
speculativo più che storico, avendo come obiettivo la confutazione di alcune
tesi di Vaihinger. G. OLDRINI, Filosofia e coscienza nazionale in Bertando S.,
Quattroventi, Urbino. L’idea che l’assoluto avesse definitivamente perso il
proprio carattere trascendente non deve condannare al determinismo
immanentista, bensì aprire la strada all’idea della ragione come autentica
creatrice di storia. Le due anime che si mostrano in S., ossia il demone
speculativo da un lato e la necessità di una diffusione di Hegel sul piano
filosofico e politico, determinano il contrasto con il neotomismo che in quegli
anni voleva proporsi, grazie al sostegno di Corinaldi e Liberatore, come
autentico erede della tradizione filosofica italiana. Oldrini non manifesta
particolare entusiasmo per le continue alterazioni del testo spaventiano dovute
a ricerche filologiche proposte da D’Orsi e sottolinea che il cuore del discorso
dell’abruzzese era l’affermazione dell’hegelismo di contro al cattolicesimo
neotomista. Nel volume sono presenti interventi di Alessandro Savorelli, Franco
Ottonello, Luciano Malusa, Oldrini, Tognon, Mastroianni e Racinaro. TESSITORE,
M:nghetti, S. De Sanctis: le trasformazioni del liberalismo, in AAV., Marco
Minghetti statista e pensatore politico dalla realtà italiana alla dimensione
europea, GHERARDI e MATTEUCCI (a cura di), Il Mulino, Bologna. Nella triade
citata il nome S. si riferisce al fratello Silvio, ma la perspicacia di alcune
analisi lasciano intravedere un pensamento profondo della forma Stato, nel
quale non si può non ravvisare l’influenza del pensiero del fratello Bertrando.
La posizione di Silvio è riassunta mediante alcune citazioni sull'unità di
Italia e la necessità di una forte attività amministrativa, che si conciliava
non molto bene con le tesi di Minghetti di restringimento dei compiti dello
Stato. Tessitore assegna a De Sanctis il maggior rigore nel trattare la
contraddizione tra libertà e governo, nella quale si ravvisa il pericolo della
decadenza della cultura e dello spirito d’iniziativa della neonata nazione
italiana. OTTONELLO, Pasquale Galluppi nell’ “infedele” interpretazione di S.,
in “Rivista Rosminiana di Filosofia e Cultura.. L'infedeltà dello S., “senza
cui non si viene a capo di nulla”, è presente anche nel commento alla filosofia
del Galluppi, che il filosofo di Bomba strappò dall’oblio in cui era piombato.
La critica alla teoria dell’oggettività della sensazione è fondata
sull’impossibilità di percepire una esistenza esterna, benché in senso
hegeliano si debba parlare di un “oggetto dell’atto chiamato coscienza”. Nella
presenza di una sostanza esterna da percepire S. vede ripresentarsi il fantasma
del noumeno kantiano: proprio estremizzando i tratti del Galluppi, però, S.
riesce a trarne i germi di uno sviluppo futuro; non ripetendo mai in modo
meccanico il pensiero altrui, S. riesce a valorizzare le tematiche trattate,
come ad esempio nel caso del famoso “luogo d’oro”. A. MARTONE, Lo scarto del
linguaggio: eredità vichiane in S., in Furor verba ministrat. Eredità vichiane
e Illuminismo in alcune teorie linguistiche della cultura napoletana, Angeli,
Milano. S. viene qui presentato come pensatore intimamente legato a Vico, in
quanto filosofo della storia, nello sforzo di una riunificazione del sapere e
persino nel tentativo di dotare il pensiero filosofico italiano di una propria
autonoma tradizione. Vico stesso fu inserito da S. nella sua teoria sulla
circolazione del pensiero. Rimane tuttavia una incolmabile distanza tra Vico e
S., il quale sembra non essere molto sensibile alla glottogonia vichiana.
SAVORELLI, Bruno Tulliano’ nell’idealismo italiano dell'Ottocento (con un
inedito di B. S.), “Giornale critico della filosofia italiana. Savorelli
ribadisce il merito di S. di aver dato impulso agli studi bruniani, seguito dai
suoi discepoli Felice Tocco e Francesco Fiorentino: lo spiacevole episodio con
l’editore Le Monnier testimonia, d’altra parte, l’arretratezza culturale in cui
versava all’epoca l’Italia, nella quale non riuscì a trovare spazio il primo
studio scientifico sulla figura del Nolano. L’inedito di S., infatti, rimane il
primo saggio che tenti di analizzare il pensiero bruniano in chiave
sistematica. Proprio in questo senso assume valore l’attenzione dedicata da S.
alle opere cosiddette lulliane o mnemotecniche, che secondo Brucker e Buhle
erano da considerare la parte più oscura dei testi di Bruno. Il testo di S. si
fonda su una critica del Ritter e su un confronto costante con il pensiero di
Lullo, Cusano e Spinoza. Certamente di grande importanza è stata l'influenza di
Barholméss, la cui interpretazione indica in Bruno un anticipatore
dell’idealismo tedesco: è noto quanto questa tesi sia essenziale anche rispetto
alla teoria della circolazione del pensiero italiano. Savorelli precisa che
ogni tentativo di porre in luce il misticismo di Bruno è considerato vano ed
errato da parte del pensatore abruzzese, che dedica attenzione alle opere
lulliane proprio per mostrarne la relazione con la teoria della conoscenza
proposta da Bruno. Il carattere di precursore della modernità attribuito al
pensatore di Nola, tuttavia, subirà lungo l’itineratio spaventiano anche
drastiche limitazioni, dovute, per esempio, alla sua errata comprensione del
cristianesimo. Nella trattazione Bruno non è più lullista e l’ultimo vestigio
lulliano del saggio torinese è un breve saggio dei Principi di filosofia: le
differenze sono dovute ai diversi intenti interpretativi secondo Savorelli. Un
segno dei tempi è il progressivo disinteresse da parte di S. e De Sanctis nei
confronti di Bruno. Al termine dell'intervento di Savorelli si riporta una
sezione del Saggio inedito di B. S. su Bruno, Manoscritto conservato alla
Biblioteca nazionale di Napoli. MALUSA, L'idea di tradizione nazionale nella
storiografia filosofica italiana dell'Ottocento, Tilgher, Genova. La figura di S.
è presente in tutto il testo, dedicato nella prima parte all'idea di
“tradizione nazionale” nella storiografia filosofica e nella seconda ai
rapporti tra la tradizione filosofica italiana e la “Civiltà cattolica”: ben si
comprende come la personalità di S. svolga un ruolo di primo piano in entrambe.
Nelle pagine centrali della prima parte si sottolinea il ruolo che S. attribuì
al genio italico nella distruzione dell’immobilismo cui per secoli la
Scolastica aveva costretto il pensiero. Il “primato” della filosofia tedesca
nel panorama europeo dipendeva strettamente da quel criticismo che per la prima
volta trovò in Italia la propria espressione. Inutile ribadire quali furono i
risvolti politici di una tale prospettiva filosofica: il pensiero spaventiano
era in grado di assicurare l'immanenza del pensiero, superando le istanze
clericali, senza cadere nell’aridità dell'Illuminismo. Si citano le
ricostruzioni storiografiche di Garin e la progressiva appropriazione del
pensiero spaventiano sulla linea S.-Labriola-Gramsci (e Togliatti), che consentì
di sottrarre l’autore abruzzese all’esclusivismo dell’interpretazione
attualistica. Nella seconda parte si definisce S. autentica “bestia nera” del
periodico gesuita: la critica della filosofia hegeliana, principale obiettivo
della rivista, non poteva esimersi da ripetuti attacchi anche nei confronti del
pensatore abruzzese, quando ancora questi non aveva elaborato il proprio
pensiero in maniera sistematica. Non sfugge all'analisi che all'origine dello
scontro si poneva la convinzione che Tommaso d'Aquino e non Hegel dovesse
essere il modello della filosofia italiana. MOSSANO, S. e la psicologizzazione dell’a priori nel
neocriticismo italiano, Accademia di scienze morali e politiche, Napoli. L'intervento
di Mossano analizza la sostituzione dell’incantesimo idealistico mediante
l’incantesimo psicologico, ossia quella comprensione della critica kantiana che
scivola dall’appercezione trascendentale all’a priori come funzione ordinatrice
dell’esperienza. Se ancora in S. il problema critico è inteso come problema
della conoscenza sul piano trascendentale, nella generazione successiva molti
sono i tentativi di fornire interpretazioni differenti della tesi kantiana.
Mossano ricorda come S. avesse cercato ci riassorbire il positivismo
nell’hegelismo, dal momento che il soggetto è ciò che letteralmente “fa”,
costruisce il proprio oggetto. Dalle analisi del pensiero di Masci, tuttavia,
si deduce come già in S. “le forme kantiane siano intese in senso dinamico ed
evolutivo, reale e non ideale. Questa tesi viene però corretta attraverso una
lunga citazione tratta da La filosofia di Kant e la sua relazione colla
filosofia europea grazie alla quale si vuole dimostrare come la concezione di S.
intenda il giudizio non soltanto come formativo, ma costitutivo dell'oggetto.
Mossano ricorda come Masci abbia apprezzato il tentativo di sintesi del maestro
tra hegelismo e darwinismo, soprattutto nelle opere dell’ultimo decennio di
attività. È importante sottolineare come il nuovo empirismo proposto da S.
(fondato cioè sul superamento della contrapposizione tra realismo e idealismo)
non distrugga il lato attivo e originario della soggettività, ma lo possa
riconfermare, in una accezione in cui Kant si incontra con Hegel. Ciò che deve
essere tenuto fermo, secondo il pensatore abruzzese, è il carattere non
biologico, né psicologico del problema della conoscenza, che è essenzialmente
critico. Analizzando il dibattito critico, Mossano individua in Tocco e Cantoni
due assertori del limite intrinseco della prima Critica legato alla mancanza di
una psicologia nell’architettura kantiana; diversamente Chiappelli tenta una
mediazione, cercando quale tendenza psicologica si conformi maggiormente al
problema del criticismo. Non mancano i riferimenti, in questo caso, alle tesi
di Spencer, contro il quale, però, più volte S. si espresse negativamente. Al
termine si citano i giudizi del Gentile sulla errata interpretazione del
criticismo offerta dal Masci. In conclusione si torna a ribadire l’esigenza si
stabilire una radicale distinzione tra il lato empirico- evolutivo e quello
trascendentale, ricordando come solo dopo il 1945 a psicologia si sia
affrancata dalla filosofia. RASCAGLIA., Venti lettere inedite di Meis a S.,
Giornale Critico della Filosofia italiana. Nella presentazione di questo nuovo,
ennesimo impegno di ricostruzione del carteggio spaventiano, Maria Rascaglia
indica come preciso intento la ricostruzione delle vicende biografiche di De
Meis e S., in relazione al ventennio coperto dalle venti lettere inedite. Molti
sono i temi trattati, dove autentico protagonista romane la figura di De
Sanctis, oggetto di continue polemiche sia sul piano politico sia sul piano del
suo mestiere di critico letterario. Si sottolinea anche la tormentata vicenda
della pubblicazione dell’articolo di S. Paolottismo, positivismo, naturalismo:
nelle lettere De Meis giustifica le correzioni apportata prima della stampa per
ammorbidire almeno in parte i toni e la satira pungente dello S.. Viene posta
in risalto dalla Rascaglia anche la lettera
in cui Meis si difende dalla accusa dell’Imbriani di “non far
deduzione”. Sullo sfondo rimane una sfiducia nella gestione politica dell’unità
di Italia, soltanto a volte mitigata da un cauto ottimismo, come in occasione
del governo Minghetti. OLDRINI, Napoli e i suoi filosofi. Protagonisti,
prospettive, problemi del pensiero dell’Ottocento, Angeli, Milano. Il volume
raccoglie una serie di interventi di Oldrini sulla cultura filosofia napoletana
dell'Ottocento. Il ruolo di S. appare con grande chiarezza nel VI capitolo,
dedicato all’hegelismo italiano tra Napoli e Torino (saggio apparso in
“Filosofia” ) e nel capitolo sull’hegelismo ‘critico’ del filosofo abruzzese. Il
capitolo IX, sulle ragioni dello Stato etico, inedito, confronta le posizioni
di Vera con quella dei fratelli S., mostrando la loro progressiva
interpretazione dell’hegelismo da supporto alle teorie rivoluzionarie a sfondo
teorico del concetto di Stato etico, inteso come ciò che dà direzione, unità e
senso alla dimensione economico- sociale. V. VITIELLO, S. e il problema del
cominciamento, Guida, Napoli. Punto focale dell’interpretazione di Vitiello è
il dualismo di essere e pensare che S. eredita dalla tradizione filosofica.
Acquisita la novità kantiana di una conoscenza che non è più fatto, bensì
attività, S. mostra come Hegel sia la sintesi tra il soggettivismo radicale di
Fichte e l’oggettismo schellinghiano. Punto focale proposto da Vitello è
l’indeducibilità del pensare dall’essere nella filosofia antica e l’indeducibilità
del reale dal possibile nella filosofia moderna: la filosofia hegeliana vuole
dar ragione a Fichte senza smentire Schelling; su questo punto
l’interpretazione di S. raggiunge un'intensità che verrà persa nei suoi eredi,
persino in Gentile, che rimane chiuso nella logica fichtiana. Il circolo
Fenomenologia-Logica deve essere intepretato alla luce della separazione del
sapere dal suo contenuto come atto di volontà: il puro essere che ne risulta,
come pura relazione a sé del pensare, dovrà mostrarsi capace di dedurre da sé
l’intera ricchezza degli enti. Di fronte al pensare si erge dunque un Essere
che è prima e fuori del pensare Qui si apre l'enigma della “genesi del No, dopo
e nonostante il sì. CALABRÒ, La concezione etica dello Stato in S., in Silvio S.
(S. RICCI a cura di), Istituto italiano per gli studi filosofici, Napoli. L’intervento
di Calabrò riassume innanzitutto il contributo kantiano alla filosofia del
diritto, in particolare sul rapporto tra morale e diritto nella cornice dello
Stato. Il problema di Hegel, invece, riguarda proprio la conciliazione tra
diritto e Stato in ordine al tema della volontà libera del singolo individuo. S.
rientra in questa trattazione, come scolaro di Hegel, definito “tutt'altro che
inerte”: le sue speculazioni acquistano uno spessore mai più raggiunto dalla
tradizione liberale. S. sostiene che l’equilibrio di ragione e storia si trova
proprio nella prospettiva dello Stato nazionale, anzi, sostiene esplicitamente
che la pluralità degli Stati in quanto espressione della naturalità dovrà
essere risolta in una figura ulteriore che non sarà lo Stato degli Stati, bensì
è l’umanità, già attiva e perfettamente concreta. Per S., ancor più
esplicitamente che in Hegel lo Stato è delimitato sia dall'alto che dal basso;
centrale, sia in S. che nel suo maestro ideale rimane il problema del rapporto
tra individuo e Stato. Se da un lato il filosofo di Stoccarda mostra la
concretezza della libertà nella prospettiva etica universale, il pensatore
abruzzese rimane ad un livello più schematico e astratto, benché egli stesso
avverta l'esigenza di una conciliazione tra sovranità statale e libertà
individuale. MORETTI, Savio S. e Villari, in Silvio S. (S. RICCI a cura di),
Istituto italiano per gli studi filosofici, Napoli. L’intervento di Moretti
individua le tappe salienti che hanno caratterizzato il rapporto intellettuale
e politico tra Silvio S. e Villari, di cui si hanno notizie dettagliate grazie
al loro scambio epistolare. Uno dei momenti di maggiore tensione tra i due si
verifica dopo la lettera al De Meis scritta da S., tensione che verrà acuita in
seguito al progetto di far eleggere Bertrando nel collegio di Gesso Palena nel
1870. Le frizioni tra Silvio S. e Villari rientreranno già verso la fine del
1870, mentre il rapporto con Bertrando rimarrà in gran parte compromesso. Il
testo prosegue sottolineando le differenti prospettive dei due autori sul
problema meridionale, sul ruolo dell'educazione e sulla riforma universitaria.
SERRA, S. interprete di Galluppi, Studi galluppiani. Atti del convegno
galluppiano di Tropea, Brenner. Il kantismo del filosofo di Tropea viene
individuato da Teresa Serra quale autentico punto di riferimento
dell’interpretazione spaventiana: tenendo presente che Galluppi lavora in
totale isolamento dal mondo, ritirato nelle “nuvole filosofiche”, per approdare
poi a Napoli nove anni prima dell’arrivo dei fratelli S., non è difficile
supporre una lettura dei suoi testi da parte di Bertrando già prima
dell’esillio torinese. La nota ammirazione per il Colecchi porterà ad uno
scontro con il filosofo di Tropea, che pure aveva il merito di aver superato un
certo provincialismo della filosofia italiana. I giudizi su Galluppi non
appaiono lusinghieri: l'influenza hegeliana porta S. ad una radicale
svalutazione dovuta alla mancata comprensione di Kant ed alla inaccettabile
prossimità con Locke. Tale prospettiva sarà sconfessata, nella prolusione in
cui si annunciano Galluppi, Rosmini e Gioberti quali autentici filosofi
italiani, ma le radici di un tale ripensamento devono essere rintracciate
proprio nella svolta hegeliana del ’56, che offrì la possibilità a S. di
recuperare in una luce innovativa l’intero percorso del pensiero europeo:
Galluppi rientra così nella filosofia cristiana, benché i tre autori
dell'Ottocento non possiedano l’originalità del loro precursore Vico, di cui
rappresentano soltanto una maturazione. La riabilitazione della sensibilità di
Galluppi implica un suo riavvicinamento alle posizioni kantiane: in questo
consiste, secondo Teresa Serra, la novità dell’ottica spaventiana, che non fu
comunque immune da polemiche. CAPUTO, Prospettive real-idealistiche per una
nuova metafisica, Morano, Napoli. Il testo, suddiviso in sei capitoli e una
conclusione, si apre con il problema di rivalutare l’umanesimo, superando il
dualismo tra scienza e filosofia, non però in senso fenomenologico, come è
stato suggerito da più parti nel corso del Novecento, o mediante teorie
crociane, bensì alla ricerca di un umanesimo integrale che riabiliti Vico e
Hegel. Il secondo e terzo capitolo propongono una critica serrata delle
principali esegesi spaventiane: dal giudizio di Garin, all’'errata comprensione
del rapporto tra politica e teoresi proposta da Vacca; non viene apprezzata né
l’interpretazione dualistica di S. offerta da Teresa Serra, né quella di Vito
Bellezza, dipendente dalla visione gentiliana. Anche il volume di Cubeddu viene
svalutato. Sui risultati dell’indagine storiografica su S. si citano i lavori
di Savorelli sulle riserve antignoseologiche del filosofo abruzzese; le
edizioni di alcune opere curate da D’Orsi per mostrare il legame con il
pensiero di Lotze, i mutamenti di prospettiva di Cubeddu. Superate, nel quarto
capitolo, le interpretazioni sul teologismo di S. proposte da Croce e sul
misticismo legate all’opera di De Ruggiero, il capitolo quinto mostra come
unica possibilità di intendere il pensiero di S. il real-idelismo di Felice
Alderisio, che rivaluta l’unità di realismo e idealismo soprattutto nell’ultima
fase del suo pensiero, segnata dal confronto con Kant. L’attualismo gentiliano,
le tesi di Guzzo, Carabellese e Calogero sono considerate deviazioni rispetto
alla strada tracciata da S.. L’esame delle teorie di Berti sull’assoluto di S.
ed i vari tentativi di interpretazione marxista da parte di Togliatti e Plebe
si rivelano insufficienti secondo Caputo, almeno tanto quanto le proposte di
analisi dell’hegelismo proposte da Kojève e Vitiello. La polemica contro l’indirizzo epistemologico di Barone, il
convenzionalismo di Geymonat, l’irrazionalismo di Abbagnano e l’antiidealismo
proposto da Filiasi-Carcano è affrontata nell'ultimo capitolo. La conclusione
propone un superamento di attualismo, marxismo e positivismo facendo
riferimento ai testi cardine del pensiero di S. quali Logica e metafisica da un
lato ed Esperienza e metafisica dall’altro. LANDOLFI PETRONE, Un inedito di S.
sul Concetto di Filosofia, Studi filosofici. La breve presentazione dello
scritto Sopra Kant (Carte S.) di Petrone si concentra sulla novità assoluta
della trattazione spaventiana di Kant nel 1851-52, sottolineando che la linea
Kant-Hegel rafforza l’idea dell'impronta tedesca della filosofia europea. La
tematizzazione di Kant avviene circa tredici anni dopo la prima lettura della
Critica della ragion pura, primo testo filosofico cui l’autore si avvicinò. S.
rileva come la dialettica sia già in Kant il tratto centrale della riflessione
come insieme di identità e non identità. Petrone sottolinea anche il rilievo
dato da S. alla distinzione kantiana tra filosofia e senso comune. Alla
recensione segue poi il saggio spaventiano. BERTOLETTI, Dialettica del
cominciamento. Un saggio di Vincenzo Vitiello su S., in “Humanitas, Il commento
di Vitiello si concentra sul problema del Primo, diversamente interpretato a
seconda che ci si trovi in Fenomenologia o in Logica. Al di là delle singole
polemiche con Trendelenburg, nelle quali tuttavia S. dimostra grande padronanza
della materia logico-metafisica, l’intervento di Vitiello risulta interessante
perché proietta il pensiero di S. oltre lo stesso Hegel, verso un Essere che è
prima e fuori dal pensiero. Lungi dall'essere la rivisitazione di un
presupposto realistico, Vitiello interpreta questa posizione collegandola alla
presenza di un limite del pensiero che è volontà. Esaltata la fecondità del
ripensamento di S. offerto da Vitiello, Bertoletti considera le prospettive
ermeneutiche che si aprono a partire da questa lettura, prospettando in S. un
anticipatore di Wittgenstein e Adorno. F. M. DE SANCTIS, Lorenz von Stein e il
giovane S., in Dall’assolutismo alla democrazia, Giappichelli editore. Il
settimo capitolo del testo di De Sanctis mostra l’interesse di S. per il testo
di von Stein I/ socialismo e il comunismo in Francia: la petizione per la
traduzione del testo in italiano fu sostenuta dall’abruzzese in un articolo
apparso sul “Nazionale” di Firenze. Si avanza l'ipotesi che i nuclei teorici
dello Stein siano lo sfondo concettuale di molti articoli apparsi sul
“Progresso”. E. GARIN, Tra due secoli. Socialismo e Filosofia în Italia dopo
l’unità, De Donato, Bari. Non molti nomi sono citati quanto quello di S., a
dimostrazione dell'importanza e della rilevanza dell'autore nel contesto
italiano dopo l’unità. Soprattutto nella prima parte, dedicata agli hegeliani
dell’Ottocento, S. occupa un luogo centrale, anche per l’influenza esercitata
sul pensiero di Labriola. OLDRINI, La “Rinascita dell’Idealismo” e il suo
Retroterra Napoletano, in “Giornale Critico della filosofia italiana. Oldrini
comincia con il rilevare che il destino comune dei due grandi leader della
tradizione classica napoletana, De Sanctis e S., fu quello di non avere una
scuola in grado di continuare e diffondere i loro insegnamenti. La rinascita
dei due autori è dovuta, tra la fine del XIX secolo e l’inizio del XX,
all'operato, rispettivamente di Croce e Gentile. Di contro all’atrofia culturale
che imperava in quegli anni a Napoli, questi ultimi rivendicano un ruolo
decisivo all’idealismo storico, nonostante le differenze, anche radicali, sui
singoli temi: in questa ottica sono interpretati da Oldrini anche gli attacchi
ai letterati ed eruditi dell’epoca. L’involuzione della cultura napoletana è
intesa come conseguenza del parassitismo della classe borghese e della boria
accademica, cui l’idea di un idealismo storicistico promossa da Gentile e Croce
impresse certamente una svolta. TUOZZOLO, Schelling e il “cominciamento”
begeliano, Città del sole, Napoli. Significativo è il fatto che i titoli di ben
due capitoli su tre 2689 nel libro recano il nome di S.. Il punto di partenza è
la valutazione della critica schellinghiana al pensiero hegeliano: da qui si
mostra il profondo legame Werder- Fischer-S., in quanto linea di pensiero che
recupera le critiche di Schelling. La tendenza di autori come S. consiste
nell’identificare il primo della logica con il Dio di Schelling: non vuoto e
astratto cominciamento, bensì atto di volontà pura. Si evidenzia anche l’interpretazione spaventiana del passaggio
dallo Spirito Assoluto presente al termine della Ferorzenologia e l’Essere
astratto da cui comincia la Scienza della Logica: l’inizio della logica non è
il depotenziamento del risultato della Fezorzerologia, bensì l’essere già ricco
di differenze, dalle quali si può effettuare l’astrazione. Il problema
concettuale ravvisato da Tuozzolo in S. è l'impossibilità di conciliare la
dottrina creazionista di Schelling con l’incrollabile caposaldo hegeliano della
identità tra logica e metafisica. Per questo l'operazione di molti studiosi di
Hegel, tra cui anche S., sarà quella di tentare una conciliazione ed
integrazione del pensiero di Hegel mediante le ultime speculazioni di
Schelling. RASCAGLIA, Introduzione a Epistolario, Istituto poligrafico dello
Stato, Roma 1995. La premessa di Oldrini è seguita da un intervento di Maria
Rascaglia che include un apparato bibliografico relativo alle fonti e alle
prime edizioni dei carteggi. Rivendicare l’importanza del patrimonio epistolare
come punto di osservazione privilegiato per comprendere la vita e l'evoluzione
intellettuale dell'autore assume senso soprattutto nel caso di S., a causa
della dispersione editoriale subita dagli scritti. Se nei carteggi, in cui il
fratello Silvio rimane sempre un interlocutore privilegiato, si può recuperare
lo stile arguto e la vis polemica del filosofo, si deve aggiungere che emergono
anche una serie di nuovi progetti editoriali, mai portati a termine, oltre alla
ben nota traduzione dell’opera dello Stein. Nelle lettere rivolte al fratello
soprattutto è possibile specificare meglio lo stato d’animo di S. nel decennio
piemontese e soprattutto le preoccupazioni dovute alle ristrettezze economiche.
Maria Rascaglia rivendica l’importanza di uno studio attento dell’epistolario
anche per comprendere il legame tra S. e Fiorentino ad esempio, sviluppato su
due livelli: al rapporto maestro- allievo ormai conosciuto, si aggiungono anche
dettagli importanti sulla collaborazione in campo pubblicistico. Oltre agli
attacchi e all’ironia nei confronti della “colonia romana” composta da Berti,
Mamiani e Ferri, emergono anche le considerazioni sulla situazione politica e
amministrativa in cui S. fu coinvolto, prima come membro della Commissione di
indagine del consiglio superiore della Pubblica istruzione, poi come deputato
dal "70 fino alla caduta della Destra storica. In realtà molte sono le
occasioni nelle quali si possono rilevare atteggiamenti di sconforto e di
sfiducia nell’attività politica, rispetto alla quale il fratello Silvio diventa
simbolo di una battaglia anche morale. Sulla dispersione dell’epistolario hanno
influito certamente la morte prematura dello S. e i diversi orientamenti
assunti dai principali allievi della scuola. SICILIANI DE CUMIS, Il “tecnico” e
l’ “educativo” da S. a Labriola, in Scuola e città. De Cumis affronta da subito
la vexata quaestio dei molti e diversi S. proprio al fine di valutare i nessi
tra S. e Labriola in rapporto alla “politica immanente”. Evidenziare le
conseguenze della lezione spaventiana, proprio a partire da Labriola, di cui si
riporta uno stralcio della famosa lettera del ’94 indirizzata a Engels, è essenziale
per mostrare la relazione tra i due. La prospettiva tecnica e meccanica in S.
si spiega soprattutto in rapporto alla dimensione etico-sociale, che sarà
decisiva anche per la dimensione educativa del pensiero di Labriola. In realtà
entrambi concordano sul carattere antipositivistico dell'educazione e sulla
necessità dell'incrocio di politica e scienza. Pur sottolineando la diversità
di esiti cui sarà condotto il Labriola marxista, a motivo del materialismo,
della mutata concezione della storia e delle differenti concezioni
metodologiche ed epistemologiche, De Cumis nota una certa affinità tra le tesi
di Labriola e quelle di S.. Certamente non si possono dimenticare le influenze
del liberalismo sullo S. giovane giornalista de “Il Progresso”, rispetto al
diverso orientamento assunto da Labriola, per cui non si può liquidare
quest’ultimo semplicemente come “allievo”. Non solo S. già aspira a quella
universalità delle intelligenze quale compito essenziale della filosofia
politica, ma sul piano etico-politico-pedagogico le sue affermazioni risultano
addirittura più ardite di quelle di Labriola: De Cumis precisa che anche S.
analizza la dialettica servo-signore in chiave rivoluzionaria, rintracciando in
questa dinamica una lotta contro l’egoismo naturale, mentre Labriola si schiera
già nell’ottica di una maggiore passività nei confronti della storia, il cui
ritmo è già scandito da leggi universali ben individuate. LOSURDO, Da fratelli S.
a Gramsci: per una storia politico sociale della fortuna di Hegel in Italia,
Città del sole, Napoli. Il testo si compone di sei capitoli nei quali si
analizza l’influenze della filosofia hegeliana sul pensiero politico europeo ed
in particolare su quello italiano, avendo sempre come riferimento la figura dei
fratelli S.. Il primo capitolo si concentra sul declino della filosofia
hegeliana e sul suo totale fallimento registrato nel ‘48. Se è vero che Hegel
aveva trasmesso al mondo l’assoluta mondanità e politicità dell’uomo, le
vicende di Napoli saranno decisive per confutare l’interpretazione di Hegel
come filosofo dello status quo. Il fallimento porta ad un abbandono della
politica e ad un ritorno tra le braccia della natura, dal quale poi sarebbe
scaturito il positivismo. Il secondo capitolo è dedicato al rapporto tra
rivoluzione e nazione, di cui si seguono parallelamente il filone tedesco, con
Strauss e Vischer, quello francese di Thiers e Guizot, ed infine quello
italiano, proprio tramite i fratelli S., che mai accetteranno l’idea di una
scienza positiva, ma rintracceranno nella storia l’autentico fare positivo
dell’uomo, strettamente connesso alla sua nazionalità. Risultato di un tale
“nazionalismo” è la teoria della circolazione del pensiero, che da un lato
assume lo sfondo di filosofia della storia proposto da Hegel, dall’altro
anticipa i germi del moderno, rintracciandoli nel Rinascimento italiano, più che
nella Riforma,nonostante le resistenze di neoguelfi e mazziniani. Il terzo
capitolo mostra il recupero europeo in chiave politica della tradizione inglese
in contrapposizione allo stato etico hegeliano dopo le rivoluzioni del 48, cui
si contrappone in Italia un’esperienza liberale che invece ha in Hegel, più o
meno consapevolmente, il proprio teorico. Comincia in queste pagine il lavoro
di Losurdo teso a smantellare la linea Hegel- S.-Gentile a favore della linea S.-Labriola-
Gramsci. Nel quarto capitolo si riassumono i motivi principali dell'opposizione
della Chiesa alle tesi hegeliane, contro cui S. dovrà lottare scrivendo
numerosi articoli. Soprattutto nelle tesi di Rosmini è rintracciata una teoria
che, svalutando lo Stato in favore del ruolo della Chiesa, ripropone le tesi
liberiste dello Stato minimo, fieramente osteggiato dai fratelli S.. Il quinto
capitolo si concentra sull’adesione di Gentile al fascismo intesa come
progressiva separazione proprio dalle idee di S., soprattutto rispetto all’idea
del valore assoluto del singolo. Il sesto capitolo contesta alcuni stereotipi
secondo cui il pensiero tedesco rappresenta una china che da Lutero giunge ad
Hitler, mostrando come, più che Gentile, Gramsci ed il suo “comunismo critico”
accolgano l'eredità spaventiana. A. SAVORELLI, S. e la via stretta tra Bruno e
Hegel, in “Giornale critico della filosofia italiana. Il confronto
Bruno-Spinoza era un luogo privilegiato del dibattito filosofico
dell'Ottocento. S. può associare i due sulla scorta della lezione hegeliana,
evidenziandone anche i rispettivi limiti, come ad esempio l'eccessivo
formalismo e l’assenza del ruolo del soggetto come fonte di movimento della
realtà. Anche Fischer influenzò le tesi di S. che, contro Hegel, vide in
Spinoza il filosofo della differenza: Savorelli suggerisce di legare questa
differente interpretazione alla riforma della dialettica hegeliana, benché
rimanga alta la considerazione di Spinoza come superamento del presupposto
neoplatonico e naturalista. L’idealismo, rafforzato da questi confronti tra
Bruno e Spinoza, permette di affrontare con risultati migliori il positivismo
che si diffondeva in quegli anni. Anche Sigwart esprime opinioni simili a
quelle di S. sul rapporto Bruno-Spinoza, benché il dibattito che in quegli anni
animava la Germania non avrebbe poi trovato altrettanta fortuna in Italia, che
pure avrebbe dovuto prestare verso tali autori un’attenzione anche maggiore di
quella tedesca. MALUSA, I filosofi e la genesi della coscienza culturale della
Nuova Italia. Stato delle ricerche e prospettive dell’interpretazione, Istituto
italiano per gli studi filosofici, Napoli. Benché la figura di S. sia presente
in molti dei saggi di cui il libro è costituito, sono essenzialmente due gli
interventi dedicati esplicitamente al pensatore abruzzese. Innanzitutto il
testo di Oldrini S. e l'Europa, che anticipa il saggio dal titolo L’idealismo
italiano tra Napoli e l’Europa. Al testo si deve aggiungere una breve postilla
di Enrico Rambaldi. L'altro saggio di Nicola Siciliani De Cumis riprende
l'articolo apparso nel 1996 I/ “tecnico” e | “educativo” da S. a Labriola. M.
FERRARI, I/ primo volume dell’epistolario di S., in “Giornale critico della
filosofia italiana”,Oltre a sottolineare l’indubbio merito di aver raccolto 181
lettere, Ferrari si riferisce soprattutto alla lettera indirizzata al Villari,
in cui S. ribadisce l’importanza dello studio del pensiero tedesco. Ferrari
sottolinea quale sia il vantaggio che l’epistolario può offrire per ricostruire
la vita dell’autore, soprattutto nel caso di una vita particolarmente
travagliata e sconosciuta come quella di S.. Il corpus dell’epistolario
sembrerebbe confermare l’ipotesi dei “molti S.”. OLDRINI, L’idealismo italiano
tra Napoli e Europa, Guerini, Milano. La figura di S. è presente in quasi tutti
i capitoli del libro: si ricorda l'amicizia con De Meis, il rapporto col
fratello Silvio, il confronto con il positivismo (suo e del suo allievo
Angiulli), l’ultimo capitolo ripropone l’articolo del °94 La “rinascita
dell’idealismo” e il suo retroterra napoletano, apparso sul “Giornale critico
di filosofia italiana”. In particolare il capitolo quinto è dedicato alla
figura di S., nel suo rapporto con l’idea di Europa. Oldrini introduce alcune
premesse per analizzare la figura del filosofo abruzzese: innanzitutto
l’arretratezza politica e sociale nella quale fiorisce l’hegelismo napoletano;
la sfasatura cronologica e il ritardo storico nell’assimilazione
dell’idealismo; la necessità di superare il ritardo culturale dell’Italia;
l'esigenza di applicare le categorie di Hegel al Risorgimento italiano; la
lotta contro il provincialismo ed il materialismo; il confronto polemico con il
positivismo. Oldrini critica molte delle interpretazioni del pensiero
spaventiano proposte da Gianni Micheli, Asor Rosa, Franchini, Marchi e
Vitiello. L'intervento di Oldrini si conclude con l’idea che l’indagine
storiografica su S. si trovi in un periodo di stallo e si auspica un rilancio
degli studi. M. RASCAGLIA, Bruno
nell’epistolario e nei manoscritti di S., in Brunus redivivus: momenti
della fortuna di Giordano Bruno nel XIX secolo, E. CANONE (a cura di), Istituti
editoriali e poligrafici internazionali, Pisa Roma 1998. Maria Rascaglia
rintraccia negli Studi sopra la filosofia di Hegel il primo nucleo embrionale
della ben nota tesi della circolazione del pensiero italiani, progetto
confermato in una lettera a Villari del ‘51: in quelle occasioni Bruno è
presente come autore di riferimento ed eroe della libertà del pensiero italiano
nella fase rinascimentale. L’idea di uno studio approfondito della figura del
Nolano è confermata dalla lettura di Bartholméss e Ritter, benché
l’interpretazione hegeliana sarebbe rimasta dominante. Rascaglia analizza in
maniera approfondità la relazione tra S. e Mamiani, che comincerà a
deteriorarsi proprio a causa dei dissensi sul panteismo, finché Mamiani divenne
uno dei bersagli preferiti di S. nelle sue polemiche. Rascaglia mostra come la
lettura stessa degli scritti di Bruno segua un preciso ordine logico: il
confronto tra Bruno e Spinoza obbliga S. ad anticipare la lettura di De /a
causa, principio et uno e di De l'infinito, universo e mondi rispetto al De
rzirim0, De mondo e De immenso; tutte queste indicazioni sono essenziali se si
tiene conto che l'intento di S. era proprio quello di ricostruire in maniera
sistematica il pensiero bruniano. Al progressivo interesse di Villari
corrisponde l’indifferenza di Mariani. Dopo aver citato il famoso tentennamento
di S. ed il rifiuto di Le Monnier di pubblicare i tre studi su Bruno, Rascaglia
precisa che il primo studio sarà pubblicato a Napoli nel 1866, il secondo su
“Il Cimento” e l’ultimo sarebbe rimasto inedito. Se nel primo quinquennio
dell’esilio torinese la figura di Bruno sarà oggetto di attenzioni sempre
maggiori, negli ultimi anni il confronto con Gioberti, la parentesi
fenomenologica e la riscoperta di Kant e Vico allontaneranno S. dal filosofo di
Nola, salvo una sua riscoperta nei primi anni ’60. All’intervento di Rascaglia
seguono circa sessanta pagine di analisi dei contributi allo studio di Bruno
presenti nei manoscritti di S., di cui si riportano interi brani. CHIMIRRI,
cur. La filosofia morale italiana tra neohegelismo, attualismo e spiritualismo,
Mimesis, Milano. Nella presentazione di Chimirri si fa riferimento
all’attualità dell’idealismo senza dimenticare la pluralità di prospettive da
cui l’idealismo può essere inteso e sviluppato; dopo aver tematizzato i motivi
di frizione tra l’idealismo e la scolastica, si mostra quale sia il ruolo
dell’etica nel pensiero dell’idealismo, per concludere con alcune riflessioni
critiche. Si riporta, proprio per esemplificare il rapporto tra etica ed
idealismo, un brano dai Principi di Etica. TUOZZOLO, Dialettica e norma
razionale, Giuffrè, Milano. Rispetto alle diverse polemiche sul presunto
monismo spaventiano, anticipatore in qualche modo delle tesi gentiliane sulla
dialettica hegeliana, Tuozzolo vuole ribadire insieme il carattere di un
“pensiero incapace di sfiducia in se stesso”, ma insieme la capacità di S. di
non compiere mai il passo, di mantenersi nel guado, approfondendo il nucleo
problematico, consapevole che ogni soluzione torna ad essere problema. Si
presenta un’analisi dei principali scritti di logica di S., il saggio su Le
prize categorie della logica di Hegel e Logica e Metafisica, per mostrare come
progressivamente torni la meditazione sulla scienza e sul ruolo di Kant. La
logica e la fenomenologia dell’ultimo S. seguono la linea di interpretazione di
Alderisio, secondo cui, se è vero che S. eliminò progressivamente le differenze
tra Denken e Nachdenken, non giunse mai alla pura identificazione dei due, come
accadde in Gentile. L’ultimo capitolo è dedicato alla presenza di un ineffabile
come dimensione precedente al sistema della scienza. SAVORELLI e RASCAGLIA,
Introduzione, in S., Lettera sulla dottrina di Bruno. Scritti inediti,
Bibliopolis, Napoli. La costruzione dell'immagine di Hegel come profeta del
nuovo immanentismo è il risultato di un lungo lavoro da parte di S..
L'intenzione di trattare la personalità di Bruno affiora già in una lettera al
Villari, ma verrà iniziato concretamente soltanto, grazie alla disponibilità da
parte dell’editore Le Monnier di pubblicare un’opera in tre tomi, di cui due
dedicati ai testi del Nolano ed uno all’interpretazione spaventiana del filosofo
di Bruno. Quello che sarebbe stato il primo studio italiano su Bruno e uno dei
primi a livello europeo verrà poi rifiutato dall'editore, e rimarrà
sostanzialmente sconosciuto persino alla filologia spinoziana tedesca, da
sempre molto sensibile ai precorrimenti bruniani. Le fonti principali di S.
furono il manuale del Ritter e il testo Jordazo Bruno di Bartholmèss, ma
certamente dominante è la prospettiva hegeliana: obiettivi prioritari di S.
furono la ricostruzione del pensiero di Bruno in chiave sistematica e
anticipatrice della dialettica di Hegel. In contrapposizione alla storiografia
dominante che presentava Bruno come un autore oscuro, S. ne sottolinea i tratti
di eroe e martire, marcando le differenze rispetto alla figura di Nicola
Cusano. Indugiando sul rapporto Bruno-Spinoza, un classico filosofico
dell’Ottocento, se ne rileva l’affinità, di contro all’interpretazione corrente
sostenuta da Hegel e Cousin. Gli studi su Bruno si inseriranno poi nella teoria
della circolazione, in cui saranno tenute insieme da un lato la continuità del
pensiero italiano con quello europeo, dall'altro la valorizzazione della
filosofia italiana del XIX secolo, due linee che nell’introduzione, sono
definite non sempre convergenti. Da segnalare, infine, è l'evoluzione nel
giudizio sulla figura di Bruno: gli studi sulla Ferorzenologia ed il recupero
di Kant non consentiranno più di vedere nel filosofo di Nola una anticipazione,
ma soltanto la preistoria della dialettica, analisi sulla quale si verifica una
significativa convergenza con la filologia tedesca ed in particolare con
Sigwart. Alla presentazione seguono la Lettera sulla dottrina di Bruno e Della
coincidenza degli opposti entrambi presenti nella Biblioteca Nazionale di
Napoli. L. GENTILE, Coscienza nazionale e pensiero europeo in S., Edizioni
Noubs, Chieti. Il libro si articola in cinque capitoli, il primo dei quali
mostra come filosofia e cultura non siano mai disgiunte nel pensiero di S.: la
rigorosa riflessione di carattere metafisico sul reale non è mai astratta dai
concreti problemi storici e dalla situazione politica. L'analisi del rapporto
tra oggettività storica e soggettività filosofica occupa l’intero secondo
capitolo, nel quale si tematizza uno dei problemi maggiori dello S., ossia
l'armonizzazione tra genio italiano e modernità europea. Il tentativo di
rivalutare la tradizione rinascimentale italiana come anticipatrice degli
sviluppi europei fino all’idealismo tedesco non poteva che sviluppare
un’avversione nei confronti della scolastica. A proposito della volontà di
aggiornare il dibattito filosofico italiano, nel terzo capitolo si mostra
l’itinerario spaventiano, dagli studi sulla fenomenologia dello Spirito ai
rapporti con Gans e Michelet, per arrivare a Darwin ed Herbart. Nel capitolo
successivo si prendono in esame soprattutto le influenze di Werder e Fischer
sul pensiero spaventiano, al fine di contribuire alla vexata quaestio sulla
riforma della dialettica hegeliana. A conclusione si evidenzia l’attenzione che
l’autore nutriva per le nuove correnti come il positivismo, lo scientismo,
l’evoluzionismo, nello sforzo di reintrodurre un principio teleologico dopo il
definitivo abbandono di qualsiasi fattore soprasensibile, carattere che
accomuna tanto la scienza dell’apoca, quanto l’hegelismo. D. D'ORSI, Introduzione
a B. S., Sulle Psicopatie in generale. Con appunti e frammenti inediti, Cedam,
Padova 2001. L'introduzione avvia una disamina del nuovo materiale ritrovato da
D’Orsi, relativamente ai cinque nuovi foglietti recuperati, alle voci
dell’Erciclopedia Popolare italiana ed altri contributi. Vi è anche spazio per
una polemica con Tessitore a proposito della misteriosa figura di Basilio
Scalzi, che secondo D’Orsi altro non era che uno pseudonimo di S., mentre per
Tessitore si trattava di un epigono della scuola di S.. D’Orsi si occupa anche
di stabilire un possibile nesso tra gli studi di Bertrando sulle Psicopatologie
e la Psicopatologia generale di Jaspers, dal momento che entrambi si
concentrano sul problema dell'unità psichica come autentico problema di
carattere filosofico. Il testo include la riproduzione dei cinque foglietti
stampati, le voci curate da S. per l’Enciclopedia, alcuni appunti autografi e
la riproduzione dei 4 articoli sulla Gita a Montecassino. G. ORIGO, Crisi e
trasformazione della metafisica nel maturo S., Edizioni FERV, Roma. Tema
centrale del libro è il testo postumo Esperienza e Metafisica, nel quale S.
tenta non solo di arginare la nuova ondata di scientismo che attraversava il
suo tempo sotto il nome di positivismo ed evoluzionismo, ma anche di
confrontare queste due nuove linee di pensiero con la dialettica e la
riflessione speculativa. Origo sottolinea che il tentativo di S. non è
arroccarsi nella fortezza della metafisica, quanto piuttosto evidenziare
l’ingenuità dei presupposti filosofici. da cui queste nuove correnti dipendono.
L’intrascendibilità del pensiero, quella stessa che S. ribattezzerà ‘metafisica
della mente” costituisce il patrimonio filosofico di cui l’autore abruzzese non
è in alcun modo disposto a privarsi. RIZZO, S. Le lezioni sulla storia della
filosofia italiana, Siciliano, Messina. Rizzo analizza la dipendenza
dell’interpretazione del pensiero di S. dalle figure di Gentile e Croce, autori
delle principali pubblicazioni con le quali l’autore abruzzese venne
letteralmente riscoperto tra la fine dell'Ottocento e gli inizi del Novecento.
Pur prendendo in considerazione le critiche relative alla mancanza di valore
storico della teoria della circolazione, troppo legata ad un accanimento
speculativo, Francesca Rizzo rivendica la possibilità di sviluppare un
europeismo più maturo proprio a partire dalla inattualità del pensiero di S.,
ingiustamente accusato di provincialismo e di eccessiva dipendenza dal sistema
hegeliano. Il capitolo secondo si apre con una contestualizzazione del clima
culturale nel quale S. tenne la sua prima lezione presso l’Università di
Napoli: la trasformazione di ogni nazione in una stazione del progresso dello
spirito, il cui agere non abita nessun luogo non comportano il rischio della
fantasia al potere, ma si presentano come l’unico modo per evitare di costruire
la storia della filosofia quasi fosse un inventario. Il capitolo terzo rifiuta
l'accusa di deduttivismo storico e ripercorre le prime lezioni del corso nel
quale viene stigmatizzata la dogmaticità del pensiero italiano, capace di
soffocare i grandi del Rinascimento. Il capitolo quarto ripercorre le lezioni
su Campanella, Bruno e Vico. Molto saggiamente il nome di Galileo è posto tra
parentesi, dal momento che S. ne tratterà soltanto in Esperienza e metafisica.
Il capitolo quinto è dedicato all’ultima filosofia italiana, in particolare le
lezioni su Galluppi, Rosmini e Gioberti, fortemente svalutati rispetto alla
genialità delle intuizioni dell’idealismo. Essenziale novità per S. rimane il
problema della conoscenza, tema principe della filosofia da Kant in poi. Il
testo prosegue con l’analisi delle interpretazioni del pensiero di Vico
proposte da Francesco Fiorentino e Giovanni Gentile e si conclude riportando il
testo della prima lezione del corso tenuto da
S. PORTA, Recensione a G. ORIGO, Crisi e trasformazione della metafisica
nel maturo S., Edizioni FERV, Roma, in “Rinascita della scuola. La recensione
tende a sottolineare il rapporto tra criticismo kantiano e neoidealismo
italiano. GENTILE, S., V. A. BELLEZZA (a cura di), Le lettere, Firenze. Il volume
riporta quasi tutti i testi prodotti da Gentile come commenti alle opere di S.
in occasione delle varie pubblicazioni. La prima parte raccoglie tre complessi
studi sulla figura del filosofo abruzzese: il primo coincide con la biografia
inserita anche nella edizione delle Opere, il secondo riguarda la riforma
dell’hegelismo, il terzo è un bilancio a cinquant'anni dalla morte del
filosofo. La seconda parte riprende le prefazioni e le note di Gentile a
diversi scritti spaventiani, per la maggior parte inseriti già nelle Opere del
‘72. Al termine è inserita una Appendice che raccoglie altri interventi di
Gentile. Una breve nota di Vito Bellezza conclude il testo. E. COLOMBO,
Introduzione a B. S., Studi sopra la filosofia di Hegel. Prime categorie della
logica di Hegel, CUSL. Il saggio mostra i motivi di scontro con le obiezioni di
Trendelenburg che tendevano a mettere in discussione la concretezza del sistema
hegeliano. Anche con l’aiuto della logica di Fischer, S. vuole ribadire il
nucleo centrale della sua visione ossia che la logica è metafisica. L’autore
sottolinea anche il ruolo essenziale che nel pensiero di S. svolge la
Fenomenologia quale “ancilla scientiae alla soglia del tempio”. SAVORELLI,
Gentile editore e interprete di S.. L'ultimo volume delle “Opere”, in “Giornale
Critico della filosofia italiana. Savorelli attribuisce la riscoperta di S. a
merito esclusivo del Gentile, il quale costrinse gli italiani a cibarsene. La
mancanza di una scuola capace di sostenere e diffondere l'insegnamento di S.
contribuì ad un inesorabile declino: la polemica tra Gentile e Croce contribuì
quantomeno a risollevare le sorti del filosofo abruzzese. È stato Gentile a
interpretare in chiave squisitamente filosofica la teoria della circolazione
del pensiero, benché la riforma avviata dallo S. sia stata interpretata come
inizio dell’attualismo più che come crisi dell’hegelismo. Savorelli aggiunge
una appendice sul libro di Francesca Rizzo in cui S. è presentato come un
classico della cultura italiana dell’unità assieme a De Sanctis, Labriola e
Villari. P. DE LUCIA, Donato Jaja e il significato teoretico e storico della
filosofia rosminiana, in “Filosofia oggi. Il saggio propone una disamina del
rapporto tra lo spiritualismo rosminiani e l’attualismo gentiliano, anche con
l'intento di valutare la consistenza della tesi sul presunto carattere
cattolico del suo idealismo sottolineata già da Noce e Carabellese. Punto
focale della ricerca è mostrare la dipendenza degli studi jajani
dall’interpretazione spaventiana secondo la quale Rosmini sarebbe il Kant
italiano. Elemento centrale che accomuna i due pensatori è la cosiddetta
mentalizzazione del fondamento. S. riconobbe a Kant il merito di aver risolto
il problema della conoscenza in base ad un principio superiore (l’unità
sintetica originaria cui equivale il rosminiano sentimento fondamentale). S.
denuncia poi l’imperfezione dualistica che caratterizza tanto Kant quanto
Rosmini, Jaja riprende nei suoi studi la critica spaventiana al Rosmini, il
quale non colse il superamento kantiano della concezione della estraneità dello
spirito rispetto alla realtà esterna. Bullia criticherà Jaja per non aver
tenuto conto, all’interno di questa sua valutazione, della dottrina della
creazione che svolge un ruolo essenziale nella teosofia rosminiana. Rimane
dunque la possibilità di istituire un parallelo tra i due sulla base del fatto
che per entrambi pensare equivale a giudicare, ma senza dimenticare le
differenze nel rapporto con la realtà esterna: il giudizio di Jaja e gi
sviluppi gentiliani hanno salde radici, dunque, nella lettura spaventiana. A.
SAVORELLI, Introduzione a S., La filosofia italiana nelle sue relazioni con la
filosofia europea, Storia e letteratura, Roma. Savorelli ricorda che il testo non
solo è il più discusso ed il più innovatore degli scritti di S., ma è anche
l’unico che l’autore abbia condotto a termine, date le disavventure editoriali
di opere quali Logica e Metafisica e la dispersione dei suoi saggi filosofici.
