Luigi
Speranza -- Grice ed Arangio: la ragione conversazionale e l’implicatura
conversazionale del colloquio – la scuola di Napoli – filosofia napoletana –
filosofia campanese -- filosofia italiana – Luigi Speranza, pel Gruppo di Gioco
di H. P. Grice, The Swimming-Pool Library (Napoli).
Filosofo
napoletano. Filosofo campanese. Filosofo italiano. Napoli, Campania. Grice: “We
have Flores, we have Ruiz, we have Enriques – reminds me of Alan Montefiore! I
like Vladimiro Arangio – my favourite is by far his philosoophising on
Socrates’s ‘Sofista’ – he distinguishes between what he calls ‘Socratic
dialogue’ (mine) and ‘dialogo sofistico’!” -- Vladimiro Arangio-Ruiz (Napoli) filosofo,
grecista e accademico italiano. Fu
il primo preside del Liceo scientifico Alessandro Tassoni di Modena, istituito
a seguito della riforma Gentile. Nacque da
Gaetano, professore di diritto costituzionale. Frequenta a Firenze il corso di
lettere nell'Istituto di studi superiori e si laureò con una tesi su Il coro
nella tragedia greca in letteratura greca con Girolamo Vitelli, filologo,
grecista, papirologo e senatore del Regno d'Italia. Vladimiro appartenne a una illustre famiglia
di giuristi: il fratello Vincenzo Arangio-Ruiz fu uno dei maggiori studiosi di
diritto romano, ordinario all'Napoli e alla Sapienza di Roma. Contravvenendo
alla tradizione di famiglia, Vladimiro preferì dedicarsi agli studi filosofici
e fu professore alla Scuola normale superiore di Pisa e alla facoltà di
Magistero di Firenze. Insegnò nei
ginnasi di Stato e fu ufficiale d'artiglieria nella Prima guerra mondiale dove
venne ferito. Si laurea con MARTINETTI (si veda), discutendo la tesi Conoscenza
e moralità. Sente fortemente l'influenza del filosofo MICHELSTAEDTER (si veda),
esponente importante della filosofia europea, del quale pubblicherà i saggi. Si propose una funzione critica
ricostruttiva dell'idealismo
storicistico e dell'attualismo di Giovanni Gentile da cui trasse ispirazione
per sviluppare il suo "moralismo assoluto". Contrariamente alla
dottrina gentiliana che dichiarava l'attualismo coincidente con la "vita
dello Stato", Arangio Ruiz credeva che invece fosse identificabile con il
comportamento morale individuale poiché la politica non è che un aspetto
particolare della legge morale per sua natura universale. Fra le sue opere si ricordano. “Prose morali”;
“Umanità dell'arte.” Il Liceo
"Tassoni" tra storia e innovazione.
Fonte: Dizionario di filosofia, riferimenti in Meroi, «Carlo
Michelstaedter» in Il contributo italiano alla storia del PensieroFilosofia,
Roma Istituto dell'Enciclopedia Italiana,.
Ricostruzione filosofica, in Arch. di filosofia, Michelstaedter. Vladimiro
Arangio-Ruiz, su Treccani Enciclopedie on line, Istituto dell'Enciclopedia
Italiana. Vladimiro Arangio-Ruiz, in
Dizionario biografico degli italiani, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Vladimiro Arangio-Ruiz, in Dizionario di
filosofia, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, Filosofia Filosofo. Grecisti
italiani Accademici italiani Professore. Vladimiro Arangio-Ruiz. Arangio.
Keywords: colloqui. Refs.: Luigi Speranza, “Grice ed Arrangio” – The
Swimming-Pool Library. Arangio.
Luigi Speranza -- Grice ed Arato: Roma
antica -- filosofia italiana – Luigi Speranza (Roma). Filosofo italiano. He achieves fame as a dramatic poet. A pupil of
Zenone. He writes a celebrated poem, “Phenomena”, dealing with astronomy and
meteorology. It is widely read – and CICERONE comments it. It may have been
used by LUCREZIO. A. depicts the universe as a rational and organized system
bearing the hallmark of its divine creator. Kidd, Aratus, Cambridge. Arato.
Luigi Speranza -- Grice
ed Arcais: la ragione conversazionale e l’implicatura conversazionale – la
scuola di Cervinano del Freiuli – filosofia friulana -- filosofia italiana –
Luigi Speranza, pel Gruppo di Gioco di H. P. Grice, The Swimming-Pool Library (Cervignano del Freiuli). Filosofo
friulano. Filosofo italiano. Cervignano del Freiuli, Udine, Friuli-Venezia
Giulia.Grice: “As Mikos says about the English, ‘de’ adds prestige as in ‘de
Grys’ – same with Italians and ‘d’Arcais,’ after four pescherie owned by one
ancestor. – d’Arcais has been described as a ‘quaresmalitsa,’ who had the
unfortune of being tutored by an atheist! Asa good stoicp philosopher, he endured it!’ Direttore
della rivista Micro Mega. È stato collaboratore de la Repubblica, il Fatto
Quotidiano, El País, Frankfurter Allgemeine Zeitung e Gazeta Wyborcza. Ha sempre unito l’attività di studioso, il
lavoro editoriale e l’impegno civile. Educazione intensamente cattolica.
Abbandona la fede nella primavera del 1961. Maturità scientifica. Maturità
classica. Si iscrive al partito comunista (e federazione giovanile) entrando
all’università. È segretario del Circolo universitario comunista e nell’estate
frequenta la scuola centrale di partito “Marabini” a Bologna. Si laurea con una
tesi su “Marx interprete di Adamo Smith” e ne sarà a lungo uno degli
assistenti. Espulso dal Pci, è uno degli animatori del movimento studentesco del
Sessantotto. Pubblica la rivista “Soviet”. La rivista “Il Leviatano”. -- è
l’organizzatore del convegno internazionale di tre giorni che apre la “Biennale
del dissenso” della presidenza Ripa di Meana.
Viene chiamato a fondare e dirigere il “Centro culturale Mondoperaio”
dal segretario del Psi Bettino Craxi (alleato delle sinistre di Giolitti e
Lombardi). Prima iniziativa, il convegno internazionale “Marxismo, leninismo,
socialismo”, relatori Cornelius Castoriadis, Gilles Martinet e Rudi Dutschke.
Rompe con Craxi quando questi cambia politica, spezza l’alleanza con Giolitti e
Lombardi, torna al governo con la Dc. Fonda insieme a Giorgio Ruffolo la
rivista “MicroMega” (Ruffolo ne uscirà nel 1992, per contrasti su “Mani
pulite”). Fonda la “sinistra dei club” per partecipare alla fondazione del Pds,
che dovrebbe aprirsi alla società civile sulle ceneri dell’ex Pci. Lo abbandona
un anno dopo, viste le promesse non mantenute. E protagonista di una
controversia pubblica con Ratzinger al Teatro Quirino di Roma. Organizza
insieme a Moretti, Sleiter e Pardi la grande manifestazione dei “girotondi” del
14 settembre a piazza san Giovanni a Roma. Paolo Flores d'Arcais è "radicalmente
ateo". Inizia presto ad occuparsi
di politica nell'organizzazione giovanile del Partito Comunista Italiano, ma
presto viene espulso dalla FGCI per la sua prolungata e grave attività
frazionistica, cioè per la sua doppia militanza nella FGCI e nella Quarta
Internazionale trotskista. Allievo e amico di Lucio Colletti, dopo esser stato
uno dei protagonisti del "Sessantotto" romano, approda a posizioni di
riformismo radicale e verso la fine degli anni settanta ha una breve ma vivida
intesa con Bettino Craxi e Claudio Martelli, dai quali, tuttavia, si distacca
ben presto. Aderisce al Partito Democratico della Sinistra di Achille Occhetto
entrando nella Direzione del movimento, da cui però fuoriesce due anni dopo
poiché favorevole alla guerra del Golfo a differenza della linea maggioritaria
del partito. Tra i promotori della breve stagione dei girotondi, tenta di
proporre una lista di suoi candidati alle primarie dell'Ulivo per le elezioni
politiche dma come lui stesso deve ammettere "realizza un fallimento pieno
e perfetto" raccogliendo appena 130 adesioni alla sua idea. Il 25 marzo
2008 annuncia su MicroMega che nelle elezioni politiche avrebbe votato per il
Partito Democratico in funzione anti-berlusconiana. Decide di ritentare in
politica prospettando il "Partito dei Senza Partito" insieme ad
Antonio Di Pietro ed Andrea Camilleri per partecipare alle elezioni europee ma,
il 12 marzo dello stesso anno, viene annunciato il mancato accordo fra i tre. Per
le elezioni politiche del ha dichiarato
di votare la lista Rivoluzione Civile di Antonio Ingroia. Successivamente non
nasconde le sue simpatie per il Movimento 5 Stelle per il quale dichiara di
votare. Tuttavia in seguito all'alleanza tra il Movimento 5 Stelle e la Lega si
dice deluso dal Movimento, accusando in particolare Maio di avere tradito le
promesse agli elettori. Altre opere: “Il
maggio rosso di Parigi. Cronologia e documenti delle lotte studentesche e
operaie in Francia, a cura di, Padova, Marsilio); “Il piccolo sinistrese
illustrato, con Giampiero Mughini, Milano, SugarCo); “Il dubbio e la certezza.
Nei dintorni del marxismo e oltre (Milano, SugarCo); “L'esistenzialismo
libertario di Hannah Arendt, in Hannah Arendt, Politica e menzogna, Milano,
SugarCo); “Oltre il PCI. Per un partito libertario e riformista, Genova, Marietti);
“Esistenza e libertà. A partire da Hannah Arendt, Genova, Marietti); “L'albero
e la foresta. Il partito democratico della sinistra nel sistema politico
italiano, con Umberto Curi, Milano, FrancoAngeli); “La rimozione permanente. Il
futuro della sinistra e la critica del comunismo. Scritti; Genova, Marietti,
Etica senza fede, Torino, Einaudi); “Il disincanto tradito, Torino, Bollati Boringhieri);
“Hannah Arendt. Esistenza e libertà, Roma, Donzelli); “Gobetti, liberale del
futuro, in Piero Gobetti, La rivoluzione liberale. Saggio sulla lotta politica
in Italia, Torino, Einaudi); “Il populismo italiano da Craxi a Berlusconi.
Dieci anni di regime nelle analisi di MicroMega, Roma, Donzelli); “L'individuo
libertario. Percorsi di filosofia morale e politica nell'orizzonte del finite”
(Torino, Einaudi); “ Il sovrano e il dissidente, ovvero La democrazia presa sul
serio. Saggio di filosofia politica per cittadini esigenti, Milano, Garzanti);
“Dio esiste? Un confronto su verità, fede, ateismo, moderato da Gad Lerner, con
Joseph Ratzinger, Roma, Somedia Gruppo editoriale L'Espresso); “Il ventennio
populista. Da Craxi a Berlusconi (passando per D'Alema?), Roma, Fazi); “Hannah
Arendt. Esistenza e libertà, autenticità e politica, Roma, Fazi); “Atei o
credenti? Filosofia, politica, etica, scienza”; “Roma, Fazi, Dio? Ateismo della ragione e ragioni della
fede, con Angelo Scola, Venezia, Marsilio); “Itinerario di un eretico” (Lugano,
ADV); “A chi appartiene la tua vita? Una riflessione filosofica su etica,
testamento biologico, eutanasia e diritti civili nell'epoca oscurantista di Ratzinger
e Berlusconi, Milano); “Ponte alle Grazie, Camus filosofo del futuro, Torino,
Codice); “La sfida oscurantista di Joseph Ratzinger, Milano, Ponte alle
Grazie); “Gesù. L'invenzione del Dio cristiano, Torino, Add); “Macerie. Ascesa
e declino di un regime, Roma, Aliberti); “Perché oggi, in Ernesto Rossi, Contro
l'industria dei partiti, Milano, Chiarelettere); Democrazia! Libertà privata e
libertà in rivolta, Torino, Add); “Il caso o la speranza? Un dibattito senza
diplomazia” (Milano, Garzanti); “La Guerra del Sacro. Terrorismo, laicità e
democrazia radicale, Milano, Raffaello Cortina Editore); “Questione di vita e
di morte, Einaudi, Vele. Note cfr., uno
per tutti, il suo volume (a quattro mani con il cardinale Angelo Scola)
"Dio? Ateismo della ragione e ragioni della fede"Marsilio editore,
2008 Dal sito di MicroMega Articolo de El País, tradotto in italiano
Archiviato il 30 giugno in. Elezioni Per chi votano Travaglio, Guzzanti,
Scanzi, ecc. Tra Rivoluzione Civile e il Movimento 5 Stelle La Repubblica, Flores d'Arcais: “Il Movimento 5 Stelle non
esiste più”, su micromega-online. 24 aprile.
MicroMega (periodico). reccaniEnciclopedie on line, Istituto
dell'Enciclopedia Italiana. Opere di
Paolo Flores d'Arcais, su openMLOL, Horizons Unlimited srl. Registrazioni di Paolo Flores d'Arcais, su
Radio Radicale, Radio Radicale. Sito
ufficiale di MicroMega. Undici riflessioni sui movimenti, i MicroMega.
Intervista a D'Arcais sul ventennale della rivista. Il blog di Paolo Flores
d'Arcais, su ilfattoquotidiano. Filosofia Filosofo Filosofi italiani
Giornalisti italiani Giornalisti italiani Professore Cervignano del Friuli Direttori
di periodici italiani Filosofi atei. Arcais. Paolo Flores d’Arcais. Keywords:
giudeo, portughese, Flores – arcais, d’arcais, piamontese. Refs.: Luigi Speranza, “Grice ed Arcais” –
The Swimming-Pool Library. Arcais.
Luigi Speranza -- Grice ed Arcea: la diaspora di
Crotone -- Roma – filosofia italiana – Luigi Speranza (Taranto). Filosofo
italiano. He is cited by Giamblico in his “Vita di Pitagora” as a follower of
the sect that originated in Crotone. Arcea.
Luigi Speranza -- Grice ed Archedemo:
all’isola -- Roma – filosofia italiana – Luig Speranza (Siracusa).
Filosofo italiano. A Pythagorean and a pupil of ARCHITA
(si veda) di Taranto. He becomes a friend of PLATONE, and accommodates him for
a while at his home. Senocrate wrote a saggio entitled “Archedemo; ovvero,
della giustizia” which refers to him. Archedemo.
Luigi Speranza -- Grice ed Archemaco: la
diaspora di Roma – filosofia italiana – Luigi Speranza (Taranto). Filosofo italiano. Giamblico di Calcide – in his “Vita di Pitagora” --
lists him as a member of the sect that originated at Crotone. Archemaco.
Luigi Speranza -- Grice
ed Archibugi: la ragione conversazionale e l’implicatura conversazionale della PAX
ROMANA – la scuola di Roma – filosofia romana – filosofia lazia -- filosofia
italiana – Luigi Speranza, pel Gruppo di Gioco di H. P. Grice, The
Swimming-Pool Library (Roma).
Filosofo romano. Filosofo lazio. Filosofo italiano. Roma, Lazio. Grice: “I
would hardly call Archibugi a philosopher, but he did compile a thing ‘filosofi
per la pace’ none of them Italian! So much for ‘pax romana’!” – Grice: “Strawson does
call Archibugi a ‘filosofo,’ though!” -- DanieleArchibugi (Roma), filosofo. Nell'ambito della teoria politica, ha sviluppato,
insieme a David Held, l'idea di una democrazia cosmopolita. Ha anche lavorato
su diversi aspetti della globalizzazione, ed in particolare sulla
globalizzazione dell'innovazione e del cambiamento tecnologico. Dopo una
non assidua frequentazione del Liceo Sperimentale della Bufalotta, si è
laureato con lode alla Facoltà di Economia e Commercio dell'Roma La Sapienza
con Federico Caffè. Ha conseguito il dottorato di ricerca presso lo Science
Policy Research Unit dell'Università del Sussex, dove ha lavorato con
Christopher Freeman e Keith Pavitt. Ha insegnato alle Università del Sussex,
Madrid, Napoli, Roma La Sapienza e Roma Luiss, Cambridge, London School of
Economics and Political Science e Harvard. Ha anche tenuto corsi presso
università asiatiche quali la Ritsumeikan University di Kyoto e la SWEFE
University di Chengdu. Nominato Professore Onorario presso l'Università
del Sussex e nel Membro d'Onore del
Réseaux de Recherche sur l'Innovation. Dirigente presso il Consiglio Nazionale
delle Ricerche a Roma, è Professore di Innovation, Governance and Public Policy
presso l'Londra, Birkbeck College. Dal 1997 al 2002 è stato Commissario
dell'Autorità sui servizi pubblici locali di Roma, eletto a larga maggioranza
dal Consiglio Comunale. La democrazia cosmopolita Il progetto della
democrazia cosmopolita o cosmopolitica si interroga sulla possibilità di
applicare alcune norme e valori della democrazia anche nelle relazioni
internazionali. La necessità deriva dal fatto che la globalizzazione economica
e sociale ha reso gli stati sempre più vulnerabili e che decisioni importanti
per loro sono prese al di fuori dal processo democratico. La soluzione proposta
dalla democrazia cosmopolita è sviluppare istituzioni sovra-statali che siano
capaci di affrontare democraticamente problemi comuni quali l'ambiente, la
sicurezza, le migrazioni, il commercio estero e i flussi finanziari. La
democrazia cosmopolita guarda con fiducia alle organizzazioni internazionali, e
desidera rafforzare al loro interno il controllo dei cittadini, cui va dato un
peso politico parallelo e autonomo rispetto a quello che già hanno i loro
governi. A livello politico, Archibugi ha sostenuto la limitazione del potere
di veto nel Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite e la formazione di
un'Assemblea Parlamentare Mondiale. Ha invece ritenuto insoddisfacenti e
anti-democratici i vertici inter-governativi quali il G7, G8 and G20. Ha anche
preso posizione contro l'idea di una Lega delle democrazie sostenendo che una
riforma democratica delle Nazioni Unite riuscirebbe assai meglio a soddisfare
le medesime istanze. Giustizia globale Fautore della responsabilità
individuale dei governanti nel caso di crimini internazionali, Archibugi ha
anche attivamente sostenuto, sin dalla caduta del muro di Berlino, la creazione
di una Corte penale internazionale, collaborando sia con i giuristi della
Commissione del diritto internazionale delle Nazioni Unite sia con il governo
italiano. Nel corso degli anni, la sua posizione è diventata sempre più
scettica per l'incapacità dei tribunali internazionali di incriminare i più
forti. Ha, quindi, preso posizione a favore di altri strumenti quasi-giudiziari
come le Commissioni per la verità e la riconciliazione e i Tribunali
d'opinione. Globalizzazione della tecnologia Archibugi ha proposto una
tassonomia della globalizzazione della tecnologia che distingue fra tre
meccanismi di trasmissione della conoscenza: sfruttamento internazionale delle
innovazioni, generazione globale delle innovazioni e collaborazioni globali
nella scienza e nella tecnologia.. Come Presidente di un Gruppo di
Esperti dello Spazio di Ricerca Europeo della Commissione europea dedicato alla
collaborazione internazionale nella scienza e nella tecnologia, Archibugi ha
indicato che il declino demografico dell'Europa, combinato con la scarsa
vocazione delle nuove generazioni per le scienze, genererà una drastica carenza
di lavoratori qualificati in meno di una generazione. Questo metterà in
pericolo il livello di benessere della popolazione europea in aree cruciali
come la ricerca medica, le tecnologie dell'informazione e le industrie ad alta
tecnologia. Ha così sostenuto di rivedere radicalmente la politica
dell'immigrazione europea in maniera di accogliere e formare in un decennio
almeno due milioni di studenti dai paesi emergenti e in via di sviluppo,
qualificandoli in discipline quali le scienze e l'ingegneria. Economia
della ricostruzione dopo le crisi economiche Da studioso dei cicli economici,
Archibugi ha combinato la prospettiva keynesiana derivata dai suoi mentori
Federico Caffè, Hyman Minsky e Nicholas Kaldor con quella schumpeteriana
derivata da Christopher Freeman e dallo Science Policy Research Unit
dell'Università del Sussex. Combinando le due prospettive, Archibugi ha
sostenuto che per uscire da una crisi, un paese deve investire nei settori
emergenti e che, in assenza di spirito imprenditoriale del settore privato, il
settore pubblico deve avere la capacità manageriale di sfruttare le opportunità
scientifiche e tecnologiche, anche a salvaguardia dei beni pubblici.
Relazioni familiari Figlio dell'urbanista Franco Archibugi e della poetessa
Muzi Epifani, ha numerosi fratelli e sorelle, tra cui la regista Francesca
Archibugi e il politologo Mathias Koenig-Archibugi, con il quale frequentemente
collabora nei suoi studi. I fratelli maggiori del nonno di suo nonno furono
Francesco e Alessandro A., volontari del Battaglione universitario della
Sapienza e la difesa della Repubblica Romana. Uno dei più vicini allievi di
Caffè. Partecips attivamente alle sue ricerche dopo la misteriosa scomparsa.
Cfr. A., I ragazzi che cercarono Caffè, La Repubblica, 8 aprile. Si veda anche
Fabrizio Peronaci, La scomparsa di Federico Caffè. «Un genio anche nell’addio.
Come lui solo Majorana», intervista a Daniele Archibugi, Corriere, Membres
d'honneur du Réseaux de Recherche sur l'Innovation Consiglio Nazionale delle Ricerche, Istituto
di Ricerca sulla Popolazione e le Politiche Sociali Birkbeck College, Department of
Management Tom Cassauwers, Interview with
A., E-INTERNATIONAL RELATIONS Campaign for the Establishment of a United
Nations Parliamentary Assembly Copia archiviata, su en.unpacampaign. A., The
G20 is a luxury we can't afford, The Guardian, A., A League of Democracies or a
Democratic United Nations in., Harvard International Review, Ottobre 2008. Intervista su Delitto e castigo nella società
globale. Crimini e processi internazionali, Letture.org.. Daniele Archibugi e Alice Pease, Delitto e
castigo nella società globale. Crimini e processi internazionali, Castelvecchi,
Roma,. A., La giustizia penale
internazionale tra passato e futuro, Questione Giustizia, Archibugi and
Jonathan Michie, The Globalization of Technology: A New Taxonomy,
"Cambridge Journal of Economics",
Archibugi (Chair) Opening to the World. Opening to the World: International Cooperation in
Science and Technology European Research Area, A. e A. Filippetti, Innovation
and Economic Crisis. Innovation and Economic Crisis. Lessons and Prospects from
the Economic Downturn, Routledge, London, A., A. Filippetti et M. Frenz,
Investment in innovation for European recovery: a public policy priority,
Science et Public Policy, November. A., «Generare imprese europee per la ricostruzione:
la lezione Airbus», Il Sole 24 Ore, Bulfon, «Nuovi imprenditori e lavoratori
soddisfatti: solo così dopo il virus l'Italia sarà migliore. Intervista a A.», L'Espresso,
Daniele Archibugi, Mathias Koenig-Archibugi, Raffaele Marchetti, Global
Democracy. Normative and Empirical Perspectives, Cambridge University Press,
Cambridge,. Nell'ambito degli studi sull'organizzazione internazionale, ha
pubblicato: “Filosofi per la pace” (Editori Riuniti); “Cosmopolis. È possibile
una democrazia sovra-nazionale?” (Manifestolibri); “Il futuro delle Nazioni
Unite” (Edizioni Lavoro); “Diritti umani e democrazia cosmopolitica”
(Feltrinelli); “Cittadini del mondo. Verso una democrazia cosmopolitica” (Il
Saggiatore); “Delitto e castigo nella società globale. Crimini e processi
internazionali, (Castelvecchi); “Cambiamento tecnologico e sviluppo industriale,
(Franco Angeli); “Economia globale e innovazione” (Donzelli). “Il triangolo dei
servizi pubblici, (Marsilio). “Relazione sulla ricerca e l'innovazione in
Italia. Analisi e dati di politica della scienza e della tecnologia, seconda
edizione (CNR Edizioni, ). daniele archibugi.org. Opere di Daniele Archibugi, su open MLOL, Horizons
Unlimited srl. Registrazioni di Daniele
Archibugi, su RadioRadicale, Radio Radicale.
Sito CNR-IRPPS, Commessa Globalizzazione. Determinanti e impatto
economico, tecnologico e politico. University of London, Birkbeck Archibugi.
London, Birkbeck Intervista su "The Global Commonwealth of Citizens"
Intervista della LA7 a Daniele Archibugi Sull'innovazione tecnologica, (video).
Intervista alla trasmissione Mapperò, SAT, sulla Dichiarazione Universale dei
Diritti Umani, (video), Parte prima; Parte seconda; Parte terza. Dibattito
presso la London School of Economics "È possibile una democrazia
globale?" (video in inglese):// globaldemo.org/ film/1255[collegamento
interrotto] Intervista a LA7 su "Cittadini del mondo. Verso una democrazia
cosmopolitica",. Intervista a TG3 Linea Notte su "Cittadini del
mondo. Verso una democrazia cosmopolitica" Intervista a TG2 Punto IT su "Cittadini
del mondo. Verso una democrazia cosmopolitica", Discorso su Secrets, Lies
and Power, Berlino, European Alternatives. Intervista sul volume The Handbook
of Global Science, Technology and Innovation, Londra, Birkbeck College, Lo
Stato dell`ArteQuale futuro per l’Europa?, Trasmissione Rai5, conduce Maurizio
Ferraris, con A. e Politi, Quante storie Rai3I grandi crimini contro l'umanità,
intervista di Corrado Augias a Daniele Archibugi, Crime and Global Justice,
Book Launch alla London School of Economics and Political Science, 28 Febbraio,
podcast con Gerry Simpson, Christine Chinkin, Richard Falk e Mary Kaldor. A., Do we Need a Global
Criminal Justice?, Conferenza alla City University of New York, A.,
"Cosmopolitan democracy as a method of addressing controversies",
IAJLJ CONFERENCE "CONTROVERSIAL MULTICULTURALISM", Roma, Novembre,. Daniele Archibugi, "What is the difference
between invention and innovation?", Birkbeck College University of London,
Presentazione della Relazione sulla ricerca e l'innovazione in Italia, Roma,
Consiglio Nazionale delle Ricerche, 15 ottobre
Filosofi della politica, Filosofi italiani del XXI secolo. Daniele
Archibugi. Archibugi. Keywords: PAX ROMANA, due citadini del mondo. Refs.:
Luigi Speranza, “Grice ed Archibugi” – The Swimming-Pool Library. Archibugi.
Luigi Speranza --
Grice ed Archippo: il principe filosofo -- Roma antica -- filosofia italiana –
Luigi Speranza (Roma). Filosofo italiano. A correspondent of PLINIO (si veda)
Minore, pleads exemption from jury service on the grounds that “he is a
philosopher” and produces a letter from DOMIZIANO testifying to that fact, and
to his good character. It emerges later that A. had previously been sentenced
to hard labour in the mines for forgery, which might cast some doubt on the
authenticity of the letter. Although some were keen to see him back in the
mines, he is generally popular. Archippo.
Luigi Speranza --
Grice ed Archippo: la diaspora di Crotone -- Roma – filosofia italiana – Luigi
Speranza (Taranto). Filosofo italiano. A follower
of Pythagoras. While living in Crotone, he nearly lost his life when those
opposed to the Pythagoreans set fire to a house in which he was attending a
meeting. Archippo.
Luigi Speranza --
Grice ed Archita: l’implicatura conversazionale della colomba -- Roma –
filosofia italiana – Luigi Speranza
(Taranto). Filosofo italiano. According to Giamblico di Calcide, a pupil of
Pythagoras. According to
Suda, A. teaches Empedocle di GIRGENTI (si veda), which is IMPOSSIBLE – But the
reference may be to THIS Archita, who also seems to have come from Taranto,
although some question whether such an individual exists. Archita.
Luigi Speranza -- Grice
ed Arcidiacono: all’isola -- l’implicatura conversazionale della sintropia – entropia
ed informazione – la scuola di Acirelae – filosofia siciliana -- filosofia
italiana – Luigi Speranza (Acireale). Filosofo
siciliano. Filosofo italiano. Acireale, Catania, Sicilia. Grice: “I like
Arcidiacono, and Floridi should pay more attention to him; after all he what
Austin called an ‘Oxonian myopist’! I love him!” “It took me a while to digest Aricidiacono’s
non-intentional use of ‘inform,’ but I suppose he rather follows Shannon than
Plato!” “Arcidiacono pays due attention to Aristotle’s ‘finalismo,’ and as an
Italian, he gives proper due to Plionio – ‘il vecchio,’ as Arcidiacono
comically calls him – Strawson: “As if Pliny the Younger were not now part of
‘storia vecchia’!” – Grice: “In any case, give me Salvatore anyday – his
brother, Giuseppe, cannot qualify as a philosopher!” – Grice: “And another good
thing, too, Arcidiacono, the ‘filosofo’ brough Fantappie as a hashtag in
‘filosofia’!” Grice: “As Arcidiacono notes, Fantappie, not being a filosofo,
committed the usual mispellinggs – ‘syntropia,’ rightly corrected to ‘sintropia’
by the philosophy-educated philosopher Salvatore Arcidiacono!” Nato e, per una
sorprendente coincidenza, morto lo stesso anno del fratello gemello Giuseppe, divise
con quest'ultimo anche gli impegni di ricerca. Laureatosi a Catania. Insegna a
Catania. Perfeziona la Teoria unitaria del mondo fisico e biologico,
collegandola ai più moderni sviluppi della biologia teorica e molecolare. Da supporto
teorico speculativo nel campo della chimica e della fisica teorica. Elabora una
formulazione mediate della teoria sintropica nonché della Teoria degli
universi. Saggio “Visione unitaria dell'Universo”. “Spazio, tempo,
universe”. Altre saggi: Visione unitaria
dell'Universo” (UCIIM, Roma); “Spazio, tempo, universe” (Fuoco, Roma); “Materia
e Vita” (Massimo, Milano); “Ordine e Sintropia la vita e il suo mistero” (ed.
Studium Christi, Roma); “L'evoluzione sintropica” (Accademia degli zelanti e
dei dafnici, Acireale); “Creazione, evoluzione, principio antropico” (ed. Il
fuoco-Studium Christi); “Entropia, sintropia, informazione. Una nuova teoria
unitaria della fisica, chimica e biologia” (Renzo, Roma); “L'evoluzione dopo
Darwin. La teoria sintropica dell'evoluzione, ed. Di Renzo, Roma); “Problemi e
dibattiti di biologia teorica, ed. Di Renzo, Roma. Licata, Teoria degli
Universi e Sintropia. L'accoglienza delle idee di Teilhard de Chardin nella
cultura italiana, Scapini, Demetrio Sodi Pallares, Terapia metabolica delle
cardiopatie. Nuovo approccio terapeutico PICCIN, Padova Vannini; L'accoglienza
delle idee di Teilhard de Chardin nella cultura italiana; A., Nuevas ideas para
la evolución biològica, articolo su Folia humanistica, Barcellona, Revue
internationale Teilhard de Chardin, Edizioni Ministère de l'éducation nationale
et de la culture Belgique, Editore Société Teilhard de Chardin, Vannini, From
mechanical to life causation,, Syntropy, (WC ACNP); Scapini, La logica
dell'evoluzione dei viventi Spunti di riflessione, in Atti del Convegno del
Gruppo italiano di biologia evoluzionistica Firenze, Firenze, University press,
Fantappié Giuseppe Arcidiacono Sintropia
Biografia sul sito del suo editore, su direnzo ). VDM Filosofia della
scienza Filosofi. Salvatore Arcidiacono.
Keywords: sintropia, entropia, ed informazione; sintropia, antropia, entropia. arcidiacono l’implicatura del principio antropico biologia
filosofica filosofia della vita fissisismo naturalismo finalismo vivere vivente
ominazione animazione definizione del vivente como movente autonomo il fine —Refs.: Luigi Speranza,
“Grice ed Arcidiacono” – The Swimming-Pool Library. Arcidiacono.
Luigi Speranza -- Grice
ed Arco: l’implicatura conversazionale della GRAVITAS – la scuola di Teano –
filosofia campanese -- filosofia italiana – Luigi Speranza (Teano). Filosofo
campanese. Filosofo italiano. Teano, Caserta, Campania. Grice: “I should like
Arco; but he is a priest and I’m C. of E.; on top, I love to say that
philosophy ought to be FUN, provided it’s MY FUN – not Arco’s – so I find
Arco’s ‘dictionary of philosophical ‘umorismo,’ or filosofia ‘umoristica’
frivolous, and unworthy of Roman gravitas!” Nato nella frazione
Fontanelle entra fra i Salesiani di Bosco e fu ordinato sacerdote a Roma.
Consegue a Napoli la laurea in filosofia. Per la sua preparazione filosofica,
nonché per la profondità della sua filosofiai, è considerato tra i maggiori
filosofi italiani. Per lungo tempo è stato professore di filosofia presso gli Istituti
Salesiani di Bosco. Ricoverato
all'ospedale “San Leonardo” di Castellammare di Stabia, per un blocco renale, e
ritornato a Pacognano di Vico Equense dopo aver superato la crisi, è morto novantaquattrenne.
Uomo di anima sensibile e di infinita fede ha trascorso molto della sua vita
scrivendo, interessandosi di agiografia. È stato protagonista televisivo sulla
prima rete nazionale con il programma: Tempo dello Spirito. Intensa e vasta la sua opera letteraria. Altre opere: “Longo e la sua intimità con Dio”;
“Don Bosco si diverte”; Sorgenti di gioia; Gesù sotterra un chicco di grano;
Pira e il risorto; “Fiori di sapienza. Dizionarietto di saggezza”; “La Donna
del Sanctus; Papa Giovanni beato. La parola agli atti processuali; Quando la
teologia prende fuoco. Giuseppe Quadrio sacerdote salesiano; Don Bosco nella
luce del Risorto; Don Bosco sorridente entra in casa vostra”; “Così Don Bosco
amò i giovani”; “Il Padre Nostro”; “Ma c'è poi questo Dio; Nota bene; Sorgenti
di Gioia; L'Ave Maria inno dell'amore filiale; Rinaldi copia vivente di Bosco; “La
sorgente eterna dell'amore”; “Noi esistiamo perché Dio Padre ci ama; Stile di
Serenità; La Gioia a Portata di Mano; Ridi e sorridi da saggio; Il Beato
Bartolo Longo; Dolcezza e speranza nostra; Dio ci ama con cuore d'uomo; Il
Padre nostro; La Leva del Mondo: la preghiera; Sant'Eustachio; Il Cristo in cui
Spero; Giorgio La Pira Profeta e testimone del Risorto; Serva di Dio Elisabetta
Jacobucci Francesca Alcantarina; Beata Maria della Passione; Il Servo di Dio B.
Longo; Papa Giovanni Beato; Così ridono i saggi; Fiori di sapienza; Il segreto
di papa Giovanni; S.Alfonso amico del popolo; La Donna del Sanctus; Il Sacro
nome ti chiama per nome; La Leva del Mondo: la preghiera; Il monumento alla
Pace Universale del beato Bartolo Longo; Il Salesiano è fatto così; Messaggio
di Teilhard De Chardin. Intuizioni e idee madri (Elledici Torino); Un
esploratore della felicità: biografia del Servo di Dio Giacomo Gaglione, Apostolato
della Sofferenza. Citazionio su A. La
comunità di Pacognano ricorda A. Meazza, Giornale di Napoli, sito "Positano
news", Identities Biografie
Biografie: di Biografie Categorie: Religiosi
italianiTeologi italianiFilosofi italiani Professore Teano Vico Equense. Adolfo
L’Arco. Arco. Keywords: gravitas, hagiography; if he has religious faith, he is
not a philosopher. Refs.: Luigi Speranza, “Grice ed Arco” – The
Swimming-Pool Library. Arco.
Luigi Speranza -- Grice ed Ardigò: la ragione conversazionale e l’implicatura conversazionale – la
scuola di Casteldidone – la scuola di Cremona – filosofia cremonese – filosofia
lombarda -- filosofia italiana – Luigi Speranza, pel Gruppo di Gioco di H. P.
Grice, The Swimming-Pool Library (Casteldidone). Filosofo lombardo. Filosofo
italiano. Caseldidone, Cremona, Lombardia. Grice: “I love Ardigo – but I have a
few qualms – his “Opere filosofiche’ is improperly indexed! The man
wrote zillions! My attention was first caught by minor editorial note: “’La morale dei
positivisti’ was reprinted a few years later after its first edition as divided
into two parts, “la morale’ proper and ‘Sociologia’ – Since I have used
philosophical biology and philosophical psychology, Ardigo is indeed into
‘philosophical sociology’ – As he notes, ‘sociology’ is today’s philosophese
for Aristotelian politics – politica – re publica romana – And being a
positivist, Ardigo provides some good background – which will later be
‘refuted’ by the neo-idealists that opposed this sort of philosophy – to the
idea of two organisms (two pirots) interacting --. While I speak of
conversational egoism as balanced by conversational tu-ism; Ardigo, less of an
altruist, and who laughs at the ‘ridiculous’ sensist conception of ‘simpatia’ –
speaks of two principles: the principle of egoism, or prepotence, found amoung
brutal animals – and the principle of what he calls ANTI-EGOSIM, found in the
civil Italian gentleman – the word ‘civile’ is crucial, as in Castiglione,
‘discorso,’ or ‘conversazione’ civile. If Wilson found it offensive when Chomsky
spoke of two ideal communicadtors, this is no problem for the positivist – As
Ardigo notes, an Italian will not behave conversationally in the same way when
conversing with some he regards as below his station -- that’s why he (and later I adopted the
same guideline) uses ‘Romolo’ and ‘Remo’ (rather than Jack and Jill, since
there is a gender issue here) as communicators.
As he puts it, ‘the fact that Romolo eventually kills his ‘fratello’ is hardly
relevant from a positivist point of view – surely we don’t require ANTI-EGOSIM
to hold indefeafeasibly, I would disagree with Ardigo’s dismissal of Remo’s
murder – ‘l’assassinio di Remo’ – I discussed this with Hardie – in English,
and, after a ten-minute pause, all I got from him was, ‘what do you mean by
‘of’?’” -- Essential Italian philosopher. Grice: “It’s amazing Ardigo found
psychology a science, and a positive one, too!” – Altre opere: “La psicologia come
scienza positive”; “Scritti vari”; “Venti canti di H. Heine tradotti 100
percent.svg di Heine, traduzione dal tedesco. Testi su A.. Per le
onoranze a A. 100 percent.svg di Mario Rapisardi. Gemeinsame
Normdatei data.bnf.fr Comité des travaux historiques et
scientifiques Brockhaus Enzyklopädie Dizionario Biografico degli
Italiani Categorie: Casteldidone Mantova
1828 1920 28 gennaio 15 settembreAutoriAutori Autori Autori italiani Autori
italiani Religiosi Filosofi Pedagogisti Religiosi Religiosi Filosofi Filosofi Pedagogisti Pedagogisti
Autori italianiReligiosi italianiFilosofi italianiPedagogisti italianiAutori
citati in opere pubblicateAutori presenti sul Dizionario Biografico degli
Italiani Refs.: Grice, “Ardigò
and a positivisitic morality,” Luigi
Speranza, "Grice ed Ardigò," per Il Club Anglo-Italiano, The
Swimming-Pool Library, Villa Grice, Liguria, Italia. ARE. Ricerca A. psicologo, filosofo e pedagogista italiano,
Lingua Segui Modifica «L'inconoscibile di oggi è il conosciuto di
domani.» (Roberto A.) Roberto Felice Ardigò (Casteldidone, 28 gennaio1828
– Mantova, 15 settembre 1920) è stato uno psicologo, filosofo e pedagogista
italiano. Roberto Felice Ardigò Biografia Modifica Roberto Felice A.
nacque a Casteldidone, in provincia di Cremona, da Ferdinando A.. A causa delle
difficoltà economiche della famiglia, un tempo agiata, si dovette spostare a
Mantova, dove il padre trovò lavoro presso i cognati. La madre era
profondamente religiosa, mentre il padre sostanzialmente indifferente in
materia. Egli ne avrà sempre profondo rispetto e un forte legame, come anche
con la sorella. Studi teologici Modifica Studiò a Mantova, per poi iscriversi
nel 1845 al liceo del Seminario vescovile. Nel 1848 ottiene un posto gratuito
nel seminario di Milano, ma in seguito ai moti risorgimentali é costretto a
rientrare a Mantova. Il suo successivo tentativo di arruolarsi nell'esercito di
Guglielmo Pepe è frustrato da una febbre malarica che lo colpisce alla vigilia
della battaglia di Goito. Proseguì poi gli studi teologici. Dopo la morte dei
genitori, fu accolto a casa sua da Mons.
Martini, rettore del Seminario mantovano. In quegli anni il Seminario
era investito dalla congiura patriottica che porterà al supplizio dei Martiri
di Belfiore, dei quali ben tre erano sacerdoti, tra cui il leader della
congiura Don Enrico Tazzoli, insegnante presso lo stesso Seminario.
Ardigò fu infine ordinato sacerdote. L'insegnamento positivista, la
sospensione e la scomunica Modifica Nel 1870 pubblicò La psicologia come
scienza positiva e nel 1876 tentò di istituire presso il Liceo di Mantova, dove
insegnava[4], un Gabinetto per le ricerche psicologiche.[3] Nel metodo di
insegnamento, poi, privilegiava il personale e diretto coinvolgimento degli
allievi, sollecitandoli al libero dialogo, con una attenta analisi di brani
critici e dei filosofi, cosa non troppo gradita alle gerarchie ecclesiastiche e
al Ministero dell'Istruzione. Già preda di una crisi religiosa molto
forte, che lo portò infine a divenire ateo[5], tutta questa polemica lo
condusse appunto a smettere l'abito ecclesiastico nel 1871, a 41 anni, dopo
aver aderito ormai completamente alle posizioni positiviste ed evoluzioniste,
che andavano nettamente in contrasto ai dettami della Chiesa cattolica del
tempo, e aver attaccato apertamente il dogma dell'infallibilità papale.
Alla fine, Ardigò venne anche scomunicato, ultimo atto della polemica contro la
Chiesa di cui aveva fatto parte.Professore universitario Modifica
Casteldidone, lapide sulla casa natale In totale insegnò storia della filosofia
all'Università di Padova per 28 anni dal 1881. Considerato tra i padri della
psicologia scientifica italiana per aver promosso una concezione scientifica
della psicologia, concepì una complessa teoria della percezione e del pensiero
che non ebbe completa dimostrazione sperimentale. Nel 1882 Ardigò svolse uno
dei suoi maggiori esperimenti in campo psicologico sperimentale, sulle
condizioni dell'adattamento visivo su prismi ottici. Diverse furono le materie
che insegnò nei lunghi anni d'insegnamento universitario fino alla data del 1º
giugno 1909 quando fu collocato a riposo. Fu, altresì, preside della facoltà di
filosofia e lettere dal 1899 al 1902. Il 31 maggio 1908 divenne socio
dell'Accademia delle scienze di Torino. Il 16 ottobre 1913 fu nominato
senatore del Regnoma fu impossibilitato a raggiungere Roma per il giuramento. Durante
la sua vita elogia Mazzini e Garibaldi, critica la massoneria (in quanto la
ritene non necessaria in uno stato ormai libero) ed espresse idee fortemente
repubblicane. Ultimi anni e suicidio Negli ultimi anni di vita, isolato
dall'ambiente intellettuale, ma non dai suoi discepoli più stretti, soffre di
gravi problemi fisici e depressivi (acuiti dalla morte della sorella Olimpia,
che vive a casa sua), che lo conduceno a un primo tentativo di suicidio a
Padova (dopo aver appreso della disfatta di Caporetto e della morte di molti italiani),
fallito perché la ferita non è grave, ma che si sarebbe ripetuto, questa volta
riuscendo nel suo intento. A. muore infatti suicida nella sua ultima
sistemazione a Mantova a casa Nievo, abitazione che è di Nievo. S’auto-inflisse
una ferita colpendosi con un rasoio (o una roncola) arrugginito alla gola. Le
testimonianze dell'epoca riferiscono che venne trovato seduto alla scrivania,
con la barba bianca del tutto sporca di sangue (barba che gli è tagliata dai
soccorritori ed è tuttora conservata come cimelio nella sala blindata della
Biblioteca di Mantova. Soccorso dai medici, perde comunque conoscenza dopo aver
ribadito le sue intenzioni, e muore due settimane dopo. Ricezione dell'opera d’A.
