Luigi Speranza -- Grice e Teage: la ragione conversazionale degl’ottimati
di Crotona – Roma – la scuola di Crotone
-- filosofia italiana – Luigi Speranza (Crotone). Filosofo italiano. Crotone, Calabria. According to
Giamblico, a Pythagorean, who seeks to introduce more democratic institutions
into Crotone. STOBEO (si veda) preserves fragments of a little treatise T. writes
on this – “On Virtue – possibly by a later philosopher, though. The treatise is
not well known, and as a result of this ignorance, the sect is destroyed
without a trace, by the real democrats, who think that the sect was
pro-aristocratic, only!
Luigi Speranza -- Grice e Teagene: la ragione naturale del naturale, del
tras-naturale, e del sopra-naturale –
Roma – la scuola di Reggio Calabria -- filosofia italiana – Luigi Speranza (Reggio Calabria). Filosofo italiano. Reggio,
Calabria. T. argues that a myth or a legend – such as a she-wolf having
nurtured the founder of Rome, and his twin brother – should be interpreted *allegorically*
or analogically. T. also claims that what people regard as an act of a god (say,
Romolo, once divinised, or when the statue of the she-wolf is struck by a
lightning – is only a natural (fisico), not trans-natural (meta-fisico) o
super-natural (iper-fisico) phenomenon. Cf. Psicologia, para-psicologia.
Luigi Speranza -- Grice e Teagene: la ragione conversazionale del cinargo
di Roma -- Roma – filosofia italiana – Luigi Speranza (Roma). Filosofo italiano. Cinargo. T. gives his
seminars in the foro di Traiano. He dies, unfortunately, when he consults Attalo about
a problem he is experiencing with his the liver, and for which Attalo gives him
the totally wrong treatment and medication – hemlock, mixed with beans -- causing
the philosopher’s death.
Luigi Speranza -- Grice e Teanor: la ragione conversazionale del filosofo
come dramatis persona -- Roma – la scuola di Crotone -- filosofia italiana –
Luigi Speranza (Crotone). Crotone, Calabria. Filosofo
italiano. A Pythagorean, he appears as a character in some of the dialogues by Plutarco.
Luigi Speranza -- Grice e Tearida: la ragione conversazionale -- il principio
conversazaionale è uno – Roma – la scuola di Metaponto -- filosofia italiana –
Luigi Speranza (Metaponto). Filosofo italiano. Metaponto,
Basilicata. T. composes an essay entitled, “Della natura” – where he argues
that everything comes from one single first principle. Cited by Clemente of
Alexandria. He may have attended the sect at Crotone. “Or not.” – Grice.
Luigi Speranza -- Grice e Telecle: la ragione conversazionale della
diaspora di Crotona -- Roma – la scuola di Metaponto -- filosofia italiana –
Luigi Speranza (Metaponto). Filosofo
italiano. A Pythagorean, cited by Giamblico.
Luigi Speranza -- Grice e Telesio: la ragione
conversazionale del filosofo sperimentale – la scuola di Cosenza -- filosofia
calabrese -- filosofia italiana – Grice italico -- Luigi Speranza, pel Gruppo
di Gioco di H. P. Grice, The Swimming-Pool Library, Villa Speranza (Cosenza). Filosofo cosentino. Filosofo
calabrese. Filosofo italiano. Cosenza, Calabria. Mentre le sue teorie naturali
sono state successivamente smentite, la sua enfasi sull'osservazione fa il
primo dei moderni che alla fine hanno sviluppato il metodo scientifico. Nato
da genitori nobili, è istruito a Milano dallo zio, lui stesso uno studioso e
poeta di eminenza, e poi a Roma e Padova. I suoi studi hanno incluso tutta la
vasta gamma di argomenti, classici, scienza e FILOSOFIA, che costitusceno il
curriculum degli rinascimentali sapienti. Così equipaggiata, inizia il suo
attacco sul LIZIO medievale che poi fiorisce a Padova e Bologna. Fonda l’Accademia
cosentina. Per un certo periodo vive nella casa del duca di Nocera. Il suo
grande saggio è “Sulla natura delle cose secondo i loro propri principi,” seguito
da un gran numero di saggi di importanza sussidiaria. L’opinioni eterodosse che
mantenne suscitano l'ira di Roma per conto del suo amato LIZIO. Tutti i suoi saggi
sono stati immessi sul “Index.” Invece di postulare materia e FORMA, T. basa
l'esistenza sulla materia e FORZA. Questa forza ha due elementi opposti. Il
primo elemento è il calore, che espande la materia. Il secondo è il freddo, che
la contræ. Questi due processi rappresentano tutte le tipi di esistenza, mentre
la MASSA su cui opera la FORZA rimane la stessa. L'armonia del tutto consiste
nel fatto che ogni cosa separata sviluppa in sé e per sé conformemente alla sua
natura e allo stesso tempo la sua MOSSA avvantaggia il resto. I difetti di
questa teoria, che solo i sensi possono non comprendere materia o MASSA stessa.
Non è chiaro come la molteplicità dei fenomeni puo derivare da queste due forze.
Pensato, non è meno convincente di Aristotele caldo/freddo, secca
spiegazione/umido, e che addotta alcuna prova per dimostrare l'esistenza di
queste due forze, sono stati sottolineato a suo tempo. Inoltre, la sua teoria
della terra fredda a riposo e il sole caldo in moto è destinato a confutazione per mano di
Copernico. Allo stesso tempo, la teoria è sufficientemente coerente per fare
una grande impressione sulla filosofia italiana. Va ricordato, però, che la sua
obliterazione di una distinzione tra la fisica super-lunare e la fisica sub-lunare
certamente abbastanza preveggente anche se non riconosciuto dai suoi successori
come particolarmente degno di nota. Quando T. continua a spiegare la relazione
tra mente o anima e materia, e ancora più eterodosso. Le forze materiali sono,
per ipotesi, in grado di sentire. Questione deve anche essere stato fin dal
primo essere vivo dotato di coscienza. Per la coscienza, o anima, esiste, e non
avrebbe potuto essere sviluppato dal nulla. Questo porta T. a una forma di ilo-zoismo.
Anche in questo caso, l'anima è influenzata dalle condizioni materiali o della
massa e la forza. Di conseguenza, l'anima deve avere un esistenza materiale. Inoltre,
T. dichiara che tutta la conoscenza è sensazione ("non-ratione sensu
sed") e che l'intelligenza è, quindi, un agglomerato di dati isolati, in
sensi. Non lo fa, però, riesce a spiegare come solo i sensi possono percepire
la differenza e identità. Alla fine del schema di T., probabilmente in
ossequio ai pregiudizi teologici, aggiunta un elemento che e completamente
estraneo, vale a dire, un impulso più alto, un'anima sovrapposta dal divino, in
virtù della quale ci sforziamo di là del mondo sensibile. Questa anima divina
non è affatto un concetto completamente nuovo, se visto nel contesto della teoria
percettiva d’Averroe e Aquino. L’intero sistema di T. mostra lacune nella
sua tesi, e l'ignoranza dei fatti. Allo stesso tempo, T. è un precursore di
tutte le successive scuole dell'empirismo e segna chiaramente il periodo di
transizione da autorità e la ragione di SPERIMENTARE e individuale
responsabilità. Nel ricorso ai dati sensoriali, T. è il capo del grande
movimento italiano del sud, che protesta contro l'autorità accettata della ragione
astratta e semina i semi da cui spuntavano i metodi scientifici di CAMPANELLA
(si veda) e BRUNO (si veda), e di Bacon e Descartes, con i loro risultati
ampiamente divergenti. T. quindi, abbandona la sfera puramente intellettuale e
ha proposto un'indagine sui dati forniti dai sensi, dai quali ha ricoperto che
tutta la vera conoscenza viene veramente. La sua teoria della percezione
sensoriale è essenzialmente una ri-elaborazione della teoria di Aristotele dal
De anima). Nota all'inizio del proemio del primo libro della terza edizione del
De Rerum Natura Iuxta propria principia Libri Ix che la costruzione del mondo e
la grandezza dei corpi in esso contenuti, e la natura del mondo, è da ricercare
non dalla ragione, come è stato fatto dagl’antichi, ma è da intendersi per
mezzo di osservazione. Mundi constructionem, corporumque in eo contentorum
magnitudinem, naturamque non ratione, quod antiquioribus factum est,
inquirendam, sed sensu percipiendam. Questa affermazione, che si trova sulla
prima pagina, riassume ciò che molti studiosi moderni hanno generalmente
considerato la filosofia di T., e spesso sembra che molti non leggere oltre per
nella pagina successiva si imposta il suo caldo teoria/freddo della materia o
massa informata, una teoria che non è chiaramente informata dall’osservazione. L’osservazione
(sensu percipiendam) è un processo dell’anima molto più grande di una semplice
registrazione dei dati. L’osservazione comprende anche l’analogia. Anche se
Bacon è generalmente accreditato con la codificazione di un induttivo metodo
che sottoscrive pienamente l'osservazione come procedura primaria per
l'acquisizione di conoscenze, non è certamente il primo a suggerire che la
percezione sensoriale è la fonte primaria della conoscenza. Tra i filosofi
naturali del Rinascimento, questo onore è generalmente conferito a T.. Bacone
si riconosce T. come il primo dei moderni. De T. autem bene sentimus, atque eum
ut amantem veritatis, e scientiis utilem, e non nullorum Placitorum emendatorem
et novorum hominum primum agnoscimus. – Bacone, “De principiis atque originibus.”
Per mettere l'osservazione di sopra di tutti gl’altri metodi di acquisizione
delle conoscenze sul mondo naturale. Questa frase spesso citata da Bacon, però,
è fuorviante, perché semplifica eccessivamente e travisa l'opinione di Bacone
di T.. La maggior parte del saggio di Bacon è un attacco a T. e questa frase,
invariabilmente fuori contesto, facilita un malinteso generale della filosofia
naturale di T. dando ad essa un timbro baconiana di approvazione, che era
lontano dalle intenzioni originali di Bacon. Bacone vede in T. un alleato nella
lotta contro l'antica autorità. Ma Bacone ha poco positivo da dire su
specifiche teorie di T. della mossa della massa per la forza. Ciò che
forse colpisce di più De Rerum Natura è il tentativo di T. di meccanizzare il
più possibile. Si sforza di spiegare tutto chiaramente in termini di materia
informati – la mossa della massa colla forza -- dalla calda e fredda e per
mantenere i suoi argomenti il più semplice possibile. Quando i suoi colloqui si
rivolgono agl’esseri umani, introduce un istinto di auto-conservazione per
spiegare le loro motivazioni. E quando discute l’anima e mente umana e la sua
capacità di ragionare in astratto su argomenti immateriali e divine, aggiunge
un’anima divina. Per senza anima, tutto il pensiero, dal suo ragionamento,
sarebbe limitato alle cose materiali. Ciò renderebbe il divino impensabile e
chiaramente questo non è il caso, per l'osservazione dimostra che la gente
pensa del divino. “De rerum natura iuxta propia principii libri IX” (Horatium
Saluianum, Napoli). Altre saggi: “De Somno”; “De la quæ in ære fiunt de mari de cometis et circulo
lactea respirationis. De USU. Gl’appunti Riferimenti. Deusen, Telesio: primo
dei moderni. De La sua, Quæ in ære Sunt, et de Terræ motibus piena. GENTILE T. CON APPENDICE BIBLIOGRAFICA
BARI LATERZA Questa commemorazione, scritta per invito del Comitato
per le onoranze a T. nella ricorrenza del quarto centenario della sua
nascita, e letta, tranne poche pagine, nel Teatro Comunale di Cosenza,
poteva e non vuol essere una monografia su T,; ma soltanto una
caratteristica della sua personalità e della sua filosofia guardata nel
processo generale del pensiero speculativo. Ciò spiega perche essa
si estenda un po ' largamente sulla storia degli antecedenti.
Aggiungendovi, per questa stampa, oltre le note necessarie, una
bibliografia, 1 nè sembralo opportuno riprodurre in essa dalle vecchie
edizioni raiùssime degli scritti telesiani dediche e proemii, che sono
documenti biografici e storici notevolissimi, poiché m'è accaduto
di vederli non di rado citati di seconda mano pur dagli studiosi
più diligenti, ai quali non era riuscito di averli
sott'occhio. Dietro al chiarore del rinascimento, sullo sfondo
dell’orizzonte, s’addensa ancora la nebbia medievale; e la luce nascente
s’imporpora dei riflessi fumiganti di quella nebbia, che il sole alto,
splendente nel mezzo del cielo, spazzerà, quando all’alba della
rinascenza sarà successo il gran giorno dell’età moderna. In quella prima
ora le vecchie idee sono morte; ma, pur morte, rimangono nel
pensiero umano, e l’impediscono e l’opprimono con la gravezza di ciò che,
estraneo alla vita, attraversa il processo della vita. Le idee
nuove, quelle che sono anche oggi la sostanza del nostro spirito, si sono
annunziate, anzi affermate con la vivacità impetuosa e fremente, con
l’entusiasmo gioioso della giovinezza, che ha per sè l’avvenire, e
non sente il passato che si lascia alle spalle. Ma la loro affermazione
per noi è piuttosto un annunzio: manca lo sviluppo logico, in cui è
la vita vera e concreta delle idee, e manca l’integrazione, che il lembo
della verità intravvista raccolga nella coscienza coerente • del tutto,
dove ogni parte ha il suo valore organico. E lo sviluppo e l’integrazione
mancano, perchè il nuovo è commisto e ravvolto nel vecchio: e si va
innanzi, come infatti è dei giovani, senza sapere distintamente che
cosa si lascia e che cosa si cerca, e quale è il cammino: portati
dall’istinto della vita, che perverrà più tardi alla netta coscienza del
nuovo in quanto negazione del vecchio. Perciò tutti i pensatori di questa
età hanno due facce, e ci presentano contraddizioni, che paiono
spiantare i principii stessi del loro filosofare: e chi guarda a una sola
faccia, non riesce a più rendersi conto dell’altra; e c’è chi di
costoro ne fa gli iniziatori, a dirittura, del pensiero moderno, e chi li re-
' spinge indietro, alla scolastica dei tempi di mezzo: laddove il
loro significato storico è in questa posizione, che occupano, tra una
filosofia che hanno solo virtualmente superata e una filosofia che solo
del pari virtualmente essi affermano. Trascurare cotesto residuo
esanime, che resiste nei loro sistemi alle loro intuizioni innovatrici, in
tutti questi filosofi, dal Poinponazzi a Bruno e a Campanella, non
è possibile: vien meno tutto il significato di queste medesime
intuizioni, che fanno di loro i precursori dei più grandi filosofi
moderni; e non si spiegano più atteggiamenti essenziali, parti vitali del
loro pensiero; ma, sopra tutto, diviene un mistero perchè il germe
di verità, che essi si recano in mano, rimanga soltanto un germe, di cui
la vita s’arresti appena cominciata. L’uomo del medio evo si
era travagliato in una contraddizione, che si può dire organica, perchè
ne dipendeva la vita stessa del pensiero: contraddizione, i cui termini,
se si vuol considerare il processo generale della storia ne’ suoi
grandi tratti, si possono designare come la filosofia greca e la fede
cristiana: due termini, che il pensiero tentò tutte le vie, lungo più di
un millennio, di conciliare; ma erano inconciliabili per lui, assolutamente,
sul terreno in cui egli era posto; perchè, a dirla brevissimamente, la
filosofia sua, che avrebbe dovuto operare la conciliazione, era tuttavia
la filosofia greca, e cioè uno dei due termini stessi antagonisti. T.
La filosofia greca è il pensiero che si
vede fuori di sè: e si vede perciò o come natura, nella sua
immediatezza sensibile, o come idea, che non è atto del pensiero che
pensa, ma cosa in cui il pensiero si affisa, e che presuppone come verità
eterna e ragione eterna di tutte le cose e della sua stessa
cognizione parallela alla vicenda delle cose: in entrambi i casi,
come una realtà che è in se stessa quella che è, indipendentemente dalla
relazione in cui il pensiero entra con essa quando la conosce. Visione la
più dolorosa che l’anima umana possa avere del proprio essere nel
mondo: perchè l’anima umana vive di verità, ossia della fede che sia quel
che essa pensa ed afferma: e in quella visione, che è poi la
visione eterna della prima riflessione, da cui si dovrà sempre pigliare
le mosse, la verità, quel che è veramente, non è nell’anima umana;
la cui condizione permanente ed essenziale è raffigurata da quel
sensibilissimo amatore della verità, dell’essere eterno del mondo,
che fu Platone, nel mito di Eros: mito pregno, nella sua classica serenità, di
pathos che direi cosmico: perchè l’aspirazione fervente al divino, che è
l’Amore di Platone, e che nella sua forma più alta è la filosofia,
non è solo lo sforzo supremo in cui si concentra l’anima umana, ma culmina in
questa, e affatica tutto l’universo, tormentato dal desiderio di qualche
cosa che è il suo vero essere, ma è fuori di esso. Mito, che, con
tutto il suo pathos, può essere intanto sereno, perchè l’occhio dell’idealista
greco è attratto e fermato dalla bellezza dell’ideale lontano, e
gli sfugge la miseria infinita dell’amante senza speranza. In questa
visione, quando, per opera principalmente dello stesso Platone, la verità
della natura sensibile e mortale si rifrange nelle forme ideali,
ond’essa si rivela al pensiero ne’ suoi varii aspetti, e diventa sistema
di idee, tutta la scienza, nel suo proprio assetto, come possesso
adeguato della verità, non apparisce quale il perenne lavoro della
mente e la celebrazione dell’ufficio supremo del mondo, ma quasi un che
di remoto dalla realtà, o, come si dice, d’ideale, di cui la
cognizione umana è sempre copia imperfetta. La scienza, di cui la logica
deduttiva di Aristotile descrive mirabilmente il congegno, non è la
scienza nostra, la scienza umana, che si fa e rifà continuamente nella
storia: è la scienza che ha principi! immediati, che in sè
contengono sistematicamente tutti i concetti, I in cui si snoda lo
scibile: è pertanto la scienza che è tale, in quanto è tutta e perfetta a
un tratto, senza possibilità di svolgimento storico. Ossia, la scienza
per ottenere la quale ] tutto questo svolgimento, in cui è pure
tutta la vita e tutto l’essere nostro, non giova: un ideale, al cui
cospetto quel travaglio mentale, che ci par tuttavia la cosa più seria
del mondo, non ha valore di sorta '). Dentro questa visione si chiude
tutta la filosofia greca, e ogni filosofia che, come quella del
medio evo, accetta la logica, ossia la maniera d’intendere la verità, di
Aristotile. Questa logica si può definire la logica della trascendenza; o
altrimenti, la logica dell’intellettualismo: per questa logica
infatti la verità, che è termine dello intelletto, è trascendente,
radicalmente superiore all’intelletto stesso; e questo è ridotto a
semplice facoltà passiva, contemplatrice e non autrice: che è il
concetto dell’intelletto nel senso deteriore di questo termine: quasi una
mente, che importa bensì la presenza delle cose da conoscere, ma
non dell’uomo, non dello spirito che le conosce, e che ha appunto questo
di proprio e di diverso rispetto alle cose: che non è cosa da
conoscere, ma l’attività correlativa, che queste presuppongono nel loro
concetto di « cose da conoscere » : una mente, insomma, per cui c’è il mondo,
ed essa, per cui il mondo è, non è. Che è come dire: l’uomo, questo
divino artefice di quanto è bello e santo e vero nel mondo, di
quanto c i umilia e ci esalta, ora facendoci piegar le ginocchia
innanzi alla potenza terribile del genio, ora sublimandoci nel gaudio di
quanto trascorre immortale i secoli e aduna nel consenso d’uno spirito
solo i morti coi vivi; quest’uomo, annichilato. Annichilato, s’intende,
ai proprii occhi, nella coscienza che ha del suo essere. Di un uomo così,
ignaro del proprio valore, men che atomo disperso nell’infinito, Chiesa ed
Impero, accampatisi immediatamente come rappresentanti di Dio, possono
disporre a loro talento, come cose, che non sono persone. Manca la
coscienza, e manca perciò l’individuo: non c’è la libertà, come
coscienza della propria legge. La legge, come la verità, scende
dall’alto. Ma era questo il principio del cristianesimo? Il
cristianesimo voleva essere, al contrario, la redenzione, la rivendicazione
del valore dell’uomo; voleva sollevare l’uomo a T. Dio, facendo
scendere Dio nell’uomo, e rendendo questo partecipe della natura divina.
Giacché in Gesù, che è l’uomo stesso nella sua idealità, o come
dev’essere concepito, Dio stesso era uomo: con tutte le miserie j
umane, soggetto all’estrema delle miserie, la morte; ed era Dio (quel
dio, che redimeva) in quanto questo uomo, che eroicamente affrontava la
morte, otteneva in questa il premio della missione della sua vita tutta
spesa umanamente in un’opera d’amore. Onde l’amore risorgeva, non più,
come nel mito platonico, contemplazione desiderosa dell’irraggiungibile,
ma attività dell’uomo che crea se stesso perennemente: e non era più la
celebrazione estatica di un mondo che è, ma la celebrazione operosa,
dolorosa insieme e letificante, di un mondo, che è regno di Dio
essendo la purificazione della smessa volontà umana nella fiamma
della carità. Onde l’uomo non è più sapere o intelletto; ma amore o
volontà, cioè creatore esso stesso della sua verità, che è il bene: la verità
che si scorge, j insomma, quando la cerchiamo con la buona volontà,
col cuore puro, mettendo tutto l’essere nostro, sinceramente, ingenuamente
nella ricerca; e che non è più, quindi, un che di esterno a noi, che
si presenti e s’imponga a noi passivi, ma è il premio o il risultato del
nostro sforzo. L’uomo non è più spettatore; ma artefice. Si desta, e
sente se stesso; sente che senza la sua volontà, senza il suo conato,
senza lui, il mondo che ha valore per lui, la felicità, la vita, Dio, non
si raggiunge. Acquista quindi davvero la coscienza della sua
personalità, e però della sua responsabilità: poiché vede che da sè dipende
tutto; e, lui caduto, tutto cade; e lui risorto, tutto risorge.
L’uomo trova dunque se stesso nel cristianesimo. Se questa
intuizione fosse divenuta senz’altro concetto complessivo ed organico del
mondo, se questo senso nuovo del valore dello spirito umano avesse
rinnovato tutta la concezione della vita, in cui l’uomo afferma la
sua creatrice potenza, se insomma il contenuto della nuova fede fosse assurto
al vigore di una nuova filosofia, il cristianesimo avrebbe segnato fin da
principio la morte dell’intellettualismo. Ma la fede non è ancora
filosofia: è visione immediata della verità non integrata in sistema di
pensiero. E il cristiano, quando volle pensare il suo Dio, pensò più a
Dio padre che a Dio figlio, e G. Gentile, Bernardino Te
lesto. s’impigliò nella rete della metafisica aristo telica che il
principio della realtà, come motore immobile, che è solo pensiero di se
stesso, e non d’altro, faceva estraneo alla realtà, e poi s’affaticava
invano a colmare l’abisso tra Dio e la natura; tra la causa del
movimento, che non è movimento, e il movimento, che non ha in sè la propria
ragione sufficiente; e quindi tra il principio del divenire, che non
diviene, e la natura che in se non ha la cagione del suo perenne
generarsi e corrompersi; e poi tra l’anima e il corpo; e poi ancora tra
l’anima che intende, ed è lo stesso intendimento in atto, e 1 anima
naturale solo capace di raggiungere la mera possibilità d’intendere, ma
incapace per sè d'intendere mai realmente: e,' in generale, tra la
materia, potenza, e non più che potenza, di tutto, e la forma,
realizzazione di tutto: come dire, tra l’aspirazione alla vita e la vita:
eterno destino di Tantalo! Aristotelici o platonici, nominalisti o
realisti, averroisti o tomisti, tutti i cristiani che nel medio evo
si sono sforzati di concepire la realtà, sono giunti a questo risultato:
al destino di lantalo. Tanto più doloroso, tanto più inquietante, in
quanto era pur contenuto nella fede novella, che fiammeggiava a quando a
quando nei mistici, il concetto dell’immanenza di Dio nel mondo, nell’uomo,
nello spirito. La teologia, tutta la filosofia scolastica, anzi tutta la
scienza medievale (che non è tutta filosofia) si costruisce come scienza
di una verità che si sente, appena il sentimento si sveglia (basti
per tutti ricordare Francesco d'Assisi e Jacopone, il suo poeta), che
si sente, dico, estranea all’anima, lontana, occupante per vano riflesso
solo l’intelletto dell'uomo, speculazione umbratile e di scuola, che non
entra nell’ intimo e non afferra e non impegna e non riforma e non fa
l’uomo. Scienza vana per chi ravvivava in sé il sentimento tutto
cristiano del valore spirituale: scienza elegante nel suo laborioso
artifizio, sottile nella pellegrinità de’ suoi tecnicismi,
delicatissima nei pazienti avvolgimenti didascalici in cui si dispiega, vasta,
universale come un mondo per quanti vi si dedicavano: e, messovi
dentro, talvolta, un intelletto di vasto respiro e di tempra ferrea, vi
si aggiravano e scendevano per meati lunghissimi, con ricerche, che ora ci
spaventano per la fatica di pensiero e la forza di sacrifizio che
attestano, fino a toccare l’ultimo fondo delle difficoltà, in cui la
filosofia antica urta e si arresta. E basti per tutti ricordare il nostro
Aquino: i cui sforzi possenti per scuotersi di dosso la plumbea cappa
delle conseguenze ineluttabili dell’antica filosofia, riempiono
l’animo dello studioso moderno di commossa ammirazione e di
reverenza. Chi vuole intendere la storia del pensiero medievale,
deve figgere lo sguardo in questo contrasto delle maggiori forze
spirituali che vi operavano dentro: il misticismo, che, affermando
immediatamente la presenza di Dio, della verità, di quanto ha valore,
nello spirito umano, nega la scienza, la cognizione che è sviluppo e
sistema, e tutte le forme a cui lo sviluppo dello spirito dà luogo
nella scienza e nella vita; e la filosofia intellettua* listica,
che, presupponendo una realtà fuori dello spirito che la ricerca, si
affanna in una costruzione, formalmente ricchissima e sostanzialmente
vuota, di quel che non può essere verità. O verità senza
scienza, senza vita dello spirito; — o scienza, forma elevatissima
di questa vita, senza verità, vana. Quando il medio evo è al
tramonto, un uomo di genio raccoglie in una espressione eloquente
il senso di vuoto che l’anima cristiana provava nella scienza delle scuole:
ma un senso, che non è più schietta conseguenza di disposizione
mistica, la quale, rinunciando alla scienza, possa trovare il suo
appagamento nell’immediatezza della fede; anzi, un senso che nasce da un
vivo bisogno di sapere, di pensare, d’intendere. Egli è un dotto,
un grande mæstro di dottrina, un amante appassionato della scienza; ma
aspira dal profondo a una scienza che riempia l’anima e appaghi i bisogni
che la nuova fede ha creati dando all'uomo la coscienza della sua
iniziativa, della sua posizione centrale nel mondo: a una scienza insomma
che dia la filosofia a questa fede. Quest’uomo, che si presenta
sulla soglia del rinascimento con la coscienza di tale nuovo problema, e
che, parlando un linguaggio pieno di malinconica nostalgia per un
tempo che non è il suo, avvia per una nuova strada lo spirito umano,
svegliando intorno e innanzi a sè una lunga schiera e folta di
ricercatori, che indagano con fedel oscura ma salda una scienza nuova,
che noni essi potranno trovare, è un grande poeta,! che fu anche un
grande scrutatore deH’anima propria colta e sensibilissima, I'rancesco
le trarca: iniziatore deH’umanesimo. L’umanesimo ha un doppio
valore storico negativo e positivo. È guerra alla scienza del
medio evo, combattuta bensì con argomenti alquanto estrinseci e
con spirito assolutamente restio per lo più, a passare attraverso a
quelli scienza per superarla:
combattuta con 1; satira della forma letteraria, ispida,
irsuta lutulenta, aspra di terminologia creata dal l’intelletto
assottigliantesi nell’astrazione quello degli studi, e quell’altro,
in cui purj vive come uomo, che ha famiglia e interess sociali, non
è il suo mondo; il letterato in^ somma che non è uomo. Tale il Petrarca,
i cui sdegni contro l’avara Babilonia e il saluto augurale ed
ammonitore allo spirito gentile sono superfetazioni retoriche della sua
poe? sia. Tale non era stato quell'Alighieri, che fu a lui sempre
incomprensibile, nel poemi divino, contemplazione e poesia, ma di
uno spirito energico, che guarda al suo tempo, e s’appassiona per
tutte le lotte che gli si agitano attorno, e fa tuonare da Dio la
parola che può essere la salute di tutti. Letterati saranno tutti i
poeti e filosofi della Italia fiorentissima del rinascimento, che
accetteranno tutti la vita quale la troveranno, poiché la loro vera
vita essi se la faranno dentro, nella fantasia e nella speculazione, nel
mondo creato da loro. La stessa religione, fissatasi al loro
sguardo nella Chiesa, che non solo associa le anime, ma le forma e
riforma, con l’amministrazione del divino commessole, con la sua teologia
e con la sua filosofia, diventa per loro qualche cosa di estrinseco e
indifferente, che ogni cittadino nel suo pæse deve accettare come
le leggi dello Stato. Cioè, in realtà, essi non partecipano alla
religione del pæse; ma ne hanno una per conto loro, il loro Dio è
la loro arte, la loro filosofia, alle quali votano tutta infatti
l’anima loro e subordinano ogni altro interesse, almeno nell’intimo del
loro spirito. Non è, veramente, nè indifferentismo religioso, nè
tanto meno ateismo. Ma ateismo pare verso la religiosità ufficiale di cui
si ridono, ancorché esteriormente le professino ogni riguardo.
Quindi i conflitti frequenti e le prigioni e i roghi, che aspettano i
nostri filosofi del secolo xvi. Il letterato, a ogni modo,
stralciandosi dalla vita comune, in cui si era consolidata, in
forma di instituzioni costrittive dell’individuo, l'intuizione trascendente e
intellettualistica del medio evo, ereditata dalla filosofia greca,
ristaurava, come poteva, la libertà dello spirito che si fa il suo mondo;
e si fa un mondo di puro pensiero, poiché non gli è consentito di
scrollare, d’un tratto, quell’altro della comunità sociale; al quale per
altro, a suo tempo, perverrà egualmente quando il principio suo, il
principio della libertà, diverrà nel secolo xvm coscienza di tutti. E per
questa sua ristaurazione, che è perfetta ed assoluta rispetto al mondo
dell’umanista, egli, il malvisto della Chiesa, il perseguitato nei
libri che saranno proibiti, nell’insegnamento che sarà vietato, nella persona'
che sarà bruciata, egli è più cristiano dei suoi persecutori: egli
è il continuatore dello spirito vero del cristianesimo. Ha infranta e
buttata via, con l’impeto. • della giovinezza, la vecchia filosofia, la
fida, l’eterna alleata della chiesa medievale, come della chiesa di
oggi e di ogni chiesa avvenire (poiché un medio evo bisogna che ci sia
sempre); ma non si è abbandonato, come si faceva una volta, al
misticismo; anzi celebra la potenza dello spirito; e, poiché una
filosofia sua non ce rha (e non era facile averla, dopo il rifiuto di una
filosofia opera millenaria), ei la ricerca nell’antichità più remota. La
ricerca dove, a dir vero, era vano cercarla; perchè quell’antichità
aveva generato il medio evo; ma l’umanista non sa questo, e non può
credere che Platone, Aristotile, quei mæstri solenni di sapienza umana,
che gli scrittori antichi a una voce lodano, possono avere insertato la
dottrina di cui essi vedono la tardiva e sfigurata immagine nelle scuole
del loro tempo. E poiché, in realtà, noi troviamo solo quello che
cerchiamo, gli umanisti, che imparano il greco, e vanno a leggere
nei testi originali e traducono e commentano, col sussidio dei più
genuini commenti greci, gli scritti di Platone ed Aristotile,
scoprono un mondo nuovo; un altro Platone e un altro Aristotile da
quelli che erano i mæstri della filosofia del medio evo; non dico
di quella filosofia, ansimante nella logica terministica degli occamisti,
che sul cadere del 300 lacerava le orecchie delicate dei primi umanisti
fiorentini, i quali avviarono pure i lavori delle nuove traduzioni greche
(chè codesta è la filosofia della decadenza medioevale); ma di
quella che e la vera, la essenziale filosofia dell epoca: la filosofia
della trascendenza e dell’intellettualismo. E non occorre dire che, se
essi non trovano più i mæstri di questa filosofia, è perchè muovono da
una condizione spirituale affatto nuova, che fa di questo ritorno
all’antico, che avviene nel 400, ' qualcosa di radicalmente diverso non
solo dalla primitiva ellenizzazione del cristianesimo nel periodo
alessandrino, ma anche, e sopra tutto, da quel primo ritorno alle fonti
I greche del sapere, che era già avvenuto nel secolo xm, nel tempo
stesso di San Tom- I maso. Marsilio Ticino e Pico della
Mirandola, in j cui culmina la direzione platonizzante, sono j
platonici; ma sono profondamente cristiani; 1 e un aura di mistica
religiosità pervade tutto 1 il loro pensiero, che vede e sente Dio per
] tutto, e sommamente nell’anima umana; e, | ispirandosi ai
neoplatonici anzi che a Pia- J tone, accentuano più della trascendenza,
che ] non possono negare, l’immanenza del divino I nella realtà
naturale e aspirante a ritornare ] all Uno da cui træ sua origine: e
aprono la 1 via a Leone Ebreo e a Bruno. Pomponazzi, il maggiore
aristote- 1 fico, fiorito al principio del 500 dal movimento filologico
sui testi di Aristotile del secolo antecedente, scopre un Aristotile, che
non è più quello dei tomisti, nè quello degli averroisti: un Aristotile
che, a poco per volta, secondo apparisce dai varii gradi
attraversati dalla speculazione stessa del Pomponazzi, finisce col
persuadersi che la materia si possa sollevare da sè fino
all’intelligenza, senza il sussidio dell’intelletto separato; e che
l’anima umana, ultimo risultato così del processo della natura,
possa compiere in questo mondo, con le sue forze, tutta la sua missione,
che è principalmente il ben fare, la virtù; e che tutti poi i fatti
della natura debbano pel filosofo spiegarsi meccanicamente, per le loro
cause: un Aristotile, insomma, per cui quel che rimane di trascendente (e
rimane tutto quello che nell’Aristotile originale e nell’Aristotile
medievale, ossia nella scolastica, era tale) non serve più alla
ricostruzione e spiegazione della realtà che sola è per il filosofo. Sicché la
filologia del secolo xv riesce, ricalcando gli antichi modelli con lo
spirito nuovo dell’umanesimo, a cavarne due intuizioni generali, in cui
la filosofia greca riapparisce trasfigurata e come ricreata dal soffio
spirituale del cristianesimo, inteso, come ho detto, quale autonomia e
valore assoluto della natura e dell’uomo. La nuova filosofia infatti
dicesi platonica e aristotelica $ ed è cristiana, ancorché mal veduta e
con-] dannata dai rappresentanti ufficiali del cri-^
stianesimo. Guardatela in Machiavelli, contemporaneo di
Pomponazzi e coerede suo della tradii zione filologica del secolo xv: chè
tutto il suo realismo politico, quella concezione dello ^ spirito,
della storia, dello Stato, tutta fondata sulla visione della realtà effettuale
e I illuminata dalla lezione degli antichi, non è I come il
positivismo guicciardiniano un empi- I rismo, ma è una vera e propria
speculazione I (Machiavelli è un idealista); la quale dello I
studio degli antichi si giova solo per libe- I rare l’uomo dalle
contingenze storiche, quali I sono per lei tutte le forme e istituzioni
me-j I dievali sorrette dalla autorità di una tra- I dizione
irrazionale; e studiarlo quindi per I quel che esso è, nelle sue forze e
nelle sue I reali attinenze col resto del mondo, come il I vero ed
unico autore della sua storia: una J specie di naturalismo del mondo umano.
Guardate, dico, questa nuova filosofia nel I Machiavelli.
Machiavellismo sarà dopo un secolo, nel Campanella, sinonimo di «
achitofellismo », negazione di ogni fede religiosa, p l’achitofellismo,
più o meno apertamente e coraggiosamente, è la conclusione definitiva e
il succo delle dottrine di tutti i pensatori del 500: anzi, di tutto lo spirito
italiano del secolo: a cui l’interpretazione aristotelica si ispira
e si conforma. Giacché averroisti e alessandristi, per diverse vie,
tendono tutti alla stessa mèta: che è la spiegazione naturale di quel che
una volta pareva superiore affatto alla natura; e gli artisti, si
chiamino Ariosto o Folengo, non conoscono altro inondo, oltre
quello naturale ed umano. Ma negavano perciò Dio? Se Dio è
quel Dio, che, stando fuori della natura e dell’uomo, rende impossibile
concepire una natura divina e un uomo divino, Dio essi lo negavano,
perchè affermavano il valore assoluto della natura e deH’uomo. Ma quel
Dio, che era sceso in terra, e si era fatto uomo, e aveva redento
la natura, era la radice della religione, che, essi primi, dopo il lungo
vano travaglio medievale, ristauravano nella storia della
umanità. Essi, infatti, per la prima volta, rivendicavano in
libertà, dal misticismo e dall’ intellettiialismo, che ne sono per opposte
ra-, gioni la oppressione aduggiatrice, il sensi profondo, proprio
del cristianesimo, dellaI divinità della vita che crea eternamente
sj stessa, dell essere che nella propria logica ha eternamente la
ragione del proprio traJ formarsi e perpetuarsi trasformandosi.
Quando l’umanesimo venne per tal modo in chi prima e in chi dopo,
alla maturiti della rinascenza, lo spirito umano potè mettere quasi 1
anelito potente di una nuova; vita, e di filologia farsi filosofia.
Quando il nuovo Platone e il nuovo Aristotile ridiedero all’uomo la
coscienza dell’immanente suo valore, e l’ebbero allenato alla
libertà dell esser suo, e dell’essere naturale, cui il suo essere
appartiene, lo stesso Platone e lo stesso Aristotile, (questi sopra
tutto, che era stato il vero signore delle scuole e il mæstro di
ogni umana sapienza) dovevano necessariamente perdere il loro prestigio
di rivelatori privilegiati delle verità naturali.] L umanista
e ancora un platonico o un aristotelico; cerca la scienza; e non sa
nè anche come deve cercarla; e interroga gli] antichi, che la
tradizione e la fama consacra nella generale estimazione come i soli
filosofi. UMANESIMO E RINASCIMENTO il fil° s °f° c l e H a rinascenza
da questi ntichi, meglio conosciuti e studiati con lo spirito nuovo
dell’umanesimo, ha appreso he la natura si spiega con la natura, la
toria con la storia; e che bisogna cercare quindi nel gran libro della
natura e della realtà effettuale dei fatti umani che cosa è la
natura e che cosa è l’uomo. Gli antichi mæstri rimandavano i nuovi
scolari all’osservazione diretta di quel che essi avevano osservato e
inteso come era possibile a loro, senza nessun sentore della
imprescindibile presenza del soggetto umano nel mondo dell'uomo. La
libertà, che gli scolari appresero da loro, quali essi li videro coi loro
occhi nuovi, la libertà essi la affermarono ben presto contro l’autorità
dei mæstri, che faceva della verità qualche cosa di dato e di estrinseco
alla mente come il Dio nascosto della teologia, come la realtà
dell’intellettualismo. E però gli umanisti, divenuti filosofi, come
parvero, e in un certo senso furono, atei e achitofellisti, furono
antiaristotelici e, in generale, ribelli all’autorità degli antichi.
Tutti invasi da un fantasma affatto nuovo, non intravvisto mai dagli
antichi scrittori: quello in cui i vecchi pensatori e sacerdoti
l’avj vano posta a sedere, quasi paralitica impoJ tente: e si
sgranchisce, e procede col tempo! e vive di questo suo cammino pei secoli
' anzi per le menti delle generazioni, che si succedono, e mai
indarno: quasi fiamma che] passi da una mano all’altra e mai non
sii spenga perchè accenda sempre nuovi incendiiJ e sempre più
vasti. / eritas jilia temporis! Gli uomini, che peri lo
innanzi avevano concepito la verità cornei pei se stante e non come il
loro lavoro, I l’avevan sempre collocata dietro a loro', al
principio della loro vita, nel paradiso ter- ] restie, nell età dell oro,
nel vangelo rinnoJ vatore e iniziatore di un’era nuova già fin da
principio perfetta, o, almeno (la verità acJ cessibile a mente umana)
nell’insegnamento degli antichi, venuti crescendo perciò sempre ]
più nella venerazione dell’universale e illuni! nandosi dell’aureola
della saggezza, onde agli t occhi dei fanciulli si ricinge sempre la
canizie, dei vegliardi. — Sì, è vero, si comincia a dire I sulla
fine del secolo xvi : la sapienza cresci cogli anni ; ma i vecchi siamo
noi, non quelli che furono prima di noi. — Così dice Bruno; ; e
così ripeteranno Bacone e Cartesio, Pascali UMANESIMO E
RINASCIMENTO Malebranche, e poi con voce sempre più alta tutti i
filosofi moderni 4 ). I quali affermeranno con coscienza sempre più salda
la ] e 11, 1-5; c. 49 r e 49 v : capp. 11 e 12; c. 50 v a 51
v : cap. 14. Ma per mostrare con un solo esempio, tratto da un
luogo del De retimi natura contenente alcuni periodi famosi (cfr.
anche in questo voi. p. 40: quei periodi in forma poco diversa
erano nel proemio del 1565, soppresso nell’ed. 1570: cfr. sopra pp. 102-3)
come il Telesio lavorasse dopo il 1570 attorno al testo della sua opera,
giova riferire il cap. 1 del lib. 11 dell’edizione Cacchi con le
correzioni autografe dell'esemplare napoletano e la redazione
corrispondente del 1588, dov’è mantenuta la più importante di quelle
correzioni. Ecco il cap. dell’ed. Cacchi con le correzioni
dell’autore: Quoniam, quæ in superiore Commentario exposita
sunt t alio omnia se habere modo Aristoteli videntur, eius omnino de
singulis illis sxp/icondqw esse, cxcwiviividfinique sententiam.
Quoniam autem non Terra modo e sublunaribus primum corpus
Aristoteli videtur; sed et aqua itidem, et qui nos ambit ær, et is, qui
Coelo subiacet et cum Coelo circumvolvi videtur; et unumquodque eorum
non ab unica' agente natura, sed a duplici singula illas, debilitatasque,
at non eas tamen modo, quæ unius sint corporis, sed omnes simul sibi
ipsis commistas, contplicatasque, pene et unum factas inesse; e
simplicium itaque complexu, commistioneque effecta mista Aristoteli dicuntur:
et nequaquam a propria Coelum natura, propriaque calefacere substantia,
caloris omnino expers, nec calorem suscipere ullum aptum, commune
sublunaribus habens nihil, penitusque diversa præditum natura, sed sublunarem ærem
commovens, conterensque: et nec a propria omnino forma '), propriaque
moveri substantia, sed ab immotìs motoribus; longe omnia a nostris
dissidentia; ipsius explicanda est, excutiendaque de singulis sententìa:
neque enim et aliorum itidem recensendæ sunt, examinandæque opiniones, ab
ipso satis reiectæ Aristotele, et non penitus etiam notæ nobis.
Utinam et cum Peripateticis liceret idem: magno itaque vacuis labore
aliena exponendi reiiciendique, nostra tantum explicanda. esset sententia; at
non admissis modo illorum placitis decretisque, sed ea acceptis
fide ac religione, ut si ex ipsius naturæ ore prolata essent: non
igitur rei ullius 1 2 ) amplius natura inspicienda, indagandaque cuipiam
videtur, at tantum quid de quaque Aristoteles senserit, speculandum. Non
id ignoscant raortales rogandi, quod videlicet in singulis examinandis et
neqnaquam a propria Coelum.., forma, cancellato. 2) itaque rei ti
ullius. T. Arislotelis sententiis hæreamus '): at quod
dissentire ab ilio audeamus, et non illum numinis instar veneremur; qui
si illius dicto audiant, aut factum incitentur, nihil nobis veritatis
studio illi adversantibus succenseant : quin gratias potius habeant, et
idem ipsi faciant omnes: ipse enim Aristoteles veritatem amicis omnibus
præhonorandam admonet, et veritatis gratia præceptorem etiam amicumque
incusare nihil vereri videtur. Huius certe nos amore illecti, et hanc
venerantes solam, in iis, quæ ab antiquoribus tradita fuerant
acquiescere impotentes, diu rerum naturam inspeximus: et conspectam (ni
fallimur) tandem aperire illam mortalibus voluimus, nec liberi nec probi
liominis officio fungi iudicantes, si generi illam hurnano invidentes, at
invidiam ab hominibus veriti ipsi illam occultemus. Age igitur, ut
clarius illa elucescat, agentia rerum principia inquirentem, et prima
constituentem corpora, tum reliqua ex iis componentem, postremo et Coeli
Solisque motu calorem generantem, et motores immotos, a quibus
Coelum moveatur, indagantem, ea omnino, quæ in superiore nobis tractata sunt
Commentario, in quibus (ut dictum est) omnibus summe a nobis dissentit,
explicantem Aristotelem audiamus, eiusque dieta singula rationesque
examinemus. Ed ecco che cosa diventerà questo capitolo nella redazione
definitiva del De rer. natura (ed. Spampanato). Cancellato questo periodo Non
id... hæreamus, c corretto: {speculandnm) quovis labore nostro, quovis ahorum
itidem fastidio, singulæ eius positiones quam diligentissime et sæpius
eadem interdum esponendo f ex am in a n dæque omnino sunt (?). Nihil si in iis
tractandis plus iusto immoremur mortales nobis ut ignoscant rogandos esse
existimantcs. GENTILE, T. Repeluntur complura quæ superioribus traditi
sunt commenlariis. Ponitur stimma positionum Aristotelìs quæ infra
sunt expendendæ. Materia non una ei duplex natura agens, et
unus calor frigusque unum, mundi huius universi principia, nec quod
terrain mareque et stella? inter quodque ipsas inter stellas locatum est
ens, unam idemque et ab una eademque universum constitutum natura, nec
duo tantum prima esse corpora, nec entia reliqua a coeli solisque natura e
terra effecta, quemadmodum nobis, Aristoteli videntur. Ille enim sublunaria
omnia una eademque e materia; quæ supra lunam sunt entia, cælum
stellasque omnes, ex alia constare et quæ nihil illi congruat naturarumque quas
illa suscipit prorsus incapax sit; et quod inter lunæ orbem terramque et
mare est ens, in duo, in ignem aéremque (ignem enim supremam eius
portionem quæ lunæ orbi subiacet, ærem vero infimam liane quæ terram
ambit, appellat), divisam esse affirmat. Et præter cælum quattuor esse
prima corpora, terram, aquam, ærem, ignem, decernit: minimeque ad horum
constitutionem calorem modo frigusque sed humiditatem etiam et siccitatem, ut
agentes naturas, et ad illorum singulorum constitutionem nequaquam earum
unam sed oppositionis utriusque alteram affert; et duplicem omnino
singulis agentem assignat naturane dictisque e quattuor corporibus, at
veluti mutuis vulneribus confectis afflictisque et pugnam pertæsis tandem
et sibi ipsis commixtis, pene et unum factis omnibus, entia reliqua
constituit omnia. Et cælum stellasque omnes propria natura et quæ a calore
frigoreque et ab humiditate siccitateque prorsus diversa sit, donat. Itaque
calor qui a sale fit non ab eius natura nec a propriis eius viribus, sed
ab eius fit motu, a quo sic cælo suppositus ignis et bona aéris pars
agitetur, conteratur, accendatur accensusque ad terram usque
detrudatur; et nequaquam a propria cælum natura propriaque substantia sed
ab immotis moveri motoribus statuit. Longe tandem mutuo in omnibus fere
dissentimus. Quas ob res Aristotelis explicanda excutiendaque est de
singulis sententia; nec vero et aliorum etiam opiniones, satis ab ipso,
ut videtur, reiectæ et quæ, nulli admissæ, ab ullius removendæ sunt animo. Utinam
cum Peripateticis liceret idem: magno aliena exponendi reiciendique
labore vacuis, nostra tantum explicanda esset sententia. At quoniam non
admiserunt modo illorum placita et decreta, sed ea acceperunt fide et
religione ac si ex ipsius naturæ ore prolata essent; itaque rei
nullius amplius natura inspicienda indagandaque cuipiam videtur. sed
tantum quid de quaque Aristoteles senserit speculandum: utique quovis
labore nostro, aliorum etiam fastidio quovis, singulæ illius positiones
quam diligentissime, et sæpius eædem interdum, exponendæ examinandæque sunt.
Nihil, si in iis tractandis plus iusto interdum immoremur, mortales nobis
ut ignoscant, sed quod a summo naturæ interprete dissentire
audeamus et non numinis instar illum veneremur, rogandos esse
existimamus: qui, si illius dictum audiant aut factum imitentur, nihil
nobis veritatis studio illi adversantibus succenseant, quin gratias
potius habeant idemque ipsi faciant omnes. Ipse enim liber in
philosophando Aristoteles veritatem amicis omnibus præhonorandam admonet, et
veritatis gratia præceptorem etiam amicumque incusare nihil veretur.
Huius certe solius nos amore illecti et hanc venerantes solam, in iis quæ
ab antiquoribus tradita erant acquiescere impotentes, diu rerum naturam
inspeximus, et conspectam, ni fallimur, tandem mortalibus aperire
voluimus; nec liberi nec probi hominis officio fungi iudicantes, si generi
illam humano invidentes aut invidiam ab hominibus veriti, ipsi illam occultaremus.
Ergo, ut clarius illa eluceat, agentia rerum principia inquirentem et prima
constituentem corpora, tum reliqua ex iis componentem, postremo et
càeli'solisque motu calorem generantem et motores immotos, a quibus cælum
moveatur, indagantem, ea denique, in quibus omnibus summe a nobis
dissentit, explicantem Aristotelem audiamus, et singula eius dieta
rationesque examinemus. T. Consentini De Ret urn natura \ iuxta
propria principia | libri IX | ad illustriss. et Excellenriss. D. Ferdinandum
Carrafam Nuceriæ Ducem | Neapoli | Apud Horatium Salvianum In f. Sul
frontespizio è riprodotta la figura femminile. Questa edizione definitiva (di
cui Græsse, vi, ij, p. 47 ricorda copie con la data 1587) è riprodotta nelle
due seguenti: 4 Tractutionum pkilosophicarum tomus unus\ in
quo continentu.r: I. Mocenic! Veneti Universaliutn
Institutionum ad hominum perfectionem, quatcnus industria paruri potest,
contemplationcs quinque ; Cæsat.pini Aretini Quæstionum Peripateticarum,
libri v; III. Ber. Telesii De rerum natura, Genevæ, apud Eustach.
Vignon; in f. Nè anch'io I10 potuto vedere questa edizione; che il
Nicekon (Mèmoires) dice conforme all’ed.. Spampanato, pref. alla sua ed.
p. xxi, erra dicendo genovese questa ristampa e credendo relative al De
rcr. fiat, le opere del Mocenigo e del Cesalpino. T. I
i; 5 T. Consentini De rerum natura iuxta propria
principia, Coloniæ, Excudebat Petrus Moulardus,Questa edizione è citata
da L. T., in T. Operimi catalogus, aggiunto alla sua ristampa dell
'Orazione del D’Aquino, p. 71.— Fiorentino, Pomponazzi, cita una
edizione del De rei . natura con la data di « Neapoli 1637»: che dice
appartenuta a Ulisse Aldrovandi ed esistente nella Bibl. Naz. di Bologna.
Se non che, come m’informa l’amico prof. Flores, questa Biblioteca
possiede soltanto l’edizione, e del resto l'Aldrovandi mori nel 1605. È
piuttosto da tener presente il seguente luogo della Orazione 8 del D’Aquino (p.
9): « Onde de’ suoi divini scritti tanta stima ha fatto il mondo, che
sono stati dati più volte in luce, non solamente in Italia, ma in Fiandra
ed in Germania: e sebbene gli Italiani hanno innalzato le sue opere
grandemente, le nazioni straniere si sono ingegnate in ciò di avanzargli,
e gli Alemanni, rimosso il primo titolo del libro, dove egli per sua
modestia ponea solamente il suo nome ed il suggetto dell’opera, l’hanno
ornato grandemente d’un altro nuovo titolo nel quale si contiene, che
quella opera è piena di molta dottrina, e che è necessaria agli studiosi
delle lettere così umane come divine ». T. De rerum natura \ a
cura di | Vincenzo Spampanato, Formiggini editore in Modena. È il 1“
volume dei Filosofi italiani, collezione promossa dalla Soc. filos. italiana,
diretta da Felice Tocco. Precede una pref. del Tocco e una dello
Spampanato. Il (piale pubblicherà in altri due volumi il resto del Ve r.
nat., e forse un 4“ e un 5» voi. contenenti dei saggi delle edizioni e
gli opuscoli. A questo i» voi. ha premesso una riproduzione del ritratto
inciso dal Morghen, pubbl. per la prima volta nella Biografia degli
uomini ili. del Regno di Napoli del Gervasi. n 8 appendice
bibliografica Riproduco qui appresso la dedica e il proemio,
premessi dal Telesio all’edizione definitiva della sua opera, secondo la
stampa del Salvianl. Illustrissimo atque exceli.entissimo
domino don Ferdinando Carrafæ duci Nuceriæ Bernardinus Telesius
consentinus. Commentarios de rerum natura, quos, ut probe nosti,
excellentissime Princeps, magnis laboribus diuturnisque confeceram vigiliis,
edendos tandem visum cum csset, sub tuis omnino auspiciis emittendos esse
duximus; nani et domi tuæ conscripti fuerant, et plurtmis magnisque
beneficiis, quæ in me contuleras, debebantur. Et amplius etiam, quod
Aristotelis doctrinam (quam adeo Alexander excoluit veneratusque est, et
quæ sub Alexandri patrocinio adeo floruit tantoque habita fuit in
honore) ut sensui et sibi ipsi passim repugnantem cum damnemus, aliamque
et longe ab illa diversam cum ponamus, non sub regis cuiuspiam auspiciis,
qui imperii amplitudine Alexandro conferri posset, sed sub herois
præsidio emittendos esse duximus, qui nec ingenio nec iudicio nec animi
magnitudine nec virtute omnino ulla ab Alexandro exsuperaretur, quin qui
in multis illum exsuperaret. Et nostri temporis hominum unus tu
talis, excellentissime Princeps, non nobis modo, sed sanis hominibus
visus es omnibus, ltaque nihil venti quod opibus potentiaque ab ilio
exsupercris, sub tuis omnino auspiciis emittendos esse decrevimus. Nostra
siquidem doctrina quoniam nec sensui nec sibi ipsi nec sacris etiam
litteris repugnat unquam, quin adeo bis et illi concors est, ut ex
utrisque enata videri possit; quoniam omnino vera est, sese ut ab mvidorum
calumniis tueatur et, iis reiectis, sese assidue T. effundat
amplificetque, nullis regum opibus nuliaque potentia sed tua modo opus
habet ope; qui sic animi bonis, quæ dieta sunt, nihil ab Alexandro
exsuperaris, quin in illorum multis tu illum exsuperas. Nam ingenio
iudicioque te ilio quam longissime præstantiorem esse, vel doctrina, quam
uterque admittendam decrevit, manifestai.,Quam enim ille amplexatus
veneratusque est et summis præmiis summisque dignara existimavit
honoribus, quod dictum est, et sensui et sibi etiam ipsi, quin et Deo
optimo maximo, passim repugnat. Itaque soli calorem lucemque abnegat: et
mundum nequaquam a Deo optimo maximo constructum, sed voluti casu
quodam enatum ponit; et rerum humanarum administrationem cognitionemque Deo
demit omnem. Et non sensui modo, sed, ut nostris in commentariis apertissime
ostensum est, sibi ipsi etiam passim dissentit adversaturque ; ut
existimare liceat vel in præceptoris gratiam, nihil eius
fundamentis positionibusque inspectis examinatisque, Alexandro admissam
fuisse, vel quam longissime illum abesse, ut ingenio iudiciove tibi
conferri possit. Nam tu doctrinam nostram non statim, sed ibi tandem admittendam
perdiscendamque esse duxisti, ubi sensui et sibi ipsi universa et sacræ
etiam scripturæ bene concors visa est. Ut, quod dictum est, ingenio
iudicioque multo te Alexandro præstantiorem esse necessario existimandum
sit. Neque enim, si, quali tu, ingenio iudiciove donatus ille fuisset, et
sensui et sibi ipsi et sacris divinis litteris passim dissentientem
Aristotelis doctrinam admittendam duxisset unquam. Animi porro magnitudine
fortitudineque nihil Alexandrum te præstantiorem fuisse res, a te in
Peloponneso gestæ, manifestant: ubi, innumerabilibus Turcarum
equitibus in Christianorum exercitum, turbatum iam trepidantemque,
irruentibus (qui omnino nisi a te repressi reiectique fuissent, magnimi nostris
incommodum illaturi erant), non magno veteranoque cum exercitu, ut
Alexander, sed perpaucis cum peditibus, in fugam iam coniectis et a te
retentis tuaque præsentia et fortitudine confirmatis, sponte tua te
opposuisti; et longe illorum plurimis interfectis, reliquos in fugam
coniecisti penitusque prodigasti. Itaque Christianorum exercitum, summum iam in
periculum adductum et in fugam iam conversum confirmasti conservastique : talem
omnino te præstitisti, ut eorum, qui pugnantem te conspexere, nulli
dubium esse posset, quin, si unquam exercitus ductandi magnaque bella
gerendi occasio tibi oblata foret, bellicam Alexandri gloriam æquaturus
et superaturus etiam esses. At pares, quæ dictæ sunt, virtutes in utroque ut
sint, puriores certe in te splendent, neque enim, quod in ilio passæ
interdum sunt, ab immixtis vitiis in te obscuratæ sunt unquam. Et
nequaquam, ut ille, deos tu colis ab hominibus effictos multisque
obnoxios vitiis; sed Deum venerans, cæli terr:eque conditorem et qui
unigeniti Filii sui morte humanum genus servari substinuit,
sanctissimaque eius præcepta summa observas cum religione. Minus
etiam generis claritate ab Alexandro exsuperaris, siquidem Carraforum)
familia multis iam sæculis plurimorum magnorumque principum coronis et regio
etiam diademate effulget (nam tuus ille Stephanus Sardiniæ regnum regio
cum titulo obtinuit diuque possedit), et plurimorum magnorumque sacrorum
antistitum puniceis pileis et pontificia etiam corona exornata est: ut ambigere
non liceat, quin generis etiam claritate nihil ab Alexandro
exsupereris. Quoniam
igitur, Alexandro collatus, nec generis claritate nec ullis animi bonis
inferior videri Spamp. Carra/arum. potes; age, commentarios nostros
(propterea in primis tibi dicatos, quod Alexandro si) quidem fortuna
imperioque, non certe et ingenio iudiciove, nec vel magnitudine vel aliis ullis
animi bonis ab ilio J ) exsuperaris, quin in multis tu illum exsuperas)
libens suscipe. Et si Aristotelis voluminibus, quæ tantis Alexander præmiis
tantoque digna existimavit honore, niliil deteriores tibi visi sint; et
nostri mores nostrumque ingenium, quod penitus tibi perspectum sit oportet,
nihil me unquam (cuiusmodi Aristoteles erga Alexandrum fuit) tuorum
erga me beneficiorum immemorem ingratumque futurum suspicari sinent 3 ); non
quidem, ut non minoribus præmiis nos prosequaris, rogamus (quæ scilicet a
præsenti fortuna tua exspectari non possunt et quæ nulla a te expetimus,
satis superque a benigni tate tua ditati), sed ut non minore me
prosequaris benevolenza et, quod hactenus strenue fecisti, Peripatedcorum
iniurias calurnniasque repellas. Nihil omnino, quam Aristoteles Alexandro fuit,
me tibi minus carum, neque in minore, quam ab ilio habitus fuit, nos a te
in honore haberi homines intelligant. Hoc vero, ut præstes,
percupimus et summopere te rogamus. Vale, o præsidium et dulce
decus meum. Spamp. Quod si. Spamp. Ab Alexandro. Spamp. Sinant.I
T. Comentini De rerum natura iuxta propria principia Liber primus:
Prooemium '). Mandi constructionem corporumque in eo
contentoram magnitudinem naturamque non ratione, quod antiquiorihus
factum est, inquirendam, sed sensu percipiendam et ab ipsis liabendam
esse rebus., Qui ante nos mundi huius constructionem rerumque in eo
contentarum naturam 3 ) perscrutati sunt, diuturni quidem vigiliis magnisque
illam indagasse laboribus, at nequaquam inspexisse videntur. Quid enim
iis illa innotuisse videri queat 5), quorum sermones omnes et rebus
et sibi etiam ipsis dissentiant adversique sint? Id vero propterea iis
evenisse existimare licet 1 2 3 4 5 6 7 ), quod, nimis forte sibi ipsis
confisi, nequaquam, quod oportebat, res ipsas earumque vires intuiti, eam rebus
magnitudinem ingeniumque et facultates '), quibus donatæ videntur,
indidere. Sed veluti, cum Deo de sapientia contendentes decertantesque,
mundi ipsius principia et caussas ratione inquirere ausi, et, quæ non
invenerant, inventa ea sibi esse existimantes volentesque, veluti
suo arbitratu mundum effinxere. Itaque corporibus, e quibus Questo Proemio formava il
cap. i del lib. i nella ediz. 1570 con alcune varianti che saranno qui
appresso indicate: rultima delle quali assai notevole. coni etti or
uni naturam. rerumqtu naturam.indagasse illatn. videri
potest. evenisse videtur. id rebus ingenium easque facultates.
8) causas. constare is videtur, nec magnitudinera
positionemque, quam sortita apparent, nec dignitatem viresque ‘),
quibus prædita videntur, sed quibus donari oportere propria ratio
dictavit, largiti sunt. Non scilicet eo usque sibi homines piacere et eo
usque animo efferri oportebat, ut (veluti naturæ præeuntes, et Dei ipsius
non sapientiam modo 1 2 3 4 5 ) sed potentiam etiam i) affectantes) ea
ipsi rebus darent, quæ rebus inesse intuid non forent et quæ ab ipsis
omnino habenda erant rebus. Nos non adeo nobis confisi, et tardiore
ingenio et animo donati remissiore, et humanæ omnino sapientiæ amatores
cultoresque (quæ quidem vel ad summum pervenisse videri debet, si, quæ sensus
patefecerit et quæ e rerum sensu perceptarum similitudine haberi possunt,
inspexerit), mundum ipsutn et singula eius partes, et partium rerumque in
eo contentarum passiones, acriones, operationes et species intueri proposuimus.
IUæ enim, recte perspectæ, propriam singulæ magnitudinem, hæ verum
ingenium viresque et naturam manifestabunt. Ut si nihil divinum, nihil
admiradone dignum, nihil etiam valde acutum nostris inesse visura fuerit,
at nihil ea tamen vel rebus vel sibi ipsi repugnent unquam; sensuin
videlicet nos et naturam, aliud præterea nihil, secud sumus, quæ, perpetuo sibi
ipsi concors, idem semper et eodem agit modo atque idem semper operatur.
Nec tamen, si quid eorum, quæ nobis posita sunt, sacris litteris catholicæve
ecclesiæ non cohæreat, tenendum id, quin penitus reiciendum,
asseveramus 1) ejfmxere et corporibus. e quibus constate is
videtur. non ram tuagnUudinem eamque dignitatem et vires. modo sapientiam.etiam
potentiam.aciiones atque operationes intueri.magnitudinem ac speciem, hæ. s
unirne. contendimusque. Nequeenim humana modo ratio quævis, sed
ipse edam sensus illis posthabendus; et si illis non congruat, abnegandus
omnino et ipse etiam est sensus *). 7 Bernardini | Telesii |
Consentini | De hìs, quæ in Ære fiunt; et de Terræ- \ motibus. Liber
(Jnicus | cum Superiorum facultate. | Neapoli, | Apud Iosephum C'acchium.
Carte. nuin. nel redo. Sul frontespizio è la solita figura femminile, eom’è
anche nei due opuscoli seguenti. Precede questa dedica:
Illustrissimo et Reverendissimo Tolomeo Gallio Cardinali
Comensi ac Archiepiscopo Sipontino Bernardinus Telesius S. P.
D. Quoniam plurimis gravissimisque, ut nosti, molestiis
oppresso detentoque, ad te, quod summe quidem semper cupivi, et quo nihil mihi
iucundius contingere posset, venire tecumque vivere non licet; nec vero
alia ratione meam erga te observaniiam gratitudinemque manifestare;
utrumque, quo licet modo, ut efficerem, Commentarium De iis quæ in aère fiunt,
ad te mittere statui. Minus certe munus, quam quod tuis erga me
meritis debeo; qui scilicet cum nulla alia in re studium voluntatemque
tuam a me desiderati passus sis, tum vero studiorum meorum egregius
imprimis fautor semper fuisti. Multo etiam minus quam quod virtutes tuæ
expostulant, surnma integritas, summaque in omnes charitas; non illæ quidem ad
homines alliciendos simulatæ, [Mancano i due ultimi periodi: JVec tamen...
est sensus. a ut segnes unquam, sed veræ puræque, et unius honesd
grada scraper vigiles semperque operantes; et summa prudentia, rerumque
omnium cognido. Emicuerunt quidem illæ, cum sub Pio IIII. Pontif. Max.
Christianam Rempublicam tu imprimis tractares, administraresque; et ita
eraicuere, ut multo spiendidius emicaturæ viderentur, si tempus unquam
nactæ forent, in quo liberius splendere possent. Summam præterea animi
tui magnitudinem quis non summopere amet summeque veneretur? Qua effectum
est, ut nullis bonorum quorumvis accessionibus quicquam elatus aut
immutatus omnino esses unquam; bona scilicet quævis, et quæ virtus
tibi pararat tua, te minora semper visa sunt, et fuere mehercule semper
minora; itaque nihil illa te extulere unquam. Me quidem diu penitusque
egregias animi tui virtutes et mores cum sancdtatis tum vero et
iucunditatis plenissimos intuitum tanta illæ erga te veneradone tantoque animi
tui amore desiderioque inflammarunt, ut nec venerari te satis, nec colere
amareque, et tecum esse satis desiderare posse videar. At multo, ut
dixi, maiora a me meritus, parvo hoc munere, scio, contentus eris ; Deum
Opt. Max. imitatus, qui non quas non habemus opes, nec opes omnino ullas,
sed veram modo pietatem, esto et modici thuris evaporationem a
nobis poscit. Tum qualecunque id est, perpetuum erit, spero, tuorum erga
me meritorum, et meæ erga te observantiæ charitatisque signum.
