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Tuesday, February 25, 2025

LUIGI SPERANZA -- GRICE ITALO A-Z T TE

 

Luigi Speranza -- Grice e Teage: la ragione conversazionale degl’ottimati di Crotona  – Roma – la scuola di Crotone -- filosofia italiana – Luigi Speranza (Crotone). Filosofo italiano. Crotone, Calabria. According to Giamblico, a Pythagorean, who seeks to introduce more democratic institutions into Crotone. STOBEO (si veda) preserves fragments of a little treatise T. writes on this – “On Virtue – possibly by a later philosopher, though. The treatise is not well known, and as a result of this ignorance, the sect is destroyed without a trace, by the real democrats, who think that the sect was pro-aristocratic, only!

 

Luigi Speranza -- Grice e Teagene: la ragione naturale del naturale, del tras-naturale,  e del sopra-naturale – Roma – la scuola di Reggio Calabria -- filosofia italiana – Luigi Speranza (Reggio Calabria). Filosofo italiano. Reggio, Calabria. T. argues that a myth or a legend – such as a she-wolf having nurtured the founder of Rome, and his twin brother – should be interpreted *allegorically* or analogically. T. also claims that what people regard as an act of a god (say, Romolo, once divinised, or when the statue of the she-wolf is struck by a lightning – is only a natural (fisico), not trans-natural (meta-fisico) o super-natural (iper-fisico) phenomenon. Cf. Psicologia, para-psicologia.

 

Luigi Speranza -- Grice e Teagene: la ragione conversazionale del cinargo di Roma -- Roma – filosofia italiana – Luigi Speranza (Roma). Filosofo italiano. Cinargo. T. gives his seminars in the foro di Traiano. He dies, unfortunately, when he consults Attalo about a problem he is experiencing with his the liver, and for which Attalo gives him the totally wrong treatment and medication – hemlock, mixed with beans -- causing the philosopher’s death.

 

Luigi Speranza -- Grice e Teanor: la ragione conversazionale del filosofo come dramatis persona -- Roma – la scuola di Crotone -- filosofia italiana – Luigi Speranza (Crotone). Crotone, Calabria. Filosofo italiano. A Pythagorean, he appears as a character in some of the dialogues by Plutarco.

 

Luigi Speranza -- Grice e Tearida: la ragione conversazionale -- il principio conversazaionale è uno – Roma – la scuola di Metaponto -- filosofia italiana – Luigi Speranza (Metaponto). Filosofo italiano. Metaponto, Basilicata. T. composes an essay entitled, “Della natura” – where he argues that everything comes from one single first principle. Cited by Clemente of Alexandria. He may have attended the sect at Crotone. “Or not.” – Grice.

 

Luigi Speranza -- Grice e Telecle: la ragione conversazionale della diaspora di Crotona -- Roma – la scuola di Metaponto -- filosofia italiana – Luigi Speranza (Metaponto). Filosofo italiano. A Pythagorean, cited by Giamblico.

 

Luigi Speranza -- Grice e Telesio: la ragione conversazionale del filosofo sperimentale – la scuola di Cosenza -- filosofia calabrese -- filosofia italiana – Grice italico -- Luigi Speranza, pel Gruppo di Gioco di H. P. Grice, The Swimming-Pool Library, Villa Speranza (Cosenza). Filosofo cosentino. Filosofo calabrese. Filosofo italiano. Cosenza, Calabria. Mentre le sue teorie naturali sono state successivamente smentite, la sua enfasi sull'osservazione fa il primo dei moderni che alla fine hanno sviluppato il metodo scientifico. Nato da genitori nobili, è istruito a Milano dallo zio, lui stesso uno studioso e poeta di eminenza, e poi a Roma e Padova. I suoi studi hanno incluso tutta la vasta gamma di argomenti, classici, scienza e FILOSOFIA, che costitusceno il curriculum degli rinascimentali sapienti. Così equipaggiata, inizia il suo attacco sul LIZIO medievale che poi fiorisce a Padova e Bologna. Fonda l’Accademia cosentina. Per un certo periodo vive nella casa del duca di Nocera. Il suo grande saggio è “Sulla natura delle cose secondo i loro propri principi,” seguito da un gran numero di saggi di importanza sussidiaria. L’opinioni eterodosse che mantenne suscitano l'ira di Roma per conto del suo amato LIZIO. Tutti i suoi saggi sono stati immessi sul “Index.” Invece di postulare materia e FORMA, T. basa l'esistenza sulla materia e FORZA. Questa forza ha due elementi opposti. Il primo elemento è il calore, che espande la materia. Il secondo è il freddo, che la contræ. Questi due processi rappresentano tutte le tipi di esistenza, mentre la MASSA su cui opera la FORZA rimane la stessa. L'armonia del tutto consiste nel fatto che ogni cosa separata sviluppa in sé e per sé conformemente alla sua natura e allo stesso tempo la sua MOSSA avvantaggia il resto. I difetti di questa teoria, che solo i sensi possono non comprendere materia o MASSA stessa. Non è chiaro come la molteplicità dei fenomeni puo derivare da queste due forze. Pensato, non è meno convincente di Aristotele caldo/freddo, secca spiegazione/umido, e che addotta alcuna prova per dimostrare l'esistenza di queste due forze, sono stati sottolineato a suo tempo. Inoltre, la sua teoria della terra fredda a riposo e il sole caldo in moto  è destinato a confutazione per mano di Copernico. Allo stesso tempo, la teoria è sufficientemente coerente per fare una grande impressione sulla filosofia italiana. Va ricordato, però, che la sua obliterazione di una distinzione tra la fisica super-lunare e la fisica sub-lunare certamente abbastanza preveggente anche se non riconosciuto dai suoi successori come particolarmente degno di nota. Quando T. continua a spiegare la relazione tra mente o anima e materia, e ancora più eterodosso. Le forze materiali sono, per ipotesi, in grado di sentire. Questione deve anche essere stato fin dal primo essere vivo dotato di coscienza. Per la coscienza, o anima, esiste, e non avrebbe potuto essere sviluppato dal nulla. Questo porta T. a una forma di ilo-zoismo. Anche in questo caso, l'anima è influenzata dalle condizioni materiali o della massa e la forza. Di conseguenza, l'anima deve avere un esistenza materiale. Inoltre, T. dichiara che tutta la conoscenza è sensazione ("non-ratione sensu sed") e che l'intelligenza è, quindi, un agglomerato di dati isolati, in sensi. Non lo fa, però, riesce a spiegare come solo i sensi possono percepire la differenza e identità. Alla fine del schema di T., probabilmente in ossequio ai pregiudizi teologici, aggiunta un elemento che e completamente estraneo, vale a dire, un impulso più alto, un'anima sovrapposta dal divino, in virtù della quale ci sforziamo di là del mondo sensibile. Questa anima divina non è affatto un concetto completamente nuovo, se visto nel contesto della teoria percettiva d’Averroe e Aquino.  L’intero sistema di T. mostra lacune nella sua tesi, e l'ignoranza dei fatti. Allo stesso tempo, T. è un precursore di tutte le successive scuole dell'empirismo e segna chiaramente il periodo di transizione da autorità e la ragione di SPERIMENTARE e individuale responsabilità. Nel ricorso ai dati sensoriali, T. è il capo del grande movimento italiano del sud, che protesta  contro l'autorità accettata della ragione astratta e semina i semi da cui spuntavano i metodi scientifici di CAMPANELLA (si veda) e BRUNO (si veda), e di Bacon e Descartes, con i loro risultati ampiamente divergenti. T. quindi, abbandona la sfera puramente intellettuale e ha proposto un'indagine sui dati forniti dai sensi, dai quali ha ricoperto che tutta la vera conoscenza viene veramente. La sua teoria della percezione sensoriale è essenzialmente una ri-elaborazione della teoria di Aristotele dal De anima). Nota all'inizio del proemio del primo libro della terza edizione del De Rerum Natura Iuxta propria principia Libri Ix che la costruzione del mondo e la grandezza dei corpi in esso contenuti, e la natura del mondo, è da ricercare non dalla ragione, come è stato fatto dagl’antichi, ma è da intendersi per mezzo di osservazione. Mundi constructionem, corporumque in eo contentorum magnitudinem, naturamque non ratione, quod antiquioribus factum est, inquirendam, sed sensu percipiendam. Questa affermazione, che si trova sulla prima pagina, riassume ciò che molti studiosi moderni hanno generalmente considerato la filosofia di T., e spesso sembra che molti non leggere oltre per nella pagina successiva si imposta il suo caldo teoria/freddo della materia o massa informata, una teoria che non è chiaramente informata dall’osservazione. L’osservazione (sensu percipiendam) è un processo dell’anima molto più grande di una semplice registrazione dei dati. L’osservazione comprende anche l’analogia. Anche se Bacon è generalmente accreditato con la codificazione di un induttivo metodo che sottoscrive pienamente l'osservazione come procedura primaria per l'acquisizione di conoscenze, non è certamente il primo a suggerire che la percezione sensoriale è la fonte primaria della conoscenza. Tra i filosofi naturali del Rinascimento, questo onore è generalmente conferito a T.. Bacone si riconosce T. come il primo dei moderni. De T. autem bene sentimus, atque eum ut amantem veritatis, e scientiis utilem, e non nullorum Placitorum emendatorem et novorum hominum primum agnoscimus. – Bacone, “De principiis atque originibus.” Per mettere l'osservazione di sopra di tutti gl’altri metodi di acquisizione delle conoscenze sul mondo naturale. Questa frase spesso citata da Bacon, però, è fuorviante, perché semplifica eccessivamente e travisa l'opinione di Bacone di T.. La maggior parte del saggio di Bacon è un attacco a T. e questa frase, invariabilmente fuori contesto, facilita un malinteso generale della filosofia naturale di T. dando ad essa un timbro baconiana di approvazione, che era lontano dalle intenzioni originali di Bacon. Bacone vede in T. un alleato nella lotta contro l'antica autorità. Ma Bacone ha poco positivo da dire su specifiche teorie di T. della mossa della massa per la forza. Ciò che forse colpisce di più De Rerum Natura è il tentativo di T. di meccanizzare il più possibile. Si sforza di spiegare tutto chiaramente in termini di materia informati – la mossa della massa colla forza -- dalla calda e fredda e per mantenere i suoi argomenti il più semplice possibile. Quando i suoi colloqui si rivolgono agl’esseri umani, introduce un istinto di auto-conservazione per spiegare le loro motivazioni. E quando discute l’anima e mente umana e la sua capacità di ragionare in astratto su argomenti immateriali e divine, aggiunge un’anima divina. Per senza anima, tutto il pensiero, dal suo ragionamento, sarebbe limitato alle cose materiali. Ciò renderebbe il divino impensabile e chiaramente questo non è il caso, per l'osservazione dimostra che la gente pensa del divino. “De rerum natura iuxta propia principii libri IX” (Horatium Saluianum, Napoli). Altre saggi: “De Somno”;  “De la quæ in ære fiunt de mari de cometis et circulo lactea respirationis. De USU. Gl’appunti Riferimenti. Deusen, Telesio: primo dei moderni. De La sua, Quæ in ære Sunt, et de Terræ motibus piena. GENTILE  T. CON APPENDICE BIBLIOGRAFICA  BARI LATERZA Questa commemorazione, scritta per invito  del Comitato per le onoranze a T. nella ricorrenza del quarto centenario  della sua nascita, e letta, tranne poche pagine,  nel Teatro Comunale di Cosenza, poteva e non vuol essere  una monografia su T,; ma soltanto una  caratteristica della sua personalità e della sua  filosofia guardata nel processo generale del  pensiero speculativo. Ciò spiega perche essa si  estenda un po ' largamente sulla storia degli  antecedenti.   Aggiungendovi, per questa stampa, oltre le  note necessarie, una bibliografia, 1 nè sembralo  opportuno riprodurre in essa dalle vecchie edizioni raiùssime degli scritti telesiani dediche  e proemii, che sono documenti biografici e  storici notevolissimi, poiché m'è accaduto di  vederli non di rado citati di seconda mano  pur dagli studiosi più diligenti, ai quali non  era riuscito di averli sott'occhio. Dietro al chiarore del rinascimento, sullo  sfondo dell’orizzonte, s’addensa ancora la  nebbia medievale; e la luce nascente s’imporpora dei riflessi fumiganti di quella nebbia, che il sole alto, splendente nel mezzo  del cielo, spazzerà, quando all’alba della rinascenza sarà successo il gran giorno dell’età  moderna. In quella prima ora le vecchie idee  sono morte; ma, pur morte, rimangono nel  pensiero umano, e l’impediscono e l’opprimono con la gravezza di ciò che, estraneo  alla vita, attraversa il processo della vita.  Le idee nuove, quelle che sono anche oggi  la sostanza del nostro spirito, si sono annunziate, anzi affermate con la vivacità impetuosa e fremente, con l’entusiasmo gioioso  della giovinezza, che ha per sè l’avvenire, e  non sente il passato che si lascia alle spalle.  Ma la loro affermazione per noi è piuttosto un annunzio: manca lo sviluppo logico, in cui  è la vita vera e concreta delle idee, e manca  l’integrazione, che il lembo della verità intravvista raccolga nella coscienza coerente •  del tutto, dove ogni parte ha il suo valore  organico. E lo sviluppo e l’integrazione mancano, perchè il nuovo è commisto e ravvolto  nel vecchio: e si va innanzi, come infatti è  dei giovani, senza sapere distintamente che  cosa si lascia e che cosa si cerca, e quale  è il cammino: portati dall’istinto della vita,  che perverrà più tardi alla netta coscienza del nuovo in quanto negazione del vecchio.  Perciò tutti i pensatori di questa età hanno  due facce, e ci presentano contraddizioni, che  paiono spiantare i principii stessi del loro  filosofare: e chi guarda a una sola faccia,  non riesce a più rendersi conto dell’altra; e  c’è chi di costoro ne fa gli iniziatori, a dirittura, del pensiero moderno, e chi li re- '  spinge indietro, alla scolastica dei tempi di  mezzo: laddove il loro significato storico è in  questa posizione, che occupano, tra una filosofia che hanno solo virtualmente superata  e una filosofia che solo del pari virtualmente  essi affermano. Trascurare cotesto residuo  esanime, che resiste nei loro sistemi alle loro intuizioni innovatrici, in tutti questi filosofi,  dal Poinponazzi a Bruno e a Campanella,  non è possibile: vien meno tutto il significato  di queste medesime intuizioni, che fanno di  loro i precursori dei più grandi filosofi moderni; e non si spiegano più atteggiamenti  essenziali, parti vitali del loro pensiero; ma,  sopra tutto, diviene un mistero perchè il  germe di verità, che essi si recano in mano,  rimanga soltanto un germe, di cui la vita  s’arresti appena cominciata.   L’uomo del medio evo si era travagliato  in una contraddizione, che si può dire organica, perchè ne dipendeva la vita stessa del  pensiero: contraddizione, i cui termini, se si  vuol considerare il processo generale della  storia ne’ suoi grandi tratti, si possono designare come la filosofia greca e la fede cristiana: due termini, che il pensiero tentò tutte  le vie, lungo più di un millennio, di conciliare; ma erano inconciliabili per lui, assolutamente, sul terreno in cui egli era posto;  perchè, a dirla brevissimamente, la filosofia  sua, che avrebbe dovuto operare la conciliazione, era tuttavia la filosofia greca, e cioè  uno dei due termini stessi antagonisti. T.  La filosofia greca è il pensiero che si vede  fuori di sè: e si vede perciò o come natura,  nella sua immediatezza sensibile, o come idea,  che non è atto del pensiero che pensa, ma  cosa in cui il pensiero si affisa, e che presuppone come verità eterna e ragione eterna  di tutte le cose e della sua stessa cognizione  parallela alla vicenda delle cose: in entrambi  i casi, come una realtà che è in se stessa  quella che è, indipendentemente dalla relazione in cui il pensiero entra con essa quando  la conosce. Visione la più dolorosa che l’anima  umana possa avere del proprio essere nel  mondo: perchè l’anima umana vive di verità,  ossia della fede che sia quel che essa pensa  ed afferma: e in quella visione, che è poi la  visione eterna della prima riflessione, da cui  si dovrà sempre pigliare le mosse, la verità,  quel che è veramente, non è nell’anima umana;  la cui condizione permanente ed essenziale è  raffigurata da quel sensibilissimo amatore  della verità, dell’essere eterno del mondo,  che fu Platone, nel mito di Eros: mito pregno, nella sua classica serenità, di pathos  che direi cosmico: perchè l’aspirazione fervente al divino, che è l’Amore di Platone,  e che nella sua forma più alta è la filosofia,  non è solo lo sforzo supremo in cui si concentra l’anima umana, ma culmina in questa,  e affatica tutto l’universo, tormentato dal desiderio di qualche cosa che è il suo vero  essere, ma è fuori di esso. Mito, che, con  tutto il suo pathos, può essere intanto sereno, perchè l’occhio dell’idealista greco è  attratto e fermato dalla bellezza dell’ideale  lontano, e gli sfugge la miseria infinita dell’amante senza speranza. In questa visione, quando, per opera principalmente dello stesso Platone, la verità della  natura sensibile e mortale si rifrange nelle  forme ideali, ond’essa si rivela al pensiero  ne’ suoi varii aspetti, e diventa sistema di  idee, tutta la scienza, nel suo proprio assetto, come possesso adeguato della verità,  non apparisce quale il perenne lavoro della  mente e la celebrazione dell’ufficio supremo  del mondo, ma quasi un che di remoto dalla  realtà, o, come si dice, d’ideale, di cui la  cognizione umana è sempre copia imperfetta.  La scienza, di cui la logica deduttiva di Aristotile descrive mirabilmente il congegno, non  è la scienza nostra, la scienza umana, che si  fa e rifà continuamente nella storia: è la  scienza che ha principi! immediati, che in sè  contengono sistematicamente tutti i concetti, I  in cui si snoda lo scibile: è pertanto la scienza  che è tale, in quanto è tutta e perfetta a un  tratto, senza possibilità di svolgimento storico. Ossia, la scienza per ottenere la quale ]  tutto questo svolgimento, in cui è pure tutta  la vita e tutto l’essere nostro, non giova: un  ideale, al cui cospetto quel travaglio mentale, che ci par tuttavia la cosa più seria  del mondo, non ha valore di sorta '). Dentro questa visione si chiude tutta la  filosofia greca, e ogni filosofia che, come  quella del medio evo, accetta la logica, ossia  la maniera d’intendere la verità, di Aristotile. Questa logica si può definire la logica  della trascendenza; o altrimenti, la logica  dell’intellettualismo: per questa logica infatti  la verità, che è termine dello intelletto, è trascendente, radicalmente superiore all’intelletto stesso; e questo è ridotto a semplice  facoltà passiva, contemplatrice e non autrice:  che è il concetto dell’intelletto nel senso deteriore di questo termine: quasi una mente,  che importa bensì la presenza delle cose da  conoscere, ma non dell’uomo, non dello spirito  che le conosce, e che ha appunto questo di  proprio e di diverso rispetto alle cose: che non è cosa da conoscere, ma l’attività correlativa, che queste presuppongono nel loro  concetto di « cose da conoscere » : una mente,  insomma, per cui c’è il mondo, ed essa, per  cui il mondo è, non è. Che è come dire:  l’uomo, questo divino artefice di quanto è  bello e santo e vero nel mondo, di quanto  c i umilia e ci esalta, ora facendoci piegar  le ginocchia innanzi alla potenza terribile del  genio, ora sublimandoci nel gaudio di quanto  trascorre immortale i secoli e aduna nel consenso d’uno spirito solo i morti coi vivi; quest’uomo, annichilato. Annichilato, s’intende,  ai proprii occhi, nella coscienza che ha del  suo essere. Di un uomo così, ignaro del proprio valore, men che atomo disperso nell’infinito, Chiesa ed Impero, accampatisi immediatamente come rappresentanti di Dio,  possono disporre a loro talento, come cose,  che non sono persone. Manca la coscienza, e  manca perciò l’individuo: non c’è la libertà,  come coscienza della propria legge. La legge,  come la verità, scende dall’alto.   Ma era questo il principio del cristianesimo? Il cristianesimo voleva essere, al contrario, la redenzione, la rivendicazione del  valore dell’uomo; voleva sollevare l’uomo a T. Dio, facendo scendere Dio nell’uomo, e rendendo questo partecipe della natura divina.  Giacché in Gesù, che è l’uomo stesso nella  sua idealità, o come dev’essere concepito,  Dio stesso era uomo: con tutte le miserie j  umane, soggetto all’estrema delle miserie, la  morte; ed era Dio (quel dio, che redimeva)  in quanto questo uomo, che eroicamente affrontava la morte, otteneva in questa il premio  della missione della sua vita tutta spesa umanamente in un’opera d’amore. Onde l’amore  risorgeva, non più, come nel mito platonico,  contemplazione desiderosa dell’irraggiungibile, ma attività dell’uomo che crea se stesso  perennemente: e non era più la celebrazione  estatica di un mondo che è, ma la celebrazione operosa, dolorosa insieme e letificante,  di un mondo, che è regno di Dio essendo  la purificazione della smessa volontà umana  nella fiamma della carità. Onde l’uomo non  è più sapere o intelletto; ma amore o volontà, cioè creatore esso stesso della sua verità, che è il bene: la verità che si scorge, j  insomma, quando la cerchiamo con la buona  volontà, col cuore puro, mettendo tutto l’essere nostro, sinceramente, ingenuamente nella  ricerca; e che non è più, quindi, un che di esterno a noi, che si presenti e s’imponga a  noi passivi, ma è il premio o il risultato del  nostro sforzo. L’uomo non è più spettatore;  ma artefice. Si desta, e sente se stesso; sente  che senza la sua volontà, senza il suo conato, senza lui, il mondo che ha valore per  lui, la felicità, la vita, Dio, non si raggiunge.  Acquista quindi davvero la coscienza della  sua personalità, e però della sua responsabilità: poiché vede che da sè dipende tutto;  e, lui caduto, tutto cade; e lui risorto, tutto  risorge. L’uomo trova dunque se stesso nel  cristianesimo.   Se questa intuizione fosse divenuta senz’altro concetto complessivo ed organico del  mondo, se questo senso nuovo del valore  dello spirito umano avesse rinnovato tutta la  concezione della vita, in cui l’uomo afferma  la sua creatrice potenza, se insomma il contenuto della nuova fede fosse assurto al vigore di una nuova filosofia, il cristianesimo  avrebbe segnato fin da principio la morte  dell’intellettualismo. Ma la fede non è ancora  filosofia: è visione immediata della verità non  integrata in sistema di pensiero. E il cristiano, quando volle pensare il suo Dio,  pensò più a Dio padre che a Dio figlio, e    G. Gentile, Bernardino Te lesto.  s’impigliò nella rete della metafisica aristo  telica che il principio della realtà, come motore immobile, che è solo pensiero di se  stesso, e non d’altro, faceva estraneo alla  realtà, e poi s’affaticava invano a colmare  l’abisso tra Dio e la natura; tra la causa del  movimento, che non è movimento, e il movimento, che non ha in sè la propria ragione  sufficiente; e quindi tra il principio del divenire, che non diviene, e la natura che in  se non ha la cagione del suo perenne generarsi e corrompersi; e poi tra l’anima e  il corpo; e poi ancora tra l’anima che intende, ed è lo stesso intendimento in atto,  e 1 anima naturale solo capace di raggiungere la mera possibilità d’intendere, ma incapace per sè d'intendere mai realmente: e,'  in generale, tra la materia, potenza, e non  più che potenza, di tutto, e la forma, realizzazione di tutto: come dire, tra l’aspirazione  alla vita e la vita: eterno destino di Tantalo!  Aristotelici o platonici, nominalisti o realisti,  averroisti o tomisti, tutti i cristiani che nel  medio evo si sono sforzati di concepire la  realtà, sono giunti a questo risultato: al destino di lantalo. Tanto più doloroso, tanto  più inquietante, in quanto era pur contenuto nella fede novella, che fiammeggiava a quando  a quando nei mistici, il concetto dell’immanenza di Dio nel mondo, nell’uomo, nello  spirito. La teologia, tutta la filosofia scolastica, anzi tutta la scienza medievale (che non  è tutta filosofia) si costruisce come scienza di  una verità che si sente, appena il sentimento  si sveglia (basti per tutti ricordare Francesco  d'Assisi e Jacopone, il suo poeta), che si  sente, dico, estranea all’anima, lontana, occupante per vano riflesso solo l’intelletto dell'uomo, speculazione umbratile e di scuola,  che non entra nell’ intimo e non afferra e  non impegna e non riforma e non fa l’uomo.  Scienza vana per chi ravvivava in sé il sentimento tutto cristiano del valore spirituale:  scienza elegante nel suo laborioso artifizio,  sottile nella pellegrinità de’ suoi tecnicismi,  delicatissima nei pazienti avvolgimenti didascalici in cui si dispiega, vasta, universale  come un mondo per quanti vi si dedicavano:  e, messovi dentro, talvolta, un intelletto di  vasto respiro e di tempra ferrea, vi si aggiravano e scendevano per meati lunghissimi, con ricerche, che ora ci spaventano per  la fatica di pensiero e la forza di sacrifizio  che attestano, fino a toccare l’ultimo fondo delle difficoltà, in cui la filosofia antica urta  e si arresta. E basti per tutti ricordare il nostro Aquino: i cui sforzi possenti  per scuotersi di dosso la plumbea cappa delle  conseguenze ineluttabili dell’antica filosofia,  riempiono l’animo dello studioso moderno  di commossa ammirazione e di reverenza.  Chi vuole intendere la storia del pensiero  medievale, deve figgere lo sguardo in questo  contrasto delle maggiori forze spirituali che  vi operavano dentro: il misticismo, che, affermando immediatamente la presenza di Dio,  della verità, di quanto ha valore, nello spirito umano, nega la scienza, la cognizione  che è sviluppo e sistema, e tutte le forme  a cui lo sviluppo dello spirito dà luogo nella  scienza e nella vita; e la filosofia intellettua*  listica, che, presupponendo una realtà fuori  dello spirito che la ricerca, si affanna in una  costruzione, formalmente ricchissima e sostanzialmente vuota, di quel che non può  essere verità.   O verità senza scienza, senza vita dello  spirito; — o scienza, forma elevatissima di  questa vita, senza verità, vana.  Quando il medio evo è al tramonto, un  uomo di genio raccoglie in una espressione  eloquente il senso di vuoto che l’anima cristiana provava nella scienza delle scuole: ma  un senso, che non è più schietta conseguenza  di disposizione mistica, la quale, rinunciando  alla scienza, possa trovare il suo appagamento nell’immediatezza della fede; anzi, un  senso che nasce da un vivo bisogno di sapere,  di pensare, d’intendere. Egli è un dotto, un  grande mæstro di dottrina, un amante appassionato della scienza; ma aspira dal profondo a una scienza che riempia l’anima e  appaghi i bisogni che la nuova fede ha creati  dando all'uomo la coscienza della sua iniziativa, della sua posizione centrale nel mondo:  a una scienza insomma che dia la filosofia  a questa fede. Quest’uomo, che si presenta  sulla soglia del rinascimento con la coscienza  di tale nuovo problema, e che, parlando un  linguaggio pieno di malinconica nostalgia  per un tempo che non è il suo, avvia per  una nuova strada lo spirito umano, svegliando intorno e innanzi a sè una lunga schiera e  folta di ricercatori, che indagano con fedel  oscura ma salda una scienza nuova, che noni  essi potranno trovare, è un grande poeta,!  che fu anche un grande scrutatore deH’anima  propria colta e sensibilissima, I'rancesco le  trarca: iniziatore deH’umanesimo.   L’umanesimo ha un doppio valore storico  negativo e positivo.   È guerra alla scienza del medio evo,   combattuta bensì con argomenti alquanto  estrinseci e con spirito assolutamente restio  per lo più, a passare attraverso a quelli  scienza per superarla:  combattuta con 1;  satira della forma letteraria, ispida, irsuta  lutulenta, aspra di terminologia creata dal  l’intelletto assottigliantesi nell’astrazione   quello degli studi, e quell’altro, in cui purj  vive come uomo, che ha famiglia e interess  sociali, non è il suo mondo; il letterato in^  somma che non è uomo. Tale il Petrarca, i  cui sdegni contro l’avara Babilonia e il saluto  augurale ed ammonitore allo spirito gentile  sono superfetazioni retoriche della sua poe?  sia. Tale non era stato quell'Alighieri, che  fu a lui sempre incomprensibile, nel poemi  divino, contemplazione e poesia, ma di uno  spirito energico, che guarda al suo tempo,  e s’appassiona per tutte le lotte che gli si  agitano attorno, e fa tuonare da Dio la parola  che può essere la salute di tutti. Letterati  saranno tutti i poeti e filosofi della Italia fiorentissima del rinascimento, che accetteranno  tutti la vita quale la troveranno, poiché la  loro vera vita essi se la faranno dentro, nella  fantasia e nella speculazione, nel mondo creato  da loro. La stessa religione, fissatasi al loro  sguardo nella Chiesa, che non solo associa le  anime, ma le forma e riforma, con l’amministrazione del divino commessole, con la sua  teologia e con la sua filosofia, diventa per loro  qualche cosa di estrinseco e indifferente, che  ogni cittadino nel suo pæse deve accettare  come le leggi dello Stato. Cioè, in realtà, essi  non partecipano alla religione del pæse; ma  ne hanno una per conto loro, il loro Dio è la  loro arte, la loro filosofia, alle quali votano tutta  infatti l’anima loro e subordinano ogni altro  interesse, almeno nell’intimo del loro spirito.   Non è, veramente, nè indifferentismo religioso, nè tanto meno ateismo. Ma ateismo  pare verso la religiosità ufficiale di cui si  ridono, ancorché esteriormente le professino  ogni riguardo. Quindi i conflitti frequenti e  le prigioni e i roghi, che aspettano i nostri  filosofi del secolo xvi.   Il letterato, a ogni modo, stralciandosi  dalla vita comune, in cui si era consolidata,  in forma di instituzioni costrittive dell’individuo, l'intuizione trascendente e intellettualistica del medio evo, ereditata dalla filosofia  greca, ristaurava, come poteva, la libertà  dello spirito che si fa il suo mondo; e si fa  un mondo di puro pensiero, poiché non gli è  consentito di scrollare, d’un tratto, quell’altro  della comunità sociale; al quale per altro, a  suo tempo, perverrà egualmente quando il  principio suo, il principio della libertà, diverrà nel secolo xvm coscienza di tutti. E  per questa sua ristaurazione, che è perfetta  ed assoluta rispetto al mondo dell’umanista,  egli, il malvisto della Chiesa, il perseguitato  nei libri che saranno proibiti, nell’insegnamento che sarà vietato, nella persona' che  sarà bruciata, egli è più cristiano dei suoi  persecutori: egli è il continuatore dello spirito vero del cristianesimo. Ha infranta e  buttata via, con l’impeto. • della giovinezza,  la vecchia filosofia, la fida, l’eterna alleata  della chiesa medievale, come della chiesa  di oggi e di ogni chiesa avvenire (poiché un  medio evo bisogna che ci sia sempre); ma  non si è abbandonato, come si faceva una  volta, al misticismo; anzi celebra la potenza  dello spirito; e, poiché una filosofia sua non ce rha (e non era facile averla, dopo il rifiuto di una filosofia opera millenaria), ei la  ricerca nell’antichità più remota. La ricerca  dove, a dir vero, era vano cercarla; perchè  quell’antichità aveva generato il medio evo;  ma l’umanista non sa questo, e non può credere che Platone, Aristotile, quei mæstri  solenni di sapienza umana, che gli scrittori  antichi a una voce lodano, possono avere insertato la dottrina di cui essi vedono la tardiva e sfigurata immagine nelle scuole del  loro tempo. E poiché, in realtà, noi troviamo  solo quello che cerchiamo, gli umanisti, che  imparano il greco, e vanno a leggere nei  testi originali e traducono e commentano, col  sussidio dei più genuini commenti greci,  gli scritti di Platone ed Aristotile, scoprono  un mondo nuovo; un altro Platone e un  altro Aristotile da quelli che erano i mæstri  della filosofia del medio evo; non dico di  quella filosofia, ansimante nella logica terministica degli occamisti, che sul cadere del 300  lacerava le orecchie delicate dei primi umanisti fiorentini, i quali avviarono pure i lavori  delle nuove traduzioni greche (chè codesta  è la filosofia della decadenza medioevale);  ma di quella che e la vera, la essenziale filosofia dell epoca: la filosofia della trascendenza e dell’intellettualismo. E non occorre  dire che, se essi non trovano più i mæstri  di questa filosofia, è perchè muovono da una  condizione spirituale affatto nuova, che fa di  questo ritorno all’antico, che avviene nel 400, '  qualcosa di radicalmente diverso non solo  dalla primitiva ellenizzazione del cristianesimo nel periodo alessandrino, ma anche, e  sopra tutto, da quel primo ritorno alle fonti I  greche del sapere, che era già avvenuto nel  secolo xm, nel tempo stesso di San Tom- I  maso.   Marsilio Ticino e Pico della Mirandola, in j  cui culmina la direzione platonizzante, sono j  platonici; ma sono profondamente cristiani; 1  e un aura di mistica religiosità pervade tutto 1  il loro pensiero, che vede e sente Dio per ]  tutto, e sommamente nell’anima umana; e, |  ispirandosi ai neoplatonici anzi che a Pia- J  tone, accentuano più della trascendenza, che ]  non possono negare, l’immanenza del divino I  nella realtà naturale e aspirante a ritornare ]  all Uno da cui træ sua origine: e aprono la 1  via a Leone Ebreo e a Bruno. Pomponazzi, il maggiore aristote- 1  fico, fiorito al principio del 500 dal movimento filologico sui testi di Aristotile del secolo  antecedente, scopre un Aristotile, che non è  più quello dei tomisti, nè quello degli averroisti: un Aristotile che, a poco per volta,  secondo apparisce dai varii gradi attraversati  dalla speculazione stessa del Pomponazzi,  finisce col persuadersi che la materia si possa  sollevare da sè fino all’intelligenza, senza il  sussidio dell’intelletto separato; e che l’anima  umana, ultimo risultato così del processo della  natura, possa compiere in questo mondo, con  le sue forze, tutta la sua missione, che è  principalmente il ben fare, la virtù; e che  tutti poi i fatti della natura debbano pel filosofo spiegarsi meccanicamente, per le loro  cause: un Aristotile, insomma, per cui quel  che rimane di trascendente (e rimane tutto  quello che nell’Aristotile originale e nell’Aristotile medievale, ossia nella scolastica, era  tale) non serve più alla ricostruzione e spiegazione della realtà che sola è per il filosofo. Sicché la filologia del secolo xv riesce,  ricalcando gli antichi modelli con lo spirito  nuovo dell’umanesimo, a cavarne due intuizioni generali, in cui la filosofia greca riapparisce trasfigurata e come ricreata dal soffio  spirituale del cristianesimo, inteso, come ho detto, quale autonomia e valore assoluto  della natura e dell’uomo. La nuova filosofia infatti dicesi platonica e aristotelica $  ed è cristiana, ancorché mal veduta e con-]  dannata dai rappresentanti ufficiali del cri-^  stianesimo.   Guardatela in Machiavelli, contemporaneo  di Pomponazzi e coerede suo della tradii  zione filologica del secolo xv: chè tutto il  suo realismo politico, quella concezione dello ^  spirito, della storia, dello Stato, tutta fondata sulla visione della realtà effettuale e I  illuminata dalla lezione degli antichi, non è I  come il positivismo guicciardiniano un empi- I  rismo, ma è una vera e propria speculazione I  (Machiavelli è un idealista); la quale dello I  studio degli antichi si giova solo per libe- I  rare l’uomo dalle contingenze storiche, quali I  sono per lei tutte le forme e istituzioni me-j I  dievali sorrette dalla autorità di una tra- I  dizione irrazionale; e studiarlo quindi per I  quel che esso è, nelle sue forze e nelle sue I  reali attinenze col resto del mondo, come il I  vero ed unico autore della sua storia: una J  specie di naturalismo del mondo umano.   Guardate, dico, questa nuova filosofia nel I  Machiavelli. Machiavellismo sarà dopo un secolo, nel Campanella, sinonimo di « achitofellismo », negazione di ogni fede religiosa,  p l’achitofellismo, più o meno apertamente  e coraggiosamente, è la conclusione definitiva e il succo delle dottrine di tutti i pensatori del 500: anzi, di tutto lo spirito italiano  del secolo: a cui l’interpretazione aristotelica  si ispira e si conforma. Giacché averroisti  e alessandristi, per diverse vie, tendono tutti  alla stessa mèta: che è la spiegazione naturale di quel che una volta pareva superiore  affatto alla natura; e gli artisti, si chiamino  Ariosto o Folengo, non conoscono altro  inondo, oltre quello naturale ed umano.   Ma negavano perciò Dio? Se Dio è quel  Dio, che, stando fuori della natura e dell’uomo, rende impossibile concepire una natura divina e un uomo divino, Dio essi lo  negavano, perchè affermavano il valore assoluto della natura e deH’uomo. Ma quel Dio,  che era sceso in terra, e si era fatto uomo,  e aveva redento la natura, era la radice della  religione, che, essi primi, dopo il lungo vano  travaglio medievale, ristauravano nella storia  della umanità.   Essi, infatti, per la prima volta, rivendicavano in libertà, dal misticismo e dall’ intellettiialismo, che ne sono per opposte ra-,  gioni la oppressione aduggiatrice, il sensi  profondo, proprio del cristianesimo, dellaI  divinità della vita che crea eternamente sj  stessa, dell essere che nella propria logica  ha eternamente la ragione del proprio traJ  formarsi e perpetuarsi trasformandosi.   Quando l’umanesimo venne per tal modo  in chi prima e in chi dopo, alla maturiti  della rinascenza, lo spirito umano potè mettere quasi 1 anelito potente di una nuova;  vita, e di filologia farsi filosofia. Quando il  nuovo Platone e il nuovo Aristotile ridiedero all’uomo la coscienza dell’immanente  suo valore, e l’ebbero allenato alla libertà  dell esser suo, e dell’essere naturale, cui il  suo essere appartiene, lo stesso Platone e  lo stesso Aristotile, (questi sopra tutto, che  era stato il vero signore delle scuole e il  mæstro di ogni umana sapienza) dovevano  necessariamente perdere il loro prestigio di  rivelatori privilegiati delle verità naturali.]   L umanista e ancora un platonico o un  aristotelico; cerca la scienza; e non sa nè  anche come deve cercarla; e interroga gli]  antichi, che la tradizione e la fama consacra  nella generale estimazione come i soli filosofi. UMANESIMO E RINASCIMENTO il fil° s °f° c l e H a rinascenza da questi  ntichi, meglio conosciuti e studiati con lo  spirito nuovo dell’umanesimo, ha appreso  he la natura si spiega con la natura, la  toria con la storia; e che bisogna cercare  quindi nel gran libro della natura e della  realtà effettuale dei fatti umani che cosa è  la natura e che cosa è l’uomo. Gli antichi  mæstri rimandavano i nuovi scolari all’osservazione diretta di quel che essi avevano  osservato e inteso come era possibile a loro,  senza nessun sentore della imprescindibile  presenza del soggetto umano nel mondo dell'uomo. La libertà, che gli scolari appresero  da loro, quali essi li videro coi loro occhi  nuovi, la libertà essi la affermarono ben presto contro l’autorità dei mæstri, che faceva  della verità qualche cosa di dato e di estrinseco alla mente come il Dio nascosto della  teologia, come la realtà dell’intellettualismo.  E però gli umanisti, divenuti filosofi, come  parvero, e in un certo senso furono, atei e  achitofellisti, furono antiaristotelici e, in generale, ribelli all’autorità degli antichi. Tutti  invasi da un fantasma affatto nuovo, non intravvisto mai dagli antichi scrittori: quello in cui i vecchi pensatori e sacerdoti l’avj  vano posta a sedere, quasi paralitica impoJ  tente: e si sgranchisce, e procede col tempo!  e vive di questo suo cammino pei secoli '  anzi per le menti delle generazioni, che si  succedono, e mai indarno: quasi fiamma che]  passi da una mano all’altra e mai non sii  spenga perchè accenda sempre nuovi incendiiJ  e sempre più vasti.   / eritas jilia temporis! Gli uomini, che peri  lo innanzi avevano concepito la verità cornei  pei se stante e non come il loro lavoro, I  l’avevan sempre collocata dietro a loro', al  principio della loro vita, nel paradiso ter- ]  restie, nell età dell oro, nel vangelo rinnoJ  vatore e iniziatore di un’era nuova già fin  da principio perfetta, o, almeno (la verità acJ  cessibile a mente umana) nell’insegnamento  degli antichi, venuti crescendo perciò sempre ]  più nella venerazione dell’universale e illuni!  nandosi dell’aureola della saggezza, onde agli t  occhi dei fanciulli si ricinge sempre la canizie,  dei vegliardi. — Sì, è vero, si comincia a dire I  sulla fine del secolo xvi : la sapienza cresci  cogli anni ; ma i vecchi siamo noi, non quelli  che furono prima di noi. — Così dice Bruno; ;  e così ripeteranno Bacone e Cartesio, Pascali    UMANESIMO E RINASCIMENTO  Malebranche, e poi con voce sempre più alta  tutti i filosofi moderni 4 ). I quali affermeranno con coscienza sempre più salda la  ] e  11, 1-5; c. 49 r e 49 v : capp. 11 e  12; c. 50 v a 51 v : cap. 14.   Ma per mostrare con un solo esempio, tratto da un luogo del  De retimi natura contenente alcuni periodi famosi (cfr. anche  in questo voi. p. 40: quei periodi in forma poco diversa erano  nel proemio del 1565, soppresso nell’ed. 1570: cfr. sopra pp. 102-3)  come il Telesio lavorasse dopo il 1570 attorno al testo della sua  opera, giova riferire il cap. 1 del lib. 11 dell’edizione Cacchi con  le correzioni autografe dell'esemplare napoletano e la redazione  corrispondente del 1588, dov’è mantenuta la più importante di  quelle correzioni.   Ecco il cap. dell’ed. Cacchi con le correzioni dell’autore:   Quoniam, quæ in superiore Commentario exposita  sunt t alio omnia se habere modo Aristoteli videntur, eius omnino de singulis illis sxp/icondqw esse, cxcwiviividfinique sententiam.   Quoniam autem non Terra modo e sublunaribus  primum corpus Aristoteli videtur; sed et aqua itidem,  et qui nos ambit ær, et is, qui Coelo subiacet et cum  Coelo circumvolvi videtur; et unumquodque eorum non  ab unica' agente natura, sed a duplici singula illas, debilitatasque, at non eas tamen modo, quæ unius sint  corporis, sed omnes simul sibi ipsis commistas, contplicatasque, pene et unum factas inesse; e simplicium  itaque complexu, commistioneque effecta mista Aristoteli dicuntur: et nequaquam a propria Coelum natura,  propriaque calefacere substantia, caloris omnino expers,  nec calorem suscipere ullum aptum, commune sublunaribus habens nihil, penitusque diversa præditum natura, sed sublunarem ærem commovens, conterensque:  et nec a propria omnino forma '), propriaque moveri  substantia, sed ab immotìs motoribus; longe omnia a  nostris dissidentia; ipsius explicanda est, excutiendaque  de singulis sententìa: neque enim et aliorum itidem recensendæ sunt, examinandæque opiniones, ab ipso  satis reiectæ Aristotele, et non penitus etiam notæ  nobis. Utinam et cum Peripateticis liceret idem: magno  itaque vacuis labore aliena exponendi reiiciendique, nostra tantum explicanda. esset sententia; at non admissis  modo illorum placitis decretisque, sed ea acceptis fide  ac religione, ut si ex ipsius naturæ ore prolata essent:  non igitur rei ullius 1 2 ) amplius natura inspicienda, indagandaque cuipiam videtur, at tantum quid de quaque  Aristoteles senserit, speculandum. Non id ignoscant raortales rogandi, quod videlicet in singulis examinandis et neqnaquam a propria Coelum.., forma, cancellato.   2) itaque rei ti ullius. T. Arislotelis sententiis hæreamus '): at quod dissentire  ab ilio audeamus, et non illum numinis instar veneremur; qui si illius dicto audiant, aut factum incitentur,  nihil nobis veritatis studio illi adversantibus succenseant :  quin gratias potius habeant, et idem ipsi faciant omnes:  ipse enim Aristoteles veritatem amicis omnibus præhonorandam admonet, et veritatis gratia præceptorem  etiam amicumque incusare nihil vereri videtur. Huius  certe nos amore illecti, et hanc venerantes solam, in  iis, quæ ab antiquoribus tradita fuerant acquiescere  impotentes, diu rerum naturam inspeximus: et conspectam (ni fallimur) tandem aperire illam mortalibus voluimus, nec liberi nec probi liominis officio fungi iudicantes, si generi illam hurnano invidentes, at invidiam  ab hominibus veriti ipsi illam occultemus. Age igitur,  ut clarius illa elucescat, agentia rerum principia inquirentem, et prima constituentem corpora, tum reliqua  ex iis componentem, postremo et Coeli Solisque motu  calorem generantem, et motores immotos, a quibus  Coelum moveatur, indagantem, ea omnino, quæ in superiore nobis tractata sunt Commentario, in quibus (ut  dictum est) omnibus summe a nobis dissentit, explicantem Aristotelem audiamus, eiusque dieta singula rationesque examinemus.   Ed ecco che cosa diventerà questo capitolo nella redazione  definitiva del De rer. natura (ed. Spampanato). Cancellato questo periodo Non id... hæreamus, c corretto: {speculandnm) quovis labore nostro, quovis ahorum itidem fastidio, singulæ  eius positiones quam diligentissime et sæpius eadem interdum esponendo f ex am in a n dæque omnino sunt (?). Nihil si in iis tractandis plus iusto  immoremur mortales nobis ut ignoscant rogandos esse existimantcs. GENTILE, T. Repeluntur complura quæ superioribus traditi sunt  commenlariis. Ponitur stimma positionum Aristotelìs quæ  infra sunt expendendæ.   Materia non una ei duplex natura agens, et unus  calor frigusque unum, mundi huius universi principia,  nec quod terrain mareque et stella? inter quodque ipsas  inter stellas locatum est ens, unam idemque et ab una  eademque universum constitutum natura, nec duo tantum prima esse corpora, nec entia reliqua a coeli solisque natura e terra effecta, quemadmodum nobis, Aristoteli videntur. Ille enim sublunaria omnia una eademque e materia; quæ supra lunam sunt entia, cælum  stellasque omnes, ex alia constare et quæ nihil illi congruat naturarumque quas illa suscipit prorsus incapax  sit; et quod inter lunæ orbem terramque et mare est  ens, in duo, in ignem aéremque (ignem enim supremam eius portionem quæ lunæ orbi subiacet, ærem  vero infimam liane quæ terram ambit, appellat), divisam esse affirmat. Et præter cælum quattuor esse prima  corpora, terram, aquam, ærem, ignem, decernit: minimeque ad horum constitutionem calorem modo frigusque sed humiditatem etiam et siccitatem, ut agentes  naturas, et ad illorum singulorum constitutionem nequaquam earum unam sed oppositionis utriusque alteram  affert; et duplicem omnino singulis agentem assignat  naturane dictisque e quattuor corporibus, at veluti mutuis vulneribus confectis afflictisque et pugnam pertæsis  tandem et sibi ipsis commixtis, pene et unum factis  omnibus, entia reliqua constituit omnia. Et cælum stellasque omnes propria natura et quæ a calore frigoreque et ab humiditate siccitateque prorsus diversa sit, donat. Itaque calor qui a sale fit non ab eius natura nec a  propriis eius viribus, sed ab eius fit motu, a quo sic cælo  suppositus ignis et bona aéris pars agitetur, conteratur, accendatur accensusque ad terram usque detrudatur;  et nequaquam a propria cælum natura propriaque substantia sed ab immotis moveri motoribus statuit. Longe  tandem mutuo in omnibus fere dissentimus. Quas ob  res Aristotelis explicanda excutiendaque est de singulis sententia; nec vero et aliorum etiam opiniones,  satis ab ipso, ut videtur, reiectæ et quæ, nulli admissæ, ab ullius removendæ sunt animo. Utinam cum  Peripateticis liceret idem: magno aliena exponendi reiciendique labore vacuis, nostra tantum explicanda esset  sententia. At quoniam non admiserunt modo illorum  placita et decreta, sed ea acceperunt fide et religione  ac si ex ipsius naturæ ore prolata essent; itaque rei  nullius amplius natura inspicienda indagandaque cuipiam  videtur. sed tantum quid de quaque Aristoteles senserit  speculandum: utique quovis labore nostro, aliorum etiam  fastidio quovis, singulæ illius positiones quam diligentissime, et sæpius eædem interdum, exponendæ examinandæque sunt. Nihil, si in iis tractandis plus iusto  interdum immoremur, mortales nobis ut ignoscant, sed  quod a summo naturæ interprete dissentire audeamus  et non numinis instar illum veneremur, rogandos esse  existimamus: qui, si illius dictum audiant aut factum  imitentur, nihil nobis veritatis studio illi adversantibus  succenseant, quin gratias potius habeant idemque ipsi  faciant omnes. Ipse enim liber in philosophando Aristoteles veritatem amicis omnibus præhonorandam admonet, et veritatis gratia præceptorem etiam amicumque  incusare nihil veretur. Huius certe solius nos amore  illecti et hanc venerantes solam, in iis quæ ab antiquoribus tradita erant acquiescere impotentes, diu rerum  naturam inspeximus, et conspectam, ni fallimur, tandem  mortalibus aperire voluimus; nec liberi nec probi hominis officio fungi iudicantes, si generi illam humano invidentes aut invidiam ab hominibus veriti, ipsi illam occultaremus. Ergo, ut clarius illa eluceat, agentia rerum principia inquirentem et prima constituentem corpora, tum reliqua ex iis componentem, postremo et  càeli'solisque motu calorem generantem et motores immotos, a quibus cælum moveatur, indagantem, ea denique, in quibus omnibus summe a nobis dissentit,  explicantem Aristotelem audiamus, et singula eius dieta  rationesque examinemus. T. Consentini De Ret urn natura \  iuxta propria principia | libri IX | ad illustriss. et Excellenriss. D. Ferdinandum Carrafam Nuceriæ Ducem |  Neapoli | Apud Horatium Salvianum In f. Sul frontespizio è riprodotta la figura femminile. Questa edizione definitiva (di cui Græsse, vi, ij, p. 47 ricorda copie con la data 1587) è riprodotta nelle due seguenti:    4 Tractutionum pkilosophicarum tomus unus\ in quo  continentu.r:   I. Mocenic! Veneti Universaliutn Institutionum ad hominum perfectionem, quatcnus industria paruri  potest, contemplationcs quinque ;  Cæsat.pini Aretini Quæstionum Peripateticarum, libri v;   III. Ber. Telesii De rerum natura, Genevæ, apud Eustach. Vignon; in f.   Nè anch'io I10 potuto vedere questa edizione; che il Nicekon  (Mèmoires) dice conforme all’ed.. Spampanato, pref. alla sua ed. p. xxi, erra dicendo genovese questa  ristampa e credendo relative al De rcr. fiat, le opere del Mocenigo e del Cesalpino. T.    I i;    5 T. Consentini De rerum natura  iuxta propria principia, Coloniæ, Excudebat Petrus  Moulardus,Questa edizione è citata da L. T., in T. Operimi catalogus, aggiunto alla sua ristampa dell 'Orazione  del D’Aquino, p. 71.— Fiorentino, Pomponazzi, cita  una edizione del De rei . natura con la data di « Neapoli 1637»:  che dice appartenuta a Ulisse Aldrovandi ed esistente nella Bibl.  Naz. di Bologna. Se non che, come m’informa l’amico prof. Flores,  questa Biblioteca possiede soltanto l’edizione, e del resto  l'Aldrovandi mori nel 1605. È piuttosto da tener presente il seguente luogo della Orazione 8 del D’Aquino (p. 9): « Onde de’  suoi divini scritti tanta stima ha fatto il mondo, che sono stati  dati più volte in luce, non solamente in Italia, ma in Fiandra ed in Germania: e sebbene gli Italiani hanno innalzato le sue  opere grandemente, le nazioni straniere si sono ingegnate in ciò  di avanzargli, e gli Alemanni, rimosso il primo titolo del libro,  dove egli per sua modestia ponea solamente il suo nome ed il  suggetto dell’opera, l’hanno ornato grandemente d’un altro nuovo  titolo nel quale si contiene, che quella opera è piena di molta  dottrina, e che è necessaria agli studiosi delle lettere così umane  come divine ».  T. De rerum natura \ a cura  di | Vincenzo Spampanato, Formiggini editore in Modena. È il 1“ volume dei Filosofi italiani, collezione promossa dalla Soc. filos. italiana, diretta da Felice Tocco.  Precede una pref. del Tocco e una dello Spampanato. Il (piale  pubblicherà in altri due volumi il resto del Ve r. nat., e forse  un 4“ e un 5» voi. contenenti dei saggi delle edizioni e gli opuscoli. A questo i» voi. ha premesso una riproduzione  del ritratto inciso dal Morghen, pubbl. per la prima volta nella  Biografia degli uomini ili. del Regno di Napoli del Gervasi.    n 8 appendice bibliografica   Riproduco qui appresso la dedica e il proemio, premessi dal  Telesio all’edizione definitiva della sua opera, secondo la stampa  del Salvianl. Illustrissimo atque exceli.entissimo  domino don Ferdinando Carrafæ duci Nuceriæ  Bernardinus Telesius consentinus.   Commentarios de rerum natura, quos, ut probe nosti, excellentissime Princeps, magnis laboribus diuturnisque confeceram vigiliis, edendos tandem visum cum  csset, sub tuis omnino auspiciis emittendos esse duximus; nani et domi tuæ conscripti fuerant, et plurtmis  magnisque beneficiis, quæ in me contuleras, debebantur. Et amplius etiam, quod Aristotelis doctrinam (quam  adeo Alexander excoluit veneratusque est, et quæ sub  Alexandri patrocinio adeo floruit tantoque habita fuit  in honore) ut sensui et sibi ipsi passim repugnantem  cum damnemus, aliamque et longe ab illa diversam  cum ponamus, non sub regis cuiuspiam auspiciis, qui  imperii amplitudine Alexandro conferri posset, sed sub  herois præsidio emittendos esse duximus, qui nec ingenio nec iudicio nec animi magnitudine nec virtute  omnino ulla ab Alexandro exsuperaretur, quin qui in  multis illum exsuperaret. Et nostri temporis hominum  unus tu talis, excellentissime Princeps, non nobis modo,  sed sanis hominibus visus es omnibus, ltaque nihil venti quod opibus potentiaque ab ilio exsupercris, sub  tuis omnino auspiciis emittendos esse decrevimus. Nostra siquidem doctrina quoniam nec sensui nec sibi  ipsi nec sacris etiam litteris repugnat unquam, quin  adeo bis et illi concors est, ut ex utrisque enata videri possit; quoniam omnino vera est, sese ut ab mvidorum calumniis tueatur et, iis reiectis, sese assidue  T. effundat amplificetque, nullis regum opibus nuliaque  potentia sed tua modo opus habet ope; qui sic animi  bonis, quæ dieta sunt, nihil ab Alexandro exsuperaris,  quin in illorum multis tu illum exsuperas. Nam ingenio iudicioque te ilio quam longissime præstantiorem  esse, vel doctrina, quam uterque admittendam decrevit,  manifestai.,Quam enim ille amplexatus veneratusque  est et summis præmiis summisque dignara existimavit  honoribus, quod dictum est, et sensui et sibi etiam  ipsi, quin et Deo optimo maximo, passim repugnat.  Itaque soli calorem lucemque abnegat: et mundum  nequaquam a Deo optimo maximo constructum, sed  voluti casu quodam enatum ponit; et rerum humanarum administrationem cognitionemque Deo demit omnem. Et non sensui modo, sed, ut nostris in commentariis apertissime ostensum est, sibi ipsi etiam  passim dissentit adversaturque ; ut existimare liceat  vel in præceptoris gratiam, nihil eius fundamentis  positionibusque inspectis examinatisque, Alexandro admissam fuisse, vel quam longissime illum abesse, ut  ingenio iudiciove tibi conferri possit. Nam tu doctrinam nostram non statim, sed ibi tandem admittendam  perdiscendamque esse duxisti, ubi sensui et sibi ipsi  universa et sacræ etiam scripturæ bene concors visa  est. Ut, quod dictum est, ingenio iudicioque multo te  Alexandro præstantiorem esse necessario existimandum sit. Neque enim, si, quali tu, ingenio iudiciove  donatus ille fuisset, et sensui et sibi ipsi et sacris  divinis litteris passim dissentientem Aristotelis doctrinam admittendam duxisset unquam. Animi porro magnitudine fortitudineque nihil Alexandrum te præstantiorem fuisse res, a te in Peloponneso gestæ,  manifestant: ubi, innumerabilibus Turcarum equitibus  in Christianorum exercitum, turbatum iam trepidantemque, irruentibus (qui omnino nisi a te repressi reiectique fuissent, magnimi nostris incommodum illaturi  erant), non magno veteranoque cum exercitu, ut Alexander, sed perpaucis cum peditibus, in fugam iam  coniectis et a te retentis tuaque præsentia et fortitudine  confirmatis, sponte tua te opposuisti; et longe illorum  plurimis interfectis, reliquos in fugam coniecisti penitusque prodigasti. Itaque Christianorum exercitum, summum iam in periculum adductum et in fugam iam conversum confirmasti conservastique : talem omnino te  præstitisti, ut eorum, qui pugnantem te conspexere,  nulli dubium esse posset, quin, si unquam exercitus  ductandi magnaque bella gerendi occasio tibi oblata  foret, bellicam Alexandri gloriam æquaturus et superaturus etiam esses. At pares, quæ dictæ sunt, virtutes in utroque ut sint, puriores certe in te splendent,  neque enim, quod in ilio passæ interdum sunt, ab  immixtis vitiis in te obscuratæ sunt unquam. Et nequaquam, ut ille, deos tu colis ab hominibus effictos  multisque obnoxios vitiis; sed Deum venerans, cæli  terr:eque conditorem et qui unigeniti Filii sui morte  humanum genus servari substinuit, sanctissimaque eius  præcepta summa observas cum religione. Minus etiam  generis claritate ab Alexandro exsuperaris, siquidem Carraforum) familia multis iam sæculis plurimorum magnorumque principum coronis et regio etiam diademate  effulget (nam tuus ille Stephanus Sardiniæ regnum regio cum titulo obtinuit diuque possedit), et plurimorum  magnorumque sacrorum antistitum puniceis pileis et  pontificia etiam corona exornata est: ut ambigere non  liceat, quin generis etiam claritate nihil ab Alexandro  exsupereris. Quoniam igitur, Alexandro collatus, nec  generis claritate nec ullis animi bonis inferior videri  Spamp. Carra/arum. potes; age, commentarios nostros (propterea in primis  tibi dicatos, quod Alexandro si) quidem fortuna imperioque, non certe et ingenio iudiciove, nec vel magnitudine vel aliis ullis animi bonis ab ilio J ) exsuperaris, quin  in multis tu illum exsuperas) libens suscipe. Et si Aristotelis voluminibus, quæ tantis Alexander præmiis tantoque digna existimavit honore, niliil deteriores tibi visi  sint; et nostri mores nostrumque ingenium, quod penitus tibi perspectum sit oportet, nihil me unquam  (cuiusmodi Aristoteles erga Alexandrum fuit) tuorum  erga me beneficiorum immemorem ingratumque futurum suspicari sinent 3 ); non quidem, ut non minoribus  præmiis nos prosequaris, rogamus (quæ scilicet a præsenti fortuna tua exspectari non possunt et quæ nulla  a te expetimus, satis superque a benigni tate tua ditati),  sed ut non minore me prosequaris benevolenza et, quod  hactenus strenue fecisti, Peripatedcorum iniurias calurnniasque repellas. Nihil omnino, quam Aristoteles Alexandro fuit, me tibi minus carum, neque in minore,  quam ab ilio habitus fuit, nos a te in honore haberi  homines intelligant. Hoc vero, ut præstes, percupimus  et summopere te rogamus. Vale, o præsidium et dulce  decus meum. Spamp. Quod si. Spamp. Ab Alexandro. Spamp. Sinant.I T. Comentini De rerum natura iuxta  propria principia Liber primus:   Prooemium ').   Mandi constructionem corporumque in eo contentoram magnitudinem naturamque non ratione, quod antiquiorihus factum  est, inquirendam, sed sensu percipiendam et ab ipsis liabendam esse rebus.,   Qui ante nos mundi huius constructionem rerumque in eo contentarum naturam 3 ) perscrutati sunt, diuturni quidem vigiliis magnisque illam indagasse laboribus, at nequaquam inspexisse videntur. Quid enim iis  illa innotuisse videri queat 5), quorum sermones omnes  et rebus et sibi etiam ipsis dissentiant adversique sint?  Id vero propterea iis evenisse existimare licet 1 2 3 4 5 6 7 ), quod,  nimis forte sibi ipsis confisi, nequaquam, quod oportebat, res ipsas earumque vires intuiti, eam rebus magnitudinem ingeniumque et facultates '), quibus donatæ  videntur, indidere. Sed veluti, cum Deo de sapientia  contendentes decertantesque, mundi ipsius principia et  caussas ratione inquirere ausi, et, quæ non invenerant,  inventa ea sibi esse existimantes volentesque, veluti suo  arbitratu mundum effinxere. Itaque corporibus, e quibus Questo Proemio formava il cap. i del lib. i nella ediz. 1570 con  alcune varianti che saranno qui appresso indicate: rultima delle quali  assai notevole. coni etti or uni naturam.  rerumqtu naturam.indagasse illatn. videri potest. evenisse videtur. id rebus ingenium easque facultates.   8) causas. constare is videtur, nec magnitudinera positionemque,  quam sortita apparent, nec dignitatem viresque ‘), quibus  prædita videntur, sed quibus donari oportere propria  ratio dictavit, largiti sunt. Non scilicet eo usque sibi  homines piacere et eo usque animo efferri oportebat,  ut (veluti naturæ præeuntes, et Dei ipsius non sapientiam modo 1 2 3 4 5 ) sed potentiam etiam i) affectantes) ea  ipsi rebus darent, quæ rebus inesse intuid non forent  et quæ ab ipsis omnino habenda erant rebus. Nos non  adeo nobis confisi, et tardiore ingenio et animo donati  remissiore, et humanæ omnino sapientiæ amatores cultoresque (quæ quidem vel ad summum pervenisse videri debet, si, quæ sensus patefecerit et quæ e rerum  sensu perceptarum similitudine haberi possunt, inspexerit), mundum ipsutn et singula eius partes, et partium  rerumque in eo contentarum passiones, acriones, operationes et species intueri proposuimus. IUæ enim, recte  perspectæ, propriam singulæ magnitudinem, hæ verum ingenium viresque et naturam manifestabunt. Ut  si nihil divinum, nihil admiradone dignum, nihil etiam  valde acutum nostris inesse visura fuerit, at nihil ea  tamen vel rebus vel sibi ipsi repugnent unquam; sensuin videlicet nos et naturam, aliud præterea nihil, secud sumus, quæ, perpetuo sibi ipsi concors, idem  semper et eodem agit modo atque idem semper operatur. Nec tamen, si quid eorum, quæ nobis posita  sunt, sacris litteris catholicæve ecclesiæ non cohæreat,  tenendum id, quin penitus reiciendum, asseveramus    1) ejfmxere et corporibus. e quibus constate is videtur. non ram tuagnUudinem eamque dignitatem et vires. modo sapientiam.etiam potentiam.aciiones atque operationes intueri.magnitudinem ac speciem, hæ. s unirne.  contendimusque. Nequeenim humana modo ratio quævis,  sed ipse edam sensus illis posthabendus; et si illis non  congruat, abnegandus omnino et ipse etiam est sensus *).   7 Bernardini | Telesii | Consentini | De hìs, quæ in  Ære fiunt; et de Terræ- \ motibus. Liber (Jnicus | cum  Superiorum facultate. | Neapoli, | Apud Iosephum C'acchium. Carte. nuin. nel redo. Sul frontespizio è la solita figura femminile, eom’è anche nei due opuscoli seguenti.   Precede questa dedica:   Illustrissimo  et Reverendissimo  Tolomeo Gallio Cardinali Comensi  ac Archiepiscopo Sipontino  Bernardinus Telesius S. P. D.   Quoniam plurimis gravissimisque, ut nosti, molestiis  oppresso detentoque, ad te, quod summe quidem semper cupivi, et quo nihil mihi iucundius contingere posset, venire tecumque vivere non licet; nec vero alia  ratione meam erga te observaniiam gratitudinemque manifestare; utrumque, quo licet modo, ut efficerem, Commentarium De iis quæ in aère fiunt, ad te mittere  statui. Minus certe munus, quam quod tuis erga me  meritis debeo; qui scilicet cum nulla alia in re studium  voluntatemque tuam a me desiderati passus sis, tum  vero studiorum meorum egregius imprimis fautor semper fuisti. Multo etiam minus quam quod virtutes tuæ  expostulant, surnma integritas, summaque in omnes charitas; non illæ quidem ad homines alliciendos simulatæ, [Mancano i due ultimi periodi: JVec tamen... est sensus. a ut segnes unquam, sed veræ puræque, et unius  honesd grada scraper vigiles semperque operantes; et  summa prudentia, rerumque omnium cognido. Emicuerunt quidem illæ, cum sub Pio IIII. Pontif. Max. Christianam Rempublicam tu imprimis tractares, administraresque; et ita eraicuere, ut multo spiendidius emicaturæ  viderentur, si tempus unquam nactæ forent, in quo  liberius splendere possent. Summam præterea animi tui  magnitudinem quis non summopere amet summeque veneretur? Qua effectum est, ut nullis bonorum quorumvis  accessionibus quicquam elatus aut immutatus omnino  esses unquam; bona scilicet quævis, et quæ virtus tibi  pararat tua, te minora semper visa sunt, et fuere mehercule semper minora; itaque nihil illa te extulere  unquam. Me quidem diu penitusque egregias animi tui  virtutes et mores cum sancdtatis tum vero et iucunditatis plenissimos intuitum tanta illæ erga te veneradone tantoque animi tui amore desiderioque inflammarunt, ut nec venerari te satis, nec colere amareque,  et tecum esse satis desiderare posse videar. At multo,  ut dixi, maiora a me meritus, parvo hoc munere, scio,  contentus eris ; Deum Opt. Max. imitatus, qui non quas  non habemus opes, nec opes omnino ullas, sed veram  modo pietatem, esto et modici thuris evaporationem a  nobis poscit. Tum qualecunque id est, perpetuum erit,  spero, tuorum erga me meritorum, et meæ erga te  observantiæ charitatisque signum. Vale. T. | Consentini De color um  generatione Opusculum. Cum superiorum facultate |  Neapoli, | Apud Iosephum Cacchium.  In-4 1 cc. 7 nnmiii. nel redo. Precede la seguente dedica, in  alcuni esemplari premessa ai due libri del De t er. natura del '70  per errore di chi legò con essi questi opuscoli. Illustr. mo Io anni Hieronymo  Aquevivio Hadrianensium Duci  T.,CONSENTINUS S. P. D. Multos equidem iam annos surama te prosequor  veneratione, summoque tui videndi desiderio teneor.  Neque enim unus aut alter te cum cæteris animi bonis virtutibusquetum vero divino sane ingenio iudicioque longe acerrimo præditum disciplinisque omnibus  apprime ornatum mihi prædicavit; sed communis omnium consensus, et eorum præcipue qui et te magis  norunt, et qui, quæ in te sunt, bona reliquis exquisitius intueri possunt: in primis Marius C/aleota (qui vir  et quantus!): hic quideni te non summis ætatis nostræ  hominibus, sed antiquis illis hæroibus ac divinis viris  conferre nihil veretur; nec vero Rempublicam vel manu  vel consilio adiuvandi occasionem nactus si sis umquam,  quin illorum gloriam exæques, aut etiam exsuperes dubitat quicquam. Admirabilem scilicet intuitus naturam  tuam, et cum reliquarum honestarum disciplinarum tum  vero philosophiæ studiis diu summaque excultam diligentia, summa itaque erga te charitate ac veneratione summoque tui desiderio me inflammavit (rie). Quod si per molestias, quibus multos iam annos assidue opprimor, mihi  licuisset, promptius, mihi crede, ad te quani ad fortunatissimos reges advolassem; et præsens animi mei propensionem erga te patefecissem, ac dedidissem omnhio me  tibi. Id quando adhuc facere non licuit studiorum meorum monumentum quippiam tibi offerre visum est, quod  meæ erga te observantiæ signum esset: itaque commentarium De colorum generatione ad te mitto. Libens,  spero, munus, qualecumque est, accipies, in quo nimirum hominem, qui te nunquam vidit, virtutum tuarum  pulchritudine ac fulgore incensum intuebere. Nani, si probatus tibi ille fuerit, et perobscuram adhuc, ut videtur,  colorum naturarli exortumque patefecerit, id vero opibus a te omnibus carius æstimatum iri certo scio; ut  qui illustrissimorum maiorum tuorum more rerum cognitionem rebus omnibus ac regnis edam ipsis præhabendam semper duxeris. Vale.    9 Bernardini | T. | Consendni | De mari, \ Liber Unicus. | Ad Ulustriss. Ferdinandum Carrafam | Soriani Comitem. | Neapoli, | Apud Iosephuin Cacchium. In fondo all'opuscolo-. Cum Licentia Superiorum. Sono cc. 12 numm. nel recto-.Precede questa dedica: Illustriss. Ferdinando  Carrææ Soriani Comiti  T.  S. P. D.   Cum primum literas tuas accepi, quibus declarabas  te in iis, quæ de mari ab Aristotele tradita erant, acquiescere minime posse, et quid de eius natura et motibus  sentirem, ad te conscribere mandabas: etsi plurimis  (ut nosti) opprimerer molestiis, dbi tamen ut morem  gererem tuique desiderio sadsfacerem, commentari uni,  quem iam pridem de eo conscripseram, rudem adhuc,  quantum per præsentes occupadones licuit, polivi. Et  præter morem nostrum, prius quæ ab Aristotele tradita sunt, in eo exponuntur examinanturque, ut facile homines intelligerent iure te in iis acquiescere non  potuisse: tum nostra apponuntur. Perleges vero tu illuni, et si tibi probatus sit talisque visus, qui et tuo  sub nomine in lucem prodire queat, prodeat. Neque enim, quæ tu admittenda decreveris, alii ut damnent  vereri licet; libens certe confectum tibi opus, qualecumque id sit, accipies; summara in eo meam erga te  charitatem observantiamque intuitus et grati animi signum cura erga te, tum et erga illustrissimos parentes  tuos, Alfonsum Nuceriæ Ducem, virum unum omnium  optimum constantissimumque, et loannam Castriotam,  quæ cum maxime fortunæ corporisque bonis affluat, et  tantis omnino, quantis plura ne optare quidem liceat, si  cum alias eius animi virtutes, tum vero, quæ ægre sitnul coire videntur, lenitatem sublimitatemque summe in  ilio coniunctas, pene et unum factas quis inspiciat, vix  illorum splendorem intueatur; ut mihi quidem nostræ  ætatis homines nihil ea amabilius, nihil etiam divintus  conspicere posse videantur. Hæc vero tu eius parentisque tui splendorem summamque utriusque generis  claritatem ne novis luminibus non illustres dubitandum  est quicquam. Nam mihi quidem te illosque intuenti,  quæ in illorum utroque corporis animique bona sunt,  ex utroque hausisse videris omnia: minimeque vel eorum vel avorum gloria vel tantarum opum possessione,  totve ac tantorum populorum dominatione contentus  tuo tibi ut studio tuoque labore novum decus novosque honores acquiras summa attendis cum diligentia.  Age vero, qua coepisti perge, et mihi crede, non summam modo gloriam, sed veram adipisceris felicitatem,  summæ nimirum fortunæ summam adiicies sapientiam.  Vale.   io.    Bernardini | Telesii | Consentini | Vani de naturalibus | rebus libelli \ ab Antonio Persio editi. | Quorum alii nunquam antea excusi, alii meliores | facti prodeunt. | Sunt autem hi | de Cometis, et | Lacteo Circulo. | De liis, quæ in Ære fiunt. | De Iride. | De Man. SCRITTI DI B. T. Quod Animai universum. | De Usu Respirationis. |  De Coloribus. | De Saporibus. | De Somno. | Unicuique  libello appositus est capitum Index. | Cum privilegio |  [insegna tipografica) | Venetiis M.D.XC. | Apud Felicem  Valgrisium.   Dopo la pref. Antonine Persine camiido Perfori, c’è l’ Inde a  opusculorum, diviso in due parti:  Prima pars, in qua precipua Metereologica continentur;  Secunda pars, in qua, quæ Parva naturalia dici possimi,   tractantur.   Nella 1“ classe sono compresi i quattro opuscoli De Cometis  et tacteo circolo, De bis quæ in apre fiunl (dedicati entrambi  a Gian Iacopo Tomaie), De iride (al vescovo di Padova Luigi  Cornelio) e De mari (a Francesco Patrizio).   Nella 2 a altri cinque opuscoli : Quod animai universum ab  unica animæ substantia gubernatur contro Calenum (a Tinelli), De usu respirationis (a Giovanni Micheli), De  coloribus (a Benedetto Giorgi), De saporibus (a Fed. Pendasio),  De somno (a Girolamo Mercuriale).   Il volume consta di 4 carte inn. a principio, 5 parimenti inn.  in fine e dei 9 opuscoli ciascuno dei quali con numerazione a sé,  sul recto, e con frontespizio particolare; tranne il primo.   Il I- 1 I op. di cc.  (De Com. e De Air); il III (De ir.) di cc. 20;  il IV (De mari) di cc. 19; il V (Quod anim.) di cc. 47; De  usu) cc. 8; De color.) cc. 15;  (De sapor.) cc. 15;  De somno) cc. 15. Riporto la prefazione generale e le singole dediche. Antonius Persius CANDIDO LECTORI.   Novem hæc Bernardini Telesii physica opuscula, quorum tria tantum antehac excusa fuerunt, eodem omnia  volumine complexa, ut publici iuris efficienda curarim  id fuit causæ potissimum, Candide lector, quod, cum  paucissima eorum exempla circumferrentur, adeo ut  jpsi mihi, qui Telesio inter vivos agenti coniunctissimus, G. Gentile, T.1.^0   ac, ni fallor, carissimus fueram, antequani unius ex singulis compos fierem, sudandum fuerit, liuic malo quani  primum eonsulere necessarium existimarim. Timebam  enim ego duorum alierum, vel scilicet ne labores Ili  perirent omnino, vel ne quis eos tanquain proprii sibi  partum ingenii vindicans, suuni iis noinen, Telesii expuncto nomine, inscriberet, et ut sua tandem in commune proferret. Cuiusmodi non defuturos homines fuisse  ut milii persuaderem effecere multi, quos novi egomet  consimilem lusisse ludum. Ac profecto nostra liac tempestate, si ulla unquam alia factum est, malis hisce artibus prò sapientia uti licet.   Ut autem rem piane intelligas, erant ex his tres tantum modo, ut dixi, excusi libri, De his quæ in  ære fiunt scilicet unus, alter De mari, tertius De  colorum generatione. Ac De mari quident ille nonnullis auctior capitibus tibi datur, quæ nos in ipsius  calcem omnia reiecimus. Qui vero De coloribus est,  longe prodit alius, non verbis tantum, sed et sententiis  atque opinione. Cæteri omnes nunc primum publicantur. Ex iis, qui mihi a T. missi fuere (sunt  autem hi; De somno, De saporibus, De bis quæ  in ære, De mari), hi longe aliis emendatiores exhibentur; reliqui autem, quos aliunde expiscatus sum (curavit eos mihi Franciscus Mutus, præstanti vir doctrina ac T. philosophiæ cognitione liaud levi  præditus), ii non solum alicubi imperfecti, veruni etiam  tam male exarati ac mendose exscripti erant, ut divinandum mihi fuerit in plerisque locis. Cum autem in  iis exentplaribus, quæ nacti sumus, loci nulli neque  Aristotelis, neque Galeni, neque aliorum, qui a I elesio  laudantur authores, neque in contextu, neque in margine notati extarent, nos eos omnes in tuum commodum, Amice Lector. ad oram cuiusque libelli rite adscripsimus. Ad hæc schemata quædam in libello De  '.il    iride ab authore nominata, vel saltem subintellecta,  quod nullum eorum in nostris codicibus vestigium extar et, accurate delineavimus, ut facilius id, quo de agitur,  intelligeres. Atque hæc nos tibi tanquam in alieno solo  (ut cum nostris loquar iurisconsultis) elaboravimus, propediem te in nostro accepturi, atque ex ugello ingenioli  nostri, quæ tibi forte non ingrata videantur, multo liberalius deprompturi. Quod reliquum est, Lector Immanissime, quo nobiscum ab illius sapientissimi viri manibus gratinili aliquam in eas, ac magis udlitati publicæ consulamus, si forte meliores, quam nostri sunt,  codices fuerit nactus, ut et ego meliores edere possim,  mihi eos, quæso candidus imperti; si non, his utere  mecum. Vale. Ai primi due opuscoli è premessa la dedica seguente:   Antonius Persius   IGANNÌ IACOBO TONIALO VIRO PRÆSTANTISSIMO   S. P. D.   Quod in studio mathematices, quo maxime omnium  semper es delectatus, in primisque astronomicæ facultatis, totus usque sis, laudo te, mi Tomaie, vehementer,  ac vere virum censeo, qui non te otio, quod plerique  ista fortuna, hoc est opibus, abundantes homines faciunt,  corrutnpi sinas; sed, cum ingenio iudicioque cum paucis  sis conferendus, animum tuum optimis artibus perpolitum nobilissima rerum excelsissimarum excolis cognitione. Cui tantum detulit Aristoteles, ut eam vel imperfectam perfecta inferiorum rerum scientia multo duxerit  esse præstantiorem. Utere igitur fortunæ bono dum per  florentem ætatem tuam licet, et viaticum senectuti para. Collocupleta tuum solidis atque immortalibus bonis animimi: amicitias quoque, quod facis, adiunge tibi liberalitate hac tua, omnique officiorum genere, quæ ego abs te  expertus non vulgaria, perlibenter soleo prædicare. Et  quo extaret eoruni significano diuturnior, a me tibi nuncupati ut exirent duo hi Telesii nostri libelli De cometis et lacteo circulo unus, De iis quæ in ære  fiunt alter, libentissime curavi: simul ut haberes occasionerei de rebus coelestibus, coeloque proximis, quo  te rapit astrorum studium, novam Telesii nostri disputationem alacrius legendi. Cuius tu philosophiam magno  animo amplexatus maxima cum iudicii et ingenii laude  tueris. Ac liber ille quidem, quo De iis, quæ in  ære fiunt, disseritur, editus antehac est, nunc emaculatior prodit. Alter vero nunc primum publici iuris efficitur. Vale, et Persium tuum ex animo nunquam elabi  tuo patiare. Patavio Illustrissimo ac reverendissimo  Aloysio Cornelio episcopo  Paphiensi et Patavino designato.  Antonius Persius. S. P. D.   Post nobilem illum universæ terræ cataclysmum,  ex quo Noe, cum familia servatus, humanum genus reparavit, apud Ethnicos quoque pervulgatum, ac Deucaleonearum undarum nomine a poeds significatimi, scriptum fecit Moses summi ille Dei scriba atque interpres,  Illustrissime ac Reverendissime Episcope, Deum ipsum  edidisse arcum, seu Iridem pacti indicem ac foederis  inter se atque humanum genus constituti, ut quoties id  in coelo appareret toties divinæ potentiæ beneficiique  nobis divinitus collati memoriam renovaret. Hoc mihi, . 1 .1,ì    dura eximii philosophi Bernardini Telesii libellum De  iride in lucem proferre cogitarem animo repetenti cupido incessit, ut haud ita dissimilis in re simili tui erga  me animi significatio exstaret, operam dare. Est igitur  a me curatimi, ut ii, in quorum oculos hæc T.  Iris incurreret, de tuorum in me magnitudine meritorum brevi hac ad te epistola quoquo pacto admonerentur. Namque, ut alia præteream, maximorum semper  in loco beneficiorum mihi delatum putabo, quod in aliqua apud te grada vigeam, ac me ipse in tuorum tibi  addictissimorum numero censeri velis. Cum enim percrebuerit te non nisi doctos, probos ac sapientes viros,  tui scilicet simillimos, amare, fovere atque ornare solere, cum tu non solum maiorum splendore summaque  familiæ nobilitate, verum edam doctrinæ, probitatis ac  sapientiæ laude nemini concedas (quarum quidem virtutum singulare specimen in administradone Episcopatus  Patavini tibi ab amplissimo Cardinali Federico patruo  tuo, prudentissimo viro delata maximo cum ecclesiæ  Patavinæ fructu quotidie exhibes); quid mihi proficisci  abs te maius atque optabilius unquam posset, quam  ex tua consuetudine, qua me dignum tua esse voluit  humanitas singularis, tantarum mihi virtutum famnia,  ac nomen aliquod comparare? Quod igitur opusculum  hoc tuo sacratum nomini dicarim, id primum boni ut  consulas vehementer cupio; deinde ut tuam in me animi  propensionem, in qua maximam existimadonis meæ partem esse positam inteiligo, (quod facis) tueare te iterum  rogo obsecroque. Vale. Patavii.    d)   Antonius Persius  Francisco Patricio  Platonicæ Philosophiæ  in Ferrariensi Gymnasio  Professori Celeberrimo  S. P. D.   Meministi, eruditissime Patrici, cum Venetiis conintoraremur, me tibi novam Telesil Philosophiam ac philosophandi rationem sæpius commendare, et te hortari,  ut libros eius de natura legeres diligenter. Quod ubi  est a te factum, cum multa offenderes in iis, quæ velini Democritea Delio quopiam natatore indigerent, me  identidem tanquam in eorum lectione diutius versatuni,  ac Telesii familiarem consulebas, ego igitur libenter et  obscura quæcunque tibi essent interpretabar, et obiicientium sese dubitationum scrupulos eximebam, quod  poteram. Ita ad calcem usque operis cum legendo pervenisses, tum honorifice de eo loqui cæpisti, ut ipsurn  veteribus philosophis anteferres. Scripsisti quoque a me  rogatus in eam philosophiam dubitationes tuas nonnullas, quas ad Telesium transmisi. Ex eo candidissimus  philosophus quanti tuum lacere iudicium haud obscure  significavit, cum deinceps sua scripta ad tuum sensum  exigere non sii gravatus. Cum igitur libellum eius De  mari ab ipso primum editum, atque aliquibus ex eiusdem scriptis ad eandcm rem pertinentibus auctum, denuo imprimendum curarem, patrem ipsi ac patronum  nullum Patricio aptiorem in venire me posse existimavi,  tuæque idcirco ipsum fidei commendare decrevi. Tu,  si constans es in summi viri laude, ut te esse mihi et  natura et consuetudo tua suadet, huiusce opusculi patrocinium suscipias libenter, ac tuam in eo tuendo non SCRITTI ni n. T. t35vulgarein eruditionem plaudentibus omnibus explicabis.  Feceris autem mihi pergratum, si meis verbis coniraunem amicum ac fatniliarem Franciscum Mutum et  tuum et Telesii præclarum propugnatorem ingenii, et  eruditionis laude ornatissimum, salutaveris, meoque ipsi  nomine dixeris, cura ego ipsius beneficio plerosque ex  iis, quos iam edo libellos, fuerim nactus, expectare, ut  eosdem idem ipse meliores, atque alios eiusdem Auctoris nondum editos nobis eruat alicunde. Vale, ac mei  mutuo memor est. Patavio.   Dopo il cap. x segue quest’avvertenza (c. 13 t f ):   Tria hæc, quæ sequuntur capita de maris æstu,  a Telesio quidern et ipsa elucubrata sunt, sed tamen ab  eodem in prima huiusce libelli editione consulto prætermissa; idque ea, ut puto, de causa, quod in hac conteraplatione nondum sibi piane satisfaceret. Erat enim  tum in alienis, tum maxime in propriis sententiis iudicandis sane quam difficilis atque morosus. Itaque nihil  edere ille solebat, quod non longa adhibita discussione  lente prius ac fastidiose probasset. Nos tamen, ne ea  quidern intercidere æquum putantes, quæ ipse rudia  atque imperfecta reliquerat, pauca hæc de manuscripto  exemplari diligenter excepta, priusquam ea sibi aliquis  vindicaret et ut sua venditaret, in calce huiusce libelli  excudenda curavimus. l H. T. doctrina et eloquentia tectum sartumque præstes ab  aculeis reprehensorum, libenter curavi ut nonien tuum  clarissimum præ se ferret imprcssus. Neque enim dubito,  quin maximum apud omnes hoc tuum patrocinium sit  pondus habiturum. Perspectum iam enim est ac notum,  quanto te discipulo gloriaretur dignus ille tnagnorum  philosophorum magister Iacobus Zabarelia, nobis importuna morte præreptus. Cuius sane viri quoties mihi  venit in mentem, venit autem sæpissime, toties ego  Patavinæ, in qua profitebatur, Academiæ ingemisco,  quæ tot tantisque infra paucos annos orbata viris, civem hunc suum, qui facile omnium desiderium leniret,  rednere diutius in vita non potuerit, cum tamen ea decesserit ætate, quæ senectutem vix a limine attingebat.  Verum alieno quidem patriæ et amicis, sibi autem,  hoc est nomini, et gloriæ suæ liaud quam importuno  tempore cessit e vita, relictis ingenii sui monumentis,  nunquam intermorituris. Cuius vocem porticus illæ eruditæ Lycei Patavini frustra nunc, frustra, inquam, desiderant. atque eum, si possent, suum ipsæ civem, qui  philosophiam non præceptis tantum ac scriptis, verum  et factis præclarissime exprimebat, omnium virtutum,  imprimis humanitatis ac modestiæ, singulare exemplunt  erat, perpetuo lugerent ; ut eos contra philosophos riderent, qui non tam in academiæ porticis prò Peripateticæ doctrinæ primatu, quam in publicis hisce, quæ  promiscere ab omnibus ultro citroque commeantibus teruntur, prò peripatetica, hoc est, ambulatoria (ut sic  dixerim) prærogativa tanquam prò aris et focis ridiculc dimicant, quasi in eo sitæ sint Græciæ divitiæ,  si cui occurrens, caput aperias, aut interiorem Porticus  partem, videlicet parietem ambulanti concedas. Sed iam  nos iis homulis et xaipeiv dicamus et vyicuveiv. Te vero  iterum iterumque rogo, ut animum tuum familiæ tuæ  splendidissimæ nobilitate dignissimum mihi benevolum  æ meæ summæ in te observantiæ memorerà tueri,  munusculumque hoc, novum piane munus (cum libellus hic it prodeat ab eodem Auctore iam pridem multis  additis, detractis, immutatis interpolatus, ut, si cum antea edito conferas, mirum quantum ab eo difierre deprehendas) tanquam maximum a maximo ad te missum  animo gratificandi tibi suscipere ne dedigneris. Vale.   h)  Persius  Eminentissimo Phii.osopho  Federico Pendasio,. S. P. D. Si quantum Aristoteli philosophorum filii, tantum  tibi, Federice Pendasi, philosophorum memoriæ nostræ  facile princeps, ipsum debere Aristotélem dixerim, næ  ego vera prædicarim. Illustrasti etenim publicus tot annos in ceteberrimis Italiæ Gymnasiis interpres Aristotelicam usque adeo philosophiam, ut non tibi minus, quam  Aristotelicorum librorum, qui situ obsiti parum ab interitu aberant, erutori ac vindicatori iHi gratiæ debeatur. Quos si nobis inimicum fatum ad exitium usque  invidisset, poteras tu novus illucere mortalibus Aristoteles, iacturamque tantam undequaque compensare. Itaque subinvideo Ascanio fratri, quod ipsi, te Bononiæ  degente, Bononiæ degenti fruì licet, ac de te non publicos solum, sed, quæ tua in omnes privatimque in  ipsum est benignitas, domesticos haurire sermones. Ferebam ego antea tui desiderium paullo lenius, dum viveret alterum Italiæ lumen Zabarella philosophiæ scientia, ut tibi uni secundus (quem scilicet ille  sibi non solum præferebat, sed auctorem ctiam recte  philosophandi fuisse olim prædicabat), sic cæteris omnibus meo ac multorum iudicio anteponendus. Eo nunc,quo familiarissime utebar, extineto, nisi tua me aliquando  usurum consuetudine sperarem, vitarn mihi profecto  acerbam putarem. Interim autem quia te libenter et studiose legere ea scripta, in quibus ingenii et eruditionis  lumina haud vulgaria conspiciantur probe novi, cuiusmodi sunt Telesii philosophica monumenta, idcirco ut  ex ungue leonem agnosceres: ad hæc ut sententiarum  novitate animum tuum consuetis fessum contemplationibus recreares, liunc eius De saporibus libellum tanquam èvSóoipav ad reliquam ipsius philosophiam cognoscendam, et, ut sapiat, iudicandam ad et mittere, adeoque  tuo inscriptum nomini publicare decrevi. Accipies igitur hilari fronte hanc meæ in te benevolentiæ atque  observantiæ significationem, ut meum in te studium  nunquam in posterum obliviscaris. Vale. Patavii. Persius PRÆCLAR1SSIMO MEDICO   Hieronymo Mercuriali  S. P. D. Homericus ille Iuppiter, quod te non fugit, HieronymeMercurialis, medicorum choryphæe, ut Agamemnonem de sonino excitaret, misisse ipsi somnium a poeta  perhibetur. Ego vero, ne tu mihi dormias, hoc est, ne  me tibi e memoria atque ex animo excidere patiare, tui  amantissimum studiosissimumque tui nunquam oblitum,  non vanum aut mendax aliquod somnium, sed eruditum ca veridicum Somnum Telesianum a Telesio tum,  cum minime dormitabat, elucubratum ad te mitto, qui  somnum arcere quovis somnio validius possit. Hunc  ego, et ut sedulum monitorem, et ut non obscurum mei  in te animi interpretem ad Te destinavi, dum aliud TOSINO U2 quæro tibi mnemosynon, quo pateat illustrius non solimi quantuni tibi ipse ego debeam deferamque, veruni edam quam ab aliis omnibus esse deferenduni  exisdniem; etsi tu unica de te clarissimæ Bononiensis  Academiæ existimatione (ut communem eruditorum omnium sensum prætermittam) contcntus esse potes, quæ  te tanto studio ac contentione ad eminentissimam medicinæ cathedram ingentibus atque ante te nemini propositi præmiis pertraxit. Atque hoc sapienter B0110nienses, ut alia omnia, sapienter te quoque ipsum, qui  condicionem acceperis, fecisse sapientissimus quisque  existimat, cum tibi in ea urbe domicilium statueris, quæ  bonorum omnium ornatu ac copia comparari cum urbibus' omnibus merito potest. Quo tit ut non iniuria et  te ego Bononiæ, et tibi Bononiam invideam, hoc est  summorum virorum doctrinae et huraanitatis laude celeberrimorum Bononiae degentium consuetudinein. Peregrinos nunc taceo, ne te plus aequo legentem morer.  De civium numero unum tantum honoris caussa commemorabo, Camillum Palaeottum, tuorum, ut tu te merito gloriaris, principem amicorum; quem virimi primum Romae sum contemplatus, allocutus, admiratus,  cum in eo omnia maiora opinione ac fama deprehenderim. Itaque Alexandrum Burghium summa insignem  timi scientia et eloquentia, tum probitate virum amo  plurimum, qui ut Romae Palaeottum cognoscerem atque ab eo cognoscerer et auctor et interpres mihi fuit.  Obsecro igitur te, vir preclarissime, per humanitatem et  comitatem iliam tuain, qua vel sola aegrotis restituere  valetudinem soles, ut me illi addictissimum diligentissime commendes, et a me salutem dicere ne graveris.  Te vero mei muneris ne poeniteat, siquidem id, quod  ab optimo in te est animo profectum, optimum putas.  Vale, et diu vive, ut diutius alii vivant. Patavio.   In fine della raccolta sono 3 cc. di Errata-corrige,Due opuscoli inediti del T. De fulmine e Quae  et quomodo febres facilini furono per la prima volta pubblicati dal Fiorentino, Telesio, n, pp. 325-374, insieme  con la risposta del Telesio al Patrizi: Soluliones Thyìesii. Dal Fiorentino è anche ristampato il Carmen ad  Ioannam Castriotam del T., inserito nel  volume Rime et versi in lode della illustriss. et eccellen/iss. S. D. Giovanna Castrio/a Carr. Duchessa dì  Nocera et Marchesa di Civita Santo Angelo, scritti in  lingua toscana, latina et spagnuota da diversi huomini  illustri in varii et diversi tempi et raccolti da Don Scipione de’ Monti, Vico Equense; già ristampato  da S. Spiriti, Memorie, e da Luigi T.,  o. c. pp. 55-6. Circa l’apocrifità dell’epigramma per la  storia di Scipione Mazzella v. Bartelli, Note, Manoscritti e opere smarrite.   Oltre la notizia importante dataci da Giov. Paolo  d’Aquino, riferita a p. 54, e quelle del Persio, è da considerare la lettera del  Quattromani, su cui richiamò già l'attenzione il Nicodemi nelle Addizioni copiose alla Bibl. Nap. del dott.  N. Toppi, Napoli, Castaldo: e l’accenno  dello stesso Telesio De rer. nat., v, 1: « Tum maris  aquarumque et eorum quae im sublimi fiunt iridisque  et colorum exortus in propriis est explicatus commentariis. Metallorum lapidumque et reliquorum, si quae alia supersunt, quin in superioribus manifestatus sit, parimi cannino deesse videri potest, et alias, si coeptis  faverit Deus, manifestabitur magis ». Per un opuscolo  De pluvfis, cui si allude nel De mari, c. x, cfr. AlmagiA, I.e dottr. geofisiche di B. T.. La Filosofia di Berardino T. ristretta in brevità,  et scritta in lingua toscana dal Montano Accademico  Cosentino [Sertorio Quattromani], in Napoli, appresso Giuseppe Cacchi, 1589.   Ora/ione di Gio. d‘Aquino in morte di Bernardino  Telesio, philosopho eccellentissimo, agli Accademici Cosentini. In Cosenza, per Leonardo Angrisani, 1596.   Rist. a Napoli, Fratelli Traili, a cura di L[uigi)  T., Precede una lettera di T. al marchese  di Villarosa; e seguono (p. 55) il Carme del Telesio a Giovanna  Castriota con la trad. italiana del Cavalcanti, l’epigramma a Scipione Mazze-Ila (p. 60) col distico contro Aristotile, il son. di  Lelio Capilupi (p. 61) e due poemetti di Antonio Telesio.   Sul p. Luigi Telesio prefetto della Biblioteca dei Gerolamini  v. Luigi Maria Greco, Elogio del p. L. T., negli Atti dell’Accademia Cosentina, voi. Ili, pp. 345 sgg.   Francesco Bacone, De principiis atque originibus  secundum fabulas Cupidinis et Coeli: sive Parmenidis  et T. et praecipue Democriti philosophia, tractata  iti fabula de Cupidine ; in Philosophical Works edited  by Ellis and Spedding (con pref. dell’EUis e note).   La prima volta questo opuscolo fu pubblicato da Isacco Gruter in Franc. Baconi de Verulamio Scripta in naturali et universali philosophia, Amsterdam. Sono citati gli scritti più notevoli. Delle storie generali della filosofia soltanto quelle che contengono esposizioni originali.    G. Gentile, Bernardino T. appendice bibliografica Iohannis Imperiala Musaeum kistoricum et pkysicum, Venetiis, ap. Iuntas, C’è un ritratto del Telesio. Pel cui valore storico si  osservi che nello stesso frontespizio del libro è detto che le imagines del Museo storico sono ad vivum expressae, e nella prefazione al lettore: « Icones ad vivum ubique locorum a nobis  anxio perennique studio conquisitas, vix cogere in unum licuit  paucas, nec impensae pepercimus, nec oleo, aliquam interdum,  prout minus congrua censebatur, abolendo, aliquam reformando,  et cum probatioribus conferendo, quo studiosa cupidaque huiusmodi elegantiarum tua non falleretur fiducia».   Petri Freheri Theatrum viro rum eruditione claro rum, Norimbergae. C’è un ritratto del T., riprodotto da Rixner e Sibek  innanzi al vojutne qui sotto citato.   Ioh. Georgii Lotteri De vita et philosophia T. commentarmi ad illustrandas historiam  philosophicam universam et literariam saeculi XVI C/iristiani sigillativi, Lipsiae, apud Bernh. Christoph. BreitKopfium.   Nei Nova Acla eruditorum di Lipsia, 3 c'è una recensione di questa monografia. Bruckeri, Historia critica philosophiae, to. iv,  pars 1, Lipsiae, Mémoires pour servir à filisi, des hommes illustres  dans la republique des le/tres avec un catalogne raisonné  de leurs ouvrages par le R. P. Niceron barnabite,  to. xxx, Paris, io. H 4  Salvatore Spiriti, Memorie degli scrittori cosentini, Napoli, Buhle, Gesch. d. neueren Philosopkie seit  der Epoche d. Wiederhers/ellung der Wissenschaften, SCRITTI SU B. T. Gòttingen.; trad.  frane. Jourdan, Paris, Ginguené, Histoire littéraire d’Italie [continuata da F. Salfi], to. vii, Paris, Michaud.   I- e PP' 5 °°* 1 4 relative al T. sono un’aggiunta di Salfi.   Rixner e Siber, Leben und Lehrmeinungen berukm-  ter Physiker am Ende des XVI und am Anfange des  XVII fakrhunder/s, Bd. ni (Sulzbach) (T.) . Oltre una biografia del T., contiene la traduzione'(molto  libera) di molti brani del De rei' . natura.   Giuseppe Boccanera da Macerata, B T., nella Biografia degli uom. illustri del Regno di  Napoli, to. vni, Napoli, N. Gervasi (col ritr. del  Morghen).   Francesco Saverio Sai.ki, Elogio di Bernardino  T., 2“ ediz., Cosenza, Migliaccio Ristampato in Salpi, Prose varie, Cosenza, Migliaccio.  La prima volta era stato pubblicato nel giorn. La Fata Morgana  di Reggio Calabria; e contro di esso allora comparve un opuscolo: Luigi Telesio, Risposta all'art. inserito nel  giorn. intitolato La Fata Morgana... Su la vita e la filosofia  dì Bernardino Telesio, in Napoli, nella Stamp. della Società  Filomatica (cit. da F. Bartelli, Note). Scaglione, [La filosofia di B. Telesio]-,  negli Atti della Accademia Cosentina, Cosenza, pe’ tipi  di G. Migliaccio, 1842, voi. 11, pp.15-115.   In risposta al tema assegnato dall’Accademia l’anno 1838:  « Esporre con lucidezza e precisione il sistema filosofico di B. T.,  e far conoscere quale e quanta influenza abbia esercitato sul  progresso delle scienze, e quali scrittori, sian essi calabri o stranieri, abbiano maggiormente contribuito a propagare la nuova  dottrina Telesiana APPENDICE BIBLIOGRAFICA Bartholmèss, De Bernardino T., Paris,  1849.   H. Ritter, Geschichte dcr Philosopkie, r l heil (Bd. I  della Gesch. d. neutra Pkilos. ), Hamburg, Perthes, Erdmann, Grundriss der Geschichte der Phi-  losophie, 1, Berlin, Fiorentino, T., ossia studi storici su l’idea della natura nel Risorgimento italiano,  Firenze, Le Monnier, 2 voli. 1872, e 1874.   Della psicologia del T. il Fior, s’era occupato nel Pomponazzi. A proposito del volume del Telesio  furono pubblicati i seguenti scritti du Ferri e Francie.   Luigi Ferri, La filosofia della natura e le dottrine  di B. T.\ nella Filos. ileUe scuole i/al., a. 1873.   Ad. Franck, Bernard. Telesio, ou Études histort-  ques sur l’idée de la nature pendant la renaissance ita-  lienne par F. Fiorentino, in Journaldes Savanls. Carriere, Die philosophische Weltanschauung der  Reformationszeit*, Leipzig. T., rivista di scienze lettere ed arti, Cosenza (direttori Iulia e  Bianchi).   Ne conosco 3 fase., che non contengono nulla sul Telesio,  salvo un cenno neil’art. di G. M. Greco, Il Qualiromani critico a 8 a teoria dell’anima del filosofo cosentino, difesa dalle critiche del Fiorentino. SCRITTI SI! B. T. Lasswitz, Geschichte der Atomisti): vom Afitte/-  alter bis Newton, Hamburg u. Leipzig, Heiland, Erkenntnisslehre nnd Ethik des  Bernardinus Telesius ; Inaug.-Dissert., Leipzig. C’è una bibliografia della letteratura telesiana. Tocco, Le fonti più recenti della filosofia  del Bruno, Roma, 1892 (estr. dai Rend. Lincei). I rapporti di Bruno col T. Cui è da aggiungere l'osservazione dell' Eli.is nella pref. al De principiis  di Bacone, ed. cit., p. 75 n. Felici, Le dottrine fi/osofico-religiose di Campanella con particolare riguardo alla filos. della  rinascenza italiana. Lanciano, Carabba. Sono studiati i rapporti del Camp, con T.    St. de Chiara, Bricciche lelesiane. Nozze Tancredi-  Zumbini, xix aprile mdcccxcvii (Cosenza, ApreaJ,  Spigolature dall’archivio cosentino relative al nome della  madre del T. e ad alcuni de’ suoi figliuoli. A p. 4 n. 1, è  detto: c Un solo, il Bruckero, dice ch'egli sia nato nel 1508:  ma questo non è assolutamente possibile, perchè nel sett. del 1508,  come abhiam visto [«nelle schede del notar Arnone, i capitoli di un secondo matrimonio, che Giovanni T., padre del nostro Bernardino, contrasse con la signora Vincenza Garofalo »], il padre passa a seconde nozze. La data, poi, si desume anche dalla seguente notizia cortesemente comunicatami dal mio nob. amico  Luciano de Matera e da lui ricavata di su un antico ms.: si sepelì nella sua sepultura della sua cappella  dentro la Chiesa magiore il filosofo Bernardino tilese d’età d’anni  settantanove APPENDICE BIBLIOGRAFICA  Bartelli, Note biografiche (B. Telesio  e Galeazzo di Tarsia) Cosenza, A. Troppa, MCMVI.   Sul T. È il miglior saggio biografico che si  abbia per l’esame rigoroso delle notizie e per la larga • esplorazione dei documenti inediti cosentini. Almagià, Le dottrine geofisiche di B. T.: primo contributo alla storia della geografia scien¬  tifica nel cinquecento, Firenze, Ricci, 1908 (estr. dagli  Scritti di geografia e storia della geografia pubbl. in  onore di Vedova).   Duilio Ceci, Bernardino Telesio (con bibliografia)  ne La cultura contemporanea, Roma, a. n, n. 3, Articoluccio d’occasione. Nella Bibliografia si cita: «Bonci, Il volgarizzamento dello scritto latino di B.  (sic) T: I colori presso gli antichi Romani, Pesaro, Federici,  1894. Ma si tratta del De coloribus di Antonio T. Troilo, T., Modena, Formiggini; col ritr. del Morghen;  N. 11 dei Profili del Formiggini). Il medio evo; II. Umanesimo e rinascimento Vita e scritti  del T., La filosofia del T.; V. Chiarimenti Note Appendice bibliografica. »   I. Scritti di B. T. »   II. Scritti su B. Telesio LATERZA BIBLIOTECA DI CULTURA MODERNA   Elegante collezione Orano Psicologia sociale (esaurito).   •2. B. King e T. Okkv  1/ Italia d'oggi .Ciccotti  Psicologia del movimento   socialista . Virgiu  L’Istituto famigliare nelle Società primordiali -,f>0   Martin L’Edncazione del carattere    (esaurito). Lorenzo — India e Buddhismo antico Spinazzola — Le origini ed il cammino   dell’Arte. Gourmont  Fisica dell’Amore. Maggio su l' istinto sessuale . Cassola  I sindacati industriali. Cartelli - Pools - Trusts . Marchesini  Le finzioni dell’anima.   Saggio di Etica pedagogica Kbioh  11 Successo delle Nazioni. Barbagali La fine della Grecia antica . Novati  Attraverso il Medio Evo Spingarn La critica letteraria nel   Rinascimento.. Carlyle  Sartor Resartus Carabki.lbse  Nord e Sud attraverso   i secoli Spaventa — Da Socrate a Hegel Labriola — Scritti vari di filosofia e   politica a cura di B, Croce. LATERZA Balfour  Le basi della fede Freycinet  Saggio sulla Filosofia   delle Scienze Crock  Ciò che è vivo e ciò che è morto   della filosofia di Hegel Hearn  Kokoro. Cenni ed echi dell’intima vita giapponese . Nietzsche Le origini della tragedia Imbriani — Studi letterari e bizzarrie   satiriche. Hearn Spigolature nei campi di Bml-   dho . Saleeby  La Preoccupazione ossia   la malattia del secolo. K. Vossi.br Positivismo e idealismo nella scienza del linguaggio. Arcoleo Forme vecchie, idee nuove Il pensiero dell’Abate Galiani - Antologia   di tutti i suoi scrìtti editi e inediti Spaventa La filosofia italiana nelle   sne relazioni con la filosofia europea Sorbi. — Considerazioni sulla violenza Labriola  Socrate. Kohlkr Moderni problemi del Diritto Vossi.br — la Divina Commedia stu¬  diata nella sua genesi e interpretata Storia dello svolgi¬  mento religioso-filosofico Storia dello svol¬  gimento etico-politico. Gentile — Il Modernismo e i rapporti   tra religione e filosofia. Festa — Un galateo femminile italiano del trecento Spaventa — La politica della destra  Royce — Lo spirito della filosofia mo¬  derna Pensatori e Problemi Prime linee d’un sistema . LATERZA Rrnier  Svaghi critici Gbbhart — L’Italia mistica Farinelli — Il romanticismo in Germania Tari — Saggi (li Estetica e di Metafisica Romagnoli — Musica e Poesia nell antica Grecia Fiorentino — Studi e ritratti •   45. G. Fkrrarelli Memorie militari del   Mezzogiorno d'Italia Spaventa - Principii di Filosofia Anile - Vigilie di Scienza e di Vita Royce — La Filosofia della Fedeltà Emerson  L’anima, la natura e la   saggezza - Saggi   Rbnsi — Il genio etico ed altri saggi  Gentile, T. Bernardino Teleio. Telesio. Keywords: empirismo, teoria della percezione, l’anima d’Aristotele, l’analogia, l’uomo e gl’animali, la ragione, i antici, contro i antici, osservazione, percezione, la tradizione empirista italiana, il Telesio di Bacone, sperimento, sperienza, esperienza, ex-perior, esperire – Latino ex-perior, Gr. em-pereia, osservazione, osservare – observatum, percipere – percezione per-capio. Refs.: Luigi Speranza, “Telesio e Grice,” per il Club Anglo-Italiano, The Swimming-Pool Library, Villa Grice, Liguria, Italia. Telesio.

