Luigi Speranza – GRICE ITALO; ossia, Grice e Vacca:
la ragione conversazionale e l’implicatura conversazionale dell’ala del
silenzio – scuola di Bari – filosofia pugliese -- filosofia italiana – By Luigi
Speranza, pel Gruppo di Gioco di H. P. Grice, The Swimming-Pool Library (Bari). Filosofo pugliese. Filosofo italiano. Bari, Puglia. Essential
Italian philosopher. Grice: “My favourite of his books is “L’ala del silenzo”
-- great title, from Alighieri about litotes and understatement. Deputato della Repubblica Italiana Legislature.
Gruppo parlamentare Collegio Bari Partito Comunista Italiano, Partito
Democratico della Sinistra, Partito Democratico Laurea in giurisprudenza e
filosofia del diritto. Docente universitario. Si laurea in filosofia del
diritto discutendo una tesi sulla filosofia politica e giuridica di CROCE. Svolge
una intensa attività di organizzatore di cultura, culminata con l'impegno
dedicato alla casa editrice De Donato. Membro del comitato centrale del Partito
Comunista Italiano è poi stato nella direzione del Partito Democratico della
Sinistra. Libero docente in storia delle dottrine politiche, vince la cattedra
di tale disciplina a Bari. -- è stato nel consiglio di amministrazione
della RAI. Deputato per il PCI nella IX e X Legislatura nella circoscrizione
elettorale Bari-Foggia. In occasione delle elezioni comunali, si è candidato a
sindaco con il sostegno della coalizione di centro-sinistra, ma è stato
sconfitto da Abbrescia. Ha ricoperto incarichi di partito in Puglia e a livello
nazionale. Ha rivolto poi i suoi studi alla storia del marxismo
contemporaneo. Dirige la Fondazione Istituto Gramsci di Roma, diventandone poi
Presidente. Membro del Cda dell’Istituto dell’Enciclopedia italiana presiede la
Commissione scientifica dell’Edizione degli scritti di GRAMSCI. Professore di
Storia delle dottrine politiche a Bari, si è occupato in particolare
dell'idealismo novecentesco e dell'hegelismo italiano nella seconda metà del
XIX secolo, con particolare riferimento alla genesi del marxismo in
Italia. Saggi: “Politica e filosofia in SPAVENTA” (Bari, Laterza); Lukàcs
o Korsch? (Bari, Donato); Marxismo e analisi sociale (Bari, Donato); Scienza,
Stato e critica di classe. VOLPE (vedi) e il marxismo (Bari, Donato); Politica
e teoria nel marxismo italiano, Antologia critica (Bari, Donato); PCI,
Mezzogiorno e intellettuali. Dalle alleanze all'organizzazione, curatela (Bari,
De Donato); Saggio su TOGLIATTI e la tradizione comunista (Bari, Donato); Osservatorio
meridionale. Temi di politica culturale” (Bari, De Donato); Quale democrazia.
Problemi della democrazia di transizione (Bari, Donato); Criticità e
trasformazione. Korsch teorico e politico (Bari, Dedalo); Gl’intellettuali di
sinistra e la crisi, curatela, Roma, Editori Riuniti, Comunicazioni di massa e
democrazia, curatela, Roma, Editori Riuniti, L'informazione Roma, Editori
Riuniti, Il marxismo e gl’intellettuali. Dalla crisi di fine secolo ai Quaderni
del carcere, Roma, Editori Riuniti, Tra compromesso e solidarietà. La politica
del PCI (Roma, Editori Riuniti); Gorbačëv e la sinistra europea, Roma, Editori
Riuniti, Tra Italia e Europa. Politiche e cultura dell'alternativa (Milano,
Angeli); “Gramsci e Togliatti” (Roma, Editori Riuniti); Dal PCI al PDS.
Intervista (Bari, Delphos); Togliatti sconosciuto, Roma, l'Unità, Pensare il
mondo nuovo. Verso la democrazia, Cinisello Balsamo, San Paolo, Per una nuova
Costituente, Milano, PasSaggi Bompiani, Vent'anni dopo. La sinistra fra
mutamenti e revisioni, Torino, Einaudi, Da un secolo all'altro. Mutamenti della
politica nel Novecento, Milano, Bompiani, Appuntamenti con GRAMSCI:
Introduzione allo studio dei Quaderni del carcere, Roma, Carocci, GRAMSCI (Roma, Carocci); Presente futuro. Idee
per lo sviluppo ecosostenibile della Puglia, Bari, Dedalo, X. Riformismo
vecchio e nuovo, Torino, Einaudi, In tempo reale. Cronache del decennio, Bari,
Dedalo, Ritorno in Puglia. Tre anni di volontariato politico, Bari, Palomar, Federalismo,
sviluppo economico e coesione sociale in Puglia, e con Masella, Lecce. Martano,
L'unità dell'Europa. Rapporto sull'integrazione europea, curatela, Bari,
Dedalo, Roma, Nuova iniziativa editoriale, Il dilemma euroatlantico. Rapporto della
Fondazione Istituto Gramsci sull'integrazione europea, curatela, Roma, Nuova
iniziativa editoriale, Dalla Convenzione alla Costituzione. Rapporto della
Fondazione Istituto Gramsci sull'integrazione europea, a cura di, Bari, Dedalo,
I dilemmi dell'integrazione. Il futuro
del modello sociale europeo. Rapporto sull'integrazione europea, e con Sausi (Bologna,
Il mulino); “Il riformismo italiano: dalla fine della guerra fredda alle sfide
future” (Roma, Fazi); “Gramsci tra MUSSOLINI e Stalin” (Roma, Fazi); cura di Gramsci,
Nel mondo grande e terribile. Antologia degli scritti Torino, Einaudi, Studi
gramsciani nel mondo. e con Schirru,
Bologna, Il mulino, Perché l'Europa?
Rapporto sull'integrazione europea, e con Sausi, Bologna, Il mulino, Studi
gramsciani nel mondo. Gli studi culturali, e con Capuzzo e Schirru (Bologna, Il
mulino) Le forme e la storia. Scritti in onore di Giovanni (vedi), e con Montanari
e Papa, Napoli, Bibliopolis, Il Novecento di Garin. Atti del Convegno di studi,
e con Ricci, Roma, Istituto della Enciclopedia Italiana. Studi gramsciani nel
mondo. Gramsci in America, e con Kanoussi e Schirru, Bologna, Il mulino, Vita e
pensieri di Gramsci. Collana Storia,
Torino, Einaudi, Collana ET Storia, Einaudi, Moriremo demo-cristiani? La
questione cattolica nella ri-costruzione della repubblica, Roma, Salerno); “Il
FASCISMO in tempo reale: studi e ricerche di Tasca sulla genesi e l'evoluzione
del REGIME FASCISTA, con Bidussa (Milano, Feltrinelli); Togliatti e Gramsci. Raffronti,
Pisa, Edizioni della Normale, Modernità alternative. Il Novecento di Gramsci,
Torino, Einaudi, Togliatti, La politica nel pensiero e nell'azione, Scritti e
discorsi, V. con Ciliberto, Bompiani, Milano
Quel che resta di Marx, Salerno Editore, Roma, L'Italia contesa. Comunisti e democristiani nel
lungo dopoguerra, Marsilio, Venezia. V.,
su storia.camera, Camera dei deputati. Vacca. Keywords: solidarietà
conversazionale, fascismo. Per H. P. Grice’s Play-Group, The Swimming-Pool
Library, Villa Speranza. Vacca.
Luigi Speranza – GRICE ITALO!; ossia, Grice e Vacca: la ragione
conversazionale del deutero-esperanto – filosofia romana – filosofia italiana
-- Luigi Speranza, pel Gruppo di Gioco di H. P. Grice, The Swimming-Pool
Library (Roma). The phrase ‘Grice italo’ is meant as provocative. An
Old-World philosopher like Vaccarino would never have imagined to be compared
to a tutor at a varsity in one of the British Isles, but there you are! It is
meant as a geo-political reminder, too. Many Italian philosophers have been
educated in a tradition that would make little sense of Vacca as a ‘Grice
italo,’ but there you are. My note is meant as a tribute to both philosophers.
Grice has been deemed an extremely original philosopher, and by Oxford canons
he certainly was. He was the primus inter pares at the Play Group, the epitome
of ordinary-language philosophy throughout most of the twentieth century. His
heritage remains. Vacca’s place in the history of philosophy is other. But
there are connections, and here they are. Filosofo italiano. A differenza del deutero-esperanto di Grice, non usato
ma da Grice, il latino sine flexione è utilizzato anche da altri filosofi come
VACCA (si veda), in Sphoera es solo corpore, qui nos pote vide ut circulo ab
omne puncto externo, LAZZARINI (si veda), in Mensura de circulo iuxta
Leonardo[VINCI (vedasi) Pisano, e PANEBIANCO (vedasi) che discute proprio della
lingua internazionale nell'opuscolo “Adoptione de lingua internationale es
signo que evanesce contentione de classe et bello” (Padova, Boscardini). Vedasi
ALBANI, BUONARROTI. PANEBIANCO (vedasi) è anche un grande appassionato di
Esperanto, tanto che è solito firmarsi "esperantista socialista".
Quest'ultimo, come si evince anche dal titolo della sua opera, vede nella
lingua internazionale un modo per mettere la parola fine ai contrasti
internazionali, e in particolare al capitalismo spietato. Inter-linguista,
quale que es suo opinione politico aut religioso es certo precursore de novo
systema sociale. Isto novo systema, in que homines loque uno solo lingua magis
facile, commune ad illos non pote es actuale systema de "homo homini
lupus", sed es systema sociale in que toto homines fi socio. Per ben
adempiere a un tale compito, la lingua perfetta di PANEBIANCO (si veda) deve
seguire gli stessi principi di quella di P. Es evidente que essendo id sine
grammatica, id es de maximo facilitate et simplicitate. Ergo, es per illo quasi
impossibile ad fac ambiguitate, excepto ad praeposito [“As when the
conversational maxim, ‘avoid ambiguity’ is FLOUTED for the purpose of
bringining in a conversational implicature”]. Etiam es multo plus rapido compone et scribe in isto
lingua que in proprio lingua nationale. Si capisce allora che egli auspica che
il latino sine flexione assurga a lingua di comunicazione non solo
internazionale, ma anche quotidiana, e forse i suoi auspici si spingono sì
avanti che lo vorrebbe elevato a lingua naturale, lingua madre di tutti i
popoli. Vacca. Keywords: Deutero-Esperanto, implicatura, ragione
conversazionale. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Vacca,” The Swimming-Pool
Library.
Luigi Speranza – GRICE ITALO!; ossia, Grice e Vaccarino:
all’isola -- la ragione conversazionale e l’implicatura conversazionale dell’errore
del filosofo – scuola di Pace del Mela – filosofia siciliana -- filosofia
italiana – Luigi Speranza, pel Gruppo di Gioco di H. P. Grice, The
Swimming-Pool Library (Pace
del Mela). The phrase ‘Grice italo’ is meant as provocative. An
Old-World philosopher like Vaccarino would never have imagined to be compared
to a tutor at a varsity in one of the British Isles, but there you are! It is
meant as a geo-political reminder, too. Many Italian philosophers have been
educated in a tradition that would make little sense of Vaccaro as a ‘Grice
italo,’ but there you are. My note is meant as a tribute to both philosophers.
Grie has been deemed an extremely original philosopher, and by Oxford canons he
certainly was. He was the primus inter pares at the Play Group, the epitome of
ordinary-language philosophy throughout most of the twentieth century. His
heritage remains. Vaccarino’s place in the history of philosophy is other. But
there are connections, and here they are. Filosofo siciliano. Filosofo italiano. Pace del Mela, Messina, Sicilia. Essential
Italian philosopher. Grice: “I appreciate his metaphor of the ‘chemistry of the mind,’ la
‘chimica del pensiero,’and the idea that philosophers commit only ONE mistake
(“l’errore dei filosofi”)!” Flosofo
Figlio del titolare di un importante saponificio. Laureato a Milano. Fonda “Sigma”
pubblicata a Roma. Fonda “Methodos”, trimestrale di metodologia e di logica
simbolica. Si occupa prevalentemente di logica ed epistemologia. Pubblica
una serie di articoli sulla rivista Archimede su invito di GEYMONAT. Abilitato
alla libera docenza in filosofia della scienza, ma assorbito dai suoi studi e
da altre attività non si dedica all'insegnamento. Ha incarico di tenere il
corso di storia della filosofia antica presso Messina. Riceve anche quello di filosofia
della scienza. Nominato professore associato di filosofia della scienza, ma non
ottenne mai la cattedra di ordinario. Partecipa a vari congressi. In quello di
Amsterdam ha l'occasione di conoscere Bochenski e incaricarlo di dirigere la
sezione di logica simbolica di Methodos. A quello di Parigi partecipa insieme
con CECCATO (vedi), SOMENZI (vedi), e LANDI (vedi), con i quali era in stretti
rapporti di amicizia. Contribusce alla fondazione della rivista Methodologia
nata per iniziativa della Società di cultura metodologica operativa a Milano,
presieduta da Accame. Molto vicino alle vedute filosofiche dei neo-positivisti,
ma in seguito si capì che per dare soluzione ai problemi posti dalla
tradizionale filosofia bisogna anzitutto effettuare un'indagine sul metodo
scientifico onde spiegare perché è l'unico considerabile come valido. Sviluppa
in questo senso sulla “Sigma” una teoria che chiama della "meta-conoscenza",
in quanto ricondotta a una disciplina avente per oggetto la conoscenza.
Successivamente si convince che per procedere in modo effettivamente
scientifico bisogna eliminare ogni a-priorismo effettuando un'analisi
sistematica dei significati di tutte le parole di cui ci avvaliamo e
riconducendoli alle operazioni da cui sono costituiti. Sotto questo profilo i
suoi interessi si incontrarono con quelli di CECCATO e della scuola opperativa.
Ma mantenne una posizione autonoma, ritenendo che la ricerca di base deve
puntare su una semantica e non su una ricerca di tipo cibernetico, come invece
sostene CECCATO. Però accetta e condivide il concetto che bisogna
occuparsi del modo come operiamo a livello mentale per descrivere i
significati. Perciò respinge vedute allora in auge, come quelle della filosofia
analitica, che riconducendo il SIGNIFICATO semplicemente all’USO che se ne fa
parlando, li lascia in analizzati assumendoli implicitamente come prius, in
quanto tali, dogmatici. Si dedica assiduamente a queste ricerche, pervenendo
alla elaborazione di un metodo generale di analisi dei significati. Le sue
ricerche conduce, tra l'altro, all'introduzione di una formulistica idonea alla
definizione delle operazioni mentali, prospettando una sorta di chimica della mente.
La vastità e la complessità delle sue indagini lo costringe a procedere a molti
ripensamenti e revisioni. Pubblica “La chimica della mente” (Carbone,
Messina), in cui espone i principali risultati a cui e pervenuto. Vince il
premio L'Inedito con il racconto “Lo sporco”, pubblicato da Marsilio. Prospetta
ampliamenti e modifiche delle sue teorie nel saggio “Analisi dei significati” (Armando,
Roma). Pubblica “Scienza e semantica costruttivista” (Cooperativa Libraria
Universitaria del Politecnico, Milano) dedicato a una critica di correnti
vedute professate da filosofi della scienza. I suoi interessi si rivolgeno
anche alla codificazione di una logica contenutistica in grado di fissare i
criteri di compatibilità e incompatibilità tra i significati in riferimento
alle loro operazioni costitutive. In tal modo la logica diviene una filiazione
della semantica. La summa dei suoi lavori di semantica è pubblicata in “Dalle
operazioni mentali alla semantica” (Ciddo, Rimini). Nella prefazione al volume
Introduzione alla semantica edito da Falzea a Reggio Calabria, si lo considera
l'ultimo dei grandi illuministi. Altri saggi: “L'errore dei filosofi” (D'Anna,
Messina); “Introduzione alla semantica” (Falzea, Reggio Calabria); “Scienza e
semantica” (Melquiades, Milano); “Prolegomeni”, “Lo sporco. Il pulito, duepunti
edizioni. Repubblica Semantica Filosofia
della scienza Centro Internazionale Di
Didattica Operativa onlus, su ciddo. Methodologia on-line, su methodologia. Vaccarino.
Keywords: construzione prammatica. Per il H. P. Grice’s Play-Group, The
Swimming-Pool Library, Villa Speranza.
Luigi Speranza – GRICE ITALO; ossa, Grice e Vaccaro:
all’isola -- la ragione conversazionale e l’implicatura come eteropia – la
scuola di Palermo – filosofia siciliana -- filosofia italiana – Luigi Speranza,
pel Gruppo di Gioco di H. P. Grice, The Swimming-Pool Library (Palermo). The
phrase ‘Grice italo’ is meant as provocative. An Old-World philosopher like Valiati
would never have imagined to be compared to a tutor at a varsity in one of the
British Isles, but there you are! It is meant as a geo-political reminder, too.
Many Italian philosophers have been educated in a tradition that would make
little sense of Vaccaro as a ‘Grice italo,’ but there you are. My note is meant
as a tribute to both philosophers. Grie has been deemed an extremely original
philosopher, and by Oxford canons he certainly was. He was the primus inter
pares at the Play Group, the epitome of ordinary-language philosophy throughout
most of the twentieth century. His heritage remains. Valiati’s place in the
history of philosophy is other. But there are connections, and here they are. Filosofo siciliano. Filosofo italiano.
Palermo, Sicilia. Essential Italian philosopher. Grice: “My favourite of his
books is ‘eteropie,’ a pun on homotopos.” Si
laurea a Palermo, inizia l'attività di docenza presso lo stesso ateneo prima
come professore a contratto, poi come ricercatore e come professore associato. Titolare
del corso di filosofia politica e supplente di scienza politica nella facoltà
di scienze della formazione dell'ateneo palermitano. -- è pro-rettore a Palermo
per la politiche di solidarietà sociale e di co-operazione per lo sviluppo. Inoltre
è condirettore della collana “Eterotopie” dell'editore Mimesis di Milano,
membro fondatore della Società italiana di filosofia politica” e del Centro
interdisciplinare in Bio-politica, Bio-economia e Processi di Soggettivazione a
Salerno. Vicepresidente dell'ONG palermitana della Cooperazione Internazionale
Sud-Sud. I suoi ambiti di ricerca si orientano sulla teoria critica
(soprattutto Adorno e Benjamin della Scuola di Francoforte) e sulla
decostruzione post-strutturalista francese (principalmente Foucault e Deleuze)
dai quali ricava strumenti di analisi da mettere alla prova nel campo della
globalizzazione, della governance e dei diritti umani. Saggi: “Decostruzione
di una realtà macchinica”, in Il camaleonte e l'iscrizione, Palermo, Ila Palma);
“Il capitalismo regolato statualmente”, curatela con Riccio e Caruso (Milano,
Angeli); “Oltre la pace” -- saggi di critica al complesso politico militare,
curatela con Magno (Milano, Angeli); “Adorno e Foucault: congiunzione
disgiuntiva” (Palermo, ILA Palma); “Il pensiero (check) anarchico (Verona, Demetra);
“Il secolo deleuziano” (Milano, Mimesis Edizioni); “Il pianeta unico” (Milano,
Elèuthera); “Anarchismo e modernità” (Pisa, BFS); “CruciVerba: lessico per i libertari”
(Milano); “Zero in condotta, Globalizzazione e diritti umani” (Milano,
Mimesis); “Biopolitica e disciplina” (Milano, Mimesis); “Lo sguardo di
Foucault” (Roma, Meltemi); “Governance e democrazia” (Milano, Mimesis). Vaccaro.
Prof. Salvatore delegato alle politiche di solidarietà sociale e di co-operazione
per lo sviluppo, su Università degli Studi di Palermo. Mimesis Edizioni: collane. Archiviato Palermo:
scheda docente., su scienze formazione.unipa. Biblioteca nazionale di Firenze:
catalogo autore., su opac. bncf.firenze..
Foucault: scheda autore., su portail-michel-foucault.org. Vaccaro.
Keywords: congiunzione e disgiunzione. Per H. P. Grice’s Play-Group, The Swimming-Pool
Library, Villa Speranza. Vaccaro.
Luigi Speranza -- GRICE ITALO; ossia Grice e Vailati: la ragione
conversazionale e l’implicatura conversazionale della semantica filosofica di
Peano– la scuola di Crema – filosofia lombarda -- filosofia italiana – Luigi
Speranza, pel Gruppo di Gioco di H. P. Grice, The Swimming-Pool Library (Crema). The
phrase ‘Grice italo’ is meant as provocative. An Old-World philosopher like Valiati
would never have imagined to be compared to a tutor at a varsity in one of the
British Isles, but there you are! It is meant as a geo-political reminder, too.
Many Italian philosophers have been educated in a tradition that would make
little sense of Valiati as a ‘Grice italo,’ but there you are. My note is meant
as a tribute to both philosophers. Grie has been deemed an extremely original
philosopher, and by Oxford canons he certainly was. He was the primus inter
pares at the Play Group, the epitome of ordinary-language philosophy throughout
most of the twentieth century. His heritage remains. Valiati’s place in the
history of philosophy is other. But there are connections, and here they are. Filosofo
lombardo. Filosofo italiano. Crema, Cremona, Lombardia. Essential Italian
philosopher. an important figure in the history of formal semantics, influenced
by PEANO, who in turn influenced Whitehead and Russell, and thus Grice. Si laurea a Torino. Insegna a Torino, dopo aver
lavorato come assistente di PEANO e VOLTERRA. Lascia il suo posto universitario
e così puo proseguire i suoi studi in modo indipendente, e si guadagna da
vivere insegnando matematica. Scrive saggi e recensioni che toccano un'ampia
gamma di discipline. La sua opinione nei confronti della filosofia è che essa
fornisse una preparazione e gli strumenti per il lavoro scientifico. Per questa
ragione, e perché la filosofia dove essere neutrale fra opposte convinzioni,
concezioni, e strutture teoriche, il filosofo evita l'uso di un linguaggio
tecnico specialistico, ma usa il linguaggio che la filosofia adotta in quelle
aree in cui è interessata. Ciò non vuol dire che il filosofo debba soltanto
accettare qualunque cosa egli trovi. Un termine del linguaggio ordinario
potrebbe essere problematico, ma la sua carenza e corretta piuttosto che
sostituite con qualche nuovo termine tecnico. La suo filosofia sulla
verità e sul significato e influenzato da filosofi come Peirce e Mach. Con
cautela, distinse fra SIGNIFICATO e verità. La questione di determinare che
cosa vogliamo dire quando enunciamo una data proposizione, non solo è una
questione affatto distinta da quella di decidere se essa sia vera o falsa. Tuttavia,
dopo aver deciso cosa si vuole dire, l'azione di decidere se ciò è vero o falso
è cruciale. V. ha una filosofia positivista moderata. La tattica adottata dai
pragmatisti in questa loro guerra contro l'abuso delle astrazioni e delle
unificazioni consiste nel proporre che, anche nelle questioni filosofiche si
esiga, da chiunque avanzi una tesi, che egli sia in grado di indicare quali
siano i fatti che, nel caso che essa fosse vera, dovrebbero, secondo lui,
succedere o esser successi, e in che cosa essi differiscano dagli altri fatti
che, secondo lui, dovrebbero succedere o essere successi, nel caso che la tesi
non fosse vera. Le influenze e i contatti di V. sono molti e vari, e spesso e etichettato
come "l'italiano pragmatista". Deve molto a Peirce e James – V. è uno
dei primi a distinguere i loro pensieri --, ma subì anche l'influenza di
Platone e Berkeley -- che egli vide come precursori importanti del pragmatism
-- Leibniz, V. Welby-Gregory, Moore, Russell, PEANO e Brentano. V. corrispose
con molti dei suoi contemporanei. La prima parte della sua filosofia comprende
scritti sulla logica matematica. In questi saggi, focalizza l'attenzione sul
suo ruolo in filosofia e distinguendo fra logica, psicologia ed epistemologia.
La dottrina recente pone V. e il suo allievo CALDERONI (vedi) nella categoria
storiografica del pragmatismo analitico italiano. I suoi principali
interessi storici riguardarono la meccanica, la logica e la geometria. Egli da
un importante contributo in molti campi, compreso lo studio della meccanica
post-aristotelica, dei predecessori di GALILEI (vedi), della nozione di
definizione e del suo ruolo nell'opera di Platone e Euclide, delle influenze
matematiche sulla logica e sull'epistemologia, e sulla geometria non-euclidea
di SACCHERI. S’interessa particolarmente
ai modi in cui quelli che potrebbero essere visti come gli stessi
problemi sono inquadrati e trattati in periodi differenti. Il suo lavoro di
storico della scienza e strettamente connesso con quello filosofico. Per le due
attività, infatti, utilizza gli stessi pensieri e metodologie di fondo. Vede lo
studio storico e lo studio filosofico come differenti nell'approccio ma non
nell'argomento. Crede, inoltre, che dovesse esserci cooperazione fra filosofi e
scienziati nell'approfondimento degli studi storici. Ritene anche che una
storia completa richiedesse che si tenesse in conto anche il background sociale
pertinente. Il superamento delle teorie scientifiche, grazie a nuovi risultati,
non comporta la loro distruzione, perché la loro importanza aumenta proprio per
il fatto di essere superate. Ogni errore ci indica uno scoglio da evitare
mentre non ogni scoperta ci indica una via da seguire. La posizione di V. sulla
storia della scienza ricalca quella di una serrata critica al positivismo, in
un contesto teorico dove il pragmatismo ammette nuovi strumenti di comprensione
e anche di valutazione della scienza, come mostrano anche le vicende di CALDERONI
(Pozzoni, Il pragmatismo analitico italiano di Calderoni, Roma, IF Press) e di PEANO,
il quale vanta certe affinità con il pensiero filosofico del periodo
(Rinzivillo, V., Storia e metodologia delle scienze in Una epistemologia senza
storia, Roma, Nuova Cultura, e PEANO, Contributi invisibili in Una epistemologia
senza storia, Pozzoni, Il pragmatismo analitico (Villasanta, Liminamentis); PEANO,
In Memoriam, Bolletino di matematica, Pozzoni, Cent'anni di V.” (Liminamentis,
Villasanta); Zan, “La formazione di V.” (Congedo, Galatina); Sava, La
psicologia tra V. e Brentano, in "Il Veltro", Roma, Giordano, V., filosofo
della scienza (Firenze, Le Lettere); Pozzoni, Il pragmatismo analitico italiano
di V., Liminamentis Editore, Villasanta,
Ronchetti, L'archivio in Quaderni di Acme, Bologna, Cisalpino, Scritti
filosofici. Treccani Enciclopedie on line, Istituto dell'Enciclopedia Italiana;
Enciclopedia Italiana, Istituto dell'Enciclopedia Italiana; giovanni-vailati.net.
Fondo archivistico e librario conservato presso Milano, Il contributo italiano
alla storia del Pensiero: Filosofia, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Couturat e Leau, Histoire de
la langue universelle
Paris, Hachette. Rivista Filosofica.
Non è solo pel fatto di contenere un’esposizione accurata e particolareggiata
dei numerosi progetti di lingua
universale che si sono succeduti a cominciare dai primi di cui si ha notizia
(Urchard, Dalgarno, Wilkins) fino a H. P. Grice che la storia di Couturat e
Leau ha il diritto d’intitolarsi una ‘storia’
della questione della lingua internazionale. Il saggio merita tale titolo anche
in un altro e più importante senso, in
quanto i suoi autori riescono con esso a provare che la serie di tentativi d’essi presi in considerazione, lungi dal presentare
l’aspetto d’una successione di sforzi
indipendenti e incoerenti, lascia trasparire le traccie d’una graduale evoluzione
verso uno schema il cui carattere generale è già fin d’ora suscettibile d’un’approssimata
determinazione, el e cui linee fondamentali vengono in certo modo a sovrapporsi
a quelle segnate dal processo spontaneo che porta irresistibilmente, per quanto
lentamente, le nazioni civili ad aumentare sempre più il patrimonio di vocaboli e d’espressioni che possiedono
in comune e persone, anche colte, che non hanno avuto occasione di riflettere sull’argomento
non si fanno facilmente un’idea esatta della quantità di parole nter-naziona1 che
esse adoperano, e della parte sempre crescente che queste vengono ad occupare, non
dico nei dizionari compilati dai letterati o dai puristi ma nel dizionario reale ed effettivo dell’uso corrente – “the
little Oxford dictionary,” nelle parole di Austin rapportate da Grice --, nella
lista cioè dei vocaboli del CUI significato s’esige e si presuppone la conoscenza anche in chi non conosca
altra lingua che la propria – cf. Crusoe’s Friday. Così, per esempio, nessun
italiano può addurre la sua ignoranza del gallo o del tedesco, come giustificazione del suo non conoscere il SIGNIFICATO (o senso) di
parole come le seguenti: òuffet, bureau, chèque, club, hotel, itufiresario, meeting,
menu, metier, bete noire, restaurant, rdclame, record, reporter revolver, sport
toilette, traimvay, tunnel, etc. Il che vuol dire che, se si prende come criterio
dell’italianità o cruscacita d’una parola il fatto ch’essa è usata e intesa agl’italiani
– cf. H. P. Grice, “native speaker of English,” William James Lecture V -- (e non
si vede quale altro criterio si puo prendere – sta nella Crusca? --, da chi a meno non sia disposto a negare che siano
ITALIANE anche le parole alcool, ze-7itth, ovest, gas pel fatto ch’esse ci provienneno
dallarabo o dall’olandese, i vocaboli sopra riportati hanno ben più diritto a
essere qualificati come ITALIANI , se
non romani, di quanto n’abbiano tanti altri che i dizionari registrano solo perchè
usati da scrittori di qualche secolo fa --
i don’t give a hoot what the dictionary says – Grice to Austin : come, per esempio,
allotta, arrogi , < gttagnele,
millanta, etc. Ne al fatto he alcune delle suddette parole contengono lettere
o sillabe venti valore fonetico diverso da
quello che loro spetterebbe nella nostra
ortografia può essere ormai attribuita molta importanza dal momento che tale
circostanza non è più considerata come un ostacolo alla trascrizione esatta dei
nomi proprii stranier, com’Erberto, di luogo e di persona. Oxford, vade vobis. L’esigenze
pratiche s’alleano ora al senso estetico per trattenerci dallo scrivere Stoccarda
o Conisberga invece di Stuttgart e di Konigsberg. E se a molti non ripugna ancora lo scrivere Volfango
invece di Wolfgang, o Mabetto invece di Macbeth, a nessuno verrebbe certo ora in
mente d’imitare il obtuso napoletano VICO (si veda) citando Renee Descartes sotto
il nome di Renato delle Carte, quando Chomsky preferisce Cartesio! Un esempio caratteristico
di creazione di nuove parole internazionali mediante un espresso accordo tra gl’interessati
c’è fornito dal sistema di unita C. G. S. adottato e promulgato dal congresso degl’elettricisti tenuto a Parigi e le cui denominazioni sotto forma invariabile,
volt, ampire, ohm, etc., sono ora adoperate dagli scienziati e dagl’elettrotecnici
di ogni nazione europea, e non solo la Gallia. La gran maggioranza tuttavia delle parole che possono praticamente essere riguardate come già in effetto internazionali non è
costituita da quelle che figurano nelle varie lingue sotto forma assolutamente identica,
ma bensì da quelle che vi si trovano leggermente modificate, sopratutto nella desinenza,
a seconda dell’indole dei rispettivi linguaggi, come avviene ad esempio pelle parole:
caffè, cioccolata, tabacco, garanzia, posta, vagone, consolato, oasi, concerto,
etc. E in questa categoria che rientrano
i numerosi termini tecnici, di scienze, d’arti, di sostanze chimiche, di strumenti,
di malattie, etc., derivati dal greco, come chirurgo, estetica, ossigeno, fonografo,
emicrania, etc. A projiosito dei quali giova notare come parecchie radici o
prefissi greci. come —logo, —grafo,
z=.geno, fono—, termozzz,
baro=, archi—, end—,
anti—, i^o —, filo —, geo—, etc., pure non figurando, sotto qualsiasi forma,
come parole isolate, nel dizionario d’alcuna lingua, tuttavia pel solo fatto di
trovarsi ripetutamente adoperati, econ un senso ben determinato, nella composizione
di parole appartenenti a ogni linguaggio civile, finiscono per essere correttamente
interpretate anche da chi si trovi sprovvisto di qualsiasi conoscenza della lingua
dalla quale provengono -- cf. Hare, a good phylostysometre. La stessa osservazione
si può ripetere per quei VOCABOLI LATINI che, pure non potendo essere qualificati
come internazionali nel senso che essi appartengano ad altre lingue oltre che
alle romanze o neo-latine, lo sono tuttavia
nel senso che le lingue romanze o neo-latine non sono le sole nelle quali esse figurano
come elementi di parole composte. Cosi per
esempio le parole romane o latine navts, oculus, currere, secretum, ovum, pubblicus,
annus, etc. non possono essere riguardate come del tutto estranee a un
britannico o a un tedesco dal momento che a sue lingue appartengono le parole oculist,
concurrence, secretary, ovai, Publizist, Annalen, etc. E specialmente in virtù di
questa circostanza che i più recenti
progetti di lingua universale – il deutero-esperanto di H. P. Grice, o
il basic latin di Ogden --, quanto più deliberatamente si propongono di costruire
il dizionario in base al criterio pratico della massima effettività internazionale
delle singole parole o radici, criterio che viene a essere naturalmente imposto
dalla necessità di ridurre al minimo gli sforzi richiesti dall’apprendimento di parole interamente nuove da parte di chi conosca
già qualcuna delle lingue civib''europee, -- cf. Grice’s and Austin’s Eskimo
implicatdures -- e dalla convenienza di rendere il dizionario della lingua internazionale
quanto più è possibile utile per facilitare l'eventuale apprendimento delle lingue
civili europee da parte di chi non ne conosca alcuna. tanto più si trovano condotti
ad attribuire una parte preponderante all’elemento
LATINO tratto da Peano, sine flessione! La maggior parte di tali progetti finiscono
anzi per differire tra loro assai meno di quanto possano differire due dialetti
– toscano e genovese -- di una stessa lingua – la toscana -- , e per avvicinarsi
anche senza volerlo, per ciò almeno che riguarda il dizionario, ai progetti
avanzad dai fautori d’un ritorno
all’uso internazionale del LATINO,
in quanto anche questi sono costretti ad ammettere i neo-logismi indispensabili
per esprimere cose e concetti moderni, e a rinunciare quindi a qualunque pretesa
puristica e letteraria. Come è naturale, il latino più ricco d’elementi internazionali
non è quello classico di CICERONE (si veda) o di TACITO (si veda), ma quello usato dagli scolastici
come Aquino da Roccasecca a Parigi, e dagli scienziati del medio evo; non quello,
per esempio, in cui il ministero della pubblica istruzione sarebbe chiamato Summus
moderator studiorum, ma quello in cui verrebbe semplicemente indicato come mnister
publicae instructionis o, anche meglio, de publica instructione. Ma a
rendere difficile un completo accordo tra i fautori d’un latino comunque modernizzato e semplificato – il SYMBOLO
di Austin --, e quelli che propongono la costruzione d’una lingua affatto
artificiale, per quanto costruita con materiali tolti in gran parte dal latino,
si presentano le questioni relative alla grammatica o morfo-SINTATTICA. Benché gl’uni e gl’altri si trovino d’accordo nel riconoscere
che le difficoltà inerenti all’adozione del latino come lingua internazionale puo venir notevolmente
diminuite coll’introdurre nella sua grammatica delle modificazioni semplificatrici
d’indole analoga a quelle che si sono spontaneamente prodotte ne le lingue neo-latine,
pure essi non cessano per ciò di differire grandemente nell’apprezzamento dei criteri
da seguire in tale semplificazione. Vi è chi si contenterebbe di regolarizzare le declinazioni o le coniugazioni, togliendo la loro
inutile molteplicità e permettendo, per esempio, che si dicesse ati t o e
legebo come si dice amabo e monebo, o loqtiivi, currivi invece di locutus S2tm e
di czicurn. Altri abolirebbero senz’altro
ogni declinazione dei nomi indicando invece i vari casi colle preposizioni come
fanno le lingue neo-latine 1 armenti sopprimerebbero le varie flessioni dei verbi corrispondenti alle persone,
bastando, per distinguere queste, l’impiego dei pronomi. Anche per indicare i
diversi tempi dei verbi v’è chi propone s’abbandoni l’impiego di speciali desinenze
o modificazioni adottando invece l’artificio dei verbi ausiliari -- Grice, Socrates whatted in Athens? Drank
hemlock -- anche pel futuro. Un passo piu
avanti è fatto da quelli che propongono si’abolisca
la distinzione tra i generi dei nomi e tutte le regole di concordanza ad essa relative,
indicando solo, quando occorra, il sesso con
uno speciale prefisso – aquilo -- come si fa in inglese: he-goat, she-goat,
he-bitch. Ne qui SI arrestano le proposte di semplificazioni, tra le quali la più
radicale è rappresentata dal Latino sine flexione di PEANO (si veda), riattaccantesi a un ordine di ricerche il cui primo impulso risale
non a Grice ma a Leibniz. Già questi osserva che, allo stesso modo come l’uso delle
proposizioni rende inutili, pei nomi, le flessioni corrispondenti ai differenti
casi, così anche l’uso delle congiunzioni potrebbe sostituire, per i verbi, le flessioni
indicanti i differenti modi, modes, not moods – Grice – Follesdall – Stanford –
Moravsik. Così, per esempio, la differenza di SIGNIFICATO (O
SENSO) tra l’indicativo e il soggiuntivo è già sufficientemente espressa dalla sola
presenza, pel secondo, delle congiunzioni: ut, quod, “si,” (if) – cf. H. P. Grice, “Indicative
Conditionals” --, etc. La ragione perche
Boezio non vuole parlare di preghiere! Non occorre quasi notare che anche il modo
imperativo –il primo secondo Vico: I, FAC, STA, DA, non ha affatto bisogno di venire indicato d’alcuna
modificazione del verbo, bastando a ciò premettere, o far seguire, a questo l’indicazione
del comando o del desiderio, opto,
peto, quaeso, etc – the door is closed, please -- Hare., come
già del resto si pratica in più d’una lingua
(PLEASE – R. M. Hare: “The door is closed, please” --, bitte,
s’il vous plait,
etc.. Un’idea più ardita, suggerita pure da Leibniz a PEANO (si veda), è
quella dell’inutilità di qualsiasi flessione per indicare il plurale dei nomi -- sheep, shep -- {videtnr pluralis inutilis in lingtia rationali –
Warnock, Tigers are dangerous – Metaphysics and logic. La distinzione tra singolare
e plurale sembra a PEANO (si veda) puo essere sufficientemente espressa dal semplice premettere al nome, quando occorra, un aggettivo
numerale – Me Tarzan You Jane You You DUE Jane,
U7tus, aliqtds, omnis, plurcs, duo, diversi, etc. – Altham, the logic of
plurality – aleoethetca, pleonethica. Geach Occam. A questa stessa conclusione è
pure antecedentemente venuto anche un altro filosofo che s’occupa molto a fondo
delle questioni relative alla grammatica razionale, BELLAVITIS, di Padova, di cui l’importante saggio, portante il
titolo “Pensieri sopra una lingua universale e su alcuni argomcnli analoghi,” Memorie dell’I.
R. Istituto Veneto, è sfuggito, tipico d’un gallo orgoglioso, all’attenzione
di Couturat. Tra l’altre proposte originali e suggestive che il saggio di
BELLAVITIS (si veda) contiene è da notare quella relativa all’adozione di una
speciale preposizione anche per
distinguere il soggetto (“Fido”) dal predicato (“is shaggy” – Grice) –
Strawson Subject and predicate in logic and grammar, Irvine – Grice – d’una proposizione,
d’adoperare, s’intende, solo quando ve ne è bisogno. Tale è il caso, per esempio,
quando si tratti d’una proposizione il cui soggetto (“Fido”) o attributo (“shaggy”)
è rappresentato d’un pronome relativo,
il quale, per ragione di chiarezza [Grice, DESIDERATUM OF CONVERSATIONAL
CLARITY: “Be perspicuous [sic]”. -- non può venire troppo allontanato dal
precedente nome cui si riferisce, e non può
quindi indicare, per mezzo della
sua posizione rispetto al verbo, se dove essere inteso come il suo soggetto o
il suo predicato. Quest’osservazione di BELLAVITIS (si veda) non è priva anche d’una
certa importanza filosofica in quanto costituisce in sostanza una critica della
distinzione tra verbi transitivi e intransitivi e di quella tra verbi attivi e
passivi. Essa mira infatti a sottoporre non solo l’accusativo (o CAUSATIVO,
strettamente -- come già avviene in alcune lingue, p. e. nella spaglinola), ma anche il nominativo a norme analoghe
a quelle che reggono gl’altri casi, sopprimendo
l’inutile complicazione della
costruzione [Atti della R.
Accademia di Scienze
di Torino; Leibniz [citato da
Grice – “one of the greats”]. Opusculcs el Fragnicnt inédils publiés par Couturat.
BELLAVITIS (si veda) ha su questo punto dei
precursori fra gli scolastici, in CAMPANELLA e Occam [cf. il sermone mentale –
discusso da Geach e Grice e Leibniz – PARIDE AMA ELENA -- e Alberto di Sassonia.
L’apprezzamento espresso su quest’ultimo da Prantl – lesso da LAMENTANI (si
veda) nella sua Storia della Logica, precisamente
a questo proposito, è da deplorare come erroneo e ingiusto. COUTURAT E L.
LEAU, HISTOIRE DE
LA LANGUE UNIVEKSELLE] passiva – Strawson, “The
exhibition was visited by the King of France” --, ed emancipando nello stesso tempo la frase d’ogni
restrizione relativa alla collocazione delle sue varie parti rispetto al verbo.
Anche sull’uso dell’articoli e delle
particelle dimostrative l’osservazioni di BELLAVITIS (si veda) apportano
un contributo prezioso alla soluzione delle controversie che ancora si dibattono
tra gl’autori di vari progetti di GRAMMATICA
RAZIONALE, come il Deutero-Esperanto di Grice. Un concetto dominante sul quale egli
ritorna frequentemente è questo che
l’adozione di date preposizioni o congiunzioni o articoli
-- “voci grammaticali,” come egli
le chiama -- per indicare date relazioni tra le parti d’una frase non implica che
tali voci devono essere sempre adoperate per
esprimerle. Esse possono e devono
invece essere omesse ogni qualvolta la loro assenza non produce ambiguità – cf.
Grice, “Avoid ambiguity” – Me Tarzan, You Jane. Blake, “Love that never told
can be”. Tutte queste semplificazioni, le quali, del resto, potrebbero
applicarsi, come al LATINO, anche a qualsiasi altra lingua, finisceno, come si vede,
per far capo al concetto d’una lingua suscettibile di venir compresa e adoperata indipendentemente dalla conoscenza
di qualsiasi regola grammaticale – O. P. Wood, The Rules of Language, The
Aristotelian Society, read by Austin and Grice on a Saturday morning. E in fondo
l’ideale che si presenta già alla mente di CARTESIO – the rules of discourse,
Grice -- [vide Grice, “Descartes on Clear and Distinct Perception”] in quella sua
lettera a Mersenne nella quale, discutendo un progetto d’ignoto filosofo chiamato
ERBERTO GRICEUS HARBONIENSIS che ritiene aver costruito una lingua (“Deutero-Esperanto”) atta a essere
interpretata e scritta col solo aiuto d’un dizionario – Grice: “The Little
Oxford Dictionary? Austin hated it! -- conclude che
ce n’est pas mcrvetlle que les esprits vulgaires apprennent en moins de six heures à composer en cette langue. – cf.
Prince Maurice’s Pirot -- Cartesio, Opere, edit. Tannery e Adam). Ed e questa stessa idea d’una lingua ARTIFICIALE
[Deutero-Esperanto], costruita, per quanto riguarda il dizionario, con materiali
tolti alle lingue viventi e sottoposta
invece, per quanto riguarda la grammatica – strettamente, morfo-SINTASSI
--, alla massima semplificazione razionale – cf. RULES OF FORMATION OF SYSTEM
G-HP di MYRO], che Rcnouvler sembra avere in vista in quella frase, da Wilkis, quasi
profetica, che appunto Couturat riporta a questo proposito. La langue universelle doti
ciré empiriquc par son vocabulairc o LEXICON, et PHILOSOPHIQUE, logica, ragionata, PAR SA
SINTASSIS, ou grammaire. (ReNOUVlER,
De la question de la langue universelle,
Revue. Non voglio chiudere il presente cenno
senza richiamare l’attenzione su un altro saggio italiano sul soggetto della lingua
universale, del quale pure, ma tipicamente d’un orgoglioso e miope gallo, non è
fatta menzione nel volume di cui parliamo. Esso è pubblicato a Roma col titolo,
“Riflessioni intorno all’istituzione
d’una lingua universale,” -- lettera
di Glice Ceresiano a Giotto fllo
Eugenio. L’autore ne è il
filosofo SOAVE (della Svizzera, si veda), il quale si propone in esso d’esaminare
un progetto di lingua universale da Kalmar. Questo è tutto ciò che mi ò
riuscito di sapere sul contenuto del detto opuscolo, che finora non sono stato in
grado di rintracciare e che conosco solo
dalla menzione che ne è fatta in un’altra opera italiana, pure ignorata, com’e d’aspettare
di un miope orgoglioso gallo come lui e,
da Couturat -- FERRARI (si veda), Monoglottica, Modena. Di quest’ultima V.
ha conoscenza per mezzo di MERIGGI (si veda), appassionato cultore di questi studi
e autore lui pure d’un progetto di cui sono segnate le traccio in un volumetto pubblicato
a Pavia, Frat. Fusi. Como. Grice: “My favourite
Vailati is an essay cited by Peano (I wouldn’t have heard of it otherwise). It
is concerned with the Italian counterparts to “non,” and the ‘congiunctioni’:
“e”, “o”, and “se”. La Grammatica
dell Algebra. iRivisla
di Psicologia Applicata,
A Parlare dell’algebra come d’una linguag. In che senso ^ f Quali sentii
corrispondmio tn al~ e d’una sua
speciale J. Come
si presenti in algebra la distin- gcbra ai verbi. Loro carcittere
r . V- l'altra, ad ussa corrispondente,
tra ìionè tra verbi transiti e
verbi Dei verbi molteplice- nomi
(o aggettivi, shaggy)
relativi, e gH^izioni Carattere grammaticale dei segni mente
transitivi, e dell / caratteristiche dei
segni d’uguaglianza j • fiirtincri e oarlando d’essa come di uno spe- LParlando
d’algebra a dei attribuire, alla pa- ciale
lingua, devo pregarli d, P ^
essi le
attribuì- rola . lingua >. astrazione d’un scono ordinariamente. di studiano
— i quali tutti hanno per loro carattere comune
ai ^^ttendomi d’applicare lo stesso
nome anche elementi delle parole – L. PARABOLA, Grice word-meaning P^^ rivolgono ad altri sensi che non sono ad altri
SISTEMI DI SEGNI eh, f„n7inni dei lingue
propriamente dette, radilo, adempiono wttavia alle
tCTfpo^J^ e„ „r„SS'e
^.-—nLròne, piò pir"arhVL“rr^ « UpÓ . Ideo^radoo
nel,uall le ooae [11
.ommario e le pari., che,u „„p„ve
..ella Xmsh *'
«to- parentesi quadre, non sono mclus
carte di V., che a lu. serve pella comunicazione
da lu
p • grammalicali e SINTATTICI della
lingua delle Scienze (Firenze)
sotto il ti . Rivista di Scienza algebrico, e che in parte è riprodotto in una i^Algèbre
ati point de vue Hngui- ., intitolata: PiiLr it^de
de l’Algebre ? ^ stiquei\
ai cui si voleva comunicare
Jos^'dvano il nome
nel Un- scura alcun riferimento ai gruppi d, suoni
che ne lingua parlata rappresentati, di quei rapporti Per indicare il
sussistere, tra g i ogg proposizioni, le scrit- che dalle lingue
parlate sono espressi in principio ad espe-
ture di questa seconda specie dovetter affatto dienti, alterazioni nella
forma, nell ordine g > preposizioni,
analogo a quello che, nella lingua parlata
etc. ai segni di PREDICAZIONE
(“... is shaggy” – GRICE), d
;Jggiare interesse per quei sistemi di
L’esame di tali espedienti presenta panico ^ „,,iea. ve- notazioni ideografiche che,
come cs-
g ordinaria, subiscono in certo nendo impiegati contemporaneamente
alla ^ avrebbero finito per soc
.nodo la cencorreusa di questa,
p.eferibill per 1 partico- combere se qualche speciale carattere
no lari uffici ai quali sono applicati – cf. Grice, ONTOLOGICAL MARXISM: If
they work, they exist d.. dell’algebra, la ragione di Dire che, nel caso che ora c,
Jgg,or brevità e pre- tale preteribilltà stia nclPattltudlne sua a j ancora
rlsob cislone le proposizioni relative a. numer determinare da quali vere la questione.
04 che Importa dipendano: Uno a che circostanze le suddette proprietà
del >”^8, geografiche al posto delle punto cioè esse si
riconnettano f ‘j; ‘7^'®°„gÌ„o .“orso, fatto dall’algebra, ;role. e per
nurdrpontTltguag parlata, per dare senso alle Afferenti combinazioni dei esempio caratteristico sto. non certo nel fatto che le cifre sia P ^,e„e
attribuita ^alrmrrrsrrg^Sa"^ della posizione che esse occupano in hT prop™^^
f rrti soprattutto d’attribuire i
strumento di ricerca e di dimostra- che come mezzo di
^a avere indotto uno dei piu grandi zione. Tali
vantaggi sono rivolgere modestamente a sè stesso una
^a^ cbe è rivolta da Schiller a un poeta presuntuoso, in quei noti versi . pi
confronto tra i “cTriuogo'*!’ impiego dei segni derivano dall’impiego delle . q un’altra distinzione importante dell'algebra, si
P""“ ehe occorre fare tra
i sistemi di notazione ^;:.'lomTa;;unT:df’e de, .'aritmetica, o le note
musleaii [AND GRICE WOULD PLAY THE PIANO AT CLIFTON – la notation della
pavanne de Ravel – MEISTERSINGER is for children – He loved MAHLER, Song of the
Earth --, hanno solo I uf-
La grammatica – morfo-sintassi -- DELL’ALGEBRA mnorre nei loro elementi,
dati gruppi di sensazioni fido di descrivere, e di decom
^ ^pp^nto il 0 di azioni complesse, e queg,, chimica, si presentano
come capaci caso dell’algebra o '5'“'
^, in parole e frasi del definirla
o caratterizzarla m modo f perrtlirco'nicio chiunque abbia coll’algebra
una sufficiente -f;:Ìadiffierenzachesiba--
à^e potr^rcorr 'linana, le proposizioni relative ai numeri e
alle loro proprietà. differenza equivale ad ammettere implicitamente che Il riconoscere
una tale differenz espressione e come strumento la speciale efficacia ^°^t^ibuire,
non tanto all’impiego che in essa di ricerca e di "arposto^ parole della lingua or- dintio! q^a^P^uttostra delle
particolarità d’indole SINTATTICA.
meren i "Esamffiar'e iTche cosa gua algebrica, ricercare e
propriamente dette: que- riscontrano, in
maggiore o minor grad J . sembrano bene degne di Tra le distinzioni, che si trovano ‘‘I,elle che si
riferiscono rittcair;‘:.rc:ot^Una
frase spesso ripetuta dai filosofi
della lingua, colla quale essi tentano di precide ciò che costituisce il tratto
caratteristico d’una vera lingua -- cf.
COMPOSITIONALITY AND THE ESSENCE OF LANGUAGE – H. P. Grice, “Meaning Revisited”
– open-endeness, finite means, potentially infinite utterances>, hi opposizione alle forme meno perfette d’ESPRESSIONE ISTINTIVA [natural groan –
Grice] di stati d amm . qualf
si riscontrano anche negli stadi inferiori di sviluppo della vita
animale – Romolo e i fanciulli.' la
«pcriiente • « la lingua comincia
dove l’interiezioni (GROANS AND FROWNS, MOANING AND MEANING) finiscono. Se noi
ci domandiamo, alla nostra volta, in che cosa differiscano effettivamente l’interiezioni
– Grice’s GROAN -- da quelle che i filosofi della lingua chiamano le altre parti del discorso, ci accorgiamo
subito che esso sono le sole parole che,
anche enun- flTLàtalnte, bastano, per sé stesse, a
esprimere -^^Ye Qualche
opinione, di chi le pronuncia, mentre l’altre specie d . i
nomi eli aggettivi (shaggy), i verbi, etc., non possono, d’ordinario, servire a a e p
se non comparendo
raggruppate [TERZA ARTICOLAZIONE] l’une insieme all’altre,
in modo da dar luogo a una frase o a una proposizione – GRICE: UTTERER’S
MEANING, SENTENCE MEANING, WORD MEANING]. Quando emettiamo [UTTER – GRICE], per
esempio, il suono brr, (ho freddo) o il suono " • ^
abiamo bisogno d’aggiungere altre parole per fare intendere
a ^Ze che sentiamo del freddo, o che desideriamo che
egli non faccia nimore. SeTnvece
pronunciamo, per esempio, il nome d’un oggetto --a accompagnarlo con qualche parola o GESTO,
che indica cosa vogliamo dire d’esso -
fhe diefiii cioè: se vogliamo
dire che lo vediamo, o che lo desideriamo, o fotmilmo, ; che ne aspettiamo la comparsa etc. aifatto alcuna
nostra opinione, o disposizione d’animo, ma al
piu segnaliamo -- SIGNIFICAMO,
SEGNALARE -- che stiamo pensando a
quell’oggetto, senza dire nulla di ciò che ne pen segue --Fido, ... is shaggy -- che l’interiezioni possono
qualificarsi come quelle, tra le parole della nostra lingua, che hanno PIÙ
SIGNIFICATO (“more meaning”) di tutte le akre, e in certo modo, come le sole che
n’abbiano, quando sono prese a se.
mentre altre sono soltanto capaci d’acquistarne, nel caso che siano assunte a far parte una frase che n’abbia. L’affermazione
riferita sopra equivale, dunque, a dire che la vero lingua comincia colla prima
introduzione di parole (shaggy, brr. Ah,
ouch -- che, prese per se stesse NON hanno alcun SIGNIFICATO, e che di tanto una
lingua e ° più rilievo hanno in esso le parole
–shaggy -- che si trovano in questo caso, di front litro che, anche enunciate
isolatamente, esprimono qualche opinione d’animo – shaggy, hairy-coated --, di chi
le PRO-NUNCIA. Si ha una conferma di ciò nel
fatto che le parole che hanno MENO
SENSO delle altre - quelle cioè alle quali
è necessario aggiungere un piu grande numero d’altre parole per ottenere una frase
che voglia sono apppunto quelle che compaiono piu tardi – non da da, ma ma -- , tanto
nello sviluppo storico della lingua che Romolo e Remo sono segnalato
dalla lupa capitolina, quanto nel processo individuale o gemmelli del loro apprendimento
della lingua del Lazio. Tra tali parole sono
da porre, in primo luogo, le pre-posizioni (via va, Grice, to Roma d’Albalonga)
in quanto esse hanno l’ufficio d’indicare le varie specie di relazioni che possono
sussi- fi) La trovo citata tra gl’altri da
ZOPPI (si veda), nella sua Filosofìa della
Grammatica (Veron), che trovato pieno
d’osservazioni suggestive sull’argomento qui trato.] stere tra gl’oggetti di cui
si parla. Esse infatti, appunto per questa ragione, non indicano assolutamente nulla
se non sono accompagnate dalle parole che denotano gl’oggetti tra i quali s’asserisce
aver luogo la relazione che ad esse
corrisponde. Così, quando pronunciamo, per esempio, le parole: accanto, sopra, dopo, etc., -- cf. Grice, ‘betwen’, not aequivocal, and ‘the
sense of ‘to’ senseless -- senza indicare
quali siano le cose di cui INTENDIAMO (GRICE M-intending) affermare che runa è
accanto all’altra, sopra l’altra, etc., --
zu zu Jew -- noi non comunichiamo a chi ci ascolta alcuna determinata INFORMAZIONE (si veda FLORIDI) sulle cose di cui
parliamo. A considerazioni analoghe si presta il confronto delle varie specie di
verbi e, in particolare, la distinzione espressa comunemente coll’opporre i
verbi transitivi ai verbi intransitivi, col porre in contrasto, cioè, i verbi
che, come per esempio: desidero, respingo,
nascondo, indico, etc., richiedono che alla loro enunciazione segua
l’indicazione di qualche oggetto al quale si riferiscono, coi verbi che invece,
come per esempio: dormo, cresco, rido, muoio, etc., non hanno bisogno d’alcuna ulteriore determinazione
o specificazione di tal genere. Qui è tuttavia d’osservare che la suddetta distinzione,
in quanto è stabilita dai grammatici in base al criterio puramente formale consistente
in ciò ch’il verbo esiga, o non esiga, ciò ch’essi chiamano un complemento diretto, non coincide esattamente
con quella che, pel nostro scopo, è
opportuno è posta in rilievo. A nessuno certo può venire in mente di dar torto ai
grammatici quando essi si preoccupano di distinguere i casi nei quali l’indicazione
dell’oggetto, a cui si riferisce l’azione espressa d’un verbo – il causato o
accausato – accusativo -- avviene per mezzo
della semplice aggiunta del nome di tale oggetto, come quando si dice per esempio:
desidero la tal cosa -- wants to marry
Mary — dai casi nei quali invece è necessario che, tra il verbo e il nome, sia interposta
una preposizione, come quando si dice per esempio, di certi nomi come quelli che
abbia'mo sopra citati, è ordinariamente indicato col qualificarli come nomi relativi.
Della connessione tra i nomi relativi e
i verbi transitivi si ha una chiara
manifestazione anche nella possibilità, frequentissima,
di tradurre frasi, in cui a un dato oggetto, o persona, è applicato un nome esprimente
una relazione, in altre si, equivalenti, nelle quali figura invece un
verbo transitivo. Non vi è, per esempio,
differenza tra il SIGNIFICATO (O SENSO) – ma si dell’implicatura -- delle frasi, il tale è nemico del tale altro, o il tale oggetto c più alto del tale altro, e
le altre: a tal persona odia la tal altra, o il tale oggetto supera, o sopramnza, il tale altro,
etc. Peirce [su cui Grice insegna
a Oxford], che più d’ogni altro s’è occupato dell’analisi e della classificazione
delle varie specie di relazioni, è stato portato dalle sue ricerche a stabilire
una distinzione tra i verbi o nomi ed aggettivi transitivi, a seconda che essi esigano
l’aggiunta d’un solo o di più nomi per acquistare
un SIGNIFICATO (O SENSO) determinato, per diventare cioè capaci d’affermare qualche
cosa degl’oggetti e delle persone a cui vengono
ap- LEIBNIZ PARIDE AMA ELENA, Sono, per esempio,
verbi doppiamente transitivi, o bivalenti diadici, come si potrebbero chiamare con
una opportuna immagine tolta dal linguaggio della chimica, comportanti cioè l’aggiunta
di due nomi – he fell on his sword -- i verbi seguenti: insegnare qualche cosa a qualche persona, dare qualche cosa a qualche persona, e i
corrispondenti nomi: maestro di qualche cosa a qualcheduno, donatore
– VARRONE derivativo -- di qualche cosa a qualcheduno, etc. Sarebbe forse più proprio chiamarli tri-valenti
o triadici, in quanto anche il soggetto rappresenta una valenza. Sarebbero allora bi-valenti i
verbi semplicemente transitivi,
uni-valenti i verbi intransitivi – it rains, what is ‘it’? --, e nulli-valenti o privi di valenza
gli impersonali come piove, nevica etc. – “As Srawson once asked me,
“it is raining – what is ‘it’?” – Grice. Gl’impersonali latini come pudet me piget
me mihx tur etc. sono bi-valenti come i
verbi transitivi. Come esempio di verbi a
quattro valenze tetradici si potrebbe citare il verbo scambiare wife-swap nel senso commerciale -- il tale scambia
colla tal persona, la tal cosa colla tal
altra, o più semplicemente, le tali due persone si scambiano fra loro le tali due
cose – their pairs of socks. Esempi di verbi tri-valenti
capaci cioè, o esigenti, di venire
o comperare, vendo un oggetto A a
una persona B, per un prezzo C, compro un oggetto A d’una persona B, per un prezzo C. Nel caso di questi
verbi pluri-valenti polliadici, o molteplicemente transitivi, si scorge chiaramente
quale sia l’ufficio che hanno le preposizioni, in quanto servono quasi d’organi
connettivi, per applicare a ciascun verbo ordinatamente i rispettivi complementi, pare ordenato. Quanto
più cresce il numero delle valenze tanto
più cresce naturalmente il bisogno di speciali segni o particelle destinate ad evitare
le’ambiguità nell’assegnazione di diversi
complementi a uno stesso verbo. Servono a tale scopo, nel linguaggio ordinario,
le preposizioni o le flessioni corrispondenti ai diversi casi dei nomi. Finché
il verbo, pur essendo a più valenze, è tale che, come avviene per esempio in quelli sopra citati, i diversi nomi richiesti per completarne
il SIGNIFICATO (O SENSO) appartengono a categorie cosi distinte da rendere impossibile
qualsiasi equivoco –you gave Mary to the book? -- o confusione tra loro;
quando, per esempio, come nel caso del verbo dare, l’un complemento deve indicare
una persona, e l’altro un oggetto, può parere sempre superfluo l’impiego di qualsiasi
preposizione. Si tende infatti ad abolire queste in tutti quei casi in cui
s’ha particolare interesse a fare ECONOMIA [principle of economy of rational
effort – GRICE] di parole – avoid prolixity
of expression [sic], come per esempio nei
telegrammi, negl’indirizzi, negl’avvisi economici delle quarte pagine dei giornali.
Se si telegrafa, per esempio spedite plico segretario nessun dubbio
può nascere che il plico è la cosa spedita e il segretario la persona a
cui la spedizione è fatta, e non viceversa – give dog bone send package
secretary]. – cf. PECCAVI – Grice. Ma quando,
invece, i diversi complementi d’un verbo appartengono tutti a una medesima classe,
quando sono, per esempio, tutti nomi di persone, come per esempio nelle frasi, dico
male di Tizio a Caio, dico male a
Caio di
Tizio, l’omettere le preposizioni equivarrebbe a togliere ogni mezzo a
chi ascolta di distinguere le diverse relazioni in cui i diversi nomi stanno col
verbo, e a esporsi quindi a esser capiti a rovescio. Se, tenendo presenti le considerazioni
svolte sopra, ci proponiamo di determinare quali siano gli speciali caratteri grammaticali e SINTATTICI o mortfosintattici per i quali
il linguaggio algebrico si distingue da quello ORDINARIO, un primo fatto notevole che ci si presenta è
l’assenza, nel linguaggio algebrico, di qualsiasi
specie di verbi, cioè l’eguaglianza e e oro aree, resta, per ciò solo, precluso il
suo simultaneo impiego per esprimere qualsiasi altra relazione tra figure, come
per esempio, quella d’egualanza propriamente detta o sovrapponibilità, quella di similitudine, etc. I inconvenienti ai quali, in casi di questo
genere, potrebbe dare occasione l’impiego d’uno stesso segno, per indicare relazioni
affatto diverse puo essere evitati in algebra
ricorrendo, come, infatti, qualche volta si fa, all’introduzione di nuovi
segni che, accanto a quelli d’eguaglianza e di diseguaghanza, assumessero l’ufficio che,
nel LINGUAGGIO ORDINARIO, spetta alle diverse specie di verbi transitivi, il tale
edificio è eguale all’altro in altezza ; i tali due cliL si’equivalgono per salubrità,
etc. ner
T Preposizìone è, per così dire, accidentale; in greco, cusatir^Tn
questione, posto All’accusativo,
in LATINO s’adopera l’ABLATIVO. Ma v’è anche un altra forma che possono assumere
le proposizioni del tipo suddetto, ed e quella che si presenta nelle frasi: la statura
della tal persona eguale a quella della tale altra, l’altezza del tale edificio e.u^le
a 0 Sull’opportunità di ricorrere
a questo espediente, nel caso delle relazioni tra gl’enti geometrici considerati
nel calcolo vettoriale, s’è molto discusso
recentemente al congresso tenuto a Roma a proposito della relazione presentata su
tale soggetto da FORTI (si veda), dell 'accademia militare di Torino, e LONGO, di Messina. i ormo; e aiarcoqtiella del tale altro, la salubrità del
tale clima à eguale a q^lella del
tale altro, etc. Queste espressioni, nelle quali figurano
al posto del soggetto e del predicato, i nomi, non più degl’oggetti [GRICE,
obble] di cui si parla, ma delle qualità [GRICE, SHAGGY] d’essi – where is
Banbury’s disinterest? -- e dei caratteri rispetto ai quali essi sono posti a
confronto, corrispondono precisamente all’espressioni che compaiono nel
linguaggio algebrico o ARIMMETICO o matematico o FORMALE quando, per esprimere,
per esempio, che due angoli, a e b, hanno uno stesso seno, si scrive, “sen a = sen b,
o quando, per indicare o
significare che i triangoli ABC e DEF
hanno una stessa area, si scrive: “area
ABC = area DEF.” I due
esempi citati, quello del seno e quello dell’area, possono servire a
mettere in luce una differenza che è importante segnalare. Mentre dell’affermazione
che un angolo ha un dato seno si può definire perfettamente il SIGNIFICATO (o
SENSO) anche senza considerare alcun altro angolo oltre quello di cui si parla,
per il caso, invece, dell’AREA, il SIGNIFICATO
(O SENSO) della frase o proposizione, ‘La
tal figura ha una data area,’ non può venire determinato se non ricorrendo, o riferendosi, direttamente o
indirettamente, a quell’operazioni di confronto tra l’AREA
di’una figura e l’area d’un’altra
-- la quale altra può anche essere, per esempio, quella che si è scelta per
unità di misura dell’aree -- il metrodi
Witters -- che sono richieste per riconoscere se due date figure hanno, o non hanno,
una stessa area. In altre parole, mentre nel caso del SENO d’un angolo si può
prima dichiarare o definire che cosa esso sia,
e poi passare a riconoscere se il seno d’un dato angolo sia eguale, o
maggiore, o minore del seno d’un altro,
nel caso dell’AREA, invece, tali due procedimenti sono inseparabili, e non possono neppure essere concepiti indipendentemente l’uno
dall’altro. II modo ordinariamente impiegato per distinguere i casi dell’una
specie dai casi dell’altra consiste nel dire che, mentre, nei casi analoghi a
quello del SENO, si definisce *ESPLICITAMENTE*
un nuovo SEGNO di FUNZIONE. Nei casi invece analoghi a quello dell’AREA, il SIGNIFICATO (O SENSO) del nuovo
nome introdotto è determinato soltanto, non esplicitamente, ma IMPLICITAMENTE, o,
come anche si dice, per mezzo d’una definizione per astrazione. Il più antico esempio
che di definizione per astrazione ci presenta la storia del linguaggio matematico
è la definizione della parola RAPPORTO (logos), che si trova posta a base della
trattazione sulla PROPORZIONE a:b::c:d nell’Elementi d’Euclide. Questa definizione,
che la tradizione fa risalire ad Eudosso, consiste infatti soltanto nel
determinare esattamente sotto una forma applicabile anche al caso delle
quantità incommensurabili il SIGNIFICATO (O SENSO) della frase o proposizione, ‘Le
tali due grandezze hanno lo stesso RAPPORTO (logos) delle tali altre due.’ Oppure:
il RAPPORTO (logos) tra tali due quantità è eguale a (=) (o maggiore (a>b), o minore (a<b) di)
quello tra le tali altre due quantità. Per mezzo d’un tale procedimento,
una relazione tra quattro grandezze
— la relazione cioè che s’esprime
dicendo che esse formano la PROPORZIONE
a:b::c:d — viene a poter essere espressa sotto forma d’una eguaglianza fra due termini, in ciascuno dei quali figura uno STESSO nome, o SEGNO, di FUNZIONE (tra due VARIABILI). Mentre della
parola ‘RAPPORTO’ (logos) non è data, e non occorre c e s, altra definizione oltre quella che
consiste nell’attribuire un determinato alle frasi in cui si parla d’eguaglianza o di diseguaglianza tra rappor quantità. Sui numerosi
esempi che del suddetto genere di definizioni ci presentano ! diversi rami
della matematica e le varie scienze nelle
quali essi trovano apph- C3^ion0 non c oni il Cciso di fcrnicirsi. Si presenta opportuno
invece il domandarsi quali siano le condizioni da cui dipende l'applicabilità
del procedimento descritto sopra; il domandarsi, cioè, in quali circostanze una definizione per astrazione è possibile,
e in qua casi è lecito, o conveniente, introdurre
un nuovo SEGNO DI FUNZIONE per mezzo di 6SS6 j.
Ciò equivale a domandarsi quali sono le
proprietà di cui deve essere dotata una
relazione o una corrispondenza
tra oggetti di una data classe perche il suo sussistere, tra due oggetti e à
di tale
classe, può venire espresso per mezzo
d’eguaglianze del tipo:/«=:/^. ove del
SEGNO – o dispositivo formale --
/ non e finizione oltre quella
che risulta dal SIGNIFICATO (O SENSO) che s’attribuisce alla forra
condizione indispensabile pell’applicazione d’un tale procedimento è, anzitutto,
questa: che la relazione di cui si tratta ha in comune colla relazione d’eguaglianza
la proprietà che, pel caso di quest’ultima, viene espressa d’un ASSIOMA. Se a è
uguale a e -5 è uguale a r, anche a e
ugna e a c. Se infatti questa condizione
non si verifica — se, cioè, la relazione
in questione è tale che, dal suo sussistere tra due oggetti a e -5,
e tra due altri, e et non derivas senz’altro il suo sussistere tra a e r -, il servirsi d’una espressione del tipo ;
fa—fb, per indicare il fatto che essa si
verifica tra due oggetti a e b, porta alla
conseguenza assurda -- o, ad ogni modo, incompatibile con una proprietà, fondamentale, del segno d’eguaglianza, usato
da Peano e Grice (x=y) che, ^lle
eguaglianze : fa±ifb, e
fb—fc. non si può dedurre l’altra. Per
una ragione analoga, la relazione di cui si parla dove anche godere d’un’*altra*
proprietà. Essa dove cioè essere tale, che, dal suo sussistere tra due oggetti «
e à, si può sempre concludere che essa sussiste pure, all’inverso, tra b ed a. Altrimenti si dove ammettere che, dalla formula
fa =/à, non si può passare all’altra fb—fa, contrariamente
a un’altra delle proprietà caratteristiche dell’eguaglianza. Soddisfano a
questa condizione, per esempio, le relazioni di perpendicolarità e di parallelismo,
mentre non vi soddisfa, per esempio, la relazione di divisibilità. Dall’essere un
numero n1 divisibile per un altro n2 non deriva
certamente ch’il secondo n2 sia divisibile pel primo n1. Il nome di definizioni per astrazione è stato introdotto
da PEANO – e usata da Grice nel suo
metodo di psicologia razionale alla Ramsey. Il riconoscimento dell’importanza
del procedimento che conduce ad esse, risale a Grassmann, AUSDEHNUNGslehre. Un
notevole contributo alla loro analisi è apportato da PADOA (si veda), Atti del sfi Congresso della
SOCIETÀ ITALIANA DI FILOSOFIA, Parma. Le relazioni che, pur soddisfacendo alla
prima delle due condizioni sopraccennate – cioè, a quella che chiamo ‘TRANSITIVITÀ
sillogistica’, non soddisfacciano alla seconda, possono, per ciò solo, venir
rappresentate d’uno qualunque dei due segni di DIS-UGUAGLIANZA (a>b e
a<b), poiché tanto pell l’uno
come pell’altro d’essi si verifica
appunto la prima, e non la seconda delle due condizioni suddette. Le due condizioni enunciate sopra, oltre
che necessarie, sono anche sufficienti perchè è lecito il ricorso a una
definizione per astrazione, e all’introduzione, per tal via, d’un nuovo nome o
d’un nuovo SEGNO DI FUNZIONE. La sola obiezione che qui può presentarsi è
quella che consiste nel dire che, venendo
il SEGNO DI FUNZIONE così introdotto a essere definito solamente in quanto figura
in espressioni d’una data forma -- cioè, in espressioni del tipo fa—fb --, esso rimane privo d’ogni significato in tutti
i casi in cui si voglia adoperarlo isolatamente, o combinato diversamente con altri
segni della stessa o diversa di specie. A questa obiezione si può rispondere osservando che, allo stesso modo come s’è
attribuito un SIGNIFICATO (O SENSO) all’espressioni del
tipo fa —fb,
così nulla vieta di determinare ulteriormente anche il SIGNIFICATO (O
SENSO) d’altr’espressioni nelle quali, d’un lato, o d’ambedue i lati, d’un SEGNO
D’UGAGLIANZA (Grice: x = y), figurano, non
già dei termini isolati, come fa o fb, maf dei determinati aggruppamenti d’essi, come per esempio f a ^ /^, composti interponendo determinati segni
d’operazione. Perchè ciò può farsi occorre, naturalmente, che la relazione di cui
si tratta soddisfisce a un certo numero d’altre condizioni, in aggiunta a
quelle che, come s’è visto, sono richieste perchè il fatto che essa sussiste tra
due oggetti a e b può venire espresso d’una
formula del tì^o :
f a f b. Quali sono queste condizioni risulta in ogni caso dall’esame delle proprietà
che caratterizzano le diverse operazioni i cui segni figurano nelle formule da definire.
Il caso che si presenta più frequentemente è quello di relazioni tali che, mediante
esse, si può attribuire un SIGNIFICATO (O SENSO), oltre che alle formule del tipo
• yo! — fb, anche a quelle del tipo :
fa fh
+ f c, e per conseguenza anche a quelle
del tipo; fa—fb
— fc, nonché a quelle del tipo;
fa — kfb, ove “k”
rappresenta un numero – cf. il sufisso di H. P. Grice, “VACUOUS NAMES”. Si ha un esempio d’una relazione appartenente
a questa categoria, nel linguaggio tecnico della FISICA, in quella relazione che
s’esprime dicendo, di due dati corpi, ch’essi hanno una stessa massa (‘m’),
o due masse che stanno fra loro in un dato rapporto – cf. Ramsey,
Bridgman, The language of physics. Un altro esempio c’è fornito da tutto un altro
ordine di rapporti, da quelli, cioè, riferentisi al valore di scambio delle merci.
Mentre infatti gl’econo- [Posso rimandare
il lettore, che desidera maggiori schiarimenti, a un saggio che recentemente pubblicato
su questo soggetto, nel Nuovo Cimento, ‘Sul miglior modo di DEFINIRE la MASSA nella meccanica – in “Opere” Sul miglior modo di definire la Massa in una trattazione
elementare della meccanica. Nuovo Cùnento. La via comunemente seguita, nei testi
di Fisica in uso presso le nostre scuole secondarie, per arrivare al concetto di
massa è, com’è noto, la seguente: Enunciata la legge d’inerzia, e definite le forze come le cause che tendono a modificare lo
stato di moto o di quiete d’un corpo, s’accenna
anzitutto al modo di confrontarne e misurarne l’intensità per mezzo dei loro effetti
statici. Si passa poi ad enunciare, come
^®®®lerazione volte più Come un fatto
sperimentalmente constatahiio .i- chio,
Mach indica poi anche questombelf
‘'‘PP-®- c se, a un corpo di massa;
rispetto £>te Mechanik
in ihrer Enlwìcke lituo- hi et ,, risc/i.krtlisch dargeslelU.
Leipzig, Brockliaus, SUL MIGLIOR MODO DI DEFINIRE LA MASSA 8oi a un dato corpo, se ne aggiunge un altro di massa
/«', essi, presi insieme, si comportano come
un corpo di massa m + nC . Per ben chiarire la distinzione tra peso e
massa, Mach consiglia poi di ricorrere direttamente alla considerazione delle diverse resistenze che oppongono, al cambiamento del loro stato di moto
o di quiete, apparecchi nei quali, come, ad esempio, un volante, o una carrucola
da cui pendano eguali pesi dalle due parti, i vari pesi che si muovono siano disposti
in modo da controbilanciare i propri effetti. Le differenze sostanziali tra la via
seguita da Mach, Leitfaden der Phy-
sik, per stabilire il concetto di massa, e quella che,
con qualche differenza di dettaglio, è seguita in pressoché tutte l’ordinarie trattazioni
della meccanica pelle scuole secondarie, possono quindi ridursi alle due seguenti; Invece di definire la massa d’tm corpo, Mach definisce il rapporto della massa di due
corpi; si limita cioè a precisare il senso delle frasi: Il tal corpo ha massa doppia,
tripla, etc., d’un altro. Tale definizione
è da lui effettuata ricorrendo ad un’esperienza nella quale i due corpi in questione
sono fatti agire l’uno sull’altro; nella quale cioè le forze uguali, che sono constatate
imprimere ad essi accelerazioni diverse, sono rappresentate dalla tensione d’un
filo che li congiuiige l’uno all’altro. E da notare che questi due caratteri della
trattazione di Mach sono affatto indipendenti
l’uno dall’altro, nel senso che si potrebbero immaginare altre trattazioni le quali
avessero con essa comune il primo carattere e non il secondo. Ciò è tanto più interessante
a rilevare in quanto, tra gl’inconvenienti che presenta il metodo ora ordinariamente
impiegato, parecchi, e non dei meno gravi dal punto di vista didattico, dipendono
unicamente dal fatto che in questo, a
differenza di quanto si fa da Mach, si ricorre, pella prima determinazione del concetto
di massa, al confronto delle diverse velocità, o accelerazioni, che un dato corpo
assume col variare delle forze di cui subisce l’azione, invece di ricorrere al confronto
tra le diverse velocità, o accelerazioni, che diversi corpi sono capaci d’assumere
sotto l’azione d’una data forza. Ora è
fuori di dubbio, come è stato osservato nel
corso della discussione da BONETTI, che sono i fatti e le esperienze di questa seconda
specie, e non quelle della prima, che sono particolarmente atte a dare un contenuto
concreto al concetto che si vuol fare acquistare dall’alunno. Che una spinta, data a una barca scarica, la faccia
muovere con più velocita, o la fermi con più facilità, che non la stessa spinta data alla stessa barca quando sia
carica; che, in generale, per citare letteralmente
la proposizione come si trova già enunciata
nella Fisica d’Aristotele, una data forza sia capace di fare acquistare,
alla metà d’un corpo, una velocita doppia di quella che, a parità di condizioni,
farebbe acquistare al corpo (M Non mancano
però eccezioni. Il procedimento seguito, ad esempio, nel testo di PITONI s’avvicina molto a quello
che più innanzi propongo. intero; queste
e l’altre analoghe esperienze costituiscono la prima sorgente, o il primo nucleo,
attorno al quale il concetto più preciso e rigoroso di massa può gradatamente formarsi
e organizzarsi nella mente dell’alunno, come si è gradatamente formato e
organizzato nella storia della scienza. Per
convincersi della scarsa connessione che
sussiste, invece, tra l’esperienze relative al diverso modo di comportarsi d’uno
stesso corpo, sotto l’azione di forze differenti, e il concetto di, basta semplicemente
pensare che questo ultimo conserverebbe tutta la sua importanza teorica e
pratica anche in un universo pel quale la
legge di proporzionalità tra le forze, STATICAMENTE misurate, e le accelerazioni d’esse rispettivamente impresse
a un dato corpo, cessasse affatto d’aver vigore, purché, in tale universo, i
rapporti tra l’accelerazioni, che le varie forze, agendo per un dato tempo, impritnono
rispettivamente ai vari corpi, restassero fìssi (indipendenti cioè, per esempio,
dalla direzione e intensità delle forze, dalle posizioni presentemente e
antecedentemente occupate dai corpi, dal
tempo pel quale questi sono stati tenuti in riposo, dalle velocità loro, dalle forze
che su essi contemporaneamente agiscono, etc. Come giustamente è stato osservato, Clifford, The
Commo7i Sense of thè cxact
Sciences, London, ciò che dà importanza
alla nostra conoscenza della massa dei corpi è semplicemente questo: che, d’essa,
noi siamo messi in grado d’applicare la nostra
eventuale conoscenza degl’effetti che date circostanze, tensioni, urti, pressioni,
etc., producono sul modo di muoversi anche d’un solo corpo, per determinare gl’effetti
che le stesse circostanze produrrebbero sul movimento di q7ialu7ique altro corpo. Ma se, pel primo dei
sopraindicati due caratteri, la forma d’esposizione proposta da Mach si presenta,
a mio parere, come preferibile a quella seguita
nella trattazione ordinaria della massa nei testi pelle scuole secondarie, ben diverso
mi sembra il caso pel’altro carattere che resta da considerare, quello cioè che
concerne la scelta degl’apparecchi e dell’esperienze su cui basare la prÌ77ia
co7istatazio7ie del diverso modo d’accelerarsi
di corpi diversi sotto l’azione di forze uguali. Il ricorrere, per questo scopo, ad esperienze in cui le forze uguali considerate
sono rappresentate dall’azioni che due corpi esercitano l’uno sull’altro, sia che
queste vengano provocate per mezzo dell’apparato a forza centrifuga descritto sopra, sia con altre disposizioni. per esempio, come
propone Love, Si ritrova questa stessa proposizione, e
sotto questa stessa forma, anche nei manoscritti di VINCI (Cfr.
l’edizione di Ravaisson-Mollien. Paris.
Cioè, per servirmi d’una locuzione,
opportunamente introdotta d’Enriques, Problemi della Scienza, Bologna, 1’importanza del concetto di massa non
sta solo nel suo designare una data specie di sosliluibililà, o equivalenza, dei
corpi, ma nel fatto d’indicare come differisca il comportarsi, rispetto alle forze
che su essi agiscano, di due corpi
meccanicamente noti sostituibili. Come Mach gentilmente m’informa, egli stesso
non è perfettamente soddisfatto di questa parte del suo procedimento. A
ricorrere all’esperienze con quell’apparato a forza cen- facendo urtare tra loro due corpi elastici appesi
a due fili, e confrontando l’altezze da cui si sono lasciati cadere con quelle a
cui risalgono dopo l’urto, sembra a me presentare dal lato didattico dei gravi inconvenienti. L’esperienze, alle quali in tal modo si viene a
fare appello, esigono, per essere interpretate e riconosciute adeguate allo scopo
a cui sono rivolte, una quantità d’ipotesi e di cognizioni preesistenti, la cui
considerazione, anche se non offre speciali difficoltà, tende però a distrarre l’attenzione
dell’alunno, e a rendergli più difficile il chiaro apprendimento del principio che si tratta d’illustrare
e di provare. Il condensare e il far quasi
coincidere, come vorrebbe Mach, in un solo enunciato, da provare e verificare con
una stessa serie d;esperienze, due principii
così diversi, a primo aspetto, come, d’una
parte, quello dell’uguaglianza dell’azione alla
reazione, e, dall’altra parte, quello della costanza del rapporto tra l’accelerazioni
prodotte d’una stessa forza su corpi di diversa massa, se corrisponde a un’ideale
altamente apprezzabile di trattazione teorica, non mi sembra affatto raccomandabile come espediente didattico. Ciò di cui ha soprattutto
bisogno l’alunno, nella prima fase di studio della meccanica, è d’avere a
propria portata dei tipi d’esperienze che, anche senza prestarsi a verifiche quantitative
rigorose, gl’offrono dell’illustrazioni immediate e dirette delle singole proposizioni
su cui la trattazione si basa. E, per quanto riguarda la massa, sembra a me che
l’esperienze che meglio soddisfano a
questa condizione siano: in primo luogo, quelle in cui si confrontano le velocità
ch’assumono dei corpi mobili (per es. carrelli su guide, galleggianti, etc.) in
un piano orizzontale (naturalmente in condizioni d’eliminare più che sia possibile
l’attrito) sotto l’azione di date spinte o trazioni, rappresentate da dati urti,
o pesi; in secondo luogo, quelle in cui le velocità che si confrontano sono quelle ch’assumono, su
due piani diversamente inclinati, due gravi i cui pesi siano prima stati constatati
esser tali da produrre una stessa tensione su due fili paralleli ai rispettivi piani,
da cui essi prima pendevano; in terzo luogo, l’esperienze colla macchina d’Atwood,
o con altri analoghi apparati in cui, per
esempio, i due gravi, pendenti dalle due parti della carrucola, possano esser fatti muovere lungo piani
diversamente inclinati, etc. Della difficoltà, o impossibilità, di rimuovere l’influenza
perturbatrice degl’attriti, non si dovrebbe qui preoccuparsi più di quanto si faccia,
per esempio, nelle prime esperienze relative
alle condizioni d’equilibrio delle macchine semplici. essere stato indotto dall’obbiezioni
che, al suo modo di far dipendere il concetto CI massa da quello d’azione reciproca tra due corpi,
erano state mosse d’alcuni suoi eg I tra gl’altri Boltzmann, i quali asserivano
che il definire la massa in tal modo implica la considerazione di’azioni a
distanza. dell’inconvenienti didattici, notati nel corso della discussione d’Ascoli,
zamend*^ Prematuro della macchina d’Atwood sono interessanti l’osservazioni e
gli apprez- «w/ "i" rapporto sull’insegnamento della
meccanica elementare, negl’Atti del Jirtixsh Association Meeting, Johannesburg.
Solo in seguito, quando l’alunno abbia bene afferrato il SIGNIFICATO dei principii
fondamentali, potrà esser conveniente guidarlo, per successive approssimazioni,
a tener conto dei vari ordini di cause perturbatrici, e ad apprezzarne anche quantitativamente l’influenza. Tenendo presente quest’ultima osservazione
si potrebbe anche procedere ad un altro ordine d’esperienze: quelle cioè che si
riferiscono alla caduta dei corpi in liquidi di diversa densità. Porre l’alunno
davanti a un apparecchio in cui figurino, pendenti dalle due parti d’una carrucola,
due corpi d’ugual forma, i cui diversi pesi siano scelti in modo d’equilibra/ 1 quando l’uno e l’altro dei detti corpi vengano rispettivamente
immersi in^^itic dati liquidi di diversa densità, e invitarlo a prevedere quale
dei due corpi scenderebbe con maggior velocità se ciascuno fosse lasciato libero
nel rispettivo liquido, e a rendersi ragione del fatto che il più pesante scenderebbe,
in tal caso, più lentamente del più leggero, pare a me costituisca un ottimo mezzo
per indurlo a riflettere sul SIGNIFICATO
e sulla portata della distinzione tra peso e massa. E da notare che è
appunto per questa via, e attraverso considerazioni di questa specie, relative cioè
a campi di forze in cui gravi si muovono sotto l’azione d’una parte soltanto della
forza rappresentata dal loro peso, che, nella storia della meccanica, il concetto
di massa si è svolto ed elaborato come distinto
da quello di peso. É molto interessante a questo proposito il seguente brano
che trascrivo dalla prefazione di BALIANI alla sua De motu gravitivi, nel quale
la suddetta distinzione si trova esplicitamente formulata, e applicata al caso della
libera caduta – H. P. GRICE FREE FALL -- dei gravi, con parole poco diverse da quelle
che furono, più tardi, adoperate da Newton, spesso erroneamente citato, a tale riguardo, come il
primo cui si debba un’espressa definizione del concetto di massa. E fui condotto
a pensare che, mentre il peso, gravitas, si comporta com’un agente, la materia si
comporta invece come un paziente, e che quindi i gravi si muovono secondo la proporzione
dei loro pesi alla loro materia, onde se cadono senza impedimento verticalmente,
si devono muovere tutti colla stessa velocità,
poiché quelli che hanno più peso hanno anche più materia o quantità, di materia,
plus materiae, seti materialis quantitatis. Quando invece vi sia qualche impedimento
o resistenza, il moto si regola secondo l’eccesso della virtù che agisce sulle resistenze
e sugl’impedimenti al moto, secundum excessum virtutis agentis super resistentiam
passi, seti impedientia motum; in altre parole,
secondo il valore di quella parte, o componente, del loro peso che può effettivamente
agire, e che è rappresentata dallo sforzo che si dovrebbe esercitare, in direzione
contraria al moto, per trattenere il grave dal cadere).]. economisti utilitarii
– futilitarii citati da Grice -- possono, e devono, determinare e definire esattamente
il SIGNIFICATO (O SENSO) di frasi come le seguenti. IL VALORE della tal merce è
UGUALE al valore della tale altra.IL VALORE MONETARIO della tal merce è UGUALE alla
SOMMA dei valori delle tali due altre. Etc. Essi non hanno alcun bisogno, e neppure
alcuna possibilità, a meno di cadere in tautologie, di definire isolatamente la
parola “VALORE.” E tale impossibilità non dà luogo, nè qui, nè negli altri casi
analoghi, ad alcun inconveniente o ambiguità. Precisamente, come nessun inconveniente deriva nel LINGUAGGIO ORDINARIO (GRICE, ORDINARY
LANGUAGE PHILOSOPHY) dal fatto che noi NON siamo in grado di dire che cosa significhino
[SIGNIFICA] isolatamente le parole “stregua,” “solluchero,” “josa,” “zonzo,” “acchito,”
“chetichella,” “vanvera,” etc., bastandoci del tutto conoscere il SIGIFICATO (O
SENSO) di tutte le frasi in cui tali parole compaiono – cioè, delle FRASI: “giudicare
a una data STREGUA,” “andare in SOLLUCHERO,” “averne a JOSA,”
“andare a ZONZO,” “di primo ACCHITO,”
etc. – CHETICHELLA. VANVERA. STREGUA – GIUDICARE A UNA DATA STREGUA – SOLLUCHER
–ANDARE IN SOLLUCHERO – JOSA – AVERNE A JOSA – ZONZO – ANDARE A ZONZO – ACCHITO
– DI PRIMO ACCHITO – CHETICHELLA – VANVERA -- [to judge by a given standard, to
go delighted, to have joy, to go for a round, at first glance. -- Il frequente
impiegò che è fatto, nei vari rami della matematica, di locuzioni – the meaning
of ‘and’ or ‘if’--, o segni di funzione, il cui SIGNIFICATO (O SENSO) è
determinato solo per mezzo di definizioni per astrazione, viene a confermare ciò
che già è stato asserito indietro, quando s’assegna come uno dei tratti caratteristici
del linguaggio algebrico – utterer’s meaning, sentence-meaning, and
word-meaning -- di fronte al LINGUAGGIO ORDINARIO [informalists di Grice], il maggior
rilievo e la maggiore importanza ch’assumono
in esso i segni i quali, non avendo, quando siano considerati isolatamente,
alcun SIGNIFICATO (O SENSO) – what is the meaning of ‘of’? Is ‘between’
ambiguous? The meaning vs. The use of ‘if’ -- separatamente enunciabile, sono capaci
di venire definiti solo in modo IMPLICITO – cioè, solo coll’indicare il SIGNIFICATO
(O SENSO) d’intere espressioni (utterer’s meaning) -- o formule -- in cui il segno
da definire compaia associato con altri segni. Il riconoscere come affatto legittimo
l’impiego di segni o parole, che si trovano in questo caso, e come affatto irragionevole
l’esigenza, per essi, d’una definizione – o analiai in termine di condizioni
necessari e sufficienti -- ESPLICITA, non è privo d'importanza, teorica o
pratica, anche fuori del campo delle scienze
matematiche. Basta dare uno sguardo alle prime pagine degl’usuali libri di testo,
o ai manuali elementari di qualsiasi ramo d’insegnamento, dalla grammatica al diritto
costituzionale, dall’elettrotecnica alla
musica, per convincersi del grave danno che deriva alla chiarezza e alla
intelligibilità, e nello stesso tempo anche alla precisione e al rigore, dell’esposizione dalla tendenza dei trattatisti a riguardare come
unico mezzo, pella determinazione del SIGNIFICATO (O SENSO) dei termini tecnici,
il ricorso alle DEFINIZIONE *propriamente dette*. Che il procedimento ordinario di definizione,
quello cioè secondo il quale, prendendo in considerazione la nozione da definire,
isolatamente e indipendentemente dalle frasi nelle quali essa dove poi essere adoperata per DIRE – dictive content
-- qualche cosa, si mira a decomporla nei
suoi elementi – utterer’s meaning, sentence-meaning, word-meaning, facendola comparire,
in certo modo, come il risultato dell’intersezione d’altre nozioni più
generali — [il fratendimento di
Mrs. Jack sul reduzionismo di H. P. Grice, “to mean” “to intend”,
asymmetricalista -- può essere, in dati
casi, utile e anche necessario, non è da porre in dubbio. Ma, anche
senza tener conto del fatto che, anche seguendo tale procedimento, si dove pure
arrivare, presto o tardi, a nozioni che non possono essere in tal modo ricondotte
ad altre più generali – il punto essato di Grice quando preferisce dare una
definizione IMPLICITA di ‘willing’ – cf. ‘shaggy’ x is shaggy, Fido is shaggy--,
anche senza tener conto, dico, di questa circostanza, ch’espone gl’elementi di qualunque
scienza o rama della filosofia – Grice definition of izzing and hazzing -- non dove
mai trascurare di domandarsi, ogni volta che si tratti d’introdurre un nuovo segno, e di spiegarne il SIGNIFICATO (O
SENSO), se, tra i due modi, visti sopra,
di procedere alla determinazione di questo
- tra quello, cioè, che consiste nel
darne una definizione – o analisi -- propriamente detta, e l’altro invece che consiste
nel precisare semplicemente il senso di determinate frasi – valori di verita o
satisfattoriera -- nelle quali il termine da definire – analysandum --figura -, sia più conveniente il primo o il secondo.
Se, per esempio – cf. Grice on psychological laws --, quei concetti (più generali
di quello che si vuol definire – the is
and the ought, the legal and the moral), ai quali deve essere fatto appello
quando si proceda nel primo modo, siano poi veramente più chiari e piu facilmente
apprendibili, dagli alunni o dai lettori, di quanto non sia il concetto stesso (‘mean’)
che si vuol definire, e se, ad ogni modo,
quest’ultimo non possa essere più facilmente d’essi acquistato mediante la diretta osservazione dei fatti e delle relazioni
che esso dovrà poi servire ad esprimere. Grice on Squaarel Toby EATING -- Le discussioni interminabili sul tempo, sullo
spazio, sulla sostanza – izzing hazzing --,
sull’infinito, etc„ che occupano tanta parte in certe trattazioni filosofiche,
forniscono numerosi e caratteristici esempi delle varie specie di questioni fittizie
alle quali può dar luogo la pretesa di dare,
o di ricevere, definizioni propriamente dette –cf, Robinson citato da Grice --,
in quei casi in cui le parole o nozioni delle quali si tratta di determinare il
SIGNIFICATO (O SENSO) O ANALYSANS sono di tal natura da non poter essere definite
– glory: a nice knowckodwn argument, impenetrability: let’s change the topic --
se non ricorrendo a procedimenti analoghi
a quelli rappresentati, in algebra, dalle definizioni per astrazione. [Si
è parlato fin qui dei mezzi che l’algebra ha a disposizione per esprimere proposizioni
isolate. Ma quando si discute, o si cerca, o si dimostra, si ha altresì bisogno
di poter collegare le proposizioni l’une
coll’altre. Si ha cioè bisogno di mezzi per esprimere i rapporti di dipendenza o
d’indipendenza che sussistono, o che si vogliono
stabilire, tra esse. A tale scopo servono, nel LINGUAGGIO ORDINARIO, quelle particelle
che i grammatici distinguono col nome di “congiunzioni”. E piu facile spiegare ‘p v q’ che il SENSO di
‘o’ – in fatto, suona straneo di questionare per il SIGNIFICATO O SENSO di “o”
o “a” (to) – Grice. L’ufficio di queste,
rispetto alle pro-posizioni, si può paragonare a quello ch’adempiono le pre-posizioni
– il ‘to’ di Grice -- rispetto ai nomi. Allo stesso modo come una pre-posizione,
posta tra due nomi, dà luogo a una locuzione
atta a esercitare l’ufficio di un nuovo nome – “Jones e tra Williams e Smith” –
CHE SENSO? FISICO, MORALE? --, così anche una congiunzione – il ‘o’ di Grice --,
posta tra due asserzioni, o ordimi-- da
luogo a una nuova asserzione o ordine – feed the creature and she’ll
bite you, la cui verità o falsità – o satisfiattorieta
-- può anche essere indipendente dalla verità o falsità o satisfattorieta -- di ciascuna di esse. Per una scienza a tipo deduttivo, come e
appunto 1’algebra, le piu importanti congiunzioni sono naturalmente quelle che servono
a indicare che, di due date asserzioni, l’una è conseguenza dell’altra. Al posto
delle molteplici particelle, o perifrasi, che sono adoperate a tale scopo nel linguaggio
ordinario -- “dunque”, “quindi,” “perciò,” “donde,” “di qui,” “per
cui,” “se,” (Grice, if); “quando,” “in
caso che...,” “ne
deriva,” “ne consegue,” “ne risulta,” etc. -- non si ha bisogno – tonk plonk
-- in algebra che d’avere a disposizione un solo segno, il horseshoe. Altre congiuzioni assolutamente indispensabili
in qualsiasi trattazione algebrica, che non è una semplice raccolta di formule,
sono le seguenti. Una
per indicare ch’una proposizione enunciata non è vera, un segno cioè corrispondente al “non” del linguaggio
ordinario – cf. Grice, “Negation and privation” – “We may do without ‘not’ but
we would need to introduce one of the strokes, making our conversational moves
go against the maxims”). Altre due,
corrispondenti, rispettivamente, all’
“e” e all’”o” del linguaggio ordinario, per indicare che due date proposizioni sono simultaneamente vere, o che
d’esse una, e una sola può essere vera. L’avere introdotto quattro speciali segni per indicare
i suddetti quattro rapporti tra le proposizioni, e l’aver riconosciute le curiose analogie che sussistono tra le proprietà
di tali segni e quelle degl’altri segni già adoperati in algebra, e merito di Leibniz
e dei fondatori della cosiddetta logistica, scelti e costruiti deliberatamente in vista degli scopi
ai quali devono servire, e il cui sviluppo non è soggetto a leggi o uniformità del
genere di quelle che lo studio comparato permette di riconoscere e di formulare
per i linguaggi “naturali,” non mi pare ha gran peso. Alla
distinzione stessa tra lingue “naturali” e lingue “artificiali” – formale – formalisti di Grice
-- mi sembra difficile che dagli stessi glottologi può venire attribuito alcun senso
preciso e scientifico, quando essi ammettono che nella formazione e nello sviluppo
di qualsiasi linguaggio, per quanto “naturale” (lay) e non colto (learned,
blue-collar), una parte non trascurabile
è pur sempre d’attribuire ai fattori volontari e individuali o idiosincratici
che ne determinarono i successivi adattamenti alla sua funzione di strumento per
esprimere e comunicare determinati sentimenti
o idee – Austin. Grice to Warnock: How clever language is! For it had done for us
distinctions we needed. And who
needs ‘visa’? Influencing and being influenced by others -- È strano del resto che
mentre l’obiezione dell’ARTIFICIALITÀ NON è considerata valida per escludere dal
campo della glottologia e della SEMASIOLOGIA lo studio dei gerghi propri delle
classi più infime della società – il ploari --, essa dove aver vigore soltanto pel
caso di quelli che, nella peggiore ipotesi, ci contenteremmo di veder classificati come dei gerghi ideografici – le parole
sonodi CROCE (si veda), propri ai cultori delle più progredite tra le scienze]. Accenno infine a una considerazione, d’indole
tutto aflfatto pratica e attuale, che mi ha fatto parere tanto più opportuno richiamare
l’attenzione dei filologi sui caratteri, per così dire, linguistici dell’algebra.
Va diventando sempre più un luogo comune – Grice’s commonplace --, nelle discussioni sull’ordinamento degli studi
nelle nostre scuole secondarie, il lamento sui danni derivanti, allo studio delle
lingue antiche o moderne, dall’impiego di metodi troppo “grammaticali” o “filologici”, -- Grice insegna greco a Rossall per un
periodo -- dalla troppa parte, cioè, che è fatta ordinariamente, nei primi stadi dell’insegnamento, all’enumerazione
delle regole grammaticali, in confronto allo scarso tempo e alla minor cura dati
invece agl’esercizi d’interpretazione e di conversazione. A questo che si ritiene
comunemente essere un difetto particolare dell’insegnamento delle lingue, fanno riscontro, a mio parere, dei difetti,
non solo analoghi, ma addirittura identici in quella parte dell’insegnamento scientifico
che ha per scopo di fare acquistare agl’alunni
la capacità di servirsi delle notazioni dell’algebra. Promuovere un chiaro riconoscimento
di questa specie di solidarietà tra due rami d’insegnamento che la tradizionale
distinzione delle “materie” in letterarie e scientifiche – Snow’s two cultures
-- tende a far riguardare come eterogenei e privi di qualsiasi rapporto tra loro
equivale a render possibile, tra i cultori
dei due ordini di disciplina, uno scambio d’idee che non mancherebbe di riuscir
fecondo d’eguali vantaggi per ambedue le parti. Giovanni Vailati, Vailati. Keywords:
Peano. Refs.:
Luigi Speranza, "Grice e Vailati: la semantica filosofica," The
Swimming-Pool Library, Villa Grice, Liguria, Italia. Vailati.
Luigi Speranza --
Grice e Valdarnini – scuola di Castiglion Fiorentino – filosofia toscana – Luigi
Speranza, pel Gruppo di Gioco di H. P. Grice, The Swimming-Pool Library (Castiglion
Fiorentino). Filosofo toscano. Filosofo italiano. Castiglion Fiorentino,
Toscana. Profesore di filosofia, Bologna. V. di Castiglioni, professore
in Bologna di Alpini PERCORSO: Fatti, personaggi, documenti ed
oggetti testimoni di vita e di storia > questa pagina Alpini ringrazia
il geometra Rossano Gallorini che l’offre la possibilità, tramite due lettere
del suo archivio personale, di approfondire un ulteriore aspetto della famiglia
di V. per anni docente di filosofia teoretica a Bologna. V. proviene d’una
modesta famiglia di lavoratori della terra, ma, nonostante ciò riusce a
studiare prima presso gli Scolopi in Castiglion Fiorentino, poi a Pisa dove
consegue la laurea. Dopo aver insegnato in vari licei vince la cattedra
presso la prestigiosa Bologna ove insegna
Carducci e successivamente Pascoli. V. è un tenace assertore
dell'esistenza obiettiva d’una realtà assoluta e infinita, dell'anima e di Dio.
Il confronto con il positivismo lo condusse ad affermare la supremazia della
metafisica sulla scienza, anche se, secondo V., la metafisica dove essere
critica e positiva ravvivata dal progresso delle scienze sperimentali e dalle
altre discipline. V. ricordato a Castiglion Fiorentino, dall'associazione
Spazio aperto", con l'evento, Il percorso umano e culturale di V:
dall'amata Castiglioni alla dotta Bologna. Narrazione e mostra documentaria” V.
partecipa attivamente alla vita politica della sua città natale e ne è sindaco
nelle file del partito veramente monarchico e veramente democratico. Nel primo
dopoguerra fonda, sulla scia di PASCOLI (si veda) e CORRADINI (si veda), a
Castiglion Fiorentino l'Associazione Nazionale, ma quando questa, si fuse con
il Fascismo troviamo V. segretario del fascio locale. Dal matrimonio con
Vittoria Tocci erano nati ben sette figli. I due maschi, Corrado e Virgilio, muoroo
in modo prematuro. Le figlie: Valeria, Virginia, Clara, Ida e Giorgina ereditano
dal padre un cospicuo patrimonio composto da diversi poderi, due case in
Castiglion Fiorentino ed una villa a Cegliolo in comune di Cortona e titoli
bancari. Valeria, la più grande, vive a Modena ed sposa un Tavernari. Le altre
sorelle viveno a Castiglion Fiorentino. Ida che sposa un Ferrari è nominalmente
la responsabile delle sorelle V. delle quali una aveva forti problemi di
salute. Nel dopoguerra le condizioni economiche sono peggiorate e non
navigano in buone acque, ma, nonostante ciò le sorelle cercano di mantener fede
ai desideri del padre che ha espresso questo desiderio nel suo testamento di
rimanere unite. Probabilmente la sorella che vive a Modena è quella che se la
passa meglio e quindi speravano in un suo aiuto concreto. Valeria ospita
per circa un mese alcune sorelle, ma non poteva lesinava aiuti concreti. Di ciò
se ne duole Ida in una lettera che non abbiamo. Nella risposta che abbiamo a questa
missiva appaiono chiaramente le prime crepe ed i primi dissapori. Anche il
nipote Vittorio che, probabilmente ha un buon stipendio in quanto dipendente di
una Compagnia di Navigazione, nell'inviare dei soldi, fa pesare il sacrificio
che gli costa il farlo e esterna i sacrifici che deve fare stando lontano da
casa per mesi. Oggi vivono a Castiglion Fiorentino solo parenti lontani
che hanno partecipato attivamente al ricordo che l'Associazione Culturale
"Spazio Aperto" ha organizzato con il titolo "V.: dall'amata
Castiglioni alla dotta Bologna. Narrazione e mostra documentaria". Nell’Istituto
Superiore di Magistero ^kmmiwilp: in jlox* FIRENZE COI TIPI DI
M. CULLIMI E C. alla Galileiana Oli esemplari di questo libro non
muniti della firma originale dell’Amore si riterranno falsili a 0 i
n lore procederà contro I ralsiflcnlnn. FILOSOFIA. SULLA
TEORICA DELLA DIANA CONOSCENZA E DELLA MORALE IN
RELAZIONE COLLE DOTTRINE DI E. KANT. Argomento o sua
opportunità. Nozione del Vero e del Bene. Loro fondamento
reale. Principali facoltà conoscitive o morali del¬ l'uomo. Leggi
razionali e legge morale. Loro fondamento c valore. Senso, intelletto e
ragione pura speculativa secondo, il Kant, ed ufficio loro. Valore c
limiti della ragione para speculativa. Tre ordini di cognizioni umane.
Differenza tra la Ma¬ tematica, la Fisica e la Metafisica, secondo il Kant. Distinzione
kantiana del fenomeno dal noumeno. In qual senso vero può ammettorsi tal distintone.
Teorica della relatività della conoscenza umana. Conno sul Neokantismo.
Cenno sul nuovo Criticismo o Realismo tedesco ed inglese. L’
inconoscibile di Spencer. In qual senso c dentro quali confini la
conoscenza umana si può e si deve ammettere come relativa, -r- Obbietto o
valore della ragiono pratica o morale, secondo il Kant. Vi li a
contraddizione fra la Critica della ragione pui a eia Critica della
ragione pratica? Giudizj opposti di varj filosofi. Due criterj, secondo noi,
per risolvere il quesito. Criterio soggettivo : Secondo 1 intendimento
del Kant vi è contraddizione fra quello due Critiche? Breve raffronto
delle tro Critiche di lui. Criterio oggettivo: Le ideo morali sono assolute
ed oggettive anche pel Kant, oppure sono relative e soggettive? La ragione
umana può scindersi in duo facoltà, in ragione speculativa e in ragione
morale, opposte fra loro? L’intoresse teorico può egli separarsi
dall'interesse pratico della ragione? Le dottrine di Kant sulla conoscenza
umana o sulla Morale, considerate oggettivamente, non isfuggono alla contraddizione.
La relatività della conoscenza umana e dolla scienza, nell'odierno
significato, implica logicamente una Morale affatto relativa. Nostra
dottrina sulle relazioni oggettive, necessario o naturali fra il conoscere o
l'operare umano, o però tra il Vero ed il Bene. Tre fatti
notabili ed importanti nell’ordine filosofico e scientifico e nell’ordine
morale mi paro dovrebbero fermare oggidì l’attenzione dello studioso e
del pensatore. Questi fatti sono: La moderna teoria della relatività
della conoscenza umana-, il ritorno di parecchie menti, specie in
Germania, alla filosofia speculativa e pratica del Kant; una tendenza
quasi generale presso gli odierni scienziati c filosofi a porre in
discussione la Morale ed a cercarne nuovi fondamenti, considerandola
alcuni come reiva instabile ed evolutiva, altri come assoluta oggettiva,
universale ed iucrolkbil» • sistemi scientifici e filosofici. Di quei tre
fatti mi propongo d’esaminare con brevità nel presente lavoro i
primi due segnatamente, e di vedere così qual relazione logica c naturale
corra fra il sapere o il conoscere e l’operare umano, e se il Kant
cadesse o no in contraddizione co’suoi principj teoretici diversi da
quelli morali. Determinato così il campo di queste indagini, non debbo nè
voglio qui esaminare i varj sistemi morali antichi e moderni: i quali
ultimi, come accennai in altro mio lavoro (Studj critici di Filosofia
morale e sociale, Firenze), possono ridursi principalmente alla Morale
razionalista ed assoluta, alla Morale indipendente, alla Morale dei Positivisti
e alla Morale evoluzionista; mentre la Morale spiritualista e la teologica son
comuni sì all’evo antico e sì al moderno. Il Vero ed il Bene sono
concettiuniversali. Universali, perchè gli uomini tutti, anche i meno
civili e colti, hanno un certo sentimento ed una certa nozione
della Verità e del Bene, come si ravvisa- altresì nei loro discorsi e
giudizj e nell'azioni loro. Universale il concetto di Vero, perchè la
mente nostra l’applica agli esseri tutti che vengano in qualche modo in
attinenza con lei ; anzi l’applica alle stesse operazioni dello spirito,
e quindi a’sentimenti, a’pensieri, alle cognizioni, a’giudizj, ai
ragionamenti, alla scienza, all’arte, agli stessi atti della libera volontà.
Dunque così al gran mare dell’essere come a tutto l’ordine del conoscere
e, sotto un certo rispetto, all’ordine dell'operare si estende il
concetto di Vero. Universale il concetto di Bene, perchè la mente
nostra riconosce c giudica buone le cose tutte, che siano quello che
debbono essere por natura loro, che sieno amabili o per intrinseche
perfezioni, o per Tatile e pel diletto che ci procurano ; e perche
a tutti gli atti umani, in quanto procedono dalla ragione c dalla volontà
libera, e sono conformi alla legge inorale, si applica dalla mente il concetto
di Buono.-Se pertanto il Vero ed il Buono hanno il carattere
dell’universalità, in che troveranno il loro fondamento? Non possono
averlo, quali concetti, nello spiritò umano, anzi in veruna mente finita,
perchè le menti finite sono contingenti e individuali, non
necessario ed universali, c perchè non possono fave a meno di usare, fra
gli altri, quei due concetti. Non possono averlo in alcuna delle cose
mondiali, perche l’individuale e il particolare non può mai
scambiarsi coll’universale. Il vero fondamento del Uro e del Beno non può
ravvisarsi che nella natura medesima degli enti in universale -, e però
il ero ct i,i Bene hanno il carattere dcll’obbiettività.
»2"T iemm » « i. nota ad altro * r* ° l0tlavÌ!l 'l ue3t
l esser quindi giudicarla ver, o fll |,, duna . 0Ma > 0
intanto, la cosa in .a * 3 '’ uona 0 catt ' va 1 ma, v»a o no»
vi“1"““'’ T"° C ',e a !"*» ’ bU0 ” a 0 ”™ ^ona,
indipcnden- dell’umana conoscenza e della modale 7 temente dal
giudizio è dal volere delle menti finite. V'ha pertanto il Vero oggettivo
universale, come il Bene oggettivo universale, fondati sulla stessa
natura degli enti. Anzi il concetto universale che noi abbiamo del Vero e
del Bene conserva questo carattere di universalità, perchè fondato in una
necessità non formale, nè soggettiva, si materiale od ontologica ed
oggettiva. D’altra parte', il Vero ed il Bene oggettivi possono stare disgiunti
da ogni intelligenza e da ogni volontà? No, perchè' il Vero suppone una
mente che lo' conosca, e il Bone suppone una volontà che l ami e
che lo voglia conseguire. Le cose tutte, vere od intelligibili, o buone od
amabili, richiedono pertanto una relazione naturale coll’Intelligenza e
colla Volontà. Inoltre, gli esseri finiti corno avrebbero in sè
stessi, e specie gli enti irragionevoli, il carattere della verità e
della bontà, senza una Monte ed una Volontà infinita che li abbia appunto
creati e veri e buoni? E questa Mente e Volontà assoluta non
potrebbesi concepire se non come essenzialmente vera e buona in sè
stessa. Il Vero ed il Bene, benché fondati sulla natura degli esseri,
hanno dunque attinenza naturale e necessaria coll’Intelletto e colla Volontà.
Ora, nell’uomo esistono diverse facoltà deputate a conoscere il Vero, ad
amare ed operare il Bene. Ogni entità, come ha natura e leggi sue
proprie, così ha un fine speciale ; ogni funzione ed atto ha un termine
proprio : e io : e però termine, fine, oggetto immediato-
della Intelligenza è il Vero ; termine, fine, oggetto immediato
della Volontà il Bene. Qui non mi fermo- a dimostrare le intime relazioni
da una parte fra il Vero ed il Buono, dall’altra fra il concetto di
fine e il concetto di Bene, avendone discorso a lungo ne’
miei Elementi scientifici di Etica c Diritto (Roma). Diconsi intellettuali,
conoscitive, razionali tutte quelle facoltà onde l’uomo intende, conosce
o scuopre il Vero; diconsi morali quelle facoltà ond’egli ama, vuole
c pratica il Bene. Quattro sono le facoltà principali dello spirito
umano : il Senso, l’Intelletto, la Ragione e la Volontà. Le prime tre
appartengono all’ordine della conoscenza, l’ultima all’ordine
della moralità. Il Senso ha immediata relazione con
gliobbiettisensibili e porge all’intelligenza la materia del
conoscimento. L Intelletto apprende le cose sensibili ed
intp.llio-i'hn; dell’umana conoscenza e della morale !) ha . leggi
suo proprio. Ciò. posto, quali sono le leggi dell’Intelligenza e della
Volontà umana, e qual fondamento e valore hanno esse? Poiché
l'Intelligenza e la Volontà sono due facoltà diverse, come diverso
è l’obbictto loro, cioè il Vero ed il Bene, anco le rispettive leggi
dovranno essere differenti. Queste due facoltà umane non potrebbero
varcare dalla potenza all’atto e conseguire il fine loro, senza una
regola, una norma, una legge che le indirizzasse alla vespettiva mèta.
Ora, le leggi che governano la Intelligenza nel conoscimento e nel
possesso del Vero diconsi razionali, c ne tratta di proposito la Logica
; la legge che governa la Volontà nella pratica del Bene dicesi
morale, c ne parla espressamente l’Etica. In queste leggi dello spirito
umano c segnatamente nelle razionali, va distinto l’elemento formale dall’elemento
materiale . L’elemento formale risguarda più direttamente l’intelligenza,
forma del conoscimento ; l’elemento materiale risguarda più diretta-
mente Soggetto, la materia del conoscimento. Dico più direttamente, non
esclusivamente, perchè ogni conoscenza suppone due termini distinti ma
inseparabili, cioè un soggetto intelligente ed un obbietto inteso in atto
o capace di essere inteso. E quindi non può darsi una Logica puramente
formale, come non può darsi una Logica puramente materiale.
Imperocché le nozioni, i concetti, i giudizj, iraziocinj sono atti ed
operazioni della mente ; la forma nel giudizio, nel raziocinio ed' in
ogni ragionamento è posta dalla mente nostra ; i giudizj, i
raziocini son governati da leggi proprie : ma intanto, lo nostre idee, le
nozioni, i concetti sono vuoti d'ogni contenuto, non sono oggettivi, non hanno
cioè alcuna rispondenza colla natura degli obbietti? L’csperien- za
e la ragiono dimostrano che vi ha naturale rispondenza ed armonia fra i
concetti nostri, le idee c gli obbietti. Ove non esistesse questa
relazione, potrebbesi domandare: Come c donde la mente nostra formerebbe
le idee, i concetti, .le cognizioni tutte? Ogni giudizio, poi, ed ogni
raziocinio ha la rispettiva materia, oltre la forma; c la varietà dei
nostri giud'izj e raziocini dipende non tanto dalla mente unica clic
li forma, quanto dalladiversità della materia onde risu.l ;
tano. Lo leggi logicali ed i priucipj della ragione hai), no, pertanto,
un fondamento reale ed un valore oggettivo, perchè fondati sulla reale
attinenza fra la mente nostra e le cose intelligibili, è perchè mostrammo
già che .1 Vero e oggettivo ed universale. Può cHi darsi- JW
‘T' C,1,! SÌS ° Mri U " senza la' Z “ lT" eS “ dmi una
qua-, PC “v 60s,anza ? »«. poo formo : .>C d ir caosaiì,a • «• ~
-» D’altra parte Finteli cd apoditticamente, la C
ausr;“ tt0 PU C ° nCC P Ìrc »tto senza È logicamente imponibile .\ S °
3tan “’ e vicCT ersa? Je ggi razionali hanno un fi» i^® 1 P r,nci PJ «
le ore oggettivo, C però u„. nda “ 5ato rca le, un va-
Se questa ò la nnt .. * CCI tezza assoluta. !eggi razionai;
che diw taLT* 10 et U Valore de,lc della legge morale ?
Come le leggi razion ali non sono fondate esclusivamente sulla
forma della conoscenza o sulla mente nostra, ma principalmente
sull’essenza degli obbietti intelligibili, e però sul Vero oggettivo ; così la
legge morale non ha il suo fondamento sulla volontà umana, ma sulla
natura stessa degli enti amabili e rispettabili, c però sul Bene oggettivo. E
come la natura delle cose intelligibili e il Vero oggettivo servono
all’uomo di criterio c di norma nelle sue cognizioni e ne’suoi giudizj ;
così la natura degli enti amabili e rispettabili c il Bene oggettivo gli
sono di criterio e di norma nelle sue libere azioni. Può l’uomo disconoscere
il Vero c non seguire le leggi naturali del pensiero nell'ordine della
conoscenza ; può ribellarsi alla legge morale, non praticare il Bene e
giudicare non rettamente le sue azioni e quelle degli altri : ma
restano sempre il Vero ed il Bene oggettivi, ma non si distruggono per
questo le leggi eterne ed immutabili del pensiero e della volontà. E come
gli errori di alcuni uomini, i sofismi e lo scetticismo di altri
uonlianno alterate, non che distrutte, le leggi del pensiero limano, nè
abbattuta la Verità oggettiva ; così le prave azioni di alcuni e le false
dottrine morali di altri non hanno cambiata la legge morale assoluta, non
hanno abbattuto il Bene oggettivo, nèsradicata dal mondo la
moralità. Tuttavia l’errore torna sempre funesto nella speculazione e
nella pratica, e conviene quindi adoperarsi a tutt’uomo a fuggirlo ed a
combatterlo. Fermate tali verità, passo ad esaminare brevemente le
dottrine speculative e morali del Kant in SULLA TEORICA relazione
colle teorie moderne delle relativi* delle conoscenza umane, 1» quel
teorie mene log,cernente ad una Morale soggettiva e relativa.
\r Il Kant è generalmente considerato non solo qual
fondatore del Criticismo filosofico, sì anche quale autore della moderna
teoria della relatività della conoscenza umana. E ciò nondimeno, tutti
riconoscono che non v’ha sistema filosofico morale più rigido ed assoluto di
quello dol Kant ! Come si spiega questo fatto? Il Kant non ammise relativa, nell’odierno
significato, la conoscenza umana, oppure nella Morale si contraddisse
fondandola su principi assoluti ed oggettivi ? Ecco il quesito che dobbiamo
esaminare, gettando un rapido sguardo sulla filosofia kantiana. So negli
scritti del filosofo di Ivo— nigsberga la chiarezza della forma e la
coerenza logica, in senso formale o materiale, fossero pari
alh novità dei concetti, alla profondità e all' acutezz; dell
ingegno critico c speculativo di cui dette provi l’autore segnatamente
nelle tre Critiche, io pensi che nessun filosofo antico o moderno
potrebbe ugua ! “ Kimt Ma “mnquo vogliasi giudicaro on
può negarsi che la filosofia c la scienza in gc 2“™ Smunte del
nuov K il fT,'* 6 *«*»» s P ccu lczione 4 stata
considerata unallndc rl*^ P '" &iandc Introduzione alla Filosofia
pura ed alla Scienza in generale, come dissi altrove (Principio,
intendimento c storia della classificazione delle umane conoscenze secondo
Francesco Bacone. Parte terza, capo XI, 2 a edizione, Firenze,
1880). Come gli antichi supponevano che il sole e gli astri girassero
intorno alla terra, così il Kant nella Critica della Ragionpura volle far
girare gli obbietti intorno allo spirito umano per ricercare e
determinare le leggi dell’umana conoscenza. Ma se in Àstronorniail
sistema Tolemaico fu abbattuto, perchè falso, da quello di Copernico,
potrebbe avere ugual sorte nella Filosofia speculativa il sistema del Kant?
Crediamo di no, benché questo sistema non possa accettarsi, per gli
errori, ond'ò viziato, qual canone certo, inconcusso e definitivo della mente,
e quale sulstratum della Filosofia e della Scienza. Che posso
io conoscere e sapere ? Che devo io fare? Che posso io sperare? Ecco le
tre domande che il Kant rivolse a sè stesso nella Critica della
Ragion pura, e nelle quali sta il germe di tutta, la Filosofia
speculativa e pratica di lui. Alla prima domanda non si poteva rispondere
senza esaminare 1 origine e il valore delle nostre cognizioni, c le
attinenze loro con le facoltà del nostro spirito e con gli obbietti.
Nelle nostre cognizioni ravvisa il Kant due elementi : uno formale,
soggettivo, a priori, puro, necessario, permanente; l'altro materiale,
oggettivo, a posteriori, contingente, mutabile. Il primo elemento è
fornito dallo spirito, il secondo dagli obbietti distinti da noi e
fuori di noi. Il tempo o lo spazio, le rapprosentazioni o intuizioni, i
concetti puri o le categoria sono gli elementi a priori, formali,
necessarj, universali, della nostra conoscenza. Ma da chi e in qual modo
si conoscono gli obbietti ? Tre sono pel Kant le principali facoltà umane
conoscitive: Senso, Intelletto e Ragione. Dico principali, perchè
egli, dopo aver distinto recisamente il Senso dalla Intelligenza,
suddivide quest’ultima in Intelletto, Giudizio c Ragione. Il Senso porge
all'Intelligenza l'elemento materiale, molteplice c variabile delle
cognizioni sperimentali. L'Intelletto è la facoltà dei concetti
puri, apriori, o categorie, che non hanno per sè alcun . \alore nè reale
nè oggettivo, nelle quali però consiste 1 elemento formale, necessario ed
universale della conoscenza. L Intelletto prende i suoi materiali
dal Senso e li ordina secondo alcuni de'suoi concetti puri che costituiscono la
forma di tutti i giu- d.zj Dcdici, com'è noto, sono i concetti puri,
a pluralità! ! ? atCS ° nc clementar i e sono: unità, L* 11 ’
re>lli ' . ne 8. MÌ0M > ‘imito; sostanza, Quest'’T'r a ’
possiljlllt à, esistenza, necessità. «sto trm puri ° c * tcsoHc cic
- categoric comnles alle c l uattr o grandi *««® c di
modaiS. r nt ; tà> di quaiità; di rcia_ dall’esperienza m ° a e ^ or * e non derivano qual modo ?
sotto nonlT 0 ! re ? dono Possibile. In 1 fenomeni alle cate e chepcrò
tra- gettivo, non ci dà un v Spazi0 ’ non ha valore og- dl cui
parla non li pos J° Sapere ) lacchè gli obbietti fotal b le colonne d’K
rc ^ m °i U “ in essenziali ed uccido t v m Generatesi
distinguono L o Valiti. essenziali foriti’“““ ° “ c01 ' ;1 " 1
' io forme o leggi del * ° T® Ìn S ° lo cate S oric > applicare ai
fenomeni nSlCr ° ^ blS0 ° na solamente Occorre appena osservare
el,o 1 >c che la prova diretta dell’umana
conoscenza e della MODALE rJ della relatività della conoscenza sarebbe
valida solamente quando fosse dimostrato vero e fondato il Criticismo, clic
tutta la realtà vuol ridurre ad un mero fenomeno, ed i nostri concetti e
le leggi del pensiero a mere forme dello spirito, vuote d’ogni valore
oggettivo e reale. La prova indiretta, poi, risguarda il metodo seguito dal
Kant e le conclusioni a cui egli giunse nella Critica della ragion pura,
allorché tolse in esame le tre massime idee della ragione e tento
di conoscere la essenza intima dell’/o, dell Universo e di Dio,
applicandovi le sue categorie ! I noumeni, le cose in sò medesime,
sono adunque inconoscibili ; e quindi la scienza degl intelligibili o
Metafisica non ha un valore oggettivo, anzi non è possibile. E tuttavia
il Kant colle sue distinzioni tra il fenomeno e il noumeno, fra la intuizione
sensibile c la intuizione intellettuale, fi a le puve idee, le cose di
fatto e le coso di coscienza, fra il sapere teorico e il sapere pratico,
e quindi avendo ammesso come fatto certo e primitivo la legge
morale, non rannicchiava tutta la coscenza umana nel puro sensibile, nel
fenomeno ; o almeno, lasciava aperto qualche sentiero alla ragione pei penetrare
nel mondo intelligibile e delle cose in sè. Beu diversa, e sotto alcuni
aspetti assai più ristretta, è la teorica della relatività della
conoscenza nei principali rappresentanti del nuovo Criticismo e Realismo
tedesco ed inglese. Dico sotto alcuni aspetti, perchè il nuovo Criticismo
e Realismo ha dato al fenomeno un valore diverso da quello kantiano, ma
per altri riguardi, e nulla tuona della conoscenza e soprattutto
nella Morale, ò rimastodi gran lunga inferiore al Kant.
IX. Gl’immediati successori del Kant, movendo dalla
pura intuizione intellettiva o trascendentale che permetteva di cogliere
il nuomeno e l’assoluto, cercarono di penetrare l'essenza intima delle
cose e di ricostruire così tutta la Metafisica, oltre dare un
valore oggettivo alla Morale ed ai tre postulati kantiani. Ma il Comte in
Francia e l’FTamilton in Ingkiltera si opposero recisamente all’
Idealismo trascendentale e ad ogni Metafisica, dichiarando vana la
ricerca delle cause prime e finali, e propugnando la relatività della
conoscenza. Visto bensì che il mero Positivismo non dava ragione di
tutti gli elementi della conoscenza, nè valeva a spiegare *
datamente l'origine e la natura de' varj ordini e di* S C r L C Vedut0
COme,e dottri ne di Ilerbart travano molta Caduto ^egelianismo,
incon- e scienziati 1 avore 5 in Smania alcuni filosofi
elative del GH ' alle dottrine S P 0 ' cerearono negli C ° me
1,HeImholtz ' della raoio* - k ntlam anteriori alla Critica '
80fi -CCall% fil .r fia n ^;edifilo- ch lari re e consolidare W ra
9 ion P ura P er ela fi losofia critica. VvÌ ttnna della
conoscenza tengono conto dei nr e °l vantia ni da una parte
wi -^p;cr:^,rr“ sperimOT - uct0 sapere umano deriva dal
pensiero, non potendosi concepire il mondo senza il pensiero.
Principali rappresentanti del Neokantismo filosofico in Germania sono il
LaDge, il Liebmann e lo Schultze (1). Secondo il Lange, la coscienza e
la sensazione sono il limite d’ogni cognizione; il mondo non c che
una nostra idea. Difatti, la realtà o la cosa ò un gruppo di fenomeni che
noi concepiamo uniti per astrazione di ulteriori nessi e di mutamenti
interni ; la forza è quella proprietà della cosa clic abbiamo conosciuto
per determinati effetti su altre cose ; la materia ò ciò che, in una
cosa, poniamo come base dello forze conosciute e che indi non
possiamo sciogliere in altre forze (2). Dunque materia e forza, egli
conclude coU’Helmholtz, sono astrazioni nostre dal reale. Ma esiste
questo reale, ed abbiamo noi conoscenza della cosa insè? Il
fenomeno ci mena per fermo al concetto d’un che problematico c che
dobbiamo ammettere come causa del fenomeno. Ma intanto la cosa in se, il
noumeno, è una mera creazione della nostra mente, ed ignoriamo se
abbia (1) Lange, Gcschichte des Materialismus, 18 74 -
Liebmann, Kantvnd die Ejpigonen, 1865. Zar Analysis der Wirhlichlceit, ISSO. -
Schultze, Kant und Darwin, 1S75. Philosophie
der Natunoissenschafl, 1881-S2. (2) Vedi G. Cesca, Storia e
dottrina del Criticismo, 1884. - Vedi pure duo pregevoli scritti di G.
Barzel- lotti : La nuova Scuola del Kant e la Filosofia scientifica
contemporanca in Germania, 1880-, o Le condizioni presentì della
Filosofia c il problema della Morale, un significato fuori della nostra
esperienza ! - Alle medesime conclusioni e venuto il Liebmann. I pi
in* cipj a priori, leggi della ragione, son necessarj (egli dice)
per osservare, sperimentare c pensare. Bensì tutto il nostro mondo è un
fenomeno ; più, tutta la realtà è fenomenica od empirica, dacché
noi non possiamo uscire dalla sfera sensibile delle nostre
rappresentazioni. Tempo, spazio, moto, causalità, per noi sono concetti
puramente soggettivi. E però il Liebmann ammette solo una realtà
empirica, non riconosce alcuna realtà assoluta e nega ogni valore
alla cosa in sé. — Anche lo Schultze concorda in sostanza col Kant e arriva
alle stesse conclusioni del Lange c del Liebmann. Salvochò lo
Schultze nsguarda il tempo e lo spazio non quali ' concetti ma
quali intuizioni a priori, ed ammetto la causalità quale unica categoria. Ciò
posto, tutte le nostre rappresentazioni, egli dice, hanno un carattere
sog- Sciti™, l lerellè " m Vha rappresentazione senza
coscienza, ne questa senza quella. E però noi,ttal * in 86 ’ raa,] "
alc carico e e.seil„zl:: h ;~ Ì0 “;- H °" a ° ouali
fon,..., • r, 1 uca son P 01 la stessa cosa, Idi che? della cosa
h, ”oe possiamo noTreTcsiT™ 0 la . natara ’ ma di cui
rebbo la base dM ì 1S enza ' altrimenti mauebe- Vicn d ^que
ammem dallo Scrk 00 ' La ^ ** rispetto alla nostro, Schultzo come
ipotetica, alo,,. ... * D0Stra c °Sn.zione. E però egli non dà
alcUD valore oggettivo* ^otafisica ed ai tre
dell’umana conoscenza e della morale 33 massimi concetti di
Dio, dell’Anima e della Materia, perchè non sono obbietti della nostra
intuizione, ma nostri meri concetti. Dal fenomenalismo de'più
recenti Kantiani in Germania diversifica il nuovo Criticismo
tedesco ed inglese, il quale pone e riconosce alcun che di reale
nelle nostre cognizioni. Diamo un cenno, a questo proposito, delle
teoriche di Helmholtz, Wundt, Goring e Riehl, di Spencer e Lewes
(1). L'Helmholtz ammette la causalità come una legge a priori ; ma
all’intuizione dello spazio dà un'origine sperimentale, come pure agli assiomi
di Geometria. Quanto alla sensazione e alla percezione, vi distinguo
l’elemento soggettivo dall’oggettivo. La sensazione, nell’aspetto fisico,
è un effetto della qualità esterna sopra uno speciale apparato nervoso
; c riguardo alla nostra rappresentazione, ella fe un segno di
riconoscimento della qualità oggettiva. Le nostre intuizioni o
rappresentazioni, poi, sono l'effetto che gli obbietti percepiti o
rappresentati han cagionato sul nostro sistema nervoso e sulla nostra coscienza,
e però sono segni o simboli delle cose. - Il (1) IlroLiinOLTZ,
Pkysiologischc Optile, 18G7. Die Tkatsachen in dcr Walirnchmung, 1879. —-
Wundt, Dogi!:, ISSO. Grundxiigc dcr physiologische Psychologie, 1881.
— GoRING, Sistcm dcrkritUche Pkilosophic, 1874-75. — IIieul,
Derphilosopische Krilictsmus, 1876-79. — Spencer, First Principici, 1862.
Principici of
Psychology, 1S55. — Lkwes, Problema of life and Mind, 1875. Gcschichtc der neucrcn Philosopkie (trad. tcd.).
Wandt non mena buono al Kant che spazio e tempo siano forme a priori
della sensibilità. Lo spazio,, per lui, oltre non essere a priori,
sarebbe un concetto e non già una intuizione. Vero ed unico principio a priori
è il pensiero logico co’suoi caratteri di spontaneità evidenza ed
universalità. Il pensiero logico, postulato d’ogni nostra esperienza,
segue, operando, alcune leggi che derivano dalla sua stessa natura,
quali sono gli assiomi d’identità, di contraddizione, di ragion sufficiente. Da
queste leggi del pensiero provengono lo categorie di sostanza, db
causa e di fine. Le categorie, per la stessa origine loro, hanno un
valore non assoluto ma relativo, perchè si applicano entro i limiti della
nostra esperienza. Così, il concetto di forza c la causalità supposta inerente
alla materia; il concetto di materia- ha un carattere ipotetico; il
concetto di spirito doma da una nostra illusione' TI n- • i a
differenza dei .. TT, 11 Ge gnoseologica.,5* ZZng*** V ual ° ci PJ
pari a priori JclK ' “8"’™"°-1 P"«- essere scoperti
dallo cenza non potendo dogmaticamente quali n' M ’ bÌS ° Sna
ammetterli tenta di mostrl-e c ' 11 Rio H invece, Kant
s’asconde il rca i- 10 10, 11 fonora cnalismo del cognizione oggettiva C
.'° ren“ ooe - II tempo ò la, V, 1 tcm P° 0 lo spazio- coscienza-
lo ^ a ^ re * az ‘ on i colla nostra esterne colli m!/ 210 ° ' a coes '
ste nza delle relazioni dotto delle nostre^ n ° Stra ’ Dicesi materia 51
F 0 ' o consisto esistenti che oppongono resi-
dell' umana conoscenza e della morale 37 stenza ed
occupano lo spazio. Dai concetti di materia, di spazio e di tempo non può andar
separato il moto, il quale è una sintesi dall’esperienze di forza,
di tensione muscolare e cambia continuamente di posizione. Ora si domanda:
Questi concetti e fenomeni, realtà, tempo, spazio, materia, moto, hanno
essi un valore puramente soggettivo, od anche un valore oggettivo?
Sono essi realtà unicamente per noi, o sono realtà in se medesimi? Questi
fenomeni, non essendo un mero prodotto della nostra coscienza,
hanno anche per Spencer una realtà oggettiva. E tuttavia egli tiene fermo
più che mai sulla relatività della conoscenza. Imperocché se Spencer ammette
una causa reale assoluta di tutti questi reali relativi, cioè una realtà,
un tempo, uno spazio, una materia, un moto ed una forza assoluti,
compresi tutti nella formula dell’Assoluto inconoscibile; egli però
conclude che le nostre cognizioni non hanno alcuna attinenza con
l’Assoluto inconoscibile, e che indi questa Realtà assoluta è ignota ed
inconoscibile alla mente umana. Segni o manifestazioni di questa medesima
Realtà ignota ed inconoscibile sono pure la Materia e lo Spirito. -
Accennata così la dottrina di SpcDcer, potremmo, fra molte altre
obbiezioni, rivolgergli questa : Se tutto le nostre conoscenze sono
relative, conforme voi ammettete, con qual diritto asserite che in noi e
fuori di noi ci sono certe relazioni assolute? Il realismo di
Spencer, fondato sui segni o simboli delle cose sentite e percepite, e
che cerca gg SULLA TEORICA di comporre il dissidio tra
realisti e idealisti, è un realismo trasfigurato. Il Lewes non va
pienamente d'accordo con lo Spencer e fonda il realismo ragionato
(nasonaded Roalistnus). Perche realismo ragionato? Perchè afferma la
realtà di ciò che vien dato in ogni fatto o negli stati di coscienza, e
perchè giustifica quest’affermazione. Il Lewes, pertanto, muove dalla
coscienza, che ci rende certi di due fatti, cioè del me e del non-ms,
uniti fra loro. Di- fatti, non possiamo negare la sensazione e
l’esistenza del mondo esterno. La psicogenia mostra che l’ordine
esterno determina l’interno, e non viceversa. Gli idealisti, per negare
la realtà dell’oggetto, son costretti a dividere colla riflessione il soggetto
dal- 1 oggetto •, la qual divisione non accade nò può farsi nel|a
sensazione. Ma la distinzione fra il soggetto e 1 oggetto comincia nella
percezione. Questa, pel Lewes, non è un simbolo dell’azione esterna,
ma una gitante che non altera il reale: il simbolo cS™ ri4 “-
La dell» persi 6,7 “ un * «pM°a ma il ;r os T wtra ' ^ «w™. 0
b °uo, r cose come nosco la realtà ■ ■ meutre d Lewes
rico- fisima della Combatte uomeno e noum Pnn 1 .’ La
dlst,nzi one tra fe- e Può ammettersi so^am^'t ^ ha valore
oggettivo, nazione: i n ta l caso •. “ 6 Come art ificio di clas-
in rel azio ne colla mc'nt» . ’ 1 l>uvo fenomeno.
Errano giqdealist° Ve SÌ, fermin0 al e PWa idea non possi™ W Wtl ’
perche dalla sola Posino varcare alla realtà, o perchè
dell'umana CONOSCENZA E DELLA .MUIIALE la scienza non può
fondarsi a priori. Errano i Soggettivisti, perchè i concetti e le idee hanno
attinenza non pure col soggetto intelligente, si anche e in modo
principale con gli obbietti ch'esse ci rappresentano. Errano quindi i
seguaci del puro fenomalismo, perchè il fenomeno stesso, vuoi interno
(stato della coscienza) vuoi esterno, è una realtà, perchè il fenomeno
implica l'esistenza e la natura della cosa in cui esso appare,
l’esistenza e la natura del soggetto senziente ed intellettivo al quale appare.
E che tutto non sia fenomeno venne già dimostrato dallo scienze
sperimentali e segnatamente dalla Geologia, la quale dimostra che
un tempo gli esseri sensitivi ed i ragionevoli, cioè i bruti c l’uomo,
non esistevano sulla Terra, eppure questa già esisteva con le sue
qualità, con le sue forze e le sue leggi ! Errano i nuovi Realisti,
perchè, esagerando la parte soggettiva nella sensazione o nella percezione, o
togliendo il suo reale fondamento all’ astrazione, alcuni riducono a mero
simbolo il sentire, il percepire e il concepire, altri dicono non
potersi mai e in vcrun modo conoscere le cose in sè stesse, cioè le naturali
e vere loro qualità. La diversità delle nostre percezioni c sensazioni,
dei nostri stati di coscienza, non che la varietà dei nostri
concetti e delle nostre idee, implica la diversità naturale dogli obbietti
sensibili e intelligibili da noi percepiti, sentiti e intesi, c distinti da
noi. Certo, la facoltà di sentire o di percepire è nostra, come
nostre sono le sensazioni e le percezioni ; certo, chi pone forma
nei nostri giudizi e la mente nostia . ma, d’altra parte, le nostre
sensazioni e percezioni, i nostri giudizi mutano col mutarsi degli
obbietti, o dei modi in clic gli obbietti a noi si palesano. E che
il Senso e l’Intelligenza non s’ingannino, nè clic si foggino a loro
talento le cose, ne abbiamo una conferma luminosa e certa, quando
l’esperienza ci mostra (per cagiond’esempio)che le coso reali,gii
percepite, conosciute c giudicate da noi, se poi misurate c pesate,
decomposte ed analizzate, corrispondono ora esattamente, ora
approssimativamente ai nostri modi di percepire e sentire, di conoscere c
giudicare. Dunque, materia, spirito, realtà assoluta, sostanza, cause,
forze, leggi, c va dicendo, non sono meri fenomeni, nè mere nostre
astrazioni, ma sono realità in sè stesse e relazioni oggettive d’esse realità
colla natura e con le leggi dello Spirito nostro. Ma dunque,
mi sichiederà, la conoscenza umana è relativa od assoluta? Relativa,
rispondo io. Relativa c non assoluta, perchè limitata, imperfetta,
relativa è men f nostra ’ la 1 uale non avendo create le
cose, p o conoscerle in modo perfetto ed assolato, come
“il" * T‘° ‘ nfìllìU 0 Piattissima. Relativa, t Attiva o
natalo 't,“r T 8 1““* k* oggettiva. ^^^°rt“ oi r,igìfai
' : ^ rohè fattive dell? mi X f lM1 T 00110 ss, «lai «mo 50
im Mlo ‘ “°™ ««^ien- assorge alla scienza e dii • daUarte
spontanea a pratica, in armonia io dell’umana
conoscenza e della morale collo spirito e colla natura! Relativa, perchè
la forma e la materia del conoscere hanno intima relazione fra
loro. Relativa, infine, perchè ha persilo immediato fondamento la coscienza
nostra, non solitaria, ma con tutte, le sue relazioni, con sò stessa, con
gli enti ragionevoli, coll’universo sensibile e con Dio : relazioni che
bisogna riconoscere talquali, perchè poste da natura ed inseparabili. Fermato
ciò, sensazioni, percezioni, idee, giudizi,ragionamenti, verità, scienza hanno
valore oggettivo e reale; materia, anima ed assoluto non sono mere
astrazioni ; e la mente umana può cogliere, entro certi confini, la
natura delle cose valendosi dcH’csperienza e della ragione: quindi è possibile
una scienza degl’intelligibili, la vera Metafisica. XI.
Dalla ragione pura speculativa il Kant distingue la ragione pratica
o morale. È noto che nella Critica della ragione pura egli esaminò le
condizioni ed i limiti della ragiono teoretica, por rispondere alla
sua dimanda : (Rie posso io sapore? Invece nella Critica della
ragion pratica e nei Fondamenti della Morale esamina l’obbietto e il
valore della ragione pratica, per rispondere alle altre due dimande : Che
devo io fare ? Che posso io sperare ? Ufficio della ragione pratica non ò
veramente lo speculare, ma l’operare, ed ha per obbietto suo il Bene,
l’attuazione del dovere colla virtù. Il Kant aveva già distinto
profondamente il mondo della Natura dal. mondo della Libertà inorale, per
riservare quest’ ultimo alla ragione pratica ed assegnarle un primato
sullaragionc speculativa. Esiste la legge morale, come fatto primitivo,
certo ed universale:ecco il punto dal quale muove tlVO, Certo eU
UU1 Versali;.UUUU II («uiu uu-i mnui c il Kant. La legge morale
comanda e obbliga assoluta- mente, è un imperativo categorico
(Katcgorisches Imperati?). Ma a chi comanda essa? Comanda agli enti
ragionevoli che sono fine in sè stessi ccl a sè medesimi. Chi l’effettua
? II Volere buono, che ha un valore assoluto e supremo. Questo Volcresi
determina da sè e per sè, è autonomo e libero
essenzialmcnte.Macomelibero essenzialmente e come autonomo, e che indi
opera solo pel rispetto alla legge o non per altri motivi, il Volere
buono e libero appartiene al mondo sovrasscnsi- bile, non a quello
sensibile o fenomenico. E cosi Ragionepratica pura, Volontà pura, Legge morale
sono inseparabili nel regno dei noumeni c dei fini. Ma uomo aqnal
mondo egli appartiene’Pcl ICant, l’uomo appartiene al mondo sensibile,
come fenomeno, e al mondo intelligibile, come noumeno. Adunque
l’uomo nel pnmo rispetto nou è libero, perehò sottoposto allo •oggi
e alla causalità della Natura sensibile ; nel se- nd„ r, sp0tto 6 libero
. Pe r divenire buono ed acqui- doveritLT ^ a " Ch ' I ’“° m0 «"»PÌ°ro
il lc.ge morale “ pratloare 11 kt " s por la stima della
A PW “ llri Ma intanto l’uomo, modo conseguirla? V^^ falioità ’ In
I ™ 1 disinteressalo alla ?| 0Ì! Co1 ris P olt!> do
moralmente sè si ’ 0 ln d I porfezionan- La Boralo cosi con “ al
Bene sommo. 51 “"«P’ta, affinché abbia iU„ 0 pieno dell’
umana conoscenza e della morale 47 e vero compimento, esige tre postulati
: la libertà, Y immortalità dell’anima e l'esistenza di Dio. Senza
libertà, come il volere potrebbe uniformarsi alla leggo morale ? Ove lo spirito
non fosse immortale, come attuare il sommo Bene e conseguire nella vita
presente la santità o la massima perfezione morale ? Senza Dio, creatore
e Legislatore morale del mondo' e giusto Giudice, come attuare il Bene
sommo e quindi armonizzare la felicità vera colla virtù ? È chiaro
che la Ragiono pratica ha un valore assoluto anche pel Kant, perchè ella
non si contenta del fenomeno, ma parte dal noumeno, cioè dalla Legge
morale assoluta ed universale ; cd esige, qual suo termine e compimento,
il noumeno, cioèitrc postulati morali. “ In questi postulati la Ragione
pratica, vincendo tutti gli ostacoli, ci porge dello affermazioni, alle
quali la Ragione teoretica non poteva autorizzarci; ed infatti coll’asseverare
l’immortalità dell’anima scioglie un problema nel quale laRagiono
teoretica non trovava che paralogismi; coll’ammettere la libertà e
il mondo intelligibile al quale noi, come soggetti liberi, apparteniamo,
stabilisce un principio in cui la Ragione teoretica non trovava che
antinomie; c finalmente col porre nc\\’ Ideale della Ragiono (in Dio) la
condizione dclsommoBcne, riesce per suo proprio uso a determinarlo quanto
basta, mentre la Ragion pura lo doveva lasciare affatto indeterminato n
(Cantoni, E. Kant, voi. II, p. 191). E qui sorge un quesito
tanto grave quanto difficile : Vi ha non dubbia contraddizione fra la dottrina
speculativa c la dottrina morale del Kant, fra la Critica della ragion
pura e la Critica della ragion pratica? I giudizj d'uomini insigni non
sono concordi su questo punto, anzi gli uni opposti agli altri. I
più ammettono che vi sia contraddizione ; pochi altri affermano il
contrario. Per esempio, Cou- sin, B. Saint-Hilaire, Renouvier, Barni,
Conti, Fouil- lée direttamente, e il Rosmini indirettamente vi ravvisano
contraddizione ; il Cantoni e il Fiorentino (1) vi riscontrano anzi
conciliazione ed armonia. Preferiamo di accennare la difesa e poi diremo
l’animo nostro. Il Cantoni più volte nega vi sia contraddizione ed
osserva: u Kant avverte nel modo più esplicito e risolato che i principj
e i concetti morali, riguardanti nella Ragione pratica il mondo
nouraenico, non hanno e non possono avere nessun valore perla Ragione teoretica,
e non valgono in nessun modo ad allargare il **'!■ ™>; ni,
r.403). sto nlnnun 11 • * *' raon ^° intelligibile, rima-
“ r “ s,0M Eretica, s ; dischiude alla «toliic, 185G. -
R>’vr\irTr, ; ' e / a 'U>ne alla Morale d’Ari- 1859. -Barxi,
Examen, rfc ^ ri tique générale, 18M - ■t'OSTl; Storia della Pi rUl
bene su- l’uomo si pronono n c con dizionc soggettiva onde-
filale consiste il bene mmo è la ^cità, nella «“'e fdicitìi dipoiT
m ° «.«io- dsli'armooia dollVono c„n °®f CÌ ° 6,a v ‘rtù. Ora nu
cstp 1 eg S c borale mediante 1 Kt ° dM “Risicai, necessarie
por dell’umana conoscenza e della modale ò 3 conseguire il fine
ultimo prescritto dalla legge morale, non le vediamo unite c armonizzate dalle
cause della natura : dunque per la libertà si richiede un’altra causa,
Dio, affinchè la Morale abbia il suo compimento. Quest’armonia esiste, dunque
Dio esiste necessariamente. Ecco il nesso, da una parte, fra la Critica
del giudizio e la Critica della ragion pratica e, dall’altra, fra la
Morale, la Teologia morale o la Religione ; sebbene il Kant si adoperasse
di continuo a voler mantenere autonoma la Morale, cioè indipendente non
pure dalla Religione, sì anche dalla Teologia razionale.
XIII. Ora lasciamo i criterj soggettivi del Kant,
gl’in- •tcndimenti suoi, per fermo retti e nobili, e consideriamo
oggettivamentele sue dottrine speculative e morali. Ecco, secondo me, il vero
criterio per risolvere il quesito posto qua sopra. 1 ® I
concetti puri dell’ intelletto vedemmo esser privi, pel Kant, d'ogni valore
oggettivo e reale, ed acquistarlo soltanto applicati, nelle intuizioni
sensibili, non alle cose in sè, ma ai fenomeni : le tre massime ideo della
ragione, l’Io, il Mondo, Dio, non avere alcun valore oggettivo, ma essere
solo principj regolativi non costitutivi della ragione nelle sue speculazioni.
Dunque i concetti e le idee non hanno pel Kant valore oggettivo ; o se
pure, ne acquistano uno ristretto e relativo, applicati al mondo fenomenico.
Ciò posto, le idee morali come le risguarda il Kant? Che
SULLA TEORICA valore assegna loro ? Alla legge morale,
ammessa anco da lui come certa, dà un valore oggettivo, assoluto e
universale. Dunque l’idea della legge morale non c un puro concetto, una
categoria deH’intelletto nostro, c ancor meno una forma della.sensibilità
; e quindi è un’idea oggettiva, assoluta, necessaria anco pel
Ivant. L’idea della legge morale implica le altre di volere puro
buono, di sommo bene, e quelle di libertà, di Dio, d’immortalità, per
avere il suo compimento c la sua efficacia. Ora tutte queste idee morali
non sono relative e soggettive, ma hanno caratteriopposti, non
dipendenti dalla nostra intelligenza. 2° Legge morale, libertà
pura, fine, Bene, e va dicendo, sono anche pel Kant noumeni o
fenomeni? Sono cose in se, noumeni, non fenomeni. Ma se la Ragione
speculativa non può trascendere il mondo sensibile e fenomenico, poteva
il Kant entrare colla sua ragione nel mondo intelligibile, dei noumeni,
al- meno p er aver l’idea di Legge morale, del dovere
categorico ed assoluto ? calativi"^ V “ l8 ' 111 ' Iisli ”
2Ì0n0 fra la legione spe- P à „ i S T r‘“ : '» —« Ragione *.
T m suiie Terit “ moraii - Tanto i voto elio i| Kan, ” Mrl
teorici. speculativa e sì l a • ‘‘ ama pura s * la Ragione
distingue la Filosofia C?- 81 ?' I ^ oltrG . c gli stesso ™ro(i moral ° s
“P e ‘ Morale, Critica della P • ^ meta Mù della corale
elementare 0 a '^ l0n P rat ^ ca ) e in Dottrina e - Oia la scienza
morale non va eoo- Òl> fusa coll’aWe, colla pratica della
moralità. Quindi il Rosmini osservava giustamente: u La filosofia è
una specie di dottrina, non è azione. Quando si dice filosofia pratica,
non vuole intendersi che la filosofia sia attiva ; ma solo, clic quella
parte di dottrina c ordinata a dirigere l’azione della vita .,. 4°
Del rimanente, si accetti pure la distinzione: ma va notato elio altro è
distinguere, altro separare e contrapporre. Kant non si restringe a distinguere
la Ragione speculativa dalla pratica, ma contrappone l’una all’altra:
imperocché, mentre la prima si ferma al fenomeno, nulla sa di certo
intorno al noumeno e però intorno alla legge morale, alla libertà,
all’anima, all’universo, a Dio ; la seconda, invece, ammette come certa
la legge morale, ed esige il valore oggettivo e reale, sia pure
nell’interesse pratico, dcl- l’idce di libertà, della vita oltremondana e
di Dio. Qui, adunque, non v’ò più. mera distinzione o subordi-
nazioue, ma vera contrapposizione di due facoltà, che sostanzialmente
sono identiche formando nell’uomo la stessa e unica Ragione 1
5° Similmente, non può ammettersi la separazione del fine o interesse
teorico da quello pratico dacché questo supponga quello e anzi ne
dipenda, secondo l’aforisrao: Nil volitum qninpraecognitum. E il
Ivant stesso diceva, che ogni interesse della ragiono é finalmente pratico.
Nou vale pertanto distinguere il sapere teorico da quello pratico, dacché
la pratica o l’arte riflessa richieda per necessità la teorica •, c
2 'Jg perchè, ad ogni modo, il sapere pratico non deve
mai trovarsi in opposizione col sapere teorico.
Esaminato così il quesito nei suoi veri aspetti e però con criterj
oggettivi, non si può negare che fra le dottrine speculative del Kant e
quelle morali, come risulta dall'esame comprensivo della Critica della Ragion
pura e della Critica della Ragion gnat ica, non siavi
contraddizione. XIV. Poiché il sapere pratico suppone
lo speculativo, e la pratica viene preceduta o illuminata dalla
teorica, il principio della relatività della conoscenza umana, nell
odierno significato, implica per necessità una Molale soggettiva o relativa.
Ogni nostra cognizione, la verità, la scienza sono relative ? Or
bene, le idee e le venta morali c la scienza morale saranno
parimente ic ative pei la mente nostra, per la mente di ciascun omo.
e i elativa è la conoscenza, se questa non può ma. coglier» la natura
dell» coso, vice a mncar0 il or, «rio assduto, oggettivo,
nulvctsaledd Vero. Ma non La' e " 0 °86 ctli ™, assoluto del
Vero, Mt™ assT!”?,n PPm a otitoi ° «turale, og- bruivo,
assoluto del Bene F ■,, . illuminata e preceduta dall ^ ? * V °
l0ntà °P era =»"«tti, principj » V*» ■relative non
mro • - J teoricl rel ativi saranno 1 «MfcJ SU cu** “T m0ra,i «uomo, si
anello *“ Potranno non aow"''ii° 8 '‘ prItlei P.i morali
re 11 cara ttere della relatività :ì7
dell’ umana conoscenza e della morale •e quindi un carattere soggettivo,
contingento c mutabile. Nè si opponga, per avventura, che i concetti •ed
i principj morali costituiscono il sapere pratico c sono indipendenti
dalle speculazioni della mente e dalle opinioni scientifiche, perchè
abbiamo visto qua sopra non potersi ammettere questa separazione. E
volendo anche far tale concessione, volendo per esempio ammettere col Kant clic
l’uomo sia certo a priori, naturalmente, della legge morale e dei suoi
caratteri, resterebbe sempre la difficoltà di sapere scegliere tra
beni e beni conosciuti, di attenersi a un partito anziché a un altro, di
confrontar bene l’azioni colla legge morale e però di giudicarle
rettamente. Inbuonalogica, la relatività della conoscenza mena dritto
dritto alla relatività della Morale. E difatti, Erberto Spencer nei
Dati della Morale non discorre egli d’una morale relativa e di una morale
assoluta? La morale relativa governa la condotta delle presenti società
umane, imperfetto nell’esser loro, e che hanno cognizioni relative ; la
morale assoluta potrà effettuarsi, egli dice, •quando l’uomo e la società
avrauno conseguita, pei legge di evoluzione, la loro perfezione vera :
allora l’Etica assoluta formulerà la condotta ideale dell’uomo e
della società. Ma che significato e valore attribuisce Spencer alla
morale assoluta ? La morale assoluta per lui consiste nell’ideale della
condotta che, sotto le condizioni derivate dall’unione sociale,
dev’essere attuata per assicurare a ciascun uomo ed a tutto il •
consorzio civile la massima felicità. Dunque 1 assoluto (dice il Guyau
stesso nella Morale inglese contemporetnea), vagheggiato dall’Etica evolutiva
eli Spencer/ è semplicemente il limite a cui tende l’evoluzione
della vita. Altra conferma l’abbiamo in Kant stesso. Egli ammise la
Morale assoluta, necessaria,universale, non particolare, contingente c
relativa: bensì per fondare questa Morale, non si attenne più a’suoiprincipj
speculativi, alla relatività della conoscenza e al fenomeno, ma partì da un
principio morale certo ed universale, penetrò e rimase nel mondo intelligibile
o dei noumeni. Questa contraddizione logica e metafisica nel
sistema del Kant gli salvò la sua Morale, formalistica o astratta se
vuoisi, ma nobile, pura, elevata. Spencer, invece, propugna una
Morale evoluzionista, con- ■orme alla relatività della conoscenza
umana : ma egli pure non evita ogni contraddizione, quando nel-
l^meny le dimenila affatto la EeaL assohUcl Z"«‘ mmCSa Pt!TO P
01 ' meta Usi le qua,, che, osserva giustamente il Fouiilée (li-
nan Z1 al concetto d’uoa Tto„n-, uce, ai nere indifferente il
monisti ! P ° tCSS ° al quesito su\wiócc'° l j ‘,l | r ’ l0S 'j fo
° '° SM " zia ' gnisioni, e però il divento modellT' * T"*
°°' l'crso^'UomoeDio haun'effi ° 0MeI,irc rUn! - neHascienza
rnotai,, 0 nella^““«lutareopemiciosa La dottrina sulla cono^ * a pnvata e
pubblica. garsi dai Principj morali ^ Umana Q on può segrego c dentro
quali ' ’ Abblam ° Mostrato in qual a conoscenza umana r ’ ^ ° relaliva
anche per noi ““«^iuoènni iirr’ 50 ‘ "*»; U con- * °
l'altro di rda- oO siona, perchè l’ordine sta nell’armonia di
relazioni. Queste relazioni sono reali e ideali, onde gli enti sono
ordinati fra loro, e questi hanno relazione colla nostra coscienza e
colla mente nostra mercè le idee che li rappresentano. La coscienza non è
mero fenomeno, ma realtà sostanziale ; non vive solitaria, ma in attinenza
col mondo c con Dio. Il Vero e il Bene sono oggettivi perchè fondati
sulla natura e sul fine degli enti : le leggi del pensiero e la legge
morale hanno un valore oggettivo, non sono mero creazioni della
mente, pure nostre astrazioni. Fra il senso, l’intelletto e gli obbietti
sensibili ed intelligibili passano naturali e necessarie relazioni, come pure
fra la volontà e la legge morale assoluta. Come dalle particolari nozioni
e da’giudizj dell’uomo va distinta la verità oggettiva, universale; una; cosila
legge morale c il Bene oggettivo ed assoluto vanno distinti da’liberi
atti e da’giudizj morali degli uomini. Negato il valore oggettivo alla
Verità c al Bene, tolte le reali e necessarie attinenze tra le facoltà dello
spirito nostro e gli esseri ; la cognizione, la verità, la scienza, la moralità,
la coscienza, l’universo, Dio, ci parrebbero illusioni o meri fenoneni : sicché
avrebbe avuto ragione il Leopardi quando cantava l ’infinita vanita
del tutto ! Ogni linguaggio veramente umano, clic sia capace di
esprimere un certo grado d’incivilimento d’un popolo intero, ha vocaboli
proprj e distinti per signifare oggetti non pii materiali, come Anima,
Spirito, -f, Zo Cesctenca, Pensiero, Dio. E questi vocaboli,
pefatonars, dei linguaggi e eoi progredire deliri ■ornila non 81
cancellano nò dal volgo né dal dotti óTsSr,:; dclla sc!enM
™.r«;r:r i, ' mMiodivCT “-” ra P iic,e - P°to. m mono oerto è
querfXf°tt b °°“ ^ T ^ le cose più car e l v ‘ 10 fatto universale,
clic avvi una parte • enerato del genere umano sparisco
al senso ^ ^T 81 ’ C, ' e n ° n ® cor P° e non J a coscienza l'iò ;i C
pur esiste e si sente, vi llere umano ha semnro ^ ° Sp,rito - E come il
ge- gando altari e terjp qUalche divinità, eri- “ ik
“-liver:itai'r tMnd0 "» • bigioni, u 'o: abbia mo infatti la Rei '
CI ” P ® v mirabili pro- coltào, se vuoisi,^stTfatt POtUt ° T
’ subentrano due altre seienzeTp t UmanÌ ' AU ° rft fisica,
per ricerca™, ? Psicolo G ia e la Meta- di ciò che dimandai !|
rminare n ° n ° he la natura i! fine della Materia ^ raSÌOne stcssa
ed 13 lnor e an ma ed organata. E così GO
dalla nozione scientifica della Materia passiamo alla ricerca
della nozione scientifica dell’Àniina umana. IV. Como
si è rinnovata profondamente la Fisica, non può non rinnovarsi la vecchia
Psicologia o l’antica Metafisica, perchè nell’uomo corpo e spirito sono
congiunti, perchè nell’universo ci sono esseri matcrn-vli, sensitivi o
ragionevoli, e perchè le scienze tutto hanno parentela più o meno stretta fra
di loro. Abbiamo già detto in che consisteva l’antico e il moderno Spiritualismo.
Conviene ora esaminare la nuova dottrina scientifica intorno all’Anima
umana. La scienza positiva contemporanea ha un metodo suo proprio,
il metodo d’osservazione, analatico ed oggettivo, opposto al metodo
deduttivo, psicologico e soggettivo, tanto caro allaMctafisica ed alla
Psicologia tradizionale. E non si contenta l’odierna Scienza positiva di
osservare ed analizzare il mondo corporeo, ma vuol descriver fondo a
tutti gli esseri mondiali, spiegare le cause, le leggi, lo attinenze, l’ordine,
l’essenza, l’origine ed il fine delle cose tutto ^ insomma, vuole
surrogarsi alla vecchia Metafisica, che ritiene orinai non solo
spodestata, si anche morta c seppellita! In qual maniera studia essa
latto l'uomo? Lo studia valendosi dell'osservazione esterna,
dell’esperienza sensibile, c dell’analisi fisica e fisiologica : quasi
che nell’uomo non ci sia altro che una massa di materia organata,
un sistema di forze meccaniche c fisiologiche. di moti meccanici e vitali, di
organi c fanzioni, da sottoporsi direttamente o ai sensi esterni,.
o ai nuovi e mirabili strumenti dell'osservazione c
dell’analisi sperimentale, come il dinamometro, il microscopio, la
bilancia chimica, il termometro, il coltello anatomico, e somiglianti !La
nuova Psicologia scientifica o sperimentale crede di spiegar tutti i fatti dell’uomo,
i sensitivi, gl’intellettuali ed i morali, mercè l’osservazione esterna c
l’analisi fisiologica, facendoli tutti generare dal puro nostro
organismo. Vediamolo brevemente. Noi siamo capaci, come gli
animali bruti, di sensazioni e di moto ; ed infatti il corpo nostro
ha distinti organi per sentire e per muoversi. Che anzi, recenti
esperienze hanno scoperto organi della percezione esterna distinti da quelli
della sensazione. Così, tagliando i lobi cerebrali, si perde subito
la facoltà di \edeie, mentre il nervo ottico ò ancora- eccitabile,
sensibile la rètina, mobilissima l’iride. Non solamente alla facoltà di
percepire e dì sentire, si an- ff a " e allr .° «Mollo Olle
avrebbero per sede • ° 801150 0 1 istinto anima li cervelletto i cem- CGri
l 1 ' 1 mediani clic riuniscono ’ ° Mf i *.a« 0 va dicendo ili
sansa lì La Vita sociale 71
spirituale, l’immaginazione, il pensiero, la volontà e quindi
tutti i sentimenti morali, tutti gli atti razionali e volitivi, risederebbero
nei centri superiori o nei lobi cerebrali. Quanto alla
coscienza, la Fisiologia non è giunta a scoprirne la causa vera ed
efficiente, ma ne può determinare l’organo e la condizione. Secondo l’Her-
tzen, l’attività mentale, di cui è tipo la coscienza, seguo i cambiamenti
della forza nervosa \ cresce o decresce conformo i cambiamenti
d'innervazione o d’enervazione che subisce la temperatura vitale.
La integrazione della forza nervosaòcondizione organica della
coscienza. E già Claudio Bernard aveva dimostrato che ogni fenomeno della vita,
dalla più semplice funzione vitale sino ai fatti più elevati
dell’iutelU— genza e della volontà, ha per causa un lavorìo
d’organamento, e per effetto un lavorìo disgregativo d’elementi fisici e
chimici. I progressi ed irisultamenti analitici della Fisiologia c
della Psicologia sperimentale hanno certo giovato a rischiarare le tenebre da
cui era avvolta la vecchia e tradizionale Psicologia, quando presumeva di
spiegare l’unione fra l’anima ed il corpo, e di stabilire le attinenze
fra il morale ed il fisico della vita umana. Ma la nuova
Psicologia è riuscita, almeno finora, a spiegare la natura dell’uomo, le
cause tutte e le leggi del senso, della intelligenza e della volontà?
Ha potuto essa fornirci co’suoi metodi una nozione esatta e
scientifica della coscienza e dello spirito? No, dacché il filosofo e la
comune degli uomini non possono certo appagarsi di queste definizioni :
Il pensiero è un moto o una trasformazione della sostanza cerebrale ; lo
spirito è un polipaio d'imagini; la virtù ed il vizio sono meri prodotti
come il vetriolo ; il genio è il predominio d'una facolta organica sulle altre;
l’attività dell’intelligenza è una danza continua delle cellule
cerebrali; il me o la coscienza è un gruppo di fatti organici.
A dimostrare false scientificamente queste definizioni valga esaminare un
sol fatto dello Spirito. Se il pensiero fosse un moto cerebrale, e quindi
se fosse materia per le sue rispettive proprietà, noi saremmo
incapaci di fare qualunque giudizio, e di poterlo analizzare e spiegare, dacché
il confronto di due idee (soggetto e predicato) c il giudizio ricavatone,
sono attributi del pensiero che ripugnano assolutamente con a
impcnctiabilità, 1 estensione e la divisibilità e a materia c con le
prerogative del moto. Rife- mm„ gl. argomenti addotti dalli cigno modico
0 no- 2,? «T° fa ' ini fan» con notrèbb r “ I>1
"' K0 ",ati ™ «idea !>, perché Parimente il moto
|,llla ' lca percezione ? 4d giudizio, si polrobbo PMt,0e !l ra W
>rescntativ0 4ai moti dolio pai-ticoilo A '°7 re,ldor re
e dimostrate delle scienze positive, ha rimesso in onore l’osservazione
interna ed ha rinnovato il metodo psicologico e metafisico. In ogni epoca i
grandi pensatori hanno distinto il scuso intimo dai sensi esterni,
l’esperienza sensibile dall'ospericnza interiore, il metodo induttivo
psicologico c storico, dal metodo induttivo lisico. Per quali ragioni ? Perchè
due sono gli ordini dei fatti che a noi si manifestano, i fatti del
mondo esteriore c del corpo nostro, ed i fatti della coscienza o dello
spirito, i quali ultimi non possono essere spiegati dalla mera osservazione
esterna -, perchè due sono gli ordini delle realità mondiali, la
realtà fìsica e la realtà dell’io negli esseri pensanti-, e infine,
perchè nelle cose tutto bisogna distinguere l’elemento sensibile
dall’elemento intelligibile o, pausare il linguaggio della scuola del Kant, il
fenomeno dal noumeno. L’esperienza interna o la coscienza non pure
sente e indaga gli atti spirituali, ma ne spiega le cause, lo facoltà e
le leggi, distinguendo ciò che spetta all’organismo da ciò che spetta
alito, allo spirito, e coglie finalmente la realtà stessa dell io. Se
pci- tanto ha un gran valore l’esperienza clic indaga i fatti
dell’universo materiale, compresivi quelli del corpo nostro, non ha minor
valore positivo lossena- zione interna che ci fa conoscere quest altro
ordino di fatti c ci rivela l’essenza eia realtà dell io. Che anzi,
l’osservazione interiore illumina c perfeziona l’esperienza esterna,
applicando i principj universali di causalità e di finalità ai fenemeni
del mondo sensibile e materiale. Affermando ciò non intendo ammettere con
qualche filosofo esagerato che tutto nel mondo sia spirito : come falso o
il materialismo universale, così falso è l’idealismo e lo spiritualismo universale.
In ogni nostra cognizione vi è l’idea, fatto dell'intelligenza, ma vi ha
la sua parte anche il senso ; nell'universo esiste la materia sotto mille
forme, ma v’è anche lo spirito, che si palesa in noi ed a noi come
senso, come pensiero, come volontà, come amore, come coscienza. Impcrtanto il
nuovo Spiritualismo scientifico, valendosi dei risultamenti e progressi
delle discipline positive, e rimettendo in uso ed onore il microscopio
della coscienza, fa della Psicologia una scienza veramente induttiva e si
travaglia nella soluzione dei grandi problemi metafisici, riponendo nel-
1 esperienza interiore, come già praticarono Aristotile, san Tommaso, i
più insigni e migliori Cartesiani, il oibnitz cd altri, il principio
fondamentale ed il me- concCn- COmPÌUt0 de " C SUC Ì,UlaSÌ,1Ì
6 dcll ° SU ° unioni* è ^ ; neI1 ’ uomo vi « mei tà. Ecco i
risulf 6 1 S ° StaUZe ’ ma vera e propria un Positiva modem^Ifatr ^
C ° nclusÌ0ni dclla Scienz fenomeni del covn * ' S P Illtuad ‘ son o
congiunti ; dirsi, a tutto rie-nr •* le * azi onc. E se non
pi dell’anima hanno i Tìm^-’ ^ h SÌnsolc faco11 esempio
che alla facoltà d r/sni CerQhrali > 1 5( 1 onda esattamente
que la data parte del cervello, alla facoltà B il cervelletto, alla
facoltà C i lobi cerebrali, alla facoltà D i corpi striati} il fatto si c
che da un lato .varie sono le potenze dell’anima, c dall’altro vediamo
nel corpo nostro organi diversi, e che ogni fatto spirituale viene
accompagnato da un fatto fisiologico. Vero ò che la Psicologia
scientifica sperimentale non ammetto nell’uomo facoltà distinte, quali il
senso, la intelligenza, la volontà ; riconosce solamente i fenomeni
psichici, vale a dire le sensazioni, i pensieri, le volizioni. E lo
stesso Hcrbart impugnava la vecchia distinzione e pluralità di potenze
originarie nell’ anima nostra. Eccettoehò si potrebbe osservare che una è
certamente l’essenziale energia dello spirito umano 5 ma la varietà
irriducibile de’suoi atti implica la varietà delle sue potenze, pur non
cessando d’essere una nel fondo suo. Comunque sia, queste correlazioni
tra i fatti della coscienza ed i fenomeni del corpo, questa
rispondenza fra lo attività dello spirito c la struttura del corpo e
segnatamente del cervello, questa medesima unità della vita umana, portano
forse scientificamente e logicamente a concludere che materia organata ed Ànima
sono in fondo cosa identica, c che però gli organi cerebrali generano le
facoltà dette spirituali 0, se vuoisi, che i fatti psichici non diversificano
sostanzialmente dai fenomeni fisiologici ed hanno in questi la loro causa
vera, unica cd efficiente ? Ecco quello che, stando pure alla scienza nei
confini dell’osservazione, non può menar buono neanche lo Spiritualismo
scientifico moderno. Il fisiologo osserva le funzioni del corpo vivente e
distingue gli organi rispettivi ; analizza gli clementi della vita,
procede man inano dal semplice al complesso, dalla vita locale alla centrale,
dalla varietà dei fenomeni vitali all’unità apparente delle cause della
vita stessa. Ora, il metodo puramente fisiologico vale come analisi
sperimentalo, ma non può valere come sintesi ove presuma di ricercare e
stabilire la causa vera, il principio di tutti i fatti della coscienza. E, a
buon conto, la sintesi fisiologica vi darà sempre un’unità fìsica,
cioè un’unità apparente, non reale, non vera, ma sempre composta c
molteplice, perchè materiale ; vi darà insorama la risultante di più
funzioni organiche e nicnt altro. Con questi metodi non si può
dunque analizzare i fatti veri dello spirito, quali sono le idee, i
pensieri, i sentimenti, gli affetti, le volizioni, e ancor meno si può i
icci'carc c stabilire il principio unifi- utoie di tutti quei fatti,
perchè la coscienza ci attesta la semplicità, l’unità, l’identità, l’attività e
la berta delh o.U q Uestc sono vane par0, 0 destituite ogm
valore oggettivo, ma sono fatti reali, inconcussi, quantunque siano fatti rio
. •coi sensi esterni d potcrsi P ei ’ ce P irc io i
temi; Rechiamone alcune prove. |loÌa hanT StarC . Ch ° nè ]a Flsica
> ^ la Fi- ^ della inteUigLta cldl trar ? he ^ ^ M 8 ° n “
effetto di causo o v r ° a Volonta sono un mero che, non può rev ^ ^,Ucccanicllc
e fisiologi- ?SÌchic o, 8e ^aziontTensie n ro dUb r°- ^ ^ ^
veQ ga e sia da noi aJL ' V ° llz,one > Perchè av vento
spiegato, esige non solamente la condizione organica, ma un soggetto
uno q indivisibile, non materiale, che senta, pensi, voglia, ed
abbia coscienzadei rispettivi sentimenti e pensieri e delle sue
volizioni. Ora, questa unità reale e indivisibile, sensitiva, intelligente e
volitiva, consapevole di se e degli atti suoi, e quindi personale,
domandasi appunto me, io } spirito. Altri la chiami pure Causa o
Forza, ma è sempre una Forza vivente e reale, non astratta c però
inerente ad un soggetto \ una Forza spirituale, cioè sensitiva,
intelligente e volitiva, non meccanica nè fisiologica come le altre forze
della Natura o del corpo nostro. 2° Mentre nel corpo vivente non si
dà vera unità, ma unione soltanto, ed i fatti fisiologici non possono tutti
ridursi ad un solo principio ; invece il me unifica, nel senso stretto
della parola, tutti i fatti del sentire, del conoscere e del volere. Il
che dimostra che 1-Jo è davvero uno e impartibile nell’csser suo, e che
si mantiene identico a se stesso in mezzo a tanta varietà di fatti
clic genera ed unisce, c dei quali ha coscienza. 3° Crii atti più
elevati e cospicui dell’animo nostro oltrepassano evidentemente
nell’obbietto, nella durata, nel fine, nel valore, ogni fatto del corpo
vi - vento. Certi affetti, certi sentimenti spirituali, certo idee,
certe volizioni possono,.attuate, cambiare la vita d’un uomo, decidere le
sorti d’una nazione, dare impulso ad una nuova civiltà. Il principio, la causa
vera di essi fatti, non può dunque trovarsi nel corpo nostro e negli
obbietti sensibili, ma nel pensiero, nella volontà, nella coscienza. E di
fatti, Keplero, Newton e Faraday non confessarono d’aver dovuto ad
una rivelazione interiore lo loro più mirabili scoperte
scientifiche ? Nò va dimenticato ciò che scrisse Colombo uc’suoi Bicordi: u
Quand’io stava a meditare solitario lungo il mare, la voce delle onde
accorda- vasi alla segreta voce dell’anima mia per parlarmi di
questa nuova terra 4° Il principio di causalità domina tutti gli esseri
materiali e sensitivi: nel mondo corporeo signoreggia il determinismo. Anche
gli atti del pensiero e della volontà umana hanno le rispettive cause
e leggi. ma con questa differenza, che ogni essere della natura
obbedisce o ciecamente o istintivamente alle cause ed alle leggi prefisse
e costanti dell’universo ; mentre la ragione e la volontà dell’uomo ora
trasgrediscono, almeno in parte, queste leggi; ora pongono da se certi motivi
diversi da quelli della materia el senso, e si propongono altri fini nei
loro atti ; a».r,loUau°al S e„so ed * mater!, „ sm 1
evento. Ad„„ que il «, ollre aTW oirasc „, ZZ rrr*,iWo 0
«“onomo,almenoentro 5,j “ a malcna inorganica ed organata,
le cause fin ^ ° i’ lnto ' oomc 'diligenza, comprende
perfezionando sé rii n UmvcmIe del Bene, ignorando e tra’sfor m a T
eSSen Umani P ensanti> sensibile che 1 Dd ° in Parte lo stesso
mondo ossi, insieme con gli *- - utto armonioso e
perfettibile in sommo grado. Ecco quello che riconosce ed
ammette lo Spiritualismo scientifico moderno. La scienza positiva contemporanea
non può negare queste verità, che diversamente invaliderebbe i suoi principj
fondamentali e, oso dire, il metodo e la maggior parte delle sue conclusioni.
Il nuovo Realismo scientifico ammette le cose in sè, oltre i fenomeni.
L’esperienza testimonia che ogni realtà è una nella sua varietà,
molteplice nell’unità sua. La scienza positiva ammette il processo evolutivo,
insenso di perfezionamento, delle cose tutte mondiali, crede non
perituralamateria, ma solo trasformabile. Or bene, lo Spiritualismo scientifico
moderno, facendo tesoro della stessa scienza positiva, riconosce
lanaturaela realtà deH’io, oltre distinguere i fatti dello spirito da
quelli del corpo vivente ; mantiene l’unità dell’io pur ammettendo la
varietà de’suoi atti; proclama l’anima umana perfettibile indefinitamente
; non la separa dal corpo e dal mondo, ma le riconosce proprietà e leggi
sue particolari ; la considera come una forza ed una causa, ma qual forza
e causa personale. E seia materia, come realtà e forza, ò
indistruttibile, non avrà diritto anche lo Spiritualismo scientifico
mo— derno, ch’è un progresso della Filosofia perenne, di credere
indistruttibile ed immortale, perchè consape • vole di sè, quest’altra
forza e realtà dell’universo, l ’anima umana ? Il vero
Spiritualismo scientifico moderno non può adunque consentire, in nome
della stessa scienza positiva, con certi insigni cultori dellaPsicologia
fisiologica, quali il Taine ed il Ferrière, che l’anima umana
sia una. pura individualità vitale, una risultante di forze
organiche; che l’istinto e la volontà siano il risultato dell’azione
riHessa dei nervi ; che la volontà ecl il pcusicro umano vengano
sottoposti alle cause ed alle leggi fatali, costanti, generali del mondo
corporeo; che non esistano le cause finali nell’Universo ; che Dio
sia la pura legge di tutte le forze cosmiche onde si genera l’armonia
universale. Ammessi questi principi) natura umana c l’universo intero sono
inesplicabili, quando si voglia proprio indagare il midollo c non la sola
corteccia delle cose, quando si voglia ricercare c stabilire le cause, le
ragioni, le leggi, l’ordine supremo di tutto il reale.
Vi. ila il nuovo Spiritualismo, oltre essere in ar-, ”',odo 6 Wwi
certi c positivi dell) STt'. 1 * dÌ fa “° ° civili e
po- La differenzatrarr... uu i tì C1 010410 S0(:i età animali a o*
«indo, essenziale, fra la vera soci et; umana, capace di progresso
indefinito, e le parziali ed imperfette associazioni di alcune specie di
animali, ci fanno subito arguire una radicale differenza tra l’uomo ed i
bruti. Nò si opponga che questo divario trova la sua ragione, nell’essere
l'uomo il più perfetto degli animali. Sì, l’uomo è il più perfetto
dogli animali, ma non tanto per il suo organismo e per il senso, quanto
per la sua intelligenza e per la sua volontà, che lo fanno consapevole di
se, che lo costituiscono persona, che lo sottraggono in parte alle
cause e leggi fatali dell’universo materiale, che formano insomma il suo
spirito. La vita umana sociale può dirsi non abbia confini, perchè dalla
famiglia si estende a tutta l’umanità consociata, e perchè le presenti
società civili sono figlio delle generazioni e società umane ora spente,
come noi prepariamo le future società civili. La perfezione graduata
della vita sociale consta di più o diversi clementi, quali sono: verità e
scienza, linguaggio e letteratura, economia privata •e politica,
moralità, doveri e diritti sociali, consuetudini morali e giuridiche,
istituzioni civili e religiose, arti manuali cd arti belle, e per ultimo
lo Stato. Questi ed altri elementi della vita sociale non sono dati
dal puro organismo e dal senso dell’uomo, ma sono effetto
principalmente della nostra intelligenza e volontà, sono prodotti dello
spirito umano. Il corpo nostro perisce, ma le opere dello spirito sono
immortali ; tramontano le generazioni umane, ma sopravvive sotto
mille forme la loro civiltà; cade la potenza materiale delle nazioni, ma
restano in piedi le sane loro istituzioni civili. Così, la Grecia fa domata
eolie anni dar Romaui; ma la Filosofia, la Letteratura, le Ai ti
Belle, produzioni dello spirito greco, dominarono poi le menti
romano. Che resta oggi del Partenone e dell’Acropoli di Atene ? Poche
rovino ; ma la Scienza, la Poesia e l’Arte greca hanno trionfato sulla
matcriae sul tempo. L’impero romano, opera segnatamente delle armi conquistatrici,
non c più da secoli ; ma il Diritto civile romano vive c vivrà perpetuo. La
vita sociale umana è dunque armonia di varj elementi, come armonia di
elementi varj è la civiltà che ne deriva. Questi elementi non
possono affatto segregarsi dal corpo e dal senso, nè possono recarsi ad
atto senza l’aiuto del corpo vivente; ma intanto sono vera opera
dellaniraaraziooale,non delcorponèdel scuso. Inoltre, la eh iltà ed il
piogresso umano tengono arcanamente unite le presenti generazioni colle
passate, non tanto per le memorie, gli affetti, le tradizioni dei nostri
cari, quanto per la scienza, la letteratura, le arti liberali, le
istituzioni civili, politiche e religiose, cose tutte che costituiscono
.1 fondo o la parto essenziale della mila presente. Aneto il mondo
raa(erÌ!ll mantiene salde CCCì M S!0V “ ri00rin0 ’ cI ’ e
0 segnatamene 1 °r> ' ‘ UlCCu le Scienze Naturali
enctemente k B„ta nicia ^ (0 Orni, ptrij., v, l, c Iv
8 nuove piante, precorse Linneo ed altri insigni botanici moderni in una
sistematica e razionale cassazione dei vegetabili, divinò per esperienza e
per ragionamento la grande circolazione del sangue ; e quindi
precorse l’ITarvcy, come in Fisica ed Astronomia Copernico aveva preceduto
Galilei, come questi precorse il Newton, e come nei principii del
Diritto internazionale applicati alla guerra ed alla pace un altro
grande Italiano, contemporanco del Cesalpino, vo’dirc Alberico Gentile,
col suo trattato Dejure belli aveva preceduto Ugonc Grozio. Ma questa,
per ordinario, c la sorte dell’ingegno italiano, novatore per eccellenza
; il quale o resta dimenticato per alcuni secoli, come avvenne a G. B.
Vico, o gli stranieri no usurpano e gli contendono le sue vere scoperte.
Bastona, infatti, c’inscgnachepiù volte gl’italiani hanno- seminato i più
peregrini e fecondi prodotti dell'ingegno ; ed i forestieri li hanno poi
mietuti, vagliati c spacciati come propri ! In secondo luogo,
il Cesalpino non fu un gretto commentatore di Aristotile ed un seguace
servile del- Peripato, ma riusci egli pure novatore nelle Scienze
Naturali, senza l’aiuto del microscopio, inventato 17 anni dopo la sua
morte, e privo di tutti quei mirabili ed efficaci strumenti de’quali
dispongono gli scenziati dei tempi nostri ; e tuttavolta in più rami
dello scibile sgombrò la via a’suoi successori, quali furono Marcello
Malpighi, Harvey, Grcw, Tournefort, Linneo, Pristlcy, Morgagni ed
altri. Continuando l’indirizzo positivo che Leonardo-
'.ili Ali da Vinci aveva salpino facevasi
•a dato alle Scieuzc sperimentali, il Ce- isi forte
dell’autorità di Aristotile nel metodo induttivo, ma spesso ne
abbandonava le orme dove non poteva seguirlo, come nella Fisica •, e
però coglieva il meglio dei libri logici dello Stagirita ed
attingeva largamente alla Storia dagli animali, lodata assai dal Buffon c dal
Cuvier. Non intendo dire con questo che al nostro fflosofo naturalista
non deb- .basi imputare alcun errore nello studio della Natura
inorganica ed organata, e che rispetto al metodo sperimentale Francesco Bacone
c il Galilei non facessero .clic perfezionare il metodo seguito dal
Cesalpino. Intendo solo dire ch’egli cooperò moltissimo a rimettere in
onore l’osservazione e l’esperienza, soffocate dalle ascetiche idealità
del Medio Evo, dalle minute distinzioni e dai sillogismi della Scolastica \ e
quindi richiamò le Scieuze sperimentali al retto loro' sen- tieio.
Il senso e 1 esperienza non debbono essere di- gel, il più ardito
metafisico del secol nostro, seguendo le dottrine fisiche di Platone affermava,
verso la fine dell’agosto 1801, dovervi essere una lacuna tra Marte
e Giove : mentre il nostro Piazzi circa otto mesi prima aveva scoperto
Cerere ! Adunque il Cesalpino, non solo per le sue mirabili
scoperte nella Mineralogia, nella Chimica, nella Botanica e nella
Fisiologia, ma ancora pel metodo sperimentale da lui seguito, per l’uso
razionale dell’autorità scientifica e per taluni concetti nuovi, come
dimostreremo più avanti, segua il principio dell’età moderna. Onde
scrisse il Mamiani nel Rinnovamento dell'antica Filosofia italiana : l£
Se faremo studio profondo nel Cesalpino...., vedremo quanta
sapienza riluce dentro quel senno, e come la Filosofia odierna
sperimentale in Italia si appicca al filo delle opinioni che
aristoteliche si addimandarono. „ II. Il Cesalpino lo
chiainamrnoqua sopra novatore e filosofo. È novatore non solo per le sue
stupendo e utili scoperte scientifiche già note, sì anche pel
metodo onde vi giunse : e questa novità di dottrine e di metodi la sente
egli stesso e ne discorre apertamente. Come il Machiavelli nel
proemio a’suoi Discorsi immortali dice d’essereentrato pcruna vianou
ancora battuta da alcuno rispetto alla Scienza politica; come
Alberico Gentile fin dal principio del suo famoso trattato Dejure belli
dichiara d’intraprendere un'opera ra e difficile, quella cioè (li
stabilire le leggi alla ... t • _,11 miftefA mnn fi n
nuova -- ww disumana di questo mondo, alla
guerra ; così il Cesalpino nella dedica o prefazione* delle principali
sue opere accenna d’essere novatore e filosofo.-Non panni cosa sterileillibrochesonoperpub-
blicare, dopo avere studiato Filosofia per molti anni, dim in
philosophice studiis versor multosjam annos, egli premette alle Questioni
peripatetiche. Ài nostri tempi, scrive nella prefazione alle Questioni
mediche, sono stati ritrovati rimedj nuovi ed ottimi ( nova qui-
dem remedia atque optima ) ignoti agli antichi. Per essere utile agli
studiosi, aggiunge nel proemio al trattato sulle Piante, mi sono
ingolfato in un vasto mare : ingrcssus autem sum gurgitem vastum.
Ed ivi prosegue nel chiarire il fine ed il metododella sua nuova
classazione delle piante, cassazione conforme non pure ai
dettamidellasanalogica,sìanchealle qualità essenziali deivegetabili.“ Ogni
scienza, egli dice, consistendo nell’unire lo cose somiglianti e nel
distinguere le dissimili tra loro, mi sono studiato di fare nella storia
universale delle piante una distribuzione di esse per generi e per classi
o specie, secondo lo differenze desunte dalla natura stessa 5
sccundim uxgerentias rei naturavi indicantes. „ Bensì alla
partizione universale delle piante era egb armato mercè l’induzione, ebe
ha da precedere a divisione. Tre, pel filosofo Aretino, sono !
processi peir I ' i “ ellcll ° toccare la divisione
P 1 P 1 °gressu.„. perfectionem CESALPINO FILOSOFO 97
attìngimus : inductione scilicet, divisione, definii ione. Colla
induzione vediamo la somiglianza e la convenienza ; colla divisione, la
dissomiglianza e la differenza ; colla definizione, la sostanza propria
di ciascuna cosa. L’induzione va dal singolare all’universale e porge
alla mente ogni materia intelligibile; la divisione trova la differenza
degli universali tendendo a quegli enti che nella specie sono individui;
la definizione poi risolve le specie nei loro principii fino agli
elementi, cominciando dal singolare. Imperocché siapiù facile, a
mo’d’csempio, definire l’uomo che l’animale. E quindi Aristotile insegnò
doversi ascendere dal singolare all’universale (1) ; e dove non
arrivano i sensi vi supplisca l’analogia (2). Nè diversamente aveva
PÀlighicri concepito l’induzione, quando stabiliva che la natura delle cose e
delle potenze loro non può conoscersi che per gli effetti :
Ogni forma 9ustanzial, che scita È da materia, ed è con lei
unita, Specifica virtude ha in sò colletta, La qual senza
operar non è sentita, Nè si dimostra ina’chc per effetto,
Come per verdi frondo in pianta vita (3). Ed eccoci entrati
nel campo vero della Filosofia speculativa del Ccsalpino. (1)
Qincst. pcrip., 1, 1. Appendìx ad Quccst. perip., c. V. (3)
Purgatorio in. S’illuderebbe chi nelle opere del Cesalpino volesse
ritrovare un sistema rigoroso e compiuto di Filosofia razionale. Come le
regole logicali del Galilei vannno desunte dai varj suoi scritti c
specialmente dal Saggiatore ; così lo dottrine filosofiche del
Cesal- pino bisogna ricercarle soprattutto nello Questioni
peripatetiche e ne\Y Appendice allo medesime, pubblicata l’anno stesso della
sua morte 1603 e nou facile a trovarsi dovunque. Il metodo,
la filosofia prima e la scienza, gli universali, Dio e le sue relazioni
col mondo, l'uomo e le sue facoltà, non che l’ultima sua destinazione,
formano anche pel Cesalpino il subbietto della Filosofia ; le quali materie mi
accingo ad esporre e ad esaminare brevemente. Stabilito
cheilsensoel’intclletto sono le due facoltà necessarie alla conoscenza
umana, e che il corpo non è necessario alle operazioni del senso e dell’intelletto,
perchè le cose sensibili ed intelligibili ricevonsi nell’anima senza la
materia, quantunque gli organi del senso non possano stare senza materia
(1) ; egli fissa \ Chej SeC ° ndo 1 P recetti di Aristotile
negli 1, a . 1C1 P os ^ et ù°ri, deve usare la mento umana e
a ricerca del vero e nella formazione della scienza. •He 0086 Daturali
dobbiamo elevarci al soprassensi. Perip-, c. IV. (1)
Appendix ad Quceet. bile per via naturale (via naturali), che
consiste nel muovere eia quello che a noi è più noto, per quanto
all’uomo è dato di sapere. E quali cose a noi sono più note ? Le cose
individuali e sensibili ; queste poi si rendono intelligibili, astratte
le condizioni della materia ; e così abbiamo l'universale che forma
l’obbietto della intelligenza : unde universale consurgit. quod est
obiectum intellectus (l).L’operazio- ne dell’intelletto, poi, non è
quiete, ma un certo moto. La Filosofia Prima è scienza universale :
quod prima philosophia universali sit scienlia (2). La Filosofia
Prima, fondamento di tutte le altre scienze, non si vale della
dimostrazione, nè della definizione: primam philosophiam ncque
demonstradone, ncque definitine uti (3). Per qual ragione ? Perchè si
fonda su’prirai principii o questi sono superiori all’intelletto umano e
da esso indipendenti '.prima principia non in nostra sunl potestate. La
Filosofia Prima tratta del primo genere della sostanza *, dovecchè
l’Astro- logia tratta del corpo sensibile ed eterno : de corpore
sensibili et (eterno agii; le Matematiche hanno per ob- bietto le
sostanze incorruttibili ; le Scienze Naturali riguardano le sostanzo
corruttibili (4). E manifesto che il Cesalpino distingueva le scienze
secondo i gene- (1) Appendi® ad Quasi, perip., c. II.
(2) Quoeat. pcrip., I, 4. (3) Ivi, I, 3. 14) Ivi,
I, 4. ri della sostanza, e però mirava ad una classificazione obbiettiva
del sapere umano ; come nell’appendice alle Questioni peripatetiche ammetteva
le idee in senso oggettivo ed universale, aventi cioè un essere proprio
[smini esse habent in se) e quali note od ioiagini delle cose che
rappresentano tutti gii obbietti della stessa natura. E così evitava gli
errori del soggettivismo, che mena facilmente allo scetticismo negando la
naturale relazione fra l’intelletto nostro e le cose intelligibili mercè
l’idea, fra la mente e lo cose. Infine, ogni scienza dipende da principii
notissimi, tali sarebbero quelli di sostanza e di causalità, approvati
dall'universale consentimento: oranis enim scien- tia pendet ex principia
notissimis omnium consensu approbalis (1). Se la sostanza è
un principio, e se la Filosofia Prima tratta del primo genere della
sostanza, che intendeva mai per questa il filosofo Aretino ? Sostanza c
ciò che sussiste per sè, c non aderisce ad altra cosa: Substantia dicitur
qua per se subsistit, non enim inest alteri(2). Or qui vuoisi notare che
le definizioni della sostanza date posteriormente da Cartesio e da
Spinoza non differiscono da quella del Cesalpino, salvo- e a cu ma,
diversa e meno chiara, tale insomma da ingenerare il sospetto di
Panteismo reale. Giusta i pi’incipii del nostro filosofo, la sostanza si
spiega per quello che sia e indi risguarda l'essenza ; mentre gli
accidenti, che non esistono fuori della sostanza, si riferiscono alla
quantità, alla qualità, insomma si riferiscono alle altre nove categorie
o predico menti, secondo ladottrina Aristotelica. Inoltre, la
sostanza non riceve il più ed il meno, perchè è indivisibile ed
immateriale : quea sine, maleria est. La sostanza prende anche il nome di
forma, a cui si contrappone la materia. La forma, secondo Aristotile,
veniva prima della materia, perchè l’atto semplice è prima della potenza: onde
l’atto puro ammet- tevasi come principio di tutte le cose e
costituiva la sostanza. La materia poi non era sostanza per sè, ma
in virtù dell’atto § della forma (1). Movendo da questa teorica il Cesalpino
considerava pur la sostanza come fine c come perfezione degli esseri
: finis cnim et perfectio substantia est ; ed aggiungeva
sapientemente che il fino di ciascun ente si conosce dallo sue operazioni
(2), come dall’effetto si arguisce la causa. Dalla sostanza o forma
indivisibile, immateriale, una, dipendono le sostanze finite o, com’ci le
chiama, le forme naturali, che sono certe partecipazioni del sommo Bene, o come
tali non sono divisibili la definì : per subslanliam intellign id,
qnod in se est et per se concìpitur. (1) Appendi.* ad
Qucest. perip., c. II. (2) Ivi, c. III.
I nò materiali ; ma si dividono accidentalmente, in quanto cioè
sono ricevute nella materia, per cui la natura corporea ad esse tutte si
rende necessaiia . solum natura corporea omnibus necessaria est. Adunque,
le forme naturali o sostanze finite vanno a individuarsi, per così dire, nella
materia ; ma questa alla sua volta non può del tutto separarsi dalla
forma : quia omnino Materia separari nequit a Forma. E qui
non ti sembra di ravvisare nel Cesalpi- no il precursore di Spinoza? Io
sono propenso a crederlo ; ma con questo divario : che il filosofo olandese,
oltre non aver distinto la sostanza infinita dalle sostanze finite, e
quindi non far cenno aperto della creazione sostanzialo, libera,
ad extra, perchè tutti gli esseri mondiali, così estesi come pensanti,
non erano che modi di due attributi infiniti,
dell’estensione e del pensiero divini : in quel cambio il filosofo
di Arezzo non pure distingue la sostanza o forma dalla materia, e
però la sostanza infinita da quelle finite, ma distingue chiaramente
l'Intelletto divino dal- 1 umana intelligenza, che si moltiplica secondo
la mol- ìtudine degli uomini ; oltre il pensiero ammette an-
« • aiurnubbu i che il senso non dorìva+A/Un» • i. .,
(l) Avpendix Qmst. per i p., c . L seri tutti, e quindi anche la
materia, in quanto le cose tutte scorrono da Lui (1) 5 ed ora sembra
che si avvicini aU'Emanatismo spirituale, come quando afferma che
ogni anima ripete la sua prima origine dal cielo, c che il lume,
interiore, cioè l’intelletto onde l’uomo conosce le cose, gli viene
partecipato dalla sostanza immateriale che sola genera la scienza (2) \
ed ora pare si accosti al Dualismo aristotelico, ammettendo da una parto Dio,
intelletto infinito ed eterno, e dall’altra la Materia prima, non
generabile e indeterminata ( 3 ); non bisogna al tempo stesso dimenticare
che nella prima del quinto delle Questioni peripatetiche aveva distinto
la successione degli esseri nel tempo per leggi c cause naturali dalla
prima creazione di tutti gli animali c degli altri esseri per
efficienza dcH’Entc primo : cum alia sit prima omnium animalium et cceterorum
entium creatio, guce a primo Ente in principio ejjluxit ; alia
eorundem successio. Ed altrove accenna alla conservazione e
provvidenza del mondo per opera dell’Ente uno e supremo : ab Uno igitur sunt
omnia et conservantur (4). D'altra parte, il Cesalpino dmmise la
generazione spontanea degli esseri organati, in vii tù del (1)
Appendix ad Quaist. perip., c. V. (2) Ivi, c. V. (3) u
Nos igitur dicimua primain Materiata ultiranm esse Bubiectumin quod
resolvuntur trasmutabilm quatenus trasmutabilia sunt-, neque componi
amplius actu otpotentia, esset enim generabili n. Qucest. perip., IV.,
V. (4) Appendix ad Quasi, perip., c. I. calore e dell’azione
del sole ; disse che ogni generazione si eflettua nel tempo j che bisogna pai
tiie da ciò ch’ò meno perfetto per avere ciò cli’è più perfetto, anche
secondo Aristotile ; che la prima generazione degli animali perfetti procede
dal verme ; e. da ultimo, asserì non potersi dare altre sostanze
fuorché le animate e le parti degli esseri animati. Laonde a taluni è
parso di ravvisare nel Cesalpino il precursore di Lamarck e di Darwin
rispetto alla dottrina dell’Evoluzione o del trasformismo delle specie.
Non può negarsi una certa analogia fra queste proposizioni
dell’insigne nostro Naturalista ed alcuni punti fondamentali della
teorica Darwiniana. Ma, dopo le cose da noi esposte, come sarebbe non conforme
a verità cd a giustizia accusare il Cesalpino d aver negato assolutamente
la creazione dell' Universo, ed accusarlo anche d’ateismo e d’empietà,
come piacque al Taurel (1) cd al Parker (2), e non dargli tutto ciò
che gli spetta qual fisiologo e filosofo naturalista, nel che sbagliò lo stesso
Puccinotti; così rato n vuole che non si possa a tutto rigore considerare
qua e antesignano dell'odierna teorica dell’EvoIu- zione, perche il
Cesalpino nelle Questioni perita- “ m,so "»» s «'» videniia
divina. e le forme naturali non si fanno nò si corrompono: spe-
cies autem et forma neque fit neque corrumpitur (1); e quindi affermò
lespecie essere eterne, e solo corrompersi in qualche tempo gl’individui
(2). E nella prefazione al trattato sulle Piante aggiunse che la natura
non produce nuove forme, nò dà vita a nuove bellezze delle cose : non
quod natura novas edat formas, aut novas rerum pulchritudines ejjingat.
Il qual pronunciato senza dubbio pecca di esagerazione ; ma intanto
ò chiaro che si oppone all’odierno trasformismo. Piuttosto
conviene ammettere che il Cesalpino, medico insigne e filosofo ad un
tempo, accennasse qua e là meglio di tutti i suoi predecessori e contemporanei
la stretta relazione tra il corpo vivente, il senso, l’intelletto e il
mondo esteriore, e quindi precorresse l’odierna Psicologia sperimentale,
senza però confondere una cosa coll’altra, e senza cadere nel materialismo e
nel sensismo. Imperocché s'egli errava nel- l’insegnare che tutta l’anima
sensitiva risieda nel cuore, peraltro distingueva gli organi corporali
dal senso, dimostrava tutte le sensazioni esser provate ed
unificate dall’anima ; la ragione essere differente dal senso ed a questo
superiore ; l’anima umana essere immortale. Quanto alla conoscenza,
distingueva le sensazioni dalle idee che sono oggettive, ammet-
(1) Quasst. perip., IV, 8. • (2) c °me Carlo Alberto,
Maz- Gioberti, M a miani t0 M O a EUlanUele, ManZOnÌ ’ •«co,
nè filosofo della storia* 011 ^ ^ St °” P^ò i diritti del futuro pi
*’ ® anC ° r men ° USUr ' del nostro politico e mn, ® dd futur0 0mei
'° •di Terenzio Mamiani ** * ® d 1 menti filosoficl Questo
nome suona caro e venerato all’animo nostro. Rari in ogni tempo e presso
qualunque nazione sono stati gli uomini che coll’ingegno, coll’ani- mo,
coll’operosità, col carattere, coll’esempio, abbiano saputo e voluto
nobilitare l’uomo, il cittadino, la patria, il mondo delle nazioni, la scienza,
la filosofia, la civiltà umana. Il più grande fra tutti gli elogj d
un uomo preclaro è sempre la verità : ed io pure mi atterrò al vero,
sicuro che al Mamiani non potrà venirne danno nè macchia, a lui che del
vero fu sempre amante passionato, e ricercatore acuto e indefesso.
IL L’ingegno, l’animo e la vita del Mamiani furono
sempre dominati o ispirati da due nobili sentimenti, da duo eccelsi
ideali, cioè dalla patria nostra diletta c dalla filosofia. Egli
vagheggiava un modello perfettissimo del cittadino e del sapiente ; onde
ricordava con ammirazione Socrate e Platone, Varrone, Maico Tullio
e Boezio, Dante, Michelangelo e Campanella, c l’antico popolo di Reggio e
di Metaponto, popolo di filosofi, morti por la libertà e per la
sapienza. Miserande erano le condizioni politiche e civili
d’Italia, e non liete nè prospere le sorti della Filosofia nazionale nel primo
quarto del secol nostro. La Patria serva e divisa 5 la Religione
cristiana fr&ntesa da molti, che pareva la volessero nemica di
libertà -, laFilosofia speculativa imbevuta del sensismo di Con-
diUac. Ora, la potenza 0 la grandezza dell’antica Roma signora di sè ]
gli splendori e la libertà dei nostri Comuni ; l’antica purezza e 1
efficacia moiale del Cristianesimo, religione divina in se ma essenzialmente
umana e civile ne’suoi effetti ; le glorie della Filosofia italiana dalla
scuola Pitagorica fino a G. B. Vico, e quindi il primato civile e
intellettuale d'Italia già venuto meno : queste rimembranze, al
cospetto delle miserie ed umiliazioni italiane dopo i nefandi trattati
del 1815o dopo i moti infelici del 21, dovevano straziare l'animo del
giovine Mamiani, nato a cose grandi. Ma egli non disperò : la Storia
gl’in- segnava che il popolo italiano cadde più volte, ma non perì
mai e risorso più tardi con forze nuovo e gagliarde. E però una fede
invitta e perseverante nei futuri destini della Patria animava l'ingegno
c il cuore del nostro giovine patriota, poeta, letterato,
pensatore, filosofo. L Italia è sacra e starà eterna! Ecco il
motto fatidico che ripeteva sovente il Mamiani agli oppressori e agli
oppressi, nella patria sua e fuori durante il lungo esilio. La suamente,
robusta e moltiforme per natura, nudrìtadi studj svariatissimi e
profondi, vagheggiava unaquintaenuovaepocadiciviltà
italiana,chetornasso a splendore c profitto dclfuniverso mondo civile.
La nuo\a foima della nostra civiltà doveva soprattutto essere
incarnai ndJa indipendenza e libertà d’Italia; ne a distinzione
dell'Autorità spirituale dalla Potestà i e e P°^| ca * a Loma stessa.Fin
dalla sua gioventù, T ani ? a men ^ cet Ll cuore, il pensiero e il
senti- en o, apoesiaekscienza, il cittadino eilfilosofo cooi-
onevano una stupenda armonia ed unità. E queste doti e qualità diverse
sono appunto necessario a concepire un alto ideale, ad avvisarne i mezzi per attuarlo,
a porsi davvero all’opera per dagli almeno le prime fattezze, lasciando
ad altri, fossero pure gli avvenire, il compimento q la perfezione
dell’opera grande. Napoleone I disse che nel mondo sociale vi
sono due forze poderoso ed efficaci, la spada e lo spirito ; ma
soggiunse che lo spirito vince finalmente la spada. Al risorgimento
politico, intellettuale e morale Italia, e però ad iniziare la nuova
epoca di nostra civiltà, il Mamiani reputava esser necessarie quelle due
grandi forze, la spada e lo spirito, le armi o il pensiero. E della
necessità di contcmperarc alle armi gli studj abbiamo esempj antichissimi
in casa nostra, nelle città famose di Metaponto, Crotcme, Taranto, Locri
eReggio, famiglie e collegj di filosofi e di guerrieri. Ma lo spirito,
vale a dire la intelligenza e l’animo, la letteratura, l’arte, la scienza, la
filosofia, insomma la rigenerazione intellettuale e morale degl’italiani dovevano,
secondo lui, precedere edaccompagnare le armi, perchè bene apparecchiata,
illuminata, compiuta e durevole fosse la vittoria di queste, e indi
perchè alle imprese guerresche potesse e dovesse soprastare la
opera feconda della civiltà vera. E qui appare tutta la nobiltà del conte
Mamiani, come patriota, cittadino e uomo di Stato. Già fino dal
1838, assai prima di Cavour, l’esule Mamiani inculcava ne’suoi scritti
doversi abituare « le menti, e sopratutto le giovanili, a scorgere ed
a riverire nell’eccelsa Roma la sola e legittima città capitale
d’Italia E sul cadere del 47 vaticinava prossima e solennemente giurava
la salvezza dell'Italia intera. M Cademmo per le discordie e la corruttela
(egli diceva ai Perugini), e per li soli con- trarj loro noi potremo
risorgere. Inebriamoci, a così dire, della carità cittadina, e un qualche
tempo almeno viviamo dimentichi di noi stessi e ricordevoli unicamente
della patria comune : cd io vel giuro per gli spiriti sacri e immortali
dei martiri della libertà, noi salveremo l’Italia, e tutta la salveremo o
per sempre „. E ancor dopo le italiche vittorie e le sconfitte del 48 e
49, gloriose le une, non umilianti le altre ; dopo la caduta di Roma e di
Venezia c la sconfitta di Novara, egli non disperò delle sorti d’Italia,
e ripeteva in Genova sopra la fredda e venerata spoglia di Carlo Alberto
: L’Italia farà da sè. HI. Ma quali furono gli atti
più cospicui del Mamia- m come patriota e statista, e quali mezzi
ravvisava eg cconcj ed opportuni a rigenerare politicamente
«ralente l'Italia ? Nato a Pesaro il !0 settembre Eom ''7' “ nlara
a K> e " a 22 anni ed era studente a ^ -do avvennero ipr ìmi
ffioti UboraU nol _ mtramonr° r n ‘ ltttori Principali »
fileno » fa- tatti d'aver 1 -a ^ pr ' s ‘ oni delio Spielbergo,
rei Sol i no tr! Cra ‘° k Ub “ a dd 'a patria In nostro
giovine patrizio non solo attendeva a larghi studj letterarj, filosofici e
storici, ma s’ispirava insieme alle glorie passate di Roma e d’Italia; e
non tardò guari ad esprimere, in una certa sua poesia, concetti e
sentimenti liberali. Onde il padre suo, conte della Rovere, lo richiamò a
Pesaro, dove fioriva in allora la scuola classica marchigiana del
Pcrticari, del Leopardi, del Cassi e di altri minori, e che fu
anche patria del principe dei musicisti italiani, dell’immortale Rossini.
Chi non percorre la nostra bella Italia non può conoscerla nò
amarla degnamente ; clic quanto più si conosce c si pregia una cosa, e
tanto più si ama. Dal 1826 al 30 il Mamiani percorre l’Italia media e
la superiore, e ritorna più volte alla nativa Pesaro. Nel 26 conobbe in
Firenze i principali scrittori dcl- l'Antologia fondata dal Vieusscux,
quali erano Gr. Capponi, Tommaseo, Niccolini, Giordani, Poerio, Collctta
: ingegni tutti liberali, robusti ed eletti, che non potendo in allora e
da soli bandire e combattere una guerra di nazionale indipendenza
intendevano col pensiero c colla penna a rigenerare la Penisola
serva e divisa. Più tardi lo vediamo a Torino, dove insegna per due anni
le patrie lettere nell’Accademia militare. Ma il primo periodo
d'intellettuale e civile preparazione pel giovine patriota ò oramai
finito. Mentre il Mamiani attende in Pesaro a dar compimento,
degna e classica forma a’suoi Inni sacri perchè meglio ritraggano i suoi
nuovi ideali civili, politici e religiosi, ne viene distolto dai moti
liberali del 31 nelle Romagnc c nell’Italia media. Risponde lieto c
volenteroso all’appello della patria ; eletto a deputato di Pesaro, siede
poi a Bologna ministro dell’Interno c però membro del Governo
'provvisorio ilelle provincia unita italiane. M’avvicinarsi delle
truppe austriache, solo il Mamiaui corre animoso dal generale Zucchi
scongiurandolo a resistere colle poche milizie cittadine. Ma prevalse londa
straniera invadente e il Governo provvisorio dovè trasferirsi ad
Ancona. Dopo il fatto d’ariuc, non inglorioso, di Rimini, disperando
oramai di potere più a lungo tener fronte alle agguerrite e soverchiane
forze straniere, il Governo provvisorio venne a patti col cardinale Benvenuti,
stabilendo di concedere amnistia generale agli insorti, c di restaurare il
Governo pontificio. Ma al giovine o delicato Mamiani non parve dignitoso
quell’atto c rifiutò sdcgnoeamcntc di firmarlo, anteponendo l’esilio volontario
all’amnistia 1 Sul ponte del vascello che portava lui con altri
pri- gonicu italiani a Venezia, il cugino del Leopardi, pieno di
fede nei destini d'Italia, nonostante i fatti dolorosi e la realtà del
presente, concepì l’inno stupendo ai Patriarchi. Dalla prisca civiltà,
dalla storia del popolo italiano sempre risorgente c dall’eccelsa
natu- a c uomo Egli traeva gli auspicj perle sorti non 1 e o
piogressive del genere umano e segnata- nente della stirpe latina:
XItalia è sacra c starà eterna ! Ma ogni fede, c però anche
la fede del cittadino ta c snrrptt^T’if ' ana ’ c l uan ^° non sia
accompagnala c sorretta dalle onpm T,’’ • . . . P c. L il Mamiani
si accinse subito a corroborare la sua fedo di patriota ed a colorire il suo
ideale col pensiero, colla penna, coll'esempio, coll'azione, colla vita
intera. Da Venezia fu condotto a Marsiglia, dove gli fu comunicata la sua condanna
all'esilio perpetuo. Dal 31 al 47 visse dignitosamente a Parigi, dedicandosi
tutto all'avvenire della patria, al culto delle lettere, al rinnovamento
della filosofia in Italia. Considerando tutte le reali condizioni della
nostra penisola e d’Europa non gli sembrava guari fattibile il disegno ardito c
vasto di Giuseppe Mazzini, esule egli pure fino dal 31. E però dopo
un breve carteggio col fervido ed eloquente apostolo dell’italica democrazia,
il Mamiani, pur concorde con lui nel fine supremo, di far cioè libera e
indipendente l’Italia, opinava si dovesse battere altra via. E così di
fronte alla Giovine Italia si costituì un Comitato nazionale presieduto in
Parigi dal Mamiani. Pensiero ed azione; Dio e popolo : ecco il
motto assennato e pratico dell’apostolo civile genovese. Pensiero, concordia ed
azione ; rigenerazione intellettuale e morale degli Italiani;
miglioramento economico del popol minuto, osservanza e fiducia nel
medesimo per liberare l’Italia : ecco le massime fondamentali che dal canto suo
predicava e inculcava il Mamiani. E poiché l’azione
dev’essere preceduta e illuminata dal pensiero, così la letteratura, la poesia,
la storia, la filosofia sono principalmente rivolte dall’esule Pesarese a
rivendicare la libertà c indipendenza della patria. Compone \'Ausonio, c vi
canta patrii e civili sentimenti. Scrive il Rinnovamento dell’antica
Filosofia italiana, e (oltre dedicarlo alla sua città natale) vi pone in
maggiore evidenza il pensiero speculativo e insieme pratico degl Italiani
j con esso libro richiama alla mente de’ suoi connazionali e fa meglio
conoscere agli stranieri il nome, le dottrine, il metodo scientifico
d’ingegni nostrani, quali furono il Pomponaccio, il Cremonini, lo
Zaba- rella, il Cardano, il Eizolio, il Telesio, il Della Porta, il
Valla, il Bruno, il Campanella, e Andrea Cesal- pino, ingegno sommo,
inventivo e acutissimo non pure nelle fisiche ma eziandio nelle
metafisiche discipline. E così il Mamiani accennava ad altri la via per
fare nuove ed impensate ricerche. Ma non contento di questo, chiude il
suo libro col vivo desiderio ed augurio che sorga presto nella nostra
patria una scaola novella da cui si pigli ad ereditare con franco animo
l’antica sapienza speculativa e le antiche arti metodiche. In progresso
medita i Dialoghi dx Scienza prima, ove distilla il succo nutritivo oave
della sua mente profonda, e vi raccomanda, speme per l’Italia, una
filosofia alta e piena di vita, Um / aCC - lUd M let ? raassime
Perfezioni dell’essere 0106 ll - pens, ’ ero s ùnte, la fede
incrollabile . t ZI 6 li offre nel 46 al Popolo TÌZT
maiPerÌtUr °’ ÌQ 8 e S Q0 d ’ a *ore immenso e ui sublime speranza.
• tesse avvenire^ ^ nsor81mento politico italiano po- aal a Q
escogitarne i mezzi pratici e morali. Come Dante per ritornare a
civile grandezza l’Italia, già donna di provinole, mirava prima col
suo divino poema a rigenerare moralmente l'uomo e la società civile e
religiosa ; cosi il Mamiani credeva necessaria la rigenerazione delle
menti e degli animi italiani perchè indi risorgessero politicamente. Di
qui il suo concetto dell’educazione morale e intellettuale del popolo, dei modi
per attuarla, dei doveri e diritti delle moltitudini: cose tutte
esposte è determinate magistralmente nei Documenti pratici, che seguono
al Parere dello stesso Mamiani sulle cose italiane, e che meritano
d’essere anche ai nostri giorni attentamente considerate. Dalla pubblicazione
di quei pratici Documenti alla proclamazione delle varie Costituzioni italiane
nel 48 corse appena un decennio ! Il pensiero e gli studj precedevano
dunque le riforme civili e le armi, e ne assicuravano le prime vittorie.
Anche le solenni riunioni dei dotti italiani nelle più colte e
principali città della Penisola giovarono assai a maturare il
risorgimento politico della Nazione. Ora vuoisi notare che la prima idea dei
nostri congressi scientifici si deve al Mamiani, avendone egli
accennata la utilità e convenienza ne’ suoi Documenti pratici. Del primo
congresso di Pisa nel 39 non potè il nostro esule partecipare ; ma nel 73
convocò sul Campidoglio la XI di queste riunioni e potè bandire al mondo
civile che oramai u libero il pensiero, una la patria, il congresso degli
scenziati italiani scioglieva in Roma l’antico voto n . Ma riprendiamo o
seguiamo rapidamente gli eventi. Per opera di Carlo Alberto, il Mamiani
aveva nel 47 rimesso piede in Italia, ospitato prima a Torino, poi a
Genova. Ma ne a Pc3aro, nè a Roma volle far ritorno se non dopo la
promulgazione dello Statuto pontificio, avendo giurato che sarebbe rientrato
in patria solo pa' la povta dell’onora ! A Genova fonda il giornale politico la
Lega italiana, il cui vasto e nobile programma, mentre era una conferma
delle sue idee intorno alla rigenerazione intellettuale e morale degl’italiani,
rivelava le doti eminenti del pubblicista ed i sani principi sulla vera
missione della stampa, detta oggidì il quarto potere dello Stato ; come
pure faceva palese le nobili aspirazioni del cittadino c del filosofo a
ricollocare nel primo seggio la sapienza civile degl’italiani. E
sotto questo ì ispetto 1 opera del Mamiani si riannodava alle idee
dell’autore del Primato o del Rinnovamento civi e d Italia. Eletto a
deputato di Pesaro e poi nominato Ministro dell'Interno, propone
all’Assemblea romana liberali e savie riformo d’ordine politico ed
amministrativo ; parla nobile c franco a Pio IX, mira 6 empre, come
deputato e ministro, col pensiero, colla esilV:f 1 :, att, ',H
1,UnÌV - a ltalia > e s P osa a ^ e reali della civili et P ° ^
et * tl 1 ficozza e pre- IbnTdf *T r “ "" KC ° vera
.iniani Non 1 6 ancora si s P in S e il Ma- Non solo ammetto la
> reaRj^obbietUva u _^lle j- AtX idee, ma pare voglia
conciliare l’esperienza interna ed esterna con {'intuito delle idea,
intuizione che non è più sentimento nè percezione. E dopo aver propugnato
che ogni idea universale è ante rem, mentre ogni nostra cognizione è post
rem, conclude reciso : “ O credete all’idee, ovvero disperate di mai
salire a certezza c universalità di scienza „. Ne’ Dialoghi
di Scienza prima scrisse che Dio era conosciuto dalla mente nostra non
quale oggetto immediato d'intuito, ma sotto la relazione comune
dell’essere. Invece nei Principj d’Ontologia non pure fa consistere l a
pietra angolare di tutta la scienza n el reale sussistere dell'Assolu to,
ma propugna che la mente umana intuisce l’Assoluto, cioè il Vero, il
Bello, il Buono, il Santo. Onde quel contatto marginale della
nostra mente coll’ Assoluto e la famosa teorica degl’m- flitssi divini,
che vogliamo compendiare colle stesse parole del Mamiani: “ L’a zione occ
ulta dell’Assoluto sull’animo nostro ha cinque forme originali e
diverse, e cioè la creativa, la in telle ttiva, la estetica, la morale c
la re ligio sa. Per la prima aziono l’uomo esiste, per la seconda egli
afferma, per la terza ammira, perla quarta ap prov a, per l’ultima adora
„. — Certo,queste dottrine filosofiche sono ardite ed esagerate. Ma
chi potrebbe dire che non abbiano alcun fondamento, clic siano
false tutte c di sana pianta, ove si consideri tutti gli elementi
neccssarj a formare la conoscenza umana, ove scrutiamo a fondo Tesser nostro in
sè e nelle suo relazioni, ne’suoi concetti più elevati e sentimenti più
nobili, ove infine si badi alla natura purissima della scienza clic rispecchia
nella mente nostra finita ed imperfetta, la realtà, la grandezza e la perfezione
dell’universo? Del rimanente, ogni gran pensatore e novatore ha sempre qualcosa
di manchevole e di erroneo accanto ai suoi peregrini concetti ed alle sue
verità. Por esempio, al Vico, creatore della Filosofia della Storia, fu
contestata la teoria dei corsi storici ; al Leibnitz, autore del
famoso trattato sulle Monadi e che avea chiarito da pari suo ed
applicato universalmente il concetto di forza, venne a buon conto
rimproverata l’armonia prestabilita. Ma l'ingegno filosofico del
Mamiani spicca alto c sicuro il volo nei Principj di Cosmologia, là
ove segnatamente discorre della vita e del fine nell’Universo, e dove
stabilisce e compie la nuova teorica del Progresso. Tesoreggiando la
parte inventiva, sana e vera delle dottrine del Leibnitz circa l’origine,
la natura e l’ordinamento dell’Universo, o giovandosi dei mirabili
progressi delle scienze sperimentali, due grandi nostri filosofi hanno scrutato
a fondo c con novità di concetti l’essenza intima, la prima
origino, le correlazioni supreme, l'armonia e l’ordine, nonché il fine
ultimo dello cose tutte: >1 Mamiani nei detti Principj di Cosmologia,
e più taici il Conti nell Armonia della cose. Io penso che mora
nessuno li abbia superati su questo subbietto capita issirno della
Filosofia, trattato da essi con acume e larghezza di vedute, con sapere consumassimo
e, specie del Mamiani, con analisi fine perciò che risguarda i principj causali
c formativi, le relazioni supreme e finali così della vita
vegetativa ed animale, come della vita umana e razionale. La
teorica dell'umano progresso non è nuova; si deve segnatamente al Turgot,
al Condorcet, al- l’Herder, al Kant e al Fichte. Ma il nostro
Mamiani ha dimostrato con novità di prove razionali c sperimentali la
necessità del progresso indefinito non sulla Terra unicamente, ma
nell’Universo intero mercè la vita razionalo c morale degli esseri .intelligenti
e liberi. E quanto al progresso umano sociale, questo dovrà alla perfine
condurre alla massima civiltà, armonizzando le forme parziali di progresso
e d’incivilimento dei varj popoli, che tutte possono ridursi a sei,
cioè l’attività, la scienza, la libertà, l'arte, lo Stato e la moralità.
E poiché il risultamento- finale e durevole del progresso e
perfezionamento di molte nazioni non può esser mai l’opera esclusiva
di ciascuna di esse, come la Storia dimostra ; esso vuol essere
attribuito a certo organismo occulto di tutte, che si svolge e si
perfeziona per disegno e lavoro ma- raviglioso della natura. E così il
Mamiani rinnovava e compivalaTeorica del Progresso, e stabiliva
l’Unità organica del mondo delle nazioni. Questa cd altre
dottrine del Mamiani, come la sua teorica della Percezione, hanno davvero
fattezze native e indole schiettamente nazionale, e basterebbero da sole
a far glorioso il nome d'un uomo e a dar vita ad una Scuola filosofica
italiana, teista spiritualista civile e liberale ad un tempo. Il Mamiani
credo Valdarninì 9 TERENZIO ATAMANI nc fosse
internamente persuaso; onde vi tornava sopra più volte c sotto diversi aspetti
nelle «altre sue opere, c segnatamente nella Rivista di Filosofia
delle scuole Udirne da Ini fondata e diretta per 15 anni.
V. Ma la filosofia del Mamiani fu non meno speculativa e profonda,
elio pratica c civile : a nessuno dei più gravi problemi sociali del
nostro secolo rimase straniera. Tutte le questioni sociali si possono in
fondo ridurre a quattro : religiosa, morale, economica (l), politica. ÀI
Mamiani parve ornai risoluto presso di noi il problema politico,
ritenendo egli sufficienti c sicure le nostre guarentigie costituzionali,
e stimandola libertà più c meglio che un diritto, un dovere. Al problema
religioso rivolse egli la mente «no dalla sua gioventù, mirando ad una
religione pura, ottima, universale, conforme alla natura razionale O
religiosa dell'uomo, o olio fosso ad un tempo eminentemente civile o morale. A
questo idealo egli mirò »« vai;, suo, scritti,dagl'/,,,,; sacri „ W|,
r 1" ^•"‘l’oMvae^tua id D 0 .° n ^ cm P 0 >
lordine morale, l’ordine giuiùdico e or me economico ? L’ingegno umano e
la scienza, ani ™ ancora ns P 03t ° a questa formidabile do- * . SC . P
Urc Un Scorno arriveranno il pensa sti nrp* ^ SC ‘ enZa . ad armonizzare
quei tre ordini fiJLT 6 r dÌVCrSÌ elementi sociali, dubitiamo
V aVUa prati0a 8i «"* -empre e do- daiia mmie
acuta»! ‘ h “ "r7- KMt ’ cne * ra * e arti umane due
sono le più difficili : l’arte d'educare e quella di governare, gli
uomini. Quindi ogni secolo ha avuto gravi problemi sociali da
risolvere. Di questi problemi alcuni sono di indole generale perchè
riguardano il mondo delle nazioni o l’umanità consociata, tal sarebbe il
riconoscimento pratico e giuridico de’diritti naturali degli uomini ;
altri sono particolari, riguardanti cioè una sola nazione, tal sarebbe il
modo di conciliare l'unità c la integrità dell’impero Austro-Ungarico col
principio d’autonomia e di libertà delle varie schiatte e popolazioni che
oggi formano quell’impero. A quattro possiamo ridurre le principali
questioni sociali dei tempi nostri e sono le infrascritte. 1° La
questione morale, non tanto per la varietà e moltiplicità dei sistemi
scientifici morali che oggi più che mai si contendono il campo, quanto
per lo scadimento pressoché universale del senso etico. Quindi
convien ricercare le cagioni tutte di questo fatto, ravvivare e
rinvigorire negli uomini il sentimento morale, e praticare nelle relazioni vuoi
private vuoi pubbliche i sommi principj di moralità e onestà e di
equità naturale. 2° La questione religiosa, non solo pei
doveri dell’uomo verso Dio e nell’interesse della sua destinazione
oltremondana, ma per istabilire e mantenere in modo più sicuro l’unità morale
fra gli uomini tutti. Ai nostri tempi, invece, non solo permane la
diversità delle religioni positive che possono dar ésca a divisioni di
popoli e fomentare guerre sterminatrici e da barbari, ma sempre più vivo si
palesa il conflitto fra la ragione e la fede,, tra il domina e
l’esperienza illuminata, fra la scienza c la religione. In qual modo
comporre il dissidio tra i principj della scienza e i diritti della
ragione da un lato, fra le verità di senso comune e le aspirazioni
dell'anima umana dall’altro, essendo l’uomo costituito dalla natura
animalo religioso ? 8° La questione politica, la quale risguarda
non tanto la forma di Governo, lo più sicure ed ampie guarentigie
costituzionali, quanto e meglio la libertà civile e politica, che le
democrazie moderne vorrebbero portare col fatto all’ultima sua
espressione. Oia ognun vede che siffatto problema presenta gravissimo
difficoltà, ove specialmente si riconosca cs- • sere la libertà per gli
uomini particolari e per le nazioni, pei governati e per gli stessi
governanti, non solo un diritto ma un dovere. 4° La questione
economica, vale a dire la ricchezza d, pochi e la quasi indigenza dei
proletari che cosi,tu,senno i quattro quinti del genere umano! Il
rim to d, proprietà individuale e le condizioni miser- r k
> Ìl Capi ‘ ale e U “"0 «peeial- fii T„ ", ”T° ' 1Uasi
in aperto co,, - „ lìr r r p0n '° “«evolute « ™io. alla
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risolvere il Ln Z) m (00me il 0 nella »™‘'“»‘a Ma
sorbir M salario e quindi nella reale a compita emancipazione del quarto
stato ? Lo quattro grandi questioni sociali si riducono in
sostanza a due : al problema morale cd a quello economico sociale, che
hanno carattere di universalità vera e propria, riguardando essi il genere
umano nell’ampio giro del tempo o dello spazio sulla Terra. Noi ci
occupiamo qui della sola questione economica sociale e del modo di
risolverla praticamente in Italia, secondo le dottrine c gli espedienti
del Mamiani, desumendo lo une c gli altri dai varj scritti di lui. Ma
prima diamo un cenno storico della questione medesima.
II. La questione economica non c nuova nè moderna, ma può
dirsi rimonti alle prime società civili. Ogni epoca e ogni grande
Istituzione sociale, come lo Stato c la Chiesa, han tentato di risolvere
o a modo loro o in conformità dei tempi l’arduo c complicato problema. Ma
è stata sempre una soluzione parziale e provvisoria, mai totale, generale
o definitiva, sia per la natura dei mezzi adottati, sia per la stessa
nativa diseguaglianza degli uomini c per le nuove esigenze della civiltà
progrediente. La istituzione delle caste nell’antico Oriente, la divisione
legale fra i liberi e gli schiavi nella Grecia c nel mondo romano, le
corporazioni religiose istituite dalla Chiesa, il sistema feudale nel medio
evo. le stesse corporazioni d’arti e mestieri appo i nostri Comuni c
le nostre Repubbliche, si credettero spc- dieuti efficaci a risolvere la
questione economica so- cialc, e quindi furono adottati per Scongiurare
il pericolo. Ma nè il Paganesimo che negava agli schiavi ed ai servila
personalità morale e giuridica, nè il Cristianesimo che riconosceva nei
volghi servili la personalità umana c l’eguaglianza morale, e predicava
ai ricchi la carità, ai poveri la rassegnazione, nè le istituzioni
sociali del medio evo in Italia ed altrove, riuscirono a risolvere la
questione economica, ma ol’aggiornarono semplicemente, o la
indirizzarono per una nuova strada. I nuovi principj del
Cristianesimo neppure nel medio evo valsero ad appagare sempre lo plebi,
a distoglierle dai beni presenti esortandole a restar povere e
tranquille. u I pensieri c gli affètti dell'uomo staccati a forza dalla
vita presente, nondimeno di tratto in tratto vi tornavano, c il
sentimento della vita irrompeva fortemente e violentemente. È questo
sentimento che in Italia nel 1035, al tempo della lega dei valvassori
minori contro i maggiori, faceva cospirare anc ie gli uomini di servii
condizione contro ipadroni, e darsi giudici, ragioni e leggi. Parimente
nel 1387 vediamo nel Canavcsc, Vercellese e Vallese, nella mna e
Tarantasia e in altre parti, il popolo i nnViT 10 a^ 6 t0lrc 0 ca
«)pagna sollevarsi contro mm-P ì tl * vast ‘ mot i dei contadini misero a
ru- di li fn eBta “ Ìa - la ricchezza c la povertà. Col
sistema dello p.ccolc industrie, l’operaio poteva sce- :r c tra ;
d,vcrsi P adl '°"i quello che gli faceva mi- ST COnd ' Z10 "' ;
11 Ch0 «« “'-va di stimolo a rcn- *«*“» “1 ambita Papera m Si
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AtomtVoll b ° n °| ZJ n °" Si 1WSSOno P iil avcr0 001 «
s“ V-'; ° Ì,,dUSl, ' !a - » * 'intedia co- -i caoitalist' asolanti,
PCi-cU alla lega di questi P'tabst, possono contrapporre la propria eoa
piti HI sicura e pronta efficacia. Venendo meno le piccole-
industrie e scomparendo gradatamente il ceto medio, alla perfine il
cajiitale e il lavoro si troveranno l’uno di fronte all altro. JE già il
conflitto è cominciato qua e la in più luoghi e sotto aspetti diversi :
vi è un cumulo di odii mal repressi che anelano la vendetta o almouo la
rivincita. Tantoché, ove non si pensi in tempo ai firnedj, vi è da temere
uno sconvolgimento sociale nell’ordine politico ed economico. Ma quali
rimedj adottare e come prevenire un rivolgimento sociale, clic potrebbe essere
il più terribile nella storia del genere umano ? Ecco l’arduo- problema
economico sociale, ecco la sfinge moderna, che preoccupa la mente del
filosofo, del filantropo,, dell’economista e dell’uomo di Stato.
III. Alla pratica soluzione di questo formidabile problema in
Italia il nostro compianto Mamiani involse per oltre quarant’anni
(1S3S-.1SS2) la mente, il cuore, gli studj suoi ampj e consumati. “
Quella comunanza di uomini (egli scriveva fino dal 1838) elio non
sa- trovar modo, o non vuole, di schermire dalle necessità estreme della
vita gl’indigenti onesti e d’ogni fatica volonterosi, non può dirsi con
proprietà sa- piente e civile, ma sotto apparenze molto contrarie
è- barbara e insipiente tuttavia. Le genti educate ed agiate sono
dalla natura e da Dio costituite madri e tutrici delle infime plebi, e di
queste hanno a. render conto molto severo sì innanzi alle società urnane
e sì innanzi a Dio padre dei poveri „ (1). Fermato ciò, il Mamiani rigettando
le strambe utopie dei Comunisti e dei Socialisti moderni perchè
ingiuste e non attuabili, e scegliendo quelle riforme e quei
miglioramenti sociali che erano o che gli parevano possibili e praticabili
in Italia, esule a Parigi segnò ne’ suoi Documenti pratici intorno alla
rigenerazione morale intellettuale ed economica degli Italiani, alcune
linee di quel vasto disegno onde il secol nostro intendeva e intende a
migliorare le condizioni del popol minuto. I mezzi da lui proposti per
soddisfare ai diritti che riguardano la sussistenza sono gl’infrascritti.
1° Abolire i dazj c le imposte d'ogni natura che gravano più
propriamente sull’infimo popolo. 2° Francarlo dalle viete tasse
parrocchiali assegnato all’ adempimento di certi atti solenni, civili e
religiosi. •j° Moltiplicare e perfezionare gli ospedali, i
ìicovcri, i monti di pietà c simili altri istituti di pubblica
beneficenza. 4 Propagare il più che si può tali istituti
anche per i villaggj e le campagne, c imitare da per tutto esempio
d alcuni Comuni rurali, che a loro spese provvedono i contadini di medico
e medicine. ò Rifornì are ed ampliare le leggi e i regolamenti
circa ai patti e alle mutue relazioni tra i fab- (1) Scritti
politici, edizione renze, Le Monnicr, I853. ordinata
dall’autore. - Fi e la questione economico- soci a Lubricanti, capomastri
e bottegai da un lato, e gli operai, giornalieri, manuali e apprendisti
dall.’altro, porgendo a tutti i secondi guarentigia e soccorso nei
termini dell equità, e contro l'egoismo e la durezza dei primi.
G° Istituire in ogni città, dove gli operai sovrabbondino, due sorte di
lavorerìe pubbliche permanenti : 1 una pei rozzi braccianti, l'altra per
gli operai delle arti comuni. 7° Tali istituti ordineranno
per guisa i rego- menti c le discipline proprie, c con si fatta
misura proporzioneranno le loro mercedi, da non sopraffare in nulla
le industrie de’privati; mentre toglieranno a queste l’arbitrio di
soverchiare gli operai in nessuna cosa. • 8° In tali lavorerìe ed
officine pubbliche non debbono gli operai nè esser costretti a vivere rinchiusi,
nè perdere alcuna porzione di quella indipendenza, di atti c pensieri che la
civile libertà concede ad ogni uomo onesto. I lavori, poi, scelti e
ordinati in quelle saranno volti con provvidenza ed accorgimento alla
pubblica utilità, e segnatamente a quella del popol minuto.
9° L’ammissione a tali opificj sarà concessa ad ogni operaio il
quale darà prova di aver offerto invano l’opera sua nelle officino privato. E
il pericolo della soverchia c non strettamente necessaria frequenza degli
operai in quelle lavorerìe sarà evitato, con fare strette più dell’uso
ordinario le discipline, le quali poi debbono esser pensate c trovate con
ingegnò SÌ fatto da convertirle in buoni e quotidiani metodi
educativi. IO 0 - Tutto ciò richiede che il tesoro
arricchisca abbondevolmente per altre vie. Nuova fonte di ricchezza
pubblica può divenire la tassa detta progressiva, ed una sull’eredità
trasversali proporzionata al grado più o meno stretto di parentela, e il
rendere mobili e circolanti i beni immobili c camerali, o per
ultimo il fare sparmio di tutta l’immensa moneta che inghiottono e scialacquano
i grossi eserciti stanziali, i gran favoriti di corte, i doganieri, e
mille altre specie di ufficiali e di salariati o perniciosi o
superflui. 11° Con molto valsente tenuto in. riserbo, si
ovvierà a quegli accidenti imprevisti che turbano a un tratto 1 economie
delle industrie e del lavoro quotidiano. Così gl’italiani, antichi
fondatori delle Case di lavoro, perfezioneranno conforme ai bisogni
dell età nostra il pietoso trovato degli avi loro. 12 Riguardo alle
campagne, bisogna in primo luogo riformare ed ampliare il codice forese
od agrario, perchè si tutelino con più efficacia i patti e le relazioni
giornaliere fra i possidenti e i coloni, migliorando le condizioni di questi
ultimi, e mallevatole contro ogni ingiustizia e sopruso. 13 In
secondo luogo, bisogna istituire in ogni P noia compagnie di
assicurazione (sovvenute dal mune) contro i danni delle gragnuole,
delle carestie, jpizoozie ed inondazioni, affinchè i contadini si
veg- accertato ogni anno il frutto del loro sudore. E quando
il raccolto sarà favorevole ed abbondante, i contadini concorreranno per
la lor quota al pagamento della tassa di assicurazione. 14° Un
Consiglio superiore, aiutato dai succursali delle provincie, prenda in cura
speciale lo studio e la vigilanza degl’interessi del popol minuto.
A questo Consiglio saranno ascritti molti uomini pratici e versati in
dottrine particolari relative ai fini proposti, e tutti splenderanno di
specchiata probità o di zelo grande verso i poveri. 15° Una parte
del Consiglio medesimo prov- vederà specialmente alla vita sana del
popolo, promovendo le società di temperenza felicemente iniziate in America e
in Inghilterra, ed esaminando l’interno delle officine, la materia e la
qualità dei lavori, i cibi quotidiani, gli alloggj, le vesti e
simili obbietti. E sarà bene imitare Leopoldo I di Toscana, il
quale a spese dell’erario fece murare in luogo arioso gran numero di casette
decenti ed acconce per l’infimo popolo. Questi pagherebbe una modica
pigione. 16° L’altra parte del Consiglio veglierà gli andamenti del
popolo, la qualità delle sue industrie e de’suoi negozj. Vedrà pure
ilConsiglio quel che sia da ristorare degli antichi Statuti delle arti e
quello che sia da aggiungervi : ad ogni modo, promoverà le congregazioni
e consorterie legali degli operai, dei ca- pomastri e d'ogni specie di
artieri, con l’intento di accrescere ad ognuno i mezzi di produzione, e
se- gnatamentelo spirito di fratellanza e disciplina. Similmente, il
Consiglio promoverà con zelo perseverante le anioni e consorterie dei piccoli
proprietarj e dei fittajoli, compensando per tal guisa i danni e
gl’inconvenienti dei poderi troppo angusti. Veglierà, infine, sulle
pubbliche mostre, sui comizj agrarj, sugl’incoraggiamenti e sui premj da
assegnare ; studierà il valore de’ nuovi ritrovati e degli ultimi perfezionamenti,
ed agevolerà ai poveri artieri lo smaltimento de’ rispettivi lavori, contro il
monopolio dei troppo ricchi, cd a freno degl’ incettatori e rivenditori.
17° Il Consiglio procaccerà di mettere in buono accordo fra loro
gl’ istituti di carità e beneficenza, facendo che si accostino tutti a
certa unità di massime direttrici, e che l'opera dell’ uno v P rcndo a chiarire
e ad inculcar! cono circa la questione sociale. Mentre il essa
Lettera esaminava il Mamiani se la nuova Ke- pubblica francese potesse
fornir lavoro quotidiano agli operai che ne mancassero, tornava a raccomandare
la istituzione di lavorerìe pubbliche, ma con lo infrascritte cautele
affinchè non divenissero perniciose allo Stato c non turbassero 1’
operosità economica dei privati. 1° Lo pubbliche officine
debbono istituirsi universalmente c poco meno che in qualunque grosso
Comune, per evitare una soverchia accumulazione di popolo in quelle sole
città dove fossero pubbliche lavorone. Converrà, inoltre, cercar compensi nuovi
e gagliardi, noll’istituiro officine in tutto lo Stato a favore
dell'agricoltura, affinchè i contadini non siano indotti a lasciar la
villa e ricoverarsi nelle città. 2° Bisogna decretare che nello
officine dello Stato sicno raccolti solamente quegli operai a’quali
nessuna privata industria ha potuto fornir lavoro. Imperocché le
lavorerìo pubbliche sono costituite per supplire e riparare alla
insufficenza delle industrie private, dalle quali ricevono limitazione e
misura. 3° Il Governo procaccerà, per non rovinare molte
industrie private, elio i lavori molteplici e svariati da lui condotti siano di
qualità da non potersi dai privati cittadini imprendere con profitto. Il
che importa che le manifatture pubbliche quanto più crescono, e tanto più
costino e siano a maggiore scapito del tesoro. 4° Avviata la
generale istituzione degli opificj •comuni, il prezzo della mano d’opera
non potrà sminuire tanto e sì presto, quanto si vede ne’paesi dove il numero
delle braccia soverchia il bisogno. Però, tutte quelle industrie le quali
competono con gli stranieri, mercè del buon mercato e del potere scemare'
fino all’ultimo estremo i salarj, cesseranno e si annulleranno.
Y. Dalla teoria conviene a suo tempo scendere all’applicazione. E
così fece il Mamiani. Divenuto Ministro costituzionale sotto Pio IX, nel giugno
1848- il Mamiani compilò e sottopose all’Assemblea romana una proposta di
legge per la istituzione di un .Ministero speciale di pubblica beneficenza . È
pregio dell’opera riferire, tralasciando le funzioni speciali e
straordinarie del nuovo Ministero, le sue funzioni generali non tanto per
far conoscere la natura e la. missione di esso Ministero, quanto perchè
ci sembra, che quelle funzioni ed attribuzioni generali possano
anche oggidì servir di lume per la riforma e il riordinamento dello nostre
Opere pie. 1 II Ministro di pubblica beneficenza procura in
genere la riforma, il perfezionamento e la moltiplicazione degl’ istituti e
delle opere di beneficenza c ie sono in atto, e la fondaz ione e
1’avviamento detuzionc cd ogni opera rivolta all’educazione morale e
intellettuale delle infime classi. 2° Procura con mezzi mediati o
immediati di approssimare le opere tutto di beneficenza a certa
unità e collegamento, affinchè se ne aumenti da ogni lato l'efficacia, e
non ne siano gli effetti o troppo parziali o manchevoli. 3°
Promuove presso i Consigli deliberanti le leggi c gli ordinamenti
giovevoli alle classi indigenti c al popolo minuto. 4° Sopraintende
agl’istituti laicali di beneficenza da lui fondati o dal Governo
posseduti, e a qualunque disegno e impresa *da lui o dal Governo attuata,
e la quale intende al sollievo e all’educazione delle classi
inferiori. 5° Sopraintende similmente a quegli istituti e
opere laicali di beneficenza e di educazione popolare, le quali sono posto dai
fondatori sotto il riguar- damento e la cura immediata di chi
governa. G° S’ingerisce, d’accordo coi Municipj o coi Rettori
privati, nel regolamento di quegli istituti ed opere coraunitativc o
private, alle quali viene in soccorso il Governo con il denaro pubblico,
o con altra maniera efficace e ragguardevole di ajuto. 7°
Quanto alle fondazioni e congregazioni, o similmente a qualunque specie
ed atto di pubblica beneficenza, dipendenti al tutto dai Municipj o
dalla carità di privati, c che si rimangono esclusi dalle tre dette
categorie, il Ministro ne piglia cognizione esatta e particolareggiata,
ed esige copia autentica degli statuti c dei regolamenti. Invigila clic
non contravvengano in nulla alle leggi universali dello Stato. Promove e
propone in seno de Consessi legislativi quei provvedimenti c quelle
cautele che impediscono alle beneficenze d’istituto municipale o privato
di fuorvia.e c corrompersi. Risponde ai consigli richiesti, e invita per
via officiosa a modificare, migliorare, propagare e in ogni guisa
perfezionare l’opera della beneficenza. Similmente invita e procura la
colleganza e reciprocazione degli ufficj ed aiuti fra l'uno istituto e
l’altro, o in genero favorisce e caldeggia per ogni modo l'azione
loro. Occorre appena far notarle che il Mamiani, mettendo così in
pratica le sue nuove dottrine sociali, tentava di dare all’opera del
Governo quell’ampiezza e quell efficacia che si accorda generalmente con
le libei tà co privati, e con ogni trasformazione c progresso nello
spirito di associazione e di civile consorzio. Sulla quale Istituzione egli
ritornò più. tardi nei Saggi di Filosofia civile. Ma è noto che il Ministero
di pubblica beneficenza non ebbe fortuna negli Stati Romani, mentre alle
idee del Mamiani si fece m sostanza buon viso in Toscana, dove al
Ministero ella Istruzione pubblica fu aggiunto l’ufficio di tubare c
dirigere la pubblica beneficenza. VI. lennpir/ il
Mamiani fece a tutti manifesto so sociali D i eC0 6U ° P on ^ crato
volume sulle Qucstion ’ ° ° ln mczzo a tante vicende politiche italiane
ed europee dal 48 in poi, in mezzo a’ suoi profondi studj filosofici cd
alle sue occupazioni di statista, non aveva perduto d’occhio i progressi
teorici e le fasi pratiche della questione economica sociale nelle diverse
parti d’Europa. Girando l’occhio della mente nell’essenza profonda e
nelle attinenze della questione sociale, c pur tenendo conto dei suggerimenti
dell'esperienza e della riflessione por oltre quarantanni, nella suddetta
opera Egli esaminò acutamente i due massimi problemi dell’età nostra, fra
loro distinti ina non separati, cioè il problema inorale c quello economico.
Intorno al secondo problema, ecco in breve le dottrine o le proposte che
il Mamiaui professava e additava per risolvere in Europa e segnatamente
in Italia la questione sociale. L’autore delle Questioni sociali
ammette legittimo il diritto della proprietà individuale ; affer- * ma,
contro certi Economisti, che il lavoro non crea, ma presuppone la
proprietà ; rigetta le strambe teoriche di Proudhon e le altre nò giuste nò
praticabili dei moderni Comunisti c dei Socialisti esagerati; reputa non
assoluto il diritto al lavoro. Ma, d’altra parte, egli deplora gli
effetti della libera concorrenza che ritiene sia causa dell’ anarchia
economica ; è seriamente preoccupato dal fatto che i quattro quinti
del genere umano formano la classe intera dei pro- letarj : e quindi
pensa e propone un sistema di riforme rivolte ad armonizzare la produzione e
il capitale, gl’interessi e le sorti del proletario, sistema che si
compendia nelle seguenti proposte : Istituire un magistrato speciale col
nome di Tribuni del popolo, eletto dal corpo intero dei lavoranti,
il quale tuteli ed invigili i diritti e gl’interessi del proletario.
3° Abolizione del dazio consumo. 2° Fondazione di colonie per
riparare all’ eccedenza annua della popolazione, secondo la teorica di
Malthus. 4° Favorire e proteggere 1’ emigrazioni volontarie, quando
pure al Governo apparisse nè difficile nò dispendioso il tragittare i
nostri emigranti da una provincia interna ad un' altra, per esempio
in Sardegna, nelle campagne romane, in più parti disabitate ed incolte
della Sicilia c della Puglia. 5° Proteggere ed allargare le Società
cooperative, nelle quali il lavorante, oltre alla sua mercede, divida coi socj
il modesto lucro ricavato dalle pioduzioni, e pelò sia nel tempo stesso
comproprie- taiio. Quanto si dilateranno questo società, tanto più
effettuabile apparirà la Cassa di pensioni per i 1600 i e gl invalidi,
alimentata da quoto versatevi a ogni libera corporazione di artigiani, e
da elargizioni del Governo in proporziono delle somme risparmiate o dai singoli
membri o da una intera • norT A 1 i rtÌerÌ ’ C CU ‘ amm i Q
istrazione però °" “ ai i» mano del Governo. del l
a T? com P r °P r ^ario anche il lavoratore del fondo da lui coltivato.
oc ni Gn | are 1° imposte ai contadini proprietari. on are Scuole
governative professionali,
lo3 cioè di arti e mestieri, in unione con le
Provincie ed i Comuni quanto alle spese ; nelle quali scuole
sarebbero accolti i figli dei lavoranti, compiuta 1' istruzione
elementare. 9° Riformare le Scuole tecniche, adattandole ai
mestieri ordinarj ; e quanto alle grosse borgate c alla campagna,
ammaestrarvi i contadini suburbani negli clemeuti di agricoltura e di
pastorizia. 10° Provvedere ad un Manuale popolare di
agraria. 11° Dove manchi l'insegnamento elementare, supplirvi
con le scuole dette ambulanti. 12° Prestazioni al buon colono per
ajutarlo a divenire comproprietario ; e dono degli utensili al
giovine proletario, ghà prestatigli quando entrò nelle officine urbane e
noi fondi rustici in possesso ed uso dello Stato. Dall’
attuazione di queste riforme e proposte il Mamiani si riprometteva la
graduata cessazione della servitù del salario e quindi la
emancipazione reale a compita del quarto stato. Ma in qual
modo lo Stato avrebbe provveduto a quello nuove ed incessanti spese ? Con
le infrascritte riforme, secondo il Mamiani, oltre al provento delle consuete
imposte. 1° Cancellazione dell’ esercito stanziale. 2°
Imposta prediale e mobiliare temperatamente progressiva. 3°
Incameramento dell’ eredità trasversali dal terzo grado in giù. Sbassamento
della rendita pubblica dal quattro al tre e al due e mezzo, secondo luoghi e
tempi. 5° Amministrazione disimplicata e scemamente di
ufficiali e di paghe. 6° Ogni legatario pagherà una volta
soltanto il decimo del valsente legatogli.. 7° Monopolio
delle miniere. VII. Non tutte le riforme c le proposte
sociali messe innanzi dal Mamiani sono guari praticabili, nè tutte
collimano con la inviolabilità del diritto naturale di proprietà individuale,
oltre accordare un soverchio ingerimento allo Stato moderno nelle materie
economiche. Noi non potremmo quindi accettare senz’ alcuna restrizione e
temperamento tutte e singole le dottrine economiche e sociali del Mamiani,
nè crediamo che si possa mai giungere a pienamente e stabilmente
risolvere il problema conomico sociale, come ci studiammo
dimostrare a suo uogo in due nostri libri, negli Elementi scientifici di
Etica e Diritto o nella Filosofia morale e sociale (1). Ma intanto,
nobile, alto, eminente- ” e -i°iT,le • Gd . Umanitario « il fine a
cui rivol- rifnrm anai ^ n * 1° su La disciplina o
educazione ci fa passare dallo stato di animale a quello d’uomo. Un
animale è pel suo istinto medesimo tutto ciò che può essere ; una
ragione a lui superiore ha preso anticipatamente per esso tutte lo cure
necessarie. Ma l’uomo ha bisogno della sua propria ragione. Costui non ha
istinto, c conviene che formi da so stesso il disegno della sua
condotta. Ma, siccome non ne possiede la immediata capacitò, e viene al
mondo nello stato selvaggio, ha bisogno dell’aiuto altrui. La
specie umana c obbligata a cavare a grado a grado da sò stessa colie
proprie sue forze tutte le qualità naturali che appartengono all’umanità.
Una generazione educa l'altra. Se ne può cercare il primo principio
in uno stato selvaggio o in uno stato perfetto di civiltà -, ma, nel secondo
caso, bisogna pure ammettere che l’uomo sia poi ricaduto nello
stato selvaggio c nella barbane. 9 _ La disciplina
impedisce all’uomo di lasciarsi deviare dal suo destino, dall'umanità,
pur Io sue inclinazioni animali. Occorro, por esempio, oh essa lo
moderi, perché egli non si gotti noi porle» o corno no animalo feroce, 0
come uno stordito^ a dina è puramente negativa, perche si resinose
soovliarc l'uomo della sua selvatichezza; 1 istruzione, ^ ° -nèh parte positiva
dell’educazione. “ir ™ ioho- coiste nell' indipondeoza da,, • T a
disciplina sottomette 1’ uomo alle r Lvfmou» e lincia a fargli
sentirò la E, l'autorità dolio leggi stesse. Ma ciò dovesse.
Valdarnini 226 la pedagogia di e. kant
fatto per tempo. Così, maudansi per tempo i bambini alla scuola, non
perchè vi apprendano qualcosa, ma perchè vi si avvezzino a restare
tranquillamente seduti e ad osservare puntualmente ciò che loro
vien comandato, affinchè in progresso di tempo sappiano cavar
subito buon partito da tutte le idee che verranno loro in mente. Ma
l'uomo è così portato naturalmente alla libertà che, quando vi abbia
preso una lunga abitudine, le sacrifica tutto. Ora questa è la precisa ragione
onde conviene per tempo ricorrere alla disciplina ; chè altrimenti sarebbe
troppo difficile di cambiar poi il carattere di lui, e seguirà allora
tutti i suoi capriccj. Parimente, si vede che i selvaggj non si
abituano mai a vivere come gli Europei, quantunque restino per lungo
tempo ai servigj loro. Il che non deriva già in essi, come opinano Rousseau
ed altri, da una nobile tendenza alla libertà, ma da una certa rozzezza,
perchè l'uomo appo essi non si è ancora spogliato in qualche maniera
della natura animale. E però dobbiamo avvezzarci per tempo a
sottometterci ai precetti della ragione. Quando all uomo si è lasciato
seguire la piena sua volontà pei tutta la gioventù c non gli si è mai
resistito in nulla, ci conserva una certa selvatichezza per tutta
la vita. Rè alcuna utilità reca ai giovani un affetto materno esagerato,
dacché più tardi si pareranno loro dinanzi ostacoli da tutte le parti, c
troveranno dovunque contrarietà quando piglieranno parte agli affari del
mondo. Un vizio, nel quale ordinariamente si cade ncl- 1’ educazione
dei grandi, e quello di non opporre loro alcuna resistenza nella loro
gioventù, perché son destinati a comandare. Nell’ uomo la tondenza
alla libertà richiedo ch’egli deponga la sua rozzezza : nell’animale bruto, al
contrario, questo non e necessario per l’istinto di lui.
L’uomo ha bisogno di sorveglianza e di cultura. La cultura abbraccia la
disciplina e l'istruzione. Nessun animale, che noi sappiamo, ha bisogno
di quest’ultima ; imperocché veruno di essi apprendo alcun che da’ suoi
antenati, salvo quegli uccelli clic imparano a cantare. Infatti, gli
uccelli sono ammaestrati nel canto dai loro genitori ; ed è mirabil
cosa il vedere, come in una scuola, i genitori cantare con tutte le
proprie forze davanti ai loro nati e questi'adoperarsi a cavare gli
stessi suoni dalle loro tenere gole. Se taluno volesse convincersi
che gli uccelli non cantano per istinto, ma clic imparano a
cantare, basta ne faccia la prova ed è questa : levi ai canarini la metà
delle uova loro e vi sostituisca uova di passero ; ed ancora coi piccoli canarini
mescoli insieme passeri giovanissimi. Li metta in una gabbia donde non
possano udire i passeri di fuori ; essi impareranno il canto dai canarini
e così avremo passeri cantanti. Nò meno stupendo e il fatto, che
ogni specie d’uccelli conserva m tut e le generazioni un certo canto
principale; cosi la tradizione del canto è la più fedele nel mondo
L’ uomo non può diventare vero uomo che per educazione ; egli e ciò
eh essa, lo fu. \ uolsi notai e eh’ egli può riceverò questa educazione
soltanto da altri uomini, che l’abbiano egualmente ricevuta dagli
altri. Quindi la mancanza di disciplina e d’ istruzione in certi uomini li
rende assai cattivi innesti i dei loro allievi. Se un essere di natura
superiore si prendesse cura della nostra educazione, vedrebbesi
allora ciò che noi possiamo divenire. Ma siccome l’educazione, da una parte,
insegna qualcosa agli uomini, e, dall’altra, non fa che svolgere in
loro certe qualità, non si può sapere fin dove portino le nostre
disposizioni naturali. Se almeno si facesse una esperienza coll’ aiuto
dèi grandi e col riunire le forze di molti, ciò ne illuminerebbe sulla
questione di sapere fin dove l’uomo può arrivare per questa via. Ma una
cosa tanto degna di osservazione per una mente speculativa quanto triste
per un amico dell’ umanità si è il vedere, clic la più parte dei
grandi non pensano che a se stessi e non pigliano alcuna parte alle
interessanti esperienze sulla educazione, per fare avanzare di qualche
altro passo verso la perfezione la natura umana. 3. - Non vi
ha alcuno clic, essendo stato trascurato nella sua gioventù, siaincapaco di
ravvisare nell’età matura in elio venne trascurato, vuoi nella
disciplina, vuoi nella cultura (poiché si può chiamar cosi la istruzione).Chi
non possicdecultura di sorta e bruto pollinoli Ita disciplina o
educazione e selvaggio. La mancanza di disciplina è un male peggioro
della mancanza di cultura, perche a questa si può ancora rimediare
più tardi, mentre non si può più mandar via la selvatichezza e correggere
un difetto di disciplina. Forse l’educazione diverrà sempre migliore, e
ciascuna delle generazioni venture farà un passo di più verso il
perfezionamento dell’ umanità ; imperocché il gran segreto della
perfezione della natura umana dimora nel problema stesso dell’educazione.
Si può camminare oramai per questa via ; difatti, oggidì si principia a
giudicare esattamente e a vedere in modo chiaro in clic proprio consiste
unabuoua educazione. E reca dolce conforto il pensare che la natura
umana sarà sempre più e meglio dispiegata e migliorata dall’educazione, e
che si può arrivare a darle quella torma che veramente le conviene. In ciò
consiste la prospettiva della felicità avvenire della specie umana.
L’abbozzo d'una teorica dell’educazione è un ideale nobilissimo, c
che non tornerebbe punto nocivo, quando anche non fossimo in grado di
effettuarlo. Non bisogna considerare un’idea come vana e ritenerla come
un bel sogno, perchè certi ostacoli ne impediscono l’effettuazione.
Un ideale altro non è ohe il concetto d una per- lezione che non si
ò riscontrato ancora noU'esporicn- za : tal sarebbe, per esempio, l'idea
4 una repubblica perfetta, governata secondo le regole dell»
g.nst.z.a. Si dirà dunque impossibile? Basta,,u pruno nego, Che la
nostra idea non sia falsa; in seconde lungo, ohe non sia impossibile
assolutamente d, vincere luti, „u ostacoli per tradurla in atto. Se,
poniamo cascano mentisse, la veracità sarebbe per questo una chimera ?
L’idea eli una educazione clic dispieghi nell'uomo tutte le sue
disposizioni naturali è vera assolutamente. Con l’educazione
presente l'uomo non consegue appieno il fine della sua esistenza.
Imperocché quanta diversità non corre tra gli uomini nel loro modo di
vivere ! Ne tra loro può essere uniformità di vita se non in quanto essi
operino secondo gli stessi prin- cipj e questi principj divengano per
loro come una seconda natura. Noi possiamo almeno lavorare intorno al
disegno d’una educazione conforme all’intento che dobbiamo proporci, e
lasciare istruzioni agli avvenire che potranno a grado a grado metterle
in pratica. Osservate, per esempio, i fiori detti orecchi di orso:
quando li tiriamo dallo radici, hanno tutti il medesimo colore •, quando
invece se no pianta il seme, otteniamo colori tutti differenti e
svariatissimi. La natura ha dunque riposto in loro certi germi del
colore, e basta, per isvilupparvcli, seminare e piantare convenientemente
questi fiori. Il somigliante accade nell’uomo ! Vi sono molti
germi nell'umanità, e spetta a noi svolgere con debita proporzione le
nostre disposizioni naturali, dare all’umanità tutto il suo dispiegamento,
e adoperarci a conseguire la nostra destinazione. Gli animali compiono il
loro destino spontaneamente e senza conoscerlo. L’uomo, al contrario, e
obbligato a cercar di conseguire il fine suo ; il che non può egli
fare se prima non ne ha un’idea. L’individuo umano non può compiere da se
questa destinazione. Se ainmettesi una prima coppia del genere umano
realmente educata, bisogna sapere altresì com’essa ha educato i suoi
figli- I primi genitori danno ai loro figli un primo esempio ; questi lo
imitano, e così dispiegansi alcune disposizioni naturali. Ma tutti
non possono esser educati a questo modo, giacché ordinariamente gli
esernpj si offrono ai bambini secondo l’occasione. In altri tempi gli uomini
non avevano alcuna idea della perfezione onde la natura umana è capace ;
noi stessi non l’abbiamo ancora in tutta la sua purezza. È corto del pari
che tutti gli sforzi individuali, clic hanno per fine la cultura
dei nostri allievi, non potranno mai far sì che costoro giungano a
conseguire la loro destinazione. Questo fine non può esser dunque
conseguito dall’uomo singolo, ma unicamente dalla specie umana. 4.
- L’educazione c un’arte, la cui pratica ha bi- sogno d’essere
perfezionata ila più generazioni. Ciascuna generazione, provvedala delle
conoscenze dello precedenti generazioni, è sempre pii in grado di arrivare
a una educazione che in una giusta piopoi- zionc c in conformità Sol loro
fine svolga tutte le nostre disposizioni naturali e cosi guidi tutta la
spc- eie umana alla sua destiuazionc. - La Provvidenza ha voluto
ohe l'uomo fosse obbligato a cava™ da se stesso il bene, 0 in qualche
modo gli dice Edia nel mondo. Io ho mosso in te ogni speco d. alt
tudin. porilbcno. Ora a te solospcttasvilupparlcpcr,1 bene; e
quindi la tua felicità 0 la tua infelicità dipende da te ., Cosi il
Creatore potrebbe parlare agli nomini ! L'uomo deve innanzi tutto svolgere
le sue attitudini per il bene ; la Provvidenza non lo ha messe in
lui bcll’e formate, ma come semplici disposizioni, c però non vi è ancora
distinzione di moralità. Render se stesso migliore, educare se medesimo, e,
s’egli è cattivo, svolgere in sè la moralità, ecco il dovere dell'uomo. Quando
vi si rifletta consideratamente, si vedo quanto ciò sia difficile.
L'educazione, pertanto, c il più grande e il più arduo problema che ci possa
esser proposto. Di fatti le cognizioni dipendono dall’educazione, e
questa dipende alla sua volta da quelle. Onde non potrebbe l'educazione
progredire elio di mano in mano ; e noi possiamo arrivare a farcene
un’idea esatta solo in quanto ciascuna generazione trasmette le sue
spe- rienze e le sue cognizioni alla generazione posteriore clic vi
aggiunge qualcòsa di suo c le tramanda così aumentate aqucllachele
succede. Qual cultura e quale sperienza dunque non suppone questa idea? E
però essa non poteva sorgere che tardi, e noi stessi non 1 abbiamo ancora
innalzata al suo più alto grado di purezza. Si tratta di sapere se
l’cducazionc nell’uomo singolo debba imitare la cultura che l’umanità in
gcnciale ricevo dalle suo diverse generazioni. -Lia le umane
scoperte ve ne ha duo difficilissime, e sono l’arte di governare gli uomini e
l’arto di educarli ; c però si disputa ancora su queste idee.
Ora, donde principieremo a svolgere le naturali disposizioni
dell’uomo ? Bisogna muovere dallo stato barbaro o da auo stato già culto ?
Non è agevol cosa il concepire uno svolgimento partendo dalla
barbarie (per la difficoltà somma di farci un’idea del primo uomo) ; e
noi vediamo che, ogni qualvolta si sono prese le mosse da questo stato, 1
uomo è ricaduto nella selvatichezza, e che però sono stati sempre
necessari nuovi sforzi per uscirne. Anche nei popoli assai civili
ritroviamo un avanzo di barbarie, attestato dai più antichi monumenti
scritti a noi tramandati ; e qual grado di cultura non suppone già
la scrittura stessa ? E da questo punto, cioè dalla invenzione della
scrittura, si potrebbe anzi far cominciare il mondo, rispetto alla
civiltà. Poiché le nostre disposizioni naturali non si
svolgono da sè stesse, ogni educazione è un’arte. - La natura non ci ha
dato per questo hnc alcun istinto. - L’origine, come il suo
relativo progresso, dell’arte educativa, è o meccanica, senza
disegno sottoposta a date circostanze, o ragiona « L«to
•d’educare non risulta meccanicamente dalle caco . stanze in che
apprendiamo per esperienza se una data cosa ci è dannosa od utile.
Ogni arte di questo -onere clic sarebbe puramente meccanica, con i
s „ 1-ioune perche non seguirebbe f b0 m0lt ' Cn oln-c “ia’nto Che
l’arte delMn- alcnna norma. 0 1 W caziono 0 1» P f*°”
io „,J, or,„odo d» con- nata ” 0 d « linnzion m I genitori, ebe
hanno sognuo I. educazione, sono gin 3i
rcgoinnoirr,i.Mn ..or rendere LA PEDAGOGIA DI E. KANT questi
migliori, è necessario di fare uno studio della Pedagogia ; diversamente
nulla se ne può sperare, e l’educazione viene affidata ad uomini educati
non bene. Al meccanismo nell’arte educativa bisogna sostituire la
scienza, altrimenti ella non sarà clic uno sforzo continuo, cd una
generazionepotrebbe distruggere quanto un’altra avesse edificato.
6. - Un principio di Pedagogia, al quale dovrebbero mirare segnatamente
gli uomini che propongono norme di arte educativa, ò questo : Che non
devc- si educare i fanciulli secondo lo stato presente della specie
umana, ma secondo uno stato migliore, possibile nell’avvenire, cioè secondo
l'idea dell’umanità o della sua intera destinazione. Questo principio
6 d’una importanza tragrande. I genitori educano per 10 più i
loro figli per la società presente, sia puro corrotta. Dovrebbero, al
contrario, dar loro una educazione migliore, perche un miglioro stato ne
possa venir fuori nell’avvenire. Ma qui si parano dinanzi due
ostacoli : 1° I genitori non si curano per ordinario che di una cosa sola, ed è
che i figli loro facciano buona figura nel mondo ; 2° I principi ri-
sguaidano i proprj sudditi oomc strumenti dei loro disegni.
I genitori pensano alla casa, i principi allo Stato, fxli uni e gli
altri non si propongono per fine ultimo 11 bene generale e la
perfezione a cui è destinata 1 umanità. Le basi fondamentali d’uu disegno
d’educazione fa d uopo che abbiano un carattere mondiale. Ma il bene
generale è un’idea che possa tornar dannosa al nostro bene particolare?
Niente affatto ! Imperocché, quantunque sembri che gli si debba
sacrificare qualcosa, veniamo cosi a lavorar meglio pel bene del nostro
stato presente. E allora quante nobili conseguenze ! Una buona educazione
è proprio la sorgente d’ogni bene nel mondo. I germi che sono
riposti nell’uomo debbono svilupparsi ognor di vantaggio ; imperocché nelle
disposizioni naturali dell uomo non v’ha principio di male. La sola causa
del male sta nel non sottoporre a norme la natura. Nell uomo non vi
sono che i germi per il bene. Da chi dee provenire il miglioramento
dello stato sociale? Dai principi o dai sudditi? Conviene clic
questi si migliorino prima da sé stessi, 0 facciano la metà di strada per
andare incontro a go verni buoni ? Se, invece, devo partire dai
principi questo miglioramento, si cominci dunque a riformare la loro
educazione; poiché si é commesso per lungo tempo questo grave sbaglio, di
non resistere „vii stessi principi nella loro gioventù. Un
albero°cho rosta isolato in mozzo ad un campo pei de la sua dirittura nel
crescere c stendo lungi . suo. rami ' al contrario, quello elio cresco
nel mezzo una foresta si mantiene diritto, per la reste» a ohe «li
oppongono gli alberi vicini, e cerea al di- olio 0 i opp j A vviene lo
stesso nei ffirn- ^-“rnvale a Meglio siano educati da qua,-
ouno dei tafsudditi che dai loro pari. Non si può attendere il bene
doli-alto so prima non vi sava migliorata l’edncazionel Qui bisogna
dunque con- 23G la pedagogia, di i:. kant
tare più sugli sforzi dei privati che sul concorso dei principi,
come hanno giudicato Basedow ed altri ; dacché l’esperienza c’insegna che
i principi nell’educazione badano meno al bene del mondo che a
quello del loro Stato, c vi scorgono solo un mezzo per giungere ai loro
fini. Se col denaro soccorrono la educazione, si riservano il diritto di
stabilire le norme che loro convengano. Lo stesso va detto per
tutto ciò che risguarda la cultura dello spirito umano c l’incremento
dello umane conoscenze. Questi due risultamenti non sono procurati dal
potere c dal •denaro, ma solo facilitati ; bensì potrebbero procurarli
ove lo Stato non prelevasse le imposto unicamente nell’interesse del suo
erario. Ncppur le Accademie li hanno dati finora, ed oggi più che mai non
si scorge alcun segno ch’esse comincino a darli. 7. - La direzione
delle scuole dovrebbe pertanto dipendere dal senno di persone competenti
ed illustri. Ogni cultura comincia dai privati e da questi poi si
diffonde. La natura umana non può avvicinarsi di mano in mano al suo fine
che per gli sforzi di persone dotate di generosi e grandi
sentimenti, le quali s’interessano al bene del mondo sociale e sono in
grado di concepire uno stato migliore, come possibile, nell’avvenire. Intanto
alcuni potenti riguardano il loro popolo come, in certa guisa, una
parte del regno animale, e mirano solamente alla propagazione. Al più
desiderano ch’esso abbia una certa abilità, ma solo a fine di
potersi giovare dei proprj sudditi come di strumenti più acconcj ai
loro disegni. I privati devono certamente badare al fine della natura
fisica, ma devono soprattutto curare lo svolgimento della umanità, e far
sì ch’ella diventi non solo più abile, ma ancora più inorale \ da ultimo, cosa
molto più difficile, adoperarsi a elio i posteri arrivino ad un più
alto grado di perfezione. 8 . - L’educazione, pertanto,
deve : 1° Disciplinare gli uomini. Disciplinarli vuol dire
cercar d’impedire clic la parte animale non soffochi la parte veramente
umana, così nell’umano individuo come nella società. Dunque la
disciplina consiste semplicemente nello spogliar l’uomo dc.la. sua
selvatichezza. 90 D evc coltivarli La cultura abbraccia la
istruzione ed i varj insegnamenti &sa fornisce labilità : 0 questa è
il possesso d un attitud,ne sufficiente a tutti i lini elio possiamo proporci.
Lss. dunque non determina da sé alcun tino ma lascia dunque •
. costjinzC . Alcune arti sono utili questa cura comc sarebbero le
arti in ogni cinp ^ nitro non sono buone elio di loggoi
l’arte della musica, elio in riSpCt, ° v,H J itTfe possiede.
L'abilità 6 in rende M** ° M molti fini elio certo modo
infinita, et Jovn altresì enrarc
che l'uomo divenga „ crrt autorità. Questa dicesi
propriamente civiltà. Essa richiede certi modi cortesi, gentilezza c
quella prudenza onde possiamo giovarci degli altri uomini pei nostri fini
; e si regola secondo il gusto mutabile di ogni secolo. Così amiamo
ancora, dopo alcuni anni, le cerimonie in società. 4° Deve,
finalmente, curare nell’uomo la moralità. Ed invero, non basta che l’uomo sia
capace di ogni sorta di fini ; occorre altresì clx’ ci sappia farsi
una massima di scegliere tra quelli soltanto i buoni. Diconsi buoni que’
fini clic sono necessariamente approvati da ognuno e che pouno essere al
tempo stesso i fini di ciascuno. 9. - L’uomo può essere guidato,
disciplinato, istruito in modo affatto meccanico, ed illuminato
•veramente. Si guidano i cavalli, i cani, e si può guidare anche gli
uomini. Ma non basta guidare i fanciulli ; preme soprattutto eli’
essi imparino a pausare. Occorre badare ai principj dai quali derivano tutte le
azioni. È dunque manifesto quante cose richiede una vera
educazione! Ma ncH’educazionc privata la quarta condizione, che è la più
importante, viene per lo più assai trascurata; poiché insegnasi ai
fanciulli ciò che stimiamo essenziale, e intanto si lascia la
morale al predicatore. Ma non ò forse importante d’insegnare ai fanciulli
a odiare il vizio, non per la semplice ìagione che Dio l’ha proibito, ma perchè
di natura sua è spregevole ! Altrimenti e’ si lasciauo indurre nel
vizio, pensando che il male potrebbe esser lecito se Dio non l’avcsse
vietato, c clic si può far benissimo una eccezione a favor loro.
Dio, ch'e l’essere sovranamente santo, non vuole se non ciò cb’ò
buono. Egli vuole che noi pratichiamo la virtù per il suo valore
intrinseco e non perchè Ei lo esiga. Noi viviamo in un’epoca
di disciplina, di cultura e di civiltà, ma che non è ancora quella della
moralità vera. Nelle presenti condizioni si può dire che la felicità
degli Stati cresce di pari grado colla infelicità degli uomini. E non si
tratta ancora di sapere se noi saremmo piu felici nello stato di
bai- barie, dove non esiste tutta questa nostra cultura, che nello
stato presente. Come si può, difatti, render felici gli uomini, se non li
rendiamo morali e savj ? La quantità del male appo essi non verrà così
diminuita. Bisogna fondare scuole sperimentali prima di poter
creare quelle normali. L’educazione e l’istruzione non debbono essere puramente
meccaniche, ma riposare su principj. Tuttavia non hanno da fondarsi
sul puro ragionamento, ma in un certo senso anche sul meccanismo.
L’Austria non ha guari che scuole normali, istituite giusta un disegno
contro il quale si sono a buon diritto sollevate molte obbiezioni, ed al
quale si poteva rimproverare un cieco meccanismo. Tutte le altre scuole
dovevano regolarsi su quelle, e si negava altresì un ufficio
pubblico a chi non avesse frequentato quelle scuole Tali prescrizioni
dimostrano quale e quanta parte abbia in certe cose il Governo ; e non e
possie di arrivare a qualcosa di buono con sbatti ordinamenti. Si
crede da’ piu che non sia necessario di fare spcricnzc in materia di
educazione, e che si può giudicare con la sola ragione se una cosa sara
buona o cattiva, ila qui sta un grave errore, c l’esperienza ne
insegna clic i nostri tentativi hanno spesso dato risultamcnti opposti
affatto a quelli che ci attendevamo. È dunque chiaro clic, sondo qui
necessaria l'esperienza, nessuna generazione d uomini può fare un
disegno compiuto d’educazione. La sola scuola sperimentale clic abbia
finora incominciato in qualche modo a battere questa via c stato l’Istituto
di Dessau. Nonostante parecchi difetti che gli potremmo
rimproverare, ma che del rimanente si riscontrano in tutti i primi
sperimenti, bisogna concedergli questa gloria, ch’esso non ha cessato di
spronare a nuovi tentativi. In un certo modo esso è stato l’unica scuola dove i
maestri avessero libertà di lavorare secondo i prò* prj metodi c disegni,
e dove fossero uniti fra loro c si mantenessero in relazione con tutti i
dotti della Germania. 10. - L’educazione comprende le cura
necessarie ai bambini c la cultura. La cultura c: 1°
negativa, come disciplina clic si restringe ad impedire le colpe ; 2° c
positiva, come istruzione c direziono ( Anfilhrung ), c sotto questo
rispetto merita il nome di cultura. La direziona serve di guida nella pratica
di ciò clic si vuole apprendere. Di qui la differenza tra il
precettore, che è semplicemente un maestro, e il governatore
[Hofmeister), che è un direttore. Il primo dà soltnnto l’educazione della scuola;
il secondo, quella della vita. II primo periodo dell’
educazione è quello in cui l’allievo deve mostrare soggezione ed
obbedienza passiva ; il secondo, quello in cui gli si permette far
uso della sua riflessione e della sua libertà, ma purché sottometta l’una e
l’altra a certe leggi. Nel primo periodo il costringimento è meccanico,
nel secondo è morale. 11 . - L'educazione b privata o
pubblica. Quest’ ultima si riferisce all' insegnamento che può sempre rimaner
pubblico. La pratica dei precetti si lascia all’educazione privata.
Un’educazione pub - blica compiuta è quella che riunisce ad un
tempo la istruzione c la cultura morale. Il suo line consiste nel
promuovere una buona educazione privata. Una scuola dove si pratichi
questo si chiama un Istituto di educazione. Di somiglianti
Istituti non può esservi gran copia, né potrebbero essi ammettere un gran
numero di allievi ; imperocché sono costosissimi, e la semplice
istituzione di questi Collegi richiede molte spese. Lo stesso va detto
degli ospedali. Gli edifizj loro necessarj, il trattamento dei
direttori, dei sorveglianti o dei domestici assorbiscono la metà
decentrate : ed è oramai provato che se si distribuisse questo denaro ai
poveri nelle ispettive loro case, e’sarebbero curati assai meglio. -
^difficile ancora di ottenere che i ricchi mandino i loro
figliuoli negl’istituti educativi. Fine di questi Istituti
pubblici e il perfezionamento dell’educazione domestica. Se i genitori
o quelli che li assistono nell’educare i loro figli avessero ricevuto una
buona educazione, la spesa degli Istituti pubblici potrebbe non esser più
necessaria. Quindi bisogna farvi delle prove e formarvi persone
adatte, affinchè ci possano dare in progresso una buona educazione
domestica. L’educazione privata è data dai genitori stessi,
o, se per caso non ne abbiano il tempo, la capacità o il gusto, da altre
persone che li aiutano in ciò, mediante una ricompensa. Ma questa educazione
data così da persone ausiliarie ha il gravissimo difetto di
dividere l’autorità fra i genitori ed il precettore. Il fanciullo deve
regolarsi secondo i precetti dei suoi maestri, e deve in pari tempo
seguire i capricci de’suoi genitori. E necessario che in questo
genere di educazione i genitori depougano tutta la loro autorità in mano
dei maestri. Ma fin dove l’educazione privata è preferibile
alla educazione pubblica, o questa a quella ? L’ educazione pubblica, in
generale, sembra più vantaggiosa dell educazione domestica, non solamente
in rispetto all abilità, si anche in rispetto al vero carattere di
cittadino. L’educazione domestica, oltre non correggere i difetti appresi
in famiglia, li aumenta. 12 . - Quanto tempo deve durare
l’educazione ? Fino a che la natura ha voluto che l’uomo si governi
da se stesso, fino a che si svilpppi in lui l’istinto del sesso, fino a
che egli può divenire padre cd esser tenuto di educare alla sua volta, ossia
fino al- . 1 età di circa 1G anni. Decorsa quest’età, si può
ricoiiere a maestri clic proseguano a coltivarlo, e sottoporlo ad uua
celata disciplina, ma la sua educazione regolare é finita. 13. - La
soggezione dell’allievo è positiva o negativa. Positiva, in quanto ei deve fare
ciò che gli viene comandato, non potendo ancora giudicare da se c
non avendo ancora appreso l’arte d’imitare. Negativa, in quanto l’allievo
dee faro ciò che desiderano gli altri, se vuole ch’essi dal canto loro
facciano qualcosa che gli torni piacevole. Nel primo caso egli è esposto
ad essere punito; nel secondo, a non ottenere ciò elio desidera : o qui,
benché possa oramai riflettere, ei dipende dal suo piacere.
14. - Uno dei più grandi problemi dell’educa zione si ò di poter
conciliare la sommissione all autorità legittima coll’uso della libertà,
Imperocché l'autorità é necessaria! àia in qual modo coltivare la
libertà per mezzo dell’àutorità ? Bisogna che io avvezzi il mio allievo a
soffrire che la sua libertà venga sottoposta all’autorità altrui, c che
in pati tempo io gl’insegni a far retto uso della sua libertà.
Senza questa condizione, in lui non vi sarebbe che puro meccanismo ;
l’uomo sfornito di vera educazione non sa far uso della sua libertà. Fa
duopo ch’egli senta per tempo la resistenza inevitabile della
società, perché impari a conoscere quanto o difficile di bastare a sé
stesso, di tollerare le privazioni c di acquistare quanto basti a rendersi indipendente.
\, Cui devesi por mente alle infrascritte regole. 1»
Bisogna lasciar libero il fanciullo fino dalla sua prima età c in tutti i
suoi movimenti (salvo in quelle occasioni in cui può farsi del male come,
per esempio, se prendesse in mano uno strumento tagliente), a patto
bensì di non impedire la libertà altrui, come quando grida, o manifesta
il suo brio in modo troppo l’umoroso e da recar disturbo agli altri. 2 11 Gli
si deve mostrare ch’ei può conseguire i suoi lini, a patto bensì
ch’egli permetta agli altri di conseguire i loro proprj •, ad esempio,
non si farà niente di piacevole per lui s’ei non fa ciò clic desideriamo,
come d’imparare ciò che gli viene insegnato e via dicendo. 3° Bisogna
provargli che l’autorità, il costringimento a cui si sottopone, ha per
fine disegnargli ad usar bene della sua libertà, che lo educhiamo ed
istruiamo affinchè possa un giorno esser libero, cioè fare a meno del
soccorso altrui. Questo pensiero sorge assai tardi nella mente dei
fanciulli, poiché non riflettono nei primi anni che dovranno un giorno provvedere
da se stessi al loro mantenimento. Credono che la cosa andrà sempre come
nella casa paterna, cioè ch’essi avranno da mangiare e da bere
senza darsene alcun pensiero. Ora senza questa idea, i fanciulli,
segnatamente quelli dei ricchi ed i figli dei principi, restano per tutta
la vita, come gli abitanti di Otahiti. L’educazione pubblica ha qui manifestamente
i più grandi vantaggj : vi s’impara a conoscere la misura delle proprie
forze ed i limiti che c impone il diritto altrui. Non vn si gode
alcun privilegio,poiché vi sentiamo dovunque la resistenza, e ci
eleviamo sopra gli altri solo per merito proprio. Questa educazione
pubblica e la migliore immagine della vita del cittadino.
Resta ancora una difficoltà clic non vuol essere qui dimenticata, e
riguarda la cognizione anticipata del sesso, .a fine di preservare i
giovinetti dal vizio prima dcll’elà matura. Vi ritorneremo sopra
più innanzi. La Pedagogia, o scienza dell’educazione, si’
distingue in fisica e in pratica. L'educazione fisica c- quella che
l'uomo ha comune con gli animali, c ri- sguarda le cure della vita
corporea. L’educaziom pratica o morale (si chiama pratico tutto
quello che si riferisce alla libertà) c quella che risguarda la
cultura dell’uomo, perche costui possa vivere come ente libero.
Quest’ultiraa è l’educazione della persona, 1 educazione d’un ente libero, che
può bastare- a sè stesso e tenere il suo vero posto in società, ma.
che altresì è capace d’avere per sè un valore intrinseco. % Quindi
1 educazione consiste: 1° nella cultura scolastica o meccanica, che
risguarda l’abilità ; essa pertanto è didattica (e sta nell’opera del
maestro) ' r “° ne ^ a ^ura prammatica, che si riferisce alla
prudenza (e sta nell’opera del governatore) ; 3° nella cultura morale, e
si riferisco alla moralità. L uomo ha bisogno della cultura
scolastica o ella istruzione, per mettersi in grado di conseguire
tutti i suoi fini. Essa gli dà un valore come in— re che La disciplina
non tratti i fanciulli come schiavi,, e far sì ch’e’sentano sempre la
loro libertà, ma in guisa tale da non ledere quella degli altri: ne segue
pertanto che conviene abituarli alla resistenza. Parecchi genitori
ricusano tutto a’ioro figliuoli per esercitare così la loro pazienza,
esigendo da questi più che da se stessi. Ma è una crudeltà. Dato al
bambino quanto gli abbisogna, e poi ditegli : Tu nc hai abbastanza.
Ma è assolutamente necessario che questa sentenza sia irrevocabile. Non
fato alcuna attenzione alle grida dei bambini e non credete loro, quando
credano di ottenere qualcosa per questa via; ma se lo dimandano con
dolcezza, date ai medesimi ciò che loro torna utile. Si avvezzcranno'così
ad essere sinceri; e, come non importuneranno alcuno colle grida,
ciascuno sarà, in compenso, benevolo]con essi. La Provvidenza pare
veramente abbia dato ai fanciulli un aspetto piacevole per incantare lo persone
adulte. Nulla v’ha di più funesto per essi che una disciplina ostinata e
servile, intesa a piegare la loro volontà. Per ordinario si grida
ai medesimi: Eh via! non ti vergogni, questa cosa c indecente ! e somiglianti
espressioni, le quali non dovrebbero mai adoperarsi nella prima educazione. Il
bambino non ha ancora idea alcuna di vergogna e di convenienza ;
non ha di che arrossire, non deve arrossire ; e diventerà solamente più timido.
Si troverà impacciato dinanzi agli altri, e fuggirà volentieri la loro
presenza. Quindi nasce in lui una riservatezza male intesa cd una
molesta dissimulazione. Non osa più dimandar dell’educazione
fisica 261 nulla, mentre dovrebbe poter dimandar tutto;nasconde i
proprj sentimenti, e si mostra sempre diverso da quello che è, mentre
dovrebbe poter dire tutto francamente. Invece di star sempre appo i suoi
genitori, li evita c si getta nello braccia dei domestici più
compiacenti. Nè meglio di questa educazione irritante giovano la
burla c le continue carezze, d ulto ciò rende tenace il fanciullo nella
sua volontà, lo rende fìnto, •e, manifestandogli una debolezza ne suoi
genitoii, gli toglie il rispetto dovuto ai medesimi. Ma, se viene
educato in modo clic nulla possa ottenere con le grida, egli diverrà
libero senza essere sfacciato, o modesto senza essere timido. Non si può
tollerare un insolente. Certi uomini hanno un aspetto così insolente da
far sempre temere qualche villania ; ve n’ha degli altri,
.all’opposto, che al solo vederli si giudica suino incapaci di dire una
villania a qualcuno. Possiamo sempre mostrarci aperti e franchi, purché
vi si unisca una •certa bontà. Si sente dire spesso che i grandi
hanno un aspetto veramente regale; ma questo m essi al ro non 6 die
un certo sguardo insolente, a cu. s, abl- -tuarono da giovani, non avendo
trovato alcuna ics, 5t °° Tutto ciò riguarda solamente Mutazione negativa.
Difatti, molte debolezze delfuomo non prò- vengono da quanto non gli
insegna, ma » q«c tanto che gli comunicane le false «F-, W d'esempio, lo
jmbùoi parlando dei ragni, dei rospi, bambini potrebbero certamente
prendere i ragni,, come pigliano le altre cose. Ma, siccome le
nutrici, veduto un ragno, palesano nella faccia il loro spavento, questo
si comunica al bambino con una certa simpatia. Molti lo conservano per
tutta la vita e, sotto questo rispetto, rimangono sempre fanciulli.
Imperocché i ragni sono certamente dannosi allo mosche, e il loro morso è
per esse velenoso, ma l’uomo non ha di che temerne. In quanto al
rospo, è un animale innocuo al pari di una rana verde- o di
qualunque altro animale. 32. - La parte positiva dell’educazione
fisica è la cultura ; per questa l’uomo si distingue dal bruto. La
cultura consiste principalmente nell’esercizio delle facoltà dello
spirito. Quindi i genitori debbono porgerne ai figli occasioni favorevoli. La
prima cd essenziale regola è di fare a meno, per quanto e possibile,
d’ogni strumento. Bisogna dunque abolire 1 uso delle dande e delle
girelle, lasciando che il bambino si trascini per terra finché impari a
camminare da sé, giacché a questo modo camminerà più sicuramente. Gli
strumenti riescono dannosi alla abilità naturale. Così, ci serviamo d’una
corda per misurare una certa estensione, ma si può fare ugualmente colla
semplice vista ; ricorriamo ad un oriolo pei determinare il tempo, ma
basterebbe guardare la posizione del sole ; ci serviamo d'un
compasso per conoscere in qual regione é situata una foresta, ma si
può anche sapere osservando il sole se di giorno e le stelle se di notte.
Aggiungiamo che--dell’educazione fisica 263 invece di servirci di
una barca per passare nell'acqua, si può nuotare. Il celebre Franklin si maravigliava
che l’esercizio del nuoto, cosi piacevole ed utile, non fosse appreso da
ognuno : e ne indicava così il modo facile per apprenderlo. Si lasci
cadere un uovo in un fiume dove, stando tu ritto e toccando co’ piedi il
fondo, la testa almeno ti rimanga fuori dell’acqua. Cerca allora quell
uovo. Nell’abbassarti, fa risalire i piedi in alto, e, perche
l’acqua non ti entri in bocca, solleva la testa sulla nuca, ed avrai così
la giusta posizione necessaria a nuotare. Allora basta mettere in moto le
mani, e si nuota. — L’essenziale sta nel coltivare 1 abilita naturale. Il
più delle volte basta una semplice indicazione; spesso il fanciullo stesso è
fecondo d’invenzioni, e si crea da se gli strumenti. - Ciò che bisogna
osservare nell’educazione fisica, e però in quella del corpo, si
riferisce o all’uso del moto volontario, o all’uso degli organi e senso.
Nel primo caso il fanciullo deve semprei am- tarai ila sè. Quindi ha
bisogno di fora», d, ab.», di colorita, di sicurezza. Egli devo. P«' e J
• poter traversare luoghi stretti, sabre su altezze a piceo,
donde si scorge l'abisso dinanzi c no, ca^ r ; i, . «:ii„Tifi Se un
uomo non può minare su palchi vac.llan . cte far tutto
questo, egli aoi . T) es . potrebbe essere. Pache ['Istituto
Mantrop «* sau ne ha dato l'esempio. imi.b siicu stìtati .
genere sono stati fatti co, fa-°" ndo 00me gli Restiamo assai
meravigliati m ie a Svizzeri sino dall’infanzia si avvezzino a salire
sulle montagne e fin dove li spinga la propria agilità, con. quanta
sicurezza traversino i luoghi più stretti e saltino al di là dei
precipizj, dopo aver giudicato con un’occhiata di potervi riuscire senza
pericolo. Sia la più parte degli uomini han paura d’una cadu-
tapresentata loro dalla immaginazione; e questa paura ne paralizza
talmente le membra che por essi ci sarebbe davvero pericolo disaltare
oltre. Questa paura cresce ordinariamente coll’età, c si riscontra in
specie negli uomini che hanno molte occupazioni mentali.