Vale. T. | Consentini De color um generatione Opusculum. Cum
superiorum facultate | Neapoli, | Apud Iosephum Cacchium. In-4 1
cc. 7 nnmiii. nel redo. Precede la seguente dedica, in alcuni esemplari
premessa ai due libri del De t er. natura del '70 per errore di chi legò
con essi questi opuscoli. Illustr. mo Io anni Hieronymo Aquevivio
Hadrianensium Duci T.,CONSENTINUS S. P. D. Multos equidem iam annos
surama te prosequor veneratione, summoque tui videndi desiderio
teneor. Neque enim unus aut alter te cum cæteris animi bonis
virtutibusquetum vero divino sane ingenio iudicioque longe acerrimo præditum
disciplinisque omnibus apprime ornatum mihi prædicavit; sed communis
omnium consensus, et eorum præcipue qui et te magis norunt, et qui, quæ
in te sunt, bona reliquis exquisitius intueri possunt: in primis Marius
C/aleota (qui vir et quantus!): hic quideni te non summis ætatis nostræ
hominibus, sed antiquis illis hæroibus ac divinis viris conferre nihil
veretur; nec vero Rempublicam vel manu vel consilio adiuvandi occasionem
nactus si sis umquam, quin illorum gloriam exæques, aut etiam exsuperes
dubitat quicquam. Admirabilem scilicet intuitus naturam tuam, et cum
reliquarum honestarum disciplinarum tum vero philosophiæ studiis diu
summaque excultam diligentia, summa itaque erga te charitate ac veneratione
summoque tui desiderio me inflammavit (rie). Quod si per molestias, quibus
multos iam annos assidue opprimor, mihi licuisset, promptius, mihi crede,
ad te quani ad fortunatissimos reges advolassem; et præsens animi mei
propensionem erga te patefecissem, ac dedidissem omnhio me tibi. Id
quando adhuc facere non licuit studiorum meorum monumentum quippiam tibi
offerre visum est, quod meæ erga te observantiæ signum esset: itaque
commentarium De colorum generatione ad te mitto. Libens, spero, munus,
qualecumque est, accipies, in quo nimirum hominem, qui te nunquam vidit,
virtutum tuarum pulchritudine ac fulgore incensum intuebere. Nani,
si probatus tibi ille fuerit, et perobscuram adhuc, ut videtur,
colorum naturarli exortumque patefecerit, id vero opibus a te omnibus carius æstimatum
iri certo scio; ut qui illustrissimorum maiorum tuorum more rerum
cognitionem rebus omnibus ac regnis edam ipsis præhabendam semper duxeris.
Vale. 9 Bernardini | T. | Consendni | De mari, \ Liber
Unicus. | Ad Ulustriss. Ferdinandum Carrafam | Soriani Comitem. | Neapoli, |
Apud Iosephuin Cacchium. In fondo all'opuscolo-. Cum Licentia
Superiorum. Sono cc. 12 numm. nel recto-.Precede questa dedica: Illustriss.
Ferdinando Carrææ Soriani Comiti T. S. P. D. Cum
primum literas tuas accepi, quibus declarabas te in iis, quæ de mari ab
Aristotele tradita erant, acquiescere minime posse, et quid de eius natura et
motibus sentirem, ad te conscribere mandabas: etsi plurimis (ut
nosti) opprimerer molestiis, dbi tamen ut morem gererem tuique desiderio
sadsfacerem, commentari uni, quem iam pridem de eo conscripseram, rudem
adhuc, quantum per præsentes occupadones licuit, polivi. Et præter
morem nostrum, prius quæ ab Aristotele tradita sunt, in eo exponuntur
examinanturque, ut facile homines intelligerent iure te in iis acquiescere
non potuisse: tum nostra apponuntur. Perleges vero tu
illuni, et si tibi probatus sit talisque visus, qui et tuo sub nomine in
lucem prodire queat, prodeat. Neque enim, quæ tu admittenda decreveris,
alii ut damnent vereri licet; libens certe confectum tibi opus,
qualecumque id sit, accipies; summara in eo meam erga te charitatem
observantiamque intuitus et grati animi signum cura erga te, tum et erga
illustrissimos parentes tuos, Alfonsum Nuceriæ Ducem, virum unum
omnium optimum constantissimumque, et loannam Castriotam, quæ cum
maxime fortunæ corporisque bonis affluat, et tantis omnino, quantis plura
ne optare quidem liceat, si cum alias eius animi virtutes, tum vero, quæ ægre
sitnul coire videntur, lenitatem sublimitatemque summe in ilio
coniunctas, pene et unum factas quis inspiciat, vix illorum splendorem
intueatur; ut mihi quidem nostræ ætatis homines nihil ea amabilius, nihil
etiam divintus conspicere posse videantur. Hæc vero tu eius parentisque
tui splendorem summamque utriusque generis claritatem ne novis luminibus
non illustres dubitandum est quicquam. Nam mihi quidem te illosque
intuenti, quæ in illorum utroque corporis animique bona sunt, ex
utroque hausisse videris omnia: minimeque vel eorum vel avorum gloria vel
tantarum opum possessione, totve ac tantorum populorum dominatione
contentus tuo tibi ut studio tuoque labore novum decus novosque honores
acquiras summa attendis cum diligentia. Age vero, qua coepisti perge, et
mihi crede, non summam modo gloriam, sed veram adipisceris felicitatem,
summæ nimirum fortunæ summam adiicies sapientiam. Vale. io.
Bernardini | Telesii | Consentini | Vani de naturalibus | rebus libelli \ ab
Antonio Persio editi. | Quorum alii nunquam antea excusi, alii meliores | facti
prodeunt. | Sunt autem hi | de Cometis, et | Lacteo Circulo. | De liis, quæ in Ære
fiunt. | De Iride. | De Man. SCRITTI DI B. T. Quod Animai universum. | De
Usu Respirationis. | De Coloribus. | De Saporibus. | De Somno. |
Unicuique libello appositus est capitum Index. | Cum privilegio |
[insegna tipografica) | Venetiis M.D.XC. | Apud Felicem Valgrisium.
Dopo la pref.
Antonine Persine camiido Perfori, c’è l’ Inde a opusculorum, diviso in
due parti: Prima pars, in qua precipua Metereologica continentur;
Secunda pars, in qua, quæ Parva naturalia dici possimi,
tractantur. Nella 1“ classe sono compresi i quattro opuscoli
De Cometis et tacteo circolo, De bis quæ in apre fiunl (dedicati
entrambi a Gian Iacopo Tomaie), De iride (al vescovo di Padova
Luigi Cornelio) e De mari (a Francesco Patrizio). Nella 2 a
altri cinque opuscoli : Quod animai universum ab unica animæ substantia
gubernatur contro Calenum (a Tinelli), De usu respirationis (a Giovanni
Micheli), De coloribus (a Benedetto Giorgi), De saporibus (a Fed.
Pendasio), De somno (a Girolamo Mercuriale). Il volume consta
di 4 carte inn. a principio, 5 parimenti inn. in fine e dei 9 opuscoli
ciascuno dei quali con numerazione a sé, sul recto, e con frontespizio
particolare; tranne il primo. Il I- 1 I op. di cc. (De Com. e De Air); il III (De ir.) di cc.
20; il IV (De mari) di cc. 19; il V (Quod anim.) di cc. 47; De usu)
cc. 8; De color.) cc. 15; (De sapor.)
cc. 15; De somno) cc. 15. Riporto la prefazione generale e le singole
dediche. Antonius Persius CANDIDO LECTORI. Novem hæc
Bernardini Telesii physica opuscula, quorum tria tantum antehac excusa fuerunt,
eodem omnia volumine complexa, ut publici iuris efficienda curarim
id fuit causæ potissimum, Candide lector, quod, cum paucissima eorum
exempla circumferrentur, adeo ut jpsi mihi, qui Telesio inter vivos
agenti coniunctissimus, G. Gentile, T.1.^0 ac, ni fallor,
carissimus fueram, antequani unius ex singulis compos fierem, sudandum fuerit,
liuic malo quani primum eonsulere necessarium existimarim. Timebam
enim ego duorum alierum, vel scilicet ne labores Ili perirent omnino, vel
ne quis eos tanquain proprii sibi partum ingenii vindicans, suuni iis
noinen, Telesii expuncto nomine, inscriberet, et ut sua tandem in commune
proferret. Cuiusmodi non defuturos homines fuisse ut milii persuaderem
effecere multi, quos novi egomet consimilem lusisse ludum. Ac profecto
nostra liac tempestate, si ulla unquam alia factum est, malis hisce artibus prò
sapientia uti licet. Ut autem rem piane intelligas, erant ex his
tres tantum modo, ut dixi, excusi libri, De his quæ in ære fiunt scilicet
unus, alter De mari, tertius De colorum generatione. Ac De mari
quident ille nonnullis auctior capitibus tibi datur, quæ nos in ipsius
calcem omnia reiecimus. Qui vero De coloribus est, longe prodit alius,
non verbis tantum, sed et sententiis atque opinione. Cæteri omnes nunc
primum publicantur. Ex iis, qui mihi a T. missi fuere (sunt autem hi; De
somno, De saporibus, De bis quæ in ære, De mari), hi longe aliis
emendatiores exhibentur; reliqui autem, quos aliunde expiscatus sum (curavit
eos mihi Franciscus Mutus, præstanti vir doctrina ac T. philosophiæ cognitione
liaud levi præditus), ii non solum alicubi imperfecti, veruni etiam
tam male exarati ac mendose exscripti erant, ut divinandum mihi fuerit in
plerisque locis. Cum autem in iis exentplaribus, quæ nacti sumus, loci
nulli neque Aristotelis, neque Galeni, neque aliorum, qui a I
elesio laudantur authores, neque in contextu, neque in margine notati
extarent, nos eos omnes in tuum commodum, Amice Lector. ad oram cuiusque
libelli rite adscripsimus. Ad hæc schemata quædam in libello De
'.il iride ab authore nominata, vel saltem subintellecta,
quod nullum eorum in nostris codicibus vestigium extar et, accurate
delineavimus, ut facilius id, quo de agitur, intelligeres. Atque hæc nos tibi tanquam in
alieno solo (ut cum nostris loquar iurisconsultis) elaboravimus,
propediem te in nostro accepturi, atque ex ugello ingenioli nostri, quæ
tibi forte non ingrata videantur, multo liberalius deprompturi. Quod reliquum
est, Lector Immanissime, quo nobiscum ab illius sapientissimi viri manibus
gratinili aliquam in eas, ac magis udlitati publicæ consulamus, si forte
meliores, quam nostri sunt, codices fuerit nactus, ut et ego meliores
edere possim, mihi eos, quæso candidus imperti; si non, his utere
mecum. Vale. Ai primi due opuscoli è premessa la dedica seguente:
Antonius Persius IGANNÌ IACOBO TONIALO VIRO PRÆSTANTISSIMO
S. P. D. Quod in studio mathematices, quo maxime omnium
semper es delectatus, in primisque astronomicæ facultatis, totus usque sis,
laudo te, mi Tomaie, vehementer, ac vere virum censeo, qui non te otio,
quod plerique ista fortuna, hoc est opibus, abundantes homines
faciunt, corrutnpi sinas; sed, cum ingenio iudicioque cum paucis sis
conferendus, animum tuum optimis artibus perpolitum nobilissima rerum
excelsissimarum excolis cognitione. Cui tantum detulit Aristoteles, ut eam vel
imperfectam perfecta inferiorum rerum scientia multo duxerit esse præstantiorem.
Utere igitur fortunæ bono dum per florentem ætatem tuam licet, et
viaticum senectuti para. Collocupleta tuum solidis atque immortalibus bonis
animimi: amicitias quoque, quod facis, adiunge tibi liberalitate hac tua,
omnique officiorum genere, quæ ego abs te expertus non vulgaria,
perlibenter soleo prædicare. Et quo extaret eoruni significano
diuturnior, a me tibi nuncupati ut exirent duo hi Telesii nostri libelli De
cometis et lacteo circulo unus, De iis quæ in ære fiunt alter,
libentissime curavi: simul ut haberes occasionerei de rebus coelestibus,
coeloque proximis, quo te rapit astrorum studium, novam Telesii nostri
disputationem alacrius legendi. Cuius tu philosophiam magno animo
amplexatus maxima cum iudicii et ingenii laude tueris. Ac liber ille
quidem, quo De iis, quæ in ære fiunt, disseritur, editus antehac est,
nunc emaculatior prodit. Alter vero nunc primum publici iuris efficitur. Vale, et Persium
tuum ex animo nunquam elabi tuo patiare. Patavio Illustrissimo ac
reverendissimo Aloysio Cornelio episcopo Paphiensi et Patavino designato.
Antonius Persius. S. P. D. Post nobilem illum universæ terræ
cataclysmum, ex quo Noe, cum familia servatus, humanum genus reparavit,
apud Ethnicos quoque pervulgatum, ac Deucaleonearum undarum nomine a poeds
significatimi, scriptum fecit Moses summi ille Dei scriba atque
interpres, Illustrissime ac Reverendissime Episcope, Deum ipsum
edidisse arcum, seu Iridem pacti indicem ac foederis inter se atque
humanum genus constituti, ut quoties id in coelo appareret toties divinæ
potentiæ beneficiique nobis divinitus collati memoriam renovaret. Hoc
mihi, . 1 .1,ì dura eximii philosophi Bernardini Telesii
libellum De iride in lucem proferre cogitarem animo repetenti cupido
incessit, ut haud ita dissimilis in re simili tui erga me animi
significatio exstaret, operam dare. Est igitur a me curatimi, ut ii, in
quorum oculos hæc T. Iris incurreret, de tuorum in me magnitudine
meritorum brevi hac ad te epistola quoquo pacto admonerentur. Namque, ut alia
præteream, maximorum semper in loco beneficiorum mihi delatum putabo,
quod in aliqua apud te grada vigeam, ac me ipse in tuorum tibi
addictissimorum numero censeri velis. Cum enim percrebuerit te non nisi doctos,
probos ac sapientes viros, tui scilicet simillimos, amare, fovere atque ornare
solere, cum tu non solum maiorum splendore summaque familiæ nobilitate,
verum edam doctrinæ, probitatis ac sapientiæ laude nemini concedas
(quarum quidem virtutum singulare specimen in administradone Episcopatus
Patavini tibi ab amplissimo Cardinali Federico patruo tuo, prudentissimo
viro delata maximo cum ecclesiæ Patavinæ fructu quotidie exhibes); quid
mihi proficisci abs te maius atque optabilius unquam posset, quam
ex tua consuetudine, qua me dignum tua esse voluit humanitas singularis,
tantarum mihi virtutum famnia, ac nomen aliquod comparare? Quod igitur
opusculum hoc tuo sacratum nomini dicarim, id primum boni ut
consulas vehementer cupio; deinde ut tuam in me animi propensionem, in
qua maximam existimadonis meæ partem esse positam inteiligo, (quod facis)
tueare te iterum rogo obsecroque. Vale. Patavii. d)
Antonius Persius Francisco Patricio Platonicæ Philosophiæ
in Ferrariensi Gymnasio Professori Celeberrimo S. P. D.
Meministi, eruditissime Patrici, cum Venetiis conintoraremur, me tibi
novam Telesil Philosophiam ac philosophandi rationem sæpius commendare, et te
hortari, ut libros eius de natura legeres diligenter. Quod ubi est
a te factum, cum multa offenderes in iis, quæ velini Democritea Delio quopiam
natatore indigerent, me identidem tanquam in eorum lectione diutius
versatuni, ac Telesii familiarem consulebas, ego igitur libenter et
obscura quæcunque tibi essent interpretabar, et obiicientium sese dubitationum
scrupulos eximebam, quod poteram. Ita ad calcem usque operis cum legendo
pervenisses, tum honorifice de eo loqui cæpisti, ut ipsurn veteribus
philosophis anteferres. Scripsisti quoque a me rogatus in eam
philosophiam dubitationes tuas nonnullas, quas ad Telesium transmisi. Ex eo
candidissimus philosophus quanti tuum lacere iudicium haud obscure
significavit, cum deinceps sua scripta ad tuum sensum exigere non sii
gravatus. Cum igitur libellum eius De mari ab ipso primum editum, atque
aliquibus ex eiusdem scriptis ad eandcm rem pertinentibus auctum, denuo
imprimendum curarem, patrem ipsi ac patronum nullum Patricio aptiorem in
venire me posse existimavi, tuæque idcirco ipsum fidei commendare
decrevi. Tu, si constans es in summi viri laude, ut te esse mihi et
natura et consuetudo tua suadet, huiusce opusculi patrocinium suscipias
libenter, ac tuam in eo tuendo non SCRITTI ni n. T. t35vulgarein
eruditionem plaudentibus omnibus explicabis. Feceris autem mihi
pergratum, si meis verbis coniraunem amicum ac fatniliarem Franciscum Mutum
et tuum et Telesii præclarum propugnatorem ingenii, et eruditionis
laude ornatissimum, salutaveris, meoque ipsi nomine dixeris, cura ego
ipsius beneficio plerosque ex iis, quos iam edo libellos, fuerim nactus,
expectare, ut eosdem idem ipse meliores, atque alios eiusdem Auctoris nondum
editos nobis eruat alicunde. Vale, ac mei mutuo memor est. Patavio.
Dopo il cap. x segue quest’avvertenza (c. 13 t f ): Tria hæc,
quæ sequuntur capita de maris æstu, a Telesio quidern et ipsa elucubrata
sunt, sed tamen ab eodem in prima huiusce libelli editione consulto prætermissa;
idque ea, ut puto, de causa, quod in hac conteraplatione nondum sibi piane
satisfaceret. Erat enim tum in alienis, tum maxime in propriis sententiis
iudicandis sane quam difficilis atque morosus. Itaque nihil edere ille
solebat, quod non longa adhibita discussione lente prius ac fastidiose
probasset. Nos tamen, ne ea quidern intercidere æquum putantes, quæ ipse
rudia atque imperfecta reliquerat, pauca hæc de manuscripto
exemplari diligenter excepta, priusquam ea sibi aliquis vindicaret et ut
sua venditaret, in calce huiusce libelli excudenda curavimus. l H. T. doctrina
et eloquentia tectum sartumque præstes ab aculeis reprehensorum, libenter
curavi ut nonien tuum clarissimum præ se ferret imprcssus. Neque enim
dubito, quin maximum apud omnes hoc tuum patrocinium sit pondus
habiturum. Perspectum iam enim est ac notum, quanto te discipulo
gloriaretur dignus ille tnagnorum philosophorum magister Iacobus Zabarelia,
nobis importuna morte præreptus. Cuius sane viri quoties mihi venit in
mentem, venit autem sæpissime, toties ego Patavinæ, in qua profitebatur,
Academiæ ingemisco, quæ tot tantisque infra paucos annos orbata viris,
civem hunc suum, qui facile omnium desiderium leniret, rednere diutius in
vita non potuerit, cum tamen ea decesserit ætate, quæ senectutem vix a limine
attingebat. Verum alieno quidem patriæ et amicis, sibi autem, hoc
est nomini, et gloriæ suæ liaud quam importuno tempore cessit e vita,
relictis ingenii sui monumentis, nunquam intermorituris. Cuius vocem
porticus illæ eruditæ Lycei Patavini frustra nunc, frustra, inquam, desiderant.
atque eum, si possent, suum ipsæ civem, qui philosophiam non præceptis
tantum ac scriptis, verum et factis præclarissime exprimebat, omnium
virtutum, imprimis humanitatis ac modestiæ, singulare exemplunt
erat, perpetuo lugerent ; ut eos contra philosophos riderent, qui non tam in
academiæ porticis prò Peripateticæ doctrinæ primatu, quam in publicis hisce, quæ
promiscere ab omnibus ultro citroque commeantibus teruntur, prò peripatetica,
hoc est, ambulatoria (ut sic dixerim) prærogativa tanquam prò aris et
focis ridiculc dimicant, quasi in eo sitæ sint Græciæ divitiæ, si cui
occurrens, caput aperias, aut interiorem Porticus partem, videlicet
parietem ambulanti concedas. Sed iam nos iis homulis et xaipeiv
dicamus et vyicuveiv. Te vero iterum iterumque rogo, ut animum tuum
familiæ tuæ splendidissimæ nobilitate dignissimum mihi benevolum æ
meæ summæ in te observantiæ memorerà tueri, munusculumque hoc, novum
piane munus (cum libellus hic it prodeat ab eodem Auctore iam pridem
multis additis, detractis, immutatis interpolatus, ut, si cum antea edito
conferas, mirum quantum ab eo difierre deprehendas) tanquam maximum a maximo ad
te missum animo gratificandi tibi suscipere ne dedigneris. Vale.
h) Persius Eminentissimo Phii.osopho Federico
Pendasio,. S. P. D. Si quantum Aristoteli philosophorum filii,
tantum tibi, Federice Pendasi, philosophorum memoriæ nostræ facile
princeps, ipsum debere Aristotélem dixerim, næ ego vera prædicarim.
Illustrasti etenim publicus tot annos in ceteberrimis Italiæ Gymnasiis
interpres Aristotelicam usque adeo philosophiam, ut non tibi minus, quam
Aristotelicorum librorum, qui situ obsiti parum ab interitu aberant, erutori ac
vindicatori iHi gratiæ debeatur. Quos si nobis inimicum fatum ad exitium
usque invidisset, poteras tu novus illucere mortalibus Aristoteles,
iacturamque tantam undequaque compensare. Itaque subinvideo Ascanio fratri,
quod ipsi, te Bononiæ degente, Bononiæ degenti fruì licet, ac de te non
publicos solum, sed, quæ tua in omnes privatimque in ipsum est
benignitas, domesticos haurire sermones. Ferebam ego antea tui desiderium
paullo lenius, dum viveret alterum Italiæ lumen Zabarella philosophiæ scientia,
ut tibi uni secundus (quem scilicet ille sibi non solum præferebat, sed
auctorem ctiam recte philosophandi fuisse olim prædicabat), sic cæteris
omnibus meo ac multorum iudicio anteponendus. Eo nunc,quo familiarissime utebar,
extineto, nisi tua me aliquando usurum consuetudine sperarem, vitarn mihi
profecto acerbam putarem. Interim autem quia te libenter et studiose
legere ea scripta, in quibus ingenii et eruditionis lumina haud vulgaria
conspiciantur probe novi, cuiusmodi sunt Telesii philosophica monumenta,
idcirco ut ex ungue leonem agnosceres: ad hæc ut sententiarum
novitate animum tuum consuetis fessum contemplationibus recreares, liunc eius
De saporibus libellum tanquam èvSóoipav ad reliquam ipsius philosophiam
cognoscendam, et, ut sapiat, iudicandam ad et mittere, adeoque tuo
inscriptum nomini publicare decrevi. Accipies igitur hilari fronte hanc meæ in
te benevolentiæ atque observantiæ significationem, ut meum in te
studium nunquam in posterum obliviscaris. Vale.
Patavii. Persius PRÆCLAR1SSIMO MEDICO Hieronymo
Mercuriali S. P. D. Homericus ille Iuppiter, quod te non fugit,
HieronymeMercurialis, medicorum choryphæe, ut Agamemnonem de sonino excitaret,
misisse ipsi somnium a poeta perhibetur. Ego vero, ne tu mihi dormias,
hoc est, ne me tibi e memoria atque ex animo excidere patiare, tui
amantissimum studiosissimumque tui nunquam oblitum, non vanum aut mendax
aliquod somnium, sed eruditum ca veridicum Somnum Telesianum a Telesio tum,
cum minime dormitabat, elucubratum ad te mitto, qui somnum arcere quovis
somnio validius possit. Hunc ego, et ut sedulum monitorem, et ut non
obscurum mei in te animi interpretem ad Te destinavi, dum
aliud TOSINO U2 quæro tibi mnemosynon, quo pateat illustrius non
solimi quantuni tibi ipse ego debeam deferamque, veruni edam quam ab aliis
omnibus esse deferenduni exisdniem; etsi tu unica de te clarissimæ
Bononiensis Academiæ existimatione (ut communem eruditorum omnium sensum
prætermittam) contcntus esse potes, quæ te tanto studio ac contentione ad
eminentissimam medicinæ cathedram ingentibus atque ante te nemini propositi præmiis
pertraxit. Atque hoc sapienter B0110nienses, ut alia omnia, sapienter te quoque
ipsum, qui condicionem acceperis, fecisse sapientissimus quisque
existimat, cum tibi in ea urbe domicilium statueris, quæ bonorum omnium
ornatu ac copia comparari cum urbibus' omnibus merito potest. Quo tit ut non
iniuria et te ego Bononiæ, et tibi Bononiam invideam, hoc est
summorum virorum doctrinae et huraanitatis laude celeberrimorum Bononiae
degentium consuetudinein. Peregrinos nunc taceo, ne te plus aequo legentem
morer. De civium numero unum tantum honoris caussa commemorabo, Camillum
Palaeottum, tuorum, ut tu te merito gloriaris, principem amicorum; quem virimi
primum Romae sum contemplatus, allocutus, admiratus, cum in eo omnia
maiora opinione ac fama deprehenderim. Itaque Alexandrum Burghium summa
insignem timi scientia et eloquentia, tum probitate virum amo
plurimum, qui ut Romae Palaeottum cognoscerem atque ab eo cognoscerer et auctor
et interpres mihi fuit. Obsecro igitur te, vir preclarissime, per
humanitatem et comitatem iliam tuain, qua vel sola aegrotis
restituere valetudinem soles, ut me illi addictissimum diligentissime
commendes, et a me salutem dicere ne graveris. Te vero mei muneris ne
poeniteat, siquidem id, quod ab optimo in te est animo profectum, optimum
putas. Vale, et
diu vive, ut diutius alii vivant. Patavio. In fine della raccolta
sono 3 cc. di Errata-corrige,Due opuscoli inediti del T. De fulmine e
Quae et quomodo febres facilini furono per la prima volta pubblicati dal
Fiorentino, Telesio, n, pp. 325-374, insieme con la risposta del Telesio
al Patrizi: Soluliones Thyìesii. Dal Fiorentino è anche ristampato il Carmen
ad Ioannam Castriotam del T., inserito nel volume Rime et versi in
lode della illustriss. et eccellen/iss. S. D. Giovanna Castrio/a Carr. Duchessa
dì Nocera et Marchesa di Civita Santo Angelo, scritti in lingua
toscana, latina et spagnuota da diversi huomini illustri in varii et
diversi tempi et raccolti da Don Scipione de’ Monti, Vico Equense; già
ristampato da S. Spiriti, Memorie, e da Luigi T., o. c. pp. 55-6.
Circa l’apocrifità dell’epigramma per la storia di Scipione Mazzella v.
Bartelli, Note, Manoscritti e opere smarrite. Oltre la notizia
importante dataci da Giov. Paolo d’Aquino, riferita a p. 54, e quelle del
Persio, è da considerare la lettera del Quattromani, su cui richiamò già
l'attenzione il Nicodemi nelle Addizioni copiose alla Bibl. Nap. del
dott. N. Toppi, Napoli, Castaldo: e l’accenno dello stesso Telesio
De rer. nat., v, 1: « Tum maris aquarumque et eorum quae im sublimi fiunt
iridisque et colorum exortus in propriis est explicatus commentariis. Metallorum
lapidumque et reliquorum, si quae alia supersunt, quin in superioribus
manifestatus sit, parimi cannino deesse videri potest, et alias, si
coeptis faverit Deus, manifestabitur magis ». Per un opuscolo De
pluvfis, cui si allude nel De mari, c. x, cfr. AlmagiA, I.e dottr. geofisiche
di B. T.. La Filosofia di Berardino T. ristretta in brevità, et scritta
in lingua toscana dal Montano Accademico Cosentino [Sertorio Quattromani],
in Napoli, appresso Giuseppe Cacchi, 1589. Ora/ione di Gio.
d‘Aquino in morte di Bernardino Telesio, philosopho eccellentissimo, agli
Accademici Cosentini. In Cosenza, per Leonardo Angrisani, 1596.
Rist. a Napoli, Fratelli Traili, a cura di L[uigi) T., Precede una
lettera di T. al marchese di Villarosa; e seguono (p. 55) il Carme del
Telesio a Giovanna Castriota con la trad. italiana del Cavalcanti,
l’epigramma a Scipione Mazze-Ila (p. 60) col distico contro Aristotile, il son.
di Lelio Capilupi (p. 61) e due poemetti di Antonio Telesio.
Sul p. Luigi Telesio prefetto della Biblioteca dei Gerolamini v.
Luigi Maria Greco, Elogio del p. L. T., negli Atti dell’Accademia Cosentina,
voi. Ili, pp. 345 sgg. Francesco Bacone, De principiis atque
originibus secundum fabulas Cupidinis et Coeli: sive Parmenidis et
T. et praecipue Democriti philosophia, tractata iti fabula de Cupidine ;
in Philosophical Works edited by Ellis and Spedding (con pref. dell’EUis
e note). La prima volta questo opuscolo fu pubblicato da Isacco
Gruter in Franc. Baconi de Verulamio Scripta in naturali et universali
philosophia, Amsterdam. Sono citati gli scritti più notevoli. Delle storie
generali della filosofia soltanto quelle che contengono esposizioni
originali. G. Gentile, Bernardino T. appendice
bibliografica Iohannis Imperiala Musaeum kistoricum et pkysicum, Venetiis,
ap. Iuntas, C’è un ritratto del Telesio. Pel cui valore storico si
osservi che nello stesso frontespizio del libro è detto che le imagines del
Museo storico sono ad vivum expressae, e nella prefazione al lettore: « Icones
ad vivum ubique locorum a nobis anxio perennique studio conquisitas, vix
cogere in unum licuit paucas, nec impensae pepercimus, nec oleo, aliquam
interdum, prout minus congrua censebatur, abolendo, aliquam
reformando, et cum probatioribus conferendo, quo studiosa cupidaque
huiusmodi elegantiarum tua non falleretur fiducia». Petri Freheri
Theatrum viro rum eruditione claro rum, Norimbergae. C’è un ritratto del T.,
riprodotto da Rixner e Sibek innanzi al vojutne qui sotto citato.
Ioh. Georgii Lotteri De vita et philosophia T. commentarmi ad
illustrandas historiam philosophicam universam et literariam saeculi XVI
C/iristiani sigillativi, Lipsiae, apud Bernh. Christoph. BreitKopfium.
Nei Nova Acla eruditorum di Lipsia, 3 c'è una recensione di questa
monografia. Bruckeri, Historia critica philosophiae, to. iv,
pars 1, Lipsiae, Mémoires pour servir à filisi, des hommes illustres dans
la republique des le/tres avec un catalogne raisonné de leurs ouvrages
par le R. P. Niceron barnabite, to. xxx, Paris, io. H 4 Salvatore Spiriti, Memorie degli
scrittori cosentini, Napoli, Buhle, Gesch. d. neueren Philosopkie seit
der Epoche d. Wiederhers/ellung der Wissenschaften, SCRITTI SU B. T. Gòttingen.;
trad. frane. Jourdan, Paris, Ginguené, Histoire littéraire d’Italie [continuata
da F. Salfi], to. vii, Paris, Michaud. I- e PP' 5 °°* 1 4 relative al T. sono
un’aggiunta di Salfi. Rixner e Siber, Leben und Lehrmeinungen
berukm- ter Physiker am Ende des XVI und am Anfange des XVII
fakrhunder/s, Bd. ni (Sulzbach) (T.) . Oltre una biografia del T., contiene la
traduzione'(molto libera) di molti brani del De rei' . natura.
Giuseppe Boccanera da Macerata, B T., nella Biografia degli uom. illustri
del Regno di Napoli, to. vni, Napoli, N. Gervasi (col ritr. del
Morghen). Francesco Saverio Sai.ki, Elogio di Bernardino T.,
2“ ediz., Cosenza, Migliaccio Ristampato in Salpi, Prose varie, Cosenza,
Migliaccio. La prima volta era stato pubblicato nel giorn. La Fata
Morgana di Reggio Calabria; e contro di esso allora comparve un opuscolo:
Luigi Telesio, Risposta all'art. inserito nel giorn. intitolato La Fata
Morgana... Su la vita e la filosofia dì Bernardino Telesio, in Napoli,
nella Stamp. della Società Filomatica (cit. da F. Bartelli,
Note). Scaglione, [La filosofia di B. Telesio]-, negli Atti della
Accademia Cosentina, Cosenza, pe’ tipi di G. Migliaccio, 1842, voi. 11,
pp.15-115. In risposta al tema assegnato dall’Accademia l’anno 1838:
« Esporre con lucidezza e precisione il sistema filosofico di B. T., e
far conoscere quale e quanta influenza abbia esercitato sul progresso
delle scienze, e quali scrittori, sian essi calabri o stranieri, abbiano
maggiormente contribuito a propagare la nuova dottrina Telesiana
APPENDICE BIBLIOGRAFICA Bartholmèss, De Bernardino T., Paris,
1849. H. Ritter, Geschichte dcr Philosopkie, r l heil (Bd. I
della Gesch. d. neutra Pkilos. ), Hamburg, Perthes, Erdmann, Grundriss der
Geschichte der Phi- losophie, 1, Berlin, Fiorentino, T., ossia studi
storici su l’idea della natura nel Risorgimento italiano, Firenze, Le
Monnier, 2 voli. 1872, e 1874. Della psicologia del T. il Fior,
s’era occupato nel Pomponazzi. A proposito del volume del Telesio furono
pubblicati i seguenti scritti du Ferri e Francie. Luigi Ferri, La
filosofia della natura e le dottrine di B. T.\ nella Filos. ileUe scuole
i/al., a. 1873. Ad. Franck, Bernard. Telesio, ou Études
histort- ques sur l’idée de la nature pendant la renaissance ita-
lienne par F. Fiorentino, in Journaldes Savanls. Carriere, Die philosophische Weltanschauung
der Reformationszeit*, Leipzig. T., rivista di scienze lettere ed arti,
Cosenza (direttori Iulia e Bianchi). Ne conosco 3 fase., che
non contengono nulla sul Telesio, salvo un cenno neil’art. di G. M.
Greco, Il Qualiromani critico a 8 a teoria dell’anima del filosofo cosentino,
difesa dalle critiche del Fiorentino. SCRITTI SI! B. T. Lasswitz,
Geschichte der Atomisti): vom Afitte/- alter bis Newton, Hamburg u.
Leipzig, Heiland, Erkenntnisslehre nnd Ethik des Bernardinus Telesius ;
Inaug.-Dissert., Leipzig. C’è una bibliografia della letteratura telesiana. Tocco,
Le fonti più recenti della filosofia del Bruno, Roma, 1892 (estr. dai
Rend. Lincei). I rapporti di Bruno col T. Cui è da aggiungere
l'osservazione dell' Eli.is nella pref. al De principiis di Bacone, ed.
cit., p. 75 n. Felici, Le dottrine fi/osofico-religiose di Campanella
con particolare riguardo alla filos. della rinascenza italiana. Lanciano,
Carabba. Sono studiati i rapporti del Camp, con T. St. de Chiara,
Bricciche lelesiane. Nozze Tancredi- Zumbini, xix aprile mdcccxcvii
(Cosenza, ApreaJ, Spigolature dall’archivio cosentino relative al nome
della madre del T. e ad alcuni de’ suoi figliuoli. A p. 4 n. 1, è
detto: c Un solo, il Bruckero, dice ch'egli sia nato nel 1508: ma questo
non è assolutamente possibile, perchè nel sett. del 1508, come abhiam
visto [«nelle schede del notar Arnone, i capitoli di un secondo matrimonio, che
Giovanni T., padre del nostro Bernardino, contrasse con la signora Vincenza
Garofalo »], il padre passa a seconde nozze. La data, poi, si desume anche
dalla seguente notizia cortesemente comunicatami dal mio nob. amico
Luciano de Matera e da lui ricavata di su un antico ms.: si sepelì nella sua
sepultura della sua cappella dentro la Chiesa magiore il filosofo
Bernardino tilese d’età d’anni settantanove APPENDICE BIBLIOGRAFICA
Bartelli, Note biografiche (B. Telesio e Galeazzo di Tarsia) Cosenza, A.
Troppa, MCMVI. Sul T. È il miglior saggio biografico che si
abbia per l’esame rigoroso delle notizie e per la larga • esplorazione dei
documenti inediti cosentini. Almagià, Le dottrine geofisiche di B. T.:
primo contributo alla storia della geografia scien¬ tifica nel
cinquecento, Firenze, Ricci, 1908 (estr. dagli Scritti di geografia e
storia della geografia pubbl. in onore di Vedova). Duilio
Ceci, Bernardino Telesio (con bibliografia) ne La cultura contemporanea,
Roma, a. n, n. 3, Articoluccio d’occasione. Nella Bibliografia si cita: «Bonci,
Il volgarizzamento dello scritto latino di B. (sic) T: I colori presso
gli antichi Romani, Pesaro, Federici, 1894. Ma si tratta del De coloribus
di Antonio T. Troilo, T., Modena, Formiggini; col ritr. del Morghen;
N. 11 dei Profili del Formiggini). Il medio evo; II. Umanesimo e
rinascimento Vita e scritti del T., La filosofia del T.; V. Chiarimenti
Note Appendice bibliografica. » I. Scritti di B. T. »
II. Scritti su B. Telesio LATERZA BIBLIOTECA DI CULTURA MODERNA
Elegante collezione Orano Psicologia sociale (esaurito). •2.
B. King e T. Okkv 1/ Italia d'oggi
.Ciccotti Psicologia del movimento
socialista . Virgiu L’Istituto
famigliare nelle Società primordiali -,f>0 Martin L’Edncazione
del carattere (esaurito). Lorenzo — India e Buddhismo
antico Spinazzola — Le origini ed il cammino dell’Arte. Gourmont Fisica dell’Amore. Maggio su l' istinto
sessuale . Cassola I sindacati
industriali. Cartelli - Pools - Trusts . Marchesini Le finzioni dell’anima. Saggio di
Etica pedagogica Kbioh 11 Successo delle
Nazioni. Barbagali La fine della Grecia antica . Novati Attraverso il Medio Evo Spingarn La critica
letteraria nel Rinascimento.. Carlyle Sartor Resartus Carabki.lbse Nord e Sud attraverso i secoli Spaventa
— Da Socrate a Hegel Labriola — Scritti vari di filosofia e
politica a cura di B, Croce. LATERZA Balfour Le basi della fede Freycinet Saggio sulla Filosofia delle
Scienze Crock Ciò che è vivo e ciò che è
morto della filosofia di Hegel Hearn Kokoro. Cenni ed echi dell’intima vita
giapponese . Nietzsche Le origini della tragedia Imbriani — Studi letterari e
bizzarrie satiriche. Hearn Spigolature nei campi di Bml-
dho . Saleeby La Preoccupazione
ossia la malattia del secolo. K. Vossi.br Positivismo e idealismo
nella scienza del linguaggio. Arcoleo Forme vecchie, idee nuove Il
pensiero dell’Abate Galiani - Antologia di tutti i suoi scrìtti
editi e inediti Spaventa La filosofia italiana nelle sne relazioni
con la filosofia europea Sorbi. — Considerazioni sulla violenza Labriola Socrate. Kohlkr Moderni problemi del Diritto
Vossi.br — la Divina Commedia stu¬ diata nella sua genesi e interpretata
Storia dello svolgi¬ mento religioso-filosofico Storia dello svol¬
gimento etico-politico. Gentile — Il Modernismo e i rapporti tra
religione e filosofia. Festa — Un galateo femminile italiano del trecento Spaventa
— La politica della destra Royce — Lo
spirito della filosofia mo¬ derna Pensatori e Problemi Prime linee d’un
sistema . LATERZA Rrnier Svaghi critici
Gbbhart — L’Italia mistica Farinelli — Il romanticismo in Germania Tari — Saggi
(li Estetica e di Metafisica Romagnoli — Musica e Poesia nell antica Grecia
Fiorentino — Studi e ritratti • 45. G. Fkrrarelli Memorie militari
del Mezzogiorno d'Italia Spaventa - Principii di Filosofia Anile -
Vigilie di Scienza e di Vita Royce — La Filosofia della Fedeltà Emerson L’anima, la natura e la saggezza
- Saggi Rbnsi — Il genio etico ed altri saggi Gentile, T. Bernardino Teleio. Telesio. Keywords: empirismo,
teoria della percezione, l’anima d’Aristotele, l’analogia, l’uomo e gl’animali,
la ragione, i antici, contro i antici, osservazione, percezione, la tradizione
empirista italiana, il Telesio di Bacone, sperimento, sperienza, esperienza,
ex-perior, esperire – Latino ex-perior, Gr. em-pereia, osservazione, osservare
– observatum, percipere – percezione per-capio. Refs.: Luigi Speranza, “Telesio
e Grice,” per il Club Anglo-Italiano, The Swimming-Pool Library, Villa Grice,
Liguria, Italia. Telesio.
Luigi Speranza -- Grice e Teocle: la ragione conversazionale della legislazione
di Reggio – principe filosofo -- Roma – filosofia italiana – Luigi Speranza (Reggio). Filosofo calabrese. Filosofo italiano.
Reggio Calabria, Calabria. A Pytahgorean who helps produce a new code of law
for Reggio. Cited by Giamblico. Unfortunately, Giamblico also mentions one Teeteto in exactly the same
context – implying that they may be the same person.
Luigi Speranza -- Grice e Teodoro: la ragione conversazionale e
l’implicatura conversazionale della natura rerum – Roma – la scuola di Milano –
filosofia lombarda -- filosofia italiana – Luigi Speranza (Milano). Filosofo italiano. Filosofo
lombardo. Milano, Lombardia. Accademia. Nato da famiglia ligure. Agostino, che
gli dedica il “De beata vita”, dice che conosce bene l’Accademia, Dopo essere
stato per qualche tempo avvocato, poi governatore in Africa e consolare della
Macedonia e aver coperto vari uffici a corte, è praefectus praetorio delle
Gallie. Si occupa dell’amministrazione dei propri beni e di studi filosofici e
astronomici e scrive dialoghi su questi argomenti, STILONE lo nomina praefectus
praetorio per l’Italia, l’Illirico e l'Africa. Mentre confere questo ufficio ha
il consolato e in quell'occasione CLAUDIO CLAUDIANO gli dedica un panegirico.
Di T. resta un saggio “De metris”, mentre si sono perduti altri, tra i quali un
“De natura rerum.” Console, Consolato Prefetto del pretorio d'Italia. Di T. è
noto abbastanza, grazie al panegyricus dedicatogli da CLAUDIO CLAUDIANO. Di
famiglia notabile, sappiamo che è console. Il suo consolato avvenne sotto il
principe ONORIO. Prima di essere console è anche prefetto con sede a
Mediolanum-Aquileia. Qui Agostino conosce T., uno degl’intellettuali accademici
che incontrato appunto a Milano e, scrive “De vita beata”, dedicandolo proprio
a T., che a quel tempo si è ritirato dalla corte. Di T. resta un trattato di
metrica, “De metris”, uno dei migliori pervenuti, e per questo molto conosciuto
e studiato. Inoltre, sempre secondo CLAUDIO CLAUDIANO, e un cultore di
filosofia, astronomia e geometria e scrive diverse saggi su questi argomenti
che, insieme al suo consolato, sono l'argomento del panegirico a T. dedicato da
CLAUDIO CLAUDIANO. Markus, The end of ancient Christianity, Cambridge; Keil, “Grammatici
Latini”. Bonfils, C. Th. e il
prefetto T., Bari, Edi puglia, consoli tardo imperiali romani Stilicone
Prefettura del pretorio delle Gallie Mariano Comense Siburio Teatro romano di
Milano Prefettura del pretorio d'Italia Nicomaco Flaviano (prefetto del
pretorio) T., su Treccani – Enciclopedie, Istituto dell'Enciclopedia Italiana.
Opere di T. su digi libLT, Università degli Studi del Piemonte Orientale Amedeo
Avogadro. Opere di T., su Open Library, Internet Archive. Predecessore Consoli
romani Successore Imperatore Cesare Flavio Honorio Augusto IV, Flavio
Eutichiano T., Eutropio Aureliano, Flavio Stilicone V D M Grammatici romani
Portale Antica Roma Portale Biografie Categorie: Scrittori romani Grammatici
romani Politici romani Scrittori Consoli imperiali romani Prefetti del pretorio
d'Italia. A
statesman and author who writes on a wide range of subjects. He is best known
for a technical work on poetry, but he also comments philosophical works. Flavio Mallio (o Manlio) Teodoro. Keywords: de
natura rerum. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Teodoro”, per H. P. Grice’s
gruppo di gioco, The Swimming-Pool Library, Villa Speranza
Luigi Speranza -- Grice e Teodoro: la ragione conversazionale della
scuola di Taranto – Roma – filosofia pugliese – la scuola di Taranto -- filosofia
italiana – Luigi Speranza, pel Gruppo di Gioco di H. P. Grice, The
Swimming-Pool Library, Villa Speranza (Taranto). Filosofo
pugliese. Filosofo italiano. Taranto, Puglia. A Pythagorean cited by Giamblico.
Luigi Speranza -- Grice e Teone: la ragione conversazionale e
l’implicatura conversazionale della filosofia della salute – Roma – filosofia
italiana – Grice italo -- Luigi Speranza, pel Gruppo di Gioco di H. P. Grice,
The Swimming-Pool Library, Villa Speranza (Roma). Filosofo italiano. He moves to Gaul to become a healer. Cited by Eunapio.
Luigi Speranza -- Grice e Teofri:
la ragione conversazionale della setta di Crotone– Roma – la scuola di
Crotone -- filosofia calabrese -- filosofia italiana – Grice italo -- Luigi
Speranza, pel Gruppo di Gioco di H. P. Grice, The Swimming-Pool Library, Villa
Speranza (Crotone). Filosofo
italiano. Crotone, Calabria. A
Pythagorean.
Luigi Speranza -- Grice e Teoride: la ragione conversazionale da Crotone
a Metaponto – Roma – filosofia
basilicatese -- filosofia italiana – Grice italo -- Luigi Speranza, pel Gruppo
di Gioco di H. P. Grice, The Swimming-Pool Library, Villa Speranza (Metaponto). Filosofo italiano. Metaponto,
Matera, Basilicata. Pythagorean cited by Giamblico.
Luigi Speranza -- Grice e Terillo: all’isola – la ragione
conversazionale della scuola di Siracusa -- Roma – filosofia siciliana --
filosofia italiana – Grice italo -- Luigi Speranza, pel Gruppo di Gioco di H.
P. Grice, The Swimming-Pool Library, Villa Speranza (Siracusa). Filosofo italiano. Siracusa, Sicilia. Plato
mentions T. in his letter to Dionisio II di Siracusa. In it, T. is described as
someone who divides his time between Siracusa ‘and everywhere else’ – ‘a
philosopher, of much learning, too’, he adds as a joke. The authenticity of the
letter is highly doubted – “and therefore, of Terillo’s own existence!” – H. P.
Grice. Terillo. Keywords:
filosofia. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Terillo,” per H. P. Grice’s gruppo
di gioco, The Swimming-Pool Library, Villa Speranza.
Luigi Speranza -- Grice e Tertulliano: la ragione conversazionale -- nothing
is so absurd that some philosopher has not thought it – Roma – filosofia
italiana – Grice italo -- Luigi Speranza, pel Gruppo di Gioco di H. P. Grice,
The Swimming-Pool Library, Villa Speranza (Roma). Filosofo italiano. ‘Credo quia absurdum est’ is his life-guiding motto, which
he learns from his philosophy tutor at Rome. He belongs to the Porch, and later
becomes a ‘montano,’ an ascetic sect, “although,” his brother reminsices, “my
brother stays away from the more extreme forms of the asceticism the sect
officially promulgates.” Quinto
Settimio Florente Tertulliano.
Luigi Speranza – GRICE ITALO!; ossia, Grice e Terzi: implicatura crittologica
– la scuola di Brescia – filosofia lombarda. filosofia italiana – By Luigi
Speranza, pel Gruppo di Gioco di H. P. Grice, The Swimming-Pool Library (Brescia).
Filosofo lombardo. italiano. Brescia, Lombardia. Sistemi crittografici di
questo tipo hanno grande fortuna. Ma ovviamente in ragione dello scopo
contrario a quello qui perseguito d’A., il rendere illeggibile un testo non
possedendone la chiave di lettura. Più sistemi di questo tipo sono ad esempio
creati dal padre gesuita, e allievo di Kircher, Francesco Lana conte de’ TERZI
(si veda) nella suo saggio “Prodromo, overo saggio di alcune inventioni nuove
premesso all'arte maestra pubblicato a
Brescia. Vedasi FRANCESCO LANA CONTE DE' TERZI, Prodromo, overo saggio
di alcune inventioni nuove premesso all'arte Maestra, opera che prepara il P.
Francesco Lana bresciano della Compagnia di Giesu per mostrare li piu reconditi
principij della naturale filosofia, riconosciuti con accurata teorica nelle piu
segnalate inventioni, ed isperienze fin'hora ritrovate dai filosofi di questa
materia e altre nuove del filosofo medesimo, Brescia, presso Rizzardi. Lana
nacque a Brescia e vi muore. Studia FILOSOFIA presso l'ordine dei gesuiti a Roma, dove
conosce anche Kircher che lo introduce alla fisica e al poker. È insegnante di
matematica e FILOSOFIA. •^J 'iMì\h
TPi- 3M00 PRODROMO Ouero
faggio dì alcune
inuentioni nuoue premeffo
ALL ARTE MAESTRA
Opera che prepara
ìL P. FR.ANCESCO
Lx^NA BRESCIANO DELLA COMPAGNIA DI GIESV. Per nioftrare
li più reconditi
principi] della^ Naturale
Fiìoroaa, riconofciuti con
accurata Teorica nelle
pio fegnalate inuentioni,
ed ifperienze fin'hora
ritrouate da gli
fcrittori di quefta
materia et altre
nuoue dell'autore medeiimo. DEDICATO
ALLA SACRA MAESTÀ
CESAREA EL IMPERATO
LEOPOLDO I IN BRESCIA. Per li
RizLardi, Con Licenza
de'Superiori. V SACRA MAESTÀ CESAREA
Ouca per ogni
titolo ricorrere al
patrocinio dt Vojlra
Sacra Maefià Cefarea,
quejia prtr/io, e
ro'j^iQ parto del
mio dehhole ingegno :
ìmpcrcioche ejfendo egli
ijn fag^ gio
dell' opere, che
fono per dedicare
k Fofira Sacra
^Maefià, fono le ali deli"
aquila Imperiale, tncominctera
ad auuelJiarfi a
fijfare lo f guardo
ne' chiari ffimt fpiendori
dt quei SOLE
terreno, che tiene
il primo pofio
nella ^Monarchi^ Colitica
de" Trencipi, come
appunto ti Sole
nella cele fle gerarchia
delle felle. Non
doueano efporp alla
luce dt vn
Pianeta sì luminofo
tutti li miei
parti prima di
far prona, fé
pano atti a
contemplare i raggi
del f no
maejlofo fplendore-^ All'hora
io gli ricono fcero
per miei, quando
potranno fìjfar gl'occhi in
Vofira Sacra t^AtaeJlà,
(f all' hora
folo potranno 'Volare
per tutto il
mondo, quando faranno
fofienutt dalle grand'
ali di queìi'
ej^qutU, che impera
nelì'Vniuerfo. Quejlo TRO
D ROMO, che
va innanzi all'
^ RT £
ìM a e
ST RA, non
potea ritrouare alloggio
più fortunato, che
in cote fa
Qorte, la quale
da leggi, ^ ammaejira
tutti le nattoni
: e benché
fir amerò, fpera nulladtmeno
fa per ejferc
^ ejfere accolio
be/jignamefUe d^ l^oflra
Sacra lAaefla, che
con fauorue ì
lelicralt jcrrihra haner
conferito U csìtadt.nanl^a a tiitie l Arti
piti nobili .
Pertanto fé queUe
mandano per vn
fuo mcjfao^gtcre alcune
naoue ìnuenìionì fi
deggiono tributare al
merito di Vofira
Sacra Aiaefià, che
con la ma~
gntficen]^a della Jua
mano {^efarea, e
con la grandeZjZ^^
del petto magnanimo
i diva altro.
Il nono è
il moto predominante, che imp"difcc,o rv^primc
"l'altri moti meno
potenti, Il decimo
è quello di
lìftole, e dialtole,
quai'è quello delle
arterie. L'vndecimo è
quello di fimpatia,& antipatia. Alcuni aggiongono
quello, che imprime
alcuna virtù alle_^
cpfe, fenza comunicarli
alcuna foftanza; quale
io nego potcrfifare,
e refterà prouaro
a fuo luogo.
Inoltre vi fono
li moti propri]
di ciafcun fenfo,
della FantafiajC dell'Appetito; ma
quefti fi deuono
fpicgare a luogo
proprio,oue fi tratta
delle operationidelli animali
;folo a predetti
moti fi deue
aggiongerc la quiete,
con ciò che
fa refiftenzs al
moto. Dalli predetti
moti naturali femplici
prouengono i moti
naturali. compofti,che fono Talteratione,
la niiftione,la feparationc, la gcncr
rationCjC corruttione, Taumentationce diminutionej
poiché i moti
femplici j che
nafcono da più
intimi penetrali della
Natura continuati,
mefcolati, replicati, alternatÌ5rafrrenati,incitati,&: in
molte ma-niere variati
fono cagione di
tutti gì' effetti j e h.e
amrairiaiBO r.cllc cpfe
Efiche 0, La
feconda parte della
Fifìca aftratta confiderà
gl'accidenti, che fonoc6muni,oatutte,o almeno
a molte foftanze
materiali, come fono il raro,^
iì,den/o ; il
greue,e leggiere; il
caldo, et il
freddo ; l'huraido,8c
il lecco 1
il volatile, et il
fifso; ilfolido5& il
£luidp;il crudo 6 fondare
inai alcun principio
("opra ilpeneniejche non
fiano certe, e
prouaiCj proeurjndo di
ibbilir? laveria non
fopra vna fola,
ma ibpra molte
ilpericnic fé fìa
pofsibilei Ec oflemando
fé il principioj
e verità ftahilita
fi confacela ad
altre limili efperienzc^
poiché all'ho-fa fi
donerà itimarc infallibile
vn priacipio, quando
coerentemente a quello
caminano tutte le
altre cofc della
medefima, o fimile.^
•nate ria. Manca
dunque a qiicfta
fcienza vna notitia
efatta, e ben
ordi=T nata di
tutte l'ifperienze, le
quali Piano certe^e
prouatCjtanto naturali, quanto
artiBciali, ò mirtea
e quefte fi
deuono ridurre a
capijcon-f forme l'ordinedeUe
matcrieje quali ti trattano,
premettendo le dette
ifpeticnze,e pofcia ftabilendo
con quelle i
principi;, e le
verità proprie di quella
materia, e con
cfsi rendendo ragione
delle ifperienz,e medefime, mollando la
coerenza de principi;
con tutte quelle
ifpC'^ iienzc; il
che noi procuraremodi
fare nella noftr'AtteMaeftrajqyaiv to
comporterà il noffro
debole intendimento. Tutte
Tifpericnze fi pofsono
conliderare di tre
forti: la prima
intorno alle gcnerationi
saturali di tutte
lecofe materiali, e
fenfibili, come delli
mincralijdelli vegetabili, e
delli animali, e
anche delle mur
tationi,& accidenti ne
corpi celefti, delli
elementi, e de
mifti imperfetti j La
feconda, intorno all€
generationi^che fono ftior
dell'ordir ne naturale,
e fi chiamano
pretergenerationi, e tutto
ciò che fifcofta
dalcorfo ordinario della
Naturalo fia per
ragion del luogo
particolare, o del concorfo
di caufe ftraordinarie
j o per
qualche altro infoiito
cafo, o accidente; sì de moftri
nelli animali, e
nelle piante 5 sì
de portenti meteorologici, e fotserran/^if
sì d'alcun' Indiuiduo fingolare
nella fua fpctie;
sìdi altre nafcofte
proprietà ftraordinarie. La
terza, intorno all'ifperienze artificiali,
le quali fono
moltiflìmp da notarfi
in ciafcun' aite,
non trafcurando le
piuEriuialÌ5& vfitate, quando
da quelle fi
pofsano dedurre verità
non. ordi|iar̀,.e di
moke confcguenzCo .,
La prima forte
d'jfperienze,per quanto appartengono
alla gcneratione delli
animali,de vegetabili, e minerali, è
fiata afsai accuratamente ofseruata da
Arìftotele,da Diofcoride, da
Teofraflo, da Giorgio
Aericola,e da akri^
non cosi di
quelle che appartengono
alli elementi, et alle
cofe meteorologiche, fotterranee,
e celefti. La
fecondi forteèft.ata afsai
uafcnrata dalli antichi»
e, Jbjp il
mg-. derno derno
Aldroando l'ha' in buona
parte illuftrata. La
terza delle ifperienze artificiali, fi ritrouafparfa in
molti autori, fenza alcun
buoji-, ordine,e molto
imperfettamente. Tutte tré
poi fono, come
diffi, ripiene di molti
inganni, e fallacie, efsendo molte
cofe ofcure, altre
incerte, et altre del
tutto falfe ^
oltre che non
fono confiderate, et ordinate in
modo, che feruano
al fine, che
pretendiamo, di ftabilire
con elìe_-> le
più foftantiali verità
della fcienza naturale.
Quanto poi a
quella parte della
Fifica,che tratta de
principi] delle cofe
fenfibili,èftata maneggiata affai
bene da molti,
e particolarmente da alcuni
moderni, tra quali
il noUro P,
Cabco, e dopo
lui il Caffendo
j ma in
elfi fi può
defiderare maggior metodo, et vn
indutcione megliore di
maggior numero di
efatte ifperienze. Quell'altra
parte, che difcorre
della fabricadelPVniuerfo con
l'ordine, e collegamento delle
fue parti, non
la ritrouo trattata
con quella., dignità,
che merita vna
materia fi nobile
: Poiché fé
bene molti hanno
fcritto opere degne
dì Aftronomia, e
di Cofmografia, particolarmente il
noftro P.Riccioli nel
fuo impareggiabile Almagefto
jquefti però fi
fono fermati nella
confiderationede'moticclefli^
nelle mifure del!a_^
grandezza de cieli,
e della terra,
nelle lorodiftanze, e
nella defcrictione de'fiti,
fenza confidcrare Tordine,
e connedìone delle
cofe terrene jcon le
celefti,* la virtù, et efficacia
dell'operare dell'vne nell'altre,
e la dipendenza
nelli effetti squali
fi debbano attribuire,
a quef1:a,ò a
quell'altra ftella^qualfia la
vera, e fifica foitanza
de corpi celef^i
; quale fia
la cagione del
loro moto :
perche alcuni veloci,
altri tardi s'aggirino ;
perche altri intorno
alla terra, altri
intorno al Sole,
a Gioue, a
Saturno; perche hora
vicini, hora più
lontani dalla terra,
e cofe fimili
. Et ancorché
delli effetti, et influenze
de Cieli, moke
cofe fi leggano apprelfo gl'afiirologi
giudiciarij, fono però
tanto vane, e
fi mal fondate, che
meritamente da huomini
di giudicio fi
hanno in conto
di pazze chimcre,e di
vere bugie, ellendo quelli
fimili a Prometeo, che
ingannò Gioue con vn
bue, il quale
haueua folo la
pelle grande, bella,
e ben difpofta,
ma fotto di
efla altro non
v*era,che paglia,e foglie.
Moflrano coftoro vn
cielo fatto da
Dio, qui e xiendit
calumf cut pillem
^con bell'ordine di
regolati fiftemi difpoftojma
vi mancano le
vifcert»» 5 cioè
le ragioni fific he,
dalle quali fi
poffano ftabilire le
verità intorno alla
natura, foftanza, moto, et influfidieffi.
E benché io del tutto
condanni quella parte
di Aftrologiagiudiciaria, la quale
foggetta il libero
arbitrio alle influenze
del Cielo j
non pretendo però
condannare, quella,che giudica
de futuri auuenimenti
nelle cofe fifiche,
e naturali ;
come fono le
mutationi dell'aria, l'impreflìoni
meteorologiche,& altri D
eflfecci ' effetti
pccpnarijjchedcpendono
dancccflaric cagioni: ma
folo dico che
qucfta parte fia
alcuni fondamenti fìlli,
i quali fi
deuono rigettare, jilcuiii
veri 5 che
fi deuono ammettere,
ma adoperare con
maggior cautela diquellojche fi
faccia comunemente dalli
aftrologi; e che
molti filtri feli
deuono aggiongere,dopo che
fi faranno ben
conofeiutc le proprietà,
e natura delle
ftcUe, e de
loro infludì, conforme
vedremo a |uo
luo^Ojincui prccuraremo di
riformare quell'arte, accio in cai modo
corretta, polla non
folo con diletto,
ma vtilmente efcrcitarfi.
Laterza parte, che
difcorre delle nature
fparfe in varij
generi, «^ fpecie,
ritrouo edere molto
più imperfetta delle
due precedenti j
e ciò r.onfolo
mentre tratta delle
cofeaflratte, ma anche
delle concret^-^ } poiché
quanto a quefte
non fi ritroua
alcuno, che abbracci
tutcc 1^.^ parti,edi
ciafcuna numeri Tjfperienze, deducendo da
effe con buon
ordine le verità,
e principi] di
quefta (cienz,a.' e
benché molti habbiano
riattato di vna
parte, o fpecie
di cofe particolare
sciopero hanno fatto rn^^lto
imperfettamente, non penetrando
a fondamenti, e
ragioni più recondite
dclli effetti, e ciò
per mancamento delfinduttione, l*aItrafcientifica,e fpeculatiua
j la prima
contencrà gran numero
d'ifperienze le più
confiderabili, et vtili
appartenenti a quella materia,
eoa l'inuentioni più
rare tanto mie
propri^.^ quanto di
ciafcun altro autore,
fi antiche come
moderne. Nella feconda partCjdalle predette
ifperienze,& operationiprattiche,
dedurrò tutti i
principi j vniuerfali,con le
altre verità che
s'afpettano a tai
ma« teria, procurando
di confermarle con
lunga induttione dell*
ifperienze medefime,emoftrando la
coerenia di quelle
con li Inabiliti
principi], che renderanno
la ragione vera,
e legitima di
effe : doue
infieme accennerò cornei mcdefimi
principi} fi poffano
ftendere all'inuentione di
cofe nuoue, e ftraordinarie; particolarmente applicando
i principi] di
vna materia ftfica
a quelli di
vn altra parimente
fifica, et a
quelh di ciafcuna
materia fifica, quelli
di alcuna parte
della Matematica. Nel
principi® di ciafcuna
di quefte feconde
parti riferirò grafiìomi,& il
modo di filofofare
di ciafcuna fetta
de filofofi i e nel
fine aggiongerò vn
catalogo de problemi, ò
fiana cofe dubbiofe, delle
quali non fi
hauerà potuto hauer perfetta cognitione
fpeculatiua, et vn altro
dellt^ inuentioni prattiche,che
reftaranno a ritrouarfi
j accio ogn*
vno, dalle cofe
antecedenti pigliando nuouo
lume, poffa animarfi
a perfettionare maggiormente
quefta fcienzaj mentre
procurarò di far
vedere che l'Arte, e
Tefperieza è quella,
da cui ogn'vno
più che da
niuna cofa reftì
jneffa
ammacftratOjond*è,chemi è piaciuto
di dare all'opera,
che in quefto
faggio prometto, nome
d'Arte Maeftra j
non arrogandomi il
ti» tolodi maeftro,ma
attribuendolo air Arte,
di cui con
indefeffe ifpe^^ jienze
mi fono fempre
profeffato fcolaro.. Ho
voluto dare q^uefto
faggio, e notitia
dell* opera j che
fono pe^ man^
17 mandare alle
ftampe, non tanto
per fodisfarc alla
curlofità di quelli,
che defideraranno di
vederla, quanto far
fare intendere a
tutti quelli, che
fi dilettano d'ifperienze,
buone, e di
curiofe inuentioni,che mi
faranno cofa grata
fé degnaranfi di
communicarmi alcuna cofa
di nuouo ritrouata
in tal genere,
e mi obligaranno
a darne all'autore
quell'honore, di cui
farà meriteuole. In
tanto acciò tal
vno non ftimi
che io prometti
cofe vane, mentre
prometto inuentioni nuoue
in ogni forte
di arti, con
il modo di
perfettionarle 5 ho
voluto inuiare auanti
all'Arte Maeftra quefto
mio Prodromo, in cui
oltre varij nuoui
ritrouamenti in molte
forti di arti,pongo
per vltimole regole
prattiche, che feruiranno
a perfettionare due
arti appartenenti ad
vna fol parte
della Fifica, cioè
alla fcienza delfOpticajlVna è
l'arte della Pittura,
l'altra de cannocchiali,
e microfcopij; Doue
per hora tralafcio
di rendere efattamente
le ragioni di
quefte
operationijriferuandomi a farlo
ordinatamente in ciafcuna-.
parte dell'opera già
promefla, che oltre l'ifperienze, et operationi
prattiche in ogni
materia, et in
ogni arte, comprenderà infierae
ia_teorica, e fpeculatiua,
con l'ordine, e
forma accennata di
fopra_.. 2^uoud ìttuentione
di fcriuere in
"fifira, in modo
tale, che il
fegreto nafcofto nella
fcrittura fia del
tutto tmper-eettihilei^ U
fcrtttura formi fenfi
totalmente diuerp dal f
egreto, siche non
dia fa ff etto alcuno
di X^fra, Oltifsimi
fono ì modi
di fcriuere in
Zifra,nafcondendo alcun feg^eto
fotto varie note, caratteri,
numeri, e cofe
(ìmili, ritrouati da
varijAutori,come fi può
vedere nelle loro
Opere date allaStampaj
e particolarm.ente in
quelle di Tritemio,di Cardano,e
nuouamente di Hercol^-ij.
deSundc,e del noftroGafparo
Scotto. Ninno però
fin hora ha
po-t tuto ritrouare
ciò,che N(^ qui
proponiamo di fare
j con tutto
che ciafcuno (ìHa
in quefto affaticatOjC
particolarmente i Segretari]
de Prencipi dcftinati
a quefto laboriofo
meftiere di fcriuere, et interpretare
le Zifrc . Tre fono
le forti di
Zifre ritrouate fin
hora da altri
: La prima
è tale, che
venendo in mano
d'alcuno viene tofto
riconofciuta per zifraj&
il modo con
cui è comporta
fi può penetrare
da chi è
prattico nel dizifrare;
e quelle zifre
fono le più
imperfette di tutte le
altre; poiché hanno
ambi li difetti,che
fogliono efsere nelle
zifre; rvno che
danno fofpetto di
alcun fegreto nafcofto,
e perciò vengono
trattenute; Taltro che
facilmente fi può
fcoprire, e cauare
il fegrero con
le regole del
dizifrare molto ben
note a fegretarij
di zifre, quali
infegnaremo nella già
promeffa no^ra. Arte Maefìra,!.^ feconda iorte
di zifre, è quella,
che non da
fofpetto alcuno: ma
eflendoui il fofpetto per
altro, è tale,
che con le medefime regole
fi può dizifrare.