 

Luigi Speranza -- Grice e Teocle: la ragione conversazionale della legislazione di Reggio – principe filosofo -- Roma – filosofia italiana – Luigi Speranza (Reggio). Filosofo calabrese. Filosofo italiano. Reggio Calabria, Calabria. A Pytahgorean who helps produce a new code of law for Reggio. Cited by Giamblico. Unfortunately, Giamblico also mentions one Teeteto in exactly the same context – implying that they may be the same person.

 

Luigi Speranza -- Grice e Teodoro: la ragione conversazionale e l’implicatura conversazionale della natura rerum – Roma – la scuola di Milano – filosofia lombarda -- filosofia italiana – Luigi Speranza (Milano). Filosofo italiano. Filosofo lombardo. Milano, Lombardia. Accademia. Nato da famiglia ligure. Agostino, che gli dedica il “De beata vita”, dice che conosce bene l’Accademia, Dopo essere stato per qualche tempo avvocato, poi governatore in Africa e consolare della Macedonia e aver coperto vari uffici a corte, è praefectus praetorio delle Gallie. Si occupa dell’amministrazione dei propri beni e di studi filosofici e astronomici e scrive dialoghi su questi argomenti, STILONE lo nomina praefectus praetorio per l’Italia, l’Illirico e l'Africa. Mentre confere questo ufficio ha il consolato e in quell'occasione CLAUDIO CLAUDIANO gli dedica un panegirico. Di T. resta un saggio “De metris”, mentre si sono perduti altri, tra i quali un “De natura rerum.” Console, Consolato Prefetto del pretorio d'Italia. Di T. è noto abbastanza, grazie al panegyricus dedicatogli da CLAUDIO CLAUDIANO. Di famiglia notabile, sappiamo che è console. Il suo consolato avvenne sotto il principe ONORIO.  Prima di essere console è anche prefetto con sede a Mediolanum-Aquileia. Qui Agostino conosce T., uno degl’intellettuali accademici che incontrato appunto a Milano e, scrive “De vita beata”, dedicandolo proprio a T., che a quel tempo si è ritirato dalla corte. Di T. resta un trattato di metrica, “De metris”, uno dei migliori pervenuti, e per questo molto conosciuto e studiato. Inoltre, sempre secondo CLAUDIO CLAUDIANO, e un cultore di filosofia, astronomia e geometria e scrive diverse saggi su questi argomenti che, insieme al suo consolato, sono l'argomento del panegirico a T. dedicato da CLAUDIO CLAUDIANO.  Markus, The end of ancient Christianity, Cambridge; Keil, “Grammatici Latini”. Bonfils, C. Th. e il prefetto T., Bari, Edi puglia, consoli tardo imperiali romani Stilicone Prefettura del pretorio delle Gallie Mariano Comense Siburio Teatro romano di Milano Prefettura del pretorio d'Italia Nicomaco Flaviano (prefetto del pretorio) T., su Treccani – Enciclopedie, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Opere di T. su digi libLT, Università degli Studi del Piemonte Orientale Amedeo Avogadro. Opere di T., su Open Library, Internet Archive. Predecessore Consoli romani Successore Imperatore Cesare Flavio Honorio Augusto IV, Flavio Eutichiano T., Eutropio Aureliano, Flavio Stilicone V D M Grammatici romani Portale Antica Roma   Portale Biografie Categorie: Scrittori romani Grammatici romani Politici romani Scrittori Consoli imperiali romani Prefetti del pretorio d'Italia. A statesman and author who writes on a wide range of subjects. He is best known for a technical work on poetry, but he also comments philosophical works. Flavio Mallio (o Manlio) Teodoro. Keywords: de natura rerum. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Teodoro”, per H. P. Grice’s gruppo di gioco, The Swimming-Pool Library, Villa Speranza

 

Luigi Speranza -- Grice e Teodoro: la ragione conversazionale della scuola di Taranto – Roma – filosofia pugliese – la scuola di Taranto -- filosofia italiana – Luigi Speranza, pel Gruppo di Gioco di H. P. Grice, The Swimming-Pool Library, Villa Speranza  (Taranto). Filosofo pugliese. Filosofo italiano. Taranto, Puglia. A Pythagorean cited by Giamblico.

 

Luigi Speranza -- Grice e Teone: la ragione conversazionale e l’implicatura conversazionale della filosofia della salute – Roma – filosofia italiana – Grice italo -- Luigi Speranza, pel Gruppo di Gioco di H. P. Grice, The Swimming-Pool Library, Villa Speranza (Roma). Filosofo italiano. He moves to Gaul to become a healer. Cited by Eunapio.

 

Luigi Speranza -- Grice e Teofri:  la ragione conversazionale della setta di Crotone– Roma – la scuola di Crotone -- filosofia calabrese -- filosofia italiana – Grice italo -- Luigi Speranza, pel Gruppo di Gioco di H. P. Grice, The Swimming-Pool Library, Villa Speranza (Crotone). Filosofo italiano. Crotone, Calabria.  A Pythagorean.

 

Luigi Speranza -- Grice e Teoride: la ragione conversazionale da Crotone a Metaponto  – Roma – filosofia basilicatese -- filosofia italiana – Grice italo -- Luigi Speranza, pel Gruppo di Gioco di H. P. Grice, The Swimming-Pool Library, Villa Speranza (Metaponto). Filosofo italiano. Metaponto, Matera, Basilicata. Pythagorean cited by Giamblico.

 

Luigi Speranza -- Grice e Terillo: all’isola – la ragione conversazionale della scuola di Siracusa -- Roma – filosofia siciliana -- filosofia italiana – Grice italo -- Luigi Speranza, pel Gruppo di Gioco di H. P. Grice, The Swimming-Pool Library, Villa Speranza (Siracusa). Filosofo italiano. Siracusa, Sicilia. Plato mentions T. in his letter to Dionisio II di Siracusa. In it, T. is described as someone who divides his time between Siracusa ‘and everywhere else’ – ‘a philosopher, of much learning, too’, he adds as a joke. The authenticity of the letter is highly doubted – “and therefore, of Terillo’s own existence!” – H. P. Grice. Terillo. Keywords: filosofia. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Terillo,” per H. P. Grice’s gruppo di gioco, The Swimming-Pool Library, Villa Speranza.

 

Luigi Speranza -- Grice e Tertulliano: la ragione conversazionale -- nothing is so absurd that some philosopher has not thought it – Roma – filosofia italiana – Grice italo -- Luigi Speranza, pel Gruppo di Gioco di H. P. Grice, The Swimming-Pool Library, Villa Speranza (Roma). Filosofo italiano. ‘Credo quia absurdum est’ is his life-guiding motto, which he learns from his philosophy tutor at Rome. He belongs to the Porch, and later becomes a ‘montano,’ an ascetic sect, “although,” his brother reminsices, “my brother stays away from the more extreme forms of the asceticism the sect officially promulgates.” Quinto Settimio Florente Tertulliano.

 