La scelta di Gentile di modificare il titolo originario nell’attuale tende a
sottolineare che l’interpretazione storica fornita da S. è innanzitutto una
operazione filosofica, anzi, forse l’unica autentica storia della filosofia
italiana. Savorelli tenta di ricostruire le fonti cui S. si è ispirato, dai
testi di Cattaneo alle tesi di Gatti e Cusani, dovendo però riconoscere che
l'apporto di S. in termini di chiarezza e originalità è stato determinante,
soprattutto grazie alla conoscenza profonda dei testi hegeliani che i suoi
contemporanei non possedevano. Savorelli concentra la propria attenzione su
alcuni aspetti decisivi del contributo spaventiano come la capacità di
agganciare la filosofia italiana al pensiero europeo e di contrastare le
tendenze neoguelfe. Dopo aver messo in luce che l’eroe della Rinascenza
italiana è senz'altro Bruno, Savorelli chiarisce che l'elaborazione di una
nuova prospettiva storica mediante la quale comprendere il Rinascimento non
segue un percorso lineare, ma subisce una drastica rivoluzione dovuta
all’approfondimento del pensiero hegeliano. A motivo della sua sincera
ammirazione per l’idealismo tedesco S., benché rivaluti la filosofia italiana
dell'Ottocento a integrazione della sua teoria della circolazione, non smetterà
mai di evidenziarne le lacune. Savorelli conclude mostrando come Gentile abbia
manifestato un chiaro dissenso su diversi punti rispetto alle tesi spaventiane,
in alcuni casi fino a tradire le intenzioni del filosofo abruzzese: vero merito
di S. rimane in ogni caso quello di aver fornito all’Italia una chiave di
lettura della modernità, o meglio una alternativa al neoguelfismo da un lato e
all’empirismo dall’altro. VITIELLO, Hegel in Italia. Dalla storia alla logica.
Guerini, Milano.Vitiello individua l’hegelismo di fondo di S. nell’attenzione
dedicata al problema della relazione. Hegel si pone, nel pensiero del filosofo
abruzzese quale risposta ad una domanda: come dare ragione a Fiche senza
smentire Schelling? Tale la questione filosofica che coinvolge in realtà
l’intero pensiero moderno. La risposta si trova nella reciproca fondazione di Fenomenologia
e Logica (benché in realtà profonda sia la differenza tra il “primo” dell’una e
dell’altra), fondazione rimasta incompresa tanto da Gentile quanto da Croce.
Servendosi anche dei contributi di Fischer e Werder in quanto oppositori di
Trendelenburg, Vitiello mostra quale sia lo sfondo storico di quella identità
tra pensiero e realtà che si trova oltre la relazione medesima. Alla base della
Logica si trova la volontà. L'analisi della contraddizione intrinseca
all'essere conduce alla consapevolezza che l’Essere dell'inizio della logica
non è interamente riconducibile al pensiero. Qui si avverte l’intima prossimità
di S. a quel Prius di Schelling che non è pensiero, bensì volontà. Al fondo
rimane l’enigma della vita, senza ragione. ORIGO, S.. Interprete della
circolazione filosofica italiana, Edizioni FERV, Roma Obiettivo dichiarato di S.
e quello di creare un autentico spirito nazionale rifacendosi alla tradizione
filosofica rinascimentale e mostrandone il carattere precursore rispetto al
pensiero europeo moderno. Il pensiero moderno non è nazionale, ma innanzitutto
europeo: nel testo si sottolinea la distanza su questo punto tra Vico e Kant:
benché alcune riflessioni del filosofo napoletano possano essere lette come
anticipazioni del pensatore tedesco, rimane al fondo una differente
consapevolezza, dal momento che Kant è conscio di inserirsi in un dibattito
europeo, non così Vico. La dimensione europea del moderno non significa
rinuncia, bensì valorizzazione delle componenti nazionali: il carattere della
circolazione filosofica italiana è intrinsecamente hegeliano. Il progetto di
una connessione tra Rinascimento e idealismo matura progressivamente durante il
periodo torinese, ma trova il suo pieno e compiuto sviluppo soltanto nel
periodo napoletano, anche grazie alla posizione accademica dello S., prima
costretto a brevi interventi sottoforma di articoli di giornale. Oltre alla
necessità di una rivalutazione del pensiero di Rosmini e Gioberti al fine di
portare a termine una sorta di rivincita sul genio germanico, essenziale è
individuare nelle meditazioni spaventiane un problema di logica della storia
per cui furono i fatti a condannare Bruno. A. SAVORELLI, Croce e S., Giornale
Critico della Filosofia Italiana. Se già nel 1907, in occasione del confronto diretto
con Hegel, Croce “dovette riprendere in mano anche i testi dello zio
Bertrando”, la sintonia si deteriorerà progressivamente negli anni, benché
secondo Savorelli Croce non sarebbe mai giunto ad una rottura definitiva, né a
pronunciare una condanna senza appello. L’ambiguità dell’atteggiamento di Croce
è legato da un lato alla critica della dialettica hegeliana che dal 1912
investirà non solo Hegel, ma anche S., dall’altro alla sostanziale
accondiscendenza di Croce all’interpretazione di Vico proposta da Bertrando S. S.
è ancora un “gagliardo tentativo di alta cultura”, ma si avrà, secondo Savorelli, una accelerazione
critica nei suoi confronti: sottolineando le origini “clericali” e la
statolatria (presupposto dell’adesione di Gentile al Fascismo), Croce prenderà
le distanze dal filosofo abruzzese, benché nel ’48 la rilettura di Hegel
passasse nuovamente dagli scritti di S.. A. SAVORELLI, Croce e S., in
SAVORELLI, L’aurea catena. Saggi sulla storiografia filosofica dell’idealismo
italiano, Le lettere, Firenze.Il testo riprende le tesi dell’articolo apparso
sul “Giornale critico della filosofia italiana”, Ja-A23 La filosofia del
Risorgimento. Le prolusioni di Bertrando S., La scuola di Pitagora editrice,
Napoli Il libro presenta la lezione proemiale al corso di filosofia del diritto
letta all’Università di Modena e le due prolusioni alle lezioni rispettivamente
al corso di storia della filosofia tenuto all’Università di Bologna nel 1860 e
al corso di filosofia teoretica dello stesso anno, tenuto all’Università di
Napoli, oltre alla “Nota alla prolusione. Introduzione alla filosofia indiana”.
I testi sono preceduti dal già menzionato saggio di Garin Filosofia e politica
in Bertrando S.; al termine sono riportati due brevi interventi di T. Stràter e
di B. Croce. ROTA, La circolazione del pensiero secondo S. Rivista di Storia
della Filosofia. Gramsci, che certo non stimava S., a motivo della sua
provincialità e della mancanza di stimoli da parte del suo tempo a pensare in
maniera epocale, attribuisce comunque al filosofo di Bomba una certa importanza
in relazione alla teoria della circolazione del pensiero. “Siamo arrivati tardi
dopo essere stati i primi” è una formula che riassume con incisività e
concisione il pensiero di S., che voleva superare la miseria delle gare di
parte che ancora caratterizzavano il dibattito italiano per elevarlo sulla
scienza europea. Per attualizzare Hegel in Italia non si poteva utilizzare la
figura di Lutero, destinato comunque sempre a rimanere un forestiero. La Chiesa
cattolica che per Hegel era ormai passiva nella storia, risultò per S. una
zavorra estremamente attiva: abbandonato Lutero, dunque, si guarda a Bruno e
Vico. Rota accenna anche alla polemica con Mariano, secondo il quale il genio
italico non era un tema che potesse assumere rilievo scientifico. Rota conclude
precisando che, sebbene si debba a Gentile la riscoperta di S., questi non condivideva
la filosofizzazione della storia attuata dal suo maestro ideale su due punti:
Gentile non accettava la diagnosi di encefalogramma piatto dell’Italia del XVI
e XVII secolo, rifiutando altresì la concezione ancora troppo naturalistica del
concetto di nazione formulata dal filosofo abruzzese. CAPUTO, S. e la sua
scuola. Saggio storico-teoretico, Istituto italiano per gli studi filosofici,
Napoli. Il libro si divide in tre parti. La prima dedicata alla delicata
sintesi che Spaventa tentò di sviluppare tra hegelismo e liberalismo, in cui si
sottolinea l’importanza del Collecchi nella formazione del filosofo abruzzese,
l’importanza di una esegesi unitaria degli scritti spaventiani, l’importanza
dell’attività di pubblicista nel periodo torinese e la parentesi sulla logica
di Hegel. La seconda parte riguarda la linea mediana tra realismo e idealismo
che S. cerca, dove si segnala l’importanza di una interpretazione originale
della dialettica hegeliana anche rispetto al confronto con le correnti
scientiste dell’epoca, senza dimenticare l’intenso studio sulla politica
hegeliana e sul problema del sopramondo. L'ultima parte è dedicata alla scuola
di S., in particolare in riferimento alla crisi dell’hegelismo e al binomio
Croce-Gentile, cui l’autore contrappone il real-idealismo diAlderisio. Si
menzionano anche le interpretazine materialistica di Labriola e l’hegelismo
critico di Maturi, per concludere con una disamina dell’idealismo di Jaja e
dello spiritualismo critico di Masci. RASCAGLIA, Paolottismo, positivismo,
razionalismo (la stesura originaria di Maria Rascaglia), in “Giornale Critico
della Filosofia Italiana. Una brevissima introduzione, dove si ricorda
l’importanza del riordino dei materiali scompigliati dai bombardamenti nella
sede della Società Napoletana di Storia Patria e l’importanza della figura di
Meis nella corrispondenza dei fratelli S., accompagna il testo della lettera
indirizzata prima a Fiorentino e poi in un secondo tempo proprio al De Meis da S.
Lettera nota poi con il titolo di Paolottismo, positivismo, razionalismo. Oltre
alla versione iniziale della lettera, sono state inserite i passi della minuta
che consentono di comprendere il lavoro di revisione compiuto da S. G. ORIGO,
Da Bruno a Spaventa. Perpetuazione e difesa della filosofia italica,
Bibliosofica, Roma. L’obiettivo dichiarato di Origo è una rivalutazione della
filosofia italica, mentre nell’Introduzione si rivendica l’opera di
ricomposizione della tradizione italiana operata da S. di contro ad una
arbitraria dissoluzione a causa della quale si sorvola troppo spesso sui nessi
che legano Bruno, Campanella, Galilei e Vico. Innanzitutto mettere a fuoco il
concetto di conato in Bacone e in Bruno consente a Origo di evidenziare subito
l’opera di disincantamento attuata da Bruno nei confronti della teologia
dogmatica che non compie alcuno sforzo filologico: l’universo come articolarsi
che trascende se stesso prepara la via a Galilei, oggetto di studio del secondo
capitolo del testo. La medesima volontà di superare le visioni dogmatico- esaustive
muove Galilei verso una trasformazione epocale, di portata senz’altro europea:
la ricostruzione dello scienziato è sempre anche costruzione, anticipando così
la lezione dello stesso Vico; di nuovo l’articolazione discorsiva delle forze
costituisce la chiave di lettura del gran libro della natura, benché Origo
tenga a precisare come l'equilibrio tra lo scienziato ed il filosofo sia
destinato a rimanere precario. L'esigenza di scandagliare ancora più a fondo i
contributi scientifici del Rinascimento conduce Origo a esaminare nel terzo
capitolo il ruolo di Vico, Bacone e Grozio. Vico è citato non solo per l’idea
di mutamento che si realizza nelle tre età della storia, ma anche per la
concezione della pubblica giurisprudenza, in connessione con la figura di
Grozio e con la sua destabilizzazione ermeneutica che conduce ad una
preponderanza del diritto umano su quello naturale. A tali studi, come precisa
Origo, si ricollegherà Spaventa anche nella sua polemica con i Gesuiti,
ulteriore occasione per sostenere l’unità riflessiva di verocerto di contro al
monismo scolastico. Prima di affrontare, nel quarto capitolo, il rapporto tra
storicismo vichiano e spaventiano, Origo presenta alcune indicazioni per una
ricostruzione filologico-giuridica del rapporto Vico- Grozio. L’affinità tra
Vico e Spaventa implica sempre, tuttavia, il riconoscimento di una essenziale
distanza, dovuta all'influenza hegeliana: il progetto vichiano appare sotto
molti aspetti innovativo, ma rimane incompiuto. A conclusione si vuole rimarcare
la capacità della filosofia italica di scardinare la dogmatica scolastica di
stampo accademico. ORIGO, Bruno visto da S., Bibliosofica, Roma. Nella
prospettiva di Origo Spaventa incontra Bruno come l’allievo si imbatte nel
vecchio Maestro, ponendo in evidenza in particolare le categorie del
precursionismo e dell’eroicità del pensiero. Il parallelismo tra le due figure,
non solo su un piano intellettuale, bensì coinvolgendo anche quello biografico,
percorre i cinque capitoli in cui si snoda il testo. Essenziale è comprendere,
innanzitutto, la posizione di Bruno sulla posizione fede-ragione, laddove 1°
“intellego ut credam” è pensato come sforzo e tensione continua del pensiero
contro ogni pregiudizio alla ricerca di Dio: già in questa luce è possibile individuare
l’eroismo come tratto che caratterizza gli sforzi umani e la vittoria della
filosofia sulla teologia, nel senso preciso del dubbio che inquieta il dogma.
Il terreno dello scontro, attorno a cui ruota il secondo capitolo, viene
individuato nell’ambito accademico, che attraversava una forte crisi in Italia
già durante il XIV secolo, proprio a motivo dei contrasti tra teologia e
filosofia: di fronte alla rigidità istituzionale imposta dalla Chiesa anche in
ambito culturale, Origo vede in Bruno il nuovo “filologo”, capace di analizzare
la realtà partendo da punti di vista differenti; inevitabile, anche in questo
caso, come in quello della tolleranza accademica, discusso nel terzo capitolo,
la ripresa del parallelismo tra Bruno e S. Origo pone addirittura un
parallelismo esplicito tra l'università di Padova e quelle di Torino, Bologna e
Modena. Superare i limiti imposti dall’autoritarismo accademico accomuna S. e
Bruno, presentati come menti eroiche, di contro all’intolleranza prevaricatrice
di quei grammatici e pedanti che Bruno non esita a chiamare asini, assuefatti
ed abituati alla stabile quiete del reale, perché incapaci di cogliere la
coincidenza degli opposti. Il progresso filosofico, reso possibile appunto da
quegli sforzi eroici di pochi pensatori, rivela, all’interno del quinto
capitolo, il ruolo della magia come ricerca sconfinata ed inesausta. GARIN, S.,
Bibliopolis, Napoli. Il testo si compone di una serie di saggi. Oltre al già
menzionato Filosofia e politica in Bertrando S., Noterella spaventiana e
Rassegne di studi spaventiani è presente un intervento dal titolo Da ur secolo
all’altro, che si apre con la famosa lettera in cui si associa Napoli alla
filosofia, continuando poi citando l’altrettanto nota lettera del Villari sull'importanza
della filosofia per creare l’unità d’Italia. Nel testo Tocco alla scuola di S.,
l’alllevo è considerato come il maggior storico della filosofia del suo secolo,
non solo per la vastità delle sue nozioni ma anche per l’approfondimento su
questioni come la logica e l’anima intesa come intimo fonte della conoscenza
del reale. A questo intervento si deve aggiungere Ur “pamphlet” antidemocratico
inedito di S., incentrato sullo scritto destinato al “Fanfulla”. Di qui
l'occasione per approfondire il rapporto polemico tra Spaventa e molta parte
della sinistra hegeliana. Di argomento più vasto è lo scritto Filosofia a
Bologna fra Ottocento Novecento, dove si mostrano pregi e difetti
dell’interpretazione del Rinascimento proposta da S., anche in polemica con
alcuni suoi contemporanei, desiderosi di annunciare la definitiva liquidazione
di ogni metafisica. Bertrando
Spaventa. Spaventa. Keywords: italianita, Englishry, Englishness, English
nation, the English, the English tongue, the tongue of the English, the tongue
of the Anglians, the English spirit, the English ghost. Refs.:
Luigi Speranza, “Grice e Spaventa” – The Swimming-Pool Library. Spaventa.
Luigi Speranza -- Grice e Spedalieri: all’isola
-- la ragione conversazionale e l’implicatura conversazionale dei diritti
dell’uomo – la scuola di Bronte – filosofia siciliana -- filosofia italiana –
Luigi Speranza (Bronte). Filosofo
siciliano. Filosofo italiano. Bronte, Catania, Sicilia. Studia nell'oratorio di
Neri di Bronte e nel seminario di Monreale. Insegna filosofia a Monreale. Alcune
sue tesi, considerate eretiche a Palermo, sono invece approvate e stampate a
Roma con il titolo di “Pro-positionum theologicarum specimen”. Trasfere a Roma.
Pio VI gli da il titolo di beneficiato della basilica vaticana che comporta una
modesta rendita mensilee l'incarica di scrivere la storia del prosciugamento
dell'Agro pontino, “De' bonificamenti delle terre pontine”. Contro l'Enciclopedia
degl’illuministi, usce la sua “Analisi dell'esame critico sulle prove di Dio”,
il “Ragionamento sopra l'arte di governare”, e “Ragionamento sull’influenza del
sacro nella società e nella civilita”. Scrive
la “Confutazione della dottrina della caduta dell’impero romano”, contro Gibbon
che imputa la caduta all'influenza negativa del sacro. Nel saggio più
importante “Dei diritti dell'uomo”, pubblicata a Roma ma, per volontà del papa,
con la falsa indicazione di Assisi, si rifece alla concezioni rousseauiane
relativamente alla dottrina di un CONTRATTO sociale come origine della società.
Contesta la tesi di un originario stato di *natura* a cui occorrerebbe tornare,
perché soltanto all'interno della società e civilta gl’uomini possono
realizzare i suoi bisogni di felicità e di perfezione. Lo STATO, a cui è
destinato l'uomo dalla natura, è la società e la civilta. Ciò e dimostrato e
vuol dire che gl’uomini non possono rinunziare, generalmente parlando, alla
società e a la civilita senz’opporsi alla sua propria natura. È parte
essenziale della costituzione sociale il principato. Il popolo degl’uomini non
ha diritto di disfare il principato. La forma migliore di governo è il
principato. Al principe il popolo degl’uomini affida tre facoltà: giudicare, di
decretare e di eseguire. Il popolo degl’uomini non può togliergli il principato
a suo beneplacito, cioè quando gli pare, per motivi leggieri, senza motivi, perché
violerebbe il patto sotto-scritto, a meno che il principe non violi la
condizione essenziale del contratto stipulato, il “do ut facias”, a meno che il
principe non faccia ciò che si era impegnato a fare in cambio della proprietà
del principato, ossia, custodire i diritti naturali di ciascuno degl’uomini del
popolo, e dirigere tutte le operazioni del principato alla felicità degl’uomini
sudditi e cittadini. Questa è la base del contratto. Se invece il principe
prende a distruggere i diritti naturali di ognuno, a sostituire il capriccio
alle leggi, e ad immergere nella miseria i poveri SUDDITI, il contratto
resterebbe sciolto da sé. Lo scioglimento del contratto non significa che il
popolo eserciti per proprio conto il governo, ma che debba investirne un altro
con auspici migliori. Ma chi deciderà che il contratto stabilito con il
principe sia nullo? Intanto, osserva che il contratto siasi sciolto già da sé
stesso, si dee legalmente dichiarare. Prima della quale dichiarazione, a niuno
è permesso di sottrarsi dall'ubbidienza del principe. E il diritto di far tale
dichiarazione non appartiene a verun privato, né alla unione di alcuni, né anco
alla moltitudine. Solo un corpo che rappresenti *OGNI SUDDITO* può dichiarare
lo scioglimento del patto con il principe. Questo vero corpo e formato da ogni magistrato,
ogni ordine de' cittadini, ogni persona illuminata, proba, e non soggetta
all'impeto del momento. La colta nazione italiana nella costituzione
fondamentale, che dà a sé stessa, e che inerisce nel contratto che fa con la persona
che vuole innalzare al principato, e che questa giura di mantenere, sempre,
forma un corpo o sia un collegio che rappresenta permanetutti ogni cittadino. Laonde
basta che la dichiarazione si faccia da questo corpo per esser legale. Qualora
il principe resista e voglia mantenere il potere non più riconosciutogli, comportandosi
così da tiranno. Il corpo di LA NAZIONE ITALIANA mai però un singolo cittadino
italiano puo legittimamente giungere fino all'estrema soluzione di condannarlo
a morte. Si mostra avverso sia al dispotismo illuminato che rifiuta tanto
il principio della sovranità del popolo quanto il primato del sacro nel governo
dello stato, sia i princìpi laici della rivoluzione. La garanzia di assicurare
i diritti fondamentali di ogni uomo italiano è data dalla natura che ha come
princìpi essenziali l'amore e la carità verso il prossimo. Polemizza anche contro
i giansenisti che accusa di giacobinismo e di spirito sovvertitore dei troni. Gli rispose con asprezza TAMBURINI in “Lettere
teologico politiche”. Il riconoscimento che la sovranità deriva dal popolo degl’uomini
e che questi uomini italiani, attraverso i suoi delegati, possa giungere a
rovesciarne il potere, gli procurarono violente critiche e inimicizie da parte
dei circoli reazionari e in parte anche moderati, e al saggio, che ha alla sua
uscita una notevole diffusione, il divieto di pubblicazione in tutta Italia. Puo
nuovamente circolare, anche se in Italia, mutato il clima politico e culturale,
venne nuovamente ignorato. GEYMONAT, “Il pensiero filosofico-pedagogico
italiano, Filosofi e pedagogisti estranei all'illuminismo in GEYMONAT, Storia
del pensiero filosofico e scientifico” (Milano, Garzanti); Melzi, Dizionario di
opere anonime e pseudonime di scrittori italiani: o come che sia aventi
relazione all'Italia. Milano: Coi torchi di Pirola, Nicolini, op. cit.., Giurintano,
Società e Stato (Palermo). Pisanò, “Una teoria comunitaria dei diritti umani: i
diritti dell'uomo” (Milano). bronteinsieme Enciclopedia Italiana, Roma,
Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Melanzio Alcioneo, arcadi. Nicola Spedalieri.
Spedalieri. Keywords:gl’arcadii, diritti degl’uomini, polemica con Gibbon, il
sacro, il crollo del principato romano, Gibbon. Refs.: Refs.: Luigi Speranza, “Grice e
Spadalieri sul contratto conversazionale.” H. P. Grice, “A critique to
conversational quasi-contrastualism.” Luigi Speranza, “Grice e Spedalieri” –
The Swimming-Pool Library.
Luigi Speranza -- Grice e Speranza –
implicatura ed implicatura -- filosofia italiana – By Luigi Speranza, pel
Gruppo di Gioco di H. P. Grice, The Swimming-Pool Library (Albalonga). Filosofo. Speranza, Ugo --
Speranza, Alessandro -- Speranza, Ettore -- Speranza, Gianni -- Speranza, Paola
-- Speranza, Anna-Maria -- Speranza-Ghersi –Ghersi-Speranza, Anna-Maria --
Speranza lui speranza: luigi della
--. Italian
philosopher, attracted, for some reason, to H. P. Grice. Speranza knows St.
John’s very well. He is the author of “Dorothea Oxoniensis.” He is a member of a
number of cultivated Anglo-Italian societies, like H. P. Grice’s Playgroup. He
is the custodian of Villa Grice, not far from Villa Speranza. He works at the
Swimming-Pool Library. Cuisine is one of his hobbiesgrisottoa alla ligure, his
specialty. He can be reached via H.
P. Grice. Refs.: Luigi Speranza, “Vita ed opinion di Luigi Speranza,” par Luigi
Speranza. A. M. Ghersi Speranza -- vide Ghersi-Speranza. Ghersi is a
collaborator of Speranza. Grice: “It’s easy enough to list Speranza’s publications.” Speranza,
like Mill, was fortunate to belong to a literary familyand he would read
Descartes’s Meditations, which drew him to philosophy. His studies in logic
drew him to semanticsHis first love was Oxonian analysis as summarised in
Hartnack’s essay on ‘contemporary’ philosophy. One of Speranza’s earliest
essays is on Plato’s Cratylus, relying mainly on Cassierer, but also drawing
from Austin’s Philosophical Papesr. Spearnza’s idea is that “ … mean …” is a
dyadic relation and what’s behind Plato’s theory of forms. This was Speranza’s
contribution to a seminar in ancient philosophy. For his contribution on
medieaval philosophy, Speranza drew on the modistae, and the Patrologia Latina
for the use of ‘intentio’ in various writers, up to AquinoSperanza finds it
fascinating that the earliest modistae do find a conceptual link between the
‘intentio’ and the ‘significatio.’ For a seminar on scepticism, Speranza
contributed with a paper on Gricedrawing on Sextus Empiricus and Bar-Hillel. It
relates to Grice’s problem with the conversational category of fortitude.
Speranza concludes that a phenomenalist account is possible, but there are two
other options: ‘silence’ (“not to participate in the conversational game”) or
the utterance of non-alethic utterances, such as questions and commands. For a
seminar on political philosophy, Speranza contributed with an essay on
‘Contractualism’ from Rousseau onwards --. For a seminar on phenomenology and
the social sciences, Speranza contributed with an essay on ‘The conversational
unit,’ the idea that the emic approach is preferable to the etic approach. For
a seminar on argumentation theory on Habermas, Speranza contributed with a
“German Grice,” the idea of a ‘strategy’ is a momer. Grice is into co-operative
proceduresand those who provide taxonomies of rationality should be made aware
of this. For “The Carrollian,” Speranza contributed with “Humpty Dumpty’s
Impenetrability.” The idea that Davidson is right and Alice does not mean that
there is a knock-down argument, or that she should change the topiche draws on
Grice’s collaborator at Oxford, D. F. Pears, for his insights on “Intention and
belief.” At the request of the editor of a bibliographical bulletin, M. Costa,
Speranza contributed with reviews of oeuvre by R. M. Hare (“Sub-atomic
particles of logic”), J. F. Thomson (“if and If”) and work on the English
philosopher H. P. Grice (J. Baker, etc.). His review on Way of Words spramg
from the same project, and it is an ‘invitation.’ For a congress of philosophy,
Speranza presented “On the way of conversation,” playing on Grice’s “way of
words”“Surely there’s more than words to conversation.” Speranza focuses on
what Grice amusingly calls a ‘minro problem,’ that of expression
meaningSperanza’s example: “How do you find Bologna?” “I haven’t been mugged
yet” was inspired by a remark of an attendant to the conference. For a congress
on conversational reasoning, Speranza contributed with “First time at Bologna?”
providing twenty five possible answers“first time in the region, actually.”
Etc. Speranza, following Grice, refers to this sort of reasoning as a sort of
‘brooding’to ‘brood’ is to ‘reason’ in a calculated fashion. As an invitation
project, Speranza collaborated with “Rational face to rational face: a study in
conversational pragmatics from a Griceian perspective.” In his essay
“Post-modernist Grice,” he deals with the unary and dyadic connectors. For a
congress on “Current Issues,” Speranza presented his “The feast of reason,”
three steps in the critique of conversational reason. The first step is
empirical, the second is quasi-contractualist, and the third is rational,
undersood weakly and strongly. For an essay on relativism, Speranza presented
an essay on ‘The cunning of conversational reason.’ Speranza maintains Grice’s
jocular references to Kant -- the Conversational Immanuel. For an essay on
desirability, Speranza explored the issues connected with mise-en-abyme and
self-reflectionsome of these were published. There is published correspondence
with members of what Speranza calls the Grice Club. Refs.: The H. P. Grice
Papers, BANC MSS 90/135c, The Bancroft Library, The University of California,
Berkeley. Speranza, villaThe Swimming-Pool Library, H. P. Grice’s Play Group,
Liguria, Italia. Luigi Speranza, “Grice e la storia della filosofia italiana.” Speranza
has done crucial research on Griceianism, unearthing some documents by O.Wood,
J. O. Urmson, P. H. Nowell-Smith, and many many others – not just H. P. Grice. Vide: The Grice Papers, BANC, MSS. Speranza
Luigi Speranza --Grice e Spintaro: la ragione conversazionale della
filosofia pre-romanica -- Roma – la scuola di Taranto – filosofia pugliese -- filosofia
italiana – Luigi Speranza (Taranto).
Filosofo pugliese.
Filosofo italiano. Taranto, Bari. Teacher – and father – of Aristosseno. Grice:
“Oxonians might wonder why Italians are so obsessed with Crotona, Taranto, and
the rest of them, but I SEE it: it’s all about the pre-Roman!”
Luigi Speranza -- Grice e Spirito: la filosofia
dello spirito – filosofia fascista – ventennio fascista – i corpi – corpo e
corporazione – la scuola d’Arezzo -- filosofia toscana -- filosofia italiana –
Luigi Speranza (Arezzo). Filosofo
aretino. Filosofo toscano. Filosofo italiano. Arezzo, Toscana. Studia sotto GENTILE.
Firma il manifesto dei filosofi fascisti. Teorico del corporativismo. Insegna a
Pisa, Messina, Genova e Roma. Tra i principali filosofi a Roma insieme con ANTONI,
allievo di CROCE, CALOGERO -- filosofo del "dialogo" -- Cf. Grice –
“dialogo” vs. “conversazione” -- e NARDI grande studioso di filosofia di ALIGHERI
e medievale. Rinomate sono non tanto le sue lezioni quanto i suoi pomeriggi di
discussione del GIOVEDÌ. Tre ore, non di lezione, ma di discussione serrata su
un problema filosofico -- uno soltanto per un intero anno. Uno, per esemptio, e
dedicato al concetto di sogno. Ai giovedì nell'aula grande dell'istituto di filosofia
interveneno tante e diverse persone: gli studenti, i numerosi assistenti e
inoltre partecipanti di convinzioni e provenienze. Ascolta tutti, rilancia e
guida la discussione verso nuove prospettive interpretative. Pubblica saggi
connessi a quei giovedì. Tra le altre: “Il problematicismo”; “La vita come ricerca”
(Rubbettino); “La vita come amore”, “Cattolicesimo e comunismo”, fino a l’autobiografica
“Vita d’un incosciente”. Volendo indicare un tratto distintivo della sua
filosofia, essa consiste nella curiosità e nel rispetto per qualsiasi
posizione. Non esiste una parola definitiva. La ricerca della verità dove
essere portata sempre ulteriormente avanti.
In questa maniera vanno interpretate le sue riflessioni che spaziano dai
campi della speculazione filosofica. Tra i vari livelli di ricerca, spicca la
riflessione sulle strutture dello STATO. Allontanandosi nettamente dal
liberalismo filosofico, non vede alcuna contra-posizione tra la figura dell'individuo
o cittadino e quella dello stato. Con un passo oltre questa interpretazione,
che giudica dis-organica e arbitraria, vede LO STATO come figura entro cui i
cittadini vieneno a realizzarsi. Il binomio stato/cittadino diventa così
un'equazione, in cui il secondo termine viene a risolversi e quindi realizzarsi
pienamente nel primo. Caratterizza lo stato non come una semplice sovra-struttura
disciplinatrice, ma come un organismo che esprime UN’UNICA VOLONTÀ e compone
tutti i dissidi dei cittadini. In questa maniera, l'unica via percorribile
nella realizzazione di tale modello è la via corporativa in cui lo stato -al
meno due cittadini -diventa stato di al meno due produttori. Lo stato rappresenta
il luogo in cui interesse pubblico o comune ed interesse privato o soggetivo
del cittadino vengono a coincidere. In esso non deve venire annullata quella
sorgente di vita che sono i cittadini. Questa concezione è stata definita
immanenza dei cittadini nello stato, volta alla mobilitazione dei cittadini
nelle e per le strutture create dallo stato. L’economia è politica. Deve
garantire la sub-ordinazione alle scelte sociali. Inquadra il ruolo che assegna
allo stato in termini di intervento pubblico o comone. Ben lungi dal
prospettare una situazione paragonabile al collettivismo, è lontano anche dagli
eccessi dis-organici che imputa al sistema liberale. Il funzionario di stato,
che in prospettiva dove andare a sostituire il capitalista privato, e giudicato
non come un agente del collettivismo o del capitalismo statale -che sappiamo
cosa produce col sovietismo -ma un semplice delegato tecnico, che si fa garante
di una diversa realtà: assicurare socialmente il controllo della produzione e la
stessa proprietà dei mezzi produttivi. Altre saggi: “Il diritto penale italiano”;
“Il nuovo diritto penale”; “Critica dell'economia liberale, “L'idealismo
italiano e i suoi critici” – Grice: “A delightfull read, especially for us
Oxonians, since he manages to quote extensively from the Proceedings of the
Aristotelian Society, seeing that Ryle hated idealism!” --; “I fondamenti dell'economia
corporativa”; “Capitalismo e corporativismo” (Rubbettino); Scienza e filosofia”;
Dall'economia liberale al corporativismo, “La vita come arte, Critica della democrazia” (Rubbettino); “Il comunismo,
Dall'attualismo al problematicismo”, Memorie d’un incosciente” (Rusconi,
Milano); “Pareto” (Cadmo, Roma); “Critica della democrazia” (Luni, Milano); “Il
corporativismo: dall'economia liberale al corporativismo; Rodotà, Passeggiando
in bicicletta; Bighellonando dentro il Verano, Corriere della Sera, Stefano, Filosofo,
Giurista, Economista, VOLPE Roma, “Individuo e stato”, NEGRI, “Dal corporativismo comunista
all'umanesimo scientifico. Itinerario teoretico” (Manduria, Lacaita); Tamassia,
Roma, Russo, Positivismo e idealismo” (Roma); Dessì, “Filosofia e rivoluzione”
(Milano, Luni); Russo, “Dal positivismo all'anti-scienza” (Milano, Guerini); Cavallera,
“La ricerca dell'incontrovertibile, Formello, SEAM); Breschi, Spirito del
Novecento. Il secolo di S. -dal fascismo alla contestazione” (Rubbettino), Cammarana,
Roma, Pagine, Cammarana, “Teorica della
reazione dialettica: filosofia del postcomunismo” (Roma). Pirro, Ricordo, in Studi
Politici (Bulzoni, Roma). Filosofia, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, Enciclopedia
machiavelliana, Bettineschi, L'esperienza storica e l'intrascendibilità del
conoscere. Sul sapere di non sapere, Rivista
di filosofia neo-scolastica,, Problematicismo Corporativismo Fascismo
Corporazione proprietaria. Treccani, Dizionario di storia, Dizionario
biografico degli italiani, Dizionario di filosofia, Istituto dell'Enciclopedia
Italiana. È verità comunemente ammessa die l’economia
politica o, senz’altro, l’economia sia una scienza sociale. Questo vuol dire
ch’essa non studia 1’/ionio ceconomicus e i fenomeni economici,
quali si possono immaginare in uno stato pre-sociale o anti-sociale, ma
considera invece gli aspetti economici della vita sociale nella sua organicità
essenziale. Ed è chiaro che in tanto può studiarli e intenderli
sistematicamente in quanto la vita sociale abbia essa stessa un’unità, un
ordine, una disciplina: sia, in altri termini, non uno stato di natura
bensì un organismo politico, uno STATO. Fondamento, dunque, di ogni
scienza sociale e dell'economia in particolare è IL CONCETTO DI STATO,
con il correlativo problema dei rapporti tra stato e individuo. Per
intendere la storia dell’economia politica e le vicende degli indirizzi
predominanti -economia liberale ed economia socialista -è necessario
indagare come le diverse scuole abbiano impostato e risolto tale
problema. Se si guarda all'economia classica e in genere all’economia più
comunemente intesa come scientifica, si deve convenire che essa è stata
via via costruita e perfezionata dal secolo XVIII a oggi trascurando,
qualche volta in modo assoluto e sempre in modo essenziale, IL PROBLEMA DELLO
STATO. Dalreconomia del baratto fino a quella complicatissima delle banche e
dell’industria contemporanea, tutti i trattati sono stati concepiti in
rapporto a una vita economica in cui dello Stato non si sente quasi mai il
bisogno di occuparsi, come se fosse realtà estrinseca e irrilevante ai fini di
una vera costruzione scientifica. La spiegazione di questo fatto,
evidentemente in antitesi con la qualifica di scienza sociale con
cui si caratterizza l’economia, va trovata nella particolare concezione
dello stato teorizzata dalla scienza politica e giuridica dal secolo XVIII
in poi, e classificata ormai globalmente con l’epiteto di liberale. Essa
sorge come reazione ai vecchi sistemi politici, per i quali lo Stato era
una realtà diversa dagli individui che lo componevano e sì rappresentava quindi
ai loro occhi conte un’autorità meramente arbitraria, con fini propri e opposti
a quelli dei sudditi: sorge come bisogno di distruggere un
potere estrinsecoedannoso, e con tale esigenza non puòfar altro che
rivendicare i sacri diritti dell’individuo, nella cui celebrazione si vede
l’unico scopo così della vita sociale come della ricerca scientifica. Allo
Stato, che storicamente appariva come un limite e un ostacolo, anziché
come essenza e vita deirorganismo sociale, si opponeva una
negazione perentoria destinata a mutare radicalmente non solo i
rapporti politici, ma anche i fondamentidi ogni scienza sociale. Si può
anzi affermare che, solo in seguito a questa violenta ribellione, il
pensiero scientifico acquista la libertà indispensabile per
uno studio sistematico dei fenomeni sociali, e ciò vale a spiegare
perché le cosiddette scienze sociali si rinnovino sostanzialmente, si
costituiscano e cerchino di organizzarsi tra loro soltanto dopo la prima
metà del Settecento. L’esigenza immediata era quella dell’assoluta
negazione, dalla quale ci si ritrasse unicamente per le necessità irriducibili
di una vita politica organizzata: il ritorno alla natura non poteva essere
altro che il grido nostalgico di un ideologo. Ma se la negazione non
poteva divenire totale, essa tuttavia si spinse al massimo limite
consentito dai tempi, e, in sede scientifica, alla realtà dello
Stato non si riconobbe se non la funzione del tutto estrinseca di
salvaguardare le sfere di arbitrio dei singoli individui, Se unica realtà
e unico valore sono quelli dell’individuo, se al mondo non c’è altra
finalità oltre quella che l’individuo si pone nel suo chiuso egoismo,
ne consegue che allo Stato deve spettare 1 unico compito di determinare i
confini tra quegli infiniti regni costituiti dai singoli cittadini e
di sorvegliare la loro pacifica convivenza: esso non entra nella vita
dell’individuo, ma ne resta al margine come garante. Ora è chiaro che uno
Stato così concepito non deliba trovar posto nella maggior parte delle
scienze sociali: esso è più una realtà di diritto che non una realtà di
fatto, e la sua considerazione tende a esaurirsi nelle indagini di
carattere giuridico. Valori e fini sociali sono quelli dell’individuo, che
si affermano e si negano indipendentemente dallo Stato, il quale ha il
solo scopo di non farne turbare il libero svolgimento. Di questa funzione
di tutore le scienze sociali possono e debbono, dunque, disinteressarsi,
in quanto essa non modifica la realtà dei fatti sociali, ed anzi rende
possibile la loro genuina attuazione. A tali presupposti ideologici e
politici si deve ricondurre in particolar modo lo svolgimento
della scienza economica classica. Facendo sua questa soluzione del
problema circa i rapporti tra individuo c Stato, essa dà allo Stato un
valore positivo solo in quanto garante della libera concorrenza, ma
lo ritiene perturbatore e distruttore di ricchezza ogni volta che
intervenga attivamente nella vita economica: assume poi ad oggetto della
propria indagine 1 unica realtà dell individuo, considerato nella
sua vita immediata e mosso esclusivamente dai suoi particolari interessi.
L homo œconomicus è per definizione extrastatale. Di qui l’equivoco
fondamentale di tutta la scienza economica quale è pervenuta fino a noi.
Se la scienza, infatti, non deve studiare l’organismo sociale (lo
Stato) perché questo, in quanto organismo, non ha un significato e un valore
proprio, non avrà, per ciò stesso, nulla da dire all’individuo singolo che
di quell’organismo fa parte. L’individuo scisso dall’organismo è per
definizione anarchico, e norma della sua vila non potrà essere che il suo
arbitrio affatto soggettivo: la scienza non può insegnargli niente perché non
può saperne niente. Per saperne qualcosa bisogna che un individuo
esca dalla sua particolarità, si esprima, entri in relazione con gli
altri individui e venga, dunque, a far parte di una vita sociale organica
: dello Stato. Solo allora ; solo, cioè, quando Yhomn ceconomicus è
diventato cittadino, la sua attività diventa intelligibile e suscettibile
d’investigazione scientifica. Ma la scienza economica si è voluta
ostinare in questo assurdo, di considerare l’individuo prescindendo dallo
Stato; e non è potuta giungere die a risultati mediocrissimi : le sue
soluzioni sono, in fondo, tutte negative, e si riassumono sostanzialmente
nel dogma della libera concorrenza. Il quale, se ben si riflette, vuol
dire solo cbe la scienza si rimette all arbitrio degli individui, e che la
soluzione più perfetta del problema economico è quella che scaturisce
dal cozzo indisciplinato di tutti gli infiniti interessi particolari. Allo
Stato la scienza dice: non fare; all'individuo: fa quel che ti pare.
Questa l'essenza dell’economia classica. 1 tentativi fatti per uscire
dal circolo vizioso del liberalismo tradiscono tutti il bisogno di
superare una soluzione affatto negativa del problema della scienza
economica. Se non che l’incapacità di abbandonare il presupposto
individualistico non ha consentito di giungere a una sistemazione
scientifica che non fosse nella massima parte illusoria. E infatti, una
volta ammesso il fondamento soggettivistico dell’economia, null’allro restava
da fare all’economista se non aggirarsi all’infinito in
quella contraddizione in termini in cui si risolve ogni tentativo di
conoscere le leggi sistematiche dell’arbitrio. Se al puro e semplice « fa
quel che ti pare », lo scienziato ha voluto aggiungere una sola
parola di carattere positivo, lo ha potuto fare soltanto illudendosi di
entrare nel mondo ermeticamente chiliso del soggetto. Così si spiegailsorgere
della scuola psicologica e matematica, con la quale si è creduto di
attingere il maximum della scientificità e si è condotto all assurdo il
postulato classico dell'individualismo. Scuola psicologica: e cioè
costrizione dell’anima umana entro schematismi arbitrari, concepiti da chi
non aveva nessuna dimestichezza con gli studi di psicologia; riduzione
dell’/iomo ceronomicus all’edonista, o all’egoista, o all’altruista, e, in
ogni caso, a un’etichetta di cui non sì sarebbe potuto dare nessuna
giustificazione: livellamento dei soggetti e cervellotica costruzione del
tipo, che rendesse uniforme e perciò intelligibile la multiforme vita
individuale; negazione, insomma, del vero mondo della soggettività e
sostituzione ingiustificabile di una formula meramente fantastica
alla realtà che si pretende conoscere. Scuola matematica: e cioè
quantificazione di quegli stessi elementi soggettivi illusoriamente
determinati: comparazione di dati incomparabili perché essenzialmente diversi;
processo astrattivo sorto su illegittime astrazioni e perciò irriducibile alla
concretezza della vita; formule algebriche, dunque, che non
potranno mai vestirsi di numeri effettivi. L indirizzo psicologico e
matematico, sorto a correzione ed integrazione di quello liberistico,
è valso solo a mettere in luce l’errore fondamentale. Gli individui
nella loro particolarità sono esseri necessariamente eterogenei: i gusti,
i bisogni, gli interessi, le finalilà non sono paragonabili:
nessuno potrà mai dire quante volte il profumo di un fiore vale per
una signora aristocratica più che per una popolana, ed io stesso, che
presumo di conoscermi, non potrò mai dire quante volte il godimento datomi
da una sensazione corrisponda a quello procuratomi da un altra, o dalla stessa
in un momento diverso. Nessun tentativo dì approssimazione può essere
concepito seriamente e perciò tutta la cosiddetta economia marginalistica non è
suscettibile di alcuna interpretazione di carattere pratico. Concludere,
come fa 1 economia liberale, che il massimo dell utilità sociale equivale
alla somma dei massimi delle utilità individuali significa dire una cosa
senza senso, se è vero che di addendi incomparabili — come sappiamo
dalla più elementare conoscenza matematica nonè possibile fare la
6omma. Con il tentativo di passare dal massimo benessere individuale a
quello sociale, si chiude il ciclo dell economia classica o liberale, e la
vanità del tentativo ne conferma il definitivo dissolversi. Di un inondo
concepito coinè moltitudine caotica di individui, vivente ognuno sotto il solo
impero del proprio arbitrio, è insensato voler fare la scienza. Scienza vuol
dire disciplina, e l’individuo che non è ancora cittadino è senza disciplina;
vuol dire norma, c 1 individuo non può riconoscerne alcuna oltre
il suo gusto del momento; vuol dire, soprattutto, conoscenza obiettiva e
universale, e l’individuo del liberalismo è soggettività particolare. A tale
individuo l'economista si volge solo per constatarne la natura e
garantirne la primitività: lungi dal guidarlo e disciplinarne gli interessi, lo
abbandona al cozzo brutale della domanda e dell’offerta, in cui tutto
il suo ideale si riassume. È la scienza dell’anarchia. All’economia
liberale si è opposta quella socialista. Tutti i presupposti della prima
sembrano negati dalla seconda, che all’individuo sostituisce la
classe, la società, lo Stato. Ma lo Stato di cui parla il socialismo ha lo
stesso difetto di origine di quello liberale: esso, cioè, è sempre
considerato come una realtà diversa dall’individuo, come
limite dell’attività individuale e sua condizione estrinseca. La
situazione si è invertita, ma il problema è rimasto impostato nella stessa
maniera, poiché l’antinomia individuo-Stato in entrambi i casi è
risolta sacrificando uno dei due termini all’altro; e, in quanto il
termine sacrificato ha conservato un minimo di validità, esso rappresenta una
limitazione, sia pure necessaria, della realtà del termine ipostatizzato.
Limite deirindividuo è Io Stato nel liberalismo, limite dello Stato è
l’individuo nel socialismo. L’incapacità di risolvere l’antinomia con
l’identificazione di individuo e Stato ha condotto il socialismo a concepire lo
Stato burocraticamente. Se lo Stato infatti non è la realtà stessa della
Nazione, ma viene entificato e opposto alla Nazione, esso non può
concepirsi se non come un organismo a sé e con organi propri. Quando il
socialismo nega la proprietà privata e dichiara che i mezzi di produzione
appartengono allo Stato,evidentemente attribuisce a questo una personalità
giuridica ed economica distinta da quella dei privati: ed è chiaro che, se
lo Stato ha una personalità distinta, deve avere i anche il motlo di
vivere ed agire distintamente, attraverso quei determinali organi che
costituiscono appunto la burocrazia. È così che la teoria socialista,
negando l’individuo nello Stato, sostituisce all'economia individuale quella
burocratica e fa dello Stalo, in quanto realtà giuridica diversa dagli
individui, il proprietario, il datore di lavoro, il risparmiatore, il
distributore, e via dicendo. La critica violenta e altezzosa che
reconomia classica ha opposto all’economia socialista è sostanzialmente
giusta e irrefutabile. Se contro il liberalismo ha ragione il socialismo in
quanto richiama l’attenzione dall’individuo allo Stato, contro il
socialismo ha egualmente ragione il liberalismo clie rivendica la
superiorità dell’economia individuale rispetto a quella statale.
L’economia statale è per definizione un’economia monca e patologica,
poiché essa non solo accentra e quindi limita la vita economica, ma ne
affida la direzione a un organo relativamente estrinseco quale è la burocrazia.
Quando il liberale afferma che lo Stato è cattivo amministratore, ha
perfettamente ragione, perché per Stato s’intende appunto una realtà
sopraordinata e non costruttiva della cosa amministrata. In altre parole
si vuol dire che l’industriale, il quale nasce c vive con la sua industria
facendo di essa la stessa ragione della sua vila, farà prosperare la sua
azienda indubbiamente meglio del burocrate, che nell’industria a lui affidala
vede solo la contingente espressione del suo dovere di funzionario. Ma più
che antieconomica l’economia statale è livellatrice e mortificatrice delle
attività individuali. che lulte sì debbono uniformare al meccanismo burocratico
e perdere quella libertà di movimenti la quale costituisce la condizione prima
della loro iniziativa. La comune opinione del carattere tradizionalista
e conservatore della burocrazia è la più evidente conferma della sua
incapacità a rinnovarsi con quel ritmo acceleratissimo che è proprio della
industria contemporanea : l’economia statale tende per sua natura a diventare
economiastatica. Il dualismo di individuo e Stato, che ha
reso inadeguate le soluzioni dell’economia classica e di quella
socialista, non è stato superato neppure dai tentativi compiuti,
specialmente in questi ultimi decenni, per la costruzione della cosiddetta economia nazionale
o di Stato (la Volkswirtschaft o Staatswirtschafi dei Tedeschi). Anche quando
tali tentativi non si sono ridotti a concepire la vita della Nazione come la
somma delle vite dei singoli individui, e si è voluto invece considerare l’organismo
sociale con caratteristiche e finalità proprie, l’economia pubblica è rimasta
sempre accanto all’economia privata e la necessità della loro assoluta
identificazione non è stata mai dimostrata, né da sociologi né da nazionalisti.