La terza è
di quelle zifre,che
in niunmodofipofìbno dizifrare
da chi non
ha la contrazifra;
ma però ritengono
l'altro difetto, ch'è
il dare fofpettodizifra, e
di fegreto; onde
le lettere fcritte
in tal forma
vengono trattenute, . Reda
dunque da ritrouare
il modo di
togliere alla zifra
ambidue
C|ueftidifettì,sichene dia fofpetto,
ne poifa effer
dizifrata da chi
haucfle per altro
alcun fofpetto; ilche
fin hora non
è ftato ritrouato
da alcuno, benché cercato
con ogni ftudio,
per IVrilità grande
che può recare
nelli pia importanti
maneggi,& intereflì Politici
: Onde fpero,
che per quefto
folo fia per
efler gradita quefta
mia Operetta, mentre
palefo vna nuoua
mia inuencione tanto
gioueuole a tutti,emafi[ìmea grandi,
li quali finhoraL
l'hanna anfiofamente defiderata.
Pri 29 §.
I. Frìma ^ifrA
in intelligthile, e
fen-^a fofpetto, Sidiuidano
le venti lettere
dell'alfabeto Italiano in
cinque parti come
qui fi vede,
e fé le
dia queir ordine
confufo che ciafcun
vuole : il
quale i b
o n a
1 e d
hspnì I qgfz
Alfabeto cofidiuifoferuirà
dichiaueper chiudere, e nafconderc nella lettera
qual fi vòglia
fegreto, e per cauarnelo,8c
intenderlo, da chi farà
partecipe della medefima
chiaue. Si fcriua
pofcia vna lettera
di cerimonie, o
di qualunque negotio
meno importante, ma ciò fi
faccia.» in modo
tale, che fi
fcielgano alcune lettere,
le quali feguitaranno
dopo vna virgola, e
punti che foglionfi
mettere fopra la
vocale i: 1««*
quali lettere douerannopigliarfi,o immediatamente dopo
Tvltima i» oucroncl
principio della parola
feguente,ilcheriufcirà più facilt^j
Umilmente le lettere
che feguitanodopo vn
punto fermo, e
Tiftefle vocali i, e
nello ftcfib modo
le lettere, che
feguitano dopo due
punti, e le
medefime vocali i.
Quelle parimente che
feguono dopo vn
punto intcrrogatiuoje vocale
i, E finalmente
quelle lettere che
feguitano dopo vn
accento, eie medefime vocali
i. Si che
volendo indicare la
lettera h del
fegreto, faremo che
detta lettera fi
ritroui immediatamétc dopo
vna virgola, e
due vocali ;.
per efleril h la feconda
lettera^ delle quattro
notate con la
virgola : ma
volendo
fignificarelalcrtera_. 0, faremo
che quefta venga
immediatamente dopo vna
virgola, e tré
vocali j,pcr efler
nel terzo luogo.
Sepoivoremo fignifìcare 1.
lettera » faremo che
quefta fia immediataméte
dopo vna virgolale
quattro vocali i,
che fé voremo denotare la
lettera /. faremo
si, che venga-»
dopo vn punto, e
due vocali ».
fé la lettera
/?. dopo due
punc!,e tré vocali
». fé la
lettera g dopo
vn punto interrogatiuo, e
due vocali i i,
* fé la
lettera e dopo
vn accento, e
quattro vocali /'.
m Volendo dunque
fcriuere quelle parole
fecrete è mono
Paolo ^ pet più
facilità difponerai aparteciafcuna lettera,con
lenotedc funti, i]irgole,& accenti,
che li deuono
precedereconformelachiau^i
iopr*polla, le quali faranno
quefte. .. e
è in 21
r ~ t
i ? I
I • »
r » 5 • j
cmortopaolo Ciò fatto potremo
ftendere vna lettera
di cerimonie in
quefta forma. jFÙ
(ingoiare ilhenepcio, e
grande ti fauore
fattomi da V.
S» : ne
io mai mancaro
di
corrifpondere^proteHandomidi
rimanere à lei
ohligato in ognhora,^
in ogni momento
f' che mi rejìa
digita cuunque farai
Porgami occafione di
poter moftrare dottuto
affetto. 'Poiché amo-,
di impiegarmi ognora
a prò di
f^.S. Afpetto Cuoi
comandi lontano, ben
fi di loco
ma non di
ohìtgatiom, ^ affetto.
Per intendere il
fegreto nafcofto in
quella lettera, fi
oflerueranno tutti \i
accenti, virgole, e
punti, con tutti
li punti pofti
fopra le vocali
u e vedremo
primieramente che dopo
il primo accento
pofto fopra la
prima parola/» feguitano
quattro.. ..di quattro
vocali «.prima di
ritrouare altro accento,uirgola, o
punto j perciò
uederemo nella chiane
quale fia quella
lettera, la quale
è notata con
un accento, e
tiene il quarto
luogo tra le
accentate, e ritroua
remo eiTere la
lettera e. Seguitando poi auanti
ritrouaremo due punti:
e dopo quefti
prima di ritrouare altra uirgola,
o interpuntione, uedremo
che ui fono
quattro not«L^ di
uocale i. Dal
che uerrà fignificata
quella lettera, nella
chiauejche^ tiene il
quarto loco tra
le appuntate con
due punti, cioè
la Ietterai. Poi
ritrouaremo una uirgola,e
dopo quefta tre
note della uocale
i. prima di ritrouare
altro accento, onero
interpuntione, la qual
uirgola co tre
uocali i. denotano
nella chiane la
lettera o. fegue
poi l'accento con
tre punti di
uocali prima di
ritrouare altra interpuntione, che ci
notano la lettera
r. fi che
pigliaremo la lettera
r. e cofi
caueremo lo» altre
lettere, che compongono
le parole fegrete
e morto Paolo.
Auuertafi che per
facilità maggiore nel
comporre la lettera
fi potrà tal'hora
tralafciare alcuna nota, o punto, che
per altro dourebbe ccllocarfi
fopra la uocale
/'. come filiede
nelle parole il
fattore fattomi, tL^
fimilmente fi potrà
tralafciare alcuna uirgola,
opunto ; poiché
quando ciò fi
faccia con moderatione,
non darà alcun
fofpetto, efsendo confueto
a molti l'hauerpoco
riguardo nello fcriuere
alle uirgole, et interpuntioni. Quefìo
mododifcriuere come che
paia alquanto laboriofo,nnlfadimenodopo qualche
efercitio,con la prattica
fi rende facilcj
perche fiamo fempre
in libertà di
fcriuere que'fenfi che
noiuogliamo,e di ufare, e
uariare le parole
a noftro capriccio, il
che fa chefipoflanofare cadere
le lettere del
fegreto nel principio
delle parole, che
feguitano
doporinterpuntioni,e note richicfte.
F Cofi 2i
Cpsì refta manlfefìo,
che non folo
fi toglie ogni
fofpetto, ma anche
fi rende la
zi fra impercettibile, il
che naice dalie
coflibinationi quafi infinite
delle lettere dell'alfabetto, con
le quali fi
può variatela chiaue
in altre tante
maniere, quante fono
le combina tieni
podìbilf, Refta parimente
manifefto, che con
quefta maniera di
fcriuereoC' eultamente fi
può comporre la
lettera in lingua
Latina, oGreca,© in_.
qual fi voglia
altro idioma, ancor
che il fegreto
nafcofto fia in
lingua,. Italiana ; et all'incontro
il fegreto potrà
eifere Latino, Greco,o
Arabo, anchor che
la lettera fia
in lingua Italiana^
fi che fcriuendo
intutte le lingue, potrò
effer intefoda chine
sa vna folade
fcriuendo in vnafol
linrzua, potrò cfìer
intefo da tutti
quelli, che profefiano
altre lingu^^ diuerfe
Si può anche
render più facile
la eompofitione della
lettera, difpo* neadola
chiaue nella forma
feguentc-» i b
o n \
a 1 e
d | h s p
m j q,
: : *
: ^ l
i i i
? JJ J)>
1 > 5>.
>3> I 5
55 5>J I
> 5> 5»
g f" 2 ? ?
? g f z j
u t r
e J >
3 Conforme alla
quale volendo noi
fignificare la lettera
i. faremo che
quefta fcguiti immediatamente dopo
vn punto fermo,
e volendo fignificare la lettera
k faremo ch'ella
feguiti immediatamente dopo
vn_. punto, et vna
virgola; la lettera
o.feguitarà dopovn punto,
e due virgole 5
la lettera ».
dopo vn punto,
e due virgole
j la lettera
^on inuiAruì nella
prefente una fuìfc erata
preghiera y e
he ut *
. mgliate degnare
di commandarmi (^c. • Nel
quale paragrafo fé noi voremo
fare intendere quefte
parole^ fegrcte :
mi ritrem prigione
fciegliercmo li foli
caratteri, v he
f )rmano tali
parole, incominciando dal
terzo carattere w. e da
queitoiì no all'altro
carattere /.delfecreto numeraremo
cinque caratteri, quindi
prima di ritrouare il
terzo carattere r.
numeraremo dicci carattcri,e
così delli altri,
che per facilità
habbiamo notati con
punti, et inquefìo
métte collocheremo da parte
li numeri delli
caratteri,che s'interpongono tra
l'vn punto,c Taltroj
cioè numerando dal
primo carattere fmo
all'/», haueremo il
numero 5. e
dall' w. fino all'/,
haueremo il numero
s, da_, quefto
fino air r,
haueremo il numero
i o. e
cofi facendo delli
altri raccoglieremo li numeri
feguenti . 5, 5.
10.4. 22. 25.
I. IO. 10.45.
I(). 21. II.
2. IO. IO,
5. Oltre di
ciò haueremo vn
alfabeto, il quale
fia difpofto non
con., l'ordine naturale,
ma con qualfiuoglia
altro ordine j
e fopra il
detto alfabeto fi
collocheranno ifuoi numeri
corri fpondenti alli caratteri,
il quale alfabeto
così difpofto feruirà
di chiaue. Supponiamo
per tanto che
fia difpofto nel
modo feguente, I.
2. 3. 4.
5. C, 7.
8. 5). lo.
II. 12. 15,
14. 15. 16.
17. 18. Ip.20, a.
r. n. d.
b, d. f.
e. i. h.
1. m. s.
u. t. e.
g. p. q,
z. Per nafcondere dunque
li predetti numeri,
che moftrano il
fegreto nafcoftonel primo
paragrafo della lettera, componeremo il
fecondo paragrafo in
modo, che la
prima lettera fia».
la quale indicata
il primo numero 3.
pofcia dopo la
prima virgola incominciaremo la
parola con la
lettera ^. che
indiorà il fecondo
numero 5. Similmente
dopo la feconda
virgola, incominciaremo la
parola con il
carattere /;. chft«»
denotata il terzo
numero cioè i
o. e così
de gl'altri caratteri,
z^ numeri. Si
oflrerui,chefe vi farà
alcun numero maggiore,
il quale non
fi ritrou^neU'alfabettOjfi donerà
hauer riguardo folo
alla feconda nota
numerale, incominciando la parola
con il carattere à
tal nota corrif pon
i4. ponaente, guanti alla
quale parola cfoiirannò '^recedòre due
punti in_i luogo
r'jeiJa virgola, i
quali due punti
moftrcranno, che la
prima nota_» nmiiP-vale
farà 2. e
quando la prima
nota numerale farà
5., dourà precedere
vn punto, et vna
virgolasse vn punto
fermo quando la
nota numerale farà,
Pertanto il fecondo
paragrafo della lettera
potrà ei'er quefto,
^cn ho potuto/:»
hora, benché io
la defideri, hauere
occapone di parlare
con Kntonio yOYide
mi difpiace :
reH^wdo defraudato dal
deJJderto di femirui:
non ho pero
perfa U [piranha
^ anzi credo
che prejìo,hauero commodita, hoggiforfi
di abboccarmi con
efso. u^el reHo
fempre,t^m ogni occorenza
farò pronto 5
anzi prontiffimo a feruirui ^la'vofra wodejìia
non 'vi, ritenga
di commandarmi ^hauete un
jeruo fedele yhabbiate
ogni confidanzj^ con
me^ ne ut f
corda* te di
un mHra Ajfctionatifftmo &*c.
In quefto modo
di fcrinerefele interpuntioni
per maggiore facilità nonfoflero del
tutto acconcie, e pofte a fuoi
luoghi, non perciò li
darà lofpetto alcuno,
come ho auiiertito
di fopra^e fempreil
fegreto ftarà nafcofto,fenza poterfi
intendere da chi
non ha la
chiaucjcioè la difpofitione del foprapoflo alfabeto. Mail
corri[pondente,o amico, il quale
fia partecipe della
chiauejofleruerà il primo
carattere ». al
quale nella chiane
corrifpondeil numero ^.epofcia
il carattere.^, che
fc"U!tadopola prima virgola
cioè ^. a
cui corrifponde nella
chiane il numero 5.
indi dopo l'altra
virgola ritrouerà il
carattere h, a
cui corrifponde il
numero io. più
auanti ritrouerà il
carattere^, a cuicorrifponde il
numero 4. Poco
dopo ritrouerà il
carattere r. a
cui corriti pondeil
numero 2. e
perche al detto
r. precedonodue punti, che
(ìonificanoil numero 2. perciò noterà
il numero 22.
e così ritrouerà
tutti li altri numeri
; con i
quali haucrà poi
facilmente nel primo
paragrafo della kttera, tutti
li caratteri che
formano il fegreto
nafcofto, §. III.
Ter^o f^oào ài
fcrluere in zjfra
fatile ^ che
nondaalcuu fof petto 3
ne può intenderfi
da chi non
ha la chiane»
Q Vello, che ferine, e fimilmente
quello, a cui fi
ferine, hauranno vna
ferie, et ordine
di caratteri, com'
è il pofto
qui fotto, et ambidue
fi accorderanno aflìeme
di fcriuere in
vna tal chiaue
determinata, quale farà
vna parola, o
molte, o fignificatiua, o
non fignificpiua come
lorc pili piacerào A B M A B C D
E F G
H 1 L
M N OP
QR S T
V Z ABCDEFGHIL
M N O
P Q^R S T V
Z A B C
D E F
N O P
CLR S G
H I L
T V Z
M ABCDEFGHIL O
P CLR S
T V Z
M N ABCDEFGHI
L PQRSTVZMNO A B C D E F G H I L Q R S T V Z M N O P A B C D E F G H I L R
S T V Z M N
O P CL ABCDEFGHI
L ST V
ZMNOP Q^R ABCDEFGHIL
T V Z
M N O
P Q^R S
ABCDEFGHIL VZMNOPQ^RS T
ABCDEFGHIL ZMNOP Q^R S T
V ■;!pnj ••0'>
Il ^'5 />
CU ore cuorecuo
r ecuor ecuorecuo
:i Il tuo
fratello è stato
ammazzato,>> Di poi
neirordine de* caratteri
pofto di fopra
fi cercherà la
prima^ lettera e,
della chiaue rielli caratteri più grandi,
la qual lettera
e ftà nella
feconda riga,• e
perche fotto il
e della chiaue
v*è la prima
lettera j. del
fegrcto, cercheremo nella
feconda linea la
lettera i, delli
caratteri più piccoli, et in
vece di effa
fermeremo quella, che
vi ftà fotto
cioè
àferpendo{l!uoniptrò,/ono
gl'auuifi dell'armata
yi>uoni[iìmi quellt dei nofìro CeneraliJl/tmOiÀcui. è
riyfcito yfcuidare dalli
alloggiamenti n nemico
? Q ode
fi per tanto
Jpermdoxhe ilTurco fi
rifoluerà^ad abbandonare l'intprefa^
Se altro accader
a ^mandaro auutjoiiJoiin
tanto fiate [ano
^ godete dt
fotefi\ ^ria. ; non.
fate, dfordini^e ricordateui
di honorartni de m^ri commandi f^c.
U cQtrifpondente confa peuoledeirartificio, aperta
la lettera, noterà per
ordine tutti li
caratteri, che feguitano
immediatamente dopo le uirgole,^:
interpuntionì, quali ritrouerà
cffere li feguenti
cuQ re cuore
cuore zubba fgfafmugne.,
Sopra de quali
egli fcriuerà la
folita chiaue 5
poi cerchersi la.
prima^! lettera IìR
fcrluercinxifrafiferuono
alcuni delli numeri
corri fpondenti * alle
lettere j ma
perche cofi facendo,rifte(ro numero
vale fempr«-» ^erla
medefima lettera j
perciò riefcc facile
rintenderc,e cauare dalla 2Ìfra
il fegreto nafcollo
; Noi dunque
in vece di
fcriucre li numeri
corrilpondéti alle lettere,
cioè /. per
a. 2. per L 5.
per e fcriuercmo
vn altronumero,che (ìa
moltiplicedi eflb j fi che
poi quelli numeri
diuifi per vii
altro numero fi
habbia il numero
precifocornfpondencealli
caratteri. Per efempio
volendo lu fcriuere
quelle parole non
ti pdire di
Pietro, fcriuerai quefti
numeri in tal
forn.a 5 9, 42,
3 9« 5 7,
27. i
8, 27, f 2,
5, 5 1,
15. 12, 27.45,27, 15,
57> 5 i,42.douei
punti fono quelli,chc
diuidojio le parole
vna dall'altra, eie virgole
diuidono le lettere: quelli nujmeri
dunque diuifi per
il numero 5,
fil quale ferue
di chiaue) danno
li aìumeri fcguenti
15,14,15. I9,p.6,p,4, i,
17, 5. 4,9.
MjP, 5)«9, 17,14.11
primo numero lignifica
»«» jpoieheil i
?.corrifp. Io. I7«
iS. ti?. 29.
H. 12. 13.
14. 15» '^"^
I. %, 3.
4. 5. 6.
7. S. ^.
ICt li. tf.
10. II. 12.
13* 14. 15.
i^. 17. t.
1. 3. 4.
5. 6. 7.
•• P. IO»
19. 20. II. 12. 13. I4. 15. 16,
17. 18. '•= •*
2 I '•
^* 5* 4* 5.
^» ?• "•
9* i®» ^
I ipi II.
12^. I3« 14.
ts. i^. 17.
IS. 19 H ST
5^ Si determini
vna chiaue, fopfa
cui fi hauerà
da fcriuere,ta quale
confifterà in alcuni
Numeri, più, ò
meno, conforme fi
vuole_^, pur che
niun numero ecceda
il venti. Sia
per efsempio la
chiane compofta delli
quattro numeri feguenti,cioò
7. 12. ?. 8.
Volendo metr tere
in zifra qucfte
parole, ^on it
firmare in l^oma,
cercherai nelle lettere
pofte qui a
lato la lettera
N. è nella
riga corrirpondcnte iln^.y^
ma in luogo
del 7. fcriuerai
quello, che vi
è pofto Tetto,
cioè 12. Di
poi prenderai la
feconda lettera -del fegreto,chc
è O, e
nella riga^ corrifpondente cercherai
il fecondo numero
della chiaue,che è
12. ina in
luogo di 12.
fcriuerai il numero
foprapofto,cheè'(5. fimilmentc prenderaila
terza N, e
nella riga corrifpondente cercherai
il numero 3.
della chiane, ma
in luogo del
j. metterai il
numero pofto di
fotto, cioè 1 8.
cesi farai di
tutte le altre
lettere, et hauerai
li feguenti numeri
1 2. (?. 18. 15. 1 1.
IO. 15. 15.
12.2.20. 20. 1 1.7.20.14.
12.2. quali fé
manderai al tuo
corrifpondente, fingendo,
che fiano numeri
di altre cofejnoncagionarannofofpctrpje quando
ben'anehe vi foflfe
per altro alcun fofpetto,
la zifra è
tale, che non
potrà mai efler
intcfo il fe^reto
j perche la
medefima lettera muta
fempre numero per
cagione della chiaue, come
fi può facilmente
ofseruarq aelll efempia
allegato.'' ^ '
t-^'-i >■•%. t'?.
•:£ *o.!: .^?.
.?? .A,1t r
.-t .^ i
ki. D l
l ''^, 8-.
■ • t
: t .on,^l
.1? " M
«:i Ti *
"» •? t£
oi i *T
'^ t%t l^
:14 a? «Q? «^2
I ',3 y
Settima Si §.
VII, Settima x'tfra
cen numeri, QVellOjche
fcriue, è quello
a cui fi
fcri'ue,habbiano rvno,e l'altro
alcune virgolette di
cartone, o di rame,o
di legno con
fopra notati i
numeri e lettere,
come fi vede
nelle feguenti . *
VI 2 B
4 5 6
7 8 (
.« 2 ■
b* ■d e
S g il
i T n
o X 7
t li t
I 2 4
7i loi ili
I2i .I>|, ^7
il 19 2Ó 1 b
C e T
g i T
m n o
P a r
s t u
z a I
2 4 7
9 lo I
I 12; 11 1(5
17. i5' !>>
20 e e
^— cr ?>
h T T
m n 0
P »— • q r
s I u a i'
2 7 8
s» Jo 1 1
12 (4 i7
16 iS I7
'2ÒI d e il h*
i T m
n 0 P
r s t
u z a
b e 2
i ■ 4
I 9" IO
Ili 16; 17
ì8, IP 20 e 7
g i T
m n 0
i 2. r
s t u
z a b
e di 1 1
>^\ 2! 1'
4 il _9
II 12 13 14 (5
16 18
19 lo' f
a ti i>
T ! m
n. 0 P
r ., s '^
t u z
a b e
11 2 1
4' I 5i
8 II' 11
u I6 17
il 19 20 g h i
m n z
P q 7
s t U
z a b
e d e
7Ì 2' II
7 •>— • ■
6 Ji 8|
7 10 i7
i7! '7 "7
18 i^ 20
: h !
^ 7 m
n. z q
r s t^
u z a
b e 7
r 7 g
I 2 4
7 8 i
IO IC II
IJ i7 '7
18 19 20 V Quelle
verghettc fi potranno
profegnire fino al
numero di venti,
che cofi ciafcuna
faràdiuerfa dall* altra ;
ma balleranno anche
meno per il
noftro intento :
ferucndofi noi dunque
delle fole otto
qui pofte, e
volendo per efempio/criuerc Pietro
è morto per
fcriuere il p
prenderemo iU'n:-iih mo
qualfivoglia delle dette
vei ghette^ per efempio
quella, che ha ili
fronte il 5.
e trouercrnojcliein efla
alla lettera;» cQrrifponde
il numero IO. onde
noteremo qucfti due
numeri 5.r o.
coli in luogo
della lettera i, fcriuerenio
8. 2. che
fignifica nell'ottaua verghetta
il fecondo luogOjOiiero
4, tf, che
fignifica nella quarta
verghetta il fefto luogo &c. e
per togliere il
fofp^tto che potrebbero
recare quefti numeri,
li potremo fcriuerecome fé
foflero tauolc aftronomiche,
ponendouiauanti il C,&M»quafi che
il numero che
fignifica levcrghette fignificaflc
i gradi 5
e l*altrp numero
fignifìcafle i piinuti
di qualche fcgiio
qelei^c; il che
refleropio potrà ftare
così, ^ C. 5
. G.
8. G. 7.
G. ». G. 5
. G.
a. G. ^.
G. 1. G.
2. G. 5.
C.7. G. 9^ ~
M.IQ.M. 2» M,ip. M.i7.M.i2.M,i
i.M.^o.M.^i.M. 1 2.M.14.M.1 ^.M.^,
Quando dunque Tamico
tuo vorrà leggere
vna tale fcrittura,
prende-' là le
verghette per ordine
cioè la quinta,
Tottauajla fettima &c.
e quc*» fte
le ponerà l'vna
dopo Taltra alzandole, et abbacandole
fi, che s'incontrino inficme li
fecondi numeri 10. 2.19.
i7«&c. Poiché con
tali niji^ in?ri
hauerà gnqora \c
predette parole Pittro
i morto, $.
VJIL Vn Altro
modo di/erìuere in
^ifrsJimUi 4I precedente»
SI h abbia
no le tauolc
pofte qui fotto
fegnate con li
dodici fegnf del
Zodiaco, in quella
forma,che quìfi vede, con
progreffione di numeri,
Hiuno de quali
fia maggiore del
30. per erprimcre
i gradi di
tali fcgni .
Volendo dunque fcriuere
Paolo in luogo
del Pi fcriuerai
G.24. onero G.
25. ouero G.22.§ic.cofi
in luogo di « fcriaeraiG.il. ouero
G. io. e
cofi le altre
lettere di mano
in mano. Li
collocarai poi feguitamcnte
rvno dopo l'altro
in mo4o che
ftmbri.vna tanol^ aftronomica.^9 Auercait
Jr a Illa
bi2 C15 loia
CI2 C15 e
14 {16 gì?
hi8 i Jp
I 20 raii
n22 o 15
P»4 q25 r
i6 ( 27
C28 U29 biojb
5 e II
e Io d
12 d II
e 15 e
12 f i4f
15 gM fi5
gi6 hi7 hi^.h
15 i i8ji
17 i 16 I iPjl
18I 17 mzo^mip
mi8 mi n2o
n 19 022
021 02Q p25
;P22 p2I SS
fi • a
8 (a 7
b 8 e
9 d lo
ei I f
12 np sa
a 5[a 5
b 7 b
6 e 8
e 7 d
9d 8 e
Iole 9 f
Ii'flo hi4'hij h
II, i 15
ji 14 i
15 1 i5
1 !5 1
14 mi7|mi^ nn5
n lèin 17
n i5 o
ipjo 18 o
17 p2o, pippi8
gU q 24
425 q22 q2I
r 25 jr
24 r 23
r 22 f
26 f 15
f 24 f
25 ti? U28 Z19 t
adi c 25,c
24 U27 ui^s m^
q2o q C9
r 21 r
20 r 22
f »i t
25 t 22
a b 1
.. iM6 3J
4'=l « Jb
i«6 K ^la
2:a Ha 30
5|b 4'b i\k
2bi9 e ole
5 |c 4|c
5 C28 d
7 d ó'd
5id 4 d
27 e sic
7ie 5 e
5 e 2^ f 9f
8f 7f 6
f 25 giog
^g 8|g 7g24
hii b lo
h s> h
8,h25 i 121 II
ji loi
pji 22 1
I? l 12 il
ni «o l 21 0114
mi3 mi2^mn'ifn20 a
15 n 14'n
ti n lin
ip Q 160
1.5 |o 140
150 18 pi7:pi6!pi5
PI4'P»7 qi8qi7 r
ipjr li r
2,o;f 19 e
21 |t 20
U 24 U2JU22
U 21 ^28'l27lZ
%6*Z2$ Z 24li23'£
22 q I5qi5jq
^^ r 17
r i6 r
t5 fi8f 17
e ip't 18
U20ÌU IP r
14 t li
U 12 £21
Z20Ì£ Ili Auuertafi,
che in qucftc
tauole fi è
fchiuato il cominciare
dallVnrà tà »
ma fi è
cominciato dall' vndici, per
Icuare ogni fofpjstto,il
che configiiamoa fare
io ogni altra
uuola. .ty^'-..,imm 34
Volendo dunque fcn'ucre
GuarJati Ja Pittiò
Tefcmpìt (iiaì n«I
modo che feguQ.
V I uì, I V
♦H, I C,
17. I G.
»?. \ G.
10. Q. 19 I cofìfbrme efprimono
di eflere in
diuerfi gradi delli
fegni del zodiaco
; nel qual
modo oga vno
potrà formarfi le
tauo« k a
fuo piacere j potendofi queJftc
difporrc in molte
maniere, f)cr cfcmpio
in luogo di
cifticuna lettera, potrai
vfare qual fi
voglia € nel
medefimo modo egli
potrà rifpondere benché
cieco. In oltre
fi potrà trattare
viccndeuolroentc in fegreto
co vn cieco
per jnezzo di
vn libro di
molti fogli :
ponendo tra fogli
medefimi vari fegni,
fi che i'vnofia
dittante dall'altro tanti
fogli quante il
numero corrifpondentc al
carattere del alfabeto,
che vogliamo indicarejd:
acciò il fegreto
retti maggiormente nafcotto,daremo alli
caratteri del alfabeto
vari numeri feni
ordine naturale 5 come farebbero
li feguenti. i 3. 2.
I. 7. 8.
9* lo. 4.
5. 6, II,
I). I J.I4. 15.
2o» fp. 18.
I7.1tf« abcdefg hilmn
opqrf cvz E
volendo indicare il
carattere g* numeraremo
dal principio del
libro dieci carte, e
dopo la decima
metteremo nel libro
vn fegno di
car13,0 altro ;
ouero piegaremo la
carta medefima j
volendo indicare il
d feguitarcmo a
numerare fette altre
carte, e dopo vi
metteremo vn altro
fcgno,e cofi fcguitando
finoche fia compito
tutto il fenfo
fegreto. Queftc modo
fi può variare
in molte forme
facendo feruire diuerfe
forti di kgni
per diuerfe lcttere,ouero
diuerfe piegature di
carte, bora di
fopra, hor di
fotto,hor alla dettra,hor
alla finiftra del
libro ; fi
che il diuerfo
numero delle carte, et la
diuerfa forte di
fegni combinati infieme
denotino li diuerfi caratteri.
11 modo di
dare minor fofpetto,
e difficiliffimo ad
eflcr ritrouato da^
chi non ha
la contrazifra, può
effer quefto . Habbianfi
cinque fegni diuerfi da
mettere tra vna
carta,e l'altra del
libro j la
diuerfità de'fegni potrà eflere,chevno fia
vnaliftafottile di carta,raltro
vna lifta parimente
di carta ma
piegata per lungo,
il 3. vna
lifta fimile piegata
da capo ;
il quarto vn
altra iifta piegata
da piedi, il
5. vna lifta
piegata da capo,
e da piedi
. Aciafcunodiqueftifegnifi attribuiranno
quattro carattc!ri, che
faranno in tutto
venti. Volendo poi
indicare il primo
di quelli quattro
caratteri,pofto il fegno
in qualfiuoglia luogo(
cominciando da! principio
del libro verfo
il fine,òdal fine
verfo il principio
) tra IVna-j»
carta,e Taltra fi
piegherà la carta,
che tta alla
deftra parte del
fegno,c6 vna piegatura,comefi fuole,nella
partedi fopra; e
volédo indicare il
2**. •carattere fi
piegherà la medefima
carta nella parte
di fono: per
indicare il 4J
il terzo carattere
fi piegherà la
carta finiftra nella
parte fuperiore,o per
indicare 4°. carattere
fi piegheri la
medefiraa carta nella
parte inferiore j così
faremo di tutti
li altri caratteri
attribuiti a gl'altri
fegni fi cheladiuerfitàdelli fegni,
con la diuerfità
della piegatura delle
carte,indicfai la diuerfità
delli 20. caratteri. Molti
altri modi fi
potrebbero inuentare,quali ognVno
potrà facilmente ritrouarea fimilitudine
delli precedenti ;
a quali voglio
aggiongerne vn altro
non meno ingegnofo,
benché alquanto laboriofo.
Si pigli vna
tauola di legno
dolce, e molle,
e con caratteri
da ftanv. pa,
quali però vorebbero
eflère di ferro, o
altro metallo fodo,
più tofto che
piombo, et alquanto
grandi, s'imprimano nella
tauola le parol?^
del fegreto, facendo
rientrare in dentro
il legno j
di poi con
vna pialla, fi
fpiani la tauola
leuandone tutto il
legno, che foprafta
alli caratteri impreffi,
in modo, che
refti tutta piana.
Quefta tauola s'inui;
al cieco il
quale la metterà
neiraqua:& in breue
Taqua penetran ào per
i pori fari
rialzare i caratteri
com prcfiì, fi che
il cieco toccandoli
con le mani
potrà leggere, et intendere
il fegreto. Jn
qtiftl modo fi
pojfa parlare, o
rnamfeUarc ì fuoi
fcnji 4 chi
^t^ lontano fenz^a
mandare ne letjtre
^ ne mejfaggtere^ JTIft
«^^'Arie inticntloni h
fono ritrouate per
manifeftare i fuoi
fl^nfi, ^\Éj4?^ e
parlare a chi
(la lontano per
via di alcuni
fegni vifibih, p\\Jv^^
le quali deicriueremo
nell'Arte Maeftra, con
molte altre ¥&i^^
cofejcheaqucfta materia s'afpettano.Maperrhe le fu
dette inuentioni feruonofolo
per parlare :
Ila diltanza di
pochenilgliaje di più
fono alquanto labonofea
pratticarfi: perciò ne
defcriuerò qui due
altre mie molto
più facili delle
ritrouate fu/ bora_.,
con le quali
pot^-emo parlare alla
dilania di trenta, et anche
piu mi olia_Je Sedunque
quello,con cui vogliamo
parlare farà in Iuoctoj ne!
quale fionpofla penetrare
la vifta, per
eflerui di mezzo
alcuna collina, muraglia,© altro: potremo
nulladimeno parlar facilmente
con efib lui
in_a quefta forma.
Spararemo vn mofchetto,
e fé queflo.per
la molu; diftanza,
non potefle vdirfi,
vn grofìfo mortaro,
onero vn pezzo
di cannone |
«quello farà il
primo fegno 5
che daremo a
quello, con cui
vogliamo parlare. Tanto egli 5 quanto
noi hauremovna palla
di qualfivoglia materia pendente da
vn filo, o
catena, con il
moto,&ondutioni della quale fi
mifuri il tempo:
ma è neceflario
chelVno, e l'altro
(ìlo-da cui pendono fofpefe in
aria le pallejfia
della medefima lunghezza,
accio i moti, et ondationiiiano
parimente vguaii. L'amico
dunque vdito il
primo fparo fi
accoderà al fuo
filo, e pallajC
noi fimilmente alla
no(ìra_i : All'hora
faremo vn altro
fparo, e nel
medefimo tempo daremo
il moto alia
palla pendente dal
filo, acciò faccialelue
ondationiiil che farà
anche l'amico lontano,
tofto che ode
quefto fecondo colpo:
Volendo poi noi
fignificare la prima
lettera del alfabeto
afpettaremo,che la_# palla
habbia compito cinque
ondationi,& all'hora faremo
vn altro fparo
jfimilmente volendo dopo
quello fignificarela feconda
lettera_> dell'alfabeto,
afpettaremo chela medefima
palla habbia terminato
dieciondationi, e fubito
faremo vn altro
fparo j per
fignificare la terza lettera
afpettaremo quindici ondationi
della palla; e
così dell'altre j
in tal maniera
ancor e he fi vfafle
qualche negligenza in
sparare vn poco
k, piti 45
più pretto, o
più tard© del
tempo «on fi
potrà pigliar' errore
dall'amico lontano; polche
lo fuarionon farà
mai più di
vna,odueondationi. Non potrà
ne anche cagionai*
errore il fentirfi
Io fparo lontano,
molto tempo dopo
che fi è
dato fuoco aljmortaro,
o cannone 5
poiché tanto tempo
paflèrà di mezzo
all'vno fparo, e
l'altro, quato di
mezzo al vdnfi
dellVno, et allVdirfi
deiraltro. più facile
farà il parlare
quando l'amico lontano
fia in luogo
non., impedito alla
vifta; poiché in tal cafo,
fé farà di
notte in luogo
dello fparo, potremo
moftrare vna torcia
acccfa, e poi
nafconderla mentre-* che
la palla falefucondationiie di
nuouomoftrarla dopo cinque,
o dieci, o
quindici > onero venti ondationi,
conforme le lcttere,che
vorremo fignificarc ; et cflèndo
di giorno,farcmo il
medefimocon vna bandiera,© altra cofa
vifibile da lontano
in luogo della
torcia : ma
queiU di notte
fi vedrà molto
più lontano. Ofleruifianchora che con la
torcia, o bandiera
fi potrebbero abbreuiare
roperationi,feruendofidi più torc
ie, o bandiere
j in modo
che, per efempio,
volendo denotare la
prima lettera
deiralfabeto,fi moftraflc vna
torcia dopo cinque
moti, et ondationi della palla
; e volendo
denotare la feconda
lettera fi moftraflero
due torcie parimente
dopo cinque ondationi
; volendo fignificare
la terza lettera fi
moftraflero tre torcie
dopo il medefimo
tempo ; volendo
poi denotare la
quarta lettera fi
moftraife di nuouo
vna torcia fola,
ma-» dopo dieci
ondationi, e cofi
dell'altre . Qyefta inuentionedidare diuerfofignìficatoal medefimo
fegno dal diuerfo
tempo, in cui
fi moftra, può
feruire alle perfoneinduftriofe per
fondamento di molte
altre inuentionij et a
me bafta per
bora-, haucilo accennato.
Vn altro modo
propongo per parlar
da lontano, pur
che fia in
luogo vifibile,che può
feruire alla diflanza
di vinticinque, trenta,e
più miglia particolarmente di
notte.Si facciano tante
tauole di legno
quadre, t-* larghe
vn braccio almeno,
quante fono le
lettere dell'alfabeto j&
iii^ ciafcunatauola sentagli
vna lettera grande
quanto è la
tauola,ficheiI taglio fiagroflbdue
deti,'e palli dalfvna
all'altra parte della
tauola-/, poi fi
copra elfo taglio
con carta rofla,
fottilc, e trafparente:
facciati poi vna
feneftrella della medefima
grandezza delle tauole
: alla qualci»
feneflra di notte
fi applicheranno fucceflìuamente le
lettere intagliate nelle
tauole, le quali trafpariranno da lontano, tenendoui dietro
vna torcia: onde
fé l'amico lontano
farà prouifto di
vneccelente cannocchiale,
potrà diftingucre le
predette lettere trenta, e
più miglia lontane^.
Si poffono anchora
fai riflettere, per
mezzo della luce,
e dell'ombra M
i 5® I
caratteri sì,che comparìfconoropra !e
muraglie di alcuna
càfa Ioni ranaje
ciò in moke
maniere j come
diremo alcrouej in
tanto io qui
ac* far sì,
che vn tal
muto fciolga la
lingua, et impari
a parlare ^
e qu-llo che
è più mirabile
intenda benché fordo
l'altrui parole . E
ve ne fono
alcuni efempi, quah
mi piace di
riferire. Racconta Digbeo
nel fuo trattato
4e natura corporum
cap. 2 ^.num.
8. che vn
nobile Spagnolo, fratello
minore del Conteltabile
di Cailigiii»,, fordo,
e muto dalla
fua nafcita in modo, che
non vdiua ne
pure vna bombarda
fparata vicino alle
fue orecchie, dopo
hauer tentato ognarte
de Medici in
vano,per aquiftare rvdito,e
per confequenz.a la
loquela, che li mahcauafolopernò poter
imparare a parlare
dall'vdire l'altrui parole j
finalmente vn certo
Sacerdote fpagnolo, sì
offerì ad '\n(Q-r
gnargli non folo
a parlare, ma
anche ad intendere
le parole de
gl'altri; i\ che
fé bene cagionò
da principio le
rifa ne circoftantiinulladimeno dopo
qualche anno fi
x'ìMq riufcito,con ftupore
di tutti j
nel qual tempo con
molta fatica, &:
allìduaapplicatioue dello fcolare,e
del maeftro jnfienie,fi
fece in tal
modo, che intendeua
beniflìmo ogni parola
proferita da altri, anche in
linguaggio difficile, e
di cui non
intendeua il fignificato,
ma pero egli
la ripcteua felicemente,
e parlaua nella
propria lingua,e rifpondeua fenz*
alcuna difficoltà >haucndone
fatto più volte
rifperienza il Sereniamo
Prencipe di Zambre, parlando nella
propria Ìingua,di cui è molto
difficile l'articolar le
parole j& ilCaua^
liere Digbeo medefimo
afferma di hauer
più volte parlato
con queftp nobile
fpagnolo, et hauere ammirato
com'egli ripeteua le
parola-* proferite da
vn altro con
voce fommclfa, e
lontano quanto era
la lunghezza di vna
gran fala. L'ifteflb
è riufcito al
Prencipe di Sauoia
fratello cugino del
Duca prefence, come
mi hanno atteftato
perfone,che hanno trattato
con efla .,
. lui. 5*
li:i,huomo di vìuaciflimo
ingegno: e vi fono
ftati due nofìri
Padri, che dal
folo veder muouere
le labra diquellijche
parlauano, incendc uano le
parole j come
riferifce il P.
Carparo Schotci nella
fua Fifica-i curiofa
lib. 5,cap. 3J,
Niuno però, ch'io fappia, ha fcrittodel
modo,che{ìdeuc tenera-» per
apprendere queft'artc veramente
mirabile^ onde ho
(limato, che jion
fia per ifpiacere,
fé io qui
ne dirò ciò,
che fento. Deuefi
dunque» confiderare 5
che nel proferire
ciafcuna lettera dell'alfabeto, tanto
Italiano, quanto Latino, Greco,
Hebreo, odi altra
lingua,neceflariamenle fi fa
diuerfo moto, o
nelle labra, o
nella lingua, o
ne denti, o in tutti
afiìeme 5 hor*
aprendo più la
bocca come nell'Arhora
meno come nell*
E : hora
prima ftringcndo le
labra, e poi
aprendole, come nel
B : bora
aprendole, e ftringendo
i denti come
nel C :
e così dell'
altre . Ciò
che fuccede nelle
lettere folitarie,fuccede parimente
nelle lettere accompagnate,
cioè nelle fiIlabe,epoi
nelle parole intiere
. Se dunque alcunofiauneLzeràa conofcerc
tutte le differenze
di queftimoti, potrà
pariméte intendere cio,che
vien detto da
vn altro,bcnche no
oda la voce;
e per confeguenza
imparare a proferire
le medefime parole,
procurando d'imitare tali
moti di labra,
di denti, e
di linguali che
non fideueftimare tanto
difficile, come a
prima vifta raffembra,
percloche
ogn'vnodinoietiandio prima, che
haueffc IVfo della
ragione, imparò a
proferire le parole
con marauigliofa induftria
della natura, che
(limolata dalla nece(Iìtà,fi
affaticaua d'imitare l'altrui
parole,con dare alle
labra vari modfm
tanto, chp ritrouaflfe quello,
che articolaua )a
ricercata parola. Ma
molto più viene
diminuita la difficoltà
di apprendere queft'arte
in vnfordojdallaprouida, e
cortefe natura, che al
diffetto di vn fenfo
fuole fupplireconla perfettione
de gl'altri j onde fi
come alcuni priui
di vifta, con
il tatto riconofcono
tutte le diuerfìtà
de colori: come
ho raccontato di
fopra,compenfando(ì il mancamento
delia vifta con
la perfettione delli
altri fen(ì,edeirimaginationc non
diftratta dalli oggetti vifibili :
così il difetto
deHVdito fuole ricompenfarfi
dalla pcrf^tttone della
vifta, e parimente
deirimaginatione,e
memoria,non diftratta dalli oggetti
ftrepitofi j ond'è
che il (ìlentio
fi chiama padre,
e maeftro delle
concemplationi. Hor venendo
alle regolc,chefi deuono
pratticareda chi vuole
farfi tnaeftro inqueft*arte;dicochefi deue
primieramenrc hauere auanti
a gl'occhi del
fordo vn alfabeto, et incominciando
ad accennare al
fordola prima lettera, nel
medefimo tempo proferirla
con moto gagliardo della bocca,
e della lingua,
accennando al fordo^che
anch'egU prò 4P
procuri d'imitare l'ifteflb
motore ciò fi
dcuc fare fin*
tanto, che imitandolo perfettamente proferifclii
ciafcuna lettera, il
che riufcirà in_.
poche lettioni . Apprefo che
haucrà il fordo
tutto J*aIfabcto,dourà aUuezzarfi
a proferire ii monofillabi,comc fono
gl'articoli //, 4/, /
aura fpiritus inclufxy
atque occulia ccncitum.
Dal qual mQdodifauellarc raccogliefi
p che moflb
non era da
vento eftrinfeco, ma
più tofto da
vn fiato chiufo
nelle parti interne
della machina, che
ftauafene equilibrata nell'aria.
Racconta parimente Adriano
Romano, che il
Regiomontano famofo Aftronomo,e
matematico fabricò vn
aquila, la quale volò
incontro a Carlo
V, mentre faceua
la folcnne entrata
in Norimberga, e
con eflb Carlo
ritornò addietro accompagnandolo fin*
dentro la Città.
Boetio famentionedi certi
vccelletti formati di
rame, che volauano
non folo, ma
cantauano ancora. Glica, e
Manafle raccontano, ch'altri
fimilivccellihauefle apprefo di
fé l'Imperatore Leone.
E più modernamente
habbiamo dal noftroP.Famiano Strada
che il Turriano ingegnere valorofifiìmo, faceua
volare certi vccelletti
per le ftanzc
di Carlo quinto,
mentre ftaua ritirato
dopo la rinuntia
del fuo gouerno
fatta al fuo
figliuolo Filippo. Eflendo che
dunque niuno ha
tramandato a pofteri
queft'arte tanto ingegnofa^ e
diletteuole, mi è
paruto di doner
fodisfare alla curiofità
de machinifti,eon accennare
in qual modo
fi poiTano imitare
fimilivcceU 5ili ; il che
llimo fi pofla
pratticare in più
maniere. Primieramente ciò
f: può fare
con inanticetti moflì
da ruote dentate :Fabricata che
iiaraiiuila, colomba, o
altro vccello di materia
legoerequanto piufia podi
bile 5 fé
li faranno le Tue ah
di penne, odi
altra materia atta
per riceuere il
vento, e fi
connetteranno al còrpo
dellaJ colomba per
modo tale, che
fi pollano agitare,
e muoucre facilmente
: pofcianel corpo
della medcfima fi
acconcieranno alcune ruote
dentate, le quali
fi muouano p
mezio di vna
fufta nel modo
mcdefimOjchVfafi ne "li
oriuoli j quelle
ruote mouendofi faranno
alzare, $^' abbaflaredue
piccoli mantici conncfii
allMtjma ruota, che
fi muoue più
veloceméte, in modo,
che mentre l'vno
fi alia, l'altro
fi abballi, il
che non è
difficile a chi
ben intende il
modo, con cui
le medefime ruote
de gli orinoli
muouono il tempo, o
librile dell'orinolo mcdefimo;
Il vento de
manlicettifi farà vfcire
per due piccole
cannette fotto l'ali ne
fianchi della colomba,
in modo tale,chevrtando nell'ali
medefime le muouino,
eoaqualche incerottione si,
che dibattendofije per
conieguenza rcfiften(toaU'^riajfi {blleuerannoinefia,e daranno
il volo alla
machina, il quale
durerà fin tanto,
che perfeuererà il
moto delle ruote,e
de mantici; e
quefto modo fembra
conforme a quello,che
riferifce Aulo Celio
citato, i - ;
11 fecondo modo
fimile al precedente
farà, fare' le
medefime ruote dentate,
che in vece
di muouere i
manticetti, o il
tcpo dell'oriuolo muo»
uano immediatamente le ali con
moto proportionato alla
grauità della machina,
fi che fia
fufficiente ad alzarla
in aria, e
farla volare. .
Terzo fi potrebbe
ancora condcnfare violentemente
l'aria in vna^
vefica, o vafo
di vetro chiufo
nel corpo della
colomba, fi che
poi apredo il vafo
co vna chiauetta,
e lafciando vfcire
l'aria per due
Gaoneìfini fotto Tali,
quefiia con il
fuo impeto fofpingeffe
l'ali medefime j ma poco
durarebbe vn tal
moto,& andrebbe prefto
mancando. Quarto finalmente
fi potrebbe far
folleuare in arialVccclIo
in quel modo,che
fi foUeua vn
vuouo pieno di
ruggiada fi:illata,pofto a
raggi caldi del Soie,
fé nel corpo
dell'vccello medefimo chiudèffìmo
TvuouOjO vefica piena
diliquorefottili{Iìmo,ehc
facilmente rarefatto dal
colore del Sole
fi folle uafle. E
quefto, e quanto
ho voluto accennare
in quefta materia,
per aprir la
via a gl'ingegni
perfpicaci in ordine
a pcrfettionare quefta
inuentionc, e ricrouarnc
altre fimili j
e per inftradarmi
ad vn altra
mia inuemione più marauigliofa, cioè '
ri^ V,'! •
;iì 6*nGob ••■
Féthricàrt 'vriA naut^
che camini fofientata
fopra l* aria
4t remi, ^
h vele \
quale fi dimoerà
poter riufcirs nella
prattica» [ON fi
è fermato nelle
precedenti inuentioni r.irdire,
e.^ curipfità deirintelletto humano
j ma in
oltre ha cercato
comegl'huomini
poflanoanch'eflìiguifadi vccelli vo»
lare per l'aria;
e non è
tbrfi fauolofo ciò,
che di Dedalo^
e de' Iccaro
fi racconta; Imperciochc
narrafi per cofa.»
certa, che vn tale,di cui
non fouuiemi il
nome, a tempi
noftri con fimi.
le artificio, pafsò
volando dall'vna all'altra
parte del lago
di Perugia-^: benché
poi volendofi pofare
in terra fi
lafciò cadere con
troppo impeto, e precipitò
a cofto della
fua vita. Ninno
però mai ha
ftimato podibile il
fabricare vna naue,
che fcorra per
l'aria, come fc
foffe foftcnuta dalPaque
j imperoche hanno
giudicato non poterfi
far machina più
leggiera dell* aria
fteifa, il che
è necelTario accio
poffa feguire l'effetto
•dcfidcrato • j3.iio^nvm;f; JL
Hor* io che
fempre hebbi genio
di ritrouare inuentioni
di cofe lc->
più difficili,
dopolungoftudio fopradi ciò, ftimo hauere ottenuto l'intentodi fare
vna machina piu
leggiera in fpecie
dell'aria fi, che
honu -folo cffa
con la propria
leggierezza ftia folleuata
in aria, ma
pofla por.tare fopradi
fé huomfni, e qualfivoglia altropefojue
credo d'ingan.narmi, effendoche
diraoftro il tutto
con ifperienze certe,
e con vna_#
infallibile dimoftratione del
libro vndecimo di Euclide,
riceuuta per tate
da tutti li
matematici. Farò dunque
prima alcune fuppofitioni,dalle quali pofcìa
dedurrò il modo
prattico di fabricarc
quefta naue, la-, quale
fé non meriterà
come quella di
Argo,d effer pofta
tra le Stelle^»
falirà alineno verfo
di efle da
fé medcfima. Suppongo
in primo luogo,
che l'aria habbia
il fuopcfo,a cagione
dei
vapori,&efalationiche
all'altezza di molte
miglia fi folleua no
dalla terra, e dall'aque,
e circondano tutto
il noftro globo
tcrraqueo 5 «.*»
ciò non mi
farà negato da
filofofi, che fono
leggiermente verfati nelle
ifperienzej poiché è
facile il fi
mela prona, con
cauare fé non
tutta almeno parte
dell'aria, chefia in
vn vafo di
vetro: il quale pefato
prima, e dopo che
n*è ftata cauata
l'aria fi ritrouerà
notabilmente dimi^ &*-..nuito 5^
nulto di pefo.
Quanto poi fia
il p£fodeirariaiol*ho ritrouato
inquc fta maniera. Ho
prefo vn gran
vafo di vetro,
il di cui
collo fi poteua-#
chiudere, et aprire
con vna chiauetta
: e tenendolo
aperto l'ho rifcaldato
al fuoco tanto',
che rarefacendofi l'aria,
ne vfcì la
maggior parte: poifubitolo
chiufi sì,chenon poteflrerientrarui,e Io
pelai j ciò fatto
ibmmerfi il collo
ncH'aqua, reftando tutto
il vafo fopra
l' aqua iftelTa, et aprendolo
fi alzò l'aqua
nel vafo, e
ne riempì la
maggior parte_j :
l'apri) di nuouo,e
ne feci vfcir
Taqua quale pefai,ene
mifurai la mole,
e quantità 5
Dal che inferifco
che altre tanta
quantità d'aria era
ufcita dal vafo 5 quanta
era la quantità
deiraqua,cheviera entrata per
riempire la parte abbandonata
dall'aria 5 Pcfai
di nuouo il
vafo prima ben
rafciugato dall'aqua, e
ritrouaiche pefauavn oncia
più mentre era-,
pieno d'aria di
quello pefafle, quando
n'era vfcita gran
parte. Si che
quello di più, che
pcfauaera vna quantità
di aria vgualc
in mole all*aqua,
che vi entrò
in fuo luogo
: L'aqua pefaua
540. oncie, onde
concludo che il pefo
dell'aria paragonato a
quello dell' aqua, e come
i.a (540. cioè
a dire fé
l'aqua, che riempie
vn vafo pefa
640. oncie, l'aria.»
che riempie il
medcfimo vafo pefa
vn oncia. Suppongo
fecondo che vn
piede cubico di
aqua, cioè l'aqua
ch;_> può fìare
in vn vafo
quadro, largo vn
piede, et altretanto
lungo, et alto,
pefi 80. librecioè oncie p5o.
conforme all'ifperienza del
Villalpando, che è
quafi del tutto
conforme alla mra
: Imperciohe ritrouai
che qucll' aqua
la quale pefaua
640. oncie era
poco meno di
due terzi di
vn pie. de
cubico . Dal
che viene in
neceifaria confeguenza >
che fé due
terzi di vn piede di
aria pefa vn
oncia, vn piede
intiero pefarà vn
oncia e hiezza.
Terzo, fuppongo che
ogni gran vafo
fi pofla notare
da tutta, o
alme no quafi
tutta l'aria je
ciò dimoftrerò farfiinvarij
modi nell'opera dell'arte
maeftra, come fpiegaròa fuoluogo^
Intanto accio tal
uno non ftimi,
che fia una
uana promefla, ne
infegnarò qui uno
de più facili.
Piglifi qualfiuoglia gran
uafojche fia tondo, et habbia
un collo, o
al yr,coUofiaconnefla una
canna di rame,
odi latta lunga
almeno 47. V^^' Terzéi
mi Romani moderni,
conforme allamifura che
èregiftrata verfo il
' finediquefto libro,
nel trattato decannochiali
5 et eflendopiù
lunga l'effetto farà
più ficuro 5
uicino al uafo
A. fia una
chiauetta B.chechiuda per
tal modo il
uafo, che nonni
poffa entrare aria:
fi riempia di
3qua tutto il
uafo con tutta
la canna; poichiufaJa
canna nella partt-»
eflrema C. fi
riuolti il uafo
si, che flia
nella parte di
fopra, e la
parto «flrema C.
della canoa, fi
fommerga dentro alfa
qua; e mentre
.è im^ i
'.; O merfa
ri 54 merfa
nell'aqua fi apra,
accio cfcaraquadal vafo,!a
quale ufcirà tutta,
reftando piena la
canna fino all'alcezia
di palmi 45.
minuti 2^. e
tutto il rimanente
di fiDpra farà
voto, non potendo
entrar aria per
alcuna partcj airhora
fi chiuda il
collo del uafi^conlachiauettaB. e
fi haucrà il
uafo uoto^ che
fé alcuno non
lo crede lo
pefi, e ritrouerà,che
quanti piedi cubici d'aqua
fonoufcitida efi^o,altre,e tante
oncie, e mezze.-»
oncie di meno
pefarà di quello
pefaua prima, quando
era pieno di
aria ; il
che bafta per
il mio intento,
non uolendo qui
difputare, fé refti
woto d'ogni forte
di corpo 5
del che difcorrerò
a fuo luogo difendendo, che
non può efler
uacuo, et infieme
moftrando, che non ui refta-.
corpo,il quale fia di alcun
pefo,
Qu^arto,fuppongoefleruere,
ed infallibili le
dimoftrationidel libro I i . e
£ 2. di
Euclide, riceuute da
tutti i filofofi,
e matematici,& euidenti
per manifefta ifperienza
; nelle quali
fi proua, che
la fuperficie delle
palle, o sfere
crefce in ragione
duplicata delli loro
diametri, douc che
Ja folidità crefce
in ragione triplicata
delli medefimi diametri:
Et ac-* cioqueftofi
pofla intendere da
tutti; fi deue fapere
che allora la
ragione, o proportione è
duplicata, quando fi
pigliano tre numeri
in tal modojcheil
terzo contenga il
fecondo tante uolte,
quante il fecondo
contiene il primo, come
nell* efempio qui
pofto I. 2.
4, I. 5 5>.
l. 4' i^.
doue il terzo
numero 4, contiene,
il 2.0 numero
2, tante uolte
quante il due
contiene l'uno, cioè due
uolte; e fimilmente,
il terzo numero
p. contiene il
fecondo 5, tante
uolte,quante il tre
contiene l'uno, cioè tre
uolte 6cc, All'horapoila proportione
è triplicata, quando
fi pigliano quattro
numeri in modo
tale,che il 4.*'
cótenga tante uolte
il 3 .° quante
quefto contiene il
2.** &; il
terzo contenga tante
uolte il 2.0
quante quefto con»
tiene il primo,
come ft uede
in quefto altro
efempio. I* 3.
9' 17» I,
4. i6^ 64.
Dimoftra dunque Badile
che la fuperficie
delle palle, o
sfere crefce in
proportione dupUcau delli
diametri 5 cioè
fé pigliaremo due
palle» una delle
quali fia di
diametro groifa il
doppio dell'altra, per
efempia una 55
vnadl vn palmo
di diametro, l'altra
di duella fuperficie
della palla_^ di
due palmi farà
quattro volte più
grande della fupcrficie
della palU di
vnpalmoje che rutto
il corpo, o
folidità della palla
di due palmi
crefcendo in pioportione
triplicata farà otto
volte più grande,
e per confeguenza
otto volte più
pefante della palladi
vn palmo di
diametro; fi chela fuperficie
della maggiore alla fuperfìcie della
minore»/ farà come4,
a i.e lafoliditi
faràcome 8. a
i. La quale
verità oltre la
dimoftrationefpcculatiuafi
può vedere in
prattica,pefando Taqua-. che
empie vna palladi
vn palmo di
diametro, e quella
che empie vn_.
altra palladi due
palmi: con il
che haueremo la
proportione triplicata della folidità
; la proportione
poi duplicata della
fuperficie la ritrouaremo,
mifurandola fuperfìcie delle
medefime palle, ovafirDoue di
paflaggio auuerto vna
regola vtile all'economia,
e fparamio nella
fpefa de materiali,
volendo fare botti
per tener vino,facchi,o
altri vafi neceflfarij;
cioè che facendo
vna fola botte
con quei legnami
con i quali
fé ne farebbero
due, quella botte
fola terrà in
fé il doppio
di vinodi quello,
che farebbero tutte
due le botti
jcofi anche, fé la
medefima tela, che forma
due facchi fi vniràinfieme
facendone vn Tacco
folo, quefto folo
facce terrà il
doppio più grano
di quello, che
teneuanolidue facchi. Quinto,
fuppongo con tutti
i filofofi, che
quando vn corpo
è più leggiero in
fpetie,com*e(lì parlano,di vn
altro, il più
leggiero afcende-» nell'altro
piugreue,fe il più
greuefia corpo liquido;
come vna palla
di legno, afcendefopra
raqua,e galleggia percheè
più leggiera in
fpetie dell*aqua ;
cofi anche vna
palla di vetro
ripiena di aria
galleggia fopra l'aqua,
perche fé bene
il vetro è
più greue dell' aqua,
tutto il corpo
pero della palla
pigliando il vetro
inlìemeconTariaèpiu leggiero di
quello, che fia
akretanto corpo di
aqua: che quqfto
è reflere più leggiero
in fpetie, -ìm...
Prefuppoftequeftecofe,certoèchefc
noi poteflìmofare vn
vafodi vetro, o
d'altra materia, il
quale pefafle meno
dell'aria, che viftà
dentro, e poi ne
cauafifìmo tutta l'aria,
nel modo infcgnato
di foprajquefto vaforeftarebbepiu leggiero
in fpetie dell'aria
medefimajficheper il quinto
fuppofto gaUeggiarebbe fopra
l'aria, 6 che
fi deuemultiplicareefib diametro
per la circonferenza;fiche mul-^
tjiplicheremo 14. per44.
&haueremola fuperficiedi quefto
vafo ton-ì do,
che faranno ó
16. piedi quadri
di laftra di
ramc,ciafcuno de quali
hab 57 habblamopoftochepefi tre
oncie,riche
muItiplìcando^K?. per 5.
haueremo i 848.
oncie j che
è il pefo
di tutto iì
rame con il
quale è fabricatala
palla, cioè libre
154. Vediamo horafe
l'aria che fi
concieae in queftovafo
pefipiudi i 54. libre
poiché fé cofi
è, cauatanc raria_, refterà
il yafo più
leggiero di lei
: e quanto
farà più leggiero
d:lla rnedefima,altretanto pefo
potrà alzare feco,
efolleuarloin aria. Per
vedere il pefo dell'aria,
che vi fta
dentro, bifogna vedere
quanti piedi cubici
di aria contenga, ciafcuno de
quali habbiamo moftrato
che pefi vn
oncia, e mezza. Perciò
fare infegna di
nuouo Archimede, che
bifogna multiplicareil femidiametro,chefarà piediy,
per la terza
parte della fuperficie
che farà 20
5 .e vn
terzo,il che £uto,
h luremo la e
:ip icitàdel yafo,
che farà piedi
1457.6 vnterzo,e perche
ogni piede di
aria pefa yn
oncia, e mezza,
Airà il pefo
di tutta l'aria
contenuta nel vafo
oncic 2i5 5.edueterzi,cioèlibrc i79.oncie7.
e due terzi. Hauédo
duridue veduto che
il rame, di
cui è formato
il vafo pefa
folo 154. libre,
reftail yafo più
leggiero dell'aria 2 5.
libre oncie 7.C
ducterzi,comehaueuo propofto didimoftrare;
fi che canata
fuori queft'aria, non
folo falirà fopra
l'aria, ma potrà
tirar feco in
alto yn pefo
di 2 5 .
libre, ««# oncie
7. e due terzi. Ma
accio che pofla
alzar maggior pefo,efolleuarehuominiinaria pigliaremoil
doppio di rame,cioè
piedi 1232. che
fono libre di
rame 3o8.conilquaI rame
duplicato potremo fabricare
vn vafo, non
folo al doppio
più capace, ma
più capace quattro
volte del primo,
per la_^ ragione
più volte replicata
della quarta fuppofitione
je per confeguéza
l*aria,che fi conterrà
in detto vafo
farà libre 7 1 8
oncie 4.e due
terzi, fi che
cauata queft'aria dal
vafo, quefto refterà 410.
libre, et oncie
4. e due
terzi,piu leggiero di
altretant'aria, e per confegucnza
potrà folle-; uare
tre huomini, o due
almeno 3 ancor
che pefino più
di otto pefi
per yno. Si
vede dunque manifeftamenteyche quanto
più grande fi
firà li-* palla,
o vafo fi
potrà anche adoperare
laftra di rame,
o di latta
più groffa, e
{oda ; Impercioche
fé bene crefcerà
il pefo di
eflb, crefcerà pero
fempre più la
capacità del medefimo
vafo, e per confegucnza
il pefo dell'aria
j onde potrà
fempre alzare in
aria maggior pefo.
Da ciò fi
raccoglie facilmente, come
fi pofla formare
vna machina, FigwA
laqualeaguifa dinauc camini
per aria jSi
facciano quattro palle
ciaf IV. cuna
delle quali fia
atta ad alzare
due, o tre
huomini, come fi
è detto pocoauantijle
quali fi votino
dall'aria nel modo
fopra moftrato, e
fiano le palle,
0 vafi A.
B. C. D.
Qucftc fi connetta
no infieme con
quattro legni, come fi
vede nella figura,
fi formi poi
vna machina di
legno P '
E.F. 5» E.F.
fimilead vna barca,
con il fuo
albero, vele, e
remi: e con
quattro funi vgiiali
fi leghi alle
quattro palle,dopo che
fi farà cauata
fuori l'aria, tenendole
legate a terra
accio non sfuggano,
e fi folleuino
prima, che fiano
entrati gHiuomini nella
machina j all'
hora fi fciolgano
le funi rallentandole tutte
nel medclìmo tempo
: cofi la
barca fi folleuerà
fo pra l'aria, e
porterà feco molti
huomini più, o
meno conforme la gra
pezza delle palle;
i quali potranno
feruirfi delle vele,
e de remi
a fuo diaccreper
andare velociffimamenre in
ogni luogho fino
fopra allcj' iiìontagne
più alte. Ma
mentre rifcrifco quefta
cofa rido tra
mefte0b parendomi che_-»
ila vna fauola
non m.eno incredibile,
e fìrana di
quelle, che vfcirono
dalla volontariamente paz.za
fantafiadel lepidiflìmo capo
di Luciano; e
pure dall'altro canto
conofco chiaramente di
non hauere errato
nelle mie prone, particolarmente haucndole
conferire a molte
perfone_-» intendenti, e
fauie j le
quali non hanno
faputoritrouare errore nel
mio difcorfo;& hanno
folodefiderato di poter
vederelaprouain vna palla, che
da fé ftefla
falifìe in aria
j quale hauerei
fatta volontieri prima_.
di
publicarequeftamiainuentione,fe]apouerta
religiofache profcflo mi
hauefie permefìb Io
fpenderevn centinaio di
ducati, che farebbero
d'auantagoio per fodisfarea
fidiletteuole curiofirà :
onde prego i
lettori di quefto mio
libro a quali
veniife curiofità di
fare quella ifperienza,
che mi vogliano
ragguagliare del fucefìb,il
quale fé per
qualche-* difetto commefib
nell'operare non fortifle
felicemente, potrò forfi
ad-» ditarli il
modo di correggere
l'errore j e
per animare maggiormente_j ciafcuno
alla proua voglio
fciogliere alcune difficoltàjche potrebbero
opporfì in ordine
alla prattica di
quefta inuentione. Primieramente può
ritrouarfi difficoltà in
voltare la predetta
palla, ovafo nel modo
di fopra infcgn3ro,richiedendofi il
riuoltare fopra la
canna B. C.
la palla A.
mettendo in alto
la palla che
prima pofaua_. in
terra 5 il
che certo non
fi potrebbe farefenza
qualche machina, con
difficoltà, filante la
grandezza del vafo,o
palla tutta ripiena
di aqua •
A quefto fi
può rimediare in
modo, chenonfianeceifario muouere
la ì^igmA palla.