Il tragico atto finale della sua vita venne usato dai suoi detrattori clericali
o neo-idealisti per screditare il positivismo in declino o visto come un gesto
di demenza senile, e non come un atto di un uomo ormai stanco a livello psico-fisico,
che da tutto e vissuto la sua lunga vita secondo coscienza, quale in effetti è.
D'altra parte, seppur il sistema di A. non è anti-idealistico, sono gl’idealisti
ad attaccarlo filosoficamente, seguiti dai marxisti, come Gramsci, talvolta
paragonandolo agl’esiti più deleteri del positivismo, come l'antropologia
criminale di Lombroso, risultata poi non scientifica, determinando l'oblio
parziale delle sue opere, tra i maggiori libri filosofici tra il periodo
illuminista (con l'esclusione delle opere filosofiche di Leopardi) e il neo-idealismo
di Croce e Gentile. Con lo sviluppo del positivismo logico e la riscoperta del
positivismo, si è avuta una lenta rivalutazione d’A., il maggiore esponente
italiano del movimento, assieme a Montessori e, come lei, tra i fondatori della
pedagogia e della psicologia moderna, oltre che uno dei maggiori filosofi laici
della cultura italiana. Commemorazioni Sulla sua casa venne apposta una lapide,
quando ancora egli è in vita: Mantova in una pergamena. Indagatore
sapiente dei fenomeni del pensiero e del sentimento. Assertore impavido della
naturale formazione e dell'unità molteplice della vita. La Società magistrale
Mantovana, col plauso degl'insegnanti elementari d'Italia, della Società
filosofica dei professori di Morale e di Pedagogia, festeggiando l'ottantesimo
compleanno del maestro sublime, augura con fervidi voti che la nuova
generazione cresca degna di lui nel culto della scienza, nell'apostolato della
verità. (Epigrafe di Rapisardi. La città di Monza gli dedica una scuola media
inferiore e una strada. Anche Milano gli dedica una strada in zona Forlanini,
così come Roma che gli dedica una piazza tra il quartiere dell'EUR e la Via
Laurentina. I libri della sua biblioteca personale sono conservati presso
la Biblioteca universitaria di Padova. Pensiero Mantova, lapide commemorativa Il suo pensiero
mosse dalla conoscenza dei classici teologici e filosofici, come Agostino
d'Ippona ed AQUINO, poi abbandonati, all'adesione al razionalismo e al
positivismo di Comte e Spencer (con cui ha
una corrispondenza epistolare, ma di cui non condivide né il darwinismo
sociale, né il ruolo marginale da questi attribuito alla filosofia, passando
attraverso il naturalismo del rinascimento, come quello panteistico di BRUNO
(si veda). D'altra parte, del sapere magico-ermetico della filosofia della
natura, da Bruno stesso a Telesio, non vi è alcun residuo nella filosofia
positiva d’A., che prova disinteresse e disprezzo per la rinascita
romantico-idealista della filosofia, a cui, dopo la conversione laica, contrappone
la vera filosofia scientifica.Caratteri della filosofia positiva d’A.
L'originalità della sua filosofia si distanzia tanto dall'enciclopedismo
naturalistico quanto dal tradizionale spirito di sistema, aprioristico,
deduttivistico, dogmatico. La filosofia trova la sua specificità nel fondamento
del fatto (fisico o psichico) e nell'argomentazione induttiva, contro le
deduzioni a priori, metafisiche, che non hanno fondamento nell'esperienza come
la deduzione logico-matematica. Comte Una filosofia, che accetti metodo
scientifico e voglia dirsi scientifica, rifiuta quindi le tesi metafisiche, le
entità trascendenti inverificabili, accetta le ipotesi da verificare. Contro
l'astratto razionalismo metafisico della filosofia, è andato emergendo, secondo
A., dapprima il naturalismo rinascimentale, che ha trovato seguito
nell'empirismo, nell'illuminismo e nel sensismo, fino al darwinismo e al
positivismo. Una filosofia positiva non può nutrire certezze definitive (se
vuol essere portatrice di tesi riformulabili come le teorie scientifiche) e non
può essere un sistema unitario e dogmatico. A. propone una filosofia che,
perduto l'ambito delle scienze naturali positive, si specifica in autonomia
come scienza dei fatti psichici (psicologia) e dei fatti sociali (sociologia). Psicologia,
pedagogia e sociologia positive Modifica I suoi contributi nell'ambito delle
scienze sono importanti per l'impostazione generale. Interessanti sono le sue
idee sull'evoluzione intesa come passaggio dall'indistinto al distinto, ma anche
condizionata dal caso e caratterizzata dal ritmo. Non tutto dunque è lineare e
meccanico. A. fu uno dei primi psicologi moderni, anche se non nel senso di
terapeuta, ruolo che sarà ricoperto dagli psicoanalisti e dagli psichiatri, ma
nel senso di formatore pedagogico e professionale, oltre che di teorico e
studioso della psiche, come Bergson. A. insistette sulla necessità di una
psicologia ed una pedagogia scientifiche, soffermandosi sul ruolo delle
abitudini. L'educazione infatti sul piano naturale può essere ricondotta
all'acquisizione di comportamenti sedimentati e certi; questo significa il
passaggio da una pedagogia metafisica ed astratta ad una pedagogia intesa come
scienza dell'educazione.L'Io, l'Indistinto e la nascita della coscienza Seguendo
comunque l'assioma comtiano che "non ci può essere scienza se non di
fatti" (anche se Comte riconduce la psicologia alla filosofia e alla
medicina, oltre che alla sociologia), egli conia inoltre il termine di
"confluenza mentale". Teorie pedagogiche Modifica A. dice:
«la pedagogia è la scienza dell'educazione, per questo l'uomo può
acquisire le abitudini di persona civile, di buon cittadino.» Per Ardigò
dunque non tutte le abitudini sono educative. Dal punto di vista didattico
privilegiò l'intuizione, il metodo oggettivo, la lezione delle cose, il
passaggio dal noto all'ignoto, insegnando poche cose alla volta, ritornando più
volte sulle cose spiegate e facendo continue applicazioni di teorie e casi
nuovi. Egli rivalutò la funzione del gioco, il quale permette al bambino
l'occasione di vedere e toccare gli oggetti, riconoscerne le proprietà e le
somiglianze, favorendo lo sviluppo fisico, il quale va d'accordo con quello
mentale. Proprio in riferimento al gioco, Ardigò criticò le idee di Fröbel Il
problema di A. fu quello di coniugare la formazione di giuste abitudini con la
libertà e l'autonomia propugnata dai Giardini d'infanzia di Fröbel. Darwin
Natura ed evoluzionismo Modifica Il sistema ardigoiano si configura come un
“naturalismo” evoluzionistico (da lui chiamato però realismo positivo) che
cresce sulla consapevolezza delle scienze e della tecnica, e si regge sotto una
solida epistemologia, mentre si rivolge anche alla morale, sottraendola al
riduzionismo naturalistico e meccanicistico, riservando alla psicologia la
funzione di sovrintendere al tutto. Se tutto ciò che esiste è un fatto
naturale, dal cosmo al cervello umano, dai vegetali ai minerali, non esiste e
non può esistere un Ente trascendente metafisico e non è pensabile alcun
progetto finalistico che permetta una comprensione teleologica della Natura; ad
essa ci si può avvicinare solo con spirito scientifico. L'ignoto d’A. non
trascende l'esperienza, non ne è causa prima e soprannaturale, per cui il suo
immanentismo non finisce mai nello spiritualismo a-scientifico e
irrazionalistico (accusa spesso rivolta da Benedetto Croce ai positivisti).[24]
Un motivo di originalità è offerto dal tentativo di attenuare il determinismo e
meccanicismo evoluzionistico e positivistico tramite la dottrina della casualità.
La realtà è per lui continuo passaggio dall'Indistinto al distinto, e i
distinti sono la coscienza umana e il mondo esterno, frutto entrambi dalle
sensazioni e da quell'Indistinto dalla quale procedono per auto-sintesi ed
etero-sintesi. Riflessione morale Modifica Egli punta a far rinascere un'etica
laica, naturalistica, non prescrittiva, che pone l'uomo davanti alle scelte,
dandogli strumenti conoscitivi per una scelta razionale. Rimane estraneo però
alla questione sociale e alle istanze socialiste (nonostante la collaborazione
con Turati), e, ancor prima, anarchiche, ampiamente diffuse in Italia, come
isolato è anche rispetto alla politica. Le idealità sociali o massime morali si
distinguono in: naturali, perché frutto solamente dell'evoluzione della
specie e della psiche individuale sociali vere e proprie, cioè etico-giuridiche
perché determinate dalla convivenza; esse devono la propria oggettività alla
loro genesi individuata nello sviluppo materiale dell'uomo (biologico, fisico,
ecc.) e (...) si esprimono storicamente in istituzioni (come la famiglia, lo
Stato) le quali disciplinano e orientano le azioni umane. Va detto che la
riflessione ‘di periodo’ ardigoiana sulla moralità e sulle idealità sociali
“nell’idea della giustizia” mostra l’intento di fondare in Italia la sociologia
come scienza sulla cauta possibilità di concepire nella società la morale senza
la religione (Roberto Ardigò, La morale dei positivisti, Milano, Natale
Battezzati. Il progetto di A. si concretizza maggiormente nelle pretese di
fondare un sapere laico in grado di confrontarsi con le sfere dell’etica e
della filosofia speculativa, senza che quest’ultima possa vantare ex ante una
alleanza “forte” di filosofia e religione e senza avere avuto un confronto con
i temi messi in campo dalla scienza e dai suoi più immediati avanzamenti, così
e come mostrano proprio i primi passi dell’idea di formare un sapere
sociologico autonomizzato dalle sfere dell’eticità (Guglielmo Rinzivillo,
Ardigò e la prima sociologia in Italia, su “Scienzasocietà” n.50, A. In questo
senso l’impresa di Ardigò di confrontarsi direttamente con il sapere
speculativo risulta essere l’unica nel suo genere al cospetto del positivismo
di fine secolo XIX (Rinzivillo, La scienza e l’oggetto. Autocritica del sapere strategico,
Milano, Franco Angeli, Ma il tentativo di formare una scuola si infrange nella
ripresa sia europea dello spiritualismo che più nostrana dell’idealismo e nella
contestazione delle dottrine filosofiche di seguaci come Marchesini e Tarozzi
(Portale,Marchesini e la “Rivista di Filosofia e Scienze Affini”. La crisi del
positivismo italiano, Milano, Angeli, Altre saggi: “Discorso sulla difesa dalla
inondazione”; “Pomponazzi”; “La psicologia come scienza positive” – cf. Grice
psicologia filosofica --; “La formazione naturale nel fatto del sistema
solare”; “La morale dei positivisti”; “Sociologia”; “Il fatto psicologico della
percezione”; “Il vero”; “La scienza della educazione”; “La ragione”; “L'unità
della coscienza”; “La nuova filosofia dei valori”; “Canti di Heine, traduzione
dal tedesco Raccolta delle opere, “Filosofia” (Padova, Draghi). Citato in: Bonetti, Mazzoni, L'Università degli studi di
Firenze nel centenario della nascita di Occhialini, Firenze, Allegri, Il
realismo positivo di A.. L'apogeo teoretico del positivismo. in Internet
Archive. Guido Cimino e Foschi, Percorsi di storia della psicologia italiana,
Kappa, Covolo, A.. Dal sacerdozio all'ateismo
A. su Chi era costui? A. e il
sistema positivistico, dal sito della Congregazione per il Clero del Vaticano Riccardo,
Breve storia della psicologia italiana. Psicologia Contemporanea, A., su accademiadellescienze. Mazzini, Milano). ^ Discorso commemorativo
pronunciato sul Monumento dei Martiri in piazza Sordello. Dal giornale Il
Mincio, 11 giugno Egregio Sig. Genovesi. Rispondo subito alla di Lei lettera,
che convengo interamente con Lei che dice giustamente che La Massoneria in uno
stato libero è un non senso: e che a combattere l'oscurantismo è più efficace
l'opera indefessa ed aperta di educazione e di elevazione civile che non
l'opera tenebrosa e nascosta di una setta: e che coll'esistenza di questa la
gran massa popolare non può che perdere la fiducia nella giustizia pubblica del
proprio paese, nell'idea che la massoneria sia poi in fine una associazione di
interesse pei soci a danno di quelli che non vi appartengono. E fortuna per me
che alle scomuniche sono avvezzo, e nulla temo perché nulla spero. Lettera in
Lettere edite ed inedite, a cura di Büttemeyer, A., Il Contributo italiano alla
storia del Pensiero – Filosofia, Savorelli, Treccani A. su
lnx.societapalazzoducale mantova). ^ La cultura filosofica italiana, Lampi di
stampa, Büttemeyer, Roberto A. e la psicologia moderna, Firenze, La Nuova
Italia, Veniero Accreman, La morale della storia, Guaraldi, Landucci, Roberto A.
e la "seconda rivoluzione scientifica", ed Franco Angeli, RIVISTA DI
STORIA DELLA FILOSOFIA, Allegri, Il realismo positivo di Roberto A.. L'apogeo
teoretico del positivismo Archiviato il 10 dicembre 2014 in Internet Archive.,
Groppali e G. Marchesini, Nel 70º anniversario d’A., ed, Bocca, Torino; A., La
psicologia come scienza positiva, Guastalla editore, Mondovì Froebel Allegri,
Il realismo positivo d’A. L'apogeo teoretico del positivismo Internet Archive., Quaranta, Etica e politica
nella filosofia di A., “Rivista di storia della filosofia”, Quaranta. Gentile,
Il positivismo d’A: un'ideologia italiana, Rivista di storia della filosofia.
Mille anni di scienza in Italia, opera del Museo Galileo. Istituto Museo di
Storia della Scienza di Firenze. Poggi, La coscienza e il meccanesimo
interiore. Bonatelli, A. e Zamboni,
Padova, Poligrafo. Dizionario di filosofia, Istituto dell'Enciclopedia
Italiana, A., su sapere.it, De Agostini. Bortone, A., in Dizionario biografico
degli italiani, Istituto dell'Enciclopedia Italiana,Opere di Roberto A., su
openMLOL, Horizons Unlimited srl. Opere di Roberto A., su Open Library,
Internet Archive consultabili
nell'Archivio di Storia della Psicologia, su archiviodistoria. psicologia1.uniroma1.it.
URL). Savorelli, Il contributo italiano alla storia del Pensiero: Filosofia,
Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Altre opere: Pomponazzi. La psicologia
come scienza positiva. La formazione naturale del sistema solare.
L’inconoscibile di H. Spencer e il Positivismo. La religione di Mamiani. Lo
studio della Storia della filosofia. La Morale dei Positivisti. Relatività
della Logica umana. La coscienza vecchia e le idee nuove. Empirismo e
scienza. Sociologia. Il compito della filosofia e la sua perennità. II
fatto psicologico della Percezione. Il Vero. La Ragione. La scienza
sperimentale del pensiero. Il mio insegnamento della filosofia nel R. Liceo di
Mantova. L’Unità della coscienza. L’Inconoscibile di H. Spencer e il
Noumeno di Kant. Il meccanismo dell’intelligenza e l’ispirazione geniale.
L’indistinto e il distinto nella formazione naturale. Note etico-sociologiche Articoli pedagogici. Il Pensiero e la Cosa.
L’idealismo della vecchia speculazione e il Realismo della filosofia positiva.
La formazione naturale e la dinamica della psiche. Saggio di una ricostruzione
scientifica della psicologia. La perennità del Positivismo. Monismo metafisico
e monismo scientifico. La filosofia nel campo del sapere. Atto riflesso e
atto volontario. I tre momenti critici nella storia della Gnostica della
filosofia moderna. Il sogno della veglia. Tesi metafisica, ipotesi scientifica
e fatto accertato. Il quadruplice problema della Gnostica. Guardando il rosso
di una rosa. La nuova filosofia dei valori. Una pretesa pregiudiziale contro il
Positivismo. L’Inconscio A. Comte, H. Spencer e un positivista italiano.
Infinito e indefinito. Fisico e psichico contrapposti. Repetita juvant. I
presupposti Massimi Problemi. Il Positivismo nelle scienze esatte e nelle
sperimentali. L’individuo. Estema, idea, logismo. Le forme ascendenti della
realtà come cosa e come azione e i diritti veri dello spirito. Lo spirito
aspetto specifico culminante della Energia in funzione nell’organismo animale.
La meteora mentale. Filosofia e positivismo. La ragione scientifica del dovere.
La filosofia vagabonda. L’intelligenza. Altre opere: SCRITTI VARI
RACCOLTI E ORDINATI DA MARCHESINI Le Monnier scuola nuovo FIRENZE FELICE
LE MONNIER. Prefazione; opere filosofiche; Polemiche; La confessione; Sulla
storia della confessione esposta nel n. 181 della Favilla dal sig. Eugenio
Pettoello. Il prete professore Ardigò e la confessione. Calunnie. Risposta del
prete professore A. alla lettera di SANCTIS (si veda) inserita nel n. 217 della
Favilla. Dichiarazione ai lettori. Lettera dell'illustre De Sanctis. Articolo
comunicato. La psicologia positiva e i problemi della filosofia. Dialogo. Il
filosofo e un ignorante. Il liberalismo d’A. Contro la massoneria. R. A. e A.
Fouillée. Discorsi. Garibaldi. Discorso di commemorazione. Per il 70°
anniversario. Le Ancelle della carità al Civico Spedale. I programmi e l’ordine
dell’insegnamento. Il cultore vero della scienza. La gerarchia dei godimenti.
La libertà del sentimento religioso. L’unità internazionale. La filosofia col
nuovo regolamento universitario. La scuola classica e la filosofia. Divisi
dalle religioni, la scienza ci riunirà. Il dolore morale nella società. La
polarizzazione del lavoro mentale. La breccia di Porta Pia. Il significato
morale del XX Settembre. Le immagini rovesciate. Il metodo del lavoro
intellettuale di A.. La formazione inconscia delle convinzioni. La condizione
fisica della coscienza. Lettere 100%.svg Lettera 1 100%.svg
Lettera. Giudizi e pensieri. Giudizi. Pensieri. Versi. Uno scherzo in un'ora
allegra. Intecta fronde quies. Venti canti di Heine. Schöne Wiege meiner Leiden.
Warte, warte, wilder Schiffsmann. Berg und Burgen schaun herunter. Der Traurige. Zwei Brüder. Die
Grenadiere. Auf Flügeln des Gesanges. Liebste, sollst mir heute sagen. Mein
süsses Lieb, wenn du im Grab. Ich weiss nicht was soll es bedeuten. Mein Herz, mein Herz ist traurig wie
der Mond sich leuchtend dränget auf dem Hardenberge. Der Hirtenknabe. Nachts in der Kajüte. SOCIOLOGIA.
Dedica. Avvertenza. Il potere civile; La reazione dell' individuo e
quella della società; il Diritto intemazionale; Machiavellismo politico;
l’ideale della società umana; le giustizie sociali; L'Idealità sociale
impulsiva del volere individuale è una giustizia; L'Idealità sociale è
una giustizia potenziale; diritto positivo e diritto naturale; triplice ufficio
del potere; giustizia e diritto nella convenienza; la giustizia; la Giustizia
legale (seconda forma dell' ufficio del Potere) è una gradazione
evolutiva superiore di un indistinto inferiore da cui emerge; dall'indistinto
della prepotenza (principio egoistico) nasce il distinto della
giustizia (principio anti-egoistico) che è la risultante dinamica di
quella; la formazione della giustizia nel senso proprio va colla
formazione del potere onde è l’espressione; la giustizia è la forza
specifica dell' organismo sociale; la gradazione della giustizia;
dovere giuridico e dovere morale; obbligatorietà e trascendenza
imperativa del dovere nella coscienza morale; atteggiamento vario della
giustizia e coefficienti relative; funzione della giustizia morale; l'autorità;
criterio positivo del diritto e del dovere; i diritti dell'uomo
sopra le altre cose della natura; i diritti dell'uomo sopra se
stesso; suicidio; il diritto d’autorità; l’autorità nel diritto naturale; la
dottrina positiva dell'autorità e del diritto è liberale; Gl’attti benefici
nell' etica tradizionale; gl’atti benefici nel positivismo; falsa apparenza di paralogismo;
la virtù, il merito, il premio; l’ordine morale; il bene sociale; il fatto del
diritto (diversità, specie, coordinazione) e il suo ideale; il diritto
è in virtù di se stesso; il diritto è la facoltà del bene sociale;
l'esercizio del diritto è la funzione del bene sociale; il diritto costa
una contribuzione; le unità minime, le unità medie e l’unità massima nel corpo
sociale; la selezione interorganica nella evoluzione formatrice
dello Stato Come risulti spiegata la prima forma dell' ufficio del
Potere, e anche la terza: e stabilito r assunto del libro
Conclusione. SOCIOLOGIA Atxyj^ 8vo|ia oòx dEv ^Seaav, el xaOxa fJ “Non ci
sarebbe l’idea della giustizia se non fossero i supplizi.” -Eraclito di Efeso presso
Clem. Strom. IV, j.. ALL’ILLUSTRE FERRI IL QUALE PRIMEGGIANDO FRA I MAESTRI
DELLA SCIENZA NUOVA DEL DIRITTO PENALE SI COMPIACE DI RICORDARE CHE ALL’INDIRIZZO
POSITIVO DELLA SUA MENTE FECONDISSIMA NON SONO ESTRANEE LE LEZIONI DEL SUO
ANTICO MAESTRO L'AUTORE DEDICA QUESTO SAGGIO IN SEGNO DI FRATERNO AFFETTO.
AVVERTENZA. Questa sociologia costitue una parte della morale dei Positivisti.
Fu in ogni parte o ritoccata o rifatta. Non vi si trattano tutte le questioni introdotte
e discusse generalmente nei saggi di sociologia; ma solo la fondamentale:
quella cioè della formazione naturale del fatto speciale caratteristico dell'
organismo sociale, ossia della giustizia. E, relativamente a questo fatto, non
dà una riproduzione pitc meno manipolata delle idee messe in voga dai filosofi
più celebrati di questa materia. Qualunque ne sia il valore, chi scrive
presenta qui il frutto della sua riflessione solitaria; e non recente, ma di
vecchia data, e già matura fin da quando lo esponeva ai filosofi di Mantova,
pei quali divenne germe e stimolo ad elaborazioni ed applicazionidi merito nel
campo della filosofia. Restringendosi poi la trattazione, come qui è divisato,
al fatto della giustizia, con ciò la sociologia tiene a mantenersi nel campo,
che le spetta in proprio, e pel quale riesce una disciplina a sé e distinta da
tute le altre. È un errore capitale quello comunissimo di fare della sociologia
un ammasso di tutte le dottrine riguardanti i fenomeni svariatissimi, che
suppongono l’ambiente della società umana, A tale stregua la cosmologia
dovrebbe constare di tutte le dottrine riguardanti i fenomeni svariatissimi,
che suppongono l’ambiente dell’universo visibile. A questo modo si dà ragione a
quelli che persistono a *negare* alla sociologia filosofica la qualità di
disciplina autonoma. Una sub-disciplina filosofica è un tutto a sé, che si pone
e si distingue da quello di tutte le altre, come la specialità del fatto che
essa considera. E, nel caso nostro, la sociologia filosofica, o la psicologia
filosofica dell’intersoggetivita, si pone e si distingue, come la specialità
del fatto della giustizia, nel quale è la ragione diretta dell'organismo
sociale; a quel modo che nel fatto della gravitazione è la ragione diretta
della mutua dipendenza delle masse astrali, considerata dalla cosmologia filosofica.
Così, essendoci il fatto Fisico si dà la Fisica; essendoci il fatto chimico si
dà la chimica; essendoci il fatto psichico, si dà la psicologia filosofica, e via
discorrendo per ogni sub-disciplina. Si restring la presente trattazione allo
studio della formazione naturale della giustizia, e limitandosi a considerare
il fatto di essa in generale, e non estendendosi a considerarlo in particolare
nelle molte e diverse forme svariate, che si munifesiano, funzionando la giustizia
nelle differenti comàiìmzioni secondarie pnllulanti ed armonizza nèi nella
totalità malto complessa dell’organismo sociale. Ed è solo in qneslo senso, die
fuesta trattazione non aòòraccia tutto r amèito della Soetologia j.
co7icernendo solo la sua farle introduttiva e fondamentaie. Esaurita la prima
edizione di questo quarto Volume delie Opere filosofiche, e anche la seconda,
nella quale tra stata introd^itta qualche piccola correzione ed aggiunta, colia
presente terza questa Sociologia comparisce nella sua edizione quinta. Questa trattazione
deWdi Sociologia suppone e completa quella della morale dei positivisti. La
suppone, in quanto nella morale medesima è presentata l’analisi della
attitudine etico-civile umana, ed è esposta la teoria positiva della responsabilità
sotto tutti i suoi aspetti e rapporti. La completa, in quanto studia la
formaziofie della attitudine etico-civile suddetta. Specialmente sotto V
di-spetto e il rapporto della sua obbligatorietà si interna che esterna. Ma questa della sociologia è poi, come tale,
una trattazione distinta da quella della morale. La morale ha per oggetto suo
speciale e proprio la attitudine etica e quindi la virtu individuale. La sociologia
ha per suo oggetto la costituzione della società civile e quindi la gitistizia
che ne è la funzione caratteristica. Il punto di partenza del nostro
ragionamento è la questione proposta dalla morale dei posttivisti. Il concetto
della responsabilità (definito precedentemente come l'astratto delle sanzioni,
onde la società reagisce, rintuzzandola, contro l’azione propriamente umana
individuale) fosse manchevole, non estendendosi quanto la moralità, e quindi
fosse da ripudiarsi. E ciò per la considerazione che sembrerebbe così la responsabilità
riferirsi solamente agli atti intesi nel concetto stretto del giusto, cioè ai
pochi atti esterni, aventi importanza per l’ordine sociale, commessi in misura
e in circostanze determinate, discorso basta notare il fatto, la cui spiegazione
si lascia alla fisiologia. Come l’apparato nervoso delF organismo
biologico vi si forma a poco a poco per naturale svolgimento e trasformazione
di una parte degli elementi prima omogenei della sostanza viva, cosi l'apparato
del P<:7/^r^ nell’organismo dello stato vi si forma a poco a poco per
naturale selezione ed adattamento dì alcuni fra gli individui del *consorzio*
umano informe primitivo. Del pari, come la funzione speciale dell'
apparato nervoso si è in esso determinata per Io svolgimento e la
trasformazione della attività vitale generica della sostanza animale,
cosi la specialità della reazione del potere non è altro che una
distinzione, operatasi a poco a poco e di mano in mano che andava
formandosi, della reazione istintiva comune degli individui eslegi del *consorzio*
umano primitivo. E, come l’attività nuova speciale sovrapposta e dominante
dell' apparato nervoso dell'animale superiore sviluppato non vi sopprime
l’attività iniziale semplice e comune del materiale biologico, la quale vi
persiste allato e al disotto dell' attività nervosa, che la regola,
così la reazione del potere, svoltasi naturalmente collo svolgersi dell'
organismo sociale, non vi sopprime la reazione istintiva detta sopra, la
quale quindi persiste nello Stato civile allato e al disotto della
reazione del Potere, che la regola. E cosi nello Stato vengono a
riscontrarsi contempo è assai opportuno studiare ulteriormente, e sotto
/r^r df~ versi aspeliì, l'analogia notata fra T organismo dell' animale
superiore e quello della Società civile. Nel corpo di un animale, anche di
organizzazione superiore (e quindi massimamente in quello dell'
uomo), ogni parte viva ha in sé la ragione della propria attivita
puramente vegetativa, che ha luogo quindi indipendentemente dal concorso diretto
della funzionalità nervosa centrale. Ma questa funzionalità nervosa
centrale può intervenire ad impedire tanto o quanto la detta attività puramente
vegetativa della parte subordinata, A far ciò l’uomo, nel caso che la
parte si ammali e quindi la sua attività vegetativa si renda anormale,
si sforza (valendosi dell' apparecchio nervoso sovrastante alle
parti) di limitare l’anormalità e di contrastame gli effetti perniciosi
sulle altre. Mettiamo, sostituendo la medicina al cibo, o tralasciando di
mangiare e di adoperare se possibile la parte malata, o operando su di essa,
o staccandola in caso estremo dal resto del corpo. Quindi, l’intervento della
funzionalità centrale qui sarebbe puramente negativa; cioè solo di
impedire tanto o quanto l’attività vegetativa; la quale, nella parte,
sorge in virtù della propria natura dì questa, e non potrebbe esservi
creata ed infusa dalla medesima funzionalità centrale. Un fatto analogo si
osserva nel corpo della società civile. In questo corpo sì riscontrano due
generi di reazione sociale, quello della convenienza, proprio di ciascun
individuo e nascente direttamente dall’urto degli individui fra di loro,
indipendentemente dalla sovrapposizione ad essi del potere al quale sono
subordinati; e quello della giusto, proprio di questo potere. La
reazione di convenienza tra individuo e individuo tende con forza ad
assumere, e spesso assume effettivamente forme irregolari nocive e atte a
turbare in misura più o meno grande il buon assetto della società. Ed è
qui che intervitìne la reazione del giusto per parte del potere
sovrapposto. Ma con effetto solo di impedire e limitare, per quanto
possibile, la irregolarità della rea
zione della convenienza. Si che questa, funzionando pure per forza e legge
propria, non ecceda però la forma e la misura compatibile coll’andamento
migliore del corpo sociale. Le parti singole dell'animale sono
coordinate insieme mediante una funzione, che sì aggiunge alle particolari di
esse e loro sovrasta, dominandole e subordinandole nel sistema complessivo deir
individuo. Questa funzione centralizzatrice ha una efficienza negativa,
na ne ha anche una positive, ed è quella di produrre il concerto delle
parti nell’attività dell’individuo totale. Coè, la vìta propriamente
detta, elevantesi sulla semplice vegetazione di ciascuna parte, adattata
e resa ubbidiente alle esigenze della vita medesima, e quindi, per cosi dire,
ingentilitane. Cosi anche nella societa. Nella quale la funzione assodante
del potere si sovrappone a quelle degli due *associate*, ed è puramente
negativa o di limitazione per rispetto a queste, ma è positiva per rispetto a
se stessa, in quanto cioè si pone e produce un effetto speciale suo
proprio, che si risolve soprattutto in quello della moralizzazione dell'
uomo nello Stato civile. Annunciamo qui solo il fatto, la cui
spiegazione dettagliata risulterà dal corso della trattazione. L'
individuo eslege è pronto ad impiegare a proprio vantaggio, come T
istinto naturale lo sospinge, tutta la forza materiale onde dispone; e ad
elidere e a togliere di mezzo il più debole. Il che impedirebbe la
formazione della società e il concerto civile delle sue parti. Perchè
tale concerto sia possibile è necessario che sopravvenga neir umano
consorzio una forza superiore, la quale, in nome e colla mira
dell'interesse di tutti, rintuzzi e contenga la forza esuberante e trasmodante
dei singoli più forti o irregolarmente operanti, e renda cosi
attuabile lo sviluppo e l’esercizio pieno e non impedito, e tranquillo, e
benefico delle attitudini di ogni elemento, onde è costituito il corpo
sociale. L' istinto della reazione individuale, per sé, rappresenterebbe
il princìpio egoistico antisociale. Invece il Potere subordinante rappresenta T
Idealità sociale ossia il principio morale antiegoistico. L'
individuo nella Società diventa morale in quanto, ridotto dalla coazione
della Giustizia a riconoscere il principio antiegoistico rappresentato
dal Potere associante, vi si uniforma, ingentilendosi, rinunciando alla
tendenza di usare la violenza rispetto agli altri, contenendosi nei
limiti permessi dal Potere, cooperando con esso al Bene comune. La
costituzione quindi della Società umana, fino al grado di un' alta
Civiltà, è possibile, perchè la psiche umana, a preferenza di quelle dei
bruti, è atta alla formazione caratteristica della Idealità sociale, come è
dimostrato nella Morale dei Positivisti. Nella macchina fisiologica dell'
animale non si dà potenza centralizzatrice delle parti senza un organo
distinto da esse, che ne sia investito e la possegga. La forza
centralizzatrice poi, in un animale, è in ragione della massa di questo
organo; come la massa stessa è in ragione del bisognodella forza occorrente per
dominare le parti. E inoltre neir animale la materia dell' organo
centralizzante è presa dalle parti stesse centralizzate per via di un
processo di selezione naturale, come dimostra la embriologia e la
zoologia comparata. E secondo il principio generale, da me tante volte
ricordato, del passaggio dall' indistinto al distinto. Vedi specialmente il
Capo III della terza Parte del Libro primo; e la Parte seconda del Libro
secondo. Per questa espressione bisogno vedi la nota alla pag. 17
del volume ILI di queste Op, fil. Per la teoria dell' indistinto e
del distinto vedi la Fortnazione naturale nel fatto del sistema solare y
nel Voi. II di queste Op, fil. Cosi nella Società» La coordinazione delle
partì componenti e la relativa reazione della Giustizia non vi può aver
luogo senza che vi sia costituito un ordine di persone investito del Potere
occorrente all'uopo, e fornito dei mezzi sufficienti all' effetto. Tale
ordine di persone si stabilisce nella Società per la legge suddetta della
selezione naturale, come già accennammo sopra; e di ciò parleremo in seguito
più a lungo, E r ordine sovraiieggiante nella Società deve
essere in ragione della forza occorrente a produrre Teifetto di
contenere le parti nella associazione dello Stato. Più in queste è la
resistenza alla coordinazione sociale, come nella barbarie o nella
depravazione, quando ha ana grande prevalenza T egoismo (o perchè le
Idealità sociali non sono ancora progredite nella loro formazione, o perchè
abitudini prave sottentrate le paralizzano), e più il Potere centrale è
poderoso e A'iolento, e ha quindi il carattere di Potere militare. E la
Giustizia allora assume la forma del fato inesorabile e crudele, che
sforza ad agire colla violenza necessitante. E, nel caso che
manchi nel Potere la forza sufficiente, la Società si trova in quello stato di
organizzazione imperfetta che si osserva negli animali inferiori
aggruppati in masse, che sono piuttosto delle colonie che non degli
individui propriamente detti. Se invece poca o nuila è la renitenza alla
coordinazione sociale, come nelle Società adulte, colte e virtuose.
quando le Idealità sociali negli individui sì sono già formate e si mantengono
impulsive, allora il Potere centrale assume il carattere di un semplice
arbitro morale fra gli individui associati. E la Giustizia qui perde il
carattere della violenza^ assumendo invece quello di una sentenza
vera ed equa, che ottiene il rispetto e T assentimento col solo essere
enunciata. E si conferma ciò che dicemmo altrove del regno del fato e del regno
della Giustizia fra gli uomini, E discende anche dalle cose
dette che, siccome il dispotismo militare è proprio dello stato della
barbarie, così invece il governo repubblicano è proprio dello stato
della cultura più compita; intendendo per questo governo (idealmente) un
governo formatosi per la selezione naturale più propria dell' uomo, ossia
razionale; e di persone funzionanti quasi come semplici arbitri morali; e
rappresentanti U Idealità sociali ammesse dagli individui associati, che
sono disposti per ciò a rispettarle, senza bisogno di coazione e di
violenza. Le cose dette hanno una conferma da ciò che si riferisce
al Diritto internazionale, e servono a chiarirne ÌL fatto e la teoria.
1 diversi Stati tra loro indipendenti sono come degli Nella Morale
dei Positivisti, Per es. Gap. II della Parte IV del Libro li, al numero
i6 (pag. 399 del voi. Ili di queste Op, fil, nella edijE. del tSSs^ e 432
dell' ediz. del 1893 e del 1901, e 432 Dell' ediz, dei 1908). 3"«|P).individui
non co-ordinati l’uno con l’altro sopra i quali vige la ragione del più
forte, poiché l' idealità sociale co-ordinante non è realizzata in un potere
effettivo sovrastante, che si faccia valere; e quindi vi campeggiano sole
attività egoistiche dei singoli, staccati V uno dall' altro.
Ma, essendo il principio della socialità naturale all' uomo, come per
esso tendono a stare uniti gli individui nella Società più semplice della
famiglia, e questa e le altre unità sociali più o meno grandi tendono a
collegarsi organicamente nelle unità dello Stato, cosi gli Stati tendono
poi a riunirsi fra di loro: e, parzialmente, in gruppi di Stati; e,
totalmente, nella unità universale della umanità intera. E da
ciò si vede che il Diritto di uno Stato è relativo al pari di quello dell'
individuo, che ne fa parte; per la ragione che, come il Diritto di questo
viene a soffrire una limitazione e una rettificazione col prevalere su di
esso del Diritto del Potere dello Stato particolare che se lo subordina,
così anche il Diritto di questo è limitabile e rettificabile nella sua
subordinazione all'organismo più grande, del quale tende a far
parte. E cosi dicasi della Giustizia, che è la funzione del
Potere. Nella Giustizia del Potere si riassumono tanto o
quanto, diventando la Legge propriamente detta, o almeno (se non ne sono in
tutto sostituiti) vi si appuntano come tollerati, o permessi, o anche
incoraggiati, certi atti di iniziativa degli individui ispirati dalla
Idealità sociale, tendenti a frenare o vendicare la reazione istintiva
irregolare: avverantisi già nel consorzio umano non ancora sviluppatosi
nell'organismo sociale civile, e perduranti in questo, o produeentisi nella
condizione della Civiltà. Il padre che governa la famiglia, il forte
generoso che difende il debole, V associazione che si prefigge scopi
umanitari, e via dicendo, ne sono esempi. Qui abbiamo le virtualità della Giustizia,
che ne preparano r avvenimento, o la riforma miglioratrice, nella
Giustizia di fatto dello Stato. E questa Giustizia di fatto di uno
Stato è soggetta a limitazioni e rettificazioni ulteriori, per via di una
Giustizia più ideale, in quanto uno Stato può subordinarsi alle unità
sociali maggiori, delle quali dicemmo, e quindi alla Legge loro. Data
la riunione effettiva di più Stati in una unità sociale maggiore che li
comprenda, e della quale essi siano le parti componenti, in questa si
avrà il Potere distinto o specifico coordinante, del quale abbiamo
parlato sopra, col carattere della Giustizia, di fronte alle funzionalità
particolari degli Stati componenti; la reazione diretta dei quali per ciò fra
di loro avrà il carattere della Convenienza, mentre V uno non potrà
valersi della forza materiale contro T altro, sia in sostegno del
proprio Diritto, sia in offesa dell' altrui, ma dovrà lasciarne r uso al Potere
internazionale sovrastante. Il Diritto internazionale quindi non è
effettivamente un Diritto, se non ha il detto carattere, della
Giustizia. E non ha questo carattere, se non esiste un organo
reale, colla forza sufficiente all'uopo, per esercitarla
praticamente. La storia ci presenta diverse forme di questo potere
intemazionale o egemmiico, che dir si voglia. Ma sempre più o meno
imperfette. Per esempio quello esercitato dalla madre patria sopra gli Stati
delle colonie, che ne furono fondate. O quello di uno Stato più
forte sopra altri più deboli soggiogati colle armi, o ridotti a protettorato,
o confederati, O quello di una autorità religiosa sui popoli che la
riconoscono. O quello risultante da una lega, più o meno precaria, per
iscopi determinati. Le forme suddette, come già accennammo, sono
forme di egemonia imperfette, o per la loro ristrettezza e precarietà, o
perchè non abbastanza potenti per farsi valere, o perchè una tirannia di
im forte su molti deboli, E per ciò disfatte o da disfarsi col
progredire della Società. La quale invece tende ad una consociazione
più ideale degli Stati fra di loro. Ma a quale? Poiché, e questa non deve
essere per mezzo di uno Stato più forte che soggioghici altri più
deboli, e tuttavia la consociazione, colla Giustizia sovrastante relativa, non
è una vera realtà organica se non esiste effettivamente il potere che la
eserciti. La risposta alla domanda si ha in ciò che dicemmo
costituire il governo più perfetto, ossia del vero regno della Giustizia,
cioè n^W Aròiiraio. L'Arbitrato o l'Anfizionia internazionale. E
come si va già disegnando sempre più concretamente nel fatto dei
trattati internazionali aventi forza esecutiva, e del consenso moralmente
giusto e fortemente efficace, che si va stabilendo nel gruppo degli Stati
più civili circa te questioni sociali di interesse universale, e che
influisce anche sopra la legislazione interna dei singoli Stati,
Solo acquando esista realmente, in forma ben determinata e colla
forza necessaria di farsi valere, questa Anfizionia, potrà esistere un
Diritto internazionale veramente tale. Dico, quando esista questa
Anfizionia. Fogniamo sul fare della autorità centrale elvetica o degli
Stati Uniti di America. E dico, quando questa Anfizionia sia un
Potere veramente efficace. Il che non può essere, se non pel progresso sociale
dei singoli Stati dipendenti; come T Arbitrato efficace fra gli individui non è
possibile che a misura che questi si perfezionano moralmente, come
dimostrammo. E in effetto il progresso sociale degli Stati civili è già
riuscito a stabilire delle legislazioni, o comuni, o concordanti, colle
rappresentanze e coi mezzi di esecuzione rispettivi, in ordine ai rapporti di
interesse non politico; come sarebbero il Commercio, T Industria,
la Navigazione» le Comunicazioni, i Diritti privati, le Monete le Misure,
la Scienza. E tende ad estendere sempre più questo genere di Giustizia
universale, sia colle Compagnie internazionali riconosciute per imprese di
interesse della Civiltà generale, sia coi Congressi pure internazionali
per altre sue esigenze, come sarebbe p. e. l'Igiene. Lontana ancora è T
epoca della unione politica in discorso. Ma va facendosene sempre più
forte V aspirazione, che è già T anima del partito politico dell' internazionalismo,
e che per la forza delle cose deve ormai essere confessata più o meno
dagli stessi governi. Queir epoca è lontana; ma arriverà una
qualche volta; e cioè quando nei singoli Stati saranno state rimosse le
cause che la ritardano: quelle cause precisamente che la Civiltà attuale tende
a rimuovere: e che saranno rimosse quando ogni Stato avrà ottenuto il suo
assetto naturale giusto rispetto all' Estero nella sua circoscrizione
etnografica, nella sua sicurezza, nel suo equilibrio cogli altri Stati. Anche
la questione del Machiavellismo politico trova la sua risposta nei
principj da noi indicati; riuscendo cosi in pari tempo a riconfermarne la
verità. La reazione dell'individuo nella rozzezza eslege del
consorzio ancora selvaggio non è una reazione morale. Non lo è, né di
fatto, né di diritto. Non di fatto, perché il suo movente é il puro
istinto egoistico, pronto senza ritegno al danno altrui, indifferente
all'uso di tutti i mezzi di riuscire: fino alla violenza più spietata, fino
all' inganno più vile e sfacciato. Non di diritto, perché, mancando
l'ordinamento sociale e la Giustizia del Potere che ne é il prodotto, non
si ha ancora la ragione, onde le reazioni umane siano giudicate col criterio
della moralità. In una condizione analoga si trova il Potere nello
Stato non progredito nella Civiltà. In tale condizione si rivela nel Potere
ciò che si chiama il Machiavellismo. Il Machiavellismo del Potere può
divenire, nel fatto, una impossibilità e, nel diritto, una immoralità,
solo in forza di una Giustizia relativa che lo impedisca e lo
riprovi, E come? Per rispondere bisogna distinguere la
reazione del Potere di uno Stato per rispetto al Potere di altri
Stati, e quella del medesimo per rispetto ai propri subordinati. Nel
caso della reazione del Potere di uno Stato per rispetto agli altri Stati
è evidente che, se esso non è tutelato nella sua esistenza da una forza
internazionale equa e^ nella sua tendenza a vantaggiarsi sugli altri e
a soperchiarli, non è frenato dalla medesima, non farà differenza tra
mezzo e mezzo che giovi al suo intento; e il danno altrui lo procurerà
come bene suo proprio. Il ricorrere ai mezzi opportuni all' intento, nel
caso in discorso, come non ne è impedito dalla Giustizia internazionale,
che non esiste, cosi non è nemmeno riprovato, E per ciò il
^lachiavellismo del Potere nella sua reazione cogli altri Stati viene ad essere
una possibilità di fatto, senza essere ancora una immoralità di
diritto. Ciò è dimostrato storicamente nelle formazioni internazionali
imperfette di epoche e regioni diverse. Valga r esempio dei vari Stati
della Grecia antica, collegati tanto o quanto fra loro, e insieme isolati
dalle genti non greche; alle quali, considerate per ciò come barbare,
negavano i riguardi che pure si avevano fra loro. E valga r altro esempio
delle religioni abbraccianti diversi Stati, i quali insieme per ciò di
fronte agli altri, considerati siccome infedeli, si credevano sciolti da
ogni freno di procedimento. Nel caso della reazione del Potere per
rispetto ai propri sudditi è da considerare che la sua condizione
in uno Stato progredito nella Civiltà è ben diversa da quella che la
precede. Qui il Potere non è ancora divenuto la semplice espressione del
volere di tutti che lo pone, lo regola, lo sancisce, come la Giustizia
che lo rigfuarda. Ma è ancora solo la conquista machiavellica di una
casta, di una famiglia, di una persona, lottanti per conservarlo con
tutti i mezzi atti all' uopo di fronte alle altre caste, ad altre
famiglie, ad altre persone dello Stato medesimo, con una reazione quindi
come tra individuo e individuo prima della costituzione definitiva di una
Giustizia superiore al di sopra di essi. Nel caso in discorso è
notevole il fenomeno del concetto della Giustizia divina, che si pensa
sovrastare alla stessa persona del Principe (come spiegheremo in seguito);
in modo che le sue azioni, quantunque fuori d* ogni Legge, tuttavia
vengono considerate dal punto di vista della moralità: onde il suo
Machiavellismo, persistendo di fatto, viene a cessare in qualche modo di
esistere di diritto. Questo fenomeno non è un argomento contro il
nostro principio, ma a favore di esso. La Giustizia perfetta accompagnante
lo stesso sviluppo iniziale dell'organismo sociale, informa naturalmente la
coscienza di quelli che ne fanno parte. E questi, ignorando come si è formata
veramente, la immaginano una entità assoluta preesistente alla Società e propria
del nume divino. E cosi la si pensa valere, nella lotta fra i competitori
del Potere, al di sopra e delle imprese degli emuli e di quelle del
vincitore. In effetto però il Potere conquistato dallo stesso
vincitore lo emancipa dalla Giustizia, che esso esercita sopra gli altri,
e (massimamente se la lotta è eccitata da idee sociali nuove) si fa
autore di una Giustizia nuova che deroga quella anteriore creduta divina;
e questa per consegfuenza non serve più quale criterio di moralità delle
azioni del Potere medesimo. Di che luminosamente ci ammaestra la storia
nei contrasti multiformi col Potere sacerdotale sostituito da quello
militare, e tra questo e il civile che gli sottentra nella Civiltà più
avanzata. Il conòetto quindi della Giustizia divina né valse
da sé a impedire nel fatto il Machiavellismo del Potere, né a
riprovarlo nel diritto. Parlando però di impedimento del Machiavellismo
non abbiamo inteso di un impedimento assoluto, ma solo relativo. La forza
della Giustizia, che si stabilìsce nella Civiltà avanzata, anche al di sopra
del Potere di uno Stato, ne impedisce il Machiavellismo tanto o
quanto; ma non mai affatto. La cosa qui è precisamente come nelle reazioni
inique tra cittadino e cittadino, che la Legge dello Stato tende ad
impedire: ed impedisce realmente tanto o quanto ma non mai del
tutto. Dalle cose dette importa soprattutto che si raccolga V
importanza suprema, in ordine alla moralità, dello sviluppo dell' organismo
sociale sopra indicato. Come accennammo (e lo dimostreremo più
largamente in seguito) lo sviluppo del consorzio umano nello Stato
ha per effetto la moralità privata. La Civiltà che perfeziona r organismo dello
Stato all' interno, e promuove r associazione civile degli Stati ha per
effetto la moralità politica. La Giustizia (e quindi la Responsabilità,
che è un suo correlativo) non è perfettamente tale nell'organismo civile
se in questo non si ha la libertà ù.^\\^ parti coordinatevi, e la
distinzione netta del Potere e delle sue attribuzioni.