I sociologi, infatti, tutti compresi dal compito di descrivere le varie forme
della vita, si sono preoccupati soltanto di analizzare le diverse
economie, dall’individuo alla famiglia, alla classe, alla Nazione ecc., di
classificarle e di studiarne estrinsecamente i rapporti; i nazionalisti,
poi, infatuati dall ideologia della Nazione, non hanno saputo far
altro che ipostatizzarla come una realtà superiore all’individuo,
affermando in conseguenza la superiorità deireconomia nazionale e la
subordinazione a essa di quella individuale. In entrambi i casi lo Stato è
rimasto come una delle forme, sia pure la massima, della vita sociale; e
l’economia ad esso relativa come una delle forme, sia pure la suprema,
delle possibili economie. E in tal guisa il — pensiero scientifico e
andato oscillando dall’ideologia anarchica del liberalismo a quella
statolatria del socialismo e del nazionalismo, senza mai
cogliere l’essenza del problema. Respinto a volta a volta dagli
assurdi di uno dei due estremi, si è ritratto acriticamente dalle conseguenze
ultime delle opposte concezioni,ed è al solito scivolato verso i mezzi
termini dell’eclettismo: il concetto di Stato è penetrato di straforo nei
trattati deireconomia scientifica, e quello di individuo e di libera
iniziativa nelle costruzioni ideologiche degli statalisti. La soluzione
integrale del problema è delineata, se pur non ancora esplicitamente chiarita,
nelTordinamento corporativo del regime fascista. Si tratta per ora di
un’intuizione politica più che di vera consapevolezza scientifica, e anzi
la lettera di alctine disposizioni legislative consacra ancora
il dualismo di individuo e Stato. Nella stessa formulazione della Carta
del Lavoro, alcune espressioni di principi, e soprattutto il famoso
articolo 9, legittimerebbero le vecchie interpretazioni liberali e socialiste,
di cui abbiamo discorso. L’intervento dello Stato nella produzione economica —
dice infatti 1 articolo 9 — ha luogo soltanto quando manchi o sia
insufficiente 1 iniziativa privata o quando siano in giuoco interessi
politici dello Stato. Tale intervento può assumere la forma del controllo,
dell'incoraggiamento o della gestione diretta. Nulla di strano che questo
articolo abbia prodotto i più svariati malintesi
nell'interpretazione dell'economia corporativa. I liberali vi hanno
visto a ragione la conferma delle loro dottrine, poiché gli stessi
classici più ortodossi hanno sempre sostenuto che, per motivi eccezionali o per
superiori interessi politici, lo Stato può e deve intervenire nella vita
economica del paese. 1 filosocialisti, insistendo sul maggior intervento
statale che la Carta del Lavoro promuove, 1 hanno legittimamente interpretata
come un passo decisivo verso Tordinamento socialista. Gli eclettici hanno
piaudito entusiasticamente. illusi di veder consacrata la solita via
dei mezzi termini. Gli economisti della cattedra, infine, hanno dato
un'occhiaia distratta e hanno sentenziato senz’altro che l’economia corporativa
non esiste, risolvendosi essa in una mera prassi
politica contingente. E che Leeonoinia corporativa non esista
parrebbe, infatti, dimostrato dal fatto che i tentativi finora compiuti
per defi nirla e sistemarla scientificamente hanno condotto alla riduzione del
nuovo al vecchio n alle sterili soluzioni di compromesso
tra liberalismo e socialismo. Mafortunatamente l’infelice esito dei
tentativi è dovuto soltanto all’inopportuno zelo degli interpreti, i quali, per
malinteso ossequio alla lettera, si sono lasciati sfuggire lo spirito più
profondo della Carta del Lavoro e del faseismo in generale. L’imperfetta
dizione dell'art. 9 fii spiega proprio per la mancanza di una sistemazione
scientifica del nuovo concetto dell’economia e gli interpreti avrebbero
dovuto capire che la Carta del Lavoro, per il suo carattere
rivoluzionario, costituisce un punto di partenza più che un punto dì
arrivo, e che alla scienza spetta appunto il compito di rendere esplicita
e sistematica quella visione che in essa è intuitiva. L’articolo 9,
dunque, non può essere considerato come la chiave di volta e il
criterio infallibile del sistema, sihbene come una delle proposizioni da
interpretarsi e coordinarsi alla luce delle nuove esigenze. Le quali
trovano piuttosto la loro esatta formulazione nell'articolo 1. per
cui LA NAZIONE ITALIANA E UNA UNITA MORALE, politica ed economica, che si
realizza integralmente nello STATO FASCISTA: nell’articolo 2, per cui « il
lavoro. solto tutte le sue forme intellettuali, tecniche e manuali, è un
dovere sociale e soprattutto nell’arlicolo 7, per cui l’organizzazione privata
della produzione essendo una funzione di interesse nazionale,
l’organizzatore dell’impresa è responsabile deH’indirizzn della produzione
di fronte allo Stato )). È qui il motivo più profondamente rivoluzionario del FASCISMO,
per cui si afferma l’identità sostanziale di interesse pubblico e privato, di
benessere dei singoli e potenza nazionale. Certo, nella Carta del Lavoro,
questa identità alle volte si spezza e riappaiono i due termini
dell’antinomia, ma al nuovo bisogna guardare e non al vecchio, con
gli occhi ben intenti all’avvenire. Quando l’articolo 7 proclama il
privato responsabile di fronte allo Stato della sua vita economica, vale a dire
di ciò che per la tradizionale mentalità politica e
scientifica — si ritiene il più geloso attributo della sfera di
arbitrio dell’individuo, rende finalmente Fuorno cittadino, lo trasforma in
organo costitutivo dello Stato, e distrugge alla radice ogni differenza
tra ciò che è privato e ciò che è pubblico. Il cittadino risponde di
tutta la sua vita allo Stato cui appartiene, perché il fine della sua vita è quello
stesso dello Stato; e, in quanto ne differisca, in quanto vi si
opponga, o anche in quanto si presuma indipendente da esso, è
illegittimo. Ma, perché Firnificazione della sfera pubblica e di
quella privata sia effettiva e non illusoria, è necessario avere dello
Stato un concetto heu più adeguato di quel che non abbiano i socialisti e.
tanto meno, i liberali. Chi ritenesse che lo statalismo che propugna
la Carta del Lavorosia sostanzialmente sullo stesso piano dell ideologia
socialista non saprebbe poi come spiegare la riaffennazione
della proprietà privata. Se questa non è una contraddizione vuol dire che
Ira socialismo e corporativismo, e cioè tra queste due forme di
statalismo, v’ha una differenza essenziale che occorre chiarire. E il
chiarimento dovrebbe già risultare da quanto è stato detto sul carattere
burocratico dello Stato socialista, concepito tuttavia come entità distinta
dagli individui. Il vero Stato è, al contrario, la stessa
realtà dell’individuo e sì esprime quindi, non in particolari organi e
istituti, sibbene nella vita stessa di ogni cittadino. La proprietà deve
rimanere privata, perché essa è già assurta a finalità e caratteri
pubblici con 1 elevazione del proprietario a organo costitutivo dello
Stato. Credere che la proprietà da privata diventi pubblica solo se essa
venga amministrata direttamente dallo Stato, significa identificare
lo Stato con la burocrazia, e opporlo all’individuo; significa insomma
arrestarsi all’ideologia liberale e socialista. Lo Stato per
realizzarsi nella sua integrità non ha bisogno di livellare,
disindividualizzare, annientare l’individuo e vivere della sua ^istruzione:
al contrario esso si potenzia col potenziamento dell’individuo, della sua
libertà, della sua proprietà, della sua iniziativa, della sua peculiare
posizione nei rapporti con gli altri individui. E tutto ciò è possibile,
in quanto 1 individuo non è più un mondo particolare e la sua libertà non
si chiama più arbitrio, ma e individuo sociale che nella
prosperità dell’organismo statale vede il proprio fine. L’individualisino
del liberalismo e lo statalismo del socialismo sono superati, perché sono
trasvalutati i termini di individuo e Stato che avevano condotto ai due
assurdi opposti. Avere coscienza precisa di tale trasvalutazione non
è davvero cosa molto facile, soprattutto perché occorre vincere
continuamente il pregiudizio tradizionale che ci porta a entificare lo Stato, a
opporlo a noi stessi, a riconoscerlo soltanto in determinati organi e
funzioni. La vecchia concezione intellettualistica è ormai così radicata in noi
e la stessa terminologia che siamo costretti a usare è così aderente al
concetto dello Stato come personalità trascendente i cittadini, chenonci riesce
agevole sfuggire a tutti i paralogismi del senso comune. E in siffatto modo
si spiega l'accusa di metafisicheria che si vuole rivolgere, anche da
persone non sciocche, all’identificazione di Slato e individuo. Ma bisogna
resistere all apparente evidenza di queste critiche e persuadersi che
quando un concetto ha davvero fondamento speculativo è per ciò stesso il più
pratico, e vale a risolvere anche quelle difficoltà di
carattere tecnico, che invano si cercherebbe di rimuovere con i vaghi
concetti del senso comune, se pur questi sembrino agli occhi degli
inesperti i più precisi, i più certi, i più assiomatici possibili. Negate
infatti questa metafisicheria che è l'identità di individuo e Stato,
e vi accorgerete che, volendo precisare sul serio il concetto
apparentemente lapalissiano dello Stato e dei suoi limiti, ogni
definizione riesce inadeguata. e quella che sembrava una salda realtà diventa
un nome senza consistenza. 11 concetto, dunque, fondamentale e sistematico
dell economia corporativa è la statalità di tutti i fenomeni economici.
Economia individuale ed economia statale sono termini assolutamente
identici. Questa conclusione, così netta e perentoria, sembrerà
paradossale e assurda a ogni economista che abbia tuttavia nel cervello i!
più piccolo pregiudizio classicista e individualista: ma, per
chiunque voglia riflettervi su, con mente aperta e con buona volonlà,
dovrà pure apparire come la verità più logica ed evidente. Le obiezioni
che si possono sollevare sono principalmente due: Luna di carattere
psicologico, la seconda in particolar modo tecnico-economica. Secondo la
più ovvia osservazione psicologica sembra che tra il mio interesse di
privato e quello pubblico dello Stato vi sia non solo differenza, ma
spesso opposizione. Il cittadino, ad esempio, che investe in un modo
piuttosto che in un altro i suoi risparmi, fa gli interessi propri, e le
sue decisioni in proposito sono indifferenti allo Stato: il cittadino,
poi, che cerca di sfuggire alle imposte fa gli interessi suoi e si
oppone a quelli dello Stato. Ecco dunque due economie ben distinte e con finalità
differenti: l’una individuale e l’altra statale. Senoncbé basta saggiare
appena la fondatezza di queste opinioni per convincersi della loro
superficialità: e infatti è chiaro che il modo d’investire i risparmi dei
cittadini non può essere indifferente allo Stato, perché non può essere
indifferente allo Stato che l’indirizzo economico sia tino
piuttosto che un altro, che certe industrie siano favorite
o neglette, che le forze produttive siano armonicamente finanziate: quanto
poi airopposizione dì interessi individuali e statali che si verifica nel
caso del cittadino che si sottrae alle imposte, è non meno evidente
ch’esso dimostra soltanto il lato abnorme della vita economica e noii può
essere assunta a criterio distintivo di due economie. Non si nega che
il dualismo tra individuo e Stato esista, ma si vuole affermare ch’esso
rappresenta l’aspetto negativo e non quello positivo della vita sociale.
Questa, nella sua essenza, importa l’unità dei due termini e può
scientificamente studiarsi alla luce di tale unità: il dualismo sempre
risorgente — e necessariamente risorgente per la stessa dialettica della
vita umana, che è perfezionamento e non perfezione — indica ii Iato
patologico, l’ostacolo «la rimuovere, e insomma l’arbitrio fuori della
legge e fuori della scienza. Cbi ipostatizza il dualismo e lo
legittima facendone il fondamento di due economie, individuale e statale,
confonde il positivo col negativo, la legge con la sua infrazione, e
costruisce infine due simulacri di scienza. L obiezione di carattere
tecnico, che sembra legittimo sollevare contro l’assoluta
identificazione di individuo c Stato, concerne la possibilità d’intervento
dello Stato nell'economia individuale. Appare, infatti, evidente che, se lo
Stato alle volte interviene a controllare, incoraggiare, gestire, ecc., e
alle volte invece si disinteressa completamente, vuol dire eb’esso
rappresenta una realtà diversa da quella su cui esercita il controllo: la
possibilità dell intervento è la conferma ad oculos del
dualismo. Eppure a una analisi più appropriata del problema una simile rappresentazione
dei fenomeni economici deve risultare fondamentalmente errata ed
equivoca. Se infatti lo Stato non vien concepito in forma mitologica, come
un organo o un insieme di organi sui generis, ma come la stessa
Nazione nella sua organicità (giuridicità) essenziale, è chiaro ch’esso
non può intervenire perché è sempre presente, immanente in ogni
manifestazione, sia pure la più trascurabile, degli individui
costitutivi della Nazione. Si può intervenire negli affari
degli altri, ma intervenire in quelli propri è cosa senza senso. Ogni
atto economico da me compiuto s’innesta nel sistema economico della Nazione cui
appartengo (vedremo poi come nella Nazione entri anche il mondo
internazionale) e risulta quindi da esso condizionalo, anche se nessuna
particolare norma lo regoli esplicitamente. Questa sistematica disciplina, per
cui il mio atto economico si realizza nell’organismo statale, costituisce
il così detto intervento dello Stato, il quale è, per ciò stesso, assolutamente
sostanziale. Pensare che possa esistere un fenomeno economico che si
sottragga a questa disciplina e che viva in un mondo extrastatale, è pensare
l’assurdo. Fenomeni antistatali potranno esservi, e saranno appunto gli atti di
arbitrio dell'individuo che si oppone alla disciplina statale, ina fenomeni
extrastatali no, perché fuori dello Stato v’c il nulla. Da un punto
di vista assoluto, dunque, è illogico parlare di intervento dello Stato. Ma
dell’assoluto — ci oppongono gli empirici — noi non ci occupiamo: noi intendiamo
spiegarci un fenomeno molto concreto e innegabile, e cioè quello dello
Stato che pone un dazio, un calmiere, sovvenziona una industria e
viadicendo: di uno Stato, in altre parole, che ha una personalità distinta da
quella degli individui e che, come soggetto economico diverso, compie
degli atti che gli individui non possono compiere. E credono così, codesti
empirici, di aver tagliato la testa al toro, senza accorgersi invece che
di ogni problema non ci sono due soluzioni, una filosofica e lina
empirica, una assoluta e una relativa, sibbene una soluzione sola e
propriamente quella giusta. La quale, in questo caso, consistendo nell
assoluta identità di individuo e Stato, dà a quello Stalo di cui parlano
gli economisti un significato molto meglio determinato ch’essi non
pensino, e cioè il significato di una delle particolari espressioni
della vita dello Stato. Nessuno si sogna di negare quella realtà di
fatto che è lo Stato nell’accezione più comune del vocabolo: nessuno quindi
pretende negare che esista un’amministrazione centrale con un bilancio
proprio (il bilancio dello Stato), con finalità sui generis, e con fenomeni
economici peculiari: si vuol soltanto affermare che questa realtà non
è lo Stato, bensì uno degli elementi dello Stato, la cui vita effettiva
è nell’organismo integrale della Nazione, ipostatizzare quell’elemento, e
vedere soltanto in esso lo Stato, significa precludersi la via
a un’intelligenza adeguata dei fenomeni economici. Gli empirici, al
solito, potranno esserci indulgenti e concederci di aver ragione circa il modo
di intendere il concetto di Stato: ma — essi continueranno a opporci — sia
pure elemento lo Stato di cui parliamo, noi intendiamo discutere appunto
di esso quando ci riferiamo al suo intervento nella vita economica.
Senonché tale soluzione del problema sarebbe affatto illusoria, come
quella che ridurrebbe a una questione di parole la più sostanziale
delle questioni. Ammettere, infatti, che lo Stato di cui parlano gli
economisti sia un elemento dello Stato e non esaurisca la realtà di
questo, significa riconoscere ch’esso è appunto elemento di un
organismo dal quale non può scindersi, ovvero ch’esso è coessenziale a
ogni altro elemento dell’organismo medesimo.Per tradurre questo concetto nei
termini usuali, è facile osservare che il bilancio dello Stato vive in
un’unità indissolubile con la vita economica della Nazione, sì che nessun
fenomeno economico sfugge a un rapporto diretto o indiretto con esso. Quando lo
Stato fissa un’imposta, non modifica soltanto l’economia dei colpiti
dall’imposta, ma anche di quelli non colpiti: così quando lo Stato
stabilisce un dazio protettore, non muta soltanto le condizioni
dell’industria protetta, ma contemporaneamente quelle di tutte le altre.
Ogni intervento dello Stato è globale. Credo che non vi sia ormai
nessun economista che voglia contestare una verità tanto
lapalissiana: ma purtroppo da essa non si è tratta ancora in maniera
veramente esplicita la conseguenza inevitabile, e cioè che lo Stato, per il
fatto stesso di essere, interviene sempre; e che discutere quindi si può
su questa o su quella forma di intervento, ma non sulla legittimità
ed economicità deirintervento. Tutti gli infiniti tomi che si sono
dedicati alla discussione del problema circa il valore economico
dell’intervento statale, e tutta la secolare opposizione dei liberisti
a ogni forma di intervento, riposano su un colossale equivoco,
dipendente appunto dall’errato concetto di Stato. Discutere se sia lecito
o no l’intervento dello Stato e nello stesso tempo riconoscere la
necessità del bilancio dello Stato —vale a dire, per l’Italia, di un
movimento annuo di decine di miliardi — è un assurdo che può non risultare
soltanto alla cecità degli economisti puri. I quali non sanno quel che si
dicano quando affermano che 1 ideale della vita economica sarebbe quella della
più perfetta libera concorrenza. Se una Nazione è tale in quanto è
Stato, la libera concorrenza, quale è concepita dagli economisti, non solo
non è raggiungibile, ma è negata nel modo più perentorio. Per conseguire
que! presunto ideale bisognerebbe spezzare 1’organismo. negare lo Stato e
tornare al cozzo violento dell’anarchia di natura. 11 progresso di
una Nazione, al contrario, è segnato dalla sua organicita sempre maggiore,
e cioè dalla sempre più consapevole realtà dello Stato; il quale, in
conseguenza, tende a diventare sempre più immanente alla vita degli
individui e sempre più costitutivo di ogni loro manifestazione.
L’intervento dello Stato, in altri termini — se ancora d’intervento può
parlarsi — è di fatto, e tende a diventarlo anche nella coscienza comune,
la realtà stessa della vita economica. E se la scienza dell’economia auspica il
trionfo dell ideale opposto, è troppo palesemente fuori di
strada. Allorché la Carta del Lavoro, dunque, dice all’articolo 9 che
« l’intervento dello Stato nella produzione economica ha luogo soltanto quando
manchi o sia insufficiente 1 iniziativa privata o quando siano in giuoco
interessi politici dello Stato»,parla, evidentemente, un linguaggio
d’altri tempi. Se lo Stato interviene sempre, perché è sempre presente e i
suoi interessi politici investono tutta la vita della Nazione con cui si
identifica, è chiaro che tutta l’economia tradizionale deve spostare il
suo centro di indagine e trasformarsi fin dalle fondamenta. Il suo problema
era, infatti, quello della libera concorrenza (economia individuale), e
della convenienza o meno, in certi casi, dell’intervento statale (economia
prevalentemente monopo* listica): oggi diventa quello delle forme statali
dell’intervento e della organizzazione dell’economìa, nazionale. 11
binomio di libera concorrenza e monopolio non ha più significato, e i due
termini si risolvono in uno solo, quello della unità organizzata della
vita economica, in cui la stessa concorrenza viene disciplinata. Cade così
l’argomentazione degli economisti, cbe affermano essere tutte le forine
della vita economica riconducibili alle due sole ipotesi della libera
concorrenza e del monopolio. La forma è unica ed è quella lìbera e
monopolistica insieme, in un’unità tale per cui il concetto di libertà e
quello di monopolio sono radicalmente trasformati e resi inintelligibili in
quanto distinti. Gli schemi non servono più perché non rispondono
a nessuna approssimazione alla realtà, e sono anzi nella loro essenza
opposti alla realtà. Liberi sono gli individui, ma nella Nazione, in
questo colossale monopolio in cui la loro concorrenza si effettua: questa
è la realtà a cui invano si opporrebbe il tradizionale dilemma. Né si
creda di sfuggire a questa conclusione passando dall’economia nazionale a
quella internazionale, poiché la Nazione non va concepita antistoricisticamente
come un’entità limitata dai suoi confini e, nei suoi rapporti con le altre
Nazioni, alla stessa guisa dell’uomo di natura rispetto agli altri
individui. La Nazione include in sé il mondo internazionale, e lutto ciò
cbe costituisce la vita di questo mondo non ha altra sede appunto che
nella Nazione, unità suprema di là dalla quale non esiste che l’unità
astratta, perché non dialettica, dell’umano genere. Il compito che si deve
perciò proporre la scienza è, sì, la costruzione sistematica dell’economia
nazionale, nia intendendo questa come unità concreta ne mondo
internazionale, che non e, neppur esso, riconducibile alPideologia
anarchica del liberalismo, in quanto rientra nella disciplina e nel sistema
della Nazione. È al sistema che bisogna tener sempre fissi gli occhi,
specialmente oggi che 1 organizzazione della vita economica sta incendo
passi giganteschi e che, dinanzi al rapido processo di unificazione delle
industrie, del commercio, dei mercati e delle banche, diventa sempre
più anacronistico e irrisorio lo schematismo individualistico della
tradizionale economia pura. Riassumendo, possiamo ormai determinare
i capisaldi della nuova economia, facendoli tutti derivare dal concetto
fondamentale della statalità dì ogni fenomeno economico
: Subordinazione di ogni fenomeno economico al fine statale (essenziale
politicità o storicità dell’economia). Interdipendenza dei fenomeni
economici, considerata in funzione del fine statale ( sistematicità o
organicità della vita economica). Carattere pubblicistico della
proprietà privata e della vita economica individuale. Obiettività dei
fenomeni economici data dall obbiettività del fine statale, e quindi loro
intelligibilità scientifica, in contrapposizione alla soggettività dell
individualismo (ofelimità). ) Critica dei concetti di libera
concorrenza e monopolio, e affermazione di un’effettiva epiù profonda
libertà economica (negazione del liberismo anarchico e del vecchio statalismo
burocratico). Carattere internazionale della Nazione e unità
essenziale del mondo economico. Questa Veconomia corporativa o senz’altro
la economia. Poiché è bene intendersi una volta per sempre, ed
escludere perentoriamente quel mostruoso tentativo di concepire la scienza
economica come una forma astratta, da adeguarsi a una qualunque delle
infinite ipotesi economiche. L’ipotesi è nna sola e, cioè, quella
interpretativa dell’effettiva realtà storica: il resto non è che fantasia di puristi,
abituati a scambiare le formule con la vita. La scienza dell’economia non
può essere che una, perché una è la vita ch’essa studia: e non ha bisogno
dì aggettivi. Quando contrapponiamo l’economia corporativa a quella
liberale o socialista o nazionalista, non intendiamo dichiarare una nostra
preferenza rispetto a questi possibili sistemi economici, ma vogliamo
proprio affermare la scientificità della prima rispetto al carattere
ideologico ed arbitrario delle altre: l’aggettivo corporativa, che noi
aggiungiamo all’economìa, ha il solo scopo di distinguere la vera
dalla falsa economìa, e non un’economia da un’altra. Che poi essa si
chiami corporativa e non altrimenti, vuol dire non ch’essa si identifichi
immediatamente — e perciò in modo contingente — con l’ordinamento corporativo,
ma soltanto che in questo ordinamenlo la consapevolezza delle sue verità si è
resa più esplicita ed evidente. Che lo Stato sia
costitutivo essenziale della vita individuale non è verità che
si instauri col regime corporativo, né è limitata alla vita politica
deiritalia di oggi : ma mai come nell’Italia di oggi questa verità è stata
esplicitamente affermata : mai si è concepita la vita economica nazionale
come un’unità così saldamente organica. L’epiteto di corporativa non è
dunque arbitrario, né menoma comunque la dignità della scienza a
cui si applica oggi ai soli fini polemici contro il liberalismo, il
socialismo, il nazionalismo ecc. Poiché, se 1 economia corporativa è
senz’altro l’economia, Io stesso non si può dire, ad esempio, di quella
presunta economia pura che è la quintessenza dell’economia liberale. A chi,
seccato della qualifica di liberale attribuita al suo metodo scientifico, ha
protestato di volersi porre al di là dei particolari indirizzi e di voler
fare solo della scienza, oggi è possibile dare una smentila categorica. E la
smentita suona così: — fino a quando sulla prima pagina dei trattati
di economia non figurerà, a guisa di postulato fondamentale, il concetto
di Stato, sarà vano parlare di scienza e sarà stolto negare il preconcetto
secolare del liberalismo individualistico. La scienza, abbiamo detto, è
una: e tutti gli indirizzi scientifici dal mercantilismo alla
scuola fisiocratica e dal liberismo allo storicismo, al socialismo, al
corporativismo non sono che i momenti del suo unico processo storicamente
determinato. L economia corporativa vuol rappresentare soltanto lo
sladio più avanzato del processo, in cui tutti i precedenti debbono
risolversi trasvalutandosi. A chi fosse troppo preoccupato del pericolo di
subordi ilare la scienza a fenomeni politici contingenti, possiamo
rispondere che la politica non profana la scienza quando a essa ci
s’avvicini con la fede dello scienziato e non con l’anima del politicante.
TI pavido si ritrae per falso pudore, e nega l'obiettività della scienza
col volerla troppo salvaguardare: il ricercatore spregiudicato non teme,
invece, di fissar gli occhi nella realtà di cui viviamo, e di
scoprire l’eterno nel contingente. La difficoltà maggiore, che si è
incontrata nella comprensione della tesi dell’identità di individuo e Stato, è
derivata generalmente dal non aver approfondito i concetti di individuo e
di Stato che si ponevano a fondamento del rapporto di identificazione. È
chiaro che. prima di discutere sulla validità di tale rapporto, occorre
rendersi conto del significato dei termini che siconfrontano,
perché, se si suppone noto il significato stesso, si insiste evidentemente
in quella concezione dell’individuo e dello Stato, che ha condotto, nello
sviluppo storico del pensiero, airantinnmia da noi contestata. Storicamente,
vale a dire nel processo della attività speculativa come di quella pratica e
politica, è certo che lo Stato si è configurato a guisa di un ente
contrapposto e sovrapposto all’individuo: e si è parlato, quindi, di autorità
di fronte a libertà, di sovranità di fronte a sudditanza, di arbitrio politico
di fronte a interesse economico, e via dicendo. Lo Stato, insomma, era una
sovrastruttura, sia pur necessaria, della vita degli individui, e si esauriva
nel compimento di particolari funzioni, dette appunto statali. Ne
derivava che lo Stato poteva individuarsi in determinati organi e in
determinate persone, cui erano attribuiti determinati compiti, entro una
sfera esplicitamente circoscritta e non coincidente che in minima parte
con la sfera d’azione degli individui. A questo Stato, così concepito, gli
economisti negavano e negano tuttora la possibilità di un intervento
benefico nella vita economica degli individui. Ed avevano ed hanno
perfettamente ragione; così come hanno torto quegli altri economisti che,
senza persuadersi del mutato concetto di Stato, accedono tuttavia
ecletticamente all’opinione della possibilità benefica di un certo intervento
statale nell’economia individuale. Se lo Stato trascende, sia pure rispetto a
una zona soltanto, il campo d’azione dell’individuo, esso non può non turbarne
Tequilibrio ogni volta che vi porti un mutamento. Ammettere la
possibilità di un intervento benefico, di un solo, di un transitorio, di
un limitatissimo, del più piccolo tra tutti gli interventi immaginabili,
significa ammettere la possibilità che lo Stato alteri vantaggiosamente
con quel suo intervento tutto il sistema generale dell’equilihrio
economico della vita degli individui, e cioè faccia coincidere, non
limitatamente all’oggetto del particolare intervento, ma nella totalità
delle determinazioni, la propria realtà con quella degli individui. Se si
vuol restare nell’ipotesi che Stato e individuo siano due realtà diverse,
anche solo parzialmente diverse, la conclusione logica non può essere che
una, e precisamente quella del liberismo intransigente: lo Stato non deve
intervenire mai e per nessuna ragione; il suo intervento, implicando
sempre un’alterazione dell’equilibrio naturale, non può essere che
nocivo. Se non che la concezione storica dello Stato, che ha dato
luogo a tali conseguenze nel campo della scienza economica, ha cominciato a
modificarsi profondamente proprio quando, nella seconda metà del
secolo XVIII, i classici dell’economia iniziavano una sistemazione della loro
scienza con la consapevolezza critica del carattere negativo di uno
Stato trascendente. Sì che tutta la scienza dell economia si è venuta
costruendo sul presupposto dell’antitesi di Stato e individuo, in funzione
di quel concetto di Stato che rispondeva alla realtà storica anteriore
al processo di trasformazione. E a poco a poco — quasi senza nessuna
consapevolezza — si è giunti al paradossale risultato di uno svuotamento
progressivo della scienza del’economia, svuotamento non dovuto ad errore nella
critica dello Stato trascendente, ma solo aU’illusione di credere ch’esso
davvero esistesse e che esistesse perciò quell’individuo extra-statale, su cui
la scienza aveva costruito il castello delle sue astrazioni. Il fondamento
liberistico di tutta l’economia classica e della migliore
economia contemporanea, e l’atteggiamento antistatale
che l’accompagna, costituiscono certamente l’interna logica e il principio
sistematico di questa scienza: e possiamo aggiungere che, se lo Stato
fosse quella realtà che gli economisti immaginano e se l’individuo fosse
quel soggetto economico che la scuola psicologica ha caratterizzato spingendo
all’assurdo il concetto già implicito nelle teorie dei classici,
la scienza dell’economia avrebbe raggiunto un grado notevole di
perfezione, forse il più alto grado raggiungibile sulla base di tali
presupposti. Ma il guaio, o meglio la fortuna è che così quello Stato
come qucll’individiio non esistono in realtà, e che col mancare dei
presupposti si vanifica inesorabilmente tutla la costruzione faticosamente
elaborata. È quell ìntimo anacronismo di principi e finalità
che caratterizza la crisi della scienza economica contemporanea, sia pure
attraverso gli sforzi che da più parti si vanno facendo per superare -— in
modo peraltro molto empirico — l'antinomia di cui si comincia ad
avere coscienza. Né la colpa può attribuirsi completamente agli economisti, -se
è vero che ancor oggi si stenta ad acquistare familiarità con i nuovi
concetti fin nel campo più rigorosamente speculativo, e solo ìin'infima
minoranza di giuspubblicisti comincia a porsi con qualche precisione problemi
del genere. Tuttavia è tra gli economisti soprattutto che si nota la maggiore
riluttanza ad occuparsi della questione, o addirittura
l'ignoranza della sua esistenza : tra gli economisti che, per tradizione
di specialismo scientifico, disdegnano di valicare in qualsiasi senso gli
arbitrari confini della loro scienza e credono di contaminare la
purezza della economìa coordinandola con il processo
della speculazione, della politica e del diritto. Si spiega perciò
come essi possano tener fede dogmaticamente a concetti tanto controversi,
accontentandosi di dar loro un significato empirico rispondente a
presupposti teorici di altri tempi: si comprende infine come possa suonar
loro strana, e anzi impertinente, la pretesa di chi chieda loro il
significato dei concetti di Stato e di individuo. L’economista — essi
rispondono — non pretende porsi e risolvere scientificamente questi problemi;
egli accoglie questi termini nel significato corrente e a tutti noto, e su
essi costruisce i teoremi dell’economia. Che poi il significato corrente
non 3 Sunna sia rigoroso e sia anzi suscettibile di critiche più
o meno radicali, è questione cbe reconoinista non discute, perché
relativamente indifferente alla sua scienza: a lui hasta richiamarsi con
quei termini a una realtà di fatto riconoscibile facilmente
da chiunque. ') E il ragionamento non farebbe una grinza se potesse
esserci veramente un significato comune precisamente determinato dei
concetti di Stato e di individuo, se, cioè, noi potessimo sul serio
sostituire mentalmente a quelle parole una qualunque realtà di fatto a confini
netti. Ma, al contrario, è facile accorgersi cbe. quando ciò si
volesse fare con sincerità, ogni sicurezza vacillerebbe, e a poco a
poco all’illusione della certezza subentrerebbe la certezza dell’illusione, i
termini diverrebbero ambigui e la presunta realtà di fatto andrebbe
allargandosi o restringendosi arbitrariamente fino a comprendere tutto o a
ridursi a un misero moncone. Sottigliezze — si obietterà ancora
incredulamente, — questioni di lana caprina, da cui resta
turbato soltanto chi è abituato a spaccare in quattro il capello, ma che
non possono preoccupare sul serio ehi guarda alla realtà nelle sue
manifestazioni essenziali: se tutti parliamo di Stato e
c’intendiamo perfeLtamente, vuol dire che, in sostanza, sappiamo *)
Questo è, in sostanza, l'appunto che mi fece il Gotitii nel eno (apporlo
al Congresso di Bolzano (settembre 193. o Lo Sialo, si disse, non può
intervenire in un dato momento, perché è presente sempre. Ma non bisogna
prendere la parola intervento in senso diverso da quello che ormai è di uso
comune » (Il procedimento sperimentale dell’economia corporativa, in « Giornale
degli economisti». La risposta alle obiezioni del Gobbi dovrebhe risultare
abbastanza chiara da lutto il contenuto di questo capitolo, che vorrei porre
come pregiudiziale di ogni ulteriore discussione sulla validità dei
principi della scienza economica. tutti che cosa esso sia. o per lo meno
che cosi crediamo che sia. Ebbene, a rischio di apparire banali,
abbandoniamo per un momento il terreno più propriamente scientifico della
discussione, trascuriamo cioè le attuali controversie dottrinarie, e
scendiamo anche noi a quel senso comune cui ci richiamano perentoriamente
alcuni economisti, quasi avessimo perso il contatto con la terra per la
velleità di correre inutilmente per i cieli. Scendiamo, dico, a ragionare all
ingrosso e a determinare su per giù questo comunissimo concetto dello Stato:
vediamo, insomma, se è possibile giungere a una conclusione pralica
qualsiasi, che ci autorizzi poi a rimanere fedeli a ciò che gli economisti
dicono quando parlano di Stato e individuo, di intervento, di
libera concorrenza, di monopolio, ecc. Se vi perverremo, se potremo
comunque pervenirvi, ogni ragione di dissenso sarà tolta, e ognuno potrà
proseguire in pace il suo cammino; ma se, per avventura, ciò
non fosse possibile, bisognerebbe pure che gli economisti si decidessero
ad affrontare tutte le conseguenze e a mettere cioè in discussione tutti i
principi della loro scienza. Tra le diverse risposte che potrebbero
darsi alla domanda: «che cosa è lo Stato?», credo che un economista
finirebbe col preferire quella che si ricollegasse al concetto di bilancio
dello Stato: Stato è 1 ente il cui bilancio si chiama appunto bilancio
dello Stato. E sarebbe ima risposta precisa, inequivocabile.,
perfettamente individuata nell’organismo di un sistema scientifico, sì cbe ogni
ulteriore discussione sulla sua legittimità dovrebbe apparire inutile. Ma se
gli economisti danno allo Stato questo significalo ristretto di
amministrazione centrale, non è certamente a esso che si
limitano quando parlano di intervento statale
nell’economia individuale. Nessuno infatti crede di dover distinguere l’intervento
dello Stato strido sensu da quello, ad esempio, della provincia, o del comune,
o di un ente pubblico in genere: e nessuno pensa a un rapporto
necessario tra intervento politico e bilancio dello Stato quando si stabilisce,
ad esempio, lina riduzione del numero delle osterie. Ci deve
essere, dunque, un altro criterio per determinare i confini di quella
realtà cbe gli economisti chiamano Stato, e studiano in rapporto ai
fenomeni della libera concorrenza. A tal riguardo, oggi Stato in Italia sono
senza dubbio anche l’organismo corporativo e il partito nazionale
fascista, che di gran lunga trascendono la particolare vita del bilancio
statale, e da cui nessuno potrebbe senza arbitrio prescindere per
spiegarsi l’attuale vita economica della nazione. E dunque lo Stato si allarga
necessariamente, anche se ci limitiamo a questa prima considerazione empirica
del problema, daH’ammiiiistrazione centrale a quella periferica, da pochi
organi determinati a una molteplicità indefinita di poteri regolatori. Sì che
l’economista deve tornare a porsi il problema da capo e andare alla
ricerca di un criterio comprensivo di questa più vasta realtà cui
deve riconoscere la qualifica di Stato. Non più tecnicamente
rilevabile attraverso un particolare fenomeno economico come quello
del bilancio statale, la distinzione di Stato e individuo deve a
questo punto trascinare l’economista di là dai confini della sua scienza,
e indurlo a ricercare nel campo del diritto e della politica quel
concetto di Stato che gli è necessario per costruire scientificamente una
teoria degli effetti economici dell’intervento statale. Lo sconfinamento è, al
solito, in gran parte inconsapevole e la soluzione del problema resta,
nella letteratura della odierna scienza economica, affatto indeterminata ed
equivoca. All’ingrosso si può dire che l’economista contrappone Stato e
individuo intendendo contrapporre governo e governati. E anche questa
distinzione potrebbe reputarsi precisa e perentoria, se fosse possibile
in realtà individuare non arbitrariamente il concetto di governante;
se fosse possibile, in altri termini, distinguere di fatto i governanti
dai governati, ossia la volontà e l’azione economica dei governanti dalla
volontà e dall’azione economica dei governati. Se lo Stato, in effetti, è
sinomino di governo, l’intervento statale non potrà concepirsi se non
come quello esercitato da un’autorità governativa, ma, anche qui,
nessun economista può essere tanto ingenuo da identificare tale autorità con la
persona del sovrano e con il gabinetto. Anche qui è necessario scendere
dal governo strido sensu al potere governativo esteso a tutte le autorità
centrali e periferiche, da quelle dei ministri a quelle degli enti locali,
delle federazioni, dei sindacati, del partito, ecc. E il problema di nuovo
si allarga in modo indefinito, senza che all’eonomia sia possibile
empiricamente raggiungere i limiti dell’attività governativa e degli uomini che
la impersonano. Di gerarca in gerarca si scende tutta la scala dell’
organismo sodale, senza die sia mai possibile arrestarsi e trovare sul
serio l’individuo che sia governato senza governare. Quando anche si sia
scesi fino al fondo della scala e si sia raggiunta la massa degli
individui che sembra non abbia altro compito sociale se non quello di
lavorare e di obbedire, si deve pur riconoscere, e lo Stato moderno lo
riconosce di fatto, che la massa stessa si articola, si eleva, si spiritualizza
e fa cioè sentire la sua volontà. In quanto essa è qualche cosa nel mondo
sociale, è azione, e cioè governo, così come lo stesso ordinamento
giuridico riconosce allorché a essa affida il compito di votare, vale a
dire di porsi a tu per tu con la suprema autorità governativa, e riconoscerla o
disconoscerla, darle o toglierle il governo, e quindi condizionare e
disciplinare tutta l’azione governativa. Governo e governati vengono
perciò a fondersi nel circolo della vita polìtica, e gli ultimi toccano i
primi, in un organismo unico armonicamente costituito. Quest’organismo, che
tutti li comprende e che si esprime in una volontà unica, è appunto e
soltanto lo Stato, con il quale l'individuo, in quanto animale sociale,
non può non coincidere assolutamente. A questo nuovo concetto e a questa
nuova realtà dello Stato, per cui l’antinomia di Stato e individuo si è venuta
via via risolvendo, si è pervenuti a traverso un processo storico che qui non è
il caso di illustrare in modo particolare. Basti dire ch’esso è il
processo dello spirito umano, del pensiero del secolo XÌX e dei primi decenni
del XX, 39 — della critica della vecchia trascendenza e dell’ultima
sua forma concretatasi neìl’individualisino illuministico: è il passaggio del
liberalismo dalla sua forma irrazionale e anarchica a quella organica
e disciplinata, è il trasformarsi dell’opposizione più o meno
radicale all’autorità e alla realtà dello Stato nel riconoscimento del suo
universale valore immanentistico. Naturalmente le fasi dello sviluppo non
si possono individuare con facilità e anzi di esse non è dato aver
coscienza, se non quando si sia pervenuti alla piena comprensione dei risultati
raggiunti: sono fasi riconoscibili solo dall’occhio esperto del cultore di
studi storici e filosofici, che sa risalire alle fonti del nuovo orientamento
speculativo e determinarne la necessità logica, ragione delrineluttabile shocco
nella vita pratica. E allo storico solo è, quindi, consentito di volgersi con
piena consapevolezza alla presente realtà politica per adoperare in
senso non occasionale termini ed espressioni relativi a un’esperienza
anch’essa non occasionale. Quando si parla, non ciarlatanescamente, di
economia corporativa, non s’intende parlare né di una speciale forma di
economia relativa a una contingente esperienza politica, né di
una esperienza politica arbitraria da ordinare scientificamente.
S’intende, invece, riconoscere storicamente e scientificamente un
ulteriore sviluppo della scienza economica, ossia l’erroneità di certi suoi
presupposti e la necessità di sostituirli con altri: e s’intende, insieme,
riconoscere la razionalità di uno sviluppo politico, dovuto agli stessi motivi
spirituali dello sviluppo scientifico e tutt’uno con esso.
Stato corporativo ed economia corporativa sono, in altri termini,
frutti imprescindibili dello spirito moderno ed espressioni del massimo livello
da esso raggiunto : qualunque sia la forma clic verrà assumendo l’idea
eorporativa, è eerlo che essa, per il superiore concetto di Stato che
rappresenta, informerà tutta la scienza e la politica dell’avvenire. Ma
perché la previsione non riesca fallace è necessario saper discernere bene
ciò che vi ha di essenziale nel movimento corporativo, e non confondere la
sua realtà positiva con le particolari forme, con i molteplici tentativi e anche
con le inevitabili deviazioni della complicata prassi politica. Il che
vuol dire che non bisogna considerare i fatti nella Ioto immediatezza
indistinta, bensì valutarli alla stregua di un criterio storico che ne
spieghi la necessità logica. Se essi sono frutto della storia
non possono intendersi se non attraverso la storia, ossia attraverso lo
sviluppo del pensiero che nella storia si esprime, e debbono essere
avviati verso quegli ulteriori ideali che sorgono dalla consapevolezza
storica e scientifica. Allora l’idea corporativa può venire sul serio
individuata e resa intelligibile, cioè elevata alla considerazione scientifica,
non a titolo di nuovo oggetto di studio, ma come ragione interna dello
stesso processo scientifico. Allora l’idea corporativa esce dalla vaga
formulazione propria di un’esperienza politica in
rapidissimo movimento e si riconosce in una verità storica che è
frutto di una secolare elaborazione dottrinaria e pratica: l’identità di
Stato e individuo. Ora, se guardiamo all’ordinamento corporativo da questo
superiore punto di vista, dobbiamo convenire che il suo effettivo
significato storico sta appunto nel tentativo di rendere sempre più
concreta l’organicità statale della vita della nazione, e cioè di rendere
lo Stato sempre più immanente alla vita dell’individuo. Nel regime
corporativo lo Stato è destinato a perdere la caratteristica di un ente
trascendente, a non contrapporsi, cioè, agli individui che sono soggetti
alla sua autorità, ma ad estendere via via i propri confini scendendo dal
vertice alla base e ricomprendendo senza residui tutta la
realtà sociale. L’autorità dello Stato non è più una disciplina che si
impone ai cittadini dall’esterno, ma è la stessa disciplina con cui lo
Stato si organizza nel suo interno: poiché nella corporazione si
incontrano di fatto Stato e individuo, e reciprocamente si trasformano in
un rapporto dialettico che dà significato a entramhi i termini. Cosi nel
diritto come nell’economia rincontro, naturalmente, si esprime con
la identificazione progressiva del pubblico e del privato, e basta
guardarsi intorno per convincersi della radicale e rapidissima trasformazione
die questi concetti vanno subendo in tutti i rapporti della
vita sociale. Parlare oggi, ad esempio, di proprietà privata, senza
riconoscere anche ad essa un sostanziale carattere pubblicistico, è un
assurdo che risulta evidente a ogni giurista non fossilizzato. E, se dal
concetto base della proprietà scendiamo agli altri infiniti che a esso si
ricollegano, tanto dal punto di vista giuridico quanto da quello economico, è
facile accorgersi che tutti acquistano un significato statale al quale
nella realtà non possono sottrarsi. Costi, prezzi, salari, iniziative, imprese,
banche, negozi, commerci, ecc., tutto è ormai, non solo
implicitamente come sempre, ma anche con progressiva consapevolezza ed
esplicita volontà, subordinato a una disciplina statale di cui sarebbe assurdo
voler segnare i confini. Ed è proprio questa impossibilità che ormai rende
chiaro, anche sul terreno della realtà politica, il progressivo
svuotamento delle locuzioni tanto abituali nella letteratura della vecchia
economia. Che cosa può mai significare oggi intervento statale nell
economia individuale, quando si è reso esplicito anche ai più ciechi che
non esiste alcun atto economico che non sia condizionato dall’organisnio
statale? Finché lo Stato si personificava in un ente e si esauriva nell opera
di una burocrazia, esso poteva intervenire in una realtà che era
fuori dell ente e della burocrazia: ma oggi che Io Stato non è,
neppure in apparenza, un ente, né si limita a una huroerazia, perché si
estende attraverso la vita sindacale a tutti gli individui, oggi finalmente
è scomparso il soggetto stesso dell’intervento facendo scomparire con
sé tutte le proprie particolari manifestazioni. Per chi continuasse a
sorridere scetticamente sarà opportuno portare un esempio molto
noto: quello del calmiere. Non so se molti hanno riflettuto sulle vicende
che ha subito il calmiere in Italia in questi ultimi anni: a chi non lo avesse
fatto e si domandasse 6e oggi in Italia esistono tuttavia dei
calmieri, dovrebbe apparire chiara una sola risposta e cioè che oggi in Italia
la parola calmiere non ha più significato, è diventata
anacronistica e ha seguito la sorte di quella concezione politica ed
economica che il fascismo viene liquidando. Ancora fino a qualche anno fa si
parlava di bardature economiche e della necessità di sopprimerle, ancora
si contrapponeva l’intervento alla libertà e si discuteva quindi sulla
legittimità o meno dei calmieri. Oggi la questione è superata, non risolta
né nell’uno né nell’altro senso, ma vuotata di conte mito attraverso
la consapevolezza acquisita dell’assoluta unità della vita economica italiana.
Che significato dar piu alla parola calmiere quando in pochi giorni prezzi e
costi sono mutati in tutto il paese in virtù di una sola parola d’ordine?
Quando contratti collettivi, stipendi, salari, prezzi di
vendita all’ingrosso e al minuto, ecc., sono tutti legati da
una ferrea disciplina nazionale? Che non è, si comprende bene, una
disciplina arbitraria e quindi antigiuridica e antieconomica, ma, almeno nella
sua realtà migliore, il disciplinarsi stesso, e dairinterno,
della vita economica d^l paese vista in funzione di un unico fine
statale^ È lo Stato che coincide con l’individuo e lo risolve nella propria
organicità : è l’individuo che vede nello Stato la sua ragion d’essere
e lo risolve nella propria volontà. La tesi dell'identità di Stato e
individuo, che teoricamente e storicamente si è venuta
delineando, può ancora andare incontro — come si è già accennato — a una
obiezione di carattere empirico, fondata sulla constatazione di un reale
contrasto tra l’attività e le finalità economiche dell’individuo
e quelle dello Stato. È vero — ci si può opporre e ci si oppone in
effetti da più parti — che in teoria, ossia, idealmente. Stato e individuo
coincidono, ma nella concreta vita sociale è pur vero che
l’opposizione o almeno la differenza c’è, e con il suo solo
esserci non può non smentire la teoria. O voi dunque — si continua —
vi contentate di restare in un’atmosfera di pura idealità io cui la teoria
si esaurisce compiutamente in se stessa, e allora potrete avere anche ragione:
o voi invece volete che la teoria si adegui alla realtà e serva ai suoi fini, e
allora dovete riconoscere che la vita è radicalmente diversa
da quella che voi andate teorizzando. Nel primo caso fate una
metafisica, nel secondo lina cattiva economia. Prima di rispondere
esplicitamente a questa obiezione, sarà opportuno ricercare le ragioni
effettive del contrasto indubbiamente esistente e sempre risorgerne nella
vita sociale tra fine pubblico e fine privato. Tale contrasto — diciamo
anche noi — c’è e sarebbe stolto negarlo o porlo comunque in dubbio, tanto
evidente esso è nella vita di ogni giorno e nella coscienza intima di
ognuno di noi. Se diminuiscono gli stipendi e io sono uno stipendiato,
posso logicamente convincermi della necessità e quindi dell’utilità
economica nazionale della riduzione, ma, se mi fosse lecito sottrarmi alla
legge comune, e ottenere che il mio stipendio sfuggisse al provvedimento
generale, con molta probabilità sarei lieto dell’eccezione e agirei perché
essa si verificasse. Il che vuol dire che in realtà tra il mio fine
individuale e quello stalale c’è un contrasto esplicito e che l’agire
economico mio non è identificabile con quello dello Stato. Ma se così è,
non bisogna tuttavia arrestarsi al riconoscimento e occorre spiegarsi la
contraddizione Ira ciò che sarebbe logico e ciò che è reale. E basta
appena porre il problema in questi termini per accorgersi che la ragione
dell’indisculibile fatto è appunto contraria alla logica, è essenzialmente.
profondamente illogica. Il contrasto, in altri termini, c’è, ma è dovuto a
una deficienza, a una negatività; esso rappresenta il lato
patologico dell’effettiva realtà sociale, ossia l’elemento disgregatore e
non quello unificatore della società. Se poi volessimo renderci conto
della radice del male e ricercare in'quale dei due termini
del rapporto Stato-individuo si verifica la ragione del contrasto,
dovremmo riconoscere che non a uno solo di essi può limitarsi la colpa,
poiché a fondamento di entrambi è sempre una attività umana suscettibile
di degenerare nelFegnismo antisociale, l’identità si spezza o almeno si
attenua ogni volta che l’individuo si fa diverso dallo Stato: ogni
volta insomma che lo Stato diventa sopraffattore o che l’individuo
diventa ribelle. Alcune brevi osservazioni potranno chiarire il duplice modo
del sorgere dell'antitesi. E cominciamo dallo Stato, contro il quale
generalmente si appuntano le critiche degli economisti, insofferenti del
contrasto soltanto quando l’azione statale ne sia la fonte. Chi può negare
un qualsiasi fondamento alle critiche dei liberisti contro gli interventi
dello Stato nel campo dell'economia individuale? E se non è possibile una
negazione perentoria, come si spiega il verificarsi di interventi dannosi
e antieconomici? Per rispondere in modo scientificamente esatto bisogna
convenire che l’azione economica statale è nociva soltanto quando lo Stato
non è veramente tale, e cioè quando rinnega la sua realtà universali
zzatrice e si parti eoi arizza in determinati individui o in una determinata
classe. Il modo, poi, in cui il particolarizzarsi dello Stalo può
effettuarsi è duplice, a seconda che lo Stato si differenzia dalla nazione
per ignoranza o per interesse. Nel primo caso lo Stato — o, per non equivocare,
il governo in senso stretto, o, meglio ancora, gli individui che lo
impersonano — interpreta arbitrariamente la volontà della nazione e agisce
in senso antieconomico perché rompe l’organismo sociale, imponendo una
volontà affatto individuale, disgregatrice di quella universale. È il governante che
vuole agire per lo Stato, ina che in effetti opera contro lo Stato per
l’incapacità di dare valore universale alla propria volontà. Nel secondo
caso, in cui il governante agisce per interesse proprio, non solo manca la
capacità di universalizzarsi e di assurgere veramente a Stato, ma c è
addirittura la volontà di particolarizzatsi anteponendo dolosamente la
propria individualità allo Stalo. È il caso del tiranno o della classe
dirigente che abbassa la nazione a strumento dei propri fini particolari. Ora,
è chiaro che tanto nel primo quanto nel secondo caso la tesi dell’identità
d’individuo e Stato, lungi dall essere scossa e compromessa, è
luminosamente confermata nella sua assolutezza. Il dualismo infatti è possibile
in entramhi i casi non per la contemporanea esistenza di due realtà
distinte che sarebbero l’individuo e lo Stato, nia per la inesistenza di
una vera volonlà statale. Sono individui (Stato) che si contrappongono a
individui (sudditi) in un contrasto anarchico di fini particolari: l’unità di
individuo e Stato non può effettuarsi, perché inanca quella realtà
universale in cui i due terniini debbono incontrarsi e sintetizzarsi;
manca — rigorosamente parlando — lo Stato. E l’individuo si oppone allo
Stato non perché veda in esso uno volonlà e un fine universali contrastanti con
la propria volontà particolare, ma solo perché vi scorge una volontà
anch essa particolare che non ha alcuna ragione intrinseca di
prevalere. Queste stesse osservazioni, fatte per dimostrare 1 origine
patologica del dualismo di Stato e individuo, valgono, presso a poco negli
stessi termini, per il caso che la colpa di esso debba attribuirsi
all’individuo. È vero che 1 individuo spesso concepisce il proprio fine e
il proprio interesse come contrastanti con quelli dello Stato, ma la
ragione va trovata anche qui o nell'ignoranza del valore del fine
statale o nella volontà di sopraffare lo Stato abbassandolo a
strumento del proprio interesse particolare e violentando la volontà degli
altri individui. In entrambi i casi la sua condotta non si spiega con
l’esistenza di due realtà distinte: individuo e Stato, ma solo con la
negazione di uno dei due termini. È rindividuo che non riconosce lo Stato.
Se per poco lo riconoscesse, se ne ritenesse giustificata l’esistenza e lo
sentisse come valore da difendere, diverrebbe sua preoccupazione quella di
conformare la propria volontà alla volontà dello Stato, di coordinare cioè
il proprio mondo con quello dello Stato in un'unità superiore in cui
i due termini si risolvessero. E insomma ancora una volta si deve concludere
che se di Stato può propriamente parlarsi, se lo Stato non è un nome
ma una realtà effettiva, esso non può che coincidere con l’individuo.
L’antinomia sussiste e sempre sussisterà, ma come il male nel processo
dello spirito, vale a dire come la volontà di negare ciò che ha valore
universale, di sopprimere o di menomare lo Stato. Forse neppure dopo
l’analisi del contrasto tra Stato e individuo possono ritenersi
definitivamente combattute le obiezioni che si fanno alla tesi
della identità dei due termini. Ebbene — ci si potrebbe ancora dire —
sia pur giusto quanto voi sostenete e sia pur vero che il contrasto denota
soltanto la mancanza o la menomazione della realtà dello Stato, ma
intanto, comunque, il contrasto c’è ed è fondamentale, sì che da esso non è
lecito prescindere, senza abbandonare la realtà concreta e smarrirsi
dietro un utopistico ideale. Noi dobbiamo fare la scienza della vita
quale essa storicamente ci si presenta, e non quella di un mondo astratto,
fosse anche il più celestiale dei mondi possibili. A evitare ogni
timore di tal sorta potremmo richiamarci al carattere radicalmente
storicistico del nostro assunto: nessuno più di noi può aver l’intenzione
di aderire alla realtà e di trovare in essa e soltanto in essa la norma
scientifica. E perciò sarà opportuno dichiarare senz’altro
perentoriamente che nessuno più di noi è convinto dell’esistenza
del contrasto; che nessuno più di noi è disposto a riconoscere
l’impossibilità dell’eliminazione totale, sia pur fantasticata nel più
lontano futuro, del contrasto stesso. L’antinomia c’è e sempre risorgerà,
perché essa è nella dialettica della vita, sì che sopprimerla davvero
per sempre significherebbe sopprimere con essa la vita. La quale non è
perfezione ma processo I ; di perfezionamento, e perciò non
identità statica dì individuale e universale, vale a dire non
conquista definitiva del valore, ma sforzo continuo di adeguamento
dell’individuale all'universale, ossia conquista di valori sempre più alti. Per
adeguarsi allo Stato l'individuo deve vincere se stesso, superare
la propria particolarità, dominare gli impulsi, rinunciare all’arbitrio,
disciplinarsi insomma attraverso una serie di sforzi, in cui il dualismo
riaffiora continuamente e non può mai dirsi risolto
per intero. Ma se questa è legge di vita, anzi la vita stessa nel suo
svolgimento, occorre poi saper distinguere entro il processo i due termini
dialettici e non confondere il negativo con il positivo.