Si collochi dunque
la palla in
luogo alto almeno
47. palmi, e_^
V. nella parte
di fottofiaconeflb al
collo Ja canna
di 47. palmi,la
quale fi chiuderà
nella parte inferiore
C. pofcia fi
empirà di aqua
il vafo A.
con tutta la
canna per vn
altro forame D.
nella parte fuperiore
; pieno che
farà, fi chiuderà
il detto forame
con vna vite,
ochiauetta D. e
volendolo votare bafterà aprire
la parte efl:reraa
C. della canna
immerfa in un uafo
d'aqua, accio ufcendo Taqua dal uafo non ui pofia fottentrar' aria
; ufcita che
(ara rutta Taqua
fi chiuderà la
chiauetta B. del
collo del "
uafoj 59 uafo,
e fi leiiera
via la canna,
cofi haueremo il
uafo, il quale
fé non farà
del tutto voto
di aria, del
che non uoglio
qui difputare, certo
è che almeno
peferà tante uncieje
mezza di menojquanti
fono i piedi
d'aqua, che prima
conteneua nella fua
capacità, il che
bafta per il
mio intento,et è
già ftato prouato
con rifperienza, come
ho detto di
fopra : deuefi
folo vfare diligenza
in fare, che
le chiaui, che
chiudono il vafo,
fiano f^t^e efattamente
in modo,che non vi pofla
entrar aria perle
commef furc->. Secondo, fi
può fare difficoltà
in ordine alla
fottigliezza del vafo ; poiché
facendo gran forza
l'aria per entrar
dentro ad impedire
il vacuo, o almeno
la violenta rarefattione,
pare che douerebbe
comprimere eflb vafo, e
fé non romperlo,
almeno fchiacciarlo, e
guaftare la fua
rotondità. A quefto
rifpondo, che ciò
auuenirebbe quando il
vafo non folle
tondo i ma
eflendo sferico l'aria
lo comprime vgualmentc
da tutte le
parti sì, che;
più tofto lo raffodajche
romperlo? ciò fi
è veduto per
ifperienza in vafi
di vetro, li
quali anchor che
fatti di vetro
grofiò, e-» gagliardo,fe
non hanno figura
rotonda,fi rompono in
mille pezzi^doue all'incontro
ivafi tondi di
vetro ancor che
fottiIiffimi,non fi rompono^
ne è necefiaria
vna pcrfetciffima rotondità
j ma bafta,
che non fi
fcofti molto da
vna tale figura
sferica. Terzo,nel formare
la palla di
rame fi potranno
fiire due mezze
palle,e poi connetterle
infieme, e faldarle con
ftagno al modo
folito ; ouero
farne molte parti,
e fimilmente vnirle
j nel che
non fi può
ritrouare difficultà. Quarto,
può nafcere difficoltà
circa l'altezza alla
quale falirà per
aria la nauej
poiché s'ella fi
follcuafle fopra tutta
l'aria che comunementefi
ftimaefferalta cinquanta miglia
piu,o meno come
vedremo dopo, feguitarebbe
che gl'hucmini nonpoteflero
refpirare. Al che
rifpondo, che quanto
più fi va
in alto nell'aria,
ella è fempre
plufottile, e leggiera
3 onde arriuata
la nane ad
vna certa altezza
non potrebbe falire
più alto, perche
l'aria fuperiore efiendo
più leggiera-, nò
farebbe atta a
foftcnerla, fi che
fi fermerà doue
ritrouerà l'aria tanto
fottiie, che fia
vguale nel pcfo
a tutta la
machina -, con
la gente, che
vi fta fopra. Quindi
accio non vada
troppo alta, conuerrà caricarla
di pefopiu,o meno
conforme all'altezza, alla quale
voremo falire; ma
fé ella pure
faliffe troppo alto
; fi può a ciò
rimediare facilmente coii_.
aprire alquanto le
chiauette delle palle
lafciandoui entrare qualche
quantità di aria;
imperoche perdendo in
parte la loro
kggierezza fi abbaiferannocon tuttala
nane; come airincontrofenon falifle
alta_. quanto 6q
quanto defìderiamo, potremo
farli falire con
allegerirla di que'pefi,
che vi metteremo
fopra. Cofi parimente
volendo dcfcendere fino
a Cerrafidoucrà aprire
le chiauette de
vafijpercioche entrando in
effi a poco
a poco Taria
perderanno la fualeggierezza 5
e fi abbafleranno
a poco a
poco fino a
deporre la nane
in terra. Quinto,
alcuno potrebbe opporre,
che quefta nane
non pofla efler
fpinta pervia di
remi, perche quefti
in tanto fpingono
le naui per
1*-^ 2 qua, in
quanto l'aqua fd
refiftenza al remo,
la doue l'aria
non può fare
tal rellftenza. A
quello
rirpondo,cherarfabenche non faccia
tanta refiftenza al
remo quanto fa
Taqua per efser
piufottile,e mobile; fa
pero notabile refiftenza,
e tanta, quanta bafteràafpingere la
nane; poiché quanto
è minore la
refiftenza che fa
l'aria al remo,
altre tanto è
minore la refiftenza che fa
al moto della
nane: onde con
poca refiftenza di
remo potrà muouerfiageuolniente; oltre
che rare volte
farà necefsario adoprarei
remi, mentre nslfariafempre haueremo
qualche poco di
vento, il quale ancorché
debboliffimo farà (ufficiente
a muouerla velocemente j
e quando anche
fofse vento contrario
alla noftra nauigatione,
infegnerò altroueilmodo di
accomodare l'albero delle
naui in modo, che
pofsano caminare con
qualfi voglia vento
non folo per
aria_» ma anche
per aqua, Sefto,
maggiore è la
difficoltà di rimediare
all'impeto troppo grandc,ccn
cui il vento
gaoljardo potrebbe fpingere
la naue sì,
che corref^ fé
pericolo di vrtare
nei monti,che fono
i fcogli di
quefto oceano dellV
aria^ouero di fconuolgerfijC ribakarfi:
Ma quanto al
fecondo dico che
difficilmente potrà da
venti fconuolgerfi tutto
il pefo della
machina, con molti huomini,che
ftandoui fopra la
premeranno in modo
che fempre contrapcferannoalla leggierezza
delle palle; fi
che quefte refteranno
fempre in alto
fopra la naue,ne
mai la naue
potrà alzarfi fo«
pra di loro
; oltre che
non potendo mai
la naue cadere a terra, fé
non_. entra aria
nelle palle ;
ne eflendoui pericolo
d'affogare nell'aria, come
neiraqua,afferrandofi
gl'huominialegni,o corde della
machina farebbero ficuri di
non cadere. Quanto
al primo confeflb
che quefta noftra naue
potrebbe correre molto
pericolo; ma non
maggiore di quelli,
a quali foggiaciono
le navi maritime
; percioche come
quelle, cofì quefta
potrebbe feruirfi dell'ancore,
le quali facilmente
fi attaccherebbero a gl'alberi
: oltre che
quell'oceano dell' aria, benché
fia fenza_» lidi,
ha pero qnefto
auuantaggio,che non abbifognano i
porti oue ricouerarfi
la naue, potendo
ogni qual volta
vede il pericolo
prender terra, e
defcendere dall'aria, Altre
6i Altre difficoltà
non vedo cbe
fi pofl'ano oppore
a quefta inuentione
toltane vna,che a
me fembra maggiore
di tutte le
altre, et è
che Dio non
fia per mai
permettere, che vna
cale machina fia
per riufcire nella
prattica, per impedire
molte
confeguenze,chepcrtiirbarebbcroiI
gouerno ciuile, e
politico tra gl'huomini
: Impercioche chi
non vede, che
niuna Città r:irebbe
ficura dalle forprefe,
potendofi ad ogn'hora
portar la nr uè
a dirittura fopra
la piazza di
erie,e lafciatala calare
a terra., defcenderc
la gente ?
rifteflb accaderebbe nelle
corti delle cafe priuatcje
nelle naui che
fcorrono il mare,
anzi con folodefcenderelanaue dall'altezza
dell'aria, fino alle
vele della naue
maritima^ potrebbe troncarle
le funi j&
anche fenza defcendere,
con ferri, che
dalla naue fi
gcttaflero a baffo
fconuolgere i vafcelli,
vccider gl'huomini, et incendiare
le naui con
fuochi artificiati, con palle,
e bombe y
ne folo le
naui, ma le
cafe, i cartelli,
e le città,
con ficurezza di
non poter effer
offefi quelli, che
da vna fmifurata
altezza le faceffero
precipitare. Nuoue jNfuoue
intient'iom diTermofcopi per
cono [cere U
^varietà del caldo,
e del freddo
., ne gl'elementi. primoinuentoredelTermofcopiojper mexz.ol'di
cui fi pofìa conofccre quando l'aria fia
più, e meno calda,
o frcda, fu
Roberto Fluddo, il
quale prefe vn
tubo di vetro
com'è A.B. con
vna palla, o
altro vafo C. connelTo
al tubo nella
fommità di lui,
e facendo prima
rifcaldare al fuoco
la palla, fi
che Taria ne
reftafle rarefatta, immerfe
rcftremità A. del
tubo in vn vafo D.
pieno di aqua;
onde l'aria nel
tubo 5 e
nella palla-, raffreddandofi, e
ritornando al fuo
ftato naturale di
prima,ne potendo per
la bocca A.
immerfa ncll'aqua entrare
altr'aria, l'aqua del
vafo D. ialiuaperil
tubo ad occupare
il luogo abbandonato
dall'aria, mentre quefta
condenfandofi fi ritiraua
nella palla C.
Quindi pofcia auueniua
che reftandoqueftoinftrumento immobile,
ogni qualvolta l'aria
efterna vcniua alterata
dal freddo, o
dal caldo, fi alteraua
ancor l'aria chiufe
nel vetroi e condenfandofi
perii freddo, faceua che
l'aqua faliff^L.,» più
alta nel tubojfi
come rarefacendofiperil caldo
rifcfpingeua a_. bado
l'aqua medcfima -, et efiendo
il tubo di
vguale groffezza in
tutte le parti,
e diuifo in
molti gradi trafeileffi
vguali, l'aqua falendo,
onero abbaflandofi moftraua
nella lunghezza del
tubo li diuerfi
gradi del freddo,© del
caldo. Quefta inuentione fu
meritamente ftimata ingeonofa,ma
nulladimenoera foggetta a
tale
inconuenientejcherinuernofpeiTo
agghiacciandofi Taqua, o
rompeua l'inftrumcnto, o
almeno lo rendeua
inutile per quella
ftagione. La onde
ringegnofiflTimo Gran Duca
diTofcana hoggidi viuente,
quanto amante de
peregrini
intelÌetti,altretanto perI fpicace
con il fuo
alle nuoue inucntioni,
ouuiò al predetto
incommodo, facendo lauorare
a quelli, che
fanno l'arte, con
la fiamma di
vna lucerna, vna palletina
di vetro con
il fuo collo
fottile, quale appunto
dimoftra la figura
A. B. e
riempiendo tutta la
palla con parte
del collo figura
^jj quint' eflenza
di vino, o
aquauita retificatiflìma, il
che fi fa
immerVII' gendo l'iftefìb
vetro con il
collo B. apcrto,mentre
è tutto caldo,
nel liquore medefimo j
pofcia fi chiude,
e figilla con
Tifteflo vetro la
bocca del collo,e
fi coferua rinftrumcto,che fa
Tvfo medefimo deiraltro,ma
c6 ^t;vt-i,. et
effetto cótrariojpercioche h
doue in quello l'aqua
afcende per il
freddo, che condenfa
l'aria della palla
fuperiore, in qucftoil
liquore afcende per il caldo
che Io rarefa
nella pallina inferiore,
e falendo per il collo
diuifone fuoi gradi,
moftrahora il freddo
bora il caldo,fenza
verun pericolo, che il
Iiquorefiagghiacci,o fi confumi, o fi
verH, come nel
primo: hauendo di
più quefto maggior
commodo,che potiamo facilmente portarlo con
noi ouunque andiamo
; quefto medefimo
feruc per regolare
i gradi del
caldo ne fornelli,
de quali fi
feruono i chimici
per le loro
operationi ; per
ritrouare, e mantenere
il calore neceffario
a_. far nafcer
i pulcini dalle
vuoua fcnza opera
di gallina, anche
di mezzo inuerno
: per far
cuocer l'voua medefime
a quel fegno,
che vn vuole»^
tenendo l'inftrumcntoimmerfo nelt*aqua,in
cui fi cuociono, fin
tanto che il
caldo arriui al
grado prefifTo, e
per molte altre
cofe come fi
dirà altroue. Inuentione
degna per certo
di fi Gran
Prencipe, il quale
noa_. contento d'hauerla
ritrouata con ammiratione
ài chi fha
veduta, ha_» voluto
pratticarla non folo
con far nafcer
li pulcini ne
forni, ponendo prima
rinftrumentofofto la gallina
che coua, e
notando il grado
del caldo che
fi ricerca per tale
effetto ; ma
anche dando la
cura a moIte_-p
perfonein diuerfipaefi,che ancor
hoggi notano ogni
giorno la diuerfità
del caldo, e
del freddo, per
potere pofcia confrontare
infieme tutte le
mutationi dell'aria cagionate
dalleftellein varie parti
del mondo,e quindi
dedurre regole d'aftronomia
fondate nell'induttione di
effetti efattamente fperimentati. Etohvi
foiferopur molti ches'occupafleroin efsercitij
fi nobili !
quanto accrefcimento farebbero
rarri,ele fcienze, fé
tanti Prencipi, e Caualieri
dotati di eleuato
ingegno, che confumano
le ricchezze in_«
giuochi, e trattenimenti
affatto inutili, Timpiegafìero
nell'ifperienzc-^ tìfiche,
da cui
trarebbsro non folo
diletto maggiore, ma gloria
immortale al fuo nome,
con le ingegnofe
inuentioni, che riempirebbero
i libri de' letterati. Io
pertanto aggiongendo in
quefta materia alcuna
cofa alle già
ritrouateslafcierò che altri
vadino fpeculando cofe
migliori 3 e
per dir ciò
che fento, parmi
che li due
modi predetti di
conofcere i gradi
del caldo, e
freddo foggiaciano ancora
a qualche difetto;
e quanto al
primo chiara cofa è, che quanto
piìì l'aqua afcende
nel tubo di
vetro,tanto più con
il fuo maggior
peforefiftealla falitaj ondefe
quattro gradi di
freddo, per cagion
d'efempio, baftano per farla
afcendere alla metà
del tubo, quattro
altri gradi di
freddo, non batteranno
per farla afcendere tutta l'altra
metà, efìendo che
quanto più faglie,
tanto più forza
fi richiede per
alzarla ; aggioqgafi
che parimente l'aria,
che fi condenfa-.
oriuj quan 6^
quanto più fi
rimuoue dalla Tua
rarità naturale, tanto
maggior freddo richiedefi
percondenfar]a,ond*èche non fi
può alzarl'aquaapropor»tione del
freddo eftrinfeco. Si
porrebbe rimediare a
quefto con diuider
il tubo in
parti ineguali, facendo
che le parti
fuperiori fodero più
piccole delle inferiori
; ouero formando
vn tubo, che fofle
più fottile nella
fommita,che nel fondo
; ma farebbe
Tempre difficile il
ritrouarc la proportione,con la
qualc-> le parti,
o la grofczza
dei tubo doueflcro
andarfi diminuendo. Quanto
al tcrmofcopio piccolo
del Gran Duca,
egli incorre invn-*
fimJle inconueniente: poiché
l'aria chiufa nel
collo del vetro
al falir del
liquore fi deue
condenfare violentamente,6 quanto
più alto faglie
il liquore per
ragion del caldo,
tanto maggiormente l'aria
fa refiftenia; e
ciononfolo perche fempre
più fi difcofta dalla
fua rarità naturale.^,
ma anche perche
il caldo, che
fa rarefare, e
falir il liquore,fa
rarefare ancora l'aria,
la quale perciò
fi sforxa di
defcendere, e fa
refiftenza alla falita del
liquore
medefimojaggiongaficheficomeho
detto dell'aria,cofidcli'aqua vita
fipuo dire, che
fc dieci gradi
di calore bafbno
a far che
falga fino alla
metà del collo,
dieci altri gradi
non balleranno a far
che falga fino
alla fommità, poiché
tanto più refifte
alla rarefatione? quanto
più fi rarefa,
eflendo naturale ad
ogni patiente tanto
più refiftere quanto
più fi ritroua
vicino alla fua
deftrutione,e più lontano
dal fuo effere
naturale. Si che
queft'inflrumentino^e ben fi
ottimo per determinarci
gradi del calore
richicfto ne forni,
o per altra fimile
opqratione chimica; ma nonèattoa
diitinguere vgualmente i
gradi del caldo,
e del freddo?
Per ouuiare dunque
a quefti difetti,
ho ritrouato,e pratticato
vn_» altro modo
più certo, e
ficuro fjcendovntermofcopio,il quale
ha anche quefto auuantaggio
fopra graltri,chc per
ogni minima alteratione
dell'aria, egli fi
altera notabilmente 5
fi che fi
puoconofcere facilmente ogni
picciola differenza di
caldo, e di
freddo. Si pigli
vnvafo di vetro
diqualfivoglia figura, e farà
forfi
migliore Figura]^ sferica 3 quefto habbia
vna picciol bocca,
quale fi rapprefenta^
Vili* nella figura
A. B. e
nel lui fondo fi pongano
due dita incirca
di aqua; fi
pigli pofcia vn
tubo fottile di
vetro aperto d'ambe
le parti, e
fi metta con
vn eftremitànel vafo
A.B.fi chela parte
eftrema A. refti
immerfa
neiraquaj&ilcollo B.fi chiuda
diligentemente sì,che non
vi poffa entrar
aria. Ciò fatto
fi foffi con la bocca
violentemente per il
tubo dalla parte
C. peroche in
tal modo l'aria,
che fta chiufa
nel vetro fi
condenferà, e facendo
forza per rarefarfi
di nuouo, fofpingerà
l'aqua in alto
per il tubo
^5 tubo A.
C. il quale
douera efler lunga,
non molto grofifo,
e diuifo nelle
fue parti. Supponiamo
dunque, che per
forza della condenfationc-» fatta
con il foffio
5 Taqua fia
falitafinoal fegnoD. vedra(Iì,che
ftando immobile l'inflrumento
ogni minima alteratione
d'aria farà alzarti»
notabilmente l'aqua, o
abbacarla j poiché
il caldo rarefacendo
mag^ giormente l'ariajch'è
condenfata violentemente nel
vetro,farà alzac l'aqua
: et il
freddo condenfando la
medefima aria, faraila
defcenderc«j. ' Quefto
modo non paté
quell'inconueniente, a cui
foggiaciono gl'aitri due
modi mcntouati di
fopra; cioè della
refiftenza dell'aria alla
condenfatione, mentre faglie
il liquore ;
poiché, com' è
manifefto^ nel tubo
l'aria, eh' è nella
parte di fopra
entraj et efce
dal tubo,il quale
nmane aperto, ne
l'aqua ritrouarelìflenza nell'aria
perfalire più alto,
come fa il
liquore nelli altri
termometri. f In
oltre fé bene
anche in quefto
l'aqua con il
caldo deue falirc
contro alla fua naturale
inclinatione, onde pare
che non debba
falirs.^' •ugualmente 5 et a
proportionc del caldo,
cóme fi è
detto del primo
termofcopiojcio pero è
rimediato fé non
in tutto almeno
in gran_» parte
dalla violenta condenfatione
dell'aria fatta nel
vetro j poiché
fé bene Taqua
con il fuo
pefo refifte al
falire j pero
raria che fta_.
fopra Taquadel vafoelTendo
condenfata violentemente, preme
l'aqua è lafofpinge
in alto fi,
che l'vna, e
l'altra con il
fuo pefo ftanno
in_, equilibrio :&
ogni benché picciolaggionta di
calore bada per
rarefar l'aria, che per
fé ftelfa procura
di rarefarfi,e cofi
fa falir Taqua-,:
■'■■ e pero
vero,che anche in
quefto termofcopio quanto
più l'aria fi
rarefa, e ritorna al
fuo ftato naturale,
tanto maggior forza
di calore ix
richiede, refiftendo anche
vn maggior pefo
di aqua che
deueakarfi nel tubo: ma
quefta differenza non
è fi notabile
come ne gl'altri
. Aggiongafi,che in
quefto,come fi proua per ifperienEa,ogni picciol
calore fa alzare
l'aqua notabilmente anche
quando è giontaquafi
fino "i*"^ alla
cima del tubo,
fi che fono
più diftintamente notabili
i gradi, particolarmente fé il
va fo A.
B. fia grande,
e fé pur
vi è qualche
iraproportione,fi può facilmente
correggere, con diuider la
parte fuperiore del
tubo ili gradi
proportionalmente fempre minori.
Finalmentefi può rimediare
anche a quefta
piccola imperfettione del
pefo dell'aqua nel
canelloche refifte al
falire,con porre ilcanelloinfito quafi
hori^ig^r*. zontale, cioè
con poca decliuità,
come fi vede
nella figura nona.
I^* Vn'altra forte
di termofcopio ritrouo
per ifperienza riufcire
non meno delli
due primi, benché
fia foggetto ad
vno delli difetti
accenP^g^'^x nati. Piglio
vnvafo,Q palla di
vetro A. con
vn colio B.C.
non molto X«
.:'-b ' R
fbttile 66 iGiuk^Si.
al collo C. attacco
vn pefo conuènìénte
F. poi Io
immergo]
ncU'aciuajdicuicpicno il vafoD.
E. fattoa modo
di cojonnaj fi
che. refiftcndola leggierezza
dell'aria chiufa nella palla, enei
collo>quefta. auuanzi fuori
del vafo D.
F. in gran parte, o
la metà incirca
j il colla
è diqifo nefuoi
gradi 5 fi
chcrifcaldandofi Tana fi
rarefa nella palla,
ricercando maggior luogo, ne
potendo vfcire per il collo
immerfa neU*aqua fa
alzar tutto il
vetro, e nell'orlo,
o labro D.del
va(oD.EJ nota i
gradi diuerfi. Ma
perche Tacjua contiene
in fearia,efacilmen-» te
inaria fi rifoluc&efala in
vapori, riempiendo la
palla di eflì
vapori, quando l'aria di
cfladouercbbe condenfarfi.-equeftoèvn altra
ìnconueniente, che patifce
anche la prima
forte di termofcopio
vfata comrrunementej perciò
potremo rimediare ancheaqueftocon empi-*
re il vafo
D, F. non
di aqua? ma
d'ai genso viuo
j nel qual
cafo accio il
pefofipo0a fommcrgerinclfodouerà eflere
vna palla d*oro:ma
chi non hauerà
commodità della palla
d'oro, o vorrà
ifparamiar queOa fpe*
fa, potrà fabricare
il vafo A.
in modo,che nella
parte fuprema di
elfo (ì pofla
collocar qualche pefo
di piombo, o
d'altra materia, che
tenga_^ niiiììerfa parte
del collo nell'argento
vino. Si può
per maggior leggiadria
delnoftro termometro addattarlo
in modo, che reftandoeglinafcofto fi
vedano li ^radi
delfrcddo-e del caldo
in vna moftrafimile
a quella delli
horiuoli: ilchefiottencrà facendo galleggiare fopra
l'aquachefialza nella canna
vn cilindretto ft^m»
di le|;nQC. il
quale ahandofi,o abbafìandofi
con l'aqua medcfima_»
XI. faccia girare
vn aife A. B.
con la
Tua frezza in
B. mediante vn
pefo E. attaccato
ad vn filo,che
fi rauuolge intorno
all'alfe in p.
e dall'aitro ca*
pofoftieneil cilindretto C« Si
può anche fare
che il fi|o,a
cui è annelfo
il cilindro fia
attaccata al capo
di vnaftafottile A.B.
eleggiera,chcappoggiatainE.
a modo /"/^«m
di vna lena
fi alzi, e
fi abbadi, notando
con l'altro capo
B. i gradi
XII. del caldo,
o del freddo
nell'arco CD, nelchefiolTcruische quanta
maggiore farà la
proportione=delle due parti
A. E. et E.
B, della lcua,c
quanto più lunga
farà ra(la,tanto più
fenfibile farà ogni
minima muta^ tione
dell' aria. Finalmente fi
può fare vn
termometro duplicato, in cui fi
condenfcF'igmx rà l'aria
foffiando nella chiauetta
A. e fubito
di nuouo chiudendola,
XIIU accio l'aria
condenfata faccia falirc
alquanto l'aqua nei
fifone B. dai
quale ritirandofi l'aria
nell'altro vafo C.
farà parimente falir l'aqua
nel fifone D.e
col rifcaldarfi maggiormente
dell'aria, falirà l*aqua
fino alla fommità delli fifoni,
paflando vicendeuolmente dall' vno
all'-, altro vafo,
con effetti curiofi,
e diietteuoli, particolarmente fé
li prcn detti
re ietti vafi,o fifoni
farannodi grandezzadiucrfa. Molto
più galan leggiadra
riufcirà quefta inuentionc,fe
dentro a detti
vafi, o alme
no in vnodi
effifi collocherà yna
piccola ruota, che
fatta girare dairaqua,chevicaderi fopra
mentre viene per
il fifone dell'altro
yafo, faccia Tuonare
va_i campanello, e
nioftri con vna
frezza aggio nta, i
gradi del caldo,
e dèi freddo?
Altre K« «/^/f;'^
ìnutnùonì per fapere tutte
le mt^tatlom dèlPana
humiàa :, o
fecc4>,oUU:?b;,
i'ii;-!g!jr: ^Ejl conofcere
ogni giorno le
varie mutationi intorno
all' hiimidità,oficcità dell'aria,
fono varie inuentioni
ritro^ uatc parte
da altri, e
parte da mej
delle quali ne
accen^SMÌÉ narò alcune
in quello capo,
riferuandomi il trattarne^
più longamente nell'Arte
maeftra a fuo
proprio luogo. ìlP.
Kirchero nell'arte magnetica
lib.j.p. 2. capo
j. dice che
fi pigHj, vn'arifta,o
paglia di quelle
che Iranno intorno
alle fpighe dell'auena, et vneftremità
di efla fi
fermi nella fommità
di vno ftile,
o fopra vn_,
legno perpendicolare alThorizonte^e fopra
l'altra eftremùà fé
li vnifca vn
indice di carta,
o altra cofa
che tì pofTa
girare facilmente, e
fia-, parallelo all'horiz-ontc, intorno
ài quale fi
-defcriuavn circolo diltinto
ingradij e farà
preparato rifinimento ^poiché
eflendo quella paglia-,
naturalmente ritorta a modo di
fune quando viene
inhumidita fi va_»
difnodando,&afciugandofi,o
fcccandofiiiiorna ad auuiticchiarCj'i-*' contorcere,
fi che riuolgendofi
in giro muoiie
l'indice che ha
vniconeU la parte
fuperiore, e nota
i qradi deirhun^idità, e
ficcità dell'aria, con^
forme alla qualejfiauuiticchia,© fi
riuolgé piu,o meno.
Il mcdefimo effetto
fa§|iQ.tuttii furti di
hQ/be,che nafcono naturala
mente in tal
modo ritorte, 6^
aivùiticcfiiàtef come fono i
conuoluoli jTt^ura notturni,
e fimili jde'quali
io piglio vnfufto
B. A. e
lo pongo chiufa
XlVe in vn
cilindro,0 colonnetta A.
F. fi che
non veda fermando
l'eftrema parte B.fichequefta
non fi pofl'a
girare 5 nell'altra
parte cftrema A. del detto
fufto di herba,
pongo vna figurina
di carta che
tiene innianovna frezza
D. fi cheauuiticchiandofijegirandofi ilfuflofi
gira anche la_.
figurina, che gì
e attaccata per
vnpiedej&in vn circolo
chefì:a intor-r no,
e copre il
cilindro, accio non
fi veda l'artificio,
moftra i gradi
dell'humidità, o ficcità
dell'aria per caufa
delia quale fi
va girando la
figuraj e la frezza. Vn'altromodouieneinfegnato dal
Cardinale Cufano il
quale prefcriue,che fi
prenda una bilancia, et in
efla fi ponga
della lana, o
altra_» materia atta
ad imbeuerei'humidicà dell'aria
^collocando nella partc^
oppofla il fuo
contrapefo alla bilancia,
poiché in tal
modo inhumi^ dandofi
69^ dendoG la
lana fi accrefcerà
il fuo pefojOnde
dal pefooppofto che
la tiene in
equilibrio, fapremo la
maggiore,e minore humidità
deiraria medefima . Io
per pefarel'h umidità dell'aria
tengoappreflb di meuna
piccola bilancina ^ e in
unofcudellino dì efla
pongo del fale
di alcun hcrba
calida, poiché quefto attrae maggiormente
l'humido, onero del
Talnicro calcinato che
fi il medefimo
effetto, anzi attrae
tanto efficacemente,^ che
fi rifolue tutto
in aqua,& alcune
uolte pefa tre,
e quattro uoke
più di quello
che pefi quando
di nuouofifecca j
nell'altra parte, cioè
nell'altro fcud eli ino
della bilancina pongo
i pefi, con la
uarictà de quili
uengoapefarel'humidità maggiore, e
minore dell' aria: Douc
fi noti che
il fale non
fi liquefa femplicementc
perche la fola
materia di cflb
fi rifolua in
aqua: ma perche
fé li unifconoiuapori dell'aria
humida, e lo'
fanno più pefante
j altrimente non
crefcerebbe di pcfo.
Manonmenogratiofo è il
modo fcguente. Si
prendano due grof-;
fé corde di
leuto, vna delle
quali fia A.
B. legata iminabihneiite in^
A. da vna
parte,e dall'altra riuoltata
intorno ad vna
girchcta niol-. to
piccola C. la
quale girelctta fia
immobilmente vniti cox^^.l'alfe
di vn altra
girella maggiore M.
F.E. laquile habbii
vn con-^rr trapefo
moderato M. N.
tanto,chebaftipertener
tirata li corda
B. A., la
quale inhumidendofi l'aria,
anch'eia fentendo l'humidicà
fi acor4 cierà,&
acorciandofi alzerà il
contrapefo,e farà girare
la girclla,que(ì:i girella
hauerà vn dente,
in F. il
quale entrerà in
vn manico di
martelletto L, H. fermato
mobilmente in G.
e facendolo alzare
ricaderà con il fuo pefo
percuotendo il campanello
H, L siche
dal fuono di
quefto campanello faremo
ammoniti dell'humidità dell'aria.
Vn altro campanello
di diuerfo fuono
R. ci auuertirà
della ficcità in
quefì:omodo:advn anello F.
farà legata l'altra
corda F. O.
e quefta medefima
corda in qualche
diftanza notabile farà
riuoltata con l'altro
capo intorno ad
vna gircletta D.
vnifa come l'altra
immobilmente nell'alfe ad
vna girella maggiore
con il fuo
dente P. martello,
e campanella vicini,econ il
contrapefo T. Rallentandofi
dunque nell'feccarfi la
corda E. O.
il contrapefo T.
defccnderà,e ficendo girare
la girella quefta
vrterà con il
dente P, nel
martelletto, e farà fonare
il campanello R.
Si pofTono ancora
multiplicarei denti delle
girelle si che
fonino più volte
i campanelli,conformelamaggiore5e minore
humidità, e ficcità;
e le corde,
ò ruote fi
potrebbero difporre in
altri modi,come ognivho
nella prattica potrà
facilmente prouarejbaftan* do
che io habbia
accennato il fondamento
di quefto artifìcio.
Nel che fi
habbia riguardo di
fare chele girelle, intorno alle
quali firiuoltano S
IcJ ie cordcjfiano
molto piccolcjacciò ogni
piccolo fcorcfamcnto, o
al^ lungamento di
corda fia fufficiente
a farle girare
j e le
corde fiano a.%
quanto lunghe, acciò
lo fcorcianiento fia
notabile. Finalmente fi
pofsono anche con
l'orecchie mifurare i
gradi dell*humidità dell'aria
: poiché fé
noi prenderemo due
corde di leuto,
o di chitarra j& vnadiefse
fi ftenderàfopralifcannelli d'alcuno
ftrumentQ al modo
ordinario ftirandola, e
lafciandola fempre ad vn me^
demo pofto 5
ma l'altra la
ftenderemo fopra li
medefimi fcannelli facendo
che refti tefada
vn pefo attaccato
ad vn capo
di cffa,il quale
fia tanto, che
la renda vnifpna
alla prima, Quefta
che vien tefa
dal pefo mantenerà
femore vn mcdefimo
fuono,doue che l'altra
lo variarà facendolo
hora più acuto
hor più graucsconforme che
fi ftenderà,o raU
icntarà dalla maggiore,
o minore humidità
dell'aria; onde dalle
loro confonanze, 0
difsonanze haueremo armonicamente
i gradi dell'hufniditàjche faranno
tantijquanti fono i
tonijO femitoni rauficalio
Quero fi ftenda
vna corda per
il maggior diametro
di vn arjcllo
di legno ouato
e facile a
concepir l'humido nelle
fue fibre ftefe
per lo groffo,no^
per lo lungo
del legno,che fia
porofo; poiché all'humido
fi dilanerà ranello,e fi
ftenderà la corda
facendo il fuono
più acuto,che paragonato co
vn altro fuono
fempre (labile, haueremo
il medemo intento;
l.e corde fiano
di metallo, acciò
anch'effe non fi
alterino facilmente^ Cap©
7' CAPO NONO
Wdhrìcsre *vn horimUt
^he fi muou^
perpetHAmente fenx^&c. fia
fufficientea muouereil perpendicolo, ancorché molto
più pelante della
palla, che vrta nell'afta; fi aggionge al facilitar quefto moto, che
il perpendicolo quando viene
vrtato dall'afta è
già in moto
; onde per
fare che il
moto continui, baftavn
impulfo minore aftai
di quello, che
fi richiederebbe per darli
il moto fé
fofle totalmente in
quiete 5 Di
più eflb perpendicolo douràeflere molto
corto, il che
ci giouerà a
far falire più
prefto lacafletta con
nmouere più velocemente
le ruote; impercioche
quanto è più
corto, tanto più
frequenti firanno le
fue ondationi ;
Dalla quale breuità
di perpendicolo nafcerà, che
fia moflb più
facilmente dall'afta. Finalmente accio
la palla non
difcenda troppo prefto
per i canali
inclinati ciafcunodi elfidourà
effere molto lungho;
hor quanto è
pia lungo il
canale, per cuidifcendela
palla, ella nel
fine aquifta maggior
impeto, fi che
venendo da h
in b, quando
arriua in b
ad vrtarenell* afta,
ha giàaquiftato molto
impeto dal moto
decliue, per tal
modo,che Scorrendo per
la palla da
binl,e da l
in e vrta
di nuouo nell'afta mentre
dura ancora il
moto del perpendicolo,e non
fa altro che
accrefcerlocon vrtarìo di nuouo,
accio pofsa durare, fin
tantoché venga di
nuouo ad vrtarlo
in d, poi
in e>f &c.
Secondariamente può nafcere
difficoltà, che il
perpendicolo fia per
hauere tanta forza,
quanta fi richiede
per alzare la
palla
conlacafsettaN.douendola
alzare mediante il moto di
tre ruote, ciafcuna
dells»-» quali fa
refiftenza al moto.
A quefto rifpondo,
che farebbe diffi_cile
alzare la cafsctta
con la_, palla,
quando l'altezza, a
cui fi dcue
alzare, fofle molta, et il
tempo breue j
cioè quando il
moto della cafsetta
douefse efser veloce;
e con feguen 84
fcgucritemente veloce cfìcrdouefi'e
anche il iiìoto
della ruota I
k noce leraca dall'altre
ruote più tarde
j ma quando
il moto della
caflccia debba efìer lento
fi, che fi muoua
più lentamente la
ruota Jk di
quello, che fi
muoua la prima
ruota E F,
tal moto lento
riufcirà piufacilejconforme fi
dimofìra con i
principi] della fcienza
mccanica. Che poi
bafti vn moto
lento della cadetta
èmanifelloj Pcrcioche ella
non deuearriuare alla
fua determinata altezza
fé non quando
la palla, che
difccnde per il
canale, farà arriuata
nel fondo X
: per il
qual moto della
palla^ firichicderà molto
tempo, doucndo dii'cendeie per
moki canili affai
lunghi, come fi
è detto di foprajonde tiìttclecofe
concorono a fjcililare
queftomoto. Aggiongoche lacafietia
N dourà eflere
IcggierifTìma ; poiché,
ancorché tale, potrà
femprc difcendere a
ripigliare la palla in
X ogni volta
che farà liberata
la ruota LM
dal ritegno, o
linguetta L. La palla
fimilmente, ancor che
fia moltiffìmc volte
più leggiera della
palla del perpendicolo
D, farà fufficientca
farlo muoucre ccil..
vrtare nell'afta YC, fi
per l'impeto che
prende nel difcendere
per il canale,
fi anche molto
più per la
lunghezza dell'aftajche farà
l'effetto di Iena;
e finalmente perlabreuità
del perpendicolo, Auuerto
anchora che la
palla S del
braccio tampinato S
gR dourà efiere
più leggiera di
quello che fia
lacafsetta N con
la fua palla_,
j accio quefta vrtando nell'afta piegata
EZV pofla alzare,
e ripone la.;,
detta palla S
foprail fuofcanettoTQ^5& ancor
che quefta palla
S fia afsai
leggiera farà però
fufficicntea far piegare
il rampino in
R,e liberare la ruota
LM ritirandola vcrfo
T 3 pcrcioche
la fpira,o filo
di ferroRTdcue premere
leggicrifììmamcnce, e fol tanto,
qu;into bafta perrifofpingerela ruota
LM verfo la
ruota lK,il che
fi farà con
poca violenza mentre
l'afse della ruota
IK entra mobilmente
neli'afse della ruota
L M in
fitohorizontale. Nctifi di
più che potiamo
facilmente accomodare vn
altr'afta dall' altra
parte del canale,
cioè in hlmno;
nella quale vrti
parimente la palla, e
dia più frequentemente il
moto al perpendicolo,
onde roaj pofsa
mai tal moto
inlanguidirfi, nel qual
cafo potremo fare
minorcL-» quantità di
canali, ma più
lunghi fi, che la
palla fpenderà maggior
tempo in difcendere, e
nel fine di
ciafcun canale prenderà
maggior impeto, poiché
quanto più lungo
è il canale,
tanto maggiore farà
l'inv peto, che
haurà aquiftato nel
fi,nt-»o Vn altro
moto perpetuo Jlmile
al precedente. femplice
g^^^i^^N altro modo
mi fouuiene a
fine di perpetuare
il moto no
molto diflìmile dal
precedente, con adoperare
vna copelea, la
quale riporti in
alto la palla
dopo che farà
difce ^^ fa per il canale,
come fi è
moftrato di fopra
j il che fi fura
con minor quantità
di ruote, e
con machina molto
più fpedita . Sia
come prima vn
perpendicolo A B,
il quale muouendofi
faccia girare con li
due rocchetti H,I,
vnitial fuoafìejla ruota
L nel modo
fpiegatonel capo precedente
jall'afleLM di quefta
ruota fia vnita
va,, altra ruota
N O, la
quale girandofi morda
la ruota O
P : e
quefta ruota OP
farà vnita all'afle
di vna coclea
RTQ^ intorno alla
quale farà il
canale, che per
eflere a modo
di lumaca li
da il nome
di coclea. Le
due cftremitàdell'afsedi quefta
coclea cioè Y, T
faranno appoggiate fopra due
poli T,Y in
modo che Tafse
fi poffa girare
liberamente con la
coclea vnita, mediante
il girare della
ruota O P.
Difcenda dunque vn\
palla per li
canali O F,come
di fopra j
e quefta vrtando
nell'afta DF ogni
volta, che arriua
al fine di
alcun canale dia
nuouo moto,&impulfo al
perpendicolo; il quale
muoucndo le ruote
inferiori, e la
coclea, quefta coclea
porterà in alto
un altra palla
pofta nel canale
tortruofo T S
V Z Q^,
portandola dalla parte
inferiore S alla
fuperiore Q^ ^^-'
quale vfcendo dal
canale della coclea,
cadere nell'altro canale
nel medcfimo tempo,
o almeno poco
dopo che l'altra
palla è gionta
al fìnc^ del
canale, cioè in
S : all'hora
quefta palla farà
prefa dalla coclea,
e farà portata
in alto,mentre l'altra
difcende, e cofi
fucceflìiiamentcruna dopo l'altra.
Auertafi che acciò
la palla, che
è arriuata inS,
fia riceuuta dalla.»
coclea nel medefimo
tempo, che l'altra efce
dal canale Qjdella
coclea, fi potrà
fare, che la
palla vfcendo dalla
bocca Qjdel canale
della», coclea, e
cadendo nell'altro canale
faccia impeto in
alcun afta la
quale fia connefla con vn ritegno,
o molletta pofta
nell'eftrema parte del
canale S, dalla
quale l'altra palla
vcniua ritenuta, accio
non cadeflc-* nella
coclea prima del
tempo. UTA XXL
Capo CAPO DECIMOTERZO
y n altro
moto perpetuo molto
più facile deUi
due precedenti per
Via di trombe
che ahino l'aqua.
figura, ^-'^^^P, lA
il perpendicolo A
B foilenuto con
il Tuo afse
C Q^D ia
KXiL ^^%>Sj1 duepoliCQ
mobilmentej&al
medefimoaflefiaimn.Q bilmenre
connefsavn afta leggiera,
ma foda QJl,
che penda all'
in giù neiriftefso
modo che fa
il perpend'colo A
B 5 Al
fine del medefimo
afte in D
fia connefso vn_.
braccio F E
che faccia angoli
retti con l'afse
C D, et alle
parti cftremeE, &F
fiano attaccati due
piftoniI,&G i quali
entrino in dut«»
trombe LkIjSiMHG, in
modo che muouendofi
il perpendicolo AB
fi alzeranno, et abbafserannoi detti piftoni
G,I alzando laqua..-,
('incui rifuppongono imerfele
trombe ) peri
canali HM,KL nel
vafo foprapofto P
F j nel
qual vafo farà
vno fcifone N
P O il
lui braccio più corco
NP arriui fino
al fondo del
vafo, ma reftipero
apertala bocca fua
N, e l'altro
braccio più lungo
P O penetri
per il fondo
del vafo, e
ftia parimente aperto
in O, e
quefto fcifone fia
tanto alto in
P dal fondodel
vafo, che riempiendofi
il vafo refti
pieno anch' efso, (1
che all'hora preponderando l'aqua del braccio
O P incomJnci a
fcorrere fuori del
vafo, e per
confeguenza non cefserà
di vfcireperla bocca
Q fin tanto,che
il vafo non
refti voto. Sotto
la bocca O,
per cui efse
l'aqua farà accomodata
una ruota.», ST
con le fue
ale foftenuta in
due poli XZ,&
equilibrata in modo
che con facilità
fi pofsa girare
dall'impeto dell'aqua, che
cadcrà per lo
fcifone fopraefsa ruota
3 la medefima
ruota hauerà da vna parte
vn_* aletta S
che fparga in
fuori in tal
modo, che girandofi
la ruota vrti
nell* cftrema parte R
dell'afta OR,laqual hafta
cadendo nontrattenerà pero
il moto della
ruota ; fi
che fcguitera a
girare fin tanto,
che vi cade
fopra l'aqua : et anche
dopo che l'aqua
farà finita, la
ruota per l'impeto già
concepito, girerà molte
altre uolte prima
di fermarfij e
girandofi, urterà con
l'ala S nell'afta
QR, e feguiterà
a dare il
moto al perpendicolo AB j
e perche il
perpendicolo dopo che ha concepito
l'impeto feguita a
muouerfi molte uolte
da le ftefso,
fi muouerà, e
farà le fuc»*
ondationi ancor dopo
che farà fermata
la ruota j
Si che dopo
che farà yotatoiluafojC fcorfa
tutta l'aqua per
lo fcifone fopra
la ruota, fegui-^.
terà terà ancor
qualche tempo a
muouerfi la ruota,
e finito anche
il moto della
ruota, feguiterà per
qualche altro tempo
il moto del
perpendicolo: ne quali due
tempi s'alz.erà nuou'aqua
nel vafo per
mezzo dcii«i^ trombe
mofle dal perpendicolo
: fi faccia
dunque il vafo
capace folo di
tant* aqua, quanta
è quella, che
fi alza in
quelli due tempi
; dal chz^
feguiterà che, finito
il moto del
perpendicolo, refterà di
nuouoil vafi> pieno
j e per
confeguenza anche il
Icifone N P O, onde
incominciarà di nuouo
a fcorrereraqua perii
fi:ifone,e darenuouo moto
alla ruota, et al
perpendicolo^ e perche
voglio che molto
maggior copia di
aqua_. efca dal
vafo per il
fcifonedi quella che
nel medefimo tempo,
entra_, nel medefimo
vafo per le
trompe, finirà ben
fi di votarfi
il vafo, ma
non ce&rà pero
fubito il moto
della ruot:i,e molto
meno il moto
del perpendicolo, onde in
quello tv mpo
di nuouo fi
riempirà il vafo^c
tornerà a votarfi
per di nuouo
riempirfi, e cofi
perpetuamente cadendo l'aqu-i
là,d'ondefi alzò. Che
quefì:o moto fia
per elTere perpetuo
fé io non
m'inganno fi dimoftra
facilmente : poiché
eflendo molto maggiore
la quantità dclfaqua
che difcende per
lo fcifone,c cad^
fopra la ruota,
di quella ch^-*
in vgual fpatio
di tempo fi
alza per le
trombe j e
cadendo dalla medenma
altezza, alla quale
fi alza j
farà fufficiente, ad
alzare effa minore^*
quantità di aqua,
mediante il moto
della ruota, e
del perpendicolo j
al moto de
quali due, perche
fi muouono liberamente
fopra i fuoi
poH,noa vien fatta
altra refiftenza, che
quella del pefo
deiraqua,chedeue falire perle
trombe j eflendo dunque
queila molto meno
pefante di quella, per
confeguenza potrà cfler
alzata da lei
: Di più
ogni poca quantità di
aqua, che afcenda
per le trombe
nel vafo,dopo che
farà rollato voto,
farà ballante nellVfcirechefaràper lofchifoneadarnuouo impeto al
perpendicolo 5 in tal modo
che pofla muouerfi, e
riempire di nuouo
in breue tempo
il vafo. Aggiongovn
altro auuantaggio, che
ci nafce dalla
forza della Icua;
poiché fé noi
faremo che Tafta
QR fia molto
più lunga di
quello, che ila il
perpendicolo A Bjquefìi'afta
urtata in R
dalla ruota hauerà
forza dileuain ordine
a muouere il
perpendicolo,fi che con
poca refifl:enza della
ruota farà mofso
il perpendicolo . E
fé bene eflendo
il perpendicolo più breue,
più breui ancora
faranno le ondationi,e
per confeguéza meno
fi alzeranno i
piftoni I, G,
alzando minor quantità
di aqua i;i
ciafcuna ondatione del
perpendicolo: quefl:o difetto
però fi rà
ricompenfato dalla maggior
celerità, e frequenza
delle medefimeondationi del
perpendicolo : il
quale quanto è
più breue tanto
più predo compifceun
ondatione 5 fi che facendofiinciòla compenfatione,ci rimarrà
anchora 88 anchora
il primo auiiantaggi'o
del muouerfi più
facilmente, e fare
minor rcriilciìza al moto
della ruota . Aggiongafi
anchora, che poca
forza fi lichiedeper rimouere
il pefo B.
dal Tuo centro,
a cagione che
non fi deuc
alzare a perpendicolo,
ma obliquamente nel
arco delle fueontiutiuni
5 quanto più
dunque con l'aiuto
della leua, onde
fi potrà fare
il pendolo B
molto pefante, e sì, che
pofla aliare molta
più aqua. L'efìertofeguirà anche
meglio, e s'intenderà maggiormente
la ragione di efib,
fé in vece
di fare vn fol vafo,
in cui fi
riceua l'aqua, che
fi lihs. dalle
trombe, e da
cui efce per muouerc la
ruota, faremo due
vali ciiltinti AB,&
EF IVno immediatamente fotto dall'altro, con due»
icitoni C,e D.
Nel vafo di
fopra entrerà l'aqua
alzata dalle trombe,
e quando farà
pieno incomincierà ad
vfcire l'aqua per
lo fcifone C,
b:i'jbn!ì .7 À
...iiiv;?^ ^., ^n
)'uh'j. OHI Oim
t:jirf 'yWXi' "
1 >i». ^Modo
curio jo fatile, 0*
n)ù\ì[fimo di d'^fìilUre
l'aria, e (onuertirU
in aqua, con
'vn tnuentione di
fare fontane co
pio fé in
luoghi» ne quali
non fi a
alcuna forbente di
aqua. Auendomoftrato alcroueche
l'aria particolarmente vicina
alla terra è
ripiena di molti
vaporijch^ altro non
fono che aqua
attenuata, e rarefatta
dal calore inminutifiìme
particelle; non farà
difficile il conuertirla
di nuouoin_, aqua,
fé con l'arte
fapremo imitare la
natura, che fimilmente
mediante la condenfationeconuertei detti
vapori in pioggia
j fi come
la natura con il calore
del Sole, o
fotteraneo della terra
rarefacendo i'aquala conuerte
in aria, e
di nuouocon il
freddo della feconda regione dell'aria,condenfando,i medefimi
uapori,li muta io.,
aqua; coli l'arte
per mezzo di
una
fimilccondcnfatione,conuertirà
in aqua gl'ifte^
uapori prima attenuati
naturalmente dal caldo.
. Prendali vn
gran varfo di
vetro ABC largo
nella fommità, \i
quale fi vada
reftringendo nel fondo.fmo
a finire in
vna punta, come
di ^^'*'** vn
cono jia parte
fupcriore A B fia
aperta, fé no
in tutto,almeno in
parte nel mezzo,
con vna bocca
D; e la
parte inferiore (ìa
tutta vetro fenr, alcuna
apertura . Si riempia
quello vafo di
neue,o d'\ giac-,
ciò in tempo
di Eftate, ò
almeno in luogo
oue l'aria fia
affai ca!da_:.; e
meglio riufcirà tenendolo
efpofto al Sole;
poiqhe l'aria, che
iìi intorno fuori
del vafo, feutendo
il freddo della
neueficondenferà, e fiandra
attaccando alla fuperficie
eilerna del vetro,
per il quale_^
fcorrendo giùnella punta C
fi diftillarà in gaccie
frequenti si, ch^^ collocandoui
fotto vn vafo
E, in poco
tempo ne raccoglieremo
buona quantità, ejtantopiù, quanto
faj-à maggiore, la
grandezza del. vafo A B,C.^^^*»^bn?
! • onToinri" -^l»'*^^^ • :-
I'^l'OìD 'V Queft'aqua
farà molto leggiera,
limpida, e falubre
si, che TEf*
tate ne potremo
bere fenza pericolo
di riceuere nocumento
; anzi per
cflere ripiena di
fpiriti ignei folarif
quando fia diftillata,
mentre l'aria èefpofta
a raggi del
Sole) conferua, et aumenta
il calore naturale;
onde gì' EthicijO Tifici
ne riccuono gran
giouamento; et Io
ho coiiofciuto vna
perfona, che già
toccaua il terzo
grado di tale
infermità; e 91 e
perciò era difperata
daMedicì,'c con bere
per molti giorni
buo-i na quantità]di queft*aqua
rifanòperfettsmente.Quefto
mcdefimo artificio può eflere
molto vtilcjà quelli,
che fi ricrouaflero
in penuria di
aqua dolce per
bere, 3c in
molte altre occarioni,come ogn'vn
vede. Et acciòche
alcuno non ilimaffcche
queft'aqua foffe la
neue liquefatta che
penetrafle per ilJvetrOjpelì
riftcffa neueauanti èdopo,e
ritrouerj, che non
farà fccmata di
pcfo, fé 'non forfi
alquanto per eflère
ftata-» efpofta al
Solejmà non mai
tanto,che compcnfi il
pefo dell'aqua d'aria
raccolta. per conuertire
maggiore quantità di
aria in aqua,c
fare vna Fontana copiofa in
luogo benché aridiffimo,e
nelquale non fia
alcuna vena di
aqua, particolarmente di
Eftate,quando il bifogno
di efla fuol
effermaggiorcjfcieglieremo
vn fito efporto
verfo il mczzodi,e
fé folle alquato
eleuatoin vna collina,© monte,farebbe migliorc,c
quini fca» ueremo
fotto terra vna
grsn camera, la
quale habbia vna
fola bocca, e
quella non molto
grande, e riuoltata
verfo il mezodìj
ma lo fcauamento
della camera non
douràefler fatto immediatamente vicino
all'aria j anzi
fi dourà prima
incominciare vna caua
larga cinque, o F/^«r^
{ci bracci, la
quale fi vada
reftringendo fino alla
bocca della camera;
XX\\ equeftaboccanonfia piùlargadivn
braccio,e mei2o,o duej
pofcia nella parte
più a dentro
fcauercmo vn gran
vafo a modo
di vna camera, come
dimoftra la figura^
poiché in tal
modo l'aria, che entri^
calda, e rarefatta
dal mezzo dì
per la bocca
AB nel fito
grande fcauatoC fi
condenferà dal freddo
fotterraneo, et aitaccandofi
d*. ognV intorno
i vapori condenfati,goccicranno dalla
fommità nel fondo
D copiofamente si,
che ogni giorno
fi potranno cauar
fuori molti fecchij
d'aqua per il
canale D E,
o in altro
modo 5 e
tanto maggior copia
d*aqua haueremo, quanto
laflagione farà piQ calda, e l'aria
maggiormente percofsa dal Sole,
a proportione della
grandezza della camera
C 5 poiché
quanto più grande
ella farà, tanto
maggior quantità di
vapori conuertirà in aqua j
et acciò
il freddo, che deue
condenfare Taria fia
maggiore, fi donerà,
come dilli, fare
molto profonda, et inoltrata»
nella collina,cioè lontana
dalla prima apertura
più larga B.
i Giouerà anchoraveftirla d'intorno
di pietre fredde
ed* vmidé, Ì
qualiper natura fua
fiancarti ad attraerel'vmidità, come
quelle che fono
imbeuute di fpiriti
minerali, e particolarmente falnitrarli
; onde fi
potrà ancora artificiofamentc dare
vna tal qualità
a dette pietre,
ac» ciò più
facilmente facciano l'eHetto,
di condenfare i
vapori io aqua_.
f^ incroftando la
parte inferiore D
che deue riceuer
l'aqua come fi
fuole nelle cifterne,
acciò non penetri
per la terra, e
fi perda. 1
£nv o3ub; .:4
Qucfì' 93 Queft'aqua
farà purgata, e
falubre poco meno
della già detta
di fo pra, onde
fc ne potrà
bere a fatictà
: e farà
baftante per l'vfo
quotidiano almeno di vna
famiglia, et anche
di più quando
fi faccia m
luogo, e fito
opportuno con le
diligerne accennate. E
di ciò io
ne ho veduta-.
rifpericnza,e di fimil
aqua hobeuuto più
volte: il cheogn*vn
vede quanto fia
per cfl'er gioueuolea
molti in luoghi
penuriofide aque; oarticolarmcnte perche
quando s' inaridifcono i powi
. E
fi votano le
ci^ fterne a
cagione della ftagione
caIda,&afciutta,airhorapiu
che mai copiofa
farà quella fontana
jpercioche in tal
tempo maggiore è
la copia de vapori,
che il calor
del fole folleua
nell'aria ^ fi
che quell'aqua, checifù
rubbata dal fole
conuertcndola in aria, faremo
che fia forzato
a reftituircela molto
più purgata, e
falu^ tcuole. C^cfìia
inucntione parimente può
liberare tal' hora vna città
dall'afledio; nel quale
tagliati, come fuol
farfi, i condotti dell'aqua, farebbe
forzata ad arrenderfi,fe
fi feruiràdi qucfto
noftro rimedio. 5riDD:
•yj^qd zup: \h::
~r ■A ih
03 A a
L'érU maej^r^ d' agricoltura infegna
a moUi^licare il
raccolto delle femen'^e.
L raccogliere dalle
femenze frutto copiofo,
non depende in
tal maniera della
natura, che le
produce, che non
dcpenda anche molto
dall'arte, che con
applicare le caufc
a greffètti proportionati, auualora
le forze della
natura medefima, di
cui è ferua,
e miniftra, Ne
parlo io qui
fole dell'arte dcll'agricokurajdi cui
hanno fcritto, Varrone,Colutnelia, Palladio, Crelcentio, Herrera,
il Gallo, et altri,
la quale è
già fatta triuiale,
e
ripratticacommunemente^maparlodi
qu,eUa>che con modi
più reconditi emulando la
natura la necedìta
a produrre frutti
non ordinari], e
molto più copiofidi
quelli, che ad
ogn'hora fi fogliono
raccogliere. Di quefta,
che chiamo arte
maeftra d'agricoltura,difcorrerò lungamente a
fuo luogo :
in tanto per
darne alcun faggio
voglio accennare il
modo di fare
che ilgrano,e l'altre
femenze ordinarie multiplichino
copiofamentejC diano frutto
fé non centuplicato,
almeno molto abbondante,
Deuefi dunque fapere
che, come moftrerò
altroue, tutta la
virtù gcneratiua particolarmente de
vegetabili confifte nel
fale di e(lì,
dal quale depende l'organizatione delle
parti, et è
formatrice dell'embrione: il
quale pofcia viene
nutrito,& allattato da
gl'elementi, ma principalmente
dalia ruggiada, che
cade la notte,
6C. é il
latte più falutteuolc,cho auidamente
fi fucchia dalle
biade afletate," per
il calore del
giorno • Eforfihebbe
iiguardo a ciò
quella benedittionc di
Giacobbe Det tihi
Deus de rore
c^i/, Cp'»\ '•''^-'-^'j^
^^ Quefto è
quanto mi è
paruto di douere
accennare in quefta
materia, riferuandomi molte cofevtiliècuriofe appartenenti
or. all'Agricoltura e ircà^gl*irvefti,leviti,fiori, e frutti,quaU
-i: paleferò nell'Arte
Maeftra al fuo
luogo proprioj doue
anche moftrerò in
qual modo fi
pofla ♦ >in
pochehore far nafccre
ogni vege tabile, e raccoglierne
il frutto poche
hore dopo che
fi 3 farà
feminato. ^ Jf,
lil jcsA ì
ni lìoq ib
'• oi?fn ?/>?oi
ib 2rr; •
Ci'. nicoun-ignoiggte Ji iiJiiiJt)!
óiyq ^zn-Sì. :uqof;
Ol' ìbùn'r t-^k
US uì TlktV^S^
fi 'f I
ir; :>aoi§ci ^fSS^^^A
•'^•'"i"^^-' *"'
''J^f-^ ^ '
-» or, .,;
♦.jj'j'aficlv fi .
— « -inrsii, p4r
ndfcere quéil fi 'vp^lia
fiore, e frutto
in vn 'V^fo
di vetro fenz^a
ftmenz^a. ^^^it/.èi vJ
-fti C c
Capo taoB .siriD
ilbb ifnte*ibb 5lf:i5n:>D
-iin^nsT iioH'tis iinor>
oirnsDOOnC aì [:
i^r-«i /'^''«'«I^I^Sp^^I^ iàccia
vna lucerna, di
cui la part&rcibtrriceue in fc
l'oglio XXl^li ^\%^SI'
^*^ ^^ farma
d'vna colonnetta,:come fi
vede nella figura
!'p;;..efrexeU colonna, ocilindifo
A Ji chiufo
nella parte di
i. r:fopr^,eper ogni
luogo fìijche non.vipolTa
entrar den.i !
tro ana, tettando aperto
folo nelfondo con
vna particella C per
Ia.,q,ualeefica. l'oglio
neJi*anneflbvafoCL
incuiftàlolloppinojche arde in
Li«j€0«^uniaTidoi'oglio fa chevadi
difcendendo nel cilindro
a pocoapoco vniforniemeBce nella
parte anteriore CE
della lucerna fia
vn altEO-piccolo cilindretto,
o^-fimile ricetracoloj nella
parte fuperiore del
quale fia vna
girella IK-con ilfuo
afìe EF chi-»
habbiaanncfib vna freccia,
o iindi^lc per
moftrarl'horefegnate intorno alla
ruota GHjciò fatto
fi ponga nella
colonna AB Toglio
con vn-. pe7.zo
di fuuaro, o
altro corpo leggiero
D che nuoti
fopra l'oglio, a cui fia
legata vna funicella
fottilc D CI
k M, la
quale fune pafli
fopra la girella
IK,e neireftremo habbiaconnellb vn
pefoM,ma non tanto greue
che pofla far
difcendere il fuuaro
D, il quale
galleggierà fempre fopra
l'oglio, e quefto
difcendendo con il
confumarfi difcenderà anche
il pefo Ni,
che con la
funicella farà girare
la girella IKjCol*
indice E F,
che moftrerà l'hore.
Deuefi dunque auucrtiredi
fare la grandezza
della girella Ik,proportionataal difcendere
dell'oglio, e del
fuuaro D. oiferuando
quan* to difcendein
vnhora, accio la girellai
K, col* indice
fi muoua ordinatamente. Si
deue auuertire ancora
di mettere la ftbppino fempre
della medefimagrolTc'zzaje deiriikfso
numero defili, acciò
fempre l'oglio fi
confumi vniformemente nella fommità
della lucerna fi
potrà metter vna_#
vite A, che
chiuda perfettamente il
buco, per il
quale fi mette
l'oglio; benché quefto
fi può anche
mettere per la
portella C riuoltando
fottofopra la lucerna.
Notifi anche, che
fé fi poteffe
accomodare in modo
l'afse della girella I
k dentro la
colonnetta A B,
che pcnetrafse fuori
per vn forame
tanto,addattato,che riempiuto totalmente
dall'afsenon dafse adito
all' aria 103
aria per penetrare
nella colonna, fi
potrebbe accomodare il
tutto fen za l'altra
colonnetta,© ricettacolo IMC;
ma tuttofi potrebbe
mette; e nella
colonna A B^
e ciò in
moki modi facendola
moftra dell'horead vn
latOjOueroin cima alla
colonna nel piano
fuperiore di efsa,
ma perche Te
vi entrafse aria
Toglio caderebbe fijbito
tutto a bafso
; et è
diffìcile forare k
lucerna in modo,
che l'afse fi
giri nel forame
fenza dar adito
all'aria, perciò habbiamoftimato più
ifpedientc, e ficuro
il modo fopra defcritto.
Si potrebbe ajicora
aggiongere alla moftra
vna ruota dentata,
che iacefse batter
le hore come
ognuno può facilmente
uedere ; ma
per far battere
le hore dentro
allamedefima lucerna potremo
fare in quefta
juaniera . Dentro alla
colonna nella circonfereiìza interiore,
difporemo un canale
aperto nella parte
fuperiore,attoa foftenere una
palla di legnOschedifcendaperefib canale
fatto a fpira,cioèamodQ di
uite intorno ad
efla colonna j
quefta palla galleggiando
fopra l'oglio, andrà
difcendendo per il
canale in giror'fia
dunque accomodato in
modo che dopo
vn bora habbia
fatto vn giro
intiero, et arriuata
al fine di
eftb la palla
vrti nel manico
j onero afta di
una molla fi, che
alzandofi quefta lafci trafcorrere
vna ruota con
il fuo contrapefo,
come fono quelle
delli oriuoli a
ruota, che fanno
fonare le hore
j a cui
fia addatta^ to
vn ma,rtelletto, che
batta vn campanello
pofto nella fommità della
lucerna 5 e
cofi fucceftìuamente cojmpito
l'altro giro, la
palla faccia il
medefimo cftctto di
far fonare Infeconda bora, e
poi lctre,quattro&:c. In
qtial modo chi
camtna in carrozjZj^,
ouero nauig^ per
aqtta pofs^ [^f^^i
h f»k^t^ 4^^
'Viario fstto» ^«(•^ ^^^l^g
Vefta inuentione bene
he fia accennata
da VitruuiOj egli
XXVinllj^^^® però parla
fi ofcuramente che
io non ho
ritrouato alcu fefe^SJ no:
il quale l'habbia
fapuca interpretare ;
onde mi è par
SSJI'ìS fpiegarla in
quefto luogo come
cofa nuoua.*fé non
in foftanza, almeno
in ordine aireifettOjdeireflc* re
bene intefa,e pratticata.
Si mifuri il
giro di vna
ruota del carro,
o carezza, e fia per
efempio di I
o. piedi, cioè
di due paflì
^ all'afle di
quefta ruota A
B, come fi
vede nella figura,
fia vn dente
C. fopra all'afTe
fia vna ruota
di 5 o.
denti C D, et airaile
I E fia vnito
vn dente E
che morda vna
ruota dentata E
F, che farà
la moftra del
viaggio diuifa per
efempio in 12.
parti, e ciafcuna
diefse parti habbia
io. denti, che
faranno in tutto
1 20. Nel centro G
fia vna freccia
immobile, che moftri
il numero delle
miglia.. ? Impcrocheogni
giro della ruota
AB, cioè ogni
due pafli di
viaggio fi promouerà
vn dente della
ruota C D
mediante il dente
C, et hauendo
quefta ruota 50.
denti, dopo cento
pafiì di viaggio
la ruota C
D haurà fatto
vn giro intiero,
e per confeguenza
mediante il dente
E haurà promofso
vn dente della
moftra EFj &erscndo
dieci denti da
vn numero ali*
altro, dopo dieci
giri della ruota
CD cioè dopo
mille paflì, che
■ fono vn
miglio, farà promofsa
vn fegno intiero
la moftra E
F,e la freccia moftreràil principio
del numero II.
che prima moftraua
il principio del I.