Importa fissare in modo preciso in che consista, teoricamente, la
libertà. La libertà consiste in ciò, che la parte coordinata neir
organismo sociale vi possa funzionare secondo la disposizione naturale onde è
atta a funzionare. E, in base a tale disposizione, imprescrivibilmente.
E, tanto relativamente a se stessa, quanto nel reagire all' azione collaterale
delle altre parti. S' intende bene che la disposizione naturale
onde la parte è atta a funzionare, traente con sé il diritto
imprescrivibile alla funzione relativa, deve essere quella dell' uomo
socialmente perfezionato; e quindi in tutto razionale in ordine alla convivenza
e alla collaborazione cogli altri nel consorzio civilmente perfetto. Ma
la reazione della parte verso le altre deve essere tale che non le
impedisca. Che altrimenti si avrebbe elisione di attività nelle parti impedite,
e quindi lesione in queste della loro libertà. È questa una
condizione essenzialissima perchè esista realmente nell'organismo sociale
la libertà vera e perfetta delle sue parti. Ora tale condizione importa
che la reazione della parte sulla parte si limiti a quella della pura
Convenienza, che esclude la violenza dell' uno suir altro. E cosi questa
esclusione,. ossia questo limite negativo, viene ad essere essenziale al
concetto della libertà. Sicché questa è determinata positivamente dalla
attività intrinseca dell' operante che ne è fornito, e
negativamente dalla rimozione della violenza estrinseca che la
impedirebbe nella sua sfera di coordinazione. Il limite negativo suddetto
della libertà ne porta seco di necessità anche uno positivo, per la
ragione che la rimozione degli impedimenti estrinseci alle libertà
delle parti non si può ottenere se non mediante la costituzione di una forza
superiore a tutte, sufficiente all'uopo. La co-azione, colla quale questa
forza deve reagire, per lo scopo detto, sopra le parti subordinate, non
elimina la libertà, come sarebbe la coazione tra parte e parte. Come
notammo sopra, la coazione della parte come tale è egoistica, e quindi a
vantaggio della parte che la esercita e a danno della parte che la
soffre; mentre la coazione del Potere sovrastante alle parti è
antiegoistica, vantaggiosa alla Società, e quindi diretta a salvare
nella integrità della sua attitudine e funzione la disposizione
naturale di ogni sua parte. La forza superiore del Potere essendo
richiesta dalle esigenze delle stesse libertà delle parti subordinate» queste
devono concorrere a costituirla con una parte della loro attivitàt
sottoponendola quindi alla necessità della organizzazione sociale.
Qui, come dicemmo, abbiamo un limite positivo della libertà delle
parti costitutive della società; ma, siccome è posto da esse liberamente
(mentre l'organizzazione sociale è una spontaneità naturale del consorzio umano
nel quale si produce)» allo scopo di sussistere, torna poi sempre che la
libertà delle parti medesime rimane on primo ed un assoluto da cui tutto
in ultimo dipende nella società. Dal bisogno stesso della libertà adunque
dipende anche il Potere subordinante. E con ciò è legiitimaiù. E
quindi anche determinato in ciò che deve essere. Determinato nel
corpo che ne è investito, il quale non deve essere una delle stesse parti
coordinate, perchè con ciò essa si troverebbe nel caso sopra indicato ed
esclusOf della parte che impedisce V altra Determinato nella azione
che deve esercitare, che è quella precisa richiesta dai due limiti «opra
detti, cioè^ quello di porsi, onde essere in caso dì funzionare, e
non più; e quello di impedire la violenza della parte sulla parte,
e non piùCiò posto r ideale della Società umana richiede le ragioni che
seguono. L' autonomia perfetta delle parti, che cioè ognuno sia veramente
un arbitrio, come dicemmo nella Morale dei Positivisti. E precisamente
quel tanto che si trova di poter essere realmente. Secondo.
Nessuna esecutività diretta o violenta del volere dell' una sull' altra.
Sicché la reazione loro sia quella della Convenienza, scevra da
costringimento materiale. Costituzione distinta del Potere, al quale
solo competa la esecutività coattiva sopra le parti subordinate.
Quarto. U ordine del Potere derivante dal corpo dello Stato per
selezione naturale degli ottimi, in dipendenza dal volere stesso delle parti
che vi si subordinano; e in virtù delle Idealità sociali proprie delle
stesse, e quindi non altro che allo scopo della tutela delle autonomie
coordinate nella Società, e della stessa loro coordinazione nella medesima.
Quinto. Giusta e stabile organizzazione e subordinazioue delle parti
corrispondente alla stabile giusta organizzazione ed efficacia d' azione del
Potere. Ma il fatto concreto delle Società storiche dell' umanità si
presenta assia vario e complesso. E lo stesso fU. nella ediz, 118 della
ed. del 1893 e del 1901, 122 della ediz. del 1908). Ideale generico
di queste Società non sì può rettamente comprendere senza lo studio
diretto del fatto medesimo. E noi qui lo tenteremo, prendendo le mosse
dalla stessa analogia, alla quale ricorremmo sopra, tra V organismo
sociale e l’organismo biologico. Nelle specie infime degli animali le parti
del corpo sono omogenee ed indistinte, o pressoché tali. E somiglia
a questo indistinto preorganico della zoologia r indistinto preorganico
sociale delle truppe o coacervazioni disordinate delle popolazioni
selvaggie. Nelle specie animali che seguono alle infime nella
scala zoologica si ha una prima distinzione di formazione: cioè una
moltitudine di parti distinte, congiunte insieme in colonie, nelle quali
non è ancora costituito un apparato speciale distinto unico atto a
subordinarle insieme nella unità più perfetta dell' individuo. E a ciò
somiglia il fatto dei primordi di una formazione sociale, nei quali,
sul suolo medesimo e coi soli rapporti della vicinanza, e della parità
maggiore o minore delle idee, dei costuiri e della discendenza comune, si
trovano a contatto, in un certo numero, le tribù o i pìccoli Stati
indipendenti gli uni degli altri. Nelle specie animali superiori,
per una distinzione ulteriore (onde si forma la diversità dei tessuti e uno
di questi, il nervoso, resta con una speciale superiorità verso gli
altri in quanto, formando un sistema solo di tutte le sue diramazioni
nate in ogni parte, associa cosi colla unità del suo lavoro i lavori di tutte
le unità singole su cui domina), si arriva alla unità organica
propriamente detta, che non è più quella della massa informemente coacervata,
né quella delle semplici colonie delle unità distinte, ma quella dell'
individuo complete, E somiglia a questa distinzione progredita quella
della Società civile, formatasi in seguito alla distinzione delle tribù
in caste, e al predominio della più forte e intelligente sulle
altre, e alla trasformazione successiva della sua tirannia nel Potere
regolare, moderatore delle unità sociali confederate. Nel processo
evolutivo di distinzione della formazione biologica l’apparato, onde si
unificano le parti neir organismo assai complesso dell' animale, sorge dalle
intimità della sostanza viva. La quale però non risente l’effetto proprio
dell' apparato stesso, uscito dal proprio seno, se non a misura che si è
formato effettivamente. Lo stesso avviene nel processo evolutivo di
distinzione della formazione sociale. Il Potere subordinante, e
quindi ciò che si dice la Legge e la Giustizia, e la relativa
Responsabilità dell' individuo verso di esse, nasce dalla stessa virtù
intima delle parti associate; ossia in ultimo, degli individui umani. E
accennammo già come; e spiegheremo più a lungo in segfuito. Nasce cioè in virtù
delle Idealità sociali (i), che sono un fenomeno psichico proprio dell'
individuo. Ma r individuo non ne ha coscienza distinta se non
dopo che, pel processo naturale indicato, e inconsciamente per lui, il Potere
stesso si è costituito. Ed ecco come l' individuo è il fattore
della Legge, della Giustizia, della Responsonilità; e, nello stesso
tempo, (i) Su ciò verte in generale tutto il Libro I della Maiale dei
positivisti, e in particolare il suo Capo III della Parte III. queste
suppongono l’evoluzione sociale già avvenuta, e vi sono risentite siccome
la correlazione dell' individuo subordinato col potere
sovraneggiante. E con ciò siamo ora in grado di rilevare ancora m.eglio, e
una volta di più, la verità, già illustrata nella Morale dei Positivisti,
del concetto della morale degli antichi e di Aristotele in ispecie, che
la consideravano correlativa essenzialmente alla Società formata; e la
falsità del concetto ascetico-scolastico, che la considera siccome indipendente
dalla Società stessa, fondandosi sul fenomeno sopra indicato (2) del
concetto della Gitistizia divina. Ma la coordinazione e subordinazione,
nel corpo sociale come neir animale, e in qualunque altra unità organica
naturale, non è cosi semplice quale, per chiarezza e preparazione del
discorso ulteriore, sopra abbiamo supposto. Non è cosi semplice. Vale a
dire non è puramente un certo numero di parti, proprio eguali ed
equipollenti, concertate per la dipendenza diretta unica e sola di ognuna
da un centro immediato di tutte unico e solo; come, per esempio, i raggi
di un cerchio dal punto di mezzo, dal quale si dipartono uniformemente
con uguaglianza di lunghezza e di divergenza. E invece immensamente più
complessa. Gl’elementi fondamentali ed ultimi del corpo sociale sono gli
individui umani, i quali formano, in gruppi di pochi, degli organismi
sociali elementari distinti; queCapo V della Parte III del Libro I. N. 6 del l
III. sti piccoli organismi elementari poi si coordinano come
parti di associazioni e di organismi superiori; i quali alla loro volta
di nuovo si aggruppano in complessi maggiori. E la serie di tali ordini
maggiori, che ne abbracciano dei minori, è ben lunga. Come è anche
il caso dell' animale superiore, soprattutto dell'umano, nel quale ogni arto ed
ogni viscere è già un complesso ottenuto per una certa serie di combinazioni
di gruppi minori; e gli arti e i visceri sono insieme collegati dai centri del
midollo spinale, al quale poi sono sovrapposti gli altri centri superiori
del cervelletto e dei lobi cerebrali, dipendenti alla loro volta dalE qui
possiamo venire a una conseguenza importantissima circa i diversi aspetti che
assume nella Società civile ciò che dicemmo in genere, la Giustizia; e quindi
anche la Responsabilità. Data la serie delle subordinazioni dette sopra, solo
degli estremi si potrà dire che siano assolutamente, T infimo, la piura
Convenienza, e il sommo, la piura Giustizia. Non COSI dei medii. Qualunque dei
quali non sarà assolutamente, né la Giustizia, né la Convenienza; ma
con incoata, e si compia solo in virtù del Tribunale dello Stato. E
cosi il Potere dello Stato, per rispetto all' esercizio della Giustizia subordinata
della associazione particolare, no permette solo quello che non danneggia l'assetto
generale della Società o il Diritto dei soggetti in quanto questi sono
enti, oltreché della essociazione particolare, anche in pari tempo della
totale. Il che fa sì che la Giustizia propria dei Poteri subordinati,
col progredire della Società, va sempre più avvicinandosi a ciò che chiamammo
sopra V arbitrato, E che rispteade massimamente in quello paterno del buon
padre di famiglia. Spieghiamoci meglio. Nelle popolazioni selvaggie
l’individuo è vindice di se stesso, o dei propri voleri, al di sopra dei quali
non è costituito ancora, per la imperfezione della associazione in cui
vive, nessun potere giudicatore. E vindice dei propri voleri, anche se violatori
della libertà dell’altro. La costituzione di. un Potere superiore. nelle
Società progredite, che si assume la vendetta delle violazioni
della libertà individuale, togliendo la esecutività co-attiva al *volere
dell' individuo sopra l’altro*, assicura la libertà di ambi. Tanto la cosa
è cosi che, se per poco vien meno questo Potere superiore, torna subito
all' individuo la necessità e quindi il Diritto della propria vendetta.
Come nel caso che una persona appartenente ad una società civile si
trovasse fra una popolazione selvaggia, o sopra una nave in alto mare e
quindi fuori della portata del Potere vendicatore, o assalito senza
scampo immediato da malfattori, o in un momento di anarchia dello Stato
in cui vive. Nel primo embrione di Società, in quello mettiamo di
una famiglia isolg-ta dal resto degli uomini, le contese tra i fratelli
le giudica e le vendica il padre, che ne è il capo naturale. E la sua
vendetta è illimitata e senza responsabilità verso nessuno. Nessuno per
ciò gli impedisce o gli contende il Diritto anche sulla vita dei figli e della
moglie. Non così però, coordinate che siano le famiglie sotto
un Potere superiore nella città che le abbraccia in una società sola. In
questa città il Potere superiore tende a limitare il Potere del padre al
puro necessario per l'esistenza, il ben essere, la prosperità della famiglia
come tale; e veglia a che il padre non eserciti verso i suoi
dipendenti altro Potere che questo, che però in pari tempo concorre ad
assicurare: e vendica su di lui ogni eccesso od abuso del potere. E da
ciò consegue naturalmente, che se ne restringa sempre più la esecutività,
e che si converta in semplice arbitrato; nel quale può soprattutto, e da
sé sola, per la propria impulsività morale, la Idealità sociale, nella
quale consiste la Legge, nel cui nome l'arbitrato si esercita. Ed
ecco quindi l’effetto naturale del progresso della evoluzione
sociale: salvare e garantire sempre più le autonomie naturali. Stabilire
sempre più distintamente il compito dei Poteri subordinanti; e impedirne gli
eccessi e gli abusi. Rendere quindi con ciò più evidenti le
Idealità s(h ciali, e rafforzarne la impulsività, e ridurle alla
condizione di Poteri efficaci senza uso di violenza e quali semplici arbitrati.
Come più volte, e per varie g^ise, deducemmo sopra. Il quale eflFetto,
che il Potere si converta in semplice arbitrato, lo riscontrammo anche
nello stesso Potere, solo provvisoriamente supremo, di un singolo
Stato. Solo provvisoriamente supremo. Perchè notammo, che lo
Stato tende a coordinarsi naturalmente nei collegamenti intemazionali di più
Stati. E per la stessa legge; mentre dimostrammo, che il Potere di
uno Stato va sempre perdendo del violento, e avvicinandosi alla natura
puramente persuasiva della Idealità, che si impone da sé, in conseguenza di una
forza estema e superiore ad esso; cioè del potere inter-nazionale,
tendente ad impedire gli atti di lesa umanità nei singoli Stati
intemazionalmente collegati o altrimenti, e il loro Machiavellismo.
Come emerge poi luminosamente anche dalla storia politico-sociale
contemporanea. Un saggio storico eloquentissimo di un Potere
superiore convertitosi in semplice arbitrato si ha nel fatto della Chiesa
Romana, e in seguito all' abolizione di ciò che in essa si chiamava il
braccio secolare. Si verificò in questa conversione, per questo
lato, r Ideale della Società umana, sopra da noi chiamato anche il
regno (razionale) della Giustizia sottentrante a quello irrazionale del
fato; ossia il regno del concorso libero o autonomico delle parti
costituenti; e non eteronomico(\)y ossia p>er violenza materiale
esercitata sopra di esse da una forza, non morale, ma bruta. E
questo arbitrato sociale non è poi altro in fine se non lo stesso
arbitrato della volontà dell' individuo sopra se stesso, onde emana, come più
volte dicemmo. Ne emana, e quindi ne ha in sé le ragioni costitutive. Nel
medesimo tempo però, per le ragioni già ripetute, lo stesso arbitrio
individuale non finisce di diventare ciò che deve essere (vale a dire una forza
che muove per la impulsività pura delle Idealità sociali), se non a
misura che, idealizzandosi nel modo anzidetto, si perfeCirca r Autonomia e la
Eteronomia, vedi la Morale dei Posiiivisti, Lib. I, Parte II, Capo IV (Pag. 113
del volume III di queste Opere filosofiche nella ediz., 118 della ed. e
del 1901, e 122 della previa edizione). seziona il Potere sociale
al quale V individuo è subordinato. Onde poi lo studio dell'
arbitrio sociale subordinante serve indirettamente a far conoscere la
natura dell'arbitrio deir individuo umano. E siccome lo studio da
noi qui fatto dell' arbitrio sociale subordinante ci ha condotto al
concetto di una Legge© che si impone colla sola evidenza della
propria Giustizia, con ciò abbiamo una nuova prova della nostra
dottrina (esposta nella Morale dei Positivisti). L'idealità sociale impulsiva
del volere individuale è una Giustizia. Ed ora poi dalle cose
dette possiamo ricavare la conseguenza, alla quale mirava tutto il lungo
discorso fin qui fatto sopra la distinzione e la genesi della Convenienza
e della Giustizia. L' Idealità sociale è la stessa Legge che si
stabilisce nella Società. E la Legge è la Giustizia in quanto importa una
Responsabilità dei subordinati verso il Potere. L' idealità sociale
(impulsiva della volontà dell' individuo, com' è dimostrato nella Morale dei
Positivisti) si viene formando nella psiche dell' individuo
convivente nella Società per effetto di questa convivenza. Per ciò
diciamo che r Idealità sociale è infine nuli' altro che l'mpronta, nella psiche
singola di un dato uomo, della Legge o del Volere sociale subordinante. Nello
stesso luogo indicato nella nota precedente. Da ciò consegne poi che l’Idealità
sociale nella psiche o nella mente dell' uomo, in cui si è formata nel
modo ora detto, non si presenta come una semplice verità logica, dipendente da
una propria speculazione teorica, ma si come qualche cosa che si impone; cioè
come una Legge che la domina da una altezza superiore, e accompagnata
dalla minaccia di una Sanzione vendicatrice; ossia, non come una semplice
idealità qualunque, ma come una Giustizia. Ed ecco scoperto il
nostro gran difficile. La Giustizia non può essere che la legge del
potere subordinante: e tuttavia la Idealità sociale, impulsiva del volere dell'
individuo e nascente in lui per la evoluzione intima e propria della sua
psiche, è pure una Giustizia. I due asserti parevano contradditorj;
e invece sono veri ambedue, accordandosi tra di loro e spiegandosi a
vicenda. Si spiegano a vicenda. Da una parte, non è possibile
il fatto della Legge del Potere subordinante senza il lavoro psichico dei
diversi individui che compongono la Società. Dall' altra, le stesse
attitudini dell' individuo sono però massimamente gridate nel loro
funzionamento naturale dall' ordine delle cose della Società in cui vive.
E quindi le Idealità sociali dell' individuo devono assumere nella
sua mente la forma della Legge subordinante che domina nella Società che
lo involge: devono essere nella sua mente come 1' eco o la
soggettivazione o il pensiero del fatto oggettivo reale dell'ambiente che
determina il suo lavoro intimo. Il valore scientifico della detta
soluzione della difficoltà propostaci è tanto maggiore in quanto l’induzione
sociologica qui conferma pienamente l’induzione psicologica, che nella
Morale dei Positivisti ci portò alla medesima conclusione. Alla
conclusione cioè, che la morale individuale è essenzialmente dipendente dalla
morale sociale; e che VEtica è un ramo della Politica, come diceva
Aristotile, ossia della Sociologia, come si dice adesso. E che il
principio dei Metafisici, che sia l'Etica che crei la Sociologia (e non
il contrario), è falso. Falso, come, in ogni altro ramo della
scienza, il credere che il fatto complesso della natura sia determinato
direttamente dalle azioni indipendenti dei singoli componenti, e non che l’azione
di ogni componente sia essa stessa determinata dal suo rapporto col resto
della natura; come ho spiegato nel libro della Formazione natila rale nel
fatto del sistema solare, dove dimostrai che la legge di una formazione
naturale qualunque è questa: che un fatto singolo è il punto nel quale si
intersecano le due linee infinite dello Spazio (o delle cose tutte quante
esistenti) e del Tempo (o delle azioni tutte quante succedutesi). E godo
adesso di avere illustrato quella legge generale col rilevarne la verifica
anche n^Wz. formazione etica. La quale ha questo carattere, di apparire
nella coscienza individua siccome una Giustizia. E la Giustizia implica
un ambiente esterno alla coscienza stessa, dal quale sia determinata. Del
quale principio poi (e gioverà notarlo qui ancora, quantunque, la cosa, l’abbiamo
accennata altre volte precedentemente) è prova positiva diretta il
fatto storico (superiore a qualunque eccezione, e accertabile nel
modo più evidente) che nmt non fu possìòtle di iravare in una coscienza
individuale una Idealità elica, ossia un principio di Giuslizia, di
formazione inconsapevole, £he non corrispondesse al fatto della Legge
sociale realmente riabilitasi neir amòiente nel quale la coscienza stessa
fu educata. Proprio come sopra nessuna bocca d'uomo parlante fu mai possibile
una parola inconsapevolmente appresa, che a lui non abbia insegnato la Società
dei parlanti fra i quali crebbe. E come in tutte le cose le diversità
degli ambienti creano le varietà e le specie delle individualità
dipedenti, cosi le Varietà e le Specie eliche fra gli uomini sono create
storicamente dagli ambienti sociali vari e diversi, ai quali essi appartengono;
e per quella stessa leg^ge dell’ordine e del Caso, che in ogni parte
della natura si verifica nella produzione delle Varietà e delle Specie
delle cose, come dimostrai nel libro testé citato. Che più? La stessa teoria
dei metafisicici fornisce un argomento in appoggio della nostra. Anche il
Metafisico ha trovato nella coscienza umana Una serie di Idealità,
direttive del volere, con questo carattere della Giustizia o della
Obbligatorietà; e ha argomentato che, per ciò stesso, ossia per tale carattere
della obbligatorietà, era giocoforza ricorrere a qualchecosa di
esterno alla coscienza medesima, onde quelle Idealità le fossero dettate,
e di fronte ad essa sancite. Se non che il Metafisico non si è apposto
nella determinazione giusta di questo esterno. Ossia il suo esterno non è
quello distinto e vero del Positivista, che è quanto dire l’ambiente
sociale; ma l’indistinto, anzi il confuso della speculazione volgare
antiscientifica, ossia dio. Non si è apposto qui il Metafisico, come non
si è apposto neir assegnare T esterno onde dipende la produzione della
pianta e dell' animale, che il Positivista ha trovato essere la stessa
natura (i) e il Metafisico ha creduto fosse il volere diretto della
divinità. L' Idealità etica è una Legjge obbligante, ossia una
Giustizia. Dunque, ha detto il Metafisico, tale Idealità è prima una
realtà fuori dell' uomo, ossia è un pensiero di dio. E da esso è dettata
in modo misterioso all' uomo. Vale a dire lo stesso pensiero divino di
quella Idealità è riflettuto nella mente umana, come in uno specchio
il raggio di luce che lo illumini da un corpo per sé luminoso. L'
Idealità etica è una Legge obbligante. E non lo sarebbe realmente se non
importasse una Sanzione. Dunque, ha detto il Metafisico, lo stesso dio ha
decretato quella sanzione e la applica in un modo misterioso. Un
castigo misterioso è preparato in una vita misteriosa avvenire a quelli che
trasgrediscono la Legge stessa. Non sarà inutile qui di avvertire che, pel
significato dì questa parola natura, mi riferisco alla spiegazione che ne
do negli 'altri miei libri, e specialmente in quello della Formazione
naturale nel fatto del Sistema solare: e per la quale intendo solamente
le proprietà inerenti alle stesse cose. Sicché è ridicola affatto V
osservazione di certi miei accusatori superficialissimi^ che io con
questa parola non faccia altro che sostituire al soprannaturale, chiamato
dio dai metafisici, un’altro soprannaturale chiamato natura. Dal che si
rileva, che la Metafisica ha notato giustamente la relatività della Giustizia
data nella coscienza verso una esteriorità che renda ragione delle
qualità caratteristiche della Giustizia medesima quali la osservazione le
riscontra nel fatto della coscienza stessa. Solo ha sbagliato nel
projettare questo fatto. Ha sbagliato la Metafisica nel projettare V
individuo cosciente sul fondo della esteriorità immaginaria e fallace della
divinità anziché su quello della esteriorità positiva e vera della
Società, Ha sbagliato qui la Metafisica, come negli altri
campi dello scibile la scienza vecchia in genere. Per esempio, l’astronomia
tolemmaica, che aveva ragione nel distinguere i fatti dei movimenti dei
corpi celesti, ma errò nella loro projezione. Proiettandoli essa secondo
la ragione del suo falso supposto che la Terra fosse immobile, le
osservazioni vere condussero ad un disegno falso del movimento cosmico
reale. Per render vero questo disegno l’astronomia copernicana non ha avuto
bisogno di altro che di projettare le figure medesime del movimento
sidereo, notate dai tolemmaici, secondo una ragione prospettica diversa; cioè
secondo la ragione della immobilità del Sole, e della mobilità della Terra
intorno ad esso. E così qui possiamo riconfermare il nostro
asserto per ciò che dicemmo in un capitolo della Morale dei
Positivisti, dove accennammo alla genesi storica della (i) Capo VII della
Parte I del Libro I, n. 8 (Pag. 70 del Voi. Ili di queste Opere
filosofiche nella ediz., 72 dell' ed. del 1893 e del 1901, e 75 dell'ediz.). stessa
Idea della Giustizia divina nel terzo stadio della evoluzione del sentimento
religioso. L’Idealità sociale è gia Giustizia potenziale. La
Giustizia adunque, secondo le cose dette, ha due lati essenziali
correlativi V uno air altro; correlativi come r individuo e la Società. Due
lati: dalla parte della Società, ossia come un fatto verificatosi
persistentemente nel Potere che la esercita sugli individui dipendenti: e per
questo rispetto specialmente si chiama Giustizia. E dalla parte dell* individuo
nel quale è, non qualchecosa di statico, come nel Potere, ma una
potenzialità, ossia qualche cosa di dinamico: e per questo rispetto
specialmente si chiama Idealità sociale. Capitale questo carattere della
Giustizia o dell'Idealità sociale dell' individuo. E positivamente certo:
poiché corrisponde alla osservazione del fatto. E che non si può
spiegare se non per le vie onde qui lo scoprimmo. E senza del quale poi è
impossibile chiarire le diverse forme delle reazioni sociali, e quindi
delle responsabilità corrispondenti al principj etici dominanti nella coscienza
individuale. E in che consiste questa ragione dinamica o questa
Potenzialità? Ossia in che modo la Giustizia nella coscienza individuale è una
Giustizia potenziale? Nell’individuo non può esistere distintamente
in un determinato modo il concetto della Giustizia sociale obbligante, e
correlativa ad una Sanzione, se non per effetto sull'individuo stesso
della vita sociale complessiva, della quale esso faccia parte. Questo si: ma
è pur vero che, come la Società è V opera degli individui che r
hanno costituita, cosi la Giustizia che vi domina si deve in ultimo alle
loro disposizioni psicologico-morali, che ne sono la potenzialità
inconsapevole. Secondo. Una volta che la Giustizia sociale è divenuta, pel
processo naturale inconsapevole della formazione della Società, un fatto
statico atto ad informare di sé la coscienza dell' individuo vivente
sotto il suo regfime, questa coscienza concorre a mantenerla nell'essere
suo. E ciò più o meno consapevolmente. Così, per esempio, il maestro di
musica di una data epoca è in possesso della sua arte perchè questa vi si
era naturalmente maturata; e cosi potè essere da lui appresa nella forma
che vi aveva. Egli poi serve in pari tempo a mantenerne la
tradizione. La applicazione della Sanzione sociale in virtù della
detta consapevolezza viene ad essere reclamata dallo stesso pensiero
della Giustizia vivente nella coscienza individuale. E quindi la detta
applicazione è una soddisfazione della stessa coscienza individuale. E tanto,
che la Sanzione medesima essendo applicata, mentre soddisfa il
reclamo della coscienza individuale, nello stesso tempo la rafferma e la
rende più viva e sentita, come osservammo nella Morale dei Positivisti (Libro
II, Parte IV, Capo II, n. 17 (pag. 400 e seg. del Voi. Ili di queste
Opere filosofiche nella ediz. del 1885, 423 dell' ed. del 1893 e del
1901, e 433 delPediz.). La coscienza individuale diventa per tal
modo giudice in primo appello, o potenziale, dei fatti e degli
ordinamenti della Socteià complessiva. E giudice delle parti coordinate
nella Società^ Settimo, E giudice di se stessa. Ed ecco, in
questa ultima cerchia, la Giustizia sociale divenuta Giustizia
etica. La Giustizia sociale cosi nell'individuo lo rende un giudice
potenziale verso tre termini: la Società stessa, le altre parti
coordinate (ossia ciò che anche si dice, il prossimo), e se stesso.
Come giudice potenziale verso la Società coopera nella produzione
del Potere e nella riduzione di esso alla sua forma giusta. Come
giudice potenziale verso il prossimo si atteggia nella reazione che
dicemmo della Convenienza. Come giudice potenziale verso se stesso si
manifesta nel fatto intimo del rimorso per la colpa e della compiacenza
morale per la virtù, Resta che si considerino un poco queste
tre specie di giudizi del tribunale individuale della coscienza di
ciascun uomo, E, per ora, la prima e la seconda. E cominciando
dalla prima, ossia del giudizio dell' individuo verso il Potere
sovrastante. Nello sviluppo normale della vita sociale la ragione
della Autorità subordinante e la sua fissazione in un Potere
effettivamente affidato ad un dato ordine di persone va producendosi di
continuo inconsciamente (quantunque in modo inegualissimo dall' uno all' altro)
nella psiche dei singoli individui. E perciò fu da noi detta sopra,
non statica, ma dinamica. Vi si va producendo di continuo secondo che la
compartecipazione precedente degli individui stessi li ha messi in grado
di procedere, dalla formazione psichica acquistata inconsciamente nella
matrice sociale educativa, ad una formazione ulteriore. E con
un lavoro, che si svolge si nei singoli individui, ma nello stesso tempo, per
la comunanza della vita morale, si aiuta nel formarsi del lavoro
simultaneo degli altri. Inegualissimamente, abbiamo detto,
nei singoli individui. Ma colla consapevolezza del consentimento nella
formazione stessa della massa sociale. In modo che la formazione medesima,
quantunque inegualissima nei singoli, determina una tendenza complessiva,
che ha la potenza unica e grande corrispondente alla somma delle
individuali. Potenza che si attesta con un effetto proporzionato:
cioè colla creazione del Potere sociale, che rappresenta quella Idealità
sociale onde è l’effetto (come già dicemmo), o col perfezionamento del Potere
già esistente, in corrispondenza col perfezionamento delle stesse
Idealità sociali. Per tal modo il Potere, come è una
manifestazione spontanea della vita sociale, nella quale concorrono i
singoli individui inconsciamente, e prorompe quindi da tale inconscio
concorso irresistibilmente, cioè pel processo invincibile della natura, e
diventa coscienza dell'individuo solo dopo che si è manifestato nella
realtà sociale pròdotta dal processo medesimo, così è potenzialmente
prima neir individuo. Ne viene, che V individuo stesso, una
volta che ha potuto cosi accorgersi dell' Idealità sociale produttrice
del Potere sociale (accorgersene cioè dopo la sua manifestazione comune
in esso operatasi), s' accorge insieme di due cose. Che cioè la detta
Idealità ha all' estemo per suo corrispondente il Potere stabilito nella
Società, ed è nata dentro di sé: e che vi è nata col carattere di una
Giustizia; vale a dire con quel carattere col quale apparisce all'
individuo quando arriva ad averne la coscienza. E tanto, che l' individuo
sfesso per tale Idealità concepita come Giustizia giudica lo stesso fatto
esterno del Potere: ossia rileva come corrisponde o meno al principio
di Giustizia della propria coscienza, e pone astrattamente una
Responsabilità dello stesso Potere verso esso principio. Ed è ciò
precisamente che notammo sopra, parlando del Machiavellismo polìtico nel
suo riguardo all' interno, e del fenomeno storico del concetto della
Giustizia divina. Il che poi spiega un altro fatto della evoluzione
sociale. Quello cioè che, a misura che una Società progredisce nella
cultura e nella umanità, diminuisce ciò che si dice il Diritto del più
forte, é cresce ciò che si dice il Diritto dell' uomo, e l’ordinamento
sociale va sempre più diventando elettivo. Che è mai il Diritto
dell' uomo, che si attesta di fronte al Diritto del Potere subordinante,
se non la suddetta coscienza individuale della Idealità sociale, onde il potere
medesimo nasce e vige? Si: è proprio la suddetta coscienza individuale,
che ne è il giudice potenziale, ponendolo, fissandone i confini, e creandone la
responsabilità in modo. astratto verso se stessa. Questo Diritto, la
coscienza lo trova in sé, in seguito al fenomeno sociale corrispondente
verificatosi; a quel modo che la coscienza dell'arbitrio sopra le proprie
gambe si ha solo dopo che si è fatto Tuso volontario delle gambe
medesime. E l’arbitrio la causa onde si muovono le gambe; ma solo r
effetto seguito del movimento rende avvertita la coscienza di tal suo
potere. E ciò è proprio di ogni genere di coscienza. Per
esempio, dell' arte. Che sa dell'arte l'uomo prima di avere prodotto un'
opera d' arte? U opera riuscita inconsciamente estetica gli rivela il suo
potere estetico. E dair opera medesima che 1' uomo ricava la coscienza e
la regola dell' arte in genere e la mossa a progredire nel
correggere e migliorare la precedente, e a giudicarne. E di mano in mano
che la coscienza della Idealità sociale va facendosi nella generalità
distinta e forte e impulsiva in proporzione dell’atto umano, anche la
creazione del potere si sottrae al caso della forza brutale e si fa
dipendente dalle deliberazioni dirette degli individui associati: tanto più
razionali e libere dalla violenza, quanto più la massa degli individui
stessi è umanizzata. Onde, se la selezione naturale è la legge secondo
la quale negli organismi in genere si crea il loro apparecchio
centralizzatore, nell'organismo sociale, per la creazione del Potere, che è il
suo apparecchio centralizzatore. "TW^W^^PP^la selezione naturale si
specifica nella forma superiore della ciezìofie, E anche in ciò
toma il principio già ricordato del procedimento progressivo della
Società nel suo sviluppo: cioè del regno della Giustizia razionale, che
si va sempre più sostituendo a quello del fato: analogo al procedimento
generico della natura, che neir uomo tanto più è diventata psiche quanto
più ha cessato di essere cosa meramente _^ica. Tutto ciò nel processo sociale
di evoluzione normale. E nell'anormale? Xeir anormale si genera un
movimento periferico contrastante la funzionalità centrale, che non
armonizza colle Idealità sociali già formate negli individui sottoposti.
Un movimento contrastante che può andare fino alla distruzione della
funzionalità esistente, e quindi alla sostituzione di un'altra che
armonizzi colle dette Idealità, ossia colla Giustizia potenziale degli
individui medesimi. E questo il processo della rivoluzione. Succede
in questa un fatto analogo a quello fisiologico della passione, nella quale una
eccitazione insolita invadente le parti subordinate dell' organismo
sopraffa i centri, sostituendo quindi il proprio impulso a quello
normale dell'apparato volitivo libero. E tale processo anormale della
rivoluzione, nel fondo, è quello stesso normale detto sopra della
evoluzione. Poiché anche in questo il Governo sociale è determinato dal
consenso delle parti subordinate. La differenza sta solo in ciò, che nel
processo normale della evoluzione il centro si presta, cedendo, ad
atteggiarsi secondo le esigenze della Giustizia potenziale; e
nell'anormale della rivohinone no. In una parola, le forze che agiscono sono
le stesse, e gli eflFetti diversi dipendono dalla diversità dei
rapporti delle forze medesime. La rivoluzione sociale propriamente detta dunque
suppone una condizione avanzata di cultura morale dei membri della
Società. Più è questa cultura morale e più è irresistibile la forza
rivoluzionaria. Ma più questa forza è irresistibile e più la sua anione
è moderata e procede per moto evolutivo anziché sovversivoIn modo che,
nel massimo della cultura, e quindi della irresistibilità, e
conseguentemente della moderazione, il moto rivoluzionario coincide con quello
normale progressivamente riformante detto sopra. Q, Perchè non si
incorra in un equivoco circa il principio sopra stabilito, bisogna
ricordare qui esattamente il concetto da noi posto a fondamento di tutto
il nostro discorso; ossia quello della Giustizia potenziale, che
infine è la stessa Idealfià sociale an^iegoùHca; la quale nella umanità
perfezionata è impulsiva irresistibilmente della volontà individuale. Onde
r individuo rivoluzionario per eccellenza è, non Tuomo di poca levatura,
nel quale la mente e il volere si acconciano a ciò che impera
esternamente» trovando tutto buono; ma il Sapiente, quale fu da noi definito
nella Morale dei positivisti. (D Libro I, Parte li. Capo IV, w. 17 (^ag^
lay del Voi. Ili di queste Ofté re filosofiche nella ed, dei iS85, 132
dell* ed* del J&93 e deJ 1901, e 136 dell" ed. del
1908). Il sapiente, come ivi dicemmo, è quello nella coscienza del quale
le Idealità sociali antiegoistiche si sono espresse colla massima
evidenza, e acquistarono la massima impulsività sul volere. Onde è ciò che si
dice un carattere. Esso è per questo nella impossibilità di patteggiare
cogli ordinamenti riprovati dalla potenzialità della Giustizia imperante
nella sua coscienza: anche se il patteggiare gli porti soddisfazioni
egoistiche. Ed è anche nella impossibilità di non isforzarsi secondo la
potenzialità medesima; anche se il farlo gli porti danni personali.