L’individuo è veramente tale, è cioè una realtà positiva o un valore
spirituale solo per quel tanto che riesce a universalizzarsi nello Stato:
per quel tanto invece per cui resta al di qua dello Stato egli è non
valore, irrazionalità, mero arbitrio disgregatore della realta sociale; è
particolarità chiusa in se stessa e incapace di divenire comunque termine di
rapporto, lira, è chiaro che un soggetto il quale sfugga
alla possibilità di un rapporto con gli altri soggetti — se non
sfuggisse, la sua particolarità sarebbe con ciò «lesso superata, e quindi
l’ipotesi negata — è assolutamente negativo, ossia assolutamente
inintelligibile. Volerlo considerare oggettivamente, facendolo assurgere a
contenuto di scienza, è impresa tanto disperata e assurda, quanto quella di
voler fare scienza dell irreale: e purtroppo in questa assurda fatica si è
cimentata finora la scienza dell’economia per quel tanto per cui ha voluto
tener fede ai suoi presupposti e assumere veste ^ • SniJTtì 50
— sistematica. 11 così detto homo aeconomicus è appunto l’ipotesi astratta
dell’individuo visto, non in un particolare aspetto della sua attività di
uomo — come erroneamente è stato ritenuto dagli economisti —, bensì nella
mera negatività del soggetto considerato come particolare. Esso, dunque,
non è un’ipotesi scientifica — per astratta cbe la si voglia pensare — ma
proprio l’ipotesi negativa della scienza: se esistessero di fatto gli “homines
œconomici”, il loro agire, per definizione, non sarebbe suscettibile di
sistemazione scientifica. Per quel tanto, invece, per cui l’uomo
entra in rapporto con gli altri e supera la propria particolarità
nell’opera di collaborazione, per quel tanto appunto esso diventa
intelligibile e logicamente considerabile. La sua azione trascende,
infatti, l’arbitrio e si razionalizza, il suo procedere si disciplina secondo
norme determinate e la sua soggettività si risolve neH’organismo della
vita sociale, nello Stato. Per quel tanto, insomma, per cui individuo
e Stato si identificano, il soggetto economico — In Stato cbe è
individuo o l’individuo che è Stato — diventa una realtà positiva, e
l’azione economica diventa suscettibile di considerazione scientifica.
O si fa scienza e si riconosce l’identità sostanziale dei due
termini, o si ipostatizza l’individuo considerandolo positivo nella sua
particolarità e si rinuncia alla scienza. Ogni via di mezzo è fatalmente
destinata all’equivoco e all’errore. A illustrare l’argomentazione potrà
forse valere un esempio tratto da altre discipline: la grammatica o la
sintassi. Sono discipline cbe ci indicano le leggi del parlare e dello scrivere;
leggi non fissate arbitrariamente, ma ritrovate nella realtà di coloro die
parlano e scrivono. Se non che, così come nel rapporto tra individuo e Stato
nella vita economica, anche qui l’individuo non si adegua sempre all
universale della legge e comunemente sgrammatica. Anche qui il parlar
secondo grammatica è un ideale che di fatto non è mai raggiunto, né sarà
mai raggiunto; eppure a nessuno viene in mente di fare la grammatica
dell’individuo e di porre a fondamento di essa l’arbitrio di parlare come
si desidera. Se si vuol fare scienza occorre pur considerare l'elemento
positivo e non quello negativo: occorre cioè determinare l’universale in
cui gl'individui convengono e non il particolare che non riescono a
superare. Ora, la scienza deH’economia ha mirato proprio a fare la
grammatica dell’individuo, e, quando non è stata arrestata lungo la
china dalla forza imperiosa della realtà, è precipitata addirittura nell
unica conseguenza possibile, quella dell ideale della libera concorrenza,
che, mante? nendo ancora il paragone, vai quanto l’ideale del lihero
parlare, ossia del parlare senza grammatica. Mapotrebbe forse osservare a
questo punto I economista a fondo positivisteggiante — noi
non vogliamo indicare norme di vita. Noi vogliamo, cioè, indicare
nella libera concorrenza non un ideale economico, ma un ipotesi economica
: se si raggiungesse I ideale della lihera concorrenza quali fenomeni si
verificherebbero? — ecco il problema. Ebbene, rispondiamo ancora una volta, l’ipotesi
non ha senso come non avrebbe senso lo sforzo del grammatico che volesse
studiare la grammatica di un ipotetico paese in cui ognuno parlasse un
linguaggio proprio. 0 la libera concorrenza ha una qualsiasi disciplina e si
compone nella vita statale, e allora si può analizzare entro l’ambito di tale
disciplina; o la libera concorrenza è davvero l’incontro irrazionale di
soggettività particolari, e allora non può essere cbe abbandonata a se
stessa. Nelle osservazioni che precedono si è cercato di dare un concetto
preciso della tesi dell’identità di individuo e Stato, e di mostrarne il
carattere storicistico, che la pone non a fondamento di una qualsiasi opinione
scientifica, bensì come principio informatore necessario della nuova scienza
economica, in quanto la si renda adeguata al livello speculativo e
politico della vita contemporanea. A quali conseguenze il nuovo principio
conduca nella costruzione sistematica dell’economia non è possìbile
illustrare se non costruendo appunto la nuova scienza; tuttavia deve già a
questo punto risultar chiaro che le conseguenze non possono essere di
carattere accessorio o particolare, ma tali da trasformare radicalmente la
fisionomia della dottrina economica. Spostare il soggetto economico daWhomn
cecoiwmicus, ossia dall’individuo particolare, all’individuo
visto nella sua identità con lo Stato, significa mutare nb imis i
concetti di valore, di utilità, di benessere, di bene economico, di
ricchezza, di libera concorrenza, di monopolio, di intervento statale,
ecc. : di tutti i concetti fondamentali, cioè, dell’economia quale si
è venuta costruendo da secoli. Sarà una trasformazione lunga e faticosa, e
tanto più ardua quanto piu ci si andrà avvicinando alla trattazione dei
pròblem, particolari, in cui è facile smarrire la coscienza c ei presupposti e
degenerare in un falso tecnicismo. Ma sarà una trasformazione assolutamente
necessarla, alla quale converrebbe che aprissero fin da ora gli occhi
quegl, economisti che si cullano tuttavia nella illusione di possedere leggi e
teoremi di inoppugnabile certezza. Uno dei problemi fondamentali
dell’economia, in cui la tesi dell’identità di individuo e Stato
può Irovare la conferma del suo valore critico e ricostruttivo, è
certamente quello del benessere. Preoccupazione costante della scienza è stata
la ricerca delle condizioni necessarie per il raggiungimento del
massimo benessere individuale e del massimo benessere sociale, e a questo
supremo fine si può dire siano subordinate tutte le particolari
teorie e indagini degli economisti, anche quando essi ripudiano come antiscientifico
il concetto di disciplina normativa. Se essi confrontano, infatti, le diverse
ipotesi economiche e ne studiano, sia pure astrattamente, le peculiari
conseguenze, debbono avere, per il fine stesso che si propongono, un
criterio di confronto, e debbono poter esprimere un giudizio comparativo
di valore (economico). Vero è che Feconomista, a cui oggi si domandi se
sia migliore il regime di libera concorrenza o quello di monopolio,
risponde di non potersi pronunziare in merito dovendosi limitare scientificamente
a esporre 1 andamento dei fenomeni economici nei due casi indicati, ma è
pur vero che tali fenomeni — presi almeno a uno a uno, — non possono
chiarirsi e determinarsi se non in funzione di un
concetto quantitativo (più o meno utile, maggiore o minore reddito,
aumento o diminuzione della produzione, ecc.) che è implicitamente
valutativo o normativo. Si potrà non concludere in favore dell’uno o del1
ahro regime, ma ciò dipenderà esclusivamente dall’impossibilità di sommare con
esattezza tutti i prò e tutti i contro delle diverse ipotesi, non dalla
rinuncia a determinare i singoli prò e i sìngoli contro. Così, quando
l’eoononiista afferma che la moneta cattiva scaccia la buona, condanna,
limitatamente al fenomeno preso in esame, la emissione di moneta cattiva,
anche se poi, tenendo presenti altri fenomeni, riconosce che in
determinati casi l’emissione di moneta cattiva possa essere necessaria. E
deve allora risultare chiaro che la rinunzia dell economista a far
diventare normativa la sua scienza va attribuita unicamente all’incapacità
di una visione sistematica dei fenomeni economici e all impossibilità di
decidersi fra regimi economici non bene determinati in tutte le
conseguenze. Un’economia veramente sistematica, sebbene fondata su un principio
affatto negativo, era 1 economia rigorosamente liberistica, che
assumeva a fondamento logico della scienza la libera concorrenza e vedeva
in essa l'ideale normativo della prassi politica. Ma quando la negatività del
principio si è andata a poco a poco rivelando anche ai più ortodossi, il
rigore sistematico si è affievolito e la scienza è scivolata inavvertitamente
nel frammentarismo di indagini contradditorie. La ricerca è diventata più
complessa e meno dogmatica, e in tal senso sì è accostata maggiormente
alla vita e alle esigenze dello storicismo, ma, per l'incapacità di dominare il
mondo in la] guisa allargato, è caduta in un relativismo scettico
scientificamente disorganico e praticamente inutile e dannoso. Si che, se
oggi ci 6Ì volgesse intorno e si domandasse agli economisti quale sia
la strada da percorrere per giungere al massimo benessere individuale e a
quello sociale, non si potrebbero ascoltare che risposte
monche, indeterminate e, peggio ancora, evasive. Gli uni ci direbbero
che il problema riguarda la distribuzione e non la produzione, e tenderebbero
perciò a convertire il problema economico in un problema di politica
economica, per lavarsene le mani e rimettersi al prudente arbitrio
delluomo polìtico; allri ci risponderebbero che la soluzione teorica
è sempre quella della lihera concorrenza, la quale in aslratto
garantisce il massimo di ofelimità individuale e SQciale: ma poi
aggiungerebberoche tale soluzione teorica ha bisogno, per una quantità
di ragioni determinabili o indeterminabili, di correttivi più o meno
radicali; altri ancora distinguerebbero tra benessere individuale più
propriamente economico e benessere sociale, determinato, invece, da motivi
in gran parte di natura extraeconomica : altri, infine, si smarrirebbero nella
casistica del contingente e accumulerebbero risposte su risposte, senza
venire a capo di nulla. Ma tutti poi eviterebbero di affrontare o
sommariamente risolverebbero il problema fondamentale di determinare sul serio
il concetto di benessere individuale e sociale, e quindi tutti si
porrebbero nell’impossibilità di dare una risposta scientificamente rigorosa.
Poiché, al solito, l’incapacità degli odierni economisti di dar veste
sistematica alla loro scienza sta proprio nel sorvolare sui presupposti
della costruzione e nell impelagarsi in una congerie disastrosa di
questioni oziose o addirittura inesistenti, smarrendo la nozione stessa del
problema che pur si vuole affrontare. E perciò ancora una volta
occorre fermarsi al limitare, e domandarsi con precisione che cosa
vuol dire benessere individuale, che cosa benessere sociale, e che cosa
infine il rapporto tra le due specie di benessere. Vediamo anzitutto
quale significato hanno preteso di dare e quale significato hanno effettivamente
dato al concetto di benessere gli economisti individualisti o liberali, nel
tentativo più sistematico da essi compiuto per la soluzione di questo
problema. Vogliamo riferirei in particolar modo alla interpretazione
soggettivistica del concetto di utilità, e quindi alla cosiddetta ofelimità
massima individuale e statale. Credo che, anche limitando a questa teoria la
nostra indagine critica, nessun economista vorrà accusarci di unilateralità,
perchè nessuno potrebbe sul serio affermare resistenza nella scienza
economica contemporanea di una concezione più comprensiva del problema in
esame. Con il concetto di ofelimità la teoria classica dell economia
individuale ha raggiunto il massimo rigore che le era consentito. Se il
soggetto economico è 1 individuo singolo con finalità proprie estranee a quelle
degli altri individui, la nozione oggettiva di utile va necessariamente
cangiata in quella soggettiva di ofelimo: nessuno potrà affermare
in astratto Futilità di un bene, perché beni per se stessi utili non
esistono, essendo la loro utilità in funzione dei gusti e dei relativi
bisogni degli individui, L utilità di un bene varia perciò da indivìduo a
individuo da momento a momento della sua vita: quello stesso bene cbe oggi
è al sommo delle mie aspirazioni e cbe m’induee a sacrifici notevolissimi,
può diventare domani affatto irrilevante e tale da costringermi
addirittura a nuovi sacrifici per disfarmene. Vano era dunque il tentativo dei
vecchi economisti di determinare il valore dei heni e di spiegare
obiettivamente le ragioni della loro utilità: utile è soltanto Fofelimo,
vale a dire ciò cbe risponde al gusto contingente e arbitrario di dii compie la
scelta economica. Tutta la cosiddetta economia marginalia ha preso le
mosse da questo presupposto fondamen¬tale e si è trascinata fin qui nell'illusione
— non sempre cieca e totale — che nel puro soggettivismo fosse tuttavia
possibile alla scienza di porre un certo ordine, frazionando idealmente in
unità elementari i vari beni di un individuo e confrontando le unità
ultime di ciascun bene tra loro. Se soggettivo è il concetto di utile, entriamo
pure nell’anima del soggetto e facciamo la sintesi delFeeonomia e della
psicologia: così hanno pensato i più coerenti tra gli individualisti,
giungendo infine alla conclusione alquanto lapalissiana che di veramente
certo nella logica di ogni indivìduo non v’è che il bisogno di procurarsi
beni economici in quantità tali da rendere eguali le soddisfazioni
procurate dalle unità ultime dei diversi beni. Il ragionamento, a
prima vista impeccabile, si è svolto in questi termini: se io vado al
mercato a comprare pane e vino è chiaro che comprerò tanto pane e tanto
vino da far coincidere il piacere che potrà procurarmi l’ultima parte del
mio pane con quello che potrà venirmi dall’ultima parte del mio vino. Se l’ultimo
boccone del mio pane avesse per me maggiore o minor valore dell’ultimo
sorso del mio vino, la mia opera sarebbe illogica, perché rinuncerei senza
ragione al massimo di utilità possibile, facendo acquisto di troppo
vino o di troppo pane. Estendendo il ragionamento a tutti i miei beni e
misurando la quantità di ognuno posso giungere a determinare il valore
relativo di essi: posso cioè avere una nozione sperimentale del mio
equilibrio economico. E se infine dalla mia persona passo a quella degli
altri individui che formano la collettività, posso sempre
sperimentalmente e oggettivamente giungere alla nozione di un equilibrio
generale, che è tuttavia la risultante di molteplici mondi assolutamente
soggettivi. Si compie in tal guisa il miracolo della trasformazione di
un’economia psicologica in un’economia matematica, e ciò che sembrava
l’espressione di un arbitrio inafferrabile e indeterminabile diventa elemento
rigorosamente determinato in una formula algebrica. Ma la matematica è in
questo caso una cattiva consigliera e conviene aver la forza di resistere
al suo fascino, per non essere trascinati in un mondo tanio più
fantastico quanto più tecnicamente perfetto. E dalle sue equazioni vogliamo per
un istante ritrarre lo sguardo per ritornare all’mdividuo economico e
vedere se tanta scienza possa comunque illuminarlo nel suo cammino e se,
soprattutto, posea comunque illuminargli la strada che gli altri individui
percorrono con lui. Ora è chiaro che l’economia marginalista non può
dare all’individuo nessun criterio orientativo nel mondo economico, poiché
l’azione economica, qualunque essa sia, è sempre, per definizione,
la migliore possihile. Se vado al mercato, compro quel hene, in
quella quantità, e a quel prezzo che rispondono nel modo più infallibile
all’unico criterio logico eh io possa in queiristante seguire: al
criterio cioè del mio gusto e del mio bisogno. Fare liberamente una cosa
che non piaccia è evidentemente una contraddizione in termini, e se dunque
fondamento dell’economia è l’ofelimità, ogni atto ecomico, in quanto compiuto
senza costrizioni, e necessariamente perfetto. E se perfetto è ogni
atto, perfetto sarà pure il sistema degli atti ossia tutta la vita
economica, si che ogni individuo, che agisca lìberamente, non può non
vivere lina vita rispondente al più allo ideale economico e non esser sempre
nello stato del massimo benessere possibile. Se non che una perfezione
così a buon mercato ha già dato qualche sospetto a taluno degli economisti
più intelligenti e c’è stato chi, sia pure di sfuggita, dando uno sguardo
più profondo alla vita del soggetto, si è accorto nientemeno che le
ofelimità marginali non sono confrontabili tra di loro, neppure nello
stesso individuo e neppure nello stesso istante. E poi si è notato che il
marginalismo implica la possibilità per lo meno ideale di frazionare in
unità elementari ogni bene economico e che invece tanti beni economici sfuggono
necessariamente a tale procedimento. Obiezioni queste che, aggiunte a molte
altre, hanno cominciato a scuotere la fede che dai pm si aveva nel rigore
del principio escomi» \f a non tanto si sarebbe avvertita lLsurdita della
posizione, se non si f osse tornali al p . aggio, dapprima
inconsapevolmente ritenuto lefanello* dall’equilibrio individuale a quello
collettivo e cioè dal benessere del singolo a quello della società. Posto,
infatti, l’individuo a centro del sistema, il massimo di ofelimità
generale non ai e potuto trovare che nella somma deimassimi delle ofelimità
individuali, e allora logicamente il p rmin problema è sparito, in quanto
rias?.°. r lt0 Senza ^e ® 1 l du, nel secondo: ogni individuo ubero
raggiunge il suo massimo e con ciò stesso raggiunge la somma massima la società
di cui egli fa parte. Al a scienza non resta da far altro che prender atto
del migliore dei mondi possibili. Se la scienza volesse comunque uscire da
questo suo atteggiamento dì completa passività di fronte al problema del
massimo benessere individuale e sociale, il primo scoglio contro cui i
suoi sforzi dovrebbero necessariamente infrangersi sarebbe quello del
confronto tra il benessere di due individui diyersi. Abbiamo già accennato
allbbiezione di chi ha dichiarato inconfrontahili le ofelimità marginah di
due beni per uno stesso individuo, ma in quel caso si era tuttavia
nell’ambito del soggetto economico e la possibilità del paragone restava in
qualche modo suscettibile di discussione. Ma quando si tratta di
confrontare il benessere di due individui e lo stesso presupposto
psicologico soggettivista che nega a P” 01 ; 1 °8 ni senso alla ricerca ed
esclude la possibilità di un qualsiasi risultato. E basta
appena accennare a questa conseguenza della teoria per accorgersi che la
presunta soluzione del problema è affatto verbalistica e vuota. Se dire
massimo di benessere sociale vuol dire somma di massimi individuali, questa
somma deve pur concepirsi possibile e gli addendi debbono pur potersi
confrontare. Ma confrontare vuol dire conoscere il rapporto quantitativo
della soddisfazione che un medesimo bene procura a due persone diverse e
tale rapporto è purtroppo impossibile per definizione. Dunque? Dunque il
circolo vizioso èsenza uscita di sorta e occorre impostare diversamente il
problema. Né, d’altra parte. l’economista potrebbe rinunziare al
confronto, attenendosi per astrazione a un tipo medio di uomo, che
rendesse omogenei gli addendi da sommare. In tal caso, infatti, l’unica
soluzione del problema sarebbe di eguagliare tutti i redditi individuali e
di presumere in tal guisa raggiunto il massimo benessere sociale. Il che,
oltre tutto, sarebbe in netta antitesi con il criterio di libera
concorrenza, che è a fondamento, assoluto o relativo, dell’economia
marginalista. Ma il guaio peggiore di questa ingarbugliatissima situazione
viene a porsi in evidenza allorché l’economista è costretto a passare
dall’economia individuale a quella della collettività (Stato, enti pubblici,
sindacati, società, ecc.) L’agnosticismo dello scienziato trova qui un
limite assoluto ed egli non può più evitare di rispondere con precisione
ai problemi che scaturiscono dalla coesistenza delle due economie. Se lo
Stato deve stabilire un’imposta, quali industrie e quali redditi colpirà e con
quale criterio? È chiaro che il criterio economicamente non può essere che
uno e cioè quello del massimo benessere sociale: ma intanto tale massimo può
concepirsi solo in regime di libera concorrenza e Firnposta è estranea per
definizione a tale regime, e slugge necessariamente alla logica del suo
sistema. imposta Sara scelta esclusivamente con criteri extra-economici e
l’economista, al solito, non solo non potrà dire la sua parola, ma non
riuscirà poi in alcuna maniera a misurare gli effetti di un imposta dal
punto di vista del benessere sodale: egli non potrà, cioè, giudicare né a
priori né a posteriori della bontà di un’imposta. Lo stesso ragionamento
può ripetersi a proposito di qualsiasi intervento statale nella vita economica
del paese: anzi lo stesso problema dell’intervento acquista una nuova
fisionomia e rende vanaogni attività dello scienziato in questo campo. Quando
gli economisti si sono poco o molto allontanati dalla tesi rigorosamente
liberista e hanno ammesso la possibilità, in determinate condizioni, di un
intervento statale economicamente vantaggioso, hanno dato, senza avvedersene,
un colpo mortale alla teoria dell’ofelimità, rendendo oggettivo ciò
che avevano perentoriamente affermato come soggettivo, e confrontando, sia
pure in astratto e in linea di mera ipotesi, il benessere procurato da due
situazioni economiche diverse. 0 si tien fede al carattere soggettivo della
ofelimità e allora bisogna lasciare 1 individuo arbitro incondizionato
della sua vita economica e giudice incontrollato del suo benessere; o si
ammette, anche per un attimo e con ogni sorta di limitazioni, la
confrontabilità delle soddisfazioni, e allora si deve rinunziare a
costruire la seienza sul fondamento della scuola psicologia. Ma intanto convien
pure riconoscere, con i soggettivisti, che il benessere procurato da una
sterlina a un povero è maggiore di quello procurato a un ricco e che,
in tesi generale, uno stesso bene procura soddisfazioni diverse a diversi
individui; come pure bisogna riconoscere, contro i soggettivisti,
che qualunque indagine relativa ai problemi economici implica
inesorabilmente la determinazione obiettiva di un rapporto tra diversi stati di
benessere: e ingomma è necessario concludere che tra soggettivismo e
oggettivismo economico esiste un'antinomia radicale, sulla quale non si è
fatta la debita luce, e che perciò rende infecondi tutti gli studi e i
tentativi compiuti dagli economisti per giungere a una costruzione
veramente sistematica. Il problema che vien fuori dalle considerazioni
precedenti è, dunque, quello di trovare un criterio con il quale superare
Tantinomia di ofelimo e utile, ossia di soggettivo e oggettivo, e dare in
conseguenza un significato intelligibile e non contradditorio ai concetti di
massimo benessere individuale e massimo benessere sociale. La via da
seguire deve essere naturalmente quella prescelta dagli stessi economisti
che hanno posto la nozione di ofelimità a fondamento della scienza, vale a
dire l’analisi psicologica del soggetto economico. E non sarà certamente
colpa nostra se i confini della particolare scienza economica saranno
valicati, come non è sta¬ta colpa dei puristi che sono scesi su questo
terreno, anche se oggi fanno la voce grossa a chi osa parlare di
rapporti tra scienza e filosofia. La distinzione tra ofelimo e utile
domina ormai tutta la scienza economica e ne spiega 1 attuale struttura: se non
si vuol dunque accoglierla come le colonne d’Èrcole dello scienziato,
bisogna pur che i tecnici si abbassino a discuterla, lasciando per un poco di
ammirare e perfezionare i maestosi castelli matematici che vi hanno
fondato sopra. La teoria soggettivista considera l'individuo economico,
che fa una scelta, come dominato immediatamente da un gusto o da un bisogno che
è quello che è: essa non si rende conto né si vuol render conto del
perché di quel gusto, né del rapporto tra un gusto e un altro dello stesso individuo. Vero
è che di tale rapporto si parla quando si confrontano tra loro le utilità
marginali dei diversi beni acquistati da un individuo e si afferma
ch’esse sono eguali, ma il rapporto si limita a una scelta economica
puntualizzata in un dato momento della vita di un individuo e non vale in
alcuna maniera a chiarire il passaggio da un equilibrio di gusti a
un altro equilibrio di gusti, o, più semplicemente, da un gusto all
altro. Inoltre, anche quando il rapporto lo si supponga puntualizzato in una
data scelta, esso non può tradursi in un’eguaglianza quantitativa se non
attraverso Tarhitrio dello scienziato, perche di fatto l’ofelìmità dei diversi
beni non è confrontabile dal soggetto, se per definizione questo
si intenda dominato da una mera molteplicità di gusti. Per dosare un gusto
e il bene atto a soddisfarlo è necessario rendersi conto di rapporti
logici deterv-u L V n S Ca de “ dlst,nzi .°. ne è stala da noi fatta nel
saggio Tr ' r ?oi°n P * j 610 ’ m L, ‘ crltlca dell’economia liberale,
Milano, re\es, Ì9ó0. Ad essa quindi rimandiamo il lettore che volesse
appio on ire. la questione: qui ci limitiamo a presupporla e intentino
insistere invece sui criteri ricostruitivi cui essa dà luogo. minabili
con criteri che non possono ridursi al gusto stesso: in guanto semplici gusti,
il gusto di un profumo e quello di un colore non sono confrontabili. E fin
qui è arrivato lo stesso Pareto. Se oggi vado al mercato e acquisto una
determinata quantità di beni, in tanto posso far questo consapevolmente in
quanto pongo un ordine nei miei gusti, e li determino e li graduo in una
visione complessiva della mia vita. Così non mi abbandonerò al primo
capriccio cbe ini verrà in mente e non esaurirò il imo avere nella
soddisfazione del primo bisogno apparentemente imperioso, ma vaglierò l’oggi
e il domani, i bisogni che mi è lecito soddisfare e quelli al cui
appagamento debbo rinunziare, i capricci e i doveri, e insomm 3 mi spiegherò la
ragione dei miei gusti e agirò con la coerenza logica che avrò saputo
raggiungere. Sarà buona o cattiva la mia logica, ma pensare che i
miei gusti possano guidarmi a caso, senza alcuna logica che li leghi,
è pensare l’assurdo. Ma dire logica, significa già dire soggettività
non immediata né irrelata: significa dire vita unificata e
universale, significa vedere i miei gusti in relazione con quelli degli altri
cbe con me vivono. Lungi dall’essere inconfrontabile, ogni mio
gusto si spiega soltanto in funzione degli altri miei gusti e dei
gusti degli altri, e nelPintimo della mia coscienza è un continuo confronto
attraverso cui i miei gusti sorgono e si modificano. E vado allora
al mercato e compero dei beni economici che servonoper me e per i miei,
perché è anche un mio gusto e un mio bisogno che i miei soddisfino i loro
gusti e i loro bisogni: e la mia scelta economica, allora, sarà
certamente mia e in rapporto aH’ofelimità che i diversi Leni per me
rappresentano, ma io non sono più il soggetto che immaginano gli
economisti, chiuso in una sfera assolutamente impenetrabile, bensì un
individuo in rapporto ad altri individui e perciò attore di lina vita
economica che si svolge in virtù di tale rapporto. Se poi cerchiamo di
determinare meglio la natura del rapporto e di precisarne i limiti, ci
accorgiamo ch’esso non solo lega la mia persona alla mia famiglia, ma
anche agli amici, ai compagni di lavoro, alla classe, al paese e
infine allo Stato in cui la mia vita si disciplina e sì potenzia. Nel
mio agire economico, come in tutto il mio agire, mi propongo, dunque, un
fine che è mio e che risponde ai miei gusti, ma questo fine non è
arbitrario e si spiega solamente inquadrandolo nella vita dello Stato; sì
che, se altro fosse lo Stato, altre sarebbero le condizioni di vita in
esso esistenti, altri i gusti dei cittadini e altro, insomma, il fine
che ciascuno di essi potrebbe porsi e in effetto si porrebbe. Se io non
sono un ladro o un farabutto, se cioè il mio agire economico non ha un
valore negativo, il fine che io ho in vista deve essere in armonia con quello
dello Stato, e non perché lo Stato me lo comanda dall’esterno, ma perché
la mia stessa vita individuale non ha significato senza lo Stato, e
tanto più significato ha quanto più con lo Stato
si identifica. Appena l’uomo supera la mera animalità e differenzia i
suoi gusti da quelli della fiera, sorgono bisogni che hanno un’origine affatto
sociale: nessuno dei tanti beni economici che si son venuti
creando nella storia dell’uomo sarebbe stato mai prodotto senza il
fondamento della collaborazione. E collaborare vuol dire appunto tendere a un
medesimo fine e cioè avere un medesimo gusto e un medesimo bisogno. Se 1
utile economico fosse veramente l’ofelimo, nessun bisogno potrebbe soddisfarsi,
che, se mi viene il gusto di avere un’automobile, h soddisfazione di esso
mi è possibile solo in quanto lo stesso insogno e stato inteso dalla
società in cui vivo e in cm esistenza delle automobili, perciò, si è resa
possibile. h Se, al contrario, l’utilità delle automobili rappresentasse
soltanto una mia particolare ofelimita, nessuna forza al mondo potrebbe valere
ad appagare il mio gusto, perché nessuno coìlaborerebbe con me al
raggiungimento del fine propostomi. Anche quando da me solo, estraneo a tutti,
mi costruissi un oggetto atto a soddisfare un mio specialissimo gusto
non potrei rinnegare la natura sociale di esso e porlo m rapporto al
giudizio di approvazione o disapprovazione degli altri individui, che sono
sempre presenti nella mia coscienza di uomo, nonostante il mio proposito
di prescinderne assolutamente. Sono quel che sono in forza del processo storico
che m me s individua, e la mia azione deve avere sempre il carattere di
universalità che è proprio della stona. Utile e ofelimo coincidono nel
modo più rigoroso e 1 illusione della loro differenza può sorgere soltanto
considerando l’aspetto negativo delI uomo che si oppone alla logica della vita,
e quindi allo Stato che di quella logica è l’espressione concreta. Ma in
quanto si oppone alla logica, l’ofelimo, al solito, non può essere oggetto
di scienza e resta a indicare il limite della scienza come il limite della vita.
L antinomia tra soggettivismo e oggettivismo economico si risolve negando
ogni positività al soggettivismo che non coincida con l’oggettivismo,
e cioè al procedimento puramente arbitrario e irrelativo dell’individuo. I
gusti e i bisogni di cui l’economista può e deve occuparsi sono quelli cbe
si rendono intelligibili nell organismo della vita sociale e cbe
rispondono quindi a finalità essenzialmente sociali: gli altri non sono
veramente gusti né bisogni, bensì piuttosto manifestazioni patologiche
di un attività antisociale e vanno perciò considerati unicamente da
questo punto di vista. Parlare in un Iratlato di economia dell ofelimo in
quanto diverso dall'utile vai quanto occuparsi del furto o del ricatto
come mezzi razionali di produzione. Risolta l’antinomia tra individuo e
Stato, ossia Ira ofelimo e utile, è possìbile tornare al problema del
massimo benessere senza incontrarsi nelle difficolta che rendevano assurda ogni
soluzione. Il concetto stesso di benessere si sposta dalla soddisfazione del
gusto immediato a quella di un gusto consapevole e logicamente determinato: il
benessere non è più in relazione a uno stato naturale cbe va appagato per
il fatto stesso di essere, ma in relazione a un fine da raggiungere e da
far valere nell’organismn della vita statale. È quindi dallo Stato, e
non dall’individuo in quanto concepito senza lo Stato, cbe occorre
prender le mosse per intendere quale significato possa avere la ricerca
del massimo benessere individuale e sociale. Non dallo Stato, tuttavia, concepito
come somma di individui, bensì dallo Stato cbe è volontà unica e unica
finalità, ogni giorno storicamente determinata e in continuo processo di
superamento. Ma domandarsi che cosa sia e come si raggiunga il
massimo benessere dello Stato vai dunque quanto chiedersi che cosa sia e
come si raggiunga il massimo ideale dello Stato stesso: ed è chiaro che a
un tale quesito non nuò seguire che una sola risposta, e cioè che
l’ideale di una Nazione è esso stesso processuale e diventa più grande e più
alto via via che 10 si raggiunge, così come il massimo benessere
che una Nazione può proporsi non ha limiti di sorta e s ingigantisce
via via che il benessere aumenta. Se non che non ci si potrebbe arrestare
a questa constatazione, che pur è Tunica logica e incontrovertibile, senza
eliminare addirittura il problema da risolvere e senza eludere quel tanto di
legittimo che pur si cela nella affannosa ricerca delle vie per
raggiungere il massimo benessere. Occorre, dunque, che quesla stessa
constatazione si traduca in termini di scienza economica, dando una
risposta non effimera a un problema sia pur malamente impostato. Se
muoviamo dal concetto dell’unità dell’organisnio statale, possiamo agevolmente
convincerci che 11 valore dei beni economici varia, aumenta, diminuisce, o
addirittura si annulla, col variare del fine dello Stato. Se una legge
stabilisce l’uso di una merce considerata pressoché inutile fino alla
formulazione della legge stessa, quella merce acquista improvvisamente un
valore economico che nessuno prima si sarebbe mai sognato di attribuirle.
È lo Stato, che con un atto di volontà ha creato un valore economico, e
conseguentemente ima ricchezza già prima esistente, ma non come ricchezza.
Le quali considerazioni, si badi bene, non hanno una portata ristretta al
caso di una legge vera e propria, ché anzi con il termine legge si vuol
significare ogni espressione della vita sociale, sia cli’essa giunga
alla determinatezza di una norma giuridica, sia ch’essa si limiti
alle vaghe linee di una opinione, di un uso, di una moda, di una
convenzione, ecc. Basta assistere a una vendita all’asta per accorgersi
delle vicende, a volte stranissime, dei beni economici: ciò che un
tempo rappresentava un grande valore, è caduto in disuso e buttato via
come cosa inutile, o di nuovo è tornato in gran pregio rispondendo
a diversi bisogni spirituali. Ma è chiaro che questa vicenda non è
l’espressione di un arbitrio individuale, sibbene di un processo storico che ha
una logica. Anche la moda più strana e più insulsa non si afferma se
non risponde direttamente o indirettamente a un’esigenza dell’epoca e delle
particolari condizioni in cui fa la sua apparizione. Quest’esigenza è
appunto la legge che dà vita ai valori economici, come a tutti i valori della
vita, e fa nascere gusti e bisogni che non sono individuali senza
per ciò stesso essere collettivi. Ne deriva che tutti i
beni pennoniici, e quindi la ricchezza di una nazione, sono
concepibili e sono determinabili unicamente in funzione della volontà e
del fine statale. Nulla esiste che sia un bene economico in sé, bene è
solo in quanto tale lo fa essere la volontà dello Stato; e la
ricchezza di una nazione, quindi, può variare e varia in effetti
continuamente, anche senza che muti la quantità dei beni esistenti. Il
che, espresso in altri termini, vai quanto dire che non esiste una nazione
povera o una nazione ricca in senso assoluto, ma povera o ricca ogni
nazione diventa a seconda del valore attribuito ai Leni ch’essa possiede o
che essa è in grado di produrre. In questo senso ogni nazione può
essere ricca, perché la ricchezza dipende esclusivamente dalla sua
volontà. Ora, se si conviene in queste considerazioni, e in parte
almeno di esse convengono, sia pure indirettamente, molti economisti, il
quesito circa la via per raggiungere il massimo benessere sociale può
ricevere una risposta precisa anche dal punto di vista più particolarmente
economico. E la via da seguire è appunto quella che vien rivelata dalla determinazione
storica dell ideale economico della nazione: determinazione cui si
perviene studiando il problema economico in rapporto al problema politico
e che si esprime perciò in un programma non aprioristicamente fissato una
volta per sempre, ma in continuo sviluppo e perfezionamento. Il programma
naturalmente si concreterà in un indirizzo d insieme e in direttive
particolari ben precisate, e tutti i suoi aspetti si integreranno a
vicenda in modo sistematico, sì che le diverse manifestazioni
dell’attività economica non abbiano a contrastare tra di loro. E
l’indirizzo potrà essere, ad esempio, prevalentemente agricolo o
prevalentemente industriale, tendente all incremento o alla limitazione
demografica. favorevole o contrario all’emigrazione, e via dicendo; tutto
in relazione all’avvenire del paese, alla sua individualità e alle sue
condizioni: le quali consentiranno poi di determinare in qualche maniera
le direttive generali che dovranno essere seguite nell'attuazione delle
tante iniziative della vita economica e come in ognuna di esse debba aversi
sempre di mira il fine comune. Si comprenderà, in tal guisa, come e perché
siano da favorirsi certe industrie e da vincolarsi certe altre, siano da
potenziarsi al massimo le industrie più specificamente nazionali e siano
da trascurarsi quelle più rispondenti ai fini e alle risorse di altri
paesi; siano, infine, da crearsi gusti, bisogni diretti ai beni economici
che più conviene produrre. Poiché bisogna ben convincersi che il problema
del massimo benessere sociale non si risolve solo creando il modo di
soddisfare al massimo i gusti e i bisogni esistenti, ma soprattutto
modificando, correggendo, creando gusti e bisogni in relazione all’ideale
economico — ed economico in quanto politico — della nazione. E
si comprende che quest’opera non deve svolgersi unicamente entro i confini
dello Stato, ma divenire il programma della stessa politica economica
internazionale, che soprattutto airestero conviene far nascere il gusto di ciò
che è prodotto dell’industria nazionale: possibilità questa di cui purtroppo
gli Italiani hanno parecchi esempi in casa loro, dove tanti usi stranieri si
son lasciati attecchire e con essi l'importazione di tante merci che fanno
passare in seconda linea le nostre. Né questo solo aspetto, più
propriamente produttivo. va considerato del problema, che anzi ad esso è
strettamente collegato quello distributivo, in quanto in un’economia
dinamica — e può esistere un’economia non dinamica? — ripartizione dei
redditi e determinazione della produzione sono precisamente la stessa cosa. È
chiaro che in un’economia nazionale ben consapevole la ripartizione
dei redditi avverrà favorendo gli uomini e le industrie la cui
attività produttiva sarà più in armonia con l’ideale economico del paese.
Questo ideale determina il valore dei beni e questo stesso ideale
deve determinare la scala dei valori umani, clie sono
in rapporto con quei beni. Beni e uomini che vengono perciò ad
acquistare un significato economico solo nel] organismo statale di cui
sono espressioni, e che perciò possono essere valorizzati davvero
solo se nell organismo statale sia chiara la consapevolezza della loro
particolare funzione e la volontà che essa si adempia nel miglior
modo. Se poi, dal problema de] massimo benessere sociale, passiamo a
quello del massimo individuale, la soluzione ci dovrà apparire logicamente
implicita nel già detto. Sì è visto che ogni individuo vive la sua vita
individuale come vita statale, e che anche ciò che sembra più proprio della sua
personalità ha un significato e un valore in quanto è in rapporto con
l’organismo sociale. Ne deriva, dunque, che il fine di ogni individuo —
così politico come economico — non può essere che quello di potenziare al
massimo la propria personalità in funzione del fine politico ed economico
della nazione. Se sono un buon cittadino, vale a dire se la mia attività non
è antisociale e negativa, il mio massimo ideale è quello di esser degno
della mia nazione e di fare lutto il possibile per esserne degno. La
ricchezza cui tenderò non sarà in antitesi con questo ideale, ma la
consacrazione delFessermi reso degno, più dei non ricchi, della mia
nazione. Se cosi non fosse, tenderei alla ricchezza senza preoccuparmi del
mezzo, vi tenderei soprattutto col furto. Ma se così è, le condizioni per
raggiungere il mio massimo benessere individuale non possono essere che due, e
cioè in primo luogo la mia decisa volontà di adeguarmi al fine
statale e di contribuire nel modo migliore alla realizzazione di esso: in
secondo luogo, poi, il riconoscimento sociale della mia attività e il
relativo compenso proporzionato. Sì che volendo giungere a una
definizione : imissimo benessere dell’individuo è quello che gli proviene
dall adeguazione perfetta del compenso della sua opera al valore della
sua personalità vista in funzione del fine supremo
dello Stato. Se poi volesse conoscersi come e quando il massimo
benessere individuale possa effettivamente conseguirsi, sarebbe da
osservarsi che, di fatto, esso è sempre raggiunto perché ogni individuo ha
quel che si merita, dato l’ideale consapevole cui è pervenuto il suo
Stato, ina che poi non è mai raggiunto una volta per sempre, in quanto il
livello spirituale dello Slato è in continuo sviluppo e con esso la
capacità di riconoscere più adeguatamente Inpera dell’individuo. Se, ad
esempio, ci proponessimo il problema di conoscere se gli attuali stipendi dei
professori rispondono al massimo benessere individuale di questi, dovremmo
convenire eh essi rispondono perfettamente alla consapevolezza che lo
Stato ha del valore di questa funzione in rapporto alle altre della vita
sociale, ma dovremmo altresì augurarci, e contribuire con la nostra opera
a raggiungere, la realizzazione di uno Stato, in cui la funzione culturale
fosse maggiormente valorizzata e perciò meglio compensati fossero i
professori a confronto di altre categorie di lavoratori. C’e sempre uno St
a to reale e uno S ta to ideale nella 3iaiet tica della storia, e il p roblem a
del massimo bencssere, c osì social e come individuale, d eve av ere
una soluzione che viva in questa dialettica. Basta impostare in tal
guisa il problema del massimo benessere per accorgersi del significato
che nella sua soluzione può avere lo Stato corporativo; il quale si
differenzia dallo Stato liberale così come dall’economia liberale si
differenzia la nuova economia. La soluzione scientifica non può differire
da quella politica perché scienza e politica non possono essere che le
manifestazioni di una stessa vita spirituale. Allo Stato liberale non
poteva accompagnarsi che l'ideale scientifico dell’uomo œconomicus, del massimo
benessere sociale come somma dei massimi individuali, dell’ofelimità che
si differenzia dall’utilità; allo Stato corporativo deve dar
significato il principio dell’identità di individuo e Stato, del massimo
benessere sociale come massimo benessere nazionale e individuale,
deH’utilità che si identifica con l’ofeìimità. Il problema della
libertà non può avere che un unica soluzione, sia che lo si consideri dal
punto di vista filosofico, politico e giuridico, sia che lo si
traduca in termini di scienza economica. Coloro che parlano della libera
concorrenza come di una ipotesi scientifiea apolitica da porsi accanto
alla opposta ipotesi del regime monopolistico,
anch’essa apoliticamente considerata, dimostrano soltanto di aver
smarrito completamente la nozione storica dei concetti che adoperano, e
soprattutto dei concetti di individuo, di Stato, di benessere individuale
e sociale, sui quali la scienza economica deve poggiare come sui suoi
fondamenti primi. Avendo già di essi largamente discusso, basterà farli
riaffiorare nella determinazione del concetto di libertà, quale può venir
dato dall esame il più immediatamente aderente alla vita effettiva della
socielà economica. Il modo comune di intendere la libertà è quello
individualistico di arbitrio, per cui ogni uomo si considera veramente
libero quando ha la possibilità di fare lulto ciò che desidera, senza
subordinare o comunque legare la sua volontà a quella di qualsiasi altro.
Perché ciò sia logicamente possibile è necessario che 1 individuo, per
dirla in termini rousseauiani, sia unità intera e non unità frazionaria: occorre
cioè che egli non faccia parte di un organismo sociale, ma viva allo stato
selvaggio, soddisfacendo da solo a tutti i suoi bisogni. Ne
deriva, dunque, che l’usuale nozione di libertà si adegua soltanto
all idea presociale dell’uomo-fiera. Facciamo invece il caso di due uomini
o di piu uomini che, insoddisfatti dì una vita puramente animale,
decidano — e anche qui restiamo nei termini di Rousseau — di legarsi in
società, dividersi il lavoro, e migliorare con l’unione delle forze il
tenore della vita. Allora la situazione cambia radicalmente e i collnhnralori
debbono anzitutto porsi il fine comune da raggiungere, a esso
subordinando le singole attività. Se prima, ad esempio,
l’uomo svegliandosi al mattino poteva andare a caccia o restare ili
riposo rinunciando per un giorno al cibo, ora, invece, a caccia deve
andarvi in ogni caso, perché il sistema piu perfezionato di ricerca e
catturatone degli animali esige ch’egli sia al suo posto pronto ad aiutare
gli altri individui con i quali si è unito in società. S’egli restasse a
riposare, gli altri dovrebbero rinunziare alla sua collaborazione, e
la società si spezzerebbe, perché il fine comune per cui si è
costituita non potrebbe essere raggiunto. Il passaggio dalla fiera all’uomo
implica dunque: la costituzione di un organismo sociale; la determinazione
di un fine comune; fideiitità di questo fine comune con ì fini dei
singoli; l’elevazione del fine comune a LEGGE della società e la
subordinazione a essa dei singoli membri; la conseguente necessità
dell’attuazione della legge e la trasformazione dell’organismo sociale in STATO;
l’identità del benessere individuale e di quello statale; la rinunzia
definitiva alla libertà intesa come arbìtrio. Si apre a questo punto un
dilemma, al quale non vedo come si possa seriamente sfuggire: o
la vita civile non è conciliabile con la libertà o della libertà
occorre formarsi un concetto che non sia quello di arbitrio
individuale. Prima di risolvere il dilemma, occorre eliminare ogni dubbio
circa la possibilità di un terzo termine. e precisamente di quel terzo termine
escogitato dalla stessa teoria contrattualistica, secondo cui il
necessario vincolo imposto dalla vita sociale dovrebbe essere il minimo
possibile e tale da lasciare la più ampia sfera all’arbitrio
dell’individuo. È questa la teoria ebe è a fondamento dello Stato
liberale e, secondo essa, l'unico arbitrio vietato al singolo sarebbe
quello dell invadenza nella sfera di arbitrio degli altri individui: il
contenuto sociale o statale sarebbe appunto la garanzia dei particolari
arbitri. Ma e chiaro che questa teoria, equivocando sui termini di società
e Stato, sposta il problema, ponendolo in termini affatto fantastici: io
Stalo vien concepito come un ente distinto dalla società e la legge è
ridotta al significato formale e negativo di limite. Se riportiamo, invece, la
questione nei termini concreti dell’agire economico, è facile convincersi
che la legge non è un limite formale, bensì una esplicita norma di
produzione e di distribuzione. che non si esaurisce in un divieto di
sconfinamento. ma impone un determinatissimo lavoro. Se voglio far parte
della società, debbo in modo assoluto occupare il posto che mi spetta e fare
tutto quello che il mio posto esige. Quando sono entrato in società
con il mio simile, non Tho fatto per dividere la mia sfera dalla sua e segnare
i confini della mia proprietà (legge limite, Stato carabiniere,
ecc.) ma l'ho fatto per condurre con esso una vita migliore, per produrre
più e meglio, per raggiungere risultati impossibili alle mie sole forze
(legge di azione, Stato etico). Sì che il confine posto tra la proprietà
mia e quello degli altri non ha neppure esso un valore
négàlivojjfi^pura“difesa''tjrrisTTpi^e^de'ter ni ina li va-del-campo _in cui
esercitare la mia opera di collaborazione: non indica la sfera del
mio arbitrio, ma il mio posto di lavoro. Né quello che io faccio,
vincolato dalla società, può stare comunque accanto ad altro ch’io faccia
all’infuori di questo vincolo, perché all’infuori del vincolo io non ho
altra realtà oltre quella dell’animale, e tutto quanto dall’aniinale mi
distingue ho conquistato nella società, collaborando, ossia
sottomettendomi alla legge del fine comune. Se oggi v’è apparentemente la
possibilità di separare un’attività libera da un’altra obbligatoria, ciò
avviene solo per un equivoco di valutazione, che consiste
nel considerare alcuni elementi sociali scissi dalla vita da cui sono
stati originati. Ma, a guardar bene, bisogna pur convincersi che nulla della
nostra condotta sfugge alla legge della convivenza sociale e che anche
nelle questioni propriamente personali, noi agiamo secondo una volontà
comune, individuale e sociale insieme, in piena identità di termini. Se
mi vesto, posso apparentemente abbigliarmi come mi detta la fantasia,
ma in realtà debbo pur seguire le leggi, gli usi, le tradizioni, il gusto,
ecc., della società in cui vivo; e se, ad esempio, posso mettermi una
cravatta rossa ovvero una grigia, anche questo arbitrio non è un arbitrio,
ma un operare entro quella legge che nell’attuale momento storico
impone varietà di colori nelle cravatte. Questa è la realtà della
vita sociale, e, quanto più progredita e complicata essa diviene, tanto
più ferrea è la disciplina cbe la governa e die deve rendere possìbile
l’armonia di tanti elementi disparati. Le leggi, i regolamenti, le mode,
gli usi, le convenzioni, gli orari ecc. ecc., investono sempre più
metodicamente tutta la nostra vita quotidiana, da un minimo cbe è lasciato
alle forme rudimentali di vita (vita dei campi) a un massimo elle
caratterizza l’azione dei maggiori esponenti della politica,
della cultura, dell’industria e del commercio. Sì che assenza di arbitrio
e massimo di civiltà divengono via via termini equipollenti, e la vita del
più civile uomo di domani non può immaginarsi se non attraverso
un’adeguazione sempre più perfetta della vita e della volonlà del singolo
a quella dello Stato. Ma, dunque, si potrà obiettare dai
nostalgici del liberalismo vecchio stile, la vita deve diventare una
schiavitù, un procedimento meccanico e inesorabile, al quale non sia possibile
sottrarsi a nessun costo, per rivendicare la spensierata felicità di
chi si leva al mattino arbitro incondizionato della propria giornata? È
dunque questa la vera civiltà o non conviene buttar tutto all’aria e
tornare all’immediatezza della natura? Questione vecchia cotesta, almeno
quanto l’opera di quel Rousseau cbe ci ha dato In spunto per discuterla :
e, appunto perché vecchia, orinai risolta e superata, se pur la soluzione
non abbia ancora avuto modo di pervenire agli orecchi degli economisti.