Simili sperimenti nei fanciulli in realtà non sono i più
pericolosi. Per l’età loro, il corpo è meno pesante del nostro, cnon
cadono tanto gravemente.Di più, non hanno le ossa nè cosi fragili, nò
cosi dure come sono quelle degli adulti. I fanciulli sperimentano da
se stessi le loro forze. Ad esempio, li vediamo spesso arrampicarsi
senza un fino determinato. La corsa è un moto salutare c clic fortifica
il corpo. Saltare, alzar pesi, tirare, lanciare, gettar sassi verso
una mira, lottare, correre, e tutti gli escrcizj di questo genere
sono eccellenti. La danza regolare non pare convenga ancora ai
fanciulli. Il tiro a segno, vuoi per la distanza vuoi per
colpii e il bersaglio, esercita pure i sensi e particolarmente la vista. Il
giuoco della palla è uno dei migliori pei fanciulli, perchè richiede una
corsa salutare. In generale i migliori giuochi sono quelli che, oltio
s\ilupparc labilità, sono ancora esercitazioni pei sensi; ad esempio,
quelli clic esercitano la vista nel giudicare esattamente la distanza, la
grandezza e la proporzione, nel trovare la posizione dei luoghi
secondo le regioni, il che si può fare coll'aiuto del sole, e via
dicendo. Tutti questi esercizj sono eccellenti. Assai, vantaggiosa ò pure la
immaginazione locale, ossia l’abilità di rappresentarci tutte le
cose nei rispettivi luoghi dove si sono vedute j ossa da, per
esempio, la soddisfazione di ritrovarci in una foresta, osservando gli
alberi vicino ai quali siamo prima passati. Dicasi lo stesso della
memoria locale, onde sappiamo non solamente in qual libro si è
letta una cosa, ma altresì in qual parte del libro stesso. Così, il
musico ha il tasto in mente, onde non ha più bisogno di cercarlo. È del
pari utilissimo di coltivare l’orecchio dei fanciulli, e d’insegnar loro
a discernere se una cosa c lontana o vicina ed in qual
direzione. Il giuoco alla mosca cicco elei fanciulli era già
noto appo 1 Greci. In generale, i giuochi dei fanciulli seno pressoché
universali. Quelli noti o praticati m Germania ritrovansi anche in
Inghilterra, in Francia ed altrove. Hanno lo propria origino da una
corto naturaleinclinaaionc dei fanciulli! ilgiu.coal .mosco cicca,
per esemplo, nasce in css, dal i sapore corno potrebbero aiutarsi
so fossero pm.d un senso. La trottola é nn giuoco particolare ma
-,u- sorte di giacchi da bambini foro, seon g—
argomento di riflessimi 1 ultcriouj,so^ ^ esmpilJj casiono d'importanti
scopei °, questo scrisse una dissertazione sulla t.otio, i poi
fornì ad un capitano di vascello inglese 1 ’ occasione d’inventare uno
specchio, col quale si può misurare sopra un vascello l’altezza delle
stelle. I fanciulli amano gli strumenti rumorosi, come le
piccole trombette, i piccoli tamburi, e cose simili. Ma questi strumenti
non hanno alcun valore, perchè i bambini stessi li rendono disadatti.
Meglio sarebbe che imparassero da sè medesimi a tagliare una canna,
dove potrebbero soffiare. Anche l'altalena è un buon esercizio ;
può giovare alla salute dei fanciulli e anco delle persone adulte ; ma i
fanciulli han qui bisogno d’essere sorvegliati, perchè il moto che vi cercano
può essere molto rapido. L’aquilone è un giuoco innocentissimo 5
serve a coltivare la destrezza del corpo, stantecliè il sollevarsi in
aria dell’aquilone dipende da una certa posizione riguardo al
vento. Pigliando interesse a questi giuochi il fanciullo
rinunzia ad altri bisogni, e così a grado a grado si avvezza a privarsi
di altro cose di maggiore importanza. Di più, acquista l’abito a star sempre
occupato, ma i suoi giuochi debbono avere anche un fine. Imperocché, più
il suo corpo si fortifica e s’indurisce in questa guisa, più e’ divien
sicuro contro le conseguenze corruttive della mollezza. La ginnastica
stessa deve ristringersi a guidar la natura; non deve procurare grazie
forzate. Alla disciplina, e non alla istruzione, spetta il primo passo.
Educando il corpo deifanciulli, non va però dimenticato che li
formiamo per la società. Rousseau dice : u Non arriverete mai a
formare dei savj, se prima non fate dei monelli „. Ma da un fanciullo
svegliato si caverà piuttosto un uomo dabbene, che da un impertinente un cameriere-
discreto. Il fanciullo non ha da essere importuno in società, ma non deve
mostrarsi neppure insinuante. Verso quanti lo chiamano a se, deve
mostrarsi familiare, senza importunità; franco, senza impertinenza. Per
ottenere questo da lui, bisogna non guastarlo in niente, non ispirargli
idee di decoro, che varranno solo a renderlo timido e selvaggio, o che,
d’altra parte, gli suggeriranno il desiderio di farsi valere. In un
fanciullo niente v’ha di più ridicolo che una prudenza senile, od una sciocca
presunzione. Nel secondo caso è nostro dovere di far maggiormente sentire
al fanciullo i suoi difetti, ma procurando insieme di non fargli
troppo sentire la nostra superiorità ed autorità, perchè egli si formi da
so stesso, come un uomo che- dee vivere in società ; perocché se il mondo
è abbastanza grande per lui, dev’essere non meno grande anche per
gli altri. _^ Toby, nel Tnstram Shandy, dice a una mosca]
oh» l’avo™ molestato per tango tempo o oh. lasca soapparc dalla
finestra: « Va’, catt.vo ammalo .1- mondo h abbastanza grande per me e
pe. e. „ Ciasouno potrebbe pigliare questo detto per dms . Non
dobbiamo renderei importa», gl. um «gb il mondo è abbastanza glande P ei
*, . 34,-SiamoeosU^ta.U^Unrm. tl «a dalla Liberti,.
Altra eosa b dar leggi alla libertà, ed altra coltivar la natura. La
natura del corpo e quella dell’anima si accordano in questo :
coltivandole devcsi cercare d'impedir loro che si guastino, e l’arte
aggiunge ancora qualcosa alla natura del corpo ed a quella dell'anima. Si
può dunque, in un certo senso, dimandar fisica la cultura dell’anima
quanto quella del corpo. Ma questa cultura fisica dell’anima si
distinguo dalla cultura morale, poiché 1’ una si riferisce alla
^Natura, l’altra alla Libertà. Un uomo può essere coltissimo fisicamente; può
avere ornatissimo lo spirito, ma esser privo di cultura morale, ed essere
un cattivo uomo. Bisogna distinguere la cultura jisica dalla cultura
pratica, che è prammatica o morale. Quest’ul- tima si propone di render
l’uomo più morale clic colto. Divideremo la cultura Jisica
dello spirito in cul- tuia libera e in scolastica. La cultura liberà si
riduce, sto per dire, ad uno svago; mentre la cultura scolastica è cosa
seria. La prima è quella che ha luogo naturalmente nell’allievo; nella
seconda, egli può essere considerato come soggetto ad un obbligo.
Anche nel giuoco possiamo essere occupati, il clic si chiama occupare i
nostri ozj ; ma possiamo essere obbligati ad occuparci, e questo dicesi
lavorare. La cultura scolastica sarà dunque un lavoro pel
fanciullo, c la cultura libera uno svago. - Sono stati
proposti varj sistemi di educazione per cercare, cosa davvero lodevolissima, il
mi- dell’educazione fisica 2G!) glior metodo
educativo. Si è pensato, fra gli altri, di lasciare clic i fanciulli
apprendano tutto come un divertimento. Lichtenberg, in una puntata del Magazzino
di Gottinga, deride l’opinione di quanti vogliono che si tenti di lasciar fare
ogni cosa ai fanciulli come un divertimento, mentre dovrebbero essere abi
tuati per tempo a serie occupazioni, dovendo essi entrare un giorno nella
vita scria del mondo. Quel metodo produce un effetto detestabile. Il
fanciullo devo giuncare, aver le sue ore di ricreazione, ma deve
anche apprendere a lavorare. È bene certamente di esercitare la sua
abilità e di coltivare il suo spirito,, ma a queste due sorte di cultura
vogliono esser dedicate ore diverse. La tendenza alia infingaida 00 ine
costituisce per l’uomo una grande infelicità; e piu egli è abbandonato a
questa tendenza, più gli torna poi difficile di mettersi al lavoro.
Nel lavoro l’occupazione non è piacevole per se stessa, mas’
intraprende per un altio fine. L°c cupazione nello svago è piacevole in
se, nò qumc c’c bisogno di proporsi alcun fine. Se vogliamo passeggiare,
la passeggiata stessa ò fine, c quinci p lunga è la strada fatta, più ci
« Le distrazioni non devono osser mai tollerato, almeno
nella senola, porctó finiscono per degenerare in una certa tendenza, in
una corta abitudine. An che le più bolle qualità dell'ingegno si perdono
in un uomo so-ctto alla distrazione. Quantunque . fan- ossi
non i— metà, rispondono in senso contrario, non sanno quei
che leggono, c somiglianti. La memoria devesi coltivare per tempo, procurando
bensì di coltivare insieme anche la intelligenza. Si coltiva la memoria :
1° facendole ritenere i nomi che trovansi nelle narrazioni ; 2° merce la
lettura e la scritt ura, esercitando i fanciulli a leggere- attentamente
e senza bisogno di compitare ; 3° conio studio delle Lingue, che i fanciulli
debbono capire, avauti di passare a leggerne qualcosa. Quello clic
di- cesi il mondo dipinto (’orbis pictus), quando sia descritto
convenientemente, rende i più grandi scrvigj, e possiamo incominciarlo
dalla Botanica, dalla Mineralogia e dall a Fisica generale. Per descriverne
gli obbietti, fa mestieri d’imparare a disegnare e a modellare, e quindi
vi abbisognano le Matematiche. Lo prime cognizio ni scientifiche debbono
soprattutto aver per obbietto la Geografia così matematica come
fisica. I racconti di viaggj, spiegati per via d’incisioni e di
carte, condurranno poi alla Geografia politica. Dallo- stato presente
della superficie della terra si risalirà, al suo stato primitivo, e si
arriverà alla Geografia antica, alla Storia antica, e via dicendo.
Leli istruzione del fanciullo bisogna cercare di •anirc a grado a
grado il sapere e il potere. Fra tutte le scienze la Matematica pare sia
la più adatta a far conseguile questo fine. Inoltre, bisogna unire
la- scienza e la parola (la facilità del dire, l’eleganza
eloquenza). Ma occorre altresì che il fanciullo impari a distinguere
perfettamente la scienza dalla mp ice opinione e dalla credenza. A questo
modo ouncià in lui una mente retta, e un gusto giusto
dell’educazione fisica 275 se non /ne o delicato. Il gusto da
coltivarsi sarà prima quello dei sensi, degli ocelli specialmente,
e infine quello delle idee. Vi debbono essere norme per tutto
ciò che pu^ coltivare l’intelletto. È anche utilissimo di astrarle,
affinchè l’intelletto non proceda in modo puramente meccanico, ma abbia
coscienza della regola che segue. Riesce ancora di grande utilità
l’esprimere le norme con una certa formula c tramandarle così alla
memoria. Se abbiamo in mente la regola e ne dimentichiamo l’uso, non si pena
molto a ritrovarla. E qui si domanda : Convicn principiare dallo
studio delle regole astratte, o le si devono apprendere dopo averne
fatto uso, oppure conviene far procedere i pad passo lo regole e il
rispettive uso? Quest ultimo è il solo partito conveniente : nell alito
caso l’uso rimane incertissimo finché non stame arrivai, alle
regole. Occorre altresì, ove s, presenti 1 occasione, ordinare per classi le
regole; e necessarieHuano unite fra loro. Dunque, sotto questo
diversa dalla cultura P^^'^^gna alcun che rxtrsrr--—
dello spirito. Essa e fisica ^ m ^ S a) Nella cultura/ ^ fano
gll 0 non ha bisogno tica c dalla disciplina c ‘ di conoscere alcuna
massima. È cultura passiva pel discepolo, che deve.seguire l’altrui
direzione. Altri pensano per lui. b) La cultura morali si
fonda sulle massime, e non sulla disciplina. Tutto e perduto, quando
la si voglia fondare sull'esempio, sulle minacce, sulla punizione,
e via dicendo. Sarebbe allora una pura disciplina. Bisogna fare in modo
che l’allievo operi bene secondo le proprie sue massime e non p#r abitudine,
e che non faccia solamente il bene, ma che lo faccia perchè è bene in sè.
Imperocché tutto il valore morale delle azioni risiede nelle massime
del bene. Tra l’educazione fisica e l’educazione morale corre
questo divario : la prima è passiva per 1 allievo, mentre la seconda è attiva.
Fa d’uopo ch’egli veda sempre il principio fondamentale dell’
azione e il vincolo che la rannoda all’ idea del dovere. 2°
Cxiltura particolare dello facoltà dello spirito. Questa cultura risguarda
l’intelligenza, i sensi, la imaginazione, la memoria, l’attenzione e lo
spirito (Witz) come qualità peculiare. Abbiamo già parlato della
cultura dei sensi, per esempio della vista. I 11 quanto alla
immaginazione, devesinotare una cosa ed è, che i fanciulli son dotati di
una immaginazione potentissima, e però non ha bisogno d’ essere sviluppata
ed estesa con favole e novelle. Piuttosto dev'essere frenata e sottoposta a
regole, senza lasciarla però disoccupata del tutto. Le carte
geografiche sono una grande attrattiva per tutti i fanciulli, anche pei
bambini. Benché stan- dell’educazione fisica
217 chi d’ogni altro stadio, essi imparano ancora qualcosa per
mezzo delle carte. Questa pei fanciulli è una distrazione eccellente,
dove la immaginazione, senza divagar troppo, trova da fermarsi su
certe ligure. Onde si potrebbe far loro incominciare gli stu- dj
dalla Geografia, cui sarebbero unite figure di animali, di piante, eccetera,
destinate a vivificare la Geografia stessa. La Storia dovrebbe venire più
tardi. Riguardo all’attenzione, vuoisi notare ch’essaba
bisogno et d’essere fortificata in generale. Unire fortemente i nostri pensieri
ad un oggetto meglio che una prerogativa è una debolezza del nostro
senso interiore, il quale si mostra indocile in questo caso e non
si lascia applicare dove noi vogliamo. Nemica d'ogni educazione si c appunto
la distrazione. La memoria suppone l’attenzione. 2S. - Ora passiamo
alla cultura delle facoltà superiori dello spirito, che sono l’intelletto, il
giu mio « 1» ragione. Si può cominciare dal formare in quaò-
chemodo passivameli tel’iiitollotto, chiedendogli esernpj che
si applichino all. regola, o al centrano I. dinon "P 8tel °“°“
oltane certe cose che por ammencì senea capirle! E fi — ‘ PriMÌPÌÌ
- bisogna por lente ohe 9 «i si tratta d’una
ragione non ancora diretta o educata. Essa pei tanto non deve sempre
voler ragionare, ma badare di non ragionar troppo su quanto è superiore
alle nostre idee. Qui non si parla ancora della ragione speculativa,
ma della riflessione su ciò che avviene secondo la legge degli
effetti e delle cause. V’ha una ragione pratica sottoposta al suo impero
ed alla sua direzione. Il miglior modo di coltivare le facoltà dello
spirito consiste nel far da se tutto quello che si vuol fare; per
esempio, mettere in pratica la regola grammaticale che abbiamo imparata. Si
capisce segnata- mente una carta geografica, quando possiamo eseguirla da
noi. Il miglior mezzo di comprendere è quello di fare. Quello che
s’impara e si ritiene più stabilmente e meglio è appunto ciò che s’impara
in qualche maniera da noi stessi. Ma pochi sono gli uomini che
siano in grado di far da maestri a se medesimi. Questi chiamansi
grecamente autodida- scali (a, j~c5'.5icx“oi). Isella cultura
della ragione bisogna praticare il metodo di Socrate. Costui infatti, che
chiamava so stesso 1 ostetricante della intelligenza de’suoi
uditori, ne suoi dialoghi, conservatici in qualche maniera da
Platone, ci dà esempj del come si può guidare anco le persone d’età
matura a tirar fuori certe idee dalla loro propria ragione. Su molti
punti non ò necessario che i fanciulli esercitino la mente loro. Non
devono ragionare su tutto. Non hanno bisogno di conoscere le
ragioni di quanto può conferire alla loro educazione ; ma quando si tratta del
dovere, necessita dell’educazione fisica farne
loro conoscere i principj. Tuttavia si deve in generale fare in modo da
cavar da loro stessi le cognizioni razionali, piuttosto che
d’introdurvcle. Il metodo socratico dovrebbe servir di norma al metodo
catechetico. Esso è certamente un po'lungo ; e torna difficile il
condurlo in maniera tale da fare imparare agli altri qualcosa, mentre si
cavano le •cognizioni dalla mente d’uno. Il metodo meccanicamente
catechetico giova pure in molte scienze, come nell’insegnamento della
religione rivelata. Nella religione universale, al contrario, devesi praticale
il metodo socratico. Ma per tutto ciò che dev essere insegnato
storicamente, si raccomanda il metodo meccanicamente catechetico.
39. - Dobbiamo qui trattare anche la cultura del sentimento del piacere o
del castigo. Dev essere negativa; il sentimento non dev’essere
effeminato. La inclinazione alla effeminatezza c pei 1 uomo il più
funesto di tutti i mali della vita. Dunque preme sommamente d’avvezzare
per tempo i gio\ani a punto all’ altro, per cada loro
qualcosa di sinistro. Il padre, invece, che li sgrida, che li picchia
quando non sieno stati buoni, li conduce talvolta in campagna, e quivi li
lascia, correre, giuocare c divertirsi a loro posta, conforme alla loro
età. Si crede di esercitare la pazienza de’giovinetti facendo
loro attendere una cosa per lungo tempo. Il che non dovrebbe essere
punto necessario. Ma essi hanbisognodipazienza nellemalattio einaltre
contingenze della vita. Di due sorta è la pazienza: consiste o nel
rinunziare ad ogni speranza, o nel prendere nuovo coraggio. La prima non c
necessaria, quando si desideri unicamente il possibile; e si può aver sempre
la seconda, quando non altro si desideri che il giusto. Ma tanto funesto
è il perdere la speranza nelle malattie, quanto è favorevole il coraggio
al ristabilirsi della salute. Chi ò capace di mostrarne ancora nel
suo stato fisico o morale, non rinuncia alla speranza. Non
bisogna render più timidi i fanciulli. Que- sto accade principalmente
quando ci rivolgiamo ad essi con parole ingiuriose e quando si umiliano
spesso. Conviene pertanto biasimare quelle parole che molti genitori
indirizzano ai loro figli : Eh, non ti vergogni ! Non vedesi di che i
fanciulli potrebbero vergognarsi, quando, per esempio, mettono in
bocca il loro dito. Si può dir loro che ciò non sta bene, questo
non essendo l’uso: ma dobbiamo dir lo*' 0 che si vergognino solamente
quando mentono. La natura ha dato all’ uomo il rossore della
vergogna, perchè si palesi quand'egli mente. Se dunque i genitori
parlassero di vergogna ai loro figli solamente quando mentono, essi
conserverebbero fino alla morte questo rossore per la menzogna. Ma se li
facciamo arrossire di continuo, si darà loro una timidezza che non
li abbandonerà più. Come abbiamo detto qua sopra, non devesi piegare
la volontà dei fanciulli, ma dirigerla per modo- che ella sappia cedere
agli ostacoli naturali. Sulle prime il fanciullo deve obbedire
ciecamente. Non è conforme a natura eh’ egli comandi con le sue
grida, e che il forte obbedisca al debole. Dunque non va mai ceduto alle
grida dei fanciulli c dei bambini stessi, perchè ottengano così ciò che
vogliono. Qui i genitori per lo più &’ ingannano, e credono di poter
rimediare al male più tardi ricusando ai loro figli quanto dimandano. Ma
e assuido i negar loro senza ragiope quello eh’ essi' attenti on
dalla bontà dei genitori, coll’unico intento vogip ie du r T
ii"Tr::r la loro volontà ed i un trastullo
ordinariamente sino « o do Jn cui co _ pei genitori segna et ind
J enZ a reca loro minciano a parlare. L’opposizione
ai conoscere come debbono governarsi. — Importante la regola da
praticarsi coi bambini è questa : andare a soccorrerli quando gridano e
si teme che non accada loro qualche male, ma lasciarli gridare
quando lo fanno per cattivo umore. E una somigliante condotta bisogna
costantemente tenere più tardi. La resistenza che in questo caso trova il
bambino è affatto naturale e propriamente negativa poiché rifiuta
semplicemente di cedere a lui. Molti figliuoli, invece, ottengono dai
loro genitori quello che desiderano, mercé le preghiere. Ove si lasci
ottenere loro ogni cosa con le grida, essi divengono cattivi ; ma
se ottengono tutto con le preghiere, diventano dolci. Bisogna dunque
cedere alla preghiera del fanciullo, salvo che non ci sia qualche potente
ragione in conti ario. Ma quando ci siano queste ragioni per non
cedere, non bisogna lasciarsi più commuovere da molte preghiere. Ogni
rifiuto dev’essere irrevocabile. Ecco un mezzo certo per non ripetere
così di frequente il rifiuto. Supponete che vi sia nel
fanciullo (cosa da potei si ammettere assai di rado) una tendenza
naturale alla indocilità; il miglior partito si è, quando egli non
faccia niente per rendersi a noi piacevole, di non fai niente per lui. —
Piegando la sua volontà, t, ispiriamo sentimenti servili ; la resistenza
naturale, al contrario, genera la docilità. 40. La cultuì a morale
vuoisi fondare su certe massime, non sulla disciplina. Questa impedisce
i - 5 1 ucllc formano la maniera di pensare. Bisogna fare in modo
che il fanciullo si avvezzi ad operare secondo le massime, e non secondo
certi motivi. La disciplina non genera che gli abiti, i quali
svaniscono con gli anni. Necessita che il fanciullo impari ad operare secondo
certe massime, di cui veda egli stesso la convenienza. Non occorre
dimostrare come sia difficile di ottenere questo dai bambini, e come la
cultura morale richieda molte cognizioni da parte dei genitori e dei
maestri. Quando un fanciullo mente, per esempio, non si deve
punire, ma trattarlo con disprezzo, dirgli che in avvenire non gli
crederemo più, e somi glianti. Ma se lo castighiamo quando fa male, e
Io ricompensiamo quando fa bene, egli a b° ia a * bene per essere
ben trattato ; e quanc o piu a entrerà nel mondo dove le cose procedono
altnmcn >, dove cioè egli può fare il bene ed il male senza
riceverne ricompensa o castigo, non penserà mezzi per conseguire il suo
fine, e sarà buono o cattivo secondo 1’ utile proprio. Le massime
della coadotta amaca vanno "tesante dall' nomo stesso. Dcvcsi ceicaic
p d'inculcare ai fanciulli, mediante 1.• l'idea di ciò che ò
bene o male. S.^-^ dare la moralità, non bisogna punire. ^ '
è qualcosa di così santo c sn ^appari colla abbassare a questo
P»"‘° ° |M „1 C deb- disciplina. I primi sfora' ., qualo
consiste buco tendere a fermare .1^ • ’ imc . Queste
nell’abito d’operare secondo cerio dapprima sono le massime della
scuola e poi quelle dell' umanità. Sul principio il fanciullo obbedisce
a certe leggi. Anche le massime sono leggi, ma personali o soggettive,
perchè derivano dall’ intelligenza stessa dell’uomo. Niuna trasgressione
alla legge della scuola deve restare impunita, ma la pena vuol essere
sempre proporzionata alla colpa. Quando si vuol formare il
carattere dei fanciulli preme assai di mostrar loro in tutte le cose un
certo disegno, certe leggi, che essi ponno seguire fedelmente. Quindi, a
ino’ d’esempio, si stabilisce loro un tempo per dormire, per lavorare,
per ricrearsi; questo tempo, stabilito che sia, non devesi più nè
allungare nè abbreviare. Nelle cose indifferenti si può lasciare
l’elezione ai fanciulli, a patto bensì che poi osservino sempre la legge
che han fatto a sè stessi. — Non bisogna tentare, per altro, di dare a un
fanciullo il ca- ìatteie di un cittadino, ma-quello di un
fanciullo. Gli uomini che non si sono proposti certe regole
non potrebbero inspirare molta fiducia; spesso ci accade di non poterli
comprendere, nè mai sappiamo da qual verso conviene pigliarli. Vero è che
non di rado si biasima la gente che opera sempre secondo certe i
e^olc, come un tale che ha sempre un'ora cd un tempo stabilito per ogni
azione ; ma sovente questo biasimo è ingiusto, e quella regolarità è una
favorevole disposizione al carattere, benché sembri una tortura.
Elemento essenziale del carattere d’un fanciullo, e segnatamente
d'uno scolare, è soprattutto l'obbe- dell’educazione fisica
285 dienza. Questa è di due sorte: prima, un’obbedienza alla
volontà assoluta di cbi dirige -, seconda, un’obbedienza ad una volontà
riguardata coma ragionevole c buona. L’obbedienza può venire dal
costringimento, dall'autorità, e allora è assoluta ; o dalla fiducia, c
in questo caso è volontaria. Importantissima è la seconda-, ma anche la
prima è assolutamente necessaria, perchè questa prepara il fanciullo al
rispetto delle leggi che dovrà più tardi osservare come cittadino,
quand’anche non gli andassero a genio. Si deve dunque sottoporre i
fanciulli ad una certa legge di necessità. Ma questa legge,
dev’essere universale, e bisogna averla sempre dinanzi al a mente
nello scuole. Il maestro non devo mostrare alcuna predilezione, alcuna
preferenza pei un a ° cl tra molti : chè diversamente la legge
cessele universale. Quando il tannilo vedo> d». tu», gli
alivi non sono sottoposti alla medesima legge nomo lui, diviene
ostinato. presentata in Si dico sempre che ogni cosa P . clin£lzion
e. modo tale ai fanciulli che la faccl ‘™ P ma pareC chic Il che in
molti casi è c J 0 dove ri. E ciò cose vogliono esser loio p .
tutta la vita, in progresso tornerà loro ^ funz ioni unite
Imperocché nei servizj p u > ^ solo pu ò alle cariche, ed
in molti a Ove supponessimo guidarci c non la indinone. ^ sare
bbe che il fanciullo non compien . c d ’ a ltra parte
sempre meglio di forniig ienC f - u ii 0 quantunque egli sa che ha
doveri come veda più difficilmente d’averne come uomo. Se comprendesse
ancor questo, il che solo con gli anni è possibile, l'obbedienza sarebbe
ancor più perfetta. Ogni violazione d’un ordine pel fanciullo è
un mancare di obbedienza, che porta seco una punizione. Ma non è inutile
di punire anche una semplice negligenza. La pena è fisica o morale.
La pena è morale quando si attutisce la nostra inclinazione ad
essere onorati cd amati, due aiuti, della moralità, come quando si umilia,
o si accoglie freddamente il fanciullo. Tale inclinazione
dev’essere, finche si può, conservata. Ora questa sorta di pena è
la migliore, perchè aiuta la moralità; per esempio, se un fanciullo
ménte, castigo sufficiente ed il migliore per lui è un’occhiata di
disprezzo. La pena fisica consiste o nel ricusai’e al fanciullo ciò
che desidera, o nell’infliggergli una certa punizione. La prima sorta di
pena si avvicina a quella morale, ed è negativa. Le altre pene
vanno adoperate con precauzione, affinchè non generino disposizioni
servili (indoles servilis). Non conviene dar ricompense ai fanciulli,
perchè ciò li rende intei essati e genera in essi disposizioni mercenarie
(indoles mercenaria). Inoltre. 1 obbedienza risguarda ora il
fanciullo, 01 a il giovinetto. Il mancare d’obbedienza deve sempio
avere la sua pena. Questa punizione, che si merita l’uomo per la sua
condotta, o è affatto naturale, come sarebbe la malattia che si
procura il fanciullo quando mangia troppo ; e questa specie
dall’educazione fisica 287 di pena è la migliore, perchè
l’uomo la subisce non solamente nella infanzia, ma per tutta la vita.
0 la pena è artificiale. Il bisogno di essere stimati ed amati è un
espediente sicuro per rendere i castighi durabili. Le pone fisiche vanno
adoperate solo come rimedio alla insufficienza delle pene morali.
Quando il castigo morale non ha più efficacia e si ricorre alla
pena fisica, bisogna rinunziare per sempre a formare con questo mezzo un
buon carattere. Ma sulle prime la pena fisica serve a riparare la man
canza di riflessione nel fanciullo. Non approdano i castighi
inflitti con segni manifesti di collera. I fanciulli non vi scorgono
allora che gli effetti della passione altrui, e considerano sè
stessi come vittime di questa passione. In o ene rale, bisogna fare in
modo che i fanciulli stessi ve dano come il fine vero e ultimo delle pepe
inflitte sia il loro miglioramento. È assurdo pietendere c e :
fanciullo da voi punito vi renda grazie, ^i ac mani, e via dicendo -,
sarebbe un volerne ai schiavo. Quando le pene fisiche sono c i lC
fl ripetute, formano caratteri ‘“Egoismo quando i genitori
puniscono 1 fig P . „ Lo, non fanno cberonderlUncorapmcgo ^«n
sono sempre i pm cattivi qrxo facilmcntc intrattabili, ma
questi spesso * con le buone maniere. i nuella
L'obbodionna de, giovinetto o -ve- del fanciullo, e sta nel
sottomette- », v dovere, l'aro una eosa per dovere
eqn.vale bedirc la ragione. Parlar di dovere ai fanciulli è fiato
sprecato; essi alla fin fine concepiscono il dovere come una cosa da
farsi sotto pena di essere fiustati. Unicamente dai suoi istinti potrebbe
esser guidato il fanciullo ; ma, quando cresce, gli necessita 1 idea
del dovere. Parimente, non dcvesi cercare di mettere innanzi ai
fanciulli il sentimento della vergogua, ma riserbarlo alla età giovanile.
.Difatti non può aversi tal sentimento se prima non siasi radicata la nozione
dell’onore. Una seconda qualità, cui bisogna soprattutto mirare
nella formazione del carattere del fanciullo, è la veracità. Questo
infatti è il tratto principale e l’attributo essenziale del carattere. Un
uomo che mónte non ha carattere, c 6e v’ha in lui qualcosa di buono lo deve al
suo temperamento. Molti fanciulli hanno una tendenza alla menzogna, che
spesso deriva unicamente da una talquale vivacità d’immaginazione. Ù
dovere dei padri segnatamente di badare che i figli non contraggano
questo abito, poiché le madri non vi annettono per ordinario che niuna o
poca importanza ; se pure esse non vi trovino una prova lusinghiera delle
attitudini e dello capacità superiori dei loro figli. Qui torna opportuno
di ricorrere al sentimento della vergogna, poiché il fanciullo in questo
caso lo comprende benissimo. In noi si manifesta il rossore della
vergogna quando mentiamo, ma questa non ò sempre una prova di aver mentito o
di mentire. Sovente arrossiamo della impudenza onde altri ci accusa
d’una colpa. Non devesi cercare a ve- mn costo di trai’ di bocca ai
fanciulli la verità per via di punizioni, avesse pure a cagionare
qualche danno la loro menzogna : e’saranno allora puniti per questo
danno. La sola pena che ai mendaci convenga è la perdita della
stima. Possiamo dividere le pene ancora in negative o in
positive. Le negative si applicherebbero alla infin- gardia, o alla
mancanza di moralità o almeno di gentilezza, come la menzogna, il dispetto di
cortesia, la insocialità. Le pene positive sono riservate alla malvagità.
Preme sommamente di non tener rancoio verso i fanciulli. Una
terza qualità del carattere del fanciullo c la socialità. Egli deve pur
conservare con gli altri relazioni di amicizia, e non vivere sempre c
tutto per sè. Parecchi maestri, c vero, sono contrarj a
questa idea; ma è ingiustissimo. I fanciulli debbono cosi
prepararsi al più dolce di tutti i piaceri della vita. 2 dovesse oggi pagare il suo
creditore, « T\ Itf “suo creditore, farebbe cosa gia-
occorre sia libeio eia 0 meritoria ■ ma pa- correndo un
povero foJ. mi0 . Si domando- “n'oTtro se l’a necessiti. ' pud
giustificare la tÌloX 'Sdì certo I non si potrebbe concep.re un solo
caso in cui potesse ciò scusarsi, almeno davanti ai fanciulli; clic
altrimenti essi piglierebbero la più lieve cosa por una necessità e si
permetterebbero spesso di mentire. Se ci fosso un libro di questo genere,
gli si potrebbe consacrare con grande utilità un’ora ogni di, per
insegnare ai fanciulli a conoscere ed a pigliare a cuore i diritti degli
uomini, che sono ' eccitamento posto da Dio sulla terra. In
rispetto all’obbligo di essere benefici, questo ò un dovere imperfetto.
Occorre meno affievolire che eccitare l’animo dei fanciulli per renderlo
sensibile alle sventure altrui. Che il fanciullo sia tutto penetrato non
dal sentimento, ma dall’idea del dovere! Molte persone son divenute
realmente dure di cuore perchè, altre volte essendosi mostrate
compassione- voli, furono di sovente tratto in inganno. E inutile
di voler far sentire a un fanciullo il lato meritorio delle azioni.
I preti commettono assai volte l’errore di presentare gli atti di beneficenza
come qualcosa di meritorio. Anche senza riflettere che, agli occhi
di Dio, non possiamo far mai che il nostro dovere, si può dire che
adempiamo semplicemente 1’ obbligo nostro beneficando i poveri. Difatti,
la disuguaglianza del benessere tra gli uomini deriva da mere condizioni
accidentali. Dunque, se posseggo beni di fortuna li debbo a quelle circostanze
che han favorito me o chi mi ha preceduto, c però devo pensaro anco
alla società di cui sono membro. Si eccita l’invidia in un
fanciullo avvezzandolo a stimare sè stesso giusta il valore degli altri.
Deve, al contrario, stimar se giusta le ideo della sua ragiono. Cosi
l’umiltà vera e propria è un confronto del nostro valore colla perfezione
morale, La religione cristiana, per esempio, comandando agli uomini di
paragonar sò medesimi al modello sovrano della perfezione, li rendo umili
piuttosto che insegnar loro la umiltà. Far consistere l'umiltà nello
stimar se meno degli altri c assurdo. — Vedi come questo o quel fanciullo
si porta bene! e somiglianti espressioni. Parlar così ai fanciulli non c
certo il modo d’inspirar loro nobili sentimenti. Quando l’uomo stima sè,
giusta il valore degli altri, cerca o di elevarsi sopra loro, o di
abbassarli. Il secondo caso c proprio dell' invidia. Allora non si pensa
che a trovar difetti negli altri-, solo a questa condizione si reggo al
confronto, c si riesce superiori. Lo spirito di emulazione
applicato non bene produce l’invidia. Quando volessimo persuadere alcuno
che una cosa 6 fattibile, qui l’emulazione potrebbe giovare : come, puta caso,
quan o esigo da un fanciullo un certo compito e gli mostro
che altri han potuto farlo. A un fanciullo non va permesso di
umiliare gli nitri in qualsiasi modo. Conviene ndoprarsi a soffocare
ogni superbia fondata sui vantaggi na. Ma bisogno fondare m pari tempo a
^ cioè una modesta fiducia in tó “f*'” 0 .
r",:^rro g auro,obestane, non curarsi affatto dc’giudizj
altrui. Tatti i desiderj umani sono o formali (libertà c potere), o
materiali (relativi ad un oggetto,) cioè desiderj d’opinione o di piacere
-, o, lilialmente, riguardano la semplice durata di queste due cose, come
clementi della felicita. Son desiderj della prima specie quelli
degli onori, del potere e delle ricchezze. Appartengono alla seconda
specie i desiderj del piacere sessuale (voluttà), delle cose (benessere
materiale) c della società (conversazione). Sono, infine, desiderj della terza
specie l’amore della vita, della salute, delle comodità (il
desiderio d’essere scevro di cure nell’avvenire). I vizj sono
quelli o di malignità, o di bassezza, o di grettezza d’animo. Alla prima specie
appartengono la invidia, la ingratitudine e la gioia per la sventura
altrui -, alla seconda, la ingiustizia, la infedeltà (falsità), il
disordine, vuoi nel dissipare le proprie sostanze, vuoi nel rovinarsi la
salute (intemperanza) e la propria reputazione ; alla terza specie, la
durezza di cuore, l'avarizia c la infingardi (effeminatezza).
Le virtù sono o di puro merito, o di obbligò' sione stretta, o d
'innocenza. La prima classe comprende la magnanimità (che consiste nel domare
se stesso, vuoi nella collera, vuoi nell’amore del benessere materiale e
delle ricchezze), la beneficenza, il dominio sopra sè stesso. Spettauo
alla seconda classe l’onestà, la decenza e la dolcezza’, alla terza
infino, la buona fede, la modestia e la temperanza. Si
domanda : l’uomo è moralmente buono o cattivo per sua natura ? Io rispondo :
egli non è moralmente buono nò cattivo, perchè non ò un essere morale per
natura ; ©'diviene morale quando innalza la sua ragione fino alle idee
del dovere e della legge. Si può dir tuttavia che l’uomo racchiudo in sè
tendenze originario per tutti i vizj, avendo inclinazioni ed
istinti che lo spingono da una parte, mentre la sua ragione l’attira
dalla parte opposta. Egli dunque potrebbe divenire moralmente buono solo
in grazia della virtù, ossia d’una forza esercitata sopra se
stesso, quantunque possa rimanere innocente finche non si destano
le suo passioni. La maggio.' parte dei vizj dorivano dallo
stato di civiltà quando fa violenza alla natura; c c.ò nond.- meno
la nostra destinazione corno uomini « 4. usci dal puro stato di natura
dove non cor» d.fle.on» tra noi o gli animali bruti. L'arto perfetta
..teina alla natura. p .i Nell’ educazione tutto
dipendo, a . ‘ g[ ò: si stabiliscano dovunque buoni P ri “ W
facciano comprender bene od Questi debbono imparare a sos . uue U
d.o 1 ..cedi tutto surdo ; il timore dclh P P stima di
sò degli «“ ini istori.™ JPepini». *«™i; medesimi o la
le c la condotta a. il pregio ìntrinseo a, sentimento ; una
moti del cuore, l inre “ *» devozione mesta, pietà serena odi
animo boto a una de cupa e selvaggia- Ma bisogna anzitutto
preservare i giovani dal pericolo di stimar troppo i meriti della fortuna
( merita fortunaà). 43. - Se togliamo ad esame l’educazione
dei fanciulli nella sua attinenza colla Religione, la prima
questione da risolvere c questa : Si può inculcare per tempo ai fanciulli
idee religioso? Ecco un punto di Pedagogia sul quale si è molto
disputato. Le idee religiose suppongono sempre qualche Teologia.
Ora, come insegnare una Teologia alla prima gioventù, che non
conosce ancora il mondo, c neppure se stessa ? I fanciulli, che non hanno
ancora la nozione del dovere, come potrebbero capire un dovere immediato
verso Lio ? Ciò che v’ ha di certo si è, che se potesse avvenire che i
fanciulli non fossero mai presenti ad alcun atto di venerazione
verso 1 Ente supremo, e non udissero mai pronunziare il nome di
Dio, sarebbe allora conforme all’ ordine delle cose d attirare prima la
loro attenzione sulle cause finali e su quanto si addice all’ uomo,
di esercitarvi il loro giudizio, d’istruirli sull’ordine e sulla
bellezza de’ fini della natura, di aggiungervi poi una cognizione più
estesa e perfetta del sistema dell universo, e di venir così alla idea d’
un Ente upiemo, d un Legislatore. Ma siccome ciò non e possibile
nello stato presente della società, come non 1 o \ietaisi che i fanciulli
non odano pronunziare i nome di Dio e non siano presenti ad atti di
de- ìonc veiso di Imi, se volessimo attendere per insegnar loro
qualcosa intorno a Dio, ne deriverebbe
dell’educazione PRATICA nel loro animo o una grande indifferenza per la
divinità, o una idea falsa, come il timore della potenza divina. Ora, poiché
bisogna evitare che questa idea metta radice nella immaginazione dei
fanciulli, devesi cercare per tempo d’inculcar loro idee religiose. Il
che, per altro, non vuol essere un mero esercizio di memoria, nè una pura
imitazione affettata, ma devesi al contrario seguir sempre a via
naturale. I fanciulli, pur non avendo ancora 1 idea astratta del dovevo,
dcll'obbligazione, della condotta buona o cattiva, capiranno esservi una
leggo del dovere, o ch'cssa non consisto noi piacere, nell
ut.le o in altri simili considerazioni elle la ma in qualcosa
di generalo che non s. fonda sm • capriccj umani. Bensì il maestro
medesimo d toi p q r;sit;e tutto riferire a Dio nella indura,
e attribuire ancor questa a Lui. lei ]a mostrerà in primo por
Lequilibrio loro, ma ind^rcttameute^ancbe^per 1’ uomo affinchè
possa rendersi felice. fin a* principio un’idea La miglior via pe m
.. a o- 0 nare per ana- chiara di Dio sarcb c que^ ^ m paJre 0,
ie logia il concetto di . cosi fclieemento abbia cura
di no,1““^ onere nn,ano corno nna a concepire 1 unita
sola famiglia., Tfeliffione ? La re- ° b °’ aÌ
"T;Sr^2ei, inquanto ligione è la legge che risied riceve
da un legislatore c da un giudice l'autorità che ha su noi ; è la morale
applicata alla cognizione di Dio. Se la religione non si unisce alla
inorale, essa altro non è che una maniera di sollecitare il favore
celeste. 1 cantici, lo preghiere, il frequentare lo chiese, tutto ciò
deve servire unicamente a dare all' uomo nuove forze ed un nuovo coraggio
per diventare migliore ; altro non deve essere che la pura espressione di
un cuore animato dall’ idea del dovere ; tutto ciò c preparazione al bene, ina
non costituisce il bene in se. Non possiamo piacere all’Ente supremo se
non diventando migliori. Ai fanciulli conviene anzitutto insegnare
la legge che hanno entro di loro. L’uomo ò dispregevole agli stessi
occhi suoi quando cade nel vizio. Questo disprezzo ha la sua ragione in
sò, e non già nella considerazione che Dio ha proibito il male ] imperocché
non è necessario che ogni legislatore sia nel tempo stesso autore della
legge. Così un principe può vietare il furto ne’ suoi Stati, e nondimeno
egli potrebbe non essere 1’ autore della proibizione del furto.
Quindi 1 uomo riconosce che la sua buona condotta può solo renderlo degno
della felicità. La legge divina deve nel tempo stesso apparire come
una legge naturale, poiché non c arbitraria. La religione rientra dunque nella
moralità. Ha non bisogna cominciare dalla Teologia. La
religione elio sia fondata semplicemente sulla Teologia, non può contenere
alcun che di morale. Essa non ispirerà altri sentimenti clic il timore da
una dell’educazione pratica 30S parto e la
speranza del premio dall'altra ; e quindi produrrà un culto superstizioso. La
Morale deve pertanto venir prima della Teologia. E così abbiamo la
Religione. Dimandasi coscienza la legge considerata in noi.
La coscienza è veramente 1’ applicazione dello nostre azioni a questa
legge. I rimorsi della coscienza resteranno inefficaci, ove non li
consideriamo come rappresentanti di Dio, il cui trono sublime è fuori c
sopra di noi, ma che ha pure stabilito in noi un tii- bunale. D’ altra
parte, quando la religione non è accompagnata dalla coscienza morale
resta inefficace. La religione senza la coscienza morale, come abbiamo
detto, è un culto superstizioso. Si pretende servire Dio con lodarlo, per
esempio, col celebrarne la potenza e la sapienza, senza curarsi di
osservare lo leggi divine, senza neppur conoscere e studiare a
sapienza e potenza di Lui. Taluni cercano in quelle lodi una sorta di
narcotico per la loro coscienza, o una sorta di cuscino sul quale
sperano riposare tran- non * i» g-* «.-*» lo idee religiose,
me posiamo tuttavia loro alcune ; queste bensì debbono essere
piuttosto negative efaL positive. È inutile d. ar re tare ^ mole ai
fanciulli 1 questo non pub dar loro eh u idea falsa della pietà. La
vera sta nell'opera,-e secondo 1» volontà d Ln. . e massimale
si devo i^— terossc loro ed anche nosti, I ^ nome di Dio non
sia profanato così spesso. Invocarlo nei desiderj e negli augurj, sia
pure con intendimento pietoso, è una vera profanazione. Ogni qualvolta gli
uomini pronunziano il nome Dio, e’ dovrebbero essere tutti compresi di rispetto
; dovrebbero pertanto farne uso di rado e mai leggermente. Il
fanciullo deve imparare a riverire Dio, prima come signore della sua vita
e dell'universo, poi come protettore o provvidente deH’uomo, e finalmente
come suo giudice. Dicesi che Newton si raccogliesse uu momento ogni
qualvolta pronunziava il nomo di Dio. Unendo e rendendo ciliare
nella mente del fanciullo ad un tempo le nozioni di Dio c del dovere,
gl’insegniamo a rispettar meglio le cure provvidenziali di Dio verso le sue
creature, e lo preserviamo dalla tendenza alla distruzione ed alla crudeltà,
che in tanti modi si compiace di tormentare i piccoli animali. Si
dovrebbe nello stesso tempo istruire la gioventù a scoprire il bene nel
male, mostrandole, per esempio, modelli di nettezza e di operosità
negli animali di rapina e negli insetti. Essi fan ricordare agli uomini
cattivi il rispetto della legge. Gli uccelli che danno la caccia ai
vermi, sono i difensori de’giardini ; c così prosegui.
Bisogna pertanto inculcare ai fanciulli certe nozioni intorno
all’Ente supremo, affinchè quand/cssi vedono gli altri pregare, sappiano
a chi o perchè si fanno quelle preghiere. Ma poche hanno da essere
tali nozioni e, come dicemmo qui sopra, puramente negative. Devesi
cominciare ad imprimerle fin dalla dell’educazione pratica
301 prima età neH’animo dei fanciulli, ma insieme badare
ch’essi non istimino gli uomini secondo la pratica della rispettiva
religione ; imperocché, nonostante la diversità dei culti religiosi,
trovasi dovunque unità di Religione. 44. - Aggiungeremo, per
concludere, alcune osservazioni, rivolte particolarmente ai fanciulli
che entrano nellagiovinezza.Aquest’età il giovinetto principia a fare
certe distinzioni che non faceva prima. Viene ili luogo la differenza dei
sessi. La natura ha in qualche modo gettato là sopra il velo
del segreto, come se la ci fosse qualcosa di meno decente per
l’uomo e che per lui fosse un mero bisogno della vita animale. Essa ha
cercato d unirlo con ogni sorta di moralità possibile. Gli stessi popoli
selvaggi conservano su questo punto una specie di pudore e di
ritegno. I fanciulli curiosi fanno talvolta certe dimando su questa materia
alle porsone adulte, per esempio : Donde nascono i bambini ? Ma possiamo
contentarli facilmente o dando risposte insignificanti, o dicendo loro
che ia dimanda è propi io da barn ini Meccanico è lo svolgimento di
questo tendenze nel giovinetto; e, come in tutti gl'istinti che si dispiegano
in lui, non ha bisoguo di conoscerne prime^ oggetto- È dunque impossibile di
mantener qui, g panetto nella ignoranza e nella innocenza o i compagna.
Il silenzio non fa che aggravalo li male; Dna prova ci è
fomitadall'edncaz.ono dei noeta “ 0 nati. Secondo l'educazione dell'età
nostra* giustamente che di queste cose bisogna pollare «, vinetto
senz’ambagi, in modo chiaro o preciso. Per fermo si tocca un tasto
delicato, poiché non so ne fa volentieri soggetto di conversazione
pubblica. Ma tutto sarà ben fatto se gli parliamo di ciò in modo
serio e conveniente, e se penetriamo nelle sue inclinazioni. L’età
dei 13 o dei 14 anni è e quella ordinariamente in cui la tendenza per il sesso
dispiegasi ne' giovinetti (se avviene prima, vuol dire che i
fanciulli sono stati corrotti e perduti da cattivi escm- pj). A quell’età
il giudizio loro si ò già formato, c la natura l’ba provvidamente
preparato affinchè possiamo allora discorrere di tal oggetto con essi.
Non v’ò cosa che tanto fiacchi lo spirito e il corpo quanto la specie di
voluttà che l’uomo consuma sopra sè stesso ; non occorre diro ch'essa è
contraria alla natura umana. E quindi non si deve più tener celata
al giovinetto. Bisogna mostrargliela in tutto l’orrore suo, e dirgli elio
si rende cosi disadatto alla propagazione della specie, che rovina le sue
forze fisiche, che si prepara una vecchiaia precoce, che con - suma
il suo spirito, e va dicendo. Per fuggire le tentazioni di questo
genere bisogna stare occupati sempre e non concedere al letto ed al sonno
altre ore che le necessarie. A questo modo il giovinetto caccerà via
dalla mente i pensieri cattivi 5 poiché, sebbene l'oggetto esista nella
pura immaginazione, egli usa ancora la forza vitale. Quando la inclinazione si
porta sull’altro sesso, almeno s’incontra sempre qualche resistenza; ma
quando è rivolta sopra DELL’EDUCAZIONE l'UATlCA 309
l’individuo stesso, può ad ogui momento essere appagata. Rovinoso ò
l’effetto fisico’, ma le conseguenze morali sono ancor più funeste. Qui
si varcano i confini della natura, e la tendenza non è mai sazia, perchè
non trova mai alcuna soddisfazione reale. Rispetto ai giovani, alcuni
precettori han posto la qui- stione : Può ad un giovane permettersi di
formare unione con una persona di sesso diverso? Sebisognasse
scegliere uno di questi duo partiti, il secondo sarebbe certamente migliore.
Nel primo caso il giovane opere- rebbe contro natura -, ma nel secondo,
no. La natura ia destinato a diventare uomo, e quindi anche a propagare
la specie umana, appena è in grado di proteg gere sè stesso; ma i
bisogni, a’quali deve necessariamente sottostare l’uomo nella società civile
non gli consentono di poter ancor» allevare .suor SgU. Qui pertanto
egli va contro l'ordine ernie. U n,^' partito pel giovane, e questo k per
In. «ohe u vere, sta nell'attenderc ohe sia in grado d uni...
regolarmente in matrimonio. P“ ra “ 0 ^ btl on mostrerà non solo
uomo dabbene, s. cittadino. tempo a dimostrare alla Il
giovine apprenda pe. ^mp ^ mMÌlMn0 donna tutto il rispetto c 0 ^ j,
epararsi così la stima con lodevole operosità, ed a piepa
all'onore d’nna ““ il gi»™* 110 ’ La seconda diff corainc ia
a porre e oramai ad entrare nel dei ceti e ladisu-
quella che risguarda la fanciullo, non guaglianza degli
uomini. Finche bisogna fargli notare questa differenza. Non gli si
deve permettere di comandare ai domestici. S’egli osserva che i suoi
genitori comandano ai domestici, gli si può sempre dire : Noi li
manteniamo, e però essi ci obbediscono. I fanciulli ignorano del tutto
questa differenza, se i genitori non ne porgono loro l’idea. Convien
dimostrare al giovinetto come la disuguaglianza degli uomini sia un ordine di
cose derivato dai vantaggj onde certi uomini hanno cercato di distinguersi
dagli altri. La coscienza dell’eguaglianza degli uomini, nonostante la
disuguaglianza civile, può essergli inspirata a poco a poco.
45. - Fa mestieri di avvezzare il giovine a stimar se giusta il proprio
valore, c non secondo il valore altrui. La stima degli altri, in tutto ciò clic
non costituisce affatto il valore dell’uomo, è vanità. Bisogna, inoltre,
insegnare al giovine a fare ogni cosa coscenziosamente, ed a porre ogni
cura non tanto di parere, quanto di essere. Avvezzatelo a far sì
che in ogni contingenza della vita, presa ch’egli abbia la sua
risoluzione, questa non resti vana ; meglio sarebbe di non venire in
alcuna deliberazione, e di lasciar sospesa la cosa. Insegnategli la
moderazione ne’suoi rapporti col mondo e la pazienza nel lavoro :
Sustine et abetine ; insegnategli la temperanza nc’ piaceri. Quando
l’uomo non desidera unicamente i piaceri, ma sa ancora essere paziente
nel lavoro, diviene un membro utile alla società e si preserva dalla
noia. Conviono pure istruire il giovine a mostrarsi DELL'EDUCAZIONE
1MIAT1CA festevole e di buon umore. La serenità dcH’anirao deriva
naturalmente dalla coscienza tranquilla. Raccomandatogli pertanto di conservare
lo stesso temperamento. Con l’esercizio egli può arrivare amo- ■ strarsi
sempre di buon umore in società. Abituatelo a considerare molto
cose come doveri. Un’azione dev'essere pregevole, non perche si accorda
colla mia inclinazione, ma perche nel farla io compio il mio
dovere. Bisogna educare il giovine all’amore verso gh altri c
poi a tutti i sentimenti verso l’umanità. Nell’animo nostro v’ha qualcosa che
vuole c'interessiamo di noi stessi, di coloro coi quali siamo cresciuti
non dio educati, o del bene universale. Va rose fam.liaro questo
interesse ai fanciulli perchè riscaldi le anime loro. Essi debbono gioire
del bene universale, quando anche non torni a vantaggio della patria o
d, ‘“ 0d Conviene abituarli ad nneordare una mediocre
stima al godimento de'piaoen ndln vi• • nirè i, timore
puerile Eseguire strare ai giovani che il P ia ciò ohe
promette. loro atten2 ;„ne Bisogna, per ultime, torma a „ U a
ii -i* ri! rpndorsi conto 0 o m o sulla necessita di rende
ine de n a vita pos- propria condotta, perdi • * acq ùistato.
sano stimare debitamen Chi esaminasse con occhio diligente, acuto
od imparziale tutte le cagioni e tutti gli umani individui che in un modo
o nell'altro concorrono al progresso ed al perfezionamento della specie
umana, vedrebbe che alla donna spetta non picciola parte di gloria
in questo progresso indefinito. Anzi tutte, come osservò uno storico
nostro contemporaneo, se 1 uomo incontra spesso la morte per la salvezza
della patria, la donna corre pericolo della vita ogni qualvolta mette
alla luce una creatura umana. Onde il Leopardi (Canto notturno di un
pastore errante del' l'Asia ) scriveva : Nasce l’uomo a
fatica, Ed è rischio di morte il nascimento. Dalla cuna
alla tomba, dalle più modeste cure della famiglia a'più alti e gloriosi
ufficj dello Stato, dai primi rudimenti del sapere e del viver civile
alle più nobili manifestazioni del pensiero ed al più squisito
incivilimento cui sieno pervenuti gli umani consorzj, nella prospera e
nell’avversa fortuna, in pace ccl in guerra, nelle arti, nelle scienze e
nelle lettere, in ogni tempo e presso le nazioni tutte, per via più
o meno diretta, in modo ora occulto ora palese, vi scorgi sempre l’opera
e l’efficacia della donna ne vaij- suoi ufficj di sorella, di figlia, di
amante, di sposa, di madre, di cittadina, di cultrice d’ogni arte liberale
od ispiratrice de’più nobili sentimenti, d’eroina del
dovcree,seoccorre,di martire del sacrifizio. Senza la donna, oltre non
potersi' conservare o perpetuare il genere umano, l’opera divina della
creazione non sarebbe stata compiuta, non avi ebbe avuto i più
bello e vero coronamento. IL Sollevata dal Creatore ad
un grado sì nobile, destinata a sì alto ufficio, la donna non fu m
» tempo c debitamente pregiata dagli uomini, n ellastessa o
non volle sempre corrispondere al a sua missione. Nel paganesimo essa o
fu tenu a s • j o fu considerata del tutto inferiore all’uomo e
qual mero strumento di voluttà. Pei atio un 8V0 iaero basso e
misero stato, se ufficio, tutte le sue facolta e compì umana
non mancò affatto nel progresso della -v ^ l’opera di lei,
giacché la natuia s . res trin- di quando in quando i calpes a i
invano prò- le donne si volevano appa ^ Qultara
in^ cacciavasi loro una buon tellettualc, chi nei più aspri
pericoli della patria, nelle arti e nelle lettere faccvasi tuttavia
sentire l’impulso animatore della donna greca. Infatti; dii non
ricorda come la giovinetta, la sposa e la madre inspirassero animo forte alla
greca gioventù, che prima della battaglia acconciavasi la bella persona,
quasi .traesse a convito e alla danza? Chi non ricorda come Socrate
rassomigliasse il suo modo di filosofare all’arte della madre sua Fenarete ?
Chi non ricorda le ispirazioni di un'Aspasia, c il valore poetio dell’infelice
Saffo, molti versi della quale possono reggerò al confronto di quelli più
affettuosi d’Anacreonte? E questi non imitò poi la fanciulla di Lesbo ? -
Invano l’antica lloma negava alla donna ogni personalità giu-
'ridica, che ivi pure non mancavano stupendi esempi di amor patrio c di
senno. Chi non ricorda infatti la pacò fra i Romani ed i Sabini,
stipulata (checche ne pensi la critica moderna) per int.crcessiono
delle rispettive donne? E, per tacere dello influsso della ninfa
Egeria su Nuraa Pompilio, la storia non ha essa glorificato l'eroismo di
Clelia ; le preghiere, ispirate da vivo amor patrio, della madre e della
sposa di Coriolano ; il sacrifizio di Virginia ; la rettitudine e
l’anuegazione delle madri dei Gracchi e degli Scipioui, esempio rinnovato
ai nostri giorni dall’eroica madre dei fratelli Cairoli ? L’opera della
donna non fu adunque del tutto manchevole od impotente nella
civiltà pagana, e presso le schiatte che abitavano al mezzodì c
all’occidente del mondo antico. Rinobilitata dal Cristianesimo e
tenuta in.maggiorc stima appo i vigorósi popoli del settentrione,
La clonna ; ritornò man mano signora di sò, fu proclamata degna o ■
inseparabile compagna dcH’uomo. Èssa allora comprese tutta la nobiltà
della sua natura, andò via via perfezionandosi, e cooperò
efficacemente a rialzare la stessa dignità umana, e a far
progredire la civiltà. Lasciati gli Dèi falsi c bugiardi, abbracciata la
religione di Cristo, la donna se uc fa la più valida sostenitrice c
propagatine©, come ci,testimonia la madre di Agostino il santo, la
imperatrice Eletta madre di Costantino; Teodolinda regina dei
Longobardi, c' molte altre rioordate dall’istoria. Nel medio evo i più
intrepidi c cortesi cavalieri cingono la spada-in difesa della donna e
della fede; un Abelardo,'famoso disputatore nelle più aride c nelle pm
alte questioni di filosofia e teologia in Paii D i ne colo XH, ò attratto
dalla bellezza c dall’ingegno d'Eloisa, nobile creatura (dico il
Cousin) che amo come santa Teresa e scrisse talvolta come eneca
" . donna ispira il canto dei trovatori, e porgo ra alle’
lingue romanze ; Beàtnce si 6 che sia stare l’ingegno più universal
l . a]la vissuto nei tempi di mezzo al Ugnato
Papato, lo richiama a a LA .MISSIONE DELLA DONNA suo vero
ufficio. Instigatrice a nobili imprese, la donna piglia non di rado la lira, ne
trae suoni armoniosi e delicati, come Gaspara Stampa, Veronica
Gambara e Vittoria Colonna. Altre maneggiano con onore il*
pennello, come SofonisbaAnqùisciola, Barbara Longhi e Teodora Danti,
pittrice c matematica insigne; e talune maneggiano perfinolo scalpello, come
a'dì nostri la ' egregia e valenteAmaliaDuprè. Moltissime
poiriesco- no eccellenti nella musica. Una Margherita illuminae
rende civile la Scozia ; più tardi Maria Teresa c Caterina II a governano
sapientemente due più temuti Imperi d’Europa. In tempi a noi più vicini
la signora di Stiicl predicava la Comunione intellettuale dei popoli;
Albertina-Necker scriveva di Pedagogia, ed in molte osservazioni sullo
sviluppo della intelligenza e degli affetti del bambino fu più
acuta di Emanuele Kant. La signora Swetchino, oriunda della Russia,
onorava gli uomini più illustri della Francia contemporanea e alla sua
volta era da essi meritamente onorata. In Ginevra tenne cattedra di
lettere italiane la nostra Caterina Ferrucci, e poi scriveva un insigne
trattato smW Educazione morale della donna italiana. Taccio poi
gl’illustri nomi dello signore De Spuches Galati, Milli, Fuii
Fusinato, Alinda Brunamonti ed altre, per ricordare quello della perugina
marchesa Florenzi, che a nostri giorni coltivò con onorato successo una
delle più difficili e la più universale delle discipline razionali, vo
dire la Filosofia. Ecco ricordati, in questi pochi csempj, i meriti
insigni del gentil sesso. NELLA SOCIETÀ ODIERNA ni
III. A questi meriti la donna moderna può e deve
aggiungerne degli altri, adempiendo sempre il suo nobile mandato,
perfezionando sè stessa, e cooperando efficacemente ai multiformi aspetti della
civiltà e dell’umano progresso. Poiché la uatura della donna non
cambia, e poiché dal Cristianesimo é stata sollevata al suo più alto c vero
grado, ella ha sempre c dovunque il medesimo fine da conseguire. Ma
m gran parte variano i modi per adempiere sì alta missione, secondo
che mutano le condizioni politiche, intellettuali e morali della società
in mezzo alla quale, vive la donna. Questa, inoltre, si é perfettibile e
non perfetta, né può sottrarsi, in mezzo agli sp e della civiltà
nostra, alle leggi che governano il graduato avanzamento del genere umano, osi,
po in oggi la donna ispirare animo al guerr.ero pei la stessa idea
e per le stesse cagioni onde Io ispira tempi di meco ? E le sole doti
mota!., da Ima conveniente cattura intellettuale sainbb no oggidì
sufficienti a .cadere, non diri. spettata la donna,
“‘.^““notanefieo o potente congiunture della vita tatto
influsso negli nomini «1» consistere il Vediamo, portante,
>n ‘ ^ nelIa 80 „ietà vero e compiuto ufficio d ^ ^ cavat teri
odierna, tenendo fermi da ™ giuste o essenziali, e dall’
altro tenendo con razionali esigenze dei nostii temp Nel suo librò
La dolina e là scienza -1' onorevole SalvatdreMorelliassegnavaun triplice
scopo alla donna, cioè di partorire 1’ uomo, di educarlo, di muoverlo
o dirigerlo al bene. E per l’illustre professore ginevrino, Ernesto
Naville, il véro ufficio della donna consiste in opere di educazione, di
pietà e di misericordia (Il Dovere: discorso alle signore di Ginevra c di
Losanna). E sta bene: ma noi'vogliaiio considerare la donna in modo più
esplicito c sotto qualche altro aspetto, vale a dire in tutte le sue più
affet- tuose e più solenni manifestazioni. Cominciamo a riguardare
la donna come sorella. Dopo il rispetto che il figlio deve ai
genitori, viene quello verso la sorella. Ah ! chi può mai comprendere
tutta la dolcezza e la soavità di questo meno ? I più gentili e nobili
sentimenti clic poi fanno caro e degno di stima 1-' uomo in società, egli
deve apprenderli ed esercitarli in famiglia e specie con le
sorelle. Queste, per ordinario pazienti, soavi, graziose, capaci di profondo c
puro affetto fraterno, destano rispetto ed amore, raddolciscono
l’animo, fanno più miti le correzioni dei genitori, formano a piu
bella e fida compagnia del fratello. Quando esse lasciano la casa c il nome
del padre per assii- meie quello d un altro uomo, o quando
inesorabile morte le rapisco anzi tempo, la casa paterna pare
cnenga un deserto. È la sorella Paolina che, nel primo caso, inspira al
Leopardi uno dei più belli suoi canti. È la buona Manétta Pellico che
rinunzia alle gioie torrone, si ritira in un chiostro e prega pel
fratello Silvio prigioniero allo Spielbergo; e quel- 1' atto magnanimo
ispira versi affettuosi all’ amico di lui, all’intrepido Maroncelli ! “
La sorella è all’uomo la prima compagna, la prima amica, quella che all’
uomo fa presentire le dolcezze innocenti del- 1’ amore di donna.
L'ineguaglianza degli anni e la severità de’ modi pone tra genitori e
figliuoli certa distanza che accresce 1 affetto vero rinforzandolo
co rispetto, ma clic richiede come a ristoro altri eser- cizj del
cuore. Col fratello ogni cosa comune: la memoria, le gioie, i patimenti, i
piccoli enoii.... n luoghi di pochi e poveri e sovente divisi,
abitanti la famiglia è patria e universo. La sorella in que ire
tenaci infonde qualche parola di amoie . lo sguardo, le lagrime di donna
ritemprano, per fiera che sia, la virile durezza, e a generosi a
spengono. Onde sorella è dolce e poetico nomerò di questo nome
si rapilo nel 1874 all'Italia, alle lettere, alla
V. a „ annsa la donna ha un Se poi diviene amante P
> opGr0 sità. più vasto campo dove eterei ai ^ . zi
È il- forte adopra o pensa. E voi specialmente, donne italiane,
abbiatevi: pure questo vanto, o sappiate ognor più meritarvelo : a
vostro senno molte fiate pensa ed opera il letterato, l’artista, l’uomo
di scienza, e talvolta anche l’uomo di Stato ! Per citarvi un solo
esempio, senza l’impulso, il conforto e l’approvazione di due egregie-
donne, la contessa Balbo e la siguora Pellico madre di Silvio, questi
avrebbe egli scritto e reso di pubblica ragiono Le mie Prigioni, libro che ha
fatto palpitare tanti cuori, che noi da giovinetti leggevamo
piangendo e fremendo, e che ha cooperato, più di molte battaglie, alla
libertà e indipendenza d'Italia?' Sicché la donna, oltre poter da so
coltivare non senza gloria lo lettere ed alcune razionali
discipline, e divenire eccellente nelle arti liberali, può c deve
inspirare il letterato c l'artista, animare lo scienziato, c può altresì
correggerlo quando certe suo- teorie pugnino con i più nobili sentimenti
dell’animo e col senso comune, che il più delle volte lasciando parlar la
natura, diceva il Mamiani, fa- la spia della verità. Infatti, se il
Rousseau avesse pensato a sua madre o se avesse potuto interrogarla,
avrebbe egli scritto quel terribile voto, che i figli non dovessero mai
conoscere i loro parenti ?' E se alcuni oggidì, oltre dover meglio badare
alla prova certa e compiuta dei fatti e alle sane regole «ella
logica, pensassero alla nobiltà dell’uomo e interrogassero il cuore profetico
della donna, verrebbero essi a certe conclusioni c teorie che proclamano non
punto dissimilo da quella dei bruti la discendenza di nostra progenie
? Quanto alle lettere, tanta c l’efficacia della donna, che se ad
una letteratura moderna rimangono estranee le donna, e’vuol dire eh’essa
non ha vita. l>en è vero che la donna, soggiungo quel dottissimo
ed acuto ingegno del Bonghi, devo entrare in una letteratura più come
direttrice clic come operaia 5 allora col suo criterio lino c giusto, con
quella sua delicata spontaneità di sentire, con quella sua attitudine
a scovrire le pieghe del cuore,.... con quel suo vivere nel presente,
colla sua inclinazione a non accontentarsi, secondo l’indole, se non o d
un pensiero ben circoscritto 0 d’un affetto infinito 0 col potere
tutto suo di sancire col sorriso e colla grazia il giudizio ch’esprime,
ha un influsso potente ed utile nella letteratura d’un popolo moderno. Oltre di
clic, per il suo posto nella fami glia e nella società, la donna è lo
-strnmen 0 pm adatto e più sicuro della diffusione della^ coltuia 0
por la natura dolio suo ocoupao.cn, P°^bbe fcr niro il maggior numero
do’lcttcr. d'un l.bro (R. Boa 6K iwS lu Matura italiana non *.***.•
in Italia. Lotterà prima). donna Dieeva egregia^ diretammt0
dello scoraggiamento. Infelice quell'uomo che, tutto assorto nelle
questioni politiche, non ha poi un conforto nel seno della famiglia ! E quanto
l’aspre e continue battaglie della politica .snervino l’uomo, noi
già lo vedemmo negli ultimi anni e nella fine del compianto deputato
Civinini: l’amorevoli curo della madre c il pensiero dei figli non furono
più capaci a salvarlo da morte immatura! Non vi dirò poi come gli
affetti domestici e la soavità della donna possano informare a pacatezza ed a
maggiore equità l’animo del legislatore e dell'uomo di Stato,
poiché la vita umana dev’essere, tutta un’armonia. Così una saggia
economia domestica ottenuta per cura della donna, può servire di norma,
fatte le debite pro- . P orz ‘oni, a chi deve amministrare il tesoro del
Comune, della Provincia, dello Stato. IX. Ove poi
consideriamo la donna come prima educati ice de figli, essa deve
infondere per tempo nell'animo del giovinetto non solo i precetti
morali, ma può eziandio, secondo l’opportunità, fargli conoscere alcuno
massime di prudenza e di saviezza politica. E non si creda che sia questo
un mero sogno, un vano parto della mia fantasia. No, era il Tommaseo
stesso che raccomandava d’iniziare per tempo, ilici cò 1 educazione, i
giovinetti alla conoscenza c ‘ a pratica di quelle norme che si
riferiscono al viver civile e politico. Mi sia concesso, pertanto,
di riferire 1’ autorevoli parole di quell’ uomo illustre, clic non
fa alieno dalla vita politica, ma che anzi ebbe tanta parte nel
risorgimento della nostra nazione. u Ed io tengo per vero (scriveva egli
nel trattato sulla Donna) che la politica nostra sia cosi piena di
miserie c di passioni e di pericoli, appunto porche troppo tarda
disciplina è a’figliuoli nostri; appunto perchè primi maestri di politica
sono ad essi le tragedie dell’Alfieri e i giornali di Francia ;
appunto perchè il nome di patria suona loro nella mente innanzi che nel
cuore, o suona come figura vettorica Sicché la donna può e deve
giovare all uomo in tutto, non pure nella scienza come abbiamo accennato,
ma talvolta anco nelle dispute filosofiche e religiose. Narra
inflitti S. Agostino che la madie, i lui entrò nella stanza dov’egli con
un amico ragionava di filosofia, c i dialoghi si scrivevano di mano in
mano : si scrissero anche lo d, lo. ; al le Monica mostrando di
mcrav.gliarsi, disse j ? esser olla sapiente: « E peschi, non saro o, *
jL italiane oggi non manca, salvo pocio ®° modo di apprendere
siffatta.educazionee^ ^ ^ Nò voglio dire con c i ueS \ ‘ Uo
occupazioni rinunziare, per lo studio, a fi ^ c j ob proprie
della sua indole, de ^Jdrc’di famiglia; s’addicono alla donna di ca, ‘ d
bban fare un nè presumo che le donne m K alunn i di corso di
studj, come viene pi dell’Università: u» Liceo, „ donna in
che allora tanto vaueb scenziato, in ingegnere, in avvocato,
in medico, letterato di professione. È noto che il Boccaccio
fu tra i primi col suo libro De clarìs mulieribus ad illustrare 1’
ingegno femminile. Più tardi, uno scrittore del Quattrocento volle
dimostrare la preminenza della donna in tutte le facoltà e in tutte le
doti, nell’intelletto, nella bellezza, nella nobiltà, nel conversare (Vedi E.
Magliani, Storia letteraria delle Donne italiane). Altri hanno
sentenziato, come Francesco Coccio nel libro sulla Nobiltà della Donna,
aver la donna sortito da natura, al pari dell’uomo, forte ragione, mente c
favella, e tendere ad uno stesso fine. Invece il Lamennais, il
Cousin ed altri negarono alla donna prerogative intellettuali. Noi certamente
non siamo dello stesso parere •, anzi manteniamo elio se qualcuna
di esse, fornita di non comune ingegno, avrà tempo agio e voglia di attendere a
studj speciali o di coltivare qualche parte nobilissima dell’umano
sapere, ciò non le sarà nè dovrebbe esserle vietato dagli uomini e dalla
società, vuoi per intolleranza, vuoi per invidia. E ne abbiamo prove
luminose nei due recenti Istituti superiori di Magistero femminile
in Roma e Firenze, dove si dà una istruzione quasi universitaria alla
donna e dove parecchie alunne hanno conseguito con felice successo il
diploma supcriore nelle discipline letterarie, storiche, morali e
pedagogiche. Ma io intendeva parlare di quella soda e retta cultura
intellettuale e morale, di cui oggi piu che mai abbisogna non pure la
giovinetta delle classi piivilegiatc dalla fortuna o di nobile linguaggio,
sì anche la donna del ceto medio o della bor- NELLA SOCIETÀ
ODIERNA 333 gbesia, salvo le debite differenze. E per
conseguire questo intento, basta che da un lato si riordini le
nostre scuole femminili, segnatamente le Scuole normali, che per cultura e nel
fine pedagogico sono inferiori a quelle tedesche; dall’altro, chela donna comprenda
meglio il suo ufficio, e quindi sprechi meno tempo e danari nelle mode
ricercate, nel lusso c in certe frivolezze che la fanno apparire
più/unwwioc ìe donna. In quanto all’istruzione media femminile, invece di
fare apprendere alle nostre giovinetteuu po di grammatica c di far loro
pronunziarealla meglio qual- che centinaio di vocaboli francesi ed
inglesi, tanto per mostrarsi dotte o brioso in alcune società, non
sarebbe più utile insegnare prima alle medesimo a parlare c scrivere
convenientemente Inaiano? invece di tenerle per lungo tempo rinchiuse
fra quattro mura d'un monastero o d'un Istitutoi no, sempre arioso
ed igienico e tenerlo occ*to per molto ore al pianoforte, ai ricami e a a
11 femminili, non sarebbe più vantaggioso cond I • respirare le
pure auro dell'aperta campagna del giardino, e cogliere il destro d'
insegnar 1™ ^giene menti di scienze fisiche d, stoua^na^^ Ma
domestica, e somiglian M dell’Istoria ritrarrebbe la donna
dal P ^jjjg, ariosamente antica e moderna, piuttos mani? di
leggere ogni — ignoro Io non nego la beata ‘ cs, ere coltivata;
ma che l’immaginazione pu p rome ssi Sposi, i buoni
romanzi, a comiuci si contano sulle dita, e l’immaginazione dev'
essere governata dalla ragione, come il cuore dev’essere illuminato dall’
intelletto. Or bene, dirò io alle donne italiane : Siete voi
disposte a rinunziare ad ogni frivolezza che vi renda meno perfette o
meno degne di stima ? Siete voi disposte ad arricchire, anche a patto di
qualche an- negazione, il vostro intelletto di sode ed utili cognU
zioni? In caso affermativo, come ne ho fiducia piena, voi mostrerete di
comprendere l’alto ufficio che vi spetta nella società odierna, potrete
compierlo degnamente, c sarete stimate dagli uomini probi ed .assennati 5
diversamente, oltre venir meno alla vostra missione, voi non otterrete
che il plauso dell’uomo fiivolo 0 dell idiota, e troverete chi v’aduli,
non mai chi vi stimi e vi ami d’un affetto sincero e duraturo. L qui voi
potreste accusarmi di troppa franchezza, non mai (lo spero) di poca lealtà e di
poco rispetto e interesse per la vostra dignità e pel vostro
avvenne. Ma questa è la sola ricompensa ch’io at- -tendo dalle gentili
mie legatrici c dal cortese lettore. XI. Un altro
dovere incombe oggi alla donna, se uo tutelare la propria dignità, se
vuol meglio garantire la sua indipendenza entro i confini del convenevole, se
ama di aver qualche parte nella pubica vita 0 di concorrere, al pari dell’uomo,
ad a ^ CLlnc ^ unz i°ni ' per esempio quelle del 1 ico
insegnamento, ed altre simili più confacenti alla natura di essa. Alla
donna insomma, a qualunque ceto appartenga, occorre una professione. Ed
invero, si trova ella in una condizione non pnnto o non molto
agiata ? E ragion vuole che provveda onestamente alla propria sussistenza. La
fortuna le concesse un avito censo ? Ma chi prevede tutti i casi
della vita ? E quindi è prudente consiglio apparecchiarsi per tempo*, onde la
comune sentenza: Impara l'arte a mettila da piarle. Nè alla donna agiata
e di non oscuro liguaggio mancheranno vie, secondo le sue
naturali tendenze, dove spiegare la sua attività : come le lingue,
la musica, le lettere, la pittura, 1 piu delicati c squisiti lavori
femminili ; non occorre poi dire che ogni specie di lavoro onesto ha la
sua no biltà, o almeno il suo pregio. • Quanto al
proprio stato, la donna s amaca a- ruomo par formare la famiglia? E m tal
caso eli davo concorrerà colla sua abilità, mossone quand, abbia suadenti
beni di fortuna, « rendere mano non gravi
residenze del matrimonio. 0 la donna, sia pei elezione
^ non vuole o non può 1. divenire sp0 sa assumere
quello d'un altro uomo 0 “™“ ?„ il 0 madre? E allora si fa “ >“
fa su» bisogno di provvedere on ' s ‘““°“ slrel, a da
necessitò sussistenza. 0, senza css i n _ economiche,
desidera di dipendente dall'uomo, e 1 P* ^ ? £, ori d on to
clic modo agli uffici dc ”“ moltOT i in grado di oc- in tal
caso la donna, cuparo degnamente quei tali uffici e però di
ap- parecchiarvisi con sufficiente istruzione, deve pur anco esser
capace di esercitarli con tutte quelle virtù che sono richieste dalla
vita civile e dalla natura stessa di quel dato ufficio. E qui pure giova
ricordare la grave autorità del Tommaseo, il quale, dopo aver
raccomandato che tutte le donne abbiano alle mani una professione che,
occorrendo, possa loro campare la vita, scrive queste formali parole : lt
A taluno dei più facili esercizj civili si addestrino ; e
affrettino il tempo quando la donna potrà vivere la vita indipendente
daU’uomo, potrà seco trattare da pari a pari, e per amore e per ragione e
per dovere gli cederà, non per legge iniqua o per necessità ferrea 5
quando in molte funzioni della privata e della pubblica vita la donna
potrà tenere le veci dell’uomo, ed essergli aiutatrice ed amica nel pieno
significato del nobilissimo nome ; quando il tempo di fare il bene
le mancherà, non le vie {La Donna). „ XII. E sia questa
e non altra, 0 Donne italiane, la vostra più alta e vera emancqyazìona.
Chi di voi andasse in cerca di altri privilegj, od agognasse uno
stato ben diverso da quello destinatovi dalla natura e nobilitato dal
Cristianesimo, e volesse di donna convertirsi in uomo, verrebbe meno alla
sua missione, snaturerebbe se stessa e comprometterebbe la sua dignità. E
quei pochi tra gli uomini che van predicando 1’ assoluta vostra
emancipazione o la vostra eguaglianza in tutto e per tutto coll' uomo, o
essi non hanno un giusto concetto della donna, o non sta loro a cuore la
dignità e il vero perfezionamento di lei. Quella donna, infatti,
che presumesse tener le veci dell uomo in ogni disciplina razionale, in
tutta l’interminabile scala degli ufficj civili e politici, e in ogni
pubblica rappresentanza, dovrebbe innanzi tutto abbandonare le pacate
care della famiglio, rinunziare ai più dolo, affetti di madre, e quindi
sottoporsi a lunghi e severi studj, temprare l'animo ed il gracile corpo
a duro fatiche, allo quotidiane ed aspro battaglie della pubblica
vita. Oh! se sapeste quanto ma, costone cari agli uomini-certi onori,
certi elog), «rie glorie non sempre durature; oc sapeste quanta
prudenze quanto sapere, quanti sacrifici, quanti trav gli t
chiedono certe incombenze onorevoli e - A » «J* della pubblica
vita, e qual cumulo 1 P, >1 .. nitro chi disconosca od ignori
seco ! Non v a, P c ’ yogtra immaginazione quanto possauo esalta, titoli, come certi gradi sociali,
alcune igm £ su premo, di Prefetto, di Magistrato>, d i P
di Deputato, di Sen f*°”' to \ Q difficoltà di ben go- Ma avete ma.
°°“ 81 un tumulto, di prevernare un popolo, innocue tutte " ^
-Si 0 :—^' ti ° politici P Avete le conseguenze deg agitazioni della
di- mai considerato la g» plomazia, le controv - pu
bblica stampa, le d’ una critica smoda a go
Vàldarn%n\ la missione della donna ire dei partiti
politici, le difficoltà della tribuna, gli odj segreti, le basse invidie,
la guerra sovente implacabile c sleale di chi vuole occupare quel posto
eminente o lucroso ? E, al postutto, clic mai significa donna emancipata
? Significa donna francata da ogni giogo, che ha x'igettata l’obbedienza
di figlia, la dolcezza di amante, la dipendenza di sposa, la nobile
servitù di madre •, in una parola l’onore stupendo del sacrifizio ! Una
donna che oltre ripetere uguaglianza di diritti.coll’uomo, vuol con esso
comunanza di ufficj ; una donna insomma che nelle pagine inalterabili
dell’ indole sua, che nelja storia della sua gentilezza, che nello
specchio del suo cuore, che nei decreti dell’Archetipo eterno legge
assolutamente a rovescio di quel che sta scritto sulla missione di
di lei (A. Alfani : La Donna). Ora, non è questa l’emancipazione
che deve cercare la vera donna, cioè la donna, onesta ed assennata. Noi
pure vogliamo l’emancipazione di lei; vogliamo ch’ella si emancipi
dall’ignoranza, da certi pregiudizj religiosi e sociali, da ogni
frivolezza, dal- l’imitare certe mode o corrompitrici del buon
costume o rovinatrici d’ogni patrimonio, dal ripetere c spesso
praticare quella sciocca e superba sentenza: Oggi si fa cosi! Per amor
del cielo, griderò io pure con Paolo Ferrari, non emancipatevi, gentili
Signore! Appena emancipate cessereste di essere così utili apostoli
delle nobili e caritatevoli imprese; perchè appena emancipate cessereste
di comandare. Senza crnan.- cipazione, noi uomini crediamo di comandare
noi ! E voi nel segreto confidente de’vostri amabili ci-
caleggj, ridete pianino pianino della nostra maschia e gloriosa
dabbenaggine, per la quale crediamo di comandare, c si obbedisce ! La
vostra potenza morale c fisiologica sta ncH’osscre donne: se diventaste uomini
(s’intende per quella finzione giuridica che chiamano emancipazione),
ogni prestigio vostro svanirebbe. Ma finche siete e volete esser donno
e vi consacrato all’esercizio delle vostre qualità caratteristiche, la
grazia, l’amore, la carità, chi governa il mondo siete voi. Noi andiamo
solennemente a deporro i nostri voti in un'urna; ci accogliamo c
deliberiamo intorno ai destini della patria ; ordiniamo una guerra, una pace,
un'alleanza, o pettoruti decantiamo l’energia maschile, l’attività del senno
dell’uomo! No ; dentro di noi in ognuno di quei supremi momenti fremeva
un pensiero i o un pensiero di amante, di sposa di figha d «wj*
«Ita. .a gio, nel sottoscrivere quel trattato (
conferenze pel Collegio di Amsu Milano, 187o). XIII- •
della donna deve pertanto La vera 61 ° Q iorr n£ n te rispettare ed
amare consistere nel farsi m oa te dentro i con-
dall'uomo, nel fa '*di sopra, fini e noi modo che » > > 0j se
occorro, al reale progresso ° . lft aocietà civile, che a
salvare o almeno raddrizzare li a il suo principio e
fondamento nella famiglia, di- cui Ja donua è guida e conforto. Solo per
questa via e mediante l’istruzione e l’educazione, ripeterò col
brioso ed arguto scrittore G. Hamilton Cavalletti, le donne potranno rimettersi
sul capo la loro corona di regine, attirando intorno a se il genio,
il talento, l’onestà e il coraggio. Sia la loro amicizia il premio di
.ogni nobile sentimento, sia la loro stima il guiderdone di ogni nobile fatto,
sia la loro intimità il compenso di ogni nobile fatica. Non è
adunque sognando emancipazioni assurde dove non esiste mancipio, non è
aspirando alle naturali preminenze dell’uomo, non è coll'addottorarsi nelle
scienze giuridiche, filosofiche o naturali, che le donne rialzeranno il
vero loro stato sociale ; sì, al contrario, coll’ aumentare il loro valore, col
forzarci .ad amarle e stimarle di più, col rendersi ognor più degne
del caro nome di spose, del santo nome di madri. Ma (prosegue il
Cavalletti) finche al pensatore esse preferiranno un uomo che non ha
altro merito che di avere un bravo cavallo da corsa, ed è spesso un
mediocrissimo cavaliere; finche al poeta esse anteporranno l'uomo clic sa
farsi meglio il nodo della cravatta; finche allontaneranno dalla
loro società un uomo che ha il torto di anteporre una forma di
cappello ad un’altra ; finche all’uomo sincero, leale, integro preferiranno un
uomo che sappia fare i daddoli e le moine ; finché i sentimenti
piaceranno loro sulla bocca dell’uomo c non cureranno quelli del cuore ; finchc
un uomo volgare con il nnczzo milione di patrimonio sarà più
certo di ottenere le loro grazie che un cuore nobile, un animo •elevato
con cinquantamila lire; finché un babbuino sentimentale riceverà il dolce
deposito dello loro confidenze, ed uno schietto galantuomo avrà
appena un cenno di saluto ; finché esse saranno una lotteria nella quale
troppo spesso i vincitori sono gl imbecilli... ; lo stato morale e sociale
della donna non si eleverà certamente: la società si avvierà al decadimento
; le donne pian piano più non saranno che femmine.
XIV. Ed ora mi pare utile di far l'epilogo delle cose •dette
fin qui. Abbiamo accennato dapprima la na- tura e 1’ ufficio della donna,
senza la qua P klh creazione non sarebbe stata compiuta, ne po-
trebbesi conservare e FPOt«il^ Poi, esaminando in ° volgarc,
abbiamo donna presso i P a S ani c ^ dlC la donna, provato
colla .tona a anche quando, esercito in gran pa • s, cbbe in
coato 7 C r Pa "tedila voluttà; afidi schiava o quale quan t a
parte biamo veduto, l’umano progresso ed in- abbia
preso a do . dal Cl . ls tianesimo richiamata civilimcnto, dopoché ftlt0
ufficio- E quan- cd elevata al suo ' cl ° c^ sia ] a stessa na-
tunque in lei 8 « n P r ° ® abbiana0 detto che i mezzi itura.e lo
stesso fino» P per compiere la sua missione doveauo mutare secondo la civiltà,
secondo le condizioni politiche, intellettuali, religiose e morali. E
però, accennato- l’ufficio che le assegnano il Morelli e il
Naville, noi abbiamo considerato la donna in tutte le sue
principali attinenze e nelle sue più nobili manifestazioni, vale a dire come
sorella, come amante e sposa, come madre, come educatrice ed
institutricc, come cittadina, come ispiratrice d’ogni- nobile sentimento
all' artista, all* uomo di scienza o di lettere, non che all’uomo di
Stato. Abbiamo poi dimostrato la necessità d’ una conveniente cultura
nella donna ai tempi nostri, affinchè possa meglio compiere quell’ufficio
tanto nobile e così complesso; ed abbiamo dimostrato eziandio la necessità o la
convenienza nella donna di apprendere in oggi una professione sì
per soddisfare meglio ed in ogni congiuntura all’ esigenze della vita, si
per incominciare la sua più razionale o giusta emancipazione c rendersi,
dentro certi confini, indipendente dall'uomo. Abbiamo combattuto, per
altro, l’assoluta e falsa emancipazione della donna, perchè contraria
alla natura e al nobilissimo fine di lei, non che al bene della società
ed al progresso del genere umano. Tanta e 1 efficacia delle donne,
che da esse vennero sovente grandi ajuti, o grandi impedimenti non solo
alla libertà d’un popolo, sì anche al bene- od al male dell' uomo
singolo, delle famiglie e dello Stato. La donna è per sua natura la
ispiratrice, o, se vuoisi, la regina dell’uomo e della società. Ma.
ili suo regno, piuttosto che sconfinato ed assolato, vuole essere un
regno di pace, d’ispirazione, di nobili sentimenti; insomma
Indonna (siami permessa questa similitudine) a guisa de’principi costituzionali,
deve regnare e non governare. — Ma Voi, donne italiane, vorrete
appunto regnare, non governare ; Voi, come ' foste di grande ajuto al
nostro risorgimento politico, sarete altresì di grande stimolo ed ajuto
al nostro risorgimento •intellettuale e morale, che dipende in
parte da Voi. In .peata grata Mieta, non saprò, scegliere più acconce od
autorevoli parole cito qttd c dell'illustre Tommaseo, per chiudere il P
10S0 “ discorso. La donna italiana, d' sapiente dell'ubbidire, 80
P'“" 1 ® ^ “ d desfas . occorra, c guarentigia a noi di men La
creazione di due Istituti superiori di Magistero femminile inltalia, uno a Roma
e l’altro a Firenze, in virtù della legge 25 giugno 1882, e
l’ordinamento delle discipline scientifiche e letterario che vi sono
e vi debbono essere insegnate, secondo il Regolamento organico 19
novembre 1882, ci porgerebbero materia a molte e svariate considerazioni
non prive d’interesse speculativo e pratico. Qui non intendiamo di
enumeiarle e di svolgerle tutte, ma non possiamo astenerci
dall'acccnnarne le più rilevanti e dal pigliare in esame particolare il come
nei due nuovi Istituti letterarj e scientifici femminili debbono
esseie insegnate alcune materie importantissime, quali sono appunto la
Filosofia teoretica, la Morale e la Pedagogia. I.
E prima di tutto dimandiamo : Era necessaria in Italia la creazione
di due Istituti superiori di Magistero femminile, mentre abbiamo non pure
le Scuole normali femminili, ma alle donne stesse non, è vietato dalla
legge Casati sull’istruzione pubblica di frequentare i Ginnasj, i Licei,
le Università, e di addottorarsi in qualunque disciplina ? Posto così
il quesito, non sarebbe giustificata la creazione di quei due
Istituti superiori femminili. Ove però si consideri che la missione della donna
nella famiglia e nella civile società si palesa chiaramente ben diversa,
da quella dell’uomo ; che gli studj femminili debbono esser rivolti
essenzialmente alla cultura della donna come madre di famiglia,
com’cducatrice ed istitutrice, e non all’esercizio di elevate e gravi
professioni sociali, come quelle di avvocato, di medico, d’ingegnere,
di capitano, c va discorrendo; che quasi tutto 1 insegnamento nelle
Scuole normali femminili ora viene xm^ tito dagli uomini; ed infine,
cheidue nuovi Istitutimon sono equiparati interamente alle prime
Universitari Regno: la fondazione'loro apparisce »noo«^
tamonte necessaria, certo conveniente ed joituna. Vero è che
alcuno j^dìritti^degli uomini m parte, si viene a lede e ^ # pcdag0
_ laureati in Lett ° rc . C e d 16 hanno scelto la car-
già, o in altre disciph, _ . u dotto ri piu riera lucrosa
dell'insegna p0sto nelle difficilmente d'ora i^ anzl fcmmin ili,
avendo per Scuole normali e secondario ^ ^ Istltutl
competitrici le donne a ‘‘ ^ italian e, della Storia all’
insegnamento delle Uet Lingue e Geografia, della Pedagogia o ^
tcdesca . E moderne straniere, franooso, m B un’osservazione eli
questo genere non sarebbe destituita di fondamencnto ; ma starebbe sempre il
fatto clic l’uomo, laureato in qualcuna di esse discipline, ha una
più larga ed elevata carriera dinanzi a se. E poi, come negare alla donna
questo diritto in una società liberale e civile, che non pure vuol
rialzata la condizione intellettuale e migliorata la condizione
economica della donna, ma che tende ogni giorno a dilatare una certa
eguaglianza civile e giuridica della donna stessa ? Altri, invece, potrebbe
osservare che le donne in generale o non sono portate a lunghi e
severi studj, o che esse non hanno capacità mentale ed attitudine
didattica pari a quelle dell’uomo. La quale obbiezione certo non
reggerebbe dinanzi a fatti storici e ad esetnpj particolari, e dinanzi al
fine stesso di quei due Istituti, il quale consiste nel compiere e
rinvigorire l’istruzione secondaria della donna, e nel formare abili
insegnanti in alcune materie (qui sopra ricordate) per le Scuole normali
e secondarie femminili. Ad ogni modo, la più elementare prudenza
consiglierebbe di attendere nuove prove e nuoA'i risultainenti di questa
prima istituzione italiana. E diciamo nuove prove e nuovi risultamene,
perchè quelli già dati in questi tre anni da ambedue gl’istituti sono
favorevolissimi e confortanti. Le allieve che vi studiarono e vi
ottennero il diploma, ora sono direttrici abili di Educandati e Istituti
femminili, o insegnano con valore nelle Scuole normali femminili,
inferiori e superiori. Alcune di esse alunne mostrarono attitudine
anche ai gravi studj filosofici e pedagogici, c si segnalarono, in
specie all’Istituto superiore di Roma, negli esami di Stato pel diploma
in Lettere italiane, m Pedagogia e Morale, e in Storia. In quanto a
noi, che abbiamo sempre avuto un alto concetto della donna c della sua
nobile missione sociale, noi vogliamo anzi riguardare la.fondazione
di questi due Istituti superiori femminili non solo come opportuna c
conveniente pei le accennai - gioni, ma altresì come uno dei tanti mezzi
ondo avviarci alla pratica colazione della »«“*: che da ogni
parto minaccia d’irrompere fimo»",d. sommergere quanto le si pari
dinanz,. Imporoe * noi siamo d’avviso cho la quest,ono somalo va
con sidorata sotto vario forme o sotto ir™» ’ Additiamo di
volo ipriaeipali. sono probi tive famiglie onde si compone la
nazione P e morigerati, oppure si fanno s ° ostu ™ ‘ ]o ha
viva to morale della questione sociale Un P P c giusto, e
quindi amme °° vit j O itrcmonda- una giustizia soprannatura e mate
ria e del na; oppure non va piu. ia ^ ^ caIc0 l 0 e all’utile
senso, tutto per lui si J e y a questione- bone inteso ? È l'aspo»»
g oye rao ch’è adat- sociale. Scelta quella forma e morali,
ta alle sue condizioni civi i, ^ forma, esercita una data nazione
si contenta senza ne . saviamente la libertà e 1 V ^ ^ |£ e parlavo
de gare i suoi doveri ; opp ul 348 sull’ordinamento
degl’ istituti superiori suoi diritti, vorrebbe la libertà spinta
all’eccesso, è desiderosa di novità rendendo instabile ogni reggimento
politico e tutte le altre istituzioni clic ne dipendono ? E l’aspetto politico
della questione sociale. In quella stessa nazione, mantenendosi l'armonia
fra i diversi ordini della cittadinanza e vivo il rispetto del
diritto di proprietà individuale e collettiva, si stabilisce un’equa
proporzione di mercede e d'utilità fra 1' operaio e il capitalista ; e
nelle famiglie si •consuma e si spende in proporzione almeno dell’entrata
e del guadagno : oppure, inimicatesi fra loro le diverse classi sociali,
il capitalista non si cura di far lavorare o non ricompensa equamente il
lavoro, svogliato è l’operaio, vede nel proprietario il suo mortale nemico e
ritiene essere una ingiustizia, anzi un furto la proprietà individuale? E
nelle famiglie non abbienti o poco agiate l'entrata è minore
dell’uscita, o non si pensa coi modesti risparinj al dimani ? Ecco
l’aspetto economico della quistione sociale. In tale stato di cose,
la donna colla sua spedalo missione nella famiglia e nella civile
società, c come esempio vivente di pace e di rassegnazione, o
come educatrice ed istitutrice, e come massaja e, nel caso nostro,
come professionista, può efficacemente con- tiibuire o a risolvere in
parte l’ardua c complicata quistione sociale, o ad attenuarne gli
effetti, quando a lei non fosse dato nè di risolverla parzialmente,
nò di ritardarla o di arrestarla. Ma perchè la donna sia capace di
quest'opera altamente morale civile -ed utilissima, in lei che cosa si
richiede ? Nella vera donna, di cui intendiamo parlare, si richiede moralità
a tutta prova ed in tutta l’estensione del termine, non disgiunta da un puro ed
elevato sentimento religioso; si richiede una soda cultura, in cui
entrino anche lo nozioni elementari circa lo Stato e l’economia; si
richiede un’attitudine speciale, studio molto e singoiar valore
nell’insegnamento, quando voglia o debba esercitare questo nobile ufficio
; si riduce e, infine, costante dignità o modestia, condito di
soavità c di grazia, evitando così ogni frivolezza nel dire, nel
fare e nel vestire, come ogni presunzione e verso l’uomo o verso lo
altro donne forse lei mn non per questo meno degno d. stima.Tutelò supera
le forse naturali della donna inette da sana 0 vigorosa educamene
ed tstrumone da un sentimento c da un elevato conre 0^ ^ dimand ar
sioue sulla terra ai „ e au „„ esiger troppo troppo alla
donna. Ano i vodia, e da lei, purché essa V0 ^,a ^ tC " aCe a
” te del ]’ a o.no in senza ch’ella presuma di * 1 ^ alcune
società e di emanciparsi, tota ’ ÌMm egua- donno vorrebbero
bramando ali ' 1Um » glianza di diritti, non badando esse « “o,
dei diritti implica l’eguagbansa Jet do^ ^ ^ Premesse c
chiarite queste co » Magistero dinamento dei due Istituti sU P
conducente al' femminile sia in tutto c pei fine da noi vagheggi^
0. IL la uno Stato libero e civile come il nostro, ogni
Istituto educativo e d’istruzione secondaria, sia tecnica sia classica, deve
mirare (secondo me) a tre principalissimi fini inseparabili tra loro, a
voler eh’ esso riesca utile davvero e sia bene ordinato. l°Deve
impartire agli alunni, destinati a diventare .liberi cittadini, una buona
cultura generale, sia pure elementare, tanto letteraria quanto
scientifica. 2° Deve preparare convenientemente agli studj su-
riori. 3° Deve poter avviare alle professioni manuali cd agli impieghi
minori quegli alunni che non potessero o non volessero proseguire gli
studj. A questo triplice fine dovrebbero pertanto mirare non solo
gl’ Istituti tecnici, i Licci, e le Scuole normali maschili e femminili,
ma la stessa Scuola tecnica. Le Università e gli altri Istituti superiori
in generale hanno, invece, o debbono avere per fine speculativo .la
ricerca del vero e il progresso della scienza, e per fine pratico le
professioni liberali e le carriere superiori negli ufficj dello Stato.
I due Istituti superiori di Magistero femminile, non essendo
equiparati in tutto e per tutto ailc Università, ed essendo destinati alle
donno esclusivamente, dovrebbero mirare direttamente a compiere c
rinvigorire la cultura letteraria o scientifica della •donna, e a
x-enderla capace d’insegnare nelle Scuole normali e secondarie femminili.
E questo, invero, •c stato il duplice fine che ha guidato la mente del legislatore
nel coordinare la quantità e la qualità delle materie di studio nei due
Istituti superiori femminili. A tutte le alunne, pertanto, corre obbligo
di apprendervi Lettere italiane, Geografia e Storia generale, Storia
d’Italia, antica medievale e moderna, Elementi di Logica e Psicologia,
Morale e Pedagogia, Istituzioni d’igiene, Matematica, Elementi di Fisica
e di Chimica, Storia Naturale e Geografia fisica, Lingua e letteratura
francese, inglese e tedesca, Disegno e Lavori femminili. Ciò per la
cultura superiore della douna. le quanto alla professione loro di
maestre, le future insegnasi! hanno facoltà di scegliere ed approfondire nel
secondo biennio quegli studj che debbono metterle in grado di
conseguire il diploma d-insegnamento o nello Letttere italiane, o nella Storia
e Geografi*ella Pedagogia e Morale, 0 nelle Lingue mo niere e sono
francese, inglese c te,, Non possiamo ohe lodare . legislatore
da.ve, mantenuti obbligatorj 1 Uvon faccia questi
Istituti superiori, pur la maestra, non ces P . uj a i] a
donna guida principale delta pressoché quo- occorre
speciale abilita Digean0 poi, si rende tidiano in siffatti iavon.• don °
neschi pi ù squisiti necessario per gli > stessl vido consiglio
di met- e delicati-, e pero e s a p jf c il 0 studio delle
terlo fra le materie obbh ° ‘ to anche alle isti- Scienze
sperimentali sl, e oeuza di questa di luzioni d’igiene, perche la
cono 3o2 sull’ordinamento degl’istituti
superiori sciplina nella sua applicazione risguarcla tutti, e
segnatamente chi deve attendere alla famiglia ed alle cure domestiche, e
chi deve educare la prima gioventù, come appunto è la donna; che anzi,
l’Igiene fa parte dell’educazione fisica, quantunque Alessandro Bain
opini il contrario. La Matematica, gli Elementi di Fisica c di Chimica,
la Storia Naturale, gli Elementi di Logica e la Psicologia, parrebbe dovessero
alla donna servire di mera cultura superiore, o di sussidio e di
complemento allo studio di certe altre materie. Imperocché, secondo il Regolamento
organico di quei due Istituti, non può l'alunna essere abilitata
legalmente ad insegnare Matematiche, Fisica, Chimica e Storia
naturale. Clic alla donna siasi negato il diploma di magistero in
Matematica e nelle Scienze spcrimeutali, la cosa spiegasi facilmente
perchè nei due nuovi Istituti non si dà ora un corso compiuto e superiore
di quelle scienze, e porche nelle Scuole normali o in quelle superiori
femminili l’insegnamento delle Scienze fisiche e naturali tiene un posto
secondario o dcv'esscrvi impartito in modo elementarissimo. Inoltre, quelle
Scienze non riguardano direttamente la prima e vera missione
educatrice della donna, nè sono le più confacenti alle naturali
inclinazioni della donna in generale, segnatamente la Matematica e la
Chimica. Ma qui pure abbiamo notevoli eccezioni, perchè talune
allieve hanno mostrato singolare attitu - dine allo studio delle
Matematiche e delle Scienze fisiche. Il Governo, poi, suole affidare
l’insegnamento elementare anche di queste materie nello Scuole preparatorie
o inferiori normali alle giovani che in uno de’due Istituti superiori
conseguirono il Diploma o in Lettere, o in Storia, o in Pedagogia! Non sarebbe
adunque più logico ed opportuno concedere addirittura il diploma nelle
Scienze fisiche e ila- tematiche, ed ampliarne il relativo insegnamento
? ni. Ci resta da esaminare il modo in che l’insegnamento
delle materie filosofiche propriamente dette e della Pedagogia viene
ordinato cd affidato nei due nuovi Istituti. A tutte le alunno è fatto
obbligo di studiare per un anno nel primo biennio gli elementi di
Logica e di Psicologia, e la Morale nel 2‘ biennio. Più, nel secondo
biennio tutte debbono seguire un corso di Pedagogia. Finalmente, le S*™..
dm amano d'cssorc abilitato « 11 -iosegn.mento. tirila P* dagogia
teorica c pratica debbono stod,a,c pe. 00 T°ti P dftdt F
int°rodòt.a anche negl. dell' intelletto. Ma non s »PP‘ a
filosofiche, ossia le ragioni per cui tutte e a Pcdago gia deb-
Logica, Psicologia e Mora e gsbre! q uì l'onorc- bono essere
affidate ad un s Q poteva e può volo Ministro Baccelli, al qua e
Oberali e buona negare elevato ingegno, 8 ® atl “ rQZ i 0 ne in
Italia, volontà di migliorare la pubblica ist ^non fu ben
corrisposto da chi ebbe il mandato di fare nuo schema di Regolamento
organicopercoordinarvi anche le materie filosofiche e pedagogiche, c di
stabilire il modo in che l’insegnamento di queste discipline doveva essere
affidato c distribuito. E lo dimostriamo brevemente. Il
professore di Filosofia c di Pedagogia sarebbe tenuto a fare non meno di
undici lezioni per settimana nei respettivi corsi ! E noto che i
professori •di Filosofia ne’Licei fanno da sei ad otto lezioni la
settimana, e tre lezioni i professori di Università. Come presumere
seriamente clic un Professore dia con zelo ed efficacia non meno di
dodici lezioni per settimana in materie difficili, disparate c
soltanto affini tra loro? Diciamo in materie dispaiale, poiché la
Logica e la Psicologia sono ben differenti dalla Morale e più ancora
dalla Pedagogia. Nè si dica, per avventura, che ivi trattasi di dar
nozioni elementari sii quelle scienze ; imperocché, oltre restare il
fatto che le son materie ben diverse, la istituzione elementare risguarda
soltanto la Logica. materia nuova per lo alunne, ma non risguarda la
Psicologia e ancor meno la Pedagogia e la Morale, già studiate
elementarmente dalle giovani o nelle Scuole normali o nelle Scuole
secondarie e preparatorie all’ Istituto superiore femminile. Chi vuole
ottenere il diploma in Pedagogia, deve seguire un corso speciale di
Psicologia : ma ognun sa che questa ultima scienza ai nostri giorni ha
fatto progressi notevoli, nè può essere affatto separata dallo studio
delle scienze sperimentali, come per esempio la Fisiologia. Che
anzi, noi troviamo un altro difetto nell’ordine delle materie
obbligatorie per conseguire il diploma in Pedagogia. Ivi ò detto che 1’
alunna potrà scegliere un corso di Matematica, o di Fisica, o di
Storia Naturale. Non sarebbe stato più razionalo di prescriverle
addirittura il corso speciale di Storia Naturale, in mancanza d’ uno studio a
parte su la Biologia e la Fisiologia ? Ritornando alla
Morale ed alla Pedagogia, queste due scienze, fra loro assai differenti, non
possono nò debbono essere insegnate in modo elementare nei due
Istituti femminili superiori. La Morale pura e applicata, individuale e
sociale, e c c 8U PP 0 "® cognizione di altre scienze affini, quali
sono le discipline giuridiche e sociali, ò molto vasta e
complicata, fi i> ità d’ un solo docente. L inse ° n qecon
dario, non può servire.di meio aj ^ cittadino si i
Doveri .;i ^“ormali secondarie, perni» studiano già nelle oc
obbligate a le alunne de’due Istituti supei‘ 0 ro hò infine
studiar l’Etica nel secon o » anche ]a Scieu- il diploma di
Pedagogia compren za Morale. i a Morale come So poi si
volesse eonsidciare s „ p8 . deile materie di P uia ragione
del- una riore, allora non ragione
de,- 336 sull'ordixajiento degl'istituti superiori
l’assoluta dimenticanza d’ogni più elementare istituzione di Economia sociale e
di Diritto. Come ! in un Istituto superiore d’ educazione e
d’istruzione femminile si prescrive’l’insegnamento dell’Igiene e
della Chimica, e non si fa parola de’ primi rudimenti d’Economia e di Diritto
positivo, mentre in uno Stato libero, coni’ e il nostro, si affida legalmente
alla donna il nobile mandato di fornire la prima educazione ed istruzione
ai futuri cittadini d’Italia, di educare ed istruire le future maestre
e madri di famiglia, oltre la missione propria di ciascuna donna, cioè di
farsi ella stessa educatrice dei proprj figli e savia amministratrice
dell’ azienda domestica? Anzi, ritornando al nostro concetto (esposto qua
sopra) intorno al giovamento grande clic può la donna fornire nella
soluzione pratica della complicata e formidabile quistione sociale,
anche nell’aspetto fioUtico ed economico, a noi parrebbe necessario
clic nei duo Istituti superiori femminili dovesse pur trovar luogo
l’insegnamento comune delle prime nozioni di Economia sociale e di
Diritto, segnatamente del Diritto civile e privato e del Diritto
costituzionale. Veniamo alla Pedagogia. Le giovani tutte, che
amino dedicarsi all’ insegnamento privato o pubblico, hanno da apprender bene
l’arte difficilissima di educare e d’istruire; e molto più devono
attendere a questa scienza ed a quest’arte le alunne clic vogliono
abilitarsi all’ insegnamento della Pedagogia stessa. Ora, è noto che
secondo i più recenti prògramini governativi. i maestri c le maestre per
conseguire la patente elementare di grado supcriore, i maestri per essere
dichiarati idonei all Ispettorato scolastico, son obbligati a sostenere,
fra le altic prove, un esame di Pedagogia storica, teoretica ed
applicata. E questo largo, elevato e compiuto insegnamento
della Scienza pedagogica, teoretica, pratica c storica, viene oggidì
propugnato anche in Italia da valorosi c dotti pedagogisti ; i quali
pensano clic la Pedagogia teoretica, so vuole uscire dal campo delle generalità
e cessare di ridursi ad una metodica astra ta o formalo, non possa fare «
mono d. mollc scienze affini, quali sono la Biologia» fisica, In
Psicologia o la Logica, la Morale h Sociologia c la Filosofia
politica. Ma sottoponili US a^u» tara considerevole questa smnma
; scienze «ffini troppo elevala, o nducendo 1 ms» mento
pedagogico nei fino entro più modesti limiti, P » ^,„ torario
o monto elio deve “ 8S ™“| 0 d Minano pur seni- filosofici,e
università, tale insomma pre una sci^ tutto il sapere o tutta
da richiedere tutto i "‘o o l’operosità d’ un solo piofcssoi
convcl . 1 . e bbc divi- Pcr queste principali ragi » sup6
rio- doro, anello «O »^ "^„o delle tre re, l'insog, lamento
della. » posologia, Logica e disciplino pura, non o 1 aUr0 „ duo
professori. Morale, affidando 1 una e 3o8
sull’ordinamento degl’ istituti superiori E allora si potrebbe anco
estendere a tre anni l’insegnamento teorico e pratico della Pedagogia per
le alunne che amassero di prendervi il diploma : ove tale
insegnamento si volesse mantenere per soli due anni, il professore di
Pedagogia dovrebbe insegnare anche la Psicologia applicata alla Scienza
pedagogica. IV. Gli studj superiori di Lettere
italiane, di Storia, di Filosofia, di Pedagogia e della stessa Botanica,
a voler che riescano scrj e fecondi, richiedono la conoscenza della
lingua e letteratura latina. E però ameremmo clic presso i due Istituti
superiori femminili fosse istituita una cattedra di Lettere latine,
come pare no abbia intendimento 1’ on. ministro Coppino. Ma altre
innovazioni bisognerebbe fare nei due Istituti, fissando e ripartendo
nell’infrascritto modo le discipline sia per la cultura generale, sia per
gli studj speciali in attinenza co’ varj diplomi di abilitazione.
Discipline comuni da studiarsi nel primo biennio : Lettere italiane,
Storia generale, Psicologia e Logica, Fisica e Chimica, Storia naturale e
Geografia fisica,Matematiche, Lingua latina, Lingue moderne straniere, Disegno,
Istituzioni d'igiene, Lavori femminili. I diplomi speciali
dovrebbero essere cinque : 1° Diploma di Lettere italiane 5 2° di Storia
c Geografia; 3° di Pedagogia e Morale; 4° di Lingue stra-
DI .MAGISTERO FEMMINILE 359 nicrc, francese, inglese e
tedesco ; 5° di Scienze fisiche e Matematiche. GT
insegnamenti speciali per otteuere ciascuno di questi Diplomi di
abilitazione sarebbero ripartiti nel seguente modo : Pel
diploma in Lettera italiane: Lettere italiane, Letteratura greca e latina
comparata coll’italiana; Storia d’Italia, antica, mediocvale e moderna -,
Morale; Pedagogia; Lingua c letteratura latina; Due lingue e letterature
straniere moderne a scelta de - l’alunna. ... Pel
diploma in Storia a Geografia : Le discipline identiche a quelle pel diploma in
Lettere italiane, ad eccezione della Letteratura greca c latina comparata
coll’ italiana, alla quale sarebbero sostituite la Fisica terrestre e la
Etnografia. Pel diploma in Pedagogia e Morale: Pedago
teoretica e pratica; Filosofia morate-. Ps.colog ; Fisiologia
umana; Igiene aPP 1 ^ 3, “ nt *J e mo der- Lcttere italiane; Storia
i « ‘ > j; n °„j ese e tedesca Le italiane; Let, età,una
“„^i» ««- contpanateoon.aLe»».^-^. iia, antica e
moderna, = „ Pel diploma m j Cosmo grafia ; Fisica;
Chimica; Geometria c Trigonome- Storia Naturale; Al D eb
360 sull’ordlnauento degl'istituti superiori ecg.
(ria; Igiene e Chimica fisiologica; Disegno; Contabilità domestica;
Lettere italiane; Pedagogia; Morale ; Lingua latina. Non occorro
dimostrare che l’attuazione di questo largo disegno di studj femminili
superiori esigerebbe la riforma parziale delle nostre Scuole normali
femminili. Come son ordinate presentemente, massime per ciò che si attiene
all’insegnamento letterario, morale e didattico, le nostre Scuole
normali, oltre non essere coordinate bene con i due Istituti
superiori femminili, non corrispondono adeguatamente al fine loro
speciale, c si rimangono inferiori alla Scuola normale tedesca (Das
Lehrerseminar) dove si preparano i veri educatori del popolo. Koi
siamo fermamente persuasi che una riforma e un riordinamento, di studj,
come abbiamo a larghi tratti delineato qui sopra, tornerebbe di
grande utilità e decoro al fine speculativo c pratico dei due
Istituti superiori di Magistero femminile, creazione ancor questa
dell’Italia nuova che molto si ripromette dall opera salutare e benefica della
donna. So**»»». - I. E.gta- rf to. — Ginnasio c Liceo ; buio
la teem leoni». Loro somiglianze e rione secondarie classica
e Iconica in 111 >’ J" 6 ìin /ìniii. «àcuolc secondarie in
Geimanit • nata con quella delle - ^ 8trat ‘ v0
Distratti da questioni P ‘ deraro i problemi finanziarie, non
avvezzi a co pedagogici e gli ordinamenti delle scuole sott’ogni
loro aspetto, morale intellettuale ed economico, gl’italiani in generale poco o
punto badano al modo in clic viene ordinata c impartita la pubblica istruzione.
Lo stesso Parlamento non crede necessario di spendere molto tempo e cure
speciali in questo ramo di pubblica amministrazione ; bensì il Ministro
dell’Istruzione pubblica va soggetto egli pure alle vicende politiche,
alle crisi parlamentari e ministeriali ; e non di rado la politica invado anche
il tempio pacifico di Minerva, e fa sentire i suoi influssi al
personale insegnante. Eppure si tratta di formare gl Italiani stessi \
trattasi del modo in che debba essere educata ed istruita la crescente
generazione ; si tratta del come e quando i novelli cittadini ed i
futuri governanti d’Italia debbano compiere i loro studj ; si tratta di
stabilire quanti anni debbano consumarvi e quanta spesa vi occorra ! La
sarebbe dunque una questione di alto interesso morale ed economico,
teorico e pratico, privato c pubblico. Il Paese, invece, poco opunto vi
bada: ed ceco una dello principali cagioni per cui l’istruzione pubblica
incendale, e segnatamente l’istruzione secondaria classica e tecnica,
letteraria e scientifica, non ha avuto ancora presso di noi un
ordinamento stabile e razionale. E poiché ogni Ministro che sale al
potere, come ci ammaestra 1 esperienza di questi ultimi anni, fa o
pi omette innovazioni nel pubblico insegnamento secondario ; c poiché i lamenti
nel pubblico non sono cessati, e gli esami di licenza tecnica c liceale
(ma soprattutto liceale) non sempre corrispondono alla viva
espettazione del Governo e del Paese ; stimo esser cosa utile ed opportuna
il ripigliare qucst’ardua questione di vivo e grande interesse
nazionale,dibattuta più volto, sebbene per altri fini e rispetti, in pregiati
periodici e specialmente nella Nuova Antologia, da uomini insigni quali
sono il Villari, il Luzzatti, il Ferri, il Gabelli, il Barzcllotti, ed
altri. Come insegnante, io non parlerò qui della capacità intellettuale,
letteraria scientifica o didattica, dei nostri professori nelle scuole
secondarie, delle norme e cr.terj nelle nomine e promozioni del
corpo delle condizioni economiche fette da o - > Provincie
e dai Comuni ni professor, anched f ut egli nitri pubblici ufficiali ; ne
istituita gu paragone tra i nostri insegnanti e M-tdolla Gc nanfa,
dell' Impero Anstro-Unganeo, do a I ...» o di altre nazioni. Ma facendo
tesoro;«£££. lunquc siasi esperienza da me acqui, gnamento liceale,
tecnico o «“P'™. ' onte ordina- sè Btesso e nei suoi effetti socia
i letteraria mento della nostra istruzione sei} manEcne re
tal c scientifica, per vedere so ‘ Q quale, ovvero se debba
essere mod n. • s’ rltslln. le"ge Casati 13
uo È notorio che in vir u 0 secon daria in vcmbre 1859, la
istruzione ; n Massica e in . Italia si distingue indue g iaI ^
nuindi abbiamo tecnica o industriale e professici quattro
sorte d’istituti: GINNASIO E LICEO, Scuola tecnica c Istituto tecnico, aventi
ciascuno un essere proprio, e dai quali istituti gli alunni escono forniti
d’una licenza o diploma. Bensì il Ginnasio serve nel tempo stesso
di fondamento e di preparazione al Liceo, •come la Scuola tecnica
agl’istituti tecnici professionali c industriali. Difatti, nel Ginnasio
s’insogna oggigiorno italiano, latino e greco, storia antica,
geografia, matematica, storia naturale c disegno ; nel Liceo poi lettere
italiane, latine c greche, storia e geografia, matematica, filosofia,
storia naturale, fisica e le prime nozioni di chimica. Ideila Scuola
tecnica gli alunni sono ammaestrati in italiano, storia c geografia,
matematiche c contabilità, calligrafia c disegno, francese, elementi di
fisica c di storia naturale, doveri c diritti del cittadino.
Dell’Istituto tecnico, secondo 1’art. 275 della legge Casati, s insegnavano
: letteratura italiana, storia c geogiafia, lingua inglese c tedesca,
istituzioni di diiitto amministrativo c di diritto commerciale, economia
pubblica, materia commerciale, aritmetica sociale, chimica, fisica c
meccanica elementare, algebra, geometria piana e solida, c trigonometria
rettilinea, disegno ed elementi di geometria descrittiva, agronomia e storia
naturale. E con 1’ ultimo Decreto del 5 giugno 1885 furono stabilite le
infrascritte materie, suddivise nelle rispettive cinque sezioni dell'
Istituto : Agraria, Calligrafia, Chimica, Computisteria, Costruzioni,
Diritto civile, commerciale ed amministrativo, Disegno, ELEMENTI DI LOGICA E DI
ETICA, Economia, Estimo, Fisica, Geografia, Lettere italiane, Lingua francese,
inglese e tedesca, Legislazione rurale, Matematica, Merciologia,
Ragioneria, Storia civile, Storia naturale, Statistica e Scienza
finanziaria, Topografia. Ognun vede qual notevole differenza corre
fra gl’istituti classici o letterari e gl’istituti tecnici o-
professionali : in questi prevalgono le scienze positive, in quelli le lettere.
I primi servono, in modo speciale, di gradino nll'Cniversitlt; i secondi
avviano 'alle professioni ed agli uiliej minoiine o . ta o mitre,
lo Scuole classiche e le Scuole tecniche hanno questo di comune: Che sì
lo uno corno le altre danno ài giovani una cultura generale, fondamento
degna altro studio, e corrodo necessario ad ogm vern o. tadino che
sia degno di tal nome, che e.o togli» rendersi conto dei propri doveri
socia i et bene i suoi diritti civili e politici. ni.
per quello clic si rifcriacea fonnQ ^ g,. 8tu dj. e al modo
in che s’insegna uberalo vorrebbe Fortunatamente, nessun > • ‘ ^
naz ^ on alità e imitare il sistema tedesco m ‘ r j amc ntari,
quale di franchigie costituziona i e p ^ ^ Bismarck.
viene inteso e praticato e a ^ ^ ^ quintessenza dei Ma quanto agli
studj, P aie metodi educativi e didattici e del sapere umano si
ritrovi in Germania, e solo in Prussia la si possa apprendere : il cervello del
mondo prima era Parigi, oggi è Berlino! Confrontiamo adunque
l’istruzione secondaria tedesca con la nostra, che già conosciamo.
In Prussia l’insegnamento secondario viene impartito in tre specie
d’istituti nazionali: ne’Ginnasj, corrispondenti al nostro Ginnasio e al
nostro Liceo riuniti, onde in alcune parti della Germania il Ginnasio è
detto anche Liceo •, nelle Scuole Reali ( Beai- schulen ) di moderna
istituzione, le quali hanno una certa somiglianza colla nostra Scuola
tecnica ed Istituto tecnico uniti*, nei Proginnasj e nelle Scuole borghesi (
Biirgerschulen ), che servono di preparazione quelli al Ginnasio, queste
alla Scuola Reale, o sono strettamente coordinati gli uni a’Ginnasj
superiori, le altre alle Scuole Reali superiori. Le Scuole borghesi della
Germania (una specie delle nostre Scuole tecniche) hanno per fine,
considerate in sò stesse, più una cultura generale inferiore, che un
insegnamento pratico o professionale. Vi si compie generalmente il corso intero
in 6ei anni, e in qualcuna s’insegna anche il latino. Ma le discipline comuni
a tutte le Scuole borghesi tedesche sono le infrascritte:
Religione, tedesco, francese, inglese, geografia, storia, matematiche, fisica,
storia naturale, disegno c •calligrafia. Ora, qual fine
educativo e scientifico si propongono i Ginnasj tedeschi e le Scuole
Reali, c quali materie vi sono insegnate? u Fine diretto del GINNASIO G(dice
Pullè nella sua erudita relazione sulla Istruzione secondaria in
Germania) c quello di preparare per lo studio scientifico delle
Università. L’istruzione clic vi viene impartita però, nel suo contenuto
c nella sua forma, c ordinata in modo da rendere la monte atta e
fornita dei mezzi necessari per raggiungere qualunque grado e specie di coltura
intellettuale. Il centi o di gravità degli studj ginnasiali c
l’insegnamento linguistico, e si fonda pei Ginnasj tedeschi sulle tre
lingue letterarie che rappresentano la vita delle tre più grandi famiglie
umane, attrici della storia c della civiltà europea : la greca, la latina
e la tedesca. “ Il concetto informatore del programma deg 1
studi ginnasiali si ò : nella conoscenza dello lingue, aprire al pensiero
lo spirito dell’antmhità e le forme dell’espressione ; abbracciare nella
stona 1 con ■ dell’umanità e del progresso civile e nel a s o
tararia formare l'idea nazionale. Nella geogr ^ storia, naturale,
nella fisica e nella «nata» ^ prender le relazioni dell'uomo eolia naturi
^ di quello colle forze di questa : • ' amca to all’esattezza
del ealcoloedeig.^^“ dei mezzi pratici e delle necessda posavo. _ ^
a contemplare dalla elevatezza . iuoven( j 0 da un comprendendoli
nel loro spiri ° ^ dcl]c CO sc. Colle ■criterio morale, P roCoa ° V ®',
ivor8e materie, messe in cognizioni acquistate 0 ' da]la disciplina
sco- contatto c collegate dal consapevolmente . letica,
l'intelletto giovanile s, v. abituando e si conquista questo liberalissimo
modo di pensare, che poi applicherà o ai suoi studj futuri o alla
pratica della vita. “ Lo Scuole Reali invece, conforme alla loro
origine, hanno un fine più limitato c più direttamente pratico. Esse sono
destinate a fornire una generale coltura scientifica, come preparazione a
quelle professioni, per le quali gli studj universitari non sono
richiesti. La loro principale differenza dai Ginnasj consiste in ciò,
clic l’insegnamento classico scema, e di altrettanto cresce in suo luogo
quello delle materie scientifiche. Il latino vi c mantenuto, ma ridotto a
due terzi dell’orario settimanale nelle classi inferiori, alla metà
incirca in quello superiori. Il greco n’ò escluso del tutto : invece si
dà un posto maggiore alle lingue moderne; il tedesco c il francese hanno
un orario più ricco clic non nei Ginnasj; vi s’insegna l’inglese
nello treclassisuperiori, ed in alcuni casi, facoltativamente, lo
spagnolo o l'italiano. Questo ricco apparato linguistico però non viene
trattato, come nei Ginnasj, da un punto di vista scientifico, ma
solamente da quello pratico, per l’uso moderno e del commercio. .,
E però nel Ginnasio tedesco s’insegna: Religione, tedesco, latino,
greco, storia e geografia, matematiche, storia naturale, fisica ; e in
alcuni Ginnasj superiori della Prussia, come nel Ginnasio Federico
Guglielmo, si aggiunge l’insegnamento del disegno, del francese c
dell’inglese. Le stesse materie s’insegnano nella Scuola Reale, fuorché
il greco che viene sostituito dal francese, inglese o spagnolo. Ecco
pertanto gl’inscgiramenti che si danno nel Ginnasio e nella Scuola Reale
superiori, uniti insieme : Religione, tedesco, latino, greco, francese,
inglese, ebraico, storia c geografia, aritmetica e matematica, storia naturale,
fisica e chimica, disegno c calligrafia. Più tardi, in alcune città
della Germania sorsero scuole industriali per soddisfare a certi bisogni
e tendenze locali 5 coinè tra noi, per cagione d'esempio, e sorta la
Scuola industriale e professionale di Vicenza che ha surrogato
quell’istituto tecnico, perchè più vantaggiosa a coloro che, a poca
distanza, a Schio lavorano nel grandioso e prospero stabilimento
industriale del benemerito seuatorc A. Rossi. Presso la Scuola
industriale nel centro di Berlino s'insegna: Religione, tedesco, francese,
inglese, storia e geografia, aritmetica, materna- tica pura ad applicata,
fisica c chimica, chimica pratica nel laboratorio, storia naturale,
calhgia ., disegno a mano libera c disegno geometrico. Il
Ginnasio superiore tedesco, con 1 esame b sturila o di licenza,
schiude le Porte dol^ versità; c le Scuole Reali di l u ‘ m01 J
degl’inge- loro licenziati di passare ai IL/ W”
*- . . *V gneri, di essere ammessi ^^o'di’volontariato, di
tare e a godere i benefi ‘ nci Ministeri. E qui gio- aspirare alla
carriera u ‘ . licenziati dai nostri va ricordare che anche a * ;1
benefizio del Licei ed Istituti Aitare, sono am-
volontariato quanto _, i;ce{iU) e a n a facolta di messi
all’Università (t sezione fi s i c0 -ma- matematiebe quelli (tecni
.) tematica ; inoltre possono tutti aspirare ai pubblici uffizj minori,
come nelle Poste, nelle strade ferrate, nelle Prefetture, nelle
Intendenze di finanza e nei Ministeri. . Ed
orapotrebbesi domandare: Perchè nei Ginnasi tedeschi non è compresa la
filosofia, e nelle Scuole Reali non s’insegna economica politica, statistica,
diritto positivo, computisteria c ragioneria, estimo ed agraria, che
troviamo invece presso i nostri Istituti tecnici, ne’quali bensì manca il
latino ? Nei Ginnasj tedeschi (eccettuati alcuni pochi dove si
studia la logica formalo, o la propedeutica filosofica) non avvi
l’insegnamento della filosofia per due ragioni: 1° perchè, a differenza
d’Italia per il contrasto e la separazione fra la Chiesa e lo Stato, là
si mantiene vigoroso l’insegnamento della religione, sia cattolica
sia protestante, secondo la confessione religiosa degli alunni ; 2° perchè i
giovani, oramai bene apparecchiati c riflessivi, apprendono la filosofia
nelle Università ordinate diversamente dalle nostre: di fatti nelle
Università tedesche la facoltà filosofica comprende altresì quella filologica e
storica, quella fisico-matematica e di storia naturale. Per altro, se ai
nostri Istituti tecnici manca il latino, onde i giovani licenziati
(eccetto quelli della sezione matematica) non sono ammessi
all’Università, e in fatto di cultura letteraria sono generalmente inferiori ai
licenziati dal Liceo; le Scuole Reali tedesche, paragonateagl’Isti-
tuti tecnici italiani, hanno il capitale difetto di non apparecchiare
direttamente gli animi alle lotte nobilia feconde della vita pratica sociale ed
agli ufficj amministrativi, perchè non vi si danno le principali
nozioni di scienze morali o sociali, come la morale, l’economia politica,
la statistica, il diritto, la computisteria, e somiglianti.
IY. I nostri G-innasj e Licei non hanno subito notevoli e
sostanziali cambiamenti, almeno in ciò che riguarda la natura e il numero
delle materie d’insegnamento. Non così gl’istituti tecnici, dalla loro creazione
fino al 1885 : e però giova esaminare i principali mutamenti introdotti in essi
coi programmi del 1871, del 1876 e del 1885. Nei
programmi del 1865 non si provvedeva sufficientemente alla cultura
letteraria e morale de giovani ; non si distingueva un doppio orine 4.
stadi negl'istituti, studj penerai, c teorie, da un, V
Mi . pratici dall'altro ; infine la temone fis,=o-ma, ematici era unita a
quella industnalo A que* inconvenienti si procuri di rimodare dal
Mistero d’agricoltura industria e commercio ( pendevano
allora “Mastico 1871-72, grammi al principio d de p a
circolare precedati dalle relative is ruz ^ sanzionat ; con
ministeriale del 17 otto re ’ l’onorevole R. Decreto del 30 marZ
°,? 8 '^ iglio superiore per Domenico Berti, a nome ^ ^ Qtta relazione
al l’istruzione tecnica nella ™ r neva ques te savie Ministro
riforme: P Ripartizione della sezione di meccanica c costruzioni in
sczìodc fisico—matematica, c in sezione industriale; 2 a Prolungamento
del corso delle sezioni negl’istituti; 3 a Ampliamento o miglior
distribuzione della cultura generale c scientifica, c della cultura speciale ;
4 a Riordinamento dei programmi d’insegnamento; 5 a Connessione degl’
Istituti tecnici con le Scuole superiori, c nonno per l’attuazione del
riordinamento degl’istituti. In ordine a tali riforme, il corso
degli studj tecnici da tre fu portato a quattro anni : gli studj
del primo anno comuni a tutte le sezioni, giusta il Regolamento del 18G5,
furono estesi a tutto il primo biennio in comune e determinati nelle
seguenti materie : Lettere italiane, storia c geografia, lingua
francese, inglese o tedesca, matematiche elementari, storia naturale,
fisica, nozioni generali di chimica, c disegno ornamentale. Clic anzi,
per rinforzare la cultura letteraria e morale, alcuni insegnamenti
di cultura generale, come l’italiano, la storia c la geografia, vennero
protratti nelle varie sezioni per tuttala durala del corso tecnico ; agli studj
lettcrarj si volle aggiunto ed unito lo studio della Psicologia c
delle principali nozioni ed applicazioni della Logica, restringendo
ilprimoalle facoltà essenziali dell'anima, alloro svolgimento e al
destino immortale di essa, il secondo alla teorica del giudizio e del
raziocinio, e alle norme fondamentali dell’ arte critica. Imperocché il
Consiglio superiore di istruzione tecnica é d’avviso (diceva 1’ esimio
relatore Berti) u clic nulla tanto giovi a restaurare gli studj
letterari e all’ incremento della cultura generale quanto i buoni
studj filosofici. Speriamo clic il tempo ci concederà d’introdurre noi nostri
Istituti un vigoroso insegnamento di morale, che, oltre al servire
di preparazione o di aiuto alle diverse discipline giuridiche ed
economiche, tornerà eziandio di vantaggio all’educazione dell’animo, alla quale
si deve mirare negli Istituti tecnici non meno operosamente clic
nelle altro scuole Finalmente, le sezioni degl' Istituti furono divise in
cinque : seziono fismo- matcmctica, industriale, agronomica,
commerciale, c quella di ragioneria ; lo prime quattro da compiersi
ciascuna in quattro anni, 1 ultima in un . dopo aver conseguita la
licenza nella sezione coin mordale., Ma pii. notevoli c piofonde
mno^.on sul» ■Menzioni sai piograni™ bcllcmc,iti delle
Commissione «I ^ jc larevisione scienze sperimenta, g j u dj
Z io e al- dei programmi stessi ’ ”,priore distriuione V
approvamene del C°™=> ctl n »ovi programmi, tecnica le opportune n
j> Decreto u n0 ~ gVIs,itati farete ai «se riforme,
vembre 187G. Ilcco 1 l . paragonate con quelle c c Fu
ristretta al solo primo anno la cultura generale, comune a tutte le
Sezioni, facendo prevalere nei tre anni successivi la cultura speciale-
tecnica. 2° A chigavesse ottenuto la licenza ginnasiale o di
scuola tecnica, fu data facoltà di iscriversi al. secondo anno
d’istituto, purché avesse prima superato l'esame nelle materie del primo.
3° Fu ristretto rinsegnamento delle matematiche per la sezione
fisico-matematica 5 ma vi faaggiunta la trigonometria sferica, che non
s’insegna nelle Università^cui debbono presentarsi gli alunni
dell’Istituto col diploma di licenza, anche senza lo studio del latino,
prima di essere ammessi alle Scuole di applicazione. 4° La
sezione agronomica fu distinta in due, con nuova distribuzione di materie
c con indirizzo- più pratico : in sezione di agronomia, destinata a
formare gli amministratori rurali c i direttori di p aziende agrarie ; in
sezione di agrimensura, per co lmo clic si danno alla professione di
periti stimatori di fabbriche, e di periti misuratori di campi.
5° Alla sezione commerciale fu riunita quella di ragioneria, da
compiersi in quattro anni perchè 1 esperienza fatta in alcuni Istituti
aveva già dati buoni risultamenti. G° In quest’ultima seziono
la statistica fu unita all economia politica ajiplicata, avendo sempre
cura di far prevalere nell’Istituto la parte applicata alla teoretica.
Bensì mentre nei programmi del 1871 il diritto amministrativo era obbligatorio
nella sezione di ragioneria, in quelli del 1816 non se ne parla
affatto ! 7° L’economia politica teoretica, qual parte della
cultura generale scientifica, fa estesa a tutte le sezioni. 8
° Infine, s’introdusse un nuovo insegnamento comune a tutte le sezioni, e
che nell’anno scolastico 1S77-7S fu reso obbligatorio in tutti
gl'istituti tecnici del Regno, cioò gli Elementi scientifici di Etica civile
c Diritto, con doppio intendimento : di prepa- rare lo menti allo stadio
del Dirittoposavo e del- l'economia politica, o di temperare .1 cara, o
de giovani formando non solo « abita profe^—,, ma cittadini degni
per virtù moral. e emù E - il nobile desiderio acconnato lino da
presidente del Consiglio snpenore ca, onorevole Berti, venne urc
dal il ministro Calatabiano irebbe lodo P Consiglio
stesso e dai P 1 ’ 0 ^^ ^alfeta grande- gli uomini imparziali . della
crescen te mente a cuore l’cducazion generazione. . v i
1077, ecco per- Secondo i nuovi program*speciali, tanto la
distribuzione delle male ^ Lettere Insegnamenti comuni a a
o-QQtrrafiii., matemati- italianc, lingua francese, sitera, b ° natur ale
; che, disegno, fisica, chinu ca » ^^ cnt - scientifici. di
economia politica teoietic., dalle nozioni di etica civile e di
diritto, P lC 370 sulla riforma de’ licei
psicologia c di logica. Seguono le materie speciali delle cinque
sezioni (oltre le materie in comune) nel- •J’ordine infrascritto :
Sezione fisico-matematica : Lingua inglese e tedesca.
Sezione di agrimensura: Costruzioni, geometria pratica, agraria,
estimo, diritto privato positivo. Sezione agronomica : Costruzioni,
geometria pratica, diritto privato positivo, agraria, estimo, chimica
applicata all’agricoltura. Sezione di commercio c di ragioneria :
Diritto privato positivo, teoria della statistica ed ccouomia
politica applicata, computisteria c ragioneria. Sezione industriale
: Teoria della statistica ed economia politica applicata. Ritornati
gl’ Istituti tecnici sotto la dipendenza del Ministero dell’Istruzione
pubblica pel Decreto leale del 26 dicembre 1S77, si pensò j)iù volte
in questi ultimi anni a riordinare la istruzione tecnica di primo c
di secondo grado. Il Ministro Baccelli aveva nominata una Commissione per
la riforma della Scuola tecnica c dell’ Istituto tecnico. L’ on.
Ministro Ceppino ha fatto tesoro delle proposte di netta Commissione ] c
quindi abbiamo la recente riforma degli studj tecnici, approvata con Decreto
reale del 21 giugno 1SS5. Alla Scuola tecnica si è conservato il
suo duplice line teorico e pratico, cioè di preparare i giovani all’Istituto e
di fornire “ una certa istruzione reale e pratica ai giovani che
volessero darsi al piccolo traffico, agli umili ufficj pubblici ed alla
milizia E però nel terzo ed ultimo anno gli alunni si dividono in due
sezioni, con diverso programma di studj e con metodi di csercizj
convenienti e prò- prj, sccondochè intendono di passare
all’Istituto, o di sottoporsi all'esame di licenza per entrare
nella vita pratica del lavoro utile. Per 1’ ammissione al- V
Istituto tecnico si richiede l’esame m queste materie : Calligrafia, Disegno,
Geografia, Lingua francese, Lingua italiana, Matematica (Aritmetica razionale e
Geometria), Storia antica, orientalo e gioca, Storia d'Italia, Dovari a
Diritti dal rioni di Storia naturala. Por ffr* 1» ““ tannica
si richiede olirà lo’ io ‘ 8 teria- (salvo la Storia antica), 1
esame 1, t i Un Escrcizj di Lingua franaata, no. . di
Aritmetica, nelle Lozioni di Mineralogia. . on o conservate
Riguardo all’Istituto toc» co, s “° la sc . le cinque vecchie
sezioni, sue l '* . Commcrc io c zione industriale in due lami, „-.
n0c Ragioneria Ragioneria privata, diAmniinis sezione
pubblica. Gli studj dal . tutti gli Fisico-matematica si sono
1 s tadj speciali alunni dell’Istituto, de terni nn q . 0 ^ cr
ciascuna tecnici e pratici ncl^ sCC ° UC . 1 ° in( | 0 i e s ua
particolare, sezione, secondo il fi nc e . vo n’cbbc a for- Ondo la
soriana Fisino-matamatic marcii Liceo scientifico moderno, e le altre
Sezioni altrettante Scuole professionali. Ecco, pertanto, le
materie comuni a tutte lo sezioni : Chimica generale ed clementi di
Chimica organica ; Disegno ornamentale geometrico c a mano libera;
Fisica elementare; Geografia Lettere; italiane; Lingua francese; Matematica
(Algebra e Geometria) ; Storia generale ; Storia naturale. Materie
speciali per le rispettive Sezioni. Sezione Fisico-matematica :
Chimica (esercitazioni) ; Disegno di applicazioni ornamentali c di
architettura ; Elementi di Logica e di Etica ; Fisica complementare ; Lettere
italiane ; Lingua inglese o tedesca ; Matematica (complementi c Trigonometria)
; Storia complementare. Sezione di Agrimensura : Agronomia, Agricoltura ed
Economia rurale ; Chimica (esercitazioni) ; Costruzioni e Disegno
relativo ; Estimo ; Fisica (Meccanica e Idraulica) ; Legislazione rurale ;
Lettere italiano ; Matematica (Trigonometria ed esercitazioui, Geometria
descrittiva c Disegno relativo) ; Topografia e Disegno relativo. Sezione di
Agronomia : Agronomia, Agricoltura ed Economia rurale ; Tecnologia
rurale e Zootecnia ; Chimica agraria ed esercitazioni ; Elementi di
Topografia e di Costruzioni, e Disegni relativi; Fisica (Meccanica, Idraulica o
Meteorologia) ; Legislazione rurale ; Lettere italiane; Storia naturale
applicata all’Agricoltura. Sezione di Commercio e Ragioneria: Calligrafia
; Computisteria e Ragioneria (parte generale e speciale); Scienza
economica, e degl’istituti TECNICI IN ITALIA 37S> Economia
applicata, Statistica e Scienza finanziaria; Elementi di Diritto civile,
commerciale ed amministrativo ; Merciologia ed esercitazioni ; Lettere italiane;
Lingua francese, inglese o tedesca;Storia complementare (delle colonie o delle
industrie c dei com- merej). Sezione Industriale : Chimica; Disegno 01
- namentale ; Fisica elementare ; Geografia ; Lettele italiane ;
Lingua francese; Matematica; Storia generale ; Storia naturale.
Questa riforma segna certamente un notevole progresso
nell’ordinamento generale dei nostri s u ] Liei di primo e' di secondo
grado. *£» ^ ohe sia una riforma compiuta c e ' pare davvero :
ansi nella Beiamone al He si fa co ^ prendere che dallo stesso
Ministero «sente_ desiderio di ulteriori modificamo»! e '‘"Jf
della nefica intorno all’assetto “'S 1 * 01 ® °. n p attuale
istruzione tecnica secondaria. > te0 _ Scuola tecnica e bene
Cù0Vcl |^ a S cu|Ìc pre nci alle Scuole di arti 6 “ Cb ’ iftndi? La
seziono fessionali inferiori, per „i e or dinaria-
Fisico-matematica dell'f 8tlt ^ j vcrH ità, come può mente prepara
i 8 * ova ?'^ moderno, so non vi si dirsi un vero Liceo scic ^ ^
noto c he in Ger- studia affatto la lingua latina. gQ ]ft Scuo i a
mania il latino si studia ano ^ ^ i#| e re- Rcalc. Perchè abolire
le no della Logica e stringere l’insegnamento e ^. o _ roa t e
matica? Dcl- dell’Etica alla sola sezione i alcan bisogno
la Logica e delia Morale no» ha»»gli scolari delle altre quattro sezioni,
i quali poi lasciamo affatto gli studj ? Infine, perché abolire gli
elementi scientifici del Diritto razionale, mentre questo è fondamento del
Diritto positivo c della stessa Economia sociale ? Il presente
ordinamento della Scuola c dell’ Istituto tecnico non ha dunque raggiunto
il suo ideale. VI. Ma dall’altro lato, si può egli diro
che l’istruzione classica da noi sia perfetta sott’ogni rispetto? I
nostri Ginnasj e Licei sono in piena armonia coll’esigenzc de’buoni
metodi, coll’avanzamento delle lettere c dello scienze, coi bisogni e
collo nuove condizioni della società odierna? E tutte lo nostre Scuole
secondarie mirano esse ad un fine principale, ad infondere nell’animo della
gioventù una sana o vigorosa educazione morale c civile? Ognuno si
troverebbe fortemente impacciato a rispondere a queste domande : il che significa,
clic molto ci rosta ancora da fare per le nostre Scuole secondarie,
classiche c tecniche. Vero è che un compiuto c razionale
ordinamento della istruzione secondaria presenta non poche c serie
difficolta per natura sua ; e difficilmente presso qualunque nazione può essere
opera d’un solo periodo di tempo c d un legislatore solo. Quindi non deve
recar meiaviglia so nell’Italia nuova, tenendo conto ancora delle
sue condizioni politiche, intellettuali c morali, il giavissimo problema
d’un compiuto c stabile assetto delle Scuole secondarie non ha avuto fin
qui la migliore ed ultima soluzione. Quattro, secondo me, sono i
principali quesiti a cui deve rispondere un razionale fecondo e stabile
ordinamento dei nostri Istituti se- condarj vuoi lotterarj o classici,
vuoi tecnici o professionali : a) Cultura generale degli
alunni. I) Metodi in armonia con lo svolgimento graduato delle
facoltà umane, e in pari tempo con 1 progressi e fini della scienza. _ •
a) Relazioni fra i Ginnasj, i Licei c le Universi,, fra lo Scuole
tecniche, gl'Mtutì e la Un,ver- sitò, i Politecnici od altro scuole
saperlo,,. d) Attinenze dello nostre scuole s“™ d ”' c0 ° '
la vita pratica c con gli uffici minor. «1 “ Statm^ Ed ora
esaminiamo brevemente 1 qua ^ per vedere poi quali rimedj
principali oceor.aco . nostre scuole. a; Quali materie
si dovranno tn*&* ciascun istituto secondai io P‘^ ss
nell’Istituto? nasio e nel Liceo, nella Scuo a ec ” . ò e3S3r
c La scelta eia quantità di osso matouc,^^ arbitraria,
oppure deve cs.cic ^ ^ v ; debbon me, a criterj ben definiti . ^
definiti, i q uab essere certe norme, anzi cn ^ gtcss0 c he si prosi
desumono principalmente a ^ ^ogni sociali pone il legislatore, vero
interpre ^ ^Hoscuole, nell’istituire o nel riordinare cia finc
immediato Ogni istituto ha due fini esscn cioè di provvedere
alla cultura generale della crescente gioventù studiosa e dei futuri cittadini
; un fine mediato, che sta ora allappateceliiare le menti a studj
superiori, ora nell’abilitare a certe professioni, o a certi ufficj minori
nello Stato, e all’amministrazione delle proprie sostanze. La
cultura generale cambia secondo i progressi dello scibile umano e secondo le
peculiari condizioni della società civile. Trent’ anni fa, per
esempio, dalla classe più numerosa dei veri cittadini, dalla borghesia,
in Italia non si sentiva il bisogno di apprendere certe cognizioni
politiche e scientifiche, perchè allora la borghesia aveva minore importanza
sociale di fronte al clero e all’ aristocrazia, e perchè mancavano al
paese istituzioni liberali, che portan seco nuovi diritti c doveri. A
voler compiere ed esercitar bene questi doveri e diritti sociali, richieggonsi
opportune cognizioni c un più alto grado di cultura intellettualo. Come
pure dalle nuove condizioni sociali è sorta la convenienza di
rendere più colta ed istruita la donna, senza cadere per questo
nell’opposto eccesso. Ma la vera c soda cultura d’un popolo non deve
consistere soltanto nell istruzione della mente, si anche e
principalmente nella retta educazione dell’ animo, come richiedono
la natura e il fine dell’ uomo considerato e in sè stesso, e in relazione
colla famiglia e colla società, senza qui entrare nel campo religioso.
L’istruzione non è fine a sè stessa e all’ umana società, ma piuttosto e
mezzo all’ educazione morale e civile. La prima ha per fine diretto la
conoscenza del vero -, la seconda mira alla pratica del bene.
Ciò posto, se le materie clic oggidì s’insegnano nelle nostre
scuole secondarie soddisfano in generale ai bisogni della mente e alle
nuove condizioni sociali, per ciò che attiene al sapere, non sono pero le
piu adatte, considerate fra loro c da sole, ad invigorire il scuso
morale, a prodarre mia 0 educazione, che torni vantangiosa alle singole famiglie
o all' intero consorzio civile. He. da°*ogici e scientifici, in buona
parte della stampa a “liberalo, nel Parlamento e ne. paese pressai
generali o frequenti sono le "ri « sècot rizzo educativo
delle nostro scucem» darle. AU’ insegnamento. re ìgm mim care
c razionalmente impaitito, tare come in nessun grado delUi—
9Ì ‘ giudicano molti uomini i us ii secondarie voluto o
saputo contrapporre mo ingegnamen to in generale un vigoroso stadj CODS
iderati morale, coordinandovi pu» | . q molta parte della
nell’aspetto educativo. d eleva to sentimento nostra gioventù manca
1 P, no bili, l’affetto del bene, l’entusiasmo pei e c s j t i retti, il
ca- disinteressato, la fermezza n rattere morale.
Vili. n0 arduo ed importante b) Altro quesito non m ^
sapcre inse di è quello del metodo, non gnaro quanto nel coordinare
le materie di studio: quesito che non si può risolvere
convenientemente, ove non si badi al graduato e armonico
svolgimento delle facoltà umane. Con qual ordine si svolgono le
facoltà dell’uomo ? Prima il senso, la fantasia c la mo- moria ; poi la
immaginazioncintellettiva e la ragione, colle sue varie operazioni o
facoltà secondarie, come l’attenzione, la riflessione, l’astrazione,
l’analisiclasin- tesi, la comparazione ; per ultimo, la volontà
libera. Ora, queste facoltà non sono l’una dall’altra separato,
come l'esperienza o la ragione ci attcstano ; ma sono invece strettamente
congiunto, perchè tutte dipendono dallo stesso ed unico principio che in
noi sente, intende e vuole. Bensì 1’ una prevale sull’altre nelle
diverse età dell’uomo, e secondo la natura degli obbietti a cui son
rivolte le operazioni intellettive e morali di lui. A questo naturale c
graduato di- spiegarsi delle facoltà umane, a quest’ armonia loro
meravigliosa, deve sempre corrispondere l'ordinamento degli studj e un acconcio
metodo d’insegnamento nelle nostre scuole, dalle prime classi elementari all’
Università. Per chiarire meglio le nostre ideo, gioverà qui
fare un’osservazione’ pratica. In virtù del R. Decreto 22 settembre 187G,
la filosofia s’insegnava in tutti e tre i corsi liceali ; mentre prima
cominciavasi a studiare nel second’anno di Liceo. E nella Relazione che
precedeva quel R. Decreto diccvasi che nel prira’anno liceale
l’insegnamento della filosofia dovesse consistere segnatamente nella
lettura e nello studio di luoghi filosofici Latini, e nella
spiegazione della nomenclatura filosofica, di cui tanta parte si
chiarisce colla lingua greca. — Senza disconoscere le intenzioni più che
rette del legislatore, a noi pare (confortati in ciò dall’esperienza) che
sarebbe stato miglior partito ritornare alle vecchie disposizioni,
cioè principiare lo studio della filosofia nel secondo anno di Liceo,
perchè le menti de giovani sono allora più riflessive e mature, ed hanno
acquistato nuove e più sode cognizioni di letteratura, di storia e di
matematica nel primo anno liceale, dalle quali trarranno poi giovamento
nello studio della filosofia stessa. Vediamo infatti che in Austria s insegna
la propedeutica filosofica solo nella classe Vili, od ultimo anno del
Ginnasio-liceo ;, e no Gmnasj di Boltzen o di Klangcnfilrt la logica
/orma studia nello ultimo duo classi, comspondentmdfecondo e terzo anno
del nostro Liceo In Trace . poi, ««ero corso di l'ultimo anno
d. Liceo ' ; l nostri otto ore d'insegnamento P« “ ge .
alunni, appena usciti a un ver o insc- ncralmente ben prepara
liceale, sia per gnamento di filosofia sa perficiali la
tonerà età, sia pei aWtuatialla n- cognizioni, sia per no poteva
giovare flessione e al ragionamen o - - m0 co rso liceale
gran, fatto spendere tutte » 1 p. oso fica, che si nell’
insegnar loro la nom p 0 studio delle può di mane in mano
apprendere singolo parti della filosofia elementare 5 e ancor meno
avrebbe giovato spenderlo per intiero nella lettura o nello studio di
luoghi filosofici latini, por esempio nel De OJJiciis e nel Da Leyibus di
Cicerone, perchè tali studj c letture presuppongono un corso ordinato,
già compiuto, di filosofia razionale e morale. Più tardi l’insegnamento
liceale filosofico si restrinse a soli due anni, cominciando lo
studio della Psicologia e della Logica nel secondo, e riservando al terzo
la Morale. Ma con P. Decreto del 23 ottobre 1884 l’insegnamento
filosofico è stato di nuovo esteso a tutti e tre i corsi liceali, assegnando
al primo lo studio della parte più generale della Logica. - Per le
ragioni suddette, converrebbe tornare al vecchio sistema, cioè
principiai’e addirittura lo studio della filosofia elementare nel secondo
corso liceale, e compierlo in due soli anni. Siffatto ordinamento c
siffatto metodo converrà poi che nelle scuole secondarie si trovi in
armonia perfetta con i progressi della scienza o con i fini dell’
insegnamento. Lo studio della Filosofia e dello •Scienze naturali, a
cagion d’ esempio, deve esser fatto in modo ben diverso da quello in che
facevasi venti anni addietro : e qui siamo già incamminati per la
retta via. La Storia greca e romana dovrà essere insegnata nel Ginnasio e
nell’Istituto tecnico in modo differente, per la diversità del fine di
esso studio nei due Istituti ; all’ insegnamento della Chimica non potrà
darsi nel Liceo quell’ estensione o profondidà che deve avere presso
l’Istituto tecnico. Governo e professori debbono pertanto aver di
mira questi quattro punti essenzialissimi : 1° Lo svolgimento armonico di
tutte le facoltà umane; 2* La •cultura generale degli alunni; 3° Il
progresso dello scibile ; 4° Il fine pratico della scuola.
IX. c) Come le scuole inferiori od elementari, oltre
avere un fine proprio, debbono servire di fondamento e di preparazione
agl’istituti secondarj, così questi vogliono essere coordinati
razionalmente allo scuole superiori e di perfezionamento. E però i nostri
Licei ed Istituti tecnici, specialmente in alcune seziom, come in
quella fisico-matematica e di a S ron0 “ ia ’debbono avere stretta relazione
col or inam .degli studi nelle Universi.!., «M*-*** Scuole
superiori di per la stessa ragione, i G. J ^ tcomcho ag Ii
legati strettamente a U, 1 ha m flM Istituti professionali, be U
rog i on di più speculativo che pratico, S ® . P ge ins ° mm a
à mezzo die di fine, a ' 0S ^ip er il Liceo, parrebbe
destinato a preparale g j s6 avere un fine che anche la
Scuola tecnic re p arar e le più speculativo ch ® ^Jistìtuto
tecnico, anziché menti a studj super io fes9 i 0 ni, per
quanto presumere di abilitare a ^, ione precoce super umili
sieno, e di dare un * s ^ dimostrato non Sciale inefficace, che 1 es P
erI v uon0 risultamento. .condurre da sola a verna pratico
e Ma se la Scuola tecnica, com’era prima ordinata, non corrispondeva nè al
suo fine speculativo, cioè di dare una conveniente cultura generale, o
di. preparar bene gli alunni all’Istituto, nè al fine pratico,
ossia di abilitare a’più modesti ufiicj nella vita privata e pubblica; anche il
Ginnasio, il Liceo e l’Istituto, nelle attinenze loro cogli studj superiori,
hanno i loro difetti. Così, nel Ginnasio si dovrebbe insegnare la lingua
francese, materia non solo di cultura generale, ma eziandio necessaria
agli studj successivi nel Liceo e nelle Scuole superiori ; c lasciar da
parte la Storia Naturale, che viene ripresa nel Liceo in modo più esteso
e profondo. Inoltre, come studiar bene le Scienze naturali senz’aver
prima studiatola Fisica ? Nel LiRco, poi, hanno troppa estensione alcune
materie, come la matematica, le scienze fisicochimiche ed il greco, dacché
queste materie, spinta oltre i debiti confini, non sono d'interesse
generale,, non danno per se un risultamcnto pratico, si riprendono quasi
daccapo nelle rispettive Facoltà università) ic, richiedono molto tempo nel
corso liceale con grave scapito delle altre materie. Tale
inconveniente non ha luogo negl’istituti classici della Germania. Ecco
quello che scriveva in proposito l’egregio professor Pullè nella citata
sua i dazione: “La parte più importante ve l’hanno l'aritmetica e la
matematica ( elementare, come si vede dai piogrammi) per far vero il
principio, che le lingue, classiche e la matematica sono il centro dello
studio ginnasiale. Yicn dopo lamica, quindi la storia natuvale. La
chimica e per sè, o perchè ancora troppo poco è venuta a scientifiche
conclusioni, ed è tuttavia da riguardarsi come in via di sviluppo, non
viene, nei Ginnasj almeno, accettata come materia obbligatoria. Così
anche alla storia naturale non si dà una sostanziale importanza : anzi
per regola, dove manchi un buon maestro per questo insegnamento,
nella classo IV c V le due ore vanno impiegate per l'aritmetica eia
geografia. A questo punto va fatta un’ osservazione importante.
L’insegnamento delle scienze positive nei Ginnasj o Licei c ordinato
non tanto ad un fine pedagogico, quanto acciò che il .giovane, che
vi compio la sua educazione, ne esca con una generale coltura,
sappia qual posto occupa ciascuna scienza nell’ insieme dello scibile e si
avvezzi a liberamente pensare. Per questo vai tanto m e- gnamento
realistico per coloro che -n d Una ti a professioni giuridiche,
alle V ÌnSCSnan,e ^° m“ peTqueste ultime, quel tanto che
scienze esatte Ma per q ^ ^ do, tutt0 se ne apprende nel L la
fisica, lachi- insuffieientc, poiché al rfetfa mat6 .
mica, la storia naturale, e &U ? a n ^ llcipio e ripetute
matica, vengon riprese quasi calzallte è quello quasi alla
lettera. L’ esempio P ^ anni ne l della fisica generale, che appi ‘
^ bienna le al- Liceo, viene ripresa pei un a, ti tem po eia
l'Università. Or» per Ucw, o lo fatica sono irrornss,
talmente p» sono all’ Università. Ad ogni modo, chi volesse approfondirsi
nelle matematiche elementari e nel greco, per indi proseguire i medesimi
studj nelle Facoltà di scienze fisico-matematiche e di lettere, potrebbe
frequentare alcune lezioni facoltative da stabilirsi nell’ ultimo
anno dei nostri corsi liceali. Nell’ Istituto tecnico, poi, converrebbe insegnare
la lingua latina nella sezione fisico-matematica, essendo questa
direttamente coordinata all’Università. X. d)
Finalmente, un compiuto e razionale ordinamento degli studj liceali e tecnici
deve provvedere non solo alla cultura generale degli alunni e ad
apparecchiare le giovani menti e studj superiori, quando esse vogliano e
possano dedicarvisi, ma deve altresì avere un fine pratico, abilitando i
giovani a certi ufficj minori presso le società private o presso
10 Stato, e fornire tutte quelle cognizioni che fanno 11 buon
cittadino. Non tutti i giovani ch’escono dai nostri Licei
sono in grado, per le condizioni economiche della famiglia o per altri
motivi, di proseguire i loro studj nell’Università e negl’istituti
superiori. Essi pertanto cercano un’occupazione negli Ufficj postali,
comunali e provinciali, nelle Prefetture, nelle Intendenze di finanza,
nei Ministeri, nelle Strade ferrate, nelle Biblioteche, c via dicendo.
Coloro poi che frequentano gl Istituti tecnici si dànno tutti, meno
quelli della sezione fisico-matematica ed altri pochi fortunati acl una
professione libera, come i periti agrimensori; o ad un impiego presso le
Amministrazioni private o pubbliche, secondo i lori studj e la
capacità. Inoltre, il diploma di licenza tecnica o liceale, conferisce
loro certi diritti pubblici, non solo il diritto al voto politico, sì
anche 1 altro di essere giurati (a 25 anni) presso la Corte d’Assise. Or
bene, come potranno adempiere convenienteinentesì gravi doveri ed
esercitar bene sì nobili diritti quei giovani, che, secondo l’attuale
ordinamento dei nostri Licei, non vi hanno apprese nè vi apprendono le
nozioni piu •elementari del diritto pubblico interno, e che (potendo
anche sedere nei Consigli amministrativi del Comune e della Provincia)
non. sanno mente d. Economia politica c d’Amministraz.on= ? So pò. cacano
un modesto collocamento nello Poa *®> letture, nelle Intenderne di
finanza, nelleStradefer rate, nei Ministeri, come potranno sostenere, gl,
am, j; „nn avendo appreso nel Uinnasiu senza nuovi studj 1 ^ n *u
contabilità c la enei Liceo ne ^ itiv0 ? E quindi, o
computisteria, 1 dovran no sostenere questi nuove spese o
fatiche ^ classiclie> od avremo giovani licenziati . f Quanto ag u
alunni dei- in società altri sjjos • _ diritto amministra-
l’Istituto tecnico, le sezioni* 1 come nel 1877 tivo vanno estese
aim ento, a tutte le se- furono estesi, con savi I economia
teoretica, ziom dell fstitnto g ^ di etica civile e dii
ut SULLA RIFORMA DE’ 1ICEI Ed ora concludiamo. Quali pronti cd
efficaci riraedj vanno recati ai nostri Istituti secoudarj classici e
tecnici? A mio parere, eccoli brevemente : 1° Si metta obbligatorio lo
studio del francese nel Ginnasio, e si tolga la storia naturale. 2° Si
restringa il programma di matematica, di fisica e chimica, e del greco
nel Liceo per quegli alunni, che non si danno poi nell’Università alle
matematiche, alle lettere ed alla filosofia. 3° Nella terza classe liceale
si* stabiliscano corsi superiori facoltativi di matematica e di greco
pecchi ha interesse di approfittarne. 4° Vi si insegnino pure le nozioni
elementari di economia politica e di diritto amministrativo.
Quanto agli studj tecnici : 1° Si coordini nettamente e definitivamente
la Scuola tecnica all'Istituto tecnico nel terzo anno. 2° Si renda più.
pratica la Scuola tecnica per i licenziandi, collegandola altresì alle
Scuole professionali inferiori o di arti e mestieri. 3 Si metta
obbligatorio il latino per conseguile la licenza nella sezione
Fisico-matematica dell Istituto. 4° Si estendano a tutte le sezioni dell’Istituto
gli Elementi di Logica c di Etica. 5° Si icnda obbligatorio lo studio
dell’Economia teoretica sociale a tutte le Sezioni, eccetto a quella
Fisico-ma- tematica. G° Si ristabilisca il corso elementare di
Diritto razionale. 7° Si porti a cinque anni il corso compiuto dell
Istituto, quando non si credesse meglio di stabilirò in quattro anni il corso
teorico o pratico della Scuola tecnica. A questo modo, mi
pare che i nostri Licei ed Istituti tecnici possano davvero rispondere al
fine loro speculativo e pratico, alla ragione dei tempi e alle
condizioni del nostro paese, e riuscire superiori o migliori dei Ginnasj
tedeschi, e delle Scuole reali e borghesi della Germania. Comunque sia,
in ogni riforma de’nostri Istituti mezzani e superiori, classici e
tecnici, non dimentichiamo la massima che fino dal 1S38 inculcava il
Mamiani ne'suoi Documenti pratici intorno alla rigenerazione
intellettuale e morale degl’italiani : u Gli studj che mirano a poco alto
fine e versano sopra materie futili ne emano di nudrirsi di scienza
profonda, snervano 1 intelletto e l’animo. GENTILE E
IL DIRITTO INTERNAZIONALE. Allicricus ilio fuit, qucra non Brilannia modo,
seti et tota Europa pracccplorom in Jure suum eolil et agnoscit
»• Jl. PrecuiD, Elogio di Scipione Ganlue. Fra tante e nobili
glorie italiane fin qui dimenticate v’era il nome di un insigne
Marchigiano, che. più d'ogni altro meriterebbe di far parte quella
storia, « magnifica e peenhare de,U Ita liani fuori d'Italia, che
Cesare Balbo m fine gin nani jwn* « » . connazl0 nali.
vissinri «itti nato a San- Questa gloria italiana m0
rto ginesio (provincia di Macerata) nel UM esule in
Inghilterra a 19 e t “"j” a metà del Visse dunque ABonc» e la
se» secolo XVI, che fu una dell epoc P ^ religiosa. E questo
Q Bran0 e di Cam- Francesco Bacone, i Elisa betta : epoca
famosa, panella, di Filippo II e di JM per grandi avvenimenti
politici e religiosi, per ingegni preclari e fortissimi caratteri.
Matteo Gentile, valente medico, venuto in sospetto d’avere abbracciato la
riforma religiosa, esulò dalla patria conducendo seco il giovine Alberico
e l’altro figlio minore Scipione. Alberico, ebe avea già studiato
la scienza del diritto nell’Università di Perugia ed avea tenuto
l’ufficio di magistrato in Ascoli Piceno, non poteva non essere amato e
pregiato nella culta Germania, dov’erasi rifugiato col fratello e col
padre, che fu protomedico in Carniola. Il duca di Wiirtemberg, l’Elettore
Palatino e tutte le Università dei loro Stati tennero in alto pregio
il nostro Alberico per il suo ingegno e per la molta sua dottrina.
Più tardi, Matteo ed Alberico si recarono nella dotta ed ospitale
Inghilterra, mentre Scipione rimase in Germania ; e, stimato egli pure e
di forte ingegno, divenne successivamente professore di Diritto nelle
Università di Heidelberga, di Altorf e di Norimberga, dove morì a 53 anni
nel 1016. Matteo fu archiatro della regina Elisabetta, e morì a
Londra nel 1602. In grazia d’un suo eloquente discorso che
salvò da morte l’ambasciatore spagnolo nella corte di Elisa- betta,
Alberico Gentile fu eletto dal re di Spagna ad avvocato della Corona e
dei connazionali dimoranti in Inghilterra. Fu inoltre professore al Collegio di
San Giovanni Battista in Oxford, l’Atene d’Inghilterra, e in appresso fu
lettore primario di Giurisprudenza in quella celebre Università,
che in occasione della festa anniversaria fu visitata, com’è noto,
da un altro insigne italiano, da Giordano Bruno. Onde a vcrun altro,
meglio che ai tre Gentili, ma soprattutto ad Alberico s’attagliano quelle
splendide parole clic C. Balbo lasciò scritte nel Sommario delle cose
d’Italia : “ Mirabile ingegno italiano che, chiusagli una via, ne trova
altre ed altre infinite ; che, chiusagli la patria ad operare, opera
fuori, corca, trova campi in tutti i paesi, in tutte lo colture ! „
IL Se non che, somma ed universale gloria si ac-
smistò Alberico Gentileper le sue opere e spcoialmen- te pel suo famoso
trattato Dejwre belli. Non meno d. quaranta sono gli scritti fin qui
conosciuti deU illu- stre Marchigiano. Primeggiano su tutti le ha oji lutato
universalmen ditfeoGrozio, autore Mica dirilto, e quale P"
ccurù /pradier-Fodóró ael De jvre Belli et scrisse che
(Grotius et son temjps), a ^ . mcgnasse u leggi Gentile fu ^ P
quello ohe dice su della pace e della guerra . Ecco q tal proposito
Eraerico Amari nella Critica di una scienza delle Legislazioni comparate
(cap. IV, art. ir, in nota), opera non conosciuta degnamente, come
avviene spesso di altri libri italiani : lt Sebi bene il titolo
dell’opera di Gentili sia solamente De jure belli, pure io dico avere
fondato la scienza del diritto della guerra e della pace, sì perchè il
libro III di quello tratta interamente delle paci, come perchè in
altri due trattati, l’uno De Legationibus e l’altro De armis Eomanis in
due libri, nel primo dei quali tratta delle guerre ingiuste, c nel
secondo delle giuste dei Komani, copiosamente parla del gius delle
genti della pace ; laonde in queste tre opere tutto il diritto
internazionale è compreso. Lo stesso Grazio, quantunque per debolezza
d’amor proprio d’autore ne abbassi il merito, pure per candore di
scienziato confessa essersene non raramente giovato; e chi confronti le
opere di questi due grandi uomini, vedrà che Grazio non esagerò gli obblighi
suoi col nostro Gentili Che altri ingegni italiani avessero
trattato della Guerra e qualcuno di loro avesse per avventura
tentato di applicare la scienza delle leggi all’uso della guerra prima di
Alberico Gentile, ciò non viene impugnato dallo stesso autore del De jure
belli o dal Grazio, e lo attestano il Tiraboschi, £. Amari e P. S.
Mancini. Ma prima di Alberico nessuno e rasi elevato sì alto ; ond’egli
stesso rivendica a sè questo primato fin dal principio del suo trattato
famoso : Magnam atque difficilem rem aggredior. Non baleni libri illi de hoc
jure, non olii vili, qui cxtcnt. Non ti sembra egli che quelle prime
parole trovino un degno raffronto in queste altre, onde il
Machiavelli, restauratore della scienza politica in Italia, palesa c attesta
la novità del suo metodo e dell'opera sua ? lt Ho deliberato entrare per
una via la quale, non essendo stata per ancora da alcuno pesta se
la mi arrecherà fastidio c difficulta, mi poti ebbe ancora arrecare premio,
mediante quelli che umanamente di queste mie fatiche considerassero
{Discorsi, I) „• Agl’intelletti novatori non può man- care la
consapevolezza dell’opera loro, come non mancava al grande contemporaneo del
nostro Gentile, all’autore del Nuovo Organo, il quale sapeva di additare
alle scienze sperimentali un metodo veto, ma nuovo e non ancora praticato
fuor, d Italia : • quac via vera est, sed intentata.
Mirabile potenza dell’ingegno italiano, nevato e speculativo
e pitico ad un tempo! Cocce .. m PÌ ^ÌTn7^:r S rMe “cono 1 Fimi.
P" alla mente enciclopedica. dj^ ^ di rÌ3 a- taneo
del Gen * lle ’ D ° albeggi delle leggi (leges lire alle fonti del 111 ’
trattat ° S Tilla Giustizia um- legum) e di scrivere ^ ^ dovea C
om- versale. Ma delle cinq tratt ò c he della prima, porsi
l’opera sua, per aforismi, che risguarcla la certezza delle leggi
nella loro intimazione (1). ni. Ma veniamo
senz’altro a dare un cenno dell opera insigne di Alberico, Dejure belli. Questo
trattato, che fu dall’autore dedicato a Roberto conto d’Es- sex, è
diviso in tre libri. Rei primo, data la nozione della Guerra, si esamina in chi
risiede l'autorità di muover guerra, e per qual fine s’intraprende ; poi
si dice quando la difesa è necessaria, quando utile c quando onesta;
infine si esamina le cause che spingono alla guerra, che vicn fatta ora
per necessità, ora per utilità, ora per cause naturali ed umane-, e
si conclude che, dovendosi anteporre l’onesto all’utile (III, c. 12), la
guerra vuol esser fatta per una causa onesta. Il secondo libro tratta del
come e quando si dichiari la guerra, dell’inganno e degli
strattagemmi ; e qui l'autore detto clic “ fondamento della giustizia è
la fede vuole con Marco Tullio che il giuramento e la fede sicno
rispettati anello dai combattenti: tueri inter bella fiderà. In
progresso tratta delle regole che vanno osservate verso i belligeranti,
verso i parlamentarj, verso i prigionieri, verso quelli che hanno deposto
le armi \ e infine (1) Vedi i nostri due libri: F. Bacone e la
Classificazione delle scienze. Firenze. Elementi scientifici di Etica c
Diritto, Roma] parla degli assedj, del come vogliono essere trattati i non
combattenti, del rispetto cioè verso i supplichevoli, le donne e i fanciulli,
della facoltà di dar sepoltura ai morti in battaglia, la violazione
del qual diritto da parte dei nemici sarebbe improba ed empia. E termina questa
seconda parte •con fervide parole a Dio, perchè si rimuova dalle
guerre la barbarie, la crudeltà, l’odio inestinguibile; e perchè non le
genti cristiane dai barbari, ma questi da quelle apprendano le leggi ed i
modi più equi ed umani di guerreggiare. Il terzo libro c •tutto
consacrato al fine vero ed ultimo delle guerra, vo'dire alla pace, ai
modi più equi nel ristabilirla, All’amicizia ed alleanza tra Stato e
Stato. Questo breve cenno mi pare sia sufficiente a dimostrare la grave
importanza di tale r,Opera : onde ai spiega facilmente perchè tutti i P m
insigni trattatisti moderni del pubblico diritto ricordino con molte lodi
il nome e la dottrina di Gentile. CI se iù quel suo trattato egli non
sempre indaga, ? * metodo rigorosamente scientifico, le a fondo, e
co eminenti del giure ragioni supreme e le le OD 1 ^ ^
universale di gu*»» ^ esemp j 0 con mirabile erudizi,^ .
occorre tener autorevoli e n vivesse il nostro Gentile, e
-"In prto» ad « ltore ^ *°. de “ 0 ° fcui ^mirava,
questo il concetto -fine altissimo a cui e nobilissimo pei’ cui il nome
di Alberico va associato ai nostri tempi e vivrà immortale. Non pago di
u^ eie stabilite e di volere applicate le leggi alluso della
guerra, non pago di aver raccomandato clic la guerra sia fatta sempre per cause
oneste e giuste, quel forte e magnanimo intelletto invoca dal Padre
del— l’eterna giustizia, clic voglia rimuovere ogni motivo di
contrasto fra i popoli, che cessi ogni guerra, sia pur mossa da cause giuste
:Tu pater justitiae, Deus „ eliam has lolle causas nobis, tolle bellum
omne : eia, Domine, paceni in diabus nostris, da •pacava (I, e.
25). Nò si creda che Alberico, esule della patria, e che viveva in un
secolo pieno di persecuzioni e tristamente famoso per tante guerre politiche e
religiose, abbia invocato una pace transitoria, la pace solo per
l’età sua e per i suoi contemporanei !No ; egli, am¬ maestrato dalle
discordie e dai gravissimi danni di molto e diverse guerre, dai mali che
esso arrecano •all'umanità, dal ritardo e dagli ostacoli clic ne
pro¬ vengono alla civiltà ed al progresso dell’umana fami¬ glia,
invocava, precorrendo ai magnanimi tentativi del Leibnitz e del Kant
{Disegno di paca perpetua fra le nazioni) ed allo aspirazioni di molte
anime generose del secolo XIX, la pace perpetua ed uni¬ versale,
con quelle memorande parole onde chiudeva il suo trattato : u Deus autem
optimus maximus faciat, principes imponeva bellis omnem Jìnem, et jura
pacis ac foederum colera sanctc. . . . JEtiaiU Deus, etiam impone tu
bellis finem : tu nobis pa- cem effi.ee n . e ir. Diurno
internazionale Chi può, adunque, negare la importanza tra¬ grande di
quest’ Opera e la sua opportunità ? Sono ornai decorsi circa tre secoli
da che fu scritto il Da jurahdli, ma le crudeltà della guerra non sono
affatto cessate, ed anche a’nostri giorni ne abbiamo avuto tristi
esempi in conflitti memorabili ; nè ancora tutta Europa sembra disposta a
custodire santamente i diritti della pace e dei popoli. Bensì il Diritto
in¬ ternazionale, che può dirsi fondato dal grandeMarchi- giano, ha
progredito non poco, e gli ultimi congressi europei ne sono stati la più
solenne testimonianza, e, se non compiuta, certo la più retta ed
umana applicazione. Quanto all’epoca d’una pace universale e
perpetua, clic sì ardentemente invocava il nostro Alberico, se per ora
appare assai lontana, giova per altro ricordare lo splendido e solenne
trionfo che nel 1872 riportò in Ginevra il principio delUròifrafo
Muterà la sua indi- omaI, ‘Coiaio, u proclamatasi
«tomento pondon» od unita- * olto3tM .u dinaosi al di
ordine 4. cavdt ^, cbi primo formuli, mondo mteiolas.it 0 „ acrra c
d invocò il diritto dolio g0"*> la pace universale. Il
Romagnosi fu il primo a dire- che l’Italia doveva rendere ad Alberico la
debita giustizia. Questo voto fu accolto dall’illustre professore P. S.
Mancini e dal Municipio di Sanginesio, quando seppe clic Tommaso Erslcine
Holland, pio- fossore di Diritto internazionale nella celebre Oxford,
aveva in un pubblico discorso- rivendicato gl’insigni meriti del suo
immortale pre¬ cessore, Alberico Gentile. Ma la gloria d’aver dato
corpo e vita, per così dire, a questo nobile desiderio, spetta
all’operoso e fervido pubblicista Pietro Sbar¬ baro, mentre insegnava
Filosofia del Diritto nel¬ l’Ateneo di Macerata. Di fatto, il Consiglio
accademico di quella Università, convocato in adunanza straordinaria il
27 marzo 1875, udita una bella relazione dello stesso prof. Sbarbaro,
unanime de¬ liberava di esprimere pubblicamente il voto che si
costituisse, sotto la presidenza dell’ insigne giure¬ consulto P. S.
Mancini, un Comitato internazionale per erigere in Italia un monumento a Gentile.
Questa nobile iniziativa fu encomiata universalmente. Osiamo dire che
forse mai somiglianti proposte ebbero un successo più splendido. Tutti i
più autorevoli periodici d’Italia vi fecero plauso, o la proposta
fu bene accolta anche dalla stampa estera, specialmente in Inghilterra,
Germania, Francia e Belgio. Parecchie Università e le principali
Accademie scientifiche c letterarie del Jlcgno aderirono alla proposta
dell’Ateneo maceratese. I più insigni uomini (l’Italia in ogni ramo del
sapere, illustri statisti e scienziati stranieri, tra’ quali vanno
qui ricordati Bismarck e Gladstone, Holtzendorff, Er- skine
Holland. Laurent e il compianto Laboulaye, o accettarono di far parte del
Comitato Merita d’essere riferita per intiero la seguente lettera, che in
quciroccasiono scrisse al prof. Sbarbaro, segretario del Comitato
internazionale, l’eminente giureconsulto, storico c pubblicista E.
Luboulayc. Mon elici- Profcsseur, a Versailles. L’ idée d' honorcr la
mdmoiro à'Alberico Gonidi est oxcellcntc; jc m* y associerai bica
volonticrs. Alberico a ctd
le précurseur do Grotius, et à ec t.tre .1 ménte qu o lo tiro de T ombre
où on 1’ a laissd trop longtemps .i 1 on pouvait donnei: un. boa».
ddi.lo» d. »» Jur, MU «J rdunir dea documenta sur sa vie, et des lett c,
esiste, on lui roudrait lo plus parfait Uommago que puu^ désiror uu bomme
de lettrcs apres sa tcmps dori vaine, qui sommes ravement pensée s
dcrèto et cn notre pays,, '°^ av0 " s 01 | ;P ] U3) n os iddes
sewi- qu’un jour, quand nous n j rumnn itd. C’est eetto
rout la cftUSe d ° 1 ’faìt dddftìgncr la fortune, Ics placcs et
illusion qui nous fait dd 6 C3 tdans l’aventi-. tout co que lnfoule
cn ' ic ’^ sa tom bc, ne sernit-il paa Gcr Si Gentili pouvnit sortii: do
cc ^ a to «td pour de penso.- qu’on se aei-ico Ma-
gistero f0 “ ” aegii ìstitaH Tecnici Sulla riforma de Licei o
b . in Italia.. Gentile
c A.pp© udicC- il Diritto internazionale. DELLO STESSO
AUTORE. Elementi scientifici di Etica e di Diritto. Filosofia Morale e Sociale.
La Teodicea di A. De Margerie, con una Prefazione di Conti. Principio,
intendimento e storia della classificazione dell’umane conoscenze secondo
Bacone. Dottrina dell’Evoluzione e sue conseguenze teoriche e pratiche.
Discorso Accademico. Elogio funebre di Ile Vittorio Emanuele II. Opuscolo. Esposizione
critica del sistema filosofico di Wahltuch. Opuscolo. Critiche varie. In
corso di pubblicazione: Elementi scientifici di Psicologia e di Logica. Valdarnini.
Keywords: semantica. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Valdarnini,” pel Gruppo di
Gioco di H. P. Grice, The Swimming-Pool Library, Villa Speranza. Valdarnini.
Luigi Speranza -- Grice e Valent: la
ragione conversazionale e l’implicatura conversazionale della forma della
lingua – la scuola di Treviso – filosofia veneta -- filosofia italiana – By Luigi
Speranza, pel Gruppo di Gioco di H. P. Grice, The Swimming-Pool Library (Treviso). Filosofo veneto.
Filosofo italiano. Treviso, Veneto. “Some like Vitters, but Valent’s my
man.”Grice. Grice: “Valent wrote the only legible introduction to Vitters’s
thought!” Essential Italian
philosopher. Insegna a Catania e Venezia. Si occupa di
ontologia, logica dialettica, linguaggio, storia e interpretazione delle grandi
categorie della filosofia. Dai primi studi sull'empirismo-scetticismo, sulla
filosofia e sull'analisi del linguaggio (Wittgenstein), è giunto ad indagare
attorno alla teoria della negazione e del divenire in chiave dialettica. Sulla
base di tali premesse, che orientano verso una rilettura dei canoni e dei
presupposti del rapporto ragione-follia, si è impegnato a ri-disegnare, insieme
con un gruppo di psichiatri e psicologi del centro psico-sociale di Orzi nuovi
cresciuti nel solco dell'esperienza critica inaugurata da BASAGLIA, un modello
della psiche adeguato alla comprensione e alla cura della malattia mentale,
dando vita a quello che è stato definito l'approccio dialettico-relazionale. Collabora
con il gruppo teatrale Scena Sintetica nella messa in scena di testi
filosoficamente rilevanti (VELIA, VELINO, Eraclito, Melville, SEVERINO, GALIMBERTI).
Presso Moretti l'edizione delle sue opera. La sua filosofia muove da
un'originale riformulazione di alcune questioni legate alla filosofia di SEVERINO
(vedi), alla tradizione neo-idealistica italiana (GENTILE) ma anche neo-scolastica
(BONTADINI), e dipendenti dalla riconsiderazione speculativa del concetto del
negativo. Descrivendo la sua formazione si define resciuto a una scuola filosofica
di ispirazione ontologica, screziata da un netto disegno dialettico e pungolata
dallo scrupolo fenomenologico. Analizzando le implicazioni concettuali e
pratiche della negazione così com'è stata pensata in uno dei punti più alti e
rilevanti della tradizione dialettica, ovvero nella “Scienza della logica” di
Hegel, critica l'idea intellettualistica della negazione intesa come
esclusione, proponendo al contrario una negazione come inclusione e una
filosofia animata dal principio di ospitalità. Il "no" della
negazione, lungi dal dar vita a una realtà separata, è ciò che innerva il reale
nella sua essenza metamorfica e vitale, nella sua splendida apertura alla
novità, alla trasformazione e al cambiamento di cui il filosofo è appassionato
investigatore. A questo scopo e in evidente autonomia rispetto all'impianto
destinale della filosofia della necessità di SEVERINO, esplora la categoria
modale della possibilità, cercando di mettere in discussione sia l'opposizione
frontale tra realtà e irrealtà, sia la priorità assoluta della positività del
reale nonostante la negatività dell'irreale. L'esserci e non l'essere è, per V.,
che legge Hegel con Wittgenstein, la determinatezza semantica e sintattica, il
plesso grammaticale e vitale che ricongiunge l'esperienza intesa come luogo
dell'emergere della differenza e dell'incalzare degli eventi con la teoria
della razionalità quale analisi del permanere e della necessità. Ecco che di
contro all'ontologia fondamentale di Severino si fa largo l'idea di una micro-ontologia
intesa non come una “ontologia del piccolo”, bensì, piuttosto, nel senso che
non c'è nessun evento che non si disponga per virtù propria in una peculiarità
di significato, nel vigore elementare e insieme metamorfico di un qui. Ma micro-ontologia
anche come ontologia del remoto, dell'avverso-diverso, dell'improbabile,
dell'anonimo, del folle: di tutto ciò che insieme si ritiene minore nella
capacità di realtà. Con la proposta di una micro-ontologia intendeva
sottolineare l'autonomia e la resistenza del diamante della dialettica come
principio di determinazione semantica fondato sulla relazione-negazione
inclusiva e situato nella prospettiva strategica propria dell'esserci, rispetto
al rischio delle ricadute nella mistica dell'essere e di quella totalità
assoluta che, in quanto tale, appare separata e isolata, esercitando la sua
imposizione distruttiva al di fuori della logica della relazione e
dell'inclusione. Di contro all'autentico totalitarismo di questa idea di
totalità assoluta propone la ripresa del detto eracliteo del Panta δια pánton,
ossia di quel tutto attraverso il tutto che è la forma radicale della illacerabile
relazionalità della vita. Solo se ogni differenza tra gli umani è un modo
differente di essere il tutto allora le discriminazioni tra piccolo e grande,
forte e debole, femmina e maschio, nero e bianco, ricco e povero, sano e
malato, non avranno ragione d'essere (se non in quanto differenti
manifestazioni dell'identico, invece che differenze di principio e di valore. Saggi:
“Verità e prassi” (Vannini, Brescia); “La forma del linguaggio: studio sul Tractatus
logico-philosophicus” (Francisci, Abano Terme, Padova), Invito a Wittgenstein,
Mursia, Milano; “Asymmetron, Quaderni de "Il Palazzo della Grande
Utopia", Milano; Dire di no. Filosofia Linguaggio Follia, Teda,
Castrovillari (Cosenza); Dire di no. Scritti teorici, Opere (Moretti, Bergamo);
“Asymmetron: micro-ontologie della relazione. Scritti teorici in Opere di V., a
c. di Tagliapietra, Moretti e Vitali, Bergamo. Panta διαpánton. Scritti teorici
su follia e cura, in Opere di V., a c. di Tagliapietra, Moretti e Vitali,
Bergamo. La forma del linguaggio. Studio sul "Tractatus
logico-philosophicus. Scritti su Wittgenstein, Sophón. Aforismi per l'anima, a.
c. di Valent, con un saggio di Tagliapietra, Moretti e Vitali, Bergamo. Opere. La
filosofia, prima di ogni altra definizione dotta, è amore per la realtà. In
ricordo, in "XÁOS. Giornale di confine", Dire di no. Scritti teorici,
Panta διαpánton. Scritti teorici su follia e cura. Italo Valent. Valent.
Keywords: la forma del linguaggio. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Valent”, The
Swimming-Pool Library. Valent.
Luigi Speranza
--- Grice e Valentino: la ragione conversazionale a Roma e l’implicatura
conversazionale di Romolo divino -- filosofia italiana – By Luigi Speranza, pel
Gruppo di Gioco di H. P. Grice, The Swimming-Pool Library (Roma). Filosofo italiano. He moves from elsewhere to Rome
where he created a sect called ‘The Valentinians’, who Valentino described as
being the only ones who would save themselves. Ippolito di Roma did not like
him. Valentino. Keywords: Roma antica, Ippolito. Per H. P. Grice’s Play-Group,
The Swimming-Pool Library, Villa Speranza.
Luigi Speranza -- Grice e Valeri: la ragione conversazionale e l’implicatura
conversazionale dello spazio tra sè e sè – l’antropologia filosofica come
ricerca dell’inter-soggetivo – la scuola di Somma Lombardo – filosofia lombarda
-- filosofia italiana – By Luigi Speranza, pel Gruppo di Gioco di H. P. Grice,
The Swimming-Pool Library (Somma Lombardo). Filosofo
lombardo. Filosofo italiano. Somma Lombardo, Varese, Lombardia. Essential
Italian philosopher. Grice: “I
especially like his idea of anthropology, alla Kant, as the search for the
subject.” “Tra se e se.” Si laurea in filosofia a Pisa, quale allievo pure della
scuola normale superiore, discutendo una tesi sul pensiero di Lévi-Strauss, con
relatore BARONE (vedi), si rivolse agli studi di antropologia, conseguendo un
dottorato di ricerca a Pisa. Le sue ricerche riguardarono molti argomenti, fra
cui, i sistemi politici, la parentela e il matrimonio, la ritualità, così come
l'antropologia sociale ed economica, la storia comparata degli usi e costumi
dei popoli, che condusse lungo la linea di pensiero del suo maestro
Lévi-Strauss. Gl’è stato assegnato per i suoi studi e le sue ricerche di
antropologia culturale, il premio ”Guggenheim Fellowship“ per le scienze
sociali. Fra i molti suoi saggi, cura pure diverse voci antropologiche
per l'Enciclopedia Einaudi. Tra le sue molte saggi, il saggio “Uno spazio
tra sé e sé. L'antropologia come ricerca del soggetto” (Roma) può considerarsi
una sua autobiografia intellettuale. Ghiaroni, "Società, soggetto,
sacrificio. La teoria del sacrificio di V.", in Studi e materiali di
storia delle religioni, Ghiaroni, ”Società, Soggetto, Sacrificio. La teoria del
sacrificio di Valerio Valeri tra Hawaii e Indonesia“, Studi e materiali di
storia delle religioni. Natura e cultura: introduzione alla teoria dello
scambio e della parentela di Levi-Strauss, Pisa. Per notizie biografiche più
esaustive, riferirsi alle xxvii-xix
dell'opera: in merito alla rilevanza di V. come studioso e ricercatore; Valerio
Valeri. Valeri. Keywords: antropologia. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Valeri”
per H. P. Grice’s Play-Group, The Swimming-Pool Library, Villa Speranza.
Luigi Speranza -- Grice e Valeriis: implicatura – By Luigi Speranza, pel
Gruppo di Gioco di H. P. Grice, The Swimming-Pool Library(Venezia). L'immagine dell'albero
delle scienze – e della filosofia come regina scientiarum, nelle parole di H.
P. Grice, non a caso ripresa da Bacone e da Cartesio, è particolarmente
fortunata, ma, soprattutto, agirà a lungo nel pensiero europeo l'aspirazione
verso un corpus organico e unitario del sapere, verso una sistematica
classificazione degli elementi della realtà. Non mancheranno certo
suggestioni derivanti d’altre fonti e da altri ambienti di cultura, ma Lefèvre
d’Etaples e Bovillus, Gregoire e V., Alsted e Leibniz faranno preciso
riferimento, affrontando questi problemi, ai testi di Lullo e a quelli del
lullismo. A conclusioni griceane giunge il patrizio veneto V. che nell’“Opus
aureum” riprende, modificandolo e integrandolo, il progetto dell'arbor
scientiarum. Nel testo di V. il problema dell'albero delle scienze viene
presentato come strettamente connesso con quello della formulazione delle
regole della combinatoria. V. tratta la cognizione necessaria al raggiungimento
della conoscenza degl’alberi. Sono gl’alberi dalla cui conoscenza dipende
l'intera conoscenza degl’enti e che V. illustra con esempi. L’arte generale
vada ridotta a questa impresa d’insegnare a moltiplicare i concetti e gl’argomenti
all'infinito, mescolando le radici con le radici, le radici con le forme, gl’alberi
con gl’alberi, e le regole con tutti questi e molti altri modi. L'interpretazione
che vienne data delle figure dell'arte appare fortemente influenzata dal
commento di Agrippa e anche dalle tesi di BRUNO (si veda) nei suoi saggi mnemotecnici.
Più che ad Agrippa e a BRUNO (si veda), V. si richiama tuttavia più volte a
Scoto e allo scotismo (de aliorum dictis non curamus, Scotum praeceptorem
sequimur) introducendo una dottrina dei PREDICATI (Grice: ‘shaggy’) assoluti e RELATIVI
(Grice: “want”). L'esigenza di un'arte aurea nasce in ogni modo, anche in
questo caso, dalla constatazione del carattere pluralistico e caotico
dell'orbe intellettuale, della povertà delle cognizioni umane, dal bisogno
d’un singulare ac mirabile artificium mediante il quale fosse possibile
rendersi conto dell'ordine del cosmo al di là di una caoticità
apparente e dar luogo ad una situazione nella quale gl’uomini, dopo
infinite fatiche, potessero riposare perpetuamente e sicuramente all'ombra
degli alberi della scienza (Nec sine maximis incommoditatibus et multis
vigiliis id perfecimus ut philosophiae imbuti valeant se aliquando ab infinitis
ambagibus liberare et viri in scientiis consumati post infinitos labores
peracti possint sub felici harum arborum umbra perpetuo et secure
quiescere). Anche per V. le radici degl’alberi coincidevano con i principi
dell'arte, mentre lo stesso ordine di successione dei vari principi vienne
presentato come dipendente dalla natura. Magnitudo vero, quae est secunda
radix, non fortuito primam sequitur, sed maximo naturae consilio. È proprio la
scala naturae che forniva inoltre il criterio cui far ricorso nella difficile
applicazione delle radici o principi dell'Arte ai subiecta. Nell''uniforme
applicazione di queste radici ai sudiecta è da impiegare la più grande diligenza
bisogna osservare la scala della natura e tutto ciò che, nel
grado inferiore, denota una perfezione priva di imperfezione, dev'essere
attribuito al grado superiore. L'operazione attribuita alla PIETRA, che occupa
il gradino infimo, dev'essere attribuita anche ai vegetali che occupano il
secondo grado della scala naturale. Ciò che comporta una imperfezione, se
conviene all'inferiore, non è da attribuire ad ogni superiore. Ne deriva che la
contrarietas e la minoritas non devono essere attribuite a Dio, anche se
convengono alle cose inferiori. Il divino ordina secondo nove soggetti ed alberi
la scala della natura. Colui che desidera sapere molte cose in ogni discilina
si formi questa scala. Sul V. cfr. CarrERAS y ARTAU, La filos. cristiana. Per
la prima edizione dell'opera si veda RocenT Duran, Biblio-grafia. La citazione
riportata nel testo dall'Opus aureun: in quo omnia breviter explicantur quac R.
Lullus tam in scientiaruni arbore quam arte generali tradit è ricavata dalla
edizione ZETZNER. Orbum aerum. AUREUM SANE
OPUS, IN QUO EA OMNIA BREUITER EXPLICANTUR, QUAE
SCIENTIARUM... Valerio Valier Ex Bibliolhcca majori Coll.
Rom. Socict. Jesu AVREVM SANE OPVS, IN QVO EA OMNIA
BREVITER EXPUCANTVR. QVffi fcicnti*arumommuinParcii«,RAYMVN#
•DVsLvLLVs, cam m fcicntiarum Arborc,cp artc Krali AVTORE V. M,
D, AVGVSTA VINDELICO- rum imprimebat Miclutcl ^ Mangcr»
Coffl gratia et Priuilcgio S^CseCMay* ILLVSTRI ET
CieN&KOSO B ARONl DOMINO Antonio Fuggcro» Domino
Kirchbergx di VVnnTenhoTni, Autorpcri pecuarobfrruaiuix er»
g6 de dicai, 7: L.LVSTR . ET GENB- rofc vir,
Mccognas perpetuo Iionore colcndc; quod tempua cranscgi Augufta
> libcraliori' bus Citrrcuacionibus dandum cxi(limaui: quod
piicarcm cflc curpifsimum ; G, quac c!a- baturcommendandi occafioi amc
ncgligc^ rccun Ergo Ray mundi Lulli craditioncs ad- huc SchoIii$
brcvibus illuftravi : racus quip- pc, quod rcs, dignifsimam cflc
ciufccmodi lcicquz digna efc cof^nicione fui. i Vaferif. Eu^anex
dulcilsimagtona gencis. Prllege.quod fummz e(l dexcericacis,oput.
Ha6Venus in cjrca iacuic caligine Lullus. in Uicem reuncacquem
labor hi(cc novut* Hunc npc|legeris my Reria magna videbit,
Quar nunquamdo^itvifa fucre prius« Addr quod tngenuas gremio
comple(5licur artCi^ i Arcuquz verenomenhaberequeunt» Aucori
mericas igicur perfolvico graces: £(rc Dcimunusnemonegarepocert«
i (lNpiLVLLANy£ AR. * tiS R ARx^ EXPLICA-
tioncm Valcri) dc Valc lijs VcninV M^xfma pirs iuhUit* nuva
cm»fcifnt?a Lulli Raymfidi rxf.^^ac: pars quocp magna ncga^
Eccittcfrra ndfsfR, tradido^martt vlum; V jt Mcndacis ficriDzmonts
arrf frtufir* '* Spiritus hos agirat cundlos c rroris aman';
Qut lovar cf mnunt optima dona facri« Pauca olim LuUus nobis pnrcf
pta rcliquirs Volvlf quarafsidu^do^a catcrva manu: Hancctiam docuit
Bruno lordanusad Albim ^ Irriguum, gratusquimibi doAorfrat»
Tradidit at mctius, mihi crcdc, ValcriusiHc: Itala qucm
gcnuit> Tcutona, tcrra. favcr« Maximushimc
vfutdocurtcommittcrcprarfot Quar prodf quf nnc iam tibi doS»
cohort*. Artc ncc c(l vfus Rc gts phlcgcthont is dC aftu ;
AuAornon Darmon, (cd Drutarcitcric» £t liCiC f minf ac nuHut fplf
ndor^ dccus^ Rcs tamcn c(l vcrbit antcfcrcnda bonit* Ert^o non
duhica.quinccrca (cicnria rradi Raymundi pofsic: quaro capc,
volvc>IC(;C Lf^(o lcAa placcc, lc ^am rraduciro adv fum* ^dgrauc
ptinciphim; fru^hit amicusciib (> • - 1
AD LECTOREM. NOuiquidem, amice Lecflor.intereot quofdam eflTc
qui fe fapientes cxiftimat, qui verborum potiu$,eIe^ •\tjam, quam
al- Cifsimos fenfus curant« f^uni verb res ipfae ponderandse potius
quam verba fuere* Mo- re etenim fcholafticorum quod vnico verbo
cxplicare potui libentifsime feci^nec verbo' rum concinnitatem curauu Non
fuit ociuoi crrata corrigendi. Candida igitur meor cc ipfe corrige,
ac impreiroht currenti manui Hmul igQofcc^Valc»
.M3;iOrD3JUA 1.lii ccl . -TJTrn m^: ..
.. h INTENTIO AVTORIS EXPLICATVR, IXIT ANNIS ABHINC
Raym»„. circiter irtccntii tnpgnii quidam Vir fummx e- Lullus
uditionkdc fapientije,nccmi/iorii (Brfdn) fdn- fepp^ 6htdtis. nomine
Raymundui tuUws, qui maxi^ ecqualisfu \ndm difficulatem in fcientijs
quihuscunc^, confti* crit. ^tutam admirdns, dc edrundem inter fe uarietd^
♦Duos l\. temcontempldnsyhominis miferidmdef>lorauit,quod longo tempo
bros Lull» rislhdtioperdeuidfcientiarumerrdndo, uixtandem oh immenfum *c'^'pfif.ad
laboremi non mmus confujdm quam exiguam rerum cognitionem aj- .,
fequnetur: Cupiensq; Uterarum cultores db ooc feruitutls wg) /i» paradas.
berdre^ dc breui temporis curriculo in fummdm omnium fcientiarum Qija re
pau noticiam deducere : nefcio quo diuino dfflatui furorcy inter cxtctd
ci ad noti- 9duos Ubros ddomncs fcientias djjequenddf confcripfit :
quoruunum ciam artiu breucmdrtcm, dlterumucrbgcnerakmdppcUdt, cx quo
poileriori "V. priorcm coUcgit.Veriim ob lon^m cxpcricntiam deindc
cognofccns jjjyg^jJJJj* pdUcosddiUdrum cognitiottem deucnirt, tnm propter
fin^Urc dc ^ arboa ddmirabilcdrtificium, quoda>ntincnt ; tiim ctim ob
prxceptorum rcm rcien? pducitdtem,quibuiimmenfum fcientiarum chaos
impUcatur, uoUiit tiaruiti clas mclariwi fentcntidm fuam cxpUcare; tdU
amcn modo nc fdCra dpro- rui s _ L u 1 1 i phdnif contdmindripoffent, cr
non nifi fummdlnffniddrcanorum •'■'^'ctu cx penetrdUddeguitdrcnc. Ad quod
pcrdgendum Librum cdidit, quem nominarc uoUtit thrborcm fcientidrum, nec
immcrito : quoniam ea cnciaru no omnid»qu4e db omnibui fcientijs
unipoffuntcoprxhcdi, LihcriUe imeriro ra. qudtuordccim tintum arboribws di^inShts
miro modo confiderat. lis dicicur.
Q£icumddmdnusnofiriudeuencrit,curduimui mdiori, quam fieri Intetio Au
poterdtffdciUtAtCteimUbrifenfumdperirc^a-circahoc unumton «hoiis clr^
noflrd mtctttioHcrfdtur. Qu^ddm cnim inutilid fubtrdximut i aU- ci^^od
> qud ucrb uddcncccjfdrU ddiidunut;[lcutilpdrjim m toto opcre
tcr» QuxprjB^ mpoteflyCt potijiimu in primaetquartx
pttrtCy'mquaruprimi,pir^' cipuein pri ter animJtducrllonesin
totoLuRiartificio siimc nccijjaridis fabricd' mx ct quar ^j-^j^ Catc^rias,ucL,ut uulg» intcUi^t prddicamcn
qu£ cnti* AiK*-'fiiu coucnirc pofjunt, quxcuq-fint iflj fiucrcali4,fiueab
iih- addira. tcUcCht fibricata.fluecrcatd ucl incrcatd.*Adiccimu^
mfupcr in fc Qnibusca- cunda parte arboriunicuic^proprixs formaSy ea
omnia brcuitcrcx* regorixno pUcando^qux ad arborcmquamcunc^ rcducipotcrant.
Intcrtiaut* ftrx conue j-o p^rte cr quarta proprio lAartemulta
dcfumpfimuiy «t i«grnw/2 . cognofcere potcrunt: NecfJne maximis
incommoditatibm cTmultis funHn*ia^ wgrZ/yj id pcrfecimus. ut VUlofophit
imbuti ualcant fe aliquando ab nteaddira*. infinitis ambagibus
libcrareya' Viriin fcicntijs confumati pofl infi* Quarchoc nitoslaborcs
pcrxBcs pofsint fubfclictharumarBorum umbra per» opus Aut: petub CT
fccure quicfccre. Isonrcprthcndant nosEloqucnti£ culto* cdcrcvolu
resfirudi Mincrua in fcribcndo ufi fumuty quoniam fatis trit (ut ar»
"j^*, bitramur) fi fub rudi cortice DoA Eloqucntcs fua ^loqucntid
tie* Bonreprx* crgM^?4rf poftrint. Hi>«r ^Morww prxcognitio neccffaria
c/? ad confequendam In fccuda, ftrbortmcognitioncm.
infccundapartequatuordtcim arborum n4« turam icclarabimuSy ex quarum
notitia tota entium cognttio depen» In tertia, dct^ I n tcrtia exemplis
iUvftrabimus qu£ tum in prima quam in fet In 4ta.quf cuniapdrtetraduntur*
In quirta uerb ct ultima moiumo^endt^ doccaniur p,^,^^ fpf^ gencralis ars
Kaymundi adhoc opus fit rcduecndai cgrcgu, iQcdidoulteriiis multiplicare
fcrme m infinitum conceptui» rfrgir* mnU utt cuiuscunq;
dUctiut gentrk cmf>Uxd tim pro piYtc un4
quimfalpitmifceniordiiccscumridicibui, ndiccs cunformift dr^ bores cum
arboribut CT rcgulM cum hii omtnbus^ CdUjsmuUiS De primaepartis
divifione» PRtm4 pirs in quinq; partcs fubdiuiditur, in quarum
primdrd* Principall». dicum ndturd arborts cuiuscunq; oflcnditur,
Infecundd arbo ^^P^ ^jj rumfDLidnumerdntur,dcdccldrdntur, In tcrtid
fvrmdrumcf [tntid expUcdtur^ In qudrtd qudJUonum uel reguUrum quidiitdi
dc et * numcrui (locetuK. In quinta ucro cr uUimd animaduerfionesqud* ^t*
ptc tuor prxccdentium.pdrtium ponuntur,qu4rumnoticidddLuUio
mniu fecretiord intcUigenda c{t neccOfaridf ' "
ponuncau ^ lecrcraLul
DE R ADICIB VS in Communi» liinucaiga da.
LOquuturi de principijs iUk uniuerfdUoribus qu£ quodUbct cn ti/s
gemps circunda nt dtq; infcnfibilitcr pcnctrant, ncmpe dc Bo^ Enum erai
nitdtc,Mdgnitudine, Duratiofie,Fotc(tdtc, Sdpientid uel
cognitione.VoluntdteuiU^petitu, VirtUtCy Veritdtc» G/orw, D»^-* 5^,^-
rcntidyConcorddntid^Contrdrietdtc, Principioy McH/o, Fwe, Miff^emid^
Concorddntid dc ContrdrietAtc» cum tribus pnmk rd- iicibm dbfolutis concordet
: quid ficuti BonitM notdt effenlidmy Md" gnituio perjeBionem rei
efjentidlem, cr Durdtio tiusitm rti fxi- S^entidmuel fubft^entidm, ficper
Concoridntidm cr Diffrrtntidm habeturiettrminans cr ieterminjbilt tx
quibu* unAconiunfbsrti cxifientidpeniet dc perfcCho. Cwttrdrietsiutro
Durdtioni reffton» det, quonidm res extrd caufdm fudm exi^entcs Udrijs
paj^ionibui af' ficiuntur,qudrum ratione uarijs quoq; oppofltionibm funt
futie^^*. Stcuniuitriingulws qiti e{lie Principio, Meiio dc Fiiit cum tribu$
pofttrioribus rdiicibM optime conutmt, quid poffe operari quoi
Foteftdtidifcribitur. Principiumrequirit^ quodeftauthor operdti- onfs.
Cum Medio fsmbolum habet mdximum Sdpientid uel cognitio» O* t conutrfo,
quid utluti Mtdium intcr duos limitts conftitutum tft, itd cr Sapicntid,
inttr potentidm cognofctnttm cr cogmtuw obie» Oummeiiat.Tinlsutrodpprimi
Appttitui ucl Voluntdti propor* tionatur. quia nihiiiefiieraturnifxob
aliquem finem. Tertius cr ul. timus tridn^lu4 ie Sidioritdtt, Atqualitdte
cr lAinoritdtt opti' mdmhabttSymmetridm,cumultimis tnbus raiictbus priork
arii* nis. qudmfic ofieniitnui : Cum Virtute S\diorit4x mdximi
conuenire iicitur.quid Virtuf eit fons ^
ortgomultirumoperdtionum.qu£ iuo maioritatem qudnidm infinudnt: Vcritati
Atqualitds ti^iunfbl cum VeritMfitditqudtioquxidm uclsqudUtMeffentit di
fuam i» iedm. Etdeniq;Gloridueldeleditiocumab ommbu4 non ^qualiter
ftt pdrticipdtd,fed d quibufddm m mdiorigrddu (fifds tftfic bquiy
Vdk cr ab alijs in minori, ah aUquihm proptic CT
e&iuisjicuti cr uicifum iUa dc bonitate ^ ^*' (imo quodUbet dc
quolibet cr de omnibut prxdicari dicitur) ideo efl iUis ratio cur
bona. uocentur cr quatenui talia bonum producere pof* fint, Omnes igitur
arbores acearum partes qu£cunq; d Bonitate ge- neraltbonjc dicuntur^a-ficutibonitas
ffneralifefi fui ipfiut picnA^ cr cttenrum partium : (ic BonitM
particulark datur. qut fui ipfi* B oniras q '/^ P^^' ^ aliarum partium,
Tunc ^nerilis Bonitdt cfi fuiipfiut modo fit plcns, protit concernit
bonificatiuum, bonipcare, crbonificabile^ plena fuii- Tunc uero diiirum
partium pleuA exiflit, quanio per mgnituii* pfius. nem r magnA, per
Durationem durans, atq; per cxterat radices td^ Bonitasqii
Hf^i^ffndicaturdcBonitateinparticulari^s. Trunci, Brancharum aijar u m
-^yy^ arborum partium. ConfimiUter quoq; dc unaquaq} radi*
liulicplea. ^j^^^ j^ncenimfuiipfiuiplena erit, quando potcntiam
proximant p proximm iffndi, a^m dc
corrcUtmm connotihit» fcd exterarum partium, quinio 46 dijs earum
limdituiinem fufcipiet^ JEjJent ipfi* ui Boniatis qudmpLurtm^
proprieaxtes defcribenix.quM Pythd^* rj(y Arijio :
t^umeniusPUtonicuf, MercuriusTrime^ftMi P^' Dialo: fo> cr pUto
enumerant, mter qu4s tlercu : Trim : ai Tatium loquens^ nouem
dj^ignAt, quonidm txlium proprietdtum notio plurimum proi deji pro
txornAniis conceptibus dcmeiijsdrgumentorum muenien* iiSy
iequibu/idlidsuerbdfdciemws.VdriM uerb Boniatis iiuifiones tu ipfe
ooUigito ex iiuajd drborum iiflm^one : ii^ poterk obfer* UdreicdUjsrdiicibus»
De Magnftudinc» MAgnituio efl ens rdtione cuius omnes rdiices
funt mkgnt dc q^\^ (Jj c£terd entid. Cuiui iefinitionis pdrtes confwiili
moiofunt Mzgnhii» explicdnixyjicuti m Bomafff iefinitione explicdtx funt.
do. t(.cf}dt tintum ofleniere plures mdgnituiinls dcceptiones,quje tres
Variz ma- funt nempCy uirtutky moliSyVoperdtiomim, qud^ LuUm optbneco
gnitudinis gnouitium lnquit» Mdgnituio cfl ambiens omnes extremiates ef.
^cccpiio- ftnii, pcr qux ucrbd inmit triplex effe^f effcntit cr
fpiritudle^ cui conuenit primum mdgnitudinis grnw icquoabunic dicctur m
Cdte* ^rid QUdntititis : aliuiefl efje ccrporeumy cuimagmtuio molis
ac uirtutiscompetit. Tertiumefieffcm d6kperoperdtioncm, cui re*
lj)onietoperdtionummdgnituio. Et h£c ultimd magnitudo multif moiis
uariatur, flcuti cr udrix funtoperdtionum jf>ccics, rcalcs, in Va rix
ope^ tentionAles j immanenteSy trdnfeuntes : ndturdlcs^ dcciicntalcs :
rationum proprit, dppropridt£ : re^it, refiexjc : fj>irituales,
corporalcs % ^P^cics, necclfdri£y contmffntes : inftdntdnex, cr in
tempore faiit i fj mlt£ diix qut Philofophis cr Thcologts funt
nott, DeDuratlone, c
l^urdtio Daratioqd T^Vrj^io eftensy per quoi rddices
cmnesdcrdiquientUda* (i u I J rdnt: V multiplex efi. Qu^eddm enim uocdtur
timput conttp Multiplex nuum, qud res fuccefiiu^e dimcfurdntur^
utmotui omnes.Mid duratio» jfQcafur Aeuum, qud fj>iritudles fubftdntix
finita nec non corpore£, absc^ udridtione fuccefiiud conJiderdt£
mefurdntur. Vltimd uerb Ae* ternitds dppeUdtur, qut foU Deo compctit, nec
fucce^ionem dlU qudmuclmutxtioncmflgnificdt. liec eft cenfendum Deum
menfurd- f.li:sntiar. ridurdtionedliqudycummenfurd menfurdtoflt prior
digniate uel i.q.dift: - HAturd :atq; finitis folum conueniens ut mquit
Cdpreolus^Et Ucet dim Quomodo
cdtur,€ternitdtemT:>eieffemenfuram,ficdicituryquid Deusa nobk
^ternitas^ 4pprffc««eciefu4 titu aftiuo conferudndd. Ex quibus
uerbis pdtet eum mtcUigerc dc ddiuoi intelligai. quem omnid
entidhdbent,quidindliqucm finemtendunt. £t ndtU' rdUs cft, qui
ndturdlcm pr/fupponit cognitionemy qut longe melius Cognitio Dirigentis
cognitio potcft nomindriDci f benediBi omnid, in fuos Dirigctis. p^^^
perduccntk. Sic homo. m fuum finem tendens^ ndturdUm hdbet
dppetitum, idemdcbrutisdicds, licctddutilidprofcquendd, crno-
ciuduitdndd in hominedcbrutodUus dppetitus uigcdt didusq; fen* In h
oiet ret ^n^s cum his, qui Voluntdjs dicitur eft in eodem homine, quo
•ppctitui. ^^p^^ .^p,^ j^^^^ utendK, cr Htitur f-utndis^ Dc
Virtute* 13 Vlrtusellori^unionkridicumomnium. Et
orituruirtwthjtc Qu\d Virt» A rciunitxteyqudtcnut dClum proprium rcs
cAdemuirtuose ^ ^ndc o- producit.EtutprobcinteUi^s. tiibiLaliudejl uirtus
(qum intcUismui)qudmfacultdfilld innAtxrei,qu4 eliciuntur operatiof
yj^j,^ nes conformes. Et dilHnguiturdPotejldte optrdtiomm, de qud fuf
j^u^j^ ^jj prdloquutifumuiyquidPotefldsantumdicit non rcpugnjjitidm ai
ftinguicur. operdndum : Virtus uero toUit utiq; rcpugndntidm, cr prxtercd
co. notitm opcrdntehdbiliatemuelproprieatem qudnddm fccundum qudm
conjimiUs operdtio producitur. Nim^J prolixui clfemlimultas
tiirtutkJpeciesdcfcriberem.Tuipfcdifcurre per drbores omnes dc per omnium
drborum pdrtes, v^cudrids diftm^bones.dc mfinitum mmerum proprieatum
hdrum^ uel uirtutum inuenies. Difcrimen timenfdcito mterinnAtds
uirtutesdcquifitM, cr infufds^ Dc Vcritate* VEritd/Sy
efl id quoduerum e{l de rddicibuff cr de omnibus enti» Qutd Vcri. bws.
Qtt£ueritdi uclref^icitreiexiftentidm, uel eiusdem ef^ tai. fentidm.
Siextjlemidmy tunchdbetur ueritds cont'mffns:cr Veritas qe- iftomodo
propolifiones de fecundo ddidcente fintuerje cr etidm de >£»ltciiiiam
tertio ddiacente in contivffnti mdterid : fi ii notit propofttio quod d p p ^ j
j, pdrtereifuit ueleft. Si dutcm effentiam ueritds rejficit, tuncneceffd-
^^^^ xiAeftcumeffcntis ed notet, qux tjliterfuntuniti.quoiunumline cundo
et glio cjfe nonpo^it, V unum
eftdceffentiddlterimcrdmbounum tcnio vcr£* tertium conftituunU
Dc Gloria vel Dckflatione* Lorid eft ipfd deleSkLtioy in qua
rddices omnes cr cxterd en- ^.^V* tid duiefcunt, Notxre oportet, quoddc rdtiont
Gloric duo S -* funtJciUcctquodquiefcdt,cr delea&tmem prxbedt, quo»
^tio^gio. nmdUcrumfiremoutbisGlori^mnoncognofcef.lidm Lapif fur fj,
coSdd. C > fmn und^ G fum detentuf
((uiefcit cettejei non dcle^tur. Hkceli^ quod fton efi gloriofut* Homines
quoe^ muninnif deUdantur^quU tnmeneorum Cloria im - appetitut non efi
fitUTy iieo glorioji non funt^ Clorid boc m looo Droprieco
proprieconliierdturyfcilicct pro qudcunt^ completa, dcle^tiont, hdctzi
hic rciconueniente, feicum quictej quAomnidfruuntur. VropriA autem Gloria
pro Gbrid duplex c/?, qutediam »«cre4ta, qua Deui bedtuicj} fruenio fem
pria cft du- jrfircri uerb crwt» dicitur^ qudtenwt m cretturd recipitur,
«b P wcrcdto tmen Dfo, prmcipdliter in uolunntem proiuih» cr
a>/w EpUog* cs r^^*^'^^^ totim dnima rffentidm rdtiomiH
credtura. Ef fic hd' orum qux besnouemdbfolut44rdiices,qu4rumprimatresdrboribufCTedrum
diCtk (Unt. pdrtibuf tribuunt cffentidm, perfe&ionem efjentix, CT
Durdtionem Utl e%ifltntidm,Tres uerohdx immeiidte fequentes, potentidm
ope» rdniiyiuplicioperdniimodoqudUficdam fignificint, uiieUcet ru^
turdli, quiper Cogtutionem inteUi^tur, c^Libero, qui per dppeti- tuM
expiicdtur. Per ultimds dutemy Gloridm, f cr que edm prace*. iunt,
inteUigefinemt Seidirejpe£hud(rdiices efl ieuemenium,qu£ Arboribm
extrirtfecum effe Ur^untur, z^multum fdciuiH di cognot'^ ftenidm Mturm
cuiuscunq; rei, De Differcntia* Quid DiU
T^TCplicdtkdcdteUrdlkdbfohitkrdiicibuf^refidt ul idrtjffe*. fercntia.
f^jSiudrum iecUrdtionem ieuenidmut. ?riu* amen quaidn prrmittere uolumat
qut fumme fluiiofi obfcrudre iebent. \Ha Kota, ter omnid hoc prtcipuum
efl^ ne rdiices iflx fumdntur pro dbfolHtB edrum effe^ dlids mdximd
fidtim oriretur confufio, mter prioret CT
hMrdiices,qu£Confuflocdufdr€tur, quoineq; reindturdexplicdri poffet,
necminut m probdnio, iocenio, uel confuttnio iuuenk fuum Qualitcr confequereturpropofitum.
Confidereturigitiir Diffvrentidnonpf Diffcretia dbfolutoiUo,quo
abfoluaresdbdliddiffrrt,fiuehoc Jf>e&tddiiffi^ fit confidc-
rentidmcommunem, propridmyCrjpecificdm ifedpro reUtione iU U, qu£ m bkfuni4t«r, cr ii(m inteii^tur dt
Concorddntid, Coit* tftm* m
ff trdrieate icatijs. Ex quibui pdtim
errormdttiftfiaidppdutliettri- Ettot €iComelij
Agnpp£,quirddicesiUdiUtlpr'mci{>id,fubdbfolutoelfe g''PP»»
confiderdt.Vir ijle do^j^imut.qudndo de Mdgnitudine loquitur,qu€
^eopdriterwmittAtur dbfolutum principium iUdm difiinguit, in uirtudlemy m
corp&redm ; qu£ dicitur Mdgnitudo molky cr m iUdm qujt m
opcrdtionibui rcperitur.VirtudUs Mdgnitudoiex D.Augufli li.'^.dcTifc
nifententid i nobis m cdp : dt Magnitudine dUe^a^nibildUud eji,q ♦
perfeBio fffentit^ qud perfrBione dliquod unum db dlioejfentiiUter
diffrtt qu£ dUo nomine fi>ecificd uel DifjircHtid magis proprid, uo*
cdtur, qudm idemmet Agrippd mcdpide Difftrentid fub rdtionet' ddem
quoq;confid(rdt.dum diuidit Dijfrrentidm incommunem,pro* pridm» cr magls
propridm:quod fuperfluum efl CT uitium^cum prx» dicdtihxccr
priordhdbedntoppoflamnuturdmy V eonfequenter oppofltum conftderdndi modum»
hoc etidm contrdintentionem ^ y^. huUi omnino uidetttr, qui
dumdeflnitDiffrrentuim, inquit,Diffr» grippx, eft retidefiid,
rdtioecuiHfBomtM,Mdgnitudoetc;funtrdtiones incon^ contraLui fuf£. SiinteUigeret
ipfenonde reldtione,fed de re dbfobtd,no diceret: lum. Bifjrretid efl
idyrdtioecuiusBonitd/t etc:funtrdtionesincdfuf£f AnU Animad- mdduertendus
quo^ efi ordo fuprddfiigndtusycuius cognitionon pd. Tum efl utilfs
ddfoluendum drgumentit Kec minus principid hxcy o* mnibut tX quibufcun^
entibus conueniunt, qudm dbfolua» li£ccuM dignd fcitu dc necefftrid
effedrbitnremur, omittere nokimu^, ne i- gnordntit uelnegUffnti^e ttotd
reSnrdtione nos fludiofl crimindri foflent, Modo expUcemus Diffcrentidw,
Diffrrentid efl idy rdtiont DifferelU cuius rddices omnes cr cxterd entid
funt inconfufd CT diflindi.Quid quid! fddix ifld efl fummte utilitdtis
utter entid omnid^ i qud omnk ornd* tusdcpulchritudo mdximd, dtpendet:
nonpiffbit eius Utifiimdm nd* turdm oflendere, ut difcrimen omne uel
diuerfltdtem inter res omnes ^dre cr perff>icue cognofcdtur. Totd
DiffvrentiiC ndturd dd h£c cd» DtfTeretrx pitd reducitur ^f dd
DiMi/io/iew, DiflinHioncm cr No« identitdtem* ^ ca pica»
Etifidtridflcddinuicmfunt ordindtdy quod fecundumefl fuperiui ^rdo.
it Quare di- y?{„(ffoy ab aUjs duabus pcrfonts, crtamennon
elidiuifusabiUis; uiliono fit quiidiuijiofempcro' in quocunq; reperiatur,
notat imperjiBio* in diuinis. ^cctidm in corporcis tantum inucnitur
cuiufmodinon efl Deus^ difiindiouerojiperji^ionemdUqudmnon lignificdt
neq; imptrfe^ Noniden aionem^l\omdentitisuerb,efidddifiin(iioncmfuperior,
quid qus liutis rta funtinttrfedijUnihyparittrfunt^ noneadem:nontamcn
ftquitur: tura& in q f^qu£funtnoneddem,effediflin{bi,qHoniam
KonidentitM repcri* b»inueu£. ^^^ pojitiud,uehfjirmdtiud,dutucrdentid,
fcde- tim hdbct locum inttrentia, quorum unum tjlajjlirmdtiuum CT
aU* ud nt^tiuum, ut intcr tffe c non cffe : unum pojitiuum cr aliud
pri' udtiuum, ueluti inter uifum CT cxcitdtem ; unum ucrum cr dliud
fi» {btium, jicuti inttrPetrumcChimxrdmiCretim mtercd, quo* rum
unum dChiaUter txijlit, aUerum dutem nequdquam, qucmdd* modum mtcr
Pctrum, quinunc efi, cr Antichriflum creandum, fei D*ninaio hkreperitur, quorum quodlibet pofitiuum efi,
utputd ubi fic. i^'»* ^ftrum tT Paulum. Ef Ucet pro ne^tio noflro, tam
diuifio quam dijiindio, fy nonidentitdf fint neceffdrid : dttdmen
dijimdio mdiorcm exhibet oommodititem, quid de rdroentidne^tiua,
imt poj^ibtUd dd exifiere, cr priudtiud ueniunt confidcrdndd,qut
ptr nonidentitdtem poffunt feiunp, ideode Difimdione cr eiu4
Jpeciea bus loqudmur. Si tamen dUjs partibus uti erit opiis, earum naturd
4C OCto difli- '/^'"^'^«'^cb/f qu£di(kifunt manijrfij reUnquitur.
Ododiftinaio* ftionu ge- numffnerj,crtotidemidentitdtum,ATheolo^rum
omnium Vrm» nera. cipe fubtiUj^imo Scoto funt exco^tatd: quorum ufus m
fcientijs quii bufcunqx tft udlie necrffnrius pro ueritate inds^nid
CTfdlfitdte co$ gnofcendd. Dediftindiombus ftjtim erit fermo fed de
identitatibuf, Primu ge», in fequentibus, ubitrdMitur dc Concorddntid.
Vrimm Diftinfiio» nhffnus t7 tiUffnm
uocdtur diHm^ordtionkiqut irdtmAli pottntUori^* ntm ducit, m quantum
tandem rtm ab ilUmet di'iinguity ftcunduni gUum er dlium
conftdtrdndimodum. Ctrtum tft» quod bomo m pro^ pofltiont dUqud
confidtrdtus ut fubijciturt ut prttdicdtur.dfei^ pfodiflm^itur,
qutmddmodumcrpricdicdtumJifuhit^h i non rtt
gUdi/lm&ionttquididemAftipfo rtalittr diuidi non pottfl, i^tur
fdtiondUy quonidm tsUf di/lmfbo folum rdtionH bcntfcio tfi mutn*
m^Stcundumffnuttlly diftm(ho txnAturdrei:queinttriUdmuf •
mtur,dtquU>us contrddiBorii pr^dicaa utri prxdicdntur,uel ndti
funtpradicdri^nuUomttUt^concurrcnte, qbtorum tiltm n^tu*
rdm,Pcutipottfldici(inquiuntScDtift4tcbtntydt InttUt^ Dti, crVoUintxtt*
inttUt^UiStnimDticumtfftntiddiuinAdd ¥iUj ^nt* IntcIIc£luf rdtiontm
concurrit, cr non uoluntM : cr concurrcrt» cr non wncur* ^9.* rtrt funt
contrddidorid : inttr inttUe^m igitur cr uoluntdtem, di ^^[J,* pinHio tx
ttAturd reioonfurgit. \dtm dicunt dt ffftntid diuinA cr r« Essetifbci
Utionibui perfonAUbut ; quiddutinA tjjentid tribut diuinis ptrfonk 4
rcUtioiii- tommunit txiftit^ non duttm rtUtionts ptrfonAUs, erg) tx rti
UAtu- but diftiiu. rd iUd db his dtftinguitur.Ntedtfunt incrtdtk infinitd
txtmpU. qu£ ^^0* trtuitdtis gratuomittimut. Ttrtium grnwcft, diftinSho
/ormaUs : 3™' S^" • CinteriUdeft^quorumunumdliudnonincUidit in primo
modo di» ctndi ptr ft, cr hocmodo fuptrius
quodUbttibinfrrioritftdiftinm ibimiCnoni contrd j utl iUa, qut habtne
diutrfxf dtfin> tiones, dt- . fcriptionts, uel uarios conctptus k
parte reiy hac difiin^bont funt dif ftin^.ftcutihomo O"
fuarifibiUtis. Quartum gf/J«4c/^, dtftindio 4111 gen%
modaliSyqu£oriturinttrtlJentUmrtiaUcuiui,Gr fuummodum in* irinftcum:
quxdcfaciU pottft inueniri inter aWedinis cffcntimt CT 'grddus eiuidtm
ptrfiSbonaUs: utlinter effentUm caUditatls,CT fuos grddus : utl inter Dti
effentiam cr infinitatem (fcoc uerum prdfup» ponendo.quodinfinitds fit
modm intrinfecw in Dro, ut omnts fire Scotifiit parioonftnfu affirmdnt)
utl inter unum modum intrinfccum cr dUum, uti inutnitur inttr grddut
dWtdinis CT tiut txifttntiam» Cmintumffnuitft dijlinibo
rcdUSfqujcconfurgittxrt cr rt. Rts ^m.gen*. D in proi
tt m propoPto dccipitur pro eo omm, quod poteft corrumpi cr
defiru^ alio remancnte cr ccontrd, ut dlbedot qu£ potefl deflrui
fubie^ mdnente,reaUterifubie£hdif}in^itury idem dtcatur de
nigredin» tyalijsaccidentibuiy cr deomnibus fubflantijs primit. lUa quoc^
res nominantury quorum unum cft ffnerans,cr aliud genitum^ cr hoc
li : prim 0 "» tiocdtW.fedinahliritShyUt nifjvrentU
ultimd Vttri» eli VetreitM, if{£ dijlindiones omne genut entis
circundgnt, omnesq; prtter penuUimdm conueniunt (fuo modo) entibut d
ratione fabri ^^^^ ecies confiituit, fgntiz fpci quarum priorrepe^itur
intcr fenfudle cr fcnfudle, quemddmodum LuWo afi> inter Uominem cr
Afinum. Secundam confittuit inter fenfuale cr w« ngn»cH expUcdt£ continentur,
qufrftt- tuendum. Optimatdmeneflintcr 'tnteUc(fuale cr inteUeftudle
con* corddntid, ueluti dc intcUe^bt cr uoUintdte poteft cognofci, qu£
cb eorum lf>iritudlem nAturam nontdntum in cffcntid
conueniunt.fedf tidm in operdtionibu/ty quid quod uoUintas acceptdtvel
refutat, idtm inteUeduscognouit. Hoc femper animdduertendo : quod
frnfudledC» cipitur pro iUd re.qMC fenfu priM cognofcitur, cr inteU edti
pojieri* us : fed per inteUeii Udle id tdntum conpderatur : quod ab
inteUedu ^uocUnq; modo cognofcitur. Adhas concorddnridx uel fccundum Lul
- lum dPignAtdSy uelfecundum Scotifldrum fubtiUtdtes, concordanti^
f. omnes proculdubio reducuntur : uerum fi numerum infinitum hdrum
?rkadiin'/ identHdtumtibicompdrdreuolueris,poterhhoc utH medio', difcur^
finitasidci rendo uideticet per quvnq; prxdicdbiUdy per decem
prtdicdmentd^ dtates« pcr oMecim prfdicdtd uel rddices Lwlli, cr demum
per formds : i« iemobferudrepoterii dd muUipUcdndum quoicunq;
prtdicdtam^ tamdbfolutumqttdmrejpe^liuumyrecurrendoetidm dd nouem
fub* ie^ cr reguUs uel quxftiones, DcContrarictate vcl
Oppofitionc^ NOn efl oput muUd expendere in iecldranio quiifit
oppofltioi cum A Difjvrentid uel Di{iin(iione, ic qud fuprd
locutifumws, nonmuUumfltiiucrfd^nonmUdtdmcn diiucemus ut huiui
Contrarie- ^i^ '^^^i fi^^'
^ontrdrietd* fk iefinitun Us quid ? Zontrsrietd/i f quorunidm mutua
reflflentid. Pro cuius iefimtiontt expUcdtione fcirc opottet : hic non
lo^ui nos ie contrdrietdte iUd, proprid^ 1
»3 pTopriiy qu£intcr qudtuor primM qualitdtts inucnitur : quoniamin
de (^ua co- ommbas cnt^us, nmpc rdtiondlibui dc
rcdlibuflocumhdhcrcnon tf*iictate potc{t,nc(^ de cd inuUigcndum
ciitdc qu^Antoniut Andredt loqui* Ij!^
tur:cuifcxproprictdtesconucnirctcit4tur,qudmq;ftridjim oppo^ taph?* Q
6 fitioncm ucl contrdrictdttm uocdt* Scdbic Contrdrictdf
confidcrdn^ • *i* • dd pro qudcunqi oppofitionc, qudtenus unum
dlteri opponitur ; fiuc mcdidtc ucLimmcdidtc : compLcxc uel
incomplcxc^ ticc imdgind* ridcbes tdndcm cffercmcum Dtffcrcntid:
quid Diffirtntim confi- "nttio r r ^ n contrarics
dcrdmi'4yUtpcr cdm enttd inconiu^ rcmdncant ; Oppofitioncm jjjj, ^
^jj^; autcmutnonfolum rcs dijlingiidntur» fcd ctidm intcr fc
qudnddm fcrcntia» pugndm hdbcdnt, Secus ctenim rdtiondlUdif
confidcrdtur ; pro ut db irrdtiondlitdtc diiiinffiitur ; CT qudtcnm
irrdtionalitdti opponitur, quid oppofitio rcpugndntiam dicit, cr
nc^t, id pojje ficri,quod eS' dem rcs fccundum idcm cr fimul
oppofitd in fc habeat ; diilin^io ttc-
rbineodemacjlmulinucniripoteit.lnfuperoppolitio ucra interea
cjfe dicitur^ qu Ex multorum dccidentim com» Inultrq.Ii:
munimcognitioncuirtutcintcMuidifcurrentiiydeuenitur in cot i. PoHc
^nitionm alicuim proprij, quodq; m fu£ caufe notitidm ducit, dtf»
fircntue uidelicet effcntialis, eciem reptjefentdtum, cum tddem potentid
conneBit, Medium dUud dicitur menfurt, de quo R4>: hxcponit exempld,
mquiens: Sicut centrum. quod eft m me» dio loco circuU; cr cdUftcere.,
quod eii in medio calefdcientis CT cc* E X citi xt
uesdiciturTink nt^tionk : quo iUd tfu^percorruptionem quomm docunq;
confideratdm fuum ejje ptrdunt, finiutttur. Tertia CT uUit Wd nomindtury
priuattonkt quid priudtiofub ratione finis termtndt»
Zthocmododdc£ciatemuifuitermindtur^ Cr dd furditdtem dudi» twtt Hkq;
tribut /peciebuf Fink» uel und dut dudbui^ tntid omnid tetm mindntur, ut
difcurrenti per arbores omnes dc tdrumpdrtesfdtk poteflpdtert.
DeMaioritate, VdmuU dUquod unum ens dlio mdiwt
dici pofiit^ rdtiont dlh quot prxdicdtorum abfolutorum^
uclrrfpeiliuorum,dut forp 'marumy ueldeniq^ultimi fubie^ii, fub quo nouem
dccidentif prxdicdmentd continentury tres tdmen Mdioritatk J)>ecies
dfignarc tres Maio- poffumus, ddquas omnes dUjereduci poffunt. Maioritas
quxdam in»' nutisrpes. uenitur mter
fubfiantidmdcfubftantiam.quxdttenditur penes wi- iorem cr minorem
effcntix perfidionem : ty fic Homo t{t Afino mdior. Pdid
interfubftdntidmtjdccidens i quemadmodum ejl intet Hominem dc eiut
qudntitdtem. Et qu^dam dlid inter dccidens cr 4C# cidens ddtur,
ficutitxempUficaripoteft de omniquaUtatt per com» pdrdtionem dd
qudntitdtem, cr de omni dccidente /piritudU refpedm MaToritat corporei. ^iecdUudeji
Mdioritdt, qulm ratiOy qud dUquo di&crum quid ? modorum unum ejl aUo
maiwt^ ucl pluribm. Et hoc in loco fubflanti4 dccipiturnon tdntum pro
corporea, fed ttidm ^iritudUdc infinits» DeJEqualitate»
*ICQttdUtdfin hoc toco dccipitur^ non ut tfl pafiio qujntitdtk
prxdicdmetttdlk, fedqudtenus cum ente conucrtitur trdnfcen» dtntifiimo:
cr in hoc diffirt x Concorddntid : quid A equdUtds efl eiu4 ^qualitaj
finis. AequdUtat inuenitur inter fubflantiam cr fubflantiam ; ficuti
auuir""*'* '«^«•'«4iwe^uis rddicibui omnes entium f^ecies cir»
€uit. In diuinis amen nec Mdioritdi nec^ Minoritds bcum bdbet,qui4
iftorum uter^ imperfifhonem mdximdm pgnificdt, Hxc dc rddici^ bus tm
dbfoUitis qum rejpe^uis dida fint, DE NOVEM CATEGORIIS
Tranfcendencibus* D^^cUrdtis principijs dbfolutk cr
reJpeHiuky qu£ m uha qudq^ drbcMre pro rddicibui funt prmda^ reftdt ut
fecundo U>* co de folijSy qux omnibui drboribuf pro fiuQuum
conferudti* cnty dc totiui arboris oruAmento funt communidy pertrddnnus.
Et ^?.^^^J^ Ucet dUqudntulum d trdmitcLuUidecUnauerimus itt modo
trddendo, ciinau quotmcredtis quAm diuinis drboribus htc omnia. filid
oonuenire popint: qu4C dpud Peripdteticos nouem dccidentis prttdicdment»
ho« €Mtur : ignofcdnt t^men nobis LuUimatoreSj quidii obftrudre «0*
Qnire Aii- luimui,ut conceptuum dr^imentOYumlonglor ftticfUi
qudcUn^ thora Lul ntdtcridhabcretur. Hjecetcnim trdnfcendentifiimd
confiderarc n*. lo dcclincc ^^jp, . p^^^ realiquolibet Ente CT rdtiondU
prxdicdri co^dcrari^ poj^wf. qutre/pe^h Entis trdnfcendentipimi
mfrriordfunt; fed dt dcbcat iftx principijsquoq; tdmabfolutis
qudmrefpediuls, qux cum Ente iHo CJitcgo rix. conuertuntury CT dequibut
fstis fuprd egimm. Quibut prdmi^^, di unmcuiuAq^ contempUtioncm ueniendum
efl. De Quantitatetranfccnclcntiffima* Quantita-
Vdntitecies ponimus, quarum primd continud nomindturt tjnuactd^i- dUerd
difcrea^ Contimd quidem efl in quintum perfiHio copuUt «• fcreta.
napotentidm proximam, aShimy correUtiuum ;utifl quis homi- Continaa nis
cfJentUlem perfeftionem contempletury de qud efl pr^fens nodrd quid Gc.
conflderdtioyfl fldtim ddaiium reducdtur, potentUm proximdm uo- eamui,
eddem ucro proximd potentU in ddum dedu^bi» dum efl m uiiddbominis
produiiionem, diius uocdtur^ cr ipfum produdutn dppeUdre debemui terminum
potentitt» uel producentis correUti- uum. Qtit trU 4 LkDo iccipiunturmiUe
in locis pro 1 VO, ARE CT Quid fcet BILE ; quorum primum refpondet
potentix proximxj fecundum ds luu, Afc,6c fiui. cr tertium correUtiuo.
Difcretx auttm Quantit^ nafcitur d
difftrentUyquteflinterperfrdionemuniusentiscr dUeritn. Cuius n^^^nStll^
rei ddbimut excmpUimt m his, quibut hiccqudntitss repugnare uide qn]^
(^^. tury ut LuUifbidiofws tuto pof^U unicuiq; enti appUcare. Diuinuit
i»* Exemplu teUe^uiCTUoUtntdS tiUs funtnaturx, quod
fldefiniripofftnt^alUm de difcrct* fhrmilem inteUe^atrationemhabtrct, cr
aUdmuoLuntM : fcd quU Quatitaia definitione nequcunt d nobU intcUigiy
eorum tamen d£tus neceffarij aUud fatii decUrdnt cr mdnifefldnt ; quorum
unu^ tfl Filij generatio, £ 4 quim* duarein-
quimttUefiulconuenitidUtruerh, Spirimfdniii fpintio, qul tcllea* Dei
yi„^uolunntidttribuitur : quitmtniiiutlicproprid determindn^ no ficprin-
py^„cipid cum effentid requirunty ut «nw, nempe, generdre, k di
&uSlG^ uoluntdtc,Grdlter fc:fpirdre, dbinteUeaunonpojiit ejjc. Nec
dli' taigeiicra- dmrdtioncminuenircquispotcrit, niPquiddiuiniintclle{iut
cr tto- di. luntAtisdlid^dlideflrdtiotcrtn
hdcdiftindioncdifcretdqudntitM Quantitas confiftit. \dem dc
tribwidiuinu pcrfonis cenlcd^^qux Ucet cd ratto^ diicrcta in
ffg^qu^incffentidconucniuntynonftntdifcrct^ : tdmen in qudntum
dTuinas"" pernotiondlefpropricatesdiftinguuntur.difcrctd qudntitdx
cisco* pericur. P'^*^ • P^** continuidiuifionemcdufdturyjicutipr^dicdmcn-
Latittlao tdUsJedunumquodq; ensndturdlittrfequitur.
Ethactfttdntxld* quatiuiis. titudinis, ut cr qudntitdti ipft
prxdicdmcntdU conucnire dicdtur: fed pr£dicdmentdlis,finitis tdntum
a^Umitdtis rebmy de qud kri&l uidcinprxdicdmentis,
De Qualitate» POftQudntitdtisconfidehitionem fequitur
QUdUtdtis conteMi pldtio.quam ftc dcfcribcrc pldcet^ Qu^Utdfcft
uniuscuiusi^ " entislecunddridperfraio,fiu€ proprU, fiuc dpproprUtd.
U quid huiwi defcriptionitpdrtesdecldrdtioneeffnt, id fdcercnon pU
pbit, Dicitur perfcd.io fecunddrid^ ut Qudlitdtis CT QUdntitdtit
difcrimencognofcdtur Sdtisemmexdidisin cdpite dc Qudntitdte pdtetj ibi
efftntidlm perfrdionem confiderdH : hic dutem iUdmyqux Diam* inco, fcd
pnite crcdttt, drborum rd^ dicibws,ut rddiccs funt itruncis uero ut
potcntid funt brdnch£, rd» mi, foUd, fiores v fiuilus^ Sed dd Keldtionem
fermonem rftr/^m w. R Dc Rclatione^
l£ldtionumcognitiofdtkdifficiUscli\quidoh cdrum debilcm DeRclatTo
cffentiamfunddmenturcquirut,dquohdbentxffciet terminu, f^^nda-
quofuumcomplctum cfjewnfequuntur, quitcrminusinfub "^cco&tcr
f Jldntijs 34 jiintijs cr abfolutk non ejl
cotrtUtiuumy fcd abfolufumy In quo cor* rcUtiui reUtio funddtwr : qu£
dcfdciU non a>gnofcumur, cr ipfnm ReUcionis yeUtionemqualiobfcurdnt.
Scd iaiReUtioadqujtiCunq;reUtioncs dcfiniuo. communii dejinitur^ ReUtio
eftratio, qua unum ad aliud refertur, ut de paternitdteo' fiUationc
oftenditur :hje etenim dux reUtiones faciunty quodfuppojitum uel perfona
um. aliam rej^iciat^ \t abfo* DiuiHo re- pa i ls iJJiud filij per
paternitatemy cr fiUj abfoUitum reiie piratio Patri cr Ftlio in
tffeconfii^ tutis (quajiyaducHiens, c:rji>iratiopaj?iua qua Spiritus
fanQus i» effeperfonAUconjiituitur, jujlinendocum D. ihoma Franc*
Mayi Scoto, pcrfonof diuinas reUtiua ZT non abfoUta proprietate in
idaS in*^' ^lJ^P^f''*^ Siih reaU quoq; reUtionc conjidxrantur re>
concincli^ idftoncfiH^, quadogici conjiderant atq; dijiingiiunt m
reUtiones p h -^ca ^^c ^* ^'^^ membrum primx diuijionfs
Adaiiqd. iccipiatur, quddam pariter in Deo repcriuntur, dc quibut
fuprx Quare rela memionemjvcimu4, incapitedc Quantitatc ;qux ideo non
dicuntur tiones rois ReUtionesrationif,quiaab mteU€^fabricantur: fcd quia
non o- inDconnt mnes conditiones eis conueniunt, qux ad realem funt
requijitx^ Dc Kclaiion ^"^* matcria,jicupls arcanA cognofarcy
Scotijiaf confulc. Qjjxdam creac«, ^'^^ f**^ creats, qu£ ab
inteUc&isa^bi dcpendcnc, ut identitas imdem adfcipfum ; cr
dijlin^o eiusdem afeipjo, prout idcm in pro* pofitionc Apartc fubieSU
vprxiicdti concipitur at^ prxiicatunt Relationii a fubicSh cfl
dijiinChimtBtharumreUtionum cognitio cfl ualde «r# ncfclT^*^ c^fi/rfrWj
quia meriiante KeUtione cr habitudine (quam r^ices cu» itttcunq; arbork
habentadtruncum^crtrunciadbranchai, crbran- ch£ ad ramos ; cr/?c dc
ommbus arborum partibw) carundem cjjen» lU cognofcitur, Df
A&oiu^ l i1 De
Adionc^ VT didiuin^A crhumdndx optrationtt, immdnentes ucl
trdns- euntes confcendcre pof^k: banc breuem ipfiws aBionis notato
defcriptionem, aHio efi refpeCks operantis di operitum: \Ci\oU de-
nondicimui dffmis 4d pdffum.ite Utijiimui aShonis ^nsin riuulum fcriptio
o- tuaiat. Affns emm cum pafjum rcjj>iciatt cf tn DtonuUumjit paf
pJim** fum, cum imperfvdiotum arguat^ ncc a^ntis ai paffum rejpe^ks
'tffe potefi : cr tamen funt ibi operationes ac produSbones : operati'
'ones quiiemy prout Deus effentiam inteUi^t, cr taniem fumme d* Ptdt :
proiu&iones uero in quantum iiem Dews, ut fuppofitum notat,
tdlesoperationesproiucit: quxficproiu^l£,aLtera uocatur filiuSy cr dlterd
fi>iritw! fandus. Proiucit quoq; Deu6 ab eeterno credturax ^^^^ ^ in
effe cognito et uoUto, nec tdmen ptffum poffum dici, cum idem fint tg ^ n o p
ro* redliterquodDeus, Etut latiorem differendi campum habeas, non ducitcrca-
tdntum relpcBiueipfam aRionem confidcrare pottris : fed etim ab- turas.
folute,ficuti crnosconfiierauimus, ium ie proiu^lionibus cr ope*
rationibui uerba faceremus^ diflingiicndo de adione immanente cr
iranfeunte tXm in diuinis quam creatis : iUo tamen fublato in buiwt»
tnodidHionibut. ut Deo dttribuuntur, quod imperfvdionm notat :
dependentti uideUcet, d^ntis ad aihm cr e contra ; CT fi quid dUui ejl
quod imperfr^ionem notet* Necdiuerfd ddionum ^ncra notabi'
mus,utlo^cicrphyficipdndunt : fed tdntum iUui dnimaiuetten' 4um putduimus
: nuUum iari etts,cui ddio dUqud non conutnidt. Nullu da{ l\dteri£ emm
prims ddio conuenit, cr aU/s boc ente iebiUortbus.fi ^(k\o nonrealis,
faUem intentionAlis, prout obiciii rationcm hdbet. Et "^? quintum
profit huiui tranfcenientis cognitio breuibus expUcari poffe haui
puto,cum d latif^imk iUis raiicibui, de quibus fupra cm
Hionismcdio,pcromnespartescuiuscttnq;arboris dijfufje, inde ai^
mirabiUsjruihtSj tam creati, quam incrcati, puUuUnt,
DePafsionc» N: ' On erit Uhoriofum,
per ed» ^U£ ie A^iont fiint expUcdtd, CT ruturam pa^ionis mamfrfljire ;
cum mutuo a^io cr pajiio fe refpiciant^ de qua non multa dtihri, fic eam
defcribimUs, Pafiionis Va^io elirejpcihis opcrantls adoperatum ; cr
pafiio htc» fifiu efi, defcripuo. ut pdjiio nomincturydiuinis nonrepugnAt
: quia produ^x perfon^ Pafsio p'*f prodMcentemuelproducentesrefpiciuntjUt
fatis notum cfl : fine td^ uinisno fnendependentiaaliqui. ApudLuRumadio pcr Aif^E notatur,
CT ^ " A^^fo &C ^ Bl LE, per bontficare» botutatis adio habetur^
CT pet bot. Dafiio a- nificabile magnitudinis^
duritionisueLaUcuiu^aUeriu^radicis habc pud Lullu. magnitudinis cr
durationls pa^io* Uec minoris ejl utilitatis paf» fionis cognitiot
quamadionis, cum per iUam^ res uario modo deter* ninAtas, uel quafi
quaUficataSy cognofcere pof^imus : cr inde muUos conceptut fabricare* QU£
de adione didn funt CT de pafiione pro» portione quadam poffunt dicitjic
crgp tot erunt jpecics ucl pafiiooii f^nerd, quot ddionis^ De
Habim* V^lutireUqud prjedicamentd dd omnidcommunij^imd
conjide^ rauimuiiitdcr habitum conjiderare oportet, Habituser^ non
efl habitus ad habituatum rejpe^lus, ut in Cdte^rijs tn» Habit^qd ?
quiunt Logici ;fed uniuicuiusq; rei proprietas.qua habituatum ordi-
^uk^tAi'^^ n dnffLo CT homini conueniunt : quonidm uoUtntdx in dffn»
dointeUe^mprtffuppomtyquidmLuoHtumnilicdgnUumy cr mc morid 'mteUe6hmcr
uoluntdtem ; mteUe^my ut potentidm pro* dudiudm» fed uoLuntdtem ut pdrentem
cum prolc copuLdre po^it. 1/1 crtdtis quoq; corporets,mdterid
form^prafupponitury quum nd* Sit» in crc^ turd fdtem priui eft perjrBibUe
ipfo perficiente, tT in C£teris cor^ atisr pore exptrtibut : compofltis
tdmen ex dChi cr potentia, ueL ex grnc* re V differentid^ueLex pofitiuo
et priudtiuo,fituf cr ordoreperitur: W confufto, qudm Hdturd pdti nequity
ddmittdtur, Hmc Kijmundo A ni mad-
deuotioptimednimdduertdntyttecumconfullonequdddmy prmcipid, uctfio» uel
radices rtbui applicent j quonidm,ficuti ab t tr ddmirdbiii ordinc funt
defcriptdy ut uLtimum primum pr^efuppondty qudmais unum cum dLio dUquo
modo conuertdtur :itd V ipfl cuftodidnty w quodU* Ut prmcipium fluc dd
^robdndum fiue dd improbdndum, in- ^ F j dijfhtiuer
5« dtfjrrcnttTdffumdnt.QUdlkdtttcmllt intcr principid iUd
ordo, tx hi/f qu£ ic rddicibws dida funt, fdtis confiAty dtq; in
commcntarijs nofhU m nrtcm brcucm Idtiut dccUrdbimu*. Nec multoi ordinis
mO' doicxplicdrcmodooportcty quii in cnumcrdndis formis, omnibm
tntibus communifiimis, intcr quds ordo numcrdturt idfictt.
H DcTempore» » 'i On potefl fdhc djiignAri
tcmput rcdlc quibitscunq; entibtH conucmcns, cum eorum tdntum fxtmcnfurd,
quacontinue in^, P ftdbilitdti funt fubic^y dc corruptioni obnoxid : intcr
qu^ o rcpucnat dnnumcrdri
uerc potcfl, mli didboUca mrnj, ip/?j?i* mo Didbolo nequiory id non minus
impie,qudm irrdtiondbiUtcr dc ftuUecogitdret, cm CT crcdtur^ qtt^ddm in
entium ordtne repcri» antur, qu£ tempordncx mutdtioni mimmc fubiaccnt.
AnffU uiitU» cct ac rationalcs animx i corporibus proprijs exutsc,
Quomodo n*- ^ affcqui potcrimui intcntum nofirum^ quiuoluunus ommbus
enti* bus hdf nojirM latifiimds catc^rias conuenire i DicimuSy ipfa
expe^ Tcp*omni rientidnobisinjinudnte,fecundummodumnoflrum cognofcendi,
dd» b' couenit ritempwsquoddamommbusentibu* indifjrrens. Et ne
impofiibiUd fecundum uii(amu/t affcrere, de Dco differendo tcmpuA noflrum
conuenirc fic m od u n o oHendimus, Certum efi diijvrentes operationes ad
intrd rffcv dtcr» flru m coO- ^j^^j ^^^^^ ji cathoUcus expUcare
contendit. fub ratione prxte» derandu ^.^^y^^ p^^^ffj f^^m tempofis,
expUcabit ; inquiendo, Dc* ut Dcum^nuitcrffnerdbit. Deus Antichrillum ab
dterno cogno' vit4 Et undc hoc i propter inteUeihs noflri imbeciUitatemy
qui ma« dofuoresdiuittdscognofcityCrnonftcutifunt, Tempus
igiturquoi fccundum modum nofirum concipichdi res (quafi) menfurat : in
nu* merum trdnjcendcntiumponimus^ DeLoco»
Kottejl 39 NOri efl ddinoium difficile
oftendcrCf non tdntum credturdi corporcM in loco fjfe, uerum etidm
Jj>iritudlcs fubfldntids tdmfinitdff qudm infinitd/sJicetdiuerfomodozTUdldetequi-
uoce. \mpofiibUe dutem fire putOydUqudm loci defcriptionem dfiig Qu-^g fQ.»
ndre,propterudriosmodos(\Jendi\li: dt quibwin j\.,Vhyf: Arifl. dcfcribino
trdBitfV propter oppofitu modum ejfendi in locojDeo cr crcdturt pofiiu
conueniens ; quum credturd fit in loco^ ut contineturJi loco. Deut du*
tem ut locum continenSfCy conferudns. Sed fdt erit cognofcerecor^
Corpora^ pordeffcinbcoperfeyUeldimenfurdlitery circumfcriptiue, occupd
^*"^ tiucy cr repletiue ; qujc omnid idem fignificdnty pdrtesq;
eorum inte- ° grdntesy cr dccidentid^ per dccidens : pdrtes autem
effentidles dumfunt^a^potentidtdntum funt pjtrteSy dicuntur e(fe per fe
in lo» co. EthocdiciturobdnimdminteUeftudmpdrtem hominis cffentid'
lem,qu£cumccorporemigrdty'dtq;tdntumpotenti4Us pdrs effich tur^ tunc
inloco efi, cr eo modo quo Angeli, quifunt in locOydefini* Angeli sut
tiue.Eteffeinlocotdlipd^hefteffcinloco^O' nonoccupdre /oc«w, inloco dc^
in uno nuncy quod nonindliotnifidliterdiuinduirtut dijj>enfa-
Anitiue. ret : nec locus femper compdrdtione dd Angelum pro fuperficie
fu- mitury cum cr in pun^ pofiit definitiuc exifiere. Deus uero immens
o. liueinomnilocoefi.dtqiomncmlocumv locdtd confcrudt. Sdcrd^ ^° *
* tifiimum dutcm Chrifti fdludtoris noftri corpus cft inhoftidfdcrd'
chriflicor inentdUttr, crfichdbesdiuerfosmoioscffcndiin loco, conuenientes
p^quomo- exiftintibus uelfubfiftenttbus. hd uerd qu£ tdntum rffe effentit
uel do (it in lo5 cognitum hdbenty proprtc non funt in loco : poffunt
tdmen dui in ios co,prout ihdnimdconferudnturyfi
funtJffecicsinteUi^biles, dCks '^? inteUigendi uclhdbitus : p uero uniuerfdUd
inteUe{ks operdtionem a^determindntidydicdXCdiffeininteUe^hobieBiuCy dt
inconcduo tf,^ quomo orbisLun£obcoruminflMitdtcmtdnqumin loco, ubi cr
flulto* do fint in rum cogitdtiones qi^iefitint. Hxc funt qu£ de
Cdte^rijs trdnfcent loco, dentifiimis proponereuoluimuSyUt dptior
ftudiofus fteret in dppli- cdtione cuiuscunq^ dd quoicunc^ : qu£ fi
optime contemplabitur, non exigiidm utiUtdtcm confequetur, F
4 Drcii' 4» D tor forma»
husentibusconuenirepoffunt : nec inconfuUo id obferuduimwSy ne^ td, qutfud
nAturd fum trdnfcendentijiimd,fierentminws ^nerdUd ; *^P^* unicate»
tdte^udet: qut nomin&ripotefi identitdtis unitdi, quid per ipfdm
dttribua omnid, ncc non cr proprictita omnes in dmnAm trdnfeA unt
efjentidnu Dc Pluralitatr», EXft/f qus diSti funt de
unitnte facile erit diiudicdre de ippt plurdUtdte: unumtxntum idobferudre
prxcipimu/s, quodplup YdUtds trdnfcendcns i» rddicibw cr pdrtibus drborum
efi femi*- mti, m qudntum efi fuiipfiui plend^.f cum proximd potentid dd
d* ^him fibicomenientem, cumd^ cr fuo correlatiuo : qut nomindn^
turplurificdtiuum,plurificdre cr plurificdbile, Quot enumerdui* Qug
pliira- mmunitdtismodos.tot funtplutdUtdtis. inDeouero efi pUtraUtds
Jitas in Dc- pnfondrum, dc etiam dttributorum^ qutexnatura rti funt dtfiinih. ut
optim (UiHcmt Scotifit, 3. D( Sim 5,
DcSimplicitace. j PKout quMet drbor inuifibilm fubjldntidm Ji
radicibuf flmt plicibui\recipit,flmplcxnomiudtury crfecundum fc toam
*^£)gqua fitn qudmlibet fuipdrtem : necioquiintendimwsdeedpmplicitdtet
pijcicatc qux opponitur plurdliati, quid titem plurdliatem hic immedidte
^[QiQf^^jj^f^ fuprd concefiimut :fed de iUd qu£ non pdtitur compofltioncm
exdli* quo potentidU cr x^dli : dlittrfvrmd hxc drbori diuittdli non con-
uenirety qut nuUdm prorfut hdbet compofltionem. Exquo fequitur^
qu6dcompofltio,qujt pLurium tintum pofltionem nont^ potefl mter formds
hdAce locum hdberc. \n dlijsuero drboributy qu£ pro crcdtk rebus funt
condituttj compofltio ex ddu cr potentid etid reperitur* 4^ Dc Forma*
FCtmno ut perficiens.fedut kt efjerc tdntumconflituityin qud'
pQr,„jo,„. cunq^drborepotejlinueniri, quid nec diuinx effentis
^«"pM^* nib**arbori ndt, qu£ cum diftindis proprietitibus reUtiuis,
perfonds dif bus conuc- ^finfhs conflitvit. Mdteridm dutem omnino
remouemuxj quid m dr niens fir. bore diuindli inumri non potefl,licet
Henrico non uidedturinconuet M^feria k nien s,Effentidm diuindm cffe
qujfl materidm in diuinis produBioni* ^^' hws, ut fubtilifiimus Scotus
recitdt in fecundd q diit : ^.primifen Suh:\[[ril' Untidrum, m'
Scoruf. ' DeAbftracflo* Iii qudlibet drbore funt
dbftrd^, f rjdices : Verum cum ipfje ^^^jj^gj fubftdntidm fudm tribudnt
quibuflibet drboris pdrtibas., dtq; fujuabftra- njturdm iUdrum indudnt:
nec dmpUm bonitds uH mdgnitudo flm {i^^ qj^i,„^> pUciterdicuntur,
fedcumddditione. Vtfuntin trunco, nomindntur
ionitdfuelmdgnitudotrunci,cridem dicdtur ut funt in brdnchis,
rdmifj/olijSyfloribuscrfi-uihbuii . G 2 ^.DeCott.
44 6^ DcConcrcto, Q: VU
ut di^.um cft fuprd, dum de plurdUtdte dgtbdmut* wuf qu£q; Tddix in
qudmcunq; drboris pdrtm defcendity ut ejl m proxtmd potentid dd diium^
cum ddu v ]uo correUtiuo, quorum primum cr ultimuminconcreto fumuntur .f.
pro IVO CT . BILE, ideo tdUd concretd per omtusdrborei funt diJPerfd dc
femis c6creta^^n "^"''» dumddexercitumddum uenimutMcendo
: omnib*ar Tntncus e{l bonus,mdgnus CTc; Brdnchtt funt boiue, mdgnx
CTc: borib^ pa^ frudus funt bonijmdgni (jc: fic demedijsdrboris pdrtibus
difcut' exerci rendof tum. 7* DcGcncratione»
Qwariterge Enerdtiofeiun^dmutdtione lic conftderdtury qu£ Tddici*
neratio co ^J"f>Mf omnibus dttribuitur, ut undconuentdnt dd uniuSt uei
pUt* Bderctur. ^-^^^ produikonem: eo modo, quo produccre poffunti c hoc
Suppofitii pUcuit dicere, quid tdntum fuppofitk produiho proprie conuenit
: tm produ?,, ., / ri i • r (Xio coueit* ^""'^
dutcm ueL qu£ dd moium formdrum [e hdbenty m tdttone folu principij
formdUs iobbdnc foUm cdufdm Thcologi non dffirmdre notadedi'
dudent^dttiindmeffcntidm generare ucl Jpirdrej ncq^ gencrari uel
uinaefsen- J^trdri^crqu^efintrdtiones.uidedpudSootuin i,q,
^,di^:primi. tta* Dc Plcnitudinc*
\Lenitudo,utmquitLuUus,el!generdU principium m drbort qudcunq;
femindtumy cr dcriudtur drddictbuSt non tdntumut
rddixundcitfctpfdplend,fcdetidm ut fimiUtudo dUdrum rd» Forma
h dicum pdrtictpdt icrdebis pUnitudinibus totd drbor c/i plend. Sec
kphi ralira^ formd htc efi eddem cum plurdUtdte, quid effentiales pdrtes
pUrdU» le dift ing u i f ^ tjntum re/picit ucl integrdntes : hxc uerd cr
iUdf, cr dlurum mmumfimiluudinemt uddUqudrum^ p; ^
DeTotalitatc* TOtsiliUi hic conlidtrdtur, in qudtttum drboret totdm
fudm ndturdm i ffnerdU omnium radicum infiuxu confequuntur, qudm
quidem totsiUtxtem trunci brdnchtSt brdnchx rdmk, CT rdmi/oLifS, floribw
cr fruBibut communicdnt. huius rei txempUim m quaUbet drbore defdcUi
potefl muemri : de drbore txmen diuinds UexempUficabimufyCuiminus
totiUtdx conuenire uidttur. Kddices Excplu de mbdcarbore funtbonitM»
mdgnitudo arc: contrdrietxte excepa, totalicatep C
aU£quximptrJr8ionemarguHnt,qu£ m totnmtruncittAturdm arbore di-
Deifcifubfldntiam mfluuntyproutfuntfub mfiniti rationt dc ptr-
"^^*^*» frHione.confidtrdts: non quod rddicts fint ipfo trunco
priortSy dc d^ UquU mrdtioneprincipij m Deiefftntiaminfludnty cum rddicts
i- Radices in ft^tquxmDtojunt perfiSionts, d diuimx puUultnt tffcntid :
ftd Oiuina ar- quid mttUtiiwsnofltrcognofcitDeum cr creaturdm cotmenire m
borcqmo- tranfcendentiyratione bonititis ^mdgnitudinis^ durxtionfs,
potefld- y°'^jJJ"*^* tiSy CT dUjs tranfiendentibusj qut conuenientid
uel confhrmitdi non poteflefje ddaUquod mfrriws, quid dd
mfrriordefidiffrrentiaier^ maUquofuperioriytyfuptriu^ femper infiuentiam
babet dUquam,, ddmfvriora : fi cfl fuptriuf m tfjindoy babet mfiuentidm
realem : fi gj^^jQgjjJJ ht pnedicdndo^rationxlemfc: ptrmodum prjtdicandi.
Truncufutro pjj(jicado. branchis fuam totxUtxtem coinmunicdt, cr brdncbx
rdmis, per iden- titdtem fdUem. Ex diSis pdtet non ejje confiderationem
de totxUta,- tt, ut efl rdtio, qud aUquid proprie totum dicatur, fei
improprii^ to» DePartialitate*. VAiicit^ Obicdum uero
extra di' citur,quoddBiudpotentidnonrelpicittdnqudm correUtiuum
pro» prium, fedextrdneumy utmdgnitudo, duratio CTc: qu£ d
potentid Obie^lu ex dHiud bonitdtk tdntum extrinflce afpiciuntur. Verum
tdmen efi quoi tra (itiira. obie^um extru^fitobie^umddintrd, quando
uirtute potentijt a&i* U£ iUud inproprUm fui naturdm conuertit
dgens, ut in motu gene* Tdtionis cr dugmcnti mdnifcite dppdret,
ip Df A^».
ACtusdupUcirdtioneconlidcr4tur:primomodo pro operati' ^Q^^, ^ one,
qux i potentia aShud procedit, qui m omnibus arbori ^^^^^ bui locum habet
: fed dlio modo pro aih.quo res prius in po* tentii exiftenSj fit m 4c7a,
qui entibws iUis conuenit tantum, qux
muationidlicuifubidcent.Perd^impriorem radicum mfluxuf, d*
lidrumqidrborum pdrtium cogiofcuntur : dt per fecundum formdm Yei uel
ejjentidm in credtis inteUi^mus» " io^ DePriontate»
QVidinteromnesformdfVrioritdscrPollerioritds funt prt-^ poncriorfJ
cipux,cumdb ipfis totusrerum ordo pendeat, mdiori egtiu ras.funtp^
mquiptioneMeoplurcsmodos prioriatk dfiigttAbimus, ut cipux.
probccognofcdmfludiofi^quomodo indpplicatione huius formx fe Nora ufq;
debednt ^bernAre; ne impofiibilid Deo dUqudndo dttribudnt, cr ^J^^^'
qu£diuinfsconuemunt,repugttAreopinentur, Quinq;modosprioi di^^?' rititis
Scotiflx in fuis firmdUatibus afiigttAnt,quorum prior eft pri
Prfmus"*' oritdf perfr^onis^ zrfic in quoUbet gpncre entium ddtur
unum pri- mum, quod rdtionem mcnfurx habet, inteUis^ndo de menfurd
perfvt. ihonif, Vt in genere fubfldntix pro menfurd extrinfeca Deus afig^
Dc' eft m ci mtur:fedpro intrinfecd oonuenientcr dj^ignxre poffcmus
Luci(et exaiii rumyquo ddfudndturdUd.quid in perfiSboneyquamcunqi creatu*
'p liquidcommumcatur^utaliquidpariterretribuaty quodcunq-, fit iU
lud, Et ab his nAturalibui conditionibui exeuntartificiales, quibm t»
mentes C ueadentes, ac cxtcri quotidie utuntur, 2$*
Delntentione* Ibltentio rdtio c/?, per qudm res operantur ob finem
aliquem, ]gt Intetio ^d? nk dando acri fuam caliditatem^ hdc mtentione
ducitur, ut bonu/t cognofcatur, quia fe ipfum diffundit, Volendo aittcm
deftruere aquam, quic imer aerem terrammediatyhocideo factt, ut
maio' rem cum terrx habeat concordantiam ad recipiendum ipfim ficcita-
- f rw, quod non fatk commode fieri potej}, proptcr aqux fripditd*
tem^ impedientem. QU£ intentio dupUx efl : primd fc: C7 fecunda.
^"^^^* Vrimd eft finis ultimui rei: Secunda uero, efl finisfub fine,
'Et exrur-^ ^^* turaUbus intentionibMy artipcialesoriuntur,
29. De Ordinatione* P^ErordinAtionemresfuntinconfuf^cr
diflindie, qux ordita Perordlna tionontdntumrequiritur
interdrborumpartes,fed etiam m- tioncm ter rddices, tTnon folum in effendo,
fed m operdndo quoq; . Ex ? ndturdlibut ordindtionibus homines dcceperunt
drtificidles,qu£ mo" tes, operdtioncs cr tdlid ordinant, Plures
funtmodi ordmis, qui fub ttomine prioritdtis fuprd funt expUcdtit.
3 o. De Operatione» EN/w cum nonfint ociofa, ttdturales fuds
hdbent operdtionef, quibm Udrios producunt ejfiCks. Ncc dluui enti
dene^tur o- ptrdtio dUqudfUel reaKs uel mtentiondlis^l
Intetiodu- p 5J» Dclnnucntia»
lcrinftuentidm res jlmilituiinemfum rebufdlijscommttmcdttt^ Vnde
rddices in Truncum infiuunty cr Truncu* in Brdncbdt: flc
inducendouiq;ddindmiduainclullue,(lU£in dlid infiuunt, ut direfie
feipfd.uel indireae confcruetu^ ^x. DcRcfluentiaf HAccformdAConditionedifJvrt,
Per conditionem,ut diximut^ dliquid fuo communicdntiy iUe cui fit
communiedtio, ""l *yrJ"^ reddit \flue iUudfuidemcum co,
quod communicdns trddi». acoditioc. ^f pf^cnonl fedRefiutntUrell^icitin
correUtiiio fuum reUtiuum, Qdrcrpict ftcundum edm fbrmdm. qudm
correldtiuum d reUtiuo dccepit, C«u« au m exemplum trddere non efl oput,
cum hdnc KefiuetUidm quotidic in his perJpicidmM, qui ntdlum pro
mdlo redduntJ;oniiq; pro bono^ 33. DcProdudiione^ Vid
perOpcrdtionem nonrequiritur, ut dliquod tertium re» fultet,utpdtetdeimmdnente,fedin
produ^onc requiritur, 'ideointer fe du£ iflx /ormx funt difiin^tx,
tdnqudm mdgis cr Diffcrentis
minuicommunes.Diffvrtquo(i;h£cf6rmdAffnerdtione, de qud di* inrcr Pro
ximut, quU efl opuf ndturs, ?roiu£ho dutem eflUtior. Dicimus es duaioncm
sptnV«T« f^n^um produci, non tdmen ^nerdri. Diffvrentidm ct gcneutis j^n^
ddmodum notdre oportet, ne wu confunddntur^ ^"^"^* cr
edrum ndturd ignoretur, Vonit Kdyl LuUui duju formds, fc, Ori' De oricinc
^nemcrExHum,qu£cumpojiiHtdefdciUconfufioncmcjufdre wd- et cxitu. ximdm in
litc9u cuimcuuq;,ob conuementidm qudm hdbent cum his uiielicet
Generdtione, Augmctitdtione, Conditione^ Operdtione, Itifiuentidy
t^efluetitU, VroduiHonecrdlijs, ideo ei^ omittimus* Sei fi fubtdis
uolucrit hds quoq; cognofcere, h£c pducd, fi' Orico qd? bi fufficiint.
Ori^ ponitur pro operdtione iUd, qud fuhU^m E itusad? quodltbet
proprUmpdfiionemproducit. ExitM uerb d{hii dccom» ' moidttir ; qui ib
d^ud potentU efl, non compdrdnio ipfum dd term.
mituim^ q; 5r mmmy^luUtunctlfctutlffturdtio,
uclproiuiHo, utl tUi^ud aUs opcrAtiot 34,
DeSeparabilitace* Llcct uidcmr, quod ifld formd flt adcm cum
cxterioritdte^udU j^. ^^y^^ jj j detdmcndifjvrunty quiacxtcrioritdf
cfiinteriUd, qu£ aliquo ^^^^ modo intcr fefunt dijlinddy fepirabilitdf
ucro tdntum in hH repcritur, qux fecundum exiftentiam funt dif\in6h^ ut,
Pdter, FUi* ut, tirborcrfru^s.quinoneflindrbore. Et quid flc hdnc fort
Hxcforma mdm confidcrdndo nonomnibM entibu4 potcfl conucnire, quid tdli
^ difiinBioneentu omnid nonfunt diftiniai,ideo pofjumwdicere, ed
tib»conue- cffcf(pardtd,quorum unum cognitum eflr, aliud non. In homine
nircpofsiu quidcmcflbonitdia' mdgnitudo, quem fl conflderauero ut
bonut tdntum, tunc in eo bonitj^ cr magmtudo crunt fcpdrdts»,
3^» De Infeparabilitate* ^p\Er cd, qu£ de fuperiori immedidtd
formddiSh funt^ huim fatif erit notd efjcntid, oppofltum meditdndo^ Et
ueluti eam duplicimodo confldcrauimut, realiter fc: CT rdtiondUtcrx
itd^yhancijsdcmmodii contemplar! dcbcmut, \flx dux firmx in homine funt
idcm rcaUtcr fc: Bo/»>quxinmUoent€inuemturjCum ndturam deftrtut^ prd*
ter qu4m in chim^rdi q^m ima^ndtio noftrd ex impofibiltbut ftbricat. Hxc
omnia funt impojitbiUdy uidcUcet : Bonitdt non eft md» gnd : Bonitds non
eft in Deo : Bonitds non eft in credturd, Et per o» mnes drbores eft
ne^tiuc dijperfd* 38» DcSimilitudinc. SEcundum
Teripdteticorum fententidm, propric ftmiUtudo in qudUtdte funddtur, non
eft tdmen inconueniens, ut Urge pmiUtudinem dccipicndo cr in qudntitdte
dc fubftdntid fit ; quid cr identitdx uel diuerfttOitt qux in fubftdntid
proprie lib:io.Me funddtur,interentidq.
*cunq;inueniturJefteArift,quiinquit^ taph : tcx.
mneensomnienticpmpdrdtum, eftidemuel diuerfum. Q|f4fc»Mecietin ffnere
conueni» tntid funt dc flmiUd» V qu^e numero difjvruntyin fj^ecie dj^imiUntur»
39. DcDirsimilitudinc. REsomnes, qu£ diflinSbishdbent
ndturdx^ inter fe dif?imiles nuncupdntur. Ethsc difimiUtudo dttenditur
penes quam- cunq^ diffrrentidm, quemddmodum a" fimiUtudo pcnes
omnc conuenientUm uel identitd tem» 40» DcNatura.
NAturd in omni drbore eft neceffxrU, propter Udridt ^nerdti* ones
uel produStiones in iUit repertdx, qu£ fieri minime pof» funt dbsq^
ndtur^beneficio, quid principium eftdUcuius fir* }n£dbfoUtt£»
4 Dc Pundualitatc» NOriw»««f metipljorUehocin loco
dcerpntuf pun^dUtjt, quimlonfttudo. Utitudo CT profunditds, dc quibus
fuprd didumejl. Vimc efitquodpunChdlitM efl d^s, fub rdtionf
'mdiuifibiUoittt confldcritut, quimedidtmterrelatiuum dliquod CT
correUtiuum fuum, ucluti bonilicdrey quod mediurc uidcmut inter bonificdntem
cr bonificdbile^ • 4z. Delnftrumcntalitatc* QVdmuk h£c
formd \n unA qudq; drborelocum hdhedt pecuU' drem, utuidcbimut : ftincrt
nccfibirepugn&t, ut etim dlijt drborum pjrtibui fe communicet, quid
nihil dliud efl^ q^m potenttj (ubdShiopcrdndiacccpti;qu£ddinftar
'Ml}ramenti drti» fcidlitpropinquioreftfuofflT^hti^quim^etredd effvShtm
ordinX' tx . Cuiui reifl exemplum dcfldcrdty fume pottntum uifludm
fubdCh fuo, qu£ mflrumcntum dppelUtur uiflonis, 4j»
DcNccefsitate» NOn efftt htc formd omnibui rebuicit operationemM
Diffirt ^oq^ d potentiaa^ua, quia h£c af> iUa fupponitur, nec efl idem
cum Virtute de qua fupra loquutum efl, ^uia ibi uirtws m effe quieto
confideratur, hic autem fub adu. Q» Utijiimdm iUdi rum ttAturdm und alijs
omnibui eommunis r/?, quemadmodum de ri* dicibui fuprd diximMi
quodLuUidrtipciu generdUhoc txpojluUtk p:
Dc Qua!ftionc VTRVM. I Er hdnc (jutftionem de rei cffe
quxritur, fccundum omnes f f w pork difftrentids ; cr regidjLtur pcr
pof^ibilitatem. Eiut fpeciei tresfuntjejle LuUo^ in prlncipio quartr
pdrtis principalit HzC qu«s Artis fu£ generaliSy uidelicet DubitdtiOy
JKffirmatio CT Nfgafw; flio tres ha qudrumpriorrcjpe^ueorum ef},qu£
ddutrumltbct dicuntur,ucl qu£ becfpecies* contingeatU funt. Secunda ucro
de his quxrit, qujt neceffarid cognom fcuntur. Tertii dutem efl de
impoj^tbdibus: dd quas rejpondendunt efl per dffirmdtionem uel ne^tionem^
dut per po^ibilitdtem, contin^ gentidmy impofiibilitdtem uel
neccfitdtem.flcuti mdgis expediens €# Noca« rit: id tdmen obferudndo, ne
per rejponfionem principid deffruantur^ ideligendo quodrdtionon difbit^
Si enim fidt quxfiioy Nmm knti» chriflus flt credndM i fldtim per
priticipid uel rddices tdm db^olutdi, quim refpeEhuis difcurrere
neceffdrium efi, c id concedere quod tnagis Bonitdti, Mdgnitudini,
Diffvrentije, Concordantix CT dlijt rddicibusconfonat.
Toterisquoq^arbores uel fubic^ contempUrif
quibusflnonrepugnabityfubfeidcontineredequo motd eflqutfiiot tunc
eligendum crit, Quid f rg) non inconuenit honitdti dc dlijs rddi* €ibu4
ddbominem conflituendumy ut unidntur fimul, ideo Anticbri» flw homo,
crednduA efi. Diuinx quoq; ^onitdti, hldgnitudini cr Po*
tefidtinondduerfdtur Antichriftum credre, ut fatis pdteie potefK Ncqf;
ArborihumdndUrepugndt hunc fufium producere, cum ndtu»
tdfu4bonusPt,UcetprdU4UoUtntdte fceUJlipimus : ob\id dUqudnda
trit.Si trit. Siuero
decie:necminu*perregiiUsueLqu£ftiones dtfcur^ fendOjdUqudpolJunt
mueniri,pcrqu£ Chimtrje dtfinitio oftcndd- tur.Perbdncrepildmdefinitio
mdi^rinonpotellt cum de rci efjfe Quarc pet ^U£r4t^ quod m definitione
(juacunq; fupponitur. y^^^U 'd^e' DcQuxRioncQyiD.
^(1^'"' QV^^io hfCf qu£ per Quidditntem, ^ffentidmt Ndturim
dc B^edlitdtem reguldtur^ qudtuor hdbet j^ecies prmcipdles, fub
quibuA plures dlue cotitineri poffunt» Primd Jpecies eft de defi' Prima
fpe^ nitione cr dcfintto, quomodocunq; fumdturdefinUio,fiue fit
quiddit> cics» titiudcrpcr mtrmfecdffiuequietdtiud cr per extrmfecd
muentd, dummodo cum fuo definito aonuertxtur : CT huiusmodi
definitiones poterk multiplicdre, recurrendo dd Topicdm Arifto: Secundum
hdnc primdm fpeciem fumuntur definitiooes rddicum, dum dicimus,
Boni» tM eft rdtio qud Mdgnitudo^ Durdtio dc cxtene rddices bonx
funt, uel Bcnitds eft, cui competit bonificdrexfuo modo de quibufcunc^
ent tibu/sdicendumeft. Kecdtfinitionesiftt ineptx funt, ut inepti
qui» ddm opituntur^ quid multx funt,qu£ ffnere cr diffcrentid cdrent,
ex quibui dcftnitia confidtun ueluti funt trdnfcendentid omnid dc
gcnet rdUfimd generd^ qux fi definire uoUteris^ bdc meUorem nunqudm
in- uenieSyqudmLuUus docet. Secunddfpecieseft, qudndo de re
Secudatfpt quxritur, quid hdbedt in fe nAturdUter dc effentidUter : cr
rcfpon- Cici» dendum eft per edyfine quibut res effe non potefty ut puti
per IVVM, ARE, cr BILE. crfic Bonitdx CT dUtrddiceshdbent plurd
coeffen» tidUd uelconnAturdUd. Etmodus ifte definiendi eft Udlde tutMf
cum per mtimd reidf^ignetur^ udletq; dd confbruend^is dcmonftrdtiones
ic tdtiones neceffdrinf, InteUiff timen per I VVM, ARE, cr BILE non
l l qudtenm quitenwiiiUidwtt, quU hoc efl per Accidenf
t ]cd uthrc trii indifjvrenter fe habent dd omnid, cr hoc ijfentiale
cfi». Vluribwtdlijs modisaUquid mfeaUud hdbere dicitur, quos
rcciart nonexpedit, acfi^Uitim lUorum unumquemcj; defcrtbere j hoc
cxnt tum tibi fatHflt cogMfeerty entid m feaUquid babere,altquo
tfiorum modorumueLpluributtUideUceteminenttr. uirtualitcr m ejje
reaU, Plures mo uirtuaUter m efje cognito, potentiaUter, aduaUter,
identice» uniti' di habcdi. immenjiue, per domimum, per mjiuxum,
per mixtionem,per mot dum U>ci tim communif quam proprijy uel ptr
modum pcrficientk^ fiue fubflantiaUtcr flue dcctdentaUter, uel aU/s modit
de quibui ubit^ Arif}o:dif[erity quosq; defaciU mucntre pottrif,dtfcurrendo
per Rtf # Tertii fpc; dices, Arbores, partesq; lUarum. Per tertiam
jfpeaem qu^ritUTf Qvidfit res in alio { Et uarijs modis ad hanc quxjUonem
rej^ondat» dumefiyquiavdiuerfimodcunacr^adem res potefi cffe m
aUquo uel m pluribwt. Bonitas entm uel i>\agnttudo dtcuntur tn aUquo
effe^ quatenus iUud efl habituatum, ut fecundum BonitAtem ud
Magnitun dinem a^t uel patiatur. Hanc Jpeciem poterls muUtpUcare eo
modo, quofecunda f^tciesmuUipUcaa efl, difcurrcndo ettam per
fubteibk omnia, radices, acregulM. OuaUteruerb definuiones fumend^
fint, n «rta r unicoexemplomanifrfiabitur.cumdereetilis omnibm
tradatum e» ^ rit. Ouarti fpecies efi^qua quxritur, Quidres in
jUohaheatjf cuirc* Jpondendum efi per ea, qut aBionem uel pafiionem
flgmftcant ; ut wteUe^ts m obieBc c/?, tUud mteUigendo,atq; in jpecie
inteUigibUi^ quia eam recipiendo patitur Deu^ in tredtis ommbiu ptr
faptenti- am^potentiamcT effentim i^reatA uero in co reperiuntur,
quis eonferuantur tj diriguntur. H DcQua?flione
DE QVO* Af c qu£flio,per materialem rationem in rehuA impUcatm
rc ^Latur, quoniamdehis qutrit, qutad rem aUquam confli'
tiundtimfuntncceffxriA/flueiUa mtranufint ucl extrancA:
jCriibetdrtsffecies. Vrimdpetit unie ueUCTregnuntKegiS4 Huius fj^eciei
quxftiones pof* Hxc qnio (unt muLtipUcari, difcurrendo per omnia,
qut refbedum aLiquem q"o»podo DeQuxftioneaVARB» ^
Hkecqu£ftiOy interro^tderei ejjentia, quatemts ad exiHere uel
operari ordinatur: iieo huiuf qu£fiti du£ funt fpecies» Per exiftere
nonmteUi^mut (ffeextra caufam fuam, aliter pcr cxiftcv dd entia omnia
qu^ftio h£c non effet uniuerfalk, fedmdifjvrenterac' rc quid in>.
dpitur pro quocun^ effe,fiue reaU.fiue cognito, Sipcr primam ft[>e$
iclligatui» tiemieinteUe(luqu£ratur^quareexiftati reff>ondendum eft,
quia »'Q>ccics«. hoc i, proprid pLenitudine habet, nempe ab
inteUefhuo^ inteUigere cr intcUi^bili, tum quia ptrBonitxtemy
Magnitudinem ac c£terM radices^ fuum effe confcquutus e{i. Per
operationem uer6eH,utin* ». fpecicf* teUi^t cr cognofcdt fuum finem^
aliorumqi entium naturam, CT ut per eam,homines uarios fcientiarum
habituf acquirant, Dc Qu2cflionc> cufus rcgula eil
QVANTITAS. SEcundumtuUumihmus qu^flionk iu£ funt fhecics
gentralet^ P°*, Af* I 4 wMat, fccundum hanc qut-
rendi furmulam^nequdquam quxrere uel dubitiire poffemus 'Xonjidc q qo jj,
retur erg) hic temporalitMjpro duratione quacunq;,uel eo modo,quo j „
tepora» d nobk in Cate^rijsdeclaratum eft j cr tothabet /pecieSy quot fc
lica» hicco cunda, tertidt >w«a, cr decima quxftiones habent. Sub ijs
uerb j^eci*^ lidcrctur. tbui diuijiones fumere poterfs, diuidendo
durationes per /ignd uel m* ftantidy fl aliam diuijlonem nequiuerint
admittere, quemadmodum Aetemitas cr Aeuum, facilefatifeft,peraliarum
quxftionum ft>eci' ts.huiutqutftionis ^eciesquoq; inda^re : exemplum
tamen dabi' mus quomodo ftnt petendx d fecundo quxfltOyUt promptiorftt
ftudi' _ '^|^ j ofusadreliqua mquirenda^Si quxratur per primam
ft>ecicm iUius fpccfcbui! quxflti. Qttando eft homo f tunc effe debemm
fateriy quando iUius ef* fentia fubfiftit^ Per fecundam Jpeciemitunc eft
homoy quando fuan partes effentiales habet. ?er tertiam . f quid ftt In
alio ecies,quotaj^ignAuimui,fed mdiffirentcr cr omnit do loc* (ii
busiUismod(t,quihusresunAmaliapoteftef[e,flue fecundum deter cofidcrad*
minAtum quoddam ffnm ucl j^edem» aut fecundum tranfcendens ali» i K
quoi^ Exc U fc exmpUy
qudittr perfpeciei aUqu^tyhiteUei^ cundu ua- ^^^fit ln locoy
utlociefjentu magk cognolcatur, qux defcrtbcreuo- liat fpccici luimus,
Pcrprimam Jpecicm fccundLe qtuej}iontfyinteUe{ks efl inubi jiue loco,
quia ejl m fud effentia.* Pcr fecundam ejl in feipfo, JicuH partcs m fuo
toto. Per tcrtiam eji m alio, quia in anima Jiue homU nc. Per quartameft
in ilLa uirtutCyfecundum qium habethabitumfci»^ endi. Per primam Ipeciem
terti biliSyfed per 'mteUie^im cognofcibiUs folum* Perfecundam, fua
fifft» ra uijibilif O" imaginxbiUs cft, non q^o ad effemiam. Per
tertiam lo» CMe{lcoUocatipa}^idcntislocum,licut caUfaChim poj?id(t
caUdit%^ ttm, ipjo habituato caUdLnte Et fubiun^t LuUus^ quod^pcrhas
tres- ^ecies attin^tur ejfendaloci per mteUiftre tanium i ita
quodlocm- particularis m fubie^ fuftentato eft diffufus, cr dcriuatur a
loca uniuerfaU in fubieSh uniuerfaU fuftentato» Quilocu4 uaiuerjaUs
Iop cat omnia locata^ftcut omnLi caUda funt caUda, ptr uniuerfalem
c^ Uditatem* Per primam Jpeciem nont quxftionis,loci nAtura cogno»
fciturinAmptrhocquodparseft in parte,ftcutignis 'm acre,tttpa^ tet in
elementato, Jorma m materia C7 amnes partes mfuo toto^ ^ e conuerfo, fic
unus locus ed in aUo per accidens, ty omnia loca par^ Ucularia mloco
uniuerfaU. Locus ulteriut a)g*iofcitur per fecundam ln' 4. par:
Jpeciemiquiaeft iiiftrumentttmfhbftdntix,quolocdtpartem in par^ principali.
^ j^^^^^ j^^^ Vbitradit LuUus, in Arte fuaffneraUi Dc Qujcftionc
OyO MODO» cuius icguiacn MODALLTAS.
huii*"''ft"* A ^) innumer£ tmett nis ifit fpc-
jfj^P^IP*"^ 'B^-> T^^^i^fs omnest dc prddicamenta omnid acm ClQ9^
cidentaUd cum fuis ffneribut, Jpeciebm^ dc proprietatibuf
confideratdfUnamquami^ rcpt faUm crcdtdm poffunt modificdrt^
^7 ^teicumeUte m^dificdtioiik, fjfccies huius qujejiti
confurgunt* Sed quxPntiUtquituorJpeciesquMRjjy^tndit* rejlit
uiiere. Pnwrf I. fpccttf» eih, quando de re aUqus qutritur, Quomodo
jit in fe f qut [i appU» ledu qu^rituryCXaofff^^^^o fit in
aUoyU- iUud idem in ipfof cui hoc modo fatisfAciendum efl.f
intcUe^um in uoUtntatehabere fuum effe, ipfac^ in eo
exiflere^quatcnus cum memoria animam rationAlem con» ftituunt,
Tcrtia petit» Quomodo intcUe^lus rft in partibus fuiSy par* j>
tesq;iniUof adquamrcjjfondcrepoteriSyhocideo effcy quia per e-
dndcmmetnaturamquaipfcconflatex proprio inteUcBiuo^ inteUi gt
biU, cr intcUi^e, fic cr hrc trid eius partes dicuntur, Qtfarta au- 4,
tem inquirit. Qjtomodo inteUe^us fuam fimiUtudincm ad extrd
tranfmitterr pofiU f Et huic dubitationi brcutbus fatkfacerc quis
po» tcrU, fi eundcm inteUe^lum aUquo habitu infDrmatum confidi
rauerit gxtranea inteUiffre, Dc Quxftione C VM QV O,
cuiiis Rc gidAcft lNSTRVMENTALITAS.
HAecqu^eflioqutrUdcinflrumcntPs CT medijSy quibus res in Notioptlf
fulsoperationibusutunturyfiueiUa effentiaUa fint. quemad*^^* modum anima
rationalis infirumcntum c^t, quo homo ii:tctti' git, uuU cr memoratur ;
fiuc paj^iones uel proprictatcs, /icutiin jir' roe{i grauit4f, cr in igne
lcuitas ;aut fint accidentia communiay fe» tundum qujt fubflantije
operantur, uclutifunt noucm acciicntis prtt. Mcamenta ; cr deniq; qutflio
hxc petit de omnibus accidentibus mo'
raUbuSyft^quibusuirtutcsomncsacuitia contincntur, ac etijm de iUis
corporibus quibus lAccanici in diuerfis eorum artibus utuntur,
B.ay'.autcmquatuor J}>eciesiUlsbaudabfimUts,enum(rat qu£ im^
mcdiateprioriqu£fitofuntappUcat£, ?er primam quxritur. Cum f. fpccies ^uo
inteUcdus c anims^ars t Et rej^onderi dcbet, quod cum Boni K i
tMte^ tatCy TiiffircntU^ ConcorddniU dc omnihus radicihuty
contrarieUfe txcepta. perfecundam^ Cum quo inteUtilus alia a fe inttUi^tf
Di- CAtur, quodinteUi^one. pertertism. Cum quo inteUedus cil uni*
niuerfaLis ud particuUris { R ejpondeatur, quod ratione Ipecttrum, quicji
uaiuetlalium funt^ uniutrlalis fit, Ji particuUrium^ particw Urif, Per
quartam, Cum quo inteUc^us extra fe, fuam mittit fimiU" tudmemt
Potellrejponderi,quodcum proprio inteUe^iuo, inteUi»
gibtU,acinteUiffre,cumquibusfacitJpecicscUe inteUe^inSy CT prr j^^^^
nemoriam recoUbiLesacetijm peruoluntatcm amatiles* Et e£ quf fiiones
omnes, intcr fe non funt tam diucrjx ac dijparatJty quod uns deijs,qu£ad
omncs aUas rejponfum fft, quarcre ucL dubitare non pofiit; imo oh earum
maximam ^neralitatem funt tam connex£^ quod de una quaq; datd
rtjponjione, fccundum omnes, homo potefi ueritdtem inuejli^rc.