Questi egli li incontra senza impensierirsene e tranquillamente
come Cristo e Socrate, e tutti i cosi detti martiri delle idee.
Sublimemente questo fatto nel cristianesimo primitivo è stato espresso nel
principio, che òisogna ubbidire prima a dio poi agli tcomini, E il
principio, come è chiaro dopo le cose dette, è in tutto vero, quando
alla espressione dio, che indica indistintamente una realtà giusta,
si sostituisca quella di Giustizia potenziale, che indica distintamente
la realtà stessa. E discende poi da ultimo dalle cose dette anche la
conseguenza, essere la teoria della rivoluzione del positivismo
diametralmente opposta alla vecchia della Metafisica, espressa
soprattutto oella dottrina del contratto sociale di Spinoza e di
Rousseau. Il contratto sociale è falso per la storia naturale della
umanità. Per la storia naturale dell' umanità è vera invece un'
altra legge: la legge della naturalità della società umana, formantesi
spontaneamente, e inconsci gli individui subordinativi. Nella dottrina di
Spinoza e di Rousseau il moto rivoluzionario è determinato dall' individuo che
si pone come un assoluto; e quindi è affatto egoistico; e quindi
tende a disfare la Società. Nella dottrina positivistica invece il moto
rivoluzionario è determinato dall'individuo siccome ordinato naturalmente alla
Società; ossia è determinato dall’idealità che vi hanno relazione. E quindi è
essenzialmente ant-iegoistico o altruistico – l’amore dell’altro, la
benevolenza, la beneficenza: e conseguentemente tende, non a disfare la
diada sociale, rna a migliorarla. Consideriamo ora il giudizio del
tribunale individuale della coscienza di ciascun uomo verso le parti
coordinate nella Società, ossia verso di ciò che si chiama il prossimo. Nel che
tocchiamo di un argomento di importanza principalissima tanto dal lato
sociologico quanto dal lato morale propriamente detto. E la nostra
considerazione, cominciando in questi due ultimi paragrafi del primo Capo
del libro, sarà pròsegpiita nel seguente. La Idealità sociale è una
formazione naturale della psiche individuale umana: e tale Idealità è
impulsiva del volere: e per esso gli atti liberi dell' uomo sono
antiegoistici e quindi morali. E (come indicammo anche qui nei paragrafi
precedenti) la Idealità sociale agisce sopra il volere dell'uomo
presentandosegli nella forma della Giustizia; vale adire come qualchecosa
che ha rapporto con una Sanzione: ossia è una legge che importa la
Responsabilità del volere verso di essa. La Giustizia onde è
dettata e autorizzata Téizione del volere ne costituisce il
Diritto, La Giustizia che importa verso di se la Responsabilità del
volere ne costituisce il Dovere a). Ed ecco in che modo la Idealità
sociale, che è una formazione naturale spontanea dell* individuo, è in
pari tempo, e un concetto mentale, e un motivo pratico (ossia una
forza che determina T atto volontario), e una Giustizia, e una Legge, e un
diritto, e un dovere. L'essere umano, unico o collettivo, in quanto
r azione ne è determinata dalla Giustizia, è una Persona, Il genere poi
della Personalità varia secondo il genere del rapporto creato dalla
Giustizia medesima. Considerando qui il rapporto di subordinare
nell'organismo sociale, si ha la Personalità del Potere. Considerando il
rapporto di esservi subordinato, si ha la personalità della parte sociale
sottoposta che, in ultimo, è r individuo. Pel potere la Giustizia è
la stessa Legge dello Stato. Per r individuo è la stessa Idealità sociale
che in lui si forma e che chiamammo Giustizia potenziale. In virtù
della Legge il Potere costringe il subordiVedi la Morale dei Positivisti; per
es. Libro I, Parte II, Capo IV, n. 15 e 16 (Pag. 125 del Voi. Ili di
queste Opere filosofiche nella ediz. del 1885, 131, 132 dell* ediz. del
1893 e del 1901 e pag. 135» 136 nella ediz. del 1908). nato alla
osservanza della Idealità sociale. E quindi il Potere ha un Diritto sul
subordinato, e il subordinato ha un Dovere verso il Potere. E il Diritto
del Potere qui è positivo. Ma in virtù della Giustizia potenziale
anche il subordinato ha una azione sopra lo stesso potere. E per tale rispetto
quindi il potere ha un *dovere* verso il subordinato; e questo ha
un *diritto* verso il Potere. E il *diritto* del subordinato qui è *naturale*. Ed
ecco il concetto vero del diritto naturale, creatore e gfiudice del positivo e
vendicatore sopra lo stesso potere delle ragioni del subordinato. E
cosi, per asserire lo stesso diritto naturale, non occorre punto uscire
dall’uomo, e riferirsi ad una divinità e ad una Legge da essa emanata.
Questo diritto naturale appartiene all'essere umano, malgrado che in esso
non possa formarsi al di fuori della Società e senza che V Idealità
sociale della psiche singola siasi prima convertita nella Legge positiva
del Potere. Essendo poi il Diritto positivo lo stesso fatto
del Potere che si è costituito efifettivamente in una data Società, con
ciò si spiega come possa essere più o meno in contraddizione col Diritto
naturale, preso siccome la Giustizia potenziale astratta, desunta dallo
studio comparativo dei fatti sociali, e rappresentante quindi un ideale,
che solo imperfettamente si trovi realizzato nelle singole formazioni
storiche della Società umana. Ed essendo il Diritto positivo stesso una
formazione naturale della totalità sociale, che diventa qual' è col
passare dall' indistinto al distinto (per la legge comune ad ogni
formazione naturale), cosi si spiega come, prima di essere un codice
scritto, è stato una consuetudine sorta per inconscia spontaneità; e come
la stessa consuetudine, che seguita a sorgere pure per inconscia
spontaneità anche dopo la fissazione del codice, possa a poco a poco
avere prevalenza, come diritto, sopra la legge positiva. Il Diritto naturale,
oltre comprendere la ragione, imperante nel subordinato, di creatore, giudice
e vindice verso il Potere sovrastante, ne ha in sé anche un'
altra. Vale a dire ha in sé anche la ragione di ciò che designammo sopra
col nome di Convenienza, che riguarda i rapporti dei subordinati tra di
loro, e non ha esecutività propriamente detta. Ora é da dire di questa più
chiaramente e precisela mente, se e come sia o no una Giustizia, e quindi
appartenga alla Moralità; poiché la Moralità non si può concepirla se non con
una Sanzione e con una Responsabilità; e quindi in ordine ad una Legge
sovrastante: cioè come una Giustizia. Domanderemo e risponderemo di
nuovo: Quale é l’ufficio del Potere? L'ufficio del Potere è triplice.
Dì stabìlii-si aella Società a spese delle sue partì. Di difendere
l’autonomia di ciascheduna dalla violenza delle altre. Dì dispensare
nell'effetto del mij^Uoramenta delle parti quella forza coniane dell*
ambiente sociale che opera per esso Potere. In tutte e tre le suddette
forme del suo ufficio il Potere esercita sulle parti un Diritto, come
abbiamo detto. E la ragione della azione del Potere è quindi una
Giustizia, ossia è col legata ad una Sanzione, E ciò perchè esiste una
Responsabilità per parte dei subordinati verso di essa azione, se mai
violassero gli ordini stabiliti. E il Diritto medesimo lo dicemmo un
Diritto positivo. Ma questo Diritto positivo dimostrammo sopra dipendere
in ultima analisi dal Diritto potenziale o dalle Idealità mentali degli
individui» Onde, in ultima analisi, potenzialmente la Giustizia non è
altro che le stesse Idealità mentali. La Giustizia dunque si estende
quanto la potenzialità della Idealità sociale, formantesi nella psiche
singola dell’uomo per la sua partecipazione alla vita comune della
Società; nella quale si cova, per cosi dire, il germe individuale, si che si
maturi in lui la disposkione naturale al civile coasorzio. Maturazione
questa che importa tutte tre le forme suddette dell' ufficio del Potere,
se non che il Potere stesso non è tutto l’effetto di tale maturazione; ma solo
una parte* Quella cioè, che si potrebbe chiamare V effetto più
disHnéù. Oltre sififatta parte ne resta un'altra; e più estesa
ancora: ed è quella che non si matura nel fatto di un Potere legale, ma
rimane neW indistinto di ciò che chiamiamo la Convenienza. E la
Convenienza la diciamo un indistinto appunto perchè il Potere non è altro che
un distinto che si forma posteriormente da essa per una elaborazione più
compiuta. Ne /iene che, se il Potere è il Diritto distinto, e quindi
la sua ragione una Giustizia distinta, (e cosi la Sanzione e la
Responsabilità) la Convenienza è invece un Diritto indistinto, e quindi
anche una Giustizia indistinta. Una Giustizia indistinta si, ma pur sempre
una Giustizia. Ed ecco come il concetto della Giustizia, e quindi
della Legge morale (col suo rapporto ad una Sanzione e con una Responsabilità)
si allarga oltre la sfera delle prescrizioni del codice pubblico e si
estende a tutte le relazioni libere tra individuo e individuo. E
come questa Legge morale extralegale sia anch'essa puramente una
formazione naturale della psiche dell'uomo civile. E quindi non occorra
per ispiegarla ricorrere al sogno della Legge eterna della divinità. E il
farlo sia un errore analogo a quello della vecchia astronomia che, il moto
della Luna intorno alla Terra, lo spiegava col comando dato alla
Luna da dio di girare cosi intorno alla Terra, e non per via della stessa
naturale evoluzione cosmica; e, la virtù dell'acido di intaccare il metallo, lo
spiegava colla proprietà intaccatrice capricciosamente concessa da dio all'acido,
e non per via della stessa disposizione intima degli atomi componenti la
molecola dell'acido e del metallo, onde dipende naturalmente ossia
necessariamente, il fatto chimico suddetto. La Giustizia legale (seconda
forma dell' ufficio del Potere) è una gradazione evolutiva superiore di un
indistinto inferiore da cui emerge. Ma la cosa ha bisogno di essere
dilucidata meglio e con esempj più concreti. K per ordine.
Cioè secondo le tre forme dette sopra deir ufficio del Potere. E
comincieremo dalla seconda, di difendere l’autonomia di ciascheduna parte della
Società dalla violenza delle altre. La difesa dell' individuo subordinato,
assunta dal Potere, importa che questo lo guardi dalle ofifese
degli altri, e faccia che V ofifensore risarcisca T ofifeso; e che gli
arbitrj singoli nella loro attività si equilibrino vicendevolmente in
modo che la limitazione imposta a ciascheduno sia la minima necessaria,
la minima indispa usabile ad ottenere la coordinazione giusta nella Società,
richiedente la collaborazione egualmente non impedita di tutte le sue
parti. Ma tale difesa, assunta dal Potere, della libertà e
del Diritto individuale non si pud estendere a tutti assoiuiamente i fatti
sociali verificantisi attorno ad un indi" viduo. Non a tutti, di
gran lunga. Non a tutti, che sono infinitamente molti. Ma solo ad alcuni
pochi. A quei pochi solamente che è strettamente richiesto dalla
esistenza del corpo sociale. E la difesa in discorso, circa i detti
pochi fatti, è propria di quella che si chiama la Giustizia legale, o
positiva, o distinta. Quanto poi agli altri infiniti fatti rimanenti ha
luogo il fenomeno sociale della Convenienza, che dicemmo essere pure una
Giustizia; ma non legale, o positiva, o distinta: sibbene potenziale, o
indistinta, o morale. Quella della convenienza è anch' essa una Giustizia,
come la legale. Ma indistinta. E per la ragione che, nel fondo, V una
e r altra sono la cosa medesima, e si differenziano tra loro
solamente come il distinto dall' indistinto. E tanto che, provenendo
nelle formazioni naturali il distinto dall' indistinto, qui nella Società la
reazione della Giustizia legale non è altro infine se non una forma evolutiva
superiore della stessa reazione della Convenienza. Anzi di più. Come l'idealità
sociale della psiche umana è solamente una forma evolutiva superiore di un
indistinto che si trova già nei bruti, cosi la Giustizia legale si
collega nelle sue gradazioni formative, non solo con quella della
Convenienza propria dell' uomo, ma anche con quella del semplice talento
egoistico osservabile nelle reazioni tra bruto e bruto. E mettiamo in
chiaro la cosa. La reazione tra bruto e bruto è V effetto di un
impulso istintivo quasi affatto egoistico. Ma non del tutto, poiché (come
osservai più volte nella Morale dei Positivisti in certi istinti socievoli dei
bruti fa capolino qualche cosa di anti-egoistico. L' istinto
egoistico del bruto si continua anche nell’uomo; nel quale però va emergendo
l'impulso antiegoistico a misura che si sviluppano in Fui le formazioni
psichiche superiori (2); in modo che nell' individuo umano vivente nella
Società apparisce la reazione della convenienza, che è mista di talento
egoistico e di ragione antiegoistica. Quindi nella reazione della
Convenienza si ha una forma di passaggio dal talento egoistico del bruto
alla ragione dello schietto antiegoismo della Giustizia legale. E
questa è il divenuto della Convenienza, come la Convenienza è il divenuto del
talento egoistico del bruto. E in effetto infinite sono le gradazioni
della reazione della Convenienza; da quella che rasenta la brutale
del Per es. Libro I, Parte III. Capo III, n. 6 (Pag. 149 del Voi.
III di queste Op, fil. nella ediz. del 1885, 156 dell' ediz. del 1893 e
del 1901 e 161 dell'ediz. del 1908. Ciò è dimostrato in tutto il corso della
Morale dei Positivisti, essendone V assunto fondamentale. l^WU IP I
puro egoismo, a quella che tocca la più nobile del puro
antiegoismo. Infine, se si guarda una medesima Società nel suo
progresso storico dallo stato della barbarie a quello della civiltà, e se
si guardano le diverse condizioni degli individui di una medesima Società in un
dato tempo. Per la legge, più volte indicata, che nella formazione
naturale i diversi del coesistente sono T immagine dei diversi del
successivo. E in oltre, da una parte, nelle Società imperfette il
talento egoistico si riscontra nello stesso Potere, e dall' altra, la
Convenienza, a misura che si spoglia dell' egoismo, si fa più antiegoistica e
tende a diventare una Giustizia legale. E la Giustizia legale da
prima è stata sempre e da per tutto una Convenienza radicatasi neir uso e
finalmente stabilitasi come legalità. Dall'indistinto della prepotenza
(principio egoistico) nasce il distinto della giustizia (principio anti-egoistico)
che è la risultante dinamica di quella, per rendere evidente la
verità dell'asserto, che la Giustizia emerge, come formazione superiore,
dal talento egoistico precorso, giova vedere come succede il fatto.
Il più forte [cf. Grice, TRASIMACO] è prepotente verso il più debole. E
la Prepotenza è precisamente l'espressione del talento egoistico in opposizione
colla ragione antiegoistica, o della Idealità sociale, o della
Giustizia. Ne viene che l’adulto è prepotente col fanciullo, l’uomo
colla donna, il robusto col debole, il ricco col povero. Fra gli uomini
sempre si verifica tale prepotenza, ma in gradazioni infinitamente diverse: da
un massimo ad un minimo. Cioè in ragione inversa dell’idealità anti-egoistica
contrastante, ossia in ragione inversa della civiltà. E ciò, tanto considerando
la successione dei momenti del progresso di incivilimento, quanto
considerando gli elementi più o meno inciviliti di una medesima
società. Considerando gli elementi più o meno inciviliti di una
medesima Società, la prepotenza dell' adulto del robusto del maschio del ricco
e via discorrendo è sempre maggiore fra le persone rozze e minore fra le
colte. E in queste per la ragione del maggiore sviluppo delle
Idealità sociali contrastanti. Le Idealità sociali si impongono alle persone
colte per la semplice abitudine che abbiano di concepirle. Ai rozzi possono
imporsi quando, neir atto che essi inveiscono con Prepotenza, esse
balenano neir atteggiamento disapprovante e minaccioso di vendetta degli
altri uomini. Cioè, alle persone rozze, nelle quali, le Idealità sociali
non sono ancora una coscienza ben forte e distinta, queste frenano il
talento egoistico nella forma di volere sociale con qualche maniera di
Sanzione; e alle persone colte non occorre la manifestazione estema
vendicatrice, perchè in esse V imperiosità della ragione della Società è
diventata una loro coscienza, che rinasce efficace senza la espressione
materiale esterna del volere sociale. Ed ecco come avviene il passaggio
Dell' individuo dalla disposizione egoistica del bruto alla antiegoistica dell'
uomo civile. Considerando poi i momenti successivi di formazione di
una medesima Società, la Prepotenza degli individui si vede a poco a poco
eliminata dalla formazione contrastante del Potere; il quale, per esempio, ha
tolto, in tutto o in parte, le Prepotenze dell' arbitrio assoluto del
padre di famiglia sui figli e sulla moglie, della schiavitù sotto
le diverse sue forme, dei privilegi dei nobili, della inferiorità della donna,
e via discorrendo. Quando il Potere non era ancora riuscito a eliminare
queste Prepotenze anche la coscienza comune non sentiva distintamente la
ingiustizia loro. Mentre questa ingiustizia vi è divenuta evidentissima
in seguito al fatto della Legge che le ha inibite. Questo fatto ha reso
l'ingiustizia medesima evidente al segno, che nella coscienza di tutti
gli individui della società civile le Prepotenze suddette appariscono
delle vere impossibilità, non solo per gli altri, ma anche pel proprio
volere; cioè, nel volere, formatasi pienamente l' Idealità sociale
antiegoistica corrispondente, questa riusci ad ottenervi una forza assoluta
di impulsività. E con ciò si ha la prova di fatto, e della dottrina
nostra generale circa la Moralità esposta nella Morale dei Positivisti, e
della dottrina qui toccata del divenire della Idealità impulsiva: e della
Giustizia legale distinta dalla Giustizia indistinta della
Convenienza. Ancora, le persone civili sono meno manesche delle
rozze. Onde, come fra queste è facilissima e pronta la vendetta dell'
offesa, così fra quelleriesce invece e difficilissima e tarda. E ciò
nulla ostante la persona civile ha esigenze infinitamente maggiori e più
sottili verso le altre, e nello stesso tempo assai più raramente offende.
E la cosa parrebbe assurda. E lo è colla teoria vecchia della ragione degli
atti morali. Ma si spiega chiarissimamente colla positiva. Il rozzo
reagisce direttamente colle proprie mani, e punisce l’offesa atrocemente:
tuttavia è offeso ad ogni poco. E basta udire, per convincersene, le
ingiurie che due persone rozze si scagliano colla massima facilità. Dunque
T idea dell' utile non è quella che insegna il contegno dell' uomo. Il
rozzo è più religioso del civile; e tuttavia con ciò non è più rispettoso
del Diritto altrui. Dunque 1' idea religiosa non è la ragione della
Giustizia. Immensamente più che nel rozzo è estesa l'idea del
proprio diritto nell' uomo civile, il quale dell' offesa recatagli si risente
nel suo intimo assai più ohe il primo. Ciò dipende dalla più progredita
formazione psichica dell' uomo civile. E questa dal beneficio più largamente
produto della influenza formatrice dell' ambiente sociale. Il risentirsi
poi più forte dell' offesa porta seco una tendenza più forte a
reagire. Ma nell’uomo civile anche la reazione (quantunque più
fortemente disposta) ha il carattere della umanità più progredita. Quella
dell' uomo civile è una reazione non di egoistica e brutale Prepotenza:
cioè non è fatta di propria autorità e di propria mano. E invece una reazione
fatta in nome di qualche cosa che trascende l'individuo; vale a dire in nome di
una Idealità sociale riconosciuta come tale. In nome insomma di ciò che si chiama
la pubblica opinione. E questa pubblica opinione, diventata la
coscienza della persona civile, che la trae al risentimento; ed è a
questa medesima pubblica opinione che è lasciato l'incarico della vendetta: in
modo che l’offensore è responsabile deir offesa verso la stessa pubblica
opinione vendicatrice, la quale per ciò viene ad essere una Giustizia. E
conseguentemente una Gitistizia viene ad essere pure la coscienza
individuale, che ne segue la morale impulsività. Una Giustizia indistinta, che
precorre e prepara alla distinta o legale. E come? La pubblica
opinione si forma nel cozzo delle parti della Società fra di loro, onde
nascono le diverse Idealità sociali relative. Questa pubblica opinione si
annuncia prima vagamente nelle parole e negli atti accidentali degli individui.
A poco a poco si stabilisce nei detti e nei proverbi e nelle usanze e
consuetudini comuni. Un pò' alla volta poi crea i suoi rappresentanti
diretti. Da questi quelli del Potere. Ma con ciò, che il Potere non può
assorbirli in sé tutti. Onde, sotto tale rapporto, il Potere deve
considerarsi siccome il vertice di una piramide, nel quale va a collimare
una infinità di piani sempre più allargantisi di sotto, cioè una serie
di associazioni giudicatrici subordinate. Costante e organica è
questa legge della formazione sociale. Da prima è V individuo che si fa
giustizia da se stesso. Nel che però non si ha la Giustizia vera, ma ancora
solo la Prepotenza. Poi più persone aventi speciali interessi comuni
si associano in modo tacito e anche espresso in vista di essi; e nella
associazione si va costituendo naturalmente r arbitrio collettivo sopra
le contestazioni che la riguardano; nel quale è già quindi un principio di vera
Giustizia, quantunque ancora più o meno indeterminata o indistinta. Da
ultimo il Potere supremo della Società si arroga il giudizio nelle
contese, fissandone precisamente i termini; ed ecco il meno della Prepotenza e
il più dell' antiegoismo e della Giustizia. E questa è la Giustizia distinta,
derivata per evoluzione dalla indistinta, come questa lo è dal talento più egoistico
dell' individuo. E nella nostra attuale Società la legge medesima
apparisce nella sua massima evidenza. Vediamo costituirvisi dei giuri al
di fuori del Potere legale; i quali, in nome di una pubblica opinione
(che è il loro codice) pronunciano dei verdetti, vendicatori almeno iniziali
delle violazioni della opinione stessa, e che quindi ne sono la Sanzione
sociale diretta. Giusta, ossia antiegoistica, perchè sociale e non
individuale o di Prepotenza. Sanzione producente una Responsabilità
pei violatori delle Idealità sociali corrispondenti; e quindi atta
ad innalzare le Idealità stesse nelle coscienze di tutti al grado di vera
Giustizia; tanto più distinte quanto più stabile e ordinato e ripetuto e
normale è l'esercizio del suo ufficio. E anche quando non è
eliminata ancora del tutto nella vendetta V azione diretta della persona,
che ne ha da essere soddisfatta, si può tuttavia palesare l'intervento
subordinante di una autorità superiore all'individuo. Come nel duello;
nel quale la ragione di intimarlo e di accettarlo deve essere sancita dal
codice della opinione corrente ad esso relativa, e giudicata 1' applicabilità
al caso particolare da padrini, e questi devono presenziare r esecuzione.
Nel duello si ha quindi una certa Giustizia, quantunque molto imperfetta.
Imperfetta, perchè vi si mantiene ancora troppo 1' eccessivo e il brutale dell'
atto di Prepotenza dell' individuo di vendicarsi colle sue mani.
Imperfetta ancora perchè 1' autorità che vi si intromette non è
riconosciuta come tale dalla Legge. Il fatto del duello qui ricordato
toma poi opportuno per confermare, colle particolarità da esso offerte, la
verità delle cose suesposte. L’opinione, che vige nei paesi civili
di. oggi in relazione al duello, è una formazione storica della nostra
Società. Perchè, se, da una parte, esso ha la sua causa generale in
alcune ragioni costanti di ogni formazione sociale, dall' altra però, le
formalità che lo accompagnano accusano la sua provenienza per
trasformazione storica dalla consuetudine di un tempo dei cosi detti
giudizi di dio, E da ciò si vede, come sia vero che la Giustizia
(anche quella naturale o potenziale o etema che dir si voglia), quanto
alla forma precisa colla quale è effettivamente in una data Società o
coscienza, è una accidenta" lità storica. Come la produzione di un
dato frutto di una data pianta. L’opinione circa il duello non è
qualchecosa di fissato e sancito dal Potere legittimo, che T infligga
indeclinabilmente anche a chi vi si rifiuti. Ma ciò non toglie che r
opinione stessa abbia una forza; e tale da imporsi quantunque
gravosissima, alla volontà. E da ciò si vede che la Giustizia ha già una
effettività piena di efficacia anche nella forma indefinita della
spontaneità vaga della opinione pubblica. Ma r opinione circa il
duello, appunto perchè ancora in quello stadio della vaga spontaneità
sociale, non maturata e non maturabile in una Legge del Potere che la
stabilisca per tutta la Società, vi si restringe ad un certo ordine di persone.
E (cosa curiosissima) per questo ordine di persone è divenuta una idea di una
impulsività potente, certa, indeclinabile, atta a tenerlo sotto il
proprio impero, mentre per gli altri, esenti dalle influenze onde è
insinuata, è come se non esistesse. E tanto che, dove presso gli uni è
moralmente spregevole e disonorato chi non si attiene alle prescrizioni
della opinione favorevole al duello, per gli altri è cosa ridicola e
stolta il tenerne conto. L' opinione relativa al duello associa
delle conseguenze esecutive gravissime a fatti riguardanti V onore. L'
onore, che è un semplice rapporto mentale dell' individuo colla Società. E da
ciò si vede che neir uomo, per lo sviluppo speciale onde la sua psiche è
capace, si Voi. IV. 6 creano delle entità di un ordine superiore,
che sono impossibili pel bruto e si trovano solo inizialmente e quindi
poco avvertite nelle Società rozze e nelle classi sociali meno colte.
Delle entità aventi per base, non il benessere materiale dell* individuo, che è
l'espressione del puro egoismo, ma il benessere degli spiriti associati,
che è r espressione della ragione antiegoistica. Qui insomma r
individuo si trova necessitato perfino al sacrificio volontario della vita in
omaggio di un' idea che lo padroneggia. L' opinione relativa al duello
tende (come tutte le altre opinioni, con tendenza positiva o negativa) a
diventare una Legge della Società. Questa tendenza in parte è riuscita,
in quanto esistono già delle disposizioni positive di Legge che riguardano il
duello. Ma in parte non è riuscita. Ora T analisi accurata della tendenza
medesima e di ciò che n' è riuscito e non riuscito ci ragguaglia circa il
processo naturale, onde la Giustizia indistinta, ossia la Convenienza, si fa la
Giustizia distinta, ossia la Legge positiva. Il Potere ha emanato
delle disposizioni relative al duello. Ciò ha potuto fare solo in seguito
all'essersi questo fenomeno sociale fissato a poco a poco nelle sue forme
precise, che presentarono 1' occasione alla opinione pubblica di manifestarsi
nel senso del partito adottato nella Legge. Ma, delle
disposizioni stesse prese una volta dall'autorità in relazione al duello, altre
rimasero poi anche in seguito perchè trovate rispondenti allo scopo
sociale, di non impedire in modo nocivo il corso inevitabile di
certe reazioni di Convenienza j altre invece dovettero essere smesse
come inopportune e quindi contrastate nella prova dalla coscienza dei
cittadini, cioè dalla Giustìzia potenziale che, come dicemmo tante volte, è
Tarbitro naturale di ogni Legge sociale. Il Potere però, nella
reazione anche esecutiva del duello, non ha potuto sosHiuirsi ialalmenie,
come è la sua tendenza in generale per rapporto a qualsiasi esecutività
forzata delle reazioni dirette tra individuo e individuo. E ciò ci
istruisce praticamente di due cose, che già osservammo sopra. Vale a
dire: Primo. Che nel Potere non si può appuntare se non una parte
delle reazioni tra indivìduo e individuo; come nel cervello non arrivano
direttamente dei fili nervosi che governino immediatamente tutti i punti
della massa del corpo: ai quali invece in gran parte il cervello fa
sentire la sua influenza solo per J' azione che esercita sopra centri
secondari, aventi però anch' essi una propria azione, che si compie in
parte senza rintervento degli organi cerebrali. Secondo. Che,
se una tendenza reale dell' individuo non può essere soddisfatta
intéramente dalT intervento del Potere, Tindividuo cerca la soddisfazione
da se; come in un assalto improvviso dì un assassino, dove, non polendo
la forza pubblica difendere il cittadino, a questo è concesso il Diritto
anche dell' uccisione a propria difesa. Per cui si arguisce, che il
fatto ancora incivile ed anomalo del duello non sarà evitato nella
civiltà, se non quando in questa le questioni circa V onore potranno
essere risolte appieno giuridicamente, sia modificandosi l'opinione pubblica
relativa, sia trovata in base a questa una legislazione atta all'
effetto. Vedemmo fin qui come la Giustizia legale, affatto antiegoistica,
del Potere sorga dalla potenziale della coscienza degli individui, che ha
per base una Idealità sociale antiegoistica non ancora divenuta una
Legge, e nello stadio tuttavia solamente di opinione più o.meno
comune. Resta ora a chiarire come questa Giustizia potenziale,
avente per base una Idealità antiegoistica, si svolga anch' essa alla sua
volta da una forma ancora più imperfetta di tendenza dell' uomo, cioè dal
talento brutale egoistico della Prepotenza. La reazione del semplice
talento brutale, o della Prepotenza, per la concorrenza dei prepotenti
di pari forza, diventa Equipollenza: e quindi Giustizia, Non
occorre per ciò che intervenga un elemento nuovo. Il diverso, anzi 1'
opposto, della Giustizia si ottiene per la semplice reduplicazione dell'
identico della Prepotenza elementare dell' individuo. Per la legge
universale dell' emergere del diverso distinto dair identico indistinto
per la reduplicazione dei molti identici (prima distinzione dell*
indistinto uno), che ha luogo in tutte le formazioni naturali. Come ho
dimostrato nello scritto sulla Formazione naturale nel fatto del sistema
solare (Voi. II di queste Opere filosofiche)^ e come dimostrerò nei libri
relativi alla Formazione del pensiero (nei voi. V, VI e VII di queste
stesse Op, fil.) Così nella formazione chimica la materia identica
diventa gli opposti deir acido e della base dopo che, distintasi in atomi
diversi, questi poi si reduplicano e si aggruppano variamente. La
Prepotenza è la coscienza che l' individuo ha acquistato del fatto della
propria Attività che esso ha esperimentato; e la Giustizia è la
coscienza che neir individuo stesso ha dovuto formarsi del fatto
della Equipollenza degli altri individui dato dalla espericìiza delle Prepotenze
concorrenti nella Società. Sicché nel bruto la psiche non arriva alla
trasformazione in discorso, perchè in esso, non essendo un essere sociale, non
si può formare la coscienza successiva a quella della Prepotenza come
nell’uomo, che è un essere sociale (Onde poi raccogliamo la conferma di un
altro dei grandi principi da noi già spiegati della Formazione naturale:
vale a dire che la Cosa è il molteplice preso nella coesistenza dei
singoli, e la Forza è lo stesso molteplice preso nella loro successione.
Sicché Cosa e Forza non sono che distinzioni di un identico indistinto:
il quale, preso nello schema della coesistenza, è la Cosa, e, preso nello
schema della successione, è la Forza. La Giustizia o T idealità
sociale, come apparisce dalle cose dette nel libro, suppone una
successione di fatti; ed è assurda senza questa supposizione. Ma nello
stesso tempo, potendo questi fatti succedentisi essere presenti
contemporaneamente al pensiero, pel lavoro suo descritto nella Morale dei
Positivisti^ è una entità (Cosa) del pensiero, ed è una virtù efficiente
(Forza) nella dinamica morale (Impulsività dell’idea). E qui dobbiamo
notare una cosa curiosissima, spiegabile solo colla nostra teoria della
identità, nel fondo, della Cosa che è, e della Forza onde essa
agisce. L' Idealità sociale è impulsiva del volere umano in quanto
gli si presenta siccome una Giustizia, vale a dire in quanto gli fa
prospettare una Sanzione; ossia lo avverte della sua responsabilità. E
tuttavia, a misura che V Idealità sociale si fa più viva e abituale,
diviene invece più vago il presentimento pauroso delle relative
conseguenze di punizione per parte della reazione sociale. Anzi il
massimo della impulsività dell' Idealità sociale (nel Sapiente e nel
Regno della Giustizia, come dicemmo nella Morale dei Positivisti) va col
minimo del presentimento pauroso della punizione sanzionatrice. Il concetto
umano della Giustizia si forma da quello della Prepotenza per V
equilibrio di molti prepotenti nella loro concorrenza sociale. La
filosofia tradizionale (o la filosofia sana, come la chiamano) spiega la
Giustizia ponendola siccome lo stesso comando di dio. La spiega
così: aggiungendo molto ingenuamente alla sua spiegazione V avvertenza,
che la Giustizia, rimane distrutta assolutamente tosto che si rimova la
divinità e il suo volere assoluto. E invece la verità è precisamente il
contrario. La Giustizia» in questo volere divino, è l’opposto, ossia
la negazione, della Giustizia come tale. Come ne è l'opposto e la
negazione la Prepotenza come tale. Il volere di dio è la Prepotenza
innalzata al grado dèlia Prepotenza assoluta. E il bello si è che la
stessa filosofia tradizionale ha dovuto accorgersi de IT inconveniente,
tanto o quanto, anch' essa, senza intenderlo distintamente. Poiché ha
dovuto maritare, nella sua dottrina della ragione della Giustizia,
il principio del volere divino con quello della conoscenza che dio debba
avere dell' essere intimo delle cose, e della necessità onde il suo
volere sìa costretto assoluEgli è come dire, che è l’ordine dei fatti sociali,
il quale è diventalo un inrro ordine ideale, presente al pensiero in un
suo atto intuitivo momentaneo: qiTasi forza fissatavisi dal di fuori
come sommi» unica di efileni ng^i untisi a poco a poco l’uno all'
altro. Proprio come la proprietà attuale, onde una sostanza è atta
ad agire in un dato momento con una data intensità dì forza, sì è formata
in questa per la addizione successiva, mettiamo, dì un certo numero di
\:alorie, entratevi dal di fuori a poco a poco V una dopo l’altra. tamente
(se ha da essere giicsto) a regolarsi nel suo comando secondo le esigenze della
essenza da sé conosciuta appieno della cosa, alla quale impartisce il
comando. In questo secondo principio maritato al primo è stata
riconosciuta implicitamente, in qtuilche maniera, tardi, imperfettamente,
confusamente e con una contraddizione col primo principio la verità di
ciò che dimostrammo; ossia della derivazione della Giustizia dallo stesso
uomo per effetto della sua convivenza sociale. Imperfettamente,
dicemmo. E la dottrina teologica della predestinazione n' è testimonio. E
tardi: cioè a misura che lo studio dei fatti guidò al presentimento
confuso della verità contenuta nella dottrina positiva. Tanto che la
storia della idea di dio ce lo presenta prima coir impero capriccioso,
dispotico, appassionato, mutabile del tiranno prepotente. E
successivamente con una mitigazione del capriccio e della prepotenza, quale era
suggerita dal fatto della legislazione sociale in lui oggettivata, che
venne diventando sempre più giusta per T equi librar visi sempre maggiore
degli elementi componenti. Come si è detto, nell'individuo non
coordinato nella Società si ha la sua autonomia che si goverua colla
Prepotenza. una risultante dinamica di esse, per le considerazioni
che seguono. Con uno straniero, e soprattutto con un barbaro, o con un
selvaggio, un uomo in generale non sente il dovere della Giustizia come con un
altro uomo della sua stessa Società. Perfino si dà che in faccia ad un uomo di
razza diversa si atteggi ne' suoi sentimenti come in faccia ad un bruto o ad
una fiera. E la cosa è naturalissima. La sua Società è in lotta colla
popolazione alla quale appartiene queir uomo. La sua Società quindi si atteggia
verso di essa e verso i suoi Componenti come un prepotente; ed egli pure. Anche
se non è in lotta, dal momento che 1' offesa recata al(Il Nel che si verifica la legge generale di tutta
la natura, che l’ambiente è necessario all' ottenimento di una formazione,
mettiamo la nebulosa solare alla formazione di un pianeta, o 1’ambiente
vegetativo alla formazione di un seme; ma una volta ottenuta la formazione
questa funziona come tale anche indipendentemente dalle condizioni onde emerse.
Mettiamo la forma e la solidità di un pianeta, e la virtù vegetativa specifica
del seme. ^'^''PfliW^^IF lontano selvaggio non è vendicata dal tribunale del
proprio paese, né di nessuno, queir offesa stessa non apparisce un attentato
vero e proprio contro la Giustizia. Che se ci sono degli uomini che sentono la
Giustizia anche per gli estranei, fossero anche dei selvaggi,
questo succede solo per quelli nei quali il sentimento della Giustizia,
prodotto prima nel modo che spiegammo, è diventato una forma perfetta e
assolutamente dominante della psiche, e che agisce da sé e senza il
bisogno più del costringimento dell' ambiente produttore, e con una spontaneità
esuberante. Ancora, nella stessa Società un gentiluomo è molto cauto
nelle sue relazioni coi stcoi pari. Non lo è egualmente trattando con
persone di condizione inferiore.E ciò perchè co' suoi pari le conseguenze
speciali del suo contegno (quelle mettiamo di un duello) hanno
indotto un ordine di Convenienza che non occorre per gli altri,
relativamente ai quale le conseguenze non hanno la medesima gravità.
In una parola, chi sta sopra è prepotente cogli inferiori, e non co' suoi
pari, coi quali è più giusto. La formazione della Giustizia nel senso
proprio va colla formazione del Potere onde è l' espressione. L’idea
della Giustizia non nasce se non dietro i fatti determinati prodottisi
effettivamente nelle reazioni degli associati. Dico, dietro i fatti
determinati. Non prima di essi. contenuta. Per questo il
Potere (nel senso da noi qui inteso) è eminentemente la Giustizia, che i
poeti rappresentarono colla bilancia in mano (1* equipollenza giusta
degli arbitrj) e colla spada nell' altra (la forza onde si determina r
equilibrio tra arbitrio e arbitrio). E lo è perfettamente esso
solo. Lo è eminentemente in quanto dispone di una forza che
costringe e determina i soggetti alla osservanza della Idealità sociale,
o giusta, che dir si voglia. Lo è perfettamente esso solo, in quanto a sé
solo riserba il costringimento violento alla osservanza della medesima Idealità
giusta. Onde viene poi che la Giustizia propriamente detta si
restringe agli atti che possono cadere sotto la direzione del Potere, e
non comprende quelli che ne sono esenti: i quali per ciò rimangono la
sola Convenienza. E su tutto ciò non cade dubbio. Il furto, per esempio,
dove non e' é un Potere che lo inibisca, non é un delitto. È solo un atto
pericoloso e che esige del coraggio e della avvedutezza in chi lo
commette. Dove e' é un Potere, che proibisca sì il furto, ma sia
impotente a impedirlo, il furto stesso é un delitto vago e non
grave. Dove il Potere lo impedisce effettivamente e lo colpisce con
forti punizioni è un delitto grave. E può essere un delitto di varie
specie se la punizione è varia. Per esempio, il furto del privato a
danno del privato, che importa la prigionia del ladro, è perciò un delitto
infamante. Il furto invece di un privato che non paga un diritto della
pubblica finanza, onde incorra solamente in una multa pecuniaria, non è
più infamante, a motivo che la punizione non è la prigionia ma la
multa. La quale forza poi del Potere, onde è mantenuta violentemente V
osservanza della Legge, in due maniere è dispensata. ' Direttamente
cioè dal Potere, stesso per V ottenimento delle condizioni occorrenti alla vita
sociale, e indirettamente quando esso è domandato per interesse proprio delle
parti individualmente offese. E da ciò due forme di Giustizia.
Questa seconda più sentita dagli individui meno educati e quindi più
egoisti; la prima più sentita dai più eletti e quindi meno egoisti.
L' avaro si commuove per la infrazione della Legge. della proprietà
individuale, che è per esso la Giustizia per eccellenza. Il virtuoso si
commuove per una disposizione politica antiliberale, preoccupandosi soprattutto
della Giustizia in se stessa. La circostanza di questa forza materiale
occorrente al Potere ci conduce a scoprire una legge fondamentale della
Sociologia, ossia della formazione naturale deir organismo e della vita
sociale. Nel Potere, per costituire questa sua forza, sono
assorbite delle forze prese dal corpo sociale: e in ima certa misura.
Così la forza propria del cervello, onde sono Ci limitiamo qui a notare
il fatto. Quale sia questa misura, e come sia variabile fra estremi assai
distanti secondo le condizioni e gli stadj storici di una Società, deve
essere lasciato a uno studio regolate le funzioni del corpo di un uomo, è
costituita dalle forze prestate dal sangue del corpo medesimo in
una misura, che non può essere oltre certi limiti. Ora una quantità
determinata di forza non può produrre se non un effetto limitato, proporzionato
ad essa. Ne viene che, se la Società è mcipiente o selvaggia o
rozza, tutta la forza rimanendo impegnata nel costringere gli individui a
osservare la Legge fondamentale della esistenza sociale, il Potere rimane senza
altra forza da disporre per la produzione nella Società di miglioramenti
ulteriori (i). Ma quando in seguito si sono introdotte, colla ripetizione
degli atti violenti di coercizione sociale, le abitudini giuste, queste
producono poi V effetto della osservanza della Legge per parte dei soggetti da
sé; e lasciano la forza del Potere disimpegnata e quindi disponibile per altri
usi, per altri lavori, per indurre altre abitudini superiori; insomma pel
progresso ulteriore della vita sociale. Cosi nel corpo dell' uomo.
Nel bambino il cervello è tutto impegnato nel produrre le abitudini dell'
esercizio delle membra; e pogniamo anche in quelle di leggere e
scrivere. Prodotte queste abitudini iniziali, resta disponiparticolare, che può
da sé fornire materia per una scienza spcciaU, E per noi basta notare,
che la misura in discorso va crescendo in ragione che progredisce V
organizzazione sociale; analogamente a quanto si osserva negli organismi
biologici, nei quali cresce la proporzione del cervello in ragione che si fa
maggiore la centralizzazione degli organi. Ciò si ripete nel caso di
una guerra, che assorbisca le risorse del Governo; e nel caso di anarchia
che le dissipi. bile per altri esercizi. Mettiamo per la cultura
propriamente detta. E ottenute le abitudini di questa cultura, rimane poi
libero per V esercizio di una professione particolare. E cosi via.
E insomma la questione dell' immagazzinamento delle forze. Un'
abitudine in un individuo è la forza che, portata sopra di lui una lunga serie
di volte, vi si è immagazzinata in questa forma. Come nella produzione
delle proprietà delle sostanze chimiche dalle più semplici alle più
complicate. Come nella produzione della pianta dal seme fino al frutto
maturatone. Onde la Giustizia, che va producendosi nelle coscienze
dei singoli uomini raccolti nella Società civile è )' immagazzinamento lento e
progressivo della forza dispensata dal Potere nei singoli atti infiniti
del suo esercizio, e impressa e ricevuta in quelle coscienze volta per volta.