Essi amano indulgere tuttavia al miraggio di d Spinila — felina libertà
individualisticamente intesa, e non si sono neppure domandati se ormai
occorra, o se sia comunque possibile, che la scienza economica
dia anch'essa un altro significato al termine tradizionale. Poiché di un
altro significato deve ben potersi parlare, dato che al dilemma sopra
proposto non si può rispondere, evidentemente, eoi negare addirittura la
libertà. Notiamo anzitutto che la libertà dei liberali è. per loro stessa
eonfessione, una libertà a mezzo, la quale lia sempre qualcosa da
invidiare alla completa libertà dello stato di natura. A
quell’assoluto arbitrio si è dovuto rinunziare per necessità di
vita e per sicurezza reciproca, ma intanto di una rinunzia pur sempre si
tratta, che fa assaporare con voluttà quel giorno felice in cui, per il
superiore livello della comune moralità, sarà possibile abolire lo Stato e
la sua funzione di inutile gendarme. La libertà del liberale, dunque, nessuna
maggiore profondità e spiritualità acquista con lo svolgersi della storia,
che anzi essa ha lasciato alle sue spalle il proprio modello perfetto e
immodificabile. Basterebbe questa considerazione per farci diffidare della
giustezza della comune soluzione del problema: se libertà è sinonimo di valore,
la sua realtà non può essere che nel suo approfondirsi e
spiritualizzarsi continuo, sì che il suo modello possa brillare
della luce dell’ideale da instaurarsi e non perdersi nel buio della
preistoria. La giusta soluzione, dunque, dovrà ricercarsi nel
concetto di una libertà che non si è persa, ma cbe si deve conquistare; di
una libertà non seivaggia, ma identificabile addirittura con la vita civile. E
la via ci è indicata dalla stessa ipotesi contrattualistica, da cui volutamente
abbiamo preso le mosse per restare nell’ambito dei problemi cari
agli ideologi del liberalismo. Quando due o più uomini deliberano di
unirsi in società per migliorare le loro condizioni, liberamente si
sottopongono alla legge del comune lavoro, e questa legge diventa, per
ciò stesso, il contenuto del loro atto di libertà. Libertà e legge,
lungi dairescludersi, si identificano senza residui. Ma la loro
identificazione, si badi bene, non è accidentale, bensì essenziale,
perché, se contenuto dell atto di libertà non fosse la legge, la libertà
stessa tornerebbe ad essere arbitrio. Quel che distingue infatti la
liberta dall arbìtrio è appunto l’universalità della prima di fronte alla
particolarità del secondo: il selvaggio può agire in un qualsiasi modo; 1
uomo civile, invece, deve agire secondo una volontà che, pur essendo sua,
abbia insieme un valore universale {la legge). Costitutivo, insomma, del
nuovo concetto di libertà deve essere la sua identificazione con la
legge, ossia la identificazione della volontà particolare con quella
universale, dell’individuo con In Stato. Né si creda che il libero
processo secondo cui gli individui si costituiscono in società si
esaurisca nell’atto della costituzione — il quale anzi non esiste ebe
nella fantasia dei contrattualisti — poiché esso si perpetua in tutta la
vita sociale e ne caratterizza ogni momento. La legge cbe lega gli individui
nel comune lavoro non si determina una volta per sempre meccanicizzando
l’attività da essa regolata, ma si rinnova continuamente in virtù
della stessa forza d’iniziativa che l’ha fatta sorgere.
Ogni individuo, infatti, è indotto a perfezionare l’organismo sociale ed
escogita nuovi procedimenti e ricerca nuove vie, sempre insoddisfatto dei
risultati conseguiti e sempre pronto a conseguirne di nuovi. Ma si
comprende che in questo processo ogni iniziativa del singolo deve
inserirsi nel processo unitario della vita sociale: la sua volontà deve
diventare la volontà di tutti e la sua libertà di attuarla deve coincidere con
la legge che ne impone l’attuazione. Che se l’iniziativa restasse
particolare e si giustapponesse a infinite altre iniziative ancli’esse
particolari, tutte si intralcerehbero a vicenda spezzando
l’organismo della socielà e portandolo fatalmente alla disgregazione
aiomistica. Questa identificazione iniziale e processuale della
volontà e libertà del singolo con l’universalità della legge risulta molto
evidente dalla considerazione del funzionamento di una qualsiasi associazione.
Anche se prendiamo ad esempio il caso limite dell’associazione a
delinquere, dobbiamo convenire ch’essa si costituisce con un atto
di libertà dei singoli membri, volonterosi di sottoporsi alla sua
disciplina; che i singoli tendono al benessere dell’associazione vedendo in
esso il proprio; che ogni particolare iniziativa di un membro è
subordinata all’approvazione degli altri; e che insomma l’associazione tanto
meglio vive, ed è capace di conseguire il fine che i singoli si sono
proposti nel formarla, quanto più unitaria è la sua volontà e quanto
più rigorosa la sua disciplina. Ma se dall’esempio di una singola associazione,
passiamo a quello della grande società che è lo Stato, l’evidenza
della identità si attenua, i termini del problema divengono indecisi e la
questione arbitrariamente si sposta dando luogo agli equivoci propri
dell’individualismo liberale. Ogni cittadino nello Stato, come
ogni delinquente nell’associazione di cui abbiamo discorso, 6arà tanto più
degno di appartenere alla società quanto più saprà far coincidere la sua
libera volontà con quella sociale. Che se nel caso del cittadino par ci
sia differenza tra il benessere proprio c quello dello Stato, la ragione
va trovata solo nel fatto che, per la maggiore estensione e
complessità dello Stato rispetto all’associazione a delinquere,
più facilmente il cittadino smarrisce la coscienza dell’organismo e più
facilmente è indotto a frodare gli alIri membri della società cui appartiene.
Ma per ciò appunto il contrasto tra le due volontà rappresenta il
lato negativo e non quello positivo della vita dello Sfato e tutte le
forze debbono essere impegnate a eliminarlo. Anche nell’associazione a
delinquere uno dei membri può sottrarsi alla disciplina sociale e
averne i vantaggi senza gli oneri, ma egli sarà appunto il prepotente,
l’elemento disgregatore della società e finirà col fare il danno di essa e
quello proprio. In tal guisa considerata la libertà, si comprende
come si sia decisamente sorpassata l’ambigua soluzione del problema data dal
liberalismo. Il cittadino non si sdoppia più in due attività opposte, nell
una delle quali si conserva la libertà originaria dell' uomo di natura e
nell’altra invece si riconosce Tobbligatorietà della legge: il cittadino è
libero in ogni sua manifestazione a patto che tale libertà sappia
conquistare dimostrando il valore dei suoi atti e facendo 1 ! perciò
riconoscere dalla società di cui fa parte. La libertà per esser vera deve
costare, e il suo costo è dato appunto dallo sforzo necessario
a trasformarla da volontà particolare in volontà universale. Abbiamo
ora gli elementi cbe ci sono indispensabili per discutere il tormentatissimo
problema della libera concorrenza e del monopolio. Secondoi termini
tradizionali la libera concorrenza si esercita Ira individui cbe cercano
il massimo benessere individuale, senza alcuna preoccupazione del fine
sociale. L'ideale della perfetta concorrenza è appunto quello dì un giuoco
di forze individuali autonome, la cui autonomia o irrelatività sia assoluta, 6Ì
cbe il fenomeno economico scaturisca dall’incontro indisciplinato di
interessi diversi e opposti. Ogni limite sociale, ispirato
dalla visione di un fine che trascenda quello dell’arbitrio dei
singoli, è considerato come una menomazione della concorrenza e come una
forza antieconomica. Si consacra in tal modo nel campo dell’economia l’assolutezza
del principio della libertà come arbitrio, cbe aveva dovuto trovare un limite
nel riconoscimento della necessità giuridica dello Stato. Quando tuttavia
da questa concezione ideologica ritorniamo all’analisi dell’effettivo processo
della vita sociale, dobbiamo riconoscere cbe un tal modo di intendere l’ideale
economico è intimamente incongruente. Se la società, infatti, è costituita
al fine di collaborare, essa implica, come abbiamo visto, una disciplina
comune, una legge che neghi gli arbitri dei singoli, e cioè i loro
interessi individuali in quanto altri da quelli sociali. Ne viene di
conseguenza che o bisogna ripudiare la libera concorrenza come un fenomeno
essenzialmente antisociale o bisogna intenderla e promuoverla in un senso
radicalmente diverso da quello comune. Per rendere più evidente la
questione sarà opportuno ritornare un momento all’esempio
dell’associazione a delinquere, e vedere in questa forma rudimentale di società
il sorgere della concorrenza e il suo adeguarsi al fine unico della
collettività. Determinate le mansioni dei sìngoli membri, a qualcuno di
essi può sembrare dì avere attitudini speciali per un compito assegnato a
un altro. In tal caso egli fa la proposta di mettere a confronto
le due capacità e di decidere chi dei due debba essere adibito a quel
compito o anche se debbano esservi dedicati entrambi. Si inizia così
nell’ambito della società un fenomeno di concorrenza, ma esso ha
il peculiare carattere di essere voluto dalla società stessa e per un
fine sociale: volontà e finalità che ne costituiscono l’intima legge e
l’unica ragion d’essere. Lungi dall’affermarsi come un contrasto di interessi
particolari, esso si realizza e sì giustifica in virtù del criterio
fondamentale della società, per il quale ogni atto dei singoli membri è
integralmente libero e insieme integralmente necessitato. Né diverso
deve apparire l’opposto caso del monopolio, che, secondo l’interpretazione
corrente, rappresenterebbe l’antitesi netta della libera concorrenza,
perché toglierebbe ai singoli la libertà di far valere i propri interessi
particolari. Ritornando anche qui all’esempio dell’associazione a
delinquere, è facile dimostrare che, quando uno dei suoi componenti abbia
rivelato qualità speciali per l’adempimento di una funzione, l’attribuirgliene
il monopolio è atto libero di tutti, e, né più né meno della libera
concorrenza, fondato sulla comune volontà. Libera concorrenza e monopolio,
dunque, visti nella loro effettiva origine e giustificazione, si rivelano
dotati della stessa libertà e della stessa necessità, e nessun elemento
essenziale può comunque caratterizzarne una differenza logica. La
molteplicità dei concorrenti nell’un caso e l’unità del monopolista
nell’altro sono affatto apparenti, poiché la volontà che agisce in entrambi i
casi è quella di tutti, e identici ne sono gli effetti. Questa tesi,
teoricamente ineccepibile, può apparire smentita dalla realtà della vita
economica, in cui concorrenza e monopolio troppo evidentemente si
differenziano nei caratteri costitutivi e nelle conseguenze immediate. È
esperienza molto elementare quella che ci insegna il diverso determinarsi dei
prezzi nei due casi, né alcun ragionamento potrà mai riuscire a
convincerci che si tratti di un unico processo. Bisogna trovar, dunque, la
ragione della differenza e vedere in che modo essa possa conciliarsi
con i risultali cui siamo pervenuti. Caratteristica della libera
concorrenza è l’arbitrio dei singoli non vincolati da alcuna
necessità, caratteristica del monopolio la necessità eliminatrice di ogni
libero procedimento : due fenomeni opposti, entrambi in antitesi con il
carattere fondamentale della società, quale è stato fin qui chiarito.
Il che può subito farci avvertiti che i due fenomeni, in quanto si
differenziano, non rispondono al regolare effettuarsi della vita sociale,
ma ne rappresentano la radicale alterazione e trasformazione.
Libera concorrenza e monopolio sono i casi limiti, patologici e assurdi,
della normale vita economica caratterizzata dairidentificazione della libertà e
della legge. La prova più evidente della contraddittorietà
e anormalità dei due fenomeni opposti può esserci data dalla
constatazione della impossibilità di una loro effettuazione integrale.
Anche il liberista più convinto è oggi d accordo nel ritenere che una vera libera
concorrenza non è mai esistita né potrà mai esistere e, anche guardando ad
essa come al perfetto ideale, egli si arresta alla solita soluzione a
mezzo del liberalismo politico, che in tal guisa riaffiora
in economia attraverso questo riconoscimento di fatto : è tutto il
mondo della necessità che grava sull’arbitrio dei singoli e finisce col
distruggerlo o con Televario alla vera libertà. Né altrimenti avviene per
il monopolio, costretto sempre a far i conti con una concorrenza
potenziale, sempre limitato dalla forza della legge o dalla pressione
delTopinione pubblica, spesso evitato per vie traverse o collaterali. È
la realtà effettiva che reagisce sulle sue deformazioni e lentamente
o violentemente finisce con Taverne ragione. I$|W La libertà
economica, dunque, non può concepirsi se non come la perentoria negazione degli
opposti arbitri rappresentati dalla libera concorrenza e dal monopolio,
ovvero dalTanarcbia e dalla tirannia economica. E basta porre in questi termini
rigorosi il problema per comprendere tutta la vanità degli sforzi compiuti
dagli economisti per riportare i loro teoremi a quelle due ipotesi
scientifiche. Lungi dall’essere scientifiche, quelle ipotesi esprimono
la più radicale istanza antiscientifica e conducono necessariamente a una
generale, continua miscomprensione dell’essenza della vita economica. Né vale
opporre che tali ipotesi sono soltanto schemi irreali ed astratti, ai
quali lo scienziato perviene per intendere fenomeni economici in prima
approssimazione: ciò che a quegli schemi si rimprovera non è
l’astrattezza, bensì la netta opposizione alla realtà effettiva dei
fenomeni economici sociali, i quali si svolgono normalmente fuori di
quelle ipotesi e vi tendono solo in quanto degenerane. Perché la scienza
economica possa darci il tipo astratto del fenomeno economico occorre che
abbandoni decisamente la via finora percorsa e, al di sopra dei concetti
negativi dj libera concorrenza e monopalio, ponga quello evidentissimo e
concretissimo di collaborazione, Resta ora da esaminare come l’ideale
della vera libertà economica debba intendersi nelle sue determinazioni
pratiche e quale via debba seguirsi per la sua più profonda attuazione. Se
il nuovo concetto è fondato stili identità di liberta e di legge, è chiaro che
instaurare una maggiore libertà economica vuol dire rendere sempre più
rigorosa tale identità e cioè considerare 1 individuo sempre più
identico allo Stato, così nei fini della vita come nei mezzi
per raggiungerli. L ideale della vita economica e di quella sociale in
genere dovrà condurre a una lotta più consapevole contro tutte le forme
dualistiche tendenti a separare il mondo dell’individuo dalla realtà dello
Stato, e dovrà insemina imporre il capovolgimento delle ideologie
individualistiche del liberalismo politico e del liberismo economico. Il
che nel campo più strettamente economico si traduce nell'istanza
scientifica e pratica di combattere con ogni mezzo 1 individualismo che
ispira il dogma della libera concorrenza e insieme lo statalismo che
per 10 più è a fondamento delle forme, monopolistiche. Consentire ancora
che gli individui si esauriscano in una lotta destinata al soddisfacimento
di particolari interessi, e non ricondurre la lotta stessa ai fini dello
Stato, significa indulgere tuttavia alla più immorale e antieconomica
forma di vita politica, riaffermando inconsapevolmente il trionfo del
più egoistico arbitrio. Se lotta deve esserci e rimanere a fondamento
del progresso, occorre ch’essa si impegni per la conquista di un più alto fine
statale, e sempre con la coscienza di tendere a un benessere individuale
che sia il benessere sociale: non lotta dunque di individui contro
individui per il trionfo degli uni sugli altri, bensì lotta tra gli
individui per il trionfo di un unico fine che rappresenti il massimo bene
di tutti. Non si tratta di eliminare la concorrenza, ma di intenderla nel solo
significato giusto, che è quello dell’affermazione dell’iniziativa individuale
nella ricerca del bene comune. Essa deve svolgersi nello Stato e per lo
Stato, con ì limiti, la disciplina e la volontà dello Stato: la statalità
deve costituirne l’essenza e il fine. Ma se convien combattere
l’individualismo tradizionale della lihera concorrenza occorre poi eliminare
con non minore energia tutte le forme statali che tendono a differenziarsi
dagli individui. Come 1’individiio degenera nell’egoismo, così lo Stato
degenera nel particolarismo della classe o degl’uomini dominanti: allora esso
diventa lina forza contro altre forze, un’entità contro altre entità,
e il dualismo di benessere individuale e benessere statale si riafferma
come differenza di arbitri e di egoismi. Così si spiega e si giustifica
incontrovertibilmente la critica del liberalismo alle forme statali
monopolistiche o comunque di intervento. Quando il monopolio, o l’azione
economica delloStato, è ispirato da una volontà trascendente quella
dei cittadini, quando lo Stato si differenzia dalla Nazione e diventa
burocrazia o governo o oligarchia o comunque un ente particolare con
volontà autonoma, allora 1 intervento statale è antieconomico e il monopolio
distruzione di ricchezza. All’arbitrio degl’individui abbandonati nella lotta
egoistica si sostituisce l’arbitrio di un governo che impone un proprio fine
altrettanto egoistico : e in entramhi i casi la libertà economica è
radicalmente legata. Il perfezionamento della vita economica non potrà
essere che in forme sempre più unitarie di collaborazione, con il
progressivo allargarsi degli organismi produttivi e il disciplinarsi delle
varie forze nell’unico sistema statale. Questa è l’intuizione
fondamentale dello Stato corporativo, destinato a realizzare
con progressiva consapevolezza la compenetrazione e identificazione
assoluta di individuo e Stato, ossia della volontà e dell’iniziativa
dell’individuo con il fine supremo dello Stato. La critica dell’econoinia
liberale e la tesi dell’identità di individuo e Stato, che di quella
critica è la inevitabile conclusione, hanno condotto a
una impostazione radicalmente diversa dei problemi tradizionali. E la
differenza fondamentale va trovata nella sostituzione del concetto di
molteplicità di soggetti economici — gli individui o gli homines (Economici,
arbitri del proprio mondo particolare, limitato solo dalle sfere di arbitrio
degli altri individui — con quello di organismo economico unico, con
unica volontà e unico fine, quello statale. Nell’economia liberale la
molteplicità degli individui è sostanziale e costituisce il valore base
della costruzione: l’unità del mondo economico risulta solo dalla
giustapposizione e conciliazione estrinseca delle diverse volontà e dei diversi
fini. Nell’economia nuova, invece, l’unità dell’organismo politico è il
presupposto imprescindibile, e la molteplicità degli individui è risolta in
essa senza dualismi di alcuna sorta. Si nega, cioè, che oltre al fine
statale abbia ragion d’essere un qualsiasi fine economico individuale.
Naturalmente questa differenza teorica tra le due economie ha una
conseguenza pratica anchessa fondamentale, che può, all ingrosso, determinarsi
contrapponendo al concetto di concorrenza e di lotta, che domina la vecchia
economia individualistica, quello di collaborazione e di organizzazione
che è caratteristico della nuova. La concorrenza e la lotta sono anch essi
concetti trasvalutati : non cozzo violento di interessi diversi e
contrastanti, ma sforzo e competizione per il miglior raggiungimento
deirinteresse unico. La stessa nozione di equilibrio viene ad
essere intimamente corretta, in quanto non si pensa più ad una
risultante meccanica, ma a un processo intelligentemente voluto e guidato. Dove
i soggetti sono molti, Limita è secondaria e fatale: dove il soggetto
è uno, l’unità è originaria e intelligente. Ma ima grave obiezione può
sollevarsi a questo punto, ed è stata difatti sollevata a difesa dell’economia
individualistica. Ammesso pure, si dice, che la concezione unitaria del
soggetto economico si dimostri giusta e irrefutabile, quando si consideri
a fondo la realtà di un'economia nazionale, non per questo il
ragionamento può estendersi all’economia internazionale. Se Stato e
individuo si identificano, facendo con ciò diventare unico il soggetto
economico, resta tuttavia sempre una molteplicità di stati, che non
possono non concepirsi come molteplicità di soggetti economici. Ne
consegue — si conclude perentoriamente — che, se l’economia
individualistica non ha più valore per lintelligenza dei fenomeni economici
nell’ambito di una Nazione, essa è. ciò non ostante, l'unica che ci
consenta di comprendere i fenomeni dell’economia interstatale. Gli stati,
infatti, diventano essi individui economici e la toro azione va
considerata alla stessa stregua di quella degli individui dell’economia
liberale, Criteri fondamentali per l’intelligenza della loro vita econemica
saranno quelli di concorrenza e di lotta : secondaria e necessaria sarà
l'unità della vita economica: meccanico e fatale l’equilibrio delle
diverse forze contrastanti. E il ragionamento, a prima vista, sembra
impeccabile, sì da rendere vana o almeno solo parzialmente valida la tesi
dell’idemità di individuo e Stato: la struttura dell'economia liberale e
individualistica resta quella che è, almeno per ciò che riguarda la vita
internazionale. Ma fortunatamente il ragionamento non resiste a un’indagine più
accurata e profonda, e la stessa critica rivolta
all’individuo cittadino finisce per valere per l’individuo StatoI economia
individualistica non può reggere in nessun caso, perché non può reggere il
principio naturalistico su cui essa è fondata. Per chiarire adeguatamente
la questione è necessario approfondire il concetto di Stato e di rapporto
interstatale quale si è venuto delineando attraverso la speculazione e il
diritto pubblico contemporaneo, Occorre precisare alcuni
presupposti teorici c e servano a illuminare la concreta prassi nella
vita economica. Di organismo economico inteso come unità essenziale, se
pur in modo affatto meccanicistico, si è già parlato dai sociologi, i quali,
muovendo dall’individuo isolato, son passati alle diverse forme dei gruppi
sociali (famiglia, tribù, società, comuni, regioni. nazioni, umanità) tutti
ponendoli su di un unico piano ed eliminando ogni differenza qualitativa
tra i gruppi stessi. E si parlato, quindi, di economia individuale, familiare,
nazionale, sociale, mondiale, ecc., riconoscendo la possibilità di
tante economie quante sono le forme sociali o di un unica economia
che tutte le comprenda. Pur ammessa, perciò, la necessità di considerate i
fenomeni economici nell’organismo della vita sociale, sembrerebbe. dal punto di
vista della sociologia, affatto ingiustificata Videntificazione di individuo e
Stato, e la riduzione dell’economia a economia statale. Perché mai
arrestarsi o sollevarsi allo Stato per riconoscervi il fondamento della scienza
economica, se è possibile concepire una vita economica sia di gruppi
inferiori allo Stato sia dell’umanità che gli Stati tutti comprende? L’obiezione,
anche qui, sembra inconfutabile e decisiva ; e finisce per congiungersi
all’altra dell'economia individualistica, in quanto riconosce, essa pure,
la molteplicità degli individui sociali, o come persone fisiche o come
gruppi di persone. Al solito, l’esigenza sociologica antindividualistica,
e perciò antiliberale, è condotta dai suoi presupposti naturalistici agli
stessi risultati della tesi che vuol superare. Ma l’obiezione, anche qui, è
destinata a cadere definitivamente quando si abbia la forza di sollevarsi
a un punto di vista più alto, dal quale e le persone e gli enti possano
essere considerati nella loro vera essenza unitaria. Unità che non può
esser data né dall’individuo particolare, in quanto uno Ira ì tanti,
né dall’umanità, in quanto sommaNi^^ wU tanti, bensì dallo Stato in cui
l’individuo e l’umanità acquistano la loro effettiva concretezza. Il
superiore punto di vista nel quale occorre metterci per giungere a questo
risultato è dato dalla concezione storicistica o dialettica della vita sociale,
per cui allo Stato e soltanto allo Stato è consentita quella vera individualità
ebe coincide con la vera universalità. E la ragione è questa: che tutti
gli individui (persone o enti) che sono nello Stato, vivono, appunto, nello
Stato, e sono perciò in esso risolti come momenti della sua vita; laddove
al di sopra degli stati non può concepirsi un’umanità che sia
organismo unitario (Stato o superstato) senza annullare, per ciò stesso, il
concetto di Stato. Lo Stato, infatti, ha questo di caratteristico rispetto
a tutte le altre unità sociali storicamente esistenti: di essere la
suprema unità dialettica della storia, in quanto è unità differenziata
rispetto alla molteplicità degli stati e non ha al di sopra nessuna unità differenziata.
Lo stato-umanità è una contraddizione in termini in quanto unità senza
molteplicità, e perciò unità statica, indifferenziata e indifferenziabile,
sottratta a ogni dialettica spirituale. Lo Stato non può essere che
unità-molteplicità, ossia veramente sovrano, per il fatto di avere una
sovranità riconosciuta dagli altri stati: se non ci fossero gli stati
a riconoscere lo Stato, Io Stato non sarebbe perché non avrebbe coscienza
della sua sovranità, non avendo ragione di essere sovrano. In tanto lo Stato
può dettar legge ai cittadini, in quanto deve fonderli in un unità che
viva e si affermi nella molteplicità: che, se questa molteplicità non
esistesse, lo Stato non avrebbe un fine suo, ma vivrebbe per i "
Svinilo fini degli elementi che lo compongono: non sarebbe perciò
sovrano ma strumento, e la vera sovranità competerebbe agli organismi
(persone o enti) cbe vivono nello Stato; sollevati al grado di vero individuo,
unità-molteplicità, o unità dialettica. Questo primo risultato della
nostra indagine ci consente di rifiutare ristanza sociologica di più
economie sociali, a seconda delia qualità dei gruppi considerati, o di
un’unica economia sociale, coincidente con l’economia dell’umanità. La vera
unità storicamente concreta è quella dello Stato, e perciò l’economia
scientifica non può essere cbe statale. Ma, se ! istanza sociologica è
superata, non altrettanto sembra quella individualistica, cbe si fonda
appunto sulla molteplicità degli stati. Che, anzi, questa seconda
obiezione pare rafforzata dal riconoscimento esplicito die abbiamo fatto
della molteplicità degli stati, e addirittura del carattere essenziale e
imprescindibile di tale molteplicità. Se non cbe, guardando più a fondo, si
deve convenire cbe il nostro riconoscimento non può avere lo stesso significato
di quello su cui si fonda l’obiezione individualistica, per il fatto
cbe nel caso nostro si tratta di nna molteplicità essenziale soltanto ai fini
deirunità. E la unità è lo Stato, ossia l’individuo concreto, in
cui gli stati, in quanto molteplicità, si risolvono senza residuo. Per
intendere con precisione questo carattere di interiorità degli stati
rispetto allo Stato, occorre m ritornare al concetto di sovranità,
cui abbiamo prima accennato. Perché lo Stato sia sovrano è necessario che tale
sovranità sia riconosciuta dai cittadini, ma è necessario insieme che venga
riconosciuta dalla molteplicità degli stati. Il che vuol dire che la
sovranità ha due aspetti egualmente imprescescindibili: uno interno e 1 altro
esterno, rispetto ai cit-tadini e rispetto agli stati. E se di fronte
ai primi la sovranità si esprime con ridentificazione dei fini
individuali col fine statale, è necessario che anche di fronte ai secondi
la sovranità abbia la stessa ragion d’essere. In altri termini, nella vita internazionale
lo Stato deve vedere negli stati altrettanti elementi del proprio
organismo unitario, vale a dire altrettanti strumenti del proprio fine. Il
che, si badi bene, non va inteso nel senso assurdo di un nazionalismo
cieco, bensì in un senso affatto spirituale e perciò il più internazionalistico
possibile. Come i cittadini, invero, sono strumenti dello Stato,
non sacrificando i propri fini particolari a quello dello Stato,
bensì riconoscendo che i primi si identificano col secondo e lottando per
un sempre maggior riconoscimento di tale identità, così gli stati
debhono trovare nel fine dello Stato gli stessi loro fini particolari e
dare incremento a una vita che, se è potenziamento dello Stato, è, per ciò
stesso, potenziamento della collaborazione internazionale. Se così non
fosse, se cioè lo Stato non fosse sovrano così verso i cittadini come verso gli
stati, non si avrebbe sovranità di sorta, perché la stessa sovranità,
esercitata sui cittadini non sarebbe sovranità, in quanto necessariamente
condizionata dalla realtà degli altri stati. Il che sanno bene quei
giuristi i quali non ammettono che il diritto internazionale sia un diritto
superstatale, di natura diversa dal diritto interno. Due modi, insoninia,
ni sono di intendere la vita internazionale: uno, che può dirsi liberale
o individualistico, per cui esistono gli stati nella loro molteplicità
atomistica, legati da un rapporto estrinseco concepito come risultante
della coesistenza degli stati stessi; un altro, invece, che potremmo
denominare idealistico o storicistico, per cui esiste Io Stato nella sua
unità assoluta, che risolve in sé dialetticamente la molteplicità degli
stati, legati da un rapporto sostanziale e intrinseco che è il fine
stesso dello Stato. Da una parte una vita internazionale che è quella che è,
bruto incontro di forze eterogenee e di fini particolari
contrastanti; dall’altra un organismo internazionale che ha un fine
consapevole e un unico centro : lo Stato. Ora, se applichiamo questo
concetto dello Stato e della vita internazionale alla scienza dell’economia,
possiamo ripetere in questa sede la critica già svolta a proposito
deireconomia liberale o individualistica. 0 si accetta la concezione atomistica
della vita internazionale, e allora bisogna riconoscere che una
scienza deireconomia non può esistere, in quanto i fenomeni economici
internazionali hanno la stessa illogicità (itnprevedibililà) dei fenomeni
economici dell’individuo soggettivisticamente inteso e non possono
sottrarsi alla sfera del puro arbitrio; o, invece, si crede che una
scienza deireconomia possa esistere, e allora bisogna riconoscerne il
fondamento in un organismo intelligibile, che è, così nella vita economica
nazionale come in quella internazionale, lo Stato nella sua concretezza
storica e nella sua consapevole attualità. E lo Stato in nessun caso può
venir superato o sostituito, come principio primo della scienza, senza
annullare la scienza stessa nella sua possibilità teorica e nella
sua validità pratica. Ancora una volta l’identità di individuo e Stato
segna il punto di arrivo delle scienze sociali in genere e deireconomia
politica in particolare. Risolto il problema dei rapporti tra
economia nazionale ed economia internazionale, riconducendolo al più vasto
problema del concetto dello Stato, occorre ora mostrarne le conseguenze
più particolarmente economiche e vedere in quale senso le conclusioni cui
finora è pervenuta la scienza vadano rivedute e corrette. È opportuno
anzitutto precisare il significato che per la scienza tradizionale ha il
concetto di economia interstatale. Purtroppo tale precisazione non può
avere che un carattere tulio negativo, in quanto a rigore per reeonomia
classica un problema economico interslatale non può neppure sussistere. Dato,
infatti, il concetto di homo ce conomicus come presupposto fondamentale
della scienza, tutta l’indagine si esaurisce in un’economia
individualistica nella quale non v’è posto alcuno per lo Stato. Quando lo
Stato ha fatto sentire la sua esigenza imprescindibile, airesigenza stessa si è
tentato soddisfare individuando lo Stato in un ente particolare,
con un fine e una vita economica propri, diversi da quelli degli
individui. Ne è derivata, nella migliore delle ipotesi, una sottoscienza
sui generis cui si è dato il nome di scienza delle finanze. Ma lo
Stato vero, quello che si identifica con l’individuo, e
ne costituisce la vita logica, quello non è entrato mai in questione
e i fenomeni economici sono stati studiali in quanto fenomeni interindividuali.
La vita economica naturale esclude lo Stato e si esprime tutta nella
libera concorrenza delle forze particolari, sì che rintervento statale può
essere studiato lutt’aì più come causa di deviazione dal corso naturale,
ossia come uno degli ostacoli alla libera estrinsecazione delle forze in
contrasto. E questa conclusione non varia col passare dall’economia nazionale
all’economia internazionale, per il fatto stesso che lina nazione o uno Stato
come unità economica è negato a priori nel modo più categorico. Come
neirambito dello Stato i fenomeni economici si svolgono indipendentemente dallo
Stato, così si svolgono pure quelli che si verificano nel più vasto
mercato mondiale. Non sono, infatti, gli stati che contrattano fra loro,
sibbene gli individui o i gruppi di individui che ne fanno parte, e che
agiscono economicamente così quando si trovano ad appartenere a una stessa
nazione, come quando sono cittadini dì stati diversi. I fenomeni
economici che ne risultano sono precisamente gli stessi, e la scienza
non ha ragione di porre un qualsiasi problema al riguardo. Problemi
diversi nascono invece quando tra slato e stato si elevano delle.barriere
che distìnguono il mercato interno da quello esterno. Sono le barriere
doganali, espressioni tipicamente statali, che alterano tutti gli scambi
facendo sorgere, anche nell’economia classica, la specifica teoria del
commercio internazionale. Tuttavia bisogna star bene attenti alla natura
del problema, e non credere che la scienza tradizionale abbia con ciò
abbandonato o comunque menomato il presupposto individualistico. Lo Stato
di cui, anche qui, discorre la teoria, è sempre quello che è oggetto della
scienza delle finanze e cioè un ente a sé con particolari fini e funzioni.
E la scienza in tanto lo prende in considerazione in quanto esso fa deviare
l'economia naturale dal suo libero corso. Se, infatti, si analizzano le
comuni teorie del commercio internazionale, è facile avvedersi come tutto
il loro contenuto si risolva, per un verso, in un’istanza negativa,
implicita o esplicita, contro l'intervento degli siati (soppressione delle
barriere doganali), e, per un altro verso, nell’indagine delle conseguenze che
il sussistere delle barriere doganali ha nell economia degli
individui appartenenti ai diversi stati. In ogni caso si resta ligi
al presupposto d eWhomo ceconomicus, unico centro e ragione della vita
economica, e si resta conseguentemente ligi al vecchio concetto di Stato,
inteso come una superfetazione, sia pur necessaria, e un limite più o meno
grave della libera vita dell’individuo. Una vera economia internazionale
può nascere solo col sorgere del concetto di Stato, come organismo
economico di carattere universale ; lo Stato, cioè, come soggetto
economico in cui si fonde tutta la vita economica dei cittadini. In che
cosa consista la differenza essenziale dei due concetti di Stato nella
concreta prassi economica potrà risultare molto agevolmente da un esempio
notissimo. In Italia si produce meno grano di quel che non si
consumi: non solo, ma io posso trovar convenienza a rinunziare alla
coltivazione del grano e a importarlo dall’estero. Secondo la dottrina
liberale, della convenienza economica di produrre grano o di importarlo, sono
giudice assoluto io solo: lo Stato è tenuto a disinteressarsene
completamente. Nel caso di un suo intervento, questo è dovuto o a ragioni politiche concepite
come extraeconomiche o al bisogno di provvedere, mercé i proventi di un
dazio doganale, alle spese inerenti alle sue peculiari funzioni. 0
un problema politico, dunque, o un problema di scienza delle finanze: e
l’economia scientifica, in ogni caso, non ne è toccata, racchiusa come
essa è nell’indagine dello scambio tra me, produttore e consumatore, e il
produttore straniero. Ma quando lo Stato cessa di essere un ente
particolare per divenire la stessa nazione nella sua unità, il
problema del grano diventa problema economico solo in quanto problema
nazionale. E come quello del grano 6Ì impostano tanti e tanti problemi — a
rigore tutti i problemi economici — che non hanno significato alcuno per
l’economia fondata sul presupposto dell’homo œconomicus. Che significato,
infatti, possono avere per una concezione individualistica problemi come quelli
della ruralizzazione o industrializzazione, dell’incremento demografico, dell’emigraQuando
considero la scienza delle finanze lucri dell'economia politica non
intendo parlare di un'estraneità assoluta, bensì relativa al particolare
concetto di Stalo sul quale la scienza delle finanze finora è stata costruita.
Dato uno Stalo —essa dice — else ba particolari funzioni (pubblica
sicurezza, giustizia, esercita, ecc.l, esso deve pur avere un proprio
bilancio; e le sue entrale e le sue spese, come pure la loro influenza
sulla vita economica dei cittadini, devono esser studiate dalla scienza
economica: tuttavia la vita economica dello Stato è altra cosa dalla vita
economica dei cittadini, sì che scienza delle finanze ed economia politica non
coincidono. Cbi invece crede allo identità di indivìduo e Stato deve necessari
ante me intendere tale identità come fondamento di quella di scienza delle
finanze ed economia. Ma sul problema della riforma della scienza delle
finanze avremo modo di tornare in altra sedezione, ecc.? A ognuno, secondo i
suoi gusti e le sue capacità, risponde Peconomia pura, perché per
essa tali problemi sono tanti quanti gli individui. Ognuno al suo
posto secondo il fine unico dello Stato, risponde la nuova economia, perché per
essa tali problemi si risolvono in uno solo. E i gusti si educano e le
capacità ci creano: sì che al posto di tanti centri economici se ne mette
soltanto uno, e all’incontro di tanti mondi si sostituisce un organismo consapevole. Organizzazione:
ecco la grande realtà della vita civile in genere e della economia in
particolare; ma organizzazione vuol dire organismo e l’organismo non
può essere che unico: lo Stato. V’è poi l’organizzazione internazionale e
sembra vi sia anche un organismo internazionale. E difatti esso esiste, ma in
un senso diverso da quel che comunemente si crede. Se lo Stato ha un
fine da raggiungere, risolve a suo modo tutti quei problemi economici cui
abbiamo prima accennato, risolvendo la vita economica dei cittadini in
quella della propria unità. Ma è chiaro che il fine non sarebbe raggiunto
se lo Stato non operasse egualmente con gli stati, che tutti, direttamente
o indirettamente, entrano in rapporto con esso. Scendendo anche qui a un
esempio concreto, possiamo notare come l’Italia per industrializzarsi deve
importare alcune materie prime e trovare i mercati di
esportazione per i manufatti. Il che è possibile solo in quanto altri
stati siano disposti a darci quelle e a comprare questi; vale a dire a divenire
strumento di raggiungimento del fine che ci proponiamo. Ora, le condizioni
necessarie perché gli altri diventino mezzi per il nostro fine sono
essenzialmente due. Prima: che il fine che ci proponiamo sia davvero
proposto, e cioè sia un fine consapevole; seconda: che si abbia la
capacità di far divenire tale fine il fine economico degli altri stati.
Perché la prima condizione si verifichi è necessario che lo Stato si
identifichi con l’individuo, ossia con la nazione, e sia organismo unico,
soggetto economico unico. Perché si verifichi la seconda è necessario che
lo Stato si identifichi con Tumanità, ossia con la vita internazionale,
risolvendo nel proprio organismo l’organismo internazionale. La forza dunque
che ci può consentire di raggiungere il nostro fine è forza organizzativa
di noi e degli altri, ossia la forza di collaborazione, in cui la lotta e la
concorrenza vengano risolte come momenti dialettici. Vi sono,
infatti, due modi di concepire la lotta e la concorrenza economica, come,
in genere, ogni sorta di lotta: l’uno per il quale il fine
della lotta è la distruzione dell’avversario, l’altro, invece, per
cui il fine è l’unificazione delle volontà. TI primo è puramente negativo e
infecondo, il secondo, momento necessario di ogni sviluppo e
progresso. Ora, nel campo economico internazionale una lotta intesa
nel primo senso non potrebbe avere alcuno scopo intelligibile all’ìnfuori
di quello del distruggere per il distruggere. E ciò non può lasciar dubbio di
sorta se si pensa che lo stesso effetto della distruzione sarebbe
raggiungihile senza il minimo sforzo chiudendo i confini e facendo
divenire l’economia nazionale un’economia chiusa. Se i confini restano
aperti, è segno che gli altri stati non sono ostacoli da abbattere, ma forze
da utilizzare, e utilizzare vuol dire coordinare le proprie forze
per procedere in un’unica direzione. Allora la concor rema diventa —
così come nel campo nazionale — voluta, disciplinata e subordinata al fine
nazionale da raggiungere: il suo scopo non è più quello di eliminare
delle forze avverse, ma di convertirle a una funzione che risulti più
rispondente ai bisogni dell’organismo. 11 che si ottiene non lasciando
che i concorrenti si urtino a vicenda seguendo i propri fini
particolari, ma regolando la competizione verso la più opportuna divisione
di lavoro. Che le conclusioni, cui siamo pervenuti, noti siano
arbitrarie e utopistiche, lo dimostra, a chiunque abbia gli occhi per vedere,
la trasformazione sempre più rapida del mondo economico nella direzione
indicata. All’interno il processo di unificazione della vita economica ha fatto
passi giganteschi e tutto fa pensare che il cammino sarà ancora più notevole
nel prossimo avvenire. Il concetto di organismo economico va
sostituendosi, nella realtà ancor prima che nella scienza, a quello di
individuo o di homo o economicus, tra svalutando soprattutto i concetti di
monopolio e di libera concorrenza. Sul terreno internazionale poi le intese e
gli accordi economici sono sempre più frequenti e l’esasperazione della lotta
doganale va richiamando sempre più l’attenzione generale sulla necessità di
una organizzazione più salda e profonda delle forze economiche dei diversi
stati. E anche qui la concorrenza va di fatto mutando i caratteri arbitrari di
una volta, per rientrare nel circolo di un sistema dalla — lofi cui
logica unità viene incanalata e corretta. È una disciplina certamente più
ardua e instabile, data la immensità del mercato e la molteplicità degli
elementi da controllare, ma solo i ciechi potrebbero negare 1 abisso che
corre tra l’atomismo economico di alcuni decenni fa e l’ingranamento
odierno d’infiniti centri economici in giganteschi organismi a carattere
internazionale. Né l’urto e l’esasperazione di tanti nazionalismi sorti o
rafforzati nel dopoguerra riescono ad arrestare questo processo di
collaborazione internazionale, che è, d’altronde, l’unico strumento di un
nazionalismo non illusorio. L’economia individualistica o liberale ha
fatto il suo tempo e la realtà ce lo insegna additandoci le necessità
della vita economica dentro e fuori i confini. Al dogma del liberismo
e alla fede nella lotta incondizionata degli arbitri dei singoli va
sostituendosi la convinzione critica dell’apriorità dell’organismo economico
coincidente con la realtà dello Stato. E con la realtà deve ormai
procedere la scienza, che, non avendo più a suo oggetto una molteplicità
caotica e inintelligibile come quella presupposta dal liberismo. può
cominciare a veder chiaro nella logica del1 organismo economico e trovare quei
fondamenti sistematici che ha invano perseguito per due secoli. Dopo
aver precisato il concetto di libertà economica e i rapporti tra economia
nazionale ed economia internazionale è possibile procedere all’analisi della
secolare antinomia tra liberismo e protezionismo. Nessun problema della scienza
economica e stato tanto dibattuto come questo e l immensa letteratura sull
argomento continua di giorno in giorno ad arricchirsi di nuovi saggi, che
sostanzialmente si esauriscono nella ripetizione dei motivi fondamentali
addotti dai fisiocrati in poi in favore dell’una o dell altra tesi. Ma,
nonostante tutta questa mole di studi, sta di fatto che l'antinomia è
rimasta teoricamente e praticamente insoluta, sì che liberisti e
protezionisti continuano tuttavia ad accusarsi a vicenda di sproposilare
nel campo scientifico e di rovinare, in pratica, l’economia della
nazione. La soluzione classica del problema — conforme al motivo
fondamentale della scienza dell’economia quale si è venuta configurando dal
secolo XVI1T a — è quella rigorosamente liheristica. Muovendo dal
presupposto del carattere naturale della vita economica, si è giunti a fil
di logica alla eonclusione che. così negli scambi interindividuali come in
quelli internazionali, le varie forze vadano lasciate affatto libere nel loro
giuoco e che il risultato dell’anarchico incontrarsi e scontrarsi sia
quello della loro più perfetta composizione. A tale
teoria naturalistica degli scambi internazionali ha dato poi — come
si è detto — nuova forza la scuola psicologico-matematica, che, giungendo, con Pareto,
al concetto di ofelimità e frantumando, in tal guisa, il giudizio della
economicità delle azioni nella molteplicità dei soggetti economici postulati,
ha sottratto alla sfera di competenza dello scienziato e a quella
dell’uomo politico la stessa possibilità di un giudizio obiettivo di valore.
Intervenire negli scambi non si può perché si ignorano in modo assoluto
le utilità soggettive di coloro che scambiano. L'opposta tesi
protezionistica, invece, non ha mai trovato un fondamento ideologico così
deciso e preciso e, sebbene confortata dal costante esempio storico di una
politica più o meno antiliberistica, è rimasta nel campo scientifico in
condizioni di evidente inferiorità. Il che spiega come essa
nella maggior parte dei casi non abbia assunto le caratteristiche di una
vera e propria teoria, ma si sia limitata a contemperare il rigore della
concezione liberistica, mettendo capo a varie forme intermedie. E il
compromesso ha finito, in sostanza, col trionfare nella letteratura
scientifica più recente, sia per l’impossibilità di eliminare in modo
assoluto i motivi della tesi protezionistica, sia per la sempre maggiore
coscienza storicistica dei cultori dell’economia, costretti, volenti o nolenti,
ad avvicinarsi alle nuove concezioni speculative. I tentativi di
conciliazione si possono raggruppare intorno a due tipi principali. Gli
ortodossi bauno mantenuto fede al postulato Veristico limitalidosi a confinarlo
nel campo della così detta economia pura. Da un punto di vista astrattamente
economico, essi dicono, resta incontrovertibile che ogni dazio protettore
distrugge ricchezza: ciò non vuol dire, tuttavia, che in pratica sia da
eliminare sempre e dovunque ogni sorta di barriere doganali; possono
esservi, infatti, altre ragioni di carattere politico che consiglino
l’intervento protettivo non ostante il danno economico da esso prodotto.
Ma accanto agli ortodossi vi sono ormai parecchi esempi di economisti che,
nello stesso ambito dell’economia pura, ammettono la possibilità di un
dazio proficuo. Secondo essi, l'economia pura non può stabilire a
priori se un dazio sia economicamente vantaggioso o dannoso: in certi casi
la protezione, lungi dal distruggere ricchezza, è condizione necessaria
per il suo accrescimento. A chi, direttamente o indirettamente, segua
le tracce della vecchia economia sembra verità di carattere addirittura
lapalissiano che con le soluzioni del problema ora prospettate si siano
esaurite tutte le alternative possibili. 0 liberismo, o protezionismo o
forme intermedie di compromesso: e la venta va cercata eliminando due di queste
soluzioni. Ma chi ormai ci ha seguito nella critica della scienza
economica e nella riduzione dei diversi indirizzi a quello classico liberale,
può agevolmente rendesi conto dell’impossibilità di giungere a
un risultato davvero conclusivo accettando i termini della questione
e limitando l’indagine a una semplice scelta. Se il problema ha messo capo a
queste tre alternative e fra di esse si è dibattuto per due secoli, è
segno cb'esso è rimasto aderente a una determinala concezione scientifica e cbe
è vano tentare ancora di risolvere l’antinomia, senza superare quella
concezione e porre la questione in termini affatto diversi. Ma perché il
superamento non sia illusorio e perché l’antinomia appaia nella sua
assoluta irriducibilità, è necessario anzitutto chiarire la sostanziale
identità dei due termini opposti. Occorre, in altre parole, dimostrare che
liberismo e protezionismo non sono due soluzioni cbe si riportano a due
diverse concezioni della vita economica, sì che l’errore dell'uno possa
significare o per lo meno possa non escludere la verità dell'altro, bensì
che l’uno e l’altro scaturiscono da uno stesso principio informatore e
rappresentano l’antinomia interna di esso. L’errore dell’uno è lo stesso
errore dell'altro, ed entrambi si spiegano con l’errore del principio
di cui sono espressioni. Il principio, s’intende, è quello solito
dell’individualismo economico. Si parte dal presupposto che le forze reali
siano gli indivìdui nella loro autonomia e si pretende ch’essi soddisfino i
loro bisogni nel libero giuoco della concorrenza, Nel caos in cui si
scontrano le infinite forze individuali ognuna salvaguarda come può i propri
interessi e cerca di trarre il massimo profitto possibile. Così
come per la naturalistica legge della selezione, i migliori si
affermano e trionfano, i peggiori sono travolti e soccombono: né mai altro
equilibrio o composizione delle forze si instaura che non sia quello derivante
dall urto disorganico e disordinato. Ora, in questa concezione liberistiea
o individualistica del1 economia, la teoria protezionistica, se appare come una
contraddizione alle leggi di natura e però sostanzialmente illogica dal
punto di vista scientifico ortodosso, è tuttavia escogitata per servire
allo stesso sistema della concorrenza di cui apparentemente è la
negazione. Quando un’industria chiede un dazio protettore lo
faesclusivamente per vincere la concorrenza, e il dazio si risolve in un aiuto
a una delle forze concorrenti e non in una forza eliminatrice della concorrenza.
Anche nel caso di un dazia proibitivo il fine ultimo è quello dì
spostare e non di eliminare la concorrenza: i dazi, insonuna, non
sono che altrettante forze gettate sul mercato per meglio resistere allumo
e vincere nella lotta. Ma, con o senza dazi, la vita economica resta
sempre quella primitiva o naturale di una bruta molteplicità di elementi
contrastanti. Nel mercato internazionale come nel mercato interno si
incontrano soggetti economici diversi, reciprocamente estranei fino
al momento deH’incontro e che dal solo atto deirincontro debbono trarre
norma per l’ulteriore difesa di propri fini particolari. Ragione della
concorrenza è quindi il persistere di una molteplicità atomistica incapace di
unificarsi, e il mercato, che è appunto la classica espressione dell’economia liberista,
rappresenta il campo di lotta di individui (persone o nazioni) fino allora
chiusi in mondi non comunicanti. Ambita Il carattere primitivo
della vita economica fondata sul principio della concorrenza (compreso in questo
termine l’intervento protezionistico) è dovuto, dunque, alla sua disorganicità
o irrazionalità. Come il liberalismo politico di cui è la
necessaria conseguenza, essa è il punto di partenza per il cammino della
civiltà e non l’ideale della civiltà stessa. Il trionfo assoluto della
concorrenza, lungi dal rappresentare, come pensano i liberisti, un ideale
da raggiungere allorché sarà superata ogni sorta di pregiudizi
antiscientifici, è soltanto una realtà che si perde nella notte del
primitivo stato di natura, in quello stato precontrattuale che vagheggiava
la mente del ginevrino. Il carattere irrazionale della vita
economica fondata sulla concorrenza e sul protezionismo è dato appunto
dalla irrelatività primitiva degli uomini e dei paesi, i quali rimangono
gli uni fuori degli altri e non possono o non vogliono fondersi in
un organismo unico. Credere che ogni forza economica possa rimanere
autonoma e tuttavia ottenere il massimo di utilità possibile nello spontaneo
equilibrio di tutte le altre forze, significa cadere nella
più grossolana delle contraddizioni, in quanto si pretende far derivare la
razionalità da un processo non razionale. Se razionalità vuol dire
universalità, ossia unità di volere e di fine, è chiaro che il
modo migliore di raggiungere il fine non potrà esser quello di ignorarsi
reciprocamente e di procedere per vie diverse. La scienza dell’economia
che finora ha teorizzato la libera concorrenza o la protezione
è caduta in un errore che ha tutto compromesso.’in quanto ha cercato
di dare le leggi di ciò che è ex ege.. e ha lasciato fuori proprio la vita
economica razionale. Libera concorrenza e protezione sono al di qua
di ogni norma per il fatto stesso che sono al di qua di ogni organismo:
esse rappresentano ratinino, la natura, il male, il frammentarismo, la
negatività, msomma, della vita; e fare scienza di esse vai quanto fare
scienza del caso. La vera vita economica e quindi la vera scienza può sorgere
soltanto allorché si comincia a uscire comunque dalla irrelatività e a
unificare i mezzi e i fini da raggiungere. Se, in apparenza, la vita degli
individui e quella delle nazioni è stata finora denominata
dalla concorrenza e dal protezionismo e tuttavia ha proceduto nel cammino
della civiltà, ciò è dovuto in realtà al fatto che, di là da ogni
liherismo e protezionismo, si è andata sempre più affermando una intesa e
una collaborazione di forze completamente sfuggita alla miopia degli
scienziati. Accordo, collaborazione, organismo: ecco ì termini del
problema, una volta superato il presupposto irrazionale dell’individualisnio. E
tanto più è necessario porsi per questa via quanto maggiore è lo sviluppo
della vita economica e dei suoi elementi essenziali. Se, infatti, si resta
nei limiti di iorze individuali o quasi, la cieca competizione dà luogo
a danni meno appariscenti e profondi: ma quando, come nella vita
contemporanea, gli organismi economici sono diventati tanto complessi
e grandiosi, andare avanti ignorando quel che faranno gli altri significa
esporsi a crolli improvvisi e spaventevoli. Superate in gran parte nella
vita economica interna le forme dell’individualismo e divenute normali le
forme delle società anonime, delle banche, dei trust, ecc., continuare a
tener fede all’individualismo nei rapporti internazionali diventa sempre più
assurdo e pericoloso. La crisi economica mondiale è l’espressione più evidente
e convincente di tale assurdo. Dunque: né liberismo, né protezionismo; nessuna,
insomma, di quelle soluzioni che presuppongono l’autonomia radicale delle forze
economiche. Anche qui l’obiezione più facile sarà quella che deriva
da una grossolana ipostasi della lotta e della dialettica della
vita. Ma, anche qui, è facile rispondere che c’è lotta e lotta, e che il
camminodella civiltà sta appunto nel rendere sempre più elevata e
spirituale la competizione e sempre più abnorme ed eccezionale la guerra.