Nel medefimo modo
fi può operare
naulgando per aquife
fi feruiremo di
vna ruota colle
ale fimilja quelle
delle ruote demoHni,Ic
quali con il
moto della naue
vrtando nell'aqua facciano
girare la ruota,che
farà in vece
della ruota A B, fi
che tutto l'artificio
confifte in fare,
che il giro
della prima ruota,
che corrifponde alla
quantità del uiaggio,fia
multiplicatoa proportione delle
altre due ruote
CD, et EFj
il che fi
può fi^rc in
più maniere, gome
ognVno uede. L'Arti
Maejlra di (Chimica
mofira la tramutatione
ie** Metaltt j
^ addita la
firada pir ritrouare
la ^Pietra FilofofaU,
fi' Qon il
modo dì fare
le vere Quinte
Efsenze, j»'Pg E
Operationi appartenenti alla
Chimica non confiftor
!6§W folamente^'come rtimano
alcuni) nella tramutatione. . V^lpl de
Metalli, poiché ella è vn
arte molto piii
vniuerfah -w ^ÉH^
lacuale in certo
modo abbraccia anche
la Mcdicinf^ o
almeno le gì
accolta molto da
vicmo per aiutarla-,
. e fi
può definire efsere
vn'arte, la quale
rifoluendo, e riducendt^
tutti i corpi
mifti nèfuoi primi
clementi, va rintracciando
la natura d
effi,cfeparando il purodairimpuro,edi quello
fi ferue a
perfcttiona-" ve i
medefimi corpi, et anche
a tramutare vn corpo in
vn altro. _]
Dalla quale definitione
rclìa manifefto quanto ampiamente
fi ftendrf lachimica
per tutte le
forti de corpi
naturalijdi cui quella
p;. ite, c"hl[*
s'afpetta alli foli
Metalli, ha il
fuo proprio nome
di Alchimia, prcft"
dal vocabolo Greco,
che fignitìca Su^o
di Sale; Imperciòche
ncllt fpirito fugofodel
Sale rificde tutta la
virtiì,& efficacia de
corpi miili" La
Chimica poi vien
detta ancora Spagirica
dal verbo Greco
. . che
vai quanto dire,fciegliere, ejfeparare ;
poiché come fi
è d-tcv, fepara
l'inipurOjC fciegliere il
puro, Altri la
chiamarono cabbala perche
anticamente fi cómunicaua
da Padri alli
figliuoli f jlim/ntr in
voce, propagandofi à
pofteri non per
hiftoria, ma per
fempHc!! rraditione. Altri
finalment lì diedero
nome di Sapienza
; perche nO;^
(cnza ragione (limarono
impoflibile, fcnza tal arte
ii poterconofcer '
perfettamente Ja natura,
e 'ic vii tu
de corpi naturali.
" ^'Pcr ojongere
al fine da
loro pi^tefo, ch'è
il perfettionarc i.
cor. con la
leparacione dei puro
dairimp'.:io,effcrcirano i Chimici
vari'., operationi, lequali tutte
fi poiTono ridurre
a Tei (òrti,che
fono le pri
" cipali.La prima
èVà CaUinatìone con
la quale i
corpnl riduco'io in
calce, onero in cenere .
La fecondali chiama
^olun'one^ con cui
' difsoluono nell'vmidoi corpi gii
calcinati.
La."terzaèla DiUiìLuo^ mediante
laquale fi purg3,e
fi rettifica l'vmido
già diffoluro, con.
di{i{ ""^ liarìo
vna o p]H
volte;. La quarta
vien detta Putrejaiuone^con'ìdi c.u\
10^ fi difpongono
icorpi,acciò facilmente fi
pofTano fcparare le
parti pure dairimpure,che fono
inei?ì mefcolatc. La
quinta chianiafi Suùli.
tnaticne, per mezzo
della qtjalc le
parti più fottìi i,
fpiritofe,c volatili fono
forzate a falire
in altoj acciò
in tal modo
fi feparino dalle
parti pili ftfse,
che rimangono nel
fondo del vafojda
cui fi fa
la fublinutione. La
lefta finalmente è
l'vnione delle parti
pure fpirìtofe, e
volatili con le parti
fimilmente puTe,ma fifse;
acciò tutte infieme
vnendofi fi coagulinoje
dìuenohinotìfse jonde vien
chiamata ConguUtione ^
«^ JFifsatione ', polche
in tal modo
le parti pure
feparate dall'impure, ancorché altre iìano
volatili, altre fifse
fi vnifcono però
infieme amicheuolmente,e fi
congiongonocon vnfiifoj& indiflblubile
legame, et all*hora
aquiftano virtù, merauigliofc, et efficaciflìme
ncll'operare j la
doue primOjtale efficacia
di operationiveniua impedita
dalle parti impure, nelle
quali ftauano come
imprigionate, e legate.
Nel che fi
deue auuertire (
come diffufamente difcorrerò
nell'Arto Maeftra, trattando
delliElerpenti, conforme la
Filofofia de Chimici)
che tutti li
mifti da quelVarte
fi fcoprono eifer
comporti di cinque»^
fjrti di foftanza
3 due forti
di foftanza impura,
cioè, del tutto
morta, e fenza
alcuna virtùjO proprietà
efficace all'operare^ e
credi follanza pura,
nelle quali è
pofta tutta la
forza, et virtuofa
efficacia propria diciafcunmifto; di
quefte due l'vna fi
chiama flemma,che è
quanto direvna foftanza
aqueafenzaaicnn' odore, o
fapore; l'altra fi
chiama capo morto,e terra
dannata, cioè, vna
foflanz,a terrea parimente
fenxa alcun fapore,efenza
alcuna virtù: Dell'altre
tré poi l'vria
fi chiama-. fale,&clj
fofìianza più fiiTa,cosi
detta perche refifte
ad ogni violenza
di fuoco,ne fi
diftiugge, ne vola,o
fuaniflfe per l'aria
j la feconda
vien detta oglio,oucro
folfo, perche a
fimilitudine di efiTi
è pingue,e vifcofa;
la terza chiamafi
fpirito, perche è
più di tutte
l'altre fpiritofa,e volatilej& ogni
benché minimo calore
la didìparebbe per
raria,fe non_. fofle
vnitacQnilfale,cheèIa parte fifìfa,
mediante foglio, che
perciò è. di
fua natura tenace,
e vifcido,atto a
legare il volatile
con il fido»
Quefte tre forti
di foftanza pura
fono quelle, che
con altri molti
nomi fi chiamano,
corpo,anima,fpi rito j amaro,
dolce, acido ifale,foIfo,
mercurio, &c.Et in efle
fole è pofta
tutta la virtù,&
efficacia delli minerali delli vegetabili, e
delli animali j con
tuttoché incialcun mifto
la_* quantità della
foftanza pura, in
paragone dell'impura, fia
meno— mifTìma. Ciò
fi vedrà manifeftamente fé
prenderemo afare,dirò cosi,vna_.
diligente anotomia di
alcun mifto,pereflempio delle
rofe. Prenderemo dunque gran
quantità di fofe
frefche, e fiorite,
colte nel leuar
del I07 del
fole, quando fono
anchor
ruggiadofc,cfubitopcfl:ate
in vnmortaj-o di
pietra, le metteremo in
vafiditerra vetriati, e
coprendole molto bène,
le Jafcieremo macerare,
e putrefare fin
tanto che uedremo,
e Tenti remo dall'odore
efferfi inacidite ;
il che farà
dopo dodici, o
quindici giornii Scacciò
meglio fi difpongano
alla fcparatione del
puro dall'impuro, ui aggiongeremo
da principio una
poca quantità di
fale, o cremore
di tartaro j
poiché quefto penetrando
incide, ediuide le
foftan^e eterogenee j onde
poi più facilmente
Tuna fifepara dall'altra
• Dopo queftaputrefattione prenderemo
una quintale fettima
parte dì dette
rofe,e pofteinuafodi uetrolediftillaremoa Bagno
maria, ouero 2
bagno uaporofo/l'aqua chenediftillerà la
rimetteremo fopra uil.
altra parte di
rofeC liferuando però
da parte le
già diftillate,nellt-* quali
rimane anchor l'oglio,
ed' il fale
) e quefte
dirtilieremo al medefimo
modo cauandone i'aqua
foprapollaui, et anche
di più quella,
che in fé
contengono : quale
di nuouo rimetteremo
fopra altre rofe, et in-.
tal modo hauercmo
tutta l'aqua rettificata,
e pura i
nella quale fi
contengono gli fpiriti, cioè
la parte più
fottile,e uolatilc :
che conuienc»/ feparare
dalla flemma, cioè
dalla foftanz.a aquea
in quefto modo:
metteremo tutta queft'aqua,o parte
di efia in
vn vafo di
vetro, cioè in-, vna
boccia con il
colio alto afl'ai,efpoftoui fopra
il fuo capello, con
il recipiente luteremo
benidimole gionture : poi a
fuoco Icogieriflimo di
cenere ne caucremogli
fpiriti,reltando la fléma
nel vafo,che come
m >teria più
grolla ed impura,non
potrà co poco
calore afcenderc tanc'alto.
Ma perche nuUadimeno
fempre afccnde buona
parte di flemma
più fottiÌe,c leggiera
perciò rettificarcmo il
già
diftillato,diftilIandolo,di nuouo in
vafo non men
alto del primo,
e con calore
più moderato, nel
modo che fi
fa conlofpiritodi vino,
pigliando folo quello,
che afcende più
facilmente, e ciò replicando
più volte; poiché
alla fine hiueremo
benfi vna piccola
parte di tutta
quella foftanz,a liquida,
ma clla^ ixrì
tutta fpiriti il
che fi conofcerà
non folo da
vn frag^rantiffimo odore,
che fpargerafi per
tutta vna ftanzacon
folo aprire iìvafo;
ma anche perche
auuicinatogli vn lume,
arderà tutta nel
modo, che fi
l'aqua vi?^ più
fina. Conferueremo dunque
quefta parte fpiritofa,,chepcrfefoìa ha
infinite virtù, j
e l'altra maggior
parte, eh* è
la flemn^a, la
gettarc-mo fopra le
rofe già diftillate,aggiongendoui anche
alcr'aqua rofa, ofl^-pa■
ma fimile per
cauar da cflè
rofe l'oglio ;
il che fi
farà diftillando a
fuoco di ccnerijcon calore
alquanto galiardo; poiché
in tal modo
difìillarà infieme con
la detta flemma
anche l'oglio, il
quale via via lì andrà
da fé fteflb
fcparando, e nuoterà
in cima alla
flemma in coloraureo,.
e bcnchcla quantità
di quefto faràpochiftìma, cioè
vn oncia incirca,
a poco Jo8
poco più per
ogni pefo di
rofe, et ynafola
quinta parte dello
rpirito ludetto, hauràperò
maggior virtù dello
fpirito medefimoje di
tutto il rimanente .
Si fepari dunque
; e fi
conferui l'oglio da
per fé, et anche
la flemma: poi
s'abbrugino le rofe
rcftate nel vafo, dalle
quali fi è
già cauato l'oglio,
e lo fpirito
j e ncil'abbrugiarle fé
gl'aggionga vn poco
di folfo ;
ridotte che faranno
in cenere, fé
le dia fuoco
gagliardo acciò diuenti
bianchinfima; Quella cenerefi
ponga in vafo
di vetro, o
di tew ra
ben vetriata, e
fé le metta
fopra la flemma
fudetta j poi
fi faccia bollire molto
bene, fin che la
flemma habbia cauato
dalle ceneri il
iale : All'hora
fi coli percartaemporetica,efimettaadiftiIlare,e fenecaui
la flemma: e
refterà il fale
puro nel fondo
del vafo :
le ceneri fi
calcinino di nuouoa fuoco
gagliardo di reuerbero,edi
nuouofìfaccino bollire con la
flemma : poiché
qucfl:a cauerà dell'altro
fale; e qucfta
operationefi replicherà più
volte, fin chele
ceneri rcftino del
tutto priue di
fale: cquefìefonola terra
dannata, cioè la
fofì:anxa terrea impura;
fi che farà
terminata tutta la
feparatione delle parti
pure fpirito, ogh'o,'
e fale, dalle
parti impure cioè
dalla flemma aquci,edcilla
terra dannata,© capo morto.
Ma fé il
fale non fofie
puriflìmo, per farlo
tale, fi folua
di nuouo nella
flemma,fi coli, e fi congeli
con farla euaporarc,
o difl:illare, e
quefta folutionc, e
congelatione fi replichi
più volte, et haueremo
vn fale purismo
in minor quantità
dell'oglio, ma di maggiore
virtù. Qdcilc tre
pure foftanze ciafcuna
da per fé
fono efficaci flliTie: ma
molto più fé
fi vniranno infieme,
formando vnà Quinta
elTenra, il che
fi fa in quefta maniera
:Pongafi il fale
puro in vn
vafo di vetro
col collo affai'
Jungo,epoftoa moderatiffimo calore
fé «li ponga
fopra vna parte
di oglio;continuifiil calore
con il vafobenchiufo,(ìno che
fia l'oglio perfettamente vnito al
fale, poi fi
aggionga vna altra
parte di oglio,
e fi continuiladecottione, ecofia
poco a poco
fin tanto, che
tutto i^ogiio fiafiben
incorporato,&abbracciatocon
il fale: all'hora
fi aggionga parte
dello fpirito, e
fi operi via
via lentamenre nel
medefimo modo che
fi è tenuto
con l'oglio j
poiché cofi quelle
tre foftanzc pure
del fale, ogiio, e
fpirito fi abbraccieranno infieme
con vn vincolo
indiflblubile talmente, che ninnartele
potrà più fepa rare, e germoglieranno da
fé medefime in
rofe benché chiufe
in uafi di
uetro, operando prodigi
in' medicina*,-.«..ì.jìì^ *.i- ^u>ì -ii.qoi Da
ciò fi vede
come la Chimica
rifoluai córpi'ne iìiòi
pirmi priti-' cipij,&
elementi,faccndone anatomia, in
ordirle a conofcere
le quialità '
poi che ciò
che fi è
detto delle rofe
vale di tutti
gl'alti-i vegetabili j
E anche delli
animali,c dclli minerali;
benché in quefti
fia più difficile
li feparatione della
materia pura dali*inipura,e fi
richiedcano diuerf«->^^ opc
ìo9 ope'rationi ;
delle quali diicorrcremo
altrouc ; e
fi vede parimente
ifi_. qualmodofi facciano
le vere quinte
eflen/.c, le quali
alerò non fono,
che vnafollanza pura
liberata da ogni
materia impura, e
che eflfendo prima
diuifii intrediucrfe fodanzc,
fi fapoivna fola
con vn vincolo
indifiblubiie di tutte
tré. Ma ricorniamo
alle opcrationi de
Chimici in ordine
alla tramutatione de
metalli j per le quali
innumerabili fono grinftrumenti, che.-»
adoprano tanto Vafi,
quanto Fornelli, eoa
i quali benché
facciano molte cofe
vtili alia Medicina
j in ordine
però alla Pietra
Filofofica_,, fé conofccflero
la vera ilrada
per la quale
imitando la natura
si de caminare,
lafciarebbero da parte
tante ftorEe,Iambichi, Vafi
circulatorij, oui FiÌofofifici,Vafi di
Ermete, forni d'Atanor,
forni otiofi, di fafione,
di r!uerbero,dicalcinatioae, di
digeftione, e che
so io 5
ne fi feruirebbero
di alcun fuoco
violento,con cui vanno
in fumo i
denari, e le
fperanze di nioiti,refi:andogli la
fola caligine nel
volto, e la
triftezza nell'animo d'hauer coni
mantici foffiato viadal
cruciuolo il mercurio, e
I*crodallaborfajmentre pazzi
credono alNume delle
bugiejeftimano che vn Dio de
ladri uà per
arricchirli. Ducpoifonoleihade perlcquali
procede la Chimica,
in ordin,; .a
òi n'incontro volendo
tramutare il piombo
in argento vino,
fi metterà il
piombo invnvafo di
terra, che non
fu vetriato, ma
molto ben lutato
; vi fi
mette lopra il
cape]lo,nella parte fuprema del
quale fia vn
piccolo forame, e
fcglVnifce vn gran
recipiente, in. cui fia
buona quantità di
aqua ; fi
colloca fopra vn
fornello à vento,e quando
dal fupremo forame
predetto incomincia ad
vfcire il fumo,fubito
fi chiude con
diligcnra,efiaccrefce il fuoco
potentemente j poiché in
tal modo il
piombo fi difilla
conuertito in argento
viuojmadavna libra di
piombo non fi
caua più di
quattro oncie d'argento,
viuo . . ^^^u
^.y, ^ ^ Ouero
piglia calce di
piombo, fatta come
fòpra con ilfale,o
falnìtro, gettala in
aqua bollente, fi
che la calce
deponga tutto il
falt-^j poi feccatafi
metta in aqua
di fale armoniaco
difloluto^ in cui
fia alquanto di
cake di fcorze
d'ouo, e chiufa
ogni cofa in
vafo di vctr©
fifepelifcafottoiJ fimo per
i^.giorni^e ritrouerafsi il
piombo mutato in argento
vino» :L^c?ì! ;
'-'-;' /^rr-y}} li
023!J.'": ., Ff
Tir. ^'"^ TRAMVTATIONE P
tD/ SitAgno in
aArgcnto, Rendafi vn
poco di ftagno
d'Inghilterra fino,e purgato,
fi chiuda invna palla
di creta tenace,
cioè, fi luti
tutto d'intorno la
ftagno con luto
fortiIIìmo,che non crepi
al fuoco. Poi
fi Hqucfaccia vna
buona quantità di
argento in vn
crogiuolo; all'hora fi
metta la palla
di cicta,ofia (lagno
lutato, e prima
ben caldo, acciò
non crcpi dentro
Targento; et acciò
fi fommerga nell'argentoliqucfatto,convn ferro
vi fi prema
dentro a poco
a poco, e
vi fi tenga
immerfo per meno
quarto d*hora incirca;
fi leui il
luto, e ritrouerafli
lo ftacrno mutato
in vero argento;
mafiauuerta,che quell'argento in
cui fu immcrfa
la palla refta
talmente infettato da
maligni vapori dello
fl:agno,che poi purgandolo,
e copellandoIo,fe ne
perde altre tanto,e
più di quello
che fi è
guadagnato; non rcfta
però che quefta
non fia vera
tramutatione, poiché non
fi può dire,
che lo ftagno
penetri per la creta
nell'argento, ne che l'argento
penetri ou' era
lo ftagnoj ma
il folo odore
dell'argento comunicato allo
ftagno penetrando lo muta
in argento,e l'argento
vicendeuolmente riceuendo i
va pori dello
ftagno refta infettato
da quelli; onde
chi ritrouaffcjil modo
di riparare quefto
danno con purgar
prima lo ftagno
da quelli alici
maligni, ò eoa
aggiongere all'argento alcuna
cofa,chc rcprimefse tali
vapori, hauerebbe vn
gran fegrcto. TRAMVTATIONE
r -1 .1
D*QAr gerito viua in
vero Argenta . •
.-t /-» o
P Rendafi del Minio,ouero
altra calce di
piombo; fi mcfcoli
con eflaCinabro,ouero argento
viuo,e Solfo, de
quali fi compone
ilCinabrojfi metta in
crogiuolo, e fé
gli dia fuoco
prima moderato, ma quando
comincia à fumare, e
volar via Targcnto
viuo con il
folfo,fe gli dia
fuoco potentiftìrao ;
reftarà confumato tutto
il folfo,eIa maggior
parte dell'argento viuo,reftando
nel crogiuolo il
piombo, il quale
fé fi metterà
alla copella, confumato
che fia, reftcrà
qualche parte di
argento, ma non
tanta che l'opera
fia compenfata dal
guadagno., % Quefta,&
altre fimili fperienzehò
prouate,& vedute con
gli occhi chi
miei, onde non
mi rimane alcun
dubbio intorno alla
poiTibilid della tramutatione
de metalli: Refta
ch'cflaminiamo vn altra
che fi ftiaia
tramutatione di ferro
in rame, TRAMVTATIONE
di ferro in
rame, SI prendano
laftre di ferro,
e fi pongano
in aqua vctriolata,
nella quale ftandoimmerfefi irruginifconojfirada quella
rugine,che farà poluerc
roifa,!! fonda in
vn crogiuolo, e
troueradì effer^-r rame
perfetto. Quindi fanno
il medefimo effetto
alcune aque ch^-»
naturalmente fono vetriolate,
perche paffano per
miniere di vetriolo;
come fono quelle
di vn fonte
non molto lontano
da Leiden, e
di vn altro appreflbilCaftclloSmolentzchi della
Mofcouia; Del quale
Giorgio Agricola Lik ^.
de natura foffìlium
dice quefte parole;
Expuieoextrahimr atjuay ^..,:..
'^i^^ì 'j^ai^m^ÙB cij^nz^ Aggiongo,
cheDio perla Prouidenw, che
ha' Ù^r^ìffi^m^.h\h:, mane
non deue facilmente.
pcirinecter.e,,;ch,qiOiQltia!qiii{yjn^,qtìe^*»>; art«,e
particolarmcnteiiPjenjci.pi
gfandija:ehfifi ^(geifltp^tefe^'ei cA't?à'a)^ter€Q!n a chi più
li
pia(;e,non'perme^9r>d0r;
pwomàhefifascci;atCQmune:.3:tmiolti ..
Aggioflgafijcbe-ai
cioreoftr., cQirre il
pericoloni Qhi, la
pofl[4edLe>fe
peraiiuemura fijrifapfta>«:diC(Hmalarla, .0
z^? i.nc::^'b "
• r Sì-ì
r ijii! '••^-Yir/.|
Hor per direalcuna
cofa del modo,chc
fiha à tenere
per aqui», ftarla
jfi de* auuertiie,anzi tenct
per fermo, ch'ella
tutti» cplìjQ/le ìa
(puerili due precetti, che. commuaemente danaoi
maeftn^ f^ j
InxHmfiat n/olatflii; ^
iterftm/VQlaitile fiat fìxum
: E voglioBKir
dire,. chr dall'oro
oéairargenta fi- Qawi la
femcnza, difsolueado l'oro,
o 1' e*.-: Gg
argen uà ar»cnco,che
fono corpi fifìfìjC
permanenti alfuòcov perilche
è aeceflario ch'cfib
meftruo,e liquore apra
i pori dell'oro, e
vi penetri dentro
amiche«olmente, feparando eflTa
foftanzi vmida dall'altre
parti pura, ed
illefa ; e
per confeguenia il
mef— iruojfe ha ad operare
in quello modo,conuienejchefiavna foftanza
tenuiffìma,acciò pofta entrare
peri fottiliftìmi pori dell'oro;
ed in oltre
congenca all'anima medefima
dell'Oro, acciò non
Toffenda,nela
diftrugga,maamicheuolmcnte,e
fimpaticamente penetrando fi vnifca
con elf3,e la
fepari dall'altre parti;
In tal modoqucfta
foftanza, che vnita
prima alle parti
impure reftaua fifia,
e pertinace al
fuoco, slegata da
efle diuenta volatile, et a
fuoco leggiero afcende,
ediftilla per il
Lambicco, come più
d'vna volta io
ftcfso ho vedut»
per ifperienza. E
quefto è il
far diuentar volatile
quello ch'era fifTo,
nel che ftimafi
efsere la maggiore
difficoltà di tutte
l'altre» talmente, che afserifcono
comunemente eftere più
difficile il diftruggere l'orOjche il
farlo,' poiché quando alcuno
habbia ri trouato
quello meftruo, e ridotto
l'oro in prima
materia, diftruggendolo coii_p
mantenere intatta lafua
anima, onero Temenza,
riefce facile l'adempire il
fecondo precetto, che confitte
in fifsare di
nuouo queft'ani ma> 119
ma, che di
fifsa è ftata
fatta volatile, il
che fi fa
in quefto modo.
Pigliali Oro finifsimo,
fi riduce in
calce, cioè, in poluere impalpabile rubicondifsima, ilchefi
fa in molti
modi, come diremo aitroue,
ma particolarmente diftillandoli
d'addofso più volte
Targento viuo prima
purgatifsimo » Sopra
quefta calce di
oro purifsima, fi
va mettendo a
poco a poco
la fopradetta anima,
ò fia fcmenra,
ò prima materia
di oro, tenendola
in vn calore
moderatifsimo dentro vn
vafo figillato ermeticamente
j quella imbibitioncjche chiamano
inceratione, fi dee continuare
fintanto che la
calce d'oro non
poffa più bere
altr'anima, il che
farà dopoché vna
parte ne hauerà
beuutecinque,piìì ò meno
conforme farà più
ò meno pura
j in quefto
modoqueiranima,ch'cra
volatile, vnita a poco a
poco con il
corpo fifsoanch'efsafivà fifsando,
ma fi de'auuertire
diligentemente d'inftillarla a
poco a poco,lafciando fifsare
la prima parte,
auanci che fi
aggionga l'altra ^altramente
in vece di
fifsarfi farebbe diuenrar"^ volatile
anche la parte
fifsa, cioè, la
calce fudetta j
cosi refta nutrita
l'infante come parlano
i Chimici, per poi
pigliar forze, e
coronarfi monarca di
tutti i metalli;
il che fa
mentre fi va
continuando, ^ accrefcendo
graduatamente il calore,
fin tanto,che la
materia diuentirubicondifsimacomc vn
rubino, s'ella è pietra
fatta con l'animi..
diOro,ouero candidifsima come
vna perla s'ella
e pietra fatta
eoa l'anima d'argento.
Et all'hora quefta
pietra non teme
più alcuna^* violenia
di fuoco, anz.i
da cfso piglia
maggior vigore, che
però la chiamano
Salamandra . Efscndochc dunque
in quefta pietra
cinque parti di
foftanza feminale purifsima
fono perfettamente vnite
ad vna foia
parte di Oro
puro, come cinque
anime in vn
fol corpo; ella_»
aquifta virtù di
moIti.p.'icarc,e produrre frutti
copiofi sì, che
vna fola parte
può tramutare cento, et anche
mille,e più parti
di altri Metalli
imperfecti j non
può già perù
tal virtù moltiplicatiua crefcereiiL-.
infinito, come afserifcono
communemente ; ma
della moltiplicatione della
Pietra in virtù,
ed in quantità
parlerò altroue. Refta
dunque folo di
ritrouare vn meftruo
proportionaro alla folutÌGne,e
riduttione dell'Oro in
prima materia, il
quale dico,che ■OH è
altro che vna
fcmenza dall'Oro medefimo
: cioè, vn
vmido radicale metallico
fottile,pefantc>e
pingjje, il quale
fi ritroua in
molti corpi metallici, ma
diftìcilc a fepararfi
puro, netto,cd intatto; ncll'argcmoviuofolamentefiha più
copiofo^e più puro
che in alcun'altro
corpo,cccetto che neiroro,e
ncH'argento medef{mo;onde chi
vuo-i le operare
più accertatamente, e
can,iinare per la;
vera ftrada,fton fi
ferua d'alcun'ahra cofa,chc del
mercurio,^ dell'oro ;
perciochc_-> quefti 0 2I
^uefti fono i
corpi più amie
abili, fi come
in Cielo; gx';*ì
and hr \nLi>'.terra; che
però vno s'accofta
volontieri all'altrOjC l'abbmcd.i*,.
«i^^fé Tinlìnua, come vedcfi per
ifperienza ; E
cioèsì
vcro,clie'altlitii'ra'
ifnperfcttej e nel
fu« prim/> ftifcere,cd
jnquéftéla Natura ha
beri si difpofta
la fetncnza, ma
non ha antera
-j^ per per
mexzo di efsa' maturato il
frutto ^ Perciò
non efìfendo ancora
quella fé menza,o prima
materia deiroro, ftrcttamente
legata all'aU tre
foftanze, con cui
formafi l'Oro perfetto,
e maturo ^ ci
fari facile dottenerla,eilraendola da
ogn'altrafothnza minerale Impura.
Non dirci quefto,
fc io mcdefimo
non hauedi hauuro
fortuna di hauerc
alqnanta di vna
fimile miniera, dalla
quale con noa
molto artifìcio fu
canata vna poca
quantità di certo
liquore aureo, che
era la vera
fcmenià di oro,
ma per non
cffer conofciuto, tutto
fu confumacocon g'^ttarlo
fopra vna quantità
di argenco vino
bollente, il quale tutto
fubito congcloflì, et accrefciuto
il fuoco,, refta*
l^ono cinque parti
di efìb perfettamente
fido, cioè» a
dire vna inciz' oncia
di quei liquore
fifsò, due oncie
e mezza di
argento,viuoj che fé
foffe flato n)aggiormentc
depurato, e poi
congionto come anima
al fuo corpo
proportionato, farebbefi con
eifo potuto formare la
vera Pietra j
ma fm hora
non ho mai
potuto ritrojuare altra
miniera fimilq a
quella, e perciò
atta a quefto
fi nc^ Ch'intende bene
quanto fm qui
(i è detto
non ha bifogjjo
d'sicro, ckedi elfer
fauorito dalla Diuina Prouidenza
si,che gli pei:aii:?:ta_,> ilritrouare
vnafimile miniera di
oro, ouero d'argento; ma
ricordili,! jehe quello è dono fiagolare
di Dio, che
fùole concedcFlo folo
a ^erfone di
retta intenciOne, acciò
non ne nafcano
que'difordini,fhe come fi è detto
kreUhcro co^jtcarij a
iiìoi.jleUaj4ia.PxQui--jdenza,
:)'>.-.-ìì-v'I
r-;--:-.:? •^: ;-:n?1
p-5n'i:n:c%i:» Retta che
per vltimo fi
rifponda alle obiettioniiche fogliono
fjrdcontro, la poflìbilità
della tramutationp,benchequì non
farebbe neceflfario hauendone
già vedutala manifefta
ifperienza. Dicono prr-i?. jìiieramcnte
con S. Tomafo
i.fent, di/ì.j.qua/i.^.art, i^SiC
i^e Pot.(j.6, artt I.
con Egidio in
^.^uod^ q,S, Auerroe
m prìmum ltl>r»m
de gin,amM,Si Auicenna
in Comm.Meiheor, che
Toro fatto per
artt-> chimica non
è vero oro
3 poiché la
vera forma dell'oro
non fi può»
introdurre nella materia
fé non per
mezzo del calore
Celcfte, e folare
; onde effcndo
il calore del
fooco, di cui
fi feruono i
Chimici molto diucrfo
da quello feguita,
che non pofla
ge-nerare vero Oro.
Al che rifpondo
primieramente, che il
calore del aoftro
fuoco jioaè infpecie
diuerfo da quello
del Sole,e delle
Stelle, eflendo-^ the
produce molti effetti
del lutto fimili,,
come moftrerò di— :
ftejfamcnte nell'Arte Maeftra,
e per confeguenza
può produrre ancor
Toro . Aggiongo, che
con i raggi
del Sole difcende
fino alla . l^oflra
terra vna puriffima
(oftanza Celefle,come; dirò
altroueyla,^ ^laqof Hh
quale 122 quale
fé alcuno ritroHcrà
modo di pefcarla
in quefto vafto
oceano dell* aria,c
ridurla in liquore
vifibilc, egli haucrà la
chiauc di tutti
i fegreri, e
farà quafididì padrone
della natura, che di
vna tal foftania
fi fcruc per
fare tutti gl'effetti
5 e mutationiche
noi vediamo marauigliofiin,, quefta
noftra baila terra.
*'^»j ^J ^
in fecondo luogo
oppongono con Egidio,c he
quelle cofe, le
quali fono perfette
in alcun genere,
hanno vna fola
determinata caufa della fua
generatione j l'oro
tra tutti i
metalli è perfetti
(Timo j dunque
io-. vniol modo
fi potrà generare,
cioè in quello
che adopera la
natura j donquc
non fi può
generare dall'arte. Rifpondo
che l'arte chimica
non fa che
Torojacui ella coopera,non
proceda da quella
caufa,c he dalla natura
gl'è ftata determinata,
parlando della caufa prodìma
ed immediata j
poiché quefta èia
fetenza dell'ore, la
quale opera naturalmente
anche quando Tarte
vi coopera; onde
il chimico altro
non fa che
cauarc dall'oro la femenza, et applicarla a
corpi proportionati, con i quali
vnita poffa render
il frutto mulciplicaiojin quel
modo, che l'agricoltore
non produce egli i frutti,ma
difpone,eprcparala terra,e la
fcmenia vncndoli in
modo, che fruttiBchino, TerjQ
oppongono che il
luogo della generatione
de metalli è
determinato in tal modo,chela
natura li produce
fempre nelle vifcerc-^
della terra, doue concorrono
tutù gì* influffi
celefti,come a centra
commune a tutti
j e per
confeguenia l'oro non
potrà generarfi fuori
delle vifcere della
terra, Rifpondo che
il luogo della
generatione dell*oro non è
tanto determinato, che non
(ì polla produrre
anche fuori della
terra, purché vi
fia materia difpofta,e
proportionata a riccuere
in fé la
la femenza dell'oro j(ofi> le
altre femenze di
erbe,o piante portate
fopra i tetti
delle cafe, pur
che ritrouino terreno,
o materia in
cui germogliare producono ifuoi fol
iti frutti. Quarto,
Dicono che l'arte
non può mutare
vna foftaniain vn
altra diuerfa in fpecic
: poiché il
far ciò appartiene
alla fola natura.
Rifpondono alcuni che
vn metallo non
è diuerfo in
fpec ie dairaltro:
ma benché fia
diuerfo,dico non cfler
l'arte che lo
tramuta, ma la
natura aiutata dall'arte j
poiché l'artefice altro
non fa che
applicare vna_j materia
all'altra, dalla quale
debita applicatione prouitne,
che vna foftanza
muti in feftefla
l'altra, a cui
fu congionta dall' artefice. Coiì
lafemenza dell'oro congionta
come conuiene al
mercurio, lo tramuta
in oro, in
quel modo, che
la femenza di
grano congionta alla
terra tramutala terra
medc^ma in grano
«Quindi fi dice,
che Tarte non
fa l'opere roperechc
fa la natura,
ma folo modifica
la natura medeflma,
dcterminandt)Ia ad operar?
più prefto,© più
tardi,in queflo,o in
quell'ai* tro modo
; come ucdefi
in molte arti,
e particolarmente in
quella dell* ineftare
un albero fopra
l'altro . ' epe
parimente quando dicono
non poterfi dall'artefice
far l'oro, per
non fapcr egli
la proportionedelli elementi
che lo compongano,
ne il temperamento
delle qualità, ne
gli ftrumenri, de
quali la natura
fi fcrue :
fi deue rifpondcre
non edere neceffario
il fa pere
tali cofe :
poiché fatte non opera
immediatamente gl'effetti, che
fono della natura,
ma fole» li
porge la materia,
1« quale fc
prima fia ftata
preparata, «_-> difpofta
dairarte, U natura
opera in efifa
più facilmentCo ed
in modo ftfaordjnariovsrr rs«Rv
pi Finalmente o,ppongoiio
alcuni che noi
non potiamo fa
pere fé l'oro
chimico fia vero
oro', con laverà forma
foftantialc dell'oro: poiché dicono
potrebbe cflere che
faflTero mutati folo
gl'accidenti, onde fQflcoroapparente.afìini^iO' >fl
^« Al che
rifpondo che nelle
cofe Bfichc non
fi può hauere
maggior ccrtewa che
quella che ci
danno concordemente tutti
i fenft, i
quali conofconoU foftanz,e
dalli foli accidenti
: onde quando
apparifcono tutti gl'accidenti
di vcfo eroj l'intelletto naturalmente
deue aflerfrc ch'egli
fia vero oro, quando
la fede diuina
non li diceflc
il contrario, Aggiongo
che loroficonofce più
intimamente che dalli
accidenti cfterni, facendofcne
varie proue,c faggi
che da Gebro
fi riducono a
noue, e fono
Tinfocarlo, l'eÀinguerlo, il
fonderlo j IVnirfi
ch'egli fa ali*argento
viuo, poiché il
vero oro fé
glVnifcc più facilmente
; il mcfcolarlo
con materie adurenti
: il porlo
fopra vapori acuti
; il metterlo
alla Due forti
di Medicamenti diftinguercmo
nell'Arte Maeftra,doue irattaremo
della Medicina ;
IVna è di
quelli i quali
operano per fimpatia
che hanno con
gl'vmori veneBci,che fparfi
per il corpo
cagionano le infermità, quefti
fono i Medicamenti
purganti, che tutti ihanao
del
vclenofo,anziènece(farioche
habbiano in fé
foftanra ve» nefica
per poter efser
purganti j Impercioche
per la fimpatia,
che hanno con
l'altra fimile foftanza
venefica fparfa per
il corpo infermo.ìa
rifuegliano, la muouono,e
la tirano a fé,
onde laNatuta del
corpo humano per
mezzj^ delia facoltà
efpulfiua fcaccia poi
dal corpo con il
Medicamento anche la
foftanza venefica, che cagionaua»»
l'infermità; cosi ilDiagridio,per eflervn
veleno, il quale
ha fimpacia con
Thumore venefico picuitofo,
prefo per Medicina
s'infinua^ Uiagneticamentc nella
pituita, e fi vnifce
con efia rifuegliandola_*, commouendola,& eccitandola, onde la
Natura fentendofi opprefla
da doppio remico
tumultuante, e minacciante
Teftintione del caler
naturale, quefto tutto fi
raccoglie, fi vnifce, e
refiftendo fa forza
al oemicoje lo
difcaccia da fc;
onde auuienejcheilDiagridio vfcendo
dal corpo tira
feco ancor l'iltro
veleno, a cui
fi era vnito
fimpaticamente. U aiedefimo
accade del Rcubarbaro
in lordine alla
flaua bile. bile,
deirTurbit, ElIeboro,&c. in
ordine all'altra bile,
e cosi di
tutti i Medicamenti
purganti, i quali non
purgano fen za contrailo
con la Natura,e
perciò fcmpre con
debilitamento delle fue
forze. L'altra forte
di Medicamenti è
di quelli, li
quali operano per
anriparia che hanno
con le qualità
venefiche, e maligni
vmorifp^rfi per il
corpo : Quefti
per confeguenza hanno
fimpana con la
Natur^^ humana,cioè,J dire
con il calore
naturale, e con
Tvoiido radicalt»ji; onde
vnendofi a quefti,&
accrefcendofì le loro
forzc,iì accendono CGntroiInemico,rinueftono, e lo
difca^ciano lontano dallarocca del cuore, et anche
del turca dal
corpo, che è
come la città,
di cui impadronito rentaua (orpendère
la fortezza del
cuore . Quindi
è, che_^ quefta
feconda forte al
Medicamenti purga da
maligni, e velenoii
vmori in affai
diuerfe maniere j^
poiché fc tali
m.aligni vn?ori, e velenofe
foftanze fono fpiritofe,e
fottili le purga
per i pori
fcaccìandoli dal cenrro
del cuore alla
circonferenza, talvolta per
infen{ibMc;_^
trafpiratione,e quando fono
più vmidi p
fudore;Sc poi fono
vmid!,fTia più grollì,
li fcaccìa,e purga
per orinale finalmente
fé fono groflì
e men vmidi
purgali per feceflo;
ladoue la prima
forte dì Medica^
iTienti purga Tempre
pelfeceffo,o per vomito,rare
volte per orina,
e mai per
fudcre, ne per
infenfibile tranfpiratione. Di qui nafce
ancora, che i primi
debilitano la Natura
perche li fono
contrari) 5 e
purgano con violenza,e con
fconcerto delli vmori,
e del naturale
temperamento; ladoue i fecondi
più tofto fortificano,
e corroborano U
Natura medefima,a cui
fono fimili, e
purgano foauemente, e
fcKzji rurbatione, particolarmente t^uando
operano per infenfibilejraBfpiratione, o
per fudore . Da
ciò che (ì
è accennato,e fi
dimoftrarà diffufamente a fuo luo^o,
ognVn vede quanto
piìì ficuri,e gioueuoH
fiano i fecondi
Medicamenti, che i primi
; nulladimeno perche
i primi fono
più facili arirrouarfi,e
no richiedono certe
particolari preparationi,e perche
operano potentemente ; perciò
fono più in
vfo de gl'altri
; non operò,
che non fi
debbano più tofto
adoperare i fecondi
j! poiché quefti fé
noii danno tanta
virtù alla Natura,
che bafìi per
difcacciare dai corpo
Tvmor vitiofo, almeno
non offendono la
Natura medefima ^
e replicaci più volte
finalmente a poco a poco
confumano affatto il
nemico. Ma quello
che quifideue auuertire,
e perii che
ho prcmeffo quello
difcorfo,è, che la
prima forte di
Medicamenti velenofi, ò
fiano catartici,©
diurerici,o vomitorij, non
poffono mai effere
Vniuerfali sì^, che
fiano applicabili ad
ogni forre d'infermità;
poiché purgano folo
da quel veleno
particolare, con cui
ciafcun d'cfli ha
fimpatìa^ma ai^ I
i l'in l'incontro
gl'altri Medicamenti, i
quali fono congcnei
al c«loi naturale, ed
vmido radicale, fono
vniuerfali, e curano
ogni malaria j
percirche altro non
fanno, che accrefcere
leforie abbattute, e
rinuigorirle, acciò la
Natura medefima pofla
fcacciare da fé
ogni forte di
vmori a lei
pcrnitiofi. Di tal
forte fono gl'elixiti,
i magifteri di
perle, o di
coralli, i giulebbi
gemmati, i Bezuari
j ma benché
qucfìi in alcune
forti d'infermità facciano
alcun buon'effetto, pur
e he fiano
fatti con quell'artejchc fi ricerca, nulladimenovedefi per
ifperienza, chelo più
delle volte no
hanno virtù fofficiente
di efterminare l'vmore
morbifii-o^chc però 1
Medici ricorrono alle
medicine purganti, che
hanno del veleno^
perche non hinno
cognitione di altro
medicamento, che operi
cfficscementc,e fia infieme
congeneo alla Natura,
onde iìa liberata dal
male,fenxareftare debilitata dal
medica mento,an?LÌ fenia pericolo
di reftarne opprefla,
Per tanto io
pretendo di palefare
qui vno fimile
Medicamento, il qualeperche,comcfi è
detto, operando con
dar forze alla
Natura, e convna Virtù
Balfamìca contraria ad
ogni forte di
qualità venefica, o
morbifica riefce vciliflìmo
in ogni genere
d'mfermitàjperciò le diedi
nome di Panacea,
che vale quanto
dire Medicamento Vniucrrfale,
il quale fi
prepara in queftomodo^
Si prende Salnitro
ottimo, e ben raffinato^
fi mette in
vn Vafo di
ferro a liquefare
lentamente al fUoco
; dopo, che
farà liquefatto, fi piglia carbone
di legna dolce
peftato minutamente, e
fé ne-» getta
fop-a vna poca
quantità, il quale
fubito arde, e
fi confuma, all'hora
fé ne mette
vn altro poco,
e dopo quefto
dell altro, fin
che a poco
a poco il
Salnitro fi fifsi,fi
fa di colore
alquanto verde, bc
il carbone non fi
folleua più a
modo di fiamma,
come faceua per
auanti: All'hora fig.'tta
ji Salnitro fufo
entro ad vn
mortaro di pietra_«,
che fia calda,
acciò non crepi
j raffreddato che
fia refterà bianco
come pietra alabafl:rma,e
fragile come vetro,
fubito fi pefb3,e
la_. poluere fi
diftende fopra laftre
di vetro,© piatti
di maiolica, li quali
fi tengono efpofl:iairaria,m?^ in.
luogo doue non
gli pofla cader
lopra ne picggia,
ne ru^giada,ne fi«no
battuti dal Solej
deuono collocarfi alquanto
inclinati, e pendenti, e
fotto fi dee
mettere vnvafo per
raccoglierne il liquore,
che vi caderà
dentro j poiché
dopo alcuni giorni attraendo
il Salnitro gran
quantità di aria
firifoluerà in_. Ogìio,
e per longo
tempo fempre andcrà
gocciando in liquort^
; che fé
incontrerà in ilagione
opportuna, farà talvolta
fei,& otto volte
più in quantità, e
pefo di quello,
che. fofTe il
Salnitro medefimo .
Queft' C^eft*^Oglio,e liquore
di Nitro è
vn mezzo efficaci/lìmo
per eftrarre potentemente,
e con marauiglia
ogni elìcnìa da
tutte le forti
di miftij particolarmente fc
farà rettificato, e
ridotto a maggior
perfetcione nel modo,
che dirò altroue
. Intanto prendaci
quattro, o cinque
parti di eiTa,
ed vna parte
di antimonio del
più perfctto,cioè, di
auello che è
più vicino alla
miniera di oro,
nella quale egli
fuol gè* nerarfijeiiconofcedal colore,
che in qualche
parte rofleggiajfi ponevano m
vna boccia grande
di vcEro,the refti
vuota almeno due
terzi, e rantimonio
fia macinato fotti lmente,cd il
vafo chiufo per
modo, che non
rcfpiri: lì tenga
iodigeftione a calore
moderato,come farebbe a quello
della fiamma di
vna lucerna, fin
tanto che il
liquor.; del Nitro,che
fopra nuota all'antimoniojfia colorito
in color di
oro acccfo, o
di rubino :
all'hora fi vuoti
fuori del vafo
il liquore, fi
coli per carta
cmporctica.e fi metta
in vn altra
boccia co collo
lungojvi fi metta
fopra
altret3ntaaquavica,chefiafini(fima,c
lenza f lemma, relUnJo la
maggior parte del
Vafo vuota, e fia
ben chiufaj fi
tenga per alcuni
giorni iadigeftionc a moderato
calore,finchc l'aquavita tiri
afe tutta la
tmtura, ed efscza
d€irantimonio,peroc he refterà
il liquore del
Nitro nel fondo
bianco,echiaro,e tutta la
tintura rcfterà vnita
all'aquavita, che fempre galleggia fopral'oglio
diNitro;fi decanti dunquc,e
fi fepan l'aquavita
daU'ogliof'ilquale è buono
come prima per
reiterare la medefima opcratione
) e la
detta aquavita fi
ponga in vn
Lambicco, e fi diitilli
foauemente, finche ne
rimanga folo vna_.
fluinca parte incirca,
nel Vafo inficme
con la tintura, et eflenza
dell'antimonio; Overo fi
caui tutta l'Aquavita,
fino che rimanga la
fola foftanza, dell'antimonio a
modo di fale
fufibile.^. Quella è la noilra
Panacea di marauigliofa
Virtù per ogni
forte d'inférmità,dellaqu.ilc
fé è reftata
in liquore fé
ne pongano cinque, ofei
goccie in liquore
proportionato alla malatia,o
vero itL* brodo,©
Vino } ma fé
fi è ridotta
in foftanza confiftente,comc fi è detto,
fé ne pongono
trc,quattro,o cinque granijconforme al
bifogno; auuertendQ, che l'alterar
la dofe,& accrefcerU
molto più non
può cagionar dapno,anzi
è neceflario quando
il male è
pertinace 3 poiché in
tal cafo fi
replica più volte
pigliandone femprc maggior
dofe tre volte,
o quattro alla
Settimana; ma nelle
infermità ordinarie dopo due,
tre; o quattro
prefe gì* infermi
fogliono guarire j
ed in quefto
modo io ho
veduto rifanare moltiffime
pcrfone, che hanno
prefo quefto Medicamento, da ogni
forte di malaria,
particolarmente da cjuelle
che erano più
inuccchiate, e più
difficili a curarfi,
come dalla febre
cuartana, del morbo
Gal ii8 Gallico
daJIa febre Etica,
dairHid»opifia,e {imill :
-iNfe foie gioua
per i n-;ali
intcrnuma anche per
gl'efterni applicato a
modo cii Baiamo lite vlccri,cancrenc,ferite,e limili.
E paiimente'vtile alli
diffttii della Vifta,
alla {ordità,e fimilr,rpa
ottimo' riefce per
lineai caduco,e per
ogni infermità, ed
indirpofitiór.e del capò,
e dello ftomaeo, poiché qiitllo
viene mirabilmente confortato, e
quefto corroborato a bea
d'gcrire. Ma peTì,che
la feconda differenza
(la maggiore della
prima di due vnità,e
fnnilmente la terza
della fecondale, come
fi vede nelle
pofte differenze i.
5. 5, 7.
&c. La terza
proprietà nafce dalla
feconda, et è,
che duplicandofi la^
radice quadra di
alcun numero quadrato, et al
numero prodotto a^
giongendq vna vnit3,(;
ha la differenza
tra cffo numero
quadrato, e l'altro proffimo maggiore; onde
tal differenza aggionta
al quadrato minore
ci dà il
quadrato maggiore, così la
radice del numero
quadrato 4. che è
2. duplicata,& aggionta
vna vnità fi
ha la differenza 5.
che aggionta al 4.
ci dà
il quadrato 9.
proflìmo maggiore. Alfincontro,
fé duplicaremo la
radice di alcun
numero quadrato, e^ dal
prodotto leuaremo vna
vnità haueremo la
differenza tra effoqua^
drato, e Taltro
proffimo minore. Ir,
quale detratta dal
quadrato maggiore haueremo nelrefiduo
il quadiato proflìmo
minore j cosi
duplicata la radice 5,
del quadrato 9.
haueremo 6, da
cuileuata vna^ vniti
refterà 5. cioè,
la differenza tra
p. e 1* altro
quadrato minore 4. i:f
La quarta proprietà
nafce dalla precedente,& è,
che fé noi
diuideremo la differenza
tra due numeri
quadrati proflìmi (
la quale come
fi è detto
è fempre vn
numero imparo )
haueremo due numeri
l'vno maggiore dell'altro
vna fola vnità
j Qi il maggiore farà
la radice del
qua quadrato maggiore,
fi come il
minore è la
radice del quadrato
n^inore;ccsì la differenza
tra 4. e
p. che è
5. diuifa ci
dà a. e
j.che^ fono le
radici di 4.6
di p. Porto
quello fi proponga
vn numero,di cui
fi cerca la
radice qua-" dra
; quale per
ritrouare fuppongo,che ci^
fiano note alcune
radici di numeri
perfettamente quadrati facili fiì me. Per
cagion' di efcmpio
oon'vno sa che
ice radice di
100. che lo.eradicedi 4oa.che
30. e radice
di 900. e
40. e radice
di 1 600. &c.
Sia dunque propeso
il numero 531.
di cui cercsfi
la radice quadra.
Prendafi vn numero
quadratodtili già noti,il
quale fia minore
del numero propofto
525. e quefto
fia per efcmpio
400. di cui
fappiamojche la radice
è 20. La differenza tra
il quadrato 400. et il
profifìmo maggiore per le cofe
fopradettefarà 4T.cioè,il comporto
della radice ventÌ5del
numero quadrato 400.6 della
radice 21. del
numero quadrato proffimo maggiore; qucfì:a differenza
4i.fi aggionga al
quadrato 400. 6^
hauerem.o 441. Di
nuouo la differenza,tra44i.dicuila radice
e it. et il
quadrato fcguente,di cui la radice
e 22. farà
45. quefta aggionta
al quadrato 44i.haucrcmo
484. fimilmente ladifterenza
tra 484. &il
quadrato feguente farà 4 5.
eioè5maggiore diievnità della precedente, la
quale aqgionta a
484. haucrenio 5
29. che farà
il numero quadrata
proffimo minore del
numero propofto 552.
la dicui radice
e 25. detratti
dunque 529. da
552.reftarà j.con cui
fi forma il
rottOjeffcn^ dochc il
numero propofto non
è quadrato perfetto.
Ma più facilmente
faremo Toperatione in
quefto modo.Ritrouaca la
differenza tra il
numero quadrato prefo
4oo.eraltro proffimo magoiore,
quale fappiamo edere
4 1 . quefta fcriueremo
a parte,e fottodi
effa l'altre differenze
per Oidinevna maggiore
dell'altra di duevnita>
comevcdefi nell'efempio qui
porto; dopo aggiongercmo
la prima-. differenza,cheè 4T.
al quadrato 400,3!
prodotto 44i.aggiongeie« rno
l'altra differenza 43.6
cosi feguiteremo fin
che haueremovn numero prolTìmo minore
al numero propofto
5 31. poiché
l'vlcima differenza aggionta indicata
da l'altro lato
la radice d^l
numero che fi
^er ca. ai.
41. c^on .^
.i/ aa. 43.
-:Sion 23. 45.
24. 47. a
M ^« ^-k
«if ■•* r^*?
?* *t ncj
Radici Differenze. i
omb 6 lì
532. Quadrato. •
\> aioi^'^^x.fn 23.
Radice. in Il
fimilefi può fare
per mcizo della
fottrattionc j poiché
fé noi doyeremo
ritrouarc la radice
del numcso 2 8p.
potremo pigliare vn
numero quadrato maggiore delli
già noti con
la fua radice
j per cflempio
rifteflb quadrato 400.
Il cui radice
nota è zo.
e la differenza
tri elfo, et il
quadratoproffimo minore perle
cofe già dettefarl
^9. qaefta fottrattada4oo. rcftarà
5 5 i.di
nuouo la differenza
tra 551. la cui radice
è 15).& il
quadrato proflìmo minore,il
cui quadrato è
185. farà 57»^a
quale leuatada $6
c.reflerà 514. fimilmente da
queflo Iellata l'altra differenza
55» refleràil quadrato
289. onde lafua
radice farà 17.
Operifì dunque nel
modo che fièdettodifopra,fcriuendo le
radici minori, e
minori lotto il
quadrato prefo 400.
ed in vece
di aggiongerìc fi
fottraggano, cerne fi
vede nelfelTempio qui
pofto. zo 400 18
37 17 35
Radici Differenze Quadrato iSp.
Sua radice 17.
Conquefta operatione farà
facilismo ilritrouare la
radice di qua!
fi voglia numero
i poiché potremo
prendere qualfivoglia altro
numero quadrato, di cui
fia nota la
radice, et il quale fia
non molto maggiore, ne
molto minore del
numero propofto: fé
è minore, fi
opererà con la prima regola
della fomma 5 fé è
maggiore, fi opererà
con la feconda
della fottrattione : onde non
farà mai difficile
il ritrouare facilmente
vn numero quadrato
vicino al propofto,
che ci ferua
di ftrada per
arriuare alla radice,
che fi cerca
;fchifando con ciò
tutte le operationi
laboriofe, e difficili delle
diuifioni, e multiplicationi, che
fi fogliono adoperare nel
modo ordinario di
cauarcla radice quadra.
Eperhaucrevn numero proflìmo
maggiore, o minore
a quello di
cui fi cerca
la radice, auuertafi
di pigliare vn
numero quadrato, la
cui radice habbia
tanti caratteri, quanti
fono i punti
che fi notarebbero
fotto al numero,di
cui fi cerca
la radice, fé
haueflìmo a cauar
da elfo la
radice nella forma
^ ©r . •^.-^ »K
c-T'lTI'irr.llr'.K T
/•1*i,-'^i-J ?r^-:v:'r? r^,r.
n^ t^ir.'ir.t. rrn,
..A 1 I 1
« ftoric, ma ancora
delle fauolc de
buoni poeti, e dalla
lettura di cjucfti
apprenderà ràrte dell'ili iienta fé, è rìcììipirSBt-nìèlite^'Bclli fidile imagini,gualifi sformerà
di ritrarre con
il pcneMondta tcIa,inaàBl
ìnoJo che «tllèdercrittioni poetiche
vendono defcrirte.co* veri!,,
'n^ >-. ., Determinata
che lara la
materia, o da ltorica,otauo]>jl.-,o vera,
o ideale, deuefihauer riguardo
a||a rnaititu(i?ne de
C'l>rpi*»difp|nendoH in modo
che non partorifcanò
confw(ìonc"j perciò Benché
non i\ pofla
ptefwiucr numero jlei^f^fìiinatòcfijcf^i
fi^é|iojjq^ej|) ttìtci; rp£pi imerc in
trodotalc, che fi
vedano i loro
propri] attef^giamcnti, difetti, fcorci, p::fi'
yrcyondcnop
^Ìirtorirc'arioè0nftiflone,r'cihjndo
l'vno ih gran
parte n^(tipft^ di^trQ,4Jrakro, renìachei'occhti^po(ra diTcemere
ciò che fi
faccia i In
qùèrifriódo dunque, che
in vnh tragedia
fi difpongono i
perfonaggithcefconOin
fcenatfóh tal ordine,
che dalla molntudine.^
non nafcala confufione,
così nel quadro
non deuonfi rapprcfentarc
li personaggi m
guifi^t^le,-pheiVnQ-|olga
all'occhio il poter
godere dell* altro
5 poiché cagiona
noia il vedere
ififcena vn perfonjggio,
cht_j pereflercon la
moltitudine corfufo, non
potiamo bendikerncrc ciò
eh* egli operi.
>Jcl che deucfiauuer^rr^di più,
chetici teatro non
fi proibisce i!
molto numero delli
attori, ancore he
reftino ;ifFolIatri, e
ftretti, purché vi fi
veda vnitàin modo,
che fé benerattioni,
i moti, e
gràffetticficiakuhofonodiuerfi,
tutti però fia no
drdmati ad vn
fatto {"olo:onde nel
medefinio modo, ancorché
nell'ampiezza del quadro
fi contenga gran molticudine di
perf(/n?,& altri oggetti, dciionfi però
tutti difporre in
modo,che habbino vnione nella diucrfìtà delle parti;
flc deuonfimai fopra
vn medefinao quadro
rapprc^fentarc arcioni difparatejfenEachelVnahabbia rclaticneconl'altra. Ma
li come la
tnufica tanto più
diletta l'vdito, quanto
più varie fono le vocijcrintrecciamento delle
difl'onanze con le
confonanzc,purche dalle proportionidcH'vnecon Tjlrre, nafca
l'vnionedi tuttc,e l'armonia: e
rt-ì nella piiiura, tanto più
l'occhione gode, quanto più
differenti fono i volti,
gl'atteggiamenti, e gl'affetti
delle perfonc, purché
tanta diucrfità riceua
vnione,concorendo a rapprefentare
vn fol fatto.
Pertantofideue porre gran
ftudioindare
vnioneall'attione
rapprefentata',congiongendo con
l'unità di'quefta la
uarieià de gli
affjtti, de gli
atteggiamenti, delle pofiture
de' fcorci, e
fopra tutto delle
fifonomiede'uolti; nelche fi
ritroua molta difficoltà
j poiché ogni
pittore inclina naturalmente
ad efprimere'nelli perfonaggi
quelleiìfonomie, che ha
più imprcffe nell'imaginationc, onde
è ftatoofferuato che
i uolti pittorefchi
tengono fempre molto
della fifonomia ^1
padre,della madrej o d'altra
perfona più amata, e più
frequentemente ueduta dal pittore
;e rari fono
que* quadri ne
quali rapprefentandofi molte
hic« eie, l'vna
non habbia la
fifonomiafimile all'altra. Quindi
è degno di
molta lode il
famofifìRmoRafaellOjche in tante
opere ch'egli fecs»*
difficilmente fi ritrouerà
vn volto che
fia fimile ad
vn altro j
per lo che
giouerà tra la
moltitudine della gente,
andar ricercando nuoneSfono mie di
volti, riponendoli nell'erario
della imaginatione per
ilrui rfene airoccafione,e cofi
sfuggire la fomiglianz,a
nelle fue opere
j ma molto
più il fapere
alterare le parti
che compungono il
volto humanojpoiche dal
variarne vna fola
il tutto prende
vna differente fìfonomia.
Mi piace in
oltre ciò che
hanno vfato di
fare lodeuolmentc i
maeitridi queft'arte, per
dar vaghezza alle
loro opere con
la varietà, di
framefcolare con i
perfonaggi humani altri
oggetti confjceuoii alla
ftoria,o fauola chefi
rapprefenta,come animali, piante,f.ibrichedifegnate in
buona profpettiua, lontananze
di paefi, e
cofe fimili, come
PaolodaVerona,DanieI da Volterra,
Raffaello, e tutti li
buoni, auucrtendo però
che non tutte
queftc cofefidouranno accopiare
sempre in vna
mcdefima ftoria,ma quelle
sole che à
tale ftoria fi
conuengono ^ per
non incorrere nella
riprenfione del poeta,
fatta a coloro
i quali perche
sanno esprimer bene
alcuna cosa particolare,
quefta in ogni
luogo, e fuori d'ogni
occafione esprimer vogliono,
Fortalfe cupreffum Scis
[ìmulare, . ., Aquefto medefimo
fine di cagionare
diletto con la
varietà, et anche acciò
il pittore dia
faggio di molto
fapere con vn
fol quadro, doiirà
' procurare, che
alcuni de'perfonaggi dipinti
(lano con vaghi, e
naturali panneggiamenti coperti, altri m.oftrinonuda
la fchiena, altri il
petto, chi le
braccia, e chi
le gambe,ricordandofi però
fempredinon offendere
gl'occhi pudichi con
nudità difdiceuolirfimilmente alcuni
volti faranno dipinti
in profilo sì,
che lì fcorga
folola metà, altri colloche-.
ranno piegati alquanto,
al tri chini,
altri folleuati al
cielo : hauendo
in ognicofa riguardo
alla naturalezza del
fatto, et alla
verità delJ:a_, ftoria,
a cui non
fi deue pregiudicare
per accrcfcere la
varietà, coa-=. giongendo
inficme cole difparate,e
perfonaggi vifluti in
tempi diucrfi: come
fanno alcuni che
dipingono il Serafico
d'AìTìfi {opra.* il
monte caluaiio prefente
alla croccfiffìone de'
noilro Saluatore 5
allegando p fua
difcolpa quel detto
trito,nìa da cfiì
mal intcfo diOratio,
Viiiori'tus atijiie poetis
^idlihet auiiendi femper
fu,it aqua p^oie/ias.
Lodo in oltre
che i pittori
imitino li poeti
nelle loro iperboli,
e poe^. tici
ingrandimenti 3 il
che potranno fare
conia fimilitudine,eparago M m ne, '3«
fic,ouerd conil oontrapofto,come appuntoperlopiufogHono fare
ì ppcti: per
cagione di efempio
(e tu vorrai
far comparire vn
huoniQ nano con
la fimilitudine, lo
dipingerai in età
virile, con la
barba, c^ membra
grofle:& apprefso di
elio dipingerai vn
paggio,0 altro unciullo
in età di
fette, onero otto
anni, con le
membra fottili,e delicate,
il quale ecceda
più torto che
manchi dell'altezza del
nanojo pure potrai poruialato vn
cane che lagnagli
in grandezza, o
cofe iìmili: et infieme
lo potrai far
comparir nano per
mezzo del contrapolìo,
collocandoui vicini altri
huomìni, i quali
egli con la
mano non gionga
a toccarli la
cintata 5 Per
quefto contrapofto iperbolico
fu lodato Timan|te,il
qualedipingendovn ciclope, che
dormiua in vn
picciol quadro, vi fece
apprcifo alcuni fatiti,
li quali abbracciauano
il dito groflb
dell* adormentdto,con jlqual
contrapofto, benché la
figura del ciclope
fof-^ feriftretta inanguftatela,compariua nulkdimeno
grandiffima,' cos^ |a
bckàdivna donzella, (piccherà
maggiore vicino alla
deformità di vn
fatiro, ed il
candore di vn
volto europeo, poftp
al confronto di
vn etiope j
poiché il grande,
ed ii piccolo,
il chiaro, e
l'ofcuro, con tutti
li ^Itri accidenti,
coniparifcono più, 0
meno dal confronto,
e paragone^ ondeaffcrifconoifilofofijche feilcielo,
le delle, la
terra, le piante,
gì* anirnali, egl'huomini
con tutte le
altre cofe che
fono nel mondo, fi
fa-? ^e|Irro molto
maggiori, 0 minori,
conferuando la medefima
propor» ^jonc, che
hanno al prefente,non
comparirebbero ne più
grandi 5 ne-»
più piccole di
quello, che hora
fono. Deue dunque
il diligente Pittore
hauer fempre l'occhio
al paragone, e
proportione de gli
oggetti, che dipinge
non folo per
di-' lettarecon gl'ingrandimenti iperbolici,
come fi èdctto:
ma anche per
non incorrere in
quegli errori, che
molti commettono, mentre
dipin» gono vicini
a'ie c?fe, o
torri huomini,ocaualii che
in altezza le
medefime torri, o gl'alberi
vicini formontanoro almeno
tanto grandi che
per la porta
di dette ca fé
entrar non potrebbero,
Habbiafi per tanto
riguardo alla proportione, et ordine
delle cofe, et anche
alla diftanza, che
ii fingono haucre
tra di loro ; poiché
fé noi fingeremo
con la pittura una
montagna in lontananza,
potrerno fopra il
medefimo quadro far
un cane maggiore
di ella montagna,
nel che deucfi
auuertire di non
paflare immediatamente da
un eftremo di
uicinanza, alf altro
eftremo di lontananza, ma piutoftofidcuono dipingere
altre cole di
mezzo, acciò fi veda
una degradationedi molte
parti, dalla quale
rifulta quel diletteuole
inganno, di far
creder lontane le
cof^-* uicine. Habbiafi
fommo riguardo all'imitatione decoftumi,& alla
natura-? lezza 139
lezza delle perfoncjche
nella ftoria fi
rapprefentano: dando a
ciafcuna quelle membra, quelle veftimenta, quelle attieni, et afFc'tti
che gli fono
conucneuoli ; poiché
farebbe grande errore
chi veftiflc Marte
con gonna feminile,eGaninniede diruido
faioj o pure
fé fi deffero
a Rachele le
mani di villano,
con le guancie
crefpe di rughe, et a
Sanfone le braccia,
e fianchi deboli
i come anche
fé rapprefentaflìmo Salo^
mone a giuocar
tra fanciulli ;
e poneflìmo nelle
mani di Golia
la cetra del
paftorelloDauide:difdiceuole
farebbe il vedere
Nerone con manfueto
afpetto, e con
volto modello, o
vero il Pio
Coftantino con la-,
crudeltà di Mafcntio
su la faccia
: e non
poiTo non biafìmar
quei pittori, i quali
dipingono la Beatiflìma
Vergine a pie
della croce,totalmente abbandonata
perii dolore,e qua
fi che disperata
; douendofi efpri—
mere in lei
vn dolore grande
si,ma coftante,e diuoto^quaKc
la_ mo alprefente^è
tanto alto, quanto
è la diftanza deireftremità
dcll*:^ due detipiu
lujighiiftendendole braccia, eie
mani quanto più
fiupor*fibile; al qual
fpatio parimente è
vguale anche la
diftanza..dci& due piedi,
slargandoli quanto più
fi può l'vno
dall'altro. -ìir;':) '' Secondo, fc
alcun huomo slargerà
le braccia, ed infieme
i piedi quanto
fia poflìbile i
n modo, che
fi formi come
vna croce, IVrabclico
fata il centro
di tal croce,
fi che poftovn piede
del compaifo ncll'vmbelico,e tirando vn circolo paflcrà
per l'eflrcmità tanto
delle mani quanto
de* piedi j
e tirando quattrolince
rette le quali
congionghinoj l'eftremità de'piedi,
e delle mani
fi formerà nel
detto e irculovn perfetto quadrato. ]
« »..». :Il volto
è vguale di
lunghezza a tutta
la mano, cioè,al!a_,
diltanza della giontura della
mano con il
braccio, fino all'eftre
nid del dito
più lungo; e
fimilnienre alla profondità, che dal
ventre fi llende
fino alla fchiena
. queft'ifteflfi lunghezza
del volto, o
d^lli,. mano è
vna decima parte,o
come altri vogliono
alquanto più de!!
i nona parte
di tutta l'altezza
del corpo: la
quale nelli iiuomini
Jì mezzana ftatura
fuoleflere di trebraccia,o
di cinque piedij
e mcii», o pure
(che è l'ifteffo
di (J6, pollici. .'.biji^aoìsr Quarto, Il
deto pollice, la lunghezza dellorecchio,'raIt?7.za della
fronte, la lunghezza
del nafo, e
la dilUnza dal
nafo daljmccicojii fono
tutte trajfe vguali :
quindi è,che nel
difcgnare vn volto
dividiamo la fua altezza
in tre^parti vguali;
La prima dall'infiina
f:«^d. ce de' capelli
fino alla fommità
del nafo ;
La feconda dalla
fomn^iti. del nafo
fino all'infima parte
di efib; La
terza da qucfta
infima par4 te
fino aireftremità del
mento; facendo poi
le orecchie dirimpetto al
nafo,cd vguali ad
elfo in lunghezza.
evinto, Se fi
piglia tutta la
tefia dal mento
fino alla fommità
dei capo, quefl:a
è l'ottaua parte
di tutto il
corpo; e quefta
parimente èli doppio
della diftanza^che è
tra vn'angolo] dell'occhio airalcro,
dico de gli
angoli efteriori . Sefì:0j
La lunghezza dell'occhio
è vguale allo
fpatio, che è
tra vn occhiOje
l'altro : fi
che la diftanza
delli angoli efteriori
de gli occhi
iì diuide ^44
diuidein tre parti
vguali,due de gli
ccchi,& vna tramezzoad
c{Tì;e, tutta
queftadiftanza è il doppio del
nafo, i'ifìeira lunghezza
dell'oc-. chio vogliono chefiavguale
alla bocca; ma
in realtà non
ho ancora^* ritrouato alcuno
che habbia la
bocca fi piccola.