Anche nel fatto del concetto della Giustizia, come in ogni fatto distinto
della natura, si ha una forza o un rifmo persistente, ottenuto per la
fissazione di una forza applicata dall' ambiente e divenuto 1' essere
costitutivo di ciò in cui si è formato (i), ossia dell' uomo civile come
tale. Il che poi dimostra che anche la Società, come ogni altra
formazione naturale, è una formazione che nasce, progredisce e
muore. Quando nasce, è la violenza che tende a produrre il
fatto e il sentimento della Giustizia. Quando progredisce, è la
forza del Potere che si diI) Si allude alla Legge della Formazione naturale
\A\\\q\X.^ ^o^x?i accennata. spensa ad ottenere ordini sempre più
alti di azioni e di idee giuste. Quando muore è V organismo vecchio,
che non si presta più al mantenimento di questa forza comune
organicamente subordinante del Potere. Come (per una forma dì questa
morte) nella famìglia vien meno il potere subordinante del padre quando la
personalità adulta dei figli non si presta più alla coordinazione di essi
sotto la tutela del capo della famiglia. Se non che, riguardo alle
Società che muoiono, vale del pari ancora la relativa legge naturale di
ogni altra formazione, per la quale la morte «di un organismo non è
mai totale, restando tuttavia i ritmi singoli prodotti dallo stesso organismo
mentre era vivo. Come nel seme della pianta, che resta alla morte di
questa. Come nelle idee, che restano per gli uomini succedenti a
quelli che le hanno trovate. Sicché il mondo greco e il mondo
romano, per es., sono morti come quelle date formazioni sociali, ma
restarono le idee della Giustizia umana nate nel loro seno. Restarono come
germi, o magazzini di forza già elaborata. E dei quali si giovarono le Società
europee venute dopo, che non dovettero ricominciare da capo (ossia
dalla condizione infima dell' uomo preistorico) il lavoro della organizzazione
sociale. La giustizia è la forza specifica dell'organismo sociale. Siccome
poi V organismo e la vita sociale si spiegano per la Giustizia che vi si
produce, cosi la teoria «T della formazione naturale
della vita sociale è anche nello stesso tempo la teorìa della formazione
naturale della Giustizia. La quale per ciò è una formazione
naturale, come il Sistema solare, come un Minerale, come un Vegetale,
come un animale, come una Goccia di Rugiada, come un qualunque Pensiero
di un uomo. È cioè la Giustizia una formazione naturale della
Società; come, ad esempio, si direbbe che la vegetazione è una formazione
naturale del nostro Pianeta. Ed è la Giustizia la forza specifica della
società medesima. Ne è la forza specifica, come si direbbe che V affinità
è la forza specifica delle sostanze chimiche, la vita delle organiche, la
psiche degli animali. Nessuna affinità, o vita, o psiche, senza
sostanza chimica, organismo vivo, animale. Del pari nessuna Giustizia senza
Società umana. L’affinità, la vita, la psiche scaturiscono dalle
stesse forze onde esistono i loro soggetti; e ne rappresentano la
risultante, che, come tale, si distingue specificamente dalle forze
producenti medesime. E cosi la Giustizia scaturisce dalle stesse autonomie
prepotenti degli individui, ed è la specie distinta di essere risultante
naturalmente dal loro contemperarsi insieme. La società quindi, come
tale, è tanto più perfetta quanto più è forte V idea della Giustizia
formatasi nei consociati; ossia quanto più questi sono morali: sicché
meno sia uopo concorrere colla forza materiale all'ottenimento dell* ordine
sociale. D che equivale al dire che T Idealità sociale sia
più Voi. IV. impulsiva da se stessa nella psiche di ciascheduno, e
quindi il regno della Gitcstizia {adoperando la nostra solita espressione) si
sostituisca a quello del Fato o della Prepotenza. In modo analogo
una sostanza chimica è tanto più stabile e perfetta quanto più V Affinità
degli atomi vi è grande» e la rende atta a mantenersi nell' essere suo
indipendentemente dalle circostanze fisiche esterne della temperatura,
delP ambiente, della compressione e via dicendo, che suppliscano colla loro
azione al difetto della forza di coesione intima dei componenti. La
costituzione dell'organismo sociale, e quindi la sostituzione della
Giustizia alla Prepotenza, produce la incolumità dei consociati. La
incolumità, che non è altro appunto se non la elisione della Prepotenza
oflFendente. Questa incolumità ha due fattori: Primo. La
forza materiale disposta nelle mani del Potere per far valere
violentemente la Legge contro la Prepotenza non domata delle parti
subordinate. Secondo. Il sentimento del Dovere formantesi negli
individui associati nel modo detto sopra. Ora, siccome questo sentimento del
Dovere (o questa Idealità sociale impulsiva, che torna lo stesso) è una
vera forza traente l' individuo a vincere la propria tendenza
egoistica della Prepotenza, e a segfuire la ragione antiegoistica della
Giustizia o della Legge, cosi le due forze suddette, del Potere di fuori
e del Dovere di dentro collimanti a produrre V incolumità dei consociati
e in^egranfisi vicendevolmente nella intensità sufficiente all' uopo, si
troveranno concorrervi in ragione inversa. Meno è il sentimento del Dovere
sviluppatosi nei singoli individui, e più dovrà essere la forza
materiale usata dal Potere. E viceversa, più il sentimento del Dovere, e
meno la forza materiale. E ciò, sia normalmente, sia
accidentalmente; e per certi momenti critici sociali, e per certe
Idealità. La incolumità poi del
cittadino importa un complesso di condizioni sue particolari molte e
diverse, cominciando dalla fondamentale della salvezza della vita
materiale e andando fino alle più delicate (proprie delle condizioni
sociali più perfette) del rispetto morale vicendevole negli atti anche più
comuni della vita. Il Potere supremo della Società non può (come altre
volte avvertimmo) provvedere per tutte le dette condizioni della incolumità del
cittadino: ma deve necessariamente intervenire almeno per le
fondamentali. Da ciò consegue che l’azione materiale sulla persona del
cit Chi consideri tutte le possibili reazioni tra uomo e uomo in una
Società di leggeri può rilevare due cose molto importanti pel discorso
che facciamo qui. Cioè: Primo. La varietà infinita delle azioni di un
uomo atte a destare in qualunque modo la attenzione di un altro.
Fogniamo, partendo da un assassinio e venendo fino ad uno sbadiglio.
Nella quale varietà, come è chiaro da sé, si hanno delle vere diflFerenze
di generi e di specie. Secondo. Il sentimento nascente in un uomo,
per reazione, in seguito all' azione da lui osservata in un altro.
E di tale sentimento abbiamo parlato nella Morale dei Positivisti,
mostrando quanto sia variato e come formi una serie di sentimenti
diversi, anzi una scala in ordine di nobiltà. Ora, per le cose
dette, ripetendosi e le azioni e i sentimenti accompagnanti le reazioni
che le susseguono, si producono un po' alia volta e si fissano nella
psiche, come sue potenzialità, delle Idealità sociali corisppndenti. Le
quali per ciò sono costituite dalla rappresentazione della azione e dalla
reazione effettiva conseguente: onde sono Idealità impulsive del volere,
ossia Giustizie. La mente si confonde pensando alle varietà
possibili ad emergere in ragione di tale processo. I pochi elementi del
chimico, si sa a quale infinita varietà di formazioni di sostanze si prestano:
le poche note musicali, a quale infinita varietà di composizioni musicali;
le poche lettere dell' alfabeto, a quale infinita varietà di suoni ar[Libro
I, Parte I, Capo III (Pag. 21 e segg. del Voi. Ili di queste Op, fil.
nella ediz. del 1885, del 1893 e 1901, e pag. 22 nell'Ediz. del
1908). I20 ticolati. Or che sarà della varietà delle
formazioni psichiche della Giustizia, pensando anche solo alla varietà
dei sentimenti componibili colle rappresentazioni degli atti sociali? Per
farcene una qualche idea prendiamo un esempio. Nell’uomo, fra i molti
sentimenti onde è capace, si ha anche quello caratteristico
corrispondente alla espressione del ridere. È questo si può connettere con un
numero senza fine di rappresentazioni di atti, dando origine cosi al genere
delle Idealità comiche; le quali nessuno ignora quanto siano potenti neir
indirizzo della vita e nell'impero della volontà; mentre è pur vero che
il timore del ridicolo ha talvolta più efficacia che non il timore
del carcere e della multa. Il fatto, pel mondo morale, è analogo a
quello di una sostanza che, potendosi combinare con tutte le altre
nel mondo materiale, è atta a determinarvi un atteggiamento particolare per
tutto T essere suo. Il nostro mondo, per esempio, sarebbe un mondo
aflFatto diverso da quello che è, se gli mancasse il ferro. E cosi dicasi
degli organismi in genere se mancasse, mettiamo, il potassio che concorre
a formarli, essendovi quindi un ministro della vitcu Allo stesso
modo l’atteggiamento morale dell'uomo, quale è al presente, verrebbe
meno, se mancasse il coefficiente del riso, che concorre a formarlo, essendovi
quindi con ciò anche esso un ministro del bene. Il quale
ragionamento poi va ripetuto per tutti i sentimenti umani ad uno ad uno,
che sono altrettanti coefficienti dell’Idealità sociale direttiva delle
azioni umane, attivandola sotto la forma di generi speciali dì Idealità o
di Giustizie. E della varietà inesauribile di queste, per tale via
ottenute, è un saggio l’arte, che nella scultura, nella pittura, nella poesia,
nella prosa, riproduce dalla coscienza, in tante forme, gli atteggiamenti
morali dell' uomo. In tante forme li ha riprodotti, e in tante ancora, senza
fine, è atta a riprodurla. E i sentimenti umani riescono cosi coefScienti della
Giustizia, perchè un sentimento, qualunque sia, essendo la reazione
corrispondente ad un atto, ne è anche la Sanzione; e chi commette l’azione atta
a suscitare un sentimento incontra una Responsabilità in ordine ad esso. Anche
ciò è essenziale al concetto naturale vero e pieno della Responsabilità
umana. Anche ciò quindi appartiene all' ordine naturale della
Giustizia nella varietà delle sue formazioni. Il restringere 1* ordine
della Giustizia a quei pòchi atti ai quali si rìduceva una volta, e che si
abbracciavano nei dieci comandamenti del decalogo, è eflFetto di nna
grossolana e non scientifica idea della cosa. Come il restringere che fa
il volgo dell' idea dell' animale a quelli che sono forniti di occhi e di
gambe per camminare: e il restringere l' idea del vegetale a quelli
soltanto che hanno le foglie verdi. La scienza ha trovato animali
anche senz' occhi e fissi alle pietre; e vegetali senza foglie e senza
verde. E cosi trova delle Giustizie senza la Sanzione del carcere e
della multa. La restrizione suddetta corrisponde insomma perfettamente a
quella che fa il volgo e fecero gli antichi delle specie degli animali,
credute poche e sempre quelle e modellate a priori sugli esemplari fatti
passare da dio in rivista davanti ad Adamo nel paradiso terrestre. E
dipende dalla stessa ignoranza della legge della formazione naturale. Poche,
dicevano, e sempre quelle, le specie degli animali; e create direttamente da
dio, e mostrate ad Adamo al principio del mondo nel paradiso terrestre. E
cosi, poche e sempre quelle le specie della Giustizia, impresse da
dio direttamente neir anima di ogni uomo che nasce e scritte sulle tavole
di Mosè dalla cima del monte Sinai [cfr. Grice, ’10 comandi’, decalogo] La
scienza sbugiardò V idea meschìnissima quanto alle specie degli animali.
Sbugiarda col positivismo l'idea meschinissima quanto alla Giustizia. Non
dio, autore delle specie degli animali; ma la natura: e le specie, un
numero stragrande; e non fisse, ma variabili; e variabili
accidentalissimamente. E cosi, non dio autore delle specie della
Giustizia, ma la natura: e queste specie, un numero stragrande e
immensamente differenziato; e non fisse, ma variabili; e variabili
accidentalissimamente. L'idealità sociale, ossia la giustizia morale,
formata che sia nella coscienza dell' individuo, vi funziona come una forza
speciale, nel senso antiegoistico chiarito nella Morale dei Positivisti;
e vi produce un doppio effetto, secondo che si applica al giudizio e
alla direzione delle azioni individuali proprie, ovvero al giudìzio e
alla direzione delle azioni degli altri. Da questo secondo effetto
dipende la vitalità intrinseci e vera della Società, considerata siccome un
organismo naturale nel senso proprio della parola. Perchè la Giustizia,
parlando nella coscienza dell' individuo, è la potenzialità indistinta
onde originano i distinti dei Poteri sociali effettivi e delle Leggi da essi
emananti; e perchè la Giustizia potenziale degli individui
associati collabora a rendere efficace l’opera del potere e della
legge sociale. E come se si dicesse che un organismo, pogniamo
vegetante, si sviluppa nei suoi organi caratteristici mercè la vitalità
delle parti componenti: e che poi T attività di questi organi speciali è
operativa de' suoi effetti particolari sopra le parti mercè il concorso della
vitalità che si mantiene nelle parti stesse. Sempre insomma la
legge generale della formazione naturale, che l' indistinto non
cessi mai di sottostare al distinto, e di offrire cosi la ragione naturale e
del suo essere e del suo operare. Cosi si osserva che una legge in un
paese rimane senza efficacia e come lettera morta se, a farla valere,
è solo il Potere, e non lo ajutano di conserva le singole coscienze
dei cittadini; le quali, accogliendo in sé la forza viva già formata
della Giustizia morale, ne ricevono un impulso atto a muoverle alla
disapprovsizione degli atti contrari alla Legge e a concorrere per quanto
possono a farla valere. E, quanto sia vero ciò che affermiamo, lo
dimostrano i fatti sociali tutti quanti. Anche, per esempio. r
interesse vivissimo onde si tien dietro allo svolgimento di un processo
criminale, pur dei paesi lontani, pure relativo a persone che non ci riguardano
punto, né direttamente, ne indirettamente. Che più? Tanto è viva e potente
nell'uomo l’idea della Giustizia antiegoistica, che egli non può stare
che non ne provi V eflFetto più vivo anche pei fatti immaginari delle
fole, dei racconti, delle poesie, dei drammi. Data r immaginazione di un
fatto, al quale sia applicacabile l'idea della Giustizia, questa per legge
psicologica indeclinabile si ridesta nella mente, e col suo
naturale atteggiamento: come in tutte le altre associazioni mentali. In
ciò la spiegazione della vivezza della voluttà, onde si leggono o si
odono i suddetti racconti, e si assiste ai drammi. E la vivezza di tale voluttà
è il termometro che prova la presenza nella coscienza della idea efficace
della Giustizia e ne ne misura l' intensità. La punizione materiale,
vendicatrice della Giustizia, sarà necessaria quindi in ragione inversa della
effettuazione nella coscienza della Idealità sociale giusta. Meno sarà
questa, e più dovrà essere la severità e la prontezza della pena materiale,
che n' è la Sanzione. Il che, come altrove dicemmo, si fa per due scopi:
per quello di supplire, colla impulsività dall' esterno della
minaccia del castigo, al difetto della impulsività dall* interno della Idealità
sociale direttrice dell'azione: e per quello di giovare a produrre questa
impulsività nel!' individuo. Onde, più questa è già prodotta, e meno
occorre di coazione a supplirla. E al massimo assoluto della produzione
della detta impulsività corrisponderà V assenza del bisogno della
coazione materiale e la sufficienza per la Moralità del puro fatto
psichico della idea e della disposizione della Giustizia, e del giudizio
mentale dettatone di approvazione e disapprovazione dell' atto
relativo. Ciò nel rapporto dinamico tra chi detta la Legge e chi ne
è obbligato ad eseguirla. Ma e' è di più. La effettuazione
della Idealità della Giustizia, in ragione che più avviene, più paralizza il
suo contrario, onde deriva; cioè la Prepotenza. E quindi i
sentimenti nei quali questa si esprime: come è, tra gli altri,
quello della vendetta considerata quale sodisf azione egoistica.
E più invece ravviva i sentimenti antiegoistici, come quello della
benevolenza altrui. Ravviva cioè i sentimenti che, nella Morale dei
Positivisti (i), distinguemmo colla denominazione di pietosi, dopo avere
dimostrato che la Pietà è il carattere del sentire dell' uomo in
corrispondenza della sua formazione caratteristica della Idealità
sociale. Per conseguenza, la stessa pena materiale, a misura
che una Società diventa civile, va perdendo del carattere di una vendetta
espiatoria ed appassionata, assumendo quello di un semplice rimedio; che
si applica a malincuore e con sentimento di compassione essendocene il
bisogno e per questo bisogno solamente. E in generale, questa
qualità della assenza del carat(i) Libro I, Parte III, Capo III, n. 7 (Pag.
150, 151 del Voi. Ili di queste Op, fil, nella ediz. del 1885, e pag.
158, 159 nella ediz. del 1893 e del 1901, e pag. 163, 164 nella ediz. del
1908) e altrove. tere appassionatamente vendicativo e di pura
espiazione si trova nella Società assai più nella reazione del
Potere, che rappresenta maggiormente V Idealità antiegoistica, di
quello che nella reazione della Convenienza, nella quale assai più rimane
dell' egoismo e della Prepotenza. E, negli atti stessi della
Convenienza, la vendetta appassionata, egoistica, prepotente, è più o
meno in ragione che è più o meno eflFettuata l’idea della Giustizia neir
individuo reagente. Ossia, in una parola, quantunque la Giustizia
implichi la Responsabilità, e questa una Sanzione o una vendetta
punitrice, tuttavia, compiuta che sia come formazione psichica individuale essa
Giustizia, vi si dissi" mula o vi si fa latente la vendetta
relativa: a quello stesso modo che, formata che siasi in una sostanza la
sua affinità chimica per la trasformazione in questa di un certo numero
di calorie, il fenomeno propriamente termico vi si dissimula e non si manifesta
più in una temperatura misurabile col termometro. E torna cosi, anche
nello studio della Responsabilità e del carattere della Idealità sociale come
Giustizia, il principio più volte illustrato nella Morale dei Positivisti
per altre vie (i), del regno della Giustizia sottentrante nella Società, di
mano in mano che questa si perfeziona, al regno del fato. E
torna ad apparire del pari il carattere speciale deir uomo formato sotto
V influenza dell' ambiente o del (i) Libro II, Parte IV. Capo II,
n. 16 (Pag. 399 del Voi. Ili di queste Op, fil. nella ediz. del 1885, e
pag. 422, 423 nella ediz. del 1893 e del 1901, e pag 432, 433, nella
ediz. del 1908) e altrove. PPipm>yi^"imtVik^i.J»^-»
-pr^\»y-^r* t-^»t-«^vv --.. vt-w l'organismo sociale: ossia dell' uomo
virtuoso, o sapiente, che dir si voglia. Per lui basta, ed è
tutto, V idea della Giustizia; e il giudizio che fa egli stesso di se
medesimo in virtù di essa: e al di fuori e al di sopra di ogni punizione
materiale. Come dice Dante di Virgilio: El mi parea da sé stesso
rimorso, O dignitosa coscienza e netta, Come t' è picciol fallo
amaro morso! E, relativamente al malvagio che lo oflFende, in
ragione della offesa, anziché il sentimento della vendetta, cresce in lui
quello della pietà. Come in quel divino crocefisso, al quale, negli spasimi di
dolore cagionatigli dalla più atroce delle ingiustizie col più atroce dei
supplizi, l'offesa immensa non riusci che a trargli dall'anima la
preghiera sublime: Padre, perdgna a questi miei crocifissori, perchè non sanno quello
che si facciano. Abbiamo parlato di quello che, sulla fine del
primo, avevamo chiamato il secondo degli uffici del Potere.
Resta dunque a parlare del primo di questi uffici, che dicemmo
essere di stabilirsi nella Società a spese delle sue parti; e del terzo
che dicemmo essere di dispensare nell'effetto del miglioramento delle
parti quella forza comune dell' ambiente sociale che opera per esso
Potere. E lo faremo, cominciando la illustrazione divisata in questo
Capo e nel seguente, e compiendola nelF ultimo. La Giustizia propriamente
detta non è tutta la moralità. Questa Giustizia, cóme vedemmo,
riguarda la ifuolumità delle parti sociali. E quindi è il solo lato negativo
della Moralità. Ma la Moralità ha anche i suoi lati positivi: come
quelli indicati dalle parole Diritto e Autorità; e quello dei mezzi onde
si costituisce e vive il Potere, organo della Società; e quello del
Premio della virtù. Anche di questi lati positivi quindi (e sotto il
punto di vista prefissoci (i) della Responsabilità) si deve chiarire la
formazione naturale. Con ciò potrà rimanere spiegato appieno il fatto naturale
della Moralità, e la ragione della Responsabilità potrà apparire sotto
tutti i suoi aspetti reali. Criterio positivo del Diritto e del
Dovere. Il Diritto (come dimostrammo nel luogo più volte citato della
Morale dei Positivisti) è la stessa potenza libera che si avvera rielT
essere umano. Considerato questo essere isolatamente, il Diritto,
come dicemmo sopra, coincide colla Prepotenza; e diventa il Diritto sociale
antiegoistico e giusto (o il Diritto propriamente detto) in quanto è
ridotto in limiti determinati dal contrasto della potenza opposta degli altri
uomini consociati. Vale a dire: la potenzialità astratta dell'
individuo, nella condizione eflFettiva del suo esercizio (cioè di
fronte alle reazioni delle potenzialità degli altri), diventa una
potenzialità reale determinatamente limitata dalla efficienza contrastante
delle potenzialità degli altri uomini. 12) Libro I, Parte II, Capo IV. n.
15 ecc. (pag. 125 del Voi. nidi queste Op, ftl. nell' ediz. del 1885, e
131 dell' edìz. del JS93 e del 1901, e pag. 135 nelle ediz. del
1908). Tf^r»* Con che però resta sempre il principio, che il Diritto
di un uomo è ciò che esso può fare. Resta sempre; per la ragione
xche, posto V uomo di fronte agli altri, e rimanendone elisa per tale
relazione una parte della potenzialità, la potenzialità sua
effettiva non è tutta V astratta, ma solamente quella che residua
dalla elisione soffertaE, per togliere ogni dubbio su ciò, basta l’osservazione
del fatto che, cambiandosi le condizioni e i rapporti dinamici, onde dipende la
elisione di una parte della potenzialità di un individuo, questa torna
attiva, e con ciò torna Diritto. Il potere di staccare un frutto
maturo da un albero non è Diritto dove il contrasto del possesso altrui
impedisce di esercitarlo; ma tolto questo contrasto (portandoci,
mettiamo, in una regione nella quale le piante sono proprietà comune) lo
stesso potere di staccare il frutto torna Diritto, per la sola ragione
che non ha più T impedimento al suo esercizio del possesso
altrui. Il Diritto quindi, come dicemmo pure nello stesso luogo
della Morale dei Positivisti, se in astratto è identico per ogni uomo,
(essendo Tuomo in astratto identico all' uomo) nella realtà per ogni uomo
è diverso, per la ragione che la potenzialità di un uomo differisce
sempre nel caso pratico da quella di un altro: quella del maschio, ad
esempio, da quella della femmina; quella dell' adulto, del sano, del
civile, del colto, dell' educato, dell' uomo di genio, da quella del
bambino, del malato, del selvaggio, dell' ineducato, dell' imbecille; e
via dicendo. wyfmwii^i ' P Jl >»u-.ry l’uomo ha nella natura in forza
del suo arbitrio in quanto è determinato dalla Idealità lituana che è la
Idealità sociale. Qui colla spiegazione della formazione della Giustizia
(o dell' Idealità sociale) spieghiamo anche la formazione del Diritto, e
quindi ne indichiamo le condizioni dettagliatamente, che si possono riassumere
nel quadro che segue: A) Arbitrio umano libero. Non il potere generico della
cosa sulla cosa. Non quello della persona in condizione irresponsabile. B)
Arbitrio libero di un uomo (sulla cosa o sull* uomo) in confronto colla
reazione dell’arbitrio libero dell’altro uomo. Non dove non si pone questa
reazione: e in quanto è regolata dalP Idealità sociale. E in ordine a ciò: Arbitrio
libero di un uomo in confronto con una reazione possibile. E qui Diritto
potenziale o naturale. Arbitrio libero di un uomo in confronto con una
reazione reale. E qui Diritto di fatto o positivo^ nelle diverse forme di
questo. il Diritto può essere nello stesso tempo un Dovere, e non
che deòòa. E perchè questa differenza fra Diritto e
Diritto? Rispondendo, apparirà insieme come e quanto convengano fra loro
le definizioni apparentemente diverse da noi date del Diritto nella
Morale dei Positivisti (nel luogo sopra citato), dove dicemmo che è in se
stesso la Giustizia, o la Legge o la Idealità sociale, e qui, dove
diciamo che è un potere libero implicante una Responsabilità verso una Sanzione
che ne salva V esercizio. Nel caso di chi mangia la propria mela, M
impulsività traente all' azione è data, non dalla Idealità sociale anti-egoistica,
ma dall' istinto egoistico, o da quella che dicemmo la Prepotenza,
precedente l’Idealità morale propriamente detta. Trattandosi di questa
Prepotenza, la Responsabilità r accompagna solo in quanto la limita, e
non in quanto la produca. E quindi la stessa Responsabilità ha con essa
un rapporto unico. E. per ciò non può aver che il nome di Diritto, ossia
si può pensare soltanto che r esercizio ne è reso incolume dalla
Responsabilità che lo salva. In vece, nel caso del padre che educa
il figlio, T impulsività traente all' azione è data dalla Idealità
sociale antiegoistica, ossia da qualche cosa che è già una Giustizia,
implicante quindi l’elemento della Responsabilità. Da ciò proviene che il
potere del padre di educare il figlio sia fra due rapporti: fra quello di
eserizio incolume, in quanto è salvaguardato da una Sanzione sociale relativa,
onde è Diritto; e quello che il padre è alla sua volta obbligato, pure
per una Sanzione sociale relativa. ad avere in sé la Idealità della sua
disposizione o del suo potere di educare il figlio, onde è
Dovere. In una parola, il potere egoistico, non derivando
estrinsecamente dall' ordinamento sociale, ma dalla stessa spontaneità
dell' individuo, non può importare se non la Responsabilità di chi
volesse impedirlo. E quindi è solo un Diritto. Mentre invece il potere
antiegoistico, derivando come tale dall' ordinamento sociale, che lo ingenera
per mezzo della relativa Sanzione, impòrta due Responsabilità. Una per chi non
lo rispettasse: onde gli corrisponde il Dovere in un altro. Ed una
seconda per chi non lo avesse e non lo esercitasse: onde, sotto
questo rispetto, è un Dovere esso stesso. Dunque il Diritto è sempre
una potenzialità che importa una Responsabilità, secondo la
definizione che qui ne abbiamo dato. Ma questa potenzialità può essere
determinata da una Legge, o Giustizia, o Idealità sociale, secondo che
importava la definizione data nella Morale dei Positivisti, In
questo secondo caso, come ivi dicemmo, il Diritto è nello stesso tempo un
Dovere. Non cosi quando la potenzialità è di un ordine estramorale. E
cosi siamo arrivati, per mezzo della analisi positiva del fatto umano e
sociale, a scoprire // criterio positivo del Diritto e del Dovere.
Con questo criterio (e non altrimenti) si possono risolvere i problemi che li
riguardano; e specialmente i quattro fondamentali che seguono: circa
i Diritti dell' uomo sopra le altre cose della natura. Circa i Diritti
dell' uomo sopra se stesso. Circa i Diritti di Autorità. Circa il
Diritto, non di Giustizia, ma di Carità o Beneficenza, che dir si
voglia. Nell'esempio innanzi citato di uno che pigli dei pesci
notammo, che il Diritto di chi lo fa è solo per quanto il fatto riguardi
altri uomini, e non per quanto riguarda i pesci. Coi pesci, che
prende, l'uomo ha il semplice rapporto generale della cosa colla cosa,
quale è quello, pogniamo, della foglia verde oscillante al sole e rubante
all'atmosfera la molecola di acido carbonico che vi nuota dentro e si
imbatte alla portata delle boccuccie predatrici. In confronto col pesce
1' uomo non ha né Diritto né Dovere. Esso, in forza del potere onde é
fornito, ne usa e ne abusa senza offesa della Moralità, che é estranea
a tale ordine di azioni. E nessuno dice reo di colpa e immorale, né il
pescatore di professione che trae dall'acqua il pesce e ne contempla
impassibile gli spasimi dell'asfissia, onde muore dibattendosi convulsivamente
sulla secca arena, e lo piglia cosi per procacciarsi da vivere; né
il pescatore dilettante, che gli infligge quel martirio per
semplice spasso. Ma nella Civiltà progredita si può arrivare fino
al punto di estendere il carattere del Dovere anche alla detta
azione dell' uomo in rapporto col pesce. La Zoofilia 138 (che è una
tendenza della Civiltà progredita) cosi parlerebbe in proposito air uomo; Il pesce, prendilo pure: x:hè ti
abbisogna per vivere. Ma nel farlo non eccedere i limiti della stretta
necessità. Prendilo per quanto ti occorre, o per mangiarlo, o perchè ti è di
danno o di pericolo il viver suo. Altrimenti rispetta in lui il godimento della
propria vita. E, dovendo prenderlo, fa ia modo che avvenga col minore suo
dolore possibile. E tutto ciò consideralo siccome un tuo Dovere verso il
pesce. E, un Dovere analogo, i moralisti più delicati oggi lo
stabilirebbero, non solo pei pesci, ma anche per tutti gli altri animali;
e non solo per gli animali, ma anche per le piante; e non solo per le
piante, ma anche per le cose inanimate senza distinzione. Stabilirebbero
cioè quella ordine quarto di Doveri, che chiamano dei Doveri dell' uomo verso
le cose della najtura: essendo l’ordine primo, secondo loro, quello dei
doveri verso dio; il secondo, quello dei Doveri, verso se stesso; il
terzo, quello dei Doveri verso il prossimo. E come ciò? E giusta tale
estensione dell'idea del dovere? E, se giusta, non si avrebbe con ciò
una smentita alla nostra dottrina della formazione naturale deir
idea del dovere? Dicemmo che la effettuazione della Idealità della
Giustizia, in ragione che più avviene, più paralizza il suo contrario,., e più
invece ravviva i sentimenti antiegoistici, che distinguemmo col nome di
pietosi, caratteristici del sentire dell' uomo in corrispondenza colla
sua formazione della Idealità sociale. In ordine a ciò, parlando in
ispecie della Idealità sociale della famiglia, nella Morale dei
Positivisti scrivemmo quanto segne: Questa Idealità diversifica secondo le
varietà umane. Rozza fra le rozze, gentile fra le gentili; portante a
illimitato uso di potere nelle Società embrionali, ristretta alla mera
necessità dell* allevamento, dell' educazione, e dei riguardi necessari, nelle
Società più perfette; e cosi via per altre diversità e gradazioni senza numero.
Sicché si può dire, che, se dal bruto air uomo r idealità in discorso si
umanizza, questa umanizzazione è neir uomo stesso maggiore o minore. E,
dove è minore, vediamo T effetto, e nella forma ancor fiera del
sentimento relativo, e nella sua limitazione, restringendosi, o alla nazione, o
allo stato, o alla tribù, o ad un semplice branco di uomini. Mentre, dove
è maggiore, vediamo Teffetto, e nella gentilezza del sentimento, e nella
sua estensione, che abbraccia tutti quanti gli uomini, per quanto diversi
e immeritevoli: e travalica anche il confine dell'umanità, e si presta a che
l'uomo sia pietoso anche cogli animali inferiori, e perfino cogli esseri
inanimati, La pietà cosi estesa, o in genere Tappi icazione del
potere proprio verso le cose 7iei limiti del necessario e del
ragionevole, è una moralità indiretta, e non una mralità diretta. Che
questa è solo quella che dipende immediatamente dalla reazione tra uomo e
uomo; e che quindi ha per correlativo una Sanzione sociale e conseguentemente
ne implica la Respc^nsabilità. Libro I, Capo III, 11. 6 (|)a^. 149, 150
del voi. lU di queste Op. fiL nella ediz. del nel!' ediz. del 1893 e del 1901, e
nella ediz. del 1908). Onde storicamente (nella successione dei periodi
della evoluzione della Moralità umana), e statisticamente (nei
gradi di evoluzione della Moralità propria dei diversi ordini costitutivi
di una stessa Società) da prima si ha solamente la Moralità diretta, o
che riguarda V uomo e non le cose. Le genti più rozze oggi e, fra
le genti più colte, le persone che lo sono meno, né sentono né
sospettano neanco che la Moralità possa riferirsi anche agli atti relativi
ai bruti e alle cose inanimate. Il decalogo mosaico, sintesi dei precetti
morali di uno stadio evolutivo antico e non ancora perfetto della
Moralità, non ne fa cenno nemmeno esso. Ma, sviluppatasi più fortemente
col progredire della civiltà nel sentimento pio la espressione della
Idealità antiegoistica, questa dovette risentirsi e muovere ogniqualvolta
nella rappresentatività umana si fossero avute anche solo delle analogie
coi fatti umani eccitatori dello stesso sentimento pio. E ciò per
la legge generale della attività psichica, la quale importa che la
rappresentazione somigliante (ossia il ritmo analogo dell' attività centripeta)
determini affetti e volizioni somiglianti (ossia ritmi analoghi dell’attività
riflessa). Mansuefatto l’uomo per l’effetto dell' ambiente sociale, e
reso più umano, e cresciuta in lui la potenza pietosa, questa dovette scuotersi
al palpito, non solo delle viscere del fratello immolato dalla ferocia
dell' assassino, ma (per somiglianza della cosa) anche di quelle dell’agnello
semivivo sul lastrico del pubblico macello. Do||Wli|ILP!iWWiJi,iS"iWii vette
scuotersi perfino alla dilaniazione dei ramoscelli vivi di una pianta,
onde il pensiero è tratto per analogia a rappresentarsela con un senso di
dolore. Come quando Goethe canta di una pianticella di rosa. Der wilde
Knabe brach* s Rdslein auf der Heiden; Ròslein wehrte sich und
sùach, Hai/ ihm dock kein Weh und Ach ! Mussi* es eben leiden,
E siccome il senso della pietà è, come dicemmo, il sentimento riassuntivo
dell’idealità antiegoistica, ossia doverosa, cosi il concetto vago del
dovere, colla sua imperatività astratta e quindi misteriosamente
indefinita, dovette associarsi anche alla Pietà sentita in causa dell’analogia
per T agnello e per la rosa; e conseguentemente si dovette indirettamente o per
riflesso, la ragione del Dovere, estenderla anche al rispetto di un
animale e di una pianta. Ed è ciò che confusamente presentirono quei
vecchi sensisti che posero la facoltà immaginaria del senso della
Moralità, o queir altra misteriosa della *simpatia* o compassione. Ma la
cosa può andare anche più oltre. Il sentimento pio medesimo, rimanendo
offeso in chi è testimonio della azione spietata, compiuta da una persona
o sopra un bruto o sopra un' altra cosa, e perciò in lui risentendosi,
può far sì che egli si esprima riprovando r azione offendente. Tale
espressione riprovatrice sarebbe una vera Sanzione vendicatrice della resizione
di Convenienza, e che potrebbe essere assunta dal Potere, quando esso (come
è possibile, anzi probabile, an2i in gran parte si è già fatto (i)
progredendo la Civiltà) convertisse in Legge pubblica il giudizio privato
divenuto comune. Come è notissimo, in tutti si può dire i paesi civili si
sono formate delle società per la difesa degli animali, e si sono
fatte delle confederazioni di esse anche internazionali, e si tengono
di tratto in tratto dei congressi dei loro rappresentanti. E si sono
anche fatte delle leggi proibitive degli eccessi contro le povere bestie.
E credo opportuno riportare (jui tradotto un tratto a proposito del
Konversations Lexikon del Brockhaus (Lipsia) La legislazione più antica contro
quelli che maltrattano gli animali ci è presentata dall' Inghilterra dove
essi erano puniti fino dal secolo passato. Seguì una serie di leggi per
la protezione degli animali domestici, per la proibizione delle giostre
delle fiere, per la limitazione delle vivisezioni. Relativamente presto
anche la Germania dettò leggi nello stesso senso; oltre le misure di
polizia, il codice penale sassone del 30 marzo 1838 indisse la
prescrizione generale per la quale si deferivano alle autorità di polizia
le punizioni per gli eccessi dell' uso anche legittimo degli animali.
Seguirono tosto la Prussia, il Wtirtemberg, ecc. con prescrizioni in
parte più estese. Al presente vige un paragrafo del codice penale dell'
Impero, col quale è punito con una multa che va fino ai 150 marchi, o
col carcere, chi pubblicamente o in modo da fare scandalo con malvagità
d' animo tormenta o tratta male gli animali. Oltre ciò sono in vigore nei
diversi stati delle ordinanze speciali delle autorità amministrative
proibitive di particolari maltrattamenti degli animali e in favore di un
contegno ad essi favorevole, e in specialità con prescrizioni circa il
trasporto degli animali, i cani da tiro, la macejleria, il sopraccarico
dei carri ecc. Nell'Austria, oltre certe ordinanze speciali delle
autorità, ha valore di legge l’ordinanza ministeriale che dichiara
punibile il maltrattamento degl’animali che desti pubblico scandalo; in
Francia la cosidetta legge Grammont del 2 luglio 1850 per la protezione
degli animali domestici, ecc. I rappresentanti delle società per la
difesa degli animali tendono a che la punibilità si estenda maggiormente
e non si limiti a restrizioni fissate, come per esempio la pubblicità def
maltrattamento. Di tale tendenza pare abbiano tenuto conto la Svizzera, 1'
Italia (art. 491 del Codice penale del 1889), il Belgio (Codice penale),
l'America del Nord, ecc. ^i Nel qual caso poi si avrebbe una
doverosità diretta formatasi da una indiretta. E con una Sanzione e
una Responsabilità, non misteriosa e indefinita e vaga, ma
determinata. E lo stesso avviene poi per molte altre dell’idealità
morali. E anche per un altro verso V esercizio del potere di un uomo sulle
cose può finire coir essere governato da una doverosità. Come dove uno, che
possiede un podere e potrebbe farne lo strazio che volesse, è trattenuto
dair idea di non lasciare i figli senza pane. Nel quale ordine di idee
cade il fatto della legislazione sulla interdizione dei prodighi. E
per altri versi ancora; e per moltissimi. Ogniqualvolta cioè r esercizio del
potere, di un uomo sulle cose offende, o affetta in qualsiasi maniera, il
senso e l’appreziazione dell’altro e ne provoca una reazione, incontrandone
quindi una sanzione e la responsabilità. E in tale ordine di casi è da
notarsi che certi atti fisiologici necessari ed inevitabili, ma incomodi
o al senso esterno o al sentimento estetico, importano una doverosità
solo in quanto sono compiuti da un uomo alla presenza di altri e non in quanto
sono fatti in disparte e in segreto. Fatta però V abitudine di
considerare gli atti medesimi fatti alla presenza degli altri come illeciti, V
idea della loro sconvenienza si associa poi ad essi • tanto o
quanto. anche compiendoli nascostamente. E quindi l'uomo, a misura che
diventa civile e moralmente più perfetto, si studia o di evitarli più che
è possibile o, non poten-. I !ij.i«pj dolo assolutamente, di eseguirli
nel modo meno indecoroso. Ciò conferma anche la dottrina positiva già da
noi accennata (i) della formazione naturale dei Doveri dell' uomo verso
se stesso. E spiega in pari tempo il fatto curioso delle antiche Moralità
religiose, che consideravano alcuni fatti fisiologicamente necessari
dell'uomo, anche compiuti insegreto, impuri e tali da inquinarlo, e richiedenti
quindi i riti della purificazione, Secondo le idee religiose T
arbitrio sulle cose sarebbe una concessione di dio, creatore e quindi
proprietario di esse: e in forza di questa concessione l'arbitrio medesimo
sarebbe intero ed assoluto ed esente dalla restrizione doverosa sopra chiarita
di un trattamento umano e di un uso razionale, mancando il precetto
divino relativo, che solo, secondo le idee stesse, può stabilire la ragione del
Dovere. E da ciò si vede che il positivismo, anziché distruggere la
Moralità, è atto invece ad allargarla più che non lo faccia la religione.
La quale anzi, nella sua gelosia pel monopolio arrogatosi della morale,
si irrita e si impenna per questo eccesso (come essa lo chiama) di Moralità
positiva della Società moderna più colta, che vuol essere buona anche
colle bestie e coi fiori. La religione si sente in ciò moralmente
soverchiata, e se ne vendica chiamando questa bontà, che essa non
sente e non può insegnare, cosa diabolica e perversa. relativa. Si
teme che, perduta la religiosità, V uomo tornerà alla ferocia brutale della
prepotenza egoistica; e non si vede che invece il positivismo è ancora
più umano e morale che non la religione. Cosi si lamenta che la
Civiltà vada distruggendo la ingenuità santa dei tempi antichi; e non si
vede che' i santi ingenui dei vecchi tempi, perfino le matrone patrizie e
venerabili, erano, verso le stesse persone umane degli schiavi, più fieri
e crudeli che il rozzo mulattiere colla sua bestia ricalcitrante, e il
ragazzo ineducato colr insetto che strazia senza pietà. L' uomo del
positivismo non si umilia irragionevolmente col credere che V uso delle cose,
sulle quali sente di avere un potere, sia una concessione gratuita e
capricciosa che gli sia stata consentita dal talento o dalla misericordia di
qualcheduno. Ed è orgoglioso di ritenere cosa sua ciò che egli è in
gprado di appropriarsi: anche i mari, le montagfne, il vapore, V
elettricità, che non sono enumerati nel rogito di consegna del paradiso
terrestre. Ma ciò non impedisce che egli agisca verso le cose con
meno insolenza dell' uomo religioso e con maggiore mitezza. Il proposito
del positivista non è quello avaramente egoistico del moralista della
religione, che dice a se stesso: Queste cose dio me le ha date in proprietà:
dunque perchè non ne caverò per me tutto il profitto possibile? Il suo
proposito è quello retto, onesto, morale della razionalità, di servirsi
cioè delle cose pel bene in genere, proprio od altrui; fosse pur anco
solo il bene delle cose che non sono lo stesso uomo. Pel moralista
della religione le cose sono una proprietà, onde dio, che le ha create e può
quindi disporre a suo talento, lo ha investito, col controsenso che abbia
ancora a sudare per raccogliere i frutti del campo, e lottare contro la rabbia,
molte volte fatale, delle bestie feroci. Il moralista del positivismo invece,
fiero di se stesso, audace, generoso come Giapeto, non riconosce
donatori. Egli si sentepadrone della natura come frutto della siia
conquista faticosa; e, come un duellante cavalleresco, all' elemento immite
della natura dice: Eccoci alla prova; se varrai più di me soccomberò io;
sarai tu a soccombere, se sarò io il vincitore. Ma si dice dal moralista
religioso, che un Dovere originato nel modo da noi detto sopra non è
propriamente un Dovere: e che, se V ha fatto l’uomo, esso può anche
disfarlo. Secondo il moralista religioso il Dovere propriamente
detto è quello che non è abbandonato alla balia del talento mutabile e
capriccioso dell'uomo: onde è necessario che sia un comando di dio, al quale
non è possibile sottrarsi. E in tale credenza è secondato dalla falsa
idea, pur generale ancora fra gli stessi positivisti, che le buone
azioni in genere, e in ispecie la pietà verso i bruti e la ragionevolezza
neir uso delle cose, siano naturalità irresponsabili, al pari, mettiamo, degli
effetti delle cause fisiche sui corpi: disconoscendosi cosi, per ispiegare i
fatti in discorso, la loro natura morale, che è pure una realtà
attestata sperimentalmente. Il positivismo (malgrado i positivisti che
sbagliano) vita futura, conchiudono generalmente che l'uomo da nulla è
obbligato ad avere rispetto alla propria vita, poiché, suicidatosi, rimane
senza efficacia qualunque minaccia che la Società ponesse a trattenerlo. E che
quindi sia V uomo anche moralmente padrone assoluto della propria vita, e possa
disporne come gli talenta. Queste sono due soluzioni opposte ed estreme.