Modusfumendi Dcfinitionescx QuxHionibus*
^^omiflmus exemplis odendcre, qualiterrei uniuscuiusq; deftm
nitiones quamplurimx, ualeanrfabricariex qux/}ionibus,quo(i Jlatim
obferuarecurabimus, de AngeLo id manijcjlandot Dixi» ■,Definit|o^
mus,primam quiejlionem non ejje ad propojitum huius ne^tij, quo» b^'fh
^dl' '*^'*"'*PA^''" 'J(7^?"'"^» ^*^^'^ dcfinttiontbus
fupponitur; ptr lumprz. ' TcliquM igitur intcmum noflrum explicabimus :
Ptr primam Jpeci» £x fcc u da. fecundx qurJ}ionis AngeLus definiri
potejl, AngcUs eit tUd creA" turdy qute magis r DeoJimiLis. Per
fecundam. AngeLus e{i, quihd' bet partes fuds effentUleSj tanqudm
conjiitucntes eius tjfe, per tertii dm. quodddfbonem^ AngeUis eit, qui id
agit, quod fud uoluntM uulttinteUcdus inteUigit, acmemorU memordttir, cr
hoc jine fuc- cefiionc crfantdfmdte ddiuuante. Quo adpafionem AngcLus
bonat cft » qui A Deo recipit immediate infiuentiM. Angelus uero mdLus
iUe f ft, quidh extrd recipit pdjiiones, qudndonequit homines ad
peccdtt' dmindnctrtfUelquidDcoptT grdtidm dbeJi,fuo fine Jrujlrdtus^
Per^uurtiiMU F Terqudrtimy Bonuihabctm
Deoglorimy in tnferionSui pott* Ex\» ftutem, MdlM ucro panam^Fer primam
fpcciem tertijequx/l. An- gf/w eft A Dto creatuSy non dcmateria aUqua*.
Pcr fccundam,eft de omnibuf radicibui uet prmcipijs^m ejje /piritualiac
compLeto confti» tutui. Pertertiam., tftDei creatura cum bcnedi£bone cr
gloria, fl bonui tft iftmaluieft^ utiq; Deicreatura dicitur, cum
eonlradi£ho' neydoloreacpariA Per primamjpeciemquartx qujrftionky eodem
5x4. nodo dcbet definirit ficuti deftnitus ed in fecunda jpecie tertix
qu^t' ftionit.Perfecundamucro idco efty ut Deum mteUi&t ac
dili^t, prxbendo obfequia hominibut, Per quinam qux{iionem,Anffluf «n. Ex
f ♦ tui efty quant^funt eius partes tffentiales,fiue dtfcretx jint, uel
con* tinux. Perfextam qutftionem^ quoadqualitates proprias. An^lui
Ex tit.cuiui mteUiffrecrueUe efh efjicacijiimum, uel qui m tcmpore
impcrceptibilimaximum tranfxt fpaciumyUclquinoneft nAtwi uniri corpori.
Secundum uerb appropriitax qualitateSy An^lui eft fecun- diim diuer/os
habitui in inteUeiht uel uoluntate fubiedatoSy logicuty grammaticuiyUel
philofophwf iaut fapiens., prudenSy bonuif humi' lis,fideUi,mitiiy
patienSy cr uerax.ft bonus r/f, fl uero maUUy quo ai ta qu£ ad uoluntatem
fpeibt, oppofitum conjiderd*. Per feptimam Ex/» qu£ftionemyqu£ eft de
tempore, AageUa e{l, cuius effe in xuiternita* te exifttt. perhuiui
qu£{iionis jjfecies difcurrere poterk* Ver oAl- Ex8. uam quxfiionemy
AngeLui eft UAtura completa, in loco exiftens, non tamenlocum occupans»
Perprimam fpeciem nonx qurftionts» An Ex 9,
geluieftfubiiamiaqutdamfpiritualif^cuiuitffeeft per fcy cr non cum aUqua
re coniunCium. Per fecundam, Angelwi eft in CaloyUt mo* tor, calumq^ in
eo ratione poteSiatis. Per tertiamy Angelui eft in fuk partibui
efJentiaUbut.per propriam naturam utl tfjentiam, partes^ w eo
reperiuntury eadem de eaufa^ per quartamyAngeluseit^ qui uoluntate fua ac
potentia exequutiua, uarijs modis operatur. Per
primamfpeciemqu^ftionisdecimg^ Angeltti eiiyquicum^Bonitateac Ex 10»
dUjsradicibu4 exidityContrarietate excUtfa. Perfecundamy AngeUts t&,
cum fuk prmipijs innatis cr naturaUbuft aUx funt buiut qu£* K 5
fliotik dionli fPecicSy de tjuibut exmpU tion ddducufUur,
C[U£ tdmcn quiWt bctinuemredcfdcilipotcrityli optimc JpccuUbitur, Poffunt
quot^; res definiripcr rddiccs omnes, ac udrijs alijs modiSy quos
aliqudnio ttuimcrabimus (Deo concedente) fcd pro nunc contentut
eflo» ANlMADVERSIONES pro - Radkibus.
PKincipdlis prims partk hjec pars quintd critUimd, pdued qui^ dcm
continett fcd admodum neceffdrU fcitUy quonUm in hac explicdmur qu£ db
drte LuUi omnem ambi^titdtcm toUurit, Ani mad- ^ rdiicibm igitur
dujpicaturi, hxc crit primd dnimdduerjio, non rd » uerdo t* dicibwt folum
accommoddndd, fcdetidm Cdte^rijs dcTormls Quod liccth^comnid natura fud
fint trdnfcendcntifiimd, tdmcn qudndo fubfldntijs
pdrticuUribuidppUcdntin-per prxdicdtionem, ucl acci* dcntibws, tunc
pdrticuUrU fiuiU; nec dmpUus cdndcm obtinent fa*
cuUdtem,qudtrdnfcendentifiitncconfidcrdtd,ndtd funt frui; ncmpt ut rddix
mid ucl dUquid tdU,dc dUerd in dbftrach prjcdicdri pofiit^ Vndc
propofitiones ifitfdifs funt, donitd^ petriy eft Mdgnitudo Pc- tri»
Mdgnitudo Pctri, efi Durdtio Petri; quid dbihdikm de dbdri^
£kncquxqudmpr£dicdripotefi,nijiqudndodmbofunt infinitd poi fitiue uel
permij^iue, ucl fxUcm dUcrum iUorum ; quod de prxdicatk iUis
ucrificdrinonpotcfl ad Petrum compdrdtis;fecui erit fi incom creto
fumdtuur. De hdc mdtcrid pUrimd omittOy qux pofjunt uidcri In dirt
apudiUumindtum MayMijectdmcnpropofitiouerdeR. Bonitd/sPe» fui Coflat'
tri, eih Mdgtiitudo, uel Mdgnitudo Petri, fft Durdtio ; quid prtedi-
tdtum non fumitttr UmUdtc, fed trdnfcendentifiimc ; CT fecutidum
buncmodumoptimedcUmitdtofubieSh prjcdicdri potefi ; quia Ucct pofitiue formalUer
noninfitiitum fit,tdmen pcrmif^iuc, quonidtn
DeopotefidppUcdri>quiJormdUterefiinfinitus4 Nec /r«/?rub
^>fcrimtnintcrriiiias4crtU,iu,i,^r,, rm(M Aai/i;,,. "
"i^n». ?«« w i, Diffi. 7.
^""iriridicumnituritHrrru^«A, /• ''^oppofl.ofuonon.pp^Zur
l^t ' L" ANIMADVERSIONESpro uiickctt
itiideliathit Cdte^oriit /^tcimtrddererddicibus dc firmff, ftcun-
dm qudt pojjunt ales nomindri. BonitAS etenimf Vnitd/s uel 2lurd*
UtMylicetfpeciemqudnddmrecipiantAfubiedis iUis quibws dppli* cdnturf
ddbuc tAmennefciturquii determinAte fint, nifi dd Cdtc- goriM tecurrdtur.
Scio quidem undm C edndcm rem plures hdbere Ydtiottes, fecundum quM
diflMe concipipotefl ; quam fi confidcrd* uero bondm ucl mugn^m, qudteniu
eft homo uel bpis, nec ddkuc o» ptimdm iUius boniatis uel mdgnitudinis
noticidm habtbo ; prout tBonitdsconuenireadxqudtedicituriUirei* Si ucro
rm edndem fc' cundum Cdte^riM ordinduero^ tunc per dpplicationcm rjdicum
uel formdrum, in hdnc deuenidmcognitionemfciUcet.dlidmejfe homi-
nis uel Upidis effentidlem boniatem, dliam fecundum qudlitntcm
proprixmuel dppropridtim, CT dlidm fecundum Cdtcgorids reli» quds,
diuidendo dc fubdiuideiJo ommbui modis pofibilibus. Ntc ncs '^muihxc
pariter drddicibu^ uelfhrmif jf>ecificiri, quii dque funi trdnfcendentifiimd.
Vicifiim igitur J^ecificdntur, fcd ab ijs omnibus,
drboresKTfubicOn^
Admirdbilemutilitdtemconfequeris^fihtcpridicdmentd dij^o* u fucrfs
eo modo, quo rddices dijponumur,• cd dliqudndo confiderdndo A d m i rabi*
dbfolute,dliqudndorefpeitiue, cr ex iUis quatuor figiirds confiitu- ^**
utiHus. €ndo4 Vrimdm, qud omnid hic dbfolute confiderentur, cr unum dc
Noca» 4iUopr£dicetur,imoomniddc uno, Secunidm, m qud Qbdntitxs^
Q^dlitdSyCTHdbitu^ordincnturproprimo tridngulo. A^Ho, Re« IdtiOyCr Pdfiio
pro fecundo. VbiQudndocTSitus pro tertio, mif»- cendounum tridngulum uel
dngulum cum dlio, rc^c, obtiquc, CT irdnfuerfaliter. Tertid fi^rd, unJi
hds duM fiourds connedct, camc» Tds trigmtd fexconfiituendo i c
fecundumundm qujmq; cdmtram duodecim propojitiones elicies dc uiginti
qudtuor qujefiiones, uti LuUus hoc de rddicibuspoffefieridocuit* Inqudrti
uer6, poterft primdm,fecunddm CT tertidm figunt comun^re, dtq;
mjximdm tdbuldmoonftruere.qud infinitdsrdtiones ucl dr^menix
conficiet» Qu« onmA itt qmu pdrteprincipdU cUriora fient, per ed quje de
L qudtu&t n qujtuorp.gurk iLuUo hmnlU
eicplicAhttntur. jlt dupUcdtm b4ftbi6 LuUiartem. Bxc proCati^riJs tibt
fufficiAnt. ANIMADVERSIONES pro Formis.
i.Anknad Q^Olita fudiitffnij per/f^icdcitate LuUus /Drmas inuenityUt
e^runt uerllo. ^^mediomagis atqimagis m rei cognitionem inttUe^s
deuenire pojbit i cx cteninty cum nibU aUudfint quan rerum
proprietatef^ quieareidtffrrehtia uel modo intrinftco emanAntt ipjis
cognitis^ V Tci (jjentid cognofcitur j cr hunc modum cognofcendi ubiq;
mon» In li: pofl Ar. CiModaufcmfcoc/itwcrMm, ttmco exmplo uideamui.
Ar#. Metaph: 7 in Ubris pbificorum^ fubie^ totiui nAturalis
phdofopbiirilualt ueUtm Drttw de 'cnbtrty hxc utiq^ dtfcriptio inanls
efjtt, quia An* ^loo" dinmjcrationaUac Jpccicbut inttUigibiUbut
competere pom tefl. Siuerodicam* Dm cfl
necrffariuiomninoimmobilifabomniq^ compofitione fcgrc^tusi htc utiq;
defcriptio bona. exiftimabUuK Dicet aUquis, I Ua fanc defcriptio bona
eft, fed unde habeatuTy nefci^^ ^ ^ Nofti optime qu£ fequuntkry^fcies. Quando
aUcuiws reiignoran' Adhabeda tur paj^iones proprix, ftatim ad iUiui
oppofiti naturam recurren* pafsi^oriu m ' ^*""* P-
poliefiorutn in Uli fcdU indi^re pipionis, et qudf^u^ ccgnitione,
tiwi de quo cupis, pcrrejpedus unrios, pdfiionesco^nolies. Qudrt* do Deum
defcripfhficmifuprd pstet, credtunm contempUtut fum, quje m rdtione
diuiiionis entif Deo opponitur, cuiu^ pafliones prx' xipu£, cum fintcontinffntid,
mobilitd^ cr compojitioy oppojivm
Heoconutnireconjidcrduiytdeooptimedefcripji. Plurd pojfem di» tere,fed
fubtiles fubtilid qu^erdut. ANlMADVERSIONES pro
Quxnionibut. EKijsqu£ieQU£j}ionibws di6k funtyfdtk edrum
dnimdduer»i, Animad fionesfuntnotx:nonnuUdtdmenmdnijrlldre non piffbit,
dt ucrCo. cum breuioite. frimumdnimdduerteredcbes* QJidndodered'
liqud quxjitum erit ; licet perpropridm quxjlionem rej^onjio fujji»
cienselicietur^huic txmen comunffre potertt rejponjionemy qudm iUd
qujeflio expofiuldt, qutdb hdc originem ducit: mutuo enim fe iebent
ddiuudre, ut ref^onjio cUriorjit, Secundum ejl, utcdueds m j^; .
dcfinitionibut d quecict ^ oes inteUigibiUs.uThabit* etiu reaUu; de
hoc quoq; in Arbore huanaU tradit ((Kdtione originis temporalisi
crftc habetur Arbor (Credto comjtAdternalis.ubideCloriofiftimdVir^nt
Mdridsa |lfl» l iunikm ^bundediffeiitur, [^^^'J
[^dtionehypoftatici cffeide quo miro modo traSkt ) inarborc
Chriftianalif diuivaU tt humanjU ftmuU
[IncrtdtumtAmuidequgArhoTuUim diuinalis lateo' digitsem^
7» NOnttcoiilutUt mict tfbis mdnifvfti fi- unt pcr formis,
dc quibm m primd pdrtc di^m cfi, dcctidmdiCcfur.cumHcmcntaUs drbor
cxpUcdbi0 ^cgctdntis J turyplurcs numcrdndo j ucrius amcn
pergenerdti^ ctrboris pdr 1 onem, corruptionem^ priudtioncm cr
rcnoudtio^ US, ncm, quim per reUquds firmdf, FoUd funt mucm
dccidentis prtdicdmcntd, Florcshuiusdrborfsfunt mjlrumcntx qutddm,
qutex tribusfuntcon(}itut%.fcx potcntidy obic^ cr OuyUt
fruCbtmgencrdtioncmucl tffe gcnitu, rcj^i0 ciunt, Tru^s funt uegctintid
omnid pdrticuldridy qu£ di qudtuor cldffes poffunt reduci, ficuti cr
qudtuoY funt elcmentd qux in ipfis hdbcnt doniimm^ iuxti fhccicrum
udrictdtcm^ DB I DE ARBORE SENSVALI
QV^ecunq; in hdc drhore conflderantury priws ca rdtione quA
fenfudlid funty conftderdri dtbent^ cr demde qudtenm dud* rum
prxcedentium drborum ndturdmpdrticipdnt. 'Kddiccs, e£dem penitm
funt, qut \n prioribuf drhori» bmfuntconftitut£, TruncwSyC^
uniuerfdlechdos, omnid fenfudlid conti» nens. Brdnchx, funt
fex fenfut exteriores .f uifu/S, duditws» td^Sj giiftuiy odordtws C7
dffutu^t. Arhork Rdmi,funtfenfualismembrd interiord CT exteriord;
fenfudif ^ interiora, ut cor, epar, f^len, cr pulmo ; exteriors partes
funt uero, caput, pedes, crura cc. ¥oUa,funt eadem» dequibm
inprioribus diihm eft, fuh triplicitamen ratione confiderda,
F/orcj, funt operationes fenfudlis corporh, ficuti uidc» re,
dudire, ^ftdre CTC. ?Tu6hiS. funt omnid dnimdntia. qudtenuf fenfuaUd^
we- fftxntiatO^elcmentAtifunt. DE ARBORE IMAGINALI. IK hac
arbore fimiUtudines cr idola eorum omnium qux in drbori» bwi
fenfuaU,uefftiU ZT elementaU cotttinentur, coiifiitrandd ft
offrrunt.Etptrimaginatiuam,noneamuntum potentiam dcci* pere debemu«,qu£
fenfuscommunk/pecics confiruat, fcd potentiat omnes interiores ;
nempefenfum communem, ima^nAtiuam, xftima- tiuamyUelcogitdtiudmy
phantaflam ac fenfualem memoriami qu£ firte,TAtione diucrfdrum
operatioimm dtfiinguuntur, cr non in ef. fentid* M
ArboT^ \ r» 'RaiiccSyfuiU
e£dem,qux In trihat drhoribm funtcan* pdcrutje, pro ut potentix alicui
mtcriori uel omni» I bui,per Jpeciem reptjefentantem funt prxfentef,,
Truncut^ eftllmilitudo trucicuiutlibet arborls priori^, I alicui potentix
mteriori obbta, Mbork I'
\Branch£,funtpmilitudinesbranchdrumdrborumpri* ma^nAlis { oru,i*
ritualtm, ia c pars quxUbet arboris fjwitw, fecunium hanc dupUcem nxturam
confiierania efli corporea dutem quairu*
pUciierationeexaminAnidreimquitury^f quatenws efl elemetalif,
uefftdnSyfenfualiscrimdginAlis* Ex quibuicoUigitur,quaUbet huius arboris
partem, quinqi moiis efjeconpicrdniam, fRdiices iUxmet funt, ie
quibu^ fuprd» quinq; moifs conflicrdtie,
TruncuSyefl^ecieshuntdnAuelchdos, m quahomine$ omnes funt
contenti, Erdnchx huiui drborls corporex funt cr prjtcipuc arboris
Ima^nAlis^ folia,funt uouem dccidentid» ex quibus uirtutes funt
orndtjc. FloreSy funtuirtutum mcritHy crmtdtipUcdntur
dduir- tutum multiplicationem. Fr«(ff««. funt mtritorum
mercedes^crnt Deui honorc* tur uirtuose^dc eiferuiitut, M 2
Artor Arhork mordlls uU tes lunt.
Arbor Vitiorum» 'Kd^ttm hdcarbore^qu^ddm funt
principilioret, qutdd uero minui prmcipdUs ; prmcipdliores funt,
^\dlitidyStultitid,Fdlfitdi,a' Priudtto finis ; qui" hws ex minus
principdUs funt connex^, uidelicet Udgnitudo, DurdtiOy ?ote(id^,
Voluntd^y DeUih^ tio, DiffirentidfConcorddntidy ContrdrietdSyVrm*
cipium^ Uiedium, Mdioritds^ Aequdlitds dc Mi/w* ritd4» '
Truncu^yefl confufio ffnerdlis, in qud funt omniJpdrti^ culdrid
uitid contentd* Brdnch£dlijefuntprincipdUs,dli£dbijs originem
fu*' dm trdhentes ; principdUs funt Guld, Audritid, L«-
xurid,SuperbiayAccidid, Inuidid C7 Ird j reliqu^ dutem funt Iniuridy
Indiffretio, Debilitds cordis, lft# temperdntid^ InfideUt^, Dejj^erdtio,
Crudelitds, Trdditio, Homicidium, l^trocinium, Mendacium^ MdUdidio,
Impdtientid, inconfldntid, Immundici^t^ fdlfitds, Vigritid, incuridlitds
cr Inobcdientidt \ Rdmid Brdnchk oriridicuntur, c funt iUd quibus
uiti» orum hdbitus ffnerdnttsr, cr oppojitx uirtutet re»
ifciuntur* FoUd,funtdccidentidnouem,quibus uitid funt qudUft*
Cdtd» lloreSi funt culpt iuitijs mdndnteu
JeruduSffuntpocn^, oh mtia peccitoribm hfHdf^ DE ARBORE IMPERIALl
•f IKhdcdrboreeaomnUconliderdntur, qutdd
regimen unmerfUc Ipe^redicuntur» qudtenwt
tileregimenejltempordleuelfeculd* re. Nfc hoc in Locoyimperatorid
MaieftiU txntum ejl confideritnddy fedetidm cuiuiuis dlteriui
perfonjedominium, inqudntum legibu4 im* perdtorijsfuUiturdc refpedum
hdbet dd Impcrdtorem. Et htc drbor m duM pdrtes diuiditur^ primd quarum
rejpondct prioriparti drbo» ris moraliSy cr fecunda fecundic i hinc eji
quodiRdrum duarum pdrti--^ um debet fieri m omnibm huic drbori
dpplicdtio, fecundum uirtuo^ fum effe aut mtiofum,lmptrdtoris^ 'Kddices,funtiU£,qu£inprioribufdrboribus
funt con- jidtrdtsc. Truncu«,eft commune regimen
f£culdre,quodlignificdt communem perfondm imperdtoris^
Brdnchjtyfuntdecem .f Bdrones, MiliteSy Burffnfer^ ConfiliarifjProcurdtoreSyludices,
Aduocdti, Nwi- cijyZonfejfariwi zilnquifitores^
Arbork\m palts par- ^Kami,funtijdem quilttmoraliarbore funt
conlideratt, tes funt cr pr£ter hos, feptem quoq; dj^ignAntur f
luftitia^ Amor^ Timor, SapientUf Poteflasy Honor ac JLi»
bertax, ¥olia, funt nouem accidentia, de quibus fupra^
Tlores, funt Imperatork iudicia ac fuorunt miniflroru.
TruChsy efl pax ffntium, ut ht pace Deum dili^re poft l fint.
n $ DEAR* DE ARBORE APOSTOLICALl EA omnid qutt
hominem di Datm ordindnt, hdc m drbore confl* dcrdmur, ty Ufrfxtur
circaperfonds cr res eccUfidfticdx Qu * dd Truncum cr BranchM,potrfi
conjiierari ommbut moin qui hut drbores prxceitntes funt conjiierdtjey prster
Imperidlemy qu£ pdriterpriores omnes continet,fdUem,quo di Truncum
cBrdncbdf^ 'B.diices,funt Virtutes Theologics CT CdriindleSy
qud* tenuf d rdiicibui uniucrfalioribus funt w/ormdtx^
Truncuf.efi perfonA ^neralk, qut iicitur fummw Po« tifrx, fuccrffor
Pe^hnt dd GLORIOSISSIMAM CT SANCTISSLMAM DEI HOMI» NlSqi MATREM,
ViRGINEM MARIAM, qu£ Mund0 feperit h^undi Sdludtorem,
fRddices, funt pnes hominum recredtorumy qudtenui l gencrdlioribuf
principijs [unt injvrmdta dc orndt^, Truncutt eft hdbitut quiddm
generdlPSy rdtionc cuiui VIRGO M ARI A dicitur refugium efje
peccdtorii, Brdnch^y funt dux uAturx, uidelicet diuind
arhumdnd, ArhorUmd qu^iUud diuinum fuppofltum conflitucrunt^ cuiut
terndtkpdr « VtRGO mdterfuit, Virgine permdnentct Uifutit
Kdmiy funt SpatFietdS^dHocdtiotUumibtdScryirf ginitM^ FlorcSy
funt dignitdtum M ATRIS DEI. TruChsyeflmvscH¥dSTVS,ciiiutcruore, 4'
tnortt ^ Uber^tifmmi DEAIU DE
ARBORE CHRISTIANALI. Il^illd.drboreeA conflderdri debcnt,
qux dd vncdrndtum diuinum Vcrbum jpe^bint : cuim drbork du£ fitnt partes
prkicipdliores .f. Diuind cr huntdnd, ficuti cr m Chrifto du£ funt
natur£; cr fecurt' dum utrdmq; eft cxdimittAndd i rdtione bumdniatiSt
pdrtes omncs ar» boris funtytlementtilcst Vcfftdntcs^ Scnfitiux,
Imdgindtiut ^dtin onales irdticncuero DeitdtiSf pdrtes proportione qudddm
funtfn* mendjc» fRddices, funtgenerdlii principid
diuindchumdnSt I J Truncus, eftlESVS CUKlSTVS ; qui truncws
unitt tfi j rdtione bypoftdfls, fcd duplex rdtione ndturdrum^
hrdncb£, funt du£, uidclicet ndturd diuind. cr humdnA.
Krboris Rrfwt, funt rcfpe^ks, quos ift£ du£ ndtur£ hdbcnt, »»-
Chriftiddlis ecificdri CT determindri;ideo qudndo confidcrdntur drbori*
"f-Qj^^j^ bus trddcre cffe, neceffmum ejl iUjK confidcrdre dformis
prius udrio modo informdtdt CTptrfr^s : ex qudrum pcrfiBione drborum
pdr- tibus inefl quoq-, pcrfe^o. Berddicibuspducd ddmodum
infequenti* bus dicemus, quid proUxitdlem CT inutiles eiusdcm rei
repetitionet uitire intendimus. H/c igitur qu£ de ijsdiximusobfcrud^C
pur^ mente contempUrc» N 3 Dr Truncou
J»4 DE TRVNCO. V, . nr^R««cwfr dutem dcbedt
inteUi^y in mixto eUmeutd ejfe ; unicuianriai mumm terminum ; cr h£c
duplex eft f pcrmancnscr fuccefiua ; ^^J,'^"' ^ permdncnsycuius
psrtes quxshabet funtjimuli fucccj^iud autem, cu» fucceUiu» ius pirtes
non funtftmul ; quod dcbet in utrdq; qudniitatfs dcfimtiot qu id. ne
intcUigi.noude pjrtibus effentUUb'J4, fed tdntum mltgnnti. fcw
orqudnrititiuts Difcreta cft, cuiui pjirles un.i pcr tirmintm dU 'crefa
quem communem nonconiunguntur, QUic ut cdptafdaUordftnt, \n ^u*'^^»^**»
m9dm drborh dij^ofuimut^ Qudntitdi4 * U4
^q6 'Lined fjutefl logitudotdnm tmn,
Superfiaes, qu^pr^terlon^ ^Venmnens^ gitudmem habet Utitudmc^
I Corpui. quoiefllongumM' [ tum, profunduwq;. (Continud l f
lAotut,cT cjl aOtis etif,qu4> I tenui in pjtetnid. I
\Juccepiud ^TempufyCreflnumeruimoA tm jecundum prius cr pot
fteriut* fOrdtio, (juatenut eiui fyUabx menfurdn» j tur
breuitate uel longitudme» iw pro* Difcretd i mnctando. I
(Effentidlit.utdigitui drticu» (V^ejpefhu^.utpdr^ Accide-i pdnter
pdr, pdri' tdlis \ tertmpar^c. \^QSdlitdtiumcrefi tUe
quiimportdt pguriyUt affcret^ fbbi.pararelli.pt' des
crc. Pf op rlu m Qniiuitdtk efl proprium.ut fecundm ipfam res
£qudLes uel mxqud^ Omnls oualitas
ry^rqudlitdtemresqudlesdicunturiut per iuflitidm homini m# nat
fubie Xr^''''* Hccqud- du. ct qiia^^ denomindtfubiedum m quo efl, mp in
eo fit utenfd; !ۥ . blttcefi DE
dVALITATE. r t4tisfuntqua\ tHor
\ tol hmcefl(juoidqudtepidjne(li edUdd neq; frigidi
poteft flmpliciter nomuun i retiuiri^ur quoicidnt,*uelquodddc6* Propria
rc uertentUm de feip/is prxdicentunquod jint flmui naturd ^i. na-
latiuoru, turali inteUigentid j CT quod uno pofito, dlttrum ponatur» cr
*f*>gnani, deflru^, deflruatur^ Non mc Idtet, mdteriam hdnc
effeddmodm dtfficilem, plurai^ expoflulare j hxc tdmen procompendio
fufjiciat^ DE ACTIONE ACfio non dcbet confiderdri pro
formd dih, uel mdteridUter, .. fcdfvrmaliter CT pro rej^eOu ; cr mhil
dliud efl quxm refpe. fi u5- {ks quidam, quo dgens reftrtur
ddpdffum.^ropriumefid' fidcrandal (tionif, ut jit rdtio qu4 pdjiio
iiifirdtur. DE PASSIONE EX diihs hic immcdidte
fuprd> fatis crit paj^ionls ndturd manifr^ fid } dejinitur tamenjic,
Paj?io ejl rejpe^ius pdtientis ddagens^ Proprim c{h huiusy ut injirdturdb
dSHone^ DEPOSlTIONEudSlTV. POjitiOy efl ordo pdrtium
dlicuiustotius ddipfumtotuniy CTdd ^oCulo ab locum-y cr w hoc
po(itiodbubidiffhrt,quidubijigndttdntum "^i^ii^cru rej^eiium
ddlocum, pofuio dutem prxtcr hunc^ dlium denotdt, utpdtet» DE
HABITV. HAbitus hoc in /oto, non dccipitur jicuti inprimo
qudlitdtit moio dccipicbatur ; fed pro rejpedu rei dlicuius^ db
extrinfe- co dltcrirciddidcens^ pcrmodum orndtus uel deorndtus:
fiu$ totum uel pdrtcs multas rejpicidt iutrejpe^usintcrulxddeumqui
td ejl indutus i fiue minimam pdrtem ; ut anuU re^eiiusdddigiM.
tum, DE VBI ucl LOCO* VBi, tj} rejpeaus lo€'
citfdjiigndt P(trus hy^dnus, qu£ nuUius funt momenti^ O 4
JDEQt^do^ DE QVANDO» QVdndo^ellrefpeCknemporkddrmtempordUm j
ut rtjf>i$ L%s huiu4 bor^j dd rem tali tempore exHlentem, cuiui
operd' tiouelmotui menfuratur. Duplex quoqipotefttlfe.aaiuutfi
Uideliceta-pdj^iuum^licutcrubi, \demde bdbitu dia poffet. Huiuf
dccidcntistresaj^ignAnturproprietdtet, quarum cognitto cum non ddmodm im6
parum uel fvrfan nihil profit, fcribere non curauimw^ Hjtc de fvlijs
omuibw! corporek rebus conuenienttbM, dida \ufj\ci*^ 4tvt Q^ndo igiturdere
aUqud materiaU traihbitur, poterit luUi Pndtofuipnhtc accidentid edm
fdtit ornare, poteritq; Cate^riat nofirM non folum reijppUcdrcfedetiam
cuicunq; horum dccidentui. DE FLORIBVS. AJ^dmis foUd
generantur v fiorts ;de /vlijs di&in efljed dt fionbm aqmbw frudusdcpendenty
rcfiatut nonnuUa uidea* mwi4 F los hic dccipitur pro re iUd qut fruOui
uel efjviiui e(l Flos quali p^^^i„i^^. mfhrumentum dicitur quo res
dcquirit tffe. ?ere4 rcr accipu defaciUdignolci,quidperi>\f\ru*
Dubia Lul mentumuelfiosueUt;uidcturetenimquodpro mfhumtnto optratij
li fenteru onmdccipiat,^ tamenremabaUomotamquandoq;proeodem ca»
defloribusy|4(|.4f. t« uero brcuiter nobtfcum poterii afjirmare;
principaUus Opcratio e ^Hfumentum operationem cjfe, quia fruCkiuatdeeit
proxima: ftcUM. ^^^^*^^^^^^ tipdtetdifciirrenttperomnet motuf
ff>eciesi remotum ucro iUui mcntum. ^ difpontt, ut
mdefequaturfi-u^hisificuti ignifcahr» quid calore combufiibtU uel
caUfj^bile dt)j>onnur» ut formam ignis fufcipiat : dUud remotijiimum
datur, quod motum ab dUo recipit : CT duplex f f nAturale CT drtificidle
; ndturale ut minui. pesO-c: dr- uficiAeut funttUd qutbus tAechanici CT
aUj utuntur.Et omntbuf ijt tnodis mjirumentHm uelfiospotej} accipi, ftd
jecundum LunHnten» tum (ut m fequentib^4A patebit) uerius optrationef
fiorts uel infiru» mtntd dicuntur, quJim cttera quxnmirauimM. Hoc quoq;
fidcmfd. cit,qui4 tit,quU in(hmenU duobut uUimk
modk conjldcrdtA, dut funt qud» litdtes dijj>onenteSy qux cum
elementit cor^iderantHr iUel fuiH tl^ menatA^ qu£ pro jruShbui
dccipiuntur, > DE FRVCTIBVS» Flnts cr compUmentum
rddicumy Brdncdrumy rdmorvmy foUo- rum cr deniq; florum,frui^s funt ; qui
per eminentiam quant flu^^i^^*^^ damomnesarbbrk pdrtes continenc^nec
unquam partes arbo' ° rlf quiete fruuntur, mji quando fru^is
fuumcffeconfequutifunt» pK«(f?wy huiiuarboris funttUmentiL omnid(feclufiseUmentis
com^ pofitiSy qux pro rais funt accepn) quxcuq; fint iUayfiue
perfiet&^ fiue imperfida, de quibu^ in quatuorUbris Meteororum d^U
Philofo' phut. tion eflprxfentis ne^^tij de ifs traShreyfedqujc finc
numtrd* bimui faUemy cr nonnuUd forfan deiUis diccmus. D«o
funtmixtorum generayquorum primumimperfe^rum dtcitun quoniam tefte
Ari- flo: in primo Meteororum, fecundum naturam minus ordinationm Duo
mix- fiuntyquJim reUqud corpord ; uel quia fubito mifcenturac ffnerantur,
" gcnc- Etfubhoc mixtorum ffnere meteorica omnis imprrj?io
contmetury " 9"«fint UtUquetuidereex fcquentiarbore. AUcrum
mixtorumpnut perfit ^4"*^» {htm efiyfub quo lUa omnia
comprxhenduntur, qux in terrx uifctri- hut generantunqux fnnt difjicilis
mixtionis, ffnerationis, ac ccrru^ ptionis i de quibtu Ar: traibAt m 4 Ub
Mettororum, cr funt Upi^ deSy metxUayfales cr fimiUa. Ab imperftEhs
aujpicaturi ; qu£ cr uu ffnerationis perjvdiora prxceduntyhanc
tmprcj^ionum omniumad' uotduimus diuifionm j utfdciUus qux fittt, cognofca
tur, y P Omnfc OmnkMtte oricd imprcft fo
cdufatur utl flno^UiLSphxrd.utGaUxi^ Sine upore,
vfubit^tuf { \n acre, cr tx radiorum folk refie^ aut [^xiom fiti ut Hnlo,
Irif, Pdnhelif^ (Comdt4 fSteUd i Bdrbdti I Colu^
[cduidti In fupremd dtrlt j nxpyrmidAles» *Sicco cdli' do CT
m-* fldmmdto Vdpore
'Simplici^ I regione,ut fune « lii medid^ ut
inmfima,ut CdndeU drdctes Lance£
ardetes, Titioyquidicituf Afub» 'Cdprt fdltdntes
ec'iem ^rit lapidfs vellutidccodi: qui defcendendocorponquantumuis durd
pcrcutit ac eucrtit. Si uipor cleuatus efl mixtu* fulphtire uelargento
uiuo ; tunc ex dccodione v infiuxu coclefti, -quaodoq;
infiuftumfcrriucl chalibls conuertitur. Venti turbink ong) abaqueanuht;
(fl,quite' Deuenio nus contincttcrreflrcm uaporcm i ex nubis fradione
vaporiUc tcn* ^urbinii. dit maximo cum impetu terram uerfus, crd tcrra
repercvlfus^ fecum trahit quxinuenit, DeimprcfsionAus gcmtis
no cx iiaporibus, fed ex reBsxione folis uel Lunxauc
ScelUrum. DVm dcr uentorum impetu non molcflelur, folct aliquando
ap^ og Halo- pirere circultu albu4, circd folem aut lunam ud fteUam ; qui
ne, Lorond Ldiinc, cr Udlo grxcc iiomindtur ; crgencniurflc^
Quando I fi4 Qudndo
hmni£ui ttdparfurfum dcudtof cjl, nec tmtn attigitmtd^ Amaeris regioitm^
ritionerdritatis fuxoptimcluminis (fi fufctptu- mt» GT migii in medio
quim in cxtrcmitatibus,* quii co m loco tft intcnfion corpuiq;
lucidumuaporH ccntrum diamctralitcrradifsfuig
iUuminatiSyhumidiat*mdeftruiti qiut ciccntro rtccdcns ai pcriphf rit
partcs conftkgit, cr bocpu^ fit circuhu j qui cum tUuminetuTt nobis albut
apparett quia ntc adhuc uapor m nubtm denfam cft con» DeTride. ucrfas.
\ris gmcratur cx reftexionc radiorum foLarium uclalicuittt dlttriui
ttflny m dupliciroratione cr nube detifay tx oppoftto foOiS dut altcrim
aftri conftitutis ; pcr duplicem rorationcm mtcUigc im* brcm dupliccm^
fubtiltorcm ./*♦ cr crafsiorcm, Quando nubcs denfd cr aquofa cum duplici
iUd roratione Soli ucl altcri aftro e regione opponitur>adeo ut radij
oblique incidant itt camt nec petietrare ua- Uantt tunc fitradiorum
refttxio^ m qua rtftxxioncy carporisluminoll ima^ (^fedimpcrfrilc)
reprcfcntatur: cr quia talif rcprefcntatio fit fecundum arcuaUm ftgiiram»ideo
iris nominAtur^ Colores in Iri- de caufanturuirij^exuarictxte fubic(ht m
quo fubic^bitur. Tcrru prlsenimuapor uel nubes denftfsima, nigrum colorcm
prxbet ifT quanto magis accedit ad terreftreitatcm cr denfitatem
ucLrecedit» tanto magk colot adnigredinem uel albcdinem dccedcns
cdufatut^ Multa effcnt dicendd tam dc pluralitate Iridis quim cius
figurddrcn^ Ofc P:iahe alicrcoloribus, qux omittimuscaufabrcuititis*
ParabcUj, funt Sa« ^i**- lis jimiUtndims, quicaufantutex rtftexione
radiorum folis in nube dquofa ualdc denfa dc rotunda AUtere foUs txiftcme
ifi plurcs con» jimilcs nubes aUtere folis mueninntur» CT plures
parabclij caufdtu tur. Ex tranfitu radioruw Solis in tiube non continud
fcd pcrforatdt udin.aUqiubiM partibtts rarior^ ftib foU tamtn
pcrpcndicularitcr rxU [icnte, folent nobis apparcrc cordt virg^^ diucrfls
coloribtM-or» Calaxiaq nat£; cr ij colorcs ex tranfituradiorum pcr nubem
caufantur* Efl modo ge aUerd impref^io qud-tiecm uaporibut fubiefkitur,
neq; ex uapori' ncrctur. conftat, cr eft GaUxia, qurfic caufatur, 1« o^ua
Sph^ra md^ tte funt PeUs^ aUqux uifu notabtUs, cr aUqute non i qud cwn
Uicid^ flnt . Tiiios emittuitty fcd ex minhnd dd inuicm
litUdrum iUdYum di* ftdntix rjdi/rcfnnguntur^circulMq^fummealbuicaufatur,
quird* tione t^ntx glbcdinis ladcus dicitur. Hunccirculum Vulgwt
appeUdt uittm fin9i Ucobi^ qud mortuorum dnim£ priusqudmcoclumcoti-
fcendjnt, iUuc perueniunt, Dc MenUis cr reliquiSt ^U£ in terrd uel
Urrxuifceribuigenerantur, mt fumus di^ri, ut Alcbimiflis [obiidiud^
dd firmdfciicntdcni» fd^dU.
potentiaU, dd£qudtum. mddtqudtum^
fixmdU. prxmdrivofu ftcunddrium*
[InffiUre* uniuerfiU^ Itntitdtiuui, qwus
txtUcdufmfum ttiHii^ txt fperji^onk, I
originif, topriotitds ^ndtur€» dignitAtk» ordink,
Stcundarioritmi TertioritM» f pcr iuxtipojitioncm illc
dugetur iofl^ tio 1 f Vroprie tdS
t,6Vropor> tio 17 Coditio
s8 mttntio I propriiy cr repcritur (KdtionaliSy C tH
interiUd qu£ und comuni inttr qudniUdtcsi menfurd mcnfurdntur^utbicubitum
uel tri* cubitum, qu£ cubito mtnfurantur^ CTina- fn&turdlk»
ritbmeticis numeri omnts^ quid comunimc' ^ furd >f unitdtc
dimcntiuntur* [drtijicidlif, [irrdtionAlis^c^f^ft intcriUd, qut und
co^ nunimcnfurd ncqudqudm pojfunt mcnftu 'primdrU, rari, mlt^
funt tdm rdtiondiis qulm ir^ rationaHsqudntitttif JpccicSt qu£
dpui fecmddrid» UUtbemdticos pojjuiu uidcri. ip
Ordiua^ tlf I tcmporis» Ordinxtio\originiS0
\jxcrcitM» (morditer, (bona^ 3 o Opndtio ^
[entitdtiur» I f mordliur* [mdld^ [cntitdtiua
fbonl^ f rtdUSf eciesdptitudine :fT gicu cc phi \ Jduplex
eft, phificum c logicum j phiflco ffntrt ^udent que* lic u «^uid ? cunq;
ex §aiem mdteria funt conftitutx, ut corporalia omni^ fic ^ruplex
corrupttbilid. Genuslogiciimduplexeft.f generalifiimum cr fubal» logtcum»
ffYtium ;generalij?imum fkpra quod aliudgenui non daturylicet tran^
fcendcns po^it ddri:fubalternum, quod rcfpeShi fuperiorum eft Jjfti Quare
ge^ des,injtriormiter6 genw. Genut logicum eflunumdequinq-pre^ C^^inu^de
^''" quatcnus de pluribus dijfrrentibut ft>ecie ac numer» bnq-
^5di prtdicatunfedobbdnc C4ufdm, cr prtterta, quid tdntum parten^
CAblliblll. s
^cnti4ef}>ecichuicotmunicdt:& i /^cie difftirt, ^nU hdc iotm
ScotizjU rJJentUm mdiuiiuis Urgitur^ 4. DeSpccie»
' Pecies eft qu£ Jub fe plurd mdiuidud tdntum continet, ucl ttAtd
efi contincre. HMabsci; conliderdtione pofuimus in hacff^ecicidcfia,
Notl» nitione hM p^icaiix, uil wt(a eft contincft, quidfumquxddm
JPecies,cChimi prior m iUk corporibui rcperi* turyquitndjx
funtaeterkcorporibuiUuioribus fupereminere^ pcundd ucro m iUk qu£
grduioribut utroq^ modo, 13» DcPondcrofitatc uel grauitatc.
GKduitdt cfl rdtia, qud corpord ndtd funt dcorfum tendere j
qutdupUx cfiy jimpUcitcr cr per rcjpe^umi primo modo corpord iUd fum
grduid» qux infimum omnium locum ndt4 funt occupdre^ fccundo dutcm modo
qu£ fuprd hxc tdntum Locumjibi uendicdnt. i4^DeMotii»
VThreuibui Idnc/Drmdmdcfiniendomeexpedidm, motum td' tioncm tffc
dico, qud crcdtd cundn mouentur. Ldrge motum Accipiendogaitrdtioui cr
corruptioniconuenit, dc quihm /»- &. 5 quuti
quuiifumut ; hic tdmen firi^ie oDn/lderArevoUimui^ Motui (^eclet
muUgfuntfUtftdtimtibidemonflrabuur. j Augmentdtio^ O" efi augmentum
qudntitatk» 2 Dimtnutio,creJldecrementumquantitattf, ) Altetdtio,
cr efi mutatio de und qudlitite in dUdm, 4 Loci mutntiOf CT ofitk
tribuit, nepUtribut m rdtio* ne fuperiork fc communictnt. AfsignAntnr
diuerfa indiuidu» Qrum f l ' WMgtntrd iitempe, flgtutUm
iniiuiiuum^ ex demoftftrdtiotie, ud* gKf», cr tx hypotbeji. Qtiod
horum jit difcrimetiy Logid trddunt^ ji» Dc
Attrafpeciesobiedcrufuorum4ttrahut, 3 2* De Contingentia»
OMne id quod i cdfuueljortundeuenitthocmodocontingent efl, Sihomo
templum uolensddire, d iapide deorfum cadente ' in capitc Udatur»
contingens efl, Si tripoix cadens e fupremo \ locojfiat aptx fcdcs,
contingensefl. Behaccontingentia fub nomine in 2« phi0» cdfut
dutjhrtunx mteUiffttda, pr^eclara Mo: tradit. 3 3, Dc
Imperfeflionc» Ih^iperfr^o pcrfr^Honk ef} oppofitum, ideo quot
perjrBionU Jj>f« ciesexplicanturuclexpUcaripoffuntttot cr
imperfiihonk* Iw* pcrfeBio e/? rattOy qua aUqtdd non habet effe
completum. Sic ho9 mo A ndtiuitdte caccus aut furiws ucimancuf, imperje^s
efi, 34. DeColore* r ^dndis cft colortm uis, quonidm
eorum medio m cognitionem [ qudmplurimarum rerum dcucnitur. Plura
etenim corpora re» I periuntur colore uel lumine affc^y quitn aUjs
quaUtatibus ut f fatis notum reUnquitur de coelo. Cobr
igitureflratio,qua mixta funt colorata ; nota wtxf», quomam
elementi quaUtdtibus fecundis carct, 3^,DeSono» SOnui
efl tmiucrfale quoddam ad otnnes fonos^Moc Ln loco fotuim izcipe et
quatcus icorponbus fottatibui proccdit,et ct ut efi qu4- S i
Uidii «3« Utds qu£ddm vn derm imprrlJj, ipfumci:
ptrcutiens, ie quo eonllde^ Ydtur et^Um m dtbore fenjudUjed per
dccidcns.ubi dc pottntijsfenji» tiuis exterioribut obie£hstrdditur
notitid, FVmdUs eudpordtionts i corporibus odorifiris excuntes^
dcrc^ mouenteseumdUcrdndoyddor^num olfdCks dtueniuntyquoi in dudbut
nirium cdrunculis conjifiity crjlc ptrcipiunturodo» tes* iUcuit breuitcr
oRendtre olfdciendi modum i tu dutem in fe odo» resconflderdf cr
([Udtenus dd potentidm ordindntur^ 37.DcSaporc» _ .
1"^^ Sdpore muUd effent diccnddt brcuitdte tdmen ^udenteSy
macen^^" 1 J tangrmus. Saporis
mdterid fubU^h, tjl bumidum^ cui ddmixtum efi flccum terre/lrc i humidd
enim tdntum^ non _ . funt fdpiddt quid nimfs fubtiUd ; neq; flccd tdntum,
ut dc finiUo ' * '^"^** ^ bMtM4W0({i fdtif dppdrct. Hocmodoftpor
potefl definirL Sdpor efl humidi pdflio iJUtd iflcco tcmftri, quod a
cdUdo pdtitur i unde perhumidum,receptiuum faporis txpUcdtur ;ptrflccum
ttrre» arepalJum, efficiens propinquum ; pcrcdidum m ficcum dgenSt
tffi» ciensremotum. Sdporlt muUxfunt J^ecies. 1 Dulck,
confldt ex cdUditdte cr humiditdte mgroffd fubfldntidi medidtq; eius
compUxio intercdUditdtem G" fiigidudtem^ 2 Suduky ex
cdUditdtedchumidUdtemfubtiUfubfldntid; eiutq; com^ plexio efl
medid*. 3 Pinguist ex cdUiUdte dc humiiitdte in fubfldntid mediocri
;eflmf dixcompUxioniSt 4lnflpiduf, exfrigUitdte ; eU quoq;
meiix compUxionkt^ f Sdlfus,excdliditdtevflccUdteinfubfldntidmediocri;
compUxi^ tdcdUidt 6 Amdrus» txcdUiitdte cficcitdtc
in^xoff^i i compUxi^ efi tdiem eumprdceienti. 7 AcutMy
ex cdlidiute CT ficcitite In fubtili s complexio efi eddem, t A cetofwsy
ex frigiditate cr jiccitite m fubftamia fubtili ffnetdtur t tomplexio efi
frigidd. 5> Stipticui, exfrigidintecrflccitite «t mediocriiedde
eflcopUxio^ 1 o Ponticuty exfrigidiate c^liccitdteingroljd j crefteundem
co' plexionls cum Stiptico Acetofoq;, Korum fdporum multdt
poffcm ajiignAre operdtioncsccdufu opc^ rdtionumf ^udx conJiderundM
rclin^uimut Medick» jS^DeScnfu» HAncformdm uult huUui
fub fe ^flum bL^muc contincre, fiy Recitantut
cutiexeiuiuerbiscoUigiLlnquitcnim^SenfuteflfemittAtusm Lulli vec- drbore
elementdli^ qui diJf>ofitui cfl rdtionc fenfUiux mfert£ ba. in
elementdtiud ej ue^tdtiud^ quod ex tUod^s nMurdle dnimdtunt
htd{hmdeducdtperfentire,cdloremdUtfrigiditdtem,fdmem v fi* tim dc tuihtm»
Non effet tamen mconutnientf hdnc fotmdm dccipert fudtenut cuilibet
fenfui efl dpplicdbilis. 3 9. Dc Conceptionc» * PErhdncformdm
mteUigendx funt conceptioaesndturdtefy qu£ Concepti*
ddffnerdtioncmfenfitiuiucL uegetdtiui ordinAntur. Ali^lunt ones naies
etidmconceptiones.f mentdlcs, quarum pdrtui func cxplicdti eimetales*
9ncs qux fcripturd» nutibut dut uerbis fiune. 40.
DcDormitionc4. DOrmitio uel fomnut efi dnimdUs perfeib uel
impcrfeBi pdf^io; ficuti ey uigilis^ hhic efl quodcd qu£ fenlibiit
cdrent, ijs quoq; cdrere ncccfje efl. Somnusdtiimdntibudnccefptriut efi
dupUdS on* quk" decdufdi primo ut uirtutes nAturdUs quibut uti
nequdquam pofju^ reaniman- mutfineiUdrumfdti^tionCyinterdumquiefcdnti
fecundo ob uirtu^ ccffariui"* tcs ue^tdtiudty qu£ continuo motu k
fuis operdtionibut impediun* turiCT hocuerum efje ex efftibbut cernitur ;
exptrimurenim bomi- ms JludiofoStmultum^ fenfibus utcntes non admodum
efje pinguer, S> ) obmA*- 1
M4 ob ntdldm nutritionem (jux m t:h ft i ex oppojlto ucro
quidm kuH uiuntur ignuuit^ ocio, fomnodediti^quitdmpinguesfunt^quoi
Somni gc nilfuprd.Generdturautemfomnutbocmodo. Obciborumdecodio- neratio*
nemyd corde uapores eleudntur, cerebrumq^ petunt, qui Ji nimid ctre*
brijri^ditdtecondenfantury replentq^ uenM dcmedtun, quibui d cem
rebroor^nii uirtutfenfitiud communicatur j C2r fic ItQ^ntur orQind uel
impediuntur ne pofiint fenjationcs fudf exerctret 4J* De
Vjgilia. DE uigilid oppofitum eiuf quod de fomni ndturd di(km efl,
con» jiderandum reimquitun conuenit pariter uigilid dnimdntibun cr
nihil dliud efi, qum folutio fcnfuum ad exteriores d^is, per cdlork
ndturdlis reiicrjlonem ab mterioribuf dd extiriord,
42*DeSomnio* Definitar T) txplicdturi quid fomnium fit,
dicimm effe dppdritiom fomnium. J^nem quanddm exrecurfulimuUchrorum
a phdr^tjfldyptr com* pofittonem ucl diuifionem uario modoconfiitutamy ad
jenfum communem j quibu^ phantafmatibiu homini dormimific effe ad
ex* trd uideturut ipfa mouent, nu Uo cxtrinfeco agente in ftn [unu per
re* prxfentdntk modum : non jine caufa pofuimui hdt pdrticula^ (per
reprxfentantif modum) quonim per modum excUantk exirinfecs qu^dam ad fomniorum
caufationem rcquiruntur. Corpora enim cae» leftta concurrunt adhoc; cum
pbanthajid dccttert mteriorts pote* ti£materialesfint,dcmdtcrijles
obit6hrum ff>ecies retincdnt^ qu4t Coeli &E_ mfiuxuf ccelcflk funt
rcccptiute» Elcmentorum quoq; qualitates di lcmentoru
fonmiumefjliciendumopcranturdc conducunt; ndm corpork pdrtes. ad
ro'nii*iri "''^'P^^^W"'^ pariter afficiunt quali» concurrut,
^''^'^'^ '^^> hinceH quodfidormicntii manw uel pcdes m aqium fri*
Nota. gidam ponatur, ftjtim fe in dqufedere fomnidbit. Mult£ funt fom*
fiiorumfj^eciesqud/srcUnquimmt, 43,DeGaudio»
GAuiium fink tft potcnturum fire omnium : dppetit dnimalt timtt,
irdfcitur, proftquituraliquid, CTdliuiuitdttob dcUdi» tioncm CT ^uiium,
qudtenut did^s tttles iire^ie uel indire' Ae
fequitur^ucloppolitumeiusuitatur. Efl^tiiium rdtio qud 4nu tudl ic bono
ddepto uel ddipifcendo, dut mdlofugiendo Utdtur» 44^Delra#
IKdex concupifccntid oritur, dt4*, 41 Hrfcrogcnritaf.
42 Ingroffdtio, 4 3 liltgMdlrt/ffif. 44 IncoAo.
4 f Imprepibilitdit 4d IncodguLi t(0. 47lffii'
4 7 uil^h^ €p Penetrdth» 4.8 mjiammitio^ 7 o
Kemifiio» 4p inquiMtio, 7 r Rtjpiratio» 5 o
InfclubilitM» 7 2 RctfflMaf 5 i U d Putrtdo^ 8 8
VniuerfalitdS, 67 Putrcfd Hio» S ^ VioUnidtio, 6 8
PorrofltdS, p o VflibilitdS» Tlures formdt fdbricire poterts m
undqudq; drbore, fl pjrtes omnes 4rboris conflderduerk dc indd^ucris
edrum partium proprietdtes, ^udtlocoformdrumpoterkhAberei quid Mt dixi
dliqudndo, form^ iooo proprietdtumafiignAntur, qut meliusm reicognitionem
ducunt qudm cetetd txtrinfeci prxdicdOi* Dedimus modum fMcdndimul
tis formdSt Sdt uolmm de /ormis dixiffe, dc de primd drborc.
T DEAR. R ^> f ^ 8
DE ARBORE VEGETALL ris demc^ contempUtiodrbor(sutffalifyquonum
fccundum nttur^ or» talis ad ve-
dinempoftlimpUxclfcquoirebwtconuenit.fcquituruiucrt.quo getancem.
melfcncbiUonconftituunturinec altiorcm gndum poffunt corpo» rea cntii
unqu4m coafequi, nifi ue^tans uitj prxfupponatur. Inh^c
drborcomnufumconliderandafub dupUci rationcy uideUcet qudte* nwi habent
effetf^enhxtiuum CT uegctitiuum, boc ettnim lUud prr» fupponit»
DE RADICIBVS. AdiceshuiMarborkeiedem penitns funt, qute pro
etementsU arborc funt firiitatXi aquibus omnes arbork Jpartes fuum
effe dccipiunt : nec aUquidradicibtM oonuenity qum arborum par*
tibut fccundario conucnidt. DE TRVNCO, TKuncu/s efi
qttoddm uninerfale corpWy m quo potentiaUttr
particularestrunciwntinenturdcreliqua omnia, qu£ iruncu fequuntur. Nam
uirtutenAturaUumaffntium qu£ m eo jun^ potenttaUterada^mdeducuntur*
DB BRANCHIS. BKancl£ funt quatuory fciUcet
potentidappetitiudydigejUHd^ retcntiudy cr expulfiud. Per
appetitiudmquodconueniense^ pctitiua uefftantibwfy defideratur, dc
beneficio nAtur£ fruitur^ ?rouid4 uelatcia£li HAturd diuerfls
diMerfat trddidit uirtutes, quibwt conuenientiddttr^ bunturut m effe
conferuentur, Quoniam uero quod dttrd^m e/J, ad attrahentis membra
roboranday qu£ nAturalH calorls ui ac MrtM- te debiUoitA fuere, nunquam
efl aptum, nift membrk nutriendls flmile fiat; ob id opm efl difffiiua^
qua alimentum concoquaturyac digem. rantnr ea qu£ f^eciem cr formam
membrornfufcipere noo apta funt^ £tioc TEt
Idcalimcntum tfuodih extrinfeco ucnit, quii m tcmpdrc impcr* ^
ccptibilinonpotcjltranfmutdri ac conucrti in aliti fubfldntiiMyoh
mbcciUcmtr>insmutantif aibonemcicpafircfiflcntiam: idco ncccft farid
cfl quicdam rctcntiuafacultast qua nutrimcntum tamdiii rctinc' Reteatiui^
dtury quoaduiq; nutritio fiat, At propter impuritatcs abifcicndas,
qu£mrtutc digcfliux pottntix, d purioribusfubtilioribwsucfuntfc- g«gifno
; qutdam inquiunt, effe cor, aOj controuer- neruum^nonnuUic^rne ;cum
omnibus idem pottris afferereiinteUii notadui* 'jgendo cor effe radicale
orginum, non ta^us folum fcd aliarum etiam * potentiarum ; neruus uerb
efl or^nnm defirens ff>ecies j caro fufcipi* ens per tnflrumenti moium
i caro deniqi ncruofa eft totale or^num^ Veeius
quoqiUniateuelmultiplicititemultx funt lites, qud/t fic po Oeunitate
.Uris fedare. Plnres funt uSus non raiione diuerfarum formarum et plurali*
fubftanlialiumy fedrjtione diuerforum contemperamentorum quali^
tateta£tus« tatum ; aliud enim eil contemperamentum faciens ad
percipiendam ealiditxtemcr frigiditatem, aliudreffyedu humiditatis cr
ficcitxtit, Affatus (mquit LuUus) eftiUe fenfus, per quem mMifeftatio fit
t» Dc Affatu» fermone,quieftintraconceptmtCrd4texempU» Sicut
homoquilo' quituriUudquodcogitat, CT 4ttw flmiUter i ficut ttiam
^Uinaqus tUmatxdfiUosfuos^ DE RAMIS 4 RAmihuius drboris
triplicis funt natur^, ut fupra oftenfiim e^ de qudUbet huius arboris
parte ;crfutu membra unimaUum tam mteriora qulm exteriora, m quibus Ht
renouatio perut*, getatiuam potentUm, compofitit per elementaiem ndturum,
com municitio uero idfenfus omesper fenfitiuam uirtutem^ T 4
DEIO DE FOLIIS, FOlid funt ediem dccidentU qu^CTin prioribus drhorihus
rept* riuntur, fub triplici tdmtn rjitmeconfiierdtdicrhocrjttioni
fubicdi A quo icnomindtionem dliqudm recipiunt i cum igitvr •
gnimdliatriplicis[intitAturx,Pc&dcciientidiniUk fubie(htdcon^ Jimilif
nxtura fiunt. Non ignormus hdnceontemplttioncmfatis effc impropridm, fei
fcquimur Frxceptorem^ DE FLORIBV8» OVerdtiones omnes
qu£ db dnimdliprouenirepolfunt^qudte' nus hdbct fffe,uiutre vfcntire
extrinfccumy flores iicuntur» Nfc plura ii^bit rdtio ut ie ijs iicamus,
can in qudcunq^ /fre 4rbore,optrdtion€sloco florum hdbcdntur.
DE FRVCTIBVS Quituora Tn»ai«ffttf funt dnimdntid omnid fuh
qudirupliciratione conflit* nimalium h^r^fi, quorumqutidm funt igned quid
inigneuiuunt^ dliquddk'» rpccics, red^quonism tdUlocofruuntuT^nonnuUd
ttrrcflrid.vqudijm 4qued;ii(iinguunturigiturinqudtuorcUlfef. No«
eltprafcntitne* gocij dnimdUumfpeciesnumerdredc eoruniem proprietdtcs
oflen» dere,Q^iieijsmuUdcognofcerecupit,le^t Ariftot inUbris ie
porid, ie pdrtibus^ CT ie generdtione dnimdUum, DE FORMIS.
ItHter formdx dnimantibus conuenientes ifl£ qud^modoielinidhh
muslocumhdbent,qudrumcognitiononpdrum utilis erit*. Bt ne iiipLex fit
Ubor nofler, formds unJi coniungere uvlumus, qu£ ^nimdUconueniunt,
qudtenus e(t exterioribus fenfibus dc intcrmi» bus fenjitiuum*
l Apprxhenfio. ' /^AflutU, 1 n ppetitus fenjltiuus, ^
Auidcid. 5 Alfenfus, 6Affmsd^Ut, 7 AeflimA*
Hf tf Atdiittdtios 28
Intdgindri, S Auditiu diiut» 2p inffnium.
9 0 lrecies in fenfucommuni recipiuntur Uuiut fenfus
ncccjiitM efly ut de fcn fmm exttriorum fft^ ciebui iudicium fucidtiUndm
ab dlid diftinguendo^ dtq; ut fit dUqus potentid que cognofcdtuifum
uiderCt duditum dudire, cr fic de reU^ quiffenlibui;ipftenim ob eorum
mdteridUtdtem nequeunt fuprd fc ipfos uel proprias optrdtiones d^m habere
rrflexiuum ; qui tdmin De im.igii= fcnfuicommuninonrepugtuLt. Imd^nAtiud
ftnfum communem ftdtitn ^^^offi^io^ /f ^ Mi>«r, cMiwi pro^nnm f/? cj«
db eodim jenfureceptdsconfcr» ^ * uirezrretinereinAm fenfusconmuntis
t^ntwn retinet ^ecies exti4 riorum fenfuum dum m obieiU tendune,
inimdgindtiuddutemdM conferudntur^ Aeliimdtiud hoc hdbet priuilevium ut
imdsinAtiudtn ClUlUelCOf^ r r ^ n t • • r gitatiua e
P^q^ ^ttiiiinonidrtturtirumj^tcierutn conferudtricem^qux dh
tfiimd* tXHd uel phdntafid funt fabricdtx» ideodlid potentid ddri
necej[drium eji, qu£ dppcUdri pottfi Mtmorid fenfitiud ; qu£ non
ejl eddtm cum De Memo- inieUediud utquiddm fdtk inefjicdcittr
probdnt^ dc txiftimdnt. Et 'ia fcnfici- flccompletus
eflordoudldcddmirdbiUfinttrhdfcepotentidf. Dcrc' minifctntidynihil
omnino dicere uolumm»cum dmemorid non diffvrdtt nifi in qudntum
memorit funt proprix jpecies^ rtminifctnti£ utro dUtn£. Stcundum
hdt pottntids td qux in pritcedentibu* drboribut eontintntUTj
confidtrdri pottrunt DB RADICIBVS.
Slmilitudintsrddicumrtdlium drborum pr£ctdtntiumthuiui drt horis
funt rjidices, ut tdlesfimilitudines fbrmdliter ueluirtudlitcr u°?
interioribuf potentijs obie{h ofleniuntt J^diere hds pirticuldf U|*tuau"cc
ntceffariumfuit,f. fvrmdlittr utl uirtudliter, qutd non omnes rddicts^ jcn
cat, propridfbdbtntJpecieseMreprxfentdnttSjfcd uirtutt dlidrum notx
fiunt ; ut pofjumus dt bonitdtty ucritdtt, cr dlijs dicere. Hoc idem de Rclati
oncf quibufddm dlijs inttUiffrepottrlty ntmpt dt reldtiotiibut tdm
intrin- qaom od o fecui dduenientibui qum txtrinfecm i qu£ rdtiont
funddmtntorum^^^^^^^^' titftum cognofcuntur. DE TRVNCO-
A^borlsimsgindistruncufexfuif rdiicibus confiat ; dtq; tfl
fimilitiido coiifufd truncorum reliquarum drbortm ic quibut trdd^iuimas :
in quo funtjimilitudines truncorum pjtrticuU* rium.Quifintilii trunci
ptrhuncrcprxftntdtinon efioput rep^erc^ atm fupn bis falttm hoc
minififldium fit. DB BRANCHIS. R dnchx ifiiM drboris funt
fimilitudines brdnchdrum drhorUm, ie quibu^ fuprd Ohonim ucro nyn omnes
iU t brdnchje fuam poffunt ciufdrclimtUtuiintm, ut p^ttt de potenti^
uiflui, audi- V 2 tiudM B 14^
tiud» guftdtiud» trd^ud^ cr dlijs in drhort fcnfudli nttmerdtts cr dt0
cUratift dc etidtn de brdncbis uefftdntisi quid interiores potenti^ obie^
potentidrum exteriorum cognofcunt, non dutem ipf^s pottn*. tMU,nili per
opentiones CT dCiusiiieodddiiusMlddtdUdiritudUm fecundum ordinem fupe*
riui obferudtum mdnifrlldbimut, oficndendo quds pdrtes flbi conuc*
nianf. DE RADICIBVS» HViws
ndtunerddices/ffiritudles funty cumcripfx/lt J}>iritud- Inter hui* Lis
; intcr quM txmen non efi dnnumerandd ContrartctM, pro* *f borislra-
priecontrdrict%tcmdccipicndoy quid m cdnec qudUoLtesrc* c5crar?crat
periuntur, in quibut funidtunSiuero contrdrietds confideretur pro ouiic^
repugndntid dliquorum iuorum aiiquoi tertium diuidentium, ibi uti^ ^
repentur, dc m omnibus qu£ fub ente continentur ; cr ueritu in ijs
qu£rdtionc difjrrcntidrum V nonmoiorum intrinfecorum ai Wio* cem pugndnt, DE
TRVNCO. TKuncuiefl qu^ddm fubfldntid gencralis CTconfufdy qux plu*
ParticuT» rimat fubHantiat parttcularcs ac Jpirituales, fed corponbus
explicaict ndtasconiun^ ln ratione /vrmx in^rmantiSyiiciturpotentid*
definitio- luer continerc. tion absq; ratione m hdc definitione plures
particuU ncm» €XpUcdtiu£ funt pofitx, ut magis buius trunci adtun
cognofcatur, ac difaimen buiits dtrunco drboris dngeUcalis. DB
BRANCHIS. N^turdh^c ff>iritualls tribus brdnchis confidt, qudrum
prior int(Ue^tseft,poftecie inteUigibili. R huUus dehk tnbus
branchis differendo ek applicat formas conuenientes^ quam
proUxitatemuitamuSyCum modum appUcanii formas entibus omnibusttm
pcranimaduerfiones tum per expUcationem traiiit' rimus. DE RAMIS.
RAmi iy?iKf natur£ funt concreta effentiaUa brdncharum . f in- Ra m i
cn teUediuumy inteUigerCy cr inteUigibtlc ipfius inteUe^us ; uot
meraQCur, Utiuum uelnoUtiuum, ueUeuelnoUc^ uoUibUeuelnoUibile,uo»
tuntdtts; memarue uero memoratiuum, memorariy memorabile, Su6 iflif
expUcatdrum poteniiarum concrctk effentiaUbuSj omnid entid continentury
in rationt obiedcrum, a&u^ potentid propinqitdy CT remotd, i
pprxbenfibiUum. DE FOLIIS. SVomoiondturtiftifoUd,
€onueniunt,qu4e fuptd dlifs drboribus conuenire iocuimus ; uerum tamen
eft, quoi absq; labore uUo o" t meUus cathc^rix a nobis traiitx
potcrunt appUcdri^ Siper c4» the^rias Ariftotelis ie JpirituaU ndtura
finitd cr Umitdtd iifferert volueri/s^qudntitdtem tibi fume difcretam,
quaUtxtem innatam uel dcquifitam^ reldtionem dd principium eius
produibuum dut con» feruatiuum uel etidm dd operationes diutrfdf qudm
operdtur, dHioi nem pcrmouentis vinformdntk modum, dutmouentk tdntum;
pdf* fhnem qudtenus primi principif recipit inteUe8ionem ; cr fic dt
dUjsfuomodo. Siuero peromnes iUds cdthe^rids nequdqudm pott* rk
difcurrere dd propriM confugito, Kdy: LuUus hdnc drborem ex^ ninando per
cdte^rids omnes, ubi de babitu differit artes mecbdni* CM dcfcientidf
enumera^t i cr rdtioqux mouitipfum dd pertrdfkw dum de ijs hoc in loco,
ej non in cate^ria de quaUtattf r/?, quia fa» V 4
cultdtes o Artes ct U', fuluta iftje qu4s ftib brcuitdte tdrtffmns
in finchuius opnts, plum cuitaKS o. AdiUiigtndo,quiif Pigrippdinlib.
dcVdnitdttfcientiarum cnumerdt, mnci Ju :.i i^tiruiiuntdrtificidles^quiA
ndturaUbus cmdndnt. Holo difcutere pitc !li 1^ fiiij}fn(Yit uel mdle f cr
dn eius rdtio udlcdtf ficaisignlt Secundum udrict4tem hdrum fdcultdtum
uel habituum edruiidemip ^prii ob- proprictdtummultse
fDrmxpoterunthuicdrboridfiigndri, qudtcnus iccia^ jiu furd corpordli
dclpirituali confldt. Hdbitus iflifire omnes, homi- ni conuetiiunt non
rdtione dnim£ tdntum, fcd coniun^i^ DE FLORIBVS4
Verdtionesdb dnimd rdtionaliprodeuntesflbiqi peculidres fT
\nonconin^ijfunthMUS4rboTisfiores quodddlterjm pdrtcrn cotifiderdtx* At
operdtiotics qus dmmdconcurrentedccon porcy funt fiorcs drboris humdndlis
ex corpored iyf}>iritudlindturd €onftitut£, DE FRVCTIBVS.
NHcefJe efi hicfiuChisconfiderdre,utdb drbore hdcexutrd^ ndturd
confiitutd proueniuntj quonidm rdtionefj>iritUdlis nd* ma anima
turtfiv^lus nuUi ddri pofjunt in effe fimpliciter produSlu non gcnc-
qni^^tiimddtimdmtiongenerdtnec producit, ob immdteridUtdtem '^^* qud
feperpetuo confcrudre polefi m mdiuiduo, Tiunt etenim m cor# ruptibiUbui
generdtiones ut tdUd in tcuum confiruentUTyfaUem \n 'ff>ede. Generdt
tdmcn dnimd fccundum quid, qudtcnus obit^lum
quodpotcntiderdtinteUigibile, diUgibile CT recoUbile, fit ddu tdle
uirtute inteUc^ius, tioluntd tlSy ucl memoride, qudrum uirtiulem fdUi m
imginem gerit, dd mfitr fiuiim refj^edu fut cduft uel drborls. ¥ru* t
Luiii* €endd/fiproUxiatemnonuirxrtmus^ hoctimen fcire decety
eleSHo* nem tintummodo ex oonfequenti prudenti£ conuenirey mqudntum
iUHiontm ptr conliUum diri^t. Oihfunt pdrtes prudentidm 'mtt' Oflo^^tcf
grdntes,qudruvtquinq;fibiconueniuntutell cognofcitiud .f memo. prudctiac
f M, rdtioy inteUe(lu4y dociUtM dc folertid^ tres uero ut prtcipit .f
prouidentid» circumJpeBio^vcautio, dequibu/s trdfkt D. 'ShomM ^^J,/^ m
fecundd fecundx, TortitudofectmdumLuUumeflhdbitu^a' uirtufy per
qudm ho» OeFoititO mines funt fortes contrd uitid, cr nituntur dd
Uicrdndum uirtutes» dinc» Hi/ic definitioni dUudit TuUj
defcriptiojnquientir^ Tortitudo efl con» fiderdtd periculorum
fufceptio,KJ Uborum perpefiioMiCc uirtus md^ gts d potefldte perficitur
qudm ab dlijs radicibus, quii prmcipdUor eiwtd^isellimmobiUterjiftere m
pericuUt,quod poteftdtem mdxit ndm dicityunde CT Arifto. uuU quod in
fuftmendo triftid mdximd,ll 3. Ethl. aUquifortcsdicdntur fedminus
prmcipdUter; tion omnk firtitudo tftcardinAlHuirtm.quidfipro fortitudine
dccipidtur firmitdx quX' dim dnimi^ tunc conditio eft qutedam omnium
uirtutum qudrum pro» j jg, q, prium eft firmittr ty immobiUter operdriut
inquit D. Tho: 1 2 j, ai: i^. Ver tmperjntidm repriinuntur
conatpifcenti^cTdele^tionef, pcTepcri- non qu£ funt fecundum rationem,
fed qu£ rdtioni dduerfantur, CT
qudtenu^taUsdeUfbitionesfuntcdrnAleSyUndelfidorufdity Tempe Hb. Etym.
rantid eft qudUbido concupifcentidfi;refiendtur, cr Ar: uuU tempet 3»
Ethi* Tdntiam tjje delc6htionem a{his moderdtiudm^ Nw ed qu£ JtD.
AHgM. dicunturhis refia^ntur, quando ait. Temperdntideflmcoer^ j^qj!
g^^j. cendisifsqu£nosduertuntdU?tDei,quonidmibi loquitur de tem* ca.
ij^» perdntid, qut cfl ftnerdlis uirtus cr non JpecUlis. Certum
ndmeCiueorumqua eiui capacitdtem excedun^ ddquietdmenordtHAturi quddam ei
quoq; debent conuenire, quibui Humana ilU pofiit dttinffre» Qjtx humandm
excedunt fdcultdtemeft ipjeDem facultate,^ acbedtitudoy wteUeik cr
uoluntdte dttingibtLid,quatenut inteUe» excedecia. ^utperfidem
iv/ormdtur, ut ed qu^e lumine nAturdli percipi ne^ queuntyUerd effe
creddt, CT uoluntdf per Jpem m Deum mouedtur, dc Virtutes
percbdritatemeofiudtur. Hdc dicere uoluimus ad oftendendam «ir* •^* od^o
Te theologicdUum fufficientidm,fed quid qudUbetfit modo oftenm excedat 6c
'^^'^*'* ^^deSyJpes v charitas ideo theologic£ uirtutes dicuntur, quom,
non* theologicum obie^m re/piciunt, nempe Deum fuper omnid be* nedi^umy C
hi hoc tmUdm hter fe hdbent maioritdtem uel minori* tdtem,Uceted ratione
qud und propinqutoreftDeodlid, fecufoplM^ 4undum fit;ndm chdritdf qux
dmdto dmans coniun^t, fidedcjpe perfi8ior eft,cum ift£ quandam diftantiam
figntficent, iUd uero con». iun(bonem, propter quod deipfd dicitur. Qui
mdnet m chdritdte, m i, loan. 4« mdnety cr Deut m ro» LulUi6
n 6 fidcs,ut ait LuUuty eft uirtut qut compeUit inteUedum dd dffir^
tccipicfide mandum ud ne^ndum pofitUte lUd qu£ uerdfunt. HicLuUuinon
pcoprie. confiderdt fidem theologicam, fed indiffcrentem dd acquifttam cr
fttfam i quonidm de omnibw quje uera funt non eft fides mfufdy fcd
dc Deo tdntum, tanquam de obtedo formdU. CT de trdditk m fdcra
fcri» pturd Mt de obiedo mdteridli^ Fidcm igitur U€rdm CT mfufam
optimc D. P4lf« i>. Pdulitfdepnit qudndo
hquit, Tiics efi fublldntia ff>erdnddrum AdHeb. f f rerumy ar^imentum
non dpparentium ; ndm ut dit D.ThoXum ddwt »x.q.4»
fideifitcreiereexuoiuntdtisimpcrioy debet fignificdre ordinem dd obieiium
InteUe^ui cr uoluntdtk ; obiedum uoluntdtk efi res ff>erd* tdyfidei
ucro non uifx: qu£ duo obie&a, explicanturycum dicitur: Sub» fidntid
.1. primd Inchodtio rerum fperdnddrum in nobls per afjenfum fideii cr
drgumentum non dpparentium . i, eorum quibiis firmiter af- fentiendo
ddhtremw. Quid uerb ex frequentdtk ddibui credendiy Fides.rpcf,
/}>erdhdidcdUiff-ndiDeum»hdbitu5'iUis ddibus confvrmes generdn
ficcharitai tur.ideoprjeterinfufMhdfceuirtuteSjdcquifitdsquoq^ in
homineeffc *cquifii«. affirmaredebemits* SpescumexfententidD,
Augufi^fltfoUusboniardninondddlium Enchir. fed aife pertinentH, ideo ad
uoluntdtem pertinet, cuius proprium ^/^ ^?* ? ' in ente fub ratione
bonifcrri ; cr non in quocunq^ ente bonoy fed in ^** iUo quoi omnem habet
bonitatem cr perfe^ij^imo modo.hince^ Spcs quj^j quod LuUu^ fpem
definitns, dit. Spes eff uirtu^ qut ait Aut alterius ': quoi perhoc uelit
inteUigere in ratione p nts, fed in ratione excitdntfs, cii- iusmodifunt
dnfflicufloies, cr boni homines^iuelprafupponentfs,
quidfiiesprarequiriturfperdntiiundea' ClolfafuperiUud Math^ j . Abraham^nuitlfaac:
inquit.i. Fidesfpem. EtquodRay. loqud' D. Tho, la
tur{dcuerdJpe,patet,quandodit,Adquemuenirecreditplusper po- »/•
iefldtem crc« quam fuam. 7» Chdritat di uoluntxtem quoq- pertinet,
cum eius obiedum flt De* q y^^^ us fub ratione diligibilitdtlSy uel
proximum ut in Deo. Kdnddtum hd* tatc tfcmus i DtoydTt lodn, qui
diligitBeum, dili^t fratrem fuum. Per hanc enim uirtutem utfupra
diximus, homo Deo coniungitUTy c ob
iduirtutumomr^iumeflexceUentiflimdy ut ttidmD^ Vdulus teftdtur |,
Qqj tiki inquit, mior horm efl chdtitM, Nfc dUqud uirtus
fimpliciter * ' X 4 ueri too Mrru
flne chdritdte tlfcpoteli, ut iicm fdtduteoiem loco dit. U l^t connt-
Ihibuerofyf^CbdritcLtemvc. nihUmilnprodcft.Rdy: LuUus con$ xione vir-
neiiit qudmltbet uirtutem cdrdinAlem cumqualibet cdrdinali dc tht* tutum
srh ologicdy qudtenucunddUdm infDrmdtiquodutmeliuscognofcj^jexc' Lullu
vidc quxdam fubijcerepldcuit. DeluftitidO' Prudentid dit. Frudem excmp 4.
^.^ iijponit iuftitix obiedd fud,in qudntum inquirit licitd cr iUicitd»
quideftoperdtiointeUe£lus,quiiUdinteUigit* De Tortitudine c lu*
fiitid.Fortituioiuftitidmfortificdtcontrd iniuridm tunccum bomi" nes
fvrtitudine utuntur. Sicut iudex cum tentdtur ut ob pecunidm det fdfum
iudicium, ipfeconfiderdtfDrtituduiem multipUcdtdm ex boni^
tdte,mdgnitudine,fdpientidyUoluntdte, uirtute,ueritdt€ CT gloridB qu£
meliord funt qudm pecunix, cr tunc contrddicit iniurix cr fortts
remdnetijifuoiudicio. De\u(litid(jlide. Vult iuftitidquodinteUe» Hus feip
fum in crcdendo utrd cr dltd cdptiuet, licet ed non wfcD/gtf * D«
luftitid cr fpe. Uftitid prxparat ffiei fud obie3tk,in quantum iu* flum
e{i,quod homines mdtorem Jjjcm bibcdnt in poteftdte Det,cr in eius
bonitdte,mdgnitudine,a' uoluntdte, quim in poteftdte credtd». Fer horum
cognitionem tu ipfe poterk per omnes uirtutes difcurrert conneikndo
qudmlibet cum omnibus. Trdiiat LuUus de quibusddM alijs uirtutibus
mordUbus qut numero funt 1 6 cr dprioribus depetu dent, de quibus
breuijlimis uerbls dUqud dicemus, 1 Sdn^itdf eft iUduirtus, per qudm
fdn^i funt innocentes CT 4 ptc» cdtis mundi» . z ?dtientid eft
uirtuSy perqudm homo pdtienteromnid fuftinet^ 5 fibftinentid eft, per
quam homo db lUicitk cibH fe dbftinet* 4 WumiUtM eft, perquam homo
propter Deum fc nihil effe reputdt.. 5 ?ietdf eft uirtuSyqud cordlt
bona afjv^io fe extenditdd parentes CT patriam, cuUum eis
exhibendo. 6 Caftitds eft uirtuSy per quam concupifcentid 4 rdtione
cdfti^tur» • Ldrgitds uel
UberdUtds eft uirtus, qut confiftit in medietdte qudda^ circd pecunids
uel diuitids. 8 Le^Utdx uel jideUtdiS eft uirtus, qu£ id obferudre
fdcit quoi pro • miffum rft« p Prr cotu y Ver
conftdntUm.homo pttfcuctit in hom pVopofttol I o pcr dUi^ntimt ju^
chariatis funt homines qu^ruiU ae pigrU tim peUunt, I I
SumtMhominesti^tchdritAtkumcuto, ut pdtientidm cr hu* miliatem dmple^tiinturt.
1 z ConfcientUt, ntione timork ii cdufttf ut homines hnum fdciint
milumq; uitent* I 3 Timoriifljicit,neDeum dut diipsuoriinAtdlomines
ofjvnidt». 1 4 Conlritio ejl iolor perfeChs ie peccdtk commifis, cum
propoJU to non peccdniidmplimt. 1 5 Vcrecuniidy licet non fit
proprie uirtuf, tnmen ejl pdfio qujtidm Iduidbilis, qud homo turpituiinem
timet, Obeiicntid eftuirtus, qud homo liberfe dlietim
uoluntitifubijcit propterDeum, DE RAMIS. PEr
Tdmos dUdrum drborum potefi hdberi cognitio rdmorum huiuf drboris, fei
potij^imum per rdmos drboris imdginAlis^ QuosjiiijlinBiuscognofcere
cupls, hdbeds potentidtuirtuti* hustnformdtdf, d quibus conftrmes
prouenidnt operdtioneSytcrmf nenturq; di obieih qu£idm ; crjic habchis
uirtuoft drboris rdmos, qui di uirtutum muUipUcdtionem pdriter
multipUcdri iebent^ DE FOLIIS.
FOlidyfuntdeciientidiequibus fuprd muUotics loqiiuti fumutp
conformiter uirtutibus dppUcdtd. Non icbes imagijuLri uirtu» tcm
pofitionem locumq; hdbere propric, cumfit Jpirittidle quoi* ddm dcciicns
ih£c tdmen hdbet eomoio quo in Cdte^rijs trdttft cendentij^imis expUcdtum
efi, DE FLORIBVS» FLoresuirtutum funt
meritddcquifltd;crdiuirtutum iillin^» oncm fequiturmeritorum Helfiorum
ii(lin^iO ; imo rdtione rdt X dicum. t4» dicum, qu£ udrib
modo uirt)tl^s pnpciuHt, flous diutrp pofjuni coUi^idb urtAcadmqi uirtutc
puUuUntcs. DE FRVCTIBVS. DVogenera funt fruCkum huiut
arborls, frimum efl merctt mentorum, qu£ uariatur ad uariationcm uirtutum,
fecun» dum eft feruitui ac honor Deo exhibitus uirtuosc. ARBOR VITIORVM. Itihacarboreconftderantur
uitia utrtutiBu^ oppofita priuatLUe; quorum cognitiononparum proderit ad
uirtutes cognofcendast^ dequibu^aCbmefi: nam oppofuum
inoppojiticognitionemaU» ^uam»deducitf DE RADICIBVS.
HVitw arborts radices prmcipaliores quatuor funt, uiielicet malitia
qut bonitati opponitur, ftultitia lapientue, faljitas
ueritatiypriuatiofiniSifinipoJitiuo; qu£ tamen ab alijsrd' iicibm exceptk
bonitatCi fapientia, ueritatCy cr fine mfbrmantury ac tas mformant unde
non minus uerum eft dicerc. Stultitia magna>du»
rans,appetibil{s,cognofcibtlis,fyc: quam magnitudo {^ulta,falfki
nia[a,acfinepriuata:di(currcndo per radices omnes tamablolutoi quam
ref^eChuax,huic arbori conutnientes. TRuncus ex radicibus fuis conftat,qui
diciturmos confufu/icT generalis fed prauus, m quo particularia uitia
funt potentiali* ter contenta, qu£ perlibtrum affns ad aChim reducuntur,
pro Ut tfoluntas inordinAta id quod deberet refutare» eligit^
DE BR/VNCHIS. PFr ea qu£ de branchk arboris uirtuofe di^
funt.habetittum dentiam fatis cUram, qux de hHiui arboris brmhis pojjunt
di* ci^curm. ti, cum oppofito moio fint eonfiderdnii. Septem
prmipdiores bri» chx dfiign^ntur, uidelicet GuU.cuiabjlinentix opponitur
ikudritii Numerai cuiLiberalitM uelUrgitas aduerfatur ; Luxuria qujt ptr
continentiam ^ toUttur j Superbid pcr humiUtatem deflruitur ; Accidia per
diUgenti gj'-^ oppo- «wi ; inuidia percharitatem ; CTlr^ per
manfuetudinem uel fuauitdt tem ; de quibwt omnibui poterk difcurrere
conne6kndo quodUbet ui* tium cum quoUbety quemadmodum de uirtutibm di^him
efl. Ab bis puUulant ac emanant uitia aliay qu£ nominare placetcum fuif
oppO' fltkt Iniuria eficontra iuflitiamy mdifcretio contri prudentiam^
de* biUtix cordi^ contra fortitudinem, intemperantiacontratemperam
iidmt mfideUtaf fideUtatiopponitur, dej^eratiofj^ei^crudeUtan chd*
titatiytraditio defrnlioniyhomicidium diUBioni proximi, Utrocini' m
UberaUtdti uel temperantijey quia per guUm ut plurimum tatrocinium
committitur, mendacium ueritati, maUdiBio charitati^ impatientU
patientix, mconflantU prudentix cr /Drtitudini, im^ tmindicid fxn^litati,
pigritU diUgentije, cr mobcdientU obedientie* DE RAMIS,
RAmitfunteffentLiUd correUtiud uitiorumy quibut uitid gentc rantur
iflcuti^iU rdmi, funt adiuus mordinAtm appetitu/s comedendi, d^uiy cr
correUtiuum ific crde reUquisuUijs fenticndum efl, DE
FOLIIS. FOlU funt nouemdccidentUyUitijs coouenienter dppUcata ;
quo' rumnonnuUd cr uitij naturdm foUnt dUffre dtq;mutare^t reum
ante iudicem uocarty ac etiam punire, iuxa iudicl/s uel \n:pera0 torts
decretum. Tnquifltores ut inquirantt an a miniftrts utl alijs bferui» d£
conftitutiones^t poftea tim ex parte uendetis qum cmcntis snmd prxcij pro
quatit4te;pro qualitMe^bonitat rtiucdit£ dtq; pecumarUi Yj proreldA pro reUtione
mplor C ueniitory ftc de dlljs lolijf cohpicrdniA^ DeFlorib' flores
funtiudicixlmperdtoris fuorumq^minijiroruny omnesq; \ms perdLtoris
ddiones dc operdtiones reUt£dd fuipopuU utilintem^ uet regimentjiores
quoq; pojfunt dici, idem cenfedtur deceptio»
Diffdmdtio, Turtum*. iMxurid*.
Proditiot Vomicidium, Blafphemid*
Inobcdientid* Menddciumt. Indiffntid,
fortunA. Voluntdrium, Ignordntidt^
Obliuio» Libertdt* Seruitut,
Vrtefumptio^ DE ARBORE APOSTOLICALI. QVs indrborei/lu
fintconlidcrandd, mdnifrlla reUnquuntur cx bis i qux in typo arborum
ntdmfiftdta funt, DE RADICIB VS, Trunco, et Ramis» RAdices
funtCdrdinAlesuirtutes dc TheologicXt infimtdtxi rddicibuiunius,bonicxte,f
mdgnitudincy CT dlijs omnibut. Supra mdnifrftdtum eft quod eodem modo
rddices non funt omnibufdrboribufdpplicdndtfcd fecundum exigentidm
ed* rumaieo non eft opws repetere. TKVSCVS eft perfond generdlis,
Tdtione /piritudlis poteftdtiSy cr eft fummus Vontijixy ?etri j/wccf jjor
C lefu Cbrifti Vicdrius j wt quo cxttrx dignitdtes eccleftdftict conti-
Hentur potentidUtcryreducunturq; dd d^bim per optimum rddicum ufumfummiPontificlf.
Hic truncus potcft confiderdri qudtenus eft bonus uel mdUu, cui CT
conformes rddices funt appUcandx; non quoi ttdturd fuiunqudm
pofiinteflemjlje,fedrdtione prduiufus.^KAii* CHAE funt CdrdiiidleSy
Pdtridrchx, Archiepifcopi, Epifcopi, Ab» bdteSy PrioreSt Miniftri. CT
dlit perfonx communes eccUfidfticx^ quorum officium eft, curdm torm
ffrere qui fibi creditifunt, E/i optimd brancdrum cr trunciconcorddntid,
qua medidnte, inter bxc duo confur^t pcrfi6ho reUqujrum rddicum^
contrdrietdte exceptj» hocfuppofitoquodconcorddntidfitbond. RAMI funt
qudmplurimi, inter quos etidm funt iUifeptem quos in drbore imperidU
expUcaui* musy proprij uero funt decem prxctptJi decdhgi .f Vnum DeHmco-
Prxcepra lere^Sdbbdtum fdnibficare, Komen Deimuanumnon dffumere» Va
dccalogu rentes uenerdri^Teftimoniumfjlfun non
perhiberetNonfurdri,tion occidert.Kon luxurijrit Non dcfiderdre dUeriwt
uxoremy Neq; rent proximi, Worum prxceptorum fufficientidm optime
mdnififtdt Ec ]i. ^.sntiar* cUjix doBcr cr CdrdinaliA D. Jionduenturd
Nrfm cum prxceptd (fu ^ ift ^ 7. q. 1 pUcid fint uidelicet primx tabulx
cr fecundx tabulx i. quxdam re ^"fiiciecia fi>e(lu Dci, CT
nonnuUa rej^eik bominumi omnia adu perficiuntur; j^^i^ Y 4
quid^ui t6t quiA^sfi
er^lifmelltunedHutdicifuroptfk uet orls dut eof^
dls;lioperishdb(!turddordtionispr£ctptum,llork, iUui quo pro* libetur
Dciudnd vmocdtioifidutc cordis, dliui bdbctur ic Sdbbdthi fan(hficdtione.
Siuero tdlis dftus efl f rga homines, dUt tft fecundum inuocentiam dut
bcneficid cxhibcnid,fihocmodoypr£ccptum dc\pd» rcntum reuerentia
hAbetunft primo moio, uel eft fecundum diium cordiSy oris dut opcrisifi
tcrtio modo,dut cft pro confcrudtionc pro* ximi» cr tunc habcturpraccptum
de non occidendo, ucl fpccici, ejflc prohibctur luxurid, ucl dcniq;
opcris priccptum eft de bonorum co» fcrudtione dc polfefiionc, ut eft
iUud No« fiirdri } fi oris eft^ iUud habctur, Konfalfum tcftimonium
perhibcbis,* ji iuxtdcordit De prxcep
^^iinuclcftdenonconcupifccndddltcriitfuxoreyuclre, Etflccftcx* tis
uctctis plctu*numcrusdcnariuspr£ceptorum4Aliter Kdy, trddit pr^ccpm lcgif
♦ torumfufficicntiam quam pro nunc omittimus. In uetcrilegc fucrunt
ccremonialid cr iuiitialid prxcepta, qutcpoft Chrifti pafiionent fuc»
runt cuacuata, diucrdmoie tamcn : priord flc,quoinonfolumfunt mortud, fci
ctidm obfcrudntibus mortiftrd, fed poftcriord utiq; mor*
tudfuntnontdmcnmortifird,niflfubditiiulfu Principis iUd obfcrf uarcnt
tdnqudm hdbentid uim obfcrudtionis ex uctcris lcgls inftituth oncy quid
tunc etidm mortifird tffent^ In uetcri quoq; teftdmcnto multd funtfcriptd
cr trdiita prxceptd, qu^mordlid uocdntur, qus Deut: 18,
adcddccdlo^rcducunturyflcutiliquetuidcrc in pluribus fcripturs 34^ !
/.12. i^^jg^ ^j^^ funtobferudnda non cxui inftitutionis,ficuti iudicidUd
CT 19?! 8.25* ^ M ^uid hdbcnt
cfficdcidm ex diOA» Exo. 2*3. ' ^in^i^^^^dlisrdtionvs*
DE FOLIIS. HVius drhoris folid qu£iam funt proprid crqurddm
eommu* nid } proprid funt feptem EccUfix fxcrdmentd cr regtiU omncs
in iure cdnonico fcript£, communid ucro eadcm funt de quibui in dlijs
drboribus diiium cfi, Uon concediturut diutius Augu». p£
mdne* Ildmdncm,pr6pterimpedimentiqu£d4m quibtu fum agCks
iter Quare aa-* umperc* Dico i^tur quodpropterbteccoaCiusfumbrcuibuf boc
o- torin fe- puis dbfoLuerc, atq; propru uoUtnati morem nongcrere, Si boc
aon ^ "cntibus effcty de Sdcramentn muLn cr quidem digna, tradcrcm,
ZT m reUqUH J^jj^
fcntentiamLulLifufiu^explicarem} diutna tamen adiuuante grdtia,
brcui tempore Uiorumdcjideriomeoq; fatHfactamy ubi artem
brcucmcxpUcauero, Ecclefix Idcramenta funt fcptem, qu^ tantum ^
ffominabot v dd quid jint ittjlituOL ojicndma, Bdptifmu6 ordt^ *'1 MtM
efl ad toUendum pcccatum originale^ Confirmdtio in remcdium 5. a m .
ifUbiUatk fj^iritualis.hucbanfliacontra faciUtitcm ad pcccandum^ De
Sacra- xPanitentiacontrapeccatumA^hiale. Extrcma un^o contra peeca»
mencii* Jtorum rcUquiaSi Ordo contra dijfoUitionem muUitudinifi p"
l\Atri* momum contra carnaUm conwptfccntiam*
DEFLORIBVS&Fruiflu. jT^Lorcs^ funt quatuordceim
articklinoflr^e fxdei^ m Symbclodpof Quatuor- jH^JloLorum
explicati, quorum feptem pcrtincnt ad duanitatem, CT dccim arti ^
feptem ad mcarnationts myficrium, Priora funt btc ♦/ de unitx- culi
fidei* tt Df I, de pcrfonarum trinitatCt tribut articulls expUcata,
de creatit pneydcfan^bficatione^ de refurreihone CT ^teruA uia
Poficriord uero funt de Lhrifii conccptione,natiuitate, pajiionCy
morte, fepul» tura, de defcenfu ad mftroSy
derefurrcBioneydeafcenjlone CT de adt uentu ad iudicium, Sub
uniatecT omnipotcntia omnia dudnd attrit huta contUtentur. Nr c
iticonueniens eji, ut quampLurima naturali ra* tione cognofcantttr,
nt de fapientia, bonitate cr ali/s notum eft, f^onitd(, Mdgnituda, CT c£ttr*t
ContrAtie» «f» TXCfpti, quoniam catcfiid aorpoYd dlicuiw qudititd
con 'ifUptitt£nonfuntfufceptifnUd.Tr«ncmrftqaoddm corput commu^ ni
: o ff T .1 > ndtum dd motum cirenlirm ac ptrpxtuumyntqudqudm corrupth
jp .idci(r2^ hordrumy quo motuc^teriorbes mouentur. Cfcrjr* Firmame
M^^^^ ratione perf^icuitdtk dc trdnfpartnti£ flc dicitur, quci tum.
f^Yirmdmentum uero fieUk fixk CT mnumerk abuodati .
quodAflronomiprimummobileuocdnt^ BRANCH^ . IMdgindti
funt Afironomt m coelefii Jf>hardy pr^ter multipUcn circulos edm
itqudiiter uct in^qudUter diuidentes, circulum efje Zudiaci»
qucnddmedndtm in pdrtes ^quales diuidentemy obUqwe tdmen^ cuifolum
Idtitudo adfcribifur. Duodtcim efi gru duum, quorum fex ti Delineae.
reUquk difiingtiuntur perUnem qudnddm, qu* ^cUpttcd uocdtwtti clyptica.
quix foie cr Iwid per hdnc moucntibus etUpfis cdufdtur ; uocdtur eti»
muid folk^quonidm nuUut planetdrum i fole, potefl totum fuum motm W
hdcUntdperficere. }flf iiem cinidns lcngitHdinem bdkct
iuoictimlignorum^quorum quodUhet tri^ntd gfiduunt hngituii^ ^*^^
mmpojitict. titc ligm^ nomim fumpftr^ qHorunlim animantium, ctflteUarum
muLtarwi uxrim di/politionem.qu^diMltdriUorum ^q^^^\^9 gnimdUum funt m
cocLo Appdrentu ; dut rjtione iiutrfarum quaiitd^ nommcn£ tum, quM mhsc
mfhiord mjiumt, qujeconlpiciunturbjbcredU' quoi m
buimmodidnimintibwtdjminium Horum fignorum nomirtA slUnimut i qut uero
numerum flellarum ex qmbu4 mtcgrdntur, cw fUcognofcerc^dcproprietdtes,
mfluxui, cr fimiUd; confuldtbuiu4 m perttos. Anrr, Tdurm, Gmini, Cdncer,
Lro, Virgp, drticd fimt, ^ntun ^uid contigud fitnt fiolo drtico. Librd^
ScorpiiM, Sdgittdruu» Cdpri- cornut, Aqudriws, cr Pt/ccf, dntdrticd func,
« pob dntdrtico fic U» GtL Q»r omnU jignd bww drboris fwubrdncb*» k
trunco origincm trdbentet. ^ De R AMIS, FoliK floribus
R friK^^ibus. RAmi funt ftptcm piinetx, qui ntione motws quem
mllgnk Dc Satuf- Zoiiaciperficiunty db ilHi tdnquam Jt brdnchk depenieht*
"o» Vrimws omnium efi Sdturnui, qui ndturd fud mdleuolui eft,
dc wciuus, cum ficct dc jrigiitpt compUxionis, m quibu4 uitt priud-
j tio con(iitua. efl, Huic fucceiit lupiter totw heneuolws,
cuidifcri* ^unturcdUiitdi cr bumiditis, uit£ conferudtrices, l/?t uerb
proximus j^ajtj tfi Mjrj, quiUcetnoxiws fitrdtione ficcitdtii, cdUiicxte
tdmendU iqudntuLum malitidm fuam tempcrjt. inter quos Ifummo opifice «
. diwconfiitvtweft \upuer.,utria^c^; mdUtium temperdns. Mdrti S6l °
^ fucceiit, dquotaim fupcriin-csqudmmfirtorespLdnetx fuum hjbent
yencrc Umen ihuic cilor uitdli^tZy^ re^c quiiem,dttribmtur. Veneri
uero qux folem fiucoriente fiue occidente, fempcr comitdtur,
conufnire 4icitur humor uitdllt, in quibui duobus viid conjiflit ; hinc
efl quod in Jfoetdrumfdbulnhdbetur.,SoUm yeneremq; mdijfMiU
mdtrimo* nio Deum coniunxiffe.^x quibui proLcs innuml l\ercuriiU
niturd fud nes arborit fchemdtcdiximutyconfiderdrt memnria, I
oportct,duodbrdnchxinhdcruturddicuntur tfje pcrjhicdcio» oC voluufl p.
rct audm m hominibttf i duas compdrare poterit ad Deum, ncl funt
bran quantitdtem difcretdm dc contmtu hunianali. am cum c^teris
prxdicdmetUis confidcrabis, Operdtiones utra i brdnchif exeuateSy uel
qudtenits txUs,U£Lpro ut rddicibm pcrficiun* tur.tibifiorestrddunt.
i^eUqua mfchcmdte confiderd, Dcdinius moa. dum formds conficiendi, iUum
obfcrua cr multas inuenies». DE ARBORE ^VITBRNALL Bde hk^ qu£
m huiuf drborft breui dercriptione diximui, me^ ritA dcquifitd uel
demerita, per humdnatis drboris brdncas mo* ralit cr dn^Ucalls ^numerum
radicum complercy ex quibm tTuncuiconfurgit,qtacft meritorum uel
demeritorum duratio pet* petud, qu£ udriarinon poteft, cum nonampiiut
deturpanitendif^d- cium.Depdrddifodtq;HifhnonuUutambigit, cum Deus fit
ipfdiu* ftitidy qu£ pro iuftis prxmium uutt, pro irtiuftis poenam ac
tormentd. A bruncd pdudiji tres rdmi exennt, ^uorum prior iufiitue rdm ut
r/l, qui4 ^id Dfi« bonum probono opetdtortddit j cT i^ujtenui
mttitu bo, A branct 'mm reiditqudmcxpofcantmeritAjfecunduibabctMr,quigf^ijc
di* P^f^diH q iitun tertiui improprie pafiionum dicitwTy quu abagentc
Deo,ik^ '^*'?' dondconfvrunturyquibmreUtionemhabetddaffns- AbrancamRr*
- m rdmuiiufhti£exit,icpd)itonum ; crproprie hocm toco accipitwr fgjjjj quj^
pdjhoyUidxLicet pro dobre in eorpore pofi iudicij diem,cr tn animtl
iriflUia.QupniAbedtoruma^s er^Deum funtgloria vUMipo^ tentijs
mteUe^halibus cxeuntesy fecundum aibts ucL operdtiones bo» ndrum rddicum;
ideo fiores xuiterndlis bontt arboris funt; rejpe^lu malorum,oppol{tumdic,
Frudui qui afiore procedit, 'm bedtis[efi quies fumma potentUrum ac
radicum ; nam ficuti m fummo inteUigi^ hili,
dtUgibiUacrecolibiUyquie[cuntmemoria,uoluntd« CTinteUeiius;
ficmfummqbonificdbiUymdgnificdbiUq^iefcunt bonitat CT magnitudo; per reUqu^tt
rddices difcurre, Oppojitumconfiderddefruilu iamnatorum : qui proprio
fiiu ob maUtUm CT reliquM prduds radi^ ces fruflrati,finem dUum
ddeptifunt^quo cod^c perpetuo debentfrui DE ARBORE MATERNALI.
POf} primi pdrentis Upfum, mxti diuin£UoUintdtis xternum de»
cretumy¥iUj Dei incarnatio bominum faUtandorum finis fuit, Cum uero buius
fdcratijlimx mcarndtionls medium fuerU G/ori» ofd Virgp suridy ipfd quoc^
eorundem fink cenfenda efi^ quitdkeh priori fubordindtur. hic finis licet
m fe unicui fit^ amen rdtione eo* rm qui hunc finem intuentuTymuUipUx
efl, quem fidtuo m bdc drbo* ft pro radicibM, quatenuA
kbonitatemagnitudine acalijsmformd* tur. Dt TruncD hi fcbemate fttts
habes* hrtuichx^f diuiiia cr humd* na natura hoc m lococonfiderantury
quatenus in uno fuppofito funt, tui natiuitsx attribuitur ; ndturis enim
ndfcinon competit. SpeSy Pic- AduocdtiOyrdmifuntyfiuein
Gbriof(tVirgutecottcipUntur,fiu€ ht peccdtoribusy quatenm ad edfn
confugiunt. HumiUtas uero cr «ir» ginitdt in Virgine Mdrid rdmifunt; in
rdtione exempli. \n fchemdte nrboTUbumnonfuntpofitd folU (nefcio cuiux
mcurU) qtke eaden Z 5 ejfecom- •m
tffi conpieTdhlfy ([U£ slijt iriorihm fttnt dtifihtttd. A^lr omneS
fd* dicumAcuUqudrumdtgnitatumdGUriofd Virgine exeunteSy qu^* ttnm
Mjtcr efi Dd» lunt hum drbork floret. DE ARBORE CHRlSTiANALL
Atione humdn£ naturt didfunt Chriffo dttribuenid, VT dlis rdtione
diuimetdiuerflmode quo(^ tonflderdtd Secundum f nV orem confiderdtionem
Chriflo omnid conueniunt, eibt et quxda bedtitudinii dnim^e conuenientis,
Ucct dUter fit quo dd /}>em de cor« alix _- forisglorificdtione. Timor
quoq; qudtenusignordntiam prdfuppo» D'\utc!lii\ ^^^* ^ CbW/?o remouetur,
dc etiam Contritio. Kdtione ^ui ne ndturA td omnid Chriflo conueniunt,
qur in arborts diuiniUs fchemdte diStk fant. Br4«rhe^sdiuinx naturjeyddhumdnaminChrifioyfy
humdU£ dd diui^ tuimi fecundum omnes potentiof dc uires in humdnd ; cr in
diuind quo etdinteUigere uejle,prxdi diflia* mire ad Spiritum
fan£lum : cr intcUigimus de termino ad^quatofj S"*^^"**
monfomaU i quoniam utriusq^ proiuihonit formalis ttrminus eft
4km,tfftntiauidelicetdiuind. Dealicrum diihs non curamus, Seo* ium
ptxccptorem fcquimur. Tolia funt nt^tiones catr^riarum Af mftotclis,
uelnoftrarum afjirmationes* Floresptnt probationesdiu^- Mdrum
produShonum, dtfumptdt aradicibus, Bonitof enimdiuina ff fUfidum
inteUciium CT uoluntatem fe ad itttra communicat: Sic fk eommunicare eft
magnum ; v cum ab £tecies efl, CT ffnuf eius ignorofi uelad Jpeciem.fi
indiuiduum efi; nec erit impojii* bUebocobferuarerecurrendoadarbores,uelper
enth omnem dmi* lionemulq;ddgenufproximumuel fpeciem defcendendo; fl
/f>eciem non cognouerity recurre ad propriat paj^iones
ueladnaturaletrei dOus, qu£ cum a diffcrentia magts proprid emanenty te w
j}>eciei c(h ^tionemdeducent,qu£exffnerecrdiffvrentia magis propria
im tegratur;deindeuer6priorcsnouemradtces .f, abfoUta prmcipid^
fum,equxcumrei effentiam notem, uel qu£ immediatc eam confe* ^ntur, priw
rei conueniunt; ey per omnia iUaprincipia difcurreru do uariM
dcftnitiones fumes,iuxta. prdcepa in prima parte knoblt obferudta;dum
definiebamus rddices;boc tamen obferuando, netrafm ^edidris naturam
generls uel fpeciei, ad qux fubkihmreduciturt ^uodoptimc poteris
obferuare^ quiaut dixmus in traSkitu de radU tibm ; perbonitatem CT cxtera
prtncipia inteUiqit LuUm rei mtrit^ ftcdy quje non femper eddem funt^fed
dd uariattonem fubiefh ipfk quoq; udridntur. Pofied quodUbet
principiumabfolutum,cum quoU^ het abfoWto et refpeihuo, cu quaUbet
formd.dc f^ecie quefiionis cu* iusUbet definiendum efi, quod cr obfcruari
dcbet m definitiont etiam fkbieSifUel rrjpedini prmcipij, aut formje uel
quxflionis alicuittt» Inde recurre ad refpcibua, deinde ad formaSy pofiea
ad accidentia.cf dtwicfi adqurfiiones CT qiuefiionum ff>ecies. Simagis
conceptus muU tipUcare uoUteris, refolutre poterls rc in principid fua,
cr ^ibct rt» Uuipirmcipiumut iUius cfiJefinire;peromna radius.formas,
acei» dcntia V quxfiioes difcurrcd; ucl rcfolucre poteris in ea
omuia,qit€ * - de ipf4 1 dc ipfa pYddicdtttur, qudtenut futk
iim fuhie^, cr quodUBet iUorii omnibM diais modts muUipUcare. mUipUcabis
oonccptus m infini^ tum^flpdrsaUcuiut arbork omnibui arboribut comparabk,
educe/u doconcordantiMUcldiffrrcntiai, aut maioritAtcs, uel
minoriatett dutomnidflmuLH£cfiobfcrudutrif/mfinitosdcundquaq;re
babt^ bit conceptut. Obfcrud mfupcr dnimaduerflonet noftrat, cr uti
diU. ffntU in continud appUcatione, cr cognofcts td praxk prdfiare,
^£ nobis.impofiibiUa uidcntur. OtAtuUi generalis ars conflftit in quatuor
figurlt, nouem fuh^ leas, ac eorum cognitione. Primam figuram ex noucm
prmci» pt/sdbfoUitlsfabricatyqudfuntpriores nouemradiccs. Swm- dam
conftituit ex nouem rcfl>cault, qu^funtpoftcrioresradiccs^ Tcrtiam a
prima crfccunda dcducit, cr quarcxm ex prima» fccundd» a-tcrtUclicit.UabcsfigurMcx
radicibus. Habcbis fubic^d nouct£ P confldcrabk ea qu£ m
drboremoraU,impcrUU,apoftoUcaU,cr mdternaU, ut taUsfunt; cffc accidcntU
qu£dam, ncmpc rcUtioncsfu» pcrioritatkydignititis,crhonorls,qu£ ad
mftrumcnt^tiuam rcdum cuntur; ucldi homincm; quatenut h£c omnU
circahomincm fiunt. AeuitcrnaUt quoq;arhor adhomincmy ucl ad
anfflumrcducitur: o* C hriftUnalit adDeum, qui cft primumfubieCkm i LuUo
ordindtum^ Hk notxtity de figiirit nonnuUa diccre pUcct.
Vrima figiira qu£ abfolutorum eft, noucm hahet cJimcrat : cr cft
circuUris, quU quodUbct abfoUuum rcf^eChi cuimUhct, habct ratioM. nem
fubicm cr pr^dicati. Necfolum huiut figurt prmcipU de fcipfls
pr£dicantur, fcd dc omnibut quo^ txtrdneis,qu£cuttq; flnt iUd dum- modo
non flnt horum oppofltd. * Secunda rejpeaiuorum eli, cr totidcm
hahet camerat, eodcm mo» do dijj^ofltas.quo primaicuiomnU coueniHt qux de
priori diOnfunt. TertU cx duabm dfiignatit conftat, cr habct
oOuaginta crundm cdmerdXyquarumqu£UbetduatUterdtcontinet, qu£ notxm
prmci* piorum abfoLutorum ac rc/peaiuorum naturam, per Uterdi
flgnificd* tiinotantq; uUcriut qu£ftiones UtcrH rc}j?ondcntes, Caufttur
cx A4 rcuol»$
L. 9tuolutianecdmerjLrumpfim£p^rf,ful>und fccnndr, fr
mnium fccuniUfubunaprimje. LuUui Umcn tantum trigintd fcx cmcxdx
dcccptAt^ut uiiebk in fcquenti fchcmdte iquoniam propofitiones nt e^uibm
idem de feipfo pr^cdicatur, non faciunt ad nc^cium pro de»
monflrationibM, m quihut debent tffe tres tcrmini diuerft, quod nott
poteft effc,P idem ucL Inmaioriuelmminoridefeipfoprtdicetur:
hQcautemaccideretifi omncs camerof acceptaret. Etut cognofcat quibu4
literis jignentur prmcipia uel quicftioneSt^ fequcns fchemd
confiderd» Scheaabrolucoiu. Schea refpediuoru* Schema qusftionu»
C Magnituinj. D Duratiot EPoteftof, F Sapientid^
GVoluntaxt KQlorid^ BDifjirentia^ C
Concordantid. D Oppofitio, E Frmcipium^ F VLedium^
Gfink^ H Maioritdi. I Aequalitas,. KUi inoritM, Figuia
cerCia* B V^rKW. C Quid^ D De quo^ E
Quare. fQuantum. CcXEale* KQuando» ivbi^ K
Qjiomodo etCuft^,. he be ci ce hh ch hi
ci hk ck de dZ dh di
dk eh et ek h fh fi hi hk i%
Ex qualibet cdmera duodecim eliciuntur propofitiones, cr uiginth
quatuorquicfiiones. fropofitiones ftcbabentur. Accipe primam c4* merm *f
b crfiic e, 4eb, pncdicetHrquo 4d fua fignificata cr eeontr^:
175» e contrd.cr <juodetidm .h. de feipfo,fccunium
dliui Pgnificdtum^dh iSo pro quo ejl fubiedum.c; jic tres propofitiones
hdbebif ; quid ucc fo UterdquxUbctduohabet Hgnificdtd . f . dbfolutum cr
rejpeSUuu^ er du£ funt Uterx, rrg) qudtuor erut pgnificdU-y qut fi
tripUcctuff. refuLtdt numerm duodendriut. CuiUbet uero propofitioni ji
dfiigrtM' uerif qusfliones, per iUiwi cdmer/e Uterat fignificdtdSy
hdbebis 2 4. Qudrtd figurd ex tribm dfiigndtis con/idt,qu4ecummdximdm
tdbuidm producdty dtq; difficilis fdtisfit,crlon^ effdtdecUrdtione^ dt ed
uerbd fdciemus m expofttionedrtlsbreuis LuUiiibi^ dd pleimm
mnijeftdbimus, qux hic tdntum tetigimut, De fcicnciarum
arcrum^obic6!i'f. NOnpermittitdnffi^idtcmporkyUtfitftus de
fcientidrum o5. iedis txdihmus, dc eorum numero;ideo htc
pducdnotdnd^ proponimufAnreUquis uideHenricum CorneUum AgrippS^ in
eo Ubro, qui de udnitdte fcitntidrum intituUtur. Crdmmdticxobiedumyeft
ens rdtionitf quod m ordtiwte pinddttt, qudtenus congrud eft
uelincongrud^ (datum^ B^ethoricx,ens pdriterrdtionis,inordtioneomdtdUel
inorndtd funt^ Vogic£,SyUogifmuiunwerldUterdcceptntt fecundum
Scotuminft* cundd q. uniuerfdUum* philofophix ndturdUSy forpm ndturdU*
Kietdphiftc^Ci ens qudtenus ens*. Theobgije, Deui fub rdtione
deitdtk» „^ — Ceometrixt CXUdntitdi continudi mdterid dhftr^Stu . .
V iirtthmetKt,Uumerux a mdterid legreQitm, ^'^^^ ^lgLW-^^S ^^
KuficeSy Kumerus fonoruA, AftrohgLf, qudntitds cotitinud, qudtenus
mobdisi Ipo PANDIMIGLIO
AFR. c t 4 V. Valerio de Valeriis. Valeriis.
Keywords: implicatura. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Valeriis,” pel Gruppo di
Gioco di H. P. Grice, The Swimming-Pool Library, Villa Speranza.
Luigi Speranza -- Grice
e Valerio: la ragione conversazionale a Roma e l’implicatura conversazionale
della morale togata – il gentiluomo romano-- filosofia italiana – By Luigi
Speranza, pel Gruppo di Gioco di H. P. Grice, The Swimming-Pool Library (Roma). Filosofo italiano. A
philosopher of little originality, and a notorious flatterer of TIBERIO (vedi).
He is best known for producing his IX books of memorable doings and sayings –
the work is designed primarily as a resource for moral education by means of
examples – showing how virtue is rewarded and vice punished. It preserves many
otherwise lost snippets taken from a variety of sources – including newspapers.
His ‘saggi’ are not much regarded today, but they were bestsellers throughout
the dark ages and the Italian renaissance, “and I do find them incredibly
amusing on a lazy after-noon,” – Grice. Morale pretesto. Ed Shackleton, Loeb. Skidmore,
“Practical ethics for Roman Gentlemen”. Valerio Massimo.
Keywords: Roma antica. Per H. P. Grice’s Play-Group, The Swimming-Pool Library,
Villa Speranza.
Luigi Speranza -- Grice
e Valerio: la ragione conversazionale alla villa di Roma – filosofia italiana –
By Luigi Speranza, pel Gruppo di Gioco di H. P. Grice, The Swimming-Pool
Library (Roma). Filosofo
italiano. He has a statue erected in his honour in his own villa (‘Ain’t that
cute?’). Publio Avianio Valerio. Keywords: Roma antica. Per
il H. P. Grice’s Play-Group, The Swimming-Pool Library, Villa Speranza.
Luigi Speranza -- Grice e Valla: la ragione conversazionale e
l’implicatura conversazionale della volutta – la scuola di Roma – filosofia
lazia -- filosofia italiana – By Luigi Speranza, pel Gruppo di Gioco di H. P.
Grice, The Swimming-Pool Library (Roma). Filosofo romano.
Filosofo lazio. Filosofo italiano. Essential Italian philosopher. Nato da genitori di origini piacentine -- il
padre era l'avvocato Luca della Valle -- riceve la sua prima educazione a Roma
e Firenze, imparando il greco da Aurispa e Aretino. Lo guida lo zio Scribani,
un giurista funzionario in Curia. Il suo primo saggio e il “De comparatione CICERONIS
Quintilianique” in cui elogia Quintiliano a scapito di CICERONE (vedi), andando
contro all'idea corrente e mostrando già in questo primo saggio il suo gusto
per la provocazione. Quando muore lo zio, spera di ottenere un impiego nella
Curia Pontificia. Ma i due autorevoli segretari Loschi e Bracciolini, ferventi
ammiratori di CICERONE, si opponeno all'assunzione. Grazie all'aiuto di
Beccadelli, detto il Panormita, e chiamato ad insegnare retorica a Pavia,
succedendo al maestro bergamasco BARZIZZA. Questi anni furono fondamentali per
lo sviluppo della sua filosofia. Pavia e infatti un vivo centro culturale e puo
approfondire le sue conoscenze giuridiche, osservando inoltre l'efficacia del
procedimento di analisi critica dei testi, che lo studio pavese applicava con
rigore. Acquire una grande reputazione con il dialogo “Della volutta”, nel
quale si oppone fermamente alla morale del Portico e all'ascetismo, sostenendo
la possibilità di conciliare la morale ricondotto alla sua originarietà, con
l'edonismo dei filosofi dell’orto, recuperando così il senso della filosofia di
LUCREZIO (vedi), che sottolinea come tutta la vita dell'uomo sia
fondamentalmente volta alla volutta, intesa non come istinto, ma come calcolo
dei vantaggi e svantaggi conseguenti ad ogni azione. A conclusione del “Della
volutta”, sottolinea, però, come per l'uomo la suprema voluttà e la ricerca
spirituale. Si tratta di un saggio considerevole. Per la prima volta, una
tendenza filosofica che era rimasta confinata nell'ambito della filosofia
romana classica e ri-valutata. Le polemiche che seguirono alla pubblicazione
del “Della volutta”, gli costringe a lasciare Pavia. Da allora passa da
un luogo all’altro, accettando brevi incarichi e tenendo lezioni in diverse
città. Fa la conoscenza d’Alfonso V al cui servizio entra. Il re ne fa il suo
segretario, lo difende dagl’attacchi dei suoi nemici e lo incoraggia ad aprire
una scuola a Napoli. Durante il pontificato di Eugenio IV, pubblica sulla
falsa donazione di COSTANTINO, “De falso credita et ementita Constantini
donatione". In esso, con argomentazioni storiche e filologiche, dimostra
la falsità della donazione di Costantino, documento apocrifo in base al quale i
cattolici giustificano la propria aspirazione al potere temporale. Secondo
questo documento, infatti, e lo stesso COSTANTINO, trasferendo la sede
dell'impero a COSANTINO-POLI, a lasciare al pontifice massimo di ROMA il
restante territorio del principato. La dimostrazione di V. è accettata e lo
scritto è datato all'VIII secolo o IX secolo. “Quid, quod multo est absurdius,
capit ne rerum natura, ut quis de CONSTANTINOPOLI loqueretur tanquam una patriarchalium
sedium, que nondum esset, nec patriarchalis nec sedes, nec urbs nec sic
nominata, nec condita nec ad condendum destinata?” “Quippe privilegium concessum est
triduo, quam CONSTANTINUS esset effectus christianus, cum Byzantium adhuc erat,
non Constantinopolis.” V. dimostra
che anche la lettera ad Abgar V attribuita a Gesù e un falso e, sollevando
dubbi sull'autenticità di altri documenti spuri e ponendo in discussione
l'utilità della vita monastica e mettendone in luce anche l'ipocrisia nel “De
professione religiosorum” suscita l'ira delle alte gerarchie ecclesiastiche. E
obbligato, pertanto, a comparire davanti al tribunale dell'inquisizione, alle
cui accuse riusce a sottrarsi soltanto grazie all'intervento del re. Visita
Roma, dove i suoi avversari sono ancora molti e potenti. Riusce a salvarsi da
morte certa travestendosi e ritornando a Napoli. Vengono divulgati gli “Elegantiarum
libri sex”. Il saggio raccoglie una
serie straordinaria di passi desunti dai più celebri scrittori latini –
CICERONE, LIVIO, VIRGILIO -- dallo studio dei quali occorre codificare i canoni
linguistici, stilistici e retorici della lingua latina. Il saggio costitue la
base scientifica del movimento umanista impegnato a riformare il latino sullo
stile di CICERONE. In le "Emendationes sex librorum Titi LIVII"
discute, col suo modo di scrivere brillante e caustico, correzioni ai libri di
LIVIO in opposizione ad altri due intellettuali della corte napoletana
Panormita e Facio che non avevano il suo stesso spessore filologico. Con
la morte del re, la sua fortuna inizia a volgere in meglio. Recatosi nuovamente
a Roma, e ricevuto da Niccolò V. Assume il ruolo a lui più consono di
professore di retorica, ma non perde nemmeno il suo spirito caustico e inizia a
criticare la Vulgata, facendo confronti con l'originale greco sminuendo il
ruolo di traduttore di GIROLAMO (vedi) e DONATO e giudica spuria la
corrispondenza tra SENECA e Paolo. Sotto Callisto III raggiunse il culmine
della carriera, divenendo segretario apostolico. È quasi impossibile farsi
un'idea precisa della sua vita privata e di suo carattere, essendo i documenti
nei quali vi si fa riferimento sorti in contesti polemici e, pertanto, fonte
più di esagerazioni e calunnie che di testimonianze attendibili. Appare
comunque come persona orgogliosa, invidiosa e irascibile, caratteristiche cui
però si affiancano le qualità di elegante umanista, critico acuto e scrittore
pungente nella sua continua e violenta polemica sul potere temporale dei
cattolici. -- è un personaggio di eccezionale importanza soprattutto quale
rappresentante del più puro umanesimo. Con le sue spietate critiche ai
cattolici e un precursore di LUTERO contro VIO, ma fu anche il promotore di
molte revisioni di testi. La sua filosofia si basa su una profonda padronanza
della lingua latina e sulla convinzione che fosse stata proprio
un'insufficiente conoscenza del latino la vera causa del linguaggio ambiguo di
molti filosofi. V. e convinto che lo studio accurato e l'uso corretto della
lingua e l'unico mezzo di acculturazione feconda e comunicazione efficace. La grammatica
e un appropriato modo di esprimersi sono a suo modo di pensare alla base di
ogni enunciato e, prima ancora, della stessa formulazione intellettuale. Da
questo punto di vista, la sua filosofia e tematicamente coerente, in quanto ciascuna delle
parti si sofferma innanzitutto sulla lingua, sul suo impiego rigoroso e
sull'individuazione delle applicazioni erronee della grammatica latina. Il
profondo distacco storico ci permette di distinguere la sua filosofia in due
filoni, quello filologico e quello critico. Sebbene sa mostrare eccezionali
doti di storico negli saggi critici, questa capacità non è però riscontrabile
nell'unico saggio definito storico, cioè nella biografia di Ferdinando
d'Aragona, tutto sommato un modesto elenco di aneddoti. Il principato romano
inizia a tramontare, il che si palesava non solo nell'indebolimento delle forze
politiche e militari, ma anche nello sfaldamento dell'ordinamento interno e
soprattutto nell'imbarbarimento della cultura. La crisi generale e
l'accettazione di molte genti non italiche tra i cittadini romani provocano un
lento ma significativo allontanarsi dalla lingua verso forme dialettali e meno
eleganti. Si evidenzia la necessità di uno sviluppo della lingua che presuppone
la canonizzazione della parlata popolare e della sua semplice grammatica. Sono
i primi sintomi della nascita del volgare, che necessita di un millennio per
svilupparsi pienamente. Durante questa lunghissima transizione, in tutta l’Italia
ci fu un'enorme incertezza linguistica. Il romano classico cede lentamente il
posto ad una mescolanza di nuovi idiomi che combatteno per la supremazia.
Gl’effetti di questo periodo di passaggio sono ben visibili soprattutto nelle
traduzioni che via via nasceno dal romano verso l'italico, poché la linea di
demarcazione tra il romano e il volgare e fluttuante e nessuno dei traduttori puo
dirsi un vero esperto in materia. E il primo a stabilire un limite alla volgarizzazione,
decidendo che un cambiamento oltre tale limite e già parte del processo di
sviluppo. In questo modo, riusce non solo a salvaguardare la purezza del romano,
ma pone anche le basi per lo studio e la comprensione del volgare nato dal
romano. Si pone tra i maggiori esponenti dell'umanesimo non solo per il
suo costante apporto di punti di vista umanistici, bensì anche per la sua
annosa avversione alla cultura scolastica. È indicativa ad esempio la sua
tesi in “Della volutta” sugli errori de PORTICO praticato dagli asceti che non
avrebbero preso in debita considerazione la legge naturale. La morale
consiglierebbe infatti, a suo avviso, un'esistenza allegra e godereccia che non
precluderebbe in alcun modo l'aspirazione alle gioie del paradiso.
Analogamente, nelle “DIALECTICAE DISPUTATIONES”, confuta il dogmatismo di
Aristotele e del LIZIO e la sua arida logica che non offre insegnamenti o
consigli, bensì discute solo di parole senza raffrontarle con il loro
significato nella vita reale. Altrettanto critico si dimostra nelle “Adnotationes
in Novum Testamentum” quando usa la sua profonda padronanza del latino per
provare che sono state le traduzioni maldestre di alcuni passi del Nuovo
Testamento a causare incomprensioni ed eresie. È a lui dedicata una fondazione
che in collaborazione con Mondadori, pubblica la collana dei romani i in cui
vengono proposte edizioni critiche di testi classici. L'arte della
grammatica, Casciano (Milano, Mondadori); “La falsa donazione del principe Costantino”,
Pepe, Firenze, Ponte alle Grazie, Scritti filosofici e religiosi, Radetti,
Firenze, Sansoni, Roma, Edizioni di Storia e Letteratura, “Repastinatio
dialectice et philosophie” (Padova, Antenore). Treccani enciclopedia, Il
Contributo italiano alla storia del Pensiero: Filosofia) ; Garin, "La
letteratura degl’umanisti", in Cecchi-Sapegno Letteratura italiana (Milano,
Garzanti); Basilica Papale SAN GIOVANNI IN LATERANO, su Vatican. Pubblicate per la prima volta da Erasmo da
Rotterdam. Antonazzi, “V. e la polemica sulla donazione di Costantino, Roma); Camporeale,
Valla. Umanesimo e teologia, Firenze, Istituto Nazionale di Studi sul
Rinascimento, Fink, Laffranchi, “Dialettica e filosofia in V.” (Milano, Vita e
Pensiero); Mancini, “Vita di V.”, Firenze, Sansoni; Regoliosi, “V.. La riforma della
lingua e della logica” (Atti del convegno del Comitato Nazionale, Prato); Firenze,
Polistampa, Donazione di Costantino. Dizionario di storia, Istituto
dell'Enciclopedia Italiana, Enciclopedia Italiana, Roma, Istituto dell'Enciclopedia
Italiana, Rita Pagnoni Sturlese. Su treccani. in Il contributo italiano alla
storia del pensiero Filosofia, Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, La
falsa donazione di Costantino, su classic italiani. La tomba su Penelope uchicago,
Laurentius Vallensis. Lorenzo Valla. Valla. Keywords: Cicerone, Virgilio,
Quintiliano, Livio, rinascimento, grammatica, dialettica e rettorica. Refs.:
Luigi Speranza, “Valla e Grice,”per la Fondazione Lorenzo Valla, The
Swimming-Pool Library, Villa Grice, Liguria, Italia. Valla.
Luigi Speranza -- Grice e Vallauri:
la ragione conversazionale e l’implicatura conversazionale dell’interpretazione
giuridica – la scuola di Roma – filosofia romana – filosofia lazia -- filosofia
italiana – By Luigi Speranza, pel Gruppo di Gioco di H. P. Grice, The
Swimming-Pool Library (Roma). Filosofo romano. Flosofo lazio. Filosofo italiano. Essential
Italian philosopher. “Italians, especially noble ones, love a long surname, so
this is Luigi Lombardi Vallauri. I say: if he wants to keep the Vallauri,
that’s what he’ll go with by!” Grice: “He favours animal rights, as I do.” Professore universitario
italiano. È stato Professore di filosofia del
diritto a Milano e Firenze. Insegna all'Università degli Studi dell'Insubria e
all'Università degli Studi di Sassari, dalla quale è stato chiamato per chiara
fama. Nipote del predicatore gesuita Riccardo Lombardi, cugino del
direttore della Sala stampa vaticana Federico Lombardi, nonché nipote di Gabrio
Lombardi, si avvia alla formazione teologica alla Gregoriana di Roma. Si laurea
in giurisprudenza col massimo dei voti a Roma, suo maestro è stato BETTI. Dopo
la laurea perfeziona gli studi giuridici in Germania e vince molto presto il concorso
per la libera docenza. Diviene professore in filosofia del diritto a Firenze,
dove ha insegnato anche argomentazione giuridica e filosofia del diritto. Ottiene
la cattedra in filosofia del diritto a Milano. Dopo il collocamento a riposo
insegna presso le Como e Sassari. Massimo esperto di teoria
dell'interpretazione giuridica, già direttore dell'Istituto per la
documentazione giuridica del CNR e presidente della Società italiana di
filosofia giuridica e politica -- è autore di saggi filosofico-giuridici. Con
il suo Terre: Terra del Nulla, Terra degli uomini, Terra dell'Oltre ha aperto
un nuovo filone della sua ricerca, dedicato alla filosofia della religione e
della spiritualità. Al saggio Nera Luce, V. ha consegnato la sua critica
serrata ai dogmi del cattolicesimo e l'approdo all'apofatismo. I suoi interessi
recenti riguardano la tutela giuridica dei diritti degl’animali. È
vegano. Fonda e conduce, un gruppo di meditazione teso a esplorare le
possibilità di una vita contemplativa all'altezza del sapere moderno. Il suo
libro traduce in scrittura il seguitissimo corso di meditazioni tenuto
dall'autore per Radio Tre Rai, propone una mistica laica, ossia una mistica che
prescinde da rivelazioni soprannaturali coniugando il pensiero scientifico
occidentale con le tecniche di meditazione tipiche delle filosofie
orientali. Allontanamento dall'Università Cattolica. Insegna filosofia
del diritto presso l'Università cattolica di Milano. Tiene una conferenza
a Bari e all'inizio decide di sedersi in terra, giustificandosi presso
l'uditorio con la frase. Del Dio che emoziona non mi sento di parlare seduto su
una sedia, quindi, mentre parlerò di questo Dio, starò seduto in terra». Sospeso
dall'attività didattica a causa del suo insegnamento ritenuto eterodosso
rispetto alla dottrina della chiesa cattolica. Fra i punti problematici
secondo le autorità ecclesiastiche, un giudizio di V. sul dogma dell'inferno,
da lui definito: incostituzionale in quanto nessun atto per quanto grave
può meritare una pena eterna e perché è contraria ai princìpi più avanzati del
diritto, e specificamente del diritto influenzato dal cristianesimo, una pena
che in nessun modo tenda alla rieducazione/riabilitazione del condannato. Il
professore ha affermato in seguito. Quando i giudici ecclesiastici mi hanno
cacciato fuori dall'Università Cattolica non riuscivano a formulare l'accusa ed
io ho detto. Ve la do io, il papa è quasi infallibile nell'errare. Dopo l'esito
negativo dei ricorsi giudiziari interni, si è rivolto alla corte europea dei
diritti dell'uomo. La corte si è pronunciata a favore del ricorrente,
ritenendo che fossero stati lesi i suoi diritti alla libertà di espressione
(per il provvedimento adottato dalla cattolica senza contraddittorio) e a un
equo processo (per il rifiuto a pronunciarsi opposto dagl’organi
giurisdizionali amministrativi), entrambi garantiti, rispettivamente, dagli
articoli della convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e
delle libertà fondamentali. Nei suoi corsi e libri V. si è occupato di
varie tematiche: filosofia del diritto, critica dei riduzionismi, filosofia
della mente, misticismo, buddismo, sessualità, meditazione, diritti degli
animali. Riassumeva la situazione storica attuale tramite la seguente
formula: [E = (m+e) + i (ab) + fd + oid] -> [N.O.] -> [(N. e/ax/es)] +
(I.P.)] La prima parte è l’equazione del riduzionismo ontologico. L’essere
è riducibile alla somma di materia, energia e informazione. L’informazione è di
due specie: algoritmica e biologica. Il riduzionismo diventa poi scientismo
tecnologico, con l’aggiunta di un fattore di dominazione, ossia la teoria
baconiana del conoscere per dominare, e dell'organizzazione industriale del
dominio portata dalla rivoluzione industriale. Le conseguenze dello scientismo
sono il nichilismo ontologico, ossia la scomparsa di ogni tipo di spirito (dio
angeli anima), il quale può avere due esiti antitetici: le filosofie del
soggetto assoluto e quelle della morte del soggetto. L’ultima conseguenza del
processo è il nichilismo etico assiologico ed esistenziale, ossia la negazione
di norme e valori oggettivi. Esso genera un vuoto, che nella nostra epoca viene
occupato dall’individualismo possessive, ossia la credenza che gli unici beni
sono ricchezza successo e potere. Occorre dunque articolare una risposta
filosofica al riduzionismo, individuando quali realtà si sottraggano alle sue
pretese. L’oggetto principale che sfugge alla riduzione è la mente. Saggi:
“Saggio sul diritto giurisprudenziale” (Milano); “Amicizia, carità e diritto” (Milano);
Corso di filosofia del diritt (Padova); Cristianesimo, secolarizzazione e
diritto moderno (Milano) Terre: Terra del Nulla, Terra degli uomini, Terra
dell'Oltre, Milano. Il Meritevole di tutela, Milano, Logos dell'essere Logos
della norma, Bari, Nera luce (Firenze); Riduzionismo e oltre: Dispense di
filosofia per il diritto, Padova, Trattato di Bio-diritto. La questione
animale, Milano, Meditare in Occidente.
Corso di mistica laica, Firenze, Scritti
animali. Per l'istituzione di corsi universitari di diritto animale, Gesualdo, Note. Magister, L'inferno? Una vergogna,
L'Espresso. Guadagnucci; Scritti Animali. Per l'istituzione di corsi
universitari di diritto animale, in Visionari, Gesualdo (AV) (Gesualdo,
Guadagnucci); Bosco, Cristo o l'India, Verona, Fede e Cultura, Guadagnucci. Sullo
scarso fondamento dei fondamentalismi, Nuovamente. V., Neuroni, mente, anima,
algoritmo: quattro ontologie, Lettura magistrale al VI congresso della Società
italiana di neuroscienze, Guadagnucci,
Il filosofo degli animali, in Restiamo animali: Vivere vegan è una questione di
giustizia, Milano, Terre di mezzo, Meditare in occidente Corso di mistica laica, ciclo
di trasmissioni radiofoniche su Radio3 Rai. Meditare in occidente Corso di
mistica laica, ciclo di trasmissioni radiofoniche su Radio3 Rai, Meditare in
occidenteL'anima di paesaggio, ciclo di trasmissioni radio-foniche su Radio3
Rai, edizione. Conferenza/lezione tenuta dal titolo: Non-violenza e Animali: un
tema antico come le montagne e sempre più ricco di futuro. Evento organizzato
da Progetto Vivere Vegan, Interviste Sì agli interventi che aiutano i
nascituri, intervista di Perna, LIBERO, l'Unità, Firenze, e Rassegna stampa sul
"Caso V." I Nuovi Inquisitori, di Pace, a Repubblica, A dialogo con
V., di Pollastri, Phronesis, Note, di Franza, Officina sedici. Luigi Lombardi
Vallauri. Vallauri. Keywords. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Vallauri” – The
Swimming-Pool Library. Vallauri.
Luigi Speranza -- Grice e Valletta:
la ragione conversazionale e l’implicatura conversazionale dei liberali,
libertari e libertinisti – la scuola di Napoli – filosofia napoletana –
filosofia campanese -- filosofia italiana – By Luigi Speranza, pel Gruppo di
Gioco di H. P. Grice, The Swimming-Pool Library (Napoli). Filosofo napoletano.
Filosofo campanese. Filosofo italiano. Napoli, Campania. Eessential Italian
philosopher. Grice:
“He was a libertine from Naples. I like him. His oeuvre published in Firenze. Studia
dapprima letteratura presso i gesuiti per poi dedicarsi al diritto. Insieme a
Andrea, e fra i fondatori degl’investiganti, che da impulso al grande
rinnovamento culturale che prende grande avvio. Nelle accese polemiche
filosofico-scientifiche tra progressisti e conservatori, insieme a CORNELIO, ANDREA,
CAPUA e agl’altri investiganti appoggia attivamente i progressisti. Istituì a sue spese la cattedra di lingua
greca a Napoli, affidando l'incarico di insegnamento al suo maestro ed amico MESSERE
(vedi, illustre filosofo. Cura l'edizione napoletana delle opere e del Bacco in
Toscana dello scienziato toscano REDI. Grande appassionato e conoscitore di
libri, meritandosi l'appellativo di Helluo librorum et Secli Peireskius alter. Grazie
all'interessamento di VICO, il fondo librario confluì nella Biblioteca dei
Girolamini. Saggi: “Lettera in difesa della moderna filosofia e de' coltivatori
di essa”, “Historia filosofica”. Lombardi, Storia della letteratura italiana, Tipografia
camerale. Nicolini, V., in Enciclopedia Italiana, Roma, Istituto dell'Enciclopedia
Italiana. Gl’Investiganti Andrea, Redi, V.,, nipote di V. Breve scheda
biografica, Redi. Scienziato e poeta alla corte dei Medici. Lettera
di V., napoletano fn difetta della moderna
Filofòfia, e de' coltivatori di eflà, INDIRIZZATA ALLA
SANTITÀ’ DI CLEMENTE XLAggiuntavi in fine un'ojf umazioni fopra
' la medefima. IN ROVERETO Nella Stamperia di Pierantonio
Berno Libr. ALL’ XLWSTRISS. SIC. AB. ’f FRANCESCO PARTINI *
è ;DE N AJOF, • f + • - Nobile Provinciale
del Tirolo, ec.ec,, l Olto tempo è, Jlluflriffmo
Signor Abate, che per darvi qualche piccio- lo contraffegno della
divo - Zioa mia verfo di voi, io vado tra me ftejjo meditando, qual
co/ a, non del tut- to di] pregevole, e di . voi indegna, do -
vejft offerirvi . Ed ora ufcendo da’ miei * 5 tor- - .4 . p t
* •# . è .. - j» % T“ » 'f '' i*' -ì r .! *orri &;
la prima volta una dotta * ed erudita Opera del Sig. Giufeppe V., la
quale manofcritta lungamen- te era andata per le mani de* virtuofi;
quefta appunto ho . difegnato d' indiriz- zare a voi, sì 5 per darvi un
picciolo faggio del de fiderio ardentìjfimo > eh' io bo d'
incontrare con e fio voi ferviti, sì ancora per fare un pubblico
attediato al mondo della /lima grande, ch'io con- fervo della
voftra ragguardevole Perfo- ra . E nel vero fé, com * a tutt' altri
è in ufo di fare, io voleffi raccoglier qui le glorie de * trapaffati,
teffendo un lunoo catalogo di tanti e tanti glorio fi Antenati
della vofira nobile Famiglia, i quali e nell' armi, e nelle . lettere
rif- plendendo, non meno il vofiro Ceppo, che tutta cotejìa Patria
ili ufi r areno ; certo de non; uno > ma ben mille moti- osi io
avrei per indurmi a ciò fare. Concioffiachè allora egli . mi fi
farebbe . tofto innanzi la fingolar perizia nell' ar- mi di PIETRO,
illu (Ire, e .antico ger- irne della vofira onorati fiima Prof apia,
* il Digitized by Google il quale da Galeazzo
Vìfconte Duca di Milano meritò d* ejsere fatto Condot tiere delle
fue. armi > Mi . fi prefent crebbe fitto gli occhi il valore di quell*
altro PIET RO d' età ma ? non di merito inferiore, a cui i
eccellenza nel mefiier te ftmil mente della guerra, acqutfiò l*
uffizio d) Capitano dell*. Imperador Maj • fimifiano J. i, e di
ALESSANDRO altresì, che in qualità pur di Capita • no fi morì in
Ungheria . Ma molti, e molti ì anche fiudiof amente, trapalan- do y
come potrebbe . poi .fuggirmi dalla vijìa la, decantata dottrina .,
fingolar- mente nell* arte Medica > e la probità 9 e integrità
de' cofiumi di FRANCESCO PARTINI, il quale in quel feli- ce fecola del
cinquecento cotanto s* avan- zò > e ft difiinfe, che meritò le lodi,
e gli applaufi d'uno de' maggiori letterati di quell'età, che fu
Mattioli > (i) • e d'ef- (i) Nell* Epiftola
dedicatoria de 1 Di/cor fi /opra Diofcoride al Principe Ferdinando d* A u
Aria . Ve- nezia 1668. E negli fte/fi Difcorfi /opra il libro 4- di
Diofcoride. e d' e ([ere fatto Prot omedico dì due Ce- fali, cioè
Ferdinando I ., e - Maffimilia- no li.'? Cèrto che i pregi di co fiat,
i quali di molto accrebbero lo fplendore del- la vofira Stirpe -,
io non potrei per mo- do alcuno non Jommamente celebrare: e tanto
meno que' di MELCHIORE fuo figlio i il quale dalla matura pru-
denza pur di Maffimiliano li. Impera - dorè » di cui era ' Configliero,
> fu' (celta a far efeguire ^Imperiai comandamento di por giù /’
armi, fattola'- judditì del Finale in Italia '.(*) Ma io non ne
verrei sì toflo a' capo, : quando 'a’ me- riti degli Avi'-vojìrì i.'com'
-bó det- to piuttofiò chea voi mede fimo va- le jft riguardare . I
pregj degli ante- nati' apportano più (limolo >3 -che lode a'
(uccefiori \, ed è molto ' mifer, abile la condizione di colui -, ' il
quale noti po((a in altro . mod o diftinguerft, che col! aprire i
(epolcri de’ fuoi maggio- ri » . \ • r t • r i
n* •* a (2) Mambrino Rofeo Storie del Mondo libro II. a
io4« ri, e temendo nn lungo panegirico del- le loro gloriofe
azioni, far fi corona al capo di meriti non fuoi.Per la qual cofa,
ponendo da /’ • un de' lati quelle lodi, le quali non fono sì pro-
prie dì voi, che comuni non fieno an- cora a tutta la Famìglia, ed alle
fole voftre t in cui gli altri non v* hanno parte alcuna
rifiringendomi ; dico > che quello, che principalmente rn ha
invogliato a procacciarmi luogo nel no- vero de' vofìri fervidori t e che
non pojfo fe non grandemente ammirare, fi è quella incredibile
gentilezza, e foavità di coftumi.y e di maniere, per mezzo della
quale ben fate chia- ramente apparire da qual . forgente traete t
origine, e i natali . h non fo per cagion di quefla con qual fronte
poffano riguardare in voi cer- te anime t le quali non riflettendo
> che • /’ e (fere nate nobili è fiato un accidente, cui altro
loro non appor- ta, che impegno di ben imitare gli
antecejfori ; di tanta rufiicìtà, e fai - ...
V3&7' falvatkhe^za ripiene comparirono folamente nell *
afpre, ed altiere fembr ano .avere ripofia la loro gloria .
Poi fiete certamente di un amaro rim- provero a tutti cofioro % e C
umanità vofìra, quando attentamente vi riguar- da Q ero, non
potrebbe che riufcir loro di jomma vergogna, e confo fione . Ma
fic- come y nè alterigia, o di / prezzo altrùi la nobiltà della
Famìglia, per chiara, eh' ella fi fa, è fiata giammai baftan- te ad
infpirarvi, . Così nè al fafio y o al- la. libertà le •comodità » e gli
agj > che dalla fortuna avete : nè .alla vanaglo- ria * o alla
prefunzione le nobili quali- tà. dell’ animo voflro, hanno giammai
potuto aprirvi la firada, Tanti rari pregi- finalmente, tutti infieme
uniti, non fono -fiati valevoli a feemar punto di quella vofira
naturale affabilità, e dolcezza di tratto, la quale quanto in altri
è più rara > altrettanto in voi ab- bondantemente appari fee t e
campeggia . Qttefta vi eccita la maraviglia di tut- ti coloro, che
di voi hanno alcuna co. no- • >. . /
* 't d -
'V. •4 ami. difienpì guefia
concilia ì* amore, e ^uCfi^nera^iòni de- vojìri Concito adì*
. niy^ 0?quefia finalmente induce, an- zi con una dolce violenta
quaft rapi* ffce, e sforzai cìafcbeduno a farvi un volontario
tributo de* fuoi affetti, e del fuo cuore . Ma che dirò di quel -
i* bontà j ingoiare, con cui prendete a protteggere qualche perfona ingiù
• fiamente oppreffa, e oltraggiata > fa- cendo vedere, non
altrimenti effervi fenfibili- i torti > che fi fanno alla
ragione, e alla gtufiìzia, che fe a voi me de fimo f off ero fatti ? Voi
con quel rincrefcimento fiete folito fentìre i colpi t che la
fortuna vibra con - tra /’ onefie infelici perfine > col qua- le
gli fentirefie, fi contra voi me- ' de (imo foffero fcagltati ; e con
queir occhio riguardate gl * infortuni » e mi- ferie altrui, con
cui riguarderefie quel- le de* vojìri più cari congiunti . Di qui è
y che e col configlio, e con /’ opera non mai vi mofìrate fianco di
fivvenire > e beneficare coloro > i qua-
Digitized by Google * quali per la loro innocenza fi ren-
dono meritevoli della vofira protezio- ne ; ; ed avendo avvertito, che il
ve- ro carattere degli animi nobili, an- zi quello, che piu .all'
Al tifiimo ld- dio viene ad accodarci, è * il f al- levamento delle
per fine \o dalla ma- lignità degli uomini, >o dall' .avver- ata
della fortuna inìquamente fir ac-' date ; voi perciò, avete creduto im
- prefa degna di voi lo fendere a que- > fie benignamente il
braccio, acciò la Patria vofira potefse andare altiera ; e dar fi
vanto -, d'. avere d mercè di voi maifempre aperto un a filo all '
innocenza, re .fempremai pronta una fpada cantra la malvagità, e la
co* lunnia . Con tal- mezzo voi rifiorate - i danni, che la me de
[una '.per /’ im. matura morte dì MELCHIOR PAR- TINI vofiro .
degnifsìmo, Fratello ha que fi* anni addietro, fifferti # e quello
~ fplendore le ritornate,%che allora per efser ella refiata priva
-d'-uno de'-fuoi più cofpicui, e qualificati Cittadini, ave-
aveva pèrduto l ; A che fero molto t molto contriluifcono ancora
gli altri due vofìri meritevoli (fimi Fratelli, di - co GIOVA M BA
TJS T A 'PA RTI- NI > Abate della Reai Badìa di San Pietro di
Loreto nell ’ Abruz- zo, e il Padre CARLO PARTINI, Definitor Perpetuo
Carmelita- no t la prudenza, e pietà di cui è così nota, e pale/e
in quefìa Cit- tà. .y che. inut il cofa farebbe il farne per me qui
parole . Ma troppo chiaro io m’aveggio d* avere già foverchiamen-
te la modejìia vofira offefa, non ri- flettendo f che una delle maggiori
lo- di > che vi fi debbono, è appunto il franco rifiuto, anzi
difpregio, che voi fate delle medefime, Solo mi re- fia adunque di
fupplicare il generofo animo voflro a ricevere in buon grado ia
piccolezza del dono, che umilmen- te vi offro, non alla qualità di ejfo,
ma al de fiderio dei donatore riguardan- do \ e pregandovi in fine a non
difdir- mi la fofpirata grazia d’effere anch' io allogato tra i
voflri ~ fso v • y i,,, • Di
V.S . f . i
l Rovereto; V *'> 1 ^ «a
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• 1 J VmìUfs. Devotìfs. ObbUgatìfs. Servo Pierantonio
Berno. lo Digitized by Google LO
STAMPATORE A CHI LEGGE. NON poco tempo e (Tendo, che va
per le mani degli ftudiofi una Lee* tera manoferitta di V., Letterato
Napoletano in difefa della Filofofia moderna, e d’ alquan- ti Tuoi
concittadini profeflori della medefi» ma, .fino dal 1700. dirtela : ed
avendo rav. v ifato, com’ ella è molto avidamente ricer. cata, e
letta dagl’intendenti ; ho (limato di far colà grata al pubblico, ed alle
per* Ione letterate, dandola fuori per mezzo delle (lampe, sì per
renderla più comune, e sì ancora per levare la briga a chi deli*
dera averla, di farla tralcrivere.* (concia co*, là parendomi, che un
così utile lavoro ve* nirte tuttavia contaminato, e guado dalla
trafeuraggine, e fonnolenza de’copifti. Io a» vrei per verità molto caro
avuto di abbatter* mi (e non all’ Originai medelimo dell’ Auto- re,
almeno a qualche copia elàtta, e fedele; il che per diligenza ufata non
m* è venuta pienamente fatto di conlèguire. Spero però,' che mercè
1’ afliftenza da perlbne delle buo- ne lettere amanti predatami > le
quali lì fono validamente adoperate in correggerla, rive-
dendo poco men che tutti i palli nel proprio fonte, e togliendovi que*
moiri, e quali in- finiti errori incorfivi nelle copie ; il cottele
Lettore non avrà molto che deliberare . V* ho in fine aggiunta
un’Offervazione fopra la medefi ma, affai tortele mente dal Sig. Gir
ola- 7 ino Tartarotti Róveretano comunicatami, la quale fono più
che certo, o Lettore, che non t’ increfcerà d’aver Ietta. Vivi felice,
e - favorirci col tuo aggradimento la buona incli- nazione,- ch’io
ho d* adoperarmi a tuo van- taggio . La fegùente notizia, polla per
più contezza dell* Autore dell’Opera, è tratta dal Leffico degli
Eruditi del Sig. Burcardo Men. thenio . Giureconfulto Italiano, na.
Io in Napoli a* 6 . d' Ottobre V anno 1 666. fece la pratica nella fua
Patria, e ranno una copio, ftffimd libreria, injìeme con un gabinetto
prezio fo di monete antiche, in frizioni ecì Corrifponde . va co ’
più infigni Letterati d’ Europa . Traduf- fe alcuni libri dall ’ Inglefe
in Italiano . Scriffe un libro della necejjìtà della [olita pratica in
ma- teria di religione, come pure un ’ opera toccante V impresone
di monete move. ' BEAT1SSIMO PADR E. f * » 4 %#
* • * t • • • f f • f l,i * ; r r* « *
I. s. »4 I Ntichìflìmo
coftumefu Beatissimo Pad re,o dir il vogliamo naturai genio,
ovvero inclina- zione, o qual egli fi .fia avvenimento degli
uomini, i quali a’pofteri hanno avuto in penfiero di lafciar qualche
me- moria per mezzo delle lettere, di muo- A * verfi a tal
opra da picciola e lieve oc- cafione, ed. alle voi ce incominciare
da balle, e aHai deboli fondamenta, ed indi poi pian piano p a dare
più olcre fin- ché al defiato fine fi aggiunga ; e quali Tempre
digiuni, e non mai fazj di di- vorare fulle carte il tempo, e
l’ore. Quindi è, che veggiamo, che una fa- - tica, la quale fui
principio fu ftimara opra di pochi fogli, tratto tratto li avanzi »
e fi accresca in tanta gran- dezza, e mole, che a gran pena fe
ftelfa comprenda . Lo ftelfo eflere av- ' venuto a me io già divido; ma
non fo com’egli avvenuto fia . Perocché aven- do già per foddisfare
al gènio de* Depu- tati » incominciato a fcrivere una lette- ra
indirizzata alla Santità' Vostr a intorno al procedimento del Santo
Uf- fìzio nella noftra città di Napoli ; cer- to è, che io non ebbi
altra intenzione^ che di raccorre breve e femplicemente le ragioni)
ch’ella ne tiene. ..Indi po>i crefcendo da giorno in giorno, o
ciò folfe per l’ampiezza della materia > o per la
moltitudine delle ragioni, e va» rietà degli argumenti, e delle
autorità che fi recavano in prova; s’ è tant’ol- . tre la fcrittura
avanzata., eh* è -per comporre un volume intero .. Così io mentre
penfava di avere già compita tutta la fatica, volli ancora
inveftiga- r e la cagione, el’ origine de* movimen- ti > e
tumulti della noftra città, acca» » duti per tal procedimento
nel tribunale del Santo Uffizio ; quand’ecco che io conobbi-, Ae
vidi chiaramente, che la cagione-di tai tumulti altro non fia fra-
ta c che una tal gelofia, per così dire, di Scuole coll* occafione d' una
. cer* ta Filofpfia, nomata- comunemente Moderna, avvegnaché dia
fia anct» chiffima, e profetata dagli uomini mi- gliori, e più fa
vj della noli r a città. £ perchè la cofa o non è pur ben intefa,
ovvero fe intefa, per ambizione, por aftio, o per altra cofa, è
contrafiata a campo aperto, fono forzato, come av« vifai nella
fuddetta altra fcrittura > con quell* altra lettera, indirizzata
pari- A 2 racn- f i
mente alla Santità* Vostra, dimoi Ararne apertiflinumente la
verità. ( per ordine ancora datomi da’ medefimi De- putati )
acciocché niente li taccia per quello, che convenevolmente appar-
tiene alla difefa così della vita » come della fama de’ noftri cittadini
; e difen- dere un lungo ragionamento > per far palefe una volta
> e più chiara teliimo- nianzaal mondo dell* empietà della Fi-
iofolia Ariftotelica * « dell* innocenza di quell* altra che chiaman
Moderna; al di cui manifeflamento ben poteano dare opera gli altri,
e non ftarfene sì lentamente a ripofo in una caufa pub- blica, e di
tanta, importanza,• perla quale ne lìamo malignamente tacciati,
echi per Eretico» e chi per Ateo» fe- condo il livore» e l’ignoranza di
quelli banditori del Periparo; mentre vene fono pur molti
intendentilììmi di que- lla novella Filofofta, che meglio di me» e
più profondamente l’appararono» il che loro eforco a fare ugualmente,
per non cadere almeno nel bialìmo» che Ci- .cerone diede a
coloro, che appretto di fefolirengon na 'corti i tefori delle let-
tere!,, fenza farne partecipi gli altri ; così dicendo nell’orazione a
favore di Archia . Pudeat, ft qui ita fe litteris abdiderunt, ut
nibil po fjìnt ex bis, ne - que ad communem adferre fruSìum, ncque
in : adfpeSìum, lucemque proferì re . Ma non con animo, che pubbli-
candoli quella fcrittura » vi lìa taluno, che fcrivcndo full’ifteffa
materia, del- le medelìme co fe li avvagha, facen- done un’ altro
edificio, in cui non vi ila di nuovo che una deferente figu- ra, e
dimenfione. . . Laonde tralafciando la parte difpu- tabile,
dalla quale fempremai la veri- tà fugge, e ne va lontana, opponen-
doli ragioni a ragioni, . argomenti ad argomenri, e fpette volte iofifmi
co* fofifini pugnando » con aliai delibera- to conliglio ho, fcelta
la-parte idonea, in qua ponete, argumenta licei, non argument ari .,
La quale ettendo màe- fira della vita, e de’ tempi, e de’co-
A 3 ftu- fiumi allo ferì vere di Cicerone fteflò j
potrà affai bene acconciamente com- parire più fchietta, e più
finceramen- te difenderli avanti la Santità* Vo- stra la caufa
oneftilfima, e il diritto di quella Filofofia iniquilfimamente
oltraggiata dalla turba de’ Peripatetici . Così furon degni di grandiffima
lo- da tanti fcrittori, e Greci, e Latini ; i- quali all* i fioria
fi appigliarono, po- nendo perpetuo filenzio alle difpute, tormento
degl* ingegni delle Scuole li- cenziofiflime delle feienze : così
anco- ra fu degnilfimamente commendato an- che dagli eretici fiefii
il dottilfimoCar- dinal Baronio, il quale dovendo fcri- vere delle
colè appartenenti alla noftra Chiefa cattolica » lafciando a’
chioftri le controverfie, e le quefiioni, elefie con affai maturo,
e più fano avvedi- mento la parte ifiorica > per trarne le
confeguenze- più vere, e reali . Plus enim Annate s Baranti > quam
Contro - verfue Bellàrmini bar etici s necuerunt . • .£ qui io
avrei già finito, nè bifb. gnerebbe più dilungarmi : ma perchè
1* origine di tutto ciò è. d’ uopo che Ha palefe, prima di paflare
più oltre, e affine,,-cbe niente fi taccia per quello, che
appartiene alla difeia, così della vita, come della fama de’noftri
citta- dini; egli è neceflario far noto ancora alla Santità'
Vostra, che 1 * origine di quelli nuovi rigori dell' Inquifizio- ne
ella è data, che vedendoli pur trop- po fuora de’chioftri dilattate le
lette-, re, e propagata nella noQra patria la Filofofia, la quale o
fia. propria fata- lità / portando fempremai feco defla difagj, e
fyenture, come dice Boe- zio, Atque boe ipfo affine s fuiffe vtde-
mur maleficio, quod tua imbuti dìfcU pìtnis o Pbìlofopbia :o-fia per
propria- gelosìa delle fcuole degli altri Filofo-, fanti ; perchè
Nibil volunt inter borni' nes credi jmlius, quam quod ipfi te w,
nent / ha cagionato a’ medefimi fai movimenti,. che fi fon lafciati a
dire, .che quella fpffe di pregiudizio aliano* Ara fede, perchè da’
principi d’ A-ri-, A4. fio- . /•» »
Itotele lontana fia, come per la tanta autorità data ad Arinotele,
diede mo* tivo a taluno di dire fcherzando: Se»* %a Ariftotele noi
mancavamo di molti articoli dì fede : come fe quelli fof- fero
(tati cavati dalla dottrina d' Ari- notele, e non dalla facra Scrittura,
e da altro ; che tanto dir non fi po- trebbe di S. Paolo, quanto alcuni
han detto d’ un autore gentile, quando, come fcrifle un altro
autore, e con fenno : Sanila fanliorum non babet _ bete Pbilofopbia
. Ma prima di venire allo fcioglinaen- to di quelle vaniflìme
oppofizioni, egli è di bifogno ricordare alla Santità* Vostra,
quanto fia (tata commenda, ta la Filofofia non meno da' Gentili,
che da* fanti Padri medefimi . Ecco quel > che se diffe Tullio .
Pbilofopbia am vita parentem, et hoc parricidio fe ( quifquam )
inquinare audet y et tam impie ingratus effe, ut e am accufct, quam
vereri de ber et etiamfi minus per - cipere potuijfet ? S. Giuftino così
: Pbi- lo m I ! 9 lofopbìa
efl revfrà maximum lonutn t et poffeffio i et apud Deum verter abili
fi qua" ducit ad eum > et fi flit fola > et fanti i, beatique Htì, qui mentem et do-
nane. E più oltre: Nemo fine Pbilofo- pbia reti am rationem intelligit ;
quare omnes homines pbilofopbari % et barre pracipuam fanti ione m
ducere (de. San Clemente 1* Aleflandrino n* avvifa lo fteflò, e
Sant* Agortino parimente co- sì : Qui Pbilofopbiam fugiendam putat
% nibil vult aliud, quarti noi non
amara fapientiam . E 1’ A portolo quando dif» fe, Videte ne quii
vos decipìat per Pbi- lofopbiam t egli intefe di quella Filofo- fia,
la quale con folli argomenti da Sofirti > e fecondo lemalfime del
mon- do 6 produce ; il che chiarirtimo fi feor- ge dalle parole che
feguono, a ut ina • nem fallati am % fecundum traditionem bomìnum,
fecundum dementa mundi . 11 che vien dichiarato da Sant’Agoftk no
medefimo, detto luogo fpiegando: Et quia ipfum nomen Pbiiofopbia ft
con- fiderete rem magnam, totoque animo appetendam ffgnifieat (
fiquìdem Pbiìoì fophia e fi amof yfiudìumque f apienti* ), .
cautifftme Apcfialus h ne ab amore fapie a*, ti* deterrere videretur,
fubjeeit fecun - d*m dementa bujus mundi . . Egli è dunque
affai ben chiaro, che nè Satv Paolo, nè Sant* Agoftino, o niun
altro fanto Padre, Greco, o La- tino, abbia giammai pretefo, che
quel» la apparare non fi doveffe ; anzi che leggiamo tutto il
contrario, come s’è detto. Al che aggiugner u può - l’av-
vertimento di S. Clemente l’ Aleffan- drino fopral lodato; Pbilofopbiam
ante Domini adventùm, Crucis ad jufiitiam fui (fé neeeffariami nunc
autem ad pei caltum t et pietatem utilem effe (*j La m* * » i
j C|tt3e l • ...(*) Quello non fi vuol in terpefrar In modo, che S*
Clemente Aimafle, che I Greci fi giufti6catfe- ro per mezzo della
Filofofia .» Egli credeva, che la Filofofia remotamente gli difndnetfe
alla cogni- zione di Crifio, dando lor notizia del vero Dio, c
fomminiftrando loro i mezzi per isfuggire gli er- rori . Per altro fenza
la Divina grazia, la fede, la carità &c. non credette, che uom fi
giuftificaf- • fe. Vedi Naral Alefiàndro Dijfert. Vllh in Hijior .,
E cc kf. f*c. IL Digltlzed by Google qual co fa
ugualmente avverti il Cardi* nal Palla vicino : La Fibfofia nelle
dot- trine Teologiche è utile come i foldati frante ri negli
eferciti; cioè in maniera che fervano > ma non comandino . Im-
perocché a tutti fi permette la liber- tà di fìlofofare. Bona mene ( dice
Se- neca ) omnibat patet, omnes admittit, omnes ad hoc fumus nobile
r, nec rejicit quemquam Pbilofopbia, nec digit > omni- bus lue
et . Tanto maggiormente che la natuta invidiofà per così dire a li-
vellare i fuoi Segreti avarifiimaraen- te permette, che ora una cola,
ora un* altra fi fveli, come s’ è finora fperimentato per tante
ofiervazioni fatte e che fi fanno in molte cele- bri Accademie
dell* Europa, (copren- doli fempremai novelli arcani » non che
nuove, e plausibili opinioni nel- le Filosofie . Jn Pbilofopbia (
lafciò fcritto Seneca fcefio ) re maxima, et involai iffima, cum etìam multum atìum
fuerit, omnis tamen atas, quod agat, inveniet . Quindi Atenagora, che
det- tò k* tè un’ Apologia . a prò de’Criftiani
agl* Imperatori Antonino, e Commodo ambeduo filofofi, dille :
Nulìum in Pbilofopbia rcdundat Crimea .. £ più oltre così : Profeto
autem bac crimine vacat . Tutto ciò però intender fi dee per la
cognizione di quelle cole > che dipendono da caufe naturali, non
al* tri menti foprannaturali. Il che fu con- fiderà to dal medefimo
Seneca, ancorch* ei fofle gentile . Perfeveras ire ad bo~ nam
mentem, quam fiultum ejì opta - re, cum pojfis a te impetrare. Non
fune ad Ccelum eleva» da marnisi &c. £ pri- ma di lui avvisò
Simplicio, Eos folum de cauffis naturalihus pbilofopbari fiata «
ifie: nequaquam autem de Ut ^ qua fa « fra naturam exifiebant . r :
Ora fia lecito d* efaminare più efpref- famente, fela Filofofia, che
chiama» Moderna fia d* alcun pregiudicio alla noftra fede cattolica
. . Primieramente è neceflario, ch'io rinnovi alla mente
della Santità* Vo- stra quei tempi più frefchi, in cui sì
felicemente apparò le feienze tut- te, e con ciò : io rinnovèlli, e
rallegri infìeme . 1* idee della prima fua età ; perchè non v'è co
fa (come ditte il Cardinal Bentivoglio ) che maggior- mente I’
animo ricrei, che la memo- ria degli anni fcolarefchi, perchè ciò
egli non è altro, che un tornare a vi- vere quella vita innocente, e
piò lieta dell’ uomo. Si ricorderà dunque Vostra Santità», che
malamente quefta Filofofìa fia nomata moder- na, perocch* ella è più
antica, anzi la primiera d’ Bardefane, ed altri difenfori della
Religione, furono tutti Platonici • Ed a chi non è palefe l’A-
leffandrina fcuola in Oriente, ripiena di tanti fanti Padri, e tutti
Platonici? Origene, Clemente, Cirillo, Eraclio, Dionifio, Atanafio,
ed altri, io modo che Aleflandria, non meno per lofplen» dorè della
difciplina Ecclefiaftica, che della domina, fu dimata un’altra Ro-
i ma, e la feconda fedia Patriarcale do» po quella di S. Pietro .
Sant’Agoftino nel libro delle Confefttoni di fe fteffo, e \ d*
altri rettifica eflere flati Platonici, quando e’ narra la vilìta,
che fece a Si m> pliciano > maeftro dì Sant’ Ambrogio,
raccontandogli i libri eh' egli aveva letto de’ Platonici, da' Vittorino
Ora- tore Romano tradotti in Latino, che morì poco dopo d’elferfi
fatto Criftia- no . Sopra la qual cofa fè palefe anco- ra il piacere,
che ricevette Simplicia- no in fentire, che non era caduto nel- la
lezione d'altri libri di Filofofia, pie- ni di menzogne, e d* inganni; ma
lo- lamente in quei de' Platonici, che in* fegnavàno la conofcenza
di 'Dìo, e del Verbo Divino, le di cui parole fono qu ette:
Gratulatiti eft ntìbi, quod non in aliorum Pbilofopborum f cripta incidi
f- fem, piena faltaciarum, et deceptionum, fecundum dementa bujus
mundi : in illh autem omnibus in ftn aari Deum ' % et ejus Verbum .
Indi Agostino ileflo poi gli 1 chiamò i Filofofi di Dìo amatori ;
ed Eufebio nel libro XI. della Demolirà- zione Evangelica, narra,
commendan- do tanto le contemplazioui di Plato- ne, averle tratte
da’facri libri degli Ebrei, cioè dell’Ente primiero ndelPI- dee, deli*,
immortalità dell’ Anima, della produzione dell’ Univerfo,;del
bruciamento del Mondo, del R i forgi - mento de’ morti, della Terra cele
(le* e del Giudicio'. ultimo : il cbe vieti ri- portato ancora da
Teofilo Galeo in di- fefa della Filofofia Platonica; ed Eu- febio.
(lefib la difugualianza tra la Fi- lofofia Platonica,.e T Ariftotelica
in quella maniera divisò : Mofes, Hebra't- que Pro.pheta beate
Divendi finem tn P r ih mòdo • che fecondo la jua dottrina il Mondo
* non è già - una monarchia, ma poliarchia y o piuttòflo anarchia
p. ciò che -San 'Gregorio Na%i. anzeno ha' affai ben condannato . *
II, Platone chiama 'Dio nofìro fovra - no Padre:' Arinotele non
conofce ver fin Dio' per padre . 1 * «4 u«>v > -.-v. ->
III. Platone nel primo- libro della fua Repubblica affìcura,
- che Dio fia > una fo fianca (empiici fftma : • Arinotele ah
duo- decimo della fua 'Me taf (tea, lo pone nelC ordine degli
animali > e dell' effe n^e compone. B 3 IV- il
Platone nel [e fio della fua Re- pubblica, che Dio fta nofro fommo
be- ne : Arinotele al duodecimo, della fua Metafiftca, che' Dio fta
un bene, che conviene folamente al primo Cielo > del quale egli
è Motore. >, Platone nel quinto della ' fua Repub- blica y che
Dìo fta la fovraha Sapienza: . Arinotele y che. fta un' intelligenza,
che conofcendo le cofe un he rf ali » non, f appi a le. particolari
. • •**..« VI. Platone nel Timeo y che Dio fta
onnipotente,: Ari fot eie nell Opere fue, che, non abbia ' altra
potenza. > che di far muovere il Cielo.,Platone nel.Filebo,, nel
Soffia* e nel Parmenide % thè . Dio abbia crea- to le foftanze
incorporee: Ari fatele che tati . ? X; Piatone, che il
Mondo offendo' un corpo, abbia . una potenza finita: Ari-, (tot eie,
che il Cielo, e il Mondo abbia- no una potenza infinita dì muover fi
. XI. Platone y che il Cielo, e il Mon- do^ come corporei
ftano corruttìbili • A* tintotele incorruttibili « - = XII.
Platone, che- Dìo [taf opra ogn\ e fiere, J opra ogni foftaitzai
Arifioteic-y. cbe’fìa falò foftanza . ^ X /. . Platone che
hi fogna pregare D.io .a fiacche ci ' faccia buoni.: Anfiote
- le,, che Dio. -non .poffa- fentire, le no fi re preghiere, non
conofcendo le cofe parti» eoi ari . XXllvPlaton* i/ebe p uomo
di buo- na vita. i:. fta gradevole' a Dio: Art fia- te le, che non
.io gradifc4-\ t % 'non cono» fcendolò\ «'Vi (. ^ viv, Platone, che dopo
morte, 7* anime de * malfattori fatto gafligate : ' A- ri flot eie-,
ube /’ anime e fendo corrotte Col corpo i non -patif canti- più altro .
XX^fV.- Piatone y^ thè, i' morti rifer- gerantio' 1 Arijìotele, che dalla
privanti* otte all'abito non vi fia "rif òr pimento . Piatone, che V
anirne derub- ili faratino collocate in luogo y dove fa- ranno
molto' felici i' Arinotele non cono- fce alcun- luogo di quefia fori a .
Quindi il Sidonio-difle, Explicatut Plato, ìmpiicat ut Ari fot elei, 'e
il Pei trarca del difcorfo dell* ignoranza di fe ftefloy e d’altri,
attéfta, che Pia* toner» Divinum, Ari fot e lem Damo» iuta Grati
nuncupabant ; e però nel Trioni» fo della Fama, così di lui.
degnamene te canto: A • • t I n it . V'olfimi dà man
manca, e vidi . Plato, Cfo n quella fcbiera andò più prefr, . fo al
fegno, . s «* 4 / ?«*/ aggiunge, a chi dal cielo ...... ^ dat o •
.. E fi- *, £ finalmente tutti concordano, che la
Filofofia di Platone fia fiata la più favorevole > ed acconcia, e
quella d* «Ariftotele la più contraria, e pregiu- diciale alla
dottrina della nofira Chie- fa cattolica, E Sant* Agoftino attefla.
Platonica f amili* Pbilofopbos facillìme omnium, paucifque mutatiti r
fieri poffe Cbrifiianos, Anzi un Autore, che fé* ce una
Diftertazione del modo di ftu- « \ 1 diare la Teologia,
impreca coll’altre di Ugone Grozio De Jìudiis inflit uendis,
vituperando aifatto la Filofofia Ari» fio te lica, e ragionando egli
degli anti- chi Filofofi Crifiiani, così dice \ \Qm quis effet Arifiot
elicti s, eo minus • Còri- flianum fuiffe E, de’ Padri foggiunge :
Olir» multi viri pii, (S doElì % Origene: t Clemens Alexandrinut,
Jufiinus, Augu - jlinu !, et alit y ex Plafoni s fcbola ad £c-
clefiam Cbriftianamtranfierunt : f ed nul- li y aut certe pattei ex
fcbola Ariftotelis, qui metaphyftcis ejus fpeculationibtn, et arguti is inferii erant . E il medefimo
Autore dice f che Pietro £amo era -fi d’opi* Digitized by
Google d’ opinione, che fi dovefle bandire da T tutte le
Scuole, ed Accademie la Me-t tafifica d’ Ariftoteleu Petrus Ramasi
I ( fono parole dello fleflò Autore ) stiri do fi us,
et perfpicacis in Philofopbia ju- dici't ( luet Ariftotelici contra
fentiant ) Tbeologiam illam, quam ? Arinotele s in Metapbyjica
docet » impietatem omnium impie tatum maxime execrabìlem, et de->
tefiabilem effe confirmat, adeoque ex A- cadem'ùs exterminanàam, ut a
multi s fa- flit atum efi . Avendo egli ancora propo- fto>
fecondò l'ufo dell’ Uni ver (Ita di Pa* rigi, primach’ ei fofle creato
Maeftro, e primachè caduto fofle nell’erefla, pub* bliche
Conclufioni,per le quali foftenne, Qutecumque ab Ari jlot eie dì fi a
funt^falfa 4 et commentiti a effer, e perciò ifuoi fcrit- ti in
Francia in grandiflimo pregio fono tenuti . £ di Guftavolte di Svezia
rap* porta il medeflmo Autore > che Omnes Metapbyficas a regno
fuo expulit t et exfu- Idrejuffit . Come primamente Antonino
Caracalla, conofcendo ancor egli quefra verità, vietò affatto l’
Accademie de’Peripatetici, 'facendo bruciare ancora tutti i Iibrrd’
Arinotele . E Pietro Poi- ret nel libro de Deo, le diede più. che
bando dalle fcuole con quella ’ defini- zione: Pbilofopbia e fi
contemplatiti, vel cotnpages nugarum Scbolafìicarum ) Ari -
fiotelicarutii t vel fimiVtum, ad oblivi] ce n- dum Dettm, mentemque
tumidi s tenebri! t et inquieta - pet ulani ta implendam ; In modo
che da’ mèdefimi Eretici fi con- feda edere la Filosofia Ariftotelica
dan- nofilfima al Criftianefitrio. : £ chi potrà giammai
dubitare, che la Fftofofia Ariftotelica- fia Hata l’uni- ca e fola
cagione, anzi l’origine ftefta di tutte 1* creile, eflendo ciò mani
fe- llo per l’autorità di tutti gl’lftorici, e di tutti i fanti
Padri, ' che in quei tempi fiorirono, i quali erano preden- ti alle
difpute, e ne’ Concili ftefti per confutarle ? Aezio Vefcovo d*
Antio- chia ne’ primi tempi appunto della no- ftra Chiefa, non fu
egli Eretico, e poi foprannomato Ateo: Astìus Atbe- usì non
peraltro, fe non perchè troppo addetto alle Categorie d* Arinote- le egli
era, come nota Svida; ed Epi- fanio, e Gregorio Nifi'eno lo ftefio
afr fermano.. De Chrijìo magis Academico t quant Eccleftaftico more
f ape differebat . E fattoli pertai fofifmi Eretico, e poi Ateo,
coro’ è detto,; fu. privato della Chiefa, e la fua fetta,,ch’è la
ftefla, che l’Eunomiana, detta da Eunomio fuo, difcepolo, e
compagno nell’erefia; fu fino alla morte perieguitata dagl*
Imperadori Onorio „ è Arcadio ; e Te- miftio Ariftotelico, come nota
Svida ftefio, chefcriffe fopra il trattato del- la Fifica ». dell*.
Animai» e d’altri libri d’ Arinotele, fu Eretico, come Gio- vanni
Filopono. ; N ice foro così d’eflb loro dicendo : Johannes ifte Philopone
- us Alexandrìnus, . ita ut diximus T rithei- tarum i hdereticorum
pr afe Bus fuit, prò- inde atque olim Tbemiftius Pbilofopbut jub
.Valènte Agnoetarum feft et, qua conventi» lucis ad Be- Hai? £ S.
Gregorio Nazianzeno ugual- mente ne fa molta doglianza, dicendo :
In Ecclefiam irrepftffe captiones fopbiflicas, ac pravum art if cium
Arinotele# artìs, et bujus generis alia, veìut ALgyptiacas quafdam
piagar . E altrove così . Abjice Ariflotelis minutiloquium, Jagacitatem,
et art ifi cium: abjice mortale s illos fuper Anima fermones,& human
a illa dogmata. Ed in altro luogo deteftando in tutto e per tutto
Ariftotele il chiama Struggit »• re della provi de n^a Divina . Ireneo
in in quefto modo ne parla: Minutiloquium, et fubtilitatem circa
quajìiones, cum ftt Ariflotelicum, fidei inferre conantur :
Lattanzio così ; Arijlotelem de Deo ìpfum fecum dtfftdere, et repugnantia
di- cere t et Jentire immo Deum nec colu- ti, % nec curavit « San
Girolamo ad Eu- ftochio feri vendo : Attende et tu fa - tuorum
fapientum princeps Ariftoteles . In altro luogo . Omnium b*reticorum
do- ppiata fedem fthi et requiem inter Art - fiotelif, 0 Cbryfippi
[pineta reponunt, et Ut fub diem cunfia concludam fer mo- ne, de
illis fontibus univerfa dogmata argumentationum fuarum rivulis . trabunt
. E femprcmai.con aperto vocabolo Gi- rolamo fteflb verfutiet
chiama gli ar- gomenti di lui. Origene ne* libri ch’ha fatto contro
Celfo, grida in più luo- ghi contro d’ A ri Itotele come nocivo al
Criftianefimo > e la maggior parte degli altri fanti Padri fono del
mede- limo fentimento, come Sàn Giuftino nel Dialogo per la verità
della religio- ne Criftiana- con Trifone Giudeo : S. Clemente
PAleflandrino nelfuo avver- timento, . che fa a’ Gentili ; Eufebio
in più luoghi delle fue Opere: Sant’Ata- nalio contra Macedonia no
: San Gre- Digitized by Google gorio Ni fieno eontra
Cunomio : San Gregorio Nazianzeno più voice nelle fue Orazioni ;
Sant* Epifanio ne* libri contro l’ercfie : Sant’Ambrogio di nuo- vo
ne* libri degli Uffizi : S Gio. Grifo- ftomo fall* Epistola a* Romani ; e
fo- pra tutto, quel» che ne feri fie Tertul» liano in più d’un
luogo nel libro delle Prefcrìzioni, e dichiarando egli quel di San
Paolo, Ne quii tot decipiat per Pbilofopbiam, intende egli quella
d’A« riftorele vana, e fallace per fentenza di tutti. Quindi
Cirillo l’ A leflandrU no gridava.* Heeretici- nìbil aìiud, quarti
Arifiotelem ruSlant . E Sant’ Ambrogio con ugual fentimento, e colle
lagrime agli occhi dicea, Reliquerunt Apofiolunt » fequuntur
Arifiotelem . E fra Moderni Melchior Cano così ; Habent Arifiote-
lem prò Cbrtfto, Averroem prò Retro, et Alexandrum prò Paulo . E tant'
ab tri, i quali l'hanno riprovato, e con* futato, foto per timore,
che non s’irn- primefle al Criftiano un carattere deb fa fua
dialettica » per efler tutta con» *• C tra- traria
alla femplicità della fede > la qua» le altro non richiede, che una
umile fommiffione» e totale credenza, fenza veruno ragionamento, e
difcorfo uma- no . E finalmente lafciar non fi dee ciò, che ne
fcrifle S. Vincenzo Ferre-- rio » che fremeva contro un tanto abu-
fo nelle Scuole . Quel Predicatore io dico tanto zelante, che introduce
la vigilanza dell’ Inquifizione .per man- tenere la purità della
fede, non appel- la egli queft-a dottrina d’ Arinotele, e quella d‘
Averroe fuo feguace, Pbia ìas ir che nell’ anno MCCIV. fotto Filip-
po ;1* Augufto, per pubblico confi- gli©,' come dannevoli alla noftra
fe- de i libri della Metafilica, che al- lora folamente veduti
s’erano, e tut- ti gli altri ancorché, non veduti, e foflcro per
^comparire, fu ordinato > che fi ì mandafiero alle fiamme . Ec-
co le : parole ., dell’ Iflorico riporta- .te dal medefimo Padre Petavio
> in diebus .uillis .legebantur, Parifiis. li- belli quidam ab
Arinotele > ut dice ? » C i ban- bamur, compo fiti t luì
aocebdnt Meta - pbyftcatn, éf 4 Graco in Latinum translati;
qui quoniam non folum pre- dilla bareft fententiis (ubtitibus occafto
* **0» prabebant, ò»/»o 6 * 4/»/ sondane investii pr abere poter
ant, jufi funt 0- mnes comburi t et fub paena excommuni- eationis
cautum eft in eodem Concilio, ne quìi de cetero eoi fcribere,
legere fra fumerete vel quocumque modo b abe- re. Esfei anni dopo
che fu condanna- ta ia Metafilica dei medeiimo, il Car- dinal di S.
Stefano mandato in Fran- cia da Innocenzio III. in qualità di Le-
gato, proibì a* Profeffori dell* Oniver- fità di Parigi d’ infegnare più
la Fifica del medefimo Arifrotele, il che fu con- fermato poi per
una Bolla di Gregorio IX. come ancor prima per lo Concilio •Tu rose
fe fotto Aleflandro IIL fu pa- rimente vietato leggerli più la
Fifica a’Religiofi ; quindi dall* Università del- la Facultà
Teologica di Parigi, c da Francefco primo fu fcabilito > Che s*
r Digitized 37 infognale la f 'anta
Scrittura, i fanti Canoni > i fanti Padri, la Teologia an- tica
con tutta la purità e femplicità pofjtbile, e che fe ne sbandi (fero
tutte le vane fattigliele, come riferifce coll* autorità di molti,
M. Baillet . Alma* rico ( narra il medefimo Ifrorico, ri* portato
dal P. Petavio (tetto ) non fu egli eretico, come feguace de*
princi* pj d* Arifrotele? Simone de Turne ce* iebre Profettòre di
Teologia della me- defima Univerfità di Parigi, e David Dedinant,
poco tempo dopo, non fu- rono acculati per eretici, come trop- po
attaccati, a* fentimcnti d* Arinote- le ? Gli Abailardi t i Lombardi, i
Poi- * tierfi, i Porretatii» come Iettatori del medefimo, non furon
eglino eretici ? Quefte fono le parole del prologo del libro contro
le fentenze de* medefimi condannate « Quii quii hoc legerit, non
dubitabit quatuor labyrintbos Francia, id efl Abaelardum, et Lombardata,
Pe- trum PìEìavìnum, et Cilbertum Porre* tanum uno fpiritu
Arijìotelico affiatos, C j dum 3 * . dum
ineffabtìia Trmitatis, et Incarna- tionìs fcholaflica levitate t
raffi arcnt, multai barefet olim vomuiffe, et adbuc errore s
pullulare. I Luteri, i Calvini, iMelantoni, i Buceri, i Zuinglj, e
' gli altri loro feguaci, ancorché apparen- temente fi
dimoftraflfero nemici. d’Ari- ftotele, gettarono, e coltivarono i
loro velenofi Temi, non con altri ^principi fe non 'con quelli
d’Ariftotele ftefio . I Pomponazj, i Porzj, ed altri traligna- rono
da’ veri fentimenti deirimmorta- lità dell’anima, non con altro errore,
fe non con quello d* Ariftotele medefi- mo . I Serveti, i Socini, i
Poftelli, non con altra direzione che di lui ftefio divulgarono
que’ loro pefiimi ritrovati ; e fceleratifiìme innovazioni alla noftra
Religione . 11 Macchiavellifmo, ch’è lo ftefio che l’Ateifmo Exiit ( dice
il Campanella, col fentimento ancora di Melchior Cano, dottifiimo
Spagnuolo, ed uno de’ più facondi Scola dici del Tuo tempo, ed il
maggior ornamento della famiglia Domenicana, degnifiimo Vescovo nell*
Ifole Canariè, e fu eziandio uno de'Padri, che intervennero ahCon-
cilio di Trento) exiìt t torno a dire,, ex Pcripateticifmo - Il
quale aggiunge anco- ra : Ex Arinotele nata funt in Italia pe*
fiifera illa dogmata de mori alitate animi, et divina circa res bumanat
improvi dea- tia. £ Seneca ancorché Stoico, perchè la Filofofia
Stoica alla Criftiana li ag- guaglia,' come dice Girolamo il Santo
nelle Aie Epiftole » non fu valevole ar cancellare dal cuore di Nerone
Aio di- fcepolo que* peftilènriflìmi. fentimenti, che
imprefli. gli *avea. Alèflandro d\E- gea Aio primiero maeftra f efilofófo
Pe- ripatetico. Come Peripatetico fu ancor ' Sergio, il
maeftrcnperfidilfimodi Mau- mety il che* vien -riferitò da Pico della
Mirandola ; avendo ancoi egli ( Arido* tele io dico) d’ una maniera-
infegnato la fua Fitofofìa ad Alèflandro, e d’ um al- tra in Atene,
quafi che varia, ediver- fà la.lnat ural Filofofìa infegnar fi
dovef» fe ad un Principe ciré al popolo ; del che molto-de me.
querelò «Alèflandro • cor» 4 ® . Arinotele fteflb, il quale fu
atnbiziofó nel dominio delle lettere, come fa di più mondi .
£ il Carpentario, an- corché eretico, nel principio del libro
della fua JFilofofìa libera, non dice li- • \
bera mente così tjQuis enim ita ferver fi genti e fi, qui mecum
nitro non fatea* tur., Pbilofophorum Principi ( d* Arino- tele ei
parla )) ut bomini multa falja » et erronea ; : ut etbnico, et pagano
mul* ta impia, et profana ; ut primo in* fìauratori multa . manca,
et $mperfe * fi a excictife». £ il Padre Petavio ftef- fo, torno a
dire, il genio veramente della Teologia * e delle feienze, il qua-
le degnamente appellare fi dee il fior degl’ ingegni, e ’1 primiero
letterato tra i Padri Gefui ti, allegando l’auto* rità. d’Anaftafio
Sinai ra, non dice egli così ?, Anaftaftus Sinaita . in eo libro
quem Via: Ducem nominavif, tefiit e fi, ha* reticos omnet, qui vel
contra Incarna* tionit dogma nefarium movere belìum, ex ilio Ari
fìat elico fonte fuxiffe . Indi egli è, che 1\ Autore fiefib della
Filo- Digitized by Google 4 * . fofia
volgare re fatata ; così contro i fetrarj del medefimo grida : Et
adbuà Arifiotelem leghi s t interpretamini, de- fenditi !, et exornatis.
Quindi egli è, che da’fan ti filmi Pa- dri medefnni, e da molti
favillimi, e dotti (fimi Autori è (lato ancora nota- to di
gravifiimi errori . S Giuftino fcrif- fe tutto un Trattato contro i dogmi
a e le fentcnze d* Arifiotele, nel princi- pio del quale così
ragiona : It nibil dà rebus, quas definiendas ftbi commenta -
tionibus fui f ftatuit . San Cirillo nel li- bro contro a Giuliano fra i
Filofofi » eh’ hanno errato, principalmente ri- pone Arinotele . E'
perciò molto deri- fo da Bafilio, e particolarmente per quello, eh’
egliafierì intorno alla Ma- teria prima, e che la materia abbia una
limpatia naturale d* unirli i e per- fezionarti colla forma - Eufebio nel
li- ti ro della Preparazione dell’ Evangelio* e in quello contro i
Filofofi detefia non (blamente la vita» i cofiumi, la Filo- fofia
morale > e naturale ; ma la fua Metafifica, come una pelle delle
Re- pubbliche. Lattanzio Firmiano il dan- na come Sofilla ., ed a
fe fteflo contra- rio . Ambrolio ugualmente come va- rio, e
incollante.- Come menzognero, efavolofoil riprendono Ago (lino, Teo-,
doreto, S. Bernardo, e il .Beato Sera- fino da Fermo . San Tommafo
allegane do Agoftino medefimo coll’autorità del Gcllio, prova, che
fia un impoflore > come rapporta il Campanella.. Scoio, e
Francefco Mairone, come un igno- rante affatto della Metafifica, e che
le cofe tra effo loro repugnanti a-yefle ap- provato . Gio. Pico
della 'Mirandola, e Francefco Patrizio il riprendono nel- la
Geografia, e nell’ Agronomia, nel- le Meteore, nejl’jftorie degl’
animali; e eh* egli abbia ! malamente creduto, che la terra fia più
elevata verfo il Settentrione, che altrove.* che’l Da- nubio prenda
l’origine da’ Pirenei . Pie- tro Gaflcndp lo biafima nell’errore
in- torno alla Galaflìa, all’ origine' delle Vene, c jje* nervi del
cuore t c in mol- . . •> te s V
N te altre fimili cofe .
Telefio, Duran- do, Baccone, Baffone,. l’ Harveo >• Cherneo,
Galilei, Maurneo, e Pie- tro Alliacenfe, e Niccola di Cufa Car-,
dinali, ed ultimamente il P. Valeria- no Magno, piiffimo, e dottiamo
au- tore Cappuccino, che fu Miffionario al Nord, il confutano» l’
acculano, e lo tacciano di molte altre limili fcioc- chezze . La
fomma, e la foffanza fia, dice il medefimo Gaffendo,che non v’è per
fona, che fenza roffore diffen- der lo poffa, nè fenza tema, e nota
ef- preffa d’infamia, e di vituperio, che l'eguire lo voglia nell’
impoffibilità del- la creazione per lo ftabilimento del fuo
principio, che noii fi faccia niente dal niente: che il Mondo fia eterno»
e l’a- nima mortale : che la previdenza di Dio fia talmente
limitata nelle cofe ce- letti, che non fi eftenda più di queir lo,
ch’è fopra la Luna, negando an- corai’ idee, e confeguentemente il
Ver- bo di Dio, non che Dio fteffo auto- re di tutte le cofe :
l’efiftenza degl’Angeli, de* Diavoli!, l’Inferno, eia gloria beata,, e
con ciò le pene adat- tivi, e i premj a ’ buoni . Inferni, et Supere s, effe fabulas Legislatori! e'
dif- fe nel libro II. e XII. della fua Meta- filica. £ tutto ciò o
fia propria difav- vedutezza, o fi a perchè fi ano fiate trafilate,
e guade le fue opere, co- llie vogliono alcuni, perocché egli fa
uno de’ maggiori Filofofi della Grecia» di cui molto n* hanno celebrata
la fa- ma, e la dottrina, come dice Macro- bio : Nibil tantus vir
ignorare potuit * Certo egli è nondimeno, che leggia- mo predo
Diogene Laerzio, antichif- fimo autore, che Cleante Stoico fin
da’fuoi tempi dir folea, Peripateticit idem uccidere, quod litteris, qua
cum bene fonent, fé ipfas tamen non nudi*- unt * £ che il medefimo
Arifiotele fof. fe fiato chiamato in giudicio a pena capitale dagli
Ateniefi, per non poter (offrire anche nella loro politica, e falfa
religione quei bugiardi, e corrot- ti principi d’ Arifiotele, diruttori
per così Digitized by Google così dire
dell* uomo, e di Dio freffo } la qual pena egli fchifò colla fuga .
Per la qual cofa in quella maniera fcla- mò il Campanella di fdpra
lodato; Et nos Cbrtfiiarìt retinebimus tanquam ma - gijlrum, ne àum
tontra Patres > et Con- cilia / aera jubentia, quod jubebant A
*> tbenienfes ; et quod jus : naturar damnat in illis, fciolonm
au£lori%abit in nobisì Abfit Cosi il fuo difeorfo conchiu* dendo. O
Ecelefia prudente r paftores, et o prudente s priucipes, vefirum
eft banc domenicani perni eiem agnofeert » et prodigate . : i
. £ quel, che maggiormente reca maraviglia egli è, che quei
medefimi, che 1* hanno comentato, difendono Platone, dove Aratotele
lo danna, e quei > che 1* hanno feguifato in molte cofe, non
folamente 1* hanno contrad* detto y ma 1* hanno quali infamato .
Alberto Magno l’arguifce, Quod ani- mai Coeli mot or e m facit . San
Tomma* fo lo beffa, Quod bine Mundi eterni- tatem adferuit >
illine animarum immor • 4 « . . t alitatevi fili
contradixerit . Scoto il fot- tiliffimo Io. fchernifce, Quod tam in
- conflanter de anima fenferit . E quel, che fommamente notar fi
dee egli è, che il mentovato Alberto Magno, tan- to feguace d’ A ri
(lo te le, per lo dubbio, ch’egli aveva» fe bene, o male avef- fe
ragionato, in quello modo prote- •ftandofi ne’ Tuoi comentarj,
conchiu- fe : In bis nibil.dixi fecundum opimo- nem me am propriam
; fed juxta pofitio - nes Peripateticorum ; et ideo illos l.au- det,
vel reprebendat, non me . Quindi S. Tommafo fteflò, difcepo-
lo d’Alberto Magno, fi avvalfe nella fua Teologia di quella Filofofìa, e
di .quella morale d’ Ariftotele, che più. purgatamente fu difcefa
in compendio ! da S- Gio. Damafceno, avendo da ef- • et * % «,
v - ^ * W fo prefo un modo, più particolare, e (incero ; e il
Campanella afferma, che S. Tommafo . Nullo palio putandum efl
Ariftotelizaffe ; fed tantum Arifìote- lem expofuiffe, ut occurreret
malis per I Arifìotelem illatis. E S. Tommafo me- Digltized
by Google 47 defìmé^iì lamentò molto con altri
Fi- lofofi più giudiciofi del fuo tempo, che gli Arabi, e i
Mori colà nell' Àfri- ca avevan contaminata laFilofofia, e T Opere
tutte d’ Ariftotele, per non faper eglino molto bene di Greco; per
la quai cofa Giovanni Lomejero nel fuo libro della Biblioteca n* avvisò
; Qtiod fi Graca exemplaria corrupta fue - runt, quid de bis
putandum e fi, qua in Lattnum.converfa funt ? Sed melius cum eo a
Slum efi, qtsam cum aliis, . quo* rum opera funditus perierunt, et ipfe
c auffa cxtitit cur multa per irent, qui aliar um gloriam adfetraxit ..
Indi Monfignor Ciampoli chiamolla Filo- fofia Morefca t Monfignor
Minturno Barbarica, e tutti Pagana-. E ben- ché in «tempo poi dello
/cadimento dell* Imperio, e dell; Imperatore Pa- leologo >
venuti alla noftra Italia i Greci filosofanti, e, fcienziati, forte
ri- fiorita; la nobiltà dell’ idioma Greco 9 delle filofofie, e
delhaltrd Scienze, ap- prettano! già eStinte* e tamraerfc coll*
♦* innondatone de* Barberi ; eglino parò fi
manifeftarono gagliardi difenfori del* la Filosofia Platonica » e
particolar. mente il Cardinal BeiTarione Arcivef* covo di Nicea, e
il più dotto tra elfi fai merito di cui tolfe il Papato laru*
fiicità dell* Arcivefcovo Perotti Tuo fa* migliare » e concia viftaj
dicendo in pri* mo luogo contro i Peripatetici, eh* e* glino
.malamente . Conantur Ariftote • lem ex gentili) et infitteli Apoflolum
f& sere . Quoniamfides nojlr * Religionis cum Feripatcticorum
dottrina no» convenite Ne formò molte E pi (loie ; il quale fu poi
feguitato da' maggiori ingegni Italiani» cioè da Marfilio Ficino,
Gio. Pico della Mirandola, e da altri cat- tolici, e
particolarmente da Niccola di Cufa, e da Pietro Bembo ambe* due
Cardinali ; il quale contro d* Ari* itatele così fclamò: Fovemus
ferpentem inter vifeera noftra . Di maniera che vedeli per lo più
Tempre ofiervata là Platonica t la Democritica, e 1' Epi- curea
Filofofia « e (fendo che fono tut-
te uniformi in concedendo, che gli Ato- mi foflero i primi
principi di tutte le co fé corporee, e che il fovrano bene del
piacere non confìtta ne’ diletti in- degni, e brutali ; ma (blamente
nell» animo, e nella vitaonetta, e tranquil- la della virtù : non
come altrimenti voleva Arittotele, conti* è detto . .Fu notato
bensì Epicuro per così dire pla- giario > avendo pubblicati per fuoi i
li- bri degli Atomi di Democrito, «dan- nata in lui l' opinione
della mortalità dell’anima . Gii altri fuoi fentimenti, per la fua
moderazione, e moralità, fembrarono così giutti, e ragionevoli a
Girolamo il Santo, che propofe a* Crittiani di fuo tempo la lezione
de* fuoi libri ; e da molti fanti Padri eì fu commendato . E San
Gregorio Naziao- zeno, così ne ragiona: jQuis crederete Mode rat us,
et cafìus dum vixit fuìt fi- le, dogma moribui probans. E Sant’Am-.
brogio ancorché più fevero d'ognaltro fanto Padre, e nelle Filofofie più
ri- gido» pur egli ftimò effere più cpmpatìbili gli orti d’Epicuro, che
d’ Arinotele i portici, come affatto danne- voli non che pericolofì ;
perocché ne* libri degli uffizj al Cri diano apparte- nenti » così
n’ avvisò ; Epicuri Hortot tolcrabiliorcs effe Lyceo Arinoteli; .
Il che rien confettato ancora da Lattan- zio » e da Origene contra
Cello . Ari* Jlotelem effe deteriorerà Epicurei / . Que- lla
Filofofia adunque d’ Epicuro, o fe altrimenti chiamar fi voglia
Democri. tica » vien molto largamente di vi fata, e comprovata
dall* incomparabile Pier Gattendi > Canonico, e poi Propoflo
nella Chiefa di Digne fua patria, Teo- logo, e profeffore delle
Matematiche feienze in Parigi» il quale fu di pura* e cadiflìma
vita, e uno de* più illuftri ornamenti della Francia» o quali
l’ora- colo detto delle lettere del fecol no- Uro» di cui
giudamente dir li potreb- be, eh* egli intorno alle cofe filofofi-
che » e feienze Matematiche ne diede il giudicio cóme Pittagora, e
fpiegol- le come Platone . Indi il volere qui ri- pe.
5 1 petere, anche in menoma parte quel* 10, eh* egli
medefimo n’ ha fcritto, farebbe un ridire miferamente ciò » eh’
egli felicemente ne diffe ; e tanto mag- giormente, quantochè noi
richiede la prefente fcrittura, per edere il tutto notiflìmo alla
Santità' Vostra. An- zi in qualunque altra occalione che fofle,
farebbe un cimentar la propria ftima, ed acquetarli certamente la
rota di temerario, e d’arrogante. Ma da lecito farne qualche parola, e
dir folo > che il Galìendi avendo apprefo nelle, fcuole la
Filofofia d’ Ariftotcle, e da eflo poi tutti i varj fiftemi degli
antichi Filofofanti, per quanto gli fu permeilo dalla condizione umana »
e dal fuo proprio intendimento » e abi- lità ; volle dopo feguitare,
e perfe- zionare quella d’ Epicuro, come piti acconcia, e
proporzionata Filofofia d’ ognaltra, ammettendo gli Atomi principi
di tutte le cole corporee ; come fende di fe Giacomo) Colonna
11 Vefcovo al Petrarca: Da Se 5
* Se le parti del corpo mio diflrutte, E ritornate in atomi
> e faville . Softenendo però, che Dio gli abbia creati, e
che Dio averte lor dato il movimento) e il dirtendimeato, e la
figura. E che il corpo umano, fia di minu- ti ffime
particelle coni porto, leggefine* libri del diritto Civile, e
propriamen- te nel Titolo de judiciis, nella Lege ' Proponebatur,
così dicendo A 1 fono Var- rò, gran Filofofo, e gran Giurcconful-
to, e Confole di Roma, Quod fi quis pittar et, partibut commutati s,
aliam rem feri: f ore, ut ex ejus ratione nos ipfi non idem eflemus,
qui abbine anno fuiffemur, fropterea quod, ut pbilofopbi dicerent,
ex quibus particul'ti mìnimts confliteremus, bue quoti die ex
noflro corpore dee e dere nt, aliaque extrinfecus in earum locum
acce* derent. Ouapropter, cujus rei Jpecies e a- dem confifieret,
rem quoque eandem ef- fe exifìimari &c. Quelta Filofofia
è (lata feguitata / v in io molte i e quali
innumerabili carte- dre dell’ Europa, e ballerebbe fol di- re, eh*
ella non è altrimenti proibita da verun Pontefice voftro predeceflb-
; re; anziché quali in tutti i luoghi cat- tolici pubblicamente s’infegna,
ù. ap- para, e li profèta . Sia ancor lecito aggiungere a tante
dottrine che li ad- ducono dal mede fimo G a flcndi, e da altri,
per corroboramento di tal Filo-: fofia, un’ altra autorità di S.
Grego.: rio Vefcovo di Nilfa, la primiera «fé-: dia della
Cappadocia, il quale viveva nel quarto fecolo, fecondiamo di tan-
ti e tanti fanti Padri, e Dottori della noftra Chiefa, fratello di S.
Balilio il grande, e di S» Pietro Vefcovo di Se perocché egli
diffe: Fuit fuhita, urgebat, nova rei fui fa - bat aures . £
finalmente foggiunfe, Che Veritas placet, et vincit . Carte - fius
bene intelleflut, nibsl cont'met ma- li . Onde ravvedutili gli altri, fi
di- chiararono ugualmente Cartefiani . ^Soggiungendo ancora
altriTeologi, che fentimenti di Renato intorno all’efi» ftenza di
Dio fi conformavano con quei medefimi di Sant* Agostino, diftefi
nel librò X. della Trinità > e -propriamente nel capitolo X. Ed un dotti
f- fiimo Padre, di cui ne lafcia il no- me lo fcrittore della vita
di Rena- to, vi aggiunfe molte altre limili dot- trine > eh’
egli aveva ritrovato in pro- va delle opinioni di Renato ; in mo-
do che ciò fu di gran gioja.a Rena- to fteflò, in fentire, che i fuoi
penile- ri erano uniformi con quei di Sant’Agoftino, e di Sant'Anfelmo
nel libro, detto Profologio, e d’altri fanti Padri. E per li
fentimenti dell' anima io vi aggiungo Glaudiano Mamerto, uno de’
più celebri fonti Padri, . che fiori nel quarto fecolo ftefiò della noli
ra Chiefa, che compofc un divinilfimo Trattato dell’anima t in
confutando quell’ enormilfimo errore di Faufto, Ve f covo di Rems
nella Francia, che tenea quella falfiffima opinione >xhe nelle
creature non vi fia niente d’ in- corporeo; ma Solamente in Dio . Quello
Trattato fu dedicato. a Sidonio Apollinare, amiciflimo di Mamerto;
.ed egli è molto elegantemente, e con foni- fommo
giudicio, e finimmo • ingegno dirtelo, in cui trattanfi le
queftioni metafifi che con ogni chiarezza, e fa- cilità poflibile
in prova dell’immorta- lità dell’ anima in modo che non vi è fiato
chi migliore, di lui ciò abbia comprovato . Fondando egli con ro«
bufiifiitne ragioni, che l’anima operi tutta intera ne’ Tuoi movimenti:
che non fi mova nè verfo l’alto, .-nè ver- fo il baffo, o altrove ;
eh* ella non fia nè lunga» nè, larga, nè più alta r eh’ ella non
abbia parti interne, nè efierne ; e eh* ella penfi, ella fenta,
ella immagini, e penetri tutta in tutte le fofianze : eh* ella fia
tutta intendimento, tutta fentimento, tut- ta immaginazione, tutta
di. qualità» e non altrimenti di quantità; e final- mente, che fia
immagine di Dio » e confeguentemente incorporea, e im- mortale. Et
quia imago Dei efi, non e fi corpus . E che però cerchi Tempre Dio,
e defideri conofcerlo, non con al- tra immagine di Divinità, chedelia
/ua 6o propria ; e che fola mente il corpo fi
tnifuri per lo fuo di (tendi mento in lunghezza» larghezza, e profondità,
e con altri fomiglianti principi, de* quali fe la maggior parte fi
veggono nelle Meditazioni, e negli altri libri di Renato » dir fi
potrebbe, o che Renato gli abbia stolti da Mamerto, ò ch’egli abbia
avuto un ingegno geo» metrico » giudo » e uguale a quello di
Mamerto . Da tutto ciò adunque fi vede » che quelli principi di
Rena» to fiano gl’ ideili d* un Tanto Padre, che fu Mamerto » gran
Filofofo, e gr.and* Oratore, il quale fu giudicato uno de’migliori,
e favillimi Padri del- la Chiefa: che meritò la dima d’ effere tenuto
dotto, quanto Girolamo; dedruttore degli errori, quanto Lat- tanzio
; provatore della verità » quan- to Agodino; e che fia levato in alto
t quanto Uario ; che abbia ancora fa- vellato, come Grifodomo ;
riprefo, come Bafilio ; confortato» come Gre- gorio/ e che fia dato
fertile » come Orofio; robufto, come Ruffino; nar- ratore, come
Eufebio; dettatore, co* me Eucherio ; declamatore, come Paolino ; e
foavitfimo, come Ambro- gio . Quella adunque nuova Filofofia,
o rinnovellata per dir meglio Filofofia di Renato, è fiata
feguitata, e dife- fa dalle migliori Uniycrfità, e proviti- eie
dell'Europa, ed infegnata pubbli- camente nelle cattedre più
rinomate del Mondo ; e i cattolici fieffi ne fo- no difenfori, non
che gli autori, e fer- rar] ancora, così attefiando il dottif- fimo
Sorel ne’ Tuoi libri della Scienza universale . La dottrina di Momìt
Defi cartes oggigiorno è feguitata in molte, Accademie, e conferenze . V*
ha de* Prof e (fori di Filofofia, che /* infegnano. Molti fe ri
appagano piu, che del - la Filofofia antica . La quale vien con-
fermata con pubbliche (lampe da mol- ti Religiofi, che n’han divifato
tanti e tanti libri che nulla più, approvati da’ loro Superiori, e
fpeciali/fimamen- te Digitized by Google
te ne fono Seguaci nelle cofe più prin- cipali i dottiifimi Padri
Merfenni, e Detei, e Niceron Minimi . IIP. Mai- gnani, e il P.
Barde : T incomparabi- le P. Nicolle, e il P. Malebranche, che nel
fuo libro de inquirenda Verità - te vi pofe tutti i principi, e tutti
le parti della fua Filofofia Opera, che fi potrebbe appellare ' 1’
ultimo sforzo dell’ ingegno umano ; ed altri Padri dell* Oratorio
di Parigi, i quali furo- no ancora amiciffimi di Renato, e fo- pra
ognaltro affezionati (fimo, e mol- to famigliare di lui, e della fua
JFilo- _ rf * fofa feguace, A ntonio Arnaldo uno de» maggiori
Teologi della Sorbona, e che M per la fublimità del fuo ingegno, ed
eccellenza della fua dottrina, fi può - £ /giustamente chiamare l’Aquila
degl* ingegni, lo Splendore dell’età noftra, e il più gagliardo
foftenitore della fe- ‘uWw^r^de Contro il Calvinifmo ; il quale
col fuo libro della perpetuità della fede, in cui con robufte ragioni,
e con eloquen- za veramente Grifciana ha fondata 1*
eli* J e fi (lenza reale di Cri (lo
nella fantini** ma Eucaristia, e poi con altri volu- mi,
autorizzando colle fentenze de* fanti Padri e Greci, e Latini di
feco- lo in fecolo, e della Chiefa Orientale ancora, che fervirono
di ri fpofta al li- bro di Monsù Claudio, Minirtro di Charenton,
approvati da tutti gli Ar- ci vefcovi, Vefcovi * e Curati della
Francia > e da altri Teologi, e Dotto- ri della Sorbona ; ha dato tal
confu- sone a'Calvinirti, colla lezione di quel* lo, che molti
d’elfi illuminati, fi fo- no uniti alla nortra Chiefa, come il
Vefcovo della Roccella, uno degli ap- provatoti fuddetti l’attefta: e per
tan- ti altri libri, che quali ogn’ anno di fua vita ha dato alle
(lampe, fe ne va carco di gloria, e d* anni con quella folitudine,
propria d* un let- terato in Olanda, dove gran tem- po menò la fua
vita ugualmente Renato, con rifiuto magnanimo delle cofe del Mondo
. Parimen- te furono di Renato amorevoli il Cardinal de Bagne, e il
Cardinal di Ecrè, e il Cardinal Berul, e il Car- dinal Barberino*
quando ei fu Lega» to alla Francia * il quale tanto fu a-
mantiflìmo delle cofe dell’anima > che non per altro . pare * eh* egli
avelie trasportato dall’ idioma Greco al no* Uro Italiano la vita
di Marco Aure* lio Antonino Imperadore, eh* ei def* crifle di fe
fteflb a fa fteffo * fé non per dedicarlo all’ anima fua, come
Specchio veramente, e dottrina, quel libro* delle cofe morali * che
ponde- rar fi debbono dall* uomo ; perciocché tutte le cofe di
quaggiù, anche in ai- tiamo grado confiderate * fvampano in nulla .
Fu protetta » e difefa anco* ra quefta Filofofia da tutti i
Principi* e potentati ftelfi d* Europa } e partico- larmente dal Re
di Francia* che grati- ficò di due penfioni Renato* e dalla Re-
gina di Svezia * in cafa di cui egli mo- ri * ed ella in grembo della
Chiefa ; coftà venuta, e fatta cattolica per o- pera fola d’un folo
Renato * com’ ella fteffa afferma in fua lettera, che fi legge nella vira
del medefimo; l’auto- re della quale narra ancora, che la iua
maniera di parlare della Religio- ne fece convertire alla noftra.
Chiefa il Marefciallo di Torrena, un Ateo, e due Proiettanti; e
dalla Principcfla Ehfabetta r fu nomato il refugio de’ cattolici di
Olanda, ed al medefimo furono celebrati i funerali con aflìften- za
di molti Prelati, e delì’Ambafcia. tore di Francia -, e d* altri
perfonaggi illuftri t ed Ecclefiattici, e fu compian- to con
funeftiffime Orazioni, e lugu- bri apparati dalle migliori
Accademie, a cui ugualmente furono rizzati più e. pitafj e
maufolei, ed impreffe medaglie in memoria della fua pietà, e dottrina
. - Ed ancorché i Padri Gefuiti, i quali poffono dar norma, ed
efemplo per la loro dottrina, e - fantità di coftumi, abbiano,
particolare infti- tuto, e regola di feguitare affolu- tamente .la
. Filofofia d’ Ariftotele ; il che vien riferito ancora da uno
E fcrit- 66 fcrittore, così dicendo : Apud
Jefuitas ie gibus fauci curii e fi, neminem in Pbilo - fopbia
prater Ariftotehm [equi, qua caufja e(ì, cur rnjtltt Ortbodoxi non
alia de c auffa Pbilofopbiam rimentur, quam qmd abfque ea non poffe
cum Jefuitis rette difputari ; nulladimeno vedefi, che molti d’
elfi di celebre .fama, e d’ una vita efemplare, non fedamente la
FUofofia.Ariftotelica hanno trala. fciata, ma quella novella forma
difi- lofofare hanno abbracciata, come fo- no il P. Fabbri, • il P.
Cafati, ' il P. Grimaldi, il P Lana, il P. Pardies » e il P.
Bartoli . La qual cofa li olTer- va per lo modo di filofofare,
fpiegan- do gli effetti della natura per mezzo delle particelle,
eh’ eglino -han tenu- to ne’ loro libri già pubblicati alle (lam-
pe, le quali non altrimenti permettonli fe non coll’ approvazioni d’altri
Padri,, a ciò deflinati dal medefitno lor P. Generale, o
Provinciale . Il P. Char- let, ugualmente Gefuita, che fu affi-
ttente Francefe del P. Generale della Compagnia, e milfionario
nell’Attjefi* ca, non fu egli amico, protettoref^é direttore di
Renato? 1} rJ*>j Giacomo* Dinet ^Provinciale nella Francia,:^*
conf flore di Lodovico XIII. e di Lodovico XI V. non fu affezionato di
Re-- nato raedefimo ? Ilr:P.:Braudin firnil-j mente Gefuita, benché
una volta, gli? avelie contraddetto » e riprovate lo, Meditazioni,
non fu egli medefimo £> che ravvedutoli, fi riconciliò con Re»
nato IfelTo per mezzo del medefimo P.; Dinet ? Il P. Atanafio Kircher
preoc-' cupato una volta dall’odio contro Re-» nato, non procacciò
poi la fua amici» zia, e corrifpondenza èri! P. Miland ugualmente
Gefuita, non fu feguace della Filofofia. di Renato, riducendo; in
compendio le di lui Meditazioni, ed in metodo Scolallico per infegnarle
a’ fuoi difcepoli ? Anzi quello medefimo Padre prima di partire per
1* America, volle oflequiofamente, e con particó* lar fentimento
dar. 1* ultimo addio: a Renato fuo amiciflìmc, quali che in £
2 tal 68 ' tal dipartenza non fendile altro cor-
doglio, che di lafciar Renato, non già i Tuoi compagni, i parenti, e
la patria fteffa. Il P. Stefano' Noe! non fu egli parziali (fimo di
Renato, e fat- to Rettore del Collegio di Chiaramon-' te a Parigi,
non dedicò i due fuoi li- bri di Filìca a Renato, conformandoli co’
fentimenti del medefimo ? Pren- dendo ancor egli la difefa contro
Paf- cale per l’opinione toccante il Vacuo. IlP.Vatier, parimente
Gefuita, non fu egli fettario di Renato, ed appro- vante delle
maniere di fpiegare il fa- crofanto mifterio della Santilfima Eu-
cariftia, fecondo i fuoi principi, e ra- gioni? Il P.Grandamy gli fu
finalmen- te amiciflirao i II P. Francò, il P# Fournier furono
tanto amici di lui, che gli dedicarono i loro libri-. Il P.
Fonfeca, benché Portoghefe, e il P. Ciermans Fiamingo, ma
ugualmente Gefuiti, fecero un elogio alla Metafi- lica del medefimo
. In fomma tutti i ' Padri-Gefuiti de’Collegi della Francia
furonoapprovatori, e fettatori della filofòfia di Renato, co’ quali egli
ebbe una continua corrifpondenza, e vicen- devoi commercio di
lettere ; e della Tua vita ne' due libri ultimamente pubbli- cati.
Ed ancorché pochi anni fono ilP. Rapini, Umilmente Gefuita fi fia
al- quanto allontanato da’fentimenti di Renato, dicendo egli molte cofe
contra lui, ie quali quanto fian meritevoli di rifpo- ila lo dican
gli altri, noi comportando la prefente Scrittura ; nulladimeno il
xnedefimoP Rapini, parlando egli pri- 3 fiieramente del Cavalier
Digby,eflerfi egli tròppo attratto nel fuo Trattato dell*
immortalità dell'anima, così di Renato favella : Le Meditazioni Meta
« .fifiche del Defcartes hanno avuto della re. f> ut azione j
perch'egli s'interna più che al - .trinci midollo di quefte materie.
Soggiun- gendo a quefte parole l’autor della vita di Renato . Senza
eccettuarne t Gefuiti Suarez, e Fonfeca, de* quali prima egli aveva
parlato, e che p affano per i migliori, e più profondi Met affici delle
Scuole . E 3 Ag- Aggiungendoli ancora, che-veden* do le
Univerlìtà Protettami di Bafilea e d* Olanda effer pur troppo pregi
udi- ziale la Filofofia di Renato al Calvi* nifmo, Il concitarono
tanto contro Re* . nato, che non contenti di fori vere con-
tro la fua dottrinargli ordirono anco- ra contro la per fona molte
calunnie, in modo che GisbertoVoezio Miniftro d* Utrecht, per
avergli oppofto con malignità il Ir
r» V t t ì t .ì r tìamo le vivande fenza penfarci, dice
il dottiffimo Boezio, noi refpiriamo dormendo fenza ciò considerare, e
tan- to meno faper fi, pofTono 1* altre cofe naturali, e celefti .
Jacent ( ne laSciò fcritto Cicerone ) ita omnia crajjts oc» calta,
et circumfufa tenebris, ut nul- la acies bumani ingenti tanta fit,
qua penetrare . in coelum, et terram intrare pofjit i Corpora
noftra non novimus, qui fit fitus partium, quam vim unaquaque pars,
babeat ignoramus . L’Angelo del- le Scuole manifestandone la
ragione nella fua Somma, così favella : Quia ratio bumana in rebus
bumani s ejl multum defciens, cujus fignum ejl, quia Pbilo/o- pbi de
rebus bumanis naturali invejìi- gatione perfcrutantes in multis errave
• runt, et / ibi ipftt contraria \fenferunt .. Il che Similmente
avea detto Crifo. Homo ; Hi ipji, qui ad omnem pom- pam de
Pbilofopbia gloriantur, multos, et plurimos de eifdem cauffts
fcribentes libros, non modo fimpliciter difcepta- rmt t fed ttiam
ftbi contraria pleraque ' di » X 1S
dixerunt . Quindi Sant’ Agoflino fteflb, delle cole Metafifiche
ragionando, con* figliò : Noli qu^rere quid fit Veritas % fiatim
entra fé' oppone nt calìgine! imagi • num corporalium, et " nubila
pban t af- ta at a, et pertutbabunt ferenitatem t qua primo iftu
diluxit tìbi, ut dìce- rem Veritas . • Non perchè quella non vi lìa
; ma perchè di quella capaci non fu- mo, dille il medelimo ! Cicerone .
Ve- ri effe al'tquìd non negamut, pertipi pof- fe negamus : E
altrove : Non enim fu- mar ii, quibus nihil verum effe videtur ;
fed qui omnibus veris fai fa quidam a- djunSla effe dicamus tanta
fimilitudi - ne y ut nulla inftt certa judicandi, et difcernendi nota . £ quella è la cagio-
ne, per ria- quale tanto fi lamentava A gofiinò medelimo dell* ignoranza
u- •mana. QUomodo hoc fcio, quando quid fit tempus nefcioì-An forte
ne feto que- madmodum- die am quod fcio ? Hei mi- bi, qui nefcio
faltem '-quod nefeiam ! Come Plinio parimente compaifionan* do
tutto l’uomo, ftimollo in ciò piò mi* L 9 f 1 $ i an incredibili celeritate vol- vatur :
quanta fit terra crajjitudo, aut qtitbus fundamentis librata > et (
ufpen - fit . £' volere ciò difputare, e con- ghietturare Lattanzio
il medefimo dice, non e (Ter altro, che difeorrere, e giudicare di cofe
fatte in remotifiime parti non mai da noi vedute, o fapu- te .
Quindi il medefimo Lattanzio-, così ragionando, il fuo difcorfo
con- chiude : Si nobis in ea re feientiam vendicemus, qua non
potejl feirì, non- ne infanire videamur, qui id affirmare audeamus,
*» quo revinci po/Jimus ? Quanto, magis, qui natura Ha, qua jet* ri
ab bomine non poQunt, /city />«-, furìofi, dementefque funt ju di-
cati di ? £ A rnobio così ; X?*»*/ incerta r fuf- penfa ; magìfque
omnia verifimilia, quam vera, Minuzio Felice dille, Indi il Poeta
.j Incerta bac ft tu poflules Battone certa facere nihilo plus 1 agas
> Quam ft des operata, ut cum ra- • tione infantai .
£d in confermamento di ciò, fs noi riguardar vogliamo a quel, che
n’han giudicato i medelimi, e i primi fetta- tori delle Filofofie,
ritroveremo, eh’ eglino fteffi han detto > aver fondato il
filofofare fu i principi dell’ ignoran- za medefima, comen’avvifà
Arnobio fteflo . Ipft denique principe t et feti a- rum patres,
nonne ipfa e a, qua dicunt, fuit eredita fufpicionibus dicunt*
Zeno- ne, e tutti gli Stoici negarono 1’ opi- nazioni ftefle .•
Opinar i entra, te feire, quod nefeias, non ejl fapientis, fed te-
mer a rii potius, ac fluiti . Socrate, Quod neque feiri quicquam poteft,
nec opinati oportet. Adunque Tota Pbilo- fophia fublata efl, difle
Lattanzio. Ariftotele fteffo ne’ libri della Metafi- sica così ; De
bis- enìm omnibus non modo invenire veritatem difficile ejl, verune ncque
bene ratione dubitare facile ejl . Gli Accademici contro a’ Filici,
Nul- la m effe fcientiam, ed ogni cola probabile . Democrito, che la
verità delle fcienze ftia nell’- abiflò nafcolta . Arce- fila (
narra Epifanio ) nomato il mae- ftro dell’ignoranza da Lattanzio
ftef- fo, niente doverli affermare di certo, negando all’ uomo la
fcienza, riponen- dola lolo in Dio, e Dio ftelfo Non nifi ignorando
fcire pojftmus Là onde Cice- rone così tutto il fuo detto fiabililce
: Arcefilas ftbì otnne certamen inftituit, non pertinacia, aut
fludìo vincendi, ut mihì quidem videtur, fed earum tettine
ohfcuritate, qtu ad confejjionem ignora- tionif adduxerant Socra tem, et velutì
a- mantes Socratem, Democrìtum, Anaxa- goram, Empedoclem, orane s
pane vele- rei ; qui nìbil cognofci, nihil per dpi, ni- hil fciri
pofje dixerunt : angttjlos fenfus, imbecillos animoiy brevia curricula
vita t et y ut Democritus, in profundo verita- tem effe demerfam;
opinicnibus, et injìitutìs ornata teneri : . nìhil ventati reità* qui :
deinceps omnia tenebri! circttmf ti- fa effe dixerunt . £ della varietà
di tan- te opinioni, dell* incertezza delle faenze y e della moltitudine
di tanti Fi- losofi giudiciofiffi ma pirico così ne ragiona : Ita
etiam in' hunc mundum, velati in quamdamma - i gnam domum, accefjìt
multitudo Pbi - lofophorum t ad quarendam veritatem, quam qui
acceperit e fi veriftmile e am non credere, quod reEìe conjecerit .
li quidem certe non dicit ejse \aliquid, quod judicetur verità!,
propterea quod 4 in eorum,r qua funt natura, nìhil pef- ftt
comprebendi . Il che vien confermato ancora da Galeno, così dicendo:
Scien- tiam neque apud Pbilofophoi, prafertim dum rerum naturam
perfcrutantur, in- ventai . Ammonio tanto fettario d’ A- riftotele
fteffo n’allega la ragione: Quia diverfitate opinionum, diverfo modo rei
ef- fe verni velf alfa! : quoniam autem opinio- ne ihominum varine
funt,& incerta, ideo fcientiat quoque e] se variai, et incerta!,
ac F l prò - 86 proinde nuìlam effe rerum
eertam f, eie ». tiam, et veritatem. Avendo ciafcuno il fuo fenfo,
e la fua fantafia a parte, perchè, come fi dice, quanti uomini,
tanti pareri: m Mille homìnum fpecies, et rerum
difcolor ufus. Per la qual cofa è egli moltd virifimi- le,
che ognuno dipenda dalle fue fan- tafìe, ed opinioni, Cum fit ftngulis
o- pinio affluxus diffe Empirico fletto; di qui viene, che Eraclito
nominava O- pìnìonem facrum morbum . Quella è quella, dalla quale
fìam tocchi, e non dalle co fe medefìme, la quale di. - pende dalle
prevenzioni, ed anticipa- zioni della mente, Sua cuique cum (tt
animi cogitatio, colorque prior . Come ancora per la flima fuperiore al
meri- to, eh’ ognuno fa di fe flefTo * cagio- natagli dall’ amor
proprio, eh’ è il più cieco, ed il più violento d’ognalero,, a
niuno ceder volendo : Pbilautia enim ejl omnium amorum violentiffìmus,
cete- ToJ- i
*7 rofque fuperat ; vien fempremai a darli cieco, ed
imperfetto il giudicio. Amor, ftcut odium, ventati! judicium nefcit,
ditte Bernardo il Santo. E 1* uomo non ha altro di proprio, che il
mentire, e *1 peccare . Nemo enìmba v
het de fuo y nifi mendacium, et pecca - tum . Per la
qual cola, torno a dire con Lattanzio fteffo: dov’eglièla Fi-
lofofia? O coll'autore de’ cinque Dialoghi, della Filofofia fletta parlando
: Non e fi enìm de terminisi fed de tota profefftone coment io .
Cioè, che non vi fia affatto certa, e determinata Filo- fotta,
anche Propter natuv alerti borni - num ad difjentiendum facilitatem .
Re- nato medefimo per primo principio nelle fue Meditazioni non
pone egli 1’ averli Tempre a dubitare nelle cofe filofofiche? In modo eh’
e’ con mo* deftiflima protefiazione la Tua Filo- fotta dirtele,
confettando egli . dì fe fletto nella IV. Meditazione così . Cum
enìm jam feiam naturam me am effe vai - di tnfirmam, et limitatam . Ed
etten* F 4 do- 88 dogli (lato una volta
afpra, ed acerba- mente jfcritto contro da un Padre Ge- fuita, di
cui virtuofameate non volle palefare il nome alle (lampe, fé ne la-
mentò benignamente in una lettera, che fcriffe al P. Dinet Tuo amico,
ri- chiedendogli, ch’ei tro valle il modo, acciò gli fi
notificaflero gli errori, per emendargli, così dicendo-; Nibil enim
inibì cptatius efl, cjuam vel opinionum mearum certitudinem experiri, fi
forte a magni! viris ex aminata nulla ex parte falfa rsperiantur,
vel faltem errorum admoneri, ut ìpfos emendem . Come di (e (teffo
Agoftioo il Santo : Si ahquid vel incautius, vel tndoSìius a me pofitum,
ab aliis merito reprebenderetur, necm't- randum e fi, nec dolendum ; fed
pottus ì- gnofcendum, atque gratulandum, non quia errai um eft ;
fed quia improbatum. E pure quello Padre non aveva lette, nè vedute
l’opere di Renato ; così egli fcrivendo nella medefi ma lettera:
Etfi enim mibi valde indignum videretur, hominem Rtligìofum, cum
quo nulla n mibt unquam inìmìcitia, nee quidem
notitia intercejjerat, tam . publice t tam aperte, tam infolenter de me
ma • le dixìfje, nibilque aìiud balere excu « f atlanti, . quota
quod diceret, fe Dif* fertationem meam de Metbodo non le*
gip-- \ • £ tutto quello perchè ben Sapeva non eflervi
certo filtema di Filofofia, che l’uomo Scuramente Seguitar do* vede
; elfendo ella in tante fette di- vifa j che Varrone fin da* Suoi
tem- pi ducento ottantotto ne conta, e Temiftio trecento: onde
Sant’Ambro- gio gridò: lnter bas diffenfiones, qu& veri potejl
effe affina t io ? £ Lattanzio ugualmente così : In qua ponimus ve*
ritatem ? In omnibus certe non potejl Or che direbbero Ambrogio, e
Lat- tanzio Hello fe foffero a* tempi no- ftri, ; vedendoli in
maggior numero Sopraggiunte, ecrelciute ? E quella fra Religiofi
(ledi, dalla Chiefa non con- traddetta, quella io dico sì fiera, e
da non mai rappattumarli, e quietarli tra AQUINIO AQUINISTI e
Scotifti, Nominali, Re- alifti, ed altri, e tutti Ariftotelici, a
fembianza degli Arabi, de* Greci, e Latini, i quali eran difcordi in
fegui- re, ed interpetrare 1’ opinioni del me> delimo Arinotele,
come rapporta Pi- to della Mirandola . Per la qual .cola Teodoreto
fin da* Tuoi tempi fciamò : In litibus omne fiuditim, ornai s
nibiì denique de quo univerfi una men- te, ac voce confentiant . £
San Bafilio di quei, che furon tenuti i primi Savj della Grecia,
dice non efiervi nè an- che una fola ragione ferma, e collan- te .
Nee fola quidem ratio, apud Gr ita ut eos refel- lere nibil fit negotii,
cum illi propria dogmatibus evertendo fujficiant. E Teo- >
doreto (ledo in quella maniera favel» la : Et Ht fiorici, et Pbilofopbi,
et Po~ età tum de anima, tum de corpore, tum de bominis genitura,
et confiit ut io- ne inter fe litem exercent, dum olii qttidem bac
» alti vero illa pr a ferunt, alti rurfus et bis et - illis contrariam
o- pinionem adducunt, neque enim verità- tìs dicentes fiudio, et defiderio
teneban- tur ; fed inani gloriola » et ambitioni fervientes, ex quo
fané faBum efi, ut in errores multo: inciderint . Per la qual cofa
in quella maniera n’avvisò Minu- zzo Felice : Itaque indignandum
omni- bus y indolofcendumque efi, audere quof- dam certum aliquid
de fumma rerum, ac majeftate decernere » de qua ab o- mnibus
faculis feftarum plurimarum uf- que adbuc ipfa Pbilofopbia deliberat
* Ed i t Ed allora » che le Filofofie
de’Greci in* cominciarono a comparire al cielo Romano, i Romani ftelfi
non s’appiglia* rono a veruna d’cfle, foggi ungendo Ci- cerone,
perchè non eran sì balli gl’ in- gegni Romani, che avelfero a
foggia* cere alle altrui difcipline ; perocché Ro- ma t che aveva
trionfato nell* armi, non comportava farli fervile alle lette* re :
anzi i Romani ftelfi non fi manife* fìarono giammai fettatori d* alcuna
Fi- losofia, ed i Nobili li guardavano, co* me da una pelle, di non
efl'er tenuti tali ; perchè certi, che avevano prò* felfato la
fetta Stoica, come Bruto, e Caffio ; Aruleno, e Sorano ; Sene* ca,
e Trafea, ed altri erano tutti mal capitati, come macchinatori di
congiu- re > quantunque Seneca flelTo avelie altrimente prote
flato in una delle fue .Epi Itole, dicendo : Non me cu'tquam
mancipavi, nttllius nomen fero, multum magnorum ingenio virorum tribuo,
ali - quid et fi meo vindico . Onde lubito che alcuno attendeva
alla Filofofia, cadeva nell* ifteflo fofpetto, come di (Te Tacito
di Agricola fuo focero . E a 'tem- pi notòri dal Re di Francia con un
fuo arrefio delli d’Ottobre 1668. fu proibito a tutti i fuoi
fudditi di chia- marli l’un l’ altro fettario > e fpecial* mente
Gianfenitòa. I fanti Padri me- defimi avvertirono non dover elfere
fettario 1 * uomo, e fra gli altri Cle- mente 1’ Aleffandrino > così
dicendo : Praterea non particularìs fefia efi eli- genda, [ed
quidquìd omnes reile dixe - runt Stoici, Platonici, Epicurei >
Ariflo- telici . Hoc totum [eie Slum dico Pbilofo- pbiam. E
Sant’Agoftino nel libro deh le Confezioni, diffe, Non iftam, a ut
illam feti am, [ed ipfam, quacumque ef- jet, fapientiam diligebam > q
vare barn, et ampie Sì ebar, Quindi San Tommalo ne’ fuoi Opufcoli
infegnò con Agotòino medefimo, Non effe adfentiendum alieni
Pbilofopbo in fcbola Cbriftiana, [ed ex omnibus decerpendum^quodreiìe
dixerint. E fra moderni filofofanti Pietro Petito afferma nelle
Differtazioni, che fa incorno alla Filofofia ftelfa di Cartellò, doverli
notare d’arroganza colui, che* preflumcr voglia d’ alfentire più ad
u- na fetta, che ad un’altra, la ragione egli rendendo : Ne uni
precipue inba- rentes, in alias fotte me Hot e s, iniqui, et contumeliofi
viderentur . Ed ancora quell’ altra» perchè non puote perfo- na
veruna, benché a tutt’ uomo vi s* applicale, apparare, e farli
capace di tutte; conciolfiecofachè non potreb- be darne retto
giudicio, lodando più una, che un’ altra Filofofia . Omnium ( die’
egli ) fetta rum fieri perfette pe- ritum, humanum piane captum
exce- dit . E a fen lenza d’ Euripide .* Unus non omnia vìdet . E
Galeno così : Dif- ficile effe, ut qui homo fit, non in multis
peccet, quadam videlìcet peni- tus ignorando, quadam vero male in-
dicando, et quadam tandem negligen- tius fcriptis tradendo . E quando
vo- glia alcuno vantarli di fapere, appet- to di quel, che non fa,
egli è nul- la, dille Temiltio . Ea, qua novimuty portione minima
contìnentur, fi .colla* ta, et comparata bis fuerint, qua igne*
ramus. E Paganino Gaudenzio Teolo- go, e Protonotario A poftolico nel
Li- bro degli errori delle Sette, parlando egli delle Scuole di
Zenone) di Platone, di Democrito, e d’ Arinotele, così n* avvisò : Illusi
quoque colligendum, in iis, in quibus nobis Cbnfiianis diffi- derà
licet > non effe exploratam verità * tem. Magna nobis fas e fi uti
liberiate extra illa, qua arcem Re ligio ni s non refpidunt, ut
defendamus, quod nobis probabilius videretur., Ora egli è vero, com’ è
verini- mo, che quei medefimi tanto fegua- ci d’ Arinotele fono gli
autori, oppu- re gli approvatoti neflì dell* opinione probabile
nelle cofe Morali, ammet- tendola per lo parere di due, ed an- che
alle volte d’un folo Teologo, dot- to, e dabbene ; perchè nella
Èilofofia non ammettono ugualmente la proba- bilità per tanti, e
tanti gravifiimi au- - tori, e Teologi, e fanti Padri medesimi, dove
ancora vi è la libertà di file* fofare, fecondo Ariftotele fteffo ?
Per- chè concedere la probabilità nelle co- fe Morali, e poi nelle
Fifiche negarla? Perchè amettere la probabilità in quel- le co fe,
che riguardano i precetti del Decalogo, e di Cri Ilo, e poi contrad-
dirla nelle Filofofie, così incerte, e dubbiofe? Perchè approvar, per
co- sì dire, la libertà di teologare, e poi oppugnare la libertà
nel filofofare ? In- trodurre il probabile nelle cofe fpiri- tuali,
l’improbabile nelle feienze uma- ne : magnifiche opinioni nel
mefiiere dell’ anima, Gretti cancelli nell* ope- razioni
dell’intelletto, argomenti nel- la Morale, freno agl’ingegni :
fetenza nelle confcienze, confidenza nelle fet- enze : ed in un
motto, Accademici nella ^Teologia, Dogmatici nelle Filo- fofie :
Filofofi nella Teologia, e nella Filosofia Teologi? Di qui
neceffariamente nefegueper forza de’ loro argomenti medefimi, o che
neghino affatto la probabilità nelle co fé Morali, o feguitandola, la
con- fe(fino .lunga certamente s’ in- gannerebbe, perocché
eflendo.fi dopo tante fette fcòvérro, -nuove' delle, nuo- vi
pianeti, ed altri fenomeni,: e tane* altre cofe, e quali :un nuovo Mondo
* par eh’ egli era d’uopo di nuova Filo- fofia per inveli igarle,
non badando 1* antiche, per le quali torno 3 dire con Seneca dedo,
Multum adhuc re fìat 0- - perii, multumque refìabit ; nec ulti
noi to pofl mille facula pracludetur oc c a fio aliquid adbuc
adjiciendi . E altrove c Veniet tempus i quo po/leri nojìri tam a+
perta noi nefcìffe mirentur . Plotino predo Teodoreto così : Multa,
qua nobis 'ohm latebant, ipfa die i invenie tJ Ed il
Poeta: • v . Multa dies 9 tabilii avi
f 4 k • • Rettulit in melius * # « * • 0 t * » t E
noi fopravanzando in due mila anni d’ efperienza, fiam piuttofto
fuperio- ri . . Indi Cicerone tteflò fin da* Tuoi tempi vantava d*
efferfi la fua etàl.u- gualmente fatta fuperiore nell’ arti, e
nelle» feienze, perchè più finamente refe migliori, e perfette, come
ugual- mente de’fuoi tempi affermò Tacito .• Nec omnia apud priores
meliora, fed nojira quoque atas multa laudit > . et art tu m imìtanda pofleris . £ che i Mo-
derni abbiano trapaflato, e fopraftat- to gli Antichi > egli è chiaro
per tanti G 3 fpe- variufque lai or ma- I
sperimenti, e. nuovi inftrumenti per elfi fatti nelle celebri
Accademie di Firenze, della Fraocia, della Germa- nia,
dell’Inghilterra, di Lipfia, ed al- trove ; come ancora per molti
libri ciò fi comprova,• e particolarmente per quelli delPerhault
nel paragone tragli Antichi, e i Moderni; e del.P. Rapi- ni nella
comparazione de’ medefimi %, i « V * dottilfimi in vero, ed eloquenti Ili
mi fcrittori . Quelle fono le parole del me* defimo P’ Malebranche
: Si quis Ari- jìoteiem, et Platonem taf allibite s fui ([e
crederet, tum ih folis dumtaxat intei « ligendis merito • forte
incumberet, [ed quii id credat, cui faltem mens jana fuerit ? quin
ratio noe monet ìpfos no- vi s Pbilofopbis inferiore s effe, quippe
bis mille annorum, quo tempori s fpatio silos Pbilofophos fuperamus,
experien- ti a nos efficere debuit pe/tticres . E più nobilmente da
Renato {ledo in quella maniera : Non eft quod anti- quis multum.
tribuamus propter antiqui- tatem, (ed nos
potius jis antìquiores dicendi ; jam en'rn fenior e fi mundus t
quatti tutte » major emque babemus rerum experientiam . Il che fu detto
fi foll- mente prima dal P. Antonio Pofle- vini dottillimo, ed
eruditismo Gefuita - \Quamobrem fi diutius vtxijjet Anftotekt, vel fi jam
revwifceret pofl tot fxcttla » quibtts ali £ res innumera t ac
propemodum alter orbis emerfit, mul- ta effet correSìurus, quia contraria
not experimur . Ed anche fulle feene dal latiniStno Comico . •
r- I Res y tetas, ufus » aliqtiid adpor- '
; tet novi y Aliquid admoneat, ut qu quos varia de parte
Ventai éff anditi- non cernant, propte>ea quod uni fefe Arinoteli non
dediderunt fnodo y fed adeo devoverunt, ut fi fue - rit opus, prò
dogmatibus ejus tuendit in fierrum, fiammamque ruaUt;' in cu - jus
Pbilofopbia fi quafdam opinione s pra- va! conce perù ut $ ut iffum, fi
furgeret e a defiomacbaturum putem &c. -E vicn confermato
ancora dal medesimo So- rel, così dicendo .* Noi ci' prete jìia- mo
di voler men male ad Arinote- le, che agli 'Arifiot elici . ; JZjfi
fono guelfi, che ofiinatamente #* oppongono a cofe > ch’egli, fe
vive (fé riceverebbe con piacere, per far profitto de' nuovi
lumi, che ai .Mondo comparir vedreb- be. Lamentandoli ancora il
medefimo P. Malebranche, che li ut piar imam, qui adverfus quafdam
Pbilofopbia veri - ’tates : ree e ns ‘ compertas pertinacia s ob-
firepunt, quibufdam innovatìonibus in Tbeologia detefiandis, pertinacia!
a db at- tere 1 et indulgere videntur-. Quando i fe-
Digltized by Google iò 5 i feguaci fteflì d”
Ariftotel®, Ammo- nio dico» e Simplicio» : antichilfimi au- tori,
avvertirono non dover effere gl» Interpetri ^cogì attaccati
a’fentimenti delmedefimò» cornei ex tripode pro- nunziati, e tanto
meno, come fetta- rj fcguirgti . Ammonio così: Horum . vero
explanatcr debet ; neque per bene - volentiam afiruere conari ea, qua per
- per am funt ditta, ac velati a tripode ea recipere t fed fuum
ìpftus adferre dicium . Simplicio in quell’ altra ma- niera :
Dignum autem Ariftotelicorum fcriptorum expofetorem oportet, non
ef- fe vacuum undequaque magnitudine il- lius mentis . Oportet
quoque judicium babere fwcerum^ jut neque ea, que re- tte ditta
funt, malo more fufcipiendo, invalida ofiendat, neque ft quid ani-
madverftone indigeat, omni contentane inculpabilia moneret, velati in
Pbilofo- pbi fettam fe fe infcripfe/tt • Anzi infra i
Giureconfulti ancora, i quali a guifa di Filofofanti fi divife- ro
ugualmente in fette, chiamandole Tul- v
ioS Tullio Famtlias diffentìentet ; legge fi, ch’eglino non
erano cosi pertinaci in feguire le loro fette, che liberamen- te
non dicefiero i loro proprj lenti- menti, ed alle volte a quei della
con- traria fcuola non aderifiero, come fi vede praticato tra
Capitone, e La- beone > i quali furono i primi fetta- tori
affatto contrari fotto Auguflo,* e fotto Vefpafiano, ancorché vi
folle quella de' Proculejani, e Pegafiani, e l’altra de’Sabiniani,
e Caffiani, af- fai più contrarie fra efiò loro, perchè quei 1’
Aritmetica proporzione, e quc- fti la Geometrica feguitavano, gli
uni Stoici, e gli altri Accademici elfendo; nulladimeno fu
riguardevole la loro modeflia in non aderire tanto fervil- jnente
alle loro famiglie, che volle la loro modejflia avellerò apportato
freno alla libertà delle loro opinioni. Matiifejia futi, et confpicua
vtterum Jurifconfultorum mode fi a y quod non ita nec certa
alicujus feSìa opinionibus, nec futi quoque peculiaribus fententiis
inh il quale ragionando di Cello; contrario alla fetta di
Jabo* leno, fotto Adriano > e Antonino Pio f così loggiunge : Et
fané videtur bh Celfus non adeo partium fiudiis addiSlut fuiffe ; •
quintino Uberrima voluntate in utraque verfatut barefi, et qua ( ibi
ad palatum fuere, nullo babito feSìa fua refpetlu [elegiffe . E in
ritornando al medefimo Arinotele, leggeli nell’ O- pere di effo
lui, ch’egli non prelume- va tanto di fe, che altri onninamen-
tefeguitar lo doveffe. Nec alìud ( dif- fe un autore ) noi docet
Arìftoteles * quam quod etiam docuerat Plato : ni» mirum fe ipfum
refutare. Dicendo dife quello medelimo autore. Omne equidem genus
Pbilofopbia peragravi, nulli acqui e f- co, et quamvis ex pr : mis
fludkrum rudimen- ti!, Peripatetici, Stoici, aut Ac aderitici
audivimus, pofiremotamen fapientijjimum quem-
IO? f uemque Scepticam faSlum, tanquam ffanum aliquem in
fetenti* campii in - gredientem video . E chi fece la nota al libro
del fuddetto autore, foggiun- fe : Plato docuit Veritatem omnibus
re* bus effe anteponendam . Male ergo fibi confulunt, qui veterum,
a ut Arijlote - ìis placitis ita ob finate inbarent, ut tnalint cum
illis . Uro Lionardo da Capua ne’ Tuoi Pare * r», e nelle Mofetc, e
di Francesco Re- di . Il nobilissimo ritrovamento dell* argento
vivo ne* cannelli per la prova del vuoto del Torricelli, efaminata
alla lunga dal P. Bartoli Gefuita : de* Vortici del gran Renato ; e di
tanti, e tant* altri ritrovati del Verulamio, del Sorelli, del
Keplero, del Gil- berto, dello Steiliola, del Campanel- la, del
Digby, del GaSTendi, del Boy- le, ed’ altri. Neil’ Algebra il
Cardi- nal Slulio, che non ha rinvenuto col fuo libro Mefolabium, e
il Cardinal Ricci in quello De maximis, et mini- mii ? Nell’
Agronomia che non hanno fcoverto i moderni ? dimostrando i Cieli
edere fluidi, e non più orbi So- lidi, come vollero gli antichi : i
pia- neti Stimati prima fare i loro giri in- ili >»
torno alla terra, muoverli intorno al Sole; Venere mutar le lue
fall, o figure a gutfa di Luna : Mercurio, e Marte ancora far lo'
Hello : Giove « t edere circondato da quattro delle,
chiamate Medicee, e Saturno da cin- que altre, come ditte il Cattini .*
ef- fer la Lunà un corpo di fùperficie di- fuguale, e montuofa :
ritrovarli nel-- la faccia del Sole molte macchie di' difuguale
grandezza, e di varia dura* zione, agli antichi affatto ignote; eia
qualità, e difpolizione delle Comete» e d’altri corpi celelti non intefe
da A- riftotele, ed ; inveftigàte da Ticone ; e dal" Galilei :
la Zòna torrida ere- duta inabitabile, etter abitabile, Antì- pode!,
qui imaginarìì dicelantur, nunc rt- vera effe t et alia f excent a, ditte
il noftro Luca Tozzi nella fua Lezione: e final- mente
l’agghiacciamento de* liquori non etter condenfazione.ma rarefazione
contra Ariftotele:ne’gravi cadenti accelerar- fi il moto fecondo i numeri
fpari, ed ef- fer il tempo radice quadrata dello fpazio
de- r I « ì * Jt
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ij V I 1:i r
11. ' avverandófi quello, che dagli antichi (ledi fu
pre- detto, e fi confeda da Cicerone anc'o^ ra : O pintori um
commenta delet dies 't natura judicia confrmat . E però egli è vero,
che quella Filofofia d’ Ari- notele dagli Àriftotelici (ledi non è
altrimenti commendata, così dicendo 1 il ; medefimo P. • Podevini i'
Deiride monjìrandum ( id quod etiam tritura ejì apud omnet
Ariflotelicos ) nidiata- e!}e in Arifìotelis libris fcientificam
de- fnonftrationem qua ' perfedìiffma fit y et omnibus numeris abfoluta' it agite nàti
effe ipfius doSlrinam inconcuffam . La quale ha avuto- tanta varietà,
ed incodanza di fortuna, óra 5 abbrac- ciandofi, ora rifiutandoli
> che nul- la più, dome fi può- leggere Irt quel libro di
Giovanni Launoi ^ quin- di in fimil calo ebbe a dire un au- tore
Francefe : In effetto fi vede 1 '; che la fortuna ugualmente
efercita il fuo capricciofo impero . fopra 1‘ opinio- ni, che jopr
a /’ altre coje umane ; . H ma ma. non già fopra ìe
mentì purìffime, e tétte de’ Tanti Padri, da* quali lem* pre è
(lata bìafi mata, come nociva al* la noftra religione, e proibita
da’ Sommi Pontefici, e da* Concili ltefli, com* è detto, e da
quello Lateran eTe nella Seflìone ottava affatto vietato da
infegnarfi piu nelle Scuole, come rap- porta il Campanella, e Neri nel
libro, detto Setta Pbilo - fopbica, dicendo quefti ; Pracepit Con-
ciliarti Scbolajiìcìs in Pbilojopbia drijlo- telila non immorari, quoniam
babet ra- dica infetta!. ' J
i ., Ma Te, come poco
dianzi io dilli, fra tanti Filofofì, i prìncipi di Rena* to fono
piìi conformi alla nollra reli- gione, chi non dirà, che colf ui, più
che Ariftoteie .feguìr li debba ? Perocché chiunque hlofofar
voleffe fra noi Cri- lliani co* medelimi principi di Renato, li
uniformerebbe Co’ fentimenti d’A- goftino il. Santo, da cui o
avvertito Renato, o Renato col proprio fpirito Criftiano, e
filofofico meditandogli, US gli ha pubblicati, e dirteli.
Parole del Santo, nella Città di Dio, fecondo i documenti -del
quale compofe il fuo Cftema Renato : Quìcumque igitur Pbi- lofophi
de -Dea fummo > et vero ifìa jen- jerunt y quod et rerum creatarum
fit ejfefior y et lumen cognofcendarum, et borni m agendarum » quod ab ilio nobis
ftt et princtpium'- natura meritar doZìrin# * et felicita s vitee,
five Pla- tonici accomoda tius numupentur ? fi ve quodlibet aliud
fu a feti a. nomea impo * nani ; five itant ammodo J onici
generiti- qui in eit precipui -fuerunt, ifìa jenfe - rinty ficut
idem Plato, et qui eum be- ne intellexerunt : five etiam Italici
prò- pter Pytbagoram, &• Pytbagoreos, et fi qui -forte alii:
ejufdem Pententi# in ìd idem fuerunt : -.five -. aliar um quoque
gen- tium, qui f apiente t y vel Pbilojopbi ba li, Hi f pani.,
alìique reperiuntur, qui boQ viderint., ac docuerint ; eos amnes.
ceterii' anteponimi •;» eofque nobis . prò -tV* H 2 fin - x
1 6 pìnquiores fatemsir . Chi filofofa f vo- lt fle
co’principj diRenatofi unifor- merebbe con S. Gregorio Nifleno, di-
cendo egli nella narrazione della vira di Moisè : Si immortalerà effe
animarti Pbilofopbus perbibet tic, et Deum effe non negat, -
creatoremque omnium, d quo curiti a depende nt, et vere adfeve -
rat, ac rationibus quantum fieri potè fi, demonftrat ; propìtius nobis
Dei angelus fiet. Quella adunque è la Filofofia ve- ramente
Criftiana, e non altrimente Pagana, come quella d’ .Arinotele
Quella è la '. Filofofia veramente cat- ' tolica, fecondo gli
avvertimenti de’ fanti Padri-.»..... . Quella è quella
Filofofia di Rena- to, il quale fdegnando di vedere piò- involte, e
deturpate le fcuole Criftia- ne nelle Filofofiede’ gentili, meditò,
e diltefe una Filofofia affatto lontana dal Paganefimo, conformandola,
alla, noffra fanta religione, alla quale pa- reagli, che folo
mancafle,* per laper • egli molto bene, che Definitisi! erat -
- i Pia - » r «7 Plato
J et Arinotele }, po/l mortem Cbri - fii, et eo rum I afte atta in
Ecclefta pro> nibilo' babetur, come il dottiflìmo Re- my
l’Arcirefcovo di Lione, re l’ avea infegnato colla fentenza fuddetta;
de- liri dimando le Filosofie d’ ambedue il piiflimo. Prudenzio, in
quella ma-: niera dicendo .,t Confale barbati delir amenta
Pia - >tonis .« Confale » et birce fot Cynicos >
quos • fomniat, Ó* quos
Texit Arijloteles torta vertigine, -nv- nervotv • Quella .è
quella Filofofìa di Re- nato il quale confederando, che tutta
la Filofofìa Agoflino il Santo diftinfe in due foli principi, che
fo- no 1* immortalità dell’anima, accioc- ché noi ftelfi
riconofciamo ; e 1’ efi- lienza diDio» acciocché riconofciamo la
noftra origine . Pbilojopbi# duplex guaflio e fi, una de Anima >
altera de Deo . Prima ejficit y ut'nofmet ipfot nove rimas : altera
originerà noflram ; H 3 fon- ri8 fondò i
principi dei fuo fi'lofo/are fu quefte eterne,. ed infallibili verità., v
; .Quella è; quella Filofofia di Rena*, to, la quale non folo,
come didi, fu > lodata da tanti e tanti Relig'tofi, ed uomini di
fantiffima vira,. -ma fpecial- mente dal P. Merfcnni,
intendentifli- xno delle Matematiche, e 'Teologiche fcienze, così
dicendo in un' Epiflola : Son refiato forprefo, che .un -uomo, il
quale non ha fluitato in Teologia, ab - ha rifpofio sì fondatamente /
opra punti import antijfimi della noftra religione . lo l'ho
trovato così uniforme- collo, fpirito, e dottrina dì Sant' Ago fino.,
che. offerì vo quaft le cofe.. medeftme negli .ferii ti dell'uno, e
dell altro . E più oltre così : Lo . fpirito di Monsu Defcartes
infptra Soavemente l' amor di Dio, di modo che non pojfo perfuadermi,
che la Filofofia di lui non fta, per Aornare in bene, e in
ornamento dell a.. ver a re - ligione . Ed in un’ altra Lettera.,
che fi legge registrata nel primo Tomo della Geometria . del
medefimo P. Mer- Merferini, cosi feri ve à Retiatd
fteffiò:' Quibus omnibus, cum a udì am Pbyfii cam illam 'ab
eruditi: viri: adeo exo- ptatam, prope dieta edìturum, qud longe
perfeSfius cum dofir# fdei myftfr riis conveniat > omnium
catbolicoriim nomine iibì maxima:,qua: poffum, gratids b’abtó >
qui non folum Pbilofp- pbicis » fed' edam Tbeologicìf verltatV bus
tam feliciter patrocinarli V ’ ', . Quella è quella Fflofófia di
Ruba- to, alla quale diedeiJtìtolo Moiìsù Parlier Antiqua' fide:,
Tbeologia no? va perchè Vincenzo Lirinefe dicea, Ecclefiam non
dovere nova, fed nove \ Sòltenendó egli, che i principi di Re- nato
fono più acconci > ed oppdrtuni di quelli, onde fi fervono'
volgarmén- te gli altri, in ifpiegando ì mifteij della nolfra
religióne -, ‘ e :che non "vi fia cofa nella fua Filófofià
> che non s’accord» co* principi della hofira Chie- fa cattolica,
così il detto Parlier at- teftando ; Ma egli ba fatto altresì ve-
dere t non avervi altra Filo fifa,~che d H 4 me- 1
t V !, .1 b* H*’ •h »•
.t no meglio della fu a j* accordi
co’.prinìcpj della fede della Cbiefa . : .Quella è quella Filofofia di
Rena* to, della quale il profondo, ed acu- tilfimo ingegno 4*
Monfignor Caramu* .cle ne diede il giudizio ., e prefagio infieme,
dicendo., che 1' opinioni di Renato faranno un giorno comuni . ed
univerfalmente ricevuta, toltene però alcune pochiflìme cofe, copie
ri* ferifle llaut I pj;e G della vita del medefi- mo . • Monfignor
\ Caramuele ba predetto, che l opinioni del • DejcarW,. diverrei
* ** » « Li V. • • » »* A'i . botto un.', giorno affatto
comuni t e fareb» fono univer/aìmente ricevute ., rr»r alcune poche
. E con ciò verifican- doli 1* altro prefagio d’Alefiandro Taf-
fone, intorno ad Arinotele Iteflò, di- cendo cosi; i L‘ opinioni d* ziri
fot ile, le quali innanzi (e vittorie di Siila non erano introdotte,
nè conofciute in Italia, potrebbe venir tempo, che non oftante /’ ofiin
anione degl ’ idolatri di quel Filofofo, fi vedranno f cartate, * .
/ r Quella è quella Filofofia di Renatola * V '
Cattolica religioni* profefftone perfeverans y me prafente, et exbortante, mortem cum vita commu- tanti,
Cbrifti Salvator» redemtionem petit ur us . In ipforum fidem coram
Dee tejìimonium perbibens, prafentem Aflum fubftgnavi in Conventu
SanEìi Augufli - ni de Urbe r Rom* t die nona Ma ìì 1667.
Que- o pur per geiofia di gloria» da cui vien tócca,
e facilmente turbata la Repubblica de’ Letterati . E fe in alcune
cofc la Tan- ta .Sede-ha voluto, che refii donec cpYrigatur,
potrebbe alla fine la San- tità' Vostra purgandola, fedare tan- te
liti, e difpute, ancorché il contra-, rio malamente pretenda, e con
danna- bile temerità la famiglia d’ alcuni Re. ligiofi, Solo per
mantenere odi nata- mente le loro opinioni nelle loro Filo- fofie,
come vien riferito dal P. Gre- gorio di Valenza, dal Vefcovo Fra
Melchior Cano, e da altri . . Ma refiino pur nelle, fcuole
que- lli, e sì fatti argomenti, e ragioni intorno alla varietà
delle Filofofie, e Vostra Santità* a cui s’appartie- ne di
fiabilirne la verità./ perocché non **$
non ceffan mai tali contefe ; concor. dandoci piuttofto, come
Seneca ditte» la divertirà degli orologi ne’ momenti» che
de’filofofànti le fcuole,e partico- larmente tanto più fiere,
quantochè fono d’ ingegno ; ond’ ebbe a dire uni certo autore:
Citiut in gratiam, pojt mutuai cladei ingerita redeunt 'regei- »'
quam partium fìudio infiammati pkilo- fopbi . Vnaqueque enim feda (
Lat-' tanzio ditte-) omnei aitai- evertit, ut fe j fitaque confrmet,
nec ulti - alteri fapere conce dit, ne fe dèfipere fatea - tur .
Ita ut ( foggiunfe Eufebio non lingua, et calamo foltim, verum
etiam manibui pralium -geratur . E sì fiottili ? e facili in
rifutando beifando 1* una 1’ altra, com’; egli’ è più agevole il
riprendere, .che 1* insegnare; il convincere la bugia, che
ritrovare la verità E. in ve-- ro che ha che fare la Filofofia u—
mana colla - ' celefte, eh’ è • la reli- gione, così appellandola
Crifnftomo in più luoghi ? Religio Cbrijìiana ve-
Digitized by Google I.i6 9 0 • vera » et caelejlìs
Pbilofopbia eft . Che hi che fare la Filofofia umana > o fia
l’an- tica, o fia la moderna colla fede, quan- do non v,’è altra
Filofofia più vera, che la dottrina della Chiefa ?• Hanc ipfam
folata comperi efse ver am, atque utilem Pbilofopbiam .» di/Te Giudino .
C fe al- cuna cofa di vero avellerò detto i Fi- Iqfofi, come
ingiudi pofleflòri di quel- la-rgli riprende Agodino . Si qua Pbi-
lofopbi vera dix/rqnt, ab eis effe tan- quam injufiis poffefforibus
vindicanda . E però 1* Apodolo delle genti, fopra ognaltra cofa
efprelfamente comandò: Captare intelleRum in obfequium jidei noe
debere qua rat ione demon - firari nequeunt . Conciolfiecofachè
la nodra fede derivi da principi altiflìmi, e fopraqnaturali . Che
ha che fare la ragione umana colla Teologia ftelfa ? Qjtemadmodum
enim ( dice il Ver u la- mio ) Tbeologiam in Pbilofopbia qua* rere
per inde e fi, ac fi viver quarat inter mortuos, ita contra
Pbilofopbiam in Tbeologia quarert aliud non e fi V quarti mortuos
quarere inter v'tvos . Ol- treché la Filofofia egli è ancella, e
ferva della Teologia medefìma la quale, come regina, delle fcienze,
tragge dietro di fe incatenate tutte 1* altre facoltà > e difcipline
umane ; la. qual cofa in piìi luoghi vien detta da S. Gio Grifo
domo. Ex Pbilofopbia res divinar intelligere velie, e fi candent.
ferrant i, non forcipe yf ed digito contee Slare . Lo fteffo in quelF
altro modo .* Nibil commune babet bumana ratio collata in divinis ;
ideoque * blafpbemia I 1 ' 4 *#
fu' condannata per comune parere de’ mede li mi Arillotelici, • a
tellimonianza del, !*. PolTevini di fopra lodato ; ardirono di dire
quella eflere la vera -, quella elTere la più certa, quando mon
effer- vi niente di vero, e di certo nelle Fi* lofofie, Porfirio
dilTe : Nulium effe in Pbilofopbia locum non dubitabìlem . Lo Hello
altrove : De rebus Pbilofopbia multa diSla effe a Gradi, veruni ex
conjeSìura . Quindi è, che.Adexerci- t attorie m ingenti Pbilofopbias
> effe inven- tar,-Seneca manifellò . £d altrove co- sì :
Pbilofopbias ft elegantias, et argu- tias dixero, reSìe cenfeam appella
fj e . Anzi dalle ciance, e favole de’ Poeti } efler quelle
originate arrelìa PlutarcOi Omnes videlicet P biìofopborum feSlas
ab fìomero originerà fumfiffe . lpfeque Art - fioteles fatetur
Pbilefopbos natura Pbi - lotnytbos, hoc efi fabularum
fludtojos '/•
.--J li* effe. De’ quali per li loro fogni, e fe- gni
dati alle delle, diffe Manilio Fit totum fabula Coslum — • '•
. Vuole però Macrobio-» che Nec omni- bus f abititi Pb lo
jopbia repugnai, nec o- mnibus acquìi'fcit . E San r ’ Epifanio
fpezialmenre chiamò' la Filofofia d’A- ri Itocele quoddam fabulamentum .
Leg- gendoli preìfo Varrone' ancora : Porre- mo nemo agrotus
quidquam (orrtniat tam ìnfandum, quod non alìquis dìcat Pbi -
Jofopbus . E predo Cicerone lo (ledo: Nefcto quomedo nibil tam abfurdi
dici potelì, quod non dicatur ab aliquo Pbi - lofopbo . E parlando
della barbarica Filofofìa Clemente 1’ Aledandrino cosi ne lafciò
fcrirto: Quod hi novi Pbilo • fopbi apud Gr fecondo il Paflavanti,
diconfot- tigliezze, e noviradi, e varie Filofo- fie con parole
miftiche, e figurate, che nulla conchiudono, come di Por. firio
l’Ariftotelico, tanto nemico de* Crittiani, e della Criftiana
dottrina cantò il Petrarca: Pot firio y .cbe d'acuti,
fillogifmi Empiè la dialettica faretra, Facendo contea s / vero
arme i fo- fifmi . Dicendo fimilmente il Petito, eh’ e-
glino (ledi non intendono quello, che dicono, e tantomeno gli uditori. Non ìntellìgunt neque, qua loquuntur, ne- que
de quibus affirmant . Il,he fece dire al Verularmo : Habet
hoc ìnge - nìum bumanum, ut cum ad folida non fuffeccrìt, in
futihbus atteratur . Po- co o nulla badando, quando fentono
altrimeore parlare nella Teologia dell' Evangelio, de’ Padri, de’
Concilj Aedi, come n’avvifa il P. Malebran- che . Nejcio tamen qua
mentis per- turbatione nonnulli eferantur, fi ali- ter quam
Arijìoteles, pbilofopbari a si- de as, dum parum curant, an in re-
bus T beolcgicis ab Evangelio Patribus t et Concilìis non difeedas . Il
che fu detto primamente da Monlignor Ciam- poli, chiamandogli in
primo luogo ambizioni di parere più Peripateti- ci, che Cattolici,
poi fclamò; Che perversione di gìudicio è quefia, volere
f ...Il f f !
i fk •,j t| Sì Ir 134
introdurre una religione più fedele ad Arijlotele, che a Dio ? E
quel eh’ è di maraviglia, proccurano coltoro ('dice l’autore de’
cinque Dialoghi ) Di jof- fogare tutte l' altre fette nella maniera
dagli Ottomani ujata, i quali non la- j ciano vivere alcuno de’ fuoi
fratelli, per ijlabilire sì magi fralmente i loro do- gmi in tutte
le fctiole Crìfiane . Come riferifee d’ Arinotele fteflo il Verula-
mio. Arifìoteles more Otbomanorum re- gnare jebaud tutopoffe putaret,
nifi fra - tres fuos omnes trucidaret . Credendo ancora di ritrovar
in quello loro mae* Aro la falute, e di Ilare con elfo lui sì
llrettamente attaccati, come ad un fallo, ad uno fccglio, qualìchè
foffe- ro buttati da una tempella per fuggi, re il naufragio . E
così appiccati, ed ubbidienti, dice un altro autore alla Filofofia
del medefimo, che fembra lor commettere un delitto di fellonia il
partirli un menomo punto da lui, in modo che non dicefi
Peripatetico chiunque in tutto non s’ abbandona a’ fen.
Digitized by Google H5 feriti menti del
medefimo. Eaàem men- te ( dice il medefimo P. Malebranche in un
altro luogo ) Pbilofopbia ifta di- scenda eji, qua leguntur bì fiori* ;
fi enìm eo licentia deveniat ut ratióne et mente tua Utaris > ..nonefi quoà fpe-
res te evafurum effe in magnum Philo- fopbum : oportet enim difcipulum
ere. dere > £ il giudiciofiflìmo Sorel di fo- pra lodato, in
quell’ altra maniera .* Jntantb quefii ciechi volontari ar di) co-
no di pubblicare, che non bi fogna Sof- frire alcuna innovazione nè'
riformazione nelle .fetenze ; benché quefio fi a il. filo piezzo
per. renderle perfette . • Ma. a chi creder affi; piuttofio, a degli f
chiavi, e mercenari* che non. fanno jemplicemente, che. difiribuire
per gli feriti i t e per le loro lezioni la dottrina, ch'eglino hanno
tro- fvata negli,.fcr itti degli altri} E pi fi oltre il medefimo
Sorel così : Ci fino delle perfine così f empiici, che credono, che
non fi debba ; rivocar pili in dubbio quello, eh' è in Arjfiotele, che
quello » eh' è nell' Evangelio. Non mancandovi ancora degli altri,
ì quali per difendere cotefta lor Filo-, fofia fi danno alle maldicenze,
ed alle fatire, poco avvertendo non ef- fervi fatira maggiore >
che quella della ragione llefla, la quale rende bugiardo, ed
ignorante colui, che vien convinto da fbrtifiimi argomenti, facendo
ingiuria ancora a tanti uomi- ni dabbene, e a tanti Religiofi, co-
me fono i Padri de’ Minimi, e i Padri dell’ Oratorio, ed i migliori
Gefuiti, eh han feguitato la Filo- fofia moderna, e foraftieri, e
Ita- liani, e in Bologna particolarmente, dov* è Campata la
Filofofia moder- na, fotto nome Burgundi a, infegna- ta
pubblicamente a tempo, che Vostra Santità’ era ivi Legaro . E
perciò coftui in quella maniera vien riprefo da Sant* Agoftino : Illius
[cri- pta fumma funt, et au fioritale dignif- ftma, qui nuìlum
verbum, quod revo- care deber et omifit . Hoc quifquis non efi
adjequutus fecundas babeat partes *37 modeftU, quia
primas non potuti ba- lere Capti nti et catbedrar primas ambiente s
; in quello modo con in- crepazione favella : A deo nimirum
altercando • non modo verità f arnitti- tur, jed caritas
exjìinguitur, et dif- pntandi modum majorum exemplo tan- tum
agreffos, nulla modeftia repagu- la cohibent ; ; Onde Luca
Holftenio eruditilfimo Bibliotecario, -dolendoli della difunione
della Chiefa Orien- tale, ed Occidentale ebbe a- di- re : LuEluofum
fcbtfma Orienti!, et Occidenti s
Ecclefias divìdens induxit dijput aridi pruritus, omnia in quafito-
nem, et controverfiam > • poftb abita cantate, adducens ; nulla venta
» ' tis cura, fed uno vincendi ftudio ; .e a confuet udine,
vel opinione aliis legern fr^jcribens » et quod • mife-
ra, * 3 $ ra j ó* afflìtta fortuna duri (firn atto
ha- hjet, é? iniquijfmum efi, qttod ir, fugati- ti um ludibriis
impune pateat -, Dicendo un altro autore : Jd nec Pbìkfophum, multo
minus Cbrijlianum decuiffe videtur. Nè qui termina la loro baldanza,
ar- rogandoli, ]a medelìma poteftà della SENTITA'- Vostra in
condannare quel- lo., che non mai ha condannato nè Vostra Santità’,
nè altro Pontefi- ce, dico, 1’, opinare nelle Filofofie, for- zando
gl’ ingegni umani a feguir folo ifentimenti d’un gentile.
Peripatetico, e con noyp giogo privarli di quella li- bertà,
ch’.abbiamo per diritto di na- tura, e per legge d’ Iddio, che ci
ha Jafciato il liberamente penfarc e medi- tare :> il che è
quali l’ unica, e fola ra. gione, colla quale provali, che l’uo- mo
lia ragionevole, e l’anima immor- tale . Quindi è, che prefe giufta
oc- cafione Tommafo Moro ( alle di cui lodi ogni penna è ..vile per
elTer egli chiari (fimo non meno nelle lettere, che nella pietà
Criftiana, per la quale *39 facrifìcò fa vita, c i
beni, e la fami- glia della ) di formare appodatamen- te una
DilTertazione intorno a que* Teologi di fuo tempo » dandole que-
llo titolo : Differtatio Epiftolica de a- lìquot fui tempori s
Tbeologaftrorum ine • pt'jis ; non per altro, fe non perchè quedi
co* principi d’ Aridotele difen- dere voleano, o piuttodo offen-
dere la Teologia, • in quella ma- niera fgridandogli : Quamobrem
piane non video qu qui in fuo fterquilinio fuperbit > ac.
extra illa fepta fi panilo producatur longius » illico ignota rerum
omnium facies, tene- bras > ac vertiginem offundit . E più ol-
tre il fuo dilcorfo feguendo : Et mi- rum in modum verfa rerum vice
contin- gity ut qui prius omnes fapie ntia numeros in argumentoja
loquacitate pofuerat > jam I
fenex infantijfimus omnibus rifui foret ~ nifi fluititi^ fu*
fuperciliofum fuentium t fapientia loco pratexeret ; imo potute hoc
ipfo ridìculus, quod qui fuerat Stentore 'damo fior, taciturnior
pj[ce reddatur, et inter loquentes fedeat, v" * '
% Per fon* muta > truncoque ftmìlli- tnus
Herma. E Umilmente Gio. Gerfone il gran Cancelliere della Chiefa, e
dell’U* niverfità di Parigi, non potè atte- nerli di non-
querelarli ancor egli de* Teologi di fuo tempo, in que- lla maniera
dicendo : Cur appellati- tur Tbeologi nofìri tempori s fopbifl*, ut
verbofi, imo et pbantafiici, nifi quia r elidi is utilibus,
intelligibilibus prò auditorum qualìtate > transferunt fe ad
nudam Logicam, vel Metaphy • ficam, etz/nw Mathematica™ > ubi t
et, quando non oportet, i». ten fionc formarum, nunc de
div'tfione continui, nunc detegendo fopbifmata The- ologicis
termini s adumbrata, pri- ori- Digltized
oritates quafdam.in Divini!, menfuraf % ' durationes, injìantias » ftgna
natura, éf ftmilia in medium adducentes, vera r et foli da
effent, ficut non funt, ad fubverfiotiem tamen magie . audientium •,
vel irriftonem, quam re Sì am fidei adipe ationem proficiunt. Come
eziandio de’ filofofanti diiuO tempo il giudiciofiflimo Niccola Leonico,
{limato il più dotto delia fua età, nel Dialogo, a cui diede il
titolo di Peripatetico, così lafciò fcritto : An non ego decem integro
s annos, borum auditori a, ne die am ìufira, ad fidu a
contrivi opera ? om - nefque illorum ineptiat, . et futile s co-
ptionum tricas, ficcis, ut ajunt, an* ribus ebibi ? anxie femper
quteritans fi quid inde excerpere poffem, ne va- cui s, quod dicunt,
manibus et ofei- tans domum rtdirem . Verum, Dii immortale s, quam
rerum inanità - tem apud silos, quantam ? u ? r I
y i r4.it: mìb't magis fapere vifus
fum, f »» quod cum Ulti de fi pere aliquando de (li- ti ; »
così egli' ragiona ? Quofdàm pbilofopbantium avibus fimiles vide
ri, qui levitate quadam, et ambi- tione ingenti e lati, alta petunt, et Phiftca fcrutantur tantum : aliot cani-
bit t, qui laniare, et vellicare avidi * foli Logica adbarefcunt ut pelli,
et in ea rixantur, et mentem ad ulteriora non mittunt. Indi leggiamo
predo Laerzio, che da Euclide fofle fiata no- mata la Logica Rabiem difputandi
: e leggiamo ancora che Arifione antichif- firno Filofofò quelli
tali Cum iis compa - rabat, quicancros comedunt . Nam prò- pter exiguum alimentum circa crujìas,
et teftat diu occupantur. Quindi Mario Nizolio,
che fece un Trattato de' veri principi, e del vero modo di
filofofare, fi lamentò non po- co di Leonico parimente, e di Pico,
com’ eglino s’aveflero folamente rifen- tiro degl’ Intepetri e non
d' Arino- tele, origine, e caufadi tutti. i mali* così dicendo: Hac
quoque Jo Pieus Mi- randola co» tra barbato* Ariflotelis Inter-
prete conqueritur, et vere Me quidem t Jed quemadmodum Leonicus, non
cami- no jujìe, quia pratermittit eum, qui tan- forum illis
errorym. c auffa fuerat, boa eji Arijìo telem . Sed o Bice non re Sì
e faci*, cum de foli s Ini erpretibus Arifto- teli $ quereris,
ipfum autem Ariflotelem, qui omnium malorum cauffq, et origo f it-
iti. » omittis ; dìcen* te perdidiffe meliores anno*, tantafque vigilia
apud Interprete Arinoteli, et nollens illud dicere quod erat verius,
eadem illa omnia te multo ante perdidiffe apud Ariftot.elem ; Per
la qual cofa pareagli, che miglio- re d’ ognaltro avefle fatto il Valla,
che lafciando gl’ Interpetri fi prele la briga in dar la colpa ad
Ariftotele, co- me vero autore, e primo fonte di tan- ti errori, e
fallita, riprendendolo a- pertilfimamente dov* egli andò
errato. Maravigliandoli grandemente il mede- fimo Nizolio
ancora della barbarie del, lor favellare, Qui 5 e fi enim in
fcbolit ijiorum pbilofopbaflrorum tam parum ver* fatti s, qui non
centies audierit, potentia - Ut atei, quidditates . entitates, ecceitates,
univerfalitates, formalitates, materiali - tates, et alia Jexcenta
hujufmodi verbo - rum monfira, qua qui pattilo frequentiut ufurpant,
ufquc adeo l^duntur, et per • vert untar, ut neceffe ftt eos, non
folum valde falli, et errare in pbilojophando, fed etiam in
loquendo, et fcrìbendo ve - hementer fadari, et confpurcari . Come
ugualmente molto fé ne querelò Apulejo per alcune novità di parole
a fuo tempo introdotte, le quali difle egli non fervire che
all’ofcurità delle cole. Datar venia novitati ve ri or um, rerum
obfcuritatibus fervientibm . E fi- nalmente cosi il medefimo
Nizolio tutto il fuo difcorfo conchiufe: Quibus ita monftratìs, ut tandem
aliquando et Caput hoc pofìremum, et totum bttnc Librum abfolvamus,
ita concludi - K mus, X4$ tnuf, ut
reììnquamus duo memoria man» danda, et adfidtte diligenter
cogitanda omnibus, r^iìte pbilofopbari cupiunt, quorum unum e fi,
Ubicumque, et quot» Cumque Dialettici, Metaphyscique funt, ibidem,
et totidem effe capitales . veri i latti bofìes : alterum vero
Quandiu in fcboiii pbilofopborum regnabit, Ari fio - rrtex 7/te
Dialetticus, Ó* Metapbyftcus, fonditi in eis et falfitatem et barbari
- fi» „ fi non lingua et orit, at perocché la Pitagorica
> nomavafi Italiana } ila Platonica per efler egualmente Pitta*
gorica non potea (limarli, anzi piut- tolto dottrina, e Capienza >
tche •Filo* fofia, come dipendente da quella de* gli Ebrei. La
Stoica poi, Epicurea, o (ìa Democritica riguarda più la Mo* tale, e
il regolamento de’coltumi .che altro. E quella d* Arinotele io 'fon
per dire edere la medeiima con quella d* A ree fila, (limata la più
enorme ; per- chè quelli malamente (i ferviva della Platonica,
infegnatagli da Crantore Platonico t imbrattandola co* (odimi di
Diodorot (ottilifiuno dialettico, e col mutabile» e fuggitivo di Pirrone
acutiflìmo fillogilta. Indi egli è » che dicealì di lui » come narra
Plato > 'ex pojìerioribus Pyrrbo * ex mediti Diodo • rui ; E
(eguitando Eufebio (ledo » cosi parla di lui : H/c autem fubtìlìtch
tibus-. Diodori, qui actttui dìalefttcus erat, . et Pirrbonis
ratiocinationibus Pia* tonte am eloquentiam feedavit, et modo K a toc
y «I * qua ! pria !
aflruxerat, confutare . Erat igitur Hydra capita fap proprio enfe
amputanti nec aliquìd habem utile », nifi quod libenter > et audiretur, et videretur . E dell’ of-
curità, e ftrepiro di parole, di cui fon pieni i libri d’ Arinotele con
ter- mini vaghi, e generali, in modo che appena rinvenire fi poflan
due, an- corché fuoi feguaci, e Tettar j, che convenir fappiano in
un medefimo fen- Digltized by Google
fentimento ; ecco il P. Malebranche come ne fa chiari/lima
testimonianza: Quamvii cairn Pbilofopbiipftus do Sì ria am fc docere
adfeverent et autument, vìx tamen duo reperientur, qui circa ejat
fententiam inter fe conjentiant ; quanti, am revera /iriflotelis libri
adeo objcurl funt, totque fcatent termini t vagit et generalibui, ut eorum opinione s, qunC
ipft maxime adverfantut non fine verift- milìtudine pojfìnt ipft trtbuì .
In non- nulla illìus operibus quidlibet ipft adfcri- bere lìcet,
quia in ijs ntbil pene dicìt t quamvts multa magno (Irepitu
deblate- ret : quemadmodum pueri campwnas fo- ndu fuo quidlibet
dicere fingunt, quia campana ingentem edunt fonum, nec quicquam dicunt
. ' \ Quindi non fenza roSTóre de’ me- desimi Ariftotelici
Gio. Sculero nell’Orazione per cosi dire inaugurale, eh’ ei fece intorno
al riftauramer- to della Filofofia con quel princi-’ pio-: .
‘ i diffe : Quid magli noxiura Cbrijlìanre }uventuti
Cógitarì fot e fi, a tenerti audire ? Quid periculoftus
quarti tene* riniti eofum animiti > qui ad majo » ra defìinantut,
et qu bui > juo tempo • re > fine ReìpubVtca » fitte Eoclefue ad
L tninìfiratio committenda, talia, in fi ahi» lire, aperte
Tbeologis Cbriftian qui ex prafcripto propri t inftitu- tì \ five ex
adfeSlu erga praceptores. certi! opinionibui adharent, omnia fe-
cundum illos dtjudicanl, quacumque auEìor ìtale y et demonflratione po fi
b abi- ta, ad eafdem trahentes quidqutd au- diunt i qmdquid ìegunt
. Il che fo al- mamente difpiacque ancora a Rodol- fo Agricola, uno
de’ primi - letterati del fecolo pattato, (*) che di tanti FU
lofofi 'dell’ antica età era folamente 4 ri- m 1, -»«,Cioè
del fecolo fedicefimo, mentre il Signor Valletta { criflfe la fua Lettera
nel 1700. in pun- tò : ma veramente Agricola non toccò plinto il
decin*ofefto fecolo, pbiché nacque Tan- no *44 x.e mori l’anno 1485, come
notò il Trite- mio • * v Ci u ir tì
ì 1 f y v»A' r i
I t I
'I Jil f :n ; -ib, pra
coftui muore T ultimo Audio de*, vecchi . ... Ecco le Aie parole ?
Quid de Ari ftotele die am ? hic gnìm prope* modum [ohi omnium
prife a alati! Pbi- ìojopborum permanfit in manibui : hunc [ohm, -,
qui \ Pbilojopbite, defìinantur, attìngunt : hunc .primum pueri
difeunt buie ultimum jenum jl uditi m immori - tur : hunc artet
omnei, omnia fiu* diorum genera terunt, trahunt,, dif* cerptmt . Ma
non già dopo che il Cartello aprì, il vero fentiero al mi- gliore,
e più certo modo di filofo* fare;, che ad un Criftiano convenga*.
Come ugualmente tutto ciò fu con» fiderato dal dottilfimo
Vanhelmon- zio, dicendo ; Jndignor et merito » quod ScboU ••
Pbilofopbia ethnica ado » lefcentet male ìmbuant . Lamentan- doli
egli fra 1* altre cofe, non ben convenire la definizione pi che Ari*
Itotele diede all* uomo chiamando- lo Animai ' Rat tonale ; non
avendo egli conofciuto la Tua creazione > nè T effetto d’ ella ;
e perciò 1, dice il fud« detto autore malamente fervirfène
le fcuole Criftiane Vituperai am ìtaqttc definitìonem exìfiimo
t qua homo Ani * mal rat tonale, vel e a effenti ee defcrì- ptione
depìngitur . Siquidem ex ulti • mato fine dejìinationum .
proprietatibus in creando - dejiniendut erat, fi .finii fit
cauffarum prima ex Arinotele . Qua- propter nec hominii de fini fio e
fonte Pagani f mi mendicanda erat ì qui ere* ationem, ejufque fines
piane ignora* vit, Così egli defìniendolo ; Homo ergo eft creatura
vivent in corpore • per. a rum am immortalem oh honorem Dei *
fecundum lumen » &: ad tmaginem Ver- bi . Quando Arinotele -diede
una definizione all* uomo che nulla va-» le » - non 'Vedendoli in
quella nè crea* tura di Dio, nè immortalità dell* anima, da ‘ effo
lui affatto negata * Digitized by Google *54
come Cerna verun dubbio l’ affettano Ciucino nella Parerteli,
Teodoreto nel Libro della natura dell* uomo, Gregorio Nifleno nel
Libro dell* Ani- ma Origene in più luoghi delle Tue Opere, Gregorio
Nazianzeno nella dif- puta contro Eunomio, il Cardinal Gaetano nel
Trattato deli’ Anima, Plutarco y Galeno, ed infiniti altri
fcrittori profani . Per lo che non fen* za ragione chia mai Io
Tertu]]iano«?//é- to f dicendo nel Libro delle Ptefcrizio- ni
Miferum Arijlotelem ; foggiung; ndo, J Qui illis Diale Che am inHituit,
artifi - eem (Intendi, et defiruendi verfipellem t in fententiìs co
a Cium, in conjeCìurit nec t allietate Panos -, oec ar*
tibusGracos, nec denique hoc ipfo bu - jus' sentii, et terra domenica
> . nativo • que - fenftt Jtalos iffoi > et Latìnot $ fed
pktate, ac religione, atque naiionel ’• que [uperavìmus . ••
’• • :i E finalmente eonofeendofi ancora dagli Ebrei,
la Filofofia d’ Arinotele ef- li •* *
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Ì-1 h È i l - i
Ir À, • I f .»
t •1 a # • i
li I t5*
eflere in pregiu diciò della religione, fa. pubblicato decreto nel
Sinedrio de- gli Afrnonei ( come fi legge nell* irto- ria de’ loro
tempi ) così dicendo .• Ma- le diti us qui docet filium fuum
Pbtlofo- pbiam G rac am . : Il che vien riferito ancora da Arrigo
Enefiio nel fuo Li- bro Vir fapiens . Quindi, non fia ma- raviglia,
quando leggiamo preffoCle- mente 1’ Aleflandrino, Grata itaque •
Pbilofopbia, ut alti volunt, a Diabo- lo mota e fi i Anzi i Giudei dopo
la venuta del noftro Salvatore, ancorché * empj, pur dannarono la
Filofofìa d’A- riftotele ; perocché avendo pubblicato il Re Moisè
un Libro» a cui diede il titolo 1 Mereh Nevekim, fu acculato, dagli
altri Dottori d’aver corrotta la loro religione » per aver in effo
pur troppo mefcolata la Metafilica d’ Ari- flotele, come narra il
P. Si mone nel fupplemcnto al Libro delle cerimonie/ e de’coftumi
de’ Giudei di Leone Mo- dena .. Ed io in finendo dirò di lui con il
gran Pico della Mirandola ; Mali prtnctpiì finis masut
. Da turco ciò, che fi è fin qui rap* portato, potrà la
Santità 1 V ostra pienamente avvifare quànto fian da ri- prenderti
co fi oro, ì quali ardi (cono di biafimare quefta Filofofia, che
mala- mente chiaman moderna, e nuova, e dannarla come fcandalofa, e
mala - r quando finora nè la Santità’ Vostra* nè gli altri
fantiflìmi Pontefici antecefi» fori * hannola giammai penfiata con-
dannare . Anzi il contrario leggiamo riabilito dalla Santità d’Innocenzio
XI» in una Bolla ; ciò egli è * . che niuna. cola tra filofofanti,
ed altri, che fico- lafiicamente fi contende, giammai fi' danni o
in difiputando* o fcrivendo, o in pubblicando, che pria dalla Santa
Romana Chiefia condannata non fia ; Ma quando anche ciò non fofie,
qual furore, o fpinto dii zelo ijpinge tant* oltre, cofioro ad
incagionar coma- rea * e mala una Filofofia * che ha per au- tori
uomini cattolici, • dabbene, e di integrifiìma vita ; avendo per lo
con* x$8 trario la lor Filofofia per autori fio.
mini gentili, e tra gentili i più per- vertì, e federati ? Qual ila (iato
già il lor Padre Arinotele, e di che coftumi l’iftorie de* Greci, e
de’. Latini ne fan piena, ed affai- ampia tedimonianza ; Quai
fentimenti, e quanto perniziofi sì alle Repubbliche, sì alla j
religione, che a* Tuoi tempi lì tenea tra Greci, egli lanciato
abbia a’ poderi la San- tità' Vostra, rivolgendo l’occhio a quello,
che per 1* autorità d’ infiniti fanti Padri, e di molti altri autori
pro- fani fi è riportato, porrà benignamen- te giudicarlo., Non
evvi Tanto Padre, che per otto e più - fecoli riprefo -, e
biafimato non l’abbia, nè mai leggia- mo, che alcuno l’abbia feguito, o
fia dato così dettamente legato alla di lui dottrina, come tuttavia
fon codo- ro. Dottrina veramente tre volte per- niziofiflìma,
madre, e fonte di tante e tante erefie + che per tanto tempo
didurbarono. ed affliflero la Chiefa, e di Crido la vede lacerarono . E
fe .. : rifor- 159 riforgefle il gran Bafilio,
quanti equa-' li de’ noftri tempi riprenderebbe più fortemente, che
non fece ad Eunomio^ ed agli Eunomiani- de* Tuoi tempi j t - quali
giuravano Tulle parole d* Arino- tele, come full* Evangelo > e pofero
in ifcompigtio la Chiefa d’ Oriente? Che diremo degli Atanasj, e
degli A leffa n* dri Vefcovi d\ Aleffandria ? . Quanti Crilìiani
taccierebbono d’ Arianifmo, yeggendogli così attaccati ad
Arinotele, onde Tempio Ario prefe Tarmi, e le faettc contro del
Verbo ? Non farei per mai finirla, fe voleffi addurre par*
titamente tutte Terefie, • che da’fegua* ci d’ Arinotele fono fiate
indotte nell» Romana Chiefa per tanti fecoli, e di giorno. in
giorno van riforgendo. Baffi fol dire, che da fei, o più. fecoli
tut- ti gli errori fian venuti da oriondi per così dire, e
figliuoli del grande Aride* tele ... i ' « • Ma fliafì pur
colla fua pace Arido* tele, con quella pace, che nel più cu- po
dell’ Inferno, ov’egli fea.giace, dar > fi può i6o
fi può- Siali ' flato Arinotele non tan- to federato ; anzi dirò
più, fiati (tato uomo dabbene, avvegnaché gentile ei lì (offe .
Sianli Santi tutti gli Arifto- telici, i quali hanno avuto, ed
hanno il nome di Criltiano . Siali la lor dot- trina ottima-, e di
niun pregiudicio j non però avrà che far nulla colla no- Itra
l’anta' religione nè di buono, nè di malo . Siali io dico, e ridico la
lor dottrina profittevole in ifpiegare gli ar- cani della natura,
la natura delle pian- te » degli animali, e che lo io ; non dovran
perciò biafimare tutte 1’ altre Filofofie, eh’ eglino non profèlTano,
quando quelle niuna cola infegnano, che contraria lia a’ buoni collumi,
al- le leggi naturali, ed alle leggi di Cri- Ho, e della Chiefa .
Coloro, che rin- novate l’hanno tutti fon già morti cat- tolici, ed
in feno della Chiefa, lenza veruno fofpetto, quantunque minimo d’
erefia . E* conceduto, che in qual- che Libro d’ alcun Filofofo
Criltiano vi folle qualche opinione » chiaramente con-
rii 'contraria alla verità della religione, fenza
dubbio 'veruno toccherebbe alla Chiefa di condannarla . Potrebbe!!
pe- rò ( parlo pieno di rifpetto, e di zelo, con quella riverenza
ed ubbidienza, che lì dee alla Santità* Vostra, ed alla Santa
Chiefa ) dìdimamente con- dannare quella opinione eretica, ovve- ro
fcandalofa > come fece per molte dichiarazioni AlelTandro VII. ed
altri Pontefici ; e non ributtarli tutto il cor- po d’un libro, il
quale lì compone d* infinite, e varie opinioni, delle quali la
maggior parte niuno attaccamento ha, ovvero dipendenza colla verità
del- la fede. Così leggiamo Origene, e Tertulliano lìcuramente,
avvegnaché ambedue in molte co fe lian traviati, come poco
ollervanti della nollra reli. gione . Così leggiamo ancora ' San
Ci-' priano Martire, quantunque folle fia- to d'opinione, che i
battezzati dagli eretici lì doveflero ribattezzare ; laqua- le poi
fu dannata dalla Santa Chiefa' per mezzo d’ un Concilio > come ancora
tanti altri errori di Lattanzio >d* Arnobio» e d’altri. Or fe ciò fia
lecir- to nelle cofe di tanta importanza » cioè nella Teologia,
potrà ancora efler-Te- / cito nelle Filosofie, le quali van de-
correndo femplicemente degli arcani della natura. Il
filosofare, Beatissimo Padre, fu Tempre mai, conforme s* è dimo-
ftrato, libero, e permefiò a chi che fia, purché contrario egli non fia
alla religione > alle leggi umane > ed a’ buo- ni coftumi.
Non han cofa gli uomini» che fia più lontana > e men foggetta
al- le poteftà terrene, che il loro Spirito. Nè v’ è cofa più intollerabile,
cl}e quando fi veggono rapire la libertà de* loro penfieri ;
perocché tanto è toglie- re la libertà del filosofare, quanto è
togliere la libertà dell’ opinare ftefTo, non effendo altro le Filofofie
che opi- nazioni * Quindi è, che coloro, i qua- li per dura legge
delle genti fono fchia- vi delle altrui volontà > pur fi riman-
gono liberi nelle loro opinioni, ed i lor padroni > i quali han poteftà
della lor vita, non poflòno difporre de’ loro li* beri fentimenti .