Settimo, il foro
della narice è
la quarta parte
della lun ghciza
dell'occhio. Ottauo,dalla forcella
fupcrjore del petto
fino alla radice
de'capclli,o fommità della fronte, vi
è diftanza vgUale al
cubito, et alla hrgherti..f;t Finalmente,
riducendo a numeri
quelle prohoVlioni, daremo rilla_.
faccia parti i8,tra
li due angoli
efteriori dclli occhi
parti 12. La
kmghezza del nafo
parti 6. la
lunghezza dell'orecchio parti
6. dalle radici
de'capelli alnafocioè al mezzodelle
ciglia parti 6. Dal fcttonaio
al mento parti
6. il pollice
parti 6. La
lunghezza della bocca
parti 4. Dal
fottonafo alla bocca
parti due, l'apertura daila
narice parci vnaj
dalla bocca al mento
parti ^. Il
cubito parti 50.
il petto parti
50. claiia fommità
delia tefta, alla
fommità della forcella
iopra il petto
parti 56, la
lunghezza dell'occhio parti
4. La diftanza
tra l'vn' occhio, e
raUro parti 4.
dal mento alla
fommità della tefta
parti 24.13 mano
parti i8. il
piede parti 20.
tutto il corpo
parti 180. Quindi
non può liare
come bene auuertifce Filandro
ciò che dice
Vitruuio, cioè che
il petto fia
la quarta parte
di tutto il
corpo. Chi vorrà
vedere più minutamente
altre proportioni delle
parti del corpo
humano legga Alberto
Durero,il quale fcriffe
vn intiero volume
di quefta materia,
a noi baftahauer
numerato le principali,c
più neceflaric pervn
pittore jfenzafermarfi a
confiderare quanto artiiìcioU
fia 145 fia
qucfìarimetria,e
propoitione, come quella
che,confornie ail'inB» iiitojfapcredcldiuino artefice, che
fabricò il corpo
humano, giiilli^ menteliconueniua percilerquefto il
più perfetto di
tutti gl'alcri corpi.
Onde è poi
natoche dalle parti
dieflbfi prendanole mifurc
di tutti li
altri corpi jdicendofi
che il tal
corpo è di
tanti cubiti, di
tanti palmi, di tanti
piedi, di tante
dita: e con ragione,poiche la
mifura è vna
quantità nota,con cui
lì fa con?2(fcerc
vn altra quantità
ignota jondiL-» non
vi elTcndo quantità
alThu^mopiu nota di
quella delle fue
proprie membra doueua
di cffd feruirju
per prima mifura
: oltre che,
come dice il
Filofofo, que'la cofa,
che ilei fuo
genere è più
perfetta,deue efter mifura di
tutte le altre,
che fonone! medefimo
genere: che però
efsendo rhuomo il
più perfetto di
tutti i corpi
con ragione Pitagora
diflc, che l'huonio
era mifura di
tutte lecofe. Quindi
è che tutte
le opere artificiali fembrano più
belle all'hor quando
nella fimetria, e
proporticne delle loro
parti, hanno qualche
fimilitudinec©n la proportione
delle membra humane;
e ciò particolarmente viene
ofseruaco nell'architeti tura
ciuile ; perche
( Ione parole
di Vitruuio nei
libro terzo )
tìonpuò f africa alcuna
fe»zj* mifura^ e
proporticne hauer ragione
éUcomponi-r tnento.)fe prima
non haiterà rifpetto^e
conjì^eratione fopra la
ferace certa rapici
ne dei membri
delC huomo ben proportionato
: quindi nelle
colonne le bafi
fi rafsomiglianoa piedi, i
capitelli al capo,
il fufto dimezzoal
reilante del corpo
humanoj Quindi ofseruò
il Villalpandoche il
tempio di Salomone
con proportioni a
maraviglia belle fi
rendca fimile all'ordine delle parti
del corpo humano,chefù
il primo tempio
fabricato dalle mani diuine, per
collocami la fua
propria imagine, che
è l'anima noftra
immortale: Quindi finalmente
per tralafciare molte
altre cofe l'arca
fabricata da Noè
era in lunghezza
5 oc. cubiti, in
larghezza 50. «d
in profondità 50.
per tal modo,
che la lunghezza
fuperaua fei volte
la larghezza,e dieci
volte la profunditàjnel medefimomodo
appunto, che habbiamo detto
delcorpo hiimano,la cui
lunghezza, e \%o^ partila
larghezza 3 o.
che fono la iefta parte
di 180. e
la profondità dal
ventre fino alla
fchienarS.. parti, che
fono vna decima
parte delle medefime
i8no dall'altro, e ciafcuno
in tutte quelle
forme, che fi vedono
differenti in varij
huomini ; poiché
alcuni hanno il
nafo Ghiacciato, altri gonfio,
altri aperto ;
altri aquilino, altri
profilato. ^ Alcuni
pongono innanzi la
bocca fpalancata, alcuni
hanno i labri
di €{Taprommenti,altri piegati;
in fomma ogni
membro ha non
so che di particolare, il
quale quando vi è più
o meno, fa
vna varietà notabile
*47 bile nella
fifonomìa di tutto
il volto. Di
più fi dourà
confi derare ;a_,
varietà de'membri, che
fonoproprij di ciafcunaetà;
poiché altra forma haueranno quelle
di vn fanciullo
grofle, e ritorce
j altra quelle
di vn vecchio
fcarme, fmunte, e fottili ;
auuertendo che ne
corpi dc'flìnciulli non
fi deueofìeruare efattamente
la proportione delle
parti di fopra
notata ; efiendo
che efiìnon hanno
ancora il corpo,
e le membri
perfette j il
che dcuefi intendere
anche de vecchi, ne
quali alcuni membri s'incuìuanOjO fi
affotigliano,© in altra
maniera fi deformano.Tutce quefle
particolarità fi doneranno
diligentemente ofseruare dajla
natura, che fola è
la perfetta maeftra
di tutte le
arti. Quando poi
hauercmo fatto alcun
profitto nel difegno
di ciafcuna_, di
quefte parti, farà
meftieri cfercitarfi nel
proportionato
accopiamentodiefle
difegnando figure intiere, e
quelle hora in
vna pofitura, bora
in vn altra,
fedenti, diritte in
pie, giacenti, proftrate,fupinejaItre con le fpalle
riuolte, altre che
moftrino il petto
j confiderando le
diuerfé attitudini, nel
che confifte la
principale perfettione del
difegno, che però
doureraoferuirfi delle
ftatuc, e modelli,
fabricandone molte per
confiderare inefleli diuerfifiti,c
pofiture. Di più
fi deue diligentemente ftudiare ildiuerfo
effetto, che fanno
tutte le membra,
conforme alii diuerfi
affetti dell'animo, nell'efprimere i
quali fi de*
porre ogni sforz.o
dell'arte eflendo quelli,
che danno la
viuezza, e naturalezza
alla pittM. ra;c
non folo diuerfa
cenuien che fia
la pofitura del
corpo, e l'atteggiamento dei membri
conforme a diuerfi
affetti, ma anche
fi de'auueilire, che
nell'iftefsa pofitura, et atteggiamento
haurà vn non so che
di diuerfo vn
huomo cogitabondo, ed
il medefim*huomo quado
flà fpcnllerato;fimil mente quando,
emefto,e quando è
lieto: quando ripofa,
e quando veglia
: per efprimere
le quali circoftanze,
vero è che
gioua molto la
varietà di colori,
ma anche nel
folo difegno di
chiari, e fcuri
fi dourannofar campeggiare
con vn certo
rilcntamcnto,© ftcndimento di
mufcoli, con vn
talqual vigore, o
franchezza delle membra,con
i nei ui più,
o meno ftirati,
e diftefi j
la qual cofa
per cfsere molto
ditfi^ cilc dcuefi
con maggior diligenza, et accuratezza
maneggiare, ferucndofi non
folo del naturale,
ma anche facendo
molto ftudio nel!'*
adotomia per conofcere
i diuerfi effjtti che
moftrano le diuerfe parti
del corpo, diftefc,e
rallentate da mufcoli, e
da nerui,e per
intender doua priiìCÌpiano,c finifcono
entrando vno in vn altro
: ma nelJi
piegai menti de
membri, ftorcimento di
vita, e sforzi
di tutto il
corpo, fi dolila por
molta cura di
non far cofa,
la qui.l ecceda
lapoflìbilità del naturale i
nel che molti
peccano ftorcend», e
dislogandoi le ofsa
in tal modo,
che da quefto
folo fi può
conofcere cfser quello
vn huomo dipinto,
48 pinto,e non
viao, perche non
grida, e non
fpafima per il
dolore, che dourebbefentirne feviuofoflc.
Circa di ciò
farebbe molco che
dire, ma ofleruofolo
chenclli sforzi delia
vita, e delie
membra ben fpeflb
ftanno nafcofti molti
errori, ed innaturalezze, le
quali da chi
non è bene
intendente difficilmente fi
conofcono,perche tali sforzi
rapifcono l'occhio con
lanouirà,che cagiona non
so qual diletteuole
marauiglia : ma
anche in quefto,
come fi è
detto dell'inuentione, ù
àc procurare ben fi la marauigliaconlanouità,ma però
non dee fc olla
fi dal poflibile,e
dal verifimile. Per
tanto la tefta
di chi ftà
in piedi non fi volti più
in sii, fé
non quanto gì' occhi
guardino mezzo il
cielo j ne
più iì volti
da vn lato,
fé non quanto
il mento tocchi
la fpalla ;
il petto non-,
fia fi torto
che la fpallaarnui
più oltre della
dirittura deirvmbilico # Il volto
di chi fta
fermo ha riuolto
là doue è
dirizzato il piede.
Se alcuno fi appoggia
fopra vnfol piede,
quello flanella linea
che chiamano di
diretionej le mani
rare volte fi
alzino fopra il
capo,& il gomito
fopra le fpalle,& il
piede fopra il
ginocchio. Finalmente giongeremo
alla perfettione di
qaefta fcienzajSccopiando in
vnfol quadro diuerfità
di corpi tanto
humani, quanto di
nltre-» forti convna
qualche vaga, ed
ingegnofa
inuentione,nelmodo,ehe fu detto
nel capo precedente
jricordandofi della varietà,
e fopra tutto
d* imitare icoftumi,
e proprietà di
ciafcun perfonaggio nel
modo, chc^ prefcriue
l'arte poetica, trattando
dell' imitatione de coftumi^
auuertendo in oltre
di non far
perfona che flia
otiofaj ma in
ciafcuna.» cfprimer quegli
atti, e quegli affetti, che
richiede l'iftoria,© la
fauola. Deuo anche ricordare
a quelli che
fi fentono inclinati
dalla na^ tura
a queflo efeixitio,
che fi auutziino
da principio a
difcgnare in graLde,cio€
conforme al naturale:
poiché in vn*
imagine pie-» cola
ben fpcfso vi
.flanno nafcofli errori
grandi ; la
doue in vn'
imagine grande fi
fcopre ogni benché
minimo diffetto j
che altri fcolpìfca
in vn anello
Fetonte tirato da
quattro caualìi, non
merita altra lode
che di feimezza
di mano, acutezza
di vifta, e
patienza_* nell'operare, e quefta
è più propria
de* fcultori, che de
pittori; i quali
fc apprenderanno bene
il modo di
formar imagini grandi,
facilmente poi formeranno
ancora le piccole
; la doue
coloro, che hanno
au-» uezKa la
mano a lauori
minuti, rare volte
riefcono neigran-di •
?''Q'''-,.'.c..i.^.u za ijiwiii
Rcflai-cbbc per vltimo,
che io daffi
qui le regole
det difegnarcjf in
profpcttiua,effendo che ogni
quadro de* hauere
determinato.il .:^ì:^^. .•..V---V
.-punto-:! 149 punto
che chiamano centrico, ed
il punto della
diftanza dcirocchio che-k)
rimira regolando con
queftidue punti le
degrada tioni, e l'altezze
de gli oggetti
; ma di
ciò mi riferuo
a difcorrerepiua lungo
nell'arte maeftra. Hiunque fi
farà perfettionato nel
difegno*, ofseruando /(fj^^^tìj^
tutti li precetti
infinuati nel precedente
Capo, non.. Cni!r)/ji
ritrouerà molta difficoltà
nel colorire : nulladimeno Vh^*liialttijpiu ofciirij
e chiamanfi tali
fuperficie ricetti de' lumi,/
«ffen deche pM»t fi
tirano {u*l quadro
i feiTiplici contorni
delire figure, che
è la prima
parte de! difegno,e
chiamafi circonfcrittio»e; ia
cin noa...j(ì vede
altro che la_.
linea efì:rema,che tcrmifia,e
circondil
rogge:t|pdifegnato: poi offeruando
i termini de'
chiari, e. d€ fcurji,fi 4J-^inguo"0 eoa
varie Jinee,che diuidono
tutto il carpa
iurcoufcritto- in varie parti,
o fupcrficie,cheèla feconda
parte del difegno:
Finalmente quefte fi deuono riempire de'fuoi
proprijlumi, ilchefi faocon
femplice chia* ro,e
fcuro^o pure con
i colori,iquali fvjnno
molto migliore effetto,
perche più imitano
il naEurale,e dano
vsghezza,e leggiadria al
di^ iegno. In
quefìo riempire di
colori le fuperficie,& vniucrfalmente nel
modo ò\ colorire
fideue confiderare,che fi
come i corpi
reali fono compofti
di quattro elementi, et in alcune
parti l'vno predomina più
dell'altro, onde cagiona diuerfo
colore: cosi il
Pitcor^^ volendo imitare
la Natura fi
ferue di quattro
colori principali, che
corrifpondono alli quattro
elementi, cioè, del color
roffo, fia di cinabro,
dilacca,odi minio,che corrifponde
al fuoco; del
colore azzurro, che rapprefenta
l'aria ; del
verde che fi
confà aH'aqua, e
del cinereo ofcuro,chc
fi riferifce alla
terra, e quefti
colori contempcra in modo,c
he doue 'ì\
ricerca il predominio
di vn elemento
iui aumenta il
colore a tal
elemento corrifpondente: cosi
per efprimere vn
volto fanguig no, et accefo
di -"degno adopera il
cinabro, ed 151'
ed il minia;
e colendo far
vn fangue fofco
vi pone laheca,
ma volendo rapprefentare vn
volto timido, freddo,
o languente, fi
ailicn?.^ dalroflb,e vi
aggiongc il cinereo
j e cosi
dell'altre cole ;
Per tanto io
lodo molto, che
non vi fia
parte per minima
ch'ella fia deirimaginc,
laquale non iu
formata con tutti
quefti quattro colori,fi
come non vi
è'parte di corpo
reale, la quale
non fia mifta
di tutti quattro
gli elementì; onde
quando anche io
hauerò a dipingere
vna carnagione bianchtlTìma,
aggiongerò alla biacca
vn poco di
cinabro, il quale
certo è neceflario
per cipri mere
il fangue, fenza
il quale non
può il;arevna_. viua
c^rne; ed m
oltre vi porrò
alquanto di azzurro
oltramsrino, il quale
cagiona vn mirabile
effetto in tutti
i colori, ed
in particoiire.* visto
moderatamente nella carnagione,
poiché le di vna ccrt'aria,
e lutiìeceldle, chela
rende fuauc,e dolce.
In oltre, perche
inciafcua.. corpo reale
olrre li quattro
clementi,de*quali è comporto,
euui meicolata la
luce, e doQcqucfta
manca, rcfta il
corpo ofcuro, e
cenebrofo; perciò nella
pittura habbiamo due
colori, fvnode quali
èfimile alla_. luce,e
quefto è la
biacca j TaUro
ci efprime le
tenebre,e quefto è il ne*
grodio(ro,odi fumo, odi
carbone,© di terra
nera; poiché, come
alcroue dimoftro,aicro non
è la luce,
che vn puro
candore, e le
tenebre vna pura
nerezza; onde il
puro bianco, e. la femplice
nerezza non fono
due colori,ma fono
l'eAremità di e(Tì
colori, come i
punti fono Tcftremità
della lii>ea,'ma non
fon linea; noi
però perche non
habbiamo ct>fa più
bianca della biacca.,
ne più negra
del negro d'elfo;
perciò adoperiamo qucfti
due colori per
efprimere la luce,
e le tenebre
; per tenebre
intendo ancheTombre, che fono priuationedi
luce; onde-» doue è maggiore
la priuatione di tal luce,
e l'ombre più
gagliarde ; iui
adoperiamo più quantità
di negro d'olfo,doue
è minore adoperiamo
con elfo più
terra d'ombra, o vi
mefcoliamo altro colore
pju, chiaro . Deuefi
dunque in ogni
oggetto dipinto, e
per confeguenza in
ogni colore porre,©
la biacca quando
fi ha da
erprimere vna parte
lucida : òil
negro d'olfo quando
fi ha da
efprimere vna parte
priua di lux:e;,e
cofi conforme alk
luceminore,o maggiore adoperare
più o meno
di biacca, nel
che farà maeftralaprattica, conlaquale
imparerà aafcitttoa mefcolarci
colori, ne li
riufcirà difficile, fé
hauerà ben'-intefocif), Qhe
fin bora habbiamo,
detto. i >
Con wttaciò perche
in quefto breue
trattato, pretenda d'i ftfegnare
minimamente la pratica
del dipingere,non voglio
tralafcÌAc di dire y come
io foglia |)rim a di
dipingere far varie
tinte fopra la
mia. tauoli pigliando
con lap,unta del
coltello i colori
macinati,con filkliìa punr
U vnendoUcd impaftandoli
infiemein varie parti
della tauola^Pongo £"!!>•:» da
MI da vna
parte vb poco
di biacca fchietta,fenza mcfcolamento
di altro colore, la
quale mi ferua
perdarefopra la Pittura
i fomtìii chiarij
ed in vn
altra parte collocano
va poco di
negro di ofso,
parimente fchietto per
le ombre maggiori, e
per le minori
della terra di
ombrai li altri
colori non li
adopro mai rchieEti,fe
pure non douefsero
feruire per fare
qualche panneggiamento,ma ne
faccio varie tinte,
e mezze tinte,
con varij mefcolamenti,
e prima faccio
vna tinta di
azzurro
cltramarino,pigliando del meno
perfetto, con vn
poco di biacca,della
quale mi feruo
per vnire con
quafi tutte le
altre tinte, poi
con il cinabro,© vero terra
rofsavn ita con
biacca, faccio tre
tinte vna più
carica dell'altra 5
e quefte mi
fcruono per la
carnagione 5 in modo
però, ckc non
le adopro mai
fole, ma vi
aggiango vn poco
d'vn altra tinta
fatta di biacca,
e di laccai
e più lacca
vi metto doue
la carne fi
deue efprimcre più
fanguigna ; ma
doue la carne dourà cflere
meno fanguigna, e più pallidaifparamio la
lacca, et adopro
la tinta di
cinabro me» carica jfempre Peronella
carnagione adopro vn
poco della fopradetta
tinta di azzurre,
e he riefce
mirabilmente. Faccio in
oltre tre alcreche
fi chiamano mezze
tinte, con biacca, e
terra d'ombra in
tal modo, che
l'vnafia più chiara
dell'altra, auertendo che
nella più chiara
ogni poca quantitàdi
terra d'ombra è
fufficicnte, e quando voglio
vna tinta più
ofcura,vi
aggiongovnpocodinegro
dioffo; quelle mezze
tinte di terra
d'ombra feruono anch'effe
per la carnagione,e
particolarmente le più
chiare, le quali
non fi deuono
adoperare femplici,ma mefcolarui
vn poco delle
tinte rofsc,e della
tinta di azzurro^
nell'ombre della carnagione,
cioè in quelle
parti che fono
meno illuminate, aggiongafì
alle mezze tinte
più ofcurevn poco
di tinta fatta
con la lacci,
poiché quefta fa vn
color carneo ofcuro,cnori
s* ifparamii l'azzurloperchc anche
in qucfto luogo
fa la carnagione
fuauiffima, e delicata.
Deuonfi dunque con
la punta del
coltello fare fopra
la tauola tutte
le foprad€ttetinte,e mezze
tinte per mezzo
della biacca, fi
che ciafcuna tinta
fìadi vn color
folovnito alla biacca
che lo fa
più chiaro quanto
più vi fé
neponejpofcia ne! dipingere^iideue con il penello
pigliare vn poco
di vna,& vn
poco di vn
altra mcfcolandole infìeme
conforme al bifogno,e
far /Indio che effe
tinte tutte nel
metterle in», opera
fi auuicinino più
alla carne naturale,
e vera che
fia pofTìbile, Ma
perche non fi
può fapere in
qual luogo debbafi
porre l'vna, et ia_.
qual altro vn
altra, fenza la
cognitione dei lumi
diucrfi, che diuerfainente
ferifcono gl'oggetti che
v^ogliamo dipingere, perciò
flimo necc ffario
difcorrere in quefto
luogo alcuna cofa
intorno ai lumi
3 Poiché dalla
'5-5 dalb retta
intelligenza di quefti
dipende tutta queft'arte:
Molte cofe farebbero
degne da ofleruarfiin
quefta materia, ma
che io in
quefto luogo pretendo dinfegnare piutofto
la prattica del
dipingere, che la
fcienza fpeculatiua de
colori,& altre cofe
ali' opcica appartenenti, toccherò
folo breuemente alcune
oferuationi,che molto potranno
gio uarc a chi
l'hauerà bene intefe.
:.:.•;:, :.. i Primieramente fi
oflerui dal pittore
il luogo, in
cui dourà cflfere
collocata lafua opera j come, fé
farà vn quadro, che
debba porfiinaLui luogo
detcrminato di vna
fala,o chiefa, veda
da qual parte,edinqual modofia
percflfcre illuminato j feda
vn lato, fé in
faccia, leda alto,
o in altra
manierale dopo tal
notitia non potendo,
come farebbe bene
dipingerla nel proprio
Ioco,dipinga lafua figura
in modo che
i chiari fianoda quella
medefima parte,dalla quale
dourà hauere il
lume : e
quella parte della
figura che farà
più rileuata, e
più vicina al
iumo quella facciaficon
chiaro maggiore di
tutte le altre,dando
poi alla pittura
gl'altri chiaridi grado
in grado minori,
conforme alla maggiore lontananzadal lume, et al
rileuar delle partii
in tal modo,
che vna fola
parte della pittura
fia quella,che habbia
il primo, e
maggior chiaro; dopo la
quale le altre habbianoichiaii minori, piu,o
meno, con* forme
il fitoj cofi
fé il lume
veniri da alto
a battere immediatamente nella
fronte dell'hucmo dipinto,
quefta da quella
parte che è
ferita dal lume
habbia il primo,
e maggior chiaro,
pofciala guancia,© nafo
h:ibbia vn chiaro
poco minore, e
dopoqucftiIafpalla,c cofì di
mano in_.r mano
fino alle gambe,
le quali per
effer più lontane
dal lume,chefifuppone fcendere
da alto, douranno
hauer minori chiari
di tutte le
altre parti fuperiori,& al
lume più proIKìme.
i Secondariamente, habbiafi
riguardo che ciò
che fi è.
detto, deuefì intendere
di quelle parti,
le quali fono
ferite perpendicolarmente, cioè,
ad angoli retti,
o vogliamo dire
direttamente dal lume;
poiché quelle, che
fono ferite obliquamente,
e con angoli
ottufi, ancor che
foflbro più vicine
al lume,deuono però
effer più chiare,mafideue con-;
temperare IVnacofa con
l'altra; quindi è, che
le parti piurileuatefi
fanno per ordinario
più chiare, perche
per lo più
riceuono il lume
piu^ direttamente; diffi
per lo più,
perche alle volte,
conforme alle diuerfe
pofiture, lo riceuono
più direttamente le
parti meno rileuatcy
onde, fi fanno
più chiare ;
come quando il
lume ferendo obliquamente la faccia, ferifce direttamente, e perpendicolarmente vn
lata del nafo,e
lo rende più
chiaro di quello
che fia il
filo del medcfimo, 'benché quefto
filo fia piurilcuato^mafe il
lume ferirà diretta
in ente il
volto, all'hora il
filo del nafo
farà quello, che hauerà
il mas^ìor; laro.
Q^ q In
H4 In tetto
luogo oflerulfi che,
fi come vn
raggio di lume
itott pucb ferire
perpendicolarmente vna fuperftcic,
fé non in
vn punro folo
j cosi il
maggior chiaro di
ciafeuna delle molte
fuperficie del corpo
di* pinco, donerà effere
in quel fol
punto, che viene ferito
perpendica* Iarmenteda.1 lume;
e quanto più
obliquainenre il lume
fcrifce le parti
più lontane da
quel punto, tanto
meno chiare doueranno
farfi,*cd in-fquefto confitte la
dcgradaiione de'colori dal
maggior chiaro,finoal maggiore
orfcuca». Imperciocbe deuono
degradare conforme alla_,
maggiore, o minore obliquità
del raggio, fu ppofta
la medefima lonrananz,adel medcfimo.Che
fé poi la
parte più obliquamente
ferita-* dallume,iarà anche
più lontana da
eifojmaggiore donerà effere
la degradationejma fé
vnapaiKte farà ferita
pia obliquamente di
vn altra, equ
'.Ila farà più
vicina allume di
quefta,fi douerà compcnfare
la minor chiarezza nata;
percaufa.
deli*Qbliquttà,conlachiarezza
nata per la
vicinanza del lirmc^
Quarto ofseruifi,che in
qucfta degradatione de*
chiari, et ofcuri,
o vogÌi;im,o dire
de lumi^& ombre
c«^fifte tutta la
fbrza del colorire,
ed il rikuare
delle parti; et acciò
non rileuino con
afprezza, tra il
maggior chiaro, ed il
maggiore ofcuro,fideuono degradare
fuauemcnt^-» ed infenfibilmentei colori; poiché
in quefta infenfibile degradatione
confitte la dolcezza
del colorire,^c(ì fugge
ogni afpcrità,la quale
otten* de l'occhio
ogni qua! voha
fi fa palfaggio
immediatamente da vn
eftremo all'altro; che
però anche gl'iftefiì
contorni, ne quali
pare che fi
debba pattare immediataméte
dal maggior chiaro
al maggiore ofcuro,
fideuono fare co
vna certa fuauità
sfumati j fi
che teraperino quell'immediato pattaggiodivn eftremo
all'altro. Quando poi il chiaro
è pofto in
mezzodì vna fuperficie, e
vifonodue degradationi verfo
l'ofcuro, dall'vna, cdall'ahra
parte ; all'hora
ne rifulta quell*
effetto, che chia»
mafitondeggiare; poiché la
parte di mezzo
come quella che
è più chiara rileua
più dell'altre, le quali
declinando dall'vna, e
dalKaltra parte all'ofcurojfi
moftranomeno
rileuatesì,chcpirchericeuino
il lume-» obliquamente,
come appunto fanno
le parti laterali
di vn corpo
tonda ferito nel
mezzo dal lume.
Quinto notifi che
vna delle principali
Iodi de! artefice
è ch'egli nella
difpofitione de chiari,e
de fcuri dia
tal forza alla
pittura, che riIcui
qaantofia poffibile,.e per
così dire fi
fpicchi fuori del
quadro; per ottenere
la qual cofa,
oltre la predetta
intelligenza de lumi,
dourà offeruaie quel
precetto, che danno
molti, et èintefo
da pochi, mentrc«#
quelli dicono chcfidcue
vfare molto parcamente
la biacca, e
quefti Rimano che
della quantitàdi eflà
fi parli ;
poiché cerco c^
che la quantità
*5? tiiià della
biacca necefifària a
dipingere vn volto
è molto maggiore
tU tufta la
quantità dclii altri
colori, che a tal
funtjone fi adoperano;
&l viiiucrfalmente nel
colorire rare voltefi
adopera colore, a: cui
no»: fi, vnifca
la biacca, come
quella che tempera
tutti icolori,in quel
n>od0j, che fa
la luce fopra
i corpi da
efla illuminati . Il
fenfo dunque di
tal precetto fi
è, che in
ni un luogo
della pittura fi
veda la purabiaccai
tolrt tone quei
pùnto,chcè ferito perpendicolarmente dal
lume più vicino^;
etche tutte le
altre parti vadino
con i debiti
modi, e coni
veri compartimenti de lumi
degradando vcrfo l'ofcuro,
caricando poi Tombr^.^,
accio al confronto
di queftefpjecando maggiormente
i chiari) la
pittura riceua
forz,ad'ini^annarchiia
m.ira,e far credere
eh* ella, sia
rile-» uata dal
quadro, fsn oq
Sefto, deuefi oflfcruare
rintcnfionedcllumc,chc
douerà i'Iuminare la.Pittura,cioè a dire fé
il luogo, nel
quale deue eflere
il qiiadrQ,habbia lume gagliardo,
o debole, e
come dicono viuo,o
mortoj poicht^ conforpie
alla diuerfità del
piaggiore,o minor lume,
doueran no eflere maggiori,
o minori i
chiari,egIifcuridellaPittura,con
reciproca prò* portione,cioè
a dire, fé
il lume vero
farà debole, e
morto, la Pittura-* douerà
haucre i tuoi
lumi finti, cioè
i fuoi chiari,viui,
e ga^jliardi ;
ma ieillumefarà viuoe
potente,(arannoi chiari della
Pittura alquanto più
lieboli, e moderaci
j e ]a
ragione fi è,
perche il lume
vero.,cbe:ièrifce la Pitturajèquellojchcriflettendofi all'occhio
infieme con il
lumefintOjchc è il
chiaro della Pittura,
concorrono ambi vniti
a fQrmare la_»
viflra: ondequefla che
fi offende con
gl'cltremijnon può tolcrare
due lami ambi
troppo chiari,e viui j ne
li piace che
ambi fia no poppo
dcr bolicmorti: onde
perdilettarcrocehiofideuc
conteraperarc il viua
del lume vero,
con il morto
del finto, ed
il morto di
quello coni il
Viuodi quefto. Che
fé il quadro
foOc già dipinto,
e fi cercafle
vn luogo per collocamelo,
fi douerà hauereil
medefimo rifpettQ,che fé
i colori del
quadro fono molto
viui, e chiari, fi
ponga ad vn
lume-» moderato j
8c all'incontro, fé
i chiari faranno
dcboli,fe lidiavn lume
piujviuo. Settimo, ho
oflèruatOjche quando il lume fcrifce
vn corpo Hfcioi
C.luftro,lo moftra molto
più chiaro di
que-io che faccia
vnahracojfpforaenluftro,e
pulito; e particolarmence quella
parte,che è ferita
perpendicolarmente dal lume fi
moftra lucidiffima all'occhio
; ilche fi
può vedere in
vna palla di
crifbllo pulita, et anche
nella luce de
noftri oc; chij
: ond'è,chequella parte
dell'occhio, la quaL
è ferita dal
lume dit rettamente
nella pittura fi
efprimecon vn punto
di pura biacea^5.chc
la^dimoftra.Iucidiffima
eTengafi dunque per
regola in materia
de'lu». mi, mi, che
nel colorire fi
deuono vfare maggiori
chiari in quelle
parti, che verremo
éfprimere più tcrfe-yc
pulite^ come fé
vorremo dipingere vna carnagione
Jifcia,e luftrajdoucremo farla
più chiara, benché àciò
pofcia aiuti anche
molto veramente la
fuperfìcicjche colorica della
tela fia ben
lifcia,e dipinta con
colori ben macinati,
alli quali alcuni
aggiongono in fine
certa Vernice, di
cui diremo apprcfso,--ichc però
nell'efprimere quefti lumi
rifleffi douremo tingerli
alquanto del colore
del corpo da
cui fi riflettono, ma deu'
eflere vna tintura
leggieriflìma, e deueficiò
pratticare con deftrezza,c
ne luoghi opportuni,
che cosi cagionerà
vn effetto Ict'giadro, mentre Tocchi©
non folo conofce,
che quel chiaro
è vn-* lume
riflefso, ma anche
comprende da qual
corpo venghi riflet—
Cuto. Nono,per dare
alla pittura què
chiari, e quei
fcuri,che fono conuenelioli,ed in
quelle parti che
li richiedono, deuremo
prima determinare VJU.
157^ vnluo^G fuori ddlapittura^dal quale doueremo imaginar{ì,che vcngi>
il lume a
ferirla,e pofcia collocare
il quadro, che
uogliamo dipingerci invn
tal fico uicino
ad una Feneftra,che
il lume entrando
per efsa_».'i lo
ferifca in quel
modo,che noi delìdcriamo
più uiuamcnce,o meno,
: da unlato,o
in faccia, o
da altoje tal
fico e riceuimcnto
di lume hab-.i
bJa il quadro,mentre
fi dipinge qual
deue hauere dopo
che farà dipin»
WfQ collocata ai
deftinaco luogo; circa
diche non lafcieròdi
dire,> che quelle
pitture, che riceuono
il lume da
alto acquiftano una
noa^ so qua!
gratia,e leggiadria fopra
le altre, come
ben fi ofifcrua
ne uiui oggetti,neIla
Ritonda di Roma,che
per ordinarie fifonomic
chefiano, in quel
loco coi lume
alto apparifeono bellifTimcj Sempre
però o(feruifijche dobbiamo fuporre, che il
lumevcnghi da vn fol punto, e
quindi fi fparga
a ferire tutta
la pittura,dal che
nafcc la diucrfità
dei chiari, conforme
le diucrfe parti,
che vn tal
punto riguardano j
ne folo fi
dourà determinare il
punto, da cui
viene il lume,
ma il punto,
dal quale l'occhio
dourà mirare la
pittura, poiché conforme
al diuerfo fito
dell*occhio,i chiari appariranno
in diuerfa parte;
comefipuò ofl"er-«i uarcncl
rimirare vna ftatua,
la quale filando
immota, e riceuendo
femprc vnmcdcfimolume da
vna medefima parte,
fé l'occhio peròfimuouc,
e da diuerfo
fito la rimira,
vedrà i e
hiari del lume,
che la ferifce,
itu. diuerfi
luoghi.Finalmente perbene intendere quefti lumi,giouerà molto rauueA7.arfi a
dipingere di notte
a lume di
lucerna, poiché eifcRdo
quefto vn lume
debole,fi canofcono in
cflb più notabilmente
le degradationi poltre
che ci viene
da vnfol puneo,
ciò che non
patiamo fpcrimentaredi giorno, benché anchedigiornodobbiamo procurare di
riceuer il lume
da vna piccola
feneftrella, perche in
tal modo meglio
li fcorge la
diuerfa illuminatione delie
parti direttamente ouero
obHquamence ferite dal
himergiouerà ancora Teflerc ita rfi nel
ritrarre le i\i£ue,e
qualfivogliaaltro corpo dal
fuo naturale; ma fopra
tutto ci ap«
porterà grande vtilità
il dipingere dal
naturale varie forti
di frutti, come anche
vccelli, cani, lepri,
e fimiii. cole;
la ragione fi
è perche i
frutti fiori,ecofefimili hanno
colori molto viuaci,
ne quali percuotendo
il lume moftra
più difliintamente la
diucrfità dei chiari,
e de gli
fcuri ; Oltre
a che nel
dipingere li detti
oggetti fi prende
vna certa franchez-
za nell'operarc,che molto
gioua, ed inanimifce; Tal Francezz.a,e faci- lità nafce
da quefto, che
nel dipingere le
dette cole habbiamo
grande libertà, e licenza di
variare, facendo foglie,
fiori, frutti qui
più, e la
me- no carichi di
colore, glVni con
vna, altri con
vn altra diuerfa
figura : Quefto
precetto di elTercitarfi
in dipingere fiorijC
frutti dal naturale
fi ofserui come
vn gran fegrcco
di qucft'arte^vn valente
maeftra delia R
r quale I5t
qu^leametmolto locommendaua per
molte ragforii,ma principal-
mente per la poco
auanti accennata di
far venire in
cognitione de i
lumi, dalla quale
notjtia perche dipende
tutta l'arte di
bendifporrf^ i e
dori) perciò ho
voluto auucrtire quefte
poche cofe^ ma
molto fo- ftantiali
in quella materia.
^.'r-^yii Refta per
fine di quefto
capo che fi
diano alcune altre
regole parti» colari,
e pratiche per
il colorito, oltre le
già accennate da
principio; e già
che con
rintrapoftodifcorfodeluinihabbiamoperdircori inter-
meflb il colorire, voglio qui
auuertire,che quandoè ftato
intermefibil laiioio,e pofcia
fi ripiglia a
dipingere il quadro,
li cui colori
fiano già afciutti,e
fecchi, acciò corra
meglio il peneilo^fideuevgnerc prima
il luogo doue
fi vuole fcguitar
la pittura, o
rittocar il fatto,
con oglio di
lino cotto, cioè
in cui fiaftatò
poftodueonciedi litargiro per
ogni li- bra dioglio,e
rifcaldato fino che incominci
a bollire, la quarvntio-
ne non nuoce
altrimenti alla pittura,
come alcuni ftimanoj&
il pro- fitto è,
che breuemente fecca,
yolendiD» l'oblio (loxj
cotto tempo aliai
a rafciugarfi, .-"z
vi'iìr Prima di
formar alcun difegno
fopra il quadro, quello deue
hauere la faa
imprimitura, non folo
fc il quadro
farà di tela,
ma ancora fé
fijt di legno,o
verodi rame, fopra
il quale foglionfifare
ì piccoli ritratti;
quefta imprimitura confifte
in coprire il
quadro con alcun
colore,che fuolcflerc di
terra d'ombra ben
macinata, con vnpoco
di biacca, e»^
terra rofla, con
oglio di lino
j quefta macinata
alquanto più foda,
e meno liquida
de gl'altri colori,
fi ftende fopra
il quadro cenvn
coltel- lo
largo,procurandochefiaftefa,vgualmente
in tutcele parti,e
fotti- le i
alcuni dopo eiTer
afciiicta, vene ftendono
dell'altra iìno alla
terz.a^ fiata; il
che a me
non piace j
poiché, riufcendo troppo
grofla altera molto
i colori, che pofcia
fé li danno
fopra, mentre li fucchia,
e^ l'imbeue in
modo, che partecipano
del colore dell'imprimitura.* medefima.
Acciò i coleri
fi mantengano vini
jfideuono dar fopra
il quadro più
volte replicando i'iftcflb
colore fopra il
primo; ed in
oltre i colori
fi deuono caricare
alquanto più del
naturale; come nel
colorire le guan-
cie,e fimili parti
di cinabro, e di
lacca fi ecceda
alquanto facendoli più
roffi ài quello
che conuenga alla
carnagione naturale; imperciochc
dopo qualche fpatio
di tempo fi
vanno moderando, e
mortificando ri- ducendofi
al fuo douere;
altrimenti reftarebbe il
volto troppo pal-
lido, e fmorto. Molta
induftria ha ni
ad vfare dal
Pittore nel difporre
fopra il fuo
quadro gl'oggetti particolari
coni loro propri],
e naturali colori
itu» modo, hf9
modo, che vn
colore in Vicinante
dell'altro faccia fpiccarc,e
rileua- re tutte
fe' parti jlmpcrcioche i
tolori ofcuri, e
profondi fanno fpicca-
re maggiormente i
colori chiari, che
li fono vicini
; quindi Ce
noi vo- gliamo che
vna teftafpicchi, e
rileuidifporcmoi colori intorno
ad eip^. in
maniera tale,che la
parte più chiara
habbia vicino a
fé alcun* og»
getto, o contorno
di colore ofcpro,
e fofco j
come all'incontro la
parte ombreggiata, &ofcura
dourà hauere vicino
alcun* oggetto alquanto più
chiaro j il
quale fé farà
difpofto in modo,
che riceua il
lume dalla parte
oppofta, e lo
rifì - tta
nella parte ombrofa
della tefta, vn tal lunie
rifleflb cagionerà vn
belliffimo effetto, temperando
alquanto l'ombra., di
quella parte della
tefta, che non
può rieeuere il
lume di retto
j Per cagionare fimili effetti, giouerà feruirfi
delli panneggiamenti formati
con quelli colori
che faranno più
proportionati ; poiché
fiamo in libèf-'
tàdi dare al
panneggiamento quel colore,
che più ci
aggradajc poten- dolo far
fcorrere in quelle
parti che a
noi piace, procuraremo
di con^ durlo
in modo, che
i colori di
effo feruano a
far fpiccare le
parti me-,fb' .'0
ni r f\n♦
[VE fono li
principali modi, con
i quali fogliamo
dipinge- re,!* vno che
chiamano dipingere a
frefco/altro a oglio.
Il primo modo
fu in vfo
anticamente, auanti che fofle
ritrouato l'altro di
dipingere a oglio,
inuentione venuta^ da
Fiandra, e ritrouata in
Arlemrlaqualeha aggiorno molto
di v'agOjcdiluftro alla
pittura, poiché riefce
delicata; e fi
vCilì communemente fopi
a la tela,
la quale fi
conferua lunghiffimo tempo
fenxa chefi fmarrifchino
i colori,! quali
più torto con
l'inuecchiare pi- gliano delicatezzaniaggiore j la doue
il dipingere a
tempera (cofi chiamato,
pcilchei colori fi
ftcmperano con aqua^
fi faceua anticamen-
te fopratauole di legno,
le quali con
lunghezza di tempo
fi tarlano, benché
mantengono la viuezza
de* colori, che
fi conferua più
che fopra la
tela, douei colori
fonoftempcrati con Foglio
; oltre che
tiefce mol- to più
commodo il portare,
e maneggiare le
tele potendofi piegare,
e leggiermente muouere;
horafiè quafidel tutto
tralafciato il dipingere
fopra le tauolej&
anche le pitture
a frefco, fi fannofopraleteie,tol-' tone
quando fiamo neceffitati a
dipingere fopta il
muro. Per tanto
volendo dipingere a
guazzo fopra la
tela, o cartone,
fé li dà
prima_> fopra l'imprimitura
di creta temprata
con colla di
ritagli, fopra la
quale dopoché farà
afciutta fi mettono
i colori macinati
con aqua, e
ftemperaticon la niedefima
colkdi riragli, ouero con
la tempera fat-
ta con oua. Ma
fé noi voremo
dipingere fopra il
muro,dourcmo far- lo fin
tanto che il
muro è ancora
irefco della calce, pei ò
con colori ftemprati
con Taqua pura, e
terre fenza adoperar
biacca, lacca, cinabro,
e altri minerali,
feruendofi invece di
biacca, di Calcc,oiie-'
re bianco fanto,
Ciafcuna di qOefte
due maniere di
dipingere fi può
vfare in.» tré
modi, che fi diftinguono
dal diucrfo maneggiare,
che fi fa
il pennello in
lauorare ; 11
primo più vfitato,
e commune è
lenendo ',ì\ che fi
fa con mettere
ciafcun colore a
fuo luogo, t^
poi con vn
altro pennello, che
ha netfo,c fenza
tinta, congion- gendo
le parti cftreme
dclli due colori
vicini > acciò
vnendofi nfieme JnCieme
non cagionino vna
certa arprezza, che
offenderebbe roc- chio, fé
vcdeflevn colore porto
immediatamente vicino all'ahrojfen-
no di pittura,
e di difegno,
non fi ap-
plicano al tediofo lauoro
di ricamo, onde
quefto refta fole
nelle mani di
donne, che poco, o
niente intendono le
regole di buon
difegno, ne fanno
le cofe neceffarie
alla pittura ;
nulladimeno Nicolò della
Foggia di»Marfiglia a giorni
no.ftfi, è ftato
mirabilifiìmo, et fi
vidde va ritratto
di Papa Vrbano
Vili, fatto di
ricamo naruralifiìmo, che
non eccedea di
grandezza vno fpatio
ottangolare, per metter
in vnanelio, e
donato a eflb
Pontefice > cofa veramente
degna d'amiratione. Simili
alle imagini di
ricamo fono quelle
dclli Arazzi, cofi chiamati
da Arazza doue
prima fi lauorarono,
e fc ne
fanno non folo
di lana^ma di
feta ancora, che
riefcono molto più
belli, e quando
fiano fatti coii
buon difegno, e pofti
indebita diftanza dall'occhio
fanno vn bdllif-
fimo effetto ;
ed io direi
che gl'arazzi paragonati
alU ricami ^siano co- me le
pitture grandi fatte
a ogiio sii
la tela, in
riguardo alle iraagitii
fat- te a punta
di pennello. Inuentione molto
più antica è
ftata quella di
far lHmagini.a-Tnafa;loo e si fanno
come ogn'vn sa
adoperando in vece
di colori piccioli
minuz- zoli di pietre
pretiofe, o marmi
di varij colori,
o fmalti, intrecciando
insieme le minute
particelle, ed vnendole
in modo, che
formino vna fuperficie
piana rapprefentante in
buona form^a di
difegn^o, e regola
di pittura alcun*
imagine di floria,
o d'altra cofa.
Molte di qjiefte
te me vedo-
vedono lauorate dalli
antichi, come in
S. Marco di
Venetia, in Roma,
ic altroue, le
quali però (ono
di iauoro affai
groflb, e che
richiede mol- ta diftanza
acciò non fi conofc
a quel
difetto, che prouiene
dal noii^ cflerben
temperati i colori
a riguardo della
groffezza delle pietre
che le compongono
5 ma delle
più moderne alcune
fono fatte con
pietre» cofi minute,
che in molta
vicinanza non fi
diftinguono, e fembrano
pit- tore su la
tela,fe non che
hanno i colori
più luftri, e più viuaci,com«-»
quella di S,
Michele Archangelo in
S. Pietro di
R.oma,difegno del Caualier
Giufeppc d'Arpino, opera
veramente Angolare in
tal gc- ner
feixa del marmo.
Finalmente a tutte
le predette inuentioni
io qui ne
aggiongerò vna mia, di
fare, che le
pitture comparifchino delicati/lime, ed in_*
modo, che non
fi conofca douc,
ed in qual
modo fiano dipinte.
Si dee dunque
auuertire, che tanto
più delicate comparifcono
le pitture, quanto più
vguale, e iifcia
riefce la loro
fuperficie,- ond*è,che alcuni
Pittori, quando hanno compira
alcuna pittura.^, vi
danno fopra vna
Vernice,che viene a fare alquanto
più Iifcia,© luftra
l'opera; ferue anche
a tale effetto
il mettere l'imagine
fotto il criftallo,oucro talco,
poiché quefto toglie
dall'occhio molto dX
T t ine-
166 incgualirà,e roz-ierza
della fupc:ficictk! quadro;
ma perche il
cri- ftallo,otalco non fi adatta, ed
vnifce totalmente alla
pittura, anz.i vi
refta di mezzo
molto vacuo, perciò
non può dare
alla pittura,, quel
luftro,eroauità, che li darebbe
fé potelle vr.irfi
alla pittura per
modo tale, che
non vi reftafle
parte alcuna diari3,e
luo5.fo tra ef-
fa pittura, ed il
criltallo . Se
dunque Noi dipingeremo
fopra il cri-
ftallo,o talco in tal
modo che tralparifca
rimanine nella faccia
oppo-
ftadelmedefimocriftallo,come ho fatto
io in alcune
mie pitture pic-
cole, quefìe compariranno dclicariffime, ed
i colori per
effer imme- diatamentevniti fopra
il criftallo ('che
vuol' e0cr pulitiflìmo d'ambe
le parti) aquiftaranno
vna foauità marauigliofa;
ma vn tal
modo riefce molto
arduo per due
ragioni; rv^na,perc he i colori
fopra il cri-
fìallo pulito non
fcorrono, ne fi
vnifcono fxicilmente ;
L'altra, che molto
più ardua rende
rimprefa,è che il
primo colore, che fi
dà fopra jlcriftallojè
quello che trafparifce;
che però fé
non è pollo
a fijo luo-
go non fi può
più emendar l'errore
con metteruene fopra
dell'altro; onde chi
vele dipingere in
quella forma,
conuienc,ch'e^rhabbia-fran-
coildifegno,eche lauori a
botte, ouero a
punta di pennello,
ma con queftodiu3rio,chequì nellauorarc
a punta conuicne
adoperare anco labiacca,acciò non
virefti parre'di Vetio,che
non fia coperta
di co- lore,ciòche
riefce molto più
diflìcile del lauoro
a punta di
pennello fopra la
carta pecora, doue il
candor della carta
ferue di biacca.
Perciò ho procurato
di rirrouare j!
modo di fare, che
vn im:)gine_-* già
dipinta fopra carta
pecora, o lopravna
tauola,o tela,fi vnifca,e{i
attacchi alcriftallo totalmente,
fi che non
vi refti aria
alcuna tra mez-
xo.Faccio qucfto métrc
la pittura è
ancor frefca. intenerendo maggior-
mente i colori con
far penetrar per
la tauola,o cartapecora
alcun li- quore, che
intenerifca i colori,
lafciando in tanto
m fopprefia la
pittu- ra fopra il
criftallo, acciò preniutauifopra,fiv2da attaccando ad
eifoj poiché dopo
che farà bene
attaccata, ed vniti
i colori al
criftallo, liac- candofi
la carta deftramente
reftu la fuperBcie della pittura
vnica al crifìiallo,
con l'imagine imprefla
perfettamente, conforme fi
dcfidera . Nel
che quando fi
operi con tutta
diligenza riefce opera
veramente-» degna, riufcendo però
meglio fopra il
criftallo, che fopra il
talco, perche la
profondità del criftallo
li da vn
non so che
più di luftro
e delicato» Hor
per aggiongere all'opera
maggiore marau!glia,dopo che
fa- ranno afciugati i
colori pofti fopra
il criftallo, dipingeremo
fopra_, quelli medefimivn altra imagine totalmente dsuerfa
dalla prima,fiche mirandofi
la faccia del
criftallo, che none dipinta
trafparifca per efia
cfìfa laprimaimigine^e mirandofi
l'altra faccia fi
veda la feconda,
n_^ tutto varia
dall'altra. Ouero dipingeremo
dueimagini che trafpan'fcano
fopra àviz diii?rfi
criftaDi, e poi
vniremotucce due le
faccie dipince di
detti crifiilli j
quali incaftreremo cofi
vniti in vna
cornice, acciò fembri
va cri- llallo
folo crafparente intorno
alla pittura \
poiché in tal
modo d.iiiVna parte
comparirà un imaginc,
e dall' altra un
altra diuerfa,e munì
di effe farà
fopra la fuperficie,
cofa che renderà
marauiglia a quelli ch^_> non
fanno Tartificio, Con
un altro artiticio
più facile potremo
dare molta delicarf2za_,
air imagine ponendoui
fopra il talcojouero
crftillo in mode,
che non uireftiariadi
mezzo. Dopo che
farà afciutta la
pttrur?.,^ilt>;.ll•
peraremodella gomma netti
(lima in aqua
limpida,ediquefta gamni alquanto
denfa copriremo la
pittura ftendendouela fopra
coiìefc foffe vernice,
e mentre è
ancor tenera ui
metteremo fopra il
r ileo pimen-
douelo fopra fintanto chefia
aIIìugatalagomma,euirefti attic ato
j così la
gomma uerrà a
riempire ogni uacuo
tra il talco,
e la piruura_,
come fé foffe
unica immediatamente, e
dipinta fopra il
talco, o criftallo.
Quanto poi al
modo di difcgnare
anch'egli è moìco
vario, poiché alcuni
difegnano con la
penna, e con
l'inchioftro, e ciò
in due modi. Il primo
è di quelli,
che lauorano minutamente^
tratteggiando, e formando
difegni, in tutto
fimili alle carte
flam- pate in
rame. Il fecondo
di quelli, che
mieftri nell'arce coi
pochiflìmi tratti di
penna formano vn
difegno di molte
figure, nelle quali
benché non vi
fia delicatezza alcuna,
comparifce nulla di-
meno vna gran
forza di difegno
nclli atteggiamenti, e viua
natu- ralezza delle cofe
rapprefentate, ne! che
fu molto eccellente
il Can- giafi,Luca
per nome, e
Genouefc,di cui ho
veduto vn tal
difegno ap« preffo
air lUuftrifs. Sig.
Cauaglicr Celfo Lana
inrendente non folo
di pittura,ma anche
di fcoltura,di fortificatione, d'ailronomij,ed in
ogni forte di
effercitio virtuofo fempre
spplicatiflìmo. Altri difegnano
comunemente con lapis
roffo, o piombino,
nel qual modo
meglio fpiccano i chiari,
e gli fcuri,
e lo sfumare
dell om- bre j
e queftomododidifegnare è
neccffario, che fia
bene intefo pri-
ma, e pratticato da
quelli, che vogliono
applicarfialla pittura 5
poi- che chi
faprà ben difporrei chiari e
gli fcuri rie!
difegno in carta„.,
non ritrouerà poi
molta difficoltà in adoperare
i colori fopra
la_. tela. Anche
l'intaglio in rame
è vna forte
di difegno, nel che
non dcuo 16$
deuo tralafciare di
auuertire grriuagIiatorì,e quelli
che formano di-
fegni per intaglio
di que]rerrorc,chc fi
vede in moltifsìme
carte, nelle quali
fi vedono i
personaggi operare con
la mano finiftra,e
pofte alla dcftra
quelle cofe, che
dourcbbero eflere collocate
alla finiftra parte;
il che è
effetto della ftampa,
che muta fopra
la carta il
fito delle figure,
che fono intagliate
nel rame j
perciò nel rame
fi deuono ia»
tagliare con fito
contrario. S'intaglia anche
il rame con
aqua forte, inuentione
molto bella è
facile de' moderni, fi dà al
rame la Vernice, e
dopo efler afciuga-
ta,s*imprime nella Vernice
vna fottil punta
di ferro, che
penetri fino z\
rame, vi fi
mette poi lopra
l'aqua forte, che
penetra in quei
luoi ghi douenon
è la Vernice,
e lafcià impreflb
il difegnoj ma
fé noi vorremo,
che qualche parte
del rame refti
meno bagnata dall'aqua
forte, come quella
che nell'Imagini rapprefenta vna lontananza
di paefe, ongeremo
l'intaglio con vn
poco di feuo,
il quale diminuirà
Is^ for^a ali
aqua forte. % *S4^
rca^* j»f^' *¥^* ^*
nf'^* A^H' *Y4' *fe'9!*"
*ì^^' •JCftp ryC'»
"/sii «^9k9 ^i» ft*?*»
«>fèìU «>^^ ««^s»
e>^L’ARTE MAESTRA
^OUH'^ K "
e particolarmente perche
il V^tro concauo
diuarica, e difvnifce
i raggi j
oltre, che fi
vedrebbero roucfci, poiché
nella decuflatione de*
raggi 171 raggi
il dcftrodiuenta fmiftro,
e rinfcriore fi
fa fuperiore, et all'in-
contro • Si pone
dunque qucfto Vetro
concauo vicino airocchio,
acciò che i
raggi, i quali
iì vnifcono in
vn 'cono,o piramide
troppo acuta, fi
diuertifcano da taIevnione,e
fi dilatino si,
che la luce
cosi fparfa,c dilatata
fi pofla foffrire
dall'occhio^ e di
più, accio che
li raggi mcdefimi,i quali di
nuouo firenfrangono negli
vmori dell'occhio, non
fi vnifcano prima
di arriu.ire al
fondo dcirocchio, Qyefto
Vetro concauo deue
parimente cfiere più,
o meno \on-n,
tano dal punto
delP vnjone deVaggi, conforme alla
pupilla dell oc-
chio di chi rimira
j poiché fé
la pupilla farà
più tu.Tiida,e sferica,
come fuorcflere dei
giouaniper l'abbondanza di
vmido, all'hora U
diftanza del Vetro
concauo dal punto
deU'vnione, de* eflere
mag^ giorc,cioè,efler meno
diftante vn Vetro
dall'altrojonde il cannochiale
de accorciarfi j
all'incontro fi de*
allongare quando la
pupilla è meno
gonfia e tumida,
come fuol'eflere quella
de Vecchi, per
mancanza di vmido,
il che fi
potrebbe facilnientedimoftrare con
i fondamenti deU
Toptica, Li feconda
cofa, che fi
de oflcruare nella
fabrica d\ quefto
ftrumento, e che
a proportione della
lunghezza di eflb
crefca anche lo
fpatio aperto del
Vetro obbicttiuo,per il
quale entrano i
raggi con le
fpccie de gli
oggetti, Ciò fi
fa comodamente, coprendo
l'eftre- mità del
Vetro con vn
cartoncino, il quale
hahhia vn foro
tondo nel mezzo
della grandezza predetta
j la qual
regola e molto
importante, edaeffa depcnde
molto il vedere
l'oggetto chiaro, e
diftinto]; poiché fé
il foro, et apertura
del Vetro farà
troppo grande comparirà 'con- fufo, et ofcuro ;
e la ragione
è, perche non
tutti li raggi
dopo la re-
frattionc fatta dal
Vetro conu;^(ro,fi vnifcono
nel medefimo punto;
«• come fi
vede nella figura
fcguente ; poiché
gl'cftremi rags;! A
A fi y J^
vnifcono più prei^odi
quello,che facciano li
raggi B3, cioè
qneliifi voifcono in
D,e quelH in
E, e fimilmente
i rag^i B
più prcfto, fi
vnifcono che li
raggi C, poiché
qucfìi fi vnifcono
in F,e la
ragionec, perche li
raggi eftremi vengono
a^ ferire più
obliquamente la fuper-
ficie sferica ABCCBA,
m^ gl'altri CC
la ferifcono meno
obliqua- mente^ onde meno,
anche fi refrangono, e
confeguencemente fi lien-
dono più lontani
prima di vnirfi
nel punto F.
Se dunque poneremo
il Vetro concauo
nel luogo. GG,
quefto. non riceuerà
altri raggi primaiche
fi vnifchino, e
fi decu(fino, che
li CC, poiché
li raggi A
A, è: BB
fi decufiinojed vriifcono
in D, et in
E auanti al
Vetro concauo Gj
conuerrà dunque dar
adito, et am-
mettere nel tubo li
foli raggi CC,con
gl'altri di mezzo,
impedendo l'- in-.
ingrefTo a gli
altri con ricoprire
reftrcmità AB, AB
(Eel Vetro j
altri- mcnte li
raggi A,B, dopoché
faranno decuffati in D, et E,
confon- derebbero in tal
luogo le fpecie
de gli oggetti,
che feco portano,
eie portano confufe
all'occhio pofto vicino
al Vetro G. •
Giouerà dunque molto
oiTeruare vna proportione
conuenicnte, nel che
auuerto,che non fi
poflbno afTegnare proportioni
certe, It^ quali
feruano in ogni
calo, ed in
ogni circoftanza;anii in
due cafi la
proportione fi dourà
alterare . Primieramente
per ragione del
Vetro conueffo; poiché
s'egli haurà Sgura
Ipérbolicaj all'hora il
forame, 5c apertura dourà
eÌTerc molto più
grande, come dimollre-»
remojne folo quando i
Vetri hanno figura
Iperbolica, ma anche_^
quando la figura
sferica farà più
efattamente fatta ;
poiché in tal
cafo pochi fono
li raggi inutili,che
fi dcuono impedire,
onde l'apertura pò-,
tra eflere maggiore
; ma fé
il Vetro farà
lauorato male, conuerrà
fare l'apertura più
ftretta. Secondariamente, per
ragione dell'illumina- tione
dell'oggetto ; poiché
quando l'oggetto è
affai illuminato dee
l'apertura del Vetro
cffcr minore; ma
particolarmente annulla de ef- fere
quando noi miriamo
le ftelle più
chiare, le quali
altrimenti non fipofibno
vedere cfattamerite, perche i
raggi, che rifplendono
intor-. noallall:ellai^^ombranola vita;
oltre che fanno,
che il corpo
di efsa ftella
comparifca più grande,
nel che molti
hanno errato nel
deter- minare la grandezza
del Sole,e dell'altre
ftelle, e pianeti;
e ciò auuìe-
ne particolarmente in
Mercurio, ed in
Marte, come che
fono pianeti più
fcintillanti; intorno alche
vedafiHeuelio nella fua
Selenografia, et il
P. Niicolò Zucchi
nella fìlofofia optica
parte prima cap.
i.fe'"-'^ nuouo refrangendofi
dalli medefirai vmori,
conforme la maggiore,
o._ ' minore conuefiità
loro in O, et in
P, dopo tale
refrattione co.iJj'^,^'*f! !
v»yV corrano finalmente
in Q, fuperficie
deÙ4 Retina,.ij^^ J
Efsendoche dunque non
tutti gl'occhi, e
pupille hanno la'
me- defima figura,e
conuefi^tà, per tutti
gl'occhi non ferue
vgualmente i-i X
X bene bene
il mcdefimo Vetro
toncauo j Quefto
folo fi ofseruì,
che fé il
Vetro oculare ùlÙ
meno concauQ, e
come dicono più
clo^c»/, rapprcfcntcrà l
oggetto più chiaro,
ma anche più
piccolo, e con*
fcgucntcmentc il cannocchiale
farà più corto
-, all'incontro fc
farà pitt concauOjC
come dicono più
acuto, farà bensipiu
grandi gl'o^^ getti? ma
i"cno chiari, ed il cannocchiale
fari più lun^o, perche
il Vetro più
concauo, più anche
dilata li raggi,
onde per non
dilatarli iroppo dourà
riceuere folo quelli,
che più fono
riftrettiie tali fono
quelli che fi
vnifcono pi" lontani
dal Vetro conuefso
. Serua dun»
que di auuifo,che
non fi de
accomu^odare la lunghezza
del can- ^occhiale
al Vetro j
ma fi de
cercare vn Vetro
concauo propor- tionatoalla
lunghezza del cannocchiale
già Inabilita, cioè,
alquanto minore del
fcmidiametro della conueffità
del Vetro ©bbiettiuo
; e fé
in tal diftanza
vn conuefso della
mcdefiitia conuedìtà richiederà
vn concauo più
acuto dell'altro farà
fegno di maggior
perfettionc-» del medefimo
con^eflo, poiché f^rà
più grande l'oggetto,
fenzM ofcurarlo. Ordinariamente fi
potremo feruire della
Tauola féguente, in
cui fono determinate
le proportioni tra
il diametro del
conuefso, et il
diametro del concauo,
conforme ne ha
Infeguato l'ifperienza-p e J^unghezza
del diametro dclconucffo
I 2 o.
5^ 12 >
2. 24 3
4 5 C.
7 8
> 2. 4
II i. 41
28 2.56 51
> 2. Io
> 2.43 29
> S.57 IPt
Lunghezza del d'jamctiCi delconcaao
5 0. 3^
II 2, 20
»3 — >
I, 28 > >
I. 49 1-57
17 2. 35)
2. i^ Conueffo14
IS 16 1
20 > 2.45
1 Concaua 2.
27 2. 3
I 5 5
V 342. 37
i5 -i 3°
2.58 Conueffo 3rl
> ^•47 %%.
r ( 2.
5 « 14
l6 i ^7
i. 5 5
1 Concauo 5
' a. 45
5 a»^* 5
> 1. 5
3 i- 54
1 .— ^^
■ '' Li
175 JLi numeri
della lunghezza del
diametro del Vetro
conuefsp rap. prelentano
palmi, li quali
fi fuppongonodiuifi in
iz,oncie,e ciafcua oncia
in 60. minuti,
onde poi li
numeri della lunghezza
del dia^ metro
del Vetro concauo
fignificano le dette
oncie, et i
minuti 5 siche
ad vn Vetro
conuefso di diametro
di vn palmo,
corrifpoodQ vn concauo
di diametro di
oncie o. minuti
$6, Doue fi
fuppone, che tanto
il Vetro concauo,
quanto il conueflb
fia lauorato d'ambe
le partiima fé
il concauo farà
lauorato davna parte
fola, e dair'altra
refterà piano, all'hora
il diametro della
concauità dourà cflere
l^^, metà mmore.