False ambedue, perchè dedotte da una idea del Dovere scientificamente non
vera. Una doverosità diretta, relativamente al suicidio, certo che non si
può trovarla, poiché, né ha nessuna presa sul suicida una minaccia di punizione
per parte della Società sulla di lui persona, che se ne sottrae col
suicidio stesso, né é ammissibile l' idea della Legge divina e della immortalità
dell' anima. E, assolutamente parlando, quanto alla conservazione della
propria esistenza, V uomo potrebbe considerarsi nella condizione estramorale
indicata sopra parlando degli atti deir uomo sopra le cose della natura.
E quindi, come non si ascrive a merito il tendere, nelle condizioni
normali dell'animo, a conservarsi in vita, e neanche a tirare il respiro
(quantunque a ciò si possa concorrere anche colla volontà), cosi il
suicidio potrebbe essere riguardato semplicemente quale effetto naturale
di condizioni anormali dell' animo di un uomo, come il tossire delle condizioni
anormali degli organi della respirazione. Ma, se non una doverosità
diretta, si può bene avere, circa il suicidio e la conservazione della
propria vita, una doverosità indiretta; per la ragione che molte e
diverse Idealità morali doverose, connesse col fatto della conservazione
della vita, possono essere presenti imperativamente (ossia con una
impulsività morale o doverosa) nella coscienza disposta al suicidio; e
rivestirne la deliberazione del carattere della reità morale.
Mettiamo un padre disposto a suicidarsi, che pensi di creare, facendolo,
la infelicità materiale e morale der figli superstiti. O uno che pensi
danneggiare suicidandosi dei creditori onesti, che si sono fidati di lui e
lo hanno beneficato prestandogli del denaro, che avrebbe potuto
pagare almeno in parte continuando a vivere. E cosi via per moltissimi
altri casi consimili. Molto istruttivo per questo è il noto dramma di Paolo
Ferrari, intitolato // Suicidio^ nel quale, come le tirate
spiritualistiche sono freddure senza fondamento scientifico, senza sugo e
ridicole, che è strano che egli creda che si possano prendere sul serio,
cosi invece è pieno di verità e di effetto il quadro delle conseguenze
nella famiglia superstite del suicida. Onde poi si deduce che anche nei
casi nei quali la doverosità affetta, per impedirla, la deliberazione del
suicidio, questa doverosità non è sempre la stessa, ma varia secondo il
numero, la importanza e la qualità delle ragioni morali intervenienti. Cosi, se
un corpo insipido per sé acquista un sapore da sostanze che glielo danno,
questo suo sapore varia secondo la diversità delle sostanze dalle quali
Io riceve. Tanto è vero poi che la doverosità non è intrinseca al suicidio
per se stesso, e gli è. conferita, quando si dà che Io accompagni, da
ragioni morali intervenienti diverse secondo i casi, che si può pensare
Inter venirvene anche di opposte; e tanto da produrre perfino la
doverosità contraria, ossia quella puranco di commetterlo. E invero tutti
quanti i ragionamenti ingegnosissimi architettati da certi moralisti non
poterono mai togliere r aureola di eroismo virtuoso onde risplende la
memoria di Lucrezia romana e di CATONE (si veda) uticense. Dicemmo,
che la doverosità può associarsi al fatto del suicidio, e contrastarlo
quindi nella coscienza morale in quanto si dà accidentalmente la
circostanza che, commettendosi da un uomo, restino inadempiuti dei
Doveri che gli incombono e sono da lui apprezzati. E per ciò affermammo
che la doverosità stessa viene così a riguardare il suicidio, non per sé,
ma indirettamente. Se non che è pur vero che anche una doverosità
diretta, atta a contrastare da sé la deliberazione di commetterlo, si
accompagni al suicidio. E per ciò per una Sanzione che minacci, non la
persona viva (che non può I"II* PF.I 'darsi come dicemmo), ma la sua
fama dopo la morte. La paura di nuocere alla propria fama col suicidio
può trattenere tanto o quanto un uomo dal commetterlo, e in tal caso
esisterebbe per quest' uomo una doverosità diretta impeditiva del
suicidio. E sono due gli ordini dei motivi che possono determinare questa
Sanzione per la quale la Società può vendicarsi del suicidio sopra la memoria
del suicidato. Il primo è quello delle doverosità indirette accennate
sopra. E per esse viene ad avverarsi così ciò che si disse al numero 5 del
paragrafo precedente della doverosità indiretta occasione della diretta. Il
secondo è quello della opinione sfavorevole che domini in una Società o
in una classe di persone riguardo all'atto der suicidio, fondata sopra la idea
che sia una irreligiosità abbominevole o una rivelazione di
debolezza d' animo o di alterazione delle facoltà mentali. La doverosità
diretta dipendente da una Sanzione sociale, determinata da questo secondo
ordine di motivi, è una doverosità accidentale e temporanea, e non
normale e durevole, come si richiede pel Dovere assolutamente tale. E in
vero l’opinione relativa al suicidio, non sempre, non dapertutto, si trova ad
esso sfavorevole. Quante volte, e presso quanti invece il suicidio è solo
ragione di compassione, come per una disgrazia non colpevole, o è
anche una ragione di lode! La disapprovazione motivata dalle idee
religiose vien meno con queste. Si danno circostanze nelle quali il
suicidio si riveste del carattere di atto eroicamente lodevole, come nei
citati di Lucrezia romana e di CATONE (si veda) uticense. Si danno
condizioni e periodi dello stato di una Società, che fanno considerare il
suicidio siccome una fatalità irresponsabile. Che più? Se uno è colto a
commettere una azione criminosa, la gente si avventa sdegnata contro il
delinquente e si presta in aiuto della pubblica autorità vendicatrice. Si corre
invece a salvare dalla morte chi è in procinto di darsela, e con senso,
non di sdegno, ma di pietà, Tutto giorno si moralizza sul suicidio
a fine di impedirlo, ritenendosi di danno alla Società in generale e a
certe sue istituzioni in particolare. Ma si moralizza inutilmente. Le ragioni
che si fanno campeggiare sono inefficaci per mancanza di solidità
intrinseca. Il fatto si ripete ugualmente, come la febbre curata coll’acqua
fresca. E il male, riguardo alla Società, non è tanto nella perdita dei
suicidi, che in generale non costituiscono la sua parte più attiva e
sana, ma nelle condizioni stesse della Società, che, se sono favorevoli
al suicidio, con ciò dimostrano di essere non buone e da
migliorarsi. Per le cose dette certo si scandolezzeranno molti. E
crederanno di avervi trovato un capo d' accusa ineccepibile contro l’etica
del positivismo, per sostenere che essa è esiziale alla Moralità dell'
individuo e del corpo sociale. Ma noi rideremo dello scandalo;
ingenuo, se chi lo prova è un pusillo; e ipocrisia, se chi lo pretesta è
un accorto. E diremo: Acquietatevi, che né la Moralità individuale, né la
Società avranno danno nessuno. Anzi ne avranno vantaggio. L' esperienza
dimostra che anche tra i credenti in una fede, che riprova assolutamente
il suicìdio, si danno di quelli che lo commettono. Sicché non si può
sostenere che la religiosità valga ad impedirli. Quanto alla minaccia
dell' eterno castigo il credente suicida, o la affronta disperatamente, o trova
modo di persuadersi di poterlo evitare. Tanto che si sa di suicidi cattolici
che si confessano prima di darsi la morte. E nei credenti, se si ha
il ritegno della paura della pena avvenire, non si ha poi queir altro,
del non credente, dell'orrore di metter fine per sempre alla esistenza,
che per questo non si prolunga oltre la vita attuale. E se si disse, che i
credenti un tempo si trattenevano molte volte dal suicidarsi per r
idea di essere sepolti fuori del cimitero consacrato, non è men vero che
ora possa altrettanto l'idea del biasimo che può restare alla loro
memoria. Abbastanza ha provveduto la natura coli' istinto
strapotente della vita alla conservazione dell' umanità, malgrado i mali
gravissimi che ne accompagnano la esistenza. La disperazione che
porta al suicidio non si manifesta con frequenza allarmante se non in certe
condizioni morbose sociali; e ne è il sintomo. Si manifesta per effetto
delle condizioni medesime, regnino o non regnino le religiose credenze.
Ed avviene pel morbo, onde il suicidio è il sintomo, come per tutti gli altri
morbi; che, se non producono la morte, le loro crisi stesse ajutano
la guarigione, sia segnalandoli alla cura da applicarsi, sia promovendo
una reazione salutare. Quando in una Società si verificano
frequenti suicidi HW"*^ » è certo ch^ la pubblica opinione si
scuote dalla sua indifferenza per le cause dalle quali essi dipendono. E
finisce per rendere giustizia alla protesta contro di lei di quelli, ai
quali fu fatale lo sdegno contro la sua durezza. E i singoli individui
sono avvertiti e ammaestrati circa i pericoli fatali di certe posizioni e
circa gli effetti funesti di certi indirizzi della vita, perchè li
evitino e si ravvedano intanto che il male può essere ancora
scongiurato. Il Diritto suppone l'Autorità; ossia è Diritto solo in
quanto è autorizzato ad esserlo. Ma la stessa Autorità è tale solo in quanto è
un Diritto. E lo stesso Diritto, qualunque esso sia, è in se stesso una
Autorità. Questi asserti sono altrettanti principj fondamentali
positivamente veri; quantunque la loro enunciazione abbia r apparenza di un
circolo vizioso. Come dicemmo sopra tante volte, il Diritto per essere
veramente tale (e non semplicemente la potenza di fare, comune ad ogni
cosa che agisce), deve corrispondere ad una Sanzione che ne assicuri V
esercizio, conforme air Idealità sociale o giusta: e importare quindi una
Responsabilità morale. Ora la potenza che stabilisce questa Sanzione, e
verso la quale esiste questa Respon (E si veda per tutte la nota al n. 5
del § II di questo Capo III ) sabilità, è ciò che si chiama una Autorità.
Onde è chiaro essere il Diritto un correlativo della Autorità, e
quindi supporla necessariamente. Potrebbe sembrare a prima giunta
che questa dottrina fosse identica alla vecchia religiosa e
politica circa TAutorità e la dipendenza da essa del Diritto. Ma
tra quella e la nostra corre una differenza di opposizione perfetta. La
vecchia dottrina religiosa della Autorità insegna, che ogni Diritto dell’uomo
risulta da una concessione gratuita di dio: che il Diritto, assolutamente
parlando, non l'ha se non dio: che T uomo di suo ha solo il
Dovere: che quindi, quando si dice di un uomo che ha un Diritto verso un
altro, la cosa va intesa cosi, che dio ha imposto a questo il Dovere di
fare o rispettare o lasciar fare una cosa che lo stesso dio vuole che sia
pertinenza del primo. Politicamente poi la stessa dottrina insegna
che il capo dello Stato è investito divinamente (e ciò significa la
consacrazione e la incoronazione con rito religioso per parte del
sacerdozio) di un potere sopra tutti i cittadini; che esso ne è il
sovrano per volere diretto di dio (onde il titolo Per la grazia di dio) e
indipendentemente dal volere loro e da qualunque ragione naturale di
Giustizia o di bene comune (onde il precetto religioso: Obedite
praepositis vestris etiam discolis)\ e che quindi i cittadini, per lo stesso
arbitrario volere divino, non sono altro che sudditi. La scienza ha
fatto ragione del principio religioso; revoluzione storica sociale del
politico. IP^II^KIIV idn,»»^ij5'tr«'isnfc#«^--xj' Il principio religioso è
il solito fenomeno psicologico volgare, onde, concepito l’astratto di un ordine
naturale di fatti, il medesimo astratto è pensato come una realtà fuori
degli stessi fatti e come causa di essi. Gli esseri viventi, ad esempio,
danno V astratto dalla vt^a, che non è se non la forma caratteristica
speciale che li distingue dai non viventi. Pel fenomeno psicologico
suddetto si fece di questa vita una realtà atta ad introdursi in questi
esseri che lo possiedono e a renderli vivi con ciò. Cosi fu fatto per l’Autorità.
Per una illusione analoga; separata mentalmente dalla funzionalità sociale,
onde è un aspetto, fu collocata in dio, e di là si è fatta valere a
cagionare la funzionalità medesima. E qui, come è ben noto, ci
troviamo col solito abbaglio, del metodo metafisico, che spiega la cosa e
il fatto colla stessa cosa e collo stesso fatto. Come nel derivare gli
effetti fisiologici dell'Oppio dalla sua Virtù dormitiva: per citare lo
stesso esempio addotto da Pasquale Villari nel suo scritto intitolato e La
Filosofa positiva e il Metodo storico » pubblicato nel Politecnico di Milano, e
che io qui ricordo perchè egli fu il primo che ponesse la questione del
Positivismo (nel senso che ha oggi) in Italia, e perchè una grande
influenza anch' esso ebbe sopra l’indirizzo delle riflessioni che
finirono a produrre l'ordine attuale delle mie idee filosofiche. Parlando
poi della applicazione politica dello stesso principio religioso basterà
osservare come per essa il Potere è concepito, non come Giustizia,
ma come Prepotenza ed Usurpazione; onde si ha la Prepotenza, ossia r Ingiustizia,
eretta alla dignità di principio inorale. Il che è bene scandaloso in una
dottrina che pretende di essere la salvaguardia unica possibile
della Moralità. E questa applicazione politica del principio
religioso si trova poi corrispondere precisamente ad uno stadio
arretrato della evoluzione. Il contrasto sociale (dal quale, come
dimostrammo, dipende la riduzione della Prepotenza e la sua
trasformazione in Giustizia) si attestò da prima nell' impero della
religfiosità e della sua rappresentanza, cioè in quella del sacerdozio. E
allora si disse, il sovrano avere il potere da dio, ed essere responsabile
verso di lui dell'uso di esso; e il sacerdozio si atteggiò a creatore e
giudice del sovrano in nome di dio. Poi, venuta meno per le ragioni
storiche la forza effettiva del sacerdozio nella Società, e quindi il peso
del suo contrasto, la sovranità se ne emancipò, e il legittimismo di
ortodosso divenne eterodosso; cioè, riconoscendo ancora T esser suo dal
cielo, autore e giudice della sovranità della terra, sottrasse però questa alla
elezione e al foro sacerdotale. Incontrastabile veramente è il
principio della filosofia etica tradizionale, che il Diritto suppone la
Autorità e che quindi questa si richiede pure per la Moralità. Ma si
ragiona falsamente dicendo, che il Positivismo viene a distruggere la
Moralità, dal momento che toglie di mezzo l'Autorità; sicché per salvare
la Moralità si debba necessariamente tornare alla filosofia
tradizionale, che sola possa stabilire il principio della Autorità.
L'Autorità, il Positivismo, la pone anch' esso; e con certezza, poiché ne
trova il fatto nella Società e nella psiche deir uomo civile, e ne dà la
spiegazione partendo dalla osservazione di ciò che succede realmente. E
cosi la fissa scientificamente ne' suoi termini veri e giusti, e la
garantisce dal dubbio (fatale sempre in materia di morale), e da ogni falsa, e
dannosa, e immorale interpretazione e applicazione. L'Autorità, che la
filosofia tradizionale fa venire dal cielo, è un sogno antiscientifico ed
involgente una contraddizione. Come avvertimmo un' altra volta, il comando
divino – H. Grice, “Perhaps Moses got things other than the 10 comms from
Sinai”] imponente il Dovere all' uomo è un principio immorale della Moralità,
mentre in fondo è la tirannia, o l'ingiustizia, in grado infinito. E
mostrarono d'essersene accorti gli stessi metafisici quando concedettero,
che il comando divino abbia da essere non ripugnante alla essenza stessa
delle cose, per cui riesca giusto, e dio che ne usa debba chiamarsi
santo. La stessa condizione posero anche per la sua Autorità; e cosi,
ammettendo una dipendenza di essa dalla essenza delle cose, fecero
di questa il primo e di dio il secondo, e quindi vennero a
disautorarlo. E r ammettere la condizione in discorso è poi infine
un riconoscere in modo indistinto la verità della nostra dottrina, per la
quale l'Autorità, non è un assoluto,. xm, un relativo. Cioè
l'Autorità è il relativo di qualche cosa che si impone moralmente; vale a
dire con una Responsabilità Sopra Capo II, § II, n. ii. ..LUI
«IVI verso una Sanzione, e quuidi verso una reausione libera
od umana: insomma verso la Sanzione sociale. Per cui l'Autorità non può
nascere se non nella Società degli uomini, e non può essere se non una
formazione naturale della sua attività organica. Ma questa dottrina
del positivismo circa l'Autorità pare anch' essa contradditoria alla sua
volta. Un Potere, come si disse, è una Autorità in quanto conviene
con una Idealità sociale ed è giudicabile secondo questa; e quindi il suo
esercizio è passibile di una Responsabilità verso un Tribunale che
dispone di una Sanzione per far valere i principj secondo i quali
sentenzia. Ora, siccome tale è precisamente anche il Diritto, cosi
l'Autorità viene ad essere anch' essa un Diritto. Ma se l'Autorità
è un Diritto, e il Diritto lion è tale se non per l'Autorità subordinante
che lo riconosca e lo sancisca, come potrà darsi l'Autorità, non potendo
essere che il subordinante sia nello stesso tempo il subordinato? Per
rispondere alla difficoltà basta richiamare quanto fu detto sopra della
Giustizia effettiva o giuridica, o del corpo sociale; e della potenziale, o
dell' individuo. Ciò che sancisce l'Autorità suprema dello Stato è
in genere l' indistinto delle coscienze individuali, che vedemmo sopra
come esista e come operi. E che, in modo via via più distinto, si concreta
nelle prerogative proprie della gerarchia sociale Capo I. i VII. E
COSI è tolta la contradd^ione obbiettata. Il diritto del subordinato è
sancito dalla Autorità stabilita nella Società. Il Diritto di questa
Autorità è sancito anch' esso da qualche cosa. Ma non da un' altra
Autorità superiore a quella della Società, che non può darsi: sibbene
dalla potenzialità morale del corpo sociale collettivo (o delle coscienze
individuali) che si forma ed esiste e funziona ed è efficace in r^ione e
a misura che vige l'ordinamento effettivo della Società. E questo
vero è attestato dal fatto storico costante della Società umana, nella quale
sempre si è manifestato questo processo; da una parte, della Autorità
stabilita che sancisce il Diritto del subordinato; e dall'altra, della
coscienza comune dei subordinati che sancisce il Diritto della Autorità
stabilita. Questo fatto è evidentissimo nella costituzione
delle Società moderne più avanzate, nelle quali é già riconosciuta anche
legalmente la dipendenza del Governo, in tutte le sue parti, dal
beneplacito dei cittadini. In tutte le sue parti; mentre ormai la
irresponsabilità, o si limita alla sola persona del capo supremo, o è
tolta affatto anche per questa. All' infuori del potere
tirannico della forza e della violenza di certe Società informi, che non
è ancora l'Autorità giusta propriamente detta, ma la Prepotenza ingiusta, nei
governi teocratici la potenzialità morale del corpo sociale collettivo si
manifesta nella istituzione e dipendenza del Potere dalla religione. E
nei governi assoluti laici la potenzialità stessa si manifesta nella dipendenza
del Potere sovrano, che pure ivi ha luogo, da qualche cosa; come
dalle consuetudini, dalle caste, dagli ottimati e via
discorrendo. Ed è poi confermato il vero medesimo dalla distinzione,
che sempre fu riconosciuta, fra il Diritto reale e il potenziale; ossia,
che è lo stesso, fra il Diritto positivo e il naturale.
Poiché, scientificamente parlando, che è mai il Diritto naturale, se non
la potenzialità morale propria degli individui componenti la Società. Il nostro
ragionamento ci ha condotto: Primo, a scoprire la vera indole del Diritto
naturale. Secondo, a spiegare con ciò V origine e la natura
vera della Autorità sociale. A darci il criterio per istabilire i
rapporti del Diritto naturale col positivo, tanto storici quanto
ideali. Il Diritto positivo è, come già dicemmo più volte, il
Potere quale è costituito e funziona nella Società umana; il Potere dei
subordinanti e quello dei subordinati, in quanto è riconosciuto fissato e
garantito dal primo. Vedi in proposito: Morale dei Positivisti Libro I, Parte
li. Capo IV. n. 15 e segg. ( Voi. Ili di queste Op. fil, nella
edizione del 1885, e pag. 131 e segg. nella ediz. del 1893 e del 1901, e
pag. 135 e segg. nella ediz. del 1908), e Parte HI, Capo I (pag. 129 e
segg. del medesimo nella ediz. del 1885, e pag. 135 e segg. nella
ediz. e del 1901, e pag. 139 e seg.
nella ediz. del 1908). E questa Sociologia Capo I J VII
(principalmente n. 6) e J Vili (principalmente n. 3 e 4), e Capo II.? 11,
nota al n. Il Diritto naturale non è altro che il potenziale. Ossia quello
che corrisponde alle Idealità sociali, o giuste, o morali. £ alle Idealità
sociali universe: tanto a quelle che si sono già avverate nella psiche e
nella coscienza umana, quanto a quelle che non vi si sono ancora avverate, ma
vi si possono avverare quandochesia. Dalle quali definizioni
enaerge che il Diritto positivo è determinato e giustificato dal naturale; che
il Diritto naturale è imprescrivibile, ed ha un valore trascenclente
assoluto, corrispondendo al va-lore trascendente assoluto della natura onde è
il prodotto: come una forza o una specie naturale qualunque, che
l'uomo trova nella realtà e deve subirvi e riconoscervi; che il Diritto
naturale è universale, come la natura umana, allo svolgimento proprio
della quale corrisponde. Quarto, che il Diritto naturale è
infinito. Il Diritto naturale è
infinito, nel senso positivo della parola, spiegato nella Morale dei
Positivisti (i). Infinito cioè nel senso, che è una potenzialità
interminabile nelle serie e nelle forme de' suoi svolgimenti. Una
potenzialità indistinta atta a determinarsi nei fatti dei Diritti
distinti che si verificano via via senza fine, come i fatti in genere
nella natura per la sua forza inesauribile. E non mica un pensiero, o un
sistema di pensieri, già determinato e fissato in tutto il suo contenuto (Libro
II, Parte III, Capo I (pag. 255 e segg. del Voi. Ili di queste Op. fil,,
neir ediz. del 1885 e pag. 268 nell'ediz. del 1893 e del 1901, e pag. 275
nella ediz. del 1908). e in una forma unica, nella mente di dio, come dà
la filosofìa tradizionale. La quale immiserisce
meschinissimamente il concetto del Diritto. Come immiserisce
meschinissimamente il concetto delle specie naturali delle piante e degli
animali, riducendole ad un numero chiuso di archetipi fissi prestabiliti
in una mente creatrice. Come realtà attuale, già distinta nella sua forma
di Diritto, questo è un fatto accidentale; è il risultato del caso
dell'incontro fortuito delle reazioni particolari che ne determinarono la
effettuazione reale, analogamente a ciò che avviene per ogtii fenomeno
naturale, e come nella Formazione naturale nel fatto del sistema solare
dimostrai importare la legge universale della Formazione naturale. Ma esso
Diritto poteva realizzarsi in un infinito numero di altri modi; come era
possibile un infinito altro numero di accidenti nella coincidenza
produttrice della serie degli eventi e della serie delle condizioni
dell'uomo, in cui si avverò la coincidenza. E, del pari, resta
sempre infinito il numero dei momenti evolutivi ulteriori, per la
stessa ragione, e perchè V attività naturale resta sempre inesauribile, e
non si arresta al punto al quale è arrivata in un dato momento. Dalle
quali cose poi emerge che tra il Diritto positivo e il naturale vi deve
sempre essere lotta. Tanto è lungi che il positivo (come discenderebbe
dalle dottrine dell' etica tradizionale) sia T acquietamento definitivo del
naturale; e che questo, eflFettuatolo, riposi in Vedi la Parte IV dello
stesso libro. quello, e solo debba stare in guardia contro i
principj contrari (sia delle passioni ree dell' uomo, sia di
potenze sovrannaturali perverse) tendenti a disturbare V assetto
etico definitivo del mondo. Eterna è la lotta fra il «Diritto
positivo e il Diritto naturale. E non effetto della reità di nessuno, ma
dello stesso Processo del Bene. Il Diritto naturale lavora
continuamente a trasformare il talento della Prepotenza egoistica, che
rimane nella Autorità vigente, in ijome della Idealità antiegoistica. E
la trasformazione, incominciata sopra il massimo della Prepotenza, e
continuata pei gradi insensibili infiniti della sua diminuzione, non è mai
compiuta totalmente. Il Diritto positivo di un dato momento è
sempre in arretrato verso le Idealità sociali più progredite, già
albeggianti nelle coscienze sociali. E la evoluzione di queste Idealità, che,
nate, si ribellano subito al Diritto positivo discordante per riformarlo ad
immagine di se stesse, è una evoluzione che mai non
cessa. L’Autorità del subordinante e in pari tempo, un suo Diritto. Soggiungiamo
ora che anche il Diritto del subordinato è, esso pure, una Autorità nel vero
senso della parola. Il Diritto del subordinato è si
riconosciuto dalla Autorità del subordinante, mai non è da questa creato.
Esso esiste per sé in virtù del fatto del suo comparire nella
coscienza individuale. Se questo fatto non si avesse, l'Autorità del
subordinante non potrebbe fare che fosse il Diritto relativo. Dato che sia il
fatto, la stessa Autorità non può esimersi dall' ammettere il
Diritto. Il Diritto del subordinante quindi si impone per questo verso
all'Autorità del subordinante, e perciò è esso stesso una Autorità.
Oltreché poi ogni Diritto, anche di un subordinato, è sempre tanto o
quanto subordinante, cioè atto a determinare dei Doveri e dei Diritti
correlativi. E questa dottrina della autorevolezza intrinseca
del Diritto del subordinato (santo pel subordinante, come
l'Autorità di questo è santa pel subordinato), era sentita nella
coscienza etica degli antichi, malgrado il falso loro riferimento della
cosa, quando all' ordine iniquo del principe tendente a violare il Diritto
naturale del suddito, questo rispondeva: Se il principe comanda ciò che
dio proibisce, o proibisce ciò che dio comanda, l' ordine e il
divieto del principe non hanno valore per la coscienza. La dottrina
positiva dell'Autorità e del Diritto è liberale. Questa dottrina (che è quella del
liberalismo positivo) contrasta a due estremi opposti; esiziali 1'
uno e r altro alla Moralità vera. A quello del Nichilismo del
Diritto individuale della dottrina etico-religiosa dei metafisici; e a quello
del dichilismo deldiritto del Potere di un certo socialismo
materialistico. Il Diritto naturale e l'Autorità del Potere, che lo
riconosce, sono fatti naturali della Società, correlativi ruoo all'altro.
Onde» sopprimendo T uno di essi, sì sopprime anche V altro. Il Nichilismo
materialistico dunque, annullando l'Autorità del Potere viene ad
annullare lo «tesso Diritto individuale, che vorrebbe rimanesse col carattere
di Diritto unico ed assoluto Il Diritto individuale è un effetto
dell' organismo sociale; e tanto che» tolto questo organismo, né potrebbe
formarsi, né perdurare, esistendo di già; come la funzione e il prodotto
speciale di un viscere particolare non è segregabile dall’organismo deir
animale e dai centri nervosi superiori, onde è determinata e regolata V
attività di ogni sua parte. Si form<\ il viscere a misura che si
formarono i centri regolatori; si mantiene finché si mantengono i rapporti
di dipendenza da essi. E analogo è il caso del Diritto individuale nel
suo rapporto coli' Autorità centrale. E dunque liberale la dottrina
positiva che, mantenendo TAutorità subordinante, può mantenere anche il
Diritto dell' individuo. E, per conseguenza, illiberale è quella del
Nichilismo materialistico, poiché, distruggendo questa Autorità, finisce
con ciò a distruggere anche questo Diritto. Ma la stessa dottrina
positiva combatte, nel medesimo tempo, il principio illiberale del
Nichilismo teistico, dal quale non è riconosciuto nelT individuo un
Dìntto propriamente detto, o proveniente dal suo essere stesso; ed è
insegtiato essere il Diritto una concessione gratuita di dio, che egli
possa dare e togliere a suo piadmento, e lasciare anche alla balia degli
usurpatori della sovranità, nei quali si debba in ogni caso
riconoscere una Autorità che non emani dal corpo sociale e sia
irresponsabile verso di esso. Il positivismo combatte questo principio,
stabilendo l'Autorità originariamente ed inalienaòilmente
risiedente neir individuo di esercitare il suo naturale imperio
sopra le cose, sopra di sé, sopra gli altri. E mostrando, come la
dipendenza dell' individuo dal Potere subordinante non è quella dello
schiavo, che è costretto colla violenza dal padrone, e ne eseguisce i
comandi suo malgrado, e colr ira incitante alla vendetta; ma è quella liberale
di chi fa con persuasione e con amore. E ciò perchè, l'Autorità
giusta subordinante, l'individuo la pone esso stesso pel Bene di tutti;
anche se importa un sacrificio per parte propria: la pone, la coltiva, la
difende come cosa, propria, anzi come suo proprio Diritto. Proponemmo
quattro problemi fondamentali da risolvere secondo il criterio positivo
del Diritto e del Dovere prima indicato. Dei primi tre problemi
abbiamo trattato nei paragrafi successivi del Capo medesimo. Tratteremo
in questo del quarto, cioè circa il Diritto, non di Giustizia, ma di Carità
Beneficenza, che dir si voglia. Fin qui il nostro sagio ha voluto
soddisfare a due dei tre suoi intendimenti; cioè di dimostrcure che
la Moralità, come è spiegata nella filosofia positiva, comprende, non
solo gli atti della Gitistizia propriamente detta, ma anche: Gli
atti infiniti offensivi non contemplati e uon contemplabili dalla Legge.
I quali perciò, esclusi dal campo della Giustizia propriamente detta,
vanno attribuiti a queir altro della pura Convenienza. Gli atti sindacabili
soltanto dalla coscienza intima dell' individuo in cui si avverano, e producenti
la sola reazione del Rimorso intemo. Trattando ora del quarto problema
suddetto, vedremo di soddisfare al terzo degli intenti propostici,
vale a dire di mostrare, che la Moralità, come è spiegata nella filosofia
positiva, comprende anche; Gli atti virtuosi, che V individuo potrebbe
fare e sarebbe bene facesse, e non è costretto a fare. Ossia quegli
atti, che non si attribuiscono né alla Giustizia né alla Convenienza, ma
alla Carità, come dicevano i moralisti vecchi, o alla Filantropia o Beneficenza,
come direbbero i nuovi. Gli atti benefici nell’Etica tradizionale. E noto
che nell' Etica tradizionale si stabiliscono due ordini diversi di atti
buoni: Quelli ai quali uno é tenuto per poter essere senza
colpa, che si dicono atti di Giustizia; e si riassumono nel detto: Non
fare agli altri ciò che non vuoi che sia fatto a te. Che é quindi un vero
Precetto, E quelli che uno può tralasciare senza diventare con ciò
colpevole, che si dicono atti di Carità o di Beneficenza, e si riassumono nel
detto: Fa agli altri ciò che vorresti fosse fatto a te. Che è quindi
propriamente, non un Precetto, ma un Consiglio, Ed è noto che 1'
osservanza dei primi si dice produrre la semplice Onestà morale; e la semplice
Esenzione dalla punizione. E che la pratica dei secondi pro duce anche una
Perfezione morale; e quindi il Merito di un premio. Ed è noto
ancora che, tra i pronunciati morali appartenenti alla categoria dei Consigli
miranti alla mag giore Perfezione morale, se ne pongono anche di quelli
relativi, non al bene da farsi agli altri, ma alla nobilita zione interna della
Persona morale. Il principio del Bene morale non prescritto, e
quindi n&n obbligatorio o gratuito (che è un principio ve rissimo, anzi è
il principio morale per eccellenza), l'Etica tradizionale, e non potè mai
riuscire a dedurlo rigorosa mente, ed è, nel sistema di essa, contradditorio. E
regge solo nella dottrina dell'Etica positiva. E ciò malgrado sembri
a tutta prima che questa,, posta la dipendenza da essa stabilita del
fatto morale dalla Sanzione costringente, conduca ad una
conseguenza affatto opposta; a quella cioè di togliere di mezzo
quello che ora chiamammo (ed è senza dubbio) il principio morale per
eccellenza. L' Etica teologico-metafisica tradizionale si è accorta
dell' imbroglio che sta nella sua dottrina; e ha cercato di cavarsene
colla sua solita gherminella (rilevata stupendamente dal Mefistofele del
Faust di Goethe) di un vocabolo equivoco. Cioè col vocabolo Consiglio
contrap posto a quello di Precetto. Il Bene morale obbligatorio (ha
detto V Etica teologico-metafisica tradizionale) è il Precetto di dio, che
non si può non seguire: il Bene morale gratuito invece è il suo
Consiglio da prudenza (Kantotle – Grice), che l'uomo può anche non
seguire. Ma ciò non è altro, come dicemmo, che una
gherminella. La mentalità divina del Bene morale, onde partono i
metafisici in discorso, derivandone tanto il Precetto quanto il Consiglio
da prudenza (Kantotle – Grice), sta, secondo loro, colla ragione divina dell'
Ordine morale. Ora si può domandare: L' Ordine morale
metafisico, ragione del Bene, è esso esigenza assoluta dell' essere
proprio delle cose che ri guarda? E allora è necessario che sia Precetto
tutto il Bene. O sta invece che l'Ordine morale sia il puro bene placito
di dio, il quale possa stabilirlo arbitrariamente in un dato modo, e di
due sorta, cioè uno da esigersi inesorabilmente, e un altro da
consigliarsi soltanto e quindi da permettere che sia anche violato da chi
voglia? E allora il Bene morale, anche quello prescritto, non ha un
valore assoluto; e si può supporre che dio po tesse non averlo voluto, come si
suppone dagli stessi me tafisici, che egli potesse non aver voluto creare il
mondo. Si può supporre insomma, che il male sia male solo perchè dio r ha
decretato, e che egli avesse potuto decre tare che non lo fosse. Il che sarebbe
la distruzione pili radicale immaginabile della Moralità. E da questo
dilemma non si scappa. Cosa ben curiosa e ridicola il sistema etico
della filosofia sana, anche da questo punto di vistai Secondo questa
filosofia sana un uomo sa che dio io consiglia ad un Bene che egli
potrebbe fare benissimo; e sa che con ciò darebbe soddisfazione a lui che
deve amare sopra ogni cosa: ma quest' uomo non si cura, né del Bene
per sé, né dell'autorità di dio che lo invita a farlo, né del dispiacere
che gli reca trascurandolo; e ciò per la preferenza data a un proprio
interesse egoistico contrario: e tuttavia il medesimo uomo rimane dopo
tutto questo esente da colpa, e nella grazia dello stesso dio cosi
postergato. L' imbroglio e l’assurdo della distinzione tra il precetto
e il Consiglio (di prudenza – Kant – Grice – Kantotle) dipende dalla
distinzione falsa, posta dai moralisti in discorso nella stessa ragione
divina del Bene morale, del Bene doveroso e di quello non doveroso,
corrispondente all' altra distinzione falsa, di un Ordine morale che dio
voglia necessariamente e di uri Ordine morale che egli voglia
arbitrariamente; e che è la conseguenza di un principio ontologico
fondamentale erroneo circa le leggi dell' essere e della causalità in
generale e della provvidenza in particolare. Nel principio ontologico al
quale alludiamo si accozzano, in modo confuso e contradditorio, il necessario
e r arbitrario, come nell' Etica corrispondente la Moralità
determinata dalla ragione assoluta dell' essere e quella determinata
dalla ragione di un comando arbitrario. E per un processo logico
analogo. Il concetto del necessario e dell'assoluto deriva
dalla osservazione della costanza delle leggi naturali dove queste
appariscono a tutti. Il concetto dell' accidentale e dell'arbitrario deriva
dalla osservazione dei fatti, che nella apparenza non si connettono
necessariamente a cause naturali, onde si attribuiscono all' intervento diretto
volta per volta dell' arbitrio divino; come, pel volgo, la piogcolare
della povertà (che anzi questa sublimità per sé la povertà non V ha
niente affatto, se non ha invece la qualità opposta); ma bensì se mai fosse V
effetto inevitabile di una azione o giusta o caritatevole, sì che uno non
avesse potuto rimaner giusto se non si fosse rassegnato ad incontrare la
povertà, o avesse sofferto perfino di subirla per un maggior bene
altrui.E così la povertà volontaria può essere anche pel positivista una cosa
sublime ed eroica. Mentre in caso diverso egli la direbbe una stoltezza
ridicola e riprovevole. Che se pel religioso la elezione della povertà non è
una stoltezza, ciò dipende unicamente dalla circostanza che egli la riferisce
ad uno scopo; cioè a quello di guadagnare con essa il paradiso. Ma, se cessa
così di essf re una stoltezza, riesce però un atto al tutto egoistico e quindi
ancora tutt' altro che eroicamente morale.
E merita una speciale considerazione a questo proposito la dottrina relativa
alla elemosina e al dare a prestito. Ho un ricco, fatto proprio secondo lo
spirito dell'Etica sana teologico-metafisica. Egli crede fermamente che r
esser lui nato ricco e destinato, senza lavorare, a go di ogni genere,
mentre il povero non ha da coprirsi avendo freddo; se il ricco ha a sua
disposizione palazzi e ville, quando il povero manca di un tetto qualsiasi; se
il ricco imbandisce la propria mensa di cibi e vini costosissimi con
profusione, dove il povero manca della stessa polenta; se il ricco ha
cavalli e cocchi e servi che lo ajutano a fare niente, mentre il povero
si stima fortunato che altri gli offra per carità un lavoro che lo esaurisce
senza compensarlo; se al ricco si offrono tutti i piaceri da vicino e da
lontano (poiché non gli bastano quelli che può dargli il suo paese e gli
occorrono anche quelli che solo si trovano altrove), e questi gli sono
sempre perdonati quand' anche affatto eccessivi e corrompenti e illeciti
e scandalosi, quando il povero ne è privo al tutto ed è barbaramente
rimproverato pur dei pochissimi e grami che gli sia dato di procurarsi; se fa
tutto questo il ricco, non solo crede, secondo la sua sana morale (che sempre
ha cura di contrapporre ad un' altra diversa, detta da lui empia e sovversiva)
di far uso di un Diritto concessogli da dio per un gusto particolare di
predilezione, ma crede poi anche di adempiere ad nn Dovere: a quel Dovere che
si chiama il Dovere di vivere secondo il proprio stalo. Or bene
questo ricco, fatto secondo lo spirito dell’Etica sana teologico-metafisica,
riconosce fra i Doveri del proprio stato anche quello della elemosina,
ritenendo che coir adempirlo diventi, non solo buono (che lo è già senza la
elemosina), ma ottimo, ed in modo perfetto ed eroico. Ed è assai
bello vedere come il nostro ricco intenda la detta elemosina. C è da
rilevarne proprio la sublimila della morale onde ha lo spirito. Prima
di tutto, se egli si trova padrone di una sostanza vistosissima ereditata
nascendo (quanta fatica, quanto studio, e quanto merito!), la sua
proprietà è cosa sacra, qualunque ne sia la origine antica: anche se
in questa origine fu accumulata colla frode e colla rapina. È cosa
sacra, che gli viene da dio stesso. E, se deve contribuire una parte piccola e
superflua per lui dell' aver suo, per concorrere alle spese dello Stato
che glielo difende, o per dare un pane insufficiente a chi si logora lavorando
penosamente per lui, che nulla fa e solò consuma godendo e corrompendo,
egli intende, nella goffaggine superlativa del suo pensiero, che l;operaio, che
suda per la scarsissima paga, e il funzionario pubblico, che si sacrifica
pel meschino stipendio, della paga e dello stipendio debbano arrossire
come di suoi compassionevoli e gratuiti donativi, e debbano riconoscere
che, se faticando assai hanno poco da mangiare, anche questo poco è tutta
generosità sua, per la quale si compiaccia di largirlo, privandosi di una
piccola parte di ciò che gli sovrabbonda. Ma va più in là l’eroismo della
sua generosità di dare del superfluo a chi non ha di proprio se non il dovere
di lavorare (quando. gliene danno) e di soffrire. Va più in là; poiché,
oltre pagare le imposte che non può frodare, oltre angariare V operajo
coir avarissimo compenso dei servigi avutine, esercita anche la viriti dell’eielosina. Non
già impoverirsi per ciò. E nemmeno restringere di nulla gli scialacqui
demoralizzanti. Oibò! Sarebbe questo un venir meno ai Doveri del proprio stato.