Luigi Speranza – GRICE ITALO!; ossia, Grice e Terzi: implicatura crittologica – la scuola di Brescia – filosofia lombarda. filosofia italiana – By Luigi Speranza, pel Gruppo di Gioco di H. P. Grice, The Swimming-Pool Library  (Brescia). Filosofo lombardo. italiano. Brescia, Lombardia. Sistemi crittografici di questo tipo hanno grande fortuna. Ma ovviamente in ragione dello scopo contrario a quello qui perseguito d’A., il rendere illeggibile un testo non possedendone la chiave di lettura. Più sistemi di questo tipo sono ad esempio creati dal padre gesuita, e allievo di Kircher, Francesco Lana conte de’ TERZI (si veda) nella suo saggio “Prodromo, overo saggio di alcune inventioni nuove premesso all'arte maestra pubblicato a  Brescia. Vedasi FRANCESCO LANA CONTE DE' TERZI, Prodromo, overo saggio di alcune inventioni nuove premesso all'arte Maestra, opera che prepara il P. Francesco Lana bresciano della Compagnia di Giesu per mostrare li piu reconditi principij della naturale filosofia, riconosciuti con accurata teorica nelle piu segnalate inventioni, ed isperienze fin'hora ritrovate dai filosofi di questa materia e altre nuove del filosofo medesimo, Brescia, presso Rizzardi. Lana nacque a Brescia e vi muore. Studia FILOSOFIA  presso l'ordine dei gesuiti a Roma, dove conosce anche Kircher che lo introduce alla fisica e al poker. È insegnante di matematica e FILOSOFIA. •^J 'iMì\h  TPi- 3M00  PRODROMO   Ouero  faggio    alcune  inuentioni  nuoue   premeffo   ALL  ARTE   MAESTRA   Opera  che  prepara   ìL  P.  FR.ANCESCO   Lx^NA BRESCIANO DELLA COMPAGNIA DI GIESV. Per  nioftrare  li  più  reconditi   principi]   della^  Naturale  Fiìoroaa,  riconofciuti  con  accurata  Teorica  nelle  pio  fegnalate  inuentioni,  ed  ifperienze  fin'hora  ritrouate  da  gli  fcrittori  di  quefta  materia  et  altre  nuoue  dell'autore medeiimo.   DEDICATO  ALLA  SACRA  MAESTÀ  CESAREA   EL  IMPERATO   LEOPOLDO I IN    BRESCIA. Per  li  RizLardi,     Con  Licenza  de'Superiori. V SACRA  MAESTÀ  CESAREA    Ouca  per  ogni  titolo  ricorrere  al  patrocinio  dt  Vojlra  Sacra  Maefià  Cefarea,  quejia  prtr/io,  e  ro'j^iQ  parto  del  mio  dehhole  ingegno :  ìmpcrcioche  ejfendo  egli  ijn  fag^  gio  dell'  opere,  che  fono  per  dedicare  k  Fofira  Sacra  ^Maefià,  fono  le  ali  deli"  aquila  Imperiale,  tncominctera  ad  auuelJiarfi  a  fijfare  lo  f guardo  ne'  chiari ffimt  fpiendori  dt  quei  SOLE  terreno,  che  tiene  il  primo  pofio  nella  ^Monarchi^  Colitica  de"  Trencipi,  come  appunto  ti  Sole  nella  cele fle gerarchia delle  felle.  Non  doueano  efporp  alla  luce  dt  vn  Pianeta    luminofo  tutti  li  miei  parti  prima  di  far  prona,    pano  atti  a  contemplare  i  raggi  del  f  no  maejlofo  fplendore-^  All'hora  io  gli  ricono fcero  per  miei,  quando  potranno  fìjfar  gl'occhi in  Vofira  Sacra  t^AtaeJlà,  (f  all'  hora  folo  potranno  'Volare  per  tutto  il  mondo,  quando  faranno  fofienutt  dalle  grand'  ali  di  queìi'  ej^qutU,  che  impera  nelì'Vniuerfo.  Quejlo  TRO  D  ROMO,  che  va  innanzi  all'  ^  RT  £  ìM  a  e  ST  RA,  non  potea  ritrouare  alloggio  più  fortunato,  che  in  cote  fa  Qorte,  la  quale  da  leggi, ^  ammaejira  tutti  le  nattoni  :  e  benché  fir amerò,  fpera  nulladtmeno  fa  per   ejferc    ^    ejfere  accolio  be/jignamefUe  d^  l^oflra  Sacra  lAaefla,  che  con  fauorue  ì  lelicralt  jcrrihra  haner  conferito  U  csìtadt.nanl^a  a  tiitie  l Arti  piti  nobili  .  Pertanto    queUe  mandano  per  vn  fuo  mcjfao^gtcre  alcune  naoue  ìnuenìionì  fi  deggiono  tributare  al  merito  di  Vofira  Sacra  Aiaefià,  che  con  la  ma~  gntficen]^a  della  Jua  mano  {^efarea,  e  con  la  grandeZjZ^^  del  petto  magnanimo  i  diva  altro.  Il  nono  è  il  moto  predominante, che  imp"difcc,o  rv^primc  "l'altri  moti  meno  potenti,  Il  decimo  è  quello  di  lìftole,  e  dialtole,  quai'è  quello  delle  arterie.  L'vndecimo  è  quello  di  fimpatia,&  antipatia. Alcuni  aggiongono  quello,  che  imprime  alcuna  virtù  alle_^  cpfe,  fenza  comunicarli  alcuna  foftanza;  quale  io  nego  potcrfifare,  e  refterà  prouaro  a  fuo  luogo.  Inoltre  vi  fono  li  moti  propri]  di  ciafcun  fenfo,  della  FantafiajC  dell'Appetito;  ma  quefti  fi  deuono  fpicgare  a  luogo  proprio,oue  fi  tratta  delle  operationidelli  animali  ;folo  a  predetti  moti  fi  deue  aggiongerc  la  quiete,  con  ciò  che  fa  refiftenzs  al  moto.   Dalli  predetti  moti  naturali  femplici  prouengono  i  moti  naturali.  compofti,che fono  Talteratione,  la  niiftione,la  feparationc, la  gcncr  rationCjC  corruttione,  Taumentationce  diminutionej  poiché  i  moti  femplici  j  che  nafcono  da  più  intimi  penetrali  della  Natura  continuati, mefcolati,  replicati,  alternatÌ5rafrrenati,incitati,&:  in  molte  ma-niere  variati  fono  cagione  di  tutti  gì' effetti  j e h.e  amrairiaiBO  r.cllc  cpfe  Efiche  0,   La  feconda  parte  della  Fifìca  aftratta  confiderà  gl'accidenti,  che  fonoc6muni,oatutte,o  almeno  a  molte  foftanze  materiali, come  fono il  raro,^  iì,den/o  ;  il  greue,e  leggiere;  il  caldo,  et  il  freddo  ;  l'huraido,8c  il  lecco  1  il  volatile,  et  il  fifso;  ilfolido5&  il  £luidp;il  crudo 6  fondare  inai  alcun  principio  ("opra  ilpeneniejche  non  fiano  certe,  e  prouaiCj  proeurjndo  di  ibbilir?  laveria  non  fopra  vna  fola,  ma  ibpra  molte  ilpericnic    fìa  pofsibilei  Ec  oflemando    il  principioj  e  verità  ftahilita  fi  confacela  ad  altre  limili  efperienzc^  poiché  all'ho-fa  fi  donerà  itimarc  infallibile  vn  priacipio,  quando  coerentemente  a  quello  caminano  tutte  le  altre  cofc  della  medefima,  o  fimile.^  •nate  ria.   Manca  dunque  a  qiicfta  fcienza  vna  notitia  efatta,  e  ben  ordi=T  nata  di  tutte  l'ifperienze,  le  quali  Piano  certe^e  prouatCjtanto  naturali,  quanto  artiBciali,  ò  mirtea  e  quefte  fi  deuono  ridurre  a  capijcon-f  forme  l'ordinedeUe  matcrieje quali  ti  trattano,  premettendo  le  dette  ifpeticnze,e  pofcia  ftabilendo  con  quelle  i  principi;,  e  le  verità  proprie di  quella  materia,  e  con  cfsi  rendendo  ragione  delle  ifperienz,e  medefime, mollando  la  coerenza  de  principi;  con  tutte  quelle  ifpC'^  iienzc;  il  che  noi  procuraremodi  fare  nella  noftr'AtteMaeftrajqyaiv  to  comporterà  il  noffro  debole  intendimento.   Tutte  Tifpericnze  fi  pofsono  conliderare  di  tre  forti:  la  prima  intorno  alle  gcnerationi  saturali  di  tutte  lecofe  materiali,  e  fenfibili,  come  delli  mincralijdelli  vegetabili,  e  delli  animali,  e  anche  delle  mur  tationi,&  accidenti  ne  corpi  celefti,  delli  elementi,  e  de  mifti  imperfetti j  La  feconda,  intorno  all€  generationi^che  fono  ftior  dell'ordir  ne  naturale,  e  fi  chiamano  pretergenerationi,  e  tutto  ciò  che  fifcofta  dalcorfo  ordinario  della  Naturalo  fia  per  ragion  del  luogo  particolare, o  del  concorfo  di  caufe  ftraordinarie  j  o  per  qualche  altro  infoiito  cafo, o  accidente;    de  moftri  nelli  animali,  e  nelle  piante 5    de  portenti  meteorologici, e  fotserran/^if    d'alcun' Indiuiduo  fingolare  nella  fua  fpctie;  sìdi  altre  nafcofte  proprietà  ftraordinarie.  La  terza,  intorno  all'ifperienze  artificiali,  le  quali  fono  moltiflìmp  da  notarfi  in  ciafcun'  aite,  non  trafcurando  le  piuEriuialÌ5&  vfitate,  quando  da  quelle  fi  pofsano  dedurre  verità  non.  ordi|iarÌ€,.e  di  moke  confcguenzCo  .,  La  prima  forte  d'jfperienze,per  quanto  appartengono  alla  gcneratione  delli  animali,de  vegetabili, e  minerali, è  fiata  afsai  accuratamente ofseruata  da  Arìftotele,da  Diofcoride,  da  Teofraflo,  da  Giorgio  Aericola,e  da  akri^  non  cosi  di  quelle  che  appartengono  alli elementi,  et  alle  cofe  meteorologiche,  fotterranee,  e  celefti.  La  fecondi  forteèft.ata  afsai  uafcnrata  dalli  antichi»  e,  Jbjp  il  mg-.   derno    derno  Aldroando  l'ha' in  buona  parte  illuftrata.  La  terza  delle  ifperienze artificiali, fi ritrouafparfa  in  molti  autori, fenza  alcun  buoji-,  ordine,e  molto  imperfettamente.  Tutte  tré  poi  fono,  come  diffi,  ripiene di  molti  inganni, e  fallacie, efsendo  molte  cofe  ofcure,  altre  incerte, et  altre  del  tutto  falfe  ^  oltre  che  non  fono  confiderate,  et  ordinate in  modo,  che  feruano  al  fine,  che  pretendiamo,  di  ftabilire  con  elìe_->  le  più  foftantiali  verità  della  fcienza  naturale.   Quanto  poi  a  quella  parte  della  Fifica,che  tratta  de  principi]  delle  cofe  fenfibili,èftata  maneggiata  affai  bene  da  molti,  e  particolarmente da  alcuni  moderni,  tra  quali  il  noUro  P,  Cabco,  e  dopo  lui  il  Caffendo  j  ma  in  elfi  fi  può  defiderare  maggior  metodo,  et  vn  indutcione  megliore  di  maggior  numero  di  efatte  ifperienze.   Quell'altra  parte,  che  difcorre  della  fabricadelPVniuerfo  con  l'ordine, e  collegamento  delle  fue  parti,  non  la  ritrouo  trattata  con  quella.,  dignità,  che  merita  vna  materia  fi  nobile  :  Poiché    bene  molti  hanno  fcritto  opere  degne    Aftronomia,  e  di  Cofmografia,  particolarmente  il  noftro  P.Riccioli  nel  fuo  impareggiabile  Almagefto  jquefti  però  fi  fono  fermati  nella  confiderationede'moticclefli^  nelle  mifure  del!a_^  grandezza  de  cieli,  e  della  terra,  nelle  lorodiftanze,  e  nella  defcrictione  de'fiti,  fenza  confidcrare  Tordine,  e  connedìone  delle  cofe  terrene jcon  le  celefti,*  la  virtù,  et  efficacia  dell'operare  dell'vne  nell'altre,  e  la  dipendenza  nelli  effetti  squali  fi  debbano  attribuire,  a  quef1:a,ò  a  quell'altra  ftella^qualfia  la  vera, e  fifica  foitanza  de  corpi  celef^i  ;  quale  fia  la  cagione  del  loro  moto  :  perche  alcuni  veloci,  altri  tardi  s'aggirino ;  perche  altri  intorno  alla  terra,  altri  intorno  al  Sole,  a  Gioue,  a  Saturno;  perche  hora  vicini,  hora  più  lontani  dalla  terra,  e  cofe  fimili  .  Et  ancorché  delli  effetti,  et  influenze  de  Cieli,  moke  cofe  fi  leggano apprelfo  gl'afiirologi  giudiciarij,  fono  però  tanto  vane,  e  fi  mal  fondate, che  meritamente  da  huomini  di  giudicio  fi  hanno  in  conto  di  pazze chimcre,e  di  vere  bugie, ellendo  quelli  fimili  a  Prometeo, che  ingannò Gioue  con  vn  bue,  il  quale  haueua  folo  la  pelle  grande,  bella,  e  ben  difpofta,  ma  fotto  di  efla  altro  non  v*era,che  paglia,e  foglie.  Moflrano  coftoro  vn  cielo  fatto  da  Dio,  qui  e xiendit  calumf  cut  pillem  ^con  bell'ordine  di  regolati  fiftemi  difpoftojma  vi  mancano  le  vifcert»»  5  cioè  le  ragioni  fific he,  dalle  quali  fi  poffano  ftabilire  le  verità  intorno  alla  natura,  foftanza,  moto,  et  influfidieffi.  E  benché  io  del  tutto  condanni  quella  parte  di  Aftrologiagiudiciaria, la  quale  foggetta  il  libero  arbitrio  alle  influenze  del  Cielo  j  non  pretendo  però  condannare,  quella,che  giudica  de  futuri  auuenimenti  nelle  cofe  fifiche,  e  naturali  ;  come  fono  le  mutationi  dell'aria,  l'impreflìoni  meteorologiche,&  altri   D  eflfecci    '    effetti  pccpnarijjchedcpendono  dancccflaric  cagioni:  ma  folo  dico  che  qucfta  parte  fia  alcuni  fondamenti  fìlli,  i  quali  fi  deuono  rigettare,  jilcuiii  veri  5  che  fi  deuono  ammettere,  ma  adoperare  con  maggior  cautela diquellojche  fi  faccia  comunemente  dalli  aftrologi;  e  che  molti  filtri  feli  deuono  aggiongere,dopo  che  fi  faranno  ben  conofeiutc  le  proprietà,  e  natura  delle  ftcUe,  e  de  loro  infludì,  conforme  vedremo  a  |uo  luo^Ojincui  prccuraremo  di  riformare  quell'arte, accio  in  cai  modo  corretta,  polla  non  folo  con  diletto,  ma  vtilmente  efcrcitarfi.   Laterza  parte,  che  difcorre  delle  nature  fparfe  in  varij  generi,  «^  fpecie,  ritrouo  edere  molto  più  imperfetta  delle  due  precedenti  j  e  ciò  r.onfolo  mentre  tratta  delle  cofeaflratte,  ma  anche  delle  concret^-^ }  poiché  quanto  a  quefte  non  fi  ritroua  alcuno,  che  abbracci  tutcc  1^.^  parti,edi  ciafcuna  numeri  Tjfperienze, deducendo  da  effe  con  buon  ordine  le  verità,  e  principi]  di  quefta  (cienz,a.'  e  benché  molti  habbiano  riattato  di  vna  parte,  o  fpecie  di  cofe  particolare  sciopero  hanno  fatto rn^^lto  imperfettamente,  non  penetrando  a  fondamenti,  e  ragioni  più  recondite  dclli  effetti, e  ciò  per  mancamento  delfinduttione,  l*aItrafcientifica,e  fpeculatiua  j  la  prima  contencrà  gran  numero  d'ifperienze  le  più  confiderabili,  et  vtili  appartenenti a  quella  materia,  eoa  l'inuentioni  più  rare  tanto  mie  propri^.^  quanto  di  ciafcun  altro  autore,  fi  antiche  come  moderne.  Nella  feconda partCjdalle  predette  ifperienze,&  operationiprattiche, dedurrò  tutti  i  principi j  vniuerfali,con  le  altre  verità  che  s'afpettano  a  tai  ma«  teria,  procurando  di  confermarle  con  lunga  induttione  dell*  ifperienze  medefime,emoftrando  la  coerenia  di  quelle  con  li  Inabiliti  principi],  che  renderanno  la  ragione  vera,  e  legitima  di  effe  :  doue  infieme  accennerò cornei  mcdefimi  principi}  fi  poffano  ftendere  all'inuentione  di  cofe  nuoue, e  ftraordinarie;  particolarmente  applicando  i  principi]  di  vna  materia  ftfica  a  quelli  di  vn  altra  parimente  fifica,  et  a  quelh  di  ciafcuna  materia  fifica,  quelli  di  alcuna  parte  della  Matematica.  Nel  principi®  di  ciafcuna  di  quefte  feconde  parti  riferirò  grafiìomi,&  il  modo  di  filofofare  di  ciafcuna  fetta  de  filofofi  i  e  nel  fine  aggiongerò  vn  catalogo  de  problemi, ò  fiana cofe  dubbiofe,  delle  quali  non  fi  hauerà  potuto  hauer perfetta  cognitione  fpeculatiua, et  vn  altro  dellt^  inuentioni  prattiche,che  reftaranno  a  ritrouarfi  j  accio  ogn*  vno,  dalle  cofe  antecedenti  pigliando  nuouo  lume,  poffa  animarfi  a  perfettionare  maggiormente  quefta  fcienzaj  mentre  procurarò  di  far  vedere  che  l'Arte, e  Tefperieza  è  quella,  da  cui  ogn'vno  più  che  da  niuna  cofa  reftì  jneffa  ammacftratOjond*è,chemi  è  piaciuto  di  dare  all'opera,  che  in  quefto  faggio  prometto,  nome  d'Arte  Maeftra  j  non  arrogandomi  il  ti»  tolodi  maeftro,ma  attribuendolo  air  Arte,  di  cui  con  indefeffe  ifpe^^  jienze  mi  fono  fempre  profeffato  fcolaro..  Ho  voluto  dare  q^uefto  faggio,  e  notitia  dell* opera  j  che  fono  pe^   man^    17    mandare  alle  ftampe,  non  tanto  per  fodisfarc  alla  curlofità  di  quelli,  che  defideraranno  di  vederla,  quanto  far  fare  intendere  a  tutti  quelli,  che  fi  dilettano  d'ifperienze,  buone,  e  di  curiofe  inuentioni,che  mi  faranno  cofa  grata    degnaranfi  di  communicarmi  alcuna  cofa  di  nuouo  ritrouata  in  tal  genere,  e  mi  obligaranno  a  darne  all'autore  quell'honore,  di  cui  farà  meriteuole.   In  tanto  acciò  tal  vno  non  ftimi  che  io  prometti  cofe  vane,  mentre  prometto  inuentioni  nuoue  in  ogni  forte  di  arti,  con  il  modo  di  perfettionarle  5  ho  voluto  inuiare  auanti  all'Arte  Maeftra  quefto  mio  Prodromo, in  cui  oltre  varij  nuoui  ritrouamenti  in  molte  forti  di  arti,pongo  per  vltimole  regole  prattiche,  che  feruiranno  a  perfettionare  due  arti  appartenenti  ad  vna  fol  parte  della  Fifica,  cioè  alla  fcienza  delfOpticajlVna  è  l'arte  della  Pittura,  l'altra  de  cannocchiali,  e  microfcopij;  Doue  per  hora  tralafcio  di  rendere  efattamente  le  ragioni  di  quefte  operationijriferuandomi  a  farlo  ordinatamente  in  ciafcuna-.  parte  dell'opera  già  promefla, che  oltre  l'ifperienze,  et  operationi  prattiche  in  ogni  materia,  et  in  ogni  arte, comprenderà  infierae  ia_teorica,  e  fpeculatiua,  con  l'ordine,  e  forma  accennata  di  fopra_..   2^uoud  ìttuentione  di  fcriuere  in  "fifira,  in  modo  tale,  che  il  fegreto  nafcofto  nella  fcrittura  fia  del  tutto  tmper-eettihilei^  U  fcrtttura  formi  fenfi  totalmente  diuerp  dal  f egreto,  siche  non  dia  fa ff etto  alcuno  di  X^fra,   Oltifsimi  fono  ì  modi  di  fcriuere  in  Zifra,nafcondendo  alcun  feg^eto  fotto varie  note,  caratteri,  numeri,  e  cofe  (ìmili,  ritrouati  da  varijAutori,come  fi  può  vedere  nelle  loro  Opere  date  allaStampaj  e  particolarm.ente  in  quelle di  Tritemio,di  Cardano,e  nuouamente  di  Hercol^-ij.  deSundc,e  del  noftroGafparo  Scotto.  Ninno  però  fin  hora  ha  po-t  tuto  ritrouare  ciò,che  N(^  qui  proponiamo  di  fare  j  con  tutto  che  ciafcuno  (ìHa  in  quefto  affaticatOjC  particolarmente  i  Segretari]  de  Prencipi  dcftinati  a  quefto  laboriofo  meftiere  di  fcriuere,  et  interpretare  le  Zifrc  .   Tre  fono  le  forti  di  Zifre  ritrouate  fin  hora  da  altri  :  La  prima  è  tale,  che  venendo  in  mano  d'alcuno  viene  tofto  riconofciuta  per  zifraj&  il  modo  con  cui  è  comporta  fi  può  penetrare  da  chi  è  prattico  nel  dizifrare;  e  quelle  zifre  fono  le  più  imperfette  di  tutte le  altre;  poiché  hanno  ambi  li  difetti,che  fogliono  efsere  nelle  zifre;  rvno  che  danno  fofpetto  di  alcun  fegreto  nafcofto,  e  perciò  vengono  trattenute;  Taltro  che  facilmente  fi  può  fcoprire,  e  cauare  il  fegrero  con  le  regole  del  dizifrare  molto  ben  note  a  fegretarij  di  zifre,  quali  infegnaremo  nella  già  promeffa  no^ra.  Arte Maefìra,!.^  feconda iorte  di  zifre, è  quella,  che  non  da  fofpetto  alcuno:  ma  eflendoui  il  fofpetto per  altro,  è  tale,  che  con  le  medefime  regole  fi  può  dizifrare.  La  terza  è  di  quelle  zifre,che  in  niunmodofipofìbno  dizifrare  da  chi  non  ha  la  contrazifra;  ma  però  ritengono  l'altro  difetto,  ch'è  il  dare  fofpettodizifra,  e  di  fegreto;  onde  le  lettere  fcritte  in  tal  forma  vengono trattenute,   .  Reda  dunque  da  ritrouare  il  modo  di  togliere  alla  zifra  ambidue  C|ueftidifettì,sichene  dia  fofpetto,  ne  poifa  effer  dizifrata  da  chi  haucfle  per  altro  alcun  fofpetto;  ilche  fin  hora  non  è  ftato  ritrouato  da  alcuno, benché  cercato  con  ogni  ftudio,  per  IVrilità  grande  che  può  recare  nelli  pia  importanti  maneggi,&  intereflì  Politici  :  Onde  fpero,  che  per  quefto  folo  fia  per  efler  gradita  quefta  mia  Operetta,  mentre  palefo  vna  nuoua  mia  inuencione  tanto  gioueuole  a  tutti,emafi[ìmea  grandi,  li  quali  finhoraL  l'hanna  anfiofamente  defiderata.   Pri  29   §.      I.    Frìma  ^ifrA  in  intelligthile,  e  fen-^a  fofpetto,   Sidiuidano  le  venti  lettere  dell'alfabeto  Italiano  in  cinque  parti  come  qui  fi  vede,  e    le  dia  queir  ordine  confufo  che  ciafcun  vuole  :  il  quale    i  b  o  n    a   1   e  d    hspnì    I    qgfz    Alfabeto cofidiuifoferuirà  dichiaueper  chiudere, e  nafconderc nella  lettera  qual  fi  vòglia  fegreto, e  per  cauarnelo,8c  intenderlo, da  chi  farà  partecipe  della  medefima  chiaue.  Si  fcriua  pofcia  vna  lettera  di  cerimonie,  o  di  qualunque  negotio  meno  importante,  ma  ciò  fi  faccia.»  in  modo  tale,  che  fi  fcielgano  alcune  lettere,  le  quali  feguitaranno  dopo vna  virgola,  e  punti  che  foglionfi  mettere  fopra  la  vocale  i:  1««*  quali  lettere  douerannopigliarfi,o  immediatamente  dopo  Tvltima    oucroncl  principio  della  parola  feguente,ilcheriufcirà  più  facilt^j  Umilmente  le  lettere  che  feguitanodopo  vn  punto  fermo,  e  Tiftefle  vocali i,  e  nello  ftcfib  modo  le  lettere,  che  feguitano  dopo  due  punti,  e  le  medefime  vocali  i.  Quelle  parimente  che  feguono  dopo  vn  punto  intcrrogatiuoje  vocale  i,  E  finalmente  quelle  lettere  che  feguitano  dopo  vn  accento, eie  medefime  vocali  i.  Si  che  volendo  indicare  la  lettera  h  del  fegreto,  faremo  che  detta  lettera  fi  ritroui  immediatamétc  dopo  vna  virgola,  e  due  vocali  ;.  per  efleril  h  la  feconda  lettera^  delle  quattro  notate  con  la  virgola  :  ma  volendo  fignificarelalcrtera_.  0,  faremo  che  quefta  venga  immediatamente  dopo  vna  virgola,  e  tré  vocali  j,pcr  efler  nel  terzo  luogo.  Sepoivoremo  fignifìcare  1.  lettera »  faremo  che  quefta  fia  immediataméte  dopo  vna  virgolale  quattro  vocali  i,  che    voremo denotare  la  lettera  /.  faremo  si,  che  venga-»  dopo  vn  punto, e  due  vocali  ».    la  lettera  /?.  dopo  due  punc!,e  tré  vocali  ».    la  lettera  g  dopo  vn  punto  interrogatiuo,  e  due  vocali i  i,  *    la  lettera  e  dopo  vn  accento,  e  quattro  vocali  /'.  m  Volendo  dunque  fcriuere  quelle  parole  fecrete  è  mono  Paolo ^  pet  più  facilità  difponerai  aparteciafcuna  lettera,con  lenotedc  funti,  i]irgole,&  accenti,  che  li  deuono  precedereconformelachiau^i  iopr*polla, le  quali  faranno  quefte.  ..  e   è  in    21   r  ~  t  i    ?  I  I    »  r  »  5    j   cmortopaolo Ciò  fatto  potremo  ftendere  vna  lettera  di  cerimonie  in  quefta  forma.  jFÙ  (ingoiare  ilhenepcio,  e  grande  ti  fauore  fattomi  da  V.    :  ne  io  mai  mancaro  di  corrifpondere^proteHandomidi  rimanere  à  lei  ohligato  in  ognhora,^  in  ogni  momento  f' che  mi  rejìa  digita  cuunque  farai  Porgami  occafione  di  poter  moftrare  dottuto  affetto.  'Poiché  amo-,  di  impiegarmi  ognora  a  prò  di  f^.S.  Afpetto  Cuoi  comandi  lontano,  ben  fi  di  loco  ma  non  di  ohìtgatiom,  ^  affetto.   Per  intendere  il  fegreto  nafcofto  in  quella  lettera,  fi  oflerueranno  tutti  \i  accenti,  virgole,  e  punti,  con  tutti  li  punti  pofti  fopra  le  vocali  u  e  vedremo  primieramente  che  dopo  il  primo  accento  pofto  fopra  la  prima  parola/»  feguitano  quattro..  ..di  quattro  vocali  «.prima  di  ritrouare  altro  accento,uirgola,  o  punto  j  perciò  uederemo  nella  chiane  quale  fia  quella  lettera,  la  quale  è  notata  con  un  accento,  e  tiene  il  quarto  luogo  tra  le  accentate,  e  ritroua  remo  eiTere  la  lettera  e.  Seguitando poi  auanti  ritrouaremo  due  punti:  e  dopo  quefti  prima  di  ritrouare altra  uirgola,  o  interpuntione,  uedremo  che  ui  fono  quattro  not«L^  di  uocale  i.  Dal  che  uerrà  fignificata  quella  lettera,  nella  chiauejche^  tiene  il  quarto  loco  tra  le  appuntate  con  due  punti,  cioè  la  Ietterai.  Poi  ritrouaremo  una  uirgola,e  dopo  quefta  tre  note  della  uocale  i.  prima di  ritrouare  altro  accento,  onero  interpuntione,  la  qual  uirgola  co  tre  uocali  i.  denotano  nella  chiane  la  lettera  o.  fegue  poi  l'accento  con  tre  punti  di  uocali  prima  di  ritrouare  altra  interpuntione, che  ci  notano  la  lettera  r.  fi  che  pigliaremo  la  lettera  r.  e  cofi  caueremo  lo»  altre  lettere,  che  compongono  le  parole  fegrete  e  morto  Paolo.   Auuertafi  che  per  facilità  maggiore  nel  comporre  la  lettera  fi  potrà  tal'hora  tralafciare alcuna  nota, o  punto, che  per  altro dourebbe  ccllocarfi  fopra  la  uocale  /'.  come  filiede  nelle  parole  il  fattore  fattomi,  tL^  fimilmente  fi  potrà  tralafciare  alcuna  uirgola,  opunto  ;  poiché  quando  ciò  fi  faccia  con  moderatione,  non  darà  alcun  fofpetto,  efsendo  confueto  a  molti  l'hauerpoco  riguardo  nello  fcriuere  alle  uirgole,  et  interpuntioni.   Quefìo  mododifcriuere  come  che  paia  alquanto  laboriofo,nnlfadimenodopo  qualche  efercitio,con  la  prattica  fi  rende  facilcj  perche  fiamo  fempre  in  libertà  di  fcriuere  que'fenfi  che  noiuogliamo,e  di  ufare, e  uariare  le  parole  a  noftro  capriccio, il  che  fa  chefipoflanofare  cadere  le  lettere  del  fegreto  nel  principio  delle  parole,  che  feguitano  doporinterpuntioni,e  note  richicfte.   F  Cofi    2i    Cpsì  refta  manlfefìo,  che  non  folo  fi  toglie  ogni  fofpetto,  ma  anche  fi  rende  la  zi  fra  impercettibile,  il  che  naice  dalie  coflibinationi  quafi  infinite  delle  lettere  dell'alfabetto,  con  le  quali  fi  può  variatela  chiaue  in  altre  tante  maniere,  quante  fono  le  combina  tieni  podìbilf,   Refta  parimente  manifefto,  che  con  quefta  maniera  di  fcriuereoC'  eultamente  fi  può  comporre  la  lettera  in  lingua  Latina,  oGreca,©  in_.  qual  fi  voglia  altro  idioma,  ancor  che  il  fegreto  nafcofto  fia  in  lingua,.  Italiana  ;  et  all'incontro  il  fegreto  potrà  eifere  Latino,  Greco,o  Arabo,  anchor  che  la  lettera  fia  in  lingua  Italiana^  fi  che  fcriuendo  intutte  le  lingue, potrò  effer  intefoda  chine  sa  vna  folade  fcriuendo  in  vnafol  linrzua,  potrò  cfìer  intefo  da  tutti  quelli,  che  profefiano  altre  lingu^^   diuerfe   Si  può  anche  render  più  facile  la  eompofitione  della  lettera,  difpo*  neadola  chiaue  nella  forma  feguentc-»    i  b  o  n    \    a   1  e  d    |    h  s  p  m    j    q,    :    :    *   :     ^     l   i  i    i  ?    JJ  J)>       1  >   5>.   >3>       I  5     55  5>J    I  >    5>     g    f"  2   ?    ?    ?    g  f  z  j   u  t  r  e    J     >     3    Conforme  alla  quale  volendo  noi  fignificare  la  lettera  i.  faremo  che  quefta  fcguiti  immediatamente  dopo  vn  punto  fermo,  e  volendo  fignificare la  lettera  k  faremo  ch'ella  feguiti  immediatamente  dopo  vn_.  punto,  et  vna  virgola;  la  lettera  o.feguitarà  dopovn  punto,  e  due  virgole 5  la  lettera  ».  dopo  vn  punto,  e  due  virgole  j  la  lettera    ^on  inuiAruì  nella  prefente  una  fuìfc erata  preghiera  y  e  he  ut  *  .   mgliate  degnare  di  commandarmi  (^c.     Nel  quale  paragrafo    noi  voremo  fare  intendere  quefte  parole^  fegrcte  :  mi  ritrem  prigione  fciegliercmo  li  foli  caratteri,  v  he  f  )rmano  tali  parole,  incominciando  dal  terzo  carattere  w.  e  da  queitoiì no  all'altro carattere  /.delfecreto  numeraremo  cinque  caratteri,  quindi  prima di  ritrouare  il  terzo  carattere  r.  numeraremo  dicci  carattcri,e  così  delli  altri,  che  per  facilità  habbiamo  notati  con  punti,  et  inquefìo  métte collocheremo  da  parte  li  numeri  delli  caratteri,che  s'interpongono  tra  l'vn  punto,c  Taltroj  cioè  numerando  dal  primo  carattere  fmo  all'/»,  haueremo  il  numero  5.  e  dall' w.  fino  all'/,  haueremo  il  numero  s,  da_,  quefto  fino  air  r,  haueremo  il  numero  i  o.  e  cofi  facendo  delli  altri  raccoglieremo li  numeri  feguenti .  5,  5.  10.4.  22.  25.  I.  IO.  10.45.  I().  21.  II.  2.  IO.  IO,  5.   Oltre  di  ciò  haueremo  vn  alfabeto,  il  quale  fia  difpofto  non  con.,  l'ordine  naturale,  ma  con  qualfiuoglia  altro  ordine  j  e  fopra  il  detto  alfabeto  fi  collocheranno  ifuoi  numeri  corri fpondenti  alli  caratteri,  il  quale  alfabeto  così  difpofto  feruirà  di  chiaue.  Supponiamo  per  tanto  che  fia  difpofto  nel  modo  feguente,   I.  2.  3.  4.  5.  C,  7.  8.  5).  lo.  II.  12.  15,  14.  15.  16.  17. 18.  Ip.20,   a.  r.  n.  d.  b,  d.  f.  e.  i.    h.    1.    m.   s.    u.    t.    e.  g.   p.   q,   z. Per  nafcondere  dunque  li  predetti  numeri,  che  moftrano  il  fegreto  nafcoftonel  primo  paragrafo  della  lettera, componeremo  il  fecondo  paragrafo  in  modo,  che  la  prima  lettera  fia».  la  quale  indicata  il  primo numero  3.  pofcia  dopo  la  prima  virgola  incominciaremo  la  parola  con  la  lettera  ^.  che  indiorà  il  fecondo  numero  5.  Similmente  dopo  la  feconda  virgola,  incominciaremo  la  parola  con  il  carattere  /;.  chft«»  denotata  il  terzo  numero  cioè  i  o.  e  così  de  gl'altri  caratteri,  z^  numeri.   Si  oflrerui,chefe  vi  farà  alcun  numero  maggiore,  il  quale  non  fi  ritrou^neU'alfabettOjfi  donerà  hauer  riguardo  folo  alla  feconda  nota  numerale, incominciando  la  parola  con  il  carattere à  tal  nota  corrif pon  i4.  ponaente, guanti  alla  quale  parola  cfoiirannò '^recedòre  due  punti  in_i  luogo  r'jeiJa  virgola,  i  quali  due  punti  moftrcranno,  che  la  prima  nota_»  nmiiP-vale  farà  2.  e  quando  la  prima  nota  numerale  farà  5.,  dourà  precedere  vn  punto,  et  vna  virgolasse  vn  punto  fermo  quando  la  nota  numerale  farà,  Pertanto  il  fecondo  paragrafo  della  lettera  potrà  ei'er  quefto,   ^cn  ho  potuto/:»  hora,  benché  io  la  defideri,  hauere  occapone  di  parlare  con  Kntonio  yOYide  mi  difpiace  :  reH^wdo  defraudato  dal  deJJderto  di  femirui:  non  ho  pero  perfa  U  [piranha  ^  anzi  credo  che prejìo,hauero  commodita,  hoggiforfi  di  abboccarmi  con  efso.  u^el  reHo  fempre,t^m  ogni  occorenza  farò  pronto  5  anzi  prontiffimo a  feruirui ^la'vofra  wodejìia  non  'vi,  ritenga  di  commandarmi ^hauete  un  jeruo  fedele  yhabbiate  ogni  confidanzj^  con  me^  ne  ut  f corda*  te  di  un  mHra  Ajfctionatifftmo  &*c.   In  quefto  modo  di  fcrinerefele  interpuntioni  per  maggiore  facilità nonfoflero  del  tutto  acconcie, e  pofte a fuoi  luoghi, non  perciò  li  darà  lofpetto  alcuno,  come  ho  auiiertito  di  fopra^e  fempreil  fegreto  ftarà  nafcofto,fenza  poterfi  intendere  da  chi  non  ha  la  chiaucjcioè  la  difpofitione del  foprapoflo alfabeto.  Mail  corri[pondente,o  amico, il  quale  fia  partecipe  della  chiauejofleruerà  il  primo  carattere  ».  al  quale  nella  chiane  corrifpondeil  numero  ^.epofcia  il  carattere.^,  che  fc"U!tadopola  prima  virgola  cioè  ^.  a  cui  corrifponde  nella  chiane il  numero  5.  indi  dopo  l'altra  virgola  ritrouerà  il  carattere  h,  a  cui  corrifponde  il  numero  io.  più  auanti  ritrouerà  il  carattere^,  a  cuicorrifponde  il  numero  4.  Poco  dopo  ritrouerà  il  carattere  r.  a  cui  corriti  pondeil  numero  2.  e  perche  al  detto  r.  precedonodue  punti, che  (ìonificanoil  numero  2.  perciò  noterà  il  numero  22.  e  così  ritrouerà  tutti li  altri  numeri  ;  con  i  quali  haucrà  poi  facilmente  nel  primo  paragrafo della  kttera,  tutti  li  caratteri  che  formano  il  fegreto  nafcofto,   §.     III.   Ter^o  f^oào  ài  fcrluere  in  zjfra  fatile  ^  che  nondaalcuu  fof petto  3  ne  può  intenderfi  da  chi  non  ha  la  chiane»   Q Vello, che  ferine, e  fimilmente  quello, a  cui  fi  ferine,  hauranno  vna  ferie,  et  ordine  di  caratteri,  com'  è  il  pofto  qui  fotto,  et  ambidue  fi  accorderanno  aflìeme  di  fcriuere  in  vna  tal  chiaue  determinata,  quale  farà  vna  parola,  o  molte,  o  fignificatiua,  o  non  fignificpiua  come  lorc  pili  piacerào A B M A B C  D  E  F    G  H    1    L  M  N    OP    QR    S  T    V  Z    ABCDEFGHIL  M  N  O  P  Q^R   S   T  V  Z    A  B   C  D  E  F  N  O  P  CLR   S    G  H   I   L  T  V  Z  M    ABCDEFGHIL  O  P  CLR  S  T  V  Z  M  N    ABCDEFGHI  L  PQRSTVZMNO    A B C D E F G H  I L Q R S T V Z M N O P A B C D E F G H I L R S T V Z  M  N  O  P   CL ABCDEFGHI  L  ST  V  ZMNOP  Q^R   ABCDEFGHIL  T  V  Z  M  N  O  P  Q^R  S   ABCDEFGHIL  VZMNOPQ^RS  T    ABCDEFGHIL  ZMNOP  Q^R  S  T  V    ■;!pnj  ••0'>  Il   ^'5  />    CU  ore  cuorecuo  r  ecuor  ecuorecuo  :i   Il  tuo  fratello  è  stato  ammazzato,>>   Di  poi  neirordine  de*  caratteri  pofto  di  fopra  fi  cercherà  la  prima^  lettera  e,  della chiaue rielli caratteri  più  grandi,  la  qual  lettera  e  ftà  nella  feconda  riga,•  e  perche  fotto  il  e  della  chiaue  v*è  la  prima  lettera  j.  del  fegrcto,  cercheremo  nella  feconda  linea  la  lettera  i,  delli  caratteri  più  piccoli,  et  in  vece  di  effa  fermeremo  quella,  che  vi  ftà  fotto  cioè  àferpendo{l!uoniptrò,/ono  gl'auuifi  dell'armata yi>uoni[iìmi  quellt  dei  nofìro  CeneraliJl/tmOiÀcui.  è  riyfcito  yfcuidare  dalli  alloggiamenti  n  nemico  ?  Q  ode  fi  per  tanto  Jpermdoxhe  ilTurco  fi  rifoluerà^ad  abbandonare  l'intprefa^  Se  altro  accader  a  ^mandaro  auutjoiiJoiin  tanto  fiate  [ano  ^  godete  dt  fotefi\  ^ria. ;  non.  fate,  dfordini^e  ricordateui  di  honorartni  de m^ri commandi  f^c.   U  cQtrifpondente  confa peuoledeirartificio,  aperta  la  lettera,  noterà per  ordine  tutti  li  caratteri,  che  feguitano  immediatamente  dopo  le  uirgole,^:  interpuntionì,  quali  ritrouerà  cffere  li  feguenti  cuQ  re  cuore  cuore  zubba  fgfafmugne.,  Sopra  de  quali  egli  fcriuerà  la  folita  chiaue  5  poi  cerchersi  la.  prima^!  lettera  IìR  fcrluercinxifrafiferuono  alcuni  delli  numeri  corri fpondenti  *  alle  lettere  j  ma  perche  cofi  facendo,rifte(ro  numero  vale  fempr«-»  ^erla  medefima  lettera  j  perciò  riefcc  facile  rintenderc,e  cauare dalla  2Ìfra  il  fegreto  nafcollo  ;  Noi  dunque  in  vece  di  fcriucre  li  numeri  corrilpondéti  alle  lettere,  cioè  /.  per  a.  2.  per  L  5.  per  e  fcriuercmo  vn  altronumero,che  (ìa  moltiplicedi  eflb  j  fi  che  poi  quelli  numeri  diuifi  per  vii  altro  numero  fi  habbia  il  numero  precifocornfpondencealli  caratteri.  Per  efempio  volendo  lu  fcriuere  quelle  parole  non  ti  pdire  di  Pietro,  fcriuerai  quefti  numeri  in  tal  forn.a  5  9, 42,  3    5  7, 27.  i  8, 27,  f  2,  5,  5  1,  15.  12,  27.45,27, 15,  57>  5  i,42.douei  punti  fono  quelli,chc  diuidojio  le  parole  vna dall'altra, eie  virgole diuidono le  lettere: quelli  nujmeri  dunque  diuifi  per  il  numero  5,  fil  quale  ferue  di  chiaue)  danno  li  aìumeri  fcguenti  15,14,15.  I9,p.6,p,4,  i,  17,  5.  4,9.  MjP,  5)«9,  17,14.11  primo  numero  lignifica  »«»  jpoieheil  i  ?.corrifp.  Io.   I7«  iS.    ti?.    29.  H.  12.    13.    14.  15»    '^"^   I.  %,     3.     4.  5.  6.     7.     S.  ^.   ICt   li.  tf.  10.  II.  12.  13*  14.  15.  i^.  17.    t.  1.  3.  4.  5.  6.  7.   ••   P.   IO»  19. 20. II. 12. 13.  I4. 15. 16, 17. 18.   '•=   •*  2    I     '•  ^*     5* 4*     5.          ?•     "•     9*  i®»  ^        I  ipi  II.  12^.  I3«  14.   ts.  i^.  17.  IS.  19 H    ST    5^   Si  determini  vna  chiaue,  fopfa  cui  fi  hauerà  da  fcriuere,ta  quale  confifterà  in  alcuni  Numeri,  più,  ò  meno,  conforme  fi  vuole_^,  pur  che  niun  numero  ecceda  il  venti.  Sia  per  efsempio  la  chiane  compofta  delli  quattro  numeri  feguenti,cioò  7. 12.  ?.  8.  Volendo  metr  tere  in  zifra  qucfte  parole,  ^on  it  firmare  in  l^oma,  cercherai  nelle  lettere  pofte  qui  a  lato  la  lettera  N.  è  nella  riga  corrirpondcnte  iln^.y^  ma  in  luogo  del  7.  fcriuerai  quello,  che  vi  è  pofto  Tetto,  cioè  12.  Di  poi  prenderai  la  feconda  lettera -del  fegreto,chc  è  O,  e  nella  riga^  corrifpondente  cercherai  il  fecondo  numero  della  chiaue,che  è  12.  ina  in  luogo  di  12.  fcriuerai  il  numero  foprapofto,cheè'(5.  fimilmentc  prenderaila  terza  N,  e  nella  riga  corrifpondente  cercherai  il  numero  3.  della  chiane,  ma  in  luogo  del  j.  metterai  il  numero  pofto  di  fotto,  cioè  1 8.  cesi  farai  di  tutte  le  altre  lettere,  et  hauerai  li  feguenti  numeri  1 2.  (?.  18. 15. 1 1.  IO.  15.  15.  12.2.20.  20. 1 1.7.20.14. 12.2.  quali    manderai  al  tuo  corrifpondente,  fingendo, che  fiano  numeri  di  altre  cofejnoncagionarannofofpctrpje  quando  ben'anehe  vi  foflfe  per  altro alcun  fofpetto,  la  zifra  è  tale,  che  non  potrà  mai  efler  intcfo  il  fe^reto  j  perche  la  medefima  lettera  muta  fempre  numero  per  cagione della  chiaue,  come  fi  può  facilmente  ofseruarq  aelll  efempia  allegato.'' ^  '   t-^'-i  >■•%.    t'?.  •:£  *o.!:    .^?.       .??    .A,1t   r    .-t    .^    i  ki.    D    l   l    ''^,  8-.       t    :  t    .on,^l    .1?    "    M    «:i    Ti    *        •?             oi      i   *T  '^   t%t      l^       :14  a? «Q?  «^2 I    ',3    y      Settima    Si    §.    VII,    Settima  x'tfra  cen  numeri,   QVellOjche  fcriue,  è  quello  a  cui  fi  fcri'ue,habbiano  rvno,e  l'altro  alcune  virgolette  di  cartone, o  di  rame,o  di  legno  con  fopra  notati  i  numeri  e  lettere,  come  fi  vede  nelle  feguenti .    *  VI   2  B  4   5   6   7   8   (     2    b*   ■d   e   S   g  il   i   T   n  o   X  7   t   li   t   I   2   4   7i  loi   ili   I2i   .I>|,   ^7  il   19      1   b  C   e   T  g   i   T   m  n  o   P   a   r   s  t  u  z  a   I   2   4   7   9  lo  I  I  12; 11   1(5   17.   i5'   !>>   20   e  e   ^—  cr   ?>   h   T  T   m  n  0   P   »— •   q r   s   I  u   a   i'   2   7  8      Jo   1 1   12   (4  i7   16  iS   I7   '2ÒI   d   e   il   h*  i   T   m  n  0   P   r  s  t  u  z  a  b  e   2   i    4   I  9"   IO   Ili   16;   17   ì8,   IP   20   e  7   g  i   T   m  n  0   i   2.   r  s  t  u  z  a  b  e  di   1 1   >^\   2!   1'  4   il   _9   II   12  13   14  (5  16   18   19   lo'   f   a   ti   i>   T   !  m  n.  0   P   r   .,  s '^  t  u  z  a  b  e   11   2   1   4'  I   5i   8   II'   11   u   I6   17  il   19   20   g  h i   m  n   z   P   q  7   s   t   U   z   a  b  e  d  e      2'   II   7   •>— •     6   Ji  8|   7   10   i7   i7!   '7   "7  18   i^   20   :    h   !  ^   7   m   n.   z   q   r  s   t^   u   z   a   b   e   7   r   7   g   I   2   4   7   8   i   IO  IC   II   IJ   i7   '7  18  19   20   V   Quelle  verghettc  fi  potranno  profegnire  fino  al  numero  di  venti,  che  cofi  ciafcuna  faràdiuerfa  dall* altra  ;  ma  balleranno  anche  meno  per  il  noftro  intento  :  ferucndofi  noi  dunque  delle  fole  otto  qui  pofte,  e  volendo  per  efempio/criuerc  Pietro  è  morto  per  fcriuere  il  p  prenderemo    iU'n:-iih    mo  qualfivoglia  delle  dette  vei ghette^  per  efempio  quella, che  ha  ili  fronte  il  5.  e  trouercrnojcliein  efla  alla  lettera;»  cQrrifponde  il  numero IO.  onde  noteremo  qucfti  due  numeri  5.r  o.  coli  in  luogo  della  lettera i,  fcriuerenio  8.  2.  che  fignifica  nell'ottaua  verghetta  il  fecondo  luogOjOiiero  4,  tf,  che  fignifica  nella  quarta  verghetta  il  fefto luogo &c.  e  per  togliere  il  fofp^tto  che  potrebbero  recare  quefti  numeri,  li  potremo fcriuerecome    foflero  tauolc  aftronomiche,  ponendouiauanti  il  C,&M»quafi  che  il  numero  che  fignifica  levcrghette  fignificaflc  i  gradi  5  e  l*altrp  numero  fignifìcafle  i  piinuti  di  qualche  fcgiio  qelei^c;  il  che  refleropio  potrà  ftare  così,   ^  C.  5 .  G.  8.  G.  7.  G.  ».  G.  5 .  G.  a.  G.  ^.  G.  1.  G.  2.  G.  5.  C.7. G.  9^  ~  M.IQ.M.    M,ip.  M.i7.M.i2.M,i  i.M.^o.M.^i.M.  1 2.M.14.M.1  ^.M.^,   Quando  dunque  Tamico  tuo  vorrà  leggere  vna  tale  fcrittura,  prende-'    le  verghette  per  ordine  cioè  la  quinta,  Tottauajla  fettima  &c.  e  quc*»  fte  le  ponerà  l'vna  dopo  Taltra  alzandole,  et  abbacandole  fi,  che  s'incontrino inficme  li  fecondi  numeri  10. 2.19.  i7«&c.  Poiché  con  tali  niji^  in?ri  hauerà  gnqora  \c  predette  parole  Pittro  i  morto,   $.  VJIL  Vn  Altro  modo  di/erìuere  in  ^ifrsJimUi  4I  precedente»   SI  h  abbia  no  le  tauolc  pofte  qui  fotto  fegnate  con  li  dodici  fegnf  del  Zodiaco,  in  quella  forma,che  quìfi  vede, con  progreffione  di  numeri,  Hiuno  de  quali  fia  maggiore  del  30.  per  erprimcre  i  gradi  di  tali  fcgni  .  Volendo  dunque  fcriuere  Paolo  in  luogo  del  Pi  fcriuerai   G.24.  onero  G.  25.  ouero  G.22.§ic.cofi  in  luogo  di  «  fcriaeraiG.il.   ouero  G.  io.  e  cofi  le  altre  lettere  di  mano  in  mano.  Li  collocarai  poi  feguitamcnte  rvno  dopo  l'altro  in  mo4o  che  ftmbri.vna  tanol^  aftronomica.^9    Auercait    Jr  a  Illa  bi2    C15    loia    CI2    C15  e  14  {16    gì?  hi8   i  Jp   I  20   raii   n22   o  15   P»4  q25   r  i6   (  27   C28   U29    biojb   5   e  II   e  Io   d  12  d  II  e  15  e  12    f  i4f  15    gM    fi5   gi6   hi7  hi^.h  15   i  i8ji  17  i  16   I  iPjl  18I  17  mzo^mip  mi8  mi  n2o  n  19   022  021  02Q  p25  ;P22  p2I    SS  fi    a  8  (a  7  b  8  e  9  d  lo  ei  I  f  12    np      sa   a  5[a  5  b  7  b  6  e  8  e  7  d   9d   8   e  Iole  9  f  Ii'flo   hi4'hij  h  II,  i  15  ji  14  i  15   1  i5  1  !5  1  14  mi7|mi^  nn5  n  lèin  17  n  i5  o  ipjo  18  o  17  p2o,  pippi8    gU    q  24  425  q22  q2I  r  25  jr  24  r  23  r  22  f  26  f  15  f  24  f  25    ti?  U28   Z19    t  adi  c  25,c  24  U27  ui^s m^    q2o  q  C9  r  21  r  20  r  22  f  »i   t  25  t  22    a  b   1 ..   iM6    3J    4'=l    «  Jb  i«6  K   ^la  2:a  Ha  30   5|b  4'b  i\k  2bi9   e   ole   5  |c  4|c  5  C28   d   7  d   ó'd  5id  4  d  27   e   sic   7ie  5  e  5  e  2^   f   9f    8f  7f  6  f  25   giog   ^g  8|g  7g24   hii  b  lo  h  s>  h  8,h25    i  121  II ji  loi  pji  22  1  I?  l  12  il  ni  «o  l  21  0114  mi3  mi2^mn'ifn20  a  15  n  14'n  ti  n  lin  ip  Q  160  1.5  |o  140  150  18   pi7:pi6!pi5  PI4'P»7    qi8qi7  r  ipjr  li   r  2,o;f  19   e  21  |t  20    U  24  U2JU22    U  21    ^28'l27lZ  %6*Z2$  Z  24li23'£  22    q  I5qi5jq  ^^  r  17  r  i6  r  t5    fi8f  17  e  ip't  18   U20ÌU  IP    r  14  t  li   U  12    £21  Z20Ì£  Ili    Auuertafi,  che  in  qucftc  tauole  fi  è  fchiuato  il  cominciare  dallVnrà    »  ma  fi  è  cominciato  dall' vndici,  per  Icuare  ogni  fofpjstto,il  che  configiiamoa  fare  io  ogni  altra  uuola.  .ty^'-..,imm    34  Volendo  dunque  fcn'ucre  GuarJati  Ja  Pittiò  Tefcmpìt  (iiaì  n«I  modo  che  feguQ.    V I uì,  I  V  ♦H,       I   C,    17.  I  G.    »?.  \  G.    10. Q. 19 I  cofìfbrme  efprimono  di  eflere  in  diuerfi  gradi  delli  fegni  del  zodiaco  ;  nel  qual  modo  oga  vno  potrà  formarfi  le  tauo«  k  a  fuo  piacere j potendofi  queJftc  difporrc  in  molte  maniere,  f)cr  cfcmpio  in  luogo  di  cifticuna  lettera,  potrai  vfare  qual  fi  voglia      nel  medefimo  modo  egli  potrà  rifpondere  benché  cieco.   In  oltre  fi  potrà  trattare  viccndeuolroentc  in  fegreto  co  vn  cieco  per  jnezzo  di  vn  libro  di  molti  fogli  :  ponendo  tra  fogli  medefimi  vari  fegni,  fi  che  i'vnofia  dittante  dall'altro  tanti  fogli  quante  il  numero  corrifpondentc  al  carattere  del  alfabeto,  che  vogliamo  indicarejd:  acciò  il  fegreto  retti  maggiormente  nafcotto,daremo  alli  caratteri  del  alfabeto  vari  numeri  feni  ordine  naturale  5  come  farebbero  li  feguenti.   i  3.  2.  I.  7.  8.  9*  lo.  4.  5.  6,  II,  I).  I  J.I4. 15.  2o»  fp.  18.  I7.1tf«  abcdefg     hilmn     opqrf     cvz   E  volendo  indicare  il  carattere  g*  numeraremo  dal  principio  del  libro dieci  carte,  e  dopo  la  decima  metteremo  nel  libro  vn  fegno  di  car13,0  altro  ;  ouero  piegaremo  la  carta  medefima  j  volendo  indicare  il  d  feguitarcmo  a  numerare  fette  altre  carte, e  dopo  vi  metteremo  vn  altro  fcgno,e  cofi  fcguitando  finoche  fia  compito  tutto  il  fenfo  fegreto.  Queftc  modo  fi  può  variare  in  molte  forme  facendo  feruire  diuerfe  forti  di  kgni  per  diuerfe  lcttere,ouero  diuerfe  piegature  di  carte,  bora  di  fopra,  hor  di  fotto,hor  alla  dettra,hor  alla  finiftra  del  libro  ;  fi  che  il  diuerfo  numero delle  carte,  et  la  diuerfa  forte  di  fegni  combinati  infieme  denotino li  diuerfi  caratteri.   11  modo  di  dare  minor  fofpetto,  e  difficiliffimo  ad  eflcr  ritrouato  da^  chi  non  ha  la  contrazifra,  può  effer  quefto .  Habbianfi  cinque  fegni  diuerfi da  mettere  tra  vna  carta,e  l'altra  del  libro  j  la  diuerfità  de'fegni  potrà eflere,chevno  fia  vnaliftafottile  di  carta,raltro  vna  lifta  parimente  di  carta  ma  piegata  per  lungo,  il  3.  vna  lifta  fimile  piegata  da  capo  ;  il  quarto  vn  altra  iifta  piegata  da  piedi,  il  5.  vna  lifta  piegata  da  capo,  e  da  piedi  .  Aciafcunodiqueftifegnifi  attribuiranno  quattro  carattc!ri,  che  faranno  in  tutto  venti.  Volendo  poi  indicare  il  primo  di  quelli  quattro  caratteri,pofto  il  fegno  in  qualfiuoglia  luogo(  cominciando  da!  principio  del  libro  verfo  il  fine,òdal  fine  verfo  il  principio  )  tra  IVna-j»  carta,e  Taltra  fi  piegherà  la  carta,  che  tta  alla  deftra  parte  del  fegno,c6  vna  piegatura,comefi  fuole,nella  partedi  fopra;  e  volédo  indicare  il  2**.  •carattere  fi  piegherà  la  medefima  carta  nella  parte  di  fono:  per  indicare   il    4J   il  terzo  carattere  fi  piegherà  la  carta  finiftra  nella  parte  fuperiore,o   per  indicare  4°.  carattere  fi  piegheri  la  medefiraa  carta  nella  parte  inferiore j  così  faremo  di  tutti  li  altri  caratteri  attribuiti  a  gl'altri  fegni  fi  cheladiuerfitàdelli  fegni,  con  la  diuerfità  della  piegatura  delle  carte,indicfai  la  diuerfità  delli  20. caratteri.   Molti  altri  modi  fi  potrebbero  inuentare,quali  ognVno  potrà  facilmente ritrouarea  fimilitudine  delli  precedenti  ;  a  quali  voglio  aggiongerne  vn  altro  non  meno  ingegnofo,  benché  alquanto  laboriofo.   Si  pigli  vna  tauola  di  legno  dolce,  e  molle,  e  con  caratteri  da  ftanv.   pa,  quali  però  vorebbero  eflère  di  ferro, o  altro  metallo  fodo,  più  tofto   che  piombo,  et  alquanto  grandi,  s'imprimano  nella  tauola  le  parol?^   del  fegreto,  facendo  rientrare  in  dentro  il  legno  j  di  poi  con  vna  pialla,   fi  fpiani  la  tauola  leuandone  tutto  il  legno,  che  foprafta  alli  caratteri   impreffi,  in  modo,  che  refti  tutta  piana.  Quefta  tauola  s'inui;  al  cieco   il  quale  la  metterà  neiraqua:&  in  breue  Taqua  penetran ào  per  i  pori  fari  rialzare  i  caratteri  com prcfiì,  fi  che  il  cieco  toccandoli  con   le  mani  potrà  leggere,  et   intendere  il  fegreto.  Jn  qtiftl  modo  fi  pojfa  parlare,  o  rnamfeUarc  ì  fuoi  fcnji  4   chi  ^t^  lontano  fenz^a  mandare  ne  letjtre  ^   ne  mejfaggtere^    JTIft  «^^'Arie  inticntloni  h  fono  ritrouate  per  manifeftare  i  fuoi  fl^nfi,   ^\Éj4?^     e  parlare  a  chi  (la  lontano  per  via  di  alcuni  fegni  vifibih,   p\\Jv^^     le  quali  deicriueremo  nell'Arte  Maeftra,  con  molte  altre   ¥&i^^     cofejcheaqucfta  materia  s'afpettano.Maperrhe  le  fu dette  inuentioni  feruonofolo  per  parlare  :  Ila  diltanza  di   pochenilgliaje  di  più  fono  alquanto  labonofea  pratticarfi:  perciò  ne   defcriuerò  qui  due  altre  mie  molto  più  facili  delle  ritrouate  fu/  bora_.,   con  le  quali  pot^-emo  parlare  alla  dilania  di  trenta,  et  anche  piu  mi olia_Je   Sedunque  quello,con  cui  vogliamo  parlare  farà  in  Iuoctoj  ne!  quale  fionpofla  penetrare  la  vifta,  per  eflerui  di  mezzo  alcuna  collina,  muraglia,© altro:  potremo  nulladimeno  parlar  facilmente  con  efib  lui  in_a  quefta  forma.  Spararemo  vn  mofchetto,  e    queflo.per  la  molu;  diftanza,  non  potefle  vdirfi,  vn  grofìfo  mortaro,  onero  vn  pezzo  di  cannone  |  «quello  farà  il  primo  fegno  5  che  daremo  a  quello,  con  cui  vogliamo  parlare. Tanto  egli  5  quanto  noi  hauremovna  palla  di  qualfivoglia  materia pendente  da  vn  filo,  o  catena,  con  il  moto,&ondutioni  della  quale fi  mifuri  il  tempo:  ma  è  neceflario  chelVno,  e  l'altro  (ìlo-da  cui  pendono fofpefe  in  aria  le  pallejfia  della  medefima  lunghezza,  accio  i  moti,  et  ondationiiiano  parimente  vguaii.  L'amico  dunque  vdito  il  primo  fparo  fi  accoderà  al  fuo  filo,  e  pallajC  noi  fimilmente  alla  no(ìra_i  :  All'hora  faremo  vn  altro  fparo,  e  nel  medefimo  tempo  daremo  il  moto  alia  palla  pendente  dal  filo,  acciò  faccialelue  ondationiiil  che  farà  anche  l'amico  lontano,  tofto  che  ode  quefto  fecondo  colpo:  Volendo  poi  noi  fignificare  la  prima  lettera  del  alfabeto  afpettaremo,che  la_#  palla  habbia  compito  cinque  ondationi,&  all'hora  faremo  vn  altro  fparo  jfimilmente  volendo  dopo  quello  fignificarela  feconda  lettera_>  dell'alfabeto, afpettaremo  chela  medefima  palla  habbia  terminato  dieciondationi,  e  fubito  faremo  vn  altro  fparo  j  per  fignificare  la  terza lettera  afpettaremo  quindici  ondationi  della  palla;  e  così  dell'altre  j  in  tal  maniera  ancor  e  he  fi  vfafle  qualche  negligenza  in  sparare  vn  poco  k,  piti    45  più  pretto,  o  più  tard©  del  tempo  «on  fi  potrà  pigliar'  errore  dall'amico  lontano;  polche  lo  fuarionon  farà  mai  più  di  vna,odueondationi.  Non  potrà  ne  anche  cagionai*  errore  il  fentirfi  Io  fparo  lontano,  molto  tempo  dopo  che  fi  è  dato  fuoco  aljmortaro,  o  cannone  5  poiché  tanto  tempo  paflèrà  di  mezzo  all'vno  fparo,  e  l'altro,  quato  di  mezzo  al  vdnfi  dellVno,  et  allVdirfi  deiraltro.   più  facile  farà  il  parlare  quando  l'amico  lontano  fia  in  luogo  non.,  impedito  alla  vifta;  poiché  in  tal  cafo,    farà  di  notte  in  luogo  dello  fparo,  potremo  moftrare  vna  torcia  acccfa,  e  poi  nafconderla  mentre-*  che  la  palla  falefucondationiie  di  nuouomoftrarla  dopo  cinque,  o  dieci,  o  quindici > onero  venti  ondationi,  conforme  le  lcttere,che  vorremo fignificarc  ;  et  cflèndo  di  giorno,farcmo  il  medefimocon  vna  bandiera,© altra  cofa  vifibile  da  lontano  in  luogo  della  torcia  :  ma  queiU  di  notte  fi  vedrà  molto  più  lontano.  Ofleruifianchora  che  con  la  torcia,  o  bandiera  fi  potrebbero  abbreuiare  roperationi,feruendofidi  più  torc  ie,  o  bandiere  j  in  modo  che,  per  efempio,  volendo  denotare  la  prima  lettera deiralfabeto,fi  moftraflc  vna  torcia  dopo  cinque  moti,  et  ondationi della  palla  ;  e  volendo  denotare  la  feconda  lettera  fi  moftraflero  due  torcie  parimente  dopo  cinque  ondationi  ;  volendo  fignificare  la  terza lettera  fi  moftraflero  tre  torcie  dopo  il  medefimo  tempo  ;  volendo  poi  denotare  la  quarta  lettera  fi  moftraife  di  nuouo  vna  torcia  fola,  ma-»  dopo  dieci  ondationi,  e  cofi  dell'altre .   Qyefta  inuentionedidare  diuerfofignìficatoal  medefimo  fegno  dal  diuerfo  tempo,  in  cui  fi  moftra,  può  feruire  alle  perfoneinduftriofe  per  fondamento  di  molte  altre  inuentionij  et  a  me  bafta  per  bora-,  haucilo  accennato.   Vn  altro  modo  propongo  per  parlar  da  lontano,  pur  che  fia  in  luogo  vifibile,che  può  feruire  alla  diflanza  di  vinticinque,  trenta,e  più  miglia  particolarmente  di  notte.Si  facciano  tante  tauole  di  legno  quadre,  t-*  larghe  vn  braccio  almeno,  quante  fono  le  lettere  dell'alfabeto  j&  iii^  ciafcunatauola  sentagli  vna  lettera  grande  quanto  è  la  tauola,ficheiI  taglio  fiagroflbdue  deti,'e  palli  dalfvna  all'altra  parte  della  tauola-/,  poi  fi  copra  elfo  taglio  con  carta  rofla,  fottilc,  e  trafparente:  facciati  poi  vna  feneftrella  della  medefima  grandezza  delle  tauole  :  alla  qualci»  feneflra  di  notte  fi  applicheranno  fucceflìuamente  le  lettere  intagliate  nelle  tauole, le  quali  trafpariranno da  lontano, tenendoui  dietro  vna  torcia:  onde    l'amico  lontano  farà  prouifto  di  vneccelente  cannocchiale, potrà  diftingucre  le  predette  lettere  trenta, e  più  miglia  lontane^.   Si  poffono  anchora  fai  riflettere,  per  mezzo  della  luce,  e  dell'ombra   M  i       I  caratteri  sì,che  comparìfconoropra  !e  muraglie  di  alcuna  càfa  Ioni   ranaje  ciò  in  moke  maniere  j  come  diremo  alcrouej  in  tanto  io  qui  ac*  far  sì,  che  vn  tal  muto  fciolga  la  lingua,  et  impari  a  parlare  ^  e  qu-llo  che  è  più  mirabile  intenda  benché  fordo  l'altrui  parole .  E  ve  ne  fono  alcuni  efempi,  quah  mi  piace  di  riferire.   Racconta  Digbeo  nel  fuo  trattato  4e  natura  corporum  cap.  2  ^.num.  8.  che  vn  nobile  Spagnolo,  fratello  minore  del  Conteltabile  di  Cailigiii»,,  fordo,  e  muto  dalla  fua  nafcita  in  modo,  che  non  vdiua  ne  pure  vna  bombarda  fparata  vicino  alle  fue  orecchie,  dopo  hauer  tentato  ognarte  de  Medici  in  vano,per  aquiftare  rvdito,e  per  confequenz.a  la  loquela, che  li  mahcauafolopernò  poter  imparare  a  parlare  dall'vdire  l'altrui parole  j  finalmente  vn  certo  Sacerdote  fpagnolo,    offerì  ad  '\n(Q-r  gnargli  non  folo  a  parlare,  ma  anche  ad  intendere  le  parole  de  gl'altri;  i\  che    bene  cagionò  da  principio  le  rifa  ne  circoftantiinulladimeno  dopo  qualche  anno  fi  x'ìMq  riufcito,con  ftupore  di  tutti  j  nel  qual  tempo con  molta  fatica,  &:  allìduaapplicatioue  dello  fcolare,e  del  maeftro  jnfienie,fi  fece  in  tal  modo,  che  intendeua  beniflìmo  ogni  parola  proferita da  altri, anche  in  linguaggio  difficile,  e  di  cui  non  intendeua  il  fignificato,  ma  pero  egli  la  ripcteua  felicemente,  e  parlaua  nella  propria lingua,e  rifpondeua  fenz*  alcuna  difficoltà  >haucndone  fatto  più  volte  rifperienza  il  Sereniamo  Prencipe  di  Zambre, parlando  nella  propria  Ìingua,di  cui  è  molto  difficile  l'articolar  le  parole  j&  ilCaua^  liere  Digbeo  medefimo  afferma  di  hauer  più  volte  parlato  con  queftp  nobile  fpagnolo, et  hauere  ammirato  com'egli  ripeteua  le  parola-*  proferite  da  vn  altro  con  voce  fommclfa,  e  lontano  quanto  era  la  lunghezza di  vna  gran  fala.   L'ifteflb  è  riufcito  al  Prencipe  di  Sauoia  fratello  cugino  del  Duca  prefence,  come  mi  hanno  atteftato  perfone,che  hanno  trattato  con  efla  .,    .  lui.    5*  li:i,huomo  di  vìuaciflimo  ingegno: e  vi  fono  ftati  due  nofìri  Padri,   che  dal  folo  veder  muouere  le  labra  diquellijche  parlauano,  incendc uano  le  parole  j  come  riferifce  il  P.  Carparo  Schotci  nella  fua  Fifica-i   curiofa  lib.  5,cap.  3J,   Niuno  però, ch'io fappia, ha  fcrittodel  modo,che{ìdeuc  tenera-»  per  apprendere  queft'artc  veramente  mirabile^  onde  ho  (limato,  che  jion  fia  per  ifpiacere,    io  qui  ne  dirò  ciò,  che  fento.  Deuefi  dunque»  confiderare  5  che  nel  proferire  ciafcuna  lettera  dell'alfabeto,  tanto  Italiano, quanto  Latino, Greco, Hebreo, odi  altra lingua,neceflariamenle  fi  fa  diuerfo  moto,  o  nelle  labra,  o  nella  lingua,  o  ne  denti,  o  in  tutti  afiìeme  5  hor*  aprendo  più  la  bocca  come  nell'Arhora  meno  come  nell*  E  :  hora  prima  ftringcndo  le  labra,  e  poi  aprendole,  come  nel  B  :  bora  aprendole,  e  ftringendo  i  denti  come  nel  C  :  e  così  dell'  altre  .  Ciò  che  fuccede  nelle  lettere  folitarie,fuccede  parimente  nelle  lettere  accompagnate,  cioè  nelle  fiIlabe,epoi  nelle  parole  intiere  .  Se  dunque alcunofiauneLzeràa  conofcerc  tutte  le  differenze  di  queftimoti,  potrà  pariméte  intendere  cio,che  vien  detto  da  vn  altro,bcnche  no  oda  la  voce;  e  per  confeguenza  imparare  a  proferire  le  medefime  parole,  procurando  d'imitare  tali  moti  di  labra,  di  denti,  e  di  linguali  che  non  fideueftimare  tanto  difficile,  come  a  prima  vifta  raffembra,  percloche  ogn'vnodinoietiandio  prima,  che  haueffc  IVfo  della  ragione,  imparò  a  proferire  le  parole  con  marauigliofa  induftria  della  natura,  che  (limolata  dalla  nece(Iìtà,fi  affaticaua  d'imitare  l'altrui  parole,con  dare  alle  labra  vari  modfm  tanto, chp  ritrouaflfe  quello,  che  articolaua  )a  ricercata  parola.   Ma  molto  più  viene  diminuita  la  difficoltà  di  apprendere  queft'arte  in  vnfordojdallaprouida,  e  cortefe  natura, che  al  diffetto di  vn  fenfo  fuole  fupplireconla  perfettione  de  gl'altri  j  onde  fi  come  alcuni  priui  di  vifta,  con  il  tatto  riconofcono  tutte  le  diuerfìtà  de  colori:  come  ho  raccontato  di  fopra,compenfando(ì  il  mancamento  delia  vifta  con  la  perfettione  delli  altri  fen(ì,edeirimaginationc  non  diftratta  dalli  oggetti vifibili  :  così  il  difetto  deHVdito  fuole  ricompenfarfi  dalla  pcrf^tttone  della  vifta,  e  parimente  deirimaginatione,e  memoria,non  diftratta dalli  oggetti  ftrepitofi  j  ond'è  che  il  (ìlentio  fi  chiama  padre,  e  maeftro  delle  concemplationi.   Hor  venendo  alle  regolc,chefi  deuono  pratticareda  chi  vuole  farfi  tnaeftro  inqueft*arte;dicochefi  deue  primieramenrc  hauere  auanti  a  gl'occhi  del  fordo  vn  alfabeto,  et  incominciando  ad  accennare  al  fordola  prima  lettera, nel  medefimo  tempo  proferirla  con  moto  gagliardo della  bocca,  e  della  lingua,  accennando  al  fordo^che  anch'egU   prò  4P   procuri  d'imitare  l'ifteflb  motore  ciò  fi  dcuc  fare  fin*  tanto,  che  imitandolo perfettamente  proferifclii  ciafcuna  lettera,  il  che  riufcirà  in_.  poche lettioni .  Apprefo  che  haucrà  il  fordo  tutto  J*aIfabcto,dourà  aUuezzarfi  a  proferire ii  monofillabi,comc  fono  gl'articoli  //,  4/, /  aura  fpiritus  inclufxy  atque  occulia  ccncitum.  Dal  qual  mQdodifauellarc  raccogliefi  p  che  moflb  non  era  da  vento  eftrinfeco,  ma  più  tofto  da  vn  fiato  chiufo  nelle  parti  interne  della  machina,  che  ftauafene  equilibrata  nell'aria.   Racconta  parimente  Adriano  Romano,  che  il  Regiomontano  famofo  Aftronomo,e  matematico  fabricò  vn  aquila, la  quale  volò  incontro  a  Carlo  V,  mentre  faceua  la  folcnne  entrata  in  Norimberga,  e  con  eflb  Carlo  ritornò  addietro  accompagnandolo  fin*  dentro  la  Città.  Boetio  famentionedi  certi  vccelletti  formati  di  rame,  che  volauano  non  folo,  ma  cantauano  ancora.  Glica, e  Manafle  raccontano,  ch'altri  fimilivccellihauefle  apprefo  di    l'Imperatore  Leone.  E  più  modernamente  habbiamo  dal  noftroP.Famiano  Strada  che  il  Turriano ingegnere  valorofifiìmo,  faceua  volare  certi  vccelletti  per  le  ftanzc  di  Carlo  quinto,  mentre  ftaua  ritirato  dopo  la  rinuntia  del  fuo  gouerno  fatta  al  fuo  figliuolo Filippo.   Eflendo  che  dunque  niuno  ha  tramandato  a  pofteri  queft'arte  tanto  ingegnofa^ e  diletteuole,  mi  è  paruto  di  doner  fodisfare  alla  curiofità  de  machinifti,eon  accennare  in  qual  modo  fi  poiTano  imitare  fimilivcceU    5ili  ;  il  che  llimo  fi  pofla  pratticare  in  più  maniere.   Primieramente  ciò  f:  può  fare  con  inanticetti  moflì  da  ruote  dentate :Fabricata  che  iiaraiiuila,  colomba,  o  altro  vccello di  materia  legoerequanto  piufia  podi  bile  5    li  faranno  le  Tue  ah  di  penne,  odi  altra  materia  atta  per  riceuere  il  vento,  e  fi  connetteranno  al  còrpo  dellaJ  colomba  per  modo  tale,  che  fi  pollano  agitare,  e  muoucre  facilmente  :  pofcianel  corpo  della  medcfima  fi  acconcieranno  alcune  ruote  dentate,  le  quali  fi  muouano  p  mezio  di  vna  fufta  nel  modo  mcdefimOjchVfafi  ne  "li  oriuoli  j  quelle  ruote  mouendofi  faranno  alzare,  $^'  abbaflaredue  piccoli  mantici  conncfii  allMtjma  ruota,  che  fi  muoue  più  veloceméte,  in  modo,  che  mentre  l'vno  fi  alia,  l'altro  fi  abballi,  il  che  non  è  difficile  a  chi  ben  intende  il  modo,  con  cui  le  medefime  ruote  de  gli  orinoli  muouono  il  tempo, o  librile  dell'orinolo  mcdefimo;  Il  vento  de  manlicettifi  farà  vfcire  per  due  piccole  cannette  fotto l'ali  ne  fianchi  della  colomba,  in  modo  tale,chevrtando  nell'ali  medefime  le  muouino,  eoaqualche  incerottione  si,  che  dibattendofije  per  conieguenza  rcfiften(toaU'^riajfi  {blleuerannoinefia,e  daranno  il  volo  alla  machina,  il  quale  durerà  fin  tanto,  che  perfeuererà  il  moto  delle  ruote,e  de  mantici;  e  quefto  modo  fembra  conforme  a  quello,che  riferifce  Aulo  Celio  citato, i  -  ;   11  fecondo  modo  fimile  al  precedente  farà,  fare'  le  medefime  ruote  dentate,  che  in  vece  di  muouere  i  manticetti,  o  il  tcpo  dell'oriuolo  muo»  uano  immediatamente  le  ali  con  moto  proportionato  alla  grauità  della  machina,  fi  che  fia  fufficiente  ad  alzarla  in  aria,  e  farla  volare.  .  Terzo  fi  potrebbe  ancora  condcnfare  violentemente  l'aria  in  vna^  vefica,  o  vafo  di  vetro  chiufo  nel  corpo  della  colomba,  fi  che  poi  apredo il  vafo  co  vna  chiauetta,  e  lafciando  vfcire  l'aria  per  due  Gaoneìfini  fotto  Tali,  quefiia  con  il  fuo  impeto  fofpingeffe  l'ali  medefime  j  ma  poco  durarebbe  vn  tal  moto,&  andrebbe  prefto  mancando.   Quarto  finalmente  fi  potrebbe  far  folleuare  in  arialVccclIo  in  quel  modo,che  fi  foUeua  vn  vuouo  pieno  di  ruggiada  fi:illata,pofto  a  raggi  caldi del  Soie,    nel  corpo  dell'vccello  medefimo  chiudèffìmo  TvuouOjO  vefica  piena  diliquorefottili{Iìmo,ehc  facilmente  rarefatto  dal  colore  del  Sole  fi  folle uafle.   E  quefto,  e  quanto  ho  voluto  accennare  in  quefta  materia,  per  aprir  la  via  a  gl'ingegni  perfpicaci  in  ordine  a  pcrfettionare  quefta  inuentionc,  e  ricrouarnc  altre  fimili  j  e  per  inftradarmi  ad  vn  altra  mia  inuemione più  marauigliofa, cioè  '    ri^    V,'!     ;iì  6*nGob  ••■    Féthricàrt  'vriA  naut^  che  camini  fofientata  fopra  l*  aria  4t  remi,  ^  h  vele  \  quale  fi  dimoerà  poter  riufcirs   nella  prattica»    [ON  fi  è  fermato  nelle  precedenti  inuentioni  r.irdire,  e.^  curipfità  deirintelletto  humano  j  ma  in  oltre  ha  cercato  comegl'huomini  poflanoanch'eflìiguifadi  vccelli  vo»  lare  per  l'aria;  e  non  è  tbrfi  fauolofo  ciò,  che  di  Dedalo^  e  de'  Iccaro  fi  racconta;  Imperciochc  narrafi  per  cofa.»  certa,  che  vn  tale,di  cui  non  fouuiemi  il  nome,  a  tempi  noftri  con  fimi.  le  artificio,  pafsò  volando  dall'vna  all'altra  parte  del  lago  di  Perugia-^:  benché  poi  volendofi  pofare  in  terra  fi  lafciò  cadere  con  troppo  impeto, e  precipitò  a  cofto  della  fua  vita.  Ninno  però  mai  ha  ftimato  podibile  il  fabricare  vna  naue,  che  fcorra  per  l'aria,  come  fc  foffe  foftcnuta  dalPaque  j  imperoche  hanno  giudicato  non  poterfi  far  machina  più  leggiera  dell*  aria  fteifa,  il  che  è  necelTario  accio  poffa  feguire  l'effetto  •dcfidcrato    j3.iio^nvm;f;   JL  Hor*  io  che  fempre  hebbi  genio  di  ritrouare  inuentioni  di  cofe  lc->  più  difficili, dopolungoftudio  fopradi  ciò, ftimo hauere ottenuto l'intentodi  fare  vna  machina  piu  leggiera  in  fpecie  dell'aria  fi,  che  honu  -folo  cffa  con  la  propria  leggierezza  ftia  folleuata  in  aria,  ma  pofla  por.tare  fopradi    huomfni, e qualfivoglia  altropefojue  credo  d'ingan.narmi,  effendoche  diraoftro  il  tutto  con  ifperienze  certe,  e  con  vna_#  infallibile  dimoftratione  del  libro  vndecimo di  Euclide,  riceuuta  per  tate  da  tutti  li  matematici.  Farò  dunque  prima  alcune  fuppofitioni,dalle quali  pofcìa  dedurrò  il  modo  prattico  di  fabricarc  quefta  naue, la-,  quale    non  meriterà  come  quella  di  Argo,d  effer  pofta  tra  le  Stelle^»  falirà  alineno  verfo  di  efle  da    medcfima.   Suppongo  in  primo  luogo,  che  l'aria  habbia  il  fuopcfo,a  cagione  dei  vapori,&efalationiche  all'altezza  di  molte  miglia  fi  folleua no  dalla terra,  e  dall'aque,  e  circondano  tutto  il  noftro  globo  tcrraqueo  5  «.*»  ciò  non  mi  farà  negato  da  filofofi,  che  fono  leggiermente  verfati  nelle  ifperienzej  poiché  è  facile  il  fi  mela  prona,  con  cauare    non  tutta  almeno  parte  dell'aria,  chefia  in  vn  vafo  di  vetro: il  quale  pefato  prima, e  dopo  che  n*è  ftata  cauata  l'aria  fi  ritrouerà  notabilmente  dimi^  &*-..nuito    5^   nulto  di  pefo.  Quanto  poi  fia  il  p£fodeirariaiol*ho  ritrouato  inquc fta  maniera.  Ho  prefo  vn  gran  vafo  di  vetro,  il  di  cui  collo  fi  poteua-#  chiudere,  et  aprire  con  vna  chiauetta  :  e  tenendolo  aperto  l'ho  rifcaldato  al  fuoco  tanto',  che  rarefacendofi  l'aria,  ne  vfcì  la  maggior  parte:  poifubitolo  chiufi  sì,chenon  poteflrerientrarui,e  Io  pelai  j ciò  fatto  ibmmerfi  il  collo  ncH'aqua,  reftando  tutto  il  vafo  fopra  l' aqua  iftelTa,  et  aprendolo  fi  alzò  l'aqua  nel  vafo,  e  ne  riempì  la  maggior  parte_j  :  l'apri)  di  nuouo,e  ne  feci  vfcir  Taqua  quale  pefai,ene  mifurai  la  mole,  e  quantità  5  Dal  che  inferifco  che  altre  tanta  quantità  d'aria  era  ufcita  dal  vafo 5 quanta  era  la  quantità  deiraqua,cheviera  entrata  per  riempire la  parte  abbandonata  dall'aria  5  Pcfai  di  nuouo  il  vafo  prima  ben  rafciugato  dall'aqua,  e  ritrouaiche  pefauavn  oncia  più  mentre  era-,  pieno  d'aria  di  quello  pefafle,  quando  n'era  vfcita  gran  parte.  Si  che  quello  di  più, che  pcfauaera  vna  quantità  di  aria  vgualc  in  mole  all*aqua,  che  vi  entrò  in  fuo  luogo  :  L'aqua  pefaua  540.  oncie,  onde  concludo che  il  pefo  dell'aria  paragonato  a  quello  dell' aqua, e  come  i.a  (540.  cioè  a  dire    l'aqua,  che  riempie  vn  vafo  pefa  640.  oncie,  l'aria.»  che  riempie  il  medcfimo  vafo  pefa  vn  oncia.   Suppongo  fecondo  che  vn  piede  cubico  di  aqua,  cioè  l'aqua  ch;_>  può  fìare  in  vn  vafo  quadro,  largo  vn  piede,  et  altretanto  lungo,  et  alto,  pefi  80. librecioè  oncie p5o.  conforme  all'ifperienza  del  Villalpando,  che  è  quafi  del  tutto  conforme  alla  mra  :  Imperciohe  ritrouai  che  qucll'  aqua  la  quale  pefaua  640.  oncie  era  poco  meno  di  due  terzi  di  vn  pie.  de  cubico  .  Dal  che  viene  in  neceifaria  confeguenza  >  che    due  terzi  di  vn  piede  di  aria  pefa  vn  oncia,  vn  piede  intiero  pefarà  vn  oncia  e  hiezza.   Terzo,  fuppongo  che  ogni  gran  vafo  fi  pofla  notare  da  tutta,  o  alme  no  quafi  tutta  l'aria  je  ciò  dimoftrerò  farfiinvarij  modi  nell'opera  dell'arte  maeftra,  come  fpiegaròa  fuoluogo^  Intanto  accio  tal  uno  non  ftimi,  che  fia  una  uana  promefla,  ne  infegnarò  qui  uno  de  più  facili.   Piglifi  qualfiuoglia  gran  uafojche  fia  tondo,  et  habbia  un  collo,  o  al  yr,coUofiaconnefla  una  canna  di  rame,  odi  latta  lunga  almeno  47.  V^^' Terzéi  mi  Romani  moderni,  conforme  allamifura  che  èregiftrata  verfo  il  '   finediquefto  libro,  nel  trattato  decannochiali  5  et  eflendopiù  lunga  l'effetto  farà  più  ficuro  5  uicino  al  uafo  A.  fia  una  chiauetta  B.chechiuda  per  tal  modo  il  uafo,  che  nonni  poffa  entrare  aria:  fi  riempia  di  3qua  tutto  il  uafo  con  tutta  la  canna;  poichiufaJa  canna  nella  partt-»  eflrema  C.  fi  riuolti  il  uafo  si,  che  flia  nella  parte  di  fopra,  e  la  parto  «flrema  C.  della  canoa,  fi  fommerga  dentro  alfa  qua;  e  mentre    im^   i  '.;  O  merfa    ri    54   merfa  nell'aqua  fi  apra,  accio  cfcaraquadal  vafo,!a  quale  ufcirà  tutta,  reftando  piena  la  canna  fino  all'alcezia  di  palmi  45.  minuti  2^.  e  tutto  il  rimanente  di  fiDpra  farà  voto,  non  potendo  entrar  aria  per  alcuna  partcj  airhora  fi  chiuda  il  collo  del  uafi^conlachiauettaB.  e  fi  haucrà  il  uafo  uoto^  che    alcuno  non  lo  crede  lo  pefi,  e  ritrouerà,che  quanti piedi  cubici  d'aqua  fonoufcitida  efi^o,altre,e  tante  oncie,  e  mezze.-»  oncie  di  meno  pefarà  di  quello  pefaua  prima,  quando  era  pieno  di  aria  ;  il  che  bafta  per  il  mio  intento,  non  uolendo  qui  difputare,    refti  woto  d'ogni  forte  di  corpo  5  del  che  difcorrerò  a  fuo  luogo difendendo,  che  non  può  efler  uacuo,  et  infieme  moftrando,  che  non  ui  refta-.  corpo,il  quale  fia  di  alcun  pefo,   Qu^arto,fuppongoefleruere,  ed  infallibili  le  dimoftrationidel  libro  I  i .  e  £  2.  di  Euclide,  riceuute  da  tutti  i  filofofi,  e  matematici,&  euidenti  per  manifefta  ifperienza  ;  nelle  quali  fi  proua,  che  la  fuperficie  delle  palle,  o  sfere  crefce  in  ragione  duplicata  delli  loro  diametri,  douc  che  Ja  folidità  crefce  in  ragione  triplicata  delli  medefimi  diametri:  Et  ac-*  cioqueftofi  pofla  intendere  da  tutti; fi  deue  fapere  che  allora  la  ragione, o  proportione  è  duplicata,  quando  fi  pigliano  tre  numeri  in  tal  modojcheil  terzo  contenga  il  fecondo  tante  uolte,  quante  il  fecondo  contiene  il  primo, come  nell*  efempio  qui  pofto    I.   2.   4,   I.   5 5>.   l.   4'   i^.   doue  il  terzo  numero  4,  contiene,  il  2.0  numero  2,  tante  uolte  quante  il  due  contiene  l'uno, cioè  due  uolte;  e  fimilmente,  il  terzo  numero  p.  contiene  il  fecondo  5,  tante  uolte,quante  il  tre  contiene  l'uno, cioè  tre  uolte  6cc,   All'horapoila  proportione  è  triplicata,  quando  fi  pigliano  quattro  numeri  in  modo  tale,che  il  4.*'  cótenga  tante  uolte  il  3 .°  quante  quefto  contiene  il  2.**  &;  il  terzo  contenga  tante  uolte  il  2.0  quante  quefto  con»  tiene  il  primo,  come  ft  uede  in  quefto  altro  efempio.   I*     3.     9'       17»  I,     4.     i6^     64.   Dimoftra  dunque  Badile  che  la  fuperficie  delle  palle,  o  sfere  crefce  in  proportione  dupUcau  delli  diametri  5  cioè    pigliaremo  due  palle»   una  delle  quali  fia  di  diametro  groifa  il  doppio  dell'altra,  per  efempia   una    55  vnadl  vn  palmo  di  diametro,  l'altra  di  duella  fuperficie  della  palla_^   di  due  palmi  farà  quattro  volte  più  grande  della  fupcrficie  della  palU  di  vnpalmoje  che  rutto  il  corpo,  o  folidità  della  palla  di  due  palmi  crefcendo  in  pioportione  triplicata  farà  otto  volte  più  grande,  e  per  confeguenza  otto  volte  più  pefante  della  palladi  vn  palmo  di  diametro; fi  chela  fuperficie  della  maggiore  alla fuperfìcie  della  minore»/  farà  come4,  a  i.e  lafoliditi  faràcome  8.  a  i.  La  quale  verità  oltre  la  dimoftrationefpcculatiuafi  può  vedere  in  prattica,pefando  Taqua-.  che  empie  vna  palladi  vn  palmo  di  diametro,  e  quella  che  empie  vn_.  altra  palladi  due  palmi:  con  il  che  haueremo  la  proportione  triplicata della  folidità  ;  la  proportione  poi  duplicata  della  fuperficie  la  ritrouaremo,  mifurandola  fuperfìcie  delle  medefime  palle, ovafirDoue  di  paflaggio  auuerto  vna  regola  vtile  all'economia,  e  fparamio  nella  fpefa  de  materiali,  volendo  fare  botti  per  tener  vino,facchi,o  altri  vafi  neceflfarij;  cioè  che  facendo  vna  fola  botte  con  quei  legnami  con  i  quali    ne  farebbero  due,  quella  botte  fola  terrà  in    il  doppio  di  vinodi  quello,  che  farebbero  tutte  due  le  botti  jcofi  anche, fé  la  medefima  tela, che  forma  due facchi  fi  vniràinfieme  facendone  vn  Tacco  folo,  quefto  folo  facce  terrà  il  doppio  più  grano  di  quello,  che  teneuanolidue  facchi.   Quinto,  fuppongo  con  tutti  i  filofofi,  che  quando  vn  corpo  è  più  leggiero in  fpetie,com*e(lì  parlano,di  vn  altro,  il  più  leggiero  afcende-»  nell'altro  piugreue,fe  il  più  greuefia  corpo  liquido;  come  vna  palla  di  legno,  afcendefopra  raqua,e  galleggia  percheè  più  leggiera  in  fpetie  dell*aqua  ;  cofi  anche  vna  palla  di  vetro  ripiena  di  aria  galleggia  fopra  l'aqua,  perche    bene  il  vetro  è  più  greue  dell' aqua,  tutto  il  corpo  pero  della  palla  pigliando  il  vetro  inlìemeconTariaèpiu  leggiero  di  quello,  che  fia  akretanto  corpo  di  aqua:  che  quqfto  è  reflere  più  leggiero in  fpetie,  -ìm...   Prefuppoftequeftecofe,certoèchefc  noi  poteflìmofare  vn  vafodi  vetro,  o  d'altra  materia,  il  quale  pefafle  meno  dell'aria,  che  viftà  dentro, e  poi  ne  cauafifìmo  tutta  l'aria,  nel  modo  infcgnato  di  foprajquefto  vaforeftarebbepiu  leggiero  in  fpetie  dell'aria  medefimajficheper  il  quinto  fuppofto  gaUeggiarebbe  fopra  l'aria,  6  che  fi  deuemultiplicareefib  diametro  per  la  circonferenza;fiche  mul-^  tjiplicheremo  14.  per44.  &haueremola  fuperficiedi  quefto  vafo  ton-ì  do,  che  faranno  ó  16.  piedi  quadri  di  laftra  di  ramc,ciafcuno  de  quali   hab  57  habblamopoftochepefi  tre  oncie,riche  muItiplìcando^K?.  per  5.   haueremo  i  848.  oncie  j  che  è  il  pefo  di  tutto    rame  con  il  quale  è  fabricatala  palla,  cioè  libre  154.  Vediamo  horafe  l'aria  che  fi  concieae  in  queftovafo  pefipiudi  i  54. libre  poiché    cofi  è, cauatanc  raria_,  refterà  il  yafo  più  leggiero  di  lei  :  e  quanto  farà  più  leggiero  d:lla  rnedefima,altretanto  pefo  potrà  alzare  feco,  efolleuarloin  aria.  Per  vedere il  pefo  dell'aria,  che  vi  fta  dentro,  bifogna  vedere  quanti  piedi  cubici  di  aria  contenga, ciafcuno  de  quali  habbiamo  moftrato  che  pefi  vn  oncia, e  mezza.  Perciò  fare  infegna  di  nuouo  Archimede,  che  bifogna  multiplicareil  femidiametro,chefarà  piediy,  per  la  terza  parte  della  fuperficie  che  farà  20  5  .e  vn  terzo,il  che  £uto,  h  luremo  la  e :ip  icitàdel  yafo,  che  farà  piedi  1457.6  vnterzo,e  perche  ogni  piede  di  aria  pefa  yn  oncia,  e  mezza,  Airà  il  pefo  di  tutta  l'aria  contenuta  nel  vafo  oncic  2i5  5.edueterzi,cioèlibrc  i79.oncie7.  e  due  terzi. Hauédo  duridue  veduto  che  il  rame,  di  cui  è  formato  il  vafo  pefa  folo  154.  libre,  reftail  yafo  più  leggiero  dell'aria  2  5. libre  oncie  7.C  ducterzi,comehaueuo  propofto  didimoftrare;  fi  che  canata  fuori  queft'aria,  non  folo  falirà  fopra  l'aria,  ma  potrà  tirar  feco  in  alto  yn  pefo  di  2  5 .  libre,  ««#  oncie  7.  e  due  terzi.   Ma  accio  che  pofla  alzar  maggior  pefo,efolleuarehuominiinaria  pigliaremoil  doppio  di  rame,cioè  piedi  1232.  che  fono  libre  di  rame  3o8.conilquaI  rame  duplicato  potremo  fabricare  vn  vafo,  non  folo  al  doppio  più  capace,  ma  più  capace  quattro  volte  del  primo,  per  la_^  ragione  più  volte  replicata  della  quarta  fuppofitione  je  per  confeguéza  l*aria,che  fi  conterrà  in  detto  vafo  farà  libre  7 1 8  oncie  4.e  due  terzi,  fi  che  cauata  queft'aria  dal  vafo, quefto  refterà  410.  libre,  et  oncie  4.  e  due  terzi,piu  leggiero  di  altretant'aria, e  per  confegucnza  potrà  folle-;  uare  tre  huomini, o  due  almeno  3  ancor  che  pefino  più  di  otto  pefi  per  yno.   Si  vede  dunque  manifeftamenteyche  quanto  più  grande  fi  firà  li-*  palla,  o  vafo  fi  potrà  anche  adoperare  laftra  di  rame,  o  di  latta  più  groffa,  e  {oda  ;  Impercioche    bene  crefcerà  il  pefo  di  eflb,  crefcerà  pero  fempre  più  la  capacità  del  medefimo  vafo, e  per  confegucnza  il  pefo  dell'aria  j  onde  potrà  fempre  alzare  in  aria  maggior  pefo.   Da  ciò  fi  raccoglie  facilmente,  come  fi  pofla  formare  vna  machina,  FigwA  laqualeaguifa  dinauc  camini  per  aria  jSi  facciano  quattro  palle  ciaf  IV.  cuna  delle  quali  fia  atta  ad  alzare  due,  o  tre  huomini,  come  fi  è  detto  pocoauantijle  quali  fi  votino  dall'aria  nel  modo  fopra  moftrato,  e  fiano  le  palle,  0  vafi  A.  B.  C.  D.  Qucftc  fi  connetta  no  infieme  con  quattro legni,  come  fi  vede  nella  figura,  fi  formi  poi  vna  machina  di  legno   P    '  E.F.      