Circa di che
fi noti, che
nulla importa che
il concauo fia
tale d'ambe le
parti, poiché fa
l'ifteflb effetto vn
concauo di dia-
metro dj vn oncia,Iauorato da
vna parte foia,
ed vn altro
concauo di diametro
di due oncie
lauorato da tutte
due le parti,
non cosi riefce
nel conueflb,poichc fé
farà di due
palmi il diametro
della conueffità, cflendo
lauorato da vna
parte fola, porterà
il cannocchiale lungo
due palmi; ma
fé farà lauorato
da tutte due le parti
porterà il cannochiale
lungo fol vn
palmo. Quinto. Si
dee diligentemente auuertire,che
le parti del
can^ nocchialc, che s
"inferifcono Tvna nell'altra,
nel modo, eh t^
poi inregnaremo,fiano talmente
ftrette,ed vnite infieme,che
non vi redi
feffura alcuna, per
cui poffa entr:^re
la luce; la
quale non dourà
poter penetrare per
altra parte, che
per l'apertura de
i Vetri, altra-
mente confonderà le fpecie
deU*oggetto,che entrano per
il Vetro, fucr
cedendo il medcfimo,
che in vna
camera ofcurata,alla cui
feneftra fia vn
picciolo forame, per
il quale entrino
le fpecie degli
oggetti, doue fé
fi ammette altra
luccjfubito fi confondono
fimagini di detti
oggetti . Sefto. Gioua
molto per vedere
l'oggetto chiaro,e diftinto
met- tere nelPeftrema parte
di ciafcuna canna
del canocchiale va
circo-» lo di
cartone; e quefti
circoli deuono effere
aperti nel mezzo
con tanta apertura, che
riceuano folo i
raggi dell'oggettoje le
linee, che paffano
per reftreme parti
dell'apertura del Ve!;ro
concauo, e del
Vetro conueffo pailGno
medefimamente per l'eftreme
parti dell'aper- tura di
tali circoli, si
che dopo che
hauremo detcrminate l'aperture
del Vetro concauo,e
del conueffo infieme
con tutta la
lunghezza del cannocchialcsinferiremo nelle
canne dieffo gli
altri circoli dimezzo
con detta proportione,
i quali fanno
quefto effetto, che
impedifco- no li
raggi,e fpecie,che: dalle
parti laterali entrano
per il Vetro
con- ueffo, acciò quefte
non arriuino all'occhio,
poiché confonderebbero le
fpecie dciroggctto, che
fi vede; Per
quefto medefimo effetto
gio- uerà '7»
uerà che le
canne fiano larghe
» ancorché il
cannocchiale fìa corco
: poiché nell'ampiezza
di effe fi
debiliteranno, e fi
perderanno le mede-
Sme fpecie de
gli oggetti ftranieri.
Settimo,per impedire maggiormente
tali fpecie de
gli oggetti late-
rali, acciò non entrino
per il vetro
conueffo, metteremo effo
vetro non totalmenteinfinedella canna,
ma alquanto più
indentro, acciò i
lati cfìremidi effa
canna impedifcano d'ogn'intorno
l'entrata a tutte
le altre, fpecie,
fuori che a
quelle dell'oggetto che
fi può fcoprire
con tale can-
nocchiale : ouero potremo ancora
auanti al vetro
conueffo ncll't iberna parte
del tubo due,
otre diti lontano
da effo vetro
mettere vn circolo
di cartone con
tanta apertura, che
fia fufficicnte ad
introdurre le fole-»
fpecie dell'oggetto vifibile;
nel qualcafo non
faranno neceffarij altri
circoli nel mezzo
del cannocchiale, ma
in ciò fare
fi de'auuertire di non ofcurare troppo
effe vetro cbbiettiuo,
poiché non rapprefentareb- be
l'oggetto chiaramente :
onde all'hora fi
porremo feruire di
quella-, regola,quado vedremo
che il cannocchiale
rapprefenta l'oggetto trop-
po chiaro, e con
qualche luce colorita
a modo di
Iride j poiché
per to- gliere queft'iride è
vnico il rimedio
predetto, non procedendo
tal iride da
altro che dalla
luce colorata co
la fpecie de gli altii
oggetti che in-
fieme fi confondono.,:o,-,i.r 1
Ottauo, il vetro
concauo de' effer collocato
in luogo ofcuro
quanto più fia
poffibile,* e l'occhio
di chi rimira
de' effere in luogo
parimente ofcuro, altrimenti^
fé foffe cfpoflo
al fole poco,o
niente potrebbe dif-
cernere deiroggetto, e
quefta regola è
di grande confideratione,& è
vniuerfale per ogni
forte di cannocchiale,
e per ogni
conditione di occhic, et anche
per vedere le
cofe piccole con
il microfcopio; come.*
vniuerfali parimente fono
per ogni forte
di cannocchiale le
regole quinta, fefta,efettima precedenti.
Giouerà dunque molto
tingere di color
nero tutta quella
parte del tubo,
che è intorno
al vetro concauo,
e vicina ull'occhio,
e collocare effo
vetro alquanto indentro
nella can- na. Queft'ifteffo c'infegnò
la natura nella
fìruttura dell'occhiojpoiche intornoairvmor criftallino, che rapprefenta
il uetro,pofe la
tonaca.^ detca uuea
di color fofco, e
denfa, acciò in tal
modo la uirtu
uifiua,e gli fpiriti
uiforij non fi
diffipaffero:e farà meglio
a nchora tinger di
nero tutta la
canna nella parte
interiore. Nono, Si
dèfapere,che con li
cannocchiali breui fi
fcopre inJ vnafola
occhiata maggior fito
a proportione della
minore lunghez- za^ ma
quanto più oggetto,c
fpatio fi fcopre
tanto minoreèladiftanza acuìpoffono
diftinguere,e far comparire
l'oggetto grande. Cosi
di due cannocchiali
vno di due
palmije l'altro di
quattro/c quello. difcerj la
ragione è, perche
per
miraredavicino,comerièdetto,ri
de allun- gare il
cannocchiale; e queftoallungandofii raggi
fanno angolo mi-
nore,e perconfeguenzala punta
del cono rad iofo,eirendo più
picco- Ja,e riftretta,piccola
anche de
eflere l'apertura del
Vetro perlaquale dee
pafiare. Refta hora
d'infegnare il modo
di lauorare i
Vetri, e formare
le canne nelle
quali fi deuono
inferire; per il
che diamo le
fe^uenti re- gole,
I. Si deue
far fcicita di
criftallo, il quale
non habbia pori,
nc^ bollc,ma fia
denfo,e netto quanto
farà poffibilejcome fuol
eflere il cri-
ftallo di Venetia,
con cui fi
lauorano gli Specchi,
o altro fatto
artificio- famente; Etauuertafi
di pigliare crifhl!o,in
cui non fiano
certe vene, overoonde,le
quali nai'cono dal
difetto de gli
artefici nello ftenderlo
inlaftre; poiché tali
onde molto più
che i pori
turbano le fpecie,^^
confondono le refrattioni;
perciò fi pigli
criflallo,che fialauorato, e
luftro, per poter
prima di fare
la fatica conofcere
{e inefla vi
fono bolle,e vene, che
impedifcano il buon'
effetto del cannocchial^-j-: Alcuni adoprano il
criftallo disiente, per efler
più chiaro, ma
però C^li ha
yn altro difetto,
che fa minore
rcfrattione del criftallo
di Ve- netia,dalla
qual minore refrattionc
nafce,che ingrandifce manco
gl'- oggetti 5 oltreché
non è facile
il ritrouare criftallo
di Monte,che fia
fenza vene,ed inegualità;
Altri fanno de!
criftallo con arte
partico- lare,e per
farlo chiaro vi
pongono molto di
fale Alcalino foda;
ma que- fti
criftalli per l'ecceflo
del Tale fogliono
fudare,cd invmidcndo fi
appannano,onde ogni volta
che vogliamo adoperare
il cannocchiale conuiene
Icuare vìa 1
Vetri dalle canne,e
nettarli; e per
ordinario an- che quefti
fogliono fare minor
refrattionc, il qual
fecondo difetto è
molto coufiderabile; anzi
perciò alcuni eleggono
Vetro ordinario, benché
alquanto fcuro, perche
efllcndo più denfofa
maggiore refrat- tione;c
per confeguenza ingrolTa
più l'oggetto. Si
de* ancora auuer-
tire che il
vetro, o criftallo
non habbia colore
alcuno ; ne
anche de* eficre
troppo chiaro, poiché
è inditio di
non eflere molto
denfo, oltre che
rapprefenta gl'oggetti
debbolmente,& alle volte
con iride,de* dunque
eflere di vna
certa chiarezza, e
nettezza denfa,e fé
tira alquan- to al
color d'aria, oceleftc
farà buoniflìmo effetto,
particolarmente nel vetro
oggettiuo. Suol anche
eflere ip.ditio di
buon criftallo, che
men- tre fi contorna
con ferrOjO forbice (ì
fpezzi in particelle
minute; ma_* quando
fi rompe in
parti grofie,moft radi
eflere imperfetto, e fi
mani- fefta i8t
fetta in cflc
rofcurìtà, o il
color verde del
crifl:allo,o altro 5
che fé non
appariranno tali colori, ma
più tofto vna cerca ofcurità
tenue, e rap. prefenterà
le lettere fcrittefopra
la carta viuacemence,
con colore più
nero di quello
che fono, e
con vn certo
diletto dall'occhio, e
vagherà, fappiafi che
è criftallo ottimo
per il noftro effetto. Auuertafiin
oltre, che il
criftallo per lauorareil
cócauo nonhabbia alcun
poro, o macchia
nel mezzo j
poiché iui concorrendo
vnici tutti li
raggi delle fpecie
dell'oggetto, fi
perturberebbero molto, facendo
refrattione irrego!ata,e confufa;
onde meglio farebbe
il concauo ado-
perare criftallo di Monte,
o altro criftallo
chiaro, ancorché non
fofl'e molto denfo,poiche fé per
tal ragione farà
poca refrattione, fi
potrà fare alquanto
più concauo, onde
non ne nafcerà
altro inconue- nientt^ .
Dopo, che hauremo fatto
elettione di ottimo
criftallo, con- uiene
tagliarlo in parti
quadre,e poi contornarlo,
e rifondarlo perfet-
tamente prima con vn
ferro, o forbice
fatta a tale
effètto, poi fopra
la moIa,o ruota,
acciò venga ben
tondo, incontrandolo con
vna carta rondata
con il compafso.Per
tagliarlo in pezzi
quadri fi fegna
con fmeriglio,ocon vna
punta di diamante,o
altra pietra pretiofa
j ma fé
il Vetro toffe
troppo groflb, e
ciò non baftafìe
per tagliarlo, dopo
che rhauerai fegnato
con la pietra,
toccherai eflì fcgni,
e righe con
vn_. ferro infocato.
Onero accenderai vn
filoimbeuuto di fojfo,
e difte- fofopra
il Vetro, doue vuoi
tagliarlo, e ciò
farai più volte
nel medtv fimo
luogo, fino che
h^bbia bene concepito
il calore, poijvi
ftenderai fopra vn
altro filo bagnato
di aqua fredda.
IH. Il Vetro,
particolarmente l'oggettiuo, non
fia troppo fottile,
anzi fia alquanto
groflb, maflime quando
dourà feruire pfer
cannoc- chiale lungo; e
più groflb fia
quanto più è
chFaro, e mcn
denfo; poiché efsendo
grofso h maggiore
refrattione; onde fi
può com^ penfare
nel criftallo chiaro
di Monte? o altro,
la poca refrattione-*
con la maggiore
grc)fi*ezza. IV. Il
Vetro fia ben
piano, in modo,
che non fia
più grofso dall'-
vaa, che dall'altra
parte ; anzi
ne meno de cfsere più
denfo in vn
luogo, che nell'altro, acciò le
refrattioni vengano ordinatamentc-^j perciò
fi potranno fare
alcuni anelli di
ferro, o di rame,
alti tanto quanto
dourà efsere la
grofsezza del v^etroji
quali douranno efsere
lauorati efsattainenie al
torno, acciò vna
parte non fia
più alta deli%
altra 5 in
quefti anelli farai
infondere da Vetrari
il criftallo lique-
fatto, e fubito lo
premeranno di lopra
con vns kftra
piana, procu- rando che fia
premuto vgualmente, acciò
non rcfti più
denfo, o qrof-
fo x8» fo
da vna parte
che dalPaltra ;
dal che ne
rìfulta anche queftj
commo- ditàjchefi fparamia
la fatica di
tondare il criftallo,venendo in
tal for- ma perfettamente tondo
: ma conuieneauuertirc cheli
detti anelli fia-
no alquanto più
lirghi nella parte
di fopra, per
doue fi mette
dentro il vetro,
acciò fi poffa facilmente cauar
fuori, e mettcruenc
dell* altro j
(imilmcnte per Ichifare
la fatica di
lauorare le lentijche
fono vetri mol-
to conueflì, come diremo
appreflb, potremo fare
anelli, che nel
fon- do fiano alquanto
concaui, acciò il
uetro, che ui
s'infonderà prenda_* forma
conueffa. Auuertafi finalmente
di far infondere
il criftallo molti
giorni dopo, che
il criftallo è
Lìazo nella fornace,
acciò fia ben
cotto, e purgato.
V. La maggiore
difficoltà di tutte
le altre confitte
nel lauorare i
piat- ti,ouero forme, fopra
le quali fi
lauoranopofciaiuetri, dandoli
figura conuefl^a fopra
li piatti concaui,
e la figura
concaua fopra li
piatti con- ueflì,
ouero fopra palle,
o mezze palle
rotonde : li
uetri conueffi,e par-
ticolarmente quelli, che hanno
poca conuefiìta, cioè
una piccola por-
tione di una
gran sfera fono
più difficili da
lauorare che gl'altri:
onde perciò fi
richiedono piatti molto
perfettive fappiafi che
dalla pcrfct- tione
del piatto nafce
la perfettione del
uetro, poiché fé
il piatto non-,
ha forma sferica
perfetta, non la
può communicare al
uetro, che fo-
pra lui fi lauora
; per quefto
pongafi fomma induftria
nel lauoro di
detti piatti. Alcuni
li lauorano in
quello modo. Prendono
vna pertica, o afta di-
ritta di tanta lunghezza, quanta vogliono
che fia quella
del cannoc- chiale jvn
capo di effa
formano in modo
che l'altro fi
pofia girare, e
muouerc per ogni
lato, fi che
fcrua come di
compafio. In quefta
parte mobile fermano
vna punta di
ferro, con la
quale girandofi come
fa la punta
del compaffodifegnano fopra
vna lamina di
ferro, odi ramc^
vna
portionediarco,qualetagliano,econlalimalo riducono
in modo, che
fia perfettamente sferico
j pofcia quellurco
medefimo, o vero
vn-^ altro di
ferro tagliato all'ifteffo
modello formano a modo
di
lima ; eoa
quefta lima danno
la forma ad vn modello
di piatto fatto
di legno,con il
qual modello fanno
poi la forma
di creta, nella
quale fi fa
il gitto del
siietallo,e queftoè il
piatto concauo, fopra
cui fi lauorano
i vetri con-
uedijò vero conueflb
fé fia per
i vetri concaui
i ma prima
con la mede-f
fima lima di
ferro fatta a
modo di arco
sferico, fi perfettiona
toglien- do da eflb
ogni inegualità, che
hauefle contratto con
il gitto. Qual
me- tallo fia migliore
per quefto effetto l'infegnerà adognVno
la propria-, ifpericnia,
ordinariamente fi adoprano
di bronzo, ouero
di rame j
e fi fiolTono
fere anche di
ferro ; Io
nel lauorare le
lenti ? perche
in tal fat-
tura turafi de* lograre
molto vetro, onde
fi logrerebbc molto
anche la for-
ma, con pericolo di
perdere la perfetta
(uà figura, perciò
le difrozzo prima
in vna forma
di piombo, e
pofciale finifcodi perfettionare
in-, vn altra
fimile di bronzo,
o di rame,
la quale quando
mi auucdo chs_^
habbia pcrfa la
figura, glie la
dò con l'arco
di ferro fatto
a limale quefli*
arco fatto a
lima io adopro
folo per le
piccole forme da
lauorare le-» lenti:
nelle quali forme
non vi è
molta difficoltà, ne
fi ricerca fom-
ma efattezza, come
nelle forme grandi,
e di molto
diametro 5 ne il predetto
modo della fagma
tagliata con la
pertica, riefcc ficura
ed efatta. Perciò
meglio farebbe fare
in quell'altro modo
da me taluolta
vfato felicemente, Attaccafivna
pertica diritta al
uolto di una
camera.*, ouero ad
un traue, o
altra cofa immobile,
e uuole attaccarfi
non con., una
fune, ma con
anelli di ferro, acciò
non fi pofsa
allungare, ne fcor-
tare : All'altro
capo della pertica
metto vn ferro
fatto à modo
di pic- colo fcalpello tagliente
nella punta j ciò fatto
prendcfi il piatto
di mc- ta|lo,acui
vuolfi darela forma
concaua, e fi
colloca direttamente fot-
to la pertica
pendente in aria
in tal modo,
chela punta dei
ferro pofta in capo
alla pertica ferifca
il centro del
piatto, il quale
vuol' efler fer-
mato ftabilmentc
incaftrandoloin vnatauola,o incollandolo
fopra_. vna pietra
sì, che nonfipoffa
muouere^airhorafivà mouendo intorno
la pertica in
modo, che la
punta di ferro
vada rodendo il
piatto, fino che
gl'haurà data la
portione di quella
sfera, di cui
la pertica viene^
ad effereil femidiametrojSt accioche
fi polla meglio
girare la perti-
ca fenza che fi
alteri la di
lei luughezza, meglio
farà fare, che
in capo habbia
vna palla,© mezza
palla rotunda, e
quefta s'inferirà in
vn anel- lo tondo, e
concauoamodo di vn' altra
mezza palla coricaua
sì, che quella
in quella mouendofi
la pertica faccia
il fuo effetto,
^_^ la palla
fia come il
centro, da cui
prende il moto
la medefima pertica.^
• Ma lafciando
ogn'altro modo come
laboriofo, impetfetto,& efpofio
a molti pericoli
di errore ;paleferò
in cuefto luogo
vnmodo ficuriffi- mojcfattiffimo, e
facile, con cui
potremo fare piatti
per cannocchiali di
cento, e più
palmi fenza pericolo
di errore alcuno:
Quello artificio tenuto
fin bora fegreto,
non voglio tralafciaredipalefarloper publico
vtilc J benché
forfi a tal*
vno non piacerà
che io l'habbia
palefato; ma fc
alcuno il quale
forfiè flato il
primo inuentore di
quello artificio, l'ha
voluto tenere nafccftojiochefenza faperlodalui,o da
altri l'ho ritrouato,
poflb publicarlo come
cofa mia propria
: deuo benfi
però darne anche
lode a chi mi ha
aiutato a perfettionarloj e ridurlo
facil- % z
mente i8z Hicntealhpratticajcioè al
Sig. Francefco Simonetta
Ingegnere, «_, matematico
molto intendente del
Sereniflìmo Sig, Duca
di Parma, il
quale nel mcdefimo
tempo che io
in Roma ; haueua penfato
in Parma_. quello
artificio fenza che
Tvno fapeire nulla
dell'altro^ onde poi
l'anno 1660, giontoioinparmaje difcorrendoìconefib lui,rJtrouai
che il •enio
conforme hauea portati
ambidue ad vna
medefima inuentione? Quale
hora è pratticata
da quefto gentilhuomo
con ogni perfettione,
facendo egli piatti
per ogni forte
di cannocchiale con
ogni eccellen- za, e
maeftria. E so
elfer hoggidì pratticata
ancora da altri,©
efli Thab- biano
ntrouatadafcmedefimi,o
l'habbianorifaputadaalcunia
quali io rhocommunicatajnel che mi dichiaro
di non volere
pregiudicare ad alcuno
nella gloria di
tale inuentione, effendo
cofa frequente cho-»
piudVno s'incontri a
ritrouarQ fpecolando,o prattic^ndo
vna, cofa_r. medefima.^
« Prendafi il
piatto di metallo
rotondato, e piano, overo
alquanto battuto, $r
incauato, conforme al
maggior confano, che fé li
vuol dare, e per
finirlo di perfettionare,e darli
perfetta figura fi
incaftra fortemente in vn capo
di vn legno
tondo, e cosi
fermo fi fta-
bilifce fnpra vn
torno in aria,
in modo che
fi giri nel
fno centro; e
per farlo girare
feguitamente fempre da
vna parte fi
potrà ac- commodare
vna ruota, che
girandofi col premere
di vn pierr
nr ^nr^fy "*f
o^JÌ X. Il
vetro oggiettiuo de' eflère
groflb, o fottllc
conforme la lun-
ghezza del cannocchiale, e
eonucflìtà,che fé li
vuol dare 5
e quanto più
lungo farà il
cannocchiale, tanto più
groffo de* eflere
il vetro ^
rna_, %, è
difficile il determinare
qual regola, e
proportione s'habbia da
ofler- uarej poiché
non ogni vetro
è vgualmente denfo,
o chiaro, e
perciò vno fa
più refrattione, e
l'altro meno j
onde i vetri
meno denfi deono
pigliarli anche più
groflì, acciò la
poca refrattione, che
nafce dalla_, rarità,
fia compenfata dalla
groflfezza. lotenendo vna
viadi mezzo of-
feruo quella proportione
j piglio dodici
gradi di quel
circolo (che fi
fuppone diuifo al
folito in $
60, gradi )
di cui effer
dee la conuclTìtà
del vetro ;
come nella portione
di circolo A
D B, fimile
al quale cfler
dec«* la conuellìtà
del vetro; piglio
dodici gradi cioè
da A fino
a B,e vi
tiro fotto vna
linea ACBjpoi faccio
che la groffezza
del uctro fia_,
tanta, quanta è
la diftanza CD
duplicata, cioè tanta
quanta è la
Imea ig'-vv^T DE
in modojche fé
il uetro nella
conuellìtifofìe 12. gradi, e filano-
-^^^^-^ ^ raffe
d'ambe le parti,
nell'cllrcma circonferenza refterebbe
confumata dall'arena tutta
la fua groflfezza,
e finirebbe in
un taglio. XI.
Sopra tutto fi de'
hauer riguardo alla
grandezza del uetro;
poi- che fé
bene poca parte
di eflb de*
reftare fcoperta per
riceuere i ra"^.
gi de gli
oggetti ; nulladimeno
moftra Tifperienza che
facendoli pic- coli non
prendono perfettamente la
figura del piatto,
onde fi deono
fare molto più
grandi di quello
che porti l'apertura
loro nel cannoc-
chiale ; poiché lauorati,
e luftrati che
fiano,fe non li
vorremo sì grandi
potremo poi impiccolirli; e non
rincrefca ad alcunola
maggior fatica, che
fiproua inlanorare,e luftrare i
vetri più grandi,
poiché verrà ri-
compenfata dalla perfettionedel vetro
che riufcirà fenza
paragone^ megliore :
come ho imparato
dall' efpcrienza: Io non
faccio vetro di
12. palmi che
non fia largo
almeno 4. oncie,cioè
vn terzo di
palmo, ed i
vetri di 20.
palmi li tengo
larghi mezzo palmo;
che peròadopro piatti
affai grandi, doucndo
quelli eflere tre
in quattro volte
più lar^^hi del
vetro nel loro
diametro; onde anche
auuiene che meglio
confer- uinola loro
figura concaua perfetti^ .
Dopo che fono
lauorati, e puliti
li vetri fi
deono inferire nelle
canne; circa le
quali oltre lecofe
già accennate difopra
fide'auuerti- re di
farle leggieri, acciò non
fi pieghino facilmente
perii pefo ;
ma nondeuono però
eflere tanto fottiIi,che
vi penetri, e trafparif-
ca la luce; di
più non folo
conuiene in ogni
maniera impedire ogni
adito alla luce,
facendo che vna
canna vadiben ftretta
con l'altra»,, ma
»>» ina anche
gìoucrà per di
dentro darle color
neroi Giouerà ancora^
fare le canne
in modo che
fiano alquanto più
Jarghe nella rvl
cima che nel
fondo, poiché cofi
Icorrerano facilmen^ te, e
diftcfe che fiano
la parte larga,
vnendofi con la
ftrctta fi ftringeranno
forrement^^ fenza pericolo
che fi pieghino,
o vacillino. !Oìt)nt)n; :
^tlli céinnocchìali dì
due^ o fin
'vetri conuef/f. I
fogHono fare cannocchiali
fenza vetro concauo,ponen- do
vicino all'occhio, o poco da
eflb lontano come
di- remo vna, o
più lenti, cioè
vetri conueflì di
poca sfera ;
e benché li
cannocchiali con vna
fola lente vicina
all'- occhio rapprefentino
gl'oggetti riuoltati al
contrario; fi vfano
però per mirare
le macchie della
luna, del fole,
e le altre
ftelle, quali nulla
rileua che la
parte deftra comparifca
dalla finiftra. Per
tan- to fi fanno
con quefte regole.
I. La lentefcèconuelTa d'ambe
le parti dceftarc
dentro la canna_.
vicina all'occhio quanto
è ilfemidiametro di
effa lente ;
ma fé è
con- ueflada vna
parte fola dee
fìare lontana dall'occhio
il doppio, cioè
quanto è tutto
il diametro. IL
Al diametro del
vetro oggettiuo dee
corrifpondere quello della
lente; poichei vetri
obbiettiuì di maggior
diametro richiedonoanche vna
lente di diametro
maggiore con vna
tal quale proporrione;
nel che fi
de* fapere, che
tanto più grandi
fi rapprefenteranno gl'oggetti,
quanto la lente
farà di minor
sfera, e di
più breue diametro;
ma quan- to più
grandi farà gl'oggetti, tanto più
ofcuri compariranno, et all'in-
contro la lente di
maggior sferali rapprefenterà
più chiari,ma più
pic- coli. La ragione
di queftoè perche
ciò che apparifce
più grandc,app2- rifce
tale perche fi
mirafottovn maggior angolo,
come dimoftra Top-
tica;ma quelle cofé
che fi vedono
fottomaggiorangolo, fi vedono
più ofcuramente, perche
eflendo l'angolo grande,
i raggi vifuali
che_» deuono riempire
eflo angolo, fi diffipano
troppo, onde perdono
della fua forza,
viuacità, e vigore,
che riteneuano e&ndo
vniti in vn
angolo minore-^. Quale
debba eflere la
proportione della lente
con il vetro
cbbietti- uo non
fi può facilmente
determinare, poiché quanto
più perfetta farà
la figura sferica
deirobbiettiuo, tanto più
gagliarda, cioè di minori;^
sfera potrà cflcre
la lente, onde
anche da ciò
fi conofce la
perfettiono del vetro
obbicttiuo, che fi
poifa accompagnare con
vna lente gagliar-
da, e nulladimeno con
ingrandire maggiormente roggctto,lo
rappre- fenti però
affai chiaro. Quando
vn vetro obbiettiuodi
cannocchiale-^ C e
e lungo »54
lungo 1 o.
palmi fi pofTa
accompagnare con vna
lente che fia
di femi- diametro
vna fefta parte
fola diva palmOjfide'ftimare molto
perfet- to, ed io
ne ho lauorati
alcuni di que/h
natura 5 fi
che rapprcfentano l'oggetto
fefianta volte più
grande di quello
che comparifca all'occhio
nudo. Poiché fi de* fapere
che la grandezza
apparente dell'oggetto lontanomiratocontalecannocchiale, paragonata
alla grandezza ap-
parente del medefimo mirato
fenza cannocchiale, ha
la medcfima pro-
portione, che è
tra il diametro
dell'obbiettiuo, ed il
diametro della len-
5e,fi che efiendo
vna fefta parte
di vn palmo,
a io. palmi
come i.a 6q,
tuie èfimilmentela proportione
dell'ingrandimento. Quindi èche
fé vn cannocchiale
il doppio più
lungo cioè di
20. palmi fi
accompagnaf- fe con
vna lente di
diametro pirimence al
doppio cioè di
vna terza par-
te divn palmo, quefto
cannocchiale benché il
doppio più lungo,
non_* rapprefenterebbe niente
più grande Toggecto
di quello che
faccia l'al- tro; che
però non deecrefcereil
diametro della lente
a quella propor-
tion,checrefceil diametro dell'obbiettiuo, ma
molto meno. La
ragione poi per
la quale l'iftciTa
lente, che ferue
bene ad vn
ob- bicinuodi lo.palmi
nonferuaad vn altrodi 20.
palmi, è perche di
quanto più lungodiam.ctro,e i!
vetro, tanto piuingrandifce a
propor- tione gl'oggetti, i
quali non comparifcono
grandi per altro
fé non per-
che fi vedono fottovn
angolo maggiore; e
confeguentemente conmi^ nor
quantità di raggi
in ciafcun ponto
dell' imagine,!a quale quanto
più grande fi
forma, fi forma
parimente più debbole,
e meno viuace,
come fi vede
nelle imagini tramandate
da tali vetri
obbiettiui,poftiad vn forame
di vna feneftra
in camera ofcura:
Quindi èche fefiaccom-
pagnafle conTobbiettiuo di
20. palmi l'iftefla
lentcchc ferue perl'ob-
bieitiuo di lo.
palmi fi formerebbero
l'imagini delli oggetti
troppo dtbboli,& ofcure;
che però fi
accompagna vna lente
di maggior dia-
metro, la quale formi
Timagini più chiare
benché più piccole
; conuie- neperò
notare che l'imagini
più grandi formate
da vn vetro
obbicttiua U.g.di 10.
palmi non fono
il doppio più
debboli di quelle
che fi for-
rnano da unuetro
obbiettiuodi io. palmi,
perche la maggior
quantità di ra^^ich'
entrano per l'apertura
maggiore del vetro
di 20. palmi
compcnlala debbolezzajonde fé
l'apertura del vetro
di 10. palmi
po- tefle eflcre
il doppio più
grande di quella
del vetro di
io. palmi sì,che
tutti iraggsche entra{reroperefl3,fi vnifl'ero
a formare l'imagine,
co» me fi
vnifcono quelli eh'
entrano per l'apertura
il doppio minore
del vctrodi lo.
palmi, l'imagine fi formerebbe
il doppio più
grande, c-^ nuUadimeno
ritenerebbe l'iftcfla chiarezza,
e viuacità jonde
fi potreb- be adoperare
l'ifteifa lente, che
ferue per il
vetro di 10.
palmi j ma_.
per- Ii>5 perche
non fi può
dare tant' apertura
al vetro, che
tutti h" raggi
che per cfla
entrano vengano ad
vnirfi nella formatione
dell'imagine, perciò fi
deecompenfarela minore apertura,
con la lente
di maggior diametro:
Pertanto fi dourà
ofleruare quefta regola,
che nel cannocchiale
più lungo quanto
l'apertura del veftro
è minor di
quello che dourebbe
effe. re a proportione della
lunghezza, tanto maggiore
fia il diametro
della_, lente à
proportione del diametro
della lente del
cannocchiale minore, v.g.
fia vn vetro
di cannocchiale di
i ©.palmi, con
apertura di vn
oncia, C con
vna lente di
due oncie di
diametro, il quale
riefca perfetto :
oc vn altro
vetro di 20.
palmi non pofl'a
vnire perfettamente i
raggi con aper-
tura maggiore di vn
oncia è mezza,
fi che manchi
vna mezz'oncia alla
proportione della lunghezza,
la lente dourà
efiere di 5,
oncie. Nel che
però fi auuerta
che quando dico
vn oncia,o vn
oncia,c mez- za di
apertura del vetro
non fi de'
intendere vn oncia
di diametro in
lunghezza,ma in ampiezza
difuperficie, eflendoche la
fupcrficie non crefcc
con la proportione
del diametro, ma
con proportione ma^aio-
re,cioè con la
proportione de' quadrati del
diametro ; come
dimoftra Euclide. Ciò
che fi detto
del diametro della
lente s'intenda ancora
del diametro delconcauo,
quando quefl:o fi
adopra invece di
quella. Didì che
la proportione della
grandezza apparéte con il canocchia-
le, alla grandezza
apparente fenza cannocchiale,
e la medefima
ch?_-» quella del
diametro del vetro
obbiettiuo al diametro
della lentejil che
fide'intendere quando l'oggetto
ftia lontano dal
vetro obbiettiuo del
cannocchiale foltanto,quanto è
il diametro, onero
fcmidiametrodeija conuefiìtà del
medefimo vetro, cioè
quando l'oggetto è
lontano dal ve-
tro quanto è il
foco delvetromedefimo^nel qual
cafo il cannocchiale
fa l'effetto di
microfcopio : ma
in maggiore dilhnza
l'oggetto non com-
parifce ingrandito con
la medefima proportione,
ancor che cale
fia la proportione
de gli angpli,che
fanno i raggi,
li quali vengono
dall'eflire- me parti
dell'oggetto al punto
della villa, la
ragione è perche
la gran- dezza apparente dell'oggetto, non
fi de'mifurare dall'angolo,
de i rag^^i
efì:remi dell'oggetto formato
nell'occhiojma dal angolo,
de'medefimi « raggi
dopochefi fono refratti
da gli umori
dell'occhio medefimo i
il che per
non eifer fì:ato
auuertito da molti,
è fl:ato occafionedi
errore nel determinare
la grandezza apparente
de gii oggetti
; fia v.
g, l'oggetto r--
AB prima vicino
all'occhio C, l'angolo
che determina la
grandezza ;f^_J^^* apparente
non è l'angolo
AC B,- ilchefi
prouamanifeftamcntecon-,
l'ifperienza.-poiche pofto rifieflb
oggetto AB al
doppio più lontano
dall'occhiojcioè in GH,farà
necefìariamente TangoloGCH il
dop- pio minore dell'angolo
A C B,
onde dourebbe l'oggetto
medefimo com- pa-
196 parire il
doppio più piccolo
^ e pure
rifpenenza moftra, che
Ce io miro
vg.vn vetro di
vna fencftra prima
in diftanza dicinquepaffijC poi
in diftanza di
dieci paflì, in
quefta feconda diftanza
non mi comparirà
ildoppjo più piccolo
j anzi mi
comparirà poco minore
di prima-. •
La grandezza dunque
apparente fi dcEermina,da
gl'angoli de'mcdefimi raoc^i
dopoché fi fono
refratti nell'occhio, cioè
dall'angolo F CE
for- mato dalli raggi
A CE, BCF,
dopo che fi
fono decufifati, e
refratti, e dall'angiolo
DCI formato dalli
raggi C CI,
HCD, fimiimente de-
cufTsti, e refratti
; e perche
l'angolo F C E, non
è il doppio
maggiora-» dell'angolo DCl,benchefia
formatoda raggi, che vengono
dall' og- oettoil doppio
più vicinojperciò l'oggetto
ancorché più vicino
al dop- pio non
comparifce al doppio
più grande 3
La ragione poi
per la quale
quell'an^olojchedourebbe
efiere al doppio
più grande non
Io fia, de*
pende da varie
cofe,quali farebbe cofa
lunga il fpiegarlejOnde mi
rifer- uo a
parlarne nell'optica. i
Per bora bafìii
fapereche laproportionedegli angoli
fatti da raggi
eftrcmi deiroggetto,ed vniti
fenza refrattione all'occhio, non èia
me- defima con
la proportione della
grandezza apparente, e
per confe- ouenxa
è falfa la
regola vniuerfaie jche
anche nell'ingrandimento óeK-
oggetto fatto dal
cannocchiale fia la
medefima proportione tra
Ia-appIicheremo effo cannocchiale
con il Ve-
tro cbbiettiuo al forame
della feneftra,e porremo
al fuo luogo
la terza lente
fola,facendopafl3re per il
Vetro obbiettiuo, et per
cfla lente le
imagini de gl'oggetti
pofti incontro alla
feneftra, e collocheremo
die- tro alla lente
vna carta,laquale fé
farà vicina alla
lente, riceuerà ì^l^
imagini rouefciate ; ma fé
fi andrà allontanando,
il cerchietta delle
imagini fi andrà
impiccolendo, fino chela
carta fia lontana
daeffa lcnte,tantoquancoè ildi
lei femidiamctroj, ed
in qucfta dif-
tanza farà vn piccioHffimo
cerchietto, e quafivn
punto di luce
vi-*. i E
e e uif-
202 uifsima,ch'è quel
punto, in cui
fi colloca l'occhio,
mirancio per dee-'
to cannocchiale di vna fola
lente. Allontanando poi
maggiormente. la carta,di
nuouo s'incomincierà ad
ingrandire il cerchietto,
con den- tro l'imagini
radrizzate.- fegno euidente,che
fi radrizzano in
quel punto di
luce
intenfa,ouefivnirconoiraggi,efidecufl'anoj e
quanto più fi
allontanerà la carta,
più longo fi
farà il cerchietto,e
s'ingrandi- ranno le imagini,ma
perderanno ancora della
fua chiareiz,a,c viuacirà;
punque collocheremo la
feconda lente in
quella diflanza dalla
ter- za, ncìla,'quale diitanza
comparifcono le imagini
radrizzate in vn_*
cerchietto di competente
grandezza, nel quale
fiano aflai chiarc,e
viuejlat]ualediftanza farà il
duplicato femidiametro della
terza lente, o
alquanto meno. Di
nuouo poi collocheremo
la carta dietro
a ^'■^"'.^.quefta feconda
lente,e vedremo in
cfìa le imagini
parimente radriz- "
^''zate con quefta
varietà peròjche in
vicinanza alia detta
feconda
lente,comparirannochiare»maconfufe;nia
in maggiore diftanza
di quello,chefia ilfemidiametro della
lente, compariranno difìiinte,
t_j qui doue
fono più diftinte,
e chiare fi
de collocare la
prima lente ocu-
lare di quella grandezza,
che farà il
cerchietto di.efìefopra lacarca,
dietro alla quale
prima lente collocando
la cartaio diftanza
del femi- diametro,
vedremo vn altro piccolo
punto di luce,
doue fide'col- locare
l'occhio, vncndofi ini
le imagini. Ciò
fi dichiara nelia^
prefente figura 5
nella quale il
Vetro oggettiuo AB,
riceue le ima-
gini con i raggi
CE, DF, iqualifidecufsano,cfirouefcianonel- Tentrare
per l'apertura dicfso
Vetro sì, che
roggetto deliro vedeCi
alla parte finiftra,comc
è manifefto nelle
imagini, che fi
vedono rap- prelentate
nella carta pofta
dietro ad elfo
Vetro, quando quefì:a
fi applica iolo
al forame della
camera ofcurata ; fi riccuono
dun- que le imagini
rouefciatc nella terza
lente FÉ, e
perciò met- tendo la
carta vicina ad
efla lente tra
il punto G,
e la medcfir
ma lente fi
vedono rouefciate,fino a
tanto, che vnendofi
tutti li raggi
di efi^ nel
punto G, fi
raddrizzano, e fi riceuono
diritte-» nella lente
H I, e
perche i raggi
di cfle fi
dilatarebbero in L, et M,
perciò la feconda
lente HI, li
reftringe in N, et O,
doue parimente dirizzate
fi riceuono nella
prima lente NO,
e quefta le
finifce di vnire
nel punto P,
poco auanti al
quale fi colloca
l'occhio, il quale
le vede, come fé
fofsero nella fuperfi^
eie della lente
NO, e perciò
le vede diritte 5
so che altri
altra- mente fpiegano il
modo, con cui
operano quefti Vetri
nel cannoc- chiale, ma
qui non voglio
prendere, ed impugnare
l'altrui opinioni, poiché
io non procedo
con dimoftrationi geometriche,
il che mi
ri^ feruo 205
feruodi fare nella
mia optica; ma
folo con le
ragioni fìfiche cauate^
dairifperienza che cofi
m'infegna. Chi bene
intende queft* effetto
de i detti
vetri ( e
l'intenderà più facilmente
chi gli applicherà
al forame della
feneftra come fi
è detto) potrà
difporre le lenti
non a cafo, come
fanno la maggior
parte ài quelli
che fabricano cannocchiali,
ma con arte
ed in modo
tale, che faranno
gì oggetti molto
più grandi, con
vedere infiemc molto
fito . Poiché
auuertirà prima che
la lente F
E vuol cfìer
collocata lontana.^ dal
vetro obbiettiuo in
quel fito, e
diibnza poco maggiore,
nella quale i'imagini
cheentrano per eff^
vetro obbiettiuo applicato
al forame, fi
vedono più chiarc,ediftintej il
che farà il
femidiametrodi elfo vetro
obbiettiuo. Dourà parimente
effer larga acciò
riceua I'imagini di
mol- ti oggetti, poiché
cofi il cannocchiale
vedrà maggior quantità
di o^;- getti,cioè
tutti quellijdelli quali fi riceuonoleimagini m
ella tcrz,a_. lente
F E j
purché tutte venghino
tramandate alle altre
lenti ; e
perche fé la lente F
E fofie troppo
conuefìa ingrandirebbe ben
sì, ma non
rra- mandarcbbe tutte
le imagini alla
feconda lente, ma
folo parte di
elle, e quefte
affai ofcure; perciò
fi de' fare di
minore conueflìtà, cioè
di maggior diametro
delle altre, acciò i
raggi FI, EH
non fi dilatino
troppo in modo, che
non fi poffano
riceuere tutte le
imagini nella fe-
conda lente MI, la
quale vuole efler
pofta difiante dal
punto G,in_. cuifiriuoltano,e fi
raddrizzano I'imagini, tanto,
quanto è il
proprio femidiametro, e
dourà effere tanto
larga, quanto è
il cerchietto delì
l^ imagini in
quella diftanza, acciò
non fi perda
niuna imagine di
quella che riceue
la terza lente,
ma tutte fi
tramandino raddrizzate alla
fe- conda, e quefta
feconda lente HI, de'
effere conueffa tanto, quanto
bafta perrefì:ringere i
raggi GH,GI (i
quali andrebbero a
termina- re inL,&i\'f,) e
portarli nella prima
lente in N,&
O,onde neanche dourà
effere troppo conueffa
altramenteli rellringerebbe
troppo, ^^ per
confeguenza impiccolirebbe le
imagini, fi che
de'cffere taie,chei raggi
H O, IN
fi vadano più
tofto dilatando che
reftringendo, e ter-
minino in vna lente
O N, tanto
larga quanto bafta
a riceuere tutte
le dette imagini,
acciò ne anche
queih ne perda
alcuna; e perche,come fi
è detto più
volte 5 gl'oggetti
comparifcono comefefoffcro in
quefta prima lente
oculare, perciò dourà
effere molto più
conueffa delle altre;
poiché in tal
modo vnirà i
raggi in maggior
vicinanza cioè inP,e
per confeguenza l'angolo
OPN farà maggiore;
onde anche maggior^»^
comparirà l'oggetto, il quale
tanto più grande
rafìembra, quanto è
maggiore l'angolo fotte
cui fi vede.
Nclchefipuò ofseruare che
I«^ due lentivicine
all'occhio fanno l'effetto
del microfcopio,ingranden-;^ do
204 do le
fpecie,che fi riceuono
nell.i terza lente.
• Auuertafi finalmente
che le lenti
fiano di criftallo
chiariilìmo, e» candido^e
più fottilechefia poffibilcje
particolarmente )a lente
ocu- lare de'hauere quefteducconditioni j
ma la lente
di mezzo potrà
efiere alquanto meno
chiaraje di colore
leggiermente auuinato, par-
ticolarmente quando il criftallo
dell'obbiettiuo fofle aflai chiaro,
ma quando quefto
fofle, come de'efìcre
di colore auuinato,
tutte le lenti
deuono eflcre di
criftallo chiariftìmo,come quello
di monte. Oltre
alle tre lenti
fé ne poflbno
aggiongere delle altre,
e ciò in_.
vari) modi, ma
perche dalla moltitudine
di efie poca
vtilità fi può
ottenere; perciò io
non ftimo, che
fia bene l'vfarle
particolar- mente,perche incorreremo
facilmente in alcuni
difetti difficili ad
eui- tarfi nella
moltiplicatione delle lenti
: Ben sì
io ho efperimentato
mol- lo gioueMoleTaggiongereyn fecondo
Vetro obbiettiuo poco
lontano dal primo sì,chefiano due Vetri
obbiettiuij&vna lentc,ouero anche
tre lentijpoiche quefta
difpofitione di cinque
Vetri abbreuia il
can- nochiale,ritiene in
gran parte la
mcdefima grandezza l'oggetto,
c-^ comparifce più
chiaro: Dcuefi dunque fare
vn Vetro obbiettiuo,
il quale fia
di minor diametro
de!ralrro,ela difterenia de'efterelaquin^ ta,ola
quarta parte; per cfempio
fei'vno è di
cinque paimi,raitro fi
de* fare di
quattro in circa;
poi quello di
cinque fi de' mettere
neireftre-. mo del
cannocchialcjche miri l*oggetto,e
l'altro di quattro
palmi 11 de'
collocare più dentro
nel cannocchiale, o
meno 5 conforme
li di- uerfi
efifetti,che pretendiamo, poiché
fé defideriamo vedere
l'oggetto chiaro, e
piccolo auuicineremo maggiormente
edì due Vetri
obbiet-' tiuijfe vorremo che
rapprefenti l'oggetto grandc,e meno
chiaro, gli allontanaremo;auuercendojche quando
allontaneremo vn obbiettiuo
dall'altro, douremo auuicinarelelcntiad eflì
obbicttiui,& all'incon- troquando auuicineremo gl'obbiettiai
tra di loro,
douremo allonta- nare da
edile lenti. Auuertafi
anchcjchcla lunghezza del
cannocchiale farà motto
mi- nore di quello
che farebbejfe vi
fofle il folo
primo obbiettiuo,che mira
l'oggetto. Di più,
tal hora due
Vetri cbbiertiui lauorati
fopra vn medefimo
piatto fono atti
a quefto effetto,quando dal
modo di lauorarli
vno rie-. fce
di alquanto maggiore
diametro dell'altro. Notoancora,chequeftj due
obbiettiui fanno belliffìmo
effetto nei cannocchiali
aflTai lunghi, poiché
il difetto de' Vetri,
che hanno afsai
lungo diametro, confifte
in non vnire
bene i raggi
;& vn tale
difetto viene corretto
dall'altro Vetro di
minore diametro,come fi
vedrà me-» olio
205 Balle le
cofe, che fi
diranno apprefso. Finalmente
deuo auuertire,che nelli
cannocchiali di molti
Vetri fi vfi
molta diligenza in
fare, che la
faccia di vn
Vetro riguardi dirit-
tamente Taltra, e non
fiano ftorte, ma
Tvna efattamente parallela-,
all'altra ; altrimenti
il cannocchiale rapprefenterà
l'oggetto ofcura- mcnte
per la confufione
delle refrattioni. Refta
difcorrere de* cannocchiali
ditrce più Vetri,
parte de qua-
li fiano concaui,e parte
conueflì; e primieramente
fappiafi, che Ia_,
inedefima inuentione poc
* anzi accennata
di feruirfi di
due Verri conueflì
obbiettiui, fa ottimo
effetto anche nel
cannocchiale ordina- rio con
il Vetro oculare
concauo^ siche qual fi
voglia cannocchiale ordinario
di due Vetri,vno
concauo, l'altro conuefso
fi può molto
per- fettionare con
aggiongere vn altro
conueflb poco lontano
dal primo, edi
alquanto minore diametro
j poiché in
tal modo il
cannocchiale^ riufcirà afsai
più breue,e farà
Toggetto più chiaro,abbracciando mag-
gior fico 5 e fi
può allongare, et accorciare,
conforme defideriamo vedere
gl'oggetti grandi, e
meno chiari, overo più
chiari, e pic-
coli. 2. Mi
piace di riferire
in quefto luogo
vn altra inuentione,
che confifte in
fapere collocare vn
Vetro concauo circa
il mezzo de!
can- nocchiale ordinariosì, che
fiano due Vetri
concaui jauertendo, che
il concauo,che fi
mette no dal
capo,ma più dentro
nella canna de'cfsere
disferaalsaigrande, cioè, poco
concauo ^poiché in
tal modo non
di- uaricarà li
raggi trafmefseli dal
Vetro obbiettiuo, ma
folo impedirà chefivnifcano
troppo prefto,e portandoli
più lontani gli
vnirà tutti infiemej
ladoue prima quelli,che
entrauano perle parti
eilreme del Vetro
fi vniuano troppo
prefto,e prima de
gl'altri, e nella
mcdefima maniera potremo
feruirfi di fimili
Vetri concaui anche
ne gl'ahri can-
nocchiali con le lentijO
con due Vetri
obbiettiui^ e di
più porremo cor-
reggere il medefimo difetto,
che hanno le
lenti di non
vnire tutti i
rag- gi nella medefima
diftanxa, con metterui
auantio dopo alcuno
di quefti Vetri
concaui, auuertendo, che
vuole efsere proportionatifsi- mo
alla conuefsità di
auellojdi cui vogliamo
correCTocre il difetto,
nel che anche
fi de'«faperc,che collocando
quefto concauo dopo
il Vetro obbiettiuo,
il cannocchiale riefce
notabilmente più lungo
j e fé nt«> può
facilmente intendere la
ragione dalle cofe
predette. ponendo la
fuperficie conuefli verfo
l'oggetto vnirà i
raggi in diftanza
diuerfa da quello,
che farà ponendo
verfo l'oggetto la_,
fupcrfìcie concaua, o
meno conuefsa, o
piana». ; Quindi
riefce difficile il
determinare precifamente la
diftanza del foco
dei Vetri sferici
5 aggiongafi, che i Vetri
piu denfi, e
b:n_, cotti fanno
maggiore refrattione, si che vnifconoi
raggia minore di-
ftanzajonde non effendo
tutti li Vetri
vgualmente denfi,non fi
può fa- pere
precifamente la quantità
dell'angolo della refrattione,
potendo eflere in
alcuni piu, in
alcuni meno della
terza parte dell'angolo
dell'-^ incidenza .
Quanto è maggiore
la refrattione,tanto megliore
riefce il Vetro, poiché
minore fuario di
refrattione vi ètra
i raggi vicini
al- rafse,edi raggi
da efso lontani,
si che poi
tutti fi vnifcono quafiaU'if-
tcfsa diftanza, Hor
per fapere pratticamente
la diftanza del
foco di ciafcua
Vetro fi pofsono
ofseruare varie maniere.
11 primo modo
affai co- mune perii
Vetri conuefsi è,efporli
alla luce del
Solere facendo paf-
farepereflìifuoi raggi,ofreruare a
qual diftanza fi
vnifcano in vn
mi^ nor cerchietto
di viuitfima lucej
poiché tal vnione
di raggi la
dous fi fi,
quiui fi dice
efler il foco
del Vetro conueffo;
fi de* però
notaresche ne'Vetri di
grande sfera riefce
difficile il difcernere
qual fii quel
fico piu,o meno
diftante,nel quale fi
faccia la maggior
vnione,poiche tali Vetri
non vnifcono tutti
i raggi in
si piccol cerchio,
come fanno li
Vetri di sfera
minore, 2. Pongafi
vn lume dietro
al Vetro in
tal diftanza, che
i raggi di
elfo penetrando per
il Vetro efcano
dall'altra parte paralleli,
termi- nandofi in
alcun piano oppofto
ne riftretti,ne dilatati,
ma con vn
cer- chio di luce
vgualea'la grandezza del
Vetro j percioche
tal diftanza del
lume del Vetro,
fé quefto farà
conueflo d'ambe le
parti, farà il
fe- mìdiametroj e
fé conueflbda vna
fol parte dall'altra
piano, farà il
diametro, e comunque
fia farà fempre
la diftanza del
foco; Quefto modo
parimente riefce piu
efatto nelle lenti, et -altri
Vetri di non
molta sfera; e
fi de'auuertirejcheriufcirà meglio,fe
illumefarà molto pìccolojouero
applicato ad vn
piccolo forame. 3.
Si metta l'occhio
lontano dal Vetro
conueflo pofto dirimpetto
ad oggetti lontani;
e quando l'occhio
farà arriuaco a
tal lontanan- za dalVetro,che mirando
perefib gl'oggetti lontani
fé gli confondano:
totalmcnte,fappiafi che tal
diftanza è fito
dell'occhio e quella
del focoj Que-
io8 Quefta regola
però non fcrueper
i uìiopi, poiché
quefti ponendo in^
tal fico, o
poco da eflb
lontano l'occhio fenza
altro vetro concauo,
^^ fcnza lente,
vedono gl'oggetti diftinti
ed ingranditi, come
altri li vedo-
no con il cannocchiale
perfetto di due
vetri, cofa offeruata
nouamente, e deonad'efiere
notata come nuoua,efinfjolare, 4.
Si efponga al
fole il vetro,
e fi faccia
riflettere il lume
in vn pia-
no oppoftocheftiatràil
vctro,edilfo!ejfi vadaauuicinando,o allon-
tanando il vetro da
elfo piano fin
tantoché i raggi
rifleflì dalla fuperfi-
cie di dietro
dal vetro fi
vnifcano in detto
piano in vn
cerchietto di luce,
più piccolo che
farà podìbile, poiché
la diftanza del
vetro dai piano
farà la quarta
parte del diametro
della fuperfìcie di
dietro al ve-
tro, che riflette tal
lume, come fé
fofl'e fpccchio concauo,onde
fé il ve-
tro haurà
rifìefl'acenueflìtà, anche dall'altra
parte tal diftanza
farà la metà
della diftanza del
foco, ma fé
dall'altra parte farà
piano, farà folo
la quarta parte.
Nella lenteèpiu facile
conofcere quanta fia
la diftanza del
foco non folo
con le regole
infegnate di fopra,
particolarmente con efporlc
a rag8;i del
fole, ouero ad
vn lume lontano
acciò i raggi
fiano paralleli fé
non perfettamente almeno
proflìn5amentc,&
offeruarea che diftan-
za gli vnifcCjCcon por
l'occhio in fito
in cui fi
confondono gl'oggetti lontani:
ma di più
con por l'occhio aflai vicino
alla lente, e
quefta fo- pra vn
libro allontanandola da
efibfmo che i
caratteri fi vedano
più ingranditi, e più
chiari che fia
poflìbile; poiché tal
diftanza del!a_. lente
da quei caratteri,
e la diftanza
del foco. Secondo
fi ponga vn
lu- me tral'occhio, e
lalente,ed il lume
fi vada auuicinando
allalcntc_j, fintantoché fi
veda riflettere dalla
fuperfìcie concaua oppofta
deila_» lente, vn
lume rouefciato che
fporga fuori della
lente quafi in
aria_^ verfo l'occhio, et arriui
fino al lume
vero, poiché tal
diftanza del lume
dalla lente, farà
la metà del
femidiametrocioè del foco.
Per faperpoiil foco,
o come altri
Io chiamano il
contrafoco de' ve-
tri concaui fi miri
con l'occhio vicino
per il vetro
vn oggetto fino
che comparifca il
doppio minore, per
efempiofino che due
vetri di vna
feneftra comparifcano in
tanto ipatio, quanto
vn folo a
loro vi- cino jimpercioche la
diftanza del vetro
dall'oggetto farà quella
del foco . La
feconda regola aflegnata
di fopra per
i vetri conueflì
vale an- cora per
i concaui. 5.
Vn altra inuentione
molto vtile nel
lauoro deVetri obbiettiui
per cannocchiali afìfai
lunghi, è il
congiongerein eflì la
figura conca- ua
conia conuefla,in modo
tale, che eflendo
la conueftìtà portionc-»
di minor sfera,
e la concauità
di sfera maggiore
facciano Teftetto di
vetro Io9 vetro
conueflfo, con il
quale artificio noi
potremo lauorarc vetri
(opra piatti di
pochi palmi di
diametro, li quali con
tutto ciò feruano
per cannocchiali longhidìmijcome fé
foflerolauorati fbpra piatti
di grà- diflìmo
diametro: e con
ciò euitaremo quella grande
difficoltà, che fi
ritrouanel dare la
figura perfetta conuefla
alli vetri di
lungho dia- metro :
oltre che fé
la concauità di
vna faccia del
vetro haurà vna_j
conueniente proportioneconla conuefifìtà
dell'altra faccia, partorirà
ottimo effetto di
vriire i raggi
molto meglio, che
fé fofle conueflfo
dall' vna, e
dall'altra parte. Nel
che accade, che
quanto minore farà
la_. differenza de'diametnY purché il
concauofia fempredi maggior
dia- metro ) tanto
più lungo riufcirà
il cannocchiale,come fé
il vetro foiT?^
lauorato fopra piatti
di lunghiflìmo diametro.
Quefti vetri conuellb
concaui,foggiaciono però ad
vna imperfettione notabile, et è
ch«_/ non fé
li può dare
apertura maggiore di quella,
che porterebbe fé
foflfe folo conueffo
con l'ifteffa conue{Iìtà,onde riceuono
pochi raggi a
proportione della lunghezza
del cannocchiale,onde fimagini
fi ingran- difcono
ben sì, ma
reflano debboli 5
feruiranno nulladimeno per
li og- getti celefli, quando
il uctro ricerca poca
apertura, Refla per
fine di quello
capo di dire
alcuna cofa delli
cannochiall, con i
quali fi mirano
gì* oggetti con
tutti e due
gl'occhi che per
ciò adimandiamo binoculi.
Elfendo dunque cofa
certa che quando
noi miriamo alcun* oggetto con
ambi gl'occhi lo
vediamo più chiaro,
particolarmente in molta
diftanza, feguita che
facendo noi vn
can- nocchiale con il
quale fi poffa
rapprefentare Toggetto a
tutti due gl'-
occhi, non folo
ci comparirà più
chiaro, ma faremo
meno fa— tica_j .
Si farà dunque
in quefta, o
altra fimil forma
-, fabricheremo vn
tubo di cartone
di figura ouata,
e di tale
larghezzasche applicato a
gli oc- chi gli
abbracci ambidue j
nel margine della
parte fuperiore fi
ta^li vn arco
che copra, e fi
adatti allafronce,e nel
margine inferiore fi
fcaui in modo,
che fé li
pofìTa comodamente addattarc
il nafo j
e gl'occhi re-
fl:are nel fuo
fito fempre immobili,
riguardando direttamente i
verri obbiettiui 5 Pofcia collocherai
nell'altro cflremo del
tubo,o cannoc-. chiale
due vetri obbiettiui,
li quali deuonoeflfere
di vna mcdefima
lun- ghezza di diametro,
e l'vno totalmente
fimile all'altro nella
fua fi^^ura conueflfajfimilmente collocherai
vicino a grocchi
due vetri concaui
; ouero due
lenti, o anche
fei come ne
cannocchiali di quattro
vetri, Ci che
fiano come due
cannocchiali in vnoj
ma quefti vicini
a gli occhi
dcuono effere collocati
con taldifl:anza,che il
centro loro coirilponda
G g g
efat- N efattamente
al centro della
pupilla de gli
occhi j ali*
incontro li due
vetri obbietti dcDono
eflere tra di
fé al quanto
più vicini, o
meno conforme la
lontananza del l'oggetto,
e he vogliamo
guardare ^ poiché
in maggiore uicinanza
dell'oggetto^anch'eflì
deuono eflere più
uicinì tra dì
fé ; acciò in tal
modo i raggi
uifuali d'ambidue gl'oc-?
chi ipaffando per li uetri
obbiettiui,uadano a termina?
re nel mcdefimo
oggetto; onde douremo
addat- tare li
detti uetri obbiettiui
in modo, che
conforme al bifogno
fi poffano auuici»
nare più, e
meno tra di
loro, . ^n qual
modo ft pojfa
cono/are fé i///
Vetro fiA perfetta^
mente lauorato, etiandio
fen'^a farne l*ifùerien7a
con il Cannocchiale* \A
perfetdone del Vetro,
e del fuo
efatto lauoro, meglio
fi conofce con
Tifperienza del cannocchiale
mede- fimo j
nulladimeno potremo conofcerla
affai bent-^ anche
fenza cannocchiale, che
però accennerò come
fé ne potiamo
certificare nellVnOjC nell'altro
modo. Primieramente la
perfettionc del Vetro,
( parlo deli
obbiettiuo per eflcrc
in elfo la
difficoltà maggiore^ fi
conofcerà congiongendolo in
vn cannocchiale con
vn Vetro concauo al
modo ordinario, poiché
quanto più acuto
comporterà il detto
concauo,tanto più perfetto
farà il Vetro
ì l'ifteflo fi
può far con
vna lente, la
quale quanto farà
più ga. gliarda,cioè,di minor
diametro, fegno farà
che il Vetro
fia migliore, purché
non perda di
chiarezza j il
concauo però dà
inditio più cer-
to della bontà del
Vetro. Di più,
nel far quefte
proue non douremo
contentarfi di mirare
oggetti grandi,benche lontani
; ma douremo
pia toftodirizzare il
cannocchiale verfo vn
foglio di carta
Rampata, con
diuerficaratteri,altripiu
grandi, altri più
piccoli, e pofta
in vna mo-
derata diftanzadi 80. overo
100. o più
pafsi,& offeruare fé
tali ca- ratteri fi
poffano leggere diflintamente, e fé
comparifcano ben ter-
minati,fenza confufione verunajpoichedaciòfiha ini^allibilmciite la
bontà del Vetro,
e del cannocchiale.
Terzo, fi conofce
ancora la detta
bontà del Vetro,fe
li potremo dare
vna apertura grande
sì, che entrando
per effo maggior
quantità di raggi
rapprcfentino l'oggetto più
chiaro, e nulladimeno
dif^into, e fenza
abbagliamento di luce_j.;
poiché l'ecceflìua chiarezza
fipuò fempremai temperare
con ado- perare vna
lente più gagliarda, che imgrandirà
maggiormente l'o^^- getto, ma
quell'abbagliamento nato dalla
coniufion^? de' raggi, ch^
non fi vnifcono
all'ifteflo punto,nó fi può leuare
fcnoucó refì:rin gere
l'apertura del Vetro,impedendo l'ingreffo
alli raggi più
lontani dal centro
del Vetro, i
quali facendo refrattione
maggiore de gl'ai-
tri,non fi vanno
ad vnirc inficmc
con eflì,onde più
tolto li confondo-
no, con pregiuditio dell'occhio.
Si 212 Si
de* notare,che nelle
proue,e paragoni de* cannocchiali, più
age- uolmente con
vn cannocchiale leggeremo
vn carattere grofTo
mcz,zo dito in
diftanza dimezzo miglio,
che vn carattere
groflo vn dito
in diftanza divn
miglio, e ciò per
due capi. Primo, perche
la rarefata tione
de raggi dellicomi
radiofi di ciafcun
punto dell'oggectOjcrcfce non
a proportionc della
diftanza, ma a
proportione della fuperfìci^^
delle sferCjdi cuilediftanze
fono i diametri, si
che i raggi
in doppia di-
ftanza faranno quattro volte
più rari, mentre
fi diuaricanojonde an-
corché l'ingrandimento
crefca a proportione
della miaore diftanza,
crefce però più
reciprocamente la chiarezza
. Secondo, perche
ia_*
niaggiordiftanzafifrapongono
più vapori dell'aria, che impedifcono
la viftadiftinta; e
particolarmente nellVfo dexannocchiali lunghi,
i quali ingrandendo
molto ogni piccolo
oggetto, fanno che
compa- rifcino ancora
nell'aria di mezzo ivapori,iquali perche
ftanno in_. vn
continuo moto, e
bollore, come fi
vede in effetto,
perciò eoo», tale
agitatione perturbano molto
la vifta diftinta,
e tranquilla degli
oggetti. Chi poi
volefse conofcere fé
alcun Vetro obbiettiuo
fia ben lauo*
ratOjfenza farne prona
con il cannocchiale,
ciò potrà ottenere
inuarij modi. Primo,faremo
paflare per il
Vetro oppofto al
Sole li di
lui raggi sjjche
l'unione di efli
uada a terminarfiinunpiano pofto
a dirim- petto, e
fé a proportione
della diftanza del
foco quefti faranno
uniti in tal
modo, che formino
un cerchietto di
luce piccolo nel
piano, il quale
cerchietto (ìa perfettamente
rotondo, e di più le
parti eftremefianoben contornate,
e terminate,fenza penumbra, ed
in tut- to il
cerchietto la luce
ha ugualmente uiua,farà
fegno della bontà
del
Vetrojchefcpoifiuedefteil
cerchietto di luce
con leconditioni pre-
dette, ma non fofle
nel mezzo dell'ombra
cagionata dal Vetro,
mapiutofto davn lato,
ciò è fegno,
che il Vetro
fia ben la-
uorato, ma che
lalaftra del VecroèpiugroiTa dauna
parte, ch5_-» dall'altra,
il che fa
peftìmo eff"etto. Secondo,
fi ponga il
Vetro in- contro a
gli oggetti lontani, poi
fi metta l'occhio
nel foco del
Vetro tra effo,e
gl'oggetti, e fi
uedranno le imagini
di tali oggetti
aflai piccole, le
quali quando il
Vetro farà ben lauorato, compa-
riranno diftinte,e con la
loro douuta proportione,
fenza ftorci- mento,
o altro difetto.