Solamente lo fpirita dell’ uomo a Dio è tenuto renderli avvinto, elfendo
egli folo la prima veri- tà per elfenza, la quale non può giam- mai
nè ingannarli, nè ingannare ; ed iòdi poi ancora la fua Chiefa > la
qua- le ci favella da fua parte, toccando a lei d’interpetrare gli
oracoli, ed arca- ni di Dio . Indi quella ubbidienza del- la nollra
ragione libera all* autorità Divina fu fempre giudicata da tutti la
prima, e più grata vittima, che noi dobbiamo offerire a Dio. Il
facrifizio certamente non è egli fanguinofo, è ben però il più
pregiato, e caro ; perocché conduce gli fpiriti nollri, na- turalmente di
ripofo impazienti a sì felice fervi tù, principio » e mezzo d* ogni
nollro bene, e falute • Perchè li dee in ciò ufare grandilfima
diligenza, nè legare sì llrettamente quello nollro libero arbitrio
in cofe, le quali poco, o nulla montano ; perocché potreb- Lz
beli befi temere di qualche rivolgimento, o per così dire temerità
dal vederli sì ftretto, e incatenato . Oltreché po- trebbeli da ciò
dar luogo di penfar malamente, che la noftra fede dipcn- deffe da’
principi delle Filofofie, e che la noftra religione » ed Arinotele
fot fero sì Erettamente uniti, e me (cola- ti, che 1' una fenza
l’altro non polla da noi crederli. Sarebbe ben tre volte incollante
la noftra fede, fe ftabilita folle fopra così balle, e poco (labili
fondamenta, ed andalfe dietro a’fogni, ed alle frafche de’ Filofofanti .
La ve- rità vien ricercata si dalla Filofofia,• ed è Hata ricercata
già per migliaia d* anni ; ma non giammai però è Hata ella
ritrovata ; perocché Iddio ha vo- luto lafciare il Mondo all’efercizio
in- nocente delle Filofolie, ed all’incerto inveftigamento delle
cole naturali, e però alle difpute . Mundum tradidit
difputation'tbus eorum. Conforme anco- ra va dimoftrando San Gregorio
Nazianzeno in un difeorfo, ch’egli detta delle dìfpute. La Teologia fola
ha ri- trovata la verità, perch’ella fola s’ ag- gira intorno alla
vera luce, e prima 1 ferità, eh’ è Iddio, principio d’ ogni j
noftro fapere; onde gloriavafi 1* Apo- flolo di non fapere altra
cofe, cheCri- tto crocifitto. Quefla verità ritrovata nella
Teologia altri non poffede, che 1 la noftra fanta religione, la
quale quan- tunque contrattata, ed afflitta da tan- ti e tanti
tiranni, pur fempre mai • vìttoriofa per tanti » e tanti fecoli
ha trionferò, e trionferà per fempre più gloriofa . Veritatem (
ditte un autore ) Pbilofopbia quper ciò fare ha volu- to
fervirfi ; perocché verfando quefte intorno ad una caufa, la quale al
prefente fi può dir prelfochè comune, di comune, ed univerlal
difefa ancora elleno pedono molto acconciamente fervire. Recando adunque le
molte parole fue m una, quella nella foftanza fembra edere fia- ta
T idea di lui . Egli ha come in due parti divifa tutta la Lettera, in una
delle quali s* è ingegnato di biafimare, e deprimere il pia che ha
potuto Ariftotile; e nell’altra lodare, e portare alle ftelle Renato
Defeartes. Egli ha depredo Ariftotile, comparandolo prima- mente
con Platone, e inoltrando, che il principato tra i filolòfi è di quello
fecondo; L 4 che da tutti i fanti Padri molto è flato cele*
brato: che la fua filofofìa è la più favorevo- le, ed acconcia alla
Chiefà cattolica ; e che quella d’ Ariftotile è la più contraria, e
pre- giudiziale . S’ e poi ingegnato di inoltrare, che Ariftotile è
flato 1* origine di tutte l’erefie.* eh’ è flato biafimato da tutti i fanti
Pa- dri, e finalmente tutto quello ha raccolto, che può fèrvire di
biafimo, e di vitupero di quello filolofo • Di qui è pallato a
glorifica- re il Defcartes . Ha mcftrato da quanti e quali uomini e
fiata la lita filofofìa appro- vata, e ricevuta : com’ ella s’ uniforma
a’fen- timenti de’ fanti Padri : come ferve molto per difi reggere
l’erefie, e così fatte altre cofe af- fai. Onde porta l’incertezza di
tutte le filo- fofie per cagione del corto intendimento u* mano, e
porta Umilmente la libertà di giu- dicare, eh’ hanno gl’ intelletti nelle
materie fìlofcfiche y ha concitilo, ellère molto da riprovare Tattaccarfi
fidamente ad Ariftotile . C jntra il quale molte colè di nuovo
adducen* do, e moltiflime altresì a favore di Renato, della filofofìa
di cui teffe un lungo panegiri- co ; finalmente conclude, effere forte da
ri- prendere coloro, che ardifeono biafimare la filofofìa moderna,
la quale non fido al paro coll’ Ariftotelica può andare; ma in oltre
ad erta dee ellère antiporta, come quella, che dalla Platonica fi
deriva, e per più altre lo* i6$ di, ch’egli affai
minutamente, e a lungo ya numerando. Ora volendo (opra cosi
fatta argomentazio- ne col medefimo fine dell* autor fuo, cioè a
prò della moderna filofòfia, alcuna colà of* fervare; dico in prima, non
effere molto da commendare Io ftabilire la difefa di effe mo- derna
filofòfia fopra la depreffione d’Arifto- tile, e fopra la deificazione,
per dir così, di Renato delle Carte . Quantunque volte un
eccellente fcrittore ha occupato un poftocon- fiderabile nella repubblica
delle lettere, non manca mai la fazione di quelli, che Pefàltano, e di
coloro, che lo deprimono fuori del dovere . Vero è, che ci fono ancora
difcreti eftimatori delle cole, i quali il buono dal reo feparando,
quel prudente mezzo eleggono nel dar giudicio, che fecondo dirittura di
ra* gione fi vuol tenere. Molti efèmpj io potrei addurre per
confermazione di ciò: ma perchè fopra Ariflotile procede ilnoftro
ragionamen- to, volentieri io non mi partirò da eflo. Per efempio
adunque de’ glorificatori affettati di quello filofofo fia Averroe, il
quale in que- llo modo lafciò fcritto di lui : j4riflotelir do *
Urina efl Stimma Veritas, quoniam ejus intei* lelhts fuit finis bumani
intclleftus ; quare bene dicitur de ilio, quod ipfe fnit creatus, et da*
tus nobis Divina providentia, ut non ignori mus Doffibilia feiri .
E nella Prefazione alla .. Fifica; Complevii ( Ix>gicam,
Ethicam -, óc Metaphyficam ) quia nullus eorum, qui fecu * ti funt
eum ufque ad hoc tcmpus, quod efl mille et . quingentorum annorum,
quidquam ad* didit, nec invenies in ejus verbi s errorem ali* cujus
quantitatis, # ta/ew £// per quan- to egli raedefimo ne dice, venti anni
interi fpefi avendo iti Squadernare i libri d* Ariflo- tile, anzi
oracolo, che giudicio è da repu- tarli . Così adunque egli fcrive nel
Prolago al libro JY. del fuo Examen vanitati* dottrir Tue gentium :
Multa apud Ariflotelem erudì . f > tio, multa eleganti a
fcribendi, inulta etiam, fcrtajfe verità* : fed certe non parva
vanita* * - JLo fcrutinio fin qui da noi fatto di varj, c
oppofti giudicj intorno al medefimo fog- getto formati, può fervir di
regola nel giudi- 1 care di. tutti gli eccellenti fcrittori. Noq
bifir gna nè alla bellezza della virtù, nè alia brut- tezza de’vizj
lafciarfi cosi rollo ingannare, nè fafcinare in modo la vi (la, che fi
travegga e fi finarrilca quel fenderò dì mezzo, per cui Tempre
colla (corta della ragione dobbiamo proccurare d* incamminarci . Ma egli
fi ritro- vano uomini d’ immaginazione tanto gagliar- da e forte,
che poiché hanno fidato la men- te nella qualità d’ un oggetto, non
(anno tanto o quanto fidarla per dominarne le al- tre - Conoro
confederano ' le colè (blamente per quel verfo, a cui dal moto de* (oro
fpi- riti fono portati, e di qui è, che o il bene folo, o il male
precifamente contemplano » Quello predominio dell’ immaginazione in
nelfun’ altra opera per mio avvilo meglio fi fcorge, quanto in quella de
veris principiis, et vera ratione pbilofopbaudi di Mario Nizo- iio.
Quello fcrietore avendo al principio con- ceputo della (lima verfo
Cicerone, e vdeldifi credito per • Ari dotile,‘a poco a poco s* è
lafeiato condurre a tale, che nuli*- altro che il lodevole in quello, e
in quello nuli* altro che il biafimevole egli vedeva . Gli è fi-
nalmente» paruto, eh’ ogni cofa, anche 1’ imperfezioni del primo roderò
divinità, e le cole anche buone del fecondo fodero vizj, e magagne
. Di qui è, che negli accennati li- bri, egli conculca ogni opinione, e
lèntenzia d’ Arillotile, e glorifica ogni detto di CICERONE (si veda);
per qualunque definizione anche de- bole, e imperfetta del quale, egli s’
ingegna di ritrovare principi, da cui fi deduce com*
ella è giuftiflima, e vera. Quella lòrta di li- bri può efler utile per
quelli, che all* oppo- fla parte fono dalla palfione portati /
perchè fcorgendo nella lettura di elfi il rovescio, co- me fi dice,
della medaglia, può avvenire, che s* inducano a dubitare di quello, che
fi- no allora aveano tenuto per fermo . Per al- tro e l’uno e 1*
altro di quelli eflremi merita grandilfimo biafimo, nè v’ ha colà,che più
i retti giudici impedifca quanto quello fv la- mento della ragione, a cui
la fantafia ha tolto la briglia di mano,. Intanto la vanità, e
lafu- perbia dell’ uomo fi palce molto di così fat- to cibo, perchè
o colla deificazione, o colla deprelfione altrui o coll’uno e l’altro
inlìeme, fi fpera di potere llabilire la propria fama « Egli
avviene nonpertanto, che la colà il più delle volte va tutt* all’ oppollo
. Nulla è che minor imprelfione faccia nelle menti de- gli uomini,
e che più agevolmente dimenti- chino, quanto quelli sforzi violenti :
degl’ intelletti da troppo gagliarda immaginazione trafportati :
non altrimenti appunto, che 1* azioni llravaganti, e inufitate de’ pazzi,
ap- pena s’oflèrvano . E chi è egli, che fìlolò- fando fi Ila
giammai attenuto a’ principj di- Mario Nizolio? lo non ritrovo appena
regi- flrato il filo nome tra i nemici d’Àrillotile. Ma ritornando
in via, dico, che l’autore di quella Lettera fembra effere (lato
alquan* to tocco dal prurito y di cui abbiamo fin qui favellato,
mentre con tutto lo sforzo dello fpirito s y è ingegnato di raccogliere
il polfibL. le con tra Ariftotile, e dall* altro canto por- tare
fino alle ftelle il Delcartes ; ogni prova facendo > e nulla intentato
lalciando per ap- pannare, e far violenza agl* intelletti de’luoi
leggitori . Per contraflegno della fila palilo* ne, anche dentro a*
cancelli di puro racco* glitore degli altrui giudicj, offervifi il modo,
eh* egli tiene alla pagina 34. in iftorcere vio- lentemente contra
Ariftotile alcune parole del P. Petavio, dette ad altro
intendimento, anzi in propofito tutto conti ario. Quello Pa- dre
nel capitolo III. numero V. dei Prolago alla fua Opera de* Dogmi
Teologici, dopo avere addotto un lungo palio di S. Bafiiio, nel
quale lèmbra, eh* e* rigetti in tutto la filolòfia Ariftotelica,
foggiunge al fine cobi: Ceterum iifdem in verbi * videtur Bafìlius
in totum abdicale, ac rejecijje ab fidei, Theo* hgiécque conjortio
univerfam Ariflotelis philofo* phiam tanquam Cbriflo irrvifam, et inimicami
atque ab bofle illius Diabolo proferì am . Quam uonmllorum opinionem
refellit Clemens Ale*an- drinus in primo Stromateon > ut alibi memini
- mus . Sed ab bujufmodi Jufpicione Bafilium paullo pofl purgabimus
. Ora il nollro autore prende da quello palio quelle lòie parole ;
Ari m Ari flotti is j>hilofophiam tanquam Chriflo invi,
fam, et inimicam i atque ab hofle illitis Dia. bolo profeti am ; e le
porta come un detto del P. Petavio contra la fìlolòfia d’ Ariftotile.
E chi non vede però che il prurito di conculcare quello filofofo ha
fuggerito all’autore della let- tera una sì aperta, e abominevole
ftorpiatura? E pure y fe per 1* altro verfo vogliamo ri-
guardare e Arillotile, e il Delcartes, non ci mancherà motivo, nè
fcrittori, i quali ci a- prirànno la ftrada a deificare il primo, ed
a deprimere, e conculcare ancora il fecondo, lènza nè pure aver
bifogno di ricorrere a tali artificj . Ogni volta che uno fcrittore s’ha
a. cquiftato un gran nome nella repubblica del- le lettere, e
mafTìme per lungo tratto di tem- po, ’è pazzia l’immaginarli, che tutte
le co- fe lue pollano eflère tee . Il buono làrà mi- fto col men
buono, come di tutte l’ umane cofe, che perfette giammai non li videro
j fiiole avvenire ; e però quelli, eh’ amano dì cogliere negli
eftremi, troveranno in amen. - due le parti da làttollarli . Il punto Uà,
che non lì lufinghino d’innalzare una fabbrica, che non polla
eflère da alcun altro colle ilei* fe forze diftrutta, per non ritrovarli
contra la loro efpettazione ingannati. Un altro, che riguardi lo
fteflò oggetto dal lato oppofto a quello, che 1’ hanno riguardato efli,
ritro- verà tolto gli liromenti da dilhuggere in quella fletta
fucina dov’eglinò gli avevano ri. trovati per fabbricare - Di quella
difputa d’ Ugone da Siena, al tempo del Concilio, che fi cominciò
in Ferrara, riferita dall* autor della Letteta, come cola
inftituitaperefalta- re Platone, e deprimere Ariftotile, così nel.,
la fua Cronaca lafciò fcritto Filippo da Ber- gamo : Cumque Nicolaus
Marchio, et multi in Synodo congregati pbilofophi excellentes ad -
venijfent, cuniios in medium philofophia jocos adduxit ( Ugo ) de quibus
inter fe Plato ± Arifloteles fuis in Operibus contendere, ac
magnopere dijfentire videntur, cdocens eamfe partem defenfurum y
quamGraci oppugnandam ducer ent, five Platone m y fi ve alium je fequen -
dum arbitrarentur . Lo fletto atteftano Enea Silvio nel capitolo LI I.
della Dedizione delF Europa, e Andrea. Tiraquello nel capìtolo
XXXI. del libro de Nobilitate . Ecco pertan- to, che il fine d’ Ugone non
fu V efaltazion di Platone, e Pabbaflàmento d* Ariftotile, come
vien fuppofta : ma fi profefsò di voler difputare problematicamente, che
vai a dire, difendere la parte impugnata, e per confe- guenza
difendere o l’uno, o l’altro di quelli due fUofofì . Cosi il Concilio
Lateranefe V. a torto vien portato alla facciuola 114. come
difàpprovatore, e condannatore della filofo- fia Peripatetica nella
Scffione Vili. Bafta fo- to leggere P accennato luogo per chiarirli,
che quello Concilio non condannò nè Anda- tile, nè Platone, nè alcun
altro filofofo in particolare : ma generalmente della filofòfia
ragionando, proibì primamente I* abufo a que’ tempi introdotto di
difendere nelle pub- bliche Tefi, che circa lo dello punto, quel-
lo era da dire fecondo la filofofia, e quefto fecondo la verità : ovvero
tal colà fecondo la filosofia e r a vera, che fecondo la fede
erafal- fa . In fecondo luogo ordinò a tutti i Lettori pubblici
delle Univerfità, chefpiegando i fìlofòfi, avvertilfero la gioventù degli
errori loro, alla fede noftra contrari, -confutando* gli, e
riprovandogli . E finalmente (labili, che niunCherico doveffe dopo io
ftudio della Grammatica appigliarli a quelloodeilaPoefia, o della
Filolòfia, lènza ftudiareinfieme Teolo- gia, e Canoni, acciocché,
foggiugne, In bis Janlìif, et utilibus profijfionibus Sacerdotes
Domini inveniant, unde infili a s Pbilofopbia, et Poe fi s r adice s
purgare, et fanare valeant. E tanto è lontano, che i Padri di
quefto Concilio abbiano avuto in animo d’oltraggia- re Ariftotile,
eh’ anzi lette le poco fa accen- nate cofe, e ricercato, fe alcuno avelTè
pun- to che dire in contrario, fi levò fufo Niccolò Lippomano
Vefcovo di Bergamo, e sì difle^ Quod non pìacebat fìbi, quod Tbeoìogi
impo - nerent Pbilofopbis difputantibus de veritate in - ielle fi
us tanquam de materia po/ita de mente M - Ariflotelis y quam [ibi
imponti Averroes : lieti fecundum verità rem tali* opimo e fi fai fa .
Si- milmente di queir Aezio Vefcovo * che dall* autor deir Epiftola
è rapportato come uno * che per troppo ftarfi attaccato alle
Categorie cT Ariftotile, cadeffe in erefia * e diventaflTe Ateifta,
Socrate nel libro II. capitolo XXXV- della Tua fteria Ecclefiafticacosl
ragion a: Hoc aiitem facit Cat egorii s Ariflotelis ( fic liber iU
le e fi ir.fcriptus ) fidem habens * ex quibus difputando * ac fe ipfum
fallendo y non int clie- nti y ncque a feientibus didicìty quis fìt Ari
fio - telis feopus . Ille namque propter fopbifias phi* lofoph'ue
lum illudentes id genus exerctiii con - fcripfit y et Di al etite en per
fophifmata novis fopbiflis dicavti. Itaque Academici * qui Pia-
toni* y ac Plotini fcripta e L 9 immaginazioni belle piut- rollo ad
udirli, che fiifliftenti e fode, le quali fono fparfe per tutto il corpo
del- la fua filolòfia y e che tinta di fanatifmo T hanno fatta
comparire . I Vortici, che da fonti torbidi Italiani, come fono
quel- li di Giordano Bruno Nolano, ha prefi il . Defcartes per far
girare la fila tripli- ce materia ; fono colori, che poffono fer-
vire a fare un ritratto di lui tutto diver. fo da quello, che ha fatto V
autor del- la Lettera * Il Padre Malebranche mede, fimo 5 uno de*
più acerrimi difenfòri, e approvatori della dottrina di Renato, co-
sì lafciò fcritto nel libro ili. patte L capitolo» IV. della ricerca
della Verità . Mortsù Defcartes era anch'egli uomo y fog - getto
all 9 errore, e all 9 illufione, come gli altri . Non v 9 ha alcuna delle
fue Ope- re y non eccettuando nè pure la fua Geome* * tri a y in
cui non fi a . qualche fegno della debolezza dello fpirito umano . Non
bifo- gna adunque fi are alla fua parola ; ma leggerlo cautamente,
com 9 egli ftejfo ci av~ vertijfe . Non fono anche mancati uomi- ni
dotti, i quali hanno fatto vedere, che Ja fua filofofia è di pregiudicio
alla fede, i8i cd è contrarla a molti dogmi cattolici
- AI- cuno ha pretefo, eh * ella rinnovi V ere- fie di Pelagio, e
di Neftorio : ed altri, eh* ella fia la firada allo Spinofifmo, e
all* Ateifmo * Io fò, eh 5 è flato rifpo- fto a quefli tali, e che vi fi
rifponde. rà : ^ma quello appunto è quello, che il di fopra da noi
detto conferma, e che moftra quanto agevol colà fia o, ecceder
nella lode, o ecceder nel biafimo, quan- do non s 9 ami di fidar V occhio
che o ne* fòli vizj, o nelle fole virtù . Non fem- bra adunque, com
> ho detto, degno di molta lode il difegno di ftabilire la
difefa della filofofia moderna fopra le lodi, el* efaltazione di
Renato Defcartes, e fopra i biafimi, e depreflione d * Ariftotile,
fic- oome fopra un fondamento, che fi può di- ftruggere con quella
fteflà facilità, con cui s è innalzato : e per mezzo del quale,
fermo e inconcuflò renando, fi verrebbe a flabilire quello, che V autor
filo medesi- mo in alcun luogo con molte parole s 9 e ingegnato di
diftruggere, cioè il farli fè- guace indivifibile d* alcun filofbfo
partico- lare . Ora diciamo alcuna cofa della principal
ra- gione, fopra cui Pautor della Lettera ha pian- tato la difefa
della filofofia modèrna ; la qua- le fi è, che derivando ella dal fonte
di Pia- rvi 3 «o* iS z tone, fìlofcfo
fupcrioread Ariftotile, appro- vato dagli antichi Padri, e riconofciuto
come molto vicino a’dogmi cattolici; ella non vuol eflere riprovata,
maflimamente in confronto dell* Ariftotelica, la quale, fecondo lui, è J
}a* fa V unica, e fola cagione, anzi l y orìgine JìcJfa di tutte V
erefie. E quanto al primo, cioè quanto al prin- cipato,tra
Platone, ed Ariftotile ; molto dif- ficile, molto dibattuta, e da niiino
per anche decite quiftione ha prefo a diterminare il no- Aro autore,
augnandolo al primo • La dif- ficoltà di tal decisione procede, che molti
ef- ffendo i pregj delfinio e dell* altro filofofo, amendue ancora
hanno le loro imperfezioni. Secondcchè pertanto fi vogliono riguardare
sì nell* uno, che nell* altro più quelli, che ques- te, fi ha campo
ancora di antiporre, o pote porre V uno all* altro. Ma per
quello, che riguarda il fecondo y cioè quanto al far ufo dell* uno, o
delP altro nella Teologia, e nelle cole della religione, non fono
pure ben d* accordo tra loro gli uo- mini dotti qual fia da preferirli .
Se per Pla- tone fta P ufo, che moftrano averne fatto i primi Padri
della Chiete: nè anche Ariftotile va privo in tutto di fimi! pregio,
mentre al riferire d’Eufebio nel libro VII. cap. XXXIL della Storia
Ecclefiaftica, in Aleftàndria, an- che al tempo, che i Dottori Apoftolici
rif- pJea« plendevano, l’Ariflotelica (cuoia fioriva.
Gle- mente Aleffandrino lib.V. Stromatam, riferita, che Ariltobolo
con molti libri provò, la (liofoba Peripatetica dalla legge di Mosè,e
dagli altri Profeti derivarli. E Gioleffo nel lib. I. contvaAp*
pìonem, infieme col mentovato Eufebio nel lib. IX. cap. V. de preparatane
Evangelica, recano un luogo di Clearco,ditapoIod’ Annotile, da cui
fi fcorge, come quello filofofo, eliendo m A- fia, tenne lunghi, e
fciendfici ragionamenti con un dotto, e favio Ebreo, da cui apparo
mol. te belle, ed eccellenti cofe ne’ Divini libri con* tenute .
Anzi fu opinione d’alcuni, che lo «el- fo filofofo, avendo avuti per
mezzo d Alelìan. dro i libri di Salamone, molte cofe da quelli rac-
coglielTe,e trafportalfene’ fuoi .Ne mancarono fra moderni ( lafciando
per ora da parteltare i libri de vietate Arijlotelis, de f alate
Anflotchs, ed altri limili dati fuori ) chi comparazioni tra la
Scrittura facra, ed Ariftotile facendo, s in- segnarono a tutta lor polla
di moftrarc, eh e- alino pattano d’accordo, come Giorgio
Trape- zonzio, Giovanni Zeifoldo, AgofiinoSteuco, ed altri . Sopra
così fatta lite pertanto a muno, s’ io non vado errato, difpiacerà il
prudente giudiciodi Melchior Cano, (limato meritamen- te
dall’autor del la Lettera il maggior ornamen- to della famiglia
Domenicana. Divo Augufli, wofdice quell’ autore nel lib. X- cap. V . de
loets Tbeologicis ) Pialo fummus efl : Divo Tbom Enea Gazeo, di
Teofìlo Patriarca d’ Antio- chia, di Lattanzio Firmiano, d’ Eufebio
Ce- fàrienfe, d’ Epifanio, di Gregorio Nazianze- [ no, di Girolamo,
di Crifoftomo, e di Teodoreto, ne’quali, tutti concordemente biafimano, e
{gridano Platone, e la sua fìlosòfia, come quella, ch’è fiata l’origine, ed da
palcolo e fomento ad infiniti errori ed eresie. Ecco adunque che IL LIZIO
non è fiata la sola pietra dello scandalo. Ecco ch’egli non è
l’unica cagione di tutte l’eresie. Ma L’ACCADEMIA senz’alcun dubbio, in
quella parte lo supera, ed è flato guardato di malocchio da Padri; e
l’accollarli, ch’egli fa in qualche modo più a noi, è ridondato in nollro
maggior pregiudicio. Di qui fu però, che negìi ultimi tempi, quando
Gemillo, il Cardinal BelTarione, Gufano, e FICINO (si veda) illullrarono,
e fecero rifiorire la Platonica limola, quali tutti non pertanto {limarono
miglior avvifo, o almeno minor pericolo, attenerli tuttavia ad
Ariflotile. Sen. tali lòpra ciò 1’ avvedutiflìmo Giovan Fran- celco
PICO (siveda) Mirandolano, il quale nel libro 1 V. capitolo IL del fuo Ex
amen vanìtatis dotivi, ttee gentium, in quello modo lafciò Icritto.
Alti nihilominus, Platone poflhabito, haferunt Arifloteli, exiflimantes
illum noflr et exatìe, fed in comuni defumta ) prxbere aditum faci
- lius po/fit, quam Arifloteles, qui rationibus, non fide, foleat
plurìmum et fere femper inni - ti . Ma il talento di avvallare
Ariflotile, e cacciamelo del mondo, e della memoria degli uomini; non ha
lalciato Icorgere all’ au- tor della Lettera, non dico le lodi fue ;
ma nè pure i biafimi, «Squali i medefimi Padri ne’medefimi luoghi,
in cui nello ripigliano, » anche il fuo maedro fogliono non punto
di- verfamente trattare . Per cagion d y efempio nel capitolo XJ.
del Libro intitolato Regala Monacharum, a Girolamo già attribuito,
fi leggono quelle parole ; Attende, et tu fatuorum fapientum princeps
Arifloteles . Elleno però fono Hate tolto notate dal nodro auto, re,
e nella lettera aliai avidamente inferite : ma queir altre: Verum non
fine labore didicu ) fii tuam Japientiam fatuam Plato y folamente
due verfi lontane, e quelle ancora aliai vicine; Non banv fatuitatem
doéìijjimam Athenis Plato didicit, non Arifloteles y non Anaxagoras >
non cete - rorum fiultorum mundi fapientum turba percepita non fono
Hate avvertite da lui, nè notate, non altrimenti, che feo non iforitte, o
rafe, e cancellate Hate li fodero. Ma che diremo, che dopo quel
detto da lui in difcredito d’Afrillotilc recato, immediatamente al
medefimo . filofofo quedo elogio è teduto, o leurato fi mil- mente,
non fo come, c tolto agli occhi del nollro autore? Et fi fueris abfque
dubitano, ne prfdigium, grandeque miraculum in tota na+ tura y cui
pene videtur infufum, quicquid naturai iter efl capax humanum genus,
43c. Le quali parole anzi della foiocca abbjezio- > ne, e viltà
del Chiofatore Arabo, che del- la gravità Geronimiana tenere mi
fcmbra- no r no
(*) Vero è però, che da tutti i Critici efl fendo coiai opera da quelle
di Girolamo fe pa- rata, e come lavoro di più baili tempi, non
fu Averroe nella Prefazione alla Fifica 4 parlando d’ Afiftotile difTe :
Talem ejfe virtutem in indi- viduo uno tniraculofum et extra neum exifiit
. A che pare, che corrifpondano qtìeft e parole : Si fuerir ab - fque
dubitation e prodigi um 3 grand eque mìraculurn in tota natura . Averroe
ancora fopra il libro JL della generazione degli animali, così lafciò
fcrirto : Lau* demur Deum, qui feparavit lune virum ab a li ir in
perfezione 5 appropriavitque ei vltimam dignità tem bumanam ò quam non
omnis homo pottft in quacumque £tote attingere . Alle quali parole s }
accofta- no ùmilmente quell* altre : Cui pene videtur infu - fum,
quicquid naturaliter efl capax bumanutn gsnut . Di qui fi può formar
conghiettura, che cotal Li- bro non fia flato feri ero prima del 1150, in
cui fio- rì Averroe . Oltre a moire voci de 9 tempi baffi, e
parecchj veftigj di fcolaftico, e Parigino idioma, che vi s* incontrano y
e che pofTono fervire per confermazione di quello 3 maggiormente
ancora tutto ciò fi ftabilifce dalle parole, che fi leggo* Do nel
capitolo X. Ut quafi quorundam pbilofo - pborum videretur in eis
verificavi opinio, qui unam ponunt in bominibur univerfir animar» folam .
La qual è opinione venuta fu ne* tempi baffi,dai rappor- tato
Averroe mefTa fuori e difefa, impugni 3 da S. Tommafo,e finalmente
condannata nel V. Con- cilio Lateranefe alla Seffione Vili. Ma perchè
per . altra parte dell* accennata opera fi fa menzione del
pranfodo- po nona ne’ dì di digiuno ; il qua! ufo s* è nella Chiefa
confervato fin verfo il fine del XIV. fecole 5 perciò potrebbe
argomentarli 3 che il Libro non fof9i fna giudicata non era da
farfi arma fuor di ragione contra lo Stajprita del nome d’un tanto
Padre . Ben piu vantag- giofo e per V autore della Lettera, e per
la verità flato farebbe, eh’ egli nelle vere ope- re i veri
'(entimemi di sì gran Santo intorno a ciò rintracciato, e quafi fpigolato
avefle, mentre in quella guifa il perfeguitato Arifto- tile dal
glorificato Platone non mai guari lon- tano ritrovato avrebbe - Come
(opra il capi- tolo X. v. XV. deir Ecclefiade. Lege Platone m: Arifloìdis
revolve verfutias y et proba - bis verum effe quod dicitar : labor
flaltoram affliget eos . Sopra il Salmo v. Vi. al- tresì. Nane ipji
hareticì licet per Arìftotelern y et Platonem videantar fimplicitatern
Ecdefi e fin dove fi debba fèguitargli • Poflòno è vero accodarli f
chi piu, e chi meno a* dogmi della noftra re- ligione, fecondo i
fonti da* quali attinie* ro le loro cognizioni ; ' ma non è però
giammai da fperare, che ferifcano il fe. gno, perchè le tenebre, nelle
quali viveano, loro non permettevano d y arrivare tant* alto . Altro
dunque non fi può in /quella parte, che com piagnere la mifèria, e
infelicità loro : per altro il biafimo, e la lode non ha propriamente
luogo fòpra elfi,?fe non quando fi confiderano • da fe, come puri
filofòfi, e fèparatamente da* do- gmi de* Criftiani. T Ora
palliamo a dilcorrere brevemente dell* idea generale, che P amore
della prefènte Lettera ha avuto ; il quale ha divifato > che la
difefà di Renato Defcar- tes fia la difefa della filofofia moderna,
e la condannagione d’Ariftotiie fia la con. dannagione cella
volgare. Incorno a ciò è da avvertire, che la mo- derna
filcfòfia non è in modoconftituita dalla filofofia del Defcartes, che
Cartellano, e N Mo' Moderno fìa la medefitrià cofa. E 1 ben
vero, che non fi può eflère Cartellano lènza eflère ancora Moderno;
ma non è vero, che non fi pofla eflère Moderno fenza eflère
Cartefia- no, Per la qual cofa la filolòfia Cartefiana fi ha alla
Moderna, come la fpezie al genere. Ancora è da notare, che avvegnacchè la
volgare fiJtfofia abbia voluto unicamente ac. taccarfi ad Ariftotile,
tuttavia eflèndofi ella lèrvira per intenderlo dell* ioterpetrazioni
de- gli Arabi, i quali per l’ignoranza delle lirt^ gue, e per
mancanza d’erudizione, peflima- mente 1’ hanno iotefo: nè lette avendo
gli Scolaflici quefte interpetrazioni nell’idioma, in cui da’ loro
autori erano fiate fcritte; ma dall’Arabico trafportate in LATINO, o
come alcun dice, in Ebreo dall’Arabico, e po. fcia dall’Ebreo in LATINO
trafvafate ; può et fere per ciò aflai facilmente avvenuto, che la
mente d’ AriflotiJe per lo diritto intendi- mento prefo, fia del. tutto
oppofta a quella degli Scolaflici, e cosi la mente degli Scola. Ilici a
quella d’Ariflotele. Ora di qui ne fé- gue, che come vituperandoli, e
condannan- doli i modei ni, per avventura nè fi vitupe- rerebbe,
.nè fi condannerebbe il Defcartes; ' così per l’oppoflo lodandoli, e
difendendoli il Defcartes, può eflère, che nè fi lodino, nè fi
difendano i moderni . Similmente fi c- come vituperandoli, e
condannandoli gli Sco- la- lattici, è facil cotti, che nè fi
vituperi, nè fi condanni Arittotile • cosi potrebbe dare il calo,
che vituperandoli, e condannandoli Ariftotele, nè fi vituperaflèro, nè li
con- dannaflèro gli Scolatici, eh’ è quanto dire la filolòfia
volgare. E* ben vero però, che quell’ ultima . eiTendo colà dilEcilittima,
e preffochè imponibile ; perchè non è da cre- dere, eh’ elfi
Scolatoci perverlàmente intendendo Arittotile 1’ abbiano migliorato : ma
piuttotto piggiorato affai ; cosi il vituperare, e il condannare
Arittotile pare, che provi molto quanto al vituperare, e condannare
la filolòfia volgare . Ma per 1’ oppofta {ra- gione il lodare, e il
difendere Renato Dett cartes non pare, che provi tanto per quello^
che fpetta al lodare, e difendere la filcfofia moderna; Perbene adunque,
e acconcia diente difen- dere, e lodare quella filofofia, {ómbra di
me* ftieri cercare il fuo verocottitutivo, dalla bon- tà ^.o
difetto del quale, la lode, e il bia* fimo ad eflà Umilmente fe ne
derivi. Ora quello, che fembra la filofofìa moderna conttituire, e
alla volgare degli Scolali ici immediatamente oppofta; renderla, fi è
lo lcotimento del giogo Peripatetico, e di qualunque altro
particolar filolòfo ; e la pura ricerca della verità. dove, e in
qua- lunque luogo ella fi fia . La ichiavitù nel. N *
la la quale, feguendo gli Arabi, gente d f ani* ino baffo, e fervile,
avevano pollo il loro intelletto gli Scolaftici, per ellere dapper-
tutto fparfi, e difufi, s’era ancora dapper^ tutto difufa, e inoltrata,
ed avevano cbbli* gato tutto il mondo a non filofofare con altra mente,
che con quella ' d* Ariflotile. Avvegnaché fopra infinite quiflioni di
filo- lofi a 7 col là pere* la mente di quello filofo- fo, non fi
fappia per anche nulla y tuttavia eglino s* erano immaginati di làper
tutto. Nequc erìnn- Philofophum ; ( cóme dice Giovan Francesco PICO (si veda) )
fed Pbìlofopbi* legem pkrique omnès arbitrobantur . Quella però è
la cagione, che fi fono veduti fopra tal qui. ftionepiù libri, deflinati
ad eliminar la men- te d’ Ariflotile,' che a ricercare la lidia
veri, tà della colà . Molti hanno incominciato a riflettere, che
quello era un travaglio molto penofò, e che il frutto non -iftance era aliai
tenue. Hanno offervato, che per quella via, al più non fi’ poteva venire
in cognizione che di quanto fapeva Ariflotile, che vuol dire di
pochiflìme cofe, rifpetto a quelle, che s* avrebbono potute fcoprire .
Dove 1* altre ar- ti al tempo de* primi ritrovatori • fono Tempre
comparlè rozze tempi d’ A ri Rotile >' di Piatone, di Demo- erito, e
d’ Ippocrate, molto fi làpeva per squelPctà, allo ’ncontrocol tratto del
tempo era venuto anzi perdendo che no, e le fet- enze s* erano
piuttolìo abballate, e o Taira te, ^he illuflrate, e innalzateli, com’era
di ra- gione - Conchifero adunque, che quello modo di filofofare degli
Scolatici èra irragione- vole, e barbaro, e non tendeva ad altro,
che a coprire tutto il mondo d’ una miferabile ignoranza, mentre, come
avvertì anche Sene» .Qui aitimi fequtiur tiibil inventi, imo ne*
que quarti.. Valla Romano fu il pri-, che a’ adpprò a trarre la filofofia del
mi. fero fervaggio, in cui li giaceva, inoltrando èllere lecito
fentire diverfo da Ariftotile co* duci tre Libri Diale Elie arum
difputatwmm, che fcriflfe a ^quello fine . Anche .Giovati Francei-
co Pico Mirandolano ne’ tre .ultimi Libri del fuo E* amen vanitati s
dottrina gentium, molte colè difputò contra lo lìdio filofofo ; e
mol- te altresì ; Lodovico iVives ne* fuoi Libri de cauffts
corrupanrm artium, per non dir nulla delTelefio, del Patrizio i e d’altri
fomiglian. ti,ii quali pure tennero la ll'eflà via . Die* tro le
velìigie di coltoro BONAIUTI (si veda) in Italia, e Barcone, in
Inghilterra inftituirono Un modo di frlólòfare libero, e del tutto
oppolto, all’ antico. Scola Iti co, e gittarono le prime fondamenta di
quella ft- r«o n ? • io. lotcfia
che fi chiama Moderna/ non perchè fidamente ora Ì fuoi principi fieno /tari
po. Iti in ufo; che Tempre, e in tutti i fiecoli gli uomini
ragionevoli altra via non hanno mai tenuto ne! tilofcfare; ma perché dopo
? in. fezione orribile, e univerfale degii Scolaftick iqtiali amava
n meglio di fcioccheggiare coti Ariftotile, che con altri
tàggiameme'iditcop* rere, come alcun diffe j q netti ottimi pria,
eipj fono fiati felicemente richiamati, e pa. fti in ufo da moderni .
Aperta cosi Ja fi rada da queftì due nobili, e valorófi ingegni . «
primo de* quali fu il primo ancora, che chia. mo in ajuto della filofofia
le Matematiche, e che con profpero avvenimento Je v’ intro- dufie;
comparvero ben tofloCartefio, e Gali, do ?r, r £ na . altri ec.
celienti filofofì, i quali t a n te ^ e sì diverte ecfe e in
cielo *, e in terra difcóprirono, e cosi fatto utile recarono a tutte I»
altre arti, e fpecialmente alla Medicina, che ben fece, ro
conofcere cogli effetti, quanto infelice, e miterevole fia la condizione
di qpefti aridi, f d, g' 1 ™ d* Ariftotifc ; e quanta fia
la necetfita di battere altra via per ben fìioi babugemus in
Italia Galil quotiefeumque ipfi permittitur libere quo* cumque vagari.
Verumenimvcro nec argumen - ta in oppofitum defunty pracipue quantum
ad pbilofopbiam. ^Ecce quanam plus minufve . /. Ouod nonHdeo rerum
fcìentia aequiritur y fla- tim ac auttpfis innotefeit opimo 5
quacumque aliter fentiendi, aut fcribendi pr aclu fa facuh tate .
Ih Qupd fape fapius temporis multum fruflra tranfigitur, germanum
vefligando prò* prii auttoris fenfum > fpeciatim in aliquibus
con- troverfiis y quas ipfe fubobfcure refolvit. Hinc ea penitus non
declinari y qua timentur abfitrda, hoc efl circa opinandi libcrtatem
; Magifler enim nonnibil acutuSy auttorem quem- piam ad proprhtm
fenfum jugiter potè fi expo - . i ntn - tot tendo trabere, ita
ut in eunlfis fihi patroci. nari videatur. IV. Quod in pbilcfapbicis libe
. rum unieuique effe debeat fuopte nutu de re. .rum natura fentire,
et quod fcrutanda veri, tati plurimum obefl ita jur are in verba
dolio, rum, ut borum auHoritatì, baudquaquam li. eeat refragari.V-,
Quod iflopotifftmum loco Divi Atfguftinì norma m fequi cportet,
adferen. tis, quantavis auiloritate, ac fanlìitate
fulge. fit aliquis aulior, ipfi tamen indubitatum, fir. tnumque affenfum co folum effe prabendum,
? to rationes ejus illum a nobis extorqent . VI.
andem Deum onice. effe, cujus auHoritati, nipote maino infallibili,
fit tace fidendum. 4 t 1 »
i INE. 0 •* • :t \ ; u M s
i Delle cofe notabili, contenute nella preferite Lettera, . e
-nell’; ; ; Offervazione. M si pone in Dio. 84. gran fbfifta.
AriflptplicìJ Vedi Perl pitici . Tjf J AriflotUe rfòvetchia
autorità dataglida alcuni 8 . * 1 ?4- condanna Platone, e n*è riprefo. 1
j.fiioi * : ièguaeV eretici . 30Ì 38. 15 9. pròBaMJifti venerato còme
idolo. 30. i59.bia/tmatoda > fanti Padri .. da altri . 40. 41.
45. fuoi libri condannati . 35. 36. notato di gravi errori da’ Padri,
ed r, altri. 41. 4Z. 43.,'fu uno de 9 maggiori filo- . lòfi delia
Grècia 44. fu chiamato in giu- *5 ^icio . 44. fuoi principi bugiardi .
44.; infa- mato da 1 fuoi feguaci lteffi ., 45-46. fe ve- nifle ora
al mondo fi difdirebbe. 103. 104 c noniftimò di dover eflère norma
univerfà- le . 107. e 1 origine di tutti gli errori de interpetri.
i^.fwacrfcurità. 148. 149. è li ìóJò tra tanti filofofi,(:he fia
ftudiatq, fxid ila V n izio ne deIL*iTOii\c> biajtj ma|? --
immortaJi^delranima.24. 153. fua Logica T fofìftica . 154. lodato
affettatamente . flrabocchevolmente biafimato> 170.. 172 giudici retti
fopra il medefimo . 171. non •%• • C Ano ( Melchior ) ; Tuo
elogio •: 38. giu- ì dicio del medefimo intorno a Piatone e jAnilotile Capitone
: fct raggiante i, ; Caramuele ( Gio. ) : ilio prelag io intorno al-, la
filofofìa Cartefiana. . {, 120 Cartefto ( Renato ): lii che
fondamenti pian- « tane il fuo fiftema - 53.. fiioi principi giu*
ili y e buoni. 55* 114. fuoi fèguaci. 56. 57 «‘ fo*! fuoi protettori
converte la Regina di Svezia e altri lupi fentimenti fi conformano v
«> n que, de y Padri. n8. chiamato il
refu gio de J cartoli- onori fattigli. 65. calunniato dalle
univerfità Protettami . 70. fuoi nemici - fiioi difenlòri . pone per primo principio il dubitare .
87-fua prote- it azione, $7. a ma d’effère corretto. 88. per- chè
fine meditate una nuova, fflofofìa. 116 lodato dal P. .Merlènni .
118.119. s’uniforma fo’ftntimenti di Platone. 121. fuoi coltami.
iiz. giudicio fòpra il medefi. ino del Malebranche . 180. fua
filofofia -difefa dalle migliori univerfità d’Europa. 61.
ù »Ojr 61. fi dee antiporte a quella d* Ariftolile. 114.
è veramente Criltiana lodata.
prefagio del Caramuele intorno al* la medefima- 120. è tratta dalla
Genefi perchè contraddetta da alcuni ha dato motivo a molti di dar in pazzie
. ed empietà. 179. fuoi difetti U ha alla Moderna come la fpecie al
genere Cartellano, e Moderno non è lo fteflq. 19+ P. C
a fati: abbraccia la fìlolòfia Moderna. Caffi ni: fila oflervazione .
ili Celfo: contrario a J a bolero. CeJ alpini ( Andrea ) .* fua.
(coperta. Charlet : amico del Cartello Cbiefa: fua dottrina è la vera fìlolòfia
. è interpetre degli arcani Divini . 163. Ve- di Teologia .
P. Cbirchero ( Atanafio ): proccura 1’ amici- zia del Cartello
Clemente ( AlefTandrino ): non iftimò, che i Greci fi giuftificafièro per
mezzo della fìlo- lòfia. Cicerone ( M. Tullio ) .* divinizzato dal
Nizo- Ito. 172 Cielo : (ita grandezza, materia, e moti ignoti.
• . . .• '• '>'••• ' Cipriano ( Martire ): fao errore . 16 1
P.Ciermans : loda il Cartello. Concilio Latermefe V. : filo luogo alla
Seflìone Tie 8. fplegato . D Daniel ( Niccola ) : impugna
Cartebracciata fua opinione intorno alla i . . • P-
Detei: Cartellano . Defcartes . Vedi Carte fio. Digiuno : fin
quanto abbia durato nella Chie- *'• là il pranlò dopo Nona. p. Di
net ( Giacomo )ì amico del Cartello . > Dio: è la prima verità.
. 163 Difpute : la verità fogge da eflè . 5. fono un
tormento degl’ingegni . 6 . hanno diftrut. * to la filolofìa
. altro lor pelfi- mo effètto.
137. Vedi Filofofi i Perìpate. E Berardo ( Gio. ) difende il
Cartello. 71 Epicuro : plagiario. 49- commendato da’ Padri. fua
filofofìa abbracciata. anche da’ Padri meri. •• tò della medesima . .
illultrata dal tiri) Sette. E Gal'
v ; G^irenaiv T " - ; ' 5 ° Erbe : non fi
fa la loro virtù Ereboore : ( Adriano ) : Cartellano. . 7 O Euclide: fuo
detto ’ ; \ r \ * : f ’ Eunomiam: giurano 4 filile parole d’Ariftotile.
- ^ 59 ., Etintìniicr: compagno d’ Aezio nell’erefia . ^ fi
vanta di conofcer Dio r . 7 6 : è riprefo da ’ Bafilio.'’" : i
! ', 7* Eurìpo : fuoi vortici non fi fa donde derivi- ' •1
no*. «, . • .op * u:- t \ r r *jLvì r r f
r *• » /i # ' »IA «4 • al *,1 *l*v* • 1 I • # Fabbri i
abbraccia la fìlofofia Moderna. p. Farvagtie : difertfore del
Cartefio. • 5^ Fede : 'richiede fommiffiorie. 34. Vedi Chic.
• *'/», ‘ : v>- ! v . Ecmrib( S. Vincenzo ) : introduttore
dell In. '• cfuifizione Fìlopono X Giovanni ) .* eretico .Filosofare
: è permeilo à tutti . -ir. liberta di •' éffo . : 1?8. die fine
deb- : bà avere.' • ^ ^ Filofofi'r contrari a fe medefimi .'
74. ton- ’ dano i principi del fi lofofare foli’ igno. •' ...
.-L 'i. a_ . 1 14 fri- • I • t “ «•. ?» tii.t 22.'fonó
amanti delle favole . • i-! o *J°» 1 ZIO
dicono le maggiori pazzie. *3 1. fé. ne - può trar bene, e male per
la religione, 19^ non poflòno eflère biafimati di queftó • non bilbgna fperare, che parlino da
Cristìiani biasimo 1 e lode quando abbia, luogo lopra euì. ' Filofopa:
commendata’ da’ Gentili ) $ da^Pa- dii. 8. 9. io. 11. ip. non è
fapienza..rV7^ : non è altro che opi nazione non . ve n'ha al mondo. divife in
mille fette . 89. 90. 129. fua incertezza . 00. 91 130. non
abborrifce Je novità * 98. fogget- ta a nuove (coperte. 100. 101. ancella
della Teologia. 127. 129. è (tata ritrovata per efercitazion dell’
ingegno Jia avuto t. origine dajle fàvole de’ Poeti . non è .
contraria a tutte le. favole. 131.nan.haan. cor trovato la verità.
.,-y '^64 Filofofia Antica : fua / debolezza . j Hj-è up
• giuoco fanciulldco Vedi Àrtjlotùc ~ y . 'Peripatetici t
Scelffiiai • Fihfofià, ' Moderna : malamente n; ’4 • v - .
‘ " j; - :l ;;;;i 51 Gtfitttr:' hanno partkolar
irtftituto di feguita* c re Ariftotile. 65. molti hanno abbracciato
la fìlofofìa Moderna*. Gianfenifla : titolo proibito in Francia. 93 G
indie io : norma .da tenerli nel. dar gfridició. .cr 171. noti bifògna
dar negli cftremi Giureconsulti : non fono così pertinaci, come v : i
iPcripa tctìdl*;! f: >\ fi j . vui !;; . Giuflino ( Martire ) :
convertito per mezzo -ideila fìlofofìa Platonica i \ :U iV *7 f.
Grandamy : amico del Cartello . 68 O 2 Grandini: non fi fa cóme
s’ingenerino. 8r S, 'Gregorio ( Nifleno ) fuo elogio. 53. Epi-
_ laureo. . .. 53- 54 P. Grimaldi : abbraccia la filofofia
Moderna. • L ^ • ^ ' t \ * ;, M • - »
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panegirico. 1 -- : % V« % ’ Incendy: ne* monti, non fi fa come fi
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: i Lampi : non n fa come s’ ingenerino. .
ci. ; P. Lupi : fi fa Cartellano. 56. perchè. 57, ? . S
. • Stoici : negano 1 * opinarionì lofpetti ap- po i
Romani. T Affitti - f Alefiàndro ^ : fuO
prefagio in- torno ad Ariftotilc verificato a Temiflio: eretico. ’
*9 Teologi: loro> difetti- • • 1 ^ 9 - * 4 °
Teologia : le novità in eflà fimo pericolofe . 98 ammeflè dagli
Scolali ici. . è regina delle fcienze. 127. non ha che fare colla fi-,
lofofia.127. 128. ha ritrovato la verità. 165 Icolallica non fi dee
riprovareperchè fa ufo . • d* Arittotile Terremoti : non fi là come fi
facciano Terra : ignoto fu qual baie fi libri, e quanto Ila grande.
"8* Tejt pubbliche : loro abufo al tempo del V.
Concilio Lateranelè . Ticcùne: file {coperte: • ” ^
S. Tommafo ( d’ Aquino ) : come, e a che fine iludiafle
Ariftotile . 46. fuo lamento . * . * » • •,, 47 - ' • -
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ere- fia., ... 22 f • f V
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I V ' Alla ( Lorenzo .) r Tuo penfiero appro- vato
dalNizolio. 144. Fu il primo a li. re: nega Topinazioni. 83. fua
fetta fofpetta appo i Romani. Giuseppe Valletta.
Valletta Keywords. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Valletta” – The
Swimming-Pool Library, Villa Speranza. Valletta.
Luigi Speranza -- Grice e Valore: la
ragione conversazionale e l’implicatura conversazionale dell’inventario del
mondo – la scuola di Milano – filosofia milanese – filosofia lombarda -- filosofia
italiana – Luigi Speranza, pel Gruppo di Gioco di H. P. Grice, The
Swimming-Pool Library (Milano). Filosofo milanese. Filosofo Lombardo. Filosofo italiano.
Milano, Lombardia. Essential Italian philosopher. Grice:
“Having philosophsided on what Italians call ‘valore,’ I admire Valore!” Si occupa di metafisica, di ontologia generale e
delle implicazioni ontologiche delle teorie formali. Si interessa anche dei
progetti di linguaggi artificiali e di lingue ausiliarie. Si laurea in filosofia
a Milano, vi ha conseguito il dottorato di ricerca con uno studio su riferimento,
rappresentazione e realta. Ricerca a Milano, dove insegna storia della
filosofia. La sua prima produzione è stata dedicata principalmente a studi
sulla filosofia dell'Ottocento e del Novecento e alla riabilitazione di una
prospettiva trascendentalista soprattutto in metafisica. Partecipa al gruppo
fondatore della rivista Problemata. Quaderni di Filosofia, di cui è stato
caporedattore. Quando la Facoltà di ingegneria industriale del poli-tecnico
di Milano gli ha affidato un corso di "Verità e teoria della
corrispondenza", la sua ricerca si è spostata su tematiche sempre più
teoriche, collegate alla filosofia analitica, alla metafisica e all'ontologia
analitica. Organizza e cura il progetto. Diviene quindi professore aggregato di
storia della metafisica a Milano, di filosofia teoretica al poli-tecnico con
corsi dedicati all'ontologia formale e di filosofia degl’oggetti sociali
(ontologia sociale) a Milano. Fonda In Koj. Interlingvistikaj Kajeroj,
rivista di studio e discussione accademica sulle tematiche dei linguaggi
artificiali. È stato membro del gruppo di ricerca European collaborative research
finanziato dall'European science foundation e è il responsabile del
progetto per il programma Euro Scholars
USA European Under-graduates Research Opportunities. Lavora su un suo progetto
di ricerca di ontologia formale per il quale ha vinto una sponsorizzazione
Fulbright nella categoria Fulbright Visiting Scholar. Collabora con la Rivista
di storia della filosofia, è nel comitato scientifico delle riviste Materiali
di estetica, Rivista Italiana di Filosofia Analitica Junior e Multi-linguismo e
società ed è direttore delle collane di filosofia Biblioteca di Problemata
(editore LED di Milano) e Ratio. Studi e testi di filosofia contemporanea
(editore Polimetrica di Monza). Saggi: “Trascendentale e idea di ragione.
Studio sulla fenomenologia di BANFI” (Firenze, Nuova Italia); “Rappresentazione,
riferimento e realtà” (Torino, Thélème); “L'inventario del mondo. Guida allo
studio dell'ontologia” (Torino, Pomba); “La sentenza di Isacco: come dire la
verità senza essere realisti” (Milano-Udine, Mimesis); Curatele BANFI, Platone.
Lezioni, (Valore), Milano, Unicopli, Forma
dat esse rei. Studi su razionalità e ontologia, Milano, Led, Paolo Va Ars
experientiam recte intelligendi. Saggi filosofici, Monza, Polimetrica, Da un
punto di vista logico. Saggi logico-filosofici (Milano, Cortina); Materiali per
lo studio dei linguaggi artificiali (Milano, Cuem); “Questioni di metafisica” (Milano,
Il Castoro); Quine (Milano, Angeli). Monaco di iera, Grin Verlag,. Pubblicato
anche come “Inter-linguistica e filosofia dei linguaggi artificiali”, come
numero monografico per la prima uscita del giornale accademico multilingue
InKoj. Interlingvistikaj Kajeroj. Pisa, E di studio, Dispense universitarie La categoria
di sostanza in Aristotele, Milano, Cuem, Introduzione al dibattito sulla
distinzione tra analitico e sintetico (Milano. Cuem); Questioni di ontologia (Milano,
Cusl); La struttura logico-analitica dell'ontologia di HERBART (Milano, Cusl); Laboratorio
di ontologia analitica (Milano, Cusl); Verità e teoria della corrispondenza (Milano,
Cusl); Philosophy of Social Objects (Milano, Bocconi); Bibliografie ragionate
Ontologia, Milano, Unicopli, Verità, Milano, Unicopli, Saggi e articoli Acme, "Idealizzazione della verità e
coerentismo. Due perplessità sul realismo della 'seconda ingenuità'", in
Iride. Filosofia e discussione pubblica, "La 'posizione' esistenziale e il
giudizio ipotetico nell'ontologia di HERBART: il caso degl’oggetti inesistenti",
in POGGI, Natura umana e individualità psichica. Scienza, filosofia e religione
in Italia (Milano, Unicopli); “Sull'idea di una logica trascendentale", in
Chora. Laboratorio di attualità, scrittura e cultura filosofica, "Alcune
note sull'attualità dell'ontologia nella filosofia contemporanea più
recente", in V., Forma dat esse
rei..., "L'interpretazione semantica del trascendentale e l'ontologia del
mondo reale in PRETI", in V., Forma dat esse rei..., "Il mestiere antico e nuovo del filosofo",
in la Repubblica, (Milano). "Fisica
e geometria come modelli di lavoro per l'ontologia. Un'interpretazione del
metodo delle relazioni”, Dall'epistolario di PRETI a BANFI", Ad BANFI
cinquant'anni dopo, Milano, Unicopli, "Due tipi di parsimonia. Alcune
considerazioni sul costruttivismo e il nominalismo ontologico", in La
filosofia e i linguaggi, Macerata, Quodlibet. "Cosa c'è che non va
nell'idea di una lingua cosmica. Il caso del LINCOS di Freudenthal", in Multilingusimo
e Società, "Nothing is part of everything",
in Giornale di filosofia, Ontologie, Milano, Volume recensito da Utri sulla
rivista Iride. Filosofia e discussione pubblica, Secretum on line. Scienze,
saperi, forme di cultura, e da Marazzi
sulla Rivista di filosofia neoscolastica, Volume recensito da Gesner sulla
rivista Belfagor. Rassegna di varia umanità, Volume recensito da Bianchetti, Chora.
Laboratorio di attualità, scrittura e cultura filosofica, Volume recensito da Giardino sulla Rivista di
filosofia, nell'articolo "Tra i cavalli alati e la realtà" – cf. H.
P. Grice, “Pegasus is Pegasus” Nomi vacui, su Il manifesto, Armezzani su SWIF Volume
recensito da Corsetti su “L'esperanto. Revuo de itala esperanto-federacio”, recensito
da sulla rivista web Secretum. Scienze, saperi, forme di cultura Si tratta di
un Book accessibile con password. Si tratta di una replica critica all'articolo
di Valduga "Filosofi all'anagrafe", pubblicato su la Repubblica,
sezione Milano. Profilo accademico su immagini della mente. Elenco completo
delle pubblicazioni sul sito universitario academia.edu. Paolo Valore. Valore. Keywords:
Pegasus is Pegasus. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Valore” – per il H. P.
Grice’s Play-Group, The Swimming-Pool Library, Villa Speranza. Valore.
Luigi Speranza --
Grice e Vanghetti: implicature di Deutero-Esperanto – la scuola di Greve in
Chianti – la scuola di Firenze – filosofia fioretina – filosofia toscana -- filosofia
italiana – Luigi Speranza, pel Gruppo di Gioco di H. P. Grice, The
Swimming-Pool Library, Villa Speranza (Greve
in Chianti). Filosofo fiorentino. Filosofo toscano. Filosofo italiano. Greve in
Chianti, Firenze, Toscana. I progetti e l'influsso del Latino sine flexione di PEANO
(si veda), interessante. Nonostante la fama inferiore rispetto ad altre
LAI, è innegabile che, in seguito alla pubblicazione dei lavori di PEANO (si
veda), si assisté a una proliferazione dei progetti di inter-lingua di base
latina, ispirati proprio a quella del matematico piemontese. I numerosi
tentativi sono testimoni del fatto che molti esponenti della comunità dei
filosofi italiani condivide il pensiero che la lingua latina, opportunamente
modificata, puo divenire il mezzo perfetto per la comunicazione. Per i
primi tentativi d’emulazione si devono aspettare a quando il filosofo italiano Vanghetti,
esperto di lingue moderne e internazionali, pubblica le sue proposte di
carattere esperantido, il Latin-Ido e il Latin-Esperanto. Con il termine “Esperantido”
si intendono quelle lingue inventate ad uso internazionale che presentano un
certo numero di caratteri tipici dell'Esperanto – cf. H. P. Grice,
“Deutero-Esperanto in One Easy Lesson” -- entrambe si configurano come
commistione delle idee di PEANO (si veda) e di altri sistemi, presentando un
vocabolario di base ispirato al Latino sine flexione accostato rispettivamente
alla struttura grammaticale dell'IDO (cf. Grice, Studies in the Way of IDO” -- e dell'Esperanto. A Empoli, mentre è membro
della commissione, nominata dalla Società Italiana per il Progresso delle
Scienze, che dove occuparsi della promozione dell'uso e dello studio delle
lingue internazionali, commissione di cui fa parte anche lo stesso PEANO (si
veda) - pubblica nella rivista “Riforma” anche un saggio intitolato «Questione
de lingua auxiliario internationale in Italia» a riprova del suo
particolare interesse per la materia. Giuliano Vanghetti Voce Discussione Leggi Modifica Modifica
wikitesto Cronologia Strumenti Giuliano Vanghetti Giuliano Vanghetti (Greve
in Chianti, 8 ottobre 1861 – Empoli, 4 maggio 1940) è stato un medico
ortopedico italiano, famoso per aver condotto innovative sperimentazioni di
protesi per arti amputati, in particolare quelli superiori. Di un certo rilievo
fu anche il suo interesse alla linguistica: conoscitore di molte lingue, si
occupò della promozione degli studi sulle lingue ausiliarie internazionali:
l'interlingua e il latino sine flexione di Giuseppe Peano. Biografia Giovinezza Dopo i primi studi a Greve
in Chianti, dove il padre Dario si era trasferito da Empoli per svolgere
l'incarico di pretore, conseguì la maturità a Siena e si iscrisse poi
all'Università di Bologna. Qui frequentò ben tre facoltà - fisica, matematica e
medicina - prima di optare per quest'ultima, in cui si laureò con un modesto
80/110 nel 1890. Iniziò la professione come assistente alla Clinica
Dermosifilopatica di Parma ma, quando il padre si ritirò in pensione, rientrò
con lui a Empoli accettando supplenze come medico condotto nei paesi
circostanti. L'esigenza di mantenere la
famiglia che si era intanto formato (la moglie e i due figli Dario e Flora) e
il desiderio di viaggiare e "conoscere il mondo", evadendo in qualche
modo dalla dimessa routine della sua vita, lo spinsero allora a imbarcarsi come
medico di bordo su navi in genere di emigranti italiani. Compì in quegli anni
numerose e lunghe traversate soprattutto alla volta di Australia, Stati Uniti,
Argentina e Brasile, imparando così l'inglese, il tedesco, il francese, lo spagnolo
e interessandosi anche ai primi studi sull'interlingua.[1] Protesi "cinematiche" Come un po'
tutti gli italiani, anche Vanghetti si crucciò alla notizia della disfatta di
Adua (1º marzo 1896), ma rimase pure angosciato nell'apprendere della doppia
mutilazione (mano destra e piede sinistro) inflitta a un migliaio di àscari
fatti prigionieri dagli abissini, ai quali poi il governo italiano aveva
fornito degli inerti "pezzi di legno" in sostituzione degli arti
mancanti. Riflettendo sul come dare "movimento" a tali protesi, in
particolare a quelle della mano, il "dottorino" toscano giunse alla
semplice e geniale conclusione che esse dovevano essere collegate proprio a
quei muscoli e tendini che erano stati recisi dall'amputazione: era il principio
delle protesi "cinematiche" (talora definita anche
"cineplastica"[2][3][4]).
Lasciate quindi navi e piroscafi, rientrò a Empoli per rintanarsi nella
casa paterna in frazione Villanova, suddividendo il proprio tempo fra il
pollaio e il laboratorio da lui improvvisato accanto allo studio del primo
piano, in cui sperimentò le sue teorie testandole su delle galline[5] alle
quali aveva amputato una zampa e applicato delle protesi "mobili" in
legno. Vanghetti e la sua domestica, promossa assistente, le visitavano ogni
giorno con la soddisfazione di vederle tornare a camminare dopo qualche mese.
Nell'aprile 1898 pubblicò a sue spese Amputazioni, Disarticolazioni e Protesi,
breve memoria illustrativa del suo metodo che tuttavia non ebbe alcuna eco nel
mondo medico e scientifico. Nel 1900
riuscì a compiere il passaggio decisivo dalla teoria e dalla sperimentazione
sugli animali alla pratica chirurgica sull'uomo presentando direttamente le sue
idee al professor Antonio Ceci, direttore della Clinica chirurgica di Pisa, che
le applicò in un intervento di amputazione all'avambraccio destro utilizzando
una protesi realizzata dal rinomato ortopedico pisano Giuseppe Redini.
L'operazione e il paziente furono presentati nel 1905 a Pisa, al XVIII
Congresso italiano di chirurgia, suscitando i primi timidi interessi per la
"cinematizzazione" dei monconi d'amputazione (oltre allo stesso Ceci,
i chirurghi Roberto Alessandri di Roma, Riccardo Galeazzi di Milano e pochi
altri). Dal canto suo, Vanghetti cercò di dare forma organica alle proprie
concezioni in varie pubblicazioni, soprattutto nel saggio Plastica e protesi
cinematiche del 1906, che ottenne un premio d'incoraggiamento dall'Accademia
Nazionale dei Lincei. Solo dieci anni
dopo, con lo scoppio della prima guerra mondiale, tornarono di tragica
attualità il problema della funzionalità delle protesi e quello connesso della
reintegrazione sociale dei mutilati. Augusto Pellegrini, primario di chirurgia
all'ospedale Melino Mellini di Chiari, prese allora Vanghetti con sé e, con il
grado di maggiore della Croce Rossa, lo incaricò di organizzare e dirigervi un
Centro per mutilati.[6] Del resto, le necessità belliche incrementarono
rapidamente e in tutta Europa i progressi della tecnologia e dell'efficacia
protesica e molti chirurghi tradussero in pratica i principi di Vanghetti pur
senza riconoscergliene pubblicamente la paternità (non così il celebre Ernst
Ferdinand Sauerbruch, che attribuì al medico empolese la primogenitura
dell'idea)[7]. Allo stesso modo, anche i dispositivi ortopedici da lui
elaborati vennero utilizzati e brevettati da altri per produrre protesi
funzionali; è il caso ad esempio della "mano Marelli", di
fabbricazione italiana, in cui, in base ai principi di Vanghetti, due tiranti
consentivano i piegamenti delle dita e la chiusura del pollice sul
palmo.[8] I riconoscimenti e gli ultimi
anni Alla fine arrivarono anche i riconoscimenti, seppur pochi e tardivi:
dall'Accademia Nazionale dei Lincei, come detto, dall'Accademia di Medicina di
Torino con l'assegnazione del premio Alessandro Riberi, e dalla Croce Rossa
Italiana, che gli conferì un diploma di benemerenza e la medaglia d'oro. La
Società Ortopedica Italiana lo accolse come socio onorario in occasione del
congresso nazionale del 1918, tenutosi a Milano sotto la direzione di Riccardo
Galeazzi e con tema "Sull'amputazione cinematica. Patologia e cura dei
monconi d'amputazione". Nello stesso anno gli giunse particolarmente
gradito l'invito a visitare l'Istituto Ortopedico Rizzoli di Bologna, dove il
chirurgo Alessandro Codivilla era passato dall'iniziale diffidenza a un
convinto sostegno per le protesi cinematiche, così come il suo successore,
Vittorio Putti. Dopo la parentesi
bellica, comunque, Vanghetti tornò a isolarsi nella campagna empolese
occupandosi da un lato del figlio Dario, immobilizzato da una grave malattia, e
dall'altro di disegnare e costruire nuovi apparecchi meccanici (fra cui un
corsetto correttivo della scoliosi). Usciva di casa raramente, in genere il
giovedì per recarsi in città al mercato e poi dal farmacista, dal meccanico e
dal falegname: per l'abbigliamento un po' trasandato e per queste sue abitudini
poco socievoli, che gli facevano preferire i polli agli uomini, passava per un
eccentrico, uno strambo, un "matto" inoffensivo. Dopo la morte fu sepolto nella cappella di
fronte alla sua vecchia casa, sul cui portone d'ingresso il municipio di Empoli
fece affiggere nel 1942, nel secondo anniversario della sua scomparsa, una
lapide: «In questa casa degli avi suoi, schivo di onori, sdegnoso di lucro, ricreò
lo spirito curioso d'ogni cultura, Giuliano Vanghetti, riformatore della
tecnica delle amputazioni, ideatore geniale della vitalizzazione delle membra
artificiali, il cui nome l'Italia e il mondo hanno meritamente iscritto
nell'albo dei grandi benefattori dell'umanità».
Successivamente, l'officina-laboratorio-studio di Vanghetti è stata
ricostruita in due ampi locali nel sottotetto della Biblioteca Comunale
"Renato Fucini" di Empoli. Contiene tutti oggetti originali
dell'epoca, donati nel 1990 dalla figlia Flora, come attrezzi, libri, calendari
e protesi funzionanti.[9] Greve in
Chianti, suo paese natale, ha intitolato a Giuliano Vanghetti un viale. Empoli, sua città avita e di adozione, gli ha
dedicato una via, prossima al centro e, nel 1974, una delle scuole secondarie
di I grado, in Via Liguria.[10] Il 10
ottobre 2017, sulla rivista scientifica Neurology è apparso un articolo che
presenta Vanghetti come il pioniere della neuroprotesica.[11] La copertina
dello stesso numero è a lui dedicata.[12]
Note ^ Se ne occuperà soprattutto negli anni precedenti e in quelli
successivi alla prima guerra mondiale, entrando anche a far parte del consiglio
direttivo dell'Academia pro Interlingua di Giuseppe Peano, votata alla
promozione delle lingue ausiliarie internazionali e, in particolare, del latino
sine flexione di Peano. ^ cineplastica, in Treccani.it – Vocabolario Treccani
on line, Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. ^ cinematizzazione, in
Treccani.it – Enciclopedie on line, Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana.
^ Giuliano Vanghetti, in Treccani.it – Enciclopedie on line, Roma, Istituto
dell'Enciclopedia Italiana. ^ «L'animale più indicato per questi studi sarebbe
la scimmia, ma il prezzo d'essa, l'indisciplina e l'ingombro sono tali da
renderlo impossibile ad esperimentatori di mezzi limitatissimi. I polli, dal
pulcino al tacchino, sono gli animali che meglio si prestano per la loro
docilità, per il prezzo svariato e per avere i tendini del tarso facilmente
accessibili all'operatore.» Riportato da Nunzio Spina, op. cit., p. 174. ^ (EN)
Alessandro Porro e Lorenzo Lorusso, "Augusto Pellegrini (1877–1958). Contributions to surgery and
prosthetic orthopaedics", in Journal of Medical Biography, n. 15 (2),
maggio 2007, pp. 68-74. ^ (EN) Journal of the American Medical Association del
25 dicembre 1920, p. 1811. Tuttavia,
secondo Antonio Conti e Donatella Lippi, "La formazione sanitaria ad
Empoli da Vincenzio Chiarugi ad oggi", in Alfiero Ciampolini (a cura di),
L'innovazione per lo sviluppo locale. L'università per il territorio (atti del
convegno di studi, Empoli, 12 marzo 2004), Firenze, Firenze , «Il chirurgo
tedesco Sauerbruch, dopo aver letto gli scritti di Vanghetti, se ne impossessò,
iniziando ad applicare a tappeto la sua cura. Forte della sua fama e delle
evidenze raccolte da Vanghetti, rivendicò a sé la paternità di queste
scoperte.» ^ Francesco Mattogno, Loredana Chiapparelli, Roberto Pellegrini e
Marco Borzi, Manuale dispositivi ortopedici e classificazione ISO, ITOP -
Officine Ortopediche, 2001, p. 144 (consultabile on line Archiviato il 7
ottobre 2009 in Internet Archive.). ^ Sul cosiddetto "Museo
Vanghetti" si possono vedere: Maria Stella Rasetti, "Il Museo
Vanghetti nella biblioteca cittadina di Empoli", in La Restitutio ad
Integrum. Da Giuliano Vanghetti al Corso di laurea in fisioterapia, seminario
di studi, Empoli, 10 maggio 2004 (consultabile on line Archiviato il 21 luglio
2007 in Internet Archive.); Ilenia Castaldi, "Il genio sperimentale del
'dottor' Giuliano Vanghetti", sul quotidiano on line gonews Archiviato il
9 agosto 2010 in Internet Archive. del 29 luglio 2010. ^ Cfr. il sito della
scuola Archiviato il 18 giugno 2012 in Internet Archive.. ^ (EN) Peppino
Tropea, Alberto Mazzoni, Silvestro Micera, Massimo Corbo, Giuliano Vanghetti
and the innovation of “cineplastic operations”, in Neurology, vol. 89, n. 15,
10 ottobre 2017, pp. 1627–1632,. ^ Cover Neurology, su neurology.org.
Bibliografia Giuliano Vanghetti, Amputazioni, Disarticolazioni e Protesi,
stampato in proprio, aprile 1898. Giuliano Vanghetti, Plastica e protesi
cinematiche. Nuova teoria sulle amputazioni e sulla protesi, Empoli,
Traversari, 1906. Giovanni Franceschini, La ricostruzione delle membra
mutilate, Milano, Sonzogno, 1919. Augusto Pellegrini, "Come Vanghetti
preconizzava le trazioni sullo scheletro mediante filo", in La chirurgia
degli organi in movimento, n. 3, 1932, pp. 315–316. (FR) Augusto Pellegrini,
"Traitement des fractures des membres par l'archet de forgeron et les
tractions sur le squelette par fil métallique selon la méthode de
Vanghetti", in Bulletins et mémoires de la Société nationale de chirurgie,
n. 28, 1932. Giuseppe Maccaroni, "Giuliano
Vanghetti", in La riforma medica, n. 15, 1942. Città di Empoli, Le
onoranze a Giuliano Vanghetti nel X anniversario della morte (4 maggio-25
giugno 1950), Firenze, Noccioli, 1951. Francesca Landi, Mario Mannini e Pier
Luigi Niccolai (a cura di), Giuliano Vanghetti (8 ottobre 1861 - 4 maggio
1940). Mostra documentaria, Empoli, Comune, 1990. Francesca Vannozzi, "I
'ferri del mestiere' di Vanghetti: possibilità di una indagine storica",
in Giuliano Vanghetti: nascita, sviluppi e tendenze della chirurgia protesica
dei mutilati (atti del convegno di studio, Empoli, 26 ottobre 1991), Empoli,
1991. Antonia Francesca Franchini, "Empoli per Giuliano Vanghetti:
l'importante convegno di studio sulla nascita, sviluppi e tendenze della
chirurgia protesica dei mutilati", in Oris medicina, n. 7, 1991, pp.
36–38. Nunzio Spina, "Giuliano Vanghetti e le mutilazioni degli ascari:
quando compassione e sensibilità scatenarono l'ingegno", in GIOT Giornale
Italiano di Ortopedia e Traumatologia[collegamento interrotto], n. 5, 2009, pp.
170–178. Peppino Tropea, Alberto Mazzoni, Silvestro Micera, Massimo Corbo,
Giuliano Vanghetti and the innovation of “cineplastic operations”, in
Neurology, Vanghétti, Giuliano, su Treccani.it – Enciclopedie on line, Istituto
dell'Enciclopedia Italiana. Modifica su Wikidata Portale Biografie Portale Linguistica Portale Medicina Categorie: Medici
italianiMedici del XIX secoloMedici del XX secoloItaliani del XIX
secoloItaliani del XX secoloNati nel 1861Morti nel 1940Nati l'8 ottobreMorti il
4 maggioNati a Greve in ChiantiMorti a Empoli[altre] Il Latino sine flexione di
PEANO (si veda) ed altri, cioè l'Inter-Latino, o latino internazionale, è
già in uso vantaggiosamente in altre discipline, anche in forma ufficiale
(v. per es. le circolari dell'osservatorio di Cracovia). Il soggetto è
trattato in modo conciso, ma completo, dallo stesso O. sulla Riforma
Medica, in latino internazionale perfettamente intelligibile a prima
lettura da ogni persona colta di qualunque paese anche se conosce bene
solo l'inglese od una lingua neo-latina più specialmente ad un medico, ed
a chi ha studiato il latino. Lo scrivere in latino internazionale costa
poca fatica, senza necessità di studiare una grammatica e senza
possibilità d’errori. Del resto esi stono già dizionari appositi (BASSO (si
veda), PEANO (si veda), CANESI (si veda), Pinth) che lascian solo da
applicare s al plurale o poco più. L'Esperanto richiede studio di
grammatica e di vocabolario. Questo ultimo è in via di esser LATINIZZATO
per più facile comprensione. Ma la grammatica, per quanto ridotta
rispetto alle lingue naturali, è sempre un po'complicata rispetto
all'inter-latino che non ne ha affatto per il lettore, e quasi nessuna
per lo scrittore, e ad ogni modo non è obbligatoria. Anche astrazion fatta
da ragioni politiche *contro* l'esperanto, non è ammissibile
l'obbligatorietà dello studio di esso nelle pubbliche scuole, come neppure
quello di alcun altra delle lingue artificiali, nessuna delle quali è
ancora perfettissima. La Società delle Nazioni, respinse alla quasi
unanimità detta pretesa; e pur rimandando la questione generale allo
studio dell’Intesa Intellettuale, mostra propensione alla base inter-latina. Intanto,
oltre che a scopo di corrispondenza scientifica praticamente già
constatata facile e vantaggiosa, è nell'interesse della scienza italiana
della sua lingua spesso ignorata e spogliata per scarsa diffusione
anche in quanto riguarda l'ortopedia, che gl’articoli originali dei
nostri periodici scientifici portassero un sommario in latino
internazionale. La società internazionale per lo studio del problema è
attualmente in Italia, e presieduta da PEANO, via Barbaroux, Torino, insegnante
di calcolo in quella R. U. Giuliano Vanghetti. Vanghetti. Keywords:
Deutero-Esperanto. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Vanghetti,” pel Gruppo di
Gioco di H. P. Grice, The Swimming-Pool Library, Villa Speranza.
Luigi Speranza -- Grice e Vanini: la ragione conversazionale e
l’implicatura conversazionale dei peripatetici del lizio – la scuola di
Taurisano – filosofia leccese – filosofia pugliese -- filosofia italiana – Luigi
Speranza, pel Gruppo di Gioco di H. P. Grice, The Swimming-Pool Library (Taurisano). Filosofo pugliese. Filosofo italiano. Taurisano, Lecce,
Puglia. Essential Italian philosopher. “If
you speak Italian, you should never confuse Vanini with Vannini” -- Grice. Fra i primi esponenti di rilievo del
libertinismo erudito. Nasce al casale di Terra d'Otranto, nella famiglia
che il padre, uomo d'affari originario di Tresana in Toscana, costitusce
sposando una Lopez de Noguera, appartenente a una famiglia appaltatrice delle
regie dogane della Terra di Bari, della Terra d'Otranto, della Capitanata e
della Basilicata. Anche un successivo documento scoperto nell'srchivio segreto
vaticano, lo qualifica pugliese, confermando il luogo di nascita ch'egli si
attribuisce nelle sue opere. Nel censimento ufficiale della popolazione
del casale di Taurisano figurano solo i nomi di Giovan Battista Vanini, del
figlio legittimo Alessandro, e del figlio naturale Giovan Francesco. Nessun
cenno della moglie e dell'altro figlio legittimo Giulio Cesare. Si ha motivo di
ritenere che il padre sia ri-entrato a Napoli. Sistemata ogni pendenza
economica, entra nell'ordine carmelitano assume il nome di Gabriele e si
trasfere a Padova per intraprendere gli studi. Giunge nelle terre della repubblica
di Venezia quando le polemiche provocate due anni prima dall'interdetto di Paolo
V sono ancora vivacissime. Durante il soggiorno padovano entra in contatto con
il gruppo capeggiato da SARPI che, con l'appoggio dell'ambasciata inglese a
Venezia, alimenta la polemica anti-papale. Consegue a Napoli il titolo di
dottore in utroque iure, superando l'esame che gli consente di esercitare la
professione di dottore nella legge civile e canonica. Come verrà descritto in
documenti posteriori, assimila una grande cultura. Parla assai bene il latino e
con una grande facilità, è alto di taglia e un po' magro, ha i capelli castani,
il naso aquilino, gl’occhi vivi e fisionomia gradevole ed ingegnosa. Divenuto
maggiorenne, si fa riconoscere da un tribunale della capitale erede di Giovan
Battista. Con una serie di rogiti e procure notarili redatte a Napoli, inizia a
sistemare ogni pendenza economica conseguente alla morte del padre. Vende una
casa di sua proprietà sita in Ugento, a pochi chilometri dal suo paese
d'origine. Dà mandato a uno zio di assolvere incarichi dello stesso tipo,
incarica l'amico Scarciglia di recuperagli una somma e gli vende alcuni beni
rimasti a Taurisano e tenuti in custodia dai due fratelli. Partecipa alle
prediche quaresimali, attirandosi i sospetti delle autorità religiose. In
conseguenza dei suoi atteggiamenti anti-papali, e allontanato dal convento di
Padova e rinviato, in attesa di ulteriori sanzioni disciplinari, al provinciale
di Terra di Lavoro con sentenza del generale dell'Ordine carmelitano, SILVIO,
ma fugge in Inghilterra, insieme con il confratello genovese GENOCCHI. Nel
viaggio, toccano Bologna, Milano, i grigioni svizzeri e discendono il corso del
Reno sino alla costa del mare del nord, attraversando la Germania, i paesi bassi,
il canale della Manica e giungendo infine a Londra e a Lambeth -- sede
arcivescovile del Primato d'Inghilterra. Qui i due frati rimarranno per quasi II
anni, nascondendo la loro reale identità perfino ai loro ospiti inglesi, poiché
è provato che lo stesso arcivescovo di Canterbury, ABBOT, li conosceva sotto un
nome diverso da quello reale. Nella chiesa londinese detta dei MERCIAI o
degl’italiani, alla presenza di un folto auditorio e di Bacone, V. e il suo
compagno fanno una pubblica sconfessione della loro fede cattolica,
abbracciando la religione anglicana. In realtà i due frati non hanno tagliato i
ponti con i loro ambienti di provenienza: infatti nel GENOCCHI viene raggiunto
da una lettera molto amichevole di un amico e confratello genovese, SPINOLA. A
loro volta, le autorità cattoliche vengono subito informate di questo caso. -- è
il nunzio a Parigi ad avvertire la segreteria di stato vaticana che due frati
veneziani non meglio identificati sono fuggiti in Inghilterra e si sono fatti
ugonotti, che un vescovo italiano sta per seguirli e che lo stesso SARPI, morto
il doge e privato della sua protezione, per non cadere in mano dei suoi nemici,
è sul punto di fuggire in Palatinato tra i protestanti. Analoga notizia,
arricchita di altri particolari, viene inoltrata dal nunzio in Fiandra al
cardinale BORGHESE a Roma, che risponde mostrandosi già al corrente dei fatti e
dell'esatta identità dei due frati. Sa che la fuga di V., di GENNOCHI, di SARPI,
e di un non ancora identificato vescovo italiano potrebbe portare alla
ricostituzione in terra protestante del gruppo di opposizione al papato già
operante nella repubblica veneta al tempo dell'interdetto. Il nunzio UBALDINI da
Parigi continua a inviare a Roma dettagli sulla condotta dei due frati
rifugiati in Inghilterra, sulle loro predicazioni, su come sono stati accolti a
corte e dalle autorità religiose, su come si continui a parlare dell'arrivo del
vescovo italiano. La segreteria di stato vaticana esorta il nunzio in Francia
ad attivare i suoi confidenti in Inghilterra al fine di scoprire l'identità del
vescovo intenzionato a rifugiarvisi. Il cardinale UBALDINI da Parigi assicura
alla segreteria di stato tutto il suo impegno in merito all'argomento dei due
frati. Nello stesso dispaccio afferma che non mancherà di informare di ogni
dettaglio anche il cardinale ARROGONI, che gli ha scritto in merito per conto
del papa e della congregazione del sant’uffizio. Evidentemente a quella data la
condotta veneziana e la successiva fuga dei due frati era già diventata
argomento di discussione dell'inquisizione romana. Un'altra lettera del
cardinale BORGHESE invita il nunzio in Francia ad essere vigile sulla faccenda
della fuga del vescovo in Inghilterra e, nel caso egli passi per il suolo
francese, a far di tutto per «farlo ritenere», come suggerisce il Papa e «come
sarebbe molto a proposito». In dicembre il Nunzio UBALDINI invia da Parigi al
cardinale BORGHESE notizie dettagliate e di tenore molto diverso rispetto alle
precedenti sui due frati, attestando la buona reputazione di cui essi godono in
Inghilterra e la fiducia che possano presto essere recuperati alla chiesa di
Roma. Questa lettera viene poi trasmessa al tribunale dell'inquisizione romana
che nei primi giorni del gennaio successivo inizia di fatto a istruire il
processo contro V.. Nei mesi successivi si hanno varie notizie di un gran
traffico di suppliche e lettere dei due frati a Roma, specialmente tramite
l'ambasciatore spagnolo a Londra, per ottenere il perdono del papa e il ri-entro
nel cattolicesimo. Le autorità religiose inglesi ne vengono segretamente
informate e dispongono un'attenta sorveglianza nei confronti dei due
frati. Tra la fine dele l'inizio del V. si reca in visita a Cambridge e
poi ad OXFORD (cf. H. P. GRICE). A OXFORD, V. confida ad alcuni conoscenti la
sua ormai imminente fuga dall'Inghilterra, cosicché in gennaio i due frati
vengono arrestati dalla guardie dell'arcivescovo dopo una funzione religiosa
nella chiesa degli Italiani e rinchiusi in case di alcuni servi
dell'arcivescovo. Scoppia un grande scandalo e dell'episodio vengono informati
il re e le massime autorità dello stato, in quanto nelle operazioni di recupero
appaiono chiaramente coinvolti agenti di nazioni straniere accreditati nelle
ambasciate a Londra. Altissime personalità cattoliche da Roma seguono la
vicenda e la favoriscono con grande calore. GENOCCHI, eludendo la
sorveglianza e con l'aiuto di agenti stranieri, fugge dalla prigione e
dall'Inghilterra. In conseguenza di ciò, viene trasferito in luogo più sicuro e
rinchiuso nella carzel publica, ovvero nella gate-house adiacente all'abbazia
di Westminster. Dilaga lo scandalo. Volano le accuse di leggerezza nei
confronti dei fautori della fuga dei due frati dall'Italia, mentre cominciano a
circolare apertamente i nomi del cappellano dell'ambasciatore veneto a Londra, MORAVO,
e dell'ambasciatore spagnolo quali autori del clamoroso recupero. Dalla curia
romana si continua a seguire la vicenda e a favorirla in ogni modo. A
Londra viene intanto istruito il processo a V. Il frate rischia una severa
punizione, non il rogo come i martiri della fede -- come il carmelitano scrive con
enfasi poi nelle sue opera --, ma una lunga deportazione in desolate colonie
lontane, come l'arcivescovo ABBOT suggerisce al re. Anche V. riesce a
evadere di prigione e a fuggire dall'Inghilterra, sempre grazie all'aiuto degli
agenti dell'ambasciatore spagnolo a Londra, incoraggiato da alte personalità
romane e del cappellano dell'ambasciata della repubblica veneta, che si avvale
anche dell'opera di alcuni servi dell'ambasciatore stesso, ma all'insaputa di
questi. II anni dopo, durante il processo della repubblica veneta contro
l'ambasciatore FOSCARINI per spionaggio e per aver consentito ad ABBOT di sottoporre
ad interrogatorio il personale dell'ambasciata, vengono alla luce anche
dettagli sulla complicità della fuga di V. da Londra. V. e GENOCCHI arrivano
a Bruxelles e si presentano al nunzio di Fiandra, BENTIVOGLIO, che li attende
da tempo. Vengono iniziate le prime pratiche per la concessione del perdono per
la fuga in Inghilterra e per l'apostasia e viene loro accordato di tornare in
Italia e di vivervi in abito di prete secolare, senza più indossare l'abito religioso,
ma con il vincolo dell'obbedienza al loro superiore. Forti di tali concessioni,
alla fine di maggio i due frati vengono posti sulla via per Parigi, dove devono
presentarsi al nunzio di quella città, UBALDINI. All'incirca nello stesso
periodo giunge a Parigi anche l'ultimo frate recuperato dall'Inghilterra, MARCHETTI.
Altri due frati, invece, non ottengono il perdono dalle autorità
cattoliche. A Parigi, durante la permanenza presso la sede del nunzio UBALDINI,
V. si inserisce nella polemica relativa all'accettazione dei principi del concilio
di Trento in Francia, che tarda ad arrivare a causa del rifiuto di parte del
clero gallicano. Per orientare gl’animi nella direzione voluta dalla santa sede,
scrive i Commentari in difesa del concilio di Trento, di cui egli poi intende
avvalersi, come scrive UBALDINI ai suoi superiori in Roma, per dimostrare la
sincerità del suo ritorno nella fede cattolica. Riprende quindi la strada
per l'Italia, dirigendosi a Roma, dove deve affrontare le difficili fasi finali
del processo presso il tribunale dell'inquisizione. Dimora per qualche mese a
Genova, dove ritrova l'amico GENOCCHI e si guadagna da vivere insegnando
filosofia ai figli di DORIA. Nonostante le assicurazioni ricevute, il
ritorno dei frati non è del tutto tranquillo. GENOCCHI viene inaspettatamente
arrestato dall'inquisitore di Genova. A Ferrara accade lo stesso all'altro
frate "recuperato", MARCHETTI. V. teme che gli accada la stessa
sorte, fugge nuovamente in Francia e si dirige a Lione. Gl’esiti finali delle
esperienze capitate al frate genovese e a quello ferrareseche vennero
rilasciati dopo un breve periodo di detenzione e restituiti alla normale vita
religiosasembrano indicare che forse V. esagera il pericolo insito in queste
operazioni di polizia dell'inquisizione. A Lione, pubblica l' “Amphitheatrum”,
che egli intende esibire in sua difesa alle autorità romane, come si legge in
un dispaccio di UBALDINI alle autorità romane. Esso è dedicato a CASTRO, ambasciatore
spagnolo presso la santa sede, già collegato con la famiglia V., da cui il
frate fuggiasco s'aspetta un aiuto nell'operazione della concessione del
perdono da parte delle autorità romane. Poco tempo dopo, grazie anche agli
appoggi acquisiti presso certi ambienti cattolici con la pubblicazione della
sua opera, V. ritorna a Parigi e si ripresenta al nunzio UBALDINI, chiedendogli
di intervenire in suo favore presso le autorità di Roma. Il prelato scrive al
cardinale BORGHESE, chiedendo chiare indicazioni sulla sorte
dell'ex-carmelitano. Non si conosce la risposta del segretario di stato. V.,
comunque, non ritorna più in Italia e riesce invece a trovare la strada e i
mezzi per entrare in ambienti molto prestigiosi della nobiltà francese. V.
completa un'altro suo saggio, il “De Admirandis Naturae Reginae Deaeque
Mortalium Arcanis” ed l'affida a due filosofi della Sorbona perché ne
autorizzino la pubblicazione, secondo le norme del tempo vigenti in Francia. Il
saggio è pubblicato in settembre a Parigi. Esso è dedicato a BASSOMPIERRE, uomo
potente alla corte di Maria de' MEDICI, ma è stampata da Perier, tipografo
notoriamente PROTESTANTE. Il saggio vede la luce in un ambiente ricco di
pubblicazioni che vengono guardate con sospetto e che provocano pesanti
condanne. L'opera del V. ottiene un immediato successo presso certi ambienti
della nobiltà, popolati di spiriti che guardano con interesse alle innovazioni
culturali e scientifiche che vengono dall'Italia. In questo senso il “De
Admirandis” costituisce una summa, esposta in modo vivace e brillante, del
nuovo sapere. Dà una risposta alle esigenze del momento di questo settore della
nobiltà. Diviene una specie di manifesto culturale di questi esprits forts e
rappresenta per V. una possibilità di stabile permanenza negli ambienti vicini
alla corte di Parigi. Tuttavia, pochi giorni dopo la pubblicazione del saggio,
i due teologi della Sorbona che espressano la loro approvazione alla
pubblicazione si presentano ai membri della facoltà di teologia in seduta
ufficiale e li informano di aver letto, a loro tempo, certi dialoghi scritti da
V. Di non avervi trovato allora niente che contrastasse con il cattolicismo; di
averli restituiti muniti della loro approvazione alla stampa e con la
condizione che il manoscritto da essi controfirmato fosse depositato presso di
essi a pubblicazione avvenuta, a testimonianza della fedeltà del testo
pubblicato a quello da loro approvato; che ciò non era avvenuto e che circola
invece un testo dell'opera diverso da quello approvato e contenente alcuni
errori contro la comune fede di tutti, per cui i due dottori avanzano la
supplica che il saggio non circoli più con la loro approvazione e che tale
richiesta venga trascritta nel libro delle conclusioni della facoltà stessa. La
Sorbona accoglie tale richiesta che costituì di fatto un DIVIETO di
circolazione del testo. La Sorbona, però, sembra non occuparsi più del
saggio di V., non prenderne più in esame l'opera, non elencarne o denunciarne,
come da prassi, gl’errori da emendare, né mai condanna il suo contenuto o il
suo autore. Comunque, una condanna espressa dal vicario episcopale di Tolosa, RUDÈLE,
a sottoscritta anche dall'inquisitore BILLY. Inoltre anche la congregazione
dell'indice pronuncia una condanna con la quale il “De admirandis” e condannato
con la formula del “donec corrigatur” -- in base alla quale il SOTOMAIOR colloca
V. nella prima classe degli autori proibiti nel suo indice. La collectio judiciorum
de novis erroribus qui ab initio duodecimi seculi post Incarnationem Verbi, in
Ecclesia proscripti sunt et notati, di ARGENTRÉ, dottore della Sorbona e
vescovo, edita a Parigi, esamina le censure e le conclusioni espresse dalla facoltà
che aveva condannato l'Amphitheatrum Aeternae Sapientiae di KHUNRATH e la “De
Republica Ecclesiastica” di DOMINIS) non menziona invece provvedimenti contro V..
Tutto questo porterebbe a ritenere che non vi siano stati atti ufficiali
specifici di persecuzione contro V. da parte delle autorità parigine, né
religiose né civili, né in questo periodo né negli anni seguenti. Ma solo
proteste e minacce nei suoi confronti da parte di alcuni settori. Una condanna
del saggio di V. non avrebbe trovato fondate giustificazioni, né sul piano
giuridico né su quello culturale, in quanto gran parte delle teorie esposte da
V. non costituivano una novità. Fuggito da pochi mesi dall'Inghilterra,
impossibilitato a ri-entrare in Italia, minacciato da alcuni settori cattolici
francesi, V. vede restringersi intorno gli spazi di movimento e ridursi le
possibilità di trovare stabile sistemazione nella società francese. Ha paura
che venga aperto un processo contro di lui anche a Parigi, per cui fugge dalla
capitale e si nasconde in Bretagna, in una delle cui abbazie, quella di Redon,
è abate commendatario il suo amico e protettore, SAINT-LUC. Ma intervengono
anche altri fattori di preoccupazione. Viene ucciso a Parigi CONCINI, favorito
di Maria de MEDICI, uomo potentissimo e molto odiato in Francia. L'episodio,
seguito poco dopo dall'allontanamento della regina dalla capitale con il suo
odiato seguito di italiani, crea notevole turbolenza politica e suscita un
vasto movimento di ostilità nei confronti degl’italiani residenti a
corte. Altre cronache del tempo segnalano la presenza di un misterioso
italiano, con un nome strano, in possesso di una grande cultura ma dall'incerto
passato, ancora più a sud, in alcune città della Guienna e poi della Linguadoca
ed infine a Tolosa. Nella particolare suddivisione politica della Francia, il duca
di MONTMORENCY, protettore degli esprits forts del tempo, sposato con la
duchessa italiana ORSINI, è governatore di questa regione e sembra poter
accordare protezione al fuggiasco, che continua comunque a tenersi
prudentemente nascosto. La presenza a Tolosa di questo misterioso personaggio,
di cui si ignora la provenienza e la formazione culturale, ma che fa mostra di
grande sapienza, di grande vivacità dialettica specialmente e di affermazioni
non sempre allineate con la morale del tempo, non passa inosservata ed attira i
sospetti delle autorità, che cominciano a sorvegliarlo. Dopo averlo ricercato
per un mese, le autorità tolosane lo fanno arrestare e chiudere in prigione. Lo
sottopongono ad interrogatorio, cercano di scoprire chi egli sia, quali siano
le sue idee in materia di di morale, perché fosse arrivato fin in quel lontano
angolo della Francia meridionale. Vengono convocati testimoni contro di lui, ma
non riescono ad accertare nulla, né a farlo tradire. Il misterioso
personaggio viene improvvisamente riconosciuto colpevole e condannato al rogo.
Ormai isolato, braccato, impossibilitato a chiamare a sua difesa un passato
travagliatissimo e ricco di nodi mai sciolti, abbandonato dai pochi amici
rimastigli fedeli perché impotenti ad organizzare una chiara strategia in sua
difesa, muore di morte atroce. Il Parlamento di Tolosa lo riconosce colpevole
del reato di ateismo e di bestemmie contro il nome di Dio, condannandolo, sulla
base della normativa del tempo prevista per i bestemmiatori, alla stessa pena
cui erano andati incontro, in luoghi diversi ma in circostanze analoghe, certi FREMOND
e FONTANIER. Gli viene tagliata la lingua, poi è strangolato e infine
arso. Subito dopo l'esecuzione furono pubblicati due anonimi che fanno esplicitamente
il nome del V. e quindi nel misterioso italiano giustiziato viene riconosciuto V.,
l'autore del “De Admirandis” che suscita i sospetti di alcuni settori cattolici
parigini. Comparvero le Histoires memorables di ROSSET, che, con la quinta
Histoire, divulga con poche modifiche il secondo dei due citati canards. RUDELE,
teologo e vicario generale dell'arcivescovado di Tolosa, avverte pubblicamente
di aver esaminato le due saggi di V. insieme con BILLY e di averle trovate contrarie
al culto e all'accettazione del vero Dio e assertrici dell'ateismo, emettendo
ufficiale ordinanza di condanna e proibendone la stampa e la vendita nella
diocesi di Tolosa, territorio posto sotto la sua giurisdizione. In precedenza, La
Sorbona non ha comunicato di aver adottato analogo provvedimento. Saggi: “Amphitheatrum
Æternæ Providentiæ divino-magicum, christiano-physicum, necnon
astrologo-catholicum adversus veteres philosophos, atheos, epicureos,
peripateticos et stoicos” (Lione). Il saggio si compone di esercitazioni, che
mirano a dimostrare l'esistenza di Dio, a definirne l'essenza, a descriverne la
provvidenza, a vagliare o confutare le opinioni di Pitagora, Protagora, CICERONE
(vedi), BOEZIO (vedi), AQUINO (vedi), l’orto, Aristotele, Averroè, CARDANO, i
peripatetici dei LIZIO, il PORTICO, ecc., su questo argomento. “De Admirandis
Naturæ Reginæ Deæque Mortalium Arcanis libri quattuor” (Parigi, Périer). Il
saggio si divide in IV libri: un Liber I de Cœlo et Aëre; un Liber II de
Aqua et Terra; un Liber III de Animalia Generatione et Affectibus Quibusdam; un
Liber IV de Religione Ethnicorum; in forma di dialogo -- che avvengono tra lui,
nelle vesti di divulgatore del sapere, e un immaginario Alessandro, che si
presta ad un gioco sottile e divertente nel corso del quale, con un
atteggiamento compiacente e un po' complice, tra espressioni di meraviglia e
ammirazione per la vastità del sapere di cui l'amico fa mostra, sollecita il
suo interlocutore ad elencare e spiegare gli arcani della natura regina e dea
che esistono intorno e all'interno dell'uomo. Così, in un misto di
rilettura in nuova chiave critica del pensiero degli filosofi antichi e di
divulgazione di nuove teorie scientifiche e religiose, il protagonista del
lavoro discetta sulla materia, figura, colore, forma, motore ed eternità del
cielo; sul moto, centro e poli dei cieli; sul sole, sulla luna, sugli astri;
sul fuoco; sulla cometa e sull'arcobaleno; sulla folgore, la neve e la pioggia;
sul moto e la quiete dei proiettili nell'aria; sull'impulsione delle bombarde e
delle balestre; sull'aria soffiata e ventilata; sull'aria corrotta;
sull'elemento dell'acqua; sulla nascita dei fiumi; sull'incremento del Nilo;
sull'eternità e la salsedine del mare; sul fragore e sul moto delle acque; sul
moto dei proiettili; sulla generazione delle isole e dei monti, nonché della
causa dei terremoti; sulla genesi, radice e colore delle gemme, nonché delle
macchie delle pietre; sulla vita, l'alimento e la morte delle pietre; sulla
forza del magnete di attrarre il ferro e sulla sua direzione verso i poli
terrestri; sulle piante; sulla spiegazione da dare ad alcuni fenomeni della
vita di tutti i giorni – SUL SEME GENITALE -- sulla generazione, la natura, la
respirazione e la nutrizione dei pesci; sulla generazione degli uccelli; sulla
generazione delle api; sulla prima generazione dell'uomo; sulle macchie
contratte dai bambini nell'utero; sulla generazione del MASCHIO e della
femmina; sui parti di mostri; sulla faccia dei bambini coperta da una larva;
sulla crescita dell'uomo; sulla lunghezza della vita umana; sulla vista;
sull'udito; sull'odorato; sul gusto; sul tatto e solletico; sugli affetti
dell'uomo; su Dio; sulle apparizioni nell'aria; sugli oracoli; sulle sibille;
sugli indemoniati; sulle sacre immagini dei pagani; sugli àuguri; sulla
guarigione delle malattie capitata miracolosamente ad alcuni al tempo della
religione pagana; sulla resurrezione dei morti; sulla stregoneria; sui
sogni. Empio osarono dirti e d'anatemi oppressero il tuo cuore e ti
legarono e alle fiamme ti diedero. O uomo sacro! perché non discendesti in
fiamme dal cielo, il capo a colpire ai blasfemi e la tempesta tu non invocasti
che spazzasse le ceneri dei barbari dalla patria lontano e dalla terra! Ma pur
colei che tu già vivo amasti, sacra Natura te morente accolse, del loro agire
dimentica i nemici con te raccolse nell'antica pace. Hölderlin. L'interpretazione
naturalistica dei fenomeni soprannaturali che POMPONAZZI (vedi) chiamato da V.
magister meus, divinus praeceptor meus, nostri speculi philosophorum princeps
da nel “De incantationibus” “aureum opusculum”, è ripresa nel De admirandis
naturae, dove, con una prosa semplice ed elegante,fa riferimento anche a
CARDANO, a BORDONI e ad altri cinquecentisti. Dio agisce sugli esseri sub-lunari
(cioè sugli esseri umani) servendosi dei cieli come strumento. Di qui l'origine
naturale e la spiegazione razionale dei pretesi fenomeni sopra-naturali, dal
momento che anche l'astrologia è considerata una scienza. L’esere supremo,
quando incombono pericoli, dà avvertimenti agli uomini e specialmente ai
sovrani, agli esempi dei quali il mondo si conforma. Ma i reali fondamenti dei
presunti fenomeni sovrannaturali sono soprattutto la fantasia umana, capace a
volte di modificare l'apparenza della realtà esterna, i fondatori delle
religioni rivelate, Mosè, Gesù, Maometto e gli ecclesiastici impostori che
impongono false credenze per ottenere ricchezze e potere, e i regnanti,
interessati al mantenimento di credenze religiose per meglio dominare la plebe,
come insegna già MACHIAVELLI, il principe degli atei per il quale tutte le cose
religiose sono false e sono finte dai principi per istruire l'ingenua plebe
affinché, dove non può giungere la ragione, almeno conduca la religione. Seguendo
ancora POMPONAZZI e PORZIO nella loro interpretazione dei testi aristotelici,
mutuata dai commenti di Alessandro di Afrodisia, nega l'immortalità dell'anima.
Anche il cosmo aristotelico-scolastico subisce il suo attacco distruttivo. Analogamente
a BRUNO, nega la differenza peripatetica tra un mondo sub-lunare e un mondo
celeste, affermando che entrambi sono composti della stessa materia
corruttibile. Scardina nell'ambito fisico e biologico il finalismo e la
dottrina ile-morfica aristotelica, e, ricollegandosi a l’orto di LUCREZIO,
elabora una nuova descrizione dell'universo d'impianto meccanicistico-materialistico.
Gl’organismi sono parago orology. E concepisce una prima forma di trasformismo
universale delle specie viventi. Concorda con gl’aristotelici del LIZIO sull'eternità
del mondo, considerando in particolare l'aspetto temporale. Ma, contro di essi,
afferma il moto di rotazione terrestre e appare respingere la tesi tolemaica in
favore di quella eliocentrica copernicana. Se il primo curator CORVAGLIA e
lo storico RUGGIERO, ingiustamente, considerarono la sua filosofia
semplicemente un centone privo di originalità e di serietà scientifica, Garasse,
ben più preoccupato delle conseguenze della diffusione della sua filosofia, li giudica
la filosofia più perniciosa che in fatto di ateismo fosse mai uscita negli
ultimi cento anni. E stato ampiamente ri-considerato e ri-valutato dalla
critica, mettendo in mostra l'originalità e le intuizioni metafisiche, fisiche,
biologiche, talvolta precorritrici nei tempi, dei suoi saggi. Visto che
nasconde la sua filosofia, secondo un tipico espediente della cultura del suo
tempo, per evitare seri conflitti con le autorità religiose e politiche
costituite, conflitti che, come paradossalmente e sfortunatamente avvenne,
nonostante le cautele, lo condussero infine alla morte), l'interpretazione del
suo pensiero si offre a diversi piani di lettura. Tuttavia, nella storia della
filosofia, resta di lui acquisita un'immagine di miscredente e persino di ateo
(il che non era). E questo perché avversario di ogni superstizione e di fede
costituita (meglio un proto-agnostico), tanto da essere considerato uno dei
padri del libertinismo, malgrado avesse scritto persino un'apologia del concilio
di Trento. Per una sintesi della sua filosofia si deve guardare da un lato al
retroterra culturale, che è quello abbastanza tipico del Rinascimento, con
prevalenza di elementi dell'aristotelismo ma con forti elementi di misticismo
platonico. Dall'altro lato egli trae dal Cusano dei tipici elementi
panteistici, simili a quelli che si ritrovano anche in Bruno, ma più
materialistici. La sua visione del mondo si basa sull'eternità della materia,
sulla omogeneità sostanziale cosmica, su un Dio dentro la natura come forza che
la forma, la ordina e la dirige. Tutte le forme del vivente hanno avuto origine
spontanea dalla terra stessa come loro creatrice. Considerato ateo, nel
titolo del suo saggio pubblicato a Lione nel Amphitheatrum aeternae
providentiae divino-magicum, christiano-physicum, nec non astrologo-catholicum
adversus veteres philosophos, atheos, epicureos, Peripateticos et Stoicos
dimostra di non esserlo. Come precursore del libertinismo vi sono invece molti
elementi che lo avvicinano al pensiero dell'ignoto autore del trattato dei tre
impostori anch'egli panteista. Pensa infatti che i creatori delle tre religioni
monoteiste, Mosè, Gesù Cristo e Maometto, non siano altro che degl’impostori. In
“De admirandis Naturae Reginae Deaeque mortalium arcanis libri quatuor” stampato
a Parigi nelvengono riprese le tesi dell' “Amphiteatrum” con precisazioni e
sviluppi che ne fanno il suo capolavoro e la sintesi della sua filosofia. Viene
negata la creazione dal nulla e l'immortalità dell'anima, Dio è nella natura
come sua forza propulsiva e vitale. Entrambi sono eterni. Gl’astri del cielo
sono una specie di intermediari tra dio e la natura che sta nel mondo sub-lunare
e di cui noi facciamo parte. La religione vera è perciò una religione della
natura che non nega Dio ma lo considera un suo spirito-forza. La sua filosofia
è abbastanza frammentaria e riflette anche la complessità della sua formazione.
E un filosofo, un naturalista, un religioso, ma anche un medico e un po' un
mago. Ciò che ne caratterizza è la veemenza anti-clericale. Tra le cose
originali della sua filosofia c'è una specie di anticipazione della teoria
dell’evoluzione, perché, dopo un primo tempo in cui sostiene che le specie
animali nascano per generazione spontanea dalla terra, in un secondo tempo -- lo
pensa anche CARDANO -- pare convinto che esse possano trasformarsi le une nelle
altre e che l'uomo derivia d’animali affini all'uomo come la bertuca, il
macacho e la scimmia in genere. Appaiono due saggi che consacrano il mito del V.
ateo: La doctrine curieuse des beaux esprits de ce temps, di GARASSE e le
Quaestiones celeberrimae in Genesim cum accurata explicatione, di MERSENNE. I
due saggi, però, anziché spegnere la voce del filosofo, la amplificano in un
ambiente che evidentemente e pronto a ricevere, discutere e riconoscerne la
validità delle affermazioni. Il nome di V. viene nuovamente proiettato
all'attenzione della filosofia in occasione del clamoroso processo che viene
celebrato contro VIAU. Il progetto di interrogatorio che il procuratore
generale del re, Molé, predispone con ben articolati capi d'accusa su cui
interrogare VIAU, contiene impressionanti analogie colla filosofia vaniniana,
cui vien fatto esplicito riferimento mentre MERSENNE torna a martellare su V.,
analizzandone alcune affermazioni nel suo “L'Impiétè des Déistes, Athées et
Libertins de ce temps, combatuë, et renversee de point en point par raisons
tirées de la Philosophie, et de la Theologie”, nel quale porta il suo giudizio
concernente CARDANO e BRUNO. Anche Leibniz, oppositore al pari di Mersenne del
libertinismo, si esprime duramente contro V., considerandolo un empio, un pazzo
e un ciarlatano. Je n'ai pas encore vu l'apologie de V., je ne pense pas qu'elle mérite fort
d'être lue. La philosophie de ce personnage e bien peu de chose. Mais un
imbécille comme lui, ou pour mieux dire, un fou ne méritoit pas d'être brûlé. On
étoit seulement en droit de l'enfermer, afin qu'il ne séduisît personne -- Epist.
ad Kortholtum in Opera omnia, Genève. Ancora la leggenda nera creata intorno alla figura di V. sopravvive al
passare del tempo, si espande ed affascina molti studiosi, che si avvicinano
alla sua filosofia e ne tentano dei profili biografici. Così anche la cultura
inglese mostra interesse per il filosofo di Taurisano ed è soprattutto con BLOUNT
che V.entra nella filosofia inglese ed acquista una dimensione che non
abbandona mai più, quando diviene un elemento cardine del libertinismo e deismo.
Un manoscritto inedito della biblioteca municipale di Avignone custodisce delle
Observations sur Lucilio V. redatte da Velleron, ma fornisce solo delle incerte
notizie sul filosofo, in gran parte rettificate dagli ultimi studi. Viene
effettuata una copia manoscritta dell'Amphitheatrum, su commissione di Uriot,
il quale la trasferisce poi nella biblioteca ducale del duca di Württemberg. Attualmente
essa si trova nella Württembergische Landesbibliothek di Stoccarda. Un'altra
copia manoscritta del saggio si trova nella Staats und Universitätbibliothek di
Amburgo, a testimonianza del perdurante interesse per V. Viene data alle stampe
a Londra una biografia vaniniana con un estratto delle sue opere, dal titolo
“The life of ‘Lucilio’, alias V., burnt for atheism at Toulouse, with an abstract
of his writings. Il saggio, pur ricollegandosi alla consueta storiografia
vaniniana e quindi con i soliti errori d'origine, sottopone ad un dibattito
ponderato la figura ed il pensiero del filosofo italiano, a cui riconosce
qualche merito. Ma la strada per una collocazione europea di V. e del suo
pensiero è ormai aperta. Saggi: “Amphitheatrum aeternae providentiae
divino-magicum, christiano-physicum, nec non astrologo-catholicum adversus
veteres philosophos, Atheos, Epicureos, Peripateticos et Stoicos, Auctore Iulio
Caesare Vanino, Philosopho, Theologo et Iuris utriusque Doctore, Lugduni, Apud
Viduam Antonii de Harsy, ad insigne Scuti Coloniensis” (Galatina). “Iulii
Caesaris Vanini, Neapoletani Theologi, Philosophi et Iuris utriusque Doctoris,
De admirandis Naturae Reginae Deaeque mortalium arcanis libri quatuor, LPombaiae,
Apud Adrianum Perier, via Iacobaea” (Galatina). Le opere di V. e le loro fonti,
Milano (Galatina,); “Opere” (Porzio, Lecce); “Anfiteatro dell'eterna
Provvidenza” Galatina; “I meravigliosi segreti della natura, regina e dea dei
mortali” Galatina); “Opere (Galatina); “Confutazione delle religioni “Anna
Vasta, Catania, De Martinis et C.); “Opere” (Milano, Bompiani). Bucciantini,
Lutero in Campo dei Fiori, in Il Sole 24 ORE Terzapagina. Filosofia ed ecologia
per il "compleanno" di V., Una lettera dell'ambasciatore inglese a
Venezia, Carleton, fa risalire l'episodio a nove anni prima. Raimondi, “V. e il
libertinismo” Atti del Convegno di Studi, Taurisano (Galatina, Raimondi, “Dal tardo Rinascimento al
Libertinismo erudite” Atti del Convegno di Studi, Lecce-Taurisano Galatina, Spini,
“Vaniniana” in «Rinascimento», Paola, “Il primo seicento anglo-veneto”
Cutrofiano; Paola, “V. da Taurisano filosofo europeo, Fasano); Paola,
“Documenti per una lettura di V., in «Bruniana et Campanelliana», Raimondi,
Documenti vaniniani nell'archivio segreto vaticano, in «Bollettino di Storia
della Filosofia dell'Università degli Studi di Lecce», Raimondi, Il soggiorno
vaniniano in Inghilterra alla luce di nuovi documenti spagnoli e londinesi, in
«Bollettino di Storia della Filosofia dell'Università degli Studi di Lecce», Raimondi,
“La Santa Inquisizione, Taurisano, Raimondi, “L'Europa del Seicento. con una
appendice documentaria, Pisa Roma. L'appendice contiene la più completa
documentazione sulla biografia vaniniana: documenti dalla nascita al rogo. Fasano,
Fazio, V. nella cultura filosofica (Galatina); Marcialis, “Natura e uomo in V.”
in «Giornale Critico della Filosofia Italiana»; Marcialis, V. nell'Europa del
Seicento, in "Rivista di Storia della Filosofia", Paganini, Le
Theophrastus redivivus et V., in «Kairos», Papuli, Le interpretazioni di V., Galatina, Perrino,
"V. nel Theophrastus redivivus", in «Bollettino di Storia della
Filosofia dell'Università degli Studi di Lecce», Raimondi, V. e il "De
tribus impostoribus", in «Ethos e Cultura», Padova, G. Spini, Ricerca dei
libertini. La teoria dell'impostura delle religioni nel Seicento italiano,
Roma, Firenze); Teofilato, V. nel III Centenario del suo martirio, Milano, Tip.
Ed. La Stampa d'Avanguardia. Teofilato, V., in The Connecticut Magazine,
articles in English and Italian, New Britain, Conn, C. Teofilato, Vaniniana, in
La puglia letteraria, mensile di storia, Roma; V., Riflessioni sul problema V.,
in Bertelli, Il libertinismo in Europa, Milano-Napoli, Vasoli, V. e il suo
processo per ateismo, in Niewohner e Pluta, Atheismus im Mittelalter und in der
Renaissance, Wiesbaden); V. in Inghilterra. La seguente è una lista di alcuni
documenti in cui è possibile trovare riferimenti alla presenza del frate carmelitano
a Lambeth a Londra. Trascrizioni complete, riassunti e contesto di questi
documenti sono disponibili. "V. e il primo seicento anglo-veneto" e
in "V. da Taurisano filosofo europeo", Schena Editore, Brindisi.
Documenti: London Public Record Office State Papers Venice Notizie sulla
Mercers' Chapel a Londra, dove V. sconfesso la sua fede cattolica e tenne vari
sermoni. London Public Record Office State Papers Petizione di due Carmelitani,
V. e Genocchi, a Carleton, ambasciatore inglese a Venezia, per essere accettati
in Inghilterra. Venezia. London Public Record Office State Papers Lettera di
Carleton a Salisbury. Da Venezia, Carleton informa Salisbury che due frati gli
hanno chiesto permesso di rifugiarsi in Inghilterra per evitare persecuzioni
dai loro superiori. London
Public Record Office State Papers. V. a Carleton. Da Lambeth. V. manda a Carleton informazioni riguardanti
alla sua ricezione a Lambeth e la buona stima di cui gode lì. London Historical Manuscripts
Commission De L'Isle and Dudley Manuscripts, Sir John Throckmorton al visconte
Lisle. Flushing. Corrispondenza
tra i due statisti riguardo ad una missione segreta di Florio, che forse
accompagnò V. e il suo compagno a Londra. London, Manuscripts of the Marquess of Downshire
preserved at Easthampstead Park Berk. Papers of Trumbull. Albery a Trumbull. Londra. Albery, un mercante inglese
e corrispondente di Trumbull, agente inglese a Bruxelles, manda informazioni
sull'arrivo di V. e le sue esperienze a Venezia. London Historical Manuscripts Commission Report
on the Manuscripts of the Marquess of Downshire, Trumbull Papers. Albery a William Trumbull. Londra. Una copia
della lettera da una fonte diversa. London Public Record Office State Papers Da
Spinola a Ginocchio. Genova London Public Record Office State Papers Wake a Carleton.
Londra London Public
Record OfficeState Papers Wake a Carleton. Londra London Manuscripts of the
Marquess of Downshire preserved at Easthamstead Park Berk. Papers of William
Trumbull the Elder Alfonse de S. Victors a William Trumbull Da Middolborg
(Middelburg) London Historical Manuscripts Commission Report on the Manuscripts
of the Marquess of Downshire, Trumbull Papers, Alfonse de St. Victor a William
Trumbull. Middelborg. London Public Record Office State Papers Domestic Series
Jac. Chamberlain a Carleton. Londra, London Public Record Office State Papers
Carleton a Lake. Da Venezia London Public Record OfficeState PapersDomestic
Series, Biondi a Carleton. Da Londra LondonPublic Record Office State Papers, Carleton
a Chamberlain. Da Venezia London Manuscripts of the Marquess of Downshire
preserved at Easthampstead Park Berks. Papers of William Trumbull the Elder. George
Abbot a William Trumbull. Da Lambeth. London Historical Manuscripts Commission Report
of the Manuscripts of the Marquess of Downshire, Trumbull Papers, Abbot a Trumbull. Lambeth London Public Record OfficeState Papers Carleton
a Chamberlain. Venezia, London Public Record Office State Papers Carleton a
Giovan Francesco Biondi. Venezia, London Public Record Office State Papers
Domestic Series, Abbot a Carleton. Lambeth London Public Record Office State
Papers Sarpi a Carleton. Venezia London Record Office State Sarpi a Carleton.
Venezia, London Public Record OfficeState Papers Paolo Sarpi a Sir Dudley
Carleton. Venezia, giugno. London Historical Manuscripts Commission Report
Hastings, Notes of speeches and
proceedings in the House of Lords. London Historical Manuscripts Commission Hastings,
Notes of speeches and proceedings in the House of Lords London Public Record
Office State Papers Carleton a Sua Signoria l'Arcivescovo di Canterbur. Venezia
London Manuscripts of the Marquess of Downshire preserved at Easthampstead Park
Berks. Papers of William Trumbull the Elder Abbot a Trumbull. Lambeth London Historical
Manuscripts Commission Report of the Manuscripts of the Marquess of Downshire, IV, Trumbull Papers George Abbot, Arcivescovo
di Canterbury, a William Trumbull. Lambeth
Archivio di Stato di VeneziaInquisitori di Stato, Istruzioni degli Inquisitori
di Stato all'ambasciatore in Inghilterra. LondonCalendar of State Papers on English Affairs in
the Archives of Venice and other Libraries of North Italy Inquisitori di Stato,
busta Venetian Archives. Gli Inquisitori di Stato a Gregorio Barbarigo, London Calendar of State Papers on English
Affairs in the Archives of Venice and other Libraries of North Italy Inquisitori
di Stato, Venetian Archives. Examinations
for Foscarini. Archivio di Stato di Venezia Inquisitori di Stato, Londra, Interrogatorio
di Lunardo Michelini sulle modalità della fuga di V. da Lambeth. Archivio di
Stato di Venezia Inquisitori di Stato, Interrogatorio di Alessandro di Giulio
Forti da Volterra sulle modalità della fuga di Vanini da Lambeth. Archivio
General de Simancas fondo Inglaterra Legajo foglio privo di indicazioni.
Bentivoglio a Sarmiento. Bruxelles. Il nunzio apostolico a Bruxelles informa
l'abasciatore di Spagna che Vanini e il suo compare sono arrivati sani e salvi
dopo la loro fuga da Londra. Archivio General de Simancas Bentivoglio a Sarmiento.
Bruxelles. Il nunzio apostolico a Bruxelles informa l'abasciatore di Spagna che
Vanini e il suo compare sono partiti verso l'Italia, come era stato concordato
a Roma. Documenti inclusi nell'opera di Namer La seguente è la lista dei
documenti inglesi inclusi nel lavoro Documents sur la vie de V. de Taurisano di
Ėmile Namer, che può essere considerato come un utile punto di partenza per la
delineazione di una biografia di Vanini, e di cui la nuova documentazione deve
essere considerata un completamento. London Foreign State Papers. Venice. Carleton ad Abbot.
LondonForeign State Papers. Venice.Abbot a Carleton LondonState Papers Domestic.
James I. Carleton a Chamberlain.
Venezia, London Foreign State Papers. Venice. Sir D. Carleton all'Arcivescovo di Canterbury. London State
Papers Domestic. James I. Chamberlain a Carleton. Londra, London State Papers
Domestic. James I. 7 Chamberlain a
Carleton. London Foreign State Papers. Venice Abbot a Carleton. London State Papers Domestic.
James I. Carleton a Chamberlain. London State
Papers Domestic. James I. l'Arcivescovo
di York al conte di Suffolk. London State Papers Domestic. James I. V. a Dudley
Carleton. Da Lambeth, iLondonState Papers Domestic. James I. Giulio Cesare Vanini a Sir Isaac Wake. Da
Lambeth iLondon State Papers Domestic. James I.
John Chamberlain a Carleton. da Londra. London State Papers Domestic.
James I. Abbot a Carleton. Lambeth London State Papers
Domestic. James I. John Chamberlain a Dudley Carleton. Da Londra London State
Papers Domestic. James I. Biondi a Carleton.
Da Londra London Foreign State Papers. Venice. Carleton a Abbot. London State Papers Domestic. James I. John
Chamberlain a Dudley Carleton. Da
Londra London State Papers Domestic. James I.
Abbot al vescovo di Bath Da Lambeth. London State Papers Domestic. James I. Lake a Carleton. Dalla corte a Royston, London
State Papers Domestic. James I. John
Chamberlain a Sir Dudley Carleton. Da Londra London Foreign State Papers.
Venice Carleton a Abbot London Foreign State Papers. Venice. Carleton a Sir
Thomas Lake. London State Papers Domestic. James I. Abbot
a Carleton a Venezia. Lambeth, London State Papers Domestic. James
I. John Chamberlain a Dudley Carleton.
Londra, LondonForeign State Papers. Venice. Carleton a Abbot. Archivio de Simancas,
Estado, Cardinale Millino a Alonso de
Velasco, ambasciatore spagnolo a Londra. Roma, Archivio de Simancas,
Estado, Cardinal Millino a Diego
Sarmiento de Acuña, ambasciatore spagnolo a Londra. Roma, Archivio de Simancas,
Estado, Cardinal Bentivoglio a Diego
Sarmiento de Acuña, ambasciatore spagnolo a Londra. Bruxelles, Archivio de
Simancas, Estado, Bentivoglio a Diego
Sarmiento de Acuña, ambasciatore spagnolo a Londra. Bruxelles,V. e
l'Inquisizione di Roma Elenco di alcuni documenti presenti nella corrispondenza
tra alcuni Nunzi apostolici in Europa e le autorità vaticane, dove è possibile
trovare informazioni relative alla fuga, permanenza e rientro segreto
dall'Inghilterra del frate carmelitano. Le trascrizioni complete, i sommari e
le contestualizzazioni di questi documenti sono disponibili per studiosi e
lettori in V. da Taurisano filosofo europeo, Schena Editore, Fasano (Brindisi),
Il pontefice Paolo V e l'Inquisizione in Roma furono informati continuamente
della vicenda di V. con dispacci dei Nunzi apostolici in Venezia, Francia e
Fiandra e con missive dell'ambasciatore di Spagna a Londra, a cominciare dalla
sua fuga da Venezia sino al suo desiderio di rientrare nel mondo
cattolico. RomaArchivio Segreto VaticanoSegreteria di StatoNunziatura di
Francia, Ubaldini, Nunzio papale in Francia,
al Borghese, Segretario di Stato di Paolo V, de Parigi. RomaA. S.
Vaticano Segreteria di Stato Nunziature diverse, Fiandra, il Nuntio
alla Segreteria, Bentivoglio, Nunzio papale in Fiandra, al Card. Borghese.
(Bruxelles) Roma A. S. Vaticano Segreteria di StatoNunziature diverse, Francia,
lettere scritte al Nuntio in Francia Borghese a Ubaldini. Di Roma li Roma A. S.
Vaticano Segreteria di Stato Nunziatura di Francia, Ubaldini da Parigi a
Borghese Roma A. S. Vaticano Segreteria di StatoNunziature diverse,
Francia, 293A, lettere scritte al Nuntio
in Francia Borghese a Ubaldini. Di Roma Roma A. S. Vaticano Segreteria di Stato
Nunziatura di Francia, Ubaldini a Borghese
Rom aA. S. Vaticano Segreteria di StatoNunziature diverse, Francia, lettere scritte
al Nuntio in Franci Il card. Borghese a Ubaldini. Di Roma Roma A. S. Vaticano Segreteria
di Stato Nunziatura di Francia Registro Ubaldini a Borghese Londra, British
Museum, Lettere di Ubaldini, nella sua Nunziatura di Francia, Ubaldini a
Borghese Roma A. S. Vaticano Segreteria di Stato Nunziatura di Francia, Ubaldini
a Mellini, membro del Sant'Uffizio, il Tribunale dell'Inquisizione di Roma. Roma
A. S. Vaticano Segreteria di Stato Nunziature diverse, Francia, lettere scritte
al Nuntio in Francia da Borghese, Borghese a Ubaldini. Roma A. S. Vaticano Segreteria
di Stato Nunziatura di Francia, Registro
di Lettere della Segreteria di Stato di Paolo V al Vescovo di Montepulciano
Nuntio in Francia Il Segretario Porfirio Feliciani vescovo di Foligno al Nuntio
in Francia. Roma, RomaA. S. Vaticano Segreteria di Stato Nunziatura di Francia,
Ubaldini al Mellini Roma A. S. Vaticano Segreteria di StatoNunziatura di Francia,
Ubaldini a Mellini RomaA. S. Vaticano Segreteria di Stato Nunziatura di Francia
Registro Ubaldini a Borghese. Di Parigi RomaA. S. Vaticano Segreteria di Stato Nunziatura
di Francia Registro Ubaldini a Millini Roma A. S. Vaticano Segreteria di Stato Nunziature
diverse, Francia, lettere scritte al
Nuntio in Francia dal Card. Borghese, Il card. Borghese a Ubaldini. Di Roma Roma
A. S. Vaticano Segreteria di Stato Nunziatura di Francia Ubaldini a Borghese Di
Parigi. RomaA. S. Vaticano Segreteria di Stato Nunziatura di Francia Registro
Ubaldini a Millini Roma A. S. Vaticano Segreteria
di Stato Nunziatura di Francia Registro Ubaldini a Borghese Londra, British
Museum, Lettere del Card. Ubaldini, nella sua nunziatura di Francia, Card.
Ubaldini a Borghese Parigi, Bibliothèque nationale de FranceDepartement des
Manuscrits, Italien Registro di Lettere della Nunziatura di Francia di Ubaldini
dell'anno lettera, Ubaldini a Borghese Parigi) Roma A. S. VaticanoSegreteria di
Stato Nunziature diverse, Francia, Lettere
del Sir. Card.le Ubaldini nella sua Nunciatura di Francia Ubaldini a Borghese Treccani
Enciclopedie Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Enciclopedia Italiana,
Amphitheatrum e De admiandis. Raimondi Il contributo italiano alla storia del
Pensiero: Filosofia, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Giulio Cesare Vanini.
Vanini. Keywords: Vanini, Oxford. Refs.: Luigi Speranza, “Vanini e Grice,”
Villa Grice, Luigi Speranza, “La statua all’aperto di Vanini,” Luigi Speranza,
“Il medaglione di Vanini a Roma.” Vanini.
Luigi Speranza -- Grice e Vanni: la
ragione conversazionale dell’azione e l’implicatura conversazionale dell’inter-azione
conversazionale – la scuola di Città della Pieve – filosofia perugin –
filosofia umbra -- filosofia italiana – Luigi Speranza, pel Gruppo di Gioco di
H. P. Grice, The Swimming-Pool Library (Città della Pieve). Filosofo
perugino. Filosofo umbro. Filosofo italiano. Città della Pieve, Perugia, Umria.
Essential Italian philosopher. Filosofo italiano. Inizia la carriera a Perugia e
successivamente insegna a Parma, Bologna, e Roma. Tra i fondatori del positivismo soziale, la
sua filosofia si ispira a Kant e agli principali filosofi del positivismo. A lui
si deve anche una originale lettura positivista della dottrina storicistica di VICO.
Il suo è stato definito un positivismo critico, che vuole distinguere cioè tra
la scienza dell’uomo dalla filosofia’ dell’uomo, contestando e rifiutando
l'assimilazione positivista di quest'ultima con la morale e la sociologia,
dottrina nata nell'ambito del positivismo, verso la quale V. ha un interesse
particolare cercando di teorizzarne il carattere scientifico differenziandola
però sia dall'evoluzionismo che dalla biologia. V. considera essenziale
l'autonomia teorica del ‘ius’ o devere dai rapporti con gli aspetti
storici-etnografici delle istituzioni giuridiche. V. è convinto che la filosofia,
come analisi concettuale, del diritto ha la funzione pratica di definire il ‘fine’
(métier) della inter-azione umana. In questo modo, V. ribade l'impostazione
criticista kantiana che acquista un tono metafisico criticato dai positivisti
ortodossi che lo accusano di eclettismo. Saggi: “Della consuetudine nei suoi
rapporti col dritto e con la legislazione” (Perugia); “Saggi critici sulla
teoria socio-logica della popolazione” (Città di Castello); “Prime linee di un
programma critico di sociologia” (Perugia); “Il problema della filosofia del
diritto nella filosofia, nella scienza e nella vita ai tempi nostril” (Verona);
“La filosofia del diritto” (Verona); “La funzione della filosofia considerata
in sé ed in rapporto al socialismo” (Bologna); “La filosofia del diritto e la ricerca
positivista” (Torino); “Il dritto nella totalità dei suoi rapporti e la ricerca
oggettiva” (Roma); “La teoria della conoscenza come induzione socio-logica e
l'esigenza critica del positivismo” (Roma); “Filosofia del diritto” (Bologna);
“Filosofia sociale e filosofia giuridica” (Bologna). Biografia in Scuola normale
superiore, Pisa, su picus.unica. Marino, Positivismo e giurisprudenza, Napoli, Cuculo,
La sociologia positivista di V., in A. Millefiorini, Fenomenologia del
disordine. Prospettive sull'irrazionale nella riflessione sociologica italiana
(Nuova Cultura, Roma); Amelio, Positivismo, storicismo, materialismo storico in
I. Vanni, «Quaderni fiorentini per la storia del pensiero giuridico moderno», Pusceddu,
La sociologia positivista in Italia (Roma). siusa. archivi.beniculturali,
Sistema Informativo Unificato per le Soprintendenze Archivistiche. Opere u open MLOL, Horizons Unlimited
srl. Opere. I. Vanni. Vanni.
Keywords: action, interaction, azione, interazione, Vico, positivismo,
positivismo critico, etologia, ethology -- Refs.: The H. P. Grice Papers,
Bancroft MS, -- Luigi Speranza,, “Grice e Vanni: azione ed inter-azione” – The
Swimming-Pool Library, Villa Speranza, Liguria. Vanni.
Luigi Speranza -- Grice e Vannini:
la ragione conversazionale e l’implicatura conversazionale del mistico – scuola
di mistica -- di ‘Vitters’ – la scuola di Sa Piero a Sieve – la scuola di
Firenze – filosofia fiorentina – filosofia toscana -- filosofia italiana – Luigi
Speranza, pel Gruppo di Gioco di H. P. Grice, The Swimming-Pool Library (San Piero a Sieve). Filosofo Fiorentino.
Filosofo toscano. Filosofo italiano. San Piero a Sieve, Firenze, Toscana. Essential Italian philosopher. “Never
to be confused with the vain Vanini!” -- Grice. Dopo
gli studi al ginnasio Michelangiolo di Firenze, si laurea in filosofia a Firenze,
discutendo una tesi su “‘Vitters’: metafisico e mistico”! Ha vissuto nel convento
agostiniano di S. Spirito a Firenze, ospite di Ciolini. Ha compiuto viaggi e
soggiorni di studio in Europa. Insegna filosofia nei licei. Per un triennio storia
della filosofia a Firenze e storia della mistica all'Istituto di scienze religiose
a Trento. Ha tenuto seminari e conferenze in università ed accademie
italiane e straniere: Genova, Trento, Ancona, Perugia, Urbino, Pavia, Pisa,
Macerata, Napoli, Fermo, Parma, Arezzo, Chieti, Roma, Avila, Strasburgo,
Berlino. Considerato il maggior studioso di mistica o anche il più
importante studioso italiano di Eckhart e della mistica cristiana, ha curato
l'edizione italiana delle opera latine di Eckhart, nonché quelle di altri
autori spirituali, come AGOSTINO, Gerson, Fénelon, Porete, Taulero, Anonimo
Francofortese, Lutero, SILESIO, Czepko, Franck, Weigel, ecc. Lungo un
percorso ormai di quasi mezzo secolo, è stato traduttore e curatore di importanti
testi della mistica; critico della fenomenologia, da un punto di vista
teoretico e storico; filosofo della religione, soprattutto nei suoi rapporti
con la ragione e con la fede. V. legge il fenomeno mistico in maniera
innovativa ma, soprattutto, pone lo stesso a fondamento di ogni forma ed
esperienza religiosa. Tale presupposto impone come fuori da un'esperienza
diretta di questo tipo sia pressoché impossibile cogliere il senso, le modalità
e le finalità delle varie dottrine e pratiche religiose. Per V., la
mistica è un sapere spirituale, inoggettivabile ma, soprattutto, un sapere che
è un essere: è l'identità mistica il vero e proprio criterio per discernere il
vero dal falso. Tale ermeneutica costituisce una propedeutica all'inverarsi in
senso mistico della religione cristiana. La filosofia di V. si basa su
una esperienza spirituale, unitiva e teo-morfica. Centrali appaiono pertanto
concetti appartenenti alla sfera semantica della divinizzazione, dell’homoiosis
theo, quali vuoto, fondo dell'anima, generazione del logos, complementarità tra
distacco ed amore. Tale esperienza risulta comprensibile solo quando si è
fatto il vuoto nell'anima attraverso il distacco, diventando in tal modo
recettivi alla luce proveniente dall'alto, tali da rendere il soggetto esso stesso
luce eterna. Al vuoto in cui si perviene nel distacco corrisponde una pienezza,
una traboccante ricchezza ed energia, una gioia sconfinata ed
inesauribile. Il rapporto tra il divino e uomo non è quindi statico, di
mutua esclusione, ma “dialettico” o dinamico, di reciproca compenetrazione. La
“salvezza” viene letta nei parametri teologici di una escatologia realizzata
nel presente, come immanente esperienza dello spirito. Essenziale diventa
perciò il recupero della antropologia classica corpo, anima, spirito ove l'uomo
è un corpo, piccola parte dell'universo; una psiche, fluttuazione infinita di
pensieri, sentimenti, volizioni, soggetta al determinismo del tempo, dello
spazio, delle circostanze. Ma soprattutto uno spirito universale, eterno,
libero, uno nell'uno. L'attualità e l'originalità della posizione di V. ha
suscitato e continua a suscitare un acceso dibattito in seno al panorama
culturale italiano, filosofico e teologico: nei confronti dell'autore vari
infatti sono stati i commenti, le recensioni, i contributi e gli interventi
critici da parte di personalità quali (in ordine alfabetico) BOZZO, BALDINI, BIANCHI,
CACCIARI, MONTICELLI, ESPOSITO, FORTE, GIVONE, MANCUSO, MUCCI, RAVASI, REALE, TORNO,
VATTIMO, e VOLPI. La particolare
rilevanza della filosofia di V. può trasparire anche, ad esempio, dalle
seguenti affermazioni in meritocitate in ordine sparsodi alcuni dei suddetti
illustri filosofi. GIVONE: “A V., cui siamo debitori d'un lavoro filosofico
estremamente prezioso, rivolgiamo questa domanda. A V. dobbiamo non soltanto
edizioni impeccabili delle opere di Eckhart, Porete, Silesius, Gerson; ma anche
il pensiero vigoroso e chiaro, qualunque cosa gli si posa obiettare, che la
mistica è da un lato il cuore e la radice viva di ogni religione, ma dall'altro
“la filosofia nel suo senso più reale e profondo”, la conoscenza e la pratica
dell'essere e “la gioia dell'essere”. CACCIARI: “È un grosso debito quello che
la filosofia e la teologia hanno accumulato in questi anni nei confronti di V..
Grazie al suo instancabile lavoro o sotto la sua direzione il nostro paese può
oggi contare su impeccabili edizioni di Gerson, Silesius, Porete ed Eckhart.
MUCCI: “In questi tempi di declino dell'ontologia, V. è certamente, in Italia,
fuori dell'ambito ecclesiastico, il più illustre studioso di mistica.” REALE: “L'esperienza
mistica è comunque per sua natura connessa con il religioso, come viene mostrato
nella filosofia di V.i “La mistica delle religioni (Le Lettere) in questi
giorni in libreria. V., uno dei massimi esperti in materia a livello nazionale
e internazionale, analizza in modo dettagliato questa esperienza spirituale
nell'induismo, nel buddismo, nell'ebraismo, nell'islamismo e nel
cristianesimo.” TORNO: “Segnalare un livre de chevet, vale a dire una di quelle
opere maneggevoli che mai dovrebbero allontanarsi dal capezzale, è diventato
difficile oltre che inattuale. Eppure qualcosa circola, come prova l'ultimo
delizioso saggio di V. sulla grazia». FORTE: “L'ultimo bel libro di V. su “Mistica
e filosofia” rivela ancora una volta la sua straordinaria competenza di storico
e interprete della mistica.” Al pensiero di V. è stato dedicato “Mistica e
filosofia in V.” Saggi: “Lontano dal SEGNO. Saggio sul cristianesimo” (La
Nuova Italia, Firenze); “Esame della certezza” (Cenacolo, Firenze); “Eckhart.
Opere” (Nuova Italia, Firenze); “Dialettica della fede” (Marietti, Casale
Monferrato -- Le Lettere, Firenze); “L'esperienza dello spirito” (Augustinus,
Palermo); “Mistica e filosofia” (Piemme, Casale Monferrato -- prefazione di CACCIARI
-- Le Lettere, Firenze); “Il volto del Dio nascosto: l'esperienza mistica
dall'Iliade a Weil” (Mondadori, Milano); “Storia della mistica occidentale” (Mondadori,
Milano; Lettere, Firenze); “Introduzione alla mistica” (Morcelliana, Brescia);
“La morte dell'anima: dalla mistica alla psicologia” (Lettere, Firenze); “La
mistica delle grandi religioni” (Mondadori, Milano; Lettere, Firenze); Tesi per
una riforma religiosa (Lettere, Firenze); La religione della ragione” (Mondadori,
Milano); “Sulla grazia” (Lettere, Firenze); “Prego Dio che mi liberi da Dio: la
religione come verità e come menzogna” (Bompiani, Milano); “Lessico mistico: le
parole della saggezza” (Le Lettere, Firenze) – under M, ‘scuola di mistica
fascista’; “Il santo spirito fra religione e mistica” (Morcelliana Brescia); “Oltre
il cristianesimo: da Eckhart a Le Saux” (Bompiani, Milano); “Inchiesta su Maria:
la storia vera della fanciulla che divenne mito” (Rizzoli, Milano); “Indagine
sulla vita eterna” (Mondadori, Milano); “Introduzione a Eckhart -- profilo e
testi” (Lettere, Firenze); “L'Anti-Cristo: storia e mito” (Mondadori, Milano);
“All'ultimo papa: lettere sull'amore, la grazia, la libertà” (Saggiatore,
Milano); “VIO contro Lutero e il falso evangelo” (de' Medici, Firenze); “Il
muro del paradisoL dialoghi sulla religione” (Medici, Firenze); “Mistica,
psicologia, teologia” (Lettere, Firenze); liceo ginnasio Michelangiolo, Firenze.
Mancuso, Lutero è vivo e lotta con noi, s.a., in: <Panorama> Azzarà, su
Materialismo Storico Bio- Givone, Luce mistica dei moderni in: «Il ManifestoAlias»,
in il manifesto Alias, V., Mistica e filosofia, Prefazione, Firenze, Le
Lettere, Mucci, Il pensiero di V., in «La Civiltà Cattolica»; Reale, Il
misticismo vive in tutte le culture. Il testo di V., le «Upanishad» riedite, su
corriere. Torno, Alla ricerca della grazia nel segno di Eckhart, «Corriere
della Sera», Cultura, Forte, Mistica, l’enigma dell’altro, in «Avvenire», Schiavolin,
Mistica e filosofia in V. (Nerbini, Firenze). Mistica Misticismo cristiano
Mistica renana Meister Eckhart Hadot Henri Le Saux. Marco Vannini. Vannini. Keywords:
the mystic, das mystische, la scuola di mistica fascista. Refs.: The H. P.
Grice Papers, Bancroft MS – Luigi Speranza, “Vannini e Grice: il mistico di
‘Vitters’ – The Swimming-Pool Library, Villa Speranza, Liguria.
Luigi Speranza --
Grice e Vario: la ragione conversazionale della filosofia della vita a Roma – Philosophy
of Life -- filosofia italiana – Luigi Speranza, pel Gruppo di Gioco di H. P.
Grice, The Swimming-Pool Library
(Roma). Filosofo italiano.
L’orto. Friend of FILODEMO (vedi). A poet. One of his works, “On death,” was
doubtless shaped by L’Orto. He had a significant influence on VIRGILIO (vedi).
His tutor was SIRO (vedi). Lucio
Vario Rufo. Per H. P. Grice’s Play-Group, The Swimming-Pool Library, Villa
Speranza.
Luigi Speranza -- Grice e Varisco:
la ragione conversazionale, o l’implicatura conversazionale del sommario di criticismo
– la scuola di Chiari – filosofia lombarda -- filosofia italiana – Luigi
Speranza, pel Gruppo di Gioco di H. P. Grice, The Swimming-Pool Library (Chiari). Filosofo lombardo.
Filosofo italiano. Chiari, Brescia, Lombardia. Essential Italian philosopher. Filosofo italiano. Grice: “We
all learned about the ‘gnothi seauton’ at Clifton – Varisco composed a full
tract about it! Calogero has analysed the implicatures! The idea is that you
need a ‘thou’ to tell ‘thou’ ‘knowest THYself” – although the oracular mystique
is still there!” – Insegna filosofia a Roma e senator. La sua formazione filosofica coincide con la crisi
del positivismo. Si laurea a Pavia. Partendo da posizioni solidamente
scientifiche, V. avverte sollecitamente il limite di ogni conoscenza che voglia
essere esclusivamente composto di ragione, e scopre insieme la concomitante
componente fideistica di ogni affermazione di verità. Questo ricorso alla
fede come sentimento del sopra-naturale è utilizzato da V. sia per affermare la
preminenza della filosofia come conoscenza concreta sui processi astrattivi
della scienza -- “I massimi problemi” (Milano, Libreria Editrice Milanese) -- sia
per approdare ad uno spiritualismo pluralistico con forti accentuazioni
teistiche -- “Dall'uomo a Dio” (Padova, Milani). Altre saggi: “Scienza ed
opinione” (Roma, Alighieri); “La patria” (Roma, Provenzani), “Conosci te
stesso” (Milano, Libreria Milanese); “La scuola per la vita” (Milano, Isis); “Linee
di filosofia critica” (Roma, Signorelli); “Discorsi politici” (Roma, Alberti);
“Sommario di filosofia” (Roma, Signorelli). Cavaliere dell'Ordine della Corona
d'Italia nastrino per uniforme ordinaria cavaliere dell'Ordine della corona
d'Italia, ufficiale dell'Ordine della Corona d'Italia nastrino per uniforme
ordinaria Ufficiale dell'Ordine della Corona d'Italia, Commendatore dell'Ordine
della Corona d'Italia nastrino per uniforme ordinaria Commendatore dell'Ordine
della Corona d'Italia. Cavaliere di Gran Croce dell'Ordine della Corona
d'Italia nastrino per uniforme ordinaria Cavaliere di Gran Croce dell'Ordine della
Corona d'Italia. Senatori d'Italia, Senato della Repubblica. Varisco. Keywords:
know theyself, oracular implicature, Calogero. Refs.: The H. P. Grice Papers,
BANC MS, -- Luigi Speranza, “Grice e Varisco: per un sommario di filosofia
critica” – The Swimming-Pool Library, Villa Speranza, Liguria. Varisco.
Luigi Speranza -- Grice e Varrone: LINGUISTICA
FILOSOFICA – Utterer’s meaning, sentence-meaning, and word-meaning -- la
ragione conversazionale e l’implicatura conversazionale della semiotica
filosofica – la scuola di Rieti – filosofia lazia -- filosofia italiana – Luigi
Speranza, pel Gruppo di Gioco di H. P. Grice, The Swimming-Pool Library (Rieti). Filosofo lazio.
Filosofo italiano. Rieti, Lazio. Grice: “I count Varrone as the first language
philosopher. He woke up one day, and realised he was speaking ‘lingua latina,’
and dedicated 36 volumes to it!” --. Grice: “’Lingua latina’ has a nice Roman
ring to it. In modern Italian, the ‘t’ has become an ‘z,’ as in “Lazio, -- the calcio team from Latium – or a ‘d’ as
in ‘ladino.’” Grice: “I know
his Loeb edition by heart!” – Grice: “The Greeks never studied their lingo as
Varro studied his! Of this Austin always reminded me: ‘We should be like Varro,
analysing our tongue as a ‘fluid’ semiotic system!’”. Academic, Roman polymath,
author of essays on language, agriculture, history and philosophy, as well as satires, and principal
conversationalist in CICERONE’s "Academica.” Questore della repubblica romana. Gens: Terentia. Questura
in Illyricum. Pro-pretura in Spagna. Tu ci hai fatto luce su ogni epoca della
patria, sulle fasi della sua cronologia, sulle norme dei suoi rituali, sulle
sue cariche sacerdotali, sugli istituti civili e militari, sulla dislocazione
dei suoi quartieri e vari punti, su nomi, generi, su doveri e cause dei nostri affari,
sia divini che umani -- CICERONE, Academica Posteriora. Detto reatino, attributo
che lo distingue da “Varrone Atacino,” vissuto nello stesso periodo. Nato da
una famiglia di nobili origini, ha rilevanti proprietà terriere in Sabina, dove
e educato con disciplina e severità dai familiari, integrate dall'acquisto di
lussuose ville a Baia e fondi terrieri a Tusculum e Cassino. A Roma compe
studi avanzati presso i migliori maestri del tempo. Lucio Elio Stilone PRECONINO
(vedi) lo fa appassionare anche agli studi etimologici ed oratoria. Studia la
lingua italiana con Lucio ACCIO (vedi), a cui dedica “De antiquitate
litterarum.” Come molti romani, compe un grand tour in Grecia, dove ascolta
filosofi accademici come Filone di Larissa e Antioco di Ascalona, da cui deduce
una posizione filosofica di tipo eclettico. A differenza di molti altri filosofi
del tempo, non si ritira dalla vita politica ma, anzi, vi prende parte
attivamente accostandosi agl’optimates, forse anche influenzato dall'estrazione
sociale. Dopo aver, infatti, percorso le prime tappe del cursus honorum – trium-viro
capitale, questore, e legato -- e vicino a POMPEO, per il quale ricopre incarichi
di grande importanza. Legato e pro-questore, combatte nella guerra contro i
pirati difendendo la zona navale tra la Sicilia e Delo. Allo scoppio della
guerra civile e propretore. In una guerra che vede i romani contro i romani,
tenta un’incerta difesa del suo territorio che si concluse in una resa che GIULIO
(vedi) CESARE (vedi), nei Commentarii de bello civili, define poco
gloriosa. Dopo la disfatta dei pompeiani, si avvicina, comunque, a GIULIO
CESARE, che apprezza il reatino soprattutto sul piano culturale, affidandogli
la costituzione di una biblioteca. Dopo l’assassinio di GIULIO CESARE, anzi, e
inserito nelle liste di proscrizione sia di MAR’ANTONIO che di OTTAVIANO -- interessati
più alle sue ricchezze che a punire i congiuranti -- da cui si salva grazie
all'intervento di Fufio CALENO (vedi) per poi avvicinarsi a OTTAVIANO a cui
dedica il “De vita populi Romani” volto alla divinizzazione della figura di GIULIO
CESARE. Ha una produzione di oltre 620 libri, suddivisi in circa settanta
opere. Saggi: “De re rustica” (Varrone) e “De lingua Latina”. La sua vasta
produzione è suddivisa da Girolamo in un catalogo. Le sue opere di sono
verosimilmente 74, suddivise in 620 volumi, sebbene stesso egli rifere di aver
scritto 490 saggi. I suoi saggi possono
essere suddivise in vari gruppi, dalle opere di erudizione, filologia (filosofia
del linguaggio, o semantica) e storia a quelle giuridiche e burocratiche, dalle
opere di filosofia (filosofia del linguaggio, semantica, semiotica) e
agricoltura alle opere di poesia, di linguistica e letteratura; di retorica e
diritto, con ben 15 libri De iure civili; di filosofia. Di questa enorme
produzione è pervenuta quasi integra solo un'opera, il “De re rustica”. Del “De
lingua Latina” sono pervenuti solo 6 libri su 25. Probabilmente, causa del
quasi completo naufragio della immane varroniana è che, avendo compulsato tanta
parte della cultura romana precedente, divenne la fonte indispensabile per i
filosofi successivi, perdendosi, per così dire, per assimilazione. Della
sua attività filologica fa testimonianza il cosiddetto canone varroniano, elaborato
a partire da due opere, le “Quaestiones Plautinae” e il “De comoediis
Plautinis”, in cui riparte il corpus plautino, che include 130 fabulae. Di
queste, 21 vengono definite autentiche, 19 di origine incerta (dette
"pseudo-varroniane”); le restanti, spurie.
Si occupa soprattutto di antiquaria, con i 41 libri di “Antiquitates”, il suo
capolavoro, divisi in 25 di “res humanae” e 16 di “res divinae”, fonte precipua
di AGOSTINO nel “De civitate Dei.” Proprio d’AGOSTINO si evidenzia l'attenzione
di V. sulla religione civile, con una compiuta disamina su culti e tradizioni,
pur con acute critiche alla teologia mitica dei poeti in nome di una theologia
naturalis. A questo gruppo appartiene anche l'opera, non pervenuta, “De
bibliothecis”, presumibilmente legata alle incombenze come bibliotecario
affidategli da GIULIO CESARE. Nell'ambito filosofico, notevoli dovevano
essere “I logistorici” -- dal greco “discorsi di storia” -- in 76 libri,
composta in forma di dialogo in prosa, di argomento morale e antiquario, in cui
ogni libro prende il nome di un personaggio storico e un tema di cui il
personaggio costituiva un modello, come il “Mario”, “de fortuna” o il “Cato”, “de
liberis educandis”. Questi dialoghi storico-filosofici sono tra i modelli
espositivi del “Lelio”; “de amicitia” e del “Catone maggiore”, “de senectute” di
CICERONE. Al suo interesse filosofico e divulgativo, probabilmente scritte
lungo tutto il corso della sua parabola culturale, riconducevano le “Saturae
Menippeae”, che prendeno come modello Menippo, esponente della filosofia cinica
-- da cui il nome. Le “Saturae Menippeae” si componevano di 150 libri, in prosa
e in versi, di cui però ci rimangono circa 600 frammenti e novanta titoli, di
argomento soprattutto filosofico, ma anche di critica dei costumi, morale, con
rimpianti sui tempi antichi in contrasto con la corruzione del presente.
Ciascuna satira reca un titolo, desunto da proverbi (“Cave canem” -- con
allusione alla mordacità dei filosofi cinici) o dalla mitologia (“Eumenide”
contro la tesi stoico-cinica per cui gl’uomini sono folli, “Trikàranos”, il
mostro a tre teste, con un mordace riferimento al primo triumvirate, ed era
caratterizzata da lessico popolaresco, polimetria e, come in Menippo, uno stile
tragi-comico. Valerio Massimo, Aulo Gellio. Ce ne parla lui stesso in “De
lingua latina”. Cicerone, Academica posteriora, Appiano, Guerre civili. Varrone,
De re rustica. Svetonio, Cesare, Appiano, Ausonio, Commemoratio professorum
Burdigalensium, Chronicon, ann. Aulo Gellio, Gellio, I cui frammenti sono editi
nell’edizione di Cardauns: “Antiquitates rerum divinarum” Cfr. Zucchelli, V.
logistoricus. Studio letterario e prosopografico, Parma, Cfr., ad esempio, il
Fr. XIX Riese: "Da ragazzo, avevo solo una tunica modesta e una toga,
calzature senza fascette, un cavallo non sellato; bagno giornaliero, niente e,
davvero di rado, una tinozza".
Horsfall, V., in Letteratura Latina (Milano, Mondadori). Cfr. Salanitro,
Le Menippee di V.: contributi esegetici e linguistici (Roma, Ateneo). Sulla
satira varroniana, cfr. Alfonsi, Le Menippee di V., in "ANRW". Atti
del Congresso di studi varroniani. Rieti, CENTRO DI STUDI VARRONIANI. Cenderelli,
“Varroniana” Istituti e terminologia giuridica nelle opere di V. (Milano,
Giuffrè); Dahlmann, “V. e la teoria della lingua” (Napoli, Loffredo), Corte, “V.,
il terzo gran lume romano” (Genova, Istituto universitario di Magistero); “De
vita populi Romani” Introduzione e commento, Pisa; Riposati, “V. De vita populi
Romani”. Fonti, esegesi, edizione critica dei frammenti (Milano, Vita e
pensiero), Riposati, “V.: l'uomo e il filosofo” (Roma Istituto di studi
romani); Traglia, Introduzione a V., “Opere” (Torino, POMBA), Zucchelli, “V.
logistoricus: prosopo-grafica”, Parma, Istituto di lingua e letteratura latina,
Satira menippea Biblioteche romane Antiquitates rerum humanarum et divinarum Treccani
Enciclopedie, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Enciclopedia Italiana,
Istituto dell'Enciclopedia Italiana, Dizionario di storia, Istituto
dell'Enciclopedia Italiana. V. “De lingua Latina libri qui supersunt: cum
fragmentis ejusdem” Biponti, ex typographia societatis. Biblioteca degli
scrittori latini con traduzione e note: “V. quae supersunt opera” Venetiis,
excudit Antonelli, “Grammaticae Romanae Fragmenta”, Gino Funaioli, Lipsiae, in
aedibus Teubneri. “M. Terenti Varronis saturarum menippearum reliquiae” -- cur.
Riese, Lipsiae, in aedibus Teubneri. In passing from Rome to Rieti we enter a different
world. One rightly speaks of the Greco-Roman era as a period of unified
civilisation around the Mediterranean area, but the respective roles of the
Italotes and the Romns are dissimilar, if complementary. Without the
other, the contribution of either would have been less significant and less
productive. The Romans have for long enjoyed contact with Hellenic and
Etrurian material culture and intellectual ideas, and further through the Greek
settlements in the south of Italy: Sicily and Magna Grecia.The Romans learned to
write from the western Greeks. But the Hellenic world fell progressively
within the control of Rome, by now the mistress of the whole of Italia The
expansion of Roman rule becomes complete, and the Roman Empire, as it now is,
achieves a relatively permanent position, which, with fairly small-scale
changes in Britain and on the northern and eastern frontiers, remains free of
serious wars for years. The second half of this period earns Gibbon's
encomium, 'If a man were called to fix the period in the history of the
world during which the condition of the human race is most happy and
prosperous, he would, without hesitation, name that which elapsed from the
death of DOMIZIANO to the accession of COMMODO.' In taking over the Hellenic
world, the Romans bring within their sway whatever they find on the way.The intellectual
background of Etruria and the Hellenes and the polical unity and freedom of
intercourse provided by Roman stability are the conditions in which the Roman
Empire shines. To the Romans, Europe and much of the entire modern world owe
the origins of their intellectual, moral, political and religious civilisation. From
their earliest contacts, the Romans cheerfully acknowledge the superior
pompousness of the Greeks – by which they included the Etrurians. Linguistically,
this is reflected in the different languages of the eastern and the western
provinces. In the western half of the Roman empire, where no contact had
been made with a recognised civilization, Latin
-- which subsists in Italian – becomes he language of administration,
business, law, learning, and social advancement. Ultimately, Latin
displaces the former languages of most of the western provinces, and becomes in
the course of linguistic evolution the modern Romance, or Neo-Latin, languages
of contemporary Europe, notably French (Italian is no romance; Italian IS
Latin!). In the east, however, already largely under Hellenic administration
since the Hellenistic period, Greek retains the position it has already
reached. Roman officials often complain about having to learn and use Greek in
the course of their duties, and Hellenic philosophy was quite respected for its
eccentricity. Ultimately this linguistic division is politically recognized in
the splitting of the Roman Empire into the Western and the Eastern Empires,
with the new eastern capital at COSTANTINO’s Constantinople enduring as the
head of the Byzantine dominions through much trial and tribulation up to the
beginning of the western Renaissance. The accepted view of the relation
between Roman rule and Hellenic civilization is probably well represented in
Vergil's summary of Rome's place and duty: let others (i.e. the Greeks)
excel if they will in the arts, while Rome keeps the peace of the world. During
the years in which Rome rules the western civilised world, there must have been
contacts between speakers of Latin and speakers of other languages at all
levels and in all places. Interpreters must have been in great demand, and
the teaching and learning of Latin -- and, in the eastern provinces, of Greek
-- must have been a concern for all
manner of persons both in private households and in organized
schools. Translations are numerous. Greek literature is
systematically translated into Latin. So much did the prestige of Greek
writing prevail, that Latin poetry abandons its native metres and was composed
during the classical period and after in metres learned from the Greek
poets. This adaptation to Latin of Greek metres find its culmination in
the magnificent hexameters of VIRGILIO and the perfected elegiacs of OVIDIO. It
is surprising that we know so little of the details of all this linguistic
activity, and that so little writing on the various aspects of linguistic
contacts is either preserved for us or known to have existed. The Romans are
aware of multi-lingualism as an achievement. AULO GELLIO tells of the
remarkable king Mithridates of Ponto who was able to converse with any of his
subjects, who fell into more than twenty different speech communities. In linguistic
science, the Roman experience is no exception to the general condition of their
relations with Greek intellectual work. Roman linguistics is largely the
application of Greek philosophy, Greek controversies, and Greek categories to
the Latin language. The relatively similar basic structures of the two
languages, together with the unity of civilization achieved in the Greco-Roman
world, facilitate this meta-linguistic transfer. The introduction of
linguistic studies into Rome is credited to one of those picturesque anecdotes
that lighten the historian's narrative. CRATES, a philosopher of the Porch
and grammarian, comes to Rome on a political delegation, and while sightseeing,
falls on an open drain and is detained in bed with a broken leg. CRATES
passes the time while recovering in giving lectures on literary themes to an
appreciative audience. It is probable that Crates as a philosopher of the
PORCH introduces mainly that doctrine in his teaching. But Greek philosophers and
Greek philosophy enter the Roman world increasingly in this period, and by the
time of V., both Alexandrian and Stoic opinions on language are known and
discussed. V. is the first serious Latin philosopher on linguistic
questions of whom we have any records. V. is a polymath, ranging in his
interests through agriculture, senatorial procedure, and Roman
antiquities. The number of his writings is celebrated by his
contemporaries, and his "De lingua Latina", wherein he expounds his
linguistic opinions, comprise XXV volumes, of which books V and VI and some
fragments of the others survive. One major feature of V.’s linguistic philosophy
is his lengthy exposition and formalization of the opposing views in the
analogy-anomaly controversy, and a good deal of his description and analysis of
Latin appears in his treatment of this problem. He is, in fact, one of the
main sources for its details, and it has been claimed that he misrepresents it
as a matter of permanent academic attack and counter-attack, rather than as the
more probable co-existence of opposite tendencies or attitudes. V.'s style
is criticised as unattractive, but on linguistic questions he is probably the
most original of all the Latin philosophers. V. is much influenced by the
philosophy of the Porch, including that of his own teacher STILONE. But V. is
equally familiar with Alexandrian doctrine, and a fragment purporting to
preserve his definition of grammar, 'the systematic knowledge of the usage of
the majority of poets, historians, and orators' looks very much like a direct
copy of Thrax's definition. On the other hand, V. appears to use his Greek
predecessors and contemporaries rather than merely apply them with the minimum
of change to Latin. His statements and conclusions are supported by argument
and exposition, and by the independent investigation of earlier stages of the
Latin language. V. is much admired and quoted by later philosophers,
though in the main stream of linguistic theory his treatment of Latin grammar does
not bring to bear the influence on the successors to antiquity that more
derivative scholars such as PRISCIANO does, who set themselves to describe
Latin within the framework already fixed for Greek by Thrax's Techne and the
syntactic works of Apollonius. In the evaluation of V.'s work on language
we are hampered by the fact that only two of the XXV books of the “De lingua
Latina” survive. We have his threefold division of linguistic studies,
into etymology, morphology, and syntax, and the material to judge the first and
second.V. envisages language developing from an original set of primal words,
imposed on things so as to refer to them, and acting productively as the source
of large numbers of other words through subsequent changes in letters, or in
phonetic form -- the two modes of description comes to the same thing for him.. These
changes take place in the course of years. An earlier forms, such as
"duellum" for classical "bellum", V. cites as an instance. At
the same time, a *meaning* may change, as, for example, the meaning of “hostis”,
once 'stranger', but in V.'s time, 'enemy.' These etymologico-semantic
statements are supported by scholarship. But a great deal of V.’s etymology
suffers from the same weakness and lack of comprehension that characterizes Hellenic
work in this field. "Anas", from "nare", to swim, “vitis,”
from “vis;” “cilra, “care, from “cor iirere,” are sadly typical both of V.’s
philosophy and of Latin etymological studies in general. A fundamental
ignorance of linguistic history is seen in V.'s references to Hellenism. A
similarity in a form bearing comparable meanings in Latin and Greek is obvious.
Take the first personal pronoun: 'ego.' Some similarities are the produ.ct of
historical loans at various periods once the two communities made indirect and
then direct contact. Other similarities are the joint descendants of an earlier
common Aryan forms whose existence may be inferred and whose shape may to some
extent be reconstructed by the methods of comparative and historical
linguistics. But of this, V., like the rest of antiquity, has no
conception. All such bunch is jointly regarded by him as a direct loan
from the conquered Greek, whose place in the immediate history of Latin is
misrepresented and exaggerated as a result of the Romans’ consciousness of their
cultural debt to Greece and mythological associations of Greek heroes -- and
their enemies, like Aeneas! -- in the story of the founding of Rome. In his
conception of vocabulary growing from alterations made to the forms of primal
words, V. unites two separate considerations: historical etymology and the
synchronic formation of derivations and inflexions. Certain canonical
members of paradigmatically associated word series are said to be primal -- all
the others resulting from “declinatio”, the formal process of change. A derivational
prefix is given particular attention. One must regret V.’s failure to
distinguish two linguistic dimensions, because, as with other linguistic
philosophers in antiquity, V.’s synchronic descriptive observations are much
more informative and perceptive than his attempts at historical
etymology. As an example of an apparent awareness of the distinction, one
may note V.’s statement that, within Latin, "equitiittis" and
"eques" -- stem "equit-" – may be associated with and
descriptively referred back to "equus". But that no further
explanation on the same lines is possible for "equus". Within Latin, ‘equus’
is primal. Any explanation of its form and its meaning involves a dia-chronic
research into an earlier stages of the Indo-European family and cognate forms
in languages other than Latin. In the field of word form variations from a
single root, both derivational and inflexional, V. rehearses the arguments for
and against analogy and anomaly, citing Latin examples of regularity and of
irregularity. Sensibly enough, V. concludes that both the principle of
analogy and the principle of anomaly must be recognized and accepted in the
word formations of a language and in the meanings associated with them. In
discussing the limits of strict regularity in the formation of words V. notices
the pragmatic nature of language, with its vocabulary more differentiated in
culturally important areas than in others. Thus "equus" and
"equa" have separate forms for the male and female animal, because
the sex difference is important to the Romans. But "corvus" does not,
because in them the difference is not important to Romans. Once this is true of
"columba" -- formerly all designated by the feminine noun. But since
"columbae" are domesticated, a separate, analogical, masculine form
"columbUS" is ‘coined.’ V. further recognises the possibilities open
to the individual, particularly in poetic diction, of variations or anomalies
beyond those sanctioned by majority usage or 'ordinary language', a conception
not remote from the Saussurean interpretation of langue and parole. One of
V.'s most penetrating observations in this context is the distinction between
derivational and inflexional formation, a distinction not commonly made in
antiquity. One of the characteristic features of inflexions is their very
great generality. Inflexional paradigms contain few omissions and are mostly
the same for all speakers of a single dialect or of an acknowledged standard
language. This part of morphology V. calls 'declinatio naturalis’,
because, given a word and its inflexional class, we can infer its other forms. By
contrast, synchronic derivations vary in use and acceptability from person to
person and from one word root to another. From "ovis" and
"sus" are formed "ovile" and "suile.” But
"bovile" is *not* acceptable to V. from "bos" -- although
rustic CATONE is said to have used the form as opposed to the more standard
"bubile.” The facultative and less ordered state of this part of
morphology, which gives a language much of its flexibility, is distinguished by
V. in what he dubs ‘declinatio VOLUNTARIA.’ V. shows himself likewise original
in his proposed morphological classification of Latin words. His use in
this of the morphological categories shows how V. understands and makes use of
Greek sources without deliberately copying their conclusions. V. recognises,
as the Greeks do, case and tense as the primary distinguishing categories of
inflected words, and sets up a quadripartite system of FOUR inflexionally
contrasting classes. Those with case inflexion. Those with tense inflexion. Those
with case and tense inflexion. Those with neither. Noun (including Adjective).
Verbs. Participle. Adverb. These IV classes are further categorised as a forms
which, respectively, names, makes a statement, joins (i.e. shared in the syntax
of nouns and verbs), and supports (constructed with verbs as their subordinate
members). In the passages dealing with these IV classes, the adverbial examples
are all morphologically derived forms -- like "docte" and
"lecte". V.’s definition would apply equally well to the un-derived
and mono-morphemic adverbs of Latin -- like "mox" and
"eras". But these are referred to elsewhere among the uninflected,
invariable or 'barren,’ sterile, words. A full classification of the
invariable words of Latin would require the distinction of syntactically
defined sub-classes such as Thrax used for Greek and the later Latin
grammarians took over for Latin. But, from his examples, it seems clear that
what was of prime interest to V. is the range of grammatically different words
that may be formed on a single common root -- e.g. "lego" (VERB –
CLASS II), "lector" – NOUN, CLASS I --, "legens" –
PARTICIPLE, CLASS III -- and "lecte" – ADVERB – CLASS IV. In his
treatment of the verbal category of tense, Varro displays his sympathy with the
doctrine of the Porch, in which two semantic functions are distinguished within
the forms of the tense paradigms, time reference and ‘aspect.’ In his analysis
of the VI INDICATIVE indicative tenses, active and passive, the *aspectual* division,
incomplete-complete, is the more fundamental for V., as each aspect regularly
shares the same stem form, and, in the passive voice the *completive* aspect
tenses consists of *two* expressions, though V. claims that, erroneously, most
people only consider the time reference dimension. IS Active Time past present
future Aspect incomplete DISCIBAM I
was DISCO I learn DISCAM I shall learning learn complete DIDICERAM
I had DIDICI I have DIDICERII I shall learned learned have learned
Passive incomplete AMTIBAR I was AMOR I am AMITBOR I shall be loved loved loved complete AMTITUS
I had AMTITUS I have AMIITUS I
shall ERAM been sum been ERA have been loved loved loved The Latin future
perfect is in more common use than the corresponding Greek (Attic) future
perfect. V. puts the Latin perfect tense forms DIDICI, etc., in the present *completive*
place, corresponding to the place of the Greek perfect tense forms. In what we
have or know of his writings, V. does not appear to have allowed for one of the
major differences between the Greek and Latin tense paradigms -- viz. that, in
the Latin perfect tense, there is a syncretism of a simple past meaning ('I
did'), and a perfect meaning ('I have done') -- corresponding to the Greek
aorist and perfect respectively. The Latin perfect tense forms belong in *both*
completive and non-completive aspectual categories, a point clearly made later
by PRISCIANO in his exposition of a similar analysis of the Latin verbal
tenses. If the difference in use and meaning between the Greek and Latin
perfect tense forms seems to escape V.'s attention, the more obvious contrast
between the V-term case system of Greek and the *VI*-term system of Latin forces
itself on him, as it does on anyone else who learned both languages. Latin
formally distinguished an ABLATIVE CASE. 'By whom an action is performed' is
the gloss given by V.. THE ABLATIVE CASE shares a number of the meanings and
syntactic functions of both the Greek GENITIVE and DATIVE case forms. V. takes
the NOMINATIVE form not as a casus but as as the canonical word forms, from
which the oblique forms -- cases -- are developed. Like his Greek colleagues
across the pond, V. contents himself with fixing on one stereo-typical meaning
or relationship as definitive for each case. V., who was no Cicero – ‘he is a
Varro’ implicates ‘he is a know-it-all’ in Roman -- mistranslates ‘aitiatike
ptosis’ by ACCUSATIVUS rather than the more correct, CAUSATIVUS. V. is probably
the most independent and original philosopher on linguistic topics among the
Romans. After V. we can follow discussions of existing questions by several philosophers
with no great claim on our attention. Among others, GIULIO CESARE – the
well-known general assassinated by the senators -- is reported to have turned
his mind to the analogy-anomaly debate while crossing the Alps on a campaign. Thereafter,
the controversy gradually fades away. PRISCIANO uses ‘analogia’ to mean
the regular inflexion of an inflected word, without mentioning ‘anomalia’. ‘Anomalia’
appears occasionally among the late grammarians.V.'s ideas on the
classification of Latin words have been noticed. But the word class system that
is established in the Latin tradition enshrines in the ‘saggi’ of PRISCIANO and
the late Latin ‘philosophical’ grammarians – cf. CAMPANELLA, ‘Grammatica
filosofica’ -- is much closer to. the one given in Thrax's Techne. The
number of classes remains now at VIII, with one change. A class of words
corresponding to the Greek definite article ‘ho,’ ‘he,’ ‘to,’ does not exist
in Latin. The definite article of Italian
develops later from weakened forms of the demonstrative pronoun ‘ille’ (il) and
‘illa’ (la). The Greek *relative* pronoun is morphologically similar to the
article and classed with it by Thrax and Apollonius. In Latin, the
relative pronoun – ‘qui’, ‘quae’, and ‘quod’ -- is morphologically akin to the
interrogative pronoun – ‘quis’, ‘quid’ -- and both are classed together either
with the noun or the pronoun class. In place of the article, Latin
grammarians recognise the ‘interjection’ as a separate ‘pars orationis’,
instead of treating it as a subclass of adverbs as Thrax and Apollonius do. PRISCIAN
regards the separate status of the interjection as common practice among Latin
scholars. But the first philosopher who is known to have dealt with it in this
way is REMMIO PALEMONE, a grammatical and literary scholar who defines the
interjection as having no statable meaning but merely indicating – via natural
meaning, as H. P. Grice would have it – emotion, as in Aelfric he he versus ha
ha (Roman versus English laughter). PRISCIANO lays more stress on the syntactic
independence of the interjection in sentence structure. QUINTILIANO, a
Spaniard, not a Roma, is PALEMONE’s pupil. This Spaniard writes extensively on
education, and in his “Institutio aratoria”, wherein he expounds his opinions,
he dealt briefly with ‘GRAMMATICA’ – the first of the trivial arts --,
regarding it as a propaedeutic to the full and proper appreciation of
literature in a liberal education, in terms very similar to those used by Thrax
at the beginning of the Techne. In a matter of detail, QUINTILIANO discusses
the analysis of the Latin case system, a topic always prominent in the minds of
Latin scholars who knew Greek by default (Who didn’t have a Greek slave?). QUINTILIANO
suggests isolating the instrumental use of the ABLATIVE -- "gladiii"
-- as case VII, since, as he notes, this instrumental use of the ablative case has
nothing in common semantically with the other meanings of the ablative. A separate
‘instrumental’ case forms is found (but a Spaniard wouldn’t know) in Sanskrit,
and may be inferred for unitary Indo-european, though the Greeks and Romans
knew nothing of this. It was and is common practice to name the cases by reference
to one of their meanings – DATIVUS, 'giving', ABLATIVUS, 'taking away', etc. -- but
their formal identity as members of a VI-term paradigm rests on their meaning,
or more generally, their meanings, and their syntactic functions being
associated with a morphologically distinct form in at least some of the members
of the case inflected word classes. PRISCIAN and DONATO see this, and in
view of the absence of any morphological feature distinguishing an alleged instrumental
use of the ablative case forms from their other uses, PRISCIANO explicitly
reproves of such an addition to the descriptive grammar of Latin as redundant –
or “supervacuum,” as he said for ‘otiose.’ The work of V., QUINTILIANO, shows
the process of absorption of Greek linguistic theory, controversies, and
categories, in their application to the Latin language. But Latin
linguistic scholarship is best known for the formalization of descriptive Latin
grammar, to become the basis of all education in later antiquity and the
traditional schooling of the modern world. The Latin grammar of the
present day is the direct descendants of the compilations of the later Latin
grammarians, as the most cursory examination of PRISCIANO’s “Institutiones
grammaticae” will show. PRISCIANO’s grammar, comprising XVIII books and
running to nearly a thousand pages may be taken as representative of their
work. Quite a number of writers of Latin grammars, working in different
parts of the Roman Empire, are known to us. Of them DONATO and PRISCIANO are
the best known. Though they differ on several points of detail, on the
whole these philosopohical grammarians set out and follow the same basic system
of grammatical description. For the most part, Roman philosophical
grammarians show little originality, doing their best to apply the terminology
and categories of the Greek grammarians to the Latin language. The Greek
technical terms are given fixed translations with the nearest available Latin
word. ‘onoma’, ‘NOMEN’ ‘anto-nymia,’
‘PRO-NOMEN’ ‘syn-desmos,’ ‘CON-IUCTIO’ etc. In this procedure they had been encouraged by DIDIMO, a voluminous scholar, who states that every
feature of Greek grammar IS TO BE found in Latin. DIDIMO follows the word class
system of the PORCH, which included the article (absent in Latin) and the
personal pronouns in one class, so that the absence of a word form
corresponding to the Greek article does not upset him or his classification. Among
the Latin philosophical grammarians, MACROBIO gives an account of the
'differences and likenesses' of the Greek and the Latin verb, but it amounted
to little more than a parallel listing of the forms, without any penetrating
investigation of the verbal systems of the Latin language – his own, or Greek. The
succession of Latin philosophical grammarians through whom the accepted
grammatical description of the language is brought to completion and handed on
to the Middle Ages spanned the centuries until the foundation of Oxford. This
period covers the pax Romana and the unitary Greco-Roman civilization of the
Mediterranean that lasts during the first two centuries, the breaking of the
imperial peace in the third century, and the final shattering of the western
provinces, including Italy, by invasion from beyond the earlier frontiers of
the empire. Historically these centuries witness two events of permanent
significance in the life of the civilized world. In the first place,
Christianity – or the coming of the Galileans -- which, from a secular
standpoint, starts as the religion of a small deviant sect of Jewish zealots,
spread and extended its influence through the length and breadth of the empire,
until, in the fourth century, after surviving repeated persecutions and
attempts at its suppression, it is recognized as the official religion of the
state! (Except Giuliano). Its subsequent dominance of European thought (except
Luther) and of all branches of learning for the next thousand years is now
assured, and neither doctrinal schisms nor heresies, nor the lapse of an
emperor into apostasy could seriously check or halt its progress. As Christianity
gains the upper hand and attracts to itself men of learning, the scholarship of
the period shows the struggle between the old declining pagan standards of
classical antiquity and the rising generations of Christian apologists,
philosophers, and historians, interpreting and adapting the heritage of the
past in the light of their own conceptions and requirements. The second event is
a less gradual one, the splitting of the Roman world into two halves, east and
west. After a century of civil turmoil and barbarian pressure, Rome ceases
under DIOCLEZIANO to be the administrative capital of the empire, and his later
successor COSTANTINO transfers his government to a new city, built on the old
Byzantium and named Constantino-polis (literally: ‘my (kind of) town’). By the
end of the fourth century, the Roman empire is formally divided into an eastern
and a western realm, each governed by its own emperor (who often did not speak
to each other – and for whom there was no lingua franca to be found). This division
roughly corresponds to the separation of the old Hellenized area conquered by
Rome but remaining Greek in culture and language, and the provinces raised from
barbarism by Roman influence and Roman letters. Constantinople, assailed from
the west and from the east, continues for a thousand years as the head of the
Eastern Byzantine Empire, until it falls to the Turks. During and after the
break-up of the Western Empire, Rome endures as the capital city of the Roman
Church, while Christianity in the east gradually evolved in other directions to
become the Eastern Orthodox Church. Culturally one sees as the years pass on
from the so-called 'Silver Age' a decline in liberal attitudes, a gradual
exhaustion of older themes, and a loss of vigour in developing new ones. Save
only in the rising Christian communities, scholarship is backward-looking,
taking the form of erudition devoted to the acknowledged standards of the past.
This is an era of commentaries, epitomes, and dictionaries. The Latin
grammarians, whose oudook is similar to that of the Alexandrian Greek scholars,
like them directed their attention to the language of classical literature, for
the study of which grammar serves as the introduction and foundation. The
changes taking place in the spoken and the non-literary written Latin around them
arise VERY little interest – ‘the plebs use it!’ --; their works are liberally
exemplified with texts, all drawn from the prose and verse writers of classical
Latin and their ante-classical predecessors Plautus and Terence. How different
accepted written Latin is becoming may be seen by comparing the grammar and
style of GIROLAMO's fourth translation of the Bible (the Vulgate), wherein
several grammatical features of the Romance languages are anticipated, with the
Latin preserved and described by the grammarians, one of whom, DONATO, second
only to PRISCIANO in reputation, was in fact GIROLAMO’s teacher – and learned
from him that God could be allowed a solecism or two! The nature and the
achievement of the Latin philosophical grammarians can best be appreciated
through a consideration of the work of their greatest representative, PRISCIANO,
who teaches Latin grammar in Constantino-polis. Though PRISCIANO draws much
from his Latin predecessors, his aim, like theirs, is to transfer as far as he
could the grammatical system of Thrax's Techne and of Apollonius's writings to
Latin. PRISCIANO’s admiration for Greek linguistic scholarship and his
dependence on Apollonius and his son ERODIANO, in particular, 'the greatest
authorities on grammar', are made clear in his introductory paragraphs and
throughout his grammar. PRISCIANO works systematically through his subject, the
description of the language of classical Latin literature. Pronunciation and
syllable structure are covered by a description of the “littera’, defined as
the smallest part of articulate speech, of which the properties are “nomen”,
the name of the letter, “figura”, its written shape, and “potestas,” its
phonetic value. All this had already been set out for Greek, and the phonetic
descriptions of the letters as pronounced segments and of the syllable
structures carry little of linguistic interest except for their partial
evidence of the pronunciation of the Latin language. From phonetics PRISCIANO
passes to morphology, defining the “dictio” and the “oratio” in the same terms
that Thrax uses, as the minimum unit of sentence structure and the expression
of a complete thought, respectively. As with the rest of western antiquity, PRISCIANO’s
grammatical model is word and paradigm, and he expressly denies any linguistic
significance to a division, in what would now be called morphemic analysis, *below*
the word. On one of his rare entries into this field, PRISCIANO misrepresents
the morphemic composition of words containing the negative prefix “in-“ -- “indoctus”
-- by identifying it with the preposition “in.” These two morphemes, “in-“,
negative, and “in-”, the prefixal use of the preposition, are in contrast in “invisus”,
which may negate or strengthen the stem that follows (two words with two
meanings, not a polysemous expression). After a review of earlier theories of
Greek linguists, PRISCIANO sets out the classical system of VIII word classes
laid down by Thrax and Apollonius, with the omission of the article but the
separate recognition of the interjection. Each class of words is defined, and
described by reference to its relevant formal category and “accidentia,” whence
the later accidence for the morphology of a language, and all are copiously
illustrated with examples from classical texts. All this takes up XVI of the XVIII
books, the last II being devoted to syntax. PRISCIANO addresses himself (OBVIOUSLY)
to readers already knowing Greek, as Greek examples are widely used and
comparisons with Greek are drawn at various points, and the last hundred pages
are wholly taken up with the comparison of different constructions in the two
languages. Though Constantinopolis was a Greek-speaking city in a
Greek-speaking area, Latin is decreed the official language when the new city
was founded as the capital of the Eastern Empire. Great numbers of speakers of
Greek as a first language needed Latin teaching from then on. The VIII parts of
speech, or word classes, in PRISCIANO’s grammar may be compared with those in
Dionysius Thrax's Techne. Reference to extant definitions in Apollonius and PRISCIANO’s
expressed reliance on him allow us to infer that PRISICIANO’s definitions are
substantially those of Apollonius, as is his statement that each separate class
is known by its semantic content. “Nomen,” including adjectives. The property
of the noun is to indicate a substance and a quality, and it assigns a common
or a particular quality to every body or thing. The property of the VERBUM is
to indicate an action or a being acted on; it has tense and mood forms, but is
not case inflected. The PARTICIPIUM is a class of words always derivationally
referable to a VERBUM, sharing the categories of verbs and a NOMEN (tenses and
cases) -- and therefore distinct from both. This definition is in line with the
Greek treatment of these words. The property of the PRONOMEN is its
substitutability for a proper nouns and its specifiability as to person -- first,
second, or third. The limitation to proper nouns, at least as far as third
person pronouns are concerned, contradicts the facts of Latin. Elsewhere, PRISCIANO
repeats Apollonius's statement that a specific property of the PRONOMEN is to
indicate substance *without* quality, as a way of interpreting the lack of
lexical restriction on the NOMEN which may be referred to anaphorically by a
PRONOMEN. The property of the ADVERBIUM is to be used in construction with a VERBUM,
to which it is syntactically and semantically subordinate. The property of the PRAE-POSITIO
is to be used as a separate word before case inflected words and in composition
before both case-inflected and non-case-inflected words. PRISCIANO, like Thrax,
identifies the first part of words like “PRO-consul” and “INTER-currere”, as PRAE-POSITIO.
INTER-IECTIO is a class of words syntactically independent of a VERBUM, and
indicating a feeling or a state of mind. The property of the CON-IUCTIO is to
join syntactically two or more members of any other word class, indicating a
relationship between them. In reviewing PRISCIANO' s work as a whole, one
notices that in the context in which he is writing and in the form in which he
casts his description of Latin, no definition of grammar itself is found
necessary. Where other late Latin grammarians do define the term, they do no
more than abbreviate the definition given at the beginning of Thrax's Techne.
It is clear that the place of grammar, and of linguistic studies in general, in
education is the same as is precisely and deliberately set out by Thrax and
summarily repeated by QUINTILIANO. PRISCIANO's omission is an indication of the
long continuity of the conditions and objectives taken for granted during these
centuries. PRISCIANO organises the morphological description of the forms of
nouns and verbs, and of the other inflected words, by setting up canonical or
basic forms, in nouns the nominative singular and in verbs the first person
singular present indicative active. From these he proceeds to the other forms
by a series of letter changes, the letter being for him, as for the rest of
western antiquity, both the minimal graphic unit and the minimal phonological
unit. The steps involved in these changes bear no relation to morphemic
analysis, and are of the type that finds no favour at all in recent descriptive
linguistics, though under the influence of the generative grammarians somewhat
similar process terminologies are being suggested. The accidents or categories
in which PRISCIANO classes the formally different word shapes of the inflected
or variable words include both derivational and inflexional sets, PRISCIANO following
the practice of the Greeks in not distinguishing between them. V.’s important
insight is totally disregarded! But PRISCIANO is clearly informed on the theory
of the establishment of categories and of the use of semantic labels to
identify them. Verbs are defined by reference to action or being acted on. But
PRISCIANO points out that on a deeper consideration – SI QUIS ALTIUS CONSIDERET
-- such a definition would require
considerable qualification; and case names are taken, for the most part, from
just one relatively frequent use among a number of uses applicable to the
particular case named. This is probably more prudent, if less exciting, than
the insistent search for a common or basic meaning uniting all the semantic
functions associated with each single set of morphologically identified case
forms. The status of the VI cases of Latin nouns is shown to rest, not on the
actually different case forms of any one noun or one declension of nouns, but
on semantic and syntactic functions systematically correlated with differences
in morphological shape at some point in the declensional paradigms of the noun
class as a whole. The many-one relations found in Latin between forms and uses
and between uses and forms are properly allowed for in the analysis. In
describing the morphology of the Latin verb, PRISCIANO adopts the system set
out by Thrax for the Greek verb, distinguishing present, past, and future, with
a fourfold semantic division of the past into imperfect, perfect, plain past – aorist
-- and pluperfect, and recognizing the syncretism (as V. does not) of perfect
and aorist meanings in the Latin perfect tense forms. Except for the
recognition of the full grammatical status of the Latin perfect tense forms, PRISCIANO’s
analysis, based on that given in the Techne, is manifestly inferior to the one
set out by V. under the influence of THE PORCH. The distinction between
incomplete and complete aspect, correlating with differences in stem form, on
which V. lays great stress, is concealed, although PRISCIANO recognises the
morphological difference between the two stem forms underlying the VI tenses. Strangely,
PRISCIANO seems to have misunderstood the use and meaning of the Latin future
perfect, calling it the ‘future subjunctive’, though the first person singular
form by which he cited it – “scripsero” -- is precisely the form which
differentiates its paradigm from the perfect subjunctive paradigm – “scripserim”
-- and, indeed, from any subjunctive verb form, none of which show a first
person termination in -im. This seems all the more surprising because the
corresponding forms in Greek -- “tetypsomai”
-- are correctly identified. Possibly his reason was that his Greek
predecessors had excluded the future perfect from their schematization of the
tenses, in that this tense was not much used in Greek, and was felt to be an atticism.
A like dependence on the Greek categorial framework probably leads Priscian to
recognize both a subjunctive mood (subordinating) and an OPTATIVE mood
(independent, expressing a wish) in the Latin verb, although Latin -- unlike
Greek -- nowhere distinguishes these two mood forms morphologically, as PRISCIAN
in fact admits, thus confounding his earlier explicit recognition of the status
of a formal grammatical category. Despite such apparent misrepresentations, due
primarily to an excessive trust in a point for point applicability of Thrax's
and Apollonius's systematization of Greek to the Latin language, Priscian's
morphology is detailed, orderly, and in most places definitive. His treatment
of syntax in the last two books is much less so, and a number of the organizing
features that we find in modern grammars of Latin are lacking in his account.
They are added by later scholars on to the foundation of Priscianic morphology.
Confidence in PRISCIANO’s syntactic theory is hardly increased by reading his
assertion that the word order, most common in Latin, nominative case noun or
pronoun (subject) followed by verb is the NATURAL one, because the substance
(“homo”) is PRIOR to the action it performs (“currit”). Such are the dangers of
philosophising on an inadequate basis of empirical fact. In the syntactic
description of Latin, PRISCIANO classifies verbs on the same lines as had been
worked out for Greek by the Greek grammarians, into active (transitive),
passive, and neutral (intransitive), with due notice of the deponent verbs,
passive in morphological form but active or intransitive in meaning and syntax
and without corresponding passive tenses. Transitive verbs are those
colligating with an oblique case -- “laudo te”, “noceo tibi,” “ego miserantis”
-- and the absence of concord between oblique case forms and finite verbs is
noted. But the terms subject and object were not in use in PRISCIANO’s time as
grammatical terms, though the use of “subiectum” to designate the logical
subject of a proposition is common. PRISCIANO makes mention of the ablative
absolute construction, though the actual name of this construction is a later
invention. PRISCIANO gives an account and examples of exactly this use of the
ablative case -- me vidente puerum cecidisti -- and -- Augusto imperiitiire
Alexandria provincia facta est. Of the systematic analysis of Latin syntactic
structures PRISCIANO has little to say. The relation of subordination is
recognized as the primary syntactic function of the relative pronoun -- qui,
quae, quod -- and of similar words used to downgrade or relate a. verb or a
whole clause to another, main, verb or clause. The concept of subordination is
employed in distinguishing nouns (and pronouns used in their place) and verbs
from all other words, in that these latter were generally used only in
syntactically subordinate relations to nouns or verbs, these two classes of
word being able by themselves to constitute complete sentences of the
favourite, productive, type in Latin. But in the subclassification of the Latin
conjunctions, the primary grammatical distinction between subordinating and
coordinating conjunctions is left unmentioned, the co-ordinating “TAMEN”, being
classed with the sub-ordinating “QUAMQUAM” and “QUAMSI”. – cf. Grice on ‘if’ as
subordinating. Once again it must be said that it is all too easy to exercise
hindsight and to point out the errors and omissions of one's predecessors. It
is both more fair and more profitable to realise the extent of PRISCIANO’s
achievement in compiling his extensive, detailed, and comprehensive description
of the Latin language of the classical authors, which is to serve as the basis
of grammatical theory for centuries and as the foundation of Latin teaching up
to the present day. Such additions and corrections, particularly in the field
of syntax, as later generations need to make could lie incorporated in the
frame of reference that Priscian employs and expounds. Any division of
linguistics (or of any other science) into sharply differentiated periods is a
misrepresentation of the gradual passage of discoveries, theories, and
attitudes that characterizes the greater part of man's intellectual history.
But it is reasonable to close an account of Roman linguistic scholarship with PRISCIANO.
In his detailed -- if in places misguided -- fitting of Greek theory and
analysis to the Latin language he represents the culmination of the expressed
intentions of most Roman scholars once Greek linguistic work had come to their
notice. And this was wholly consonant with the general Roman attitude in
intellectual and artistic fields towards 'captive Greece' who 'made captive her
uncivilized captor and taught rustic Latium the finer arts. PRISCIANO’s work is
more than the end of an era. It is also the bridge between antiquity and the
Middle Ages in linguistic scholarship. By far the most widely used grammar, PRISCIANO’s
“Institutiones grammaticae” runs to no fewer than one thousand manuscripts, and
forms the basis of mediaeval Latin grammar and the foundation of mediaeval
linguistic philosophy – i modisti or philosophical grammarians. PRISCIANO’s grammar
is the fruit of a long period of Greco-Roman unity. This unity had already been
broken by the time he writes, and in the centuries following, the Latin west is
to be shattered beyond recognition. In the confusion of these times, the
philosophical grammarians, their studies and their teaching, have been
identified as one of the main defences of the classical heritage in the
darkness of the Dark Ages. ARENS, Sprachwissenschaft: der Gang ihrer
Entwicklung von der Antike bis zur Gegenwart, Freiburg. Bolgar, The classical
heritage and its beneficiaries, Cambridge. J. Collart, V. grammairien latin,
Paris. FEHLING, 'V. und die grammatische Lehre von der Analogie und der
Flexion', Glotta, LERSCH, Die Sprachphilosophie der Alten, Bonn, H. NETTLESHIP,
The study of grammar among the Romans, Journal of philology, ROBINS, Ancient
and mediaeval grammatical theory in Europe, London, JSANDYS, History of classical
scholarship, Cambridge, STEINTHAL, Geschichte der Sprachwissenschaft bei den
Griechen und Romern, Berlin. GIBBON, The decline and fall of the Roman Empire
(ed. BURY), London, VERGIL, Aeneid 6, Ssi-3: Tu regere imperio populos, Romane,
memento (hae tibi erunt artes), pacisque imponere morem, parcere subiectis et
debellare superbos. Noctes Atticae GEHMAN, The interpreters of foreign
languages among the ancients, Lancaster, Pa., FEHLING, FUNAIOLI, Grammaticorum
Romanorum fragmenta, Leipzig. Ars
grammatica scientia est eorum quae a poetis historicis oratoribusque dicuntur
ex parte maiore. De lingua Latina CHARisrus, Ars grammaticae I (KEIL,
Grammatici, Leipzig). On Varro's
linguistic theory in relation to modern linguistics, cp. D. LANGENDOEN, 'A note
on the linguistic "theory of V.', Foundations of language 2, SUETONIUS,
Caesar, GELLIUS, Noctes Atticae PRISCIANO,
Institutio de nomine pronomine et verbo 38, Institutiones grammaticae PROBUS,
Instituta artium (H. KEIL, Grammatici Latini), DIONYSIUS-THRAX, Techne BEKKER,
Anecdota Graeca, Berlin, APOLLONIUS DYSCOLUS, Syntax As noun, PRISCIAN as
pronoun,- PROBUS, Instituta (KEIL, Grammatici APOLLONIUS, De adverbio, BEKKER,
Anecdota Graeca, CHARISIUS, Ars grammaticae KEIL, Grammatici -- Nihil docibile
habent, significant tamen adfectum animi. QUINTILIAN, Institutio aratoria Their
works are published in KEIL, Grammatici Latini, Leipzig, PRISCIAN De figuris
numerorum PRISCIAN De differentiis et
societatibus Graeci Latinique verbi, KEIL, Grammatici 5, Leipzig, Artis
grammaticae maximi auctores', dedicatory preface Dictio est pars minima
orationis constructae; Oratio est ordinatio dictionum congrua, sententiam
perfectam demonstrans. Proprium est nominis substantiam et qualitatem significare; Nomen est pars
orationis, quae unicuique subiectorum corporum seu rerum communem vel propriam
qualitatem distribuit. Proprium est verbi actionem sive passionem significate;
Verbum est pars orationis cum temporibus et modis, sine casu, agendi vel
patiendi significativum. Participium iure separatur a verbo, quod et casus
habet, quibus caret verbum, et genera ad similitudinem nominum, nee modos
habet, quos continet verbum; Participium est pars orationis, quae pro verba
accipitur, ex quo et derivatur naturaliter, genus et casum habens ad
similitudinem nominis et accidentia verba absque discretione personarum et
modorum. The problems
arising from the peculiar position of the participle among the word classes,
under the classification system prevailing in antiquity, are discussed there. Proprium
est pronominis pro ali quo nomine proprio poni et certas significare personas; Pronomen
est pars orationis, quae pro nomine proprio uniuscuiusque accipitur personasque
finitas recipit. Substantiam significat sine aliqua certa qualitate. Proprium
est adverbii cum verbo poni nee s·ine eo perfectam significationem posse
habere; Adverbium est pars orationis indeclinabilis, cuius.significatio verbis
adicitur. Praepositionis proprium est separatim quidem per appositionem
casualibus praeponi coniun~tim vero per compositionem tam cum hahentibus casus
quam cum non habentibus; Est praepositio pars orationis indeclinabilis, quae
praeponitur aliis partibus vel appositione vel compositione. 48. IS-7·40:
Videtur affectum habere in se Yerbi et plenam motus animi significationem,
etiamsi non addatur verbum, demonstrare. Proprium est coniunctionis diversa
nomina vel quascumque dictiones casuales vel diversa verba vel adverbia
coniungere; Coniunctio est pars orationis indeclinabilis, coniunctiva aliarum
partium orationis, quibus consignificat, vim vel ordinationem demons trans. so.
cp. MATTHEWS, 'The inflectional component of a word-and-paradigm grammar',
:Journal of linguistics HORACE, Epistles 2.1.156-7: Graecia capta ferum
victorem cepit et artes Intulit agresti Latio. .LOT, La fin du monde antique et
le debut du moyen age, Paris. Marco Terenzio Varrone. He
led an active and sometimes risky political life. Although he backed the wrong
side in the civil war, he survived. He was a pupil of Posidonio at Rome. He was
influenced by Antioco d’Ascalon. He wrote hundreds of works, most of which have
since been lost. Amongst them was an extended series of fictional philosophical
dialgoues, the Logistorici, in wich assorted Romans debated a variety of
toipics, illustrating the arguments with examples from history. Tertulliano
calls him the Roman Cynargo, perhaps because of some satires he wrote but it is
highly unlikely that he was a Cinargo. Better attested is his interest in
Pythagoreanism, whose cult he followed to the letter. THE LOEB CLASSICAL
LIBRARY FOUXDED BY JAMES LOEB, LL.D. ED. BY T. E. PAGE, C.H.,
UTT.D. E. CAPPS, ph.d., ll.d. W. H. D. ROUSE, utt.d. V. DELLA
LINGUA DEL LAZIO WITH A TR. BY KENT, LONDON, HEINEMANN LTD. V. was born in
at Reate in the Sabine country, where his family, which was of equestrian
rank, possessed large estates. He was a student under L. Aelius
Stilo Praeconinus, a scholar of the equestrian order, widely versed
in Greek and Latin literature and especially interested in the history
and antiquities of the Roman people. He studied philosophy at Athens,
with Anti- ochus of Ascalon. With his tastes thus formed for
scholarship, he none the less took part in public life, and was in the
campaign against the rebel Sertorius in Spain, in 76. He was an officer
with Pompey in the war with the Cilician pirates in 67, and
presumably also in Pompey 's campaign against Mithradates. In the
Civil War he was on Pompey 's side, first in Spain and then in Epirus and
Thessaly. He was pardoned by Caesar, and lived quietly at
Rome, being appointed librarian of the great collec- tion of Greek and
Latin books which Caesar planned to make. After Caesar's assassination,
he was pro- scribed by Antony, and his villa at Casinum, with his
personal library, was destroyed. But he himself escaped death by the
devotion of friends, who con- cealed him, and he secured the protection
of Octavian. He lived the remainder of his life in peace and quiet,
devoted to his -writings, and died in 27 B.C., in his eighty-ninth
year. Throughout his life he wrote assiduously. His works
number seventy-four, amounting to about six hundred and twenty books;
they cover virtually all fields of human thought : agriculture, grammar,
the history and antiquities of Rome, geography, law, rhetoric,
philosophy, mathematics and astronomy, education, the history of
literature and the drama, satires, poems, orations, letters.
Of all these only one, his De Re Rustica or Treatise on
Agriculture, in three books, has reached us complete. His De Lingua
Latina or On the Latin Language, in twenty-five books, has come down to
us as a torso.; only Books V. to X. are extant, and there are
serious gaps in these. The other works are represented by scattered
fragments only. The grammatical works of V., so far as we know them,
were the following : De Lingua Latina, in twenty-five books, a
fuller account of which is given below. De Antiquitate
Litterarum, in two books, addressed to the tragic poet L. Accius, who
died about 86 b.c.; it was therefore one of V. 's earliest
writings. De Origine Linguae Latinae, in three books, ad-
dressed to Pompey. Ylzpl XapaKTrjpuv, in at least three books, on
the formation of words. Quaestiones Plautinae, in five books,
containing interpretations of rare words found in the comedies of
Plautus. De Similitudine Verborum, in three books, on re-
gularity in forms and words. De Utilitate Sermonis, in at least
four books, in which he dealt with the principle of anomaly or
irregularity. De Sermone Latino, in five books or more,
addressed to Marcellus, which treats of orthography and the metres
of poetry. DiscipUnae, an encyclopaedia on the liberal arts,
in nine books, of which the first dealt with Grammatica. The extant
fragments of these works, apart from those of the De Lingua Latina, may
be found in the Goetz and Schoell edition of the De Lingua Latina,
pages 199-242; in the collection of Wilmanns, pages 170-223; and in that
of Funaioli, pages 179-371 (see the Bibliography). V.'s treatise On
the Latin Language was a work in twenty-five books, composed in 47 to 45
B.C., and published before the death of Cicero in 43. The
first book was an introduction, containing at the outset a dedication of
the entire work to Cicero. The remainder seems to have been divided into
four sections of six books each, each section being by its subject
matter further divisible into two halves of three books each.
Books II.-VII. dealt with the impositio vocabulorum, or how words
were originated and applied to things and ideas. Of this portion, Books
II. -IV. were prob- ably an earlier smaller work entitled De
Etymologia or the like; it was separately dedicated to one
Septumius or Septimius, who had at some time, which we cannot now
identify, served V. as quaestor. Book II. presented the arguments
which were advanced against Etymology as a branch of learning; Book
III. presented those in its favour as a branch of learning, and useful;
Book IV. discussed its nature. Books V.- VI I. start with a
new dedication to Cicero. They treat of the origin of words, the sources
from which they come, and the manner in which new words develop.
Book V. is devoted to words which are the names of places, and to the
objects which are in the places under discussion; VI. treats words
denoting time-ideas, and those which contain some time-idea,
notably verbs; VII. explains rare and difficult words which are met in
the writings of the poets. Books VIII.-XIII. dealt with derivation
of words from other words, including stem-derivation, de- clension
of nouns, and conjugation of verbs. The first three treated especially
the conflict between the principle of Anomaly, or Irregularity, based on
con- suetude* ' popular usage,' and that of Analogy, or Regularity
of a proportional character, based on ratio ' relation ' of form to form.
VIII. gives the arguments against the existence of Analogy, IX. those in
favour of its existence, X. V. 's own solution of the con- flicting
views, with his decision in favour of its exi- stence. XI.-XIII.
discussed Analogy in derivation, in the wide sense given above : probably
XI. dealt with nouns of place and associated terms, XII. with time-
ideas, notably verbs, XIII. with poetic words, Books XIV.-XIX. treated of
syntax. Books XX.- XXV. seem to have continued the same theme, but
probably with special attention to stylistic and rhetorical
embellishments. Of these twenty-five books, we have to-day, apart
from a few brief fragments, only Books V. to X., and in these there are
several extensive gaps where the manuscript tradition fails.
The fragments of the De Lingua Latina, that is, those quotations or
paraphrases in other authors which do not correspond to the extant text
of Books V.-X., are not numerous nor long. The most considerable of
them are passages in the Nodes Atticae of Aulus Gellius ii. 25 and xvi.
8. They may be found in the edition of Goetz and Schoell, pages 3, 146,
192-198, and in the Collections of Wilmanns and Funaioli (see the
Bibliography). It is hardly possible to discuss here even
summarily V.'s linguistic theories, the sources upon which he drew,
and his degree of independence of thought and procedure. He owed much to
his teacher Aelius Stilo, to whom he refers frequently, and he
draws heavily upon Greek predecessors, of course, but his practice
has much to commend it : he followed neither the Anomalists nor the
Analogists to the extreme of their theories, and he preferred to derive
Latin words from Latin sources, rather than to refer practically
all to Greek origins. On such topics reference may be made to the works
of Barwick, Kowalski, Dam, Dahlmann, Kriegshammer, and Frederik Muller,
and to the articles of Wolfflin in the eighth volume of the Archiv
fur lateinische Lexikographie, all listed in our Bibliography. The text
of the extant books of the De Lingua Latina is believed by most scholars
to rest on the manuscript here first listed, from which (except for
our No. 4) all other known manuscripts have been copied, directly
or indirectly. 1. Codex Laurentianus li. 10, folios 2 to 34,
parch- ment, written in Langobardic characters in the eleventh
century, and now in the Laurentian Library at Florence. It is known as
F. F was examined by Petrus Victorius and Iacobus Diacetius
in 1521 (see the next paragraph); by Hieronymus Lagomarsini in 1740; by
Heinrich Keil in 1851; by Adolf Groth in 1877; by Georg Schoell in
1906. Little doubt can remain as to its actual readings. 2.
In 1521, Petrus Victorius and Iacobus Diacetius collated F with a copy of
the editio princeps of the De Lingua Latina, in which they entered the
differences which they observed. Their copy is preserved in Munich,
and despite demonstrable errors in other portions, it has the value of a
manuscript for v. 119 to vi. 61, where a quaternion has since their time
been lost in F. For this portion, their recorded readings are known
as Fv; and the readings of the editio princeps, where they have recorded
no variation, are known as (Fv). 3. The Fragmentum Cassinense
(called also Excerptum and Epitome), one folio of Codex Cassinensis
361, parchment, containing v. 41 Capitolium dictum to the end of v.
56; of the eleventh century. It was probably copied direct from F soon
after F was written, but may possibly have been copied from the
archetype of F. It is still at Monte Cassino, and was transcribed by Keil
in 1848. It was published in facsimile as an appendix to Sexti Iulii
Frontini de aquaeductu Urbis Romae, a phototyped reproduction of
the entire manuscript, Monte Cassino, 1930. 4. The grammarian
Priscian, who flourished about a.d. 500, transcribed into his De Figuris
Numerorum Yarro's passage on coined money, beginning with multa,
last word of v. 168, and ending with Nummi denarii decuma libella, at the
beginning of v. 174. The passage is given in H. Keil's Grammatici
Latini iii. 410-411. There are many manuscripts, the oldest and
most important being Codex Parisinus 7496, of the ninth century.
5. Codex Laurentianus li. 5, written at Florence in 1427, where it
still remains; it was examined by Keil. It is known as^*. 6.
Codex Havniensis, of the fifteenth century; on paper, small quarto, 108
folia; now at Copenhagen. It was examined by B. G. Niebuhr for Koeler,
and his records came into the hands of L. Spengel. It is known as
H. 7. Codex Gothanus, parchment, of the sixteenth century,
now at Gotha; it was examined by Regel for K. O. Mueller, who published
its important variants in his edition, pages 270-298. It is known as
G. 8. Codex Parisinus 7489, paper, of the fifteenth century,
now at Paris; this and the next two were examined by Donndorf for L.
Spengel, who gives their different readings in his edition, pages
661-718. It is known as a. 9- Codex Parisinus 6142, paper, of
the fifteenth century; it goes only to viii. 7 declinarentur. It is
known as b, 10. Codex Parisinus 7535, paper, of the sixteenth
century; it contains only v. 1-122, ending with dictae. It is known as
c. 11. Codex Vindobonensis lxiii., of the fifteenth century,
at Vienna; it was examined by L. Spengel in 1835, and its important
variants are recorded in the apparatus of A. Spengel's edition. It is
known as V. 12. Codex Basiliensis F iv. 13, at Basel;
examined by L. Spengel in 1838. It is known as p. 13. Codex
Guelferbytanus, of the sixteenth cen- tury, at Wolfenbiittel; examined by
Schneidewin for K. O. Mueller, and afterwards by L. Spengel. It is
known as M. 14. Codex B, probably of the fifteenth century,
now not identifiable; its variants were noted by Petrus Victorius
in a copy of the Editio Gryphiana, and either it or a very similar
manuscript was used by Antonius Augustinus in preparing the
so-called Editio Vulgata. These are the manuscripts to which
reference is made in our critical notes; there are many others,
some of greater authority than those placed at the end of our list, but
their readings are mostly not available. In any case, as F alone has
prime value, the variants of other than the first four in our list
can be only the attempted improvements made by their copyists, and
have accordingly the same value as that which attaches to the emendations
of editors of printed editions. Fuller information with
regard to the manuscripts may be found in the following : Spengel,
edition of the De Lingua Latina (1826), pages v-xviii. K. O. Mueller, edition (1833),
pages xii-xxxi. Andreas Spengel, edition (1885), pages ii-xxviii. Giulio Antonibon, Supplemento di Lezioni Varianti
ai libri de lingua Latina (1899) 3 pages 10-23. G. Goetz et F. Schoell,
edition (1910), pages xi-xxxv. THE LAURENTIAN MANUSCRIPT F
Manuscript F contains all the extant continuous text of the De
Lingua Latina, except v. 119 trua quod to vi. 61 dicendojinit; this was
contained in the second quaternion, now lost, but still in place when the
other manuscripts were copied from it, and when Victorius and
Diacetius collated it in 1 521 . There are a number of important lacunae,
apart from omitted lines or single words; these are due to losses in its
archetype. Leonhard Spengel, from the notations in the
manuscript and the amount of text between the gaps, calculated that the
archetype of F consisted of 16 quaternions, with these losses :
Quaternion 4 lacked folios 4 and 5, the gap after v. 162.
Quaternion 7 lacked folio 2, the end of vi. and the beginning of
vii., and folio 7, the gap after vii. 23. Quaternion 11 was missing
entire, the end of viii. and the beginning of ix. Quaternion
15 lacked folios 1 to 3, the gap after x. 23, and folios 6 to 8, the gap
after x. 34. The amount of text lost at each point can be
cal- [tJber die Kritik der V.nischen Bucher de Lingua Latina] culated
from the fact that one folio of the archetype held about 50 lines of our
text. There is a serious transposition in F, in the text of
Book V. In § 23, near the end, after qui ad humum, there follows id
Sabini, now in § 32, and so on to Septi- viontium, now in § 41; then
comes demissior, now in § 23 after humum, and so on to ab hominibus, now
in § 32, after which comes nominatum of § 41. Mueller," who
identified the transposition and restored the text to its true order in
his edition, showed that the altera- tion was due to the wrong folding of
folios 4 and 5 in the first quaternion of an archetype of F; though
this was not the immediate archetype of F, since the amount of text on
each page was different. This transposition is now always rectified
in our printed texts; but there is probably another in the later
part of Book V., which has not been remedied because the breaks do not
fall inside the sentences, thus making the text unintelligible. The
sequence of topics indicates that v. 115-128 should stand be- tween
v. 140 and v. 141 6; there is then the division by topics :
General Heading v. 105 De Victu v. 105-112 De
Vestitu v. 113-114, 129-133 De Instrument v. 134-140, 115-128,
141-183 a In the preface to his edition, pp. xvii-xviii. The
dis- order in the text had previously been noticed by G. Buchanan,
Turnebus, and Scaliger, and discussed by L. Spengel, Emen- dationum V.nianarum
Specimen I, pp. 17-19. 6 L. Spengel, Emendationum V.nianarum
Specimen I, pp. 13-19, identified this transposition, but considered
the transpositions to be much more complicated, with the follow-
ing order: §§105-114, §§ 129-140, § 128, §§ 166-168, §§118- 127, §§
115-117, §§ 141-165, § 169 on. Then also vi. 49 and vi. 45 may have
changed places, but I have not introduced this into the present
text; I have however adopted the transfer of x. 18 from its manuscript
position after x. 20, to the position before x. 19, which the continuity
of the thought clearly demands. The text of F is
unfortunately very corrupt, and while there are corrections both by the
first hand and by a second hand, it is not always certain that the
corrections are to be justified. The orthography of F contains not merely
many corrupted spellings which must be corrected, but also many
variant spellings which are within the range of recognized Latin
orthography, and these must mostly be retained in any edition. For
there are many points on which we are uncertain of V.'s own
practice, and he even speaks of certain per- missible variations : if we
were to standardize his orthography, we should do constant violence to
the best manuscript tradition, without any assurance that we were
in all respects restoring V.'s own spelling. Moreover, as this work is on
language, V. has intentionally varied some spellings to suit his
etymological argument; any extensive normal- ization might, and probably
would, do him injustice in some passages. Further, V. quotes from
earlier authors who used an older orthography; we do not know
whether V., in quoting from them, tried to use their original orthography,
or merely used the orthography which was his own habitual practice.
I have therefore retained for the most part the spellings of F, or
of the best authorities when F fails, replacing only a few of the more
misleading spellings by the familiar ones, and allowing other
variations to remain. These variations mostly fall within the
following categories : 1. EI : V. wrote EI for the long vowel I in
the nom. pi. of Decl. II (ix. 80); but he was probably not
consistent in writing EI everywhere. The manuscript testifies to its use
in the following : plebei (gen.; cf. plebis vi. 91> in a quotation) v.
40, 81, 158, vi. 87; eidem (nom. sing.) vii. 17 (eadem F), x. 10;
scirpeis vii. 44; Terentiei (nom.), vireis Terentieis (masc),
Teren- tieis (fem.) viii. 36; infeineiteis viii. 50 (changed to
infiniteis in our text, cf. (in)finitam viii. 52); i(e)is viii. 51 (his F), ix. 5; iei (nom.)
ix. 2, 35; hei re(e)i fer(re)ei de(e)i viii. 70; hinnulei ix. 28; utrei
(nom. pi.) ix. 65 (utre.I. F; cf. utri ix. 65); (B)a(e)biei,
B(a)ebieis x. 50 (alongside Caelii, Celiis). 2. AE and E : V., as a
countryman, may in some words have used E where residents of the city
of Rome used AE (cf. v. 97); but the standard ortho- graphy has
been introduced in our text, except that E has been retained in seculum
and sepio (and its compounds : v. 141, 150, 157, 162, vii. 7, 13),
which always appear in this form. 3. OE and U : The writing
OE is kept where it appears in the manuscript or is supported by
the context : moerus and derivatives v. 50, 141 bis, 143, vi. 87;
moenere, moenitius v. 141; Poenicum v. 113, viii. 65 bis; poeniendo v.
177. OE in other words is the standard orthography.
4. VO UO and VU UU : V. certainly wrote only VO or UO, but
the manuscript rarely shows VO or UO in inflectional syllables. The
examples are novom ix. 20 (corrected from nouum in F); nomina- tuom
ix. 95, x. 30 (both -tiuom F); obliquom x. 50; loquontur vi. 1, ix. 85;
sequontur x. 71; clivos v. 158; perhaps amburvom v. 127 (impurro Fv). In
initial syllables VO is almost regular : volt vi. 47, etc.; volpes
v. 101; volgus v. 58, etc., but vulgo viii. 66; Folcanus v. 70y etc.;
volsillis ix. 33. Examples of the opposite practice are aequum vi. 71;
duum x. 11; antiquus vi. 68; sequuntur viii. 25; confiuunt x. 50.
Our text preserves the manuscript readings. 5. UV before a vowel : V.
probably wrote U and not UV before a vowel, except initially, where
his practice may have been the other way. The examples are :
Pacuius v. 60, vi. 6 (catulus (Fv)), 94, vii. 18, 76, and Pacuvius v. 17,
24, vii. 59; gen. Pacui v. 7, vi. 6, vii. 22; Pacuium vii. 87, 88,
91, 102; compluium, impluium v. 161, and pluvia v. 161, compluvium v. 125;
simpuium v. 124 bis (simpulum codd.); cf. panuvellium v. 114. Initially :
uvidus v. 24; uvae, uvore v. 104; uvidum v. 109- 6. U and I :
V. shows in medial syllables a variation between U and I, before P or B
or F or M plus a vowel. The orthography of the manuscript has been
retained in our text, though it is likely that V. regularly used U in
these types : The superlative and similar words : albissumum
viii. 75; fnigalissumus viii. 77; c{a)esi(s)sumus viii. 76; intumus
v. 154; maritumae v. 113; melissumum viii. 76; optumum vii. 51; pauperrumus
viii. 77; proxuma etc. v. 36, 93, ix. 115, x. 4, 26; septuma etc.
ix. 30, x. 46 ler; Septumio v. 1, vii.
109 5 superrumo vii. 51; decuma vi. 54. Cf. proximo, optima
maxima v. 102, minimum vii. 101, and many in viii. 75-78.
Compounds of -fex and derivatives : pontufex v. 83, pontufices v.
83 (F 2 for pontifices); artufices ix. 12; sacrujiciis v. 98, 124. Cf. pontifices v. 23, vi. 54,
etc.; artifex v. 93, ix. Ill, etc.; sacrificium vii. 88, etc.
Miscellaneous words : monumentum v. 148, but monimentum etc. v. 41,
vi. 49 bis; mancupis v. 40, but mancipium etc. v. 163, vi. 74, 85;
quadrupes v. 34, but quadripedem etc. vii. 39 bis, quadriplex etc. x.
46 etc., quadripertita etc. v. 12 etc. 7. LUBET and LIBET : V.
probably wrote lubet, lubido, etc., but the orthography varies, and
the manuscript tradition is kept in our text : lubere lubendo vi.
47, lubenter vii. 89, lubitum ix. 34, lubidine x. 56; and libido vi. 47,
x. 60, libidinosus Libentina Libitina vi. 47, libidine x. 61.
8. H : Whether V.
used the initial H according to the standard practice at Rome, is
uncertain. In the country it was likely to be dropped in pronuncia-
tion; and the manuscript shows variation in its use. We have restored the
H in our text according to the usual orthography, except that irpices, v.
136 bis, has been left because of the attendant text. Examples of
its omission are Arpocrates v. 57; Ypsicrates v. 88; aedus ircus v. 97;
olus olera v. 108, x. 50; olitorium v. 146; olitores vi. 20; ortis v.
103, ortorum v. 146 bis, orti vi. 20; aruspex vii. 88. These are
normalized in our text, along with certain other related spellings
: sepulchrum vii. 24 is made to conform to the usual sepulcrum, and
the almost invariable nichil and nichili have been changed to nihil and
nihili. 9. X and CS : There are traces of a writing CS for X,
which has in these instances been kept in the text : xx
INTRODUCTION arcs vii. 44 {ares F); acsitiosae (ac
sitiose F), acsitiosa (ac sitio a- F) vi. 66; dues (duces F) x. 57.
10. Doubled Consonants : V.'s practice in this matter is uncertain,
in some words. F regularly has littera (only Uteris v. 3 has one T), but
obliterata (ix. 16, -atae ix. 21, -at-trf v. 52), and these
spellings are kept in our text. Communis has been made regular,
though F usually has one M; casus is in- variable, except for de cassu in
cassum viii. 39, which has been retained as probably coming from V.
himself. Iupiter, with one P, is retained, because invariable in F; the
only exception is Iuppitri viii. 33 (iuppiti F), which has also been
kept. Numo vi. 61, for nummo, has been kept as perhaps an archaic
spelling. Decusis ix. 81 has for the same reason been kept in the
citation from Lucilius. In a few words the normal orthography has been
introduced in the text : grallator vii. 69 bis for gralaior, grabatis
viii. 32 for grabattis. For combinations resulting from pre- fixes
see the next paragraph. 11. Consonants of Prefixes : V.'s usage
here is quite uncertain, whether he kept the unassimilated
consonants in the compounds. Apparently in some groups he made the
assimilations, in others he did not. The evidence is as follows, the
variant orthography being retained in our text : Ad-c- :
always acc-, except possibly adcensos vii. 58 (F 2, for acensos F 1
). Ad-f- : always off-, except adfuerit vi. 40. Ad-l- :
always all-, except adlocutum vi. 57, adlucet vi. 79, adlatis (ablatis F)
ix. 21. Ad-m- : always adm-, except ammonendum v. 6,
amministrat vi. 78, amminicula vii. 2, amminister vii. 34 (F2, for adm-
F*). xxi INTRODUCTION Ad-s- :
regularly ass-, but also adserere vi. 64, adsiet vi. 92, adsimus vii. 99?
adsequi viii. 8, x. 9> a^- significare often (always except
assignificant vii. 80), adsumi viii. 69, adsumat ix. 42, adsumere x.
58. Ad-sc-, ad-sp-, ad-st- : always with loss of the D, as in
ascendere, ascribere, ascriptos (vii. 57), ascriptivi (vii. 56),
aspicere, aspectus, astans. Ad-t- : always a#-, except adtributa v.
48, and possibly adtinuit (F 1, but a^- F 2 ) ix. 59- Con-l-,
con-b-, con-m-, con-r-: always coll-, comb-, comm.-, corr-.
Con-p- : always comp-, except conpernis ix. 10. Ex-f- :
always eff-, except exfluit v. 29. Ex-s- : exsolveret v. 176,
exsuperet vi. 50, but exuperantum vii. 18 (normalized in our text
to exsuperantum). Ex-sc- : exculpserant v. 143. Ex-sp- : always
expecto etc. vi. 82, x. 40, etc. Ex-sq- : regularly Esquiliis; but Exquilias v.
25, Exquiliis v. 159 (Fv)i normalized to Esq- in our text.
Ex-st : extol v. 8, vi. 78; but exstat v. 3, normalized to extat in
our text. In-l- : usually ill-, but inlicium vi. 88 bis, 93
(illici- tum F), 94, 95, inliceret vi. 90, inliciatur vi. 94; the
variation is kept in our text: In-m- : always imm-, except in
(i?i)mutatis vi. 38, where the restored addition is unassimilated to
indi- cate the negative prefix and not the local in. In-p- :
always imp-, except inpos v. 4 bis (once ineos F), inpotem v. 4
(inpotentem F), inplorat vi. 68. Ob-c-, ob-f-, ob-p- : always occ-,
off-, opp-. Ob-t- : always opt-, as in optineo etc. vii. 17, 91
> x. 19, optemperare ix. 6. Per-l- : pellexit vi. 94, but
perlucent v. 140. xxii INTRODUCTION
Sub-c-, sub-f-, sub-p- : always succ-, suff-, supp-, except
subcidit v. 116. Subs- and subs- + consonant : regularly sus- +
con- sonant, except subscribunt vii. 107. Sub-t- : only in
suptilius x. 40. Trans-l- : in tralatum vi. 77, vii. 23, 103, x. 71;
tralaticio vi. 55 (tranlatio Fv) and translaticio v. 32, vi. 64-
(translatio F, tranlatio Fv), translaticiis vi. 78. Trans-v- : in
travolat v. 118, and transversus vii. 81, x. 22, 23, 43. '
Trans-d- : in traducere. 12. DE and DI : The manuscript has
been followed in the orthography of the following : directo vii.
15, dirigi viii. 26, derecti x. 22 bis, deriguntur derectorum x. 22, derecta directis
x. 43, directas x. 44, derigitur x. 74; deiunctum x. 45, deiunctae x.
47. 13. Second
Declension : Nora. sing, and acc. sing, in -uom and -uum, see 5.
Gen. sing, of nouns in -ius : V. used the form ending in a single I
(cf. viii. 36), and a few such forms stand in the manuscript : Muci v. 5
(muti F); Pacui v. 7, vi. 6, vii. 22; Mani vi. 90 5 Quinti vi. 92,
Ephesi viii. 22 (ephesis F), Plauti et Marci viii. 36,
dispendi ix. 54 (quoted, metrical; alongside dispendii ix.
54). The gen. in II is much commoner; both forms are kept in our
text. Nom. pi., written by V. with EI (cf. ix. 80); examples
are given in 1, above. Gen. pi. : The older form in -um for certain
words (denarium, centumvirum, etc.) is upheld viii. 71, ix. 82, 85,
and occurs occasionally elsewhere : Velabrum v. 44, Querquetulanum v. 49,
Sabinum v. 74, etc. Dat.-abl. pi., written by V. with EIS
(cf. ix. 80); examples are given in 1, above, but the manuscript
regularly has IS. Dat.-abl. pi. of nouns ending in -ius, -ia,
-turn, are almost always written IIS; there are a few for which the
manuscript has IS, which we have normalized to IIS : Gabis v. 33,
(Es)quilis v. 50, kostis v. 98, Publicis v. 158, Faleris v. 162,
praeverbis vi. 82 (cf. praeverbiis vi. 38 bis), mysteris vii. 34-
(cf. mysteriis vii. 19) 5 miliaris ix. 85 (inilitaris F).
Deus shows the following variations : Nom. pi. de{e)i viii. 70, dei v. 57, 58 bis, 66, 71, vii. 36, ix. 59,
dii v. 58, 144, vii. 16; dat.-abl. pi. deis v. 122, vii. 45, diis v. 69,
71, 182, vi. 24, 34, vii. 34. 14. Third Declension : The abl. sing, varies
between E and I : supellectile viii. 30, 32, ix. 46, and supellectili ix.
20 (-lis F); cf. also vesperi (uespert- F) and vespere ix. 73.
Nom. pi., where ending in IS in the manuscript, is altered to ES;
the examples are mediocris v. 5; partis v. 21, 56; ambonis v. 115;
urbis v. 143; aedis v. 160; compluris vi. 15; Novendialis vi. 26; auris
vi. 83; dis- parilis viii. 67; lentis'vs.. 34; omnis ix. 81;
dissimilis ix. 92. Gen. pi. in UM and IUM, see viii. 67. In
view of dentum viii. 67, expressly championed by V., Veientum v. 30
(uenientum F), caelestum vi. 53, Quiritum vi. 68 have been kept in
our text. Acc. pi. in ES and IS, see viii. 67. V. 's dis-
tribution of the two endings seems to have been purely empirical and
arbitrary, and the manuscript readings have been retained in our
text. 15. Fourth Declension : Gen. sing. : Gellius, Nodes
Atticae iv. 16. 1, tells us that V. always used UIS in this form. Nonius
Marcellus 483-494 M. cites eleven such forms from V., but also sumpti.
The De Lingua Latina gives the following partial examples of this
ending : usuis ix. 4 (suis F), x. 73 (usui F), casuis x. 50 {casuum F),
x. 62 (casus his F). Examples of this form ending in US are kept in our text
: fructus v. 34, 134, senatus v. 87, exercitus v. 88, panus v.
105, domus v. 162, census v. 181, mofws vi. 3, sonitus vi. 67
sensus vi. 80, wjms viii. 28, 30 c, except as noted below.
Letters changed from the manuscript reading are printed in
italics. Some obvious additions, and the following changes,
are sometimes not further explained by critical notes : ae with
italic a, for manuscript e. oe, with italic o, for manuscript ae or
e. italic b and v, for manuscript u and b. italic f andpA, for
manuscript ph andf. italic i and y, for manuscript y and i. italic
h, for an h omitted in the manuscript. The manuscripts are referred
to as follows; read- ings without specification of the manuscript
are from F : F=Laurentianus li. 10; No. 1 in our list.
F 1 or m 1, the original writer of F, or the first hand.
F 2 or m 2, the corrector of F, or the second hand. Fv = readings
from the lost quaternion of F, as recorded by Victorius; our No. 2. Frag.
Cass. = Cassinensis 361; our No. 3. f= Laurentianus li. 5; our No.
5. H= Havniensis; our No. 6. G = Gothanus; our No. 7. a
= Parisinus 7489; our No. 8. 6 = Parisinus 6142; our No. 9-
c=Parisinus 7535; our No. 10. V= Vindobonensis lxiii.; our No. 1 1
. p = Basiliensis F iv. 13; our No. 12. M= Guelferbytanus 896; our
No. 13. B = that used by Augustinus; our No. 14. The
following abbreviations are used for editors and editions (others are
referred to by their full names) : Laetus = editio princeps
of Pomponius Laetus. Rhol. = Rholandellus, whose first edition was
in 1475. Pius = Baptista Pius, edition of 1510. Aug. =
Antonius Augustinus, editor of the Vul- gate edition 1554, reprinted
1557. Sciop. = Gaspar Scioppius, edition of 1602, re- printed
1605. L. Sp. = Leonhard Spengel, edition of 1826 (and
articles). Mue. = Karl Ottfried Mueller, edition of 1833. A.
Sp. = Andreas Spengel, edition of 1885 (and articles). GS. =
G. Goetz and F. Schoell, edition. De Disciplina Originum
Verborum ad ClCERONEM. Quemadmodum vocabula essent imposita rebus in
lingua Latina, sex libris exponere institui. De his tris ante hunc feci
quos Septumio misi : in quibus est de disciplina, quam vocant
eri'/ioAoyi/ojv 1 : quae contra ea(m) 2 dicerentur, volumine primo, quae
pro ea, secundo, quae de ea, tertio. In his ad te scribam, a quibus
rebus vocabula imposita sint in lingua Latina, et ea quae sunt in
consuetudine apud (popu- lum et ea quae inveniuntur apud) 3 poetas.
2. Cuwz 1 unius
cuiusque verbi naturae sint duae, a qua re et in qua re vocabulum sit
impositum (itaque § 1. 1 For ethimologicen. 2 Rhol., for ea. 3 Added by
A. Sp. §2. 1 Rhol., for cui. §1. "Books II. -VII.;
Book I. was introductory. * Books II.-IV. e Quaestor to V., cf. vii. 109;
but when or where is not known. Possibly he was the writer on
architecture mentioned by Vitruvius, de Arch. vii. praef. 1 4, and even
the composer of the Libri Observationttm men- ON THE LATIN LANGUAGE
Ox THE SciEXCE OF THE ORIGIN OF WORDS, ADDRESSED TO ClCERO. In what
way a name (like ‘shagy’) is applied to a thing (like shagginess) in
Latin, I undertak to expound. Of this exposition, I have already composed three
parts b before this one, and address them to SETTUMIO (vedasi) c;
in those three parts I treat of the branch of learning which I call ‘etymology,’
from the Greek for ‘true’. The considerations which might be raised
against it, I have put in a first part; those adduced in its favour, in
the second; those merely describing it, in the third. In the following,
addressed to thee, CICERONE, I shall discuss the PROBLEM – philosophical if
ever there is one -- from what a thing a name is applied, either a name which
is habitual with the ordinary folk, or that which is found in the poets,
so-called, only. Inasmuch as each and every WORD [cf. Grice, “Utt ] has
two innate features, from what thing and to what thing tioned
by Quintilian, Inst. Orat. iv. 1. 19. d Cicero, to whom V. addresses the
balance of the work, Books V.-XXV., written apparently in 47-45
b.c. 3 V. a qua re sit pertinacia cum
requi(ri)tur, 2 ostenditur 3 esse a perten(den)do 4; in qua re sit
impositum dicitur cum demonstratur, in quo non debet pertendi et
pertendit, pertinaciam esse, quod in quo oporteat manere, si in eo
perstet, perseverantia sit), priorem illam partem, ubi cur et unde sint
verba scrutantur, Graeci vocant £Tu//oAoyiav, 5 illam alteram Trtp(})
°" r l- /xcuvo/xevwi'. De quibus duabus rebus in his libris
promiscue dicam, sed exilius de posteriore. 3. Quae ideo sunt
obscuriora, quod neque omnis impositio verborum extat, 1 quod vetustas
quasdam delevit, nec quae extat sine mendo omnis imposita, nec quae
recte est imposita, cuncta manet (multa enim verba li(t)teris commutatis
sunt interpolata), neque omnis origo est nostrae linguae e
vernaculis verbis, et multa verba aliud nunc ostendunt, aliud ante
significabant, ut hostis : nam turn eo verbo dicebant peregrinum qui suis
legibus uteretur, nunc dicunt eum quern turn dicebant perduellem.
4. In quo genere verborum aut casu erit
illustrius unde videri possit origo, inde repetam. Ita fieri
oportere apparet, quod recto casu quom 1 dicimus inpos, 2 obscurius est
esse a potentia qua(m> 3 cum 2 OS., for sequitur. 3 For hostenditur. 4 Rhol.,
for pertendo. 5 For ethimologiam. § 3. 1 For exstat.
§ 4. 1 Aug., with B, for quem. 2 p, Laetus, for ineos. 3 For
qua. § 2. ° Properly an abstract formed from pertinax, itself
a compound of tenax ' tenacious,' derived from tenere ' to hold.' §
3. ° Cf. vii. 49. Not from potentia; but both from radical pot-. the
name is applied (therefore, when the question is raised from what thing
pertinacia ' obstinacy ' is,° it is shown to be from pertendere ' to
persist ' : to what thing it is applied, is told when it is explained
that it is pertinacia ' obstinacy ' in a matter in which there
ought not to be persistence but there is, because it is perseverantia '
steadfastness ' if a person persists in that in which he ought to hold
firm), that former part, where they examine why and whence words
are, the Greeks call Etymology, that other part they call
Semantics. Of these two matters I shall speak in the following books, not
keeping them apart, but giving less attention to the second.
3. These relations are often rather obscure for the following
reasons : Not every word that has been applied, still exists, because
lapse of time has blotted out some. Not every word that is in use, has
been applied without inaccuracy of some kind, nor does every word
which has been applied correctly remain as it originally was; for many
words are disguised by change of the letters. There are some whose
origin is not from native words of our own language. Many words
indicate one thing now, but formerly meant something else, as is the case
with hostis ' enemy ' : for in olden times by this word they meant a
foreigner from a country independent of Roman laws, but now they
give the name to him whom they then called perduellis ' enemy.' a
4. I shall take as starting-point of my discussion that derivative
or case-form of the words in which the origin can be more clearly seen.
It is evident that we ought to operate in this way, because when we
say inpos ' lacking power ' in the nominative, it is less clear
that it is from potentia a ' power ' than when we 5
V. dicimus inpotem 4; et eo obscurius fit, si dicas
pos quam 5 inpos : videtur enim pos significare potius pontem quam
potentem. 5. Vetustas pauca non depravat, multa tollit. Quem
puerum vidisti formosum, hunc vides defor- mem in senecta. Tertium
seculum non videt eum homincm quem vidit primum. Quare ilia quae
iam maioribus nostris ademit oblivio, fugitiva secuta sedulitas
Muci 1 et Bruti retrahere nequit. Non,
si non potuero indagare, eo ero tardior, sed velocior ideo, si
quivero. Non mediocres 2 enim tenebrae in silva ubi haec captanda neque
eo quo pervenire volumus semitae tritae, neque non in tramitibus
quaedam obz'ecta 3 quae euntem retinere possent. 6. Quorum verborum
novorum ac veterum dis- cordia omnis in consuetudine com(m)uni, quot
modis 1 commutatio sit facta qui animadverterit, facilius scrutari
origines patietur verborum : reperiet enim esse commutata, ut in
superioribus libris ostendi, maxime propter bis quaternas causas.
Litterarum enim fit demptione aut additione et propter earum
tra(ie)ctionem 2 aut commutationem, item syllabarum productione (aut
correptione, denique adiectione aut 4 Aug., for inpotentem. 5 Aug., with B, for
postquam. § 5. 1 For muti. 2 For mediocris. 3 For oblecta.
§ 6. 1 After modis, Fr. Fritzsche deleted litterarum. 2 Scaliger
and Popma,for tractationem. Avoided in practice, in favour of dissyllabic
potis. " Be- cause the nasal was almost or quite lost before s; cf.
the regular inscriptional spelling cosol= consul. § 5. ° P.
Mucius Scaevola and M. Junius Brutus, distin- guished jurists and writers
on law in the period 150-130 b.c. Mucius, as pontifex maximus, seems to
have collected and e(n)ta'fodinae 2 et viocurus ? Secundus quo
grammatica escendit 3 antiqua, quae ostendit, quem- admodum quodque poeta
finxerit verbum, quod confinxerit, quod declinarit; hie Pacui :
Rudentum sibilus, hie : Incwrvicervicum 4
pecus, hie : Clamide clupeat bacchium. s 8.
Tertius gradus, quo philosophia ascendens per- venit atque ea quae in
consuetudine communi essent aperire coepit, 1 ut a quo dictum esset
oppidum, vicus, via. Quartus, ubi est adytum 2 et initia regis :
quo si non perveniam (ad) 3 scientiam, at* opinionem aucupabor,
quod etiam in salute nostra nonnunquam facit 5 cum aegrotamus
medicus. 3 Added by Kent, after Scaliger, Mite., OS.; cf.
Quintilian, hist. Orat. i. 6. 32. 4 After libris, Aug. deleted qui.
§7. 1 After infimus, Sciop. deleted in. 2 Canal, for aretofodine. 3
Sciop., for descendit. 4 O, Aldus, for inceruice ruicum. 8 For
bacchium. §8. 1 For caepit. 2 Sciop., for aditum. 3 Added by
L. Sp. 4 Sciop., for ad. 5 Aldus, with p, for fecit. § 7. °
Cf. viii. 62. 6 Teucer, Trag. Rom. Frag. 336 Ilibbeck 3; R.O.L. ii.
296-297 Warmington. c Ex inc. fab. xliv, verse 408, Trag. Rom. Frag.
Ribbeck 3, R.O.L. ii. 292-293 Warmington, referring to the dolphins of
Nereus; the entire 8 ON THE LATIN LANGUAGE, V.
&-8 by examples, in the preceding books, of what
sort these phenomena are, I have thought that here I need only set
a reminder of that previous discussion. 7. Now I shall set forth
the origins of the indivi- dual words, of which there are four levels of
explana- tion. The lowest is that to which even the common folk has
come; who does not see the sources of argentifodinae a ' silver-mines '
and of viocurus ' road- overseer ' ? The second is that to which
old-time grammar has mounted, which shows how the poet has made
each word which he has fashioned and derived. Here belongs Pacuvius's
6 The whistling of the ropes, here his c
Incurvate-necked flock, here his d With his
mantle he beshields his arm. 8. The third level is that to which
philosophy ascended, and on arrival began to reveal the nature of
those words which are in common use, as, for example, from what oppidum '
town ' was named, and vicus ' row of houses,' a and via ' street.' The
fourth is that where the sanctuary is, and the mysteries of the
high- priest : if I shall not arrive at full knowledge there, at
any rate I shall cast about for a conjecture, which even in matters of
our health the physician sometimes does when we are ill.
verse in Quintilian, Inst. Orat. i. 5. 67, Nerei repandirostrum
incurvicervicum pecus. d Hermiona, Trag. Rom. Frag. 186 Ribbeck 3, R.O.L.
ii. 232-233 Warmington; the entire verse in Nonius Marcellus, 87. 23 M. :
currum liquit, clamide contorta astu clipeat braccium. § 8. °
From this meaning, either an entire small ' village ' or a ' street ' in
a large city. Quodsi summum gradum non attigero, tamen secundum
praeteribo, quod non solum ad Aris- tophanis lucernam, sed etiam ad
CleantAis lucubravi. Volui praeterire eos, qui poetarum modo verba
ut sint ficta expediunt. Non enim videbatur consen- taneum
qua(e>re 1 me in eo verbo quod finxisset Ennius causam, neglegere quod
ante rex Latinus finxisset, cum poeticis multis verbis magis
delecter quam utar, antiquis magis utar quam delecter. An non
potius mea verba ilia quae hereditate a Romulo rege venerunt quam quae a
poeta Livio relicta ? 10. Igitur quoniam in haec sunt tripertita
verba, quae sunt aut nostra aut aliena aut oblivia, de nostris
dicam cur sint, de alienis unde sint, de obliviis re- linquam : quorum
partim quid ta(men) invenerim aut opiner 1 scribam. In hoc libro dicam de
vocabulis locorum et quae in his sunt, in secundo de temporum et
quae in his fiunt, in tertio de utraque re a poetis comprehensa.
11. Pythagoras
Samius ait omnium rerum initia esse bina ut finitum et infinitum, bonum et
malum, §9. 1 Aug., for
quare. § 10. 1 After A. Sp., with tamen from Fay's quo loco
tamen; for quo ita inuenerim ita opiner. §9. Aristophanes of
Byzantium, 262-185 b.c, pupil of Zenodotus and Callimachus at Alexandria,
and himself one of the greatest of the Alexandrian grammarians, who
busied himself especially with the textual correction and editing
of the Greek authors, notably Homer, Hesiod, and the lyric poets. 6
Frag. 485 von Arnim; Cleanthes of Assos, 331- 232 b.c, pupil and
successor of Zeno, founder of the Stoic school of philosophy (died 264),
as head of the school, at Athens, and author of many works on all phases
of the Stoic teaching. e L. Livius Andronicus, c. 284-202 b.c, born
at Tarentum; first epic and dramatic poet of the Romans. §11.
Pythagoras, born probably in Samos about 567 b.c, But if I have not
reached the highest level, I shall none the less go farther up than the
second, because I have studied not only by the lamp of Aris-
tophanes, but also by that of Cleanthes. 6 I have desired to go farther
than those who expound only how the words of the poets are made up. For
it did not seem meet that I seek the source in the case of the word
which Ennius had made, and neglect that which long before King Latinus
had made, in view of the fact that I get pleasure rather than utility
from many words of the poets, and more utility than pleasure from
the ancient words. And in fact are not those words mine which have come
to me by inheritance from King Romulus, rather than those which
were left behind by the poet Livius ? c 10. Therefore since words
are divided into these three groups, those which are our own, those
which are of foreign origin, and those which are obsolete and of
forgotten sources, I shall set forth about our own why they are, about
those of foreign origin whence they are, and as to the obsolete I shall
let them alone : except that concerning some of them I shall none
the less write what I have found or myself conjecture. In this book
I shall tell about the words denoting places and those things which are
in them; in the follow- ing book I shall tell of the words denoting times
and those things which take place in them : in the third I shall
tell of both these as expressed by the poets. 11. Pythagoras the
Samian says that the primal elements of all things are in pairs, as
finite and infinite, removed to Croton in South Italy about 529 and
was there the founder of the philosophic-political school of belief
which attaches to his name. His teachings were oral only, and were
reduced to writing by his followers.V. vitam et mortem, diem et noctem. Quare item duo status et
motus, (utrumque quadripertitum) 1 : quod stat aut agitatur, corpus, ubi
agitatur, locus, dum agitatur, tempus, quod est in agitatu, actio.
Quadri- pertitio magis sic apparebit : corpus est ut cursor, locus
stadium qua currit, tempus hora qua currit, actio cursio. 12.
Quare fit, ut ideo fere omnia sint quadri- pertita et ea aeterna, quod
neque unquam tempus, quin fuerit 1 motus : eius enim 2 intervallum tempus;
ncque motus, ubi non locus et corpus, quod alterum est quod movetur,
alterum ubi; neque ubi is agitatus, non actio ibi. Igitur initiorum
quadrigae locus et corpus, tempus et actio. 13. Quare quod
quattuor genera prima rerum, totidem verborum : e quis (de) locis et ns 1
rebus quae in his videntur in hoc libro summatim ponam. Sed qua
cognatio eius erit verbi quae radices egerit extra fines suas,
persequemur. Saepe enim ad limitem arboris radices sub vicini prodierunt
segetem. Quare non, cum de locis dicam, si
ab agro ad agrarium 2 hominem, ad agricolam pervenero, aberraro. Multa §11. 1
Added by L. Sp. §12. 1 For fuerint. 2 A ug., for animi.
§ 13. 1 L. Sp., for uerborum enim horum dequis locis et his.
2 L. Sp., for agrosium. § 13. ° Celebrated on April 23 and
August 19, when an offering of new wine was made to Jupiter. good and
bad, life and death, day and night. There- fore likewise there are the
two fundamentals, station and motion, each divided into four kinds : what
is stationary or is in motion, is body; where it is in motion, is
place; while it is in motion, is time; what is inherent in the motion, is
action. The fourfold division will be clearer in this way : body is, so
to speak, the runner, place is the race-course where he runs, time
is the period during which he runs, action is the running.
12. Therefore it comes about that for this reason all things, in
general, are divided into four phases, and these universal; because there
is never time without there being motion — for even an intermission
of motion is time —; nor is there motion where there is not place and
body, because the latter is that which is moved, and the former is where;
nor where this motion is, does there fail to be action. Therefore
place and body, time and action are the four-horse team of the
elements. 13. Therefore because the primal classes of things
are four in number, so many are the primal classes of words. From among
these, concerning places and those things which are seen in them, I shall
put a summary account in this book; but we shall follow them up
wherever the kin of the word under discus- sion is, even if it has driven
its roots beyond its own territory. For often the roots of a tree which
is close to the line of the property have gone out under the
neighbour's cornfield. Wherefore, when I speak of places, I shall not
have gone astray, if from ager ' field ' I pass to an agrarius ' agrarian
' man, and to an agricola ' farmer.' The partnership of words is
one of many members : the Wine Festival a cannot be set 13
V. societas
verborum, nec Vinalia sine vino expediri nec Curia Calabra sine calatione
potest aperiri. II. 14. Incipiam de locis ob 1 ipsius loci origine. Locus
est, ubi locatum quid esse potest, ut nunc dicunt, collocatum. Veteres id
dicere solitos apparet apud Plautum : Filiam habeo grandem
dote cassa(m> atque inlocabile 3 Neque earn queo locare
cuiquam. Apud Ennium
: O Terra T/jraeca, ubi Liberi fanum incZutfum 3 Maro 4
locavi. 5 15. Ubi quidque consistit, locus. Ab eo praeco
dicitur locare, quod usque idem it, 1 quoad in aliquo constitit pretium.
In(de) 2 locarium quod datur in stabulo et taberna, ubi consistant. Sic
loci muliebres, ubi nascendi initia consistunt. III. 16. Loca
natura(e) 1 secundum antiquam divisionem prima duo, terra et caelum,
deinde par- ticulatim utriusque multa. Caeli dicuntur loca su- § 14. 1 Sciop.,
for sub. 2 So Plautus, for cassa dote atque inlocabili F; Plautus also
has virginem for filiam. 3 Wilhelm, for inciuium. 4 For miro F 2, maro F
1 . 6 Ribbeck, for locaui. § 15. 1 Turnebus, for id emit. 2
Laetus,for in. § 16. 1 Aug., for natura. 6 A
place on the Capitoline Hill, near the cottage of Romulus, and also the
meeting held there on the Kalends, when the priests announced the number
of days until the Nones; cf. vi. 27, and Macrobius, Saturnalia, i. 15.
7. § 14. a Theuncompounded word; which, like its compound,
meant both ' established in a fixed position ' and ' established in a
marriage.' b Aulularia, 191-192. e That is, in marriage. d Trag. Rom.
Frag. 347-348 Ribbeck 3; R.O.L. 14 on its way
without wine, nor can the Curia Calabra ' Announcement Hall ' b be opened
without the calatio ' proclamation.' II. 14. Among places, I
shall begin with the origin of the word locus ' place ' itself. Locus is
where something can be locatum a ' placed,' or as they say
nowadays, colhcatum ' established.' That the ancients were wont to use
the word in this meaning, is clear in Plautus 6 : I have a
grown-up daughter, lacking dower, unplaceable,' Nor can I
place her now with anyone. In Ennius we find d : O
Thracian Land, where Bacchus' fane renowned Did Maro place.
15. Where anything comes to a standstill, is a locus ' place.' From
this the auctioneer is said locare 1 to place ' because he is all the
time likewise going on until the price comes to a standstill on
someone. Thence also is locarium ' place-rent,' which is given for
a lodging or a shop, where the payers take their stand. So also loci
muliebres ' woman's places,' where the beginnings of birth are situated.
III. 16. The primal places of the universe, accord- ing to the
ancient division, are two, terra ' earth ' and caelum ' sky,' and then,
according to the division into items, there are many places in each. The
places of the sky are called loca super a ' upper places,' and
i. 376-377 Warmington. Maro, son of Euanthes and priest of Apollo
in the Thracian Ismaros, in thanks for protection for himself and his
followers, gave Ulysses a present of excellent wine (Odyssey, ix. 197
ff.). Because of this, later legend drew him into the Dionysiac circle,
as son or grandson of Bacchus, or otherwise. There were even cults of
Maro himself in Maroneia, Samothrace, and elsewhere. pera et ea
deorum, terrae loca infcra et ea hominum. Ut Asia sic caelum dicitur
modis duobus. Nam et Asia, quae non Europa, in quo etiam Syria, et
Asia dicitur prioris pars Asiae, in qua est Ionia ac provincia
nostra. 17. Sic caelum et pars eius, summum ubi stellae, et
id quod Pacuvius cum demonstrat dicit : Hoc vide circum supraque
quod complexu continet Terram. Cui subiungit : Id
quod nostri caelum memorant. A qua bipertita divisione Lua'Zius 1
suorum un(i)us 2 et viginti librorum initium fecit hoc :
Aetheris et terrae genitabile quaerere tempus. 18. Caelum
dictum scribit Aelius, quod est ccelatum, aut contrario nomine, celatum
quod aper- tum est; non male, quod (im)positor 1 multo potius
(caelare) 2 a caelo quam caelum a caelando. Sed non § 17. 1
Scaliger, for lucretius. 2 Laetus, for unum. § 18. 1 GS.,for posterior. 2
Added by Scaliger. § 16. ° Asia originally designated probably only
a town or small district in Lydia, and then came to be what we now
call Asia Minor, and finally the entire continent. 6 Ionia was a
coastal region of Asia Minor, including Smyrna, Ephesus, Miletus, etc.,
and was included within provincia nostra. But ' our province ' ran much
farther inland, comprising Phrygia, Mysia, Lydia, Caria (Cicero, Pro
Flacco, 27. 65), which explains the ' and.' § 17. ° Chryses,
Tray. Rom. Fray. 87-88 and 90 Ribbeck 3; R.O.L. 2. 202-203, lines
107-108, 1 1 1 Warmington. 6 Satirae, verse 1 Marx. As there were thirty
books of Lucilius's Satires, the limitation to twenty-one by V. must be
based on another division (for which there is evidence), thus :
Books XXVI.-XXX. were written first, in various metres; I.-XXI., these
belong to the gods; the places of the earth are loca infer a ' lower
places,' and these belong to man- kind. Caelum ' sky ' is used in two
ways, just as is Asia. For Asia means the Asia, which is not
Europe, wherein is even Syria; and Asia means also that part a of
the aforementioned Asia, in which is Ionia 6 and our province.
17. So caelum ' sky ' is both a part of itself, the top where the
stars are, and that which Pacuvius means when he points it out :
See this around and above, which holds in its embrace The
earth. To which he adds : .That which the men of our
days call the sky. From this division into two, Lucilius set this
as the start of his twenty-one books 6 : Seeking the time
when the ether above and the earth were created. 18. Caelum,
Aelius writes," was so called because it is caelatum ' raised above
the surface,' or from the opposite of its idea, 6 celatum ' hidden '
because it is exposed; not ill the remark, that the one who applied
the term took caelare ' to raise ' much rather from caelum than caelum
from caelare. But that second to which V. here alludes, were a
second volume, in dactylic hexameters, which Lucilius had found to be the
best vehicle for his work; XXII.-XXV. were a third part, in
elegiacs, probably not published until after their author's death.
§ 18. ° Page 59 Funaioli. Caelum is probably connected with a root
seen in German heiter ' bright,' and not with the words mentioned by V..
6 Derivation by the contrary of the meaning, as in ludus, in quo minime
luditur ' school, in which there is very little playing ' (Fesrus, 122.
16 M.). vol. I c 17 V. minus
illud alterum de celando ab eo potuit dici, quod interdiu celatur, quam
quod noctu non celatur. 19. Omnino epk(ap). 3 A puteis
oppidum ut Puteoli, quod incircum eum locum aquae frigidae et caldae multae,
nisi a putore potius, quod putidus odoribus soepe ex sulphure et
alumine. Extra oppida a puteis puticuli, quod ibi in puteis
obruebantur homines, nisi potius, ut Aelius scribit, puticuli 4 quod
putescebant ibi cadavera proiecta, qui locus publicus ultra Esquilias. 5 Itaque eum Afranius /mti/ucos 6 in Togata
appellat, quod inde suspiciunt per p?*teos 7 lumen. 26. Lacus
lacuna magna, ubi aqua contineri potest. Palus paululum aquae in
altitudinem et palam latius diffusae. Stagnum a Graeco, quod ii 1
o-reyvov quod non habet rimam. 2 Hinc ad villas rutunda 3 stagna,
quod rutundum facillime continet, anguli maxime laborant. §
25. 1 For summi. 2 Buttmann, for potamon sic po tura potu. 3 Victorius, for pe. 4
Mue.,for puticulae. 5 For exquilias. 6 Scaliger, for cuticulos. 7 Canal,
for perpetuos. § 26. 1 For 11. 2 Scaliger, for nomen habet
primam. 3 B, for rutundas. § 25. Or ' pit '; derivative of
root in pidare ' to cut, think,' cf. amputare ' to cut off.' 6 Aeolis,
nom. pi. = Greek AloXeis. " This and ttvtcos are unknown in the
extant remains of Aeolic Greek, but a number of Aeolic words show
the change : anv for a-no, vfioCcos for ofiotcos. d The modern Pozzuoli,
on the Bay of Naples, in a locality characterized by volcanic springs and
exhalations; V.'s derivation is correct. * Page 65 Funaioli. ' The Roman
' potters' field,' for the poor and the slaves. * Com. Rom. Frag.
430 Ribbeck 3; with a jesting transposition of the consonants. Cf. for a
similar effect ' pit-lets ' and ' pit-lights.' The description suggests
that they were constructed like the Catacombs. If this moisture is
in the ground no matter how far down, in a place from which it pote ' can
' be taken, it is a puteus ' well ' °; unless rather because the
Aeolians 6 used to say, like 7ruTa/zos c for Trorafios ' river,' so also
Trvreos ' well ' for iroreos ' drinkable,' from pohis ' act of drinking,'
and not (f>peap ' well ' as they do now. From patei ' wells ' comes
the town- name, such as Puteoli, d because around this place there
are many hot and cold spring-waters; unless rather from putor ' stench,'
because the place is often putidus ' stinking ' with smells of sulphur
and alum. Outside the towns there are puticuli ' little pits,' named
from putei ' pits,' because there the people used to be buried in
putei ' pits '; unless rather, as Aelius e writes, the puticuli are so
called because the corpses which had been thrown out putescebant ' used
to rot ' there, in the public burial-place f which is beyond the
Esqui- line. This place Afranius 9 in a comedy of Roman life calls
the Putiluci ' pit-lights,' for the reason that from it they look up
through putei ' pits ' to the lumen ' light.* 26. A lacus '
lake ' is a large lacuna a ' hollow,' where water can be confined. A
palus b ' swamp ' is a paululum ' small amount ' of water as to
depth, but spread quite widely palam ' in plain sight.' A stagnum c
' pool ' is from Greek, because they gave the name o-reyvos d '
waterproof ' to that which has no fissure. From this, at farmhouses the
stagna ' pools ' are round, because a round shape most easily holds
water in, but corners are extremely troublesome. §26. ° Lacuna is a
derivative of lacus. 6 Palus, paulu- lum, palam are all etymologically
distinct. e Properly, a pool without an outlet; perhaps akin to Greek
arayuv ' drop (of liquid).' d Original meaning, ' covered.' Fluvius,
quod fluit, item flumen : a quo lege praediorum urbanorum scribitur 1
: Stillicidia fluminaque 2 ut ita 3 cadant fluantque;
inter haec hoc inter(est), quod stillicidium eo quod stillatim
cadit, 4 flumen quod fluit continue. 28. Amnis id flumen quod
circuit aliquod : nam ab ambitu amnis. Ab hoc qui circum Aternum
1 habitant, Amiternini appellati. Ab eo qui popu- lum candidatus
circum it, 2 ambit, et qui aliter facit, indagabili ex ambitu causam
dicit. Itaque Tiberis amnis, quod ambit Martium Campum et urbem;
op- pidum Interamna dictum, quod inter amnis est constitutum; item
Antemnae, quod ante amnis, qu(a> Anto 3 influit in Tiberim, quod bello
male ac- ceptum consenuit. 29. Tiberis quod caput extra
Latium, si inde nomen quoque exfluit in linguam nostram, nihil (ad)
1 eTv/ioAoyov Latinum, ut, quod oritur ex Samnio, For scribitur
scribitur. 2 For flumina
quae. 8 L. Sp., after Gothofredus, for ut ita. 4 a, Pape, for
cadet. §28. 1 Aug., with B, for alterunum. 2 For id. 3 Canal,
for quanto. § 29. 1 Added by Thiersch. § 27. a
Cf. Digest, viii. 2. 17. That is, rain-waters dripping from roofs and
streams resulting from rain shall in city properties not be diverted from
their present courses. Such supplies of water were in early days a real
asset. § 28. " Probably to be associated with English Avon
(from Celtic word for ' river '), and not with ambire ' to go
around.' b Good etymology; Amiternum was an old city in the Sabine
country, on the Aternus River; with ambi- ' around ' in the form am-, as
in amicire ' to place (a garment) around.' Fluvhis ' river ' is so named
because it jiuit ' flows,' and likewise jiumen ' river ' : from which
is written, according to the law of city estates,"
Stillicidia ' rain-waters ' and flumina ' rivers ' shall be allowed
to fall and to flow without interference. 6 Between these there is
this difference, that stillicidium ' rain-water ' is so named because it
cadit ' falls ' stillatim ' drop by drop,' and Jiumen ' river ' because
it jiuit ' flows ' uninterruptedly. 28. An amnis a is that
river which goes around something; for amnis is named from ambitus '
circuit.' From this, those who dwell around the Aternus are called
Amiternini ' men of Amiternum.' 6 From this, he who circum it ' goes
around ' the people as a candi- date, ambit ' canvasses,' and he who does
otherwise than he should, pleads his case in court as a result of
his investigable ambitus ' canvassing.'" Therefore the Tiber is
called an amnis, because it ambit ' goes around ' the Campus Martius and
the City d; the town Interamna ' gets its name from its position
inter amnis ' between rivers '; likewise Antemnae, because it lies ante
amnis ' in front of the rivers,' where the Anio flows into the Tiber a town which suffered in war and wasted
away until it perished. 29. The Tiber, because its source is
outside Latium, if the name as well flows forth from there into our
language, does not concern the Latin ety- mologist; just as the
Volturnus, because it starts from e That is, for corrupt
electioneering methods. d The Tiber swings to the west at Rome, forming a
virtual semicircle. A city in Umbria, almost encircled by the river
Nar. § 29. Adjective from voltur ' vulture '; there was a Mt.
Voltur farther south, on the boundary between Samnium and Apulia. Volturnus
nihil ad Latinam linguam : at 2 quod proxi- mum oppidum ab eo secundum
mare Volturnum, ad nos, iam 3 Latinum vocabulum, ut Tiberinus
no(me)n.' Et colonia enim nostra Volturnu?/? 5 et deus Tiberinus.
30. Sed de Tiberis nomine anceps historia. Nam et suum Etruria et
Latium suum esse credit, quod fuerunt qui ab Thebri vicino regulo
Veientum 1 dixe- rint appellat?fimam 4 Novam Viam locus sacellum
(Ve>labrum. 5 44. Velabrum a vehendo.
Velaturam facere etiam nunc dicuntur qui id mercede faciunt. Merces (dicitur a mcrendo
et aere) huic vecturae qui ratibus transibant quadrans. Ab eo Lucilius
scripsit : Quadrantis ratiti. VIII. 45. Reliqua urbis loca
olim discreta, cum Argeorum sacraria septem et viginti in (quattuor)
§43. x Added by Laetus. 2 Mue., with M, for auen- tinum. 3 Added by L. Sp. 4 Turnebus, for
fimam. 5 Mue., for labrum. § 43. ° Page 115 Funaioli.
Etymologies of place-names are particularly treacherous; none of those
given here ex- plains Aventinus. V. elsewhere (de gente populi
Romani, quoted by Servius in Aen. vii. 657) says that some Sabines
established here by Romulus called it Aventinus from the Avens, a river
of the district from which they had come. 6 Frag. Poet. Rom. 27 Baehrens;
R.O.L. ii. 56-57 Warming- ton. c The spelling with d is required by the
sense. d V. says that a ferry-raft was called a velabrum, and that
this name was transferred to the passage on which the rafts had plied,
when it was filled in and had become a street; but that there survived a
chapel in honour of the ferry-rafts. § 44. ° Correct etymology. 6
Incorrect etymology. -±5 several origins. Naevius b
says that it is from the aves ' birds,' because the birds went thither
from the Tiber; others, that it is from King Aventinus the Alban,
because he is buried there; others that it is the Adventine c Hill, from
the adventus ' coming ' of people, because there a temple of Diana was
estab- lished in which all the Latins had rights in common. I am
decidedly of the opinion, that it is from advectus ' transport by water ';
for of old the hill was cut off from everything else by swampy pools and
streams. Therefore they advehebaniur ' were conveyed ' thither by
rafts; and traces of this survive, in that the way by which they were
then transported is now called Velabrum ' fern",' and the place from
which they landed at the bottom of New Street is a chapel of the
Velabra. " 44. Velabrum ° is from vehere ' to convey.'
Even now, those persons are said to do velatura ' ferrying,' who do
this for pay. The merces 6 ' pay ' (so called from merere ' to earn ' and
aes ' copper money ') for this ferrying of those who crossed by rafts was
a farthing. From this Lucilius wrote c : Of a raft-marked
farthing. 1 * VIII. 45. The remaining localities of the City
were long' ago divided off, when the twenty-seven c 1272 Marx. d
The quadrans or fourth of an as was marked with the figure of a
raft. § 45. ° It would seem simpler if the shrines numbered
twenty-four, six in each of the four sections of Rome. But both here and
in vii. 44 the number is driven as twenty-seven. It is hardly likely that
in both places XXUII ( =XXVII) has been miswritten for XXIIII; yet this
supposition must be made by those who think that the correct number is
twenty- four. partis 1 urbi(s) 2 sunt disposita. Argeos dictos putant a
principibus, qui cum /fercule Argivo venerunt Romam et in Saturnia
subsederunt. E quis prima scripta est regio
Suburana, 3 secunda' Esquilina, tertia Collina, quarta Palatina.
46. In Suburanae 1 regionis parte princeps est Caelius mons a C#ele
Vibenna, 2 Tusco duce nobili, qui cum sua manu dicitur Romulo venisse
auxilio contra 7atium 3 regem. Hinc post Caelis 4 obitum, quod
nimis munita loca tenerent neque sine suspicione essent, deducti dicuntur
in planum. Ab eis dictus Vicus Tuscus, et ideo ibi Vortumnum stare, quod
is deus Etruriae princeps; de Caelianis qui a suspicione liberi
essent, traductos in eum locum qui vocatur Cfleliolum. 4-7.
Cum Cflelio 1 coniunctum Carinae et inter eas quern locum Caer(i)o/ensem
2 appellatum apparet, § 45. 1 L. Sp., for sacraria in septem et uiginti
partis. 2 Ijaetus, for urbi. 3 Aug., for suburbana F 1, subura F 2
. § 46. 1 Aug., with B,for suburbanae. 2 Frag. Cass., for
uibenno / cf. Tacitus, Ann. iv. 65. 3 Puccius, \oith Servius in Aen. v.
560, for latinum. 4 Coelis Aug., for celii. § 47. 1 Laetus,
for celion. 2 Kent; Caeliolensem ten Brink {and similarly through the
section); for ceroniensem. * Puppets or dolls made of
rushes, thrown into the Tiber from the Pons Sublicius every year on May
14, as a sacrifice of purification; the distribution of the shrines from
which they were brought was to enable them to take up the pollu-
tion of the entire city. Possibly the dolls were a substitute for human
victims. The name Argei clearly indicates that the ceremony was brought
from Greece. § 46. Comparison with § 47, § 50, § 52, § 54, shows
that shrines of the Argei 6 were distributed among the four sections
of the City. The Argei, they think, were named from the chieftains who
came to Rome with Hercules the Argive, and settled down in
Saturnia. Of these sections, the first is recorded as the Suburan
region, the second the Esquiline, the third the Colline, the fourth the
Palatine. 46. In the section of the Suburan region, the first
shrine ° is located on the Caelian Hill, named from Caeles Yibenna, a
Tuscan leader of distinction, who is said to have come with his followers
to help Romulus against King Tatius. From this hill the followers
of Caeles are said, after his death, to have been brought down into
the level ground, because they were in possession of a location which was
too strongly forti- fied and their loyalty was somewhat under
suspicion. From them was named the Vicus Tuscus ' Tuscan Row,' and
therefore, they say, the statue of Vertumnus stands there, because he is
the chief god of Etruria; but those of the Caelians who were free
from suspicion were removed to that place which is called Caeliohim ' the
little Caelian.' 6 47. Joined to the Caelian is Cannae ' the Keels
'; and between them is the place which is called Caerio- the
sacra Argeorum (§ 50) used princeps, terticeps, etc., to designate
numerically the shrines in each pars; and that the place-name was set in
the nominative alongside the neuter numeral : therefore " the first
is the Caelian Hill " means that the first shrine is located on that
hill. Cf. K. O. Mueller, Zur Topographle Horns : ilber die Fragmenta der
Sacra Argeorum bei V., de Lingua Latlna,v. 8 (pp. 69-94 in C. A.
Bottiger, Archaohgle und Kunst, vol. i., Breslau, 1828). * The
Caeliolum, spoken of also as the Caeliculus (or -um) by Cicero, De liar.
Resp. 15. 32, and as the Caelius Minor by Martial, xii. 18. 6, seems to
have been a smaller and less im- portant section of the Caelian
Hill. quod primae regionis quartum sacrarium scriptum sic est
: Caer(i)olensis 3 : quarticeps 4 circa Minerviuin qua in
Caeli?/(m> monte(m) B itur : in tabernola est. Cflcrolensis s a
Carinarum 7 iunctu dictus; Carinae pote a 8 caeri(m)onia, 9 quod hinc
oritur caput Sacrae Viae ab Streniae sacello quae pertinet in arce(m),
10 qua sacra quotquot mensibus feruntur in arcem et per quam
augures ex arce profecti solent inaugurare. Huius Sacrae Viae pars haec sola volgo nota,
quae est a Foro eunti primore 11 clivo. 48. Eidem regioni
adtributa Subura, quod sub muro terreo Carinarum; in eo est Argeorum
sacel- lum sextum. Subura(m) 1 Iunius scribit ab eo, quod fuerit
sub antiqua urbc; cui testimonium potest esse, quod subest ei 2 loco qui
terreus murus vocatur. Sed (ego a) 3 pago potius Succusano dictam puto
Suc- cusam : (quod in nota etiam) 4 nunc scribitur (SVC) 5 3
Kent, for cerolienses. 4 Aug., for quae
triceps. 5 Aug., for celio monte. 6 Kent, for cerulensis. 7 For
carinaernm. 8 Jordan, for postea. 9 cerimonia Bek- ker, for cerionia. 10
Aug., and Frag. Cass., for arce. 11 Aldus, for primoro. § 48.
1 Wissowa, for subura. 2 Victorius, for et. 3 Added by Laetus (a Frag. Cass.).
4 Added by Mae., after Quintilian, Inst. Orat. i. 7. 29. 5 Added by
Merck- lin, to fill a gap capable of holding three letters, in F;
cf. Quintilian, loc. cit. § 47. ° That is,
Caeliolensis ' pertaining to the Caeliolus.'' Through separation in
meaning from the primitive, the r has been subject to regular
dissimilation as in caerulus for *catlu- lensis, a obviously because the
fourth shrine of the first region is thus written in the records :
Coeriolensis : fourth 6 shrine, near the temple of Minerva, in the
street by which you go up the Caelian Hill; it is in a booth.'
Caeriolensis is so called from the joining of the Carinae with the
Caelian. Carinae is perhaps from caerimonia ' ceremony,' because from
here starts the beginning of the Sacred Way, which extends from the
Chapel of Strenia d to the citadel, by which the offerings are
brought ever)' year to the citadel, and by which the augurs regularly set
out from the citadel for the observation of the birds. Of this Sacred
Way, this is the only part commonly known, namely the part which is
at the beginning of the Ascent as you go from the Forum. 48.
To the same region is assigned the Subura, which is beneath the
earth-wall of the Cannae; in it is the sixth chapel of the Argei. Junius
6 writes that Subura is so named because it was at the foot of the
old city (sub urbe); proof of which may be in the fact that it is under
that place which is called the earth- wall. But I rather think that from
the Succusan dis- trict it was called Succusa; for even now when
abbre- viated it is written SVC, with C and not B as third
his, Parilia for Palilia; possibly association with Carinae
furthered the change. * Cf. § 46, note a. e The words sinistra via or
dexteriore via may have been lost before in tabernola; cf. ten Brink's
note. d A goddess of health and physical well-being. § 48.
" Etymology entirely uncertain. The neuters quod and in eo,
referring to Subura, mutually support each other. 6 M. Junius Gracchanus,
contemporary and partisan of the Gracchi; page 1 1 Huschke. He wrote an
antiquarian work Be Potestatibus. 45 V.
tertia littera C, non B. Pagus Succusanus, quod succurrit
Carinis. 49. Sccundac rcgionis Esquiliae. 1 Alii has scrip-
serunt ab excubiis regis dictas, alii ab eo quod (aes- culis} 2 excultae
a rege Tullio essent. Huic origini magis concinunt loca vicina, 3 quod
ibi lucus dicitur Facutalis et Larum Querquetulanum sacellum et
l?*cus 4 Mefitis et Iunonis Lucinae, quorum angusti fines. Non mirum : iam diu enim late avaritia una
(domina) 5 est. 50. Esquiliae duo montes habiti, quod pars
(Op- pius pars) 1 Cespzus 2 mons suo antiquo nomine etiam nunc in
sacris appellatur. In Sacris Argeorum scriptum sic est :
Oppius Mons : princeps quili(i>s 3 u/s 4 l?. 4 Sunt qui, quod
ibi vimineta 5 fuerint. Coin's 6 Quirinalis, (quod ibi) 7 Quirini fanum.
Sunt qui a Quiritibus, qui cum Tatio Curibus venerunt ad Roma(m), 8 quod
ibi habuerint castra. 52. Quod vocabulum coniunctarum
regionum nomina obliteravit. Dictos enim collis pluris apparet ex
Argeorum Sacrificiis, in quibus scriptum sic est : Collis
Quirinalis : terticeps cis 1 aedem Quirini. Collis Salutaris : quarticeps
adversum est polinar cis 2 aedem Salutis. 13 Mue., for
sceptius. 14 Mue., for
quinticepsois. 15 Laetus, for lacum. 16 Scaliger, for esquilinis.
§ 51. 1 L. Sp., for colles. 2 Laetus, for uiminales. 3 Aug., with
B, for uimino / cf Festus, 376 a 10 M. 4 L. Sp., after ten Brink (arae
eius), for arae. 6 O, Aug., for uiminata. 6 Laetus, for colles. 7 Added
by L. Sp. 8 Ten Brink; Romam Laetus; for ab Roma. § 52. 1
Mue., for terticepsois. 2 Apollinar cis Mue., for pilonarois.
c Apparently to be associated with putidus ' stinking,'
because of the mention of Mefitis a few lines before; but if so, the oe
is a false archaic spelling, out of place in putidus and its kin. Another
possibility is that it is to be connected with the plebeian gens Poetelia;
one of this name was a member of the Second Decemvirate, 450 b.c. d That
is, adjacent to the sacristan's dwelling. Cespian Hill : fifth shrine,
this side of the Poetelian " Grove; it is on the Esquiline.
Cespian Hill : sixth shrine, at the temple of Juno Lucina, where
the sacristan customarily dwells.* 51. To the third region belong
five hills, named from sanctuaries of gods; among these hills are
two that are well-known. The .Viminal Hill got its name from
Jupiter Viminius ' of the Osiers,' because there was his altar; ■ but
there are some a who assign its name to the fact that there were vimineta
' willow- copses ' there. The Quirinal Hill was so named because
there was the sanctuary of Quirinus 6; others c say that it is derived
from the Quirites, who came with Tatius from Cures d to the vicinity
of Rome, because there they established their camp. 52. This
name has caused the names of the adjacent localities to be forgotten. For
that there were other hills with their own names, is clear from the
Sacrifices of the Argei, in which there is a record to this effect °
: Quirinal Hill : third shrine, this side of the temple of
Quirinus. Salutary Hill * : fourth shrine, opposite the temple of
Apollo, this side of the temple of Salus. §51. "Page 118
Funaioli. b Quirinalis, Quirinus, Quirites belong together; but Cures is
probably to be kept apart. c Page 116 Funaioli. d An ancient city of
the Sabines, about twenty-four miles from Rome, the city of Tatius
and the birthplace of Xnma Pompilius, successor of Romulus; cf. Livy, i.
13, 18. § 53. ° Page 6 Preibisch. 6 Sal u tar is, from salus
' preservation '; the temple perhaps marked the place of a victory in a
critical battle, or commemorated the end of a pestilence. We do not know
whether this Salus was the same as Iuppiter Salutaris. mentioned by
Cicero, De Finibus, iii. 20. 66; cf. the Greek Zevs aarrqp ' Zeus the
Saviour.' vol. l E 49 V. Collis Mucialis : quinticeps apud aedem Dei Fidi 3;
in delubro, ubi aeditumus habere solet. Colli's 4 Latiaris 5
: sexticeps in Vico Instef'ano 6 summo, apud au(gu)raculum'; aedificium
solum est. Horum deorum arae, a quibus cognomina habent, in
cius regionis partibus sunt. 53. Quartae regionis Palatium, quod
Pallantes cum Euandro venerunt, qui et Palatini; (alii quod
Palatini), 1 aborigines ex agro Reatino, qui appeliatur Palatium, ibi
conse(de)runt 2; sed hoc alii a Palanto 3 uxore Latini putarunt. Eundem hunc locum a pecore
dictum putant quidam; itaque Naevius Balatium appellat. 5 1.
Huic Cermalum et Velias 1 coniunxerunt, quod in hac rcgione 2 scriptum
est : Germalense : quinticeps apud aedem Romuli.
Et Veliense 3 : sexticeps in Velia apud aedem deum
Penatium. 3 For de i de fidi. 4 For colles. 5 M, Laetus, for
latioris. 6 Jordan, for
instelano; cf Livy, xxiv. 10. 8, in vico Insteio. 7 Turtiebus,for
auraculum. § 53. 1 Added by A. Sp. 2 Fray. Cass., M, Laetus,
for conserunt. 3 Mite., (Palantho L. Sp.), for palantio / cf Fest. 220. 6
M. § 54. 1 For uellias. 2 M, Laetus, for religione. 3
Bentlnus, for uelienses. c 3Ivcialis, apparently from the gens
Mucia; the first known Mucius was the one who on failing to assassinate
Porsenna, the Etruscan king who was besieging Pome, burned his
right hand over the altar-fire and thus gained the cognomen Scae-
vola ' Lefty.' Several Mucii with the cognomen Scaevola were prominent in
the political and legal life of Rome from 215 to 82 b.c. d Detts Fidivs
was an aspect of Jupiter; cf. Greek Zev? marios. e Latiaris 'pertaining
to Latium'; Iuppiter Latiaris was the guardian deity of the Latin
Con- federation, cf. Cicero, Pro Milone, 31. 85. Mucial Hill
e : fifth shrine, at the temple of the God of Faith, 4 in the chapel
where the sacristan customarily dwells. Latiary Hill * : sixth
shrine, at the top of Insteian Row, at the augurs' place of observation;
it is the only building. The altars of these gods, from which they
have their surnames, are in the various parts of this region.
53. To the fourth region belongs the Palatine, so called because
the Pallantes came there* with Evan- der, and they were called also
Palatines; others think that it was because Palatines, aboriginal
inhabitants of a Reatine district called Palatium, 6 settled there;
but others c thought that it was from Palanto, d wife of Latinus. This
same place certain authorities think was named from the pecus ' flocks ';
therefore Naevius e calls it the Balalium f ' Bleat-ine.' 54.
To this they joined the Cermalus ° and the Veliae, 6 because in the
account of this region it is thus recorded c : Germalian :
fifth shrine, at the temple of Romulus, and Velian :
sixth shrine, on the Velia, at the temple of the deified Penates.
§ 53. ° For Palatium, there is no convincing etymology. 6 An
ancient city of the Sabines, on the Via Salaria, forty- eight miles from
Rome, on the banks of the river Velinus. ' Page 116 Funaioli. 4 According
to Festus, 220. 5 M., Palanto was the mother of Latinus; she is called
Pallantia by Servius in Jen. viii. 51. e Frag. Poet. Rom. 28 Baeh-
rens; R.O.L. ii. 56-57 Warmington. 'As though from balare ' to
bleat.' § 54. "There is no etymology for Cermalus; the
word began with C, but for etymological purposes V. begins it with
G, relying on the fact that in older Latin C represented two sounds, c
and g. 6 Apparently used both in the singular, Velia, and in the plural,
Veliae; there is no ety- mology. e Page 7 Preibisch. Germalum a
germanis Romulo et Remo, quod ad ficum ruminalem, et ii ibi inventi, quo
aqua hiberna Tiberis eos detulerat in alveolo expositos. Veliae
unde essent plures accepi causas, in quis quod ibi pastores Palatini ex
ovibus 4 ante tonsuram inventam vellere lanam sint soliti, a quo vellera
5 dieuntur. IX. 55. Ager Romanus primum divisus in partis
tris, a quo tribus appellata Tztiensium, 1 Ramnium, Lueerum. Nominatae,
ut ait Ennius, Titienses ab Tatio, Ramnenses ab Romulo, Lueeres, ut
Iunius, ab Lueumone; sed omnia haee voeabula Tusca, ut Volnius, qui
tragoedias 2 Tuscas seripsit, dicebat. 56. Ab hoe partes 1 quoque
quattuor urbis tribus dietae,ab loeis Suburana, Palatina, Esquilina,
Collina; quinta, quod sub Roma, Romilia; sic reliquae 2 tri(gin)ta
3 ab his rebus quibus in Tribu(u)m Libro 4 scripsi. X. 57.
Quod ad loca quaeque his coniuneta fuerunt, 4 Victorius, for
quibus. 5 Laetvs, for uelleinera (uellaera Frag. Cass.). §
55. 1 Groth, for tatiensium. 2 For tragaedias. § 56. 1 For partis.
2 For reliqna, altered from re- liquae. 3 Turnebus, for trita. 4 Frag.
Cass., L. Sp., for libros. d Page 118 Funaioli.
§ 55. ° Roman possessions in land, both state property and private
estates; as opposed to ager peregrinus ' foreign land.' 6 None of the
etymologies is probable, which is not surprising, as they were of
non-Latin origin, whether or not they were Etruscan. e Ann. i. frag. lix.
Vahlen 2; R.O.L. i. 38-39 Warmington. d Page 121 Funaioli; page 11
Huschke. e Page 126 Funaioli; Volnius is not mentioned elsewhere.
§ 56. ° The four vrbanae tribus ' city tribes.' 6 The
52 ON THE LATIN LANGUAGE, V. 5±-57
Germalus, they say, is from the germani ' brothers ' Romulus and
Remus, because it is beside the Fig-tree of the Suckling, and they were
found there, where the Tiber's winter flood had brought them when they
had been put out in a basket. For the source of the name Veliae I
have found several reasons/* among them, that there the shepherds of the
Palatine, before the invention of shearing, used to vellere ' pluck ' the
wool from the sheep, from which the vellera ' fleeces ' were
named. IX. 55. The Roman field-land a was at first divided
into tris ' three ' parts, from which they called the Titienses, the
Ramnes, and the Luceres each a tribus ' tribe.' These tribes were named,
6 as Ennius says," the Titienses from Tatius, the Ramnenses
from Romulus, the Luceres, according to Junius/* from Lucumo; but
all these words are Etruscan, as Vol- nius, e who wrote tragedies in
Etruscan, stated. 56. From this, four parts of the City also
were used as names of tribes, the Suburan, the Palatine, the
Esquiline, the Colline, a from the places; a fifth, because it was sub
Roma ' beneath the walls of Rome,' M as called Romilian 6; so also the
remaining thirty c from those causes which ris. 1 A qua vi natis dicta
vita et illud a Lucilio : Vis est vita, vides, vis nos facere
omnia cogit. 64. Quare quod caelum principium, ab satu est
dictus Saturnus, et quod ignis, Saturnalibus cerei superioribus
mittuntur. Terra Ops, quod hie omne opus et hac opus ad vivendum, et ideo
dicitur Ops mater, quod terra mater. Haec enim Terris gentis
omnis peperit et resumit denuo, quae Dat cibaria,
8 Sciop.,/or uiere est uincere. 4 Scaliger, for palmam. § 63.
1 L. Sp.; significantes Veneris Laetus; for signi- ficantes se
ueris. ' Vincire is in fact derived from an extension of the
root seen in viere. 3 25 Vahlen 2; R.O.L. i. 404-405 Warming- ton.
h Palma and paria are etymologically separate. § 63. A Greek
legend, invented to connect the name of Aphrodite with dpos ' foam '; cf.
Hesiod, Theogony, 188- 198. The name Aphrodite is probably of Semitic
origin. itself, from vinctura ' binding,' said vieri ' to be
plaited,' that is, vinciri ' to be bound ' f; whence there is the
line in Ennius's Sota 9 : The lustful pair were going, to plait the
Love-god's garland. Palma ' palm ' is so named because, being
naturally bound on both sides, it has paria ' equal * leaves.^
63. The poets, in that they say that the fiery seed fell from the
Sky into the sea and Venus was born "from the foam-masses," °
through the conjunction of fire and moisture, are indicating that the vis
' force' which they have is that of Venus. Those born of this vis
have what is called vita 6 ' life,' and that was meant by Lucilius c
: Life is force, you see; to do everything force doth compel
us. 64. Wherefore because the Sky is the beginning, Saturn
was named from satus a ' sowing '; and because fire is a beginning,
waxlights are presented to patrons at the Saturnalia. 6 Ops c is the
Earth, be- cause in it is every opus ' work ' and there is opus '
need ' of it for living, and therefore Ops is called mother, because the
Earth is the. mother. For she d All men hath produced in all the
lands, and takes them back again, she who Gives
the rations, * Vis and vita are not connected etymological ly. e
1340 Marx. § 64. ° This etymology is unlikely. * Confirmed
by Festus, 54. 16 M. e Ops and opus are connected ety- mologically.
d Ennius, Varia, 48 Vahlen 2; R.O.L. i. 412- 413 Warmington. 61 V.
ut ait Ennius, quae Quod gerit fruges, Ceres;
antiquis enim quod nunc G C. 1 65. Idem hi dei Caelum et
Terra Iupiter et Iuno, quod ut ait Ennius : Istic est is
Iupiter quem dico, quern Grneci vocant Aerem, qui ventus est et nubes,
imber postea, Atque ex imbre frigus, verities 1 post fit, aer
denuo. Hacc(e) 2 propter Iupiter sunt ista quae dico tibi, Qui 3
mortalis, (arva) 4 atque urbes beluasque omnis iuvat. Quod
hi(n)c 5 omnes et sub hoc, eundem appellans dicit : Divumque
hominumque pater rex. Pater, quod patefacit semen : nam turn esse 8
con- ceptual (pat)et, 7 inde cum exit quod oritur. 66. Hoc
idem magis ostendit antiquius Iovis nomen : nam olim Diovis et
Di(e)spiter 1 dictus, id est dies pater; a quo dei dicti qui inde, et
diws 2 et § 64. 1 Lachmann; C quod nunc G Mite.; for quod nunc et. §
65. 1 Laetus, for uentis. 2 Mor. Jlaupt; haecce Mae.; for haec. 3 Aug.,
with B, for qua. 4 Added by Schoell. 5 L. Sp., for hie. 6 Mue., for
est. 7 Mue., for et. § 66. 1 Laetus, for dispiter. 2
Bentinus, for dies. 'Varia, 49-50 Vahlen 2; R.O.L. i.
412-413 Warmington; gerit and Ceres are not connected. / There was a
time when C had its original value g (as in Greek, where the third
letter is gamma) and had taken over also the value of K. The use of the
symbol G for the sound g was later. C in the value g survived in C. =
Gaius, Cn. = Gnaeus. § 65. Varia, 54-58 Vahlen 2; R.O.L. i. 414-415
Warm- ington. * Iupiter and iuvare are not related. c An- as Ennius
says, e who Is Ceres, since she brings (gerit) the fruits.
For with the ancients, what is now G, was written C/ 65. These same
gods Sky and Earth are Jupiter and Juno, because, as Ennius says,°
That one is the Jupiter of whom I speak, whom Grecians call
Air; who is the windy blast and cloud, and after- wards the rain;
After rain, the cold; he then becomes again the wind and air.
This is why those things of which I speak to you are Jupiter
: Help he gives * to men, to fields and cities, and to
beasties all. Because all come from him and are under him, he
addresses him with the words c : O father and king of the gods and
the mortals. Pater ' father ' because he patefacit d ' makes
evident ' the seed; for then it patet ' is evident ' that concep-
tion has taken place, when that which is born comes out from it.
66. This same thing the more ancient name of J upiter a shows even
better : for of old he was called Diovis and Diespiter, that is, dies
pater ' Father Day " b; from which they who come from him are called
dei ' deities,' and dius ' god ' and divum ' sky,' whence sub divo
' under the sky,' and Dius Fidius ' god of nates, 5S0 Vahlen 2;
R.O.L. i. 168-169 Warmington. d Pater and patere are not related.
§ 66. ° Iu- in Iupiter, Diovis, Dies, deus, Dius, divum belong
together by etymology. b K. O. Mueller thought that Yarro meant dies as
the old genitive, ' father of the day,' instead of as a nominative in
apposition; but this is hardly likely. 63 V.
divum, unde sub divo, Dius Fidius. Itaque inde eius
perforatum tectum, ut ea videatur divum, id est caelum. Quidam negant sub
tecto per hunc deierare oportere. Aelius Dium Fid(i)um dicebat
Diovis filium, ut Grceci Aiocr/vopoi' Castorem, et putabat 3 hunc
esse Sancum 4 ab Safeina lingua et Herculem a Graeca. Idem hie Dis 5
pater dicitur infimus, qui est coniunctus terrae, ubi omnia (ut) 6
oriuntur ita? abori- untur; quorum quod finis ortu(u)m, Orcus 8
dictus. 67. Quod Iovis Iuno coniunx et is Caelum, haec Terra,
quae eadem Tellus, et ca dicta, quod una iuvat cum love, Iuno, et Regina,
quod huius omnia ter- restria. 68. Sol 1 vel quod ita
Sa&ini, vel (quod) 2 solus 3 ita lucet, ut ex eo dco dies sit. Luna,
vel quod sola lucet noctu. Itaque ea dicta Noctiluca in Palatio :
nam i.bi noctu lucet templum. Hanc ut Solem Apollinem quidam Dianam
vocant (Apollinis vocabulum Grae- cum alterum, altcrum Latinum), et hinc
quod luna in altitudinem et latitudinem simul it, 4 Diviana appel-
lata. Hinc Epicharmus Ennii Proserpinam quoque 3 Puccius, for
putabant. 4 Scaliger, for sanctum. 6 Mm., for dies. 6 Added by Miie. 7
Mue., for ui. 8 Tnrnebus, for ortus. § 68. 1 Laetus, with M,
for sola. 2 Added by Aug., with B. 3 Sclop., for solum. 4 L. Sp., for
et. c Page 60 Funaioli. d Sabine Sancus and the
Umbrian divine epithet Sangio- are connected with Latin sanclre '
to make sacred,' sacer 'sacred.' ' Dis is the short form of dives '
rich,' cf. the genitive divitis or ditis, and is not con- nected with
dies; it is a translation of the Greek ITAoutoji' ' Pluto,' as 'the rich
one,' from -ttXoCtos 'wealth.' f The Italic god of death, not connected
with ortus, but perhaps with arcere ' to hem in,' as ' the one who
restrains the dead.' § 67. a Not connected either with Iupiter or with
iitvare. 64 OX THE LATIN LANGUAGE, V.
6&-68 faith.' Thus from this reason the roof of his
temple is pierced with holes, that in this way the divum, which is
the caelum ' sky,' may be seen. Some say that it is improper to take an
oath by his name, when you are under a roof. Aelius c said that Dins
Fidius was a son of Diovis, just as the Greeks call Castor the son
of Zeus, and he thought that he was Sancus in the Sabine tongue, d and
Hercules in Greek. He is like- wise called Dispater e in his lowest
capacity, when he is joined to the earth, where all things vanish
away even as they originate; and because he is the end of these
ortus ' creations,' he is called OrcusJ 67. Because Juno is
Jupiter's wife, and he is Sky, she Terra ' Earth,' the same as Tellus '
Earth,' she also, because she iuvat ' helps ' una ' along ' with
Jupiter, is called Juno,° and Regina ' Queen,' because all earthly things
are hers. 68. Sol a ' Sun ' is so named either because the
Sabines called him thus, or because he solus ' alone ' shines in such a
way that from this god there is the daylight. Luna ' Moon ' is so named
certainly be- cause she alone ' lucet ' shines at night. Therefore
she is called Noctiluca ' Night-Shiner ' on the Pala- tine; for there her
temple noctu lucet ' shines by night.' 6 Certain persons call her Diana,
just as they call the Sun Apollo (the one name, that of Apollo, is
Greek, the other Latin); and from the fact that the Moon goes both high
and widely, she is called Diviana. c From the fact that the Moon is wont
to be under the § 6S. " Not connected with solus. * Either
because the white marble gleams in the moonlight, or because a
light was kept burning there all night. 'An artificially pro-
longed form of Diana; V. seems to have had in mind deviare ' to go aside
' as its basis. vol. if appellat, quod solet esse sub terris. Dicta
Proserpina, quod haec ut serpens modo in dexteram modo in
sinisteram partem late movetur. Serpere et proser- pere idem dicebant, ut Plautus
quod scribit : Quasi proserpens bestia. 69. Quae ideo
quoque videtur ab Latinis Iuno Lucina dicta vel quod est e(t) 1 Terra, ut
physici dicunt, et lucet; vel quod 2 ab luce eius qua quis
conceptus est usque ad earn, qua partus quis in lucem, (l)una 3 iuvat,
donee mensibus actis produxit in lucem, ficta ab iuvando et luce Iuno
Lucina. A quo parientes earn invocant : luna enim nascentium dux
quod menses huius. Hoc vidisse antiquas apparet, quod mulieres
potissimum supercilia sua attribuerunt ei deae. Hie enim debuit maxime
collocari Iuno Lucina, ubi ab diis lux datur oculis. 70.