E.F.  fimilead  vna  barca,  con  il  fuo  albero,  vele,  e  remi:  e  con  quattro   funi  vgiiali  fi  leghi  alle  quattro  palle,dopo  che  fi  farà  cauata  fuori  l'aria,   tenendole  legate  a  terra  accio  non  sfuggano,  e  fi  folleuino  prima,  che   fiano  entrati  gHiuomini  nella  machina  j  all'  hora  fi  fciolgano  le  funi   rallentandole  tutte  nel  medclìmo  tempo  :  cofi  la  barca  fi  folleuerà  fo pra  l'aria,  e  porterà  feco  molti  huomini  più,  o  meno  conforme  la  gra pezza  delle  palle;  i  quali  potranno  feruirfi  delle  vele,  e  de  remi  a  fuo   diaccreper  andare  velociffimamenre  in  ogni  luogho  fino  fopra  allcj'   iiìontagne  più  alte.   Ma  mentre  rifcrifco  quefta  cofa  rido  tra  mefte0b  parendomi  che_-»  ila  vna  fauola  non  m.eno  incredibile,  e  fìrana  di  quelle,  che  vfcirono  dalla  volontariamente  paz.za  fantafiadel  lepidiflìmo  capo  di  Luciano;  e  pure  dall'altro  canto  conofco  chiaramente  di  non  hauere  errato  nelle mie  prone,  particolarmente  haucndole  conferire  a  molte  perfone_-»  intendenti,  e  fauie  j  le  quali  non  hanno  faputoritrouare  errore  nel  mio  difcorfo;&  hanno  folodefiderato  di  poter  vederelaprouain  vna  palla, che  da    ftefla  falifìe  in  aria  j  quale  hauerei  fatta  volontieri  prima_.  di  publicarequeftamiainuentione,fe]apouerta  religiofache  profcflo  mi  hauefie  permefìb  Io  fpenderevn  centinaio  di  ducati,  che  farebbero  d'auantagoio  per  fodisfarea  fidiletteuole  curiofirà  :  onde  prego  i  lettori di  quefto  mio  libro  a  quali  veniife  curiofità  di  fare  quella  ifperienza,  che  mi  vogliano  ragguagliare  del  fucefìb,il  quale    per  qualche-*  difetto  commefib  nell'operare  non  fortifle  felicemente,  potrò  forfi  ad-»  ditarli  il  modo  di  correggere  l'errore  j  e  per  animare  maggiormente_j  ciafcuno  alla  proua  voglio  fciogliere  alcune  difficoltàjche  potrebbero  opporfì  in  ordine  alla  prattica  di  quefta  inuentione.   Primieramente  può  ritrouarfi  difficoltà  in  voltare  la  predetta  palla, ovafo  nel  modo  di  fopra  infcgn3ro,richiedendofi  il  riuoltare  fopra  la  canna  B.  C.  la  palla  A.  mettendo  in  alto  la  palla  che  prima  pofaua_.  in  terra  5  il  che  certo  non  fi  potrebbe  farefenza  qualche  machina,  con  difficoltà,  filante  la  grandezza  del  vafo,o  palla  tutta  ripiena  di  aqua    A  quefto  fi  può  rimediare  in  modo,  chenonfianeceifario  muouere  la  ì^igmA  palla.  Si  collochi  dunque  la  palla  in  luogo  alto  almeno  47.  palmi,  e_^  V.  nella  parte  di  fottofiaconeflb  al  collo  Ja  canna  di  47.  palmi,la  quale  fi  chiuderà  nella  parte  inferiore  C.  pofcia  fi  empirà  di  aqua  il  vafo  A.  con  tutta  la  canna  per  vn  altro  forame  D.  nella  parte  fuperiore  ;  pieno  che  farà,  fi  chiuderà  il  detto  forame  con  vna  vite,  ochiauetta  D.  e  volendolo votare  bafterà  aprire  la  parte  efl:reraa  C.  della  canna  immerfa  in  un uafo  d'aqua, accio  ufcendo  Taqua dal uafo non ui pofia fottentrar'  aria  ;  ufcita  che  (ara  rutta  Taqua  fi  chiuderà  la  chiauetta  B.  del  collo  del   "  uafoj    59  uafo,  e  fi  leiiera  via  la  canna,  cofi  haueremo  il  uafo,  il  quale    non  farà  del  tutto  voto  di  aria,  del  che  non  uoglio  qui  difputare,  certo  è  che  almeno  peferà  tante  uncieje  mezza  di  menojquanti  fono  i  piedi  d'aqua,  che  prima  conteneua  nella  fua  capacità,  il  che  bafta  per  il  mio  intento,et  è  già  ftato  prouato  con  rifperienza,  come  ho  detto  di  fopra  :  deuefi  folo  vfare  diligenza  in  fare,  che  le  chiaui,  che  chiudono  il  vafo,  fiano  f^t^e  efattamente  in  modo,che  non  vi  pofla  entrar  aria  perle  commef furc->.   Secondo,  fi  può  fare  difficoltà  in  ordine  alla  fottigliezza  del  vafo  ;  poiché  facendo  gran  forza  l'aria  per  entrar  dentro  ad  impedire  il  vacuo, o  almeno  la  violenta  rarefattione,  pare  che  douerebbe  comprimere eflb  vafo,  e    non  romperlo,  almeno  fchiacciarlo,  e  guaftare  la  fua  rotondità.   A  quefto  rifpondo,  che  ciò  auuenirebbe  quando  il  vafo  non  folle  tondo  i  ma  eflendo  sferico  l'aria  lo  comprime  vgualmentc  da  tutte  le  parti  sì,  che;  più  tofto lo  raffodajche  romperlo?  ciò  fi  è  veduto  per  ifperienza  in  vafi  di  vetro,  li  quali  anchor  che  fatti  di  vetro  grofiò,  e-»  gagliardo,fe  non  hanno  figura  rotonda,fi  rompono  in  mille  pezzi^doue  all'incontro  ivafi  tondi  di  vetro  ancor  che  fottiIiffimi,non  fi  rompono^  ne  è  necefiaria  vna  pcrfetciffima  rotondità  j  ma  bafta,  che  non  fi  fcofti  molto  da  vna  tale  figura  sferica.   Terzo,nel  formare  la  palla  di  rame  fi  potranno  fiire  due  mezze  palle,e  poi  connetterle  infieme, e  faldarle  con  ftagno  al  modo  folito  ;  ouero  farne  molte  parti,  e  fimilmente  vnirle  j  nel  che  non  fi  può  ritrouare  difficultà.   Quarto,  può  nafcere  difficoltà  circa  l'altezza  alla  quale  falirà  per  aria  la  nauej  poiché  s'ella  fi  follcuafle  fopra  tutta  l'aria  che  comunementefi  ftimaefferalta  cinquanta  miglia  piu,o  meno  come  vedremo  dopo,  feguitarebbe  che  gl'hucmini  nonpoteflero  refpirare.   Al  che  rifpondo,  che  quanto  più  fi  va  in  alto  nell'aria,  ella  è  fempre  plufottile,  e  leggiera  3  onde  arriuata  la  nane  ad  vna  certa  altezza  non  potrebbe  falire  più  alto,  perche  l'aria  fuperiore  efiendo  più  leggiera-,    farebbe  atta  a  foftcnerla,  fi  che  fi  fermerà  doue  ritrouerà  l'aria  tanto  fottiie,  che  fia  vguale  nel  pcfo  a  tutta  la  machina  -,  con  la  gente,  che  vi  fta  fopra. Quindi  accio  non  vada  troppo  alta, conuerrà  caricarla  di  pefopiu,o  meno  conforme  all'altezza, alla  quale  voremo  falire;  ma    ella  pure  faliffe  troppo  alto  ;  fi  può  a  ciò  rimediare  facilmente  coii_.  aprire  alquanto  le  chiauette  delle  palle  lafciandoui  entrare  qualche  quantità  di  aria;  imperoche  perdendo  in  parte  la  loro  kggierezza  fi  abbaiferannocon  tuttala  nane;  come  airincontrofenon  falifle  alta_.   quanto    6q   quanto  defìderiamo,  potremo  farli  falire  con  allegerirla  di  que'pefi,  che  vi  metteremo  fopra.  Cofi  parimente  volendo  dcfcendere  fino  a  Cerrafidoucrà  aprire  le  chiauette  de  vafijpercioche  entrando  in  effi  a  poco  a  poco  Taria  perderanno  la  fualeggierezza  5  e  fi  abbafleranno  a  poco  a  poco  fino  a  deporre  la  nane  in  terra.   Quinto,  alcuno  potrebbe  opporre,  che  quefta  nane  non  pofla  efler  fpinta  pervia  di  remi,  perche  quefti  in  tanto  fpingono  le  naui  per  1*-^  2 qua,  in  quanto  l'aqua  fd  refiftenza  al  remo,  la  doue  l'aria  non  può  fare  tal  rellftenza.   A  quello  rirpondo,cherarfabenche  non  faccia  tanta  refiftenza  al  remo  quanto  fa  Taqua  per  efser  piufottile,e  mobile;  fa  pero  notabile  refiftenza,  e  tanta, quanta  bafteràafpingere  la  nane;  poiché  quanto  è  minore  la  refiftenza  che  fa  l'aria  al  remo,  altre  tanto  è  minore  la  refiftenza che  fa  al  moto  della  nane:  onde  con  poca  refiftenza  di  remo  potrà  muouerfiageuolniente;  oltre  che  rare  volte  farà  necefsario  adoprarei  remi, mentre  nslfariafempre  haueremo  qualche  poco  di  vento, il  quale  ancorché  debboliffimo  farà  (ufficiente  a  muouerla  velocemente j  e  quando  anche  fofse  vento  contrario  alla  noftra  nauigatione,  infegnerò  altroueilmodo  di  accomodare  l'albero  delle  naui  in  modo, che  pofsano  caminare  con  qualfi  voglia  vento  non  folo  per  aria_»  ma  anche  per  aqua,   Sefto,  maggiore  è  la  difficoltà  di  rimediare  all'impeto  troppo  grandc,ccn  cui  il  vento  gaoljardo  potrebbe  fpingere  la  naue  sì,  che  corref^    pericolo  di  vrtare  nei  monti,che  fono  i  fcogli  di  quefto  oceano  dellV  aria^ouero  di  fconuolgerfijC  ribakarfi:  Ma  quanto  al  fecondo  dico  che  difficilmente  potrà  da  venti  fconuolgerfi  tutto  il  pefo  della  machina, con  molti  huomini,che  ftandoui  fopra  la  premeranno  in  modo  che  fempre  contrapcferannoalla  leggierezza  delle  palle;  fi  che  quefte  refteranno  fempre  in  alto  fopra  la  naue,ne  mai  la  naue  potrà  alzarfi  fo«  pra  di  loro  ;  oltre  che  non  potendo  mai  la  naue  cadere  a  terra,    non_.  entra  aria  nelle  palle  ;  ne  eflendoui  pericolo  d'affogare  nell'aria,  come  neiraqua,afferrandofi  gl'huominialegni,o  corde  della  machina  farebbero ficuri  di  non  cadere.  Quanto  al  primo  confeflb  che  quefta  noftra naue  potrebbe  correre  molto  pericolo;  ma  non  maggiore  di  quelli,  a  quali  foggiaciono  le  navi  maritime  ;  percioche  come  quelle,  cofì  quefta  potrebbe  feruirfi  dell'ancore,  le  quali  facilmente  fi  attaccherebbero a  gl'alberi  :  oltre  che  quell'oceano  dell' aria,  benché  fia  fenza_»  lidi,  ha  pero  qnefto  auuantaggio,che  non abbifognano  i  porti  oue  ricouerarfi  la  naue,  potendo  ogni  qual  volta  vede  il  pericolo  prender  terra,  e  defcendere  dall'aria,   Altre    6i   Altre  difficoltà  non  vedo  cbe  fi  pofl'ano  oppore  a  quefta  inuentione  toltane  vna,che  a  me  fembra  maggiore  di  tutte  le  altre,  et  è  che  Dio  non  fia  per  mai  permettere,  che  vna  cale  machina  fia  per  riufcire  nella  prattica,  per  impedire  molte  confeguenze,chepcrtiirbarebbcroiI  gouerno  ciuile,  e  politico  tra  gl'huomini  :  Impercioche  chi  non  vede,  che  niuna  Città  r:irebbe  ficura  dalle  forprefe,  potendofi  ad  ogn'hora  portar la  nr    a  dirittura  fopra  la  piazza  di  erie,e  lafciatala  calare  a  terra.,  defcenderc  la  gente  ?  rifteflb  accaderebbe  nelle  corti  delle  cafe  priuatcje  nelle  naui  che  fcorrono  il  mare,  anzi  con  folodefcenderelanaue  dall'altezza  dell'aria,  fino  alle  vele  della  naue  maritima^  potrebbe  troncarle  le  funi  j&  anche  fenza  defcendere,  con  ferri,  che  dalla  naue  fi  gcttaflero  a  baffo  fconuolgere  i  vafcelli,  vccider  gl'huomini,  et  incendiare  le  naui  con  fuochi  artificiati, con  palle,  e  bombe  y  ne  folo  le  naui,  ma  le  cafe,  i  cartelli,  e  le  città,  con  ficurezza  di  non  poter  effer  offefi  quelli,  che  da  vna  fmifurata  altezza  le  faceffero  precipitare.    Nuoue   jNfuoue  intient'iom  diTermofcopi  per  cono  [cere  U  ^varietà  del  caldo,  e  del  freddo  .,  ne  gl'elementi.    primoinuentoredelTermofcopiojper  mexz.ol'di  cui  fi  pofìa conofccre quando  l'aria fia  più, e  meno  calda,  o  frcda,  fu  Roberto  Fluddo,  il  quale  prefe  vn  tubo  di  vetro  com'è  A.B.  con  vna  palla,  o  altro  vafo C.  connelTo  al  tubo  nella  fommità  di  lui,  e  facendo  prima  rifcaldare  al  fuoco  la  palla,  fi  che  Taria  ne  reftafle  rarefatta,  immerfe  rcftremità  A.  del  tubo  in  vn  vafo  D.  pieno  di  aqua;  onde  l'aria  nel  tubo  5  e  nella  palla-,  raffreddandofi,  e  ritornando  al  fuo  ftato  naturale  di  prima,ne  potendo  per  la  bocca  A.  immerfa  ncll'aqua  entrare  altr'aria,  l'aqua  del  vafo  D.  ialiuaperil  tubo  ad  occupare  il  luogo  abbandonato  dall'aria,  mentre  quefta  condenfandofi  fi  ritiraua  nella  palla  C.  Quindi  pofcia  auueniua  che  reftandoqueftoinftrumento  immobile,  ogni  qualvolta  l'aria  efterna  vcniua  alterata  dal  freddo,  o  dal  caldo, fi  alteraua  ancor  l'aria  chiufe  nel vetroi  e  condenfandofi  perii  freddo, faceua  che  l'aqua  faliff^L.,»  più  alta  nel  tubojfi  come  rarefacendofiperil  caldo  rifcfpingeua  a_.  bado  l'aqua  medcfima  -,  et  efiendo  il  tubo  di  vguale  groffezza  in  tutte  le  parti,  e  diuifo  in  molti  gradi  trafeileffi  vguali,  l'aqua  falendo,  onero  abbaflandofi  moftraua  nella  lunghezza  del  tubo  li  diuerfi  gradi  del  freddo,© del  caldo.   Quefta  inuentione fu  meritamente  ftimata  ingeonofa,ma  nulladimenoera  foggetta  a  tale  inconuenientejcherinuernofpeiTo  agghiacciandofi  Taqua,  o  rompeua  l'inftrumcnto,  o  almeno  lo  rendeua  inutile  per  quella  ftagione.  La  onde  ringegnofiflTimo  Gran  Duca  diTofcana  hoggidi  viuente,  quanto  amante  de  peregrini  intelÌetti,altretanto  perI  fpicace  con  il  fuo  alle  nuoue  inucntioni,  ouuiò  al  predetto  incommodo,   facendo  lauorare  a  quelli,  che  fanno  l'arte,  con  la  fiamma  di  vna  lucerna, vna  palletina  di  vetro  con  il  fuo  collo  fottile,  quale  appunto  dimoftra  la  figura  A.  B.  e  riempiendo  tutta  la  palla  con  parte  del  collo  figura  ^jj  quint'  eflenza  di  vino,  o  aquauita  retificatiflìma,  il  che  fi  fa  immerVII'    gendo  l'iftefìb  vetro  con  il  collo  B.  apcrto,mentre  è  tutto  caldo,  nel  liquore medefimo  j  pofcia  fi  chiude,  e  figilla  con  Tifteflo  vetro  la  bocca  del  collo,e  fi  coferua  rinftrumcto,che  fa  Tvfo  medefimo  deiraltro,ma  c6  ^t;vt-i,.  et  effetto  cótrariojpercioche  h  doue  in  quello l'aqua  afcende  per  il  freddo,  che  condenfa  l'aria  della  palla  fuperiore,  in  qucftoil  liquore  afcende  per  il  caldo  che  Io  rarefa  nella  pallina  inferiore,  e  falendo  per  il  collo  diuifone  fuoi  gradi,  moftrahora  il  freddo  bora  il  caldo,fenza  verun  pericolo, che  il  Iiquorefiagghiacci,o  fi  confumi, o fi  verH,  come  nel  primo:  hauendo  di  più  quefto  maggior  commodo,che  potiamo  facilmente portarlo  con  noi  ouunque  andiamo  ;  quefto  medefimo  feruc  per  regolare  i  gradi  del  caldo  ne  fornelli,  de  quali  fi  feruono  i  chimici  per  le  loro  operationi  ;  per  ritrouare,  e  mantenere  il  calore  neceffario  a_.  far  nafcer  i  pulcini  dalle  vuoua  fcnza  opera  di  gallina,  anche  di  mezzo  inuerno  :  per  far  cuocer  l'voua  medefime  a  quel  fegno,  che  vn  vuole»^  tenendo  l'inftrumcntoimmerfo  nelt*aqua,in  cui  fi  cuociono, fin  tanto  che  il  caldo  arriui  al  grado  prefifTo,  e  per  molte  altre  cofe  come  fi  dirà  altroue.  Inuentione  degna  per  certo  di  fi  Gran  Prencipe,  il  quale  noa_.  contento  d'hauerla  ritrouata  con  ammiratione  ài  chi  fha  veduta,  ha_»  voluto  pratticarla  non  folo  con  far  nafcer  li  pulcini  ne  forni,  ponendo  prima  rinftrumentofofto  la  gallina  che  coua,  e  notando  il  grado  del  caldo  che  fi  ricerca  per  tale  effetto  ;  ma  anche  dando  la  cura  a  moIte_-p  perfonein  diuerfipaefi,che  ancor  hoggi  notano  ogni  giorno  la  diuerfità  del  caldo,  e  del  freddo,  per  potere  pofcia  confrontare  infieme  tutte  le  mutationi  dell'aria  cagionate  dalleftellein  varie  parti  del  mondo,e  quindi  dedurre  regole  d'aftronomia  fondate  nell'induttione  di  effetti  efattamente  fperimentati.   Etohvi  foiferopur  molti  ches'occupafleroin  efsercitij  fi  nobili  !  quanto  accrefcimento  farebbero  rarri,ele  fcienze,    tanti Prencipi,  e  Caualieri  dotati  di  eleuato  ingegno,  che  confumano  le  ricchezze  in_«  giuochi,  e  trattenimenti  affatto  inutili,  Timpiegafìero  nell'ifperienzc-^  tìfiche, da  cui  trarebbsro  non  folo  diletto  maggiore, ma  gloria  immortale al  fuo  nome,  con  le  ingegnofe  inuentioni,  che  riempirebbero  i  libri  de' letterati.   Io  pertanto  aggiongendo  in  quefta  materia  alcuna  cofa  alle  già  ritrouateslafcierò  che  altri  vadino  fpeculando  cofe  migliori  3  e  per  dir  ciò  che  fento,  parmi  che  li  due  modi  predetti  di  conofcere  i  gradi  del  caldo,  e  freddo  foggiaciano  ancora  a  qualche  difetto;  e  quanto  al  primo chiara  cofa  è,  che  quanto  piìì  l'aqua  afcende  nel  tubo  di  vetro,tanto  più  con  il  fuo  maggior  peforefiftealla  falitaj  ondefe  quattro  gradi  di  freddo,  per  cagion  d'efempio, baftano  per  farla  afcendere  alla  metà  del  tubo,  quattro  altri  gradi  di  freddo,  non  batteranno  per  farla  afcendere tutta  l'altra  metà,  efìendo  che  quanto  più  faglie,  tanto  più  forza  fi  richiede  per  alzarla  ;  aggioqgafi  che  parimente  l'aria,  che  fi  condenfa-.   oriuj  quan  6^  quanto  più  fi  rimuoue  dalla  Tua  rarità  naturale,  tanto  maggior  freddo  richiedefi  percondenfar]a,ond*èche  non  fi  può  alzarl'aquaapropor»tione  del  freddo  eftrinfeco.   Si  porrebbe  rimediare  a  quefto  con  diuider  il  tubo  in  parti  ineguali,  facendo  che  le  parti  fuperiori  fodero  più  piccole  delle  inferiori  ;  ouero  formando  vn  tubo, che  fofle  più  fottile  nella  fommita,che  nel  fondo  ;  ma  farebbe  Tempre  difficile  il  ritrouarc  la  proportione,con  la  qualc->  le  parti,  o  la  grofczza  dei  tubo  doueflcro  andarfi  diminuendo.   Quanto  al  tcrmofcopio  piccolo  del  Gran  Duca,  egli  incorre  invn-*  fimJle  inconueniente:  poiché  l'aria  chiufa  nel  collo  del  vetro  al  falir  del  liquore  fi  deue  condenfare  violentamente,6  quanto  più  alto  faglie  il  liquore  per  ragion  del  caldo,  tanto  maggiormente  l'aria  fa  refiftenia;  e  ciononfolo  perche  fempre  più  fi difcofta  dalla  fua  rarità  naturale.^,  ma  anche  perche  il  caldo,  che  fa  rarefare,  e  falir  il  liquore,fa  rarefare  ancora  l'aria,  la  quale  perciò  fi  sforxa  di  defcendere,  e  fa  refiftenza  alla falita  del  liquore  medefimojaggiongaficheficomeho  detto  dell'aria,cofidcli'aqua  vita  fipuo  dire,  che  fc  dieci  gradi  di  calore  bafbno  a  far  che  falga  fino  alla  metà  del  collo,  dieci  altri  gradi  non  balleranno a  far  che  falga  fino  alla  fommità,  poiché  tanto  più  refifte  alla  rarefatione?  quanto  più  fi  rarefa,  eflendo  naturale  ad  ogni  patiente  tanto  più  refiftere  quanto  più  fi  ritroua  vicino  alla  fua  deftrutione,e  più  lontano  dal  fuo  effere  naturale.  Si  che  queft'inflrumentino^e  ben  fi  ottimo  per  determinarci  gradi  del  calore  richicfto  ne  forni,  o  per  altra fimile  opqratione chimica;  ma  nonèattoa  diitinguere  vgualmente  i  gradi  del  caldo,  e  del  freddo?   Per  ouuiare  dunque  a  quefti  difetti,  ho  ritrouato,e  pratticato  vn_»  altro  modo  più  certo,  e  ficuro  fjcendovntermofcopio,il  quale  ha  anche quefto  auuantaggio  fopra  graltri,chc  per  ogni  minima  alteratione  dell'aria,  egli  fi  altera  notabilmente  5  fi  che  fi  puoconofcere  facilmente  ogni  picciola  differenza  di  caldo,  e  di  freddo.   Si  pigli  vnvafo  di  vetro  diqualfivoglia  figura,  e  farà  forfi  migliore  Figura]^  sferica 3 quefto  habbia  vna  picciol  bocca,  quale  fi  rapprefenta^  Vili*  nella  figura  A.  B.  e  nel  lui  fondo  fi  pongano  due  dita  incirca  di  aqua;  fi  pigli  pofcia  vn  tubo  fottile  di  vetro  aperto  d'ambe  le  parti,  e  fi  metta  con  vn  eftremitànel  vafo  A.B.fi  chela  parte  eftrema  A.  refti  immerfa  neiraquaj&ilcollo  B.fi  chiuda  diligentemente  sì,che  non  vi  poffa  entrar  aria.   Ciò  fatto  fi  foffi  con  la  bocca  violentemente  per  il  tubo  dalla  parte  C.  peroche  in  tal  modo  l'aria,  che  fta  chiufa  nel  vetro  fi  condenferà,  e  facendo  forza  per  rarefarfi  di  nuouo,  fofpingerà  l'aqua  in  alto  per  il   tubo    ^5  tubo  A.  C.  il  quale  douera  efler  lunga,  non  molto  grofifo,  e  diuifo  nelle   fue  parti.  Supponiamo  dunque,  che  per  forza  della  condenfationc-»  fatta  con  il  foffio  5  Taqua  fia  falitafinoal  fegnoD.  vedra(Iì,che  ftando  immobile  l'inflrumento  ogni  minima  alteratione  d'aria  farà  alzarti»  notabilmente  l'aqua,  o  abbacarla  j  poiché  il  caldo  rarefacendo  mag^  giormente  l'ariajch'è  condenfata  violentemente  nel  vetro,farà  alzac  l'aqua  :  et  il  freddo  condenfando  la  medefima  aria,  faraila  defcenderc«j.   '  Quefto  modo  non  paté  quell'inconueniente,  a  cui  foggiaciono  gl'aitri  due  modi  mcntouati  di  fopra;  cioè  della  refiftenza  dell'aria  alla  condenfatione,  mentre  faglie  il  liquore  ;  poiché,  com'  è  manifefto^  nel  tubo  l'aria,  eh' è  nella  parte  di  fopra  entraj  et  efce  dal  tubo,il  quale  nmane  aperto,  ne  l'aqua  ritrouarelìflenza  nell'aria  perfalire  più  alto,  come  fa  il  liquore  nelli  altri  termometri.   f  In  oltre    bene  anche  in  quefto  l'aqua  con  il  caldo  deue  falirc  contro alla  fua  naturale  inclinatione,  onde  pare  che  non  debba  falirs.^'  •ugualmente  5  et  a  proportionc  del  caldo,  cóme  fi  è  detto  del  primo  termofcopiojcio  pero  è  rimediato    non  in  tutto  almeno  in  gran_»  parte  dalla  violenta  condenfatione  dell'aria  fatta  nel  vetro  j  poiché    bene  Taqua  con  il  fuo  pefo  refifte  al  falire  j  pero  raria  che  fta_.  fopra  Taquadel  vafoelTendo  condenfata  violentemente,  preme  l'aqua  è  lafofpinge  in  alto  fi,  che  l'vna,  e  l'altra  con  il  fuo  pefo  ftanno  in_,  equilibrio  :&  ogni  benché  picciolaggionta  di  calore  bada  per  rarefar l'aria,  che  per    ftelfa  procura  di  rarefarfi,e  cofi  fa  falir  Taqua-,:  ■'■■  e  pero  vero,che  anche  in  quefto  termofcopio  quanto  più  l'aria  fi  rarefa, e  ritorna  al  fuo  ftato  naturale,  tanto  maggior  forza  di  calore  ix  richiede,  refiftendo  anche  vn  maggior  pefo  di  aqua  che  deueakarfi  nel  tubo: ma  quefta  differenza  non  è  fi  notabile  come  ne  gl'altri  .  Aggiongafi,che  in  quefto,come fi proua  per  ifperienEa,ogni  picciol  calore  fa  alzare  l'aqua  notabilmente  anche  quando  è  giontaquafi  fino  "i*"^  alla  cima  del  tubo,  fi  che  fono  più  diftintamente  notabili  i  gradi,  particolarmente fé  il  va  fo  A.  B.  fia  grande,  e    pur  vi  è  qualche  iraproportione,fi  può  facilmente  correggere, con  diuider  la  parte  fuperiore  del  tubo  ili  gradi  proportionalmente  fempre  minori.  Finalmentefi  può  rimediare  anche  a  quefta  piccola  imperfettione  del  pefo  dell'aqua  nel  canelloche  refifte  al  falire,con  porre  ilcanelloinfito  quafi  hori^ig^r*.  zontale,  cioè  con  poca  decliuità,  come  fi  vede  nella  figura  nona.        I^*   Vn'altra  forte  di  termofcopio  ritrouo  per  ifperienza  riufcire  non  meno  delli  due  primi,  benché  fia  foggetto  ad  vno  delli  difetti  accenP^g^'^x  nati.  Piglio  vnvafo,Q  palla  di  vetro  A.  con  vn  colio  B.C.  non  molto      .:'-b  '  R  fbttile    66   iGiuk^Si.  al  collo  C. attacco  vn  pefo  conuènìénte  F.  poi  Io  immergo]  ncU'aciuajdicuicpicno  il  vafoD.  E.  fattoa  modo  di  cojonnaj  fi  che.  refiftcndola  leggierezza  dell'aria chiufa  nella  palla, enei  collo>quefta.  auuanzi  fuori  del  vafo  D.  F.  in  gran  parte,  o  la  metà  incirca  j  il  colla  è  diqifo  nefuoi  gradi  5  fi  chcrifcaldandofi  Tana  fi  rarefa  nella  palla,  ricercando  maggior  luogo, ne  potendo  vfcire  per  il  collo  immerfa  neU*aqua  fa  alzar  tutto  il  vetro,  e  nell'orlo,  o  labro  D.del  va(oD.EJ  nota  i  gradi  diuerfi.  Ma  perche  Tacjua  contiene  in  fearia,efacilmen-»  te  inaria  fi  rifoluc&efala  in  vapori,  riempiendo  la  palla  di  eflì  vapori, quando  l'aria  di  cfladouercbbe  condenfarfi.-equeftoèvn  altra  ìnconueniente,  che  patifce  anche  la  prima  forte  di  termofcopio  vfata  comrrunementej  perciò  potremo  rimediare  ancheaqueftocon  empi-*  re  il  vafo  D,  F.  non  di  aqua?  ma  d'ai  genso  viuo  j  nel  qual  cafo  accio  il  pefofipo0a  fommcrgerinclfodouerà  eflere  vna  palla  d*oro:ma  chi  non  hauerà  commodità  della  palla  d'oro,  o  vorrà  ifparamiar  queOa  fpe*  fa,  potrà  fabricare  il  vafo  A.  in  modo,che  nella  parte  fuprema  di  elfo    pofla  collocar  qualche  pefo  di  piombo,  o  d'altra  materia,  che  tenga_^  niiiììerfa  parte  del  collo  nell'argento  vino.   Si  può  per  maggior  leggiadria  delnoftro  termometro  addattarlo  in  modo, che  reftandoeglinafcofto  fi  vedano  li  ^radi  delfrcddo-e  del  caldo  in  vna  moftrafimile  a  quella  delli  horiuoli:  ilchefiottencrà  facendo galleggiare  fopra  l'aquachefialza  nella  canna  vn  cilindretto  ft^m»  di  le|;nQC.  il  quale  ahandofi,o  abbafìandofi  con  l'aqua  medcfima_»   XI.  faccia  girare  vn  aife  A.  B. con  la  Tua  frezza  in  B.  mediante  vn  pefo  E.  attaccato  ad  vn  filo,che  fi  rauuolge  intorno  all'alfe  in  p.  e  dall'aitro  ca*  pofoftieneil  cilindretto C«   Si  può  anche  fare  che  il  fi|o,a  cui  è  annelfo  il  cilindro  fia  attaccata   al  capo  di  vnaftafottile  A.B.  eleggiera,chcappoggiatainE.  a  modo   /"/^«m  di  vna  lena  fi  alzi,  e  fi  abbadi,  notando  con  l'altro  capo  B.  i  gradi   XII.  del  caldo,  o  del  freddo  nell'arco  CD,  nelchefiolTcruische  quanta  maggiore  farà  la  proportione=delle  due  parti  A.  E.  et  E.  B,  della  lcua,c  quanto  più  lunga  farà  ra(la,tanto  più  fenfibile  farà  ogni  minima  muta^  tione  dell' aria.   Finalmente  fi  può  fare  vn  termometro  duplicato,  in  cui  fi  condenfcF'igmx    l'aria  foffiando  nella  chiauetta  A.  e  fubito  di  nuouo  chiudendola,  XIIU  accio  l'aria  condenfata  faccia  falirc  alquanto  l'aqua  nei  fifone  B.  dai  quale  ritirandofi  l'aria  nell'altro  vafo  C.  farà  parimente falir  l'aqua  nel  fifone  D.e  col  rifcaldarfi  maggiormente  dell'aria,  falirà  l*aqua  fino alla fommità delli  fifoni, paflando  vicendeuolmente  dall' vno  all'-,  altro  vafo,  con  effetti  curiofi,  e  diietteuoli,  particolarmente    li  prcn   detti    re  ietti vafi,o  fifoni  farannodi  grandezzadiucrfa.  Molto  più  galan  leggiadra  riufcirà  quefta  inuentionc,fe  dentro  a  detti  vafi,  o  alme  no  in  vnodi  effifi  collocherà  yna  piccola  ruota,  che  fatta  girare  dairaqua,chevicaderi  fopra  mentre  viene  per  il  fifone  dell'altro  yafo,  faccia  Tuonare  va_i  campanello,  e  nioftri  con  vna  frezza  aggio nta,  i  gradi  del  caldo,  e  dèi  freddo?    Altre       «/^/f;'^  ìnutnùonì per  fapere  tutte  le  mt^tatlom  dèlPana   humiàa  :,  o  fecc4>,oUU:?b;,  i'ii;-!g!jr:    ^Ejl  conofcere  ogni  giorno  le  varie  mutationi  intorno  all'  hiimidità,oficcità  dell'aria,  fono  varie  inuentioni  ritro^  uatc  parte  da  altri,  e  parte  da  mej  delle  quali  ne  accen^SMÌÉ  narò  alcune  in  quello  capo,  riferuandomi  il  trattarne^  più  longamente  nell'Arte  maeftra  a  fuo  proprio  luogo.  ìlP.  Kirchero  nell'arte  magnetica  lib.j.p.  2.  capo  j.  dice  che  fi  pigHj,  vn'arifta,o  paglia  di  quelle  che  Iranno  intorno  alle  fpighe  dell'auena,  et  vneftremità  di  efla  fi  fermi  nella  fommità  di  vno  ftile,  o  fopra  vn_,  legno  perpendicolare  alThorizonte^e  fopra  l'altra  eftremùà    li  vnifca  vn  indice  di  carta,  o  altra  cofa  che    pofTa  girare  facilmente,  e  fia-,  parallelo  all'horiz-ontc,  intorno  ài  quale  fi  -defcriuavn  circolo  diltinto  ingradij  e  farà  preparato  rifinimento  ^poiché  eflendo  quella  paglia-,  naturalmente  ritorta  a  modo  di  fune  quando  viene  inhumidita  fi  va_»  difnodando,&afciugandofi,o  fcccandofiiiiorna  ad  auuiticchiarCj'i-*'  contorcere,  fi  che  riuolgendofi  in  giro  muoiie  l'indice  che  ha  vniconeU  la  parte  fuperiore,  e  nota  i  qradi  deirhun^idità,  e  ficcità  dell'aria,  con^  forme  alla  qualejfiauuiticchia,©  fi  riuolgé  piu,o  meno.   Il  mcdefimo  effetto  fa§|iQ.tuttii  furti  di  hQ/be,che  nafcono  naturala  mente  in  tal  modo  ritorte,  6^  aivùiticcfiiàtef come  fono  i  conuoluoli  jTt^ura  notturni,  e  fimili  jde'quali  io  piglio  vnfufto  B.  A.  e  lo  pongo  chiufa  XlVe  in  vn  cilindro,0  colonnetta  A.  F.  fi  che  non  veda  fermando  l'eftrema  parte  B.fichequefta  non  fi  pofl'a  girare  5  nell'altra  parte  cftrema  A.  del  detto  fufto  di  herba,  pongo  vna  figurina  di  carta  che  tiene  innianovna  frezza  D.  fi  cheauuiticchiandofijegirandofi  ilfuflofi  gira  anche  la_.  figurina,  che    e  attaccata  per  vnpiedej&in  vn  circolo  chefì:a  intor-r  no,  e  copre  il  cilindro,  accio  non  fi  veda  l'artificio,  moftra  i  gradi  dell'humidità,  o  ficcità  dell'aria  per  caufa  delia  quale  fi  va  girando  la  figuraj  e  la  frezza.   Vn'altromodouieneinfegnato  dal  Cardinale  Cufano  il  quale  prefcriue,che  fi  prenda  una  bilancia,  et  in  efla  fi  ponga  della  lana,  o  altra_»  materia  atta  ad  imbeuerei'humidicà  dell'aria  ^collocando  nella  partc^  oppofla  il  fuo  contrapefo  alla  bilancia,  poiché  in  tal  modo  inhumi^   dandofi    69^  dendoG  la  lana  fi  accrefcerà  il  fuo  pefojOnde  dal  pefooppofto  che  la  tiene  in  equilibrio,  fapremo  la  maggiore,e  minore  humidità  deiraria  medefima .   Io  per  pefarel'h umidità  dell'aria  tengoappreflb  di  meuna  piccola  bilancina  ^  e  in  unofcudellino    efla  pongo  del  fale  di  alcun  hcrba  calida, poiché  quefto attrae  maggiormente  l'humido,  onero  del  Talnicro  calcinato  che  fi  il  medefimo  effetto,  anzi  attrae  tanto  efficacemente,^  che  fi  rifolue  tutto  in  aqua,&  alcune  uolte  pefa  tre,  e  quattro  uoke  più  di  quello  che  pefi  quando  di  nuouofifecca  j  nell'altra  parte,  cioè  nell'altro fcud  eli  ino  della  bilancina  pongo  i  pefi, con  la  uarictà  de  quili  uengoapefarel'humidità  maggiore,  e  minore  dell' aria:  Douc  fi  noti  che  il  fale  non  fi  liquefa  femplicementc  perche  la  fola  materia  di  cflb  fi  rifolua  in  aqua:  ma  perche    li  unifconoiuapori  dell'aria  humida,  e  lo'  fanno  più  pefante  j  altrimente  non  crefcerebbe  di  pcfo.   Manonmenogratiofo  è  il  modo  fcguente.  Si  prendano  due  grof-;    corde  di  leuto,  vna  delle  quali  fia  A.  B.  legata  iminabihneiite  in^  A.  da  vna  parte,e  dall'altra  riuoltata  intorno  ad  vna  girchcta  niol-.  to  piccola  C.  la  quale  girelctta  fia  immobilmente  vniti  cox^^.l'alfe  di  vn  altra  girella  maggiore  M.  F.E.  laquile  habbii  vn  con-^rr  trapefo  moderato  M.  N.  tanto,chebaftipertener  tirata  li  corda  B.  A.,  la  quale  inhumidendofi  l'aria,  anch'eia  fentendo  l'humidicà  fi  acor4  cierà,&  acorciandofi  alzerà  il  contrapefo,e  farà  girare  la  girclla,que(ì:i  girella  hauerà  vn  dente,  in  F.  il  quale  entrerà  in  vn  manico  di  martelletto L,  H.  fermato  mobilmente  in  G.  e  facendolo  alzare  ricaderà  con  il  fuo  pefo  percuotendo  il  campanello  H,  L  siche  dal  fuono  di  quefto  campanello  faremo  ammoniti  dell'humidità  dell'aria.  Vn  altro  campanello  di  diuerfo  fuono  R.  ci  auuertirà  della  ficcità  in  quefì:omodo:advn  anello  F.  farà  legata  l'altra  corda  F.  O.  e  quefta  medefima  corda  in  qualche  diftanza  notabile  farà  riuoltata  con  l'altro  capo  intorno  ad  vna  gircletta  D.  vnifa  come  l'altra  immobilmente  nell'alfe  ad  vna  girella  maggiore  con  il  fuo  dente  P.  martello,  e  campanella vicini,econ  il  contrapefo  T.  Rallentandofi  dunque  nell'feccarfi  la  corda  E.  O.  il  contrapefo  T.  defccnderà,e  ficendo  girare  la  girella  quefta  vrterà  con  il  dente  P,  nel  martelletto, e  farà  fonare  il  campanello  R.  Si  pofTono  ancora  multiplicarei  denti  delle  girelle  si  che  fonino  più  volte  i  campanelli,conformelamaggiore5e  minore  humidità,  e  ficcità;  e  le  corde,  ò  ruote  fi  potrebbero  difporre  in  altri  modi,come  ognivho  nella  prattica  potrà  facilmente  prouarejbaftan*  do  che  io  habbia  accennato  il  fondamento  di  quefto  artifìcio.  Nel  che  fi  habbia  riguardo  di  fare  chele  girelle, intorno  alle  quali  firiuoltano   S  IcJ    ie  cordcjfiano  molto  piccolcjacciò  ogni  piccolo  fcorcfamcnto,  o  al^  lungamento  di  corda  fia  fufficiente  a  farle  girare  j  e  le  corde  fiano  a.%  quanto  lunghe,  acciò  lo  fcorcianiento  fia  notabile.   Finalmente  fi  pofsono  anche  con  l'orecchie  mifurare  i  gradi  dell*humidità  dell'aria  :  poiché    noi  prenderemo  due  corde  di  leuto,  o  di  chitarra j&  vnadiefse  fi  ftenderàfopralifcannelli  d'alcuno  ftrumentQ  al   modo   ordinario  ftirandola,  e  lafciandola    fempre  ad  vn  me^  demo  pofto  5  ma  l'altra  la  ftenderemo  fopra  li  medefimi  fcannelli  facendo  che  refti  tefada  vn  pefo  attaccato  ad  vn  capo  di  cffa,il  quale  fia  tanto,  che  la  renda  vnifpna  alla  prima,  Quefta  che  vien  tefa  dal  pefo  mantenerà  femore  vn  mcdefimo  fuono,doue  che  l'altra  lo  variarà  facendolo  hora  più  acuto  hor  più  graucsconforme  che  fi  ftenderà,o  raU  icntarà  dalla  maggiore,  o  minore  humidità  dell'aria;  onde  dalle  loro  confonanze,  0  difsonanze  haueremo  armonicamente  i  gradi  dell'hufniditàjche  faranno  tantijquanti  fono  i  tonijO  femitoni  rauficalio  Quero  fi  ftenda  vna  corda  per  il  maggior  diametro  di  vn  arjcllo  di  legno  ouato  e  facile  a  concepir  l'humido  nelle  fue  fibre  ftefe  per  lo  groffo,no^  per  lo  lungo  del  legno,che  fia  porofo;  poiché  all'humido  fi  dilanerà ranello,e  fi  ftenderà  la  corda  facendo  il  fuono  più  acuto,che  paragonato co  vn  altro  fuono  fempre  (labile,  haueremo  il  medemo  intento;  l.e  corde  fiano  di  metallo,  acciò  anch'effe  non  fi  alterino  facilmente^    Cap©    7'   CAPO     NONO   Wdhrìcsre  *vn  horimUt  ^he  fi  muou^  perpetHAmente  fenx^&c.  fia  fufficientea  muouereil  perpendicolo, ancorché  molto  più  pelante  della  palla,  che  vrta nell'afta; fi aggionge al  facilitar quefto  moto, che  il  perpendicolo quando  viene  vrtato  dall'afta  è  già  in  moto  ;  onde  per  fare  che  il  moto  continui,  baftavn  impulfo  minore  aftai  di  quello,  che  fi  richiederebbe per  darli  il  moto    fofle  totalmente  in  quiete  5  Di  più  eflb  perpendicolo douràeflere  molto  corto,  il  che  ci  giouerà  a  far  falire  più  prefto  lacafletta  con  nmouere  più  velocemente  le  ruote;  impercioche  quanto  è  più  corto,  tanto  più  frequenti  firanno  le  fue  ondationi  ;  Dalla  quale  breuità  di  perpendicolo  nafcerà, che  fia  moflb  più  facilmente dall'afta.   Finalmente  accio  la  palla  non  difcenda  troppo  prefto  per  i  canali  inclinati  ciafcunodi  elfidourà  effere  molto  lungho;  hor  quanto  è  pia  lungo  il  canale,  per  cuidifcendela  palla,  ella  nel  fine  aquifta  maggior  impeto,  fi  che  venendo  da  h  in  b,  quando  arriua  in  b  ad  vrtarenell*  afta,  ha  giàaquiftato  molto  impeto  dal  moto  decliue,  per  tal  modo,che  Scorrendo  per  la  palla  da  binl,e  da  l  in  e  vrta  di  nuouo nell'afta  mentre  dura  ancora  il  moto  del  perpendicolo,e  non  fa  altro  che  accrefcerlocon  vrtarìo di  nuouo,  accio  pofsa  durare, fin  tantoché  venga  di  nuouo  ad  vrtarlo  in  d,  poi  in  e>f  &c.   Secondariamente  può  nafcere  difficoltà,  che  il  perpendicolo  fia  per  hauere  tanta  forza,  quanta  fi  richiede  per  alzare  la  palla  conlacafsettaN.douendola  alzare  mediante  il  moto  di  tre  ruote,  ciafcuna  dells»-»  quali  fa  refiftenza  al  moto.   A  quefto  rifpondo,  che  farebbe  diffi_cile  alzare  la  cafsctta  con  la_,  palla,  quando  l'altezza,  a  cui  fi  dcue  alzare,  fofle  molta,  et  il  tempo  breue  j  cioè  quando  il  moto  della  cafsetta  douefse  efser  veloce;  e  con feguen  84  fcgucritemente  veloce  cfìcrdouefi'e  anche  il  iiìoto  della  ruota  I  k  noce leraca  dall'altre  ruote  più  tarde  j  ma  quando  il  moto  della  caflccia  debba efìer  lento  fi, che  fi  muoua  più  lentamente  la  ruota  Jk  di  quello,  che  fi  muoua  la  prima  ruota  E  F,  tal  moto  lento  riufcirà  piufacilejconforme  fi  dimofìra  con  i  principi]  della  fcienza  mccanica.  Che  poi  bafti  vn  moto  lento  della  cadetta  èmanifelloj  Pcrcioche  ella  non  deuearriuare  alla  fua  determinata  altezza    non  quando  la  palla,  che  difccnde  per  il  canale,  farà  arriuata  nel  fondo  X  :  per  il  qual  moto  della  palla^  firichicderà  molto  tempo, doucndo  dii'cendeie  per  moki  canili  affai  lunghi,  come  fi  è  detto  di  foprajonde  tiìttclecofe  concorono  a  fjcililare  queftomoto.  Aggiongoche  lacafietia  N  dourà  eflere  IcggierifTìma  ;  poiché,  ancorché  tale,  potrà  femprc  difcendere  a  ripigliare  la  palla in  X  ogni  volta  che  farà  liberata  la  ruota  LM  dal  ritegno,  o  linguetta L.  La  palla  fimilmente,  ancor  che  fia  moltiffìmc  volte  più  leggiera  della  palla  del  perpendicolo  D,  farà  fufficientca  farlo  muoucre  ccil..  vrtare  nell'afta  YC, fi  per  l'impeto  che  prende  nel  difcendere  per  il  canale,  fi  anche  molto  più  per  la  lunghezza  dell'aftajche  farà  l'effetto  di  Iena;  e  finalmente  perlabreuità  del  perpendicolo,   Auuerto  anchora  che  la  palla  S  del  braccio  tampinato  S  gR  dourà  efiere  più  leggiera  di  quello  che  fia  lacafsetta  N  con  la  fua  palla_,  j  accio quefta  vrtando nell'afta  piegata  EZV  pofla  alzare,  e  ripone  la.;,  detta  palla  S  foprail  fuofcanettoTQ^5&  ancor  che  quefta  palla  S  fia  afsai  leggiera  farà  però  fufficicntea  far  piegare  il  rampino  in  R,e  liberare la  ruota  LM  ritirandola  vcrfo  T  3  pcrcioche  la  fpira,o  filo  di  ferroRTdcue  premere  leggicrifììmamcnce, e  fol  tanto,  qu;into  bafta  perrifofpingerela  ruota  LM  verfo  la  ruota  lK,il  che  fi  farà  con  poca  violenza  mentre  l'afse  della  ruota  IK  entra  mobilmente  neli'afse  della  ruota  L  M  in  fitohorizontale.   Nctifi  di  più  che  potiamo  facilmente  accomodare  vn  altr'afta  dall'  altra  parte  del  canale,  cioè  in  hlmno;  nella  quale  vrti  parimente  la  palla, e  dia  più  frequentemente  il  moto  al  perpendicolo,  onde  roaj  pofsa  mai  tal  moto  inlanguidirfi,  nel  qual  cafo  potremo  fare  minorcL-»  quantità  di  canali,  ma  più  lunghi  fi, che  la  palla  fpenderà  maggior  tempo  in  difcendere, e  nel  fine  di  ciafcun  canale  prenderà  maggior  impeto,  poiché  quanto  più  lungo  è  il  canale,  tanto  maggiore  farà  l'inv  peto,  che  haurà  aquiftato  nel  fi,nt-»o  Vn  altro  moto  perpetuo  Jlmile  al  precedente.    femplice    g^^^i^^N  altro  modo  mi  fouuiene  a  fine  di  perpetuare  il  moto  no   molto  diflìmile  dal  precedente,  con  adoperare  vna  copelea,  la  quale  riporti  in  alto  la  palla  dopo  che  farà  difce ^^  fa  per  il  canale,  come  fi  è  moftrato  di  fopra  j  il  che  fi  fura  con  minor  quantità  di  ruote,  e  con  machina  molto  più  fpedita .   Sia  come  prima  vn  perpendicolo  A  B,  il  quale  muouendofi  faccia  girare con  li  due  rocchetti  H,I,  vnitial  fuoafìejla  ruota  L  nel  modo  fpiegatonel  capo  precedente  jall'afleLM  di  quefta  ruota  fia  vnita  va,,  altra  ruota  N  O,  la  quale  girandofi  morda  la  ruota  O  P  :  e  quefta  ruota  OP  farà  vnita  all'afle  di  vna  coclea  RTQ^  intorno  alla  quale  farà  il  canale,  che  per  eflere  a  modo  di  lumaca  li  da  il  nome  di  coclea.  Le  due  cftremitàdell'afsedi  quefta  coclea  cioè  Y,  T faranno  appoggiate  fopra due  poli  T,Y  in  modo  che  Tafse  fi  poffa  girare  liberamente  con  la  coclea  vnita,  mediante  il  girare  della  ruota  O  P.  Difcenda  dunque  vn\  palla  per  li  canali  O  F,come  di  fopra  j  e  quefta  vrtando  nell'afta  DF  ogni  volta,  che  arriua  al  fine  di  alcun  canale  dia  nuouo  moto,&impulfo  al  perpendicolo;  il  quale  muoucndo  le  ruote  inferiori,  e  la  coclea,  quefta  coclea  porterà  in  alto  un  altra  palla  pofta  nel  canale  tortruofo  T  S  V  Z  Q^,  portandola  dalla  parte  inferiore  S  alla  fuperiore  Q^  ^^-'  quale  vfcendo  dal  canale  della  coclea,  cadere  nell'altro  canale  nel  medcfimo  tempo,  o  almeno  poco  dopo  che  l'altra  palla  è  gionta  al  fìnc^  del  canale,  cioè  in  S  :  all'hora  quefta  palla  farà  prefa  dalla  coclea,  e  farà  portata  in  alto,mentre  l'altra  difcende,  e  cofi  fucceflìiiamentcruna  dopo  l'altra.   Auertafi  che  acciò  la  palla,  che  è  arriuata  inS,  fia  riceuuta  dalla.»  coclea  nel  medefimo  tempo, che  l'altra  efce  dal  canale  Qjdella  coclea,  fi  potrà  fare,  che  la  palla  vfcendo  dalla  bocca  Qjdel  canale  della»,  coclea,  e  cadendo  nell'altro  canale  faccia  impeto  in  alcun  afta  la  quale fia  connefla  con  vn  ritegno,  o  molletta  pofta  nell'eftrema  parte  del  canale  S,  dalla  quale  l'altra  palla  vcniua  ritenuta,  accio  non  cadeflc-*  nella  coclea  prima  del  tempo.    UTA   XXL    Capo    CAPO  DECIMOTERZO   y  n  altro  moto  perpetuo  molto  più  facile  deUi  due  precedenti  per  Via  di  trombe  che  ahino  l'aqua.    figura,    ^-'^^^P,  lA  il  perpendicolo  A  B  foilenuto  con  il  Tuo  afse  C  Q^D  ia  KXiL  ^^%>Sj1      duepoliCQ  mobilmentej&al  medefimoaflefiaimn.Q bilmenre  connefsavn  afta  leggiera,  ma  foda  QJl,  che  penda  all'  in  giù  neiriftefso  modo  che  fa  il  perpend'colo  A  B  5  Al  fine  del  medefimo  afte  in  D  fia  connefso  vn_.  braccio  F  E  che  faccia  angoli  retti  con  l'afse  C  D,  et  alle  parti  cftremeE,  &F  fiano  attaccati  due  piftoniI,&G  i  quali  entrino  in  dut«»  trombe  LkIjSiMHG,  in  modo  che  muouendofi  il  perpendicolo  AB  fi  alzeranno, et  abbafserannoi detti  piftoni  G,I  alzando  laqua..-,  ('incui  rifuppongono  imerfele  trombe  )  peri  canali  HM,KL  nel  vafo  foprapofto  P  F  j  nel  qual  vafo  farà  vno  fcifone  N  P  O  il  lui  braccio più  corco  NP  arriui  fino  al  fondo  del  vafo,  ma  reftipero  apertala  bocca  fua  N,  e  l'altro  braccio  più  lungo  P  O  penetri  per  il  fondo  del  vafo,  e  ftia  parimente  aperto  in  O,  e  quefto  fcifone  fia  tanto  alto  in  P  dal  fondodel  vafo,  che  riempiendofi  il  vafo  refti  pieno  anch' efso,  (1  che  all'hora  preponderando l'aqua del  braccio  O  P  incomJnci a  fcorrere  fuori  del  vafo,  e  per  confeguenza  non  cefserà  di  vfcireperla  bocca  Q  fin  tanto,che  il  vafo  non  refti  voto.   Sotto  la  bocca  O,  per  cui  efse  l'aqua  farà  accomodata  una  ruota.»,  ST  con  le  fue  ale  foftenuta  in  due  poli  XZ,&  equilibrata  in  modo  che  con  facilità  fi  pofsa  girare  dall'impeto  dell'aqua,  che  cadcrà  per  lo  fcifone  fopraefsa  ruota  3  la  medefima  ruota  hauerà  da  vna  parte  vn_*  aletta  S  che  fparga  in  fuori  in  tal  modo,  che  girandofi  la  ruota  vrti  nell*  cftrema  parte R  dell'afta  OR,laqual  hafta  cadendo  nontrattenerà  pero  il  moto  della  ruota  ;  fi  che  fcguitera  a  girare  fin  tanto,  che  vi  cade  fopra  l'aqua  :  et  anche  dopo  che  l'aqua  farà  finita,  la  ruota  per  l'impeto già  concepito,  girerà  molte  altre  uolte  prima  di  fermarfij  e  girandofi,  urterà  con  l'ala  S  nell'afta  QR,  e  feguiterà  a  dare  il  moto  al  perpendicolo AB  j  e  perche  il  perpendicolo  dopo  che  ha  concepito  l'impeto  feguita  a  muouerfi  molte  uolte  da  le  ftefso,  fi  muouerà,  e  farà  le  fuc»*  ondationi  ancor  dopo  che  farà  fermata  la  ruota  j  Si  che  dopo  che  farà  yotatoiluafojC  fcorfa  tutta  l'aqua  per  lo  fcifone  fopra  la  ruota,  fegui-^.   terà    terà  ancor  qualche  tempo  a  muouerfi  la  ruota,  e  finito  anche  il  moto  della  ruota,  feguiterà  per  qualche  altro  tempo  il  moto  del  perpendicolo: ne  quali  due  tempi  s'alz.erà  nuou'aqua  nel  vafo  per  mezzo  dcii«i^  trombe  mofle  dal  perpendicolo  :  fi  faccia  dunque  il  vafo  capace  folo  di  tant*  aqua,  quanta  è  quella,  che  fi  alza  in  quelli  due  tempi  ;  dal  chz^  feguiterà  che,  finito  il  moto  del  perpendicolo,  refterà  di  nuouoil  vafi>  pieno  j  e  per  confeguenza  anche  il  Icifone  N  P  O,  onde  incominciarà  di  nuouo  a  fcorrereraqua  perii  fi:ifone,e  darenuouo  moto  alla  ruota,  et  al  perpendicolo^  e  perche  voglio  che  molto  maggior  copia  di  aqua_.  efca  dal  vafo  per  il  fcifonedi  quella  che  nel  medefimo  tempo,  entra_,  nel  medefimo  vafo  per  le  trompe,  finirà  ben  fi  di  votarfi  il  vafo,  ma  non  ce&rà  pero  fubito  il  moto  della  ruot:i,e  molto  meno  il  moto  del  perpendicolo, onde  in  quello  tv  mpo  di  nuouo  fi  riempirà  il  vafo^c  tornerà  a  votarfi  per  di  nuouo  riempirfi,  e  cofi  perpetuamente  cadendo  l'aqu-i  là,d'ondefi  alzò.   Che  quefì:o  moto  fia  per  elTere  perpetuo    io  non  m'inganno  fi  dimoftra  facilmente  :  poiché  eflendo  molto  maggiore  la  quantità  dclfaqua  che  difcende  per  lo  fcifone,c  cad^  fopra  la  ruota,  di  quella  ch^-*  in  vgual  fpatio  di  tempo  fi  alza  per  le  trombe  j  e  cadendo  dalla  medenma  altezza,  alla  quale  fi  alza  j  farà  fufficiente,  ad  alzare  effa  minore^*  quantità  di  aqua,  mediante  il  moto  della  ruota,  e  del  perpendicolo  j  al  moto  de  quali  due,  perche  fi  muouono  liberamente  fopra  i  fuoi  poH,noa  vien  fatta  altra  refiftenza,  che  quella  del  pefo  deiraqua,chedeue  falire  perle  trombe  j eflendo  dunque  queila  molto  meno  pefante  di  quella, per  confeguenza  potrà  cfler  alzata  da  lei  :  Di  più  ogni  poca  quantità di  aqua,  che  afcenda  per  le  trombe  nel  vafo,dopo  che  farà  rollato  voto,  farà  ballante  nellVfcirechefaràper  lofchifoneadarnuouo  impeto al  perpendicolo 5 in  tal  modo  che  pofla  muouerfi, e  riempire  di  nuouo  in  breue  tempo  il  vafo.   Aggiongovn  altro  auuantaggio,  che  ci  nafce  dalla  forza  della  Icua;  poiché    noi  faremo  che  Tafta  QR  fia  molto  più  lunga  di  quello, che  ila  il  perpendicolo  A  Bjquefìi'afta  urtata  in  R  dalla  ruota  hauerà  forza  dileuain  ordine  a  muouere  il  perpendicolo,fi  che  con  poca  refifl:enza  della  ruota  farà  mofso  il  perpendicolo .  E    bene  eflendo  il  perpendicolo più  breue,  più  breui  ancora  faranno  le  ondationi,e  per  confeguéza  meno  fi  alzeranno  i  piftoni  I,  G,  alzando  minor  quantità  di  aqua  i;i  ciafcuna  ondatione  del  perpendicolo:  quefl:o  difetto  però  fi    ricompenfato  dalla  maggior  celerità,  e  frequenza  delle  medefimeondationi  del  perpendicolo  :  il  quale  quanto  è  più  breue  tanto  più  predo  compifceun  ondatione 5 fi  che  facendofiinciòla  compenfatione,ci  rimarrà   anchora    88  anchora  il  primo  auiiantaggi'o  del  muouerfi  più  facilmente,  e  fare  minor rcriilciìza  al  moto  della  ruota .  Aggiongafi  anchora,  che  poca  forza fi  lichiedeper  rimouere  il  pefo  B.  dal  Tuo  centro,  a  cagione  che  non  fi  deuc  alzare  a  perpendicolo,  ma  obliquamente  nel  arco  delle  fueontiutiuni  5  quanto  più  dunque  con  l'aiuto  della  leua,  onde  fi  potrà  fare  il  pendolo  B  molto  pefante,  e  sì,  che  pofla  aliare  molta  più  aqua.   L'efìertofeguirà  anche  meglio, e  s'intenderà  maggiormente  la  ragione di  efib,    in  vece  di  fare  vn  fol  vafo,  in  cui  fi  riceua  l'aqua,  che  fi  lihs.  dalle  trombe,  e  da  cui  efce  per  muouerc  la  ruota,  faremo  due  vali  ciiltinti  AB,&  EF  IVno  immediatamente  fotto dall'altro, con  due»  icitoni  C,e  D.  Nel  vafo  di  fopra  entrerà  l'aqua  alzata  dalle  trombe,  e  quando  farà  pieno  incomincierà  ad  vfcire  l'aqua  per  lo  fcifone  C,  b:i'jbn!ì    .7   À    ...iiiv;?^  ^.,    ^n    )'uh'j.    OHI    Oim    t:jirf  'yWXi'    "  1    >i».    ^Modo  curio jo  fatile,  0*  n)ù\ì[fimo  di  d'^fìilUre  l'aria,  e  (onuertirU  in  aqua,  con  'vn  tnuentione  di  fare  fontane  co  pio    in  luoghi»  ne  quali  non  fi  a  alcuna  forbente  di  aqua.    Auendomoftrato  alcroueche  l'aria  particolarmente  vicina  alla  terra  è  ripiena  di  molti  vaporijch^  altro  non  fono  che  aqua  attenuata,  e  rarefatta  dal  calore  inminutifiìme  particelle;  non  farà  difficile  il  conuertirla  di  nuouoin_,  aqua,    con  l'arte  fapremo  imitare  la  natura,  che  fimilmente  mediante  la  condenfationeconuertei  detti  vapori  in  pioggia  j  fi  come  la  natura  con  il  calore  del  Sole,  o  fotteraneo  della  terra  rarefacendo  i'aquala  conuerte  in  aria,  e  di  nuouocon  il  freddo  della  feconda regione  dell'aria,condenfando,i  medefimi  uapori,li  muta  io.,  aqua;  coli  l'arte  per  mezzo  di  una  fimilccondcnfatione,conuertirà  in  aqua  gl'ifte^  uapori  prima  attenuati  naturalmente  dal  caldo.  .  Prendali  vn  gran  varfo  di  vetro  ABC  largo  nella  fommità,  \i  quale  fi  vada  reftringendo  nel  fondo.fmo  a  finire  in  vna  punta,  come  di  ^^'*'**  vn  cono  jia  parte  fupcriore  A  B  fia aperta,    no  in  tutto,almeno  in  parte  nel  mezzo,  con  vna  bocca  D;  e  la  parte  inferiore  (ìa  tutta  vetro fenr,  alcuna  apertura .  Si  riempia  quello  vafo  di  neue,o  d'\  giac-,  ciò  in  tempo  di  Eftate,  ò  almeno  in  luogo  oue  l'aria  fia  affai  ca!da_:.;  e  meglio  riufcirà  tenendolo  efpofto  al  Sole;  poiqhe  l'aria,  che  iìi  intorno  fuori  del  vafo,  feutendo  il  freddo  della  neueficondenferà,  e  fiandra  attaccando  alla  fuperficie  eilerna  del  vetro,  per  il  quale_^  fcorrendo giùnella  punta  C  fi  diftillarà in gaccie frequenti  si, ch^^  collocandoui  fotto  vn  vafo  E,  in  poco  tempo  ne  raccoglieremo  buona quantità,  ejtantopiù,  quanto  faj-à  maggiore,  la  grandezza  del.  vafo  A  B,C.^^^*»^bn?  !    onToinri" -^l»'*^^^    :- I'^l'OìD   'V  Queft'aqua  farà  molto  leggiera,  limpida,  e  falubre  si,  che  TEf*  tate  ne  potremo  bere  fenza  pericolo  di  riceuere  nocumento  ;  anzi  per  cflere  ripiena  di  fpiriti  ignei  folarif  quando  fia  diftillata,  mentre  l'aria  èefpofta  a  raggi  del  Sole)  conferua, et  aumenta  il  calore  naturale;  onde  gì' EthicijO  Tifici  ne  riccuono  gran  giouamento;  et  Io  ho  coiiofciuto  vna  perfona,  che  già  toccaua  il  terzo  grado  di  tale  infermità;   e    91  e  perciò  era  difperata  daMedicì,'c  con  bere  per  molti  giorni  buo-i  na quantità]di  queft*aqua  rifanòperfettsmente.Quefto  mcdefimo  artificio può  eflere  molto  vtilcjà  quelli,  che  fi  ricrouaflero  in  penuria  di  aqua  dolce  per  bere,  3c  in  molte  altre  occarioni,come  ogn'vn  vede.  Et  acciòche  alcuno  non  ilimaffcche  queft'aqua  foffe  la  neue  liquefatta  che  penetrafle  per  ilJvetrOjpelì  riftcffa  neueauanti  èdopo,e  ritrouerj,  che  non  farà  fccmata  di  pcfo,  fé 'non  forfi  alquanto  per  eflère  ftata-»  efpofta  al  Solejmà  non  mai  tanto,che  compcnfi  il  pefo  dell'aqua  d'aria  raccolta.   per  conuertire  maggiore  quantità  di  aria  in  aqua,c  fare  vna  Fontana copiofa  in  luogo  benché  aridiffimo,e  nelquale  non  fia  alcuna  vena  di  aqua,  particolarmente  di  Eftate,quando  il  bifogno  di  efla  fuol  effermaggiorcjfcieglieremo  vn  fito  efporto  verfo  il  mczzodi,e    folle  alquato  eleuatoin  vna  collina,© monte,farebbe  migliorc,c  quini  fca»  ueremo  fotto  terra  vna  grsn  camera,  la  quale  habbia  vna  fola  bocca,  e  quella  non  molto  grande,  e  riuoltata  verfo  il  mezodìj  ma  lo  fcauamento  della  camera  non  douràefler  fatto  immediatamente  vicino  all'aria  j  anzi  fi  dourà  prima  incominciare  vna  caua  larga  cinque, o   F/^«r^  {ci  bracci,  la  quale  fi  vada  reftringendo  fino  alla  bocca  della  camera;   XX\\  equeftaboccanonfia  piùlargadivn  braccio,e  mei2o,o  duej  pofcia  nella  parte  più  a  dentro  fcauercmo  vn  gran  vafo  a  modo  di  vna  camera, come  dimoftra  la  figura^  poiché  in  tal  modo  l'aria, che  entri^  calda,  e  rarefatta  dal  mezzo    per  la  bocca  AB  nel  fito  grande  fcauatoC  fi  condenferà  dal  freddo  fotterraneo,  et  aitaccandofi  d*.  ognV  intorno  i  vapori  condenfati,goccicranno  dalla  fommità  nel  fondo  D  copiofamente  si,  che  ogni  giorno  fi  potranno  cauar  fuori  molti  fecchij  d'aqua  per  il  canale  D  E,  o  in  altro  modo  5  e  tanto  maggior  copia  d*aqua  haueremo, quanto laflagione farà piQ  calda, e  l'aria  maggiormente percofsa  dal  Sole,  a  proportione  della  grandezza  della  camera  C  5  poiché  quanto  più  grande  ella  farà,  tanto  maggior  quantità  di  vapori conuertirà  in  aqua  j  et  acciò  il  freddo, che  deue  condenfare  Taria  fia  maggiore,  fi  donerà,  come  dilli,  fare  molto  profonda,  et  inoltrata»  nella  collina,cioè  lontana  dalla  prima  apertura  più  larga  B.    i  Giouerà  anchoraveftirla  d'intorno  di  pietre  fredde  ed*  vmidé,  Ì  qualiper  natura  fua  fiancarti  ad  attraerel'vmidità,  come  quelle  che  fono  imbeuute  di  fpiriti  minerali,  e  particolarmente  falnitrarli  ;  onde  fi  potrà  ancora  artificiofamentc  dare  vna  tal  qualità  a  dette  pietre,  ac»  ciò  più  facilmente  facciano  l'eHetto,  di  condenfare  i  vapori  io  aqua_.  f^  incroftando  la  parte  inferiore  D  che  deue  riceuer  l'aqua  come  fi  fuole  nelle  cifterne,  acciò  non  penetri  per  la  terra, e  fi  perda.   1  £nv  o3ub;  .:4   Qucfì'    93  Queft'aqua  farà  purgata,  e  falubre  poco  meno  della  già  detta  di  fo pra,  onde  fc  ne  potrà  bere  a  fatictà  :  e  farà  baftante  per  l'vfo  quotidiano almeno  di  vna  famiglia,  et  anche  di  più  quando  fi  faccia  m  luogo,  e  fito  opportuno  con  le  diligerne  accennate.  E  di  ciò  io  ne  ho  veduta-.  rifpericnza,e  di  fimil  aqua  hobeuuto  più  volte:  il  cheogn*vn  vede  quanto  fia  per  cfl'er  gioueuolea  molti  in  luoghi  penuriofide  aque;  oarticolarmcnte  perche  quando  s' inaridifcono  i  powi .  E  fi  votano  le  ci^  fterne  a  cagione  della  ftagione  caIda,&afciutta,airhorapiu  che  mai  copiofa  farà  quella  fontana  jpercioche  in  tal  tempo  maggiore  è  la  copia de  vapori,  che  il  calor  del  fole  folleua  nell'aria  ^  fi  che  quell'aqua,  checifù  rubbata  dal  fole  conuertcndola  in  aria, faremo  che  fia  forzato  a  reftituircela  molto  più  purgata,  e  falu^  tcuole.  C^cfìia  inucntione  parimente  può  liberare tal' hora  vna  città  dall'afledio;  nel  quale  tagliati,  come  fuol  farfi,  i  condotti dell'aqua,  farebbe  forzata  ad  arrenderfi,fe  fi  feruiràdi  qucfto  noftro  rimedio.    5riDD:    •yj^qd  zup:    \h::    ~r   ■A  ih  03   A   a     L'érU  maej^r^  d' agricoltura  infegna  a  moUi^licare  il   raccolto  delle  femen'^e.    L  raccogliere  dalle  femenze  frutto  copiofo,  non  depende  in  tal  maniera  della  natura,  che  le  produce,  che  non  dcpenda  anche  molto  dall'arte,  che  con  applicare  le  caufc  a  greffètti  proportionati,  auualora  le  forze  della  natura  medefima,  di  cui  è  ferua,  e  miniftra,  Ne  parlo  io  qui  fole  dell'arte  dcll'agricokurajdi  cui  hanno  fcritto,  Varrone,Colutnelia,  Palladio, Crelcentio,  Herrera,  il  Gallo,  et  altri,  la  quale  è  già  fatta  triuiale,  e  ripratticacommunemente^maparlodi  qu,eUa>che  con  modi  più  reconditi emulando  la  natura  la  necedìta  a  produrre  frutti  non  ordinari],  e  molto  più  copiofidi  quelli,  che  ad  ogn'hora  fi  fogliono  raccogliere.  Di  quefta,  che  chiamo  arte  maeftra  d'agricoltura,difcorrerò  lungamente a  fuo  luogo  :  in  tanto  per  darne  alcun  faggio  voglio  accennare  il  modo  di  fare  che  ilgrano,e  l'altre  femenze  ordinarie  multiplichino  copiofamentejC  diano  frutto    non  centuplicato,  almeno  molto  abbondante,   Deuefi  dunque  fapere  che,  come  moftrerò  altroue,  tutta  la  virtù  gcneratiua  particolarmente  de  vegetabili  confifte  nel  fale  di  e(lì,  dal  quale depende  l'organizatione  delle  parti,  et  è  formatrice  dell'embrione:  il  quale  pofcia  viene  nutrito,&  allattato  da  gl'elementi, ma  principalmente dalia  ruggiada,  che  cade  la  notte,  6C.  é  il  latte  più  falutteuolc,cho  auidamente  fi  fucchia  dalle  biade  afletate,"  per  il  calore  del  giorno    Eforfihebbe  iiguardo  a  ciò  quella  benedittionc  di  Giacobbe  Det  tihi  Deus  de  rore  c^i/,  Cp'»\  '•''^-'-^'j^  ^^   Quefto  è  quanto  mi  è  paruto  di  douere  accennare  in  quefta  materia, riferuandomi  molte  cofevtiliècuriofe  appartenenti  or.  all'Agricoltura  e ircà^gl*irvefti,leviti,fiori, e  frutti,quaU   -i:  paleferò  nell'Arte  Maeftra  al  fuo  luogo  proprioj   doue  anche  moftrerò  in  qual  modo  fi  pofla    >in  pochehore  far  nafccre  ogni  vege tabile, e  raccoglierne  il  frutto   poche  hore  dopo  che  fi  3   farà  feminato.  ^    Jf,  lil  jcsA    ì   ni  lìoq  ib  '•   oi?fn  ?/>?oi  ib  2rr;     Ci'.  nicoun-ignoiggte Ji  iiJiiiJt)!  óiyq  ^zn-Sì.  :uqof;   Ol'  ìbùn'r     t-^k  US     TlktV^S^   fi   'f   I    ir;  :>aoi§ci   ^fSS^^^A  •'^•'"i"^^-'  *"' ''J^f-^  ^    '      or,  .,;  ♦.jj'j'aficlv   fi     .      «   -inrsii, p4r  ndfcere  quéil fi  'vp^lia  fiore,  e  frutto  in  vn  'V^fo  di  vetro  fenz^a  ftmenz^a.      ^^^it/.èi    vJ  -fti    C  c  Capo    taoB  .siriD  ilbb  ifnte*ibb  5lf:i5n:>D  -iin^nsT  iioH'tis  iinor>  oirnsDOOnC      [:    i^r-«i    /'^''«'«I^I^Sp^^I^  iàccia  vna  lucerna,  di  cui  la  part&rcibtrriceue  in  fc l'oglio  XXl^li  ^\%^SI'  ^*^  ^^  farma  d'vna  colonnetta,:come  fi  vede  nella  figura  !'p;;..efrexeU  colonna,  ocilindifo  A  Ji  chiufo  nella  parte  di  i.  r:fopr^,eper  ogni  luogo  fìijche  non.vipolTa  entrar  den.i  !  tro  ana, tettando  aperto  folo  nelfondo  con  vna  particella C  per  Ia.,q,ualeefica. l'oglio  neJi*anneflbvafoCL  incuiftàlolloppinojche  arde  in  Li«j€0«^uniaTidoi'oglio  fa  chevadi  difcendendo  nel  cilindro  a  pocoapoco  vniforniemeBce  nella  parte  anteriore  CE  della  lucerna  fia  vn  altEO-piccolo  cilindretto,  o^-fimile  ricetracoloj  nella  parte  fuperiore  del  quale  fia  vna  girella  IK-con  ilfuo  afìe  EF  chi-»  habbiaanncfib  vna  freccia,  o  iindi^lc  per  moftrarl'horefegnate  intorno  alla  ruota  GHjciò  fatto  fi  ponga  nella  colonna  AB  Toglio  con  vn-.  pe7.zo  di  fuuaro,  o  altro  corpo  leggiero  D  che  nuoti  fopra  l'oglio,  a  cui  fia  legata  vna  funicella  fottilc  D  CI  k  M,  la  quale  fune  pafli  fopra  la  girella  IK,e  neireftremo  habbiaconnellb  vn  pefoM,ma  non  tanto greue  che  pofla  far  difcendere  il  fuuaro  D,  il  quale  galleggierà  fempre  fopra  l'oglio,  e  quefto  difcendendo  con  il  confumarfi  difcenderà  anche  il  pefo  Ni,  che  con  la  funicella  farà  girare  la  girella  IKjCol*  indice  E  F,  che  moftrerà  l'hore.   Deuefi  dunque  auucrtiredi  fare  la  grandezza  della  girella  Ik,proportionataal  difcendere  dell'oglio,  e  del  fuuaro  D.  oiferuando  quan*  to  difcendein  vnhora, accio  la  girellai  K,  col*  indice  fi  muoua  ordinatamente.   Si  deue  auuertire  ancora  di  mettere  la  ftbppino  fempre  della  medefimagrolTc'zzaje  deiriikfso  numero  defili,  acciò  fempre  l'oglio  fi  confumi vniformemente  nella  fommità  della  lucerna  fi  potrà  metter  vna_#  vite  A,  che  chiuda  perfettamente  il  buco,  per  il  quale  fi  mette  l'oglio;  benché  quefto  fi  può  anche  mettere  per  la  portella  C  riuoltando  fottofopra  la  lucerna.   Notifi  anche,  che    fi  poteffe  accomodare  in  modo  l'afse  della  girella I  k  dentro  la  colonnetta  A  B,  che  pcnetrafse  fuori  per  vn  forame  tanto,addattato,che  riempiuto  totalmente  dall'afsenon  dafse  adito  all'   aria    103  aria  per  penetrare  nella  colonna,  fi  potrebbe  accomodare  il  tutto  fen za  l'altra  colonnetta,©  ricettacolo  IMC;  ma  tuttofi  potrebbe  mette;  e  nella  colonna  A  B^  e  ciò  in  moki  modi  facendola  moftra  dell'horead  vn  latOjOueroin  cima  alla  colonna  nel  piano  fuperiore  di  efsa,  ma  perche  Te  vi  entrafse  aria  Toglio  caderebbe  fijbito  tutto  a  bafso  ;  et  è  diffìcile  forare  k  lucerna  in  modo,  che  l'afse  fi  giri  nel  forame  fenza  dar  adito  all'aria,  perciò  habbiamoftimato  più  ifpedientc,  e  ficuro  il  modo fopra  defcritto.   Si  potrebbe  ajicora  aggiongere  alla  moftra  vna  ruota  dentata,  che  iacefse  batter  le  hore  come  ognuno  può  facilmente  uedere  ;  ma  per  far  battere  le  hore  dentro  allamedefima  lucerna  potremo  fare  in  quefta  juaniera .  Dentro  alla  colonna  nella  circonfereiìza  interiore,  difporemo  un  canale  aperto  nella  parte  fuperiore,attoa  foftenere  una  palla  di  legnOschedifcendaperefib  canale  fatto  a  fpira,cioèamodQ  di  uite  intorno  ad  efla  colonna  j  quefta  palla  galleggiando  fopra  l'oglio,  andrà  difcendendo  per  il  canale  in  giror'fia  dunque  accomodato  in  modo  che  dopo  vn  bora  habbia  fatto  vn  giro  intiero,  et  arriuata  al  fine  di  eftb  la  palla  vrti  nel  manico  j onero  afta  di  una  molla  fi, che  alzandofi quefta  lafci  trafcorrere  vna  ruota  con  il  fuo  contrapefo,  come  fono  quelle  delli  oriuoli  a  ruota,  che  fanno  fonare  le  hore  j  a  cui  fia  addatta^  to  vn  ma,rtelletto,  che  batta  vn  campanello  pofto  nella fommità  della  lucerna  5  e  cofi  fucceftìuamente  cojmpito  l'altro  giro,  la  palla  faccia  il  medefimo  cftctto  di  far  fonare  Infeconda bora,  e  poi  lctre,quattro&:c.  In  qtial  modo  chi  camtna  in  carrozjZj^,  ouero  nauig^  per  aqtta  pofs^  [^f^^i  h  f»k^t^  4^^  'Viario  fstto»  ^«(•^  ^^^l^g  Vefta  inuentione  bene  he  fia  accennata  da  VitruuiOj  egli   XXVinllj^^^®     però  parla  fi  ofcuramente  che  io  non  ho  ritrouato  alcu fefe^SJ      no:  il  quale  l'habbia  fapuca  interpretare  ;  onde  mi  è  par SSJI'ìS   fpiegarla  in  quefto  luogo  come  cofa  nuoua.*fé  non  in  foftanza,  almeno  in  ordine  aireifettOjdeireflc*   re  bene  intefa,e  pratticata.   Si  mifuri  il  giro  di  vna  ruota  del  carro,  o  carezza,  e  fia  per  efempio  di  I  o.  piedi,  cioè  di  due  paflì  ^  all'afle  di  quefta  ruota  A  B,  come  fi  vede  nella  figura,  fia  vn  dente  C.  fopra  all'afTe  fia  vna  ruota  di  5  o.  denti  C  D,  et  airaile  I E  fia  vnito  vn  dente  E  che  morda  vna  ruota  dentata  E  F,  che  farà  la  moftra  del  viaggio  diuifa  per  efempio  in  12.  parti,  e  ciafcuna  diefse  parti  habbia  io.  denti,  che  faranno  in  tutto  1 20.  Nel  centro G  fia  vna  freccia  immobile,  che  moftri  il  numero  delle  miglia..  ?  Impcrocheogni  giro  della  ruota  AB,  cioè  ogni  due  pafli  di  viaggio  fi  promouerà  vn  dente  della  ruota  C  D  mediante  il  dente  C,  et  hauendo  quefta  ruota  50.  denti,  dopo  cento  pafiì  di  viaggio  la  ruota  C  D  haurà  fatto  vn  giro  intiero,  e  per  confeguenza  mediante  il  dente  E  haurà  promofso  vn  dente  della  moftra  EFj  &erscndo  dieci  denti  da  vn  numero  ali*  altro,  dopo  dieci  giri  della  ruota  CD  cioè  dopo  mille  paflì,  che    fono  vn  miglio,  farà  promofsa  vn  fegno  intiero  la  moftra  E  F,e  la  freccia moftreràil  principio  del  numero  II.  che  prima  moftraua  il  principio del  I.   Nel  medefimo  modo  fi  può  operare  naulgando  per  aquife  fi  feruiremo  di  vna  ruota  colle  ale  fimilja  quelle  delle  ruote  demoHni,Ic  quali  con  il  moto  della  naue  vrtando  nell'aqua  facciano  girare  la  ruota,che  farà  in  vece  della  ruota  A  B,  fi  che  tutto  l'artificio  confifte  in  fare,  che  il  giro  della  prima  ruota,  che  corrifponde  alla  quantità  del  uiaggio,fia  multiplicatoa  proportione  delle  altre  due  ruote  CD,  et  EFj  il  che  fi  può  fi^rc  in  più  maniere,  gome  ognVno  uede.     L'Arti  Maejlra  di  (Chimica  mofira  la  tramutatione  ie**  Metaltt  j  ^  addita  la  firada  pir  ritrouare   la  ^Pietra  FilofofaU,    fi'   Qon  il  modo    fare  le  vere  Quinte  Efsenze,   j»'Pg  E  Operationi  appartenenti  alla  Chimica  non  confiftor  !6§W      folamente^'come  rtimano  alcuni) nella  tramutatione.  .  V^lpl      de  Metalli,  poiché  ella  è  vn  arte  molto  piii  vniuerfah  -w  ^ÉH^     lacuale  in  certo  modo  abbraccia  anche  la  Mcdicinf^  o  almeno  le    accolta  molto  da  vicmo  per  aiutarla-,  .   e  fi  può  definire  efsere  vn'arte,  la  quale  rifoluendo,  e  riducendt^  tutti  i  corpi  mifti  nèfuoi  primi  clementi,  va  rintracciando  la  natura  d  effi,cfeparando  il  purodairimpuro,edi  quello  fi  ferue  a  perfcttiona-"  ve  i  medefimi  corpi,  et  anche  a  tramutare  vn  corpo  in  vn  altro.  _]  Dalla  quale  definitione  rclìa  manifefto quanto  ampiamente  fi  ftendrf  lachimica  per  tutte  le  forti  de  corpi  naturalijdi  cui  quella  p;.  ite,  c"hl[*  s'afpetta  alli  foli  Metalli,  ha  il  fuo  proprio  nome  di  Alchimia,  prcft"  dal  vocabolo  Greco,  che  fignitìca  Su^o  di  Sale;  Imperciòche   ncllt  fpirito  fugofodel  Sale rificde  tutta  la  virtiì,&  efficacia  de  corpi  miili"  La  Chimica  poi  vien  detta  ancora  Spagirica  dal  verbo  Greco  .  .  che  vai  quanto  dire,fciegliere, ejfeparare  ;  poiché  come  fi  è  d-tcv,  fepara   l'inipurOjC  fciegliere  il  puro,     Altri  la  chiamarono  cabbala  perche  anticamente  fi  cómunicaua  da  Padri  alli  figliuoli  f jlim/ntr  in  voce,  propagandofi  à  pofteri  non  per  hiftoria,  ma  per  fempHc!!  rraditione.  Altri  finalment    diedero  nome  di  Sapienza  ;  perche  nO;^  (cnza  ragione  (limarono  impoflibile, fcnza  tal  arte  ii  poterconofcer  '  perfettamente  Ja  natura,  e 'ic  vii  tu  de  corpi  naturali.  "  ^'Pcr  ojongere  al  fine  da  loro  pi^tefo,  ch'è  il  perfettionarc  i.  cor.  con  la  leparacione  dei  puro  dairimp'.:io,effcrcirano  i   Chimici   vari'.,  operationi, lequali  tutte  fi  poiTono  ridurre  a  Tei  (òrti,che  fono  le   pri     "  cipali.La  prima  èVà  CaUinatìone  con  la  quale  i  corpnl  riduco'io   in  calce, onero  in  cenere .    La  fecondali  chiama  ^olun'one^  con  cui  '  difsoluono  nell'vmidoi corpi  gii  calcinati.   La."terzaèla  DiUiìLuo^  mediante  laquale  fi  purg3,e  fi  rettifica  l'vmido  già  diffoluro,  con.  di{i{  ""^  liarìo  vna  o  p]H  volte;.  La  quarta  vien  detta  Putrejaiuone^con'ìdi  c.u\    10^   fi  difpongono  icorpi,acciò  facilmente  fi  pofTano  fcparare  le  parti  pure dairimpure,che  fono  inei?ì  mefcolatc.  La  quinta  chianiafi  Suùli.  tnaticne,  per  mezzo  della  qtjalc  le  parti  più  fottìi i,  fpiritofe,c  volatili  fono  forzate  a  falire  in  altoj  acciò  in  tal  modo  fi  feparino  dalle  parti  pili  ftfse,  che  rimangono  nel  fondo  del  vafojda  cui  fi  fa  la  fublinutione.  La  lefta  finalmente  è  l'vnione  delle  parti  pure  fpirìtofe,  e  volatili con  le  parti  fimilmente  puTe,ma  fifse;  acciò  tutte  infieme  vnendofi  fi  coagulinoje  dìuenohinotìfse  jonde  vien  chiamata  ConguUtione  ^  «^  JFifsatione ',  polche  in  tal  modo  le  parti  pure  feparate  dall'impure,  ancorché altre  iìano  volatili,  altre  fifse  fi  vnifcono  però  infieme  amicheuolmente,e  fi  congiongonocon  vnfiifoj&  indiflblubile  legame,  et  all*hora  aquiftano  virtù,  merauigliofc,  et  efficaciflìme  ncll'operare  j  la  doue  primOjtale  efficacia  di  operationiveniua  impedita  dalle  parti  impure, nelle  quali  ftauano  come  imprigionate,  e  legate.   Nel  che  fi  deue  auuertire  (  come  diffufamente  difcorrerò  nell'Arto  Maeftra,  trattando  delliElerpenti,  conforme  la  Filofofia  de  Chimici)  che  tutti  li  mifti  da  quelVarte  fi  fcoprono  eifer  comporti  di  cinque»^  fjrti  di  foftanza  3  due  forti  di  foftanza  impura,  cioè,  del  tutto  morta,  e  fenza  alcuna  virtùjO  proprietà  efficace  all'operare^  e  credi  follanza  pura,  nelle  quali  è  pofta  tutta  la  forza,  et  virtuofa  efficacia  propria  diciafcunmifto;  di  quefte due  l'vna  fi  chiama  flemma,che  è  quanto  direvna  foftanza  aqueafenzaaicnn' odore, o  fapore;  l'altra  fi  chiama  capo  morto,e terra  dannata,  cioè,  vna  foflanz,a  terrea  parimente  fenxa  alcun  fapore,efenza  alcuna  virtù:  Dell'altre  tré  poi  l'vria  fi  chiama-.  fale,&clj  fofìianza  più  fiiTa,cosi  detta  perche  refifte  ad  ogni  violenza  di  fuoco,ne  fi  diftiugge,  ne  vola,o  fuaniflfe  per  l'aria  j  la  feconda  vien  detta  oglio,oucro  folfo,  perche  a  fimilitudine  di  efiTi  è  pingue,e  vifcofa;  la  terza  chiamafi  fpirito,  perche  è  più  di  tutte  l'altre  fpiritofa,e  volatilej&  ogni  benché  minimo  calore  la  didìparebbe  per  raria,fe  non_.  fofle  vnitacQnilfale,cheèIa  parte  fifìfa,  mediante  foglio,  che  perciò  è.  di  fua  natura  tenace,  e  vifcido,atto  a  legare  il  volatile  con  il  fido»  Quefte  tre  forti  di  foftanza  pura  fono  quelle,  che  con  altri  molti  nomi  fi  chiamano,  corpo,anima,fpi rito  j  amaro,  dolce,  acido  ifale,foIfo,  mercurio, &c.Et  in  efle  fole  è  pofta  tutta  la  virtù,&  efficacia  delli  minerali delli  vegetabili, e  delli  animali  j con  tuttoché  incialcun  mifto  la_*  quantità  della  foftanza  pura,  in  paragone  dell'impura,  fia  meno—  mifTìma.   Ciò  fi  vedrà  manifeftamente    prenderemo  afare,dirò  cosi,vna_.  diligente  anotomia  di  alcun  mifto,pereflempio  delle  rofe.  Prenderemo dunque  gran  quantità  di  fofe  frefche,  e  fiorite,  colte  nel  leuar   del    I07  del  fole,  quando  fono  anchor  ruggiadofc,cfubitopcfl:ate  in  vnmortaj-o  di  pietra, le  metteremo  in  vafiditerra  vetriati,  e  coprendole  molto  bène,  le  Jafcieremo  macerare,  e  putrefare  fin  tanto  che  uedremo,  e  Tenti remo  dall'odore  efferfi  inacidite  ;  il  che  farà  dopo  dodici,  o  quindici  giornii  Scacciò  meglio  fi  difpongano  alla  fcparatione  del  puro  dall'impuro, ui  aggiongeremo  da  principio  una  poca  quantità  di  fale,  o  cremore  di  tartaro  j  poiché  quefto  penetrando  incide,  ediuide  le  foftan^e eterogenee j onde  poi  più  facilmente  Tuna  fifepara  dall'altra    Dopo queftaputrefattione  prenderemo  una  quintale  fettima  parte    dette  rofe,e  pofteinuafodi  uetrolediftillaremoa  Bagno  maria,  ouero  2  bagno  uaporofo/l'aqua  chenediftillerà  la  rimetteremo  fopra  uil.  altra  parte  di  rofeC  liferuando  però  da  parte  le  già  diftillate,nellt-*  quali  rimane  anchor  l'oglio,  ed'  il  fale  )  e  quefte  dirtilieremo  al  medefimo  modo  cauandone  i'aqua  foprapollaui,  et  anche  di  più  quella,  che  in    contengono  :  quale  di  nuouo  rimetteremo  fopra  altre  rofe,  et  in-.  tal  modo  hauercmo  tutta  l'aqua  rettificata,  e  pura  i  nella  quale  fi  contengono gli  fpiriti,  cioè  la  parte  più  fottile,e  uolatilc  :  che  conuienc»/  feparare  dalla  flemma,  cioè  dalla  foftanz.a  aquea  in  quefto  modo:  metteremo tutta  queft'aqua,o  parte  di  efia  in  vn  vafo  di  vetro, cioè  in-,  vna  boccia  con  il  colio  alto  afl'ai,efpoftoui  fopra  il  fuo  capello, con  il  recipiente  luteremo  benidimole  gionture  :  poi  a  fuoco  Icogieriflimo  di  cenere  ne  caucremogli  fpiriti,reltando  la  fléma  nel  vafo,che  come  m  >teria  più  grolla  ed  impura,non  potrà  co  poco  calore  afcenderc  tanc'alto.  Ma  perche  nuUadimeno  fempre  afccnde  buona  parte  di  flemma  più  fottiÌe,c  leggiera  perciò  rettificarcmo  il  già  diftillato,diftilIandolo,di  nuouo  in  vafo  non  men  alto  del  primo,  e  con  calore  più  moderato,  nel  modo  che  fi  fa  conlofpiritodi  vino,  pigliando  folo  quello,  che  afcende  più  facilmente, e  ciò  replicando  più  volte;  poiché  alla  fine  hiueremo  benfi  vna  piccola  parte  di  tutta  quella  foftanz,a  liquida,  ma  clla^  ixrì  tutta  fpiriti  il  che  fi  conofcerà  non  folo  da  vn  frag^rantiffimo  odore,  che  fpargerafi  per  tutta  vna  ftanzacon  folo  aprire  iìvafo;  ma  anche  perche  auuicinatogli  vn  lume,  arderà  tutta  nel  modo,  che  fi  l'aqua  vi?^  più  fina.  Conferueremo  dunque  quefta  parte  fpiritofa,,chepcrfefoìa  ha  infinite  virtù,  j  e  l'altra  maggior  parte,  eh*  è  la  flemn^a,  la  gettarc-mo  fopra  le  rofe  già  diftillate,aggiongendoui  anche  alcr'aqua  rofa,  ofl^-pa■  ma  fimile  per  cauar  da  cflè  rofe  l'oglio  ;  il  che  fi  farà  diftillando  a  fuoco di  ccnerijcon  calore  alquanto  galiardo;  poiché  in  tal  modo  difìillarà  infieme  con  la  detta  flemma  anche  l'oglio,  il  quale  via  via    andrà  da    fteflb  fcparando,  e  nuoterà  in  cima  alla  flemma  in  coloraureo,.  e  bcnchcla  quantità  di  quefto  faràpochiftìma,  cioè  vn  oncia  incirca,  a   poco    Jo8  poco  più  per  ogni  pefo  di  rofe,  et  ynafola  quinta  parte  dello  rpirito  ludetto,  hauràperò  maggior  virtù  dello  fpirito  medefimoje  di  tutto  il  rimanente .  Si  fepari  dunque  ;  e  fi  conferui  l'oglio  da  per  fé,  et  anche  la  flemma:  poi  s'abbrugino  le  rofe  rcftate  nel  vafo, dalle  quali  fi  è  già  cauato  l'oglio,  e  lo  fpirito  j  e  ncil'abbrugiarle    gl'aggionga  vn  poco  di  folfo  ;  ridotte  che  faranno  in  cenere,    le  dia  fuoco  gagliardo  acciò  diuenti  bianchinfima;  Quella  cenerefi  ponga  in  vafo  di  vetro,  o  di  tew  ra  ben  vetriata,  e    le  metta  fopra  la  flemma  fudetta  j  poi  fi  faccia  bollire molto  bene, fin  che  la  flemma  habbia  cauato  dalle  ceneri  il  iale  :  All'hora  fi  coli  percartaemporetica,efimettaadiftiIlare,e  fenecaui  la  flemma:  e  refterà  il  fale  puro  nel  fondo  del  vafo  :  le  ceneri  fi  calcinino di  nuouoa  fuoco  gagliardo  di  reuerbero,edi  nuouofìfaccino  bollire con  la  flemma  :  poiché  qucfl:a  cauerà  dell'altro  fale;  e  qucfta  operationefi  replicherà  più  volte,  fin  chele  ceneri  rcftino  del  tutto  priue  di  fale:  cquefìefonola  terra  dannata,  cioè  la  fofì:anxa  terrea  impura;  fi  che  farà  terminata  tutta  la  feparatione  delle  parti  pure  fpirito,  ogh'o,'  e  fale,  dalle  parti  impure  cioè  dalla  flemma  aquci,edcilla  terra  dannata,© capo  morto.  Ma    il  fale  non  fofie  puriflìmo,  per  farlo  tale,  fi  folua  di  nuouo  nella  flemma,fi  coli,  e  fi  congeli  con  farla  euaporarc,  o  difl:illare,  e  quefta  folutionc,  e  congelatione  fi  replichi  più  volte,  et  haueremo  vn  fale  purismo  in  minor  quantità  dell'oglio, ma  di  maggiore  virtù.  Qdcilc  tre  pure  foftanze  ciafcuna  da  per    fono  efficaci flliTie:  ma  molto  più    fi  vniranno  infieme,  formando  vnà  Quinta  elTenra,  il  che  fi  fa  in  quefta  maniera  :Pongafi  il  fale  puro  in  vn  vafo  di  vetro  col  collo  affai'  Jungo,epoftoa  moderatiffimo  calore    «li  ponga  fopra  vna  parte  di  oglio;continuifiil  calore  con  il  vafobenchiufo,(ìno  che  fia  l'oglio  perfettamente vnito  al  fale,  poi  fi  aggionga  vna  altra  parte  di  oglio,  e  fi  continuiladecottione,  ecofia  poco  a  poco  fin  tanto,  che  tutto  i^ogiio  fiafiben  incorporato,&abbracciatocon  il  fale:  all'hora  fi  aggionga  parte  dello  fpirito,  e  fi  operi  via  via  lentamenre  nel  medefimo  modo  che  fi  è  tenuto  con  l'oglio  j  poiché  cofi  quelle  tre  foftanzc  pure  del  fale,  ogiio, e  fpirito  fi  abbraccieranno  infieme  con  vn  vincolo  indiflblubile  talmente, che  ninnartele  potrà  più fepa rare, e  germoglieranno  da    medefime  in  rofe  benché  chiufe  in  uafi  di  uetro,  operando  prodigi  in'  medicina*,-.«..ì.jìì^  *.i- ^u>ì -ii.qoi   Da  ciò  fi  vede  come  la  Chimica  rifoluai  córpi'ne  iìiòi  pirmi  priti-'  cipij,&  elementi,faccndone  anatomia,  in  ordirle  a  conofcere  le  quialità   '  poi  che  ciò  che  fi  è  detto  delle  rofe  vale  di  tutti  gl'alti-i  vegetabili  j  E  anche  delli  animali,c  dclli  minerali;  benché  in  quefti  fia  più  difficile  li  feparatione  della  materia  pura  dali*inipura,e  fi  richiedcano  diuerf«->^^   opc  ìo9   ope'rationi  ;  delle  quali  diicorrcremo  altrouc  ;  e  fi  vede  parimente  ifi_.  