E della guerra e non della competizione hanno proprio i caratteri la
concorrenza economica e la protezione, in quanto tendono a sopraffare e
non a collahorare con l’avversario. La competizione che si deve
instaurare è quella che ha per fine l’inciemento dell’organismo e si svolge
quindi nell’ambito dell’organismo, non quella che ha, invece, per
fine l'incremento dell’individuo (persona o nazione) visto nella sua
particolarità irrelata. Dalia tesi teorica è molto facile scendere
alla pratica applicazione nella vita politica. La realtà urge da
tutte le parti e sta già facendo giustizia dei vecchi dogmatismi
scientifici. Dobbiamo rendercene 9empre più consapevoli e affrettarne il
procedimento. Le forme concrete di realizzazione sono naturalmente quelle
die tendono all’unificazione dell’organismo economico mondiale. In primo
luogo, lo studio internazionale delle forze economiche dei diversi
paesi e delle vie più adatte alla loro collaborazione e fusione. E, in
conseguenza, la politica degli accordi industriali e commerciali atti a
realizzare quella fusione. La traduzione in pratica della tesi non avverrà
tanto facilmente, né mai in forma assoluta. Ma, se questa è la mèta cui
tendere, bisogna die il periodo di transizione sia informato alla coscienza
del punto d arrivo. Voglio dire che nell’organizzare l’economia della
nazione occorre dalle fin d’ora quella fisionomia che più risponde alla
sua funzione specifica nel sistema dell’economia mondiale. Eliminando, per
quanto è possibile, ogni sterile concorrenza, deve cercarsi un’affermazione
dell’industria che assuma un’importanza essenziale nella vita
del nostro e degli altri popoli. 11 nostro orizzonte deve allargarsi
e non si può più pretendere di giovare alla nostra economia senza con ciò
stesso giovare all’economia degli altri. Questa è la legge di ogni organismo e
a questa legge deve essere informata anche la politica economica di un paese
che voglia guardare sul serio all’avvenire. V è, abbiamo detto, una
concorrenza superiore a quella comunemente intesa; ed essa si vince
oggi ponendosi all avanguardia nel processo dell’unificazione. La
grandezza economica di una nazione si instaura col darle un posto di primo
ordine nell’organismo internazionale: chi ha la consapevolezza della via
da seguire può concorrere più decisamente degli altri alla creazione di un
organismo in cui far valere al massimo le proprie energie. Ma a
quest'azione politica internazionale va accompagnata, s intende, una
trasformazione adeguata della vita interna in modo da porla all’altezza di
quella vita mondiale del cui rinnovamento ci si fa promotori. Per
uscire dai termini generali e scendere al1 esempio pratico del nostro Paese,
che dei fondamenti della nuova economia ha tentato prima e più degli altri
una concreta attuazione, è facile precisare alcune conseguenze imprescindibili
da cui trarre norma per l’avvenire. L’Italia è la prima nazione — si può
aggiungere la Russia, ma per essa dovrebbe farsi altro discorso — cbe ba
proceduto alla formazione di un sistema economico
nazionale, attraverso l’ordinamento corporativo: ma i suoi sforzi,
per quanto innovatori e fecondi, non possono raggiungere un risultato decisivo
finché il suo sistema rimarrà un centro organizzato in mezzo a una
vita mondiale disorganizzata. La vera vittoria del FASCISMO o del
corporativismo si avvererà il giorno in cui avremo fascistizzato o
eorporativizzato tutto il mondo. Fino a quel giorno avremo la possibilità
di resistere un po’ meglio degli altri ai marosi dell’oceano, ma rimarremo in
gran parte in balìa di essi. Primo compito, dunque, quello di persuadere il
mondo della verità dell’economia corporativa e di farsi iniziatori di un
sistema corporativo internazionale. Ma questo fine, a sua volta, implica la
necessità di considerare fin d’ora il sistema corporativo italiano, non
come un sistema a sé, chiuso e sufficiente nella sua autonomia, bensì come
il sistema in cui si risolve tutta la vita economica mondiale. E alla realtà di
questo più ampio sistema bisogna volgere gli occhi per la
soluzione degli infiniti problemi propri della nostra nazione. Se,
per esempio, nella soluzione del problema del grano consideriamo il
sistema economico nazionale come un sistema chiuso, è chiaro che spingeremo al
massimo la produzione fino al punto da non importare più un quintale
dall’estero; ma se, al contrario, badiamo al sistema corporativo mondiale,
i nostri sforzi tenderanno a raggiungere una produzione massima per ettaro
coltivato, ma insieme a ridurre progressivamente la superficie coltivata. È
evidente che una produzione che per reggersi ha bisogno di un dazio di 75 lire
a quintale oltre a varie altre provvidenze legislative, e che non può
sperare di modificare sensibilmente queste condizioni nell avvenire, deve
rappresentare uno stadio provvisorio nel processo dell’organismo mondiale.
Ben diverso è il problema dell’industria siderurgica e delle industrie
meccaniche nella cui soluzione non si può affatto convenire con i
teorici del liberismo. (Tanto è vero che l'economia corporativa è di là da
ogni liberismo o protezionismo). Le industrie siderurgiche e meccaniche
sono al fondamento di tutta la più alta industria moderna, e una nazione
che vi rinunci, si suicida. Ma anche qui occorre non perdere d’occhio il
sistema mondiale e quindi indirizzare tali industrie verso quelle forme
superiori in cui il tecnicismo (preparazione e ingegno dei dirigenti e bontà
della mano d'operai diventi fattore di produzione predominante fino a
rendere trascurabile il maggior costo delle materie prime. Alla
visione dell’avvenire, verso cui certamente si cammina a gran passi, contrasta
la politica dell’oggi con altissime barriere doganali e con
la sfrenata concorrenza. Ma se la logica è dell’avvenire -— ci dicono
ancora gli scettici — intanto come si va innanzi? Dobbiamo togliere le
barriere e dar ragione ai liberisti, ovvero dobbiamo elevarne ancora e
difenderci a tutti i costi? La vita economica sociale, si è detto, è
conoscibile scientificamente solo in quanto razionale e organica. Se il
problema resta posto nei termini consueti della concezione
individualistica, nessuna risposta può darsi ebe abbia valore di norma.
Liberismo e protezionismo sono le soluzioni di uno stato di guerra, di un
urto violento e indisciplinato; e in guerra, si sa, ci si difende come si
può. Se un individuo viene affrontato, deve uccidere o
deve corazzarsi? Tutte e due le soluzioni sono buone, ma certo
sarebbe meglio che i due casi fossero eliminati e ebe gli avversari si dessero
la mano, risolvendo in modo logico la ragione del contrasto. E così oggi
nella vita economica internazionale: cerchiamo di affrettare il processo
di razionalizzazione, e intanto andiamo avanti con o senza barriere doganali,
secondo l’urgenza del momento e le particolari condizioni economiche e
politiche. Lettera operici di Berlini a S.) Chiarissimo
Professore, Intorno ai problemi dell’Economia corporativa ai
è formala in breve tempo una vasta letteratura, ma di carattere — oom Ella
afferma — piuttosto giornalistico, mentre i tentativi di rigorosa
sistemazione scientifica della nuova materia sarebbero scarsi o poco
notevoli. Di tale condizione di cose Ella chiama responsabili gli
economisti della cattedra, i quali evitano di parlare di quei problemi,
considerandoli pertinenti ad un indirizzo antieconomico e, per ciò stesso,
estraneo alla scienza. Richiesto cortesemente del mio avviso, non
voglio chiudermi in un silenzio che potrebbe essere interpretato come
un adesione al modo di fare e di pensare, da Lei attribuito ai miei
autorevoli eollegbi. Veramente, il mio tacere avrebbe avuto piuttosto lo
scopo di prender tempo, innanzi di esporre un’opinione molto radicale, la
cui elaborazione non è forse arrivata a termine nel mio proprio pensiero.
Ma, se non è arrivata a perfetto termine, essa ha già fatto tal cammino,
che il discorrerne non parrà intempestivo o inopportuno. Le persone di
spirito non la troveranno neppure irritante. Io consento in quasi
tulle le riflessioni da Lei svolte nell’articolo: «Verso l’Economia
corporativa» — ma vado più diritto alla sede del male. Dico dunque,
senza ambagi, che alcuni economisti fanno dell'Economia teorica una mezza
scienza. Non « mezza » nel significato poco riguardoso di scienza superficiale,
dalle conclusioni mal cucite alle premesse; ché anzi (io lo riconosco
volentieri) da certe cattedre fluiscono ragionamenti, i quali partecipano
del rigore delle matematiche. Dico mezza scienza nel significato dimensivo
dei termini, ossia dottrina che nelle sue premesse fondamentali non ha
gettato il seme diquestioni che pur le appartengono; questioni di
vita della stirpe o di potenza della Nazione; questioni di interventi o
non interventi dei poteri pubblici nei rapporti d’interesse privato; questioni
anche di scuole o di parLiti economico-politici. Certo, ogni buon
professore sa trattarne, e spesso ne tratta in apposite lezioni dedicate
alla politica economica, alla storia delle dottrine, ecc.; ma altro è che
ne discorra fuori sistema, per la coltura generale de’ suoi allievi, senza
sentirsi obbligato a farlo dalla forza delle premesse; ed altro è che ne
discorra, perché così esige lo sviluppo logico degli enunciati, previdentemente
inseriti in uno schema introduttivo della disciplina. Ora, il problema
dell’ordinamento corporativo, al pari di altri consimili, non è discusso
affatto (a quanto sembra) o è discusso « fuori sistema » a titolo
semplicemente informativo. Esso appartiene alla... seconda metà della
scienza — quella che non s’insegna come scienza, ma piuttosto come storia
— e invano ne cercheremmo nella prima metà i cardini d’attacco o i motivi
prenionilorii. Ciò dipende anzitutto, a mio avviso, dalla ripugnanza che
provano non porhi economisti ad accogliere nei loro preliminari
scientifici il concetto dello Stato, quale fattore della produzione. Tale
disposizione d'animo non si giustifica menomamente. Il processo della
ricchezza è la risultante di due fasci di forze componenti:
l’attività individuale, singola o associata, e l’attività dell’organizCfr.
La critica dell'economia liberale. Milano, Treves. zazione politica, di cui lo
Stato è l’espressione suprema. I punti d'applicazione di queste forze
(diciamoli cosi per completare la similitudine coi fatti della meccanica)
son da ricercare nella stessa ricchezza esistente al momento iniziale
del processo — ricchezza in gran parte d’origine ereditaria, cioè prodotta
da anteriori generazioni. Fa della scienza a metà colui che si ferma alla
prima componente e tace della seconda o l’assume come « costante » lungo
tutta la linea di condotta della sua disciplina. Lo Stato, che provvede
alla difesa nazionale, alla sicurezza, alla giustizia, alla viabilità,
all'istruzione, ecc., e trasforma così buona parte della ricchezza privata in
potenza collettiva (che rigenera ricchezza), è un produttore continuo di
beni, servizi e ordinamenti aventi carattere di stretta complementarità
coi beni, servizi e ordinamenti dell’iniziativa privata. E come questi
secondi si sviluppano in quantità e varietà, col progredire dell incivilimento,
e fanno luogo a rapporti viepiù complessi o differenziati tra gli individui o i
gruppi, così i primi, cioè i loro complementari forniti dallo Stato, non
hanno colonne d’Èrcole che li fermino ad un punto obbligato. Lo sstato è
coevo all’uomo, ché la prima famiglia umana fu in embrione un impero. I
caratteri di necessità e immanenza, che gli son proprii, non ammettono
che si prescinda da esso per astrazione, come se fosse
una circostanza secondaria, accidentale o di semplice perturbazione.
Basterebbe un momento d’incertezza nella vita dello Stato per rompere
tanti fili nel tessuto della società, da gettare il disordine in ogni specie di
operazioni. Voler vedere in esso anzitutto un elemento
perturbatore dell’attività spontanea dei privati e dei loro calcoli
edonistici, è generalizzare solo a suo carico difetti di funzionamento che non
sono né più rari, né meno gravi presso i singoli individui. Si può invece
assumere lo Stato come una costante fin che l’assunto giovi alla soluzione
di problemi in prima approssimazione; ma per conclusioni più aderenti
alla realtà è mestieri rivedere da vicino il valore della costante. E
allora si scorge che costante non è. Lo Stato è un organismo in
evoluzione, ad immagine degli uomini che lo compongono e soprattutto ad
immagine degli uomini più rappresentativi di interessi,
dì 126 ideali, di temperamenti, che esercitano una
influenza sulla legislazione e si avvicendano al potere. Qui cessa
d’esser valida la similitudine presa dai fatti della meccanica. Nelle
scienze l’uso dei trafilati, che sono spedienti proprii delle belle
lettere, vuoisi fare con cautela e sobrietà. Coloro invece che vi
insistono a fondo, trattando le forze evolutive dell’uomo, come se
fossero le forze rigide della fisica, non scrivono l’economia dell’homo
sapiens, ma dell’uomo-macchina, tutto ruote dentate e molle di
precisione. Può l’eeonomista addurre a sua scusa che Io studio della
componente Stato appartiene ad altre discipline? L’eccezione d’incompetenza
sarebbe irricevibile. Ad altre discipline spetterà di considerare lo Stato
ir relazione ad altri scopi della vita, che non siano la costituzione della
ricchezza; ma per questo particolare scopo, che implica la conoscenza di
due variabili essenziali e interdipendenti, l’egoismo individuale e lo
spirito di solidarietà nella sua più imperativa espressione che è
lo Stato, sarebbe strano che il più interessato ad averla, non la
volesse avere che per una delle variabili e chiamasse pura anziché
incompleta la teorica innalzata su base siffatta. Ho insistito varie
volte su questo punto: non esserci Ira 1 homo oer.onomicus e il cittadino
( civis ) soluzione di continuità. La moda di oggigiorno è quella di
separare una figura dall altra. Ma se c’è qualità che non si
possa isolare dal soggetto dell’economia politica se non per un
capriccio dialettico, è proprio quella del cittadino. Essa lo segue come
l’ombra il corpo. L’individuo può essere dotto o indotto, credente o
miscredente, originale o imitatore, padre o non padre di famiglia; ma
cittadino lo è sempre. E come tale spiega un'influenza più o
meno grande sulla formazione del costume e su quella del diritto. L’àomo
ceconomicus, dunque, inseparato dal cittadino, è creatore del diritto. Ecco
scoprirsi alla nostra veduta l’aspetto genuino della questione. Tutti
veniamo al mondo con un patrimonio ereditato, che può variare da zero a qualche
miliardo di nostra moneta; ci presentiamo alla carriera della vita,
come ad una gara di corsa, movendo da posizioni iniziali vantaggiose o
svantaggiose. La distribuzione dei corridori in posti di partenza
diversamente avanzati rispetto al traguardo, non è per anco entrata nelle
regole sportive ma certamente fa regola nel mondo economico. Anzi, il
primissimo capitolo da scrivere in Economia — dopo la definizione e un po’ di
nomenclatura — dovrebb’essere proprio quello delle posizioni iniziali più o
meno avanzate (leggasi: distribuzione più o meno equa della
proprietà) che la sorte e la legge ci assegnano al nostro nascete, perché
da esse dipendono molte cose: educazione d’ambiente, modi di sentire riguardo
al valore dei beni e dei servigi, professioni preferite, capacità di resistenza
nei contratti, possibilità (grazie al diritto successorio e al fenomeno
dell’interesse del capitale) di far vivere una discendenza infinita su una
quantità finita di ricchezza. E così via. Ond’è con meraviglia che vediamo
gran parte degli economisti e l’autore stesso della felice
similitudine posizioni iniziali relegare la premessa in
capitoli terminali dell’insegnamento o in separata sede; insomma, fare
dell’Economia teorica una costruzione senza la chiave di volta, che le è
necessaria per reggersi in piedi in tutta la sua interezza. I fatti
dimostrano che l’uomo (chiamisi pure l’uomo economico) venuto al mondo
senza i favori della sorte, cioè in posizione iniziale svantaggiosa, si
industria come cittadino, a modificarla in meglio per sé o per la sua
classe, influendo, come può, sulla legislazione; e se ci venne in
posizione favorita s’industria, come cittadino, a conservarla. Le armi a ciò
non sono tutte dell’arsenale economico, perché una delle parti in campo, già
per ipotesi non ne possiede; se le possedesse in pieno, vorrebbe dire che
disuguaglianza di posizioni non c’è, e non c’è la ragion del contrasto. Le
armi, allora, sono quelle del cittadino: la scheda elettorale, la lega di
resistenza, lo sciopero, ecc. ; e le chiamo del cittadino, in quanto
presuppongono il riconoscimento di libertà e diritti che a poco a poco
fanno mutare ilviso e l’animo al legislatore. Or si domanda: questo giuoco
di azioni e reazioni potendo riuscire pericoloso alla collettività, ossia
agli stessi combattenti e ai semplici spettatori, a chi toccherà di regolarlo
nell interesse della pacìfica collaborazione delle classi? A chi, se non
allo Stato, a cui fanno capo tutti i problemi attinenti alla coesione
sociale? Ed ecco come dalla considerazione del cittadino — qualità
inseparabile dal soggetto dell’Economia politica — arriviamo al
regolamento dei contrasti di classi, come ufficio di competenza dello
Stato. Che il regolamento sia bene o male idealo, che il servizio valga o
non valga quello che costa, sarà questione subordinata da risolvere in
Economia applicata, se l’altra Economia teme di perdere della sua purezza. Il
fatto che il regolamento implichi un costo, non costituisce motivo perché si
debba riguardarlo come un affare antieconomico ed estraneo alla
scienza. Chi afferma questo, dimentica che i beni, i servizi, gli
ordinamenti che lo Stato crea, non li crea ex nihilo ; il rapporto in cui
stanno coi beni, servizi, ordinamenti prodotti dall’iniziativa privala è di
stretta complementarità, complementarità ebe deve intendersi nel duplice
rispetto, delle utilità e dei costi. Gl’economisti, che vedono
nell'aumento di spese generali delle aziende una ripercussione, a tutta
perdita, dell’assetto corporativo della Nazione, si mettono da
un punto di vista unilaterale, quello degli imprenditori; ed anche in
questo riducono la loro scienza ad una mezza scienza. L’assetto
corporativo fu pensato nell’interesse di ambo le parti: imprenditori e
lavoratori; meglio ancora, fu pensato nell'interesse generale del paese.
La disciplina restituita al lavoro, lo spirito di concordia che va
informando ogni giorno più i contratti collettivi e il valore morale della
magistratura che veglia sulla loro osservanza e sui mutamenti delle condizioni
del mercato, sono vantaggi, che non si misurano in moneta, come non
si misurano in moneta quelli di una efficace organizzazione della
giustizia, della sicurezza, dell’istruzione o della difesa
nazionale. Si ripensa forse con nostalgia ad un’economia prettamente
individualista? Senza dubbio essa, limitando all’estremo le funzioni dello
Stato, riduceva al minimum le spese dell’azienda pubblica e di riflesso
alleggeriva il carico alle private imprese; ma lasciava esposti ad
un maximum di rischio i buoni rapporti delle classi, Che le poche
funzioni attribuite allo Stato erano giusto quelle desiderate dai cittadini
delle posizioni favorite, ai quali faceva comodo che la macchina
collettiva da produrre il diritto e la forza esecutiva del diritto,
lavorasse a conservarle. Ma era inevitabile che gli altri cittadini ruminassero
a farla lavorare altrimenti, prendendone in mano le leve, di forza o di
sorpresa. Quindi lotta aperta o insincera collaborazione di
classi. Molti molto si aspettano da un sistema
collettivista. \ogliono, dunque, un maximum di funzioni dello
Stato, il sistema implicando la trasformazione, graduale o di impeto,
dei servizi oggi resi dalla privata proprietà e dalla libera concorrenza
in servizi pubblici. Ma quel maximum si accompagnerebbe ad un minimum di
rendimento del lavoro e delle libere iniziative. Tale la previsione più
ragionevole. D'altronde lo sfruttamento del1 uomo per l’uomo, cacciato dalla
porla rientrerebbe dalla finestra, perché esso è un fenomeno generale, non
del1 officina soltanto, ma dell’ambiente stesso della famiglia, di quello
delle amicizie, dei partiti politici, ecc.; ha radici nella natura umana. Il sistema
socialistico ne svilupperebbe in un senso la fioritura, come il sistema
individualistico la sviluppava in un altro senso. L’assetto corporativo
nazionale si tiene egualmente lontano dai due estremi: mira ad attuare un
maximum di rendimento del lavoro con un minimum di attriti fra
le classi sociali e di ritardi per il progresso civile della nazione. Se
non è il sistema perfetto, è perfettibile. Avrei altro da dire, ma la
lettera aperta vuol essere chiusa. Le sono quasi grato, caro professore,
d’avermi indotto a scriverla. Che, alla mia età, si può anche promettere
un trattato di Nuovi principiì, ecc.; ma difficile e mantenere la
promessa! Devotissimo Benini 5 S m bit* La lettera che precede
fu pubblicata in Nuovi Studi di diritto, economia e politica ed era
seguita da un articolo di Fnvel su L’individuo e lo Stato nella scienza
economica in cui si discutevano alcune mie affermazioni. Al Bellini e a Fovel
rispondevo con le pagine seguente. Il tentativo compiuto da questa rivista
per un primo orientamento nello studio dell’economia corporativa
comincia a dare i suoi frutti, e già si veggono chiarite alcune posizioni
fondamentali, che consentono una certa disciplina nell’ulteriore ricerca.
I due scritti pubblicati in questofascicolo — la lettera aperta del Benini
e l’articolo di Fovel — sono due sintomatici documenti di quella
svolta decisiva nella storia della scienza economica che deve ormai
risultare evidente a chiunque abbia una mentalità non irretita da
pregiudizi dogmatici. Ma il risultato raggiunto è soprattutto notevole
perché il significato della svolta è stato reso esplicito e
ìnequivocahiìe, ed è stato posto il criterio fondamentale per le nuove
costruzioni scientifiche. Si è usciti — ìai insomma dallo stato dì
disagio proprio di chi, pur insofferente del vecchio, non conosce ancora
la nuova via da intraprendere ; e si è posto un quesito che non può più
restare senza una risposta categorica. Benini, con squisita ironia e con
una critica che va anche al di là delle sue affermazioni esplicite,
ha accusato senz’altro l’economìa teorica di essere una mezza scienza, e
mezza « nel significato dimensivo dei termini, ossia dottrina che
nelle sue premesse fondamentali non ha gettato il seme di questioni
che pur le appartengono; questioni di vita della stirpe o di potenza della
Nazione; questioni di interventi o non interventi dei poteri pubblici nei
rapporti d’interesse privato; questioni anche di scuole o di partiti
economico-politiei. Certo, ogni buon professore sa trattarne, e spesso ne
tratta in apposite lezioni dedicate alla politica economica, alla
storia delle dottrine, ecc. ; ma altro è che ne discorra filari sistema,
per la coltura generale de’ suoi allievi, senza sentirsi obbligato a farlo
dalla forza delle premesse; ed altro è che ne discorra, perché così
esige lo sviluppo logico degli enunciati, previdentemente inseriti in uno
schema introduttivo della disciplina. Ciò dipende, continua Benini, anzitutto
dalla ripugnanza che provano non pochi economisti ad accogliere nei loro
preliminari scientifici il concetto dello stato, quale fattore della
produzione. Tale disposizione d’animo non si giustifica menomamente ». E
non si giustifica perché lo Stato è coevo all’uomo », perché tra 1
homo (Economicità e il civis non ci può essere soluzione di continuità, perché
infine solo per un capriccio dialettico » è possibile isolare la
qualità del cittadino dal soggetto dell’economia politica. Né meno
categorico è l'atteggiamento di Fovel, il quale prende atto « che la scienza —
ripetiamo ancora: la scienza nel suo stato più puro — è negativa di fronte
alle scelte statali, le esclude da sé, non le mette neanche, a rigore, nel
novero delle scelte, è, insomma, negativa di fronte allo Stato. Ciò
può essere venuto per le origini antistatali della scienza economica stessa;
oppure per un incolpevole e vergine oblio teorico: oppure insomma (sia
detto con la massima prudenza) per un errore, che la ha viziata fin qui.
Lasciamo andare: il nascere del fatto poco ei importa. E ci importa,
invece, il fatto stesso, che è questo: per la scienza l’ipotesi statale,
o, meglio, lo Stato-ipotesi è (oppostamente aH’individuo-ipotesi) la non
economia; e lo è solo, e solo perché la scelta statale implica per
definizione, la non libera scelta individuale ». 11 quesito, dunque, che
si pone oggi alla scienza può formularsi brevemente così. È lecita ed
è scientificamente giustificabile una costruzione sistematica
dell’economia pura che prescinda dal concetto dì Stato e dal rapporto tra Stato
e individuo? E in caso negativo, in quale senso tale concetto
va introdotto nella scienza e a quali conseguenze teoriche deve
condurre? Questo, il punto di partenza per un’intelligenza critica
dell’economia corporativa, e ci sembra ormai che nessuno onestamente possa
eludere il problema con una fin de non recevoir. Finché il
corporativismo s’intende come una mera esperienza pratica, i puristi possono
disinteressarsene, chiusi come sono nel loro preconcetto dualistico
dei rapporti tra scienza e politica, ina quando esso si traduce in
una perentoria istanza teorica, bisogna pur decidersi ad accogliere o a
respingere criticamente. E noi ci auguriamo di avere dall’esperienza dei
maestri un valido aiuto all’attuazionedel nostro programma. Una volta
posto il problema in siffatti termini, il primo punto da chiarire e da
precisare concerne, naturalmente, il significato stesso da attribuirsi al
termine Stato e, correlativamente, al termine individuo. E su tale punto
conviene insistere con molta perseveranza, soprattutto perché il concetto
di Stato sembra a prima vista il più semplice ed evidente che ci sia, sì
da poter su di esso costruire senza preoccupazioni di sorta; ma la sicurezza,
poi, con cui si procede su tale terreno viene subito a mancare appena si
cessi dal presupporre noto il conceLto e si tenti di determinarlo
effettivamente. 11 che ci sembra di poter dimostrare alla luce degli stessi
scritti sopra accennati. 11 Benini parla dello Stato, come di chi provvede
alla difesa nazionale, alla sicurezza, alla giustizia, alla viabilità,
all’istruzione, ecc., e altrove osserva che il processo della ricchezza è
la risultante di due fasci dì forze componenti: l’attività individuale,
singola o associata, e l’attività della organizzazione politica, di cui LO
STATO è l’espressione suprema. Ora, questo linguaggio implica un dualismo
irriducibile di Stato e individuo, e per quanto il vigile senso di
concretezza che ispira Benini lo conduca a concepire i rapporti
di complementarietà delle due forze nel modo più in134 timo e
indissolubile, sussiste tuttavia una radicale contrapposizione di funzioni
e di finalità che compromette il sistema, Tanto è vero che il Benini avverte
infine il bisogno di mettere in guardia contro la tendenza di attribuire «
un maximum di funzioni allo Stato, perché « quel maximum
si accompagnerebbe ad un minimum di rendimento del lavoro e delle
libere iniziative ». L’assetto corporativo sarebbe ottimo sol perché « si tiene
egualmente lontano dai due estremi. Inutile dire che la critica contro il
collettivismo, ripetuta da Benini e mossa da tutta l’economia lihcrale a quella
socialista, è esatta nella diagnosi e nella conclusione, ma occorre tener
presente che il socialismo è superato sol perché è superato il
concetto di Stato ch’esso implica, e che è quello stesso del liberalismo,
dal quale non riesce a staccarsi neppure il Benini. Lo stato, cioè, è
circoscritto a un ente immaginario, in limiti imprecisabili, e con
personalità essenzialmente distinta da quella degli individui che lo
compongono. Si cambia cioè 10 Stato con un organo centrale, relativamente
estraneo alla vita della nazione e perciò sopraffattore delle energie
individuali. Di quest’organo — che è poi la burocrazia — a ragione si
diffida e giustamente si protesta contro l’attribuzione che a esso si
voglia fare di un maximum di funzioni. Ma questo è lo Stato ancien regime,
al quale il FASCISMO deve opporsi con tutte le sue forze, perché
essenzialmente contrario al suo spirito; lo Stato non deve essere, non è,
un organo fuori delTorganismo, una sovranità opposta ai sudditi,
una realtà sui generis diversa dal cittadino: lo Stato, insomma, non
è più quello contro cui insorgeva il secolo elei lumi e che si è
trascinato come misero residuo nella storia del liberalismo. Lo Stato
s’identifica con l’individuo, in una sintesi idealmente assoluta, e, di fatto,
sempre più realizzabile e realizzata. Se noi cercassimo infatti di precisare i
confini dello Stato ci accorgeremmo subito di questo progressivo suo
immedesimarsi nella vita della nazione. Dallo Stato alle provincie, ai
comuni, agli enti parastatali, agli enti morali è tutto un lento compenetrarsi
della vita pubblica in quella privata, sino all’esperienza rivoluzionaria
del FASCISMO che, prima sul terreno più strettamente politico dell
organizzazione del partito, poi, e ben più radicalmente, su quello
dell’organizzazione sindacale, ha posto decisamente l’esigenza di un
combaciamento assoluto della sfera dell’attività statale e di quella
individuale. Lo stato contro il quale nacque il liberalismo è veramente morto
eoi morire dello Stato propugnato dallo stesso liberalismo. E continuare
oggi a discutere dello Stato, illudendosi di poterlo individuare entro
quei limiti in cui lo si individuava nel Settecento, significa perpetuare un
equivoco di gravissimo pregiudizio per tutte le scienze sociali. Il potere
dello Stato non ba limiti e chiunque tentasse di determinarne le funzioni
resterebbe fatalmente a mani vuote: ogni determinazione della sua sfera
rispetto agli individui sarebbe fondamentalmente erronea. Ritornando ora
alle esemplificazioni del Bellini è facile spostare i termini del problema:
uno Stato comequello concepito dal fascismo, non provvede soltanto « alla
difesa nazionale, alla sicurezza, alla giustizia, alla viabilità, all
istruzione, ecc., ma provvede a tutto perché è immanente a tutto.
Ed esso perciò non può rappresentarsi come un fascio dii forze da
aggiungersi all’altro delle attività individuali, bensì come le stesse forze
individuali nella loro vita solidale. Di quest unica vita sono
manifestazioni tutti i poteri pubblici e privati, centrali e periferici:
e, nel campo economico, il bilancio dello Stato, quello degli enti
pubblici, degli enti para¬statali e morali, delle organizzazioni di partito
e sindacali, e infine di tutti i cittadini, che tutti nello e per lo
Stato vìvono. Ogni barriera che si volesse porre a un punto della serie
sarebbe affatto arbitraria e irragionevole. E si comprende, dunque, come 1
ideale del corporativismo non debba esser quello dì rimanere egualmente
lontano dai due estremi (sopravvento dell’iniziativa privata o della
pubblica), bensì di rendere insussistente il problema eliminando ogni
differenza tra l’essenza delle due iniziative. Certo, se per Stato
s’intende la burocrazia, affidare ad essa l’economia nazionale non può non
essere una mostruosa utopia: ma lo sforzo del FASCISMO deve essere appunto
quello di sburocratizzare lo Stato, elevando ogni cittadino al grado
di funzionario pubblico. Il processo di trasformazione non è dei più
facili e dei più rapidi: v’è anzi il pericolo di periodi di transizione in cui
il fenomeno burocratico si aggravi, e dia luogo a nuovi inconvenienti. Si
pensi che l’organizzazione sindacale e corporativa, prima di aderire in modo
soddisfacente alla realtà, è destinata in gran parte a pesarvi
su come una soprastruttura — vale a dire come una burocrazia. Ma gli
ostacoli non debbono arrestare ilcammino, anzi debbono porre la necessità
di accelerarlo, sì da superare con energia sufficiente gli inevitabili
punti morti. E per accelerare il ritmo, a me sembra che uno dei mezzi
{ondamentali debba essere fornito dalla scienza, la quale deve sgombrare il
terreno dai pregiudizi teorici che arrestano, con la forza della
tradizione, la stessa mano dell’uomo d’azione. L immedesimazione assoluta
della vita dello Stato con quella dell’individuo dà il criterio preciso
della riforma della scienza economica, la quale, dunque, non è « mezza
scienza nel significato dimensivo dei termini), vale a dire nel senso di
essersi occupata dell’individuo (una delle componenti) e non dello Stato
(l’altra componente), ma mezza proprio nel significato deteriore di scienza
fondata su premesse erronee, e propriamente sull’ipostasi di un individuo e di
uno Stato inconcepibili, o concepibili soltanto come manifestazioni
patologiche (individuo anarchico e Stato tiranno. ÀI quale ulteriore
concetto sembra accennare Fovel nella chiusa del suo articolo quando
dice che per colmare l’iato tra le scelte dette libere dell’individuo e le
scelte dette non libere dello Stato (si può tentare di mostrare che anche
le sedicenti scelte libere dell’individiio non sono libere, ma
economicamente imperative, quanto quelle statali; e ciò perché sono
esattamente prescritte dalle scelte pure libere degli altri individui,
ossia dalla società economica. Oppure si può tentare di mostrare
che anche le cosidette scelte non libere dello Stato sono libere, né
più né meno che le scelte individuali; e questo perché anche le scelte
dello Stato non sono altro, anch’esse, che scelte di individui
nella società economica. Senonché per Fovel, Stato e individuo hanno
ancora una loro particolare personalità, e lo Stato conserva una fisionomia
corpulenta, che rende estremamente difficile il processo di risoluzione
della sua autorità nella libertà degli individui e viceversa. Quando
l'iato sarà effettivamente colmato, il vero concetto di libertà
economica apparirà in tutta la sua luce e le forme stereotipate della
libera concorrenza e del monopolio, che restano a fondamento della costruzione
del Fovel, si risolveranno in uno schema economico ben altrimentiadeguatoalla
realtà.II SE ESISTA, STORICAMENTE, LA PRETESA REPUGNANZA DEGL’ECONOMISTI
VERSO IL CONCETTO DELLO STATO PRODUTTORE. Alla lettera sopra riportala del
Benini rispose anche L. Einaudi con il seguente articolo pubblicato in
Nuovi Studi. Renini, 1. Mi è accaduto solo adesao di leggete, una tua
suggestiva lettera aperta pubblicata nel lasci colo di gennaio-febbraio di
quest’anno dei Nuovi Studi-, suggestiva, perché costringe a pensare e a
dubitare. Le questioni « di interventi o non interventi dei poteri
pubblici nei rapporti d’interesse privato; questioni anche di
scuole o di partiti economico-poi itici », sarebbero di
quelle questioni che dagli economisti sono discusse fuori sistema;
apparterrebbero a quella « seconda metà della scienza, quella che non s’insegua
come scienza, ma piuttosto come storia ed invano ne cercheremmo nella prima
metà i cardini d’attacco o i motivi premonitorii. Quale la spiegazione del
fatto? fecondo te, eaao « dipende anzitutto dalla ripugnanza che provano non
pochi economisti ad accogliere nei loro preliminari scientifici il
concetto dello Stato, quale fattore della produzione ». E benissimo
aggiungi: «Tale disposizione d'animo non si giustifica menomamente. Il
processo della ricchezza è la risultante di due fasci di forze componenti
: l’attività individuale, singola o associata, e l’attività dell’organizzazione
politica, di cui Io Stato è l’espressione suprema... Fa della scienza a metà
colui che si ferma alla prima componente c tace della seconda o l’assume
come « costante » lungo tutta la linea di condotta della
sua disciplina. Lo Stato, che provvede alla difesa nazionale, alla
sicurezza, alla giustizia, alla viabilità, all’istruzinne, ccc., e
trasformacosì Intona parte della ricchezza privala in potenza collettiva (che
rigenera ricchezza), è un produttore continuo di beni, servizi e
ordinamenti aventi carattere di stretta complementarità coi beni, servizi
e ordinamenti dell’iniziativa privata ». 2. Chiudo qui la citazione,
perché, altrimenti, dovrei riprodurre tutta la tua bella lettera. Né la
chiudo, per ridiscutere il problema della parte avuta dallo
Stato nella produzione della ricchezza; ma esclusivamente per porre
un problema di storia: chi sona quei cotali economisti (non pochi, dici tu,
e dal contesto del discorso sarebbero i più, sicché occorre affermare contro di
essi, quasi come teoria nuova, la tesi dello Stato come fattore necessario
e inscindibile della produzione), M i quali repugnerebbero ad accogliere nei
loro preJ ) Appunto perché non intendo menomamente intervenire
nella sostanza della discussione aperta Ira te ed il prol. Spirito :
ma soltanto porre un dubbio storico su ehi e quanti siano
coloro quali reputarono alla tesi da te posta, così non discuto la
critica che a queeta tesi muove lo Spirito: implicare dessa, sebbene
materiata di realtà, un « dualismo irriducibile di Stato ed individuo
» oramai superato dalle nuove concezioni dello Stato, le quali
identificano lo Stalo con l’individuo «in una sintesi idealmente sssoIma, e, di
latto, sempre più realizzabile e realizzata ». Vero è
che, incidentalmente, lo Spirito afferma ebe il suo dualismo è
implicito nel « linguaggio a da le adoperalo. Il che porterebbe a
chiedersi se, per avventura, non si traiti di un contrasto — Ira la tua
(e quindi fra quella degli economisti ebe io tento di dimostrare
essere identica alla tua) e la tesi di S. — più di linguaggio —
di terminologia, che di parole. Se io possedessi la meravigliosa
facoltà «he in sommo grado aveva il compianto amico Vadali di
tradurre una qualunque teoria dal linguaggio geometrico in quello
algebrico, da quello edonista in quello della morale kantiana, dalla
termino limiaari scientifici il concetto dello Stato come
fattore della produzione? La domanda non è impertinente. È rosi
supremamente difficile sapere chi, in economia, ha detto o non detto
qualcosa, ei è dichiarato fautore od avversario di un certo indirizzo, o
teoria, soxT-attutto è cosìstraordinariamente difficile riprodurre, anche
usando il massimo scrupolo, esattamente il pensiero altrui che
forse, penso, sarehhe opportuno non citare mai nessuno e
non attribuire ad altri, neppur ricordati genericamente, un qualunque
pensiero. 3. La mia impressione è che di codesti negatori
o dimentichi dello Stato, non ce ne siano oggi e non ce ne siano
stati mai tra gli economisti. Non bisogna scambiare per negazione o repugnanza
atteggiamenti mentali profondamente diversi. Se l’economista
intendeva compiere una ricerca del tipo che diceBi astratto — ed i classici conseguirono i loro
maggiori successi per tal via — era ovvio ragionassero sulla base di
premesse semplici, ridotte talvolta ad una sola, e giungessero
a conseguenze vere nell’ambito delle premesse fatte. Se tra le
premesse non aveva luogo lo Stato, sarehhe illogico tuttavia affermare che essi
lo negassero o vi repugnassero. Anzi, il loro stesso procedimento logico
dilogia economico pura normativa in quella applicala precettistica, potrei
tentare di ritradurre la pagina dello Spirilo nella formuliallea tua, orna
economialica classica. Sarebbe un esercizio feconda, simile a quelli di
cui racconta Loria, da lui intrapresi in gioventù; di RBporre
6uccessivamenie una data dimostrazione economica prima in linguaggio di
Smith, e poi di Ritardo e quindi di Marx, di Mill e di Cairnes. Ma sono esercizi che
vanno, come faceva Loria, dopo fatti, ripoBti nel cassetto. Giovano ad
ingegnate la umilio ad ognuno di noi, quando per un momento ci
illudiamo dì aver visto qualcosa di nuovo. Perché se questo novità
poteva essere stala delta con le loro parole e inquadrarsi nel pensiero
dei vecchi, segno è che quel qualcosa era contenuto in quel
pensiero. Ma non posaono né devono impedire cheogni generazione usi
quel linguaggio che meglio si adatta al modo suo di pensare e d’inlendere
il mondo. Si riscrive la Binria ; perché non si dovrebbe riscrivere la scienza
economica, prima in termini di costo di produzione, e poi di utilità e
quindi di equilibrio statico e poi di
equilibrio dinamico? mostrava che essi affermavano la esistenza
dei fattori esclusi e riservavano ad allra indagine il tenerne
conto. Si può criticare il metodo, si può cercare di dimostrare che
con quel metodo non si può giungere alla scoperta della verità; non si può
tuttavia dire, senza offesa alia verità storica, che a causa della
adozione di quel metodo essi negassero la esistenza dei fattori da eui
in prima approssimazione astraevano. Tanto poco negavano o repugnavano
che, per lo più, quando esei dall’indagine astratta si voltavano alla concreta,
dalla costruzione di schemi ipotetici passavano allo studio dei problemi reali,
ossia complessi e vivi, essi per lo piò facevano nelle loro discussioni gran
parte allo Stato. 4, Si può ammettere, sebbene storicamente si debba
andare assai guardinghi nel fare affermazioni generali in proposito, che gli
economisti, a partire dai membri della « setta » fisiocratica, attraverso
a Smith sino a Mill non compreso, siano stati contrari all’intervento dello
Stato e favorevoli al laissez faire, laisser passar. Ma fu già dimostrato
(c(t., per le fonti, una mia recensione del libretto The end oj
laissez-faire del Keynes, in La Riforma Sociale) che siffatta contrarietà non
era teorica, ma puramente contingente. l 'avversione all’intervento dello Stato
non aveva cioè alcuna connessione logica necessaria coi postulati fondamentali
della dottrina economica, non faceva corpo, come dici tu, con i cardini
d’attacco della scienza; ma discendeva da ragioni contingenti. L’osservazione
degli effetti dannosi delle vecchie corporazioni d’arti e mestieri, e del
vincolismo economico e doganale spiegano abbastanza il liberalismo di Adamo
Smith e dei classici. Dopo le ricerche di Nicholson in A Project
oj empire (di cui il concetto dominante è che per lo Smith la
considerazione delTacquisto della ricchezza deve cedere dinnanzi aquella della
difesa ossia della grandezza dello Stato: de.je.nce is oj much more impor
lance than opulence)-, dopo Laureo libretto di Schùller, Les économistes classiqu.es et leurs
adversaires fin cui viene dimostrato, testi alla mano, che la accusa rivolta
agli eco-Doratati di avere creato un fantoccio (il eosidetto
homo rp.conomicus] avulso dai luoghi, dai tempi, dalla storia, c di
aver dato ad un puro strumento di indagine figura di realtà concreta o
storica, è una invenzione gratuita dei loro avversari socialisti,
socialisti della cattedra, economisti storicisti, ecc. eec.], non è più lecito
attenersi ad una tesi dimostrata. all’iiifuori di ogni dubbio,
contraria alla verità storica. Quegli stessi economisti, i quali
affermavano i danni di certe determinate maniere di intervento dello Stato
reputate feconde di male, altrettanto recisamente affermavano la necessità
rii quell’azione (azione e non intervento, ae la parola
intervento implica il concetto che lo Stato si immischi sempre
in cose non sue] nelle maniere che reputavano più confacenti all’indole
dello Stato e più vantaggiose alla collettività. 5. S'intende che sempre
fu d’uopo non occuparsi degli imitatori, dei pedissequi,
dei sicofanti i quali colgono a volo le idee che corrano nell’aria ed
impasticciando scienza e pratica, un po’ di senso comune e molti pregiudizi
correnti, si gittano dalla parte che è alla moda e dimentichi oggi di quel
che avevano asseverato ieri, oggi sono liberisti e domani,
indifferentemente, interventisti. Costoro non sono scientificamente nulla,
sebbene siano i maggiori fabbricanti di scuole, di conventicole
protezioniste, interveniste, liberiste, cattedratiche e delle vane ingiurie che
i rispettivi adepti ai scagliano l’un l'altro. La caratteristica
fondamentale del pensiero degli economisti in questo particolare
campo (naturalmente essi si occuparono sovratutto di problemi più
difficili, che dai laici sono detti, per dispregio, tecnici e che sono e
probabilmente sempre saranno i problemi economici specifici) è stato un
approfondimento vie maggiore del problema dei rapporti fra Stato,
individuo, società, gruppi sociali. Da Mill a Marshall, da Marshall a
Pigoli è tutta una indagine minuta e delicata, la quale talvolta diventa un
ricamo tenuissimo, rivolta a precisare, a limitare, a scrutare i metodi di
massitui 77azione della ricchezza, del benessere, della felicità, della potenza
degli uomini organizzati in società. Come è accaduto in tutte le scienze
progressive, ogni passo innanzi si innesta su perfezionamenti
precedenti ed è preludio a perfezionamenti successivi. Nella
nostra chiesa non è di moda la parola superamento, che veggo assai usata
tra ì filosofi; ma ben potrebbe tale parola eesere usata ad indicare gli
stadi successivi del pensiero economico, di cui ognuno non nega ma contiene e trasforma
gli stadi precedenti c sarà contenuto e trasformato negli stadi
fuluri. Perché, caro Benini, non ricordare il contributo che taluni
italiani colleghi tuoi e miei maestri hanno dato a queata meravigliosa
ascesa della scienza economica? Per ragioni scientifiche di divisione del
lavoro, è toccato a quella sottospecie degli economisti, la
quale studia ed insegna la cosiddetta scienza delle finanze,
di occuparsi dello Stato e dell’indole teorica del suo operare. Piace
anche a me il pensiero che supera Stato ed individuo ed insieme li fonde;
ma piace non meno e per la difficoltà dell’impresa soddisfa
intellettualmente di più lo sforzo di coloro che hanno tentato di ficcare
lo sguardo in fondo all’azione dello Stato ed hanno tentato definire in
che cosa consistesse la sua azione. Scartata la concezione errata dì uno Stato
il quale interviene a cose fatte, a ricchezza prodotta e preleva
l’imposta per consacrarla, ossìa distruggerla, sia pure per altissimi fini
pubblici (ed un ultimo vaghissimo ricordo di questa concezione lo vedo
nelle tue stesse parole, laddove parli di uno Stato, il quale (( trasforma
buona parte della ricchezza privata in potenza collettiva », dove l’errore
involontario sta nel supporre che esista una ricchezza privata da trasformare,
dopoché essa è stata prodotta, in qualcosa di collettivo, mentre la realtà
è che la ricchezza che lo Stato trasforma in potenza collettiva, non fu
mai privata, ma fin dall’inizio era prodotta dallo stato, se per prodotta
intendiamo cosa che non sarebbe nata se lo Stato non fosse esistito e non
avesse operato secondo l’indole sua), i teorici italiani assai discussero
intorno all’indole dell’apporto od azione dello Stato. Tu bene bai scritto,
continuando, che nella atessa maniera come i beni, i servizi e gli
ordinamenti delTiniziativa privata « ai sviluppano in quantità e varietà,
col progredire dell’incivilimento, e fanno luogo a rapporti viepiù
complessi e differenziati Ira gli individui o i gruppi, così i beni,
servizi ed ordinamenti] loro complementari forniti dallo Stato non Iranno
colonne d’Eicole che li fermino ad un punto obbligata. Quarantanni fa Mazzola
aveva già scritto: c Che CROCE non comprenda l'accusa di antistoricismo da
me rivolta alla scienza economica, non deve certo meravigliare chiunque
legga i periodi ora riportati. L’economia come l’arilxnetiea non cangia
quale che sia il corso della storia : l’economia è matematica anch’essa, e
quattro e quattro hanno fatto e faranno sempre otto. Con quale
entusiasmo accoglieranno queste parole ì nostri economisti matematici, che
giurano sulla purezza della loro scienza 1 Ma che queste parole avessero dovuto
suonare con tale durezza anche sulla bocca di un filosofo e di uno storico, non
ci saremmo davvero aspettato. Oh, dunque, anche per Croce la distinzione
tra economia pura ed economia politica è ovvia? Che ovvia sia sembrata e
sembri a tanti economisti — non a tutti — è cosa fuori dubbio, ma non
crede Croce che io, aprendo quei tali trattati cui egli allude, abbia già
dimostrato come, in realtà, la distinzione non stia né in cielo né in terra,
e sfugga immediatamente dalle mani, appena si cerchi comunque di
precisarla? Ecco, io non vorrei ritorcere l’accusa di scarsa conoscenza
delle opere degli economisti, ma non so proprio come spiegarmi questa
fiducia illimitata che Croce ha sull’esistenza effettiva di un’economia pura e,
peggio ancora, di una economia matematica che non abbia fondamenti
illusori. Non si lasci intimidire dall apparente rigore delle ben collegate
serie di formule, penetri un poco in questo mondo di
superiore tecnicismo e veda se gli sia possibile trovare un tentativo
sistematico di economìa matematica — nella possibilità e opportunità del
metodo matematico nella determinazione dei rapporti di alcuni fenomeni
economici non ci può esser dubbio — che non poggi su basi di creta e non
si riattacchi a presupposti affatto arbitrari e verbalistici. L articolo di
Croce si chiude con un esempio, che dovrebbe provare ad oculos la
riduzione allW surdo dell’economia attualizzata. Ma l’esempio — oltre
la poco simpatica e poco generosa ironia verso un uomo che merita tanto
rispetto — riesce a provare soliamo una cosa, vale a dire la poca
coscienziosilà di un critico che pretende di far giustizia di un tentativo
scientifico, artificiosamente riducendolo a una sua particolare espressione.
Poeti giorni prima che uscisse il fascicolo de La Critica era apparsa
sul Giornale critico della filosofia ita liana la mia recensione del libro di
Emilio La Bocca Abbozzo di una interpretazione idealistica della economia
politica, Perugìa-Vcnezia. «La Nuova Italia »): che io non intenda a quel
modo l'identità di scienza e filosofia, CROCE avrebbe dovuto risultar chiaro, e
che nel libro dei La Rocca io veda Io stesso pericolo che vi
vede Croce, anche questo avrehhe dovuto essere evidente a chi si fosse
accinto alla discussione con animo sereno. Ma di serenità oramai il Croce
non è piu capace e prima di ogni altra cosa egli cerca di convincersi
che le nostre « manipolazioni pseudodottrinali siano più o meno direttamente a
servigio di equivoci ideali », che lo autorizzino a diicuteruè in maniera
astiosa e ingiusta. Terreno, questo dell ingiuria, nel quale sarebbe vano
seguirlo, sia che si cercasse di pagar della stessa moneta eia che si
tentasse di persuadere dell’errore. In chi lavora con fede, trascurando frutti
che pur sarebbe facile (e quanto facile!) raccogliere, la ripetuta insinuazione
di Croce può gettare solo un’ombra di tristezza: forse un giorno,
ritornando con altro animo su queste discussioni e avendo altri elementi
per giudicare gli uomini di oggi, egli sentirà il
rimorso dell’ingiustizia commessa. Ed ecco la recensione del saggio
di Rocca : È un audace tentativo di dominate nelle sue grandi linee
tutta la scienza economica da un punto di vista rigorosamente idealistico
: un tentativo che va considerato con molta attenzione da quanti sono persuasi
della necessità di porre in primo piano il problema del rapporto tra
scienza e filosofìa. Rocca, dopo aver accennato al principio fondamentale
dell’attualismo, cerco appunto di chiarire nel secondo capitolo il
concetto di scienza in generale e di scienza empirica in particolare, e
conclude « che se non può proprio parlarsi di identificazione perfetta tra
quella che è l’attività del filosofo e quella che è l’attività dello
scienziato, non deve potersi escludere tra esse una parentela
molto stretta che, mutate talune circostanze, potrebbe diventare quasi tra
esee una vera e propria identificazione. In verità, questa soluzione, così
schematicamente riassunta, non può non apparire alquanto indecisa e
problematica, né tutte le argomentazioni che la precedono e la seguono
valgono a farci superare effettivamente lo stato di dubbia da casa ingenerato.