Ignis a (g)nascendo, 1 quod hinc nascitur et omne quod nascitur ignis s(uc)cendit
2; ideo calet, ut qui denascitur eum amittit ac frigescit. Ab ignis
iam maiore vi ac violentia Volcanus dictus. Ab eo quod § 69. 1 L. Sp., for e . 2 For quod
uel. 3 Sciop., for una. § 70. 1 Mue., for nascendo. 2 OS.,
for scindit. d Ennius, Varia, 59 Vahlen 2 . Proserpina is really
borrowed from Greek Hepoe6vri, but transformed in popular speech
into a word seemingly of Latin antecedents. e Poenulus 1034, Stichus 724;
in both passages meaning a snake. § 69. ° Lucina, from lux '
light,' indicates Juno as goddess of child-birth. 6 Equal to ' full
moon,' or ' month.' lands as -well as over them, Ennius's Epicharmus
calls her Proserpina.* Proserpina received her name because she,
like a serpens ' creeper,' moves widely now to the right, now to the
left. Serpere ' to creep ' and proserpere ' to creep forward ' meant the
same thing, as Plautus means in what he writes e : Like a
forward-creeping beast. 69. She appears therefore to be called by
the Latins also Juno Lucina, either because she is also the Earth,
as the natural scientists say, and lucet ' shines '; or because from that
light of hers 6 in which a conception takes place until that one in
which there is a birth into the light, the Moon continues to help,
until she has brought it forth into the light when the months are past, the
name Juno Lucina was made from iuvare ' to help ' and lux ' light.' From
this fact women in child-birth invoke her; for the Moon is the
guide of those that are born, since the months belong to her. It is clear
that the women of olden times observed this, because women have given
this goddess credit notably for their eyebrows." For Juno Lucina
ought especially to be established in places where the gods give light to
our eyes. 70. Ignis ' fire ' is named from gnasci a 'to be
born,' because from it there is birth, and everything which is born the
fire enkindles; therefore it is hot, just as he who dies loses the fire
and becomes cold. From the fire's vis ac violentia ' force and
violence,' now in greater measure, Vulcan was named." From the
fact that fire on account of its brightness fulget e Because the
eyebrows protect the eyes by which we enjoy the light (Festus, 305 b 10
M.). § 70. a False etymologies. ignis propter splendoreni fulget,
fulgwr 3 et fulmen, et fulgur(itum) 4 quod fulmine ictum. 71.
(In) 1 contrariis diis, ab aquae lapsu lubrico lt/mpha. Lympha Iuturna
quae iuvaret : itaque multi aegroti propter id nomen hinc aquam
petere solent. A fontibus et fluminibus ac ceteris aqm's 2 dei, ut
Tiberinus ab Tiberi, et ab lacu Velini Velinia, et Lymphae Com(m)otiZ(e)s
3 ad lacum Cutiliensem a commotu, quod ibi insula in aqua
commovetur. 72. Neptunus, quod mare terras obnubit ut nubes
caelum, ab nuptu, id est opertione, ut antiqui, a quo nuptiae, nuptus
dictus. Salacia Neptuni ab salo. Vem'lia 1
a veniendo ac vento illo, quern Plautus dicit : Quod ille 2 dixit
qui secundo vento vectus est Tranquillo mari, 3 ventum gaudeo.
73. Bellona ab
bello nunc, quae Duellona a duello. 3 Canal, for fulgor. 4
Turnebus, for fulgur. § 71. 1 Added by Madvig, who began the
sentence here instead of after diis. 2 V, p,for ceteras aquas. 3
GS„ for comitiis. § 72. 1 Aug., for uenelia. 2 mss. of
Plautus, for ibi F. 3 mss. of Plautus have mare. 6 The
three words are from fulgere ' to flash '; but the -Hum of fulguritum is
suflixal only, and is not connected with ictum. § 71. °
Properly from the Greek vu^ij, with dissimilative change of the first
consonant. 6 The first part may be the same element seen in Iupiter, but
is certainly not connected with iuvare. e A lake in the Sabine country,
formed by the spreading out of the Avens River a few miles southeast
of Interamna. d A lake in the Sabine country, a few miles east of
Reate, in which there was a floating island which drifted with the
wind. § 72. ° Neptunus is not connected with the other words,
though nubes may perhaps be related to nubere and its' flashes,' come fulgur '
lightning-flash ' and fulmen ' thunderbolt,' and what has been fulmine
ictum ' hit by a thunderbolt ' is catted fulguritum. b 71.
Among deities of an opposite kind, Lympha a ' water-nymph ' is derived
from the water's lapsus lubricits ' slippery gliding.' Juturna 6 was a
nymph whose function was ittvare ' to give help '; therefore many
sick persons, on account of this name, are wont to seek water from her
spring. From springs and rivers and the other waters gods are named,
as Tiberinus from the river Tiber, and Yelinia from the lake of the
Velinus, c and the Commotiles ' Restless ' Nymphs at the Cutilian Lake, d
from the commotus ' motion,' because there an island commovetar '
moves about ' in the water. 72. Neptune, because the sea
veils the lands as the clouds veil the sky, gets his name from
nuptus ' veiling,' that is, opertio ' covering,' as the ancients
said; from which nupiiae ' wedding,' nuptus ' wed- lock ' are derived.
Salacia, 6 wife of Neptune, got her name from salum ' the surging sea.'
Venilia c was named from venire ' to come ' and that ventus ' wind
' which Plautus mentions d : As that one said who with a
favouring wind was borne Over a placid sea : I'm glad I went.*
73. Bellona ' Goddess of War ' is said now, from helium a ' war,'
which formerly was Duellona, from derivatives. 6 Almost certainly
an abstract substantive to salax ' fond of leaping, lustful, provoking
lust *; though popularly associated with salum. c There is a Venilia
in the Aeneid, x. 76, a sea-nymph who is the mother of Turnns. d
Cistellaria, 14-15. * Punning on ventum. : the last phrase may mean also
" I'm glad there was a wind." § 73. ' Correct.
69 V. Mars ab eo quod maribus in
bello praeest, aut quod Sabinis acceptus ibi est Mamers. Quirinus a
Quiri- tibus. Virtus ut viri^us 1 a virilitate. Honos ab 2 onere : itaque honestum
dicitur quod oneratum, et dictum : Onus est honos qui
sustinet rem publicam. Castoris nomen Graecum, Pollucis a Graecis;
in Latinis litteris veteribus nomen quod est, inscribitur ut
IloXvSevK-qs 3 Polluces, non ut nunc 4 Pollux. Con- cordia a corde congruente. 74.
Feronia, Minerva, Novensides a Sa&inis. Paulo aliter ab eisdem dicimus haec : Palem, 1
Vestam, Salutem, Fortunam, Fontem, Fidem. E(t> arae 2 Sabinum
linguam olent, quae Tati regis voto sunt Romae dedicatae : nam, ut
annales dicunt, vovit Opi, Florae, Vediovi 3 Saturnoque, Soli, Lunae,
Volcano ct Summano, itemque Larundae, Termino, Quirino, Vortumno,
Laribus, Dianae Lucinaeque; e quis non- nulla nomina in utraque lingua
habent radices, ut arbores quae in confinio natae in utroque agro
ser- § 73. 1 Scaliger, for uiri ius. 2 After ab, Woelfflin
deleted honesto. 3 For pollideuces. 4 For nuns. § 74. 1 Scaliger,
for hecralem. 2 Mue., for ea re. 3 Mue., for floreue dioioui.
6 Mars and Mamers go together, but mares ' males ' is quite
distinct. c Virtus is in fact from vir. d Honos and onus are quite distinct.
* Com. Rom. Frag., page 147 Ribbeck 3 . 'As in inscriptions, where such
spellings are found. 9 Essentially correct. § 74. ° An old
Italian goddess, later identified with Juno. 6 Apparently ' new
settlers,' from novus and insidere, used of the gods brought from
elsewhere as distinct from the indigetes or native gods. c It is unlikely
that all the deities of the duellum. Mars is named from the fact that he
com- mands the mares ' males ' in war, or that he is called Mamers
6 among the Sabines, with whom he is a favourite. Quirinus is from
Quirites. Virtus ' valour,' as viritus, is from virilitas ' manhood.' e
Honos ' honour, office ' is said from onus d ' burden '; therefore
hones- turn ' honourable ' is said of that which is oneratum '
loaded with burdens,' and it has been said : Full onerous is the
honour which maintains the state/ The name of Castor is Greek, that
of Pollux likewise from the Greeks; the form of the name which is
found in old Latin literature 1 is Polluces, like Greek lloXvSevKijs, not
Pollux as it is now. Concordia ' Con- cord ' is from the cor congruens '
harmonious heart.' 9 74. Feronia, a Minerva, the Novensides 6 are
from the Sabines. With slight changes, we say the follow- ing, also
from the same people c : Pales, d Vesta, Salus, Fortune, Fons, e Fides '
Faith.' There is scent of the speech of the Sabines about the altars
also, which by the vow of King Tatius were dedicated at Rome : for,
as the Annals tell, he vowed altars to Ops, Flora, Vediovis and Saturn,
Sun, Moon, Vulcan and Summa- nus, f &nd likewise to Larunda, 9
Terminus, Quirinus, V er- tumnus, the Lares, Diana and Lucina; some of
these names have roots in both languages,* like trees which have
sprung up on the boundary line and creep about next two lists were
brought in from elsewhere; many of the names are perfectly Roman. d
Goddess of the shepherds, who protected them and their flocks. ' God of
Springs; cf. vi. 22. 1 A mysterious deity who was considered
responsible for lightning at night. * Called also Lara, a tale-bearing
nymph whom Jupiter deprived of the power of speech. * Quite possible, but
very unlikely in the cases of Saturn and Diana. pwnt* : potest enim Saturnus hie
de alia causa esse dictus atque in Sabinis, et sic Diana, 5 de quibus
supra dictum est. XL 75. Quod ad immortalis attinet, haec;
de- inceps quod ad mortalis attinet videamus. De his animalia in
tribus locis quod sunt, in aere, in aqua, in terra, a summa parte (ad) 1
infimam descendam. Primum nomm(a) omm'wm 2 : alites (ab) alis, 3
volucres a volatu. Deinde generatim : de his pleraeque ab suis
vocibus ut haec : upupa, cuculus, corvus, Airundo, ulula,bubo; item haec
: pavo, anser,gallina,columba. 76. Sunt quae aliis de causis
appellatae, ut noctua, quod noctu canit et vigilat, lusci(ni)ola, 1 quod
luctuose canere existimatur atque esse ex Attica Progne in luctu
facta avis. Sic galeritfus 2 et motacilla, altera quod in capite habet
plumam elatam, altera quod semper movet caudam. Merula, quod mera, id
est sola, volitat; contra ab eo graguli, quod gregatim, * For
serpent. 5 Aldus, for
dianae. §75. 1 Added by O, II. 2 Fay; nomen omnium Mite.; for
nomen nominem. 3 Aug., for alii. §76. 1 Victorius, for lusciola. 2
Aug., with B, for galericus. * Saturn in § 64, Diana
in § 68. §75. "The first six, except hirvndo (of unknown
ety- mology), are onomatopoeic. Of the last four, pavo is borrowed
from an Oriental language; anser is an old Indo- European word; gallina
is ' the Gallic bird '; cohimba is named from its colour.
§76. "Perhaps correct, if from luges-cania 'sorrow- singer.' *
Procne, daughter of Pandion king of Athens and wife of Tereus king of
Thrace, killed her son Itys and served him to his father for food, in
revenge for his ill-treat- ment and infidelity; see Ovid, Metamorphoses,
vi. 424-674. c Literally ' hooded,' wearing a galerum or hood-like
helmet. d If not correct, then a very reasonable popular etymology. in
both fields : for Saturn might be used as the god's name from one source
here, and from another among the Sabines, and so also Diana; these names
I have discussed above.* XL 75. This is what has to do with
the immortals; next let us look at that which has to do with mortal
creatures. Amongst these are the animals, and because they abide in three
places — in the air, in the water, and on the land — I shall start from
the highest place and come down to the lowest. First the names of
them all, collectively : alites ' winged birds ' from their alae '
wings,' volucres ' fliers ' from volaius ' flight.' Next by kinds : of
these, very many are named from their cries, as are these : upupa '
hoopoe,' cuculus ' cuckoo,' corvus ' raven,' hirundo ' swallow,'
ulula ' screech-owl,' bubo ' horned owl '; likewise these : pavo '
peacock,' anser ' goose,' gallina ' hen,' columba ' dove.' °
76. Some got their names from other reasons, such as the noctua '
night-owl,' because it stays awake and hoots noctu ' by night,' and the
lusciniola ' night- ingale,' because it is thought to canere ' sing '
luctuose ' sorrowfully ' ° and to have been transformed from the
Athenian Procne 6 in her luctus ' sorrow,' into a bird. Likewise the
galeritus c ' crested lark ' and the motacilla ' wagtail,' the one because
it has a feather standing up on its head, the other because it is
always moving its tail."* The merula ' blackbird ' is so named
because it flies mera ' unmixed,' that is, alone e; on the other hand,
the graguli f 'jackdaws ' got their names because they fly gregatim ' in
flocks,' as certain e That is, without other birds, like wine
without water : an absurd etymology. f Properly graculi; not connected
with greges. ut quidam Graeci greges yepyepa. Ficedula(e) 3 et miliariae a cibo, quod alterae
fico, alterae milio fiunt pingues. XII. 77. Aquatilium
vocabula animalium partim sunt vernacula, partim peregrina. Foris
muraena, quod p.vpa.iva Gracce, cybium 1 et thynnus, cuius item
partes Graecis vocabulis omnes, ut melander atque uraeon. Vocabula
piscium pleraque translata a ter- restribus ex aliqua parte similibus
rebus, ut anguilla, lingulaca, sudis 2; alia a coloribus, ut haec :
asellus, umbra, turdus; alia a vi quadam, ut haec : lupus,
canicula, torpedo. Item in conchyliis aliqua ex Graecis, ut peloris,
ostrea, echinus. Vernacula ad similitudinem, ut surenae, 3 pectunculi,
ungues. XIII. 78. Sunt etiam animalia in aqua, quae in terram
interdum exeant : alia Graecis vocabulis, ut pohypus, hzppo(s) potamios,
1 crocodilos, 3 alia Latinis, 3 Ed. Veneta, for ficedula. §77. 1 Aldus, for
cytybium. 2 Aldus, for lingula casudis. 3 For syrenae. § 78.
1 L. Sp., for yppo potamios. 2 For crocodillos. 9 Correct; V.,
De Re Rustica, iii. 5. 2, speaks of miliariae as prized delicacies,
raised and fattened for the table. § 77. The identification of many
animals and fishes is quite uncertain, and the translation is therefore
tentative. But the etymological views in § 77 and § 78 are
approximately correct. 6 More precisely, the flesh of the young
tunny salted in cubes. " Seemingly a variant form for melan-
dryon, Greek fie\dv8pvoi> ' slice of the large tunny called He\dv8pvs
or black-oak.' d From Greek ovpatos 'pertain- ing to the tail (oi)pa).'
'Diminutive of anguis 'snake.' / Because flat like a lingua ' tongue ';
lingulaca means also Greeks call greges ' flocks ' yepytpa. Ficedulae '
fig- peckers ' and miliariae ' ortolans ' are named from their
food, 9 because the ones become fat on the Jicus ' fig,' the others on
milium ' millet.' XII. 77. The names of water animals are
some native, some foreign." From abroad come muraena ' moray,'
because it is pvpaiva in Greek, cybium ' young tunny ' 6 and thunnus '
tunny,' all whose parts likewise go by Greek names, as melander ' black-oak-piece
' and uraeon d ' tail-piece.' Very many names of fishes are
transferred from land objects which are like them in some respect, as
anguilla e ' eel,' lingulaca f ' sole,' sudis 9 ' pike.' Others come from
their colours, like these : asellus ' cod,' umbra ' grayling,' turdus '
sea- carp.' h Others come from some physical power, like these :
lupus ' wolf-fish,' canicula ' dogfish,' torpedo 1 electric ray.' *
Likewise among the shellfish there are some from Greek, as peloris '
mussel,' ostrea ' oyster,' echinus ' sea-urchin '; and also native
words that point out a likeness, as surenaej pectunculi k '
scallops,' ungues 1 ' razor-clams.' XIII. 78. There are also
animals in the water, which at times come out on the land : some
with Greek names, like the octopus, the hippopotamus, the crocodile;
others with Latin names, like rana ' frog,' ' chatter-box,
talkative woman.* ' On land, a ' stake.' * On land, respectively ' little
ass,' ' shadow,' * thrush.' ' On land, respectively ' wolf,' ' little
dog,' ' numbness.' 1 Of unknown meaning, and perhaps a corrupt reading;
Groth, De Codice Florentino, 27 (105), suggests pernae from Pliny, Nat.
Hist, xxxii. 11. 54. 154, who mentions the perna as a sea-mussel standing
on a high foot or stalk, like a haunch of ham with the leg. * On land, '
little combs,' diminutive of pecten. 1 ' Finger-nails '; perhaps not
the razor-clam, but a small clam shaped like the finger-nail.
75 V. ut
rana, (anas), 3 mergus; a quo Graeci ea quae in aqua et terra possunt
vivere vocant dfufiifiia. E quis rana ab sua dicta voce, anas a nando,
mergus quod mergendo in aquam captat escam. 79. Item alia 1
in hoc genere a Graecis, ut quer- quedula, (quod) 2 K€pK?yS?;s, 3 alcedo,
4 quod ea (xAkcwv; Latina, ut testudo, quod testa tectum hoc
animal, lolligo, quod subvolat, littera commutata, primo vol- ligo.
Ut ^4egypti in flumine quadrupes sic in Latio, nominati lw(t)ra 5 et
fiber. Lw(t)ra, 5 quod succidere dicitur arborum radices in ripa atque
eas dissolvere : ab (luere) ktra. 6 Fiber, ab extrema ora fluminis
dextra et sinistra maxime quod solet videri, et antiqui februm dicebant
extremum, a quo in sagis fimbr(i)ae ct in iecore extremum fibra, fiber dictus.
XIV. 80. De
animalibus in locis terrestribus quae sunt hominum propria primum, deinde
de pecore, tertio de feris scribam. Incipiam ab honore publico. 3 Added by
Aug. § 79. 1 L. Sp., with B, for aliae. 2 Added by Kent. 3
OS., for cerceris. 4 Groth; halcedo Laettis; for algedo. 5 GS.; lytra
Turnebus; for lira. 6 Stroux; ab luere Scaliger; for ab litra.
§ 78. Of. § 77, note a. § 79. Conjectural purely. * An absurd
etymology. c Originally udra ' water-animal,' with I from association
with lutum ' mud ' or lutor ' washer.' V. attributes to the otter
the tree-felling habit of the beaver. d Properly ' the brown animal.' e
Fiber, fimbriae, fibra have no etymologi- cal connexion.
76 ON THE L ATI NT LANGUAGE, V. 78-80 anas
' duck,' mergus ' diver.' Whence the Greeks give the name amphibia to
those which can live both in the water and on the land. Of these, the
rana is named from its voice, the anas from nare ' to swim,' the
mergus because it catches its food by mergendo ' diving ' into the
water. 79. Likewise there are other names in this class, that
are from the Greeks, as querquedula ' teal,' because it is Ke/DK/}S?;?,°
and alcedo ' kingfisher,' because this is olXkvcjv : and Latin names,
such as testudo ' tortoise,' because this animal is covered with a testa
' shell,' and lolligo ' cuttle-fish,' because it volat ' flies ' up
from under, 6 originally volligo, but now with one letter changed.
Just as in Egypt there is a quadruped living in the river, so there are
river quadrupeds in Latium, named Intra ' otter ' and fiber ' beaver.'
The lutra c is so named because it is said to cut off the roots of
trees on the bank and set the trees loose : from luere ' to loose,'
lutra. The beaver d was called fiber because it is usually seen very far
off on the bank of the river to right or to left, and the ancients called
a thing that was very far off afebrum; from which in blankets the
last part is called fimbriae ' fringe ' and the last part in the liver is
the fibra ' fibre.' 6 XIV. 80. Among the living beings on the land,
I shall speak first of terms which apply to human beings, then of
domestic animals, third of wild beasts. I shall start from the offices of
the state. The Consul was § 80. Properly, consulere is derived from
consul. Of consul, at least four reasonable etymologies are proposed, the
simplest being that it is from com+sed ' those who sit to- gether,' as
there were two consuls from the beginning; the I for d being a
peculiarity taken from the dialect of the Sabines (cf. lingua for older
dingua). Consu Jnominatus qui consuleret populum et senatum, nisi
illinc potius uiide Accius 1 ait in Bruto : Qui recte consulat,
consul /iat. 2 Praetor dictus qui praeiret iure et exercitu; a quo
id Lucilius : Ergo praetorum est ante et praeire.
81. Censor ad cuius
censionem, id est arbitrium, censeretur populus. Aedilis qui aedis sacras
et privatas procuraret. Quaestores a quaerendo, qui conquirerent
publicas pecunias et maleficia, quae triumviri capitales nunc conquirunt;
ab his postea qui quaestionum iudicia exercent quaes^tores 1 dicti.
Tribuni militum, quod terni tribus tribubus Ramnium, Lucerum, Titium olim
ad exercitum mitte- bantur. Tribuni plebei, quod ex tribunis
militum primum tribuni plebei facti, qui plebem defenderent, in
secessione Crustumerina. 82. Dictator, quod a consule dicebatur,
cui dicto audientes omnes essent. Magister equitum, quod §
80. 1 Later codices, for tatius F 1, p*, taccius F 2, V, a. 2 Laetus, for
consulciat. § 81. 1 Mommsen, for quaestores. *
Trag. Rom. Frag. 39 Ribbeck 3; R.O.L. ii. 561-565 War- mington. c lure is
dative. d 1160 Marx. § 81. ° The tribunus was by etymology merely
the ' man of the tribus or tribe,' and therefore did not derive his
name from the word for ' three,' except indirectly; cf. § 55. 6
That is, elected by the plebeians from among their military tribunes whom
they had chosen to lead them in their Seces- sion to the Sacred Mount
(which may have lain in the terri- tory of Crustumerium), in 494 B.C. Their
persons were so named as the one who should consulere ' ask the
advice of ' people and senate, unless rather from this fact whence Accius
takes it when he says in the Brutus b : Let him who counsels
right, become the Consul. The Praetor was so named as the one who
should praeire ' go before ' the law c and the army; whence
Lucilius said this d : Then to go out in front and before is the
duty of praetors. 81. The Censor was so named as the one at
whose censio ' rating,' that is, arbitrium ' judgement,' the people
should be rated. The Aedile, as the one who was to look after aedes '
buildings ' sacred and private. The Quaestors, from quaerere' to seek,'
who conquirerent ' should seek into ' the public moneys and illegal
doings, which the triumviri capitales ' the prison board ' now
investigate; from these, afterwards, those who pronounce judgement on the
matters of investigation were named quaesitores ' inquisitors.' The
Tribuni a Militum ' tribunes of the soldiers,' because of old there
were sent to the army three each on behalf of the three tribes of Ramnes,
Luceres, and Tities. The Tribuni Plebei ' tribunes of the plebs,' because
from among the tribunes of the soldiers tribunes of the plebs were
first created, 6 in the Secession to Crustumerium, for the purpose
of defending the plebs ' populace.' 82. The Dictator, because he
was named by the consul as the one to whose dictum ' order * all
should be obedient. The Magister Equitum ' master of the
sacrosanct, enabling them to carry out their duty of protect- ing
the plebeians against the injustice of the patrician officials. § 82. °
Rather, because he dictat ' gives orders.' summa potestas huius in
equites et acccnsos, ut est summa populi dictator, a quo is quoque
magister populi appellatus. Reliqui, quod minorcs quam hi magistri,
dicti magistratus, ut ab albo albatus. XV. 83. Sacerdotes universi
a sacris dicti. Pontu- fices, ut 1 Scaevola Quintus pontufex maximus
dicebat, a posse et facere, ut po(te)ntifices. 2 Ego a ponte
arbitror : nam ab his Sublicius est factus primum ut restitutus saepe,
cum ideo sacra et uls 3 et cis Tiberim non mediocri ritu fiant. Curiones
dicti a curiis, qui fiunt ut in his sacra faciant. 84.
Flamines, quod in Latio capite velato erant semper ac caput cinctum
habebant filo, flamines 1 dicti. Horum singuli cognomina habent ab eo
deo cui sacra faciunt; sed partim sunt aperta, partim obscura :
aperta ut Martialis, Volcanalis; obscura Dialis et Furinalis, cum Dialis
ab love sit (Diovis enim), Furi(n)alis a Furriwa, 2 cuius etiam in
fastis §83. 1 After ut, Ed. Veneta deleted a. 2 OS., for
pontifices, cf. v. 4. 3 For uis. § 84. 1 Canal, for flamines, cf.
Festus, 87. 15 M. 2 L. Sp.; Furina Aldus; for furrida.
6 Not quite; for magistratus is a fourth declension sub- stantive,
' office of magister,' then ' holder of such an office,' while albatus is
a second declension adjective. § 83. ° Q. Mucius Scaevola, consul
95 b.c, and subse- quently Pontifex Maximus; proscribed and killed by
the Marian party in 82. He was a man of the highest character and
abilities, and made the first systematic compilation of the ius civile;
see i. 1 9 Huschke. 6 V. may be right, though perhaps it was the '
bridges ' between this world and the next which originally the pontifices
were to keep in repair; cf. Class. Philol. viii. 317-326 (1913).
"The wooden bridge on piles, traditionally built by Ancns Marcius. d
The curia 80 ON THE LATIN LANGUAGE, V.
82-84 cavalry,' because he has supreme power over the
cavalry and the replacement troops, just as the dictator is the highest
authority over the people, from which he also is called magister, but of
the people and not of the cavalry. The remaining officials, because they
are inferior to these magistri ' masters,' are called magistratus ' magistrates,'
derived just as albatus ' whitened, white-clad ' is derived from albus '
white.' 6 XV. 83. The sacerdotes ' priests ' collectively
were named from the sacra ' sacred rites.' The pontifices '
high-priests,' Quintus Scaevola a the Pontifex Maxi- mus said, were
'named from posse ' to be able ' and facet e ' to do,' as though
potentifices. For my part I think that the name comes from pons ' bridge
' 6; for by them the Bridge-on-Piles c was made in the first place,
and it was likewise repeatedly repaired by them, since in that connexion
rites are performed on both sides of the Tiber with no small ceremony.
The curiones were named from the curiae; they are created for
conducting sacred rites in the curiae.* 84. The jiamines a '
flamens,' because in Latium they always kept their heads covered and had
their hair girt with a woollen filum ' band,' were originally called
Jilamines. Individually they have distinguish- ing epithets from that god
whose rites they perform; but some are obvious, others obscure : obvious,
like Martialis and Volcanalis; obscure are Dialis and Furinalis,
since Dialis is from Jove, for he is called also Diovis, and Furinalis
from Furrina, 6 who even has a was the fundamental political unit
in the early Roman state; it was an organization of yentes, originally
ten to the curia, and ten curiae to each of the three tribes.
§ 84. ° Of uncertain etymology, but not from filamen. b A goddess,
practically unknown. feriae Furinales sunt. Sic flamen Falacer a divo
patre Falacre. 85. Salii ab salitando, quod facere in comitiis
in sacris quotannis et solent et debent. Luperci, quod Lupercalibus
in Lupercali sacra faciunt. Fratres Arvales dicti qui sacra publica
faciunt propterea ut fruges ferant arva : a ferendo et arvis Fratres
Arvales dicti. Sunt qui a fratria dixerunt : fratria est Groe- cum
vocabulum partis 1 hominum, ut (Ne)apoli 2 etiam nunc. Sodales Titii pdrrjp '
clan brother '; any reference to it is here out of place. f Ac-
cording to Tacitus, Ann. i. 54, they were established by Titus Tatius for
the preservation of certain Sabine religious practices. § 86.
Perhaps from an old word meaning ' law,' from the root seen in feci ' I
made, established '; but without connexion with the words in the text.
Foedus, fides, fidus are closely connected with one another. 6 In the
early 82 OX THE LATIN LANGUAGE, V. 84-86
Furinal Festival in the calendar. So also the Flamen Falacer
from the divine father Falacer. 6 85. The Salii were named ° from
salitare ' to dance,' because they had the custom and the duty of
dancing yearly in the assembly-places, in their cere- monies. The Luperci
6 were so named because they make offerings in the Lupercal at the
festival of the Lupercalia. Fratres Arvales 1 Arval Brothers ' was
the name given to those who perform public rites to the end that the
ploughlands may bearfruits : from ferre ' to bear ' and arva '
ploughlands ' they are called Fratres Arvales'. But some have said d that
they were named from fratria ' brotherhood ' : fratria is the Greek
name of a part of the people, e as at Naples even now. The Sodales Titii
' Titian Comrades ' are so named from the titiantes ' twittering ' birds
which they are accustomed to watch in some of their augural
observations/ 86. The Fetiales a ' herald-priests,' because
they were in charge of the state's word of honour in matters
between peoples; for by them it was brought about that a war that was
declared should be a just war, and by them the war was stopped, that by
a foedus ' treaty ' thejides ' honesty ' of the peace might be
established. Some of them were sent before war should be declared, to
demand restitution of the stolen property, 6 and by them even now is made
the foedus ' treaty,' which Ennius writes c was pronounced
Jidus. days wars started chiefly as the result of raids in
which property, cattle, and persons had been carried off. e Page
23S Vahlen*; R.O.L. i. 5&4 Warmington; Ennius probably wished by a
pun to indicate a relation between foedus and the adjective Jidus which,
in his opinion, did not really exist (though it did). In re militari
praetor dictus qui praeiret exercitui. Imperator, ab imperio populi qui
eos, qui id attemptasse(n)t, oppressi(t) 1 hostis. Legati qui lecti
publice, quorum opera consilioque uteretur peregre magistratus, quive
nuntii senatus aut populi essent. Exercitus, quod exercitando fit
melior. Legio, quod leguntur milites in delectu. 88. Cohors,
quod ut in villa ex pluribus tectis coniungitur ac quiddam fit unum, sic
hie 1 ex manipulis pluribus copulatur 2 : cohors quae in villa, quod
circa eum locum pecus cooreretur, tametsi cohortem in villa
/fypsicrates 3 dicit esse Graece X!°P T0V * apud poetas dictam. Manipuhuo
4 canit, ut turn cum classes comitiis ad comit(i)atum 5 vocant.
XVII. 92. Quae a fortuna vocabula, in his quae- dam minus aperta ut
pauper, dives, miser, beatus, sic alia. Pauper a paulo lare. Mendicus a minus, cui cum
opus est minus nullo est. Dives a divo qui ut deus nihil 1 indigere
videtur. Opulentus ab ope, cui eae opimae; ab eadem inops qui eius
indiget, et ab eodem fonte copis 2 ac copiosus. Pecuniosus a
pecunia magna, pecunia a pecu : a pastoribus enim horum vocabulorum
origo. XVIII. 93. Artificibus maxima causa ars, id est, ab
arte medicina ut sit medicus dictus, a sutrina sutor, non a medendo ac
suendo, quae omnino ultima huic rei : (hae enim) 1 earum rerum radices,
ut in proxumo §91. 1 For caepti. 2 IihoL, for litigines. 3 A. Sp., for classicos. 4
A. Sp., for cornu no. 5 Ver- tranius, for comitatum. § 92. 1
For nichil. 2 Turnebiis, for copiis. § 93. 1 Added by
Reitzenstein. 6 That is, from lituus ' cornet ' and canere.
§ 92. " Pau-per has the same first element as pau-lus. b
Derivative of mend um ' error, defect.' c Quite possibly, since the gods
were thought of as conferring wealth; dives is derived from divus as
caeles is from caelum. d From co- opts. * The earliest unit of value was
a domestic animal; cf. English fee and German Viek ' cattle,' both
cognate to Latin pecu. § 93. " Properly medicina from
medicus, which is from mederi, etc. assistants, were at the start
called optiones ' choices '; but now the tribunes, to increase their
influence, do the appointing of them. Tubicines ' trumpeters,' from
tuba ' trumpet ' and canere ' to sing or play '; in like fashion
liticines b ' cornetists.' The classicus ' class- musician ' is named
from the classis ' class of citi- zens '; he likewise plays on the horn
or the cornet, for example when they call the classes to gather for
an assembly. XVII. 92. Among the words which have to do with
personal fortune, some are not very clear, such as pauper ' poor,' dives
' rich,' miser ' wretched,' beatus ' blest,' and others as well. Pauper a
is from paulus lar ' scantily equipped home.' Mendicus b ' beggar '
is from minus ' less,' said of one who, when there is a need, has minus '
less ' than nothing. Dives ' rich ' is from divus 6 ' godlike person,'
who, as being a deus ' god,' seems to lack nothing. Opulentus ' wealthy
' is from ops ' property,' said of one who has it in abun- dance;
from the same, mops ' destitute ' is said of him who lacks ops, and from
the same source copis d ' well supplied ' and copiosus ' abundantly
furnished.' Pecuniosus ' moneyed ' is from a large amount of
pecunia ' money '; pecunia is from peca ' flock ' : for it was among
keepers of flocks that these words originated.' XVIII. 93.
For artisans the chief cause of the names is the art itself, that is,
that from the ars viedi- cina ' medical art ' the medicus ' physician '
should be named, and from the ars sutrina ' shoemaker's art ' the
sutor ' shoemaker,' and not directly from mederi ' to cure ' and suere '
to sew,' though these are the absolutely final sources for such names.
For these are the roots of these things, as will be shown in the libro
aperietur. Quare quod ab arte artifex dicitur
nec multa in eo obscura, relinquam. 94. Similis causa quae ab
scientia voca 3 coactum in publicum, si erat aversum. 96. Ex
quo 1 fructus maior, hie 2 est qui Graecis usus : (sus), quod vs, bos,
quod j3ovs, taurus, quod (Tavpos), item ovis, quod ots : ita enim
antiqui dicebant, non ut nunc -n-pofSarov. Possunt in Latio quoque
ut in Graecia ab suis vocibus haec eadem ficta. Armenta, quod boves ideo
maxime parabant, ut inde eligerent ad arandum; inde arimenta dicta,
postea 1 tertia littera extrita. Vitulus, quod Greece anti-
quitus iVaAos, aut quod plerique vegeti, vegitulus. 3 Iuvencus, iuvare qui iam ad agrum colendum
posset. 97. Capra carpa, a quo scriptum Omnicarpae
caprae. //ircus, 1 quod Sa&ini fircus; quod illic fedus, 2 in
Latio rure hedus, qui in urbc ut in multis A addito Aaedus. 3
Porcus, quod Saoini dicww^ 4 aprun«(m) porra(m) 5; proi(n)de 6 porcus,
nisi si a Graecis, quod Athenis in libris sacrorum scripta est iropK-q
e(t> 7to/3ko(s). 7 2 Fay, for ut. 3 Aug., for esse. § 96. 1 Mue., for qua. 2
Mue., for hinc. 3 Laetus, for uigitulus. § 97. 1 Aug., for
ircus. 2 For faedus. 3 Aug., for aedus. 4 Laetus, for dicto. 5 Kent;
aprinum porcum L. Sp.; aprum porcum Scaliger; for apruno porco. 6
Turnebus, for poride. 7 Kent, for porcae porco. § 96.
Correct equations; but the Latin words are not derived from the Greek :
the four pairs are from the ancestral language, and only sus is likely to
be onomatopoeic. 6 The Greek word is not the source of the Latin word,
but is borrowed from it; there is no satisfactory etymology of
vitulus. c Really ' youthful,' a derivative of invents ' young man,' and
not from iuvare. §97. "Wrong. 6 An old inherited word. c
Iden- a fine was imposed in pecus ' cattle ' and there was a
collection into the state treasury, of what had been diverted.
96. Regarding cattle from which there is larger profit, there is
the same use of names here as among the Greeks : sus ' swine,' the same
as vs; bos ' cow,' the same as (3ov$; taurus ' bull,' the same as ravpos;
likewise ovis ' sheep,' the same as 6is a : for thus the ancients
used to say, not irpoparov as they do now. This identity of the
names in Latium and in Greece may be the result of invention after the
natural utter- ances of the animals. Armenta ' plough-oxen,'
because they raised oxen especially that they might select some of
them for arandum ' ploughing '; thence they were called arimenta, from
which the third letter I was afterwards squeezed out. Vitulus ' calf,'
because in Greek it was anciently Itu\6 3 an's 4; veteres nostri
ariuga, hinc ariug?. 5 104. Vernacula : lact(u)c 1 a lacte, quod
Aolus id habet lact; brassica 2 ut p(r)aesica, 3 quod ex eius scapo
minutatim praesicatur; asparagi, quod ex asperis virgultis leguntur et
ipsi scapi asperi sunt, non leves; nisi Graecum : illic quoque enim
dicitur dcnrdpayos.* Cucumeres dicuntur a curvore, ut curvi- meres
dicti. Fructus a ferundo, res eae quas 5 fundus et eae (quas) quae 6 in
fundo ferunt ut fruamur. §103. 1 For raphanum. 2 For malachen. 3
For lirio. 4 For malache. 6 A. Sp.,/or sysimbrio. § 104. 1 M,
Laetus, for lacte. 2 Laetus, for blassica. 3 Turnebus; praeseca Aldus;
for passica. 4 For aspara- gus. 5 A. Sp., for ea cquas. 6 Mue., for ea
eque. * Optima et maxima suggests Jupiter Optimus
Maximus. e The juice of the walnut-hull does make a very dark
stain. § 103. "All the examples in this section have come
into Latin from Greek, except radix, rosa, malva. Radix is native
Latin, and its Greek equivalent had a different mean- ing. Rosa and
malva, and their Greek equivalents, were separately derived from an
earlier language native in the being best and biggest, 6 is called
ia-glans from 7«-piter and glans ' acorn.' The same word nux ' nut ' is
so called because its juice makes a person's skin black, just as
nox ' night ' makes the air black. 103. ° Of those which are grown
in gardens, some are called by foreign names, as, by Greek names,
ocimuvi ' basil,' menta ' mint,' rata ' rue,' which they now call
-rffavov; likewise caulis ' cabbage,' lapathium ' sorrel,' radix ' radish
' : for thus the ancient Greeks called what they now call pdfavos;
likewise these from Greek names : serpyllum 6 ' thyme,' rosa '
rose,' each with one letter changed; likewise Latin names from
these Greek names : KoXiavhpov c ' coriander,' fj.aXdxrj, nvfiivov '
cummin '; likewise lilium ' lily ' from Xeipiov and malva ' mallow ' from
p.a\d%i] and sisym- brium ' thyme ' from cricrvpfipiov. 104.
° Native words : lactuca ' lettuce ' from lact ' milk,' because this herb
contains milk; brassica ' cabbage ' as though praesica, because from its
stalk praesicatur ' leaves are cut off ' one by one; asparagi '
asparagus shoots,' because they are gathered from aspera ' rough ' bushes
and the stems themselves are rough, not smooth : unless it is a Greek
name, for in Greece also they say da-Trdpayos. Cucumeres ' cucum-
bers ' are named from their curvor ' curvature,' as though curvimeres.
Fructus ' fruits ' are named from ferre b ' to bear,' namely those things
which the farm and those things which are on the farm bear, that
Mediterranean region. * With initial * rather than h, by
assimilation to Latin serpere. c Usually KopiavSpov, but here with
dissimilative change of the prior r to I. § 104. " Correct on
lactuca, fructus, mola; wrong on brassica, cucumeres, itva; asparagus Is
from Greek. * Cf. v. 37, and note e.
99 V. I line declinatae
fruges et frumentuni, sed ea c terra; etiam frumentum, quod rum
(m)acerare 3 cruda Solera. E quis ad coquendum quod e terra eru(itu)r, 4
ruapa, unde rapa. Olea ab
eAcua 5; olea grandis orchitis, quod earn Attid 6 opxw /xopa.'
109. Hinc ad pecudis carnem perventum est. \bv Zvrepov
appellasse. Ab eadem fartura farcimina (in) 6 extis appellata, a quo
(farticulum) 8 : in eo quod tenuissimum intestinum fartum, hila ab hilo
dicta i(l)lo 7 quod ait Ennius : Neque dispendi 8 facit
hilum. Quod in hoc farcimine summo quiddam eminet, ab eo quod
ut in capite apex, apexabo dicta. Tertium fartum est longavo, quod
longius quam duo ilia. 3 Added by GS.; cf. Festus, 225. 15 M. 4
Laetus,for eo. 5 A. Sp.,for ad. §111. 1 Added by Mve. 2
Laetus, for lucanam. 3 Added by Aldus. 4 Fay, for partes. 5 Added
by Aug., with B. 6 Added by GS. 7 Lackmann, for hilo. 8 For
dispendii. e Perna has no connexion with pes; but the
remaining etymologies of this section seem to be correct. d The
precise meaning of this word is unknown; perhaps ' pork- chop,' cf. W.
Heraeus, Archiv f. ImL Lex. 14. 124-125. e Meaning assured by offulam cum
duobus costis, V., De Re Rustica, ii. 4." 11. 1 Page 345
Maurenbrecher; page 3 Morel. §111. °The preceding etymologies
in this section are correct, but hila is properly hilla, diminutive of
hira ' empty Perna c ' ham,' from pes ' foot.' Sueris, d from the
animal's name. Offula ' rib-roast,' e from offa, a very small sueris.
Insicia ' minced meat ' from this, that the meat is insecta ' cut up,'
just as in the Song of the Salii f the word prosicium ' slice ' is used,
for which, in the offering of the vitals, the word prosectum is now
used. Murtatum ' myrtle-pudding,' from murta ' myrtle-berry,' because
this berry is added plentifully to its stuffings. 111. An
intestine of the thick sort that was stuffed, they call a Lucanica '
Lucanian,' because the soldiers got acquainted with it from the
Lucanians, just as what they found at Falerii they call a Faliscan haggis;
and they say fundolus ' bag-sausage ' from fundus ' bottom,' because this
is not like the other intestines, but is open at only one end : from
this, I think, the Greeks called it the blind intestine. From the
same fartura ' stuffing ' were called the farcimina ' stuffies ' in
the case of the vital organs for the sacrifice, whence also farticulum '
stufflet '; in this case, because it is the most slender intestine that
is stuffed, it is called hila a from that hilum ' whit ' which Ennius 6
uses : And of loss not a whit does she suffer. Because
at the top of this stuffy there is a little projec- tion, it is called an
apexabo, c because the projection is like the apex ' pointed cap ' on a
human head. The third kind of sausage is the longavo, e because it
is longer than those two others. intestine '; cf. Festus,
101. 6 M. 6 Annales, 14 Yahlen 2; li.O.L. i. 6-7 Warmington; quoted also
v. 60 and ix. 54. Apexabo and longavo doubtless have the same suffix,
differ- ing only through the late Latin confusion of 6 and v;
unless indeed both words are further corrupt. Augmentum, quod ex immolata hostia dc- sectum
in iecore (imponitur) 1 in por(ric)iendo 2 a(u)gendi 3 causa. Magraentum
4 a magis, quod ad religionem magis pertinet : itaque propter hoc
(mag)mentana 5 fana constituta locis certis quo id imponeretur. Mattea 6
ab eo quod ea Graece /larrm]. Item (a) 7 Graecis . . . singillatim haec 8
: . . . 9 ovum, bulbum. XXIII. 113. Lana Graecum, ut
Polt/bius et Calli- machus scribunt. Purpura a purpurae maritumae colore, wt 1
P(o)enicum, quod a Poenis primum dicitur allata. Stamen a stando, quod eo
stat omne in tela velamentum. Subtemen, quod subit stamini. Trama,
quod tram(e)at 2 frigus id genus vestimenti. Densum a dentibus pectinis
quibus feritur. Filum, quod minimum est hilum : id enim minimum est in
vesti- mento. § 112. 1 Added by A. Sp. 2 L. Sp., for im poriendo. 3 Turnebus,
for agendi. 4 B, M, Aug., for magnentum. 6 Tumebus, for mentarea. 6
Popma, for mattae. 7 Added by L. Sp. 8 For heae. 9 The lacuna was
noted by Scaliger; the exact arrangement is by Kent, after Mue.'s
indication of the probable contents. §113. 1 Lachmann; colore G,
Laetus; for colerent. 2 Aug. {quoting a friend), for tramat.
§ 112. ° Correct, unless the purpose was to increase, that is,
glorify the god. 6 Properly connected with mactare ' to sacrifice,'
though popular association with magis affected its meaning. e A highly
seasoned dish of hashed meat, poultry, and herbs, served cold as a
dessert. The augme/itum a ' increase-cake ' is so called because a
piece of it is cut out and put on the liver of the sacrificed victim at
the presentation to the deity, for the sake of augendi ' increasing ' it.
Magmentum b ' added offering,' from viagis ' more,' because it
attaches viagis ' more ' closely to the worshipper's piety : for this
reason magmentaria fana ' sanctuaries for the offering of magmenta ' have
been established in certain places, that the added offering may
there be laid on the original and offered with it. Mattea c ' cold
meat-pie ' is so named because in Greek it is /larrvij. Likewise from the
Greeks is another meat- dish called . . ., which contains item by item
the following : . . ., an egg, a truffle. XXIII. 113. Lana a
'wool' is a Greek word, as Polybius 6 and Callimachus c write. Purpura
d ' purple,' from the colour of the purpura ' purple-fish ' of the
sea : a Punic word, because it is said to have been first brought to
Italy by the Phoenicians. Stamen 1 warp,' from stare ' to stand,' because
by this the whole fabric on the loom stat ' stands ' up. Sub- temen
e ' woof,' because it subit ' goes under ' the stamen ' warp.' Trama * '
wide-meshed cloth,' be- cause the cold trameat ' goes through ' this kind
of garment. Densum B ' close-woven cloth,' from the denies ' dents
' of the sley with which it is beaten. Filum 9 ' thread,' because it is
the smallest hilum ' shred '; for this is the smallest thing in a
garment. § 1 13. ° An old Italic word cognate to English wool;
cf. v. 130. b Frag. inc. 99 (101) Hultsch. e Fray. 408 Schneider. 4
Quite possibly a Phoenician w ord, but transmitted to Italj' by the
Greeks (irop^vpa). « From subtexere ' to weave underneath.' ' From
trahere ' to pull.' "
Wrong. Pannus Graecuw, 1 ubi E A 2 fecit. Panu- vellium dictum a
pano et volvendo filo. Tunica ab tuendo corpore, tunica ut (tu)endica. 3
Toga a tegendo. Cinctus et cingillum a cingendo, alterum viris,
alterum mulieribus attributum. XXIV. 115. Anna ab arcendo, quod his
arcemus hostem. Parma, quod e medio in omnis partis par. Conum,
quod cogitur in cacumen versus. Hasta, quod astans solet 1 ferri.
Iaculum, quod ut iaciatur fit. Tragula a traiciendo. Scutum (a) 2 sectura
ut secutum, quod a minute consectts 3 fit tabellis. Urn- bones 4 a Graeco,
quod a/x/Swves. 5 116. Gladiu/M 1 C in G 2 commutato a clade,
quod fit ad hostium cladem gladium; similiter ab omine 3 pilum, qui
host«s periret, 4 ut perilum. Lorica,
quod e loris de corio crudo pectoralia faciebant; postea subcidit
galli(ca) 5 e ferro sub id vocabulum, ex anulis § 1 14. 1 Aug., with B, for greens. 2
Fay, for ea. 3 GS., for indica. §115. 1 For sollet. 2 Added
by Laetus. 3 Aug., for consectum. 4 For umbonis. 5 Turnebus, for
ambonis. § 1 16. 1 L. Sp., for gladius. 2 For G in C. 3 Aug.,
for homine. 4 Aug. (hostis B), for hostem feriret. 6 Mue.,for
galli. § 1 14. ° Not pannus ' cloth,' but pannus ' bobbin,'
in view of what follows; there is a Greek -nfjvos ' web,' and its
diminutive irqvlov ' bobbin,' which in the Doric form would have A and
not E. 6 Possibly right, if, as A. Spengel thinks, the word is really
panuvollium. e From Semitic, either directly or through Etruscan.
§115. ° Arma, parma, conum, hasta, tragula, scutum, umbones : all
wrong etymologies. 6 Not from traicere, but from trahere ' to pull, drag
'; perhaps because the thong wound round it for throwing (like the string
used in starting a peg-top) ' pulls ' the javelin. 114. Pannus ° '
bobbin,' is a Greek word, where E has become A. Panuvelliuin 6 ' bobbin
with thread ' was said from panus 4 bobbin ' and volvere 4 to wind
' the thread. Tunica c ' shirt,' from tuendo 4 protect- ing ' the
body : tunica as though it were tuendica. Toga 4 toga ' from tegere 4 to
cover.' Cincius ' belt ' and cingillum 4 girdle,' from cingere 4 to
gird,' the one assigned to men and the other to women. XXIV.
115. Arma ° ' arms,' from arcere 4 to ward off,' because with them we
arcemus 4 ward off' the enemy. Parma ' cavalry shield,' because from
the centre it is par * even ' in every direction. Conum 4 pointed
helmet,' because it cogitur 4 is narrowed ' toward the top. Hasta 4
spear,' because it is usually carried astajis' standing up.' Iaculum'
javelin,' because it is made that it may iaci ' be thrown.' Tragula
6 ' thong-javelin,' from traicere 4 to pierce.' Scutum 4 shield,'
from sectura 4 cutting,' as though secutum, because it is made of wood
cut into small pieces. Umbones 4 bosses ' from a Greek word, namely
116.° Gladium 4 sword,' from clades 4 slaughter,' with change of C
to G, because the gladium 6 is made for a slaughter of the enemy;
likewise from its omen was said pilum, by which the enemy periret '
might perish,' as though perilum. Lorica ' corselet,' because they
made chest-protectors from lora 4 thongs ' of rawhide; afterwards the
Gallic corselet of iron was § 1 16. ° All etymologies wrong except
those of lorica and (with reserves) of galea. b V. prefers {cf. viii. 45,
ix. 81, Be Re Rust. i. 48. 3) the unfamiliar neuter form, which may
be due to the influence of the associated words scutum, pilum, telum. The
word is of Celtic origin, but may have an ulti- mate connexion with the
root of clades. ferrea tunica. 6 Balteum, quod cingulum e corio
habebant bullatum, balteum dictum. Ocrea, quod opponebatur ob crus. Galea
ab galero, quod multi usi antiqui. 117. Tubae ab tubis, quos
etiam nunc ita appellant tubicines sacrorum. Cornua, quod ea quae nunc
sunt ex aere, tunc fiebant bubulo e cornu. Vallum vel quod ea varicare nemo posset vel
quod singula ibi extrema 6acilla furcillata habent figuram litterae
V. Cervi ab similitudine cornuum cervi; item reliqua fere ab
similitudine ut vineae, testudo, aries. XXV. 118. Mensam escariam
cillibam appella- bant; ea erat 1 quadrata ut etiam nunc in castris est;
a cibo cilliba dicta; postea rutunda facta, et quod a nobis media et a
Graecis fxecra, mensa dic^(a) 2 potest; nisi etiam quod ponebant pleraque
in cibo mensa. Trulla a
similitudine truae, quae quod magna et haec 6 Turnebus, for ferream
tunicam. § 1 18. 1 For erant. 2 Mue.,for dici. e Rather
galerum from galea, which looks like a borrowing from Greek yaAe'r; '
weasel '; the objection is that caps of weasel-skin are nowhere
attested. §117. ° Wrong etymology. 6 Thrust into the embank-
ment, to increase its defensive strength; can they be the stakes, pali or
valli, forming a fence along its top ? But these are not elsewhere spoken
of as forked. e Used by Caesar, who inserted such forked branches into
the face of his wall at Alesia, Bell. Gall. vii. 72. 4, 73. 2. d
Otherwise ' grape-arbours '; in military use, sheds under the
protection of which soldiers could advance up to the enemy's
fortifica- tions. " A close formation of overlapping shields.
§118. "Borrowed from Greek KiXAlfias 'three-legged table,' a
derivative of kIXXos ' ass.' 6 Or perhaps mesa, since n was weak before s;
Priscian, i. 58. 17 Keil, states that V. used both spellings. Mensa seems
to be the included under this name, an iron shirt made of links.
Balteum ' sword-belt,' because they used to wear a leather belt bullatum
' with an amulet attached,' was called balteum. Ocrea ' shin-guard' was
so called because it was set in the way ob crus ' before the shin.'
Galea c ' leather helmet,' from galerum ' leather bonnet,' because many
of the ancients used them. 117. Tubae ' trumpets,' from tubi
' tubes,' a name by which even now the trumpeters of the sacrifices
call them. Cornua ' horns,' because these, which are now of bronze,
were then made from the cornu ' horn ' of an ox. Vallum a ' camp wall,'
either because no one could varicare ' straddle ' over it, or because the
ends of the forked sticks 6 used there had individually the shape
of the letter V. Cervi c ' chevaux-de-frise,' from the likeness to the
horns of a cervus ' stag '; so the rest of the terms in general, from a
likeness, as vineae ' mantlets,' d testudo ' tortoise,' e aries '
ram.' XXV. 118. The eating-table they used to call a cilliba
°; it was square, as even now it is in the camp; the name cilliba came
from cibus ' victuals.' After- wards it M'as made round, and the fact
that it was media ' central ' with us and p-ka-a ' central ' with
the Greeks, is the probable reason for its being called a mensa 6 '
table '; unless indeed they used to put on, amongst the victuals, many
that were mensa ' measured out.' Trulla e ' ladle,' from its likeness to
a trua ' gutter,' but because this is big and the other is small,
they named it as if it were truella ' small triia '; this feminine
of mensus ' measured '; perhaps from tabula mensa ' measured board.' e
Trulta is of uncertain origin, and yielded trua by back-formation; Greek
rpinJAij seems to have been borrowed from Latin, as V. states. pusilla,
ut tr«e 3 enim et navovv* d(i)c(untur) 5 Graece. 6 Reliqua quod aperta sunt unde sint
relinquo. XXVI. 121. Mensa vinaria rotunda nominabatur
ci(l)liba (a)nte, 1 ut etiam nunc in castris. Id videtur declinatum a
Graeco kvAikcuo, 2 (id) 3 a poculo cylice qui (in) 3 ilia. Capk?(es) 4 et minores capulae
a capiendo, quod ansatae ut prehendi possent, id est capi. Harum
figuras in vasis sacris ligneas ac fictiles antiquas etiam nunc
videmus. 122. Praeterea in poculis erant paterae, ab eo quod
late (pate)nZ 1 ita 2 dictae. Hisce
etiam nunc in publico convivio antiquitatis retinendae causa, cum
magistri fiunt, potio circumfertur, et in sacrificando deis hoc poculo
magistratus dat deo vinum. Pocula a potione, unde potatio et etiam posca.
3 Haec possunt a 7roTa», 4 quod ttotos potio Graece. 2 Aug.,
with B, for triplia. 3 Aug., with B,
for triplion. 4 L. Sp.,for canunun Fv. 5 GS.,forde. 6 Canal, for
greca. § 121. 1 GS., for cilibantiim. 2 Turnebus, for
culiceo. 3 Added by Mue. 4 L. Sp.; capis Turnebus; for capit.
§ 122. 1 GS.; patent L. Sp.; pateant latine Aldus; for latini. 2
After ita, Aldus deleted dicunt. 3 Turnebus, for postea. 4 Mue., for
poto. 6 From Greek fiayLs ' a round pan.' " Better
lancula, diminutive of lanx ' platter.' d Correct, except that
canis- trum is from Greek Kaviorpov 4 bread-basket,' made of
K&wai 'reeds '; page 117 Funaioli. § 121. ° Of. § 118,
where a different etymology is given. § 122. Not from Greek, but
from an Indo-European root inherited by Latin as well as by Greek. 6 The
Greek- word means properly not a ' draught,' but a '
drinking-bout.' The magida 6 and the languid, both meaning '
platter,' they named from the magnitudo ' size ' of the one and the
latitudo ' width ' of the other. Patenae ' plates ' they called from
patulum ' spreading,' and the little plates, with which they offered the
gods a preliminary sample of the dinner, they called patellae '
saucers.' Tryblia ' bowls ' and canistra ' bread-baskets,' though
people think that they are Latin, are really Greek A : for rpvBkiov and
Kavovv are said in Greek. The remaining terms I pass by, since their
sources are obvious. XXVI. 121.' A round table for wine was
formerly called a cilliba, a as even now it is in the camp. This
seems to be derived from the Greek kvXikcIov ' buffet,' from the cup cylix
which stands on it. The capides ' bowls ' and smaller capulae ' cups '
were named from capere ' to seize,' because they have handles to
make it possible for them prehendi ' to be grasped,' that is, capi ' to
be seized.' Their shapes we even now see among the sacred vessels, old-fashioned
shapes in wood and earthenware. 122. In addition there were among
the drinking- cups the paterae ' libation-saucers,' named from
this, that they patent ' are open ' wide. For the sake of
preserving the ancient practice, they use cups of this kind even now for
passing around the potio ' draught ' at the public banquet, when the
magistrates enter into their office; and it is this kind of cup that
the magistrate uses in sacrificing to the gods, when he gives the
wine to the god. Pocula ' drinking-cups,' from potio ' draught,' whence
potatio ' drinking bout ' and also posca ' sour wine.' ° These may
however come from ttotos, because ttotos is the Greek for potio.
b 117 V. 123. Origo potionis aqua,
quod oequa summa. Fons unde funditur e terra aqua viva, ut fistula a
qua fusus aquae. Vas vinarium grandius sinum ab sinu, quod sinum
maiorem cavtur 2 urnarium, quod urnas cum aqua positas ibi potissimum
habebant in culina. Ab eo etiam nunc ante balineum locus ubi poni
solebat urnarium vocatur. Urnae dictae, quod urinant in aqua Aaurienda ut
smnator. C/rinare 3 est mergi in aquam. 127. .^m&un^m} 1
fictum ab uruo, 2 quod ita flexum ut redeat sursum versus tit 3 in aratro
quod est wrvum. 4 Calix a caldo, quod in eo calda puis 5 appone-
batur et caldum eo bibebant. Vas ubi coquebant cibum, ab eo caccabum
appellarunt. Vera 6 a ver- sando. XXVIII. 128. Ab sedendo
appellatae sedes, sedile, so/ium, 1 sellae, siliquastrum; deinde ab
his subsellium : ut subsipere quod non plane sapit, sic quod non
plane erat sella, subsellium. Ubi in eius- modi duo, bisellium dictum.
Area, quod arcebantur § 126. 1 GS., for et. 2 uocabatur, tcith ba
expunged, V; nocatur other mss. 3 Bent huts, for orinator orinare.
§127. 1 Kent; imburvom Mue.; imburum Aldus, with B; for impurro. 2
Mue., for urbo. 3 Aldus, for est. 4 B, for aruum. 6 Laetus, for plus. 6
Aldus, for uera. § 128. 1 Aug., for souum. §
126. ° Wrong etymology. 6 Derivative of vrina at an early date when
itrina still meant merely 4 water,' and not specifically ' urine.'
§ 127. ° ' Bent about,' a vessel shaped like a gravy-boat; if my
conjecture as to the spelling of the word is right, there is basis for V.'s
etymology. 6 Of uncertain etymology, but popularly derived by the Romans
from Greek icvXii; ' cup,' the normal meaning also of Latin calix, but
not the meaning in this passage. c From Greek KaKKaftos, a pot with
three legs, to stand over the fire. d Wrong. Besides there was a third
kind of table for vessels, rectangular like the second kind; it was
called an urnarium, because it was the piece of furniture in the kitchen
on which by preference they set and kept the urnae ' urns ' filled with
water. From this even now the place in front of the bath where the
urn-table is wont to be placed, is called an urnarium. Urnae ' urns ' got
their name a from the fact that they urinant b ' dive ' in the drawing
of water, like an urinator ' diver.' Urinate means to be plunged
into water. 127. Amburvum, a a pot whose name is made from
urvum ' curved,' because it is so bent that it turns up again like the
part of the plough which is named the urvum ' beam.' Calix b '
cooking-pot,' from caldum ' hot,' because hot porridge was served up in
it, and they drank hot liquid from it. The vessel in which they
coquebant ' cooked ' their food, from that they called a caccabus. Feru '
spit,' from versare ' to turn.' d XXVIII. 128. From sedere '
to sit ' were named sedes ' seat,' sedile ' chair,' solium ' throne,'
sellae a ' stools,' siliquastrum 6 ' wicker chair '; then from
these subsellium ' bench ' : as subsipere is said a thing does not sapit
' taste ' clearly, so subsellium because it was not clearly c a sella '
stool.' Where two had room on a seat of this sort, it was called a
bisellium ' double seat.' An area ' strong-chest,' because thieves
arcebantur ' were kept away ' from it when it § 128. ° With M from
dl. b Probably seliquastrum (or selli-), as in Festus, 340 b 10, 341. 5;
Fay suggests ' seat- basket ' (sella + qualum + suffix), citing certain
types of Mexi- can chairs. e Rather ' under-seat,' that is, a seat
under the sitter. fures ab ea clausa. Armarium et armamentarium
ab cadem origine, sed declinata aliter. XXIX. 129. Mundus
(ornatus) 1 muliebris dictus a munditia. Ornatus quasi ab ore natus :
hinc enim maxime sumitur quod earn deceat, itaque id paratur
speculo. 2 Calamistrum, quod his calfactis in cinere capfillus ornatur.
Qui ea ministrabat, a cinere cinera- rius est appellatus. Discerniculum,
quo discernitur capillus. Pecten, quod per euro explicatur
capillus. Speculum a speciendo, 3 quod ibi (s)e spectant.* 130.
Vestis a vellis vel 1 ab eo quod vellus lana tonsa universa ovis : id
dictum, quod vellebant.2 Lan(e)a, 3 ex lana facta. Quod capillum
contineret, dictum a rete reticulum; rete ab raritudine; item texta
fasciola,qua capillum in capitealligarent, dictum capital a capite, quod
sacerdotulae in capite etiam nunc solent habere. Sic rica ab ritu, quod Romano ritu sacrificium
feminae cum faciunt, capita velant. § 129. 1 Added by GS.; cf. Festus, 143. 1 M, 2
A. Sp., for speculum. 3 Laetus, for spiciendo. 4 a, b, Turnebus,
for espeetant. § 130. 1 Ixietus, for uela. 2 B, Laetus, for
uellabant. 3 Turnebus, for lana. d Both area and
arcere are derived from arx ' stronghold.' * Not connected with area; but
belonging together. § 129. Munditia is derived from mundus. 6
Wrong etymologies. § 130. Both etymological suggestions for
vestis arc wrong; for the meaning, see A. Spengel, Bemerkungen. was
locked.** Armarium ' closet ' and armamentarium ' warehouse,' from the
same source,' but with different suffixes. XXIX. 129. Mundus
is a woman's toilet set, named a from munditia ' neatness.' Ornatus '
toilet set,' as if natus ' born ' from the os ' face ' 6 : for from
this especially is taken that which is to beautify a woman, and therefore
this is handled with the help of a mirror. Calamistrum ' curling-
iron,' because the hair is arranged with irons when they have been
calfacta ' heated ' in the embers. 6 The one who attended to them was
called a cinerarius ' ember-man,' from cinis ' embers.'
Discerniculum ' bodkin,' with which the hair discernitur ' is
parted.' Pecten ' comb,' because by it the hair explicatur ' is
spread out.' b Speculum ' mirror,' from specere ' to look at,' because in
it they spectant ' look at ' them- selves. 130. Festis '
garment ' " from velli 6 ' shaggy hair,' or from the fact that the
shorn wool of a sheep, taken as a whole, is a vellus ' fleece ' : this was
said because they formerly vellebant ' plucked ' it. Lanea '
woollen headband,' c because made from lana ' wool.' That which was
to hold the hair, was called a reticulum ' net- cap,' from rete ' net ';
rete, from raritudo ' looseness of mesh.' d Likewise the woven band with
which they were to fasten the hair on the head, was called a
capital ' headband,' from caput ' head '; and this the sub-priestesses
are accustomed to wear on their heads even now. So rica ' veil,' from
ritus ' fashion,' d because according to the Roman ritus, when
women make a sacrifice, they veil their heads. The mitra 6
Yellis, dialectal for villis. e For meaning, see A. Spen- gel,
Bemerkungen, 264. d Wrong etymologies. 123 V. Mitra et
reliqua fere in capite postea addita cum vocabulis Graecis.
XXX. 131. Prius deinde (ind)utui, 1 turn amictui quae sunt tangam.
Capitium ab eo quod capit pec- tus, id est, ut antiqui dicebant,
comprehendit. In- dutui alterum quod subtus, a quo subucula;
alterum quod supra, a quo supparus, nisi id quod item dicunt Osce.
Alterius generis item duo, unum quod foris ac palam, palla; alterum quod
intus, a quo (indusium, ut) 2 intusium, id quod Plautus dicit :
Indusiatam 3 patagiatam caltulam* ac crocotulam. Multa post luxuria attulit,
quorum vocabula apparet esse Graeca, ut asbest(in)on. 5 132.
Amictui dictum quod abiectum 1 est, id est circumiectum, 2 a quo etiam
quo 3 vestitas se invol- vunt, circumiectui appellant, et quod amictui
habet purpuram circum, vocant circumtextum. Antiquis- simi amictui
ricinium; id quod eo utebantur duplici, § 131. 1 B, Turnebus, for
deinde utui Fv, f. 2 Added by GS. 3 GS., for intusiatam; after the text
of Plautus. * Laetus, for
caltulum/ after the text of Plautus. 6 GS., for asbeston; cf. Pliny,
jVat. Hist. xix. 4. 20. §132. 1 Mue., for abiectum. 2
^w#.,/o?-circumlectum. 3 G, Aug., for quod. § 131 .
The datives indutui, amictui, and circumiectui, are used in § 131 and §
132 as indeclinables, like frugi ' thrifty,' cordi ' pleasant,' original
datives of purpose that have become stereotyped. 6 From caput ' head,'
because it was put on over the head like a sweater. c From sub and the
verb in ind-tiere, ' to put on,' ex-uere ' to take off.' d Probably
Oscan. * Of unknown etymology. ' From induere 'to put on.' 9 Epidicus,
231. h The Latin words are adjectives modifying tunicam in the preceding
line. ' Made of a mineral substance called aofieoTos. ' turban ' and
in general the other things that go on the head, -were later
importations, along -with their Greek names. XXX. 131. Next I
shall first touch upon those things which are for putting on,° then those
which are for wrapping about the person. Capitium 6 ' vest,' from
the fact that it capii ' holds ' the chest, that is, as the ancients
said, it comprehendit ' includes ' it. One kind of put-on goes subtus '
below,' from which it is called subucula c ' underskirt '; a second kind
goes supra 1 above,' from which it is called supparus d ' dress,'
unless, this is so called because they say it in the same way in Oscan.
Of the second sort there are likewise two varieties, one called palla e '
outer dress,' because it is outside and palam ' openly ' visible;
the other is intus ' inside,' from which it is called indusium * '
under-dress,' as though intusium, of which Plautus speaks 9 :
Under-dress, a bordered dress, of marigold and saffron hue.*
There are many garments which extravagance brought at later times,
whose names are clearly Greek, such as asbestinon i ' fire-proof.'
132. Atnictui ' wrap ' is thus named because it is ambiectum '
thrown about,' that is, circumiectum ' thrown around,' from which
moreover they gave the name of circumiectui ' throw-around ' to that with
which women envelop themselves after they are dressed; and any wrap
that has a purple edge around it, they call circumtextum ' edge-weave.'
Those of very long ago called a wrap a ricinium ' mantilla '; it was
called ricinium from reicere ' to throw back,' ° because they
§ 133. ° Properly from rica (§ 130); it was a square piece of cloth
worn folded over the head in sign of mourning. ab eo quod dimidiam partem
retrorsum zaciebant, 4 ab reiciendo ricinium dictum. 133.
(Pallia) 1 hinc, quod facta duo simplicia paria, parilia primo dicta, R
exclusum 2 propter levitatem. Parapechia, 3 cAlarmydes, 4 sic multa,
Graeca. Loena, 5 quod de lana multa, duarum etiam togarum instar;
ut antiquissimum mulierum ricinium, sic hoc duplex virorum. Instrumenta rustica quae serendi aut colendi
fructus causa facta. Sarculum ab serendo ae sanendo. 1 Ligo, quod eo
propter latitudinem quod sub terra facilius legitur. Pala a
pangendo, 2 GL quod fuit. Rutrum ruitrum a ruendo. 135.
Aratrum, quod aruit 1 terram. Eius fer- rum vomer, quod vomit eo plus
terram. Dens, quod eo mordetur terra; super id regula quae stat,
stiva ab stando, et in ea transversa regula manicula, quod manu
bubulci tenetur. Qui quasi temo
est inter 4 Ixietus, for faciebant. § 133. 1 Added by
Canal. 2 Mue.; R esclusum Turnebus; for resclusum /, resculum Fv. 3 For
para- pecchia Fv. 4 Ed. Veneta, for clamides. 5 Aldus, for
lena. § 134. 1 Aldus, for sarcendo. 2 Added by Ellis. § 135.
1 Turnebus, for aruit; cf. V., De Re Rustica, i. 35, terra
adruenda. § 133. ° Probably of Greek origin. 6 Greek
irapam)xvs ' beside the elbow,' also ' woman's garment with purple
border on each side.' The Latin word seems to come from the diminutive
irapaTrrjxtov ' radius, small bone below the elbow,' which however may
also have denoted the woman's garment, though this is not attested. c
Probably from Greek ^Acum, perhaps with an Etruscan intermediary. wore
it doubled, throwing back one half of it over the other. 133.
Pallia ° ' cloaks ' from this, that they con- sisted of two single paria
' equal ' pieces of cloth, called parilia at first, from which R was
eliminated for smoothness of sound. Parapechia b ' elbow-stripes,'
chlamydes ' mantles,' and many others, are Greek. Laena 6 ' overcoat,'
because they contained much lana ' wool,' even like two togas : as the
ricinium was the most ancient garment of the women, so this double
garment is the most ancient garment of the men. XXXI. 134. Farming
tools which were made for planting or cultivating the crops. Sarculum ° '
hoe,' from serere ' to plant ' and sarire ' to weed.' Ligo 6 '
mattock,' because with this, on account of its width, what is under the
ground legitur ' is gathered ' more easily. Pala c ' spade ' from pangere
' to fix in the earth '; the L was originally GL. Rutrum ' shovel,'
previously ruitrum, from mere ' to fall in a heap.' 135.° Aratrum '
plough,' because it arruit b ' piles up ' the earth. Its iron part is
called vomer ' plough- share,' because with its help it the more vomit '
spews up ' the earth. The dens ' colter,' because by this the earth
is bit; the straight piece of wood which stands above this is called the
stiva ' handle,' from stare ' to stand,' and the wooden cross-piece on it
is the mani- cula ' hand-grip,' because it is held by the manns '
hand ' of the ploughman. That which is so to speak a wagon-tongue between
the oxen, is called a bura § 134. From sarire. b Of uncertain
origin. c Cor- rect; but from pag+ sla, with loss of the extra consonants
in the group. § 135. ° Wrong on aratrum, vomer, stiva, bura,
urvum. b Really from arat ' it ploughs.' boves, bura a bubus; alii
hoc a curvo urvum 2 appel- lant. Sub
iugo medio cavum, quod bura extrema addita oppilatur, vocatur coum 3 a
cavo. 4 Iugum et iumentum ab iunctu. 136. Irpices regula
compluribus dentibus, quam item ut plaustrum boves trahunt, ut eruant
quae in terra ser(p>unt 1; sirpices, postea (irpices) 2 S
detrito.. a quibusdam dicti. Rastelli ut irpices serrae leves;
itaque 3 homo in pratis per fenisecza 4 eo festucas corradit, quo ab rasu
rastelli dicti. Rastri, quibus dentaiis 5 penitus eradunt terram atque
cruunt, a quo rutu n*a(s)tri 6 dicti. 137. Falces a farre
littera 1 commutata; hae in Campania seculae a secando; a quadam
similitudine harum aliae, ut quod apertum unde, falces fenariae et
arbor(ar)iae 2 et, quod non apertum unde, falces lumaria(e) 3 et
sirpiculae. Lumariae sunt quibus secant lumecta, id est cum in agris
serpunt spinae; quas quod ab terra agricolae solvunt, id est luunt,
lumecta. Falces sirpiculae
vocatae ab sirpando, id 2 Turnebus, for curuum. 3 Aug., with B, for
cous Fv. 4 Rhol., for couo. § 136. 1 Turnebus, for serunt. 2
Added by Mue. 3 Aug., with B, for ita qua. 4 Aug., for fenisecta.
6 Turnebus, for dentalis. 6 Kent; rutu rastri Scaliger : erutu rastri
Turnebus; for ruturbatri Fv. § 137. 1 For litera in Fv, as often. 2
Georges, for arboriae; cf. V., Be Re Rust. i. 22. 5, and Cato, De
Agric. 10. 3. 3 For lumaria. " The earlier form
of cavus ' hollow ' was in fact covos. § 136. ° Properly hirpices,
from hirpus, the Samnite word for ' wolf.' b Roots of weeds and grasses.
" Diminu- tive of rostrum; therefore ultimately from radere. d
Mas- culine plural of neuter singular rastrum, from radere ' to
scrape.' ' beam,' from botes ' oxen '; others call this an urvum,
from the curvuvi ' curve.' The hole under the middle of the yoke, which
is stopped up by inserting the end of the beam, is called coum, from
cavum ' hole.' Iugum ' yoke ' and iumentum ' yoke-animal/ from
iunctus ' joining or yoking.' 136. Irpices a 'harrows' are a
straight piece of wood with many teeth, which oxen draw just like a
wagon, that they may pull up the things 6 that serpunt ' creep ' in the
earth; they were called sir- pices and afterwards, by some persons,
irpices, with the S worn off. Rastelli c ' hay-rakes,' like
harrows, are saw-toothed instruments, but light in weight ;
therefore a man in the meadows at haying time corradit ' scrapes together
' with this the stalks, from which rasns ' scraping ' they are called
rastelli. Rastri d ' rakes ' are sharp-toothed instruments by which
they scratch the earth deep, and eruunt ' dig it up,' from which rutus '
digging ' they are called ruastri. 137. Falces ' sickles,'
from far ' spelt,' a with the change of a letter ; in Campania, these are
called seculae, from secare ' to cut ' ; from a certain likeness to
these are named others, the falces fenariae ' hay scythes ' and
arborariae ' tree pruning-hooks,' of obvious origin, and falces lumariae
and sirpiculae, whose source is obscure. Lumariae 6 are those with
which lumecta are cut, that is when thorns grow up in the fields ;
because the farmers solvunt ' loosen,' that is, luunt ' loose,' them from
the earth, they are called lumecta ' thorn-thickets.' Falces sirpiculae c
are named §137. "Wrong. 6 Possibly for dumariae and
dumecta, with Sabine I for d ; cf. Festiis, 67. 10 M. 'Apparently
from sirpus ' rush,' collateral form of scirpus. est ab alligando ; sic
sirpata 4 dolia quassa, cum alligata his, dicta. Utuntur in vinea
alligando fasces, incisos fustes, faculas. Has xranclas 5 Cherso(ne)sice.
6 138. Pilum, quod eo far pisunt, a quo ubi id fit dictum
pistrinum (L 1 et S inter se saepe locum corn- mutant), inde post in Urbe
Lucili pistrina et pistrix. Trapetes 2 molae oleariae ; vocant trapetes a
terendo, nisi Graecum est ; ac molae a mol(l)iendo 3 : harum enim
motu eo coniecta mol(l)iuntur. 4
Vallum a volatu, quod cum id iactant volant inde levia. Ven-
tilabrum, quod ventilatur in aere frumentum. 139- Quibus conportatur fructus
ac necessariae res : de his fiscina a ferendo dicta. Corbes ab eo
quod eo spicas aliudve quid corruebant ; hinc minores corbulae dictae. De
his quae iumenta ducunt, tragula, quod ab eo trahitur per terram ;
sirpea, quae virgis sirpatur, id est colligando implicatur, in qua
stercus aliudve quid vehitur. 4 Aug., with B, for sirpita. 5 Mue., for phanclas
/, G, fanclas H, V, p. 6 Aug., with B, for chermosie /, chermosioe
G, a. § 138. 1 Aug., for R. 2 For trapetas Fv. 3 Scaliger,
for moliendo. 4 Scaliger, for moliuntnr. d Cf. the fiaschi
vestiti or ' clothed wine-flasks ' of modern Italy. * Messana in Sicily
was before the Greek coloniza- tion named Zancle ' sickle,' from the
shape of the cape on which it stood. There is no other evidence that this
cape was called a Chersonesus, but as over twenty peninsulas are
referred to by this name, it is possible that the name was applied here
also. § 138. a V.'s basis for this statement is not apparent.
6 Cf. 521 and 1250 Marx ; one must assume that one of the Satires of
Lucilius was entitled Urbs. c From Greek. d From molere ' to grind.' e
Diminutive of vannvs ' fan.' §139. "Wrong on fiscina and
corbes. from sirpare ' to plait of rushes,' that is, alligare ' to fasten
' ; thus broken jars are said to have been sirpata ' rush-covered,' when
they are fastened to- gether with rushes.* 1 They use rushes in the
vine- yard for tying up bundles of fuel, cut stakes, and kindling.
These sickles they call zanclae in the peninsular dialect."
138. The pi lum ' pestle ' is so named because with it they pisunt
' pound ' the spelt, from which the place where this is done is called a
pistrinum ' mill ' — L and S often change places with each other" —
and from that afterwards pistrina ' bakery ' and pistrix ' woman
baker,' words used in Lucilius's Cityfi Trapetes c are the mill-stones of
the olive-mill : they call them trapetes from terere ' to rub to pieces,'
unless the word is Greek ; and molae d from mollire ' to soften,'
for what is thrown in there is softened by their motion. Vallum * '
small win no wing-fan,' from volatus ' flight,' because when they swing
this to and fro the light particles volant ' fly ' away from there.
Ventilabrum ' winnowing-fork,' because with this the grain venti-
latur ' is tossed ' in the air. 139. Those means with which field
produce and necessary things are transported. Of these, fiscina a
rush-basket ' was named from ferre ' to carry ' ; corbes '
baskets,' from the fact that into them they corrue- bant ' piled up '
corn-ears or something else ; from this the smaller ones were called
corbulae. Of those which animals draw, the tragula ' sledge,'
because it trahitur ' is dragged ' along the ground by the animal ;
sirpea 6 ' wicker wagon,' which sirpatur ' is plaited ' of osiers, that
is, is woven by binding them together, in which dung or something else
is conveyed. Vehiculum, in quo faba aliudve quid vehitur, quod
e 1 viminibus vietur 2 aut eo vehitur. Breviws 3 vehiculum dictum est
aliis ut* arcera, quae etiam in Duodecim Tabulis appellatur ; quod ex
tabulis vehiculum erat factum ut area, 5 arcera dictum. Plaus- trum
ab eo quod non ut in his quae supra dixi (ex quadam parte), 6 sed ex omni
parte palam est, quae in eo vehuntur quod perluce(n)t, 7 ut lapides,
asseres, tignum. XXXII. 141. Aedificia nominata a parte
ut multa : ab aedibus et faciendo maxime aedificium. Et oppidum ab
opi dictum, quod munitur opis causa ubi sint et quod opus est ad vitam
gerendam ubi habeant tuto. Oppida quod opere 1 muniebant, moenia ;
quo moenitius esset quod exaggerabant, aggeres dicti, et qui aggerem
contineret, moerus. 2 Quod muniendi causa portabatur, mwnus 3 ;
quod sepiebant oppidum co moenere, 4 momis. 5 142. Eius summa
pinnae ab his quas insigniti §140. 1 GS. ; ex Laetus ; for est. 2
Tvrnebus, for utetur. 3 A. Sp., for breui est. 4 A. Sp., for uel. 5
Laetus, for arcar Fv. 6 Added by L. Sp. 7 Aug., for perlucet.
§141. 1 Aug., for operi. 2 Sciop., for moerum Fv. 3 Laetus, for
manus. 4 Turnebus, for eae omoenere Fv. 5 Sciop., for murus.
§ 140. ° From vehere ' to carry.' 6 Page 116 Schoell. c From
plaudere ' to creak.' § 141. ° Whence ' temple ' in the singular, '
house ' in the plural. * From prefix ob + pedom ' place ' ; cf. irihov,
San- skrit padam. c Munire, moenia, murus, munus all belong
together ; oe is the older spelling, preserved in moenia in classical
Latin. It is a question how far we ought to restore moe- for mu- in this
passage ; possibly in all the Vehiculum ° ' wagon,' in which beans or
some- thing else is conveyed, because it vietur ' is plaited ' or
because vehitur ' carrying is done ' by it. A shorter kind of wagon is
called by others, as it were, an arcera ' covered wagon,' which is named
even in the Twelve Tables b ; because the wagon was made of boards
like an area ' strong box,' it was called an arcera. Plaus- trum e
' cart,' from the fact that unlike those which I have mentioned above it
is palam ' open ' not to a certain degree but everywhere, for the objects
which are conveyed in it perlucent ' shine forth to view,' such as
stone slabs, wooden beams, and building material. XXXII. 141.
Aedificia ' buildings ' are, like many things, named from a part : from
aedes a ' hearths ' andjacere ' to make ' comes certainly aedificium.
Op- pidum 6 ' town ' also is named from ops ' strength,' because it
is fortified for ops ' strength,' as a place where the people may be, and
because for spending their lives there is opus ' need ' of place where
they may be in safety. Moenia c ' walls ' were so named because
they muniebant ' fortified ' the towns with opus ' work.' What they
exaggerabant ' heaped up ' that it might be moenitius ' better
fortified,' was called aggeres d ' dikes,' and that which was to support
the dike was called a moerus ' wall.' Because carrying was done for
the sake of muniendi ' fortifying,' the work was a munus ' duty ' ;
because they enclosed the town by this moenus, it was a moerus '
wall.' 142. Its top was called pinnae a ' pinnacles,' from
those feathers which distinguished soldiers are accus- words, since
V. had a fondness for archaic spellings. d Exaggerare is from agger,
which is from ad ' to ' and gerere ' to carry.' § 142. °
Literally, ' feathers.' 133 V.
milites in galeis habere solent et in gladiatoribus Samnites.
Turres a torvis, quod eae proiciunt ante alios. Qua viam relinquebant in
muro, qua in op- pidum portarent, portas. 143. Oppida
condebant in Latio Etrusco ritu multi, id est iunctis bobus, tauro ct
vacca interiore, aratro circumagebant sulcum (hoc faciebant
religionis causa die auspicato), ut fossa et muro essent muniti.
Terram unde exculpserant, fossam vocabant et intror- sum i'actam 1 murum.
Post ea 2 qui fiebat orbis, urbis principium ; qui quod erat post murum,
postmoerium dictum, eo usque 3 auspicia urbana finiuntur. Cippi
pomeri stant et circum Arcciam et 4 circum 5 Romam. Quare et oppida quae
prius erant circumducta aratro ab orbe 6 et urvo urb 2 postilionem
postulare, id est civem fortissimum eo demitti. 3 Turn quendam Curtium virum fortem armatum
ascendisse in equum et a Con- cordia versum cum equo eo 4 praecipitatum ;
eo facto 2 macella Scaliger, for macelli. 3 Jordan, for iunium. 4
Added by 08., from Plautus, Cure. 474. 5 Added by GS. 6 Laetus, for
quern. 7 For cuppedinis. § 147. 1 Stowasser, for fuerit; cf.
Festus, 125. 7 M. § 148. 1 After Cornelius, Mue. deleted Stilo. 2
Laetus, for manio. 3 Turnebus, for eodem mitti. 4 A. Sp., with II,
for eum. 6 Curculio, 474. c Page 115 Funaioli. § 147.
"Page 116 Funaioli. 6 Seemingly only an aetiological story ;
the cognomen is not otherwise known. Could it here be a corruption of Marcellus
? § 148. a A writer on historical topics, possibly the Pro-
cilius who was tribune of the plebs in 56 u.c. 6 L. Cal- purnius Piso
Frugi, consul 133 B.C., adversary of the Gracchi ; small fortified
villages. Along the Tiber, at the sanctuary of Portunus, they call it the
Forum Pis- carium ' Fish Market ' ; therefore Plautus says 6 :
Down at the Market that sells the fish. Where things of
various kinds are sold, at the Cornel- Cherry . Groves, is the Forum
Cuppedinis ' Luxury Market,' from cuppedium ' delicacy,' that is,
from fastidium ' fastidiousness ' ; many c call it the Forum
Cupidinis ' Greed Market,' from cupiditas ' greed.' 147. After all
these things which pertain to human sustenance had been brought into one
place, and the place had been built upon, it was called a Macellum,
as certain writers say, a because there was a garden there ; others say
that it was because there had been there a house of a thief with the
cognomen Macellus, 6 which had been demolished by the state, and
from which this building has been constructed which is called from
him a Macellum. 148. In the Forum is the Lacus Curtius ' Pool of
Curtius ' ; it is quite certain that it is named from Curtius, but the
story about it has three versions : for Procilius a does not tell the
same story as Piso, 6 nor did Cornelius c follow the story given by
Procilius. Procilius states d that in this place the earth yawned
open, and the matter was by decree of the senate referred to the
haruspices ; they gave the answer that the God of the Dead demanded the
fulfilment of a forgotten vow, namely that the bravest citizen be
sent down to him. Then a certain Curtius, a brave man, put on his
war-gear, mounted his horse, and turning away from the Temple of Concord,
plunged into the author of a work on Roman history. e Identity
quite uncertain. 6 Hist. Rom. Frag., page 198 Peter. locum coisse atque eius corpus
divinitus humasse ac reliquisse genti suae monumentum. 149-
Piso in Annalibus scribit Sabino bello, quod fuit Romulo et Tatio, virum
fortissimum Met(t)ium Curiium 1 Sabinum, cum Romulus cum suis ex
su- periore parte impressionem fecisset, 2 in locum 3 palus- trem,
qui turn fuit in Foro antequam cloacae sunt factae, secessisse atque ad
suos in Capitolium re- cepisse ; ab eo lacum (Curtium) 4 invenisse
nomen. 150. Cornelius et Lutatius 1 scribunt eum locum esse
fulguritum et ex S. C. septum esse : id quod factum es(se)t 2 a Curtio
consule, cui M. Genucius 3 fuit collega, Curtium appellatum.
151. Arx ab arcendo, quod is locus munitissimus Urbis, a quo
facillime possit hostis prohiberi. Career a coercendo, quod exire
prohibentur. In hoc pars quae sub terra Tullianum, ideo quod additum
a Tullio rege. Quod Syracusis, ubi de(licti) 1 causa custodiuntur,
vocantur latomiae, (in)de 2 lautumia § 149. 1 For curcium Fv. 2 After
fecisset, Popma de- leted curtium. 3 Laetus, for lacum. 4 Added by
GS. § 150. 1 Aug., with B, for luctatius. 2 Mue., for est. 3
For genutius. § 151. 1 Bergmann, for de. 2 Mue. ; exinde Turnebus
; for et de. § 149. Hist. Rom. Frag., page 79 Peter. 6
Tradition- ally built by the first Tarquin ; cf. Livv, i. 38. 6. c
Cf. Livy, i. 10-13, especially i. 12. 9-10 and! 13. 5. § 150.
Q. Lutatius Catulus, 152-87 b.c, consul 102 as colleague of Marius in the
victory over the Cimbri at Ver- cellae ; a writer on etymology and
antiquities. b Hist. Rom. Frag., page 126 Peter ; Gram. Rom. Frag., page
105 Funaioli. c C. Curtius Chilo and M. Genucius Augurinus were
colleagues in the consulship in 445 b.c. gap, horse and all ; upon which
the place closed up and gave his body a burial divinely approved,
and left to his clan a lasting memorial. 149. Piso in his
Annals writes that in the Sabine War between Romulus and Tatius, a Sabine
hero named Mettius Curtius, when Romulus with his men had charged
down from higher ground and driven in the Sabines, got away into a swampy
spot which at that time was in the Forum, before the sewers b had
been made, and escaped from there to his own men on the Capitoline c ;
and from this the pool found its name. 150. Cornelius and
Lutatius a write b that this place was struck by lightning, and by decree
of the senate was fenced in : because this was done by the consul
Curtius, 6 who had M. Genucius as his colleague, it was called the Lacus
Curtius. 151. The arx ' citadel,' from arcere ' to keep off,'
because this is the most strongly fortified place in the City, from which
the enemy can most easily be kept away. The career 6 ' prison,' from
coercere ' to con- fine,' because those who are in it are prevented
from going out. In this prison, the part which is under the ground
is called the Tullianum, because it was added by King Tullius. Because at
Syracuse the place where men are kept under guard on account of
transgressions is called the Latomiae c ' quarries,' from § 151.
"The northern summit of the Capitoline, on which stood the temple of
Juno Moneta. * Beneath the Arx, at the corner of the Forum ; etymology
wrong. e Greek XoLTOfuai, contracted from XaoTOfuai, which gave the
Latin word ; there were old tufa-quarries on the slopes of the
Capitoline, and the excavation which formed the dungeon was probably a
part of the quarry. translatum, quod hie quoque in eo loco
lapidicinae fuerunt. 152. In (Aventi)no 1 Lauretum ab eo quod
ibi sepultus est Tatius rex, qui ab Laurentibus inter- fectus est,
(aut) 2 ab silva laurea, quod ea ibi excisa et aedificatus vicus : ut
inter Sacram Viam et Macellum editum Corneta (a cornis), 3 quae abscisae
loco re- liquerunt nomen, ut ^esculetum ab aesculo 4 dictum et
Fagutal a fago, unde etiam Iovis Fagutalis, quod ibi saeellum.
153. Armilustr(i)um 1 ab ambitu lustri : locus idem Circus Maximus
2 dictus, quod circum spectaculis aedificatus wbi 3 ludi fiunt, et quod
ibi circum metas fertur pompa et equi currunt. Itaque dictum in
Cornicula(ria) 4 militi's 5 adventu, quern circumeunt ludentes :
Quid cessamus ludos facere ? Circus noster ecce adest.
§152. 1 Groth, for in eo. 2 Added by Sciop. 3 Added by Aug., with
B. 4 Laetus, for escula. § 153. 1 For armilustrum. 2 Laetus, for
mecinus. 3 Aug., with B, for ibi. 4 Vertranius, for cornicula. 6
Tumebas, for milites. § 152. There is here a lacuna, or else
the in eo of the manuscripts stands for in Aventino ; for the Lauretum
was on the Aventine. § 153. The word denotes both the
ceremony, held on October 19, and the place where it was performed,
which seems originally to have been on the Aventine ; according to V.,
it was later held in the Circus, in the valley between the Aventine and
the Palatine. According to Servius, in Aen. i. 283, the name was
ambilustrum, so called because the ceremony was not legal unless
performed by both (ambo) censors jointly ; it is possible that the word
should be so emended here and at vi. 22. " Circum is merely the
ac- that the word was taken over as lautumia, because
here also in this place there were formerly stone- quarries.
1 52. On the Aventine a is the Lauretum ' Laurel- Grove,' called
from the fact that King Tatius was buried there, who was killed by the
Laurentes ' Lauren- tines,' or else from the laurea ' laurel ' wood,
because there was one there which was cut down and a street run
through with houses on both sides : just as between the Sacred Way and I
lie higher part of the Macellum are the Corneta ' Cornel-Cherry
Groves,' from corni 'cornel-cherry trees,' which though cut away
left their name to the place ; just as the Aescu- letum ' Oak-Grove' is
named from aesculus ' oak-tree,' and the Fagutal ' Beech-tree Shrine '
from fagus ' beech-tree,' whence also Jupiter Fagutalis ' of the
Beech-tree,' because his shrine is there. 153. Armilustrium a '
purification of the arms,' from the going around of the lustrum '
purificatory offering'; and the same place is called the Circus
Maximus, because, being the place where the games arc performed, it
is built up circum 6 ' round about ' for the shows, and because there the
procession goes and the horses race circum ' around ' the
turning-posts. Thus in The Story of the Helmet-Horn c the following
is said at the coming of the soldier, whom they en- circle and make fun
of : Why do we refrain from making sport ? See, here's our
circus-ring. cusative of circus. e Frag. I of Plautus's
Cornicularia, which may be taken as the Story of the Corniculum, a
horn- shaped ornament on the helmet, bestowed for bravery ; here
apparently assumed by a braggart soldier, the miles of the text.
143 V.
In circo primum unde mittuntur equi, nunc dicuntur carceres,
Naevius oppidum appellat. Carceres dicti, quod coercentur 6 equi, ne inde
exeant antequam magistratus signum misit. Quod a(d) muri spm'em'
pmnis 8 turribusque 9 carceres olim fuerunt, scripsit poeta :
Dictator ubi currum insidit, pervehitur usque ad oppidum.
154. Intumus circus ad Murcice 1 vocatur, 4 ut Procilius aiebat, ab
urceis, quod is locus esset inter figulos ; alii dicunt a murteto
declinatum, quod ibi id fuerit ; cuius vestigium manet, quod ibi est
sacellum etiam nunc Murteae Veneris. Item simili de causa
Circus Flaminius dicitur, qui circum aedificatus est Flaminium Campum, et
quod ibi quoque Ludis Tauriis equi circum metas currunt. 155.
Comitium ab eo quod coibant eo comitiis curiatis et litium causa. 1
Curiae duorum generum : nam et ubi curarent sacerdotes res divinas, ut 2
curiae 6 p, Ed. Veneta (cohercentur Laetus), for coercuntur. 7 Mue., for a
muris partem. 8 Laetus, for pennis. 9 Aug., for turribus qui.
§ 154. 1 L. Sp.,for murcim Fv. 2 Sciop.,/or uocatum. § 155. 1 Mue.
; caussa Aug., with B ; causae Fv. 2 For et. d
Merely the plural of career ' prison ' ; not related to coercere. e
Naevius, Comic. Rom. Frag., inc. fab. II Rib- beck 3 ; R.O.L. ii. 148-149
Warmington. § 154. ° Hist. Rom. Frag., page 3 Peter. " Page
116 Funaioli. c In the level ground of the Campus Martius, through
which C. Flaminius Nepos as censor in 220 b.c. built the Via Flaminia,
the great highway from Rome to the north, and near it the Circus
Flaminius ; he was consul in 217 and was killed in the battle with
Hannibal at Lake In the Circus, the place from which the horses are
let go at the start, is now called the Carceres ' Prison- stalls,'
but Naevius called it the Town. Carceres d was said, because the horses
coercentur ' are held in check,' that they may not go out from there
before the official has given the sign. Because the Stalls were
formerly adorned with pinnacles and towers like a wall, the poet wrote e
: When the Dictator mounts his car, he rides the whole way to
the Town. 1 54. The very centre of the Circus is called ad
Murciae ' at Murcia's,' as Procilius ° said, from the urcei ' pitchers,'
because this spot was in the potters' quarter ; others 6 say that it is
derived from murtetum ' myrtle-grove,' because that was there : of which
a trace remains in that the chapel of Venus Muriea 4 of the Myrtle
' is there even to this day. Likewise for a similar reason the Circus
Flaminius ' Flaminian Circus ' got its name, for it is built c circum '
around ' the Flaminian Plain, and there also the horses race circum
' around ' the turning-posts at the Taurian Games. d 155. The
Comitium ' Assembly-Place ' was named from this, that to it they coibant
' came together ' for the comitia curiata a ' curiate meetings ' and for
law- suits. The curiae 6 ' meeting-houses ' are of two kinds : for
there are those where the priests were to attend to affairs of the gods,
like the old meeting- Trasumennus. d Games in honour of the deities
of the netherworld. § 155. ° Long before V.'s time,
practically replaced by the comitia centuriata. * Curia denoted first a
group of gentes ; then a meeting-place for such groups ; then any
meeting-place. vol. i L 145 V.
veteres, et ubi senatus humanas, ut Curia Hostilia, quod primus
aedificavit Hostilius rex. Ante hanc Rostra ; cuius id vocabulum, ex
hostibus capta fixa sunt rostra ; sub dextra huius a Comitio locus
sub- structus, ubi nationum subsisterent legati qui ad senatum
essent missi ; is Graecostasis appellatus a parte, ut multa.
156. Senaculum supra Graecostasim, ubi Aedis Concordiae et Basilica
Opimia ; Senaculum vocatum, ubi senatus aut ubi seniores consisterent,
dictum ut yepoverta 1 apud Graecos. Lautolae ab lavando, quod ibi
ad Ianum Geminum aquae caldae fuerunt. Ab his palus fuit in Minore
Velabro, a quo, quod ibi vehebantur lintribus, 2 velabrum, ut illud de
quo supra dictum est. 157. Aequimaelium,quod a€p€Tpoi>.
167. Posteaquam transierunt ad culcitas, quod in eas acus 1 aut
tomentum aliudve quid calcabant, ab inculcando culcita dicta. Hoc
quicquid insternebant ab sternendo stragulum appellabant. Pulvinar vel
a plumbs vel a pellulis 2 declinarunt. Quibus operiban- tur,
operimenta, et pallia opercula dixerunt. In his multa peregrina, ut
sagum, reno Gallica, ut 3 gaunaca 4 et amphimallum Graeca ; contra
Latinum toral, 5 ante torum, et torus a torto, 6 quod is in
promptu. 2 Aug., for terras. 3 Ed. Veneta, for quam. 4 L.
Sp., for ubi. 5 Added by L. Sp. §167. 1 Turnebus, for ea
sagus. 2 Aldus, for a pluribus uel a pollulis. 3 GS. ; gallica Turnebus ;
for galli quid. 4 GS. ; gaunacum Scaliger, for gaunacuma. 5 A. Sp.
; toral quod Aug.; torale quod Aldus ; for tore uel. 6 Meursius, for
toruo. 6 That is, on additional straw and grass (if the text
be correct). e From the Greek, with dissimilative loss of the prior
t. d The standing grain ; then, the stems of the grain-plants, not merely
of wheat. * From the Greek word, which is from epa> ' I bear.'
§167. "Wrong. 6 Hoc = hue 'into this.' c From ' gathered
' the straw-coverings and the grass with which to make them, as even now
is done in camp ; these couches, that they might not be on the
earth, they raised up on these materials 6 ; — unless rather from
the fact that the ancient Greeks called a bed a \tK-pov. Those who
covered up a couch, called the coverings segestria, c because the
coverings in general were made from the seges d ' wheat-stalks,' as
even now is done in the camp ; unless the word is from the Greeks,
for there it is o-rkyao-rpov. Because the bed of a dead man fertur ' is
carried,' our ancestors called it a feretrum e ' bier,' and the Greeks
called it a 3 quod olim v(i)num 4 dicebant multa?« 5 : itaque
cum (in) 8 dolium aut culleum vinum addunt rustici, prima urna
addita dicunt etiam nunc. Poena a poeniendo aut quod post peccatum
sequitur. Pretium, quod emptionis aesti- mationisve causa constituitur,
dictum a peritis, quod hi soli facere possunt recte id. §
175. 1 Bergk,for issedonion. § 176. 1 L. Sp., for ceptum. 2 A. Sp.,
for ab eadem mente. 3 Bentinus, for intrigo (intrigo dicta et
intertrigo B and Aug.). § 177. 1 Groth, for a. 2 Aug., for
multas. 3 Added by Mue. 4 B, Laetus, for unum. 5 Goeschen,
for multae. 6 Added by Aug., with B. §176.
"Wrong. § 177. ° Multa 'fine,' possibly taken from Sabine,
but probably from the root in mulcare ' to beat.' V. seems to
identify it with multae ' many,' supply perhaps pecuniae : the magistrate
imposed one multa after another, just as the countrymen poured one multa
of wine after another into is Sdi'ciov with the Aeolians, and 86p.a as
others say it, and ooo-is of the Athenians. Arrabo '
earnest-money,' when money is given on this stipulation, that a
balance is to be paid : this word likewise is from the Greek, where it is
dppafiwv. Reliquum ' balance,' because it is the reliquum ' remainder '
of what is owed. 176. Damnum ' loss,' from demptio ' taking away,'
a when less is brought in by the sale of the object than it cost.
Lucrum ' profit ' from luere ' to set free,' if more is taken in than
will exsolvere ' release ' the price at which it was acquired.
Detrimenium ' damage,' from detritus ' rubbing off,' because those things
which are trita ' rubbed ' are of less value. From the same
trimentum comes intertrimentum ' loss by attrition,' because two things
which have been trita ' rubbed ' inter se ' against each other ' are also
diminished ; from which moreover intertrigo ' chafing of the skin '
is said. 177. A multa ' fine ' is that money named by a
magistrate, that it might be exacted on account of a transgression ;
because the fines are named one at a time, they are called midtae as
though ' many,' and because of old they called wine multa : thus when
the countrymen put wine into a large jar or wine-skin, they even
now call it a multa after the first pitcherful has been put in. a Poena '
penalty,' from poenire 6 ' to punish ' or because it follows post ' after
' a transgres- sion. Pretium ' price ' is that which is fixed for
the purpose of purchase or of evaluation ; it is named from the
periti d ' experts,' because these alone can set a price correctly.
the storage jars or skins. 6 Poena from Greek : poenire (classical
punire) from poena. * As though from pone ' behind,' =post. d Wrong
etymology. Si quid datum pro opera aut opere,
merces, a merendo. Quod manu factum erat et datum pro eo, manupretium,
a manibus et pretio. Corollarium, si additum praeter quam quod debitum ;
eius voca- bulum fictum a corollis, quod eae, cum placuerant
actores, in scaena dari solitae. Praeda est ab hosti- bus capta, quod manu parta, ut
parida praeda. Prae- mium a praeda, quod ob recte quid factum
concessum. 179- Si datum quod reddatur, mutuum, quod Siculi
[xoItov : itaque scribit Sophron Moitov arri/xo. 1 Et
munus quod mutuo animo qui sunt dant officii causa ; alterum munus, quod
muniendi causa impera- tum, a quo etiam municipes, qui una munus
fungi debent, dicti. 180. Si es{ty ea pecunia quae in
h/dicium 2 venit in litibus, sacramentum a sacro ; qui 3 petebat et
qui infiiiabatur, 4 de aliis rebus ut(e)rque 5 quingenos aeris ad
ponte Re liustica, iii. 5. 3, who says that the entrance to a bird-cote is called a coclia '
snail-shell,' being intended to admit air and some light, but not to
permit direct vision from the interior to the outside. ' V. had a
friend Q. Lucienn% a Roman senator, well versed in Greek; he appears
as a speaker in V.'s De Re Rustica, ii. (5. 1, in turdarium ' thrush-cote
' and turdelix e ' spiral en- trance for thrushes.' Thus the Greeks, in
adapting our names, make Aeivuqi'ds of Lucienns * and Koii'-ios of
Quinctius, and we make Aristarcfius of their'Aptcr-ap- Xos and Z)/o of
their Attov. In just this way, I say, our practice has altered many from
the old form, as solum 9 ' soil ' from solu, hiberum h ' God of Wine '
from hoe- besom, hares i ' Hearth-Gods ' from hases : these words,
covered up as they are by lapse of time, I shall try to dig out as best I
can. II. 3. First we shall speak of the time-names, then of
those things which take place through them, but in such a way that first
Ave shall speak of their essential nature : for nature was man's guide to
the imposition of names. Time, they say, is an interval in the
motion of the world. This is divided into a number of parts, especially
from the course of the sun and the moon. Therefore from their temperatus
' moderated ' career, tempus ' time ' is named," and from this comes
tempestiva ' timely things ' ; and from their motus ' motion,' the mundus
b ' world,' which is joined with the sky as a whole. 4. There
are two motions of the sun : one with the sky, in that the moving is
impelled by Jupiter as ruler, who in Greek is called ii'a, when it comes
from east to west ° ; wherefore this time is from this god called a
etc). ' With change from the fourth declension to the second (if
the text is correct). * With change of the vowel as well as rhotacism ;
the accusative form must be kept in the translation, to show this
clearly. * With rhotacism (change of intervocalic s to r). §
3. * The converse is true : temperare is from tempus. b Wrong.
§ 4. ° This insertion in the text gives the needed sense : the
second motus is in § 8. ab hoc deo dies appellatur. Meridies ab eo quod mcdius dies. D antiqui, non
R in hoc dicebant, ut Praeneste incisum in solario vidi. Solarium
dictum id, in quo horae in sole inspiciebantur, (vel horologium ex
aqua), 2 quod Cornelius in Basilica Aemilia et Fulvia inumbravit. Diei
principium mane, quod turn 3 manat dies ab oriente, nisi potius quod
bonum antiqui dicebant manum, ad cuiusmodi religionem Graeci quoque
cum lumen affcrtur, solent dicere dyudov. 5. Suprema summum
diei, id ab superrimo. Hoc tempus XII Tabulae dicunt occasum esse solis ;
sed postea lex P/aetoria 1 id quoque tempus esse iubet supremum quo
praetor in Comitio supremam pronun- tiavit populo. Secundum hoc dicitur
crepusculum a crepero : id vocabulum sumpserunt a Safiinis, unde
veniunt Crepusci nominati Amiterno, qui eo tempore erant nati, ut Luci(i)
2 prima luce in Reatino 3 ; cre- pusculum significat dubium ; ab eo res
dictae dubiae creperae, quod crepusculum dies etiam nunc sit an iam
nox multis dubium. 2 Added by GS. 3 For cum. §5. 1 Aug., for praetoria. 2
Laehis,for luci. 3 Mue., for reatione or creatione. *
Dies is cognate with Greek Ala, but not derived from it. " P.
Cornelius Scipio Nasica Corculum, when censor in 159 b.c. with M.
Popilius Laenas, setup the first water-clock in Rome in this Basilica,
which was erected in 179 on the north side of the Forum by the censors M.
Aemilius Lepidus and M. Fulvius Nobilior, from whom it was named. d
Both etymologies wrong. §5. "Approximately correct. * Page 119
Schoell. dies ' day.' 6 Meridies ' noon,' from the fact that it is
the medius ' middle ' of the dies ' day.' The ancients said D in this
word, and not R, as I have seen at Prae- neste, cut on a sun-dial.
Solarium ' sun-dial ' was the name used for that on which the hours were
seen in the sol ' sunlight ' ; or also there is the water-clock,
which Cornelius* set up in the shade in the Basilica of Aemilius and
Fulvius. The beginning of the day is mane ' early morning,' because then
the day manat ' trickles ' from the east, unless rather because the
ancients called the good manum d : from a supersti- tious belief of the
same kind as influences the Greeks, who, when a light is brought, make a
practice of saying, " Goodly light ! " 5. Suprema
means the last part of the day ; it is from superrimum. a This time, the
Twelve Tables say, 6 is sunset ; but afterwards the Plaetorian Law c
de- clares that this time also should be ' last ' at which the
praetor in the Comitium has announced to the people the suprema ' end of
the session.' In line with this, crepusculum ' dusk ' is said from
creperum ' obscure ' ; this word they took from the Sabines, from
whom come those who were named Crepusci, from Amiter- num, who had
been born at that time of day, just like the Lucii, who were those born
at dawn (prima luce) in the Reatine country. Crepusculum means doubtful
: from this doubtful matters are called creperae ' ob- scure,' d
because dusk is a time when to many it is doubtful whether it is even yet
day or is already night. e A law for the protection of
minors, named from Plaetorius, a tribune of the people. d All
etymologically sound, but a meaning 4 doubtful ' must have proceeded from
a word crepus ' dusk.' VOL. I X 177 V.
6. Nox, quod, ut Pacm'us 1 ait, Omnia nisi interveniat sol
pruina obriguerint, quod nocet, nox, nisi quod Graecc vv^ nox.
Cum Stella prima exorta (eum Graeci vocant ea-irepov, nostri
Vesperuginem ut Plautus : Neqne Vesperugo neque Vergiliae
occidunt), id tempus dictum a Graecis kcnrkpa, Latine vesper
; ut ante solem ortum quod eadem Stella vocatur iubar, quod iubata,
Pacui dicit pastor : Exorto iubare, noctis decurso itinere ;
Enni* Aiax : Lumen — iubarne ? — in caelo cerno. 7. Inter vesperuginem et iubar dicta nox intem-
pesta, ut in Bruto Cassii quod dicit Lucretia : Nocte intempesta
nostram devenit domum. Intempestam Aelius dicebat cum tempus agendi
est nullum, quod alii concubium 1 appellarunt, quod omnes fere tunc
cubarent ; alii ab eo quod sileretur § 6. 1 Ribbeck ; Pacuvius Scaliger
; for catulus. 2 GS. ; Ennii Laetus ; for ennius. § 7. 1
Laetus, for inconcubium. §6. ° Antiopa, Trag. Rom. Frag. 14 Ribbeck
3 ; R.O.L. ii. 170-171 Warmington; cf. Funaioli, page 123. Ribbeck
's nocti ni for nisi is probably Pacuvius's wording; V., as often,
paraphrases the quotation. * Nox and vv£ come from the same source;
connexion with nocere is dubious. e Amphitruo,275. d Correct etymologies.
" Iubar and tuba ' mane ' are not related, despite vii. 76. f Trag.
Rom. Frag. 347 Ribbeck 3 ; R.O.L. ii. 320-321 Warmington. » Trag.
Rom. Frag. 336 Ribbeck 3 ; R.O.L. i. 226-227 Warmington; cf. vi. 81 and
vii. 76. § 7 ° A writer of praetextae, otherwise unknown :
the name recurs at vii. 72 ; possibly Victorius's emendation to Nox
' night ' is called nox, because, as Pacuvius says," All
will be stiff with frost unless the sun break in, because it nocet
' harms ' ; unless it is because in Greek night is vv£. b When the first
star has come out (the Greeks call it Hesperus, and our people call
it Vesperugo, as Plautus does c : The evening star sets not, nor
yet the Pleiades), this time is by the Greeks called lter (ac>
caeli, 1 quod movetur a bruma ad solstitium. Dicta bruma, quod
brevissimus tunc dies est ; solstitium, quod sol eo die sistere
videbatur, quo 2 ad nos versum proximus est. Sol 3 cum venit in medium
spatium inter brumam et solstitium, quod dies aequus fit ac nox,
aequinoctium dictum. Tempus a bruma ad brumam dum sol redit, vocatur
annus, quod ut parvi circuli anuli, sic magni dicebantur circites ani,
unde annus. 9- Huius temporis pars prima hiems, quod turn
multi imbres ; hinc hibernacula, hibernum ; vel, quod turn anima quae
flatur omnium apparet, ab hiatu hiems. Tempus secundum ver, quod turn virere
1 incipiunt virgulta ac vertere se tempus anni ; nisi quod Iones
dicunt r;p 2 ver. Tertium ab aestu aestas ; hinc aestivum ; nisi forte a
Graeco aWecr9ai. Quar- tum
autumnus, (ab augendis hominum opibus dictus frugibusque coactis, quasi
auctumnus). 3 2
For conticinnium /. 3 uidebitur Plautus. 4 redito hue Plautus. 6 For
conticinnio /. § 8. 1 Mue.,for alter caeli. 2 quo A. Sp. ; quod
Mue. ; for aut quod. 3 A. Sp. ; proximus est sol, solstitium L. Sp.
; for proximum est solstitium. § 9. 1 Aldus, for uiuere. 2 L. Sp. ;
eap Victorius ; for et. 3 Added by GS., after Krieg shammer, and
Fest. 23. 11 If. d Asinaria, 685. § 8. For the
first motion, see § 4. 6 The winter and the summer solstices. e Annus is
not connected with anus or anulus ' ring.' § 9. Wrong. *
Cognate with the Greek, not derived from it. the time which Plautus
likewise calls the conticinium ' general silence ' : for he writes d
: We'll see, I want it done. At general-silence time come
back. 8. There is a second motion of the suri, a differing
from that of the sky, in that the motion is from bruma ' winter's day '
to sohtitium ' solstice.' 6 Bruma is so named, because then the day is
brevissimus ' shortest ' : the sohtitium, because on that day the sol '
sun ' seems sister e ' to halt,' on which it is nearest to us. When
the sun has arrived midway between the bruma and the sohtitium, it is
called the aequinoctium ' equinox,' because the day becomes aequus '
equal ' to the nox ' night.' The time from the bruma until the sun
re- turns to the bruma, is called an annus ' year,' because just as
little circles are anuli ' rings,' so big circuits were called ani,
whence comes annus ' year.' c 9. The first part of this time is the
hiems ' winter,' so called because then there are many imbres '
showers ' a ; hence hibernacula ' winter encamp- ment,' hibernum ' winter
time ' ; or because then everybody's breath which is breathed out is
visible, hiems is from hiatus ' open mouth.' a The second season is
the ver b * spring,' so called because then the virgulta ' bushes ' begin
virere ' to become green ' and the time of year begins vertere ' to turn
or change ' itself" ; unless it is because the Ionians say rjp
for spring. The third season is the aestas ' summer,' from aestus '
heat ' ; from this, aestivum ' summer pas- ture ' ; unless perhaps it is
from the Greek aWetrdai ' to blaze.' 6 The fourth is the autumnus '
autumn,' named from augere ' to increase ' the possessions of men
and the gathered fruits, as if auctumnus. a 181 V.
10. endo 5 sub/iga&ulum. 6
Vo/turnalia 7 a deo Vo/turno, 8 cuius feriae turn. Octo- bri mense
Meditrinalia dies dictus a medendo, quod Flaccus flamen Martialis dicebat
hoc die solitum vinum (novum) 1 et vetus libari et degustari
medica- menti causa ; quod facere solent etiam nunc multi cum
dicttnt 10 : Novum vetus vinum bibo : novo veteri 11 morbo
medeor. 22. Fontanalia a Fonte, quod is dies feriae eius ; ab
eo turn et in fontes coronas iaciunt et puteos coronant. Armilustrium ab
eo quod in Armilustrio armati sacra faciunt, nisi locus potius dictus ab
his ; sed quod de his prius, id ab luendo 1 aut lustro, id est quod
circumibant ludentes ancilibus armati. 3 L. Sp., for aut. 4 Aldus,
for diciturne. 6 Skutsch, for suffiendo. * Kent, for subligaculum. 7 For
uor- turnalia ; cf. volturn. in the Fasti. 8 For uorturno / cf.
preceding note. 9 Added by Laetus. 10 L. Sp., for dicant. 11 After
veteri, G, V,f, Aldus deleted uino; cf. Festus, 123. 16 M. §
22. 1 Vertranius, for luendo. c An oblong piece of white
cloth with a coloured border, which the Vestal Virgins fastened over
their heads with a fibula ' clasp ' when they offered sacrifice ; cf.
Festus, 348 a 25 and 3*9. 8 M. d On August 27; the god Volturnus
cannot be identified unless he is identical with Vortumnus (Vertumnus),
since he can hardly be the deity of the river Volturnus in Campania or of
the mountain Voltur, in Apulia, near Horace's birthplace. « On October 3
; Meditrina, may enter it except the Vestal Virgins and the state
priest. " When he goes there, let him wear a white veil," is
the direction ; this suffibuluni e ' white veil ' is named as if
sub-Jigabulum from sujfigere ' to fasten down.' The Volturnalia '
Festival of Volturnus,' from the god Volturnus, 41 whose feast takes
place then. In the month of October, the MeditrinaUa e ' Festival
of Meditrina ' was named from mederi ' to be healed,' because Flaccus the
special priest of Mars used to say that on this day it was the practice
to pour an offering of new and old wine to the god, and to taste of
the same/ for the purpose of being healed ; which many are
accustomed to do even now, when they say : Wine new and old I
drink, of illness new and old I'm cured.* 22. The Fontanalia
' Festival of the Springs,' from Fons ' God of Springs,' because that day
° is his holi- day ; on his account they then throw garlands into
the springs and place them on the well- tops. The Armilustrium 6 '
Purification of the Arms,' from the fact that armed men perform the
ceremony in the Armilustrium, unless the place c is rather named
from the men ; but as I said of them previously, this word comes
from ludere ' to play ' or from lustrum ' puri- fication,' that is,
because armed men went around ludentes ' making sport ' with the sacred
shields. d Goddess of Healing. 'The ceremonial first drinking
of the new wine. ' Frag. Poet. Lat., page 31 Morel. § 22. »
October 13. » October 13. e The place was named from the ceremony ; cf.
v. 153. d The first ancile is said to have fallen from heaven in the
reign of Numa, who had eleven others made exactly like it, to prevent its
loss or to prevent knowledge of its loss ; for the safety of the
City depended on the preservation of that shield which fell from
heaven. 195 V. Saturnalia
dicta ab Saturno, quod eo die feriae eius, ut post diem tertium Opalia
Opis. 23. Angeronalia ab Angerona, cui sacrificium fit in
Curia Acculeia et cuius feriae publicae is dies. Larentinae, quem diem quidam in scribendo
Laren- talia appellant, ab Acca Larentia nominatus, cui sacerdotes
nostri publice parentant e sexto die, 1 qui a& ea* dicitur die* 3
Parent(ali)um 4 Accas Larentinas. 5 24. Hoc sacrificium fit in
Velabro, qua 1 in Novam Viam exitur, ut aiunt quidam ad sepulcrum Accae,
ut quod ibi prope faciunt diis Manibus servilibus sacer- dotes ;
qui uterque locus extra urbem antiquam fuit non longe a Porta Romanula,
de qua in priore libro dixi. Dies Septimontium nominatus ab his
septem montibus, in quis sita Urbs est ; feriae non populi, sed
montanorum modo, ut Paganalibus, qui sunt alicuius pagi. 25.
De statutis diebus dixi ; de anrialibus nec § 23. 1 parentant Aug.,
e sexto die Fay, for parent ante sexto die. 2 Mue., for atra. 3 L. Sp., for diem. 4
Mommsen, for tarentum. 6 L. Sp., for tarentinas. § 24. 1 Laetus,
for quia. ' December 17, and the following days. ' December
19. § 23. ° On December 21. * Goddess of Suffering and
Silence. c On December 23 ; supply feriae with Laren- tinae. d Wife of
Faustulus ; she nursed and brought up the twins Romulus and Remus. e
" Sixth " is wrong if the Saturnalia began on December 17,
unless in this instance both ends are counted, or the allusion is to an
earlier practice by which the Saturnalia began one day later. On the
phrase e sexto die, cf. Fay, Amer. Jmtrn. Phil. xxxv. 246. f
Archaic genitive singular ending in -as. The Saturnalia ' Festival of
Saturn ' was named from Saturn, because on this day * was his festival,
as on the second dav thereafter the Opalia/ the festival of
Ops. 23. The Angeronalia," from Angerona, 6 to whom a
sacrifice is made in the Acculeian Curia and of whom this day is a state
festival. The Larentine Festival, 6 which certain writers call the
Larentalia, was named from Acca Larentia, d to whom our priests
officially perform ancestor-worship on the sixth day after the
Saturnalia,' which day is from her called the Day of the Parentalia of
Larentine Acca/ 24. This sacrifice is made in the Velabrum,
where it ends in New Street, as certain authorities say, at the
tomb of Acca, because near there the priests make offering to the
departed spirits of the slaves ° : both these places b were outside the
ancient city, not far from the Little Roman Gate, of which I spoke in
the preceding book." Septimontium Day d was named from these
septem viontes ' seven hills,' ' on which the City is set ; it is a
holiday not of the people generally, but only of those who live on the
hills, as only those who are of some pagus ' country district ' have a
holi- day 1 at the Paganalia 3 ' Festival of the Country
Districts.' 25. The fixed days are those of which I have
spoken ; now I shall speak of the annual festivals § 24. °
Faustulus and Acca were, of course, slaves of the king. * The tomb of
Acca and the place of sacrifice to the Manes serciles. e v. 164. d On
December 11. * Not the usual later seven; Festus, 348 M., lists
Capitoline with Velia and Cermalus, three spurs of the Esquiline —
Oppius, Fagutal, Cispius — and the Subura valley between. ' Supply
feriantur. ' Early in January, but not on a fixed date.
197 V. de 1 statutis dicam.
Compitalia dies attributus Laribus viaUhus 2 : ideo ubi viae competunt
turn in competis sacrificatur. Quotannis is dies concipitur.
Similiter Latinae Feriae dies conceptivus 3 dictus a Latinis populis,
quibus ex Albano Monte ex sacris carnem 4 petere fuit ius cum Romanis, a
quibus Latinis Latinae dictae. 26. Sementivae 1 Feriae dies
is, qui a pontificibus dictus, appellatus a semente, quod sationis causa
sus- cepta(e). 2 Paganicae eiusdem agriculturae causa susceptae, ut
haberent in agris omn/s 3 pagus, unde Paganicae dictae. Sunt praeterea
feriae conceptivae quae non sunt annales, ut hae quae dicuntur sine
proprio vocabulo aut cum perspic?/o, 4 ut Novendiales 5 sunt.
IV. 27. De his
diebus (satis) 1 ; nunc iam, qui hominum causa constituti, videamus. Primi dies mensium
nominati ivalendae, 2 quod his diebus calan- § 25. 1 Mommsen, for
de. 2 Bongars, for ut alibi. 3 Laetus, for conseptivus. 4 Victorius, for
carmen. § 26. Vertranius, for sementinae. 2 Aldus, for
suscepta. 3 Aldus, for omnes. 4 Aug., for perspicio. 6 For
novendialis. § 27. 1 Added by Sciop. 2 Aug., with B, for caK
§ 25. ° That is, set by special proclamation, and not always
falling on the same date. b By the praetor, not far from January 1. e
Written competa in the text, to make the association with competunt. d
The festival of the league of the Latin cities; its date was set by the
Roman consuls (or by a consul) as soon as convenient after entry
into office. § 26. ° In January, on two days separated by a
space of seven days ; as they were days of sowing, the choice
depended upon the weather. * Collective singular with 198
ON THE LATIN LANGUAGE, VI. 25-27 which are not
fixed on a special day.° The Compitalia is a day assigned 6 to the Lares
of the highways ; therefore where the highways competunt ' meet,'
sacrifice is then made at the compita c ' crossroads.' This day is
appointed every year. Likewise the Latinae Feriae ' Latin Holiday ' d is
an appointed day, named from the peoples of Latium, who had equal
right with the Romans to get a share of the meat at the sacrifices on the
Alban Mount : from these Latin peoples it was called the Latin
Holiday. 26. The Sementivae Feriae ' Seed-time Holiday ' is
that day which is set by the pontiffs ; it was named from the sementis '
seeding,' because it is entered upon for the sake of the sowing. The
Paganicae ' Country-District Holiday ' was entered upon for the sake
of this same agriculture, that the whole pagus 6 ' country-district '
might hold it in the fields, whence it was called Paganicae. There are
also appointive holidays which are not annual, such as those which
are set without a special name of their own, c or with an obvious
one, such as is the Novendialis ' Ceremony of the Ninth Day.' d
IV. 27. About these days this is enough ° ; now let us see to the
days which are instituted for the interests of men. The first days of the
months are named the Kalendae, b because on these days the
plural verb. e Such as the supplicat tones voted for Caesar's
victories in Gaul ; cf. Bell. Gall. ii. 35. 4, iv. 38. 5, vii. 90. 8. d
The offerings and feasts for the dead on the ninth day after the funeral
; also, a festival of nine days proclaimed for the purpose of averting
misfortunes whose approach was indicated by omens and prodigies.
§ 27. ° The insertion of satis makes the chapter beginning conform
to those at v. 57, 75, 95, 184, vi. 35, etc. * The K in Kalendae and
halo, before A, is well attested. 199 V. tur eius
menszs 3 Nonae a pontificibus, quintanae an septimanae sint futurae, in
Capitolio in Curia Calabra sic : " Die te quin/z 4 ka\o 5 Iuno
Covella " (aut) 8 " Sep- tim(i) die te 7 ka\o 5 Iuno Covella."
28. Nonae appellatae aut quod ante diem nonum Idus semper, aut
quod, ut novus annus Kalendae 1 Ianuariae ab novo sole appellatae, novus
mensis (ab) a nova luna Nonce 3 ; eodem die 4 in Urbe(m) 5 (qui) 6
in agris ad regem conveniebat populus. Harum rerum vestigia
apparent in sacris Nonalibus in Arce, quod tunc ferias primas menstruas,
quae futurae sint eo mense, rex edicit populo. Idus ab eo quod
Tusci Itus, vel potius quod Sabini Idus dicunt. 29. Dies
postridie Kalendas, Nonas, Idus appellati atri, quod per eos dies (nihil)
1 novi inciperent. Dies fasti, per quos praetoribus omnia verba sine
piaculo licet fari ; comitiales dicti, quod turn ut (in Comitio) 2
3 Aug., with B, for menses. 4 Mommsen ; die te V Christ ; for dictae
quinque. 5 See note 2, § 27. 6 Added by Zander. 7 Mommsen ; VII die te
Christ ; for septem dictae. § 28. 1 Aug., with B,for
calendae. 2 a added by Sciop. 3 Sciop., for nonis. 4 After die, Mue.
deleted enim. 8 Laetus,for urbe. 6 Added by L. Sp. §29. 1
Added by Turnebus. 2 Added by Bergk. e See v. 13. d The
statement of Macrobius, Sat. i. 15. 10, that kalo Iuno Covella was
repeated five or seven times re- spectively, may rest merely on a
corrupted form of this passage which was in the copy used by Macrobius. '
' Juno of the New Moon ' ; Covella, diminutive from covus '
hollow,' earlier form of cavus (cf. v. 19) — unless it be corrupt
for Novella, as Scaliger thought. For the New Moon has a concave
shape. § 28. The north-eastern summit of the Capitoline. 6
Origin uncertain ; perhaps from Etruscan, as V. says. Nones of this month
calantur ' are announced ' by the pontiffs on the Capitoline in
Announcement Hall, c whether they will be on the fifth or on the seventh,
in this way d : " Juno Covella, e I announce thee on the fifth
day " or " Juno Covella, I announce thee on the seventh
day." 28. The Nones are so called either because they
are always the nonus ' ninth ' day before the Ides, or because the Nones
are called the novus ' new ' month from the new moon, just as the Kalends
of January are called the new year from the new sun ; on the same
day the people who were in the fields used to flock into the City to the
King. Traces of this status are seen in the ceremonies held on the Nones,
on the Citadel," because at that time the high-priest
announces to the people the first monthly holidays which are to take
place in that month. The Idus b ' Ides,' from the fact that the Etruscans
called them the Itus, or rather because the Sabines call them the
Idus. 29. The days next after the Kalends, the Nones, and the
Ides, were called atri ' black,' because on these days they might not
start anything new. Dies fasti b ' righteous days, court days,' on which
the praetors c are permitted fart ' to say ' any and all words without
sin. Comitiales ' assembly days ' are so called because then it is the
established law that the § 29. a Gf. Macrobius, Sat. i. 15. 22 ;
the use of ater was appropriate after the Ides, when the moon was not
visible in the day nor in the early evening, nor was it visible immedi-
ately after the Kalends. 6 That is, when it was fas to hold court and
make legal decisions; V. connects with fari ' to say,' with which the
Romans associated fas etymologi- cally, but the connexion has recently
been questioned. e Who functioned as judges. 201 V.
esset populus constitutum est ad suffragium ferun- dum, nisi si
quae feriae conceptae essent, propter quas non liceret, (ut) 3 Compitalia
et Latinae. 30. Contrarii
horum vocantur dies nefasti, per quos dies nefas fari praetorem "
do," " dico," " ad- dico " ; itaque non potest
agi : necesse est aliquo (eorum) 1 uti verbo, cum lege qui(d) 2
peragitur. Quod si turn imprudens id verbum emisit ac quem manu-
misit, ille nihilo minus est liber, sed vitio, ut magi- stratus vitio
creatus nihilo setf us 3 magistratus. Praetor qui turn fatus 4 est, si
imprudens fecit, piaculari hostia facta piatur ; si prudens dixit,
Quintus Mucius aiebat 5 eum expiari ut impium non posse. 31.
Interctsi 1 dies sunt per quos mane et vesperi est nefas, medio tempore
inter hostiam caesam e t exta porrecta 2 fas ; a quo quod fas turn
intercedit aut eo 3 intercisum nefas, intercis?. 4 Dies qui vocatur sic
" Quando 5 rex comitiavit fas," is 6 dictus ab eo quod 3
Added by Laetus. § 30. 1 Added by Laetus, with B. 2 Laetus, for
qui. 3 A. Sp. ; secius Victorius ; for sed ius. 4 Turnebus, for
factus. 8 L. Sp., for abigebat. § 31. 1 Laetus, for intercensi. 2
Aug., with B, for proiecta. 3 L. Sp. ; eo est Mue. ; for eos. 4 A.
Sp., for intercisum. 5 Before quando, B inserts Q R C F, the
abbreviation found in the Fasti. 6 fas is Victorius, for fassis.
§ 30. ° For the meaning of vitio, see Dorothy M. Paschall,
" The Origin and Semantic Development of Latin Vitium," Trans.
Amer. Philol. Assn. lxvii. 219-231. * i. 19 Huschke. § 31. °
March 24 and May 24. * The caedere ' to cut ' in intercidere and the
cedere ' to go on ' in intercedere are not etymologically connected. people
should be in the Comitium to cast their votes — unless some holidays
should have been proclaimed on account of which this is not permissible,
such as the Compitalia and the Latin Holiday. 30. The
opposite of these are called dies nefasti ' unrighteous days,' on which
it is nefas ' unrighteous- ness ' for the praetor to say do ' I give,'
dico ' I pro- nounce,' addico ' I assign ' ; therefore no action
can be taken, for it is necessary to use some one of these words, when
anything is settled in due legal form. But if at that time he has
inadvert- ently uttered such a word and set somebody free, the
person is none the less free, but with a bad omen" in the
proceeding, just as a magistrate elected in spite of an unfavourable omen
is a magistrate just the same. The praetor who has made a legal
decision at such a time, is freed of his sin by the sacrifice of an
atonement victim, if he did it unintentionally ; but if he made the pro-
nouncement with a realization of what he was doing, Quintus Mucius 6 said
that he could not in any way atone for his sin, as one who had failed in
his duty to God and country. 31. The intercisi dies ' divided
days ' are those a on which legal business is wrong in the morning and
in the evening, but right in the time between the slaying of the
sacrificial victim and the offering of the vital organs ; whence they are
intercisi because the fas ' right ' intercedit 6 ' comes in between ' at
that time, or because the nefas ' wrong ' is intercisum ' cut into
* by the fas. The day which is called thus : " When the
high-priest has officiated in the Comitium, Right," is named from
the fact that on this day the high-priest pronounces the proper formulas
for the sacrifice in the 203 V.
eo die rex sacrificio ius' dicat ad Comitium, ad quod tempus est
nefas, ab eo fas : itaque post id tempus lege actum saepe. 32. Dies qui vocatur " Quando stercum
delatum fas," 1 ab eo appellatus, quod eo die ex Aede Vestae
stercus everritur et per Capitolinum Clivum in locum defertur certum. Dies Alliensis ab Allia 2
fluvio dictus : nam ibi exercitu nostro fugato Galli obse- derunt
Romam. 33. Quod ad singulorum dicrum vocabula pertinet dixi.
Mensium nomina fere sunt aperta, si a Martio, ut antiqui constituerunt,
numeres : nam primus a Marte. Secundus, ut Fulvius scribit et Iunius,
a Venere, quod ea sit ApArodite 1 ; cuius nomen ego antiquis
litteris quod nusquam inveni, magis puto dictum, quod ver omnia aperit,
Aprilem. Tertius a
maioribus Maius, quartus a iunioribus dictus Iunius. 34. Dehinc
quintus Quintilis et sic deinceps usque ad Decembrem a numero. Ad hos qui
additi, prior a principe deo Ianuarius appellatus ; posterior, ut
idem dicunt scriptores, ab diis inferis Februarius appellatus,
7 Other codices, for sacrificiolus Fv. § 32. 1 Before quando, B
inserts Q S D F, the abbrevia- tion found in the Fasti. 2 B, Laetus,for
allio (auio/). § 33. 1 For afrodite. § 32. a June 15. 6
July 18 ; anniversary of the battle of 390 b.c, at the place where the
Allia flows into the Tiber, eleven miles above Rome. § 33. °
Probably from an adjective apero- ' second,' not otherwise found in
Latin. 6 Servius Fulvius Flaccus, consul 135 b.c, skilled in law,
literature, and ancient history. "Page 121 Funaioli ; page 11
Huschke. d From Maia, mother of Mercury. * From the goddess Juno ; page
121 Funaioli. § 34. a V. wrote before Quintilis was renamed
Iulius presence of the assembly, up to which time legal business is
wrong, and from that time on it is right : therefore after this time of
day actions are often taken under the law. 32. The day a
which is called " When the dung has been carried out, Right,"
is named from this, that on this day the dung is swept out of the Temple
of Vesta and is carried away along the Capitoline Incline to a
certain spot. The Dies Alliensis b ' Day of the Allia ' is called from
the Allia River ; for there our army was put to flight by the Gauls just
before they besieged Rome. 33. With this I have finished my
account of what pertains to the names of individual days. The names
of the months are in general obvious, if you count from March, as the
ancients arranged them ; for the first month, Martius, is from Mars. The
second, Aprilis, a as Fulvius 6 writes and Junius also, 6 is from
Venus, because she is Aphrodite ; but I have nowhere found her name in
the old writings about the month, and so think that it was called April
rather because spring aperit ' opens ' everything. The third was
called Maius d ' May ' from the maiores ' elders,' the fourth Iunius e '
June ' from the iuniores ' younger men.' 34. Thence the fifth
is Quintilis a ' July ' and so in succession to December, named from the
numeral. Of those which were added to these, the prior was called
Ianuarius ' January ' from the god b who is first in order ; the latter,
as the same writers say, 6 was called Februarius* ' February ' from the
di inferi ' gods and Sextilis was renamed Augustus. * Janus.
'Page 16 Funaioli ; page 11 Huschke. d From a lost word feber '
sorrow.' 205 V. quod turn his
paren(te)tur x ; ego magis arbitror Februarium a die februato, quod turn
februatur populus, id est Lupercis nudis lustratur antiquum oppidum
Palatinum gregibus humanis cinctum. V. 35. Quod ad temporum
vocabula Latina attinet, hactenus sit satis dictum ; nunc quod ad
eas res attinet quae in tempore aliquo fieri animadver- terentur,
dicam, ut haec sunt : legisti, cumis, 1 ludens ; de quis duo praedicere
volo, quanta sit multitudo eorum et quae sint obscuriora quam alia.
36. Cum verborum declinatuum 1 genera sint quat- tuor, unum quod
tempora adsignificat neque habet casus, ut ab lego leges, lege 2 ;
alterum quod casus habet neque tempora adsignificat, ut ab lego
lectio et lector ; tertium quod habet utrunque et tempora et casus,
ut ab lego legens, lecturus ; quartum quod neutrum habet, ut ab lego
lecte ac lectissime : horum verborum si primigenia sunt ad mi/fe, 3 ut
Cosconius scribit, ex eorum declinationibus verborum discrimina
quingenta milia esse possunt ideo, quod a* singulis verbis primigenii(s)
5 circiter quingentae species de- clinationibus fiunt. § 34.
1 Aug. ; parentent Laetus ; for parent. § 35. 1 Mue., with G, II, for
currus. § 36. 1 B, Laetus, for declinatiuum. 2 V, b, for lego
Fv. 3 Victorius, for admitte. 4 L. Sp., for quia. 5 Aug., for
primigenii. • Three different ceremonies are confounded here
: one of purification, one of expiation to the gods of the Lower
World, one of fertility ; cf. vi. 13, note a. § 35. That is,
all verbal forms, and the derivatives from the verbal roots.
§ 36. The verb has both meanings ; some of the deriva- tives have
only one or the other. 6 Q. Cosconius, orator of the Lower World,' because
at that time expiatory sacrifices are made to them ; but I think that it
was called February rather from the dies februalus ' Puri- fication
Day,' because then the people februatur ' is purified,' that is, the old
Palatine town girt with flocks of people is passed around by the naked
Luperci.' V. 35. As to what pertains to Latin names of time
ideas, let that which has been said up to this point be enough. Now I
shall speak of what concerns those things which might be observed as
taking place at some special time a — such as the following :
legisti ' thou didst read,' cursus ' act of running,' ludens '
playing.' With regard to these there are two things which I wish to say
in advance : how great then- number is, and what features are less
perspicuous than others. 36. The inflections of words are of
four kinds : one which indicates the time and does not have case,
as leges ' thou wilt gather or read,' a lege ' read thou,' from
lego 1 I gather or read ' ; a second, which has case and does not
indicate time, as from lego lectio ' collection, act of reading,' lector
' reader'; the third, which has both, time and case, as from lego
legens ' reading,' ledums ' being about to read ' ; the third,
which has neither, as from lego lecte 'choicely,' lectis- sime ' most
choicely.' Therefore if the primitives of these words amount to one
thousand, as Cosconius 6 writes, then from the inflections of these words
the different forms can be five hundred thousand in number for the
reason that from each and every primitive word about five hundred forms
are made by derivation and inflection. and authority on
grammar and literature, who flourished about 100 b.c. ; page 109
Funaioli. 207
V. 37. Primigenia dicuntur verba ut lego, scribo,
sto, sedeo et cetera, quae non sunt ab ali(o) quo 1 verbo, sed suas
habent radices. Contra verba declinata sunt, quae ab ali(o) quo 2
oriuntur, ut ab lego legis, legit, legam et sic 3 indidem hinc permulta.
Quare si quis primigeniorum verborum origines ostenderit, si ea
mille sunt, quingentum milium simplicium verborum causas aperuerit una ;
sin 4 nullius, tamen qui ab his reliqua orta ostenderit, satis dixerit de
originibus verborum, cum unde nata sint, principia erunt pauca,
quae inde nata sint, innumerabilia. 38. A quibus iisdem principiis
antepositis prae- verbiis paucis immanis verborum accedit numerus,
quod praeverbiis (in)mutatis 1 additis atque commu- tatis aliud atque
aliud fit : ut enim (pro)cessit 2 et recessit, sic accessit et abscessit
; item incessit et ex- cessit,sic successit et decessit, (discessit) 3 et
concessit. Quod si haec decern sola praeverbia essent, quoniam ab uno
verbo declinationum quingenta discrimina fierent, his decemplicatis
coniuncto praeverbio ex uno quinque milia numero efficerent(ur), 4 ex
mille ad quinquagies centum milia discrimina fieri possunt. §37. 1 Mue. ; alio Aug., G ;
for aliquo. 2 Mue., for aliquo. 3 After sic, Laetus deleted in. 4
Turnebus, for unas in. § 38. 1 GS., for mutatis. 2 Fritzsche,
for cessit. 3 Added by GS (et discessit added by Vertranius). 4 Aldus,
for efficerent. § 37. " That is, cannot be referred to
a simpler radical element. Primitive is the name applied to words
like lego ' I gather,' scribo ' I write,' sto ' I stand,' sedeo ' I
sit,' and the rest which are not from some other word, a but have their
own roots. On the other hand deriva- tive words are those which do
develop from some other word, as from lego come legis ' thou gatherest,'
legit ' he gathers,' legam ' I shall gather,' and in this fashion
from this same word come a great number of words. Therefore, if one has
shown the origins of the primi- tive words, and if these are one thousand
in number, he will have revealed at the same time the sources of
five hundred thousand separate words ; but if without showing the origin
of a single primitive word he has shown how the rest have developed from
the primi- tives, he will have said quite enough about the origins
of words, since the original elements from which the words are sprung are
few and the words which have sprung from them are countless.
38. There are besides an enormous number of words derived from
these same original elements by the addition of a few prefixes, because
by the addition of prefixes with or without change a word is
repeatedly transformed ; for as there is processit ' he marched
forward ' and recessit-' drew back,' so there is accessit ' approached '
and abscessit ' went off,' likewise incessit ' advanced ' and excessit '
withdrew,' so also successit ' went up ' and decessit ' went away,'
discessit ' de- parted ' and concessit ' gave way.' But if there
were only these ten prefixes, from the thousand primitives five
million different forms can be made inasmuch as from one word there are
five hundred derivational forms and when these are multiplied by ten
through union with a prefix five thousand different forms are
produced out of one primitive. Democritus, Ecurus, 1 item alii qui
infinita principia dixerunt, quae unde sint non dicunt, sed
cuiusmodi sint, tamen faciunt magnum : quae ex his constant in mundo,
ostendunt. Quare si etymologws
2 principia verborum postulet mille, de quibus ratio ab se non
poscatur, et reliqua ostendat, quod non pos- tulat, tamen immanem
verborum expediat numerum. 40. De multitudine quoniam quod satis
esset admonui, 1 de obscuritate pauca dicam. Verborum quae tempora
adsignificant ideo locus 2 difficillimus (TVfj.a, 3 quod neque his fere
societas cum Graeca lingua, neque vernacula ea quorum in partum
memoria adfuerit nostra ; e 4 quibus, ut dixi, 5 quae poterimus.
VI. 41. Incipiam hinc primura 1 quod dicitur ago. Actio ab agitatu
facta. Hinc dicimus " agit gestum tragoedus," 2 et "
agitantur quadrigae " ; hinc " agi- tur pecus pastum." Qua
3 vix agi potest, hinc angi- portum ; qua nil potest agi, hinc angulus,
(vel) 4 quod in eo locus angustissimus, cuius loci is angulus.
42. Actionum trium primus agitatus mentis, quod § 39. 1
Turnebus, for secutus Fv, securus G, II. 2 ety- mologos B, Rhol., for
ethimologos Fv, ethimologus G. § 40. 1 Laetus, for admonuit. 2 f, Aldus, for locutus.
3 est Irv/xa Sciop. (L. Sp. deleted est), for est TTMa Fv. 4
A. Sp.,for nostrae. 6 M, Laetus, for dixit. §41. 1 Laetus, for
primus. 2 For tragaedus. 3 Al- dus, for quia. 4 Added by Mue., whose
punctuation is here followed. § 39. Of Abdera (about
460-373 b.c), originator of the atomic theory. * Of Athens (341-270 b.c),
founder of the Epicurean school of philosophy; Epic. 201. 33
Usener. e That is, that he should be excused from interpreting them
(quod for quot). § 40. For adfuerit with the goal construction, cf.
Vergil, Eel. 2. 45 hue ades, etc. 6 v. 10. Democritus, a Epicurus, 6
and likewise others who have pronounced the original elements to be
unlimited in number, though they do not tell us whence the elements are,
but only of what sort they are, still perform a great service : they show
us the things which in the world consist of these elements.
Therefore if the etymologist should postulate one thousand original
elements of words, about which an interpretation is not to be asked of
him, and show the nature of the rest, about which he does not make
the postulation, c the number of words which he would explain would
still be enormous. 40. Since I have given a sufficient reminder of
the number of existing words, I shall speak briefly about their
obscurity. Of the words which also indicate time the most difficult
feature is their radicals, for the reason that these have in general no
communion with the Greek language, and those to whose birth a our
memory reaches are not native Latin ; yet of these, as I have said, 6 we
shall say what we can. VI. 41. I shall start first from the word
ago ' I drive, effect, do.' Actio ' action ' is made from agitatus
1 motion.' a From this we say " The tragic actor agit ' makes ' a
gesture," and " The chariot-team agitantur ' is driven ' "
; from this, " The flock agitur ' is driven ' to pasture."
Where it is hardly possible for anything agi ' to be driven,' from this
it is called an angiportum 6 1 alley ' ; where nothing can agi ' be
driven,' from this it is an angulus ' corner,' or else because in it is a
very narrow (angustus) place to which this corner belongs.
42. There are three actiones ' actions,' and of these § 41.
All these words are derivatives of agere, except angiportum and angulus ;
but actio does not develop by loss of the »' in agitatus. b Cf. v.
145. 211 V. primum ea quae
sumus acturi cogitare debemus, deinde turn dicere et facere. De his
tribus minime putat volgus esse actionem cogitationem ; tertium, in
quo quid facimus, id maximum. Sed et cum cogi- tamus 1 quid et earn rem
ogitamus 2 in mente, agimus, et cum pronuntiamus, agimus. Itaque ab eo
orator agere dicitur causam et augures augurium agere dicuntur,
quom in eo plura dicant quam faciant. 43. Cogitare a cogendo dictum
: mens plura in unum cogit, unde eligere 1 possit. Sic e lacte
coacto caseus nominatus ; sic ex hominibus contio dicta, sic
coemptio, sic compitum nominatum. A cogitatione concilium, inde consilium
; quod ut vestimentum apud fullonem cum cogitur, conciliari 2
dictum. 44. Sic
reminisci, cum ea quae tenuit mens ac memoria, cogitando repetuntur. Hinc
etiam com- minisci dictum, a con et mente, cum finguntur in mente
quae non sunt ; et ab hoc illud quod dicitur eminisci, 1 cum commentum
pronuntiatur. Ab eadem
§ 42. 1 Sciop., for hos agitamus Fv. 2 L. Sp., for cogitamus.
§ 43. 1 a, p, RhoL, for elicere. 2 Aug., for consiliari. § 44. 1
Heusinger, for reminisci. § 42. a Page 16 Regell. § 43.
a Here V. gives a parenthetic list of words with the prefix co- or com- ;
though he is wrong in including caseus. b Cogitatio, concilium, consilium
have nothing in common except the prefix. 212
ON THE LATIN LANGUAGE, VI. 42-44 the first is the
agitatus ' motion ' of the mind, because we must first cogitare '
consider ' those things which we are acturi ' going to do,' and then
thereafter say them and do them. Of these three, the common folk
practically never thinks that cogitatio ' consideration ' is an action ;
but it thinks that the third, in which we do something, is the most
important. But also when we cogitamus ' consider ' something and
agitamus ' turn it over ' in mind, we agimus ' are acting,' and
when we make an utterance, we agimus ' are acting.' Therefore from this
the orator is said agere ' to plead ' the case, and the augurs are said a
agere ' to practice ' augury, although in it there is more saying
than doing. 43. Cogitare ' to consider ' is said from cogere
' to bring together ' : the mind cogit ' brings together ' several
things into one place, from which it can choose. Thus a from milk that is
coactum ' pressed,' caseus ' cheese ' was named ; thus from men
brought together was the contio ' mass meeting ' called, thus
coemptio ' marriage by mutual sale,' thus compitum ' cross-roads.' From
cogitatio ' consideration ' came concilium ' council,' and from that came
consilium ' counsel ' ; 6 and the concilium is said conciliari ' to
be brought into unity ' like a garment when it cogitur ' is pressed
' at the cleaner's. 44. Thus reminisci ' to recall,' when those
things which have been held by mind and memory are fetched back
again by considering (cogitando). From this also comminisci ' to
fabricate a story ' is said, from con ' to- gether ' and mens ' mind,'
when things which are not, are devised in the mind ; and from that comes
the word eminisci ' to use the imagination,' when the commentum '
fabrication ' is uttered. From the same 213
V. mente meminisse dictum et amens, qui a mente
sua cU'scedit. 2 45. Hinc etiam metus 1 (a) mente quodam
modo mota, 2 ut 3 metuisti (te> 4 amovisti ; sic, quod frigidus
timor, tremuisti timuisti. Tremo
dictum a simili- tudine vocis, quae tunc cum valde tremunt apparet,
cum etiam in corpore pili, ut arista in spica ^ordei, horrent.
46. Curare a cura dictum. Cura, quod cor urat ; curiosus, quod hac
praeter modum utitur. Recor- dan, 1 rursus in cor revocare. Curiae, ubi senatus
rempublicam curat, et ilia ubi cura sacrorum publica ; ab his
curiones. 47. Volo a voluntate dictum et a volatu, quod
animus ita est, ut puncto temporis pervolet quo volt. Lwbere 1 ab labendo
dictum, quod lubrica mens ac prolabitur, ut dicebant olim. Ab lubendo
libido, libidinosus ac Venus Libentina et Libitina, sic alia.
2 Aug., for descendit. § 45. 1 GS., for metuo. 2 Canal, for mentem
quodam modo motam. 3 L. Sp., for uel. 4 Added by Kent, after
Fay. § 46. 1 Aug., with B, for recordare. § 47. 1 L.
Sp., for libere. § 45. ° According to Mueller, the sequence
of the topics indicates that this section and § 49 have been interchanged
in the manuscripts. All etymologies in this section are wrong.
§ 46. ° Three etymologically distinct sets of words are here united
: cura, curare, curiosus ; cor, recordari ; curia, curio. §
47. ° Volo ' I wish ' is distinct from volo 1 I fly.' 6 Ijubet, later
libet, is distinct from labi and from lubricus. e Either as a euphemism,
or from the fact that the funeral apparatus was kept in the storerooms of
the Temple of Venus, which caused the epithet to acquire a new
meaning. 214 ON THE LATIN LANGUAGE, VI.
44-47 word mens ' mind ' come meminisse ' to remember
' and amens ' mad,' said of one who has departed a mente ' from his
mind.' 45. ° From this moreover metus ' fear,' from the mens
' mind ' somehow mota ' moved,' as metuisti ' you feared,' equal to te
amouisti ' you removed yourself.' So, because timor ' fear ' is cold,
tremuisti ' you shivered ' is equal to timuisti ' you feared.' Tremo '
I shiver ' is said from the similarity to the behaviour of the
voice, which is evident then when people shiver very much, when even the
hairs on the body bristle up like the beard on an ear of barley.
46. " Curare ' to care for, look after ' is said from cur a '
care, attention.' Cura, because it cor urat ' burns the heart ' ;
curiosus ' inquisitive,' because such a person indulges in cura beyond
the proper measure. Recordari ' to recall to mind,' is revocare ' to
call back ' again into the cor ' heart.' The curiae ' halls,' where
the senate curat ' looks after ' the interests of the state, and also
there where there is the cura ' care ' of the state sacrifices ; from
these, the curiones ' priests of the curiae.' 47. Volo ' I
wish ' is said from voluntas ' free-will ' and from volatus ' flight,'
because the spirit is such that in an instant it pervolat ' flies through
' to any place whither it volt ' wishes.' a Lubere 6 'to be
pleasing ' is said from labi ' to slip,' because the mind is lubrica '
slippery ' and prolabitur ' slips forward,' as of old they used to say.
From lubere 1 to be pleasing ' come libido ' lust,' libidinosus '
lustful,' and Venus Libentina ' goddess of sensual pleasure ' and
Libitina c ' goddess of the funeral equipment,' so also other
words. 215 V. 48. Metuere a
quodam motu animi, cum id quod malum casurum putat refugit mens. Cum
vehe- mentius in movendo ut ab se abeat foras fertur, formido ; cum
(parum movetur) 1 pavet, et ab eo pavor. 49. Meminisse a memoria, cum (in) id quod
remansit in mente 1 rursus movetur ; quae a manendo 2 ut manimoria 3
potest esse dicta. Itaque Salii quod cantant : Mamuri Vetwn',
4 significant memoriam veterem. 5 Ab eodem monere, 6 quod is qui
monet, proinde sit ac memoria ; sic monimenta quae in sepulcris, et ideo
secundum viam, quo praetereuntis admoneant 7 et se fuisse et illos
esse mortalis. Ab eo cetera quae scripta ac facta memoriae causa
monimenta dieta. 50. Maerere a marcere, quod etiam corpus
mar- cescere(t) 1 ; hinc etiam macri dicti. Laetari ab eo §
48. 1 Added by L. Sp. § 49. 1 A. Sp., for id quod remansit in mente
in id quod/ the omission, with Sciop. 2 Rhol., for manando. 3 Other
codices, for maniomoria Fv. 4 Turnebus, for memurii ueterum or ueteri. 5
Maurenbrecher ; veterem memoriam Aug., with B ; where, according to
Victorius, F had memoriam followed by an illegible word. 6 For mo-
nerem. 7 For admoueant Fv, admoneat B. § 50. 1 L. Sp.,for
marcescere. § 48. All etymologies in the section are wrong.
§ 49. See note on § 45. Meminisse, mens, monere, monimentum (or
monumentum) are from the same root ; memoria is perhaps remotely
connected with them ; but manere is to be kept apart. 6 Frag. 8, page 339
Mauren- brecher; page 4 Morel. c The traditional smith who made the
best of the duplicate ancilia (see vi. 22, note d), and at his request
was rewarded by the insertion of his name in the Hymns of the Salii
(Festus, 131. 11 M.). But V. seems 216 ON THE LATIN
LANGUAGE, VI. 48-50 48. ° Metuere ' to fear,' from a certain
motus ' emotion ' of the spirit, when the mind shrinks back from
that misfortune which it thinks will fall upon it. When from excessive
violence of the emotion it is borne foras ' forth ' so as to go out of
itself, there is formido ' terror ' ; when parum movetur ' the
emotion is not very strong,' it pavet ' dreads,' and from this comes
pavor ' dread.' 49. ° Meminisse ' to remember,' from memoria
' memory,' when there is again a motion toward that which remansit 1 has
remained ' in the mens ' mind ' : and this may have been said from manere
' to remain,' as though manimoria. Therefore the Salii, 6 when they
sing O Mamurius Veturius,' indicate a memoria vetus '
memory of olden times.' From the same is monere ' to remind,' because he
who monet ' reminds,' is just like a memory. So also the monimenta
' memorials ' which are on tombs, and in fact alongside the highway, that
they may admonere ' admonish ' the passers-by that they themselves
were mortal and that the readers are too. From this, the other
things that are written and done to preserve their memoria ' memory ' are
called monimenta ' monu- ments.' 50. ° Maerere ' to grieve,'
was named from marcere ' to wither away,' because the body too would
marces- cere ' waste away ' ; from this moreover the inacri ' lean
' were named. Laetari ' to be happy,' from this, to feel an etymological
connexion between Mamuri Veturi and memoriam veterem. § 50.
All etymologies wrong, except the association of laetari, laetitia,
laeta. 217 V. quod latius
gaudium propter magni boni opinionem diffusum. Itaque Iuventius ait
: Gaudia Sua si omnes homines conferant unum in
locum, Tamen mea exsuperet laetitia. Sic cum se habent, laeta.
VII. 51. Narro, cum alterum facio narum, 1 a quo narratio, per quam
cognoscimus rem gesta(m). 2 Quae pars agendi est ab dicendo 3 ac sunt aut
con- iuncta cum temporibus aut ab his : eorum 4 hoc genus videntur
ervfia. 52. Fatur is qui primum homo significabilem ore
mittit vocem. Ab eo, ante quam ita faciant, pueri dicuntur infantes ; cum
id faciunt, iam fari ; cum hoc vocabulum, 1 (turn) a similitudine vocis
pueri (fario- lus) ac fatuus dictum. 2 Ab hoc tempora 3 quod
turn pueris constituant Parcae fando, dictum fatum et res fatales. Ab hac eadem voce 4 qui facile fantur facundi
dicti, et qui futura praedivinando soleant fari fatidici ; dicti idem
vaticinari, quod vesana mente faciunt : §51. 1 Victorius, for narrum. 2
For gesta Fv. 3 L. Sp. ; a dicendo Ursinus ; for ab adiacendo Fv. *
Aug., for earum. § 52. 1 Aug., for uocabulorum. 2 OS., for a
simili- tudine uocis pueri ac fatuus fari id dictum. 3 Popma, for
tempore. 4 Canal, for ad haec eandem uocem. 6 Com. Rom.
Frag., verses 2-4 Ribbeck 3 . Juventius was a writer of comedies from the
Greek, in the second century b.c. § 51. ° V. wrote naro, with one
R, according to Cas- siodorus, vii. 159. 8 Keil ; the etymology is
correct. 6 Cf. vi. 42. § 52. ° The etymologies in this
section are correct, except those of fariolus and vaticinari. 6 Dialectal
form, prob- 218 OX THE LATIN LANGUAGE, VI.
50-52 that joy is spread latius 'more widely' because of
the idea that it is a great blessing. Therefore Juventius says 6
: Should all men bring their joys into a single spot, My
happiness would yet surpass the total lot. When things are of this
nature, they are said to be laeta ' happy.' VII. 51. Narro a
'I narrate,' when I make a second person narus ' acquainted with '
something ; from which comes narratio ' narration,' by which we
make acquaintance with an occurrence. This part of acting is in the
section of saying, 6 and the words are united with time-ideas or are from
them : those of this sort seem to be radicals. 52.° That man
fatur ' speaks ' who first emits from his mouth an utterance which may
convey a meaning. From this, before they can do so, children are
called infantes ' non-speakers, infants ' ; when they do this, they
are said now fan ' to speak ' ; not only this word, but also, from
likeness to the utterance of a child, fariolus 6 ' soothsayer ' and
fatuus ' prophetic speaker ' are said. From the fact that the
Birth-Goddesses by fando ' speaking ' then set the life-periods for
the children, fatum ' fate ' is named, and the things that are
fatales ' fateful.' From this same word, those who fantur ' speak '
easily are called facundi ' eloquent,' and those who are accustomed fari
' to speak ' the future through presentiment, are called fatidici '
sayers of the fates ' ; they likewise are said vaticinari ' to prophesy,'
because they do this with frenzied ably Faliscan, for hariolus,
which is connected with haruspex. * As though fati- ; but properly from
the stems of rates ' bard ' and canere ' to sing.' 219 V.
sed de hoc post erit usurpandum, cum de poetis
dicemus. 53. Hinc fasti dies, quibus verba certa legitima
sine piaculo praetoribus licet fari ; ab hoc nefasti, quibus diebus ea
fari ius non est et, si fati sunt, pia- culum faciunt. Hinc efFata
dicuntur, qui augures finem auspiciorum caelcstum extra urbem agri(s)
1 sunt effati ut esset ; hinc effari templa dicuntur : ab auguribus
efFantur qui in his fines sunt. 54. Hinc fana nominata, quod 1
pontifices in sac- rando fati sint finem ; hinc profanum, quod est
ante fanum coniunctum fano ; hinc profanatum quid in sacrificio
aique 2 Herculi decuma appellata ab eo est quod sacrificio quodam
fanatur, id est ut fani lege^it. 3 Id dicitur pollu(c)tum, 4 quod a
porriciendo est fictum: cum enim ex mercibus libamenta porrecta 5
sunt Herculi in aram, turn pollu(c)tum 4 est, ut cum pro- fan(at)um
6 dicitur, id est proinde ut sit fani factum : itaque ibi 7 olim (in) 8
fano consumebatur omne quod § 53. 1 Laetus, for agri. § 54. 1 Laetus, for
quae. 2 M, V, Laetus, for ad quae Fv. 3 Canal, for sit. 4 Aug. {quoting a
friend), for pollutum. 5 Aug., with B, for proiecta. 6 Turnebus,
for profanum. 7 Vertranius, for ubi. 8 Added by Vertranius. d
Cf. vii. 36. § 53. ° Fastus and nefastus, from fas and nefas ;
but whether fas and nefas are from the root of fari, is question-
able. 6 Cf. vi. 29-30. c Page 19 Regell. d Effari is used both with
active and with passive meaning. § 54. Fanum (whence adj. profanus),
from fas, not from fari. b Profanus was used also of persons who
remained ' before the sanctuary ' because they were not entitled to
go inside, or because admission was refused ; therefore ' un-
initiated ' or ' unholy,' respectively. " Wrong etymology. d Any
edibles or drinkables were appropriate offerings to 220
ON THE LATIN LANGUAGE, VI. 52-54 mind : but this will
have to be taken up later, when we speak about the poets. d
53. From this the dies fasti a ' righteous days, court days,' on
which the praetors are permitted fori ' to speak ' without sin certain
words of legal force ; from this the nefasti ' unrighteous days,' on
which it is not right for them to speak them, and if they have
spoken these words, they must make atonement. 6 From this those words are
called effata ' pronounced,' by which the augurs c have effati '
pronounced ' the limit that the fields outside the city are to have,
for the observance of signs in the sky ; from this, the areas of
observation are said effari d ' to be pro- nounced ' ; by the augurs, 6
the boundaries effantur ' are pronounced ' which are attached to
them. 54. From this the f ana ° ' sanctuaries ' are named,
because the pontiffs in consecrating them have fati ' spoken ' their
boundary ; from this, profanum ' being before the sanctuary,' b which
applies to something that is in front of the sanctuary and joined to it ;
from this, anything in the sacrifice, and especially Hercules 's
tithe, is called prqfanatum ' brought before the sanc-» tuary,
dedicated,' from this fact that it fanatur ' is consecrated ' by some
sacrifice, that is, that it becomes by law the property of the sanctuary.
This is called polluctum ' offered up,' a term which is shaped c from
porricere ' to lay before ' : for when from articles of commerce first
fruits d are laid before Hercules, on his altar, then there is a
polluctum ' offering-up,' just as, when prqfanatum is said, it is as if
the thing had be- come the sanctuary's property. So formerly all
that was profanatum e ' dedicated ' used to be consumed in
Hercules ; cf. Festus, 253 a 17-21 M. ' That is, so far as it was
not burned on the altar, in the god's honour. profan(at)um 8 erat, ut
etiam (nunc) 10 fit quod praetor urb(an)ws u quotannis facit, cum Herculi
immolat publice iuvencam. 55. Ab eodem verbo fari fabulae, ut
tragoediae et comoediae, 1 dictae. Hinc fassi ac confessi, qui fati
id quod ab is 2 quaesitum. Hinc professi ; hinc fama et famosi. Ab
eodem falli, sed et falsum et fallacia, quae propterea, quod fando quern
decipit ac contra quam dixit facit. Itaque si quis re fallit, in hoc non proprio
nomine fallacia, sed tralati(ci)o, 3 ut a pede nostro pes lecti ac betae.
Hinc etiam famigerabile 4 et sic compositicia 5 aha item ut declinata
multa, in quo et Fatuus et Fatuae. 6 56. Loqui ab loco
dictum. 1 Quod qui primo dicitur iam fari 2 vocabula et reliqua verba
dicit ante quam suo quique 3 loco ea dicere potest, 1 hunc CArys-
ippus negat loqui, sed ut loqui : quare ut imago hominis non sit homo,
sic in corvis, cornicibus, pueris primitus incipientibus fari verba non
esse verba, quod 8 L. Sp., for profanum. 10 Added by L. Sp. 11
Aug., with B, for P. R. urbis Fv. % 55. 1 For tragaediae et
comaediae. 2 For his. 3 A. Sp. ; tralatitio Sciop. ; for tranlatio. 4 M,
V, p, Aldus, for famiger fabile Fv. 5 A. Sp.,for composititia Fv. «
B, O, f, for fatue Fv. § 56. 1 Punctuation by Stroux. 2 For farit
Fv. 3 L. Sp. ; quidque Aug. ; for quisque. § 55. ° The
preceding words all belong with fari ; but falli, falsum, fallacia form a
distinct group. 6 Instead of by speaking. e That is, beet-root. d Faunus
and the Nymphs. § 56. ° Wrong. 6 Page 143 von Arnim. "
Ravens the sanctuary, as even now is done "with that which the
City Praetor offers every year, when on behalf of the state he sacrifices
a heifer to Hercules. 55. From the same word fan ' to speak,'
the fabulae ' plays,' such as tragedies and comedies, were named.
From this word, those persons have fassi ' admitted ' and confessi '
confessed,' who have fati 4 spoken ' that which was asked of them. From
this, professi ' openly declared ' ; from this, fama ' talk,
rumour,' and famosi ' much talked of, notorious.' a From the same,/affi '
to be deceived,' but also falsum ' false ' and fallacia ' deceit,' which
are so named on this account, that by fando ' speaking ' one
misleads someone and then does the opposite of what he has said.
Therefore if one fallit ' deceives ' by an act, 6 in this there is not
fallacia ' deceit ' in its own proper meaning, but in a transferred
sense, as from our pes ' foot ' the pes ' foot ' of a bed and of a beet c
are spoken of. From this, moreover, famigerabile ' worth being
talked about,' and in this fashion other com- pounded words, just as
there are many derived -words, among which are Fatuus ' god of prophetic
speaking ' and the Fatuae ' women of prophecy.' d 56. Loqui
'to talk,' is said from locus 'place.' Because he who is said to speak
now for the first time, utters the names and other words before he can
say them each in its own locus ' place,' such a person Chrysippus
says 6 does not loqui ' talk,' but quasi- talks ; and that therefore, as
a man's sculptured bust is not the real man, so in the case of ravens,
crows," and boys making their first attempts to speak, their
words are not real words, because they are not talk- and crows were
the chief speaking birds of the Romans ; cf. Macrobius, Sat. ii. 4.
29-30. 223 V. non loquantur.
4 Igitur is loquitur, qui suo loco quod- que verbum sciens ponit, et is
turn 5 prolocutus, 6 quom in animo quod habuit extulit loquendo.
57. Hinc dicuntur eloqui ac reloqui 1 in
fanis Sabinis, e cella dei qui loquuntur. 2 Hinc dictus loquax, qui
nimium loqueretur ; hinc eloquens, qui copiose loquitur ; hinc
colloquium, cum veniunt in unum locum loquendi causa ; hinc adlocutum
mulieres ire aiunt, cum eunt ad aliquam locutum consolandi 3 causa
; hinc quidam loquelam dixerunt verbum quod in loquendo efferimus.
Concinne loqui dictum a concinere, 4 ubi inter se conveniunt partes
ita 3 novissimum, quod extremum. Sic ab eadem origine novitas
et novicius et novalis in agro et " sub No vis " dicta pars in
Foro aedificiorum, quod vocabulum ei pervetustww, 4 ut Novae Viae, quae
via iam diu vetus. 60. Ab eo quoque potest dictum nominare,
quod res novae in usum quom 1 additae erant, quibus ea(s) 2
novissent, nomina ponebant. Ab eo nuncupare, quod tunc (pro) 3 civitate
vota nova suscipiuntur. Nuncu- pare nominare valere apparet in legibus,
ubi " nun- cupatae pecuniae " sunt scriptae ; item in Choro
in quo est : Aenea ! — Quis 4 est qui meum nomen
nuncupat ? § 59. 1 Aug.,
from Gellius, x. 21. 2, for dico. 2 Ben- tinus, from Gellius, I.e., for
uetustus ac ueterrimus. 3 Added by Aug., from Gellius, I.e. 4 B, Laetus,
for peruetustas. § 60. 1 Aug. (quoting a friend), for
quomodo. 2 Ver- tranius,for ea. 3 Added by L. Sp. 4 Added by
Grotius. e Naples ; Nova-polis is a half-way translation
into Latin. § 59. ° Page 57 Funaioli. * The Tabernae Novae
were the shops on the north side of the Forum which replaced those
burned in the fire of 210 b.c. ; those on the south side, which escaped
the fire, were called the Tabernae Veteres. § 60. ° Nomen and
nominare are distinct from novus, and 226 ON THE LATIN
LANGUAGE, VI. 58-60 derived from a Greek word ; from this,
accordingly, their Neapolis e ' New City ' was called Nova-polis '
New-polis ' by the old-time Romans. 59. From this, moreover,
novissimum ' newest ' also began to be used popularly for extremum '
last,' a use which within my memory both Aelius and some elderly
men avoided, on the ground that the proper form of the superlative of
this word was nimium novum ; its origin is just like vetustius ' older '
and veterrimum ' oldest ' from vetus ' old,' thus from novum were
derived novius ' newer ' and novissimum, which means ' last.' So,
from the same origin, novitas ' newness ' and novi- cius ' novice ' and
novalis ' ploughed anew ' in the case of a field, and a part of the
buildings in the Forum was called sub Xovis 6 ' by the New Shops ' ;
though it has had the name for a very long time, as has the Nova
Via New Street,' which has been an old street this long
while. 60. From this can be said also nominare ' to call by
name,' because when novae ' new ' things were brought into use, they set
nomina ' names ' on them, by which they novissent ' might know ' them.
From this, nuncupate* ' to pronounce vows publicly,' because then
nova ' new ' vows are undertaken for the state. That nuncupare is the
same as nominare, is evident in the laws, where sums of money are written
down as nuncupatae ' bequeathed by name ' ; likewise in the Chorus,
in which there is c : Aeneas ! — Who is this who calls me by my
name ? also from novisse ' to know.' * Containing the elements
of nomen and capere ' to take.' e Trag. Rom. Frag., page 272
Ribbeck 3 ; R O.L. ii. 608-609 Warmington ; possibly belonging to a play
entitled Proserpina, cf. vi. 9-1. But the title is perhaps hopelessly
corrupt. 227 V. Item in Medo
5 : Quis tu es, mulier, quae me insueto nuncupasti nomine ?
61. Dico originem habet Graecam, quod Graeci SeiKvvw. 1 Hinc (etiam
dicare, ut ait) 8 Ennius : Dico VI hunc dicare (circum metulas).
3 Hinc iudicare, quod tunc ius dicatur ; hinc iudex, quod
iu(s> dicat 4 accepta potestate ; (hinc dedicat), 5 id est quibusdam
verbis dicendo finit : sic 6 enim aedis sacra a magistratu pontifice
prae(e)unte 7 dicendo dedicatur. Hinc, ab dicendo, 8 indicium ; hinc ilia
: indicit (b)ellum, 9 indixit funus, prodixit diem, addixit
iudicium ; hinc appellatum dictum in mimo, 10 ac dictiosus ; hinc in
manipulis castrensibus (dicta 11 ab) 13 ducibus ; hinc dictata in ludo ;
hinc dictator magister populi, quod is a consule debet dici ; hinc
antiqua ilia (ad)dici 13 numo et dicis causa et addictus. 6 Aldus,
for medio. §61. 1 L. Sp. ; SeiKvvvai Mue. ; SeiKco Scaliger ;
for NISIhce Fv. 2 Added by Kent. 3 Fay, for qui hunc dicare; cf
Festus, 153 a 15-21 M., and Livy, xli. 27. 6. 4 Aug., with B,for iudicat.
b Added by Stroux. 8 With sic enim, F resumes ; cf. v. 118, crit. note 7.
7 Bcntinus (or earlier) ; praeunte /, Laetus ; for prae unce F. 8
L. Sp.,for dicando. 9 Turnebus, for ilium. 10 B, Aldus, for minimo.
11 Added by Aug., with B. 18 Added by Kent ; a added by Fay. 13 Budaeus,
for dici. d Pacuvius, Trag. Rom. Frag. 239 Ribbeck 3 ;
R.O.L. ii. 260- 261 Warmington ; the play was named from one of
Medea's sons. §61. ° All the words explained in this section
belong together ; but dicere is cognate with the Greek word, not
derived from it. 6 Inc. frag. 39 Vahlen 2 ; see critical note. c Rather,
because he dictat ' gives orders ' to the people. d Numo in the text is
the older spelling, in which consonants were never doubled. * Applied to
the fictitious sale of an And likewise in the Medus d : Who
are you, woman, who have called me by an unaccustomed name ?
61. Dico ° ' I say ' has a Greek origin, that which the Greeks call
BeiKvi'm ' I show.' From this more- over comes dicare ' to show,
dedicate,' as Ennius says b : I say this circus shows six
little turning-posts. From this, iudicare ' to judge,' because then ius '
right ' dicitur ' is spoken ' ; from this, index ' judge,' because
he ius dicat ' speaks the decision ' after receiving the power to do so ;
from this, dedicat ' he dedicates,' that is, he finishes the matter by
dicendo ' saying ' certain fixed words : for thus a temple of a god
dedicatur ' is dedicated ' by the magistrate, by dicendo ' saying '
the formulas after the pontiff. From this, that is from dicere,
comes indicium ' information ' ; from this, the following : indicit ' he
declares ' war, indixit ' he has invited to ' a funeral, prodixit ' he
has postponed ' the day, addixit ' he has awarded ' the decision ; from
this was named a dictum ' bon mot ' in a farce, and dic- tiosus '
witty person ' ; from this, in the companies of soldiers in camp, the
dicta ' orders ' of the leaders ; from this, the dictata ' dictation
exercises ' in the school ; from this, the dictator c ' dictator,' as
master of the people, because he must did ' be appointed ' by the
consul ; from this, those old phrases addict nummo d ' to be made over to
somebody for a shilling,' e and dicis causa ' for the sake of judicial
form,' and addictus " bound over f ' to somebody.
inheritance to the heir. ' Said of a defendant who was unable to
pay the amount of debt or damages, and was de- livered to the custody of
the plaintiff as a virtual slave until he could arrange payment.
229 V. 62. Si dico quid (sciens 1
ne)scienti, 2 quod ei 3 quod ignoravit trado, hinc doceo declinatum vel
quod cum docemus 4 dicimus vel quod qui docentur induczm- tur 5 in
id quod docentur. Ab eo quod scit
ducere 6 qui est dux aut ductor ; (hinc 7 doctor) 8 qui ita inducit,
ut doceat. Ab dwcendo 9 docere disciplina discere
litteris commutatis paucis. Ab eodcm principio documenta, quae
exempla docendi causa dicuntur. 63. Disputatio ct computatio e 1
propositione putandi, quod valet purum facere ; ideo antiqui purum
putum appellarunt ; ideo putator, quod arbores puras facit ; ideo ratio
putari dicitur, in qua summa fit pura : sic is sermo in quo pure
disponuntur verba, ne sit confusus atque ut diluceat, dicitur dis-
putare. 64. Quod dicimus disserit item translati(ci)o 1 aeque
2 ex agris verbo : nam ut //olitor disserit in areas sui cuiusque generis
res, sic in oratione qui facit, disertus. Sermo, opinor, est a serie,
unde serta ; ctiam in vestimento sartum, quod comprehensum : Added
by L. Sp. 2 Scaliger, for scienti. 3 Sciop., for det. 4 After docemus, Laetus deleted
ut. 6 Reiter, for inducantur. 6 M, Laetus, for ducare.
7 Added by GS. 8 Added by L. Sp. 9 Fay, for docendo. § 63. 1
L. Sp., for et. §64. 1 A. Sp. ; translatitio Aug.; for
translatio. 2 Aug., for atque. § 62. ° Docere is quite
independent of dicere, and also of ducere. b Disciplina was popularly
associated with discere, but was really a derivative of discipulus, which
came from dis + capere 1 to take apart (for examination).' §
64. ° There are in Latin two verbs sero serere, distinct in etymology :
serere sevi satus 4 to sow, plant,' and serere serui sertus ' to join
together, intertwine.' The derivatives in this section are all from the
second verb, except sartum, the participle of sarcio, which is distinct
from both. If I DICO ' say ' something – H. P. Grice, dictiveness, dictive
content, what is said -- that I know to one who does NOT know it, because
I trado ' hand over' to him what he was ignorant of, from this is
derived DOCEO a ' I teach,' or else because when we docemus ' teach
' we dicivius ' say,' or else because those who docentur ' are taught '
inducuntur ' are led on ' to that which they docentur ' are taught.' From
this fact, that he knows how ducere ' to lead,' is named the one
who is dux ' guide ' or ductor ' leader ' ; from this, doctor ' teacher,'
who so inducit ' leads on ' that he docet ' teaches.' From ducere ' to
lead,' come docere ' to teach,' disciplina b ' instruction,' discere ' to
learn,' by the change of a few letters. From the same original
element comes documenta ' instructive ex- amples,' which are said as
models for the purpose of teaching. 63. Disputatio '
discussion ' and coniputatio ' reckon- ing,' from the general idea of
putare, which means to make purum ' clean ' ; for the ancients used putum
to mean purum. Therefore putator ' trimmer', because he makes trees
clean ; therefore a business account is said putari ' to be adjusted,' in
which the sum is pura ' net.' So also that discourse in which the words
are arranged pure ' neatly,' that it may not be confused and that
it may be transparent of meaning, is said disputare ' to discuss ' a
problem or question. 64. Our word disserit a is used in a figurative
mean- ing as well as in relation to the fields : for as the
kitchen-gardener disserit ' distributes ' the things of each kind upon
his garden plots, so he who does the like in speaking is disertus '
skilful.' Sermo ' conversa- tion,' I think, is from series ' succession,'
whence serta ' garlands ' ; and moreover in the case of a garment
sartum ' patched,' because it is held together : for 231
V. sermo
enim non potest in uno homine esse solo, sed ubi (o)ratio 3 cum altero
coniuncta. Sic conserere manu(m) 4 dicimur cum hoste ; sic ex iure
manu(m) 5 consertum vocare ; hinc adserere manu 6 in libertatem cum
prendimus. Sic augures
dicunt : Si mihi auctor es 7 verbenam 6 manu 9 asserere,
dicit(o> 10 consortes. 65. Hinc etiam, a quo 1 ipsi consortes,
sors ; hinc etiam sortes, quod in his iuncta tempora cum homini-
bus ac rebus ; ab his sortilegi ; ab hoc pecunia quae in faenore sors
est, impendium quod inter se iung^t. 2 66. Legere dictum, quod
leguntur ab oculis litterae ; ideo etiam legati, quod (ut) 1 publice
mit- tantur leguntur. Item ab legendo leguli, qui oleam aut qui
uvas legunt ; hinc legumina in frugibus variis ; etiam leges, quae lectae
et ad populum latae quas observet. Hinc legitima et collegae, qui una
lecti, et qui in eorum locum suppositi, sublecti ; additi allecti
et collecta, quae ex pluribus locis in unum lecta. Ab 3 Aug., for
ratio. 4 Other codd.,for manu F. 5 Sciop., for manu ; cf. Gellius, xx.
10. 6 p, Aug., for manum. 7 Aug., for est. 8 Bergk, for verbi nam. 9
Aug., for manum. 10 A. Sp.,for dicit. §65. 1 L. Sp., for ad
qui. 2 Groth, for iungat. § 66. 1 Added by B, Aldus. b
Genitive plural. e Page 18 Regell. § 65. ° These words belong to
serere, but V.'s reason for the meaning of sors may not be correct. 6 To V.,
the fundamental meaning in sors is one of ' joining ' : cf. v. 183.
§ 66. ° All words discussed in this section are from various forms
of the root seen in legere, which means ' to gather, pick, select,
choose, read ' ; except legumen. * Properly parti- ciple of legare ' to
appoint,' a derivative of legere. e More exactly, legumina are, according
to V., fruits of various kinds that have to be picked (rather than cut,
like cabbage, sermo ' conversation ' cannot be where one man is
alone, but where his speech is joined with another's. So we are said
conserere manum ' to join hand-to-hand fight ' with an enemy ; so to call
for vianum 6 consertum ' a laying on of hands' according to law ; from
this, adserere manu in libertatem ' to claim that so-and-so is
free,' when we lay hold of him. So the augurs say c : If you
authorize me to take in my hand the sacred "bough, then name my
colleagues (consortes). 65. From this, moreover, sors a ' lot,'
from which the consortes ' colleagues ' themselves are named ; from
this, further, sortes ' lots,' because in them time- ideas are joined
with men and things ; from these, the sortilegi ' lot-pickers,
fortune-tellers ' ; from this, the money which is at interest is the sors
1 principal,' because it joins 6 one expense to another. 66.
° Legere ' to pick or read,' because the letters leguntur ' are picked '
with the eyes ; therefore also legati 6 ' envoys,' because they leguntur
' are chosen ' to be sent on behalf of the state. Likewise, from
legere ' to pick,' the leguli ' pickers,' who legunt ' gather ' the
olives or the grapes ; from this, the legumina e ' beans ' of various
kinds ; moreover, the leges ' laws,' which are lectae ' chosen ' and
brought before the people for them to observe. From this, legitima '
law- ful things ' ; and collegae ' colleagues,' who have been lecti
' chosen ' together, and those who have been put into their places, are
sublecti ' substitutes ' ; those added are allecti ' chosen in addition,'
and things which have been lecta ' gathered ' from several places
into one, are collecta ' collected.' From legere ' to gather '
or mowed, like wheat) ; but the resemblance to legere seems to be
only accidental. 233
V. legendo ligna quoque, quod ea caduca
legebantur in agro quibus in focum uterentur. Indidem ab legendo
legio et diligens et dilectus. 67. Murmuran' 1 a similitudiae
sonitus dictus, qui ita leviter loquitur, ut magis e sono id faccre quam
ut intellegatur videatur. Hinc etiam poctae Murmurantia
litora. Similiter fremere, gemere, clamare, crepare ab
similitudine vocis sonitus dicta. Hinc ilia Arma sonant, fremor oritur
; hinc Nihil 2 me increpitando commoves.
68. Vicina horum quiritarc, iubilare. Quiritare dicitur is qui
Quiritum fidem clamans inplorat. Qui- rites a Curensibus ; ab his cum
Tatio rege in socie- tatem venerunt civitatz's. 1 Ut quiritare
urbanorum, sic iubilare rusticorum : itaquc hos imitans Aprissius
ait : Io bucco ! — Quis me iubilat ? — Vicinns tuus
antiquus. Sic triumphare
appellatum, quod cum imperatore § 67. 1 L. Sp.,for murmuratur
dictum. 2 For nichil. § 68. 1 Sciop., for civitates. d Better
spelling, delectus. § 67. ° Some, but not all, of the words discussed
in this section are onomatopoeic. b Lh-iter ' lightly.' e Trag.
Rom. Frag., page 314 Ribbeck 3 ; but the words look like part of a
dactylic hexameter, in which case it should read Arma sonant, oritur
fremor. d Trag. Rom. Frag., page 314 Ribbeck 3 . § 68. a
Frequentative of queri ' to complain,' and not connected with Quirites. b
Cures, ancient capital city of the Sabines. c The name is corrupt, but no
probable comes also ligna ' firewood,' because the wood that
had fallen was gathered in the field, to be used on the fireplace. From
the same source, legere ' to gather,' came legio ' legion,' and diligens
' careful,' and dilectus A ' military levy.' 67. ° From
likeness to the sound, he is said mur- murari ' to murmur,' who speaks so
softly b that he seems more as the result of the sound to be doing
it, than to be doing it for the purpose of being understood. From this,
moreover, the poets say Murmuring sea-shore. Likewise,
fremere ' to roar,' gemere ' to groan,' clamare ' to shout,' crepare ' to
rattle ' are said from the likeness of the sound of the word to that
which it denotes. From this, that passage c : Arms are
resounding, a roar doth arise. From this, also, d By your
rebuking you alarm me not. 68. Close to these are quiritare a ' to
shriek,' iubilare ' to call joyfully.' He is said quiritare, who
shouts and implores the protection of the Quirites. The Quirites were
named from the Curenses ' men of Cures ' b ; from that place they came
with King Tatius to receive a share in the Roman state. As
quiritare is a word of city people, so iubilare is a word of the
countrymen ; thus in imitation of them Apris- sius c says :
Oho, Fat-Face ! — Who is calling rne ? — Your neighbour of long
standing. So triumpkare ' to triumph ' was said, because the
emendation has been suggested ; Com. Rom. Frag., page 332 Ribbeck 3 . milites
redeuntes clamitant per Urbem in Capitolium eunti " (I)o 2 triumphe
" ; id a dpidfifiu) 3 ac Graeco Liberi cognomento potest
dictum. 69- Spondere est dicere spondee-, a sponte : nam id
(idem) 1 valet et a voluntate. Itaque Lucilius scribit de Cretcea, 2 cum
ad se cubitum venerit sua voluntate, sponte ipsam suapte adductam, ut
tunicam et cetera 3 reiceret. Eandem voluntatem Terentius
significat, cum ait satius esse Sua sponte recte facere quam
alieno metu. Ab eadem sponte, a qua dictum spondere,
declinatum (de)spondet 4 et respondet et desponsor et sponsa, item
sic alia. Spondet enim qui dicit a sua sponte " spondeo " ;
(qui) spo(po)ndit, 5 est sponsor ; qui (i)dem« (ut) 7 faciat obligatur
sponsu, 8 consponsus. 70. Hoc Naevius significat cum ait "
consponsi." (Si) 1 spondebatur pecunia aut filia nuptiarum
causa, 2 Laetus, for o. 3 Aldus, for triambo. § 69. 1
Added by Fay. 2 For Gretea. 3 For ceterae. 4 GS, after Lachmann, for
spondit. 8 L. Sp., for spondit. 6 B, Ed. Veneta, for quidem. 7 Added by
Aug., with B. 8 L. Sp.,for sponsus. § 70. 1 Added by
Fay. d From the Greek, through the Etruscan. e Ac, intro-
ducing an appositive. § 69. ° Verses 925-927 Marx. Cretaea was a
meretrix, named from the country of her origin. V. has para-
phrased the quotation, which was thus restored to metrical form by
Lachmann, the first two words being added by Marx : Cretaea nuper,
cum ad me cubitum venerat, Sponte ipsa suapte adducta ut tunicam et
cetera Reiceret. soldiers shout " Oho, triumph ! " as they
come back with the general through the City and he is going up to
the Capitol; this is perhaps derived** from dpiafifios, as * a Greek
surname of Liber. 69« Spondere is to say spondeo ' I solemnly
promise,' from sponte ' of one's own inclination ' : for this has
the same meaning as from voluntas ' personal desire.' Therefore Lucilius
writes of the Cretan woman, that when she had come of her own desire to
his house to lie with him, she was of her own sponte ' inclination
' led to throw back her tunic and other garments. The same voluntas
' personal desire ' is what Terence means 6 when he says that it is
better Of one's own inclination right to do, Than merely by
the fear of other folk. From the same sponte from which spondere is
said, are derived despondet ' he pledges ' and respondet ' he
promises in return, answers,' and desponsor ' promiser ' and sponsa '
promised brides' and likewise others in the same fashion. For he spondet
' solemnly promises ' who says of his own sponte ' inclination ' spondeo
' I promise ' ; he who spopondit ' has promised ' is a sponsor '
surety ' ; he who is by sponsus ' formal promise ' bound to do the same
thing as the other party, is a consponsus ' co-surety.' 70.
This is what Naevius means" when he says consponsi. If money 6 or a
daughter spondebatur ' was promised ' in connexion with a marriage, both
the While this might accord with the Lucilian prototype of
Horace, Sat. i. 5. 82-85, the meter forbids, and because of the subject
matter A. Spengel proposed Licinius, writer of comedies, for Lucilius. b
Adelphoe, 75. §70. " Com. Rom. Frag., page 34 Ribbeck*;
R.O.L. ii. 598 Warmington. * As
dower. 237 V. appellabatur
etpecunia et quae desponsa erat sponsa ; quae pecunia inter se contra
sponsu 2 rogata erat, dicta sponsio ; cui desponsa quae 3 erat, sponsus ;
quo die sponsum erat, sponsalis. 71. Qui 1 spoponderat
filiam, despondisse 2 dice- bant, quod de sponte eius, id est de
voluntate, exierat : non enim si volebat, dabat, quod sponsu erat
alligatus : nam ut in com(o)ediis vides dici : Sponde(n) 3 tuam
gnatam 4 filio uxorem meo ? Quod turn et praetorium ius ad legem et
censorium iudicium ad aequum existimabatur. Sic despondisse animum
quoque dicitur, ut despondisse filiam, quod suae spontis statuerat
finem. 72. A sua sponte
dicere cum spondere, (respon- dere) 1 quoque dixerunt, cum a(d) sponte(m)
2 re- sponderent, id est ad voluntatem rogatoris. 3 Itaque qui ad
id quod rogatur non dicit, non respondet, ut non spondet ille statim qui dixit
spondeo, si iocandi 2 L. Sp., for sponsum. 3 Hue., for quo.
§ 71. 1 G, B, Laetus, for quo. 2 B, Aldus, for dispon- disse. 3
Aug. ; spondem Rhol. ; for sponde. 4 Rhol., for agnatam. §
72. 1 Lachmann, for a qua sponte dicere cumspondere. 2 Turnebus, for a
sponte. 3 L. Sp.,for rogationis. c To be forfeited to the
other party as damages by that party which might break the
agreement. § 71. ° Com, Rom. Frag., page 134 Ribbeck 3 . money
and the girl who had been desponsa ' pledged ' were called sponsa '
promised, pledged * ; the money which had been asked under the sponsus '
engagement ' for their mutual protection against the breaking of
the agreement,* was called a sponsio ' guarantee de- posit ' ; the man to
whom the money or the girl was desponsa ' pledged,' was called sponsus '
betrothed ' ; the day on which the engagement was made, was called
sponsalis ' betrothal day.' 71. He who spoponderat ' had promised '
his daughter, they said, despondisse ' had promised her away,'
because she had gone out of the power of his sponte ' inclination,' that
is, from the control of his voluntas ' desire ' : for even if he wished
not to give her, still he gave her, because he was bound by his
sponsus ' formal promise ' : for you see it said, as in comedies a
: Do you now promise your daughter to my son as wife ?
This was at that time considered a principle estab- lished by the
praetors to supplement the statutes, and a decision of the censors for
the sake of fairness. So a person is said despondisse animum ' to have
promised his spirit away, to have become despondent,' just as he is
said despondisse Jiliam ' to have promised his daughter away,' because he
had fixed an end of the power of his sponte ' inclination.'
72. Since spondere was said from sua sponte dicere ' to say of
one's own inclination,' they said also re- spondere ' to answer,' when
they responderunt ' promised in return ' to the other party's spontem '
inclination,' that is, to the desire of the asker. Therefore he who
says " no " to that which is asked, does not respondere, just
as he does not spondere who has immediately said 239
V. causa dixit,
neque agi potest cum eo ex sponsu. Itaqu(e) is 4 qu(o)i dicit(ur) 5 in
co?«oedia 6 : Meministin 7 te spondere 8 mihi gnatam 9 tuam ?
quod sine sponte sua dixit, cum eo non potest agi ex sponsu.
73. Etiam spes a sponte potest esse declinata, quod turn sperat cum
quod 1 volt fieri putat : nam quod non volt si putat, metuit, non sperat.
Itaque hi 2 quoque qui dicunt in Astraba Plauti : Nwwc 3
sequere adseque, Polybadisce, meam spem cupio consequi. — Sequor
hercle (e)quidem, 4 nam libenter mea(m) sperata(m) 5 consequor
: quod sine sponte dicunt, vere neque ille sperat qui dicit
adolescens neque ilia (quae) 6 sperata est. 74. Sponsor et praes et vas
neque ide/w, 1 neque res a quibus hi, sed e re simili. 2 Itaque praes
qui a magistratu interrogatus, in publicum ut praestet ; a quo et
cum respondet, dicit " praes." Vas appel- 4 L. Sp., for itaquis. 5 Kent,
for qui dicit F (d'r a = dici- tur). 6 L. Sp.,for tragoedia. 7 Aug., for
meministine. 8 Lachmann, metri gratia, for despondere. 9 Rhol., for
agnatam. § 73. 1 Aug., for quod cum. 2 L. Sp., for hie. 3 L.
Sp., for ne. 4 L. Sp., for quidem. 6 Ritschl, for mea sperata. 6 Added by
Kent. §74. 1 Laetus, for ideo. 2 Sciop., for simile.
§ 72. Hanging nominative, resumed by cum eo after the quotation. b
Trag. Rom. Frag., page 305 Ribbeck 3 ; but as the content indicates that
it came from a comedy rather than from a tragedy, I have accepted L.
Spengel's emenda- tion comoedia for the. manuscript tragoedia.
§ 73. a Wrong. * Frag. I Ritschl. c A dseque, active imperative
form ; cf. Neue-Wagener, Formenlehre der lat. spondeo, if he said it for a
joke, nor can legal action be taken against him as a result of such a
sponsus 'promise.' Thus he" to whom someone says in a comedy,
6 Do you recall you pledged your daughter unto me ? which
he had said without his sponte ' inclination,' cannot be proceeded
against under his sponsus. 73. Spes ' hope ' is perhaps also
derived a from sponte ' inclination,' because a person then sperat
' hopes,' M'hen he thinks that what he wishes is coming true ; for if he
thinks that what he does not wish is coming true, he fears, not hopes.
Therefore these also who speak in the Astraba of Plautus 6 :
Follow now closely,' Polybadiscus, I wish to overtake my hope.
— Heavens I surely do : I'm glad to overtake her whom I hope
: because they speak without sponte ' feeling of success,'
the youth who speaks does not truly ' hope,' nor does the girl who is '
hoped for.' d 74. Sponsor and praes and vas are not the same
thing, nor are the matters identical from which these terms come ; but
they develop out of similar situa- tions. Thus a praes is one who is
asked by the magistrate that he praestat 1 make a guarantee ' to
the state ; from which, also when he answers, he says, " I am your
praes." He was called a vas Spr. 3 iii. 89. d Sperata, a
regular term for the object of a young man's love. § 7i.
" V. apparently says that a sponsor is one who undertakes an
engagement toward an individual or indivi- duals ; a praes is one who
undertakes an engagement on his own behalf, toward the state ; a vas is
one who guarantees another person's engagement toward the state.
VOL. I r 2-H V.
latus, qui pro altero vadimonium promittebat. Con- suetudo erat,
cum re?/s 3 parum esset idoneus inceptis rebus, ut pro se alium daret ; a
quo caveri 4 postea lege coeptum 5 est ab his, qui praedia venderent,
vadem ne darent ; ab eo ascribi coeptum 5 in lege mancipiorum:
Vadem ne poscerent nec dabitur. 75. Canere, 1 accanit et
succanit ut canto et can- tatio ex Camena permutato pro M N. 2 Ab eo
quod semel, canit, si saepius, cantat. Hinc cantitat, item alia ;
nec sine canendo (tubicines, liticines, corni- cines), 3 tibicines dicti
: omnium enim horum quo- da^) 4 canere ; etiam bucinator a vocis
similitudine et cantu dictus. 76. Oro ab ore et perorat et
exorat et oratio et orator et osculum dictum. Indidem omen, orna-
mentum ; alterum quod ex ore primum elatum est, osmen dictum ; alterum
nunc cum propositione dici- tur vulgo ornamentum, quod sicut olim
ornamenta 1 3 For reos. 4 For cavari. 6 For caeptum. §75. 1 For
canerae. 2 Mue., for N.M. 8 Added by L. Sp., after Mue. recognized the
lacuna and its contents, but set it after tibicines; cf v. 91. 4 Kent ;
quoddam Canal ; for quod a. §76. 1 OS., for ornamentum.
§75. ° The words explained in this section belong to-
gether, except Camena, which stands apart. 6 Either ' sing ' or ' play on
an instrument.' c Usually in the plural ; Italian goddesses of springs
and waters, regularly identified with the Greek Muses. d The insertion in
the text is rendered necessary by omnium horum ; cf. also critical
note. e Quodam, ablative with canere. § 76. ° These words are from
os, except omen, ornamen- tum, oscines. ' bondsman ' who promised
bond for another. It was the custom, that when a part}' in a suit was
not considered capable of fulfilling his engagements, he should
give another as bondsman for him : from which they later began to provide
by law against those who should sell their real estate, that they should
not offer themselves as bondsmen. From this, they began to add the
provision in the law about the transfer of properties, that
" they should not demand a bondsman, nor will a bondsman be
given." 7o. a Canere 6 ' to sing,' accanit ' he sings to '
some- thing, and succanit ' he sings a second part,' like canto ' I
sing ' and cantatio ' song,' from Camena c ' Muse,' with N substituted
for M. From the fact that a person sings once, he canit : if he sings
more often, he cantat. From this, cantitat ' he sings repeatedly,'
and likewise other words ; nor without canere ' singing, playing '
are the tubicines ' trumpeters,' named, and the liticines ' cornetists,'
cornicines ' horn-blowers,' d iibicines ' pipes-players ' : for canere '
playing ' on some special instrument * belongs to all these. The
bucinator ' trumpeter ' also was named from the like- ness of the sound
and the cantus ' playing.' 76. a Oro ' I beseech ' was so called
from os ' mouth,' and so were perorat ' he ends his speech ' and
exorat ' he gains by pleading,' and oratio ' speech ' and orator '
speaker ' and osculum ' kiss.' From the same, omen ' presage ' and
ornamentum ' ornament ' : because the former was first uttered from the
os ' mouth,' it was called osmen ; the latter is now commonly used
in the singular with the general idea of ornament, but as formerly most
of the play-actors use it in 24-3 V.
scoenici plerique dicunt. Hinc oscines dicuntur apud
augures, quae ore faciunt auspicium. VIII. 77. Tertium gradum
agcndi esse dicunt, ubi quid faciant ; in eo propter similitudinem agendi
et faciendi et gerendi quidam error his qui putant esse unum. Potest enim aliquid facere et
non agere, ut poeta facit fabulam et non agit, contra actor agit et
(non) 1 facit, et sic a poeta fabula fit, non agitur, ab actore agitur,
non fit. Contra imperator quod dicitur res gerere, in eo neque facit
neque agit, sed gerit, id est sustinet, tralatum ab his qui onera 2
gerunt, quod hi sustinent. 78. Proprio nomine dicitur facere
a facie, qui rci quam facit imponit faciem. Ut fictor cum dicit
fingo, figuram imponit, quom dicit formo, 1 formam, sic cum dicit
facio, faciem imponit ; a qua facie discernitur, ut dici possit aliud
esse vestimentum, aliud vas, sic item quae fiunt apud fabros, fictores,
item alios alia. Qui quid 2
amministrat, cuius opus non extat quod sub § 77. 1 Omitted in F. 2
G, H, for honera F. § 78. 1 L. Sp„ for informo. 2 Aug., for
quicquid. 6 Found only in the plural in the scenic poets,
who used it of ornaments for the head and face (os) ; it is a
derivative of ornare ' to adorn,' which comes from ordo ordinis. c
From prefix ops + can- ' sing ' : cf. o(p)s-tendere ' to show.' §
77. Cf vi. 41-42. 6 The distinction is almost impossible to imitate in
translation, but the argument is good so far as the examples in the text
are concerned. § 78. a Fades is from facere. the plural. 6
From this, oscines c ' singing birds ' are spoken of among the augurs,
which indicate their pre- monitions by the os ' mouth.' VIII.
77. The third stage of action ° is, they say, that in -which they fadunt
' make ' something : in this, on account of the likeness among agere ' to
act ' and facere ' to make ' and gerere ' to carry or carry
on,' a certain error is committed by those •who think that it is
only one thing. 6 For a person can facere something and not agere it, as
a poet fadt ' makes ' a play and does not act it, and on the other hand
the actor agit ' acts ' it and does not make it, and so a play
ft ' is made ' by the poet, not acted, and agitur ' is acted ' by
the actor, not made. On the other hand, the general, in that he is said
to gerere ' carry on ' affairs, in this neither fadt ' makes ' nor agit '
acts,' but gerit ' carries on,' that is, supports, a meaning
transferred from those who gerunt ' carry ' burdens, because they support
them. 78. In its literal sense facere ' to make ' is from
fades ° ' external appearance ' : he is said facere ( to make ' a
thing, who puts a fades ' external appear- ance ' on the thing which he
facit ' makes.' As the fetor ' image-maker,' when he says "
Fingo ' I shape,' " puts a figura ' shape ' on the object, and when
he says " Formo ' I form,' " puts a. forma ' form ' on it, so
when he says " Fado ' I make,' " he puts a fades '
external appearance ' on it ; by this external appearance there
comes a distinction, so that one thing can be said to be a garment,
another a dish, and likewise the various things that are made by the
carpenters, the image- makers, and other workers. He who furnishes
a service, whose work does not stand out in concrete form so as to
come under the observation of our 245 V.
sensu(m) 3 veniat, ab agitatu, ut dixi, magis agere quam
facere putatur ; sed quod his magis promiscue quam diligenter eonsuetudo
est usa, translations utimur verbis : nam et qui dieit, faeere verba
dieimus, et qui aliquid agit, non esse inficientem. 79- (Et
facere lumen, 1 faculam) 2 qui adlueet, dieitur. Lucere ab luere, (quod)
et 3 luce dissolvun- tur tenebrae ; ab luce Noctiluea, 4 quod propter
lueem amissam is eultus institutus. Aequirere est ad et quaerere ;
ipsum quaerere ab eo quod quae res ut reeiperetur datur opera ; a
quoerendo quaestio, ab his turn quaestor. 5 80. Video a visu,
(id a vi) 1 : qui(n)que 2 enim sensuum maximus in oeulis : nam cum sensus
nullus quod abest mille passus sentire possit, oculorum sensus vis
usque pervenit ad stellas. Hinc : Visenda vigilant, vigilium
invident. Et Acci 3 : 3 //, Aldus, for sensu.
§ 79. 1 Added by
GS. 2 Added by Fay, from Plautus, Persa, 515. 3 quod et Kent; quod A. Sp.
; for et. 4 After Noctiluea, L. Sp. deleted lucere item ab luce, a
mar- ginal gloss that had crept into the text. 6 Kent, for con-
qucstor. §80. 1 Added by L. Sp. 2 For qui que. 3 Kent, for
atti. 6 vi. 41-42. § 79. " Wrong etymology.
6 This sentence, if properly reconstructed, goes with the preceding
section. c Wrong. d As dis-so-luuntur, which is in fact its origin. *
This sentence is out of place, but its proper place cannot be
deter- mined ; cf. v. 81. f Correct etymologies, except that of
qnaerere itself. § 80. " Video is to be kept distinct from vis
and from vigilium. 6 Part of a verse from an unknown play, in physical
senses, is, from his agitatus ' action, motion,' as I have said, 6
thought rather agere ' to act ' than facere ' to make ' something ; but
because general practice has used these words indiscriminately
rather than with care, we use them in transferred meanings ; for he
who dicit ' says ' something, we say facere ' makes ' words, and he who
agit ' acts ' something, we say is not inficiens ' failing to do '
something. 79. And he who lights a faculam a ' torch,' is
said to facere ' make ' a light. 6 Lucere ' to shine,' from luere c
' to loose,' because it is also by the light that the shades of night
dissohuntur d ' are loosed apart ' ; from lux ' light ' comes Noctiluca '
Shiner of the Night,' because this worship was instituted on account of
the loss of the daylight. Acquirere e ' to acquire ' is ad' in
addition ' and quaerere ' to seek ' ; quaerere itself is from this, that
attention is given to quae res ' what thing ' is to be got back ; from
quaerere comes quaestio ' question ' ; then from these, quaestor '
in- vestigator, treasurer.' * 80. Video a ' I see,' from
visus ' sight,' this from vis ' strength ' ; for the greatest of the five
senses is in the eyes. For while no one of the senses can feel that
which is a mile away, the strength of the sense of the eyes reaches even
to the stars. From this 6 : They watch for what is to be seen, but
hate to stay awake.' Also the verse of Accius d :
which the persons are watching the night sky for omens. e Invidere
4 to look at with dislike ' originally took a direct object, as here ;
cf. Cicero, Tusc. iii. 9. 20. d If properly reconstituted, an iambic
tetrameter catalectic, referring to Actaeon,_who inadvertently beheld
Artemis bathing with the nymphs. 247 V.
Cum illud o(c)wli(s) violavit 4 (is), 5 qui inmdit 6
invidendum. A quo etiam violavit virginem pro vit(i)avit dicebant
; acque eadem modestia potius cum muliere fuisse quam concubuisse
dicebant. 81. Cerno idem valet : itaque pro video ait En-
nius : Lumen — iubarne ? — in caelo cerno. Cawius 1
: Sensumque inesse et motum in membris cerno. Dictum
cerno a cereo, id est a creando ; dictum ab eo quod cum quid creatum est,
tunc denique videtur. Hinc fines capilli d^scripti, 2 quod finis videtur,
dis- crimen ; et quod 3 in testamento (cernito), 4 id est facito
videant te esse heredem : itaque in cretione adhibere iubent testes. Ab
eodem est quod ait Medea : Ter sub armis malim vz'tam 5
cernere, Quam semel modo parere ; quod, ut decernunt de vita
eo tempore, multorum videtur vitae finis. 4 Mue., for obliuio
lavet (obviolavit Aug., with B). 5 Added by Kent, metri gratia. 6
Kent ; vidit Mue. ; for incidit. §81. 1 Schoell, marginal
note in his copy of A. Sp.'s edition,for canius. 2 A. Sp., for descripti.
3 Turnebus, for qui id. 4 Added by Turnebus. 5 Bentinus, from
Nonius Marc. 261. 22 M.,for multa. e See note c. f
Invidendum with negative prefix in-, unlike the preceding word; cf.
infectum meaning both ' stained ' and ' not done.' §81.
"Literally 'separate'; hence 'distinguish, see,' and also '
discriminate, decide.' Cerno has no connexion When that he violated with
his eyes, Who looked upon • what ought not to be seen.'
From which moreover they used to say violavit ' he did violence to
' a girl instead of vitiavit ' ruined ' her ; and similarly, with the
same modesty, thev used to say rather that a man fult ' was ' with a
woman, than that he concubuit ' lay ' with her. 81. Cerno a
has the same meaning; therefore Ennius b uses it for video :
I see light in the sky — can it be dawn ? Cassius c says
: I see that in her limbs there's feeling still and motion.
Cerno ' I see ' is said from cereo, that is, creo ' I create ' ; it
is said from this fact, that when something has been created, then
finally it is seen. From this, the bound- ary-lines of the parted hair, d
because a boundary- line is seen, got the name discrimen ' separation ' ;
and the cernito ' let him decide,' e which is in a will, that is,
make them see that you are heir : therefore in the cretio ' decision ' they
direct that the heir bring wit- nesses. From the same is that which Medea
says / : I'd rather thrice decide, in battle wild, My
life or death, than bear but once a child. Because, when they
decernunt ' decide ' about life at that time, the end of many persons'
lives is seen. with creo. 6 Trag. Rom. Frag., verse 338 Ribbeck*
; R.O.L. i. 226-227 Warmington ; from the Ajar ; cf. vi. 6 and vii.
76. e Fitting Cassius's play Lucretia ; cf. vi. 7 and vii. 72. * Capittus
in the singular was used as a collective by V., according to Charisius,
i. 104. 20 Keil. • Cf. Gams, Institut. ii. 1 74. ' Ennius, Medea,
222-223 Ribbeck 3 ; R.O.L. i. 316-317 Warmington; translated from
Euripides, Medea, 250-251. 249 V.
82. Spectare dictum ab (specio) 1 antiquo, quo etiam Ennius
usus : uos 2 Epulo postquam spexit, et quod in
auspiciis distributum est qui habent spec- tionem, qui non habeant, et
quod in auguriis etiam nunc augurcs dicunt avem specere. Consuetudo
com(m)unis quae cum praeverbi(i)s coniun(c)ta fuerunt etiam nunc servat,
ut aspicio, conspicio, respicio, suspicio, despicio, 3 sic alia ; in quo
etiam expecto quod spectare volo. Hinc speculo(r), 4 hinc speculum,
quod in eo specimus imaginem. Specula, de quo prospicimus. Speculator,
quern mittimus ante, ut respiciat quae volumus. Hinc qui oculos
inunguimus quibus specimus, specillum. 83. Ab auribus verba
videntur dicta audio et ausculto ; aures 1 ab aveo, 2 quod his avemus
di(s)cere 3 semper, quod Ennius videtur ervfiov ostendere velle in
Alexandro cum ait : lam dudum ab ludis animus atque aures
avent, Avide expectantes nuntium. Propter hanc aurium
aviditatem theatra replentur. Ab audiendo etiam auscultare declinatum,
quod hi § 82. 1 Added bp Aug. 2 A. Sp., from Festus, 330 b 32
31., for uos. 3 31, Jxietus, for didestspicio. 4 Canal, for
specula. § 83. 1 3Iue., for audio. 2 Laetus, for abaucto. 3
Aug., for dicere. § 82. ° Annales, 421 Vahlen 2 ; R.O.L. i. 148-149
Warm- ington ; given in better form by Festus, 330 b 32 M. : Quos
ubi rex (Ep)ulo spexit de cotibus (=cautibus) celsis. Epulo was a king of
the Istrians, who fought against the Romans in 178-177 b.c. ; cf. Livy,xli.
1,4, 11. 6 Page 20 Regell. c Page 17 Regell. § 83. Auris,
audio, ausculto belong ultimately together, Spectare ' to see ' is said
from the old word specere, which in fact Ennius used a :
After Epulo saw them, and because in the taking of the auspices 6
there is a division into those who have the spectio ' watch-duty ' and
those who have not ; and because in the taking of the auguries even now
the augurs say c specere ' to watch ' a bird. Gammon practice even now
keeps the compounds made with prefixes, as aspicio ' I look at,'
conspicio ' I observe,' respicio ' I look back at,' suspicio ' I look up
at,' despicio ' I look down upon,' and similarly others ; in which group
is also expecto ' I look for, expect ' that which I wish spectare ' to
see.' From this, speculor ' I watch ' ; from this, speculum '
mirror,' because in it we specimus ' see ' our image. Specula '
look-out,' that from which we prospicimus ' look forth.' Speculator '
scout,' whom we send ahead, that he respiciat 1 may look attentively '
at what we wish. From this, the instrument with which we anoint our
eyes by which we specimus ' see,' is called a specillum '
eye-spatula.' 83. From the aures ' ears ' seem to have been
said the words audio ' I hear ' and ausculto ' I listen, heed ' ;
aures ' ears ' from aveo a ' I am eager,' because with these we are ever
eager to learn, which Ennius seems to wish to show as the radical in his
Alexander, 1 * when he says : A long time eager have been my
spirit and my ears, Awaiting eagerly some message from the games. It
is on account of this eagerness of the ears that the theatres are filled.
From audire ' to hear ' is derived also auscultare ' to listen, heed,'
because they are said but are not to be connected with aveo. 6
Trag. Rom. Frag. 34-35 Ribbeck'; R.O.L. i. 236-237 Warmington.
251 V. auscultare dicuntur qui auditis parent, a quo
dictum poetae : Audio, . 7 84. Ore edo, sorbeo,
bibo, poto. Edo a Graeco low, 1 hinc esculentum et esca edulia 2 ;
et quod Graece yei'eTcu, 3 Latine gustat. Sorbere, item bi- bere a
vocis sono, ut fervere aquam ab eius rei simili sonitu. Ab eadem lingua,
quod irorov, potio, unde poculum, potatio, repotia. 4 Indidem puteus,
quod sic Graecum antiquum, non ut nunc (f>peap dictum. 85. A manu manupretium 1 ;
mancipium, quod manu capitur ; (quod) 2 coniungit plures manus,
manipulus ; manipularis, manica. Manubrium, quod manu tenetur. Mantelium, ubi
manus terguntur. . . . 3 4 Aug. {quoting a friend), for aut. 5 B,
Laetus, for ob- scnlto. 6 L. Sp., for odoratur. 7 sic alia ab ore A.
Sp., for sic ab ore (Mue. deleted sic, and set ab ore at the begin-
ning of the next section). §84. 1 A Idus, for edon. 2 Canal; escae
edulia Aldus; for escaedulia. 3 Victorias, for geuete. 4 Aug. (quot-
ing a friend), for repotatio. Victorius, for mantur praetium. 2 Added
by G, H. 3 Lacuna recognized by Aug. e That is, with
an changed to o, as if audor were the origin of odor ; olor, with the
well-known change of d to I, is not attested elsewhere in Latin
literature, but is found in the glosses and survives in the Romance
languages. These words belong together, but are not to be grouped with
audio. The etymological connexions are correct (except for puteus ;
cf. v. 25 note a), but the Latin words are cognate auscultare
who obey what they have heard ; from which comes the poet's saying
: I hear, but do not heed. With the change of a letter
are formed odor c or olor ' smell ' ; from this, olet ' it emits an
odour,' and odorari ' to detect by the odour,' and odoratus ' perfumed,'
and an odora ' fragrant ' thing, and similarly other words.
84. a With the mouth edo ' I eat,' sorbeo ' I suck in,' 6160 ' I
drink,' poto ' I drink.' Edo from Greek eSto ' I eat ' ; from this,
esculentum ' edible ' and esca ' food ' and edulia ' eatables ' ; and
because in Greek it is yevtrat ' he tastes,' in Latin it is gustat.
Sorbere ' to suck in,' and likewise bibere ' to drink,' from the sound
6 of the word, as for water fervere ' to boil ' is from the sound
like the action. From the same language, because there it is — 6-ov '
drink,' is potio ' drink,' whence poculum ' cup,' potatio '
drinking-bout,' repotia ' next day's drinking.' From the same comes
puteus ' well,' because the old Greek word was like this, and not
pcap as it is now. 80. From manus ' hand ' comes manupretium
' workman's wages ' ; mancipium ' possession of pro- perty,' because it
capitur ' is taken ' mann ' in hand ' ; manipulus ' maniple,' because it
unites several manus ' hands ' ; manipularis ' soldier of a maniple,'
manica ' sleeve.' Manubrium ' handle,' because it is grasped by the
manus ' hand.' Mantelium ' towel,' on which the manus ' hands ' terguniur
' are wiped.' . . . a with the Greek, not derived from it. 6 These
words are not onomatopoeic § 85. The gap is serious : the
subject matter shifts abruptly, and many appropriate topics are missed,
such as the actions of the feet, and some further discussion of the
distinctions among agere, facere, gerere. Nunc primum ponam (de) 1
Censoriis Tabulis : Ubi noctu in templum censor 2
auspicaverit atque de caelo nuntium erit, praeconi 3 sic imperato 4 ut
viros vocet : " Quod bonum fortunatum felix salutareque siet 5
populo Ro- mano Quiritiiw* 6 reique publicae populi Romani
Quiritium mihique collegaeque meo, fidei magistratuique nostro :
omnes Quirites pedites armatos, privatosque, curatores omnium tribuum, si
quis pro se sive pro 1 altero rationem dari volet, voca 8 inlicium hue ad
me." 87. Praeco in templo primum vocat, postea de moeris
1 item vocat. Ubi ht 12 ex(qua)0ra(s>, 13 consules praetores
tribunosque plebis collegasque uos, 14 et in templo adesse iubeas omnes
15 ; ac cum mittas, contionem avoces. 18 92. In eodem
Commentario Awquisitionis 1 ad ex- tremum scriptum caput edicti hoc est
: Item quod attingat qui de censoribus 2 classicum ad comitia
centuriata redemptum habent, uti curent eo die quo die comitia erunt, in
Arce classicus canat 3 circumque muros et ante privati huiusce T. Quinti
Trogi scelerosi ostium 4 canat, et ut in Campo cum primo luci adsiet.
5 93. Inter id cum circum muros mittitur et cum contio
advocatur, interesse tempus apparet ex his quae interea fieri mlicium 1
scriptum est ; sed ad comitiatum 2 vocatur populus ideo, quod alia de
causa hie magistratus non potest exercitum urbanum con- § 91.
1 Bergk, for orande sed. 2 Mommsen, for au- spiciis. 3 L. Sp., for dum. 4
Sciop., for commeatum. 5 Kent ; praeco reum Aug. ; for praetores. 6
Laetus, for portet. 7 Aug., with B, for cornicem. 8 Aldus, for
cannat. ' Rhol., for colligam. 10 Mue., for rogis. 11 Victorius, for
comitiae dicat. 12 Mue., for censeat. 13 Bergk ; exquiras Mue.; for
extra. 14 Sciop., for uos. 15 Sciop., for homines. 16 B, G, Aug., for
auoces. § 92. 1 Aug., with B, for acquisitionis. 2 Aug., with
B, for decessoribus. 3 Victorius, for cannatum. 4 Sciop., for hostium. 5
Sciop., for adsit et. § 93. 1 Aldus, for illicitum F 1 (illicium F
2 ). 2 Sciop., for comitia turn. § 91. a The document is
addressed to Sergius as quaestor. 6 Page 21 Regell. "The
northern summit of the Capito- You° shall give your attention to the auspices,
4 and take the auspices in the sacred precinct ; then you shall
send to the praetor or to the consul the favourable presage which
has been sought. The praetor shall call the accused to appear in the
assembly before you, and the herald shall call him from the walls : it is
proper to give this command. A horn-blower you shall send to the doorway
of the private individual and to the Citadel," where the signal is
to sound. Your colleague you shall request that from the speaker's
stand he proclaim an assembly, and that the bankers shut up their shops.*
You shall seek that the senators express their opinion, and bid them be
present ; you shall seek that the magistrates express their opinion, the
consuls, the praetors, the tribunes of the people, and your colleagues,
and you shall bid them all be present in the temple ; and when you send
the request, you shall summon the gathering. 92. In the same
Commentary on the Indictment, at the end, this summing up of the edict is
written : Likewise in what pertains to those who have
received from the censors the contract for the trumpeter who gives
the summons to the centuriate assembly, they shall see to it that
on that day, on which the assembly shall take place, the trumpeter shall
sound the trumpet on the Citadel and around the walls, and shall sound it
before the house-entrance of this accursed Titus Quintius Trogus, and
that he be present in the Campus Martius at daybreak."
93. That between the sending around the walls and the calling of
the gathering some time elapses, is clear from those things the doing of
which in the meantime is written down as the inlicium ' imitation '
; but the people is called to appear in the assembly because for
any other reason this magistrate cannot call together the citizen-army of
the City. The line. * These shops (c/. § 59 and note), on both
sides of the Forum, were to be closed during the trial of Trogus.
§ 92. In early Latin, lux was normally masculine, as in Plautus,
Aul. 7-lS,Cist. 525, Capt. 1008 ; Terence, Adel. 841. § 93. a The
praetor. 259 V. vocare ;
censor, consul, dictator, interrex potest, quod censor 3 exercitum
centuriato constituit quinquen- nalem, cum lustrare 4 et in urbem ad
vexillum ducere debet ; dictator et consul in singulos annos, quod hie
exercitui imperare potest quo eat, id quod propter centuriata comitia
imperare solent. 94. Quare non est dubium, quin 1 hoc inlicium
sit, cum circum muros itur, ut populus inliciatur ad magis- tratus
conspectum, qui (vi)ros 2 vocare 3 potest, in eum locum unde vox ad
contionem vocantis exaudiri possit. Quare una origine illici et inlicis
quod in Choro Pro- serpinae est, et pellexit, quod in //ermiona est,
cum ait Pacuius : Regni alieni cupiditas
Pellexit. Sic Elicii Iovis ara 4 in Aventino, ab
eliciendo. 95. Hoc nunc aliter fit atque olim, quod augur
consuli adest turn cum exercitus imperatur ac praeit quid eum dicere
oporteat. Consul augur(i) 1 imperare solet,
ut iralicium 2 vocet, non accenso aut praeconi. Id inceptum credo, cum non
adesset accensus ; et nihil intererat cui imperaret, et dicis causa
fieba(n)t 3 3 Laetus, for censorem. 4 Scaliger, for lustraret. § 94. 1
Vertranvus, for cum. 2 L. Sp., for qui ros. 3 Aldus, for uocari. 4 Victor
-ins, for iobis uisa ara. §95. 1 Victorius, for augur. 2 B, Laetus,
for is licium. 3 Aug., with B, for fiebat. 6 This
statement refers to the consul only ; the part de- fining the dictator's
powers seems to have fallen out of the text. § 94. "
Trag. Rom. Frag., page 272 Ribbeck 3, of an un- known poet ; unless Chorus
Proserpinae is a substitute name for Eumenides, a tragedy of Ennius.
" Trag. Rom. Frag., verses 170-171 Ribbeck 3 ; R.O.L. ii. 226-227
Warmington. c A popular etymology only, since Jupiter could hardly
be 260 ON THE LATIN LANGUAGE, VI. 93-95
censor, the consul, the dictator, the interrex can, because
the censor arranges in centuries the citizen- army for a period of five
years, when he must cere- monially purify it and lead it to the city
under its standards ; the dictator and the consul do so every year,
6 because the latter can order the citizen-army where it is to go, a
thing which they are accustomed to order on account of the centuriate
assembly. 91. Therefore there is no doubt that this is the
inUcium, when they go around the walls that the people may inlici 1 be
enticed ' before the eyes of the magistrate who has the authority to call
the men into that place from which the voice of the one who is
calling them to the gathering can be heard. There- fore there come from
the same source also illici 1 to be enticed ' and inlicis ' thou
enticest,' which are in the Chorus of Proserpina, a and pellexit '
lured,' which is in the Hermiona, when Pacuvius says 6 :
Desire for another's kingdom lured him on. So also the altar
of Jupiter Elicius ' the Elicited ' on the Aventine, from elicere ' to
lure forth.' c 95. This is now done otherwise than it was of
old, because the augur is present with the consul when the
citizen-army is summoned, and says in advance the formulas which he is to
say. The consul regularly gives order to the augur, not to the assistant
nor to the herald, that he shall call the inlicium ' invitation.' I
believe that this was begun on an occasion when the assistant was not
present ; it really made no difference to whom he gave the order, and it
was for form's sake ' tricked ' ; according to G. S. Hopkins,
Indo-European deiwos and Related Words, 27-32, Elicius is a derivative
of liquere ' to be liquid,' and Jupiter Elicius is a rain-god.
261 V. quaedam neque item facta
neque item dicta semper. Hoc ipsum inlieium scriptum inveni in M. Iunii
Com- mentariis ; quod tamen (inlex apud Plautum in Persa est qui
legi non paret), 4 ibidem est quod illicit illex, (f)it quod 5 (I) 6 cum
E et C cum G magnam habet co(m)munitatem. X. 96. Sed quoniam
in hoe de paucis rebus verba feci plura, de pluribus rebus verba faciam
pauca, et potissimum quae in Graeea lingua putant Latina, ut
sealpere a o-KaAeveiv, 1 sternere a a-rpwvvf.iv, 2 lingere a Xixfiaadai?
i ab W(t), i ite ab Ttc, 5 gignitur toris. 6 Non reprehendendum igitur in
illis qui in scrutando verbo litteram adiciunt aut demunt, quo 7
facilius quid sub ea voce subsit viden' 8 possit : ut* enim facilius
obscuram operam (M)yrmecidw 10 ex 1 The lost heading is restored
after that of Book VI. 2 F contains this statement of loss; B and the
Leipzig codex contain an interpolated beginning : Temporum vocabula
et eorum quae coniuncta sunt, aut in agendo fiunt, aut cum tempore
aliquo enuntiantur, priore libro dixi. In hoc dicam de poeticis vocabulis
et eorum originibus, in quis multa difficilia : nam, after which comes
repens ruina aperuit. AT THIS POINT, ONE LEAF IS LACKING. A word a poet
uses is hard to expound. For, often, some meaning, or sense, that is fixed
in olden times is buried by a sudden catastrophe, or in some word whose
proper make-up of letters is hidden after some element has been taken away
from it, the INTENT OR INTENTION – Grice’s m-intention -- of him who first
applied the word becomes in this fashion quite obscure. There should be no
rebuking then of those who, in examining a word, add a letter or
take one away, that what underlies this expression may be more
easily perceived : just as, for instance, that the eyes may more easily
see Myrmecides' indistinct Proposed by A. Sp., as the most probable
indication of what immediately preceded. * Turnebus, for aperuit. s
A. Sp., for ut. * Turnebus, for sit. 5 Aldus, 11, for obscurius. 6
Victorius, for in posterioris. 7 Turnebus, for quid. 8 L. Sp., for
uidere. ' Victorius, for et. 10 L. Sp. ; Myrmetidis Aldus ; for yrmeci
dum. 267 V. ebore oculi
videant, extrinsecus admovent nigras setas. 2. Cum haec
amminicula addas ad eruendum voluntatem impositoris, tamen latent multa.
Quod si poetice (quae) 1 in carminibus servant 2 multa prisca quae
essent,sic etiam cur essent posuisset^yecundius 4 poemata ferrent fructum
; sed ut in soluta oratione sic in poematis verba (non) 5 omnia quae
habent 8 ervfxa possunt dici, neque multa ab eo, quern non erunt in
lucubratione litterae prosecutae, multum licet legeret. AeliV hominis in primo in litteris Latinis
exercitati interpretationem Carminum Salio- rum videbis et exili littera
expedita(m) 8 et praeterita obscura 9 multa. 3. Nec mirum,
cum non modo Epemenides 1 (s)opor(e) 2 post annos L experrectus a multis
non cognoscatur, sed etiam Teucer Livii post XV annos ab suis qui
sit ignoretur. At 3 hoc quid ad verborum poeticorum aetatem ? Quorum si
Pompili regnum fons in Carminibus Saliorum neque ea ab superioribus
§ 2. 1 Added by L. Sp.
2 Victorius, for servabit. 3 Victorius, for posuissent. 4 Laetns, for
secundius. 6 Added by line. 6 For haberent. 7 H, B, Ed. Veneta, for
helii. 8 Laetus, for expedita. 9 For praeteritam obscuram.
§3. 1 Aug., icith B, for Epamenidis. 2 GS., for opos. 3 Victorius,
for ad. § 1. ° Cf. ix. 108 ; his carvings were so tiny that
the detail in the white ivory could be seen only against a black
background. §3. ° A Cretan poet and prophet, reputed to have
cleansed Athens of a plague in 596 b.c According to one story, in
his boyhood he went into a cave to escape the noonday sun, and fell
into a sleep that lasted fifty-seven years. When he awoke, handiwork in
ivory, men put black hairs behind the objects. 2. Even though
you employ these tools to unearth the intent of him who applied the word,
much remains hidden. But if the art of poesy, which has in the
verses preserved many words that are early, had in the same fashion also
set down why and how they came to be, the poems would bear fruit in more
pro- lific measure ; unfortunately, in poems as in prose, not all
the words can be assigned to their primitive radicals, and there are many
which cannot be so assigned by him whom learning does not attend
with favour in his nocturnal studies, though he read pro-
digiously. In the interpretation of the Hymns of the Saltans, which was
made by Aelius, an outstanding scholar in Latin literature, you will see
that the inter- pretation is greatly furthered by attention to a
single poor letter, and that much is obscured if such a letter is
passed by. 3. Nor is this astonishing : for not only were
there many who failed to recognize Epimenides ° when he awoke from
sleep after fifty years, but even Teucer's own family, in the play of
Livius Andronicus, 6 do not know who he is after his absence of fifteen
years. But what has this to do with the age of poetic words ? If
the reign of Numa Pompilius c is the source of those in the Hymns of the
Saltans and those words were not received from earlier hymn-makers, they
are none the everything was changed ; his younger brother had
become an old man. * Livius Andronicus, T rag. Rom. Frag., page 7 Ribbeck
3 ; R.O.L. ii. 14-15 Warmington. Teucer, son of Telamon king of Salamis,
was absent from home during the Trojan War, and again during his exile
after his return from that war. e Second king of Rome, founder of
the Salian priesthood. 269 V.
accepta, tamen habent DCC annos. Quare cur scriptoris industriam
reprehendas qui herois tritavum, atavum non potuerit reperire, cum ipse
tui tritavi matrem dicere non possis ? Quod intervallum multo tanto propius nos, quam
hinc ad initium Saliorum, quo Romanorum prima verba poetica dicunt
Latina. 4. Igitur de originibus verborum qui multa dix- erit
commode, potius boni consulendum, quam qui aliquid nequierit
reprehendendum, praesertim quom dicat etymologice 1 non omnium verborum
posse dici causa 2 natura in caelo, ab auspiciis in terra, a
similitudine sub terra. In caelo te(m)plum dicitur, ut in .Hecuba :
O magna templa caelitum, commixta stellis splendidis. In
terra, ut in Periboea : Scrupea saxea Ba(c)chi Templa prope
aggreditur. Sub terra, ut in Andromacha : Acherusia
templa alta Orci, salvete, infera. 7. Quaqua 1 initi erat 2 oculi,
a tuendo primo templum dictum : quocirca caelum qua attui- mur
dictum templum ; sic : Contremuit templum magnum Iovis
altitonantis, 2 Sciop., for excidit. § 6. 1 Groth, with V, p, for
auspicendo. 2 Added by L. Sp. % 7. 1 Aug., for quaquia. 2
Sciop., for initium erat. § 6. ° Said of Romulus, by Ennius,
Ann. 65-66 Vahlen 2 ; R.O.L. i. 22-23 Warmington ; quoted without templa
by Ovid, Met. xiv. 814 and Fast. ii. 487. » Properly a ' limited
space,' for divination or otherwise ; from the root tern- 'cut.' c Page
18 Regell. d That is, likeness to a templum in the sky or on the earth. '
Ennius, Trag. Rom. Frag. 163 Ribbeck 3 ; R.O.L. i. 292-293
Warmington. 272 ON THE LATIN LANGUAGE, VII.
5-7 that if any word lies outside this fourfold division, I
shall still include it in the account. 6. I shall begin from this
: One there shall be, whom thou shalt raise up to sky's azure
temples." Templum 6 ' temple ' is used in three ways, of
nature, of taking the auspices, 6 from likeness d : of nature, in
the sky ; of taking the auspices, on the earth ; from likeness, under the
earth. In the sky, templum is used as in the Hecuba e : O
great temples of the gods, united with the shining stars. On
the earth, as in the Periboea f : To Bacchus' temples aloft
On sharp jagged rocks it draws near. Under the earth, as in the
Andromacha : Be greeted, great temples of Orcus, By Acheron's
waters, in Hades. 7. Whatever place the eyes had iniuiti '
gazed on,' was originally called a templum ' temple,' from tueri '
to gaze ' ; therefore the sky, where we attuimur ' gaze at ' it, got the
name templum, as in this ° : Trembled the mighty temple of
Jove who thunders in heaven, ' Pacuvius, Tray. Rom. Frag. 310
Ribbeck*; R.O.L. ii. 278- 279 Warmington ; anapaestic; said of a Bacchic
rout. ' Ennius, Trag. Rom. Frag. 70-71 Ribbeck*; R.O.L. i. 254- 255
Warmington ; anapaestic ; quoted more fully by Cicero, Tusc. Disp. i. 21.
48. §7. "Ennius, Ann. 541 Vahlen*; R.O.L. i. 450-451
Warmington. vol. i T 273 V.
id est, ut ait Naevius, HemispAaerium 3 ubi conca*
Caerulo 6 septum stat. Eius
templi partes quattuor dicuntur, sinistra ab oriente, dextra ab occasu,
antica ad meridiem, postica ad septemtrionem. 8. In terris
dictum templum locus augurii aut auspicii causa quibusdam conceptis
verbis finitus. Concipitur verbis non isdem 1 usque quaque ; in
Arce sic : Tem tescaque 2 me ita sunto, quoad ego- ea rite 3
lingua 4 nuncupavero. Olla t'er(a) 6 arbos quirquir est, quam me sentio
dixisse, templum tescumque me esto 6 in sinistrum. Olla ver(&}
7 arbos quirquir est, quam 6 me sentio dixisse, te(m)plum tescumque me
esto 6 (in) 9 dextrum. Inter
ea conregione conspicione cortumione, utique ea (rit)e dixisse me 10
sensi. 9. In hoc templo faciundo arbores constitui fines
apparet et intra eas regiones qua oculi conspiciant, id 3 Turnebns,
B, for hiemisferium. 4 Mue., for
conca. 6 For cherulo. §8. 1 Mue., for hisdem. 2 Turnebus,for
item testaque. 3 ea rite L. Sp., for eas te. 4 Victorius, p, for
linquam. 6 Kent, for ullaber. 6 tescum Turnebus, -que me Fay, esto
Scaliger and Turnebns, for tectum quern festo. 7 Kent, for ollaner. 6
Mue., for quod. . 9 Added by B, Laetus. 10 L. Sp., ; ea dixisse me Sciop.
; for ea erectissime. b An uncertain fragment, not listed in
the collections of the fragments of Naevius. c Cf. p. 18 Regell.
§ 8. Page 18 Regell. 6 Text and translation both very problematic.
I take me as dative (cf Fest. 160. 2) ; regard quirquir as equal to
quisquis, either by manuscript corruption or with rhotacism in the phrase
quisquis est, that is, as Naevius says, 6 Where land's
semicircle lies, Fenced by the azure vault. Of this temple c
the four quarters are named thus : the left quarter, to the east ; the
right quarter, to the west ; the front quarter, to the south ; the
back quarter, to the north. 8. On the earth, templum is the
name given to a place set aside and limited by certain formulaic
words for the purpose of augury a or the taking of the auspices. The
words of the ceremony are not the same everywhere ; on the Citadel, they
are as follows 6 : Temples and wild lands be mine in this
manner, up to where I have named them with my tongue in proper
fashion. Of whatever kind that truthful' tree is, which I
con- sider that I have mentioned, temple and wild land be mine to
that point on the left. Of whatever kind that truthful tree is,
which I consider that I have mentioned, temple and wild land be mine
to that point on the right. Between these points, temples and
wild lands be mine for direction, for viewing, and for interpreting, and
just as I have felt assured that I have mentioned them in proper
fashion. 9. In making this temple, it is evident that the
trees are set as boundaries, and that within them the regions are set
where the eyes are to view, that is we becoming quisquir est (so
Fay, Amur. Journ. Phil. xxxv. 253) ; take as datives the three words in
-one in the last sentence (meanings, vii. 9), supplying after them
templa tescaque me sunto. For meaning of tescum, cf. vii. 10-11. '
That is, lending itself to true predictions through the auspices. est
tueamur, a quo templum dictum, et contemplare, ut apud Ennium in Medea
: Contempla et templum Cereris ad laevam aspice. Contempla et
conspicare id(em) 1 esse apparet, ideo dicere turn, cum te(m)plum 2
facit, augurem con- spicione, qua oculorum conspectum fmiat. Quod
cum dicunt conspicionem, addunt cortumionem, dicitur a cordis visu : cor
enim cortumionis origo. 10. Quod addit templa ut si(n)t 1 tesca, 2
aiunt sancta esse qui glossas scripserunt. Id est falsum : nam
Curia Hostilia templum est et sanctum non est ; sed hoc ut putarent aedem
sacram esse templum, . 14 Quare haec quo(d) tesca dixit, non
erravit, neque ideo quod sancta, sed quod ubi mysteria fiunt
at- tuentur, 15 tuesca dicta. 12. Tueri duo significat, unum
ab aspectu ut dixi, unde est Ennii 1 illud : Tueor te, senex
? Pro Iupiter
! § 11. 1 Laetus, for ut. 2 Aldus, for philocto etatem.
3 Aldus, for appones (cf. adportas Festus, 356 a 26 31.). 4
Added by Mue. 6 Aug., with B, for prest olitor a rarat. 6 For teues. 7 Aldus,
for castris. 8 For uolgania. 9 Added by Ribbeck. 10 Aug., with B, for
lumine. 11 Vertranius {from Cicero, Tusc. ii. 10. .23), for
ignes. 12 Aldus, for clauet. 13 Added by Victorius (from
Cicero, I.e.). 14 Turnebus (from Cicero, I.e.), for diuis. 15 Mue..
for aut tuentur. § 12. 1 Sciop., for enim. § 11.
» Trag. Bom. Frag. 554 Ribbeck 3 ; R.O.L. ii. 514- 515 Warmington. 6
Trag. Bom. Frag. 525-534 Ribbeck 3 ; For there is the following in Accius,
in the Philoctetes of Lemnos a : What man are thou, who dost
advance To places desert, places waste ? What sort of places
these are, he indicates when he says 6 : Around you you have
the Lemnian shores, Apart from the world, and the high-seated
shrines Of Cabirian Gods, and the mysteries which Of old were
expressed with sacrifice pure. Then : You see now the
temples of Vulcan, close by Those very same hills, upon which he is
said To have fallen when thrown from the sky's lofty sill. e
And : The wood here you see with the smoke gushing
forth, Whence the fire — so they say — was secretly brought To
mankind.* Therefore he made no mistake in calling these lands
tesca, and yet he did not do so because they were con- secrated ; but
because men attuentur ' gaze at ' places where mysteries take place, they
were called tuesca. 6 12. Tueri has two meanings, one of ' seeing '
as I have said, whence that verse of Ennius ° : I really see
thee, sire? Oh Jupiter ! R.O.L. ii. 506-507 Warmington ;
anapaestic. e He fell on Lemnos, as related in Iliad, i. 590-594. d This
last portion is quoted by Cicero, Tusc. Disp. ii. 10. 23, who
continues with a summary of the story of Prometheus. * V. means
that tesca is for tuesca, waste or wild land where men may look at
(attueri) celebrations of religious mysteries : an incorrect
etymology. § 12. ° Trag. Rom. Frag. 335 Ribbeck 8 ; R.O.L. i.
290- 291 Warmington. 279 V.
Et : Quis pater aut cognatus volet vos 2 contra tueri ?
Alterum a curando ac tutela, ut cum dicimus " vellet 3 tueri
villain," a quo etiam quidam dicunt ilium qui curat aedes sacras
cedituum, non aeditamuiw ; sed tamen hoc ipsum ab eadem est profectum
origine, quod quern volumus domum curare dicimus " tu domi
videbis," ut Plautus cum ait : Intus para, cura, vide. Quod
opus(t> 5 flat. Sic dicta vestis(pi)ca,* quae vestem spiceret,
id est videret vestem ac tueretur. Quare a tuendo et templa et
tesca dicta cum discrimine eo quod dixi. 13. Etiam indidem illud EnmV 1
: Extemplo acceptam 2 me necato 3 et filiam. 4 Extemplo enim
est continuo, quod omne te(m)plum esse debet conti(nu)o septum nec plus
unum in- troitum habere. 2 Aug., with B, for nos. 3 Ellis,
for bell . . et {vacant space for two letters). 4 For aeditomum. 6
From Plautus, Men. 352, for quid opus. 6 Aldus, for vestisca.
§ 13. 1 Scaliger, for enim. 2 Voss, for acceptum. 3 Scaliger,
for negato. 4 Bothe,for filium / cf. Euripides, Hecuba, 391.
» Ann. 463 Vahlen 2 ; R.O.L. i. 172-173 Warmington. * Aeditumus is
original, with the second part of uncertain origin. d V. compares the two
meanings of tueri with the two meanings of videre, ' to see ' and ' to
see after, care for.' * Men. 352. And 6 : Who
will now wish, though father or kinsman, to look on your faces ?
The other meaning is of ' caring for ' and tutela ' guardianship,'
as when we say " I wish he were will- ing tueri ' to care for ' the
farmhouse," from which some indeed say that the man who attends to
con- secrated buildings is an aedituus and not an aedi- tumus c ;
but still this other form itself proceeded from the same source, because
when we want some one to take care of the house we say " You will
see to d matters at home," as Plautus does when he says * :
Inside prepare, take pains, see to 't ; Let that be done, that's
needed. In this way the vestispica ' wardrobe maid ' was
named, who was spicere ' to see ' the vestis ' clothing,' that is,
was to see to the clothing and tueri 1 guard ' it. There- fore, both
temples and tesca ' wastes ' were named from tueri, with that difference
of meaning which I have mentioned. 13. Moreover, from the
same source comes the word in Ennius a : Extemplo take me,
kill me, kill my daughter too. For extemplo 6 ' on the spot ' is
continuo ' without in- terval,' because every templum ought to be fenced
in uninterruptedly and have not more than one entrance. § 13.
a Trag. Rom. Frag. 355 Ribbeck 3 ; R.O.L. i. 380- 381 Warmington; perhaps
spoken by the captive Hecuba, who gave her name to a tragedy by Ennius. 6
Templum denotes a limited portion of time as well as of space ; in
extemplo the application is to time. 281 V.
14. Quod est apud Accium : Pervade polum, splendida
mundi Sidera, bigis, (bis) 1 continues ) Se(x ex)pkti
$ign\s,* polus Graecum, id significat circum caeli : quare
quod est pervade polum valet 3 vade irepl ttoXov. Signa dicuntur
eadem et sidera. Signa quod aliquid significent, ut libra aequinoctium ;
sidera, quae (qua)si 4 insidunt atque ita significant aliquid in
terris perurendo aliave 5 qua re : ut signum candens in
pecore. 15. Quod est : Terrarum anfracta revisam,
1 anfractum est flexum, ab origine duplici dictum, ab ambitu
et frangendo : ab eo leges iubent in directo pedum VIII esse (viam), 2 in
anfracto XVI, id est in flexu. 16. Ennius : Ut tibi Titanis
Trivia dederit stirpem liberum. Titanis Trivia Diana est, ab eo dicta
Trivia, quod in § 14. 1 Added by Kent ; cf. GS., note. 2 Continui se
cepit spoliis F ; continuis sex apti signis Scaliger ; picti Ribbeck,
exceptis Fay, expicti Kent. 3 Victoritis, for valde. 4 quae quasi GS. ; quod quasi L. Sp. ; for quae
si. 5 A. Sp., for aliudue. § 15. 1 Aug., with B, for anfractare visum. 2
Added by GS ; following Sciop., who added viam after iubent.
§ 14. ° Trag. Rom. Frag. 678-680 Ribbeck 3 ; R.O.L. ii. 572-573
Warmington ; anapaestic. The passage is appar- ently addressed to
Phaethon, but possibly to the Sun-God or to the Moon-God. The twelve
signs of the zodiac are con- ceived as taken by the Universe and worn by
it as a girdle. 6 Properly 1 white-hot ' ; the Roman poets often speak of As
for what is in Accius,° With thy team do thou go through the sky,
through the bright Constellations aloft, which the universe
holds, Adorned with its twice six continuous signs, the word
polus ' sky ' is Greek, it means the circle of the sky : therefore the
expression pervade polum ' traverse the sky ' means ' go around the
-oAos.' Signa 1 signs of the zodiac ' means the same as sidera '
constellations.' Signa are so called because they significant ' indicate
' something, as the Balance marks the equinox ; those are sidera which so
to speak in- sidunt ' settle down ' and thus indicate something on
earth by burning or otherwise : as for example a signum candens '
scorching sign,' 6 in the matter of the flocks. 15. In the
phrase Again of the land I shall see the anfracta,"
anfractum means ' bent or curved,' being formed from a double
source, from ambitus ' circuit ' and frangere ' to break.' Concerning
this the laws 6 bid that a road shall be eight feet wide where it is
straight, and six- teen at an anfractum, that is, at a curve.
16. Ennius says ° : As surely as to thee Titan's
daughter Trivia shall grant a line of sons. The Trivian Titaness is
Diana, called Trivia from the the flocks as being burned by the
heat of Canicula ' the Dog-star,' which is visible while the sun is in
the sign of Leo. § 15. • Accius, Trag. Rom. Frag. 336 Ribbeck 3 ;
R.O.L. ii. 440-141 Warmington. 6 Cf. XII Tabulae, page 138
Schoell. § 16. ■ Trag. Rom. Frag. 362 Ribbeck*; R.O.L. i.
260- 261 Warmington. 283
V. trivio ponitur fere in oppidis Graecis, vel quod
luna dicitur esse, quae in caelo tribus viis movetur, in
altitudinem et latitudinem et longitudinem. Titanis dicta, quod earn
genuit, ut ai(t) 1 Plautus, Lato ; ea, ut scribit Manilius,
Est Coe(o> creata 2 Titano. Ut idem scribit :
Latona pari(e)t 3 casta complexu Iovis Deliadas 4 geminos,
id est Apollinem et Dianam. Dii, quod Titanis aX6si 1 :
/iellespontum et claustra. (Claustra), 2 quod Xerxes 3
quondam eum locum clausit : nam, ut Ennius ait, Isque
Hellespont*) pontem contendit in alto. Nisi potius ab eo quod Asia
et Europa ibi cow(c)ludi- t(ur> 4 mare ; inter angustias facit
Propontidis fauces. §19. 1 Ribbeck, for quid. 2 Ribbeck ; aequam pugnam Mue. ; aequom
palam Bothe ; for quam pudam. 3 Laetus, for his locis. § 20.
1 For piple. ide ( = id est) espiades, with h above the e of esp-.
§ 21. 1 Mue. ; Cassius Sciop. ; for quasi. 2 Added by Scaliger. 3
Bentinus, for exerses. 4 A. Sp. ; con- clude Ijaetus ; for
colludit. c Trag. Rom. Frag. 349 Ribbeck 3 ; R.O.L. i.
272-273 Warmington. d At the trial of Orestes for the murder of his
mother. §20. "Ennius, Ann. 1 Vahlen 2 ; R.O.L. i. 2-3
War- mington ; opening the poem. * As home of the gods. c That is,
not merely the Greeks. a Pipleides or Pim- 288
OX THE LATIN LANGUAGE, VII. 19-21 In the verse of
Ennius, c Since the Areopagites have cast an equal vote,*
Areopagitae ' Areopagites ' is from Areopagus ; this is a place at
Athens. 20. Muses, ye who with dancing feet beat mighty
Olympus." Olympus is the name which the Greeks give to
the sky, b and all peoples c give to a mountain in Mace- donia ; it
is from the latter, I am inclined to think, that the Muses are spoken of
as the Olympiads : for they are called in the same way from other places
on earth the Libethrids, the Pipleids, d the Thespiads, the
Heliconids. e 21. In this phrase of Cassius, The
Hellespont and its barriers, claustra ' barriers ' is used because
once on a time Xerxes clausit ' closed ' the place by barriers b :
for, as Ennius says, c He, and none other, on Hellespont deep
did fasten a bridgeway. Unless it is said rather from the
fact that at this place the sea concluditur ' is hemmed in ' by Asia and
Europe ; in the narrows it forms the entrance to the Propontis.
pleides. e Respectively from Libethra, a fountain sacred to the
Muses, near Libethmm and Magnesia, in Mace- donia ; Pimpla, a place and fountain
in Pieria, in Mace- donia ; Thespiae, a town of Boeotia at the foot of
Helicon ; and Helicon, a mountain-range in Boeotia. §21. 8
Trag. Rom. Frag. inc. inc. 106 Ribbeck* ; with the text as here emended,
it belongs to Cassius. * Cf. Herodotus, vii. 33-36. e Ann. 378 Vahlen*;
R.O.L. i. 136-137 Warming-ton. vol. I U
289 V. 22. Pacui : Li 2 nos
esse (Camenas). 2 Ca(s)menarum 3 priscum vocabulum ita natum ac
scriptum est alibi ; Carmenae ad eadem origine sunt declinatae. In multis
verbis in quo 4 antiqui dicebant S, postea dicunt R, ut in Carmine
Saliorum sunt haec : 10 This statement is in the margin of F,
opposite a blank space which amounts to one and one half pages.
§ 24. 1 Added by L. Sp. and by Bergk. 2 Mue., for infulas hostiis.
3 For sepulchrum. 4 L. Sp. and Rib- beck, for lanas. 6 L. Sp. and Ribbeck,
for frondentis comas. § 25. 1 GS. (cornutam umbram L. Sp. ;
cornutarum umbram Victor hi s ; iacit Scaliger), for cornua taurum
umbram iaci. § 26. 1 Scaliger, for curuamus ac (which includes the
last word of § 25). 2 Additions by Jordan. 3 Laetus, for camenarum.
4 Later codd.,for quod F. § 24. a Trag. Rom. Frag. inc. inc.
220-221 Ribbeck 3 . § 25. ° Trag. Rom. Frag. inc. inc. 222 Ribbeck
3 . 6 Cornu and curvus are not connected etymologically. §
26. a Ennius, Ann. 2 Vahlen 2 . 6 Perhaps of Etruscan origin ; at any
rate, not connected with canere ' to sing.' c A spelling caused by
association with carmen and Car- 292 ON THE
LATIN LANGUAGE, VII. 23-26 HERE OXE LEAF IS LACKING IX THE
MODEL COPY III. 2 k ... it is clear that agrestes ' rural '
sacrificial victims were so called from ager ' field- land ' ; that
infulatae ' filleted ' victims were so called, because the
head-adornments of wool which are put on them, are infulae ' fillets ' :
therefore then, with reference to the carrying of leafy branches and
flowers to the burial-place, he added a : Decked not with
wool, but with a hair-like shock of leaves. 25. The horned
shadow lures the bull to fight. It is clear that cornuta ' horned '
is said from cormia ' horns ' ; cornua is said from curvor '
curvature,' because most horns are curva ' curved.' 6 26.
Learn that we, the Camenae, are those whom they tell of as
Muses. Casmenae b is the early form of the name, when it
originated, and it is so written in other places ; the name Carmenae c is
derived from the same origin. In many words, at the point where the
ancients said S, the later pronunciation is R, d as the following in
the Hymn of the Saltans e : menta ; though no etymological
connexion with them exists. d The well-known phenomenon of rhotacism, the
change of intervocalic S to R. • Fragy. 2-3, pp. 332-335 Mauren-
brecher ; page 1 Morel. It is hazardous in the extreme to attempt to
restore and interpret the text of the Hymn. These sentences seem to
invoke Mars not as God of War, but in his old Italic capacity of God of
Agriculture, spoken of in several functions. It was the view of L.
Spengel, approved by A. Spengel, that this verbatim text of the Hymn was
an inter- polation, and that foedesum foederum of § 27 immediately
followed in Carmine Saliorum sunt haec. Cozevi o6orieso. Omnia vero ad
Patulc(ium) co»imisse. Ianeus iam es, duonus Cerus es,
du(o)nus Ianus. Ven(i)es po(tissimu)m melios eum recum . . . 5
HIC SPATIUM X LINEARUM RELICTUM ERAT IN EXEMPLARI . . . .
f(o)edesum foederum, 1 plusima plu- rima, meliosem meliorem, asenam
arenam, ianitos ianitor. Quare
e 2 Casmena Carmena, 3 Carmena 4 R extrito Camena factum. Ab eadem
voce canite, pro quo in Saliari versu scriptum est cante, hoc versu
: Divum em pa 5 cante, divum deo supplicate. 6 28. In
Carmine Priami 1 quod est : Veteres Casmenas cascam rem volo profarier,
2 5 F has : Cozeulodori eso. Omnia uero adpatula coemisse.
ian cusianes duonus ceruses, dunus ianusue uet pom melios eum recum. This is here emended as
follows : Cozevi Havet ; oborieso Kent; Patulcium Kent, after Bergk ;
commissei Kent; Ianeus GS., cf Festus, 103. 11 31.; iam es Kent;
duonus Cerus es, duonus Ianus Bergk; ueniet V, venies Kent ; potissimum,
cf Festus, 205 all 31. 6 At this point, the remainder of the line and the
next four lines are vacant in F, with traces of writing in the last empty
line, which must have given the data for this statement, found in II and
a. §27. 1 For faederum. 2 A. Sp. ; ex Ursinus ; for e (=est).
3 Added by A. Sp. * A. Sp., for carmina carmen. 5 Bergk, for empta. 6
Grotefend, for sup- plicante. § 28. 1 At this point, the rest
of the page (three and one- third lines) remains vacant in F, but there
is no gap in the text. 2 Scaliger,for profari et. ' Cozevi,
voc. of Consivius (epithet of Janus, in Macrobius, Sat. i. 9. 15), with
NS developing to NTS as in Umbrian, the N not written before the
consonants (cf. Latin cosol for consul), and z having the value of ts, as
in the Umbrian O Planter God/ arise. Everything indeed have I
committed unto (thee as) the Opener." Now art thou the Doorkeeper,
thou art the Good Creator, the Good God of Beginnings. Thou'lt come
especi- ally, thou the superior of these kings HERE A SPACE OF TEN LINES IS
LEFT VACANT IN THE MODEL COPY In the Hymn of the Saltans are found
such old forms as) foedesum for foederum ' of treaties,' plusima for
plurima ' most,' meliosem for meliorem ' better,' asenam for arenam '
sand,' ianitos for ianitor ° ' doorkeeper.' Therefore from Casmena came
Car- viena, and from Carmena, with loss of the R, came Camena. b
From the same radical came canite ' sing ye,' for which in a Salian verse
c is written cante, and this is the verse : Sing ye to the Father
d of the Gods, entreat the God of Gods.* 28. In The Song of
Priam there is the following ° : I wish the ancient Muses to tell a story
old. alphabet. 9 Epithet of Janus, in Macrobius, Sat. i. 9.
15. * The god is addressed as more powerful than all earthly lords,
whether kings or (perhaps) priests. The gen. plural eum, equal to eorum.
is elsewhere attested. ' The vacant lines in the model copy may have
represented more of the text of the Hymn, too illegible to copy.
§ 27. a Fragg. 4, 7, 20, 26, 27, pages 335, 339, 347, 349
Maurenbrecher. Ianitos is an incorrect form, since the word had an
original R ; but all the other words have R from earlier S. » Cf. § 26,
note 6. e Frag. 1, page 331 Maurenbrecher ; page 1 Morel. * Here em pa
stands for in patrem ; so Th. Bergk, Zts.f. Altertumswiss. xiv. 138
= Kleine Philol. Schriften, i. 505, relying on Festus, 205 all M.,
pa pro parte (read patre) et po pro potissimum positum est in Saliari
Carmine. * Equal to ' father of the gods.' § 28. a Frag. Poet.
Lat., page 29 Morel. 295 V. primum
cascum significat vetus ; secundo eius origo Safeina, quae usque radices
in Oscam linguam egit. Cascum vetus esse significat Ennius quod ait
: Quam Prisci casci populi tenuere 3 Latini. Eo magis
Manilius quod ait : Cascum duxisse cascam non mirabile est,
Quoniam cariosas 4 conficiebat nuptias. Item ostendit Papini
epigrammation, quod in adole- scentem fecerat Cascam :
Ridiculum est, cum te Cascam tua dicit arnica, 5 Fili(a> 6
Potoni, sesquisenex' puerum. Die tu illam 8 pusam : sic net "
mutua 9 muli " : Nam vere pusns tu, tua arnica senex.
29. Idem ostendit quod oppidum vocatur Casinum (hoc enim ab Sabinis
orti Samnites tenuerunt) et 1 nostri etiam nunc Forum Vetus appellant.
Item significat 2 in Atellanis aliquot Pappum, senem quod Osci 3
casnar appellant. 3 Columna, for genuere. 4 L. Sp. and Lachmann,
for carioras. 6 Laetus, B, for amici. 6 Popma, for fili. 7
Turnebus, for potonis es qui senex. 8 Turnebus, for dicit pusum puellam.
9 Pantagatkus, for mutuam. § 29. 1 L. Sp. deleted nunc after et. 2
For significant. 3 For ostii. * The native Latin word
was canus 1 grey-haired,' from casnos, with the same root as in cascus,
but a different suffix. e Sabine was not a dialect of Oscan, but stood on
an equal footing with it. d Ann. 24 Vahlen 2 ; B.O.L. i. 12-13
Warmington. ' Frag. Poet. Lat., page 52 Morel. 1 Frag. Poet. Lat., page
42 Morel ; the poet's name is doubtful : Priscian, ii. 90. 2 K., calls
him Pomponius, and Bergk, Opusc. i. 88, proposes Pompilius. 9 Casca
was a male cognomen in the Servilian gens only ; for this reason
Potonius is rather to be taken as a jesting family name of the arnica. h
Pusum puellam (see crit. note) was origin- 296
ON THE LATIN LANGUAGE, VII. 28-29 First, cascum means ' old '
; secondly, it has its origin from the Sabine language, 6 which ran its
roots back into Oscan. c That cascum is ' old,' is indicated by the
phrase of Ennius a : Land that the Early Latins then held, the
long-ago peoples. It is even better shown in Manilius's
utterance e : That Whitehead married Oldie is surely no surprise
: The marriage, when he made it, was aged and decayed. It is
shown likewise in the epigram of Papinius/ which he made with reference
to the youth Casca : Funny it is, when your mistress tenderly calls
you her " Casca " 3 : Daughter of Rummy she, old
and a half — you a boy. Call her your " laddie " A ; for thus
there will be the mule's trade of favours ' : You're but a
lad, to be sure ; Oldie's the name for your girl. 29.
The same is shown by the fact that there is a town named Casinum, a which
was inhabited by the Samnites, who originated from the Sabines, 6 and
we Romans even now call it Old Market. Likewise in several Atellan
farces c the word denotes Pappus, an old man's character, because the
Oscans call an old man casnar. ally a marginal gloss to
pusam, since pusus had no normal feminine form ; cf. French la garqonne.
But the gloss crept into the text. ' Proverbial phrase, equal to ' tit
for tat,' or ' an eye for an eye.' § 29. A town of
southeastern Latium, on the borders of Samnium. b The Samnites and the
Sabines were separate peoples, but their names are etymologically
related, and so presumably were the two peoples. e Com. Rom. Frag,
inc. nom. vii. p. 334 Ribbeck 3 ; these farces were named from Atella, an
Oscan town in Campania a few miles north of Naples. 297
V. 30. Apud Lucilium : Quid tibi ego
ambages Ambiv(i) 1 scribere coner ? Profectum a verbo ambe, quod
inest in ambitu et ambitioso. 31. Apud Valerium Soranura
: Vetus adagio est, O Publi 1 Scipio, quod verbum usque eo
evanuit, ut Graecum pro eo positum magis sit apertum : nam id(em) est 2
quod Trapoi/xiav vocant Graeci, ut est : Auribus lupum teneo
; Canis caninam non est. Adagio est littera commutata a(m)bagio, 3 dicta
ab eo quod ambit orationem, neque in aliqua una re consistit sola.
(Amb)agio 4 dicta ut a(m)6ustum, 5 quo(d) 6 circum ustum est, ut ambegna
7 bos apud augures, quam circum aliae hostiae constituuntur.
32. Cum tria sint coniuncta in origine verborum quae sint
animadvertenda, a quo sit impositum et in quo et quid, saepe non minus de
tertio quam de primo dubitatur, ut in hoc, utrum primum una canis
§ 30. 1 Laetus, for
ambiu. § 31. 1 Abbreviated to P in F. 2 idem est Mve. ; idem
early edd., with later codd. ; for id est F. 3 Tvrnebus, for abagio. 4 L.
Sp. ; adagio Laetus ; for agio. 8 Aug., for adustum. 6 Laetus, M, for
quo. 7 Tvrnebus, with Festus, 4. 16 M., for ambiegna.
§ 30. ° 1281 Marx. 6 If the text is correctly restored, this is L.
Ambivius Turpio, famous stage director and actor of Caecilius Statius and
of Terence ; Lucilius puns on his name. c Equal to Greek a^i, and found
in Latin only as a prefix. § 31. "A little-known writer
of the second century b.c. ; Frag. Poet, Lat., page 40 Morel. b Adagio,
gen. -onis ; not In Lucilius ° : Why should I try to tell to
you Roundway's * round- about speeches ? The word ambages '
circumlocutions ' comes from the word ambe c ' round about,' which is
present in ambitus ' circuit ' and in ambitiosus ' going around (for
votes), ambitious.' 31. In Valerius of Sora a is the
following : It is an old adagio, 1 * Publius Scipio.
This word has gone out of use to such a,point that the Greek word
put for it is more easily understood : for it is the same as that which
the Greeks call Trapoifita ' proverb,' as for example : I'm
holding a wolf by the ears, c Dog doesn't eat dog-flesh. Now
adagio d is only ambagio with a letter changed, which is said because it
ambit ' goes around ' the dis- course and does not stop at some one thing
only." Ambagio resembles ambustum, which is ' burnt around,'
and an ambegna cow f in the augural speech, 9 which is a cow around which
other victims are arranged. 32. Whereas there are three things
combined which must be observed in the origin of words, namely from
what the word is applied, and to what, and what it is, often there is
doubt about the third no less than about the first, as in this case,
whether the word for dog in the singular was at first canis or canes
: the more usual adagium. e Terence, Phor. 506, etc. 4 Really
from ad ' thereto ' and the root of aio 'I say.' e That is, it applies
also to other things than that which it specifically mentions. ' ' Having
a lamb {agna) on each side.' 8 Page 17 Regell. 299
V. aut canes si^ 1 appellata : dicta enim apud veteres
una canes. Itaque Ennius scribit : Tantidem quasi feta 2
canes sine dentibus latrat. Lucilius : Nequam et magnus
homo, laniorum immams 3 canes ut. Impositio unius debuit esse
canis, plurium canes ; sed neque Ennius consuetudinem illam sequens
repre- hendendus, nec is qui nunc dicit : Canis canina(m>
4 non est. Sed canes quod latratu 5 signum dant, ut signa canunt, canes
appellatae, et quod ea voce indicant noctu quae latent, latratus appellatus.
33. Sic dictum a
quibusdam ut una canes, una trabes : (Trabes) 1 remis
rostrata per altum. Ennius : Utinam ne in nemore Pelio
2 securibiis Caesa accidisset abiegna ad terram trabes, cuius
verbi singularis casus rect«s 3 correptus 4 ac facta trabs. § 32. 1 For sic. 2 For faeta.
3 Aug., with B, for immanes. 4 Laetus, for canina. 6 M, V,p,
Laetus,for latratus. § 33. 1 Added by Colnmnn. 2 For polio. 3
Sciop., for recte. 4 Laetus, for correctus. §32. ° Ann.
528 Vahlen 2 ; R.O.L. i. 432-433 Warming- ton. 6 Her bark is worse than
her bite, as a pregnant bitch was proverbially harmless ; cf. Plautus,
Most. 852, Tarn placidast {ilia canis) quam feta quaevis. e 1221 for
in the older writers the expression is one canes. Therefore Ennius writes
the following, using canes a : Barks just as loud as a pregnant
bitch : but she's toothless. 6 Lucilius also uses canes
: Worthless man and huge, like the monstrous dog of the
butchers. When applied to one, the word should have been
cams, and when applied to several it should have been canes ; but Ennius
ought not to be blamed for follow- ing the earlier custom, nor should he
who now says : Canis ' dog ' doesn't eat dog-flesh. But
because dogs by their barking give the signal, as it were, canunt ' sound
' the signals, they are called canes ; and because by this noise they
make known the things which latent ' are hidden ' in the night,
their barking is called latratus. d 33. As some have said
canes in the singular, so others have said trabes ' beam, ship ' in the
singular : The beaked trabes is driven by oars through the
waters. Ennius used trabes in the following 6 : I would
the trabes of the fir-tree ne'er had fall'n To earth, in Pelion's forest,
by the axes cut ! But now the nominative singular of this word has
lost a vowel and become trabs. Marx. d Canis is not
etymologically connected with canere, nor tat rat us with latere.
§33. ° Ennius, Ann. 616 Vahlen 2 ; R.O.L. i. 458-459 Warmington. *
Medea Exul, Trag. Rom. Frag. 205- 206 Ribbeck 3 ; R.O.L. i. 312-313
Warmington; that is, " would that the ship Argo had never been built."
301 V. 34. In Medo : Caelitum
Camilla, expectata advenis : salve, Aospita. Camilla(m) 1 qui
glos(s)emata interpretati dixerunt administram ; addi oportet, in his
quae occultiora : itaque dicitur nuptiis camillus 2 qui cumerum 3 fert,
in quo quid sit, in ministerio plerique extrinsecus neim 1 :
Subulo quondam marinas propter astabat plagas. 2 Subulo dictus,
quod ita dicunt tibicines Tusci : quo- circa radices eius in Etr(ur)ia,
non Latio quaerundae. 3 36. Versibus quo(s) 1 olim Fauni 2 vatesque
canebant. Fauni dei Latinorum, ita ut et Faunus et Fauna sit
; hos versibus quos vocant Saturnios in silvestribus locis traditum
est solitos fari (futura, 3 a) 4 quo fando § 34.. 1 Mue., for
Camilla. 2 Turnebus, for scamillus. 3 Turnebus, for quicum merum. 4
Turnebus, for nectunc. 6 For casmillus. § 35. 1 Laetus, for
enim. 2 Mue., from Fest. 309 a 5 M., for aquas. 3 Victorius, for querunda
e. §36. 1 Aldus, for quo. 2 Laetus deleted et after Fauni,
following Cicero, Div. i. 50. 114, Brut. 18. 71, Orator, 51. 171. 3 Added
by Mue., from Serv. Dan. in Georg. i. 11. 4 Added by Aug.
§34. "Pacuvius, Trag. Rom. Frag. 232 Ribbeck 3 ; R.O.L. ii.
256-257 Warmington. 6 Page 112 Funaioli. c Probably certain belongings of
the bride. d Identified with Hermes, the messenger of the gods, according
to Ma- crobius, Sat. iii. 8. 6. ' More probably Etruscan than Greek
: there were Etruscans on Lemnos, not far from Samothrace, which may
explain the use of the similar word In the Medus a : Long
awaited, Camilla of the gods, thou comest ; guest, all hail !
A Camilla, according to those who have interpreted 6 difficult
words, is a handmaid assistant ; one ought to add, in matters of a more
secret nature : therefore at a marriage he is called a camillus who
carries the box the contents of which c are unknown to most of the
uninitiated persons who perform the service. From this, the name Casmilus
is given, in the Samothracian mysteries, to a certain divine personage who
attends upon the Great Gods. 6
poematis cum scribam ostendam. 37. Corpore Tartarino prognata
Pallida virago. Tartarino dictj^m) 1 a Tartaro. Plato in IIII de
fluminibus apud inferos quae sint in his unum Tar- tarum appellat : quare
Tartari origo Graeca. Paluda a paludamentis. Haec insignia atque
ornamenta militaria : ideo ad bellum cum exit imperator ac lictores
mutarunt vestem et signa incinuerunt, palu- datus dicitur proficisci ;
quae propter quod con- spiciuntur qui ea habent ac fiunt palam,
paludamenta dicta. 38. Plautus : Epeum fumificum,
qui legioni nostrae habet Coctum cibum. Epeum fumificum
cocum, ab Epeo illo qui dicitur ad Troiam fecisse Equum Troianum et
Argivis cibum curasse. 39. Apud Naevium : Atque 1
prius pariet lucusta 2 Lucam bovem. Luca bos elepAans ; cur ita sit
dicta, duobus modis 5 Canal and L. Sp., for antiquos. 6 Added by L. Sp., cf.
vi. 52. § 37. 1 Laetus, for dicta. § 39. 1 For at quae.
2 For lucustam. c This applies both to words and to music. d Page
213 Funaioli. §37. "Ennius, Ann. 521 Vahlen 2 ; R.O.L.
i. 96-97 Warmington; referring to Discordia, an incarnation of
chaos. b Phaedo, 112-113; in Thrasyllus' numbering of Plato's
dialogues, the Phaedo was the fourth in the first tetralogy. But in
Plato's account, Tartarus is not a river of Hades, but the abyss beneath,
into which all the rivers of Hades empty. c Of unknown etymology ; not
from palam. rates ' poets,' the old writers used to give this name
to poets from viere ' to plait ' c verses, as I shall show when I
write about poems. d 37. Born of a Tartarine body, the w arrior
maiden Paluda. Tartarinum ' Tartarine ' is derived from
Tartarus. Plato in his Fourth Dialogue,* speaking of the rivers
which are in the world of the dead, gives Tartarus as the name of one of
them ; therefore the origin of Tartarus is Greek. Paluda c is from
paludamenta, which are distinguishing garments and adornments in
the army ; therefore when the general goes forth to war and the lictors
have changed their garb and have sounded the signals, he is said to set
forth palu- datus ' wearing the pahdamentum.' The reason why these
garments are called paludamenta is that those who wear them are on
account of them conspicuous and are made palam ' plainly * visible.
38. Plautus has this a : Epeus the maker of smoke, who for
our army gets The well-cooked food. Epeus fumificus ' the
smoke-maker ' was a cook, named from that Epeus who is said to have made
the Trojan Horse at Troy and to have looked after the food of the
Greeks. 6 39. In Naevius is the verse a : And sooner
will a lobster give birth to a Luca bos. Luca bos is an elephant ; why it
is thus called, I have § 38. Fab. inc. frag. 1 Ritschl. * Epeus is
not else- where said to have been a cook, though he is said to have
furnished the Atridae with their water supply. § 39. « Frag. Poet.
Jxit., page 28 Morel; R.O.L. ii. 72-73 Warmington. vol. I x
305 V. inveni scriptum. Nam et in
Cornelii Commentario erat ab Libycis Lucas, et in Vergilu 3 ab
Lucanis Lucas ; ab co quod nostri, cum maximam quadri- pedem quam
ipsi habercnt vocarent bovem et in Lucanis PyrrAi bello primum vidissent
apud hostis elep^antos, id est 4 item quadripedes cornutas (nam
quos dentes multi dicunt sunt cornua), Lucanam bovem quod putabant, Lucam
bovem appellasse(nt). 5 40. Si ab Libya dictae essent Lucae, fortasse
an pantherae quoque et leones non Africae bestiae dicerentur, sed
Lucae ; neque ursi potius Lucani quam Luci. Quare ego 1 arbitror potius
Lucas ab luce, quod longe relucebant propter inauratos regios
clupeos, quibus eorum turn ornatae erant turres. 41. Apud Ennium
: Orator sine pace redit regique refert rem. Orator dictus ab
oratione : qui enim verba 1 haberet publice adversus eum quo legabatur, 2
ab oratione orator dictus ; cum res maior erat (act)iom', 3 lege-
3 For uirgilius. 4 Aug. deleted non after est. 5 O, H, Mue., for
appellasse. § 40. 1 G, H, M, for ergo. §41. 1 Sciop.
deleted orationum after verba. 2 Seal i- ger, for legebatur. 3 GS. (maior
erat Turn.), for maiore ratione. 6 Cf. v. 150. "
An otherwise unknown author; page 106 Funaioli. a V. is wrong ;
elephants' tusks are teeth. * Apparently correct ; iAicanus was in Oscan
Jsucans, pro- nounced Lucas by the Romans, to which a feminine form
Lnica was made. found set forth by the authors hi two ways. For in
the Commentary of Cornelius 6 was the statement that Lucas is from Libyci
' the Libyans,' and in that of Ver- gilius, c that Lucas was from Lucani
' the Lucanians ' : from the fact that our compatriots used to call
the largest quadruped that they themselves had, a bos ' cow ' ; and
so, when among the Lucanians, in the war with Pyrrhus, they first saw
elephants in the ranks of the enemy — that is, horned quadrupeds
like- wise (for what many call teeth are really horns riai. 1 Olli
valet dictum illi ab olla et olio, quod alterum comitiis cum recitatur a
praecone dicitur olla centuria, non ilia ; alterum apparet in funeribus
indictivis, quo dicitur Ollus leto 2 datus est, quod
Graecus dicit ^jOy, id est oblivioni. 43. Apud Ennium :
Mensas constituit idemque ancilia (primus. 1 Ancilia) 2 dicta ab
ambecisu, quod ea arma ab utraquc parte ut TTzracum incisa. 44. Libaque, 1 fictores, Argeos
et tutulatos. Liba, quod libandi causa fiunt. Fictores dicti a fin-
gendis libis. Argei ab Argis ; Argei fiunt e scir- peis, simulacra
hominum XXVII ; ea quotannis de § 42. 1 Victor his, for egria i. 2
For laeto. § 43. 1 Added by Scaliger. 2 Added by B, Laetns. § 44. 1
Victorius, for incisa saliba quae {which includes the end of § 43).
c Ann. 582 Vahlen 2 ; R.O.L. i. 438-439 Warmington. § 42. °
Ann. 119 Vahlen 2 ; R.O.L. i. 42-43 Warmington ; a conversation between
Numa Pompilius and his adviser, the nymph Egeria. 6 Fest. 254 a 34 M.
inserts Quirts in this formula after ollus. c Of uncertain
etymology, but not from the Greek. § 43. ° Ann. 120 Vahlen 2
; R.O.L. i. 42-43 Warmington ; enumerating the institutions of Numa
Pompilius. 6 Of the priests ; cf. Livy, i. 20. e Cf vi. 22.
§44. "Ennius, Ann. 121 Vahlen 2 ; R.O.L. i. 42-43 port, those
were selected for the pleading who could plead the case most skilfully.
Therefore Ennius says c : Spokesmen, learnedly
speaking. 42. In Ennius is this a : Olli answered
Egeria's voice, speaking softly and sweetly. Olli ' to him ' is the
same as Mi, dative to feminine olla and to mascuhne ollus. The one of
these is said by the herald when he announces at the elections "
Olla ' that ' century," and not Ma. The other is heard in the
case of funerals of which announcement is made, wherein is said
Ollus h ' that man ' has been given to letum e ' death,' which the
Greek calls XrjOrj, that is, oblivion. 43. In Ennius this verse is
found a : Banquets 6 he first did establish, and likewise the
shields c that are holy The ancilia ' shields ' were named from
their ambe- cisus ' incision on both sides,' because these arms
were incised at right and left like those of the Thracians.
44. Cakes and their bakers, Argei and priests with conical
topknots." Liba ' cakes,' so named because they are made
libare ' to offer ' to the gods. 6 Fictores ' bakers ' were so called
irom Jingere ' to shape ' the liba. Argei from the city Argos c : the
Argei are made of rushes, human figures twenty-seven d in number ; these
are each Warmington; continuing the list of Numa's
institutions. * Libare is derived from liba I c Etymology of Argei
and of tutulus quite uncertain. * On the number, see v. 45, note
a. 309 V. Ponte Sublicio a
sacerdotibus publice dezci 2 solent in Tiberim. Tutulati dicti hi, qui in
sacris in capitibus habere solent ut metam ; id tutulus appellatus ab
eo quod matres familias crines convolutos ad verticem capitis quos
habent vit(ta} 3 velatos 4 dicebantur tutuli, sive ab eo quod id tuendi
causa capilli fiebat, sive ab eo quod altissimum in urbe quod est, Arcs,
5 tutis- simum vocatur. 45. Eundem Pompilium ait fecisse
flamines, qui cum omnes sunt a singulis deis cognominati, in qui-
busdam apparent erv/xa, ut cur sit Martialis et Quiri- nalis ; sunt in
quibus flaminum cognominibus latent origines, ut in his qui sunt versibus
plerique : Volturnalem, Palatualem, Furinalem, Floralemqu^ 1
Falacrem et PomonaJem fecit Hie idem, quae o(b>scura sunt
; eorum origo Volturnus, diva Palatua, Furrina, Flora, Falacer pater,
Pomona. 2 46. Apud Ennium :
lam cata signa ferae 1 sonitum dare voce parabant. Cata acuta
: hoc enim verbo dicunt Sa&ini : quare Catus Melius
Sextus 2 Rhoh, for duci. 3 Mue. ; vittis Popma ; for uti. 4 Laetus, for
velatas. 5 For ares. § 45. 1 Mue., for floralem qui. 2 Turnebus,
for pomo- rum nam. § 46. 1 So F ; but fera {agreeing with
voce) Mue. " See § 44 note c. §45.
"Ennius, Ann. 122-124 Vahlen 2 ; R.O.L. i. 44-45 Warmington. 6 The
protecting spirit of the Palatine. §46. Ann. 459 Vahlen 2 ; R.O.L.
i. 182-183 "Warming- ton. "Ennius, Ann. 331 Vahlen 2 ; R.O.L.
i. 120-121 year thrown into the Tiber from the Bridge-on-Piles, by
the priests, acting on behalf of the state. These are called tutulati '
provided with tutuli,' since they at the sacrifices are accustomed to
have on their heads something like a conical marker ; this is called
a tutulus from the fact e that the twisted locks of hair which the
matrons wear on the tops of their heads wrapped with a woollen band, used
to be called tutuli, whether named from the fact that this was done
for the purpose of tueri ' protecting ' the hair, or because that
which is highest in the city, namely the Citadel, was called tutissimum '
safest.' 45. He says ° that this same Pompilius created the
flamens or special priests, every one of whom gets a distinguishing name
from one special god : in cer- tain cases the sources are clear, for
example, why one is called Martial and another Quirinal ; but there
are others who have titles of quite hidden origin, as most of those
in these verses : The Volturnal, Palatual, the Furinal, and
Floral, Falacrine and Pomonal this ruler likewise created ;
and these are obscure. Their origins are Volturnus, the divine
Palatua, 6 Furrina, Flora, Father Falacer, Pomona. 46. In
Ennius is this verse ° : Now the beasts were about to give cry,
their shrill-toned signals. In this, cata ' shrill-toned ' is
acuta ' sharp or pointed,' for the Sabines use the word in this meaning ;
there- fore Keen Aelius Sextus * Warmington ;
Sextus Aelius Paetus, consul 198, censor 194, a distinguished writer on
Roman law. 311 V. non, ut
aiunt, sapiens, sed acutus, et quod est : Tunc cepit memorare simul
cata 2 dicta, accipienda acuta dicta. 47. Apud Lucilium
: Quid est P 1 Thynno capto co&ium 2 excludunt foras,
et Occidunt, Lupe, saperdae te 3 et iura siluri
et Sumere te atque amian. Piscium nomina sunt eorumque in Groecia origo.
48. Apud Ennium : Quae cava corpore caeruleo (c)orh'na
receptat. 1 Cava cortina dicta, quod est inter terram et caelum ad
similitudinem cortinae Apollinis ; ea a eorde, quod inde sortes primae
existimatae. 49. Apud Ennium
: Quin inde invitis sumpserwnt 1 perduellibus. 2 Bergk
filled out the verse by reading simul stulta et cata, Vahlen, by
proposing simul lacrimans cata. § 47. 1 L. Sp., for quidem. 2 Mue.,
for corium. 3 Turnebus, for lupes aper de te. § 48. 1
Mue. (following Turnebus in cava and cortina receptat, and Scaliger in deleting
in and caelo; he himself deleted que and transposed corpore cava), for
quaeque in corpore causa ceruleo caelo orta nare ceptat. §
49. 1 M, Laetus, for sumpserint. "Page 115 Funaioli. d
Ennius, Ann. 529 Vahlen 2 ; R.O.L. i. 458-459 Warmington. §
47. a Respectively 938, 54, 1304 Marx. 6 Lucilius puns on iura, 'sauces '
and ' rights, justice,' and on Lupe, a man's name and also a kind of
fish. Respectively Ovwos ' tunny,' called horse-mackerel and tuna in
America ; Kw&og ' sand-goby,' a worthless fish ; o. 3
Roram 1 dicti ab rore qui bellum committebant, ideo quod ante rorat
quam plu«7. 4 Accensos 5 ministra- tores Cato esse scribit ; potest id
(ab censione, id est) 6 ab arbitrio : nam ide(m) 7 ad arbitrium
eius cuius minister. 59-
Pacuvius : Cum deum triportenta . . 60. In Mercatore :
Non tibi 1 istuc magis dividiaest 2 quam mihi hodie fuit.
(Eadem (vi) 3 hoc est in Corollaria Naevius (usus). 4 ) Dividia ab
dividendo dicta, quod divisio distractio est doloris : itaque idem in
Curculione ait : Sed quid tibi est ? — Lien enecat, 5 renes
dolent, Pulmones distrahuntur. § 58. 1 RhoL, for rorani. 2 F 2, for an F 1 . 3
Added by Kent, to complete verse metrically. 4 H 2 and p, for
plusti. 5 For acensos F 1, adcensos F 2 . 6 Added by GS. 7 Brakmann, for
inde. § 59. 1 Lacuna marked by Scaliger. § 60. 1 L. Sp.
deleted in mercatore non tibi, here repeated in F. 2 Aug., for diuidia
est, from the text of Plautus. 3 Added by GS. 4 Added by L. Sp. 5 b, for
liene negat. b That is, not to be retained in the hand
during use. § 58. a Plautus, Friv. frag. IV Ritschl. 6 Page 81.
14 Jordan. e For correct etymology, see vi. 89, note a. §59.
a Trag. Rom. Frag. 381 Ribbeck 3 ; R.O.L. ii. 304- empty and profitless ;
or because those were called ferentarii cavalrymen who had only weapons
which ferrentur ' were to be thrown,' 6 such as a javelin.
Cavalrymen of this kind I have seen in a painting in the old temple of
Aesculapius, with the label "feren- tarii." 58. In
The Story of the Trifles a : Where are you, rorarii ? Behold,
they're here. Where are the accensi ? See, they're here.
Rorarii ' skirmishers ' were those who started the battle, named
from the ros ' dew-drops,' because it rorat ' sprinkles ' before it
really rains. The accensi, Cato writes, 6 were attendants ; the word may
be from censio ' opinion,' that is, from arbitrium ' de- cision,'
for the accensus c is present to do the arbitrium of him whose attendant
he is. 59- Pacuvius says a : When the gods' portents
triply strong . . . 60. In The Trader a : That's no more a
dividia to you than 'twas to me to-day. (This word was used by Naevius in
The Story of the Garland, b in the same meaning.) Dividia ' vexation
' is said from dividere ' to divide,' because the distractio '
pulling asunder ' caused by pain is a division ; therefore the same
author says in the Curculio e : But what's the matter ? — Stitch in
the side, an aching back, And my lungs are torn
asunder. 305 Warmington ; perhaps referring to portents of the
in- fernal deities. § 60. Plautus, Merc. 619. " Cam.
Rom. Frag. IX Ribbeck*. e Plautus, Cure. 236-237 ; literally, ' my
spleen kills me, my kidneys hurt me.' vol. 1 Y 321 V. 61. In
Pagone : Honos syncerasto peri(i>t, x pernis, gla stribula 1
(a)ut 2 de lumbo obscena viscera. 3 Stribula, ut Opil/us 4 scribit, circum
coxendices 5 sunt bovis e ; id Graecum est ab eius loci versura.
68. In (N)ervolaria 1 : Scobina 2 ego illu?i(c) 3 actutum
adrasi (s)enem. 4 Scobinam a scobe : lima enim
materia(e) 5 fabrilis est. 69. In Penulo : Vinceretis
cerium curs?* 1 vel gralatorem 2
gradu. 3 Gral(l)ator 2 a gradu 3 magno dictus. 70. In Truculento : Sine virtute argutum
civem mihi habeam pro praefica. (Praefica) 1 dicta, ut Aurelius scribit, mulier ab
luco quae conduceretur quae ante domum mortui laudis ' Added
by Mue., whose et was changed to ut by GS. § 67. 1 Buecheler, for
distribute. 2 Sciop., for ut. 3 Mue., for obscenabis cera, with o above
first e and v above second b, F 1 . 4 GS. (cf. vii. 50), for opilius. 5
Aldus, for coxa indices. 6 Sciop., for uobis. § 68. 1 Aldus,
for eruolaria. 2 Sciop., for scobinam. 3 A. Sp., metri gratia, for ilium.
4 Lachmann, for enim. 5 Canal, for materia. §69. 1 Aldus,
from Plautus, for circumcurso. 2 -1I-, from Festns, 97. 12 M. 3 Aldus,
from Plautus, for gradum. § 70. 1 Added by B, Aldus. c
Page 97 Funaioli. § 67. ° Plautus, Frag. 52 Ritschl. 6 Page 92
Funaioli. c Of uncertain etymology ; Festus, 313 a 34 M ., has
strebula, and calls it an Umbrian word. d V. perhaps derived it
from Greek orpefiXos ' twisted.' Claudius c writes that women who make
joint en- treaties are clearly shown to be axitiosae ' united,
unionist.' Axitiosae is from agere ' to act ' : as fac- tiosae ' partisan
women ' are named from facere ' doing ' something in unison, so axitiosae
are named from agere ' acting ' together, as though actiosae.
67. In the Cesistio a : For the gods the thigh-meats or the
lewd parts from the loins. Stribula ' thigh-meats,' as
Opillus 6 - writes, are the fleshy parts of cattle around the hips ; the word
c is Greek, derived from the fact that in this place there is a
socket-joint. d 68. In The Story of the Prison Ropes a :
At once I with my rasp did scrape the old fellow clean.
Scobina ' rasp,' from scobis ' sawdust ' ; for a file belongs to a
carpenter's equipment. 69- In The Little Man from Carthage a
: You'd outdo the stag in running or the stilt-walker in
stride. Grallator ' stilt-walker ' is said from his great
gradus ' stride.' 70. In The Rough Customer a :
Although without a deed of bravery I may have A clear-toned citizen
as leader of my praise. Praefica ' praise-leader,' as Aurelius 6
writes, is a name applied to a woman from the grove of Libitina, 6
who was to be hired to sing the praises of a dead man in §
68. ° Plautus, Frag. 94 Ritschl. § 69. ° Plautus, Poen. 530.
§ 70. ° Plautus. True. 495. " Page 90 Funaioli. c Where the
wailing-women had their stand ; cf. Dionysius Halic iv. 15. 327
V. eius caneret. Hoc factitatum Aristoteles scribit
in libro qui (in)scribitur 2 No/xi/m (3apj3apiKa, 3 quibus
testimonium est, quod (in) Freto est 4 Noevii : Haec quidem hercle,
opinor, praefica est : nam mortuum collaudat. Claudius
scribit : Quae praeficeretur ancillis, quemadmodum
lamentarentur, praefica est dicta. Utrumque ostendit a praefectione
praeficam dictam. 71. Apud Ennium : Decern Coclites quas
montibus summis Ripaeis fodere. 1 Ab oculo codes, ut ocles,
dictus, qui unum haberet oculum : quocirca in Curculione est :
De Coclitum prosapia 2 esse arbitror : Nam hi sunt
unoculi. IV. 72. Nunc de temporibus dicam. Quod est apud
Cassium : Nocte intempesta nostram devenit domum,
intempesta nox dicta ab tempestate, tempestas ab 2 Aug., with
B, for scribitur. 3 Turnebus, for nomina barbarica. 4 GS. ; Freto inest
Canal ; for f return est. § 71. 1 a, Ttirnebvs,for federe. 2 Added
by Aug., from Plautus. d Frag. 604, page 367 Rose.
" Coin. Rom. Frag. 129 Ribbeck 3 ; R.O.L. ii. 142-143 Warmington.
'Page 98 Funaioli. § 71. ° Sat. 67-68 Vahlen 2 ; R.O.L. i.
392-393 Warming- ton. The one-eyed Arimaspi of northern Scythia (where
the Rhipaean or Rhiphaean mountains were located) were said to have
taken much gold from their neighbours the Grypes (or Griffins); cf.
Herodotus, iii. 116, iv. 13, iv. 27, who front of his house. That this was
regularly done, is stated by Aristotle in his book entitled Customs
of Foreign Nations d ; whereto there is the testimony which is in
The Strait of Naevius e : Dear me, I think, the woman's a praefica
: it's a dead man she is praising. Claudius writes f :
A woman who praeficeret ur ' was to be put in charge ' of the maids
as to how they should perform their lamentations, was called a
praefica. Both passages show that the praefica was named from
praefectio ' appointment as leader.' 71. In Ennius we find ° :
Treasures which ten of the Coclites buried, High on the tops of
Rhiphaean mountains. Codes ' one-eyed ' was derived from ociilus '
eye,' as though ocles, b and denoted a person who had only one eye
; therefore in the Curculio c there is this : I think that you are
from the race of Coclites ; For they are one-eyed. IV. 72.
Now I shall speak of terms denoting time. In the phrase of
Cassius," By dead of night he came unto our home,
intempesta nox ' dead of night ' is derived from tem- pestas, and
tempestas from tempus ' time ' : a nox quotes (with incredulity)
from a poem by Aristeas of Procon- nesus. Fodere = infodere. * V. means,
from co-ocles ' with an eye ' ; but the word is derived from Greek
kvkXcdi/i, through the Etruscan. e Plantus, Cure. 393-394. §
72. ° Accius, Com. Rom. Frag. Praet. V, verse 41 Rib- beck 8 ; R.O.L. ii.
562-563 Warmington ; repeated from vi. 7, where see note a on
authorship. 329 V. tempore ; nox
intempesta, quo tempore nihil 1 agitur. 73. Quid noctis
videtur ? — In altisono Caeli clipeo temo superat Stellas
sublime(n) 1 agens etiam Atque etiam noctis iter. Hie multam
noctem ostendere volt a temonis motu ; sed temo unde et cur dicatur
latet. Arbitror antiques rusticos primum notasse quaedam in caelo signa,
quae praeter alia erant insignia atque ad aliquem usum, (ut) 2
culturae tempus, designandum convenire animadvertebantur. 74.
Eius signa sunt, quod has septem Stellas Graeci ut Homcrus voca(n)t
a/jui^ar 1 et propinquum eius signum {3qwti)v, nostri eas septem
Stellas (t)r(i)o«es 2 et temonem et prope eas axem : triones enim
et boves appellantur a bubulcis etiam nunc, maxime cum arant terra??* 3 ;
e quis ut dicti Valentes glebarii, qui facile proscindunt
glebas, sic omnes qui terram arabant a terra terriones, unde triones ut
dicerentur detrito. 4 75. Temo dictus a tenendo : is
enim continet § 72. 1 For nichil. §73. 1 Skutsch, after
Buecheler, for sublime. 2 Added by Mue. §74. 1 For AMA2AN. 2
L. Sp.,/or boues. 3 For terras. 4 A tig., for de tritu. §73.
"Ennius, Trag. Rom. Frag. 177-180 Ribbeck 3 ; R.O.L. i. 300-301
Warmington; freely adapted from Euri- pides, Iphig. in Aid. 6-8;
anapaestic. Cf. v. 19, above. 6 Signa in this and the following seems to
vary in meaning between ' signs = marks ' and ' signs =
constellations.' § 74. " E.g., Od. v. 272-273. 6 Charles'
Wain, or the Great Dipper ; and other parts of the constellation
Ursa intempesta ' un-timely night ' is a time at which no activity
goes on. 73. What time of the night doth it seem ? — In the
shield Of the sky, that soundeth aloft, lo the Pole Of the
Wain outstrippeth the stars as on high More and more it driveth its
journey of night." Here the author -wishes to indicate that
the night is advanced, from the motion of the Temo ' Wagon- Pole '
; but the origin of Temo and the reason for its use, are hidden. My
opinion is that in old times the farmers first noticed certain signs 6 in
the sky which were more conspicuous than the rest, and w T hich
were observed as suitable to indicate some profitable use, such as
the time for tilling the fields. 74. The marks of this one are,
that the Greeks, for example Homer, call these seven stars the Wagon
6 and the sign that is next to it the Ploughman, while our
countrymen call these seven stars the Triones ' Plough-Oxen ' and the
Temo ' Wagon-Pole ' and near them the Axis ' axle of the earth, north
pole * c : for indeed oxen are called triones by the ploughmen even
now, especially when they are ploughing the land ; just as those of them
which easily cleave the glebae ' clods of earth ' are called
Mighty glebarii ' clod-breakers,' so all that ploughed the
land were from terra ' land ' called terriones, so that from this they
were called triones, d with loss of the E. 75. Temo is
derived from tenere ' to hold ' ° : for it Major. e Or perhaps even
the Pole-Star itself. d Trio is a derivative of terere ' to tread,' cf.
perf. trivi and ptc. tritus. § 75. ° Wrong etymology.