E nemmeno impiegarvi una, anche piccola, parte delle superfluità più
riprovevoli. Tanto non occorre; e di gran lunga. Se, per cavarsi un
capriccio stimato come un nulla, il nostro ricco non bada a spendere un
migliaio di lire, una lira sola è anche troppo gettarla, come si
farebbe di un osso ad un cane, ad un vecchio cadente per la fame. Un
pugno di monete di rame, ecco quanto basta per adempiere al Dovere di
perfezione della elemosina, per essere morale in grado superlativo ed eroico,
per acquistare il merito -di un posto riservato in paradiso. Poiché
anche quelle miserabili monete di rame della elemosina non si intende mica
s'abbiano a gettare gratis. Né anche per sogno! Anche da esse, quantunque
non abbiano un valore apprezzabile per chi le getta, deve venire un
vantaggio: e un vantaggio assai grande; devono fruttare nientemeno che
una felicità eterna in un'altra vita. E la cosa va di suo piede. Il
povero, la cui vita fu uno strazio continuo, é ben giusto e naturale che
vada poi air inferno, essendo infine, un povero, un malvagio
mascalzone; mentre il ricco, che ha sempre goduto senza nessun merito,
deve essere premiato colla beatitudine del cielo, essen'do infine, un
ricco, una persona buona. Un pugno di piccole monete di rame; ecco
dunque la limosina del ricco, secondo l'Etica sana. Un pugno di
piccole monete di rame date all' impazzata ad una turba degradata di
accattoni che le implorino, facendo ressa e alzando le mani
supplichevoli, intorno al castello minaccioso e al cocchio superbo, di chi le
getta loro col piglio del disprezzo. E questa turba di accattoni
degradati é poi necessario, secondo la stessa Eti.ca sana, che ci sia
anch'essa. Altrimenti come sarebbe possibile al ricco di avere il
vantaggio di procacciarsi il paradiso a si buon mercato, e di far
risplendere, al di sopra dei languenti per inopia, r orgoglio stupido
della ricchezza in tutta la forza della sua brutalità? Onde, nel
pensiero del nostro ricco (fatto secondo ìct spirito dell'Etica sana), è
cosa immoralissima e sovversiva del Bene, che altri, come il positivista,
cerchi di togliere dalla Società l’ignominia dell'accattonaggio: che
consigli la Società a provvedere, non in apparenza ma in realtà, V
impotente, 1' ammalato, il disgraziato: e senza degradarlo, e con un
soccorso che apparisca un Diritto riconosciuto in chi lo riceve, e non
una elemosina che lo avvilisca; che faccia opera affinchè il povero sia
educato in modo da sentire il danno e la vergogna di accattare il
pane poltrendo neir ozio; e il vantaggio e la soddisfazione confortevole di
guadagnarselo nobilmente col proprio lavoro. E, il sommo della immoralità
della condotta del positivista, il nostro ricco la riscontra poi in questo;
che, se si dà il caso dell' incontro di un infelice bisognoso di
soccorso, egli, il positivista, glielo porga per puro sentimento antiegoistico
di umanità, senza pensare punto allo interesse, né del paradiso né di
nient' altro, da ricavarne; e lo faccia senza avvilire chi riceve,
comportandosi con esso come il fratello col fratello; e nell' intento,
non di perpetuarne lo stato miserabile, che faccia risaltare meglioil
proprio più decoroso, ma di agevolargli la via per uscirne al più presto,
diventando un suo pari. Dopo tutto però bisogna confessare che il nostro
ricco, fatto secondo lo spirito dell' Etica sana, è logico. Ma le
conseguenze pratiche di tale sua logica servono assai bene per farne apprezzare
i principj. Come, al contrario, la verità dei principj positivi apparisce
nelle conseguenze opposte or ora accennate, eminentemente (ed esse
sole) buone e morali. Certo si deve ammettere, che nella Società (pur
prevalendo nelle dottrine dei maestri di morale il concetto
teologico-metafisico sopra descritto) si fece strada a poco a poco, e
per, la condotta individuale e per la direzione delle cose pubbliche, V
idea della beneficenza propugnata dal positivismo, fondata sulla
benevolenza effettiva che r uomo, diventato buono, ha pe' suoi simili,
stimati tutti avere gli stessi Diritti ai beneficj della vita e della
Società; alla quale perciò incomba il debito di provvedere normalmente,
più che sia possibile utile e morale, per gli infelici. Ma giò è V
effetto della stessa natura, che opera secondo le sue leggi invincibilmente,
senza e malgrado le teorie dei filosofi. E qui pure, come in tutto
il resto dei fatti etici, essa natura ha dimostrato, che la Moralità non
si attacca materialmente ad un atto determinato circa. il quale dio
abbia detto: Questo atto voglio che sia un atto buono. E ha dimostrato
che la Moralità consiste invece nella stessa disposizione antiegoistica
dell' animo, creata dal vivere sociale; e per la quale V atto materiale
(che per sé non è moralmente né buono né cattivo) diventa buono, se
la disposizione relativa dell' animo è buona, e cattivo, se cattiva, E ha
dimostrato che non occorre, che un atto buono sia stato prescritto
positivamente da nessuno, perchè si introduca nella pratica morale degli
uomini, e che questi lo eseguiscono anche senza e prima che sia stato
prescritto. Che anzi la prescrizione positiva medesima è pur essa non altro che
V effetto della disposizione potenziale degli individui precedentemente
formatasi neir animo moralizzato, nel modo sopra descritto. Un discorso
analogo si può fare circa il dare a prestito. L' Etica religiosa,
computandolo fra gli atti di beneficenza e volendo quindi che, se altri
lo eseguisce, abbia da, poterlo fare solamente sotto questo riguardo,
e conseguentemente senza interesse, ne sopprime la funzione
vitalissima per la prosperità commerciale ed industriale nel meccanismo
economico sociale; lasciando più libero il campo alle imprese esiziali
degli usurai; sottraendo il capitale all'ingegno e all'operosità dei
volonterosi; restringendo le fonti del benessere pubblico e quindi della
Moralità comune. E allora non sarà colpa l'approfittarne per
contravvenirla: e Vufficio del galantuomo sarà tulio nello studio di
elu^ dere la Legge, E vi riuscirà, più o meno sempre, essendo verissimo V
adagio: Fatta la Legge, trovato l’inganno. Ed ecco il galantuomo inappuntabile
dell'Etica sana. Quanto diverso, e più veramente galantuomo, quello del
positivismo, che l'Etica sana dice sovversione, distruzione, negazione
della Moralità. Lo scopo dell' attività umana congegnata insieme nell’organismo
sociale è di produrre nella coscienza degli individui la Idealità morale
antiegoistica, atta a muoverne la volontà a fare il Bene. Fino a che
l'individuo, questa Idealità, non ha potuto formarsela, è un infelice da
compassionarsi, come il selvaggio che non ha appreso da una Società colta
a procurarsi ciò che forma il benessere e il decoro di un uomo. Si faccia
dunque ogni sforzo per isvolgerne le facoltà etiche onde egli goda del
bene di avere il carattere dell' essere morale. Una volta che Tuomo sia
tale, egli fa il Bene in virtù della Idealità, che è viva in lui e impulsiva
per sé del suo volere. Impulsiva per sé: tanto pel Bene della Giustizia propriamente
detta quanto per quello della beneficenza. Impulsiva sempre; ogni volta che si
presenti l’occasione di ravvivarsi nella coscienza. Operatrice del Bene nella
stessa misura della sua impalsività, ossia del suo esserci. Impulsiva
finalmente pel solo fatto di esserci; e senza la scappatoja immorale del difettò,
o nella promulgazione della Legge, o nella sua redazione negli articoli
del co" dice. Poiché, come dimostrammo già più volte,
l'Idealità morale, essendo essa la Giustizia potenziale, non segue
(come vaneggia la filosofia da noi riprovata), ma precede la Legge
propriamente detta; e quindi esiste nella coscienza (ancor prima della
redazione scritta di una Legge e della sua promulgazione) un suo dettato
e una sua annunciazione, che integra qualunque difetto della redazione e
della promulgazione positiva; e conseguentemente impedisce che la Legge e il
suo spirito siano ipocritamente dissimulati e dolosamente elusi. Il
Bene di perfezione non obbligatoria, la vecchia Etica teologico-filosofica, lo
ravvisò anche negli stessi atti della Giustizia propriamente detta.
E in vero essa insegna, come notammi^ altrove, che, se la volontà si
decide a questi atti unicamente perchè premuta dalla minaccia del castigo
sancito per essi, si ha solo la Giustizia e non la perfezione; e la
perfezione si raggiunge, eseguendo gli atti della Giustizia indipendentemente
dalla minaccia del castigo e per la pura soddisfazione di fare le cose
giuste. Ed è giustissima questa distinzione fra il primo e
il secondo genere della deliberazione volontaria rispetto ad un medesimo
atto obbligatorio. E l'etica positiva la ripete e la mantiene anche per conto
suo. E ne approfitta per argomentarne ad hominem contro TEtica vecchia. Poiché
questa colla distinzione in discorso (che è una prova della verità dei principj
della nostra Etica sperimentale) mette a nudo il proprio difetto per gli
artificj, ai quali deve ricorrere affine di conciliarla colle sue teoriche; e
per le incongfruenze che, malgrado gli artificj stessi, vi risultano. Notiamo,
per esempio, l’incongruenza relativa alla distinzione tra T atto di rigorosa
Giustizia e V atto gratuito, al quale essa annette il carattere di perfezione
morale. Qui non si tratta più di un Bene supererogatorio, e tuttavia vi trova
il carattere della stessa perfezione. La quale incongruenza svanisce subito
partendo dai principj da noi esposti dell'Etica positiva. L' essenza dell' atto
morale propriamente tale, ossia di perfezione, di un'atto che ecceda l'
efifetto diretto della minaccia del castigo, consiste, come dicemmo, nella
attitudine del volere a esegfuire l’atto indipendentemente dalla eccitazione
esterna della Sanzione del castigo minacciato. E questa attitudine si ha
quando, per effetto appunto della applicazione della eccitazione esterna
medesima, a poco a poco si ingenerò e si rinforzò la disposizione psichica
impulsiva per sé; e tanto, che, divenuta questa una autonomia morale, ha da sé
quanto basta per agire, senza bisogno di esservi ajutata dalla eccitazione
della minaccia esteriore. Il che in qualche maniera é ammesso anche dall' Etica
vecchia, che pur riconosce la detta spontaneità morale, ricorrendo però per
ispiegarla al sogno della grazia di dio, che sostituisca il timore del castigo
all' uopo di muovere la volontà al Bene. Coi principj dell'Etica positiva é
dunque spiegata nel modo più ovvio e conseguente 1' analogia che corre tra r
atto della stretta Giustizia eseguito per pura bontà d' animo, e l' atto della
beneficenza in pari modo prodotto; e come ambedue possano avere cosi egualmente
il carattere della Moralità perfetta. Molto più che è precisamente la spontaneità
di operare la Giustizia (ossia lo Giustizia potenziale) che, precedendola,
promuove la legislazione positiva colla relativa Sanzione costringente (come
dimostrammo). Ed é la stessa spontaneità che ne mantiene il vigore. Chi ha in
sé l'amore alla Giustizia si fa autore diretto o indiretto della Legge, la
difende, e concorre a renderla efficace e a vendicarla, se violata. E non
impegna persé la forza del Potere, lasciandola disponibile interamente all' utile
comune della Società. Dalle quali cose si trae un nuovo argomento in favore del
principio etico positivo in confronto col metafisico tradizionale. Nella
formazione della Moralità umana, secondo le cose dette, va considerato il
momento disponente alla formazione stessa, e il momento della Moralità già
attuata neir animo. Il momento disponente si ha nel cedere che fa il volere
alla eccitazione che le viene esternamente dalla sanzione della legge. Il
momento della Moralità già attuata si ha nella spontaneità acquistata dallo
stesso volere air azione giusta e buona senza il bisogno della suddetta
eccitazione. Or bene: il principio etico metafisico, onde la ragione deir atto
morale è riferita al motivo della pena e del premio, contempla la Moralità nel
Momento disponente, vale a dire quando essa non è ancora la Moralità già fatta:
dove il principio etico positivo, pel quale la ragione dell' atto è nell'
Idealità sociale impulsiva per sé, contempla la Moralità proprio nel momento
nel quale essa esiste veramente nella disposizione effettiva del volere. § VII.
La virtic, il merito e il premio. Ora poi, esposte le quattro considerazioni
proposteci, e confermata cosi e chiarita pienamente la dottrina positiva
riguardante gli atti cosidetti di carità o beneficenza, possiamo anche
iritendere più compiutamente e precisamente, che sia ciò che si chiama la
viriti e il me-' rito, nel loro senso distinto e proprio. Pl'lt.l.J Tr"»T'
^rIl merito è la proprietà della virtù, come tale; e non del semplice atto
morale. E la virtù è una disposizione esistente realmente nell'uomo virtuoso.
Il che, come sia, è chiaro dalle cose dette sopra. Cosi la scienza è V
attitudine particolare dello scien; ziato. Ed essendo la virtù una disposizione
reale dell'uomo virtuoso, questo per ciò è un essere diverso dall'uomo non
virtuoso; poiché in questo secondo non esiste la potenza etica, che esiste nel
primo. E questo vero è stato riconosciuto (quantunque confusamente e in
contraddizione col loro principio (i)) dai moralisti della chiesa, in quanto
per essi il merito e la virtù richiedono la presenza nell'anima di una attività
speciale, vale a dire di ciò che da loro è chiamato, la grazia. Se qualcheduno
osservasse che noi, col ricorrere alle dottrine dei teologi cattolici per
trarne una conferma dei dettati del positivismo, tiriamo in campo insegnamenti
già abbandonati dalla stessa filosofia etico-metafisica che combattiamo, e che
quindi facciamo opera inutile (come anche oppugnando il dogma della grazia, che
è voler sfondare una porta aperta, non credendo ad esso oramai più nessuno dei
moralisti metafisici non teologi), soggiungeremo che la teoria dei metafisici
non teologi non è che un riflesso sparuto della dottrina teoloVedi Morale dei
Positivisti Libro li, Parte I, Capo II, n. 26, 27 e 28 (pag. 224 e segg. del
Voi. Ili di queste _Op, fil, nella ediz. del 1885, e pag. 234 e segg. nella
edìz. del 1893 e del 1901, e pag. 241 e segg. nella ediz. del 1908). •'^gica
patristico-scolastica precedente; e che ne ha ereditato i difetti perdendone i
pregi; rimanendo cosi una superficialità destituita anche di quel valore
scientifico, che bisogna pure riconoscere, anzi ammirare, nella metafisica
ecclesiastica. Gli autori della quale furono grandi pensatori che, se non
poterono arrivare alla soluzione positiva del problema morale (ed era
impossibile al loro tempo e nelle loro circostanze), ne ebbero però dei
presentimenti. E il principale fra questi pensatori fu S. Agostino vescovo di
Ippona, il cui genio potè a ragione essere messo allato a quello del divino
Platone. La dottrina della grazia, relativamente al fatto morale, è analoga
alla dottrina della forza creativa, relativamente al fatto fisico. Il corpo
agisce fisicamente perchè ha in sé la proprietà di farlo. Del pari l’uomo
agisce moralmente perchè ha in sé la proprietà di agire cosi. Per ispiegare V
azione fisica gli antichi supponevano la produzione della proprietà relativa
nel corpo per parte della onnipotenza divina. E così davano una ragione della
azione fisica stessa quantunque falsa. Il positivismo (come dimostrai nel libro
della Formazione naturale nel fatto del sistema solare) trova che la proprietà
del corpo di agire fisicamente è la stessa sua costituzione naturale. E così
spiega Y azione fisica in modo analogo a quello degli antichi: ma colla
differenza che, dove questi considerano la proprietà introdotta nel corpo
arbitrariamente da dio nel crearlo (che è contro l' insegnamento del fatto), il
positivista considera la proprietà connaturale al corpo medesimo. Nella
evoluzione scientifica, onde si passò dalla spiegazione antica della azione
fisica alla positiva attuale, tra quella e questa si formò una spiegazione
ibrida e contradditoria; la quale, da una parte, riconosceva l’appartenenza
della proprietà al corpo, proclamandola quindi una naturalità; e, dall'altra,
riconosceva ancora dio quale primo autore di ogni naturalità; il che è una
incongruenza scientifica, ed è il vizio capitale della dottrina teistica, come
si trova ad esempio nel sistema del padre Secchi.Tale e quale la storia della
evoluzione della dottrina etica. La virtù, o la proprietà psichica specifica
dell'uomo morale, i teologi cattolici la supponevano un dono santo e
sovrannaturale di dio. Il positivismo invece trova che tale proprietà santa è
la stessa costituzione che potè acquistare la psiche umana per 1* azione
esercitata sovr' essa dalla Società; ed è quindi una naturalità nel senso
assoluto della parola. La dottrina ibrida intermedia dei metafisici non teologi
rende confuso econtraddittorio il concetto, pur semplice e chiaro, escogitato
dai teologi, della proprietà etica infusa come grazia diviua. Rende, dico,
confuso e contradditorio questo concetto in quanto, da una parte, negano V
intervento diretto dell' azione divina sulla volontà, e, dall'altra, ne
mantengono la indiretta. Il merito è l' indice della virtù. Esso è quindi per
ogni atto virtuoso in ragione inversa dell'intervento del motivo estemo nella
spinta alla deliberazione volontaria. Appunto come la virtù, la quale, essendo
la propensione ad astenersi dal Male e a fare il Bene ingeneratasi neir animo
per le vie già indicate, tanto più ha in W-Vfl«-JJJ «.P., —sé di intensità
quanto meno ha bisogno di essere mossa dal costringimento della minaccia del
castigo e dall'ade» scamento della prospettiva di un vantaggio. Per
conseguenza, minimo è il merito nelle azioni buone dipendenti al tutto dalla
diretta efficacia della loro Sanzione esteriore: come in quelle che si fanno
perchè imposte dalle Leggi positive. Ed è massimo nelle azioni buone per nulla
determinate da motivo di fuori: come in quelle del Bene gratuito o
supererogatorio, o di carità e beneficenza, per le quali, o non esiste Sanzione
positiva determinata, o, esistendo, non si considera da chi le fa. Ma la stessa
osservanza della Legge avente 4a sua Sanzione può in un uomo, indipendentemente
dal rigfuardo della Sanzione stessa, essere determinatadallavirtùformatasi in
lui di eseguirla solo perchè giusta, come vedemmo sopra nella osservazione
quarta, E così anche per questa osservanza può aversi un grado di merito: e per
questo distinguersi nella Società il semplice galantuomo (o quello che non può
essere messo in pri-» gione perchè non fu còlto a delinquere) dall' uomo virtuoso,
che è stimato non disposto a mancare agli obblighi del cittadino anche aboliti il
Tribunale e il carcere. L' uomo, per la formazione che in lui si veri* fichi
della energia morale o della virtù, diventa un essere fornito di una
eccellenzaparticolare; cioè della eccellenza dignità o prerogativa d’essere
morale. E il fatto è analogo a quello, per esempio, della formazione della
energia vitale nel corpo materiale, per la quale questo si distingue fra le
cose come ESSERE VIVENTE. Il premio, in relazione alla Moralità, o è una sua
causa, o è un suo effetto. Come causa è la Sanzione allettatrice della quale
parlammo nel paragrafo quarto al numero sette. E con ciò si comprende percliè
alla osservanza della Legge imposta colla minaccia di una Sanzione punitrice,
ed eseguita per evitarla, non si addica la ragione di un premio, ma solo la
esenzione dal castigo. Con questo la Società si difende dalla offesa dell'
individuo; dal quale si procura invece l'opera utile della beneficenza colla
offerta di un vantaggio. Dove è da considerare che la offerta stessa, facendosi
più per r utile dell' azione che per la sua Moralità, non si differenzia da
quella che si fa in generale per la prestazione dell' opera volontaria da chi
la desidera, cominciando dai premj dei concorsi riguardanti o un libro, una
cosa d' arte, o una invenzione scientifica, meccanica, industriale, o un'
impresa, e venendo fino allo stipendio dell'impiegato e alla mercede
giornaliera dell' operajo. Come semplice effetto il premio è la conseguenza
spontanea del merito; ed è l’espressione onde altri lo riconosce. Sotto questo
riguardo anche la semplice osservavanza della Legge punitrice può avere una
ragione di premio, se V osservanza avviene nel senso detto sopra al numero sei,
parlando dell'' uomo virtuoso. E il premio consiate in questo caso, oltreché
nella stima comune, anche in ciò, che questo uomo virtuoso è considerato
siccome il rappresentante nato della Legge e del Diritto, come spiegheremo
meglio in seguito. Il premio conseguente al merito della virtù è una naturalità
non determinata positivamente. In generale si restringe alla stima e alla
venerazione degli uomini pel virtuoso; la quale non è altro che la reazione
spontanea sociale di fronte al Bene morale, e quindi si produce negli uomini in
ragione che sono buoni, ossia bene disposti moralmente. Ma alla detta stim^ e
venerazione si possono accompagnare anche vantaggi di posizione sociale e di
benessere materiale. La mancanza del premio o della espressione del
riconoscimento del merito, quando si verifica, è una ingiustizia, ma non
distoglie dalla virtù chi ha la proprietà di averla; essendoché la virtù è per
sé, e basta a se stessa. E non si addice il nome di virtù a quella disposizione
a fare il Bene che sia determinata proprio dalla sola idea di averne la
rimunerazione; secondo V osservazione sublime del Vangelo su quelli che fanno
il Bene per essere veduti e rimeritati dagli altri.Esso dice di loro
giustissimamente, che rimangono così senza il merito della virtù, essendo già
pagati per quello che hanno fatto egoisticamente in vista della ricompensa. Il
che però non vuol dire che il virtuoso non apprezzi la lode e l’ammirazione
altrui e non se ne soddisfi. Nobilissimo sentimento é questo di fare stima e di
soddisfarsi del giudizio morale degli uomini che apprezzano e ammirano la
virtù; e più che di vantaggi materiali anche grandi. E di ciò parlai nel mio
Discorso su POMPONAZZI (si vda), dicendo del pensatore, che esso ama la
solitudine. Ma non perchè sia privo di sentimenti benevoli, che anzi in lui si
trovano più generosi; mentre nulla tanto disavvezza dall' egoismo, quanto la
scuola delle idee. ^^P". E nemmeno
perchè non apprezzi la stima e la lode degli uomini; che, invece, in nessuno la
passione della gloria è più viva, che in lui. E, nobilmente altero della sua
oscurità, solo egli rinuncia sdegnosamente all' onore, che si acquista colle
umili arti. Sciolto cosi il problema
propostoci, riguardante r azione benefattrice e la virtù che porta ad essa,
gioverà fermarci a considerare il fatto dell' Ordine morale, e la naturalità della
sua formazione. Circa la FORMAZIONE NATURALE NEL FATTO DELL' ORDINE MORALE, in
quanto questo fatto è un Ordine, alle cose dette alla fine del Capo precedente
e a quelle più generali esposte nel libro della FORMAZIONE NATURALE NEL FATTO
DEL SISTEMA SOLARE e nel lavoro s\x\Y Inconosciòile di Spencer (4), qui ci
proponiamo di aggiungerne una nuova. L' insufficienza e quindi la falsità del
principio assoluto, che un Ordine qualunque naturale presupponga (Vedi pag. 51
del Voi. I di queste Op, fil, nella ediz. del 1S82, ^ P3&54 nell'edìz. del
1908). (2) \ VII. Vedi sopratutto V Appendice sul Caso e s%%%. del ). una Mente, che lo abbia
concepito anteriormente e predisposto, emerge: Primo. Dalla considerazione che
ciò che si chiama, la mente, è il fatto stesso della formazione psichica umana
svolgentesi da ciò che non è ancor tale: onde la stessa Mente è per tal verso,
essa pure, un effetto, come tutti gli altri avvenimenti naturali. Secondo.
Dalla considerazione che, se la Mente (sorta per graduale isvolgimento da ciò
che non era tale), è anch' essa la causa dell' Ordine che è subordinato alla
sua efficienzaspecifica, sono del pari cause di Ordini subordinati propri anche
tutte le altre formazioni naturali: anche quelle puramente meccaniche e
fisiche. Sicché la illazione che 5i fa per la Mente, come ragione dell'Ordine,
vale tanto quanto la illazione identica che si faccia per l'agente puramente
fisico e meccanico. E in effetto, se r analisi del fatto mentale vi discopre
gli elementi e le ragioni della sua efficienza ordinatrice, anche l'analisi del
fatto puramente fisico e meccanico vi rintraccia pure gli elementi e le ragioni
della sua analoga efficienza ordinatrice. Né più, né meno. Dalla considerazione
che I' efficienza ordinatrice della Mente, da una parte, si estende solo alla
sfera dell' ambiente da essa abbracciato, e quindi è impotente al di fuori di
questa; e, dall'altra, essa stessa suppone un ambiente maggiore nel quale si
forma e che la fa essere: un ambiente che é, non una Mente, ma qualchecosa di
puramente meccanico e fisico. Sicché, paragonando insieme le due formazioni
ordinatrici (cioè la formazione meccanico-fisica, e quella della Mente), la
prima è più ampia della seconda e quindi superiore ed anteriore ad essa. Dalla
considerazione che l'Ordine, che realmente si trova esistere in un dato punto della
natura e in un dato momento del tempo, non è V effettuazione di un disegno, nel
quale fosse stabilita la serie degli atti occorrenti alla effettuazione stessa,
fino all'ultimo, cioè a quello del compimento dell' Ordine contemplato. No.
Nella linea del tempo questo ordine ha la sua ragione in un primo che è fuori
della Mente: cioè nelle stesse possibilità di svolgimento verso un Ordine
proprie dell' essere naturale attivo. Nella linea dello spazio poi 1' Ordine in
discorso ha tante ragioni quanti sono gli incontri fortuiti subiti dall' essere
naturale attivo nel corso del suo svolgimento; in modo che ad ogni incontro lo
svolgimento stesso devia accidentalmente dalla sua direzione precedente, e
quindi V ordine ultimo non corrisponde più alla virtualità Iniziale dell'
essere che si svolge, ma solo a quella diversissima e puramente casuale portata
dall' incontro ultimamente subito. In una parola, la Mente, né pone il disegno
dell' Ordine, che è già nell' essere naturale stesso, né lo eseguisce come l'aveva
disegnato, poiché la esecuzione sempre ne differisce per opera degli agenti
naturali casualmente concorrenti. Fra i quali può benissimo essere anche la
mente stessa (che è pure una attività naturale), ma 'solo con analoga
accidentale efficienza. Ciò fu già chiarito a lungo e dimostrato con argomenti
positivi nelle trattazioni sopra citate. Ora faremo un ragionamento che suppone
i suddetti. ne discende e li completa: ed è poi senz' altro la semplice
constatazione logica del fatto dato dalla osservazione. La teoria metafisica,
onde si pone in una Mente la ragione dell' Ordine delle cose, è basata sopra i
due falsi supposti, che il disegno finale della Mente preceda al tutto la
esecuzione estema, e che l'adattamento delle parti nel tutto reale effettuato
sia stato determinato dal concetto medesimo di esso tutto; sicché questo sia
assolutamente un fine e le parti siano assolutamente mezzi; e non il contrario.
Il secondo falso supposto deriva dalla osservazione superficiale ed illudente
della specie già formata, che apparisce come un ultimo, ossia come un fine.
Anche perchè la specie è di una stabilità relativamente grandissima per
rispetto alla esperienza dell' uomo. Egli, trovandone già r esistenza
anteriormente alle mutazioni conosciute, la immagina realizzata nella sua
interezza attuale fino dal suo principio: e, non essendogli dato di essere
testimonio del suo trapasso in una specie nuova, ritiene che sia destinata a
durare inalterata fin che dura il mondo. E cosi si forma il proprio concetto
della specie, che, o sia come è, o non sia punto. E, siccome la esistenza di
una specie implica quella delle parti onde risulta, cosi l'uomo pensa che
queste non siano altro che i mezzi necessari al fine di essa, e quindi siano il
trovato ingegnoso di una Mente; la quale, formatasi da prima il disegno della
specie, sia passata poi a divisare le parti occorrenti alla sua realizzazione.
Il primo falso supposto poi deriva dalla esperienza del fatto della Idealità
dell' arte, che è qualchecosa di relativamente compiuto e fisso, e che si
comunica qual' è da uomo a uomo: e in un modo che uno avendone la cognizione e
segtiendone la rappresentazione mentale, è atto ad eseguire addirittura, senza
tentennamenti e prove imperfette, un' opera definitiva, predisponendo e
coordinando all'uopo tutto ciò che si esige. perchè riesca nella realtà quale
si concepisce. I metafisici fanno i due detti falsi supposti, commettendo l’errore
di considerare il tempo della osservazione siccome una eternità, nella quale
non sia differenza tra un momento e l’altro della esistenza; mentre invece
nella durata reale i momenti sono effettivamente diversi l'uno dall'altro, ed
essa nei precedenti va diventando ciò che risulta poi nei successivi, cessando
in questi quello che era nei primi. L'essere naturale esiste trasformandosi
(i); e, nella linea infinita del tempo, solo per un tratto di questo si trova
in una forma che svanisce col venire del successivo. La specie è questa forma,
instabile come il tempo del quale è figlia. Si muta insensibilmente nel mentre
che pare persista la medesima, come il posto del Sole in cielo che sembra fermo
a chi lo guarda. E ciò vale tanto per la specie, quale complesso di parti,
quanto per la parte coordinata nella specie. L' una e l' altra soggiace del
pari al fato del mutamento. E cosi n) Vedi per ciò 1’Osservazione III del libro
della Formazione naiuraie nel fatto del Sistema solare e sopratutto il J X
(p-ig. 193 del Voi. II di queste Op, fil. nella ediz., pag. 204 nella ediz. del
1899, e pag. 209 nella ediz. del 1908). la parte viene ad essere, non solo un
mezzo, ma anche un fine, come la specie; e questa, non solo un fine, ma anche
un mezzo, come la parte. Molto più che nella natura nessuna cosa è tanto una
specie, che non sia nello stesso tempo semplice parte in una specie più grande;
e nessuna cosa tanto è una parte che non sia nello stesso tempo una specie per
sé. E nella natura medesima non è la esigenza a priori di una specie, destinata
ad esistere, che abbia determinato il farsi delle parti occorrenti alla sua
esistenza, secondo il divisamento precorso di una mente ragionatrice: ma è la
esistenza avveratasi delle stesse parti costitutrici che ha determinato la
formazione della specie, quale si trova in effetto nella realtà. Se le cause
naturali relative (indipendentemente affatto da un concetto della specie che
non era prima della esistenza reale di essa) non avessero prodotto le parti
costitutive della specie, questa non si sarebbe realizzata. E se le cause
naturali avessero prodotto le parti in modo diverso, la specie si sarebbe
realizzata diversamente. La CO-ORDINAZIONE quindi delle parti alla specie, come
del mezzo al fine, è una coordinazione a posteriori. Non può esistere la specie
qual' è senza le parti occorrenti; e se esiste la specie è solo pel caso
avvenuto della formazione delle parti richiestevi. Per ciò, se la parte è il
mezzo a cui consegue il fine della specie, questo mezzo non è un effetto (come
è supposto nella teoria metafisica della Mente che è determinata a ricorrervi
dalla necessità del fine della specie); ma è la stessa causa della specie. E
quindi, se si vuol chiamare la specie un fine, ciò va inteso come dell' effetto
che segue la sua causa, e non viceversa, come nella teoria che ripudiamo. Così,
se si avverasse che il tronco di un albero per un accidente qualunque cadesse
sopra un altro tronco in modo da stare sovr' esso in bilico, e questo fatto
dello stare in bilico lo si prendesse come un fine, apparirebbero mezzi per
ottenerlo la esistenza sotto il caduto di queir altro tronco colla sua
sufficiente resistenza a non piegarsi e rompersi, e T esservi dato sopra il
tronco in bilico col centro della sua gravità. Ma qui il detto fine, nessuno lo
direbbe la causa precedente del fatto; nessuno direbbe i detti mezzi degli
effettivenuti dopo, ossia divisati e predisposti da una Mente consecutivamente
al pensiero di avere un tronco in bilico sopra un altro. Non altrimenti è la
cosa nel fatto della Idealità e dell'Arte umana, e in genere di tutto ciò che
si chiama il disegno ordinatore della Mente. La Mente e il suo disegno sono
fatti della natura, analoghi a tutti gli altri in essa verificantisi nella
sfera biologica e nella inorganica; e quindi soggetti alle stesse leggi: sono
casualità, come la produzione di una specie o la caduta or ora accennata di un
albero sopra un altro. Quando un dato disegno è già un fatto compiuto, allora
certo può rimanere un certo tempo come è riuscito; ed essere trasmesso da uomo
ad uomo; e servire per produrre addirittura l’opera corrispondente, e per
predisporre e coordinarvi le parti come mezzi al fine dell'opera stessa; e in
modo che questo fine venga ad essere proprio la causa di dovere divisare i
mezzi relativi, e il divisamento di questi mezzi venga ad essere l’effetto di
aver voluto r opera. Ma ciò non succede soltanto per la mente e pel suo disegno:
che succede lo stesso anche per la specie fisica, una volta che sìa g^ià un
fatto compiuto. Una volta che esista g^à la gallina, essa potrà produrre un'
altra gallina. Cosi un bruco nato da un altro potrà fare un bozzolo simile a
quello che faceva il suoprocreatore. Un uomo, arrivato a comporre nella sua
Mente il disegno di una locomotiva a vapore, ha potuto costruirne una reale: i
meccanici in seguito poterono imparare quel disegno e costruirne delle altre.
Non potè succedere che la gallina procreasse altre galline prima che se ne
formasse la specie. E lo stesso del bruco. E lo stesso dell' uomo. Non potè
succedere che questo costruisse la locomotiva a vapore prima che se ne fosse
formato il disegno nella sua Mente. E come la specie della gallina e quella del
bruco non proruppero tali e quali dal nulla, secondo la credenza di un tempo,
ma furono la riuscita ultima di una serie lunghissima di gradazioni di
svolgimento dell'essere, che prima non era né gallina né bruco, cosi il disegno
della locomotiva a vapore della Mente umana, fu la riuscita ultima di un lavoro
del suo pensiero, che prima non era quel disegno. Né divèrsa nel fondo è la
legge della formazione nelle specie biologiche della gallina e del bruco e nel
disegno della mente umana. E analoga nei due casi è la ragione della potenza di
produrre la cosa a propria immagine e somiglianza, e di fare che nella cosa
stessa corrispondano allo scopo dell' essere suo i mezzi impiegativi. £ quindi
un libro che narri la storia della invenzione di una macchina è analogo a
quello che esponga la evoluzione formativa di una specie naturale. E, se, come
dicono i teisti, dio è 1' autore della natura, questa non serebbe altro che il
libro nel quale si può leggere ciò che esso è arrivato a inventarvi, una cosa
dopo l'altra, a poco a poco. Ma dobbiamo dimostrare e chiarire meglio la cosa. Un
uomo ha fatto bollire dell'acqua in un vaso. Ne ha visto sortire del vapore.
Per caso copre il vaso mente ritenta l' esperimento, e il vapore solleva il
coperchio. E l'uomo pensa allora: Dunque il vapore è una forza: e non si
potrebbe adoperarla a produrre un qualche lavoro? Sì certo. E si prova ad
applicare al coperchio del vaso un' asta, la quale, alzandosi il coperchio,
trasmette il suo movimento ad un corpo che essa urta. Ma il movimento così è in
un solo senso; e l' uomo immagina che si potrebbe averlo nei due contrarj di va
e vieni. E che perciò sarebbe necessario che il vapore spingesse il coperchio
una volta al disotto e un' altra al disopra. E quindi studia e trova il modo di
far passare il vapore dal vaso dell' acqua bollente, per un foro in un
cilindro, nel quale sforzi il coperchio medesimo ora al disopra e ora al
disotto. E allora gli soccorre V idea di applicare r asta, moventesi avanti e
indietro, ad una ruota per farla girare. E vi riesce praticando un foro
all'estremità libera dell' asta e applicandolo ad una caviglia fissata vicino
al centro della ruota. Ed ecco inventata la locomotiva a vapore. Ecco tutto. Il
disegno della locomotiva a vapore, la Mente non lo creò con un suo fiat. Quel
disegno in essa è r esito faticoso e lento di una serie di operazioni
succedutevi r una dopo T altra; e determinatevi da una serie di accidentalità
che la trassero fino al compimento della sua invenzione, che riusci una
sorpresa per la mente stessa che si trovò di esservi arrivata. Analogo è il
processo di tutte le formazioni mentali. La Psicologia positiva lo dimostra nel
suo studio della FORMAZIONE NATURALE NEL FATTO DEL PENSIERO in genere, e logico
in ispecie; su di che spero di pubblicare presto un mio lavoro g^à pressoché
ultimato. L'Estetica positiva lo dimostra nel suo studio della FORMAZIONE
NATURALE NEL FATTO DELL'ARTE, che mi duole assai non avere potuto ancora presentare
in un libro pel quale ho già preparato tutti i materiali. L'Etica sociologica
positiva lo dimostra nel suo studio Cosi ho scritto e ripetuto nelle edizioni
precedenti, quando aveva ancora la fiducia di poter ultimare il lavoro. La
speranza ora è quasi svanita. La circostanza di essere impegnato otto mesi
dell' anno per le lezioni mi lasciò sempre poco tempo per ciò che avrei voluto
fare fuori di esse. Gran parte del materiale preparato per la Formazione
naturale nel fatto del Pensiero mi ha servito pei tre libri del Vero^ della
Ragione e della Unità della Coscienza, E questi quindi possono supplire tanto o
quanto invece del libro promesso; che poi non ha cessato di preoccuparmi, come
apparisce dai lavori sull'argomento pubblicati nei Volumi IX e X di queste Op,
fU, Ptll della FORMAZIONE NATURALE NEL FATTO DELL’ORDINE
MORALE, che è l' oggetto della presente trattazione. 10. Ora è noto come la
scienza oggi, illuminata e messa sulla strada dal genio di Darwin, dimostri
avvenire allo stesso modo la FORMAZIONE NATURALE NEL FATTO DELLA SPECIE
organica: e per ciò mi devo rimettere ai libri che uq trattano. Anche qui si
rileva lo stesso processo di formazione, indicato per V invenzione del disegno
della locomotiva a vapore nella Mente umana, pei lenti e accidentali
ingrandimenti e tramutamenti di struttura e conseguentemente di funzione: la
stessa ragione, onde la formazione già ottenuta è riprodotta nella forma
raggiunta. E per la stessa legge, da me formulata nel libro della Formazione
naturale più volte citato, del ritmo che lentamente si trasforma per gli urti
esterni non concordanti, e indefinitamente si conserva in quanto non è
disturbato, e si trapianta fuori di sé, applicato come forza ad un altro essere
atto a riceverla. Ciò posto, riepiloghiamo il nostro ragionamento. Il piano
mentale è un meccanismo o apparato psicologico riuscito per aggiunte e
modificazioni cernali successive, indipendenti da un proposito consapevole del
soggetto pensante, e occasionato dalle azioni e reazioni accidentalmente
verificatesi tra esso soggetto e le cose ate. Vedi Formazione naturale nel
fatto del Sistema Solare Osservaz. Ili,
J XIV.a impressionarlo,come la specie della gallina è un meccanisfno o apparato
fisiologico riuscito per aggiunte e modificazioni casuali occasionate dalle
azioni e reazioni dell' ambiente in cui si è formata. L' apparato psicologico
del piano mentale serve alla produzione di un' opera a sua immagine e
somiglianza: come l'apparato fisiologico della specie della gallina serve alla
produzione di un individuo nuovo della specie medesima. Il fatto è come di uno
stromento che 1' arte della natura (cioè del complesso delle cause che esistono
in essa) ha preparato, nel primo caso entro la psiche deU r uomo, nel secondo
caso entro la vita della gallina, per produrre 1'opera relativa. Dunque nel
disegno della mente ciò che si chiama il fitte di esso (poniamo per la
locomotiva a vapore di muoversi della macchina sulla ferrovia colla forza di
trascinarsi dietro il treno attaccatovi) non è un primo, che la Mente si sia
proposta e che abbia motivato per essa il divisamento, al quale sia quindi
venuta solo dopo, delle sue parti, come deimezzi necessari al conseguimento del
fine medesimo: nel che si fa consistere la ragione di dover Nel Capo I della
Parte II del Libro I della Morale dei Positivisti, numero 3 ho mostrato potersi
definire la Psiche: Un mondo possibile^ che si presenta coyne il piano dell’opera
a chi ha da produrne uno reale. E precedentemente vi è dimostrata la casualità
della formazione del stessa psiche. Una cosa affatto analoga è V energia
specifica di un agente naturale fisico qualunque. Tale energia è un ordine di
proprietà costituite nella cosa per la stessa ragione della casualità della sua
formazione, le quali vengono ad essere la possibilità degli effetti che la cosa
è atta a produrre, e precisamente di un ordine di eff*etti corrispondente all'
ordine delle proprietà dalle quali dipendono. Fra la psiche e V agente puramente
fisico nel riricorrere alla Mentalità per ispiegare il fatto dell’ordine,
inteso quale divisamento dei mezzi necessari al conseguimento di un fine. Nel
disegno della mente, ciò che si chiama il fine non è un primo, ma un ultimo,
che vi si verifica posteriormente, perchè prima vi si è verificata la
cognizione dei mezzi. Nel fatto particolare della concezione del disegno della
locomotiva a vapore allo scopo di trascinare il treno ferroviario, la Mente che
vi è arrivata possedeva già la cognizione della forza del vapore; e del modo di
farlo agire sopra uno stantuffo si che ne risultasse un movimento di va e vieni
sopra un'asta; e del modo di convertire il movimento rettilineo dell' asta in
quello circolare di una ruota; e la cognizione, che un peso, gravitando sopra
ruote che lo portino è girino su guide di ferro, si trasloca con esse. Solo
dopo ciò, solo dopo che la Mente era già pervenuta alla cognizione di questi
mezzi, ad esso potè sovvenire l’applicabilità loro al fine di avere un motore
di un treno ferroviario. L'Ordine adunque anche nella Mente è un risultato
accidentale di concorrenze casuali nel quale i mezzi non spetto in discorso si
ha la sola differenza, che nella prima l'ordine mentale, causa dell'ordine
delle opere, mettiamo dell* uomo, è accompagnato dalla coscienza di sé, mentre
nel secondo 1' ordine delle proprietà attive, causa dell' ordine de' suoi
effetti, non è fornito di tale coscienza. Ma ciò non influisce punto ad
alterare la natura del processo della estrinsecazione, per così esprimermi,
della attività. Cosciente o non cosciente, l’attività funziona in un agente
sempre e necessariamente nel modo onde è atta a funzionare, ossiasecondo
lacostituzione propria dell'attività stessa nella intimità dell'agente che la
esercita. L sono determinati dal fine,
ma è questo determinato dai mezzi. E tanto, che supporre il contrario è
supporre ima impossibilità o un assurdo della dinamica della natura. E cesi la
tantovantata scoperta di Anassagora, che V Ordine dell'universo importi una
Mente ordinatrice, vale quella del suo predecessore Talete, che si argomentò di
ritenere doversi V attrazione della calamita pel ferro ad un' anima che vivesse
in essa, e ne determinasse questo effetto curioso. Se qualcheduno qui credesse
di sfuggire alla nostra conclusione, osservando che il pensiero che si
attribuisce a dio non è come il pensiero dell' uomo, sul quale noi facemmo la
nostra argomentazione, risponderemmo due cose: Primo. O il pensiero attribuito
a dio è qualche cosa di analogo al pensiero dell'uomo, e allora
l'argomentazione fatta su questo vale anche per quello: o non è una cosa
analoga, e allora non si può dire che sia un pensiero. Perchè a noi, quando
diciamo, pensiero, è impossibile concepire altro che non sia lo stesso nostro
pensiero. E poi non si può ancora in nessuna maniera fondarvi sopra r
argomentazione relativa all' Ordine, dal momento che questa è suggerita
precisamente (quantunque per semplice illusione) dal fatto dello stesso
pensiero umano. Secondo. Lo stesso fatto della natura poi smentisce
direttamente la supposizione della obiezione. E in che modo? Si dice: Concepì
dio il disegno del mondo e poi lo esegui creandolo: e tale subitoqualedoveva
essere poi sempre a gloria sua; e quindi coli' uomo, dotato per ciò da lui, non
solo del senso come il bruto, ma anche della ragione e del libero volere, che
lo rendessero atto a conoscerlo e a rendergli omaggio e culto spontaneo. E il
sistema era logico. Non aveva che il piccolo difetto di essere basato sul falso
supposto che il mondo attuale sia una formazione che persista immutabilmente:
tale al suo primo principio, tale ancora fin che ne dura la esistenza. Ma la
scienza s'è avveduta che la formazione quale ora si presenta, l'uomo compreso,
è una fasetransitoria della esistenza. E con ciò ha distrutto il sogno che
fosse r opera definitiva, nella quale si fosse realizzato appuntino il disegno
di una Mente divina. La scienza s' è avveduta, che lo stato attuale delle cose
è dovuto ad un processo continuo di formazione analogo a quello delle idee e
dell' arte dell' uomo, e che questo processo è determinato dalla
attività intrinseca delle stesse coseche si formano, e dal caso
delle reazioni delle cose fra di loro. E con ciò ha distrutto il sogno che
siano r Ordine preveduto come fine in una divina idea. I teisti, smentiti così
nel campo degli Ordini della natura fisica, si restrinsero a sostenere il loro
principio della preordinazione della Mente divina, nel campo dell' ORDINE
MORALE; e credettero che quivi sarebbero rim£isti eternamente inoppugnabili. Ma
ahi! che anche qui la scienza li ha seguiti e ha messo in evidenza la
insostenibilità della loro tesi.La scienza positiva dell' Etica sociologfica ha
scoperto, come vedemmo, 1'analogia perfetta che corre tra la formazione
naturale in genere e quella della Giustizia e del Bene morale in tutte le sue
forme. Ha scoperto quindi che tutto ciò che si riferisce all' Ordine morale, e
r Ordine morale medesimo, sono il prodottolento e progressivo {e vario secondo
le dccidentalitàaccompagnanti) della attività intrinseca dell' essere umano e
delle reazioni degli individui nella convivenza della Società. Il fatto del Diritto (diversità, specie, co-ordinazione
GRICEIANA) e il suo Ideale. Circa la diversità del Diritto tra individuo e
individuo, in ragione della potenzialità non ugnale dall' uno air altro, alle
cose dette nel libro della Morale dei Positivisti {\) e superiormente in
questo, un'altra importantissima qui ora torna la opportunità di aggfiungerne. La
diversità in discorso dipende in parte dalla stessa costituzione
fisico^psichica colla quale uno nasce; e per questo riguardo si potrebbe
chiamarla diversità inizicUe; e in parte (grandissima) è il prodotto della
convivenza sociale: e per questo altro riguardo si puo chiamarla diversità
riuscita. La quale poi alla sua volta influisce pur anche indirettamente sulla
disposizione iniziale della nascita. L' argomento della diversità del diritto,
considerata sotto il secondo degli aspetti ora indicati, è vastissimo: ma noi
qui lo toccheremo solo per ciò che occorre allo scopo della nostra trattazione.