L’Autore ai oppone con malta efficacia a una concezione necessariamente
naturalistica della scienza, ma quando si tratta di giungere alla estrema
conseguenza di tale critica arretra un po’ perplesso e ripristina il
dualismo che voleva eliminare: la distinzione di scienza e filosofia,
dialetticamente negala con acutezza non comune, ai riafferma infine in
modo categorico e nel senso forse più pericoloso. Ma, osserva infatti
Rocca, se una distinzione rigorosa Ira le due non si può avere perché
non può nel fatto aver luogo, non è mica detto che una distinzione dedotta
dal diverso oggetto o fine che entrambe perseguirebbero non si possa
avere. Si può avere di fatti, consistendo la prima nella risoluzione nello
spirito della realtà universale, e l'altra nella risoluzione in esso di un
aspetto particolare della realtà universale. Dove è. chiaro che la
realtà universale viene abbassata a oggetto e che la filosofìa
si concepisce ancora al vecchio modo intellettualistico. La soluzione
non molto rigorosa del problema ha avuto le sue necessarie conseguenze
nella scelta dei criteri seguiti per determinare i principi fondamentali del1
economia. La filosofia come scienza della realtà universale è rimasta un
presupposto di fronte all’economia che è scienza di un particolare aspetto
di quella realtà, sì che la ricostruzione filosofica dell'economia è
stala intesa nel senso di ricondurre ì principi scientifici
alle categorie filosofiche. E Rocca ha potuto perciò avvicinarsi
all’economia dall'esterno c tradurre i principi scientifici in termini
altualisticì, senza preoccuparsi troppo della fecondità di un tale
procedimento, destinata a esaurirsi in una zona di confine tra la scienza
c la filosofìa, intese al vecchio modo. Concepito in tal guisa il
problema, la prima preoccupazione di Rocca è stata quella di
individuare il principio primo della scienza economica, e l’individuazione
naturalmente e stata da lui cercata non sul terreno storico dell’origine c
dello sviluppo della economia, bensì sul terreno filosofico della dialettica
dello spirito. L a priori è stalo inteso non nell’attualità
dell’esperienza scientifica, ma come la determinazione prescientifica del
principio della scienza. E il principio è diventato allora un momento
assoluto della dialettica dello spirito, astoricamente concepito. «Ma»,
dice infatti il La Rocca, parlando del rapporto tra economia ed etica, «
se per quel che riguarda la sua legittimità filosofica esso si identifica
perfettamente col principio dell’eticità, non si deve concludere insieme,
che non possa avere un suo oggetto speciale c inconfondìbile pur
sulla base della sua realtà etica. Es90 può ben affermare un suo originale
compito: quello della spiritualizzazione-materializzazione,
deH’acquisizione-alienazione, della valorizzazione-degradazione, il quale non
è certo il compito della eticità che, se lien l’occhio al primo
termine, non lo tiene, nello stesso tempo, ad entrambi. Tale procedimento
dialettico non si limila alla determinazione del principio primo, ma si estende
a tutti i concetti tradizionali della scienza economica, e Rocca tenta di
dedurre apeculativamente anche i termini di produzione, circolazione,
distribuzione e consumo; e finisce infine con l’idealizzare la figura dell
imprenditore identificandolo addirittura con il soggetto economico. Ma per
quanta fede e calore l’Autore ponga in siffatta ricostruzione, l’astrattezza
del procedimento non può non colpire l’attento lettore, che vede, pur
attraverso l’esigenza giustissima di cui il La Rocca è tra i primi
sostenitori, il grave pericolo di un ritorno all’hegelismo o al
filosofismo antiscientifico. Ho voluto insistere più sul lato negativo che
su quello positivo del libro del T,a Rocca — che pur è ricco di belle
pagine e di acutissime critiche — perché ritengo necessario e urgente
sgombrare nettamente il campo di tutti quei preconcetti filosofici e
scientifici ohe non consentono ancora di giungere all’assoluta convinzione
di un’unica forma del sapere e alla conseguente ricostruzione storicistica
della scienza. L idealismo attuale ha dato il colpo di grazia al concetto
intellettualistico di categoria, che è vano voler fare risorgere comunque
in una malintesa determinazione di principi assoluti. I principi di tutte le
scienze non possono che ricercarsi sul terreno concreto dell esperienza
stosebbene egli siTuìa^ Rocca ’ w problemi filosofie-; narnn •of.ro « MMh> (atelier,„ (1 ]i
M "r iivemlno^ne 0110 mente sinonimi. — lv enlano necessariad 1'~
» '•*.Srrjiar * »In un articolo, Verso l’economia corporativa, Nuovi
studi: La critica dell’economia liberale, Milano, Treves) ebbi occasione di
occuparmi di Tonelli e di accennare agli errori metodologici delle sue
teorie di politica economica. Esemplificando in una nota, scrivevo. Rinviando
la critica della concezione ebe il de Pietri Tonelli ha della scienza
della politica economica a quando sarà pubblicato il trattato che I A.
annunzia, ci limitiamo qui, in via d’esempio, a riferire una delle presunte
leggi della nuova disciplina. Nella prolusione citata {Di una scienza
della politica, in Rivista di politica economica, fase. 1) si afferma
perentoriamente che « gli impulsi non si possono creare, né distruggere «,
che, « se gli impulsi esistono, si trovano in proporzioni diverse in tutti
gli uomini, dello stesso tempo e di tempi diversi )), ecc. Non ci
meraviglieremmo se tutto ciò, prima o poi, fosse tradotto in termini
matematici e additato come una delle eipiesaioni della scienza più pura ;
ma la facilità che cobi bì dimostra di trasportare sul terreno scientifico
i termini più empirici e indeterminati non può non rendere diffidenti
contro le leggi dell'economia razionale. La mentalità è sempre la
stessa, e cioè — piaccia o non piaccia l'aggettivo essenzialmente
dogmatica, come potrebhe riconoscere anche Tonelli, qualora provasse a
domandare a uno studioso di psicologia e se Raffermare che gli impulsi non
si creano né si distruggono possa avere un qualsiasi significato men che banale.
Come risposta a questa critica il de' Pietri Tonelli non ha trovato di
meglio che recensire con troppo evidente acrimonia il volume in cui
Particolo è stato riprodotto (Rivista di politica economica, Ma a
una recensione che si limita a una filza di improperi non è il caso
di ribattere : la polemica diventerebbe personalistica e quindi estranea ai
fini di una discussione scientifica. Sarà piuttosto opportuno prendere in esame
quel trattato che allora Tonelli ci annunciava e di cui recentemente è apparso
il primo volume (Corso di politica economico, Introduzione, Padova, Cedam. Purtroppo
le previsioni contenute nella mia nota sono state confermate dalla realtà,
e sarà sufficiente qualche assaggio perché chiunque voglia giudicare con
animo sereno se ne possa convincere. Dopo aver discusso in generale
dell'oggetto della politica economica, 1\A. determina gli elementi
fondamentali dello studio. « Per limitare », egli scrive, « o meglio, per
delimitare, il campo della ricerca politica che ci interessa e metterlo
alla portata della mente dello studioso, si può cominciare con lo
sceverare e considerare, in sé, e nelle loro reciproche relazioni, tre
elementi fondamentali della realtà sociale, cioè della vita delle cerehie
sociali. Insieme coi fatti di natura, questi clementi formano la vita
deU’universo. Tali elementi sono precisamente: 1) gli impulsi, che
indicheremo con I, cioè i moventi, o le determinanti, o gli
stimoli, ecc., quali i bisogni, i sentimenti, gli interessi,
le passioni, il raziocinio, ecc., assai vari e che si conviene debbano
effettivamente esistere e operare, per indurre gli uomini ad agire e ad
esprimersi ; 2) gli atti, che indicheremo con A, cioè le azioni,
di diversa specie, a cui si ritengono indotti gli uomini, soprattutto
dagli I; 3) le espressioni, che indicheremo con E, cioè le manifestazioni di
linguaggi, gestiti, verbali e scritti, riguardanti appunto gli I e gli A. Tutta
la costruzione del sistema è impostata su questa tripartizione della
realtà sociale, sì che convien fermarsi al limitare e domandarsi
quale sia il carattere e la validità scientifica di tali presupposti. È
chiaro che una distinzione fra impulsi, atti ed espressioni non può avere
valore sistematico se non si giustifica alla luce di tm criterio
scientifico, ed è chiaro che un tale criterio non può trovarsi se non nella
disciplina che si occupa ex professa di tali fenomeni. La distinzione, in
altri termini, ha bisogno di una giustificazione logica che le venga dalla
psicologia: ogni allra giustificazione sarebbe di carattere empirico e però
irrilevante ai fini di un sistema scientifico. Ma, intanto, dal punto di
vista psicologico, nessuno potrebbe dare un qualsiasi valore a quella
distinzione, affatto arbitraria aia per la scelta degli elementi, sia per
la loro definizione, sia per l’interferenza dei rispettivi campi, bolo chi
non ha alcuna dimestichezza con questi studi può illudersi di dare un
significato critico a termini così radicalmente antiscientifici. . Si
P° lr ehbe, a questo punto, porre una pregiudisiale perentoria a tutto il
sistema escogitato da Tonelli e chieder conto di tali presupposti, esihiti
senza alcuna garanzia della loro legittimità. Ma noi vogliamo far credito
all’À. e ammettere che si possa accettare, su un terreno meramente astratto,
una classificazione ottenuta con un gros¬olano senso comune. Se non che,
riconosciuto nel senso connine o nell’opinione il fondamento
della distinzione, è possibile pervenire da essa a risultati che
trascendano la sfera del senso comune e dell’opinione? In altri termini,
se la distinzione ha carattere empirico, può da essa ricavarsi una
qualsiasi conclusione non empirica? La risposta non dovrebbe esser dubbia, e il
lettore dovrebbe aspettarsi che nel resto del volume si continuasse a discutere
mantenendosi sullo stesso terreno sul quale poggiano gli elementi
fondamentali. Ma le cose, purtroppo, procedono ben diversamente,
perché, appena esposta la distinzione delle tre classi, le classi
stesse vengono ipostatizzate e si comincia a giuncare con esse come con
quantità esattamente definite. Le tre classi a loro volta si
suddistinguono m classi minori, in cui l’arbitrio della definizione e
sempre più palese, ma nelle quali la rigidità del metodo appare via via
più dogmatica. La molteplìcita delle classi acquista corpulenza numerica, e
tra lettere e numeri si trova subito il materiale per
una trasformazione in termini matematici. Dopo poche pagine le
grossolane definizioni si sono cangiate in entità aritmetiche c dalla
penna tecnicamente formidabile del de Pietri Tonelli cominciano
a scaturire le formule algebriche. Per chi volesse delibare la bontà del
metodo riportiamo il seguente periodo: « Così ad es., in 5a la ed Iy
possono, negli individui e quindi nelle C. accentuarsi, palesando individui e C
materialistici; in 82, Ix ed le possono, negli individui e quindi nelle C,
accentuarsi palesando individui c C spiritualistici; in II 2, Ih ed
le possono, negli individui c quindi nelle C, accentuarsi, palesando individui
e C aperti alle novità nel campo spirituale; in 122, Ih ed Iy
possono, negli individui e quindi nelle C, accentuarsi, palesando
individui e C aperti alle novità nel campo pratico; in 22, la ed Ih
possono, negli individui e quindi nelle C, accentuarsi palesando individui
e C inclini a rinnovarsi nel loro interesse, poiché coloro i quali hanno
lai,2 ed Ib son coloro che vogliono salire nel campo economico e in quello
politico e son disposti alle mutazioni necessarie » (pp. 39 Son cose che
farebbero sorridere ironicamente, se poi non atterrissero con la conseguenza
di duecento pagine irte delle più complicate formule matematiche,
sotto le cui lettere e i cui numeri si celano le elucubrazioni
psicologiche e sociologiche del professore di Tonelli, ad ineffabile
gaudio dei suoi studenti. Non è il caso, naturalmente, di dimostrare
ciò che ha solo bisogno di esemplificazione: casi simili di
aberrazione scientifica si spiegano solo con motivi di carattere patologico che
fanno smarrire ogni contatto con la realtà e con quello stesso buon senso
con cui la imitazione vorrebbe iniziarsi. E tanto più grave diventa la
sensazione del patologico, quanto più l’A. insiste sul carattere obiettivo
delle sue ricerche, facendo amene riserve sulla loro attendibilità. Come
non rimanere addirittura sconcertati leggendo, dopo non poche costruzioni matematiche
relative agli impulsi, che « ancora non sappiamo se gli I siano una nostra
astrazione, per coprire la nostra ignoranza, non esistendo di fatto
che gli A; ovvero se gli 1 siano effettivamente una realtà finora
poco o nulla conosciuta? Le constatazioni ora fatte a proposito del saggio del
de 1 Tonelli non vogliono limitarsi a un caso particolare, ma dal caso
particolare, in cui l’assurdità giunge alla massima evidenza, debbono
estendersi un po’ a tutti i tentativi di mateinatizzare i fenomeni sociali e
alla stessa economia matematica quale è comunemente intesa. L’unione
della psicologia e della sociologìa con il metodo matematico è una delle
espressioni più gravi della mentalità antiscientifica che domina nel campo
delle scienze sociali: e non è ormai lecito ritenere comunque valido uno
solo dei tentativi compiuti in tal senso. Il che, si badi bene, non è
dovuto a una impossibilità costitutiva di applicare la matematica
a siffatti fenomeni, bensì all’incapacità di ridurre a unità
matematiche ì fenomeni stessi. E l’incapacità si spiega eoi fatto che, se gli
studiosi i quali si cimentano nell’impresa hanno una
preparazione matematica sufficiente, non hanno poi alcuna preparazione
scientifica alla intelligenza dei fenomeni psicologici e non si sono resi conto
delle critiche mosse alla sociologia dalla speculazione moderna. Sì
che, assumendo a fondamento delle proprie ricerche concetti scelti e definiti
arbitrariamente, scambiano l’oggettivo col soggettivo, il determinato con l’indeterminato,
e matematizzano indifferentemente tutto, senza preoccuparsi di
raggiungere l’effettiva quantificazione degli elementi posti nelle loro
formule. L’errore del procedimento appare con maggiore evidenza nel campo
delle ricerche sociologiche, dove l’ncongruenza stessa delle conclusioni
basta a far giustizia dell inutile fatica degli studiosi che tuttora
vi insistono. Ma purtroppo nel campo della cosiddetta economia matematica
l’illusione è più saldamente radicata e le conseguenze
dell’errore, meno manifeste, sono e diventano sempre più pericolose.
Siccome a nessuno può venire in niente di negare l’opportunità e la
necessità di servirsi della matematica nella analisi dei fenomeni
economici, il senso del limite si smarrisce agevolmente e messici per quella
china si sdrucciola a poco a poco dalla matematica utile all’economia
all’economia matematica, che è la negazione dell’economia. Per comprendere
la differenza che passa tra l’uso lecito della matematica nel campo delle
scienze economiche e la cosiddetta economia matematica, è necessario
distinguere la matematica come mezzo di ricerca dalla matematica come
sistema in cui le ricerche vanno composte e fissate una volta per
sempre. Ora, la validità del primo criterio non dimostra affatto la
legittimità del secondo, che è fatalmente destinato a fallire. La matematica
come sistema, infatti, implica la necessità di quantificare non solo
i fatti economici, ma anche la ragione di tali fatti; e il processo di
oggettivazione, perciò, investe illecitamente il mondo della
soggettività. Basta riflettere un poco sui risultati dell’economia
matematica di Pareto per accorgersi delle mostruose conseguenze cui dà luogo
rillegittimo bisogno di presupporre quantificato o comunque quantificabile
ciò che condiziona lo stesso processo di quantificazione. Perché gli
economisti possano una buona volta uscire dal vicolo cieco in cui
si sono andati a ficcare, occorre che si decidano ad abbandonare la
loro psicologia da dilettanti e a distinguere nettamente il fatto dall’atto,
vale a dire ciò che è necessario considerare in veste di numero e ciò
che del numero è condizione. Allora finalmente si accorgeranno che l’economia
matematica non è possibile, per il semplice fatto che il numero è
nella vita, ma la vita non può essere numero. Per chi lavora, desideroso
soltanto di allargare gli orizzonti e di aver la certezza di andare innanzi nel
cammino della scienza, vi sono dei dissensi che hanno perfino maggior valore
dei consensi. E sono i dissensi dei cattedratici, che, allarmati e disorientati
dai colpi inferti agli schemi tradizionali della loro scienza, scendono in
campo uno dopo l’altro a difendere il loro regno pericolante, non senza
gratificare di burbanzose parole chi osa ficcarvi lo sguardo un po’ a
fondo. Ne vengon fuori delle confutazioni, le quali, o raggiungono 1 effetto
contrario per la inadeguatezza dei vecchi criteri di giudizio
relativamente alle nuove teorie da combattere, o addirittura sbagliano il
bersaglio per la mancanza di quel tanto di buona volontà che occorrerebbe per
scorgerlo davvero, e per la fretta di liberarsi di qualcosa che
inconsciamente s intuisce come un grave pericolo. Effetto contrario, dico, in
quanto tali critiche finiscono col fare insuperbire chi ne è oggetto e col far
trascurare, in conseguenza, anche ciò che di valido può essere al
fondo di siffatte negazioni globali e violente. 0 come non insuperbire,
infatti, considerando lo sforzo compiuto da Contento ’) attraverso ima
quarantina di pagine dedicate a difendere P homo œconomicus dalle, mie
critiche.' 1 Come non insuperbire di fronte a tanta ingenuità di
argomenti e a tanta incomprensione della mia tesi? Ma è un malinconico
insuperbire, come quello di cbi pur vorrebbe convincere e far sì che
la propria certezza, sempre più consapevole e salda, diventasse la
certezza degli altri. Il che purtroppo non è neppur da sperare di fronte a
chi troppo evidentemente è su una strada affatto diversa e parla un
linguaggio che non consente la discussione. La risposta non può avere
valore che per i terzi, vale a dire per quelli che, affacciandosi più
spregiudicatamente alla questione, sono in grado di vedere obbiettivamente
e di fare quello sforzo di buona volontà che è indispensabile per
comprendere ciò che si vuol giudicare. Prendendo lo spunto da quanto
affermarono Alfredo Rocco e Filippo Carli nel congresso
della Associazione Nazionalista del 1914, che non vè « forse
un’azione economica che l’uomo compia sotto la spinta del puro interesse
economico, cioè sotto l’impero del principio edonistico », il Contento
giustamente fa osservare che Vhomo cecarwmicini è una astrazione scientifica
per nulla compromessa dall’affermazione dei nazionalisti, con la quale non
si può non concordale. Dal punto di vista scientifico una sola cosa importa ed
è la preciJ ) Albo Contento, Dilesa dell'ut homo œconomicus. L'homo œconomicus
» nello STATO CORPORATIVO, in « Ginnialo degli economisti. sazione del
concetto di homo cecanomicus : precisazione alla quale 1 A. vuole addivenire
dopo aver convenuto con me che « molta dell'incertezza che domina
nello svolgimento e nelle conclusioni della scienza economica, derivi da
una mancata definizione di quel postulato, cui si assegnano valore e limiti più
o meno diversi. Senonché raccordo si arresta a questa constatazione, dopo la
quale le vie divengono sempre più divergenti, per non incontrarsi mai
più. E, per cominciare, il Contento attribuisce anche a me la mancata
precisazione del concetto, quasi che fosse possibile precisare ciò
che si nega in quanto imprecisabile. Io ho affermato che l’uomo
osconnmicus non può valere come ipotesi scientifica, perché è un termine
scientificamente tutt altro che rigoroso e determinato: chi pensa il
contrario ha il dovere di mostrare la possibilità di ima definizione
valida, ma non può pretenderla da me. Alla definizione, per conto
suo, si è accinto Contento, eliminando in via preliminare i
comuni concetti di egoismo, edonismo e utilitarismo. Questi concetti non
sono adatti a caratterizzare l'homo œconomicus ed è stato un errore degli
economisti aver fatto implicitamente o esplicitamente una tale confusione.
La dimostrazione che ne dà l’A. non appare, in verità, gran che
persuasiva, fondata cont essa è sulle definizioni dei vocabolari di Zingarelli
e di Tramatter: comunque possiamo dare per buona la conclusione e passare all'analisi del
concetto che si vuol sostituire a quelli ritenuti errati. Richiamandoci al
pensiero, scrive Contento, di quelli che fecero dell’fi. ne. il
postulato fondamentale, o la base di tutto l’edificio scientifico, può
dirsi deva intendersi, con tale designazione. 1 individuo immaginato nella sua
pura condotta economico, la quale, nei moventi e nei fini, si ritiene
informata, generalmente, ad un tipo uniforme corrispondente alla ricerca della
massima soddisfazione col minimo di sforzo cioè all'applicazione integrale
del principio del minimo mezzo. Si comprende bene come dopo questa definizione
l’A. non sappia giustificare la critica che si fa dell 5 *. ck., né sappia
vedere alcuna incompatibilità tra Vh. 03. e la concezione corporativa
dell’economia. Un individuo che cerchi di seguire il principio del minimo mezzo
non solo è perfettamente a posto qualunque sia l’ambiente politico in
cui vive, ma è anche Punico individuo concepibile nella sfera della
normalità. Il che riconosce esplicitamente lo stesso Contento quando afferma: «
Ogni uomo vivente tende a comportarsi da h. ce., cioè misurando la
convenienza dei mezzi al fine, non pure nel rampo stoltamente economico,
ma in ogni campo della sua esistenza, e affermiamo che, se così non fosse,
se ognuno non cercasse di condursi, sempre, seguendo il principio della
economicità, danneggerebbe, alla fine, non pure se stesso, ma
la società tutta intera. Chi così non facesse, sistematicamente, darcbhe
prova non tanto di non essere un egoista, quanto di essere... un
incosciente! E allora? Relegate nella sfera delFincoscienza le azioni non
subordinate alla legge del minimo mezzo, l’uomo è sempre Vh. ce. non
pure nel campo stoltamente economico, ma in ogni campo della sua esistenza
[enfasi mio], né resta dunque modo di distinguere mediante tale principio
le azioni economiche dalle non economiche. Il presupposto fondamentale
della scienza economica si dissolve in una vuota generalità e la fictio
del1 h. ce. si rivela ancora una volta assolutamente inadatta a servire da ipotesi
scientifica. Ex ore tuo iudico te: e non v’è bisogno di aggiungere altro
alla confutazione che Contento ha fatto involontariamente della sua
definizione. Inutile dire che con ciò stesso viene a mancare ogni ragion
d’essere alla critica mossa a Rocco e a Carli — con la quale pur
avevamo convenutotendente a mostrare il carattere astratto dcll’ft. re.:
se Yh. re. è colui che segue il principio del minimo mezzo, h. re. è
l’individuo concreto nella pienezza della sua realtà, in ogni
momento. Dato un concetto così anodino di li. re., si comprende come
Contento non sappia spiegarsi il suo necessario collegamento col
liberalismo politico. Qualunque sia la concezione politica dell’economista,
l’astrazione dell’/i. re. resta nella sua assoluta integrità, perché
rispondente a un rapporto di mezzo a fine che non muta per il mutare del
fine. V’è Yh. re. nel regime liberale, come in quello autocratico come nel
democratico, e Yh. re. adatterà la sua condotta all’ambiente in cui vive
seguendo tuttavia in ogni caso il principio della economicità. Di qui
scaturisce la seconda accusa che Contento muove alle mie affermazioni circa
l’intervento dello Stalo e il rapporto Ira individuo e Stalo.
Per l’A. esistono due modi d’intendere lo Stato e, in particolare, lo
Stato corporativo. « Secondo alcuni, die partono dal vecchio e normale
concetto dello Stato, quale ente rappresentativo degli interessi generali
dei cittadini, creato come organo ad essi superiore, la figura dello STATO
CORPORATIVO è una concezione che evitando i mali dello stretto individualismo,
o liberalismo, come quelli del completo statalismo, riunisce di tali principi i
vantaggi, creando nuove forme d'organizzazione politico-economica, nelle quali
le varie categorie ed i vari ed opposti interessi sociali si riuniscono e con
temperano, consentendo al progresso della vita civile un più armonico
e intenso sviluppo. Secondo alcun altTo. come, e specialmente, lo Spirito,
la differenza consisterebbe in ciò, che la nuova forma, non pure avvicina e unisce,
ma chiaramente accomuna e immedesima Stato e cittadino, in modo da renderli
un unico ente Alle due diverse teorie il Contento fa seguire i
seguenti perentori giudizi. La seconda delle ricordate concezioni è, a nostro
avviso, inconsistente per lo Stato corporativo, come per ogni altro Stato.
Se pur corrispondesse alla realtà, e sarebbe, evidentemente, per qualunque
Stato, ciò avrebbe importanza dall aspetto filosofico, più che
economico. La prima invece, fondamentalmente vera, parte da un presupposto
errato, quale quello della semplice condotta negativa dello Stato nella
organizzazione liberale. E Contento continua mostrando come anche lo Stato
liberale sia sempre intervenuto, in misura maggiore o minore, nell’economia
della nazione e abbia quindi influito sulle economie individuali. Con l’ECONOMIA
CORPORATIVA non si è mutato il problema, e l’intervento dello Stato è
rimasto sostanzialmente della stessa natura. L’unica questione viva è
quella dei limiti di tale intervento, e i limiti sono stati certamente
spostati, richiedendo nìf individuo una limitazione più ampio alla sua
condona economica. Ld ecco come 1"A. può concliiudere ripetendo
ancora una volta la concezione dello Stato contrattualista-liberale per
cui questo, pur frenando l’arbitrio individuale », concede all’uomo
({il massimo di libertà compatibile in lina civile convivenza. Ma, intanto,
scartata come meramente filosofica (che cosa mai Contento intenderà per
filosofia?) la teoria dell’identità di individuo e Stato, mito il
ragionamento ha preso altra direzione e la mia tesi, che pur si voleva
confutare, non è stata neppure sfiorata. Io volevo contrapporre Stato
liberale e Stato corporativo in quanto il primo è concepito come Stato limite
delle libertà individuali e il secondo invece come Stato potenziatore
delle libertà stesse: volevo contrapporre al dualismo di individuo e
Stato, e alla conseguente distinzione di economia individuale ed economia
statale, l'unità dei due termini e la negazione dell economia
individualisticamente concepita: volevo insomma negare, insieme alla vecchia
concezione economicopolitica dello stato, quel concetto di homo œconomicus che
il Contento si affanna a difendere. Ma la risposta dell'A. lascia
assolutamente impregiudicala la questione, perché gira, senza
affrontarlo, proprio il principio fondamentale della mia critica, vale a
dire quello che dà significato e valore a tutte le particolari
conseguenze. Quell’ individuo che vive nello Stato senza essere lo Stato e
che perciò può venir limitato nella sua lihertà dallo Stato stesso;
quell'individuo che ha finì propri, realtà propria e diversa, sia pure
in parte, dall’organismo di cui è espressione; quel1 individuo è appunto
l’esponente del liberalismo politico e del liberalismo economico, in netta antitesi
col corporativismo come è stato da me teorizzato. Quell’individuo si è
scientificamente dimostrato irreale, e con lui è venuto a
mancare ogni fondamento alla ficiio dell’homo œconomicus di cui è il
presupposto necessario. Non avendo inteso né avendo comunque analizzato questa
negazione perentoria, Contento è rimasto anche lui sulle orme del vecchio
liberalismo, precludendosi la via a ogni comprensione del significato
rivoluzionario della concezione politica del fascismo e del
corporativismo. Al quale proposito il Contento crede di scoprirmi in
grossolana contraddizione, quando io, pur avendo riconosciuto proprio di
ogni Stato il carattere dì immanenza all’individuo, affermo esplicitamente
che solo l’ECONOMIA CORPORATIVA pttò dirsi sul serio scientifica.
Confermato così, anche su questo punto, dice infatti l’A.,
il carattere di congiunzione, o di derivazione, dello Stato
corporativo da quello liberale, non possiamo spiegarci come lo Spirito,
che asserisce non potersi separare, nel campo economico, la concezione
della vita dello Stato da quella delle economie individuali, dato che lo
Sialo interviene sempre in queste, sostenga poi che soltanto l’ECONOMIA
CORPORATIVA sia degna del titolo di scientifica, scrivendo; « che lo Stato
sia costitutivo essenziale della vita individuale non è verità che
s’instauri col regime corporativo, né è limitata alla vita politica
dell’Italia di oggi: ma mai come nell’Italia di oggi questa verità è slata
esplicitamente affermata, inai si è concepita la vita economica nazionale
come una unità così saldamente organica ». — 11 semplicismo di questa
conclusione è troppo evidente per dovervi insistere. — Sarebbe come dire che
soltanto quello e degno del nome di inverno, perché mai come allora ci si
accorse del freddo !). Ma semplicistica, a ver dire, è la osservazione del
Contento ed egli stesso dovrà convenirne se rifletterà sul senso preciso delle
mie parole. Che la concezione copernicana del mondo sia la sola
scientifica non vuol dire che prima di Copernico il mondo fosse governato
da altre leggi; allo stesso modo con l’economia corporativa, o, per essere
più esatti, con l’economia che riconosce l'identità di individuo e Stato
(il corporativismo essendo solo l’espressione teoricamente realizzantesi
di questa identità), si giunge alla consapevolezza della vera realtà dello
Stato e ci si pone in grado di eliminare quegli errori teorici e pratici
che ostacolavano la libera affermazione deH’individuo. Tra la libertà del
liberalismo e quella del corporativismo bene inteso, v’è appunto la stessa
differenza che passa tra Vhomo mconomicus e l’individuo visto nella sua
identità con lo stato. RIFORMISMO 0 RIVOLUZIONE SCIENTIFICA? In un
recente articolo (1/economia corporativa, l’individuo, lo Stato e una polemica,
in Politica Sociale, FoveI cerca di chiarire in qual senso egli consente e
in qual senso dissente dalle tesi da me sostenute. E conclude con questa
pagina che è opportuno trascrivere per intero: « Identificazione ideale,
dunque, fra individuo e Stato. D’accordo. Ma per quale via? Qui si
affaccia la terza cosa, che si deve dire allo Spirito. Essa è che, se la
sua posizione del problema è perfetta, la soluzione che egli ne dà è, dal
punto di vista della scienza economica, imperfetta. Dal punto di vista della
scienza economica, noti bene Io Spirito, e non già da un altro
diverso, per esempio, quello genericamente storico. Ma però, noti ancor
meglio lo Spirito, dal punto di vista della scienza economica toni
court. e non già di quella detta liberale. E dove sta Firnperfezione? Non
si può certo qui. nello scorcio di quest’articolo, già troppo lungo,
neanche delibare la questione. Indichiamo soltanto la grande direttivi! di
marcia. Eccola. Spirito tenta la idenlificuzione ideale dell'individuo e dello
Stato, risolvendoli entrambi in una terza nozione, che è la Nazione. Ora
ci chiediamo noi. forse, qui, se questo tentativo può, scientificamente,
riuscire? Ossia se la nozione di Nazione sia esprimibile in
termini quantitativi? No. Si può anche aggiungere che non siamo
troppo diffidenti in proposito. 0, almeno, non vi crediamo molto meno di
quello che crediamo all'esprimibilità quantitativa dell’individuo. Ci limitiamo
invece a dire clie, tentando questa via. Spirito tenta ab imis una nuova
scienza economica. E che noi invece pensiamo che la identificazione possa
avvenire, estendendo allo Stato lutti i dati formali dell’individuo (e
viceversa), cosi come oggi la scienza economica lo concepisce. E che, così
facendo, la identificazione voluta si realizza attraverso una espansione
energica, ma non eversiva, della scienza economica, quale oggi si
presenta. È un metodo. È un metodo anche questo — esso
consiste nell'innestare nuove teorìe sui vecchi principi rianalizzati e
rifecondati, e che chiameremo riformista — che ha i suoi vantaggi. E che,
tralasciando quelli teorici che ci trascinerebbero nel cuore
della questione, ha i vanlaggi pratici seguenti. Mettendosi per questa via
si potrebbe marciare, almeno per un bel tratto, fianco a fianco con altri
molti studiosi; quelli che anche in altri paesi pensiamo soprattutto alla
nuova scienza economica dinamica americana — lavorano a rinnovare e a
ricostruire, senza ripudiarla, la scienza economica accettata.
Si utilizzerebbero, agli effetti della penetrazione delle nuove
teorie nello spirito pubblico e sopratutto nelle élites, quei sedimenti, che la
tradizione sdentiliea forma sempre, ravvivandoli senza distruggerli. FoveI,
dunque, d’accordo con me con la tesi fondamentale di ricostruire la
scienza economica alla luce del principio della identificazione di individuo e
Stato, non erede che ciò debba farsi operando una vera rivoluzione
scientifica e propone un metodo riformista ebe concilii il nuovo col
vecchio e utilizzi i sedimenti della tradizione. Ora, lasciando da parte i
vantaggi pratici che sono e debbono essere fuori questione, bisogna riconoscere
che una scienza, qualunque essa sia, non può progredire che su se stessa,
svolgendo e perfezionando i principi che ne costituiscono
il fondamento. È questa una verità ormai lapalissiana, specialmente per
chi riconosce nello storicismo il carattere precipuo della nuova scienza.
Chi si proponesse a un bel tratto di arrestare il corso delle cose, e
ricominciare daccapo, dimostrerebbe per lo meno una grande ingenuità e
sarebbe costretto suo malgrado a smentire con i fatti la sua
pretesa verbalistica. Anzi, v’ha di più: a guardare bene a fondo,
ogni scienza coincide con la sua storia, e intenderla e perfezionarla non si
può senza intendere e continuare il suo processo di formazione. E
se questo avviene in generale per ogni scienza, tanto più deve verificarsi
per le scienze sociali e per leconomia politica in particolare: scienze in cui
l’aderenza alla vita storica è più immediata e palese e in cui le vicende
politiche sono più manifestamente condizioni del sorgere e dello svilupparsi di certi
problemi teorici. Né ad altro, in fondo, ha miralo lutto il lavoro eia me
compiuto, con cui ho cercato di porre in chiaro il delincarsi delle
nuove esigenze scientifiche alla luce de] processo storico che in
esse è sboccato trasvalutondosi. Ora, è chiaro che. se questo è il nostro
programma e il carattere fondamentale della nostra critica, porre il
dilemma se convenga meglio una revisione riformistica o un’opera
rivoluzionaria non può avere il significato che a] dilemma stesso si
da accennando all utilizzazione dei residui tradizionali. Nessun dubhio infatti
che tutto il passato vada utilizzato e inverato, e non superficialmente o
rapsodicamente, bensì nella sua realtà integrale e imprescindibile. Nessun
dubbio, dunque, che si debba trattare di riforma e non di negazione pura
e semplice di quanto è stato fatto nel campo di questi studi: di riforma,
e cioè di ulteriore processo che viva dell’esperienza già fatta e la
conduca a nuovi e più profondi risultati. Se non che c’è riforma e
riforma: quella che si svolge nel ritmo normale della vita di ogni giorno
e cambia il mondo quasi inavvertitamente ponendo pietra su pietra; e quella,
invece che segna un punto di arresto e di ripresa, perché nel
lento processo di trasformazione ci si accorge a un tratto che la via
presa non è proprio la più adatta e che, se non si vuol precipitare,
eonvien volgersi in altra e più giusta direzione. V’è, insomma, la
trasformazione ordinaria e quella straordinaria, senza che tra l’una e l’altra
ci sia iato o contraddizione, che anzi il lento modificarsi delle
condizioni crea a poco a poco mia nuova situazione, la
quale all’improvviso si svela ed esige un nuovo orientamento. Abbiamo
allora la rivoluzione, che non è, si comprende, neppur essa negazione,
bensì processo accelerato e rapido dissolvimento di tutto il negativo che
via via era andato affiorando. Una rivoluzione degna di questo nome non è
eversiva, non distrugge nulla che non sia già distrutto, ma
toglie via le macerie perché il lavoro proceda senza impedimento. e il nuovo
si affermi in tutta la sua pienezza di vita. A chi ci domandasse, a questo
punto, se nella revisione della scienza economica occorra oggi
una opera riformistica o rivoluzionaria, potremmo sicuramente rispondere,
senza timore di essere fraintesi. che la crisi di questa disciplina è giunta
ormai a un punto culminante e che vano sarebbe aver fiducia in
soluzioni non assolutamente radicali. Ma si deve, poi, aggiungere, che la
rivoluzione da noi auspicata acquista un carattere storico sui generis e
quasi in apparente contraddizione con quanto è stato fin qui detto. È una
rivoluzione, infatti, che nega, in un certo senso, la scienza economica
quale si è venuta svolgendo da due secoli a questa parte e che tende
a far riprendere il cammino ex nova, per vie finora non tracciate. Contraddizione
apparente, dico, perché anche qui la negazione non è sterile negazione, e
cioè annullamento di qualcosa che abbia una realtà positiva, bensì
riconoscimento esplicito dell’inesistenza di ciò che si nega. E quel che
si nega è addirittura la dignità di scienza airecnnomia costruita da
Smith in poi: si nega, in altri termini, che sia esistito
un economista capace di superare l’empiricità delle ricerche particolari
per assurgere a un sistema informato a un principio unico e organico; si nega
che la sistematicità dei più famosi trattati di economia sia più che
estrinseca e formale; si nega, infine, che ci sia un solo concetto
fondamentale dell’economia (valore, utile, bene economico, gusto, homo œconomicus,
libera concorrenza, ece.) cui si attribuisca un significato non
intimamente contradditorio. Si comprende bene come un’affermazione
così perentoria, così grave e paradossale, debba provocare il dissenso e
anzi lo sdegno di ehi, educato a questi studi, ha imparato a venerare come
sommi maestri Smith e Ricardo, Mill e Pareto; ma bisogna pure una
buona volta spezzare l’angusto cerchio in cui l’economista si chiude,
geloso del suo tecnicismo, e reinterpretare i classici alla luce
del loro tempo, dei loro presupposti speculativi e delle esigenze
loro fondamentali. Occorre, insomma, far scendere gli dèi dall’olimpo in
cui sono stati posti con scarsa consapevolezza storica e procurare
di giudicarli con criteri più larghi e comprensivi, senza farsi deviare
dall’esagerato rispetto di fame consolidate troppo esotericamente. Ma perché
questa opera dia i suoi frutti, è necessario pure che coloro i quali
sono urtati nelle loro convinzioni o nelle loro opinioni abbiano la forza
di considerare senza intolleranza i risultati che loro si offrono, e
soprattutto si dispongano a sceverare ciò che nelle loro convinzioni è
frutto di ricerca personale da ciò che vi si confonde come presupposto
acquisito e indiscutibile sol perché non discusso. Certo, agli occhi loro
deve apparir strano ed assurdo che si possa dubitare del valore scientifico di
una siffatta disciplina e che scrittori ritenuti classici nel senso più
alto della parola siano di punto in bianco riportati a una non aurea
mediocrità; ma essi debbono pur convenire che tutto è relativo e che con
un occhio solo si è re nel inondo dei ciechi, sì che chiudendosi nel mondo
dell'economia non v’è da meravigliarsi se diventino luminosissimi soli le
semplici lanterne del più vasto mondo della cultura. 0 che forse avrebbero
nozione della loro piccolezza i lillipuziani se non conoscessero altro che il
paese di Lilliput? Né, d’altra parte, è lecito pretendere che i giganti di
Lilliput siano presi sul serio fuori del loro regno. E 1’economia non è un
regno che possa vivere in una beata solitudine. Uno degli esempi
tipici del consolidarsi di una fama esageratamente superiore alla realtà
dei meriti effettvi è quello di Smith, il cosiddetto fondatore
dell’economia scientifica. Mezzo empirista e mezzo huonsensista, incline per
educazione alle vaghe ideologie, con troppa abbondanza coltivate nelle
sfumature di una etica inconsistente, lo Smith era certo la persona meno
adatta a dar forma scientifica a una disciplina come l’economia. >)
Vero è rbe ormai i migliori Ira gli storici dellVonomia mettono per lo meno in
dubbio tale qualifica, ma ciononostante Smith reeta sempre in altissimo
loro e in lulti i modi si certa di gontiare ciò che a Smith non appartiene o
ciò che, a lui appartenendo, non è certamente esempio di particolare
prolondilà. Tra labro Smith è diventalo il classico ohbligalorio per chi si
presento agli esami di concorso per l’insegnamento dell’economia
politica nelle scuole medie. A quale titolo? Sta di fatto che i candidali
non lo Studiano e gli esaminatori girano al largo. Evidentemente
ne gli uni nò gli altri riescono a entusiasmarli per una sì
grande □para. Non sarebbe tempo di finirle? Ma, intanto, se il suo
nome, per quel che rigirarti 1 etica, è stato completamente offuscato dai
colossi della speculazione, a cominciare dal suo maestro ed amico Hume,
Leu altra è stata la sorte della sua opera sulla ricchezza delle nazioni,
assurta, non certo per meriti superiori a quelli della sua etica, a pietra
miliare o addirittura iniziale della storia della scienza economica. E il
più strano è che tra le lodi più comunemente rivolte allo Smith
v’è appunto quella di aver sistemato in un organismo unitario ciò che
prima di lui era frammentario e disperso. Ora, se v’è cosa che salta
subito agli occhi a chi legga 1 opera di Smith, è proprio la sua radicale
incapacità a porre unità nelle sue considerazioni e a dare una qualsiasi veste
sistematica alle sue aprioristiche affermazioni da esscryist. Se poi
dall unità passiamo alle singole teorie, la stessa indeterminatezza di
limiti e di formulazione si rivela, anche là dove l’espressione verbale
sembrerebbe più categorica e decisiva; e da indeterminato a indeterminato, si
scende giù giù fino alla fine dell opera senza aver mai agio di poggiar su
un terreno di una qualche solidità. Comunque — valore sistematico a parte
— quale la parola nuova dettaci da Smith? Vano sarebbe cercare una
risposta nella sua opera, ma anche vano cercarla negli storici e negli
apologeti che ne hanno consacrato la fama. La letteratura intorno a Smith
è immensa, ma tutta fondamentalmente viziata dal pregiudizio di trovare ciò che
non c’è: nulla di strano dunque che ancor oggi si discuta se Smi ili abbia
seguito il metodo deduttivo ovvero quello induttivo, se la sua economia
sia conciliabile con la sua etica, se l’interesse personale Spunto faccia
a pugni con la simpatia, e via dicendo: restando sempre, come Fautore di cui si
discute, nel campo di un’economia a base di opinioni. Che se poi si
tenta di fare di Smith il teorico del liberalismo economico, lo si solleva, sì,
nel campo della storia, dandogli finalmente una fisionomia ben
determinata, ma si commette una grande ingiustizia verso i fisiocrati che
in modo ancor più perentorio e genuino erano giunti prima di lui alle
stesse conclusioni. Figura scialba e inconsistente, mentalità antiscientifica
c mnralisteggiante, Adamo Smith è tuttavia oggi onorato come il padre o
uno dei padri dell’economia: non è certo questa una grande garanzia per la
serietà di una scienza. Ma l’esempio di Smith non è un'eccezione nella
storia dell’economìa, che anzi il fatto che egli stia ancora a godere una
fama pressoché incontrastata è la dimostrazione più evidente del livello
speculativo al quale sono rimasti gli economisti posteriori. Sviluppatasi
sempre fuori o ai margini del movimento idealistico, l’economia politica
ha ricevuto a volta a volta l’impronta di filosofie di secondo ordine, rese
ancora più superficiali dal contatto con i fenomeni empirici presi a trattare.
Empiristi, storicisti, scettici, positivisti, sociologi, ideologi
dell’umanitarismo, e simili, si son conteso il campo, costringendo la
realtà viva dei fatti economici entro gli schematismi aprioristici di vieti
dogmatismi. E la realtà è stata svisata e resa irriconoscibile, ora in nome
della scienza, ora in nome di una astratta idealità sociale, senza mai
uscire dall'astratto che si postulava e senza mai accostarsi alla vita per
intenderla davvero e dominarla con una scienza che non fosse una
pseudoscienza. Non è qui il caso di continuare in una
esemplificazione che saia data in forma organica in altra sede: tanto più
che a questa conclusione non è opportuno arrestarsi considerando solo gli
economisti che hanno fatto la scienza, ché anzi dagli economisti convien
passare alla scienza per vedere se il lavoro di molti non ahhia potuto
compensare la mediocrità dei migliori. Al di là della consapevolezza dei
singoli. la scienza può venirsi costruendo in modo pressoché anonimo, col
lento fondersi e integrarsi dei contributi degli studiosi, e quella
concezione che non è stata mai chiara nella mente di ciascuno scienziato,
tutt’assorto nel suo lavoro particolare, potrchhe rivelarsi all’occhio
dello storico abituato a guardare dall’alto e a comprendere il
molteplice nell’unità. Ma purtroppo v’ha nella storia dell’economia un
vizio di origine che ha tolto finora a questa scienza la possibilità di
giungere a un organismo logico e non contradditorio. È un vizio sui generis, in
quanto più che infirmare la perfezione della scienza, ne ha addirittura
vietato la nascita: è un presupposto assolutamente negativo che
ha sbarrato il cammino prima che si avesse modo
di incamminarsi. Si è detto che si cercherebbe invano nella stoiia
dell economia un sistema informato a un principio unico e sistematico. Ma se
questo è vero in senso positivo non è altrettanto vero in senso negativo;
e a tutti è noto, infatti, come la storia dell’economia coincida in modo quasi
assoluto conla storia del liberalismo economico, anche se
questo, velato da un apparente obiettivismo scientifico, sia rimasto
celato agli occhi di molti economisti. Un principio informatore c’è stato,
dunque, e sistematica perciò deve essere stata la scienza che ad esso si è
attenuta. Il che è tanto evidente da non poter temere smentita,
soprattutto da parte di chi quel principio ha cercato e cerca di mettere
nella maggior luce possibile, ad esso riportando anche quelle conseguenze
teoriche che ai più non sembrano necessariamente connessevi. Ma il fatto è che
quel principio lungi dall’essere un principio costruttivo è meramente
negativo e distruttivo, sì che proprio ad esso si deve Timpossibilità in
cui l’economia si è trovata di assurgere a vera scienza. Per
intendere la negatività del principio è opportuno confrontare la storia
dell’economia con quella del diritto, dal secolo XVIII in poi. E il
confronto si rende necessario per il chiarimento di quel concetto di
individuo, che è alla base di tutte le scienze sociali quali si sono
svolte in questi ultimi due secoli. Presupposto, infatti, di queste scienze,
che, alimentate dalle ideologie illuministiche, hanno poi avuto il loro
massimo sviluppo col positivismo sociologico, è l’esistenza di un individuo
concepito come un microcosmo, un individuo, cioè, fine a se stesso, con
volontà autonoma, con libertà di arbitrio, e insomma come un mondo chiuso
in sé, col sacrosanto diritto di rimaner chiuso e di regnare indisturbato
entro la sua sfera d’azione. È il presupposto liberale, ormai superato da
una critica perentoria e inconfutabile, in nome di una libertà ben
altrimenti profonda e coerente. Ma intanto a quel presupposto bisogna risalire
per spiegarsi il valore e i limiti delle scienze sociali nella loro
attuale struttura. Ora, da una libertà intesa in senso atomistico è
chiaro che non può, a rigore, derivare alcuna scienza, se è vero che una
scienza è tale in quanto studia dei rapporti obiettivi. Una scienza sociale può
esistere solo a patto che la società costituisca un organismo e cioè
un’unità intelligibile. Ma quando si sostiene a priori che la vera unità è
l’individuo e che i rapporti sociali sono disciplinati al solo fine del
benessere individuale, l’oggetto della scienza si frantuma nella
molteplicità di individui, per definizione irrelati e
inconfrontabili. L’unica scienza che si salva è il diritto: e
il perché è evidente. Se la società si costituisce e vive non per un
fine sociale bensì per la salvaguardia dei fini individuali, l’unico
contenuto della società sarà la difesa dei diritti reciproci e Tunico
contenuto della scienza sociale sarà Io studio dei limiti delle sfere
individuali: il diritto. Sarà anche questa una concezione formale ed estrinseca
del diritto, inadeguata alle superiori esigenze oggi manifestatesi, ma intanto
è certo che un contenuto specifico e positivo la scienza del diritto lo ha pur
restando nell’ambito di una teoria prettamente individualistica. E un contenuto
positivo ha il diritto perché ha lo Stato cui propriamente quella funzione
compete, e che in tanto lia una realtà in quanto ha lo scopo di garentire le
sfere degli arbitri individuali. Si spiega, dunque, molto bene come
la scienza giuridica ahhia potuto tanto svilupparsi in questi ultimi
due secoli; e si spiega anche prescindendo dal fatto che al mondo giuridico si
sono affacciati scienziati e filosofi di ben altra forza speculativa che non
quella dei più illustri economisti. Si può dire anzi che nel diritto si
conchiude ed esaurisce teoricamente tutto il mondo sociale illuministicamente
inteso, senza alcun margine per altra scienza che non sia affatto
descrittiva. Trasportato questo stesso principio nel campo deH’economia,
esso si è necessariamente mutato in principio distruttore della scienza. E,
infatti, logicamente lasciata in disparte la realtà dello stato — realtà
affatto giuridica con l’esclusiva funzione di determinare i confini
interindividuali — o relegata in una particolare scienza detta
scienza delle finanze, l’economia ha ipostatizzato l’individuo, rendendolo
assolutamente irrelato attraverso l’astrazione dell’homo œconomicus. Ma
una volta fatta oggetto di scienza una molteplicità irrelata, nessuna
via era aperta per la determinazione di un qualsiasi rapporto entro la
stessa molteplicità. 0 l’homo œconomicus è veramente arbitro e allora
la relazione tra gli homines si potrà soltanto constatare a posteriori, o
la relazione è in qualche modo scientificamente determinabile e allora
l’arbitrio dell’individuo è negato. E la scienza economica per gran
parte è stata fedele al principio individualistico giungendo a conclusioni
meramente negative (libera concorrenza), e quando se ne è scostata è
caduta in una serie di contraddizioni che hanno rotto l’unità del sistema,
o ne sono rimaste al margine. Peggio è avvenuto quando l’economia,
raffinata metodologicamente e spinta da esigenze di maggiore sistematicità, ha
voluto togliere al proprio liberalismo la veste di mera ideologia
politica, traducendn il presupposto individualistico in termini di pura
scienza. Ne è venuta fuori la scuola psicologica e matematica, sboccata in quel
fuoco d’artitìzio cbe è la teoria dell’equilibrio economico generale. Non
è il caso di ripetere qui quanto si è detto altrove e ripetutamente di
questa scuola: basterà porre in rilievo l’antinomia irriducibile tra
l’esigenza di scientificità che l’ispira e l’impossibilità di soddisfarla
per la natura stessa del presupposto da cui muove. Tutta la storia
dell’economia è giunta al suo logico plinto di sbocco e ha segnato il
fallimento di una scienza costruita su una base illusoria. Alla debolezza
speculativa degli uomini si è aggiunta la contradditorietà del principio
informatore e l’economia ha invano tentato per due secoli di sollevarsi a
un grado veramente scientifico. La scienza dell economia è ancora una
speranza dell’avvenire. Ma cbe cosa è oggi, dunque, la scienza
della economia? Credo che migliore risposta non possa esservi di quella
data da Luigi Einaudi parlando della storia delle dottrine economiche, nelle
pagine riportate in questo volume. Per lui tale storia « dovrebbe
occuparsi solo di quelle che sono dottrine economiche proprie, ossia postulati,
assiomi, teoremi, corollari enunciati dagli economisti come tali e
non come filosofi, o politici, o religiosi, o industriali. Quei teoremi o
corollari non sono moltissimi e si chiamano prezzi di monopolio o di
concorrenza, o dei beni congiunti, costi comparati, distribuzione dei metalli
preziosi fra i diversi paesi del mondo, rendita del produttore, del
risparmiatore, del consumatore, equilibrio economico, equazione degli scambi,
rapporto fra moneta propriamente detta e surrogati della moneta, elasticità
delle curve di domanda e di offerta, traslazione e capitalizzazione
dell’imposta, doppia tassazione nella tassazione del risparmio, e simili
astruserie, fortunatamente noiose per la comune degli uomini e poco
appetitose per gli uomini storici, politici, pratici esercenti banca o
commercio o industria, sebbene atte a formare l’unica e suprema delizia
degli economisti di professione. Da qualche secolo gli economisti
faticano per costruire, in questo campo chiuso, un beH’edificio astratto
di teorie logiche e coerenti. Sono lontanissimi dalla meta e questa
non sarà mai raggiunta, perché ad ogni passo compiuto, nuove mete,
nuovi teoremi attraggono la loro attenzione. Per tanto tempo si erano
industriati a creare schemi astratti statici, rappresentazioni atte a
raffigurare un meccanismo in equilibrio in un dato momento. Disperavano,
per la imperfezione degli strumenti di ricerca da essi posseduti, di
riuscire mai a creare schemi atti a raffigurare il « movimento » da un
equilibrio a quello successivo ; ossia a trasformare i loro schemi astratti
relativi ad un momento del tempo in schemi pure astratti, ma relativi
al susseguirsi dei momenti del tempo. Da qualche anno si sono gettati su
questo terreno vergine e, nonostante la difficoltà dell’impresa,
non dobbiamo disperare che un giorno un uomo di genio, capitato a
prediligere la dinamica economica, abbia da dire qualcosa ai filosofi cd
ai politici che quei campi del movimento, ossia del reale e del vivo,
hanno sempre, a modo loro e giustamente a modo loro, coltivato. Per ora,
non sarebbe bene che noi confessassimo di non essere riusciti in tante
generazioni adorne di qualche uomo di genio e di molti ingegni di
prim’ordine, i quali avrebbero onorato, se ci si fossero dedicati, i più
illustri campi della matematica pura, della fisica, della chimica e delle
altre scienze, ad uscire dal regno del [Se, dell ipotetico, dell irreale?