qualmodofi  facciano  le  vere  quinte  eflen/.c,  le  quali  alerò  non  fono,  che  vnafollanza  pura  liberata  da  ogni  materia  impura,  e  che  eflfendo  prima  diuifii  intrediucrfe  fodanzc,  fi  fapoivna  fola  con  vn  vincolo  indifiblubiie  di  tutte  tré.   Ma  ricorniamo  alle  opcrationi  de  Chimici  in  ordine  alla  tramutatione  de  metalli  j  per  le  quali  innumerabili  fono  grinftrumenti,  che.-»  adoprano  tanto  Vafi,  quanto  Fornelli,  eoa  i  quali  benché  facciano  molte  cofe  vtili  alia  Medicina  j  in  ordine  però  alla  Pietra  Filofofica_,,    conofccflero  la  vera  ilrada  per  la  quale  imitando  la  natura  si  de  caminare,  lafciarebbero  da  parte  tante  ftorEe,Iambichi,  Vafi  circulatorij,  oui  FiÌofofifici,Vafi  di  Ermete,  forni  d'Atanor,  forni  otiofi, di  fafione,  di  r!uerbero,dicalcinatioae,  di  digeftione,  e  che  so  io  5  ne  fi  feruirebbero  di  alcun  fuoco  violento,con  cui  vanno  in  fumo  i  denari,  e  le  fperanze  di  nioiti,refi:andogli  la  fola  caligine  nel  volto,  e  la  triftezza  nell'animo d'hauer  coni  mantici  foffiato  viadal  cruciuolo  il  mercurio, e  I*crodallaborfajmentre pazzi  credono  alNume  delle  bugiejeftimano  che  vn  Dio  de  ladri    per  arricchirli.   Ducpoifonoleihade  perlcquali  procede  la  Chimica,  in  ordin,;    .a    òi    n'incontro  volendo  tramutare  il  piombo  in  argento  vino,  fi  metterà  il  piombo  invnvafo  di  terra,  che  non  fu  vetriato,  ma  molto  ben  lutato  ;  vi  fi  mette  lopra  il  cape]lo,nella  parte fuprema  del  quale  fia  vn  piccolo  forame,  e  fcglVnifce  vn  gran  recipiente, in.  cui  fia  buona  quantità  di  aqua  ;  fi  colloca  fopra  vn  fornello à  vento,e  quando  dal  fupremo  forame  predetto  incomincia  ad  vfcire  il  fumo,fubito  fi  chiude  con  diligcnra,efiaccrefce  il  fuoco  potentemente j  poiché  in  tal  modo  il  piombo  fi  difilla  conuertito  in  argento  viuojmadavna  libra  di  piombo  non  fi  caua  più  di  quattro  oncie  d'argento,  viuo .  .    ^^^u  ^.y,     ^ ^   Ouero  piglia  calce  di  piombo,  fatta  come  fòpra  con  ilfale,o  falnìtro,  gettala  in  aqua  bollente,  fi  che  la  calce  deponga  tutto  il  falt-^j  poi  feccatafi  metta  in  aqua  di  fale  armoniaco  difloluto^  in  cui  fia  alquanto  di  cake  di  fcorze  d'ouo,  e  chiufa  ogni  cofa  in  vafo  di  vctr©  fifepelifcafottoiJ  fimo  per  i^.giorni^e  ritrouerafsi  il  piombo  mutato in  argento  vino»  :L^c?ì!   ;   '-'-;'  /^rr-y}}   li  023!J.'":  .,  Ff   Tir.    ^'"^  TRAMVTATIONE    P    tD/  SitAgno  in  aArgcnto,   Rendafi  vn  poco  di  ftagno  d'Inghilterra  fino,e  purgato,  fi  chiuda invna  palla  di  creta  tenace,  cioè,  fi  luti  tutto  d'intorno  la  ftagno  con  luto  fortiIIìmo,che  non  crepi  al  fuoco.  Poi  fi  Hqucfaccia  vna  buona  quantità  di  argento  in  vn  crogiuolo;  all'hora  fi  metta  la  palla  di  cicta,ofia  (lagno  lutato,  e  prima  ben  caldo,  acciò  non  crcpi  dentro  Targento;  et  acciò  fi  fommerga  nell'argentoliqucfatto,convn  ferro  vi  fi  prema  dentro  a  poco  a  poco,  e  vi  fi  tenga  immerfo  per  meno  quarto  d*hora  incirca;  fi  leui  il  luto,  e  ritrouerafli  lo  ftacrno  mutato  in  vero  argento;  mafiauuerta,che  quell'argento  in  cui  fu  immcrfa  la  palla  refta  talmente  infettato  da  maligni  vapori  dello  fl:agno,che  poi  purgandolo,  e  copellandoIo,fe  ne  perde  altre  tanto,e  più  di  quello  che  fi  è  guadagnato;  non  rcfta  però  che  quefta  non  fia  vera  tramutatione,  poiché  non  fi  può  dire,  che  lo  ftagno  penetri per  la  creta  nell'argento, ne  che  l'argento  penetri  ou'  era  lo  ftagnoj  ma  il  folo  odore  dell'argento  comunicato  allo  ftagno  penetrando lo  muta  in  argento,e  l'argento  vicendeuolmente  riceuendo  i  va  pori  dello  ftagno  refta  infettato  da  quelli;  onde  chi  ritrouaffcjil  modo  di  riparare  quefto  danno  con  purgar  prima  lo  ftagno  da  quelli  alici  maligni,  ò  eoa  aggiongere  all'argento  alcuna  cofa,chc  rcprimefse  tali  vapori,  hauerebbe  vn  gran  fegrcto.  TRAMVTATIONE   r    -1   .1   D*QAr gerito  viua  in  vero  Argenta .      .-t   /-»    o    P Rendafi  del  Minio,ouero  altra  calce  di  piombo;  fi  mcfcoli  con  eflaCinabro,ouero  argento  viuo,e  Solfo,  de  quali  fi  compone  ilCinabrojfi  metta  in  crogiuolo,  e    gli  dia  fuoco  prima  moderato, ma  quando  comincia  à  fumare, e  volar  via  Targcnto  viuo  con  il  folfo,fe  gli  dia  fuoco  potentiftìrao  ;  reftarà  confumato  tutto  il  folfo,eIa  maggior  parte  dell'argento  viuo,reftando  nel  crogiuolo  il  piombo,  il  quale    fi  metterà  alla  copella,  confumato  che  fia,  reftcrà  qualche  parte  di  argento,  ma  non  tanta  che  l'opera  fia  compenfata  dal  guadagno.,      %   Quefta,&  altre  fimili  fperienzehò  prouate,&  vedute  con  gli  occhi    chi  miei,  onde  non  mi  rimane  alcun  dubbio  intorno  alla  poiTibilid  della  tramutatione  de  metalli:  Refta  ch'cflaminiamo  vn  altra  che  fi  ftiaia  tramutatione  di  ferro  in  rame,  TRAMVTATIONE   di  ferro  in  rame,   SI  prendano  laftre  di  ferro,  e  fi  pongano  in  aqua  vctriolata,  nella  quale  ftandoimmerfefi  irruginifconojfirada  quella  rugine,che  farà  poluerc  roifa,!!  fonda  in  vn  crogiuolo,  e  troueradì  effer^-r  rame  perfetto.  Quindi  fanno  il  medefimo  effetto  alcune  aque  ch^-»  naturalmente  fono  vetriolate,  perche  paffano  per  miniere  di  vetriolo;  come  fono  quelle  di  vn  fonte  non  molto  lontano  da  Leiden,  e  di  vn  altro appreflbilCaftclloSmolentzchi  della  Mofcouia;  Del  quale  Giorgio Agricola  Lik  ^.  de  natura  foffìlium  dice  quefte  parole;  Expuieoextrahimr  atjuay  ^..,:..  '^i^^ì 'j^ai^m^ÙB  cij^nz^   Aggiongo,  cheDio  perla  Prouidenw,  che  ha'  Ù^r^ìffi^m^.h\h:,  mane  non  deue  facilmente.  pcirinecter.e,,;ch,qiOiQltia!qiii{yjn^,qtìe^*»>;  art«,e  particolarmcnteiiPjenjci.pi  gfandija:ehfifi ^(geifltp^tefe^'ei cA't?à'a)^ter€Q!n  a  chi  più  li  pia(;e,non'perme^9r>d0r;  pwomaÌ€hefifascci;atCQmune:.3:tmiolti ..  Aggioflgafijcbe-ai  cioreoftr.,  cQirre  il  pericoloni  Qhi,  la  pofl[4edLe>fe  peraiiuemura  fijrifapfta>«:diC(Hmalarla,  .0  z^?  i.nc::^'b  "    r  Sì-ì  r    ijii!  '••^-Yir/.|   Hor  per  direalcuna  cofa  del  modo,chc  fiha  à  tenere  per  aqui»,  ftarla  jfi  de*  auuertiie,anzi  tenct  per  fermo,  ch'ella  tutti»  cplìjQ/le  ìa  (puerili  due  precetti, che. commuaemente  danaoi  maeftn^  f^  j  InxHmfiat  n/olatflii;  ^  iterftm/VQlaitile  fiat  fìxum  :   E  voglioBKir  dire,.  chr  dall'oro  oéairargenta  fi- Qawi  la  femcnza,  difsolueado  l'oro,  o  1' e*.-:  Gg  argen     ar»cnco,che  fono  corpi  fifìfìjC  permanenti  alfuòcov  perilche  è  aeceflario  ch'cfib  meftruo,e  liquore  apra  i  pori  dell'oro, e  vi  penetri  dentro  amiche«olmente,  feparando  eflTa  foftanzi  vmida  dall'altre  parti  pura,  ed  illefa  ;  e  per  confeguenia  il  mef—  iruojfe  ha  ad  operare  in  quello  modo,conuienejchefiavna  foftanza  tenuiffìma,acciò pofta entrare  peri fottiliftìmi  pori  dell'oro;  ed  in  oltre  congenca   all'anima  medefima  dell'Oro,  acciò  non  Toffenda,nela  diftrugga,maamicheuolmcnte,e  fimpaticamente  penetrando fi  vnifca  con  elf3,e  la  fepari  dall'altre  parti;  In  tal  modoqucfta  foftanza,  che  vnita  prima  alle  parti  impure  reftaua  fifia,  e  pertinace  al  fuoco,  slegata  da  efle  diuenta  volatile,  et  a  fuoco  leggiero  afcende,  ediftilla  per  il  Lambicco,  come  più  d'vna  volta  io  ftcfso  ho  vedut»  per  ifperienza.   E  quefto  è  il  far  diuentar  volatile  quello  ch'era  fifTo,  nel  che  ftimafi  efsere  la  maggiore  difficoltà  di  tutte  l'altre»  talmente, che  afserifcono  comunemente  eftere  più  difficile  il  diftruggere l'orOjche  il  farlo,' poiché  quando  alcuno  habbia  ri  trouato  quello meftruo,  e  ridotto  l'oro  in  prima  materia,  diftruggendolo  coii_p  mantenere  intatta  lafua  anima,  onero  Temenza,  riefce  facile  l'adempire il  fecondo  precetto, che  confitte  in  fifsare  di  nuouo  queft'ani ma>    119   ma,  che  di  fifsa  è  ftata  fatta  volatile,  il  che  fi  fa  in  quefto  modo.  Pigliali  Oro  finifsimo,  fi  riduce  in  calce,   cioè, in  poluere impalpabile rubicondifsima,  ilchefi  fa  in  molti  modi, come  diremo  aitroue,  ma  particolarmente  diftillandoli  d'addofso  più  volte  Targento  viuo  prima  purgatifsimo  »   Sopra  quefta  calce  di  oro  purifsima,  fi  va  mettendo  a  poco  a  poco  la  fopradetta  anima,  ò  fia  fcmenra,  ò  prima  materia  di  oro,  tenendola  in  vn  calore  moderatifsimo  dentro  vn  vafo  figillato  ermeticamente  j  quella  imbibitioncjche  chiamano  inceratione, fi  dee  continuare  fintanto  che  la  calce  d'oro  non  poffa  più  bere  altr'anima,  il  che  farà  dopoché  vna  parte  ne  hauerà  beuutecinque,piìì  ò  meno  conforme  farà  più  ò  meno  pura  j  in  quefto  modoqueiranima,ch'cra  volatile,  vnita  a  poco  a  poco  con  il  corpo  fifsoanch'efsafivà  fifsando,  ma  fi  de'auuertire  diligentemente  d'inftillarla  a  poco  a  poco,lafciando  fifsare  la  prima  parte,  auanci  che  fi  aggionga  l'altra  ^altramente  in  vece  di  fifsarfi  farebbe  diuenrar"^  volatile  anche  la  parte  fifsa,  cioè,  la  calce  fudetta  j  cosi  refta  nutrita  l'infante  come  parlano  i  Chimici, per  poi  pigliar  forze,  e  coronarfi  monarca  di  tutti  i  metalli;  il  che   fa  mentre  fi  va  continuando,  ^  accrefcendo  graduatamente  il  calore,  fin  tanto,che  la  materia  diuentirubicondifsimacomc  vn  rubino, s'ella  è  pietra  fatta  con  l'animi..  diOro,ouero  candidifsima  come  vna  perla  s'ella  e  pietra  fatta  eoa  l'anima  d'argento.  Et  all'hora  quefta  pietra  non  teme  più  alcuna^*  violenia  di  fuoco,  anz.i  da  cfso  piglia  maggior  vigore,  che  però  la  chiamano  Salamandra .    Efscndochc  dunque  in  quefta  pietra  cinque  parti  di  foftanza  feminale  purifsima  fono  perfettamente  vnite  ad  vna  foia  parte  di  Oro  puro,  come  cinque  anime  in  vn  fol  corpo;  ella_»  aquifta  virtù  di  moIti.p.'icarc,e  produrre  frutti  copiofi  sì,  che  vna  fola  parte  può  tramutare  cento, et  anche  mille,e  più  parti  di  altri  Metalli  imperfecti  j  non  può  già  perù  tal  virtù  moltiplicatiua  crefcereiiL-.  infinito,  come  afserifcono  communemente  ;    ma  della   moltiplicatione  della  Pietra  in  virtù,  ed  in  quantità  parlerò  altroue.   Refta  dunque  folo  di  ritrouare  vn  meftruo  proportionaro  alla  folutÌGne,e  riduttione  dell'Oro  in  prima  materia,  il  quale  dico,che  ■OH è  altro  che  vna  fcmenza  dall'Oro  medefimo  :  cioè,  vn  vmido  radicale  metallico  fottile,pefantc>e  pingjje,  il  quale  fi  ritroua  in  molti  corpi  metallici, ma  diftìcilc  a  fepararfi  puro, netto,cd  intatto;  ncll'argcmoviuofolamentefiha  più  copiofo^e  più  puro  che  in  alcun'altro  corpo,cccetto  che  neiroro,e  ncH'argento  medef{mo;onde  chi  vuo-i  le  operare  più  accertatamente,  e  can,iinare  per  la;  vera  ftrada,fton  fi  ferua d'alcun'ahra  cofa,chc  del  mercurio,^  dell'oro  ;  perciochc_->   quefti    0  2I ^uefti  fono  i  corpi  più  amie  abili,  fi  come  in  Cielo;  gx';*ì  and  hr  \nLi>'.terra;  che  però  vno  s'accofta  volontieri  all'altrOjC  l'abbmcd.i*,.  «i^^fé  Tinlìnua,  come  vedcfi  per  ifperienza  ;  E  cioèsì  vcro,clie'altlitii'ra'  ifnperfcttej  e  nel  fu«  prim/>  ftifcere,cd  jnquéftéla  Natura  ha  beri  si  difpofta  la  fetncnza,  ma  non  ha  antera   -j^  per    per  mexzo  di  efsa' maturato  il  frutto  ^  Perciò  non  efìfendo  ancora  quella  fé menza,o  prima  materia  deiroro,  ftrcttamente  legata  all'aU  tre  foftanze,  con  cui  formafi   l'Oro  perfetto,  e  maturo ^  ci  fari  facile  dottenerla,eilraendola  da  ogn'altrafothnza  minerale  Impura.  Non  dirci  quefto,  fc  io  mcdefimo   non  hauedi  hauuro  fortuna  di  hauerc  alqnanta  di  vna  fimile  miniera,  dalla  quale  con  noa  molto  artifìcio  fu  canata  vna  poca  quantità  di  certo  liquore  aureo,  che  era  la  vera  fcmenià  di  oro,  ma  per  non  cffer  conofciuto,  tutto  fu  confumacocon  g'^ttarlo  fopra  vna  quantità  di  argenco  vino  bollente, il  quale  tutto  fubito  congcloflì,  et  accrefciuto  il  fuoco,,  refta*  l^ono  cinque  parti  di  efìb  perfettamente  fido,  cioè»    a    dire   vna  inciz' oncia  di  quei  liquore  fifsò,  due  oncie  e  mezza  di  argento,viuoj  che    foffe  flato  n)aggiormentc  depurato,  e  poi  congionto  come  anima  al  fuo  corpo  proportionato,  farebbefi  con  eifo  potuto formare  la  vera  Pietra  j  ma  fm  hora  non  ho  mai  potuto  ritrojuare  altra  miniera  fimilq  a  quella,  e  perciò  atta  a  quefto  fi nc^  Ch'intende  bene  quanto  fm  qui  (i  è  detto  non  ha  bifogjjo  d'sicro,  ckedi  elfer  fauorito  dalla  Diuina  Prouidenza  si,che  gli  pei:aii:?:ta_,>  ilritrouare  vnafimile  miniera  di  oro,  ouero  d'argento; ma  ricordili,!  jehe quello  è  dono  fiagolare  di  Dio,  che  fùole  concedcFlo  folo  a  ^erfone  di  retta  intenciOne,  acciò  non  ne  nafcano  que'difordini,fhe  come  fi  è  detto  kreUhcro  co^jtcarij  a  iiìoi.jleUaj4ia.PxQui--jdenza,  :)'>.-.-ìì-v'I   r-;--:-.:?  •^:  ;-:n?1  p-5n'i:n:c%i:»   Retta  che  per  vltimo  fi  rifponda  alle  obiettioniiche  fogliono  fjrdcontro,  la  poflìbilità  della  tramutationp,benchequì  non  farebbe  neceflfario  hauendone  già  vedutala  manifefta  ifperienza. Dicono  prr-i?.  jìiieramcnte  con  S.  Tomafo  i.fent,  di/ì.j.qua/i.^.art,  i^SiC  i^e  Pot.(j.6, artt  I.  con  Egidio  in  ^.^uod^  q,S,  Auerroe  m  prìmum  ltl>r»m  de  gin,amM,Si  Auicenna  in  Comm.Meiheor,  che  Toro  fatto  per  artt->  chimica  non  è  vero  oro  3  poiché  la  vera  forma  dell'oro  non  fi  può»  introdurre  nella  materia    non  per  mezzo  del  calore  Celcfte,  e  folare  ;  onde  effcndo  il  calore  del  fooco,  di  cui  fi  feruono  i  Chimici  molto  diucrfo  da  quello  feguita,  che  non  pofla  ge-nerare  vero  Oro.   Al  che  rifpondo  primieramente,  che  il  calore  del  aoftro  fuoco  jioaè  infpecie  diuerfo  da  quello  del  Sole,e  delle  Stelle,  eflendo-^  the  produce  molti  effetti  del  lutto  fimili,,  come  moftrerò  di— :  ftejfamcnte  nell'Arte  Maeftra,  e  per  confeguenza  può  produrre  ancor  Toro .  Aggiongo,  che  con  i  raggi  del  Sole  difcende  fino  alla .  l^oflra  terra  vna  puriffima  (oftanza  Celefle,come;  dirò  altroueyla,^  ^laqof  Hh  quale    122   quale    alcuno  ritroHcrà  modo  di  pefcarla  in  quefto  vafto  oceano  dell*  aria,c  ridurla  in  liquore  vifibilc, egli  haucrà  la  chiauc  di  tutti  i  fegreri,  e  farà  quafididì  padrone  della  natura, che  di  vna  tal  foftania  fi  fcruc  per  fare  tutti  gl'effetti  5  e  mutationiche  noi  vediamo  marauigliofiin,,  quefta  noftra  baila  terra.  *'^»j  ^J  ^    in  fecondo  luogo  oppongono  con  Egidio,c he  quelle  cofe,  le  quali  fono  perfette  in  alcun  genere,  hanno  vna  fola  determinata  caufa  della fua  generatione  j  l'oro  tra  tutti  i  metalli  è  perfetti  (Timo  j  dunque  io-.  vniol  modo  fi  potrà  generare,  cioè  in  quello  che  adopera  la  natura  j  donquc  non  fi  può  generare  dall'arte.   Rifpondo  che  l'arte  chimica  non  fa  che  Torojacui  ella  coopera,non  proceda  da  quella  caufa,c he  dalla  natura  gl'è  ftata  determinata,  parlando della  caufa  prodìma  ed  immediata  j  poiché  quefta  èia  fetenza  dell'ore,  la  quale  opera  naturalmente  anche  quando  Tarte  vi  coopera;  onde  il  chimico  altro  non  fa  che  cauarc dall'oro  la  femenza,  et  applicarla a  corpi  proportionati,  con  i  quali  vnita  poffa  render  il  frutto  mulciplicaiojin  quel  modo,  che  l'agricoltore  non  produce  egli  i  frutti,ma  difpone,eprcparala  terra,e  la  fcmenia  vncndoli  in  modo, che  fruttiBchino,   TerjQ  oppongono  che  il  luogo  della  generatione  de  metalli  è  determinato in  tal  modo,chela  natura  li  produce  fempre  nelle  vifcerc-^  della  terra, doue  concorrono  tutù  gì*  influffi  celefti,come  a  centra  commune  a  tutti  j  e  per  confeguenia  l'oro  non  potrà  generarfi  fuori  delle  vifcere  della  terra,   Rifpondo  che  il  luogo  della  generatione dell*oro  non  è  tanto  determinato, che  non    polla  produrre  anche  fuori  della  terra,  purché  vi  fia  materia  difpofta,e  proportionata  a  riccuere  in    la  la  femenza  dell'oro j(ofi>  le  altre  femenze  di  erbe,o  piante  portate  fopra  i  tetti  delle  cafe,  pur  che  ritrouino  terreno,  o  materia  in  cui  germogliare  producono ifuoi  fol  iti  frutti.   Quarto,  Dicono  che  l'arte  non  può  mutare  vna  foftaniain  vn  altra diuerfa  in  fpecic  :  poiché  il  far  ciò  appartiene  alla  fola  natura.   Rifpondono  alcuni  che  vn  metallo  non  è  diuerfo  in  fpec  ie  dairaltro:  ma  benché  fia  diuerfo,dico  non  cfler  l'arte  che  lo  tramuta,  ma  la  natura aiutata  dall'arte  j  poiché  l'artefice  altro  non  fa  che  applicare  vna_j  materia  all'altra,  dalla  quale  debita  applicatione  prouitne,  che  vna  foftanza  muti  in  feftefla  l'altra,  a  cui  fu  congionta  dall' artefice.  Coiì  lafemenza  dell'oro  congionta  come  conuiene  al  mercurio,  lo  tramuta  in  oro,  in  quel  modo,  che  la  femenza  di  grano  congionta  alla  terra  tramutala  terra  medc^ma  in  grano  «Quindi  fi  dice,  che  Tarte  non  fa   l'opere    roperechc  fa  la  natura,  ma  folo  modifica  la  natura  medeflma,  dcterminandt)Ia  ad  operar?  più  prefto,©  più  tardi,in  queflo,o  in  quell'ai*  tro  modo  ;  come  ucdefi  in  molte  arti,  e  particolarmente  in  quella  dell*  ineftare  un  albero  fopra  l'altro  .  ' epe  parimente  quando  dicono  non  poterfi  dall'artefice  far  l'oro,  per  non  fapcr  egli  la  proportionedelli  elementi  che  lo  compongano,  ne  il  temperamento  delle  qualità,  ne  gli  ftrumenri,  de  quali  la  natura  fi  fcrue  :  fi  deue  rifpondcre  non  edere  neceffario  il  fa  pere  tali  cofe  :  poiché fatte  non  opera  immediatamente  gl'effetti,  che  fono  della  natura,  ma  fole»  li  porge  la  materia,    quale  fc  prima  fia  ftata  preparata,  «_->   difpofta  dairarte,  U  natura  opera  in  efifa  più  facilmentCo  ed  in  modo  ftfaordjnariovsrr  rs«Rv   pi  Finalmente  o,ppongoiio  alcuni  che  noi  non  potiamo  fa  pere    l'oro  chimico  fia  vero  oro', con  laverà  forma  foftantialc dell'oro:  poiché  dicono  potrebbe  cflere  che  faflTero  mutati  folo  gl'accidenti,  onde  fQflcoroapparente.afìini^iO'   >fl     Al  che  rifpondo  che  nelle  cofe  Bfichc  non  fi  può  hauere  maggior  ccrtewa  che  quella  che  ci  danno  concordemente  tutti  i  fenft,  i  quali  conofconoU  foftanz,e  dalli  foli  accidenti  :  onde  quando  apparifcono  tutti  gl'accidenti  di  vcfo  eroj l'intelletto  naturalmente  deue  aflerfrc  ch'egli  fia  vero  oro, quando  la  fede  diuina  non  li  diceflc  il  contrario,  Aggiongo  che  loroficonofce  più  intimamente  che  dalli  accidenti  cfterni,  facendofcne  varie  proue,c  faggi  che  da  Gebro  fi  riducono  a  noue,  e  fono  Tinfocarlo,  l'eÀinguerlo,  il  fonderlo  j  IVnirfi  ch'egli  fa  ali*argento  viuo,  poiché  il  vero  oro    glVnifcc  più  facilmente  ;  il  mcfcolarlo  con  materie  adurenti  :  il  porlo  fopra  vapori  acuti  ;  il  metterlo  alla     Due  forti  di  Medicamenti  diftinguercmo  nell'Arte  Maeftra,doue  irattaremo  della  Medicina  ;  IVna  è  di  quelli  i  quali  operano  per  fimpatia  che  hanno  con  gl'vmori  veneBci,che  fparfi  per  il  corpo  cagionano le  infermità,  quefti  fono  i  Medicamenti  purganti, che  tutti  ihanao  del  vclenofo,anziènece(farioche  habbiano  in    foftanra  ve»  nefica  per  poter  efser  purganti  j  Impercioche  per  la  fimpatia,  che  hanno  con  l'altra  fimile  foftanza  venefica  fparfa  per  il  corpo  infermo.ìa  rifuegliano,  la  muouono,e  la  tirano  a  fé, onde  laNatuta  del  corpo  humano  per  mezzj^  delia  facoltà  efpulfiua  fcaccia  poi  dal  corpo con  il  Medicamento  anche  la  foftanza  venefica, che  cagionaua»»  l'infermità;  cosi  ilDiagridio,per  eflervn  veleno,  il  quale  ha  fimpacia  con  Thumore  venefico  picuitofo,  prefo  per  Medicina  s'infinua^  Uiagneticamentc  nella  pituita, e  fi  vnifce  con  efia  rifuegliandola_*,  commouendola,&  eccitandola, onde  la  Natura  fentendofi  opprefla  da  doppio  remico  tumultuante,  e  minacciante  Teftintione  del  caler  naturale, quefto  tutto  fi  raccoglie,  fi  vnifce, e  refiftendo  fa  forza  al  oemicoje  lo  difcaccia  da  fc;  onde  auuienejcheilDiagridio  vfcendo  dal  corpo  tira  feco  ancor  l'iltro  veleno,  a  cui  fi  era  vnito  fimpaticamente.  U  aiedefimo  accade  del  Rcubarbaro  in  lordine  alla  flaua   bile.    bile,  deirTurbit,  ElIeboro,&c.  in  ordine  all'altra  bile,  e  cosi  di  tutti  i  Medicamenti  purganti,  i quali  non  purgano  fen za  contrailo  con  la  Natura,e  perciò  fcmpre  con  debilitamento  delle  fue  forze.   L'altra  forte  di  Medicamenti  è  di  quelli,  li  quali  operano  per  anriparia  che  hanno  con  le  qualità  venefiche,  e  maligni  vmorifp^rfi  per  il  corpo  :  Quefti  per  confeguenza  hanno  fimpana  con  la  Natur^^  humana,cioè,J  dire  con  il  calore  naturale,  e  con  Tvoiido  radicalt»ji;  onde  vnendofi  a  quefti,&  accrefcendofì  le  loro  forzc,iì  accendono  CGntroiInemico,rinueftono, e  lo  difca^ciano  lontano  dallarocca del  cuore,  et  anche  del  turca  dal  corpo,  che  è  come  la  città,  di  cui  impadronito rentaua  (orpendère  la  fortezza  del  cuore  .  Quindi  è,  che_^  quefta  feconda  forte  al  Medicamenti  purga  da  maligni,  e  velenoii  vmori  in  affai  diuerfe  maniere  j^  poiché  fc  tali  m.aligni  vn?ori, e  velenofe  foftanze  fono  fpiritofe,e  fottili  le  purga  per  i  pori  fcaccìandoli  dal  cenrro  del  cuore  alla  circonferenza,  talvolta  per  infen{ibMc;_^  trafpiratione,e  quando  fono  più  vmidi  p  fudore;Sc  poi  fono  vmid!,fTia  più  grollì,  li  fcaccìa,e  purga  per  orinale  finalmente    fono  groflì  e  men  vmidi  purgali  per  feceflo;  ladoue  la  prima  forte    Medica^  iTienti  purga  Tempre  pelfeceffo,o  per  vomito,rare  volte  per  orina,  e  mai  per  fudcre,  ne  per  infenfibile  tranfpiratione.  Di  qui  nafce  ancora, che  i  primi  debilitano  la  Natura  perche  li  fono  contrari)  5  e  purgano con  violenza,e  con  fconcerto  delli  vmori,  e  del  naturale  temperamento; ladoue  i  fecondi  più  tofto  fortificano,  e  corroborano  U  Natura  medefima,a  cui  fono  fimili,  e  purgano  foauemente,  e  fcKzji  rurbatione,  particolarmente  t^uando  operano  per  infenfibilejraBfpiratione,  o  per  fudore .   Da  ciò  che    è  accennato,e  fi  dimoftrarà  diffufamente  a  fuo  luo^o,  ognVn  vede  quanto  piìì  ficuri,e  gioueuoH  fiano  i  fecondi  Medicamenti, che  i  primi  ;  nulladimeno  perche  i  primi  fono  più  facili  arirrouarfi,e  no  richiedono  certe  particolari  preparationi,e  perche  operano potentemente  ;  perciò  fono  più  in  vfo  de  gl'altri  ;  non  operò,  che  non  fi  debbano  più  tofto  adoperare  i  fecondi  j! poiché  quefti    noii  danno  tanta  virtù  alla  Natura,  che  bafìi  per  difcacciare  dai  corpo  Tvmor  vitiofo,  almeno  non  offendono  la  Natura  medefima  ^  e  replicaci più  volte  finalmente  a  poco  a  poco  confumano  affatto  il  nemico.  Ma  quello  che  quifideue  auuertire,  e  perii  che  ho  prcmeffo  quello  difcorfo,è,  che  la  prima  forte  di  Medicamenti  velenofi,  ò  fiano  catartici,© diurerici,o  vomitorij,  non  poffono  mai  effere  Vniuerfali  sì^,  che  fiano  applicabili  ad  ogni  forre  d'infermità;  poiché  purgano  folo  da  quel  veleno  particolare,  con  cui  ciafcun  d'cfli  ha  fimpatìa^ma  ai^   I  i  l'in  l'incontro  gl'altri  Medicamenti,  i  quali  fono  congcnei  al  c«loi  naturale, ed  vmido  radicale,  fono  vniuerfali,  e  curano  ogni  malaria  j  percirche  altro  non  fanno,  che  accrefcere  leforie  abbattute,  e  rinuigorirle,  acciò  la  Natura  medefima  pofla  fcacciare  da    ogni  forte  di  vmori  a  lei  pcrnitiofi.  Di  tal  forte  fono  gl'elixiti,  i  magifteri  di  perle,  o  di  coralli,  i  giulebbi  gemmati,  i  Bezuari  j  ma  benché  qucfìi  in  alcune  forti  d'infermità  facciano  alcun  buon'effetto,  pur  e  he  fiano  fatti  con  quell'artejchc fi  ricerca, nulladimenovedefi  per  ifperienza,  chelo  più  delle  volte  no  hanno  virtù  fofficiente  di  efterminare  l'vmore  morbifii-o^chc  però  1  Medici  ricorrono  alle  medicine  purganti,  che  hanno  del  veleno^  perche  non  hinno  cognitione  di  altro  medicamento,  che  operi  cfficscementc,e  fia  infieme  congeneo  alla  Natura,  onde  iìa  liberata dal  male,fenxareftare  debilitata  dal  medica mento,an?LÌ  fenia  pericolo  di  reftarne  opprefla,   Per  tanto  io  pretendo  di  palefare  qui  vno  fimile  Medicamento,  il  qualeperche,comcfi  è  detto,  operando  con  dar  forze  alla  Natura, e  convna  Virtù  Balfamìca  contraria  ad  ogni  forte  di  qualità  venefica,  o  morbifica  riefce  vciliflìmo  in  ogni  genere  d'mfermitàjperciò  le  diedi  nome  di  Panacea,  che  vale  quanto  dire  Medicamento  Vniucrrfale,  il  quale  fi  prepara  in  queftomodo^   Si  prende  Salnitro  ottimo, e  ben  raffinato^  fi  mette  in  vn  Vafo  di  ferro  a  liquefare  lentamente  al  fUoco  ;  dopo,  che  farà  liquefatto,  fi  piglia  carbone  di  legna  dolce  peftato  minutamente,  e    ne-»  getta  fop-a  vna  poca  quantità,  il  quale  fubito  arde,  e  fi  confuma,  all'hora    ne  mette  vn  altro  poco,  e  dopo  quefto  dell  altro,  fin  che  a  poco  a  poco  il  Salnitro  fi  fifsi,fi  fa  di  colore  alquanto  verde,  bc  il  carbone non  fi  folleua  più  a  modo  di  fiamma,  come  faceua  per  auanti:  All'hora  fig.'tta  ji  Salnitro  fufo  entro  ad  vn  mortaro  di  pietra_«,  che  fia  calda,  acciò  non  crepi  j  raffreddato  che  fia  refterà  bianco  come  pietra  alabafl:rma,e  fragile  come  vetro,  fubito  fi  pefb3,e  la_.  poluere  fi  diftende  fopra  laftre  di  vetro,©  piatti  di  maiolica, li  quali  fi  tengono  efpofl:iairaria,m?^  in.  luogo  doue  non  gli  pofla  cader  lopra  ne  picggia,  ne  ru^giada,ne  fi«no  battuti  dal  Solej  deuono  collocarfi  alquanto  inclinati,  e  pendenti, e  fotto  fi  dee  mettere  vnvafo  per  raccoglierne  il  liquore,  che  vi  caderà  dentro  j  poiché  dopo  alcuni giorni  attraendo  il  Salnitro  gran  quantità  di  aria  firifoluerà  in_.  Ogìio,  e  per  longo  tempo  fempre  andcrà  gocciando  in  liquort^  ;  che    incontrerà  in  ilagione  opportuna,  farà  talvolta  fei,&  otto  volte  più  in  quantità, e  pefo  di  quello,  che.  fofTe  il  Salnitro  medefimo  .   Queft'  C^eft*^Oglio,e  liquore  di  Nitro  è  vn  mezzo  efficaci/lìmo  per  eftrarre  potentemente,  e  con  marauiglia  ogni  elìcnìa  da  tutte  le  forti  di  miftij  particolarmente  fc  farà  rettificato,  e  ridotto  a  maggior  perfetcione  nel  modo,  che  dirò  altroue  .    Intanto  prendaci  quattro,  o  cinque  parti  di  eiTa,  ed  vna  parte  di  antimonio  del  più  perfctto,cioè,  di  auello  che  è  più  vicino  alla  miniera  di  oro,  nella  quale  egli  fuol  gè*  nerarfijeiiconofcedal  colore,  che  in  qualche  parte  rofleggiajfi  ponevano m  vna  boccia  grande  di  vcEro,the  refti  vuota  almeno  due  terzi,  e  rantimonio  fia  macinato  fotti lmente,cd  il  vafo  chiufo  per  modo,  che  non  rcfpiri:    tenga   iodigeftione  a  calore  moderato,come  farebbe a  quello  della  fiamma  di  vna  lucerna,  fin  tanto  che  il  liquor.;  del  Nitro,che  fopra  nuota  all'antimoniojfia  colorito  in  color  di  oro  acccfo,  o  di  rubino  :   all'hora  fi  vuoti  fuori  del  vafo  il  liquore,  fi  coli  per  carta  cmporctica.e  fi  metta  in  vn  altra  boccia  co  collo  lungojvi  fi  metta  fopra  altret3ntaaquavica,chefiafini(fima,c  lenza  f lemma, relUnJo  la  maggior  parte  del  Vafo  vuota, e  fia  ben  chiufaj  fi  tenga  per  alcuni  giorni  iadigeftionc a  moderato  calore,finchc  l'aquavita  tiri  afe  tutta  la  tmtura,  ed  efscza  d€irantimonio,peroc  he  refterà  il  liquore  del  Nitro  nel  fondo  bianco,echiaro,e  tutta  la  tintura  rcfterà  vnita  all'aquavita,  che  fempre galleggia  fopral'oglio  diNitro;fi  decanti  dunquc,e  fi  fepan  l'aquavita  daU'ogliof'ilquale  è  buono  come  prima  per  reiterare la  medefima  opcratione  )  e  la  detta  aquavita  fi  ponga  in  vn  Lambicco, e  fi  diitilli  foauemente,  finche  ne  rimanga  folo  vna_.  fluinca  parte  incirca,  nel  Vafo  inficme  con  la  tintura,  et  eflenza  dell'antimonio;    Overo  fi  caui  tutta  l'Aquavita,  fino  che  rimanga la    fola  foftanza,  dell'antimonio  a  modo  di  fale  fufibile.^.  Quella  è  la  noilra  Panacea  di  marauigliofa  Virtù  per  ogni  forte d'inférmità,dellaqu.ilc    è  reftata  in  liquore    ne  pongano  cinque, ofei  goccie  in  liquore  proportionato  alla  malatia,o  vero  itL*  brodo,©  Vino }  ma    fi  è  ridotta  in  foftanza  confiftente,comc  fi  è  detto,    ne  pongono  trc,quattro,o  cinque  granijconforme  al  bifogno;   auuertendQ, che  l'alterar  la  dofe,&  accrefcerU  molto  più  non  può  cagionar  dapno,anzi  è  neceflario  quando  il  male  è  pertinace 3  poiché  in  tal  cafo  fi  replica  più  volte  pigliandone  femprc  maggior  dofe  tre  volte,  o  quattro  alla  Settimana;  ma  nelle  infermità ordinarie    dopo  due,   tre;  o   quattro    prefe  gì*  infermi  fogliono  guarire  j  ed  in  quefto  modo  io  ho  veduto  rifanare  moltiffime  pcrfone,  che  hanno  prefo  quefto  Medicamento, da  ogni  forte  di  malaria,  particolarmente  da  cjuelle  che  erano  più  inuccchiate,  e  più  difficili  a  curarfi,   come   dalla  febre  cuartana,  del  morbo   Gal  ii8   Gallico  daJIa  febre  Etica,  dairHid»opifia,e  {imill  :  -iNfe  foie  gioua  per  i  n-;ali  intcrnuma  anche  per  gl'efterni  applicato  a  modo  cii  Baiamo lite vlccri,cancrenc,ferite,e  limili.  E  paiimente'vtile  alli  diffttii  della  Vifta,  alla  {ordità,e  fimilr,rpa  ottimo'  riefce  per  lineai  caduco,e  per  ogni  infermità,  ed  indirpofitiór.e  del  capò,  e  dello  ftomaeo, poiché  qiitllo  viene  mirabilmente  confortato, e  quefto  corroborato a  bea  d'gcrire.   Ma  peTì,che  la  feconda  differenza  (la  maggiore  della  prima di  due  vnità,e  fnnilmente  la  terza  della  fecondale,  come  fi  vede  nelle  pofte  differenze    i.  5.  5,  7.  &c.   La  terza  proprietà  nafce  dalla  feconda,  et  è,  che  duplicandofi  la^  radice  quadra  di  alcun  numero  quadrato,  et  al  numero  prodotto  a^  giongendq  vna  vnit3,(;  ha  la  differenza  tra  cffo  numero  quadrato,  e  l'altro proffimo maggiore;  onde  tal  differenza  aggionta  al  quadrato  minore  ci    il  quadrato  maggiore, così  la  radice  del  numero  quadrato 4.  che  è  2.  duplicata,&  aggionta  vna  vnità  fi  ha  la  differenza 5.  che  aggionta  al  4. ci    il  quadrato  9.  proflìmo  maggiore.  Alfincontro,    duplicaremo  la  radice  di  alcun  numero  quadrato, e^  dal  prodotto  leuaremo  vna  vnità  haueremo  la  differenza  tra  effoqua^  drato,  e  Taltro  proffimo  minore.  Ir,  quale  detratta  dal  quadrato  maggiore haueremo  nelrefiduo  il  quadiato  proflìmo  minore  j  cosi  duplicata la  radice  5,  del  quadrato  9.  haueremo  6,  da  cuileuata  vna^  vniti  refterà  5.  cioè,  la  differenza  tra  p.  e  1* altro  quadrato  minore 4.  i:f   La  quarta  proprietà  nafce  dalla  precedente,&  è,  che    noi  diuideremo  la  differenza  tra  due  numeri  quadrati  proflìmi  (  la  quale  come  fi  è  detto  è  fempre  vn  numero  imparo  )  haueremo  due  numeri  l'vno  maggiore  dell'altro  vna  fola  vnità  j  Qi  il  maggiore  farà  la  radice  del   qua  quadrato  maggiore,  fi  come  il  minore  è  la  radice  del  quadrato  n^inore;ccsì  la  differenza  tra  4.  e  p.  che  è  5.  diuifa  ci    a.  e  j.che^  fono  le  radici  di  4.6  di  p.   Porto  quello  fi  proponga  vn  numero,di  cui  fi  cerca  la  radice  qua-"  dra  ;  quale  per  ritrouare  fuppongo,che  ci^  fiano  note  alcune  radici  di  numeri  perfettamente  quadrati  facili fiì me.  Per  cagion'  di  efcmpio  oon'vno  sa  che  ice  radice  di  100. che  lo.eradicedi  4oa.che  30.  e  radice  di  900.  e  40.  e  radice  di  1 600.  &c.  Sia  dunque  propeso  il  numero  531.  di  cui  cercsfi  la  radice  quadra.  Prendafi  vn  numero  quadratodtili  già  noti,il  quale  fia  minore  del  numero  propofto  525.  e  quefto  fia  per  efcmpio  400.  di  cui  fappiamojche  la  radice  è  20.  La  differenza  tra  il  quadrato  400.  et  il  profifìmo  maggiore  per  le  cofe  fopradettefarà  4T.cioè,il  comporto  della  radice  ventÌ5del  numero  quadrato 400.6  della  radice  21.  del  numero quadrato  proffimo  maggiore; qucfì:a  differenza  4i.fi  aggionga  al  quadrato  400.  6^  hauerem.o  441.  Di  nuouo  la  differenza,tra44i.dicuila  radice  e  it.  et  il  quadrato  fcguente,di  cui  la  radice  e  22.  farà  45.  quefta  aggionta  al  quadrato  44i.haucrcmo  484.  fimilmente  ladifterenza  tra  484.  &il  quadrato feguente farà  4 5. eioè5maggiore  diievnità  della  precedente,  la  quale  aqgionta  a  484.  haucrenio  5  29.  che  farà  il  numero  quadrata  proffimo  minore  del  numero  propofto  552.  la  dicui  radice  e  25.  detratti  dunque  529.  da  552.reftarà  j.con  cui  fi  forma  il  rottOjeffcn^  dochc  il  numero  propofto  non  è  quadrato  perfetto.   Ma  più  facilmente  faremo  Toperatione  in  quefto  modo.Ritrouaca  la  differenza  tra  il  numero  quadrato  prefo  4oo.eraltro  proffimo  magoiore,  quale  fappiamo  edere  4 1 .  quefta  fcriueremo  a  parte,e  fottodi  effa  l'altre  differenze  per  Oidinevna  maggiore  dell'altra  di  duevnita>  comevcdefi  nell'efempio  qui  porto;  dopo  aggiongercmo  la  prima-.  differenza,cheè  4T.  al  quadrato  400,3!  prodotto  44i.aggiongeie«  rno  l'altra  differenza  43.6  cosi  feguiteremo  fin  che  haueremovn  numero prolTìmo  minore  al  numero  propofto  5  31.  poiché  l'vlcima  differenza aggionta  indicata  da  l'altro  lato  la  radice  d^l  numero  che  fi  ^er  ca.   ai.  41.  c^on  .^  .i/   aa.  43.  -:Sion    23.  45.   24.  47.    a  M    ^-k  «if  ■•*  r^*?  ?*  *t    ncj    Radici  Differenze.  i  omb  6     532.  Quadrato.          \>  aioi^'^^x.fn   23.  Radice.    in   Il  fimilefi  può  fare  per  mcizo  della  fottrattionc  j  poiché    noi  doyeremo  ritrouarc  la  radice  del  numcso  2 8p.  potremo  pigliare  vn  numero quadrato  maggiore  delli  già  noti  con  la  fua  radice  j  per  cflempio  rifteflb  quadrato  400.  Il  cui  radice  nota  è  zo.  e  la  differenza  tri  elfo,  et  il  quadratoproffimo  minore  perle  cofe  già  dettefarl  ^9.  qaefta  fottrattada4oo.  rcftarà  5  5  i.di  nuouo  la  differenza  tra  551.  la  cui  radice  è  15).&  il  quadrato  proflìmo  minore,il  cui  quadrato  è  185.  farà  57»^a  quale  leuatada  $6  c.reflerà  514. fimilmente  da  queflo  Iellata l'altra  differenza  55»  refleràil  quadrato  289.  onde  lafua  radice  farà   17.   Operifì  dunque  nel  modo  che  fièdettodifopra,fcriuendo  le  radici  minori,  e  minori  lotto  il  quadrato  prefo  400.  ed  in  vece  di  aggiongerìc  fi  fottraggano,  cerne  fi  vede  nelfelTempio  qui  pofto.   zo  400 18  37   17  35   Radici Differenze   Quadrato  iSp.   Sua  radice  17.  Conquefta  operatione  farà  facilismo  ilritrouare  la  radice  di  qua!  fi  voglia  numero  i  poiché  potremo  prendere  qualfivoglia  altro  numero  quadrato, di  cui  fia  nota  la  radice, et  il  quale fia  non  molto  maggiore, ne  molto  minore  del  numero  propofto:    è  minore,  fi  opererà  con  la  prima  regola  della  fomma  5    è  maggiore,  fi  opererà  con  la  feconda  della  fottrattione  :  onde  non  farà  mai  difficile  il  ritrouare  facilmente  vn  numero  quadrato  vicino  al  propofto,  che  ci  ferua  di  ftrada  per  arriuare  alla  radice,  che  fi  cerca  ;fchifando  con  ciò  tutte  le  operationi  laboriofe, e  difficili  delle  diuifioni,  e  multiplicationi,  che  fi  fogliono  adoperare nel  modo  ordinario  di  cauarcla  radice  quadra.  Eperhaucrevn  numero  proflìmo  maggiore,  o  minore  a  quello  di  cui  fi  cerca  la  radice,  auuertafi  di  pigliare  vn  numero  quadrato,  la  cui  radice  habbia  tanti  caratteri,  quanti  fono  i  punti  che  fi  notarebbero  fotto  al  numero,di  cui  fi  cerca  la  radice,    haueflìmo  a  cauar  da  elfo  la  radice  nella  forma  ^  ©r . •^.-^    »K    c-T'lTI'irr.llr'.K  T /•1*i,-'^i-J  ?r^-:v:'r?    r^,r.    n^    t^ir.'ir.t.  rrn,  ..A   1 I   1  «        ftoric, ma  ancora  delle  fauolc  de  buoni  poeti, e  dalla  lettura  di  cjucfti  apprenderà  ràrte  dell'ili iienta fé, è  rìcììipirSBt-nìèlite^'Bclli fidile  imagini,gualifi  sformerà  di  ritrarre  con  il  pcneMondta  tcIa,inaàBl  ìnoJo  che  «tllèdercrittioni  poetiche  vendono  defcrirte.co*  veri!,,  'n^  >-. .,  Determinata  che  lara  la  materia, o  da  ltorica,otauo]>jl.-,o  vera,  o  ideale, deuefihauer  riguardo  a||a  rnaititu(i?ne  de  C'l>rpi*»difp|nendoH  in  modo  che  non  partorifcanò  confw(ìonc"j  perciò  Benché  non  i\  pofla  ptefwiucr  numero jlei^f^fìiinatòcfijcf^i fi^é|iojjq^ej|)  ttìtci; rp£pi imerc  in  trodotalc,  che  fi  vedano  i  loro  propri]  attef^giamcnti,  difetti, fcorci,  p::fi'  yrcyondcnop  ^Ìirtorirc'arioè0nftiflone,r'cihjndo  l'vno  ih  gran  parte n^(tipft^  di^trQ,4Jrakro,  renìachei'occhti^po(ra  diTcemere  ciò  che  fi  faccia  i  In  qùèrifriódo  dunque,  che  in  vnh  tragedia  fi  difpongono  i  perfonaggithcefconOin  fcenatfóh  tal  ordine,  che  dalla  molntudine.^  non  nafcala  confufione,  così  nel  quadro  non  deuonfi  rapprcfentarc  li  personaggi  m  guifi^t^le,-pheiVnQ-|olga  all'occhio  il  poter  godere  dell*  altro  5  poiché  cagiona  noia  il  vedere  ififcena  vn  perfonjggio,  cht_j  pereflercon  la  moltitudine  corfufo,  non  potiamo  bendikerncrc  ciò  eh*  egli  operi.  >Jcl  che  deucfiauuer^rr^di  più,  chetici  teatro  non  fi  proibisce  i!  molto  numero  delli  attori,  ancore  he  reftino  ;ifFolIatri,  e  ftretti, purché  vi  fi  veda  vnitàin  modo,  che    benerattioni,  i  moti,  e  gràffetticficiakuhofonodiuerfi,  tutti  però  fia no  drdmati  ad  vn  fatto  {"olo:onde  nel  medefinio  modo,  ancorché  nell'ampiezza  del  quadro  fi  contenga  gran molticudine  di  perf(/n?,&  altri  oggetti, dciionfi  però  tutti  difporre  in  modo,che  habbino  vnione nella diucrfìtà delle  parti;  flc  deuonfimai  fopra  vn  medefinao  quadro  rapprc^fentarc  arcioni  difparatejfenEachelVnahabbia  rclaticneconl'altra.   Ma  li  come  la  tnufica  tanto  più  diletta  l'vdito,  quanto  più  varie  fono  le  vocijcrintrecciamento  delle  difl'onanze  con  le  confonanzc,purche  dalle  proportionidcH'vnecon  Tjlrre, nafca  l'vnionedi  tuttc,e  l'armonia: e  rt-ì  nella  piiiura, tanto  più  l'occhione  gode, quanto  più  differenti fono  i  volti,  gl'atteggiamenti,  e  gl'affetti  delle  perfonc,  purché  tanta  diucrfità  riceua  vnione,concorendo  a  rapprefentare  vn  fol  fatto.  Pertantofideue  porre  gran  ftudioindare  vnioneall'attione  rapprefentata',congiongendo con  l'unità  di'quefta  la  uarieià  de  gli  affjtti,  de  gli  atteggiamenti,  delle  pofiture  de'  fcorci,  e  fopra  tutto  delle  fifonomiede'uolti;  nelche  fi  ritroua  molta  difficoltà  j  poiché  ogni  pittore  inclina  naturalmente  ad  efprimere'nelli  perfonaggi  quelleiìfonomie,  che  ha  più  imprcffe  nell'imaginationc,  onde  è  ftatoofferuato  che  i  uolti  pittorefchi  tengono  fempre  molto  della  fifonomia  ^1  padre,della  madrej o d'altra perfona più  amata, e  più  frequentemente  ueduta  dal pittore  ;e  rari  fono  que*  quadri  ne  quali  rapprefentandofi  molte  hic«   eie,  l'vna  non  habbia  la  fifonomiafimile  all'altra.  Quindi  è  degno  di   molta  lode  il  famofifìRmoRafaellOjche  in  tante  opere  ch'egli  fecs»*   difficilmente  fi  ritrouerà  vn  volto  che  fia  fimile  ad  vn  altro  j  per  lo  che   giouerà  tra  la  moltitudine  della  gente,  andar  ricercando  nuoneSfono mie  di  volti,  riponendoli  nell'erario  della  imaginatione  per  ilrui  rfene   airoccafione,e  cofi  sfuggire  la  fomiglianz,a  nelle  fue  opere  j  ma  molto   più  il  fapere  alterare  le  parti  che  compungono  il  volto  humanojpoiche   dal  variarne  vna  fola  il  tutto  prende  vna  differente  fìfonomia.   Mi  piace  in  oltre  ciò  che  hanno  vfato  di  fare  lodeuolmentc  i  maeitridi  queft'arte,  per  dar  vaghezza  alle  loro  opere  con  la  varietà,  di  framefcolare  con  i  perfonaggi  humani  altri  oggetti  confjceuoii  alla  ftoria,o  fauola  chefi  rapprefenta,come  animali,  piante,f.ibrichedifegnate  in  buona  profpettiua,  lontananze  di  paefi,  e  cofe  fimili,  come  PaolodaVerona,DanieI  da  Volterra,  Raffaello, e  tutti  li  buoni,  auucrtendo  però  che  non  tutte  queftc  cofefidouranno  accopiare  sempre  in  vna  mcdefima  ftoria,ma  quelle  sole  che  à  tale  ftoria  fi  conuengono  ^  per  non  incorrere  nella  riprenfione  del  poeta,  fatta  a  coloro  i  quali  perche  sanno  esprimer  bene  alcuna  cosa  particolare,  quefta  in  ogni  luogo, e  fuori  d'ogni  occafione  esprimer  vogliono,   Fortalfe  cupreffum   Scis  [ìmulare, . .,   Aquefto  medefimo  fine  di  cagionare  diletto  con  la  varietà, et  anche  acciò  il  pittore  dia  faggio  di  molto  fapere  con  vn  fol  quadro,  doiirà  '  procurare,  che  alcuni de'perfonaggi  dipinti (lano  con  vaghi, e  naturali  panneggiamenti  coperti, altri  m.oftrinonuda  la  fchiena, altri  il  petto,  chi  le  braccia,  e  chi  le  gambe,ricordandofi  però  fempredinon  offendere gl'occhi  pudichi  con  nudità  difdiceuolirfimilmente  alcuni  volti  faranno  dipinti  in  profilo  sì,  che    fcorga  folola  metà, altri  colloche-.  ranno  piegati  alquanto,  al  tri  chini,  altri  folleuati  al  cielo  :  hauendo  in  ognicofa  riguardo  alla  naturalezza  del  fatto,  et  alla  verità  delJ:a_,  ftoria,  a  cui  non  fi  deue  pregiudicare  per  accrcfcere  la  varietà,  coa-=.  giongendo  inficme  cole  difparate,e  perfonaggi  vifluti  in  tempi  diucrfi:  come  fanno  alcuni  che  dipingono  il  Serafico  d'AìTìfi  {opra.*  il  monte  caluaiio  prefente  alla  croccfiffìone  de'  noilro  Saluatore  5  allegando  p  fua  difcolpa  quel  detto  trito,nìa  da  cfiì  mal  intcfo  diOratio,   Viiiori'tus  atijiie  poetis  ^idlihet  auiiendi  femper  fu,it  aqua  p^oie/ias.   Lodo  in  oltre  che  i  pittori  imitino  li  poeti  nelle  loro  iperboli,  e  poe^.  tici  ingrandimenti  3  il  che  potranno  fare  conia  fimilitudine,eparago M   m  ne,    '3«   fic,ouerd  conil  oontrapofto,come  appuntoperlopiufogHono  fare  ì  ppcti:  per  cagione  di  efempio  (e  tu  vorrai  far  comparire  vn  huoniQ  nano  con  la  fimilitudine,  lo  dipingerai  in  età  virile,  con  la  barba,  c^  membra  grofle:&  apprefso  di  elio  dipingerai  vn  paggio,0  altro  unciullo  in  età  di  fette,  onero  otto  anni,  con  le  membra  fottili,e  delicate,  il  quale  ecceda  più  torto  che  manchi  dell'altezza  del  nanojo  pure  potrai poruialato  vn  cane  che  lagnagli  in  grandezza,  o  cofe  iìmili:  et  infieme  lo  potrai  far  comparir  nano  per  mezzo  del  contrapolìo,  collocandoui  vicini  altri  huomìni,  i  quali  egli  con  la  mano  non  gionga  a  toccarli  la  cintata  5  Per  quefto  contrapofto  iperbolico  fu  lodato  Timan|te,il  qualedipingendovn ciclope, che  dormiua  in  vn  picciol quadro,  vi  fece  apprcifo  alcuni  fatiti,  li  quali  abbracciauano  il  dito  groflb  dell*  adormentdto,con  jlqual  contrapofto,  benché  la  figura  del  ciclope  fof-^  feriftretta  inanguftatela,compariua  nulkdimeno  grandiffima,'  cos^  |a  bckàdivna  donzella,  (piccherà  maggiore  vicino  alla  deformità  di  vn  fatiro,  ed  il  candore  di  vn  volto  europeo,  poftp  al  confronto  di  vn  etiope  j  poiché  il  grande,  ed  ii  piccolo,  il  chiaro,  e  l'ofcuro,  con  tutti  li  ^Itri  accidenti,  coniparifcono  più,  0  meno  dal  confronto,  e  paragone^  ondeaffcrifconoifilofofijche  feilcielo,  le  delle,  la  terra,  le  piante,  gì*  anirnali,  egl'huomini  con  tutte  le  altre  cofe  che  fono  nel  mondo, fi  fa-?  ^e|Irro  molto  maggiori,  0  minori,  conferuando  la  medefima  propor»  ^jonc,  che  hanno  al  prefente,non  comparirebbero  ne  più  grandi  5  ne-»  più  piccole  di  quello,  che  hora  fono.   Deue  dunque  il  diligente  Pittore  hauer  fempre  l'occhio  al  paragone,  e  proportione  de  gli  oggetti,  che  dipinge  non  folo  per  di-'  lettarecon  gl'ingrandimenti  iperbolici,  come  fi  èdctto:  ma  anche  per  non  incorrere  in  quegli  errori,  che  molti  commettono,  mentre  dipin»  gono  vicini  a'ie  c?fe,  o  torri  huomini,ocaualii  che  in  altezza  le  medefime  torri, o  gl'alberi  vicini  formontanoro  almeno  tanto  grandi  che  per  la  porta  di  dette  ca fé  entrar  non  potrebbero,  Habbiafi  per  tanto  riguardo  alla  proportione,  et  ordine  delle  cofe,  et  anche  alla  diftanza,  che  ii  fingono  haucre  tra  di  loro  ;  poiché    noi  fingeremo  con  la  pittura una  montagna  in  lontananza,  potrerno  fopra  il  medefimo  quadro  far  un  cane  maggiore  di  ella  montagna,  nel  che  deucfi  auuertire  di  non  paflare  immediatamente  da  un  eftremo  di  uicinanza,  alf  altro  eftremo  di  lontananza, ma  piutoftofidcuono  dipingere  altre  cole  di  mezzo, acciò  fi  veda  una  degradationedi  molte  parti,  dalla  quale  rifulta  quel  diletteuole  inganno,  di  far  creder  lontane  le  cof^-*  uicine.   Habbiafi  fommo  riguardo  all'imitatione  decoftumi,&  alla  natura-?   lezza    139  lezza  delle  perfoncjche  nella  ftoria  fi  rapprefentano:  dando  a  ciafcuna  quelle  membra, quelle veftimenta, quelle  attieni, et  afFc'tti  che  gli  fono  conucneuoli  ;  poiché  farebbe  grande  errore  chi  veftiflc  Marte  con  gonna  feminile,eGaninniede  diruido  faioj  o  pure    fi  deffero  a  Rachele  le  mani  di  villano,  con  le  guancie  crefpe  di  rughe,  et  a  Sanfone  le  braccia,  e  fianchi  deboli  i  come  anche    rapprefentaflìmo  Salo^  mone  a  giuocar  tra  fanciulli  ;  e  poneflìmo  nelle  mani  di  Golia  la  cetra  del  paftorelloDauide:difdiceuole  farebbe  il  vedere  Nerone  con  manfueto  afpetto,  e  con  volto  modello,  o  vero  il  Pio  Coftantino  con  la-,  crudeltà  di  Mafcntio  su  la  faccia  :  e  non  poiTo  non  biafìmar  quei  pittori, i  quali  dipingono  la  Beatiflìma  Vergine  a  pie  della  croce,totalmente  abbandonata  perii  dolore,e  qua  fi  che  disperata  ;  douendofi  efpri—  mere  in  lei  vn  dolore  grande  si,ma  coftante,e  diuoto^quaKc  la_  mo  alprefente^è  tanto  alto,  quanto  è  la  diftanza  deireftremità  dcll*:^  due  detipiu  lujighiiftendendole  braccia,  eie  mani  quanto  più  fiupor*fibile;  al  qual  fpatio  parimente  è  vguale  anche  la  diftanza..dci&  due  piedi,  slargandoli   quanto  più  fi  può  l'vno  dall'altro. -ìir;':)  ''   Secondo, fc  alcun  huomo  slargerà  le  braccia, ed  infieme  i  piedi  quanto  fia  poflìbile  i  n  modo,  che  fi  formi  come  vna  croce,  IVrabclico  fata  il  centro  di  tal  croce,  fi  che poftovn  piede  del  compaifo  ncll'vmbelico,e  tirando vn circolo  paflcrà  per  l'eflrcmità  tanto  delle  mani  quanto  de*  piedi  j  e  tirando  quattrolince  rette  le  quali  congionghinoj  l'eftremità  de'piedi,  e  delle  mani  fi  formerà  nel  detto  e irculovn  perfetto quadrato.  ]  «  »..». :Il  volto  è  vguale  di  lunghezza  a  tutta  la  mano,  cioè,al!a_,  diltanza della  giontura  della  mano  con  il  braccio,  fino  all'eftre  nid  del  dito  più  lungo;  e  fimilnienre  alla  profondità, che  dal  ventre  fi  llende  fino  alla  fchiena  .  queft'ifteflfi  lunghezza  del  volto,  o  d^lli,.  mano  è  vna  decima  parte,o  come  altri  vogliono  alquanto  più  de!!  i  nona  parte  di  tutta  l'altezza  del  corpo:  la  quale  nelli  iiuomini    mezzana  ftatura  fuoleflere  di  trebraccia,o  di  cinque  piedij  e  mcii»,  o pure  (che  è  l'ifteffo  di  (J6, pollici.  .'.biji^aoìsr   Quarto, Il  deto pollice, la  lunghezza  dellorecchio,'raIt?7.za  della  fronte,  la  lunghezza  del  nafo,  e    la  dilUnza  dal  nafo  daljmccicojii  fono  tutte  trajfe  vguali :  quindi  è,che  nel  difcgnare  vn  volto  dividiamo la  fua  altezza  in  tre^parti  vguali;  La  prima  dall'infiina  f:«^d. ce  de'  capelli  fino  alla  fommità  del  nafo  ;  La  feconda    dalla  fomn^iti.  del  nafo  fino  all'infima  parte  di  efib;  La  terza  da  qucfta  infima  par4  te  fino  aireftremità  del  mento;  facendo  poi  le  orecchie  dirimpetto al  nafo,cd  vguali  ad  elfo  in  lunghezza.   evinto,  Se  fi  piglia  tutta  la  tefia  dal  mento  fino  alla  fommità  dei  capo,  quefl:a  è  l'ottaua  parte  di  tutto  il  corpo;  e  quefta  parimente  èli  doppio  della  diftanza^che  è  tra  vn'angolo] dell'occhio  airalcro,  dico  de  gli  angoli  efteriori .   Sefì:0j  La  lunghezza  dell'occhio  è  vguale  allo  fpatio,  che  è  tra  vn  occhiOje  l'altro  :  fi  che  la  diftanza  delli  angoli  efteriori  de  gli  occhi     diuide    ^44  diuidein  tre  parti  vguali,due  de  gli  ccchi,&  vna  tramezzoad  c{Tì;e,   tutta queftadiftanza  è  il  doppio  del  nafo,  i'ifìeira  lunghezza  dell'oc-.   chio vogliono  chefiavguale  alla  bocca;  ma  in  realtà  non  ho  ancora^* ritrouato  alcuno  che  habbia  la  bocca  fi  piccola.   Settimo,  il  foro  della  narice  è  la  quarta  parte  della  lun  ghciza  dell'occhio.   Ottauo,dalla  forcella  fupcrjore  del  petto  fino  alla  radice  de'capclli,o  fommità della  fronte, vi  è  diftanza  vgUale al  cubito, et  alla  hrgherti..f;t   Finalmente,  riducendo  a  numeri  quelle  prohoVlioni, daremo  rilla_.  faccia  parti  i8,tra  li  due  angoli  efteriori  dclli  occhi  parti  12.  La  kmghezza  del  nafo  parti  6.  la  lunghezza  dell'orecchio  parti  6.  dalle  radici  de'capelli  alnafocioè  al mezzodelle  ciglia  parti  6.  Dal  fcttonaio  al  mento  parti  6.  il  pollice  parti  6.  La  lunghezza  della  bocca  parti  4.  Dal  fottonafo  alla  bocca  parti  due, l'apertura  daila  narice  parci  vnaj  dalla bocca  al  mento  parti  ^.  Il  cubito  parti  50.  il  petto  parti  50.  claiia  fommità  delia  tefta,  alla  fommità  della  forcella  iopra  il  petto  parti  56,  la  lunghezza  dell'occhio  parti  4.  La  diftanza  tra  l'vn' occhio,  e  raUro  parti  4.  dal  mento  alla  fommità  della  tefta  parti  24.13  mano  parti  i8.  il  piede  parti  20.  tutto  il  corpo  parti  180.  Quindi  non  può  liare  come  bene auuertifce  Filandro  ciò  che  dice  Vitruuio,  cioè  che  il  petto  fia  la  quarta  parte  di  tutto  il  corpo.   Chi  vorrà  vedere  più  minutamente  altre  proportioni  delle  parti  del  corpo  humano  legga  Alberto  Durero,il  quale  fcriffe  vn  intiero  volume  di  quefta  materia,  a  noi  baftahauer  numerato  le  principali,c  più  neceflaric  pervn  pittore  jfenzafermarfi  a  confiderare  quanto  artiiìcioU   fia    145  fia  qucfìarimetria,e  propoitione,  come  quella  che,confornie  ail'inB»  iiitojfapcredcldiuino  artefice, che  fabricò  il  corpo  humano, giiilli^  menteliconueniua  percilerquefto  il  più  perfetto  di  tutti  gl'alcri  corpi.  Onde  è  poi  natoche  dalle  parti  dieflbfi  prendanole  mifurc  di  tutti  li  altri  corpi  jdicendofi  che  il  tal  corpo  è  di  tanti  cubiti,  di  tanti  palmi, di  tanti  piedi,  di  tante  dita: e  con  ragione,poiche  la  mifura  è  vna  quantità  nota,con  cui    fa  con?2(fcerc  vn  altra  quantità  ignota  jondiL-»  non  vi  elTcndo  quantità  alThu^mopiu  nota  di  quella  delle  fue  proprie  membra  doueua  di  cffd  feruirju  per  prima  mifura  :  oltre  che,  come  dice  il  Filofofo,  que'la  cofa,  che  ilei  fuo  genere  è  più  perfetta,deue  efter  mifura di  tutte  le  altre,  che  fonone!  medefimo  genere:  che  però  efsendo  rhuomo  il  più  perfetto  di  tutti  i  corpi  con  ragione  Pitagora  diflc,  che  l'huonio  era  mifura  di  tutte  lecofe.  Quindi  è  che  tutte  le  opere  artificiali fembrano  più  belle  all'hor  quando  nella  fimetria,  e  proporticne  delle  loro  parti,  hanno  qualche  fimilitudinec©n  la  proportione  delle  membra  humane;  e  ciò  particolarmente  viene  ofseruaco  nell'architeti  tura  ciuile  ;  perche    (  Ione  parole  di   Vitruuio  nei  libro  terzo  )  tìonpuò  f africa  alcuna  fe»zj*  mifura^  e  proporticne  hauer  ragione  éUcomponi-r  tnento.)fe  prima  non  haiterà  rifpetto^e  conjì^eratione  fopra  la  ferace  certa  rapici  ne  dei  membri  delC huomo  ben  proportionato  :   quindi  nelle  colonne  le  bafi  fi  rafsomiglianoa piedi,  i  capitelli  al  capo,  il  fufto  dimezzoal  reilante  del  corpo  humanoj  Quindi  ofseruò  il  Villalpandoche  il  tempio  di  Salomone  con  proportioni  a  maraviglia  belle  fi  rendca  fimile  all'ordine delle  parti  del  corpo  humano,chefù  il  primo  tempio  fabricato  dalle mani  diuine, per  collocami  la  fua  propria  imagine,  che  è  l'anima  noftra  immortale:  Quindi  finalmente  per  tralafciare  molte  altre  cofe  l'arca  fabricata  da  Noè  era  in  lunghezza  5 oc.  cubiti,  in  larghezza  50.  «d  in  profondità  50.  per  tal  modo,  che  la  lunghezza  fuperaua  fei  volte  la  larghezza,e  dieci  volte  la  profunditàjnel  medefimomodo  appunto, che  habbiamo  detto  delcorpo  hiimano,la  cui  lunghezza, e   \%o^  partila  larghezza  3  o.  che  fono  la  iefta  parte  di  180.  e  la  profondità  dal  ventre  fino  alla  fchienarS..  parti,  che  fono  vna  decima  parte  delle  medefime  i8no  dall'altro, e  ciafcuno  in  tutte  quelle  forme, che  fi  vedono  differenti  in  varij  huomini  ;  poiché  alcuni  hanno  il  nafo  Ghiacciato, altri  gonfio,  altri  aperto  ;  altri  aquilino,  altri  profilato.  ^  Alcuni  pongono  innanzi  la  bocca  fpalancata,  alcuni  hanno  i  labri  di  €{Taprommenti,altri  piegati;  in  fomma  ogni  membro  ha  non  so  che  di  particolare,  il  quale  quando  vi  è  più  o  meno,  fa  vna  varietà  notabile    *47  bile  nella  fifonomìa  di  tutto  il  volto.  Di  più  fi  dourà  confi  derare  ;a_,   varietà  de'membri,  che  fonoproprij  di  ciafcunaetà;  poiché  altra  forma haueranno  quelle  di  vn  fanciullo  grofle,  e  ritorce  j  altra  quelle  di  vn  vecchio  fcarme, fmunte, e  fottili  ;  auuertendo  che  ne  corpi  dc'flìnciulli  non  fi  deueofìeruare  efattamente  la  proportione  delle  parti  di  fopra  notata  ;  efiendo  che  efiìnon  hanno  ancora  il  corpo,  e  le  membri  perfette  j  il  che  dcuefi  intendere  anche  de  vecchi, ne  quali  alcuni  membri s'incuìuanOjO  fi  affotigliano,©  in  altra  maniera  fi  deformano.Tutce  quefle  particolarità  fi  doneranno  diligentemente  ofseruare  dajla  natura, che  fola  è  la  perfetta  maeftra  di  tutte  le  arti.   Quando  poi  hauercmo  fatto  alcun  profitto  nel  difegno  di  ciafcuna_,  di  quefte  parti,  farà  meftieri  cfercitarfi  nel  proportionato  accopiamentodiefle  difegnando  figure  intiere, e  quelle  hora  in  vna  pofitura,  bora  in  vn  altra,  fedenti,  diritte  in  pie,  giacenti,  proftrate,fupinejaItre  con  le  fpalle  riuolte,  altre  che  moftrino  il  petto  j  confiderando  le  diuerfé  attitudini,  nel  che  confifte  la  principale  perfettione  del  difegno,  che  però  doureraoferuirfi delle  ftatuc,  e  modelli,  fabricandone  molte  per  confiderare  inefleli  diuerfifiti,c  pofiture.  Di  più  fi  deue  diligentemente ftudiare  ildiuerfo  effetto,  che  fanno  tutte  le  membra,  conforme  alii  diuerfi  affetti  dell'animo,  nell'efprimere  i  quali  fi  de*  porre  ogni  sforz.o  dell'arte  eflendo  quelli,  che  danno  la  viuezza,  e  naturalezza  alla  pittM.  ra;c  non  folo  diuerfa  cenuien  che  fia  la  pofitura  del  corpo,  e  l'atteggiamento dei  membri  conforme  a  diuerfi  affetti,  ma  anche  fi  de'auueilire,  che  nell'iftefsa  pofitura,  et  atteggiamento  haurà  vn  non  so  che  di  diuerfo  vn  huomo  cogitabondo,  ed  il  medefim*huomo  quado  flà  fpcnllerato;fimil mente  quando,  emefto,e  quando  è  lieto:  quando  ripofa,  e  quando  veglia  :  per  efprimere  le  quali  circoftanze,  vero  è  che  gioua  molto  la  varietà  di  colori,  ma  anche  nel  folo  difegno  di  chiari,  e  fcuri  fi  dourannofar  campeggiare  con  vn  certo  rilcntamcnto,©  ftcndimento  di  mufcoli,  con  vn  talqual  vigore,  o  franchezza  delle  membra,con  i  nei ui  più,  o  meno  ftirati,  e  diftefi  j  la  qual  cofa  per  cfsere  molto  ditfi^  cilc  dcuefi  con  maggior  diligenza,  et  accuratezza  maneggiare,  ferucndofi  non  folo  del  naturale,  ma  anche  facendo  molto  ftudio  nel!'*  adotomia  per  conofcere  i diuerfi  effjtti  che  moftrano  le  diuerfe parti  del  corpo,  diftefc,e  rallentate  da  mufcoli, e  da  nerui,e  per  intender  doua  priiìCÌpiano,c  finifcono  entrando  vno  in  vn  altro  :  ma  nelJi  piegai  menti  de  membri,  ftorcimento  di  vita,  e  sforzi  di  tutto  il  corpo,  fi  dolila por  molta  cura  di  non  far  cofa,  la  qui.l  ecceda  lapoflìbilità  del  naturale i  nel  che  molti  peccano  ftorcend»,  e  dislogandoi  le  ofsa  in  tal  modo,  che  da  quefto  folo  fi  può  conofcere  cfser  quello  vn  huomo  dipinto,    48  pinto,e  non  viao,  perche  non  grida,  e  non  fpafima  per  il  dolore,  che   dourebbefentirne  feviuofoflc.  Circa  di  ciò  farebbe  molco  che  dire,  ma  ofleruofolo  chenclli  sforzi  delia  vita,  e  delie  membra  ben  fpeflb  ftanno  nafcofti  molti  errori, ed  innaturalezze,  le  quali  da  chi  non  è  bene  intendente  difficilmente  fi  conofcono,perche  tali  sforzi  rapifcono  l'occhio  con  lanouirà,che  cagiona  non  so  qual  diletteuole  marauiglia  :  ma  anche  in  quefto,  come  fi  è  detto  dell'inuentione,  ù  àc  procurare ben  fi  la  marauigliaconlanouità,ma  però  non  dee  fc olla  fi  dal  poflibile,e  dal  verifimile.  Per  tanto  la  tefta  di  chi  ftà  in  piedi  non  fi  volti più  in  sii,    non  quanto  gì' occhi  guardino  mezzo  il  cielo  j  ne  più    volti  da  vn  lato,    non  quanto  il  mento  tocchi  la  fpalla  ;  il  petto  non-,  fia  fi  torto  che  la  fpallaarnui  più  oltre  della  dirittura  deirvmbilico  #  Il  volto  di  chi  fta  fermo  ha  riuolto    doue  è  dirizzato  il  piede.  Se  alcuno fi  appoggia  fopra  vnfol  piede,  quello  flanella  linea  che  chiamano  di  diretionej  le  mani  rare  volte  fi  alzino  fopra  il  capo,&  il  gomito  fopra le  fpalle,&  il  piede  fopra  il  ginocchio.   Finalmente  giongeremo  alla  perfettione  di  qaefta  fcienzajSccopiando  in  vnfol  quadro  diuerfità  di  corpi  tanto  humani,  quanto  di  nltre-»  forti  convna  qualche  vaga,  ed  ingegnofa  inuentione,nelmodo,ehe  fu  detto  nel  capo  precedente  jricordandofi  della  varietà,  e  fopra  tutto  d*  imitare  icoftumi,  e  proprietà  di  ciafcun  perfonaggio  nel  modo,  chc^  prefcriue  l'arte  poetica,  trattando  dell' imitatione  de  coftumi^  auuertendo  in  oltre  di  non  far  perfona  che  flia  otiofaj  ma  in  ciafcuna.»  cfprimer  quegli  atti, e  quegli  affetti, che  richiede  l'iftoria,©  la  fauola. Deuo  anche  ricordare  a  quelli  che  fi  fentono  inclinati  dalla  na^  tura  a  queflo  efeixitio,  che  fi  auutziino  da  principio  a  difcgnare  in  graLde,cio€  conforme  al  naturale:  poiché  in  vn*  imagine  pie-»  cola  ben  fpcfso  vi  .flanno  nafcofli  errori  grandi  ;  la  doue  in  vn'  imagine  grande  fi  fcopre  ogni  benché  minimo  diffetto  j  che  altri  fcolpìfca  in  vn  anello  Fetonte  tirato  da  quattro  caualìi,  non  merita  altra  lode  che  di  feimezza  di  mano,  acutezza  di  vifta,  e  patienza_*  nell'operare, e  quefta  è  più  propria  de*  fcultori, che  de  pittori;  i  quali  fc  apprenderanno  bene  il  modo  di  formar  imagini  grandi,  facilmente  poi  formeranno  ancora  le  piccole  ;  la  doue  coloro,  che  hanno  au-»  uezKa  la  mano  a  lauori  minuti,  rare  volte  riefcono  neigran-di        ?''Q'''-,.'.c..i.^.u  za  ijiwiii   Rcflai-cbbc  per  vltimo,  che  io  daffi  qui  le  regole  det  difegnarcjf  in  profpcttiua,effendo  che  ogni  quadro  de*  hauere  determinato.il   .:^ì:^^.  .•..V---V   .-punto-:!    149    punto  che  chiamano  centrico, ed  il  punto  della  diftanza  dcirocchio   che-k)  rimira  regolando  con  queftidue  punti  le  degrada tioni,  e  l'altezze  de  gli  oggetti  ;  ma  di  ciò  mi  riferuo   a  difcorrerepiua  lungo  nell'arte  maeftra. Hiunque  fi  farà  perfettionato  nel  difegno*,  ofseruando  /(fj^^^tìj^  tutti  li  precetti  infinuati  nel  precedente  Capo,  non..  Cni!r)/ji  ritrouerà  molta  difficoltà  nel  colorire  :  nulladimeno  Vh^*liialttijpiu  ofciirij  e  chiamanfi  tali  fuperficie ricetti  de' lumi,/ «ffen deche  pM»t  fi  tirano  {u*l  quadro  i  feiTiplici  contorni  delire  figure,  che  è  la  prima    parte    de!  difegno,e  chiamafi  circonfcrittio»e;  ia  cin  noa...j(ì  vede  altro  che  la_.  linea  efì:rema,che  tcrmifia,e  circondil  rogge:t|pdifegnato:  poi  offeruando  i  termini  de'  chiari, e. d€  fcurji,fi  4J-^inguo"0  eoa  varie  Jinee,che  diuidono  tutto  il  carpa  iurcoufcritto- in  varie  parti,  o  fupcrficie,cheèla  feconda  parte  del  difegno:  Finalmente  quefte fi  deuono riempire  de'fuoi  proprijlumi,  ilchefi  faocon  femplice  chia*  ro,e  fcuro^o  pure  con  i  colori,iquali  fvjnno  molto  migliore  effetto,  perche  più  imitano  il  naEurale,e  dano  vsghezza,e  leggiadria  al  di^  iegno.  In  quefìo  riempire  di  colori  le  fuperficie,&    vniucrfalmente  nel  modo  ò\  colorire  fideue  confiderare,che  fi  come  i  corpi  reali  fono  compofti  di  quattro  elementi,  et  in  alcune  parti  l'vno  predomina più  dell'altro, onde  cagiona  diuerfo  colore:  cosi  il  Pitcor^^  volendo  imitare  la  Natura  fi  ferue  di    quattro  colori  principali,  che  corrifpondono  alli  quattro  elementi,  cioè, del  color  roffo, fia  di  cinabro,  dilacca,odi  minio,che  corrifponde  al  fuoco;  del  colore azzurro,  che  rapprefenta  l'aria  ;  del  verde  che  fi  confà  aH'aqua,  e  del  cinereo  ofcuro,chc  fi  riferifce  alla  terra,  e  quefti  colori  contempcra in  modo,c  he  doue  'ì\  ricerca  il  predominio  di  vn  elemento  iui  aumenta  il  colore  a  tal  elemento  corrifpondente:  cosi  per  efprimere  vn  volto  fanguig no,  et  accefo  di -"degno  adopera  il  cinabro,   ed    151'   ed  il  minia;  e  colendo  far  vn  fangue  fofco  vi  pone  laheca,  ma  volendo rapprefentare  vn  volto  timido,  freddo,  o  languente,  fi  ailicn?.^  dalroflb,e  vi  aggiongc  il  cinereo  j  e  cosi  dell'altre  cole  ;  Per  tanto  io  lodo  molto,  che  non  vi  fia  parte  per  minima  ch'ella  fia  deirimaginc,  laquale  non  iu  formata  con  tutti  quefti  quattro  colori,fi  come  non  vi  è'parte  di  corpo  reale,  la  quale  non  fia  mifta  di  tutti  quattro  gli  elementì;  onde  quando  anche  io  hauerò  a  dipingere  vna  carnagione  bianchtlTìma,  aggiongerò  alla  biacca  vn  poco  di  cinabro,  il  quale  certo  è  neceflario  per  cipri  mere  il  fangue,  fenza  il  quale  non  può  il;arevna_.  viua  c^rne;  ed  m  oltre  vi  porrò  alquanto  di  azzurro  oltramsrino,  il  quale  cagiona  vn  mirabile  effetto  in  tutti  i  colori,  ed  in  particoiire.*  visto  moderatamente  nella  carnagione,  poiché  le  di  vna  ccrt'aria,  e  lutiìeceldle,  chela  rende  fuauc,e  dolce.  In  oltre,  perche  inciafcua..  corpo  reale  olrre  li  quattro  clementi,de*quali  è  comporto,  euui  meicolata  la  luce,  e  doQcqucfta  manca,  rcfta  il  corpo  ofcuro,  e  cenebrofo;  perciò  nella  pittura  habbiamo  due  colori,  fvnode  quali  èfimile  alla_.  luce,e  quefto  è  la  biacca  j  TaUro  ci  efprime  le  tenebre,e  quefto  è  il  ne*  grodio(ro,odi  fumo,  odi  carbone,©  di  terra  nera;  poiché,  come  alcroue  dimoftro,aicro  non  è  la  luce,  che  vn  puro  candore,  e  le  tenebre  vna  pura  nerezza;  onde  il  puro  bianco, e. la  femplice  nerezza  non  fono  due  colori,ma  fono  l'eAremità  di  e(Tì  colori,  come  i  punti  fono  Tcftremità  della  lii>ea,'ma  non  fon  linea;  noi  però  perche  non  habbiamo  ct>fa  più  bianca  della  biacca.,  ne  più  negra  del  negro  d'elfo;  perciò  adoperiamo  qucfti  due  colori  per  efprimere  la  luce,  e  le  tenebre  ;  per  tenebre  intendo ancheTombre, che  fono  priuationedi  luce;  onde-»  doue  è  maggiore  la  priuatione  di  tal  luce,  e  l'ombre  più  gagliarde  ;  iui  adoperiamo  più  quantità  di  negro  d'olfo,doue  è  minore  adoperiamo  con  elfo  più  terra  d'ombra, o  vi  mefcoliamo  altro  colore  pju, chiaro  .  Deuefi  dunque  in  ogni  oggetto  dipinto,  e  per  confeguenza    in  ogni  colore  porre,©  la  biacca  quando  fi  ha  da  erprimere  vna  parte  lucida  :  òil  negro  d'olfo  quando  fi  ha  da  efprimere  vna  parte  priua  di  lux:e;,e  cofi  conforme  alk  luceminore,o  maggiore  adoperare  più  o  meno  di  biacca,  nel  che  farà  maeftralaprattica,  conlaquale  imparerà  aafcitttoa  mefcolarci  colori,  ne  li  riufcirà  difficile,    hauerà  ben'-intefocif),  Qhe  fin  bora  habbiamo,  detto.  i  >   Con  wttaciò  perche  in  quefto  breue  trattato,  pretenda  d'i ftfegnare  minimamente  la  pratica  del  dipingere,non  voglio  tralafcÌAc  di  dire  y  come  io  foglia |)rim a  di  dipingere  far  varie  tinte  fopra  la  mia.  tauoli  pigliando  con  lap,unta  del  coltello  i  colori  macinati,con  filkliìa  punr  U  vnendoUcd  impaftandoli  infiemein  varie  parti  della  tauola^Pongo   £"!!>•:»  da    MI  da  vna  parte  vb  poco  di  biacca  fchietta,fenza  mcfcolamento  di  altro colore,  la  quale  mi  ferua  perdarefopra  la  Pittura  i  fomtìii  chiarij  ed  in  vn  altra  parte  collocano  va  poco  di  negro  di  ofso,  parimente  fchietto  per  le  ombre  maggiori, e  per  le  minori  della  terra  di  ombrai  li  altri  colori  non  li  adopro  mai  rchieEti,fe  pure  non  douefsero  feruire  per  fare  qualche  panneggiamento,ma  ne  faccio  varie  tinte,  e  mezze  tinte,  con  varij  mefcolamenti,  e  prima  faccio  vna  tinta  di  azzurro  cltramarino,pigliando  del  meno  perfetto,  con  vn  poco  di  biacca,della  quale  mi  feruo  per  vnire  con  quafi  tutte  le  altre  tinte,  poi  con  il  cinabro,© vero  terra  rofsavn  ita  con  biacca,  faccio  tre  tinte  vna  più  carica  dell'altra  5  e  quefte  mi  fcruono  per  la  carnagione 5  in  modo  però,  ckc  non  le  adopro  mai  fole,  ma  vi  aggiango  vn  poco  d'vn  altra  tinta  fatta  di  biacca,  e  di  laccai  e  più  lacca  vi  metto  doue  la  carne  fi  deue  efprimcre  più  fanguigna  ;  ma  doue  la  carne  dourà  cflere  meno  fanguigna,  e  più  pallidaifparamio  la  lacca,  et  adopro  la  tinta  di  cinabro  me»  carica jfempre  Peronella  carnagione  adopro  vn  poco  della  fopradetta  tinta  di  azzurre,  e  he  riefce  mirabilmente.  Faccio  in  oltre  tre  alcreche  fi  chiamano  mezze  tinte,  con  biacca, e  terra  d'ombra  in  tal  modo,  che  l'vnafia  più  chiara  dell'altra,  auertendo  che  nella  più  chiara  ogni  poca  quantitàdi  terra  d'ombra  è  fufficicnte, e  quando  voglio  vna  tinta  più  ofcura,vi  aggiongovnpocodinegro  dioffo;  quelle  mezze  tinte  di  terra  d'ombra  feruono  anch'effe  per  la  carnagione,e  particolarmente  le  più  chiare,  le  quali  non  fi  deuono  adoperare  femplici,ma  mefcolarui  vn  poco  delle  tinte  rofsc,e  della  tinta  di  azzurro^  nell'ombre  della  carnagione,  cioè  in  quelle  parti  che  fono  meno  illuminate,  aggiongafì  alle  mezze  tinte  più  ofcurevn  poco  di  tinta  fatta  con  la  lacci,  poiché quefta  fa  vn  color  carneo  ofcuro,cnori  s*  ifparamii  l'azzurloperchc  anche  in  qucfto  luogo  fa  la  carnagione  fuauiffima,  e  delicata.   Deuonfi  dunque  con  la  punta  del  coltello  fare  fopra  la  tauola  tutte  le  foprad€ttetinte,e  mezze  tinte  per  mezzo  della  biacca,  fi  che  ciafcuna  tinta  fìadi  vn  color  folovnito  alla  biacca  che  lo  fa  più  chiaro  quanto  più  vi    neponejpofcia  ne!  dipingere^iideue  con  il  penello  pigliare  vn  poco  di  vna,&  vn  poco  di  vn  altra  mcfcolandole  infìeme  conforme  al  bifogno,e  far /Indio  che  effe  tinte  tutte  nel  metterle  in»,  opera  fi  auuicinino  più  alla  carne  naturale,  e  vera  che  fia  pofTìbile,  Ma  perche  non  fi  può  fapere  in  qual  luogo  debbafi  porre  l'vna,  et  ia_.  qual  altro  vn  altra,  fenza  la  cognitione  dei  lumi  diucrfi,  che  diuerfainente  ferifcono  gl'oggetti  che  v^ogliamo  dipingere,  perciò  flimo  necc  ffario  difcorrere  in  quefto  luogo  alcuna  cofa  intorno  ai  lumi  3  Poiché   dalla    '5-5  dalb  retta  intelligenza  di  quefti  dipende  tutta  queft'arte:  Molte  cofe   farebbero  degne  da  ofleruarfiin  quefta  materia,  ma  che  io  in  quefto   luogo  pretendo dinfegnare  piutofto  la  prattica  del  dipingere,  che  la   fcienza  fpeculatiua  de  colori,&  altre  cofe  ali' opcica  appartenenti,   toccherò  folo  breuemente  alcune  oferuationi,che  molto  potranno  gio uarc  a  chi  l'hauerà  bene  intefe.  :.:.•;:,  :.. i   Primieramente  fi  oflerui  dal  pittore  il  luogo,  in  cui  dourà  cflfere  collocata lafua  opera  j come, fé  farà  vn  quadro, che  debba  porfiinaLui  luogo  detcrminato  di  vna  fala,o  chiefa,  veda  da  qual  parte,edinqual  modofia  percflfcre  illuminato j  feda  vn  lato, fé  in  faccia,  leda  alto,  o  in  altra  manierale  dopo  tal  notitia  non  potendo,  come  farebbe  bene  dipingerla  nel  proprio  Ioco,dipinga  lafua  figura  in  modo  che  i  chiari fianoda  quella  medefima  parte,dalla  quale  dourà  hauere  il  lume  :  e  quella  parte  della  figura  che  farà  più  rileuata,  e  più  vicina  al  iumo  quella  facciaficon  chiaro  maggiore  di  tutte  le  altre,dando  poi  alla  pittura  gl'altri  chiaridi  grado  in  grado  minori,  conforme  alla  maggiore lontananzadal  lume,  et  al  rileuar  delle  partii  in  tal  modo,  che  vna  fola  parte  della  pittura  fia  quella,che  habbia  il  primo,  e  maggior  chiaro; dopo  la  quale  le  altre habbianoichiaii  minori, piu,o  meno,  con*  forme  il  fitoj  cofi    il  lume  veniri  da  alto  a  battere  immediatamente  nella  fronte  dell'hucmo  dipinto,  quefta  da  quella  parte  che  è  ferita  dal  lume  habbia  il  primo,  e  maggior  chiaro,  pofciala  guancia,©  nafo  h:ibbia  vn  chiaro  poco  minore,  e  dopoqucftiIafpalla,c  cofì  di  mano  in_.r  mano  fino  alle  gambe,  le  quali  per  effer  più  lontane  dal  lume,chefifuppone  fcendere  da  alto,  douranno  hauer  minori  chiari  di  tutte  le  altre  parti  fuperiori,&  al  lume  più  proIKìme.  i   Secondariamente,  habbiafi  riguardo  che  ciò  che  fi  è.  detto,  deuefì  intendere  di  quelle  parti,  le  quali  fono  ferite  perpendicolarmente,  cioè,  ad  angoli  retti,  o  vogliamo  dire  direttamente  dal  lume;  poiché  quelle,  che  fono  ferite  obliquamente,  e  con  angoli  ottufi,  ancor  che  foflbro  più  vicine  al  lume,deuono  però  effer  più  chiare,mafideue  con-;  temperare  IVnacofa  con  l'altra;  quindi  è, che  le  parti  piurileuatefi  fanno  per  ordinario  più  chiare,  perche  per  lo  più  riceuono  il  lume  piu^  direttamente;  diffi  per  lo  più,  perche  alle  volte,  conforme  alle  diuerfe  pofiture,  lo  riceuono  più  direttamente  le  parti  meno  rileuatcy  onde,  fi  fanno  più  chiare  ;  come  quando  il  lume  ferendo  obliquamente la  faccia, ferifce direttamente, e  perpendicolarmente  vn  lata  del  nafo,e  lo  rende  più  chiaro  di  quello  che  fia  il  filo  del  medcfimo, 'benché  quefto  filo  fia  piurilcuato^mafe  il  lume  ferirà  diretta  in  ente  il  volto,  all'hora  il  filo  del  nafo  farà  quello, che  hauerà  il  mas^ìor;   laro.  Q^  q  In    H4   In  tetto  luogo  oflerulfi  che,  fi  come  vn  raggio  di  lume  itott  pucb   ferire  perpendicolarmente  vna  fuperftcic,    non  in  vn  punro  folo  j  cosi  il  maggior  chiaro  di  ciafeuna  delle  molte  fuperficie  del  corpo  di*  pinco, donerà  effere  in  quel  fol  punto, che  viene  ferito  perpendica*  Iarmenteda.1  lume;  e  quanto  più  obliquainenre  il  lume  fcrifce  le  parti  più  lontane  da  quel  punto,  tanto  meno  chiare  doueranno  farfi,*cd  in-fquefto  confitte  la  dcgradaiione  de'colori  dal  maggior  chiaro,finoal  maggiore  orfcuca».  Imperciocbe  deuono  degradare  conforme  alla_,  maggiore, o  minore  obliquità  del  raggio,  fu ppofta  la  medefima  lonrananz,adel  medcfimo.Che    poi  la  parte  più  obliquamente  ferita-*  dallume,iarà  anche  più  lontana  da  eifojmaggiore  donerà  effere  la  degradationejma    vnapaiKte  farà  ferita  pia  obliquamente  di  vn  altra,  equ  '.Ila  farà  più  vicina  allume  di  quefta,fi  douerà  compcnfare  la  minor chiarezza  nata;  percaufa.  deli*Qbliquttà,conlachiarezza  nata  per  la  vicinanza  del  lirmc^   Quarto  ofseruifi,che  in  qucfta  degradatione  de*  chiari,  et  ofcuri,  o  vogÌi;im,o  dire  de  lumi^&  ombre  c«^fifte  tutta  la  fbrza  del  colorire,  ed  il  rikuare  delle  parti;  et  acciò  non  rileuino  con  afprezza,  tra  il  maggior chiaro,  ed  il  maggiore  ofcuro,fideuono  degradare  fuauemcnt^-»  ed  infenfibilmentei colori;  poiché  in quefta  infenfibile  degradatione  confitte  la  dolcezza  del  colorire,^c(ì  fugge  ogni  afpcrità,la  quale  otten*  de  l'occhio  ogni  qua!  voha  fi  fa  palfaggio  immediatamente  da  vn  eftremo  all'altro;  che  però  anche  gl'iftefiì  contorni,  ne  quali  pare  che  fi  debba  pattare  immediataméte  dal  maggior  chiaro  al  maggiore  ofcuro,  fideuono  fare  co  vna  certa  fuauità  sfumati  j  fi  che  teraperino  quell'immediato pattaggiodivn  eftremo  all'altro.  Quando  poi  il  chiaro  è  pofto  in  mezzodì  vna  fuperficie, e  vifonodue  degradationi  verfo  l'ofcuro,  dall'vna,  cdall'ahra  parte  ;  all'hora  ne  rifulta  quell*  effetto,  che  chia»  mafitondeggiare;  poiché  la  parte  di  mezzo  come  quella  che  è  più  chiara rileua  più  dell'altre, le  quali  declinando  dall'vna,  e  dalKaltra  parte  all'ofcurojfi  moftranomeno  rileuatesì,chcpirchericeuino  il  lume-»  obliquamente,  come  appunto  fanno  le  parti  laterali  di  vn  corpo  tonda  ferito  nel  mezzo  dal  lume.   Quinto  notifi  che  vna  delle  principali  Iodi  de!  artefice  è  ch'egli  nella  difpofitione  de  chiari,e  de  fcuri  dia  tal  forza  alla  pittura,  che  riIcui  qaantofia  poffibile,.e  per  così  dire  fi  fpicchi  fuori  del  quadro;  per  ottenere  la  qual  cofa,  oltre  la  predetta  intelligenza  de  lumi,  dourà  offeruaie  quel  precetto,  che  danno  molti,  et  èintefo  da  pochi,  mentrc«#  quelli  dicono  chcfidcue  vfare  molto  parcamente  la  biacca,  e  quefti  Rimano  che  della  quantitàdi  eflà  fi  parli  ;  poiché  cerco  c^  che  la  quantità    *5?  