331 V. iugum et plaustrum, appellatum a
parte 1 totum, ut multa. Possunt triones dicti, VII quod ita sitae
stellae, ut ternae trigona faciant. 76. Aliquod lumen — iubarne ? — in caelo cerno.
Iubar dicitur stella Lucifer, quae in summo quod habet lumen
diffusum, ut leo in capite iubam. Huius ortus significat circiter esse
extremam noctem. Itaque ait Pacuius : Exorto iubare, noctis
decurso itinere. 77. Apud Plautum in Parasito Pigro :
Inde hie bene potus 1 primo 2 crepusculo. Crepusculum ab
Saftinis, et id dubium tempus noctis an diei sit. Itaque in Condalio est
: Tarn crepusculo, ferae 3 ut amant, lampades accendite.
Ideo (d)ubiae res 4 creperae dictae. 78. In Trinummo :
Concubium sit noctis priusquam (ad) 1 postremum perveneris.
Concubium a concubitu dormiendi causa dictum. § 75. 1 B, Laetus,for
aperte. § 77. 1 Pius, for de nepotus. 2 Scaliger, for primo.
3 Buecheler, for fere. 4 Laetus, for ubi heres. § 78. 1 Added by Aug.,
from Plautus. 6 Wrong etymology. § 76. ° Ennius, Trag.
Rom. Frag. 336 Ribbeck 3 ; R.O.L. i. 226-227 Warmington; cf. vi. 6 and
vi. 81. 6 Iubar and iuba are not etymologically connected. c That is,
shortly before sunrise, when it is visible in the eastern sky. d
Trag. Rom. Frag. 347 Ribbeck 3 ; R.O.L. ii. 320-321 Warmington : cf. vi.
6. continet ' holds together ' the yoke and the cart, the whole
being named from a part, as is true of many things. The name triones may
perhaps have been given because the seven stars are so placed that
the sets of three stars make triangles. 1 * 76. I see some
light in the sky — can it be dawn ? ° The morning-star is called
iubar, because it has at the top a diffused light, just as a lion has on
his head a tuba ' mane.' 6 Its rising c indicates that it is about
the end of the night. Therefore Pacuvius says d : When morning-star
appears and night has run her course. 77. Plautus has this in
The Lazy Hanger-on a : From there to here, right drunk, he came, at
early dusk. Crepusculum ' dusk ' is a word taken from the
Sabines, and it is the time when there is doubt whether it belongs
to the night or to the day. 6 Therefore in The Finger-Ring there is this
c : So at dusk, the time when wild beasts make their love,
light up your lamps. Therefore doubtful matters were called
creperae. b 78. In The Three Shillings ° : General
resting time of night 'twould be, before you reached its end.
Concubium ' general rest ' is said from concubitus ' general
lying-down ' for the purpose of sleeping. 6 § 77. ° Frag. I, verse
107 Ritschl. * Cf. vi. 5 and notes. e Plautus, Frag. 60 Ritschl.
§ 78. a Plautus, Trin. 8S6 ; that is, " if I should try to
tell you my name." * Cf. vi. 7 and
note c. 333 V. 79. In
Asinaria : Videbitur, factum volo : redito 1 conticim'o. 2 Putem a
conticiscendo conticinn/m 3 sive, ut Opil/us 4 scribit, ab eo cum
conticuerunt homines. V. 80. Nunc de his rebus quae assignificant ali-
quod tempus, cum dicuntur aut fiunt, dicam. Apud Accium :
Reciproca tendens nervo equino concita Tela. Reciproca
est cum unde quid profectum redit eo ; ab recipere reciprocare Actum, aut
quod poscere procare 1 dictum. 81. Apud Plautum :
Ut 1 transversus, 2 non proversus cedit quasi cancer solet.
(Proversus) 3 dicitur ab eo qui in id quod est (ante, est) 4
versus, et ideo qui exit in vestibulum, quod est ante domum, prodire et
procedere ; quod cum lerao 5 non faceret, sed secundum parietem
transversus iret, § 79. 1 A. Sp. ; redito hue Vertranius, from Plautus ;
at redito Rhol. ; for ad reditum. 2 Laetus, for conticinno. 3
Laetus, for conticinnam. 4 GS.,for o pilius ; cf. vii. 50, vii. 67.
§ 80. 1 B, Aldus, for prorogare. § 81. 1 Bentinus,for aut. 2
Aug., for transuersum ; the mss. of Plautus have non prorsus uerum ex
transuerso cedit ... 3 Added by L. Sp. 4 Added by Christ. 5 Aldus,
for lemo. § 79. Plautus, Asin. 685 ; where the text is
redito hue. Cf. vi. 7. 6 Page 88 Funaioli. § 80. a That is,
words of actions, whether or not they are verbs. 6 Philoctetes, Trag.
Rom. Frag. 545-546 Ribbeck 3 ; Ji.O.L. ii. 512-513 Warmington. Reciproca
tela is properly In The Story of the Ass there is this verse a :
I'll see to it, I wish it done ; come back at conticinium. I
rather think that conticinium ' general silence ' is from conticiscere '
to become silent,' or else, as Opillus 6 writes, from that time when men
conticuerunt ' have become silent.' V. 80. Now I shall speak
of those things which have an added meaning of occurrence at some
special time, when they are said or done. In Accius b :
The elastic weapon bring into action, bending it With horse-hair
string. Reciproca ' elastic ' is a condition which is present
when a thing returns to the position from which it has started.
Reciprocare ' to move to and fro ' is made c from recipere ' to take
back,' or else because procare was said for poscere ' to demand.' d
81. InPlautus : How sidewise, as a crab is wont, he moves,
Not straight ahead. Proversus ' straight ahead ' is said of a man
who is turned toward that which is in front of him ; and therefore
he who is going out into the vestibule, which is at the front of the
house, is said prodire ' to go forth ' or procedere ' to proceed.' But
since the brothel-keeper was not doing this, but was going sidewise
along the wall, Plautus said " How sidewise only the Homeric
(Iliad, viii. 266, x. 459) iraAlmova t6£cl ' backward-stretched bow,' and
not as V. interprets it. e Probably from reque proque ' backward and
forward ' ; not as V. interprets it. d That is, ' demand return.'
§81. " Pseud. 955; said of the brothel-keeper as he
enters. 335 V. dixit " ut transversus
cedit quasi cancer, non pro- versus ut homo." 82. Apud
Ennium : Andromachae nomen qui indidit, recte 1 indidit. Item
: Quapropter Parim pastores nunc Alexandrum vocant.
Imitari dum volm't* Eurip/den 3 et ponere ervfiov, est lapsus ; nam
Euripides quod Graeca posuit, eTv/ia sunt aperta. Ille ait ideo nomen
additum Andro- machae, quod ai'S/yt ^a^eTca 4 : hoc Enni?/(m) 5
quis potest intellegere in versu 6 significare Andromachae
nomen qui indidit, recte indidit, aut Alexandrum ab eo appellatum in
Graecia qui Paris fuisset, a quo Herculem quoque cognominatum
aX^iKaKov, ab eo quod defensor esset hominum ? 83. Apud Accium
: Iamque Auroram rutilare procul Cerno. Aurora dicitur
ante solis ortum, ab eo quod ab igni solis turn aureo aer aurescit. Quod
addit rutilare, est ab eodem colore : aurei enim rutili, et inde equam 1
lymphata (aut Bacchi sacris Commota. Lymphata) 2 dicta a
hympha ; (lympha) 3 a Nympha, ut quod apud Graecos 9eT 5 spe quidem id
successor* tibi ; apud Pompilium : Heu, qua me causa,
Fortuna, infeste premis 7 ? Quod ait iurgio, id est litibus :
itaque quibus res erat in controversia, ea vocabatur lis : ideo in
actionibus videmus dici quam rem sive litem 8 dicere
oportet. Ex quo licet vidcre iurgare esse ab iure dictum, cum
quis iure litigaret ; ab quo obiurgat is qui id facit iuste.
94. Apud LuczVium 1 : Atque aliquo(t) sibi 2, 8 osmen,
e quo S 9 extritum. 98. Apud Plautum : Quia ego
antehac te amavi o 5 quidem nos pretio (facile 8 0>ptanti est 7
frequentare : Ita in prandio nos lepide ac nitide
Accepisti, apparet dicere : facile est curare ut (adsidue) 8
adsi- mus, cum tarn 9 bene nos accipias. 100. Apud Ennium :
Decretum est stare i muset 1 obrutum. §99. 1 Aug., for quo
desimi. 2 Ellis ; fere quom Canal; for ferret quern. 3 Aug., with B, for
his. 4 Added by L. Sp. 5 GS. (pol istoc Aug., from Plautus), for
dicunto. 8 Added by Aug., from Plautus. 7 Schoell (after A. Sp., icho
proposed and rejected optanti), for ptanti F, with p deleted by
cross-lines. 8 Added by GS. ' Aug., for iam. § 100. 1 GS.,
after Fest. 84. 7 M. ; est stare et
fossari Bergk ; est fossare B, Vertranius ; for est stare. § 101. 1 L. Sp. ; fac is
musset Mue. ; face musset Turne- bus ; for facimus et.
§ 99 ° Plautus, Cist. 6. b Frequens usually means ' in numbers '
(that is, many at one place at the same time) In the same author, the
word frequentem b frequent ' in Frequent aid you gave
me means assiduam ' busily present ' : therefore he who is at
hand assiduus ' constantly present ' fere et quom ' generally and when '
he ought to be, he is frequens, as the opposite of which infrequens c is
wont to be used. Therefore that which these same girls say d :
Dear me, at that price that you say it is easy For one who desires
it to be frequently with us ; So nicely and elegantly you received
us At luncheon, clearly means : it is easy to get us to be
constantly present at your house, since you entertain us so well.
100. In Ennius ° : Resolved are they to stand and be dug
through their bodies with javelins. This verb Jbdare ' to dig
' which Ennius used, was made from fodere ' to dig,' from which comes
fossa ' ditch.' 101. In Ennius ° : With words destroy
him, crush him if he make a sound. and not ' frequent ' (that is,
one in the same place at many different times), which is why the word
here needs explana- tion. V. takes it as a shortening of the phrase fere
et quom=f, r, e'qu(ym+s, which needs no refutation. " Used
especially of a soldier qui abest afuitve a signis ' who is or has been
absent from his place in the ranks ' (Festus, 112. 7 M.). d Cist. 8-11,
with omissions ; anapaestic and bacchiac verses alternately.
§100. 'Ann. 571 Vahlen*; B.O.L. i. 190-191 Warm- ington.
§ 101. » Trag. Rom. Frag. 393 Ribbeck 8 ; R.O.L. i. 378- 379
Warmington. VOL. I 2 A 353 V.
Mussare dictum, quod muti non amplius quam fxv dicunt ; a quo idem
dicit id quod minimum est : Neque, ut aiunt, (iD facere
audent. 102. Apud Pacuium : Di 1 monerint meliora atque
amentiam averruncassint (tuam. 2 Ab) 3 avertendo averruncare,
ut deus qui in eis rebus praeest Averruncus. Itaque ab eo precari solent,
ut pericula avertat. 103. In Aulularia : Pipulo
te 1 differam ante aedis, id est convicio, declinatum a pi(p)atu 2
pullorum. Multa ab animalium vocibus tralata in homines, partim
quae sunt aperta, partim obscura ; perspicua, ut Ennii :
Animus cum pectore latrat. Plauti : Gannit
odiosus omni totae familiae. (Cae)cilii 3 : Tantum rem
dibalare ut pro nilo habuerit. § 102. 1 For dim. 2 Added from
Festus, 373. 4 M. 3 Added by Turnebus. § 103. 1 So F ; but
pipulo te hie Nonius, 152. 5 31., pipulo hie Plautus. 2 Aldus, for piatu.
3 Laetus, for cilii. 6 Onomatopoeic, as V. indicates. c
Ennius, Inc. 10 Vahlen 2 ; R.O.L. i. 438-439 Warmington.
§102. a Trag. Rom. Frag. 112 Ribbeck 3 ; R.O.L. ii. 206-207
Warmington; quoted by Festus, 373. 4 M., with tuam, and by Nonius, 74. 22
M. (who assigns it to Lucilius, Bk. XXVI.) with meam. b Monerint is perf.
subj. of monere, a form known from other sources also. e The word
combines averrere ' to sweep away ' with runcare ' to remove weeds.' d
Mentioned elsewhere only by Mussare 6 ' to make a sound ' is said because
the muti ' mute ' say nothing more than mu ; from which the same
poet uses this for that which is least c : And, as they say, not even a
mu dare they utter. 102. In Pacuvius a : May the gods
advise * thee of better things to do, and thy madness sweep away !
Averruncare e ' to sweep away ' is from avertere ' to avert,' just
as the god who presides over such matters is called Averruncus. neque 12 in Iudicium ^4esopi nec theatri
trittiles. 105. In Colace : Nexum . . .
(Nexum) 1 Mawilius 2 scribit omne quod per libram et aes geritur,
in quo sint mancipia ; Mucius, quae per aes et libram fiant ut
obligentur, praeter quom 3 mancipio detur. Hoc verius esse ipsum
verbum ostendit, de quo quaerit(ur) 4 : nam id aes 5 quod obligatur
per libram neque suum fit, inde nexum dictum. Liber qui suas operas in
servitutem pro pecunia quam debebat (nectebat), 6 dum solveret,
nexus vocatur, ut ab aere obaeratus. Hoc C. Poetelio 9 GS., after Mati Mue.,
for Maccius. 10 Baehrens, for sues. 11 Mue. ; a volucri L. Sp. ; for
auoluerat. 12 Kent, for tradedeque inreneque. § 105. 1 Added
by L. Sp., who recognized the lacuna. 2 Laetus, for mamilius. 3 Huschke,
for quam. 4 Aug., for querit. 5 Mommsen, for est. 6 debebat
nectebat Kent ; debeat dat Aug. ; for debebat. '
Plautus, Cas. 267 ; the more common orthography is fringilla and
friguttis. k Frag. Poet. Lat., page 54 Morel ; wrongly listed by Ribbeck
3 as Juventius, Com. Rom. Frag. IV. 1 Trit, the sound made by the
crushing or breaking of a hard grain or seed, as by the
strong-beaked birds. If the text is correctly restored, the passage
refers to a complaint against trittiles, that is, persons who made
similar noises and thereby disturbed a theatrical perform- ance ; the
poet says that he will refer the complaint to a regular law-court, and
not to the prejudiced decision of the That of Maccius in the Casina, from
finches 3 : What do you twitter for ? What's that you wish so
eagerly ? That of Sueius, from birds * : So he'll bring
the snappers 1 fairly into court and not To the judgement of Aesopus m
and the audience. 105. In The Flatterer a : A bound
obligation . . . Xexum ' bound obligation,' Manilius 6 writes, is
every- thing which is transacted by cash and balance-scale, c
including rights of ownership ; but Mucius d defines it as those things
which are done by copper ingot and balance-scale in such a way that they
rest under formal obligation, except when delivery of property is
made under formal taking of possession. That the latter is the truer
interpretation, is shown by the very word about which the inquiry is made
: for that copper which is placed under obligation according to the
balance-scale and does not again become independent (nec suum) of this
obligation, is from that fact said to be nexum ' bound.' A free man who,
for money which he owed, nectebat ' bound ' his labour in slavery
until he should pay, is called a nexus ' bondslave,' just as a man
is called obaeratus ' indebted,' from aes ' money- debt.' When Gaius
Poetelius Libo Visulus * was offended actor and of the annoyed
fellow - spectators. m Famous tragic actor of Cicero's time.
§ 105. ° Plautus, Frag. IV Ritschl ; but possibly from the Colax of
Naevius. 6 Page 6 Huschke. e That is, by agreement to pay a sum of money,
measured by weight. * Page 18 Huschke. • Consul in 346, 333 (?), 326
(Liyy, viii. 23. 17), and dictator in 313 (Livy, ix. 28. 2), in
which V. sets the abolition of slavery for debt, though Livy, viii.
28, sets it in his third consulship. 359 V.
(Li)bone Ftsolo 7 dictatore sublatum ne fieret, et omnes qui Bonam
Copiam iurarunt, ne essent nexi dissoluti. 106. In Ca(sina) : Sine ame^, 1 sine quod
lubet id facial, 2 Quando tibi domi nihil 3 delicuum est.
Dictum ab eo, quod (ad) deliquandum non sunt, ut turbida quae sunt
deliquantur, ut liquida fiant. Aurelius scribit delicuum esse 1 ab
liquido ; Cla(u)dius ab eliquato. Si quis alterutrum sequi malet, 5
habebit auctorem. Apud Atilium : Per laetitiam
liquitur Animus. Ab liquando liquitur fictum. VI. 107.
Multa apud poetas reliqua esse verba quorum origines possint dici, non
dubito, ut apud Naevium in ^4esiona mucro 1 gladii " lingula "
a lingua ; in Clastidio " vitulantes " a Vitula ; in Dolo
7 Poetelio Libone Visolo Lachmann ; Poetelio Visolo Aug. ; for
popillio vocare sillo. § 106. 1 In CasinaiW^M*, sine a.met Aldus (from
Plautus), for in casineam esses. 2 Aug. (from Plautus), for facias.
3 Plautus has nihil domi. 4 For est. 5 Laetus, for mallet. §
107. 1 Aesiona Buecheler, mucro Groth, for esionam uero.
' That is, swore that they were not regular slaves, but were held
in slavery for debt only. 9 Mentioned also by Ovid, Met. ix. 88.
§ 106. ° Plautus, Cas. 206-207 ; anapaestic. * Appar- ently meant
by Plautus as ' lacking,' from delinquere ' to lack,' and so understood
by Festus, 73. 10 M., who glosses it with minus. V. has taken it as '
strainable, subject to straining (for purification),' and has connected
it with liquare and liquere ' to strain, purify,' also ' to melt.' c
Page dictator, this method of dealing with, debtors was done away
with, and all who took oath f by the Good Goddess of Plenty 3 were freed
from being bond- slaves. 106. In the Casino. a :
Let him go and make love, let him do what he will, As long as at
home you have nothing amiss. Nihil delicuum 6 ' nothing amiss ' is
said from this, that things are not ad deliquandum ' in need of
straining out ' the admixtures, as those which are turbid are
strained, that they may become liqvida ' clear.' Aurelius c writes that
delicuum is from liquidum ' clear ' ; Claudius, 4 * that it is from
eliquatum ' strained.' Any- one who prefers to follow either of them will
have an authority to back him up. In Atilius e :
With joy his mind is melted. Liquitur ' is melted ' is formed from
liquare ' to melt.' VI. 107. I am quite aware ° that there are
many words still remaining in the poets, whose origins could be set
forth ; as in Naevius, 6 in the Hesione, 6 the tip of a sword is called
lingula, from lingua ' tongue ' ; in the Clastidium, d vitulantes '
singing songs 89 Funaioli. d Page 97 Funaioli. • Com. Rom.
Frag., inc. fab. frag. II, page 37 Ribbeck*. § 107. » Cf the
beginning of § 109. * All the citations in § 107 and § 108 are from
Naevius; R.O.L. ii. 88-89, 92-93, 96-97, 104-105, 136-137, 597-598
Warmington. c Trag. Rom. Frag. 1 Ribbeck 8 ; for the spelling of the
title, cf Buecheler, Rh. Mus. xxvii. 475. d Trag. Rom. Frag.,
Praet. I Ribbeck* ; vitulari was glossed by V. with TrauwC- £«v,
according to Macrobius, Sat. iii. 2. 11. It is difficult to connect the
two words with Latin rictus and victoria, so that the resemblance may be
fortuitous — unless Vitula be a dialectal word, with CT reduced to
T. 361 V.
" caperrata fronte " a caprae fronte ; in Demetrio "
persibus " a perite : itaque sub hoc glossema ' callide '
subscribunt ; in Lampadione " protinam a protinus, continuitatem
significans ; in Nagidone " c/u(ci)datfus " 3 suavis, tametsi a
magistris accepi- mus mansuetum ; in Romulo " (con)sponsus " 3
contra sponsum rogatus ; in Stigmatia " praebia " a prae-
bendo, ut sit tutus, quod si(n)t 4 remedia in collo pueris ; in Technico
5 " confidant" 6 a conficto con- venire dictum ;
108. In Tarentilla " p(r)ae(l)u(c)idum Ml a luce, illustre ;
in Tunicularia : ecbolas 2 aulas quassant quae
eiciuntur, a Graeco verbo ck/JoA?? 3 dictum ; in Bello Punico :
nec satis sardare 4 2 Scallger, for caudacus. 3 JYeukirch, with Popma,
for sponsus. 4 Laetus, for sit. 5 For thechnico. 6 Turne- bus, for
conficiant. § 108. 1 Mue., for pacui dum. 2 Kent, for
exbolas, metri gratia. 3 Aldus, for exbole. 4 A. Sp. {from Festus,
323. 6 M.), for sarrare. * Com. Rom. Frag, after 49 Ribbeck
3 ; caperrata may be related to capra only by popular etymology. ' Com.
Rom. Frag, after 49 Ribbeck 3 ; persibus is seemingly an Oscan
perfect participle active, cf. Oscan sipus, from which perhaps it is to
be corrected to persipus. 9 Page 113 Funaioli. h Com. Rom. Frag, after 60
Ribbeck 3 . * Com. Rom. Frag, after 60 Ribbeck 3 ; clucidatus is a
participle to a Latin verb borrowed from Greek yAu/a'£eiv ' to sweeten.'
' Trag. Rom. Frag., Praet. IT Ribbeck 3 ; for consponsus, cf. vi.
70. * Com. Rom. Frag. 71 Ribbeck 3 . 1 Com. Rom. Frag, after
93 Ribbeck 3 ; confidant, derived from confingere. of victory,' from
Vitula 'Goddess of Joy and Victory ' ; in The Artificer caperrata f route
' with wrinkled fore- head,' from the forehead of a capra ' she-goat ' ;
in the Demetrius/ persibus ' very knowing,' from perite ' learnedly
' : therefore under this rare word they write 9 collide' shrewdly ' ; in
the Lampadio, h protinam ' forthwith ' from protinus (of the same
meaning), indicating lack of interruption in time or place ; in the
Nagido,* clucidatus ' sweetened,' although we have been told by the
teachers that it means ' tame ' ; in the Romulus,' consponsus, meaning a
person who has been asked to make a counter-promise ; in The
Branded Slave, k praebia ' amulets,' from praebere ' pro- viding ' that
he may be safe, because they are prophy- lactics to be hung on boys'
necks ; in The Craftsman, 1 confidant ' they unite on a tale,' said from
agreeing on a confictum ' fabrication.' 108. Also, in The
Girl of Tarentum, a praelucidum ' very brilliant,' from lux ' light,'
meaning ' shining ' : in The Story of the Shirt, b They shake
the jars that make the lots jump out, ecbolicas ' causing to jump
out,' because of the lots which are cast out, is said from the Greek
word eK/SoXi] ; and in The Punic War c Not even quite sardare
' to understand like a Sardinian,' § 108. ° Com. Rom. Frag, after
93 Ribbeck 3 . h Com. Rom. Frag. 103 Ribbeck 3 ; R.O.L. ii. 106-107
Warming- ton (with different interpretation). e Frag. Poet. Rom.
53-54 Baehrens; R.O.L. ii. 72-73 Warmington. According to Festus, 322 a
24 and 323. 6 M., sardare means intel- legere, perhaps 'to understand
like a Sardinian,' that is, very poorly, for the Sardinians had in
antiquity a bad re- putation in various lines. The verse of Naevius runs
: Quod bruti nec satis sardare queunt. ab serare dictum, id est
aperire ; hinc etiam sera, 5 qua remota fores panduntur. VII.
109. Sed quod vereor ne plures sint futuri qui de hoc genere me quod
nimium multa scripseriwz 1 reprehendant quam quod 2 reliquerim 3
quaedam accusent, ideo potius iam reprimendum quam pro- cudendum
puto esse volumen : nemo reprensus qui e segete ad spicilegium reliquit
stipulam. Quare in- stitutis sex libris, quemadmodum rebus Latina
nomina essent imposita ad usum nostrum : e quis tn's 4 scripsi Po. 5
Septumio qui mihi fuit quaestor, tris tibi, quorum hie est tertius, prior
es de disciplina verborum originis, posterior es de verborum originibus.
In illis, qui ante sunt, in primo volumine est quae dicantur, cur
ervfj-oXoyiKr) 6 neque ar(s> sit 7 neque ea utilis sit, in secundo
quae sint, cur et ars ea sit et (ut)ilis 8 sit, in tertio quae forma
etymologiae. 9 110. In secundis tribus quos ad te misi item
generatim discretis, primum in quo sunt origines verborum 1 locorum et
earum rerum quae in locis esse solent, secundum quibus vocabulis
te(m)pora sint notata et eae res quae in temporibus hunt, tertius
5 Ed. Veneta, for serae. §109. 1 Laetus,for rescripserint. 2
quam quod A Idus, for quamquam. 3 For reliquerint. 4 Laetus, for
tres. 5 po stands here in F, but with lines drawn through the
letters. 6 L. Sp.,for ethimologice. 7 ars sit V, p, L. Sp.,for
ansit. 8 et utilis
Turnebus; et illis utilis V; for et illis F. 9 For ethimologiae.
§ 110. 1 Crossed
out by F 1, but required by the meaning. d In such an etymology, V.
is operating on the basis that things may be named from their opposites;
cf. Festus, 122. 16 M., ludum dicimus, in quo minime luditur. §
109. ° A liber or ' book ' was calculated to fill a volumen where sardare
is said from serare ' to bolt,' d that is, sardare means ' to open ' ;
from this also sera ' bolt,' on the removal of which the doors are
opened. VII. 109- But because I fear that there will be more
who will blame me for writing too much of this sort than will accuse me
of omitting certain items, I think that this roll must now rather be
compressed than hammered out to greater length a : no one is blamed
who in the cornfield has left the stems for the gleaning. 6 Therefore as
I had arranged six books c on how Latin names were set upon things for
our use d : of these I dedicated three to Publius Septumius who was
my quaestor," and three to you, of which this is the third — the
first three on the doctrine of the origin of words, the second three f on
the origins of words. Of those which precede, the first roll con-
tains the arguments which are offered as to why Etymology is not a branch
of learning and is not useful ; the second contains the arguments why it
is a branch of learning and is useful ; the third states what the
nature of etymology is. 110. In the second three which I sent to
you, the subjects are likewise divided off: first, that in which
the origins of words for places are set forth, and for those things which
are wont to be in places ; second, with what words times are designated
and those things which are done in times ; third, the present
or ' roll ' of convenient size for handling. * That is, who has cut
off the ears of standing grain and left the stalks. e Books II.-VII. ;
cf. v. 1. d This sentence is resumed at Quocirca, in the middle of § 1
10. * Varro held office in the war against the pirates and Mithridates in
67-66, under Pompey, and again in Pompey's forces in Spain in 49
and at Pharsalus in 48 ; but it is unknown in which of these he had
Septumius as quaestor. ' Books V.-VII. 365
VARRO hie, in quo a poetis item sumpta ut il/a 2 quae
dixi in duobus libris solwta 3 oratione. Quocirca quoniam omnis
operis de Lingua Latina tris feci partis, primo quemadmodum vocabula
imposita essent rebus, secundo quemadmodum ea in casus
declinarentur, tertio quemadmodum coniungerentur, prima parte
perpetrata, ut secundam ordiri possim, huic libro faciam finem.
8 Victorius, for utilia. 3 Sciop., for solita.
366 ON THE LATIN LANGUAGE, VII. 110
book, in which words are taken from the poets in the same way as
those which I have mentioned in the other two books were taken from prose
writings. Therefore," since I have made three parts of the
whole work On the Latin Language, first how names were set upon things,
second how the words are declined in cases, third how they are combined
into sentences — as the first part is now finished, I shall make an
end to this book, that I may be able to commence the second part.
§110. "This resumes the sentence interrupted at the middle of the
previous section. Rolfe. DESCRIPTIVE PROSPECTUS ON
APPLICATION THE LOEB CLASSICAL LIBRARY FOUNDED BV JAMES I,OEB,
IX. D. EDITED BY fT. E. PAGE, C.H., LITT.D. E.
CAPPS, ph.d., ll.d. W. H. D. ROUSE, litt.d. FRAGMENTS LONDON HEINEMANN
QUAE DICANTUR CUR NON SIT ANALOGIA LIBER I I. 1. Quom oratio natura
tripertita esset, ut su- perioribus libris ostendi, cuius prima pars,
quemad- modum vocabula rebus essent imposita, secunda, quo pacto de
his declinata in discrimina iermt, 1 tertia, ut ea inter se ratione coniuncta
sententiam efferant, prima parte exposita de secunda incipiam hinc.
Ut propago omnis natura secunda, quod prius illud rectum, unde ea,
sic declinata : itaque declinatur in verbis : rectum homo, obliquum
hominis, quod de- clinatum a recto. § 1. 1 Sciop.,for
ierunt. § 1. a That is, bent aside and downward, from the
vertical. The Greeks conceived the paradigm of the noun as the
upper right quadrant of a circle : the nominative was the vertical
radius, and the other cases were radii which 4 declined 1 to the right,
and were therefore called m-coous 'fallings,' which the Romans translated
literally by casus. The casus rectus is therefore a contradiction in
itself. The Latin verb de- 370 MARCUS TERENTIUS
VARRCTS ON THE LATIN LANGUAGE BOOK VII ENDS HERE, AND HERE
BEGINS BOOK VIII One Book of Arguments which are advanced
AGAINST THE EXISTENCE OF THE Principle of Analogy. Speech is naturally
divided into THREE parts. Its first part is how a name is imposed upon a thing;
its second, in what way a derivative of a name arrives at its difference;
its third, how a a ‘sentence’, or words united with another one reasoningly, EXPRESSES
an idea – Not that there may not be one-word sentences, like ‘Come!’ [H.
P. Grice, Utterer’s meaning, sentence-meaning, and word-meaning]. Having set
forth the first part, I shall begin upon the second. As every offshoot is
secondary by nature, because that vertical trunk from which it comes is
primary, and it is therefore declined, so there may be declension in a word
– shag, shaggy : HOMO 1 man * is the vertical, HOMINIS * man's ' is the
oblique, because it is declined from the vertical. clinare is used
in the meanings * to decline (a noun)/ * to conjugate (a verb),' and * to
derive ' in general, as well as * to bend aside and down * in a literal
physical sense : it therefore offers great difficulties in translating. De
huiusce(modi) 1 multiplici natura discrimi- num (ca)wsae 2 sunt hae, cur
et quo et quemadmodum in loquendo declinata sunt verba. De quibus
duo prima duabus causis percurram breviter, quod et turn, cum de
copia verborum scribam, erit retractandum et quod de tribus tertium quod
est habet suas permultas ac magnas partes. II. 3. Declinatio
inducta in sermones non solum Latinos, sed omnium hominum utili et
necessaria de causa : nisi enim ita esset factum, neque di(s)cere 1
tantum numerum verborum possemus (infinitae enim sunt naturae in quas ea
declinantur) neque quae didicissemus, ex his, quae inter se rerum
cognatio esset, appareret. At nunc ideo videmus, quod simile est,
quod propagatum : legi (c)um (de lego) 2 de- clinatum est, duo simul
apparent, quodam modo eadem dici et non eodem tempore factum ; at 3
si verbi gratia alterum horum diceretur Priamus, alterum fiecuba,
nullam unitatem adsigniflcaret, quae ap- paret in lego et legi et in Priamus
Priamo. 4. Ut in hominibus quaedam sunt agnationes ac 1
gentilitates, sic in verbis : ut enim ab AemiMo homines orti ^emilii ac
gentiles, sic ab ^emilii nomine de- clinatae voces in gentilitate
nominali : ab eo enim, § 2. 1 Added by L. Sp. 2 L. Sp., for
orae. § 3. 1 Mue. t for dicere ; cf, § 5. 2 GS.,for legium F
; cf. declinatum est ab lego Aug. from B, and last sentence of this
section. 3 Mue., for ut. §4. 1 L. Sp. t for ad.
§ 2. a Cf. viii. 9 in quas. b That is, the collective
vocabulary;. § 3. a The term ' inflection ' will be convenient
oftentimes to express declinatio, including both declension of nouns
and conjugation of verbs. 372 ON THE LATIN
LANGUAGE, VIII. 2-i 2. From the manifold nature of this sort
there are these causes of the differences : for what reason, and to
what product, a and in what way, in speaking, the words are declined. The
first two of these I shall pass over briefly, for two reasons : because
there will have to be a rehandling of the topics when I write of
the stock of words, 6 and because the third of them has numerous and
extensive subdivisions of its own. II. 3. Inflection a has been
introduced not only into Latin speech, but into the speech of all
men, because it is useful and necessary ; for if this system had
not developed, we could not learn such a great number of words as we
should have— for the possible forms into which they are inflected are
numerically unlimited — nor from those which we should have learned
would it be clear what relationship existed between them so far as their
meanings were con- cerned. But as it is, we do see, for the reason
that that which is the offshoot bears a similarity to the original
: when legi ' I have gathered ' is inflected from lego ' I gather,' two
things are clear at the same time, namely that in some fashion the acts
are said to be the same, and yet that their doing did not take
place at the same time. But if, for the sake of a word, one of these two
related ideas was called Priamus and the other Hecuba, there would be
no indication of the unity of idea which is clear in lego and legi,
and in nominative Priamus, dative Priamo. 4. As among men there are
certain kinships, either through the males or through the clan, so there
are among words. For as from an Aemilius were sprung the men named
Aemilius, and the clan-mcmbers of the name, so from the name of Aemilius
were inflected the words in the noun-clan : for from that name
which quod est impositum recto casu ^emilius, orta ^emilii,
^emilium, ^emilios, ^4emiliorum et sic reliquae eius- dem quae
sunt*stirpis. 5. Duo igitur omnino verborum principia 3 im-
positio (et declinatio), 1 alterum ut fons, alterum ut rivus. Impositicia
nomina esse voluerunt quam paucissima, quo citius ediscere possent,
declinata quam plurima, quo facilius omncs quibus ad usum opus
esset 2 dicerent. 3 6. Ad illud genus, quod prius, historia opus
est : nisi dzscendo 1 enim aliter id non* pervenit ad nos ; ad
reliquum genus, quod posterius. ars : ad quam opus est paucis praeceptis
quae sunt brevia. Qua enim ratione in uno vocabulo declinare didiceris,
in infinito numero nominum uti possis : itaque novis nominibus
allatis 3 (in) 4 consuetudinem sine dubitatione eorum declinatus statim
omnis dicit populus ; etiam novicii servi empti in magna familia cito
omnium conser- vorum (n)om{i)na 5 recto casu accepto in reliquos
obliquos declinant. 7. Qui s(i) 1 non numquam offendunt, non
est mirum : et enim ille 2 qui primi nomina imposuerunt rebus
fortasse an in quibusdam sint lapsi : voluis(se) enim putant(ur) 3
singularis res notarc, ut ex his in multitudine(m) 4 declinaretur, ab
homine homines ; § 5. 1 Added by L. Sp., V, p. 2 Canal, for
essent. 3 Ed. Veneta, for dicerentur. § 6. 1 Stephanus, for
descendendo. 2 For idum. 3 For allatius. 4 Added by Aug. 6 Aug., for
omnes. § 7. 1 Aldus, for quid. 2 Aldus, for ilia. 3 Ellis, for
putant. % 4 -dinem H, for -dine F and other codd. § 7. ° That
is, in the singular. was imposed in the nominative case as Aemilius
were made Aemilii, Aemilium, Aemilios, Aemiliorum, and in this way
also all the other words which are of this same line. 5. The
origins of words are therefore two in num- ber, and no more : imposition
and inflection ; the one is as it were the spring, the other the brook.
Men have wished that imposed nouns should be as few as possible,
that they might be able to learn them more quickly ; but derivative nouns
they have wished to be as numerous as possible, that all might the more
easily say those nouns which they needed to use. 6. In
connexion with the first class, a historical narrative is necessary, for
except by outright learning such words do not reach us ; for the other
class, the second, a grammatical treatment is necessary, and for
this there is need of a few brief maxims. For the scheme by which you
have learned to inflect in the instance of one noun, you can employ in a
countless number of nouns : therefore when new nouns have been brought
into common use, the whole people at once utters their declined forms
without any hesita- tion. Moreover, those who have freshly become
slaves and on purchase become members of a large house- hold,
quickly inflect the names of all their fellow- slaves in the oblique
cases, provided only they have heard the nominative. 7. If
they sometimes make mistakes, it is not astonishing. Even those who first
imposed names upon things perhaps made some slips in some in-
stances : for they are supposed to have desired to designate things
individually, that from these inflec- tion might be made to indicate
plurality, as homines ' men * from homo ' man.' They are supposed to
have 375 V. sic mares liberos
voluisse notari, ut ex his feminae declinarentur, ut est ab Terentio
Terentia ; sic in recto casu quas imponerent voces, ut illinc e
sent futurae quo declinarentur : sed haec in omnibus tenere
nequisse, quod et una(e) et (binae) 5 dicuntur scopae, et mas et femina
aquila, et recto et obliquo vocabulo vis. 8. Cur haec non
tarn si(n)t x in culpa quam putant, pleraque solvere non difficile, sed
nunc non necesse : non enim qui potuerint adsequi sed qui voluerint,
ad hoc quod propositum refert, quod nihilo minus 2 de- clinari
potest ab eo quod imposuerunt 3 scopae scopa- (rum), 4 quam si
imposuissent scopa, ab eo scopae, sic alia. III. 9. Causa,
inquam, cur eas 1 ab impositis nominibus declinarint, quam ostendi ;
sequitur, in quas voluerint 2 declinari aut noluerint, ut generatim
ac summatim item informem. Duo enim genera verborum, unum fecundum, 3
quod declinando multas ex se parit disparilis formas, ut est lego legi 4
legam, 5 Mette ; unae et duae A. Sp. ; unae Mue. ; for una
et. § 8. 1 Aug.) with for sit. 2 For nichiloniinus. 3 For
imposiuerunt. 4 Reitzenstein, for scopa. § 9. 1 Laetus, M,for earn.
2 Laetits deleted declinarint after voluerint. 3 JlhoL, for fcmndum. 4 L.
Sp., for legis ; cf. § 3, end. 1 The genitive. desired
that male children be designated in such a way that from these the
females might be indicated by inflection, as the feminine Terentia from
the masculine Terentivs ; and that similarly from the names which
they set in the nominative case, there might be other forms to which they
could arrive by inflection. But they are supposed to have been
unable to hold fast to these principles in every- thing, because the
plural form scopae denotes either one or two brooms, and aquila ' eagle '
denotes both the male and the female, and vis * force ' is used for
the nominative and for an oblique case b of the word. 8. Why
such words are not so much at fault as men think, it is in most instances
not hard to explain, but it is not necessary to do so at this time ; for
it is not how they have been able to arrive at the words, but how
they wished to express themselves, that is of import for the subject
which is before us : inasmuch as genitive scoparum can be no less easily
derived from the plural scopae which they did impose on the object
as its name, than if they had given it the name scopa in the singular,
and made the genitive scopae from this — and other words likewise.
III. 9- The reason, I say, why they made these inflected forms a
from the names which they had set upon things, is that which I have shown
; the next point is for me to sketch by classes, but briefly, the
forms a at which they have wished to arrive by inflec- tion, or have not
wished to arrive. For there are two classes of words, one fruitful, which
by inflection pro- duces from itself many different forms, as for
example lego ' I gather/ legi * I have gathered,' legam * I shall
§ 9. a Understand voces with eas and with quas. 377 V.
sic alia, alterum genus sterile, quod ex se parit nihil, 5 ut est
et iam 6 vix eras 7 magis cur. 10. Quarum rerum usus erat simplex,
(simplex) 1 ibi etiam vocabuli declinatus, ut in qua domo unus
servus, uno servili opwst 2 nomine, in qua 3 multi, pluri- bus. Igitur et
in his rebus quae 4 sunt nomina, quod discrimina vocis plura, propagines
plures, et in his rebus quae copulae sunt ac iungunt 5 verba, quod
non opus fuit declinari in plura, fere singula sunt : uno enim loro
alligare possis vel hominem vel equum vel aliud quod, quicquid est quod
cum altero potest colligari. Sic quod dicimus in loquendo " Consul
fuit Tullius et Antonius," eodem illo ' et ' omnis binos
consules colligtfre 6 possumus, vel dicam amplius, omnia nomina, atque
«deo 7 etiam omnia verba, cum fulmentuw 8 ex una syllaba illud ' et '
maneat unum. Quare duce natura (factum)s/,* quae imposita essent
vocabula rebus, ne ab omnibus his declina/us 10 puta- r emus. 11
IV. 11. Quorum 1 generum declinationes oriantur, partes orationis
sunt duae, (ni)si 2 item ut Dzon in tris diviserimus partes res quae
verbis significantur : 6 For nichil. 6 GS., for etiam. 7 L. Sp., for vixerat ; cf.
vix magis eras Aug., with B. § 10. 1 Added by Sciop. 2 servili L.
Sp., opust Sciop., for seruilio post. 3 B, for quam. 4 L. Sp.^for
quorum. 6 Mue. f for hmguntur. 6 Aug., for colligere. 7 Sciop., for
ideo. 6 Mue., for fulmen tunc. 9 L. Sp., for si. 10 Laetus, for
declinandus. 11 Fay, for putarent. § 11. 1 Laetus, for quarum. 2
Roehrscheidt, for si. 6 The invariable and indeclinable
words. § 10. a ~Cf. the Marcipor ' Marcus' boy,' of earlier
times. 6 In 63 b.c. ; the example compliments Cicero, to whom the
work is addressed. c That is, we should expect some words to be
invariable and uninflected. gather/ and similarly other words ; and a
second class which is barren, 5 which produces nothing from itself,
as for example et * and/ tarn * now/ vix ' hardly/ eras ' to-morrow/
magis * more/ cur 'why/ 10. In those things whose use was simple,
the inflection of the name also was simple ; just as in a house
where there is only one slave there is need of only one slave-name, a but
in a house where there are many slaves there is need of many such names.
There- fore also in those things which are names, because the
differentiations of the word are several, there are more offshoots, and
in those things which are connectives and join words, because there was
no need for them to be inflected into several forms, the words generally
have but one form : for with one and the same thong you can fasten a man
or a horse or anything else, whatever it is, which can be fastened to
something else. Thus, for example, we say in our talking, "
Tullius et * and ' Antonius were consuls " 6 : with that same et we
can link together any set of two con- suls, or — to put it more strongly
— any and all names, and even all words, while all the time that
one-syllabled prop-word et remains unchanged. Therefore under
nature s guidance it has come about that we should not think that there
are inflected forms from all these names which have been set upon
things. IV. 11. In the word-classes in which inflections may
develop, the parts of speech are two, unless, following Dion, a we divide
into three divisions the ideas which are indicated by words : one
division §11. ° An Academic philosopher of Alexandria, who
headed an embassy to Rome in 56 to seek help against the exiled king
Ptolemy Auletes, and was there poisoned by the king's agents.
379 V.
unam 3 quae adsignificat casus, 4 alteram 5 quae tem- pora,
tertia(m) 6 quae neutrum. De his Aristoteles orationis duas partes esse dicit
: vocabula et verba, ut homo et equus, et legit et currit.
12. Utriusque generis, et vocabuli et verbi, quae- dam priora,
quaedam posteriora ; priora ut homo, scribit, posteriora ut doctus et
docte : dicitur enim homo doctus et scribit docte. Haec sequitur locus
et tempus, quod neque homo nec scribi(t) 1 potest sine loco et
tempore esse, ita ut magis sit locus homini coniunctus, tempus
scriptioni. 13. Cum de his nomen sit primum (prius enim nomen
est quam verbum temporale et reliqua pos- terius quam nomen et verbum),
prima igitur nomina : quare de eorum declinatione quam de verborum
ante dicam. V. 14. Nomina declinantur aut in earum
rerum discrimina, quarum nomina sunt, ut ab Terentius Terenti(a), 1
aut in ea(s) 2 res extrinsecus, quarum ea nomina non sunt, ut ab equo
equiso. In sua dis-
crimina declinantur aut propter ipsius rei naturam de 3 i?, for
unum. 4 Laetus, for capus. 5 Laetus, B, for alterum. 6 Mue.^for
tertia. § 12. 1 B, II, Laetus, for scribi. § 14. 1
Reitzenstein, for Tcrenti; cf. ix. 55, 59. 2 V, p, Laetus^ for ea.
b A division into nouns, verbs, and convinct tones went back
to Aristotle, according to Quintilian, Inst, Oral. i. 4. 18 {cf also
Priscian, ii. 54. 5 Keil) ; but more detailed classifications of the
parts - of speech had also been made before V.'s time. e Rhet. iii. 2 ;
but cf. preceding note. § 19. ° That is, grammatically subordinate
in the phrase. § 13. ° Since verbum means both ' word ' in general,
and which indicates also case, a second which indicates also time,
a third which indicates neither. 6 Of these, Aristotle c says that there
are two parts of speech ; nouns, like homo * man * and equus ' horse/ and
verbs, like legit * gathers ' and currit ' runs.* 12. Of the
two kinds, noun and verb, certain words are primary and certain are
secondary a : primary like homo ' man * and scribit * writes/ and
secondary like doctus * learned * and docie * learnedly/ for we say homo
doctus ' a learned man * and scribit docie * writes learnedly.* These
ideas are attended by those of place and time, because neither homo
nor scribit can be asserted without the presupposition of place and
of time — yet in such a way that place is more closely associated with
the idea of the noun homo, and time more closely with the act of
writing. 13. Since among these the noun is first — for the
noun comes ahead of the verb, a and the other words stand later relatively
to the noun and the verl> — the nouns are accordingly first. Therefore
I shall speak of the form-variations b of nouns before I take up
those of verbs. V. 14. Nouns are varied in form either to
show differences in those things of which they are the names, as
the woman's name Terentia from the man's name Tereniius, or to denote
those things outside, of which they are not the names, as equiso '
stable-boy * from equus * horse.* To show differences in them-
selves they are varied in form either on account of the nature of the
thing itself about which mention is ' verb * specifically, V. here
writes verbum temporale to avoid any ambiguity. * Declinatio denotes not
only de- clension, but conjugation of verbs, derivation by prefixes
and suffixes, and composition. 381 V.
qua 3 dicitur aut -propter illius (usum) 4 qui dicit.
Propter ipsius rei discrimina, aut ab toto (aut a parte. Quae a toto,
declinata sunt aut propter multitudinem aut propter exiguitatem. Propter
exiguitatem), 5 ut ab homine homunculus, ab capite capitulum ;
propter multitudinem, ut ab homine homines ; ab eo (abeo)* quod
alii dicunt cervices et id Hortensius in poematis cervix. 15.
Quae a parte 1 declinata, aut a corpore, ut a mamma mammosae, a manu
manubria, aut ab animo, ut a prudentia pruden(te)s, 2 ab ingenio
ingeniosi. Haec sine
agitationibus ; at ubi motus maiores, item ab animo (aut a corpore), 3 ut
ab strenuitate et nobili- tate strenui et nobiles, sic a pugnando et
currendo pugiles et cursores. Ut aliae dechnationes ab animo, aliae
a corpore, sic aliae quae extra hominem, ut pecimiosi, agrarii, quod
foris pecunia et ager. VI. 16. Propter eorum qui dicunt usum 1
declinati casus, uti is qui de altero diceret, distinguere posset,
3 Vert ran ius, for quo. 4 Added by GS., following Reitzen- stein,
who added it after dicit. 5 Added by Reitzenstein ; aut a parte, ab toto
added by L. Sp., after Aug.* who added aut a parte, a toto, suggested to
him by B aut a parte aut ab animo. a toto. • Added by Fay. §
15. 1 For aperte. 1 L. Sp. t for prudens. 3 Added by L. Sp. §
16. 1 Vert ranius, for dicuntur sum. § 14. a That is,
syntactical variations, indicated by the case-forms. b Other
categories resulting in variations might have been listed. e Frag. Poet.
Lat.^ page 91 Morel. d As did also Ennius and Pacuvius, before Hortensius
; the plural was the only regularly used form, outside the poets.
§ 15. ° We expect rather a plural adjective meaning * big- handed.*
6 The long abstract nouns are of course derived from the adjectives. e Or
perhaps in the original meaning * farmers.* made, or on account of
the use to which the speaker puts the word. a On account of differences
in the thing itself, the variation is made either with reference to
the whole thing, or with reference to a part of it. Those forms which
concern the whole are derived either on account of plurality or on
account of small- ness. 6 On account of smallness, homunculus *
mani- kin ' is formed from homo * man/ and capitulum * little head
' from caput 4 head.' On account of plurality, homines 4 men ' is made from
homo 4 man ' ; I pass by the fact that others use cervices 4 back of the
neck ' in the plural, and Hortensius c in his poems uses it in the
singular cervix. d 15. Those which are derived from a part,
come either from the body, as mammosae * big-breasted women ' from
mamma * breast ' and manubria a * handles ' from manus * hand/ or
from the mind, as prudentes 4 prudent men * from prudentia * prudence
' and ingeniosi * men of talent ' from ingenium 4 innate
.... . ability.' The preceding are quite apart from move-
ments ; but where there are important motions, the derivatives are
similarly from the mind or from the body, as strenui 4 the quick ' and
nobiles * the noble/ from strenuitas 4 quickness ' and nobilitas 4 nobility/
b and in this way also pugiles 4 boxers * and cursores *
runners * from pugnare 4 to fight ' and currere 4 to run.' As some
derivations are from the mind and others from the body, so also there are
others which refer to external things, as pecuniosi 4 moneyed men '
and agrarii c 4 advocates of agrarian laws/ because pecunia * money * and
ager * field-land ' are exterior to the men to whom the derivatives are
applied. VI. 16. It was for the use of the speakers that the
case-forms were derived, that he who spoke of another 383
V. cum vocaret, cum daret, cum accusaret, sic
alia eiusdem (modi) 2 discrimina, quae nos et Graecos ad
declinandum duxerunt. Sine 3 controversia (sunt obliqui, qui nascuntur a recto : unde
rectus an sit casus) 4 sunt qui quae(rant. Nos vero sex habemus,
Graeci quinque) 4 : quis vocetur, ut 7/ercules ; quem- admodum vocetur,
ut 7/ercule ; quo vocetur, ut ad 7/crculem ; a quo vocetur, ut ab
7/ercule ; cui voce- tur, ut 7/erculi ; cuius vocetur, ut
7/erculis. VII. 17. Propter ea verba quae erant proinde ac
cognomina, ut prudens, candidus, strenuus, quod in his praeterea sunt
discrimina propter incrementum, quod maius aut minus in his esse potest,
accessit declinationum genus, ut a candido candidius candi-
dissimum sic a longo, divite, id genus aliis ut fieret. 18. Quae in
eas res quae extrinsecus declinantur, sunt ab equo equile, ab ovibus
ovile, sic alia : haec contraria illis quae supra dicta, ut a pecunia
pecunio- 2 Added by Mue. 3 For sinae. 4 Added by Schoell apud
GS. ; cf. note b. § 16. ° Vocative, dative, accusative cases ; the
accusative was in Latin a poorly named case, through a
mistranslation of its Greek name. b The only controversy was
whether or not the nominative was to be called a case, and the text
must be expanded to conform to this basic fact ; cf. Charisius, i. 154.
6-8 Keil, Priscian, ii. 185. 12-14 Keil, etc. Cf. viii. 1 note a, above.
c The Greeks had no ablative case. § 17. a Nowhere recorded
as a cognomen, despite V.. b Recorded as a cognomen in the Claudian and
the Julian gentes, and in several others. c Not recorded as a cog-
nomen. d Namely, comparison of adjectives. * For such cognomina, c/.
Fulvius Nobilior and Fabius Maximus. f i.e., adjectives. might be
able to make a distinction when he was calling, when he was giving, when
he was accusing," and other differences of this same sort, which led
us as well as the Greeks to the declension of nouns. The oblique
forms which develop from the nominative are without dispute to be called
cases ; but there are those who question whether the nominative is
properly a case. 6 At any rate, we have six forms, and the Greeks
five e : he who is called, as (nominative) Her- cules ; how the calling
is done, as (vocative) Hercule ; whither there is a calling, as to
(accusative) Herculem ; by whom the calling is done, as by (ablative)
Hercule ; to or for whom there is a calling, as to or for (dative)
Herculi ; of whom the calling or called object is, as of (genitive)
Herculis. VII. 17. There are certain words which are like
added family names, such as Prudens ° * prudent,* Cajididus b * frank/
Strenuus e * brisk,* and in them differences may be shown by a suffix,
since the quality may be present in them to a greater or a smaller
degree : therefore to these words a kind of inflection d is attached, so
that from candidum 1 shining white ' comes the comparative candidius and
the superlative candidissimumf formed in the same way as similar
forms from longum * long,' dives 1 rich,' and other words of this
kind/ 18. The terms which are derived for application to
exterior objects, are for example equile ' horse- stable ' from equus '
horse,' ovile ' sheepfold * from oves 1 sheep,' and others in this same
way ; these are the opposite of those which I mentioned above, such
§ 18. ° Here, objects named by derivation from living beings ; in §
15, living beings named by derivation from inanimate objects.
vol. ti c 385 V. sus, ab urbe
urbanus, ab atro atratus : ut nonnunquam ab homine locus, ab eo loco
homo, ut ab Romulo Roma, ab Roma Romanus. 19. Aliquot modis
declinata ea quae foris : nam aliter qui a maioribus suis, Laton{i)us 1
et Priamidae, aliter quae (a) 2 facto, ut a praedando praeda, a
merendo merces ; sic alia sunt, quae circum ire non difficile ; sed quod
genus iam videtur et alia urgent, omitto. VIII. 20. In
verborum genere quae tempora ad- significant, quod ea erant tria,
praeteritum, praesens, futurum, declinatio facienda fuit triplex, ut ab
saluto salutabam, salutabo ; cum item personarum natura triplex
esset, qui loqueretur, (ad quern), 1 de quo, haec ab eodem verbo
declinata, quae in copia verborum explicabuntur. IX. 21. Quoniam dictum de
duobus, declinatio 1 cur et in qua(s) 2 sit facta, 3 tertium quod
relinquitur, § 19. 1 p, Laetus, for latonus F. 2 Added by Aug., with B. %
20. 1 Added by Laetus after de quo, and transferred to this position by
Mue. § 21. 1 Mue., for duabus declinationibus. 2 KenU for qua
; cf in quas viii. 9. 3 A. Sp.,for fama. b Romulus is
derived from Roma, not the reverse, as V. has it. § 19.
Apollo ; but oftener Latonia (fern.), Diana. b Especially Hector, Paris,
Helenus, Deiphobus. e Cf v. 44. § 20. a That is, verbs. as
pecuniosus ' moneyed man * from pecunia 1 money/ urbanus 1 city man '
from urbs 1 city/ atraius * clad in mourning ' from atrum ' black.' Thus
sometimes a place is named from a man, and then a man from this
place, as Rome from Romulus b and then Roman from Rome. 19.
The nouns which relate to exterior objects are derived in sundry ways :
those like Latonias ' Latona's child * a and Priamidae ' Priam's sons/ b
which are derived from the names of their progenitors, are formed
in one way, and those which come from an action are made in another way,
such as praeda ' booty ' from praedari * to pillage * and merces ' wages
' c from mereri ' to earn. 1 In the same way there are still
others, which can be enumerated without diffi- culty ; but because this
category of words is now clear to the understanding and other matters
press for attention, I pass them by. VIII. 20. Inasmuch as in
the class of words which indicate also time-ideas a there were these
three time-ideas, past, present, and future, there had to be three
sets of derived forms, as from the present saluto ' I salute ' there are
the past salutabam and the future salutabo. Since the persons of the verb
were likewise of three natures, the one who was speaking, the one
to whom the speaking was done, and the one about whom the speaking took
place, there are these deriva- tive forms of each and every verb ; and
these forms will be expounded in the account of the stock of verbs
which is in use. IX. 21 . Since two points have been discussed,
why derivation exists and to what products it eventuates, the
remaining third point shall now be spoken of, namely, how and in what
manner derivation takes quemadmodum, nunc dicetur.* Declinationum genera sunt
duo, voluntarium et naturale ; voluntarium est, quo ut cuiusque tulit
voluntas declinavit. Sic tres
cum emerunt Ephesi singulos servos, nonnunquam alius declinat nomen ab eo
qui vendit Artemidorus, atque Artemam appellat, alius a regione quod
ibi emit, ab Ion(i)a 5 Iona,* alius quod Ephesi Ephesium, sic alius
ab alia aliqua re, ut visum est. 22. Contra naturalem declinationem dico, quae
non a singulorum oritur voluntate, sed a com(m)uni consensu. Itaque omnes
impositis nominibus eorum item declinant casus atque eodem modo dicunt
huius Artemidori 1 et huius Ionis et huius Ephesi, 2 sic in casibus
aliis. 23. Cum utrumque nonnunquam accidat, et ut in
voluntaria declinatione animadvertatur natura et in naturali voluntas,
quae, cuiusmodi sint, aperientur infra ; quod utraque declinatione alia
fiunt similia, alia dissimilia, de eo Graeci Latinique libros
fecerunt multos, partim cum alii putarent in loquendo ea verba
sequi oportere, quae ab similibus similiter essent declinata, quas
appellarunt dvaXoylas, 1 alii cum id 4 Aitg., for dicitur. 5 Laetus, for Iona. 6 Mue.,
for Ionam. §22. 1 Apparently V.^s own slip for Artemae.
2 Rhol.,for Ephesis. § 23. 1 For analogiias. § 21. a
This term includes both word-formation and word- inflection. 6
Practically equal to subjective and objective. C A common type of hypocoristic
or nickname, cf. Demas from Demvcritus and similar names, Hippias from
Hip- parchus, etc. § 22. a This is inflection. b
Specifically, declension. §23. a Cf. viii. 15-16, 51. b Cf. page 118
Funaioli. place. There are two kinds of derivation, voluntary and
natural. b Voluntary derivation is that which is the product of the
individual person's volition, direct- ing itself apart from control by
others. So, when three men have bought a slave apiece at Ephesus,
sometimes one derives his slave's name from that of the seller
Artemidorus and calls him Artemas c ; another names his slave Ion, from
Ionia the district, because he has bought him there ; the third calls
his slave Ephesius, because he has bought him at Ephesus. In this
way each derives the name from a different source, as he preferred.
22. On the other hand I call that derivation natural, which is
based not on the volition of indivi- duals acting singly, but on general
agreement. So, when the names have been fixed, they derive the
case-forms of them in like fashion, 5 and in one and the same way they
all say in the genitive case Artemidori, Ionis, Ephesi ; and so on in the
other cases. 23. Sometimes both are found together, and in
such a way that in the voluntary derivation the pro- cesses of nature are
noted, and in the natural deriva- tion the effects of volition ; of what
sort these are, will be recounted below. Since in the two kinds of
derivation some things approach likeness and others become unlike, the
Greeks and the Latins b have written many books on the subject : in some
of them certain writers express the idea that in speaking men ought
to follow those words and forms which are derived in similar fashion from
like starting-points— which they called the products of Analogy c ;
and e The regularizing principle which tends to eliminate
irre- gular forms of less frequent occurrence, still called
Analogy, by scientific linguists. ncglegendum putarent ac potius
sequendam (dis)- similitudinem, 2 quae in consuetudine est, quam
vocaruwtf 3 d(v)o)fxakiav, 4 cum, ut ego arbitror, utrum- que sit nobis
sequendum, quod (in) 5 declinatione voluntaria sit anomalia, in naturali
magis analogia. 24. De quibus utriusque generis
declinationibus libros faciam bis ternos, prioris tris de earum
declina- tionum disciplina, posteriores de 1 eius disciplinae
propaginibus. De prioribus primus erit hie, quae contra similitudinem
declinationum dicantur, secun- dus, quae contra dissimilitudinem, tertius
de simili- tudinum forma ; de quibus quae expediero 2 singulis
tribus, turn de alteris totidem scribere ac dividere 3 incipiam.
X. 25. Quod huiusce 1 libri est dicere contra eos qui similitudinem
sequuntur, quae est ut in aetate puer ad senem, (puella) 2 ad anum, in
verbis ut est scribo scribam, 3 dicam prius contra universam ana-
logiam, dein turn de singulis partibus. A natura sermo(nis) 4
incipiam. XI. 26. Omnis oratio cum debeat dirigi ad utili-
tatem, ad quam turn denique pervenit, si est aperta 2 Aug., with B
t for similitudinem. 3 For vocarum. 4 Aldus* for AtoM AeNAN. 5 Added by
Aug. § 24. 1 L. Sp.,for ex. 2 Mue. ; expedierint Aug. ; for experiero.
3 L. Sp. deleted incipimus after dividere. g 25. 1 For huiuscae. 2
Added by Aldus. 3 L. Sp. deleted dico after scribam. 4 Aug., for
sermo. d The irregularities summed up in this term are the
products of the regular working of ' phonetic law,' unrestrained by
the operation of Analogy ; the term Anomaly names it from the
product rather than from the working process. e It seems better
henceforth to translate analogia by Regularity or the like, rather than
to keep the word Analogy. others are of opinion that this should be
disregarded and rather men should follow the dissimilar and
irregular, which is found in ordinary habitual speech — which they called
the product of Anomaly.* But in my opinion we ought to follow both,
because in voluntary derivation there is Anomaly, and in the
natural derivation there is even more strikingly Regularity.*
24. About these two kinds of derivation I shall write two sets of
three books each : the first three about the principles of these derivations,
and the latter set about the products of these principles. In the
former set the first book will contain the views which may be offered
against likeness in derivation and declension ; the second will contain
the argu- ments against unlikeness ; the third will be about the
shape and manner of the likenesses. What I have set in order on these
topics, I shall write in the three separate books ; then on the second
set of topics I shall begin to write, with due division into the
same number of books. X. 25. Inasmuch as it is the task of
this book to speak against those who follow likeness a — which is
like the relation of boy to old man in the matter of human life, and like
that of girl to old woman, and in verbs is the relation of scribo * I
write * and scribam ' I shall write * — I shall speak first against
Regularity in general, and then thereafter concerning its several
subdivisions. I shall begin with the nature of human speech.
XI. 26. All speaking ought to be aimed at practical utility, and it
attains this only if it is clear § 25. ° That is, regularity of
paradigms resulting from the process of Analogy. et brevis, quae
petimus, quod obscurus 1 et longi(or) 2 orator est odio ; et cum efficiat
aperta, ut intellegatur, brevis, ut 3 cito intellegatur, et aperta(m) 4
consuetudo, brevem temperantia loquentis, et utrumque fieri possit
sine analogia, nihil 5 ea opus est. Neque enim, utrum Herculi an Herculis
clavam dici oporteat, si doceat analogia, cum utrumque sit in
consuetudine, non neglegendum, 6 quod aeque sunt et brevi(a) et
aperta. XII. 27. Praeterea quoius 1 utilitatis causa quae-
que res sit inventa, si ex ea quis id sit consecutus, amplius ea(m) 2
scrutari cum sit nimium otiosi, et cum utilitatis causa verba ideo sint
imposita rebus ut ea(s) 3 significent, si id consequimur una
consuetudine, nihil 4 prodest analogia. XIII. 28. Accedit 1
quod quaecumque usus causa ad vitam sint assumpta, in his no(strumst) 2
utilitatem quaerere, non similitudinem : itaque in vestitu cum
dissimillima sit virilis toga tunica(e), 3 muliebri(s) 4 stola pallio,
tamen inaequabilitatem hanc sequiwur 5 nihilo 6 minus. XIV.
29. In tfedificiis, quo?n 1 non videamus habere § 26. 1 Aldus, for
obscurum. 2 GS., for longi (Aldus longus). 3 Aldus, for et. 4 Aug., for
aperta. 5 For nichiL 6 Aug. deleted sunt after neglegendum.
§27. 1 Mue. s for quod ius. 2 Aug., for ea. 3 Ver- tranius, for ea.
4 For nichil. § 28. 1 Aldus, for accidit. 2 Fay, for non. 3
Laetus, for tunica., 4 Cuper, for muliebri. 5 Aug., with B, for
sequitur. . 6 For nichilo. § 29. 1 Mue. ; quod quom L. Sp. ; for
quod. and brief : characteristics which we seek, because an obscure
and longish speaker is disliked. And since clear speaking causes the
utterance to be understood, and brief speaking causes it to be
under- stood quickly, and since also habitual use makes the
utterance clear and the speaker's self-restraint makes it brief, and both
these can be present without Regu- larity, there is no need of this
Regularity. For if Regularity should instruct us whether we ought
to say Herculi a or Hercitlis for the genitive, as in the phrase *
the club of Hercules,' we must not fail to disregard its teaching, since
both are in habitual use, and both forms are equally short and
clear. XII. 27. Besides, if from a thing one has secured that
useful service for which it was invented, it is the act of a person with
a great deal of idle time, to examine it further ; and since the useful
service for which names are set upon things is that the names
should designate the things, then if we secure this result by habitual
use alone, Regularity adds no gain. XIII. 28. There is the
additional fact that in those things which are taken into our daily life
for use, it is our practice to seek utility and not to seek
resemblance ; thus in the matter of clothing, although a man's toga a is
very unlike his tunic, et and a woman's stola c is very unlike a.
pallium? we make no objection to the difference. XIV. 29. In
the case of buildings, although we do § 26. This form occurs in
Plautus, Persa 2, Rudens 822, and in other authors. § 28. The
formal outer garment of a Roman man. * A shirt or undergarment. c The
dress of a Roman matron. d The long outer garment of the Greeks,
properly a man's garb only, but worn also by prostitutes both in
Greece and in Italy as a sign of their livelihood. (ad) 2 atrium
7reptcrTv\.ov z similitudinem ct cubiculum ad equile, 4 tamen propter
utilitatcm in his dissimili- tudines potius quam similitudines seqm'mur 5
: itaque et hiberna triclinia et aestiva non item valvata ac
fenestrata facimus. XV. 30. Quare cum, ut 1 in vestitu aedificiis,
sic in supellectile cibo ceterisque omnibus quae usus (causa) 2 ad
vitam sunt assumpta dominetur inaequabilitas, in sermone quoquc, qui est
usus causa constitutus, ea non repudianda. XVI. 31. Quod si
quis duplicem putat esse sum- mam, ad quas metas 1 naturae sit
perveniendumin usu, utilitatis et elegantiae, quod non solum vestiti
esse vol umus ut vitcmus frigus, sed etiam ut videamur vestiti esse
honeste, non domum habere ut simus in tecto et tuto solum, quo 2
necessitas contruserit, sed etiam ubi voluptas retineri possit, non solum
vasa ad victum habilia,sed etiam figura bella atqueab artifice (ficta),
3 quod aliud homini, aliud humanitati satis est ; quod- vis
sitienti homini poculum idoneum, humanitati (ni)si 4 bellum parum ;
sed cum discessum e(s)t 5 ab utilitate ad voluptatem, tamen in eo ex
dissimilitudine plus voluptatis quam ex similitudine saepe capitur.
32. Quo nomine et gemina conclavia dissimiliter 2 Added by L.
Sp. 3 For ITePHCThAON. 4 Hue. deleted quod after equile. 5 F, Mue., for
sequamur. § 30. 1 Stephanus, for et. 2 Added by L. Sp.
§31. 1 For maetas. 2 Aug. (quoting a friend), for quod. 3 Fay ;
facta L. Sp. ; to fill a blank space in F of about 4 letters. 4 Aldus,
for si. 5 Aug., with B,for et. § 29. a Jhe garden in the
rear part of the house, surrounded by colonnaded porticos. 6 The main
hall in the front of the house, with a central opening to the sky under
which there was a rectangular water-basin built in the floor. not
see the persistyle a bearing resemblance to the atrium 6 nor the
sleeping-room bearing resemblance to the horse-stable, still, on account
of the utility in them we seek for unlikenesses rather than likenesses
; so also we provide winter dining-rooms and summer dining-rooms
with a different equipment of doors and windows. XV. 30.
Therefore, since difference prevails not only in clothing and in
buildings, but also in furniture, in food, and in all the other things
which have been taken into our daily life for use, the principle of
difference should not be rejected in human speech either, which has been
framed for the purpose of use. XVI. 31. But if one should think
that the sum of those natural goals to which we ought to attain in
actual use consists of two items, that of utility and that of refinement,
because we wish to be clothed not only to avoid cold but also to appear
to be honourably clothed ; and we wish to have a house not merely that
we may be under a roof and in a safe place into which necessity has
crowded us together, but also that we may be where we may continue to
experience the pleasures of life ; and we wish to have table-
vessels that are not merely suitable to hold our food, but also beautiful
in form and shaped by an artist — for one thing is enough for the human
animal, and quite another thing satisfies human refinement : any
cup at all is satisfactory to a man parched with thirst, but any
cup is inferior to the demands of refinement unless it is artistically
beautiful : — but as we have digressed from the matter of utility to that
of pleasure, it is a fact that in such a case greater pleasure is often
got from difference of appearance than from likeness. 32. On
this account, identical rooms are often 395 V.
pohwnt 1 et leetos non omnis paris magnitudine ae figura
faeiunt. Quod (si) 2 esset 3 analogia petenda supelleetili, omnis leetos
haberemus domi ad unam formam et aut eum fulcro aut sine eo, nee eum
ad trieliniarem gradum, non item ad cubicularem ; neque potius
delectaremur supellectile distincta quae esset ex ebore (aliisve) 4 rebus
disparibus figuris quam grabatis, 5 qui dva koyov* ad similem formam
plerum- que eadem materia fiunt. Quare
aut negandum nobis disparia esse iucunda aut, quoniam necesse est
confiteri, dicendum verborum dissimilitudine(m), quae sit in
eonsuetudine, 7 non esse vitandam. XVII. 33. Quod si analogia
sequenda est nobis, aut ea observanda est quae est in eonsuetudine
aut quae non est. Si ea quae est sequenda est, prae- ceptis nihil 1
opus est, quod, eum eonsuetudinem sequemur, ea nos sequetur ; si quae non
est in eon- suetudine, quflteremus : ut quisque duo verba in
quattuor formis finxen't 2 similiter, quamvis haee nolemus, tamen erunt
sequenda, ut Iuppit(r)i, 3 Marspitrem ? Quas si quis servet analogias,
pro insano sit reprehendendus. Non ergo ea est se- quenda.
§ 32. 1 Koeler, for pollent. 2 Added by Laetus. 3 Laetus, for essent. 4 Fay ;
aliisque Laetus ; to fill a blank space of about 4 letters in F ; cf ix.
47. 5 For grabattis. 6 Mue., for analogon ; cf x. 2. 7 For
eonsuetudinem. §33. 1 For nichil. 2 Vert ran ius, for finxerunt. 3
L. Sp., for Iuppiti. § 33. a Namely, genitive, dative,
accusative, ablative, from the nominative as starting-point. 6 Such
forms, retaining and inflecting the pater which forms the second ornamented
in unlike manner, and couches are not all made the same in size and
shape. But if Regularity were to be sought in furniture, we should have
all the couches in the house made in one fashion, and either with
posts or without them, and when we had a couch suited for use beside the
dining-table, we should not fail to have just the same for bedroom use ;
nor should we rather be delighted with furniture which was
decorated with varying figures of ivory or other materials, any more than
in camp-beds, which with regularity are almost always made of the
same material and in the same shape. Therefore either we must deny
that differences give pleasure, or, since we must admit that they do, we
must say that the un- likeness in words which is found in habitual usage,
is not something to be avoided. XVII. 33. But if we must
follow Regularity, either we must observe that Regularity which is
present in ordinary usage, or we must observe also that which is not
found there. If we must follow that which is present, there is no need of
rules, because when we follow usage, Regularity attends us. But if
we ought to follow the Regularity which is not present in ordinary usage,
then we shall ask, When any one has made two words in four forms °
according to the same pattern, must we employ them just the same,
even though we do not wish to — as for example a dative Iuppitri and an
accusative Marspiirem ? b If any one should persist in using such * regular
forms,* he ought to be rebuked as crazy. This kind of Regularity,
therefore, is not to be followed. part of Iuppiter and Marspiter,
are quite abnormal, and are found chiefly in the grammarians as examples
of forms which are not to be used. 397 V.
XVIII. 34. Quod si oportet id es(se), 1 ut a simili- bus
similiter omnia declinentur verba, sequitur, ut ab dissimilibus 2
dissimilia debeant fingi, quod non fit : nam et (ab) 3 similibus alia
fiunt similia, alia dis- similia, et ab dissimilibus partim similia
partim dis- similia. Ab similibus similia, ut a bono et malo bonum
malum ; ab similibus dissimilia, ut ab lupus lepus lupo lepori. Contra 4
ab dissimilibus dissimilia, ut Priamus Paris, Priamo Pari ; ab
dissimilibus similia, ut Iupiter ovis, lovi ovi. 35. Eo iam magis analogias (esse negandum, 1
quod non modo ab similibus) 2 dissimilia finguntur, sed etiam ab isdem 3
vocabulis dissimilia neque a dis- similibus similia, sed etiam eadem. Ab
isdem 4 voca- bulis dissimilia fingi apparet, quod, cum duae sint
Al&ae, ab una dicuntur Albani, ab altera Albenses ; cum trinae
fuerint Athenae, ab una dicti Athenae(i), 5 ab altera Athenaiis, a tertia
Athenaeopolitae. 36. Sic ex diversis verbis multa facta in
declinando inveniuntur eadem, ut cum dico ab Saturni Lua Luam,
§ 34. 1 id esse Canal ;
ita esse Hue., for id est. 2 L. Sp.,for his similibus. 3 Added by L. Sp.
; a Aug., with B. 4 Aug., for contraria. § 35. 1 Added by L.
Sp. 2 Added by Christ, who has non solum a., for which Groth, citing L.
Sp., gives non modo ab. 3 Mae. ; iisdem Laetus ; for hisdem. 4 For
hisdem. 8 Laetus, for Athenae. § 34. a Or accusative
masculine. § 35. ° Inhabitants of Alba Longa. h Inhabitants
of Alba Fucens or Fucentia, among the Aequi on the borders of the
Marsi. c There were several cities named Athens, only that in Attica
being important ; the forms of the names are uncertain, especially that
of the second, which may however stand for 'Adyvateis like Aeolis v. 25
for AtoXeis. There were many ethnics in -tvs, plural -e?s. But if
the proper thing is that all words that start from similar forms should
be inflected similarly, it follows that from dissimilar starting
forms dissimilar forme should be made by inflection ; and this is
not what is found. For from like forms some like forms are made, and
other unlike forms, and from unlike forms also come some like forms and
some unlike forms. For instance, from likes cume likes, as from
bonus * good ' and malus * bad * come the neuter a forms bonum and malum
; also from likes come unlikes, as from lupus * wolf * and lepus ' hare '
come the unlike datives lupo and lepori. On the other hand, from
unlikes there are unlikes, as from the nominatives Priamus and Paris come
the datives Priamo and Pari ; also from unlikes there are likes, as
nominatives Iupiter * Jupiter,* avis * sheep,' and datives Iovi and
aw. 35. So much the more now must it be denied that
Regularities exist, because not only are un- likes made from likes, but
also from identical words unlikes are made, and not merely likes,
but identicals are made from unlikes. From identical names unlikes,
it is clear, are made, because while there are two towns named Alba, the
people of the one are called Albani a and those of the other are
called Albenses b ; while there are three cities named Athens, the people
of the one are called Athenaei, those of the second are Athenaiis, those
of the third A thenaeopolitae. c 36. Similarly, many words
made in derivation from different words are found to be identical,
as when I say accusative Luam from Saturn s Lua, a and § 36.
° An old Italic goddess who expiated the blood shed in battle ; her
formulaic connexion with Saturn is uncertain. et ab solvendo luo 1 luam. 2
Omnia 3 fere nostra (n)omina 4 wrilia 5 et muliebria multitudinis cum
recto casu fiunt dissimilia, e#(de)m (in) 6 danc?(i) 7 : dis-
similia, ut mares Terentiei, feminae Terentia(e), 8 eadem in dandi, vireis
Terentieis et mulieribus Terentieis. Dissimile Plautus et Plautius,
(Marcus et Marcius) 8 ; et co(m)mune, ut huius Plauti et Marci.
XIX. 37. Denique si est analogia, quod in multis verbis e(s)t x
similitudo verborum, sequitur, quod in pluribus est dissimilitudo, ut non
sit in sermone sequenda analogia. XX. 38. Postremo, si est in
oratione, aut in omnibus eius partibus est aut in aliqua 1 : at 2 in
omni- bus non est, in aliqua esse parum est, ut album esse ^ethiopa
3 non satis est quod habet candidos dentes : non est ergo analogia.
XXI. 39- Cum ab similibus verbis quae declinan- tur similia fore
polliceantur qui analogias esse dicunt, et cum simile turn 1 denique
dicant esse 2 verbo ver- bum, ex eodem si 3 genere eadem figura transitum
de cassu in cassum similiter ostendi possit, qui haec dicunt
utrumque ignorant, et in quo loco similitudo debeat esse, et quemadmodum
spectari soleat, simile § 36. 1 Suerdsioeus, for abluo. 2 Aug.,, for abluam. 3
For omina. 4 JO. Sp.^for omina. 5 Scaliger, for libe- ralia. * L. Sp.,for
eum. 7 Laetus,for dant. 8 Ixietus, for femina e terentia. 9 Added by
Groth. §37. x Aug., for ^t. § 38. 1 Aug., with B,
deleted esse parum after aliqua. 2 Canal, for et. 3 Mue.,for
ethiopam. § 39. 1 Aug., with B, for simili laetum. 2 L. Sp.,
for dicantes se. 3 L. Sp., for sit. b Solvendo is here
attached to luo as a grloss, just as Saturni is attached to Lua. c The
older spelling -EI, historically correct in these forms, was normal after
I until the end of the also luam as future of luo 1 loosing.' b Almost all
our names of men and women are unlike in the nomina- tive case of
the plural, but are identical in the dative : unlike, as the men Terentu,
c the women Terentiae, but identical in the dative, men Terentiis c and
women Terentiis. Unlike are Plautus and Plautius, Marcus and
Marcius ; and yet there is a form common to both, namely the genitive
Plauti and Marci. d XIX. 37. Finally, if Regularity does exist for
the reason that in many words there is a likeness of the
word-forms, it follows that because there is unlikeness in a greater
number of words the principle of Regu- larity ought not to be followed in
actual talking. XX. 38. In the last place, if Regularity does
exist in speech, it exists either in all its parts or in some one part ;
but it does not exist in all, and it is not enough that it exists in some
one part, just as the fact that an Ethiopian has white teeth Is not
enough to justify us in saying that an Ethiopian is white : therefore
Regularity does not exist. XXI. 39. Since those who declare that
Regulari- ties exist, promise that the inflected forms from like
words will be alike, and since they then say that a word is like another
word only if it can be shown that starting from the same gender and the
same inflectional form it passes in like fashion from case to case,
those who make these assertions show their ignorance both of that in
which the likeness must be found and of how the presence or absence of
the like- Republic, and was therefore V.'s regular orthography. In
the translation the standardized Latin forms are used. d The contracted
form ending in -I was practically the exclu- sive form used as genitive
of nouns ending in -I US in the nominative, until the end of the
Republic. vol. 11 D 401 V.
sit necne. Quae cum ignorant, sequitur ut, cum (de) analogia 4
dicere non possint, sequi (non) 6 de- beamus. 40. Quaero
enim, verbum utrum dicant vocem quae ex syllabis est ficta, earn quam
audimus, an quod ea significat, quam intellegimus, an utrumque. Si
vox voci esse debet similis, nihil 1 refert, quod significat mas an
femina sit, et utrum nomen an vocabulum sit, quod ilk' 2 interesse
dicunt. 41. Sin illud quod significatur debet esse simile,
Diona et Theona quos dicunt esse paene ipsi geminos, inveniuntur esse
dissimiles, si alter erit puer, alter senex, aut unus albus et alter
^ethiops, item aliqua re alia dissimile(s). 1 Sin ex 2 utraque parte
debet verbum esse simile, non cito invenietur qui(n) 3 in altera
utra re claudicet, nec Perpenna et Alfen(a) 4 erit simile, quod alterum
nomen virum, alterum mulierem significat. Quare quoniam ubi
similitudo esse debeat nequeunt ostendere, impudentes sunt qui
dicunt esse analogias. XXII. 42. Alterum illud quod dixi,
quemad- modum simile (s)pectari 1 oporteret, ignorare apparet ex
eorum praecepto, quod dicunt, cum transient e 4 GS.,for analogiam ;
cf. viii. 43. 5 Added by Vertranius. % 40. 1 For nichil. 2 Laetus,
for illae. §41. 1 Aug., for dissimile. 2 For ex ex. 3 Ed.
Veneta, for qui. 4 GS. ; Alphena L. Sp. ; Alphaena Rhol. ; Alfaena Laetus
; for Alfaen. § 42. 1 Victorias, for expectari. § 41. °
These names were often used by the philosophers as a typical pair in
their discussions ; the accusatives Diona and Theona in the text, instead
of the nominative, are assimil- ness is wont to be recognized. Since they
are ignorant of these matters, it follows that we ought not to
follow them, inasmuch as they are unable to pro- nounce with authority on
the subject of Regularity. 4-0. For I ask whether by a * word '
they mean the spoken word which consists of syllables, that word
which we hear, or that which the spoken word indi- cates, which we
understand, or both. If the spoken word must be like another spoken word,
it makes no difference whether what it indicates is male or female,
and whether it is a proper name or a common noun ; and yet the supporters
of Regularity say that these factors do make a difference.
41. But if that which is denoted by like words ought to be like,
then Dion and Tkeon, a which they themselves say are almost identical,
are found to be unlike, if the one is a boy and the other an old
man, or one is white and the other an Ethiopian 6 ; and likewise if
they are unlike in some other respect. But if the word must be like in
both directions, there will not quickly be found one that is not
defective in one respect or the other, nor will Perpenna and Alfena
prove to be alike, because the one name denotes a man and the other a
woman. Therefore, since they are unable to show wherein the likeness must
exist, those who assert that Regularities exist are utterly
shameless. XXII. 42. The other matter that I have men-
tioned, how the likeness is to be recognized, they clearly fail to
appreciate in that they set up a precept that only when the passage is
made from the nomina- ated to the immediately following relative. b
For the same contrast, yatic. et XXXII. 57. The words which are made
from verbs are such as scriptor ' writer ' from scribere 1 to write
* and lector ' read er * from legere ' to read * ; that those also
do not preserve a likeness can be seen from the following : although
amator * lover ' from amare * to love ' and salutator * saluter * from
salutare ' to salute * are formed in like manner, there is no
cantator ° ' singer * from cantare * to sing * ; and § 56. a Wrong
forms, formed for purposes of argument. * Not Libyatici, but Libyci was
the form in use. § 57. a Up to V.'s time, only cantor was used ;
can- tator is a later word. 415 V. cum
dicatur lassus sum metendo ferendo, ex his voca- bula non reddunt
proportionem, quo(niam) 2 non fit ut messor fertor. Multa sunt item in
hac specie in quibus potius consuetudinem sequimur quam ra- tionem
verborum. 58. Pr^eterea cum sint ab eadem origine ver- borum
vocabula dissimilia superiorum, quod simul habent casus et tempora, quo
vocantur participia, et multa sint contraria ut amo amor, lego legor, 1
ab amo et eiusmodi omnibus verbis oriuntur praesens et futurum ut 2
amans et amaturus, 3 ab eis verbis tertium quod debet fingi praeteriti,
in lingua Latina reperiri non potest : non ergo est analogia. Sic ab awor
4 legor et eiusmodi verbis 5 vocabulum eius generis praeteriti
te(m)poris fit, ut amatus, 6 neque praesentis et futuri ab his fit.
59. Non est ergo analogia, praesertim cum tantus numerus
vocabulorum in eo genere interierit 1 quod dicimus. In his verbis quae contraria non
habent, (ut) 2 loquor et venor, tamen dicimus loquens et venans,
locuturus (et venaturus, 3 locutus et venatus), 4 quod secundum analogias
non est, quoniam dicimus 2 L. Sp., for quo. § 58. 1 L. Sp. t /or amor amo
seco secor. 2 Bentinus,for et. 3 H, B, Ixzetus, for ueta maturus. 4
Aug., for amabor. 5 Aug.> for uerbi est. 6 L. Sp.,for amaturus eram
sum ero. § 59. 1 Laetus, for inter orierit. 2 Added by L. Sp.
3 Added by Laetus. 4 Added by Fay. b The corresponding noun
of agency is lator. § 58. a,That is, active and passive voices. 6
Of the active voice. c Of the passive voice. d V. does not consider
the gerundive amandus to be a future passive par- ticiple. though
we say " I am tired with metendo * reaping ' and ferendo *
carrying,' " the words from these do not represent a like relation,
since there is no fertor b * carrier ' made like messor ' reaper.'
There are like- wise many others of this class in which we follow
usage rather than conformity to the verbs. 58. Besides these
there are other words which also originate from verbs but are unlike
those of which we have already spoken, because they have both cases
and tenses, whence they are called participles. And as many verbs have
opposite forms, such as amo ' I love,' amor * I am loved,* lego ' I
read,' legor * I am read,' from amo and all verbs of this kind 6
there develop present and future participles, such as amans *
loving ' and amaturus * about to love,' but from these verbs the third
form which ought to be made, namely the past participle, cannot be found
in the Latin language : therefore there is no Regularity. So also
from amor * I am loved,' legor * I am read,' and verbs of this kind c the
word of this class is made for past time, as amatus ' loved,' but from
them none is made for the present and the future.* 59.
Therefore there is no Regularity, especially since such a great number of
words has perished in this class which we are mentioning. In these
verbs which have not both voices, such as loquor ' I speak ' and
venor 1 I hunt,' b we none the less say loquens 1 speaking ' and venans '
hunting,' locutarus * about to speak ' and venaturus * about to hunt,'
locutus ' having spoken ' and venatus * having hunted.' This is not
according to the Regularities, since we say § 59. That is, many
verbs lack a complete paradigm that includes both active and passive
forms. b Deponent verbs. loquor et venor, (non loquo et veno), 5
unde 8 ilia erant superiora ; e(o) minus 7 servantur, quod 8 ex his
quae contraria verba non habent* alia efficiunt tenia, ut ea quae
dixi, alia bina, ut ea quae dicam : currens ambulans, cursurus
ambulaturus : tertia enim prae- teriti non sunt, ut cursus sum, ambulatus
sum. 60. Ne in his quidem, quae saepius quid fieri ostendunt,
servatur analogia : nam ut est a cantando cantitans, ab amando amitans
non est et sic multa. Ut in his singularibus, sic in multitudinis : sicut
enim cantitantes seditantes 1 non dicuntur. XXXIII. 61. Quoniam est
vocabulorum genus quod appellant compositicium et negant conferri
id oportere cum simplicibus de quibus adhuc dixi, de compositis
separatim dicam. Cum ab tibiis et canendo tibicines dicantur, quaerunt,
si analogias sequi opor- teat, cur non a cithara et psalterio et pandura
dicamus citharicen et sic alia ; si ab aede et tuendo (aeditumus
5 Added by L. Sp. 6 venor unde Laetus, for uenerunt de. 7 L. Sp.,
for eminus. 8 Mue. deleted
cum after quod. 9 Aug., with B,for habentur. § 60. 1 M, Laetus, for
sed ettitantes. c That is, the deponent verbs, since they
lack the active forms otherwise, should not have the active participles
which actually they have. d Deponent verbs. e In- transitive verbs of
active form, which naturally have no passive, and consequently no passive
participle. / V.'s logic here deserts him, since the deponent verbs
have a perfect participle of passive form and active mean- ing, and there
is no reason why intransitive verbs of active form should not have a
perfect participle passive in form and active in meaning : in fact, such
a participle is sometimes found, like adultus * grown up,* from
adoJescere 1 to grow up.' loquor and venor, not loquo and veno,
whence came the forms given above. c The Regularities are the less
preserved, because some of the verbs which have not both voices, make
three participles each, like those which I have named, d and other make
only two each,* such as those which I shall now name : currens
* running * and ambulans 1 walking,' cursurus ' about to run ' and
ambulaturus ' about to walk ' ; for the third forms, those of the past,
do not exist/ as in cursus sum * I am run/ ambulatus sum 1 I am
walked.' 60. But Regularity is not preserved even in those
which indicate that something is done with greater frequency ; for though
there is a cantitans ' repeatedly singing * from caniare 1 to sing,'
there is no amiians 1 repeatedly loving ' from amare * to love/ and
simi- larly with many others. The situation is the same in the
forms of the plural as in those of the singular : though the plural
caniitantes is used, seditantes* 1 sitting ' is not.
XXXIII. 61. Since there is a class of words which they call
compositional, saying that they ought not to be grouped in the same
category with the simple words of which I have so far spoken, I shall
deal separately with these compounds. Since from tibiae * pipes * and
canere * to play * the tibicines 1 pipers ' are named, they ask, If we
ought to follow the Regularities, why then from cithara * lute * and
psalterium 1 psaltery ' and pandura * Pans strings * should we not say
citharicen a * lute-player * and the rest in the same way ?
If from aedes * temple ' and tueri ' to guard * the aedi- §
60. a The singular seditans also is not used, which is implied by V., but
not stated. §61. • Citharista^ fern, citharistria, are used, both
taken from Greek. 419 V.
dicatur, cur non ab atrio et tuendo) 1 potius atritumus sit
quam atriensis ; si ab avibus capiendis auceps dicatur, debuisse aiunt a
piscibus capiendis ut aucu- pem sic pisci(cu)pem 2 dici. 62.
Ubi lavctur aes aerarias, non aerelavinas nominari ; et ubi fodiatur
argentum argentifodinas dici, neque (ubi) 1 fodiatur ferrum ferrifodinas
; qui lapides caedunt lapicidas, qui ligna, lignicidas non dici ;
neque ut aurificem sic argentificem ; non doctum dici indoctum, non
salsum insulsum. Sic ab hoc quoque fonte quae profluant, (analogiam
non servare) 2 animadvertere est facile. XXXIV. 63.
Reliquitur de casibus, in quo Aris- tarchei suos contendunt nervos. XXXV.
Primum si in his esset 1 analogia, dicunt de&ttisse 2 omnis
nomi- natus 3 et articulos habere totidem casus : nunc alios habere
unum solum, ut litteras singulas omnes, alios tris, ut praedium praedii
praedio, alios quattuor, ut §61. 1 The omission in F (and all
codd.) was filled by Laetus with edituus est cur ab atrio et tuendo / Aldus
inserted non after tuendo ; Mue. wrote aeditumus and (with B) set
non after cur; A. Sp. proposed dicatur for sit. 2 Aug., with Btfor
piscipem. §62. 1 Added by Laetus. 2 Added by Christ. §
63. 1 For essent. 2 Aldus, for de risse. 3 L. Sp. 9 for
nominatiuos. b The regular word is piscator ; one
inscription has piscicapus. §62. ° Regularly ferrariae *
iron-mines.' b Regularly lignatores 4 wood-cutters.' c Regularly argentarius
4 silver- smith.' d The difference here consists in the change of
the radical vowel of salsus, when it comes to stand in a medial
syllable ; the process is called Vowel Weakening. § 63. n
Aristarchus, of Samothrace, famous grammarian of Alexandria, lived about
216-144 b.c. He wrote many commentaries on Greek authors, and many works
on gram- mar, in which he defended the principle of Regularity. tumus
* sacristan * is named, why from atrium ' main hall * and tueri ' to
guard ' is it not atriiumus ' butler ' rather than atriensis ? And if
from avis caper e 4 to catch birds * the auceps 4 fowler * is named, they
say, from pisds capere 4 to catch fish ' there ought to be a
pisciceps b * fisherman ' named like the auceps. 62. They remark
also that establishments where aes * copper * lavatur * is refined ' are
called aerariae 4 smelters ' and not aerelavinae 4 copper-washery '
; and places where argentum 4 silver 1 foditur 4 is mined ' are
called argentifodinae ' silver-mines,* but that places where ferrum 4
iron ' is mined are not called ferrifodinae a ; that those who caedunt 4
cut * lapides * stones ' are called lapicidae * stone-cutters,' but
that those who cut lign a * firewood ' are not called ligni- cidae
b ; that there is no term argentifex e * silver- smith ' like aurifex *
goldsmith ' ; that a person who is not doctus * learned ' is called
indoctus, but one who is not salsus * witty ' is called insulsus. d Thus
the words which come from this source also, it is easy to see, do
not observe Regularity. XXXIV. 63. It remains to consider the
problem of the cases, on which the Aristarcheans a especially exert
their energies. XXXV. First, if in these there were Regularity, they b
say that all names and articles ought to have the same number of cases ;
but that as things are some have one only, c like all individual
letters, others have three/ 1 like praedium praedii Among his
pupils were important scholars of the next genera- tion. h Those who do
not believe in the principle of Regu- larity. c These are the
indeclinable nouns. d V. counts only different case-forms : where he
finds three, the nom., acc., and voc. are identical, and the dat. and
abl. are identical ; etc. 421 V.
mel mellis melli melle, alios quinque, nt quintus quinti
quinto quintum quinte, alios sex, ut unus unius uni unum line uno : non
esse ergo in casibus analogias. XXXVI. 64. Secundo quod Crates, 1
cur quae singulos habent casus, ut litterae Graecae, non dican- tur
alpha alphati alphatos, si idem mihi respondebitur quod Crateti, 2 non
esse 3 vocabula nostra, sed penitus barbara, qucreram, cur idem nostra
nomina et Per- sarum et ceterorum quos voeant barbaros cum easibus
dica(n)t. 4 65. Quare si essent in analogia, aut ut Poenicum
et ^/eg^ptiorum vocabula singulis easibus dicerent, aut pluribus ut
Gallorum ae eeterorum ; nam dicunt alavda alauefcs 1 et sie alia. Sin 2
quod scrib?mt 3 dicent, quod Poenicum si(n)t, 4 singulis casibus ideo eas
lit- teras Graecas nominari : sie Graeci nostra senis easibus non
quinis 5 dicere debebant ; quod eum non faciunt, non est analogia.
XXXVII. 66. Quae si
esset, 1 negant ullum casum duobus modis debuisse dici ; quod fit contra.
Nam sine
reprehensione vulgo alii dicunt in singulari hae § 64. 1 Laetus,
for grates. 2 Laetus, for grateti. 3 Aug., with B, for essent. 4
Laetus, for dicat. § 65. 1 Scaliger, for alacco alaucus. 2 Popma,
for alias in. 3 Popma, M, for scribent. 4 lihol., for sit. 6 Laetus
transposed quinis non. § 66. 1 Laetus, for essent. §
64. ° Crates of Mallos, head of the Pergamene school of scholarship, was
a contemporary and opponent of Aris- tarchus, and championed the
principle of Anomaly. b Names of letters were indeclinable both in Greek
and in Latin. § 65. a Not the Carthaginians, but the
Phoenicians. 6 V. knew that neither language had a case system. praedio
* farm,' others four, like mel mellis melli melle ' honey/ others five,
like qidntus quinti quinto quintum quinie ' fifth,' others six, like
units unius uni umim une uno * one ' ; therefore in cases there are
no Regularities. XXXVI. 64. Second, in reference to what
Crates ° said as to why those which have only one case-form each
are not used in the forms alpha, dat. alphati, gen. alphaios, because
they are Greek letters b — if the same answer is given to me as to
Crates, that they are not our words at all, but utterly foreign words,
then I shall ask why the same persons use a full set of case- forms
not only for our own personal names, but also for those of the Persians
and of the others whom they call barbarians. 65. Wherefore,
if these proper names were in a state of Regularity, either they would
use them with a single case-form each, like the words of the
Phoeni- cians a and the Egyptians, b or with several, like those of
the Gauls and of the rest : for they say nom. alauda c * lark,' gen.
alaudas, and similarly other words. But if, as they write, they say that
the Greek letters received names with but one case-form each for
the reason that they really belong to the Phoeni- cians, then in this way
the Greeks ought to speak our words in six cases d each, not in five :
inasmuch as they do not do this, there is no Regularity.
XXXVII. 66. If Regularity existed, they say, no case ought to be
used in two forms ; but the opposite is found to occur. For without
censure quite com- monly some say in the ablative singular ovi * sheep
' e The text is desperate here ; but at any rate alauda is
Celtic. d Greek had no form by which it might represent the Latin
ablative. 423 V. ovi et avi,
alii hac ove et ave ; in multitudinis hae puppis restis et hae puppes
restes ; item quod in patrico 2 casu hoc genus dispariliter dicuntur
civitatum parentum et civitatium parentium, in accusandi hos montes
fontes et hos montis fontis. XXXVIII. 67. Item cum, si sit
analogia, debeant ab similibus verbis similiter declinatis sirnilia fieri
et id non fieri ostendi possit, despiciendam earn esse rationem. Atqui ostenditur : nam qui
potest similius esse quam gens, mens, 1 dens ? Cum horum casus
patricus et accusativus in multitudine sint dispariles 2 : nam a primo
fit gentium et gentis, utrubique ut sit {I), 3 ab secundo mentium et
mentes, 4 ut in priore solo sit I, ab tertio dentum et dentes, ut in
neutro sit. 68. Sic item quoniam simile est recto casu surus
lupus lepus, rogant, quor non dicatur proportione 1 suro lupo lepo. Sin
respondeatur sirnilia non esse, quod ea vocemus dissimiliter sure lupe
lepus (sic enim respondere voluit Aristarc^us Crateti : nam cum
scripsisset sirnilia esse Philomedes Heraclides Meli- certes, dixit non
esse sirnilia : in vocando enim cum — and that both kinds are
present in our language also ? 32. For my part I have no doubt that you have
observed the countless number of likenesses in speech, such as those of
the three tenses of the verb, or its three persons. XXV. Who indeed can
have failed to join you in observing that in all speech there are
the three tenses lego 1 I read/ legebam ' I was reading/ legam * I shall
read/ and similarly the three persons lego 1 I read/ legis * thou
readest/ legit ' he reads/ though these same forms may be spoken in
such a way that sometimes one only is meant, at other times more ? Who is
so slow-witted that he has not observed also those likenesses which
we use in commands, those which we use in wishes, those in questions,
those in the case of matters not peratives and subjunctives)
exhibit certain regular resem- blances ; and so do those used in wishes,
etc. in interrogando, quibus in infectis rebus, quibus in
perfectis, sic in aliis discriminibus ? XXVI. 33. Quare qui negant
esse rationem 1 analogiae, non vide(n)t 2 naturam non solum ora-
tionis, sed etiam mundi ; qui autem vident et sequi negant oportere,
pugnant contra naturam, non contra analogian, et pugnant volsillis, non
gladio, cum pauca excepta verba ex pelago sermonis (po)puli 3 minus
(usu) 4 trita afferant, cum dicant propterea analogias non esse,
similiter ut, si quis viderit mutilum bovem aut luscum hominem
claudicantemque equum, neget in 5 bovum hominum et equorum natura
similitudines proportione constare. XXVII. 34. Qui autem duo
genera esse dicunt analogiae, unum naturale, quod ut ex satis 1
nascuntur (lentibus) 2 lentes 3 sic e.r (lupino) 4 lupinum, alterum
voluntarium, ut in fabrica, cum vident sctfenam ut in dexteriore parte
sint ostia, sic esse in sinisteriore simili ratione factam, de his duobus
generibus naturalcm esse analogian, ut sit in motibus caeli,
voluntariam non esse, quod ut quo(i)que 5 fabro lubitum sit possit facere
partis scaenae : sic in homi- num partibus esse analogias, quod ea(s) 6
natura faciat, in verbis non esse, quod ea homines ad suam quisque
voluntatem fingat, itaque de eisdem rebus alia verba habere Graecos, alia
S?/ros, alia Latinos : ego declinatus verbornm et voluntarios et
naturalis § 33. 1 For orationem. 2 For uidet. 3 Canal, for
puli. 4 Transferred to this place by Fay ; added by GS. before populi. 5
Sciop, deleted cornibus after in. §34. 1 Vertranius, after Aug., for
natis. 2 Added by L. Sp. 3 For lentis. 4 L. Sp. ; ex lupinis Aug.,
with B ; for et. 5 B, for quoque. 6 Laetus, for ea. § 34. a
The expected continuation is, " They are in error." completed
and those for matters completed, and similarly in other differentiations
? XXVI. 33. Therefore those who say that there is no logical
system of Regularity, fail to see the nature not only of speech, but also
of the world. Those who see it and say that it ought not to be
followed, are fighting against nature, not against the principle of
Regularity, and they are fighting with pincers, not with a sword, since
out of the great sea of speech they select and offer in evidence a few
words not very familiar in popular use, saying that for this reason
the Regularities do not exist : just as if one should have seen a
dehorned ox or a one-eyed man and a lame horse, and should say that the
likenesses do not exist with regularity in the nature of cattle,
men, and horses. XXVII. 34. Those moreover who say that there
are two kinds of Regularity, one natural, namely that lentils grow from
planted lentils, and so does lupine from lupine, and the other voluntary,
as in the workshop, when they see the stage as "having an
entrance on the right and think that it has for a like reason been made
with an entrance on the left ; and say further, that of these two kinds
the natural Regularity really exists, as in the motions of the
heavenly bodies, but the voluntary Regularity is not real, because each
craftsman can make the parts of the stage as he pleases : that thus in
the parts of men there are Regularities, because nature makes them,
but there is none in words, because men shape them each as he wills, and
therefore as names for the same things the Greeks have one set of words,
the Syrians another, the Latins still another a — I firmly think
that there are both voluntary and natural esse puto, voluntarios
quibus homines vocabula imposwerint 7 rebus quaedam, ut ab Romulo
Roma, ab Tibure* TVburtes, naturales ut ab impositis vo- cabulis
quae inclinantur in tempore* aut in casus, ut ab Romulo Romuli Romulum et
ab dico dicebam dixeram. 35. Itaque in voluntariis
declinationibus incon- stantia est, in naturalibus constantia ; quae
utrasque quoniam iei non debeant negare esse in oratione, quom 1 in
mundi partibus omnibus sint, et declina- tiones verborum innumerabilcs,
dicendum est esse in his analogias. Neque ideo statim ea in omnibus
verbis est sequenda : nam si qua perperam declinavit verba consuetudo, ut
ea aliter (non possint efferri) 2 sine offensione multorum, hinc rationem
3 verborum praetermittendam ostendit loquendi ratio. XXVIII. 36. Quod ad universam
pertinet cau- sam, cur similitudo et sit in oratione et debeat
observari et quam ad finem quoque, satis dictum. Quare quod sequitur de
partibus singulis deinceps expediemus ac singula crimina quae dicunt
(contra) 1 analogias solvemus. 37. In quo animadvertito
natura quadruplicem esse formam, ad quam in declinando accommodari
debeant verba : quod debeat subesse res quae 1 7 For imposierint 8
For tybere. 9 For
tempore. § 35. 1 Mtie., with a, for quam. 2 Added by GS.,
after Aldus efferri non possit (Aug., possint). 3 Sciop., a, for
orationem. § 36. 1 Added by L. Sp. ; cf ix. 7. §37. 1
RhoL, for resque. § 35. ° That is, a regular form must be
discarded in derivations of words, voluntary for the things on
which men have imposed certain names, as Rome from Romulus and the
Tiburfes ' men of Tibur ' from Tibur, and natural as those which are
inflected for tenses or for cases from the imposed names, as
genitive Romuli and accusative Eomulum from Romulus, and from dico ' I
say ' the imperfect dicebam and the pluperfect dixeram. 35.
Therefore in the voluntary derivations there is inconsistency, and in the
natural derivations there is consistency. Inasmuch as they ought not to
deny the presence of both of these in speech, since they are in all
parts of the world, and the derivative forms of words are countless, we
must say that in words also the Regularities are present. And yet
Regularity does not for this reason have to be followed in all
words ; for if usage has inflected or derived any words wrongly, so that
they cannot be uttered without giving offence to many persons, the logic
of speaking shows us that because of this offence the logic of the
words must be set aside. XXVIII. 36. As far as concerns the general
cause why likeness is present in speech and ought to be observed, and
also to what extent this should be done, enough has now been said.
Therefore in the following we shall set forth its several parts item
by item, and refute the individual charges which they bring against
the Regularities. 37. In this matter, you should take notice that
by nature there are four elements in the basic situation to which
words must be adjusted in inflection : there must be an underlying object
or idea to be de- favour of an irregular form if the feeling
(Sprachge/uhl) of the speakers rebels against it. vol. ii h 465
V. designetur, 2 et ut sit ea res 3 in usu, et ut
vocis natura ea sit quae significavit, ut declinari possit, et
simili- tude* figura(e) 4 verbi ut sit ea quae ex se declinatw 5
genus prodere certum posset. 6 38. Quo neque a terra terrus ut
dicatur postu- landum est, quod natura non subest, ut in hoc
alterum maris, alterum feminae debeat esse ; sic neque propter
usum, ut Terentius significat unum, plures Terentii, postulandum est, ut
sic dicamus faba et fabae : non enim in simili us(u) 1 utrumque ;
neque ut dicimus ab Terentius Terentium, sic postulandum ut
inclinemus ab A et B, quod non omnis vox natura habet declinatus.
39. Neque in forma collata quaerendum
solum, quid habeat in figura simile, sed etiam nonnunquam in eo
quern habeat effectum. Sic enim lana Gallicana et Apula videtur imperito
similis propter speciem, cum peritus Apulam emat pluris, quod in usu
firmior sit. Haec nunc strictim dicta apertiora fient infra.
Incipiam hinc. XXIX. 40. Quod rogant ex qua parte oporteat
simile esse verbum, a voce an a 1 significatione, re- spondemus a voce ;
scd tamen nonnunquam quaerimus genere similiane sint quae significantur
ac nomen 2 Laetus, for design entur. 3 G, IJ, a, Laetus^ for cares. 4 Mite., for
figura. 5 L. Sp.,for declinata. 6 Aug for passu nt. § 38. 1
L. Sp., for similius. § 40. 1 After J^aetus, ab voce an, for
aboceana. § 38. a The singular faba was used also
collectively for the plural or mass idea ; cf. Priscian, ii. 176 Keil. b
Names of letters. § 39. a Cf. § 92. § 40. ° Cf
viii. 40. signated ; this object or idea must be in use ;
the nature of the utterance which has designated it, must be such
that it can be inflected ; and the re- semblance of the word s form to
other words must be such that of itself it can reveal a definite class
in respect to inflection. 38. Therefore it is not to be
demanded that from terra * earth * there should be also a terms,
because there is no natural basis that in this object there ought
to be one word for the male and another for the female. Similarly, with
respect to usage, while Terentius designates one person of the name
and Terentii designates several, it is not to be demanded that in
this way we should say faba * bean ' and Jabae ' beans/ for the two are
not subject to the same use. a Nor is it to be demanded that as we
say acc. Tereniium from nom. Terentius, we should make case-forms
from A and B, b because not every utter- ance is naturally fitted for
declensional forms. 39. The likeness which the word has in its
shape must be investigated not in the comparison of the basis
merely, but also sometimes in the effect which it has. For thus the
Gallic wool and the Apulian wool seem alike to the inexperienced on
account of their appearance, though the expert buys the Apulian at
a higher price because in use it lasts better. These matters, which
have been touched upon hastily here, will become clearer in a later
discussion. Now I shall start. XXIX. 40. To their question in
what respect a word ought to be similar, sound or meaning, we
answer that it should be so in sound. But yet some- times we ask whether
the objects designated are like in kind, and compare a man's name with a
man's, 467 V. virile cum
virili conferimus, feminae cum muliebri : non quod id quod significant
vocem commoveat, sed quod nonnunquam in re dissim(ili par)ilis 2
figurae formas in simile' 3 imponunt dispariles, 4 ut calcei mulie-
bres sint an viriles dicimus ad similitudinem figurae, cum tamen sciamus
nonnunquam et mulierem habere calceos viriles et virum muliebris.
41. Sic dici virum Perpennam ut AZ/enam 1 muliebri forma 2 et
contra parietem ut abietem esse forma 8 similem, quo(m) 4 alterum
vocabulum dicatur virile, alterum muliebre et utrumque natura
neutrum sit. 5 Itaque ea virilia dicimus non quae virum'
significant, sed quibus proponimus hie et hi, et sic muliebria in quibus
dicere posswmus 7 haec aut hae. XXX. 42. Quare nihil 1 est, quod
dicunt Theona et Diona non esse similis, si alter est Jethiops,
alter al6us, 2 si analogia rerum dissimilitudines adsumat ad
discernendum vocis verbi figuras. XXXI. 43. Quod dicunt simile sit
necne nomen nomini impudenter AristarcAum praecipere opor- tere spectare
non solum ex recto, sed etiam ex eorum vocandi casu, esse 1 enim
deridiculum, si similes 2 GS. ; dissimilis Mue. ; for dissimilis. 3
GS. ; §41. 1 ut Alfenam Mue., for aut plenam ; cf viii.
41. 2 Laetus, for formam. 3 Aldus, for formam. 4 Mue. ; cum Aug.;
for quo. 5 Ant. Miller and Reiter, for sic. 6 Aldus, for utrum. 7 M,
Laetus,for possimus. § 42. 1 For nichil. 2 Mue., for galhis / cf
viii. 41. § 43. 1 L. Sp., C. F. W. Mueller, Madvig, for esset.
§ 41. a Cf viii. 41. 6 The forms of hie haec hoc are
regularly used by the grammarians to indicate the case, number, and
gender of a word. in simili Mue. ; for
indissimiles. a woman's name with a woman's : not because that
which they designate affects the word, but because sometimes in case of
an unlike thing they set upon it forms of an equivalent appearance, and
on a like thing they set unequal forms, as we call shoes women's
shoes or men's shoes by the likeness of the shape, although we know that
sometimes a woman wears men's shoes and a man wears women's shoes.
41. In like fashion, we say, a man is called Perpe?ina f like
Alfena, with a feminine form ° ; and on the other hand paries '
house-wall ' is like abies ' fir-tree ' in form, although the former word
is used as a masculine, the latter as a feminine, and both are
naturally neuter. Therefore those which we use as masculines are not those
which denote a male being, but those before which we employ hie and
hi, and those are feminines with reference to which we can say haec
or hae. b XXX. 42. For this reason it amounts to nothing,
that on the premise that Regularity adopts the unlikenesses of the objects
as a criterion for difference in the forms a of the spoken word, 6 they
say that Theon and Dion are not alike if the one is an Ethiopian
and the other is a white man. c XXXI. 43. As to what they say, a
that Aristarchus was shameless in his instructions that to see
whether one name was like another you should view it not only from
the nominative, but also from the vocative — for the same persons say
that it is absurd to judge § 42. ° One of the rare examples of the
accusative of the gerund with an object. b The word as sound is vox,
while the word as symbol of meaning is verbum ; the vox verbi is
therefore the sound, or series of sounds, which represent the symbol of
meaning. Cf. viii. 40. e Cf. viii. 41. § 43. a Cf. viii. 42.
469 V. inter se parentes sint, de
filiis iudicare 2 : errant, quod non ab eo(rum) 3 obliquis casibus fit,
ut recti simih' 4 facie ostendantur, sed propter eos facilius
perspici similitudo potest eorum quam vim habeat, 5 ut lucerna in
tenebris allata non facit (ut) 6 quae ibi sunt posita similia sint, sed
ut videantur, quae sunt quoius (mo)di sint. 7 44. Quid
similius videtur quam in his est extrema littera crux Phryx 1 ? Quas, qui
audit voces, auribus discernere potest nemo, cum easdem non esse similes
ex (declin)atfs 2 verbis intellegamus, quod cum sit cruces et Phryges* et
de his extremis syllabis exemp- tum* sit E, ex altero fit ut ex C et S
crux, ex altero G et S Phryx, 1 Quod item apparet, cum est demp-
tum S : nam fit unum cruce, 5 alterum Phryge* XXXII. 45. Quod
aiunt, cum in maiore parte orationis non sit similitudo, non esse
analogian, dupliciter stulte dicunt, quod et in maiore parte est et
si in minore parte 1 sit, tamen sit, 2 nisi etiam nos calceos negabunt
habere, quod in maiore parte corporis calceos non habeamus. 2
L. Sp. deleted qui after iudicare. 3 L. Sp., for eo. 4 Laetus, for
simile. 5 Laetus, for habeant. 6 Added by L. Sp. 1 L. Sp., for
dissint. §44. 1 Aldus, for frix. 2 GS„ for aliis. 3 Aldus,
for friges. 4 Aldus, for exemplum. 6 L. Sp., for cruci. 6 Phruge L. Sp.,
Phrj'gi Aldus ; for frigi. § 45. 1 Here L. Sp., following other
slightly different deletions, deleted a repeated est et si in minore. 2
After sit, L. Sp. deleted in maiore. . § 44. a For
Phryx and its forms, Augustinus (with B) read frux, etc. ; but nom. frux
was no longer used in V.'s from the children whether the parents are
alike : those who say this are mistaken, for it does not come about
from their oblique cases that the nominatives are shown to be of like
appearance, but through the oblique cases can be more easily seen what
evidential force lies in the likeness of the nominatives — even as
a lamp in the dark, when brought, does not cause that the things which
are there should be "alike, but that they should be seen in their real
character. 44. What seems more closely alike than the last
letter in the words crux ' cross ' and Phryx * Phry- gian ' ? a No one
who hears the spoken words can by his ears distinguish the letters, 6
although we know from the declined forms of the words that though alike
they are not identical ; because M'hen the plurals cruces and Phryges are
taken and E is removed from the last syllables, from the one there
results crux, with X from C and S, and from the other comes Phryx, from G
and S. And the difference is likewise clear, when S is removed ; for
the one be- comes cruce, the other Pkryge. c XXXII. 45. As to
what they say, a that since likeness does not exist in the greater part
of speech, Regularity does not exist, they speak foolishly in two
ways, because Regularity is present in the greater part of speech, and
even if it should exist only in the smaller part, still it is there :
unless they will say that we do not wear any shoes, because on the
greater part of our body we do not wear any. time, cf. ix.
75-76. b The usual confusion of letters and sounds. * Abl. sing. ; the
manuscript has forms ending in -i, which are datives, but the removal of
s from cruces and Phryges leaves forms ending in e, not in i. § 45.
a Cf viii. 37. 471 V. XXXIII.
46. Quod dicunt nos dissimilitudinem (potius gratam aceeptamque habere
quam simili- tudinem) 1 : itaque in vestitu in supellectile
delectari varietate, non paribus subuculis uxoris, respondeo, si
varietas iucunditas, magis varium esse in quo alia sunt similia, alia non
sunt : itaque sicut abacum argento ornari, ut alia (paria sint, alia) 2
disparia, sic orationem. 47. Rogant, si similitudo sit
sequenda, cur malimus habere lectos alios ex ebore, alios ex testudine,
sie item genere aliquo alio. Ad
quae dico non dis(simili- tudines solum nos, sed) 1 similitudines quoque
sequi saepe. Itaque ex eadem supellectili licet videre : nam nemo facit triclinii
lectos nisi paris et materia et altitudine et figura. Qui(s) 2 facit
mappas trielinaris non similis inter se ? Quis pulvinos ? Quis
denique eetera, quae unius generis sint plura ? 48. Cum,
inqui(un)t, 1 utilitatis causa introducta sit oratio, sequendum non quae
habebit similitudinem, sed quae utilitatem. Ego utilitatis causa orationem
factam coneedo, sed ut vestimenta : quare ut hie similitudines seqm'mur,
2 ut virilis tunica sit virili similis, item toga togae, sic mulierum
stola ut sit stola(e) 3 proportione et pallium pallio simile, sie
§ 46. 1 Added by GS.,
following other attempts {Aug., with B, inserted sequi after nos / but
cf. § 47, where sequi is actually found). 2 Added by Aug., with B.
§ 47. 1 Added by Mve. 2 Aldus, for qui. § 48. 1 Vertranius,
for in quit. 2 Sciop., for sequere- mur. 3 Aug., for stola. As to
what they say, a that we find unlikeness pleasing and acceptable rather
than likeness, and therefore in clothing and in furniture we take
pleasure in variety, and not in having our wives* undertunics all
identical : I answer, that if variety is pleasure, then there is
greater variety in that in which some things are alike and others
are not ; and just as a side-table is adorned with silver in such a way
that some ornaments are alike and others are unlike, so also is
speech adorned. 47. They ask why, if likeness is to be
followed, we prefer to have some couches inlaid with ivory, others
with tortoise-shell, and so on with some other kind of material. To which
I say that unlikenesses are not the only thing which we follow, but often
we follow likenesses. And this may be seen from the same piece of
furniture ; for no one makes the three couches of the dining-room other
than alike in material and in height and in shape. Who makes the table-
napkins not like each other ? Or the cushions ? And finally the other
things which are several in number but of one sort ? 48.
Since speech, they say,° was introduced for the sake of utility, we
should follow not that kind of speech which has likeness, but that which
has utility. I grant that speech has been produced for utility's
sake, but in the same way as garments have : there- fore as in the latter
we follow the likenesses, so that a man's tunic is like a man's, and a
toga like a -toga, and a woman's dress is like a dress regularly and a
cloak like a cloak, so also, as words that are names § 46. a Cf.
viii. 31-32. § 48. • C/. viu. 28-29. 473 V.
cum sint nomina utilitatis causa, tamen virilia inter se
similia, item muliebria inter se sequi debemus. XXXIV. 49. Quod
aiunt ut persedit et perstitit sic (periacuit et) 1 percubuit quoniam non
si(n)t, 2 non esse analogian, et 3 in hoc e(r)rant 4 : quod duo
posteriora ex prioribus declinata non sunt, cum analogia polliceatur ex
duobus similibus similiter declinatis similia fore. XXXV. 50.
Qui dicunt quod sit ab Romulo Roma et non Romula neque ut ab ove ovih'a 1
sic a bove bovih'a, 2 (non) 3 esse analogias, errant, quod nemo
pollicetur e vocabulo vocabulum declinari recto casu singulari in rectum
singularem, sed ex duobus vocabulis similibus casus similiter declinatos
similes fieri. XXXVI.
51. Dicunt, quod vocabula litterarum Latinarum non declinentur in casus,
non esse analo- gias. Hi ea quae natura declinari non possunt,
eorum declinatus requirunt, 1 proinde et non eo(rum) 2 dicatur esse
analogia quae ab similibus verbis simili- ter esse(nt) 3 declinata. Quare
non solum in vocabu- lis litterarum haec non requirenda analogia, sed
(ne) 4 in syllaba quidem ulla, quod dicimus hoc BA, huius BA, sic
alia. §49. 1 Added by
Canal. 2 Kent, for sit. 3 Aug., for ut. 4 B, Bhol.,for erant.
§ 50. 1 Aug., for ovilla. 2 Aug., for bovilla. 3 Added by
Stephanus. § 51. 1 B, G, II, a, Aug., for sequirunt. 2 L. Sp.,
for eo F 1, ea F 2 . 3 L. Sp. ; esset M, a, Aug. ; for esse. 4
Added by Aldus. § 49. Referring to a passage now lost. b The
two verbs are not attested in any form. § 50. Cf. viii. 54
and 80. of persons exist for the purpose of utility, ue ought still
to employ men's names that are like one another, and women's names that
also have mutual resem- blances. XXXIV. 49. As to the fact
that they say a that Regularity does not exist because there are no
perfects periacuit ' remained lying ' .and percubuit ' remained lying,'
like persedit 1 remained sitting ' and perstitit ' remained standing,' in
this also they are mistaken : for the two perfects have no presents
6 from which to be inflected, whereas Regularity promises only that
from two like words inflected in like manner there will be like
forms. XXXV. 50. Those who say that there are no Regularities
because from Romulus there is Roma and not Romala and there is no bovilia
' cow-stables ' from bos * cow ' as there is ovilia * she epf olds '
from ovis * sheep,' are in error ; because nobody professes that
one word is derived from another word, from nominative singular to
nominative singular, but only that from two like words like case-forms
develop when they are inflected in like manner. XXXVI. 51.
They say that because the words denoting the Latin letters are not
inflected into case-forms the Regularities do not exist. Such
persons are demanding the declension of those words which by nature
cannot be inflected ; just as if Regularity were not said b to belong
merely to those forms which had already been inflected in like
fashion from like words. Therefore not only in the names of the
letters must this kind of Regularity not be sought, but not even in any
syllable, because we say nomina- tive ba, genitive ba, and so on.
§ 51. a Of. viii. 64. 6 Cf. viii. 23. Quod si quis in hoc quoque
velit dicere esse analogias rerum, tenere potest : lit eni(m) 1
dicunt ipsi alia nomina, quod quinque habeant figuras, habere
quinque casus, alia quattuor, sic minus alia, dicere poterunt esse
litteras ac syllabas in voce quae singulos habeant casus, in rebus pluris
2 ; quemad- modum inter se conferent ea quae quaternos habe- bunt
vocabulis casus, item ea inter se qua(e) ternos, 3 sic quae* singulos
habebunt, ut conferant inter se dicentes, ut sit hoc A, huic A, esse hoc E,
5 huic E. XXXVII. 53. Quod dicunt esse quaedam verba quae
habeant declinatus, ut caput (capitis, nihil nihili), 1 quorum par
reperiri quod non possit, non esse analogias, respondendum sine dubio, si
quod est singulare verbum, id non habere analogias : minimum duo
esse debent verba, in quibus sit similitudo. Quare in hoc tollunt esse
analogias. 54. Sed nikilum 1 vocabulum recto casu apparet in
hoc : Quae dedit ipsa, 2 cap/t 3 neque dispendi facit hilum,
§ 52. 1 For eni. 2 GS. ; plureis Canal ; for plurimis. 3 Koeler,
for quaternos. 4 For sicque. 5 After hoc E, L, Sp. deleted huiusce
E. § 53. 1 Added by Reitzenstein. § 54. 1 Lachmann ; in
nihil Sciop. ; for initium. 2 Sciop., for ira. 3 Seal ig er t for
caput. § 52. a Cf. viii. 63. 6 That is, words indeclinable
in form have only one case-form, but still have all the case-uses.
§ 53. There is no corresponding passage in Book VIII. 6 That is,
when they select a unique word as basis for argu- ment. But if any
one should wish to say that in this also there are Regularities in the
things, he can maintain it. For as they themselves say a that some
nouns, because they have five forms, have five cases, and others have
four, and others fewer in like manner, they will be able to say that the
letters and syllables which have one case-form apiece in sound,
have several in connexion with the things h ; as they will compare
only with each other those which have four case-forms for the words, and
likewise those which have three apiece, so let them compare with
each other those which have only one form each, saying that nominative E,
dative E is like nominative A, dative A. XXXVII. 53. As to
the fact that they say a that there are certain words which have
declensional forms, like caput ' head,* genitive capitis, and nihil *
nothing,* genitive nihili, a match for which cannot be found, and
therefore the Regularities do not exist, answer must be made that
unquestionably any word which is the only one of its kind is outside the
systems of Regularity ; there must be at least two words for a
likeness to be existent therein. Therefore, in this case, et they
eliminate the possible existence of the Regularities. 54. But
the word nihilum * nothing ' is found in the nominative in the following
a : The body she's given Earth doth herself take back, and of
loss not a whit does she suffer, §54. ° Ennuis, Ann. 14
Vahlen 2 ; R.O.L. i. 6-7 War- mington ; cf. v. 60 and 111. The neuter
accusative, having the same form as the nominative, is used as a proof of
the nominative form. quod valet nec dispendii facit quicquam. Idem
hoc obliquo apud Plautum : Video enim 4 te nihili 5 pendere
prae Philolacho* omnis homines, quod est ex ne et hili :
quare dictus est nihili 5 qui non hili erat. Casus tautum 1 commutantur de
quo dici- tur, (ut) 8 de homine : clicimus cnim hie homo nihili 9
et huius hominis nihili et hunc hominem nihili. Si in illo commutaremus, dicercmus ut hoc linum
et li£>um, 10 sic nihilum, non hie nihili, et (ut) 11 huic lino et
li&o 12, sic nihilo, non huic nihili. Potest dici patricus casus, ut
ei praeponantur 13 nomina 14 plura, ut hie casus Terentii, hunc casum
Terentii, hie miles legionis, huius militis legionis, hunc militem
legionis. XXXVIII. 55. Negant, cum omnis natura sit aut mas
aut femina aut neutrum, (non) 1 debuisse ex singulis vocibus ternas
figuras vocabulorum fieri, ut albus alba album ; nunc fieri in multis
rebus binas, ut Metellus Metella, 2 Aemi(]\)us ^e?wt(li)a, 3
nonnulla singula, ut tragoedws, com(o)edtt$ 4 ; sic esse Marcum, Numerium,
at Marcam, at Numeriam 4 Enim is V.'s addition; it is not found in
the manu- scripts of Plautus. 5 For nichili. 6 The manuscripts of Plautus have
Philolache. 7 Fay, for turn cum. 8 Added by GS. 9 After nihili, L. Sp.
deleted est. 10 Mue., for limum, 11 et ut Mue. ; ut L. Sp. ; for
et. 12 Mue., for Hmo. 13 Mue., for praeponuntur. 14 Kent, for
praenomina. § 55. 1 Added by Mue. 2 Ixietus, for metelle.
3 Wackernagel ; Ennius Ennia Laetus ; for enuus enua. 4
Christ, for tragoedia comedia. which is the same as ' nor of loss does she
suffer anything/ This same word is found in an oblique case in
Plautus 6 : I see, beside Philolaches you count all men as
nothing. The word is from ne 1 not ' and genitive hilt ' whit '
; therefore he has been called nihili ' of naught ' who was not
kill * of a whit ' in value. Change is made only in the case-forms of
that about w hich the speak- ing is done, as about a man ; for we say a
man nihili ' of no account ' in nominative, in genitive, in accusa-
tive, changing the forms of homo but not changing the form nihili. If we
were to make changes in it, then we should say not hie nihili c but
nihilum as the nominative, like linum ' flax * and libum ' cake,'
and dative not huic nihili d but nihilo like lino and libo. The
genitive case * can however be said with various nouns set before it,
like nominative casus ' mishap ' Terentii ' of Terence,' accusative casum
Terentii, and nominative miles 'soldier* legionis 1 of the legion/
genitive militis legionis, accusative militem legionis. XXXVIII.
55. They say a that since every nature is either male or female or
neuter, from the individual spoken words there should not fail to
be forms of the words in sets of three, like albus, alba, album '
white ' ; that now in many things there are only two, like Metellus and
Metella, Aemilius and Aetnilia, and some with only one, like
tragoedus * tragic actor ' and comoedus ' comic actor ' ;
that there are the names Marcus and Numerius, but no * Plautus,
Most. 245. c The genitive nihili depending on a nominative. d The
genitive nihili depending on a dative. * Such as the form nihili.
§ 55. a Cf. viii. 47. 479 V.
non esse ; dici coruum, 5 turdum, non 6 dici coruam, 5 turdam ;
contra dici pantherarn, merulam, non dici pantherum, merulum ; nullius
nostrum 7 filium et filiam non apte 8 discerni marem ac feminam, ut
Terentium 9 et Terentiam, contra deorum liberos et servorum non i/idem,
10 ut Iovis filium et filiam, Iovem 11 et Iovam ; item magnum numerum
vocabu- lorum in hoc genere non servare analogias. 56. Ad
haec dicimus, omnis orationis quamvis res naturae subsit, tamen si ea in
usu(m) 1 non pervenerit, eo non pervenire verba : ideo equus dicitur et
equa : in usu enim horum discrimina 2 ; corvus et corva non, quod
sine usu id, quod dissimilis natura(e). 3 Itaque quaedam al(i)ter ohm ac
nunc : nam et turn omnes mares et feminae dicebantur columbae, quod
non erant in eo usu domestico quo nunc, (ct nunc) 4 contra, propter
domesticos usus quod internovimus, appellatur mas columbus, femina
columba. 57. Natura cum tria genera transit et id est in usu discriminat*/(m),
turn 1 denique apparet, ut est in doctus 2 et docta et doctum : doctrina
enim per tria haec transire potest et usus docuit discriminare
doctam rem ab hominibus et in his marem ac feminam. In mare et femina et neutro
neque natura mans 3 6 Aldus, for corbum and corbam. * Aldus, for
non non. 7 Aug., for neutros. 8 Aug., with B, for apta. 9 For
terentium et terentium. 10 Ed. Veneta, for ididem. 11 For iouem
iouem. § 56. 1 Aug., with B, for usu. 2 Aug., for discrimine.
3 Vertranius, for natura. * Added by L. Sp. § 57. 1 Reiter, for
discrimina totum. 2 Aug., with B, for docto. 3 L. Sp., for mares.
b Numeria is in fact found, but as a divine name. c Cf. §59.
§ 56. a For the expression, cf. ix. 37. Marca and Numeria 6 ; that
corvus ' raven ' and turdus * thrush ' are said, but the feminines corva
and turda are not said ; that on the other hand pantkera *
panther * and merula 1 blackbird ' are used, but the masculines pantherus
and merulus are not ; that there is no one of us whose son and daughter
are not suit- ably distinguished as male and female^ as Terentius
and Terentia ; that on the other hand the children of gods and slaves are
not distinguished in the same way, c as by Iovis and Iova for the son and
the daughter of Jupiter ; that likewise a great number of common
nouns do not in this respect preserve the Regularities. 56. To this
we say that although the object is basic a for the character of all
speech, the words do not succeed in reaching the object if it has not
come into our use ; therefore equus ' stallion ' and equa *
mare ' are said, but not corva beside corvtts, because in that case the
factor of unlike nature is without use to us. But for this reason some
things were for- merly named otherwise than they are now : for then
all doves, male and female, were called columbae, because they were not
in that domestic use in which they are now, and now, on the other hand,
because we have come to make a distinction on account of their uses
as domestic fowl, the male is called colnmbus and the female
columba. 57. When the nature goes through the three genders
and this distinction is made in use, then finally it is seen, as it is in
doctus 4 learned man ' and docta * learned woman ' and doctum 4
learned thing ' ; for learning can go across through these three, and
use has taught us to differentiate a learned thing from human
beings, and among the latter to distinguish the male and the female. But
in a male or a female transit neque feminae neque neutra,
et ideo non dicitur fcminus femina feminum, sic reliqua : itaque
singularibus ac secretis vocabulis appellati sunt. 58. Quare in
quibus rebus non subest similis natura aut usus,in his vocabulis huiusce
modi ratio quaeri non debet : ergo dicitur ut surdus vir, surda
mulier, sic surdum theatrum, quod omnes tres (res) 1 ad auditum sunt
comparatae ; contra nemo dicit cubiculum surdum, (quod) 2 ad silentium,
non ad auditum ; at si fenestram non habet, dicitur caecum, ut
coccus et caeca, quod omnia (non) 3 habent (quod) 3 lumen habere
debent. 59. Mas et femina habent inter se natura quandam
societatem, (nullam societatem) 1 neutra cum his, quod sunt diversa ;
inter se 2 quoque de his perpauca sunt quae habeant quandam
co(m)munitatem. Dei et servi nomina quod non item ut libera nostra
trans- eunt, eadem e(s)t 3 causa, quod ad usum attinct (et) 4
institui opus fuit de liberis, de reliquis nihil attinuit, quod in servis
gentilicia natura non subest in usu, in nostri(s) nominibus qui sumus in
Latio et liberi, necessaria. Itaque ibi apparet analogia ac dicitur
Tcrentius vir, Terentia femina, Terentium genus. § 58. 1 tres res
Mve. ; res Bentinus ; for tres. 2 Added by Canal ; quod id Mae. ;
quod sit Sciop. 3 Added by Fay. § 59. 1 Added by A. Sp.,
after L. Sp. and Mue. 2 B, G, II, Aug., for interest. 3 L. Sp., for et. 4
Added by L. Sp. ' § 58. a V. means a theatre in which
it is difficult to hear ; but the term is applicable also to an audience
which is inattentive. b Rather, things are called 4 blind ' because
they hinder vision by darkness or by walls without openings, such as
windows and doors. or what is neither, the nature of the male does
not shift, nor that of the female, nor the neuter nature, and for
this reason there is no saying of feminus, femina.) Jemirrum, and so with
the rest. Therefore they are called by special and separate words.
58. Wherefore in the names of those things in which there is no
likeness of nature or of use as the basis, a relation of this sort ought
not to be sought. Accordingly, as a surdus * deaf * man is a current
term, and a surda woman, so also is a surdum theatre,* 1 because all
three things are equally intended for the act of hearing. On the other
hand, nobody says a surdum sleeping-room, because it is intended
for silence and not for hearing ; but if it has no window, it is
called caecum 1 blind/ as a man is called caecus and a woman caeca,
because not all sleeping-rooms have the light which they ought to have.
b 59. The male and the female have by nature a certain
association with each other ; but the neuters have no association with
them, because they are different from them in kind, and even of these
neuters there are very few which have any elements in common with
other neuters. As for the fact that the names of a god and of a slave do
not vary like our free names, there is the same reason, namely that
the variation is connected with use, and had to be established with
reference to free persons, but as to the rest had no consequence, because
among slaves the clan quality has no foundation in practice, but it
is necessary in the names of us who are in Latium and are free. Therefore
in that class Regularity makes its appearance, and we say Terentius for
a man, Terentia for a woman, and Terentium for the genus *
stock.' 483 V. 60. In
praenominibus ideo non fit item, quod haec instituta ad usum singularia,
quibus discernerentur nomina gentilicia, ut ab numero Secunda,
Tertia, Quarta (in mulieribus), 1 in viris ut Quintus, Sextus, Decimus,
sic ab aliis rebus. Cum essent duo Terentii aut plures, discernendi
causa, ut aliquid singulare haberent, notabant, forsitan ab eo, qui
mane natus diceretur, ut is Manius esset, qui luci, Lucius, 2 qui post
patris mortem, Postumus. 61 . E quibus (ae)que 1 cum item
accidisset feminis, proportione ita appellata declinarant
praenomina mulierum antiqua, Mania, Lucia, Postuma : videmus enim
Maniam matrem Larum dici, Luciam Voht- mniam 2 Saliorum Carminibus
appellari, Postumam a multis post patris mortem etiam nunc
appellari. 62. Quare quocumque progressa est natura cum usu
vocabul?, 1 similiter proportione propagata est analogia, cum in quibus
declinatus voluntarii 2 maris et feminae et neutri, quae voluntaria, non
debeant similiter declinari, sed in quibus naturales, sint de-
§ 60. 1 Placed here by GS. ; added before Secunda by L. Sp. 2 p t
Aldus^for lucilius. § 61. 1 A. for que. 2 Aug., for
Volaminiam. § 62. 1 Aug. y with i?, for vocabula. 2 L. Sp.,
for declinationibus voluntariis. § 60. a Seemingly a
contamination of ab eo quod with sic . . . ut. b Properly, as the * last
' child ; but not to be associated with post kit mum * after (burial in
the) earth,' though this popular etymology gave a later spelling
post- humus and the English posthumous, § 61. a Mania is
perhaps not related etymologieally to Manius ; see Marbach in
Pauly-Wissowa's Encyc. d. cl. Alt.- wiss, xiv. 1110. b More probable than
the Volaminia of F, In first names the situation is not the same,
because these were in practice established as in- dividual names, by
which the clan names might be differentiated ; from the numerals came
Secunda, Tertia, Quarta for women, Quintus, Sextus, Decimus for
men. and similarly other names from other things. When there were two or
more persons of the name Terentius, then that they might liave
something individual to distinguish them they marked them perhaps
in this way,° that he should be Manius who was said to have been born
mane ' in the morning,' and he who has been born luci * at dawn ' should
be Lucius, and he who was born post ' after ' his father's death
should be Postumus. 6 61. When any of these things happened to
females as well, they derived the first names of women regularly in this
manner — that is, in former times — and called them by them, for
example, Mania, Lucia, Postuma : for we see that the mother of the
Lares is called Mania, a that Lucia Volumnia b is addressed in the Hymns
of the Salians, c and that even now many give the name Postuma to a
daughter born after the death of her father. 62. Therefore as
far as the nature and the use of a word have jointly advanced, so far has
Regularity been extended in like manner by a corresponding
relationship, since of the words in which there are voluntary inflections
of male and female and neuter, those which are voluntary in inflection
ought not to be inflected in similar manner, but in those in which
there are natural inflections there are those regular not found
elsewhere ; several members of the gens Volumnia are mentioned at Rome
during V.'s time. e Frag. 5, page 336 Maurenbrecher ; page 4 Morel.
clinatus hi qui esse reperiuntur.
Quocirca in tribus generibus nominum in(i)que 3 tollunt analogias.
XXXIX. 63. Qui autem eas reprehendunt, quod alia vocabula
singularia sint solum, ut cicer, alia multi- tudinis solum, ut scalae,
cum debuerint omnia esse duplicia, ut equus equi, analogiae fundamentum
esse obliviscuntur naturam et usu(m). 1 Singulare est quod natura
unum significat, ut equus, aut quod coniuncta quodammodo ad unum usu, 2
ut bigae : itaque (ut) 3 dicimus una Musa, sic dicimus unae
bigae. 64«. Multitudinis vocabula sunt unum infinitum, ut
Musae, alterum finitum, ut duae, tres, quattuor : dicimus enim ut hae
Musae sic unae bigae et binae et trinae bigae, sic deinceps. Quare tarn
unae et uni et una quodammodo singularia sunt quam unus et una et
unum ; hoc modo mutat, quod altera in singu- laribus, altera in
coniunctis rebus ; et ut duo tria sunt multitudinis, sic bina
trina. 65. Est tertium
quoque genus singulare ut in multitudine, uter, in quo multitudinis ut
utrei 1 ; uter 3 Aldus, for inquae. §63. 1 p t Mue.,
for usu. 2 A. Sp., for usum. 3 Added by h. Sp. §65. 1 A.
Sp.,for utre § 62. a Crates and his followers, who uphold
Anomaly. § 63. ° Cf. viii. 48. b Cf. x. 54. § 64. B The first
is the generic or collective, without speci- fication of the number or of
the individuals ; the second is numerical, in which the number of the
individuals is given or their identity is clearly implied. 6 A word like
bigae, inflections which are actually found to exist. There- fore in
the matter of the three genders they a are unfair in setting aside the
Regularities. XXXIX. 63. Moreover those who find fault a with
the Regularities, because some words are singulars only, like cicer '
chickpea,' and others are plural only, like scalae ' stairs,' et although
all ought to have the two forms, like equus ' horse ' and equi '
horses,' forget that the foundation of Regularity is nature and use taken
in combination. That is singular which by nature denotes one thing,
like equus ' horse/ or which denotes things that by use are joined
together in some way, like bigae * two-horse team.' Therefore just as we
say una Musa * one Muse,' we say unae bigae * one two-horse team/
64. Plural words are of two sorts, a the one in- definite, like
Musae * Muses/ the other definite, like duae ' two/ tres * three/
quattuor 1 four ' ; for as we say Musae in the plural, so also we say unae
bigae ' one two-horse team/ and binae ' two ' and trinae b bigae 1
three two-horse teams/ and so on. Wherefore unae and the masc. uni and
the neut. una are in a certain manner as much singulars as unus and
una and unum : the word changes in this way because the one set of
forms is said of individual things, the other of things joined together
in sets ; and just as duo and tria are plurals, so also are bina and
trina. 65. There is also a third class which is singular
though expressed by a plural form, namely uter 1 which of two,' in which
the plural form is for ex- already plural in form, can be
pluralized in meaning only by the use of a numerical modifier ; for this
purpose, distribu- tive numerals such as bini are used. For the singular
idea, the plural form of unus is used. 487
V. poeta singulari, utri poetae multitudinis est.
Qua explicata natura apparet non debere omnia vocabula multitudinis
habere par singulare : omnes enim numeri ab duobus susum versus
multitudinis sunt neque eorum quisquam habere potest singulare
compar. Iniuria igitur postulant, si qua sint
singu- laria, oportere habere multitudinis. XL. 66. Item qui
reprehendunt, quod non dicatur ut unguentum unguenta vinum vina sic
acetum aceta garum gara, faciunt imperite : qui ibi desidcrant
multitudinis vocabulum, quae sub mensuram ac pon- dcra potius quam sub
numerum succedunt : nam in plumbo, 1 a(r)ge(n)to, a cum incrementum
accessit, dicimus 3 multum, 4 sic multum plumbum, argentum ; non 5
plumba, argenta, cum quae ex hisce fiant, dica- mus plumbea et argentea
(aliud enim cum argenteum : nam id turn cum iam vas : argent(e)um 6 enim,
si pocillum aut quid item) : quod pocilla argentea multa, non quod
argentum multum. 67. Ea, natura in quibus est mensura, non
numerus, si genera in se habe(n)t 1 plura et ea in usum venerunt, a
genere multo, sic vina et unguenta, dicta : alii generis enim vinum quod
Chio, aliuc? 2 §
66. 1 After phimbo, L. Sp. deleted oleo. 2 Aug., for aceto. 3 After
dicimus, Aldus deleted enim. 4 After rnultum, L. Sp. deleted oleum. 5
After non, L. Sp. deleted multa olea. 6 Aug., with B t for
argentum. § 67. 1 Laetus, for habet. 2 For aliut.
§ 65. ° The old spelling of the nominative plural, still more or
less in use in V.'s time, though rarely attested in the
manuscripts. § 66. a Cf § 67. b Derivative adjectives, ' made
of lead ' and * made of silver * ; supply vasa 4 utensils.'
488 ON THE LATIN LANGUAGE, IX. 65-67
ample utrei ° : uter poeta ' which of two poets ' in the singular,
utri poetae 4 which of two sets of poets ' in the plural. Now that the
nature of this has been explained it is clear that plural nouns are not
all under obligations to have a like singular form ; for all the
numerals from two upwards are plural, and no one of them can have a
singular to match it. Therefore it is quite wrongly that they demand
that all singulars that there are, must have a correspond- ing
plural form. XL. 66. Likewise those who find fault because
there are no plurals aceta and gara to acetum ' vinegar ' and garum *
fish-sauce ' like unguenia to unguentum ' perfume ' and vtna to vinum '
wine/ a act ignorantly ; they are looking for a plural name in connexion
with things which come under the categories of quantity and weight rather
than under that of number. For in plumbum 4 lead ' and argentum *
sil- ver,' when there has been added an increase, we say multum *
much ' : thus multum plumbum or argentum, not plumba ' leads ' and argenta
' silvers/ since articles made of these we call plumbea and argentea b
(silver is something else when it is argenteum, for that is what it
is when it has now become a utensil ; thus argenteum if it is a small cup
or the like), because in this case we speak of many argentea ' silver '
cups, and not of much argentum ' silver/ 67. But if those
things which have by nature the idea of quantity rather than that of
number, exist in several kinds and these kinds have come into use,
then from the plurality of kinds they are spoken of in the plural, as for
example vina 1 wines ' and un- guenia ' perfumes.' For there is wine of
one kind, which comes from Chios, another wine which is from quod
Lesbo, 3 sic ex regionibus aliis. (Ae)que 4 ipsa dicuntur nunc melius
unguenta, 5 cui nunc genera aliquot. Si item discrimina magna essent olei et aceti
et sic ceterarum rerum eiusmodi in usu co(m)- muni, dicerentur sic olea
et (aceta ut) 6 vina. Quare in titraque re (i)nique 7 rescindere conantur
analogias, et 8 cum in dissimili usu similia vocabula quaerant* et
cum item ea quae metimur atque ea quae numcramus dici putent
oportere. XLI. 68. Item reprehendunt analogias, quod dicantur
multitudinis nomine publicae balneae, non balnea, contra quod privati
dicant unum balneum, quo?/* 1 plura balnea (non) 2 dicant. Quibus
respon- ded' 3 potest non esse reprehendendum, quod scalae et aquae
caldae, pleraque* cum causa, multitudinis vocabulis sint appellata neque
eorum singularia in usum venerint ; idemque item contra. Primum balneum
(nomen e(s)t 5 Graecum), (cum) 6 introiit in urbem, publice ibi consedit,
ubi bina essent con- iuncta aedificia lavandi causa, unum ubi viri,
alterum ubi mulieres lavarentur ; ab eadem ratione domi suae
quisque ubi lavatur balneum dixcrunt et, quod non erant duo, balnea dicere
non consuerunt, cum 3 V, p, Aldus, for Lesbio. 4 A. Sp., for quae. 5
For unguentia. 6 Added by L. Sp. 7 Canal, for denique. 8 Aug., for
analogiam set. * L. Sp.,for querunt. §68. 1 Canal, for quod. 2
Added by Popma. 3 Al- dus, for respondere. 4 After pleraque, L. Sp. deleted
quae. 6 GS., for et. 6 Added by GS. §68. ° The word is
a heteroclite in form, with a different Lesbos, and so on from other
localities. Likewise unguenta 1 perfumes ' themselves are now
properly spoken of in the plural, for of perfume there are now a
number of kinds. If in like fashion there were great differences in
olive-oil and vinegar and the other articles of this sort, in common use,
then we should employ the plurals olea and aceta, like vina. There-
fore in both these matters their attempt to destroy the Regularities is
unfair, since they expect that the words will be alike though their uses
are different, and since they think that articles which we measure
and objects which we count should be spoken of in the same way.
XLI. 68. Likewise they find fault with the Regu- larities, because
public baths are spoken of as balneae, with the form in the plural, and
not as balnea, in the singular ; and on the other hand they speak of one
bal- neum of a private individual, though they do not use the
plural balneal To them answer can be made, that fault ought not to be
found because scalae * stairs ' and aquae caldae ' hot springs/ mostly
with good reason, have been called by plural names and the
corresponding singulars have not come into use : and vice versa* The
first balneuvi * bath-room ' (the name is Greek), when it was brought
into the city of Rome, was as a public establishment set in a place
where two connected buildings might be used for the bathing, in one of
which the men should bathe and in the other the women. From the same
logical reasoning each person called the place in his own house
where baths were taken, a balneum ; and they were not accustomed to speak
of balnea in the plural, meaning in the two numbers. But the plural
balnea began to be used in the time of Augustus. 6 C/. § 69. 491 V.
hoc antiqui non balneum, sed lavatrinam 7 appellare
consuessent. 8 69- Sic aquae caldae ab loco et aqua, quae ibi
scateret, cum ut colerentur venissent in usum nostris, cum aliae ad alium
morbum idoneae essent, eae cum plures essent, ut Puteolis ct in Tuscis,
quibus uteban- tur, multitudinis potius quam singulari vocabulo
appellarunt. Sic scalas, quod ab scandendo dicuntur et singulos gradus
scanderent, magis erat quaeren- dum, si appellassent singulari vocabulo
scalam, cum origo nominatus ostcnderet contra. XLII. 70. Item
reprehendunt de casibus, quod quidam nominatus habent rectos, quidam
obliquos, quod dicunt utrosque in vocibus oportere. Quibus idem
responderi potest, in quibus usus aut natura non subsit, ibi non esse
analogiam. . . . 71. Sed ne in his (quidem) 1 vocabulis quae
declinantur, si transeunt e recto casu in rectum casum : quae tamcn fere
non discedunt ab ratione sine iusta causa, ut hi qui gladiatores Faustina*
: nam quod plerique dicuntur, ut tris extremas syllabas 7
Aug., with B, for lauiatrinam. 8 2?, Ed. Veneta,for consuescent. § 71. 1 Added
here by L. Sp. ; added after vocabulis by Madvig. 2 Mtie. t for
faustinos. c More commonly in the contracted form latrina,
and in V.'s time meaning ' water-closet, privy.' § 69. ° At
least nine places in Etruria bore the name Aquae. % 70. ° Cf.
viii. 49. b There seems to be a lacuna here, as examples illustrating
this point of the refutation are lack- ing. § 71. c That is,
by derivation with suffixes, not merely by because they did not have two
in one house — though our forbears were accustomed to call this not
a balneum, but a lavatrina c ' wash-room.* 69. So also, the
hot springs, on account of the locality and the water which gushed out
there, came to be frequented for our use, since some of the springs
were beneficial to one disease and others to another ; and because those
which they used were several in number, as at Puteoli and in Etruria,
they called them by a plural word rather than by a singular. So also with
the scalae ' stairs ' ; because they are named from scandere ' to mount '
and there were separate steps to be mounted, it would be a more
difficult problem to answer if they had called them scala, in the
singular, inasmuch as the origin of the name shows their plural
nature. XLII. 70. Likewise they find fault a about the cases,
because some nouns have nominative forms only, and others have only
oblique forms : whereupon they say that all words ought to have both
the nominative and the oblique forms. To them the same answer can
be given, that there is no Regularity in those instances which lack a
relationship in use or in nature. . . . b 71. But they should
not look for complete Regu- larity even in these names which are derived
by passage from one nominative form to another. Still, such words
do not in general depart from the path of logic without valid reason,
such as there is for those gladiators who are called Faustini b ; for
though most gladiators are spoken of in such a way that they
case-inflection. b The troops of gladiators were designated by
adjectives of this sort which were derived from the names of the owners. habeant
easdem, Cascelliani, (Caeciliani), 3 Aquiliani, animadvertant, 4 unde
oriuntur, nomina dissimilia Cascellius, 5 Cflecilius, Aquilius, (Faustus
: quod si esset) 8 Faustius, recte dicerent Faustianos ; si(c) 7 a
Scipione quidam male dicunt Scipioninos : nam est Scipionarios. Sed, ut
dixi, quod ab huiuscemodi cognominibus raro declinantur cognomina neque
in usum etiam perducta, natant quaedam. XLIIL 72. Item
dicunt, cum sit simile stultus luscus et dicatur stultus stultior
stultissimus, non dici luscus luscior luscissimus, sic in hoc
genere multa. Ad quae dico ideo
fieri, quod natura nemo lusco magis sit luscus, cum stultior fieri
videatur. XLIV. 73. Quod rogant, cur (non) 1 dicamus mane manius manissimc,
item de vesperi : in 2 tempore vere magis et minus esse non potest, ante
et post potest. Itaque prius est hora prima quam secunda, non magis hora. Sed magis
mane surgere tamen dicitur : qui primo mane surgit, (magis mane surgit) 3
quam qui non pri(m)o 4 : ut enim dies non potest esse magis quam
(dies, sic mane non magis quam) 5 mane ; 3 Placed here by L. Sp. ;
added after Aquiliani by Aug. 4 Aug., for animaduertunt. 5 Cascelius Aug., for
Cas- sellius F. 6 Added by Mue. 7 M 9 Laetus.for si. § 73. 1
Added by Aug. 2 Popma, for uespertino. 3 Added by GS. 4 Stephanus, for
prior. 5 Added by L. Sp. § 72. a Cf viii. 75.
§ 73. a Cf. viii. 76. b The usual phrase is multo mane ; evidently,
to the Romans, mane was not completely an adverb like English* early. e
The Latin corresponding to this (English) sentence should perhaps, as GS.
suggest, be placed before the sentence beginning Itaque prlus ; the
argument then develops more logically. have the last three
syllables alike, Cascelliani, Cae- ciliani, AquilianiJ* let them take
note that the names from which these come, Cascellius, Caecilius,
Aquilius on the one hand, and Faustus on the other, are unlike : if
the name were Faustius, they would be right in saying Faustiani. In the
same way, from Scipio some make the bad formation Scipionini ; it is
prop- erly Scipionarii. But, as I have said, since appella- tions
are rarely derived from surnames of this kind and they are not fully at
home in use, some such formations fluctuate in form.
XLIII. 72. Likewise they say,° that although stultus * stupid ' and
luscus * one-eyed * are like words, and stultus is compared with stultior
and stultissimus, the forms lusrior and luscissimus are not used
with luscus, and similarly with many words of this class. To which
I say that this happens for the reason that by nature no one is more
one-eyed than a one- eyed man, whereas he may seem to become more
stupid. XLIV. 73. To their question a why we do not say mane
' in the morning/ comparative manius, super- lative manissime. with a
similar question about vesperi * in the evening/ I reply that in matters
of time there is properly no ' more ' and ' less/ but there can be
before and after. Therefore the first hour is earlier than the second,
but not ' more hour/ But nevertheless to rise magis mane ' more in
the morning * is an expression in use ; he who rises in the first
part of the morning rises magis mane 6 * more in the morning ' than he
who does not rise in that first part. For as the day cannot be said
to be more than day, so mane cannot be said to be more than mane*
Therefore that very magis ' more ' itaque ipsum hoc quod dicitur magis
sibi non constat, quod magis mane significat primum mane, magis
vespere novissimum vesper. XLV. 74. Item ab huiuscemodi
(dis)similitu- dinibus 1 reprehenditur analogia, quod cum sit anus
cadus simile et sit ab anu aniculaanicilla, a cado duo reliqua quod non
sint propagata, sic non dicatur a piscina piscinula piscinilla. Ad (haec
respondeo) 2 huiuscemodi vocabuh's 3 analogias esse, ut dixi, ubi
magnitudo animadvertenda sit in unoquoque gradu eaquc 4 sit in usu co(m)muni,
ut est cista cistula cistella et canis catulus catellus, quod in pecoris
usu non est. Itaque consuetudo frequentius res in binas dividi partis ut maius et
minus, ut lectus et lectulus, area et arcula, sic alia. XLVI.
75. Quod dicunt casus alia non habere rectos, alia obliquos et idco non
esse analogias, falsum est. Negant habere rectos ut in hoc frugis
frugi frugem, item cole(m) colis cole, 1 obliquos non habere ut in
hoc Diespiter Diespitri Diespitrem, Maspiter Maspitri Maspitrem.
§ 74. 1 L. Sp.,
for similitudinibus. 2 Added by L. Sp. 3 L. Sp., for vocabula. 4 Mite.,
for ea quae. §75. 1 A. Sp. ; colis coli colem Mue. ; for role rolis
role. § 74. a Cf viii. 79. b The diminutives are not
ety- mological derivatives of cants, but are of quite distinct
origin. e Curiously, none of the Latin words denoting sheep and
goats, cattle and horses, had a diminutive in regular use in V.'s time or
earlier, except that V. himself used equulus and equula. Plautus, Asin.
667, coined the words agnellns ' little lamb,' haedillus 4 little kid,'
vitellus 4 little calf,' as terms of endearment, but they do not appear
again. d The normal, undiminished object. § 75. ° Cf. viii.
49 ; the subject-matter of § 75 seems to come closely after that of § 70,
but there seems to be no sure which is commonly said is not consistent
with itself, because magis mane means the first part of the mane,
and magis vespere the last part of the evening. XLV. 74. Similarly,
Regularity is found fault with on account of unlikenesses of this
sort," that although anus * old woman ' and cadus * cask ' are
like words, and from anus there are the diminutives aniatla and anicilla,
the other two are not formed from cadus, nor from piscina ' fish-pond *
are piscinula and piscinilla made. To this I answer that words of
this kind have the Regularities, as I have said, only when the size must
be noted in each separate stage, and this is in common use, as is cista *
box/ cistula, cistella, and canis b 1 dog,' catulus * puppy,' catellus
* little puppy ' ; this is not indicated in the usage connected
with flocks.* Therefore the usage is more often that things be divided
into two sets, as larger d and smaller, like lectus * couch * and
lectulus, area ' strong-box * and arcula, and other such words.
XLVL 75. As to their saying a that some words lack the nominative
and others lack the oblique cases, and that therefore the Regularities do
not exist, this is an error. For they say that the nomina- tive is
lacking in such words as frugis frugi frugem b * fruit of the earth
* and colem colis cole c 1 plant- stalk/ and the oblique cases are
lacking in such as Diespiter * Jupiter,' dat. Diespitri, acc. Diespitrem,
and Maspiter ' Mars,' Maspitri, Maspitrem* way of rearranging
the order of the text. * Gen., dat., acc. c Acc, gen., abL, unless the
manuscript readings are to be more seriously altered ; the word is more
properly caul- % but Cato and V. prefer the country forms, with o from
au. d For Dies pater and Mars pater ; the addition of pater is
found only in nom. and voc. (Iuppiter, older Iuplter % is a voc.
form). VOL. II K 497 V. 76.
Ad haec respondeo et priora habere nominandi et posteriora obliquos. Nam
et frugi rectus est natura frux, at secundum consuetudinem dicimus
ut haec avis, haec ovis, sic haec frugis ; sic secundum naturam nominandi
est casus cols, 1 secundum con- suetudinem colis, 2 cum utrumque
conveniat ad analo- gian, quod et id quod in consuetudine non est
cuius modi debeat esse apparet, et quod est in consuetu- dine nunc
in recto casu, eadem est analogia ac plera- que, quae ex multitudine cum
transeunt in singulare, difficulter efFeruntur ore. Sic cum transiretur
ex eo quod dicebatur haec oves, una non est dicta ovs sine J, 3 sed
additum I ac factum ambiguum verbum nominandi an patrici esse(t) 4 casus.
Ut ovis, et
avis. 77. Sic in obliquis casibus cur negent esse Diespitri
Diespitrem non video, nisi quod minus est tritum in consuetudine quam
Diespiter ; quod in nihil argumentum est : nam tarn casus qui non
tritus est quam qui est. Sed est(o) 1 in casuum serie alia vocabula
non habere nominandi, alia de obliquis aliquem: nihil enim ideo quo minus
siet 2 ratio per- cellere poterit hoc crimen. § 76. 1 Mi*e., for rois. 2
Hue., for rolis. 3 L. &/>., for una. 4 L, Sp., for esse.
§ 77. 1 L. Sp., for est. 2 Mue., for si et ; on the possi- bility
of the use of siet in V.'s time, cf Cicero, Orator 47. 157.
§ 76. ° Frux is found in Ennius, Ann. 314 (' honest man ') and 431
Vahlen 2 = R.O.L. i. 1 16-1 17 and 150-151 Warming- ton ; but nom. frugis
is not quotable from a text. b Colis may be cited from Lucilius, 135
Marx, and V., R. R. i. 41 . 6. 4 c V. is speaking on the basis that
the relation is nom. sing, ending in -s, nom. pi. in -es, as in
dux^ pi. duces. d Haec before oves is the sign of the nom. pi. fern. ; V.
appears to use hae before consonants, haec To this I answer that the
former have nomina- tives and the latter have oblique case-forms.
For the nominative of fntgi is by nature frux, but by usage we say
fntgis, a like avis * bird * and ovis ' sheep * ; so also, the nominative
of the other word is by nature cols and by usage colis. b Both of these
agree with the principle of Regularity, because it is perfectly
clear of what sort that form ought to be which is not in use, and
in that which is now in use in the nominative there is the same kind of
Regularity as most words have that are hard to pronounce when they
pass from the plural to the singular. So when the passage was made
from the spoken plural oves, d the form which was pronounced was not ovs
without I, but an I was added and the word became ambiguous as to
whether the case was nominative or genitive.* Like the nominative ovis is
also the nominative amis. 77. Thus I do not see why they say that
in the oblique cases Diespitri and Diespitrem are lacking, except
because they are less common in use than Diespiter. But the argument
amounts to nothing ; for the case-form which is uncommon is just as
much a case-form as that which is common. But let us grant that in
the list of case-forms some words lack the nominative and others lack
some one of the oblique cases ; for this charge will not for that
reason be able in any way to destroy the existence of a logical
relationship a among the forms. before vowels as here (and at the
sentence-end, as at v. 75). * V. is of course unaware of the fact that
some nouns of the third declension had stems ending in i and therefore
had a right to nominatives in is, while others had stems ending in
consonants and could have the ending is only by analogy with the
«-stems. § 77. ° That is, Regularity. Nam ut signa quae non
habent caput 1 aut aliquam aliam partem, nihilo minus 2 in reliquis
mem- bris eorum esse possunt analogiae, sic in vocabulis casuum
possunt item fieri (iacturae. Potest etiam refingi) 3 ac reponi quod
aberit, ubi patietur natura et consuetudo : quod nonnunquam apud
poetas invenimus factum, ut in hoc apud Naevium in Clas- tidio
: Vita insepulta laetus in patriam redux. XLVII. 79.
Itemreprehendunt,quoddicaturhaec strues, hie Hercules, 1 hie homo :
debuisset enim dici, si esset analogia, hie Hercul, haec strus, hie
hom(en. N)on 2 haec ostendunt no(mi)?*a 3 non
analogian esse, sed obliquos casus non habere caput ex sua
analogia. Non, ut si in Alexandri statua imposueris caput Philippi,
membra conveniant ad rationem, sic* et Alexandri membrorum simulacro 5
caput quod re- spondeat item sit ? Non, si quis tunicam in usu ita
consult, ut altera plagula 6 sit angustis clavis, altera latis, utraque
pars in suo genere caret analogia. XLVIII. 80. Item negant esse analogias, quod
§ 78. 1 After caput, M and Laetus deleted et. 2 For nihil hominus.
3 Added by GS. ; but the lost part may be some what longer. %
79. 1 p, Laetus, for Herculis. 2 GS. ; homen Canal ; for homon. 3 Kent,
for noua. 4 G, H, Aug., for sit. 5 A. Sp.yfor simulacrum. 6 Aldus, for
placula. § 78. a By regular formation. b Tray. Rom. Frag.,
Praet. II Ribbeck 3 . c Redux, not elsewhere found in the nom.
sing. § 79. If the nominatives were of the usual types, which
replace the .genitive ending -IS by -S or by nothing at all, like $11$,
animal, nomen, genitives suis, animalis, nominis. b That is, the
nominatives are not formed ' regularly ' from the oblique cases, but from
these nominatives of variant types For as some statues lack the head or
some other part without destroying the Regularities in their other
limbs, so in words certain losses of cases can take place, with as little
result. Besides, what is lacking can be remade a and put back into its
place, where nature and usage permit ; which we sometimes find done
by the poets, as in this verse of Naevius, in the Clastidium b :
With life unburied, glad, to fatherland restored.* XLVII. 79.
Likewise they find fault with the nominatives strues 1 heap,' Hercules,
homo * man ' ; for if Regularity actually existed, they say, these
forms should have been strus, Hercul, homen. a These nouns do not show
that Regularity is non-existent, but that the oblique cases do not have a
head or starting-point according to their type of Regularity. b Is
it not a fact that, if you should put a head of Philip on a statue of
Alexander and the limbs should be proportionately symmetrical, then the
head which does correspond to the statue of Alexander's limbs c
would likewise be symmetrical ? And it is not a fact that if one should
in practice sew together a tunic in such a way that one breadth of the
cloth has narrow border-stripes and the other has broad stripes,
each part lacks regular conformity within its own class. d
XLVIII. 80. Likewise they say that the Regu- the oblique
cases are formed regularly. c That is, the heads or nominatives may be
varied, but the limbs or oblique cases are of uniform type. d For there
are tunics with the broad stripe, worn by senators, and tunics with the
narrow stripe, worn by knights ; therefore, though the two halves
in the example do not belong together, each has its regular
precedent. alii dicunt cupressus, alii cupressi, item dc ficis
platanis et plerisque arboribus, dc quibus alii ex- tremum US, alii EI
faciunt. Id est falsum :
nam debent dici E et I, fici ut nummi, quod est ut num- mi^)
fici(s), 1 ut nummorum ficorum. Si essent plures ficus, essent ut manus ;
diceremus ut manibus, sic ficibus, et ut manuum, sic ficuum, neque has
ficos diceremus, sed ficus, ut non manos appellamus, sed (manus,
nec) 2 consuetude* diceret singularis obliquos casus huius fici neque hac
fico, ut non dici(t) 3 huius mani, 4 sed huius manus, (n)ec 5 hac mano,
sed hac manu. XLIX. 81. Etiam illud putant esse causae,
cur non sit 1 analogia, quod Lucilius scribit : Dccuis,
2 Sive decusibus est. Qui errant, quod Lucilius non
debuit dubitare, quod utrumque : nam in aere usque ab asse ad
centussis numerus aes significat, et eius numero finiti casus omnes
3 ab dupondio sunt, quod dicitur a multis duobus modis hie dupondius et
hoc dupondium, ut § 80. 1 L. Sp., for nummi fici. 2 Added by Mue. ;
manus neque L. Sp. 3 Aug., for dici. 4 M, Laetus,for manui. 5 L. Sp., for
et. §81. 1 After sit, Aldus deleted in. 2 Lachmann ; decussi
Mue. ; for decuis. 3 For omnis. § 80. ° As belonging to the
fourth and the second de- clensions respectively. b This shows that V.
wrote the nominative plural of the second declension with EI, and
not with I ; but it would be pedantic to substitute such spellings
throughout 4 his works, or even merely in this section. c As type of the
second declension. d As type of the fourth declension. larities do
not exist, because some say cupressus ' cypress-trees ' in the plural and
others say cupressif and similarly with fig-trees, plane-trees, and
most other trees, to which some give the ending US and others give
EI. This is wrong ; for the tree-names ought to be spoken with E and l 9
b Jici like nummi c ' sesterces,* because the ablative is jicis like
nummis, and the genitive is ficorum like nummorum. If the plural
were Jicus, then it would be like mantis d * hand ' ; we should say
ablative Jicibus like manibus, and genitive jicuum like manuum 9 and we
should not say accusative Jicos, but Jicus, just as we do not say
accusative vianos but manus ; nor would usage speak the oblique cases of
the singular genitive Jici and ablative Jico, just as it does not say
genitive mani but manus, nor ablative mono but manu. XLIX.
81. Moreover, they think that there is proof of the non-existence of
Regularity, in the fact that Lucilius writes a ; Priced a
teiww, or else we may say at ten-asses. b They are in error,
because Lucilius should not have been uncertain as to the form, since
both are right. For in copper money, from the as to the
hundred-a-y, the number adds to itself the meaning of the copper
coin, and all its case-forms are limited by its numerical value, starting
from the dupondius * two-as piece,' which is used by many in two ways,
masculine dupondius and neuter dupondium, like gladius and
§81. ° Lucilius, 1153-4 Marx. "Or decussis, decus- sibus; but
the single S is elsewhere attested in these words, and Lucilius may well
have followed the older orthography, which doubled no consonants. On the
as, cf. v. 169* c As first element in the compound. hoc gladium et
hie gladius ; ab tressibus virilia multi- tudinis hi tresses et "
his tressibus confido," singulare " hoc tressis habeo " et
" hoc tres(s)is 4 confido," sic deinceps a(d) 5 centussis.
Deinde numerus aes non significatf. 6 82. Numeri qui aes non
significant, usque a quat- tuor ad centum, triplicis habent formas, quod
dicun- tur hi quattuor, hae quattuor, haec quattuor ; cum perventum
est ad mille, quartum assumit singulare neutrum, quod dicitur hoc mille
denarium, a quo multitudinis fit milia denarii. 1 S3. Quare
gwo(nia)m 1 ad analogias quod pertineat non (opus) 2 est ut omnia similia
dicantur, sed ut in suo quaeque genere similiter declinentur,
stulte quaerunt, cur as et dupondius et tressis non dicantur
proportione, cum as 3 sit simple^, 4 d?*pondius 5 fictus, quod duo asses
pendebat, 6 tressis ex tribus aeris quod sit. Pro assibus nonnunquam aes
dicebant antiqui, a 4 For tresis. 5 Aug., for a. 6 Aug., for
significans. § 82. 1 Aug.) for denaria. § 83. 1 Mue., for
cum. 2 Added by GS. 3 as sit Aldus, for adsit. 4 For simples. 5 For
dipondius. 6 Aug., for pendebant. d Cf. v. 116 and viii. 45.
"The value-names tressis to centussis were invariable in the
singular, but had a full set of cases in the plural, without multiplying the
value of the term ; thus tresses in the plural still means ' three asses
' precisely like the singular. § 82. ° One invariable form
serves for three genders. b Mille is not only an indeclinable plural
adjective, of three genders, but also a neuter noun in the singular, upon
which a genitive depends ; and in this last capacity it has a
plural, which is declinable. c The denarius was a Roman silver
coin, equivalent to the Greek drachma, and in modern times gladium*
From tressis 4 three-as ' there is a mascu- line plural 3 tresses in the
nominative and tressibus in the ablative, as in "I trust in these
three asses," singular tressis as in " I have this three-flj
" and " I trust in this three-as." The same usage is
followed all the way to centussis 4 hundred-^. ' e From here on,
the numeral does not denote money any more than other things.
82. The numerals which do not signify money, from quaiiuor 4 four '
to centum 4 hundred/ have forms of triple function, because quaituor is
masculine, feminine, and neuter. When mille 4 thousand ' is
reached, it takes on a fourth function, 6 that of a singular neuter,
because the expression in use is mille 4 thousand * of denarii, c from
which is made a * plural, milia 1 thousands * of denarii. 83.
Since therefore so far as concerns the Regu- larities it is not essential
that all words that are spoken should be alike in their systems, but only
that they should be inflected alike each in its own class, those
persons are stupid who ask why as and dupondius and tressis are not
spoken according to a regular scheme ; for the as is a single unit, the
dupondius is a compound term indicating that it pendebat 1 weighed
' duo 1 two ' asses, and the tressis is so called a because it is
composed of tres 4 three ' units of aes 4 copper.' Instead of asses, the
ancients used sometimes to say aes 6 ; a usage which survives when we
hold an as in to the Swiss franc (about Is. 4d. English, or 32
cents U.S.A., in 1936). § 83. ° From tres and as, not from
tres and aes. b But in the genitive, if with a numeral ; just as we say
" four o'clock," = " four (hours) of the clock " ; in
the singular, aes might mean * money ' collectively, like the French
argent, and sometimes even a * copper piece.' quo dicimus assem
tenentes " hoc 7 aere aeneaque libra " et " mille aeris
legasse." 84. Quare quod ab tressis usque ad centussis 1
numeri ex (partibus) 2 eiusdem modi sunt compositi, eiusdem modi habent similitudinem
: dupondius, quod dissimilis est, ut debuit, dissimilem habet
rationem. Sic as, quoniam
simplex est ac principium, et unum significat et multitudinis habet suum
in- finitum : dicimus enim asses, quos cum finimus, dicimus
dupondius et tressis et sic porro. 85. Sic videtur mihi, quoniam
finitum et infinitum habeat dissimilitudinem, non debere utrumque
item dici, eo magis quod in ipsis vocabulis 1 ubi additur certus
numerus miliar(i)is 2 aliter atque in reliquis dicitur : nam sic
loquontur, hoc mille denarium, non hoc mille denari(orum), 3 et haec duo
milia denarn/m, 4 non duo milia denari(orum). 5 Si esset denarii in
recto casu atque infinitam multitudinem significaret, tunc in patrico
denariorum dici oportebat ; et non solum in denariis, victoriatis,
drachmis,* nummis, sed etiam in viris idem servari oportere, cum
dicimus 7 After hoc, Brissonius deleted ab. § 84. 1 Aug., for
ducentussis. 2 Added by GS. % 85. 1 M 9 Laetus, for vocalibus. 2
Miie. ; milliards L. Sp. ; for militaris. 3 L. Sp.,for denarii. 4 Aug.,
for denaria. 5 Christ, for denarii. 6 Rhol^for et rachmis.
c A legal survival used in symbolic sales, cf. v. 163; for the
ancient as UbraUs (cf v. 169) had long since been decreased in weight and
was not coined after 74 b.c. § 84. ° Even as dies and annus were
not modified by the lower numerals ; for such phrases the Romans
substituted biduum, triduum, biennium, triennium> etc. So for
sums the hand and say " with this aes * copper piece '
and aenea libra ' pound of copper/ " c and also in the legal
formula " to have bequeathed a thousand (asses) of aes * copper.*
'* 84. Therefore, because the numerals from tressis to
centussis are compounded of parts of the same kind, they have a likeness
of the same kind ; but the word dupondius, because it is different in
formation, has a different system of declension, as it should have.
So also the as, because it is a single unit and is the beginning, means
one and has its own in- definite plural, for we say asses ; but when we
limit them numerically, we say dupondius and tressis and so on.
a . 85. Thus it seems to me that since the definite and the
indefinite have an inherent difference, the two ought not to be spoken in
the same fashion, the more so because in the words themselves, when
they are attached to a definite number in the thousands, a form is
used which is not the same as that used in other expressions. For they
speak thus : mille dena- rium a * thousand of denarii,' not denariorum,
and two milia denarium ' thousands of denarii,* not denariorum. If
it were denarii in the nominative and it denoted an indefinite quantity,
then it ought to be denariorum in the genitive ; and the same distinction
must be pre- served, it seems to me, not only in denarii, victoriati,
h drachmae, and nummi, but also in viri, when we say from 2
to 100 asses, the compound words were used, and not asses with the
numeral. § 85. a For names of weights and measures, and for
some other words, the old genitive in -um continued in use long
after the new form in -onim had been generalized. 6 The vktoriatus was a
silver coin stamped with a figure of Victory, and worth half a
denarius. iudicium fuisse triumvirum, decem(virum, centum)- wum, 7
non (triumvirorum, decemvirorum), 8 centum- virorum. 86.
Numeri antiqui habent analogias, quod omni- bus est una 1 regula, duo
actus, tres gradus, sex de- curiae, qua(e) 1 omnia similiter inter se
respondent. Regula 3 est numerus novenarius, quod, ab uno ad novem
cum pervenimus, rursus redimus ad unum et V(IIII) 4 ; hinc et LX(XXX) 6
et nongenta 6 ab una sunt natura novenaria ; sic ab octonaria, et
deo(r)sum versus ad singularia perveniunt. 87. Actus primus
est ab uno (ad) 1 DCCCC, se- cundus a mille ad nongenta* milia ; quod
idem valebat unum et mille, utrumque singulari nomine appellatur :
nam ut dicitur hoc unum, haec duo, (sic hoc mille, haec duo) 3 milia et
sic deinceps multitudinis in duobus actibus reliqui omnes item numeri.
Gradus singu- laris est in utroque actu ab uno ad novem, denariws 4
gradus (a) 5 decern ad LX(XXX), 6 centenarius a cen- tum (ad) 7 DCCCC. Ita tribus gradibus sex
decuriae fiunt, tres miliariae, tres 8 minores. Antiqui his numeris
fuerunt contenti. 7 Added by L. Sp. 8 Added by A. Sp., after
Aldus. §86. 1 After una, L. Sp. deleted non novenaria (Aug.
deleted non). 2 Rhol., for qua. 3 Sciop., for regulae. 4 novem L. Sp., for
V. 5 nonaginta Aldus, for LX. 6 L. Sp. ; nongenti G, H ; for
nungenti. § 87. 1 Added by Aug. 2 For nungenta. 3 Added by
Gronov. 4 Aug., for denarios. 5 Added by Aug. 6 nonaginta Aug., for LX. 7
Added by Aug. 6 L. Sp., for miliaria etres. c The
tresviri or triumviri capitales, in charge of prisons and that there has
been a decision of the triumvirs, c the decemvirs, d the centum virs, e
all of which have the genitive virum and not virorum. 86. The
old numbers have their Regularities, because they all have one rule, two
acts, three grades, and six decades, all of which show regular internal
correspondences. The rule is the number nine, because, when we have gone
from one to nine, we return again to one and nine ° ; hence both ninety
and nine hundred are of that one and the same nine- containing
nature. So there are numbers of eight- containing nature, 6 and going
downwards they arrive at those which are merely ones. 87. The
first act ° is from one to nine hundred, the second from one thousand to
nine hundred thousand. Because one and thousand are alike unities,
both are called by a name in the singular ; for as we say 1 this one '
and ' these two,* so we say 1 this thousand ' and ' these two thousands/
and after that all the other numbers in the two acts are likewise
plural. The unitary grade is found in both acts, from one to nine ; the
denary grade extends from ten to ninety ; the centenary grade from
hundred to nine hundred. Thus from the three grades, six decades are
made, three in the thousands, and three in the smaller numbers. The
ancients were satisfied with these numerals. executions. *The
decemviri stlitibus iudicandis, a per- manent board with jurisdiction
over cases involving liberty or citizenship. * The centumviri or board of
judges with jurisdiction over civil suits, especially those involving
in- heritances. § 86. As multiples of ten ; and then as
multiples of one hundred. 6 But these do not constitute the 4
rule.* § 87. Technical term, taken from the drama. Ad 1 hos tertium
et quartum actum (addcntes) 2 ab decie(n)s (et ab deciens miliens) 2
minores im- posuerunt vocabula, neque rationc, sed tamen non contra
est earn de qua scribimus analogiam. Nam 3 deciens 4 cum dicatur hoc
deciens ut mille hoc mille, ut sit utrumque sine casibus vocis, dicemus
ut hoc mille, huius mille, sic hoc deciens, huius deciens, neque eo
minus in altero, quod est mille, praeponemus hi mille, horum mille, (sic
hi deciens, horum deciens). 5 L. 89. Quoniam in eo est nomen co(m)mune,
quam vocant ofnovvfuav, 1 obliqui casus ab eodem capite, ubi erit
ofuavvfiia, 2 quo minus dissimiles fiant, analogia non prohibet. Itaque
dicimus hie Argus, cum hominem dicimus, cum oppidum, Graec(e
Graec)an(i)ceve 3 hoc Argos, cum Latine (hi) 4 Argi. Item faciemus, si
eadem vox nomen et 5 verbum significant, 6 ut et in casus et in tempora
dispariliter declinetur, ut faciemus a Meto quod nomen est Metonis
Metonem, quod verbum estmetammetebam. § 88. 1 For ab. 2 Added by
Kent, after Mue. (actum ab deciens minorem, (a deciens miliens maiorem
addentes), imposuerunt). 3 A fter nam, L. Sp. deleted ut. 4 Aug.,
for decienis. 6 Added by L. Sp. ; there may have been other text also in
the lacuna. § 89. 1 For omonimyan. 2 For omonimya / after
which Aug. deleted obliqui casus. 3 Fay, cf. x. 71 ; graecanice
Pius ; for graecancaene. 4 Added by Vertranius ; (hei) Aug. 6 Pius, for
nominet. 6 Pius, for significavit. Elliptic for decies centena milia '
ten times a hundred thousands.* b Similarly elliptic for decies
milies centena milia. c V. seems not to know the abl. sing. milll,
found in Plautus, Bac. 928 (assured by the metre), and in Lucilius, 327
and 506 Marx (assured by Gellius, i. 10. 10-13). To these, their
descendants added a third and a fourth act, imposing names which started
from deciens a ' million ' and deciens miliens b ' thousand million
' ; and though the names were not formed by logical relation with the lower
numerals, still their for- mation is not in conflict with the Regularity
about which we are writing. For inasmuch as deciens is used as a
neuter singular like mille, so that both words are without change of form
for the various cases, 6 we shall use deciens unchanged as nominative and
as genitive, even as we do mille ; and none the less shall we set
before mille the signs of nominative and of genitive plural, because
mille is also in the other number — and so also shall we speak of* these
deciens ' in the same cases. L. 89. When a noun is the same
in the nomina- tive though it has more than one meaning, in which
instance they call it a homonymy, Regularity does not prevent the oblique
cases from the same starting form in which the homonymy is, from being
dis- similar. Therefore we say Argus in the masculine, when we mean
the man, but when we mean the town we say, in Greek or in the Greek
fashion, Argos a in the neuter, though in Latin it is Argi,
masculine plural. Likewise, if the same word de- notes both a noun and a
verb, we shall cause it to be inflected both for cases and for tenses,
with different inflection for noun and verb, so that from Melo as a
noun, a man's name, we form gen. Metonis, acc. Metonem, but from meto as
a verb, * I reap/ we form the future metam and the imperfect
metebam. § 89. ° The homonymy is not perfect, since the forms
are Argus and Argos ; the neuter Argos is found in Latin only in
nom. and acc. Reprehendunt, cum ab eadem voce plura sunt vocabula
declinata, quas a-vvtawfitas 1 appellant, ut 2 Alc(m)#eus 3 et Alc(m)«eo,
3 sic Gen/on, Ger?/o- n(e)us, 4 Ger^ones. In hoc genere quod casus
per- peram permutant quidam, non reprehendunt ana- logiam, sed qui
eis utuntur imperite ; quod quisque caput prenderit, sequi debet eius
consequenti(s) 5 casus in declinando ac non facere, cum dixerit
recto casu Alc(m)aeus, 6 in obliquis 7 Alc(m)«eoni 6 et Alc(m)aeonem
6 ; quod si miscuerit et non secutus erit analogias,
reprehendendum. LII. 91. (Reprehendunt) 1 Aristarchum, quod
haec nomina Melicertes et Philomedes similia neget esse, quod vocandi
casus habet alter Melicerta, alter Philomede(s), 2 sic qui dicat lepus et
lupus non esse simile, quod alterius vocandi casus sit lupe,
alterius lepus, sic socer, macer, quod in transitu fiat ab altero
triss/llabum soceri, ab altero bisyllabum macri. 92. De hoc etsi
supra responsum est, cum dixi de lana, hie quoque 1 amplius adiciam
similia non solum §90. 1 For synonimyas. 2 After ut, Aug.
deleted sapho et. 3 Kent, for alceus and alceo, usually corrected
to Alcaeus, Alcaeo, though a variant nominative Alcaeo is unknown ;
whereas Alcumeus occurs in Plant us* Capt. 562, and Alcmaeo in Cicero,
Acad. Priora ii. 28. 89, and else- where. 4 Mue., for gerionus. 6 L.
Sp.,for consequenti. • Kent, for alceus, alceoni, alceonem ; cf. crit.
note 3. 7 After obliquis, Mue. deleted dicere. §91. 1 Added
by L. Sp„ after Aug. 2 Mue., for philomede. § 92. 1 For hie
hie quoque. Son of Amphiaraus and Eriphyle, who killed his mother at
the command of his father, because she tricked him into going to a war in
which he was destined to die ; cf. also the critical note. b The
three-bodied giant whom Hercules They find fault when from the same
utterance two or more word-forms are derived, which they call synonymns,
such as Alcmaeus and Alanaeo, a and also Geryon, Geryoneus, GeryonesS* As
to the fact that in this class certain speakers interchange the
case-forms wrongly — they are not finding fault with Regularity, but with
the speakers who use those case- forms unskillfully : each speaker ought
to follow, in his inflection, the case-forms which attend upon the
nominative which he has taken as his start, and he ought not to make a
dative Alcmaeoni and an accusative Alcmaeonem when he has said Alcmaeus
in the nominative ; if he has mixed his declensions and has not
followed the Regularities, blame must be laid upon him. LII.
91. They find fault a with Aristarchus for saying that the names
Meliceries and Pkilomedes are not alike, because one has as its vocative
Melicerta, and the other has Pkilomedes b ; and likewise with those
who say that lepus * hare ' and lupus ' wolf * are not alike, because the
vocative case of one is lupe and of the other is lepus, and with those
who say the same of socer ' father-in-law * and macer ' lean/
because in the declensional change there comes from the one the
three-syllabled genitive soceri and from the other the two-syllabled
genitive macri. 92. Although the answer to this was given
above when I spoke about the kinds of wool, I shall make here some
further statements : the likenesses of overpowered and robbed of
his cattle ; all three forms are known in Greek, but only Geryon and
Geryones in Latin. §91. a Cf. viii. 68. b The Greek nominatives end
in -17s, but the vocatives end in -a and -€s respectivelv. §
92. a C/. ix. 39.a facie dici, sed etiam ab aliqua coniuncta vi et
potestate, quae et oculis et auribus latere soleant : itaque saepe gemina
facie mala negamus esse similia, si sapore sunt alio ; sic equos eadem
facie nonnullos negamus esse similis, (s)i 2 natione s(unt) 3 ex
procreante dissimiles. 4 93. Itaque in hominibus emendis, si natione alter est
melior, emimus pluris. Atque in hisce
omnibus similitudines non sumimus tantum a figura, sed etiam
aliu for externi. §101. ° Present imperative, future imperative,
present subjunctive. b The indicative mood. c V. dis- regards the,
plural forms in this calculation. § 102. ° Meaning 1 mood ' ; cf. §
95, note a. b Cf ix. 75-79. used to say present esum es est,
imperfect eram eras erat, future ero eris erit. In this same fashion you
will see that the other verbs of this kind preserve the principle of
Regularity. LVIII. 101. Besides, they find fault with Regu-
larity in this matter, that certain verbs have not the three persons, nor
the three tenses ; but it is with lack of insight that they find this
fault, as if one should blame Nature because she has not shaped all
living creatures after the same mould. For if by nature not all
forms of the verbs have three tenses and three persons, then the
divisions of the verbs do not all have this same number. Therefore when
we give a com- mand, a form which only the verbs of uncompleted
time have — when we give a command to a person present or not actually
present, three verb-forms a are made, like lege ' read (thou)/ legito '
read (thou) * or ' let him read/ legal ' let him read 1 : for
nobody gives a command with a form denoting action already
completed. On the other hand, in the forms which denote declaration, 6
like lego ' I read/ legis * thou readest/ legit ' he reads/ there are nine
verb-forms of uncompleted action and nine of completed
action. LIX. 102. For this and similar reasons the question
that should be asked is not whether one kind ° disagrees with another
kind, but whether there is anything lacking in each kind. If to
these there is added what I said above b about nouns, all
difficulties will be easily resolved. For as the nomina- tive case-form
is in them the source for the derivative cases, so in verbs the source
for other forms is in the form which expresses the person of the speaker
and the present tense : like scribo * I write/ lego ' I read.' Quare
ut illic fit, si 1 hie item acciderit, in formula ut aut caput non sit
aut ex alieno genere sit, proportione eadem quae illic dicimus, cur
nihilominus 2 servctur analogia. Item, sicut illic caput suum
habebit et in obliquis casibus transitio erit in ali(am) quam 3 formulam,
qua assumpta reliqua facilius possint videri verba, unde sint declinata
(fit enim, ut rectus casus nonnunquam sit ambiguus), ut in hoc
verbo volo, quod id duo significat, unum a voluntate, alterum a volando ;
itaque a volo intellegimus et volare et velle. LX. 101. Quidam reprehendunt,
quod pluit et luit dicamus in praeterito et praesenti tempore, cum
analogize sui cuiusque temporis verba debeant dis- criminare. Falluntur :
nam est ac putant aliter, quod in praeteritis U dicimus longum pluit
(luit), 1 in praesenti breve pluit luit : ideoque in lege vendi-
tions fundi " ruta caesa " ita dicimus, ut U produ-
camus. LXI. 105. Item reprehendunt quidam, quod putant idem
esse sacrifico 1 et sacrificor, lavat 2 et lavatur ; quod sit an non,
nihil commovet analogian, dum sacrifico 3 qui dicat servet sacrificabo et
sic per § 103. 1 Mite.,, for sic. 2 For nichilominus. 3 Mue., for aliquam.
§ 104. 1 Added by Aug. § 105. 1 Aug.> for sacrificio. 2 L.
Sp. ; sacrificor et lavat Aug. ; for sacrifico relauat. 3 Aug,) for
sacrifici. § 103. ° Cf ix. 76. § 104. a Found in older
Latin, but seemingly shortened by about V.'s time. 6 One might exempt
from inclu- sion in the sale of a property all things dug up (sand,
chalk, ete.) and ail things cut down (timber, etc.), even though
they were still unwrought materials. c The u is short in the
compounds erutus^ obrutus, etc. Wherefore, if it has happened in verbs as
it does happen in nouns, that in the pattern the starting- point is
lacking or belongs to a different kind, we give the same arguments here
which we gave there, with suitable changes in application, as to why and
how Regularity is none the less preserved. And as in nouns the word
will have its own peculiar starting- point and in the oblique cases there
will be a change to some other pattern, on the assumption of which
it can be more easily seen from what the word-forms are derived
(for it happens that the nominative case-form is sometimes ambiguous), so
it is in verbs, as in this verb volo, because it has two meanings, one
from wishing and the other from flying ; therefore from volo we
appreciate that there are both volare ' to fly ' and velle * to
wish/ LX. 104. Certain critics find fault, because we say
pluit * rains ' and luit * looses ' both in the past tense and in the
present, although the Regularities ought to make a distinction between
the verb-forms of the two tenses. But they are mistaken ; for it is
otherwise than they think, because in the past tense we say pluit and
luit with a long U, a and in the present with a short U ; and therefore
in the law about the sale of farms we say rata caesa ' things dug up
and things cut,' 6 with a lengthened u. c LXI. 105. Likewise
certain persons find fault, because they think that active sacrifico ' I
sacrifice ' and passive sacrificor, active lav at * he bathes ' and
passive lavatur, are the same ° : but whether this is so or not, has no
effect on the principle of Regularity, provided that he who says
sacrifico sticks to the future § 105. ° With the same meaning ; but
the passive of these verbs sometimes has true passive meaning. totam
formam, ne dicat sacrificatur 4 aut sacrificatus sum : haec cnim inter se
non conveniunt. 106. Apud Plautum, cum dicit : Piscis
ego credo qui usque dum vivunt lavant Diu minus lavari 1 quam haec lavat
Phronesium, ad lavant lavari non convenit, ut I 2 sit
postremum, sed E ; ad lavantur analogia lavari reddit : quod Plauti
aut librarii mendum si est, non ideo analogia, sed qui scripsit est
reprehendendus. Omnino et
lavat 3 et lavatur dicitur separatimrecte in rebus certis, quod puerum
nutrix lava(t), 4 puer a nutrice lavatur, nos in 6alneis et lavamus et
lavamur. 107. Sed consuetudo alterum utrum cum satis haberet,
in toto corpore potius utitur lavamur, in partibus lavamus, quod dicimus
lavo manus, sic pedes et cetera. Quare
e balneis non recte dicunt lavi, lavi manus recte. Sed quoniam in balneis
lavor lautus sum, scquitur, ut contra, quoniam est soleo,
oporte(a)ti dici solui, ut Cato et Ennius scribit, non ut dicit
volgus, solitus sum, debere dici ; neque propter haec, quod discrepant in
sermone pauca, minus est analogia, ut supra dictum est. 4 L. Sp. f /or
sacrificaturus. § 106. 1 Plautus has minus diu lavare. 2 II, for
T. 3 II, for lauant. 4 For laua. § 107. 1 Mue.,for
oportet. § 106. ° True. 322-323. § 107. °\The passive
form as a middle or reflexive, but the active form as a transitive
requiring an object. b Frag, inc. 54 Jordan. e Frag. inc. 26 Vahlen 2 .'
* Cf. ix. 33. sacrificabo and so on in the active, through the whole
paradigm, avoiding the passive sacrificatur and sacrificatus sum : for
these two sets do not harmonize with each other. 106. In
Plautus, when he says a : The fish, I really think, that bathe
through all their life, Are in the bath less time than this
Phronesium, lavari * are in the bath/ with final I instead of E,
does not attach to lavant * bathe ' : Regularity refers lavari to
lavantur, and whether the error belongs to Plautus or to the copyist, it
is not Regularity, but the writer that is to be blamed. At any rate,
lavat and lavatur are used with a difference of meaning in certain
matters, because a nurse lavat 1 bathes ' a child, the child lavatur ' is
bathed ' by the nurse, and in the bathing establishments we both lavamus
* bathe * and lavamur ' are bathed.' 107. But since usage
approves both, in the case of the whole body one uses rather lavamur * we
bathe ourselves,' and in the case of portions of the body lavamus *
we wash,' in that we say lavo * I wash ' my hands, my feet, and so on.°
Therefore with reference to the bathing establishments they are wrong
in saying lavi * I have bathed,' but right in saying lavi * I have
M ashed * my hands. But since in the bathing establishments lavor * I
bathe ' and lauius sum * I have bathed,' it follows that on the other
hand from soleo 1 I am wont,' which is in the active, one ought to
say solui 4 I have been wont,' as Cato 6 and Ennius c write, and that
solitus sum, as the people in general say, ought not to be used. But as I
have said above,** Regularity exists none the less for these few
in- consistencies which occur in speech. Item cur non sit analogia,
a^erunt, 1 quod ab similibus similia non declinentur, ut ab dolo et
colo : ab altero enim dicitur dolavi, ab altero colui ; in quibus assumi
solet aliquid, quo facilius reliqua dicantur, ut i(n) 2 M^rmecidis 3
operibus minutis solet fieri : igitur in verbis temporalibus, quo(m) 4
simili- tudo saepe sit confusa, ut discerni nequeat, nisi trans-
ieris in aliam personam aut in tempus, quae pro- posita sunt no(n e)sse 5
similia intellegitur, cum trans- itum est in secundam personam, quod
alterum est dolas, alterum colis. 109. Itaque in reliqua forma verborum suam
utr(um)que 1 sequitur formam. Utrum in secunda (persona) 2 forma verborum
temporalz(um) 3 habeat in extrema syllaba AS (an ES) an IS a(u)t IS, 4
ad discernendas similitudines interest : quocirca ibi potius index
analogiae quam in prima, quod ibi abstrusa est dissimilitudo, ut apparet
in his meo, neo, ruo : ab his enim dissimilia fiunt transitu, quod
sic dicuntur meo meas, neo nes, ruo ruis, quorum unumquodque suam
conservat similitudinis formam. LXIII. 110. Analogiam item de his
quae appel- lantur participia reprehendunt multz 1 ; iniuria : nam
non debent dici terna ab singulis verbis amaturus amans amatus, quod est
ab amo amans et amaturus, § 108. 1 adferunt Aug., for asserunt. 2 Aug., for uti.
3 Plus, for murmecidis. 4 Aug., for quo. 5 Vertranius, for nosse.
§ 109. 1 Schp.,for uterque. 2 Added by L. Sp. 3 h. Bp., for
temporale. 4 L. Sp. (aut ES Canal), for as anis at si. § 110.
1 GS.,for multa. § 108. Just as we nowadays take the infinitive to
show the conjugation, adding the perfect active and the passive Likewise,
they present as an argument against the existence of Regularity the fact
that like forms are not derived from likes, as from dolo 4 1 chop '
and colo 4 I till ' ; for one forms the perfect dolavi and the other
forms colui. In such instances some- thing additional is wont to be taken
to aid in the making of the other forms, a just as we do in the
tiny art-works of Myrmecides b : therefore in verbs, since the
likeness is often so confusing that the distinction cannot be made unless
you pass to another person or tense, you become aware that the words
before you are not alike when passage is made to the second person,
which is dolas in the one verb and colis in the other. 109.
Thus in the rest of the paradigm of the verbs each follows its own
special type. Whether in the second person the paradigm of verbs has in
the final syllable AS or ES or IS or IS, is of importance for
distinguishing the likenesses. Wherefore the mark of Regularity is in the
second person rather than in the first, because in the first the
unlikeness is concealed, as appears in meo 4 I go/ neo 4 I sew,' ruo 4 1
fall ' ; for from these there develop unlike forms by the change
from first to second person, because they are spoken thus : meo meas, neo
nes, ruo rids, each one of which preserves its own type of
likeness. LXIII. 110. Likewise, many find fault with
Regularity in connexion with the so-called parti- ciples ; wrongly : for
it should not be said that the set of three participles comes from each
individual verb, like amaturus 4 about to love,' amans ' loving,'
amaius 4 loved,' because amans and amaturus are from participle to
make up the "principal parts" which are our guide. » Cf. vii.
1. ab amor 2 amatus. Illud analogia quod praestare debet, in suo
quicque genere habet, casus, ut amatus amato et amati amatis ; et sic in
muliebribus amata et amatae ; item amaturus eiusdem modi habet
declinationes, amans paulo aliter ; quod hoc genus omnia sunt in suo
genere similia proportione, sic virilia et muliebria sunt eadem.
LXIV. 111. De eo quod in priore libro extremum est, ideo non es(se)
analogia(m), 1 quod qui de ea scripserint aut inter se non conveniant aut
in quibus conveniant ea cum consuetudinis discrepant 2 verbis,
utrumque (est leve) 3 : sic enim omnis repudiandum erit artis, quod et in
medicina et in musica et in aliis multis discrepant scriptores ; item in
quibus conveniunt m 4 scriptis, si e(a) tam(en) 5 repudiat 6 natura
: quod ita ut dicitur non sit ars, sed artifex reprehendendus, qui (dici)
7 debet in scribendo non vidisse verum, non ideo non posse scribi
verum. 112. Qui dicit hoc monti et hoc fonti, cum alii dicant
hoc monte et hoc fonte, sic alia quae duobus modis dicuntur, cum alterum
sit verum, alterum falsum, non uter peccat tollit analogias, sed
uter recte dicit confirmat ; et quemadmodum is qui 1 peccat in his
verbis, ubi duobus modis dicuntur, non 2 Aug. ; amaturus ab amabar Rhol.
; for ab amaturus amabar. §111. 1 Mue. 9 for est analogia. 2
Mue., for dis- crepant. 3 Added by GS. ; falsum A, Sp. ; falsum est
Popma. 4 A. Sp., for ut. 5 GS., for etiam. 6 For repudiant. 7 Added by
GS. § 112. 1 L. Sp.,for quicum. §112. fl C/.
viii. 66. the active amo, and amatus is from the passive amor. But
that which Regularity can offer, which the parti- ciples have, each in
its own class, is case-forms, as amatus, dative amato, and plural amati,
dative amatis ; and so in the feminine, amata and plural amatae.
Likewise amaturus has a declension of the same kind. Amans has a somewhat
different declension ; because all words of this kind have a regular
likeness in their own class, amans, like others of its class, uses
the same forms for masculine and for feminine. LXIV. 111.
About the last argument in the pre- ceding book, that Regularity does not
exist for the reason that those who have written about it do not
agree with one another, or else the points on which they agree are at
variance with the words of actual usage, both reasons are of little
weight. For in this fashion you will have to reject all the arts,
because in medicine and in music and in many other arts the writers
do not agree ; you must take the same attitude in the matters in which
they agree in their writings, if none the less nature rejects their
conclusions. For in this way, as is often said, it is not the art but
the artist that is to be found fault with, who, it must be said,
has in his writing failed to see the correct view ; we should not for
this reason say that the correct view cannot be formulated in
writing. 112. As to the man who uses as ablatives monti '
hill ' and fonti * spring ' while others say monie and fontef along with
other words which are used in two forms, one form is correct and the
other is wrong, yet the person who errs is not destroying the Regu-
larities, but the one who speaks correctly is strength- ening it ; and as
he who errs in these words where they are used in two forms is not
destroying logical vol. n m tollit rationem cum sequitur falsum, sic
etiam in his (quae) 2 non 3 duobus dicuntur, si quis aliter putat
dici oportere atque oportet, non scientiam tollit orationis, sed suam
inscientiam denudat. LXV.
113. Quibus rebus solvi arbitraremur posse quae dicta sunt priori libro
contra analogian, ut potui brevi percucurri. Ex quibus si id confecissent
1 quod volunt, ut in lingua Latina esset anomalia, tamen nihil
egissent 2 ideo, quod in omnibus partibus mundi utraque natura inest,
quod alia inter se (similia), 3 alia (dissimilia) 3 sunt, sicut in
animalibus dissimilia sunt, ut equus bos ovis homo, item alia, et in
uno quoque horum genere inter se similia innumerabilia. Item in
piscibus dissimilis murctena lupo, is 4 soleae, haec muraenae 5 et
mustelae, sic aliis, ut maior ille numerus sit similitudinum earum quae
sunt separatim in muraenis, separatim in asellis, sic in generibus
aliis. 114. Quare cum in inclinationibus verborum numerus sit magnus a
dissimilibus verbis ortus, quod etiam vel maior est in quibus
similitudines reperiun- tur, confYtendum 1 est esse analogias. Itemque 2
cum ea non multo minus quam in omnibus verbis patiatur uti
consuetudo co(m)munis, fatendum illud quoquo 2 Added by Aug. 3
After non, Aug. deleted in. §113. 1 For conficissent. 2 Aug., for legissent.
3 Added by Mue. 4 L. Sp.,for his. 5 G, II, Aldus, for nerene.
§114. 1 Aug., for conferendum. 2 Aug., for item quae. 6
That is, wrong forms not recognized as having a limited currency, but
practically individual with the speaker. § 113. a The
identification of the various kinds of fish is system when he follows the
wrong form, so even in those words which are not spoken in two ways,
a person who thinks they ought to be spoken otherwise than they
ought, b is not destroying the science of speech, but exposing his own
lack of knowledge. LXV. 113. The considerations by which we
might think that the arguments could be refuted which were
presented against Regularity in the preceding book, I have touched upon
briefly, as best I could. Even if by their arguments they had achieved
what they wish, namely that in the Latin language there should be
Anomaly, still they would have accom- plished nothing, for the reason
that in all parts of the world both natures are present : because
some things are like, and others are unlike, just as in animals
there are unlikes such as horse, ox, sheep, man, and others, and yet in
each kind there are countless individuals that are like one another.
In the same way, among fishes, the moray is unlike the wolf-fish,
the wolf-fish is unlike the sole, and this is unlike the moray and the
lamprey, and others also ; though the number of those resemblances is
still greater, which exist separately among morays, among codfish,
and in other kinds of fish, class by class.* 1 114. Now
although in the derivations of words a great number develop from unlike
words, still the number of those in which likenesses are found is
even greater, and therefore it must be admitted that the
Regularities do exist. And likewise, since general usage permits us to
follow the principle of Regularity in almost all words, it must be
admitted that we ought in some instances uncertain, but is not
important for V.'s argument. 7w{o)do* analogian sequi nos debere
universos, singulos autem praeterquam in quibus verbis ofFen- sura
sit consuetudo co(m)munis, quod ut dixi aliud debet praestare populus,
aliud e populo singuli homines. 115. Ncque id mirum est, cum
singuli quoque non sint eodem hire : nam liberius potest poeta quam
orator sequi analogias. Quare cum hie liber id quod pollicitus est
demonstraturum absolved/, 1 faciam finem ; proxumo deinceps de
dcclinatorum verborum forma 2 scribam. 3 Canal ; quoque modo Mue. ;
quodammodo Aug, ; for quo quando. § 115. 1 Aldus, for
absoluerim. 2 Pius, for
firma. as a body to follow Regularity in every way, and individually
also except in words the general use of which will give offence ;
because, as I have said, a the people ought to follow one standard, the
in- dividual persons ought to follow another. 115. And this
is not astonishing, since not all individuals have the same privileges
and rights ; for the poet can follow the Regularities more freely
than can the orator. Therefore, since this book has completed the
exposition of what it promised to set forth, I shall bring it to a close
; and then in the next book I shall write about the form of inflected
words. §114. °C/. ix.
5. DE LINGUA LATINA AD CICERONEM LIBER Villi EXPLICIT ; INCIPIT. In
verborum declmationibus disciplinaloquendi dissimilitudinem an
similitudinem sequi deberet, multi quaesierunt. Cum ab his ratio quae ab
simili- tudine oriretur vocaretur analogia, reliqua pars
appellaretur anomalia : de qua re primo libro quae dicerentur cur
dissimilitudinem ducem haberi opor- teret, dixi, secundo contra quae
dic(er)entur J 1 cur potius similitudinem 2 eonveniret praeponi :
quarum rerum quod nee fundamenta, ut deb(u)it, 3 posita ab ullo
neque ordo ae natura, ut res postulat, explicita, ipse eius rei formam
exponam. 2. Dieam de quattuor rebus, quae continent
deelinationes 1 verborum : quid sit simile ac dissimile, quid ratio quam
appellant \6yov, quid pro portione 2 §1. 1 Aldus, for dicentur. 2
Aldus, for dissimili- tudinem. 3 Aug., for debita. § 2. 1 L.
Sp., for declinationibus. 2 Plasberg* for pro- portione.
§ 1. ° Book VIII., which begins a fresh section of the entire work.
b Book IX. ON THE LATIN LANGUAGE Addressed to Cicero book ix
ends, and here begins BOOK X I. 1. Many have raised the
question whether in the inflections of words the art of speaking ought
to follow the principle of unlikeness or that of likeness. This is
important, since from these develop the two systems of relationship :
that which develops from likeness is called Regularity, and its
counterpart is called Anomaly. Of this, in the first book, I gave
the arguments which are advanced in favour of con- sidering unlikeness as
the proper guide ; in the second, 6 those advanced to show that it is
proper rather to prefer likeness. Therefore, as their founda- *
tions have not been laid by anyone, as should have been done, nor have
their order and nature been set forth as the matter demands, I shall
myself sketch an outline of the subject. 2. I shall speak of
four factors which limit the inflections of words : what likeness and
unlikeness are ; what the relationship is which they call logos ;
what " by comparative likeness "is, which they call
53$ V. quod 3 dicunt dva Aoyov, 4
quid consuetudo ; quae explicatae declarabunt analogiam et anomalia(m),
5 unde sit, quid sit, cuius modi sit. II. 3. De similitudine et
dissimilitudine ideo primum dicendum, quod ea res est fundamentum
omnium declinationum ac continet rationem ver- borum. Simile est quod res
plerasque habere videtur easdem quas illud cuiusque simile : dissimile
est quod videtur esse contrarium huius. Minimum ex duobus constat
omne simile, item dissimile, quod nihil potest esse simile, quin alicuius
sit simile, item nihil dicitur dissimile, quin addatur quoius sit
dis- simile. 4. Sic dicitur similis homo homini, equus
equo, et dissimilis homo equo : nam similis est homo homini ideo,
quod easdem figuras membrorum habent, quae eos dividunt ab reliquorum
animalium specie. In ipsis hominibus simili de causa vir viro similior
quam vir mulieri, quod plures habent easdem partis ; et sic senior
seni similior quam puero. Eo porro similiores sunt qui facie quoque paene
eadem, habitu corporis, filo : itaque qui plura habent eadem,
dicuntur similiores ; qui proxume accedunt ad id, ut omnia habeant eadem,
vocantur gemini, simillimi. 5. Sunt qui tris naturas rerum putent
esse, simile, dissimile, neutrum, quod alias vocant non simile,
alias 3 Aug., for quid. 4 Plasberg, for analogon. 6 Pius, for
anomalia. § 2. Cf. x. 37. " according to logos
" a ; what usage is. The explana- tion of these matters will make
clear the problems connected with Regularity and Anomaly : whence
they come, what they are, of what sort they are. II. 3. The first
topic to be discussed must be like- ness and unlikeness, because this
matter is the foundation of all inflections and set limits to the
relationship of words. That is like which is seen to have several
features identical with those of that which is like it, in each case :
that is unlike, which is seen to be the opposite of what has just been
said. Every like or unlike consists of two units at least, because
nothing can be like without being like some- thing else, and nothing can
be unlike without associa- tion with something to which it is
unlike. 4. Thus a human being is said to be like a human
being, and a horse to be like a horse, and a human being to be unlike a
horse ; for a human being is like a human being because they have limbs
of the same shape, which separate human beings from the cate- gory
of the other animals. Among human beings themselves, for a like reason a
man is more like a man than a man is like a woman, because men have
more physical parts the same ; and so an elderly man is more like
an old man than he is like a boy. Further, they are more like who are of
almost the same features, the same bearing of person, the same
shape of body ; therefore those who have more points of identity,
are said to be more like ; and those who come nearest to having them all
alike, are called most like, as it were, twins. 5. There are
those M*ho think that things have three natures, like, unlike, and
neutral, which last they sometimes call the not like, and sometimes
the 537 V. non dissimile (sed
quamvis tria sint simile dissimile neutrum, tamen potest dividi etiam in
duas partes sic, quodcumque conferas aut simile esse aut non esse)
; simile esse et dissimile, si videatur esse ut dixi, neu- trum, si
in neutram partem praeponderet, ut si duae res quae conferuntur vicenas
habent partes et in his denas habeant easdem, denas alias ad
similitudinem et dissimilitudinem aeque animadvertendas : hanc
naturam plerique subiciunt sub dissimilitudinis nomen. 6\
Quare quoniam fit 1 ut potius de vocabulo quam de re controversia esse
videatur, illud est potius advertendum, quom simile quid esse dicitur,
cui 2 parti simile dicatur esse (in hoc enim solet esse error),
quod potest fieri ut homo homini simih's 3 non sit, 4 ut multas
partis habeat similis et ideo dici possit similis habere oculos, nianus,
pedes, sic alias res separatim et una plures. 7. Itaque quod diligentcr
videndum est in verbis, quas partis et quot modis oporteat similis
habere (quae similitudinem habere) 1 dicuntur, ut infra apparebit,
is locus maxime lubricus est. Quid enim similius potest videri
indiligenti quam duo verba haec suis et suis ? Quae non sunt, quod alterum 2 sig- nificat
suere, alterum suem. Itaque similia vocibus § 6. 1 Aug., for fuit.
2 quoi L. Sp., for quin cui. 3 V 9 p, C. F. W. Mueller, for simile. 4 non sit Rhol.,for sit
non sit. § 7. 1 Added by GS., cf § 12 end ; quae similia
esse, added by L\ Sp. ; ut similia, by Canal. 2 After alterum, p
and Aug. deleted non. 538 ON THE LATIN LANGUAGE, X.
5-7 not unlike ; but although there are the three,
like, unlike, neutral, there can also be a division into two parts
only, in such a way that whatever you compare with something else either
is like or is not. They think that a thing is like and is unlike if it is
seen to be of such a kind as I have described, and neutral, if it
does not have greater weight on one side than on the other ; as if the
two things which are being com- pared have twenty parts each, and among
these should have ten to be noted as identical and ten likewise to
be noted as different, in respect to likeness and unlikeness. This nature
most scholars include under the name of unlikeness. 6.
Therefore since it happens that the question in dispute seems rather to
be about the name than about the thing, attention must rather be
directed, when something is said to be like, to the problem to what
part it is said to be like ; for it is in this that any mistake
ordinarily rests. This must be noted, I say, because it can happen that a
man may not be like another man even though he has many parts like
the other's, and can be said therefore to have like eyes, hands,
feet, and other physical features in consider- able number, separately
and taken together, like the other man's. 7. Therefore
because careful watch must be kept in words to see what parts those words
which are said to show likeness ought to have alike, and in what
ways, the inquirer is on this topic especially likely to slip into error,
as will appear below. For to the careless person what can seem more alike
than the two words suis and suis ? But they are not alike, because one
is from suere 1 to sew ' and means ' thou sewest,' and the other is
from sus and means * of a swine.' There- 539 V.
esse ac syllabis confitemur, dissimilia esse partibus
orationis videmus, quod alterum habet tempora, alterum casus, quae duae
res vel maxime discernunt analogias. 8. Item propinquiora
genere inter se verba similem s^epe pariunt errorem, ut in hoc, quod
nemus 1 et lepus videtur esse simile, quom 2 utrumque habeat eundem
casum rectum ; sed non est simile, quod eis 3 certae similitudines opus
sunt, in quo est ut in genere nominum sint eodem, quod in his non est :
nam in virili genere 4 est lepus, ex neutro nemus ; dicitur enim
hie lepus et hoc nemus. Si eiusdem generis esse(n)t, 5 utrique
praeponeretur idem ac diceretur aut hie lepus et hie nemus aut hoc nemus,
hoc lepus. 9. Quare quae et cuius modi sunt genera simili-
tudinum ad hanc rem, perspiciendum ei qui declina- tiones verborum
proportione sintne quaeret, Quern 1 locum, quod est difficilis, qui de
his rebus scripserunt aut vitaverunt aut inceperunt neque adsequi
potu- erunt. 10. Itaque in eo dissensio neque ea unius
modi apparet : nam alii de omnibus universis discriminibus
posuerunt numerum, ut D/onysius S/donius, qui scripsit ea 1 esse
septuaginta unwm, 2 alii parti's 3 eius quae habet 4 casus, cuius eidem
hie cum dicat esse § 8. 1 H 9 JthoL, for numerus. 2 Mue., for quod
cum. 3 Aug., for eas. 4 After genere, Aug, deleted nominum sint
eodem, repeated from the previous line, 5 Aug., for esset. §
9. 1 Mue^for quod. § 10. 1 L. Sp.,for eas. 2 L. Sp.,for unam. 3
Mue. y for partes. 4 Mue.,for habent. § 8. a That is, so far
as the termination is concerned. § 10. a That is, schemes of
inflection. b A pupil of Aristarchus. fore we admit that they are alike
as spoken words and in their separate syllables, but we see that
they are unlike in their parts of speech, because one has tenses and the
other has cases ; and tenses and cases are the two features which in the
highest degree serve to distinguish the different systems of
Regularity. 8. Likewise, words that are even nearer alike in
kind often cause a similar mistake, as in the fact that nemus ' grove '
and lepus * hare ' seem to be alike since both have the same nominative a
; but it is not an instance of likeness, because they stand in need
of certain factors of likeness, among which is that they should be
in the same noun-gender. But these two words are not, for lepus is
masculine and nemus is neuter ; for we say hie * this ' with lepus and
hoc with nemus. If they were of the same gender, the same form
would be set before both, and we should say either hie lepus and hie
nemus, or hoc nemus and hoc lepus. 9. Therefore he who asks
whether the inflections of words stand in a regular relation, must
examine to see what kinds of likenesses there are and of what sort
they are, which pertain to this matter. And just because this topic is
difficult, those who have written of these subjects either have avoided
it or have begun it without being able to complete their treatment of
it. 10. Therefore in this there is seen a lack of agree-
ment, and not merely of one kind. For some have fixed the number of all the
distinctions a as a whole, as did Dionysius of Sidon, 6 who wrote that
there were seventy-one of them ; and others set the number of those
distinctions which apply to the words which have cases : the same writer
says that of these there are discrimina quadnzginta 5 septem, Aristocles
re/tulit 6 in litteras XII II, Parmeniscus VIII, sic alii pauciora
aut plura. 11. Quarum similitudinum si esset origo recte
capta et inde orsa ratio, minus erraret(ur) 1 in de- clinationibus
v(er)borum. 2 Quarum ego principia prima duum
generum sola arbitror esse, ad quae 3 similitudines exigi 4 oporteat : e
quis unum positum in verborum materia, alterum ut in materiac
figura, quae ex declinatione fit. 12. Nam debet esse unum, ut
verbum verbo, unde declinetur, sit simile ; alterum, ut e verbo in
verbum declinatio, ad quam conferetur, eiusdem modi sit : alias
enim ab similibus verbis similiter declinantur, ut ab erus 1 ferus, ero 2
fero, alias dissimiliter erus 1 ferus, eri 3 ferum. Cum utrumque et
verbum verbo erit simile et declinatio declinationi, turn denique
dicam esse simile 4 ac duplicem et perfectam simili- tudinem habere, id
quod postulat analogia. 5 13. Sed ne astutius videar posuisse duo
genera esse similitudinum sola, cum utriusque inferiores species
sint plures, si de his reticuero, ut mihi relin- 5 My Laetus, for
quadringenta. 6 Mue. ; retulit
Laetus ; for rutulit. §11. 1 Vertranius, for erraret. 2 For
ubo rum. 3 Al- dus, for atque. 4 For exegi. § 12. 1 For
herus. 2 For hero. 3 For heri. 4 L. Sp. t for similem. 5 For
analogiam. Probably Aristocles of Rhodes, a contemporary of V..
d A pupil of Aristarchus. forty-seven, Aristocles c reduced them to
fourteen headings, Parmeniscus d to eight, and others made the
number smaller or larger. 11. If the origin of these likenesses had
been correctly grasped and their logical explanation had proceeded
from that as a beginning, there would be less error in regard to the
inflections of words. Of these likenesses there are, I think, first
principles of two kinds only, by which the likenesses ought to be
tested ; of which one lies in the substance of the words, the other lies,
so to speak, in the form 6 of that substance, which comes from
inflection. 12. For there must be one, that the word be like
the word from which it is inflected, and two, that in comparison from
word to word the inflectional form with which the comparison is made
should be of the same kind. * For sometimes there are like forms
reached by inflection from like words, such as datives ero and fero from
eras ' master * and Jerus ' wild,* and sometimes unlike forms, such as
genitive eri and accusative Jerum, from erus and Jerus. When both
principles are fulfilled and word is like word and inflectional form like
inflectional form, then and not before will I pronounce that the word is
like, and has a twofold and perfect likeness to the other — which
is what Regularity demands. 13. But I wish to avoid the
appearance of tricki- ness in having declared that there are only two
kinds of likenesses when both have a number of sub-forms — if I say
nothing about these, you may think that I am intentionally leaving myself
a place of refuge ; I §11. a That is, its form and ending, in the
form which is the starting point for inflection. 6 The inflectional form.
quam latebras, repetam ab origine similitudinum quae in conferendis
verbis et inclinandis sequendae aut vitandae sint. 14. Prima
divisio in oratione, quod alia verba nusquam declmantur, 1 ut haec vix
mox, alia decli- nantur, ut ab lima limae, 2 a fero ferebam, et cum
nisi in his verbis quae dcclinantur non possit esse analogia, qui
dicit simile esse mox et nox errat, quod non est eiusdem generis utrumque
verbum, cum nox suc- cedere debeat sub casuum ratione(m), 3 mox
neque debeat neque possit. 15. Secunda divisio est de his
verbis quae de- clinari possunt, quod alia sunt a voluntate, alia a
natura. Voluntatem appello, cum unus quivis a nomine aliae (rei) 1
imponit nomen, ut Romulus Romae ; naturam dico, cum universi acceptum
nomen ab eo qui imposuit non requirimus quemadmodum is velit
declinari, sed ipsi declinamus, ut huius Romae, hanc Romam, hac Roma. De
his duabus partibus voluntaria declinatio refertur ad
consuetudinem, naturalis ad rationem. 2 16. Quare proinde ac
simile conferre 1 non oportet ac dicere, ut sit ab Roma Romanus, sic ex
Capua dici oportere Capuanus, quod in consuetudine vehementer
natat, quod declinantes imperite rebus nomina im- ponunt, a quibus cum
accepit consuetudo, turbulenta § 14. 1 For declimantur. 2 OS., for
limabo. 3 Lach- mann y for ratione. § 15. 1 Added by GS. 2
Aug., for orationem. §16. 1 Stephanus, for conferri.
544 OX THE LATIN LANGUAGE, X. 13-16 shall
therefore go back and start from the origin of the likenesses which must
be followed or avoided in the comparison of words and in their
inflections. 14. The first division in speech is that some
words are not changed into any other form whatsoever, like vix '
hardly ' and mox * soon/ and others are in- flected, like genitive limae
from lima * file,' imperfect ferebam from fero * I bear ' ; and since
Regularity cannot be present except in words which are inflected,
he who says that mox and nox * night * are alike, is mistaken, because
the two words are not of the same kind, since nox must come under the
system of case- forms, but mox must not and cannot. 1 5. The
second division is that, of the words which can be changed by derivation
and inflection, some are changed in accordance with will, and others
in accordance with nature. I call it will, when from a name a
person sets a name on something else, as Romulus gave a name to Roma ; I
call it nature, when we all accept a name but do not ask of the one
who set it how he wishes it to be inflected, but our- selves inflect it,
as genitive Romae } accusative Romam, ablative Roma. Of these two parts,
voluntary deriva- tion goes back to usage, and natural goes back to
logical system. 16. For this reason we ought not to compare
Romanus * Roman ' and Capuanus ' Capuan ' as alike, and to say that
Capuanus ought to be said from Capua just as Romanus is from Roma ; for
in such there is in actual usage an extreme fluctuation, since
those who derive the words set the names on the things with utter lack of
skill, and when usage has accepted the words from them, it must of
necessity speak confused names variously derived. Therefore
vol. ii n 545 V. necesse est
dicere. Itaque neque Aristarchd 2 neque alii in analogiis defendendam
eius susceperunt cau- sam, sed, ut dixi, hoc genere declinatio in
co(m)- muni consuetudine verborum aegrotat, quod oritur e populo
multiplici (et) 3 imperito : itaque in hoc genere in loquendo 4 magis
anomalia quam analogia. 17. Tertia divisio est : quae verba
declinata natura ; ea dividwntur 1 in partis quattuor : in unam
quae habet casus neque tempora, ut docilis et facilis ; in alteram quae
tempora neque casus, ut docet facit ; in tertiam quae utraque, ut doccns
faciens ; in quartam quae neutra, ut docte et facete. Ex hac divisione singulis partibus tres
reliquae 2 dissimiles. Quare nisi in sua parte inter se collata erunt
verba, si 3 conveniunt, non erit ita simile, ut debeat facere
idem. 18. Unius cuiusque
part/s 1 quoniam species plures, de singulis dicam. Prima pars casualis
dividitur in partis duas, in nominatus scilicet 2 (et articulos), 3
quod aeque 4 finitum (et infinitum) 5 est ut hie et quis ; de his
generibus duobus utrum sumpseris, cum 2 Kent, for Aristarchii ; cf.
viii. 63. 3 Added by
Groth. 4 For loquenda. §17. 1 L. Sp., for dividitur. 2 Mve. %
for reliquere. 3 After si, Canal deleted non. § 18. The
text of this § stands in the manuscripts between § 90 and § 21 ; the shift
of position was made by Mueller \ who left unius cuiusque partis at the
end of § 20 ; A. Spengel transferred these words also. 1 Sciop., for
partes. 2 Laetus^for s ( =sunt). 3 Added by Mue* 4 L. Sp.,
for neque. 6 Added by L. Sp. ; cf. viii. 45. § 1 6.
This is shown even to-day in the new technical terminology of some
near-sciences. b V. is somewhat neither the followers of Aristarchus nor
any others have undertaken to defend the cause of voluntary
derivation as among the Regularities ; but, as I have said, this kind of
derivation of words in common usage is an ill thing, because it springs
from the people, which is without uniformity and without skill.
Therefore, in speaking, there is in this kind of derivation rather
Anomaly than Regularity. 6 17. There is a third division, the words
which are by their nature inflected. These are divided into four
subdivisions : one which has cases but not tenses, like docilis ' docile
' and facilis ' easy ' ; a second, which has tenses but not cases, 6 like
docet * teaches/ facit * makes ' ; a third which has both, c
like docens 1 teaching/ faciens * making ' ; a fourth which has
neither,*" like docte * learnedly * and facete * wittily.' The
individual parts of this division are each unlike the three remaining
parts. Therefore, unless the words are compared with one another in
their own subdivision, even if they do agree the one word will not be so
like the other that it ought to make the same inflectional scheme.
18. Since there are several species in each part, I shall speak of
them one by one. The first sub- division, characterized by the possession
of cases, is divided into two parts, namely into nouns and
articles, which latter class is both definite and in- definite, as for
example hie * this ' and quis 4 who.' Whichever of these two kinds you
have taken, it must not be compared with the other, because they
belong unfair here, since derivation by suffixes, though varied, is
not without its regular principles. § 17. a Nouns, pronouns,
adjectives (except participles). 6 Finite verbs. e Participles. d
Adverbs. reliquo non conferendum, quod inter se dissimiles habent
analogias. 19. In articulis vix adumbrata est analogia et
magis rerum quam vocum ; in nomin(at)ibus 1 magis expressa ac plus etiam
in vocibus ac (syllabarum) 2 similitudinibus quam in rebus suam optinet
rationem. Etiam illud accedit ut in articulis
habere analogias ostendere sit difficile, quod singula sint verba,
hie contra facile, quod magna sit copia similium nomina- tuum.
Quare non tarn hanc partem ab ilia 8 dividen- dum quam illud videndum, ut
satis sit verecundi(ae) 4 etiam illam in eandem arenam vocare
pugnatum. 20. Ut in articulis duae partes, finitae et
infinitae, sic in noyninaitibus 1 duae, vocabulum et nomen : non
enim idem oppidum et Roma, cum oppidum sit vocabulum, Roma nomen, quorum
discrimen in his reddendis rationibus alii discernunt, alii non ;
nos sicubi opus fuerit, quid sit et cur, ascribemus. 2 21.
Nominatm' 1 ut similis sit nominatus, habere debet ut sit eodem genere,
specie eadem, sic casu, exitu eodem 2 : specie, 8 ut si nomen est quod
conferas, cum quo conferas sit nomen ; genere, 4 ut non solum (unum
sed) 5 utrumque sit virile ; casu, 6 ut si alterum sit dandi, item
alterum sit dandi ; exitu, ut quas § 19. 1 L. Sp., for nominibus. 2
Added by GS. 3 After ilia, Aug. deleted ab. 4 Kent, for uerecundi.
§ 20. 1 L. Sp., for uocabulis. 2 Sciop., for ascribimus. §
21. 1 Mve., for nominatus (Sciop. changed the second nominatus to -tui).
2 Mue., for eius. 8 Liibbert, for genere, transposing with specie (note
4). 4 Liibbert, for specie (cf preceding note) ; after this, L. Sp.
deleted simile. fi Added by Mite. ; sed added by Aug. 6 After casu,
L. Sp. deleted simile. § 21. Here, as often in V., including
adjective as well as substantive. 548 ON THE
LATIN LANGUAGE, X. 18-21 to schemes of Regularity which are
different from each other. 19. In the articles, Regularity is
hardly even a shadow, and more a Regularity of things than of
spoken words ; in nouns, it comes out better, and consummates itself
rather in the spoken words and the likeness of the syllables than in the
things named. There is also the additional fact that it is
difficult to show that Regularities reside in the articles, because they
are single words ; but in nouns it is easy, because there is a great
abundance of like name-words. Therefore it is not so much a matter
of dividing this part from that other part, as of see- ing to it that the
investigator should be too much ashamed even to call that other part into
the same arena to do battle. 20. As there are two groups in
the articles, the definite and the indefinite, so there are in the
nouns, the common nouns and the proper names ; for oppidum ' town ' and
Roma * Rome * are not the same, since oppidum is a common noun, and
Roma is a proper name. In their account of the systems, some make
this distinction, and others do not ; but we shall enter in our account,
at the proper place, what this difference is and why it has come to
be. 21 . That noun a may be like noun, it ought to have the
qualities of being of the same gender, of the same kind, also in the same
case and with the same ending : kind, that if it is a proper name which
you are com- paring, it be a proper name with which you compare it
; gender, that not merely one, but both words be masculine ; case, that
if one is in the dative, the other likewise be in the dative ; ending,
that what- unum habeat extremas littcras, easdem alterum
habcat. 22. Ad hunc quadruplicem fontem ordines derigun- tur
bini, uni transversi, alteri derecti, ut in tabula solet in qua
latrunculzs 1 ludunt. Transversi sunt qui ab recto casu obliqui
declinantur, ut albus albi albo ; dcrecti sunt qui ab recto casu in
rectos declinantur, ut albus alba album ; utrique sunt parti- bus
senis. Transversorum ordinum partes appellan- tur 2 casus, derectorum
genera, 3 utrisque inter se implicatis forma. 4 23. Dicam
prius de transversis. Casuum
voca- bula alius alio modo appellavit ; nos dicemus, qui nominandi
causa dicitur, nominandi vel nomina- tivum. .HIC DESUNT TRIA FOLIA IN
EXEMPLARI (dicuntur una)e 1 scopae, non dicitur una scopa : alia enim
natura, quod priora simplicibus, § 22. 1 Bentinus, for latrunculus.
2 Aldus, for expel- lantur. 3 Aug., for genere. 4 Aug., for formam.
§ 23. 1 There is blank space here in F, for the rest of the page
(18 lines), all the next page (39 lines), and the first part of the
following (8 lines). 2 F 2, in margin. § 24. 1 Added and altered by
Kent, for et ; cf viii. 7. § 22. ° The * men ' in a game
like draughts or checkers were called latrunctdi ' brigands ' by the
Romans. 6 V. did not arrange his paradigm of adjectives as we do, but
set the cases of the same number and gender in one line across the
page, while the other genders followed in the next two lines, and then
the three genders of the plural in the succeed- ing lines. - c V. counts
his six genders by considering the genders of the plural as additional
genders. § 23. ° The cases. b V.'s names for the remaining
550 ON THE LATIN LANGUAGE, X. 21-24
ever last letters the one has, the other also have the same.
22. To this fourfold spring two sets of lines are drawn up, the
ones crosswise and the others vertical, as is the regular arrangement on
a board on which they play with movable pieces. Those are cross-
wise which are the oblique cases formed from a nomi- native, et like
albus ' white,' genitive albi, dative albo ; those are vertical which are
inflected from one nominative to other nominatives, as masculine
albus, feminine alba, neuter album. Both sets of lines are of six
members. 6 Each member of the crosswise lines is called a case ; each
member of the vertical lines is a gender ; that which belongs to both in
their crossed arrangement, is a form. 23. I shall speak first
of the crosswise lines. Scholars have given various sets of names to
the cases ; we shall call that case which is spoken for the purpose
of naming, the case of naming or nomina- tive ... HERE THREE LEAVES ARE
LACKING Iff THE MODEL COPY c 24-. . . . To indicate one *
broom * the plural scopae is used, not the singular scopa. a For they b
are different by nature, because the names first men- cases, Ayhich
were listed in the lost text, are : casus patriots or pat ri us, casus
dandi, casus accusandi or accusativus, casus vocandi, casus sextus. The
names genetivus, dativus, voca- tivus, ablativus appear in Quintilian and
Gellius. e In the lost text stood the remainder of the discussion of
cases, a U the discussion of gender, and almost all concerning
number, which is concluded in § 30. § 24. 8 Cf. viii. 7. 5
The nouns in the preceding dis- cussion, of which scopae alone is
preserved in the text. posteriora in coniunctis rebus vocabula ponuntur,
sic bigae, sic quadrigae a coniunctu dictae. Itaque non dicitur, ut haec una lata ct alba,
sic una biga, sed unae bigae, neque 2 dicitur ut hae duae latae,
albae, sic hae duae bigae et quadrigae, (sed hae binae bigae et
quadrigae). 3 25. Item figura verbi qualis sit rcfert, quod
in figura vocis alias commutatio fit in primo 1 verbo suit 2 modo
suit, 2 alias in medio, ut curso 3 cursito, alias in extrcnio, ut docco
docui, alias co(m)munis, ut lego legs'. 4 Refert igitur ex quibus
litteris quodque verbum constet, maxime extrema, quod ea in plerisque
commutatur. 5 26. Quare in his quoque partibus similitudines
ab aliis male, ab aliis bene quod solent sumi in casibus
conferendis, recte an perperam videndum ; sed ubicumque commoventur
litterae, non solum eae sunt animadvertendae, sed etiam quae
proxumae sunt neque moventur : haec enim vicinitas aliquan- tum
potes(t) 1 in verborum declinationibus. 27. In quis figuris non ea
similia dicemus quae 2 After neque, p and Sciop. deleted ut. 3
Added by L. Sp., cf. ix. 64. § 25. 1 Mue., for uno. 2 Mue.
added the signs of quantity ; cf. ix. 104. 3 Aug., for cursu. 4 Aug.,
for lege. 5 L. Sp. for commutantur. § 26. 1 Aldus, for
potes. c These are all lost. d Scopae, as * twigs ' done in
a bundle ; bigae and quadrigae, because of the number of horses in-
volved. e The distributive numeral is used to multiply ideas whose
singular is denoted by a plural form: cf. ix. 64. § 25. ° I have
added the signs of quantity in lego and legi, to make clear V.'s
point. 552 ON THE LATIN LANGUAGE, X. 24-27
tioned c are set upon simple objects, and those men- tioned
later apply to compounded objects d ; thus bigae ' two-horse team ' and
quadrigae ' four-horse team ' are employed in the plural because they
denote a union of objects. Therefore we do not say one biga, like
one lata 1 broad 1 and alba ' white,' but one bigae, with the numeral
also in the plural ; nor do Ave say duae ' two ' with reference to bigae
and quadrigae, as we say duae ' two ' with application to the
plural forms laiae and albae, but we say binae * two sets ' of
bigae and quadrigae. 6 25. Likewise the character of the form of a
word is important, because in the form of the spoken word a change
is sometimes made in the first part of the word, as in suit ' sews ' and
suit ' sewed ' ; some- times in the middle, as in curso ' I run to and
fro/ and cursito, of the same meaning ; sometimes at the end, as in
doceo 1 I teach ' and docui * I have taught ' ; sometimes the change is
common to two parts, as in Ugo ' I read,' legi 1 I have read.' a It is
important therefore to observe of what letters each word con- sists
; and the last letter is especially important, because it is changed in
the greatest number of in- stances. 26. Because of this,
since the likenesses in these parts also are wont to be used in the
comparison of case-forms, and this is done ill by some and well by
others, we must see whether this has been done rightly or wrongly. Yet
wherever the letters are altered, not only the altered letters must be
noted, but also those which are next to them and are not affected ;
for this proximity has considerable influence in the inflections of
words. 27. Among these forms we shall not call those similis
res significant, sed quae ea forma sint, ut eius modi res similis 1 ex
instituto significare plerum- que sole(a)nt, 2 ut tunicam virilem et
muliebrem dicimus non earn quam habet vir aut mulier, sed quam
habere ex instituto debet : potest enim mulie- brem vir, virilem mulier
habere, ut in scaena ab actoribus haberi videmus, sed earn dicimus
muliebrem, quae de eo genere est quo indutui mulieres ut uteren-
tur est institutum. Ut actor stolam muliebrem sic Perpenna et Ctfecina et
(S)purinna 3 figura muliebria dicuntur habere nomina, non mulierum.
28. Flexurae quoque similitudo videnda ideo quod alia verba quam
vi(a)m x habeant ex ipsis verbis, unde declinantur, apparet, 2 ut
quemadmodum oporteat ute 3 praetor consul, praetori consuli ; alia
ex transitu intelleguntur, ut socer macer, quod alterum fit socerum,
alterum macrum, quorum utrum- que in reliquis a transitu suam viam
sequitur et in singularibus et in multitudinis declinationibus. Hoc
fit ideo quod naturarum genera sunt duo quae inter se conferri possunt,
unum quod per se videri potest, ut homo et equus, alterum sine assumpta
aliqua re § 27. 1 Mite., for similia. 2 Aldus, for solent. 3
Aug., for purinna. § 28. 1 Schoell (marginal note in his copy of A.
SpSs ed.), for uim. 2 Pius, for appellant. 3 A. Sp.,for ut a.
§ 27. ° With eius modi, understand figurae ; cf in eius
modi, v. 128. b Cf ix. 48. c Cf viii. 41, 81, ix. 41. § 28. a That
is, the nominative is the stem to which the case-endings are added. 6
That is, the stem is seen in an words like which denote like things, but
those which are of such a stamp that such forms a are in most
instances wont by custom to denote like things, as by a man's tunic or a
woman's tunic we mean not a tunic that a man or a woman is wearing, but
one which by custom a man or a woman ought to wear. 6 For a man can
wear a woman's tunic, and a woman can wear a man's, as we see done on the
stage by actors ; but we say that that is a woman's tunic, which is
of the kind that women customarily use to dress themselves in. As an
actor may wear a woman's dress, so Perpenna and Caecina and
Spurinna are said to have names that are feminine in form ; they
are not said to have women's names. c 28. The likeness of the
inflection also must be watched, because the way which some words take
is clear from the very words from which their inflection starts, as
how it is proper to use praetor and consul, dative praetori and considi.
Others are properly appreciated only as a result of the change seen in
the inflections, as in socer 1 father-in-law ' and macer 1 lean,'
because the one becomes socerum in the accusative, and the other macrum ;
after making this change, each of them follows its own way in the
remaining forms, 6 both in the inflections of the singular and in those
of the plural. This method is employed c because in the inflections there
are two kinds of natures which can be compared with each other, one
which can be seen in the word itself, such as homo 1 man ' and equus '
horse,' but the second cannot be seen through without bringing in
some- oblique case rather than in the nominative; cf. ix. 91-94. e V.'s
logical sequence is here at fault, for he brings in derivative stems,
after speaking only of noun declensions. extrinsecus perspici non possit,
ut eques et equiso : uterque enim dicitur ab equo. 29. Quare hominem homini similem
esse aut non esse, si contuleris, ex ipsis homini(bus) 1
animadversis scies ; at duo inter se similiterne sint longiores
quam sint eorum fratres, dicere non possis, si illos breviores cum
quibus conferuntur quam longi sint ignores 2 ; si(c) 3 latiorum atque
altiorum, item cetera eiusdem generis sine assumpto extrinsecus aliquo
perspici similitudines non possunt. Sic igitur quidam casus quod ex
hoc genere sunt, non facile est dicere similis esse, si eorum singulorum solum
animadvertas voces, nisi assumpseris alterum, quo flectitur in
trans- eundo 4 vox. 30. Quod ad nominatuom 1 similitudines
animad- vertendas arbitratus sum satis es(se) tangere, 2 hctec
sunt. Relinquitur de articulis, in quibus quaedam eadem, quaedam alia. De
quinque enim generibus duo prima habent eadem, quod sunt et virilia
et muliebria et neutra, et quod alia sunt ut significent unum,
(alia) 3 ut plura, et de casibus quod habent quinos : nam vocandi voce
notatus non est. Pro- prium illud habent, quod partim sunt finita, et
hie haec, partim infinita, ut quis et quae, 4 quorum quod adumbrata
et tenuis analogia, in hoc libro plura dicere (non) 5 necesse est.
§29. 1 Canal, for
homini. 2 Aldus, for ignorent. 3 Aug., for si. 4 Aug., for
transeundum. §30. 1 L.. Sp. ; -tuum Aug., for nominatiuom. 2
Aug., for est angere. 3 Added by Aug. 4 After quae, Aug. deleted et. 5
Added by Aug. thing from outside, as in eques ' horseman ' and
equiso 1 stable-boy * — for both are derived from equus 1 horse. '
d 29. By this method, you will, on making a compari- son,
know that of men observed in person one is or is not like the other; but
you could not say that the two are in like fashion taller than their
brothers, if you should not know how tall those shorter brothers
are with whom they are compared. In this way the likenesses of things
broader and higher, and others of the same kind, cannot be examined
without bringing in some help from outside. So therefore, inasmuch
as certain case-forms are of this kind, it is not easy to say that they
are like, if you observe the spoken words in one case only ; to make a correct
judgement, you will have to bring in another case-form to which the
spoken word passes as it is inflected. 30. These considerations are
what I have thought enough to touch upon, for observing the likenesses
of nouns. It remains to speak of the articles, of which some are
like nouns and others are different. For of the five classes the first
two have the same properties, because they have forms for masculine,
feminine, and neuter, they have some forms to denote the singular
and others to denote the plural, and they have five cases ; the vocative
is not indicated by a separate spoken form. They have this of their own,
that some are definite, like hie ' this/ feminine haec, and others
are indefinite, like quis 4 which,' feminine quae. But since their system
of Regularity is shadowy and thin, it is not necessary to speak
further of it in this book. a d Cf. viii. 14. § 30. •
Cf. x. 19-20. 31. Secundum genus quae verba tempora
habent neque casus, sec? 1 habent personas. Eorum declina- tuum
species sunt sex : una quae dicitur temporalis, ut legebam gemebam, lego
2 gemo ; altera perso- narum, ut sero meto, seris metis ; tertia rogandi,
ut scribone legone, scribisne legisne. Quarta respon- dendi, ut fingo pingo, fingis
pingis ; quinta optandi, ut dicerem facerem, dicam faciam ; sexta
imperandi, ut cape rape, capito rapito. 32. Item sunt
declinatuum species quattuor quae tempora habent sine personis : in
rogando, ut fodi- turne seriturne, et fodieturne sereturne. Ab re-
spondendi specie eaedem figurae fiunt extremis syllabis demptis ;
op(t)andi species, ut vivatur ametur, viveretur amaretur. Imperandi
declinatus sz'ntne habet 1 dubitationem et eorum sitne 2 haec ratio
: paretur pugnetur, parafor pugna/or. 3 33. Accedunt ad has species
a copulis divisionum quadrinis : ab infecti et perfecti, (ut) 1 emo edo,
emi § 31. 1 Aug., for si. 2
For logo. § 32. 1 Aug., for sum ne habent. 2 Aug.,, for sint
ne. 3 Canal, for parari pugnari. § 33. * x Added by L. Sp.
§31. ° Cf. x. 17. 6 Respectively tense, person, inter-
rogative (indicative), declarative indicative, subjunctive, imperative ;
the technical vocabulary was not fully developed in V.'s time.
§ 32. ° Corresponding to the last four of the categories in § 31 ; V.
shows a good understanding of the impersonal passive. §33. a
C/.x. 14-17. 558 ON THE LATIN LANGUAGE, X.
31-33 31. The second subdivision a consists of those
words which have tenses but not cases, and have persons. The categories
of their inflections are six et : one which is that of the tenses, as
legebam 1 I was reading,' gemebam * I was groaning,' lego ' I
read,' gemo * I groan ' ; the second is that of the persons, as
sero * I sow,' meto ' I reap,' seris ' thou sowest,' metis ' thou reapest
' ; the third is the interrogative, as scribone 1 do I write ? ', legone
* do I read ? ', scribisne, legisne ; the fourth is that of the answer,
as Jingo * I form,' pingo * I paint, ' Jingis, pingis ; the fifth that
of the wish, as dicerem * would I were saying,' facerem * would I
were making,* dicam * may I say,' faciam ' may I make * ; the sixth that
of the command, as cape ' take,' rape ' seize,' capito, rapito.
32. Likewise there are four categories of inflec- tions which have
tenses without persons a : in the interrogative, as foditume ' is digging
going on ? ', seriturne ' is sowing going on ? ' and fodieturne 4
will digging be done ? ', sereiurne ' will sowing be done ? * ; of
the category for the answer the same forms are used, but without the last
syllable ne ; the category for the wish, as vivatur * may there be
living,' ameiur ' may there be loving,* viveretur * would there
were living,' amaretur * would there were loving.* Whether the
inflections for the impersonal command exist, is somewhat doubtful ;
there is also doubt about the scheme of the forms, which is given as
parehir * let there be preparation,' pugneiur * let there be fight-
ing,' or parator, pugnator. 33. There are added to these categories
those which proceed from the four sets of pairs a consisting of the
divisions : from that of the incomplete and the completed, as emo ' I buy
' and edo * I eat,' emi * I edi ; ab semel et saepius, ut scribo lego,
scriptito lectito 2 ; (a) 3 faciendi et patiendi, ut uro ungo, uror
ungor ; a singulari et multitudinis, ut laudo culpo, laudamus culpamus. Huius generis verborum
cuius species exposui quam late quidque pateat et cuius modi
efficiat figuras, in libris qui de formulis verborum erunt diligentius
expedietur. 34. Tertii generis, quae declinantur cum tem-
poribus ac casibus ac vocantur a multis ideo partici- palia, sunt hoc
ge(nere) 1 . . . HIC DESUNT FOLIA III IN EXEMPLARI 2
35. ... quemadmodum declinemus, 1 quaerimus casus eius, etiamsi
siqui 2 finxit poeta aliquod vocabu- lum et ab eo casu(m) 3 ipse aliquem
perperam de- clinavit, potius eum reprehendimus quam sequimur.
Igitur ratio quam dico utrubique, et in his verbis quae imponuntur et in
his quae declinantur, neque non etiam tertia ilia, quae ex utroque
miscetur genere. 36.
Quarum una quaeque ratio collata cum altera 2 L. Sp.,for
scriptitaui lectitaui. 3 Added by L.
Sp. § 34. 1 Added by Rhol. ; F here leaves blank the rest of
the page (a little more than 28 lines) and all the next page (39 lines).
2 F 1, in margin. § 35. 1 L. Sp., for declinamus. 2 L. Sp., for is
qui. 3 L. Sp., for casu. b Verbs. c Not
extant. § 34. a Adjective to the more common term participia
or participles ; both meaning * taking part ' in the features of
two sets of words (nouns and verbs). For the form partki- palia (in F)
rather than -pialia (in p), cf. M. Niedermann, Mnemosyne, lxiii. 267-268
(1936). b The lost text contained the discussion of participles, that of
adverbs, and the be- ginning of that on ratio. § 35. ° This
is perhaps the simplest way of giving a mean- ing to the incomplete
sentence. h Referring to the previous discussion, now almost entirely
lost. c The independent have bought * and edi * I have eaten ' ; from that
of the act done once and the act done more often, as scribo * I
write ' and lego * I read/ scriptito 1 I am busy with writing,' and
lectito * I read and reread ' ; from that of active and passive, as uro 1
I burn ' and ango ' I anoint,' uror * I am burned ' and ungor * I
am anointed ' ; from that of singular and plural, as laudo ' I praise '
and culpo * I blame,' laudamus ' we praise * and culpamus ' we blame. '
With regard to the words of this class 6 whose categories I have
described, the matter of how full an equipment of forms each has,
and what sort of forms it makes, will be set forth with more attention to
detail in the books c which are to be on the paradigms of verbs.
34. The words of the third subdivision, which are inflected with
tenses and cases and are by many therefore called participials, a are of
this kind ... 6 HERE THREE – OR PERHAPS TWENTY-FIVE -- LEAVES ARE
LACKING IN THE MODEL COPY 35. ... When w T e meet a new word,
a we ask about its case-forms, as to how we shall inflect them ;
and yet if some poet has made up some word and has himself formed from it
some case-form in an incorrect way, we blame him rather than follow his
example. Therefore Ratio or Relation, of which I am speaking, is
present in both 6 : in the words which are imposed upon things, 6 and in
those which are formed by in- flection d ; and then also there is that
third kind of Relation, which combines the characteristics of the
two.* 36. Among these, each and every relation, when
words. d The paradigms. e In derivatives formed by
suffixes. aut similis aut dissimilis, aut saepe verba alia, ratio
eadem, et nonnunquam ratio alia, verba eadem. Quae ratio in amor amori,
eadem in dolor dolori, neque eadem in dolor dolorem, et cum eadem
ratio quae est in amor et 1 amoris sit in amores et amorum, tamen
ea, quod non in ea qua oportet confertur 2 materia, per se solum efficere
non potest analogias propter disparilitatem vocis figurarum, quod
verbum copulatum singulare 3 cum multitudine : ita cum est pro
portione, ut candem habeat rationem, turn denique ea ratio conficit id
quod postulat analogia ; de qua deinceps dicam. III. 37. Sequitur tertius locus, quae sit ratio
pro portione ; (e)a Greece 1 vocatur 2 dva Xoyov ; ab analogo dicta
analogia. Ex eodem genere quae res inter se aliqua parte dissimiles
rationem habent aliquam, si ad eas duas alterae duae res allatae
sunt, quae rationem habeant eandem, quod ea verba bina habent
eundem Xoyov, dicitur utrumque separatim dvdXoyov, simul collata quattuor
dvaXoy(t)a. z 38. Nam ut in geminis, cum simile(m) 1 dicimus
esse Menaechmum Menaechmo, de uno dicimus ; cum similitudine(m) 2 esse in
his, de utroque : sic cum dicimus eandem rationem habere assem ad
§ 36. 1 After et, a
repeated amor et has been deleted. 2 After confertur, Aug, deleted
a. 3 Aug., for singularem. § 37. 1 L. Sp., for agrece. 2 Aug., for
uocantur. 3 OS. ; analogia Mue., with G ; for analoga.
§38. 1 Mueller, for simile. 2 Aug., for similitudine.
§ 36. a Because of the difference in number. § 37. a As in
mathematics, two ratios of equal value make a proportion. §
38. a In the comedy of Plautus. compared with another, is either like or
unlike ; and often the words are different but the relation is the
same, and sometimes the relation is different but the words are the same.
The same relation which is in amor ' love * and dative amort is in dolor
1 pain ' and dative dolori, but not in dolor and accusative
dolorem. The same relation which is in amor and genitive amoris is
in plural amores and genitive amorum ; and yet, because the
subject-matter in it is not compared as it should be, a this relation
cannot of itself effect Regularities, on account of the differences in
the forms of the spoken word, because a singular word has been
associated with a plural. So, when it is by a proportionate likeness that
the word has the same relation, then and not until then does this
relation achieve what is demanded by Analogia or Regularity ; of
which I shall speak next. III. 37. There follows the third topic :
What is Ratio or Relation that is pro portione ' by proportionate
likeness ' ? This is in Greek called 4 according to logos * ; and from
analogue the term Analogia or Regularity is derived. If there are two
things of the same class which belong to some relation though in
some respect unlike each other, and if alongside these two things two
other things which have the same relation are placed, then because the
two sets of words belong to the same logos each one is said
separately to be an analogue and the comparison of the four constitutes
an Analogia, 38. For it is as in a matter of twins : when we
say that the one Menaechmus is like the other Menaech- mus, a we
are speaking of one only ; but when we say that a likeness is present in
them, we are speaking of both. So, when we say that a copper as has the same semissem
quam habet in argento 3 libella ad simbeli&mf quid sit dvdXoyov
ostendimus ; cum utrubique dici- mus et in aere et in argento esse eandem
rationem, turn dicimus de analogia. 39. Ut sodalis et
sodalitas, civis et civitas non est idem, sed utrumque ab eodem ac
coniunctum, sic dvdXoyov et dvakoyta idem non est, sed item est
con- generatum. Quare si homines sustuleris, sodalis sustuleris ;
si sodalis, sodalitatem : sic item si sus- tuleris Xoyov, sustuleris
dvdXoyov ; si id, dvaXoytav. 40. Quae cum inter se tanta sint
cognatione, de- bebis suptilius audire quam dici expectare, id est
cum dixero quid de utroque et erit co(m)mune, (ne) 1 expectes, dum
ego in scribendo transferam in re- liquum, sed ut potius tu persequare
ammo. 41. Haec fiunt in dissimilibus rebus, ut in numeris si
contuleris cum uno duo, sic cum decern viginti : nam (quam) 1 rationem
duo ad unum habent, eandem habent viginti ad decern ; in nummis in
similibus sic est ad unum victoriatum denarius, si(cut) 2 ad
alterum victoriatum alter denarius ; sic item in aliis rebus
omnibus pro portione dicuntur ea, in quo est sic quadruplex natura, ut in
progenie vois ' nature ' as an originating or moving power. * Properly,
of sounds. § 56. ° Principia are the singular forms, in
whichever direction the argument is carried ; but perhaps quam in
singular} should be inserted between ordiri and quod. b Because the B and
the C ending the stems can be seen in the deleted
repeated from above. to two, should the conclusion be drawn
that in teach- ing the later thing cannot be the clearer, for the
purpose of beginning from it, to show what the prior thing is. Therefore
even those who deal with the nature of the universe and are on this
account called physici a ' natural philosophers,' proceed from
nature as a whole and show by backward reasoning from the later
things, what the beginnings of the world were. Though speech consists of
letters, 6 it is nevertheless from speech that the grammarians start in
order to show the nature of the letters. 56. Therefore in the
explanation, since one ought rather to set out from that which is clearer
than from that which is prior, and rather from the un- corrupted
than from a corrupt original, from the nature of things rather than from
the fancy of men, and since these three factors which are more to
be followed are less present in the singulars than in the plurals,
one can more easily commence from the plural than from the singular,
because in the latter as starting-points ° there is less of a basis for
relation- ship in the forming of words. That the singular forms of
words can be more easily interpreted from plural forms than plural forms
from the singular, is shown by these words 6 : plural trabes * beams,*
singular trabs ; plural duces * leaders,' singular dux. 57.
For we see that from the plural nominatives trabes and duces the letter E
of the last syllable has been eliminated and thereby in the singular have
been plural, but cannot be inferred with certainty from the
nomi- native singular, especially if we read not trabs but traps
(Roth, Philol. xvii. 176, and Mueller's note to § 57), which represents
the actual pronunciation. Yet V. wrote trabs and not traps, according to
Cassiodorus, Gram. Lat. vii. 159. 23 Keil. lari factum esse trabs dux. Contra ex
singularibus non tam videmus quemadmodum facta sint ex B et S trabs
1 et ex C et S du#. 2 58. Si mwl(t)itudinis 1 rectus casus forte
figura corrupta erit, id quod accidit raro, prius id corrigemus
quam inde ordiemur ; (ab) 2 obliquis adsumere oportetf 3 figuras eas quae
non erunt ambiguae, sive singulares sive multitudims, 4 ex quibus id,
cuius modi debent esse, perspici possit. 5 59. Nam nonnunquam
alterum ex altero videtur, ut Chn/sippus scribit, quemadmodum pater ex
filio et filius ex patre, neque minus in fornicibus propter
sinistram dextra stat quam propter dextraw 1 sinistra. Quapropter et ex
rectis casibus obliqui et ex obliquis recti et ex singularibus
multitudims 2 et ex multi- tudinis singulares nonnunquam recuperari
possunt. 60. Principium id potissimum sequi debemus, ut in eo
fundamentum sit 1 natura, quod in declina- tionibus ibi facilior ratio.
Facile est enim animad- vertere, peccatum magis cadere posse in
impositiones eas quae fiunt plerumque in rectis casibus singulari-
bus, quod homines imperiti et dispersi vocabula rebus imponunt, quocumque
eos libido invitavit : natura § 57. 1 Aug.,, for trabes. 2 Aug., for duces. §
58. 1 si multitudinis Mue.,for similitudinis. 2 Added by Canal. 3 L. Sp.,
for oportere. 4 Aug., for multi- tudines. 5 Sciop.,for possint.
§59. 1 Laetu s, for dextras. 2 Vertranhis, for multitu-
dines. § 60. 1 After sit, L. Sp. deleted in. §
59. a Frag. 1 55 von Arnim. made the nominatives trabs and dux. But on
the other hand, if we start from the singulars we do not so easily
see how they have become trabs, from B and S, and dux, from C and
S. 58. If the nominative plural is by any chance a corrupted
form, which rarely occurs, we shall correct this before we make it our
starting-point ; it is proper to take from the oblique cases, either
singular or plural, some forms which are not ambiguous, from which
can be seen the make-up which the other forms ought to have.
59- For sometimes the one is seen from the other and at other times
the other is seen from the one, as Chrysippus writes, as the father s
qualities may be seen from the son, and the son's from the father,
and in arches the right-hand side stands on account of the
left-hand side, no less than the left on account of theright. Therefore
the oblique forms can sometimes be regained from the nominatives, and
sometimes the nominatives from the oblique forms ; sometimes the
plural from the singular forms, and sometimes the singular forms from the
plural. 60. The principle that we should most of all follow,
is that in this the foundation be nature, because in nature a there is
the easier relationship in inflections. For it is easy to note that error
can more easily make its way into those impositions b which are
mostly made in the nominative singular, because men, being
unskilled and scattered/ set names on things just as their fancy has impelled
them ; but nature d is of § 60. a Rather than in voluntas. b Or
imposed word- names, characterized by voluntas, e For this point of
the Stoic philosophy, cf. Cicero, de Inventione, i. 2. d The
quality underlying the paradigms. incorrupta plerumque est suapte sponte,
nisi qui earn usu inscio deprava&it. 61. Quarc si quis
principium analogiae potius posuerit in naturalibus casibus quam in
(im)positiciis, 1 non multa 2 (inconcinna) 3 in consuetudine
occurrent et a natura libido humana corrigetur, non a libidine
natura, quod qui impositionem sequi voluerint facient contra. 4
62. Sin ab singulari quis potius proficisci volet, inift'um 1
facere oportebit ab sexto casu, qui est pro- prius Latinus : nam eius casuis
2 litterarum dis- criminibus facilius reliquorum varietate(m) 3
discer- nere poterit, quod ei habent exitus aut in A, ut hac terra,
aut in E, ut hac lance, aut in I, ut hac (c)lavi, 4 aut in O, ut hoc
caelo, aut in U, ut hoc versu. Igitur ad demonstrandas declinationes
biceps v?a 5 haec. 63. Sed quoniam ubi analogia, tria, 1 unum
quod in rebus, alterum 2 quod in vocibus, tertium quod in utroque,
duo priora simplicia, tertium duplex, ani- madvertendum haec quam inter
se habeant rationem. 64-. Primum ea quae sunt discrimina in
rebus, partim sunt quae ad orationem non attineant, partim quae
pertineant. Non pertinent ut ea quae obser- vant in aedificiis et signis
faciendis ceterisque rebus §61. 1 L. Sp. ; in impositivis Aug.; for
in positiciis. 2 Aug., for multae. 3 Added by Christ. 4 Aug., for
contraria. § 62. 1 Groth, for inillum. 2 A. Sp. ; cassuis Mue.
; for casus his. 3 Aug., for uarietate. 4 Groth^for leui; cf V., R.
R. i. 22. 6. 5 Canal, for una. § 63. 1 Aldus, for atria. 2 alterum
is repeated in F. e By making wrongly inflected forms.
§ 62. a The name 4 ablative ' had not come into use in itself for
the most part uncorrupted, unless somebody perverts it by ignorant
use.* 61. Therefore, if one has founded the principle of
Regularity on the natural cases rather than on the imposed case-forms,
not many awkwardnesses will be his to face in usage ; human fancifulness
will be cor- rected by nature, and not nature by fancy, because
those who have wished to follow imposition will in reality act in the
opposite way. 62. But if one should prefer to start from the
singular, he ought to start from the sixth case, a which is a case
peculiar to Latin ; for by the differences in the letters b of this
case-form he will be more easily able to discern the variation in the
remaining cases, because the ablative forms end either in A, like terra *
earth,* or in E, c like lance ' platter,' or in I, like clavi '
key/ or in O, like caelo * sky,' or in U, like versu ' verse.'
Therefore, for the explaining of the declensions, there is this way,
which may proceed from either of two starting-points. 63. But
where there is Regularity, there are three factors, one which is in the
things, a second which is in the spoken words, a third which is in both ;
the first two are simple, the third is twofold. In view of this,
attention must be given to the relation which they have to one
another. 64% First, of the differences which exist in the
things, there are some which have no bearing on speech, others which are
connected with it. Those which are not connected with it are like those
which the artificers observe in making buildings and statues V.'s
time. b That is, the endings. e V. does not list separately the ablative
of the fifth declension, ending in long E. artifices, e quis
vocantur aliac Aarmonicae, sic item aliae nominibus aliis : scd nulla
harum fit (in) 1 loquendo pars. 2 65. Ad orationem quae
pertinent, res eae sunt quae verbis dicuntur pro portione neque a
similitudine quoque vocum declinatus habent, ut Iupiter Mars-
piter, Iovi Marti. Haec enim genere 1 nominum et numero et casibus similia sunt inter
se, quod utraque et nomina sunt et virilia sunt et singularia et
casu nominandi et dandi. 66. Alterum genus vocale est, in quo
voces modo sunt pro portione similes, non res, ut biga bigae,
nuptia nuptiae : neque enim in his res singularis subest una, cum dicitur
biga quadriga, neque ab his vocibus quae declinata sunt, multitudinis
significant quicquam, id 1 quod omnia multitudinis quae decli-
nantur ab uno, ut a merula merulae : sunt (enim) 2 eius modi, ut
singulari subiungatur, sic merulae duae, catulae tres, faculae
quattuor. 67. Quare cum idem non possit subiungi, quod 1
(non) 2 dicimus biga una, 3 quadrigae duae, nuptiae tres, scd pro eo unae
bigae, binae quadrigae, trinae nuptiae, apparet non esse a biga et
quadriga 4 bigae et quadrigae, sed ut est huius ordinis una 5 duae
tres Added by L. Sp. 2 Sentence division of Boot. § 65. 1 Mue.,for
genera. § 66. 1 Fay, for ideo. 2 Added by Fay, §67. 1
Sciop., for cum. 2 Added by Sciop. 3 L. Sp. ; una b\g&Sciop. ; for
bigae unae. 4 After quadriga, L. Sp. deleted et. 5 Aug., for unae. §
65. ° The unlikeness is in the forms of the nominative ; but both words
denote male deities. § 66. a The two words belong to the same
declension and both lack the singular forms ; but the objects denoted
are entirely unlike. and other things, of which some are called
harmonic, and others are called by other names ; but no one of
these becomes an element in speaking. 65. The differences which
pertain to speech, consist of those things which are expressed by
the words in a proportionate way, and yet do not have a likeness of
the spoken words also to help in forming the inflections : such as
nominative Iupiter and Marspiter, dative Iovi and Marti. a For these are
like one another in the gender of the nouns, and in the number, and
in the cases ; because both are nouns, and are masculine, and singular,
and nominative and dative in case. 66. The second kind has to
do with the sounds, in which the spoken words only are similar in a
proportionate way — and not the things — as in biga and bigae, nuptia and
nuptiae. a For in these there is no underlying unit thing expressed
by the singular when we say biga or quadriga, nor have the plural
forms which are derived from these words any plural meaning. Yet all
plurals which are derived from a unit singular, like merulae from
merula ' blackbird,' do have such plural meaning ; for they are of such a
sort that there is subordina- tion to a singular form : thus two merulae
* black- birds,' three catulae 1 female puppies,' four Jaculae '
torches/ 67. Therefore since there cannot be the same sub-
ordinating relation because we do not say una biga, duae quadrigae, ires
nuptiae, but instead unae bigae ' one two-horse team/ binae quadrigae '
two teams of four horses/ trinae nuptiae ' three sets of nuptials,' it
is clear that bigae and quadrigae are not from biga and quadriga,
but belong to another series : the usual princip(i)um una, sic in hoc
ordine altero unae binae trinae principium est unae. 68. Tertium genus est illud
duplex quod dixi, in quo ct res et voces similiter pro portione dicuntur
ut bonus malus, boni mali, de quorum analogia et Ari- stophanes et
alii scripserunt. Etenim haec denique perfecta ut in oratione, illae duac
simplices inchoatae analogiae, de quibus tamen separatim dicam,
quod his quoque utimur in loquendo. 69- Sed prius de
perfecta, in qua et res et voces quadam similitudine continentur, cuius
genera sunt tria : unum vernaculum ac domi natum, alterum
adventicium, tertium nothum ex peregrino hie natum. Vernaculum est ut
sutor et pistor, sutori pistori ; adventicium est ut Hectores Nes tores,
Hectoras Nestoras ; tertium ilium nothum ut Achilles et Peles.
70. De (his primo) 1 genere multi utuntur
non modo poetae, sed etiam plerique omnes qui soluta oratione
loquuntur. Haec primo 2 dicebant ut quaes- torem praetorem, sic Hectorem
Nestorem : itaque Ennius ait : Hectoris natum de mnro iactari
and lavo ' I wash,' perf. lavi, d pungo ' I prick/ perf. pupugi, tundo 1 1 pound/
perf. tutudi t e and pingo * I paint/ perf. pinxi. (7) And although/' he
con- tinues, " from ceno ' I dine * and prandeo ' I lunch '
and poto * I drink * we form the perfects cenatus sum, pransus sum, and
potus sum, f yet from destringor * I scrape myself and extergeor * I wipe
myself dry * and lavor ' I bathe myself we make the perfects
destrinxi * I am scraped * and extersi ' I am dried * and lavi ' I have
had a bath.'* 7 Furthermore, although from Oscus ' Oscan/ Tuscus *
Etruscan/ and Graecus ' Greek ' we derive the adverbs Osce ' in Oscan/
Tusce * in Etruscan/ 9 Active perfects of passive verbs, yet with
passive (intransi- tive, reflexive) meaning : this meaning of the perfect
lavi is regular in Plautus, but is nowhere attested for destrinxi
and extersi. Osce Tusce Graece, a Gallo tamen et Mauro Gallice
et Maurice dicimus ; item a probus probe, a doctus docte, sed a rarus non
dicitur rare, sed alii raro dicunt, alii rarenter." (9)
Idem M. V. in eodem libro : " Sentior," inquit, " nemo
dicit et id per se nihil est, adsentior tamen fere omnes dicunt. Sisenna unus adsentio in senatu dicebat et eum
postea multi secuti, neque tamen vincere consuetudinem potuerunt. Sed
idem V. in aliis libris multa pro dva- Xoyia. tuenda scribit.
Librorum XI-XXIV Fragmenta XI Fr. 6. 1 Et ubi
auctoritas maiorum genus tibi non de- monstraverit, quid ibi faciendum
est ? Scripsit V. ad Ciceronem : " Potestatis nostrae est illis
rebus dare genera, quae ex natura genus non habent." Fr.
7a. 1 Nunc de generibus dicamus. V. dicit " genera dicta a
generando. Quicquid enim gignit aut gignitur, hoc potest genus dici et
genus facere." Fr. 6. 1 Julianus Toletanus, Commentarius in
Donatum> v. 318. 31-34 Keil.
Fr. 7. 1 [Sergii] Explanat. in Donation, iv. 492. 37-493. 3
Keil. h Charisius, i. 217. 8 Keil, cites rare as used by
Cicero, Cato, and Plautus (Budens 995) ; but editors usually
replace it by raro. * That is, not a deponent unless compounded ;
even in a passive meaning, the passive form of the un- compounded verb is
rare, though occasionally found, as in Caesar, Bellum Civile i. 67
(sentiretur), where it is however impersonal. > Notably in ix.
and Graece * in Greek/ yet from G alius ' Gaul * and Maurus * Moor ' we
have Gallice 1 in Gallic ' and Maurice ' in Moorish ' ; also from probus
* honest ' comes probe ' honestly/ from doctus * learned ' docte '
learnedly/ but from rarus * rare ' there is no adverb rare, but some say
raro, others rarenter" h (9) In the same book V. goes on to
say : " No one uses the passive sentior* and that form by itself
is naught, but almost every one says adsentior 1 1 agree/ Sisenna
alone used to say adsentio in the senate, and later many followed his
example, yet could not prevail over usage." (10) But
this same V. in other books 3 wrote a great deal in defence of
Regularity. Fragments of Books XI -XX IV a XI Fr.
6. Where the authority of our ancestors has not shown you the gender of a
word, what in this instance must be done ? V. wrote, in the treatise
addressed to Cicero : " We men have the right and power to
give genders to the names of those things which by nature have no
gender." ° Fr. 7a. Now let us speak of genders. V. says
: " Genera * genders ' are named from generare 1 to generate.'
For whatever gignit * begets * or gignitur * is begotten/ that can be
called a genus and can XI.-XXIV. a On Books XI.-XIIL, see also vii.
110, viii.2, 20, 34, x. 33 ; and on Books XIV.-XXV., see vii. 110.
Fr. 6. ° V. uses genus both for grammatical gender and for natural
sex ; each is a * kind ' or 4 class/ cf. Frag. 7, note a. Quod si
verum est, nulla potest res integrum genus habere nisi masculinum et
femininum. Fr. 7b. 2 Tractat de generibus. V. ait "
genera tantum ilia esse quae generant : ilia proprie dicuntur
genera." Quodsi sequemur auctoritatem ipsius, non erunt genera nisi
duo, masculinum et femininum. Nulla enim genera creare possunt nisi haec
duo. Fr. 8. 1 Ostrea 2 si primae declinationis fuerit, sicut
Musa, feminino genere declinabitur, ut ad animaZ 3 referamus ; si 4 ad
testam, ostreum 5 dicendum est neutro genere et ad secundam
declinationem, ut sit huius ostrei, huic ostreo, 6 quia dicit 7 V. "
nullam rem animalem neutro genere declinari." Fr. 9- 1
Ait Plinius Secundus secutus V.nem : " Quando dubitamus principale
genus, redeamus ad diminutionem, et ex diminutivo cognoscimus
princi- pale genus. Puta arbor ignoro cuius generis sit : fac
diminutivum arbuscula, ecce hinc intellegis et principale genus quale
sit. Item si dicas columna, 2 Pompeius, Commentum Artis Donati, v.
159. 23-26 Keil. Fr. 8. 1 Cledonius, Ars Grammatica, v. 41. 24-28
Keil. 2 For ostria. 3 Keil, for animam. 4 For sic. 5 For ostrium. 6
Keil, for sicui ostri. 7 For dicitur. Fr. 9. 1 Pompeius, Commentum
Artis Donati, v. 164. 13- 18 Keil. The root gen- lies at the basis
of all these words; but genus has the weakened meaning * kind, class,*
from which the idea of * begetting ' has faded out. 6 Donatus, the
eminent grammarian who flourished about 350 a.d. c That is, ' kinds ' ;
cf Frag. 6, note a. Ft. 8. This distinction is not borne out by the
use of the words in the Latin authors. 6 Almost precisely true for
Latin, though there are many exceptions in Greek and in the Germanic
languages (cf tIkvov, German das Kind, and the neuter diminutives in
-iqv, -chen, -lein). , 7a-9 produce a genus" a If
this is true, then the genus that a thing has is not perfect unless it is
masculine or feminine. Fr. 7b. He 6 treats of genders. V.
says : " Only those are genera * genders ' which generant ' generate
' ; those are properly called genera.* 1 But if we follow his
authority, there will be only two genders, mascu- line and feminine. For
no genders e can procreate except these two. Fr. 8. If ostrea
'oyster* is of the first declension, like Musa 4 Muse,* it will be
declined in the feminine gender, so that we refer the word to the liying
being ; if we use it for the shell, then the word must be ostreum,
inflected in the neuter and according to the second declension, so that
it is genitive ostrei, dative ostreo a : because V. says : " No
living creature has a name which is inflected in the neuter
gender." 6 Fr. 9- Plinius Secundus a says, following V.
: " When we are in doubt about the gender of a main word, let
us turn to the diminutive form, and from the diminutive we learn the
gender of the main word. 6 Suppose that I do not know the gender of
arbor 1 tree ' ; form the diminutive arbuscula, and lo ! from this
you observe as well the gender of the word from which it comes. Again, if
you say, What is the Fr. 9. a This and subsequent citations from
Pliny are taken from the Elder Pliny's Dubitts Sermo, a work in
eight books, mentioned by the Younger Pliny, Epist. Ui. 5. 5. 6
Diminutives have in Latin the gender of the words from which they are
derived; the exceptions are very few. In Greek and in the Germanic
languages, however, diminutives are commonly neuter without regard to
their primitives cuius generis est ? facis inde diminutivum, id est
columella, et inde intellegis quoniam principale feminini generis
est." Fr. 10. 1 " Jiypocorismata semper generibus
suis und(e oriuntur consonant, pauca dissonant, velut haec rana)
hie ranunculus, hie ung(u)is haec ungula, h(oc glandium haec glandula,
hie panis hie pastillus et) hoc pastillum," ut V. dixit : "
haec beta hie betace(us, haec malva hie malvaceus), hoc pistrinum
haec pistrilla, ut Terentius in Ad(elphis, hie ensis haec ensicula et hie
ensiculus) : sic in Rudente Plautus." Fr. II. 1 Dies
communis generis est. Qui mascu- lino genere dicendum putaverunt, has
causas reddi- derunt, quod dies festos auctores dixerunt, non
festas, et 2 quartum et quintum Kalendas, non quartam nec quintam,
et cum hodie dicimus, nihil aliud quam hoc die intelligstur. 3 Qui vero feminino, catholico utun- tur, quod
ablativo casu E non nisi producta finiatur, Fr. 10. 1 Charisius, Instit, Gram, i.
37. 13-18 Keil, The right-hand edge of the manuscript is destroyed, but
the restora- tions are made with certainty from almost verbatim
repetitions Charisius i. 90. 10-12, 155. 14-17, 535. 21-25, 551. 36-38
Keil, in which V. is not mentioned as the source. Hie pastillus,
required by the space, was added by Keil from i. 90. 11, i. 94. 4.
Fr. 11. 1 Charisius, Instit, Gram, i. 110. 8-16 KeiL 2 For ut. 3
For intellegatur. Fr. 10. ° As substantive, for pes betaceus
: but betaceus is an adjective, not a diminutive. 6 Also an adjective ;
its application as substantive is not known. c Adelphoe 584.
«Rudens 1156-1157. Fr. 11. a Dies was by origin a masculine; in
Latin, because it was declined like the feminines of the fifth de-
clension, possibly also because its counterpart nox was , 9-H
gender of columna ' column * ?, make from it the diminutive, that
is, columella, and therefrom you understand that the word from which it
comes is of the feminine gender." Fr. 10. " Diminutives
always agree in gender with the words from which they come : a few
differ, such as fern, rana ' frog,' diminutive masc. ranunculus
'tadpole'; masc. unguis 'nail (of finger or toe), 1 fern. ungula ' hoof,
talon ' ; neut. glandium ' kernel of pork fem. glandula * tonsil * ;
masc. panis 4 loaf of bread,' masc. pastillus and neut. pastillum '
roll,' " as V. said ; " fem. beta ' beet,' masc. betaceus
° * beet-root'; fem. malva 'mallow,' masc. malvaceus h
* mallow-like vegetable ' ; neut. pistrinum ' pound- ing-mill,'
fem. pistrilla ' small mill,* as Terence says in The Brothers e ; masc.
ensis ' sword,' fem. ensicula and masc. ensiculus ' toy-sword ' : so
Plautus in The Rope* " Fr. 1 1 . Dies ' day * is of
common gender. Those who thought that it must be used as a
masculine, offered these reasons : that their authorities said dies
festi 'holidays,* with the masculine adjective, not the fem. festae ;
that they said the fourth and the fifth day before the Kalends, 6 with
the masculine and not the feminine form of the adjective ; and that when
we say hodie * to-day,' it is understood as hoc die 'on this day,'
with the masculine article,* 5 and nothing else. On the other hand, those
who regard dies as feminine, use the general argument, that in the
ablative the feminine, it acquired use as a feminine in some
meanings. Full phrase : ante diem quartum (quintum) Kalendas. A
demonstrative was an article in the grammatical terminology of the Romans.
et quod deminutio eius diecula sit, non dieculus, ut ait Terentius
: Quod tibi addo dieculam. V. autem distinxit, ut A
masculino genere unius diei cursum significare(t), feminino autem
temporis spatium ; quod nemo servavit. A Catinus masculino genere
dicitur et hinc deminutive catillus fit. . . . Sed V. ad Ciceroncm XI " catinuli "
dixit, non catilli. Fr. 13. 1 Naevus generis neutri, sed V.
ad Ciceronem " hie naevus." Fr. 14a. 1 Antiquissimi
tamen et hie gausapes et haec gausapa et hoc gausape et plurale neutri
haec gausapa quasi a nominativo hoc gausapum protulisse inveniuntur
V. vero de Lingua Latina-ait, " talia ex Graeco sumpta ex masculino
in femininum transire et A litera finiri : 6 Ko\^ta unless the genitive
is identical with the nomina- tive, when the ablative ends in i ; an
adjective also has the ablative in i if it stands before a noun
which it modifies. The
scientific formulation is that consonant-stems should have short e in the
ablative, and t-stems should have long % : a status much disturbed by the
encroachment of the ^-ending on the t-ending. c Not all these should, by
the ' rule,' end in i ; for carbo, falx, mons,fons t pons, teges do not
have identical nom. and gen. ; and the nom. of asse is as, very
rarely assis. As to the actual forms of the ablative, igni is commoner
than igne ; orbi, turri,frni, strigili, avi, axi, navi\ said and wrote senatuis,
domuis, and jluctuis as the genitive case of the words senatus ' senate,'
domus ' house,' and Jluctus * wave,* and used senatui, domui,
fiuctui as the dative ; and that they used other simi- lar words with the
corresponding endings. Fr. 18. Amni was used by Vergil a as
ablative of amnis * river,* as in He drifts with the stream
of the river. On this point, PLINIO in the same book says : " By
the old writers, whom V. criticizes adversely, all observance of
the rule 6 is disregarded, yet not utterly. For we still say," says
he, " canali ' canal,* stti ' thirst,' tussi * cough,' febri ' fever
* as the abla- tive forms. But in most words the form has been
changed, and uses the ablative which ends in E : cane ' dog,' orbe 1
circle,' carbone ' charcoal,* iurre * tower,' falce ' sickle,' igne
' fire,' teste * garment,' fine * limit,' monte * mountain,* fonie *
spring,* ponte * bridge,* sirigile * scraper,* tegeie ' mat,' ave '
bird,' asse ' as,' axe * axle,' nave ' ship,' classe * fleet.' "
c Fr. 19. V., whom Pliny mentions as having said, in the
eleventh book of his treatise addressed to Cicero " a plantation of
trees set in rows rare a 1 in the country.' Fonteis * springs,'
accusative plural spelled with EIS : " The nouns which gain an I in
the genitive plural before the ending UM," says Pliny, " have
the classi are found in authors of the first century b.c, but are
less common than the forms with e, or are used to satisfy metrical
requirements ; ponti is found once in older Latin ; monti and fonti are
cited by V., ix. 112. Fr. 19. Instead of the usual locative form
ruri. accusativus," inquit Plinius, " per EIS loquetur,
montium monteis ; licet V.," inquit, " exemplis hanc regulam
confutare temptarit istius modi, falcium falces, non falceis facit, nec
has merceis, nec hos axeis lmtreis ventreis stirpeis urbeis cor&eis 3
vecteis men- teis. 4 Et tamen manus dat praemissae regulae
ridicule, ut exceptis his nominibus valeat regula." Fr. 21. 1
Poematorum et in II et in III idem V. adsidue dicit et his poematis, tarn
quam nominativo hoc poematum sit et non hoc poema. Nam et ad
Ciceronem XI, horum poematorum et his poematis oportere dici.
Fr. 22. 1 Git : V. ad Ciceronem XI per omnes casus id nomen ire
dcberc conmeminit ; vulgo autem hoc gitti dicunt. XIII
Fr. 23. 1 Palpetras per T V.
ad Ciceronem XIII dixit. Sed Fabianus de Animalibus primo pal-
pebras per B. Alii dicunt palpetras genas, palpebras autem ipsos
pilos. 3 For curueis. 4
GS. t for inepteis, cf. viii. 67. Fr. 21. 1 Charisius, Inst. Gram.
i. 141. 29-31 Keil. Fr. 22. 1 Charisius, Inst. Gram. i. 131. 7-8
Keil. Fr. 23. 1 Ckarishts, Inst. Gram. Keil. This EI does not
represent an earlier diphthong, but was often written for a long i after
the original diphthong had become identical in sound with the long i.
There are scattered examples of the ending EIS in the accusative, found
in inscriptions and manuscripts. accusative in EIS, a like genitive
montium * mountains,' accusative monteis ; although V.," he
continues, " tried to refute this rule by examples of the
following sort : to the genitive fold urn ' sickles * the
accusative is folces and not folceis, nor is the proper spelling
merceis 1 wares,* nor axeis * axles/ lintreis ' skiffs,* ventreis *
bellies/ stirpeis * stocks/ urbeis ' cities/ corbeis * baskets/ vecteis *
levers/ menteis * minds.' And yet he gives up the fight against the
aforesaid rule in a ridiculous fashion, saying that apart from
these nouns the rule holds. In the second and the third books V.
constantly uses the genitive poematorum poems and the dative poematis, as
though the word were poema- tum in the nominative and not poema. For in
the eleventh book of the treatise addressed to Cicero he says that
genitive poematorum and dative poematis are the proper forms to be
used. Git * fennel ' a : V. in the eleventh book of the treatise
addressed to Cicero states that this form ought to be used in all the
cases ; but people quite commonly say gitti in the ablative. V. in
the thirteenth book of the treatise addressed to Cicero used palpetrae,
with T. But Fabianus, a in the first book On Animals, wrote palpe-
brae with B. Others say that palpetrae means the eyelids, and palpebrae
the eyelashes. a Xigella sativa. Fr. 23. ° Papirius Fabianus,
who wrote on philosophy and on natural history in the time of
Augustus. Oxo : " V. ad Ciceronem XIII
olivo et oxo putat fieri/' inquit Plinius Sermonis Dubii libro
VI. Indiscriminatim, indiflferenter. V. de Lingua Latina: Quibus
nos in hoc libro, proinde ut nihil intersit, utemur
indiscriminatim, promisee." XXII Fr. 26. 1
Rure Terentius in Eunucho : Ex meo propinquo rure hoc capio
commodi. Itaque et V. ad Ciceronem XXII " rure veni."
XXIII Fr. 27. 1 V. ad Ciceronem in libro XXIII : "
ingluvies tori," inquit, " sunt circa gulam, qui propter
pinguedinem fiunt atque interiectas habent rugas." Sed nunc pro gula
positum. Charisins, Inst. Gram. i. 139. 15-16 Keil. Fr. 25. 1
Nonius Marcellus, de Compendiosa Doctrina, 127. 24-26 M. Fr.
26. 1 Charisius, Inst. Gram. i. 142. 18-20 Keil, Fr. 27. 1 Serv. Dan, in Georg. iii.
431. Fr. 24. a Antecedent unknown. b Greek 6£os (neuter, third
decl.), denoting sour wine, and vinegar made therefrom. Fr. 25.
Antecedent unknown. These are examples of rure as a pure ablative.
The continuation is our Fragment 19, in which examples of rure as a
locative are discussed. Fr. 27. « That is, double chins.
Fr. 24. Ojco, ablative : " V., in the thirteenth book
of the treatise addressed to Cicero, expresses the opinion that it a is
composed of olive-oil and oxos b * vinegar/ " says Pliny in the
sixth book of the treatise entitled Variations in Speech. Indiscriminaiim
means ' without differ- ence.' V. in the eighteenth book of the
treatise On the Latin Language says : " Which a in this book
we shall use indiscriminatim 1 without distinction/ promiscuously, just
as if there were no difference between them." XXII
Fr. 26. The ablative rure is used by Terence in the Eunuchus a
: I get this comfort from my near-by country-seat. So
also V., in the twenty-second book of the treatise addressed to Cicero,
says : " I have come rure * from the country/ " 6
XXIII Fr. 27. V., in the twenty- third book of the
treatise addressed to Cicero, says : " The ingluvies is the bulging
muscles around the throat, which are produced by fatness and have creases
between them/* a But now the word is used merely for the
throat. Cum in disciplinas dialecticas induci atque imbui vellemus,
necessus fuit adire atque cognoscere quas vocant dialectici
€itrayu>yas. (2) Turn, quia in primo 7repl a^tw/xarwv discendum,
quae M. V. alias profata, alias proloquia appellat, Com- mentarium
de Proloquiis L. Aelii, docti hominis, qui magister V.nis fuit, studiose
quaesivimus eumque in Pacis Bibliotheca repertum legimus. (3) Sed
in eo nihil edocenter neque ad instituendum explanate scriptum est,
fecisseque videtur eum librum Aelius sui magis admonendi quam aliorum
docendi gratia. Redimus igitur necessario ad Graecos libros. Ex
quibus accepimus a£ta>/jta esse his verbis (defini- tum) : XtKTuv
avroreXh diro^avTov ovov etf> avra>. (5) Hoc ego supersedi vertere,
quia no vis et incon- ditis vocibus ntendum fuit, quas pati aures per
inso- lentiam vix possent. (6)
Sed M. V. in libro de Lingua Latina ad Ciceronem quarto vicesimo
ex- peditissime ita finit : " Proloquium est sententia in qua
nihil desideratur." (7) Erit autem planius quid istud sit, si exemplum
eius dixerimus. 'A^tw/xa igitur, sive id proloquium dicere placet,
huiuscemodi est : Hannibal Poenus fuit ; Scipio Numantiam delevit ; Milo
caedis damnatus est ; Neque bonum est voluptas neque malum ; et
omnino quicquid ita dicitur plena atque perfecta verborum sententia, ut
id necesse sit aut verum aut falsum esse, id a dialecticis d£«o/m
Fr. 28. 1 Aulas Gellius,
Nodes Atticae, xvi. 8. 1-14 ; Rolfe's text, in the Loeb Classical
Library, Rolfe's translation, in the Loeb Classical Library, with
modifications. b In Vespasian's Temple of Peace, in the Forum Pacis. c
Page 75 Funaioli. When I wished to be introduced to the science of
logic and instructed in it, it was neces- sary to take up and learn what
the logicians call curaycoyac, or ' introductory exercises.' (2)
Then because at first I had to learn about axioms, which Marcus V.
calls, now prof ata or ' propositions,' and now proloqitia or '
forthright statements,' I sought diligently for the Commentary on
Proloquia of Lucius Aelius, a learned man, who was the teacher of V.
; and finding it in the Library of Peace, 5 I read it. (3) But I
found in it nothing that was written to instruct or to make the matter
clear ; Aelius c seems to have made that book rather as suggestions for
his own use than for the purpose of teaching others. (4) I
therefore of necessity returned to my Greek books. From these I obtained
this definition of an axiom : " a proposition complete in itself,
declared with reference to itself only." (5) This I have for-
borne to turn into Latin, since it would have been necessary to use new
and as yet uncoined words, such as, from their strangeness, the ear could
hardly endure. But Marcus V., in the twenty-fourth book of his
treatise On the Latin Language, dedicated to Cicero, thus defines the
word very briefly : "A proloquium is a statement in which nothing is
lacking." (7) But his definition will be clearer if I give
an example. An axiom, then, or a forthright state- ment, if you
prefer, is of this kind : Hannibal was a Carthaginian; 11 Scipio
destroyed Numantia " ; Milo was found guilty of murder. Pleasure
is neither a good nor an evil " ; and in general any saying
which is a full and perfect thought, so expressed in words that it is
necessarily either true or false, is called by the logicians an axiom ;
by Marcus Varro, appellatum est, a M. Varrone, sicuti dixi, proloquium,
a M. autem Cicerone pronuntiatum, quo ille tamen vocabulo tantisper uti
se adtestatus est, " quoad melius," inquit, "
invenero." Sed quod Graeci crvvrjfxfxevov aftw^ta dicunt, id
alii nostrorum adiunctum, alii conexum dixerunt. Id conexum tale est : Si Plato
ambulat, Plato move- tur ; Si dies est, sol super terras est. (10) Item
quod illi o-vfjLTreTrXeyfiei'ov, nos vel coniunctum vel copu- latum
dicimus, quod est eiusdemmodi : P. Scipio, Pauli filius, et bis consul
fuit et triumphavit et censura functus est et collega in censura L. Mummi
fuit. In omni autem coniuncto si unum est
mendacium, etiamsi cetera vera sunt, totum esse mendacium dicitur. Nam
si ad ea omnia quae de Scipione illo vera dixi addidero Et Hannibalem in
Africa superavit, quod est falsum, universa quoque ilia quae
coniuncte dicta sunt, propter hoc unum quod falsum accesserit, quia
simul dicentur, vera non erunt. Est item aliud quod Graeci Siefrvy/itvov
a£iw/xa, nos disiunctum dicimus. Id huiuscemodi est : Aut malum est voluptas aut
bonum, aut neque bonum neque malum est. (13) Omnia autem quae disiun- guntur pugnantia
esse inter sese oportet, eorumquc opposita, quae dvriKd^va Graeci dicunt,
ea quoque ipsa inter se adversa esse. Ex omnibus quae dis- d Tusc. Disp. i. 7.
14. * Two connected statements, of which the second follows as the result
of the first. f This is the younger Africanus, who destroyed Carthage in
146 b.c; it was the older Africanus who defeated Hannibal at Zama. FRAGMENTS
as I have said, a proloquium or ' forthright statement ' ; but by Marcus Cicero
d a pronuntiatum or pronouncement/
a word however which he declared that he used only until I can find a
better one. But what the Greeks call aicharmus. Marco Terenzio Varrone. Varrone.
Keywords: centro di studi varroniani,
idioma, idiom, lingua latina, lingua anglica, Lazio, Lazini, la lingua del
Lazio, Varrone, Prisciano, Donato, Girolamo, Giulio Cesare – Refs.: The H. P.
Grice Papers, Bancroft, MS – Luigi Speranza, “Grice e Varrone: semiotica
filosofica” – The Swimming-Pool Library, Villa Speranza, Liguria. Varrone.
Luigi Speranza -- Grice e Varzi: la ragione conversazionale e
l’implicatura conversazionale delle parole, degl’oggetti, e degl’eventi – la
scuola di Galliate – filosofia piemontese -- filosofia italiana – By Luigi
Speranza, pel Gruppo di Gioco di H. P. Grice, The Swimming-Pool Library (Galliate). Filosofo piemontese. Filosofo italiano. Galliate, Novara,
Piemonte. Essential Italian philosopher. Some
Italians do not consider Varzi an “Italian” philosopher in that his maximal
degree was earned elsewhere! If philosophy is a branch of the belles lettres,
part of Varzi’s essays belong in English literature. He has written on
‘universal semantics.’ All'Trento. Grice: “Varzi rather freely uses ‘universal’ as in
‘universal semantics’ – while my own pragmatic rules have been challenged
universal status, by, of all people, Elinor Ochs!” Grice: “Some Italians
consider Varzi a specimen of ‘brain drain’ in more than one way: his maximal
degree was obtained without Italy, not within Italy, and not in Italian – plus
the fact that he is at Colombo’s Columbia!” Esponente della filosofia analitica, è noto
principalmente per le sue ricerche di logica e per il suo contributo alla
rinascita degli studi in ambito di metafisica e ontologia. Laureatosi a
Trento con una tesi, “La logica libera” stato insignito della Targa Piazzi per
la ricerca scientifica e del Premio Bozzi per l'Ontologia. Dopo un periodo
dedicato soprattutto allo studio dell'immagine del mondo propria del senso
comune, si è indirizzato progressivamente verso posizioni di stampo nominalista
e convenzionalista, nella convinzione che buona parte della struttura che siamo
soliti attribuire alla realtà esterna risieda a ben vedere nella nostra testa,
nelle nostre pratiche organizzatrici, nel complesso sistema di concetti e
categorie che sottendono alla nostra rappresentazione dell'esperienza e al
nostro bisogno di rappresentarla in quel modo. Noto anche per la sua attività
divulgativa, spesso in collaborazione con Casati, ispirata al principio secondo
cui la filosofia è una sfida in cui il pensiero parte dalla semplicità delle
cose quotidiane e ne mostra la meravigliosa complessità. Saggi: “Semplicemente
diaboliche” (Laterza); “L’amicizia” (Orthotes); “I colori del bene, Orthotes,. L'incertezza
elettorale (Aracne). Le tribolazioni del filosofare. Comedia Metaphysica ne la
quale si tratta de li errori et de le pene de l’Infero (Laterza); Il mondo
messo a fuoco, Laterza, Il pianeta dove scomparivano le cose. Esercizi di
immaginazione filosofica, Einaudi, Ontologia, Laterza, Semplicità
insormontabili storie filosofiche, Laterza, Parole, oggetti, eventi e altri
argomenti di metafisica, Carocci. “Logica” McGraw-Hill Italia, Buchi e altre superficialità, Garzanti. Studi:
Casetta e Giardino, Mettere a fuoco il mondo. Conversazioni sulla
filosofia di V., Isonomia Epistemologica,
Calemi, V.. Logica, semantica, metafisica (Albo Versorio, Milano); Il mondo
messo a fuoco, Laterza. Dal risvolto di copertina di Semplicità insormontabili,
Laterza. Da questo libro è stato tratto lo spettacolo teatrale Insurmountable
Simplicities, per la regia di Glick, presentato dall'All Gone Theatre Company
all'edizione del New York International
Fringe Festival. Biografia "negativa" di V., su columbia. Intervista
ad V. di Caffo, Rivista italiana di filosofia analitica. Achille Varzi. Varzi. Keywords:
‘universal’. Refs.: Luigi Speranza, "Grice e Varzi:
semantica filosofica," per il Club Anglo-Italiano, The Swimming-Pool
Library, Villa Grice, Liguria, Italia.