Non per mancanza di buona volontà; ma per sordità della materia,
la quale appena ora si piega, in mano a sottilissimi statistici
armati di tutti i più penetranti strumenti del calcolo, a fornire qualche
pallidissima luce, per ora diffusa attraverso schemi astratti, intorno
al reale, che è vita e movimento. Confessione di fallimento, dunque,
e riduzione della scienza alla molteplicità di alcuni
postulati, teoremi e corollari. E questa è la parola di uno di quegli
economisti che, rifiutando la qualifica di liberali, credono ancora alla
saldezza scientifica di teoremi alla concezione liberale pur
intrinsecamente connessi. Vano sarebbe per lui fare una storia dell economia,
che fosse la storia di un principio della molteplicità delle sue
derivazioni. Soltanto alla molteplicità deve badare lo storico e
ricercare 1 atto di nascita dei vari teoremi che mette
conto d’illustrare. Al di là dei teoremi non c’è il sistema e tanto
meno la storia del sistema. E la scienza dunque non c’è se non come
giustapposizione di ricerche particolari. La diagnosi è precisa, ma non
altrettanto precisa ne è l’interpretazione. La scienza non c’è perché è fallito
quel principio liberistico che la negava nell atto stesso rEinformarla :
oggi non sono rimasti che gli scarsi frammenti (postulati, teoremi,
corollari) che vanno finalmente intesi e rifusi alla luce di un principio
ricostruttivo positivo. E, se è vero che il nuovo principio deve
rappresentare il superamento del vecchio, contrapponendo alla pura negatività
di un individuo irrelato la positività e la concretezza deiridentificazione di
individuo e Stato, non può trattarsi evidentemente di un
procedere sulla via già percorsa se non nel senso di riprendere il cammino
con la consapevolezza del fallimento avvenuto. Nulla di quanto si è fatto deve
essere negato: e nessuno potrebbe in buona fede cancellare i tanti
risultati raggiunti nella soluzione di particolari problemi (molti, se non
tutti, tra quelli citati d’Einaiidi, e altri ancora non meno importanti); ma
soli risultati limitati a fenomeni ridotti a termini matematici, o
illustrati da una sapiente statistica, o descrittivi di momenti storici
determinati: non sono la scienza, l’organismo, il sistema, in cui
la luce e sempre unica perché unico il principio c il fine. Quel che
si nega è appunto la scienza che non c’è, e non ci potrà essere fino a
quando non sarà compiuta quella rivoluzione scientifica di cui
fin qui si è discorso. Tra le tante critiche rivolte alla tesi della
identità di filosofia e scienza nell’applicazione fattane nei problemi
della scienza economica, meritano di essere considerate a parte quelle che
ci provengono dai cultori della filosofia. Curiosa posizione,
invero, la nostra, di fronte a scienziati, che loro malgrado sono
indotti a occuparsi, sia pure di sbieco, di filosofia, per rispondere alle
critiche di principio che loro moviamo; e di fronte a filosofi, costretti
a scivolare, con evidente senso di disagio, nel campo scientifico, per salvare
la filosofia da una presunta contaminazione. Curiosa, perché ci troviamo a
dover discutere con illustri scienziati, i quali, per evidente
inesperienza di studi filosofici, vengon fuori con ingenuità sconcertanti
e gettano un’ombra non lieve sulla stessa scienza che professano; e
con non meno illustri filosofi, i quali immaginano una scienza che
non esiste e con essa fanno i conti senza voler uscire dal guscio di
quella pseudo universalità di cui si ritengono depositari. E gli uni e gli
altri, naturalmente, ci combattono in relazione a quella filosofìa o a
quella scienza che non conoscono e concordano a priori nella conclusione
di ritenerci pseudofilosofi o pseudoscienziati. Ma non è colpa nostra
se, stando nel mezzo, ci punge il desiderio di sollevarci sulla reciproca
incomprensione di cui gli uni e gli altri danno prova, e di dimostrare
come quell’universalità cbe i filosofi difendono sia verbale e apparente e come
il rigore sistematico di cui gli scienziati sono orgogliosi abbia la
stessa consistenza delle affermazioni filosofiche che si lasciano
sfuggire. A noi non resta cbe invitare ancora una volta a porsi da questo più
comprensivo punto di vista, dal quale è possibile una visione precisa di
quel cbe siano la falsa filosofia e la falsa scienza. Armando
Carlinicomincia con l’avvertire, in linea di massima, cbe « bisogna
vincere il preconcetto, ancora molto diffuso, cbe ci siano dei principi da
riformare nelle scienze con criteri filosofici, per poi procedere alla riforma
di esse. I principi sono immanenti al lavorio scientifico, il quale
procede riformandosi da sé: l’enunciazione dei principi avviene dopo, non
prima. Se non che tale modo d’impostare il problema presuppone già un
dualismo dogmatico di scienza e filosofia che preclude inevitabilmente la
strada alla comprensione del nostro tentativo. Se principi scientifici e
criteri filosofici son cose diverse, se 1 enunciazione dei principi vien dopo,
se il lavorio scientifico procede riformandosi da sé, vuol dire cbe
la lesi dell’identità di scienza e filosofia resta fuori discussione
e che rammonimento va a coloro i quali 5 ) CIr. la sua recensione del mio
libro su Lo critica dell'econamia liberale, in Leonardo. mescolano una
scienza e una filosofia intese Alla vecchia maniera. Per conto nostro non
possiamo aver la pretesa di riformare i prìncipi delle scienze con criteri
filosofici perché non conosciamo criteri filosofici che non siano i principi
stessi delle scienze: ammettiamo che il lavorio scientifico proceda
riformandosi da sé per la semplice ragione che non conosciamo alcun altro
lavorio oltre lo scientifico: e infine non possiamo ammettere che l
enunciazione dei principi avvenga dopo per la stessa ragione per cui non
possiamo ammettere che avvenga piìma essendo i principi, come ben
osserva Carlini stesso, immanenti al lavorio scientifico. Ma il Carlini
non si arresta a queste osservazioni e riafferma il dualismo in modo ben più
perentorio. La vita, egli scrive, nella filosofia gentiliana è pura
spiritualità e personalità del soggetto: per lo scienziato, è nel divenire
storico della realtà eh egli studia, e a questa cerca di adeguare i
suoi concetti. La scienza, se non procede così, con questa mentalità, non
è più scienza. Introdurre nella scienza una questione morale (la
consapevolezza che quel mondo della scienza ha dei limiti, e che in noi è
una ragione di vita che lo supera) è distruggere il prohlema proprio dello
scienziato. Dove è da osservare che la vita del soggetto è appunto il
divenire storico della realtà ch’egli studia; che il mondo della scienza non ha
limiti, bensì li ha ogni scienza vista nella sua particolarità ;
e infine che lo scienziato, il quale non avesse la consapevolezza dei
limiti della sua particolare scienza, non sarebbe scienziato. Del
resto, il dualismo cui si arresta il Carlini è più un residuo di vecchie
teorie che non una precisa convinzione. Tanto è vero ch’egli ammette
la bontà dei miei saggi e la spiega « non con gli schemi
dellTntroduzione ma con quanto l’autore vi porta di conoscenza concreta
dei problemi dibattuti, e soprattutto con quel vivo senso della storicità di
questi problemi ch’è, nel campo della cultura in generale, specialmente per noi
italiani, una delle conquiste fondamentali dell’idealismo contemporaneo.
Ora, è chiaro che il senso della storicità dei problemi discussi è appunto la
consapevolezza dei limiti delle affermazioni scientifiche e sta a
dimostrare, in atto, l’identità di scienza e filosofia. Che poi
l’Tntroduzione si riduca a schemi irrilevanti ai fini delle affermazioni
scientifiche contenute negli altri saggi, è cosa per lo meno discutibile:
comunque ciò non denoterebbe la natura filosofica dellTntroduzione in contrasto
con la natura scientifica dei saggi, bensì lo scarso
valore filosofico e perciò lo scarso valore scientifico
della Introduzione stessa. In altri termini, in essa permarrebbe alcunché
di quell’astrattismo filosofico che noi ci proponiamo di combattere non
meno del correlativo astrattismo scientifico. Il dualismo di scienza
e filosofia è presupposto in modo ancor più perentorio da COLAMARINO (vedasi),
che ripetutamente ha voluto dimostrare ) G. Col A Marino, Scienze e
filosofìa, in Nuovi problemi; recensione, La eritrea della economia
liberale; Scienze sociali, filosofia e scienze economica, 1 autonomia
della scienza dando come unica legittima una scienza non filosofica e perciò a
lui. studioso di filosofia, affatto ignota. « Ma peggio sarebbe certamente »,
egli osserva, « se l’idealismo assoluto volesse entrare nel dominio della
scienza per migliorarla e renderla più rispondente alla vita — come
appunto sostiene il libro di cui parliamo. Non potendo la filosofia dettar
legge alla scienza. né costruirla come una finzione intellettuale che le
rimarrebbe sempre estranea, potrebbe accadere che, col concorso di circostanze
che non occorre specificare, l’invocato connubio tra scienza e filosofia,
segnasse in Italia l’inizio di un periodo di grande confusione, se non nel
mondo della cultura, per lo meno in quello della scuola (recensione cit.).
E qui, al solito, si parla di una filosofia che dovrebbe entrare nel mondo
della scienza, e di un connubio di scienza e filosofia, laddove
la tesi che con ciò si vuol combattere è quella di una scienza che è
filosofia e che filosoficamente progredisce correggendo i suoi principi. Non si
tratta di unire due mondi, bensì di riconoscerne l’identità. Al che
Colamarino, finché rimarrà sulla via intrapresa, non potrà certamente giungere
per l’inesperienza da lui dimostrata degli studi scientifici in genere e
deireconomia in ispecie. Chi dubitasse di questa mia affermazione non
avrebbe che a leggere le osservazioni che Colamarino fa sulla mia critica
di Pareto, e riflettere in particolare sul seguente passo, in cui si cerca di
svalutare il mio giudizio giudicandolo meramente filosofico.
Bisogna concludere perciò, egli scrive, « che di uno scienziato è troppo
vano e tardivo fare la critica filosofica, dopo che tale critica si è già
esercitata sulla forma del sapere scientifico, e che quella critica
è poi anche fuor di luogo se deve valere per gli scienziati. Se Pareto non
avesse scritto il Manuale, tutti i suoi libri pseudostorici e sociologici
non sarebbero valsi a ricordarlo agli scienziati, e quindi lo Spirito non
avrebbe sentito il bisogno di occuparsi di lui. Ora, parlare di Pareto,
come egli ha fatto, svalutando il Manuale, e concentrando tutto Tinteresse
sullo scetticismo sorto nell’animo paretiano nel vano tentativo di
combinare insieme la sociologia con l'economia, significa rimanere ai
margini dell’argomento, rinunciare a parlare di scienza per eccessivo
attaccamento alla filosofia. Se Colamarino avesse letto davvero Pareto
e si fosse reso conto delle mie critiche, non avrebbe certamente
scritto queste righe che sono la conferma decisiva dell’impossibilità in cui
egli si trova di discutere il problema dei rapporti tra filosofia ed
economia. Il Manuale ch’egli contrappone ai libri pseudostorici e sociologici è
proprio il saggio di Pareto in cui le ideologie sociologiche e
pseudofilosofiche prendono il sopravvento sulla scienza economica più aderente
alla tradizione rappresentata dal Cours, e mettono capo a leggi e
teoremi privi di qualsiasi rigore logico. Lungi dal rinunciare a parlare
di scienza per eccessivo attaccamento alla filosofia, io ho voluto dimostrare l’inconsistenza
scientifica della costruzione di Pareto dovuta al suo impelagarsi nella
filosofia (che è, s’intende bene, una cattiva filosofia). Se Colamarino ritiene
che scientificamente il Manuale rappresenti qualcosa di altro e di meglio
di ciò che è stato da me filosoficamente criticato, lo dimostri, e
si finisca ima buona volta dì contrapporre al mio Pareto un Pareto
scienziato che nessuno dà prova di conoscere e di saper difendere contro
un giudizio che ne investe i principi fondamentali. E qui mi occorre
di dare un consiglio ai contraddittori, filosofi o economisti, che siano, ma
soprattutto se economisti: non continuino a oppormi inutilmente vaghi
filosofemi e opinioni approssimative sulla possibilità o impossibilità del mio
assunto, ma cerchino di saggiare in concreto la validità deile critiche
particolari e dei criteri ricostruttivi. Allora soltanto la discussione potrà
riuscire feconda ed esser liberata da quel filosofismo di cui sono
purtroppo infetti i miei accusatori. Delle tante pagine che il Colamarinn mi ha
dedicate non interessano certo quelle che pongono una pregiudiziale filosofica:
non interessano e perciò non le discuto. Interessano invece, e vorrei quindi
discutere, le osservazioni circa i problemi concreti della scienza
economica, ma purtroppo di queste vi ha molta scarsezza negli articoli
citati. L’unico punto un po’ determinato è quello che concerne
l’ipotesi dell homo cp.canomic.ua, da Colamarino riproposta a
fondamento della scienza economica. Contro il Contento, ch’era della
stessa opinione, e che aveva definito l’homo œconomicus « l’inividuo immaginato
nella sua pura condotta economica, la quale, nei moventi e nei fini, si
ritiene informata, generalmente, ad un tipo uniforme corrispondente
alla ricerca della massima soddisfazione col minimo sforzo, cioè all’applicazione
integrale del principio lfi Suino del minimo sforzo », avevo opposto
che, se tale è l’ homo cp.conomicus. l’uomo è sempre economico, in
ogni campo della sua esistenza, perché sempre tende alla massima
soddisfazione col minimo sforzo, e che dunque la fictio dell’/i. ce. si rivela
ancora una volta assolutamente inadatta a servire da ipotesi scientifica.
Ora, su questo ragionamento, « impressionante nella sua semplicità », come
dice lo stesso Colamarino, si trova modo di
sofisticare distinguendone la validità scientifica da quella filosofica e concludendo
che il principio si estende, sì, a tutti i campi dell’attività umana, ma
acquista un particolare significato allorché si parla di economia
politica. « E qual’è, continua Colamarino, C( l’economicità sulla quale si
erge l’edificio della scienza economica? È indubbiamente l’attività
che sì esercita nella produzione, nello scambio, nel consumo dei beni
materiali, misurabili, trasferibili, o riducibili comunque a nozione
quantitativa. E l’homo œconnmicus non è altro che l’individuo che esercita
tale attività: individuo che non è certo l’Io della filo sofia e neppure
tutto l’individuo sociale (che allora la economia sarebbe tutta intera
la scienza sociale), ma che è appunto quell’astrazione, quella fictio
necessaria alla scienza dell’economia » (Scienze sociali ecc.). Ma con ciò
Colamarino conferma appunto che la definizione del Contento, e di tanti
altri prima, è errata, perché generica, e che il vero homo ceconomicus è invece
l’individuo che esercita la sua attività nella produzione, nello scambio,
nel consumo dei benimateriali, misurabili, trasferibili, o riducibili comunque
a nozione quantitativa. Filosofica o scientifica che fosse, la mia obiezione
era dunque valida e la definizione è stata cambiata. Che poi la nuova
formula non abbia, neppur essa, alcun valore scientifico, è cosa che dovrebbe
risultare abbastanza evidente dopo tante discussioni in proposito, ma non sono
alieno dal tornarvi su, se al Colamarino, o a qualche altro in sua vece,
venisse il desiderio di maggiori delucidazioni. Ciò che importa è di
discutere su questa piano, senza continuare a domandarsi se si tratti di
scienza ovvero di filosofia, e cercando, semplicemente, di ragionar
bene. À coronamento della sua grande opera di storia economica. Werner
Sonibart ha voluto compiere un tentativo di sistemazione scientifica
dei principi fondamentali dell’economia, e ha scritto un’opera (Die
drei Nationalókonomien, Miinchen und Leipzig, Duncher und Humhlot)
intenzionalmente rivoluzionaria, che non potrà non destare scandalo presso
tutti gli economisti convinti dell'assolutezza e infallibilità delle loro
leggi. Ai cattedratici ortodossi che si compiacciono della solidità di quel
corpo di dottrine economiche messo insieme dai classici e via via
perfezionato dagli scienziati puri pervenuti al rigore delle discipline
matematiche, il Somhart getta risolutamente in faccia l’accusa di radicale
incongruenza e di cieco dogmatismo. Lungi dal rappresentare una scienza
esatta, l’economia si trova oggi in una situazione disperata -verzweifelle
J.u&tand unserer Wissenschaft -che Somhart non teme di rappresentarsi
con le fosche tinte di uno spaventoso caos. Naturalmente il giudizio è
confortato dallanalisi dei motivi e dalla dimostrazione inoppugnabile
della indeterminatezza dei principi su cui la scienza delFeeonomia è stata
fondata. Si tratta di un imprecisione che ha involto lo stesso concetto
di economia e poi lutti i metodi di ricerca e tutta la terminologia
scientifica. Criteri estrinseci di classificazione, interferenza di motivi
disparati, delimitazioni arbitrarie, presupposti infondati e concetti
equivoci hanno portato la confusione nel campo degli studi economici,
facendo smarrire ogni senso dei suoi confini e delle sue
caratteristiche peculiari. L’economia si è accontentata fin qui
di concetti che a guisa di vagabondi si sono aggirati tra 1 confini
dei vari paesi, senza Leu sapere dove avessero diritto di cittadinanza.
Con tal genia errante e vagabonda l’economia ba voluto riempire i quadri
del suo esercito di concetti: valore, bisogno, bene, piacere, pena, utilità,
eco., e ha persino concesso a questi vagabondi la dignità di “Grundbegriffe.”
Non si tratta dunque di eliminare errori o di colmare lacune, bensì di
trasformare ab imis tutta la scienza economica mediante l’assunzione di
principi affatto diversi e a confini ben determinati. Non v’è uno solo dei
concetti di cui ] a scienza economia oggi fa uso che non sia di carattere
empiri co e perciò suscettibile delle infinite interpretazioni giustificate
dalle contingenze del suo uso. Aver la pretesa di far della scienza
rimanendo su un terreno così poco stabile è un assurdo che il Somharf
riesce a mettere efficacemente in luce, mostrando l’urgenza dei rimedi. Ed
egli senz’altro’ afferma, con simpatico orgoglio, di aver
appunto intenzione di recare « un po’ d’ordine in questo caos )) e di
dar finalmente rigore scientifico a una disciplina che con troppa evidenza ha
dimostralo di non averne affatto. Con questo libro una nuova epoca
dovrebbe, dunque, iniziarsi nella storia della scienza economica. Per
chiarire la sua posizione di fronte a tutti gli altri indirizzi
scientifici, Sombart compie fin dalle prime pagine una generale
ripartizione dei sistemi di economia in tre grandi tipi, caratterizzati
dal metodo di ricerca: il metafisico o normativo (Tirhtende Nationalokonomie),
il naturalistico o classificatorio o descrittivo (ordnende A
lational-Òknnomie) e infine lo spiritualistico o critico (vptslehende
Nationalokonomie). Del primo sarebbe rappresentante tipico Sau Tommaso,
del secondo il Pareto, del terzo il Sombart (das « meinige »).
E tutto il libro quindi vien ripartito in tre parti, due delle quali
volte alla critica dei sistemi giudicati inadeguati (metafisico e
naturalistico) e l’ultima invece destinata a porre i fondamenti della
nuova costruzione spiritualistica. L’economia normativa non ba lo
scopo di studiare il mondo nella sua effettiva realtà, ma di indicare ciò
ch’esso deve divenire: non si riferisce all’essere ma al dover essere, e
in quanto tale pone le direttive della condotta umana per l’instaurazione
dell’economia giusta. I concetti su cui essa si fonda sono perciò concetti
sociologici come classe o mestiere; concetti di giustizia come giusto
prezzo, giusto salario o giusta distribuzione; concetti di valore come
sfruttamento, ecc. I suoi fini sono quelli di determinare i valori
assoluti, di riconnettcre ad essi le proposizioni scientifiche, di
tradurli nella pratica della vita e di segnalare le deviazioni della
realtà dall’ideale. Dopo aver esposto i vari tipi di questa economia
normativa, l’Autore si domanda se essa sia scientificamente ammissibile e
se possa quindi rappresentare il vero canone metodologico dello studioso. Nella
risposta si rivelali d’un tratto tutti i limiti dell’orizzonte speculativo
del Sombart e si iniravvedono le difficoltà che egli dovrà superare per
liberarsi, almeno in parte, dai pregiudizi della ideologia da cui prende
le mosse. Ancora fedele al concetto positivistico di scienza e alla
conseguente critica antifilosofica, egli distingue in modo categorico il
mondo dell’esperienza dal mondo dei valori, la scienza dalla filosofia, e alla
prima riconosce la possibilità di una verità obbiettiva laddovealla seconda
consente un significalo esclusivamente soggettivo. L’economia, in quanto
scienza, non può indicarci l’ideale di una maggiore produzione, perché
tale ideale implica la soluzione di un problema non semplicemente
economico, ma totale o metafisico, quale è quello del fine sociale: implica,
cioè, una particolare visione del mondo una Weltanschauung, che trascende
assolutamente i meri dati scientifici. Né è possibile, secondo il Sombart,
che tale concezione integrale informi comunque di sé una scienza
particolare, perché la differenza fra la parte e il tutto, ossia tra la
scienza e la filosofia, non è soltanto quantitativa, bensì anche qualitativa.
La filosofia è da lui intesa come intuizione religiosa, come conoscenza
personale e soggettiva: se essa si insegna, i] suo insegnamento non può
considerarsi come 1 introduzione a una verità, ma come una suggestione
personale del maestro sull’alunno, come un invito alla lede del
maestro. La conoscenza filosofica, perciò, è essenzialmente relativistica
e può rivelarci un solo aspetto della realtà, mutando legittimamente da
persona a persona, con pari validità per ognuno. Alla
fede scientifica, originariamente positivistica, il Sombart può
giustapporre, senza timore di ledere la sicurezza obiettiva dell’esperienza,
una filosofia relativistica e scettica, fornitagli a troppo buon mercato
dall’indulgente Simrnel. E allora dalla scienza si dà il bando a tutti i
giudizi di valore, che. in quanto personali, non possono costrìngere
logicamente, ma debbono rimanere fuori dell’esperienza e dell’evidenza. 11
loro fondamento è Femore: per i valori 1 uomo vive e muore, ma i valori
non conosce: essi appartengono alla sfera filosofica o religiosa, nella quale
dunque può solo rientrare tutta l’economia normativa. In tal guisa
vien liquidato dal Sombart uno dei tipi fondamentali della scienza
economica, e il lettore non può non rimanere sorpreso dalla facilità
e diciamo pure — superficialità, con cui si ripetono monotonamente la
istanza scientifica del positivismo, l’affermazione dogmatica
della validità di un’esperienza e di un’evidenza logica non meglio
definite, l’accusa di relativismo alla filosofia, e 1 impossibilità scientifica
di un qualsiasi giudizio di valore. Se dovessimo arrestarci a questa prima
parte del libro, non avremmo che a concludere in modo affatto negativo, perché
se il Sombari avesse sul serio mantenuto fede a tale pozione iniziale, nessun
motivo nuovo e nessuna nugoli esigenza sarebbero scaturiti dalla sua
ricostruzione. 1] dualismo di conoscenza e fede, di fatto e
valore, di oggettivo e soggettivo, ci appare finora così radicale e
grossolano, da far ritenere completamente fallito il tentativo e da far per
lo meno dubitare della serietà di un effettivo riordinamento
della scienza economica. Più che la rozzezza dei motivi critici^
meraviglia vedere in un uomo di tanta cultura l’assoluta incapacità di prender
atto dello sviluppo del pensiero contemporaneo e delle infinite istanze
critiche sollevate d’ogni parte al massiccio credo positivistico, cui il
Sombart sostanzialmente serba ancora fede. Lo stesso Pareto, del quale
egli ricalca fin qui le orme, aveva detto queste cose in ben altra e
più nuova maniera: né si capisce come vi si possa ancora tanto insistere,
senza porre in campo argomenti nuovi o senza impostare diversamente la
logora questione. Si tratta, oltre tutto, anche di sensibilità e di
gusto. Ma fortunatamente il Sombart. pur portando attraverso tutto il
libro il peso di tali presupposti, sa presto sollevarsi a un altro livello e
affacciare esigenze in netta antitesi con le prime affermazioni. Da una parte
si affina in lui il concetto di esperienza, dall altra si attenua fin
quasi a scomparire il crudo dualismo di scienza e filosofia. E già nell
analisi del secondo tipo di sistemi economici, quello classificatorio o
descrittivo, si comincia a delineare una forte istanza critica rispetto alla
comune concezione naturalistica della scienza. Caratteristiche della
scienza della natura sono la validità universale e l’assoluta obiettività
dei principi e delle leggi: ma questo risultato, che è il risultato
più grande raggiungibile dalla scienza, è possibile solo a patto di
rimanere in una zona meramente formale. Se analizziamo, infatti, le
proposizioni delle scienze naturali, ci accorgiamo ch’esse si riferiscono a
fenomeni morii, già realizzati fìssati e resi calcolabili attraverso un
processo di elementarizzazione. Il tutto, l’essenza della natura sfugge
completamente e va relegato nei campi della metafìsica: ciò che resta
oggetto di scienza sono i particolari aspetti, i fatti semplici, i
fenomeni misurabili, i quali vengono raccolti e ordinati secondo principi
formali estrinseci (concetti generali, schemi, leggi, uniformità). « La
conoscenza, come viene intesa nelle moderne scienze naturali, è
una comprensione esteriore delle cose; è una conoscenza dal di fuori, o,
come fu anche detta, particolare, vale a dire ch’essa si limita a un solo
carattere: la quantità (Gròsse). Fornendoci solo la misura o
il numero delle proprietà dei fenomeni, le scienze naturali hanno
sostituito un rapporto formale e unilaterale all’unità complessa. Ora, v’è
un modo di costruire la scienza delreconomia, che si ispira appunto a tali
criteri naturalistici, poco preoccupandosi del valore conoscitivo dei
risultati. E il Sombart giustamente ravvisa nei seguaci di questa ordnende
Nationalókonomie non solo i teorici delFoggettivismo, ma gli stessi
soggettivisti, gli psicologi, i marginalisti e i seguaci delle teorie
dell’equilibrio. Egli non si lascia ingannare da un presunto soggettivismo
e. dopo aver osservato cbe esiste un modonaturalisticodi fare la
scienza dell’anima e dello spirito, giunge fino a rilevare il carattere
equivoco del principio di ofelimità del Pareto. Una critica condotta in termini
sì efficaci e rigorosi della concezione naturalistica della scienza basta
a farci comprendere come la posizione piattamente positivistica dell’altra
critica alla richtende Nationalókonomic non fosse sufficiente per
individuare il livello speculativo cui Sombart è pervenuto. Qui si rivela una
coscienza abbastanza esatta e approfondita di tutto quel movimento di
reazione idealistico alla scienza che ha caratterizzato gran parte
del pensiero filosofico e scientifico degli ultimi decenni, e si dimostra
a chiare note una radicale insoddisfazione per rinfallibile obiettività e
assolutezza di cui presumevano avere il monopolio i positivisti. Se, quindi, si
volesse nuovamente definire, limitandoci a questa seconda tappa, la
concezione speculativa del Sombart. occorrerebbe cercarne i limiti in
quella stessa critica alla scienza cbe caratterizza le filosofie contemporanee
antintellettualistiche. E i lìmiti allora si ritroverebbero nel
dualismo di natura e spirito, cbe pesa purtroppo sulla scienza e sulla
filosofìa come dualismo delle stesse discipline, e che fa ritenere tuttavia a
molti insuperabile la concezione naturalistica delle scienze naturali. L’accusa
che il Sombart muove alla scienza della economia non riguarda, per sua
esplicita confessione, la scienza della natura, la quale è e deve essere
naturalistica, e necessariamente degenera nella metafisica quando voglia
supeiare il proprio caratiere meramente formale: il che vuol dire che
scienza naturale e scienza sociale sono assolutamente eterogenee, e che alla
prima competono metodi di ricerca affatto diversi da quelli
seguiti dalla seconda. La conseguenza ultima sarà che la scienza
sociale per quel tanto che interferirà con la scienza naturale diverrà per
definizione impossibile e assurda, come appunto confermerà
nell’ultimo svolgimento del suo pensiero lo stesso Sombart. Egli, al
solito, non sospetta che la critica alla scienza ha il solo valore di una
critica alla concezione naturalistica della scienza e non pensa neppure che
la scienza della natura possa farsi con altri criteri che non siano
quelli estrinseci del positivismo : dalla sua critica perciò egli non
perviene a una nuova visione della scienza, in generale, bensi soltanto a
un distacco arbitrario delle scienze sociali, che vorrebbe sottrarre alla
metodologia propria delle scienze naturali. È questo certamente un passo
innanzi rispetto alla comune critica alla scienza, ma è un passo fatto a
costo di un dualismo che comprometterà inevitabilmente la nuova
costruzione. Dall’analisi compiuta della richtende Nationalókonomie e
della ordnende Nationalókonomie sono scaturiti per contrasto i caratteri che
dovrà avere la vera scienza dell’economia, la verstehende Nationalokonomie. E
il problema viene a porsi in termini almeno apparentemente rigorosi,
quando il Sombart affaccia l’esigenza di un criterio conoscitivo che sfugga per
la sua obiettività al relativismo di una metafisica soggettività e non
si esaurisca d altra parte in una sistemazione affatto estrinseca e
classificatoria dei fenomeni sottoposti a indagine. La nuova scienza dovrà
giungere alla essenza della realtà economica, pur non abbandonando mai il
terreno concretissimo dell’esperienza. Per giungere a questo risultato il
Sombart compie il maggiore sforzo speculativo che gli è
possibile assumendo entusiasticamente a guida indiscussa il pensiero
del nostro Vico, dal quale appunto trae argomento per ipostatizzare il
dualismo, cui abbiamo accennato, di scienza della natura e scienza sociale. ((
lo sono disposto )), afferma risolutamente il Sombart, « a riconoscere in
Vico il padre delle moderne scienze dello spirito e di un relativo particolare
metodo di conoscenza. Egli è. a mio modo di vedere, il primo che nei tempi
moderni abbia contrapposto con coscienza le scienze storiche alle scienze
naturali e abbia dimostratolanecessità perle prime di un metodo d indagine
diverso dall’usuale)). E che il Vico sia proprio il padre della « verstebende »
sociologia il Sombart vuol dimostrare trascrivendo addirittura nel testo italiano
il noto passo della Scienza nuova: «Questo mondo civile certamente egli è
stato fatto dagli uomini: onde se ne possono, perché se ne debbono,
ritrovare i Principi dentro le modificazioni della nostra medesima mente
umana. So che a chiunque vi rifletta sopra, deve recare una somma
maraviglia, come tutti i Filosofi seriosamente si studiarono di poter
conseguire la Scienza di questo Mondo naturale, del quale, perché Dio egli
il fece, esso solo ne ha la Scienza ; e trascurarono di meditare su questo Mondo
delle Nazioni, o sia Mondo civile, del quale, perché l’avevano fatto gli
uomini, ne potevano conseguire la Scienza gli uomini ». Ora, la
scienza dell’economia, come tutte le scienze sociali e la sociologia in
genere — il Sombart preferisce ancora questo termine a quello di storia —
riguarda appunto il mondo fatto dagli uomini, vale a dire non il mondo della
natura, bensì quello dello spirito o della Kultur : quel mondo
che noi possiamo conoscere veramente perché costruito da noi. « Noi e
noi soltanto siamo i creatori della cultura e ci muoviamo in questo
piccolo mondo come Dio in quello grande. In questo nostro mondo noi siamo
in effetti il Dio onnisciente e onnipotente », Intesa in tal modo la cultura
come tutta l’opera umana in contrapposizione alla natura, si comprende
bene come il Sombart possa concepire una scienza dell’economia spiritualistica
e al tempo stesso sperimentale e obiettiva. Metafisica era la richtende Natianalòkonomie
perché presumeva di conoscere un mondo trascendente il nostro pensiero:
formalistica era la ardnende Nationalòkonomie perché voleva arrestarsi nel
campo delle scienze sociali agli stessi criteri validi per le scienze
naturali : ma non più metafisica né formalistica sarà la
verstehende JSationalókonomie, che potrà giungere all’essenza delle
cose, senza tuttavia sconfinare in un mondo trascendente. Essa potrà
divenire veramente una Erfahrungxwi.'isp.nschaff, quando sarà concepita
come una Geistwissenschaft nel senso di Kulturtcissenschaft. Con
l’affermazione della verstehende Nationnlofconomie come sociologia il Sombart
raggiunge il più alto livello che gli è consentito dai suoi presupposti
filosofici: e alla luce di essa ci è ota possibile ritornare alle critiche
delle due prime forme scientifiche dell’economia e intravederne quel più
profondo significatico intuitivo che mal ci è apparso attraverso la
rigorosa riduzione in termini logici che ne abbiamo fatto. Perché adesso
ci è dato capire come la critica grossolanamente positivistica rivolta
alla richtende Natiflìialakonomie non stava a dimostrare una meschina
adorazione del fatto, visto fuori della vita dello spirito e della storia,
bensì piuttosto l’insofferenza per ogni forma di scienza moralistica,
volta a determinare aprioristicamente i fini dell’attività umana in genere
e di quella economica in ispecie. Se in quella critica predominava senza
dubbio il vecchio pregiudizio positivistico di un’esperienza intesa in
modo affatto oggettivo, è pur vero che a esso si accompagnava una coscienza
storicistica di ben altro valore, tendente non all’eliminazione dei valori
spirituali, bensì al loro spostamento dall’astratto campo della metafisica
moralistica alla salda e concreta realtà della storia. Che è poi
la 6tessa esigenza che induce Sombart a svalutare le scienze naturali
e insieme il modo naturalistico dì costruire la scienza economica. Non che
egli non creda utile una sistemazione formale dei
dati dell’econoniia, che anzi ne conferma in questo stesso libro
l’opportunità e addirittura la necessità, ma non ritiene che in essa possa
esaurirsi il compito di una scienza destinata allo studio di una realtà
viva e progrediente quale è l’attività umana creatrice della storia.
Gli economisti tanno finora oscillato tra un arbitrario moralismo e un
formalismo tautologico enon hanno mai saputo assurgere a una effettiva
comprensione dei fenomeni che volevano spiegarsi: Sombart ne ha visto
efficacemente le ragioni ed è salito a lina forma superiore di
storicismo. Lo storicismo del Sombart, infatti, è molto diverso da quello
tradizionale della scuola storica e si comprende come egli non ami troppo
la parola, che pur è la più adatta a caratterizzare la sua posizione. Al
vecchio storicismo Sombart è giustamente contrario e la diagnosi che ne compie
coglie proprio il segno. Se la scuola storica aveva avuto rintuizione
delle complessità e varietà dei fenomeni economici, non aveva poi saputo
elevarsi fino al loro dominio ed era finita neH’irrazionalismo :
lo storicismo, come descrizione empirica dei fenomeni visti nella
loro caotica molteplicità, non è la scienza ma la negazione della
scienza. Lo storicismo di Sombart, invece, penetra al fondo della
mutevole realtà e vuol coglierne la logica del movimento: e questo può fare,
perché, grazie a VICO (si veda), ha compreso che quella logica è la
logica stessa del nostro pensiero. Ma se così è, necessariamente ne deriva
che in tanto è possibile intendere un qualsiasi fenomeno della realtà — e
nel caso particolare, un fenomeno economico — in quanto lo si
riconduce al sistema integrale di quel pensiero che gli ha dato origine
dando origine a tutto il mondo della cultura. Vano e assurdo è ogni
tentativo di determinare un qualsiasi principio scientifico nel campo
dell'economia, se non si tiene ben presente che il fatto economico è
intelligibile soltanto in funzione di tutti gli altri aspetti della
realtà in cui esso sorge e si svolge. E il significato stesso dei
termini cbe si adoperano dagli economisti non è definibile se non in
rapporto alle diverse condizioni storiche, continuamentevariando con il variare
di queste; sì che soltanto con un atto di arbitrio ingiustificato è possibile
agli economisti fissare una legge sciertifiea di presunto valore assoluto,
trascendente il tempo e lo spazio. L’errore più grave della scienza
economica quale si è svolta fin qui è stato appunto quello di
ipostatizzare alcuni termini e alcuni principi, obliando il nesso
loro imprescindibile con la concreta vita storica dalla quale termini
e principi avevan tratto alimento. Anche le parole di significato più
generale e apparentemente affatto libere da legami con una particolare epoca
storica — ad es. scambio — in effetti non significano nulla, e per
diventare davvero intelligibili hanno bisogno di una determinata qualificazione
storica — lo scambio presso i primitivi, nell’epoca capitalistica, ecc. Il
che implica che la scienza dell’economia va ricostruita ex novo,
come scienza storica che utilizzi concetti storici e si ponga perciò in
grado di superare l’attuale stato caotico dovuto al giustapporsi di
principi originati da diverse situazioni storiche e tuttavia messi su di
uno stesso piano, con la pretesa di farli corrispondere a qualsiasi
situazione storica. Si continuano oggi a ritenere scientifiche tante leggi
dell’economia classica, e non ci si accorge che quelle leggi non hanno più
valore perché i termini in cui sono espresse 17 - Srum hanno
cambiato di significato, senza che Leconomi- sta ahhia riflettuto sulla
portata di tale mutamento. E a poco a poco l'economia è diventata un
lavoro di mosaico, in cui ogni pietruzza sta per conto suo, senza che
neppure in tale indipendenza possa avere una fisionomia sua, suscettibile
com’è di infinite colorazioni, alle diverse luci che la illuminano.
11 Somhart ha visto come pochi questa essenziale inorganicità e
incongnienza della scienza economica e ha saputo scoprirne la piu profonda
ragione. Senonché il Somhart non può raccogliere tutti i frutti della
sua concezione per i limiti stessi entro cui rigorosamente la circoscrive
arrestandosi alla dottrina dì Vico. Se l'aver riallacciato il nuovo storicismo
al pensiero del grande filosofo italiano costituisce il più gran merito del
Somhart, l’aver poi creduto che si possa ancor oggi, dopo due secoli
di intensissimo travaglio speculativo,impostareil problema proprio negli
6tessi termini, è purtroppo tale un errore da compromettere in modo
irrimediabile il risultato di ogni ricerca. L’errore
consiste nel dualismo vichiano di mondo umano e mondo naturale,
considerati l’uno come fattura dell’uomo e l’altro di Dio. Poiché si può
essere dualisti quanto si vuole, ma bisogna pur rendersi conto che, se
esistono due realtà, esiste per ciò stesso il problema del loro rapporto.
Ora, tale rapporto è sfuggito in gran parte alla mente del Vico, ed è
appena analizzato da Somhart che lo concepisce in modo molto estrinseco e
a posteriori. Egli non si preoccupa, infatti, di ricercare l’unità originaria
dei due mondi, sì ch’essi possano rendersi intelligibili alla luce
di un unico fine, ma si limita a constatarne i rapporti di
coesistenza e il reciproco influsso: le due realta restano presupposte e
la soluzione del problema si trasforma in un mesebino modus
vivendi. Se l’uomo fosse davvero costretto a creare — secondo le
parole del Somhart — il piccolo mondo della cultura lasciando nel mistero
della sua essenza il grande mondo della natura creata da Dio,
evidentemente il grande non potrebbe non soffocare il piccolo e renderlo
affatto illusorio. Se viviamo nella natura, se natura siamo noi stessi
venendo alla luce, se la nostra vita fisica e spirituale è costretta a
svolgersi nelle determinate condizioni fissate dalla natura, com’è poi
possìbile comprendere l’essenza di quel che facciamo ignorando l’essenza
di quel che troviamo? Se esistono due mondi, l’uno nostro e l’altro
di Dio, è pur necessario che il primo sia subordinato al secondo e adegui il
proprio fine a quello dell'altro; ma se è così, o l’uomo conosce il
fine di Dio, vale a dire l’essenza della natura, e allora può agire
seguendone le tracce, o non lo conosce, e allora procede alla cieca senza
aver coscienza della direzione del proprio cammino. E la scienza,
del cui rinnovamento il Sombart giustamente si preoccupa, deve ormai
decidersi ad affrontare il problema nella sua integrità, diventando
storicistica nel senso più rigoroso della parola e cioè intendendo per
storia dell’uomo la storia stessa del mondo, e riconoscendo in tal guisa
l’identità assoluta di storia e di filosofia.Scienza storicistica e scienza
filosofica non possono essere altro che sinonimi. Da questa conclusione
rigorosa e perentoria il Sombart si è ritratto per un residuo di
positivistico odio contro la filosofia e per il conseguente
agno- ticismo metafisico ; ma s’egli si informasse più
ade- ^natamente dei risultati del movimento
idealistico italiano finirebbe forse eoi convenire cbe, se ancora di
metafisica resta traccia nella filosofia contemporanea, è proprio in cotesto
agnosticismo positivisti- co, il quale, proprio perché nega la possibilità
di conoscere l’essenza della natura, ammette nientemeno l’esistenza di un
mondo trascendente e si preclude la via a una conoscenza effettiva della
realtà. Perché si possa parlare di scienza è necessario cbe il nostro
conoscere non abbia limiti insuperabili e cbe il mondo di Dio sia lo
stesso mondo nostro: fino a quando nel concetto tedesco di cultura
non sarà risolta anche la natura, esso non potrà caratterizzare l’umana
realtà nella sua più profonda consapevolezza. Che tale sia veramente
il limite della concezione del Sombart basterebbe a dimostrarlo la
parte ricostruttiva della sua teoria, nella quale dovrebbero essere
tracciate le linee maestre della nuova scienza economica. Putroppo questa
è la parte più scadente e irrilevante del libro, dove
l’insostenibi- lità del dualismo viebiano finisce col rivelarsi a
ogni passo in continua ed evidente contraddizione, e dove l’urgenza dei
motivi più disparati non consente una visione organica del problema. Tutto
ciò ch’era stato negato e relegato nel mondo della filosofia o della
metafìsica, viene ora bruscamente fuori a riaffermare esigenze imprescindibili,
e il Sombart lutto accetta rifacendo un posticino alla filosofia
deH’eco- nomia, alla richtende ISationalòkonomie, alla dottrina dei
valori, ece., senza che nella molteplicità degli elementi giustapposti sia
più possibile discernere un criterio direttivo rigorosamente determinato. È la
scienza che deve servire alla vita e cbe deve perciò riconciliarsi in
qualche modo, attraverso una serie di compromessi, con il mondo naturale e
il divino incautamente trascurato. Ma intanto Punita della visione si
spezza a causa della molteplicità dei punti di vista e la scienza diventa
la somma anodina di infinite constatazioni. L’esigenza storicistica è
tradotta in termini po9tivistici e si muta nel bisogno di tutto includere
oggeltivisticamente nel gran pozzo della scienza, dove tutto il bene e
tutto il male va buttato a pari titolo per il fatto stesso di
esistere. E la così detta W'ertefreiheit torna a essere ancora una
volta — sia pure attraverso qualche timida smentita — il più alto ideale
scientifico. Se vogliamo ora trarre le somme di quanto 6Ì è detto e
indicare brevemente il risultato del tentativo compiuto dal Somhart di
giudicare tutta la scienza economica classica e contemporanea, e
di gettare le fondamenta della nuova costruzione, dobbiamo concludere che
l’istanza critica dell’opera supera di gran lunga il breve abbozzo
sistematico e che il lato veramente positivo si riduce in effetti
a una mera esigenza. Quel che v’è di saldo e perentorio nel volume è la
diagnosi, spietata ma giustissima, delle attuali condizioni della scienza. La
erisi è presentata nelle sue effettive proporzioni e soprattutto nc sono
indicate con grande precisione le ragioni più notevoli: dogmatismo,
antistoricismo, indeterminatezza di principi e di terminologia, asistema
licita, metodo naturalistico, moralismo. Sono accuse di cui gli economisti non
riescono a persuader- si, ma che pure ormai dovrebbero richiamare una più
profonda attenzione ed essere esaminate con mentalità più sgombra da
preconcetti. A noi in particolare, che da quattro anni andiamo precisando questa
diagnosi nei Nuovi studi di diritto, economia e politica, non può non esser
gradita l’analogia dei risultati cui è pervenuto il Sombart; e tanto
più interessante e fecondo sarebbe raccordo se potesse estenderei al
lato più propriamente ricostruttivo del sistema. Poiché se la diagnosi
della economia attuale basta a dimostrare la necessità di una visione
storicistica della scienza, non è sufficiente di ner sé sola a chiarire la
peculiare forma che deve avere il nuovo storicismo. F a noi pare che il Sombart, per
gli stessi presupposti speculativi da cui prende le mosse, è fatalmente
destinato ad arrestarsi ad una forma di positivismo vichianeggiante in cui
la vita vera della storia 9Ì frange e si acqueta tuttavia nell’eclettica
stasi contemplativa della sociologia. Ugo Spirito. Spirito.Keywords:
stato/cittadini, pathos romantico, romanticism e nuovo ordine, sindicalismo,
fascismo da sinestra, filobolcevicco, corporativismo, attualismo, stato
fascista, equilibrio liberta/autorita, gentile e spirito, i filosofi fascisti,
filosofia e revoluzione, romanticismo, proprieta, filosofia come pedagogia. Refs.:
Luigi Speranza, “Grice e Spirito” – The Swimming-Pool Library.
Luigi Speranza -- Grice e Spisani: la ragione
conversazionale della contestazione – la scuola di Ferara -- filosofia italiana
– Luigi Speranza (Ferrara), Filosofo
emiliano. Filosofo italiano. Ferrara, Emilia-Romagna. Si laurea a Padova con
una tesi di sull'attualismo italiano, Natura e spirito nell’idealismo attuale”
(Milano, Fabbri). In seguito collabora a Urbino. A Bologna fonda “Rassegna di
Logica” e il centro di logica. In una
lettera Carnap critica una sua decisione di non pubblicare un'opera. Morì
suicida. Altri saggi: “Neutralizzazione dello spazio per sintesi produttiva”
(Bologna, Cappelli); “Implicazione, endo-metria e universo del discorso” (Bologna)
e “Introduzione alla teoria generale dei numeri relativi, con ingresso dei
numeri moltiplicatori e divisori, legati alla logica e alla matematica trascendentale”
(Bologna, Centro di logica e scienze comparate, analisi matematica). C'è una
relazione divisoria che ipotizza il valore “M,” numero logico trans-infinito all'origine
della neutralizzazione dello spazio trans-finito. “ℵ” va verso successivi
aumenti. Ma è la relatività dei numeri, espressa nel calcolo per valori di
posizione, che ne individua la direzione inversa. Spiega le sue scoperte in
forma di dialogo. Tra gli interlocutori la misteriosa figura della piovra
Clipso. Logo-fenica. Altri saggi: “Il numero nell'istanza
ontologica del rapporto d'identità” (Imola, Galeati); “Logica ed esperienza”
(Milano, Marzorati); “Logica della contestazione” (Bologna, Cappelli). Sulla storia della pubblicazione della Teoria
generale, importanti ricerche erano già pronte. Allora, dice: “Ne discuto con
Carnap. Carnap sottopone i risultati dell'indagine. Carnap spiega anche le
ragioni che mi induceno a non diffonderne le conclusioni. Carnap risponde che
quella scelta gli sembra affatto ingiustificata: l'operas crises non poteva
rimanere nel silenzio. Tuttavia non cambiai parere. Non avrei pubblicato, e glielo
confermai. “Dai numeri naturali ai numeri relativi, moltiplicatori e divisor”. Gallo,
“Un uomo genial”, Nuova Ferrara, L'ha vegliato prima di suicidarsi, di Gulotta,
la Repubblica, sezione Bologna, Archivio. Franco Spisani. Spisani. Keywords: il
concetto di numero, numero naturale, numero relativo, logica auto-genetica,
numero relativo moltiplicatore, numero relativo divisore, opposto,
contradittorio, regole e segni, contestazione, esperienza, limiti della
metafisica. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Spisani” – The Swimming-Pool
Library.
Luigi Speranza -- Grice e Spurio: la ragione
conversazionale delle lettere da Corinto – Roma antica – Roma -- filosofia
italiana – Luigi Speranza (Roma).
Fratello di Lucio Mummio, vincitore di Corinto, partecipa con SCIPIONE (si
veda) Emiliano e con Lucio Metello CALVO (si veda) a un’ambasciata politica in
Oriente e così puo stringere più stretti rapporti con Panezio di Rodi. Scrive
lettere in versi e orazioni. CICERONE lo pone tra i IV interlocutori del
"De republica." Oratore. I suoi discorsi hanno, per la loro aridità,
impronta del Portico. Coltiva gli studi giuridici. A Roman soldier and writer. A legatus
of his brother, and a close friend of SCIPIONE EMILIANO. This friendship
garners his entrance into the Scipionic Circle. Politically, he is an
aristocrat. He writes satirical and ethical epistles, describing his
experiences in Corinto in humorous verse. According to the Encyclopædia
Britannica, these letters, are the first examples of a distinct class of Roman
poetry, the poetic epistle. "Mummii". Mek.niif. hu. Mummius M,
Mortgage, ed. Peck, Harpers Dictionary of Classical Antiquities. Perseus tufts,
Chisholm, ed. "Mummius,
Lucius" . Encyclopædia Britannica. Cambridge. Stub icon This article about
an Ancient Roman writer. Categories: Ancient Roman writersm Romans, writers
Mummii Ancient Roman people stubs European writer stubs When we turn to Rome we
find that letter writing becomes a Roman literary art under Greek influence and
is speedily nationalised as is the dialogue. We know that the epistolary form
is used by S., who appears in CICERONE’s de republica as an intimate friend of
SCIPIONE the younger. He receives a education
in the Porch, and accompanied his more famous brother to Corinto as a
legatus. From Corinto he sends a number of poetic epistles to his friends.
These do not receive general publicity, but are preserved in the archives of
the family where they are read by CICERONE, who praises their wit. Keyword: philosophical epistle. Spurio Mummio.
Grice e Mummio: il portico romano – lettera da Corinto – Roma antica -- Roma –
filosofia italiana – Luigi Speranza (Roma). Filosofo italiano. Mummio Spurio. Portico. A
distinguished orator. Writes a number of letters on ethical issues. A
Roman soldier and philosopher. He was a legatus of his brother Lucio Mummio in
Corinto and a close friend of Scipione (si veda) Emiliano. This friendship
garns his entrance into the Scipionic Circle. Politically, he is an aristocrat.
He writes satirical and ethical epistles, describing his experiences in Corinto
in humorous verse. According to the Encyclopædia Britannica, these letters,
which were still popular, are the first examples of a distinct class of Roman
poetry, the poetic epistle. References "Mummii". Peck, ed.
"Mummius". Harpers Dictionary of Classical Antiquities.
Chisholm,. "Mummius, Lucius" . Encyclopædia Britannica, Cambridge.
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SCIPIONE (si veda) Emiliano e con Lucio Metello CALVO (si veda) a un’ambasciata
politica in Oriente e così puo stringere più stretti rapporti con Panezio di
Rodi. Scrive lettere in versi e orazioni. CICERONE lo pone tra i IV
interlocutori del "De republica." Oratore. I suoi discorsi hanno, per
la loro aridità, impronta del Portico. Coltiva gli studi giuridici. A Roman soldier and
writer. A legatus of his brother, and a close friend of SCIPIONE EMILIANO. This
friendship garners his entrance into the Scipionic Circle. Politically, he is
an aristocrat. He writes satirical and ethical epistles, describing his
experiences in Corinto in humorous verse. According to the Encyclopædia
Britannica, these letters, are the first examples of a distinct class of Roman
poetry, the poetic epistle. "Mummii". Mek.niif. hu. Mummius M,
Mortgage, ed. Peck, Harpers Dictionary of Classical Antiquities. Perseus tufts,
Chisholm, ed. "Mummius,
Lucius" . Encyclopædia Britannica. Cambridge. Stub icon This article about
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Mummii Ancient Roman people stubs European writer stubs When we turn to Rome we
find that letter writing becomes a Roman literary art under Greek influence and
is speedily nationalised as is the dialogue. We know that the epistolary form
is used by S., who appears in CICERONE’s de republica as an intimate friend of
SCIPIONE the younger. He receives a education
in the Porch, and accompanied his more famous brother to Corinto as a
legatus. From Corinto he sends a number of poetic epistles to his friends.
These do not receive general publicity, but are preserved in the archives of
the family where they are read by CICERONE, who praises their wit. Keyword: philosophical epistle. Spurio Mummio.
Mummio Spurio.
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