tiiià  della  biacca  necefifària  a  dipingere  vn  volto  è  molto  maggiore  tU   tufta  la  quantità  dclii  altri  colori, che  a  tal  funtjone  fi  adoperano;  &l  viiiucrfalmente  nel  colorire  rare  voltefi  adopera  colore, a:  cui  no»:  fi,  vnifca  la  biacca,  come  quella  che  tempera  tutti  icolori,in  quel  n>od0j,  che  fa  la  luce  fopra  i  corpi  da  efla  illuminati .  Il  fenfo  dunque  di  tal  precetto  fi  è,  che  in  ni  un  luogo  della  pittura  fi  veda  la  purabiaccai  tolrt  tone  quei  pùnto,chcè  ferito  perpendicolarmente  dal  lume  più  vicino^;  etche  tutte  le  altre  parti  vadino  con  i  debiti  modi,  e  coni  veri  compartimenti de  lumi  degradando  vcrfo  l'ofcuro,  caricando  poi  Tombr^.^,  accio  al  confronto  di  queftefpjecando  maggiormente  i  chiari)  la  pittura riceua  forz,ad'ini^annarchiia  m.ira,e  far  credere  eh*  ella,  sia  rile-»  uata  dal  quadro,  fsn  oq   Sefto,  deuefi  oflfcruare  rintcnfionedcllumc,chc  douerà  i'Iuminare  la.Pittura,cioè  a  dire    il  luogo,  nel  quale  deue  eflere  il  qiiadrQ,habbia lume  gagliardo,  o  debole,  e  come  dicono  viuo,o  mortoj  poicht^  conforpie  alla  diuerfità  del  piaggiore,o  minor  lume,  doueran no  eflere  maggiori,  o  minori  i  chiari,egIifcuridellaPittura,con  reciproca  prò*  portione,cioè  a  dire,    il  lume  vero  farà  debole,  e  morto, la  Pittura-*  douerà  haucre  i  tuoi  lumi  finti,  cioè  i  fuoi  chiari,viui,  e  ga^jliardi  ;  ma  ieillumefarà  viuoe  potente,(arannoi  chiari  della  Pittura  alquanto  più  lieboli,  e  moderaci  j  e  ]a  ragione  fi  è,  perche  il  lume  vero.,cbe:ièrifce  la  Pitturajèquellojchcriflettendofi  all'occhio  infieme  con  il  lumefintOjchc  è  il  chiaro  della  Pittura,  concorrono  ambi  vniti  a  fQrmare  la_»  viflra:  ondequefla  che  fi  offende  con  gl'cltremijnon  può  tolcrare  due  lami  ambi  troppo  chiari,e  viui  j  ne  li  piace  che  ambi  fia no  poppo  dcr  bolicmorti:  onde  perdilettarcrocehiofideuc  conteraperarc  il  viua  del  lume  vero,  con  il  morto  del  finto,  ed  il  morto  di  quello  coni  il  Viuodi  quefto.  Che    il  quadro  foOc  già  dipinto,  e  fi  cercafle  vn  luogo per  collocamelo,  fi  douerà  hauereil  medefimo  rifpettQ,che    i  colori  del  quadro  fono  molto  viui,  e  chiari, fi  ponga  ad  vn  lume-»  moderato  j  8c  all'incontro,    i  chiari  faranno  dcboli,fe  lidiavn  lume  piujviuo.   Settimo,  ho  oflèruatOjche  quando  il  lume  fcrifce  vn  corpo  Hfcioi  C.luftro,lo  moftra  molto  più  chiaro  di  que-io  che  faccia  vnahracojfpforaenluftro,e  pulito;  e  particolarmence  quella  parte,che  è  ferita  perpendicolarmente dal  lume  fi  moftra  lucidiffima  all'occhio  ;  ilche  fi  può  vedere  in  vna  palla  di  crifbllo  pulita,  et  anche  nella  luce  de  noftri  oc;  chij  :  ond'è,chequella  parte  dell'occhio,  la  quaL  è  ferita  dal  lume  dit  rettamente  nella  pittura  fi  efprimecon  vn  punto  di  pura  biacea^5.chc  la^dimoftra.Iucidiffima  eTengafi  dunque  per  regola  in  materia  de'lu».   mi,    mi, che  nel  colorire  fi  deuono  vfare  maggiori  chiari  in  quelle  parti,  che  verremo  éfprimere  più  tcrfe-yc  pulite^  come    vorremo  dipingere vna  carnagione  Jifcia,e  luftrajdoucremo  farla  più  chiara,  benché àciò  pofcia  aiuti  anche  molto  veramente  la  fuperfìcicjche  colorica  della  tela  fia  ben  lifcia,e  dipinta  con  colori  ben  macinati,  alli  quali  alcuni  aggiongono  in  fine  certa  Vernice,  di  cui  diremo  apprcfso,--ichc  però  nell'efprimere  quefti  lumi  rifleffi  douremo  tingerli  alquanto  del  colore  del  corpo  da  cui  fi  riflettono, ma  deu'  eflere  vna  tintura  leggieriflìma,  e  deueficiò  pratticare  con  deftrezza,c  ne  luoghi  opportuni,  che  cosi  cagionerà  vn  effetto  Ict'giadro, mentre  Tocchi©  non  folo  conofce,  che  quel  chiaro  è  vn-*  lume  riflefso,  ma  anche  comprende  da  qual  corpo  venghi  riflet—  Cuto.   Nono,per  dare  alla  pittura  què  chiari,  e  quei  fcuri,che  fono  conuenelioli,ed  in  quelle  parti  che  li  richiedono,  deuremo  prima  determinare   VJU.    157^  vnluo^G  fuori ddlapittura^dal quale doueremo  imaginar{ì,che  vcngi>   il  lume  a  ferirla,e  pofcia  collocare  il  quadro,  che  uogliamo  dipingerci  invn  tal  fico  uicino  ad  una  Feneftra,che  il  lume  entrando  per  efsa_».'i  lo  ferifca  in  quel  modo,che  noi  delìdcriamo  più  uiuamcnce,o  meno,  :  da  unlato,o  in  faccia,  o  da  altoje  tal  fico  e  riceuimcnto  di  lume  hab-.i  bJa  il  quadro,mentre  fi  dipinge  qual  deue  hauere  dopo  che  farà  dipin»  WfQ  collocata  ai  deftinaco  luogo;  circa  diche  non  lafcieròdi  dire,>  che  quelle  pitture,  che  riceuono  il  lume  da  alto  acquiftano  una  noa^  so  qua!  gratia,e  leggiadria  fopra  le  altre,  come  ben  fi  ofifcrua  ne  uiui  oggetti,neIla  Ritonda  di  Roma,che  per  ordinarie  fifonomic  chefiano,  in  quel  loco  coi  lume  alto apparifeono  bellifTimcj  Sempre  però  o(feruifijche  dobbiamo fuporre, che  il  lumevcnghi  da vn fol punto,  e  quindi  fi  fparga  a  ferire  tutta  la  pittura,dal  che  nafcc  la  diucrfità  dei  chiari,  conforme  le  diucrfe  parti,  che  vn  tal  punto  riguardano  j  ne  folo  fi  dourà  determinare  il  punto,  da  cui  viene  il  lume,  ma  il  punto,  dal  quale  l'occhio  dourà  mirare  la  pittura,  poiché  conforme  al  diuerfo  fito  dell*occhio,i  chiari  appariranno  in  diuerfa  parte;  comefipuò  ofl"er-«i  uarcncl  rimirare  vna  ftatua,  la  quale  filando  immota,  e  riceuendo  femprc  vnmcdcfimolume  da  vna  medefima  parte,    l'occhio  peròfimuouc,  e  da  diuerfo  fito  la  rimira,  vedrà  i  e  hiari  del  lume,  che  la  ferifce,  itu.  diuerfi luoghi.Finalmente  perbene  intendere quefti  lumi,giouerà molto rauueA7.arfi  a  dipingere  di  notte  a  lume  di  lucerna,  poiché  eifcRdo  quefto  vn  lume  debole,fi  canofcono  in  cflb  più  notabilmente  le  degradationi  poltre  che  ci  viene  da  vnfol  puneo,  ciò  che  non  patiamo  fpcrimentaredi  giorno, benché  anchedigiornodobbiamo procurare  di  riceuer  il  lume  da  vna  piccola  feneftrella,  perche  in  tal  modo  meglio  li  fcorge  la  diuerfa  illuminatione  delie  parti  direttamente  ouero  obHquamence  ferite  dal  himergiouerà  ancora  Teflerc ita rfi  nel  ritrarre  le  i\i£ue,e  qualfivogliaaltro  corpo  dal  fuo  naturale; ma  fopra  tutto  ci  ap«  porterà  grande  vtilità  il  dipingere  dal  naturale  varie  forti  di  frutti,  come anche  vccelli,  cani,  lepri,  e  fimiii.  cole;  la  ragione  fi  è  perche  i  frutti  fiori,ecofefimili  hanno  colori  molto  viuaci,  ne  quali  percuotendo  il  lume  moftra  più  difliintamente  la  diucrfità  dei  chiari,  e  de  gli  fcuri  ;  Oltre  a  che  nel  dipingere  li  detti  oggetti  fi  prende  vna  certa  franchez-  za nell'operarc,che  molto gioua,  ed  inanimifce; Tal  Francezz.a,e faci-  lità nafce  da  quefto,  che  nel  dipingere  le  dette  cole  habbiamo  grande  libertà,  e  licenza  di  variare,  facendo  foglie,  fiori,  frutti  qui  più,  e  la  me-  no carichi  di  colore,  glVni  con  vna,  altri  con  vn  altra  diuerfa  figura  :  Quefto  precetto  di  elTercitarfi  in  dipingere  fiorijC  frutti  dal  naturale  fi  ofserui  come  vn  gran  fegrcco  di  qucft'arte^vn  valente  maeftra  delia   R  r  quale    I5t   qu^leametmolto  locommendaua  per  molte  ragforii,ma  principal-  mente per  la  poco  auanti  accennata  di  far  venire  in  cognitione  de  i  lumi,  dalla  quale  notjtia  perche  dipende  tutta  l'arte  di  bendifporrf^  i  e  dori)  perciò  ho  voluto  auucrtire  quefte  poche  cofe^  ma  molto  fo-  ftantiali  in  quella  materia.  ^.'r-^yii   Refta  per  fine  di  quefto  capo  che  fi  diano  alcune  altre  regole  parti»  colari,  e  pratiche  per  il  colorito, oltre  le  già  accennate  da  principio;  e  già  che  con  rintrapoftodifcorfodeluinihabbiamoperdircori  inter-  meflb  il  colorire, voglio  qui  auuertire,che  quandoè  ftato  intermefibil  laiioio,e  pofcia  fi  ripiglia  a  dipingere  il  quadro,  li  cui  colori  fiano  già  afciutti,e  fecchi,  acciò  corra  meglio  il  peneilo^fideuevgnerc  prima  il  luogo  doue  fi  vuole  fcguitar  la  pittura,  o  rittocar  il  fatto,  con  oglio  di  lino  cotto,  cioè  in  cui  fiaftatò  poftodueonciedi  litargiro  per  ogni  li-  bra dioglio,e  rifcaldato fino  che  incominci  a  bollire, la  quarvntio-  ne  non  nuoce  altrimenti  alla  pittura,  come  alcuni  ftimanoj&  il  pro-  fitto è,  che  breuemente  fecca,  yolendiD»  l'oblio  (loxj  cotto  tempo  aliai  a  rafciugarfi,  .-"z  vi'iìr   Prima  di  formar  alcun  difegno  fopra  il  quadro, quello  deue  hauere  la  faa  imprimitura,  non  folo  fc  il  quadro  farà  di  tela,  ma  ancora    fijt  di  legno,o  verodi  rame,  fopra  il  quale  foglionfifare  ì  piccoli  ritratti;  quefta  imprimitura  confifte  in  coprire  il  quadro  con  alcun  colore,che  fuolcflerc  di  terra  d'ombra  ben  macinata,  con  vnpoco  di  biacca,  e»^  terra  rofla,  con  oglio  di  lino  j  quefta  macinata  alquanto  più  foda,  e  meno  liquida  de  gl'altri  colori,  fi  ftende  fopra  il  quadro  cenvn  coltel-  lo largo,procurandochefiaftefa,vgualmente  in  tutcele  parti,e  fotti-  le  i  alcuni  dopo  eiTer  afciiicta,  vene  ftendono  dell'altra  iìno  alla  terz.a^  fiata;  il  che  a  me  non  piace  j  poiché,  riufcendo  troppo  grofla  altera  molto  i  colori, che  pofcia    li  danno  fopra, mentre  li  fucchia,  e^  l'imbeue  in  modo,  che  partecipano  del  colore  dell'imprimitura.*  medefima.   Acciò  i  coleri  fi  mantengano  vini  jfideuono  dar  fopra  il  quadro  più  volte  replicando  i'iftcflb  colore  fopra  il  primo;  ed  in  oltre  i  colori  fi  deuono  caricare  alquanto  più  del  naturale;  come  nel  colorire  le  guan-  cie,e  fimili  parti  di  cinabro, e  di  lacca  fi  ecceda  alquanto  facendoli  più  roffi  ài  quello  che  conuenga  alla  carnagione  naturale;  imperciochc  dopo  qualche  fpatio  di  tempo  fi  vanno  moderando,  e  mortificando  ri-  ducendofi  al  fuo  douere;  altrimenti  reftarebbe  il  volto  troppo  pal-  lido, e  fmorto.   Molta  induftria  ha  ni  ad  vfare  dal  Pittore  nel  difporre  fopra  il  fuo  quadro  gl'oggetti  particolari  coni  loro  propri],  e  naturali  colori  itu»   modo,    hf9   modo,  che  vn  colore  in  Vicinante  dell'altro  faccia  fpiccarc,e  rileua-  re  tutte  fe' parti  jlmpcrcioche  i  tolori  ofcuri,  e  profondi  fanno  fpicca-  re  maggiormente  i  colori  chiari,  che  li  fono  vicini  ;  quindi  Ce  noi  vo-  gliamo che  vna  teftafpicchi,  e  rileuidifporcmoi  colori  intorno  ad  eip^.  in  maniera  tale,che  la  parte  più  chiara  habbia  vicino  a    alcun*  og»  getto,  o  contorno  di  colore  ofcpro,  e  fofco  j  come  all'incontro  la  parte  ombreggiata,  &ofcura  dourà  hauere  vicino  alcun* oggetto  alquanto  più  chiaro  j  il  quale    farà  difpofto  in  modo,  che  riceua  il  lume  dalla  parte  oppofta,  e  lo  rifì  -  tta  nella  parte  ombrofa  della  tefta,  vn  tal  lunie  rifleflb  cagionerà  vn  belliffimo  effetto,  temperando  alquanto  l'ombra.,  di  quella  parte  della  tefta,  che  non  può  rieeuere  il  lume  di  retto  j  Per  cagionare fimili  effetti, giouerà  feruirfi  delli  panneggiamenti  formati  con  quelli  colori  che  faranno  più  proportionati  ;  poiché  fiamo  in  libèf-'  tàdi  dare  al  panneggiamento  quel  colore,  che  più  ci  aggradajc  poten-  dolo far  fcorrere  in  quelle  parti  che  a  noi  piace,  procuraremo  di  con^  durlo  in  modo,  che  i  colori  di  effo  feruano  a  far  fpiccare  le  parti  me-,fb'  .'0  ni  r  f\n♦   [VE  fono  li  principali  modi,  con  i  quali  fogliamo  dipinge-  re,!* vno  che  chiamano  dipingere  a  frefco/altro  a  oglio.  Il  primo  modo  fu  in  vfo  anticamente, auanti  che  fofle  ritrouato  l'altro  di  dipingere  a  oglio,  inuentione  venuta^  da  Fiandra, e  ritrouata  in  Arlemrlaqualeha  aggiorno  molto  di  v'agOjcdiluftro  alla  pittura,  poiché  riefce  delicata;  e  fi  vCilì  communemente  fopi  a  la  tela,  la  quale  fi  conferua  lunghiffimo  tempo  fenxa  chefi  fmarrifchino  i  colori,!  quali  più  torto  con  l'inuecchiare  pi-  gliano delicatezzaniaggiore  j  la  doue  il  dipingere  a  tempera  (cofi  chiamato,  pcilchei  colori  fi  ftcmperano  con  aqua^  fi  faceua  anticamen-  te fopratauole  di  legno,  le  quali  con  lunghezza  di  tempo  fi  tarlano,  benché  mantengono  la  viuezza  de*  colori,  che  fi  conferua  più  che  fopra  la  tela,  douei  colori  fonoftempcrati  con  Foglio  ;  oltre  che  tiefce  mol-  to più  commodo  il  portare,  e  maneggiare  le  tele  potendofi  piegare,  e  leggiermente  muouere;  horafiè  quafidel  tutto  tralafciato  il  dipingere  fopra  le  tauolej&  anche  le  pitture  a  frefco, fi  fannofopraleteie,tol-'  tone  quando fiamo  neceffitati  a  dipingere  fopta  il  muro.  Per  tanto  volendo  dipingere  a  guazzo  fopra  la  tela,  o  cartone,    li    prima_>  fopra  l'imprimitura  di  creta  temprata  con  colla  di  ritagli,  fopra  la  quale  dopoché  farà  afciutta  fi  mettono  i  colori  macinati  con  aqua,  e  ftemperaticon  la  niedefima  colkdi  riragli,  ouero con  la  tempera  fat-  ta con  oua.  Ma    noi  voremo  dipingere  fopra  il  muro,dourcmo  far-  lo fin  tanto  che  il  muro  è  ancora  irefco della  calce,  pei ò  con  colori  ftemprati  con  Taqua  pura, e  terre  fenza  adoperar  biacca,  lacca,  cinabro,  e  altri  minerali,  feruendofi  invece  di  biacca,  di  Calcc,oiie-'  re  bianco  fanto,   Ciafcuna  di  qOefte  due  maniere  di  dipingere  fi  può  vfare  in.»  tré  modi, che  fi  diftinguono  dal  diucrfo  maneggiare,  che  fi  fa  il  pennello  in  lauorare  ;  11  primo  più  vfitato,  e  commune  è  lenendo ',ì\  che  fi  fa  con  mettere  ciafcun  colore  a  fuo  luogo,  t^  poi  con  vn  altro  pennello,  che  ha  netfo,c  fenza  tinta,  congion-  gendo  le  parti  cftreme  dclli  due  colori    vicini  >  acciò  vnendofi    nfieme    JnCieme  non  cagionino  vna  certa  arprezza,  che  offenderebbe  roc-  chio, fé  vcdeflevn  colore  porto  immediatamente  vicino  all'ahrojfen-  no  di  pittura,  e  di  difegno,  non  fi  ap-  plicano al  tediofo  lauoro  di  ricamo,  onde  quefto  refta  fole  nelle  mani  di  donne,  che  poco, o  niente  intendono  le  regole  di  buon  difegno,  ne  fanno  le  cofe  neceffarie  alla  pittura  ;  nulladimeno  Nicolò  della  Foggia  di»Marfiglia  a  giorni  no.ftfi,  è  ftato  mirabilifiìmo,  et  fi  vidde  va  ritratto  di  Papa  Vrbano  Vili,  fatto  di  ricamo  naruralifiìmo,  che  non  eccedea  di  grandezza  vno  fpatio  ottangolare,  per  metter  in  vnanelio,  e  donato  a  eflb  Pontefice >  cofa  veramente  degna  d'amiratione.   Simili  alle  imagini  di  ricamo  fono  quelle  dclli  Arazzi, cofi  chiamati  da  Arazza  doue  prima  fi  lauorarono,  e  fc  ne  fanno  non  folo  di  lana^ma  di  feta  ancora,  che  riefcono  molto  più  belli,  e  quando  fiano  fatti  coii  buon  difegno, e  pofti  indebita  diftanza  dall'occhio  fanno  vn  bdllif-  fimo  effetto  ;  ed  io  direi  che  gl'arazzi  paragonati  alU ricami ^siano  co-  me le  pitture  grandi  fatte  a  ogiio  sii  la  tela,  in  riguardo  alle  iraagitii  fat-  te a  punta  di  pennello. Inuentione  molto  più  antica  è  ftata  quella  di  far  lHmagini.a-Tnafa;loo  e  si  fanno  come  ogn'vn  sa  adoperando  in  vece  di  colori  piccioli  minuz-  zoli di  pietre  pretiofe,  o  marmi  di  varij  colori,  o  fmalti,  intrecciando  insieme  le  minute  particelle,  ed  vnendole  in  modo,  che  formino  vna  fuperficie  piana  rapprefentante  in  buona  form^a  di  difegn^o,  e  regola  di  pittura  alcun*  imagine  di  floria,  o  d'altra  cofa.  Molte  di  qjiefte  te  me   vedo-    vedono  lauorate  dalli  antichi,  come  in  S.  Marco  di  Venetia,  in  Roma,  ic  altroue,  le  quali  però  (ono  di  iauoro  affai  groflb,  e  che  richiede  mol-  ta diftanza  acciò  non  fi  conofc a  quel  difetto,  che  prouiene  dal  noii^  cflerben  temperati  i  colori  a  riguardo  della  groffezza  delle  pietre  che  le  compongono  5  ma  delle  più  moderne  alcune  fono  fatte  con  pietre»  cofi  minute,  che  in  molta  vicinanza  non  fi  diftinguono,  e  fembrano  pit-  tore su  la  tela,fe  non  che  hanno  i  colori  più  luftri,  e  più  viuaci,com«-»  quella  di  S,  Michele  Archangelo  in  S.  Pietro  di  R.oma,difegno  del  Caualier  Giufeppc  d'Arpino,  opera  veramente  Angolare  in  tal  gc-  ner  feixa  del  marmo.   Finalmente  a  tutte  le  predette  inuentioni  io  qui  ne  aggiongerò  vna  mia, di  fare,  che  le  pitture  comparifchino  delicati/lime, ed  in_*  modo,  che  non  fi  conofca  douc,  ed  in  qual  modo  fiano  dipinte.  Si  dee  dunque  auuertire,  che  tanto  più  delicate  comparifcono  le  pitture, quanto  più  vguale,  e  iifcia  riefce  la  loro  fuperficie,-  ond*è,che  alcuni  Pittori, quando  hanno  compira  alcuna  pittura.^,  vi  danno  fopra  vna  Vernice,che  viene  a  fare  alquanto  più  Iifcia,©  luftra  l'opera;  ferue  anche  a  tale  effetto  il  mettere  l'imagine  fotto  il  criftallo,oucro  talco,  poiché  quefto  toglie  dall'occhio  molto  dX   T     t  ine-    166   incgualirà,e roz-ierza della  fupc:ficictk!  quadro;  ma  perche  il  cri-  ftallo,otalco  non  fi  adatta, ed  vnifce  totalmente  alla  pittura,  anz.i  vi  refta  di  mezzo  molto  vacuo,  perciò  non    può   dare  alla   pittura,,  quel  luftro,eroauità, che  li  darebbe     potelle    vr.irfi  alla   pittura   per  modo  tale,  che  non  vi  reftafle  parte  alcuna  diari3,e  luo5.fo  tra  ef-  fa  pittura, ed  il  criltallo  .  Se  dunque  Noi  dipingeremo  fopra  il  cri-  ftallo,o talco  in  tal  modo  che  tralparifca  rimanine  nella  faccia  oppo-  ftadelmedefimocriftallo,come  ho  fatto  io  in  alcune  mie  pitture  pic-  cole, quefìe  compariranno  dclicariffime,  ed  i  colori  per  effer  imme-  diatamentevniti  fopra  il  criftallo  ('che  vuol' e0cr  pulitiflìmo  d'ambe  le  parti)  aquiftaranno  vna  foauità  marauigliofa;  ma  vn  tal  modo  riefce  molto  arduo  per  due  ragioni;  rv^na,perc  he  i  colori  fopra  il  cri-  fìallo  pulito  non  fcorrono,  ne  fi  vnifcono  fxicilmente  ;   L'altra,  che  molto  più  ardua  rende  rimprefa,è  che  il  primo  colore, che  fi    fopra  jlcriftallojè  quello  che  trafparifce;  che  però    non  è  pollo  a  fijo  luo-  go non  fi  può  più  emendar  l'errore  con  metteruene  fopra  dell'altro;  onde  chi  vele  dipingere  in  quella  forma, conuienc,ch'e^rhabbia-fran-  coildifegno,eche  lauori  a  botte,  ouero  a  punta  di  pennello,  ma  con  queftodiu3rio,chequì  nellauorarc  a  punta  conuicne  adoperare  anco  labiacca,acciò  non  virefti  parre'di  Vetio,che  non  fia  coperta  di  co-  lore,ciòche  riefce  molto  più  diflìcile  del  lauoro  a  punta  di  pennello  fopra  la  carta  pecora, doue  il  candor  della  carta  ferue  di  biacca.   Perciò  ho  procurato  di  rirrouare  j!  modo  di  fare, che  vn  im:)gine_-*  già  dipinta  fopra  carta  pecora,  o  lopravna  tauola,o  tela,fi  vnifca,e{i  attacchi  alcriftallo  totalmente,  fi  che  non  vi  refti  aria  alcuna  tra  mez-  xo.Faccio  qucfto  métrc  la  pittura  è  ancor  frefca. intenerendo  maggior-  mente i  colori  con  far  penetrar  per  la  tauola,o  cartapecora  alcun  li-  quore, che  intenerifca  i  colori,  lafciando  in  tanto  m  fopprefia  la  pittu-  ra fopra  il  criftallo,  acciò  preniutauifopra,fiv2da  attaccando  ad  eifoj  poiché  dopo  che  farà  bene  attaccata,  ed  vniti  i  colori  al  criftallo,  liac-  candofi  la  carta  deftramente  reftu  la  fuperBcie della  pittura  vnica  al  crifìiallo,  con  l'imagine  imprefla  perfettamente,  conforme  fi  dcfidera  .  Nel  che  quando  fi  operi  con  tutta  diligenza  riefce  opera  veramente-»  degna, riufcendo  però  meglio  fopra  il  criftallo, che  fopra  il  talco,  perche  la  profondità  del  criftallo  li  da  vn  non  so  che  più  di  luftro  e  delicato»   Hor  per  aggiongere  all'opera  maggiore  marau!glia,dopo  che  fa-  ranno afciugati  i  colori  pofti  fopra  il  criftallo,  dipingeremo  fopra_,  quelli  medefimivn altra  imagine totalmente  dsuerfa  dalla  prima,fiche  mirandofi  la  faccia  del  criftallo, che  none  dipinta  trafparifca  per   efia    cfìfa  laprimaimigine^e  mirandofi  l'altra  faccia  fi  veda  la  feconda,  n_^  tutto  varia  dall'altra.   Ouero  dipingeremo  dueimagini  che  trafpan'fcano  fopra  àviz  diii?rfi  criftaDi,  e  poi  vniremotucce  due  le  faccie  dipince  di  detti  crifiilli  j  quali  incaftreremo  cofi  vniti  in  vna  cornice,  acciò  fembri  va  cri-  llallo  folo  crafparente  intorno  alla  pittura  \  poiché  in  tal  modo  d.iiiVna  parte  comparirà  un  imaginc,  e  dall' altra  un  altra  diuerfa,e  munì  di  effe  farà  fopra  la  fuperficie,  cofa  che  renderà  marauiglia  a  quelli ch^_>  non  fanno  Tartificio,   Con  un  altro  artiticio  più  facile  potremo  dare  molta  delicarf2za_,  air  imagine  ponendoui  fopra  il  talcojouero  crftillo  in  mode,  che  non  uireftiariadi  mezzo.  Dopo  che  farà  afciutta  la  pttrur?.,^ilt>;.ll•  peraremodella  gomma  netti  (lima  in  aqua  limpida,ediquefta  gamni  alquanto  denfa  copriremo  la  pittura  ftendendouela  fopra  coiìefc  foffe  vernice,  e  mentre  è  ancor  tenera  ui  metteremo  fopra  il  r  ileo  pimen-  douelo fopra  fintanto  chefia  aIIìugatalagomma,euirefti  attic  ato  j  così  la  gomma  uerrà  a  riempire  ogni  uacuo  tra  il  talco,  e  la  piruura_,  come    foffe  unica  immediatamente,  e  dipinta  fopra  il  talco,  o  criftallo.   Quanto  poi  al  modo  di  difcgnare  anch'egli  è  moìco  vario,  poiché  alcuni  difegnano  con  la  penna,  e  con  l'inchioftro,  e  ciò  in  due  modi.  Il  primo  è  di  quelli,  che  lauorano  minutamente^  tratteggiando,  e  formando  difegni,  in  tutto  fimili  alle  carte  flam-  pate  in  rame.  Il  fecondo  di  quelli,  che  mieftri  nell'arce  coi  pochiflìmi  tratti  di  penna  formano  vn  difegno  di  molte  figure,  nelle  quali  benché  non  vi  fia  delicatezza  alcuna,  comparifce  nulla  di-  meno  vna  gran  forza  di  difegno  nclli  atteggiamenti, e  viua  natu-  ralezza delle  cofe  rapprefentate,  ne!  che  fu  molto  eccellente  il  Can-  giafi,Luca  per  nome,  e  Genouefc,di  cui  ho  veduto  vn  tal  difegno  ap«  preffo  air  lUuftrifs.  Sig.  Cauaglicr  Celfo  Lana  inrendente  non  folo  di  pittura,ma  anche  di  fcoltura,di  fortificatione,  d'ailronomij,ed  in  ogni  forte  di  effercitio  virtuofo  fempre  spplicatiflìmo.   Altri  difegnano  comunemente  con  lapis  roffo,  o  piombino,  nel  qual  modo  meglio  fpiccano  i chiari,  e  gli  fcuri,  e  lo  sfumare  dell  om-  bre j  e  queftomododidifegnare  è  neccffario,  che  fia  bene  intefo  pri-  ma, e  pratticato  da  quelli,  che  vogliono  applicarfialla  pittura  5  poi-  che  chi  faprà  ben  difporrei chiari  e  gli  fcuri  rie!  difegno  in  carta„.,  non  ritrouerà  poi  molta  difficoltà  in  adoperare  i  colori  fopra  la_.  tela.   Anche   l'intaglio  in  rame  è  vna  forte  di  difegno, nel  che  non   dcuo    16$  deuo  tralafciare  di  auuertire  grriuagIiatorì,e  quelli  che  formano  di-  fegni  per  intaglio  di  que]rerrorc,chc  fi  vede  in  moltifsìme  carte,  nelle  quali  fi  vedono  i  personaggi  operare  con  la  mano  finiftra,e  pofte  alla  dcftra  quelle  cofe,  che  dourcbbero  eflere  collocate  alla  finiftra  parte;  il  che  è  effetto  della  ftampa,  che  muta  fopra  la  carta  il  fito  delle  figure,  che  fono  intagliate  nel  rame  j  perciò  nel  rame  fi  deuono  ia»  tagliare  con  fito  contrario.   S'intaglia  anche  il  rame  con  aqua  forte,  inuentione  molto  bella  è  facile  de' moderni,  fi    al  rame  la  Vernice, e  dopo  efler  afciuga-  ta,s*imprime  nella  Vernice  vna  fottil  punta  di  ferro,  che  penetri  fino  z\  rame,  vi  fi  mette  poi  lopra  l'aqua  forte,  che  penetra  in  quei  luoi  ghi  douenon  è  la  Vernice,  e  lafcià  impreflb  il  difegnoj  ma    noi  vorremo,  che  qualche  parte  del  rame  refti  meno  bagnata  dall'aqua  forte,  come  quella  che  nell'Imagini  rapprefenta vna  lontananza  di  paefe,  ongeremo  l'intaglio  con  vn  poco  di  feuo,  il  quale  diminuirà  Is^  for^a  ali  aqua  forte.    % *S4^     rca^*   j»f^'     *¥^* ^*  nf'^* A^H' *Y4'     *fe'9!*" *ì^^'   •JCftp  ryC'»  "/sii  «^9k9    ^i» ft*?*»  «>fèìU  «>^^  ««^s»  e>^L’ARTE MAESTRA    ^OUH'^    K  "  e  particolarmente  perche  il  V^tro  concauo  diuarica,  e  difvnifce  i  raggi  j  oltre,  che  fi  vedrebbero  roucfci,  poiché  nella  decuflatione  de*   raggi    171  raggi  il  dcftrodiuenta  fmiftro,  e  rinfcriore  fi  fa  fuperiore,  et  all'in-  contro •  Si  pone  dunque  qucfto  Vetro  concauo  vicino  airocchio,  acciò  che  i  raggi,  i  quali    vnifcono  in  vn  'cono,o  piramide  troppo  acuta,  fi  diuertifcano  da  taIevnione,e  fi  dilatino  si,  che  la  luce  cosi  fparfa,c  dilatata  fi  pofla  foffrire  dall'occhio^  e  di  più,  accio  che  li  raggi  mcdefimi,i quali  di  nuouo  firenfrangono  negli  vmori  dell'occhio,  non  fi  vnifcano  prima  di  arriu.ire  al  fondo  dcirocchio,   Qyefto  Vetro  concauo  deue  parimente  cfiere  più,  o  meno  \on-n,  tano  dal  punto  delP  vnjone  deVaggi, conforme  alla  pupilla  dell  oc-  chio di  chi  rimira  j  poiché    la  pupilla  farà  più  tu.Tiida,e  sferica,  come  fuorcflere  dei  giouaniper  l'abbondanza  di  vmido,  all'hora  U  diftanza  del  Vetro  concauo  dal  punto  deU'vnione,  de*  eflere  mag^  giorc,cioè,efler  meno  diftante  vn  Vetro  dall'altrojonde  il  cannochiale  de  accorciarfi  j  all'incontro  fi  de*  allongare  quando  la  pupilla  è  meno  gonfia  e  tumida,  come  fuol'eflere  quella  de  Vecchi,  per  mancanza  di  vmido,  il  che  fi  potrebbe  facilnientedimoftrare  con  i  fondamenti  deU  Toptica,   Li  feconda  cofa,  che  fi  de  oflcruare  nella  fabrica  d\  quefto  ftrumento,  e  che  a  proportione  della  lunghezza  di  eflb  crefca  anche  lo  fpatio  aperto  del  Vetro  obbicttiuo,per  il  quale  entrano  i  raggi  con  le  fpccie  de  gli  oggetti,  Ciò  fi  fa  comodamente,  coprendo  l'eftre-  mità  del  Vetro  con  vn  cartoncino,  il  quale  hahhia  vn  foro  tondo  nel  mezzo  della  grandezza  predetta  j  la  qual  regola  e  molto  importante,  edaeffa  depcnde  molto  il  vedere  l'oggetto  chiaro,  e  diftinto];  poiché    il  foro,  et  apertura  del  Vetro  farà  troppo  grande  comparirà 'con-  fufo,  et  ofcuro  ;  e  la  ragione  è,  perche  non  tutti  li  raggi  dopo  la  re-  frattionc  fatta  dal  Vetro  conu;^(ro,fi  vnifcono  nel  medefimo  punto;  «•  come  fi  vede  nella  figura  fcguente  ;  poiché  gl'cftremi  rags;!  A  A  fi y  J^  vnifcono  più  prei^odi  quello,che  facciano  li  raggi  B3,  cioè  qneliifi  voifcono  in  D,e  quelH  in  E,  e  fimilmente  i  rag^i  B  più  prcfto,  fi  vnifcono  che  li  raggi  C,  poiché  qucfìi  fi  vnifcono  in  F,e  la  ragionec,  perche  li  raggi  eftremi  vengono  a^  ferire  più  obliquamente  la  fuper-  ficie  sferica  ABCCBA,  m^  gl'altri  CC  la  ferifcono  meno  obliqua-  mente^ onde  meno,  anche  fi  refrangono, e  confeguencemente  fi  lien-  dono  più  lontani  prima  di  vnirfi  nel  punto  F.   Se  dunque  poneremo  il  Vetro  concauo  nel  luogo.  GG,  quefto.  non  riceuerà  altri  raggi  primaiche  fi  vnifchino,  e  fi  decu(fino,  che  li  CC,  poiché  li  raggi  A  A,  è:  BB  fi  decufiinojed  vriifcono  in  D,  et  in  E  auanti  al  Vetro  concauo  Gj  conuerrà  dunque  dar  adito,  et  am-  mettere nel  tubo  li  foli  raggi  CC,con  gl'altri  di  mezzo,  impedendo  l'-  in-.    ingrefTo  a  gli  altri  con  ricoprire  reftrcmità  AB,  AB  (Eel  Vetro  j  altri-  mcnte  li  raggi  A,B,  dopoché  faranno  decuffati  in  D,  et  E,  confon-  derebbero in  tal  luogo  le  fpecie  de  gli  oggetti,  che  feco  portano,  eie  portano  confufe  all'occhio  pofto  vicino  al  Vetro  G.  • Giouerà  dunque  molto  oiTeruare  vna  proportione  conuenicnte,  nel  che  auuerto,che  non  fi  poflbno  afTegnare  proportioni  certe,  It^  quali  feruano  in  ogni  calo,  ed  in  ogni  circoftanza;anii  in  due  cafi  la  proportione  fi  dourà  alterare  .  Primieramente  per  ragione  del  Vetro  conueffo;  poiché  s'egli  haurà  Sgura  Ipérbolicaj  all'hora  il  forame, 5c  apertura  dourà  eÌTerc  molto  più  grande,  come  dimollre-»  remojne  folo quando  i  Vetri  hanno  figura  Iperbolica,  ma  anche_^  quando  la  figura  sferica  farà  più  efattamente  fatta  ;  poiché  in  tal  cafo  pochi  fono  li  raggi  inutili,che  fi  dcuono  impedire,  onde  l'apertura  pò-,  tra  eflere  maggiore  ;  ma    il  Vetro  farà  lauorato  male,  conuerrà  fare  l'apertura  più  ftretta.  Secondariamente,  per  ragione  dell'illumina-  tione  dell'oggetto  ;  poiché  quando  l'oggetto  è  affai  illuminato  dee  l'apertura  del  Vetro  cffcr  minore;  ma  particolarmente  annulla  de  ef-  fere  quando  noi  miriamo  le  ftelle  più  chiare,  le  quali  altrimenti  non  fipofibno  vedere cfattamerite,  perche  i  raggi,  che  rifplendono  intor-.  noallall:ellai^^ombranola  vita;  oltre  che  fanno,  che  il  corpo  di  efsa  ftella  comparifca  più  grande,  nel  che  molti  hanno  errato  nel  deter-  minare la  grandezza  del  Sole,e  dell'altre  ftelle,  e  pianeti;  e  ciò  auuìe-  ne  particolarmente  in  Mercurio,  ed  in  Marte,  come  che  fono  pianeti  più  fcintillanti;  intorno  alche  vedafiHeuelio  nella  fua  Selenografia,  et  il  P.  Niicolò  Zucchi  nella  fìlofofia  optica  parte  prima  cap.  i.fe'"-'^   nuouo  refrangendofi  dalli  medefirai  vmori,  conforme  la  maggiore,  o._ '   minore  conuefiità  loro  in  O,  et  in  P,  dopo  tale  refrattione  co.iJj'^,^'*f!  !    v»yV    corrano  finalmente  in  Q,  fuperficie  deÙ4  Retina,.ij^^    J   Efsendoche  dunque  non  tutti  gl'occhi,  e  pupille  hanno  la'  me-  defima  figura,e  conuefi^tà,  per  tutti  gl'occhi  non  ferue  vgualmente  i-i  X  X  bene    bene  il  mcdefimo  Vetro  toncauo  j  Quefto  folo  fi  ofseruì,  che    il  Vetro  oculare  ùlÙ  meno  concauQ,  e  come  dicono  più  clo^c»/,  rapprcfcntcrà  l  oggetto  più  chiaro,  ma  anche  più  piccolo,  e  con*  fcgucntcmentc  il  cannocchiale  farà  più  corto  -,  all'incontro  fc  farà   pitt  concauOjC  come  dicono  più  acuto,  farà  bensipiu  grandi  gl'o^^  getti? ma  i"cno  chiari,  ed  il  cannocchiale  fari  più  lun^o, perche  il  Vetro  più  concauo,  più  anche  dilata  li  raggi,  onde  per  non  dilatarli  iroppo  dourà  riceuere  folo  quelli,  che  più  fono  riftrettiie  tali  fono  quelli  che  fi  vnifcono  pi"  lontani  dal  Vetro  conuefso  .  Serua  dun»  que  di  auuifo,che  non  fi  de  accomu^odare  la  lunghezza  del  can-  ^occhiale  al  Vetro  j  ma  fi  de  cercare  vn  Vetro  concauo  propor-  tionatoalla  lunghezza  del  cannocchiale  già  Inabilita,  cioè,  alquanto  minore  del  fcmidiametro  della  conueffità  del  Vetro  ©bbiettiuo  ;  e    in  tal  diftanza  vn  conuefso  della  mcdefiitia  conuedìtà  richiederà  vn  concauo  più  acuto  dell'altro  farà  fegno  di  maggior  perfettionc-»  del  medefimo  con^eflo,  poiché  f^rà  più  grande  l'oggetto,  fenzM   ofcurarlo.   Ordinariamente  fi  potremo  feruire  della  Tauola  féguente,  in  cui  fono  determinate  le  proportioni  tra  il  diametro  del  conuefso,  et  il  diametro  del  concauo,  conforme  ne  ha  Infeguato  l'ifperienza-p e    J^unghezza   del  diametro  dclconucffo   I   2   o.  5^   12   >  2.  24   3   4   5   C.   7   8   >   2.  4   II   i.  41  28   2.56   51   >  2.  Io   >   2.43   29   >  S.57   IPt   Lunghezza del  d'jamctiCi  delconcaao   5   0.  3^  II   2,  20   »3      >  I,  28   > >  I.  49   1-57  17   2.  35)   2.  i^   Conueffo14   IS   16   1   20   >   2.45   1  Concaua   2.  27  2.  3  I   5  5   V  342.  37   i5   -i     2.58   Conueffo   3rl   >   ^•47   %%.   r   (  2.  5  «   14   l6   i  ^7   i.  5  5   1  Concauo   5   '  a.  45   5   a»^*   5  >  1.  5  3  i-  54   1  .—  ^^     ''   Li    175  JLi  numeri  della  lunghezza  del  diametro  del  Vetro  conuefsp  rap.  prelentano  palmi,  li  quali  fi  fuppongonodiuifi  in  iz,oncie,e  ciafcua  oncia  in  60.  minuti,  onde  poi  li  numeri  della  lunghezza  del  dia^  metro  del  Vetro  concauo  fignificano  le  dette  oncie,  et  i  minuti  5  siche  ad  vn  Vetro  conuefso  di  diametro  di  vn  palmo,  corrifpoodQ  vn  concauo  di  diametro  di  oncie  o.  minuti  $6,  Doue  fi  fuppone,  che  tanto  il  Vetro  concauo,  quanto  il  conueflb  fia  lauorato  d'ambe  le  partiima    il  concauo  farà  lauorato  davna  parte  fola,  e  dair'altra  refterà  piano,  all'hora  il  diametro  della  concauità  dourà  cflere  l^^,  metà  mmore.  Circa  di  che  fi  noti,  che  nulla  importa  che  il  concauo  fia  tale  d'ambe  le  parti,  poiché  fa  l'ifteflb  effetto  vn  concauo  di  dia-  metro dj  vn  oncia,Iauorato  da  vna  parte  foia,  ed  vn  altro  concauo  di  diametro  di  due  oncie  lauorato  da  tutte  due  le  parti,  non  cosi  riefce  nel  conueflb,poichc    farà  di  due  palmi  il  diametro  della  conueffità,  cflendo  lauorato  da  vna  parte  fola,  porterà  il  cannocchiale  lungo  due  palmi;  ma    farà  lauorato  da  tutte  due  le  parti  porterà  il  cannochiale  lungo  fol  vn  palmo.   Quinto.  Si  dee  diligentemente  auuertire,che  le  parti  del  can^  nocchialc,  che  s "inferifcono  Tvna  nell'altra,  nel  modo,  eh t^  poi  inregnaremo,fiano  talmente  ftrette,ed  vnite  infieme,che  non  vi  redi  feffura  alcuna,  per  cui  poffa  entr:^re  la  luce;  la  quale  non  dourà  poter  penetrare  per  altra  parte,  che  per  l'apertura  de  i  Vetri,  altra-  mente confonderà  le  fpecie  deU*oggetto,che  entrano  per  il  Vetro,  fucr  cedendo  il  medcfimo,  che  in  vna  camera  ofcurata,alla  cui  feneftra  fia  vn  picciolo  forame,  per  il  quale  entrino  le  fpecie  degli  oggetti,  doue    fi  ammette  altra  luccjfubito  fi  confondono  fimagini  di  detti  oggetti .   Sefto.  Gioua  molto  per  vedere  l'oggetto  chiaro,e  diftinto  met-  tere nelPeftrema  parte  di  ciafcuna  canna  del  canocchiale  va  circo-»  lo  di  cartone;  e  quefti  circoli  deuono  effere  aperti  nel  mezzo  con  tanta  apertura, che  riceuano  folo  i  raggi  dell'oggettoje  le  linee,  che  paffano  per  reftreme  parti  dell'apertura  del  Ve!;ro  concauo,  e  del  Vetro  conueffo  pailGno  medefimamente  per  l'eftreme  parti  dell'aper-  tura di  tali  circoli,  si  che  dopo  che  hauremo  detcrminate  l'aperture  del  Vetro  concauo,e  del  conueffo  infieme  con  tutta  la  lunghezza  del  cannocchialcsinferiremo  nelle  canne  dieffo  gli  altri  circoli  dimezzo  con  detta  proportione,  i  quali  fanno  quefto  effetto,  che  impedifco-  no  li  raggi,e  fpecie,che:  dalle  parti  laterali  entrano  per  il  Vetro  con-  ueffo, acciò  quefte  non  arriuino  all'occhio,  poiché  confonderebbero  le  fpecie  dciroggctto,  che  fi  vede;  Per  quefto  medefimo  effetto  gio-   uerà    '7»  uerà  che  le  canne  fiano  larghe  »  ancorché  il  cannocchiale  fìa  corco  :   poiché  nell'ampiezza  di  effe  fi  debiliteranno,  e  fi  perderanno  le  mede-   Sme  fpecie  de  gli  oggetti  ftranieri.   Settimo,per  impedire  maggiormente  tali  fpecie  de  gli  oggetti  late-  rali, acciò  non  entrino  per  il  vetro  conueffo,  metteremo  effo  vetro  non  totalmenteinfinedella  canna,  ma  alquanto  più  indentro,  acciò  i  lati  cfìremidi  effa  canna  impedifcano  d'ogn'intorno  l'entrata  a  tutte  le  altre,  fpecie,  fuori  che  a  quelle  dell'oggetto  che  fi  può  fcoprire  con  tale  can-  nocchiale :  ouero potremo  ancora  auanti  al  vetro  conueffo  ncll't iberna  parte  del  tubo  due,  otre  diti  lontano  da  effo  vetro  mettere  vn  circolo  di  cartone  con  tanta  apertura,  che  fia  fufficicnte  ad  introdurre  le  fole-»  fpecie  dell'oggetto  vifibile;  nel  qualcafo  non  faranno  neceffarij  altri  circoli  nel  mezzo  del  cannocchiale,  ma  in  ciò  fare  fi  de'auuertire  di  non  ofcurare  troppo  effe  vetro  cbbiettiuo,  poiché  non  rapprefentareb-  be  l'oggetto  chiaramente  :  onde  all'hora  fi  porremo  feruire  di  quella-,  regola,quado  vedremo  che  il  cannocchiale  rapprefenta  l'oggetto  trop-  po chiaro,  e  con  qualche  luce  colorita  a  modo  di  Iride  j  poiché  per  to-  gliere queft'iride  è  vnico  il  rimedio  predetto,  non  procedendo  tal  iride  da  altro  che  dalla  luce  colorata  co  la  fpecie  de  gli  altii  oggetti  che  in-  fieme  fi  confondono.,:o,-,i.r  1   Ottauo,  il  vetro  concauo  de' effer  collocato  in  luogo  ofcuro  quanto  più  fia  poffibile,*  e  l'occhio  di  chi  rimira  de' effere  in  luogo  parimente  ofcuro,  altrimenti^    foffe  cfpoflo  al  fole  poco,o  niente  potrebbe  dif-  cernere  deiroggetto,  e  quefta  regola  è  di  grande  confideratione,&  è  vniuerfale  per  ogni  forte  di  cannocchiale,  e  per  ogni  conditione  di  occhic,  et  anche  per  vedere  le  cofe  piccole  con  il  microfcopio;  come.*  vniuerfali  parimente  fono  per  ogni  forte  di  cannocchiale  le  regole  quinta,  fefta,efettima  precedenti.  Giouerà  dunque  molto  tingere  di  color  nero  tutta  quella  parte  del  tubo,  che  è  intorno  al  vetro  concauo,  e  vicina  ull'occhio,  e  collocare  effo  vetro  alquanto  indentro  nella  can-  na. Queft'ifteffo  c'infegnò  la  natura  nella  fìruttura  dell'occhiojpoiche  intornoairvmor  criftallino, che  rapprefenta  il  uetro,pofe  la  tonaca.^  detca  uuea  di  color  fofco, e  denfa, acciò  in  tal  modo  la  uirtu  uifiua,e  gli  fpiriti  uiforij  non  fi  diffipaffero:e  farà  meglio  a nchora  tinger  di  nero  tutta  la  canna  nella  parte  interiore.   Nono,  Si  dèfapere,che  con  li  cannocchiali  breui  fi  fcopre  inJ  vnafola  occhiata  maggior  fito  a  proportione  della  minore  lunghez-  za^ ma  quanto  più  oggetto,c  fpatio  fi  fcopre  tanto  minoreèladiftanza  acuìpoffono  diftinguere,e  far  comparire  l'oggetto  grande.  Cosi  di  due  cannocchiali  vno  di  due  palmije  l'altro  di  quattro/c  quello. difcerj  la  ragione  è,  perche  per  miraredavicino,comerièdetto,ri  de  allun-  gare il  cannocchiale;  e  queftoallungandofii  raggi  fanno  angolo  mi-  nore,e  perconfeguenzala  punta  del  cono  rad iofo,eirendo  più  picco-  Ja,e riftretta,piccola anche  de  eflere  l'apertura  del  Vetro  perlaquale  dee  pafiare.   Refta  hora  d'infegnare  il  modo  di  lauorare  i  Vetri,  e  formare  le  canne  nelle  quali  fi  deuono  inferire;  per  il  che  diamo  le  fe^uenti  re-  gole,   I.  Si  deue  far  fcicita  di  criftallo,  il  quale  non  habbia  pori,  nc^  bollc,ma  fia  denfo,e  netto  quanto  farà  poffibilejcome  fuol  eflere  il  cri-  ftallo  di  Venetia,  con  cui  fi  lauorano  gli  Specchi,  o  altro  fatto  artificio-  famente;  Etauuertafi  di  pigliare  crifhl!o,in  cui  non  fiano  certe  vene,  overoonde,le  quali  nai'cono  dal  difetto  de  gli  artefici  nello  ftenderlo  inlaftre;  poiché  tali  onde  molto  più  che  i  pori  turbano  le  fpecie,^^  confondono  le  refrattioni;  perciò  fi  pigli  criflallo,che  fialauorato,  e  luftro,  per  poter  prima  di  fare  la  fatica  conofcere  {e  inefla  vi  fono  bolle,e  vene, che  impedifcano  il  buon'  effetto  del  cannocchial^-j-:  Alcuni adoprano  il  criftallo  disiente, per  efler  più  chiaro,  ma  però  C^li  ha  yn  altro  difetto,  che  fa  minore  rcfrattione  del  criftallo  di  Ve-  netia,dalla  qual  minore  refrattionc  nafce,che  ingrandifce  manco  gl'-  oggetti 5  oltreché  non  è  facile  il  ritrouare  criftallo  di  Monte,che  fia  fenza  vene,ed  inegualità;  Altri  fanno  de!  criftallo  con  arte  partico-  lare,e  per  farlo  chiaro  vi  pongono  molto  di  fale  Alcalino  foda;  ma  que-  fti  criftalli  per  l'ecceflo  del  Tale  fogliono  fudare,cd  invmidcndo  fi  appannano,onde  ogni  volta  che  vogliamo  adoperare  il  cannocchiale  conuiene  Icuare  vìa  1  Vetri  dalle  canne,e  nettarli;  e  per  ordinario  an-  che quefti  fogliono  fare  minor  refrattionc,  il  qual  fecondo  difetto  è  molto  coufiderabile;  anzi  perciò  alcuni  eleggono  Vetro  ordinario,  benché  alquanto  fcuro,  perche  efllcndo  più  denfofa  maggiore  refrat-  tione;c  per  confeguenza  ingrolTa  più  l'oggetto.  Si  de*  ancora  auuer-  tire  che  il  vetro,  o  criftallo  non  habbia  colore  alcuno  ;  ne  anche  de*  eficre  troppo  chiaro,  poiché  è  inditio  di  non  eflere  molto  denfo,  oltre  che  rapprefenta gl'oggetti  debbolmente,&  alle  volte  con  iride,de*  dunque  eflere  di  vna  certa  chiarezza,  e  nettezza  denfa,e    tira  alquan-  to al  color  d'aria,  oceleftc  farà  buoniflìmo  effetto,  particolarmente  nel  vetro  oggettiuo.  Suol  anche  eflere  ip.ditio  di  buon  criftallo,  che  men-  tre fi  contorna  con  ferrOjO  forbice (ì  fpezzi  in  particelle  minute;  ma_*  quando  fi  rompe  in  parti  grofie,moft  radi  eflere  imperfetto, e  fi  mani-   fefta    i8t   fetta  in  cflc  rofcurìtà,  o  il  color  verde  del  crifl:allo,o  altro  5  che    non  appariranno  tali  colori, ma  più tofto  vna cerca  ofcurità  tenue, e  rap.  prefenterà  le  lettere  fcrittefopra  la  carta  viuacemence,  con  colore  più  nero  di  quello  che  fono,  e  con  vn  certo  diletto  dall'occhio,  e  vagherà,  fappiafi  che  è  criftallo  ottimo  per  il  noftro effetto.   Auuertafiin  oltre,  che  il  criftallo  per  lauorareil  cócauo  nonhabbia  alcun  poro,  o  macchia  nel  mezzo  j  poiché  iui  concorrendo  vnici  tutti  li  raggi  delle  fpecie  dell'oggetto, fi  perturberebbero  molto,  facendo  refrattione  irrego!ata,e  confufa;  onde  meglio  farebbe  il  concauo  ado-  perare criftallo  di  Monte,  o  altro  criftallo  chiaro,  ancorché  non  fofl'e  molto denfo,poiche fé  per  tal  ragione  farà  poca  refrattione,  fi  potrà  fare  alquanto  più  concauo,  onde  non  ne  nafcerà  altro  inconue-  nientt^ .  Dopo, che  hauremo  fatto  elettione  di  ottimo  criftallo,  con-  uiene  tagliarlo  in  parti  quadre,e  poi  contornarlo,  e  rifondarlo  perfet-  tamente prima  con  vn  ferro,  o  forbice  fatta  a  tale  effètto,  poi  fopra  la  moIa,o  ruota,  acciò  venga  ben  tondo,  incontrandolo  con  vna  carta  rondata  con  il  compafso.Per  tagliarlo  in  pezzi  quadri  fi  fegna  con  fmeriglio,ocon  vna  punta  di  diamante,o  altra  pietra  pretiofa  j  ma    il  Vetro  toffe  troppo  groflb,  e  ciò  non  baftafìe  per  tagliarlo,  dopo  che  rhauerai  fegnato  con  la  pietra,  toccherai  eflì  fcgni,  e  righe  con  vn_.  ferro  infocato.  Onero  accenderai  vn  filoimbeuuto  di  fojfo,  e  difte-  fofopra  il  Vetro, doue  vuoi  tagliarlo,  e  ciò  farai  più  volte  nel  medtv  fimo  luogo,  fino  che  h^bbia  bene  concepito  il  calore,  poijvi  ftenderai  fopra  vn  altro  filo  bagnato  di  aqua  fredda.   IH.  Il  Vetro,  particolarmente  l'oggettiuo,  non  fia  troppo  fottile,  anzi  fia  alquanto  groflb,  maflime  quando  dourà  feruire  pfer  cannoc-  chiale lungo;  e  più  groflb  fia  quanto  più  è  chFaro,  e  mcn  denfo;  poiché  efsendo  grofso  h  maggiore  refrattione;  onde  fi  può  com^  penfare  nel  criftallo  chiaro  di  Monte? o  altro,  la  poca  refrattione-*  con  la  maggiore  grc)fi*ezza.   IV.  Il  Vetro  fia  ben  piano,  in  modo,  che  non  fia  più  grofso  dall'-  vaa,  che  dall'altra  parte  ;  anzi  ne  meno  de  cfsere  più  denfo  in  vn  luogo, che  nell'altro, acciò  le  refrattioni  vengano  ordinatamentc-^j  perciò  fi  potranno  fare  alcuni  anelli  di  ferro, o  di  rame,  alti  tanto  quanto  dourà  efsere  la  grofsezza  del  v^etroji  quali  douranno  efsere  lauorati  efsattainenie  al  torno,  acciò  vna  parte  non  fia  più  alta  deli%  altra  5  in  quefti  anelli  farai  infondere  da  Vetrari  il  criftallo  lique-  fatto, e  fubito  lo  premeranno  di  lopra  con  vns  kftra  piana, procu-  rando che  fia  premuto  vgualmente,  acciò  non  rcfti  più  denfo,  o  qrof-   fo    x8»  fo  da  vna  parte  che  dalPaltra  ;  dal  che  ne  rìfulta  anche  queftj  commo-  ditàjchefi  fparamia  la  fatica  di  tondare  il  criftallo,venendo  in  tal  for-  ma perfettamente  tondo  :  ma  conuieneauuertirc  cheli  detti  anelli  fia-  no  alquanto  più  lirghi  nella  parte  di  fopra,  per  doue  fi  mette  dentro  il  vetro,  acciò  fi  poffa  facilmente  cauar  fuori,  e  mettcruenc  dell*  altro  j  (imilmcnte  per  Ichifare  la  fatica  di  lauorare  le  lentijche  fono  vetri  mol-  to conueflì,  come  diremo  appreflb,  potremo  fare  anelli,  che  nel  fon-  do fiano  alquanto  concaui,  acciò  il  uetro,  che  ui  s'infonderà  prenda_*  forma  conueffa.  Auuertafi  finalmente  di  far  infondere  il  criftallo  molti  giorni  dopo,  che  il  criftallo  è  Lìazo  nella  fornace,  acciò  fia  ben  cotto,  e   purgato.   V.  La  maggiore  difficoltà  di  tutte  le  altre  confitte  nel  lauorare  i  piat-  ti,ouero  forme, fopra  le  quali  fi  lauoranopofciaiuetri, dandoli  figura  conuefl^a  fopra  li  piatti  concaui,  e  la  figura  concaua  fopra  li  piatti  con-  ueflì,  ouero  fopra  palle,  o  mezze  palle  rotonde  :  li  uetri  conueffi,e  par-  ticolarmente quelli,  che  hanno  poca  conuefiìta,  cioè  una  piccola  por-  tione  di  una  gran  sfera  fono  più  difficili  da  lauorare  che  gl'altri:  onde  perciò  fi  richiedono  piatti  molto  perfettive  fappiafi  che  dalla  pcrfct-  tione  del  piatto  nafce  la  perfettione  del  uetro,  poiché    il  piatto  non-,  ha  forma  sferica  perfetta,  non  la  può  communicare  al  uetro,  che  fo-  pra lui  fi  lauora  ;  per  quefto  pongafi  fomma  induftria  nel  lauoro  di  detti   piatti.   Alcuni  li  lauorano  in  quello  modo.  Prendono  vna  pertica,  o  afta  di-  ritta di  tanta  lunghezza, quanta  vogliono  che  fia  quella  del  cannoc-  chiale jvn  capo  di  effa  formano  in  modo  che  l'altro  fi  pofia  girare,  e  muouerc  per  ogni  lato,  fi  che  fcrua  come  di  compafio.  In  quefta  parte  mobile  fermano  vna  punta  di  ferro,  con  la  quale  girandofi  come  fa  la  punta  del  compaffodifegnano  fopra  vna  lamina  di  ferro,  odi  ramc^  vna  portionediarco,qualetagliano,econlalimalo  riducono  in  modo,  che  fia  perfettamente  sferico  j  pofcia  quellurco  medefimo,  o  vero  vn-^  altro  di  ferro  tagliato  all'ifteffo  modello  formano  a  modo  di  lima  ;  eoa  quefta  lima  danno  la  forma  ad  vn  modello  di  piatto  fatto  di  legno,con  il  qual  modello  fanno  poi  la  forma  di  creta,  nella  quale  fi  fa  il  gitto  del  siietallo,e  queftoè  il  piatto  concauo,  fopra  cui  fi  lauorano  i  vetri  con-  uedijò  vero  conueflb    fia  per  i  vetri  concaui  i  ma  prima  con  la  mede-f  fima  lima  di  ferro  fatta  a  modo  di  arco  sferico,  fi  perfettiona  toglien-  do da  eflb  ogni  inegualità,  che  hauefle  contratto  con  il  gitto.  Qual  me-  tallo fia  migliore  per  quefto  effetto l'infegnerà  adognVno  la  propria-,  ifpericnia,  ordinariamente  fi  adoprano  di  bronzo,  ouero  di  rame  j  e  fi  fiolTono  fere  anche  di  ferro  ;  Io  nel  lauorare  le  lenti  ?  perche  in  tal  fat-  tura    turafi  de* lograre  molto  vetro,  onde  fi  logrerebbc  molto  anche  la  for-  ma, con  pericolo  di  perdere  la  perfetta  (uà  figura,  perciò  le  difrozzo  prima  in  vna  forma  di  piombo,  e  pofciale  finifcodi  perfettionare  in-,  vn  altra  fimile  di  bronzo,  o  di  rame,  la  quale  quando  mi  auucdo  chs_^  habbia  pcrfa  la  figura,  glie  la    con  l'arco  di  ferro  fatto  a  limale  quefli*  arco  fatto  a  lima  io  adopro  folo  per  le  piccole  forme  da  lauorare  le-»  lenti:  nelle  quali  forme  non  vi  è  molta  difficoltà,  ne  fi  ricerca  fom-  ma  efattezza,  come  nelle  forme  grandi,  e  di  molto  diametro  5  ne  il  predetto  modo  della  fagma  tagliata  con  la  pertica,  riefcc  ficura  ed  efatta.   Perciò  meglio  farebbe  fare  in  quell'altro  modo  da  me  taluolta  vfato  felicemente,  Attaccafivna  pertica  diritta  al  uolto  di  una  camera.*,  ouero  ad  un  traue,  o  altra  cofa  immobile,  e  uuole  attaccarfi  non  con.,  una  fune,  ma  con  anelli  di  ferro, acciò  non  fi  pofsa  allungare,  ne  fcor-  tare  :  All'altro  capo  della  pertica  metto  vn  ferro  fatto  à  modo  di  pic-  colo fcalpello  tagliente  nella  punta  j  ciò  fatto  prendcfi  il  piatto  di  mc-  ta|lo,acui  vuolfi  darela  forma  concaua,  e  fi  colloca  direttamente  fot-  to  la  pertica  pendente  in  aria  in  tal  modo,  chela  punta  dei  ferro pofta  in  capo  alla  pertica  ferifca  il  centro  del  piatto,  il  quale  vuol'  efler  fer-  mato ftabilmentc  incaftrandoloin  vnatauola,o  incollandolo  fopra_.  vna  pietra  sì,  che  nonfipoffa  muouere^airhorafivà  mouendo  intorno  la  pertica  in  modo,  che  la  punta  di  ferro  vada  rodendo  il  piatto,  fino  che  gl'haurà  data  la  portione  di  quella  sfera,  di  cui  la  pertica  viene^  ad  effereil  femidiametrojSt  accioche  fi  polla  meglio  girare  la  perti-  ca fenza  che  fi  alteri  la  di  lei  luughezza,  meglio  farà  fare,  che  in  capo  habbia  vna  palla,©  mezza  palla  rotunda,  e  quefta  s'inferirà  in  vn  anel-  lo tondo, e  concauoamodo  di  vn' altra  mezza  palla  coricaua  sì,  che  quella  in  quella  mouendofi  la  pertica  faccia  il  fuo  effetto,  ^_^  la  palla  fia  come  il  centro,  da  cui  prende  il  moto  la  medefima  pertica.^     Ma  lafciando  ogn'altro  modo  come  laboriofo,  impetfetto,&  efpofio  a  molti  pericoli  di  errore  ;paleferò  in  cuefto  luogo  vnmodo  ficuriffi-  mojcfattiffimo,  e  facile,  con  cui  potremo  fare  piatti  per  cannocchiali  di  cento,  e  più  palmi  fenza  pericolo  di  errore  alcuno:  Quello  artificio  tenuto  fin  bora  fegreto,  non  voglio  tralafciaredipalefarloper  publico  vtilc  J  benché  forfi  a  tal*  vno  non  piacerà  che  io  l'habbia  palefato;  ma  fc  alcuno  il  quale  forfiè  flato  il  primo  inuentore  di  quello  artificio,  l'ha  voluto  tenere  nafccftojiochefenza  faperlodalui,o  da  altri  l'ho  ritrouato,  poflb  publicarlo  come  cofa  mia  propria  :  deuo  benfi  però  darne  anche  lode  a  chi  mi  ha  aiutato  a  perfettionarloj e  ridurlo  facil-   %  z  mente    i8z  Hicntealhpratticajcioè  al  Sig.  Francefco  Simonetta  Ingegnere,  «_,  matematico  molto  intendente  del  Sereniflìmo  Sig,  Duca  di  Parma,  il  quale  nel  mcdefimo  tempo  che  io  in  Roma  ;  haueua  penfato  in  Parma_.  quello  artificio  fenza  che  Tvno  fapeire  nulla  dell'altro^  onde  poi  l'anno  1660,  giontoioinparmaje  difcorrendoìconefib  lui,rJtrouai  che  il  •enio  conforme  hauea  portati  ambidue  ad  vna  medefima  inuentione?  Quale  hora  è  pratticata  da  quefto  gentilhuomo  con  ogni  perfettione,  facendo  egli  piatti  per  ogni  forte  di  cannocchiale  con  ogni  eccellen-  za, e  maeftria.  E  so  elfer  hoggidì  pratticata  ancora  da  altri,©  efli  Thab-  biano  ntrouatadafcmedefimi,o  l'habbianorifaputadaalcunia  quali  io  rhocommunicatajnel  che  mi  dichiaro  di  non  volere  pregiudicare  ad  alcuno  nella  gloria  di  tale  inuentione,  effendo  cofa  frequente  cho-»  piudVno  s'incontri  a  ritrouarQ  fpecolando,o  prattic^ndo  vna,  cofa_r.  medefima.^  «   Prendafi  il  piatto  di  metallo  rotondato,  e  piano, overo  alquanto  battuto,  $r  incauato,  conforme  al  maggior  confano,  che    li  vuol  dare, e  per  finirlo  di  perfettionare,e  darli  perfetta  figura  fi  incaftra  fortemente  in  vn  capo  di  vn  legno  tondo,  e  cosi  fermo  fi  fta-  bilifce  fnpra  vn  torno  in  aria,  in  modo  che  fi  giri  nel  fno  centro;  e  per  farlo  girare  feguitamente  fempre  da  vna  parte  fi  potrà  ac-  commodare  vna  ruota,  che  girandofi  col  premere  di  vn  pierr  nr  ^nr^fy  "*f  o^JÌ   X.  Il  vetro  oggiettiuo  de' eflère  groflb,  o  fottllc  conforme  la  lun-  ghezza del  cannocchiale,  e  eonucflìtà,che    li  vuol  dare  5  e  quanto   più  lungo  farà  il  cannocchiale,  tanto  più  groffo  de*  eflere  il  vetro  ^  rna_,  %,   è  difficile  il  determinare  qual  regola,  e  proportione  s'habbia  da  ofler-   uarej  poiché  non  ogni  vetro  è  vgualmente  denfo,  o  chiaro,  e  perciò   vno  fa  più  refrattione,  e  l'altro  meno  j  onde  i  vetri  meno  denfi  deono   pigliarli  anche  più  groflì,  acciò  la  poca  refrattione,  che  nafce  dalla_,   rarità,  fia  compenfata  dalla  groflfezza.  lotenendo  vna  viadi  mezzo  of-   feruo  quella  proportione  j  piglio  dodici  gradi  di  quel  circolo  (che  fi   fuppone  diuifo  al  folito  in  $  60,  gradi  )  di  cui  effer  dee  la  conuclTìtà  del   vetro  ;  come  nella  portione  di  circolo  A  D  B,  fimile  al  quale  cfler  dec«*   la  conuellìtà  del  vetro;  piglio  dodici  gradi  cioè  da  A  fino  a  B,e  vi   tiro  fotto  vna  linea  ACBjpoi  faccio  che  la  groffezza  del  uctro  fia_,   tanta,  quanta  è  la  diftanza  CD  duplicata,  cioè  tanta  quanta  è  la  Imea    ig'-vv^T   DE  in  modojche    il  uetro nella conuellìtifofìe  12. gradi, e  filano-  -^^^^-^  ^   raffe  d'ambe  le  parti,  nell'cllrcma  circonferenza  refterebbe  confumata   dall'arena  tutta  la  fua  groflfezza,  e  finirebbe  in  un  taglio.   XI.  Sopra  tutto  fi  de' hauer  riguardo  alla  grandezza  del  uetro;  poi-  che    bene  poca  parte  di  eflb  de*  reftare  fcoperta  per  riceuere  i  ra"^.  gi  de  gli  oggetti  ;  nulladimeno  moftra  Tifperienza  che  facendoli  pic-  coli non  prendono  perfettamente  la  figura  del  piatto,  onde  fi  deono  fare  molto  più  grandi  di  quello  che  porti  l'apertura  loro  nel  cannoc-  chiale ;  poiché  lauorati,  e  luftrati  che  fiano,fe  non  li  vorremo    grandi  potremo  poi  impiccolirli; e  non  rincrefca  ad  alcunola  maggior  fatica,  che  fiproua  inlanorare,e  luftrare i  vetri  più  grandi,  poiché  verrà  ri-  compenfata  dalla  perfettionedel  vetro  che  riufcirà  fenza  paragone^  megliore  :  come  ho  imparato  dall' efpcrienza:  Io  non  faccio  vetro  di  12.  palmi  che  non  fia  largo  almeno  4.  oncie,cioè  vn  terzo  di  palmo,  ed  i  vetri  di  20.  palmi  li  tengo  larghi  mezzo  palmo;  che  peròadopro  piatti  affai  grandi,  doucndo  quelli  eflere  tre  in  quattro  volte  più  lar^^hi  del  vetro  nel  loro  diametro;  onde  anche  auuiene  che  meglio  confer-  uinola  loro  figura  concaua  perfetti^ .  Dopo  che  fono  lauorati,  e  puliti  li  vetri  fi  deono  inferire  nelle  canne;  circa  le  quali  oltre  lecofe  già  accennate  difopra  fide'auuerti-  re  di  farle  leggieri, acciò  non  fi  pieghino  facilmente  perii  pefo  ;  ma  nondeuono  però  eflere  tanto  fottiIi,che  vi  penetri, e  trafparif-  ca  la  luce; di  più  non  folo  conuiene  in  ogni  maniera  impedire  ogni  adito  alla  luce,  facendo  che  vna  canna  vadiben  ftretta  con  l'altra»,,   ma    »>»    ina  anche  gìoucrà  per  di  dentro  darle  color  neroi  Giouerà  ancora^  fare  le  canne  in  modo  che  fiano  alquanto  più  Jarghe  nella    rvl    cima  che  nel  fondo,  poiché  cofi  Icorrerano  facilmen^   te, e  diftcfe  che  fiano  la  parte  larga,  vnendofi   con  la  ftrctta  fi  ftringeranno  forrement^^   fenza  pericolo  che  fi  pieghino,  o   vacillino.    !Oìt)nt)n;         :   ^tlli  céinnocchìali    due^  o  fin  'vetri  conuef/f.    I  fogHono  fare  cannocchiali  fenza  vetro  concauo,ponen-  do  vicino  all'occhio,  o  poco  da  eflb  lontano  come  di-  remo vna,  o  più  lenti,  cioè  vetri  conueflì  di  poca  sfera  ;  e  benché  li  cannocchiali  con  vna  fola  lente  vicina  all'-  occhio rapprefentino gl'oggetti  riuoltati  al  contrario;  fi  vfano  però  per  mirare  le  macchie  della  luna,  del  fole,  e  le  altre  ftelle,  quali  nulla  rileua  che  la  parte  deftra  comparifca  dalla  finiftra.  Per  tan-  to fi  fanno  con  quefte  regole.   I.  La  lentefcèconuelTa  d'ambe  le  parti  dceftarc  dentro  la  canna_.  vicina  all'occhio  quanto  è  ilfemidiametro  di  effa  lente  ;  ma    è  con-  ueflada  vna  parte  fola  dee  fìare  lontana  dall'occhio  il  doppio,  cioè  quanto  è  tutto  il  diametro.   IL  Al  diametro  del  vetro  oggettiuo  dee  corrifpondere  quello  della  lente;  poichei  vetri  obbiettiuì  di  maggior  diametro  richiedonoanche  vna  lente  di  diametro  maggiore  con  vna  tal  quale  proporrione;  nel  che  fi  de*  fapere,  che  tanto  più  grandi  fi  rapprefenteranno  gl'oggetti,  quanto  la  lente  farà  di  minor  sfera,  e  di  più  breue  diametro;  ma  quan-  to più  grandi  farà  gl'oggetti, tanto  più  ofcuri  compariranno,  et  all'in-  contro la  lente  di  maggior  sferali  rapprefenterà  più  chiari,ma  più  pic-  coli. La  ragione  di  queftoè  perche  ciò  che  apparifce  più  grandc,app2-  rifce  tale  perche  fi  mirafottovn  maggior  angolo,  come  dimoftra  Top-  tica;ma  quelle  cofé  che  fi  vedono  fottomaggiorangolo,  fi  vedono  più  ofcuramente,  perche  eflendo  l'angolo  grande,  i  raggi  vifuali  che_»  deuono  riempire  eflo  angolo, fi  diffipano  troppo,  onde  perdono  della  fua  forza,  viuacità,  e  vigore,  che  riteneuano  e&ndo  vniti  in  vn  angolo  minore-^.   Quale  debba  eflere  la  proportione  della  lente  con  il  vetro  cbbietti-  uo  non  fi  può  facilmente  determinare,  poiché  quanto  più  perfetta  farà  la  figura  sferica  deirobbiettiuo,  tanto  più  gagliarda, cioè  di  minori;^  sfera  potrà  cflcre  la  lente,  onde  anche  da  ciò  fi  conofce  la  perfettiono  del  vetro  obbicttiuo,  che  fi  poifa  accompagnare  con  vna  lente  gagliar-  da, e  nulladimeno  con  ingrandire  maggiormente  roggctto,lo  rappre-  fenti  però  affai  chiaro.  Quando  vn  vetro  obbiettiuodi  cannocchiale-^   C  e  e  lungo    »54   lungo  1  o.  palmi  fi  pofTa  accompagnare  con  vna  lente  che  fia  di  femi-   diametro  vna  fefta  parte  fola  diva  palmOjfide'ftimare  molto  perfet-  to, ed  io  ne  ho  lauorati  alcuni  di  que/h  natura  5  fi  che  rapprcfentano  l'oggetto  fefianta  volte  più  grande  di  quello  che  comparifca  all'occhio  nudo.  Poiché  fi  de*  fapere  che  la  grandezza  apparente  dell'oggetto  lontanomiratocontalecannocchiale,  paragonata  alla  grandezza  ap-  parente del  medefimo  mirato  fenza  cannocchiale,  ha  la  medcfima  pro-  portione,  che  è  tra  il  diametro  dell'obbiettiuo,  ed  il  diametro  della  len-  5e,fi  che  efiendo  vna  fefta  parte  di  vn  palmo,  a  io.  palmi  come  i.a  6q,  tuie  èfimilmentela  proportione  dell'ingrandimento.  Quindi  èche    vn  cannocchiale  il  doppio  più  lungo  cioè  di  20.  palmi  fi  accompagnaf-  fe  con  vna  lente  di  diametro  pirimence  al  doppio  cioè  di  vna  terza  par-  te divn  palmo,  quefto  cannocchiale  benché  il  doppio  più  lungo,  non_*  rapprefenterebbe  niente  più  grande  Toggecto  di  quello  che  faccia  l'al-  tro; che  però  non  deecrefcereil  diametro  della  lente  a  quella  propor-  tion,checrefceil  diametro  dell'obbiettiuo,  ma  molto  meno.   La  ragione  poi  per  la  quale  l'iftciTa  lente,  che  ferue  bene  ad  vn  ob-  bicinuodi  lo.palmi  nonferuaad vn  altrodi  20.  palmi, è  perche  di  quanto  più  lungodiam.ctro,e  i!  vetro, tanto  piuingrandifce  a  propor-  tione gl'oggetti,  i  quali  non  comparifcono  grandi  per  altro    non  per-  che fi  vedono  fottovn  angolo  maggiore;  e  confeguentemente  conmi^  nor  quantità  di  raggi  in  ciafcun  ponto  dell' imagine,!a  quale  quanto  più  grande  fi  forma,  fi  forma  parimente  più  debbole,  e  meno  viuace,  come  fi  vede  nelle  imagini  tramandate  da  tali  vetri  obbiettiui,poftiad  vn  forame  di  vna  feneftra  in  camera  ofcura:  Quindi  èche  fefiaccom-  pagnafle  conTobbiettiuo  di  20.  palmi  l'iftefla  lentcchc  ferue  perl'ob-  bieitiuo  di  lo.  palmi  fi  formerebbero  l'imagini  delli  oggetti  troppo  dtbboli,&  ofcure;  che  però  fi  accompagna  vna  lente  di  maggior  dia-  metro, la  quale  formi  Timagini  più  chiare  benché  più  piccole  ;  conuie-  neperò  notare  che  l'imagini  più  grandi  formate  da  vn  vetro  obbicttiua  U.g.di  10.  palmi  non  fono  il  doppio  più  debboli  di  quelle  che  fi  for-  rnano  da  unuetro  obbiettiuodi  io.  palmi,  perche  la  maggior  quantità  di  ra^^ich'  entrano  per  l'apertura  maggiore  del  vetro  di  20.  palmi  compcnlala  debbolezzajonde    l'apertura  del  vetro  di  10.  palmi  po-  tefle  eflcre  il  doppio  più  grande  di  quella  del  vetro  di  io.  palmi  sì,che  tutti  iraggsche  entra{reroperefl3,fi  vnifl'ero  a  formare  l'imagine,  co»  me  fi  vnifcono  quelli  eh'  entrano  per  l'apertura  il  doppio  minore  del  vctrodi  lo.  palmi, l'imagine  fi  formerebbe  il  doppio  più  grande,  c-^  nuUadimeno  ritenerebbe  l'iftcfla  chiarezza,  e  viuacità  jonde  fi  potreb-  be adoperare  l'ifteifa  lente,  che  ferue  per  il  vetro  di  10.  palmi  j  ma_.   per-    Ii>5  perche  non  fi  può  dare  tant'  apertura  al  vetro,  che  tutti  h"  raggi  che  per   cfla  entrano  vengano  ad  vnirfi  nella  formatione  dell'imagine,  perciò  fi  deecompenfarela  minore  apertura,  con  la  lente  di  maggior  diametro:  Pertanto  fi  dourà  ofleruare  quefta  regola,  che  nel  cannocchiale  più  lungo  quanto  l'apertura  del  veftro  è  minor  di  quello  che  dourebbe  effe.  re  a  proportione  della  lunghezza,  tanto  maggiore  fia  il  diametro  della_,  lente  à  proportione  del  diametro  della  lente  del  cannocchiale  minore,  v.g.  fia  vn  vetro  di  cannocchiale  di  i  ©.palmi,  con  apertura  di  vn  oncia,  C  con  vna  lente  di  due  oncie  di  diametro,  il  quale  riefca  perfetto  :  oc  vn  altro  vetro  di  20.  palmi  non  pofl'a  vnire  perfettamente  i  raggi  con  aper-  tura maggiore  di  vn  oncia  è  mezza,  fi  che  manchi  vna  mezz'oncia  alla  proportione  della  lunghezza,  la  lente  dourà  efiere  di  5,  oncie.   Nel  che  però  fi  auuerta  che  quando  dico  vn  oncia,o  vn  oncia,c  mez-  za di  apertura  del  vetro  non  fi  de'  intendere  vn  oncia  di  diametro  in  lunghezza,ma  in  ampiezza  difuperficie,  eflendoche  la  fupcrficie  non  crefcc  con  la  proportione  del  diametro,  ma  con  proportione  ma^aio-  re,cioè  con  la  proportione  de' quadrati  del  diametro  ;  come  dimoftra  Euclide.  Ciò  che  fi  detto  del  diametro  della  lente  s'intenda  ancora  del  diametro  delconcauo,  quando  quefl:o  fi  adopra  invece  di  quella.  Didì  che  la  proportione  della  grandezza  apparéte  con  il  canocchia-  le,  alla  grandezza  apparente  fenza  cannocchiale,  e  la  medefima  ch?_-»  quella  del  diametro  del  vetro  obbiettiuo  al  diametro  della  lentejil  che  fide'intendere  quando  l'oggetto  ftia  lontano  dal  vetro  obbiettiuo  del  cannocchiale  foltanto,quanto  è  il  diametro,  onero  fcmidiametrodeija  conuefiìtà  del  medefimo  vetro,  cioè  quando  l'oggetto  è  lontano  dal  ve-  tro quanto  è  il  foco  delvetromedefimo^nel  qual  cafo  il  cannocchiale  fa  l'effetto  di  microfcopio  :  ma  in  maggiore  dilhnza  l'oggetto  non  com-  parifce  ingrandito  con  la  medefima  proportione,  ancor  che  cale  fia  la  proportione  de  gli  angpli,che  fanno  i  raggi,  li  quali  vengono  dall'eflire-  me  parti  dell'oggetto  al  punto  della  villa,  la  ragione  è  perche  la  gran-  dezza apparente  dell'oggetto,  non  fi  de'mifurare  dall'angolo,  de  i  rag^^i  efì:remi  dell'oggetto  formato  nell'occhiojma  dal  angolo,  de'medefimi  «  raggi  dopochefi  fono  refratti  da  gli  umori  dell'occhio  medefimo  i  il  che  per  non  eifer  fì:ato  auuertito  da  molti,  è  fl:ato  occafionedi  errore  nel  determinare  la  grandezza  apparente  de  gii  oggetti  ;  fia  v.  g,  l'oggetto  r--  AB  prima  vicino  all'occhio  C,  l'angolo  che  determina  la  grandezza  ;f^_J^^*  apparente  non  è  l'angolo  AC  B,-  ilchefi  prouamanifeftamcntecon-,  l'ifperienza.-poiche  pofto  rifieflb  oggetto  AB  al  doppio  più  lontano  dall'occhiojcioè  in  GH,farà  necefìariamente  TangoloGCH  il  dop-  pio minore  dell'angolo  A  C  B,  onde  dourebbe  l'oggetto  medefimo  com-   pa-    196   parire  il  doppio  più  piccolo  ^  e  pure  rifpenenza  moftra,  che  Ce  io  miro  vg.vn  vetro  di  vna  fencftra  prima  in  diftanza  dicinquepaffijC  poi  in  diftanza  di  dieci  paflì,  in  quefta  feconda  diftanza  non  mi  comparirà  ildoppjo  più  piccolo  j  anzi  mi  comparirà  poco  minore  di  prima-.    La  grandezza  dunque  apparente  fi  dcEermina,da  gl'angoli  de'mcdefimi  raoc^i  dopoché  fi  fono  refratti  nell'occhio,  cioè  dall'angolo  F  CE  for-  mato dalli  raggi  A  CE,  BCF,  dopo  che  fi  fono  decufifati,  e  refratti,  e  dall'angiolo  DCI  formato  dalli  raggi  C  CI,  HCD,  fimiimente  de-  cufTsti,  e  refratti  ;  e  perche  l'angolo  F  C  E,  non  è  il  doppio  maggiora-»  dell'angolo  DCl,benchefia  formatoda  raggi, che  vengono  dall' og-  oettoil  doppio  più  vicinojperciò  l'oggetto  ancorché  più  vicino  al  dop-  pio non  comparifce  al  doppio  più  grande  3  La  ragione  poi  per  la  quale  quell'an^olojchedourebbe  efiere  al  doppio  più  grande  non  Io  fia,  de*  pende  da  varie  cofe,quali  farebbe  cofa  lunga  il  fpiegarlejOnde  mi  rifer-  uo  a  parlarne  nell'optica.  i   Per  bora  bafìii  fapereche  laproportionedegli  angoli  fatti  da  raggi  eftrcmi  deiroggetto,ed  vniti  fenza  refrattione  all'occhio, non  èia  me-  defima  con  la  proportione  della  grandezza  apparente,  e  per  confe-  ouenxa  è  falfa  la  regola  vniuerfaie  jche  anche  nell'ingrandimento  óeK-  oggetto  fatto  dal  cannocchiale  fia  la  medefima  proportione  tra  Ia-appIicheremo  effo  cannocchiale  con  il  Ve-  tro cbbiettiuo  al  forame  della  feneftra,e  porremo  al  fuo  luogo  la  terza  lente  fola,facendopafl3re  per  il  Vetro  obbiettiuo,  et  per  cfla  lente  le  imagini  de  gl'oggetti  pofti  incontro  alla  feneftra,  e  collocheremo  die-  tro alla  lente  vna  carta,laquale    farà  vicina  alla  lente,  riceuerà  ì^l^  imagini  rouefciate  ;  ma    fi  andrà  allontanando,  il    cerchietta  delle  imagini  fi  andrà  impiccolendo,  fino  chela  carta  fia  lontana  daeffa  lcnte,tantoquancoè  ildi  lei  femidiamctroj,  ed  in  qucfta  dif-  tanza farà  vn  piccioHffimo  cerchietto,  e  quafivn  punto  di  luce  vi-*.  i  E  e  e  uif-    202   uifsima,ch'è  quel  punto,  in  cui  fi  colloca  l'occhio,  mirancio  per  dee-'  to  cannocchiale  di  vna  fola  lente.  Allontanando  poi  maggiormente.  la  carta,di  nuouo  s'incomincierà  ad  ingrandire  il  cerchietto,  con  den-  tro l'imagini  radrizzate.-  fegno  euidente,che  fi  radrizzano  in  quel  punto  di  luce  intenfa,ouefivnirconoiraggi,efidecufl'anoj  e  quanto  più  fi  allontanerà  la  carta,  più  longo  fi  farà  il  cerchietto,e  s'ingrandi-  ranno le  imagini,ma  perderanno  ancora  della  fua  chiareiz,a,c  viuacirà;  punque  collocheremo  la  feconda  lente  in  quella  diflanza  dalla  ter-  za, ncìla,'quale  diitanza  comparifcono  le  imagini  radrizzate   in   vn_*  cerchietto  di  competente  grandezza,  nel  quale  fiano  aflai  chiarc,e  viuejlat]ualediftanza  farà  il  duplicato  femidiametro  della  terza  lente,  o  alquanto  meno.  Di  nuouo  poi  collocheremo  la  carta  dietro  a  ^'■^"'.^.quefta  feconda  lente,e  vedremo  in  cfìa  le  imagini  parimente  radriz-  "    ^''zate  con  quefta  varietà  peròjche  in  vicinanza  alia  detta  feconda  lente,comparirannochiare»maconfufe;nia  in  maggiore  diftanza  di  quello,chefia  ilfemidiametro  della  lente,  compariranno  difìiinte,  t_j  qui  doue  fono  più  diftinte,  e  chiare  fi  de  collocare  la  prima  lente  ocu-  lare di  quella  grandezza,  che  farà  il  cerchietto  di.efìefopra  lacarca,  dietro  alla  quale  prima  lente  collocando  la  cartaio  diftanza  del  femi-  diametro,  vedremo  vn altro  piccolo  punto  di  luce,  doue  fide'col-  locare  l'occhio,  vncndofi  ini  le  imagini.  Ciò  fi  dichiara  nelia^  prefente  figura  5  nella  quale  il  Vetro  oggettiuo  AB,  riceue  le  ima-  gini con  i  raggi  CE,  DF,  iqualifidecufsano,cfirouefcianonel-  Tentrare  per  l'apertura  dicfso  Vetro  sì,  che  roggetto  deliro  vedeCi  alla  parte  finiftra,comc  è  manifefto  nelle  imagini,  che  fi  vedono  rap-  prelentate  nella  carta  pofta  dietro  ad  elfo  Vetro,  quando  quefì:a  fi  applica  iolo  al  forame  della  camera  ofcurata  ;  fi  riccuono  dun-  que le  imagini  rouefciatc  nella   terza  lente    FÉ,  e  perciò  met-  tendo la  carta  vicina  ad  efla  lente  tra  il   punto  G,  e  la  medcfir  ma  lente  fi  vedono  rouefciate,fino  a  tanto,  che  vnendofi  tutti  li  raggi  di  efi^  nel  punto  G,  fi  raddrizzano, e  fi  riceuono  diritte-»  nella  lente  H  I,  e  perche  i  raggi  di  cfle  fi  dilatarebbero  in  L,  et  M,  perciò  la  feconda  lente  HI,  li  reftringe    in    N,  et  O,  doue  parimente   dirizzate  fi  riceuono  nella  prima  lente  NO,  e  quefta  le  finifce  di  vnire  nel  punto    P,    poco   auanti  al  quale  fi  colloca  l'occhio,  il  quale  le  vede, come    fofsero  nella  fuperfi^  eie  della  lente  NO,  e  perciò  le  vede  diritte 5  so  che  altri  altra-  mente fpiegano  il  modo,  con  cui  operano  quefti  Vetri  nel  cannoc-  chiale, ma  qui  non  voglio  prendere,  ed  impugnare  l'altrui  opinioni,  poiché  io  non  procedo  con  dimoftrationi  geometriche,  il  che  mi  ri^   feruo    205   feruodi  fare  nella  mia  optica;  ma  folo  con  le  ragioni  fìfiche  cauate^  dairifperienza  che  cofi  m'infegna.   Chi  bene  intende  queft*  effetto  de  i  detti  vetri  (  e  l'intenderà  più  facilmente  chi  gli  applicherà  al  forame  della  feneftra  come  fi  è  detto)  potrà  difporre  le  lenti  non  a  cafo, come  fanno  la  maggior  parte  ài  quelli  che  fabricano  cannocchiali,  ma  con  arte  ed  in  modo  tale,  che  faranno    oggetti  molto  più  grandi,  con  vedere  infiemc  molto  fito  .  Poiché  auuertirà  prima  che  la  lente  F  E  vuol  cfìer  collocata  lontana.^  dal  vetro  obbiettiuo  in  quel  fito,  e  diibnza  poco  maggiore,  nella  quale  i'imagini  cheentrano  per  eff^  vetro  obbiettiuo  applicato  al  forame,  fi  vedono  più  chiarc,ediftintej  il  che  farà  il  femidiametrodi  elfo  vetro  obbiettiuo.  Dourà  parimente  effer  larga  acciò  riceua  I'imagini  di  mol-  ti oggetti,  poiché  cofi  il  cannocchiale  vedrà  maggior  quantità  di  o^;-  getti,cioè  tutti quellijdelli quali  fi  riceuonoleimagini  m  ella  tcrz,a_.  lente  F  E  j  purché  tutte  venghino  tramandate  alle  altre  lenti  ;  e  perche    la  lente  F  E  fofie  troppo  conuefìa  ingrandirebbe  ben  sì,  ma  non  rra-  mandarcbbe  tutte  le  imagini  alla  feconda  lente,  ma  folo  parte  di  elle,  e  quefte  affai  ofcure;  perciò  fi  de' fare  di  minore  conueflìtà,  cioè  di  maggior  diametro  delle  altre, acciò  i  raggi  FI,  EH  non  fi  dilatino  troppo  in  modo, che  non  fi  poffano  riceuere  tutte  le  imagini  nella  fe-  conda lente  MI,  la  quale  vuole  efler  pofta  difiante  dal  punto  G,in_.  cuifiriuoltano,e  fi  raddrizzano  I'imagini,  tanto,  quanto  è  il  proprio  femidiametro,  e  dourà  effere  tanto  larga,  quanto  è  il  cerchietto  delì  l^  imagini  in  quella  diftanza,  acciò  non  fi  perda  niuna  imagine  di  quella  che  riceue  la  terza  lente,  ma  tutte  fi  tramandino  raddrizzate  alla  fe-  conda, e  quefta  feconda  lente  HI, de'  effere  conueffa  tanto, quanto  bafta  perrefì:ringere  i  raggi  GH,GI  (i  quali  andrebbero  a  termina-  re inL,&i\'f,)  e  portarli  nella  prima  lente  in  N,&  O,onde  neanche  dourà  effere  troppo  conueffa  altramenteli  rellringerebbe troppo,  ^^  per  confeguenza  impiccolirebbe  le  imagini,  fi  che  de'cffere  taie,chei  raggi  H  O,  IN  fi  vadano  più  tofto  dilatando  che  reftringendo,  e  ter-  minino in  vna  lente  O  N,  tanto  larga  quanto  bafta  a  riceuere  tutte  le  dette  imagini,  acciò  ne  anche  queih  ne  perda  alcuna; e  perche,come  fi  è  detto  più  volte 5 gl'oggetti  comparifcono  comefefoffcro  in  quefta  prima  lente  oculare,  perciò  dourà  effere  molto  più  conueffa  delle  altre;  poiché  in  tal  modo  vnirà  i  raggi  in  maggior  vicinanza  cioè  inP,e  per  confeguenza  l'angolo  OPN  farà  maggiore;  onde  anche  maggior^»^  comparirà  l'oggetto, il  quale  tanto  più  grande  rafìembra,  quanto  è  maggiore  l'angolo  fotte  cui  fi  vede.  Nclchefipuò  ofseruare  che  I«^  due  lentivicine  all'occhio  fanno  l'effetto  del  microfcopio,ingranden-;^   do    204   do  le  fpecie,che  fi  riceuono  nell.i  terza  lente.     Auuertafi  finalmente  che  le  lenti  fiano  di  criftallo  chiariilìmo,    candido^e  più  fottilechefia  poffibilcje  particolarmente  )a  lente  ocu-  lare de'hauere  quefteducconditioni  j  ma  la  lente  di  mezzo  potrà  efiere  alquanto  meno  chiaraje  di  colore  leggiermente  auuinato,  par-  ticolarmente quando  il  criftallo  dell'obbiettiuo fofle  aflai  chiaro,  ma  quando  quefto  fofle,  come  de'efìcre  di  colore  auuinato,  tutte  le  lenti  deuono  eflcre  di  criftallo  chiariftìmo,come  quello  di  monte.   Oltre  alle  tre  lenti    ne  poflbno  aggiongere  delle  altre,  e  ciò  in_.  vari)  modi,  ma  perche  dalla  moltitudine  di  efie  poca  vtilità  fi  può  ottenere;  perciò  io  non  ftimo,  che  fia  bene  l'vfarle  particolar-  mente,perche  incorreremo  facilmente  in  alcuni  difetti  difficili  ad  eui-  tarfi  nella  moltiplicatione  delle  lenti  :  Ben    io  ho  efperimentato  mol-  lo gioueMoleTaggiongereyn  fecondo  Vetro  obbiettiuo  poco  lontano  dal  primo sì,chefiano due  Vetri  obbiettiuij&vna  lentc,ouero  anche  tre  lentijpoiche  quefta  difpofitione  di  cinque  Vetri  abbreuia  il  can-  nochiale,ritiene  in  gran  parte  la  mcdefima  grandezza  l'oggetto,  c-^  comparifce  più  chiaro:  Dcuefi dunque  fare  vn  Vetro  obbiettiuo,  il  quale  fia  di  minor  diametro  de!ralrro,ela  difterenia  de'efterelaquin^  ta,ola  quarta  parte;  per  cfempio  fei'vno  è  di  cinque  paimi,raitro  fi  de*  fare  di  quattro  in  circa;  poi  quello  di  cinque  fi  de' mettere  neireftre-.  