Luigi Speranza -- Grice e Vasa: all’isola
-- la ragione conversazionale e l’implicatura conversazionale della RAGIONE E LA
LIBERTÀ – filosofia sarda -- filosofia italiana – Luigi Speranza, pel Gruppo di
Gioco di H. P. Grice, The Swimming-Pool Library (Aggius). Flosofo sardo. Aggius,
Sassari, Sardegna. Essential Italian philosopher. Filosofo italiano. Società
Filosofica Italiana Congresso Nazionale L'Aquila. Nacque al paese della Gallura
di forte e suggestivo paesaggio e di forti vicende. Compiuti in anticipo gli
studi secondari, anda a studiare filosofia a Milano dove si laurea. Insegna nel
liceo ginnasio “Arnaldo” di Brescia. Dove interrompere l’insegnamento a causa
della sua partecipazione alla Resistenza con il gruppo che fa capo a Parri.
Alla fine della guerra riprese l’insegnamento a Milano nel liceo classico
Carducci nel liceo ginnasio Manzoni. Ottenne la libera docenza. Assistente volontario
e poi incaricato di filosofia, Milano. Vincitore di un concorso a cattedre di filosofia
teoretica, chiamato a Cagliari e Firenze.
Rimase sempre fortemente legato al paese natale. Il Comune di Aggius ne ha
conservato la memoria. Negli anni di
formazione, si trova a partecipare al tentativo condotto da BONTADINI, di cui
era allievo e amico, di superare la contrapposizione tra la scolastica e
l’idealismo, comprendendo e assimilando quanto della metafisica hegeliana e
cristiana era in questo indirizzo. In questa operazione prende una sua via
personale. Abbandona l’interesse metafisico simpatizzando per l’attualismo di GENTILE
(vedi) per quanto esso restituiva all’uomo dignità e responsabilità, mettendone
tuttavia in luce l’impossibilità di una fondazione logica. Nacquero così le
indagini sulla logica di Hegel che portarono a rilevanti osservazioni critiche
riguardo all’idealismo. Con l’idea che i valori immanenti costituiscono
l’orizzonte trascendentale nella prassi razionale ed etica dell’uomo vienne a
cadere per V. l’opposizione di immanenza e trascendenza. Nella comune partecipazione alla Resistenza si
lega di amicizia con PRA (vedi), filosofo di profonda esperienza religiosa e
sociale e innovatore della storiografia filosofica. Tramite PRA, V. entra in
contatto con BANFI, che rappresenta la scuola filosofica milanese. Nel
confronto con il razionalismo critico di BANFI, che mira a chiarire una
struttura della ragione nel solco della tradizione kantiana, V. pensa ad un
razionalismo che anda oltre ogni struttura presupposta della ragione verso un
orizzonte di possibilità non ancora prevedibili. Questo comporta l’idea della
ricerca di una logica della possibilità. Si pone così quella proposta
filosofica detta “trascendentalismo della prassi”, radicalmente critica e
programmaticamente aperta, e che venne difesa da PRA e Vn, sia nella «Rivista
di storia della filosofia» fondata da PRA, sia nei Congressi della “Società
filosofica italiana” ri-nata dopo lo scioglimento imposto dall’autorità del
FASCISMO. Il “trascendentalismo della prassi” è contrapposto al
"teoricismo", inteso come il carattere di tutta filosofia che
presuppone un principio di datità del reale e del valore, cioè di tutta
filosofia metafisica. Il trascendentalismo della prassi non vuole essere una
teoria, ma un atteggiamento pratico possibile, effettivo, che riconosce la
temporalità della prassi e ne rivendica la libertà e la responsabillità. La
proposta del trascendentalismo della prassi, che è immediatamente critica del
pensiero di CROCE e GENTILE, ma che investiva tutti gli indirizzi
contemporanei, è il modo più radicale del domandarsi dopo la guerra, sul métier
della filosofia. La «Rivista di storia della filosofia» costituì il contatto
con il “neo-illuminismo”, che, animato da ABBAGNANO (vedi), avendo come centro
Torino, collega e confronta in convegni periodici i nuovi indirizzi
metodologici e anti-metafisici. Affermatisi gli indirizzi della fenomenologia
trascendentale, della filosofia analitica e dell’empirismo. Con il suo metodo,
caratterizzato dall’apertura e dalla tensione critica ad un continuo “andar
oltre”, V. da di essi interpretazioni originali in numerosi studi e seminari.
La sua ricerca, ora caratterizzata come razionalismo della prassi, continua a
mettere in discussione ogni naturalismo limitativo della libertà della persona.
Conferma così l’idea di una “via negativa alla filosofia” a cui siamo costretti
in mancanza di principi universali oggettivi o di autorità universali nella
prassi. Questa negazione confuta la tematizzazione ingenua del mondo, mette fra
parentesi la tradizione, toglie l’unicità di senso al nostro rapporto con la
realtà e, aprendo la ricerca alla prospettiva di generalizzazioni nuove,
risponde al bisogno della persona di costruirsi e perseguire finalità
proprie. Per influenza dell’amico GEYMONAT,
e in discussione con lui, V. vide concretamente nelle scienze in sviluppo
l’orizzonte effettivo delle possibilità razionali, pertanto si cimentò nella
comprensione di esse attraverso l’epistemologia e la logica. Esamina il moderno
formalismo logico-matematico di Russell; l’analisi del linguaggio (formale ed ordinario)
di ‘Vitters’; il convenzionalismo logico e linguistico che egli coglieva
nell’empirismo di Carnap e nella discussione di Quine sull’ontologia; lo stesso
svolgimento dell’epistemologia dagli inizi col circolo di Vienna ai successivi
sviluppi autocritici e “liberali”; le rivoluzioni concettuali delle scienze. Sono
tutti problemi che hanno all’origine e segnalano una crisi del fondamento. V. vuole
chiarirli leggendovi la sollecitazione a porre fra parentesi ad aggredire o a
variare all’infinito ogni “conoscenza, di spazi e tempi, di atomi, masse e
cause naturali. La sua ricerca mantene così l’etica dei fini umani. La logica è
anche logica della Speranza. La filosofia ritrova il senso originario di “amore
della saggezza”. Saggi: “Il problema della ragione” (Bocca, Milano); “Ricerche
sul razionalismo della prassi” (Sansoni, Firenze); “Logica, scienza e prassi”
(Nuova Italia, Firenze); “Logica, religione e filosofia” (Angeli, Milano); “Logica,
scienze della natura e mondo della vita” (Angeli, Milano); “Poeti di Aggius.
Michele Andrea Tortu, Pisanu (Antologia di Lepori con prefazione, traduzione e
note di V.), Nota introduttiva di Pirodda, Istituto Superiore Regionale
Etnografico, Nuoro. “Il Trascendentalismo della prassi, la filosofia della
Resistenza. Sandrini, Mimesis, Centro Internazionale Insubrico, Milano. In
memoria di V., filosofo della modernità, La Nuova Sardegna, Treccani: V. Ragione
e libertà. Saggio sul pensiero di V. V., Una discussione con Bontadini su
metafisica e filosofia, in Studi di filosofia in onore di Bontadini, Vita e
Pensiero, Milano I saggi di V. sono raccolti in “Logica, religione e filosofia:
Scritti filosofiici”. Memoria di Gentile, in Giornale critico della filosofia
italiana, Vedi Croce, Le cosiddette ‘riforme della filosofia’ e in particolare
di quella hegeliana, a proposito del saggio di V. su RUGGIERO (vedi) -- Quaderni
della Critica, poi in Indagini su Hegel, Laterza, Bari. Pra, La filosofia
italiana oggi, Rivista critica di storia della filosofia, Sul trascendentalismo
della prassi, in Il problema della filosofia oggi. Atti del Congresso nazionale
di Filosofia (Bologna, promosso dalla
SFI, Bocca, Roma-Milano, Vedi: saggi come l’Introduzione alla trad. Di Husserl,
L’idea della fenomenologia (Rosso), Il Saggiatore, Milano, Logica e religione di fronte al compito di una
possibile unificazione del sapere, in «Il Pensiero», L’ateismo religioso di
Wittgenstein, in «Archivio di Filosofia», (Esistenza, Mito, Ermeneutica), e le
lezioni raccolte nel volume Logica, scienze della natura e mondo della vita. V.,
Logica, scienze della natura e mondo della vita. La frase (di V.) compare nella presentazione
editoriale del volume Logica, scienza e prassi. Luporini, Casari, Pra,
Geymonat, Marinotti, Ricordo di V.. Corsi, seminari, Olschki, Firenze, Natale,
Storicità della filosofia e filosofia come storiografia. Un dibattito tra
filosofi italiani in Dentro la storiografia filosofica. Questioni di teoria e
didattica (Dedalo, Bar). Cambi, Razionalismo e prassi a Milano, Cisalpino-Goliardica,
Milano. Marinotti, Handjaras, “Ragione e
libertà: la filosofia di V., Prefazione di Pra (Angeli, Milano); Pra, Filosofi
del Novecento, Angeli, Milano, vi è raccolto il contributo già in, Ricordo di V.
(Olschki, Firenze); Monti, Religione e prassi in V., in «La Fortezza. Rivista
di studi», Liberalismo etico e prospettive razionalistiche in V., Etica e
scienza. Saggi di filosofia, Carocci, Roma. Sandrini e Al., V. uomo e filosofo
(Atti del convegno di Aggius. Comprende: relazioni di Sandrini, “L’eredità
vasiana”. Lecis, Viaggio verso una meta incerta. L’universo dei mondi possibili
di V.; F. Minazzi, La strada per Megara e l’irriducibilità della libertà umana.
Il problema della ragione nel trascendentalismo della prassi di V.; E. Palombi,
Sul senso dell’uomo nel pensiero di V.; alcuni brevi Scritti e testi
inediti, Minazzi e Sandrini, in «Il
Protagora», poi in volume con lo stesso titolo, Barbieri, Manduria. Marinotti,
Ragione e prassi in V. e in Geymonat. Memoria di una discussione filosofica e
di un’amicizia, in Geymonat un maestro del Novecento. Il filosofo, il
partigiano e il docente, Minazzi, Unicopli, Milano; Rambaldi, La formazione di V.,
in Pala filosofo laico, appassionato delle scienze. Studi e testimonianze, Maiorca,
Cuec, Cagliari, Rambaldi, Da Gentile a Hegel. Trascendentalismo e anti-fascismo
in V.. Con un’appendice di testi e documenti, in «Rivista di storia della filosofia».
Andrea Vasa. Vasa. Keywords: liberta, freedom. Refs.: The H. P. Grice Papers,
Bancroft MS – Luigi Speranza, “Grice e Vasa: ragione e liberta” – The
Swimming-Pool Library, Villa Speranza, Liguria. Vasa.
Luigi
Speranza -- Grice e Vasoli: la ragione conversazionale e l’implicatura a MERTON
ecc – la scuola di Firenze – filosofia fioretina – filosofia toscana --
filosofia italiana – Luigi Speranza, pel Gruppo di Gioco di H. P. Grice, The
Swimming-Pool Library (Firenze). Filosofo fiorentino. Filosofo
toscano. Firenze, Toscana. m. Firenze. Storico della filosofia italiano. Si
formato con GARIN (si veda) e si laurea a Firenze con un saggio di filosofia
morale. Al suo maestro è rimasto sempre profondamente legato, riprendendo e
sviluppandone in modo originale temi e motivi. Assistente e libero
docente e incaricato di Storia della FILOSOFIA MEDIEVALE fnella facoltà di filosofia
a Firenze. È stato professore ordinario di storia della FILOSOFIA MEDIEVALE a Cagliari,
Bari e Genova, poi a Firenze di filosofia morale, di storia della filosofia,
quindi di storia della FILOSOFIA DEL RINASCIMENTO. Dottore honoris causa
della Sorbona e del Centro studi sul Rinascimento di Tours. Presidente
dell'Istituto di Studi sul Rinascimento, di cui è consigliere, e dei
Lincei. Autore di una vasta bibliografia, tra i suoi saggi si
ricordano: La filosofia medievale (Feltrinell), La dialettica e la
retorica dell'Umanesimo: "Invenzione" e "Metodo" (Feltrinelli; Città del sole) Umanesimo e
Rinascimento (Palumbo) Magia e scienza nella civiltà umanistica (Il Mulino) La
filosofia moderna (Vallardi) La cultura delle corti (Cappelli) Filosofia nel Rinascimento
(Guida) Tra maestri, umanisti e teologi: studi (Le Lettere) Civitas mundi:
studi sulla cultura (Storia e letteratura) Le filosofie del Rinascimento
(Mondadori) L'enciclopedismo
(Bibliopolis) Ha inoltre tradotto in italiano il Defensor Pacis e il
Defensor minor di Marsilio da PADOVA (si veda) ed ha curato, con Robertis,
l'edizione critica del Convivio d’ALIGHIERI (Ricciardi). Si è poi
dedicato allo studio delle idee filosofiche (FICINO (si veda), SAVONAROLA (si
veda) ed i suoi seguaci, SALVIATI (si veda), Postel, Patrizi da Cherso, Bodin,
Marsilio da Padova), e, in particolare, al ritorno della tradizione dell’ACCADEMIA
ed al rapporto tra le varie filosofie del Rinascimento e la diffusione delle
nuove concezioni rconnesse alla Riforma protestante o alle particolari
esperienze etico-politiche dell'età della Contro-riforma. Treccani -- Istituto
dell'Enciclopedia Italiana. Stabile, V. Enciclopedia Italiana, V Appendice,
Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Dizionario di filosofia, Istituto
dell'Enciclopedia Italiana, Dizionario bio-bibliografico dei bibliotecari
italiani, Associazione Italiana Biblioteche. Registrazioni di V. su
RadioRadicale.it, Radio Radicale. Portale Biografie: accedi alle voci di
Wikipedia che trattano di biografie Categorie: Storici della filosofia italiani
Italiani Italiani Nati a Firenze Morti a Firenze. La filosofia
medioevale Storia della Filosofia La filosofia medioevale Il
pensiero filosofico del Medioevo, dai mani- chei ai nominalisti, da
Ockham a Maestro Eckhart, da S. Ag ostino a S. Tommaso, visto
in continuo, costante riferimento con l’am- biente culturale, politico e
sociale. Gli aspetti ideologici delle dottrine e il loro peso
effettivo ‘nella società medioevale — sulla teologia, sul- le
concezioni della politica e dello stato — vengono ampiamente analizzati e
portati in primo piano, offrendo al lettore un panorama quanto mai
affascinante dello sviluppo storico e del significato culturale e
politico delle varie filosofie. In questo quadro denso di fatti, di
notizie, di osservazioni, di riferimenti, una speciale attenzione è
rivolta dall’autore alla organizzazione della cultura, al formarsi
delle università, alla nascita degli ordini mendican- ti, insomma a
tutte le forme di vita teorica e pratica del Medioevo, in cui si è
riflessa in maniera decisiva l’attività filosofica. La
filosofia medioevale di Cesare Vasoli è il primo, in ordine di
pubblicazione, di una se- rie di volumi affidati a diversi studiosi,
che costituiranno un’organica storia della filosofia. Seguiranno a
questo i volumi dedicati alla Filosofia antica, alla Filosofia nell'età
del Ri- nascimento, alla Filosofia moderna e alla Filo- sofia
contemporanea. Quest'opera intende offrire a un pubblico colto, ma
non necessariamente specializzato, un ampio e documentato panorama dello
svilup- po storico del pensiero filosofico. Nella stesura del lavoro i
collaboratori si sono soprat segue seguito tutto preoccupati
di evitare due opposti pericoli: un troppo rigoroso tecnicismo con una
conseguente terminologia da iniziati e una sommarietà di trattazione
adatta a manuali di uso scolastico. La filosofia antica La filosofia
medioevale La filosofia nell’età del Rinascimento La filosofia
moderna La filosofia contemporanea Di imminente
pubblicazione: Adorno, La filosofia antica. V., professore di storia della
filosofia medioevale a Firenze. È autore di un volume su Occam e di numerosi
studi sulla filosofia. Ha raccolto i risultati delle sue ricerche sul
pensiero contemporaneo nel volume, di recente pubblicazione, Tra cultura
e ideologia. Collabora alla “Rivista critica di storia della filosofia,” di cui
è redattore, a “Il Ponte,” a “Inventario,” a “Paragone” e ad altre
riviste filosofiche e di cultura. Sovracoperta: Albe Steiner
Feltrinelli Milano Storia della Filosofia Giangiacomo Feltrinelli, Milano.
La filosofia medioevale, Feltrinelli Milano. V. dedica il saggio allasua moglie,
compagna carissima. Agostino si spegna nella sua sede episcopale ad Ippona,
assediata dalle milizie dei vandali. Nella sua lunga esistenza di filosofo,
di retore e di teologo, di elegante letterato e di padre della
cristianità occidentale, Agostino assiste al lungo sfacelo della società
romana corrosa da un’insanabile crisi economica e politica, minacciata
dalla crescente pressione delle gentes germaniche e dall’esplodere sempre
più frequente di drammatiche rivolte contadine; ma adesso, nei suoi ultimi
giorni, egli assisteva all’estrema rovina di quello Stato che si era
ormai intimamente compenetrato con la Chiesa di Cristo, e, dall’età
costantiniana, aveva associato i vescovi e il clero romano alla guida
dell’Impero. Sorto per volere di una provvidenza misteriosa e
inaccessibile, che dispone dei troni e dei poteri, secondo l’esigenza di
un suo segreto disegno, l’Impero di Roma andava adesso dissolvendosi per una
legge ugualmente necessaria e provvidenziale; ma nella estrema confusione
del secolo, nell’anarchia di tutte le autorità e di tutti i poteri, il
vescovo vede solo il segno dell’avvento di una nuova società
integralmente religiosa, capace di assorbire nella sua più alta finalità
cristiana l’ordinamento mondano, conservandolo per i suoi scopi
superiori. Se la città terrena scontava nella sua morte la propria
origine di violenza e di frode, la città di Dio poteva sorgere a imporre nel
nome della sua destinazione ultraterrena la pace e l'universale
concordia, sotto il segno dell’alta guida della potestas Ecclesiae.
La dottrina che Agostino elabora nel De civitate Dei, scritto in
anni trai più tragici della storia dell’Impero, era certamente un tentativo
coerente di sottrarre la comunità cristiana all'imminente catastrofe,
riaffermando che il suo destino ol Introduzione trepassa sempre la
storia e il mondo presente, che la sua verità trascendente è al di là di ogni
fortuna o sventura storica. Ma il suo richiamo alla superiorità di un
destino celeste, estraneo alla misura mondana degli uomini carnali, non
diminuiva la gravità di una crisi che incideva sugli stessi fondamenti
della situazione civile e intellettuale in cui era maturato il trionfo politico
del cristianesimo. In Gallia e in Iberia le sanguinose dagaude, ribellioni
delle gentes non romane contro l’aristocrazia latina e quella indigena
latinizzata, segnavano irrevocabilmente la fine dell’unità romana. E mentre,
nel precipitare della dissoluzione militare e amministrativa dell’Impero,
si spezzavano anche i legami culturali che avevano tenuto unite le
più diverse regioni d’Europa, i popoli germanici si installavano già pesantemente
nel cuore dell'Impero, portando a contatto con la millenaria esperienza di una
società economica evoluta la loro organizzazione ancora tribale, i loro culti
della forza e del sangue. Certo, ad Oriente, nella recente capitale
di Costantinopoli, continuava la stessa tradizione romana che avrebbe più tardi
trovato le basi di una nuova ripresa politica e intellettuale nel
difficile connubio. dell’ellenismo e del cristianesimo. Ma nell’Occidente
devastato dalle invasioni e dalle insurrezioni contadine e militari,
l’autorità e il potere dell’Impero erano ormai soltanto un nome ed una
finzione giuridica. E presto i capi germanici avrebbero potuto imporre il
loro sostanziale dominio a tutte le classi e i ceti dell’antica società romana.
Cosî il potere militare e politico sarebbe passato definitivamente dalle mani
dell’aristocrazia senatoria e latifondistica e della burocrazia imperiale in
quelle di una ristretta casta militare germanica, pronta però ad
accettare la collaborazione dei vinti e a riconoscere la loro superiorità
intellettuale. Questa dissoluzione dell’Impero e, con essa, la
crisi della stessa struttura organizzativa della cultura romana, non fu
però, certamente, un evento improvviso, né ebbe quel carattere
catastrofico che gli è stato cosî a lungo attribuito dalla storiografia
romantica. Anzi, anche quando tra la fine del IV e gli inizi del V secolo
l'emigrazione delle gentes germaniche si trasformò in vera e propria
invasione, lo stanziamento delle loro tribi nell’Occidente romano avvenne
ancora, in generale, nel quadro degli ordinamenti romani. I capi
barbarici che occuparono con i loro exercitus l’Italia e le province più
latinizzate dell'Europa occidentale e dell’Africa, tennero spesso a
comportarsi: pit come mandatari dell’autorità imperiale che non come veri
e propri sovrani, senza mutare la struttura organizzativa dello stato romano.
Né le condizioni politiche e sociali delle élites subirono, almeno nei
primi tempi, un mutamento radicale, o venne trasformata la struttura
sociale del Basso Impero, che restò di fatto immutata, anche se alle
aristocrazie latifondistiche romane o provinciali si sostitui, in gran
parte, la nuova aristocrazia militare germanica. È vero che le invasioni
barbariche, nelle regioni pid lontane o periferiche, ebbero talvolta come
immediata conseguenza la rottura della recente tradizione romana. Ma è
altrettanto certo che lo stanziamento delle gentes germaniche nelle vecchie
terre latine, lì dove esisteva un forte tessuto urbano e solide
istituzioni culturali, non ebbe affatto un simile effetto. Anzi, gli
storici del Medioevo sono concordi nel contrapporre il rapido regresso
della cultura nelle regioni di recente latinizzazione alla robusta e vitale
continuità di tradizioni intellettuali che si ebbe invece in Italia, in
Gallia, in Spagna e nell’Africa romana. Tuttavia, se pure le
invasioni non distrussero volontariamente la base della cultura romana,
che negli ultimi secoli dell’Impero aveva raggiunto un notevole grado di
uniformità e di stilizzazione scolastica, la dissoluzione dell’unità
imperiale non fu certo priva di gravi conseguenze. Già i grandi
spostamenti etnici dei secoli III e IV e le invasioni avevano cominciato
ad infrangere quel comune tessuto giuridico e amministrativo che aveva
unito per secoli le regioni dell’Occidente. Adesso, il costituirsi di regni
barbarici separati ed autonomi in Italia, in Spagna, nelle Gallie e nell’Africa
romana, rese permanente quella rottura ed approfondi gli elementi di
divisione, anche sul piano della vita intellettuale. Per prima cosa, infatti,
l'Occidente fu separato dalle regioni dell'Oriente mediterraneo, che
seguirono di fatto uno sviluppo economico, politico e intellettuale
completamente diverso e nelle quali fiori una cultura con caratteri assai
distinti da quelli che si delinearono nelle terre occidentali. Ma
un’altra barriera venne pure a cadere tra l’Italia che era stata il maggiore centro della
vita politica e amministrativa dell’Impero e dove l'elemento romano restò
sempre prevalente e le altre
regioni dell'Europa centrale, ove i germani condizionarono in maniera
assai più netta la graduale formazione delle nuove unità nazionali. Il
formarsi di diversi regni; la fine dell’unità giuridica e statale romana,
presto polverizzata nel particolarismo istituzionale dell'Alto Medioevo;
il sovrapporsi delle nuove aristocrazie militari germaniche alle vecchie
classi dominanti dell’età imperiale, ebbero quindi come naturale esito
storico il progressivo frazionamento della cultura e della vita intellettuale,
la cui unità fu però salvaguardata dalla dominante influenza della
gerarchia e delle istituzioni ecclesiastiche. E tale frazionamento fu poi
accentuato dal costante spostamento dell’asse economico-sociale della civiltà
europea dalla città verso la campagna e dalle attività mercantili e artigiane a
quelle rurali, dal rallentamento dei rapporti economici e politici con
l'Impero d’Oriente e dalla naturale diminuzione degli scambi tra le varie
regioni. Ciò spiega anche il progressivo differenziarsi delle
caratteristiche culturali di popolazioni che erano pure rimaste per
secoli nell’ambito della tradizione romana, nonché l’effettivo regresso
di molti aspetti della vita sociale, sui quali, del resto, si
rifletterono anche le condizioni di arretratezza proprie delle aristocrazie
barbariche. Certo, l’ossatura amministrativa -sulla quale si ressero i
regni romano-barbarici restò numana; e i romani poterono spesso
esercitare liberamente funzioni anche di notevole rilievo politico e continuare
a trasmettere il proprio patrimonio culturale. Ma questo non toglie che la
scomparsa o l’indebolimento di un saldo potere centrale, e il lento
disgregarsi dei ceci sociali che avevano avuto per secoli il pieno
monopolio della cultura, non influisse decisamente. nelle condizioni di base
della vita intellettuale. Da un lato, infatti, si accentuò quel processo
di riduzione scolastica della cultura che era, del resto, già
caratteristica dell'uitima età imperiale, e la prevalenza di un criterio utilitario
che legava lo svolgimento dell’attività intellettuale alla formazione di
un personale giuridico e amministrativo, e, soprattutto, della gerarchia
ecctesiastica. D'altro canto, la forza politica e amministrativa della Chiesa.
unico corpo unitario e saldamente organizzato nell’Europa frazionata.
contribuf a dare alla cultura un’impronta sempre più ecclesiastica,
sostituendo all’organizzazione scolastica romana una nuova efficiente rete di
scuole religiose. Ma, soprattutto, il patrimonio di cultura greco-romana
si semplifica e schematizza, secondo le esigenze di una società sempre
più disorganica, e la riflessione filosofica venne ormai strettamente legata
alla tematica religiosa cristiana e quindi naturalmente esposta agli
interventi e al controllo della potente gerarchia vescovile. Cost, mentre
a Costantinopoli la direttiva cesaro-papistica degli Imperatori conduceva
a una stretta intrinsecazione tra dogma religioso e autorità politica,
preludendo alla definitiva liquidazione delle ultime scuole filosofiche non
cristiane operata da Giustiniano nel 529, anche in Occidente il primato
intellettuale della Chiesa pose di fatto le condizioni del suo monopolio
quasi esclusivo dell’educazione e della cultura. È appunto da questo
momento storico, che conclude la lunga crisi dell'Impero e inizia la
lenta formazione della nuova società europea, che deve muovere lo studio
storico del pensiero medioevale. Poiché, se è vero che il passaggio tra
la civiltà greco-romana del tardo Impero e quella dell’Alto Medioevo fu
lento e graduale, è però altrettanto evidente che la cultura di Boezio e di
Cassiodoro, per non dir poi di quella di Isidoro di Siviglia, presenta
già dei caratteri ben definiti, i quali la distaccano nettamente dagli
ultimi sviluppi contemporanei della filosofia classica che hanno luogo ad Atene
o ad Alessandria. E chi guardi alle radici concrete dei fatti
intellettuali e all’ambiente storico in cui essi si svolgono, non ha
difficoltà a riconoscere che proprio intorno alla metà del V secolo passa il
grande spartiacque tra la cultura del mondo antico e quella dell’età
medioevale. Con questo, non si vuol certo dire che il carattere
iniziale della civiltà del Medioevo sia dato da un profondo
imbarbarimento, o tanto meno che la riflessione medioevale sia
condizionata, fin. dalle sue origini, da una esclusiva direttiva scolastica
e dogmatica. Al contrario, la vicenda della cultura dell’Alto Medioevo è
anzi la testimonianza di vitali esigenze spirituali che, al di là di tutti gli
ostacoli posti dalle avverse condizioni politiche, mantengono le fila di
una grande tradizione e preparano la lontana. ripresa del IX secolo, Ed è
pure, a ben guardare, la testimonianza di quella costante
differenziazione di atteggiamenti intellettuali, nei confronti delle
tradizioni fornite dal pensiero classico che, fin dall’inizio dell’età
medioevale, si delineò nell’unità religioso-filosofica instaurata ben presto
dalla Chiesa romana. Ciò spiega, tra l’altro, perché la cultura
medioevale occidentale della quale ci occuperemo in modo prevalente abbia avuto risultati più ricchi e
fecondi della stessa civiltà bizantina, che pure era privilegiata sia dalla
continuità dei suoi rapporti con i grandi centri intellettuali della Grecia e
dell’Oriente ellenistico, che dalle migliori condizioni di convivenza civile e
religiosa. Senza diminuire l’importanza storica della filosofia e della cultura
bizantina, che pure ha avuto personalità e momenti di singolare prestigio, non
v’è dubbio che dei due settori che dopo il V secolo si sostituiscono allo
sviluppo sostanzialmente unitario della tarda antichità, quello occidentale fu
nettamente superiore nella capacità di tentare o suggerire nuove
soluzioni teoriche e speculative. Mentre in Oriente prevalse ben presto
una rigida schematizzazione di moduli scolastici e di atteggiamenti
intellettuali che non Introduzione consentirono
progressi di grante portata, la cultura dell’Occidente cristiano svolse
invece una funzione indubbiamente più positiva e costruttiva nei
confronti della società in cui operava, favorita in ciò dalla stessa
posizione particolare della Chiesa romana non legata, come quella di
Bisanzio, a una rigida subordinazione all’assoluta autocrazia del
Basileus. L’indubbia superiorità dell'incidenza storica della cultura medioevale
occidentale nei confronti della tradizione bizantina, giustifica poi il punto
di vista che terremo nelle pagine seguenti, e l’attenzione prevalente, se non
certo esclusiva, che porteremo alle dottrine ed alle personalità della
filosofia, della teologia, del pensiero politico e della scienza
occidentale. Certo, ci accadrà spesso di riferirci anche al corso diverso
e distinto della cultura greco-bizantina (basti pensare all'influenza dello
Pseudo-Dionigi e di Massimo il Confessore, e quindi alla fortuna di
Psello) e, più tardi, allorché diremo della svolta storica del XII e XIII
secolo, dovremo trattare, con particolare ampiezza, le dottrine dei
filosofi arabi ed ebrei che esercitarono un’influenza cosi decisiva
nell’evoluzione intellettuale dell’Occidente. Nondimeno, per quanto
concerne la linea principale della nostra trattazione, essa verterà
soprattutto su quelle personalità e correnti di pensiero che si muovono
nell’ambito delle grandi scuole occidentali, dal primo grande tentativo
compiuto da Boezio per assicurare alla civiltà latina medioevale un ricco
patrimonio filosofico e scientifico, alla rinascita carolingia, dalJa grande
ripresa dei secoli XI e XII alla eccezionale fioritura speculativa del
Duecento, e dalla crisi della tradizione filosofica medioevale denunciata
dalle correnti di pensiero trecentesco fino alle ultime mani‘festazioni
critiche del pensiero scolastico. Perciò, alla luce di questo lungo e
complesso processo storico, saranno pure valutati gli apporti delle altre
grandi tradizioni di pensiero e di cultura che agirono in questi dieci
secoli nel mondo mediterraneo. Tale prospettiva, che è del resto comune a
tutte le trattazioni generali di storia della filosofia medioevale, non deve
però indurre a pensare che dieci secoli di sviluppo storico e
intellettuale possano semplicemente ridursi sotto la consunta etichetta di una storia
della scolastica. È vero che nella civiltà latina medioevale la schola
esercita una funzione difficilmente paragonabile a quella delle
istituzioni scolastiche moderne, accentra intorno a sé quasi tutto il lavoro
intellettuale, controlla, insieme alla Chiesa, l’elaborazione delle idee
direttive di tutta la civiltà. Ma questo dato di fatto, di cui è facile
render ragione, analizzando le condizioni sociali di base che determinano
la fortuna e lo sviluppo delle scholae, non significa affatto che la
cultura filosofica medioevale sia un chiuso regno di teologi e di
magistri, indifferenti al volgersi storico delle vicende umane, estranei alla
società ‘in cui vivono ed operano. Né tanto meno il cosiddetto mondo medioevale
è certo quell’unità uniforme, statica, esclusa da ogni progresso, immutabile
nei suoi principi dominanti, che è stata spesso descritta dagli
avversari, come dagli apologeti di un tipo di civiltà e di vita sociale
che non è mai esistita, né poteva esistere. Al contrario, il Medioevo europeo è
invece una lunga età della storia umana estremamente complessa, ricca di
eventi e di processi storici che sono stati decisivi per l’evoluzione di
tutta la civiltà occidentale. In mille anni, non solo si è compiuto quel
processo di trasformazione economico-sociale che ha portato gran parte d’Europa
dalla economia latifondistica del tardo Impero al feudalesimo, e, quindi, al
primo sviluppo precapitalistico del XIV secolo, ma si sono realizzate
esperienze intellettuali, religiose, politiche e scientifiche, di cui non
occorre neppure ricordare l’eccezionale significato storico. Sicché
giustamente si possono ripetere anche oggi le parole che lo Haskins
scrisse più di trent'anni fa, quando la disputa sui caratteri storici del
Medioevo era ancora pienamente in corso e le polemiche sulla continuità e
discontinuità della sua cultura con la civiltà classica e l’età del
Rinascimento erano ‘al centro delle discussioni storiografiche: Contrasti
tra Oriente e Occidente, tra Settentrione e Mediterraneo, tra vecchio e nuovo,
sacro e profano, ideale e attuale, danno vita e colore e movimento a
questo periodo, mentre la sua stretta relazione sia con l'antichità che
con il mondo moderno gli assicurano un posto nella continua storia
dello sviluppo umano. Tanto la continuità che il mutamento sono caratteristiche
del Medioevo, come di tutte le grandi epoche storiche Chi studi la storia
del pensiero medioevale, non come un astratto museo scolastico di
dottrine superate, un arsenale di apparati teologici, o una raccolta di bizzarrie
o di errori scientifici, bensi come la risposta data da una particolare società
ai problemi storici del suo tempo, non può che condividere queste idee.
Né gli è difficile riconoscere il nesso tra la lucida elaborazione delle
idee al livello teologico e filosofico, la pugnace polemica della riflessione
politica e i grandi mutamenti economici e sociali che. si verificano
nell’Europa medioevale, determinando una serie di trasformazioni che ha
sempre il suo riflesso anche nell’ impassibile meditazione di metafisici o
teologi. Da questo punto di vista, anche la diversità e il
mutamento di orizzonti e prospettive intellettuali che si verificano nei
diversi momenti della cultura medioevale riceve una compiuta spiegazione
solo quando le varie dottrine sono immerse nel compiuto contesto
storico in cui si formarono e si diffusero. Non v’è dubbio infatti che
sarebbe ben difficile spiegare fuori dal complesso di una radicale
trasformazione economica e sociale il rinascimento intellettuale del XII
secolo, comprendere l’evoluzione della teologia e della filosofia
duecentesca fuori della grande fioritura della civiltà comunale, o
intendere la crisi speculativa del XIV secolo separatamente da una più
profonda trasformazione che coinvolge tutte le strutture della società
medioevale. Non solo; ma i caratteri peculiari e distintivi dei vari
momenti in cui si scandisce lo sviluppo storico della riflessione
medioevale, risultano sicuramente definiti solo se, prescindendo da ogni
astratto riferimento a correnti o linee ideali, sono riconosciuti come espressioni
di un mondo storico ben pi vasto e complesso di quello rappresentato dalla
esclusiva portata dei singoli temi filosofici o teologici
tradizionali. A questo proposito e
per chiarire un’altra direttiva alla quale ci siamo tenuti nella stesura
di questa storia è bene anche aggiungere
che il carattere particolare della filosofia medioevale costringe lo
studioso ad affrontare assai spesso una complessa tematica teologica, la
quale è anzi cosi intrinsecata con lo sviluppo della riflessione filosofica, da
rendere impossibile qualunque arbitraria distinzione. In una società in
cui la Chiesa mantiene per almeno otto secoli il monopolio effettivo della
cultura, e in cui la figura dell’intellettuale si identifica con quella
del clericus, sarebbe infatti del tutto assurdo pretendere di tracciare una linea
rigorosa di demarcazione tra la storia della filosofia e quella della
teologia. E certamente, come lo studioso del pensiero moderno non può
prescindere nella valutazione dello sviluppo filosofico dalla concomitante
incidenza della storia delle scienze, a più forte ragione lo storico del
pensiero medioevale deve tener presente, per prima cosa, che proprio la
teologia, con i suoi problemi e i suoi dogmi, fu l’ambito ideologico in
cui si sviluppò, per quasi un millennio, la discussione filosofica,
condizionandone naturalmente i particolari svolgimenti. Ma questo non
significa che si possa cata logare mille anni di evoluzione storica del
pensiero umano sotto l’etichetta di comodo della vocazione trascendente, o
dello spirito ascetico o ridurre la riflessione medioevale all’unico problema
del rapporto fede-ragione. Che tale problema sia stato largamente
presente ai filosofi del Medioevo, che ‘abbia acquistato un'importanza
drammatica via via che tornavano a circolare le grandi testimonianze del
pensiero classico, è cosa evidente. Però, nulla sarebbe pit falso che ridurre
questo problema, che fu anch’esso squisitamente storico e rifletté
atteggiamenti e soluzioni ben radicate nell’evoluzione della società
medioevale, ad una sorta di rigida disputa controversistica; tanto più
che è cosi facile cedere alla tentazione di introdurre in una cultura e in una
fase della storia della Chiesa che le ignoravano, certe nozioni di ortodossia
o eterodossia tipiche dell’età post-tridentina; e ben lontane dalla
mentalità e dai gusti speculativi dei magistri medioevali, D'altro
canto, la prevalente natura teologica del pensiero medioevale (prevalente, ma
non esclusiva, perché il Medioevo ebbe pure i suoi grandi medici,
giuristi e scienziati che influirono non poco anche nella storia della
filosofia propriamente detta) non deve indurre ad accettare per la
filosofia medioevale la definizione esclusiva di filosofia cristiana. A parte
il fatto che la cultura filosofica medioevale è frutto dell’opera di
Avicenna, di Averroè, di Avicebron e del Maimonide, certo non meno di quella di
Bonaventura, di Tommaso o di Duns Scoto, la sua eredità classica è sempre
cosf attiva, da rendere assai difficile stabilire quanto ogni singolo pensatore
e il suo ambiente intellettuale debbano al messaggio cristiano, e quanto
invece alla presenza di Platone, di Aristotele, di Cicerone e di Proclo.
Il caso della scuola di Chartres (per citare uno degli argomerti che ha
pit offerto occasioni per discutere l’ispirazione cristiana o pagana di taluni
pensatori di alto rilievo) insegna quanto sia fallace e pericolosa
l'applicazione di simili parametri alla storia della filosofia
medioevale. Perciò, senza entrare nei particolari di una discussione che
ha impegnato, trent'anni fa, alcuni dei maggiori studiosi cattolici e
laici, ci limiteremo a sottolineare che la nostra voluta astensione da
ogni giudizio di tal genere dipende dalla certezza che l’opera dello
storico, qualunque sia la direzione o i livelli in cui si svolge, non ha
nulla da guadagnare da simili atteggiamenti strettamente
ideologici. Naturalmente, non si vuol mettere in dubbio che la
cultura medioevale sia profondamente permeata di spirito cristiano e che,
anzi, proprio la tematica teologica e religiosa rappresenti la sua più
immediata espressione ideologica. Nondimeno è pur lecito ricordare che anche le
credenze religiose assumono continuamente significati ed espressioni sempre
nuove, secondo le esigenze e i bisogni di quei ceti o ambienti in cui si
articola il grande corpo della C4ristianitas medioevale, e secondo l’incidenza
di idee, dottrine e atteggiamenti intellettuali che venivano da ambienti e
tradizioni laiche. Accanto alla dominante facoltà teologica, accanto ai
commentatori della Bibbia e delle Sentenze e agli autori delle grandi
Summae, v'è infatti, e acquisterà sempre più peso e influenza nella storia
della cultura medioevale, il mondo dei medici e dei giuristi, dei magistri
artium e degli spetiales, lettori spregiudicati degli scienziati e dei
filosofi greci e arabi, spesso osservatori acuti delle res nazurales e
già abituati a pensare il cosmo fisico come un complesso di fatti e di
fenomeni autonomi. Non solo; ma più procederà l’evoluzione della società
mediosvale, e più questi ceti di intellettuali, estranei al tessuto clericale
della cultura teologica, si trasformeranno in portatori di idee e
concezioni che minano profondamente l’antico ideale unitario e carismatico
della Ckristianitas, per avanzare e difendere le nuove ragioni degli
stati cittadini e delle monarchie nazionali, o le radicali esigenze
laiche delle classi emerse dallo sfacelo del mondo feudale. Né questo
spirito resterà estraneo anche alla problematica teologica o all'ambiente
clericalis dei magistri Sacrae Theologiae, se è vero che, a Parigi come
ad Oxford, la scolastica del XIV secolo saprà esprimere in forma esemplare la
crisi di una società e di una cultura che stavano profondamente mutando. Il
fatto che i medesimi maestri che hanno criticato i fondamenti della
fisica e della metafisica scolastica siano, al tempo stesso, i liquidatori
della scientia teologica medioevale e, non di rado, anche audaci
osservatori e teorici degli eventi politici e dei comportamenti economici
contemporanei dovrebbe cosî indurre a una maggiore cautela nel giudicare i
rapporti che la matura cultura medioevale istituî tra le scienze sacre e
profane, tra la teologia e la conoscenza critica della realtà. Poiché la
vicenda della tarda scolastica dimostra, nel modo più chiaro e inequivocabile,
che se la teologia offrf spesso il quadro universale di una visione del
mondo in cui si riconobbe tanta parte della società medioevale, questa visione
subî però sempre la stessa sorte della realtà da cui nasceva, ed espresse
nei suoi concetti più universali, trascendenti quello stesso faticoso
processo di evoluzione che si definiva concretamente nel progresso delle
scienze e delle tecniche, come nell’affermazione sempre più sicura di
nuovi tipi di organizzazione sociale e politica. A queste
considerazioni dobbiamo poi aggiungerne un’altra, non meno importante; e,
cioè che se l’autorità e le gerarchie della Chiesa condizionarono in
larga parte, e in senso positivo, come in senso negativo l’evoluzione del
pensiero medioevale, pure non poterono mai impedire che le ragioni della storia
avessero il sopravvento. Le condanne, i divieti, le ammonizioni di cui è
pure straordinariamente ricca la storia della cultura medioevale non
hanno mai arrestato quelle idee o dottrine che rispondevano ai bisogni
più profondi e necessari di una società in movimento; e, certo, chi
rifletta alla storia dei ripetuti e costanti divieti all'insegnamento di
Aristotele, alla condanna del vescovo Tempier, che colpì talune tesi tomiste, o
alla lunga lotta contro i teorici dell'autonomia della ricerca scientifica o
filosofica, ha larga materia di meditazione sull’estrema relatività di
una vicenda che doveva concludersi proprio con l'accettazione
dell’aristotelismo come strumento filosofico della teologia cattolica e con
l’assunzione del tomismo a filosofia ufficiale della Chiesa. Comunque, al
di là dei conflitti che spesso opposero le correnti più avanzate della
rifl-ssione medioevale alla forza frenante di una tradizione sempre ancorata al
passato, anche il mondo delle scholae fu protagonista e, insieme, testimone
dell’evoluzione storica che conduceva i popoli dell’Europa occidentale verso
l'avvento di un nuovo mondo storico fondato sui valori umani della
scienza, della tecnica e del lavoro. Tra il cristianesimo monastico e
ascetico di Pier Damiani e la lucida mentalità scientifica di Ruggero
Bacone che affida il trionfo della sua fede nel mondo alla meravigliosa
potenza di invenzioni e tecniche umane; tra la rigida teocrazia di Papa
Gregorio e la teorica di Marsilio da Padova, che studia con rigore
razionale le strutture e le finalità dello stato umano, si muove la
lunga, umile fatica di commentatori e di maestri, di traduttori e compilatori
indaffarati a riconquistare e restituire ai propri contemporanei il
sapere degli antichi, a dare piena cittadinanza nella Europa cristiana al
gran pagano Aristotele, o ai nuovi strumenti e ritrovati della scienza
araba. Ma quest’opera che fornisce gli strumenti alla nuova scienza come ai
prestigiosi edifici delle grandi Summae, dove la cultura del tempo celebra la
propria visione del mondo, ha significato e valore solo quando è calata
nella vivente unità del mondo storico, nella feconda fatica di una lunga
giornata umana. I regni romano-barbarici furono l’espressione politica di
un lento e complesso processo di assimilazione tra il tessuto
tradizionale della società romana e i nuovi elementi etnici e politici
recati in Occidente dagli invasori germanici. Nuovi ad una forma di vita
organizzata entro stabili ordinamenti politici ed amministrativi, ed anzi
avvezzi ad una forma di convivenza civile ancora rudimentale, i germani
si trovarono infatti dinanzi al grave problema di dar vita ad un tipo di
stato che, pur assicurando il predominio militare e politico
dell’aristocrazia teutonica, permettesse però la convivenza con le élites
romane, avvezze da secoli a maneggiare i delicati strumenti amministrativi di
una grande società a struttura urbana. Cosf, pur essendo giunti nelle
terre dell’Impero con tradizioni assai diverse, i germani costituirono in
Italia, in Spagna e nelle varie regioni della Gallia, un tipo di stato
assai simile che univa a istituzioni romane consuetudini e ordinamenti caratteristici
delle diverse stirpi germaniche. E, mentre il potere politico restava
concentrato nelle mani del kònig germanico e degli arimanni che costituivano
l’exercitus barbarico, l’ossatura amministrativa delle singole regioni restò
integralmente romana. E romana fu la cultura e la forma di organizzazione
della vita intellettuale che continuò a dominare i vari regni sorti dalla
rovina dell'Impero. In un tipo di stato cosî ordinato, era ben
naturale che l’elemento latino mantenesse immutata la propria supremazia
intellettuale e che tutte le forme di elaborazione ideologica fossero
patrimonio particolare dell’aristocrazia romana che aveva dovuto cedere
ai germani la sua tradizionale supremazia politica ed anche gran parte
del suo potere economico. Agli intellettuali formatisi nella pura
tradizione della cultura classica resta affidato il difficile compito storico
di continuare la esperienza giuridica-filosofica-teologica maturata
dall’incontro delle concezioni filosofiche greche, della problematica dei Padri
e dell’elaborazione secolare del diritto romano. Ma questa esperienza non
venne semplicemente trasmessa dai suoi naturali depositari alla nuova
aristocrazia intellettuale che si formava soprattutto nell’ambito delle istituzioni
ecclesiastiche; fu invece profodamente trasformata attraverso una
complessa opera di adattamento cui parteciperanno ben presto anche
intellettuali di origine barbarica, rapidamente assimilati dal tessuto vitale
della Chiesa. I risultati e le conseguenze di questo processo saranno ben
visibili nelle condizioni della cultura europea tra il V e il VII secolo,
che rappresentano chiaramente una confusa e drammatica età di transizione tra
gli ultimi sviluppi della cultura greco-romana e un nuovo ambiente
intellettuale dominato dalla tematica religiosa cristiana. Però il
declino dell’alta cultura filosofica e la relativa povertà anche delle
espressioni più significative di questo periodo non può far dimenticare
la preziosa funzione esercitata da Boezio, da Cassiodoro e da Isidoro di
Siviglia nel periodo in cui si viene preparando la nuova struttura
sociale dell'Europa medioevale. È per loro merito che le pur decadute
istituzioni culturali dei regni romano-barbarici potranno continuare a
tramandare per due secoli, di generazione in generazione, alcuni dei
motivi dominanti della speculazione classica e della scienza antica. Ed è
pure sulla traccia segnata dalle loro opere che comincia a prender corpo
tutto un nuovo tipo d’insegnamento saldamente contenuto nell’unità filosofica e
religiosa della cultura ecclesiastica e perfettamente adeguato alle esigenze
del tempo. Certo, a parte il caso particolare di Boezio la cui originalità
filosofica è fuor di dubbio, l’opera di questi intellettuali è volta
principalmente all’utilizzazione del patrimonio fornito dal pensiero classico
ed alla sua riduzione in sintetiche enciclopedie o manuali di facile uso
scolastico, adatti al compito fondamentale della formazione dei chierici che
costituiscono adesso la principale classe colta della società romano-barbarica.
Eppure è proprio attraverso questa attività apparentemente cosi umile che
si cominciano a predisporre le basi intellettuali per la futura rinascita
carolingia e per il primo grande tentativo di elaborazione culturale
conforme ai caratteri sociali e politici dell'Europa medioevale.
Tra i pensatori che segnano il graduale passaggio tra la tarda
cultura classica e la nuova temperie spirituale dell’età
romano-barbarica, la figura di maggior rilievo è certo quella di Marco
Anicio Severino Boezio. Nato a Roma da famiglia senatoriale intorno al
470 d.C., egli segui il normale corso di studi di un giovane
aristocratico dei suoi tempi, destinato ad alte funzioni politiche ed
amministrative, e, in particolare, studiò filosofia nelle scuole di Roma e di
Alessandria. Ancora fanciullo allorché venne deposto l’ultimo imperatore
d’Occidente, Boezio era nella prima maturità quando la politica conciliante e
filoromana di Teodorico, re degli Ostrogoti, lo chiamò a far parte del
concistorium regio con il titolo di console e poi di magister palatit. In
tale qualità l’aristocratico romano visse alla corte del re barbaro per
oltre un decennio, vi esercitò delicati uffici e fu ascoltato consigliere di
Teodorico. Ma il profilarsi della minaccia bizantina e la violenta
opposizione della aristocrazia ostrogota, che si riteneva sacrificata
all’elemento romano, indusse Teodorico a mutare politica e a liquidare gli
aristocratici romani di cui temeva i rapporti palesi ed occulti con il
Basileus di Costantinopoli. Cosi nel 524 Boezio, accusato di tradimento, fu
imprigionato nel carcere di Pavia ove scrisse la sua opera pit nota, il De
consolatione philosophiae. Condannato a morte, fu ucciso poco dopo; e la
sua morte, attribuita a ragioni di persecuzione religiosa, fece fiorire
per tutto il Medioevo la leggenda del suo martirio che la critica storica
ha completamente dissolto. Anzi, in tempi non molto lontani, sono stati
sollevati addirittura dei dubbi sulla appartenenza di Boezio alla
religione cristiana, dubbi fondati, del resto, sull’assenza di qualsiasi
specifica allusione a dottrine cristiane nei suoi scritti di sicura attribuzione.
La testimonianza di un frammento di Cassiodoro in cui si cita un Liber de
Sancta trinitate et capita quaedam theologica di Boezio, ha permesso la
sicura attribuzione almeno di alcuni scritti teologici che andavano già
tradizionalmente sotto il suo nome; e quindi anche di accettare, con
sicurezza, la sua appartenenza alla Chiesa cristiana. Comunque, la
civiltà medioevale deve assai più all’opera filosofica di Boezio che non
alla sua riflessione teologica direttamente esemplata sui modelli agostiniani.
Autore di un celebre commento all’Isagoge di Porfirio (nella traduzione
di Mario Vittorino), di un secondo commento allo stesso testo da lui nuovamente
tradotto, di vari altri trattati e commenti logici (Introductio ad categoricos
syllogismos, De syllogismo categorico, De syllogismo hypotetico, De divisione,
De differetiis topicis) di un commento ai Topica ciceroniani, di un
commento alle Caregoriae e di due al De interpretatione, egli è
l’effettivo fondatore della tradizione logica medioevale e l’ordinatore di quel
complesso di testi e di problemi che saranno al centro dell’insegnamento
dialettico dell'Alto Medioevo. Ma altrettanto importante è la sua attività di
traduttore che gli permise di consegnare alla cultura occidentale una
parte notevole dell’Orgaron aristotelico, in versioni che hanno circolato per
secoli in tutte le scuole di Europa. Sue sono infatti le tradu zioni delle
Categoriae, del De interpretatione, degli Analytici priores e
posteriores, degli Elenchi sophistici e dei Topici, ossia di quei testi
che furono fino al XIII secolo l’unica fonte essenziale dell’insegnamento
di Aristotele. Però il programma di Boezio era, a quanto sembra,
assai più ambizioso, se è vero che si era proposto di tradurre
integralmente tutti i dialoghi di Platone e tutto il corpus aristotelico,
allo scopo di mostrare il profondo, sostanziale accordo tra le due
dottrine. Né il fatto che il suo progetto non sia mai stato realizzato
toglie importanza a questo aspetto dell’opera di Boezio, prezioso
intermediario tra i maggiori documenti del pensiero greco e la cultura
latina medioevale. Anche un esame superficiale degli scritti logici
basta, d’altra parte, a mostrare la sua larga conoscenza della tradizione
filosofica classica e la sua familiarità con i problemi già dibattuti
dagli interpreti alessandrini. Ed anzi, come è stato concordemente rilevato
dalla maggior parte degli studiosi, è sempre evidente nella logica di
Boezio la tendenza ad interpretare le dottrine dell’Organon secondo una
direttiva sostanzialmente platonica, perfettamente plausibile ove si pensi che
egli sente fortemente l’influsso dei commenti di Porfirio e della sua
discussione intorno al significato ed alla natura degli universali.
Quale sia stata l’origine di questo problema che per una significativa distorsione
storiografica è stato considerato cosî a lungo come il problema
essenziale, per non dire addirittura l’unico, della filosofia medioevale è cosa ben nota. In un passo dell’]sagoge
Porfirio, dopo aver definito i termini logici di genere e di specie,
aveva infatti aggiunto che avrebbe rinviato ad altro luogo la decisione
sull’effettiva natura di questi concetti; e cioè se i generi e le sp'cie
fossero delle realtà sussistenti di per sé o, invece, delle semplici categorie
mentali; se, nel caso che fossero delle realtà, avessero una natura
corporea o incorporea; e se, infine, supponendole incorporee, esistess:ro
separatamente dalle cose sensibili o vi fossero invece intrinsecamente
unite. Ora, sappiamo benissimo che di fronte a queste ipotesi Porfirio aderiva
ad una soluzione di schietto carattere platonico. Ma poiché l’Isagoge era
semplicemente uf testo elementare, scritto per avviare i giovani alla
lettura dell’Organon, era naturale che egli soprassedesse ad una discussione di
carattere metafisico, risolta, del resto, altrove in piena coerenza con
la sua ispirazione metafisica. La questione lasciata così in sospeso
dall'Isagoge è invece affrontata da Boezio, il quale si rende
perfettamente conto della netta divergenza tra una soluzione fedele alla
dottrina aristotelica e quella che si può dedurre dalla concezione
platonica delle idee. Così nei suoi Commenti dell’Isagoge, egli espone, in
sostanza, la tesi aristotelica, mostrando l’impossibilità di attribuire una
realtà sostanziale alle idee di genere e di specie che, appunto perché
sono comuni ad interi gruppi di individui, non possono essere esse stesse
degli individui, e tanto meno delle sostanze sensibili. D'altra parte,
Boezio rileva che se gli universali fossero soltanto delle semplici
nozioni mentali e non avessero alcun riferimento alle cose esistenti, il
nostro pensiero non avrebbe in tal caso nessun oggetto reale e, quindi,
pensandoli, non penserebbe nulla. Sicché è evidente che gli universali debbono
essere sempre dei termini di pensiero corrispondenti a delle realtà e che
quindi il problema della loro natura coinvolge tutto quanto il
significato ed il valore della conoscenza umana. Per
risolvere questo problema che si sarebbe
pi tardi ripresentato a tanti logici medioevali costringendoli sempre a precise
scelte di ordine metafisico Boezio
si richiama poi ad una dottrina, non nuova e già svolta ampiamente da
alcuni interpreti greci. Egli nota infatti che il nostro intelletto è
capace di astrarre dalla visione confusa delle cose particolari,
presentate dai sensi, talune proprietà fondamentali comuni ad un'intera
classe o gruppo d’individui. Ma le specie ed i generi sono appunto delle
qualità comuni che sussistono, in certo senso, in ognuna delle cose individuali
e materiali, pur essendo pensate dall'intelletto come forme pure ed
immateriali. La facoltà astrattiva dell’intelletto umano è, insomma, capace di
estrarre dagli individui concreti le forme o nozioni astratte definite nei
concetti universali. O, come scrive appunto Boezio in un passo che ha
goduto di un’eccezionale fortuna storica, gli universali subsistunt ergo circa
sensibilia, intelliguntur autem praeter corpora. È chiaro che una
soluzione di questo genere è assai vicina alla classica dottrina
aristotelica dell’astrazione di cui ricalca le linee generali. Ma sarebbe
erroneo credere che Boezio, pur presentando come commentatore la dottrina
di Aristotele, vi aderisse pienamente, senza dubbi o riserve. Intanto, di
fronte al testo dell’Orgazon, egli non manca anche di presentare
l’opposta opinione platonica, ossia la dottrina realistica delle idee
considerata come pienamente sostenibile e legittima. Inoltre Boezio, che
non cita mai la dottrina aristotelica dell'intelletto agente, inseparabile
dalla concezione peripatetica dell’astrazione, presenta in un testo del V libro
del De consolatione una dottrina gnoseologica del tutto diversa, fondata
sulla considerazione gerarchica delle varie facoltà o funzioni dell'anima
umana. Certamente anche qui Boezio muove dalle prime impressioni sensibili
indispensabili a mettere in moto tutto il processo della conoscenza, per
passare poi all’analisi della facoltà immaginativa capace di cogliere
nella materia sensibile le immagini e i segni. Ma al di sopra di queste
facoltà originarie, ma inferiori, egli pone l’attività della ragione
capace di afferrare la specie intelligibile presente nell’individuo e
finalmente la pura virti dell’intelligenza che perviene a cogliere le
forme di per se stesse, nella loro eterna unità, separate da ogni legame
o connessione sensibile. Ciò spiega naturalmente le diverse e
contrastanti interpretazioni che vennero date durante tutto il Medioevo
agli scritti di Boezio, nonché la ragione per cui tanti maestri di logica
dell'Alto Medioevo poterono pervenire a conclusioni schiettamente platoniche,
pur movendo dall’analisi delle dottrine aristoteliche. In realtà, tutta
la meditazione filosofica di Boezio è profondamente legata alla
tradizione platonica e neoplatonica, e tende a concludersi nella suprema
scienza delle Idee e nella contemplazione della Mente divina che reca già
in se stessa gli archetipi o rationes universali di tutte le cose.
Bene supremo ed assoluto, eterno oggetto di pensiero di cui ogni
mente umana possiede una conoscenza innata e indelebile, Dio è infatti
l’Essere perfettissimo, fonte di ogni esistenza, la causa prima di cui è
impossibile concepire qualcosa di più perfetto. Per questo, la sua esistenza è
cosi certa ed evidente da escludere ogni dubbio o incertezza; poiché, se
è vero che l’esistenza di tutto ciò che è imperfetto presuppone sempre
quella del perfetto, e se è evidente che esistono molteplici esseri
imperfetti, limitati e contingenti, dev’essere necessario che esista un
Essere perfettissimo, donde dipendano tutte le cose imperfette. In tal
modo, in uno schema dimostrativo sviluppato più tardi dalla teologia
dell'XI secolo, Boezio lega indissolubilmente la dimostrazione dell’esistenza
divina al postulato insieme logico e metafisico di un unico fondamento di tutte
le esistenze e realtà particolari, culmine dell’ordine gerarchico dell’universo
e, al tempo stesso, unità eterna ed immutabile, assolutamente superiore
ad ogni categoria o determinazione logica. Questa concezione di Dio
(che non è necessariamente cristiana, ma fondata su di un’argomentazione
di carattere platonico) domina tutto il De consolatione, uno dei testi più
fortunati di tutta la letteratura filosofica medioevale. Identificando la
filosofia con l’amore della saggezza eterna, pensiero vivente e causa prima di
tutte le cose, Boezio ne considera infatti tutte le diverse funzioni
secondo una precisa gerarchia che muove dalla considerazione delle cose
naturali, per salire quindi a quella degli intelligibili e affisarsi
infine nella pura contem 28 Filosofia e cultura nell'età dei regni
romano-barbarici plazione degli inzellectibilia, sostanze separate
da ogni corporeità o carattere materiale. Perciò, se la scienza dei corpi
naturali è la fisica (distinta nelle quattro arti del quadrivio:
aritmetica, astronomia, geometria e musica), e quella degli intelligibili svela
invece le funzioni proprie dell’anima nell’atto d’apprendere, la scienza degli
inzellectibilia (la teologia) ha per oggetto la dottrina di Dio e degli
angeli. Ma la conoscenza teologica ci rivela come da Dio scaturiscano tutti gli
esseri intelligibili, tra i quali è appunto l’anima umana concepita da
Boezio, platonicamente, come una pura essenza affine alle sostanze
angeliche, degenerata al contatto con il suo corpo, ma pur sempre mirante
alla conoscenza delle idee e di Dio. Come tutti gli esseri naturali che
tendono sempre al proprio scopo, l’uomo è volto al fine intrinseco della
conoscenza filosofica e teologica che coincide con la perfetta beatitudine;
però, mentre negli altri individui naturali questo moto è un processo
necessario e meccanico dominato dal ritmo fatale della Fortuna, nell’uomo
il tendere verso il Bene e la beatitudine spirituale è invece un atto
volontario e libero, non soggetto ad alcuna fatalità. Questo non vuol
dire, naturalmente, che non esista al di sopra e al di là di ogni volontà
particolare, la suprema legge della divina provvidenza che ha regolato e
disposto tutto il corso dell’universo secondo una norma di assoluta
perfezione. Ma il contrasto apparente tra il libero arbitrio della volontà
umana e l’ordine necessario della Provvidenza viene spiegato da Boezio che ha forse presente la classica problematica
agostiniana affermando che la libertà
dell’anima consiste nel volere ciò che Dio vuole e nell’amare ciò che
Egli ama. Per questo, anche di fronte al grande problema teologico di
come possa conciliarsi quella previsione infallibile di ogni evento che Dio
possiede 45 aeterzo e la libertà della scelta umana, egli può sostenere
che tale previsione non distrugge affatto l’arbitrio dei singoli atti che
sono appunto previsti da Dio nella loro integrale libertà. E proprio nel
De consolazione questa dottrina è confermata mediante la netta separazione tra
il piano temporale, dove gli eventi mondani accadono nella successione del prima
e del poi, e l’immutabile eternità di Dio, possesso totale,
simultaneo di una vita senza fine, in cui ogni fatto presente, passato o
futuro esiste in una perenne eternità. La conoscenza eterna che Boezio
attribuisce a Dio non è tanto una previdenza quanto piuttosto una provvidenza,
né la sua prescienza degli atti volontari nega o diminuisce la loro
contingenza. Come l'occhio umano che scorge il sorgere del sole non è affatto
la causa necessaria per cui esso si leva, cos anche la prescienza di Dio
non impone affatto una condizione fatale alle libere decisioni che ogni
individuo può scegliere. Simili motivi presenti, del resto, anche in altri scritti
boeziani sono probabilmente legati ad un filone di discussioni di chiara
ascendenza patristica. Ma insieme a questa tematica teologico-metafisica,
è però presente nel De consolazione tutta una dottrina dell’origine
e della struttura del mondo, il cui influsso sarà poi costante per gran
parte del pensiero medioevale. Infatti, nel m. 9 del L. III, egli si
accosta a! contenuto del Timeo platonico (di cui conosce anche il
commento di Calcidio) per descrivere l’azione ordinatrice che Dio svolge
nell’universo, quando adorna la materia caotica secondo i modelli ideali,
disponendone dapprima le forme matematico-geometriche e poi imponendo
entro questa materia già definita e determinata la luce degli archetipi
eterni. Tutte le idee fondamentali della tradizione platonica e
neoplatonica (come, ad esempio, la dottrina dei numeri e degli elementi e la
teoria dell’anima del mondo, intermediaria tra la natura e il mondo ideale)
sono cosi risolte nel quadro di una grande visione cosmica, già del resto
resa familiare alla cultura filosofica classica dall’ecc:zionale fortuna
del Timeo platonico. Ma Boezio non si limita soltanto a trasmettere alla
riflessione medioevale dei temi cosi caratteristici e destinati a
costituire per secoli il fulcro delle concezioni cosmologiche, bensf si
preoccupa di armonizzare l’idea di un destino necessariamente immanente
all’ordine della natura, come la legge interna che regola il movimento di
tutte le cose, con la concezione provvidenziale dell’attiva presenza
divina. In questo tentativo che
costituisce uno degli aspetti più interessanti del De consolatione il filosofio romano subisce fortemente
l’influenza di Calcidio donde trae la miglior parte dei suoi argomenti. E come
nel commento di Calcidio al Timeo, cosi anche qui l’ordine della natura
assume un significato diverso secondo che lo si consideri alla luce del
pensiero divino che guida e muove tutta la realtà per il suo alto
disegno, o invece come una legge rigorosa e necessaria che agendo all’interno
dei processi e fenomeni naturali ne costituisce la causa ineluttabile. Certo,
si tratta di due considerazioni ben diverse e distinte, giacché la
provvidenza persiste eternamente nella sua perfetta eternità, mentre il
destino è invece la stessa successione degli eventi temporali, il loro
corso determinato e fatale. Eppure, né il destino contrasta, per Boezio, con la
provvidenza, né tanto meno la legge di natura sopprime la responsabilità
e la autonomia degli individui. Tanto pid l’uomo si avvicina e si adegua
a Dio, tanto meno è sottoposto alla forza del fato e gode di una libertà sempre
pit compiuta 30 Filosofia e cultura nell'età des
regni romano-barbarici e perfetta. La concezione stoicheggiante
del destino che sta alla base della cosmologia boeziana può in tal modo
coesistere con una soluzione di tono schiettamente platonico; la cert:zza
dell’assoluta necessità che è pure presente in ogni aspetto o momento della
natura sembra cedere di nuovo ad un’immagine dell’universo non troppo diversa
da quella di Agostino e dominata anch’essa dalla perfezione di un disegno
provvidenziale. In un universo cosi concepito, nessuna delle cose
esistenti può esser quindi estranea all’ordine ed alla volontà d:1 Bene
supremo. Ogni ente reale, ogni individuo particolare, dal più umile al
più eccelso, contribuisce difatti a realizzare un disegno eterno che non
ammette, nella sua norma, né il male, né l’imperfezione. Ma il fatto che
tutte le cose siano sostanzialmente buone in quanto partecipanti tutte dello stesso Bene
non implica, per Boezio, che esse
s’identifichino con l’essere supremo e non siano realmente diverse da
Dio. Ciascun individuo possiede un insieme di caratteri unico ed irrepetibile,
ed è costituito da una collectio di elementi e di principi da cui non
potrebbe mai disgiungersi senza distruggere la propria individualità. Se è vero
che ogni composto è distinguibile in una materia determinata e in una
forma determinante, la sua realtà effettiva è tuttavia sempre
strettamente dipendente dalla indissolubilità del composto. Per questo, in ogni
sostanza composta possiamo sempre scorgere la necessaria diversità tra
l’esse e l’id quod est, e cioè tra la sua essenza e l’esistenza di fatto
determinata. Tale diversità non potrebbe però mai verificarsi in Dio che,
per essere una sostanza assolutamente semplice, esclude da sé ogni
distinzione di elementi o principi costitutivi. Tra la natura delle cose
che da Lui dipendono e la sua propria realtà, v'è dunque un criterio
distintivo indiscutibile, la cui validità non potrebbe essere impugnata se non
rovesciando tutto l’ordine metafisico dell’universo. Nondimeno,
l’ordine delle cose naturali è tutto volto all’essere divino, e ad esso
aspira nelle più intime strutture. Ché tutti gli esseri, qualunque sia la loro
dignità e la loro perfezione, partecipano alle Idee divine o meglio a
quelle forme con cui Dio ha determinato la materia informe e che sono
come il riflesso terreno degli archetipi presenti nella mente divina. Queste
forme o immagini che Boezio pensa in
modo non lontano dalla dottrina delle species nazivae di Calcidio o dalla
dottrina stoica delle raziones seminales sono i principi attivi, le cause interne dei
processi corporei e di tutte le operazioni biologiche. Attraverso di esse e
nella loro stretta, organica connessione, l’ani ZI L'Alto
Medioevo ma del mondo attua infatti l’eterno disegno pensato da
Dio e traduce nel mondo della materia le divine essenze ideali.
L’interesse di Boezio per i motivi cosmologici della tradizione platonica
e stoica, non è però soltanto attestato dalla sua riflessione filosofica; ma è
confermato dalle opere di carattere scientifico, dedicate a ciascuna
delle scienze del guadrivium, che comprende l’aritmetica, la musica, la
geometria e l’astronomia. Noi non possediamo il corso completo degli scritti,
destinati appunto a fornire un curriculum completo per gli studi superiori; ma
ci sono giunti il De institutione musica, il De institutione arithmetica,
assai interessanti per la conoscenza delle fonti e dei materiali adoperati da
Boezio. Non è difficile scorgere che la sua Arithmetica è un adattamento
e compendio della classica trattazione di Nicomaco, o che la sua Musica
si richiama all’antica tradizione pitagorica. Il valore di questi trattati non
sta quindi nell’originalità delle dottrine, bensi nel fatto che attraverso di
essi la cultura medioevale è entrata in possesso di un complesso di cognizioni
o ipotesi scientifiche destinato a guidare, per secoli, la conoscenza della
natura. Né va dimenticato che l’influenza di Boezio sull'ordinamento degli
studi e delle scuole medioevali fu addirittura decisivo, e che a lui si deve il
quadro tradizionale entro cui verrà poi organizzata per gran parte del
Medioevo la trasmissione e la continuità della vita intellettuale.
2. Da Cassiodoro a Gregorio Magno Il pensiero di Boezio di cui
abbiamo soltanto enunciato i motivi più interessanti e più attivi nella
storia del pensiero medioevale, è certo il frutto di una cultura maturata
nell’ambito dell’ultima filosofia ellenistica, fondato su di un impianto
metafisico platonico e stoicheggiante, eppur già caratterizzato dalle
esigenze della religiosità cristiana. Ma le stesse caratteristichè della
sua cultura sono ravvisabili anche nel suo collega ed amico Cassiodoro,
proveniente come Boezio dall’aristocrazia romana, e come lui alto dignitario
della corte teodoriciana. Più fortunato di Boezio, Cassiodoro, dopo una
brillante carriera, poté ritirarsi intorno al 540 nel monastero calabrese di
Vivarium ove costitui una delle maggiori biblioteche del suo tempo e
compose due opere, il De anima e le Institutiones divinarum ct
saecularium litterarum, che ebbero entrambe una larga fortuna nella letteratura
scolastica. La prima, ispirata al De anima e al De origine animae
di Agostino, nonché al De statu animae di Claudiano Mamerto. è un trattato
in difesa della pura spiritualità dell'anima e in aperta polemica contro i residui
di una certa mentalità stoicheggiante, ancora non poco diffusa tra gli
stessi ambienti cristiani. Cosi, l’anima vi è concepita come una sostanza
finita, creata, presente internamente al nostro corpo, ma immateriale e
immortale, semplice e puramente spirituale, secondo, del resto, una
dottrina ormai saldamente affermata nella teologia ortodossa. Più
importante è però l’altra operetta, usata a lungo come manuale nelle
scuole monastiche e citata frequentemente con il titolo De artibus ac disciplinis
litterarum. Il brillante cancelliere di Teodorico, autore di epistole tra le
più eleganti e raffinate dell’ultima latinità, traccia il piano di un
corso completo di studi liberali ad uso dei religiosi. E richiamandosi ad una
divisione che risaliva attraverso Marciano Capella alla costante
tradizione pedagogica greco-romana, distingue le arti del £rsvium (grammatica,
dialettica, retorica) da quelle del quadrivium (aritmetica, geometria,
astronomia e musica), ossia tra quelle arti che ci offrono i mezzi per
esprimere quanto comprendiamo e quelle che conducono ad una effettiva
conoscenza dell’ordine naturale e morale. La distinzione, già adombrata anche
da Boezio, non ha in sé molto di nuovo e di originale. Eppure nella forma
che le diede Cassiodoro, essa formò la base dell’insegnamento per gran
parte del Medioevo, e divenne un modello costantemente seguito
nell’organizzazione fondamentale degli studi. Per il resto l’aspetto più
significativo dell’operetta è dato dalla sistematica riduzione dei
materiali elementari della cultura classica al servizio delle esigenze
ecclesiastiche e della conoscenza della Scrittura. Che le arti liberali
debbano diventare parte integrante delle discipline cristiane e della
stessa cultura monastica è infatti ferma convinzione di Cassiodoro che
ritiene indispensabile alla formazione dei clerici una buona conoscenza
degli scrittori antichi e una discreta peritia litterarum. Certo, le dottrine
dei Gentili vanno spogliate del loro antico significato peccaminoso e
delle suggestioni demoniache che derivano dalle loro origini pagane. Però
la conoscenza delle lettere divine e la loro giusta interpretazione
sarebbe impossibile se mancasse la cognizione dei mezzi di espressione e di
pensiero o se non si conoscessero almeno i fondamenti della scienza
mondana. Le litterae humanae e le litterae divinae non sono tra loro
incompatibili e necessariamente avverse, tanto più che l’esatta comprensione e
intelligenza della Scrittura è condizionata dal possesso dei rudimenti
essenziali del sapere. Proprio per questo Cassiodoro, riprendendo la
soluzione già posta da Agostino al problema del rapporto tra la cultura
profana e la tradizione cristia na, delinea una soluzione perfettamente
conforme ai caratteri storici di una società in cui l’elaborazione
intellettuale sta diventando funzione esclusiva degli uomini di
Chiesa. Boezio e Cassiodoro, con la loro raffinata cultura classica
e la larga conoscenza della tradizione filosofica greco-romana, sono certo
gli ultimi rappresentanti dell’aristocrazia romana che ancora riesce ad
imporre la propria supremazia intellettuale ai barbari e a legare alle istituzioni
pedagogiche della Chiesa il proprio indirizzo filosofico e ideologico. La fine
della collaborazione tra i goti e i latini, la disastrosa guerra
greco-gotica che desolò per quasi venti anni le terre italiane e, poi, la
rovinosa invasione longobarda, dovevano però rendere sempre più precaria
quell’opera di mediazione tra la cultura classica e la nuova società che
nasceva faticosamente dai quadri rudimentali dei regni barbari, sotto la
crescente autorità politica e intellettuale della Chiesa. Ma se l’Italia
vide rapidamente imbarbarire le istituzioni culturali ancora sopravvissute al
crollo dell’Impero, se le dure condizioni del dominio longobardo resero quanto
mai labili le tracce di una continuità affidata principalmente alle scuole
monastiche o alla cultura burocratica e giuridica che pure fiorisce nelle
terre bizantine, non mancarono altrove nuove testimonianze del
progressivo processo di adattamento della tradizione classica alle nuove
esigenze storiche. È infatti nella relativa stabilità del regno
visigotico di Spagna, largamente influenzato dagli elementi giuridici ed
amministrativi dell'ordinamento romano, e dominato dalla crescente potenza
dell’autorità ecclesiastica, che opera il più tipico rappresentante della
cultura del VII secolo, il vescovo di Siviglia Isidoro (ca. 570-636).
Autore di vari scritti dottrinali e teologici, la sua opera più
importante sono però gli Etymologiarum libri (622-633), destinati ad una
eccezionale fortuna storica. Quest'opera tra le pil lette e diffuse in tutto il
Medioevo ci mostra in modo
esemplare come avvenga la riduzione del patrimonio intellettuale della
antichità in una sintetica enciclopedia di nozioni, utile sia per chi si
volge allo studio delle varie artes che per chi voglia dedicarsi alle cure del
magistero ecclesiastico. Muovendo dall’idea che è possibile sempre rintracciare
il principio e il significato di ogni cosa attraverso l'etimologia del suo
nome, Isidoro ordina sulla base di questo singolare criterio una grande massa
di nozioni scientifiche, filosofiche e teologiche, spesso trattate con grande
ingenuità, ma sempre fondate sulle testimonianze di molti autori
classici. Ma l’importanza delle Origines non sta certo nella ricchezza
dei suoi riferimenti, quanto piuttosto nell'interesse vivace e vitale per molti
aspetti della cultura e della tradi 34 l’ilosofia e cultura
nell'età dei regni romano-barbarici zione classica. Infatti, nei
primi tre libri, i più celebrati e conosciuti, Isidoro traccia un piano
compiuto dello studio delle sette arti liberali, cui aggiunge poi negli
altri 17 libri un complesso ordinato di nozioni che toccano tutti gli
aspetti dello scibile, dalla medicina alla storia, dalla Sacra Scrittura
alla teologia ed alla ecclesiologia, dalla cosmografia all’arte della guerra,
dalla geografia alle arti meccaniche, ecc. La evidente modestia
delle dottrine esposte da Isidoro, la sua assenza di spirito critico o di
attitudine filosofica, non toglie nulla alla importanza storica di
quest'opera che salvò dalla dimenticanza alcune nozioni e idee
fondamentali destinate ad esser tramandate, di generazione in generazione,
nella scuola medioevale. NÉ, del resto, è estranea al suo autore una
discreta conoscenza della scienza medica e naturale del suo tempo che va
posta forse in rapporto con la fioritura delle scuole ebraiche spagnole,
eredi di tanti aspetti e motivi della tradizione platonica. Anche le altre
opere di Isidoro il De fide catholica, i
Sententiarium libri tres, il De ordine creaturarum, il Chronicon e la Historia
regum Gothorum et Vandalorum testimoniano, del resto, la notevole
larghezza della sua cultura teologica, dominata naturalmente dall’ispirazione
agostiniana, delle sue conoscenze naturali e delle sue nozioni storiche,
fornendo altre preziose indicazioni sulle tonti filosofiche e letterarie
di cui poteva servirsi un uomo di cultura in pieno VII secolo. Ora,
è vero che nel corso di un secolo, il cerchio delle conoscenze e delle
letture si è fortemente ristretto, e che Isidoro mostra, nei confronti di
Boezio e di Cassiodoro, una conoscenza assai minore dei classici e un uso
molto più rozzo degli stessi strumenti linguistici. Eppure, nella sua
opera, come in quella di un altro minore contemporaneo, Martino di
Bracara, lettore ed espositore di Seneca, si realizza la continuità della
cultura classica e si compie il difficile salvataggio degli ultimi resti
di una civiltà ormai in rovina. Raccogliendo nozioni e dottrine, ordinandole
nell’ambito di una concezione educativa strettamente legata alla finalità
ecclesiastica, Isidoro lascia in eredità agli uomini della rinascenza
carolingia un prezioso patrimonio sopravvissuto ai periodi più oscuri
della crisi del mondo classico. La vita intellettuale dell’Europa
occidentale continua a decadere progressivamente nel corso del VII secolo
sotto il peso di molteplici fattori storici che fanno di questo periodo uno dei
momenti più drammatici e oscuri di tutta l’età medioevale. Mentre i regni
romano-barbarici si disgregano, svelando le loro profonde tare
costituzionali (quando addirittura non scompaiono, stroncati dall’efimera
ripresa bizantina), si cristallizza la struttura latifondistica della
società europea, gravata dal pesante predominio delle nuove aristocrazie
germaniche, ancora estranee alla cultura ed alla tradizione greco-romana.
L'attività economica rallenta adesso il ritmo, si attenuano, quando addirittura
non si spezzano, gli ultimi legami politici con l'Impero d’Oriente, che
le invasioni islamiche stanno privando dei suoi territori africani e del Medio
e Vicino Oriente. E, intanto, il progressivo esaurimento delle classi
dirigenti romane, l’avanzata di popolazioni più barbare e arretrate, rendono ancora
più precaria la sorte della tradizione intellettuale greco-romana, legata
tradizionalmente alla continuità delle istituzioni urbane. Quel
filone di solida dottrina che scorre ancora per buona parte del VI
secolo, sembra adesso esaurirsi, oppure si fissa definitivamente nei
canoni stilizzati dell’insegnamento ecclesiastico, nelle formule spesso assai
elementari e sommarie che guidano l’insegnamento dei maestri delle scuole
vescovili o monastiche. In luogo della ricca esperienza filosofica,
testimoniata ancora dall’opera di Boezio, si realizza ora il monopolio della
vita intellettuale da parte della Chiesa, l’unica istituzione che
continui, al di là del crescente frazionamento dei poteri politici ed
amministrativi, la funzione unificatrice già esercitata dall’Impero, e
che imponga, in una società disorganica e disgregata, un’ideologia
unitaria e organica. Certo, anche la cultura ecclesiastica accusa
gravemente le conseguenze dello sfacelo della società romana e non è
esente da un processo di progressivo imbarbarimento e di netto regresso
intellettuale. Il tentativo di risolvere le idee dominanti nell’alta
cultura greco-romana entro il tessuto religioso del Cristianesimo si è ormai
trasformato nella passiva acquisizione di un complesso di nozioni
dottrinali sopravvissute al dissolvimento della società che le aveva prodotte.
Ma se il crollo dell’Impero ha segnato la fine dell'ambiente storico in
cui erano maturate le prime esperienze decisive della filosofia cristiana,
non scompaiono le direttive intellettuali che la Chiesa ha ormai
elaborato, nell’età patristica, ed ha posto alla base della formazione
delle sue nuove élites sacerdotali. Queste dottrine sono poi
strettamente legate a un tipo di formazione e di tirocinio ancora esemplato, in
gran parte, sui modelli tradizionali dell’età classica. Ed è appunto per questo
che una personalità come Gregorio Magno (540 ca. 604), interprete
esemplare delle esigenze politiche e organizzative della Chiesa romana,
ha potuto esser considerato come l’ultimo difensore di una tradizione romana
trasferita integralmente nell'ordinamento disciplinare della Chiesa, o
come il primo vero rappresentante della cultura cristiana medioevale. La
sua personalità e la sua azione storica giustificano, del resto, questa
apparente differenza di giudizio; perché Gregorio, discendente da una
famiglia dell’alto patriziato romano, educato al tirocinio intellettuale
proprio della sua stirpe e della sua classe, fu il vero creatore della
Chiesa dell’Alto Medioevo, la cui organizzazione venne completamente
trasformata dalle sue riforme. Dall’ordinamento economico e giuridico dei
grandi feudi della Chiesa, alle forme rituali e liturgiche, non vi fu
campo della vita ecclesiastica che non recasse l'impronta di questa eccezionale
tempra di pontefice e di uomo di governo, abilissimo diplomatico e
politico raffinato. Ma la cristianità medioevale non venerò nel pontefice
romano solo l’uomo che aveva portato la Chiesa ad una effettiva
supremazia ideologica nell'Europa barbarica; bensi ammirò i suoi scritti
il cui successo eccezionale corrispose giustamente ai bisogni della cultura
ecclesiastica dei suoi tempi. Il Liber regulae pastoralis, che definiva i
compiti e le funzioni del clero romano, restò infatti, per secoli, il
libro fondamentale per la formazione della gerarchia cattolica; Dialoghi
(che sono una raccolta di leggende agiografiche) e i Moralia in Job
furono tra i libri più letti per tutto il Medioevo e tenuti a modello del
metodo di commento allegorico della Scrittura. Eppure, nonostante la sua
formazione e l’evidente influsso agostiniano, gli scritti di Gregorio
sono già ben lontani dalla mentalità e dalla ispirazione classica dominante dei
grandi autori patristici. Ed anzi, la sua diffidenza verso lo studio dei
classici, la sua ostilità nei confronti dell’insegnamento grammaticale e
letterario, sono drastiche e rigorose. In una famosa lettera a
Didiero, vescovo di Vienne nel Delfinato, che s’era dedicato
personalmente a insegnare la grammatica e a leggere i poeti latini ai
suoi chierici per impedire che la loro ignoranza della lingua li rendesse
incapaci d’intendere la' Sacra Scrittura, Gregorio condanna aspramente
qualsiasi tentativo di associare l’insegnamento delle litterae sacrae a
quello delle Aumanae litterae, e di legare le parole di Dio all’uso delle
arti profane. Il suo atteggiamento nei confronti della cultura classica è
ancor meglio chiarito nel suo Commento al I libro dei Re, ove si ammette
che si possa conoscere la lingua latina e le arti liberali, ma solo per quanto
può giovare all’intendimento della Scrittura, e senza alcuna pretesa di
considerare lo studio delle lettere come fine a se stesso. Ecco perché,
anche di fronte al problema dell’uso retto della lingua latina (e cioè se
si debba prender come norma la lingua dei classici o quella della Bibbia),
Gregorio afferma rigorosamente l’assoluta preminenza del latino biblico,
le cui pretese interpretazioni grammaticali e sintattiche sono ben superiori
alle regole di Donato. Non solo; ma Gregorio la cui prosa è ben lontana dalla misura ancora
classica di Boezio o di Cassiodoro è il difensore e il teorico della nuova
lingua ecclesiastica, forgiata nel latino scritturale, e nettamente
distinta dalla lingua profana dei classici. Il distacco tra
le fonti della tradizione non potrebbe essere più reciso. Né meraviglia che
Gregorio, pur cosi latino nel suo spirito organizzativo e nella sua azione
ecclesiastica e politica, concepisca lo studio delle lettere solo come un
mezzo per il magistero pastorale, e cioè per ben intendere e spiegare la
Bibbia. Nondimeno la sua opera di evangelizzatore doveva lasciare una grande
traccia nella storia della cultura e della filosofia medioevale. Perché
fu proprio questo Papa, così scarso ammiratore delle lettere, che
promosse la cristianizzazione della Britannia e di una vasta parte della
Germania, diffondendo in quelle regioni la lingua e la cultura latina
della Chiesa. I risultati di tale importante evento storico saranno ben chiari
già nella seconda metà del secolo, quando l’opera dei missionari e dei monaci
delle abbazie britanniche e irlandesi avranno già costituito dei solidi centri
di vita intellettuale, al riparo dal marasma politico dell'Europa continentale,
dove si conserverà un ricco patrimonio di cognizioni teologiche, e
fiorirà una eccezionale cultura umanistica, destinata ben presto a
rifluire nelle scuole dell'impero carolingio. Mentre in
Occidente si consuma cosi la crisi della cultura antica e si delineano le
prime linee fondamentali della cultura medioevale, nell’Impero bizantino
continua la tradizione della filosofia classica ed ellenistica e dei
grandi padri greci. Chiusa la Scuola di Atene con un decreto di
Giustiniano (529) la vita filosofica prosegue a Bisanzio sotto la
predominante influenza della tematica neoplatonica. L'interesse per gli
scritti attribuiti a Dionigi Areopagita, che sarà cosî forte poi anche
‘in Occidente, e per tutta la tradizione che va da Plotino a Porfirio a
Proclo è la caratteristica dominante delle scuole bizantine. Ma il neoplatonismo
nelle sue varie forme e sfumature si unisce anche a una solida tendenza
aristotelica, sviluppata soprattutto sul piano della logica e delle
scienze. Di questa cultura è tipico esponente Giovanni Damasceno (+ 750)
vissuto nel pieno delle lotte iconoclastiche e della prima grande crisi
nei rapporti tra la cristianità occidentale e orientale. La sua opera
principale IMInyhyv6oewg è una grande raccolta di materiali filosofici e
teologici ordinati sistematicamente e con un evidente scopo apologetico e
scolastico. Tuttavia nella sua introduzione a carattere filosofico, Keparasa
piaoropixà, il Damasceno svolge un'interessante trattazione della logica
e metafisica di Aristotele nonché di dottrine derivate da Porfirio e da
Ammonio. A questo prologo filosofico segue un ampio catalogo storico
delle eresie e quindi, nella terza parte, una classificazione sistematica di
testi patristici, unita ad una esposizione organica della teologia dogmatica.
Proprio quest’ultima parte, che tradotta nel 1151 da Burgundio Pisano
influì sull’evoluzione dei Libri sententiarum, venne largamente usata
anche da Pietro Lombardo e fu sempre presente ai teologi occidentali
della seconda metà del XII e XIII secolo. La tradizione platonica e
aristotelica delle scuole bizantine continua poi ancora per tutto il IX
secolo per opera del patriarca Fozio (820897 ca.), commentatore di alcuni
scritti logici di Aristotele e sostenitore della superiorità di
Aristotele di fronte a Platone. Ma con Fozio, la cui grande Bibliotheca
offriva amplissimi materiali sulla cultura filosofica classica, siamo già
al punto di massima rottura tra il mondo bizantino e la Chiesa romana. Lo
scisma dell’858 doveva rendere presto ben difficili i rapporti intellettuali
tra Bisanzio e l'Occidente che, del resto, le invasioni islamiche avevano
già gravemente minacciato, spezzando la unità imperiale del bacino
mediterraneo. I due secoli che trascorrono dalla morte di Gregorio Magno
all’incoronazione romana di Carlo segnano una svolta decisiva nella
storia dell'Europa medioevale. In questo periodo che è pure uno dei pit oscuri e
drammatici della storia occidentale si
viene infatti compiendo il lento passaggio dalla struttura sociale del tardo
Impero alle forme di organizzazione economica e politica proprie della società
feudale; si opera la compiuta assimilazione tra gli ultimi residui delle aristocrazie
romane e provinciali e la nobiltà germanica; e si afferma definitivamente
la supremazia spirituale della Chiesa romana che costituisce il saldo tessuto
ideologico e dottrinale della nuova società. Naturalmente un simile processo si
svolge in tempi e in modi assai diversi a seconda che si compia
nell'ambiente particolarmente propizio del regno franco, ove si verifica una
rapida e facile assimilazione tra la vecchia classe senatoriale gallo-romana e
l’aristocrazia franca, oppure nell’ambiente più arretrato e barbarico
dell’Italia longobarda. Tuttavia il suo ciclo può già considerarsi
compiuto intorno alla metà dell’VIII secolo, quando l’alleanza tra la più forte
monarchia germanica, quella dei Franchi, e la crescente potenza
spirituale e mondana del Vescovo di Roma pone la condizione storica
essenziale per la formazione dell'Impero carolingio. All’avvento di
questo nuovo ordinamento che interesserà ben presto la maggior parte
dell'Europa occidentale cooperano molti e diversi fattori di ordine
economico e sociale che sarebbe impossibile illustrare in questa sede in
modo compiuto ed organico. Ma se anche non affronteremo i numerosi e gravi
problemi relativi alla genesi dell'Impero carolingio, all’origine ed alla
funzione storica del feudalesimo, non si potrà trascurare di indicare,
per quanto sommariamente, quei caratteri storici essenziali che sono
propri di questo periodo. Il primo e, certo, il più importante, è appunto
la profonda trasformazione che hanno ormai subîto le strutture fondamentali
della vita economica e sociale dell'Europa occidentale che presenta
adesso un aspetto profondamente diverso da quello dell’età delle grandi
invasioni. Ancora nel corso del VII secolo, i regni romano-barbarici avevano
infatti continuato a dominare su di una società, già in via di
mutamento, ma che non era ancora lontana dalle caratteristiche assunte
durante gli ultimi tempi del Basso Impero. La continuità di un'intensa
vita economica in gran parte del bacino del Mediterraneo e soprattutto in
Gallia, in Africa e in Spagna, la persistenza di rapporti marittimi e di
discreti scambi commerciali con Bisanzio, la relativa, ma ancora
notevole, floridezza dei centri urbani e mercantili, testimoniano l’assenza di
una vera e propria cesura con la vita economica, sociale e intellettuale
del mondo romano. Se si assiste all’evidente imbarbarimento delle
istituzioni e dei costumi, gli ordinamenti amministrativi sono ancora in
gran parte quelli romani e la supremazia degli invasori germanici non ha
ancora totalmente distrutto le solide basi di strutture statali ancora
improntate al modello latino. Naturalmente, le stesse conclusioni
valgono per la cultura e gli istituti che permettono la continuità e lo
sviluppo della vita intellettuale. La cultura di tipo schiettamente
classico decade è vero progressivamente, via via che peggiorano le
condizioni sociali e politiche, ma continua ancora a muoversi sulla scia
delle concezioni romane e greche; né la tradizione bizantina cessa di
esercitare il suo influsso, ancora particolarmente forte intorno alla
metà del VI secolo. Che tale condizione di cose muti nel corso
dell’VIII secolo, è invece constatazione evidente, anche se si può
discutere sulle ragioni e le cause di questo mutamento, nonché sulla sua
relativa profondità e portata. Ma anche riconoscendo i limiti di una tesi
troppo radicale come quella del Pirenne (che ha indicato nella svolta dell'VIII
secolo l’inizio di un’età storica dominata dalla scomparsa dell’attività
commerciale e da una economia strutturale rigorosamente chiusa e rurale),
è certo che l’ambiente storico della civiltà carolingia non ha più
molti tratti in comune con la società in cui si erano mossi gli ultimi
grandi rappresentanti della cultura classica, come Boezio e Cassiodoro. I territori
mediterranei, un tempo al centro dell’attività economica e della vita
civile, sono adesso gravemente impoveriti per l’effetto congiunto delle
continue invasioni, delle carestie e delle guerre o della costante
diminuzione del traffico, insidiato dalla potenza marittima dell’Islam.
Le istituzioni urbane, anche se non scompaiono e non decadono in proporzioni
catastrofiche, sono però indubbiamente in forte declino; ed alla loro
decadenza corrisponde un notevole prevalere dell’economia rurale, e la
conseguente egemonia politica dell’aristocrazia militare e fondiaria che
detiene, in gran parte, il monopolio della terra. In tal modo il
carattere prevalentemente urbano e mercantile della società romana cede
adesso il suo posto ad un assetto economico e sociale fondato prevalentemente
sull’unità della vile e su un circuito di scambi a breve raggio. Mentre si
disgregano gli ultimi resti delle istituzioni romane, mentre scompare il
secolare ordinamento amministrativo che era sopravvissuto anche alle invasioni,
si delineano i nuovi lineamenti di un ordine politico che non ha certo un
diretto rapporto con la tradizione romana. L’impronta
fortemente germanico-cristiana, che sarà propria dell’Impero carolingio, lo
spostarsi verso il Nord dell’asse politico dell'Europa cristiana, sono i segni
più evidenti ed eloquenti del grande mutamento storico. Ma ancora più
importante è la trasformazione che si è verificata nei quadri dirigenti
della società europea e, quindi, nei ceti che elaborano e diffondono
anche le nuove direttive intellettuali. La base storica concreta su
cui si fonda questo Impero è difatti la grande aristocrazia fondiaria che
è venuta lentamente costituendosi nel secolo V e VI in tutti gli stati
romano-germanici. Il perno della complessa macchina amministrativa carolingia è
costituito da una fitta rete di poteri locali, nominati dall’Imperatore
che essi rappresentano in tutte le più delicate funzioni politiche ed
amministrative, di una gerarchia ben diversa dalla vecchia burocrazia imperiale
romana, perché vive del provento delle imposte o delle concessioni di terre largite
dal sovrano ed è legata al proprio compito solo dal vincolo di fedeltà stretto personalmente
con l'Imperatore. Questa aristocrazia, prodotto naturale delle condizioni
economiche e politiche maturate dallo sfacelo dell’ordine politico romano e
dalla sostituzione della nobiltà germanica alla vecchia classe
latifondista del Basso Impero, è insieme la forza armata dell’Impero e il
suo corpo amministrativo, ne rappresenta la salvaguardia militare e la classe
politica dominante. Ma essa non è certamente l’unico elemento della
costruzione politica di Carlo Magno che, sebbene strettamente plasmata
sulla struttura sociale dell’Europa romano-barbarica, trova la propria
giustificazione ideale nel carattere religioso del potere e nella propria
funzione mediatrice tra il crescente particolarismo delle istituzioni
politiche e la forza di un principio universale che si richiama alla salda
tradizione unitaria della Chiesa romana. Nell’immane mosaico di
popoli e di genti ancora scarsamente amalgamate che ubbidiscono all’autorità di
Carlo, l’unico vincolo unitario è infatti rappresentato dalla radicale
compenetrazione tra l’Impero e la Chiesa. E quanto questa compenetrazione
caratterizzi la struttura politica della società carolingia, lo dimostra
appunto la preoccupazione di Carlo di presentarsi sempre come l’advocatus
ecclesiae, difensore della cristianità, e di far coincidere la legittima
estensione dei suoi poteri con il corpo vivente della Chiesa che non ha
mai confini ma si estende su tutto l’orbe ovunque si pronunzia il nome di
Cristo. Convinto sinceramente che la sua autorità gli discenda dalla
natura di capo divinamente eletto del popolo cristiano, ispirato da
consiglieri che fondano la legittimità dell’Impero sull’i insegnamento
della Bibbia e sulle parole di Agostino, il monarca franco si presenta
con un carattere del tutto diverso da quello che era stato proprio anche degli
ultimi imperatori cristiani, come sovrano e guida del popolo di Dio.
Legislatore della comunità civile, supremo principio di autorità e di
diritto, egli è anche il legislatore della Chiesa pronto ad impugnare le
due spade dell’autorità spirituale e di quella temporale. Ma proprio perché
l’Imperatore è reggitore della Chiesa oltre che dello Stato, la sua
autorità penetra ovunque, e come detta nei capitolari le norme per la
tenuta delle villze e l’amministrazione dei demani imperiali, cosî fissa
le regole più particolari e minute per la condotta del clero e la
disciplina rituale e canonica. L'osservanza della domenica, l'esecuzione del
canto ecclesiastico e le condizioni per l'ammissione dei novizi nei
monasteri, scrive giustamente il Dawson, sono punti fissati nei
capitolari, altrettanto come la difesa delle fronliere e l'amministrazione dei
beni della corona. Ciò spiega un altro carattere tipico dell'ordinamento
carolingio, e cioè l’esistenza di una potente aristocrazia ecclesiastica,
non meno influente di quella militare e fondiaria, che partecipa
all’amministrazione delle trecento contee in cui si divide l’Impero, e ha
una propria funzione politica e persino militare. Il governo centrale è
poi addirittura nelle mani degli ecclesiastici della cancelleria e della
cappella reale. Non solo; l’autorità di questa aristocrazia ecclesiastica
è ben rappresentata anche nella tipica istituzione carolingia dei missi
dominici, deputati alla sorveglianza ed al controllo sull’amministrazione
locale, costituiti in gran parte da vescovi ed abati, sempre pronti ad
informare minutamente il sovrano dell'andamento della vita economica,
civile e religiosa dei più lontani territori della Christianitas.
Lo spirito profondamente teocratico che anima l’Impero, espresso
drasticamente in tanti ‘atteggiamenti e detti di Carlo, è
perfettamente definito nella identificazione dell’autorità sacramentale e
carismatica del clero e quella non meno sacrale che discende dalla
volontà del sovrano. Ed è appunto nel quadro di questa concezione, destinata a
continuare ben oltre lo stesso sfacelo dell’Impero, che la società
carolingia elabora i propri ideali e le proprie istituzioni culturali,
strettamente legate alle nuove esigenze politiche. La
rinascita culturale che va sotto il nome di rinascenza carolingia è quindi il
prodotto storico naturale dello spirito teologico che permea tutta
l’organizzazione carolingia, della necessità impellente di formare un
corpo di funzionari colti e competenti e di preparare una larga élite del
clero a compiti e funzioni che richiedevano un tipo di cultura pid
raffinata e mondana. Però la riforma perseouita da Carlo non si limita
solo a rinnovare la tradizione deoli studia Aumanitatis o a rinortare nelle
istituzioni scolastiche dell’Occidente la linfa vitale dell’insernamento delle arti
liberali ma è addirittura il primo tentativo di ricostituire l’unità
intellettuale della società europea, edificata sui resti della cultura
classica. la cui influenza continua, del resto, a dominare anche i
maestri delle scuole palatine. Naturalmente, rroprio perché è legata cosî
strettamente al particolare ca-rattere politico e organizzativo dell'Impero, la
cultura del TX secolo ne rispecchia fedelmente anche i tipici caratteri
dominanti. Nonostante tutti i tentativi di riconnettere la rinascenza
carolincia alla grande fioritura intellet tuale del XII secolo, o,
addirittura, all’umanesimo quattrocentesco, pesano infatti su questa cultura i
limiti storici di una società che non riusci mai a darsi una vera struttura
statale organica e che nella sua rigida divisione di caste realizzò la
piti compiuta separazione tra il ristretto ceto dei clerici monopolizzatori
della cultura e la gran massa dei fedeli. Non a caso, quindi, la
rinascenza carolingia ha come suo precipuo ideale l’elaborazione di una cultura
di carattere esclusivamente ecclesiastico 0, meglio, ecclesiastico-amministrativo, capace di garantire l’unità religiosa e
ideologica della Christianitas e di subordinare la stessa validità delle
discipline classiche alle esigenze dogmatiche predominanti della
ortodossia cattolica. E non per nulla gli stessi teologi e i maestri
della scuola palatina, strenui difensori di una concezione unitaria
dell’autorità imperiale che è di schietta impronta romana, sono, al tempo
stesso, anche i tenaci sostenitori del fondamento sacrale del potere civile e
della sua piena coesione con l’immutabile ordine della gerarchia
ecclesiastica. Del resto, quant'è diversa la finalità e la
destinazione ideologica della civiltà carolingia nei confronti della tarda
cultura romana, è altrettanto profondamente mutato l’ambiente in cui essa
maggiormente fiorisce. I cenui della rinascenza non sono ora le città del
vecchio mondo romano, né le terre dell’Italia, della Francia meridionale
o della Spagna, bensi la stessa corte imperiale, le innumerevoli abbazie
e scuole monastiche disseminate nel vasto dominio franco e soprattutto nelle
regioni settentrionali chiuse tra la Loira e il Weser. I maestri, i
chierici che la propagano non sono grandi aristocratici romani, come
Boezio o Cassiodoro, o eredi della tradizione latina come Gregorio Magno,
bensi degli intellettuali di origine barbarica che hanno però profondamente
assimilato quanto si è salvato della tradizione classica. Da Fulda a S.
Gallo, da Tours a Reichenau, tutta l'Europa carolingia è percorsa da una
potente corrente di nuova vita intellettuale, che non si svolge soltanto
nel campo limitato delle lettere e della teologia, ma ha i suoi diretti
riflessi anche nell’ambito delle arti e della tecnica scrittoria che i
monaci carolingi portano ad una perfezione prima ignorata. Così, sebbene
l’Impero, minato dalla sua debole struttura, si avvii rapidamente alla fine, le
grandi abbazie benedettine diventano gli unici centri intellettuali
dell'Europa, tormentata dall’erompere dell’anarchia feudale, di una società
sconvolta e lacerata da nuove ondate d’invasione. All’adempimento di
un tale compito storico, l’abbazia benedettina era stata del resto già
preparata da due secoli di oscura e paziente elaborazione di nuove élises
intellettuali. Da quando la regola di Benedetto aveva creato, agli inizi
del VI secolo, un nuovo tipo di monachesimo, operoso e attivo, ispirato
alla norma della preghiera e del lavoro collettivo e fraterno, l’antico
ideale dell’ascesi individuale era stato sostituito da una nuova
direttiva spirituale di contenuto sociale. Nel monastero benedettino,
costituito in una salda unità amministrativa e disciplinare, il lavoro manuale
e la pura ricerca contemplativa avevano ritrovato una profonda unità del tutto
ignota alla società del tempo, costituita da una ristretta aristocrazia
militare e fondiaria e da enormi masse di contadini-servi. Ma, soprattutto (in
una età in cui l’economia era prevalentemente agricola e gli
ordinamenti politici si sfasciavano sotto il peso crescente delle
tendenze particolaristiche), la diffusione delle istituzioni benedettine aveva
permesso la formazione di numerosi centri d’intensa vita produttiva, dove
la coltivazione delle grandi proprietà abbaziali si alternava allo studio
ed all’apprendimento dei primi rudimenti delle arti liberali. Tutto
ciò spiega e giustifica la grande fortuna dell’ordine benedettino in
tutta la Cristianità occidentale, e soprattutto nelle regioni dell'Europa
continentale ove si erano già delineati i caratteri incipienti della civiltà
feudale. Poiché fu soprattutto in Svizzera, in Francia e nella Germania
meridionale che il sistema delle abbazie, spesso unite da stretti vincoli
economici e amministrativi, pose fin dal VII secolo i presupposti della
diffusione organica di una ricca cultura di carattere ecclesiastico e monastico,
ma largamente permeata di motivi e temi della tradizione classica. All’elaborazione
della cultura carolingia dettero però un contributo ancor più importante e
decisivo le istituzioni monastiche dei paesi anglosassoni, sorte fin
dall’inizio del VI secolo, indipendentemente dalla diffusione
benedettina. Il carattere peculiare di questo monachesimo, che in un periodo
tra i più oscuri della storia occidentale fece delle isole britanniche
una vera oasi di civiltà, fu di non aver adottato la gerarchia episcopale
della chiesa, ma di aver organizzato la propria vita entro la cornice
esclusiva delle regole monastiche. E tale carattere è certo ben comprensibile,
se si pensa che il monachesimo anglosassone sorse in un paese quasi
completamente pagano, ove soltanto nel 596 era ripresa la tradizione
episcopale, sotto l’impulso diretto di Gregorio Magno. Il successo
della predicazione del monaco Agostino, primo vescovo di Canterbury, e
dei suoi seguaci, era stato però assai rapido: già nel 644 l’East Anglia
aveva un proprio vescovo anglosassone, e dieci anni dopo anche il seggio
primaziale di Canterbury era stato occupato dal sassone Deusdedit cui:
doveva succedere il monaco greco Teodoro, dotto nelle lettere greche e
latine. Teodoro e l’abate africano Adriano furono gli iniziatori di una
fortunata opera di riforma intellettuale che aveva naturalmente uno scopo
e una finalità essenzialmente devota, ma che non trascurava neppure
l’insegnamento delle lingue classiche e la lettura degli auctores. Liberi
da ogni stretto vincolo disciplinare e dogmatico, animati da uno spirito
di tenace e vivace proselitismo, i monaci da loro educati ne diffusero
l'insegnamento e la pratica in una fitta rete di istituzioni monastiche
che coprì rapidamente tutte le regioni delle isole britanniche, dalla Britannia
al Galles, alla pagana Caledonia. Da Canterbury a Malmesbury,
dall’Irlanda, già convertita da L'età carolingia S.
Patrizio, ai grandi monasteri di Bangor Iscoed e di Clonard, fino al
lontano monastero scozzese di Jona, flui cosi un filone costante e ricco
di «cultura classica, che le particolari condizioni geografiche e
storiche posero al riparo dalle drammatiche crisi di tutti i paesi
dell'Europa continentale. E quale fosse il carattere di questa cultura ci
è appunto noto dalla testimonianza di Adelmo di Malmesbury, che ci
ricorda di aver appreso alla sua scuola monastica i rudimenti essenziali
del diritto romano, i principi della metrica e della prosodia, le figure principali
dell’arte retorica, e, ancora, la matematica e l’astronomia. Certo,
a giudicare dalla notevole barbarie della prosa di Adelmo e dalla sua
ingenuità e rozzezza, si potrebbero avanzare non pochi dubbi sul valore
della tradizione classica diffusa negli ambienti monastici anglosassoni. Eppure
si tratta dei primi timidi frutti di una cultura che non ignora né
Virgilio, né Terenzio, né Orazio, né Giovenale, e che continua, in sostanza, un
tipo d’insegnamento non troppo dissimile da quello praticato nelle scuole del
Basso Impero. Né i risultati di questo insegnamento sono da disprezzare,
se è vero che a poco più di un secolo dalla loro evangelizzazione i
monasteri anglosassoni inviavano sul continente i loro primi missionari.
Del resto, già dal 590 l’irlandese Colombano aveva fondato in
Francia il monastero di Luxeuil, donde mosse una larga diffusione monastica in
Francia, nelle Fiandre, in Svizzera e in Germania, e in Italia, ove
l’abbazia di Bobbio fu un tipico prodotto del monachesimo anglosassone.
Ma ancora più importante fu l’opera di un monaco anglosassone, Wynfrith,
l’evangelizzatore dei sassoni, e primo vescovo di Magonza sotto il nome
di Bonifacio. Questo monaco non fu soltanto l’apostolo della Germania, da
lui evangelizzata mercé la protezione della monarchia franca e nel quadro
della direttiva episcopale romana, bensi l’uomo di Chiesa che seppe
operare la saldatura storica tra la tradizione benedettina e romana e quella
anglosassone, diventando cost il diretto intermediario tra la cultura dei
monasteri irlandesi e britannici e la ripresa intellettuale che
cominciava a delinearsi nel continente. Chiamato, nel 742, da Carlomanno,
fratello e collega di Pipino il Breve, perché provvedesse a riordinare lo
stato della Chiesa nel suo ducato di Neustria, ove il clero era profondamente
decaduto dal punto di vista disciplinare e privo di ogni cultura,
Bonifacio compì in breve tempo una riforma radicale. Nel suo periodo di
governo, durato dal ‘42 al °47, non solo provvide ad eliminare gli abusi
più gravi, e a sottoporre l’episcopato franco all’autorità apostolica romana,
ma trapiantò nelle scuole e nelle istituzioni espiscopali e abbaziali la
cultura che fioriva in Britannia nei nuovi monasteri sorti nel VII secolo, come
quello di S. Pietro di Wearmouth, fondato nel 674 da Benedetto
Biscop. In questo ambiente colto ed erudito, sui testi devoti e
profani che il Biscop aveva portato dall’Italia e dalla Gallia, si era,
del resto, già formato, negli ultimi decenni del VII secolo, un monaco
anglosassone, che aveva scritto la storia ecclesiastica del suo popolo in
un latino eccezionalmente limpido e puro. Nato nel 673, nel momento di
massima fortuna della cultura monastica anglosassone, il monaco Beda (t
735), che i medioevali chiameranno il Venerabile, non si era limitato a
compiere la sua opera di storiografo guidata da una fondamentale ispirazione
romana, ma aveva illustrato la sua cultura letteraria nel De orthographia
e nel trattatello De schematibus et tropis, e definito i principi e
metodi della cronologia nel De temporibus, De temporum ratione, De
ratione computi. Però la sua opera pi fortunata, che godé per tutto il
Medioevo di una eccezionale fortuna, fu il De rerum natura, costruito sul
modello dell’enciclopedia di Isidoro, ove si esprime già una cultura più
raffinata e scaltrita. Scrittore limpido, il suo stile non differisce troppo da
quello degli autori della bassa latinità; né a leggere le sue opere si
direbbe che Beda scriva verso la fine dell’VIII secolo, in un ambiente
sociale e intellettuale cosi profondamente mutato, e, addirittura, in un Paese
che aveva conosciuto solo brevemente la civiltà romana. Eppure, è proprio
in Inghilterra e in Irlanda che la cultura classica riprese a fiorire con
forme ed intenti ancora ignoti agli altri paesi dell'Occidente; né è
certo un caso che le prime forme di prosa d’arte, atteggiate sul modello
della tradizione letteraria latina, nascessero nei conventi di Inghilterra, di
Scozia e d'Irlanda. Quando poi, agli inizi del IX secolo, re Alfredo
tradusse la Cura pastoralis di Gregorio Magno, l’Historia di Paolo Orosio e la
Consolatio di Boezio, non creò soltanto i primi modelli letterari della
prosa anglosassone, ma offri una nuova prova del carattere squisitamente
classico della ma tura civiltà anglosassone. Questa ricca cultura di
origine e ispirazione classica, non avrebbe però avuto una effettiva
incidenza storica, se non si fosse presto diffusa nell'Europa
continentale, improntando di sé la vita intellettuale dell’Impero carolingio.
Abbiamo già accennato alla missione di Bonifacio ed al suo tentativo di
migliorare la formazione intellettuale del clero franco mediante lo studio
dei rudimenta letterari necessari per l’insegnamento della Scrittura. Ma l’uomo
che seppe trapiantare in Occidente i frutti più maturi della cultura
anglosassone e servirsene come fondamento di una vasta riforma intellettuale,
fu un monaco irlandese, Alcuino di York. Formatosi in una scuola
largamente aperta alle influenze classiche, Alcuino aveva percorso sotto
la guida di Egberto, discepolo di Beda, il corso normale del trivio e del
quadrivio. Maestro a York nel 778, la sua fama di grande cultore della
humanitas si era presto diffusa anche nel continente: e Carlo, che già in
quegli anni progettava di organizzare nuove istituzioni scolastiche per
la formazione dei suoi dignitari chierici e laici, lo chiamò alla sua
corte, affidandogli la guida della riforma scolastica. Già presente alla
corte carolingia dal 781 al ’90, Alcuino, dopo un breve soggiorno
britannico, vi tornò stabilmente nel ’93, per restarvi fino alla morte e
per quasi vent’anni il monaco irlandese mirò come disse a trasformare l’Impero di Carlo in una nuova
Atene, superiore anzi all'antica Atene perché dotata dei doni sovrannaturali
dello Spirito Santo. In realtà, il maggiore merito storico di
Alcuino fu quello d’intendere perfettamente quale fosse il tipo di cultura
necessario per la società carolingia, e di trasformare la tradizione
classica dei monasteri e delle scuole anglosassoni in una organica
direttiva intellettuale strettamente associata all’ideale teocratico
dell'Impero e legata alla gigantesca macchina politica e amministrativa
costruita da Carlo. Tutti i risultati più positivi di due secoli di lenta
maturazione intellettuale; furono cosî posti al servizio della società
rigorosamente gerarchica su cui si fondava l’impero, e divennero i
criteri formativi di una nuova élite intellettuale, emersa dalla confusa
vicenda di due secoli di crisi. Ma l’opera di Alcuino non si limitò
soltanto a questo compito di organizzazione del nuovo sistema delle
scholae imperiali, o alla trasmissione della esperienza anglosassone;
egli stesso elaborò la distinzione organica e sistematica delle sette arti
liberali, trasformando la pratica tradizionale della cultura classica in
un complesso ragionato c ordinato di nozioni e di tecniche. I frutti
della sua attività furono certamente tali da influenzare per quasi tre secoli
gli sviluppi essenziali della cultura europea; gli uomini educati alla
sua scuola poterono giustamente vantarsi di aver restaurato un solido legame
con la cultura classica, e di aver, per cosi dire, riannodato quel filo
sottile della tradizione che sembrava essersi spezzato con la crisi dell'unità
romana. Certo, il tipo di cultura instaurato da Alcuino rispecchiò
anche tutti i limiti storici dell'ambiente da cui nasceva e per la sua
impostazione esclusivamente ecclesiastica fu lo specchio di una società
divisa in caste, e che affidava al dominio spirituale della Chiesa
l’assoluto monopolio della formazione delle id:e. Ma anche entro questi
limiti, l’opera di Alcuino fu eccezionalmente fruttuosa; si può dire che
si debba alla sua direttiva la prima organizzazione di un sistema di istituzioni
scolastiche comune a gran parte dell'Europa carolingia e la formazione di
un tipo di cultura raffinata, non più limitata al chiuso mondo
anglosassone, bensi diffusa in Francia come nella Germania meridionale,
in Italia come nelle isole britanniche. Da questa cultura destinata a sopravvivere al crollo dell’Impero
e al pid torbido periodo di anarchia feudale muoveranno poi nell'XI secolo le nuove
correnti di pensiero che, parallelamente’ alla grande trasformazione
economica della società medioevale, guideranno la rinascita intellettuale
dell’Europa. A spiegare il successo dell’opera di Alcuino può
contribuire la considerazione che la Gallia era stata influenzata dalla
cultura latina assai più dei territori britannici, e che il ricordo della
lingua e della civiltà non vi si era mai perduto. Però lo stato di
miseria intellettuale del clero franco deprecato dal dotto Bonifacio e i lamenti che Gregorio di Tours o
Fortunato di Poitiers avevano elevato sulle condizioni della cultura
nella vecchia Gallia romana, testimoniano una profonda decadenza, che si
era sempre più accentuata dopo che si erano allentati i vincoli con
l’Italia e con le altre regioni pi progredite del vecchio Impero. Proprio
la constatazione che gran parte dei suoi ufficiali laici o ecclesiastici non
sapeva neppure intendere la lingua latina, aveva indotto Carlo Magno a
ordinare nel 789 l’apertura di scuole vescovili e monastiche, ove si
insegnassero, oltre al canto, al solfeggio e le salmodie, anche gli
elementi fondamentali del compito ecclesiastico e della grammatica. Ma i suoi
progetti di riorganizzazione delle istituzioni scolastiche erano assai
più ambiziosi, cosî com'era impellente la necessità di organizzare in breve
tempo un vero e proprio corpo di dignitari e di amministratori, capace di
adempiere al grave compito del governo dell’Impero. Proprio per questo
Carlo si era rivolto dapprima in Italia, donde era venuto alla sua corte il
dotto longobardo Paolo Diacono (725-797) che per cinque anni vi aveva insegnato
il greco, prima di ritirarsi nell’abbazia di Montecassino. Durante
il suo breve soggiorno, Paolo aveva rivisto e corretto una collezione di
Omelie, pubblicate da Carlo, come incitamento alla ripresa degli studi. Più
tardi il suo insegnamento era stato continuato da Pietro di PISA (vedasi),
già maestro a Pavia, e da Paolino di Aquileia, presenti alla corte carolingia.
Questi maestri erano però ben lontani dal livello intellettuale e dalla
preparazione dei monaci irlandesi e britannici; e la loro cultura era
forse anche inferiore a quella di due dotti ecclesiastici ispano-gallici,
come Agobardo, che fu poi vescovo di Lione, e Teodolfo (t821) vescovo di
Orléans, vomini di larga cultura teologica e letteraria, conoscitori ed
ammiratori di Virgilio, Ovidio, Orazio, Lucano e Cicerone. Nondimeno,
quei maestri italici furono il primo nucleo della élite intellettuale raccolta
da Carlo intorno alla sua corte; e fu sul terreno preparato da questi
modesti professori che si maturò la riforma di Alcuino, guidata da una
lucida consapevolezza della continuità della cultura classica e dalla
eccezionale capacità di ridurre i suoi elementi essenziali a componenti di
una ruova direttiva ideologica e dottrinale. Il rapporto che
Alcuino volle porre tra la nuova cultura di cui era- ispiratore e la
tradizione classica, è infatti espresso chiaramente in più di un testo.
Il suo dialogo De virtutibus ci insegna che la scienza, la virti e la verità
valgono di per se stesse, e che i cristiani, lungi dal condannare le
verità e le virti degli antichi, debbono anzi accettarle e coltivarle. I poeti,
i grammatici, i retori ed anche gli stessi filosofi, spesso oggetto di
timori e di condanne, hanno infatti insegnato delle dottrine intrinsecamente
utili e vere che costituiscono un prezioso patrimonio umano. Perciò, al
discepolo che gli chiede quale sia la differenza tra i filosofi antichi e
i cristiani, Alcuino può rispondere che solo il battesimo e la fede li
distinguono, e che la saggezza antica, che ha compreso la natura e la
ragione delle cose, può costituire il migliore accesso alla suprema sapienza
cristiana. I filosofi, egli scrive, non hanno creato, ma solo scoperto
quelle arti; poiché Dio stesso le ha poste nella realtà e nella natura,
lasciando che gli uomini più dotti le scoprissero con le loro forze. Come
non riconoscere, perciò, la necessità dello studio delle arti liberali,
necessarie, del resto, anche ai teologi e a tutti i maestri della Sacra
Pagina? E come non scorgere in questo studio un alto dono di Dio, e un
compito meritorio per ogni cristiano? Ecco perché, nel tracciare il
suo piano di insegnamento, Alcuino affermò cosi recisamente la funzione
propedeutica delle arti liberali che costituiscono la solida base della
cultura, e perché costrui la scuola carolingia sul modello delle scuole
monastiche ed episcopali anglosassoni, cercando di raccogliere organicamente le
testimonianze e le fonti essenziali delle antiche discipline. Mediocre
poeta, teologo di scarso rilievo (il suo De ratione animae non è che una
esposizione debole e generica di motivi agostiniani e vagamente
neoplatonici), egli ebbe però, in sommo grado, il senso della organizzazione
della cultura.E lo testimoniano i suoi manuali, dalla Grammatica ricavata
dagli scritti di Prisciano, Donato e Isidoro, al De orthographia che
ricalca Beda, al Dialogus de rhetorica costruito su materiali
ciceroniani, al De dialectica ove utili zza Boezio, Isidoro e le
pseudoagostiniane Categoriae decem. La nuova organizzazione degli studi
promossa da Alcuino non tardò a dare i suoi frutti. Già durante il regno
di Carlo le regioni centrali'dell’Impero vedono aumentare rapidamente le
istituzioni scolastiche, affidate in gran parte ai monaci benedettini. Le
abbazie di S. Martino di Tours, Fulda, Fleury, Reichenau, sono i centri
della cultura carolingia, di cui trasmetteranno, per tre secoli, le
direttive essenziali, mediante un tipo d'insegnamento letterario che ha
non pochi punti di contatto con la tradizione grammaticale del tardo
Impero. Se infatti il carattere delle scuole resta sempre essenzialmente
ecclesiastico e chiuso nell’ambito delle dottrine scritturali e patristiche, la
base su cui si fonda l’istruzione dei chierici è squisitamente classica e
legata alla lettura e al commento dei classici latini. Ciò spiega il moltiplicarsi
dei codici, copiati nei centri scrittori delle maggiori abbazie e
rapidamente diffusi nelle varie scuole di Europa. Ma la lettura di questi
testi e il commento grammaticale non sono certo l’unica attività dei dotti
carolingi, né la loro cultura si esaurisce come è stato pur detto da taluni storici
in una esercitazione grammaticale.
La partecipazione commossa alla cultura classica, l’amore per gli antiqui
considerati come maestri di umanità, la familiarità con le loro opere,
implicano infatti tutto un modo di concepire il rapporto tra la sapientia
cristiana e il pensiero degli antichi, ben lontano dalla intransigente
repulsa di un Gregorio Magno. Né meraviglia che i discepoli di Alcuino possano
addirittura usare i nomi e gli aggettivi delle divinità antiche per alludere
agli attributi del Dio cristiano, o paragonare, quasi inconsapevolmente, le
beatitudini paradisiache alle gioie sensibili dell'Olimpo classico.
D'altra parte, accanto a questa formazione prevalentemente letteraria e
umanistica, la cultura carolingia non manca già d’interessi più
nettamente filosofici, ereditati indirettamente dalla vicina tradizione
L'età carolingia della filosofia classica. Studi recenti
hanno appunto accentuato, magari attribuendole un significato superiore al suo
vero carattere, l’Épistola de nihilo et tenebris di un discepolo di Alcuino,
Fredegiso di Tours, maestro di notevole influenza durante il regno di
Ludovico il Pio e di Carlo il Calvo. Fredegiso muove dall’interpretazione letterale
del testo scritturale ove è scritto che Dio ha creato il mondo dal nulla
(er rikilo), per concludere che il nulla è qualcosa di reale. Questa idea
induce poi, come naturale conseguenza, ad affermare che il nulla non è
affatto semplicemente l’assenza o negazione dell'essere; nerché come argomenta il monaco ogni nome deve avere un sionificato
esatto e determinato, e quindi indicare qualcosa. di positivo e di reale;
perciò se, dicendo uomo, pietra, ecc.. indichiamo sempre una cosa reale,
anche pronunziando il nome niki! dovremo indicare una res. Nel caso
contrario non sarebbe possibile stabilire un significato per il termine
nihil, siacché ogni significazione è significazione di quello che c'è, ossia di
qualcosa di esistente; e se questo è vero, e se il termine nihil è
significativo, vuol dire che esso indica un ente reale ed evidente.
L’argomento di Fredegiso può sembrare, e forse era, almeno nella
sua forma scolastica, un puro esercizio di abilità dialettica simile a
ouelli attribuiti a un îonoto Atheniensis Sophicta che sarebbe vissuto
alla corte di Carlo Magno; ma assume un sicnificato ben diverso, se si
riflette che la sua discussione finisce con l’implicare lo stesso
concetto doematico della creazione er nikilo e con l’ammettere
l’esistenza di una entità comune e indefinita di cui Dio si sarebbe
servito come di una materia indispensabile per creare il mondo. Una
simile idea che rispecchia
orobabilmente una precisa influenza platonica spiega assai hene le polemiche e le
accuse sollevate contro Fredegiso da altri maestri, come Agobardo che nel
Liber contra Fredegisum gli contestò anche di credere alla preesistenza
delle anime. Agobardo, critico insistente delle superstizioni popolari e
delle pratiche magiche che stigmatizzò più volte nei suoi scritti,
riteneva pericolose le dottrine di Fredegiso, di cui non gli sfuggiva il
sostanziale contrasto con i dati della rivelazione. Eppure, anche la sua
cultura, la sua familiarità con gli antichi, la sua fiducia nell’accordo tra la
ragione e la religione e la sua avversione per la misura irrazionale
delle oscure credenze superstiziose, sono i frutti della rinascita
intellettuale carolingia di cui rispecchiano alcune delle componenti
essenziali. Fredegiso ed Agobardo sono due personalità strettamente
legate alla diffusione della nuova cultura, mei principali centri
scolastici della Francia carolingia. Ma negli stessi anni anche la
Germania meridionale conobbe gli effetti della rinascita intellettuale promossa
da Carlo e da Alcuino, soprattutto per merito della scuola benedettina di
Fulda. Principale protagonista di questa diffusione fu, del resto, un
altro discepolo di Alcuino, Rabano Mauro (748-856) che, dopo aver
iniziato i suoi studi a Fulda, era passato alla grande scuola di S.
Martino di Tours, per tornare di nuovo a Fulda, arricchito
dell’esperienza di un ambiente intellettuale cos superiore alla rozzezza
delle scuole tedesche. Maestro ed abate di Fulda, e poi arcivescovo di Magonza,
Rabano esercitò una influenza determinante nell’organizzazione della vita
culturale ed ecclestiastica della Germania. Ma soprattutto egli diede
alle scuole medioevali un complesso di scritti e di manuali
particolarmente adatti alle condizioni della cultura del tempo, come la
Grammatica, redatta sui modelli cari ad Alcuino, e un trattato sul computo
ecclesiastico. Al nome di Rabano sono, pure attribuite, ma senza gran
fondamento, anche delle glosse a Porfirio e al De interpretatione di Aristotele
che, se fossero realmente sue, testimonierebbero un vigore dialettico davvero
eccezionale per i suoi tempi. Ma la sua opera più importante fu il
trattato De clericorum institutione, un vero e proprio corso di studi
ecclesiastici per la formazione e l’incivilimento del clero germanico.
Il programma che Rabano vi propone non è sostanzialmente diverso da
quello di Alcuino, da cui riprende l’ordinamento sistematico delle arti
del trivio e del quadrivio, e lo studio degli autori classici come maestri di
eloquenza. Certo, questo studio va condotto secondo l’esempio dei Padri,
con la stessa discrezione e prudenza di un Agostino o di un Gerolamo, e
senza cedere alle lusinghe mondane che sono celate nelle parole degli
scrittori pagani. Però i! loro sapere non deve essere respinto o
condannato: anzi Rabano si serve largamente di materiali classici anche nel suo
ampio scritto enciclopedico De rerum naturis et verborum proprietatibus
et de mystica rerum significatione, ove la natura e i suoi fenomeni sono
interpretati in senso allegorico, mistico e morale, secondo un
procedimento non dissimile da quello di Beda e di Isidoro. L’opera
educativa di Rabano fu continuata in Germania da Candido di Fulda, autore dei
Dicta Candidi, modesto opuscolo intessuto di citazioni agostiniane, che
ha però interessato gli storici perché contiene già alcuni elementi di una
prova dialettica dell’esistenza di Dio, fondata sul rapporto tra
l’imperfezione umana e l’assoluta perfezione divina. L'influenza di
Rabano non si limitò però all'ambiente di Fulda, ma si estese anche al
monastero benedettino di Reichenau, con l’insegnamento di Walfrido di Strabo, e
in Francia, ove l’opera di Servato Lupo di Ferrières s’ispira spesso ai
canoni ermeneutici di Rabano, continuandone la direttiva umanistica con sottile
sagacia filologica. La vivace ripresa culturale della fine
dell’VIII secolo e della prima metà del IX, non poteva naturalmente
restare estranea all’ambito del le discussioni teologiche, e difatti nella
seconda metà del IX secolo si svolgono nuove controversie che riflettono
la presenza di tendenze dottrinali divergenti e rivelano un uso già
scaltrito degli strumenti dialettici. Le controversie investono i temi
più delicati della riflessione teologica dalla natura del rapporto
trinitario al modo onde è avvenuta la generazione di Cristo, sul
carattere della visione beatifica, sul rapporto tra l’anima e il corpo e,
ancora e soprattutto, sulla presenza del Cristo nelle specie
eucaristiche. E se pure nascono nell’ambito di una scuola o di una
abbazia, divengono presto cosa pubblica, provocano l'intervento delle
gerarchie ecclesiastiche, e, molto spesso, anche quello dell’Imperatore
che, come advocatus ecclesiae, investe della lorc soluzione i sinodi e i
concili. Ciò spiega la rapida fioritura di una vasta letteratura
controversistica, nella quale vengono largamente usati i metodi acquisiti
attraverso la pratica delle arti liberali. Cosi Pascasio Radberto, abate
di Corbie affronterà nel suo trattato De corpore et sanguine Christi il
problema della presenza del Cristo nell’eucarestia, dibattuto dalle opposte
dottrine di chi afferma la presenza divina in veritate, e cioè come una
realtà fisica e sensibile, e coloro che sostengono la presenza in
mysterio o in similitudine e quindi attribuiscono all’eucarestia un
carattere puramente mistico e simbolico. D’altra parte, Ratramno di
Corbie, non solo tornerà su questo tema in polemica con Pascasio nel De
corpore et sanguine Christi, ma scriverà un trattato De quantitate animae e un
De anima assai interessanti, poiché rivelano la presenza, nella cultura
teologica del IX secolo, di dottrine attribuite a un Macario Scotto, che
affermano l’esistenza di una anima universale comune a tutti gli
uomini. Queste discussioni come quella assai più importante sulla predestinazione
che coinvolgerà intorno all’848 Ratramno di Corbie, Gottschalco di Orbais,
Rabano Mauro, Incmaro di Reims e Giovanni Scoto Eriugena sono l’ultimo frutto della civiltà carolingia
già avviata al suo rapido declino. Ma prima che l’Europa, devastata da
nuove ondate d’invasione e travolta dall’anarchia feudale, conosca una
nuova età di regresso intellettuale, la cultura cafolingia toccherà il
suo pit alto livello filosofico nelle speculazioni di Giovanni Scoto
Eriugena. La cultura carolingia attinse principalmente le sue dottrine teologiche
dalla tradizione patristica latina e soprattutto da Agostino; ma non le
furono però neppure estranee le dottrine dei Padri greci che i monaci
britannici avevano spesso letto direttamente nella loro lingua, né le
tesi platoniche esposte e commentate nelle opere di Boezio. D'altra parte, i
monaci dell’Irlanda, ove già al tempo di Teodoro di Canterbury si erano
rifugiati dei dotti religiosi britanni desiderosi di dedicarsi liberamente alla
vita contemplativa, perfezionarono la conoscenza del greco al diretto
confronto di testi e tradizioni ignote, in quel momento, nelle scuole
continentali. Sicché il vivo interesse per il mondo antico e per i suoi
grandi awctores poté essere mantenuto e coltivato, nel corso del IX
secolo, dalla larga emigrazione di maestri irlandesi che passarono nelle
scuole della Francia, soprattutto a Reims e a Laon, portando spesso,
insieme alla loro perizia nelle arti liberali, anche la testimonianza e
la diretta influenza di una generica ispirazione platonica. Ma le loro modeste
conoscenze filosofiche non potrebbero spiegare la maturazione di un'eccezionale
personalità filosofica come Giovanni Scoto Eriugena, destinata a imporre una
netta caratteristica platonica e neoplatonica a tutta la riflessione filosofica
dell’Alto Medioevo. Né questa rinascita speculativa sarebbe storicamente
comprensibile ove non ricordassimo la funzione determinante esercitata
nella tarda cultura carolingia dai trattati teologici attribuiti n Dionigi
l’Areopagita.. Questo Corpus dovuto probabilmente all’anonima
fatica di uno scrittore cristiano vissuto in Siria tra la fine del IV e
l’inizio del V secolo, incontrò subito una larga fortuna nell'ambiente
intellettuale carolingio, già predisposto singolarmente a subire le suggestioni
delle dottrine neoplatoniche. Inviati in dono a Ludovico il Pio dal
Basileus bizantino Michele il Balbo, gli scritti dionisiani furono infatti
solennemente custoditi fin dall’827 nell’abbazia di S. Dionigi presso Parigi,
ove fiori rapidamente la leggenda che accompagnò poi costantemente la loro
diffusione. Ma l’interesse che essi suscitarono tra i dotti del tempo, e
che continuarono poi ad esercitare per secoli, va indicato proprio nel
singolare carattere filosofico e storico dei quattro trattati (De
coelesti hierarchia, de ecclesiastica hierarchia, de divinis nominibus,
de mystica theologia) e delle dieci lettere, che rappresenta, in realtà,
il tentativo più compiuto ed organico di risolvere le dottrine essenziali del
neoplatonismo nel quadro di una concezione sostanzialmente
cristiana. Nel Corpus areopagiticum, in cui rivive lo spirito di
Plotino, ma più ancora di Proclo (la cui Elementatio theologica ispirò
largamente l'ignoto autore), è delineato tutto un modo di considerare il
sistema della realtà, il suo rapporto con Dio, e l’essenza stessa della
divina natura e dei suoi attributi, che si accorda perfettamente alla
mentalità di uomini educati al platonismo dei Padri e di Boezio.
Applicando alla conoscenza di Dio due metodi d’indagine, l’uno positivo e
l’altro negativo, lo Pseudo-Dionigi attribuisce a Dio tutte le perfezioni
che la mente umana coglie nelle creature e che nella divinità sono
esaltate al loro grado supremo; ma, sulla linea di Plotino e di Proclo,
nega tutto ciò che v’è di limitato e di definito in questi attributi
umanamente apposti alla sostanza divina. Per questo, specialmente nel De
divinis nominibus, Dio è definito come bontà, essere, luce, unità; eppure viene
insieme affermata la sua assoluta impredicabilità, perché anche il più
eccelso attributo è sempre inadeguato, e la più alta conoscenza di Dio è
data soltanto dall’oscurità tenebrosa del sapere mistico. La
Theologia mystica accentua insomma radicalmente l’assoluta trascendenza
divina, che è al di là di ogni possibile definizione, persino dello stesso nome
di Essere e di Uno. Il sapere mistico che è oltre ogni affermazione ed ogni
negazione, che ignora sapendo d’ignorare e rifiuta qualsiasi
determinazione concettuale, è l’unico grado supremo di conoscenza,
smarrimento totale in cui si compone la assoluta fusione della mente con
Dio, nell'oblio assoluto di tutto ciò che è creato, limitato e temporale. Ma
ciò non toglie che, per lo Pseudo-Dionigi, tutta la realtà partecipi in
certo modo della realtà divina, sia insomma una celeste processione di
forme che Dio trae dalla sua perfetta supernità, distinguendole da sé,
nell’infinita diffusione della sua eterna luce. Con lo stesso
linguaggio immaginoso di Plotino e di Proclo, u L'Alto Medioevo
sando le loro stesse analogie luminose, cariche di reminiscenze platoniche,
l’ignoto autore descrive il diffondersi di Dio di grado in grado, il suo
generare un mondo scandito in successivi gradi di perfezioni gerarchiche, il
suo rivelarsi attraverso le proprie opere nella perfetta teofania
dell’universo. Tutto, infatti, dagli esseri intelligibili e intelligenti
alle anime irrazionali degli animali, alla vita torpida delle piante,
alle cose che non hanno né anima né vita, è parola di Dio, espressione
compiuta della eterna illuminazione con cui Egli esprime il suo Essere. E
se è vero che infinita e incolmabile è la differenza e la distanza tra Dio e le
creature, pure ogni aspetto e forma della realtà è un grado dell’ascesa
verso Dio, fino all’ultimo salto della unione mistica. Naturalmente, la
presenza divina si dispiega poi in sommo grado nella gerarchia degli
spiriti puri (trattato De coelesti hierarchia), che muovono le sfere
celesti e costituiscono gli intermediari tra Dio e la natura terrena, cosîf
come la gerarchia ecclesiastica è intermediaria tra l’uomo e la grazia
divina. Cosi Dio, fine ultimo e supremo, attira a sé tutte le cose create
attraverso il moto d’amore che ispira alle celesti intelligenze e che da
queste si propaga di grado in grado, fino a confluire nella perfetta
mobilità della monade divina. Per un duplice processo, la cui descrizione
risolve in sé tutte le vicende delle cose, il mondo esce eternamente da Dio ed
eternamente vi ritorna, come il raggio riflesso torna alla sua sorgente e
le onde del mare fluiscono e rifluiscono sempre dalla medesima
riva. Non occorre credo insistere ulteriormente sul carattere
della speculazione dionisiana, per ricordare come essa offrisse al
pensiero medioevale un immenso perfetto quadro dell’universo, in cui la
tradizione platonica pareva accordarsi con le parole della Bibbia e del Vangelo.
Né è difficile mostrare come questa visione cosf gerarchica della realtà
potesse rispondere all’esigenza di una cultura fondata sull’ordine gerarchico
della vita ecclesiastica e feudale dominata da un ideale teocratico che
pervadeva tutte le funzioni della vita civile. L’analogia dionisiana tra
la gerarchia celeste e la gerarchia ecclesiastica, l’interpretazione allegorica
e mistica di qualsiasi momento della realtà, l’insistenza sulla trama di
rapporti mistici e segreti che unisce all’unità divina le molteplici,
transitorie manifestazioni dell’ordine temporale e mondano, furono
infatti i caratteri della mistica dionisiana che dominarono tanti aspetti della
cultura medioevale ispirando con uguale fervore la fantasia dei poeti e
l’esaltata visione dei santi. Ma se l’influenza del Corpus areopagiticum è
presente in tutta la storia della mistica medioevale, che di qui trasse la sua
tipica descrizione dell’ascesa dell'anima a Dio e il suo
linguaggio speculativo, non fu però inferiore anche nell’ambito
strettamente filosofico. Ed è anzi proprio attraverso gli scritti
dionisiani che entrarono in circolazione molte dottrine e motivi platonici e
neoplatonici, presto associati alle testimonianze di Macrobio, alle dottrine
del Timeo fisico e del commento necplatonico di Calcidio. Di questa
influenza è prova eloquente la naturale diffusione del Corpus
artopagiticum nel corso del IX secolo e l’interesse che lo accompagnò fin dalla
sua prima comparsa. Tradotti da Ilduino, abate di S. Dionigi, che non ebbe
alcun dubbio nell’accettare l’attribuzione al supposto discepolo di S. Paolo,
questi scritti furono infatti subito conosciuti nell’ambiente delle
scuole palatine. Ma ben più che alla rozza e infelice traduzione di
Ilduino, essi dovettero la loro rapida fortuna alla più tarda traduzione
di un filosofo irlandese, professore alla scuola palatina di Parigi
durante il regno di Carlo il Calvo: Giovanni Scoto Eriugena. Dotto di
latino e di greco (anche se sembra che abbia studiato questa lingua solo
durante il suo soggiorno parigino), questo monaco si era rapidamente
segnalato tra i suoi colleghi francesi e irlandesi. Cosî, quando i
vescovi Pardulo di Laon e Incmaro di Reims avevano voluto confutare le
tesi di Gottschalco che sosteneva l’assoluta predestinazione sia alla
dannazione che alla salvazione eterna, ne avevano affidato l’incarico
all’Eriugena già noto per la sua larga conoscenza dei Padri e della
letteratura teologica. Nell’opuscolo De praedestinatione, Giovanni
affrontò le tesi di Gottschalco, negando recisamente qualsiasi forma di
predestinazione al peccato; ma il modo con cui trattò il delicato
problema teologico alla luce delle idee che furono poi al centro della
sua meditazione, gli valse la severa censura dei due vescovi e quindi le
prime condanne comminategli dai Concili di Valenza e di Langres. La traduzione
del Corpus arcopagiticum, cui attese intorno all’858, confermò poi la
sostanziale ispirazione neoplatonica che si era già manifestata nel corso
di quella polemica; tanto più che egli vi aggiunse anche la versione del De
hominis opificio di Gregorio di Nissa e gli Ambigua di Massimo il
Confessore, due operette di schietta impronta platonica. Non a caso,
infatti, proprio Massimo (580-662) si era sforzato di vol 59
L'Alto Medioevo gere in un senso pienamente cristiano le dottrine
più ambigue del corpo dionisiano, identificando le forme divine con gli
archetipi immutabili che Dio immette nella realtà mondana come segni della propria
perfezione e della propria bontà, mentre Gregorio di Nissa aveva
accentuato il significato mediano dell’uomo, posto come intermediario tra Dio e
il mondo, partecipe di due diverse nature e di due opposti destini,
Queste fonti sono, del resto, sempre presenti in tutte le opere di
Scoto Eriugena, dal vasto dialogo metafisico De divisione naturae, al
commento alla Hierarchia coelestis, al commento, pervenutoci frammentario, al
Vancelo secondo Giovanni, all’Omelia sul prologo dello stesso Vangelo. Ma
tali scritti testimoniano principalmente la continuità di una corrente
ispirazione platonica, nutrita sf da una larga familiarità con l’opera
agostiniana, ma soprattutto dalla puntuale conoscenza della prima parte del
Timeo, noto attraverso le due versioni di Calcidio e di Cicerone. A
questa base dottrinale schiettamente platonica si accompagna però un metodo
argomentativo che presuppone una notevole conoscenza dei testi logici
aristotelici e, in particolare, delle Categoriae e del De
interpretatione. Ed è anzi proprio la riduzione degli strumenti logici
aristotelici in funzione di una concezione metafisica. platonica cosf
operata dallo Scoto, che influirà, pid tardi, profondamente sugli scritti
dell'insegnamento logico dei secoli X e XI, determinandone talune
direttive essenziali. La concezione dottrinale esposta
principalmente nel dialogo De divisione naturae è, certo, tra le pi
audaci che siano state formulate nell’età medioevale, anche se è vero che
talune interpretazioni ne hanno spesso deformato gli effettivi lineamenti
storici, attribuendo al monaco irlandese opinioni e atteggiamenti del
tutto estranei al suo ambiente ed alla sua formazione. Le tesi cosi care
agli storici ottocenteschi, che scorgevano nell’Eriugena una specie di libero
pensatore avant lettre e un filosofo decisamente orientato verso
posizioni panteistiche o immanentistiche sono state infatti smentite da
analisi pi approfondite ed aderenti alla reale posizione filosofica dello
Scoto. Eppure, anche se non è più possibile aderire ai giudizi del Cousin o
dello Hauréau, è ugualmente certo che la sua opera raporesenta un
punto di riferimento fondamentale nella storia della filosofia
medioevale, ed è la fonte e il principale veicolo di idee destinate ad
influenzare fecondamente la cultura filosofica e teologica
dell’Occidente. Tutta l’argomentazione del De divisione si fonda
sul principio dell’assoluta unità tra fede e ragione, o, ‘meglio, della
perfetta coinci IX e il X secolo denza della verità filosofica
raggiunta per la via del ragionamento logico, e la verità rilevata direttamente
da Dio. Filosofia e teologia hanno in comune la stessa origine divina, sono
entrambe espressione della medesima eterna Sapienza; e quindi non può
esservi tra loro mai contraddizione o opposizione perché è impossibile
che due doni divini siano contradditori ed avversi. Anche la stessa riflessione
filosofica è per Giovanni una forma di esposizione delle verità affermate
dalla fede, cosi come, d’altra parte, la vera autorità rivelata contiene
in se stessa tutte le possibili verità di ragione. O, come afferma appunto
l’Eriugena in un passo che è stato spesso citato come prova della sua
ortodossia: la vera filosofia è la vera religione e, viceversa, la vera
religione è la vera filosofia. Tale principio, più volte affermato
dallo Scoto, sembra presentare una soluzione quanto mai coerente del problema
dei rapporti tra la ricerca razionale e i contenuti dogmatici della fede
ortodossa legata all'accettazione di un complesso ben definito di verità
rivelate. E, in realtà, egli ritiene fermamente che la certezza
salvatrice della rivelazione debba essere sempre illuminata dalla ragione che
ne permette l'effettiva comprensione e la piena consapevolezza. Se la
rivelazione ci indica qual è la verità cui si deve credere a proposito
della natura divina, della natura della nostra anima e del suo destino
oltremondano, non è meno necessaria la ricerca sistematica della ragione
che si sforza di interpretare le parole della Scrittura e di renderle evidenti
e comprensibili. Non solo; non si potrebbe neppure intendere cosa significhi,
ad esempio, la dottrina biblica della creazione, o quale sia il senso
degli attributi divini, senza una oculata interpretazione, svolta per via
puramente razionale. Naturalmente, quest'opera interpretativa, sottile e
difficile, richiede l’ausilio dell’autorità dei Padri, che raccoglie quanto è
stato pensato da menti illuminate intorno ai massimi problemi della
teologia. Ma le autorità umane non possono mai esser poste sullo stesso piano
della rivelazione, né godono della infallibilità della parola divina. Perciò,
ogni volta che vi sia un contrasto tra la giusta ragione e l’autorità dei
Padri, l’Eriugena ritiene che si debba scegliere la verità della ragione
ben motivata e definita. Ogni autorità è valida ed inoppugnabile solo se
si fonda su di un ragionamento evidente e rispondente ai requisiti della
verità logica. Né credere alla rivelazione o all'autorità divina
significa accettare ciecamente i suoi interpreti, sia pure accreditati e
ortodossi; la loro autorità deve essere sempre confrontata con l’autorità più
alta della ragione cui spetta in ultima analisi il giudizio definitivo. È
appunto fondandosi su questa piena fiducia nel valore dell’interpretazione
razionale dei dati della rivelazione, che Eriugena traccia un grande
quadro della creazione e della realtà costruita mediante l’uso
sistematico e costante di un procedimento razionale che si richiama ai modelli
della dialettica platonica. Se da un lato egli muove dalla considerazione dei
generi supremi per distinguere analiticamente entro queste unità razionali i
generi e le specie sempre meno universali che vi sono contenuti, d’altra
parte risale anche in sen so inverso l’ordito della realtà, muovendo
dall’individuo alla specie ed al genere, e percorrendo cosî in un duplice
movimento l’eterno processo dialettico della creazione. La divisione della
natura esposta nel grande dialogo è pertanto un continuo discendere dalla
unità immutabile del sommo, unico principio divino alla infinita molteplicità
delle sue determinazioni successive che però, a loro volta, sono
razionalmente ricondotte all’unità che le genera e considerate nell’ambito
assolute dell’essere cui tutte partecipano. Il ritmo dialettico, definito
da Plutone nelle pagine del Parmenide, e riaffermato da Plotino e da
Proclo, è cosi posto a fondamento del rapporto tra Dio e il mondo, tra
l’onnipotenza creatrice, sottratta al tempo e al mutamento, e la realtà
fluente e mutevole delle cose sensibili. Ed ecco perché la comprensione
dell'ordine e della struttura gerarchica dell’universo, già definita
dallo Pseudo-Dionigi, si risolve nell’intelligenza di come si generino
dalla Sapienza divina le idee, i generi, le specie e gli individui che lo
costituiscono secondo la legge immutabile di un processo logico interno ad ogni
realtà. Se l’universo è per l’Eriugena,
come per lo Pseudo-Dionigi il puro
specchio di Dio in cui si riflettono le forme e le immagini delle idee
eterne, il movimento razionale per cui si risale dalle cose alle idee, e
dalle idee all’unità di Dio, è il ritorno della realtà alla sua fonte ed
alla perfezione originaria. Tutto questo spiega perché la natura
sia considerata nel De divisione entro una quadruplice distinzione che segna
appunto i momenti essenziali del suo interno processo dialettico. Cosi,
in primo luogo, natura non creata e creante è l’unità divina donde tutto
si genera. Natura creata e creante sono le idee eterne presenti nel suo
intelletto come archetipi eterni delle cose, mentre sono natura creata e
non creante le realtà molteplici e mutevoli, l’universo generato e
definito nella misura della temporalità. Infine Dio stesso, considerato
come ultimo fine e supremo scopo della realtà, è la natura non creata
e non creante, perfettamente, assolutamente conclusa nella sua
eterna perfezione. Ora è subito evidente che queste distinzioni si
risolvono sostanzialmente nell’unica distinzione fondamentale tra
il creatore e le creature, tra l’unico principio e la sua esplicazione
nel molteplice. Ma proprio perché Dio secondo la definizione dionisiana è al di là di tutte le determinazioni
possibili e trascende ogni forma, aspetto o nome definito, anche
l’Eriugena può riprendere la tematica della teologia negativa
applicandola con logico rigore. In tal modo, se per via positiva si può
affermare di Dio tutto ciò che esiste e attribuirgli tutte le possibili
perfezioni, occorre però ricordare che tale affermazione è solo simbolica e che
la si può riferire a Dio non perché egli sia realmente questa o quella
realtà determinante, ma perché è la causa e il fondamento assoluto del
suo essere. Definire Dio con un nome o con un concetto, chiuderlo entro
un termine particolare, significherebbe negare la sua realtà superessenziale;
perciò, ogni volta che si predica di Dio qualcosa, occorre insieme
affermare e negare, attribuire e non attribuire. Dio è infatti al di là di
ogni essenza, com'è al di là della verità e dell’eternità, oltre ogni
categoria logica e ogni perfezione attribuibile. Ma ciò non toglie che
egli sia però una superessenza, una superbontà e sovraeternità, e
che il linguaggio umano non abbia altra via che quella di alludere al suo
essere con l’artificio di negare la stessa affermazione. Che simili temi,
ripresi direttamente dalla tematica dionisiana, derivino dalla tradizione
di Plotino e di Proclo, è cosa ben evidente. Ma la conseguenza più
importante è la compresenza nel pensiero dell’Eriugena di una profonda
esigenza mistica che mira a risolvere la conoscenza di Dio’ nell’oscura
trascendenza dell’ignoranza, e di una considerazione positiva della realtà
mondana, colta nel suo indissolubile nesso dialettico con l’Uno creatore.
Tutto ciò che esiste, ogni sostanza individuale, esprime infatti nella
sua limitazione la potenza della bontà divina che l’ha tratta dal non
essere per condurla alla realtà. Ma nello stesso atto creativo è a sua volta
implicita l’eterna distinzione delle persone trinitarie che pone una
intima relazione dialettica tra il Padre, il Figlio e lo Spirito, e che, nel
linguaggio platonizzante dell’Eriugena, assume una caratterizzazione non
molto lontana dalla successione emanatistica delle ipostasi plotiniane.
Certo, il processo che entro l’immutabile unità divina distingue il
Padre, il Figlio e lo Spirito, non è una divisione come quella che
distingue le varie specie entro lo stesso genere, o le varie parti nel
tutto, né è paragonabile alla generazione di una forma dall’altra forma.
Eppure, è proprio mediante questa distinzione che l’Eriugena può pensare il
moltiplicarsi dell’Unità divina nella molteplicità delle Idee, prototipi,
predestinazioni, volontà divine e, insomma, archetipi di tutte le cose create
che il Padre preforma o stabilisce nel Verbo. Tali Idee sono coeterne a Dio, e
quindi non hanno né origine né fine nel tempo, anche se il Padre è
l’assoluto principio del loro essere. Pur diverse e molteplici, esse
costituiscono nel Verbo un’unica semplice realtà, ove è già eternamente
contenuto tutto ciò che potrà poi esistere e svilupparsi nel tempo. Ma
benché siano identiche e identificate nel Verbo divino, esse sono però
già delle creature, teofanie che svelano l’ineffabile superessenza
divina, conservandone l’assoluta e immutabile perfezione. Nelle Idee la
natura divina può quindi apparire, al tempo stesso, come creatrice e
come creata. O meglio: Dio si autocrea nelle Idee per emergere dal
segreto della sua natura e rivelarsi a se stesso e a tutta la realtà che
ne è, per altro, l’effettiva e necessaria rivelazione. Le
Idee o specie eterne considerate nella loro molteplicità sono però, al
tempo stesso, anche quelle essenze e forme immutabili secondo le quali è
costruito tutto l’opificio del mondo sensibile. Come Dio crea le Idee
distinguendole nella sua unità, cosî le Idee si moltiplicano nella produzione
degli individui, secondo un ordine gerarchico perfettamente logico e
dialettico. Dalle Idee derivano infatti direttamente i generi, dai generi le specie
e da queste le sostanze individuali; ma questo processo è pur sempre
opera divina, anzi particolare attribuzione della terza persona trinitaria, lo
Spirito Santo, che l’Eriugena concepisce come un principio fecondatore
che distribuisce nella natura le forme o essenze divine. Cosi ogni
creatura che riproduce a suo modo l’immagine di Dio resta definita in una sua
intima trinità che riflette la trinità divina; poiché, se l’essenza
corrisponde al Padre, la sua virtus attiva corrisponde al Verbo e la sua
propria operazione allo Spirito Santo. Le serie delle teofanie che
discendono dalle Idee agli individui costituiscono l’ordine e la trama
metafisica della natura. Ma questa concezione è ulteriormente chiarita e
sviluppata dall’Eriugena, mediante la ripresa della dottrina di origine
neoplatonica e agostiniana dell’illuminazione divina, che gli serve per
definire il rapporto tra Dio e la realtà. Tutti gli esseri creati
costituiscono infatti altrettante determinazioni particolari e singole
dell’unica luce divina, il cui splendore si manifesta in grado diverso secondo
la maggiore o minore perfezione dei singoli individui. Ogni cosa determinata e
particolare è, a suo modo, segno e simbolo della divinità, rivelazione ed
espressione dell’infinita potenza divina. Dalle sostanze immateriali come
le gerarchie angeliche, all'uomo che partecipa insieme dell’ordine spirituale
e della natura materiale, alle cose puramente materiali e sensibili, si
svolge un continuo processo di rivelazione, un espandersi e definirsi della
luminosità divina, in forme sempre pid limitate e lontane dalla sua fonte
originaria. Tutto ciò che v'è di reale e di esistente deriva
infatti necessariamente dalla sostanza divina, il cui essere è pertanto
l’essere di tutte le cose. Eppure proprio perché ogni realtà individuale
partecipa dell’Essere divino, ma senza potervisi identificare pienamente, ecco
delinearsi tra Dio e le creature un distacco e una diversità irriducibile
che nessun intermediario potrebbe mai colmare. Il diffondersi della luce
divina nei suoi diversi gradi di luminosità e di chiarezza segue
infatti un preciso ordine gerarchico, in cui ogni grado definisce dei
rapporti di analogia e significazione pifi o meno adeguati, ma pur sempre
incapaci di restituire compiutamente la fondamentale natura divina; e la
gerarchia presente in ogni grado e forma della realtà, mentre esprime
l’ordinata partecipazione di tutti gli esseri all’essere divino, accentua
però e definisce la distinzione tra il Dio-uno e la natura limitata e
molteplice. Così gli angeli, che occupano il primo rango nell’ordine
delle creature, sono sf intelligenze perfette in cui la divinità si
rispecchia nella sua più alta espressione; ma sono anch’essi distinti dalle
idee divine perché possiedono un corpo spirituale, senza dimensioni o forme
sensibili, eppure ben diverso dall’assoluta semplicità della natura creata e
creante. Agli angeli spetta però il privilegio di conoscere direttamente la
realtà divina, quasi per mezzo di un’esperienza sovrarazionale che coglie
Dio nella sua prima manifestazione del Verbo, nelle idee ed eterne cause di
tutte le cose. Ma anche questa conoscenza viene partecipata agli angeli,
in linea gerarchica, a seconda della loro maggiore o minore perfezione, sino
all’ultimo grado della gerarchia angelica che, a sua volta, la trasmette
ai supremi fastigi della gerarchia ecclesiastica, destinata a diffonderla
tra la massa oscura e inferiore dei fedeli, Difatti l’uomo,
per quanto sia posto per sua natura al confine tra il mondo spirituale e
quello naturale, non sarebbe mai capace di afferrare liberamente, con le sue
forze naturali, la luce della rivelazione divina. Situata nell’ordine cosmico,
in un grado ben inferiore a quello delle nature angeliche, limitata dalla
sua esistenza corporea e dai bisogni e dalle necessità che ne derivano, la
natura umana è profondamente decaduta e corrotta, né possiede di per se stessa
i mezzi e il potere per liberarsi dalle proprie colpe. Eppure il suo
fondamento eterno è posto in primo luogo nell’Idea pura dell'uomo sempre
presente nella mente divina e nella conoscenza che Dio ne possiede eternamente.
Per questo, appunto, l’uomo è capace di riunire in sé quanto v'è di più
eccelso e di più basso nella realtà e di presentarsi come la sintesi
vivente di tutta la creazione, il microcosmo che riflette e risolve in sé
l’ordine e l’infinita ricchezza del macrocosmo. Da un lato, la parte più
nobile della nostra natura, che è l’intelletto e l’essenza, c'induce a volgerci
direttamente a Dio, con un atto di desiderio che mira all’essere
eccellentissimo, al di là di ogni essenza particolare, o di ogni definizione o
limite. Ma d’altra parte, l’uomo è pure ragione discorsiva, e cioè
capacità di definire l’essenza ignota e infinita di Dio come causa di
tutte le cose, di contemplare le Idee o archetipi presenti in Dio, senza
alcun bisogno dell’aiuto dell'esperienza sensibile. Certo, anche l'intelligenza
di queste idee è compito arduo, né la nostra mente sembra sempre capace
di afferrare direttamente e in modo compiuto l’essenza pura e ineffabile.
Ma se le Idee possono apparire irraggiungibili e troppo lontane dai limiti
della ragione umana, è sempre possibile afferrare le loro teofanie che si
presentano nelle nature angeliche come nelle anime umane. In tal modo
attraverso la contemplazione delle teofanie la mente può pervenire ad una
conoscenza delle cause prime che se anche non ci rivela le loro essenze,
ci lascia però comprendere la loro effettiva azione e la loro presenza
nelle cose. Oltre a queste due facoltà v’è poi, nell'anima umana,
una terza attività che mira a comprendere l’essenza delle singole cose
create dalle cause prime o archetipe e conoscibili dai sensi esterni.
Tale cono. scenza è de*erminata dalle immagini sensibili che sono di diversa
natura a seconda che siano prodotte direttamente nei sensi sotto l’azione
degli oggetti esterni o che si tratti invece di immagini formate
dall’anima in dipendenza dell’esperienza sensibile. Nondimeno esse
rappresentano il diretto rapporto con il mondo molteplice degli
iridividui in cui si scandisce l’ordine naturale. E come il processo
della creazione muove dall’unità per generare l’infinita molteplicità
della natura, cosi anche la conoscenza umana viene determinandosi e
distinguendosi di grado in grado, via via che discende dalla
contemplazione dell’uno all’intellezione dei generi e delle specie, e quindi
all’esperienza sensibile delle cose determinate e individue. A questo
processo di divisione, svolto secondo la tecnica della dialettica
platonica, corrisponde però un identico processo di ritorno all’unità. Poiché
il pensiero umano è capace di muovere dalla molteplicità degli individui
conosciuti per via sensibile per passare discorsivamente all’intelligenza delle
loro specie e dei loro generi, e da questi alla contemplazione delle Idee
ed alla contemplazione dell’Uno. Che questo processo di ritorno sia
possibile è dimostrato per Giovanni Scoto Eriugena, da un'analisi più profonda
della natura uma na. Se l’uomo, originariamente dotato di un corpo
incorruttibile come quello angelico, ha perso con il peccato originale
questo’ dono ed è stato soggetto alla corruttela ed alla morte, non ha
però perduto la possibilità di salvarsi e di trovare nel Verbo divino un
principio di redenzione che riabiliti, attraverso la restaurazione della
natura umana, l’intero ordine della natura fisica. È infatti solo
nell’unità ideale del Verbo che il mondo molteplice e transitorio, la matura
creata e non creante può tornare nuovamente alla sua fonte e compiere
quel processo di unificazione cui tende fatalmente ogni individuo
creato. Cosi l’uomo, creato simile a Dio, ma divenuto dissimile per
il peccato e la conseguente corruttela, può sforzarsi di identificare
il suo essere con la perfezione creatrice, risalendo di grado in
grado lungo la scala delle realtà. Per giungere a questo scopo
supremo è necessario un lungo processo di ritorni successivi e parziali,
attraverso il quale la mente umana ripercorra esattamente tutti i gradi o
momenti con cui si è scandita l’opera della creazione. E se l’anima
razionale si è prima come dispersa e moltiplicata nell’infinita distinzione
degli atti e dei desideri fisici, occorre che adesso essa muova da questa
dispersione per tornare all’unità originaria e rispondere al richiamo
irresistibile della divinità. La morte fisica che disperde e dissocia al
massimo gli elementi costitutivi dell’uomo è quindi quel punto solutivo
in cui la caduta dell'anima dall’umanità divina nel mondo sensibile si
arresta bruscamente ed ha termine. Una seconda fase del ritorno avrà
luogo nel momento della resurrezione, quando ogni anima riprenderà
il suo corpo e ricostituirà l’unità dei propri elementi; ad essa
seguirà una terza fase consistente nella progressiva trasfigurazione del
corpo nello spirito, attraverso i vari gradi di vita spirituale, dal senso alla
ragione allo spirito o intelletto che è lo scopo e la tensione di ogni creatura
razionale. Infine, nella quarta fase, la natura umana nella sua totalità
potrà tornare alle Idee o cause prime eternamente sussistenti in Dio;
cosi essa attingerà dapprima in Dio la conoscenza di tutte le creature,
per elevarsi, poi, alla Sapienza o contemplazione assoluta della verità,
almeno per quanto è possibile a un intelletto creato. Ma anche al di là
di questa fase, sarà possibile un ultimo più alto grado di ritorno; e
l’anima umana, in cui si compendia tutto l’universo creato, sarà profondamente
penetrata da Dio e si risolverà nella sua superessenza, termine ultimo,
definitivo della perfetta unificazione. Un tale processo di ritorno
che ricorda con impressionante parallelismo
certe famose pagine neoplatoniche non è
però soltanto un movimento intellettivo o un’ascesa a Dio della ragione
naturale. Giovanni Scoto Eriugena afferma che senza l’intervento della grazia
divina e senza la morte e la resurrezione di Cristo, non sarebbe mai
possibile restaurare la natura umana decaduta e corrotta. Né, d’altra
parte, quando parla dell’unità dell'anima con Dio o addirittura di deificazione,
egli intende teorizzare una totale risoluzione della natura umana in quella
divina o accedere ad una possibile soluzione panteistica. Al contrario come è scritto in un passo, del resto,
ben noto del De divisione si
tratta di una adunatio sine confusione, vel iunctura, vel compositione,
che non dovrebbe affatto negare la diversità radicale tra la sostanza umana e
la sovraessenza divina, pur realizzando la profonda unità spirituale tra
l’anima contemplante e l’oggetto supremo della sua contemplazione. Ma sebbene
l’Eriugena professi di restare fedele al suo compito di interprete della verità
rivelata e riaffermi costantemente il suo pieno ossequio alla dottrina
cattolica, la stessa forza delle formule neoplatoniche continuamente
usate spinge la sua riflessione a conseguenze difficilmente compatibili
con l’ortodossia. In questo universo cosi profondamente unito all’unità
creatrice, in questa cosmologia che si sforza di conciliare il racconto
biblico della creazione con le dottrine del Timeo e di Calcidio, non è
facile’ cogliere il punto di distinzione tra l’infinità assoluta di Dio e
l’infinita generazione delle creature prodotte dalla sua stessa essenza.
E certo, nonostante che l’Eriugena si richiami spesso anche ad Agostino,
e non perda occasione per temperare la sua ispirazione filosofica con le
dottrine dei Padri, egli è soprattutto un filosofo di formazione e mentalità
neoplatonica preoccupato profondamente di dare al proprio pensiero un
esito teologale e Ortodosso, sempre minacciato però dal carattere
schiettamente platonico delle sue dottrine fonda mentali. Ecco perché le
idee escatologiche di Giovanni Scoto Eriugena han no un significato cosi vicino
a quelle di Origene, donde riprendono del resto alcuni motivi
fondamentali. In questo universo in cui la stessa materia fisica si
riduce ai propri elementi intelligibili non v'è naturalmente posto per un male
irriducibile o per la dannazione eterna, né, tanto meno, per la
concezione tradizionale delle pene oltramondane. Certo, il filosofo
irlandese non vuole con questo negare la distinzione teologica tra i
reprobi e gli eletti, né impugnare in tal modo uno dei più saldi
fondamenti del dogma cristiano. Ma basta leggere talune pagine
significative del De divisione o del commento al De coelesti hierarchia per
intendere come elezione e condanna, beatitudine e sofferenza eterna siano
identificate dall’Eriugena con la vera conoscenza o con l’assoluta
ignoranza della verità divina, senza che vi sia più alcuna allusione alle
sofferenze o godimenti sensibili. La vera beatitudine della vita eterna è
dunque la visione limpida e perfetta della divinità, l’intima comunione
col suo essere. La natura riscattata e salvata dal sacrificio di Cristo e
dall’ascesa dell'anima non reca più nessun segno del male, né potrebbe mai
ammettere nell’eternità dell’inferno le vittorie del male e di Satana, la loro
eterna ribellione all’invincibile richiamo dell’Uno. A motivi cosî
speculativi e filosofici va poi connesso l’atteggiamento di notevole libertà
che Giovanni Scoto assume di fronte agli stessi contenuti della
rivelazione scritturale, nonché il suo costante uso di un metodo di
interpretazione allegorica che piega i testi biblici ed evangelici ad esigenze
schiettamente filosofiche. È vero che nel De divisione l’uso di un linguaggio
dedotto da fonti e tradizioni neoplatoniche può talvolta ingannare, inducendo a
dar peso piuttosto alla forma di espressione ardita e inattesa che non al
significato effettivo delle parole dell’Eriugena. Ma la sua sicura
certezza nella capacità della ragione d’interpretare perfettamente anche
i sensi più riposti della Scrittura, e il costante intreccio tra i tempi
caratteristici della tradizione filosofica classica e il contesto teologico
cristiano, segnano comunque l’inizio di una lunga e duratura esperienza
filosofica destinata agli esiti più lontani e diversi. Il costante
appello alle autorità di Dionigi, di Massimo, di Gregorio, di Agostino e di
tanti altri Padri e Dottori chiamati a garantire le sue idee e il suo
linguaggio cosî nuovo e inquietante, non valse però ad evitare le
condanne che le autorità ecclesiastiche espressero e ripeterono con
sintomatica frequenza nei confronti della filosofia eriugeniana.
Condannate e destinate alla distruzione dai teologi del suo tempo colpiti dalla
sconcertante novità di una riflessione che reintroduceva in Occidente
dottrine ormai di L’Also Medioevo menticate o risolte nel
tradizionale contesto agostiniano, le opere dell’Eriugena continueranno però a
diffondersi per tutto il X e XI secolo fino alla rinascita del XII. E
nonostante le nuove condanne e le più aspre polemiche, l'immenso quadro
cosmico tracciato dal monaco irlandese rappresenterà il naturale presupposto
della prima grande cultura filosofica elaborata dall'Europa medioevale. Già del
resto, l'influsso della riflessione dello Scoto è chiaramente
riconoscibile in una lettera filosofica di Alamanno di Hautvillers a
Sigibod, arcivescovo di Narbona (879-885), ove si trovano larghe tracce
della sua dottrina della theoria e dell'anima e delle sue parti. Ma la
fortuna dello Scoto Eriu gena, nei suoi diretti riflessi su l’evoluzione
del platonismo medioevale, è un capitolo della storia della cultura ancora non
del tutto chiarito. Il De divisione naturae è certo l’opera filosofica che
conclude e riassume l'ambizioso tentativo della rinascita carolingia,
nata da un tentativo di riorganizzazione politica dell'Europa e legata,
naturalmente, alla sorte delle istituzioni imperiali. Già intorno all’877,
data presumibile della morte dell’Eriugena, l’Impero carolingio sta
infatti avviandosi alla sua definitiva dissoluzione sotto la spinta
convergente di una nuova ondata d’invasioni barbariche, dell’evoluzione
particolaristica dei poteri feudali e delle tendenze teocratiche del
pontificato romano. La forza dominante dell’aristocrazia militare, arbitra di
fatto del potere e della forza armata, l’immobilità e la maggiore
carenza della vita economica e dei rapporti sociali, le crescenti
difficoltà delle comunicazioni con il mondo bizantino e tra le stesse
regioni dell’Impero aggravano le condizioni di isolamento in cui è immersa la
nascente società feudale, corrosa dalla generale anarchia e da continui
insanabili conflitti dinastici. Ma a questa disgregazione che è la diretta conseguenza della
debolezza originaria delle istituzioni carolinge corrisponde il progressivo dissolversi del
vincolo unitario che durante il dominio di Carlo, aveva unito latini,
germani e celti, permettendo l’instaurazione di un tipo di cultura comune alle
diverse terre dominate dal monarca franco. Non a caso quindi, proprio
tra la metà del IX secolo e la metà del X secolo, giunge a
compimento quel processo di differenziazione linguistica delle maggiori
nazionalità europee che già si distinguono nella formazione, sia pure
ancora soltanto nominale, dei regni d’Italia, di Francia e di Germania.
E se è vero che gran parte d’Europa è sottoposta a istituzioni non dissimili,
alle forme d’organizzazione politica e sociale del feudalesimo, dietro
questa uniformità apparente predominano ormai le tendenze e le forze
particolaristiche che mirano a trasformare i più importanti centri
feudali in altrettanti nuclei direttivi ed autonomi della vita economica,
sociale e politica. Indubbiamente questa società immobile, abitudinaria e
uniforme, divisa in centinaia di centri, e frazionata nei suoi poteri
politici, è ancora percorsa da correnti di traffici ridotte ma
persistenti, e non ignora la continuità di ricche oasi di vita cittadina e
mercantile. Però ove si eccettui l’Italia, le cui condizioni storiche sono ben
diverse da quelle delle altre regioni dell’Europa occidentale, le città
francesi e tedesche sono, per cosî dire, altrettante isole all’interno di
una società a struttura rurale che ha il suo centro nel castello feudale
e il suo fondamento nel sistema delle wvillae carolinge. Ciò spiega
il notevole regresso della cultura e l’inaridirsi della vita
intellettuale che continua a tramandare in forme sempre pid stanche ed esauste
i modelli elaborati della riforma carolingia; e spiega, altresi, perché
il X secolo, nonostante la presenza di alcuni grandi centri culturali e
la continuità di talune esperienze letterarie non prive di eleganza e
misura classica, sia stato considerato come uno dei secoli più infecondi
e poveri della cultura europea. Eppure, anche nel colmo dell'anarchia
feudale e nel periodo di maggiore disgregazione politica è possibile
intravedere la lenta evoluzione di nuove forze e condi- . zioni storiche
che permetteranno, a distanza di un secolo, un’eccezionale ripresa economica e
sociale. Le istituzioni feudali che si sostituiscono al vuoto creato dallo
sfacelo dell’ordinamento carolingio rappresentano infatti un solido baluardo
contro le rinnovate invasioni e rendono possibile il costituirsi di un
nuovo tipo di comunità produttiva naturalmente volta a riallacciare stabili
legami con i centri urbani. Nelle città che conservano almeno in parte gli ultimi
resti della loro autonomia tradizionale l’autorità preminente del vescovo
permette che continui una tradizione scolastica affidata quasi sempre
alle scuole del clero, ma anche, come a Verona o a Pavia, alle scuole regie
dove si formano notai o giudici. Certo la cultura che si tramanda in
queste scuole di prevalente carattere ecclesiastico o giuridico, risente
profondamente le conseguenze della grave crisi politica e sociale, né è capace
di produrre concezioni intellettuali degne di particolare attenzione. Ma
la continuità dell’insegnamento delle arti liberali e della tradizione
scolastica di origine carolingia è tuttavia un carattere tipico della
cultura del X secolo di cui occorre riconoscere la indubbia funzione
storica. A questa società cosi disgregata” e particolaristica non
manca del resto un’unità ideologica fondamentale che è rappresentata
dalla continuità e dalla nuova evoluzione storica dell’ideale teocratico
carolingio. Nonostante la dissoluzione dell’unità imperiale e la
scomparsa dello stretto vincolo politico che aveva unito sotto Carlo le
regioni centrali dell'Europa, l’ideale concezione della Christianitas
raccolta sotto un'unica guida e un unico potere continua ad ispirare anche i
chierici del X secolo depositari della cultura e di ogni attività
magistrale. Ma alla figura dell’Imperatore sotto il cui dominio deve
svolgersi anche la vita disciplinare della Chiesa, si sostituisce il potere
sacrale del Papa-re, cui spetta, per decisione divina, ogni autorità
spirituale e terrena e da cui dipende l’autorità dell’Imperatore e del
re. La progressiva carenza del potere imperiale e le lunghe lotte di
successione che travagliano la monarchia carolingia fino alla sua
definitiva deposizione, spierano facilmente come il concetto della
Christianitas si trasformi nell’idea di un'assoluta teocrazia pontificia
capace di disporre di tutti i troni e di tutte le autorità. Ed è
significativo che questa idea si affermi proprio ad opera del primo
pontefice, Giovanni VIII (872882), che decide di fatto dell’attribuzione della
corona imperiale. La definizione che Giovanni VIII diede della Chiesa
come quella che ha autorità su tutti i popoli ed alla quale sono unite le
nazioni di tutto il mondo come ad una sola madre e ad una sola testa è
già eloquente testimonianza di un'assoluta supremazia che ha il suo fondamento
nel pieno monopolio della vita intellettuale e che rappresenta l’unico
saldo legame sopravvissuto al crollo dell’unità carolingia. La
aristocrazia ecclesiastica che governa le sedi cattedrali e abbaziali è infatti
la sola forza organica e organizzata che, pur nell’età della massima anarchia
feudale, continui ad esercitare una funzione unitaria, nonostante le
crisi interne della vita ecclesiastica e la profonda decadenza del pontificato
presto dominato dalla nobiltà romana. Ma appunto perché la fede cattolica, e la
gerarchia che la difende e la diffonde, costituisce l’elemento comune a
tutte le classi e a tutti i ceti della società feudale, è naturale che
questo legame spirituale venga transvalutato alla luce del concetto
agostiniano della Civitas Dei e della Respublica Christianorum. Il
termine Christianitas che comincia cosi frequentemente a ricorrere nella
seconda metà del IX secolo, indica appunto questa comunità di tutti i
cristiani in quanto tali che ha una propria sostanza e struttura politica
ed una finalità oltremondana, ma agisce però anche sul piano mondano,
nell’ambito della vita civile. Ora, questa comunità così come l’intende Giovanni VIII
implica appunto un ordine politico e sociale pit vasto e superiore a
quello dell’Impero, nonché una gerarchia e un’autorità suprema dinanzi alla
quale i poteri civili e la sovranità dei re o dell’Imperatore sono soltanto
degli strumenti subordinati e inferiori. Sicché il pontefice romano, che
della Chiesa è il capo designato dal Cristo, è perciò stesso la suprema
autorità della C4ristiaritas, l’unica legittima fonte di qualsiasi potere
legale. Il rovesciamento del rapporto tra l’autorità imperiale e
l’autorità pontificia non potrebbe essere più netto e radicale. Se pure
il papato, travagliato anch'esso per gran parte del X secolo da una
profonda decadenza, non farà ancora valere praticamente il suo primato
cosî teorizzato, sono già posti però i presupposti delle dottrine
teocratiche destinate a dominare le polemiche e le lotte politiche dell’età
gresoriana. Ne offre un esempio assai chiaro Giona di Orléans, il quale
nella sua Admonitio a Pipino di Aquitania (nota col titolo di De Institutione
regia) afferma che il potere regio è concesso da Dio solo perché il
sovrano miri alla giustizia, al benessere del popolo e, soprattutto, alla
protezione della Chiesa. Ove il re non adempia a questa missione il suo
potere è illegittimo e tirannico. La supremazia e il completo
monopolio intellettuale esercitati dalle gerarchie ecclesiastiche nel corso del
X secolo, si riflettono naturalmente sul carattere della cultura che accentua e
rende definitiva la tipica impronta ecclesiastica della riforma carolingia.
Soprattutto in Francia e in Inghilterra, travagliate da gravi crisi
politiche, le scuole episcopali sono infatti, insieme alle abbazie
benedettine, gli unici centri attivi di cultura ove si continua l'insegnamento
del trivio e talvolta anche del quadrivio, e dove si leggono e si commentano
i testi restituiti alla cultura occidentale dalla paziente attività dei
monaci britanni e irlandesi. Un dotto ecclesiastico come Servato Lupo di
Ferrières, che vive in Francia tra l’inizio del IX secolo e 1°862. è appunto il
maggiore esponente di questa cultura che si fonda sul gusto elegante di
una raffinata latinità, sull’ammirazione per la splendida eloquenza
ciceroniana, e sulla ricerca appassionata delle grandi testimonianze classiche,
poste però al servizio di un tipo di insegnamento che ha come proprio
fine la formazione del perfetto uomo di chiesa. Anche il suo
contemporaneo Smaragde, abate di St. Michel sur Meuse (n. 819), si rivela
nel suo Liber in partibus Donati l’atteggiamento intellettuale dei maestri del
suo tempo, spesso divisi tra l’ammirato amore dei classici e l’ossequio alla
pagina sacra, scritto in una lingua cosi lontana dall’eleganza
ciceroniana. Ed è pure alla fine del IX secolo che risalgono
probabilmente anche gli Exempla diversorum auctorum di Micone di St.
Riquier e l’attività di un certo Adoardo, prete e bibliotecario di un ignoto
monastero francese che, nonostante i suoi dubbi e scrupoli teologici,
conosceva ed usava gran parte degli scritti ciceroniani di cui si serviva
largamente nel compilare una sua raccolta di esempi di autori classici.
Questa opera modesta e paziente di grammatici e di maestri, che
operano dispersi nei vari centri scolastici della CAristianitas, non si
limita però soltanto all’insegnamento letterario ed all’uso di un discreto
latino di lontana impronta ciceroniana, ma travalica molto spessc nell’ambito
delle discipline filosofiche e teologiche. Già infatti nella seconda metà
del IX secolo Eirico di Auxerre(841-876), fondatore dell'omonima scuola
benedettina e buon poeta e letterato, unisce all’insegnamento della grammatica
anche quello della logica, commentando gli scritti pseudoagostiniani
Categoriae decem e De dialectica secondo le discusse attribuzioni dello
Hauréau, il De interpretatione di Aristotele e l’Isagoge porfiriana. In tutte
queste glosse dialettiche e, soprattutto, nel commento alle Categoriae
decem di più sicura attribuzion e, è evidente la forte influenza
dell’Eriugena che si rivela particolarmente nell’uso del concetto di natura
e nella definizione dell’essere identificato con ogni essenza semplice e
immutabile direttamente creata da Dio. Tuttavia Eirico non spinge il suo
platonismo fino ad affermare la realtà oggettiva delle specie e dei
generi, ed afferma anzi che l’unica realtà concreta è costituita dalle
sostanze individuali e che, pertanto, le idee di specie e di genere non
hanno altro significato se non quello d’indicare la natura comune ai
singoli individui. Gli universali sono, insomma, come dei segni che servono
alla ragione umana per orientarsi nella gran selva degli individui e
raccogliere ordinatamente entro idee sempre più generali le
caratteristiche che denotano la specie e poi il genere, fino alla
caratteristica dell'essere comune e fondamentale per tutti gli
individui. La soluzione di Eirico che è stata avvicinata, benché impropriamente,
alla genuina nozione aristotelica dell’universale è probabilmente il risultato di un
insegnamento dialettico ‘piuttosto elementare e legato strettamente all’analisi
grammaticale del discorso. Ma è certo significativo che proprio alla sua
scuola si formasse una delle maggiori personalità intellettuali del X
secolo, il grammatico e dialettico Remigio di Auxerre, autore di
fortunati commenti alle grammaziche di Donato, di Prisciano, di Eutiche,
conoscitore di Persio, di Giovenale, di Macrobio e dell’Eriugena. Remigio
non è però soltanto un uomo di lettere e un abile maestro di grammatica,
perché l’analisi delle glosse alla Dialettica pseudoagostiniana
attribuitegli recentemente dal Courcelle, mostra chiaramente una larga
conoscenza delle fonti patristiche e un notevole acume logico. Del resto,
anche i suoi commenti a Marciano Capella, agli opuscoli teologici ed alla
Consolazio boeziana, offrono altri elementi per giudicare il carattere
del suo pensiero che si distingue da quello del maestro, per una concezione
nettamente realistica degli universali, considerati come pure essenze, immutabili
ed eternamente presenti nella mente divina. È questa la soluzione che
influenzerà largamente i dibattiti dialettici dell'XI secolo e che rivela,
però, fin da adesso, quale sia il reale significato metafisico della
discussione sull’essenza degli universali, svolta in un ambiente intellettuale
che aveva assimilato da tante fonti una costante direttiva platonica. E
naturalmente anche in questa dottrina è presente l’influsso dell’opera
dell’Eriugena di cui Remigio ha una precisa e diretta conoscenza. Remigio
di Auxerre mori probabilmente agli inizi del X secolo, allorché la
cultura carolingia cominciava la sua parabola discendente e si
inaridivano i migliori frutti della riforma di Alcuino. La crisi delle
istituzioni scolastiche e la loro decadenza è infatti testimoniata dalla
scarsità della documentazione, dalla povertà degli scritti elaborati in
questo secolo, nonché dalla generale decadenza delle attività intellettuali e
dei metodi di insegnamento. Eppure tra gli scrittori del X secolo non si
possono dimenticare Raterio di Verona, Notkero Labeone di S. Gallo (t
1022), autore di scritti sulla dialettica e Oddone di Cluny, uno degli
iniziatori del movimento riformatore che dominerà la vita religiosa ed
ecclesiastica del secolo successivo; o l’attività magistrale di Abbone, monaco
di Cluny, che nella scuola claustrale di Fleury sur Loire organizzò un corso
organico di studi fondato sulla lettura sistematica dei Padri, ma anche
sull’insegnamento della grammatica, della dialettica e della retorica. Non
abbiamo però elementi sufficienti per stabilire se si debba proprio ad
Abbone un breve trattato sui Sillogismi categorici di notevole interesse
storico, perché ci permette di stabilire il punto cronologico della
costituzione del corpus dei testi logici usati nell’insegnamento
scolastico. Ma chiunque sia l’autore dello scritto, è certo che intorno alla
metà del secolo non si usano più soltanto i trattati di Aristotele, già
noti nel IX secolo (Categoriae e De interpretatione), ma anche i trattati di
Boezio sugli Analytici priores e poste riores, che solo assai più tardi
verranno sostituiti dagli scritti originali di Aristotele. D'altra parte
i commenti alla Consolatio di Bovo di Corvey e di Adaboldo di Utrecht (t 1026)
testimoniano la continuità della tradizione boeziana che avrà tanta
influenza sulla cultura dell’XI e e del XII secolo. Assai pid
importante di Abbone è però la personalità di Gerberto di Aurillac (t
1003), l’uomo pit dotto del suo tempo. Formatosi anch egli nell'ambiente
monastico di Cluny, soggiornò a lungo in Spagna dove entrò in contatto con la
grande tradizione scientifica araba e, più tardi, maestro a Reims, abate
di Bobbio e arcivescovo di Reims e di Ravenna, diffuse le sue cognizioni
nelle scuole francesi e italiane. Asceso nel 999 al soglio pontificio col
nome di Silvestro II, egli esercitò una notevole influenza sul giovane
Imperatore Ottone III e sul suo singolare e sfortunato tentativo di
restaurazione imperiale romana; ma se l’attività di Papa Silvestro II
interessa la storia ecclesiastica e politica, lo studioso della cultura
medioevale considera piuttosto la sua figura di maestro, conoscitore
perfetto del trivio e del quadrivio, e di scienziato dotato di discrete
conoscenze matematiche, geometriche e astronomiche. Lettore degli antichi, i
cui testi fece ricercare e raccogliere in tutto l’Occidente cristiano (e, anzi,
si deve proprio alla sua iniziativa la conservazione di un certo numero di
orazioni ciceroniane), Gerberto era infatti sicuramente convinto che
l’eloquenza e l’esatto raziocinio non contrastano affatto con la fede, e
che anzi la formazione del buon chierico non può prescindere dall’apprendimento
organico e sistematico delle arti liberali. Per questo, nella sua scuola
s’insegnava la retorica sull'esempio degli scrittori classici e si usavano
correntemente, oltre ai soliti testi aristotelici, anche tutti i commenti
logici di Boezio e i Topica di Cicerone. E quale fosse, del resto, la
tendenza di Gerberto dinanzi ai problemi dell’insegnamento logico risulta
chiaramente dal suo libretto De rationale et ratione uti, ove prendendo a
pretesto il caso di una proposizione in cui il predicato sembra meno universale
del soggetto, egli analizzava le funzioni e il significato logico dei
vari termini della proposizione. Tuttavia l’attività più costante ed originale
di Gerberto fi: dedicata allo studio della geometria e dell’astronomia. E se la
Geometria che gli è attribuita è opera scientifica di non gran valore e i
suoi scritti sulla tecnica del calcolo rispondono piuttosto ad esigenze
pratiche, il Liber de astrolabio mostra già una notevole influenza della
scienza araba. Questo risveglio di un discreto interesse
scientifico ed enciclopedico, questi primi rapporti con la tradizione
scientifica araba sono però fat ti storici di notevole importanza, e
rappresentano il primo segno di una netta ripresa della vita
intellettuale che comincia a delinearsi fino dagli ultimi decenni del X
secolo. Già, del resto, la cultura di tono e di ispirazione classica non
è più soltanto la caratteristica di poche scuole umanistiche e dei maestri
educati nella nuova temperie spirituale di Cluny, ma tende anzi a
informare strati sempre più vasti della gerarchia ecclesiastica quando non
penetra addirittura anche negli ambienti femminili delle corti e dei
monasteri. È ben nota ad esempio, la figura della badessa Hrosvita, autrice di
commedie edificanti e di poemi latini, discepola di altre monache dotte
come suor Rikkardis o l’ahbadessa Gerberga, ma i cronisti medioevali ricordano
pure Edvige di Baviera, una principessa che conosceva il latino e il greco e
leggeva con entusiasmo Orazio e Virgilio. Del resto, la costante
ammirazione per gli antichi e l’amore per le lettere non è certo solo la
caratteristica della cultura delle scuole francesi, germaniche o
anglosassoni; anche l’Italia, anzi particolarmente l’Italia, possiede
importanti istituzioni scolastiche dove si continua l’insegnamento della
grammatica e della lingua latina, anteponendolo addirittura a quello di tutte
le altre discipline. E, se è vera, è certo particolarmente significativa
la storia di quel maestro Vilgardo di Ravenna che sarebbe stato condotto
dal suo entusiasmo di grammatico a preferire i poeti antichi alla verità
della Scrittura e che avrebbe cosi iniziato un singolare movimento
ereticale. È un racconto questo che come ha giustamente notato il Gilson va accettato con un largo beneficio
d’inventario. Ma il solo fatto che si potesse diffondere una storia di questo
genere è già una testimonianza abbastanza importante delle tendenze della
cultura scolastica. Il 2 febbraio del 962 Ottone I di Sassonia cingeva in Roma
dalle mani di Giovanni XII la corona imperiale. Con questa incoronazione
che concludeva la fortunata vicenda di un sovrano eccezionalmente abile
e risoluto, si chiudeva l’età pifi fosca dell’anarchia feudale e
risorgeva, quasi a distanza di due secoli, una salda unità politica
comune a una vasta parte dell’Europa occidentale. Erede della tradizione
carolingia, restauratore del potere imperiale ridotto ad un puro simbolo
dalla potenza della grande aristocrazia militare e fondiaria, Ottone si
presentava all’Europa con lo stesso carattere carismatico che aveva assunto il
suo predecessore franco. Eppure, nonostante la finzione di una continuità
storica, la nuova costruzione politica ottoniana era profondamente diversa
dall’Impero di Carlo, rispecchiava condizioni storiche affatto nuove, e
costituiva, essa stessa, un ulteriore fattore di sviluppo della società europea
e della progressiva trasformazione delle sue basi economiche e
politiche. Questi caratteri storici peculiari del nuovo Impero
ottoniano sono del resto evidenti nella sua stessa struttura geografica e
politica. Per la prima volta nella storia dell'Europa, l’asse del potere
politico tende a spostarsi verso l’Europa nord-occidentale in una
direzione diversa da quella in cui si era orientata la struttura amministrativa
dell’Impero carolingio; inoltre il Sacrum Romanum Imperium Teutonicorum ha
adesso un ambito territoriale ben definito, limitato ai due antichi regni
di Germania e d’Italia, e rinunzia alla pretesa di estendersi sull’intera
cristianità e di coincidere con il corpo visibile della Chiesa militante.
Fondato saldamente sulla supremazia militare che Ottone ha conquistato prima in
Germania e poi in Italia, chiudendo la via alle ultime invasioni e
sconfiggendo la riottosa ostilità dei duchi di stirpe e dei grandi
feudatari, l’Impero mira a riassumere tutti i poteri e le prerogative che erano
state assunte di fatto dalle grandi dinastie feudali e dall’alto
predominio spirituale della Chiesa romana. E proprio per porre termine al
periodo di disgregrazione sociale e politica seguito alla caduta delle
istituzioni carolinge, la politica di Ottone deve assumere un
atteggiamento di rigida ostilità sia nei confronti della feudalità che
verso il papato accentuando tendenze, direttive e atteggiamenti che nell’Impero
carolingio erano stati assai meno radicali. Con l’avvento di Ottone
la feudalità laica si troverà cosî a fronteggiare la rinnovata supremazia del
potere imperiale che comincia ad avvalersi del prezioso ausilio di una
vasta aristocrazia ecclesiastica, completamente controllata dal sovrano
che le attribuisce poteri e funzioni feudali sempre più vasti. Anche la
gerarchia ecclesiastica è però sottoposta all’assoluta autorità
dell’Imperatore che dispone, di fatto, dell’elezione dei vescovi e della
designazione del Pontefice. Il giuramento di fedeltà che Papa Giovanni XII è
stata costretto a prestargli e le rigide clausole del Privilegium Othonis
permettono infatti all’Imperatore germanico di esercitare sul pontefice romano
un’autorità e un potere che neppure Carlo Magno aveva mai posseduto,
almeno in una forma cosi totale ed esplicita. Ma come si preoccupa di
controllare, in tutti i suoi gradi più elevati, la élite dirigente della
Chiesa, Ottone rafforza in Germania e in Italia le attribuzioni dei conti
palatini, gettando i presupposti di un rigido controllo dell’aristocrazia
laica la cui lenta decadenza economica e politica andrà progressivamente
aggravandosi nel corso dell’XI secolo, sotto la spinta di circostanze e
di eventi in gran parte impliciti nelle contraddizioni interne della
società feudale. In tal modo, mentre chiude ad Oriente la via
tradizionale delle grandi invasioni, l’Imperatore sassone può adesso tentare di
restituire al potere imperiale una vera funzione dominante, e sostituire
alla lunga fase di anarchia feudale che si era aperta con la crisi della
dinastia carolingia una nuova direttiva unitaria. La rinascita di
un più saldo potere politico centrale non è però, nel corso del X secolo,
un fenomeno tipico solo del mondo tedesco o italico; ma si verifica anche nelle
altre terre di Europa ormai sottratte di fatto alla teorica giurisdizione
imperiale. In Francia, le lunghe lotte tra 1 discendenti carolingi e i
capetingi e l’assenza di un’autorità dominante rendono infatti
estremamente precaria la ricostruzione di uno stabile ordinamento politico. In
Inghilterra, le ripetute incursioni vichinghe e la debolezza dei piccoli
regni anglosassoni creano una confusa situazione di crisi permanente di
cui sapranno presto approfittare gli invasori norman82 La rinascita
ottoniana e la ripresa intellettuale dell'XI secolo ni. Altrove,
nelle regioni dell’Italia meridionale, estranee all’Impero, le forze
opposte dei bizantini, delle signorie longobarde, dei saraceni e dei
poteri feudali e cittadini locali, continuano a combattersi in una
perenne e confusa guerriglia. Tuttavia, già verso la metà dell'XI secolo,
anche la condizione politica della Francia e dell’Inghilterra comincia a
subire un mutamento di portata decisiva. E mentre l’Impero, minacciato da una
rinnovata crisi dinastica, attraversa un nuovo periodo di «ecad:nza la
monarchia francese inizia quel suo lento ma costante rafforzamento, che
permetterà più tardi a Luigi VI di riaffermare vigorosamente la
supremazia regia, e l'Inghilterra, dominata e unificata dai normanni, assume
sotto gli Angiò-Plantageneti una solida struttura dinastica.
Un tale processo di profonda trasformazione delle istituzioni e
delle forze politiche dominanti è però soltanto l’espressione, al livello
politico, di un mutamento ancor più radicale che investe tutte le strutture
economiche e sociali dell'Europa feudale. Senza dubbio, non si tratta di
un’improvvisa esplosione di forze economiche prive di radici nella storia
passata; al contrario, è proprio la rapida maturazione di energi: già
esistenti in seno alla società feudale che imprime adessc una svolta
decisiva al processo storico. Il ritorno ad una condizione di vita civile
più pacifica e sicura e il ripristino di un’autorità centrale capace di
frenare le tendenze centrifughe dei poteri locali, rende poi naturalmente
più rapido e facile l'avviamento di nuove forme di organizzazione economica e
di ordinamento politico. Se nei seccli precedenti il regime feudale aveva
permesso la continuità della vita produttiva, difendendo cittadini e coloni
dalle invasioni e dalle guerre, e mantenendo in vita un filone pur esile
di scambi e di attività urbane, adesso l’ago dell'economia europea tend:
a riportarsi nuovamente verso le città che vedono incrementarsi i loro
traffici, accrescersi l’attività artigiana e aumentare costantemente il
ritmo della vita civile. Ccssa cosi quel lento, costante decrescere della
popolazione soprattutto urbana, che in certe zone d:ll’Europa centrale aveva
raggiunto un punto impressionante. Popolazioni, un tempo nomadi e pr:datrici,
s’installano definitivamente in vaste contrade dell’Ori:nte europeo, dando vita
a nuovi organismi statali come la Bo:-mia, l'Ungheria e la Polonia, ed
entrano in stretti rapporti economici e sociali con i paesi dell'Europa
occidentale. Ma il fenomeno di ripresa demografica non si limita solo a
queste zone; ché, anzi, esso si manifesta principalmente nelle regioni
dell’Europa mediterranea, nelle campagne come nelle città, ove esso
produrrà una serie di conseguenze economiche e politiche di eccezionale
rilevanza storica. Ecco infatti nelle zone rurali i castelli che si trasformano
in borghi, centri di attività artigiane e mercantili; mentre nelle città,
sotto l’autorità dei vescovi-conti, la popolazione rapidamente
accresciuta dà luogo a un tessuto sociale già differenziato ed organico.
Naturalmente, questo processo di ripresa demografica si traduce, poi, ben
presto, in un rapido incremento dell’attività produttiva. I boschi, abbandonati
da secoli o sfruttati soltanto nelle zone delle grandi abbazie
benedettine, cedono il posto alla terra coltivabile; nelle zone paludose
vengono operati i primi tentativi di bonifica; i pascoli diminuiscono di
estensione trasformandosi anch'essi in terreni produttivi. Anche le terre
dell’Est, aperte alla colonizzazione germanica dalle vittorie di Ottone I,
vengono adesso dissodate e coltivate da larghe masse di popolazione
rurale che si spingono profondamente nei territori abitati dagli slavi.
L’esigenza di un forte aumento dei mezzi di vita agisce, d’altra
parte, anche come incentivo all’acquisizione di conoscenze tecniche più
evolute ed alla scoperta ed all’uso di strumenti e di mezzi che contribuiscono,
a loro volta, a modificare le condizioni economiche. Ma trasformazioni ancor
più decisive si verificano nell’ambito delle attività commerciali, il cui
sviluppo è continuo e costante, grazie anche alla maggior sicurezza delle
grandi vie di comunicazione ed alla crescente intensità dei rapporti economici
tra le varie regioni dell'Europa feudale. In tal modo, le città, che pure erano
sopravvissute anche ai periodi di pil grave stasi economica, riprendono
rapidamente a svilupparsi; e divengono sedi di mercati o di fiere, centri di
produzione artigiana, nell’ambito di un movimento economico caratterizzato da
una accresciuta circolazione monetaria e dalla tendenza a costituire
una fitta rete di scambi dalle terre dell'Est germanico al Mediterraneo,
dal Baltico alle regioni balcaniche ed alle terre bizantine. Il sorgere
delle nuove attività produttive specializzate causerà poi, nel corso del
XII secolo, un ulteriore imponente sviluppo dell’economia cittadina; e
ne risulteranno i primi lineamenti di una società nuova, dominata dall’iniziativa
delle classi mercantili ed artigiane, già capaci di porre le prime basi
della loro futura potenza finanziaria. È quindi naturale che una
trasformazione demografica ed economica incida profondamente anche sulle
condizioni sociali ed economiche delle varie classi che avevano costituito i
quadri della società feudale. Già infatti nel corso dell’XI secolo, la
serviti della gleba comincia ad essere sostituita da un tipo di
organizzazione colonica assai più libera, mentre precise norme giuridiche
stabiliscono ora più esattamente i rapporti tra il proprietario, gli
affittuari e i coloni. Ma il mutamento è ancor pi decisivo nell’ambito
cittadino, dove la nobiltà di origine feudale deve cedere le sue posizioni
dominanti alle nuove classi produttrici che s’avviano rapidamente ad
acquisire una prima consapevolezza dei propri interessi e scopi economici
e politici. In questa società, già in preda ad un profondo
fermento innovatore, continuano ancora a dominare gli ideali ideologici
elaborati nell’età carolingia e difesi dalla restaurazione ottoniana. Il
mito unitario dell’autorità assoluta e divina dell’unico Imperatore, pastore
e guida del popolo cristiano, è ancora un’idea attiva ed operante
che trova sostenitori e teorici tra i giuristi che illustrano i testi
giustinianei come tra i dotti ecclesiastici delle corti sassoni e francone.
Certo, la crisi che segue alla estinzione della monarchia sassone, il
definitivo rafforzamento della grande feudalità tedesca, e, d’altra
parte, gli inizi dei primi ordinamenti autonomi cittadini, sono
altrettanti eventi che mostrano la reale debolezza dell’autorità
imperiale e la sua incapacità a far fronte al nuovo corso storico. Ma il
regno di Enrico III, che restaurerà la supremazia imperiale sulla Chiesa,
sembrerà segnare il ritorno alla tradizione carolingia e ottoniana. Il legame
tra il sovrano e le correnti di riforma ecclesiastica testimoniato dalle radicali risoluzioni dei
sinodi di Sutri e di Roma (1046) rafforzerà nei nuovi ceti popolari la fiducia
nella funzione carismatica e sacrale dell’Imperium, custode della giustizia e
dell’ordine cristiano. Alla continuità e al rinnovato prestigio della
tradizione imperiale corrisponde però, da parte della Chiesa, un profondo
processo di rinnovamento e di riforma suscitato e guidato dall’ascetismo
monastico, ma che trova larga partecipazione e consenso proprio
nell’ambiente cittadino e tra le nuove forze sociali. La decadenza della
disciplina e del costume ecclesiastico divenuta gravissima e generale
nell’età postcarolingia suscita non solo l’indignata protesta di uomini votati
alla severa disciplina benedettina o dediti ad una vita di
contemplazione e di preghiera, ma anche la rivolta di quei ceti di varia
origine e condizione sociale sui quali pesava il dominio della feudalità
ecclesiastica. Contro il papato romano, ormai ridotto a oggetto di contesa
tra le pif potenti famiglie romane, contro l’aristocrazia episcopale
trasformata in un vero e proprio corpo politico di elezione imperiale, si
svolge infatti l’aspra polemica dei riformatori che, con toni e parole apocalittiche,
denunziano la carenza morale e intell:ttuale della gerarchia, la sua
cupidigia di potere mondano e di ricchezza, gli scandali della simonia e
del concubinato, il tradimento e il ripudio della parola evangelica. Sono
motivi, questi, che tornano con costante violenza nella predicazione dei
monaci come nelle invettive di cronisti popolari o ecclesiastici,
ugualmente schierati contro la potenza e l’oppressione terrena esercitata da
grossi potentati ecclesiastici; e dalla loro condanna emerge un quadro
profondamente pessimistico della vita ecclesiastica del tempo, e
l'immagine eloquente di una decadenza che sembra aver raggiunto uno dei
livelli più bassi e pericolosi di tutta la storia della Chiesa.
La ribellione morale contro la corruzione della gerarchia e il fermento
antiecclesiastico che serpeggiavano tra le masse devote, furono però presto
organizzati e guidati dalla nuova élite intellettuale che si era formata
verso la fine del X secolo nell’ambiente purificato delle abbazie
riformate. Già nel 910 il duca Guglielmo di Aquitania aveva fondato a
Cluny un monastero ispirato al rispetto integrale della regola benedettina, in
netto contrasto con la rilassat:zza delle antiche abbazie trasformate da
tempo in ricche signorie feudali. Sotto la guida di grandi abati, come Oddone e
Ugo, Cluny si era trasformato in un centro d’intensa vita spirituale e di
alta esperienza mistica. Ma l'ispirazione ascetica dei cluniacensi era
subito passata sul terreno della lotta riformatrice, con la sua recisa
condanna dei costumi corrotti del clero feudale e il ripudio di ogni forma di
compromissione con i poteri mondani. La predicazione dei cluniacensi, già
particolarmente diffusa verso la fine del X secolo, ebbe presto una
grande influenza in tutta l'Europa cristiana. In Francia, in Italia, in
Germania, numerose abbazie tornarono alla regola; altri monasteri, come quelli
italiani di Camaldoli (fondato nel 1012) e di Vallombrosa, originarono
nuovi ordini monastici affini all’esperienza cluniacense; infine, il nuovo
spirito riformatore penetrò in un vasto settore della stessa gerarchia
ecclesiastica, già da tempo preoccupato della decadenza delle istituzioni. Il
favore di alcuni vescovi e, soprattutto, dei Pontefici tedeschi eletti dopo il
concilio di Sutri, favori poi un ulteriore sviluppo della riforma cluniacense,
che già nella seconda metà dell’XI secolo contava circa duemila
monasteri. Né la forza dei cluniacensi fu soltanto spirituale, bensi
anche politica; poiché la concessione papale della cosiddetta Commendatio
Sancti Petri, che rese immuni i loro monasteri dalla giuri86 La rinascita
ottoniana e la ripresu intellettuale dell'XI secolo PE
sdizione dei vescovi, ruppe a loro vantaggio il vincolo di dipendenza
gerarchica che aveva ormai assunto un carattere schiettamente feudale.
Ora, è chiaro che una tale prerogativa implicava non solo un profondo
mutamento nella struttura della Chiesa, ma la trasformazione della riforma
cluniacense in un potente strumento del rinnovamento ecclesiastico e
della restaurazione dell’autorità pontificia. Il che giova a comprendere perché
il movimento di Cluny potesse assumere una parte decisiva nella lotta contro
l’autorità mondana dei vescovi feudatari e nell'avvento delle nuove direttive
spirituali e pratiche che guidarono la vita della Chiesa nell’età
gregoriana. Pi tardi anche Cluny perderà la sua originaria
vocazione riformatrice e subirà lo stesso processo di decadenza che aveva
esaurito la originaria tradizione benedettina. Ma il risveglio spirituale
che è espressione delle nuove
forze storiche maturate nel corso del X secolo troverà ancora interpreti nell’ascetismo di
altre regole monastiche, come i certosini e i cistercensi, e nella continuità
di un moto riformatore popolare e laico. Sotto l'impulso di queste correnti,
l’ideale della riforma si diffonderà e si estenderà penetrando
profondamente gli ambienti sociali più sensibili alle sue immediate
implicazioni politiche e sociali. E, mentre si rinnovano in Europa eresie che
forse si collegano ad antiche tradizioni manichee, nell’Italia settentrionale
sorge il movimento dei Patari, campioni zelanti della lotta contro la
corruttela morale e disciplinare dell’alto clero. Nelle città, già centri
attivi di vita mercantile e di attività produttrici, il potere del
vescovo-conte diviene cosi sempre più precario e soggetto al minaccioso
intervento delle forze politiche organizzate nelle quali si specchiano gli
interessi e le aspirazioni dei ceti mercantili e artigiani. I frequenti tumulti
contro i vescovi simoniaci, le ribellioni e i conflitti che dominano
attorno alla metà dell’XI secolo la vita delle città italiane, sono
appunto la testimonianza storica dello stretto legame che si è già stabilito
tra le esigenze religiose e le particolari aspirazioni politiche dei ceti
sociali emersi dall’incipiente crisi della feudalità. Non è qui
certo possibile seguire le fasi della progressiva riforma delle
istituzioni ecclesiastiche compiuta sotto l’ispirazione dei cluniacensi e
culminata con i decreti di Niccolò II e con i drastici provvedimenti di
Alessandro II contro l’influenza laica nelle cose ecclesiastiche. Ma non sarebbe
possibile intendere tanti aspetti della riflessione filosofica dell’XI e
XII secolo, senza ricordare che la riforma mossa da una profonda esigenza
di rinnovamento evangelico finî col concludersi nell’affermazione di un ideale
teocratico fondato sul principio di un unico potere supremo, quello
papale, principio e fonte di ogni autorità e potestà temporale e
spirituale. Questa dottrina, formulata con estremo rigore negli
scritti di Gregorio VII e soprattutto nel famoso Dictatus papae, implicava
naturalmente l’accentramento di tutta la vita della Chiesa nelle mani del
Papa e la sua piena potestas sopra ogni aspetto dell’organizzazione sociale
e politica della Cristianità. Né Gregorio doveva esitare dinanzi all'applicazione
integrale di questo principio anche nei confronti della autorità
imperiale già direttamente colpita da un complesso di riforme che
abbattevano la sua supremazia sulla gerarchia ecclesiastica e le
toglievano praticamente ogni diritto di controllo sulla feudalità ecclesiastica.
La lunga lotta tra Gregorio ed Enrico IV, che divise gran parte d’Europa
in due campi avversi, fu quindi l’epilogo naturale di un contrasto
inconciliabile: che traeva origine dallo stesso carattere sociale dell’Imperium
e dalla sostanziale diarchia costituita dalla struttura
burocratico-ecclesiastica della società carolingia. Ma questa contesa che ebbe la sua espressione ideologica in una
vasta letteratura controversista rappresentò anche una favorevole occasione per
lo sviluppo delle nuove forze sociali e politiche che proprio nel corso
della guerra delle investiture acquistarono una precisa coscienza del loro peso
e dei loro interessi. Non a caso le origini delle istituzioni comunali
sono spesso strettamente intrecciate ai conflitti tra l'Impero e il
papato che causarono la rapida crisi della feudalità ecclesiastica; e, d’altro
canto, è proprio nel corso dell’XI secolo che si ricostituiscono e si
rafforzano le monarchie nazionali destinate a svolgere una funzione politica
decisiva per tutto il Basso Medioevo. È appunto entro questa prospettiva
storica che occorre valutare il rapido processo di ripresa intellettuale
che s’inizia già alla fine del X secolo in stretta connessione con la
rinascita economica e sociale dell'Europa occidentale. A tale ripresa
contribuiscono infatti sia pure in
grado e misura diversi tanto la
rinnovata prevalenza delle istituzioni urbane e il tono più elevato e
raffinato della vita civile, quanto l’impetuosa predicazione dei riformatori e
l’esigenza di elaborare nuovi strumenti intellettuali per le continue
controversie tra il potere ecclesiastico e quello civile o tra i diversi gradi
della stessa gerarchia clericale. Ma vi contribuisce altresi e in maniera spesso assai
rilevante anche l’aprirsi delle civiltà
europee a più stretti e continui contatti con il mondo arabo e bizantino
sia per l'incremento degli scambi sia attraverso le guerre di riconquista in
Sicilia e in Spagna e infine, negli ultimi anni del secolo, l'iniziativa
espansionistica della I Crociata. Questi rapporti, la cui influenza
sarà cosi forte già nella seconda metà del XII secolo, non esercitano
però ancora un influsso decisivo sulla cultura dell’XI che continua a
svolgersi prevalentemente sulla via tracciata dall’ordinamento scolastico
carolingio. Però le antiche scuole monastiche non sono più gli unici grandi
centri di una cultura di carattere letterario-ecclesiastico, ma cedono
anzi lentamente il passo a un largo processo di rinnovamento
intellettuale esteso a gran parte dell'Europa occidentale,
indipendentemente dalle particolari distinzioni di carattere nazionale.
Da Parigi a Orléans, da Chartres a Tours, è tutto un fiorire di scuole
sorte spesso all’ombra delle cattedre vescovili e dove le arti del trivio
e del quadrivio vengono tramandate alle nuove generazioni di chierici, mentre
in Italia si assiste invece al sorgere di scuole cittadine, dipendenti
solo in parte dalle autorità ecclesiastiche e dedicate principalmente agli
studi di diritto, cosî necessari ad una società fondata sulla pratica del
commercio e sullo sviluppo delle attività artigiane. Cosî, accanto alla
tradizione teologica che si continua nelle istituzioni scolastiche,
monastiche e cattedrali, si affermano nuovi campi di ricerca
intellettuale; lo stesso apprendimento delle arti liberali è condizionato a
nuove finalità e interessi diversi, come mostra lo stretto nesso tra lo
studio approfondito della dialettica e il suo uso nella pratica giuridica
e forense. Questo nuovo indirizzo di studi si manifestò dapprima in
Italia, soprattutto in quelle regioni meridionali o adriatiche dove il
diritto romano legato alla tradizione bizantina aveva sempre conservato
la sua influenza e dove erano stati sempre pit stretti i rapporti con Bisanzio
e col mondo arabo. Specialmente nella Calabria e nelle Puglie che fino
all’XI secolo erano state parti integranti dell’Impero bizantino, e dove la
conquista normanna non eliminò il carattere ormai acquisito della cultura
cittadina e della stessa vita ecclesiastica la continuità della tradizione giuridica
romana non venne mai spezzata. Nella Sicilia, riacquistata dai Normanni nella
seconda metà del secolo, continuò invece a fiorire una ricca cultura d’impronta
greca ed araba destinata a costituire uno dei maggiori punti d’incontro tra la
civiltà europea e le tecniche e le dottrine assimilate dall'esperienza
della scienza isla‘mica. Ma l’interesse scientifico e i rapporti con la cultura
greco-araba furono particolarmente intensi nella scuola medica di
Salerno, già attiva nel corso del X secolo e rimasta sempre fedele ai
dettami classici della medicina greca. Cosi, quando nel 1056 Costantino
Africano, un medico cartaginese formatosi nella scuola araba, passò in
Italia e costitui a Montecassino un vero e proprio centro di traduzioni
delle opere fondamentali della cultura scientifica greca e mussulmana, la sua
attività trovò un terreno particolarmente fecondo. La ricca biblioteca di testi
greci ed arabi, che venne ad arricchire le conoscenze dei medici
salernitani, contribuî a sollevare un rinnovato interesse per la ricerca
scientifica e far conoscere i primi fecondi risultati di una civiltà
tecnicamente più progredita come quella araba. L’influenza che la
scuola salernitana esercitò in tutta Europa, spingendo numerosi dotti a
coltivare insieme agli studi medici anche quelli scientifici e
filosofici, fu un fattore di notevole importanza per lo sviluppo di una cultura
di carattere assai diverso da quella tramandata dalle scuole monastiche,
e già profondamente permeata di motivi filosofici e scientifici propri della
tradizione oreca ed araba. EA è certo ben simnificativo che proprio un
vescovo di Salerno, Alfano (1058-1085), traducesse il De natura hominis
di Nemesio, ove è chiaramente definita l’idea dell’uomo come microcosmo,
sintesi di tutti i caratteri e di tutte le forme dell’universo.
Un indirizzo prevalentemente giuridico ebbe invece la cultura dell’Italia
settentrionale, pit legata alla rapida evoluzione politica dei rapporti
economici e sociali che richiedeva nuove istituzioni giuridiche capaci di
rispondere alle esigenze di una civiltà urbana e mercantile. E poiché il
diritto romano rappresentava la tradizione giuridica maggiormente affine al
nuovo tipo di società e di organizzazione sociale, lo studio del Corpus
iuris attrasse le migliori energie intellettuali. Lo sviluppo,
prima della scuola ravennate e poi della grande scuola bolornese da Pepo
all’Accursio, non è certo arsomento che possa interessare questo rapido
schizzo della cultura filosofica medioevale. Ma bisogna pur ricordare che
lo studio e l’esposizione del Digesto o del Codice richiedevano un solido
corredo di nozioni srammaticali e dialettiche; e che d'altra parte il
largo incremento della pratica forense comportava uno studio ancora più
accurato dell’arte retorica. Il naturale interesse per le arti del trivio
non fu però esclusivo delle scuole giuridiche frequentate da laici e
volte agli scopi mondani della vita civile. Anche la cultura
ecclesiastica, sia in Italia che in Francia, conobbe infatti
un’importante ripresa dello studio ‘della dialettica, la cui fortuna è certo da
porre in rapporto anche con l’evoluzione parallela delle
istituzioni giuridiche ecclesiastiche e con la formazione di tipo
giuridico propria anche di molti uomini di chiesa. Inoltre la lunga
contesa tra l’Impero e la Chiesa, e il fiorire di una vasta letteratura
controversista, favori indubbiamente la tendenza all’uso sistematico degli
strumenti dialettici forniti dall’insegnamento delle scholae. Né meraviglia che
l’impiego di metodi di discussione dialettica si spostasse sempre più dal
piano giuridico e dalle dispute su argomenti di immediata incidenza
ecclesiastico-politica alla stessa elaborazione teologica. Ecco
perché le soluzioni dei probl:mi logici cui si dedicarono tanti maestri di
questo secolo, dettero luogo cosf spesso a gravi conseguenze metafisiche e
teologiche dalle quali non furono esenti neppure i temi più gelosi della
tradizione ortodossa. Non solo; la maturazione di una mentalità più
critica, nutrita di studi profani e di solide cognizioni dialettiche, ebbe
certo una notevole influenza anche sull’evoluzione delle correnti riformatrici
e, in generale, nell’atteggiamento intellettuale dell’élize
ecclesiastica. Gli storici del pensiero medioevale sogliono sempre
ricordare, a questo proposito, le pagine veementi ed espressive che un
tipico esponente della riforma, come Pier Damiani, scrisse contro i chierici
del suo tempo più avvezzi a studiare i principi della dialettica
aristotelica o della retorica ciceroniana che non a meditare le Sacre
Scritture. Ed è anzi un luogo comune presentare la filosofia dell’XI
secolo sotto il segno della lotta tra i dialettici che miravano a
spiegare con i loro sillogismi anche il dogma e le verità rivelate e i rigidi
difensori dell’ortodossia che consideravano l’uso di argomenti razionali
nell’ambito teologico come una violazione delle verità di fede.
Tale contrasto è stato certo troppo esagerato da una storiografia
che non teneva forse nel dovuto conto il caratt:re comune della cultura di cui
partecipavano entrambi gli avversari e che spesso traspare anche dietro
la polemica più irruente. Ma ciò non toglie che l’inseri- mento dei
metodi dialettici nel campo degli studi sacri segni una tappa fondamentale
nell’evoluzione della teologia cristiana, e che l’importante ripresa di studi
logici dell’XI secolo prepari già l’ambiente storico in cui maturerà la
grande esperienza di Abelardo. Tra i maestri che diedero un notevole
impulso allo sviluppo della dialettica vanno quindi particolarmente
ricordati Berengario di Tours e Anselmo di Besate detto il Peripatetico,
entrambi tipici esponenti delle nuove tendenze intellettuali. Discepolo
di Fulberto di Chartres e organizzatore a sua volta della scuola cattedrale
di Tours, Berengario spinse l’uso degli argomenti dialettici fino al tentativo
di ridurre in puri termini razionali anche i principi di fede. Come
scrive nel De sacra coena che è appunto
un tentativo d’interpretazione dialettica del dogma dell’eucarestia egli ritiene infatti che la rinunzia
all’esercizio della ragione significhi disprezzare uno dei pit alti doni
divini e rinunziare a quella nostra facoltà che ci rende maggiormente simili
alla natura di Dio. Perciò, alle autorità ed alla stessa tradizione dei
Padri, Berengario può opporre la superiorità della ricerca razionale il
cui campo di azione non deve arrestarsi neppure dinanzi ai misteri
della transustanziazione o della presenza reale. Il modo in
cui procede questa discussione dialettica del tema trinitario, è poi una
testimonianza caratteristica della mentalità di Berengario. In qualsiasi
composto di materia e forma egli
argomenta è impossibile che permangano inalterati gli accidenti, se si
verifica un effettivo mutamento della sostanza. Sicché il fatto che anche
dopo la consacrazione permangono nel pane e nel vino i medesimi
accidenti, dimostra che non si è mai verificato l’annullamento della loro
forma e la trasformazione nel corpo e nel sangue di Cristo, ma che si è
realizzata soltanto l’unione di queste forme con quelle preesistenti del pane e
del vino. Simili argomenti, che Berengario continuò a sostenere
nonostante l’abiura cui fu costretto nel 1050 dal sinodo di Vercelli,
mostrano assai bene quali fossero i possibili sviluppi della trattazione
dialettica della materia teologica. E si può ben comprendere perché molti
dei suoi contemporanei fossero concordi nel condannarlo e nel
guardare con forte diffidenza anche l’attività di Anselmo di Besate, che
intorno alla metà del secolo viaggiava instancabilmente tra le scuole
d’Italia, di Francia e di Germania, insegnando particolarmente l’uso
delle argomentazioni contraddittorie. Certo, la sua RAetorimachia non è davvero
un gran monumento filosofico, né mostra l’intenzione di estendere la sua
rudimentale tecnica dialettica nell’ambito della teologia. Ma il suo
insegnamento doveva influenzare profondamente la mentalità dei giovani chierici
con conseguenze forse non troppo diverse da quelle indicate da
Berengario, e costituiva comunque un pericoloso precedente per i sostenitori
dell’integrale rispetto delle pure norme di fede. Ecco perché
negli ambienti della ritorma cluniacense, e, più tardi, della riforma
cistercense e certosina, si delineò una cosî violenta reazione contro la puerilità
e l’empietà dei dialettici, e una condanna delle scienze profane considerate
inutili se non addirittura temibili per la salvezza del cristiano. Le dure
parole con cui il vescovo Gerardo di Czanard vieta l’uso delle argomentazioni
filosofiche nell’ambito teologico, i rimproveri di Otloh di S. Emmeran contro
gli stolti e gli ingenui che credono di dover sottomettere la verità
della Scrittura all’autorità della dialettica, sono espressioni
caratteristiche di un atteggiamento che ha profonde radici nella temperie
spirituale degli erdini riformatori. E ad essi fa eco un tipico
rappresentante dell’età giegoriana, Manegoldo di Lautenbach (t 1103) il
quale, polemizzando contro Wolfemo di Colonia (noto come sostenitore
della concordanza tra le dottrine di Macrobio e la verità cristiana),
ammette, st, l’utilità della filosofia nei limiti delle scienze mondane,
ma sottolinea il radicale contrasto tra le spiegazioni filosofiche e la
rivelazione, tra le falsità dei pagani Platone ed Aristotele e l’unica
verità cristiana. Il teologo che spinge, fino alle sue estreme
conseguenze la polemica contro i dialettici e la filosofia, è però uno dei
maggiori esponenti della riforma, un monaco che prima di sottomettersi alla
severa regola monastica ha anch’egli insegnato dialettica nella scuola di
Ravenna: Pier Damiani (1007-1072). Nei suoi scritti, cosi spesso citati come
esempi del medioevale contemptus mundi, le più oscure denunzie della miseria
invincibile della natura umana si alternano alla condanna di ogni forma di
sapere mondano e di ogni scienza o arte che non abbia come fine la
glorificazione dell’onnipotenza divina. Ai chierici lettori di Cicerone e
di Aristotele egli propone l’esercizio esclusivo della contemplazione
mistica, unico cibo degno di una mente cristiana. La grammatica, la
dialettica, le regole di Donato o i sillogismi di Aristotele, sono invece
altrettanti allettamenti demoniaci che minacciano la purezza dottrinale
del clero. E nella sua dura polemica (che non a caso si giova però di
tutti gli strumenti retorici e letterari propri della cultura di un uomo
di lettere) Pier Damiani giunge a bandire la filosofia dallo scibile
cristiano, o, almeno, a ridurla al rango di una schiava prigioniera
destinata a servire alla suprema verità teologale. Il rifiuto
del sapere pagano, l’avversione per le lettere fomentatrici di dubbi e di
errori, non potrebbero essere più radicali e più netti. Eppure Pier
Damiani mostra di saper ben usare nei suoi scritti i metodi di
argomentazione dialettica che non esita ad applicare anche in quell'opuscolo De
divina omnipotentia, giustamente considerato come la espressione più
eloquente del suo puro fideismo. Lo scopo che egli vi si propone è certo
del tutto opposto a quello dei dialettici nel loro tentativo di dare una
veste argomentativa anche ai contenuti dogmatici; perché consiste
nell’affermare l’assoluta incommensurabilità del volere divino, che
possiede il potere di far si che ciò che è stato non sia mai stato. Dio,
la cui potenza è totale e illimitata, è infatti al di là di qualsiasi
condizione o norma che possa apparire contraddittoria agli occhi umani. E
quindi per lui non costituisce alcun limite il fluire irrevocabile del tempo,
cosi come la sua volontà non è affatto tenuta a rispettare quei vincoli e
quelle necessità cui è invece sottoposta la ragione umana. Ora, è evidente che,
se la volontà divina possiede una tale prerogativa, anche tutti i
tentativi di applicare nei suoi riguardi dei ragionamenti umani sono
perfettamente vani ed inadeguati. Dinanzi al mistero insondabile della natura
di Dio, dinanzi all’infinità ed al segreto del suo volere, non v’è altra
via che la umile preghizra e la adorazione. È chiaro che,
accentuando cosi nettamente il rifiuto delle norme dei principi
razionali, in nome della trascend:nza divina, Pier Damiani ha di mira molti
chierici e maestri contemporanei, e che intende estirpare radicalmente le
male piante della dialettica cresciute indebitamente nel giardino della
teologia. Ma l’affermazione dell’onnipotenza divina spinta fino alle sue
estr:me conclusioni è anch’essa foriera di gravi conseguenze; e la sua
influenza maturerà nei secoli seguenti fino a costituire una delle pi
pericolose minacce p:r la teologia delle scholae. L'uso che Guglielmo d’Ockham
e i suoi seguaci faranno del medesimo argomento per p:rvenire alla
radicale negazione del valore scientifico della teologia, è una
testimonianza assai eloquente dell’esito di un atteggiamento polemico che era
nato proprio per restaurare la supremazia degli studia divinitatis. Né
meraviglia che la polemica antifilosofica di Pier Damiani o di Manegoldo
di Lautenbach preannunzi già temi e motivi che avranno più tardi tanto
peso nella crisi della cultura medioevale, contribuendo alla caduta del
tentativo tomista di una mediazione positiva tra la ricerca filosofica e
il sacro dominio della teologia. La posizione teologica di Pier
Damiani, cosi intransigente e radicale si accorda, del resto, perfettamente con
la sua mentalità di riformatore gregoriano e di teorico della teocrazia. Nella
Disceptatio sinodalis egli non solo afferma la supremazia dell’ordine
spirituale su quello temporale (con argomenti del tutto simili a quelli
adoperati per celebrare la supremazia della teologia dinanzi ad ogni altro tipo
di sapere ancillare) ma ne deduce anche l’assoluto primato del potere
papale su quello mondano e civile dell’Imperatore. L’idea che l’autorità
imperiale dipenda essenzialmente dall’approvazione papale e che il suo scopo
debba consistere soltanto nel guidare il popolo cristiano verso i fini
voluti dalla legge divina e dalla gerarchia ecclesiastica diviene cosi il
punto di forza di una dottrina destinata a larghi sviluppi negli
scrittori papalisti del XII e XIII secolo. Anche se Pier Damiani riconosce che
l'Imperatore è stato delegato dall’autorità papale all’esercizio
dell’amministrazione temporale della cristianità, non per questo ammette che
possa avere un fine diverso o distinto da quello della Chiesa o, tanto meno,
che possa conservare legittimamente il suo potere quando cessi d’operare
secondo la guida o la volontà del Pontefic:. Come l’unione della natura umana e
di quella divina costituisce la realtà vivente del Cristo, cosi l'unione
del Papa e dell’Imperatore costituisce, per una specie di divino mistero,
la vivente unità della Christianitas. Destinato a reggere il corpo e a
guidare la vita mondana della società cristiana l’Imperatore deve perciò
sollecitare la guida del Pontefice che è rex animarum e, pertanto, signore
dell’interiore realtà spirituale. Per questo il dominio imperiale non può
vantare una propria giurisdizione particolare, se non in via del tutto
subordinata e sotto il controllo dell’autorità pontificia. In realtà, per
Pier Damiani, il popolo cristiano costituisce soprattutto e in primo
luogo una pura mistica unione sotto la sovranità spirituale del Papa, e
da essa dipende anche ogni forma di ordinamento temporale e
mondano. Il fatto che i cristiani vivano però anche nel tempo e siano
sottoposti alla necessità di un potere e di una coercizione mondana, non
significa quindi che la loro società temporale si possa confondere con
nessuno degli stati esistenti o con qualsiasi corpo politico. I rapporti
che vigono nella Christianitas sono infatti puramente spirituali, le sue
finalità del tutto oltramondane; anche l’uso di mezzi temporali da parte
dell’autorità civile vale solo in quanto può servire per raggiungere dei fini
spirituali o comunque indicati dalla gerarchia ecclesiastica. Ecco perché,
nella prospettiva teologica di Pier Damiani, l’Impero è soltanto uno strumento
della Chiesa, limitato nelle sue funzioni e destinato esclusivamente alla
difesa ed all'incremento della fede e dell’ordine cristiano. Lungi
dall’accettare la dottrina carolingia che riconosceva nell’Imperatore
l’advocatus Ecclesiae, capo temporale di tutto l’orbe cristiano, egli lo
considera infatti solo come uno dei tanti principi (anche se il più
potente) ai quali spetta il compito di realizzare neil’ordine mondano le
supreme direttive del potere spirituale. Il che implica, naturalmente, la
sua più stretta e totale subordinazione ai dettami dell’autorità pontificia;
subordinazione da cui dipende la stessa legittimità del potere
imperiale, sempre condizionata alla filiale ubbidienza alla volontà del
Papa. Il rovesciamento della dottrina carolingia non potrebbe certo
essere più radicale, né pit decisa l’affermazione della suprema sovranità
della gerarchia ecclesiastica e monastica su ogni aspetto della vita
civile. Ma questa tesi di cui è
evidente lo stretto nesso con la polemica antidialettica e la difesa
dell’assoluto primato della fede non è
l’espressione isolata di un grande spirito mistico, difensore della riforma
e del radicale rinnovamento della Chiesa. Le stesse idee animano
infatti anche un vivace polemista come Manegoldo di Lautenbach,
deciso assertore della concezione teocratica della Christiana respublica,
i cui scritti forniranno una precisa linea ideologica ai teorici della
plezitudo potestatis pontificia. E idee non dissimili, anzi sostanzialmente
identiche, ispirano il famoso Dictatus Papae, attribuito allo stesso Papa
Gregorio, dove il riconoscimento al Pontefice di ogni potere e diritto
mondano, incluso quello di deporre gli imperatori e di sciogliere i sudditi dal
giuramento di fedeltà, costituisce il fondamento dell’assoluta monarchia
pontificia. Le dottrine teologiche e politiche di Pier Damiani
rappresentano senza dubbio la posizione più radicale ed estrema maturata
negli ambienti della riforma ed esasperata dagli aspri conflitti ecclesiastici
e politici dell’età gregoriana. Ma sarebbe di grave omissione dimenticare
che, insieme a queste dottrine, si sviluppano nell’XI secolo anche altre
posizioni intellettuali assai più caute e moderate soprattutto nei confronti
dell’uso dei metodi dialettici e della loro possibile applicazione
nell’ambito dell’insegnamento teologico. La stessa necessità pratica di
formare degli uomini di chiesa, capaci di difendere l’ortodossia dalle minacce
ereticali con l’uso di tecniche argomentative accettabili anche da chi
ignorasse le autorità dei Padri (e, d’altra parte, il timore che le
soluzioni radicalmente fideistiche conducessero a pericolose conseguenze sui
temi della grazia e della predestinazione) induce probabilmente molti maestri
ad assumere un atteggiamento ugualmente distante dalle audaci conclusioni
teologiche di Berengario e dalla insolenza polemica di Pier Damiani e di
Manegoldo. E sebbene i teologi ortodossi che accettano l’inserimento
dello studio della filosofia nelle discipline clericali distinguano
nettamente l’uso lecito della dialettica dalle sue degenerazioni, non per
questo negano l’utilità e la importanza di una solida preparazione filosofica e
logica. Come sostiene Lanfranco di Pavia, abate dell’abbazia bretone di
Bec e quindi arcivescovo di Canterbury, non è infatti lecito condannare
il legittimo desiderio di confermare gli insegnamenti della fede con gli
argomenti della ragione. Avversario deciso di Berengario, di cui
confutò le argomentazioni sofistiche, Lanfranco crede che anche gli errori del
maestro di Tours non derivino dall’uso dei metodi di dialettica, bensi
dal loro abuso e dalle indebite deduzioni di conseguenze contrastanti con
le loro premesse. Appunto per questo, l'apprendimento di questi metodi di
ragionamento potrebbe chiarire l’origine di quegli errori e confermare i
misteri divini la cui verità non contraddice affatto l’uso moderato della
ragione filosofica. Una dottrina filosofica conscia dei propri limiti e
fondata su di una buona conoscenza della dialettica può anzi giovare alla
causa della fede assai più di quanto non possa nuocere la cattiva e falsa
scienza di pochi indotti. Simili idee attuate nella pratica
quotidiana della scuola ebbero naturalmente un’influenza decisiva sullo
sviluppo degli studi filosofici e teologici e sulla legittima
accettazione delle tecniche filosofiche nell'ambito della cultura
ecclesiastica. Ma il loro trionfo fu dovuto principalmente all’opera di un
discepolo di Lanfranco, Anselmo d’Aosta, la più grande personalità
filosofica del suo tempo e il vero iniziatore di una nuova tradizione
della teologia occidentale. Nato ad Aosta nel 1033, scolaro di Lanfranco
nell’abbazia di Bec, poi suo successore nella scuola abbaziale e quindi
sulla cattedra arcivescovile di Canterbury, Anselmo fu la figura pit alta e
sigpificativa della cultura dell’XI secolo. Ma i motivi fondamentali del
suo pensiero erano destinati ad esercitare un'influenza assai vasta e profonda
su tutto il successivo svolgimento della riflessione filosofica e
teologica; ed anzi, superando la crisi della scolastica, avrebbero continuato
ad agire anche su alcuni pensatori che consideriamo tra i rappresentanti più
cospicui della filosofia moderna. La ragione di questa eccezionale influenza
sta certo nel rigore e nella rara acutezza di questo monaco che
profondamente nutrito dalla riflessione agostiniana e guidato da una conoscenza
della dialettica, seppe accogliere in un sistema organico di idee le
tendenze più attive e vitali del suo tempo. E se la sua posizione
intellettuale e le sue dottrine furono spesso nei secoli successivi
oggetto di critica severa da parte di grandi maestri della scolastica, è certo
che Anselmo diede per primo un metodo razionale alla disciplina
teologica, sostituendo al costante richiamo dell’auctoritas una via
argomentativa basata unicamente sull’uso oculato e guardingo del
ragionamento dialettico. Il fatto che Anselmo si sia occupato
esclusivamente di temi teologici (dall’esistenza di Dio alla Trinità,
dall’Incarnazione al peccato originale) non toglie nulla alla novità del suo
metodo che egli estese, del resto, ad ogni aspetto del dogma. Però il
fondamento della sua dottrina rimase sempre strettamente agostiniano; e da
Agostino egli derivò gran parte delle sue premesse sviluppate però secondo una
lucida tecnica dialettica e condotte a conclusioni che innovavano la
dottrina teologica dei suoi tempi. La pid intensa attività
filosofica di Anselmo si svolse in un periodo di tempo relativamente breve, dal
.1070 al 1080, nell’ambiente dell'abbazia di Bec già predisposto
dall’insegnamento di Lanfranco ad accogliere una diversa impostazione
degli studi teologici. Fu appunto in questi anni che Anselmo elaborò i suoi
scritti fondamentali, tutti dominati dalla certezza dell’intimo accordo tra i
metodi di argomentazione razionale e i dati essenziali della fede; per
dir meglio, dalla necessità che i principi della rivelazione siano
illuminati dalla ragione e che, d’altra parte, la ricerca razionale si
muova sempre entro i limiti e presupposti della fede. Questa posizione, che
Anselmo espresse nella formula credo ut intelligam, implica naturalmente
una concezione strumentale della ragione il cui compito consiste nel
meditare i dati della fede già accennati nella loro indiscutibile verità.
Perciò anche quando Anselmo applica i metodi dinlettici anche ai
contenuti più gelosi del dogma e fonda su di essi la dimostrazione
dell’esistenza di Dio, egli è fermamente convinto che tali procedimenti valgono
solo come chiarimento e delucidazione di una verità che la ragione umana può
cercare di rendere più evidente, pur riconoscendo i propri limiti e la
sua radicale incapacità a penetrare intimamente nei misteri divini. Ecco perché
nel -Mozologion che è appunto
un’operetta scritta a richiesta dei suoi monaci come modello di
meditazione sull’esistenza e gli attributi di Dio egli afferma di voler procedere solo per
via di ragione, senza ricorrere ai riferimenti ed alle autorità
scritturali o patristiche. Ma al tempo stesso, in polemica coi dialettici,
Anselmo riafferma sempre l’assoluta superiorità della fede, principio
unico. ed essenziale donde procede lo stesso intellet to. La fede è,
dunque, il fondamento e la ragione prima della conoscenza umana; giacché non s'intende
per credere ma bensi si crede per intendere. Eppure chi crede con certezza e
fervore può usare legittimamente anche i metodi della dialettica e i puri
procedimenti razionali che sono anch’essi un dono divino. È
chiaro che un simile atteggiamento presuppone una fiducia completa nella
ragione come strumento che non arretra neppure dinanzi al tentativo di
spiegare con procedimenti analogici anche i sacri misteri. Il modo in cui
Anselmo affronta la tematica teologica tradizionale, cercando di mostrare
l’intima necessità razionale della trinità e dell’incarnazione, ne è
appunto una prova assai chiara. Ma, d’altra parte, egli è ugualmente
convinto che il potere illuminante dell’intelletto dinanzi agli abissi della
rivelazione è ben limitato, perché la verità della fede è cosi vasta e
profonda che nessuna mente mortale potrà mai possederla compiutamente.
Neppure lo sforzo concorde di tutti i Santi e dei Padri e dei Dottori
della Chiesa ha quindi potuto penetrare 11 mistero della rivelazione. Ma,
proprio per questo, niente è più erroneo che opporre all’uso legittimo
della ragione l’autorità esclusiva degli Apostou e dei Padri, dimenticandosi
che anch'essi erano uomini e conobbero la verità con mente umana e che
Dio non ha mai cessato e mai cesserà d’illuminare la Chiesa e di
permettere ai fedeli una comprensione sempre più profonda della sua
parola. D'altra parte se è vero che la visione beatiticante della verità divina
è esclusa da questo stato mondano, ciò non signitica che la ragione umana
non possa ampliare la sua intelligenza della fede. Comprendere la propria
fede signitica appunto avvicinarsi alla visione di Dio, e rendersi piî
degno dei suoi aoni. Se è cosa empia pretendere di scoprire o di
discutere ciò che Dio ha celato nella protondità insindacabile del
mistero, esistono però problemi e temi teologici che non sono affatto incomprensibui
ala ragione, ma che anzi essa deve speculare e chiarire. Dimostrare che Dio
esiste è appunto uno di questi compiti che la ragione deve perseguire con
propri mezzi e senza aicun ricorso ad autorità o fondamenu estranei a1 suoi
poteri; ed anzi dalla validità intrinseca di questa dimostrazione dipende
la possibilità di costruire una scienza dotata degli stessi strumenti
argomentativi propri delle altre arti. La dimostrazione
dell’esistenza di Dio rappresenta ovviamente uno dei temi centrali del
pensiero di Anselmo, destinato, peraltro, a costituire un termine di
confronto obbligato per tutte le correnti e tendenze teologiche del Basso
Medioevo. Ma le prove che egli presenta, compenetrate di spirito agostiniano,
sono formulate con un rigore e una coerenza dialettica ancora estranea al
pensiero di Agostino e secondo una direttiva metafisica di carattere
squisitamente platonico. Ciò è evidente soprattutto nelle pagine del
Monologion ove tutta la dimostrazione poggia sul presupposto dell’ordine
gerarchico di perfezione presente nell’universo e sull’idea che tutto ciò
che gode di un grado maggiore o minore di perfezione deve partecipare
necessariamente della perfezione assoluta. Ora l’esperienza sensibile e la
riflessione razionale ci mostrano che esistono innumerevoli beni, più o meno
perfetti, e che tutto quanto esiste ha sempre una sua causa particolare.
Ma la serie delle perfezioni particolari e contingenti ci rinvia per
necessità ad una causa unica e prima, cosi com’è evidente che quanto è
perfetto in un grado minore o maggiore, lo è soltanto perché deriva da un
supremo ed unico principio di perfezione. Naturalmente questo bene, del
100 Anselmo d'Aosta e la cultura teologica del suo
tempo quale partecipa tutto ciò che è bene. non può essere che il
bene massimo ed assoluto, superiore ad ogni altro bene e ad ogni altra perfezione.
Ma ciò significa che quanto è assolutamente buono è anche infinitamente grande
e che quindi esiste un rrimo essere superiore ad ogni realtà esistente
limitata, e questo essere è Dio. Un tale argomento di cui è inutile sottolineare
l’intrinseco carattere platonico-agostiniano può essere ugualmente svolto muovendo da
quella perfezione dell’essere che tutte le cose hanno in comune, sia pure
in grado e misura diversi. Ogni ente esistente ha infatti una propria causa; ma
la moltevlicità delle canse particolari presenti nell’universo può essere
considerata come riducibile ad una cau-, sa, oppure come fine a se
stessa, o ancora come costituita da una serie di cause che si causino
reciprocamente. Se però esaminiamo la seconda ipotesi, è subito evidente
che le sinvole cause esistenti per se stesse hanno almeno in comune
questo essere per sé che costituisce il princinio della loro esistenza e quindi
la loro unica causa comune. Né è diversa la conclusione cui si giunce
esaminando anche la terza ipotesi, perché supporre che una cosa esista a
cansa di ciò cui essa stessa dì l’essere, è ipotesi assurda e
contraddittoria. Non resta perciò valida che la prima ipotesi: tutto
ananto è, esiste per una causa unica éd assoluta, necessariamente
identificabile con Dio. Ma non basta. L’ardine dell'universo è
costitnito come s'è cià visto da una gerarchia di esseri alcuni dei quali
sono pii perfetti ed altri meno perfetti. Ma una volta accettata questa
verità inonnugnabile è anche necessario ammettere o che questa gerarchia di
perfezione non abbia mai fine e quindi che ogni essere postuli sempre, al
di sopra di sé, un altro essere pit perfetto, onvnre che l’universo sia
‘costituito da un numero definito di esseri. uno dei quali sunera tutti
gli altri per la sua assoluta perfezione. L'esclusione della prima ipotesi che
Anselmo ciudica assurda e irrazionale. conduce necessariamente ad
ammettere l’esistenza di un essere perfettissimo superiore a tutti gli
altri e a nessuno inferiore. Ed a chi obbietta che si potrebhero ammettere al
sommo della gerarchia due enti forniti di uguale perfezione, è facile
rispondere che questi due esseri sono uguali o perché la loro essenza è
comune e quindi sono in realtà un solo essere, oppure perché partecipano
entrambi ad un essere superiore che li trascende tutti e due e che, pertanto, è
l’unico essere perfettissimo. Dio è dunque il termine unico e assoluto
che conclude la serie finita degli esseri; e ne è al tempo stesso il culmine,
la ragione e la causa. OI L’XI e il XII secolo
Un simile tipo di argomentazione, cosi legato ad una visione
gerarchica della realtà di schietto senso platonico, si fonda evidentemente sul
passaggio dialettico dal limitato all’assoluto e dall’essere particolare
al suo fondamento universale. Ed è chiaro che Anselmo introduce in tal
modo nella storia della teologia un metodo speculativo che era già implicito
nelle dottrine dell’Areopagita e nella sua immagine di un universo
ascendente di grado in grado, di perfezione in perfezione verso il
suptemo approdo dell’unica esistenza divina. Anselmo però non si arresta a
questò procedimento che, almeno in apparenza, muove dall’esperienza e
dalla realtà definita dei singoli enti esistenti. Proprio perché vuol
dare alla riflessione teologica una base schiettamente speculativa, egli
si sforza di portare altre prove che s'impongano per pura evidenza
logica, prescindendo dalla corsiderazione sensibile della realtà. Ma -coronando
le prove precedenti con l’argomento ontologico del Proslogion egli spinge
alle estreme conclusioni il suo procedimento dialettico, e ripropone, per altra
via, la stessa considerazione di Dio e dell’essere che era già implicita
nel Monologion. Certo, proprio all’inizio del Proslogion, Anselmo
dichiarava di voler muovere dal puro dato di fede, e cioè dall’idea di
Dio che ci è fornita dalla fede e dalla quale è però possibile trarre per
evidenza interna anche la necessità logica della sua esistenza reale. Noi
crediamo infatti che Dio esista e che sia l’essere di cui non è possibile
concepire niente di maggiore; ma anche l’insipiens che nega Dio,
comprende ciò che affermiamo con queste proposizioni, e deve quindi
ammettere che tale concetto possiede un'esistenza mentale, in quanto
è attualmente presente negli intelletti che lo pensano. Una cosa può
infatti esistere nell’intelletto senza che questo ne ammetta l’esistenza
esteriore: quando un pittore si rappresenta l’immagine che vuole dipingere,
egli possiede in sé il quadro già esistente nel suo intelletto, ma non ne
conosce affatto l’esistenza esteriore perché non lo ha ancora dipinto. Ecco,
dunque, che anche l’insipiens è costretto a riconoscere che almeno nel suo
pensiero esiste l’essere perfettissimu di cui è impossibile concepire
niente di maggiore. Però una volta accettata questa premessa non gli è più
possibile negare che l’ente perfettissimo esiste anche nella realtà, poiché
questa esistenza possiede un grado di perfezione superiore a quello
dell’altra. Difatti se l’essere di cui non è possibile concepire uno maggiore
esistesse unicamente nell’intelletto, si potrebbe facilmente pensare anche un
essere dotato di tutte le sue perfezioni e, in pit, della perfezione che
è data dall’esistenza reale. Ma una tale conclusione è evidentemente
contraddetta dalla stessa definizione iniziale dell’ens perfectissimum, e
quindi l’essere di cui non si può pensare uno maggiore deve esistere sia
nell'intelletto che nella realtà. Non occorre un’analisi troppo
approfondita per intendere come questa argomentazione si fondi sulla
certezza interiore della fede e sulla opinione “platonica, che esistere
nel pensiero è già esistere nella realtà e che quindi la nozione di Dio, data
dalla fede, ha una realtà di fatto indubitabile e assoluta. Anche qui,
come già nelle prove del Monologion, Anselmo muove dunque dalla certezza
preliminare di una realtà, di ordine e grado particolare, per concludere
alla necessità logica dell’esistenza reale dell’ens perfectissimum; ed
anche qui, pur nell’indubbia novità del suo metodo di argomentazione, il
processo anselmiano muove dall’idea gerarchica di un diverso grado di
perfezione ontologica che subordina l’essere pensato alla superiore perfezione
dell’essere reale. In tal modo il passaggio dal dato originario della
fede alla prova o conclusione razionale, è reso possibile proprio mediante il
confronto tra l’esserte pensato e l’essere reale, tra l’idea di Dio
esistente nel pensiero e la certezza logica che questa esistenza mentale,
che è anche essa reale, sarebbe certamente impossibile se Dio non
esistesse anche nella realtà. Sicché la vera differenza tra le argomentazioni
del Monologion e quelle del Proslogion consiste solo nel diverso punto di
partenza, e nel carattere della realtà che è posta come termine di
paragone con la perfezione assoluta e necessaria del supremo ente reale. Solo
in Dio l’esistenza mentale e l’esistenza reale debbono coincidere per
intrinseca necessità logica; mentre, in ogni altro caso, l’esistenza
reale può essere verificata solo se l’Essere sommo, principio e causa
prima, l’ha effettivamente creata. Cosf Anselmo conduce fino alle sue logiche
conseguenze quelle fondamentali caratteristiche platoniche che erano già
evidentissime nella dottrina agostiniana; e mentre si appella alla fede come
primo fondamento di certezza, vuol trovare nel suo contenuto intellettivo
quella ragione dialettica che la rende perfettamente comprensibile anche
all’intelletto. L’impiego cosi coerente del procedimento dial:ttico si risolve
in un nuovo metodo apologetico, o meglio, nella conferma del primato
assoluto della fede, i cui principi costituiscono in ogni caso il
presupposto indiscutibile e necessario di qualsiasi prova o
dimostrazione. Non v’è quindi da meravigliarsi se già taluni dei
contemporanei di Anselmo contestarono il valore e la fondatezza
dell’argomento del Proslogion che fu più tardi rifiutato dallo stesso
Tommaso d’Aquino. Ed è noto che, vivente ancora Anselmo, un monaco del
monastero di Marmontier, Gaunilone, scrisse un Liber pro insipiente che è
una acuta critica del procedimento anselmiano. Il punto su cui si
fonda l’obiezione di Gaunilone è l’impossibilità di concludere
dall’esistenza del pensiero all’esistenza esteriore, di fatto. Il pio
monaco non vuol certo difendere l’ateismo dell’insipiens; al contrario
egli riafferma che la certezza dell’esistenza di Dio è un principio di pura
fede e che il passaggio arbitrario dalla parola al concetto e dal
concetto alla realtà, compiuto da Anselmo, è non solo invalido, ma anche
sofistico e pericoloso. Le parole che udiamo argomenta infatti Gaunilone possono avere o non avere un loro significato;
ma se l’hanno è solo perché sono connesse a certe esperienze o percezioni
che esse richiamano alla nostra mente. Ora è proprio l’esperienza dei singoli
individui dotati di caratteri particolari che ci permette di formare dei
concetti di specie e di genere ben distinti per mezzo di parole corrispondenti;
ma quando ciò non accade, quando le parole che pronunciamo non hanno un nesso
mentale corrispettivo, esse restano prive di significato come se fossero
scritte o pronunziate in una lingua ignota. Difatti chi, non conoscendo
il latino, sente pronunziare la parola avis, non può connetterla a
nessuna rappresentazione particolare o generale, ma può soltanto percepirne il
suono fisico. Ebbene: per Gaunilone la stessa cosa accade anche quando
sentiamo pronunziare la parola Dio e la frase l’essere di cui non si può
pensarne uno maggiore, espressioni che non hanno nessun fondamento
nell’esperienza. Dio infatti non è pensabile in rapporto alle altre cose che
ci sono note attraverso i sensi; e poiché non è oggetto della nostra esperienza
non esiste neppure un concetto che stia in rapporto a Dio come il concetto di
uomo sta in rapporto con l’individuo Socrate. Per questo udendo la parola
Dio noi sentiamo solo dei suoni e non riusciamo, per quanti sforzi
facciamo, ad attribuirle un esatto significato. Ed anche se vogliamo dire, con
Anselmo, che il concetto di Dio è presente nell’intelletto dell’insipiens
dobbiamo però ammettere che costui possiede nel suo intelletto solo delle
parole incomprensibili e dei nomi privi di significato. Non
solo: esistono anche errori e idee false che non hanno alcuna esistenza fuori
del pensiero, immaginazioni e fantasie ben presenti all’intelletto ma del tutto
estranee alla realtà. Chi concepisce l’idea delle isole Fortunate, sparse
in una parte dell'Oceano, colme di ricchezze e di beni, non può certo
pretendere che queste isole, pur concepite come le più perfette tra tutte
esistano anche nella realtà. Ma lo stesso argomento vale anche contro la
prova di Anselmo che compie lo stesso indebito passaggio dall’esistenza
nel pensiero alla esistenza nella realtà: Come infatti si potrebbe
dimostrare maggiore di tutti, se io nego 0 dubito ancora che esso esiste
anche nel pensiero? Dovrei prima sapere che quell’ente esiste realmente
da qualche parte; e quindi trarrei dal fatto che è il maggiore di tutti
la certezza che esiste anche in realtà. A tali obiezioni, che
si fondano su di una considerazione dell’idea e del suo rapporto con gli enti
reali ben diversa da quella accettata da Anselmo, questi rispose ‘che
il passaggio dell’esistenza nel pensiero all’esistenza nella realtà
è valido unicamente nel caso dell'ens perfectissimum la cui certezza è fondata
sulla fede; e, in secondo luogo, che questo concetto può essere dedotto
dalla considerazione della realtà finita che, in base agli argomenti del Monologion,
ci conduce a riconoscere l’esistenza di un essere assoluto supe-* riore a
tutti gli enti finiti. Il che implicava però il sionificativo riconoscimento di
un fondamento fideistico del concetto di Dio, estraneo al suo tentativo
di pura deduzione concettuale. La dimostrazione dell’esistenza di Dio non
è però il solo tema affrontato dalla teologia anselmiana; ché anzi, in
tutti i suoi scritti, sono discussi con particolare insistenza anche il
prob'ema degli attributi divini e quello del rapporto tra Dio e la realtà da
lui creata. A questo proposito Anselmo afferma con un evidente richiamo alla dottrina
agostiniana che solo Dio esiste di per
se stesso e che quindi solo in lui essenza ed esistenza s’identificano
perfettamente, cosî come la luce s’identifica con lo splendore che emana.
Tutti gli ‘altri esseri possiedono, invece, un’essenza che non implica
necessariamente l’esistenza, che può essere tratta ad esistere solo per opera
divina; il che significa che Dio è la materia costitutiva dell’universo o
ne è la causa produttrice. La prima ipotesi viene però subito respinta
per la sua evidente conseguenza panteistica; e quindi Anselmo
accetta il principio della creazione ex nikilo, come l’unica soluzione
che soddisfi al tempo stesso l’esigenza della fede e della ragione.
L'universo viene, dunque, all’esistenza senza che esista alcuna materia
preesistente rappresentata da Dio o da qualsiasi altro principio; poiché
il nulla da cui il mondo proviene non è una realtà positiva, bensf
semplicemente l’assenza totale di realtà. Il passaggio dal non essere
all’essere è causato da un libero decreto della volontà divina, decreto
che non conosce nessun presupposto metafisico n ontologico. Con questo
non si deve però credere che Anselmo neghi ogni forma di esistenza
o di realtà precedente all’atto con cui Dio ha creato il mondo. Riprendendo
un motivo fondamentale della tradizione platonico-agostiniana, anche Anselmo
ammette infatti l’esistenza di forme ideali della realtà logicamente
precedenti all'emergere della realtà dal nulla. Tali idee presenti 25
aeterro nel pensiero divino e ad esse consustanziali sono appunto espresse
e realizzate dall’atto che modella sui loro esemplari le singole cose
create. Affermare che il mondo è stato creato dal nulla significa quindi,
semplicemente, che le cose non erano prima ciò che sono attualmente, né
esisteva, prima di esse, una qualsiasi materia da cui potessero essere formate.
Ma considerate dal punto di vista del sapere divino esse sono già tutte
presenti nel pensiero eterno e ne escono in virtà della Parola creatrice
che non ha alcuna somiglianza col parlare umano, bensi rassomiglia alla nostra
conoscenza dell’essenza universale ed alla parola interiore con cui le
definiamo nel nostro più segreto pensiero. Come la nostra parola
interiore non conosce dif- ferenza di tempo e di luogo, di povolo o di
nazione, cosf la parola o verbo che è nella mente divina è il puro
prototipo immutabile delle cose create e il mezzo con cui Dio crea e
conosce attualmente, nella sua identica perfezione, il mondo molteplice e
transitorio degli enti. Tutto ciò che è estraneo alla pura essenza divina
è stato creato dal Verbo che lo conserva e lo mantiene, permettendo cosf
alle singole creature di permanere nel loro essere. Ma ciò significa che
Dio è presente dovunque e tuttavia eccede con la perfezione ogni luogo
determinato, che è ogni tempo e, insieme, al di là di tutto il tempo,
immanente nell’atto con cui dà vita a tutte le realtà, eppure
trascendente nella sua essenza infinita ed eterna. Nondimeno, se cerchiamo di
esprimere da un punto di vista umano la realtà di un essere che trascende tutto
il Creato e non ha nulla in comune con le altre cose, è necessario
affermare di Dio tutti quegli attributi che designano uno stato di
perfezione positiva. E perché tali attributi siano vera106 Anselmo
d'Aosta e la cultura teologica del suo tempo mente legittimi
occorre che gli siano riferiti in un senso assoluto e che si predichino
di lui solo quelle perfezioni che superano in valore tutto il resto della
realtà. Ecco perché non si può mai dire di Dio che è corpo, bensi
soltanto che è spirito, poiché lo spirito è superiore e più perfetto del
corpo; similmente, per attribuirgli tutte le perfezioni che gli sono più vicine
e più degne lo si dirà vivente, sapiente, onnipotente, vero, giusto, beato, ed eterno,
pur comprendendo che anche questi attributi sono ben lungi dal cogliere l’infinita
perfezione divina. D'altra parte, queste molteplici perfezioni non
significano affatto che in Dio esista realmente molteplicità o distinzione né
che la sua natura abbia dei caratteri essenziali insieme ad altri
caratteri accidentali, 0, tanto meno, che vi siano in lui cangiamenti o processi.
Al contrario la sua essenza, del tutto coincidente con l’esistenza, è sempre
assolutamente una, identica e immutabile; né Dio, che è in tutti i luoghi e in
tutti i tempi pur essendo al di là di ogni luogo e di ogni tempo, può mai
ammettere inizio e fine. Anche il suo atto creatore non comporta infatti
alcun mutariento nella sua essenza, cosîf come i decreti della sua volontà
non tollerano alcun limite estraneo. Cosf se Anselmo, moderando la
tesi radicale di Pier Damiani ritiene che la volontà divina non
potrebbe mai giungere a far si che ciò che è stato non sia stato,
tuttavia insiste sulla piena libertà del suo atto, incommensurabile ad
ogni norma umana. Tra le creature che Dio ha creato e che
sono state espresse dal suo Verbo, l’uomo è poi quello che rispecchia in
maggior misura l’immagine e il segno della divinità. Capace di conoscere
se stessa, di ricordarsi di se stessa e di amare se stessa, l’anima umana
rispecchia infatti nella sua natura limitata l’ineffabile ed eterna
trinità divina. E tutta la sua conoscenza deriva appunto direttamente da
Dio che illumina costantemente l’anima rendendo cosf possibile la
perfetta cooperazione tra il senso e l’intelletto attraverso
l’intermediario delle eterne idee, divinamente irraggiate. Naturalmente,
alla luce di questa impostazione di schietto carattere agostiniano, non è
neppure difficile intendere perché Anselmo sia intransigente partigiano
della realtà ideale dei generi e delle specie e perché faccia di questa
soluzione realistica del problema degli universali un presupposto essenziale
della sua ontologia. Tanto più che non sarebbe possibile intendere completamente
l’intimo meccanismo delle sue argomentazioni ontologiche se non si
pensasse che egli muove sempre dalla certezza della realtà delle idee,
dal principio che ogni determinazione particolare ha significato e valore
solo in quanto partecipa a un fondamento universale. Solo così ogni
perfezione individua trova la propria realtà nella partecipazione alla
perfezione assoluta; sicché l’identità necessaria tra l’esistenza pensata
dell'Ente perfettissimo e la sua esistenza reale può rendere possibile
l’argomentazione del Proslogion. In un caso come nell’altro il procedimento
dialettico di Anselmo muove da un presupposto realista e da una premessa
speculativa schiettamente platonico-agostiniana. L’opera di Anselmo,
tutta incentrata sui grandi temi teologici che abbiamo esposto, segna una
tappa d’importanza decisiva nella storia del pensiero medioevale e pone già in
chiara luce le esigenze fondamentali che guideranno poi per più di tre secoli
lo svolgimento della cultura scolastica. Fu infatti all'esempio di
Anselmo che si richiamarono assai spesso i maestri del XII secolo ben decisi a
far valere sul piano della riflessione teologica che non si distingweva ancora dalla
meditazione filosofica autonoma i metodi
della dialettica, oppure a risolvere nell’ambito di grandiose concezioni
cosmolociche gli stessi temi capitali della tradizione agostiniana e
boeziana. Ma il suo pensiero doveva ancora costituire per lungo tempo un
necessario termine di riferimento nella lunga discussione sul reciproco
rapporto tra la ragione e la fede, e stimolare, sia pure attraverso
atteggiamenti e tendenze di carattere assai diverso, la progressiva
trasformazione della teologia in una scienza speculativa dotata di metodi e
strumenti logici non diversi da quelli delle altre scienze.
Questa tendenza, che porterà ben presto ai primi tentativi di organizzare
tutta la materia teologica in vaste sintesi sistematiche, è del resto già
ben visibile nell'opera di alcuni scrittori contemporanei che cooperano a
elaborare i quadri concettuali della scientia Dei. I Libri Sententiarum
attribuiti ad Anselmo di Laon forniscono già l’esempio di una raccolta
organica dei testi dei Padri della Chiesa, ordinati secondo i problemi e
i temi teologici fondamentali, ed offrono cosi un modello che sarà poi
ripreso e sviluppato da Guglielmo di Champeaux, Pietro Abelardo, Roberto di
Melun e, con particolare fortuna, da Pietro Lombardo. Ma l’importanza di
questa raccolta, compilata allo scopo di fornire argomenti di prova nelle
discussioni teologiche, non consiste soltanto nella preparazione di un cospicuo
materiale selezionato dalla gran selva della letteratura patristica,
bensf nella cornice organica e compiuta entro cui viene inserita la
trattazione teologale. L'esistenza, la natura, gli attributi di Dio, il
significato e il modo della creazione, l’esistenza e il destino dell'uomo
dalla sua caduta alla redenzione, la via di salute indicata dalla natura
e dalla grazia, la funzione carismatica della Chiesa e dei suoi sacramenti,
divengono adesso gli oggetti ben definiti della speculazione filosofica,
i temi intorno ai quali si dispiegherà la vigorosa analisi intellettuale
dei grandi maesti scolastici. Ma questo quadro che raccoglie in sé tutri i
principi ideologici di una società in cui la Chiesa è l’unica produttrice
di idee, questa cornice stabile e definita entro cui deve procedere la
riflessione filosofica e la suprema conoscenza della realtà e dell’uomo,
offrono ad ogni passo problemi aperti e insolubili, temi suscettibili di
discussioni e di analisi che pur senza negare il primato della fede,
lasciano libero passo alla indagine della ragione. Certo gli
autori delle sentenze, e Anselmo di Laon per primo, insistono sempre sui
dati di fede e sulla gelosa custodia della pura verità rivelata. Ma, in
realtà, essi preparano un metodo di studio e di riflessione teologica che
impone un più ampio sviluppo della dialettica e una capacità di critica
razionale destinata a dar presto i suoi frutti nella temperie storica del
XII e del XIII secolo. La grande fioritura dei Commenti alle Sentenze e lo
sviluppo di una caratteristica letteratura teologica sempre più raffinata
e intellettualmente scaltrita, sono la diretta conseguenza del nuovo
corso impresso alla cultura scolastica dell’XI secolo, da Anselmo di Aosta e
dai suoi contemporanei. E non a caso sarà proprio dalla lunga esperienza
dei Libri Sententiarum e dei loro commenti che nasceranno le grandi
Summzae del XIII secolo. Quale fosse però la funzione innovatrice
esercitata dalla diffusione degli studi dialettici nell’ambito della
cultura teologica, e quali potessero essere le sue conseguenze più estreme, è
ben dimostrato dalla personalità, ancora non molto nota, di Roscellino di
Compiègne. Sui suoi studi e la sua formazione non possediamo purtroppo
testimonianze sicure e precise, ma sappiamo che ebbe come maestro
Giovanni il Sofista, noto per la sua abilità di dialettico, e che, più
tardi, mentre era maestro e canonico a Compiègne, fu accusato formalmente
dinanzi al concilio di Soissons d’insegnare che vi sono tre dii. Abiurò e
gli fu concesso di riprendere il suo insegnamento a Tours e a Loches, dove fu
maestro di Abelardo, e a Besangon ove sembra morisse intorno al 1120. La
scarsità di notizie e di testimonianze non polemiche sul suo insegnamento,
rendono certo molto difficile una valutazione della sua dottrina, probabilmente
assai deformata dagli attacchi dei suoi avversari. Ma ciò non toglie che
Roscellino sia stato considerato dai contemporanei e dai posteri come il
principale sostenitore di una concezione degli universali che
identificava l’idea generale con la parola che la definisce. In
aperta polemica con la soluzione realista che attribuisce una realtà ai
termini astratti del pensiero, Roscellino sembra negare qualsiasi realtà che
non sia strettamente individuale; e per questo afferma che il termine uomo,
come tutti gli altri che indicano una specie o un genere, corrisponde
soltanto o alla realtà fisica della parola uomo (cioè a un flatus vocis,
o emissione di suono) oppure a degli individui particolari e concreti che
quel termine può semplicemente esprimere. Come si vede il rifiuto
della dottrina realista, cosi connaturata al fondo agostiniano-platonico
della cultura filosofica dell’Alto Medioevo, non potrebbe essere pi netto. Ma
proprio perché era maestro di arte dialettica e quindi di una scienza che
si applica principalmente ai termini del discorso umano, Roscellino non solo
negò il loro fondamento reale, metafisico, ma sembra che estendesse la
sua conclusione dal piano della pura analisi dialettica alle sue conseguenze
teologiche. Certo, è probabile che Roscellino non intendesse affatto affermare
l’esistenza di tre distinte divinità; eppure, coerentemente al suo
assunto logico, egli sostenne che anche nella trinità le tre persone
hanno una loro distinta realtà individuale e che ognuno dei loro nomi
(Padre, Figlio, Spirito) indica indubbiamente una cosa unica e singola In
tal modo la trinità è costituita, per Roscellino, da tre sostanze
distinte che pure possiedono un’unica potenza ed una sola volontà; perciò
egli affermò, identificando il concetto teologico tradizionale di persona con
quello di sostanza, che soltanto a causa di una particolare abitudine
linguistica i teologi possono triplicare le persone senza triplicare le
sostanze. Non v’è quindi da meravigliarsi se i teologi contemporanei
considerassero con estremo sospetto le sue dottrine fino ad accusarlo,
forzando il senso delle sue espressioni, di triteismo. La sua traspo
sizione dell'ipotesi nominalistica dal piano dialettico a quello teologico e
l’uso. di una terminologia cosi insolita spiegano le preoccupa. zioni e i
timori di devoti teologi come Anselmo. Indubbiamente la mentalità del dialettico
Roscellino con la sua rigida coerenza tra l’atteggiamento di logico e le
sue conseguenze teologiche, è già il segno di una profonda incidenza delle
nuove tecniche logico-grammaticali nell’ambito sacrale della scientia de
divinis. Gli eventi storici dell’XI secolo e in particolare la lunga
lotta per le investiture e i violenti contrasti tra l’aristocrazia
ecclesiastica e laica e la feudalità maggiore e minore, accelerarono la
crisi della società feudale, favorendo il progressivo sviluppo delle
forze economiche e sociali che erano lentamente maturate. Nell’Italia
settentrionale e centrale, nelle Fiandre, ed anche nei maggiori centri
urbani della Francia e dell’Inghilterra, si assiste adesso a un impetuoso
sviluppo di tutte le attività, e a un incremento delle forze produttive e
degli scambi commerciali assai maggiore di quello che si era già
delineato nel corso del secolo precedente. Nelle città che sono al centro del
nuovo corso economico fondato sull'economia mercantile. ai poteri feudali
si sostituiscono gli ordinamenti comunali che assicurano una sostanziale
supremazia politica ai ceti della borghesia mercantile e artigiana. Sulle
coste mediterranee si vengono formando nuovi stati, tra i quali eccelle
per il carattere accentratore ed assolutistico, il regno normanno di Sicilia
destinato a svolgere la sua direttiva espansionistica verso i territori dei
Balcani e del Vicino Oriente. Allo sforzo militare dei Normanni,
corrisponde, su più vasta scala, l’attività delle Repubbliche marinare
che incrementano costantemente i loro traffici raggiungendo l’effettivo
controllo delle grandi vie di commercio che congiungono il bacino
mediterraneo ai lontani mercati asiatici. Infine, negli ultimi anni del
secolo, la rinascita economica e sociale dà luogo ad un grande movimento
di espansione armata verso i paesi del Medio Oriente, che è insieme la
conseguenza del profondo risveglio religioso operato dalla riforma gregoriana e
patarina, e il risultato dell'alleanza tra le declinanti classi feudali spinte
dalla necessità di conquistare nuove terre e la borghesia mercantile e
marittima di Genova, di Venezia, di Amalfi e di Pisa. Le conquiste
degli eserciti crociati guidati dalla predicazione dei missionari
riformatori, non furono però tanto importanti nei loro aspetti religiosi e
politici, quanto piuttosto per gli effetti sulla vita economica e intellettuale
dell'Europa occidentale. Ché se l’innata debolezza degli stati crociati fece
fallire il tentativo di colonizzazione feudale delle terre siriache e
palestinesi, gli stabilimenti commerciali creati dai genovesi e dai
veneziani, sopravvissero anche alla caduta del Regno di Gerusalemme,
permettendo la formazione di stabili rapporti commerciali con i grandi mercati
asiatici ed un'eccezionale ripresa dell’attività mercantile nel bacino
mediterraneo. Ai rapporti economici seguirono poi, naturalmente, anche più
stretti rapporti intellettuali con la civiltà islamica, molto piti avanzata
dell’Europa occidentale nel campo degli studi scientifici e del progresso
tecnico. Proprio il diretto contatto con i maggiori centri culturali
dell’Impero arabo permise che circolassero rapidamente anche in
Occidente, dottrine, idee e conoscenze scientifiche e tecniche
particolarmente necessarie per una società a base urbana e
mercantile. All’acquisizione di questa cultura di carattere molto
diverso da quella che aveva dominato le scuole occidentali dall’epoca
della riforma carolingia, contribuirono in larga misura sia la conquista normanna
della Sicilia che pose a disposizione dei dotti occidentali un gran
numero di testi arabi, sia la reconquista cristiana dei territori musulmani di
Spagna ove sorgevano fiorenti istituzioni culturali e si era affermata
una grande tradizione di studi filosofici e scientifici. La presenza, a
Palermo come a Toledo, di un ceto di dotti arabi ed ebrei, rese più
rapida e pit facile l’acquisizione da parte della cultura occidentale di quei
testi ai quali era affidata tanta parte della tradizione filosofica greca
e della scienza ellenistica ed araba. Ma, nello stesso tempo, divennero
anche pit stretti i rapporti con la tradizione teologica e filosofica
greco-bizantina, le cui opere e dottrine più significative furono ripresentate
nelle scuole occidentali dalle traduzioni di Burgundio Pisano, di Leone
Toscano, Ugo Eteriano, Giacomo da Venezia, ecc., tutti presenti ed operanti in
Costantinopoli. Questo vigoroso sviluppo economico e intellettuale
che è comune a gran parte dell'Europa occidentale, non fu naturalmente
privo di conseguenze anche nei confronti delle istituzioni politiche e
religiose. Già si è accennato alla nascita delle forme di organizzazione comunale
ed alla ascesa di quei ceti commerciali e artigiani che dominano adesso
la vita dei centri urbani, ma con questa evoluzione politica s’intreccia
spesso lo svolgimento di nuovi movimenti e tendenze riCaratteri, tendenze ed
ambiente storico della cultura del XII secolo formatrici, più
radicali di quelle che avevano caratterizzato la vita religiosa dell’XI secolo.
In una società che non conosceva altra forma di espressione ideologica
che non fosse quella religiosa, le esigenze e le polemiche riformatrici
sottintendono infatti, assai spesso, una prima, oscura coscienza di
interessi squisitamente politici. E l’esigenza di un profondo rinnovamento
delle istituzioni ecclesiastiche, che la riforma gregoriana non è
riuscita a realizzare compiutamente, muove adesso nuove forze monastiche
e laiche che esprimono ideali e speranze non solo proprie di una
limitata élite ecclesiastica, ma di grandi masse di artigiani, mercanti e
popolani. Cosî, la decadenza dei monasteri cluniacensi, che a causa delle
grandi ricchezze accumulate si distinguono ormai solo per la rilassatezza dei
costumi e la povertà della vita religiosa, provoca la reazione dei nuovi ordini
riformatori dei Certosini, dei Premonstratensi e dei Cistercensi, che richiamano
monaci e fedeli al rigore della pratica ascetica, respingendo ogni
compromissione mondana per salvaguardare l’intimità e la segreta purezza
dell’esperienza mistica. Ma la riforma monastica, chiusa nei limiti
dell’ascetismo claustrale, non può più esprimere il moto di rivolta che matura
negli ambienti cittadini, tra le continue lotte di consorterie e di
classi e attraverso la lotta contro gli ultimi residui della feudalità
ecclesiastica e laica. Ed ecco nascere movimenti religiosi di schietto
carattere cittadino e spesso popolare, i cui aderenti sono quasi sempre
mercanti, artigiani o addirittura contadini che esprimono in forma
religiosa e spirituale le loro esigenze politiche ed economiche e tendono
a configurare liberamente il loro rapporto con la gerarchia e le
istituzioni ecclesiastiche. In un prossimo capitolo esamineremo in
modo pit particolareggiato le dottrine ereticali che si diffusero nel corso
dell’XI e XII secolo in tutte le regioni dell’Europa occidentale come
espressione di una profonda crisi politica e ideologica. Ma non sarebbe
possibile intendere compiutamente anche la grande fioritura filosofica e
teologica del XII secolo, se non si ricordasse che la presenza dei
movimenti ereticali (dalle comunità catare alla chiesa valdese ed altre
correnti riformatrici e ribelli) costituisce una componente storica di grande
importanza, i cui riflessi sono spesso facilmente avvertibili anche nella
più vasta letteratura teologale, e che costituisce, comunque, un costante
termine di riferimento per l’atteggiamento ufficiale della gerarchia
ecclesiastica di fronte alle varie correnti filosofiche e speculative. Alla
polemica ereticale la gerarchia ecclesiastica risponde infatti con i
mezzi coercitivi che le sono assicurati dalla sua stretta connessione col
potere civile ma, al tempo stesso, preparando nuove generazioni di teologi e
predicatori abituati ad un metodo di discussione e di esposizione della
dottrina ortodossa, ben più organico e sistematico di quello in uso nelle
scuole ecclesiastiche. I missionari che armati delle prime summae
percorrono le città e le campagne della Francia meridionale, centro dell’eresia
catara e valdese; i maestri che nell'ambito delle nuove istituzioni cittadine
preparano gli strumenti logici e i testi necessari alla formazione di un clero
pi colto e più dotto, sono appunto i primi artefici di un imponente
processo di riforma della teologia. Ma la loro attività non si limita
alla lotta contro l’eresia, ma assai spesso è rivolta a controbattere le
dottrine politiche che i sostenitori delle monarchie nazionali e
dell’Impero contrappongono alle tesi teocratiche di Gregorio VII. Ciò
implica naturalmente una sempre maggiore penetrazione di metodi e
dottrine filosofiche nell’ambito degli studi teologici, una costante
attenzione per i nuovi e vecchi strumenti della logica aristotelica di
cui ora si possiede, del resto, una conoscenza assai più ampia e precisa.
Non solo: insieme alla dialettica ed alla logica entra a far parte
della natura ecclesiastica anche una solida formazione giuridica,
necessaria per affrontare le polemiche teologico-politiche e per dare una
definita consistenza all'ordinamento interno della Chiesa minacciata
dalla crescente fioritura dei movimenti riformatori ed ereticali. È
chiaro che questa trasformazione della cultura ecclesiastica comporta però
anche un mutamento sostanziale nelle istituzioni che fino ad ora avevano
provveduto alla formazione del clero e delle sue gerarchie. Lo sviluppo della
vita cittadina, e l’importanza acquisita dai centri urbani dell’Italia e
della Francia, aveva tolto alle scuole monastiche il tradizionale monopolio
dell’attività intellettuale, mentre si era invece accresciuta l’influenza
delle scuole vescovili e capitolari poste quasi sempre nelle città e
direttamente influenzate dal nuovo ambiente sociale, politico e religioso. Già
fin dal X secolo il clero dell* cattedrali era stato infatti sottoposto a
un regime di vita comune di tipo monastico, soggetto ad una particolare
regola o canone (donde appunto il nome di canonici); più tardi sotto
l’impulso delle correnti riformatrici e della crisi della feudalità
ecclesiastica, i canonici avevano ottenuto il diritto di eleggere i vescovi e
di organizzarsi in capitoli con gerarchie interne e con l’attribuzione di
cariche ben definite, come quella dello scholasticus incaricato di
dirigere le scuole annesse alle cattedrali. L'evoluzione del clero era
poi continuata su queste linee, ed alla metà dell’XI secolo i capitoli
avevano ormai l'aspetto di comunità monastiche, con caratteri distinti e
differenziali nei confronti degli ordini abbaziali, e una particolare
specializzazione di carattere giuridico e teologico. È quindi ben
comprensibile che l’accesso ai titoli canonicali venisse riservato ai
chierici, dotti nel diritto canonico e nelle scienze teologiche, che
fossero capaci di coadiuvare il vescovo nell’amministrazione delle
diocesi, e nel corso delle frequenti contese civili e religiose con le autorità
laiche e la curia romana, e nelle lotte contro la diffusione delle dottrine
ereticali. La presenza di questi elementi dotti che spesso esercitavano al tempo stesso
funzioni curiali ed ecclesiastiche favori poi la formazione nelle maggiori
sedi vescovili di veri e propri centri di vita intellettuale, dotati di grandi
biblioteche, e di adeguati organismi scolastici. Ed è appunto
nell’ambiente delle scuole cattedrali che fiori una ricca cultura filosofica e
letteraria, caratterizzata insieme da un notevole sviluppo degli studi
giuridici, da una lunga pratica delle “arti sermocinali (grammatica, dialettica
e retorica), e da un grande impulso alla riflessione teologica ed alla
conoscenza filosofica e scientifica. Lo sviluppo delle scuole
cattedrali cittadine è un fenomeno che interessa già buona parte dell’XI
secolo, ma i suoi frutti matureranno nel secolo successivo in
concomitanza con una generale rinascita culturale che non interessa però
soltanto il campo degli studi filosofici e teologici, bensi tutti gli
aspetti della vita intellettuale, dalla letteratura alla medicina, dal diritto
alle scienze astronomiche e mediche. Il cosiddetto “rinascimento del XII
secolo che taluni storici hanno
voluto porre unilateralmente sotto il segno di un ambiguo umanesimo di
tono letterario e devoto ebbe anzi
all’inizio un carattere giuridico e scientifico e diede comunque i suoi
primi frutti nel campo di questi studi e non in quello letterario o
filosofico. Anche gli ambienti in cui fu più fervido l’amore per le
“lettere antiche e più viva l’imitazione e la venerazione dei poeti e dei
filosofi classici, furono spesso ervasi da un uguale entusiasmo per
le nuove cognizioni scientifiche che si diffondevano in Occidente
attraverso il tramite prezioso degli interpreti arabi. Né si comprende, ad
esempio, il significato e la funzione storica dell’“umanesimo di
Chartres, se si dimentica che quei raffinati maestri, cosî amanti degli studia
litteraria e dei grandi miti platonici, sono acuti interpreti del Timeo
“fisico, lettori di Calcidio e di Macrobio, e ricercano con grande
curiosità e interesse i testi di carattere astrologico, medico e
addirittura magico. Del resto, il notevole progresso compiuto, già
alla fine dell'XI secolo, dal sapere giuridico e medico-scientifico, è
particolarmente visibile per chi studi l’ambiente intellettuale delle città
italiane dove le nascenti istituzioni comunali favoriscono naturalmente
il costituirsi di un tipo di scuola svincolato dall'ambito ecclesiastico
e caratterizzato dalla sua natura laicale. Proprio negli ultimi anni
dell'XI secolo, Afflacio, Nicola e Bartolomeo di Salerno compongono i primi
trattati di anatomia e di terapia; mentre a Bologna, tra gli ultimi anni
del secolo e l’inizio del XII, sorgono quelle scuole di giurisprudenza
che avranno tanto peso anche sugli sviluppi della riflessione politica,
e contribuiranno, fin dalla loro origine, alla formazione di un
nuovo metodo di interpretazione e di analisi dei testi del Corpus juris.
Questi studi giuridici i cui metodi
influiranno non poco anche sull'evoluzione parallela degli studi teologici e
filosofici ebbero in primo luogo
il grande merito storico di restaurare in Occidente una tradizione
giuridica, come quella romana, particolarmente consona alle nuove istituzioni
sociali e politiche delle città comunali e delle nascenti monarchie nazionali.
Però la loro metodologia e i principi cui erano ispirati influenzarono
profondamente anche l’ordinamento interno della Chiesa, che proprio agli inizi
del XII secolo dopo i primi
tentativi di raccolte canoniche di Burchardo di Worms, Deusdedit e Ivo di
Chartres definisce il proprio diritto autonomo, sancito
nel 1139 dal cosiddetto Decretum di Graziano. La fioritura di una vasta
letteratura “canonistica che riprende gli stessi metodi esegetici delle
scuole giuridiche laiche contribuisce poi, naturalmente, alla trasformazione
della cultura delle scuole ecclesiastiche, sempre più permeata da atteggiamenti
e motivi “profani e da nozioni tecniche di squisito carattere
grammaticale e logico. Adottando il metodo di esposizione dialettica, tipico
delle scuole giuridiche laiche, anche i canonisti debbono acquistare e
sviluppare una problematica concettuale, fondata sui testi aristotelici,
e, certo, ancor più avanzata di quella già affrontata da Anselmo di
Besate e dallo stesso Berengario. Allo sviluppo degli studi
giuridici e di quelli medici, sollecitati dal crescente afflusso di testi
greco-arabi, corrisponde quindi assai presto anche la tendenza della
speculazione teologica a organizzarsi definitivamente secondo metodi
espositivi e critici non molto lontani da quelli invalsi
nell’insegnamento giuridico e, quindi, un crescente uso delle tecniche
razionali applicate, spesso, con una precisa consapevolezza delle loro
implicazioni speculative. Non solo; ma la discussione dei più grandi temi
teologici implica subito anche la trattazione delle dottrine
schiettamente filosofiche che hanno una stretta attinenza con tali argomenti,
e, quindi, una più chiara coscienza dei gravi problemi che sorgono dal
rapporto tra teologia e filosofia, o, per meglio dire, tra l'accettazione di
una serie di postulati dogmatici e una analisi della realtà condotta
sulla linea della filosofia classica, rappresentata soprattutto dalle sue
componenti platoniche. La cultura delle più importanti scuole cattedrali che sono i centri principali della
rinascita filosofica è, non a caso,
caratterizzata da una larga familiarità con quei testi cui è affidata in Occidente
la sopravvivenza della tradizione platonica e neoplatonica, nonché dalla
conoscenza sempre più vasta e approfondita dell’Organon aristotelico. Ma
accanto a questi documenti di schietto carattere filosofico, gli scolastici
di Chartres o di Parigi pongono anche le grandi reliquie letterarie della
civiltà romana, ammirano la castità dei puri modelli ciceroniani e si
sforzano di imitare quella forma di eleganza e di stile che è fissata
dalla tradizione retorica classica. Lettori nostalgici di Virgilio
e di Stazio, di Ovidio e di Lucano, ammiratori di Seneca e di Cicerone,
essi difendono contro i rigidi riformatori certosini il valore di una
formazione letteraria ed umanistica che perfeziona e porta alla sua
massima fioritura i caratteri più validi della cultura di origine
carolingia. Ma il loro amore per gli exempla degli antichi, il loro
entusiasmo per l’eloquentia, anzi il miele soavissimo, che sgorga dalle pagine
di Cicerone o di Seneca, o per la poesia di Ovidio, è certo cosa ben più
seria e profonda che la fredda imitazione di modelli retorici o la
ripetizione di vecchi moduli letterari mai dimenticati dalla cultura scolastica
occidentale. I chierici del XII secolo che vivono nell’ambiente
fecondo e vitale della città, a contatto con il corso tumultuoso degli eventi
politici, delle passioni di parte e delle contese ecclesiastiche e
sociali, ritrovano infatti in quegli scrittori esempi e forme di umanità
che sembrano esattamente celate nelle vicende di una società e di una
cultura pur cosi lontana e diversa. Ecco perché uno scolastico come Bernardo di Chartres può porre a fondamento di tutti gli studi
la lettura e lo studio devoto degli antichi che non minaccia o
contamina affatto la purezza della fede; ed ecco perché in tutti gli
ambienti di alta cultura, da Parigi a Chartres, da Orléans a Reims, la
ricerca teologica e filosofica si accompagna cosf spesso all’insistente
richiamo alla lezione dei classici, esaltata talvolta con accenti cosi
eloquenti da indurre taluni studiosi a supporre addirittura una ipotetica
continuità storica tra la cultura del XII secolo e l’umanesimo
rinascimentale. Non è questa l’occasione per discutere l’ipotesi
filosofico-storiografica di un’unica tradizione umanistica che dall’età
carolingia e dal rinascimento del XII secolo si spingerebbe fino
all’umanesimo cristiano del Quattrocento, interrotta, ma non spenta, da secoli
di barbarie ritornata e dalla deviazione scientifica e arabizzante
del XIII secolo. Né si può, tanto meno, illustrare le complesse
componenti ideologiche e confessionali che hanno ispirato questo
atteggiamento cosf poco rispettoso della verità oggettiva dei processi
storici. Ma neppure l’alto grado di gusto letterario e di spirito umanistico,
che riconosciamo nei versi di Ildeberto di Lavardin, o nella
spregiudicata coerenza etica delle lettere di Abelardo e di Eloisa, può
ingannare sull’effettivo carattere di una cultura che rimane pur sempre
nell’ambito della vita e della tradizione medioevale; ed alla quale manca proprio
quella essenziale componente storica e critica che sarà tipica dell’umanesimo
quattrocentesco. Che i dotti del XII secolo conoscano perfettamente
i grandi scrittori latini e li leggano con assiduità ed amore; che uomini come
Guglielmo di Conches, Abelardo e Giovanni di Salisbury, abbiano interessi
filosofici e atteggiamenti dottrinali di cui stupisce la libera spregiudicatezza,
sono verità indubbie ormai ben accertate dalla comune esperienza degli
studiosi. E certamente, chi pensi alla eccezionale fioritura letteraria del XII
secolo, che ha in Francia la sua più alta espressione, non può negare la
presenza di una vocazione classica che ispira tanto i Romans che i
Fabliaux o i grandi poemi didascalici, quanto le grandi cosmologie chartriane.
Eppure, quando si approfondisce bene il significato dello stretto
rapporto che sembra unire taluni ambienti o personalità di questa cultura
alle loro fonti antiche e, in generale, al mondo classico, non è
difficile intendere che la classicità del XII secolo è in sostanza un
prolungamento o addirittura il raffinato esaurimento della civiltà antica. E il
classicismo dei letterati o dei poeti del XII secolo ci appare piuttosto
come la nostalgia di un passato di cui si avverte il fatale decadimento
piuttosto che l’inizio di un nuovo modo di sentire e di vivere.
Ciò non toglie, naturalmente, che la cultura di questo secolo segni
un grande e fecondo progresso nei confronti dei secoli precedenti, e
rappresenti il frutto di una società in movimento, che muove verso una
crescente espansione economica e civile. Questo carattere è del resto
confermato, forse, più che dalla rinascita letteraria e poetica del
secolo, dal forte interesse per tutte le nuove forme di sapere, cosi vivo
in tutti gli ambienti più avanzati intellettualmente. L'eleganza
letteraria, la formazione umanistica e la dottrina teologale non contrastano,
in molti pensatori del tempo, con un vivace spirito naturalistico che si nutre
spesso degli apporti decisivi delle scienze grecoarabe rientrate adesso nel
circolo della cultura occidentale. I maestri di Chartres, educati dal
gusto raffinato di un insigne grammatico come Bernardo, non esitano infatti a
dare al loro platonismo un’impronta schiettamente cosmologica e inserire nel
loro contesto dottrinale le novità filosofiche che vengono dai centri della
Spagna o della Sicilia ove si traducono i testi arabi. È certo significativo
che numerosi testi scientifici e filosofici tradotti in latino siano subito
largamente usati nelle scuole francesi più importanti e assorbiti
nell’ambito di una cultura che si fonda tuttavia sulle costanti della
tradizione platonica e della riflessione agostiniana. La fortuna delle
traduzioni di Adelardo di Bath (che, venuto a contatto con la cultura
araba attraverso l’Italia meridionale e la Sicilia, fa conoscere in
Occidente numerosi testi arabi di astronomia, di ottica, di aritmetica e
di trigonometria) e di Ermanno il Dalmatico, autore tra l’altro della
versione del Plarisfero di Tolomeo; la rapida diffusione delle versioni
affrontate dalle scuole di Toledo negli ultimi decenni del secolo, offrono una
precisa testimonianza degli interessi e delle tendenze che cominciano già
a profilarsi nell’ambiente scolastico e del nuovo corso che viene assumendo lo
svolgimento del pensiero medioevale. L’importanza che ebbero le
varie scuole e il loro rapporto con i successivi sviluppi della cultura
medioevale saranno esaminati particolarmente nelle pagine seguenti. Ma, per
meglio definire e limitare il carattere della rinascita del XII secolo,
sarà bene osservare che essa ebbe il suo centro in un’area geografica ben
delimitata che comprende principalmente le città dell’Italia settentrionale, le
città del centro e dell’ovest della Francia, alcune sedi episcopali
inglesi e spagnole e la corte normanna in Sicilia. Però, lo sviluppo della vita
intellettuale fu diverso secondo i vari ambienti; se la cultura delle
città italiane fu eminentemente giuridica e medica, le scuole cattedrali
di Chartres e di Orléans furono invece i centri della rinascita
letteraria e filosofica, Reims e Laon ebbero piuttosto una solida
tradizione scientifica, mentre le scuole parigine assunsero fin dall’inizio una
precisa caratterizzazione teologico-filosofica. Alla testa di
questo movimento sono poi (e con la sola eccezione delle scuole
giuridiche e mediche) ancora uomini di chiesa, formatisi nelle scuole
cattedrali e spesso, a loro volta, maestri e cancellieri di queste stesse
istituzioni. Non a caso, alcuni tra i più interessanti scrittori del XII secolo
sono dei vescovi, come Ildeberto di Lavardin (scolastico di Tours), Gilberto de
la Porrée (maestro a Poitiers), Pietro Lombardo (uno degli iniziatori
della tradizione scolastica parigina) e Giovanni di Salisbury (vescovo
della stessa sede di Chartres ove si era formato), oppure dei canonisti
come Ugo di Orléans, mentre altri provengono direttamente dalle scuole
cattedrali francesi come Roberto di Melun, Guglielmo di Conches e
Bernardo Silvestre. Né è diversa la situazione in Inghilterra, ove le
muove esperienze intellettuali si svolgeranno appunto nella maggiore sede
vescovile, a Canterbury. Qui avrà la sua prima formazione uno squisito
letterato e acuto filosofo come Giovanni di Salisbury. Qui un gruppo di
giuristi e canonisti di origine italiana darà un impulso eccezionale agli
studi giuridici. E sempre a Canterbury Tomaso Becket, arcivescovo e
cancelliere d’Inghilterra, curerà la formazione di una dotta élite
ecclesiastica, parimenti educata alla dottrina teologica ed alla pratica delle
arti liberali. Ben presto anche le città spagnole riconquistate ai
mussulmani, vedranno sorgere e prosperare scuole cattedrali non
dissimili da quelle francesi e inglesi che, soprattutto a Barcellona
c a Toledo, saranno il tramite diretto tra la cultura latina
dell'Occidente e la grande esperienza della civiltà classica. Proprio il
vescovo di Toledo, Raimondo, provvederà infatti a istituire quel collegio
di traduttori donde usciranno tra la fine del XII e gli inizi del XIII secolo
le fortunate versioni di tanti testi arabi ed ebraici. Queste
scuole e istituzioni ecclesiastiche, di cui abbiamo parlato,
eserciteranno, dunque, una funzione dominante nella cosiddetta rinascita del
XII secolo. Ma accanto ad esse, e spesso anzi in potenziale concorrenza,
si sviluppano altri centri di attività intellettualé posti sotto il
patrocinio di sovrani e di altre autorità laiche. Già abbiamo accennato
alle scuole giuridiche e mediche italiane di carattere laico che. godono o
della protezione dell’Imperatore, o dei Comuni, o dei sovrani normanni di
Sicilia. Anche le corti francese e anglonormanna, che tendono però già a
trasformarsi in organismi politici e am120 C..ratteri, tendenze ed
ambiente storico della cultura del XH secolo ministrativi,
attraggono spesso intellettuali ecclesiastici e laici, assurti talvolta
ad alte funzioni; e lo stesso accade anche nelle brillanti corti della
Francia meridionale, dei Pirenei francesi e dell’Aquitania, o nella corte
di Palermo, che gareggia con le scuole episcopali spagnole nella rapida
assimilazione della cultura araba e bizantina. Proprio a Palermo, durante
il felice regno di Ruggero II, l’incontro tra gli influssi arabi e
bizantini e i motivi tradizionali della cultura filosofica occidentale e
della tradizione medica meridionale sarà anzi particolarmente fecondo.