Terzo, fi fermi
il Vetro incapo
di un af- fé
sì, che
fi poffa girare
in torno, come
fopra un torno
in aria, ft^
poco lontano da
eftb fi ftenda
un filo fottile,
che corrifponda al
centro,e diametro del
Vetro j poi
con Tocchivo alzato,&
abbaf- fato fi
oflerui 1* ombra, o iraagine
del detto filo
nel Vetro, la-*,
quale "3 quale
fé fi manterrà
fempre parallela al
filo medefimop mentre
il vetro fi
gira farà buon
fegno, / Finalmente
ottimo, e ficuriflìmo
è il modo
feguente. SI accenda
' vnlumeinvna camera
ofcura,e poftoilvetroin alcun
luogo dirimpet- to al
lume, fi tenga
rocchio vicino al
lume medefimojefivada allon-
tanando il lume infieme
con l'occhio dal
vetro fin tanto, che
corrifpon- da alfocodellafuperficieconcauajche riflette
il lume dalla
parte di dietro
al vetro all'occhio
ifteflb, che farà
la diltanza di
vna quarti.^ parte
di tutto il
diametro,© poco più,
in tal fito
fi oflerui il
vetro con., il
lume rifleflbed vniconel
punto dell'occhio, che
però fi de' tener
fer- mo ed immobile
in quel punto
deUVnione de'raggi riflefiì
j poiché fé
vedraflì il vetro
tutto ripieno, e
pregno di vna
luce viua,ed vniforme,
che non ondeggi,ncfia
mefcolatacon ombre, farà
ottimo inditio della
perfetta figura del
vetro da quella
parte che riflette
il lume,cheèla_, parte
di dietro, la
quale in tal
refleflione fa l'effetto
dello fpecchio con-
cauo: mafemouendo al
quanto il lume,
e l'occhio fi
vedrà ondeggiare quella
luce nel vetro,
ouero reftarui qualche
ombra con luce
ineguale, e non
vniforme,© fenza riempire
tutto il vetro,
farà fegno chiaro
che nonfia lauoratobene
da quella parte
j l'ifteflofi farà
dell'altra parte :
cdintalmodononfoloconofceremo
fé il vetro
habbia la figura
per- fetta: ma di
più s'accorgeremo fé fia ftato
ben fpoltigiiato,e ben
puli- to, percioche comparifce
in eflbimbeuuto in
tal modo di
luce, ogni minimo fegno
di afprezza,(3i righe,
di onde,& altri
difetti, ofiano dell' artefice, o
della natura,epafta del
vetro, a tal
fegno, che fi
conofce fé fia
ftato lauorato con
arena grofla, o
confpokiglio fino, dalle
righs.,», e ruidezzeche
femprepiu,o meno comparifcono,
ancorché fia finiffi-
mamente lauorato 3 cofa veramente
degna da fperimentarfi, e
di non-a poca
vtilitàe. Ddli mtcrofcofu. l
come con il
cannocchiale fi aiuta
l'occhio a vedere-»
gl'oggetti, li quali
auuegnache grandi,non però
fipof- Tono chiaramente
difcernere a cagione
della loro lon-
tananza, cosi è ftato
ritrouato vn altro
ftrumento, che chiamano
microfcopio, il qualifiche
l'occhione gli oggetti
vicini pofla difcernere
moltiflìmecofe, le quali
per la loro
picciolew^ fuggono la
vifta ordinaria. Quindi
è>chc facendo ef-
fetti fimilijma oppofti a
quelli del cannocchiale,
fi fabrica anche
in modo fimile,
ma contrario» Primo,
Il cannocchiale rapprefenta
maggiori gli oggetti
lon- canijqu^ntQ maggiore
è il diametro
della conueffità del
Vetro obbiet- tiuo; et airoppofto
il microfcopio rapprefenta
maggiori gl'og- getti vicini,quanto è
minore il diametro
della conaeflità delle
lenti, delle quali
è comporto, 2.
Li lente obbiettlua
del microfcopio nonde'efìere
pia lon- tana dall'oggetto di
quello, che fia il femidiametro
della conueflìtà di
effi ientej ladoue
il cannocchiale dc'hauerc
l'oggetto affai lon-
tano « 3. Nelli
cannocchiali di due
Vetri conueffi, cioè,
dell'obbiet- tiuocon vna
lente oculare fi
pone il Vetro
più conueflb, cioè
la lente vicina
all'occhio, ed il
Vetro meno conueflb
lontano dall'occhio 5 nel microfcf>pio,che fuol
efiere di due
lenti, fi colloca
la lente meno
con- uefi"a vicina
all*occhio,e la più
conuefla, e di
minor sfera lontana
dall*- Occhio,e vicina
all'oggetto. 4. li
cannocchiale fi pone
incontro all'oggetto 5
il microfcopio fi,
pone fopra l'oggetto.
Venendo dunque alla
prattica di formare
quefto ftrumento fi
de*
fapcre,cheCebenelimic'rofcopij
più perfettifi fogliono
fare di due-»
Ienti,vna lente fola
però fa l'effetto,
che noi cerchiamo
d'ingrandire le cofe
picciole j e
tanto maggiormente le
ingrandifce, quanto la
lente è più
conuefla, cioè parte
di minor sfera
j anzi anche
vna in- tiera sfera
di criftal!o,overo vn'ampolla
rotonda piena d'aqua
chiara farà il
medefimoj ma Ih
qucftp cafo l'oggetto
vuol porfi imme-
dia- diatamcntc fottola
palla, o sfera sì,chc
Ja tocchi^ la
doue la lente
de* ftare lontana
dall'oggetto tanto, quanto è
il fcmidiametro della
fua conuefiìtà? Volendofi
dunque feruire di
vna fola lente
potremo fabricarc^ lo
ftrumento in vno
delli due modi
leguenti, Faremo vna
piccola cannetta di
lamina di ottone, o
cofa fimile, tanto
ìarga,che vi entri
dentro la Jente,cioè
quanto è l'iride
dell oc- chio noftrOjO
anche più piccola,e
lunga quanto ?
il femidiametro del-
la medefima lente. Quella
cannetta farà chiufa
da vna parte,
in modo però
che vi refti
nel mezzo vn
picciol foro,fopra ilqualc
pofi immediatamente la
lente, dall'altra parte
vicina all'occhio reitera
apertii,e farà loftentata
da tre, o
quattro piedi, in
tal modo però,che
fi pofla alzare,&
abbalfare, cioè auuicinare,o
allontanare dall'oggetto, che
fi pone direttamente
focto quel piccol
foro, fopra cui
pofa la lente,come
fi vede nella
figura,nella quale A B,
rapprefenta la cannetta
CD, i piedi
chela foftenca no B, il
piccolo forame fopra
cui dentro la
canna fi pofa
la lente, in
modo tale, che l'oggetto
E, pofto fotto
alla lente, la
lente mede- fima, e
l'occhio pollo in A, ftiano
in retta linea .
Poiché all'hora/^'/V^r* fi
pone l'occhio in
A5&
auuicinafiapocoapoco,overoallontanafila^-^^-^' cannetta
dall'oggetto E, pofto
fopra il piano
di vna tauola,
fino che fi
difcerna l'oggetto chiaro,
e grande pliche
fuccederà quando la_*
lente farà tanto
lontana dall'oggetto, quanto
è il femidiametro
della medefima . Il
fecondo modo di
accommodare vna fola
lente, che ferua
per microfcopio è
quello, che fi
vede nella figura,
in cui fi
rapprefentayr^v^^- vn piccolo
piede di legno
con vn cerchietto,
overo forame nella_»XLll.
parte fuperiore, nel
qual forame fi
colloca la lente:
per il piede
forato nel mezzo
paflfa vn legnetto
a trauerfo, il
quale eflendo parimenti^
forato da vn
capo pafsa per
il foro vn
altro legnetto nella
cui fommità, è
vna morfetta fatta
di filo di
ferro, o di
altra materia atta
a ftrin- gerc,&
afferrare vna mofca,
vna fogIia,o altra
fimile materia, che fi
mira coll'occhio pofto
dall'altra parte della
lente, Quefti microfcopij
di vna fola
lente ingrandifcono l'oggetto
mol- to meno di
quello che facciano
i microfcopij formati
di due,o più
lenti nel moclo,che diremo appreffojma
hanno però vn'auuantaggio fopra
gl*altri, che fi
pyò vedere in
vna occhiata vn'intiera
mofca, ra- gno, o
altro fimile oggetto,
ladoue con i
microfcopij di due,o
più Vetri appena
fi può vedere
tutto il capo di una
mofca, ouero un'intiero
pulice 3 fé
pure la lente oculare non
è grandifiìma . I mi- 11^
I nnicrofcopij di due lenti
fono però ftimatl
megliori, perche rap*
prefentano gl'oggetti di
gran lunga maggiori
sì, che vn
capello tali*» Fiora
comparifcecome vnagrofla funere
fì fabricano in
c^uefto modo^ ripigliano due
lenti di crifìallo
Iauoi'ate,e pulite come
fi è infegnato
di fopra 5
vna de' efler
piccola, e conuefìa
sì, che il
femidiametro della conueflìtà
fia poco più,
0 meno della
groflezza di vn
dito j e
quefta fi accomoda
immediatamente fopra l'oggetto
che vogliamo rimirar^-;,
ponendola invn picciol
tubo, q cannetta,
come è la
defcritta poc'an- zi 5
l'altra lente de*
effere affai più
larga, et anche
meno conueffa,ia^ tal
modojchc ii femidiametro
fia di einquc,fei,
o più dita
in groffezza 5
e quefta fi
mette invn altro
tubo di cartone,
il quale fi
connette infie" mecon
l'altra cannetta piccola
in modo però,che
fi poffa alzare, et abballare,
acciò fia più,
o menolontana dalla
lente piccola pofta
nella parte inferiore
j finalmente nella
parte fuperiorc dei
tubo è vn
piccol buco tanto
lontano dalla lente
grande, quanto è
il femidiametro delia
medefima : al
qual forame fi
auuicina l'occhio, che
perle due lenti
mira l'oggetto poftoui
fotto : ma
quefto forame ancora
de* poterfi hof
più hor meno
allontanare dalla lente.
Deuono dunque effere
almeno quattro tubi
conneffì infieme, come
Fioura^^'O^^s. la figura.
Il primo B
C piccolo, nel
fondo del quale
fta la lente
XJLIII. piccola, et ha
vn piccol forame
B fopra l'oggetto
A. Il fecondo
è C D
conneffo immobilmente con
il primo, ma
molto più largo,
e lungo :
Il terzo E
F inferito fopra
il fecondo C
D in modo,
che fi poffa
alzare, et abbaffarc,
fopra del quale
fi colloca la lente FF:
Il quarto è
GH inferito fimilmente
fopra il terzo, e
mobile 2 nella
fommità del qual^-»
vi è il
forame I a
cui fi applica
l'occhio per vedere
l'oggetto A. circa
il che fi
de' auuertire. Primo,
che l'oggetto fi
rapprefenta all'occhio rouefciatOje
la ragio- ne è
perche nella lente
oculare FF fi
riceuonoi raggi con
le immagini dell'oggetto
dopo che già
fi fono decuffati
dalla lente B
; onde fé
defi- deriamo di
vedere l'oggetto radrizzato,
conuienc aggiongere vicino
all'occhio vn altra
lente nella medcfima
forma, che fi
ò detta delli
can- nocchiali di più
lenti: e cofi
potiamo aggiongere anche
la quarta, e
la quinta, a
noftro piacere. Secondo,
quanto più conueffa,e
di minor diametro
farà la lente
infe-^ riore vicina
all'oggetto, tanto piq
piccola parte di
effo oggetto fifcorgej
ma altretanto comparifce
più grande j
la ragione è
manifefta, perche-» /"iffamcome fi
vede nella figura,la
lente A di
minore diametro de'
/lare mena XUV.loritana
dall'oggetto BC di
quello che fij
la lente D
dall'oggetto E F,
cffendochc la difianz,a
de'^ffertanta,quantoèilfemidiametro-.Quindi è
^^7 è che
la lente A
non può tramandare
alla lente G
le imagini dell^.^
parti eftrcmcB,& C
delloggetto BC^ poiché tali
imagini cadono fuori
della lente G
come moftra la
linea I L. doue
che la lente
D e(ren> do
più lontana dall'oggetto
E F, e
refrangendo meno i
raggi rappre- senta tutto
l'oggetto EF, e
ne porta le
imagini nella lente
H vicina», all'occhio
; efìTcndo chejcome
fi è detto
altroue,tanto oggetto fi
vede^ quanto è
quello, l'imagini del
quale fi rapprefentano
nella lente vicina
all'occhio j dal
che auuiene, che
quando fi vedono
poche parti dell'og-
getto, quelle comparifcono più
grandi, perche occupano tutta
Tarn-. piez.za della lente
oculare; ma quando
nella medefima ampiezza
della ftefia lente
fi reftringono l'imagini
di tutte le
parti deH'oggettOjnecelTa- riamente
comparifcono più piccole.
5. Si de'
fapere,chc tanto più
grande comparifce ToggcttOjquan- topiu
fi allontana vna
lente dall'altra; ma
fi vede meno
chiaro,e fé ne
fcoprc minor parte
: la ragione
è, perche la
lente oculare efscndo
più lontana dall'altra
riccue lefpecie più
diuaricate,e confeguente- mente più ingrandite
; ond* è,
che anche minor
parte di oggetto
rap- prefentinoj valendo
fempre quella regola
vniuerfale, che quando
in vna lente
medefima fi vedono
l'imagini di molte
parti dell'oggetto, cife
compaiono più piccole,&
all'incontro grandi, quando
fono po- che 5
impercioche invn medefimo
fpatio,& ampiezza della
lente, non fi
pofl'ono dipingere molte
cofe,e tutte grandi.
Quindi fi deduce
inqual modo fi
pofla accrcfcere o
la grandezza, o
la moltitudine de
gl'oggetti . Si accrefce
la grandezza in
due modi. Il
primo con adoperare
lenti di minore
sfera . Il fecondo
con allon- tanare maggiormente vna
lente dall'altra; ma
perche in quefto
allon- tanar delle lenti
l'oggetto comparifce men
chiaro, perciò farà meglio
feruirfi del primo
modo. La moltitudine
de gli oggetti,©
delle parti di
vn folo oggetto,
acciò fi fcopra
tutta in vna
fola vifta,fi accrefce
con feruirfi di
lenti di maggior
sfcra,e meno tra fé diftanti;
ma perche, come
fièdetto,quanto più fi
auuicinano le lcnti,overo
queftefonodi maggior sfera, tanto
minore comparifee l'oggetto;
perciò volendo vedere
molte parti dell'oggetto,'ed infieme
grandi non v'è
altro ri- mediojche
feruirfi di vna
lente oculare affai
grande, in cui
fi pollano riceucre
molte imaginijc quelle grandi;
ma fi de'auuertire,che non
fi poifono fare
lenti molto larghe,
le quali fiano
di poca sfera,
onde conuiene farle
di sfera maggiore,
e perche l'oggetto
comparifca gran- de, fi
deuono collocare lontane
dalla lente obbiettiua,
la quale anch'-
cfla dourà efiere
di sfera non
troppo piccola, poiché
fi de'auertire, 4.
Che vuolfiofferuare vna
certa proportione,tra la
diftanza del- I
i i le
ii8 le due
Ienti,c la grandezza
delle mcdcfimej impcrcioche
quanto faja minore
il diametro della
lente obbicttiua,tanto più
vicina douràefìere alla
lente oculare,poicheeflendo lontanai
raggi troppo diuaricandofi
dalla lente obbiettiua
di poca sfera,cadercbbero fuori
della lente,e rap
prefentarebbero l'oggetto ofcuro.
5. Per ingrandire
l'oggetto, fenza ofcurarlo fi
potrà aggion- gerevna
terza lente vicina
airocchio,laqualefia di maggior
sfera del- la fecondajpoiche in tal modo
non folo (i
radrizzeranno le imagini,
ma compariranno anche
maggiori, con allontanare
le lenti oculari
dall*- obbiettiuajoueroconfare,che quefta
obbiettiua fia di
minore sfera. Anzi
dicojche l'ottimo modo
di fare ilmicrofcopio, e
ofiTeruare Hf- teffe
regole, che habbiamo
date nella fabrica
delli cannocchiali di
molte
lentiimaalrouefciojcioè fare che
nel microfcopiole lenti
più vicine all'occhio
vadano crefcendo non
folo io ampieiza,
ma anche in
grandezza di sfera
con la medefima
proportione, con la
quale nel cannocchiale
habbiamo detto, che
deuono andarfi diminuendo, et ef-
fere di minor
sfera quelle che
fono più all'occhio
vicine j fi
che per nor- ma
dclIi microfcopij potranno
feruire le regole
medefime, che habbia-
mo dato nelli cannocchiali
di più lenti
: Auuertp folo
in ordine alla-.
proportione,che de' hauere
la lente obbiettiua
con la lente
oculare > efler
ottima quella di i, à
i o, cioè
fé la lente
obbiettiua è nel
fuo diamc*^ tro
di (re tninuci
di vn palmo
la lentQ oculare
farà di 30.
minuti. . 21$
% ^'ofidt n^fcano
le imperfettioni àeU
cannoechUUjedinqttal modo (ì
fo^a Untare II
rimedio. IVali fiano
le imperfettioni, che neccflariamcntc nafcono
ne*cannocchiali compoftidi vn
obbiettiuo conuello sfe-
rico, e di vn'oculare
concauo, ouero di
vn* obbiettiuo fimilmente
conueflb sferico con
vna,o più lenti
oculari fi fono
potute ofleruare dalle
cofc dette di
fopra.Primic- ramente al
vetro obbiettiuo non
fi può dare
fé non vna
certa determi- nata apertura, ond'è
che entrando pochi
raggi, fé noi
vogliamo ado- prare
vna lente gagliarda,
ouero vn concauo
molto acuto,mentre que-
ftiingrandifconoroggetto,lorapprefentanolanguidamente,perlafcar- fezza
de i raggi.
Secondo dando ali* obbiettiuo apertura
maggiore en- trano ben
sì molti raggi,
onde rapprefentano l'oegecto
chiaro, anche con
lente gagliarda, ma
abbagliato,e confufo,perche non
tutti que'rag- £;i, ch'entrano perii
vetro, vanno ad vnirfiordinatamente.Terzo quan- do vogliamo
far comparir grande
l'oggetto, con vfarevna
lente più gagliarda, ci
fi rapprefenta più
ofcuro : ne
lo potiamo hauer
più chiaro, che
non ci compaia
più piccolo vQuartoadoprando vn
cannocchiale il doppio
più lungo dell'altro,
non perciò potiamo
vedere l'oggetto co
l'iftefla chiarciza,&al doppio
più grande. Quinto
li cannocchiali più
lunghi benché ingrandifcano
maggiormente l'oggetto, nulladimeno
non lo rapprefentano
mai sì diftinto,
e ben terminato
come fanno i pic- coli. Sefto
li cannocchiali con le lenti
fanno che fi
fcopra molto cam-
po in vna fola
occhiata, ma non
terminano sì bene
la vifta^come fan-
no i cannocchiali ordinari]
con il concauo
femplice. In fomma
1«-» perfettioni del
cannocchiale, che fono
ingrandire l'oggetto, farlo
ve- der chiaramente, farlo
comparire diftinto, e
precifo fenz,a confufione,
o abbagliamento di
luce, e fcoprirein
vna fol vifta
molti oggetti,fono perfettioni
tali, che riefce impofTìbileil
congiongerle infieme in
gra- do eccelente, non
che perfetto, nelli
cannocchiali, che nel
modo hog- eidì
vfatofifabricano. Quindi acciò
ogn*vno pofsa tentare
qualche ftrada di
ridurli a mag-
gior pcrfettione, e sfuggire
ifudetti difettijèneceffario prima
conof- cere quale
ne fiala prima,
e nera origine,
quale procurerò di
moftrarc tanto più volcntierijqaatttOjche nonèftatafe
non in parte
oflferuata^ da altri
;&:a/jiche acciò meglio
fi pofTano intendere
le ragioni dellt-*
cofegià lopra accennate;
siche dopo hauer
fcopcrto l'origine del
ma- f'.'1e,potr£mo additarnieglio laftrada
per ifcanfarlo.Si debbono
dun- que prima fapere
alcune cofe comunemente
riceuutejC che da
noi fi di-
moftreranBo nella fcicnza
optica. Primo, Si
fiippone comunemente, che
i raggi pafì'ando
dall*- >F;^«r da
ciafcun punto deiroggetto,non vengono
realmente paralleli, ne
(i polTono prendere
per tali, come
fi fuppone nella
quinta fuppoficione; poiché
fé bene l'angolojche
fanno nel punto
deiroggetto,dacui{ì pir-
tono,èpiccoli{Iìm;),&acutiinni,&infe ftelTo
non è confiderabile-», cagioni
però fenfibiie.e notabile
varietà ne'fuoieff.-tcijciò fi
proui manifeftamentej poiché
mirando con vn
medefimo cannocchiale, vicino
al qual punto
N, benché alquanto
più lontano fi
termina- ranno ranno
ancora i raggi
più vicini all'aflfe
tra AB, (la
dunque AB la
metà dell'apertura del
Vetro nel cannocchiale
ordinario,siche li rag-
gio BN con tutti
gì' altri, che cadono tra
AB vadano ad
vnirli quafiadvn medefimo
punto N, che
però come vtili
fi ammettono, ma
gl'altri CH, DL,
come inutili, anzi noc'ui
fi efcludono co-
prendo la parte BD
del Vetro. Per
fare, che ancor
quefti, li quali
andando in L, et H
farebbero nociui,fiano vtili,
e vadano con_.
gl'altri in N
collocheremo vn Vetro
KM conueflb-concauo poco
auanti all'vnione di
edì raggi CHjDL,
ilquale fia forato
nel mez- zo, acciò
per tal forame
padì liberamente il
raggio BN, con
gl'altri tra AB,
i quali per
efl'er vtili, ed vnendofi
tutti quafi in vn
fol pun- to N,
uon fi deuono
alterare. La conueflìtà
del Vetro KM,
per fuggire le
molte refrattioni farà
riuoltata verfo il
Vetro obbiettiuo,e farà
di tanto femidiametro,
che li raggi
CG, DI, vi
cadano fopra^ perpendicolarmente 5
ma perche facendo
diuerfo angolo non
tutti ponno cadere
perpendicolari, fi faccia
almeno che vi
cada perpen- dicolarmente il raggio
CG, poiché gl'altri, che
faranno tra FG,
e tra Gì,
pochiffimo fi fcofteranno
dal cadere perpendicolari fo-
pra la conue/Iìtà
IcM, che però
penetreranno fenza refrattiont-*
per il Vetro,
fino all' altra fuperfìcie
concaua in S,
e Q^ Per
fare, che il
raggio CG cada
perpendicolare,fi notidoue vada
ad vuirfi con
rafse,cioè, in H,
polche HG daurà
efifereil femidia- metro della
conuellìtà K M,
La concauità poi
RT dourà effer
tanta, che il medefimo
raggio CGS, il
quale fenza refrattione
andrebbe in H,
vfcendo dalla detta
toncauità vada a
terminarfi in N,
infieme con gl'altri,
ììchti fi otterrà, fé
tirata vna linea
da S in
N mifureremo l'angolo HSN,
e faremo vn
altro angolo H
S V, tirando
la linea SV,
il quale fia
il doppio maggiore
di eflb HSN,
poiché VS farà
il femidiametro del-
la concauità RT. Ma
forfi farà meglio
far vn altro
concauo-conueflb, ilquale fi
pon- ga con la
parte concaua verfo
il Vetro obbiettiuo,
e conia conucfsa.^
verfo la lente, e
collocato fimilmente auanti
airinterfecatione d«^ raggi
CH, DL. fi
determinerà la conueflìtà
KM dalla diftanza
dd^'^^'''^ Vetro dal
punto N, poiché
quanta farà efla
diftanza V, g.
NV,^^^* altretanto dourà efiere
il diametro della
conueflìtà KM, la
conca- uitàpoi fi
determinerà dalla dif>anza
del punto H doue il
raggio CG s'interfeca
con l'afse j
onde quanta è
la diftanza HV,
aJtretanto farà il
diametro della concauità
RT. Poiché in.
quefto modo il
rag^ |io CG,per
la
lo.fuppofitione^refrangendofi
nel vetro fi
farà conia N
n n pri-
254 prima rerattionc
parallelo airaffc A
N, fi che
poi arriuando alla
fuper- ficie conuefla
K M, nel
vfcire farà la
feconda rcfratcione, con
la qua- le perla
fefta fuppofitione verrà a
tcrminarfi in JNjj
eflendoche N V,
e il diametro
della conaellìtà K
M- H ragie
poi DI3 cadendo
nel ve- tro in
I con maggior
angolo d'inclinationcj farà
ancora maggiore^ refrattione di quelloche
faccia il raggio
CG, conforme è
neceflario acciò vada
a terminarfi anch' egli
in N. vero
è però che
non ne farà
tanca che bafti
per arriuareprecifamcntc fino
in Nj nulladimeno
vi arriuerà fi
vicino, che ancor
tal raggio potrà
e0er vtile, y..
Da ciò fi
vede che potiamo
far guadagno di
tanti raggi quanti
fono l-Xll ^wellijche
penetrano per la
parte concaua del
vetro ABCD, la>*
doue prima fole
quelli erano vtilij
che penetrauano per
il fora- me E,
Vn altro modo
per ottenere Ti ftefla
vnione de" raggi
laterali con i
_.. raggi ch'entrano
vicini al'aife, può
eflere il feguente.
Sia il vetro
ob-, £,J''bicttiuokD,ildi cuifocofia
inGjCioèil punto doue
vanno ad vnirfi
tutti li raggi
che cadono tra
A, B con
l'iftefio raggio AG
perchedun- que i raggi
laterali CFjDEjfi
vnifconocon l'afle AG
lontano dal foco
G> verfo Tobbiettiuo cioè in E,
et F,
faremo che ancora
il ng- gioBG
inficmecon gl'altri, li
quali cadono tra
AB, et andrebbero
ad vnirfi in
G50 poco più
lontano, faremo dico
che vengano ad
vnirfi più vicinij
cioè tra E, et F
infieme, con i
laterali. Ciò fi
potrà ottener^--» per
mezzo di vn
vetro conuefloHlsil quale
riceuafoloi raggi di
mez- zo tra LjC
B, recando libero
il paflb a
gl'altri laterali d'intorno,
e per- ciò fare
cingeremo all'intorno il
vetro H I con
vna fottilifiìma laminet-
ladi ftrrojin cuifiano
fermati tre, o
quattro altri filetti
fottili di ferro
AjBjCjCon i quili
fi appf>ggi fopra
vn cerchietto dentro
\^ canna del
cannocchiale sì, che
refti fofpefo, rimanendo
libero il vano
ABC, tra, »
il vetro 5 et il
cerchietto fopra cui
fi appoggiano que'tre
ferretti :f flf^il
vetroHIj douendo far
pochiffima akeratione de'
ra^gi per por-
' tarli da
Gjin Ejdourà perciò
hauerevnaconueflìtà di grandidìma-*
portione disferaja proportione
deirobbiettiuoj onde per
più facilità fi
potrà vfare vn
piano conueflb,^ouero anche
unconMefso concauo, in
modo però chela
conueJ(Iìtàfia alquanto maggiore
della concauità, cioè
portione di sfera minore,
conforme le regole
di fopra noratej
ne alcuno tema
cheque* filetti, e cerchietto
di ferro,che fi
frapongono irà rocchio,
e robbiettiuo,fiano perturbare
punto la uifta
5 poichc-» cflendo
lontani dal foco
della lente oculare,
ne pur fi
potranno difcer- nere,
e chi noi
crede ne taccia
meco l'efperienza. Capo
ii5 CAPO SETTIMO
Della fgf^ra de'
Vetri Iperbolica, ^liptica,
e Parabolica. A
ciò che fi
è detto fin
hora, e da
quello che fi
dirà nella parte
Optica deirArteMaeftra,con il
confenfodi tutti li
Matematici fi deduce,
che la figura
sferica ne* Vetri,non
è tanto atta
per vnire i
raggi come è
la figura Ipf'rbolica,rEplitica,e la
Parabolica j poiché
queftc.^ vnifcono i
raggi in vn
folo punto, o
fia fpatio menomiflìmo
j dal che_^
fi raccogIie,cheli Vetrijiquali
hanno alcuuadi quefte
tre fioure,fono opportuniflìmiperil noftro
intento di fabricare
i cannocchiali j
poi- che dalla
figura sferica molti
raggi fi vnifconOjC
fi decuflano prima^
di arriuare al
Vetro oculare, onde
quefti invece di
giouare allavifta le
apportano nocumento confondendo
le fpetie degliogaecti;
All'- incontro i Vetri
lperbolici,Eliptici,o
parabolici vnifcono tutti
i ra^oi di
vn medefimo punto
dell'oggetto in vn
minimo punto nel
cannoc- chiale sì, che
iui la luce
vnita riefce viuaciflìma.j
dal che fe^uitajche
lavifta dell'oggetto fia
molto chiara,e non
folo nonviealcunrapojo ^he
la perturbi, ma
tutti fono vtili,e
coneorrono. a perfettionarla . AggioDgafi,che potiamo
lafciar apertole fcoperto
tutto, quanto è am- pio il
VetrO} che haurà
fimile figura,e far\o
grande in modo,
che pofla riccuere
molte fpecie deiroggetto,poic|5,e ninno
ài quefti raggi
impe- difce TaltrOjma
tutti afiìeme concorrono
in vn medefimo
punto, il che
gioua grandemente non
folo a far
vedere l'oggetto, più
chiaro, e più
grande,ma anche a
(coprire molto maggiore
fpatio con vna
fola oc- chiata; in
tal modo che
fefipotefle forrxiare vn
Vetro obbiettiuo con
la perfetta figura
Iperbolica, o fimile,
farebbe effetti marauicrliofi
ed incomparabilmente meoliori
di quello, che
fanno i Vetri
sferici ordinarli. So
che alcuni hanno
condannate quefte figure
delle fetrioni co-
niche} dicendo primieramente efier
difficiliffimo, e quafijmpofifìbile il
lauorare i Vetri
con fimili figurc,le
quali fé non
fi fanno efattifl^ma-
inente, confondono ì
raggijC le fpecie
de gli oggetti
5 poiché tali
fi- gure hanno
infiniti centri, ed
infinite circonferenze, e
l'errare in vilj
folo,èvn perdei e
tutta l'opera. Aggiongono,
che nelli Vetri
obbiet» tiui ^$6
tiui 4i cannocchiale, che non
fia piccolifTìmOj è
infenfibile la ó'y
uerfitàjche è tra
la figura sferkajC
le altre nominate,che
nafcono dalla fettionedelcono3ondcconfiftendoIa cofa
in vn picciolifsimo
fuario, riefce impofsibile
nella pratcica toccare
il punto, A
quefti rifpondocfler tanta
la pcrfcttione della
figura Iperbolica, ealtrefirnilijche vna
di efle di
vn fol palmo
di diametro,faràmcgliore effetto
di vn altro
Vetro obbiettiuo di
dieci, e quindeci
palmi j Hor
vna figura Iperbolica
di vn fol
palmo di diametro,
è notabilmen- te diuerfa
da vna figura
sferica fimilmente di
vn palmo, e
per confe- guenza
non farà impofsibile
a farla, purché
noi fiferuiamodi perfetti
ihumenti,qualidefcriuerò
appre(ì'oj& ancorché non
fofle perfettif- fima,dico
che non perciò
fi confonderanno le
fpecicjficome no fi
con- fondono dal Vetro
sferico in modo,
che impedifca la
viftajbencheil Vetro sferico
confondai raggi decufiati,
con quelli che
non fono an-
cora decufsati . Certo
è,che alcuni Vetri lauorati in
piatti sferici, perche
talvolta nel lauorarli
prendono alquanto della
figura Iperbo- lica,© fimilc, perciò
riefcono molto megliori,
e contrafeguo n'è
il ri- chiedere vn
altro Vetro oculare
piuconcauo, il quale
con la .mag-
giore diuaricationc de* raggi
ricompenfi la maggior
vnione fatta dal
Vetro obbiettiuo3ed in
oltre fi proua
che tali Vetri,
i quali fi
accofìano alquanto alla
figura Iperbolica fi
pofibno lafciar più
aperti,a riceuerc maggior
quantità di raggi,
fenta pregiudiciojilche non
auuiene nelii Vetri
femplicemente sferici. Secondariamente oppongono,che
tal vnione di
raggi in vn
fol pun- to non
folo non può
efler vtile, ma
di più è
nociua all'occhio, il
quale non può
{offrire vna luce
cosi intenfaj e che perciò
noi poniamo uicino
all'occhio il Vetroconcauo
per difunire,edifgre gare que' raggi
unitijchepròdunqucjdicon'efsijunirliinun
punto, fé poi
nccefsaria- inentefideuono difgregare^
A quefto rifpondo
prima
indirettamente,dicendo,che
nel can- chialedipiulenti,fcnza alcun
Vetro concano,fi fa
dalla lente uicina
airocchio una fohifsima
unione de* raggi, e pure
tal unione non
folo impediffcla uifta,ma
anzi Taiuta molto
j Di più,
i cannocchiali pic-
coli fono megliori de'
cannocchiali lunghi,
parlando a proportione,
cioè,adireun cannocchiale di fei palmi
dourebbe ingrandire l'oggetto al doppio di un altro cannocchiale di tre palmi, e
pure non lo fa, il che non procede d’altro,
fe non perche i Vetri di cannocchiale piccolo efsendo piuconuefsi unifcono meglio
i raggi; onde chi potefse far un vetro di trenta palmi di diametro, il quale unifcei
raggi SÌ perfettamente come vn vetro di uu
palmo,' efso vetro in un cannocchiale
di trenta palmi ingrandirebbe l'oggetto trenta volte più di quello che fa il cannocchiale
d’un palmo j la doue per ordinario vn canocchiale
di 50. palmi ingrandifce
l'oggettOjfolo cinque, o
fei volte più
di queIlo,chc faccia
vn altro cannocchiale
di vn palmo.
Finalmente,come ho accennato
di fopra^fi vede
per ifperienza, che
di due Vetri
lauorati fopra il
mcdefinio piatto concauo
sferico felVno prenderà
alquanto di figura
Iperbolica,ed vnirà meglio
i raggi di
quel- lo che faccia
l*altro,ingrandirà molto più
l'oggettOjC lo farà
più chia- ro,e
fcoprirà maggior paefcjcon
tuttoché il cannocchiale
non fia_, piulongo;
onde, che quello cannocchiale, che vnifce
meglio i rag-
gi richieda poi vn
Vetro oculare più
concauo, per maggiormente diuaricarlijciò non
fa e he con quella
forte vnione de'raggi
non renda 1'-
effetto megliore; e
perciò deuelì ritrouarealtra ragione
per la quale
riadoperai! Vetro concauo
vicino all'occhio, la
quale non è
precifa- mcntepcrdifgregarc i
raggi, altrimenti non
riufcirebbero i cannoc-
chiali con le lenti, nc'quali l'vnionc
de' raggi è molto
maggiore, e pure
non vi è
Vetro concauo, che li
diradi . Siche
rifpondendo diretta- mente dico,che fi
adopra il Vetro
concauo vicino all'occhio
per far si
che i raggi non fi
unifcano fuori deirocchio,ma
dentro di elfo
in quella parte
doue prodìma mente fi
forma lauiilaj come s'intenderà
meglio nel Trattato
dcil'Optica . Refta dunque
manifefto quanto fia
per ^io- uare
l'inuentione delle figure fudctcc,
mentre anche la
figura sferica, fole
alquanto aceoftandolì ad
effe fa effetto
notabilifiìmamente mo- gi iorcj
Pere io tra
molti ftrumenti da
me a quefto
fifle inuentati,ne de-
fcriucròdue folijcome più
facili, e che pollbno
ridurfi utilmente alla
prattica* Sii vn
afta dirittifsima AL,
che neliVftrema parte
A hjbbia vnitovna
palla tonda di
ferro, o di legno
Cj Sia inoltre
vn le^no/'^v^y;. DE,
formato immobilmente in
luogo altoj ed
in mezzo a
queffoLXI v' Icgftofiavn buco
per il quale
entri Tedrema parte
A dell'afta, c«»
nella parte di
fopra ila incauato
sfericamente si, che
vi pofi fopra la_*
palla C, la
quale infieme con
l'afta pendei ntc Ci
pofsa girare, nvinte-
nendofi fempre nel
medefimo centro, nel
quale ftando immobile-^,
l'altra parte eftrema
L defcriuerà vna
portione di figura
sferica.. NH; direttamente
fotto l'afta, fia
collocato vn piatto
sferico con- eauo,fopra
ilqualefifogliono lauorarei Vctri^ma
fia il diametro
del- la concauità con
debita proportione minore
del diametro dell'afta,
come e la
coacauiti sferica PQO, il
di cui centro
è in R,
nell'- eftrema parte
L dell'afta lì
atcachi il Vetro
IL, in modo
talc',cheil centro di
cfso corrirpcnda al
centro del. piatto,
il quale fi
douràcollo- Ooo care
2^8 care in
(Ito piano orizontalc,
vfando ogni diligenza,
che non pieghi
piiidavna partCjchc dall'altra,
ma fia pofto
perfettamente in piano,
e direttamente a
perpendicolo fotto il
centro della palla
Cj poiché in
quelle due cofeconfifte
tutta la perfettione
j ciò fatto
fi vada gi-
rando,e mouendo l'afta
con il Vetro
fopra il piatto
fottopofto, il quale
con l'arena s'anderà
logorando j e
perche nelTaccoftarfi alle
parti eftreme, P, et O
del piatto, cioè alla
circonferenza quefte faran-
no piueleuate, efTendo detto
piatto di minor
diametro dell'afta, per-
ciò il Vetro nella
circonferenza refterà più
logorato, che nel
mezzo, prendendo figura
atta al noftrofine,
cioè, di fectione
conica; comc_^ potrei
dimoftrare con i
fondamenti della Geometria.
E perche di
mano in mano,
che il Vetro
fi va logorando
fi de' andare accoftan-
doal piatto, acciò confricandofi
con efib fi
finifca di logorare,
t_* prendere la
fiigura douuta; per
qucfto faremo entrare
nella partc»^ ìuperiore
A dell'afta vn
ferro fatto a
vite vnito alla palla, siche
ri- uolgendo efsa
vite 1' afta
fi vada abbafsando
quanto farà di
bifo- gno. Il
fecondo modo di
dare alli Vetri
la figura Iperbolica
è il fe-
guente. Si pianti
immobile in vn
luogo alto vn
piatto conueflb ABC
jnmodocheftiainfito
orizontale,fotto a quefto
piatto direttamente ^^i^^^fene
ponga vn altro
parimente in fitoori^ontale, il
quale habbia fi-
^ guraconcaua, e
quanto più fi
può fimile alla
DEF, che è
figura Iper- bolica; la
quale per farla
perfetta, fi prenderà
vn afta BGE,
la quale fia
tonda,e paffi per
vn forame tondo
e fottile in
modo,chelo riempia conia
fui groflezza, e quefto forame
fia non nel
mez^o dell'afta, ma
nella parte fuperiore
in vna proportionata
diftanza, conforme alla^
diuerfità della figura Iperbolica, che defideriamo
più, o meno
con- caua ;
Sia dunque quello
forame in G
formato immobilmente in-,
modo cheftiain retta
linea con il
centro B, del
piatto conuelso ABC,
e con il
centro E dell'altro
piatto, che de*
riceuere la fi-
gura Iperbolica:
nell*eftrema parte dell'afta
B fia vn
bottoncino di ferro,che
entri a vite
nell'afta, acciò fi
pofìfi allungare,& abbreuiare
; nell'altro eftremo
E fia vn
altro bottoncino intagliato
a modo di
lima atto a
rodere il piatto
fottopofto jftando le
cofe difpofte nel
detto modo fé
noi moueremo l'afta
girando la lima
E fopra il
piatto DEF, e
facendo che Teftrema
parte fuperiore B
rada fempre il
piatto con- ueflb ABC,
il detto piatto
inferiore prenderà perfettamente
la figu- ra Iperbolica, come
fi vede dalle
linee CD,BE, IM,
LN, AF, le quali
rapprefentano l'afta,
fecondo i varij
fitiche prende nel
mouerla intor- no,e
per ogni parte
del piatto. Altri
Altri ftrumentl fi
pofsono fare,defcritti da
altri Autori, e
parti- colarmente da Renato
CartefiOjC dal Reità
per lauorare i
Vetri Iper- bolici,nia
perche con effinófi
poflbno lauorare fé
no con mantenerli
Tempre in vn
medefimo centro, ilche riefce
difficiliffimo, e la
forma perde predo
la fua figura
j perciò ho
ftimato di tralafciarli, et appi-
gliarmi alli due modi
fudetti. Deuo folo
auuertire,che il Vetro
fé haurà da
vna parte figura
Iper- bolica dall'altra dourà
efler piano, acciò
riceuendo nella parte
piana i raggi paralleli
gii vnifca in
vn fol punto
; ma fé da vna
parte ha- urà figura
Eliptica, dall'altra parte
dourà efler concauo
contale con- cauità
sferica, che il
centro fianel foco
dell'Elipfi, acciò i
raggi pa- ralleli entrando per
la parte Eliptica,
dopo la refrattione,
nell'vfcire per la
parte concaua,non facciano
altra refrattione, e concorrano tutti
ad eflb centro.
Finalmente fi auuerta,
che, come fi
difse di fopra,!
raggì,che ven- gono da
punti dell'oggetto, fanno
angolo in eflb
punto, onde non-»
vengono paralieli,e per
confeguenza, il Vetro
Iperbolico,© Eliptico non
li potrà mai
vnire perfettamente in vn fol
punto^ nuiladimeno perche da
gl'oggetti aflai lontani
i raggi fanno
sì poco angoio,che
poco pregiudica all'effetto
defiderato,e dall'altro centro
viene rimediato al
difetto principale del
Vetro sferico conueflb,
mentre in quefto
gl'an- goli d'inclinatione non
fono vguali, come
fono nel Vetro
Eliptico, o Iperbolico,
Quindi fegue, che
tali Vetri fiano
per giouare grande-
mente,benchcnon arriuino a
tutta la perfettione
di queircffetto,che fi
cerca,cioè,di vnire i
raggi ad vn
fol punto ;
Quefìia totale perfettio-
ne none poflìbile ad
ottenerfi in quaHi voglia
diftanza dell'oggetto, poiché
dipendendo darmaggiorejO minor
angolo,che fanno i
raggi del punto
obbiettiuo piuvicino,o più
lontano,fevn Vetro vnirà
tutti i raggi
di vn punto
lontano, non potrà vnire
tutti i raogi
del medefi- mo punto
vicino, et all'incontro, fé
vnirà quelli di
vn punto vicino
non potrà vnire
quelli del punto
lontano, che perciò
dobbiamo con- tentarfidi
haoer rimediato al
difetto principale nato
dalla diucrfirà dell'anoolo
d'inclinatione, che fanno
i raggi più
vicini, e più
lontani dall • afse
. DeH^'vfo dei Cannocchiali, e dn
Micro fcopij. j^EllilTima è
Tempre ftara ftimatarinuentionedclCannoc- i
chiale,non tanto perii
dilettOjquamo per l'vtilitàjche
apporta, e che
può apportare, le
quali perche confi-
flono nei faperio
vfare, tratterò in
quefto luogo in
qual modo fi
adoperi, moftraiìdo varie
cole, alle quali
può feiuire,non tutte
confiderate da gl'altri.
Egh è dunque
vtile si nella
guerra, come nella
pacej e primiera-
mefite nella guerra
ferue per offeruare
tutti gl'andamenti dellinimico,
€fpiareleattioni,e le perfoncj
cosi per mezzo
del cannocchiale ef-
fendo ftato riconofciuto
ilDuca Francefco di
Modena, che fi
era in» citrato
(otto la Città
di Cremona gli
fu tirato vn
colpo con il
can- none, da cui
rcftòvccifo il Marchefe
Villa, che gli ftaua
a lato. Può
anche feruire per
leggere di notte
lettere di fegrcto
nella piazza afsediata,o
fuori,comericfpiegato nel Terzo
Capo di queft'Opera.
Di più, non
iblo lì potrà
numerare quanti fianoi
pezzi di alcuna
bat- teria fcopcrta,qu3nti i
SoIdati,ma anche fi
potranno vedere'quelli che
dinafcoftofiauuicinano per riconofcere
i pofti :
e quefti all'incontro
fcnza mctterfi a
pericolo con troppo
auuicinarfi li potranno
ricono- fcere da lontano
con il cannocchiale.
In oltre dico,
che con il
can- nocchiale noi potremo
mifurare l'altezza delle
mura,le diftanze de*
baluardi, la lunghezza
delle Joro faccie,e
delle cortine,c5 tutto
ciò che prattica
la Trigonometria; il
che potrà feruire
anche in altre
occa- fioni,quando vorremo
faperele altezze, odiftanae
d'alcune cafe, ofiti
a quali non
fi potiamo accodare.
Quefta cofa che da altri
ch'io (appia non è ftata
ofseruata/i potrà facilmente
pratticare in quello
modo . Fabricato,che
hauremo il noftrocannGcchiale,che fé
farà di quattro
Vetri farà mcgliore,perche fcopre
piufpatio^ofserueremo quanto fpatio
fcopra invna fola
oc- chiata, mirando alcun'oggetto
lontano venti pafsij
e quefta mifuri^»
dello fpatio,che fi
vede in vna
fola occhiata la
noteremo fopra la
can- na del cannocchiale,tirandoui fopra
vna linea, e
diftinguendolacon li fuoi
numeri; l'iftefso faremo
ofseruando quanto fpatio
fcopra in diftanza
di trenta pafsi,
poiché come fi
è detto, fcoprirà
maggiore fpatio 241
fpatio,e quefto pure
lo noteremo fopra
il cannocchiale, facendo
il medefimo delle dirtanze
maggiori, cioè, di 50. di 40.
di 50.di
cento pafsi&c. et in
tal modo haueremo
preparato vn cannocchiale
geo-metrico; del quale quando
fi vorremo feruirc
per fapere per
cagione di erempio,raltezza di
vnaTorre,delIa quale ci
(la nota la
diftanza_,j in tal
diftanza la mireremo
con il canocchiale, et oiTerueremo
quanta^ parte fi fc
opra diefla invna
occhiata, dal che
raccoglieremo quanto lìa
alta . Sia per
efempio vn cannocchiale^he in
diftanza di cento
pafsiicopravnofpatio di venti
piedi, e mirifi
la Torre in
tal diftanza di
cento pafsi ;
fc dunque fi
fcopre in vna
fola occhiata tutta
laTorre, e non
piu,fcgnoè,chequeftaèalta venti piedi
foli, ma fé
non fi fcopre
tutta lì ofìTerui
quante occhiate vi
vogliano per fcoprirla
tutta; e fé
in due fi
fcopre farà alta
40.piedi, fé in tre 60.
ma fé in
mezza occhiata Ci
fcoprilfe,farebbealtafolo
dieci piedi jrifteffo
fi deue intendere
della diftanza tra
vn luogo e
l'altro, i quali
fiano lontani da
noi, come fa-
rebbe la lunghezza di
vna cortina,© diftanza
tra due baluardi.
Quando poi ci
farà nota l'altezza
di alcuna cofa,
o diftanza tra
due cofe lontane; Quindi
conofceremo ficeuerfa la
lontananza, che hanno
da noi dalli
numeri che haueremo
notati nel cannoc-»
chiale. Ma quando
noi dcfideraflìmo di
fapere l'altezza di
airi cuna cofa,
quale non potiamo
fapere, quanto fia
diftante da_, noi;
ed infieme la
diftanza di vna
cofa, quale non
fappiamo quanta fia
grande; e io
conofceremo con fare
due offeruationi in
due diihn- ze
vna maggiore dell'alcraj
come fi fuol
fare con gl'altri
ftrumcntÉ altimetri. Sia
V. g. la
Torre AB, mirata
dalluogo D, con
vn Cannoc- chiatc,che
in diftanza di
joo.pallìfcopravno fpatio di
6©. piedi; c»>
fupponiamo che in vna occhiata
fi vedano due
terze parti della
Torre, cioèjda B,
fino a C,
fi ritiraremo lontani
fin tanto, che il
cannoc- chiale fcopra tutta
laTorre, il che
fuccedcrà nel fito
E, ciò fatto
mì-Fi^ura fureremo la
diftanza, che è tra
il fito primo
D, et il
fecondo Eyf-XVj. quale
fupponiamo che fia
100. palli :
Se dunque cento
paffi di maggior
diftanza ci fanno
fcoprirevn terzo di
più della Torre,
fecrno €,che la
diftanza tutta fia di tre
volte centopa{lì,e perche
nelli numeri fegnatifoprailcannocchialeritrouochein diitanza
di^oo.paffi fco-* prò
lo fpatio di
lontane; e quefto
modo non più
pratticato, ne auuertito
da altri, ch'io
fappia,è fondato nel
principio vniuerfale acuì
s'appocroi-i rurta la
Trigonometria, cioè, nella
propordone de' lati delli
due triangoli Ooo:
EBA, BBA, e
DBC, poiché tale
è la proportione
del lato DB, al
lato BC, quale
è quella del
lato EB, allato
BA, come dimoftra
Eu- clide nel lib.
6. Ciò che
fi è detto
dell* vfo Trigonometrico del
can- nocchiale fi può
incendere di qualunque
maniera cglifiafabricato; rna
quando fm fornito
di vna,o più
lenti in vece
del concauo ocu-
lare, riufcirà molto più
efatto il modo,
che qui foggiongo.
Si formi di
metallo vncerchictto,ed in
eflbfifaccjavn foro,o più
tofto vna fenellrella
quadra ABCD, tagliandone
tutta la laftra
.di Eucl. che
li due triangoli
ABR, di. HGR
fono proportionali, e
per confeguenza anche
li triangoli SBR, et TGR,
onde farà come
R,S, diftanza dell'og^
getco dall' obbiecciuo
a S B
mecà delPoggecco, cosi
TR diftanza.^ dell'obbiettiuo da
fili del cerchietto
a TG metà
della diftanza de'
fili niedefimi,e per
confeguenza come RS,
ad AB, ciocia
diftanzau
deiroggetto,allagrandez.za
di tutto l'oggetto,
cosi la diftanza
TR a tutta
la diftanza GH
de* fili. Diuidafi
dunque tutta la
diftanza TR in
parti vguali alli
gradi notati ne' lati
del cerchietto, e
poniamo, che quefta
diftanza del cerchietto
dall'obbiettiuo fiano looo.dique'
gradi, 24J di,delliqaali HG,
cioè, la diftanza
de' fili nel cerchietto
fia folo5. farà
dunque come looo. a
5. così la
dìftanza nota RS,
qualt-j» fuppongaii di
^ooo. paffi alla
grandezza AB, che
fi cerca, cioè,
paffi 10. et all'incontro
fé hanremo nota
la grandezza dell'ogget-
to AB di paffi
10. faremo come
GH, a TR,
cioè, come 5.
a 1000, cosi
AB IO. ai
RS 2000. Che
fé poi non
ci farà nota
ne la diftanza
ne la grandezza
del- l'oggetto, douremo o0eruare
l'oggetto medefimo in due diihnz^^
diuerfe, poiché in
maggior dìftanza 1
' ifteifo oggetto
manderà i raggi
cftremi tra due
fili paralleli del
cerchietto, li quali
faranno me- no diftantì
tra difcjche quando
era in minor
diftanza; onde dalla.^
diffjreH^La delle due
diftanze de' fili nella
prìma,e feconda ofleruatio-
ne,e dalia diftania
de' luoghi, ne' squali fi
fono fatte le
due olferuatio- ni
deiroggcttojconforme le regole
della Trigonometria hauremo
la diftanza dell'oggetto,
ed infieme la fua grandezza,
T vna, e
l'altra del- le quali
prima erano ignote.
In particolare potremo
mifurare l'al- tezza di
alcun Monte,con vna
fola oìleruatione, purché
in cima di
ef- fovi fu
vnoggettodi nota grandezza, poiché mirandolo
fapremo la diftanza
di elfo nella
lìnea,che chiamano Ipotenufa,
dalla quale infie-
me con l'angolo,
che è facile
a prendcrfi con
l'inclinatione del can-
nocchiale medefimo hauremo ambii
lati del triangolo,vno de* quali è
la diftanza del
Monte j e
l'altro l'altezza perpendicolare. Quefta
inuentione riufcirà diletteuole,
ed vtile, non
folo per mi.
furare Je diftanze,e
grandezze de gli
oggetti terreni j
ma molto più
psr deterrr\inare efattamente
li diametri de'
Pianeti, quando (oao. apogei,
o quando fono
perigei j benché
ài ciò io
mi riferuo a
parlarne altroue, doue
fpiegarò alcuni nuoui
modi dirinueniriJ^ con
maggiore accuratezza tutte
le fudette mifure
per mezzo dei
can- nocchiale.,., Ma
fingolarmente ci giouerà per
determinare la grandezza
deU le macchie
del Sole, e della
Luna, il fitOjC
la lontananza, che
hanno. Tvna dall'altrajovero dal
Limbo del Pianeta,le
diftanze de'fatelliti di
Gioue daGioue medefimo,e
tra fé fteflì, et altre
cofe fimili j
per il quir
le effetto ci
giouerà lofccndere nel
vano del cerchietto
fudetto mol- ti fili
tutti equidiftantì, e tra
di fé paralleli,
intrecciandoli poi con
al- tri fili di
trauerfo sì, che
formino come vna
rete di molti
quadretti, per li
quali paflando i
raggi vifuali nel
mirare, V.g la
Luna, quefta., ci
comparirà reticolata in
quel modo, che
fi fogliono reticolare
da_* Pittori le
imagini, di cui
vogliano cauare ildifegno^onde formando
poi in carta
vna fimile figura
reticolata,ci farà faciliffimo
il collocare ciafcuna macchia
a iuo luogo,
e iicauarc vn
perfetto difegno della,,
faccia lunare. Deuefi però
auuertire,che a cagione
della maggiore,o minore
di-
ftanzadeiroggettOjchefirimirajquefto
tramanda i fuoi
raggi al V^etro obbicrtiuo, piu o meno
proffimi all' cflere parallelo, e
perciò fanno maggiore,o minore refrattionc
nel Vccromcdefimo, dalchenafcejchc non crefca
la dilatatione dell'angolo
HRG, a proporcione
della^ maggiore vicinanza
dell'oggetto j siche
la regola fopradctta
è fog- getta
a qualche diffetto;
ma quefto è
si leggiero ne' cannocchiali Junglii,
particolarmente quando fi
ofleruano oggetti molto
lontanijche fa può
facilmente hauere in
conto di nulla,-
particolarmente perche.^ alJaproportionc, che
vàdiminucndo(ì la refrattione,e
la dilatation««» dcirangolo
R del triangolo
HRG, fi abbreuia
ancora il cannoc-
chiale per vedere diftintamente
i medefimi oggetti
lontani; si che
la bafe HO
del triangolo, che è la diftanza
de'fili, riafcirebbe mag.
gioredel douere,ma accoftandofi
all'angolo R,con lo
raccorciamcn- to del
cannocchiale, riefce proportiouata . Quando
però per mag-
giore ficurczza,&
efattezza noi voleflìmo
conferuare iempre Tif-
tcfsa lunghezza del
cannocchiale, cioè, l'iftefla
diftanza delì'obbiet- tiuo
dal cerchietto, si
potrebbe correggere quel
poco di fuario
del- la maggioreje minore
refrattione, poiché tal
refrattione va diminuen-
dofi nelle maggiori,
e mag{»iori diftanze
a quel modo,
che fi vanno
diminuendo ifeni de
gl'archi a proportione
del feno totale.
Finalmente auuertafi,che nellVfo
di quefto cerchietto
fi de'vfare grandiffima
diligenza nel mifurare
le diftanze delli
due fili paralleli,
per i quali
padano i raggi
eftrcmi dell'oggetto j onde i
gradi, ne* quali
fono diuifii lati
del cerchietto douranno
elTere per^tramentc vguali,
efegnaticon ogni diligenza;
e perche lo
piu delle volte
accadere, che ofieruando li
diametri de' Pianeti, o grandezze
di altri oggetti,
li fili tra
quali ci comparifce
tutto 1* oggetto
non cadano precifamént?_> fopra
il finc,o fopra
il principio di
alcun grado, ma
fopra vna piccola
partedieflo; douremo certjficarfi
quanta fia quella
parte a propor-
tione di tutto vn
grado intiero; il
che non fi
può fare con
quella efat- tez;, Che
nell'Aceto vi è
vn buHicame di
Vermi, i quali fi
vedono chiaramente con
quefto ftrumento guizzare
come piccole anguille;
come parimente nel
latte quando incomincia
ad inacidirfi, et anche
lìcl formaggio, -"'i
3. Nel fangue
corrotto,© infetto per
qualche malatiafifono of-
feruati fimili Vermi
con modo particolare;
poiché fi vedono
gl'occhi de'Vermimedefimi, li
quali fé fono
neri, fi è
prouato perifperienza.,, che
il male è
mortale j Dalle
quali oflferuationi fi
può probabilmente arguirc,che
non fi corrompa,©
putrefaccia alcuna cofa,che
infiema«» non fiano
fimili Vermi nella
cofa putrefatta ;
onde anche nell'aria
cor^ rotta per
cagione di pelle
ilima il noftro
Kirchero, che vi
fiano tali^ Vermi, i
quali riceuuti in
noi,mentre refpiriamo quell'aria
ci cómu," nichinovna
fimile infettione. >:; /
:; 1^ ^n
. k. 4
-t'jiii.i- ;. :>»^3i
4. In vn
piccioliffimo granello,© femenza
ài papauero'ton il
m^i croicopiofi fono
numerate 48.faccie fatte
tutte a fei
angoli. In alcuni femi
di Cedro,e di
Limoni tagliati per
mezzo io ho
ol-T feruatonon fenza
ftupore vn intiera
pianta di Cedro
col tronco, f(}-j
glie,e frutti ;
onde.fi può credere,che
in tuttele femenze
vi fia com 'j:
7 n Moltiffime
altre ofieruationi fi
poffono farc-nonfiDlo-nellé*
parti dei gl'Animali,ma anche nell'Erbe^ nelle piante, nei
minerali,daiie quali) potrà riceuere
gran lume la
Naturale Filofofia,come fi
vedrà nella... noftr'ArteMaeftra., raa.
(opra ogaalir.a. cof^
ci può gionafi^jaiìnedi;,C,fe vorremo
tirare due alere
linee, che habbiano tra
di fé la
medefima proportionc, e
fianofolo v, g. vna_.
cinquantcfima parte di
effe linee date
^applicheremo le punte
del coni- paffo
fotto il microfcopio,
e parallele alla* linea
A B fin
tanto che cora-
parifchanp ftcfe quanio
è la medefima
line»,.qucft'apcrtura,di
cotnpaiTo farà 25*
farà vna Iineaj
l'iftefìTo fi faccia
con la linea
CD5& haurcmo l'altra
linea : con
la medefima proportione
tra loro,c'hanno le
due linee date^ma
ac^ cioche la
maggiore delle date
alla maggiore,che fi
cerca,e la minore
al- la minore habbiano
la proportione di
50. a i.fidourà
allontanare, o vero
auuicinare vna lente
del microfcopioairaltra,fin tanto,chc
Tog-» getto s'ingrandifca
precifamente cinquanta volte.
Ma molto più
facilmente potremo ottenere
le medefime cofe
dette
difopra,&altre,|che
s'accenneranno appr€Ìro,fe aggiongeremo
al mi- H:rofcopio
vna reticella Ornile
a quellajche fi
è fpicgata di
fopra nelfvfo del
canocchialejQuefta fi farà
in vn cerchio
tondo tanto largo
nella fua apcrcurajche i raggi
vifuali eftremi tocchino
l'orlo interno di
cfia sì,che egli
termini la grantjezza
del campo apparente,e
fi collocherà dietro
alla lente oculare
nel foro di
eflarln quefto modo
fchifaremo quella dif-
ficoltà che s' incontra (^maflìme
da quelli che
non fono molto
auuezzi) nel mirare
con gl'occhi due
oggetti diuerfijvno reale
con l'occhio fuo-
ri del microfcopio,e l'altro
apparente co l'occhio
fopra'l microfcopio. Sia
v.g. la linea,overo
vn grado piccolo
AB di alcun
quadrante,ed in efìo
vna parte piccolifTima AC,e
fi defiderifapere quale
proportione habbia efìa
particella AC con
tutto il grado,o
linea A85V,g.quante fcf-
fantefime parti,overo minuti
di tutto il
grado.Si accomodi il
microfco- pio con tali
lentisC con tale
diftanza traloro,che ingrandifca
Icliìiee fefsantavokejC fi
faccia la reticella
diuifa in feiparti,si
che ad vna
cor^ rifpondano lo.minutijoueroin i2.sicheadogn'vna necornfpondano cinque. Pofto
il microfcopio fopra
quel grado AB,
e particella di
efso AC,fi oiTerui
in quanti fili
della reticella venga
comprefo tutto il
grado F'tgura^j^^Q^ in
quanti la particella
AC,& hauremoia proportione,clie fi
cer- J.XXII^2. y^g^
Cg jytjQ ]|
grado AB prenderà
tuico il campo
di 1 2. partijcicè,
ii fi c J
l\'''M||Ultll|l'|li,ll,|l|lllll..l,|l" 1 ^
I oì:z 22.,i,iu^i" ii4iT!>itUii|iiiiiuii;»ii l'^V'i
'I '' "l 'Miiinj W'T^
Da ì. jf
\Mm\\\mé'My
y:A\H\\\\mm[mmmmm m^ ''"'v
XXIII,^x*- %. ;^ V^'^Vi^
s E J
^^^ ^-^^ *:^S9«i=s^_-: A
ì E •i}ij^\ O Q O O C O m\ 0
O Q 0 0 0 O O O 0 Q Q 0 O o O O O 0 Q <0 O O o lì^iiSiiiÌM^ nkM jSt
i ^-'fOlfKt^i^- D SE A XXXV / XXXVI A
rO I. K XXXVII Q XXXIX f D^ ^-B^ 1 Cu XL
- r'.~ XLII Cv- XLII T
r I H
G -^ D
k' #t'.'' r^
I 1 'tStt-t l-t-
V L ! i
Hi 4 à'.
s f I
-«.vf- ."^p /Francesco
Lana conte de’Terzi. Keyword: lingua universale, grammatica ragionata. Refs.:
Luigi Speranza, “Grice e Terzi.”Terzi.
Luigi Speranza -- Grice e Tessitore: la ragione
conversazionale e l’implicatura conversazionale del Vico di Tessitore – filosofia
campagnese -- filosofia italiana – Grice italo -- Luigi Speranza, pel Gruppo di
Gioco di H. P. Grice, The Swimming-Pool Library, Villa Speranza (Napoli). Filosofo napoletano. Filosofo
campanese. Filosofo italiano. Napoli,
Campania. Grice: “If there’s Oxonian dialectic and Athenian dialectic [la
scuola d’Atene], there is, to follow Tessitore, the ‘scuola napoletana.’” Si laurea
in giurisprudenza -- la sua tesi ricevette dignità di stampa -- a Napoli, allievo
di PIOVANI -- è libero docente per meriti eccezionali in filosofia del diritto,
e professore. Insegna storia delle dottrine politiche; quindi, in poi, storia
della filosofia. Preside della facoltà di magistero dell'università degli studi
di Salerno. Preside della facoltà di lettere e filosofia dell'università
Federico II di Napoli, della quale è stato anche rettore. Socio dell'Accademia
dell'Arcadia col nome di Echione Cineriano. È inoltre socio nazionale
dell'Accademia dei lincei e di numerose altr’accademie. Diregge il Centro di
studi vichiani del CNR e fa parte del consiglio scientifico dello stesso centro.
Presidente della Fondazione Piovani per
gli studi vichiani e del consorzio inter-universitario Civiltà del mediterraneo.
Presidente del comitato tecnico scientifico della fondazione Amato onlus; socio
dell'Istituto per l'Oriente Nallino di Roma; vicepresidente della fondazione
Cortese. Siede inoltre nel consiglio direttivo dell'istituto italiano per gli
studi storici fondato da CROE. È stato componente del consiglio scientifico
dell'Istituto dell'Enciclopedia Italiana Treccani. Membro del consiglio universitario
nazionale, in cui è stato presidente del comitato di lettere, lingue e magistero,
vice presidente della Fondazione teatro di S. Carlo, componente del consiglio generale
della fondazione Banco di Napoli, del Consiglio direttivo e vice presidente della
CRUI, la Conferenza permanente dei Rettori delle Università italiane; cavaliere
di gran croce dell'Ordine al merito della Repubblica. Senatore della Repubblica
italiana nelle file dei Democratici di Sinistra L'Ulivo e deputato nelle file
del L'Ulivo. Medaglia d'oro della Scuola dell'arte e della cultura e della Scienza
e della cultura. Autore di molti saggi -- ai quali sono stati assegnati numerosi premi. Saggi:
Aspetti del neo-guelfismo napoletano, Morano, Napoli; Crisi e trasformazioni
dello STATO: recerche sul pensiero gius-pubblicistico italiano, Morano, Napoli;
Fondamenti della filosofia politica, Morano, Napoli, La storia dell’idee, Monnier,
Firenze, Profilo dello storicismo politico, POMBA, Torino, Lo storicismo, Laterza,
Roma, Meinecke, Laterza, Roma; Filosofia, storia e politica in CUOCO (si veda),
Marco, Lungro); Contributi alla storia e alla teoria dello storicismo, Storia e
Letteratura, Roma; Interpretazione dello storicismo, Scuola Normale, Pisa; Contributi
alla storiografia arabo-islamica Edizioni di Storia e Letteratura, Roma); La
mia Napoli. Frammenti di ricordi e di pensieri (Grimaldi, Napoli); Letture
quotidiane, Editoriale scientifica, Napoli, che raccolgono articoli di giornali
quotidiani. Trittico Anti-hegeliano da Dilthey a Weber. Contributo alla teoria
dello storicismo (Edizioni di Storia e Letteratura, Roma; Da CUOCO (si veda) a
Weber. Contributi alla storia dello storicismo, Edizioni di Storia e
Letteratura, Roma. Fonda il “Bollettino del Centro di Studi Vichiani”, Archivio
di Storia della Cultura, Civiltà del Mediterraneo, pontaniana. unina. Curriculum
su filosofia. unina. Treccani Enciclopedie Istituto dell'Enciclopedia Italiana.
Fulvio Tessitore. Tessitore. Keywords: Cuoco. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e
Tessitore,” per H. P. Grice’s gruppo di gioco, The Swimming-Pool Library, Villa
Speranza.
Luigi Speranza -- Grice e Testa: la ragione
conversazionale e l’implicatura conversazionale della nemica fortuna – la
scuola di Tidone – filosofia piacentina – filosofia emiliana -- filosofia
italiana – Grice italo -- Luigi Speranza, pel Gruppo di Gioco di H. P. Grice,
The Swimming-Pool Library, Villa Speranza (Tidone). Filosofo emiliano. Filosofo italiano. Tidone,
Piacenza, Emilia-Romagna. Rifiuta la cattedra filosofica a Pisa e prefere
lavorare a Parma, divenendone presidente dell'area filosofica. Deputato al
parlamento sabaudo. T. Storia di un povero pretazzuolo di Fausto Chiesa,
pubblicato dalla libreria Romagnosi di Piacenza. Treccani Istituto
dell'Enciclopedia Italiana. Alfonso Testa. Testa. Keywords. Refs.: Luigi
Speranza, “Grice e Testa” – The Swimming-Pool Library.
No comments:
Post a Comment