mo  del  cannocchialcjche  miri  l*oggetto,e  l'altro  di  quattro  palmi  11  de'  collocare  più  dentro  nel  cannocchiale,  o  meno  5  conforme  li  di-  uerfi  efifetti,che  pretendiamo,  poiché    defideriamo  vedere  l'oggetto  chiaro,  e  piccolo  auuicineremo  maggiormente  edì  due  Vetri  obbiet-'  tiuijfe vorremo  che  rapprefenti  l'oggetto  grandc,e  meno  chiaro,  gli  allontanaremo;auuercendojche  quando  allontaneremo  vn  obbiettiuo  dall'altro,  douremo  auuicinarelelcntiad  eflì  obbicttiui,&  all'incon-  troquando auuicineremo  gl'obbiettiai  tra  di  loro,  douremo  allonta-  nare da  edile  lenti.   Auuertafi  anchcjchcla  lunghezza  del  cannocchiale  farà  motto  mi-  nore di  quello  che  farebbejfe  vi  fofle  il  folo  primo  obbiettiuo,che  mira  l'oggetto.   Di  più,  tal  hora  due  Vetri  cbbiertiui  lauorati  fopra  vn  medefimo  piatto  fono  atti  a  quefto  effetto,quando  dal  modo  di  lauorarli  vno  rie-.  fce  di  alquanto  maggiore  diametro  dell'altro.   Notoancora,chequeftj  due  obbiettiui  fanno  belliffìmo  effetto  nei  cannocchiali  aflTai  lunghi,  poiché  il  difetto  de' Vetri,  che  hanno  afsai  lungo  diametro,  confifte  in  non  vnire  bene  i  raggi  ;&  vn  tale  difetto  viene  corretto  dall'altro  Vetro  di  minore  diametro,come  fi  vedrà  me-»   olio    205   Balle  le  cofe,  che  fi  diranno  apprefso.   Finalmente  deuo  auuertire,che  nelli  cannocchiali  di  molti  Vetri  fi  vfi  molta  diligenza  in  fare,  che  la  faccia  di  vn  Vetro  riguardi  dirit-  tamente Taltra,  e  non  fiano  ftorte,  ma  Tvna  efattamente  parallela-,  all'altra  ;  altrimenti  il  cannocchiale  rapprefenterà  l'oggetto  ofcura-  mcnte  per  la  confufione  delle  refrattioni.   Refta  difcorrere  de*  cannocchiali  ditrce  più  Vetri,  parte  de  qua-  li fiano  concaui,e  parte  conueflì;  e  primieramente  fappiafi,  che  Ia_,  inedefima  inuentione  poc  *  anzi  accennata  di  feruirfi  di  due  Verri  conueflì  obbiettiui,  fa  ottimo  effetto  anche  nel  cannocchiale  ordina-  rio con  il  Vetro  oculare  concauo^  siche  qual fi  voglia  cannocchiale  ordinario  di  due  Vetri,vno  concauo,  l'altro  conuefso  fi  può  molto  per-  fettionare  con  aggiongere  vn  altro  conueflb  poco  lontano  dal  primo,  edi  alquanto  minore  diametro  j  poiché  in  tal  modo  il  cannocchiale^  riufcirà  afsai  più  breue,e  farà  Toggetto  più  chiaro,abbracciando  mag-  gior fico 5  e  fi  può  allongare,  et  accorciare,  conforme  defideriamo  vedere  gl'oggetti  grandi,  e  meno  chiari, overo  più  chiari,  e  pic-  coli.   2.  Mi  piace  di  riferire  in  quefto  luogo  vn  altra  inuentione,  che  confifte  in  fapere  collocare  vn  Vetro  concauo  circa  il  mezzo  de!  can-  nocchiale ordinariosì,  che  fiano  due  Vetri  concaui  jauertendo,  che  il  concauo,che  fi  mette  no  dal  capo,ma  più  dentro  nella  canna  de'cfsere  disferaalsaigrande,  cioè,  poco  concauo  ^poiché  in  tal  modo  non  di-  uaricarà  li  raggi  trafmefseli  dal  Vetro  obbiettiuo,  ma  folo  impedirà  chefivnifcano  troppo  prefto,e  portandoli  più  lontani  gli  vnirà  tutti  infiemej  ladoue  prima  quelli,che  entrauano  perle  parti  eilreme  del  Vetro  fi  vniuano  troppo  prefto,e  prima  de  gl'altri,  e  nella  mcdefima  maniera  potremo  feruirfi  di  fimili  Vetri  concaui  anche  ne  gl'ahri  can-  nocchiali con  le  lentijO  con  due  Vetri  obbiettiui^  e  di  più  porremo  cor-  reggere il  medefimo  difetto,  che  hanno  le  lenti  di  non  vnire  tutti  i  rag-  gi nella  medefima  diftanxa,  con  metterui  auantio  dopo  alcuno  di  quefti  Vetri  concaui,  auuertendo,  che  vuole  efsere  proportionatifsi-  mo  alla  conuefsità  di  auellojdi  cui  vogliamo  correCTocre  il  difetto,  nel  che  anche  fi  de'«faperc,che  collocando  quefto  concauo  dopo  il  Vetro  obbiettiuo,  il  cannocchiale  riefce  notabilmente  più  lungo  j  e    nt«>  può  facilmente  intendere  la  ragione  dalle  cofe  predette.  ponendo  la  fuperficie  conuefli  verfo  l'oggetto  vnirà  i  raggi  in  diftanza  diuerfa  da  quello,  che  farà  ponendo  verfo  l'oggetto  la_,  fupcrfìcie  concaua,  o   meno  conuefsa,   o    piana».  ;   Quindi  riefce  difficile  il  determinare  precifamente  la  diftanza  del  foco  dei  Vetri  sferici  5  aggiongafi,  che  i  Vetri  piu  denfi,  e  b:n_,  cotti  fanno  maggiore  refrattione, si  che  vnifconoi  raggia  minore  di-  ftanzajonde  non  effendo  tutti  li  Vetri  vgualmente  denfi,non  fi  può  fa-  pere  precifamente  la  quantità  dell'angolo  della  refrattione,  potendo  eflere  in  alcuni  piu,  in  alcuni  meno  della  terza  parte  dell'angolo  dell'-^  incidenza  .  Quanto  è  maggiore  la  refrattione,tanto  megliore  riefce  il  Vetro, poiché  minore  fuario  di  refrattione  vi  ètra  i  raggi  vicini  al-  rafse,edi  raggi  da  efso  lontani,  si  che  poi  tutti  fi  vnifcono  quafiaU'if-  tcfsa  diftanza,   Hor  per  fapere  pratticamente  la  diftanza  del  foco  di  ciafcua  Vetro  fi  pofsono  ofseruare  varie  maniere.  11  primo  modo  affai  co-  mune perii  Vetri  conuefsi  è,efporli  alla  luce  del  Solere  facendo  paf-  farepereflìifuoi  raggi,ofreruare  a  qual  diftanza  fi  vnifcano  in  vn  mi^  nor  cerchietto  di  viuitfima  lucej  poiché  tal  vnione  di  raggi  la  dous  fi  fi,  quiui  fi  dice  efler  il  foco  del  Vetro  conueffo;  fi  de*  però  notaresche  ne'Vetri  di  grande  sfera  riefce  difficile  il  difcernere  qual  fii  quel  fico  piu,o  meno  diftante,nel  quale  fi  faccia  la  maggior  vnione,poiche  tali  Vetri  non  vnifcono  tutti  i  raggi  in  si  piccol  cerchio,  come  fanno  li  Vetri  di  sfera  minore,   2.  Pongafi  vn  lume  dietro  al  Vetro  in  tal  diftanza,  che  i  raggi  di  elfo  penetrando  per  il  Vetro  efcano  dall'altra  parte  paralleli,  termi-  nandofi  in  alcun  piano  oppofto  ne  riftretti,ne  dilatati,  ma  con  vn  cer-  chio di  luce  vgualea'la  grandezza  del  Vetro  j  percioche  tal  diftanza  del  lume  del  Vetro,    quefto  farà  conueflo  d'ambe  le  parti,  farà  il  fe-  mìdiametroj  e    conueflbda  vna  fol  parte  dall'altra  piano,  farà  il  diametro,  e  comunque  fia  farà  fempre  la  diftanza  del  foco;  Quefto  modo  parimente  riefce  piu  efatto  nelle  lenti,  et -altri  Vetri  di  non  molta  sfera;  e  fi  de'auuertirejcheriufcirà  meglio,fe  illumefarà  molto  pìccolojouero  applicato  ad  vn  piccolo  forame.   3.  Si  metta  l'occhio  lontano  dal  Vetro  conueflo  pofto  dirimpetto  ad  oggetti  lontani;  e  quando  l'occhio  farà  arriuaco  a  tal  lontanan-  za dalVetro,che  mirando  perefib  gl'oggetti  lontani    gli  confondano:  totalmcnte,fappiafi  che  tal  diftanza  è  fito  dell'occhio  e  quella  del  focoj   Que-    io8   Quefta  regola  però  non  fcrueper  i  uìiopi,  poiché  quefti  ponendo  in^  tal  fico,  o  poco  da  eflb  lontano  l'occhio  fenza  altro  vetro  concauo,  ^^  fcnza  lente,  vedono  gl'oggetti  diftinti  ed  ingranditi,  come  altri  li  vedo-  no con  il  cannocchiale  perfetto  di  due  vetri,  cofa  offeruata  nouamente,  e  deonad'efiere  notata  come  nuoua,efinfjolare,   4.  Si  efponga  al  fole  il  vetro,  e  fi  faccia  riflettere  il  lume  in  vn  pia-  no oppoftocheftiatràil  vctro,edilfo!ejfi  vadaauuicinando,o  allon-  tanando il  vetro  da  elfo  piano  fin  tantoché  i  raggi  rifleflì  dalla  fuperfi-  cie  di  dietro  dal  vetro  fi  vnifcano  in  detto  piano  in  vn  cerchietto  di  luce,  più  piccolo  che  farà  podìbile,  poiché  la  diftanza  del  vetro  dai  piano  farà  la  quarta  parte  del  diametro  della  fuperfìcie  di  dietro  al  ve-  tro, che  riflette  tal  lume,  come    fofl'e  fpccchio  concauo,onde    il  ve-  tro haurà  rifìefl'acenueflìtà,  anche  dall'altra  parte  tal  diftanza  farà  la  metà  della  diftanza  del  foco,  ma    dall'altra  parte  farà  piano,  farà  folo  la  quarta  parte.   Nella  lenteèpiu  facile  conofcere  quanta  fia  la  diftanza  del  foco  non  folo  con  le  regole  infegnate  di  fopra,  particolarmente  con  efporlc  a  rag8;i  del  fole,  ouero  ad  vn  lume  lontano  acciò  i  raggi  fiano  paralleli    non  perfettamente  almeno  proflìn5amentc,&  offeruarea  che  diftan-  za gli  vnifcCjCcon  por  l'occhio  in  fito  in  cui  fi  confondono  gl'oggetti  lontani:  ma  di  più  con  por  l'occhio aflai  vicino  alla  lente,  e  quefta  fo-  pra vn  libro  allontanandola  da  efibfmo  che  i  caratteri  fi  vedano  più  ingranditi, e  più  chiari  che  fia  poflìbile;  poiché  tal  diftanza  del!a_.  lente  da  quei  caratteri,  e  la  diftanza  del  foco.  Secondo  fi  ponga  vn  lu-  me tral'occhio,  e  lalente,ed  il  lume  fi  vada  auuicinando  allalcntc_j,  fintantoché  fi  veda  riflettere  dalla  fuperfìcie  concaua  oppofta  deila_»  lente,  vn  lume  rouefciato  che  fporga  fuori  della  lente  quafi  in  aria_^  verfo  l'occhio, et  arriui  fino  al  lume  vero,  poiché  tal  diftanza  del  lume  dalla  lente,  farà  la  metà  del  femidiametrocioè  del  foco.   Per  faperpoiil  foco,  o  come  altri  Io  chiamano  il  contrafoco  de'  ve-  tri concaui  fi  miri  con  l'occhio  vicino  per  il  vetro  vn  oggetto  fino  che  comparifca  il  doppio  minore,  per  efempiofino  che  due  vetri  di  vna  feneftra  comparifcano  in  tanto  ipatio,  quanto  vn  folo  a  loro  vi-  cino jimpercioche  la  diftanza  del  vetro  dall'oggetto  farà  quella  del  foco .  La  feconda  regola  aflegnata  di  fopra  per  i  vetri  conueflì  vale  an-  cora per  i  concaui.   5.  Vn  altra  inuentione  molto  vtile  nel  lauoro  deVetri  obbiettiui  per  cannocchiali  afìfai  lunghi,  è  il  congiongerein  eflì  la  figura  conca-  ua  conia  conuefla,in  modo  tale,  che  eflendo  la  conueftìtà  portionc-»  di  minor  sfera,  e  la  concauità  di  sfera  maggiore  facciano  Teftetto  di   vetro    Io9   vetro  conueflfo,  con  il  quale  artificio  noi  potremo  lauorarc  vetri  (opra  piatti  di  pochi  palmi  di  diametro, li  quali  con  tutto  ciò  feruano  per  cannocchiali  longhidìmijcome    foflerolauorati  fbpra  piatti  di  grà-  diflìmo  diametro:  e  con  ciò  euitaremo quella  grande  difficoltà,  che  fi  ritrouanel  dare  la  figura  perfetta  conuefla  alli  vetri  di  lungho  dia-  metro :  oltre  che    la  concauità  di  vna  faccia  del  vetro  haurà  vna_j  conueniente  proportioneconla  conuefifìtà  dell'altra  faccia,  partorirà  ottimo  effetto  di  vriire  i  raggi  molto  meglio,  che    fofle  conueflfo  dall'  vna,  e  dall'altra  parte.  Nel  che  accade,  che  quanto  minore  farà  la_.  differenza  de'diametnY purché  il  concauofia  fempredi  maggior  dia-  metro )  tanto  più  lungo  riufcirà  il  cannocchiale,come    il  vetro  foiT?^  lauorato  fopra  piatti  di  lunghiflìmo  diametro.  Quefti  vetri  conuellb  concaui,foggiaciono  però  ad  vna  imperfettione  notabile,  et  è  ch«_/  non    li  può  dare  apertura  maggiore  di  quella,  che  porterebbe    foflfe  folo  conueffo  con  l'ifteffa  conue{Iìtà,onde  riceuono  pochi  raggi  a  proportione  della  lunghezza  del  cannocchiale,onde  fimagini  fi  ingran-  difcono  ben  sì,  ma  reflano  debboli  5  feruiranno  nulladimeno  per  li  og-  getti celefli,  quando  il  uctro ricerca  poca  apertura,   Refla  per  fine  di  quello  capo  di  dire  alcuna  cofa  delli  cannochiall,  con  i  quali  fi  mirano  gì*  oggetti  con  tutti  e  due  gl'occhi  che  per  ciò  adimandiamo  binoculi.  Elfendo  dunque  cofa  certa  che  quando  noi  miriamo  alcun* oggetto  con  ambi  gl'occhi  lo  vediamo  più  chiaro,  particolarmente  in  molta  diftanza,  feguita  che  facendo  noi  vn  can-  nocchiale con  il  quale  fi  poffa  rapprefentare  Toggetto  a  tutti  due  gl'-  occhi,  non  folo  ci  comparirà  più  chiaro,  ma  faremo  meno  fa—  tica_j .   Si  farà  dunque  in  quefta,  o  altra  fimil  forma  -,  fabricheremo  vn  tubo  di  cartone  di  figura  ouata,  e  di  tale  larghezzasche  applicato  a  gli  oc-  chi gli  abbracci  ambidue  j  nel  margine  della  parte  fuperiore  fi  ta^li  vn  arco  che  copra, e  fi  adatti  allafronce,e  nel  margine  inferiore  fi  fcaui  in  modo,  che    li  pofìTa  comodamente  addattarc  il  nafo  j  e  gl'occhi  re-  fl:are  nel  fuo  fito  fempre  immobili,  riguardando  direttamente  i  verri  obbiettiui 5 Pofcia  collocherai  nell'altro  cflremo  del  tubo,o  cannoc-.  chiale  due  vetri  obbiettiui,  li  quali  deuonoeflfere  di  vna  mcdefima  lun-  ghezza di  diametro,  e  l'vno  totalmente  fimile  all'altro  nella  fua  fi^^ura  conueflfajfimilmente  collocherai  vicino  a  grocchi  due  vetri  concaui  ;  ouero  due  lenti,  o  anche  fei  come  ne  cannocchiali  di  quattro  vetri,  Ci  che  fiano  come  due  cannocchiali  in  vnoj  ma  quefti  vicini  a  gli  occhi  dcuono  effere  collocati  con  taldifl:anza,che  il  centro  loro  coirilponda   G  g  g  efat-    N    efattamente  al  centro  della  pupilla  de  gli  occhi  j  ali*  incontro  li  due   vetri  obbietti  dcDono  eflere  tra  di    al  quanto  più  vicini,  o  meno   conforme  la  lontananza  del  l'oggetto,  e  he  vogliamo  guardare  ^  poiché   in  maggiore  uicinanza  dell'oggetto^anch'eflì  deuono  eflere  più  uicinì   tra      ;  acciò  in  tal  modo  i  raggi  uifuali  d'ambidue  gl'oc-?   chi  ipaffando  per  li  uetri  obbiettiui,uadano  a  termina?   re  nel  mcdefimo  oggetto;  onde  douremo  addat-   tare  li  detti  uetri  obbiettiui  in  modo,  che   conforme  al  bifogno  fi  poffano  auuici»   nare  più,  e  meno  tra  di  loro, .   ^n  qual  modo  ft  pojfa  cono/are    i///  Vetro  fiA  perfetta^   mente  lauorato,  etiandio  fen'^a  farne  l*ifùerien7a   con  il  Cannocchiale*    \A  perfetdone  del  Vetro,  e  del  fuo  efatto  lauoro,  meglio  fi  conofce  con  Tifperienza  del  cannocchiale  mede-  fimo  j  nulladimeno  potremo  conofcerla  affai  bent-^  anche  fenza  cannocchiale,  che  però  accennerò  come    ne  potiamo  certificare  nellVnOjC  nell'altro  modo.  Primieramente  la  perfettionc  del  Vetro,  (  parlo  deli  obbiettiuo  per  eflcrc  in  elfo  la  difficoltà  maggiore^  fi  conofcerà  congiongendolo  in  vn  cannocchiale  con  vn  Vetro concauo  al  modo  ordinario,  poiché  quanto  più  acuto  comporterà  il  detto  concauo,tanto  più  perfetto  farà  il  Vetro  ì  l'ifteflo  fi  può  far  con  vna  lente,  la  quale  quanto  farà  più  ga.  gliarda,cioè,di  minor  diametro,  fegno  farà  che  il  Vetro  fia  migliore,  purché  non  perda  di  chiarezza  j  il  concauo  però    inditio  più  cer-  to della  bontà  del  Vetro.  Di  più,  nel  far  quefte  proue  non  douremo  contentarfi  di  mirare  oggetti  grandi,benche  lontani  ;  ma  douremo  pia  toftodirizzare  il  cannocchiale  verfo  vn  foglio  di  carta  Rampata, con  diuerficaratteri,altripiu  grandi,  altri  più  piccoli,  e  pofta  in  vna  mo-  derata diftanzadi  80.  overo  100.  o  più  pafsi,&  offeruare    tali  ca-  ratteri fi  poffano  leggere  diflintamente, e    comparifcano  ben  ter-  minati,fenza  confufione  verunajpoichedaciòfiha  ini^allibilmciite  la  bontà  del  Vetro,  e  del  cannocchiale.  Terzo,  fi  conofce  ancora  la  detta  bontà  del  Vetro,fe  li  potremo  dare  vna  apertura  grande  sì,  che  entrando  per  effo  maggior  quantità  di  raggi  rapprcfentino  l'oggetto  più  chiaro,  e  nulladimeno  dif^into,  e  fenza  abbagliamento  di  luce_j.;  poiché  l'ecceflìua  chiarezza  fipuò  fempremai  temperare  con  ado-  perare vna  lente  più  gagliarda, che  imgrandirà  maggiormente  l'o^^-    getto, ma  quell'abbagliamento  nato  dalla  coniufion^?  de' raggi,  ch^  non  fi  vnifcono  all'ifteflo  punto,nó  fi  può  leuare  fcnoucó  refì:rin  gere  l'apertura  del  Vetro,impedendo  l'ingreffo  alli  raggi  più  lontani  dal  centro  del  Vetro,  i  quali  facendo  refrattione  maggiore  de  gl'ai-  tri,non  fi  vanno  ad  vnirc  inficmc  con  eflì,onde  più  tolto  li  confondo-  no, con  pregiuditio  dell'occhio.   Si    212   Si  de*  notare,che  nelle  proue,e  paragoni  de* cannocchiali,  più  age-  uolmente  con  vn  cannocchiale  leggeremo  vn  carattere  grofTo  mcz,zo  dito  in  diftanza  dimezzo  miglio,  che  vn  carattere  groflo  vn  dito  in  diftanza  divn  miglio, e  ciò  per  due  capi.  Primo, perche  la  rarefata  tione  de  raggi  dellicomi  radiofi  di  ciafcun  punto  dell'oggectOjcrcfce  non  a  proportionc  della  diftanza,  ma  a  proportione  della  fuperfìci^^  delle  sferCjdi  cuilediftanze  fono  i  diametri, si  che  i  raggi  in  doppia  di-  ftanza faranno  quattro  volte  più  rari,  mentre  fi  diuaricanojonde  an-  corché l'ingrandimento  crefca  a  proportione  della  miaore  diftanza,  crefce  però  più  reciprocamente  la  chiarezza  .  Secondo,  perche  ia_*  niaggiordiftanzafifrapongono  più  vapori  dell'aria, che  impedifcono  la  viftadiftinta;  e  particolarmente  nellVfo  dexannocchiali  lunghi,  i  quali  ingrandendo  molto  ogni  piccolo  oggetto,  fanno  che  compa-  rifcino  ancora  nell'aria  di  mezzo ivapori,iquali  perche  ftanno  in_.  vn  continuo  moto,  e  bollore,  come  fi  vede  in  effetto,  perciò  eoo»,  tale  agitatione  perturbano  molto  la  vifta  diftinta,  e  tranquilla  degli    oggetti.    Chi  poi  volefse  conofcere    alcun  Vetro  obbiettiuo  fia  ben  lauo*  ratOjfenza  farne  prona  con  il  cannocchiale,  ciò  potrà  ottenere  inuarij  modi.  Primo,faremo  paflare  per  il  Vetro  oppofto  al  Sole  li  di  lui  raggi  sjjche  l'unione  di  efli  uada  a  terminarfiinunpiano  pofto  a  dirim-  petto, e    a  proportione  della  diftanza  del  foco  quefti  faranno  uniti  in  tal  modo,  che  formino  un  cerchietto  di  luce  piccolo  nel  piano,  il  quale  cerchietto  (ìa  perfettamente  rotondo,  e  di  più  le  parti  eftremefianoben  contornate,  e  terminate,fenza  penumbra, ed  in  tut-  to il  cerchietto  la  luce  ha  ugualmente  uiua,farà  fegno  della  bontà  del  Vetrojchefcpoifiuedefteil  cerchietto  di  luce  con  leconditioni  pre-  dette, ma  non  fofle  nel  mezzo  dell'ombra  cagionata  dal  Vetro,  mapiutofto  davn  lato,  ciò  è  fegno,  che  il  Vetro  fia  ben  la-  uorato,  ma  che  lalaftra  del  VecroèpiugroiTa  dauna  parte,  ch5_-»  dall'altra,  il  che  fa  peftìmo  eff"etto.  Secondo,  fi  ponga  il  Vetro  in-  contro a  gli  oggetti  lontani, poi  fi  metta  l'occhio  nel  foco  del  Vetro  tra  effo,e  gl'oggetti,  e  fi  uedranno  le  imagini  di  tali  oggetti  aflai  piccole,  le  quali  quando  il  Vetro  farà  ben  lauorato,  compa-  riranno diftinte,e  con  la  loro  douuta  proportione,  fenza  ftorci-  mento,  o  altro  difetto.  Terzo,  fi  fermi  il  Vetro  incapo  di  un  af-  fé sì,  che  fi  poffa  girare  in  torno,  come  fopra  un  torno  in  aria,  ft^  poco  lontano  da  eftb  fi  ftenda  un  filo  fottile,  che  corrifponda  al  centro,e  diametro  del  Vetro  j  poi  con  Tocchivo  alzato,&  abbaf-  fato  fi  oflerui  1* ombra, o  iraagine   del  detto  filo  nel  Vetro,  la-*,   quale    "3   quale    fi  manterrà  fempre  parallela  al  filo  medefimop  mentre  il  vetro  fi  gira  farà  buon  fegno,  /  Finalmente  ottimo,  e  ficuriflìmo  è  il  modo  feguente.  SI  accenda  '  vnlumeinvna  camera  ofcura,e  poftoilvetroin  alcun  luogo  dirimpet-  to al  lume,  fi  tenga  rocchio  vicino  al  lume  medefimojefivada  allon-  tanando il  lume  infieme  con  l'occhio  dal  vetro  fin  tanto, che  corrifpon-  da  alfocodellafuperficieconcauajche  riflette  il  lume  dalla  parte  di  dietro  al  vetro  all'occhio  ifteflb,  che  farà  la  diltanza  di  vna  quarti.^  parte  di  tutto  il  diametro,©  poco  più,  in  tal  fito  fi  oflerui  il  vetro  con.,  il  lume  rifleflbed  vniconel  punto  dell'occhio,  che  però  fi  de' tener  fer-  mo ed  immobile  in  quel  punto  deUVnione  de'raggi  riflefiì  j  poiché    vedraflì  il  vetro  tutto  ripieno,  e  pregno  di  vna  luce  viua,ed  vniforme,  che  non  ondeggi,ncfia  mefcolatacon  ombre,  farà  ottimo  inditio  della  perfetta  figura  del  vetro  da  quella  parte  che  riflette  il  lume,cheèla_,  parte  di  dietro,  la  quale  in  tal  refleflione  fa  l'effetto  dello  fpecchio  con-  cauo:  mafemouendo  al  quanto  il  lume,  e  l'occhio  fi  vedrà  ondeggiare  quella  luce  nel  vetro,  ouero  reftarui  qualche  ombra  con  luce  ineguale,  e  non  vniforme,©  fenza  riempire  tutto  il  vetro,  farà  fegno  chiaro  che  nonfia  lauoratobene  da  quella  parte  j  l'ifteflofi  farà  dell'altra  parte  :  cdintalmodononfoloconofceremo    il  vetro  habbia  la  figura  per-  fetta: ma  di  più  s'accorgeremo    fia  ftato  ben  fpoltigiiato,e  ben  puli-  to, percioche  comparifce  in  eflbimbeuuto  in  tal  modo  di  luce, ogni  minimo  fegno  di  afprezza,(3i  righe,  di  onde,&  altri  difetti, ofiano  dell'  artefice, o  della  natura,epafta  del  vetro,  a  tal  fegno,  che  fi  conofce    fia  ftato  lauorato  con  arena  grofla,  o  confpokiglio  fino,  dalle  righs.,»,  e  ruidezzeche  femprepiu,o  meno  comparifcono,  ancorché  fia  finiffi-  mamente  lauorato  3  cofa  veramente  degna  da  fperimentarfi,  e  di  non-a  poca  vtilitàe. Ddli  mtcrofcofu.    l  come  con  il  cannocchiale  fi  aiuta  l'occhio  a  vedere-»  gl'oggetti,  li  quali  auuegnache  grandi,non  però  fipof-  Tono  chiaramente  difcernere  a  cagione  della  loro  lon-  tananza, cosi  è  ftato  ritrouato  vn  altro  ftrumento,  che  chiamano  microfcopio,  il  qualifiche  l'occhione  gli  oggetti  vicini  pofla  difcernere  moltiflìmecofe,  le  quali  per  la  loro  picciolew^  fuggono  la  vifta  ordinaria.  Quindi  è>chc  facendo  ef-  fetti fimilijma  oppofti  a  quelli  del  cannocchiale,  fi  fabrica  anche  in  modo  fimile,  ma  contrario»   Primo,  Il  cannocchiale  rapprefenta  maggiori  gli  oggetti  lon-  canijqu^ntQ  maggiore  è  il  diametro  della  conueffità  del  Vetro  obbiet-  tiuo;  et  airoppofto  il  microfcopio  rapprefenta  maggiori  gl'og-  getti vicini,quanto  è  minore  il  diametro  della  conaeflità  delle  lenti,  delle  quali  è  comporto,   2.  Li  lente  obbiettlua  del  microfcopio  nonde'efìere  pia  lon-  tana dall'oggetto  di  quello,  che  fia  il  femidiametro  della  conueflìtà  di  effi  ientej  ladoue  il  cannocchiale  dc'hauerc  l'oggetto  affai  lon-  tano «   3.  Nelli  cannocchiali  di  due  Vetri  conueffi,  cioè,  dell'obbiet-  tiuocon  vna  lente  oculare  fi  pone  il  Vetro  più  conueflb,  cioè  la  lente  vicina  all'occhio,  ed  il  Vetro  meno  conueflb  lontano  dall'occhio  5  nel  microfcf>pio,che  fuol  efiere  di  due  lenti,  fi  colloca  la  lente  meno  con-  uefi"a  vicina  all*occhio,e  la  più  conuefla,  e  di  minor  sfera  lontana  dall*-  Occhio,e  vicina  all'oggetto.   4.  li  cannocchiale  fi  pone  incontro  all'oggetto  5  il  microfcopio  fi,  pone  fopra  l'oggetto.   Venendo  dunque  alla  prattica  di  formare  quefto  ftrumento  fi  de*  fapcre,cheCebenelimic'rofcopij  più  perfettifi  fogliono  fare  di  due-»  Ienti,vna  lente  fola  però  fa  l'effetto,  che  noi  cerchiamo  d'ingrandire  le  cofe  picciole  j  e  tanto  maggiormente  le  ingrandifce,  quanto  la  lente  è  più  conuefla,  cioè  parte  di  minor  sfera  j  anzi  anche  vna  in-  tiera sfera  di  criftal!o,overo  vn'ampolla  rotonda  piena  d'aqua  chiara  farà  il  medefimoj  ma  Ih  qucftp  cafo  l'oggetto  vuol  porfi  imme-  dia-    diatamcntc  fottola  palla, o  sfera  sì,chc  Ja  tocchi^  la  doue  la  lente  de*  ftare  lontana  dall'oggetto  tanto, quanto  è  il  fcmidiametro  della  fua   conuefiìtà?   Volendofi  dunque  feruire  di  vna  fola  lente  potremo  fabricarc^  lo  ftrumento  in  vno  delli  due  modi  leguenti,   Faremo  vna  piccola  cannetta  di  lamina  di  ottone, o  cofa  fimile,  tanto  ìarga,che  vi  entri  dentro  la  Jente,cioè  quanto  è  l'iride  dell  oc-  chio noftrOjO  anche  più  piccola,e  lunga  quanto  ?  il  femidiametro  del-  la medefima  lente.   Quella  cannetta  farà  chiufa  da  vna  parte,  in  modo  però  che  vi  refti  nel  mezzo  vn  picciol  foro,fopra  ilqualc  pofi  immediatamente  la  lente,  dall'altra  parte  vicina  all'occhio  reitera  apertii,e  farà  loftentata  da  tre,  o  quattro  piedi,  in  tal  modo  però,che  fi  pofla  alzare,&  abbalfare,  cioè  auuicinare,o  allontanare  dall'oggetto,  che  fi  pone  direttamente  focto  quel  piccol  foro,  fopra  cui  pofa  la  lente,come  fi  vede  nella  figura,nella  quale  A B,  rapprefenta  la  cannetta  CD,  i  piedi  chela foftenca no  B,  il  piccolo  forame  fopra  cui  dentro  la  canna  fi  pofa  la  lente,  in  modo  tale, che  l'oggetto  E,  pofto  fotto  alla  lente,  la  lente  mede-  fima, e  l'occhio  pollo  in  A,  ftiano  in  retta  linea .  Poiché  all'hora/^'/V^r*  fi  pone  l'occhio  in  A5&  auuicinafiapocoapoco,overoallontanafila^-^^-^'  cannetta  dall'oggetto  E,  pofto  fopra  il  piano  di  vna  tauola,  fino  che  fi  difcerna  l'oggetto  chiaro,  e  grande  pliche  fuccederà  quando  la_*  lente  farà  tanto  lontana  dall'oggetto,  quanto  è  il  femidiametro  della  medefima .   Il  fecondo  modo  di  accommodare  vna  fola  lente,  che  ferua  per  microfcopio  è  quello,  che  fi  vede  nella  figura,  in  cui  fi  rapprefentayr^v^^-  vn  piccolo  piede  di  legno  con  vn  cerchietto,  overo  forame  nella_»XLll.  parte  fuperiore,  nel  qual  forame  fi  colloca  la  lente:  per  il  piede  forato  nel  mezzo  paflfa  vn  legnetto  a  trauerfo,  il  quale  eflendo  parimenti^  forato  da  vn  capo  pafsa  per  il  foro  vn  altro  legnetto  nella  cui  fommità,  è  vna  morfetta  fatta  di  filo  di  ferro,  o  di  altra  materia  atta  a  ftrin-  gerc,&  afferrare  vna  mofca,  vna  fogIia,o  altra  fimile  materia, che  fi  mira  coll'occhio  pofto  dall'altra  parte  della  lente,   Quefti  microfcopij  di  vna  fola  lente  ingrandifcono  l'oggetto  mol-  to meno  di  quello  che  facciano  i  microfcopij  formati  di  due,o  più  lenti  nel  moclo,che diremo  appreffojma  hanno  però  vn'auuantaggio  fopra  gl*altri,  che  fi  pyò  vedere  in  vna  occhiata  vn'intiera  mofca,  ra-  gno, o  altro  fimile  oggetto,  ladoue  con  i  microfcopij  di  due,o  più  Vetri  appena  fi  può  vedere  tutto  il  capo  di  una  mofca,  ouero  un'intiero  pulice  3    pure  la  lente  oculare  non  è  grandifiìma .   I  mi-    11^   I  nnicrofcopij  di  due  lenti  fono  però  ftimatl  megliori,  perche  rap*  prefentano  gl'oggetti  di  gran  lunga  maggiori  sì,  che  vn  capello  tali*»  Fiora  comparifcecome  vnagrofla  funere    fabricano  in  c^uefto modo^  ripigliano  due  lenti  di  crifìallo  Iauoi'ate,e  pulite  come  fi  è  infegnato  di  fopra  5  vna  de'  efler  piccola,  e  conuefìa  sì,  che  il  femidiametro  della  conueflìtà  fia  poco  più,  0  meno  della  groflezza  di  vn  dito  j  e  quefta  fi  accomoda  immediatamente  fopra  l'oggetto  che  vogliamo  rimirar^-;,  ponendola  invn  picciol  tubo,  q  cannetta,  come  è  la  defcritta  poc'an-  zi 5  l'altra  lente  de*  effere  affai  più  larga,  et  anche  meno  conueffa,ia^  tal  modojchc  ii  femidiametro  fia  di  einquc,fei,  o  più  dita  in  groffezza  5  e  quefta  fi  mette  invn  altro  tubo  di  cartone,  il  quale  fi  connette  infie"  mecon  l'altra  cannetta  piccola  in  modo  però,che  fi  poffa  alzare,  et  abballare,  acciò  fia  più,  o  menolontana  dalla  lente  piccola  pofta  nella  parte  inferiore  j  finalmente  nella  parte  fuperiorc  dei  tubo  è  vn  piccol  buco  tanto  lontano  dalla  lente  grande,  quanto  è  il  femidiametro  delia  medefima  :  al  qual  forame  fi  auuicina  l'occhio,  che  perle  due  lenti  mira  l'oggetto  poftoui  fotto  :  ma  quefto  forame  ancora  de*  poterfi  hof  più  hor  meno  allontanare  dalla  lente.   Deuono  dunque  effere  almeno  quattro  tubi  conneffì  infieme,  come  Fioura^^'O^^s.  la  figura.  Il  primo  B  C  piccolo,  nel  fondo  del  quale  fta  la  lente  XJLIII.  piccola,  et  ha  vn  piccol  forame  B  fopra  l'oggetto  A.  Il  fecondo  è  C  D  conneffo  immobilmente  con  il  primo,  ma  molto  più  largo,  e  lungo  :  Il  terzo  E  F  inferito  fopra  il  fecondo  C  D  in  modo,  che  fi  poffa  alzare,  et  abbaffarc,  fopra  del  quale  fi  colloca  la  lente  FF:  Il  quarto  è  GH  inferito  fimilmente  fopra  il  terzo, e  mobile  2  nella  fommità  del  qual^-»  vi  è  il  forame  I  a  cui  fi  applica  l'occhio  per  vedere  l'oggetto  A.  circa  il  che  fi  de'  auuertire.   Primo,  che  l'oggetto  fi  rapprefenta  all'occhio  rouefciatOje  la  ragio-  ne è  perche  nella  lente  oculare  FF  fi  riceuonoi  raggi  con  le  immagini  dell'oggetto  dopo  che  già  fi  fono  decuffati  dalla  lente  B  ;  onde    defi-  deriamo  di  vedere  l'oggetto  radrizzato,  conuienc  aggiongere  vicino  all'occhio  vn  altra  lente  nella  medcfima  forma,  che  fi  ò  detta  delli  can-  nocchiali di  più  lenti:  e  cofi  potiamo  aggiongere  anche  la  quarta,  e  la  quinta,  a  noftro  piacere.   Secondo,  quanto  più  conueffa,e  di  minor  diametro  farà  la  lente  infe-^   riore  vicina  all'oggetto,  tanto  piq  piccola  parte  di  effo  oggetto  fifcorgej   ma  altretanto  comparifce  più  grande  j  la  ragione  è  manifefta,  perche-»   /"iffamcome  fi  vede  nella  figura,la  lente  A  di  minore  diametro  de'  /lare  mena   XUV.loritana  dall'oggetto  BC  di  quello  che  fij  la  lente  D  dall'oggetto  E  F,   cffendochc  la  difianz,a  de'^ffertanta,quantoèilfemidiametro-.Quindi   è    ^^7  è  che  la  lente  A  non  può  tramandare  alla  lente  G  le  imagini  dell^.^   parti  eftrcmcB,&  C  delloggetto  BC^ poiché  tali  imagini  cadono  fuori  della  lente  G  come  moftra  la  linea  I L.  doue  che  la  lente  D  e(ren>  do  più  lontana  dall'oggetto  E  F,  e  refrangendo  meno  i  raggi  rappre-  senta tutto  l'oggetto  EF,  e  ne  porta  le  imagini  nella  lente  H  vicina»,  all'occhio  ;  efìTcndo  chejcome  fi  è  detto  altroue,tanto  oggetto  fi  vede^  quanto  è  quello,  l'imagini  del  quale  fi  rapprefentano  nella  lente  vicina  all'occhio  j  dal  che  auuiene,  che  quando  fi  vedono  poche  parti  dell'og-  getto, quelle  comparifcono  più  grandi, perche  occupano  tutta  Tarn-.  piez.za  della  lente  oculare;  ma  quando  nella  medefima  ampiezza  della  ftefia  lente  fi  reftringono  l'imagini  di  tutte  le  parti  deH'oggettOjnecelTa-  riamente  comparifcono  più  piccole.   5.  Si  de'  fapere,chc  tanto  più  grande  comparifce  ToggcttOjquan-  topiu  fi  allontana  vna  lente  dall'altra;  ma  fi  vede  meno  chiaro,e    ne  fcoprc  minor  parte  :  la  ragione  è,  perche  la  lente  oculare  efscndo  più  lontana  dall'altra  riccue  lefpecie  più  diuaricate,e  confeguente-  mente  più  ingrandite  ;  ond*  è,  che  anche  minor  parte  di  oggetto  rap-  prefentinoj  valendo  fempre  quella  regola  vniuerfale,  che  quando  in  vna  lente  medefima  fi  vedono  l'imagini  di  molte  parti  dell'oggetto,  cife  compaiono  più  piccole,&  all'incontro  grandi,  quando  fono  po-  che 5  impercioche  invn  medefimo  fpatio,&  ampiezza  della  lente,  non  fi  pofl'ono  dipingere  molte  cofe,e  tutte  grandi.   Quindi  fi  deduce  inqual  modo  fi  pofla  accrcfcere  o  la  grandezza,  o  la  moltitudine  de  gl'oggetti .  Si  accrefce  la  grandezza  in  due  modi.  Il  primo  con  adoperare  lenti  di  minore  sfera .  Il  fecondo  con  allon-  tanare maggiormente  vna  lente  dall'altra;  ma  perche  in  quefto  allon-  tanar delle  lenti  l'oggetto  comparifce  men  chiaro, perciò  farà  meglio  feruirfi  del  primo  modo.  La  moltitudine  de  gli  oggetti,©  delle  parti  di  vn  folo  oggetto,  acciò  fi  fcopra  tutta  in  vna  fola  vifta,fi  accrefce  con  feruirfi  di  lenti  di  maggior  sfcra,e  meno  tra    diftanti;  ma  perche,  come  fièdetto,quanto  più  fi  auuicinano  le  lcnti,overo  queftefonodi  maggior  sfera, tanto  minore  comparifee  l'oggetto;  perciò  volendo  vedere  molte  parti  dell'oggetto,'ed  infieme  grandi  non  v'è  altro  ri-  mediojche  feruirfi  di  vna  lente  oculare  affai  grande,  in  cui  fi  pollano  riceucre  molte imaginijc  quelle  grandi;  ma  fi  de'auuertire,che  non  fi  poifono  fare  lenti  molto  larghe,  le  quali  fiano  di  poca  sfera,  onde  conuiene  farle  di  sfera  maggiore,  e  perche  l'oggetto  comparifca  gran-  de, fi  deuono  collocare  lontane  dalla  lente  obbiettiua,  la  quale  anch'-  cfla  dourà  efiere  di  sfera  non  troppo  piccola,  poiché  fi  de'auertire,   4.   Che  vuolfiofferuare  vna  certa  proportione,tra  la  diftanza  del-   I  i  i  le    ii8   le  due  Ienti,c  la  grandezza  delle  mcdcfimej  impcrcioche  quanto  faja  minore  il  diametro  della  lente  obbicttiua,tanto  più  vicina  douràefìere  alla  lente  oculare,poicheeflendo  lontanai  raggi  troppo  diuaricandofi  dalla  lente  obbiettiua  di  poca  sfera,cadercbbero  fuori  della  lente,e  rap  prefentarebbero  l'oggetto  ofcuro.   5.  Per  ingrandire  l'oggetto, fenza  ofcurarlo  fi  potrà  aggion-  gerevna  terza  lente  vicina  airocchio,laqualefia  di  maggior  sfera  del-  la fecondajpoiche  in  tal  modo  non  folo  (i  radrizzeranno  le  imagini,  ma  compariranno  anche  maggiori,  con  allontanare  le  lenti  oculari  dall*-  obbiettiuajoueroconfare,che  quefta  obbiettiua  fia  di  minore  sfera.  Anzi  dicojche  l'ottimo  modo  di  fare  ilmicrofcopio,  e  ofiTeruare  Hf-  teffe  regole,  che  habbiamo  date  nella  fabrica  delli  cannocchiali  di  molte  lentiimaalrouefciojcioè  fare  che  nel  microfcopiole  lenti  più  vicine  all'occhio  vadano  crefcendo  non  folo  io  ampieiza,  ma  anche  in  grandezza  di  sfera  con  la  medefima  proportione,  con  la  quale  nel  cannocchiale  habbiamo  detto,  che  deuono  andarfi  diminuendo,  et  ef-  fere  di  minor  sfera  quelle  che  fono  più  all'occhio  vicine  j  fi  che  per  nor-  ma dclIi  microfcopij  potranno  feruire  le  regole  medefime,  che  habbia-  mo dato  nelli  cannocchiali  di  più  lenti  :  Auuertp  folo  in  ordine  alla-.  proportione,che  de'  hauere  la  lente  obbiettiua  con  la  lente  oculare  >  efler  ottima  quella  di  i,  à  i  o,  cioè    la  lente  obbiettiua  è  nel  fuo  diamc*^  tro  di  (re  tninuci  di  vn  palmo  la  lentQ  oculare  farà  di  30.  minuti.    .    21$    %    ^'ofidt  n^fcano  le  imperfettioni  àeU  cannoechUUjedinqttal  modo    fo^a  Untare  II  rimedio.    IVali  fiano  le  imperfettioni, che  neccflariamcntc  nafcono  ne*cannocchiali  compoftidi  vn  obbiettiuo  conuello  sfe-  rico, e  di  vn'oculare  concauo,  ouero  di  vn*  obbiettiuo  fimilmente  conueflb  sferico  con  vna,o  più  lenti  oculari  fi  fono  potute  ofleruare  dalle  cofc  dette  di  fopra.Primic-  ramente  al  vetro  obbiettiuo  non  fi  può  dare    non  vna  certa  determi-  nata apertura,  ond'è  che  entrando  pochi  raggi,    noi  vogliamo  ado-  prare  vna  lente  gagliarda,  ouero  vn  concauo  molto  acuto,mentre  que-  ftiingrandifconoroggetto,lorapprefentanolanguidamente,perlafcar-  fezza  de  i  raggi.  Secondo  dando  ali* obbiettiuo  apertura  maggiore  en-  trano ben    molti  raggi,  onde  rapprefentano  l'oegecto  chiaro,  anche  con  lente  gagliarda,  ma  abbagliato,e  confufo,perche  non  tutti  que'rag-  £;i, ch'entrano  perii  vetro, vanno  ad  vnirfiordinatamente.Terzo quan-  do vogliamo  far  comparir  grande  l'oggetto,  con  vfarevna  lente  più  gagliarda, ci  fi  rapprefenta  più  ofcuro  :  ne  lo  potiamo  hauer  più  chiaro,  che  non  ci  compaia  più  piccolo  vQuartoadoprando  vn  cannocchiale  il  doppio  più  lungo  dell'altro,  non  perciò  potiamo  vedere  l'oggetto  co  l'iftefla  chiarciza,&al  doppio  più  grande.  Quinto  li  cannocchiali  più  lunghi  benché  ingrandifcano  maggiormente  l'oggetto,  nulladimeno  non  lo  rapprefentano  mai    diftinto,  e  ben  terminato  come  fanno  i  pic-  coli. Sefto  li  cannocchiali  con  le  lenti  fanno  che  fi  fcopra  molto  cam-  po in  vna  fola  occhiata,  ma  non  terminano    bene  la  vifta^come  fan-  no i  cannocchiali  ordinari]  con  il  concauo  femplice.  In  fomma  1«-»  perfettioni  del  cannocchiale,  che  fono  ingrandire  l'oggetto,  farlo  ve-  der chiaramente,  farlo  comparire  diftinto,  e  precifo  fenz,a  confufione,  o  abbagliamento  di  luce,  e  fcoprirein  vna  fol  vifta  molti  oggetti,fono  perfettioni  tali, che  riefce  impofTìbileil  congiongerle  infieme  in  gra-  do eccelente,  non  che  perfetto,  nelli  cannocchiali,  che  nel  modo  hog-  eidì  vfatofifabricano.   Quindi  acciò  ogn*vno  pofsa  tentare  qualche  ftrada  di  ridurli  a  mag-  gior pcrfettione,  e  sfuggire  ifudetti  difettijèneceffario  prima  conof-  cere  quale  ne  fiala  prima,  e  nera  origine,  quale  procurerò  di  moftrarc   tanto più  volcntierijqaatttOjche  nonèftatafe  non  in  parte  oflferuata^  da  altri  ;&:a/jiche  acciò  meglio  fi  pofTano  intendere  le  ragioni  dellt-*  cofegià  lopra  accennate;  siche  dopo  hauer  fcopcrto  l'origine  del  ma-  f'.'1e,potr£mo  additarnieglio  laftrada  per  ifcanfarlo.Si  debbono  dun-  que prima  fapere  alcune  cofe  comunemente  riceuutejC  che  da  noi  fi  di-  moftreranBo  nella  fcicnza  optica.   Primo,  Si  fiippone  comunemente,  che  i  raggi  pafì'ando  dall*-  >F;^«r  da  ciafcun  punto  deiroggetto,non  vengono  realmente  paralleli,  ne  (i  polTono  prendere  per  tali,  come  fi  fuppone  nella  quinta  fuppoficione;  poiché    bene  l'angolojche  fanno  nel  punto  deiroggetto,dacui{ì  pir-  tono,èpiccoli{Iìm;),&acutiinni,&infe  ftelTo  non  è  confiderabile-»,  cagioni  però  fenfibiie.e  notabile  varietà  ne'fuoieff.-tcijciò  fi  proui  manifeftamentej  poiché  mirando  con  vn  medefimo  cannocchiale,    vicino  al  qual  punto  N,  benché  alquanto  più  lontano  fi  termina-   ranno    ranno  ancora  i  raggi  più  vicini  all'aflfe  tra  AB,  (la  dunque  AB  la  metà  dell'apertura  del  Vetro  nel  cannocchiale  ordinario,siche  li  rag-  gio BN  con  tutti  gì' altri, che  cadono  tra  AB  vadano  ad  vnirli  quafiadvn  medefimo  punto  N,  che  però  come  vtili  fi  ammettono,  ma  gl'altri  CH,  DL,  come  inutili, anzi  noc'ui  fi  efcludono  co-  prendo la  parte  BD  del  Vetro.  Per  fare,  che  ancor  quefti,  li  quali  andando  in  L,  et  H  farebbero  nociui,fiano  vtili,  e  vadano  con_.  gl'altri  in  N  collocheremo  vn  Vetro  KM  conueflb-concauo  poco  auanti  all'vnione  di  edì  raggi  CHjDL,  ilquale  fia  forato  nel  mez-  zo, acciò  per  tal  forame  padì  liberamente  il  raggio  BN,  con  gl'altri  tra  AB,  i  quali  per  efl'er  vtili, ed  vnendofi  tutti quafi  in  vn  fol  pun-  to N,  uon  fi  deuono  alterare.  La  conueflìtà  del  Vetro  KM,  per  fuggire  le  molte  refrattioni  farà  riuoltata  verfo  il  Vetro  obbiettiuo,e  farà  di  tanto  femidiametro,  che  li  raggi  CG,  DI,  vi  cadano  fopra^  perpendicolarmente  5  ma  perche  facendo  diuerfo  angolo  non  tutti  ponno  cadere  perpendicolari,  fi  faccia  almeno  che  vi  cada  perpen-  dicolarmente il  raggio  CG,  poiché  gl'altri, che  faranno  tra  FG,  e  tra  Gì,  pochiffimo  fi  fcofteranno  dal  cadere  perpendicolari  fo-  pra  la  conue/Iìtà  IcM,  che  però  penetreranno  fenza  refrattiont-*  per  il  Vetro,  fino  all' altra  fuperfìcie  concaua  in  S,  e  Q^  Per  fare,  che  il  raggio  CG  cada  perpendicolare,fi  notidoue  vada  ad  vuirfi  con  rafse,cioè,  in  H,  polche  HG  daurà  efifereil  femidia-  metro della  conuellìtà  K  M,   La  concauità  poi  RT  dourà  effer  tanta, che  il  medefimo  raggio  CGS,  il  quale  fenza  refrattione  andrebbe  in  H,  vfcendo  dalla  detta  toncauità  vada  a  terminarfi  in  N,  infieme  con  gl'altri,  ììchti  fi  otterrà, fé  tirata  vna  linea  da  S  in  N  mifureremo l'angolo  HSN,  e  faremo  vn  altro  angolo  H  S  V,  tirando  la  linea  SV,  il  quale  fia  il  doppio  maggiore  di  eflb  HSN,  poiché  VS  farà  il  femidiametro  del-  la concauità   RT.   Ma  forfi  farà  meglio  far  vn  altro  concauo-conueflb,  ilquale  fi  pon-  ga con  la  parte  concaua  verfo  il  Vetro  obbiettiuo,  e  conia  conucfsa.^  verfo  la  lente, e  collocato  fimilmente  auanti  airinterfecatione  d«^  raggi  CH,  DL.  fi  determinerà  la  conueflìtà  KM  dalla  diftanza  dd^'^^'''^  Vetro  dal  punto  N,  poiché  quanta  farà  efla  diftanza   V,  g.    NV,^^^*  altretanto dourà  efiere  il  diametro  della  conueflìtà  KM,  la  conca-  uitàpoi  fi  determinerà  dalla  dif>anza  del  punto  H  doue  il  raggio  CG  s'interfeca  con  l'afse  j  onde  quanta  è  la  diftanza  HV,  aJtretanto  farà  il  diametro  della  concauità  RT.  Poiché  in.  quefto  modo  il  rag^  |io  CG,per  la  lo.fuppofitione^refrangendofi  nel  vetro  fi  farà  conia   N  n  n  pri-    254  prima  rerattionc  parallelo  airaffc  A  N,  fi  che  poi  arriuando  alla  fuper-  ficie  conuefla  K  M,  nel  vfcire  farà  la  feconda  rcfratcione,  con  la  qua-  le perla  fefta fuppofitione  verrà  a  tcrminarfi  in  JNjj  eflendoche  N  V,  e  il  diametro  della  conaellìtà  K  M-  H  ragie  poi  DI3  cadendo  nel  ve-  tro in  I  con  maggior  angolo  d'inclinationcj  farà  ancora  maggiore^  refrattione di  quelloche  faccia  il  raggio  CG,  conforme  è  neceflario  acciò  vada  a  terminarfi  anch' egli  in  N.  vero  è  però  che  non  ne  farà  tanca  che  bafti  per  arriuareprecifamcntc  fino  in  Nj  nulladimeno  vi  arriuerà  fi  vicino,  che  ancor  tal  raggio  potrà  e0er  vtile,  y..  Da  ciò  fi  vede  che  potiamo  far  guadagno  di  tanti  raggi  quanti  fono   l-Xll  ^wellijche  penetrano  per  la  parte  concaua  del  vetro  ABCD,  la>*  doue  prima  fole  quelli  erano  vtilij  che  penetrauano  per  il  fora-  me E,   Vn  altro  modo  per  ottenere  Ti ftefla  vnione  de"  raggi  laterali  con  i  _..  raggi  ch'entrano  vicini  al'aife,  può  eflere  il  feguente.  Sia  il  vetro  ob-,  £,J''bicttiuokD,ildi  cuifocofia  inGjCioèil  punto  doue  vanno  ad  vnirfi  tutti  li  raggi  che  cadono  tra  A,  B  con  l'iftefio  raggio  AG  perchedun-  que  i raggi  laterali  CFjDEjfi vnifconocon  l'afle  AG  lontano  dal  foco  G>  verfo Tobbiettiuo cioè  in  E, et  F,  faremo  che  ancora  il  ng-  gioBG  inficmecon  gl'altri,  li  quali  cadono  tra  AB,  et  andrebbero  ad  vnirfi  in  G50  poco  più  lontano,  faremo  dico  che  vengano  ad  vnirfi  più  vicinij  cioè  tra  E,  et  F  infieme,  con  i  laterali.  Ciò  fi  potrà  ottener^--»  per  mezzo  di  vn  vetro  conuefloHlsil  quale  riceuafoloi  raggi  di  mez-  zo tra  LjC  B,  recando  libero  il  paflb  a  gl'altri  laterali  d'intorno,  e  per-  ciò fare  cingeremo  all'intorno  il  vetro  H I  con  vna  fottilifiìma  laminet-  ladi  ftrrojin  cuifiano  fermati  tre,  o  quattro  altri  filetti  fottili  di  ferro  AjBjCjCon  i  quili  fi  appf>ggi  fopra  vn  cerchietto  dentro  \^  canna  del  cannocchiale  sì,  che  refti  fofpefo,  rimanendo  libero  il  vano  ABC,  tra,  »  il  vetro  5  et  il  cerchietto  fopra  cui  fi  appoggiano  que'tre  ferretti  :f  flf^il  vetroHIj  douendo  far  pochiffima  akeratione  de'  ra^gi  per  por-  '  tarli  da  Gjin  Ejdourà  perciò  hauerevnaconueflìtà  di  grandidìma-*  portione  disferaja  proportione  deirobbiettiuoj  onde  per  più  facilità  fi  potrà  vfare  vn  piano  conueflb,^ouero  anche  unconMefso  concauo,  in  modo  però  chela  conueJ(Iìtàfia  alquanto  maggiore  della  concauità,  cioè  portione di  sfera  minore,  conforme  le  regole  di  fopra  noratej  ne  alcuno  tema  cheque*  filetti, e  cerchietto  di  ferro,che  fi  frapongono  irà  rocchio,  e  robbiettiuo,fiano  perturbare  punto  la  uifta  5  poichc-»  cflendo  lontani  dal  foco  della  lente  oculare,  ne  pur  fi  potranno  difcer-  nere,  e  chi  noi  crede  ne  taccia  meco  l'efperienza.   Capo    ii5    CAPO    SETTIMO   Della  fgf^ra  de'  Vetri  Iperbolica,  ^liptica,  e  Parabolica.    A  ciò  che  fi  è  detto  fin  hora,  e  da  quello  che  fi  dirà  nella  parte  Optica  deirArteMaeftra,con  il  confenfodi  tutti  li  Matematici  fi  deduce,  che  la  figura  sferica  ne*  Vetri,non  è  tanto  atta  per  vnire  i  raggi  come  è  la  figura  Ipf'rbolica,rEplitica,e  la  Parabolica  j  poiché  queftc.^  vnifcono  i  raggi  in  vn  folo  punto,  o  fia  fpatio  menomiflìmo  j  dal  che_^  fi  raccogIie,cheli  Vetrijiquali  hanno  alcuuadi  quefte  tre  fioure,fono  opportuniflìmiperil  noftro  intento  di  fabricare  i  cannocchiali  j  poi-  che  dalla  figura  sferica  molti  raggi  fi  vnifconOjC  fi  decuflano  prima^  di  arriuare  al  Vetro  oculare,  onde  quefti  invece  di  giouare  allavifta  le  apportano  nocumento  confondendo  le  fpetie  degliogaecti;  All'-  incontro i  Vetri  lperbolici,Eliptici,o  parabolici  vnifcono  tutti  i  ra^oi  di  vn  medefimo  punto  dell'oggetto  in  vn  minimo  punto  nel  cannoc-  chiale sì,  che  iui  la  luce  vnita  riefce  viuaciflìma.j  dal  che  fe^uitajche  lavifta  dell'oggetto  fia  molto  chiara,e  non  folo  nonviealcunrapojo  ^he  la  perturbi,  ma  tutti  fono  vtili,e  coneorrono.  a  perfettionarla .  AggioDgafi,che  potiamo  lafciar  apertole  fcoperto  tutto,  quanto  è  am-  pio il  VetrO}  che  haurà  fimile  figura,e  far\o  grande  in  modo,  che  pofla  riccuere  molte  fpecie  deiroggetto,poic|5,e  ninno  ài  quefti  raggi  impe-  difce  TaltrOjma  tutti  afiìeme  concorrono  in  vn  medefimo  punto,  il  che  gioua  grandemente  non  folo  a  far  vedere  l'oggetto,  più  chiaro,  e  più  grande,ma  anche  a  (coprire  molto  maggiore  fpatio  con  vna  fola  oc-  chiata; in  tal  modo  che  fefipotefle  forrxiare  vn  Vetro  obbiettiuo  con  la  perfetta  figura  Iperbolica,  o  fimile,  farebbe  effetti  marauicrliofi  ed  incomparabilmente  meoliori  di  quello,  che  fanno  i  Vetri  sferici  ordinarli.   So  che  alcuni  hanno  condannate  quefte  figure  delle  fetrioni  co-  niche} dicendo  primieramente  efier  difficiliffimo,  e  quafijmpofifìbile  il  lauorare  i  Vetri  con  fimili  figurc,le  quali    non  fi  fanno  efattifl^ma-  inente,  confondono  ì  raggijC  le  fpecie  de  gli  oggetti  5  poiché  tali  fi-  gure  hanno  infiniti  centri,  ed  infinite  circonferenze,  e  l'errare  in  vilj  folo,èvn  perdei  e  tutta  l'opera.  Aggiongono,  che  nelli  Vetri  obbiet»   tiui    ^$6  tiui  4i  cannocchiale, che  non  fia  piccolifTìmOj  è  infenfibile  la  ó'y  uerfitàjche  è  tra  la  figura  sferkajC  le  altre  nominate,che  nafcono  dalla  fettionedelcono3ondcconfiftendoIa  cofa  in  vn  picciolifsimo  fuario,  riefce  impofsibile  nella  pratcica  toccare  il  punto,   A  quefti  rifpondocfler  tanta  la  pcrfcttione  della  figura  Iperbolica,  ealtrefirnilijche  vna  di  efle  di  vn  fol  palmo  di  diametro,faràmcgliore  effetto  di  vn  altro  Vetro  obbiettiuo  di  dieci,  e  quindeci  palmi  j  Hor  vna  figura  Iperbolica  di  vn  fol  palmo  di  diametro,  è  notabilmen-  te diuerfa  da  vna  figura  sferica  fimilmente  di  vn  palmo,  e  per  confe-  guenza  non  farà  impofsibile  a  farla,  purché  noi  fiferuiamodi  perfetti  ihumenti,qualidefcriuerò  appre(ì'oj&  ancorché  non  fofle  perfettif-  fima,dico  che  non  perciò  fi  confonderanno  le  fpecicjficome  no  fi  con-  fondono dal  Vetro  sferico  in  modo,  che  impedifca  la  viftajbencheil  Vetro  sferico  confondai  raggi  decufiati,  con  quelli  che  non  fono  an-  cora decufsati  .  Certo  è,che  alcuni  Vetri  lauorati  in  piatti  sferici,  perche  talvolta  nel  lauorarli  prendono  alquanto  della  figura  Iperbo-  lica,© fimilc,  perciò  riefcono  molto  megliori,  e  contrafeguo  n'è  il  ri-  chiedere vn  altro  Vetro  oculare  piuconcauo,  il  quale  con  la  .mag-  giore diuaricationc  de*  raggi  ricompenfi  la  maggior  vnione  fatta  dal  Vetro  obbiettiuo3ed  in  oltre  fi  proua  che  tali  Vetri,  i  quali  fi  accofìano  alquanto  alla  figura  Iperbolica  fi  pofibno  lafciar  più  aperti,a  riceuerc  maggior  quantità  di  raggi,  fenta  pregiudiciojilche  non  auuiene  nelii  Vetri  femplicemente  sferici.   Secondariamente  oppongono,che  tal  vnione  di  raggi  in  vn  fol  pun-  to non  folo  non  può  efler  vtile,  ma  di  più  è  nociua  all'occhio,  il  quale  non  può  {offrire  vna  luce  cosi  intenfaj  e  che  perciò  noi  poniamo  uicino  all'occhio  il  Vetroconcauo  per  difunire,edifgre gare  que' raggi  unitijchepròdunqucjdicon'efsijunirliinun  punto,    poi  nccefsaria-  inentefideuono  difgregare^   A  quefto  rifpondo  prima  indirettamente,dicendo,che  nel  can-  chialedipiulenti,fcnza  alcun  Vetro  concano,fi  fa  dalla  lente  uicina  airocchio  una  fohifsima  unione  de* raggi, e  pure  tal  unione  non  folo  impediffcla  uifta,ma  anzi  Taiuta  molto  j  Di  più,  i  cannocchiali  pic-  coli fono  megliori  de'  cannocchiali  lunghi, parlando  a  proportione,  cioè,adireun  cannocchiale di fei palmi dourebbe ingrandire l'oggetto al doppio di un altro cannocchiale di tre palmi, e pure non lo fa, il che non  procede d’altro, fe non perche i Vetri di cannocchiale piccolo efsendo piuconuefsi unifcono meglio i raggi; onde chi potefse far un vetro di trenta palmi di diametro, il quale unifcei raggi SÌ perfettamente come vn vetro di uu  palmo,'  efso vetro in un cannocchiale di trenta palmi ingrandirebbe l'oggetto trenta volte più di quello che fa il cannocchiale d’un palmo j  la doue per ordinario vn canocchiale di 50.  palmi  ingrandifce  l'oggettOjfolo  cinque,  o  fei  volte  più  di  queIlo,chc  faccia  vn  altro  cannocchiale  di  vn  palmo.  Finalmente,come  ho  accennato  di  fopra^fi  vede  per  ifperienza,  che  di  due  Vetri  lauorati  fopra  il  mcdefinio  piatto  concauo  sferico  felVno  prenderà  alquanto  di  figura  Iperbolica,ed  vnirà  meglio  i  raggi  di  quel-  lo che  faccia  l*altro,ingrandirà  molto  più  l'oggettOjC  lo  farà  più  chia-  ro,e  fcoprirà  maggior  paefcjcon  tuttoché  il  cannocchiale  non  fia_,  piulongo;  onde, che  quello  cannocchiale, che  vnifce  meglio  i  rag-  gi richieda  poi  vn  Vetro  oculare  più  concauo, per maggiormente  diuaricarlijciò  non  fa  e  he  con  quella  forte  vnione  de'raggi  non  renda  1'-  effetto  megliore;  e  perciò  deuelì  ritrouarealtra  ragione  per  la  quale  riadoperai!  Vetro  concauo  vicino  all'occhio,  la  quale  non  è  precifa-  mcntepcrdifgregarc  i  raggi,  altrimenti  non  riufcirebbero  i  cannoc-  chiali con  le  lenti, nc'quali  l'vnionc  de' raggi  è  molto  maggiore,  e  pure  non  vi  è  Vetro  concauo, che  li  diradi  .  Siche  rifpondendo  diretta-  mente dico,che  fi  adopra  il  Vetro  concauo  vicino  all'occhio  per  far  si  che  i  raggi  non  fi  unifcano  fuori  deirocchio,ma  dentro  di  elfo  in  quella  parte  doue  prodìma mente  fi  forma  lauiilaj come  s'intenderà  meglio  nel  Trattato  dcil'Optica .  Refta  dunque  manifefto  quanto  fia  per  ^io-  uare  l'inuentione delle  figure  fudctcc,  mentre  anche  la  figura  sferica,  fole  alquanto  aceoftandolì  ad  effe  fa  effetto  notabilifiìmamente  mo-  gi iorcj  Pere  io  tra  molti  ftrumenti  da  me  a  quefto  fifle  inuentati,ne  de-  fcriucròdue  folijcome  più  facili, e  che  pollbno  ridurfi  utilmente  alla  prattica*   Sii  vn  afta  dirittifsima  AL,  che  neliVftrema  parte  A  hjbbia  vnitovna  palla  tonda  di  ferro, o  di  legno  Cj  Sia  inoltre  vn  le^no/'^v^y;.  DE,  formato  immobilmente  in  luogo  altoj  ed  in  mezzo  a  queffoLXI v'  Icgftofiavn  buco  per  il  quale  entri  Tedrema  parte  A  dell'afta,  c«»  nella  parte  di  fopra  ila  incauato  sfericamente  si,  che  vi  pofi  fopra  la_*  palla  C,  la  quale  infieme  con  l'afta  pendei ntc  Ci  pofsa  girare,  nvinte-  nendofi  fempre  nel  medefimo  centro,  nel  quale  ftando  immobile-^,  l'altra  parte  eftrema  L  defcriuerà  vna  portione  di  figura  sferica..  NH;  direttamente  fotto  l'afta,  fia  collocato  vn  piatto  sferico  con-  eauo,fopra  ilqualefifogliono  lauorarei  Vctri^ma  fia  il  diametro  del-  la concauità  con  debita  proportione  minore  del  diametro  dell'afta,  come  e  la  coacauiti  sferica  PQO,  il  di  cui  centro  è  in  R,  nell'-  eftrema  parte  L  dell'afta    atcachi  il  Vetro  IL,  in  modo  talc',cheil  centro  di  cfso  corrirpcnda  al  centro  del.  piatto,  il  quale  fi  douràcollo-   Ooo  care    2^8   care  in  (Ito  piano  orizontalc,  vfando  ogni  diligenza,  che  non  pieghi  piiidavna  partCjchc  dall'altra,  ma  fia  pofto  perfettamente  in  piano,  e  direttamente  a  perpendicolo  fotto  il  centro  della  palla  Cj  poiché  in  quelle  due  cofeconfifte  tutta  la  perfettione  j  ciò  fatto  fi  vada  gi-  rando,e  mouendo  l'afta  con  il  Vetro  fopra  il  piatto  fottopofto,  il  quale  con  l'arena  s'anderà  logorando  j  e  perche  nelTaccoftarfi  alle  parti  eftreme,  P,  et  O  del  piatto, cioè  alla  circonferenza  quefte  faran-  no piueleuate,  efTendo  detto  piatto  di  minor  diametro  dell'afta,  per-  ciò il  Vetro  nella  circonferenza  refterà  più  logorato,  che  nel  mezzo,  prendendo  figura  atta  al  noftrofine,  cioè,  di  fectione  conica;  comc_^  potrei  dimoftrare  con  i  fondamenti  della  Geometria.  E  perche  di  mano  in  mano,  che  il  Vetro  fi  va  logorando  fi  de' andare  accoftan-  doal  piatto, acciò  confricandofi  con  efib  fi  finifca  di  logorare,  t_*  prendere  la  fiigura  douuta;  per  qucfto  faremo  entrare  nella  partc»^  ìuperiore  A  dell'afta  vn  ferro  fatto  a  vite  vnito alla  palla, siche  ri-  uolgendo  efsa  vite  1'  afta  fi  vada  abbafsando  quanto  farà  di  bifo-  gno.   Il  fecondo  modo  di  dare  alli  Vetri  la  figura  Iperbolica  è  il  fe-  guente.  Si  pianti  immobile  in  vn  luogo  alto  vn  piatto  conueflb  ABC  jnmodocheftiainfito  orizontale,fotto  a  quefto  piatto  direttamente  ^^i^^^fene  ponga  vn  altro  parimente  in  fitoori^ontale,  il  quale  habbia  fi-  ^  guraconcaua,  e  quanto  più  fi  può  fimile  alla  DEF,  che  è  figura  Iper-  bolica; la  quale  per  farla  perfetta,  fi  prenderà  vn  afta  BGE,  la  quale  fia  tonda,e  paffi  per  vn  forame  tondo  e  fottile  in  modo,chelo  riempia  conia  fui groflezza, e  quefto  forame  fia  non  nel  mez^o  dell'afta,  ma  nella  parte  fuperiore  in  vna  proportionata  diftanza,  conforme  alla^  diuerfità  della  figura  Iperbolica, che  defideriamo  più,  o  meno  con-  caua  ;  Sia  dunque  quello  forame  in  G  formato  immobilmente  in-,  modo  cheftiain  retta  linea  con  il  centro  B,  del  piatto  conuelso  ABC,  e  con  il  centro  E  dell'altro  piatto,  che  de*  riceuere  la  fi-  gura Iperbolica:  nell*eftrema  parte  dell'afta  B  fia  vn  bottoncino  di  ferro,che  entri  a  vite  nell'afta,  acciò  fi  pofìfi  allungare,&  abbreuiare  ;  nell'altro  eftremo  E  fia  vn  altro  bottoncino  intagliato  a  modo  di  lima  atto  a  rodere  il  piatto  fottopofto  jftando  le  cofe  difpofte  nel  detto  modo    noi  moueremo  l'afta  girando  la  lima  E  fopra  il  piatto  DEF,  e  facendo  che  Teftrema  parte  fuperiore  B  rada  fempre  il  piatto  con-  ueflb ABC,  il  detto  piatto  inferiore  prenderà  perfettamente  la  figu-  ra Iperbolica,  come  fi  vede  dalle  linee  CD,BE,  IM,  LN,  AF,  le quali  rapprefentano  l'afta, fecondo  i  varij  fitiche  prende  nel  mouerla  intor-  no,e  per  ogni  parte  del  piatto.   Altri    Altri  ftrumentl  fi  pofsono  fare,defcritti  da  altri  Autori,  e  parti-  colarmente da  Renato  CartefiOjC  dal  Reità  per  lauorare  i  Vetri  Iper-  bolici,nia  perche  con  effinófi  poflbno  lauorare    no  con  mantenerli  Tempre  in  vn  medefimo  centro, ilche  riefce  difficiliffimo,  e  la  forma  perde  predo  la  fua  figura  j  perciò  ho  ftimato  di  tralafciarli,  et  appi-  gliarmi alli  due  modi  fudetti.   Deuo  folo  auuertire,che  il  Vetro    haurà  da  vna  parte  figura  Iper-  bolica dall'altra  dourà  efler  piano,  acciò  riceuendo  nella  parte  piana i  raggi  paralleli  gii  vnifca  in  vn  fol  punto  ;  ma    da  vna  parte  ha-  urà figura  Eliptica,  dall'altra  parte  dourà  efler  concauo  contale  con-  cauità  sferica,  che  il  centro  fianel  foco  dell'Elipfi,  acciò  i  raggi  pa-  ralleli entrando  per  la  parte  Eliptica,  dopo  la  refrattione,  nell'vfcire  per  la  parte  concaua,non  facciano  altra  refrattione,  e  concorrano  tutti  ad  eflb  centro.   Finalmente  fi  auuerta,  che,  come  fi  difse  di  fopra,!  raggì,che  ven-  gono da  punti  dell'oggetto,  fanno  angolo  in  eflb  punto,  onde  non-»  vengono  paralieli,e  per  confeguenza,  il  Vetro  Iperbolico,©  Eliptico  non  li  potrà  mai  vnire  perfettamente  in  vn  fol  punto^  nuiladimeno  perche da  gl'oggetti  aflai  lontani  i  raggi  fanno    poco  angoio,che  poco  pregiudica  all'effetto  defiderato,e  dall'altro  centro  viene  rimediato  al  difetto  principale  del  Vetro  sferico  conueflb,  mentre  in  quefto  gl'an-  goli d'inclinatione  non  fono  vguali,  come  fono  nel  Vetro  Eliptico,  o  Iperbolico,  Quindi  fegue,  che  tali  Vetri  fiano  per  giouare  grande-  mente,benchcnon  arriuino  a  tutta  la  perfettione  di  queircffetto,che  fi  cerca,cioè,di  vnire  i  raggi  ad  vn  fol  punto  ;  Quefìia  totale  perfettio-  ne none  poflìbile  ad  ottenerfi  in  quaHi voglia  diftanza  dell'oggetto,  poiché  dipendendo  darmaggiorejO  minor  angolo,che  fanno  i  raggi  del  punto  obbiettiuo  piuvicino,o  più  lontano,fevn  Vetro  vnirà  tutti  i  raggi  di  vn  punto  lontano, non  potrà  vnire  tutti  i  raogi  del  medefi-  mo punto  vicino, et  all'incontro,    vnirà  quelli  di  vn  punto  vicino  non  potrà  vnire  quelli  del  punto  lontano,  che  perciò  dobbiamo  con-  tentarfidi  haoer  rimediato  al  difetto  principale  nato  dalla  diucrfirà  dell'anoolo  d'inclinatione,  che  fanno  i  raggi  più  vicini,  e  più  lontani  dall    afse . DeH^'vfo  dei  Cannocchiali, e  dn  Micro fcopij.    j^EllilTima  è  Tempre  ftara  ftimatarinuentionedclCannoc-  i     chiale,non  tanto  perii  dilettOjquamo  per  l'vtilitàjche  apporta,  e  che  può  apportare,  le  quali  perche  confi-  flono  nei  faperio  vfare,  tratterò  in  quefto  luogo  in  qual  modo  fi  adoperi,  moftraiìdo  varie  cole,  alle  quali  può  feiuire,non  tutte  confiderate  da  gl'altri.   Egh  è  dunque  vtile  si  nella  guerra,  come  nella  pacej  e  primiera-  mefite  nella  guerra  ferue  per  offeruare  tutti  gl'andamenti  dellinimico,  €fpiareleattioni,e  le  perfoncj  cosi  per  mezzo  del  cannocchiale  ef-  fendo  ftato  riconofciuto  ilDuca  Francefco  di  Modena,  che  fi  era  in»  citrato  (otto  la  Città  di  Cremona  gli  fu  tirato  vn  colpo  con  il  can-  none, da  cui  rcftòvccifo  il  Marchefe  Villa, che  gli  ftaua  a  lato.  Può  anche  feruire  per  leggere  di  notte  lettere  di  fegrcto  nella  piazza  afsediata,o  fuori,comericfpiegato  nel  Terzo  Capo  di  queft'Opera.  Di  più,  non  iblo    potrà  numerare  quanti  fianoi  pezzi  di  alcuna  bat-  teria fcopcrta,qu3nti  i  SoIdati,ma  anche  fi  potranno  vedere'quelli  che  dinafcoftofiauuicinano  per  riconofcere  i  pofti  :  e  quefti  all'incontro  fcnza  mctterfi  a  pericolo  con  troppo  auuicinarfi  li  potranno  ricono-  fcere da  lontano  con  il  cannocchiale.  In  oltre  dico,  che  con  il  can-  nocchiale noi  potremo  mifurare  l'altezza  delle  mura,le  diftanze  de*  baluardi,  la  lunghezza  delle  Joro  faccie,e  delle  cortine,c5  tutto  ciò  che  prattica  la  Trigonometria;  il  che  potrà  feruire  anche  in  altre  occa-  fioni,quando  vorremo  faperele  altezze,  odiftanae  d'alcune  cafe,  ofiti  a  quali  non  fi  potiamo  accodare.   Quefta  cofa  che  da  altri  ch'io  (appia  non  è  ftata  ofseruata/i  potrà  facilmente  pratticare  in  quello  modo  .  Fabricato,che  hauremo  il  noftrocannGcchiale,che    farà  di  quattro  Vetri  farà  mcgliore,perche  fcopre  piufpatio^ofserueremo  quanto  fpatio  fcopra  invna  fola  oc-  chiata, mirando  alcun'oggetto  lontano  venti  pafsij  e  quefta  mifuri^»  dello  fpatio,che  fi  vede  in  vna  fola  occhiata  la  noteremo  fopra  la  can-  na del  cannocchiale,tirandoui  fopra  vna  linea,  e  diftinguendolacon  li  fuoi  numeri;  l'iftefso  faremo  ofseruando  quanto  fpatio  fcopra  in  diftanza  di  trenta  pafsi,  poiché  come  fi  è  detto,  fcoprirà  maggiore   fpatio    241  fpatio,e  quefto  pure  lo  noteremo  fopra  il  cannocchiale,  facendo  il  medefimo delle  dirtanze  maggiori, cioè, di  50.  di  40. di  50.di  cento  pafsi&c.  et  in  tal  modo  haueremo  preparato  vn  cannocchiale  geo-metrico; del  quale  quando  fi  vorremo  feruirc  per  fapere  per  cagione  di  erempio,raltezza  di  vnaTorre,delIa  quale  ci  (la  nota  la  diftanza_,j  in  tal  diftanza  la  mireremo  con  il  canocchiale,  et  oiTerueremo  quanta^  parte  fi  fc opra  diefla  invna  occhiata,  dal  che  raccoglieremo  quanto  lìa  alta .  Sia  per  efempio  vn  cannocchiale^he  in  diftanza  di  cento  pafsiicopravnofpatio  di  venti  piedi,  e  mirifi  la  Torre  in  tal  diftanza  di  cento  pafsi  ;  fc  dunque  fi  fcopre  in  vna  fola  occhiata  tutta  laTorre,  e  non  piu,fcgnoè,chequeftaèalta  venti  piedi  foli,  ma    non  fi  fcopre  tutta    ofìTerui  quante  occhiate  vi  vogliano  per  fcoprirla  tutta;  e    in  due  fi  fcopre  farà  alta  40.piedi,    in  tre  60.  ma    in  mezza  occhiata  Ci  fcoprilfe,farebbealtafolo  dieci  piedi  jrifteffo  fi  deue  intendere  della  diftanza  tra  vn  luogo  e  l'altro,  i  quali  fiano  lontani  da  noi,  come  fa-  rebbe la  lunghezza  di  vna  cortina,©  diftanza  tra  due  baluardi.  Quando  poi  ci  farà  nota  l'altezza  di  alcuna  cofa,  o  diftanza  tra  due  cofe  lontane;  Quindi  conofceremo  ficeuerfa  la  lontananza,  che  hanno  da  noi  dalli  numeri  che  haueremo  notati  nel  cannoc-»  chiale.  Ma  quando  noi  dcfideraflìmo  di   fapere  l'altezza  di   airi  cuna  cofa,  quale  non  potiamo  fapere,  quanto  fia  diftante  da_,  noi;  ed  infieme  la  diftanza  di  vna  cofa,  quale  non  fappiamo  quanta  fia  grande;  e  io  conofceremo  con  fare  due  offeruationi  in  due  diihn-  ze  vna  maggiore  dell'alcraj  come  fi  fuol  fare  con  gl'altri  ftrumcntÉ  altimetri.   Sia  V.  g.  la  Torre  AB,  mirata  dalluogo  D,  con  vn  Cannoc-  chiatc,che  in  diftanza  di  joo.pallìfcopravno  fpatio  di  6©.  piedi;  c»>  fupponiamo  che  in  vna  occhiata  fi  vedano  due  terze  parti  della  Torre,  cioèjda  B,  fino  a  C,  fi  ritiraremo  lontani  fin  tanto, che  il  cannoc-  chiale fcopra  tutta  laTorre,  il  che  fuccedcrà  nel  fito  E,  ciò  fatto  mì-Fi^ura  fureremo  la  diftanza, che  è  tra  il  fito  primo  D,  et  il  fecondo  Eyf-XVj.  quale  fupponiamo  che  fia  100.  palli  :  Se  dunque  cento  paffi  di  maggior  diftanza  ci  fanno  fcoprirevn  terzo  di  più  della  Torre,  fecrno  €,che  la  diftanza  tutta  fia  di  tre  volte  centopa{lì,e  perche  nelli  numeri  fegnatifoprailcannocchialeritrouochein  diitanza  di^oo.paffi  fco-*  prò  lo  fpatio  di    lontane;  e  quefto  modo  non  più  pratticato,  ne  auuertito  da  altri,  ch'io  fappia,è  fondato  nel  principio  vniuerfale  acuì  s'appocroi-i  rurta  la  Trigonometria,  cioè,  nella  propordone  de' lati  delli  due  triangoli   Ooo:  EBA,    BBA,  e  DBC,  poiché  tale  è  la  proportione  del  lato  DB, al  lato  BC,  quale  è  quella  del  lato  EB,  allato  BA,  come  dimoftra  Eu-  clide nel  lib.  6.  Ciò  che  fi  è  detto  dell* vfo  Trigonometrico  del  can-  nocchiale fi  può  incendere  di  qualunque  maniera  cglifiafabricato;  rna  quando  fm  fornito  di  vna,o  più  lenti  in  vece  del  concauo  ocu-  lare, riufcirà  molto  più  efatto  il  modo,  che  qui  foggiongo.   Si  formi  di  metallo vncerchictto,ed in  eflbfifaccjavn  foro,o  più  tofto  vna  fenellrella  quadra  ABCD,  tagliandone  tutta  la  laftra  .di  Eucl.  che  li  due  triangoli  ABR,  di.  HGR  fono  proportionali,  e  per  confeguenza  anche  li  triangoli  SBR,  et  TGR,  onde  farà  come  R,S,  diftanza  dell'og^  getco  dall'  obbiecciuo  a  S  B  mecà  delPoggecco,  cosi  TR  diftanza.^  dell'obbiettiuo  da  fili  del  cerchietto  a  TG  metà  della  diftanza  de'  fili  niedefimi,e  per  confeguenza  come  RS,  ad  AB,  ciocia  diftanzau  deiroggetto,allagrandez.za  di  tutto  l'oggetto,  cosi  la  diftanza  TR  a  tutta  la  diftanza  GH  de*  fili.  Diuidafi  dunque  tutta  la  diftanza  TR  in  parti  vguali  alli  gradi  notati  ne' lati  del  cerchietto,  e  poniamo,  che  quefta  diftanza  del  cerchietto  dall'obbiettiuo  fiano  looo.dique'  gradi,    24J   di,delliqaali  HG,  cioè,  la  diftanza  de' fili  nel  cerchietto  fia  folo5.  farà  dunque  come  looo. a  5.  così  la  dìftanza  nota  RS,  qualt-j»  fuppongaii  di  ^ooo.  paffi  alla  grandezza  AB,  che  fi  cerca,  cioè,  paffi  10.  et  all'incontro    hanremo  nota  la  grandezza  dell'ogget-  to AB  di  paffi  10.  faremo  come  GH,  a  TR,  cioè,  come  5.  a  1000,  cosi  AB  IO.  ai  RS  2000.   Che    poi  non  ci  farà  nota  ne  la  diftanza  ne  la  grandezza  del-  l'oggetto, douremo  o0eruare  l'oggetto  medefimo  in  due  diihnz^^  diuerfe,  poiché  in  maggior  dìftanza  1  '  ifteifo  oggetto  manderà  i  raggi  cftremi  tra  due  fili  paralleli  del  cerchietto,  li  quali  faranno  me-  no diftantì  tra  difcjche  quando  era  in  minor  diftanza;  onde  dalla.^  diffjreH^La  delle  due  diftanze  de' fili  nella  prìma,e  feconda  ofleruatio-  ne,e  dalia  diftania  de' luoghi,  ne' squali  fi  fono  fatte  le  due  olferuatio-  ni  deiroggcttojconforme  le  regole  della  Trigonometria  hauremo  la  diftanza  dell'oggetto,  ed  infieme  la  fua  grandezza,  T  vna,  e  l'altra  del-  le quali  prima  erano  ignote.  In  particolare  potremo  mifurare  l'al-  tezza di  alcun  Monte,con  vna  fola  oìleruatione,  purché  in  cima  di  ef-  fovi  fu  vnoggettodi  nota  grandezza, poiché  mirandolo  fapremo  la  diftanza  di  elfo  nella  lìnea,che  chiamano  Ipotenufa,  dalla  quale  infie-  me  con  l'angolo,  che  è  facile  a  prendcrfi  con  l'inclinatione  del  can-  nocchiale medefimo  hauremo  ambii  lati  del  triangolo,vno de* quali  è  la  diftanza  del  Monte  j  e  l'altro  l'altezza  perpendicolare.   Quefta  inuentione  riufcirà  diletteuole,  ed  vtile,  non  folo  per  mi.  furare  Je  diftanze,e  grandezze  de  gli  oggetti  terreni  j  ma  molto  più  psr  deterrr\inare  efattamente  li  diametri  de'  Pianeti, quando  (oao.  apogei,  o  quando  fono  perigei  j  benché  ài  ciò  io  mi  riferuo  a  parlarne  altroue,  doue  fpiegarò  alcuni  nuoui  modi  dirinueniriJ^  con  maggiore  accuratezza  tutte  le  fudette  mifure  per  mezzo  dei  can-  nocchiale.,.,   Ma  fingolarmente ci  giouerà  per  determinare  la  grandezza  deU  le  macchie  del  Sole, e  della  Luna,  il  fitOjC  la  lontananza,  che  hanno.  Tvna  dall'altrajovero  dal  Limbo  del  Pianeta,le  diftanze  de'fatelliti  di  Gioue  daGioue  medefimo,e  tra    fteflì,  et  altre  cofe  fimili  j  per  il  quir  le  effetto  ci  giouerà  lofccndere  nel  vano  del  cerchietto  fudetto  mol-  ti fili  tutti  equidiftantì, e  tra  di    paralleli,  intrecciandoli  poi  con  al-  tri fili  di  trauerfo  sì,  che  formino  come  vna  rete  di  molti  quadretti,  per  li  quali  paflando  i  raggi  vifuali  nel  mirare,  V.g  la  Luna,  quefta.,  ci  comparirà  reticolata  in  quel  modo,  che  fi  fogliono  reticolare  da_*  Pittori  le  imagini,  di  cui  vogliano  cauare  ildifegno^onde  formando  poi  in  carta  vna  fimile  figura  reticolata,ci  farà  faciliffimo  il  collocare ciafcuna  macchia  a  iuo  luogo,  e  iicauarc  vn  perfetto  difegno  della,,   faccia  lunare. Deuefi  però  auuertire,che  a  cagione  della  maggiore,o  minore  di-  ftanzadeiroggettOjchefirimirajquefto  tramanda  i  fuoi  raggi  al V^etro  obbicrtiuo, piu o  meno  proffimi  all' cflere  parallelo, e  perciò  fanno  maggiore,o minore  refrattionc  nel  Vccromcdefimo,  dalchenafcejchc  non crefca  la  dilatatione  dell'angolo  HRG,  a  proporcione  della^  maggiore  vicinanza  dell'oggetto  j  siche  la  regola  fopradctta  è  fog-  getta  a  qualche  diffetto;  ma  quefto  è  si  leggiero  ne' cannocchiali  Junglii,  particolarmente  quando  fi  ofleruano  oggetti  molto  lontanijche  fa  può  facilmente  hauere  in  conto  di  nulla,-  particolarmente  perche.^  alJaproportionc,  che  vàdiminucndo(ì  la  refrattione,e  la  dilatation««»  dcirangolo  R  del  triangolo  HRG,  fi  abbreuia  ancora  il  cannoc-  chiale per  vedere  diftintamente  i  medefimi  oggetti  lontani;  si  che  la  bafe  HO  del  triangolo, che  è  la  diftanza  de'fili,  riafcirebbe  mag.  gioredel  douere,ma  accoftandofi  all'angolo  R,con  lo  raccorciamcn-  to  del  cannocchiale,  riefce  proportiouata .  Quando  però  per  mag-  giore ficurczza,&  efattezza  noi  voleflìmo  conferuare  iempre  Tif-  tcfsa  lunghezza  del  cannocchiale, cioè, l'iftefla  diftanza  delì'obbiet-  tiuo  dal  cerchietto,  si  potrebbe  correggere  quel  poco  di  fuario  del-  la maggioreje  minore  refrattione,  poiché  tal  refrattione  va  diminuen-  dofi  nelle  maggiori,  e  mag{»iori  diftanze  a  quel  modo,  che  fi  vanno  diminuendo  ifeni  de  gl'archi  a  proportione  del  feno  totale.   Finalmente  auuertafi,che  nellVfo  di  quefto  cerchietto  fi  de'vfare  grandiffima  diligenza  nel  mifurare  le  diftanze  delli  due  fili  paralleli,  per  i  quali  padano  i  raggi  eftrcmi  dell'oggetto  j  onde  i  gradi,  ne*  quali  fono  diuifii  lati  del  cerchietto  douranno  elTere  per^tramentc  vguali,  efegnaticon  ogni  diligenza;  e  perche  lo  piu  delle  volte  accadere, che  ofieruando  li  diametri  de' Pianeti, o  grandezze  di  altri  oggetti,  li  fili  tra  quali  ci  comparifce  tutto  1*  oggetto  non  cadano  precifamént?_>  fopra  il  finc,o  fopra  il  principio  di  alcun  grado,  ma  fopra  vna  piccola  partedieflo;  douremo  certjficarfi  quanta  fia  quella  parte  a  propor-  tione di  tutto  vn  grado  intiero;  il  che  non  fi  può  fare  con  quella  efat-  tez;, Che  nell'Aceto  vi  è  vn  buHicame  di  Vermi, i  quali  fi  vedono  chiaramente  con  quefto  ftrumento  guizzare  come  piccole  anguille;  come  parimente  nel  latte  quando  incomincia  ad  inacidirfi,  et  anche  lìcl  formaggio,  -"'i   3.  Nel  fangue  corrotto,©  infetto  per  qualche  malatiafifono  of-  feruati  fimili  Vermi  con  modo  particolare;  poiché  fi  vedono  gl'occhi  de'Vermimedefimi,  li  quali    fono  neri,  fi  è  prouato  perifperienza.,,  che  il  male  è  mortale  j  Dalle  quali  oflferuationi  fi  può  probabilmente  arguirc,che  non  fi  corrompa,©  putrefaccia  alcuna  cofa,che  infiema«»  non  fiano  fimili  Vermi  nella  cofa  putrefatta  ;  onde  anche  nell'aria  cor^  rotta  per  cagione  di  pelle  ilima  il  noftro  Kirchero,  che  vi  fiano  tali^  Vermi, i  quali  riceuuti  in  noi,mentre  refpiriamo  quell'aria  ci  cómu,"  nichinovna  fimile  infettione. >:;    /  :;  1^  ^n  .  k.  4  -t'jiii.i-  ;.  :>»^3i   4.  In  vn  piccioliffimo  granello,©  femenza  ài  papauero'ton  il  m^i  croicopiofi  fono  numerate  48.faccie  fatte  tutte  a  fei  angoli. In  alcuni  femi  di  Cedro,e  di  Limoni  tagliati  per  mezzo  io  ho  ol-T  feruatonon  fenza  ftupore  vn  intiera  pianta  di  Cedro  col  tronco,  f(}-j  glie,e  frutti  ;  onde.fi  può  credere,che  in  tuttele  femenze  vi  fia  com 'j:  7  n   Moltiffime  altre  ofieruationi  fi  poffono  farc-nonfiDlo-nellé* parti  dei  gl'Animali,ma anche  nell'Erbe^ nelle  piante, nei  minerali,daiie quali)  potrà  riceuere  gran  lume  la  Naturale  Filofofia,come  fi  vedrà  nella...  noftr'ArteMaeftra.,  raa.  (opra  ogaalir.a.  cof^  ci  può  gionafi^jaiìnedi;,C,fe  vorremo  tirare  due  alere  linee,  che  habbiano tra  di    la  medefima  proportionc, e fianofolo  v, g.  vna_.  cinquantcfima  parte  di  effe  linee  date  ^applicheremo  le  punte  del  coni-  paffo  fotto  il  microfcopio,  e  parallele  alla* linea  A  B  fin  tanto  che  cora-  parifchanp  ftcfe  quanio  è  la  medefima  line»,.qucft'apcrtura,di  cotnpaiTo   farà    25*   farà  vna  Iineaj  l'iftefìTo  fi  faccia  con  la  linea  CD5&  haurcmo  l'altra  linea  :  con  la  medefima  proportione  tra  loro,c'hanno  le  due  linee  date^ma  ac^  cioche  la  maggiore  delle  date  alla  maggiore,che  fi  cerca,e  la  minore  al-  la minore  habbiano  la  proportione  di  50.  a  i.fidourà  allontanare,  o  vero  auuicinare  vna  lente  del  microfcopioairaltra,fin  tanto,chc  Tog-»  getto  s'ingrandifca  precifamente  cinquanta  volte.   Ma  molto  più  facilmente  potremo  ottenere  le  medefime  cofe  dette  difopra,&altre,|che  s'accenneranno  appr€Ìro,fe  aggiongeremo  al  mi-  H:rofcopio  vna  reticella  Ornile  a  quellajche  fi  è  fpicgata  di  fopra  nelfvfo  del  canocchialejQuefta  fi  farà  in  vn  cerchio  tondo  tanto  largo  nella  fua  apcrcurajche i  raggi  vifuali  eftremi  tocchino  l'orlo  interno  di  cfia  sì,che  egli  termini  la  grantjezza  del  campo  apparente,e  fi  collocherà  dietro  alla  lente  oculare  nel  foro  di  eflarln  quefto  modo  fchifaremo  quella  dif-  ficoltà che  s' incontra  (^maflìme  da  quelli  che  non  fono  molto  auuezzi)  nel  mirare  con  gl'occhi  due  oggetti  diuerfijvno  reale  con  l'occhio  fuo-  ri del  microfcopio,e  l'altro  apparente  co  l'occhio  fopra'l  microfcopio.  Sia  v.g.  la  linea,overo  vn  grado  piccolo  AB  di  alcun  quadrante,ed  in  efìo  vna  parte  piccolifTima  AC,e  fi  defiderifapere  quale  proportione  habbia  efìa  particella  AC  con  tutto  il  grado,o  linea  A85V,g.quante  fcf-  fantefime  parti,overo  minuti  di  tutto  il  grado.Si  accomodi  il  microfco-  pio con  tali  lentisC  con  tale  diftanza  traloro,che  ingrandifca  Icliìiee  fefsantavokejC  fi  faccia  la  reticella  diuifa  in  feiparti,si  che  ad  vna  cor^  rifpondano  lo.minutijoueroin  i2.sicheadogn'vna  necornfpondano  cinque. Pofto  il  microfcopio  fopra  quel  grado  AB,  e  particella  di  efso  AC,fi  oiTerui  in  quanti  fili  della  reticella  venga  comprefo  tutto  il  grado  F'tgura^j^^Q^  in  quanti  la  particella  AC,&  hauremoia  proportione,clie  fi  cer-  J.XXII^2.  y^g^  Cg  jytjQ  ]|  grado  AB  prenderà  tuico  il  campo  di  1 2.  partijcicè,  ii  fi    c J    l\'''M||Ultll|l'|li,ll,|l|lllll..l,|l"    1 ^  I    oì:z    22.,i,iu^i"  ii4iT!>itUii|iiiiiuii;»ii  l'^V'i  'I  ''  "l 'Miiinj  W'T^    Da    ì.  jf  \Mm\\\mé'My  y:A\H\\\\mm[mmmmm  m^  ''"'v    XXIII,^x*-    %.  ;^ V^'^Vi^   s   E     J   ^^^   ^-^^    *:^S9«i=s^_-:    A    ì E    •i}ij^\     O Q O O C O   m\   0 O Q 0 0 0 O O O 0  Q Q 0 O o  O O O 0 Q <0 O O o    lì^iiSiiiÌM^ nkM    jSt  i    ^-'fOlfKt^i^- D   SE A XXXV / XXXVI   A  rO  I. K XXXVII Q XXXIX f    D^ ^-B^ 1 Cu    XL    -  r'.~  XLII    Cv-    XLII T  r  I    H    G    -^    D    k'    #t'.''    r^    I 1    'tStt-t    l-t-    V   L   !   i   Hi    4    à'.    s    f   I    -«.vf- ."^p    /Francesco Lana conte de’Terzi. Keyword: lingua universale, grammatica ragionata. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Terzi.”Terzi.