Le specialità di condizione di un uomo, dipendenti dalla sua relazione e
convivenza cogli altri uomini uniti in Società, sono moltissime; come ognuno
sa. Per esempio, la ricchezza, la parentela, la clientela, gli aderenti, gli
amici, i conoscenti, T ufficio, il grado, la cultura, il merito, le idee, e via
discorrendo. Queste specialità di condizione sono nello stesso tempo
altrettante specialità di attitudini e di potenza dell'uomo. E quindi anche,
secondo le cose stabilite sopra, altrettante specialità di Diritti di esso. Si
verifica perciò nell'organismo sociale la legge di tutti gli organismi, per la
quale V elemento, che, considerato in astratto e fuori dell' orgfanismo, è
uniforme, una volta entrato a farne parte, si diversifica per opera
dell'organismo medesimo; poiché questo, fra le moltissime funzioni delle quali
un elemento ha primitivamente la potenzialità indistinta, lo dispone e lo
destina ad una data funzione distinta. Che è ciò che si chiama anche il
fenomeno della divisione del lavoro, ed è nello stesso tempo ciò che altrove
dicemmo corrispondere alla (i) Per esempio, nella Formazione naturale nel fatto
del sistema solarCy Osservazione III, § V (nel Voi. II di queste Op, fil,).
wf^'^vmmmifm^gg^ della varietà, onde si spiega T attitudine alla esistenza e
alla virtù formativa nella natura in generale e negli organismi in particolare.
Così vediamo che gli atomi polivalenti del carbonio si costituiscono, negli
organismi degli animali e delle piante, in una serie di forme diverse di
radicali: in una serie tanto più notevole per numero e varietà, quanto più
complicato e perfetto è l’organismo costruitone. Nell'organismo sociale poi i
suoi radicali (per adoperare questa espressione) o le sue varietà elementari
costitutive, o attitudini distinte di funzione, onde emerge r essere suo
complessivo quale organismo sociale, sono precisamente le specialità di
condizione dell' uomo sopra accennate: ossia quelle specialità di potenza, che
l'uomo vi assume: ossia le specialità dei Diritti, I quali Diritti, nell'
organismo sociale, in pari tempo, e lo costituiscono, e ne sono determinati. In
modo che la Società si può chiamare la procreatrice dei Diritti, Come la pianta
è la. procreatrice delle sostanze speciali necessarie alla sua vita particolare;
le quali, nello stesso tempo, e la costituiscono e ne sono determinate. I diritti
individuali, per tal modo nascenti e vigenti in una Società, sono in numero
immensamente gratide: e perchè i fatti determinati sono moltissimi, e perchè
questi si connettono insieme in maniere differentissime, e perchè le attitudini
emergenti si diversificano all' infinito secondo le condizioni infinitamente
diverse nelle quali si verificano. Tuttavia si deve avere nella Società umana,
in quanto è un organismo speciale dato, una certa costanza nel numero e nella
qualità dei generi secondo i quali si possono classificare i Diritti. Allo
stesso modo che nell'organismo vegetale, per esempio, si ha una certa costanza
nel numero e nella qualità dei generi delle sostante componenti. La quale
costanza però non sarà mai quella delle Idee^ eternamente immutabili, di
Platone; né quella delle specie, sempre le medesime dopo la creazione, dei
vecchi naturalisti; né quella dei Diritti ab eterno ed immutabilmente stabiliti
dal verbo divino, dell'etica metafisica: ma sarà solo, come dicemmo, una certa
costanza; e si che, da una parte, ammetta una lenta trasformazione secondo i
tempi le circostanze e i casi e, dall'altra, nella realtà si verifichi sempre con
qualche diversità, come il tipo di un uomo o di una foglia, che non si effettua
mai lo stesso in ogni uomo, in ogni foglia. Il Diritto, che si forma nel modo
suddetto, è il Fatto del Diritto; ma non il suo Ideale, Un uomo esercita la
propria potenza in quanto l'ha e in quanto glaltriglielo permettono, o gli
detta la Idealità sociale: che torna lo stesso, dal momento che la Idealità
sociale non è che 1' astratto della reazione altrui e quindi del permesso dato
dagli altri di agire. £ la forma della reazione altrui e quindi della Idealità
sociale, nella loro tendenza a ridurre e trasformare la prepotenza egoistica
originaria dell' arbitrio individuale nella Giustizia antiegoistica del suo
concc«:so nel lavoro socialmente utile, sono continuamente in via di progressivo
mutamento; come spiegammo sopra, e come esige, secondo che pure avvertimmo più
volte, la legge universale della ^'«ifannipiiij I Formazione naturale applicata
al caso particolare della Formazione etico-sociale. Un uomo esercita la propria
potenza in quanto r ha e gli altri glielo permettono, o gli detta V Idealità
sociale regolante il suo operare. Ecco il Fatto del Diritto. La reazione
sociale, e quindi V Idealità mentale conseguente diretttiva dell' azione umana,
va sempre trasformando r arbitrio individuale dalla sua originaria
prepotenzaegoistica nella Giustizia anti-egoistica. £ questa Giustizia anti-egoistica,
alla quale tende la detta forza trasformatrice, è T Ideale del Diritto. Ma
questo Ideale è un termine al quale si può andare avvicinandosi sempre più,
senza che si effettui però mai perfettamente. E da ciò consegue: Che V Ideale
assoluto del Diritto non esiste realmente. Sicché è una assurdità il concetto
di un ordinamento morale definitivo, come porta la dottrina metafisica della
istituzione morale per parte di un legislatore divino, che la fissasse una
volta per sempre, e nei termini di una sognata Giustizia assoluta e quindi
irrefor-mabile. Che il fatto del Diritto è sempre una Giti^ stizia relativa: e
cioè relativa al lavoro di riduzione sociale precedente e alla potenza attuale
dell' organismo sociale derivatone. Ma tale Giustizia, quantunquesolamente
relativa quando sia rapportata ad un concetto astratto più perfetto dell'
organismo sociale, nella Società in cui vige ha valore come se fosse assoluta, perchè
essa giùdica, non in base all' Ideale o di un' altra Società o di una Società
possibile più perfetta, ma in base al Fatto che si è già verificato in essa.
Che ogni Diritto di fatto è nello stesso tempo in parte una prepotenza
ingiusta, che si tende ad eliminare, e si va sempre più eliminando. E ciò, sia
regolando meglio il fatto medesimo, sia, quando occorra, togliendolo del tutto.
Senza questi criteri è affattoinspiegabile la storia del Diritto, e il processo
legislativo delle Società. Tale processo, senza questi criteri, apparirebbe,
non la Giustizia in azione (come è realmente, e non può non essere), ma la
ingiustizia incaricata di creare la Giustizia. E con questi criteri poi si
spiega il fatto storico della evoluzione sociale procreatrice del Diritto più
utile e più giusto. La quale evoluzione quindi, secondo i criteri medesimi, si
può dire consistere in ciò, che il Diritto dell' avvenire, ossia il Diritto
ideale, combatte e vince il Diritto delpassato, ossia il Diritto di fatto. L'
Ideale assoluto del Diritto dicemmo che non esiste realmente. E che nella
realtà non si ha, dell'Ideale del Diritto, se non una effettuazione incompleta.
E da ciò potrebbe altri dedurre, che il Diritto di fatto sia un relativo il
quale supponga un assoluto: e che questo assoluto sia l'Ideale o il tipo
eternamente determinato del Diritto, che la mente o possieda gfià o abbia la
possibilità di possedere quandochesia. Ma anche ciò è un errore. L'Ideale del
Diritto non è un tipo assoluto o eternamente determinato, nemmeno come semplice
mentalità. L' Idealità del Diritto è, anch' essa, un fatto, come quello del
Diritto effettuatosi realmente. U Idealità del Diritto presiede si, come
mentalità direttiva, nella produzione del Diritto di fatto, ma è pur sempre un
fatto anch' essa. Solo che questa Idealità è un fatto della mente, dove il
Diritto effettuatosi realmente è un fatto della costituzione già vigente
esteriormente in una Società. Ed essendo un fatto ha le proprietà di tutti gli
altri fatti jn quanto tali: cioè di essere casuale e quindi relativo. Il tipo
ideale del Diritto è come tutti gli altri tipi ideali. Per esempio, come quello
del disegno della crea-zione supposto nella mentedi dio, del quale abbastanza
ho discorso nel libro della Formazione naturale, E come, quello dell' arte;
mettiamo dell'Architettura: che (per una serie di casualità) è riuscito diverso
nell'India, in Egitto, in ROMA, in Germania, e via dicendo; e pur nello stesso
paese non fu mai identico affatto nemmeno nella stessa epoca, e nemmeno in due
soli architetti, anzi nemmeno nello stesso architetto in tutta la sua vita. Il
tipo ideale del Diritto, come tutti quanti i tipi ideali, è una formazione
mentale, che apparisce un dato momento per una accidentalità che la suggerisce;
vi si perfeziona poi in una data maniera per altre accidentalità che guidano la
mente a farlo; e un dato momento poi si oblia e si sostituisce con altri
diversi e opposti, ancora per delle accidentalità che ve la inducono. E tanto,
che il tipo ideale stesso non è quindi determinabile a priori, come un vero
preesistente inmodofisso e inalterabile nella mente di ognuno: ma solo a
posteriori, cioè come 1' astratto di tutti i tipi conosciuti veriVol. IV. 16 ficatisi
effettivamente nelle Società umane d’ogni tempo. A quella maniera che il tipo
del vegetale non si può avere se non pel confronto mentale fra le forme reali
che effettivamente s* è dato che se ne producessero. IO. Che se altri dicesse
che il tipo ideale del Diritto è assoluto in quanto è il corrispettivo
necessario etico-sociale di una entità reale, cioè dell' uomo e della sua
convivenza nella Società, risponderemmo: Primo. Che la reale entità stessa,
dell' uomo e della sua convivenza nella Società, determinante necessariamente
il tipo ideale del Diritto, è ancora una somma di accidentalità, che si rileva
a posteriori, e non si prefigge a priori. Secondo. Che il tipo ideale del
Diritto sipresta al concetto di essere il correspettivo necessario del fatto
sociale, non come il disegno preesistente di ciò che non è ancora succeduto; ma
solo come V astratto rilevato dopo (i) Su ciò ho scritto nella Psicologia come
scienza positiva (Voi. I di queste Opev e filosofiche) un tratto che stimo
opportono di ripetere anche qui: « Anche nel dire, idealità, il filosofo
positivo esprime un concetto armonizzante i veri imperfetti di diverse scuole.
La scuola psicologica dà l'idea, come una mera forma del tutto soggettiva,
accidentale e variabile del pensiero. La scuola ontologica le assegna un valore
oggettivo, immutabile ed assoluto. La scuola storica ricorre per ispiegarla
alle relazioni dell'uomo colle condizioni esterne in cui vive, per cui le
attribuisce una semioggettività, e la considera, da una parte contro i
psicologi, non una creazione facile ed efimera dell' individuo, ma una
produzione faticosa,lenta, durevole della Società, e dall' altra contro gli
ontologi, non una intuizione che la riveli d' un tratto nella sua interezza ed
in una forma unica sempre e per tutti, ma una formazione progressiva e varia,
che incomincia dall' abbozzo per venire al lavoro sempre più finito; e che
riesce con aspetti diversi, secondo le circostanze differenti dalle quali
•*-^..r9,rr-frdi ciò che è già succeduto. Onde il ricorrervi che fanno i nostri
avversari è un circolo vizioso. Diritto è in virtù di se stesso, gioverà qui
ripetere, in forma appropriata a questo punto del nostro discorso, ciò che
pursopra sotto vari aspetti dimostrammo. Quello che può un uomo, che fa parte
di una Società, è una forza, che vi si pone da sé col solo fatto che r uomo
medesimo ne faccia parte; e che vi emerge in quanto non vi è elisa dal
contrasto dei consociati. Come già dicemmo più volte. Emergendo la forza di un
uomo nella Società, vi è dipende. Or bene anche nel filosofo positivo l' idea è
una formazione lenta, progressiva, durevole, non dell' individuo, ma della
società, e dipendente dalie esteme condizioni di essa, ma solo in quanto queste
condizioni esterne e l'opera sociale giovano a dare eccitamento e rinforzo al
pensiero individuale, il quale è il vero fattore dell' idea, secondo chedicono
giustamente i psicologisti. Ma l' individuo e la società, producendo l' idea,
non fanno opera capricciosa, ed avente solo valore momentaneo e soggettivo. No:
tale lavoro ha la sua ragione nella stessa natura per la quale agiscono, come
la forma che assume il seme germogliando. E come la forma assunta dal seme per
la germogliazione, più che se stessa, rappresenta queir ordine di cose, che ha
determinato la formazione della specie vegetale a cui appartiene, cosi r idea
di un uomo, più che 1' operazione accidentale, soggettiva, variabilissima di
esso, rappresenta, secondo che dicono giustamente gliontologisti, queir ordine
assoluto e immutabile, almeno quantola natura, nel quale è la ragione oggettiva
del fatto particolare, che consideriamo. Vedi per esempio nel Capo I, dove
parlammo della Giustizia potenziale y e nel Capo II, dove parlammo della
derivazione della Giustizia dalla prepotenza. «Triconosciuta: o estrale
galmente nel tacito consenso degli altri uomini, e nell'uso, e nella esplicita
manifestazione dell'opinione pubblica in qualunque modo approvante: o
legalmente nelle forme stabilite dal Potere sociale riconosciuto come tale. E
pel detto riconoscimento la forza in discorso acquista il carattere di Diritto,
per la ragione che importa la Responsabilità di chi la lede verso la Società,
la quale, col suo riconoscimento, se ne è costituita tutrice e vindice. E
quindi è falsa V idea che il Diritto emani assolutamente dall'Autorità
superiore, che lo doni o lo conceda air inferiore. Non emana da essa: esiste
potenzialmente prima e indipendentemente e malgrado di essa: si impone da sé: e
sforza la stessa Autorità ad ammetterlo col riconoscerlo e sancirlo. E anche
questo dicemmo già più volte. Ma ci occorre ora di far notare un fatto
essenziale alla dottrina della sociologia positiva, non ancor rilevato: il
fatto cioè che il Potere sociale crea pur esso direttamente dei Diritti
individuali. E, dato questo, si domanda: come si accorda questo fatto col
suddetto principio della emanazione del Diritto dall'individuo e non dalla
Società? Facile è la risposta. Il fatto della creazione di un Diritto
individuale per parte del Potere sociale si accorda col principio in discorso
per la ragione che questo Potere, nel caso qui contemplato, può porre il
Diritto neir individuo in quanto può fornirlo di una forza; e in quanto questa
forza, che l' individuo ha ritratto dal potere che gliel' ha fornita, sia
riconoscibile quale Diritto come le altre forze possedute comecchessia dall'individuo
medesimo, e dalla società rispettate o difese. In ogni caso il fatto del
Diritto di un uomo neir organismo sociale è analogo a quello delle proprietà
acquistate dall' elemento materiale quando é entrato a far parte di un
organismo; e, per un esempio, dalla molecola combinata nel tutto di una
sostanza, che acquista la forza specificamente funzionante della sostanza
medesima solo perchè è divenuta V elemento di essa. Nell’organismo chimico di
una sostanza V elemento è la molecola, come neir organismo sociale l’elemento è
la persona di un uomo. L' organismo intero, neir un caso e neir altro, e' è
solo pel rapporto della forza di un elemento con quelle degli altri; ossia per
orientarla secondo la coordinazione acconcia di tutte. Il che però non esclude:
Primo. Che, coordinandosi nella complessa azione dell' organismo le forze
proprie degli elementi, ognuno di questi non ne ceda un tanto a formare delle
somme comuni, che poi siano distribuite di nuovo nelle parti in ordine alle esigenze
generali dell' organismo. Secondo. Che l' individuo stesso non dipenda (e in
quanto giunge all' acquisto di tutte le forze onde riesce rivestito, e in
quanto le conserva e ne usa liberamente) dall' ambiente sociale, nel quale
trova il mezzo dell'acquisto e della sua gsiranzia. Sicché per questo lato (ma
per questo solamente) è vero il principio della derivazione del Diritto neir
individuo dalla Società e dal suo Potere direttivo: e come, per esempio, nella
sostanza del chimico, nella quale, in virtù della sua costituzione, le forze
sono condotte ad assommarsi in certi punti determinati, e in certa maniera; e
poi anche V acquisto e la costanza della forza specifica operante negli atomi
dipendono dall'esservi co-ordinati (“dove-tailed” – H. P. Grice). Il diritto è
la facoltà del bene sociale. L’esercizio del diritto è la funzione del bene
sociale. Dalle cose dette apparisce, che il Diritto è la facoltà del Bene
sociale; e che l'esercizio del Diritto è la funzione del Bene sociale. E ciò, o
solo indirettamente, o anche direttamente. Solo indirettamente, in quanto la
facoltà individuale sia puramente V egoismo contenuto nei limiti inoffensivi
per gli altri e producente il Bene dell' individuo investitone; che torna il
bene della Società, e perchè è il Bene del suo elemento, e perchè se ne possono
giovare e se ne giovano anche gli altri. Come nel fatto di una industria, che
arricchisce l'industriale, e quindi anche il paese, e offre nello stesso tempo
un utile e un comodo ai consumatori de' suoi prodotti. E anche direttamente, in
quanto la facoltà individuale sia quella che corrisponde alla Idealità
antiegoistica; la quale, come si estenda in urla Società adulta e colta e bene
ordinata e fiorente, vedemmo sopra; dove anzi dimostrammo che, se si tien conto
di tutte le gradazioni della Idealità e delle disposizioni anti-egoistiche (da
una minima che lavori insieme con un massimo di egoismo, ad una massima che
lavori insieme ad un minimo di ego-ismo), si trova in tutto ciò che può fare e
fa r individuo sociale. Il Diritto costa una contribuzione, I.Ma, se, da una
parte, l'individuo è investito di una potenza o di un Diritto (del quale usa
poi facendo, o indirettamente, o direttamente, il vantaggio altrui) dall'
altra, la stessa potenza o Diritto costa una contribuzione per parte degli
altri. E questa una legge naturale correlativa alla sopra accennata e
necessariamente ad essa collegata. Si piglia; ma si deve dare. Si dà; ma si
piglia per poter dare. Questa legge dell' organismo sociale non è altro cioè
che r applicazione al caso particolare di esso organismo della legge che domina
in tutti gli organismi, anzi in tutta la natura, dove una forza, posseduta da
un agente che funziona in virtù di essa, è, non una forza creata dal nulla neir
agente medesimo, ma comunicata ad esso da altri agenti, che gliela cedono in
ragione dei rapporti correnti fra quello che cede e quello che acquista; come
ho dimostrato nel libro della Formazione naturale, parlando del ritmo. Il VEGETALE
si appropria l' acido carbonico che lo at[Vedi Formazione naturale nel fatto
del sistema solare^ Osservazione terza. (nel Voi. II di queste Op. Jil.J.] tornia,
e con esso mantiene LA VITA. Gl’animali maggiori vivono cibandosi dei minori.
Nell’organismo di un mammifero alcune parti lavorano a preparare il sangue, e
le masse nervose ne fanno consumo. Impossibile l’attività specifica nervosa,
necessaria al funzionamento generale dell’organismo e anche a quello
particolare delle parti preparanti il sangue, senza la contribuzione di queste
alla nutrizione dei nervi mediante la somministrazione del sangue acconciamente
preparato e distribuito. Parlando in particolare dell’organismo sociale, la
partecipazione al contributo di ciascuna parte è in ragione della importanza
del Diritto, e quindi della facoltà di produrre il Bene sociale. Più è r
importanza del Diritto, e più è la facoltà di produrre il Bene sociale. Più è
questa facoltà e più è la partecipazione al contributo delle parti. Come nel
resto della natura, dove si trova che le funzioni più elevate de* suoi agenti
costano un immagazzinamento di forza tanto più grande quanto più distinta è la
forma e ìa sfera della efficienza. Risultando cosi una proporzione di
equivalenza tra la natura che dà e quella che riceve. E in questo modo, che al
più della contrizione apportata corrisponda il più della importanza della
attività emergente. Per la stessa ragione il Diritto di un ordine superiore,
quello ad esempio di un Giudice, costa una contribuzione per parte di quelli
sui quali ha giurisdizione. Sicché il Giudice mangia dei frutti della terra che
essi hanno lavorato, come il sistema nervoso consuma del sangue che fu
preparato da altre parti dell'organisme animale. PPP^P"?!'^. Come molto
movimento equivale a poco di calore, e molto calore a poco di attività chimica,
e molta attività chimica a poco di attività vitale, e molta attività vitale a
poco di pensiero; cosi, nell'ordine etico della natura, a molta materialità
(intendendo con questa espressione le forme inferiori della esistenza)
corrisponde poco di attitudine morale: poiché, nella gradazione delle
formazioni naturali e quindi delle equivalenze delle forze, i suoi poli opposti
possiamo rappresentarceli, o andando dal movimento meccanico al pensiero, che
ne è l'ultima trasformazione, o andando dalla materialità alla moralità, che è
r ultima e più sublime sfera della evoluzione ascendente della natura insensibile
e bruta. Naturale è questo fatto della contribuzione delle parti nell'organismo
sociale. E quindi, non effetto solo di arbitrio o prepotenza di alcuno, ma
necessario; a quel modo che è necessario l'assorbimento del carbonio per parte
del vegetale, e il consumo del sangue per parte dei nervi. E naturale il fatto
stesso; ed anche giusto, in quanto è, direttamente o indirettamente, consentito
ed approvato da quelli che contribuiscono. Ed è consentito ed approvato da
questi per la legge, rilevata dagli economisti, della domanda; la quale, come
tutti sanno, consiste in ciò, che più una cosa importa a molti e più è
domandata; e tanto più si paga quanto più [Intendendo questo nel senso della
filosofia positiva e non in quello della metafìsica materialistica. Come spiego
da per tutto nei miei libri, e più a lungo in quello col titolo V Unità della
Coscienza nel VII voi. dì queste Op. fil. iiu^.i'i>nn^ si domanda; ma si paga quanto occorre per
averla e non più. Questa legge poi, che determina nei suoi limiti necessari la
contribuzione assentita e giusta nell'organismo sociale, è analoga alla
fisiologica, onde un tessuto vivo si impadronisce delle sostanze che lo nutrono
nei limiti determinati dallo stesso bisogno della funzione domandatagli. E
quindi il fatto in discorso deve essere considerato come un caso speciale di
selezione naturale; che si potrebbe chiamare la selezione etico-sociale. E
dalle cose dette si conferma e si chiarisce viemmeglio la dottrina sopra
esposta, che il Diritto individuale è pur esso una autorità (i). Poiché, come
vedemmo, il Diritto individuale si impone a tutti quelli che contribuiscono
all' essere suo; e agli eguali, che lo riconoscono e lo rispettano; e agli
inferiori, ossia a quelli che, in ragione dei rapporti nascenti dalla sua
speciale natura, ne subiscono una dipendenza e una direzione; e al Potere
sociale subordinante, in quanto questo non lo crea ma lo riconosce, ed è
determinato a riconoscerlo dal fatto stesso di porsi da sé; onde, una volta che
si sia posto, viene ad essere realmente Diritto in virtù di se stesso. Le unità
minime, le unità medie, e l’unità massima nel corpo sociale. L’individuo è l’unità
minima del composto sociale, come l’atomo del composto chimico. E, come in
tutti gl’altri organismi naturali, cosi nel sociale, oltre le unità minime
degli individui sociali, e Munita massima dell' intero organismo, si trovano
delle unità di mezzo di terzo grado, risultanti di più individui associati
particolarmente fra loro, o di più di queste associazioni di individui
collegate particolarmente in federazioni più grandi. In unaSocietà adulta,
fiorente e grande, la vita del tutto si manifesta nelle più svariate e
spiccanti differenziazionidelle attitudini e conseguentemente dei Diritti
individuali, come accennammo or ora. Anzi la grandezza della Società è, alla
sua volta, il risultato di tali varietà o specificazioni di attitudini; ovvero
di tale divisione di lavoro, verificatavisi: come in ogni altro organismo; per
esempio, in quello fisiologico dell' uomo, nel quale la eccellenza zoologica
sopra gli altri animali dipende da una suddivisione di specificazioni in
massimo gradodegli organi componenti. In un animale del grado infimo della
scala ZOOLOGICA la sostanza componente (come avvertimmo nel principio del
libro) non è né muscolo ne nervo: come in una Società umana primitivissima
tutti gli individui sono, mettiamo, dei guardiani d' armenti: e non vi si trova
una distinzione di occupazioni, per salire, pogniamo, da uno che attende a far
pascolare le oche ad uno che attende a costruire stromenti di ottica o di
astronomia. La differenziazione in discorso nella Società più pro-gredita va,
si può dire, all' infinito. E non solo nelle unità minime degli individui, ma
anche nelle combinazioni medie già dette delle associazioni degli individui e
delle confederazioni di queste associazioni. Le quali pure, nelle Società
adulte fiorenti e grandi, si producono, per cosi dire, anch'esse all' infinito:
dalle più comuni, normali, e costanti, come quella della/amiglia, alle più
insolite, accidentali ed efimere, come quella ad esempio per dare una volta una
festa o uno spettacolo: dalle più piccole, come di due persone in una impresa
commerciale, alle più grandi, come di due provincie di uno Stato tra loro
consorziate per interessi speciali. Or bene, anche queste unità medie sono (al
modo che una data somma, come tale, si distingue dalle singole quantità sommate,
considerate ad una ad una) soggetti distinti in possesso di una facoltà
speciale, analoga alla individuale, a somiglianza di ciò che pur si verifica
neglialtri organismi naturali: nei quali, per esempio, la cellula nervosa
singola ha le sue proprietà particolari, e una data massa distinta di cellule
nervose ha un dato ufficio distinto fisiologico, che essa esercita in quanto
esiste e si conserva nella peculiarità del suo insieme. E siccome poi il
possesso di una potenza di fare importa il possesso di un diritto, come
dimostrammosopra,cosinellaSocietà si danno i Diritti degli individui e i
Diritti delle stssociazioni loro. E questi Diritti delle Associazioni hanno le
proprietà già notate dei Diritti individuali più quelle dipendenti dalla
specialità proporzionale della associazione. Delle quali ultime proprietà una
massimamente occorre che sia qui messa in rilievo. L' individuo, in astratto,
si può considerare siccome un plasma generico, il quale, nell' ambiente sociale
e nel circolo della sua vita, secondo le disposizioni già possedute nascendo, e
le circostanze accidentali nelle quali viene a cadere, riceve una particolarità
di impronta distinta e tutta sua. Nel che ha luogo un fatto di selezione
naturale: cioè la selezione naturale onde una unità sociale si sceme quale
individualità distinta fra altre unità. Anche l’agglomerazioni di più individui
in associazioni o totalità distinte sono determinate e foggiate, con grandezze,
tendenze e attività particolari, neir ambiente sociale, secondo i bisogni ed i
fatti, e costanti e accidentali, onde emergono, per una analoga selezione
naturale distinguente un composto singolo fra altri composti. Ma in questo
composto (o unità media, come sopra lo chiamammo) ha luogo un' altra forma
della selezione naturale: cioè quella che, neir interno stesso del composto,
diflFerenzia edistingue fra loro le parti componenti: e si che esso composto
riesca un organismo e non rimanga una semplice agglomerazione inorganica di
elementi tutti identici fra loro. E questa forma di selezione si potrebbe
chiamare selezione interorganica. La unità sociale da noi detta media non è
puramente un certo numero di parti addizionate le une alle altre, ma è una
collaborazione organica degli individui o dei sodalizi aggregati insieme; e
quindi con diversità di attinenze e di facoltà distribuite fra loro. Altri
fanno numero, contribuiscono e concorrono a mantenere T associazione: altri
invece la rappresentano, la dirigono, ne applicano le forze accumulatevi. E,
occorrendovi specialità di lavoro e di ufficio, queste vi sono divise quali
negli uni e quali negli altri. E, come è naturale la creazione di queste
differenze interorganiche delle parti costitutive delle unità medie, cosi è
naturale la selezione interorganica dalla quale dicemmo che proviene. Questa
selezione interorganica, come insegna la osservazione del fatto, avviene in
diverse maniere secondo i casi; ma soprattutto secondo la legge, che riesce a
una data facoltà ufficio chi piti vi ha attitudine, o ne ha il merito, e colla
condizione del consentimento degli associati. Il fatto del merito, onde uno
acquista una prerogativa o una particolarità d'ufficio a preferenza di altri, è
analogo a quello notato da Darwin della specie prevalente nella lotta per la
esistenza. Il fatto del consentimento degli associati è analogco air altro,
pure da Darwin segnalato, dell’efficacia dell'ambiente nel secondare la
trasformazione progressiva dell' essere naturale. L' individuo investito di nna
facoltà o di un ufficio in un corpo di individui o di sodalizi viene con ciò ad
avere due sorta di facoltà o di Diritti: cioè il Diritto fondamentale spettante
a lui come parte elementare della Società intera, e il Diritto avventizio, onde
è investito come organo speciale della associazione particolare a cui
appartiene. Il Diritto fondamentale ha il suo rapporto immediato colla
costituzione generale delle Società che lo garantisce direttamente a tutti
senza distinzione: T avventizio V ha con quella della associazione particolare
per la quale emerge; ed è garantito dal potere sociale supremo in quanto esso
riconosce il Diritto della medesima associazione particolare. Se privato si
dice ciò che è proprio della unità sociale minima, come tale, e pubblico ciò
che è proprio della unità massima, parlando delle unità medie si dirà che hanno
un carattere di mezzo tra i due, e gradatamente; in ragione cioè della
importanza loro, intensivamente o estensivamente, nella vita sociale
complessiva. Il pubblico poi si differenzia in genere dal privato in quanto ha
un rapporto diretto col Bene, non individuale, ma sociale; ossia è, non egoistico,
ma antiegoistico. La proprietà quindi di ente morale anti-ego-istico compete
massimamente alla unità più glande o allo stato. E se, come sopra dicemmo, il
Diritto in genere è \2l facoltà del Bene sociale e il suo esercizio è la
funzione del Bene sociale, ciò si avvererà meno pel diritto privato, più pel
Diritto delle associazioni sociali intermedie, e in grado più alto pel Diritto
dello Stato. Ma non diremo che per questo Diritto dello Stato il principio si
avveri proprio nel grado massimo, per la ragione che, come sopra dicemmo n),
uno Stato singolo, o già in effetto, o almeno in potenza, si coordina
internazionalmente con altri Stati, anzi con tutte le Società umane esistenti
sulla terra. La selezione interorganica nella evoluzione formatrice dello
Stato. La legge della selezione interorganica, che si avvera nella costituzione
degli organismi delle unità com[Dove parlammo del Diritto internazionale] -plesse
medie, si avvera poi per le ragioni medesime nella costituzione dell' organismo
della unità massima dello Stato. Ed è per essa legge che ha luogo in questo la
formazione del Potere onde si esercitano le sue fimzioni subordinanti, che sono
poi funzioni del Bene sociale. Questa selezione assume storicamente forme svari
atissime. Ma anche la varietà è determinata da una ragione costante, che si
rivela chiarissimamente nella storia politica degli Stati, e che non è altro
che una applicazione del principio nostro fondamentale della formazione
eticosociale, che cioè la prepotenza è V indistinto onde si forma il distinto
della giustizia, E in vero nello stadio iniziale, o della prepotenza, la
selezione formatrice del Potere sociale è dipendente dalla violenza, che a poco
a poco si mitiga nella eredità, finché da ultimo è sostituita, prima in parte e
poi del tutto, dalla elezione (per parte dei subordinati, e in modo legale e
pacifico) dei più degni, in ragione del merito morale e della Giustizia e non
del soprastare materiale della ricchezza o della forza dei muscoli: e si che
riesca investito dell' ufficio chi si trova piti atto ad esercitarlo, e che il
Potere nella direzione del corpo sociale sia quel premio del virtuoso. Il
costante e vivissimo lavoro evolutivo dell'organismo dello stato italiano, onde
si ha la sua formazione naturale e il suo sviluppo e isuo progresso, è l’applicazione
nel grado massimo del principio della formazione . morale, cioè, dall'
indistinto (morale solo virtualmente) della prepotenza e dell' egoismo, al
distinto (morale in atto) della Giustizia anti-egoistica, ma cooperativa. Più
procede la formazione organica dello Stato e più si estende e arriva in tutte
le parti e nel!' intimo di esse la virtù direttiva e moralmente perfezionatrice
della Sovranità politica. In modo che, dove prima le parti erano agglomerate e
coacervate e tenute in fascio violentemente, a poco a poco vanno organizzandosi
vitalmente insieme e finiscono coli' aderire 1' una con V altra, e tutte nel
tutto, volontariamente e per libero consentimento. Come, per esempio, le
molecole di certe sostanze, che fanno sentire la loro affinità e aderiscono
insieme a formare un cristallo solo in seguito ad una compressione che le
sforzò a ravvicinarsi meccanicamente. Il quale processo però va di pari passo
con quelr altro; che le parti stesse subordinate, di mano in mano che si orientano
nella armonia politica dello Stato, diventando partecipi e collaboratrici della
sua vita, reagiscono sul Potere sovraincombente, rintuzzando la prepotenza, che
vi fosse, e riducendolo ad una forza giusta e morale; ad una forza, in una
parola, diretta al Bene di tutti. Non è nostro compito (non richiedendolo lo
scopo del presente saggio) di studiare i modi precisi onde, per la elezione
interorganica, e pel processo di distinzione, si va formando nell' organismo
dello stato l’ordine del Potere, che riesce un sistema complesso di funzioni
speciali esercitate da individui e corpi particolari; e come nasca il fatto,
mettiamo, della divisione del governo in diversi ministeri, e di ciascuno di
questi in parecchie dipendenze, alle quali, variamente e per mez£o di centri
subordinati, si rannodano le ultime propag^ni della am-ministrazionepubblica
sparse in ogni parte dello Stato. Pel nostro scopo, in riguardo alle
specializzazioni accennate degli organi del Potere, basterà fare l’osservazione
(pure importantissima) che, come si distinguono tra loro le amministrazioni
pubbliche, e quindi gli c^getti di ciascheduna, e conseguentemente il modo di
funzionare (che deve atteggiarsi in conformità dell' intento da ottenere), cosi
si distinguono tra di loro le Sanzioni pubbliche e legali degli atti sociali
relativi; e quindi (si noti bene) le specie di Responsabilità, che neemergono.
E da ciò proviene che le forme della Giustizia e quindi della Moralità si
specializzano insieme collo specializzarsi della pubblica amministrazione;
onde, moralmente, non sono, per esempio, identiche le azioni degli individui
giudicate da un tribunale civile e quellegiudicate da una una intendenza di
finanza, o da una commissione igienica o di belle arti; e per un reato controla
proprietà individuale o per uno contro le restrizioni della libertà della
stampa, in materia scientifica; e cosi via. Il che non vuol dire però che non
si possano tutte le dette azioni ridurre al genere comune delle obbligatorie
nel foro intimo della coscienza, in ragione che Dell' individuo si è formata,
come sopra abbiamo dimostrato, r abitudine virtuosa e propria del saggio;
l'abitudine cioè di attribuire universalmente alle Idealità antiegoistiche
sociali un valore obbligativo per se, assoluto e indipendente dalle specialità
di procedura e di Sanzione, che loro corrispondono nella amministrazione
governativa. m Come risuiii spiegata la prima /orina de li* ufficio del Intere,
e anche la terza: e stabilito l' assunto del liérù. Ora, facendo, colla
proporzione dovuta, al fatto del Diritto del Potere, Tapplicazione del
priacipio stabilito sopra, che ogni Diritto importa una conirièuzionc, possiamo
trovare la verità di quella che dicemmo la pritna forma dell' ufficio del
Potere, cioè: di stabilii*^! nella Società a spese delle sue parti. Et facendo
allo stesso fatto» pure colla proporzione dovuta, r applicazione dell' altro
principio, che il Diritto è la facoltà del Bene^ constatiamo la verità di
quella, che ivi stesso chiamammo la terza forma dell' ufficio del Potere, cioè:
di flÌH|ìensHri^ la forza propriadeir ambiente sociale (cioè le contribuzioni
suddette) al migli orauiento delle sue parti. In questo ultimo enunciato poi
abbiamo il compendio, per cosi dire, di tutta la trattaEione di questo libro,
E> in relazione allo stesso enunciato, si verificano, in ragione cho lo
Stato si perfeziona in ogni sua parte, i principj che seguono: Primo* Che le
contribuzioni di ogni genere, prestate da tutti gli elementi costitutivi dello Stato,
diventano liberamente consentile. Secondo. Che le contribuzioni medesime si
vanno avvicinando al massimo di ciò che pi4Ò dare ciascuno senza suo esiziale
detrimento* ^ i '«.iFI-i-^..' TChe nulla, di ciò che è contribuito, va
consurmalo prepotentemente ed egoisticamente da chi è investito del Potere di
disporne. Quarto. Che la erogazione medesima è fatta secondo il volere di
quelli stessi che contribuiscono. Quinto. E alla tutela dei Diritti di tutti; e
dXVottenimento della prosperità, e al miglioramento morale. Sesto. E a questo
soprattutto. E nella ragione che il miglioramento morale ottenuto, supplendo da
sé, come dimostrammo sopra, alla tutela dei Diritti e all' ottenimento della
prosperità materiale, lascia per sé disponibili mezzi sempre maggiori. E cosi
nello Stato siverifica T idea della provvidenza, che il teista colloca in dio,
come in esso colloca il tipo della specie di una pianta, per la solita
illusione tante volte notata. E si verifica anche V idea della grazia,
immaginata per una simile illusione dalla teologia cattolica siccome emanazione
divina, atta a rendere V uomo morale, a far che segua le leggi della Giustizia
ed eserciti la beneficenza. La possibilità per 1’individuo di essere morale, di
conoscere e seguire la Giustizia, e di essere benefico verso gli altri, si ha,
come dimostrammo nel corso del libro, dalla sua convivenza nella Società e
dalla proprietà di questo di svolgere e perfezionare le facoltà dell'uomo, e di
moralizzarlo. Onde lo Stato, cosi
concepito, viene ad essere l'attuazione pura e compiuta della Idealità sociale,
ossia In molti luoghi: per es. Numero 2 del J VI del Capo del principio del
Bene anti-egoistico, del Bene morale, in una parola del Bene pel Bene, E quindi
lo Stato medesimo riesce la prova concreta ' sperimentale della verità del
principio della Morale dei positivisti da noi affermato, chiarito, dimostrato:
e una prova evidente, in quanto nel fatto dello Stato il fenomeno individuale
si trovaingrandito, E mi spiego. Se, ad esempio, si può dubitare che un atomo
materiale preso da sé sia pesante, perchè il peso deir atomo è tanto piccolo
che non si può rilevare isolatamente, il dubbio cessa affatto prendendo una
grande congerie di atomi, nella quale i pesi minimi non valutabili di ognuno
sisommano in un peso valutabile, dal quale si arguisce quello troppo piccolo
dei componenti. E, se si può dubitare che una molecola di ferro, considerata
isolatamente, sia calamitata, il dubbio cessa quando se ne prenda una grande
massa. E cosi nel caso nostro. Se si può dubitare che T uomo singolo sia mosso
nelle sue azioni da una Idealità sociale antiegoistica, perchè la ragione di
questa, nella singola azioneumana di un individuo, si sottrae facilmente alla
osservazione, stante il concorso e il contrasto colle ragioni egoistiche, le
quali ve la accompagnano, il dubbio è tolto interamente arguendo dal fatto che,
appuntandosi i voleri individuali nella totalità dello Stato, ne risulta la
incontrastabile sovranità del volere morale, e antiegoistico, che vi
osservammo. Le cose dette nel corso del libro dimostrarono che la
Responsabilità, intesa nel senso che sia Vastraito delle Sanzioni,onde la
Società reagisce, rintuzzandola, contro V azione propriamente umana
individuale, si riferisce, non solo agli atti della Giustizia propriamente detta,
ma anche a tutti gli altri atti etico-civili dell'uomo; cioè: Agli atti
offensivi non contemplati e non contemplabili dalla Legge. I quali perciò,
esclusi dal campo della Giustizia propriamente detta, vanno attribuiti a quella
altro della pura Convenienza. Agli atti sindacabili soltanto dalla coscienza
intima dell’individuo in cui si avverano, e producenti la sola reazione del
rimorso intemo. Agli atti virtuosi, che l’individuo potrebbe fare e sarebbe
bene facesse, e non fa. Ossia a quegli atti che non si attribuiscono, ne alla
Giustizia, né alla Convenienza, ma alla Carità, come dicevano i moralisti
vecchi, o alla Filantropia o Beneficenza, come direbbero inuovi. E cosi è
sciolta la questione, propostaci nella Introduzione, come compito di questa
nostra Sociologia. Rodrigo Felice Ardigò. Rodrigo Ardigò. Keywords: sociologia. Grice ed Ardigò: implicatura cooperativa positivismo
filosofico biologia filosofica psicologia
filosofica naturalista il sociale l’intersoggetivo ——, la morale positivista,
il positivism filosofico. La morale e il diritto all’altro – la convivenza
sociale – la giustizia, il bene sociale – la benevolenza e la beneficenza – il
calcolo ragionale nella convivenza sociale – l’evoluzione sociale – l’organismo
sociale – il positivismo filosofico – communicazione e convenienza sociale –
l’onesta morale – spettazione di onesta reciproca – Fondazione naturalistica
della morale – Fondazione – il fatto sociale – il devere, la regola d’oro, fare
all’altro cioe che vorreste fatto a te – consiglio di prudenza – kant – costume
– fatto sociale presupposizione del linguaggio -- Refs.: Luigi Speranza, “Grice
ed Ardigò” – The Swimming-Pool Library.
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