 

Luigi Speranza -- Grice e Tessitore: la ragione conversazionale e l’implicatura conversazionale del Vico di Tessitore – filosofia campagnese -- filosofia italiana – Grice italo -- Luigi Speranza, pel Gruppo di Gioco di H. P. Grice, The Swimming-Pool Library, Villa Speranza (Napoli). Filosofo napoletano. Filosofo campanese. Filosofo italiano.  Napoli, Campania. Grice: “If there’s Oxonian dialectic and Athenian dialectic [la scuola d’Atene], there is, to follow Tessitore, the ‘scuola napoletana.’” Si laurea in giurisprudenza -- la sua tesi ricevette dignità di stampa -- a Napoli, allievo di PIOVANI -- è libero docente per meriti eccezionali in filosofia del diritto, e professore. Insegna storia delle dottrine politiche; quindi, in poi, storia della filosofia. Preside della facoltà di magistero dell'università degli studi di Salerno. Preside della facoltà di lettere e filosofia dell'università Federico II di Napoli, della quale è stato anche rettore. Socio dell'Accademia dell'Arcadia col nome di Echione Cineriano. È inoltre socio nazionale dell'Accademia dei lincei e di numerose altr’accademie. Diregge il Centro di studi vichiani del CNR e fa parte del consiglio scientifico dello stesso centro. Presidente della Fondazione  Piovani per gli studi vichiani e del consorzio inter-universitario Civiltà del mediterraneo. Presidente del comitato tecnico scientifico della fondazione Amato onlus; socio dell'Istituto per l'Oriente Nallino di Roma; vicepresidente della fondazione Cortese. Siede inoltre nel consiglio direttivo dell'istituto italiano per gli studi storici fondato da CROE. È stato componente del consiglio scientifico dell'Istituto dell'Enciclopedia Italiana Treccani. Membro del consiglio universitario nazionale, in cui è stato presidente del comitato di lettere, lingue e magistero, vice presidente della Fondazione teatro di S. Carlo, componente del consiglio generale della fondazione Banco di Napoli, del Consiglio direttivo e vice presidente della CRUI, la Conferenza permanente dei Rettori delle Università italiane; cavaliere di gran croce dell'Ordine al merito della Repubblica. Senatore della Repubblica italiana nelle file dei Democratici di Sinistra L'Ulivo e deputato nelle file del L'Ulivo. Medaglia d'oro della Scuola dell'arte e della cultura e della Scienza e della cultura. Autore di molti saggi --  ai quali sono stati assegnati numerosi premi. Saggi: Aspetti del neo-guelfismo napoletano, Morano, Napoli; Crisi e trasformazioni dello STATO: recerche sul pensiero gius-pubblicistico italiano, Morano, Napoli; Fondamenti della filosofia politica, Morano, Napoli, La storia dell’idee, Monnier, Firenze, Profilo dello storicismo politico, POMBA, Torino, Lo storicismo, Laterza, Roma, Meinecke, Laterza, Roma; Filosofia, storia e politica in CUOCO (si veda), Marco, Lungro); Contributi alla storia e alla teoria dello storicismo, Storia e Letteratura, Roma; Interpretazione dello storicismo, Scuola Normale, Pisa; Contributi alla storiografia arabo-islamica Edizioni di Storia e Letteratura, Roma); La mia Napoli. Frammenti di ricordi e di pensieri (Grimaldi, Napoli); Letture quotidiane, Editoriale scientifica, Napoli, che raccolgono articoli di giornali quotidiani. Trittico Anti-hegeliano da Dilthey a Weber. Contributo alla teoria dello storicismo (Edizioni di Storia e Letteratura, Roma; Da CUOCO (si veda) a Weber. Contributi alla storia dello storicismo, Edizioni di Storia e Letteratura, Roma. Fonda il “Bollettino del Centro di Studi Vichiani”, Archivio di Storia della Cultura, Civiltà del Mediterraneo, pontaniana. unina. Curriculum su filosofia. unina. Treccani Enciclopedie Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Fulvio Tessitore. Tessitore. Keywords: Cuoco. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Tessitore,” per H. P. Grice’s gruppo di gioco, The Swimming-Pool Library, Villa Speranza.

 

Luigi Speranza -- Grice e Testa: la ragione conversazionale e l’implicatura conversazionale della nemica fortuna – la scuola di Tidone – filosofia piacentina – filosofia emiliana -- filosofia italiana – Grice italo -- Luigi Speranza, pel Gruppo di Gioco di H. P. Grice, The Swimming-Pool Library, Villa Speranza (Tidone). Filosofo emiliano. Filosofo italiano. Tidone, Piacenza, Emilia-Romagna. Rifiuta la cattedra filosofica a Pisa e prefere lavorare a Parma, divenendone presidente dell'area filosofica. Deputato al parlamento sabaudo. T. Storia di un povero pretazzuolo di Fausto Chiesa, pubblicato dalla libreria Romagnosi di Piacenza. Treccani Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Alfonso Testa. Testa. Keywords. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Testa” – The Swimming-Pool Library.

 

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