Scienziati arabi, come al-Idrisi, il maggiore geografo mussulmano, vivono
alla corte del sovrano normanno, insieme a traduttori e studiosi di dottrine
filosofiche come il vescovo Enrico Aristippo di Catania (autore delle
notissime traduzioni del Fedone e del Menone [t 1162]) e l'ammiraglio Eugenio
di Palermo, o a dotti medici e astrologhi attratti dalle munificenze del
sovrano normanno. Alla fine del secolo, la cultura della corte siciliana sarà
certo tra le pifi avanzate e moderne di tutt'Europa; pochi decenni dopo,
durante il regno di Federico II, la magna curia palermitana costituirà un
grande centro di attrazione per i dotti di ogni parte di Europa, e avrà
parte notevolissima nella diffusione dell’opera di Averroè e di altri
grandi maestri mussulmani. La crescente influenza di vari centri
intellettuali ecclesiastici e laici, la raffinatezza e la civile misura
delle principali corti vescovili o signorili, cosî contrastanti con la
povertà e la rozzezza del X secolo o della prima metà dell’XI, non
costituiscono però un fenomeno isolato o caratteristico soltanto di alcuni
ambienti di particolare prestigio religioso o civile. L'incremento
costante dell’attività economica, la minore incidenza delle antiche
barriere geografiche e politiche sugli scambi e sui rapporti umani,
favoriscono infatti una più rapida circolazione delle idee e più feconde
relazioni tra le diverse regioni dell'Europa occidentale. Lungo i
grandi itinerari commerciali continuamente battuti dai mercanti, lungo le
strade percorse dai pellegrini che accorrono ai grandi santuari di Francia e di
Spagna o a venerare la tomba di S. Pietro, fluisce anche il rapido corso
delle nuove dottrine che raggiunge spesso, con impressionante rapidità,
anche gli ambienti più lontani e diversi. Come viaggiano mercanti e
pellegrini, che riportano in patria l’ammirato ricordo delle città e delle
scuole ove è più viva l’attività intellettuale, cosî si muovono anche i maestri
e gli uomini di cultura spesso presenti, a breve distanza di tempo, nei
maggiori centri scolastici della Francia, dell’Inghilterra e dell’Italia;
e con loro circolano i codici copiati da abili scrivani che giungono anche.
nelle pit lontane contrade dell’Europa e si diffondono ovunque è vivo
l’interesse per le nuove esperienze intellettuali. Rompendo l’isolamento
in cui era caduta nel lungo periodo dell’anarchia feudale, la società
medioevale si avvia cosi a ricostruire un solido tessuto di istituzioni e
organismi di cultura, ancora dominato dall’egemonia della Chiesa, ma già
aperto a nuove prospettive filosofiche e scientifiche. Nel rapido fiorire
della civiltà comunale, mentre sorgono le grandi cattedrali romaniche
di Francia, delle Fiandre e d’Italia, i broletti cittadini e gli Studia,
anche la vita intellettuale partecipa del nuovo corso storico e collabora
ad immettere nella rinascente civiltà europea forze ed energie rimaste
finora soffocate dalle rigide strutture feudali. Tra i centri di studi
filosofici, già fioriti nella prima metà dell’XI secolo, il più
interessante e fecondo fu indubbiamente la scuola cattedrale di Chartres,
vicina a Parigi. La sua fama risaliva già al tempo del vescovo Fulberto
che vi aveva insegnato tra la fine del X e l’inizio dell’XI secolo, e che
non solo aveva dato grande impulso allo studio delle arti del trivio,
ma anche alla pratica del quadrivio studiato sulla scorta delle traduzioni
di Costantino Africano. Più tardi, durante l’episcopato di Ivo, il
prestigio della scuola era stato accresciuto dall’autorità e dalla dottrina di
questo vescovo; ma il predominio di Chartres nella cultura teologica e
filosofica della prima metà del secolo fu stabilito dall’eccezionale
personalità del bretone Bernardo, cancelliere della cattedrale, che
v'insegnò. Il fatto che non possediamo delle opere di sicura attribuzione
rende certo difficile un esatto apprezzamento dei suoi metodi pedagogici
e della sua formazione culturale; ma Giovanni di Salisbury che lo considerava Ia
pit ricca fonte di cultura letteraria dei nostri tempi ci ha lasciato
una descrizione quanto mai eloquente della personalità di Bernardo e della
sua particolare professione scolastica. Professore di retorica, ispirato dalla
tradizione di Cicerone e di Quintiliano, egli insegnava a Chartres le
figure grammaticali, i colori retorici, i cavilli dialettici, e, insieme,
esaltava le bellezze e l'ordine del discorso che derivano o dalla proprietà
(che si dà quando l’aggettivo o il verbu sono uniti elegantemente al
sostantivo) o dalle metafore per cui una parola può essere traslata ad un
altro significato. Questo insegnamento uma: nistico e letterario non era
però condotto da Bernardo in modo pedante e frusto: ché anzi egli formava il
gusto degli scolari presentando l'esempio dei poeti e degli oratori
classici; incitandoli a leggere e meditare le pagine pit esemplari
dell’antichità. Tuttavia la sua ammirazione per gli antichi non disconosceva
neppure il valore dei moderni che hanno il privilegio di conoscere piu
cose e pid lontane, proprio perché, come nani assisi sulle spalle dei
giganti, possono valersi sia delle loro nuove esperienze che
dell’insegnamento degli antichi. Platonico in filosofia anche se è certo che conoscesse ben poco
della genuina tradizione platonica Bernardo accettava i temi tradi- zionali
del Timeo e del commento di Calcidio; e cosf distingueva nettamente la
materia (Ayle) dall'idea che considerava come coincidente assolutamente
con l’essere. La materia era quindi per lui un elemento secondario,
creato da-Dio per imprimervi il suggello delle proprie idee eterne, e
pertanto assolutamente non coevo all’eternità divina. Di conseguenza
Bernardo distingueva anche le idee presenti nella mente di Dio come pure
forme, dalle idee presenti nelle cose e immanenti alla materia come
riflesso e ombre della suprema verità. Queste idee erano solo
l’intermediario tra Dio e il mondo, tra la perfezione della ragione
eterna e la confusa molteplicità della natura contingente e mortale. Il platonismo
di Bernardo, probabilmente ancora assai sommario e generico, fondato su
dottrine e idee già espresse con ben maggiore vigore dallo Scoto Eriugena,
influenzò tutto lo svolgimento della scuola che mantenne sempre nei suoi
maggiori esponenti la linea umanistica e platonica. Ma nell’insegnamento di
Bernardo questa posizione filosofica era però connessa allo studio della
dialettica e della grammatica, due discipline che avevano in comune il
problema del significato del nome e del verbo e della natura della
posizione. Ora sebbene fosse lontano dal considerare la grammatica come
un semplice ramo della logica e s’ispirasse piuttosto alla distinzione
posta da Quintiliano tra grammatica e dialettica, Bernardo non esitava ad
attribuire un significato filosofico anche alle questioni grammaticali. Da buon
lettore di Macrobio e di Boezio aderiva ad una concezione strettamente
platonica dei termini di specie e di genere, considerati come pure idee,
mentre affermava che la natura degli individui non merita, neppure
grammaticalmente, di essere designata da nomi sostantivi. Perciò, nel
trattare, sulle tracce di Prisciano, il problema squisitamente grammaticale
della derivazione dei vari nomi da una radice comune, Bernardo affermava
che tutti i derivati significano in primo luogo ciò che significa la loro
radice, sia pure sotto relazioni e accidenti diversi. Sicché il rapporto
tra il nome primitivo e il derivato si risolveva in una specie di
partecipazione ideale sostanzialmente analoga a quella posta dai
platonici tra le idee e le loro determinazioni individuali, Il maestro che
continuò l'insegnamento di Bernardo succedendogli nel cancellierato fu Gilberto
de la Porrée (1076-1154) che, più tardi, passò alla scuola di Parigi influendo
largamente sul suo sviluppo. Difensore anch’egli dell'importanza formativa
degli studi letterari, contro la polemica dei riformatori certosini
ostili alla diffusione del sapere profano, Gilberto fu uno dei suoi maggiori
promotori della cultura filosofica della prima metà del secolo. E fu per suo
merito che il platonismo ancora generico di Bernardo di Chartres si trasformò
in una coerente dottrina gnoseologica e metafisica. La sua opera filosofica e
teologica consiste principalmente in alcuni importanti commenti agli scritti
teologici di Boezio ma il suo nome fu legato per tutto il Medioevo all’eccezionale
fortuna di un breve commento delle Categorie di Aristotele, il Lider sex
principiorum, che fu iscritto nel programma della Facoltà delle arti e studiato
insieme ai testi di Aristotele, di Boezio e di Porfirio. Questo scritto che con ogni probabilità non è opera di
Gilberto è comunque un documento tra i
più interessanti del pensiero logico del XII secolo e, in particolare, delle
tendenze platoniche che esprime con notevole chiarezza. Muovendo dalla
distinzione delle categorie stabilite da Aristotele, l’autore del Liber
le divide in due gruppi, l’uno comprendente la sostanza e la qualità, la
quantità e la relazione che sono i suoi necessari attributi, e l’altro
comprendente invece le ultime sei categorie (luogo, tempo, situazione,
possesso, azione, passione), e mentre attribuisce alle categorie del primo
gruppo la funzione di forme inerenti considera le altre come semplici forme
assistenti o accessorie. Ora è chiaro che tale distinzione stabilisce in
realtà una vera e propria gerarchia metafisica delle categorie che
muovendo dal supremo predicamento della sostanza e dalle altre categorie
ad essa inerenti discende poi di grado in grado per concludersi con la
categoria più intrinseca alla sostanza. Ma è appunto in funzione di
questo ordinamento che il Liber può risolvere in senso perfettamente
platonico e realistico la dottrina aristotelica delle categorie, concepite
adesso non tanto come distinzioni logiche, naturalmente distinte ma equivalenti
in quanto termini della predicazione, quanto piuttosto come entità
metafisiche corrispondenti alla struttura ideale dell’Essere. Non
deve quindi meravigliare che il platonismo del Liber avesse delle dirette
incidenze anche nell’ambito della riflessione teologica; ed è stato
giustamente rilevato che l’inclusione della categoria della relazione tra le
forme inerenti alimentò una lunga discussione sul significato metafisico di
questo concetto sempre connessa al problema teologico del rapporto tra le
persone trinitarie. Se il Liber non è certamente opera di Gilberto, i suoi
commenti agli opuscoli teologici di Boezio bastano però ad assicurargli
un posto di primo piano tra i maestri di Chartres. In questi scritti
Gilberto pone infatti una netta distinzione tra la sostanza intesa come
l’individuo esistente in atto con le sue qualità peculiari, e la sussistenza
che è invece la proprietà o essenza universale considerata in sé, indipendentemente
dagli accidenti; sicché ogni individuo risulta dall’unione della propria
sussistenza, senza la quale non potrebbe mai essere se stesso, con quegli
accidenti che gli assicurano la propria determinata concretezza. Mentre i
generi e le specie sono pure sussistenze, prive come tali di una realtà
sostanziale e di determinazioni accidentali, gli individui sono pertanto dei
composti la cui sostanza deve necessariamente sottostare (sub-stare) a un
certo numero di accidenti. Una tale concezione implica,
naturalmente, che all’origine di ogni realtà siano delle idee o forme
sostanziali pure (substantiae sincerae), archetipi la cui realtà è
indipendente dall’esistenza delle singole cose materiali e sensibili. Però
Gilberto chiarisce subito che queste pure idee non si uniscono direttamente
alla materia per creare gli individui, ma che da esse derivano delle forme
distinte e separate le quali sono semplicemente copie (exempla) delle idee
divine. Tali forme nativae unendosi alla materia danno appuato
luogo alle sostanze individuali; considerate in se stesse, nella loro
conformità all’idea divina sono invece principi universali e
costituiscono il fondamento dell’unità delle specie e dei generi. Per questo la
mente umana può giungere a comprendere per astrazione quelle forme
nazivae che sono presenti ed unite intrinsecamente agli accidenti nei
singoli individui; il movimento del pensiero dal particolare
all’universale consiste appunto nel considerare la forma nell’individuo, nel
confrontarla con le altre che le sono simili, nel raccoglierle in un unico
gruppo o collectio e nel giungere, cosi, alla comprensione delle pure sussistenze
(le specie). Naturalmente questo processo compiuto all’interno della specie può
essere ripetuto per risalire dalle varie specie al genere comune e di qui
alla visione dei modelli ideali che esistono eternamente nella mente
divina. Che una simile dottrina rappresenti il trionfo del pit
classico realismo platonico è cosa evidente. Ma Gilberto accentua ancor
pit questo carattere della sua filosofia quando affronta il problema del
rapporto tra Dio e le creature che già lo stesso Boezio aveva definito in
La scuola di Chartres un senso schiettamente platonico. Il
maestro di Chartres respinge infatti la spiegazione tradizionale che faceva
direttamente dipendere da Dio l’esistenza e la realtà di tutti gli esseri
creati, per porre tra Dio e le cose concrete e individuali gli
intermediari metafisici delle forme o essenze. Ciò per cui esiste ogni
singolo individuo corporeo è l’essenza universale della corporeità, cosi come
la ragione immediata d’esistere di ogni uomo è data dalla sua comune Aumanitas:
il che significa, secondo i termini boeziani ripresi da Gilberto, che
ogni realtà individuale è determinata ad essere ciò che è (14 quod est) da quel
principio universale (gwo est) per cui essa possizde la propria
realtà. La funzione determinante di questo principio nella
costituzione dell’essere è quindi tale che si può ben dire che il quo est
è l’essere (esse) stesso di ciò che esiste; ed anzi la verità di questa
tesi è dimostrata dalla stessa natura dell’essere divino assolutamente semplice
in cui l’id quod est e il quo est coincidono necessariamente. Negli
altri individui composti ha luogo invece sempre la composizione dei
due termini e quindi in certo senso una imperfetta e limitata
realizzazione del principio universale. Cosi un individuo non è mai
interamente ciò che è, proprio perché il fatto di essere composto di un
corpo e di un’anima che è la forma, gli impedisce di identificarsi
pienamente con questa stessa forma universale che pure gli attribuisce il
suo essere. La natura radicalmente platonica di questa concezione
non ha certo bisogno di essere sottolineata. Né occorre notare che essa
dà luogo a una dottrina dell’essere per cui Dio, realtà essenziale per eccellenza
(essentia), da cui trae la propria essenza ogni altro essere determinato,
diviene in effetti l’essere e la forma di tutte le creature. La sua
attività creatrice consiste quindi sostanzialmente nel produrre le forme
o esse delle cose particolari ad immagine e somiglianza delle Idee divine
eternamente presenti nella sua mente. E, quindi, questa forma generica o
essenza determina la connessione di una certa materia con la sua forma
particolare, generando cosi l’individualità concreta. In tal modo
l’essenza divina sembra comunicarsi di grado in grado alle altre creature
alle quali conferisce l’essere mediante la loro propria essenza generica;
mentre d’altra parte, i singoli individui costituiti nell’essere dall’essenza o
forma che li fa esistere giungono tutti a partecipare dell’essere (o
generalissima subsistentia) attraverso una trama di essenze e di forme
(com: ad esempio la corporeità e umanità) il cui fondamento riposa in
ultima analisi sulla perfezione immutabile dell’essere divino.
Questa meditazione sull’essere di schietta misura platonica ha poi
naturalmente dei riflessi immediati e diretti anche sulla dottrina teologica
di Gilberto. È vero che egli definisce Dio come una realtà essenziale assoluta,
semplice e indistinguibile in cui la diviritas si identifica con l’essertia. Ma
la fedeltà ai suoi presupposti dottrinali lo induce a ripetere spesso che ciò
che Dio è (id quod est Deus), è Dio a causa del proprio quo est (la
divinitas). Ecco perché Gilberto fu cosi duramente attaccato da Bernardo
di Clairvaux e accusato di sostenere tesi pericolose ed erronee; ma dinanzi
al concilio di Reims egli seppe abilmente difendere la sua dottrina, negando
che la distinzione metafisica tra substantia e subsistentia potesse valere
anche sul piano teologico. Del resto, nonostante le accuse e le polemiche
i temi centrali della sua speculazione, derivati per originale
elaborazione da Boezio, Dionigi, e lo Scoto Eriugena si ritroveranno in
scrittori del XII secolo; si da formare una vera e propria scuola teologica
che, sull’inizio del XIII, s’incontrerà poi facilmente con gli esiti platonici
dell’avicennismo latino (Liber de diversitate naturae et personae;
Sententiae divinitatis, ecc.). Se Gilberto Porrettano indirizza il
platonismo di Chartres verso uno sviluppo schiettamente speculativo e
teologico, ‘Teodorico fratello minore di Bernardo (t 1154 ca.) riprese
invece dall’insegnamento del fratello il culto degli studi letterari e
l’interesse per le arti del quadrivio. Il suo Heptateuchon, prezioso
documento sull’insegnamento e la vita culturale di Chartres, è
un’illuminante testimonianza sulle conoscenze e gli interessi di un
intellettuale del XII secolo che divide la sua attenzione tra la lettura dei
classici e lo studio delle scienze della natura condotte non solo sulle fonti
ormai tradizionali ma anche sui nuovi materiali greci e arabi. Cosi per
l’insegnamento grammaticale Teodorico si giova dei classici manuali di Donato e
di Prisciano, per lo studio della logica ricorre a Boezio ed ai testi
aristotelici (ivi compresi i Primi Analitici, i Topici e gli Elenchi
sofistici) mentre svolge le sue lezioni di retorica sulla scorta di
Cicerone e di Marciano Capella. Ma più interessante è l’elenco degli autori di
cui si serve per l’insegnamento delle arti del quadrivio, elenco che
comprende i nomi di Boezio, di Marciano Capella, di Isidoro, di Columella, di
Gerberto di Aurillac e di Igino, considerati gli autori più accreditati nei
campi dell’aritmetica, della geometria, dell’astronomia e della musica. E non
basta; Teodorico conosce già anche le traduzioni di alcuni testi
astronomici greci ed arabi, come prova, tra l’altro, la dedica a suo nome della
versione del Planispherum di Tolomeo, compiuta dal suo discepolo Ermanno
il Dalmata. Questi interessi scientifici, perfettamente accordati
cogli ideali umanisti dell'ambiente chartriano risultano ancor pit evidenti
nell’altra opera maggiore di Teodorico l’Hexaemeron o De septem diebus et sex
operum distinctione, un commento alla narrazione della Genesi condotto
principalmente sulla linea delle dottrine platoniche del Timeo, ma con
probabile riferimento anche ad altri testi di origine medioevale come il De
compositione mundi dello Pseudo-Beda. Qui, lasciando da parte l’interpretazione
allegorica del testo biblico, Teodorico si propone di svolgere un
commento secundum physicam e ad litteram, cioè d’interpretare in modo
razionale e sulla base delle nozioni fisiche del suo tempo, le cause da cui il
mondo trae l'essere e l'ordine dei tempi in cui fu creato e ordinato.
Perciò, convinto che l’universo presenti un ordine perfettamente logico e
struttura matematica, si sforza di riconoscere un’intima necessità in tutti gli
aspetti della fabbrica mondana e di considerarli come le parti indispensabili
di un grande meccanismo formato con la massima perfezione.
Nell’ordine di produzione della realtà, egli riconosce una causa
efficiente che è Dio stesso, una causa formale (la saggezza divina) che
determina le essenze o le forme, una causa finale (la bontà divina) verso
cui tende tutta la creazione, e una causa materiale che è invece costituita dai
quattro elementi tradizionali creati primamente da Dio. Ma posti cosi
questi principi, Teodorico tende però a spiegare la formazione della natura e
delle sue parti ricorrendo a considerazioni matematiche ed all’analisi interna
dei singoli movimenti che permettono il rapido passaggio tra le
particelle elementari. Tali particelle non sono concepite come dotate di
qualità fisse e neppure come poste in luoghi fissi; ché anzi tutti gli
elementi sono sottoposti ad una sorta di reciproca compenetrazione, si che la
terra può passare, ad esempio, dallo stato di solidità a quelli di
liquefazione e di combustione. D’altra parte, anche le qualità
fondamentali come la durezza o la leggerezza proprie dei singoli elementi
sono soltanto il risultato del movimento generale degli altri elementi
che preme da ogni parte l’acqua e la terra. Quindi egli può spiegare la
creazione biblica della terra e del cielo, semplicemente come la
produzione delle particelle elementari mobili, il cui movimento richiede
appunto l’esistenza di un centro immobile (la terra) attorno al quale
rotano le particelle dell’aria e del fuoco. L'importanza storica di tale
concezione fisica che il Gilson, forzandone
il significato, ha avvicinato addirittura alle dottrine dei fisici
parigini del XIV secolo consiste
principalmente nel tentativo di spiegare le trasposizioni interne e le
relazioni reciproche degli elementi con un’analisi schiettamente fisica e
meccanica che ha i suoi fondamenti nel commento al Timeo di Calcidio. Ma
questo atteggiamento (che è perfettamente coerente con la mentalità
matematizzante propria del platonismo chartriano) è ancor più interessante se
si pensa che Teodorico, ignorando la Fisica di Aristotele e le sue teorie
del movimento, avanza già la teoria dell’impetus, come spiegazione naturale
dei processi di moto e cosi adombra un'ipotesi fisica destinata a lunghi
sviluppi nella storia della tarda scolastica. Sarebbe certo assai
‘interessante seguire Teodorico nello svolgimento particolareggiato della sua
cosmologia platonica. Ma più che la lunga descrizione del modo in cui ha
creato successivamente tutte le forme e i momenti della natura (e, in
particolare, l’armonia perfetta degli astri e del firmamento) gioverà
osservare che nell’Hexaemeron, anche l’esistenza di Dio e la sua relazione e
distinzione dal mondo, viene dimostrata con un procedimento argomentativo di
schietto impianto matematico che implica a sua volta la credenza in un
ordine pitagorico dell’universo. Come aveva già fatto Scoto Eriugena, anche Teodorico
afferma infatti che Dio è unità e che tale unità è la forma essendi di tutto
ciò che esiste. Sicché si può ben dire che tutte le cose sono in Dio
perché Egli ne è la forma essenziale e l’unico fondamento. Ciò non
significa però che Dio sia presente nella materia di ogni essere, ma
bensi che la presenza della divinità in tutte le creature è il loro
essere totale ed unico si che la stessa natura deve la sua esistenza alla
presenza della divinità» Ma se è vero che il mondo delle creature si
presenta all’esperienza umana come il regno della molteplicità e del divenire,
laddove Dio è invece l’unità immobile e immutabile, non sarà difficile
comprendere che il molteplice e il mutabile presuppongono sempre l’unità e che,
al di là di ogni distinzione o mutamento, deve sempre esistere l’uno
immutabile. Come la serie dei numeri presuppone sempre l’unità da cui
deriva, cosî l’universo trae origine in ogni sua molteplice
manifestazione dalla semplice unità divina; e tutte le unità di cui è composto
non sono che partecipazioni alla vera unità, la cui esistenza è anzi
determinata proprio dal grado e dalla continuità di questa
partecipazione. Per questo i teologi insistono sempre sull’unità essenziale di
Dio, pur distinguendo in questa unità la diversità delle persone; e difatti lo
st:sso termine perso na vuole appunto indicare che l’unità di Dio permane
sempre identica sia nel generante (Padre) che nel g nerato (Verbo). Anche i
filosofi pagani, che definiscono Dio come Pensiero, Provvidenza o Saggezza
hanno sempre considerato questi caratteri come det.rminazioni dell’Uno,
sussistenti e presenti entro l’unità divina. Né sarebbe possibile intendere o
pensar: Dio prescindendo dal principio dell’unità che ne costituisce il
carattere dominante e consustanziale. Ecco perché Teodorico, pur
tenendo fermo alla distinzione cristiana tra Dio e il mondo e sforzandosi anzi
di evitare ogni accento panteistico, accetta il principio neoplatonico
della generazione della unità dall’altra unità e lo applica anche in
campo teologico secondo il principio della processione del Padre, del
Figlio e dello Spirito Santo. Non solo: il filosofo chartriano non esita
ad identificare la terza persona trinitaria con l’anima del mondo platonica,
concepita come principio formatore ed agente che dà ordine e disposizione alla
materia creata. L’influ:nza di queste dottrine filosofiche e teologiche,
sostenute da un notevole corredo di nozioni matematiche, fisiche ed
astronomiche, è assai larga e duratura anche al di là dell'ambiente di
Chartres o delle correnti platoniche ancora dominanti nel XII secolo. Né
si deve dimenticare che la loro diffusione contribuisce a creare quel
particolare humus filosofico cui si deve la particolare fortuna del Liber
de causis e quindi il rifuire di alcuni dei più tipici motivi
neoplatonici, nella cultura filosofica dell’Occidente. La tendenza ad
accordare in un unico contesto intellettuale la tra‘ dizione ntoplatonica e i
nuovi interessi scientifici, lo studio dei classici e l’interpretazione
filosofica del testo biblico, è propria anche di Bernardo Silvestre, uno
scrittore e poeta legato evidentemente all’ambiente di Chartres. Nel suo poema
De mundi universitate sive Megacosmus et microcosmus ritroviamo la stessa
influenza dominante del Timeo platonico e del commento di Calcidio, la
stessa presenza di motivi tratti da Macrobio e dall’Asclepius e insomma le
stesse predilezioni l:tterarie e filosofiche proprie dei maestri chartriani.
Composto sul modello tradizionale del De consolatione boeziano, scritto
in distici elegiaci alternati a brevi passi di prosa, il De mundi
universitate si presenta come un lungo dialogo tra la Natura e la
Provvidenza che offre il pret:sto per narrare la formazione dell’universo
e la sua costruzione secondo le norme e gli archetipi ideali della mente
divina. Nel I libro la Natura si lamenta con la Provvidenza per lo stato
di caos e di confusa mescolanza in cui si trova la materia prima, e la
prega di dare ordine all’universo e di ordinarlo secondo misura e
bellezza. La Provvidenza acconsente éd inizia a distinguere la materia nei
quattro elementi e a disporli nell'ordine e nelle connessioni dovute. Dopo
aver eseguito questa prima opera la Provvidenza si rivolge alla Natura,
le celebra l’ordine e l'armonia che ha introdotto nelle cose, la
perfezione delle forme universali (libro II). Ma l’opera non è terminata;
e difatti la Provvidenza promette di formare l’uomo come coronamento e
culmine dell’ordine mondano. Alla promessa segue l’adempimento; cosi
l’uomo viene formato con quanto resta d:i quattro elementi e costituito come
sintesi (microcosmo) di tutta l’immane fabbrica dell'universo (macrocosmo) di
cui ripete e raccoglie tutte le più alte perfezioni. Questo tessuto
poetico e dottrinale, in cui s'intrecciano i temi più cari ai pensatori
chartriani, le probabili reminiscenze di antichi motivi ereticali e la
diretta influenza degli scritti di Tolomeo e di Albumasar (da poco noti
agli occidentali) è però solo uno schema letterario particolarmente adatto per
svolgere in forma allegorica una vasta concezione cosmogonica, il cui
carattere è ben espresso dalla figura del vecchio demiurgo Pantomorfo che forma
e modella le creature naturali secondo i terreni esempi delle idee.
Poiché se da Dio emana il Logos che contiene in sé tutte le eterne forme delle
cose, dal Logos procede a sua volta l’Anima del mondo, principio
plasmatore della materia mondana, alla quale imprime il suggello delle forme.
Essa, agendo entro la hyle informe, costituisce perennemente il cosmo
nella sua armonia razionale. Particolare e insieme universale, l’Anima
mundi è il complesso delle cause seminali sempre presenti dal momento in cui è
stato generato il mondo. Per essa ogni cosa creata ha il suo giusto stato
e per sua opera l’armonia regna sovrana nella natura. Di
fronte alla perfezione archetipa delle forme e dell’anima ordinatrice sta però,
nel grande quadro cosmologico del De wuriversitate mundi, una materia
puramente informe (4yle), condizione fondamentale dell’esistenza del cosmo.
Questa informità primordiale, quest’orrida sylva caratterizzata dalla
confusione e dal male, è concepita da Bernardo con una singolare
oscillazione che rivela, da un lato, l’esigenza di evitare una possibile
conclusione dualistica, ma anche la persistenza di suggestioni e reminiscenze
di antica ascendenza stoica. La insistenza sul carattere negativo della
materia, sulla sua irriducibile malignità è infatti un aspetto
particolarmente significativo del poema di Bernardo, anche se non mancano
accanto a passi di netto sapore dualistico, altri testi che testimoniano lo
sforzo di accordare l’idea platonica di un non essere posto a fondamento
dell’essere o l’immagine stoica del caos primordiale con Ja tradizionale
nozione biblica della creazione ex mnihilo. Sono questi, del resto,
atteggiamenti facilmente comprensibili nell’ambito di una composizione
poetica che non mira tanto ad una salda unità dottrinale quanto all’uso
fantasioso di un ricco materiale filosofico suscettibile delle più
lontane e diverse interpretazioni. In realtà, il merito storico pit
importante dell’opera di Bernardo Silvestre sembra consistere nella diffusione
di motivi destinati, con alterna fortuna, a comparire spesso nella
cultura filosofica medioevale e a fornire argomenti per le
interpretazioni più lontane ed avverse. Per questo, mentre v’è stato chi
ha voluto avvicinare la concezione di Bernardo Silvestre a dottrine tipicamente
dualistiche, come la eresia amalriciana, altri, e particolarmente il
Gilson, hanno invece forzato il significato del suo poema in un senso
decisamente ortodosso. Né stupisce che l’interpretazione degli storici
sia spesso rimasta incerta dinanzi all’aspetto bifronte di un poema che
raccoglie nel suo ordito vario e fantasioso i motivi e le idee più
diffuse nella cultura filosofica del suo tempo. Per il resto,
l’opera di Bernardo è un documento assai interessante sulla diffusione di
quelle dottrine astrologiche e geomantiche che gli ambienti intellettuali
dell'Occidente venivano rapidamente assimilando dai testi arabi. Un’operetta
come il Mathematicus, tutta impostata su di un tipico topos della
tradizione astrologica, e la traduzione dello Experimentarius, trattatello
g-omantico rielaborato da Bernardo, bastano a mostrare la larga familiarità di
questo poeta con i tempi più caratteristici della tradizione
magico-astrologica. L’opera di Bernardo Silvestre rappresenta certamente
un singolare tentativo di tradurre nel quadro allegorico di un mito cosmologico
idee e dottrine che circolavano largamente nell’ambiente di Chartres. Ma chi
dette a queste dottrine una formazione addirittura classica, destinata a
influenzare durevolmente il pensiero del XII secolo, fu il maestro
Guglielmo di Conches, sulla cui filosofia giova soffermarsi con particolare
attenzione. Discepolo di Bernardo di Chartres e quindi maestro egli
stesso per circa vent'anni, Guglielmo fu anche un grammatico, lettore dei
classici, e difese contro i cornificiani nemici delle l-ttere l'ideale
chartriano di una cultura fondata sul costante colloquio con gli antichi e la
raffinata conoscenza di tutte le “arti liberali. Autore tra l’altro di un
Commento al Timeo di grande importanza filosofica e storica, di glosse alla
Consolazio, e di scritti morali ispirati a Cicerone ed a Seneca, le sue opere
principali furono però la Philosophia mundi, una vasta enciclopedia
filosofica e scientifica, c il Dragmaticon Philosophiae in forma di
dialogo col duca di Normandia, Goffredo Plantageneto, ove Guglielmo riespone
soprattutto, sviluppandoli con grande ampiezza, i problemi fisici già discussi
nella Philosovhia alla luce di opere conosciute già vent'anni prima dai
maestri dell'Occidente. Gli studi più recenti sulla scuola di
Chartres e il platonismo medioevale hanno giustamente attribuito un particolare
valore a questi scritti ed hanno posto in esatto rilievo la robusta e
lucida ispirazione scientifica e filosofica del loro autore che si fonda,
naturalmente, sulla tradizione del Timeo e del commento di Calcidio, ma
mostra anche una notevole conoscenza di altri filoni sp*culativi (ad
esempio, la tradizione ermetica) e una evidente familiarità con le nuove
dottrine scientifiche di origine araba. Come filosofo e scienziato anche
Guglielmo si sforza di perseguire l’accordo tra l’ispirazione platonica
del suo pensiero e il testo scritturale, e mira a rendere possibile una
duplice coesistenza tra la rivelazione biblica e dottrine filosofiche e scientifiche
che gli. vengono da tradizioni assai lontane e diverse. Ma sebbene nella sua
concezione dell’universo domini la figura del Dio cristiano, la cui esistenza è
proprio accertata dall’ordine e dalla perfetta disposizione della natura,
pure Guglielmo applica anche alla dottrina della creazione, motivi
dedotti sostanzialmente dal Timeo platonico. Cosi mentr: afferma, da un lato,
che l’atto creatore di Dio ha direttamente prodotto la materia traendola dal
nulla, le Idee, concepite come causa formale dell’universo, rappr:sentano
i modelli e gli archetipi eterni sui quali sono plasmate le singole cose
sensibili. L’“anima del mondo, che Guglielmo, nella PAslosophia,
identifica anch’egli con lo Spirito Santo, è quindi l’intermediario
divino che traduce nella realtà l’ordine ideale, conducendo a perfezione
l’opera mondana. Ma, a diff:renza di Teodorico, Guglielmo non si limita
solo a risolvere questo tipico motivo platonico e stoico nella trattazione del
dogma trinitario (ed anzi nel Dragmaticon questa identificazione è
chiaramente ripudiata); bensi la presenta come una forza infusa
intrinsecamente alla natura, o, per usare le sue stesse parole, come il
principio vitale “che dà l'essere alle piante, la vita alle erbe
ed agli alberi, il sentire agli animali e la ragione agli uomini.
È vero che tale principio è anche “la divina disposizione degli
clementi; ma il fatto che in Dio siano eternamente presenti l’archetipo della
realtà e la precognizione di tutti gli eventi, non toglie che nell’ordine
mondano esista una disposizione o processo naturale delle cose che se pur
risponde all’eterno disegno divino, si svolge per una intrinseca
necessità razionale. Quest’ordine che coincide con l’opera “industre
dell'anima del mondo ha anzi una struttura schiettamente matematica. Ed è
naturale che Guglielmo voglia spiegare la formazione dell’universo ricorrendo a
ipotesi matematiche e a procedimenti meccanici e accettando, insieme alla
teoria degli elementi primi, anche le tesi atomistiche che erano state
ripresentate in Occidente dalla traduzione di Costantino africano e di Adelardo
di Bath. Questo atteggiamento si riflette anche sulla sua
concezione della natura che riprende e svolge motivi già parzialmente
presenti anche nel pensiero di Teodorico. Tra questi il più interessante
è certo la caratteristica distinzione tra il momento della creazio mundi
e quello del perfezionamento o exornazio della “fabbrica mondana dovuto
alle tendenze intrinseche all’ordine naturale e ai principi immanenti
alla stessa natura. Perciò Guglielmo (i cui interessi scientifici sono
testimoniati da una larga e significativa conoscenza delle principali opere e
nozioni scientifiche note al suo tempo) dà particolare importanza alle
arti del “quadrivio che indagano la struttura e i processi della natura e
ne rivelano i fondamenti matematici e la costituzione atomistica. Matematica
e geometria, astronomia e musica sono pertanto gli strumenti necessari “per le
vere conoscenze della realtà» Ed è alle loro leggi che deve ispirarsi anche la
dottrina del filosofo e la sua indagine della “disposizione o ordine naturale
delle cose. All’ambiente di Chartres, agli interessi ed alla
cultura scientifica di Guglielmo di Conches, può essere giustamente
avvicinato anche il singolare quadro della natura tracciato nel De
imagine mundi da un maestro della prima metà del XII secolo, Onorio di
Autun, la cui personalità resta peraltro assai incerta ed enigmatica, ed al
quale sono state attribuite, con eccessiva liberalità, opere e dottrine
troppo diverse e discordi. Il De imagine che non possiamo qui analizzare
minutamente è certo un documento
d’estremo interesse sulle cognizioni scientifiche del XII secolo; ma pit che le
singole nozioni che costituiscono una vera e propria enciclopedia della
Natura (il De imagine tratta infatti del cosmo fisico e della sua
composizione elementare, delle terre poste al centro del mondo, delle zone
in cui esso si divide, della sua fauna e flora, e quindi del cielo e
degli astri, nonché della storia del mondo dal tempo della creazione)
l’attenzione dello studioso è attratta dall’evidente familiarità di Onorio con
un largo materiale attinto anche al di fuori dei testi tradizionali di
Beda e di Rabano, e, soprattutto, dal suo largo interesse per la
conoscenza della realtà naturale considerata nella sua unità vivente e
feconda. La scarsa originalità di Onorio e l’assenza di una approfondita
elaborazione filosofica non toglie che il De imagine rappresenti, pur
nella sua forma di enciclopedia volgarizzata, uno specchio fedele di quella
cultura in cui maturarono le opere dei maestri di Chartres e la grande
esperienza di Abelardo. Comunque, anche la rapida analisi dei suoi
principali maestri basta a mostrare che la scuola di Chartres fu un centro
vitale di cultura, legato allo spirito umanistico, al gusto di un risorgente
classicismo, e alle controversie teologiche del tempo, ma profondamente
interessato a problemi filosofici e scientifici affrontati alla luce di
un'ispirazione plitonica che non ignorava però né la tecnica logica
aristotelica né i nuovi contributi: del sapere arabo. Scuola cattedrale,
e come tale prevalentemente dedicata allo studio della teologia, essa fu però
uno dei più vivaci focolari di resistenza contro le polemiche di Bernardo
di Clairvaux e le correnti mistiche cistercensi che condannavano aspramente
lo sviluppo e l’incremento degli studi liberali e del sapere naturale
mondano. Né si deve dimenticare che furono proprio i maestri di Chartres o
uomini formatisi in quell’ambiente coloro che lottarono contro le estreme
degenerazioni della dialettica e il pericolo che la grande ripresa degli
studi del trivio e, in particolare, della dialettica e delle retorica, si
risolvesse in un vano giuoco di schermaglie astratte o di eleganze
formali. Le pagine che lo stesso Guglielmo di Conches scrive contro
l’inutilità delle vane dispute o lo studio dell’eloquenza fine a se stessa,
sono tra le testimonianze più utili per chi vuole intendere il vero
carattere degli studi di Chartres. La sua polemica contro coloro che
svuotando il sapere di ogni contenuto spirituale lo riducono a un mero
gioco verbale, è infatti perfettamente situata nel quadro di una meditazione
che scorge tanto nella ricerca filosofico-scientifica che in quella
teologica la via diretta per elevarsi alla comprensione dei più alti
misteri. Ecco perché i filosofi di Chartres e il loro più geniale discepolo,
Giovanni di Salisbury, si opposero con irriducibile rigore ai sostenitori
di un tipo di cultura più elementare e pratica ridotta all’apprendimento
delle sole cognizioni utili per le varie attività o professioni. Contro i cornificiani
che cercavano il sapere e disprezzavano lo studio disinteressato del trivio
e del quadrivio, l’umanesimo chartriano difese ed esaltò l'ideale di una
formazione armoniosa e compiuta, ugualmente volta al. mondo delle lettere
ed alle ardite conoscenze dell’ordine naturale. Il suo platonismo, in cui
erano filtrati i motivi più fecondi della nuova esperienza scientifica attinta
alle fonti greco-arabe (rese note dalle versioni contemporanee di
Adelardo di Bath, e, quindi, di Gerardo da Cremona, Ugo di Santalla, Platone di
Tivoli, Ruggero di Hereford, ecc.) è la espressione più compiuta del moto
di rinnovamento che domina tutta la cultura filosofica del XII
secolo, preparando la grande fioritura della riflessione duecentesca. Il
raffinato platonismo e il vivace spirito scientifico dell’ambiente di
Chartres, è però solo uno degli aspetti dominanti della rinascita filosofica
del XII secolo. Mentre a Chartres maturano le grandi cosmogonie e le
enciclopedie politiche, è infatti già in corso una profonda
trasformazione degli studi logici, destinata ad esercitare una vasta influenza
nella storia della cultura filosofica medioevale. Già parlando delle
predilezioni intellettuali di Teodorico di Chartres, s'è visto quale importanza
aveva per lui l’insegnamento dialettico fondato sulle opere di Boezio e
sulla conoscenza quasi totale dell’Organon aristotelico. Ma le testimonianze
contemporanee sono anche ricche di notizie e di accenni polemici sugli
sviluppi della scuola di Petit-Pont, nelle vicinanze di Parigi, dove Adamo
Parvipontano avrebbe stupito i suoi scolari proponendo e discutendo delle
quaestiones insolubiles, ossia alcuni di quei problemi sofistici entrati
da tempo nella pratica dell'insegnamento dialettico. La cavillosa ingenuità di
molti dei problemi riferiti da queste testimonianze, non deve però
ingannarci, inducendoci a credere che gli studiosi medioevali non si rendessero
conto della loro futilità. Esercizi di scuola, adoperati dai maestri per
affinare le capacità dei loro allievi, simili discussioni valevano
soprattutto a stimolare l’interesse per un tipo di analisi dialettica
particolarmente utile per gli studiosi di diritto e di teologia. E chi
tien conto che l’insegnamento della dialettica era propedeutico a quello delle
quattro arti maggiori, non trova difficoltà a consid:rare anche questi
esercizi come una manifestazione del vivace interesse per la disciplina
logica che sarà presto un carattere peculiare della scuola parigina.
È appunto in questo ambiente, dove erano pen-trate anche le dottrine di
Berengario e di Roscellino, che si formò la personalità più eminente della
prima metà del XII secolo, Pietro Abelardo. Nato a Pellet, vicino a Nantes nel
1079, egli si dedicò fin da giovanissimo allo studio delle arti liberali
e specialmente della dialettica di cui pare gli fosse maestro lo stesso
Roscellino. Piti tardi recatosi a Parigi, che era il centro più vivace di
studi dialettici, fu scolaro di un maestro come Guglielmo di Champeaux che
godeva in quel momento di larghissima fama. Ma neppure la dottrina di
Guglielmo soddisfece il giovane studioso, che iniziò fin da allora a
combattere le dottrine del maestro con estrema vivacità. La
ragione di tale polemica è, del resto, perfettamente chiara ed
evidente.Discepolo di Manegoldo di Lautenbach e poi di Anselmo di Laon,
amico di Bernardo di Clairvaux e fondatore della Abbazia di S. Vittore,
che sarà poi uno dei maggiori centri del pensiero mistico medioevale, Guglielmo
di Champeaux era un deciso sostenitore delle concezioni agostiniane e
platoniche. Cosf, a proposito del significato dei concetti di genere e di
specie, si atteneva alla soluzione realistica che abbiamo già visto affermata
dallo Scoto Eriugena e da Anselmo da Aosta. Secondo la testimonianza di
Abelardo, egli avr-bbe infatti sostenuto che la medesima realtà è tutta
presente essenzialmente nei singoli individui, tra i quali non vi sarebbe
alcuna diversità essenziale, ma bensi una distinzione causata dalla
molteplicità degli accidenti Il che spiega perché Guglielmo ritenesse che
in tutti gli uomini numericamente diversi v'è sempre una identica sostanza
umana, che si determina e si concreta variamente ora in Socrate ed ora in
Platone, secondo particolari determinazioni accidentali. Contro
questa dottrina, che rispecchia fedelmente un atteggiamento metafisico
platonicamente fondato sull’ordine gerarchico di essenze e categorie
universali, Abelardo non tardò ad opporre argomenti che gli venivano almeno in
parte dall’esperienza nominalistica di Roscellino. Convinto che la logica
sia una pura ars sermocinalis, scienza e arte del discorso, totalmente distinta
dalla metafisica o dalla teologia, egli respinse recisamente il realismo delle
essenze logiche, sotto lincando che la stessa essenza, se sussistesse
tutta nei singoli individui, pur con forme e accidenti diversi, si
troverebbe spesso a dover sostenere attributi e accidenti contraddittori.
Inoltre, ammessa la realtà delle essenze, le dieci categorie
aristoteliche diverrebbero necessariamente le dieci essenze reali più generali
di tutte le cose; e ne seguirebbe che ogni categoria è essenza e che quindi
tutte le sostanze sono, in realtà, sostanza, tutte le qualità una sola
qualità. Perciò, la sostanza di Socrate sarebbe la stessa sostanza di
Platone, e le qualità dell’uno quelle dell’altro, ecc.; ma in tal
modo la realtà individuale e distinta di Platone e di Socrate
sarebbero totalmente perdute perché i due individui sarebbero di fatto una sola
unità indistinguibile. Tali obiezioni racconta Abelardo avrebbero subito smantellato la dottrina
realistica di Guglielmo di Champeaux; e il maestro parigino avrebbe
ripiegato sulla tesi della indifferenza degli universali, sostenendo che la
realtà dei generi e delle specie è identica nei diversi individui, non
quanto all’essenza ma bensi nell’*indifferenza, giacché, ad esempio, i
singoli uomini, distinti di per sé gli uni dagli altri, costituiscono pur
sempre l’identica realtà umana e, quindi, non differiscono nella loro
comune natura. Abelardo criticò, però, con non minore intransigenza,
anche questa dottrina che non era sostanzialmente diversa da quella precedente,
e dimostrò che se la sola indifferenza positiva è quella che intercorre
tra gli individui che possiedono una stessa natura, si ripresentano di nuovo le
medesime difficoltà già rilevate a proposito della concezione
realistica. Il successo riportato nella disputa con un maestro cosi
famoso non giovò ad Abelardo, che fu costretto dalle violente inimicizie
dei condiscepoli ad abbandonare Parigi e a rifugiarsi a Melun, dove
apri una sua scuola. Però ben presto si trasferi a Corbeil, più vicina
alla capitale, e di lîf a poco tornò nuovamente a Parigi per studiare
retorica, sempre alla scuola di Guglielmo. Non sembra però che i suoi
rapporti co] maestro migliorassero; anzi, proprio in questa occasione,
Guglielmo sarebbe stato costretto da Abelardo a riconoscere apertamente la
fondatezza e la superiorità delle sue critiche. Tuttavia Abelardo, ormai
padrone delle arti sermocinali, lasciò di nuovo la scuola parigina per
dedicarsi allo studio della teologia, sotto la guida di Anselmo di
Laon. Polemico e innovatore come sempre, il filosofo bretone non
restò però a lungo neppure nella scuola di Laon; poco dopo, era di
nuovo a Parigi, ove tenne scuola di dialettica e di teologia, riscuotendo un
successo clamoroso. Studenti di ogni parte di Francia e di Europa (e tra
essi fu anche Arnaldo da Brescia, che nel 1155 sarebbe stato arso in
Roma, come capo di un movimento riformatore violentemente avverso al potere
mondano della gerarchia ecclesiastica) accorsero a udire le sue lezioni,
divulgarono la dottrina del Peripateticus Palatinus in tutti gli ambienti
colti del tempo; e intorno alla sua scuola cominciò a costituirsi la
futura università parigina, luogo di attrazione per i teologi e i
filosofi di tutta la Cristianità occidentale. L'episodio del suo
amore per Eloisa, donna eccezionalmente dotta e partecipe degli stessi
problemi teologici e morali, la vendetta del canonico Fulberto, e
la vergognosa mutilazione che costrinse Abelardo ad abbandonare
l’insegnamento parigino, sono episodi fin troppo noti perché occorra
ricordarli. Colpito nella sua dignità di clericus e di maestro, Abelardo
prese l’abito monastico e prese a vagare di monastero in monastero, di abbazia
in abbazia, portando dovunque la sua umana inquietudine e la sua polemica
filosofica, caldeggiando la formazione di una comunità puramente speculativa
dedicata al Paracleto. La fortuna e l’efficacia del suo insegnamento non
ne riusci però diminuita, se è vero che folle di studenti lo seguivano nei suoi
spostamenti, e che la sua fama continuava a diffondersi per tutta Europa.
Del resto, gli anni che vanno da quando abbandonò Parigi, e il 1142,
quando mori a Chalon-sur-Sagne, sono anni di grande operosità e di
costante, approfondita riflessione sui temi più ardui della logica, della
metafisica, della teologia e della morale. E pure in questo periodo si
svolge tra lui ed Eloisa quella mirabile relazione epistolare che è
veramente uno dei capolavori della letteratura mediocvale. La
lucidità e la spregiudicatezza di molte pagine dell’epistolario, e
soprattutto di quelle in cui Eloisa difende con estrema decisione la
nobiltà e la purezza della sua passione, hanno spesso indotto gli storici ad
accentuare la modernità dell’atteggiamento morale dei due celebri amanti.
Ma non è certo un buon criterio storico giudicare tutta la personalità e
l’opera filosofica di Abelardo alla luce di questa appassionata testimonianza
umana, per tentare magari confronti arditi e poco plausibili con la
mentalità e il costume morale degli intellettuali del Rinascimento. Anche
il tono e il contenuto delle lettere di Abelardo e di Eloisa sono infatti
veramente comprensibili solo nell’ambito di una vicenda che si svolse
nell'ambiente scolastico della Parigi medioevale, entro il chiuso mondo dei
clercs, dominati dai propri pregiudizi etici e professionali, e tra due persone
drammaticamente consapevoli del conflitto tra la loro condizione e le idee e le
norme proprie della loro casta. D'altra parte non conviene all’intelligenza
storica dell’opera di Abelardo, presentarlo come un puro razionalista o,
ancor peggio, come un precursore del libero pensiero, inteso a rovesciare il
principio dell’autorità e ad instaurare contro il fideismo di Bernardo di
Clairvaux i sovrani diritti della ragione. Questa immagine di Abzlardo, che
pure piacque alla vecchia storiografia dell’età romantica, è certo del
tutto antistorica e deforma, fino a ridurli caricaturali, i veri caratteri del
suo pensiero. Ma ciò non toglie che questo filosofo cosi combattivo e polemico,
questo dialettico rigoroso e teologo spregiudicato, sia stato veramente
l’interprete più originale ed acuto della rinascita filosofica del
XII secolo. Alieno dal costruire un compiuto sistema cosmologico come
quelli elaborati dai Maestri di Chartres, egli fu infatti autore di opere
di logica, di teologia e di morale che hanno avuto una influenza decisiva su
molti aspetti della riflessione del suo tempo, e che segnano un progresso
decisivo nei confronti delle concezioni filosofiche precedenti. Già
abbiamo visto, del resto, quale fosse stato il suo atteggiamento di fronte al
realismo logico di Guglielmo di Champeaux; ma è bene aggiungere che la
sua polemica fu altreitanto rigorosa anche nei riguardi di tutte le altre
forme di realismo, iv comprese quelle che identificavano l’universale con
l’intera collezione degli individui cui esso si riferisce. Per Abelardo
l’universale è invece semplicem.nte un dato del linguaggio, un vocabolo
trovato in modo che si possa predicare singolarmente di molti; e quindi il
termine ‘uomo’ che usiamo tanto per indicare Socrate che Platone non differisce
dal nome proprio con cui indichiamo questo o quell'individuo se non
perché è atto a far da predicato di proposizioni che hanno per soggetto
il nome proprio di molti individui. Una volta definito il significato sermocinale
del termine universale, Abelardo afferma poi rigorosamente che i nomi
universali non indicano affatto un’essenza o realtà comune a vari
individui, e che occorre quindi respingere l’idea che essi implichino qualcosa
di reale sia di per se stessi sia nella natura degli individui. La conoscenza
ha come punto di partenza l’individuale e il sensibile, la cui
caratteristica è data proprio dalla sua diversità e distinzione nei confronti
di ogni altra cosa individuale. Perciò il termine universale deve unicamente
valere come un segno logico, necessario per assolvere una particolare funzione
nella costruzione dei discorsi umani. Dopo aver cosi definita la
funzione del termine universale, Abelardo cerca però di analizzarne anche le
proprietà logiche. La constatazione che i nomi universali non indicano delle
essenze o entità comuni, potrebbe infatti indurre a concludere che essi non
abbiano alcun riferimento effettivo con le cose e che non permettano di intendere
effettivamente nessuna realtà esistente e concreta. Ma Abelardo è un
logico troppo sottile per poter accettare semplicemente la dottrina di
Roscellino e ridurre cosî gli universali a puri e semplici flatus vocis.
Intanto, per prima cosa, egli osserva che sebb:ne i singoli individui, ad
esempio i vari uomini, differiscano tra loro in molti caratteri ed
attributi, hanno però qualcosa di comune e cioè il loro stazus e la loro
comune condizione di essere uomini. L'errore di chi attribuisce una realtà
oggettiva agli universali indipendentemente dall’esistenza individuale,
consiste dunque nel confond.re un'ipotetica essenza dell'*uomo, che non esiste,
con l’essere uomo che è invece una condizione reale particolare e concreta.
Sicché, dire che questo o quell’individuo convengono nello status di uomo, cioè
nell’essere uomo, significa riconoscere che esiste una causa comune per
cui s'impone ai singoli individui il termine o nome universale di uomo.
Questi stars sono dunque le cose stesse costituite in questa o quella
natura; e dunque, per giungere alla formulazione del termine universale,
basta raccogliere la somiglianza comune d.gli individui che sono effettivamente
nello stesso status e designarla con un nome. Quale sia poi il
contenuto che questi universali assumono nel nostro pensiero, è indicato
chiaramente da Abelardo n:llo svolgimento della sua teoria gnoseologica.
All’origine dell’attività conoscitiva sta infatti la percezione sensibile
che ci permette di percepire questo o quell’individuo particolare; ma
l’intelletto è capace di formarsi una immagine di ogni oggetto percepito
che esiste ormai indipendentemente dall’oggetto stesso e persiste nella mente
anche dopo la scomparsa dell’individuo che l’ha provocata. Queste immagini
presenti nella mente si distinguono però dalle immagini fittizie composte
liberamente dalla fantasia senza alcun riferimento ad una realtà
effettiva; ma si distinguono altresi anche da quelle che si presentano
all’intelletto quando pensiamo all’uomo o alla torre in generale. L’intelligenza
del nome universale. scrive Abelardo in un testo particolarmente importante, concepisce
un'immagine comune e confusa di molte cose, laddove l'intellezione prodotta
dalla parola singolare comprende la forma di una sola cosa. Il nome di Socrate
o di Platone, individui concreti e particolari, farà quindi sorg:re nella
mente un’immagine che esprime la figura e la somiglianza di una determinata persona;
mentre invece il termine uomo potrà dar luogo soltanto ad un’immagine
scialba e relativamente ind:terminata, costituita soltanto dai caratteri
comuni degli individui da cui è tratta. L’universale è dunque soltanto
una parola che designa l’immagine confusa di una collettività d’individui
di natura simile, o, per usare le parole stesse di Abelardo, che
possiedono il medesimo status. È chiaro che da queste premesse deriva
subito un complesso di conseguenze logiche e gnoseologiche di estrema
importanza. Per prima cosa, le sole conoscenze chiare e connesse ad oggetti
reali sono quelle degli individui particolari, uniche realtà di cui si
dia diretta intellezione umana; mentre invece i termini universali ci
permettono semplicemente di acquistare un’opinione limitata sempre
suscettibile di mutamento. Tuttavia sarebbe erroneo credere che Abelardo
non riconosca il fondamento reale dell'immagine comune. Il fatto
che, considerando molti individui, la nostra mente fermi la sua
attenzione su ciò in cui convengono, sui loro aspetti simili o identici,
è anzi perfettamente naturale; cosi com'è del tutto legittima la formazione dell'immagine
comune, prodotta da un’attività dell’intelletto che separa e distingue
per via di riflessione ciò che è unito e coesiste ‘realmente
nell’identità inscindibile dell'individuo. A questa determinazione astratta
della forma o immagine comune, corrisponde poi naturalmente una vox o
termine che, di per se stesso, è cosa particolare del tutto distinta
dall’altra realtà che significa. Ma affinché questa significatio sia
legittima ed effettiva occorre che la vox venga strettamente connessa
all'immagine mentale e sia capace per comune istituzione umana di farla subito
sorgere nella mente di chi l’ascolta. Solo cosi la vox può diventare un
elemento del discorso umano, e può adempiere al suo compito logico che consiste
soltanto nel rappresentare o significare le diverse res. Non credo
occorra insistere più a lungo su di una dottrina di per se stessa tanto
chiara ed evidente. Ma prima di chiudere questa breve trattazione della
logica abelardiana, sarà utile ricordare che il Peripatetico Palatino può
rispondere in modo profondamente nuovo ed originale alle questioni poste
da Porfirio. Cosî, alla domanda se i generi e le specie designino cose
realmente esistenti, o siano semplici oggetti d’intellezione, egli
risponde che essi esistono nel solo intelletto nudo e puro, ma che però
indicano sempre esseri reali che sono gli stessi già afferrati
dall’esperienza sensibile. Inoltre, questi universali sono indubbiamente
corporei in quanto sono delle voci pronunziate con mezzi fisici; però la
loro capacità di designare una pluralità d’individui è invece incorporea. E se
è vero che i generi e le specie sussistono nella realtà sensibile in
quanto designano forme e qualità proprie degli individui, sono però al di
là delle cose sensibili proprio perché le designano per astrazione. Non solo;
Abelardo afferma che questi termini non potrebbero mai esistere senza gli
oggetti da essi significati; il che non toglie però che i loro
significati possano sussistere anche se sono legati semplicemente ad
un'immagine mentale e non ad un oggetto sensibile, come nel caso della
proposizione la rosa non esiste, il cui significato è pienamente
legittimo. Tali soluzioni, avanzate in una forma cosî rigorosa,
rappresentano indubbiamente una tappa fondamentale nella storia della
logica e della riflessione filosofica medioevale. Da un lato, infatti,
Abelardo tenta, per primo, un’analisi dei problemi logici condotta in
assoluta indipendenza da ogni presupposto metafisico e teologico, come
scienza autonoma dei modi e delle forme del discorso umano. Ma, d’altra
parte, la negazione di ogni tipo di realismo logico e la polemica contro
la persistente ispirazione platonica dei suoi predecessori, lo pone già
sulla via che sarà battuta dalle tendenze più avanzate del pensiero
scolastico, fino alla soluzione drastica del nominalismo occamista. Tali
posizioni sono ancora lontane dalle intenzioni di Abelardo che, partecipe
delle metafisiche platoniche del suo tempo, non negava affatto la
possibilità dell’esistenza nella mente divina di eterne idee archetipe,
modello e forma delle cose reali. Nondimeno, il valore preminente che egli
attribuisce alla conoscenza dell’individuale, e la sua insistenza sulla
funzione preliminare ed essenziale dell’esperienza sensibile, sono altrettanti
motivi di grande rilievo storico, destinati a influire profondamente
sulle dispute logiche e metafisiche del XIII secolo. AI significato
critico della dottrina logica di Abelardo corrisponde, del resto, anche
la novità e l’arditezza di talune tesi teologiche esposte, oltre che nel Sic et
Non, anche nel De wnitate et trinitate divina, nella Theologia Christiana,
nella Introductio in theologiam, nonché nel Dialogus inter Hebracum, Philosophum
et Christianum. Tra queste opere il Sic et Non è certo particolarmente
importante per il metodo con cui Abelardo procede alla presentazione ed
al vaglio delle auctoritates scritturali e patristiche, opponendo tra di loro
quelle che appaiono contrastanti o contraddittorie. È vero come è stato sottolineato anche recentemente
che Abelardo non intende servirsi di questo metodo per scalzare il
principio dell’auctoritas, del cui valore egli è pienamente convinto. Ma,
sebbene dichiari spesso che il fondamento della verità e della salvezza
consiste nelle nude parole della Scrittura, e ribadisca che la dialettica
deve semplicemente servire all’intelligenza della Fede, è evidente che
Abelardo procede anche nella sua indagine teologica con il preciso
intento di chiarire le difficoltà e le aporie interne alle argomentazioni
tradizionali. D'altra parte, come dice egli stesso parlando del metodo
seguito nel De unitaze et trinitate divina, la spiegazione del teologo
non può procedere che per mezzo di analogie tratte dal ragionamento
umano; e poiché questo procedimento analogico è usato da Abelardo anche per
spiegare il rapporto trinitario delle persone divine, non meraviglia che, come
i maestri di Chartres, egli si serva del motivo platonico-stoico dell'anima
mundi per illustrare analogicamente la terza persona trinitaria. È vero che per
Abelardo si tratta soltanto di un’analogia incapace di spiegare fino in fondo
la misteriosa verità d:1 dogma; però egli non esita ad usare anche in
altri casi dottrine filosofiche, soprattutto di origine platonica, per
illuminare il contenuto della teologia cristiana, affermando implicitamente una
continuità ed un accordo sostanziale tra la riflessione classica e la
dottrina cristiana. Ecco perché Bernardo di Clairvaux, mistico
cistercense ed intransigente difensore del primato sovrarazionale della fede
cristiana, fu cosi avverso al Peripateticus Palatinus considerato come il
più temibile nemico della ortodossia teologica. In effetti, nella
prospettiva teorizzata da Abelardo, la teologia cristiana non solo è
strettamente legata alla ricerca della ragione, ma si può dire che la
stessa rivelazione si esprima anche nelle forme del ragionamento
razionale, e che le verità filosofiche degli antichi siano anticipazioni
o premesse di una verità più alta, ma non avversa alla ragione. Come
Abelardo scrive nel Dia/ogus, il Cristianesimo è certamente la verità assoluta
che accoglie e risolve in sé tutte le altre verità parziali ed imperfette; però
anche la dimostrazione dei suoi principi può procedere per via dimostrativo-analitica;
quindi il metodo razionale può essere applicato anche alla ricerca
teologica, senza temere di cadere per questo nell’empietà o nell’eresia. La
polemica di Bernardo e il severo giudizio del Concilio di Sens, che condannò
alcune sue proposizioni teologiche, non valsero ad impedire che il metodo
abelardiano influisse largamente anche sugli sviluppi della riflessione
teologica. Né stupisce che il suo tentativo di elaborazione dialettica
della materia teologica potesse contribuire in maniera decisiva alla
formazione di un vero metodo della scienza teologica, già chiaramente delineato
nelle prime Summae o nel crescente successo dei Libri sententiarum. Solo per
restare nell’ambito della sua scuola, opere come l’Epitome theologiae di
Maestro Ermanno, le Sententiae Parisienses, l'Ysagoge in Theologiam e le
Sententiae di Rolando Bandinelli (il futuro Alessandro III), sono eloquenti
testimonianze del progresso compiuto nella prima metà del XII secolo dalla
cultura scolastica parigina. Tra le dottrine di Abelardo
condannate al concilio di Sens spiccano anche talune tesi di morale
definite nello Scito te ipsum. Avverso alle concezioni ascetiche
tradizionali che ponevano tra i peccati anche le inclinazioni più naturali
dell’uomo, ostile ad una morale che definisce rigidamente il ben: ed il male
identificandoli con un certo modo astratto di comportamento, Abelardo
tende infatti a identificare il valore dell’atto con l’abito interiore
che lo accompagna. Cosi, egli distingue nettamente il vizio dell'anima dal piccato;
e se il vizio che dipende spesso dalla natura e dalla complessione fisica
ci rende soltanto inclini ad acconsentire all’illecito, il peccato
consiste invece nel consenso volontario al male, in una scelta lib:ra e
consapevole. Certo, anche le inclinazioni radicate profondamente nella natura
particolare di ciascun individuo possono spingere a desiderare ciò che è
contrario alla legge divina; ma tali inclinazioni, che non potrebbero mai
esser: eliminate, non sono di per sé male o peccato. Al contrario,
Abelardo insiste sul fatto che solo l'intenzione può costituire il vero
contenuto del bene e del male, indipendentemente dalla determinazione
effettiva dell’azione. L'intenzione scrive infatti Ab:lardo in una pagina dello
Scito te ipsum di particolare rilevanza teorica è di per se stessa buona o cattiva; ma
l'azione è detta buona o cattiva non perché implichi in se stessa un
elemento di bontà o di malizia, ma perché deriva da un'intenzione buona 0
cattiva. La medesima azione può essere dunque positiva se deriva da una
buona intenzione, o cattiva se deriva da un’intenzione malvagia; cosi
Abelardo prende decisamente posizione contro le concezioni etiche che fanno
dipendere il valore morale dell’azione dalla adesione astratta a uno
schema costituito secondo una norma del tutto estranea alla
volontà. Tale concezione che
è certo uno dei motivi più moderni e originali del pensiero abelardiano è poi spesso congiunta con una
insist-nie critica della considerazione meramente carismatica dei poteri
sacerdotali, che egli vuole invece siano fondati sulla pratica attiva ed
esemplare delle virti. La successione apostolica vantata dai sacerdoti e
dai vescovi ha, per lui, significato e valore solo quando essa si
accompagni all’oss:rvanza dell’esempio religioso e morale degli apostoli,
e non quando si risolva semplicemente nella cerimonia dell'imposizione delle
mani o nell’osservanza esteriore e farisaica delle norme canoniche.
Proprio pr questo sono cosi frequenti negli scritti morali e teologici di
Abelardo la denuncia della corruzione del clero, la condanna
dell’eccessiva potenza e ricchezza della gerarchia e la ripulsa di un
rigido, astratto legalismo morale e religioso che è del tutto
contrastante con il carattere della missione della Chiesa. Né manca nella
riflessione di Ab-lardo l’insistente richiamo a quei puri valori di
interiorità su cui dovrebbe fondarsi tutta la vita cristiana. La vicinanza
di alcuni dei suoi motivi polemici con le idee largamente diffuse nei movimenti
popolari di riforma o in talune sètte ereticali, è stata quindi giustamente
sottolineata dagli storici che hanno posto in rilievo i rapporti tra
Abelardo e Arnaldo da Brescia, teorico del Comune popolare e avversario
d:l potere pontificio. Ma più che la ricerca di possibili filiazioni o
influenze, interessa qui sottolineare come sia sul piano teologico e
morale, sia su quello logico e gnoseologico, il pensiero di Abelardo è
veramente l’espressione più matura di un comune fermento critico che
pervade tutti gli strati e gli ambienti della società del suo tempo e che tende
a corrodere i capisaldi d:Ila cultura tradizionale. L’influenza di
Abelardo fu veramente eccezionale. Dalla logica alla teologia, dalle
discussioni puramente filosofiche alla casistica etica, tutta la
riflessione del suo tempo e dei decenni successivi reca il segno della
sua personalità e delle sue idee. Ma la superiorità teorica di molte
posizioni abelardiane, soprattutto nel campo della logica, non deve indurci a
trascurare l’apporto degli altri logici contemporanei, ispirati a
concezioni e dottrine spesso diametralmente opposte. Già s'è detto di
Guglielmo di Champeaux e delle successive dottrine che egli avrebbe
avanzato discutendo il problema degli universali; ma dobbiamo qui
ugualmente ricordare Josselino di Soissons cui Giovanni di Salisbury
attribuisce nel Meealogicon una singolare dottrina che, pur rifiutando la
universalità agli individui considerati nella loro singolarità, la
concedeva però alla condizione collettiva della specie o del genere.
Questa tesi, che compare anche nel trattato anonimo De generibus et
speciebus (già attribuito dal Cousin ad Abelardo, ma che evidentemente
non può esser suo), deve aver avuto una discreta diffusione proprio per la sua
tendenza a conciliare le opposte tesi dei realisti e dei nominali. Secondo la
concezione di Josselino la specie si presenta infatti in ogni individuo come
una sorta di materia comune la cui forma è costituita dalle singole
determinazioni particolari; e perciò nell’individuo Socrate coesiste l’umanità
(materia comune) con la socrateità che ne è la forma, e quindi Socrate
possiede una sua umanità particolare distinta da quella di Platone o di
Aristotele. Il fatto che il termine uomo sia comune ad un intero gruppo
di individui non significa che l’umanità di SoLo sviluppo della logica e
l'opera di Abelardo crate o di Platone costituisca una realtà unica,
identica e comune nei vari individui. Al contrario, questo fondamento
comune è profondamente differenziato dai caratteri peculiari e dalla struttura
propria di ogni individuo. Come si vede, la soluzione di Josselino
può sembrare assai vicina alla tesi abelardiana degli status; ma lo
&tesso Abelardo ne sottolineò nettamente la diversità quando obiettò
che il gruppo è sempre posteriore agli individui che lo costituiscono, laddove
invece la dottrina della collectio sembra far precedere l’unità
indifferenziata della materia comune dalla concreta esistenza dzi
singoli. La difesa della priorità dell'individuo anche nei confronti
della posizione moderata di Josselino ribadisce la radicale vocazione
nominalistica della logica di Abelardo. Però il problema di rapporti tra r0men
e res, tra la determinazione concettuale e la struttura reale degli individui,
doveva essere ulteriormente dibattuto nel trattato De codem et de diverso
di Adelardo di Bath. Questo maestro, formatosi nell'ambiente teologico di
Laon e di Tours, e quindi per molti anni pellegrino in Italia, in Sicilia
e nell’Asia Minore alla ricerca di testi arabi e greci di cui fu uno dei
primi traduttori, ha un posto di primo piano nella storia della scienza
medioevale. Nelle sue traduzioni dei testi astronomici arabi e degli
Elementa di Euclide e nelle sue Quaestiones naturales, ricche di temi della
tradizione araba, egli si rivela uno degli uomini più colti del suo
tempo. Ma anche il De eodem et de diverso mostra una mentalità dialettica
rigorosa ed esatta, perfettamente consapevole dei gravi problemi filosofici che
si agitavano dietro le modeste apparenze del problema degli universali. Cosî
egli accetta la definizione abelardiana degli universali come nomi delle
cose che contengono (rerum subiectorum nomina) e la dottrina
aristotelica che esclude ogni loro realtà al di fuori dell’esistenza
individuale concreta. Però osserva che i nomi del genere, della specie e
dell’individuo vengono imposti alla stessa essenza sotto diversi rispetti?
e che se i filosofi, quando vogliono parlare delle cose come si presentano
ai sensi le chiamarono individui, definendole con il loro nome proprio e
particolare, tuttavia, quando le considerano pid profondamente, le chiamano
anche specie o generi, senza negare la loro realtà individuale, ma riferendosi
a quei caratteri universali che vi sono impliciti. Perciò i generi e le
specie sono per Adelardo le stesse cose sensibili considerate in modo più
acuto, e queste sp:cie e generi nella loro funzione di termini o modi
universali vengono distinti per immaginazione dalla stessa realtà sensibile e
considerati come forme astratte. Non v’è quindi da meravigliarsi se Adelardo,
fedele a questa dottrina, possa poi considerare sostanzialmente
concordanti le dottrine di Platone e di Aristotele, i quali hanno
soltanto accentuato i due diversi aspetti del problema. E una dottrina non
diversa viene pure attribuita al maestro parigino Mortagne, il quale, secondo
la testimonianza di Salisbury, avrebbe insegnato che Platone, secondo status
diversi, è individuo, specie e genere subalterno o supremo. Certamente e Adelardo insiste particolarmente su questo
punto alwra è la conoscenza legata all’esperienza immediata e quasi costretta
dal tumulto esteriore dei sensi, ed altra la conoscenza intelligibile estesa
alle Cause supreme delle cose naturali e addirittura alla previsione
della realtà futura. Ma non per questo Adelardo respinge quel sapere che
la mente umana può raggiungere anche quando è serrata nel carcere del
corpo e si muove soltanto tra le forme sensibili delle cose. Anche questo
sapere, quando è capace di giungere agli elementi permanenti, costitutivi
della realtà, è valido e necessario. VanperPoL,
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Jahrhundert, Roma, Inem, Zwei Grundprobleme der scholastischen
Naturphilosophie, Roma Moopy - M. CLacett, The mediacval scienceof Weights
(Scientia de ponderibus), Madison, Kacan, Jewish Medicine, Maier, An der
Grenze von Scholastik und Naturwissenschaft, Roma, 19522.
Inem, Metaphysiche Hintergrunde der spitscholastischen
Naturphilosophie, Roma Ipem, Die Naturphilosophische Bedeutung der
scholastischen Impetustheorie, Schol., Wirson, W. Heytesbury. Medieval
Logic and the Rise of Mathematical Physics, Madison, ArnaLpez-L. Massicnon, La science arabe, in Histoire générale
des Sciences, vol. 1, Parigi, Brauyouan, La science dans l'Occident
médiéval chrétien, in Histoire générale des Sciences, vol. I, Parigi IpeM,
L'interdependence entre la science scholastique et les techniques utilitaires,
Alengon, CromBie, Augustine to Galileo. The
History of Science. Melbourne-Londra-Toronto Ley, Studien z. Geschichte d.
Materialismus im Mittelalter, Berlino, Reap, Through Alchemy to Chemistry, New York, Simon,
La science hébraique médiévale, in Histoire générale des Sciences, vol. I,
Parigi Tufoporipìs, La science byzantine, in Histoire générale des Sciences,
Parigi, Carmony, The Arabic Corpus of Greek Astronomers and Mathematicians,
Bologna, Maier, Zwischen Philosophie und Mechanik. Studien zur Naturphilosophie
der Spitscholastit, Roma, WrisHEIPL, The Development of physical Theory in the
Middle Ages, Londra-New York, Marr, Ergebnisse der spitscholastischen
Naturphilosophie, Schol., CLacett, The science of mechanics in the middle
age, Madison. BOEZIO (vedasi) De institutione arithmetica De institutione
musica; uno scritto di astronomia perduto; uno scritto di geometria anch'esso
perduto, traduzione delle Categorie; Commento alle Categorie; traduzione del De
interpretatione; primo Commento al De interpretatione; secondo Commento al De
interpretatione; traduzione degli Analytici primi e secondi; traduzione
dei Topici (non è certo, però, se la traduzione che va oggi sotto il suo
nome sia autentica); traduzione della Isagoge di Porfirio; primo Commento
all'Isagoge; secondo Commento alla Isagoge; commento ai Topici di CICERONE;
De syllogismo categorico; Introductio in syllogismos categoricos; De syllogismo
hypotetico; De divisione; De differeptiis topicis; Consolatio
philosophiae. È discussa l’attribuzione della versione degli Elenchi
sofistici. De Trinitate; Ad Iohannem diaconum utrum Pater et Filius
et Spiritus Sanctus de divinitate substantialiter praedicentur; Ad cundem
quomodo substantiae in co quod sint bonae sint, cum non sint
substantialia bona; Liber contra Eutychen et Nestorium. Non è invece autentico
il De fide catholica attribuito tradizionalmente a Boezio. Le opere in P.
L., nel Corpus di Vienna. I trattati teologici si vedano nell’ed.
StewartT-RanD, Londra, la Consolatio nell’ed. BreLer, in Corpus
Christianorum; del De interpretatione cfr. l’ed. Meiser, Lipsia. Delle
traduzioni italiane della Consolatio ricordiamo quelle del Moricca, Firenze,
e del Cappa, Milano. Gli Opuscola theologica sono stati tradotti dal
RAPISARDA, Catania; i Pensieri sulla musica (testo e trad.) dal Damermni,
Firenze. La bibl. generale in GEYER; De Barr; De Wutr. V. inoltre tra le opere
pit importanti e recenti: I. Brnez, Boèce et Porphyre, Rev.
Belge Philol. Hist., Bruprr, Die philosophischen Elemente in den Opuscula Sacra
des Boethius, Lipsia, Cooper, A concordance of Boethius, Cambridge, Bonnaup,
L'éducation scientiphique de Boèce, Spec. 1Carton, Le christianisme et
l'augustinisme d e Boèce, Revue Philos., BroscH, Der Seinbegriff bei
Boethius, Innsbruck, Capone Braca, La soluzione cristiana del problema del summum
bonum, in Philosophiae consolationis libri V di Boezio, Arch. st. filos.
GUZZO (vedasi) L'Isagoge di Porfirio e i commenti di Boezio, in Concetto
e saggi di storia della filosofia, Firenze, Atronsi, Problemi filosofici
della Consolatio boeziana, Riv. filos. neosc.,
SoLmsen, Boethius and the history of the Organon, American Journ. Philos.,
PaLueLLo, The sext of the Caiegoriae, the latin tradition, Classi cal
Quart., 1945. ALronsi, L’umanesimo boeziano della Consolatio, Solidalitas
Erasmia pa, Diurr, The Propositional Logic of Boethius, Amsterdam, Depeck-Hery,
Boethius De consolatione philosophiae ‘by Jean de Meun, Med. Stud.,
Vann, The Wisdom of Boethius, Londra Rapisarpa, La crisi spirituale di Boezio,
Catania, REICHENVERGER, Untersuchungen zur liter. Stellung der Consolatio phi losophiae,
Colonia PrLicersporFER, Zu Boethius De interpretatione Wiener Stud., AcLronsi,
Storia interiore e storia cosmica nella Consolatio boeziana, Convivium,
KortLER, The vulgate tradition of the Consolatio in the 14*h century,
Med. Stud. NéponceLLES, Le variations de Boèce sur
la personne, Rev. sc. relig., Scumipr, Gottheit und Trinitit. Nach dem
Kommentar des Gilbert Porreta zu Boethius, De Trinitate Basilea, Rapisarna,
Poetica e poesia di Boezio, Orpheus, ScHmIpT, Philosophisches und Medizinisches
în der Consolatio des Boethius, Festschrift Bruno Snell, Monaco, SuLowski,
Les sources du De consolatione Philosophiae de Boèce, Sophia, PaLuetto,
Les traductions et les commentaires aristotéliciens de Boèce, Studia
patristica, mogsb s Z PU FO simo Pa LP Lr VISCARPI, BOEZIO (vedasi) e la
conservazione e la trasmissione dell'eredità del pensiero antico, in I
Goti in Occidente, Spoleto, SHiet, Boethius and Andronicus of Rhodes, Vig.
Christ., GecenscHatz, Die Freiheit der Entscheidung in der Consolatio philosophiae
des Boethius, Museum Helveticum, Lepet, Die antike Musik-theorie im Lichte des
Boethius, Berlino SHiet, Boethius Commentaries on Aristotle, Med. Renaiss. Stud.,
PACATTO, Per un'edizione critica del De hypotheticis syllogismis di BOEZIO,
Italia medioevale e umanistica, Hapor, Un fragment du commentaire perdu de
Boèce sur les Catégories d'Aristote dans le Codex bernensis 363, Arch. Hist.
doctr. litt. m. à., Cassiodoro Opere: De anima;
Institutiones. Edizioni: Oltre l’ed. in P. L., si vedano le Opera
in Corpus Christianorum; le Institutiones nella fondamentale ed. R.A.B.
Mynors, Oxford, La bibl. generale in GeyER; De Brie, WuLr, Tra la produzione
più importante e pit recente cfr.: A. Van pe Vrver, Cassiodore et
son ocuvre, Spec., TuÙiece, Cassiodor, seine Klostergriindung Vivarium und sein
Nachwirken im Mittelalter, Studien u. Mitt. z. Gesch. der Benedektinerordens,
Monaco, Ranp, The new Cassiodorus, Spec. Vrver, Les Institutiones de Cassiodore
et sa fondation à Vivarium, Rev. Bénédict., CourceLLE, Les lettres grecques en
Occident, Parigi Barpyr, Cassiodor et la fin du mond ancien, Année théol., Jones,
Cassiodorus senator, New York, Lamma, Cultura e vita in Cassiodoro, Studium, MomicLiano,
Cassiodorus and Italian culture of his time, Oxford, Siviglia Opere:
Etymologiae; De natura rerum; De ordine creaturarum; Differentiarum libri
duo. Edizioni: in P. L.; le Etymologiae, a cura di W. M. Linpsar, Oxford. La
bibl. generale in GevER; De Brie, WutrFr, ALraner, Der Stand der
Isidorforschung, Roma, Pérez pe UrBet, S. Isidor de Sevilla, Barcellona, Mavoz,
Contrastes y discrepancias entre el Liber de variis quaestionibus y S.
Isidor, Est. eccl., Montero Diaz, Etimologias de S. Isidor de Sevilla, Madrid Fontaine,
Isidore de Séville et la culture classique dans l'Espagne wisigothique, Parigi,
DeLHavye, Les idées morales de st. Isidore de Séville, Rech. théol. anc. méd.,
EtLias pe TEJADA, Ideas politicas y juridicas de S. Isidoro de Sevilla,
Madrid, GREGORIO (vedasi) Magno Homiliae in Evangelium; Homiliae in
Ezechielem; Liber regulae pastoralis; Moralia o Expositio in Job;
Dialogorum libri IV; Epistolae. Edizioni: in P. L., Dei Dialoghi cfr. l’ed. crit. di U. Moricca,
Roma, LiesLanc, Grundfragen der mystischen Theologie nach Gregors des Grossen
Moralia und Ezechielhomilien, Friburgo i. B., Weser, Haupifragen der
Moraliheologie Gregors des Grossen, Friburgo, WassELYNcK, La part des Moralia
de Job de St. Grégor le Grand, Mélanges sc. relig., ManseLLI, L'escatologia di
S. Gregorio Magno, Ric. stor. relig., BrunHES, La foi chrétienne et la
philosophie au temps de la Renaissance carolingienne, Parigi, DopscHn,
Wirischafiliche und soziale Grundlagen der europàischen Kultureniwicklung aus
der Zeit von Caesar bis auf Karl den Grossen, Vienna BerLIÈRE, L'ordre
monastique, Parigi, trad. it., Bari. PatzeLT, Die Karolingische Renaissance, Vienna, Lor, La
fin du monde antique et la début du moyen dge, Parigi, Ranp, Founders of de
middle ages, Cambridge (Mass.), ScHramm,
Kaiser, Rom und Renovatio, Lipsia, LaistnEr, Thought and letters in Western
Europe, A, D, 500-900, Londra, 1931, 1957. i E. Gitson, Les
idées et les lettres (Humanisme médiéval et Renaissance), Parigi, Pourrat,
Les origines de la théologie scolastique. Les précurseurs du IX° au XI°
siècle, Rev. apologétique, KLerncLausz, Charlemagne, Parigi, Prrenne, Mahomet
et Charlemagne, Bruxelles-Parigi, tu. it., Bonnaun, L'idée de paix è l'époque
carolingienne, Parigi, 1939. R. S. Lopez, Muhammad and Charlemagne:
a revision, Spec., CALMETTE, Charlemagne, sa vie, son oeuvre, Parigi, HaLpHEn,
Charlemagne et l'Empire carolingien, Parigi, Lomsaro, Mahomet et Charlemagne.
Le problème économique, Annales, DennET, Pirenne und Muhammad, Spec., SaLIn, La
civilisation mérovingienne, Parigi, 1950. A. Ficutenau, Das
Karolingische Imperium. Soziale und geistige Problematik eines Grossreiches,
Zurigo, trad. it. Inem, Karl der Grosse und das Kaisertum, in Mitt.
d. Inst. f. Oest. Gesch. forschung., Sul monachesimo occidentale e la sua
diffusione e influenza culturale: Benedictus, Regula, Introd., testo,
apparati, trad. e comm., a cura di G Penco, Firenze, ScHumiTtz, Histoire
de l'Ordre de St. Bénoit, Maresdous Ryan, Irish monasticism, Dublino BerLiÈrE,
L'Ordine monastico dalle origini, tr. it., Bari, ScHurer, Kirche und Kultur in
Mittelalt., Paderborn, HitpiscH, Gesch. des Benedektinischen Minchtums in ihren
Grundzigen dargestellt, Friburgo, HimxecLer, Vom Mònchtum des hl.
Benedikt. Gedanken iiber bene dektinische Wesenart, Geschichte und
Kultur, Basilea, 1947. Cfr. inoltre il Bulletin d’histoire
benédéctine” nella Revue bénédictine.” Beda il
Venerabile Opere: Historia ecclesiastica gentis Anglorum; De
natura rerum; De temporibus; De temporum ratione; Quaestiones super
Genesim. Edizioni: Le opere si vedano in P. L. 90-95, e in corso
di pubbli cazione in Corpus Christianorum,” Turnholt, Parigi, 1955;
l'Opera historica nell’ed. L. E. Kinc, Londra, 1931; l'Opera de
temporibus nell'ed. C. 520 Bibliografia
W. Jones, Cambridge (Mass.), 1943 e l’Expositio actuum apostolorum nell’ed. M.
L. W. LarstwEr, Cambridge (Mass.), La bibl. generale in GEyER, p. 672; De Brie,
nn. 4532-4550; De Wutr, I, p. 129. Tra le opere piti importanti e pi
recenti si veda: A. Hamirton THompson, Beda. His life, times and writings, Oxford, 1935. H.
M. Gite, St. Beda the Venerable, Londra, 1935. B. CapeLL8 - M. IncuAnez -
B. Tuum, St. Beda Venerable, Studia Anselmiana,” .1936. T. A. Carrot, The
Ven. Beda; his spiritual Teachings, Washington, 1946. C. H. Beeson, The
manuscripts of Beda, Classical Philol. Beumer, Das Kirchenbild in den
Schriftkomment Bedas, Schol.,” 1953. Alcuino Opere:
Grammatica; De orthographia; Dialectica; Dialogus de rhetorica et de
virtutibus; De fide sanctae et individuae Trinitatis; De animae ratione;
De virtutibus et vitiis; Epistolae. Edizioni:
Le opere in P. L. L’ed. crit. delle Epistolae in Epistolae Karolini aevi (M. G.
H., II,18-481). Cfr. inoltre i Monumenta Alcuiniana, Berlino, La bibl. generale
in GryER, p. 691; De Base, nn. 5105-5109; De Wutr, I, p. 129.
Tra gli studi pifi importanti e recenti cfr.: P. MonceLLE,
Alcuin, in DHGE, II M. Rocer, L’enseignement des lettres classiques
d'Ausone è Alcuin, Parigi Buxton, Alcuin, Londra, 1922. S. H. Wicsur, The Retoric of Alcuin, Princeton,
1941. P. Hapor, Marius Victorinus et Alcuin, Arch. Hist. doctr.
litt. m. 8.,” 1954. G. ELLarp, Master Alcuin Liturgist, New York,
1956. L. WattacH, Alcuin and Charlemagne. Studies in Carolingian
History of Literature, Itaca - New York, 1959. Fredegiso
di Tours Opere: De nihilo et de tenebris. Edizioni: P.L., 105,
751-756. Bibliografia: La bibl. generale in GevER, p. 691-692; DE
Wutr Auner, F. von Tours, Lipsia, 1878 (con ed. crit. del De nihilo); J.
A. Enpres, Forschung z. Gesch. der friihmittclalt. Philos., Miinster i.
W.,. Germonar, I problemi del nulla e delle tenebre in Fredegiso di
Tours, in Saggi di filosofia neorazionalistica, Torino, 1953,101-111.
Agobardo Opere: Le numerose opere teologiche, che non
occorre qui enumerare particolarmente in P.L., 104.
Bibliografia: Oltre alle opere indicate in GevER,691-692; cfr. particolarmente:
J. B. Martin, s.v. in DTHC, I, 613-615. M. Bresson, s.v. in DHGE, Rabano
Mauro De institutione clericorum; De rerum naturis; De computo; Grammatica
P.L. La bibl. generale in GevER, p. 692; De Brie, n. 5110; De Wutr, I, p.
129. In particolare cfr.: J. ScHumipt,
Rebanus Maurus, cin Zeit-und Lebensbild, Der Katholik,” 1906. J. B.
HasitzeL, Rabanus Maurus und Claudius von Turin, Hist. Jahrb.,
BLumenKranz, Raban Maur et St. Augustin,
Rev. m. à. lat.,” 1951. ‘Candido di Fulda Opere: Il
pensiero di Candido è espresso nei Dicta Candidi (ed. Hauréau, Parigi,
1872). Bibliografia: Cfr. Gever, p. 692; DE Wutr, I, p. 129.
In particolare vedi Zimmermann, Candidus. Ein Beitrag zur Geschichte der
Friihscholastik, Div. Th.” (F.), 1929. A. KLeIncLausz, Eginhard,
Parigi, Servato Lupo di Ferrières Opere: Epistolae; Liber de
tribus quaestionibus; Collectaneum. Edizioni: Le opere nell’ed.
BaLuze, Parigi, 1664 e 1710; in P.L., 119. Per le Epistolae cfr. l’ed. L. LeviLLann, Parigi, Gever,692-693;
De Brie, n. 5135; DE WuLF Sprotte, Biographie de Servatus Lupus, BerLièrEe, Un
bibliophile du IX siècle, Loup de Ferrières, Mons, 1912. E.
Amann, in DThC, IX, 963-967. Pascasio Radberto Opere:
Tra le numerose opere teologiche, che qui non enumeriamo, ricordiamo
soprattutto il Liber de corpore et sanguine Christi le opere in P.L.,
120. Bibliografia: Cfr. Geyer, p. 693; De Brie, n. 5136. In
particolare: J. Ernst, Die Lehre des hl. Paschasius Radbertus von
der Eucharistie, 1897. J.
Jacquin, Le De corpore et sanguine de Pascase Radbert, Rev. sc. philos. théol.,
1914. H. PeLtier, Pascase Radbert abbé de Corbie, Amiens,
1932. IpeM, s.v., in DThC, GLiozzo, La dottrina della conversione
eucaristica in Pascasio Radberto e Ratramno, monaci di Corbia, Palermo,
1945. H. WerisweiLEr, Paschasius Radbertus als Vermittler des
Gedankengutes der karolingischen Renaissance in der Matthiuskommentaren
des Kreises um Anselm von Laon, Schol., 1960. Ratramno di
Corbie Opere: Le numerose opere teologiche in P.L., il De corpore
et sanguine domini nell’ed. crit. di J. BAKHUIZEN van DEN BrinK,
Amsterdam, 1954. Bibliografia: Cfr. GeyERr, Wutr, I,165-166.
In particolare cfr.: A. NaEcLe, Ratramnus und die hl. Eucharistie, 1903. M. ManitIUs, Gesch. d.
latein. Lit. des Mittelalters, I, Monaco, 1923, 412-17. A. Wiumart,
L'opuscule inédit de Ratramne sur la nature de l'ime, Rev. bénédict.,
1931. C. GLiozzo, La dottrina della convers. eucarist. in Pasc. Radberto
e R. monaci di Corbia, Palermo, GHÙeLLINcK, Le mouvement théolog. au XII° s.,
Bruges, 1948?, p. 27 e passim.
Cfr. inoltre: J. JoLiver, Godescale d'Orbais et la Trinité. La
méthode de la théologie a l'époque carolingienne, Paris,
1958. 933 Bibliografia Capitolo
terzo Il Corpus dello Pseudo-Dionigi. Massimo il Confessore
Edizioni: Per le edd. del Corpus cfr. P.G., 3-4. La raccolta delle traduzioni
latine dei testi dionisiani e la fonte delle citazioni in PH. CHEVALLIER,
Dionysiaca, Parigi, 1937-1950; e l’ed. crit. del De coelesti hierarchia, a
cura di R. Roques e G. Hait, con trad. fr. di M. De Ganpittac nelle Sources
chrétiennes, n. 58, Parigi, 1958. Si veda inoltre la trad. delle Oeuvres complètes
du Pseudo-Denys l'Aréopagite, a cura del De Ganpittac, Parigi, 1943.
Per le traduzioni italiane cfr. Le gerarchie celesti, Firenze, 1921; e, a
cura del Turotta, le Opere, Padova, 1956. Bibliografia:
Sulla vasta letteratura sul Corpus ci limitiamo, in questa sede, ad
indicare oltre gli scritti di J. Stic.marr (Feldkirch, 1895; Hist.
Jahrbuch. d. Gérregesellschaft, Zeitsch. f. die kathol. Theologie, 1899; Schol.,
1927, 1928) e alle indicazioni generali in GevER, De Brie, nn. 4455-4481; De
Wutr, I, p. 112, i seguenti studi: G. Tufry, Scot Erigène
traducteur de Denis, Arch. latin. Med.
Aev., 1931. E. StePHANOU, Les derniers essais d’identification du
pseudo-Denys, Echos d’Orient, 1932. G. Tufry, Études
dionysiennes, Parigi BucHner, Die Areopagitica des Abtes Hilduin von St. Denys
und ihr Kirchenpolitischer Hintergrund, Hist. Jahrb., 1938.
V. Lossky, La théologie négative dans la doctrine de Denis
l’Aréopagite, Rev. sc. philos. théol., 1939. E. Von IvAnka,
Der Aufbau der Schrift De divinis nominibus des PseudoDionysius, Schol.,
1940. G. DeLLa VoLpe, La dottrina dell’Arcopagita e i suoi presupposti
neoplatonici, Roma, 1941 (e cfr. La mistica da Plotino a S. Agostino,
Messina Roques, La notion de Hiérarchie selon le Ps--Denis, Arch. Hist. doctr. litt. m. A., 1950-1951. H.
F. Donpaine, Le Corpus dionysien de l'Université de Paris au XIII siècle, Roma,
1953. R. Roques, L'univers dionysien, Parigi, 1954. E.
Turotta, Introduzione a una lettura dello Ps. Dionigi,
Sophia, 1956. E. Von IvAnxka, Ps. Dionisius und Julian, Wiener
Stud., 1957. R.
Roques, Symbolisme et théologie négative chez le Ps. Dion., Bull. Ass.
Budé. Parigi, 1957. W. VoeLxer, Kontemplation und Ekstase bei Ps.
Dion., Wiesbaden, 1958. P. Scazzoso, Note sulla tradizione
manoscritta della Theologia mystica dello Pseudo Dionigi, Aevum,
1958. J. VANNESTE, Le mystère de Dieu. Essai sur la structure
rationelle de la doctrine mystique du Pseudo-Dénys l'Aréopagite, Parigi Corsini,
La questione arcopagitica. Conwibuto alla cronologia
dello Pseudo-Dionigi, Atti Acc. Sc. Torino, 1959. E.
Von IvAnka, Das Corpus arcopagiticum bei Gerhard von Csanad, Traditio,
1959. L. H. Gronpiys, Sur l2 terminologie
dyonisienne, Bull. Ass. G. Budé, 1959. Ipem, La terminologie metalogique
dans la théol. dynisienne, in L'homme et son destin, cit.,335-346.
Per gli scritti di Massimo cfr. P.G., 90-91. Trad. it. La
Mistagogia e altri scritti a cura di R. CanrareLLA, Firenze, 1931; 12
libro ascetico, a cura di M. Dat Pra, Milano, 1944. Per gli
studi cfr.: J. DeaesEKE, Maximus Confessor und Johannes Scotus
Erigena Theol. Stud. u. Kritiken BaLtHasar, Kosmische Liturgie d.
Max der Bekenner, Friburgo ScHerwooD, The carlier Ambigua of Maxim the Conf.
and his refutation of origenism, Roma, 1955. G. MarHiev, Travaux préparatoires è une édition critique
des oeuvres de S. Maxime le Conf., Lovanio, 1957. E.
Von IvAnka, Der philosophische Ertrag der Auscinandersetzung Maximos des
Bekenners mit dem Origenismus, Jahrb. oester. byzant Gesell.,
1958. Scoto Eriugena Opere: De
praedestinatione; Versio operum S. Dionyssi Arcopagitac; Versio
Ambiguorum S. Maximi; De divisione naturae; Expositiones super Jerarchiam
coelestem S. Dionysi; Commentarius in S. Evangelium secundum Johannem; Homilia
in prologum S. Evangelii secundum Johannem; Carmina; Commentarius ad
opuscola sacra Boethii; Annotationes in Marcianum. Edizioni:
in P.L., 122; per il De divisione naturae l’ed. C. B. Scunùrer, Miinster,
1938; per il Commentarius ad opuscola Boethii l'ed. E. K. Ranp, Monaco,
1906; gli Autographa a cura di E. K. Ranp, Monaco, 1912, e Univ. Calif.
closs. philol., 1920; per le Annotationes in Marcianum cfr. C. E. Lutz,
Johannis Scottii Adnotationes in Marcianum, Cambridge (Mass.) La bibl. generale
in GEvER,693-694; De Brie Wutr, I,144-145. In particolare cfr.: A.
Scuneiper, Die Erkenntnislehre des Joh. Eriug. im Rahmen ihrer metaphysischen
und anthropologischen Voraussetzungen nach den Quellen dargestellt,
Berlino, 1921-23. H. Bert, Johannes
Scot Er. A study in Medieval Philosophy, Cambridge, Doerries, Zur
Geschichte der Mystik Eriugena und der Neuplatonismus, Tubinga,
1925. M. TecHert, Le plotinisme dans le systòme de
Jean Scot Erigène, Rev. néosc. philos., 1927. G. Tutrv, Scot
Erigène, traducteur de Denys, Arch. latin. Med. Aev., 1931; e cfr. N.
Schol., 1933. P. KLETTER, Johannes Eriugena. Eine Untersuchung iiber die
Entstehung d. mittelalterlichen Geistigkeit, Lipsia Seut, Die
Gotteserkenntnis bei Joh. Skot. Er., Bonn, 1932. M.
Cappuyns, Jean Scot Érigène, sa vie, son oeuvre, sa pensée, Parigi - Lovanio,
1933 (con ampia bibliografia). F. MittosevicH, Giovanni Scoto Eriugena e
il significato del suo pensiero, Sophia, ErxHarpT- SieBoLD, Cosmology in
the Annotationes in Marcianum, Baltimora, 1940. Ipem, The Astronomy
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Ér., Arch. Hist. doctr. litt. m. à. Silvestre, Le Commentaire inédit de
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Congresso int. agostiniano), ‘Parigi, 1955,419-428. . Gross, Ur-und
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extraits de divers manuscripts latins pour servir è l'histoire des doctrines
grammaticales au moyen dge, Parigi, 1868. Eirico
di Auxerre Opere: Commenti al De Interpretatione, alle Categoriae,
all’ Isagoge, e a testi boeziani. Ma è dubbio se questi Comment: gli si
possano attribuire. Bibliografia: Gever,694-695.
Remigio di Auxerre Opere: Commenti all’Ars minor di Donato, agli
Opuscola sacra di Boezio e al De Consolatione philosophiae, a Prisciano e
a Marciano Capella (e cfr. M. Manitius, Gesch. d. lat. Lit. d. Mittalt.,
I,504-519). Edizioni: in P.L., 131; In artem Donati, ed. W. Fox,
Lipsia, 1902, in Seduli opera (ed. ]. Huemer, Corpus Vienn., BurnAM,
Commentaire anonyme sur Prudence d'après le ms. 413 de Valenciennes, Parigi La
bibl. generale in GevERr,695; DE Wutr, I,158159. In
particolare cfr.: H. F. Stewart, A Commentary by Remigius
Antissioderensis on the De Consolatione philosophiae of Boethius, Journal
of Theol. Studies, 1916. M. Cappuyns, Le plus
anciens commentaire des Opuscula sacra et son origine, Rech. théol. anc.
méd., 1931. C. E. Lutz, The Commentary of Remigius of
Auxerre on Martianus Capella, Med. Stud., 1957.
Raterio di Verona Opere: Tra le numerose opere, interessano
particolarmente oltre alle Epistolae i Praeloquiorum libri VI.
Edizioni: in P.L., 136 e le Epistolae nell’ed. F. WercLe M.G.H., Weimar,
1949. Bibliografia: E. Amann, in DThC, XIII, 1679-1688. G.
MontICELLI, Reterio, vescovo di Verona, Milano WeicLE, Zur Geschichte des
Bischofs Ratero von Verona, Deutsch. Arch. Tampieri, I! doveri morali di
ciascuno stato di vita secondo i Praeloquia di Raterio da Verona,
Bagnacavallo Aurillac (Silvestro II papa) Opere: De rationali et ratione;
Geometria; Liber de astrolabio. Edizioni: in P.L., 139; a cura di
A. OLLERIS, Clermont-Ferrand - Parigi, 1867; Epistolae a cura di J.
Haver, Parigi, 1889; Opera Mathematica, a cura di N. Busnov, Berlino,
1899. Bibliografia: F.
Picaver, Gerbert ou le pape philosophe, Parigi, 1897. H. Brémonp,
Gerbdert, Parigi, 1906. F. DeLzancLES, Gerbert, Aurillac, 1932. J. LEFLON, Gerbert, Parigi ScHramm, Kaiser, Rom und
Renovatio, Stud. Bibl. Warburg, 1929. A.
CarteLLIERI, Die Westellung des deutsche Reiches, 911-1047, Monaco
Berlino Forz, Le souvenir et la légende de Charlemagne dans l'Empire germanique
médiéval, Parigi, 1951. Su Cluny e la sua
riforma: L. M. SmitH, The early history of Cluny, Oxford,
1920. J. Spor, Grundformen hochmittelalt. Geschichtanschauung,
Monaco, 1935. A. Brackmann, Die politische Wirkung der
cluniazensischen Bewegung, Hist. Zeitschr.,
1929. P. Borssosape, Cluny et la papauté et la I grande Croisade
internationale contre les Sarrazins d’Espagne, Rev. quest. hist.,
1932. G. De VaLons, Le monachisme cluniasien des origines au XV
siècle (Archive de la France monastique), Liguegé Harincer, Gorze-Cluny,
Studien zu den monastischen Lebensformen und Gegensitzen im
Hochmittelalt., Roma, 1948. A. Chagny, Cluny et son empire, Parigi LecLERCO, Les études universitaires dans
l'ordre de Cluny, Saint-Waudrille, 1947. Spiritualità
cluniacense (Convegni del centro di studi sulla spiritualità medioevale, II),
Todi Costantino Africano Opere: il Wiistenfeld gli attribuisce le
seguenti traduzioni: Liber completus artis medicinae qui dicitur regalis
dispositio o Pantegni, di Ali Ibn ‘Abbas; Viazicum, di Abù ba ‘far Ahmad
Ibn al-Gazzar; Liber divisionum e Liber experimentorum dell’arabo
ar-Rari; Liber dietarum universalium es particuliarium, Liber urinarum,
Liber febrium, Liber de gradibus, di Ishiq al-Isra'ili. Tradusse inoltre
opere di Ippocrate e di Galeno. 529
Bibliografia Bibliografia: cfr. Gever,703-704. In particolare
v.: M. SreEInscHNEMDER, C. A. und seine arabischen Quellen, Archiv.
f. pathol. Anatomie u. Phisiol., WisrenreLD, Die Ubersetzungen arabischer
Werke ins Lateinische seit dem II Jahrh., in Abhand!, d. K. Gesellsch. d.
Wiss. 2. Gòttingen CLervaL, Les écoles de Chartres au
moyen dge du V° au XVI? siècle, Parigi, 1895. L. THornpIiKE, A history of magic and experimental
science, cit., I, 742-759. Alfano di Salerno e
l'ambiente salernitano Opere: Vita et passio s. Christinae;
Sermone; De unione Verbi Dei et hominis (smarrito); Vita di s. Sabina (si
ritiene perduto.); traduzione del trattato di Nemesio: Sulla natura
dell'uomo; Prologus alla suddetta traduzione; Tractatus de pulsibus; De
quattuor humoribus corporis humani (framm.).
Bibliografia: in particolare v.: M. ScHIPA, Alfano 1.,
arciv. di Salerno, Salerno, 1880. Inem, Storia del Principato longobardo
di Salerno, Arch. Stor. per le provincie napoletane, 12 (1887),
passim. U. Ronca, Cultura medievale e Poesia Latina in Italia nei
sec. XI e XII, II, Roma, 1892,14-20. A. AmetLI, La basilica
di Montecassino e la Lateranense nel sec. XI, Misc. Cassinese FaLco, Un
Vescovo poeta ‘nel sec. XI, Alfano di Salerno, Arch. Soc. Romana di
Storia Patria, 35 (1912),439-82. B. ALsers, Verse des Erzbischofs
Alfanus von Salerno fiir Monte Cassino, N. Arch. Manitius, Geschichte der lateinischen Literatur des
Mittelalters, II, cit., 618-37. P. O. KrisreLLer, The school
of Salerno, Bull. Hist. of Med., 1945. Inem, Nuove fonti per la medicina
salernitana, Rass. stor. salernitana, 1957. Pier Damiani
Opere: Gratissimus; Gomorrhianus; Disceptatio Synodalis; De
Gallica profectione; Vitae Sanctorum; Carmina et Preces; Sermones
(l'attribuzione di molti dei quali è assai discussa). Edizioni:
P.L. 144-45 (è la ristampa dell’ed. di C. GaeranI del 1606 con l'aggiunta
di vari opuscoli scoperti da AnceLo Mar e apparsi in Scriptorum
530 Bibliografia veterum nova collectio, VI, Roma,
1832,193-244); manca una edizione critica completa, esistono solo
edizioni parziali; tra le più recenti citiamo: L. De HeineMmann, in MGH,
Libelli, 1, Hannover Warrz, ibidem, Scriptores, IV.; P. Brezzi - B.
Narpi, S. Pier Damiani, De Divina omnipotentia, ed altri opuscoli (con trad.
it.), Firenze KoLprnc, Petrus D. Das Biichlein vom Dominus Vobiscum,
Diisseldorf, 1949. Bibliografia: cfr. GevER,696-697; De Brie, n.
5160; in particolare v.: J. A. Enpres, P. Damiani und die weliliche
Wissenschaft (Beitrage), Miinster, 1910. L. KùHN, Petrus Damianus und scine Anschauungen iiber
Staat und Kirche, Karlsruhe, 1913. J. A. Enpres, Forschungen
zur Gesch. der friihmittelalterl. Philosophie, (Beitrige, XVII, 2-3),
Miinster, 1915. ]. Rmère, S.
Pierre Damien et les droits politiques du Pape, Bull. litt. eccl.,
Losacco, Dialettici e antidialettici nei secc. IX, X, XI, Sophia Poretti, Il
vero atteggiamento antidialettico di S. P. Damiani, Faenza, 1953.
F. DriessLEr, P. Damiani, Roma 1954. J. GonsetTE, P. Damien
et la culture profane, Lovanio Berengario di Tour Opere: De sacra
coena. Edizioni: P.L., 150; B. T. De sacra coena adversus
Lanfraneum, ed. A. F. e F. T. ViscHER, Berlino, 1834; una nuova ed., di
W. H. BeEKENrAMp, L’Aja Morin, Lettre inédite de B. de T. à Parchev. Joscelin de Bordeaux, Rev. Bénédict., 1932,220-26.
Bibliografia: Cfr. GevER,696; De Brie, n. 5146; DE Wutr, I,166;
in particolare v.: C. PrantI ScHmITzER, B. v. Tours und seine
Lehre, 1890. T. Herrz, Essai historique sur les rapports entre la
philosophie et la foi de Bérenger de Tours è st. Thomas d'Aquin, Parigi, 1909. A. J.
Macponacp, Berengar and the reform of sacramental doctrine, Landra,
1930. G. Mor, Bérenger contre Bérenger, Rech. théol. anc. méd. Marronota,
Un testo inedito di Berengario di Tours e il Concilio ro mano del 1079,
Milano, 1936. 531
Bibliografia L. C. Ramirez, La controversia eucaristica del
siglo XI: B. de T. a la luz de sus contemporéneos, Bogotà,
1940. F. Verne, in DThC, II, 722-42. M. Cappuvns, in DHGE, VIII,
385-407. Anselmo di Besate Opere:
Rhetorimachia. Edizioni: cfr. E. DimMEER in dibdl. e l’ed. crit.
di K. ManItIUs, in M.G.H. Quellen zu Geistesgeschichte des Mittelalters,
2, Weimar, 1958. Bibliografia: cfr. GevER, DummLeER, A. d.
Peripatetiker, Halle Enpres, Die Dialektiker und ihre Gegner in 11 Jahrhundert,
Philos. Jahrb.. Lautenbach Liber ad Gebehardum; Opusculum
contra Wolfelmum Coloniensem. Edizioni: P.L., 155; il Liber in
M.G.H., Libelli, I (1891),308-490. Bibliografia: cfr. Gever,166; De Wutr,
I,166; in particolare v.: J. A. Enpres, Die
Dialektiker und ihre Gegner im 11 Jahrhundert, cit, 25-27; 1913,160-69.
Ipem, Manegold von Lautenbach, Hist. Pol.
Blitter, 1901. Inem, Manegold von Lautenbach, Modernarum magister
magistrorum, Hist. Jahrb., 1904. M. T. Streap, Manegold of
Lautenbach, Engl. Hist. Rev., 1914. E. Woosen, Papauté et pouvoir civil à l'époque de
Grégoire VII, Lovanio, 1927. E.
Garin, Contributi alla storia del platonismo medievale,(ora, con
aggiornata bibliografia, in Studi sul platonismo medievale, cit.).
Lanfranco di Pavia Opere: De corpore et sanguine Domini. Edizioni:
P. L., 150. Bibliografia: cfr. Gever,697-698; DE WuLF, I, p. 166;
in particolare v.: A. J. MacponaLp, Lranfranc. A Study of
his life, works and writings, Oxford, Londra AOSTA (vedasi) Monologion o
Exemplum meditandi de ratione fidei (1076); Proslogion o Fides quacrens
intellectum; De grammatico; De veritate; De libertate arbitri (cadono
tutte e tre tra il 1080 e il 1085); De casu diaboli (1085-1090); Epistola
de incarnatione Verbi (1 red. 1092, I red. 1094) o De mysterio
Trinitatis; Cur Deus homo (1098); De conceptu virgirali (1099-1100); De
processione Spiritus Sancti (1102); Epistola de sacrificio azymi;
Epistola de sacramentis Ecclesiae (entrambe tra il 1106 e il 1107); De
concordia praescientiae et praedestinatione et gratiae Dei cum libero
arbitrio (1108); Epistolae; Orationes sive meditationes (1070-1104).
Edizioni: in P.L.; ma si veda l’ed. crit. a cura di F. S. ScHMITT,
Leckau-Roma, 1938, Lipsia-Roma, I, 194 (i primi due voll.), EdimburgoLondra,
1943-1951 (i restanti tre voll.) e, inoltre, il Monologion e.il Proslogion,
Padova, 1951, con un testo che riproduce l’ed. ScHMitT, e del Cur Deus
homo l'ed. fotomecc. (Schmitt) con trad. ted., Darmstadt, 1958. Delle
trad. italiane ricordiamo le Opere filosofiche a cura di C. Orraviano
(escluso il Monologior), Lanciano, 1928; per il Monologion, quella sempre
.a. cura dell’Ortaviano, Palermo, 1932; di A. Beccari, Torino, 1930; di
A. LANTRUA, Firenze, Cfr. inoltre: S. AnseLMo d'Aosta, /! Proslogion, le
Orazioni, e le meditazioni, testo lat. (Schmitt), trad. intr. a cura di
G. Sanpri, Padova, 1959. Bibliografia: La bibl. generale in
GeveRr Brie Wutr Tra le opere più interessanti e più recenti cfr.: a)
Sull'ordinamento delle opere e sul pensiero in generale: A. Koyré,
L'idée de Dieu dans la philosophie de St. Anselme, Parigi, 1923. H. OstLENDER, Anselm von Canterbury, der Vater der
Scholastik, Diisseldorf, 1927. A. Levasti, S. Anselmo, vita e
pensiero, Bari, Jacquin, Les rationes necessariae de St. Ansélme, Mél. Mandonnet,
II, Parigi BartH, Fides quaerens intellectum. Anselms Beweis der Existenz
Gottes im Zusammenhang seines theolog. Programms, Monaco, 1931,
1958. W. BerzenpòRFER, Giauben und Wissen bei den grossen Denkern des
Mit telalters, Gotha, 1931. A. Wimart, Le premier ouvrage de St. Anselme contre le
trittisme de Roscelin, Rech. théol. anc. méd. ScHMITT, Zur Ueberlieferung
der Korrespondenz Anselms von Canterbury, Rev. Bénédict., 1931. IpeMm,
Zur Chronologie der werke des hl. Anselm, Rev. Bénédict., 1932. C.
Orraviano, Le rationes necessariae in S. Anselmo, Sophia, 1933.
533 Bibliografia E. Giuson, Sens et nature de
Pargument de St. Anselme, Arch. Hist. doctr.
litt. m. à., 1934. R. ALcers, Anselm von Canterbury. Leben, Lehre,
Werk... Vienna, 1936. F. S. ScHMITT, Eine neues unvollendetes Werk des
Hl. Anselme von Canterbury. De potestate et
impotentia, necessitate et libertate, (Beitrige, XXXIII, 3), Miinster,
1936. A. StoLz, Anselm von Canterbury. Sein Leben, seine Bedeutung, seine
Hauptwerke, Monaco, 1937. L. Baupry, La préscience divine chez St.
Anselme, Arch. Hist. doctr. litt. m. &. 1940-42. G. Ceriani, S.
Anselmo, Brescia, 1947. S. Vanni-RovicHi, S. Anselmo e la filos. del
secolo XI, Milano, 1949. T. Moretti-Costanzi, L'ascesi di coscienza e
l'argomento di S. Anselmo, Roma, 1951. H. G.. Wourz, The Empirical Basis of Anselms
Arguments, Philos. Rev., 1951. S. A. Grave, The ontological
Argument of St. Anselm, Philos., 1952. R,
Perino, La dottrina trinitaria di S. Anselmo, Roma, 1952. J. Kopper, Der
Ontologiche Gottesbeweis Anselmus und der moralische Gottesbeweis Kants, Ann.
Univ. Saraviensis, Philos. Lett., 1953.
F. S. ScHMmITT, Die Chronologie des Briefe des Anselm von Canterbury, Rev.
Bénédict., 1954. R. G. Mitcer, The ontological argument in
St. Anselm and Descartes, Mod. School., 1955. F. S. ScHMitT, Die
echten und unechten Stiicke der Korrespondenz des hl. Anselm von Canterbury, Rev. Bénédict., 1955. M.
Garripo, E! supuesto racionalismo de S. Anselmo, Verdad y vita, 1955. H. Ort, Anselms Vorsbhungslehre, Theol. Zeitschr.,
1957. G. H. Wixiams, The sacramental presuppositions of Anselm’s Cur
Deus homo, Church Hist., 1957. J. Mac Inrrre, St. Anselm and his
critics. A re-interpretation of the Cur Deus homo, New York, 1958.
. Rousseau, Notes sur la connaissance de Dieu
selon St. Anselme, in De la connaissance de Dieu (vol. misc.),
Parigi-Bruges, 1959. S. Scumitt, Intorno alla Opera
omnia di S. Anselmo d'Aosta, Sophia, 1959. . Henry, The scope of the logic of st. Anselm, in
L'homme et son destin, cit.,373-383. . R. FarrwEaTHER, Truth,
justice and moral responsibility in the thought of St. Anselm, ibidem,385-391.
3) Sul Monologion: P. Vicnaux,
Structure et sens du Monologio, Rev. sc. philos. théol., 1947. c)
Sul Proslogion: MO v n 534
Bibliografia K. BartH, Fides quarens intellectum, Monaco,
1931. A. Stotz, Zur Theologie Anselms in Proslogion, Catholica,
1933. Ipem, Vere esse im Proslogion des hl. Anselm, Schol.,
1934. IpeM, Das Proslogion des hl. Anselm, Rev. Bénédict,
1935. M. Cappurns, L'argument de st. Anselme, Rech. théol. anc.
méd., 1934. A. Kotpinc, Anselms Proslogion-Beweis des Existenz
Gottes, Bonn, 1939. F. BeRcENTHAL, Ist
der ontologische Gottesbeweis Anselms von Canterbury cin Trugschluss?, Philos.
Jahrb., 1948. Tu. A. AupeT, Une
source augustinienne de l'argument de St. Anselme, in E. Gilson
philosophe de la Chrétienté, Parigi, 1949. M. T.
AntoneLLI, Il significato del Proslogion di Anselmo d'Aosta, Riv. rosminiana, 1951. H. HocHserc, St. Anselm
’s ontological argument and Russel’s theory of description, N. Schol.,
1959. Anselmo di Lzon Opere: I
molti scritti che furono opera della scuola di Anselmo si confusero con quelli
della scuola di Guglielmo di Champeaux, allievo di Anselmo, per cui resta
difficile farne una sicura distinzione; ad Anselmo vengono attribuite:
Sentenziae Anselmi, Sententiae divinae paginae, Glossa interlinearis; ma le
attribuzioni non sono del tutto sicure. Edizioni e bibliografia: cfr. Gever,700; De Brie,
5299-5314; De Wuctr, I,250-251; in particolare GHELLINCK, The
Sentences of Anselm of Laon and their place in the codification of
theology during the XIII century, Irish theol. Quart., 1911. F. BLIEMETZRIEDER, Anselm
von Laons systematische Sentenzen... I, Texte (Beitrige, XVIII, 2-3),
Miinster, 1919. Ip., L'ocuvre d'Anselme de Laon et la littérature
théologique contemporaine, Rech. Théol. anc. méd. WriswriLeR, Das
Schriftum der Schule A. von Laon und Wilhems vom Champeaux in deutschen
Biblioteken, (Beitrige, XXXIII, 1-2), Miinster, 1936. A. Lanperar, Werke aus dem Bereich der Summa
Sententiarum und Anselm von Laon, Div. Th. (F.), 1936. O. Lortin, Aux ornigines de
l'école d'A. de Laon, Rech. théol. anc. méd. IpeM, Nouveaux fragments
théologiques de Pécole d'A. de Laon, bibl. Ipem, Psychol. et morale Cavarcera,
D'Anselme de Laon è Pierre Lombard, Bull. litt. ecclés., 1940.
B. Smatrey, The study of the Bible in the
Middle Ages, Oxford, 1941, 33-35, 40-43, 45-46. H. WrisweILER, Die
dltesten scholastischen Gesamt-Darstellungen der Theologie. Ein Beitrag zur
chronologie der Sentenzen werke der Schule Anselm von Laon und Wilhelms
von Champeaux, Schol., 1941. O.
Lortm, La doctrine d'Anselme de Laon sur les dons du Saint-Esprit et son
influence, Rech. théol. anc. méd., 1957. H. WerrsweiLER, Die
Arbeitweise der sogenanten Sententiae Anselmi. Ein Beitrag zum Entstehen
der systematischen Werke der Theologie, Schol., 1959. Y.
Lerèvre, Le De conditione angelica et humana et les Sententiae Anselmi
(con testo), Arch. Hist. doctr. litt. m. &.,7 1959. O. Lorin, A
propos de la date de deux florilèges concernant Anselme de Laon, Rech.
théol. ‘anc. méd., 1959. Roscellino Opere: si
veda di Roscellino la Lettera ad Abelardo, in P.L., 178, e in J. Remers, Der Nominalismus in der Friihscholastik (Beitrige,
VIII, 5). Miinster Gever,701; De Wutr, I, 159. In
particolare v.: E. Buonaruti, Un filosofo della contingenza nel
sec. XI: Roscellino da Compiègne, Riv. stor.
crit. scien. rel., 1908. F. Picaver, Roscellin, philosophe et
théologien d'après la légende et d'après l’histoire, Parigi, 1911? (con
testi e documenti in app.). M. Gorce, in DThC, XIII,
2911-2915. Capitolo terzo Sulla cultura del XII secolo e il
suo rinascimento A. CLervar, Les écoles de Chartres au Moyen Age
du V au XVI siècle, Parigi, 1895. M. GraBMann, Die Geschichte d. scholast. Methode,
Monaco, 1911. Cu. H. Haskins, The Renaissance of the 12*% century,
Cambridge (Mass.), 1927. G. Paré - A. Bruner - P. TremsLay, La Renaissance du XII*
siècle, ParigiOttawa Wutr, Le panthéisme Chartruin, in Aus der Geisteswelt des
mittelalters (Beitrige, suppl. III), Miinster, 1935. J. M. Parent,
La doctrine de la création dans l'’école de Chastres, ParigiOttawa, 1938.
J. De GHELLINCK, L'essor de la littérature latine au XII° siècle,
Bruxelles, 1946, 1954?. Pu. DeLHAyE, L'organisation scolaire
au XII' siècle, Tradiwio 1947. G. Paré, Les idées et les lettres au
XII° siècle. Le Roman de la Rose, Montréal Curtius, Ewropdische Literatur und
lateinisches Mittelalter, J. De GHELLINcK, Le mouvement théologique au
XII° siècle, T. Grecory, L'idea della natura nella scuola di Chartres, Gior.
crit. filos. ital, 1952. Ipem, Anima mundi.
La filosofia di Guglielmo di Conches e la Scuola di Chartres, Firenze CHÒenu,
La théologie au douzième siècle, Parigi, 1957. E. Garin, Di alcuni
aspetti del Platonismo medievale, in particolare nel XII secolo, in Studi
sul Platonismo medievale, Cfr. inoltre, riguardo all’organizzazione
degli studi, specialmente in Francia: E. Lesne, Les
écoles de la fin du VIII* siècle è la fin du XII° siècle, +. V della Histoire de la propriété ecclésiastique en
France, Lilla, 1940. U. Guatazzini, Ricerche sulle
scuole preuniversitarie del Medioevo. Contributo di indagini sul sorgere delle
Università, Milano, 1943. H.
I. Marrou, Histoire de l'éducation dans l’antiquité, Parigi DeLHAYE,
L'enseignement de la philosophie morale au XII° siècle, Med. Stud., 1947, 1949. A. L. Gasriet, English
Masters and Students in Paris during the XII! Century, Anal. Praemonstr. Boskorr,
Quintilian in the Latin Middle Ages, Spec. 1952. Capitolo
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de Chartres au Moyen Age... R. L. PooLe, The Master of the Schools of Paris and
Chartres, in John of Salisbury's time, Engl. Hist. Rev.,
1920. J. M. Parent, La doctrine de la Création dans l'École de Chartres,
537 Bibliografia S. Vanni-RovicHi, La prima
scolastica, Grande Antologia Filosofica, IV, Milano, Grecory, Anima
mundi. La filosofia di Guglielmo di Conches e la scuola di
Chartres, E. Garin, Studi sul platonismo medioevale, cit.,13-87.
.Fulberto Opere: Sermoni, poesie, agiografie e lettere in
P.L., 141. Bibliografia: C. Prister, De Fulberti Carnotensis
episcopi vita et operibus, Nancy, 1885; s.v. in DThC, VI, 964-967.
.Bernardo Opere: Fonti e frammenti in P.L., 199, 666 e 938;
e cfr. P. TrHomas, in Mel. Graux, Parigi, 1884, dove pubblica alcuni
estratti del De invenzione .rhetorica. Gilberto de la
Porrée Opere: Commenti agli Opuscola sacra di Boezio; scritti
esegetici tra i quali particolarmente importanti i Commenti ai salmi ed
all’Epistola at «Romani. Edizioni: I Commenti a Boezio
insieme agli stessi Opuscola sacra, in P.L., 64 (ma cfr. R. SrLvann, Le
texte des Commentaires sur Boèce de Gilbert -de la Porrée, Arch. Hist.
doctr. m. à., 1946); ed. crit. dei Commenti: al De Hebdomadibus, Traditio,
1953, ai. due Opuscoli sulla Trinità, Studies and Textes, I, Toronto,
1955; al Contra Eutychen et Nestorium (De duabus naturis), Arch. Hist.
doctr. litt. m. à., 1954. Le opere esegetiche bibliche «sono ancora
inedite, salvo una parte del Commento ai Salmi. Per il Liber «de sex
principiis, che non è probabilmente di Gilberto, cfr. P.L., 188, 12551270; ed.
crit. A. Hevsse, Miinster, 19532. Bibliografia: La bibl. generale
in Grever,704-705; De Brie, nn. ‘5208-5211; De Wutr, I,213-214. In
particolare cfr.: A. Lanpcrar, Untersuch. zu den Eigenlehren
Gilberts de la Porrée, Zeitschr. Kathol.
Theol., 1930. Ipem, Mitteil. 2. Schule Gilbert Porreta-s, Collect.
franc., 1933. A.
Forest, Le réalisme de Gilbert de la Porrée dans les commentaire du De
hebdomadibus} Rev. néosc. philos., 1934. Ipem, Gilbert de la Porrée
et les écoles du XII° siècle, Rev. cours et confér., 1934.
.A. Haven, Le concile de Reims et l'erreur théologique de Gilbert de la
Porrée, Arch. Hist. doctr. litt. m. &., 1935-1936.
Bibliografia M. H. Vicarre, Les Porretains et l'avicennisme avant
1215, Rev. sc. philos. théol.,
1937. M. Harinc, The case of Gilbert de la Porrée, Med. Stud.,
1951. E. Wicciams, The Teaching of Gilbert Porretta on the Trinity,
Roma, 1951. Miano, Il commento alle
Lettere di S. Paolo di Gilberto Porrettano, in Scholastica ratione
hist-crit. instauranda, Roma, 1951,171-199. M. Harinc, The Commentary of Gilbert bishop of
Poitiers on Boethius Contra Euthychen et Nestorium (con testo), Arch.
Hist. doctr. litt. m. à., 1954. A. M. Lanperar, Zur Lehre des
Gilbert Porretta, Zeitschr. f. kathol. Theol.,
1955. Vanni-RovicHI, La filosofia di Gilberto Porrettano, Misc. del
centro di studi med. dell’Univ. catt. di Milano, Milano, 1956.
M. Harinc, Sprachlogische und philosophische Voraussetzungen zum
Verstindnis der Christologie Gilberts von Poitiers, Schol. Simon, La glose è
l'épftre aux Romains de Gilbert de la Porrée, Rev. Hist. ecclés.,
1957. J. WestLEY, A philosophy of the concreted
and the concrete. The constitution of creature according to Gilbert de la
Porrée, Schol., 1959-1960. Z_S RZ DO
zz Teodorico di Chartres Opere: De sex dierum
operibus; Heptateucon; Commento al De Trinitate di Boezio (Librum hunc).
Edizioni: De sex dierum operibus in Haurfau, Notices et
extraits..., 1893,52e in W. Jansen, Der Kommentar d. Clarembaldus v.
Arras zu Boethius De Trinitate, Breslavia, 1926; Heptateucon, scoperto e
presentato da A. CLervar in Congrès scient. int. d. Cathol., II, Parigi,
1889,277 sgg., ed. del prologo a cura dello JeaunEAU in Méd. Stud., 1954; Librum hunc in JAnSEN, op. cit., e
cfr. N. M. Harinc, A Commentary on Boethius De Trinitate by Thierry of
Chartres, Arch. Hist. doctr. litt. m. 4. 1956.
La bibl. generale in Gever, p. 704; De Bue, n. 5352; DE Wutr, I, 192-193.
Bibliografia: P. DuneM, Le système du monde, cit., III,184-193;
J. M. Parent, La doctrine de la création dans l'école de Chartres,
E. JEaunEAU, Quelques aspects du platonisme de Thierry de Chartres, Congrès
de Tours et Poitiers, 1954. Ipem, Un représentant du platonisme au
XII° siècle: Thierry de Chartres, Mém. Soc. archéol. d’Eure-et-Loire,
1954. Ipem, Simples notes sur la cosmogonie de
Thierry de Chartres, Sophia, 1955 539
Bibliografia N. M. Harinc, A short treatise on the Trinity from
the School of Thierry of Chartres, Med. Stud., 1957. Inem,
The lectures of Thierry of Chartres on Boethius De Trinitate Arch. Hist.
doctr. litt. m. &., 1958. IpeMm, Two Commentaries on Boethius (De
Trinitate and De Hebdomadibus) by Thierry of Chartres, ibidem, 1960.
Guglielmo di Conches Opere: Philosophia mundi (in
varie red.); Dragmaticon philosophiae; Glosse alla Consolatio boeziana;
Glosse al Timeo di Platone. Assai probabile anche l’attribuzione del
Moralium dogma philosophorum, opera eccezionalmente fortunata.
Edizioni: La Philosophia mundi, in P.L., 90 (tra le opere di Beda) e 172
(tra le opere di Onorio di Autun); il Dragmation, ed. C. Parra, Parigi,
1943; frammenti della Secunda e Tertia Philosophia in V. Cousin, Ouvrages
inédits d’Abélard, Parigi, 1936,669-677, ove si trovano pure alcuni frammenti
del Commento al Timeo,648-657. Per la Glosse aBoezio e al Timeo cfr. CH. Journary,
Notices et extraits..., XX, 2, Parigi, 1862, e, particolarmente T. Grecory,
Anima mundi. La filosofia di Guglielmo di Conches e la scuola di
Chartres, Firenze, 1955, ed E. Garin, Studi sul platonismo medievale,
Firenze, 1958. Per il Moralium dogma philosophorum cfr. l’ed. J.
HoLmserc, Upsala, 1929. Bibliografia: Cfr. Gever, p. 704; De Brie,
nn. 5245-5248, 5352; DE Wutr, I,192-193. In parti colare cfr.: H. FLATTEN, Die
philosophie des Wilhelm von Conches, Coblenza, 1929. C. Ortaviano, Willelmi a Conchis philosophia seu Summa
philosophiae, Arch. st. filos., 1932, n. 2; 1933, n. 1. IpeM,
Un brano inedito della Philosophia di Guglielmo di Conches, Napoli,
1935. J. M. Parent, La doctrine de la création dans
l'école de Chartres, (con brani delle glosse a Boezio e al Timeo).
Pu. DeLHave, Une adaptation du De Officiis au XII° siècle, le Moralium
dogma philosophorum, Rech. théol. anc. méd., 1949. T.
Grecory, Sull'attribuzione a Guglielmo di Conches di un rimaneggiamento della Philosophia
mundi) Gior. crit. filos. ital. 1951. Ipem, Anima mundi. La
filosofia di Guglielmo di Conches e la scuola di Chartres, E.
Garin, Studi sul platonismo medioevale, B. OprrerNAM, L'usage de la
notion d'Integumentum à travers les gloses de Guillaume de
Conches, Arch. Hist. doctr. litt. m. Hanticnars, Points de
vue sur la volonté et le jugement dans l'ocuvre d'un humaniste chartrain,
in L'homme et son destin, cit.,417-429. E. JeaunEAU, Gloses de
Guillaume de Conches sur Macrobe. Notes sur les manuscrits, Arch. Hist.
doctr. litt. m. 2., 1960. Ipem, Deux rédactions des gloses de
Guillaume de Conches sur Priscien, Rech. théol. anc. méd., 1960.
Bernardo Silvestre Opere: De mundi universitate sive
Megacosmus et Microcosmus; Commentum in VI Aeneidos Libros; Mathematicus; De
gemellis; De paupere ingrato; Experimentarius. Edizioni:
Vari frammenti ed estratti delle opere in V. Cousin, Ouvrages inédits
d'Abélard, Parigi, 1836 e 1855; per il De mundi universitate, cfr. l'ed.
S. BaracH - J. WrosEt, Innsbruck, 1876; per il Commentum l’ed. RiepEL,
Gryphisvaldae, 1924; per il Mazhematicus vedi P.L., 171 dove si trova
l’ed. J. Bourassé, tra le opere di Ildeberto di Lavardin; per
l'Experimentarius cfr. M. Brini-SavoreLLI, Un manuale di geomanzia
presentato da Bernardo Silvestre di Tours (XII secolo): L’Experimentarius
Riv. crit. st. filos., 1959. Bibliografia: La bibl.
generale inGeyeR, p. 704; De Wutr, I, p. 192. In particolare cfr.: E. Girson, La cosmogonie
de Bernard de Sylvestris, Arch. Hist. doctr. litt. m. 4.7 1928.
L. THornpIKE, An History of magic and
experimental science, II, New York, 1929, c. 39. Tu.
Silverste, The fabulous Cosmogony of Bernard Silvestris, Modern Philol.,
1948. Capitolo quinto Pietro
Abelardo Opere: a) logica: 1) Glosse letterali: Editio super
Porphyrium; Glossae in Categorias; Editio super Aristotelem de
interpretatione; De divisionibus; 2) Logica Ingredientibus; 3) Logica Nostrorum
petitioni sociorum (Glosse a Porfirio); 4) Dialectica (pit volte rimaneggiata
tra il 1118 e il 1137). 6) teologia: 1) De wnitate et trinitate
divina (1118-1121); 2) TAeologia christiana Theologia Sic et Non Commenti
esegetici ai testi biblici (dopo il 1125); 6) Sermones; 7) Dialogus inter
iudacum, philosophum et christianum. Ethica, seu liber Scito te
ipsum. Inoltre le Epistole (tra le quali particolarmente importanti il
carteggio con Eloisa e la Historia calamitatum). Edizioni:
Tutte le opere, escluse quelle logiche, in P.L., 178; gli scritti fino ad
allora inediti di Abelardo furono editi da V. Cousin, Ouvrages inédits
d'Abélard, Parigi, 1836, che fece poi seguire la nuova edizione delle
opere già edite: Petri Abaclardi opera hactenus scorsin edita, a cura di
V. Cousin e Cu. Journain, Parigi, 1849-1859. Altre ed. che
completano il Corpus abelardiano: P. AsaELARDI, De unitate et trinitate divina,
ed. R. SròLzLE, Friburgo, 1891; Peter Abaclards Philosophische Schriften (1.
Die Logica Ingredientibus 1; Die Glossen zu Porphyrius; Die Logica Ingredientibus
2; Die Glossen zu den Kategorien; Die Logica Nostrorum petitioni sociorum;
Die Glossen zu Porphyrius), a cura di B. GEvER, in Beitrige, XXI, 1,
1919; XXI, 2, 1921; XXI, 3, 1927; XXI, 4, 1933; Peter Abaelards Theologia
Summi Boni zum ersten Male volistindig herausgegeben (Beitrige, XXV),
Miinster, 1939; Abaelard's Letter of Consolation to a Friend (Historia
calamitatum), a cura di J. T. MuckLeE, Med. Stud., Toronto, 1950, ed ora
nell’ed. crit. d i J. Monratn: ABfLarp, Historia calamitatum,
Parigi, 1959; Pretro ABELARDO, Scritti filosofici (Editio super
Porphyrium, Glossae in Categorias, Super Aristotelem de Interpretatione,
De divisionibus, Super Topica glossae), editi per la prima volta da M.
Dar Pra, Milano-Roma, 1954; Twelfth century logic. Texts and Studies, a
cura di L. Minio-ParueLLo, Roma, 1956-1958 (vi sono alcuni testi di
Abelardo); P. AsaeLarpus, Diglectica, First complete edition of the Parisian
manuscript, a cura di L. M. De Rijx, Assen, 1956, Utile l'antologia a
cura di M. De GanpiLLac, Ocuvres Choisies d' Abélard, Parigi, 1945. Il Conosci
te stesso è stato tradotto in italiano da M. Dar Pra, Vicenza, 1941,
l’Epistolario da C. OrTaviano, Palermo La bibl. generale in Gever,702-703; De
Brie, nn. 5212-5244; De Wutr,
I,208-209. CH. De Rémusar, Abélard. Sa vie, sa pensée, sa
théologie, Parigi, 1845; 2. ed. 1855. L.
Tosti, Storia di Abelardo e dei suoi tempi, Napoli, 1851; Roma, 1887.
E. Kaiser, Pierre Abélard critique,
Friburgo, 1901. J. Mc Case, Peter Abelard, New York, 1901.
J. Reiners, Der Nominalismus in der Frihscholastik (Beitràge, VIII,
5), Miinster, 1910. B. GevER, Die Stellung Abàlards in der
Universalienfrage... (Beitràge, suppl. I), Miinster, 1913. H.
OsrLenper, P. Abelards Theologia und die Sentenzenbiicher seiner Schule,
Breslavia, 1926. C. Ottaviano, Pietro Abelardo,
La vita, le opere, il pensiero, Roma, 1931. J. Cortiaux, La conception de la théologie chez Abélard, Rev.
hist. ecclés., 1932. 542 Bibliografia J.
G. Sikes, Peter Abaelard, Cambridge, 1932. Cu. CHarrier, Héloise
dans l'histoire et dans la légende, Parigi, 1933. ]. Rivière, Les capitula
d’Abélard condamnés au concile de Sens, Rech.. théol. anc. méd. OstLenper,
Die Theologia Scholarium des Peter Abaelard, in Aus der Geisteswelt des
Mittelalters (Beitràge, Suppl. III), Miinster,
1935. Pu. S. Moore, Reason in the Theology of Peter Abelard, Proceed.
Cathol. Philos. Ass., 1937. R. J. TrÒompson, The role of
dialectical Reason in the Ethics of Abelard, Proceed. Cathol. Philos. Ass. 1937. E. Girson, Héloise
et Abélard, Parigi, 1938, 1948? (trad. it., Torino RoHMERr, La finalité morale
chez les théologiens de S. Augustin è Duns Scot; Parigi Wappett, Peter
Abelard, Londra, 1939. L. Nicorau DOLMmEr, Sur la date de la
Dialectica d'Abélard, Rev. m. a.
lat., 1945. R. LLoyp, Peter Abelard: the Orthodox Rebel,
Londra, 1947. J. R. Mc Catcum, Abelard's
Christian Theology, Londra, 1948. M. Dar Pra, Idee morali nelle
lettere di Eloisa, Riv. st. filos., 1948. Inem, Motivi dello Scito te ipsum di Abelardo, Acme,
1948. J. De GHELLINcK, Le mouvement théologique du XII° siècle,
E. ArnoLp, Z. Geschichte der Suppositionstheorie, Symposion, 1952.
L. Minio PaLvetto, Twelfth century Logic,
J. T. MuckLe, The letter of Heloise on religious life and Abelard's
first reply, Med. Stud., 1955. N. M. Harinc, A third
manuscript of Peter Abelard's Theologia summi boni, Med. Stud.,
1956. T. P. LaucHLin, Abelard's Rule for religious women, Med. Stud., 1956. R. BLomme, A propos de la
définition du péché chez Pierre Abélard, Ephem. theol. Lovan.,
1957. B. Smaccey, Prima. clavis sapientiae: Augustin and Abelard,
in F. Saxl memorial Essays, Londra MazzantinI, Cosmo turbato e pluralità
di mondo nell’etica di Abelardo, Atti Acc. Sc. di Torino, 1957-58. N. A. Siropova, Abélard et son epoque, Cahiers d’hist.
mond. 1958. A. Borst, Abélard und Bernhard, Hist. Zeitschr.,
1958. M. T. Fumacatti, Note sulla logica di Abelardo, Riv. crit.
st. filos., 1958, 1960 E. BertoLa, Le critiche di Abelardo ad
Anselmo di Laon e a Guglielmo di Conches, Riv. filos. neosc., 1960.
La questione degli Universali J. H. Loewe, Der Kampf
zwischen Realismus und Nominalismus im Mittel.,. Praga, 1876. 543
Bibliografia M. De Wutr, Le problème des universaux dans son
évolution historique du IX? au XIII* siècle, Archiv. fiir Gesch. der
Philos., 1896. J. ReinErs, Der
aristotelische Realismus in der Friihscholastik (Beitrige, VIII, 5),
Miinster, 1910. R. L. PootLe, The Masters of the Schools at Paris
and Chartres in John of Salisbury's Time, Engl. Hist. Rev., 1920. ]. PauLus, Sur les origines
du nominalisme, Rev. Philos., 1937. L.
Mino PaLuecto, The Ars disserendi of Adam of Belsham Parvipontanus Med. Ren. Stud.,
1954. Guglielmo di Champeaux Opere: Le Opere
(frammenti) di Guglielmo di Champeaux, in P.L., 163; le Sententiae vel
quaestiones XLVII, a cura di G. Lerèvre, Lilla, 1898; De generibus et
speciebus, a cura di V. Cousin, in Oeuvres inédites d' Abélard, 1836.
Bibliografia: G. Lerèvre, Les variations de
Guillaume de Champeaux sur la question des universaux. Etude suivie de
documents originaux, Lilla, 1898. E. MicHaup, G. de Champeaux
et les écoles de Paris au XII* siècle, Parigi, 1867. G. Lerèvre,
Les variations de G. d. Champ. et la question des universauz, Lilla,
1898. F. Picavet, Note sur l’enseignement de Guill. de Champeaux
d'après l'‘Historia calamitatum’ d'Abélard, Rev. intern. de
l’enseignement, 1910. P. Gopet, Guillaume de Champeaux, in
DThC. H. WrisweILER, Die Schriften der Schule Anselms von Laon und
W. von Champeaux, Deutsch. Bibl. La bibl. generale in
GeyER,701-702; De Brie, nn. 5299, 5306, 5313; De WuLr, I, p. 178.
Per Adelardo di Bath cfr. la relativa bibl. al capitolo I della P.
IV. Sugli sviluppi della scuola abelardiana nella sua componente
teologica «fr. particolarmente A. Lanpcrar, Finfishrung in die Geschichte
der theologischen Literatur der Friihscholastik, Regensburg, 1948; e dello
stesso: Écrits théologiques de l'École d’Abélard, Textes inédits
(Sententiae parisienses e Ysagoge in theologiam), Lovanio, 1934.
544 Bibliografia Capitolo sesto
Pietro Lombardo Opere: Commenti scritturali; Sermones; Libri IV
Sententiarum. Edizioni: Le Opere in P.L., 191-192; i Libri
quattuor sententiarum, nell'edizione critica dei Francescani di Quaracchi,
Quaracchi (Firenze), 1916. Bibliografia:
Cfr. Gever,710-711; De Brie, nn. 5369-5378; De WuLF EspensERGER, Die
Philosophie des Petrus Lombardus (Beitrige, III, 5), Miinster,
1901. F. Cavarcera, S. Augustin et le Livre des sentences de Pierre
Lombard, Arch. Philos., 1930. J. De GHeELLINCK, Pierre
Lombard, in DThC, XII, 1941-2019. H. Weriswerer, La Summa
sententiarum, source de Pierre Lombard, Rech. théol. anc. méd.,
1934. Pietro Lombardo, Novara, 1953 (con la bibl. lombardiana di J. de
Ghellinck, 24-25). S. Vanni-RovicHi, Pier Lombardo e la
filosofia medievale, Sapienza, 1954. Miscellanea Lombardiana (in
occasione delle celebrazioni organizzate in Novara per onorare Pietro
Lombardo), Novara, 1957. Sul movimento che ha portato all'elaborazione
dei Libri Sententiarum e delle Summe cfr.: sopratutto M. GrasMmann,
Geschichte der Katolischen Theologie, Friburgo (Br), 1933,286-9; F.
StecmùLLER, Repertorium comment. in Sent. Petri Lombardi, Wiirzburg,
1947, con le aggiunte di M. Gotoszewska, J}. B. Kororec, A. PoLtAWwSKI,
Z. K. SIEMIATKOWSKA, J. Tarnowska, Z. WLopEk, in Miscellanea philosophica
Polonorum, Varsavia, 1958. Vedi inoltre: J. Stmer, Des
Sommes de théol., Parigi, 1871. M. Grasmann, Gesch. d. schol.
Meth., cit., II, cit.,3-25, 476-563. G. Paré, A. Brunet, P.
TreMBLAY, La renaissance du XII s. Les écoles et l'enscignement, G.
EncLHarpr, Die Entwicklung der dogmatischen Glaubenpsychologie vom
Abaelardstreit bis Philipp den Kanzler, (Beitrige, XIII), 1933. P. GLorieux, Sommes théologiques, in DThC, XIV,
2341-64. J. De GHELLINcK, Le mouvement théologique du XII s., cit.,
passim. M.-D. ChÒenu, La théologie au douzième siècle, Parigi,
1957, passim. O. LortIn, Psychologie et morale..., cit., VI,9-18,
119-124, 137-148. Giovanni di Salisbury Opere:
Entheticus, sive de dogmate philosophorum; Polycraticus, sive
545 Bibliografia de nugis curialium et vestigiis
philosophorum; Metalogicon; Historia pontificalis. Edizioni:
Le Opere in P.L., 199. Il Polycraticus è edito a cura di C. C. J. Wes8,
Oxford, 1909; il Metalogicon sempre a cura del Wes, Oxford, 1929; la
Historia pontificalis a cura di R. L. Poote, Oxford, 1927; a cura dello
stesso anche le Epistolae. Bibliografia: Cfr. Gever,705; De Brig,
nn. 5384-5390; De WuLF, I, p. 234. In particolare
v.: C. C. J. WeB8, John of Salisbury, Londra, 1932. J.
Huizinca, Een proegothieke geest, Johannes van Salisbury, Tijdschrift
voor geschiedenis, 1933, ed ora in Verzamelde Werken, IV, Haarlem, Wess,
Joannis Sarisberiensis Metalogicon. Addenda
et corrigenda, Med. Ren. Stud. Denis, Un humaniste au moyen dge: Salisbury,
Nova et Vetera LiesescHirz, Mediaeval Humanism in the life and writings of
John of Salisbury, Londra, 1950. M. Dar Pra, Giovanni di
Salisbury, Milano, 1951. D. D. Mc Garry, The Metalogicon of John of
Salisbury: A Twelfth Century Defense of the Verbal and Logical Arts of the
Trivium, BerkeleyLos Angeles, 1955. G. AspeLIN, John of
Salisbury"s Metalogicon, Bibl. Soc. Royal des Lettres de Lund,
1951-1952. B. HetsLinc-GLoor, Natur und Aberglaube im Policraticus
des Johann von Salisbury, Zurigo, 1956. H. HoHENLEUTNER,
Johannes von Salisbury in der Literatur der letzen zehn Jahre, Hist.
Jahrb., 1958. M. A. Brown, John of Salisbury, Franc. Stud.
1959. Alano di Lilla Opere: Regulae de Sacra
theologia; Summa quoniam homines; Tractatus de virtutibus, de vitiis et de
donis Spiritus Sancti; De Planctu Naturac; Anticlaudianus; Ars
Praedicandi; Summa quot modis; Contra Haereticos; Liber Paenitentialis;
Rythmus. Edizioni: In P.L.,
210, ad eccezione della Summa quoniam homines e del Liber de virtutibus
per i quali v.: O. LortIN, Le traité d'Alein de Lille sur les virtus, les
vices et les dons du Saint Esprit, Med. Stud., 1950 ed ora
in Psychologie et morale... cit., VI; Summa quoniam homines, a cura di P.
GLorreux, Arch. Hist. litt. doctr. m. à., 1954; Anticlaudianus, testo
critico e introd., a cura di R. Bossuar, Parigi, 1955. 546
Bibliografia Bibliografia: Cfr. Gever, p. 706; De Brie, n.
5352; De Wutr, I, p. 228. In
particolare v.: M. BaumcartneR, Die Philosophie des Alanus de
Insulis, (Beitrage, II, 4), Miinster, 1896. J. Huizinca,
Veber die Verkniipfung des poetischen mit dem Theologischen bei Alanus de
Insulis, Mededeel d.k. Akad. Afd. Letterkunde, LXXVI, B, 6, Amsterdam,
1924 (con in app. un’altra red. del De virtutibus) [ed ora in Verzamelde
Werken, IV, Haarlem, 1949,3-84]. M.-D. ChÙenu, Un essai de méthode
théologique au XII* siècle, Rev. sc. philos. théol, 1935. J.
M. Parent, Un nouveau témoin de la théologie dionysienne au XII° siècle,
in Aus der Geisteswelt des Mittelalters (Beitrige, Suppl. III), Miinster,
1935. P. GLorieux, L'iauteur de la Somme Quoniam homines Rech.
théol. anc. méd., 1950., G. Rarmaup pe Lace, Alain de Lille,
poète du XII° siècle, Parigi, 1951. R.
H. Green, Alan of Lille's De planctu naturae Spec., 1956. V.
CienTo, Alano di Lilla poeta e teologo del sec. XII, Napoli, 1958. M.-D. CHenu, Une théologie
axiomatique au XII° siècle. Alain de Lille, Cîteaux
Nederl., 1958. A. Ciorti, Alano e Dente Convivium, 1960.
O. Lortin, Alein de Lille une des sources des
Disputationes di Simon de Tournai, in Psychologie et morale..., cit., VI,93-106.
C. VasoLi, Due studi per Alano di Lilla, Bull. Ist. st. it. m. e.,
1961. Ipem, La teologia apothetica di Alano di Lilla, Riv. crit.
st. filos., 1961. Ipem, Le idee filosofiche di Alano di Lilla nel De
Planctu e nellAnticlaudianus Gior. crit. filos. ital. 1961. Nicola
di Amiens Opere: De aste catholicae fidei Edizioni: In P.L.,
210, sotto il nome di Alano di Lilla. Bibliografia: Cfr. Gever,706; DE
Wutr, I, p. 250. Clarembaldo di Arras Opere: Commento al De
Trinitate di Boezio. Bibliografia:
Cfr. Gever,704; DE Wutr, I,192-193. W. Jansen, Der Kommentar des Cl. v.
Arras 2. Boethius De Trinitate, Breslavia, 1926.
547 Bibliografia Capitolo settimo Sulle eresie
cfr. in generale: F. Tocco, L'eresia nel medioevo, Firenze, 1884
(cfr. anche Albori della vita italiana, Milano Vorpe, Movimenti religiosi
e sette ereticali nella società medievale italia. na: sec. XI-XIV,
Firenze, 1926, 19612. H. Grunpmann, Religiose Bewegungen im
Mittelalter, Berlino, Srerano, Riformatori ed eretici nel medioevo, Palermo,
1938. R. MansELLI, Profilo dell'eresia medioevale, Humanitas,
1950. R. MorcHEN, Medioevo Cristiano, Bari, 1951 (L'eresia del
medioevo). A. Donparne,
L'origine de l'hérésie médiévale, Riv. st. d. Chiesa in Ital.,
1952. L. Sommariva, Studi recenti sulle eresie medioevali (1939-1952), Riv.
st. ital. 1952. A. Borst, Die Katharer, Stoccarda,
1953. R. ManseLLI, Studi sulle eresie del sec. XII, Roma, Per il
Francescanesimo rinviamo alla voce Ordini Mendicanti del capitolo 2 della
Parte IV. Gioacchino da Fiore ‘Opere: Concordia
veteris et novi Testamenti; Tractatus super IV _Evangelia; Expositio in
Apocalypsim; Psalterium decem chordarum; Adversus ludaeos; De articulis
fidei. Edizioni: Concordia, Venezia, 1519; Expositio, ivi, 1627;
Psalterium, Venezia, 1957. Edizioni recenti: Joachim de Fiore.
Tractatus super quatuor Evangelia, a cura di E. Buonaruti, Roma, 1930;
Joachimi Albertis Liber contra Lombardum (Scuola di Gioacchino da Fiore), a
cura di C. OrrAviano, Roma, 1934; Joachim de Flore. Scritti minori. De
articulis fidei, a cura di E. BuonaIUTI, Roma, 1936. Si cfr. anche L.
TonpeLLI, Il libro delle figure di Gioacchino da Fiore, Torino,
1939-1940. Bibliografia: Ci limitiamo ad opere di carattere
generale: E. Buonaruti, G. da Fiore. I tempi. La vita. Il messaggio,
Roma, 1931. E. Benz, Joechim-Studien, Zeitschr. f. Kirchengesch., 1931,
1932, 1934. J. Ca. Huck, Joachim von Floris und die
joachitische Literatur, Friburgo, 1938. F.
Foserti, Gioaecch. da Fiore e il Giovacchinismo antico e moderno, Padova,
1942. M. Reeves, The Liber figurarum of |. of
Fiore, Med. Ren. Stud., 1950. H. Grunpmann, Neue Forschungen iiber ]. von
Flora, Marburgo, 1950. F. Russo, Bibliografia gioachinita, Firenze,
1954. 548 Bibliografia A. Crocco, La
teologia triniteria di Gioachino da Fiore, Sophia; 1957. M. W. BLoomriEL©, Joachin von Flora. A critical survey
of his canon, teachings, sources, biography and influence, Traditio,
1957. E. Mrxxer, Neuere Literatur siber Joachin von Fiore, Cîteaux
Nederl., Clairvaux Epistolae, in P.L., 182; Sermones LKXXVI, in P.L.,
183 (nuova ed. a cura di B. GseLL-L. JANAUSCHEK,
Xenia bernardina, Vienna, 1891); Tractatus: 1) ascetico-mistici, in P.L.,
182; 2) monastici, in P.L., 182; 3) liturgici, in P.L., 182-183; 4)
dogmatici ed apologetici, in P.L., 182; 5) agiografici, in P.L., 182. L’ed.
critica delle opere, a cura di J. LecLERO, C. H. TaLBor, H. M. RocHars, è
in corso a Roma, 1957Cfr. inoltre: Sr. Bernarp, Oeuvres (voll. 2) a cura
di M. M. Davr, Parigi, 1945 e l’ed. spagnola in corso a Madrid, 1953
Bibliografia: Cfr. GevEr,707-708; De Brie, nn. 5263-5284; De WuLF,
I,255-256. Per la bibl. generale completa fino al 1891 cfr.
G. Hurrer, Die Wunder des Al. Bernard, Hist. Jahrb., 1889 e in L.
JAanAUSCHEK, Xenia bernardina, Vienna, 1891, rist anast.,
Hildersheim, 1959; C. H. TaLsor, Bibliografia di S. Bernardo, Riv.
st. d. Chiesa in Ital., 1954; J. DE LA Crorx Bourton, Biblioeraphie
bernardinienne, Parigi, 1958. Tra gli studi generali e i più recenti
v.: E. Vacanparp, Vie de S. Bernard abbé de Clairvauz, Parigi,
1910. J. Bernuart, Eckhartistische und
bernhardische Mystik in ihren Beziehungen und Gegensitzen, Kempten, 1912.
S. Bernard et son temps, Dijon, 1928.
P. LasERRE, Un conflit religieux politique au XII° siècle: S. Bernard et
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Fratres de monte Dei; De contemplando Deo; De natura et dignitate amoris;
Adversus Abaclardum; Speculum fidei; Aenigma fidei; De natura corporis et
animae, ecc. Edizioni: Le Opere in P.L., 180; le Meditativae
orationes a cura di M. M. Davv, Parigi, 1934; L’Epistola ad Fratres de
Monte Dei, ed. crit. e tr. a cura di M. M. Davy,
Parigi, 1940; il Commentario al Cantico dei cantici sempre a cura di M.
M. Davy, Parigi, 1958; lo Speculum e l’Aenigma, 550
Bibliografia sempre ed. Davy, Parigi, 1959; il De contemplando
Deo, ed J. HourLieR, Parigi, 1959; cfr. anche Oeuvres choisies (ed. J. M. DecHanET) Parigi, 1944. Bibliografia:
Cfr. Gever, p. 708; De Brie, nn. 5250-5262; De Wutr, I,255-256.
In particolare si veda: A. Apam, Guillaume de S. Thierry, sa vie et
ses oeuvres, Bourg-en-Bresse, 1923. L. Matevez, La doctrine
de lime et de la connaissance mystique chez G. de S-Thierry, Rech. sc.
relig., 1932. M. M. Davy, La connaissance de Dieu d'après Guill. de
St. Th., Rech. sc. relig., 1938. J. M. DécHanet, Guill. d.
St. Thierry. L’homme et son oeuvre, BrugesParigi, 1942. Ipem, La
doctrine de l'amour-intellection chez G. de St. TÀ., e Guill. d. St.
Thierry et Plotin, Rev. m. à lat., 1945, 1946. E. Girson, Notes sur
Guillaume de St. Thierry, in La théologie mystique de S. Bernard, cit.,216-232.
L. DE Simone, Gugl. di S. Thierry, Sapienza, 1949. M. M.
Davy, Théologie et mystique de Guill. de St. Thierry, I, La connaissance de
Dieu, Parigi, 1954. L. DE Simone, Gli aspetti
filosofici della mistica di Guglielmo di St. Thierry, Doctor communis,
1957. R. De Gancx, Petits travaux sur Guillaume de
St. Thierry, Cîteaux Nederl., 1958. E.
Garin, Guglielmo di Conches e Guglielmo di Saint-Thierry, in Studi sul
Platonismo medievale, cit.,62-68. O.
Brooke, The trinitarian aspect of the ascent of the soul to God in the
theology of William of St. Thierry, Rech. théol. anc. méd., 1959. IpeM,
The speculative development of the trinitarian theology of William
of St. Thierry, ibidem, 1960. Isacco
di Stella Opere: Sermones; Epistola de anima ad Alcherum Edizioni:
Opera, in P.L., 194. Bibliografia:
F. BLieMETZRIEDER, Isaac de Stella. Sa spéculation théologique, Rech. théol.
anc. méd., 1932. W. Meuser, Die Erkenninislehre d. Isaac v.
Stella, Bottropp i. w., 1934. M. A.
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Isaac de l’Etoile, Collect. Ord. Cister., 1947. IpeM, L'inffuence de St.
Augustin sur le cistercens Isaac de l’Etoile, Coll. Ord.
Cister., 1949, E. BertoLA, La dottrina psicologica di Isacco di
Stella, Riv. filos. neosc., La bibl. generale in Gerer, p. 708; De Brie;
De Wutr, I, p. 228. Alchero di Clairvaux Opera:
Liber de spiritu et anima Edizioni: in P.L., 40, 773-832 sotto il nome di
Agostino. Bibliografia: G.
Tuery, L'authenticité du De spiritu et anima dans St. Thomas et Albert le
Grand, Rev. sc. philos. théol., 1921. P.
FourNIER, s.v., in DHGE, II, 14-15. Ugo di S. Vittore
Opere: Filosofiche: Didascalion; Epitome in Philosophiam; De unione
corporis et spiritus; Mistiche: De arca Noe morali; De arca Noe mystica;
Soliloguium de arrha animac; Commentarium in Hierarchiam caelestem S.
Dionysii, l. X., ecc. Edizioni: Le Opere in P.L., 175-177. Cfr. inoltre: Epitome in philosophiam, ed. Haurfau, in
H. de St. Victor. Nouvel examen de ses ocuvres, Parigi
1859; Hugonis a S. Victore Didascalion. De Studio legendi, ed. critica a cura
di C. H. Burrimer, Washington, 1939; Hugues de St. Victor, La
contemplation et ses espèces (testo e intr.) ed. R. Baron, Parigi, 1958.
Si cfr. J. De GHeLLINcK, La tables de matières de la première édition des
ocuvres de Hugues de St. Victor, Rech. sc. relig., 1910; e Un catalogue
des oeuvres de H. de S. V., Rev. néoscol. philos., 1913.
Bibliografia: Cfr. Gever, p. 709; De Brig, nn. 5287-5295; De WutLr,
I,221-222. In particolare v.: A. Mignon, Les origines de la
scolastique et Hugues de S. Victor, Parigi, 1895. F. VERNET, Hugues de S. V., in DThC, V, 240-308.
W. A. ScHNEMER, Geschichte und Geschichtsphilosophie bei Hugo von
St. Victor, Miinsterische Beitrige zur Geschichtsforschung, 3,
Miinster, 1933. B. BiscHorr, Aus der Schule H. v. St. V., in
Aus der Geisteswelt des Mittel alters, (Beitrige, suppl. III), Miinster,
1935. F. E. Crorpon, Notes on the Life of Hugh de S. Victor, Journ.
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de S. Victor, Arch. Hist. doctr. litt. m. d., 1943-1945. J.
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Ipem, Zur Einflussphaere der Vorlesungen H.s von St. Viktor, in Mél.
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Champeaur è Thomas Gallus. Chronique d'histoire littéraire et doctrinale
de l'école de Saint-Victor, Rev. m. È. lat., Baron, L'influence de Hughes
de Saint-Victor, Rech. théol. anc. méd., 1955 { Ipem, É:ude
sur l'authenticité de l'ocuvre de Hugues de St. Victor..., Scrip torium,
1956. Ipem, Science et sagesse chez Hugues de Saint-Victor, Parigi,
1957. D. Van pEN EynpE, Les Commentaires sur Joèl, Abdias et Nahum
attribués à Hugues de St. Victor, Franc. Stud., 1957. H.
WeriswetLer, Sacramentum fidei, Augustinische und Pseudodionysische
Gedanken in der Glaubensauffassung Hugos von St. Viktor, Misc. Schmaus,
1957. L. CaLoncuHI, Le scienze e la classificazione delle scienze
in Ugo di S. Vittore, Torino, 1956. F. W. Wirre, Die Staats-und Rechtsphilosophie des Hugo
von St. Viktor, Arch. Recht-Sozialphilosophie, 1957. R.
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Hierarchiam coelestem de Hugues de St. Victor, in De la connaissance de
Dieu, cit.,187-266. H. R. ScHLeTTE,
Die Eucharistielehre Hugos von St. Viktor. Z. kathol. Theol., 1959.
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mystique comparée, Rev. hist. philos. relig., 1959.
E. BertoLa, Di alcuni trattati psicologici attribuiti a Ugo di S.
Vittore, Riv. filos. neoscol., 1959. J. A. RosiLLIARD, Hugues de Saint-Victor a-t-il écrit le De
contemplatione et cius speciebus? Rev. sc. philos. théol., 1959.
R. Baron, Hugues de St. Victor: contribution è un nouvel examen de
son oeuvre, Traditio 1959. InpeMm, Rapports entre St.
Augustin et Hugues de St. Victor, trois opuscules de Hugues de St.
Victor, Rev. Etud. Aug., 1959. D. Van pEN Evnpe, Deux traités
faussement attributs è Hugues de St. Viktor, Franc. Stud., 1959.
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anc. méd., 1959-1960. R. JaveLET, Les origines de Hugues de
St. Victor, Rev. sc. relig.; 1960. D. Van pEN Evnpe, Les notules in
Genesim de Hugues de St. Victor, source litteraire de la Summa
Sententiarum, Ant., 1960. Inem, Essai sur la succesion et la date
des écrits de Hugues de St. Victor, Roma, 1960. 553
Riccardo di S. Vittore Opere: Tractatus de gradibus
charitatis; Beniamin minor; Beniamin maior; De Trinitate; Quomodo Spiritus
Sanctus est amor Patris et Filii; Liber exceptionum; Epistolae.
Edizioni: I testi in P.L., 196; 177 coll. 193Cfr. inoltre: Richard
de S. V. Les quatre degrés, testo critico, trad. e note, a cura di G.
DUuMEIGE, Parigi; De Trinitate, ed. e note di J. RisarLLier, Parigi,
1958; Liber exceptionum ed. e note di J. CratiLLON, Parigi, 1958, e
ancora il De Trinitate con trad. franc. a cura di G. SaLET, Parigi, 1960
e R. de St. Victor, Sermons et opuscules inédits tr. fr. Pragi,
1951. Bibliografia: Cfr. Gever, p. 710; DE Bn, nn. 5496, 5550; De
WuLr, I, p. 222. In particolare: C. Ortaviano, Riccardo di S.
Vittore. La vita, le opere, il pensiero, Mem. R. Accad., Naz. Lincei, 1933. A. M. EtHIER, Le De Trinitate de Rich. de S. Victor,
Parigi-Ottawa, 1939. J. A. Rosi.LIARD, Les six genres de contemplation
chez Rich. d. S. Victor et leur origine platonicienne, Rev. sc. philos.
théol., 1939. I. Guimet, Caritas ordinata et amor discretus dans la
théologie trinitaire de R. de S. V., Rev. m. 8. lat. DumeIGe, Richard de Saint
Victor et l'idée chrétienne de l'amour, Parigi, 1952. J. BeaUMER, R. v. S. Viktor Theologe und Mystiker, Schol.,
1956. R. Baron, Richard de St. Victor est-il
l'auteur des Commentaires de Nahum, Joél, Abdias?, Rev. bénédict.,
1958. Goffredo di S. Vittore Opere:
In P. L., 196. Cfr. inoltre: Godefroy de Saint Victor. Fons Philosophiae, a cura di A. CHarma, Caen, 1869;
Godefroy de Saint-Victor. Microcosmus, ediz. a cura di PH. DeLHAYE,
Lilla-Gembloux, 1951; Godefroy de Saint Victor. Fons
Philosophiae, ed. a cura di P. MicHaup-Quantin, Namur-Lovanio,
1956. Bibliografia: Cfr. Gever, p. 710; De WuLF, I, p. 222.
In particolare: Pu. DeLHave,
Nature et grice chez Geoffroy de S.Victor, Rev. m. &. lat.,
1947. IpeM, Le Microcosmus de Godefroy de Saint-Victor. Étude
théologique, Lilla-Gembloux, 1951. Ildegarda
di Bingen Opera: Scivias, Liber divinorum operum simplicis
hominis, ecc. 554 Bibliografia Edizioni:
in P.L., 197, 145-1038; in J. B. Prrra, Analecta sacra spicilegio
Solesmensi parata, VIII, Montecassino, 1882; in A. Damorseau, Novae edit.
opp. omn. S. Hildegardis experimentum, Sampierdarena, 1893-1899.
Bibliografia: cfr. De Wutr, I, p. 255. In particolare: CH. Sincer, The scientific views and visions of S.
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1917. H. Fiscrer, Die Al. Hildegard, die erste deutsche
Naturforscherin und Aerz®n, Monaco, 1927. H. LiesescHurz, Das
allegorische Weltbild der hl. Hildegard von Bingen, Lipsia, 1930.
M. Uncrunp, Die metaphysische Anthropologie der hl. Hildegard von
Bingen, Miinster, 1938. D. Baumcarpr, The concept of
mysticism, Rev. of. relig., 1948. Capitolo ottavo
Per la bibliografia relativa al pensiero politico ed alle controversie
teologico-politiche del XII secolo, rinviamo direttamente alla ricca
bibliografia di L. Firpo, in app. alla tr. ital. di R. W. e A. J.
CaruxLe, Il pensiero politico medioevale, vol. II, Bari. Tra la
vastissima bibliografia sulla filosofia araba (e cfr. GEvER, pp: 716720; De
Brie, nn. 21819-21923) citiamo soltanto i seguenti studi di carattere
generale. Bibliografia:
V. CHÙauvin, Bibliographie des ouvrages arabes ou relatifs aux Arabes publiés
dans l'Europe chrétienne de 1810 à 1885, Liegi, 1892-1922. D. PranmuLcer, Handbuch der Islam-Literatur, Berlino,
1923. E. Carverev, A brief bibliography of arabic philosophy, The
Moslen World, 1942. °
]. Sauvacet, Introduction è l'histoire de l’Orient musulman: éléments
de bibliographie, 1943; Corrections et suppléments, 1946. P.
J. De Menasce, Arabische Philosophie, fasc. 6 di Bibliographische Einfihrungen
in das Studium der Philosophie, Berna, 1948. G. C. Anzwart; Le
Philosophie en Islam au Moyen-Age, in Philosophy in the Mid-Century, a
cura di R. KLisansKy, vol. IV, Firenze, 1959. Index Isiamicus,
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Geschichte der Philosophie im Islam, Stoccarda, 1901. B. Carra DE
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1923. E. Girson, L’étude des philosophes arabes et son réle dans
linterprétation de la scolastigue, Proceed. of the sixth internat. Congress of Philos., 1927. M.
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III, 2° ed.), Tubinga, 1930. 556
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d'Islam, Mél. Inst. dominicain Etud. Orient. o mar r
Leonardo Fibonacci Opere: Liber abbaci (1202); Flos;
Practica Geometriae; Liber quadratorum (1225). Edizioni:
Scritti di Leonardo Pisano, a cura di B. Boncompagni, Roma,
1857-1872. Bibliografia: Cfr. E. BortoLotTI, Storia della
matematica elementare, in Enciclopedia della matematica elementare,
Milano, 1950. al-Kindi Opere: De intellectu; De somno
et visione; De somno et vigilia; De quinque essentiis; Liber
introductorius in artem logicae demonstrationis; Epistola sull'acquisto
della filosofia solo mediante le matematiche; Trattato circa il numero
dei libri di Aristotele e circa ciò che è necessario per raggiungere la
filosofia; Sull'anima; Epistola intorno all'arte di allontanare la
tristezza. Inoltre un famoso trattato di Ortica, tradotto da Gerardo da Cremona
e diffusissimo nel XIII e XIV sec. Edizioni: Numerosi scritti sono
stati pubblicati da ‘Abd al-Hadi Abi Ridah, sotto il titolo Rasa'il
al-Kindi alfalasafiyyah, il Cairo, 1950. Cfr. inoltre Una risalah di
al-Kindi sull'anima, a cura di G. Furtani, Riv. trimestr. di studi fil. e
relig., 1922. Bibliografia: Cfr. Geyer, p. 726; De Brie, nn.
21931-21932a; DE WuLF, I, p. 305. In particolare vedi:
A. Nacy, Die philosophischen Abhandlungen des Ja qub ben Ishaq al-Kindi (Beitrige,
II, 5), Miinster, 1897. 557 Bibliografia
G. FLucer, Al-Kindi genannt der Philosoph der Araber Abhdig. f. d. Kunde
Morgenlandes, 1854. H. Matter, Al-Kindi, Hebrew Union College
Annual, Cincinnati, 1904. G. Furtani, Una riszlah di al-Kindi
sull'anima, M. Gui: - R. Warzer, Studi su Al-Kindi: I. Uno studio
introduttivo allo studio su Aristotele; II. Uno scritto morale inedito di
Al-Kindi (Temistio peri aliplas), Mem. Acc. Lincei., serie 7, v. 4, 1938,
serie 7, v. 8, 1940. F. RosentHAL, Al-Kindi als Literat, Orientalia,
1942. A. Cortazarrfa, La obras y las doctrinas del
filosofo Al Kindi en los escritos de S. Alberto Magno, Estud. filos.,
1951-1952 (e cfr. anche Ciencia tomista, 1952).
al-Farabi Opere principali: De intellectu; De scientiis; De ortu
scientiarum; De Platonis Philosophia; Compendium legum Platonis;
Idee degli abitanti della città virtuosa; Liber exercitationis ad viam
felicitatis. Edizioni: Alfarabis Philosophische Abhandlungen
(testo arabo), a cura di F. Diererici, Leida, 1890 (trad. ted., Leida,
1892); Der Musterstaat von Alfarabi, a cura di F. Drererici, Leída trad.
ted., Leida, 1904); Die Staatsleitung von Alfarabi, trad. ted. a cura di
F. Dreterici, Leida, 1904; Das Buch der Ringsteine Farabis mit dem
Kommentar des Emir Ismail el Hoscini el Farani, trad. ted. a cura di M.
Horten, Miinster, 1906; A/farabi. De
Intellectu et intellectus, trad. ‘lat. medievale, a cura di E. Gitson, Arch.
Hist. doctr. litt. m. &., 1929-1930; Alfarabius, De Arte Poetica,
ediz. e trad. inglese a cura di A. J. Arserry, Riv. stud. orient., 1930;
Alfarabius, Catélogo de las ciencias, ediz. a cura di A. GonzaLes
PALENCIA, Madrid, 1932; Alfarabius, De Platonis philosophia, a cura di F.
RosENTHALR. Watzer, Londra, 1943; Alfarabius, Compendium Legum Platonis,
testo arabo e trad. lat. a cura di F. GagriELI (Corpus platonicum medii
aevi), Londra Al Farabi's Arabic-Latin Writings on Music... De scientiis
and De ortu scientiarum, testo tr. ingl. a cura di H. Harmer, Glasgow,
1934; Idées des habitants de la cité vertueuse, tr. fr., Il Cairo, 1949.
Bibliografia: Cfr. Gever,720 sgg.; De Brie, nn. 21938-21943b;
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litt. m. 4., 1930. I. Mapkour, Le place d'al Farabi dans l'école
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Farabi read Plato's Laws, Mél. L. Massignon, 1959. Avicenna
Opere: Della vastissima produzione (la bibl. critica di Mahdavi
cita 131 opere autentiche e 110 dubbie, e il P. Anawati 276 di cui
parecchie dubbie ed apocrife) citiamo soltanto oltre al celebre Canone
della medicina (al-Oanuùn fi-t-tibb) i seguenti scritti di carattere
propriamente filosofico: il Kitàb ash-Shifa (Libro della guarigione); il
Kitab-an-Nagiah [Libro della salvezza (dall'errore)], estratto dello
Skifz; il perduto Libro del giudizio imparziale tra occidentali e orientali
(Kitàb-al-'Jus3f); una ventina di Opwscoli filosofici; alcuni frammenti
pubblicati da A. BapHawi; il Kit20 al'-Isharat wa't-tanbihat [Libro delle
direttive e annotazioni]; il Daneshnameh i-Alè'i [Libro della sapienza
per ’Aal); una parte della Logica della sua Filosofia orientale nota
sotto il nome di al-Hikmah al-mashrigiyyah; inoltre la Epistola
sull'amore (Risala f''l-Isq). Edizioni: il Canone, pit volte
stampato in Occidente, è stato adattato e riassunto in ingl. da O. A.
Cameron GruNER, A Treatise on she Canon of 559
Bibliografia Medicine of Avicenna. Incorporating a Translation of
the First Book, Londra, 1930; le parti della 4/-Sifa tradotte nel
Medioevo furono pubblicate a Venezia nel 1495 (rist. anast., Heverlee-Lovanio,
1960) e 1508; tr. ted. «della Metafisica, M. Horten, Die Metaphysik
Avicenna's: das Buch der Genesung der Seele, Lentiis and De ortu
scientiarum, testo tr. ingl. a cura di H. Harmer, Glasgow, 1934; Idées
des habitants de la cité vertueuse, tr. fr., Il Cairo, 1949.
Bibliografia: Cfr. Gever,720 sgg.; De Brie, nn. 21938-21943b; DE Wutr, Ì,
p. 305. In particolare vedi: R. Hamui, La filosofia di
Alfarabi, Riv. filos. neoscol., 1928. E. Girson, Les sources greco-arabes de l'augustinisme
avicennisant, Arch. Hist. doctr.
litt. m. 4., 1930. I. Mapkour, Le place d'al Farabi dans l'école
philosophique musulmane, Parigi Strauss, Quelques remarques sur la
science politique de Maimonide et de Farabi, Rev. étud. juives,
1936. J. ArserrY, Farabis Canons of Poetry, Riv. stud. orient.
1937. Karam, La Ciudad virtuosa de Alfarabi, Ciencia tomista,
1939. BéporeT, Les premières traductions tolédanes de philosophie.
Oeuvres d'Alfarabi, Rev. néosc. philos. Sarman, Le Liber
exescitationis ad viam felicitatis d’Alfarabi, Rech. théol. anc.
méd., 1940. H. SaLman, The Mediaeval Latin
Translations of Alfarabi's Works, N. Schol., 1939. Strauss, Farabi's Plato, L. Ginzeberg Jubilee Volume, New
York, 1945257-294. Corrasarria, Las obras y la
filoséfia de Alfarabi en los escritos de Alberto Magno, Ciencia
tomista, 1951. IneM, Doctrinas psicologicas de Alfarabi en los
escritos de Alberto Magno, ibidem, 1952. Ipem, Tabla general
de las citas de Alkindi y de Alfarabi en las obras de Alberto Magno, Est.
filos., 1953. D. CasaneLAas, Alfarabi y su Libro de la concordancia
entre Platon y Aristoteles, Verdad y Vita, 1950. p_TODO
SD Ta F F. Rassmann, L'Intellectus acquisitus in Alfarabi, Gior.
crit. filos. ital., BertoLa, Commento al Dell'essenza dell'anima di
al-Farabi, Misc. Centro di studi mediev. dell’Un. catt. di Milano,
Milano, 1956. R. Waczer, al-Farabi's theory of profecy and
divination, Jour. hellen. Stud., 1957.
L. Strauss, How Farabi read Plato's Laws, Mél. L. Massignon, 1959.
Avicenna Opere: Della vastissima produzione (la bibl.
critica di Mahdavi cita 131 opere autentiche e 110 dubbie, e il P.
Anawati 276 di cui parecchie dubbie ed apocrife) citiamo soltanto oltre
al celebre Canone della medicina (al-Oanuùn fi-t-tibb) i seguenti scritti
di carattere propriamente filosofico: il Kitàb ash-Shifa (Libro della
guarigione); il Kitab-an-Nagiah [Libro della salvezza (dall'errore)],
estratto dello Skifz; il perduto Libro del giudizio imparziale tra
occidentali e orientali (Kitàb-al-'Jus3f); una ventina di Opwscoli filosofici;
alcuni frammenti pubblicati da A. BapHawi; il Kit20 al'-Isharat
wa't-tanbihat [Libro delle direttive e annotazioni]; il Daneshnameh
i-Alè'i [Libro della sapienza per ’Aal); una parte della Logica della sua
Filosofia orientale nota sotto il nome di al-Hikmah al-mashrigiyyah;
inoltre la Epistola sull'amore (Risala f''l-Isq). Edizioni:
il Canone, pit volte stampato in Occidente, è stato adattato e riassunto
in ingl. da O. A. Cameron GruNER, A Treatise on she Canon of
559 Bibliografia Medicine of Avicenna. Incorporating
a Translation of the First Book, Londra, 1930; le parti della 4/-Sifa
tradotte nel Medioevo furono pubblicate a Venezia nel 1495 (rist. anast.,
Heverlee-Lovanio, 1960) e 1508; tr. ted. «della Metafisica, M. Horten,
Die Metaphysik Avicenna's: das Buch der Genesung der Seele, Lipsia, 1913;
tr. lat. della Metafisica del Nagat: A. Carame, Avicennae Metaphysicae
compendium, Roma, 1926; ed. crit. dell'originale: ash-Shifa, I, a cura di
I. Mapkour, M. EL KHoprirr, G. C. Anawati, F. eL-AÒw£nI, 1952; il De
Anima (la parte psicologica delle Kitab-al-Shifa) nell’ed. F. Ranman,
Londra, 1959. Gli scritti mistici (Trastés mystiques) in tr. fr. a cura
di M. A. MEHREN, Leida, 1889-1899; La Logica orientale, ed. sotto il
titolo Mantig al-mashrigiyyah, Il Cairo, 1910; Cfr. inoltre: Introduction è
Avicenne, son Epitre des définitions, tr. con note di A. M. GorcHon, Parigi, 1933; I. Mapkour, L'Organon
d'Aristote dans le monde arabe... quelques pensées à un commentaire inédi
di'Ibn Sina, Parigi, 1934; Livre des Directives et Remarques, tr. con
intr. e note di A. M. GorcHon, Beyrut-Parigi, 1951; Le livre de Science
(Dane3nameh) tr. fr. di H. Massé e M. AcHENA, Parigi, 1955-1958; Poème de
la médecine, a cura di A. JAHIER e A. NovrEDDINE, Parigi, 1956. Inoltre
tutte le opere persiane di Avicenna sono state edite a Teheran in
occasione del millenario (cfr. E. Rossi, 12 millenario di Avicenna a
Teheran e Hamadan, in Oriente moderno, 1954). Per i testi di Avicenna che
correvano nel medioevo cfr. oltre alle citate ed. della Metaphysica: Opera
omnia, Venezia, 1495, 1508 (rist. anast. Heverlee-Lovanio, 1960); 1546;
De Anima, Pavia, De animalibus, Venezia Canon, Strasburgo, Bibliografia
avicennista: C. A. NaLLINO, s.v., in Enc. Ital, V, 638-639. T. J. De Borr, /bn Sinz, Encycl.
de l'Islam, II, 446. O. Ercin, /brni Sinami eserleri, Biiyik tirk
filosof., 1937. G. C. Anawati, Mw’ allafat Ibn Sinà, Il Cairo,
1950, riass. fr. in Rev. Thom., 1951. A. A. HekMmaT, Les
oeuvres persanes d'Avicenne, Congrès de Bagdad Sa‘tn Naricy, Bibliographie des
principaux travaux européens sur Avicenne, Teheran, 1953. Inem, Pare Sina (Avicenne, his Life, Works, Thought
and Time), Teheran, 1954. YauHyva
Maunpavi, Bibliographie d'Ibn Sina, Teheran, 1954. O. Ercin, /bin
Sina bibliografyasi, Instanbul, 1956. G. C. Anawati, Chronique Avicénienne 1951-1960, Rev.
thom., 1960. Volumi commemorativi: Millénaire d'Avicenne, Rev. du
Caire, giugno 1951; Millénaire d'Avicenne (Congrès de Bagdad), Il Cairo,
1952; Mémorial d'Avicenne, Il Cairo, 1952 sgg.; Avicenne, Scientist and
Philosopher, a 560 Bibliografia
Millenary Symposium, Londra, 1952; Z. Sara, Le livre du Millénaire d'Avi cenne,
Teheran, 1954; Rev. Thom., 1951, n. 2. Cfr.
inoltre Gever Brie, nn. 21945-21965b; De Wutr, I,305-306. Tra
gli studi più recenti e significativi, ci limitiamo a indicare: B.
Carra pe Vaux, Avicenne, Parigi, 1900. G. GagrieLI, Avicenna, Arch. st. scien., 1923.
D. Sacisa, Études sur la métaphysique d'Avicenne, Parigi, 1926.
E. Gitson, Pourquoi St. Thomas a critiqué St. Augustin, Arch. Hist.
doctr. litt. m. 8. 1926. Ipem, Avicenne et le point de départ
de Duns Scoto, Ibidem, 1927. G. FurLani, Avicenna e
il Cogito ergo sum di Cartesio, Islamica, 1927. IpeMm, Avicenna, Barhebreo, Cartesio, Riv. stud. orient.,
1933. E. Gitson, Les sources gréco-arabes de l'augustinisme
avicennisant, Arch. Hist. doctr. litt. m. 8., 1929. M. D.
RoLanp-GosseLin, Sur les relations de l'ime et du corp d’après Avicenne, Mél.
Mandonnet GorcHon, Introduction è Avicenne..., Parigi, 1933.
C. Fasro, Avicenna e la conoscenza divina dei particolari, Bull. filos.,
1935. A. Sougziran, Avicenne, Parigi, 1935.
A. M. GoicHon, La distinction de l'essence et de l'existence d'après
Ibn Sinà, Parigi, 1937. Ipem, Lexique de la langue
philosophique d'Ibn Sina, Parigi, 1939. Ipem, Vocabulaire comparé
d'Aristote e d’Ibn Sina, Parigi IpeM, La philosophie d'Avicenne et son
influence en Europe médiévale, Parigi, 1944, 195122 M. Cruz
HernAnpez, La metafisica de Avicenna, Granada, 1949. L. GarpeT, La
pensée religieuse d’Avicenne, Parigi, 1951. Avicenna: Scientist and
Philosopher. Millenary Symposium, a cura di G. M. Wickens, Londra,
1952. E. BLocH, Avicenna und die aristotelische Linke, Berlino,
1952. L. Garper, La connaissance mystique chez Ibn Sinà, et ses
présupposés philosophiques, Il Cairo, 1952. Moxammap Yusur Musa, La
sociologie et la politique dans la philosophie d'Avicenne, Il Cairo,
1952. F. Ranman, Avicenna's Psychologie, Oxford, 1952.
P. Mesnarp, Le millénaire d'Avicenne et ses répercussions sur
l’histoire de la philosophie, Ann. Inst.
Etud. orien. Alger, 1953. M. Cruz HernAnpez, La distincion
aviceniana de la esencia y la existencia y su interpretacion en la
filosofia occidental, Misc. Millés-Vallicrosa,
1954. s61 Bibliografia H. A. Wotrson,
Avicenna, Algazali and Averroes on divine attributes, ibidem.
Avicenna nella storia della cultura medioevale, Acc. Naz. Lincei, anno CCCLIV, 1957, Q.40, Roma Arnan,
Avicenna, his life and works, Londra-New York, 1958. J. CHaix-Ruv, La sagesse orientale d'Avicenne et les
mythes platoniciens, Rev. d. la Mediterr., 1958. M. Atonso, La Alanniyya de Avicenna y el problema de la
esencia y existencia, Pens., 1958. I. Mapkour, Le traité des categories du Shifa, Mél. Inst.
dominicain Etud. orient., 1958. F. RAHMAN,
Essence and Existence in Avicenna, Med. Renaiss. Stud., 1959. E.
BertoLa, Studi e problemi di filosofia avicenniana, Sophia, 1959. P. M. De Conrenson, Avicennisme latin et vision de Dieu
au début du XIII siècle, Arch. Hist. doctr. litt. m. &., 1959.
). CÙranx-Ruy, Du pythagorisme d’Avicenne au soufisme d'al-Ghazali, Rev.
d. la Mediterr., 1959. M. Cruz HernAnpez, La nocion de ser en
Avicenna, Pens., Anawati, La destinée de l'homme dans la philosophie d’
Avicenne, in L'homme et son destin, cit.,257-266. ).
Craix-Ruv, L’homme selon Avicenne, ibidem,243-255. A. M. GoicHon,
Selon Avicenne l'ame humaine est-elle créatrice de son corps?, ibidem,267-276.
G. JaLsErT, Le nécessaire et le possible dans la philosophie d'Avicenne, Rev.
de l’Univ. d’Ottawa, Marmura, Avicenna and the Problem of the Infinite Number
of Souls, Med. Stud., 1960. Sull’influenza di Avicenna in
Occidente: G. Sarton, Introduction to the History of Science,
Baltimora, 1927-1950, sub ind. M. De Wutr, L'augustinisme
avicennisant, Rev. néosc. philos., 1931. R. De Vaux, Notes et
textes sur l'avicennisme latin aux confins des XIIXII siècles, Parigi, TeicHER,
Gundissalino e l'agostinismo avicennizzante, Riv. filos. neosc.,
1934. A. M. GoicHon, La philosophie d'Avicenne et son influence en
Europe mÉ diévale, Parigi. Ipem, in Encycl. mensuelle
d'Outre-mer, 1952. A. C. CromBie, Avicenna's influence on the
Medieval Scientific Tradition, in Avicenna Scientist... M. T.
D'ALverny, L'introduction d’Avicenne en Occident, Rev. du Caire,
1951. Ipem, Notes sur les traductions médiévales d'Avicenne, Arch.
Hist. doar. litt. m. 4., 1952. 562
Bibliografia al-Gazzali Opere principali:
Vivificazione delle scienze della religione (Ihyd' ‘ulam ad-din);
Destructio philosophorum (Tahafut al-falasifah); Il salvante dall'errore
(al-Mungidh min ad-dalal); La moderazione nella credenza.
Edizioni: Logica et philosophia, Venezia, 1506; Tendentiae philosophorum,
Leida, 1888; Destructio philosophorum, Il Cairo, 1888; Algazel's Metaphysic. A
mediaeval translation, a cura di J. T. Mucxkte, Toronto, 1933;
Al-Ghazali, O disciple!, trad. di G. H. ScHeRER, Beirut, 1951; 1ky2'
‘ulam ad-din, ou Vivifications des sciences de la foi, ed. trad. G. H.
Bouscuer, Parigi, 1955; d/-Munquid min adalal, testo arabo e trad. di C.
M. Farm JaBre, Beirut, 1959. Bibliografia: Cfr. Gever, p.
722; De Brie, nn. 21968-21991a; De Wutr, I, p. 305. In
particolare v.: M. Asfn Patacios, Algazel: dogmdtica, moral,
ascética, Saragozza, 1901. B. Carra pe Vaux, Gazali, Parigi,
1902. H. Bauer, Die dogmatik al-Gazzalis, Halle, 1912. Inem,
Uber Intention, reine Absicht und Wahrhaftigkeit, Halle, 1916.
IpeM, Von der Ehe, Halle Osermann, Der philosophische und religiose
Subjektivismus Ghazalis, Vienna-Lipsia, 1921. M Bouuyces, Algazeliana, Mél. Fac. Orient., 1922.
H. Bauer, Erlaubtes und verbotenes Gut, Halle, 1922. M. Asfn
Patacios, Un compendio musulmano de pedagogia, el libre de la introducion
a las ciencias de al-Gazali, Saragozza, 1924. Ipem, La
espiritualidad de Algazel y su sentido cristiano, Madrid-Granada,
1934-1941. D. H. SaLman, Algazel
et les Latins, Arch. Hist. doctr. Hitt. m. 4., 1936. A. J.
Wensinck, La pensée de Ghazali, Parigi, 1940. A. WeEHR, Al-Gazzalis Buch vom Gottvertrauen, Halle,
1940. M. SmitH, Al Gazali, the Mystic, Londra, 1944. W.
M. Warr, The Authenticity of the Works Attributed to al-Gazali, Jour. R.
Asiatic Soc. Ipem, The Faith and Practice of al-Gazali, Londra, 1953.
C. M. Farip Jagre, Biographie et Oecuvres de Ghazali, Mél. Ideo,
1954. V. CÒÙistHor, Al-Oistas al Mustagim et
connaissance rationelle chea Gazali, Bull. Etud. orient.,
1955-1957. C. M. Farip JaBrE, La certitude de Ghazali dans ses
origines et son histoire, Parigi, 1956. S. De Braurecuen-G.
C. Anawati, Une preuve de lexistence de Dieu chez Ghazzali et St. Thomas,
Mél. Inst. dominicain Etud. orient. 1956. 563
Bibliografia C. M. Faxip Jasre, La notion de certitude selon
Ghazali dans ses origines psychologiques et historiques, Parigi,
1958. M. Aronso, Influencia de Algazel en el mundo
latino, al-Andalus, 1958. G. F.
Hourani, The dialogue between al-Ghazzali and the philosophers on the
origin of the world, The Muslim World, 1958. Avempace
Opere: Della sua vasta produzione sono pervenuti una Epistola expeditionis
(Lettera d'addio); il riassunto ebraico della sua opera principale Il
regime del solitario (Tadbir al-mutawahkid); un trattato De anima e un
trattatello: Continuatio o Copulatio intellectus cum homine, entrambi illustrati
da Averroè; un De plantis. Edizioni: I testi arabi, con tr. sp. del
De plantis, della Continuatio, del Regime e dell’Epistola in al-Andalus,
1940, 1942 1943, a cura di M. Asîn Patacios. Il testo e tr. del Regime,
sempre a cura di Asin PaLacios, Madrid, 1948. Bibliografia:
cfr. Gevea, p. 722; De Brie, nn. 22010a-22011e; De WuLF, II, p.
305. In particolare cfr.: M. Asîn Patacios, E! filbsofo
zaragozano Avempace, Rev. de Aragon, 1900-1901. Inem, Un texto de Al-Farabi atribuido a Avempace por
Moisés de Narbona, ibidem, 1942. U. A. FarrukH, [bn Bajja (Avempace) and the philosophy
in the Moslem West, Beirut, 1945. D. M. Duntop, Ibn Bajjah's Tadbir'!
Mutawahhid (Rule of Solitary), Jour. R. Asiatic Soc., Munk, Mélanges de
philosophie juive et arabe, cit.,386-410. Aba
Bekr Ibn Tufal Opere: Ci rimane soltanto il trattatello filosofico
Hayy ibn Yagzan (dal nome del protagonista). Edizioni: Ed. e
tr. fr. di L. GaurHieR, Beirut, 1936; tr. ingl. di S. Orcey, Il Cairo,
1905; di P. BrénnLE, Londra, 1904; tr. sp. di F. Pons Borcnes, Saragozza,
1900; di A. GonziLes Parencia, Madrid, 1934, 19482. Bibliografia: Cfr. Gever, p. 722; De Brie, nn.
21993-21994. M. Asîn Patacios, E! filosofo autodidacto, Rev. de Aragon,
1901. L. GautHIER, [bn Tufail. Sa vie, ses oeuvres, Parigi, 1909.
C. A. Naztino, Filosofia orientale od illuminativa di Avicenna? Riv. stud.
orient. 1925., ora in: Raccolta di scritti editi e inediti, VI,
Roma, 1948,218-256. F. Garcia
G6mez, Un cuento drabe fuente comin de Aben Tofail y de Gracidn, Rev.
Arch. Bibl. y Museos, 1926 . Ipem, Una Oasida politica inédita de
Ibn Tufail, Rev. Inst. Egipcio de Est.
islamicos, 1953. Averroè Opere: L'elenco
particolareggiato degli scritti in M. Bouvees, Notes sur les philosophes
arabes connus des Latins au Moyen Age. V. Inventaires des textes arabes
d'Averroès, Mél. de l’Univ. St. Joseph, Beirut,
1922-1923. Tra le opere scientifiche ricordiamo principalmente il
Kulliyyat al-tibb [Principî generali di medicina]. Per gli scritti di filosofia
distinguiamo: a) Trattati e scritti separati: 1) Fals al-magal
watagrir ma bayna alshasî wa al-higma min al-'ittisal [Sentenza risolutiva
dichiarante il modo in cui -la filosofia è unita alla religione]; 2)
al-Kashfan manahig aladillah fi‘aqaid al-milla wa ta'arif ma waqa'a fiha
bishasb al-ta'wil min al-shubah wa al bida' al-mudhila [Svelamento del
metodo di argomentare sui principî della religione e indicazione
sull'ambiguità ed errori eretici dovuti all'interpretazione del testo sacro);
3) Damimat al mas'alat al-il algadim [Aggiunta al problema della
conoscenza eternal; 4) Tahafut al Tahafut [L'incoerenza dell'incoerenza,
confutazione di Algazali]; 5) Sulla possibilità della congiunzione fra
l'intelletto materiale e l'intelletto separato, conosciuto solo nella
vers. ebraica medievale; 6) Soluzione del problema: eternità o creazione
del mondo, conosciuto solo nella versione ebraica medioevale;
b) Commenti aristotelici: 1) Commento Grande (shark o tasfir); 2)
Commento media (talkhis); 3: Compendi o perifrasi (gavami' o mukhtasar)
(Commenti a tutte le opere aristoteliche, eccettuata la Politica sostituita
dalla Repubblica di Platone). c) Opere spurie: Tractatus de
animae beatitudine, la cui prima parte esiste anche separatamente col
titolo: Libellus seu epistola de connexione intellectus abstracti cum
homine (e cfr. |. TeicHer, L'origine del Tractatus De animae beatitudine Atti
del XIX Cong. int. degli Orientalisti, Roma). Edizioni: Ed. di a 1, 2, 3
a cura di M. J. Miner, Monaco, 1858 (e quindi le edd. Il Cairo,
1895-1896, 1910); ed. di 4 1, 3 con tr. fr. a cura di L. GaurHieR, Ibn
Rochd (Averroès, Traité décisif [Fagl el-magal) sur lac cord de la
religion et de la philosophie, suivi de l'Appendice [Dhamina], Algeri,
19483); ed. di a 3 con la tr. lat. di Raimondo Martin (sec. XIII) a cura
di M. Asfn Patacios, in Homenaje a Codera, Saragozza, 1904; tr. integrali
di 4 1, 2, 3: ted. di M. J. MùtLER, Philosophie und Theologie von
Averroés (Monumenta Saecularia Bayer Akad. d. Wiss.), Minaco, 1875, ingl.
di M. Jama-ur-REHMAN, The philosophy and theology of Averroes,
565 Bibliografia Baroda, 1921, sp. di M. ALonso,
Teologia de Averroes, Madrid-Granada, 1947; Ed. crit. di a 4 di M.
Bouxces in Bibl. arab. Scholasticorum, S. Arabe, III, Beirut, 1930; tr.
ingl. di S. Van pen BercH, Londra, 1954; tr. spagn. parziale di C. Qurés,
in Pens., 1960; ed. di a 5 parziale con tr. ted. in'L. Hannes, Des
Averroés Abhandlung: Ueber die Mòoglichkeit der Conjunktion, Halle, 1892;
ed. di 4 6 in app. a M. Worms, Die Lehre von der Anfangslosigkeit der
Welt bei den mittelalterlichen arabischen Philosophen (Beitrige, III, 4),
Miinster, 1900. Ed. di et 1: Commento alla Metaphysica ed. crit.
testo arabo, Tafsil ma ba'ad at-tabi'at di M. Bouxrces, in Bibl. arab.
Scholasticorum, S. Araba, V-VII, Beirut, 1938-1948; De anima, ed. crit.
tr. lat. medioevale, Commentarium magnum in De anima di F. Stuart
Crawrorp; Corpus Commentariorum Averrois in Aristotelem della Mediaeval
Academy of America, Vers. lat., VI, 1, Cambridge (Mass.), 1953.
Ed. di © 2 Commento alle Categoriae, ed. crit. testo arabo, Talkhis
kitab al-maqulat di M. Bouyces, in Bibl. Arab. Scholasticorum, S. Araba,
III, Beirut, 1932; alla RAetorica, testo arabo a cura di F. Lasinio, Il
Commento medio della Retorica di Aristotele, Firenze, 1875-1878
(incompiuta); alla Poetica, testo arabo a cura di F. Lasinio, Pisa, 1872
e ripubbl. da ’AspuzRAHAMAN BapHawi, Aristoteles, De Poetica, Il Cairo, 1953;
al De generatione et corruptione, trad. dall’or. arabo e dal testo ebreo
e versioni latine di S. KueLanp (Corpus Comm. Averrois in Aristotelem,
Vers. anglica, IV, 1-2), Cambridge (Mass.), 1958; l’ed. del testo
ebraico, sempre a cura del Kurtanp (Corpus Comm. Averrois in Aristotelem,
Vers hebraic., N. 1-2), ibid., 1958. i . Ed. di 5 3:
compendio di Physica, De caelo; De generatione, Meteorologica, De anima,
Metafisica nel testo arabo sotto il titolo: Rasa'il Ibn Rushd,
Haiderabad, 1947; De anima (solo) in A. Faup AHwani, Talkhis, kitàb alnafs, Il
Cairo, 1950; Metafisica (soltanto) in M. aL-Qassani, Fiil tigat alaquwail...,
Il Cairo, 1903-1907 e con tr. sp. da C. Quiroz RopricuEz, AvERrroes, Compendio
de Metafisica, Madrid, 1919; tr. ted. di S. Van DEN BERGH, Leida, 1924;
De sensu, testo arabo in A. BapHawt, Aristutalis fi al-nafs, Il Cairo,
1954,191-239; Parva naturalia, ed. crit. trad. lat. med. di A. L. SHieps
(Corpus Comm. Averrois in Aristotelem, Vers. lat., VII), Cambridge
(Mass.), 1949; ed. crit. tr. ebraica di H. BLumBerc (ibidem, Vers.
hebraic., VII), ivi, 1954; Repubblica di Platone, ed crit. tr. ebr. med.
di E. T. J. RosentHAL, Cambridge (Mass.), 1956; commpendio del De gencratione
et corruptione in trad. ingl. insieme alla versione del Commento medio,
Ed. di c: la versione ebraica con tr. ted. in J. Hercz, Drei Abhandlungen
tiber die Conjunktion des separaten Intellekts mit dem Menschen von
Auverroés, Berlino, 1869. ‘Il Kelliyyat al-tib5 è stato pubblicato
sotto il titolo Quitab e? Culliat, Larache, 1939. 566
Bibliografia Per le ed. medioevali latine dei commenti e
delle opere filosofiche cfr. l’editio princeps delle Opera di Aristotele
con i Commenti di Averroè: Aristotelis opera omnia, Averrois in ca opera
commentarii, Padova, 1472, 1473, 1474, e in seguito le varie edd.
cinquecentesche tra le quali le più complete sono quelle di Venezia, 1552
e quindi 1560 in 11 volumi. Bibliografia: Cfr. Gever,722-723; De
Brie, nn. 21995-22009a; DE Wutr, l,306-307. In
particolare si veda: E. RENAN, Averroès et l’averroisme, Parigi,
1852, 18612. F. Lasinio, Studi sopra Averroè, Ann. Soc. ital. per
gli Studi Orient., 1873, 1874; Gior. Soc. Asiatica italiana, 1897-1898, 1899. L.
GauTHIER, La théorie d'Ibn Rochd (Averroès) sur les rapports de la religion et
de la philosophie, Parigi, 1909. P. Doncoeur, La religion et les
maftres de l’Averroisme, Rev. sc. philos. théol.,
1911. P. S. Curist, The psychology of the active intellect of
Averroes, Filadelfia, 1926. H. A. WotLrson, Plan of a Corpus
Commentariorum Averrois in Aristotelem, Speculum, 1931. A. Mansion, La théorie aristotélicienne du temps chez les
peripatéticiens médiévaux, Averroès, Albert, Thomas, Rev. néosc. phil.,
1934. J. TercHEr, Alberto Magno e il commento medio di Averroè sulla Metafisica
Studi ital. filol. class., 1934. M. Atonso, La cronologia en las obras de Averroes, Misc. Comillas Tornay, Averroe's doctrine of the mind, Philos.
Rev., 1943. M. Atonso, Teologia de Averroes, Madrid-Granata,
1947. L. GautHIER, Ibn Rochd, Parigi, 1948. B. H.
ZepLer, Averroes and immortality, N. Schol., 1954. T. AtLarp, Le rationalisme d'Averroès d’après une étude
sur la création, Parigi, 1955. R. Arnacpez, La pensée
religieuse d’Averroès, Stud. Islam. AnceLIsanTI, Problema Dei existentiae in
systemate Ibn Rusd, Gerusalemme, 1956. J. J. Housen, Ibn Rushd
(Averroes) as a muslim philosopher, Bijdragen, 1958. C. J. DE
Vocet, Averroés als verklaarder van Aristoteles en zijn invloed op het
West-Europese denken, Alg. Nederl. Tijdschr.
Wissh. PsychoL, RescHER, Three commentaries of Averroes, Rev. met.,
1958-1959. S. Gomez Nocates, La
immortalidad del alma a la luz de la noética de Averroes, Pens., 1959.
È Inem, El destino del hombre a la luz de la noética de Averroes,
in L'homme et son destin Hfrnannez, La libertad y la naturaleza social
del hombre segùn Averroes, Ibidem,277-283. PH. MERLAN, Averroes iiber die Unsterblichkeit des
Menschengeschlechtes, ibidem,305-311. Su Averroè scienziato
cfr.: L. GaurtHiEr, Une réforme du système astronomique de
Ptolomée, tentée par les philosophes arabes du XII siècle, Jour. Asiatique, 1909. G. GaBrIELI, Averroè come
scienziato, Arch. stor. sc., 1924. G. Sarton, Introduction to the
History of Sciences, II, Baltimora, 1931, 355-361. L. GaurHnIER,
Antécédents gréco-arabes de la psycho-physique, Beirut Atonso, Averroes
observador de la naturaleza, al-Andalus, 1940. Capitolo
secondo Filosofia ebraica Tra l'ampia bibliografia
sull'argomento (cfr. Gerer,723-725; DE Brie, nn. 21613-21694; De Wutr, I,
p. 307) citiamo solo i seguenti studi di carattere generale:
D. NEUMAREK, Geschichte der jiidischen Philosophie des Mittelalters,
Berlino, 1907-1928. I. Husrk, A History of Medieval
Jewish Philosophy, Filadelfia, 1916, u. e. 1958. J.
GurtMann, Die Philosophie des Judentums, Monaco, 1933. E. MitLer,
History of Jewish Mysticism, Londra, 1946. E.
BertoLA, La filosofia ebraica, Milano, 1947. G. Vagpa, Introduction
è la pensée juive du moyen dge, Parigi, 1947. G. ScHoLEeM, Les grands courants de la mystique juive,
tr. da l’ebr., Parigi, 1950. E. FLec, Anthologie juive,
Parigi, 1953. T. Bomann, Das Hebraische Denken im Vergleich mit dem
Griechischen, Gottinga, 19542. J.
ApLer, Philosophy of Judaism, New York, 1960. Cfr. inoltre:
S. Siunami, Bibliography of Jewish Bibliographies, Gerusalemme,
1936. G. Vaypa, Jidische Philosophie, fasc. 19, Bibliographische
Einfùhrungen in das Studium der Philos., Berna, 1950. Isacco
Giudeo Opere: Si conservano nella tr. ebraica e latina il Liber
definitionum (Sefer ha-Yèsod5t); il Liber Elementorum (Sefer ha-Hibbar) i
trattati di 568 Bibliografia medicina;
un Commento al Sefer Yèsiràh; due frammenti d’interpretazione biblica e
un frammento del testo arabo del Liber definitionis. Edizioni: La
versione latina in Opera Omnia Ysaac, Lione, 1515; ed. crit. a cura di J.
T. Mucxte, in Arch. Hist. doctr. litt. m. à., 1937-1938; la versione
ebraica del Sefer ha-Hibbar, a cura di H. HirscHreeLD, in Festgabe
Steinschneider, Lipsia, 1894; del Sefer ha-Yèsodat, a cura di S. FrieD,
Drohobycz, 1900; il frammento arabo nell’ed. H. HrrscHreLp, in Jewish
Quart. Rev., 1903. Inoltre la trad. inglese delle opere a cura di A.
ALTMANN e S. M. STERN, in Zsaac Israeli a neoplatonic philosopher of
carly Xth cent., Fair Lawn (N. J.) - Londra, 1958.
Bibliografia: Cfr. Gever, p. 725; De Brie, nn. 21698-21699. J.
Gurrtmann, Die philosophischen Lehren des Isaak ben Salomon Isracli,
Miinster, 1911. G. Sarton,
Introduction to the History of Science, I, Baltimora, 1927, 639-640 (ampia
bibl.). H. A. Wotrson, Isaac Israeli on the Internal Senses, in
Jewish studies in Memory of. G. Kohut, New York, 1935,583-598.
Sa'adyah ben Yosef Opere: Kitab al’Amanat Wa'll'tigadat
(Libro delle credenze religiose e dei dogmi); Commento al Sefer Yesiràh;
Sefer ha-Émunot wè ha-Dot [Libro della credenza e delle opinioni],
scritto in arabo. Edizioni: Les oeuvres
complètes de Saadia, a cura di J. DERENBOURG, 6 voll. Parigi, 1893-1896;
Commento al Sefer Yèsiràh, testo e tr. fr. di M. LAMBERT, Parigi, 1891;
Sefer ha-Emzanot, testo arabo a cura di S. LaNDAUER, Leida, 1880; testo
ebraico, ed. D. SLucki, Lipsia, 1864; tr. ingl. di R.
RoSENBLATT, New Haven, 1948. Bibliografia: Cfr. Gever,725-726; De
Brie, nn. 21700-21705; DE Wutr MALTER, Saadia Gaon. His life and
Works, Filadelfia, 1921 (con bibl. fina al 1920). D. Neumark,
Saadia's Philosophy. Sources Characters, in Essays in Jewisk Philosophy,
1929. M. Ventura, La philosophie de Saadia Gaon,
Parigi, 1934. A. FreImann, Saadia's Bibliography, New York,
1943. A. Neuman-S. ZerrLin, Saadia Studies,
Filadelfia, 1943. H. A. Wotrson, in Jewish Quart. Rev.,
1946-1947. Avicebron Opere: Anaq (Collana), poema
quasi totalmente perduto: Zsl44 al Aklaq (Miglioramento dei caratteri
morali); Mutkhar al-Giawahir (Scelta di perle, raccolta di sentenze di
autori antichi); AzarotA (Prescrizioni, 613 norme
Bibliografia riguardanti il codice biblico); Mégor Hayyim (Fonte
della vita, secondo il titolo della tr. ebraica); Poesie. Si ricordano
inoltre un Tractatus de esse e un Tractatus de scientia voluntatis,
perduti, e il Keter Malkat (Corona regale), poema filosofico particolarmente
importante. Non sicura l'autenticità di un De anima (solo in tr.
lat.). Fons vitae: parafrasi ebraica in S. Munx,
Mélanges de philos. juive et arabe, nuova ed.,
Parigi, 1955; tr. lat. in CL. BAEUMKER, Avencembrolis Fons vitae (Beitrige, I,
24); Miinster, 1892-1895; Isleh: testo arabo e tr. ingl. a cura di S.
Wise, New York, 1901; Scelta di perle, tr. ingl. di A. CoÙen, ivi, 1925;
Poesie, la raccolta più completa a cura di Ch. N. Bratik-J. Ch.
Rawnrrzkr, 3 voll., Berlino-Tel Aviv, 1924-1929; nuova ed. int. di cui è
uscito solo il I vol.: H. ScHmmann, Sirim nibhrim S. |. Gaon, Tel Aviv,
1944; antologia con tr. ingl. in J. Davipson, Selected Religious Poems of S. I.
Gebirol, Filadelfia, 1923; nuova ed., 1944; Corona reale, in Davipson,
cit., e testo e intr. a cura di A. CHouraou, in Rev. thom., 1952; tr. fr.
di P. Vuirtaro, Parigi, 1953; De anima in A. LoEWENTHAL,
Pscudo-Aristoteles îiber die Scele. Ein
psichol. Schrift d. XI ]ahrh. u. ihre Beziechung zu S. i. Gebirol,
Berlino, 1891. Bibliografia:
Cfr. Gerer, p. 726; DE Brie, nn. 21708; DE WutrF, I, p. 307.
J. GurtMann, Die philosophie des S. I. Gebirol, Gottinga, 1889.
D. Rosin, The Ethics of S. I. Gebirol, Jewish
Quart. Rev., 1891. D. KaurMmann, Studien iiber S. I. Gebirol,
Budapest, 1899. S. Horowirz, Die Psychologie I. Gebirols, Jah.ber.
des Jiid. in Theol. Seminars, Breslavia, 1900. M. Wirrmann,
Die Stellung d. hl. Thomas von Aquin zu Avencebrol, (Bcitrige, III, 3),
Miinster, 1900. Ipem, Zur Stellung Avencebrols (Ib Gebirols) im
Entwicklungsgang der arabischen Philosophie (Beitrige, V, 1), Miinster,
1905. K. DrevEr, Die religiose Gedankenwelt des Salomo ibn Gabirol,
Berlino, 1930. M. BieLEr, Der gotiliche Wille bei Gabirol,
Wiirzburg, 1933. A. HerscHet, Der Begriff der Einheit in der Philosophie
Gabirols, Monatschrift f. Gesch. u. Wiss. des Judentums, 1938. J. M. MitLàs Vatticrosa, Selomo ibn Gabirol como poeta y
filésofo, MadridBarcellona, 1945. E.
BertoLa, Il Keter Malkut di S. i. Gebirol, in Saggi e studi di filosofia
medioevale, Padova, 1951,107-117. Ipem, S. i. Gebirol (Avicebron).
Vita, opere e pensiero, Padova, Brunner, Str l'Aylémorphisme d'Ibn Gebirol, Étud.
philos., 1953. H. Simon, Das
Weltbild Gabirols. Seine Bedeutung fiir die Geschichte der Philosophie, Zeitschr.
Humboldt Univ. z. Berlin, 1956-1957. 570
Bibliografia Maimonide Opere: Tra le numerose opere
religiose, giuridiche, scientifiche ricordiamo: un Trattato di terminologia
logica; una Parafrasi del Talmud; un Trattato sul calendario ebraico; la
Lettera di consolazione agli Ebrei lapsi, vari scritti di medicina. Ma
gli scritti pil interessanti dal punto di vista filosofico sono: il Maor
(Luce, commento alla Mishnah, scritto in arabo nel 1168; Mishneh Torah
(La tradizione della Legge); un Codice di prescrizioni, scritto intorno al 1180
e il Morzh Nèbzkim (La guida dei dubbiosi), scritto in arabo nel
1170. Edizioni: Morzh nèbakim, ed. di S. Munk (testo arabo in
caratteri ebraici), Le guide des égarés (con tr. fr. e note), Parigi, 1865-1866,
nuova ed., Gerusalemme, 1931; tr. it. di D. J. Maroni, Livorno, 1871
(incompiuta); tr. ingl. di M. FriepLANDER, Londra, 1881-1885, 2. ed., New
York, 1925 e di J. GurTMANN, ivi, 1952; trad. ted. di A. WrIss, Lipsia,
1923-1924; trad. sp. di J. Suarez, Madrid Per le altre tr. e edd. cfr. U.
Cassuto, s.v., in Enc. Ital., XXI, 951-952. Ricordiamo inoltre la tr. fr.
della Terminologia logica, Parigi, 1935; e quella ingl. del Codice, New
Haven, 1951 Bibliografia: Cfr. Gever,727-728; De Brie, nn. 21713-21807;
Ds Wutr, I,307-308. D. YeLcin - I. AsraHams,
Maimonides, Londra, 1903, rist. 1935, tr. it. Firenze, BacHeEr, M. Brann,
D. Simonsen, Moses ben Maimon, Francoforte, Levy, Maimonide, Parigi, Minz, Moses ben Maimon (Maimonides). Sein Leben und seine Werke, Francoforte s. M.,
1912. . M. T. Penipo, Les attributs de Dieu d'aprèòs Maimonide, Rev.
néosc. philos., 1924. L. GutkowrrscH,
Das Wesen des maimonichschen Lehre, Tartu, 1935. A. HescHeL,
Maimonides. Eine Biographie, Berlino, 1935. L. Strauss, Philosophie
und Gesetz. Beitràge zum Verstindnis Maimunis und seiner Vorliufer,
Berlino, 1935. F. Bamgercer, Das System des Maimonides..., Berlino,
1935. L. Rota, The Guide for the perplexed. Moses Maimonide,
Londra, 1948. H.
Sfrouya, Maimonide. Sa vie, son ocuvre, avec un exposé de sa philosophie,
Parigi, 1951. IpeM, La obra filosbfica de Maimonides, Rev.
filos. ALTMANN, Essence and existence in Maimonides, Bull. J. Rylands Libr.,
1953. M. FakHry, The Antinomy of the Eternity of World in Averroes,
Maimonides und Aquinas, Muséon, 1953. W. KLuxEn, Literargesch. zum lat. M. Maimonide, Rech.
théol. anc. méd. Inem, Maimonides und die Hochscholastik, Philos.
Jahrb., Baeck, Maimonides, Diisseldorf, Zerrin, Maimonides, New York, KenpziersKI,
Maimonides Interpretation of the VIII Book of Aristotle's Physics N. Schol.,
1956. J. S. Munkin, World of Moses Maimonides, New
York, 1957. A. Zaovi, Maimonide: Le livre de la Connaissance,
(Frammenti tradotti e commentati), Mé€I. philos. litt. juives, I-II,
1957. C. KLEIN, The Credo of Maimonides, New
York, 1958. Sugli aspetti più spiccatamente teologici cfr.
inoltre: H. A. WoLrson, in Essays and Studies in Mem. of L. R.
Miller, New York, 1938,201-234; Harvard Theol. Rev.,
1938; L. Giurberg Jubilee Volume Engl. Sect., New York, 1945,411-446.
Una bibliografia completa in lingua inglese in: I. EpstEIN,
Moses Maimonides, in VIII Centenary Memorial Volume, Londra, 1935.
Sulla Cabbala Oltre alle numerose indicazioni contenute nei volumi
giàdello ScHoLem e del Vagpa si veda: E. Zoni, Profetismo e
misticismo, nel vol. Israele, Udine, 1935. F. WarRraIN,
La théodicée de la Kabbale, Parigi, 1952. R. B. Z. Bosker, From the
World of the Cabbalah, New York, 1954. F. Barpon, Der Schiissel zur
wahren Quabbalah. Der Quabbalist als voll Kommener Herrscher in Mikro-
und Makrokosmos, Friburgo, 1957. A.
Sarran, La Cabale, Parigi Sulle versioni latine delle opere greche, arabe ed
ebraiche cfr. in gene rale: De Wutr, I,81-83; II,55-60. In particolare cfr.: A. Jourpain, Recherches
critiques sur l'dge et l'origine des traductions latines d' Aristote,
Parigi, 1819, n. ed. ibidem, 1843. V. Rose, Die Liicke im Diogenes
Laertius und der alte Uebersetzer, Hermes, 1866. Ipem, Ptolomacus
und die Schule von Toledo, Ibidem, 1874. F. WisrenFELD, Die Uebersetzungen Arab. Werke in das
Lateinische seit die XI Jahrb., *Abhandl. Kgl. Gesellschaft d.
Wissenschaften zu Got tingen, Bd. 22, Gottinga, 1877. M.
Sreinscunemer, Die hebraischen Uebersetzungen d. Mittelalters und die
]uden als Dolmetscher, Berlino, 1893. IpeMm, Die arabischen
Uebersetzungen aus d. Griechischen, Zentralblatt fir Bibliothekswesen,
Beiheft V, 2; XII, Lipsia 1889, 1893. Ipem, Die europiischen
Uebers. aus d. arabischen bis mitte d. XVII Jahrk. Sitzber. K. Akad. d.
Wissen. Philos.-hist. K1., Vienna, 1905-1906. M. Grasmann, Forschungen
tiber die lat. Aristoteles-ibersetzungen d. XIII Jahrh., (Beitrige,
XVII, 5-6), Miinster Wincate, The Medioeval Latin Versions of the Aristotelian
Scientific Corpus, with special reference to the biological Works,
Londra, 1931. H. BéporeT, Les
premiòres traductions tolédanes de philosophie, Rev. néosc.
philos., 1938. G. TuÙry, Tolède, ville de la renaissance
médiévale, point de jonction entre la philosophie musulmane et la pensée
chrétienne, Orano, 1944. U. MonnerET DE ViLLaro,
Lo studio dell'Islam in Europa nel XII e XIII secolo, Città del Vaticano,
1944. J. T. MucxLEe, Greek Works translated
direcily into Latin before 1350, Med. Stud., 1943, R. Waxzer,
Arabic transmission of greek thought to mediacval Europa, Bull. of the
John Rylands Library, PeLsrer, Neuere Forschungen iber die
Aristotelesiibersetzungen des XII und XIII Jahrh., kritische Uebersicht, Greg.
1949. G. TuHéry, Notes indicatrices pour s'orienter
dans l'étude des traductions médiévales, Mél. Maréchal, II, 1950.
Sugli inizi della fortuna dell’ Aristotele latino: A.
PeLzer, Les versions latines des ouvrages de morale conservées sous le
nom d'Aristote en usage au XIII siècle, Rev. néosc. philos., 1921. A.
BirKENMAJER, Le réle joué par les médicins et les naturalistes dans la
réception d'Aristote aux XII et XIII siècles, in La Pologne au VI Congrès
international des sciences historiques, Varsavia, 1930. IpeM,
Project de l'Académie polonaise des sciences et lettres pour la publication
d'un Corpus philosophorum medii aevi, Bruxelles, 1930. Ipem,
Classement des ouvrages attributs à Aristote par le moyen dge latin,
(Prolegomena in Aristotelem latinum, I), Cracovia, 1932. E.
FrancescHINI, Aristotele nel medioevo latino, in Atti del IX Congresso
naz. di filos., Padova, 1935. M. Mansion, Les prémices de
l’Aristoteles latinus, Rev. philos. Louvain, 1946. tapal M.
Grasmann, Aristoteles im zwéòlften Jahrh., Med. Stud., 1950. L.
Minio-PaLueLto, Note sull’ Aristotele latino medioevale, Riv. filos. neosc.,
1950, 1951, 1954, 1958, 1960. A. Mansion, Disparition graduelle des mots grecs dans les
traductions médiévales d'Aristote. ME. J. De Ghellinck, IAdelardo
di Bath Opere: Perdifficiles quaestiones naturales; De codem et diverso
(ed. H. Wiccner, in Beitrige,y IV, I, Miinster, 1903); traduzioni
dall'arabo (Euclide, a-Khuwarizmi). Bibliografia:
M. Mutter, Die Quaestiones des A. v. Bath (Beitrigey XXI, 1), Miinster,
1934. F. BLIEMETZRIEDER, A. v. Bath, Monaco, 1935. M.
CLacett, The mediev. lat. transl. from the arabic». with special emphasis
on the versions of A. of Bath, Isis, 1953. Domenico
Gundissalvi Opere: De anima; De Unitate; De processione mundi; De
divisione philosophiae. Gli è attribuito anche un De immortalitate
animae. Traduzioni: La Kitàb ash-Sifa di Avicenna; le Intenzioni
dei filosofi di aL-GAzzaLI; il De ortu scientiarum di A-raraBi; il Fons
vitae di AviceBRON. De anima (parziale) a cura di A. LoewentHAL,
Kònigsberg, Berlino, 1890, e in Pseudo-Aristoteles iber die Seele, cine
psychologische Schrift d. XII Jahrh. u. ihre Beziehungen 2. Salomon ibn
Gebirol, Berlino, 1891; il De divisione philosophiae, a cura di L. Baur (Beitrige,
IV, 2-3), Miinster, 1903; il De divisione scientiarum, a cura di S. H.
THomson, Schol., 1933; ed. A. ALonso, Madrid-Granada, 1954; il De
unitate, a cura di P. Correns, (Beitrige, I, 1), Miinster, 1891, rist. in
A. BoniLLa y San MaRtIN, Hist. de la filos. espatiola, I,450-456; il De
processione mundi, ed. MenenpEz
y Petavo, in Hist. de los heterodoxos espafioles, I, Madrid, 1880 691-711
e a cura di G. BiiLow (Beitrige, II, 3), Miinster, 1897. Bibliografia: cfr. Gerer,729-730; De Brie, nn. 5472-5476;
De WutF, II, p. 74. CL. BAEUMKER, Les éerits
philosophiques de D. Gundissalinus, Rev. thom., 1897. Inem,
D. Gundissal. als philosophischer Schriftsteller, Friburgo 1898 e
Miinster 1899, A. Levi, La partizione della filosofia pratica in un
trattato medioevale, Atti R. Ist. Veneto,
t. LXVII, P. II, 1908. L. Garcia Favos, E! Colegio de traductores
de Tolego y Domingo Gundisaluo, Rev. de la Biblioteca... de Madrid, 1932.
). TercHER, Gundissalino e l'agostinismo
avicennizzante, Riv. filos. neosc., 1934. H. Béporer, Les
premières versions tolédanes de philos., Rev. néosc. philos., 1938.
D. A. Catcus, Gundissalinus De Anima and
the problem of substantial form, N. Schol., 1939. J. T.
Muckte, The Treatise De anima of D. Gundiss., Med. Stud., 1940. M. Atonso, Notas sobre los
traductores toledanos. D. Gundiss. y Juan Hispano, al-Andalus, 1943.
IpeM, Las fuentes litérarias de D. Gundiss., ibidem, 1946.
IpeMm, Traducciones del arcediano D. Gundiss., ibidem, 1947.
Ipem, Domingo Gundissalvi y el De causis primis et secundis Est. Eccl.,
1947. Inpem, Gundissalvo y el Tractatus de anima, Pensam.,
1948. A. H. CHroust, The Definitions of
Philosophy in the De divisione philosophiae of Dominicus Gundissalinus, N.
Schol., 1951. Alfredo di Sareshel
Opere: De motu cordis; traduzione del De vegetalibus (falsamente
attribuito ad Aristotele), e del Liber de congelatis di Avicenna. Bibliografia:
Cfr. GevER, p. 731; De Brie, n. 5467; DE Wutr, II, p. 74.
Bibliografia In particolare v.: A. PeLzER, Une source
inconnue de Roger Bacon, A. de Sareshel commentateur des Méttorologiques
d'Aristote, Arch. franc. hist., BaeuMKER, Die Stellung des A. von Sareshel und
seiner Schrift De motu cordis in der Wissenschaft des beginnenden XIll
]ahrh., Sitzber. Bayer Akad. Philos. Hist. Kl., 1913. Ipem,
Des A. von Sareshel (Alfredus Anglicus) Schrift De motu cordis, (Beitrige,
XXIII, 1-2), Miinster, 1923 (con ed.) G. LacomBe, A. Anglicus in Metheora, in Aus der
Geisteswelt des Mittelalters, Miinster, 1935,463-71. Giovanni
Ibn Dahut (di Spagna). Traduzioni: Fons vitae di AviceBRoN; De
anima di Avicenna; De differentia animae di Qusta IBN Luca (la prima in coll.
con il Gundissalvi). Bibliografia:
cfr Gever, p. 724; De Brie, n. 5481; De Wutr, II, p. 59. M.
SreiscHNEMER, Die hebriischen Ubersetzungen, M. Atonso, Notas sobre los
traductores toledanos..., J. M. MîfLLas Vatticrosa, Una obra astronémica
disconocida de Johannes Avendaut Hispanus, in Estudios sobre la historia
de la ciencia espafiola, Barcellona, 1949,263-288. M. Atonso,
Traducciones del drabe al latin por Juan Hispano (Ibn Dawînd), al-Andalus,
1952. M. T. p'ALverny, Avendauth, Misc. Millis Vallicrosa Barcellona Gerardo
da CREMONA (vedasi) Da AristotELE: la Fisica, Secondi Analitici col
Commento di Temistio, De Caelo et mundo; Metcor. I-III; De generatione et corruptione; Testi pseudarist.:
Liber de causis, De intellectu, De quinque essentiis. Opere
di ALEssanDRO DI Arropisia, aL-FARABI, Isacco Giupeo. Tradusse inoltre numerosi
scritti scientifici: Canone di Avicenna; Elementi di EucLIDE; Almagesto
di Tolomeo, ecc. Gever, p. 728; De Brie, n. 5478; DE WutF, II, p.
56. In particolare cfr.: A. BrrkenMmaJer, Eine
wiedergefundene Ucbersetzung Gerhards von Cremona, in Aus der Geisteswelt des
Mittelalters, cit.. H. Béporet, Les premières versions tolédanes,
Inem, L'auteur et le traducteur du Liber de causis, Rev. néosc. philos.,
1938 E. FrancescHINI, /) contributo dell'Italia alla trasmissione
del pensiero greco in Occidente nei secc. XII e XIII e la questione di
Giacomo Chierico da Venezia, Atti Soc. ital. progr. sc., Roma, 1938.
576 Bibliografia
Themistius parafrasis of the Posterior Analytics in Gerardo of Cremona's
translation, ed. ]}. R. O°DonnEL, Med. Stud., 1958. O
Sull’attività scientifica di Gerardo cfr. inoltre: B. Boncompacni,
Della vita e delle opere di Gerardo cremonese, Roma, 1851; U. T. HoLmEs,
G. the naturalist, Spec., 1936. Michele Scoto
Traduzioni: De Sphaera di ALpetRAcio (Bologna, 1495, Venezia, 1631); i
XIX libri De animalibus di AristorELE; De caelo et mundo; De anima e,
probabilmente, anche la PAysica e la Metaphysica con i commenti di
AverRoÈ che egli fece conoscere per primo in Occidente (ed. Venezia). Divisio
philosophiae; Quaestiones Nicolai peripatetici. astrologiche: Liber
introductorius; Liber de particularibus; Physionomta (in Scriptores
Physiognomici, I, Lipsia, 1893). Bibliografia: cfr. Gever, p. 731;
De Wutr, II, p. 56. W. J. Brown, An
Enquire into the Life and Legend of M. Scottus, Edimburgo, 1897. R.
Rupserc, Textstudien zur Tiergeschichte d. Aristoteles, Upsala, 1908.
Ipem, Kleinere Aristoteles Fragen, Eranos, DuHEM, Le système du monde,
cit., III,241-249, 344-347. Cu. H. Haskins, Studies in the History
of Medievale Science, Cambridge (Mass.) THornpiKE, A History of magic and
experimental science, II, cit., 307-337. i R. pe Vaux, La première
entrée d’Averroès chez les latins, Rev. sc. philos. théol., 1933.
M. KurpziaLeK, Quaestiones Nicolai peripatetici, Maed. Philos. Polonorum
(Varsavia), 1958. Enrico Aristippo
Traduzioni: Tutte le Opere di Gregorio NazianzeNO; DiocENE, LAERZIO; il
IV dei Meteorol. e forse anche il De generatione et corruptione e gli Analytici
secondi; il Menone e il Fedone di PLatone. Tradusse inoltre la Sintassi
matematica e, con l’aiuto di Eugenio di Palermo, l’Almagesto. Edd.: V.
KorpentER-C. Lasowsky, Meno interprete Henrico Aristippo, Londra, 1940;
L. Minto-PaLueLLo-H. J. Drossaart LuLors, Phaedro interprete Henrico
Aristippo, Londra, 1950. Bibliografia: De Wutr, II,58.
Cu. H. Haskins, Studies in the History of
Medieval Science, cit.87-123. M. T. Manpatari, Enrico Aristippo
Arcidiacono di Catania nella vita culturale e politica del XII sec., Bull.
stor. catanese, PaLuetto, Henry Aristippo, Guillaume de Moerbeke et les traductions
latines médiévales de Méséréologiques et du De generatione et
corruptione, Rev. philos. Louvain,
1947. Ipem, Les trois redactions de la traduction médievale
greco-latine du De Generatione et corruptione d'Aristote, Rev. philos. Louvain,
1950. Amalrico di Bène e David di Dinant
Bibliografia: cfr. Gever,706-707; De Wutr, I, p. 242. V. P. DuHEM, Le système du monde, cit., V,244-249.
G. THiéry, Essai sur David de Dinant d'après Albert le Grand et St.
Thomas, ME. thom., 1923. Ipem, Autour du décret de 1210: I.
David de Dinant. Étude sur son panthéisme maiérialiste, Parigi,
1925. G. C. CaretLe, Autour du décret de 1210; III. Amaury de Bène.
Étude sur. son panthéisme formel, Parigi, 1932. CL. BAEUMKER,
Contra Amaurianos (Beitrige, XXIV, 5-6) Miinster, 1926. A.
BirRKENMAJER, Découverte de fragments mss. de David de Dinant, Rev.
néosc. philos., 1933. R. Arnou, Quelques idées néoplatoniciennes de
David de Dinant, in Festgabe J. Geyser, 1930. M. Dar Pra,
Amalrico di Bène, Milano, 1951. M. T. p'ALverny, Un fragment du
procès des Amauriciens, Arch. Hist. doctr. litt. m. à., 1953.
M. KurpziaLEK, Fragments des Quaestiones naturales de David de
Dinant, Mediaevalia Philosophica Polonorum (Varsavia), 1958.
Sulla reazione all’entrata dei testi aristotelici ed arabi
cfr.: M. GRABMANN, / divieti ecclesiastici di Aristotele sotto
Innocenzo III e Gregorio IX (Miscell. hist. pontif., V, 7) Roma, 1941.
Guglielmo di Moerbecke Traduzioni: dal greco: De coelo et
mundo (Il. III-IV, 1260); Meseorologica (Il. I-III, 1260 ca.); Mesaphysica (1.
XI); Politica (Il. III-VIII, forse 1260); R&etorica; De animalibus
(21 1l.); Poetica (1278). Tradusse inoltre i sottoelencati commenti ad
Aristotele coi relativi testi aristotelici; Perihermeneias (Ammonio, 1268);
Praedicamenta (Simplicio, 1266); De caelo et mundo (Simplicio, 1271); De
sensu er sensato (Alessandro di Afrodisia, 1269); Metaphysica (Alessandro,
1260); De anima (Temistio, 1268); L. III De anima (Giovanni Filopono). Rivide
inoltre molte tradd. già esistenti di testi aristotelici: De anima (prima
del 1268); De memoria et reminiscentia; Physica (12601270); IV Metseorol.;
Metaphysica (eccetto il 1. XI tradotto da lui per la prima volta); Ezhica
Nic. (1260 ca.); I-II Politicorum; Analytica posteriora; 578
Bibliografia Elenchi sophystici; probabilmente anche il De
generazione et corruptione € i Parva naturalia. Tradusse inoltre
l’Elementatio theologica e altri opuscoli di ProcLo.
Bibliografia: cfr. Gever, p. 728; De Brie, nn. 2453, 3601, 4986, 4988,
5005, 57135; DE Wute, II, p. 290. E. FrancESscHINI,
Aristotele nel M. E. latino, G. Lacomse, in Corpus philosophorum Medii
Aevi. Aristoteles latinus, Roma, 1939. M. GraBMann, Guglielmo
di Moerbecke, il traduttore delle opere di Aristotele, (Miscell. hist. pontif.,
XI, 20), Roma, 1546 (con bibl.). L. Minio PaLuvetto, Guglielmo di
Moerbecke, traduttore della Poetica di Aristotele, Riv. filos. neosc.,
1947. IpeMm, Note sull’Aristotele latino medioevale cit., ibidem,
1952. CL. VANSTEENKISTE, Procli elementatio theologica translata a
G. de Moerbecke (con testo), Tijdschr. Philos.,
1951, 1952. G. VERBEKE, G. de Moerbecke traducteur de Jean
Philoponus, Rev. philos Louvain, 1951. Ipem, G. de Moerbecke
traducteur de Proclus, Rev. philos. Louvain, 1953. Capitolo
secondo Sulle Università H. DenirLEe, Die Entstehung
der Universitàten des Mittelalters bis 1400, Berlino, 1885; rist.,
1956. Ipem, Die Universitàten des Mittelalters,
Berlino, 1885. Ipem, Les Universités frangaises au moyen dge,
Parigi, 1892. H. DenieLE - A. CHATELAIN,
Charsiularium Universitatis parisiensis, Parigi, 1889-1897.
Actuarium Chartularii Universitatis parisiensis, voll. I e II a cura di
DeNIFLE © CHATELAIN, Parigi, 1894-1897; voli. IV e V a cura di CH. SaMARAN e E.
A. Van Moè, Parigi, 1935-1942. A. CLERVAL, Les écoles de Chartres
au moyen-dge, H. RasHparc, The universities of Europe in the middle ages,
Oxford, 1895, 1936 (ediz. a cura di F. M. Powicke e A. B. Enpen).
M. GruBMann, Geschichte der scholastischen
Methode, cit., passim. L. I. Paetow, The Arts course of mediaeval
Universities, with special references to Grammar and Retoric, Univ. of
Illinois Bull., 1910. R. S. RaiT, Life in the mediaeval university,
Cambridge, 1912. A. F. LeacH, The Schools of mediaeval England,
Oxford, 1916. A. Dempr, Die Haupiform mittelalterlichen
Weltanschauung, Monaco, 1925. P. Giorieux, La litiérature
quodlibétique de 1260 è 1320, Bibl. thom., 1925, 1935. 574) Bibliografia R. M. MARTIN,
Arts libéraux, in D.H.G.E., IV, 1930. L. HaLpHÙien, Les universités
au XIII siècle, Rev. hist., 1930, 1931. Statuta antiqua
Universitatis Oxoniensis (ed. S. Gibson), Oxford,
1931. F. ExrLE, / più antichi statuti della facoltà teologica
dell'università di Bologna, Bologna, 1932. P. GLorieux, Répertoire des maîtres en théologie de Paris
au XIII* siècle, Parigi, 1933-34. S. D’Irsao, Histoire des
Universités frangaises et étrangères, Parigi, 1933-1935. A. G.
LirtLe-F. PeLstER, Oxford theology and theologians
A. D. 1282-1302, Oxford, 1934. N. ScHacHnEr, The mediaeval
Universities, New York, 1938. P. Kisre, The Nations in the Mediaeval Universities,
Cambridge, 1948. F. van STEENBERGHEN, L'organisation des études au
Moyen Age et ses répercussions sur le mouvement philosophique, Rev. philos. Louvain,
1954. A. MaIER, Internationale Bezichungen an spitmittelal.
Universitàten, Beitrage 2. auslandischen Recht u. Vélkerrecht, Colonia-Berlino,
1954, H. 29. Sugli Ordini mendicanti e la loro organizzazione
scolastica a) Francescani A. G. LirtLe, The Grey
Friars in Oxford, Oxford, 1892. H.
FeLper, Geschichte der Wissenschaft. Studien im Franziskanerorden bis um
die mitte des XIII ]ahrh., Friburgo, 1904. A. G. LittLE, The
franciscan school at Oxford, Arch. Franc. hist., 1926. E. Gitson, La philosophie franciscaine, in St. Frangois
d'Assise, Parigi, 1927. D. E.
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1930. F. pe SESSEVALE, Histoire générale de l'Urdre
de S. Frangois, I. Le moyen dge, Parigi, 1935. V. Doucet, Mattres franciscains de Paris, Quaracchi
(Firenze), 1935. Pu. BoHNER, The history of franciscan school, New
York, 1945-1946. Expositio quatuor magistrum, a
cura di L. OLicer, Roma, 1950. F. Bertoni, Lo spunto della
filosofia francescana, Stud. franc., 1957. b) Domenicani P. Manponnet, Frères
Précheurs. La théologie dans l'ordre des Frères Pre., in DThC., IV,
863-924. P. Mormier, Histoire des maftres généraux de l'ordre des
Frères Précheurs, Parigi, 1903-1911. P. ManponneT, S.
Dominique. L'idée, l'homme et l'oeuvre, Gand, 1921, Pa rigi, 19382.
P. ExrLE, S. Domenico, le origini del primo Studio generale, Miscell.
domenicana, Roma, 1923. A. Watz, Studi domenicani, Roma,
1939. M. H. Vicarre, S. Dominique de Calarnega, Parigi, 1955.
580 Bibliografia Su tutto il movimento
scolastico del XIII sec. M. D. CÒÙenu, La théologie comme science
au XIII siècle, Parigi, 1957}. A. Forest, F. van STEENBERGHEN, M. DE GanpiLLac, Le
mouvement doctrinal du IX au XIV siècle, vol. XIII dell’Histoire de l'Église,
di A. FLicHE, e E. Jarry, Parigi, 1951. Cfr. inoltre, in
generale, la documentazione raccolta in: P. GLorieux, Répertoire
des maîtres en théologie de Paris au XIII‘ siècle, Capitolo
terzo Pietro di Poitiers Opere: Libri quinque
Sententiarum Edizioni: P.L. 211; PH. S. Moore, J. N. Garin, M.
DuLonc, Sententiae Petri Pictaviensis ll. I et II, Pubblications in Med.
Stud., 7 e 11, Notre Dame (Ind.), 1943-50; Allegoriae super tabernaculum
Moysi, ibidem, 1938. Bibliografia: Cfr. GevER,711-712; De Brie,
nn. 5488-5492; De WuLP, I. pp 250-251. in
particolare v.: M. GrABMANN, Gesch. d. schol. Methode, cit., I e
II. P. GiLorieux, Répertoire des maîtres en
théol. de Paris au XIII siècle, N. June, in DThC, XII, 2038-40. PH. S. Moore, The Works of P. of Poitiers, Washington,
1936. A. Lanperar, P. v. Poitiers und die
Quaestionenliteratur des 12 Jahrh., Philos. Jahrb.,
1939,202-22, 348-58. ° Guglielmo di Auxerre
Opere: Summa theologica: incerta l'attribuzione di un commento all’Anticlaudianus
di Alano di Lilla. Edd.: Parigi, 1500, 1518, Venezia 1591.
Bibliografia: cfr. Gever,730-731; De Brie, nn. 5519-5521, 5574; DE Wutr,
II,78-79. In particolare v.: A. Lanpcrar,
Beobachtungen zur Einflusssphire Wilhelms von Auxerre, Zeitsch. f. ath.
Theol., 1928. G. Ottaviano, Guglielmo d'Auzxerre. La vita, le
opere, il pensiero, Roma, 1929 (con bibl.). P. Grorieux, Répertoire des maftres en théologie de Paris
au XIII siècle, 581 Bibliografia P. Lackas,
Die Ethik des W. v. Auxerre. Beitrige zu ihrer Wiirdigung, Ahrweiler,
1939. N. Fries, Urgerechtigkeit, Fall und Erbsunde nach Pripositin
von Cremona und Wilhelm von Auxerre, Friburgo, 1940. O.
LottIn, Psychologie et morale aux XII et XIII° siècles, cit., I,63-69.
A. Masnovo, Da Guglielmo d'Auvergne a s. Tommaso d'Aquino, I,
Milano, VanwiysnBERGHE, De biechtleer van Wilhelm van Auxerre in het
licht der vroegscholastiek, Stud. Cath., 1952.
Guglielmo di Alvernia Opere: Magisterium divinale; De
immortalitate animae; De bono et malo e altri piccoli trattati.
Edizioni: Opera omnia, Norimberga, 1496, Venezia 1591, ed. B.
LeFERON, ? voll., Orleans, 1674-75; De immortalitate animae. ed. G. BiLow
(Beitrige, "I. 3, append.), Miinster, 1897, 19252, Tractatus de bono
et malo, ed. J. R. O'DonneL, Med. Stud. 1946,245-99; Tractatus secundus
de bono et malo (ed. O'DonneL,
ibidem, 1954,219-271. Biblioerafia: cfr. Gever,730-731; De Brie,
nn. 5459-4563; De WuLE, II,87-88. In particolare
v.: N. Vators, G. d'Auvergne. Sa vie et ses oeuvres, Parigi,
1880. M. Baumcartner, Die Erkenntnislehre des W. v. A. (Beitrige,
II, 1), Miinster, 1893. S. ScHINDELE, Beitrige zur Metaphysik
des W. v. A., Monaco, 1900. P. Duxem. Le svstème du monde, Kramp,
Des W. von Auvergne Magisterium divinale, Greg. 1920, 1921. E.
Loneprt, G. d’Auvergne et l'école franciscaine de Paris, France franc.,
1922. E. Girson, Pourquoi st. Thomas a critiqué st. Augustin, Arch.
Hist. doct. litt. m. 4., 1946. B. Lanpry, L'originalité de G.
d'Auvergne, Rev. hist. philos., 1929. A.
Masnovo, Da Guglielmo d'Auxerre a s. Tommaso d'Aquino, Milano,
1930-46. E. Girson, La notion
d'existence chez G. d'Auvergne, Arch. Hist. doctr. litt. m. Ipem, Magisterium
divinale de G. d'Auvergne, Rev. m. &. lat., 1947. P. Grorieux,
Le Tractatus novus de Poenitentia de G. d'Auvergne, Misc. Moralia
Janssen, 1949. A. Forest, G. d’A. critique d'Aristote, Étud. méd.
offertes è A. Fliche, Parigi, 1952,67-79. BOLOGNA
(vedasi) Tractatus de Luce, numerosi sermoni e questioni
disputate. Bibliografia: Cfr. Gever, p. 732; De Brie WuLF Loncpré,
Bartolomeo da BOLOGNA (vedasi), un maestro francescano del sec. XIII, Stud.
franc. 1923,365-84. 1. Souaprani, Tractatus de Luce fr. B. da B., Ant.,
1932,201-38, 337-76, 465-94 (ed.). M. Micxsorr, Quaestiones
disputatae de Fide de Bartolomeo v. Bologna, O, F. M. (Beitrige, XXIV,
4), Miinster, 1940 (ed.). Alessandro di Hales Opere:
Exoticon, alcuni Sermones, Glossa in quatuor libros Sententiarum, Quaestiones
et quodlibeta, alle quali vanno aggiunte le seguenti opere scritte in
collaborazione: Expositio regulae, e Summa. Edizioni: oltre le
ediz. di Venezia e di Colonia, cfr. della Summa Theologica l'ediz.
critica, a cura dei Francescani di Quaracchi, in 4 voll., Quaracchi
(Firenze), 1924-1948; Alexander de Hales, Quaestio de Fato, a cura di J.
Goercen, Franz. Stud., 1932; Alexandri de Hales Glossa în quattuor libros
sententiarum Petri Lombardi, Quaracchi (Firenze), 1951-1954; Alerandri de
Hales Quaestiones disputatae antequam esset frater) Quaracchi (Firenze),
1960. Bibliografia: per la vita: Prolegomena alla Glossa in
quatuor libros sententiarum, I, Quaracchi, 1951,7-75. Quanto agli
ultimi risultati della critica sugli scritti cfr.: V. Doucer, s.v., in Enciclopedia
Cattolica, I, 784-787. Per altre notizie: A. Vacant, in DThC, I,
772-84. W. Lampen, in Lexicon fiir Theol. u. Kirche, I, 249-50.
Bibliografia generale in GeveRr,734-735; De Brie, nn. 5421-5435;
DE Woutr, II,117-120. Per il pensiero filosofico:
P. Dunem, Le système du monde Mrxces, Philosophiegeschichtliche
Bemerkungen iber die dem Al. ». Hal. zugeschriebene Summa de virtutibus,
(Beitrige, suppl. I), Miinster, 1913 (vedi anche in Franz. Stud. 1914, 1915, 1916; in Theol. Quart., 1915; in Riv.
filos. neosc. RoHMER, La théorie de labstraction dans l'école franciscaine
d'Al. de Hales à Jean Peckam, Arch. Hist. doctr. litt. m. à., 1928.
B. Geyer, Zur Frage nach der Echtheit der Summa des Alex. Hal., Franz.
Stud., 1929. O. Lortin, Alex. de Hales et la Summa de vitiis de
Jean de la Rochelle, e Al. d. Hal. et la Summa de anima de Jean de la
Roch., Rech. théol. anc. méd., 1929, 1930. J. FucHs, Die
Proprietiten des Seins bei Alexander von Hales, Monaco, 1930. ].
Brsson, Die Willensfreiheit bei A. v. Hales, Fulda, 1931. M. Gorce,
La Somme théol. d'Alex. est-elle authentique?, N. Schol.,"
1931. F. PeLster, Zum Problem der ‘Summa’ des Alex. v. Hales, Greg.,
1931. Inem, Intorno all'origine e all'autenticità della ‘Summa’ di
A. di Hales, Civ. Catt. 1930-1931, Ipem,
Die Quaestionen des Al. von Hales, Greg., 1933. P. GLorieux,
D'Alex. de Hales à Pierre Auriol, Arch. franc. hist., 1933. I.
GorLani, La conoscenza naturale di Dio secondo la Somma teologica di
Aless. di Hales, Milano, 1933. B. Pergamo, De quaestionibus
ineditis Fr. Odonis Rigaldi, Fr. G. de Melitona et cod. vat. lat. 782 circa
naturam theologiae deque carum relatione ad Summam theol. Fr. Alex. d. Hales, Arch. franc. hist., 1936.
F. M. HenquineT, Autour des écrits de Alex. de Halès et de Richard
Rufus, Ant., 1936 (e cfr. anche Rech. théol. anc. méd., 1938; Ant.,
1938; Franz. Stud., 1939; Arch. francisc. hist.,
1940). E. ScHLenKER, Die Lehre von den gottlichen Namen in der
Summe Alex. von Hales, Friburgo, 1938. Pu. BòHnEr, The System
of Metaphysics of Al. of Hal., Franc. Stud., 1945-1946. J.
HerscHer, A Bibliography of Al. of Hales, Franc. Stud., 1945-1946, F. M. HenquineT, Le
commentaire d'Alex. de Halès sur les Sentences enfin retrouvé, Misc. Mercati, II, 1946. V. Doucet, The History
of the Problem of the Authenticity of the Summa Fratris Alexandri, Franc.
Stud., 1947 (e cfr. anche Riv. filos. néosc., 1948; Arch.
francisc. hist., 1950). L. Di Fonzo, less. di Hales e il ritrovato
suo commento alle Sentenze del Lombardo, Misc. franc., 1947. F. Brapy, Law in the Summa fratris Alexandri, Proceed.
of the Amer. Cath. Philos. Assoc., 1950. B. WincenreLD, Die
Verbindung von Leib und Seele in ihren Bedeutung fiir den sittlichen Akt
nach der Lehre des Al. v on Hales, in Aus Theologie u. Philos. Festschrift
F. Tillmann, Diisseldorf Bertoni, Il problema filosofico della conoscibilità di
Dio nella scuola francescana, Padova, 1950. U. Berti, Pro
edit. cri. quaestionum A. Halensis, Ant., 1951,83-98. 584
Bibliografia A. Pompei, A. Alensis e le dottrine
creazionistiche nel medioevo, Misc. franc., 1953,289-350. E.
BertoLA, La dottrina dello spirito in A. di Hales, in Sophia, 1955, 84-91.
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genere attributed to Alexandre of Hales, Franc. Stud. 1951.
Ipem, Texts from the Quaestiones antequam esset frater attributed
to Alexander of Hales, Franc. Stud., Goessmann, Die Methode der
Trinitatslehre in der Summa Halensis, Miinch theol. Zeitschr.,
1955. K. Lyncn, The doctrine of Alex. of Hales on the nature of
sacramental grace, Franc. Stud. 1959,
Giovanni della Rochelle Opere: Le sue idee si trovano
probabilmente esposte nella Summa fratris Alexandri. Le sue opere a
carattere prevalentemente filosofico comnrendono: Tractatus de multiplici
divisione potentiarum animae, Summa de anima, De cognitione animae
separatae, De immortalitate animae sensibilis, si sa inoltre che scrisse
un Commento sopra le Sentenze, finora però non è stato ritrovato. Edd.:
La Summa de anima di Fr. Giovanni della Rochelle (ed. T. DomenicHELLI -
M. Da Civezza). Prato, 1882. Bibliografia: cfr. Gever, p. 735; De
Brie, nn. 5432, 7407-7408; DE Wutr, II, p. 120. In
particolare v.: G. Manser, Johann von Rupella, Jahrb. Philos. u.
spek. Theol., 1912. P. Mrnces, De scriptis quibusdam fr. loannis de
Ruvella, Arch. franc. Hist., 1913,597-622 (e cfr. anche Phil. Jahrb.,
1914). IpeM, Zur Erkenntnislehre des Franz. ]. de Ruvella, Philos. Jahrb., 1914. P.
GLorieux, Répertoire des maîtres en théologie de Paris au XIII* siècle, Lortin, Les traités sur l'îme et les
vertus de ]. de R.. Rev. néosc. philos.,
1930. Fagro, La distinzione tra quod est e quo est nella Summa
de anima di Giovanni della Rochelle Div. Th. (P) BucceLLato, De quaestionibus quibusdam ad Summam de
anima Ioannis de Rupella pertinentibus, Sophia, 1940.
M. HenquineT, Fr. Considérans, l'un des auteurs jumeaux de la Summa
fratri Alexandrî? primitive, Rech. théol. anc. méd., 1948. pn.
76-96. Doucet, Prolegomena in Librum II necnon in
Libros l et Il Summae fra tris Alexandri, Quaracchi, 1948,cexi-cexxvwn.
MrcHaun-Quantin, Les puissances de l'îme chez
Jean de la R., Ant. 1949,489-505. LottIN, A propos de
Jean de la Rochelle, in Psychologie et morale. FIDANZA
(vedasi). Commentarii in IV libros Sententiarum Lombardi: Breviloquium;
Itinerarium mentis in Deum; De reductione artium ad theologiam; De donis
Spiritus Sancti; De scientia Christi; In Hexaemeron. Cai
Edd.: Tutti gli scritti di San Bonaventura sono raccolti nell'ottima
ediz. critica a cura dei padri francescani di Quaracchi: Osera omnia, 10
voll, Quaracchi (Firenze), 1882-1902. Si veda inoltre: De Aumanae coenitionis
ratione Anecdota qauaedam Seravhici Doctoris S. Bonav. et nonnullorum
ipsius discibulorum, Quaracchi, 1883; S. Bon. Seravh. Doctoris tria
obuscola: Breviviloauium, Itinerarium mentis in Deum et De reductione
artium ad Theolociam, notis illustrata, Quaracchi. 1911, 19385; S. B.
Collationes in Hexaémeron et Bonaventuriana quaedam selecta, a cura di F. M.
DELORME, Quaracchi, 1934; S. B. opera thenlocica selecta. Editio minor
(1. Liber 1 sententiarum; II. Liber II sent.; INI. Liber Il sent.; IV.
Liber II sent.; V. Liber IV sent.\. Quaracchi, 1934-1949: Questions
disvuttes De caritate. De novissimis ediz. crit.. a cura di P. Girorievx.
Parigi. 1950. Cfr. inoltre l'antologia: Philosovhia S. Bonaventurae
textibus ex eius operibus selectis illustrata, a cura di B. RosenMoELLER,
Miinster, 1933. Utile ancora ooci il Lexicon bonaventurianum di Toz4nnes
A Ruino E Antonius Marta A Vicetia, Venezia, 1880. In tr. it. si veda:
Riduzione delle arti, a cura di A. HerMET, Lanciano, 1923 (insieme alla tr.
dell’Itinerario\: Vita di S. Francesco, a cura di G. BatteLLI. S.
Casciano Val di Pesa, 1926: Il Brevilonuio, a cura di G. Piccioni. Siena,
1931: di T. M. BarsaLiscra. Pomnei. 1934: Itinerario della mente a Dio, a
cura di A. HermeT, Firenze. 1919: di G. Dar Monte. Boloona, 1926; di C.
Ottaviano. Palermo. 1933; di G. Sanvinno. Roma; Scaramtizzi, Padova. 1943: di
F. Macconn Torino, 1947: di G. BonarepE, Roma, 1951; I) principio della
conoscenza (De humanae cognitionis suprema ratione), a cura di G. Marino,
Milano, 1925. Bibliografia: La bibl. generale in Gever,735-738; De
Brie, nn. 57205811; De Wutr, II,133-137. Una ricca biblioorafia in
L. VeurHEY, S. Bonaventurae philosophia christiana, Roma In particolare, tra la
vastissima bibliografia, si veda: K. ZiescHf. Die Lehre von Materie und Form; Die Naturlehre Bonaventuras,
Philos. Jahrb., 1900, 1908. E. Lutz. Die Psychologie Bonaventuras
nach den Quellen dargestellt, Miinster, DuHeMm, Le système du monde,
cit., III,497-511; VI,82-88, 102-106; VII,198-199; X,33-34.
586 Bibliogrefia B. A. Luvcxx, Die Erkenntnislehre
Bonaventuras (Beitrige, XXIII, 3-4). Miinster, 1923. A.
Stonr, Die Trinititslehre des hl. Bonaventura, Miinster, 1923. E.
Gitson, La philosophie de St. Bonaventure, Parigi, 1924, 19533 (con
ottima bibliografia). P. Grorreux, Essai sur la chronologie de S.
Bon., Arch. franc. hist., 1926. F.
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Eramination of conscience according to FIDANZA, FIDANZA, N. Y., CLasen, Zur
Geschichtstheologie FIDANZAs, Wiss. Weis. Per la bibl. relativa
alla scuola domenicana cfr. sotto la voce Domenicani. Alberto
Magno Opere: a) Philosophia rationalis o Logica: De
praedicabilibus (Super Isagogen Porphyrii); De Praedicamentis (In
categorias Aristotelis): De sex frincipiis (commento al testo
pseudoporrettiano); Zn Boétii de divisione; In duos Peri hermeneias; In Boétii
de syllogismis categoricis; In duos Priorum Analyticorum; In Boétii de
syllogismis hypoteticis (inedito); In duos Posteriorum analyticorum; In
octo Topicorum; In duos Elenchorum. b) Philosophia realis: 1) Physica sive
naturalis: De audito physico (In octo libros Physycorum); In duos libros
de generatione et corruptione; In quattuor libros de caelo et mundo; De
natura locorum; De causis proprietatum elementorum; In quattuor libros
Metereorum; De mineralibus; In tres libros de anima; De nutrimento; De sensu et
sensato; De memoria et reminiscentia; De intellectu et intelligibili; De
natura et origine animae (De natura intellectualis animae et
contemplatione); De quindecim problematibus; De unitate intellectus
contra averroistas; De somno et vigilia; De spiritu et respiratione; De motibus
progressivis (De principiis motus progressivi); De aetate (De iuventute
et seneciute); De morte et vita; De animalibus libri XXVI; Quaestiones
super libros de animalibus; De vegetalibus et plantis libri VII; Sul De fato
(De sensu communi) cfr.: G. MEERSEMANN, /ntroductio in Opera omnia,
citata più oltre, p. 138. La Summa naturalium o
philosophia pauperum già attribuita ad Alberto Magno dal Birkenmayer, dal
Pelster, dal Mandonnet, è adesso attribuita ad Alberto di Orlamiinde, un
discepolo di Alberto Magno che la compose ispirandosi pienamente al
maestro. Tale Summa naturalium fu compendiata da Pietro di Dresda nel
Parvus philosophiae naturalis, che circolò a lungo nelle scuole sotto il
nome di Alberto Magno (cfr. M. GrasMANN, Die Philosophia pauperum und ihr
Verfasser Albert von Orlamiinde, (*Beitràge," XX, 2), Miinster,
1918; P. ManponneT, Sr. Albert le Grand et la philosophia pauperum, Rev.
néosc. Philos., 1934; B. GevERr, Die Albert d. Grossen zugeschribene
Summa naturalium (Beitrige, XXV, 1), Munster Mathematica: Super geometriam
Euclidis. 3) Metaphysica: Metaphysicorum libri XIII; De causis et
processu universitatis (In librum de causis); De natura deorum (perduto).
c) Phulosophia moralis: In decem libros Ethicorum; In octo libros Politicorum;
Scripium super Ethicam Nicomacheam (inedito). d) Exegesis: Super
Job; Super Psalmos; In ca. XI Proverbiorum; In Jeremiam; In Threnos Jeremiae;
In Baruch; In duodecim Prophetas minores; in Mattheum; In Marcum; In
Lucam; In Joannem (non si conosce la trad. manoscritta di: /n Canticum
Canticorum; In Isaiam; In Ezechielem; In epistutas S. Pauli).
e) Theologia systematica: In Dionysii De divinis nominibus (ined.);
In Dionysii Le cactesti hierarchia; In Dionysii de ecclesiastica
hierarchia; In Dionysii De mystica theotogia; In Dionysu undecim
Epistulas; Scriptum super quattuor libros Sententiarum; Summa theologica
(pror.): 1) De creatone et creatura; 2) De bono et virtutibus (Summa de bono et
virtutibus, ined.); De resurretione (ined.); Tractatus de natura boni
(ined.); Summa theotogica (altera); De sacrificio missae; De eucharistiae
sacramento; Sermones XXAII de sacramento Eucharisttae; Marsale, sive
quaestiones super: Missus est. f) Parenetica: De forma orandi (Pater Noster); Sermones
LXXVIII de tempore; Sermones LIX de sanctis; Homilia in Luc. XI,
27; Sermones lingua theutonica habiti; Orationes LIII super evangelia
dominicalia totius anni; Orationes super Sententias. L'Opera omnia
di Alberto, comprendente tutti i testi allora conosciuti, fu pubblicata
da P. JamMy a Lione, 1651; da A. Borcnet, Parigi, 1890-1899; inoltre si
vedano le seguenti altre edizioni di testi compresi o non compresi nelle
Opera omnia: De vegetalibus, a cura di C. JessEN, Berlino, 186/; il De
guindecim problematibus, in MANDONNET, Siger de Brabant, II, (1908);
Commentarii in librum Boethii de Divisione, a cura di P. DE Loé, Bonn,
1913; De animalibus libri XXVI, a cura di SrapLer (Beitrige, XV-XVI),
Miinster, 1916-1920. Si veda inoltre la Philosophia pauperum, a cura del
GRABMANN, cit; Summa de creaturis, a cura del GraBMANN, Quellen Gesch.
Dominik. Lipsia, 1919; il De antecedentibus ad logicam a cura di J.
BLarer, Teoresi, 1954; Albertus Magnus, Liber sex principiorum, a cura di
S. SuLzsacHer, Vienna, 1955; Il De occultis naturac, ed. P. KiBRE, Osiris,
1958 (trattato alchimistico di assai dubbia attrbuzione). Ad
un'ed. critica completa di tutte le opere di Alberto lavorano da parecchi anni
appositi Istituti domenicani a Colonia ed a Roma. Dei 40 volumi previsti dal
piano di ed. sono usciti: XXVIII, De Bono; XII, Liber de natura et
origine animae; Liber de principiis motus processivi; Quaestiones de
animalibus; XIX, Postilla supra Isaiam, Postillae super Ezechielem fragmenta;
XXVI, De Sacramentis, De Incarnatione, De Resurrectione; XVI,
Metaphysica, ll. I-V, Miinster, 1951Cfr. inoltre l’ed. dell’Ausographum
590 Bibliografia upsalense (Ii Sent. d. 3. a
6. - d. 4 a 1) a cura di F. StecmiùLLER, Uppsala, 1953.
Per il catalogo generale degli scritti cfr. C. H. ScHEEBEN, Les
écrits d'Albert le Grand d'après les catalogues, in Maître Albert, n.
spec. della Rev. thom., 1931,36-38; G. MEERSEMANN, Introductio in Opera
omnia B. Alberti Magni, Bruges, 1931. Bibliografia: Per la
bibl. generale e speciale cfr.: M.-H. LaureNT, M. Y. Concar, Essai de
bibliographie albertienne, in Maitre Albert, cit.,422468; A. Watz - A. Perzer,
Bibliografia S. Alberti Magni indagatoris rerum naturalium, n. unic. di Ang.
1944,13-40. Ma vedi anche: P. CasrtacnoLI, La vita e gli scritti di S.
Alberto Magno, Piacenza, 1934; F. VAN
STEENBERGHEN, La littérature albertino-thomiste (1930-1931), in Rev.
néosc. philos., 1938; M. ScHoovans, Bibliographie philosophique de St.
Albert le Grand (1931-1960), San Paolo, 1961. Inoltre: GEvER,739-742; De
BRIE, nn. 5612-5618, 3601, 3663, 4607, 5619-5687, 6197, 6198; De Wute,
Il, 157-162. / Tra la vasta e, più recente, bibliografia si
indicano: P. DuHEM, Le système du monde, PeLster, Kristische
Studien zum Leben und zu Schriften Albert der Grosse, Friburgo,
1920. H. CH. ScHEEBEN, Der Hl. Albert der
Grosse, Monaco, 1930. H. WiLms, Albert der Gr., Monaco, 1930, tr.
it. Bologna, 1931. M. GraBMann, L'influsso di Alberto
Magno sulla vita intellettuale del medioevo, Roma, 1931.? H. Cu. ScHeEBEN, Les écrits d'Albert le Grand d'après les
catalogues, Rev. thom., 1931. IpeM,
Albert der Gr. Zur Chronologie seines Leben, Vechta, 193I (ma cfr. anche Div.
Th. (F.), 1932). Alberto Magno, Atti della settimana albertina,
Roma, 1931. A. Garreau, St.
Albert le Grand, Parigi, 1932. H. Cu. ScHeeBEN, Albertus Magnus,
Bonn, 1932. D. SrepLER, Intellektualismus und Volontarismus bei
Albertus Magnus (*Beitrage," XXXVI, 2), Miinster, 1941. B.
Narpi, Alberto Magno e S. Tommaso, Gior. crit. filos. ital. 1941.
L. DE Simone, Introduzione alla vita e al pensiero di Alberto Magno, Napoli,
1942. S. Dezani, Alberto Magno, Brescia, 1947. B.
Narpi, Note per una storia dell’averroismo latino: La posizione di
Alberto Magno di fronte all’averroismo, Riv. stor. filos., 1947. H.
C. ScHeEBEN, Albertus Magnus, Colonia Tra gli scritti su problemi particolari
citiamo tra i più recenti: H. Barss, Albert M. als Biolog,
Stoccarda, 1947. MAZZARELLA, Îl De unitate di Alberto Magno e di
Tommaso d'Aquino in rapporto alla teoria averroistica, Napoli,
1949, Wacz, L'opera scientifica di Al. Magno secondo le indagini
recenti, Sa pienza, 1952. Z. Lauer, St. Albert und the theory
of abstraction, Thomist, 1954. CortaBarrfa, Las obras y la doctrina
de Alfarabi en los escritos de San Alberto Magno, Ciencia tom.,
1952, (e cfr. Estud. filos.). . MicHaup - QuantIn, Les Platonici chez Albert le Grand, Rech.
théol. anc. méd., 1956. . RueLLo, Le commentaire inédit
de S. Albert le Grand sur les Noms Divins. Présentation et apergus
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Albert le Grand. Introduction è la métaphy sique des ses premiérs écrits, Rev.
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XLIII problematibus ad Magistrum Ordinis, Rev. sc. philos. théol., 1960. F. J. Catania, Divine
Infinity in Albert the Great's Commentary on the ‘Sentences’ of Peter
Lombard, Med. Stud., 1960. O. LortIn, in Psychologie et morale,
cit., VI,237-331. B. Narpi, Studi di filosofia medioevale, Roma,
1960,69-150. J. A. WrisHeIPL, The Problemata
determinata XLIII ascribed to Albertus Magnus, Med. Stud., 1960.
Sulla scuola di Alberto cfr.: G. MEERSEMANN, Geschichte des
Albertismus, Roma PX_P_NS si pini Ugo Ripelin di
Strasburgo Opere: Compendium theologicae veritatis; incerta è
l’attribuzione di un Commentarium in IV libros Sententiarum e di alcuni
Quodlibeta e Quaestiones. Bibliografia: cfr. GevER,742-743; De
Brie, n. 7404; DE WuLr, II, p. 162. Bibliografia
In particolare v.: M. Grasmann, Mittelalterl. geistesleben,
Ì, cit.,147 sgg., 174-85. K. Scumitt, Die Gotteslehre des Compendium
theologicae veritatis des Hugo Ripelin von Strassburg, Miinster -
Regensburg, 1940. Ulrico Engelbrech di Strasburgo
Opere: Gli vengono attribuiti comment ad Aristotele (Meteorologica, De
anima) e un Commento alle Sentenze, opere perdute. È rimasta la
Summa de bono. Ed.: 1. Il (par.) a cura di M. GrABMANN, in Sitz. ber.
Bayer. Akad. d. Wissens. Philos. Hist. KI. Monaco, 1928; I. I a cura di
J. Dacuiton, Parigi, 1930. Bibliografia: cfr. Gever, p. 743; De
Brie, nn. 7485-7487; DE Wutr, II, p. 162. In particolare
v.: M. Grasmann, Studien tiber Ulrich von Strassburg, in
Mittelalterliches Geistesleben,I,147-221., P. GLorievx, in
DThC, XV, 2058-61. A. Stonr, Die Trinitàtslehre Ulrichs von
Strassburg, Miinster, 1928. J. KocxH, Neue Literatur tiber Ulrich
von Strassburg, Theol. Rev., 1930. H. WeriswriLer, Eine neue
Ueberlieferung aus der Summa de bono Ulrichs von Strassburg, Zeitschr. f.
kathol. Theol., 1935. A. Fries, Die Abhandlung De anima des Ulrich
Engelbersi O. P., Rech. théol. anc. méd., 1950,328-3I. IpeM,
Johannes von Freiburg, Schiiler Ulrichs von Strassburg, ibidem, 1951, 332-40.
L. THomas, U. of Strassbourg: his Doctrine
of the Divine Ideas, Mod. School.,
1952-53. P. DuHEM, Le système du monde, cit., VI,29-43, 537-539;
VIII,17-18. Teodorico di Vriberg
Opere: Fra i suoi trattati scientifici si ricordano: De iride et
radialibus impressionibus, De tempore, De mensura durationis, De
coloribus; tra le sue opere a carattere filosofico vanno particolarmente
ricordate: De intellectu et intelligibili, De habitibus, De esse et
essentia, De intelligentiis et motibus coelorum. De universitate entium,
De causis, De efficientia Dei, De theologia. Bibliografia: cfr.
GevER, p. 778; De Brie, n. 6881; De WutF, II, p. 162. In particolare v.: M. De Wutr, Un scolastique
inconnue de la fin du XIII° siècle (Thierry de Fribourg), Rev.
néosc. philos., 1906,43441. E. Kress, Meister Dietrich, sein Leben,
seine Werke, seine Wissenschaft 593
Bibliografia (Beitrige, V, 5-6), Miinster, 1906 (con ed. del
Tractatus de intellectu, e del de habitibus), C. GaurHIER, Un
psychologue de la fin du XIII° siècle: Thierry de Fribourg, Rev. august.,
1909-10. . Kress, Le traité De esse et essentia de Thierry de Fribourg, Rev.
néosc. philos., 1911,516-36 (con ed.). J. WuùrscHMIDT, Dietrich von F.:
De iride et radialibus impressionibus (Beitrige, XII, 5-6), Miinster,
1914 (con ed.) A. Drrorr, Uber Heinrich und Dietrich von F., Philos.
Jahrb., 1915, 55-63. P. DuHEM, Le système du monde, cit., III,382-396;
VI,188-203. A. BirkenMaJER, Drei neue Handschriften
der Werke Meisters Dietrich (Beitràge, XX, 5), Miinster, 1922. F.
SrecmuùLLer, Meister Dietrich von F.: tiber die Zeit und das Sein, Arch. Hist.
doct. litt. m. à., 1940-42. IpeM, Meister Dietrich von Freiberg tiber den
Ursprung der Kategorie A (con testo), Arch. Hist.
doctr. litt. m. &., 1957. um Bertoldo di
Mosburg Opere: Expositio in Elementationem theologicam Procli,
Commenti sui Meteorologici di Aristotele. Bibliografia: cfr.
Gever,778-779; De Wutr, II, p. 350. In particolare v.:
M. Grasmann, Der Neuplatonismus in der deutschen Hochscholastik, Philos.
Jahrb., 1910,53-54. IpeM, Mittelalterliches Geistesleben,II,312,
366, 384, 390, 421-22. W. EckErt, Berthold von Moosburg O. P. Ein
Vertreter der Einheitsmetaphysik im Spétmittelalter, Philos. Jahrb.,
1956. Capitolo quinto Tommaso d'Aquino Opere:
a) commenti aristotelici: /n Perihermeneiam (fino a II, 2 com.); In
posteriores Analyticorum; In VIII libros Physicorum; In III libros de
Caelo et mundo (fino a III, 8); In II libros de Generatione et
Corruptione (fino a I, 17); Zn IV libros Meteorum (fino a II, 10); In III
libros de anima; In librum de sensu et de sensato; In librum de memoria
et reminiscentia; . In XII libros Metaphysicorum; In X libros Ethicorum;
In libros Politico rum (fino a III, 6). 594
Bibliografia è) altri commenti: In librum de Causis; al De
Hebdomadibus di Boezio; agli scritti dello Pseudo-Dionigi. c)
commenti biblici: Expositio super Isaiam; Expositio super Jeremiam;
Lectura super psalmos; Expositio super Job; Lectura super S. ]Johannem;
Lectura super S. Matheum; Super kpistolas S. Pauli; Catena aurea, sive
Expositio continua. d) opere teologiche: Super IV libros
Sententiarum; Commento al De Trinitate di Boezio; Quaestiones disputatae:
1) De veritate; 2) De potentia; 3) De malo; 4) De spiritualibus creaturis;
5) De anima; 6) De virtutibus; 7) De unione verbi incarnati; Quodlibeta
XII; Summa contra gentes; Summa Theologica. e) opuscoli: De
principiss naturae; De ente et essentia; De operationibus occultis
naturae; De mixtione elementorum; De motu cordis; De unitate intellectus;
De aeternitate mundi; De regno (De regimine principum); De regimine
Judacorum; Compendium theologiae; Declaratio XXXVI quae suonum ad
lectorem Venetum; Declaratto XLII quaestionum ad magistrum Ordinis;
Declaratio CVIII dubiorum; Declaratio VI quaestionum ad lectorem Bisuntinum;
Contra impugnantes Dei cultum et religionem; De perfectione vitae
spiritualis; Contra doctrinam retrahentium a religione; Conwa errores
Graecorum; De articulis fidei et sacramentis Ecclesiae; De rationibus
fidei; Responsio super materiam venditionis; Responsio ad Bernardum abbatem
Casinensem; De forma absolutionis paenitentiae sacramentalis; De sortibus; In
quibus potest homo licite uti judicio astrorum; Expositio super secundam
decretalem; Expositio circa primam decretalem; Collatsones de Credo in
Deum; Collatione de Pater Noster; Collationes de Ave Marta; Collationes
de decem praeceptis; Ufficium corporis Christi; Sermo de festo corporis
Christi; Duo principia de commendatione sacrae scripturae; De secreto; De
propositionibus modalibus; De fallaciis; Epistola de modo studendi; Piae
preces; De differentia verbi divini et humani; De demonstratione; De
instantibus; De natura verbi intellectus; De principio individuationis; De
natura generis; De natura accidentis; De natura materiae; De quattuor
oppositis. Sull’autenticità dei vari scritti tomisti cfr. P.
MANDoNNET, Des écrits authentiques de S. Thomas, Friburgo, 1910? e M.
GraBmann, Die Werke des hl. Thomas von Aquino (Beitrige) XXII, 1-2),
Miinster, 1931. Edizioni: Piana, ordinata da Pio V, Roma, 1570-71;
PaRMENSIS, 25 voll., Fiaccadori, Parma, 1852-73; rist. fotolitogr. a cura
di V. J. Bourke, New York, 1948; Vivès, 34 voll., Parigi, 1871-80; 2 ed.,
ivi, 1889-90; LEoNINA, ordinata da Leone XIII, finora 16 voll., Roma,
1882(voli. 1V-X1I: Sum. theol.; XII-XV: C. Gent.; XVI: Indices); la
recensione leonina della Sum. theol. nella n. ed. MARIETTI; della C.
Gent. e degli indici esiste l’ed. LEONINA ManuaLe, 1934, 1948;
TaurINENSIS, (manuale) finora 37 voll., Marietti, Torino, 1845 sgg.; n. ed.,
1946 sgg.; ParisiensIs (manuale), Lethielleux, Parigi, 1925(con intr. del
ManponnET). Opere singole: Commento alle Senten595
Bibliografia ze ed. P. Manponner e F. Moos, n. ed., 4 voll.,
Parigi, 1929-47; rist., tomo III, vol. I-II, ivi, 1956; De ente et
essentia, ed. M. D. RoLanp-GossELIN, Parigi, 1926; ed. L. Baur, Miinster,
1926; ed. CH. Bover (Textus et documenta), Roma, 1933; 3 ed., 1950; De
spiritualibus creaturis, ed. KEELER, ivi, 1938; rist. 1946; De unitate
intellectus contra averroistas, ed. L. W. KEELER, ivi, 1946; 2 ed. 1957;
De principio naturae, ed. L. Pauson, Friburgo-Lovanio, 1950; De natura
materiae, ed. J. M. Wyss, ivi, 1953; Contra errores Graecorum ed. P. GLorieux, Tournai, 1957; Expositio super librum
Boéthii De unitate, ed. B. Decker, Leida 1959.
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Parigi-Tournai, 1925 sgg; ted., a cura dei Domenicani austriaci e
tedeschi, 36 voll., Salisburgo-Heidelberg, 1934-41; ingl, a cura dei Domenicani,
22 voll, 2 ed., Londra, 1912-36; in 25 voll., Londra-New York, 1912-36;
a cura dei Domenicani d’America, 3 voll, New York, 1947-48; it.,
con testo latino della Leorina, a cura dei Domenicani, Firenze, 1949
sgg.; sp., a cura di CastELLANI-QuILER, Buenos-Aires, 1940 sgg.; a cura
dei Domenicani, Madrid, 1947 sgg.; portoghese, a cura di A. CorreIra, 4
voll., San Paolo, 1934-37; 2 ed., ivi, 1946; olandese, 21 voll., Anversa,
1927-43; greca, a cura di I. N. KamirEs, Atene, 1935; araba, a cura di P.
Awarp, 4 voll., Beyruth, 1887-98; 5) della Summa contra Gentiles: it., a
cura di A. PuccetTI, 2 voll., Torino, 1930; ingl., a cura dei Domenicani,
5 voll., Londra, 1928-29; tr. A. C. Peeis,
New York, 1955 sgg.; ted., a cura di H. NacHoo-P. STERN,
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R. Grosseteste and the Origin of Exper. science, Oxford, 1953,213-232.
Pietro di Maricouri Opera: Epistola de magnete; Nova
compositio astrolabii particularis. Edizioni: Epistola de magnete,
in G. Hermann, Neudrucke von Schriften tiber Meteorologie und
Erdmagnetismus, 10: Rara magnetica 12691599, Berlino, 1898; cfr. E. ScHLunD,
Petrus Peregrinus...,sotto. Bibliografia: Cfr. Gever, p. 760; De
WutF,301-302. Inoltre in: E. ScHLunp, Petrus Peregrinus von Maricourt,
Sein Leben und seine Schriften, Arch. franc. hist., 1911-1912. Tra gli studi particolari v.: F. Picavet, Le maftre des
expériences, Pierre de Maricourt, l'exégète et le théologien vanté par R.
Bacon, in Essais sur l’histoire générale et comparée des théologies et
des philosophies médiévales, Parigi, DuHem, Le système du monde, cit., III,237,
238, 266, 440-41. L. THornpike, A History of magic and
experimental science, cit., II, p. 791 Sugli sviluppi della
geologia cfr. le opere generali sulla scienza medioevale. Per Alberto Magno la
bibl. relativa al c. IV. Bartolomeo Anglico Opere: De
proprietatibus rerum. Edizioni: Basilea, 1470 ca.; Francoforte, 1601,
ecc.Gever,732-733; De Brie, nn. 7342-7343; DE Wutr, II, p. 104. In particolare v.: J. Gorens, in DHGE, VI,
975-977. A. ScHnemER, Metaphysische Begriffe des Bartholomaeus
Anglicus (Beitrige, Suppl. I), Miinster, 1913. T. PLassmann,
Barthol. Anglicus, Arch. franc. hist., 1919. G. E. S. Boyarp,
Barth. Anglicus and his Encyclopaedia, The Journ. English and Germanic
Philol., 1920. Bibliografia H. Lùssinc, Zur Biography
des B. Anglicus, Franz. Stud., 1925. J. G. Mirne-J. Sweetino,
Marginalia in a Copy of Bartholomaeus Anglicu's De proprietatibus rerum.
A new Version of the Nine Worthies, The Modern Language Rev., 1945.
Ipem, Further Marginalia from a copy of Bartholomacus Anglicus,
ibidem, 1945. Vincenzo di Beauvais
Opere: De eruditione filiorum regalium (1248-1250); De morali
principis institutione (1260-1263); Speculum quadruplex.
Edizioni: Il De eruditione nell’ed. A. Steiner, Cambridge (Mass.),
1938; lo Speculum nell’ed. di Duai, 1624. Bibliografia: Cfr. Gever, p. 733; De Brie, n. 5464; De
Wutr, II, p. 236. In particolare v.: P. Minces,
Exzerpte aus Ales. von Hales bei Vincenz von Beauvais, Franz. Stud., 1914, L. Lieser, V. von Beauwais
als Kompilator und Philosoph. Eine Untersuchung seiner Scelenlehre in Speculum
maius, Forsch. z. Gesch. d. Philos u. Paedag., III, 1, Lipsia,
1928. L. THornpige, A History of magic and experimental science,
II, cit., 1457-76. H.
Pettier, in DThC, XV, 3026-3033. Pu. DeLHave, Un dictionnaire
d'éthique attribué à Vincent de Beauwais dans le ms. Béle B XI 3, Mélang. sc. rélig., 1951. A.
L. GasrieL, The educational ideas of Vincent of Beauvais, Notre-Dame
(In.), 1950. Alessandro Neckam: v.
Bibliografia del capitolo VI. Tommaso di Cantimpré
Opere: Bonum universale de apibus; De rerum naturis o Liber de natura
rerum. Edizioni: Il Bonum universale de apibus, L’Aja, 1902. Il De rerum
è ancora inedito. Gever, p.
732; DE WutF, II, p. 140. H. SrapLer, Albertus Magnus, Thomas von
Cantimpré und Vincenz von Beauvais, *Natur und Kultur, 1906.‘ L. TÒÙornpikE, A History of magic and experimental
science, Il, cit., 372-398. G. MEERSEMANN, Intr. in Opera
Omnia b. Alberti Magni, Bruges, 1931, p. 144. Per lo sviluppo delle
scienze nel XIII sec. cfr. gli studi generali già citati a513-515.
610 P7 bliografia Capitolo settimo
Averroismo latino Sulla vasta letteratura relativa a questo
soggetto cfr. l’accurata bibliografia di M. Gorce, L'essor de la pensée au
moyen age, Parigi, 1933 e IpeMm, in DHGE, V, 1032-1092. Cfr. inoltre De
Wutr, II,218-222; III,152, 175-176. In particolare
vedi: K. Werner, Der Averroismus in der christl. - peripatet. Psychol. d. spit. Mittelalt., in Sitz.ber. Wien.
Akad. d. Wissensch., 1891. P.
ManponneT, Siger de Brabant et l'averroisme latin au XIII siècle, 1 ed.,
Friburgo, 1899; 2 ed., Lovanio, 1908-1911 (Les philosophes belges, VI,
VII) M. Grasmann, in Maitterlalterliches Gesstesleben, II, cit,103-197.
IpeM, Der lateinische Averroismus des XIII Jahrts. und seine Stellung
zur christliche Weltanschauung, Monaco, 1931. R. De Vaux, La
première entrée d'Averroès chez les Latin, Rev. sc. philos.
théol., 1933. M. Grapmann, L'averroismo-italiano al tempo di Dante
con particolare riguardo all’Università di Bologna, Riv. filos. neosc.,
1946. Tx. GreENwooD, L’humanisme averroiste en
France et les sources du ratio . malisme,
Rev. Univ. Ottawa, 1946. B. NarpI, Note per una storia
dell'averroismo latino, Riv. Stor. Filos., 1947, 1948, 1949.
F. ALessio, Aspetti moderni nel pensiero degli averroisti latini del
XIII sec., Rend. Ist. Lomb. Sc. Lett., 1953. Sui rapporti tra
la scuola francescana e l’averroismo cfr.: C. Krzanic, La scuola
francescana e l'averroismo, Riv. filos. neosc., IpeM, Grandi lottatori contro
l'averroismo, Sigieri di Brabante
Opere: a) autentiche: 1) Quaestio utrum haec sit vera: homo est animal,
nullo homine existente (1268 ca.): 2) Sophisma: omnis homo de necessitate est
animal (1268); 3) Compendium super librum de generatione et corruptione
(1268 ca.); 4) Quaestiones in librum tertium de anima (1268 ca.); 5)
Quaestiones logicales (dopo 1268); 6) Quaestiones supra secundum Phisicae
(1270); 7) Impossibilia Quaestiones naturales (Ms. Parigi Naz. lat. De
aerernitate mundi (1271); 10) Tractatus de anima intellectiva
(1272-1273); 11) De necessitate et contingentia causarum (1272 ca.); 12)
Quaestiones naturales (Ms. Lisbona, Fondo general 2299) (1273 ca.); 13)
Quaestiones super II-VII Metaphysicorum (1272-1274); 14) Quaestiones morales attribuite:
1) Quaestiones in libros I, II, III, IV, physicorum; 2) Quaestiones in
librum 1, II, Il, IV et VII physicorum; 3) De I, II, III, IV physicorum;
4) De VIII physicorum; 5) Commenium in I physicorum; 6) De libro IV
physicorum; 7) Quaestiones in librum I, II et IV meteororum; 8)
Quaestiones in libros de generatione et corruptione; 9) Quaestiones in librum
de somno et vigilia; 10) Quaestiones in librum de iuventute; 11) Quaestiones in
libros tres de anima; 12) De V metaphysicae. c) perdute: 1)
Tractatus de intellectu; 2) Liber de felicitate; 3) De motore primo; 4)
Rescriptum: significatum est; 5) Super politica Aristotelis; 6) Utrum
principia prima sint nobis ignota; 7) De caelo et mundo I et Il; 8)
Posteriorum analiticorum I. Edizioni: a) 1) in MAnDONNET,
Sigier.., cit., 1 ed.,47-54; 2 ed, 65-70; 2) inedito, riassunto da Van
STEENBERGHEN, in Siger de Brabant d’après ses oeuvres inédites, Le
Philosophes Belges, XII-XIII, Lovanio, 1931-1942,333-334; 3) Inedito,
riassunto da VAN STEENBERGHEN, ibidem, 291-294; 4) Inedito, riassunto da
VAN STEENBERGHEN, ibidem,164-177; 5) ed. MANDONNET, op. cit., 1 ed.,37-45; 2 ed.,55-61; 6)
Inedito; estratti in A. Maier, Nouvelles questions de Siger de ‘Brabant
sur la physique d’ Aristote, in Riv. Philos. Louvain, 1946 e in J. J. Dun, La
Doctrine de la Providence dans les écrits de Siger de Brabant, Les
philosophes médiévaux, III, Lovanio, 1954,60-62; 7) ed. in CL. BaEUMKER,
Die impossibilia des Siger von Brabant, (Beitrige, II, 6), Miinster, 1898; ManDONNET,
op. cit., 2 ed.,73-94; 8) ed. MAnDONNET, ibidem, 1 cd.,57-67; 2 ed.,97-107;
9) Le edizioni con i confronti tra i vari cocci in ManDONNET, op. cit., 1 ed.,71-83,
2 ed.,131-142; R. Barsori, S. de Brabante de aeternitate mundi, Miinster,
1933; J. Dwyer, L'opuscule de Siger de Brabant De aeternitate mundi,
Lovanio, 1937; 10) ed ManpoNNET, op. cit., 1 ed.,87-115, 2 ed.,145-172;
11) ed. ManpoNNET, op. cit., 2 ed.,111-128; Dun, op. cit,14-50; 12) ed. F.
SrEGMULLER, in Rech. Théol. anc. méd., 1931,177-182; 13) ed. C. A.
GrAIFF, S. d. B. Questions sur la Métaphysique, Les Philosophes
médiévaux, I, Lovanio, 1948; alcuni passi da altri mss. a cura di A.
MaurER, in Med. Stud., 1949, 1950. Altre qq. sono state pubblicate dal
Duin, op. cit.,71-111; 14) ed. STEGMULLER Per la attribuzione sono il
DeLHAYE, il GRarrr, il DE Wutr, il LorTIN, il PeLsTER, il Dun, contro
GiLson e Narpi. 1) ed. parziale del Dun, op. cit.,51-57; 2) ed. Pu.
DeLHave in Les philosophes belges, Lovanio, 1941; 3) ed. parziale Dun,
op. cit.,63-67; 4) ed. parziale Duin, 67-71; 5) inedito; 6) inedito; 7)
riassunto da Van STEENBERGHEN, op. cif., 233-263; ed. parziale Dun, op.
cit.,111-118; 8) riassunto da Van STEENBERGHEN, Op. cit.,268-291; 9)
riassunto da VAN STEENBERCHEN, op. cit.,223-233; 10) riassunto da Van
STEENBERGHEN, 0). cif., 263-267; 11) ed. Van SreENBERGHEN, in Les philosophes
belges, XII, 21-160; 12) cfr. Dun, op. cit.,235-241. 612
Bibliografia Bibliografia: Oltre le opere fondamentali del
ManpoNNET, del VAN STEENBERGHEN, del Dun, cfr.: CL. BaEuMKER, Zur
Beurteilung Sigers von Brabant, Philos. Jahrb., 1911. IpeMm, Um Siger von
Brabant, ibidem. M. F. F. G. L. =
PI [ec] A A. B A. Grasmann, Neu
aufgefundene Werke des S. von Brabant und Boetius von Dacien, Sitz.ber.
Bayer. Akad. d. Wissensch. Philos.-Hist. K1.,
1924. Sassen, Um Siger de Brabant et la double vérité, Rev. néosc.
philos. STEENBERGHEN, Siger de Brabant d’après ses oeuvres inédites,
ibidem, 1930. BuswetLI, L'accordo di Sig. di Brab. e Tommaso
d'Aquino, Civ. Catt. 1932. Perucini, Il
tomismo di Sigieri di Brab. e l'elogio dantesco, Giorn. dantesco, Narpi,
Il preteso tomismo di Sigieri di Brab., Giorn. crit. filos. ital. 1936, 1937. Gison, Dante et la Philosophie, Parigi,
1939, passim. . GraBMAnN, Sigier von Brabant und Dante, Deutsches
Dante Jahrb. Vanni-RovicHi, Sigieri di Brabante nella storia
dell'aristotelismo, Riv. filos. neoscol., 1944. .
Narpi, Sigieri di Brabante nel pensiero del Rinascimento italiano, Roma, Marer,
Nouvelles Questions de Siger de Brabant sur la Physique d' Aristote, Rev.
Philos. Louvain, 1945. MaureER, Esse and Essentia
in the Methaphysics of Siger of Brabant, Med. Stud.,
1946. . Narpi, Individualità e immortalità nell’averroismo e nel
tomismo, Arch. filos.,
1946. Maier, Les commentaires sur la Physique d'Aristote attribués
à Siger de Brabant, Rev. philos. Louvain,
1949. Ipem, Die Vorlàufer Galileis..., cit,184 sgg., 237
A. Op pu MauRER, Siger of Brab. and an Averroistic
Commentary on the Metaphysics, in Cambridge Peterhouse ms. 152, Med. Stud.,
1950. Narpi, L'anima umana secondo Sigieri, Giorn. crit. filos.
ital. 1950. Van SrEENBERGHEN, Siger of
Brabant, Mod. School., 1951-1952. . Maurer, Siger of Brabant's De
necessitate et contingentia causarum and Ms. Peterhouse 152, Med. Stud.,
1952. . MaIER, An der Grenze von Scholastik..., cit.,97 sgg., 159
De Parma, La dottrina dell'unità dell'intelletto in Sigieri di
Brabante, Padova, 1954. IpeM, L'immaterialità dell'anima
intellettiva in Sigieri di Brabante, Collect. franc., 1954,
613 Bibliografia 0. DuneM, Le système du monde, cit., V,574-577; VI,13-15,
394-395. S. Mac CLInTOcK, Heresy and Epithet. An Approach to the Problem of Latin
Averroism, Rev. Metaph., 1954, 1955. MAauRER, Between reason and
faith: Siger of Brabant and Pomponazzi on the magic arts, Med. Stud., 1956. van STEENBERGHEN, Nouvelles
recherches sur Siger de Brabant et son école, Rev. philos. Louvain,
1956. . Zimmermann, Die Questionen der Siger von Brabant zur Physik
des Aristoteles, Colonia, 1956. . De
Parma, La conoscenza intellettuale del singolare corporeo secondo
Sigieri di Brabante, Sophia, 1958. . Narpi, L'anima umana
secondo Sigieri, in Studi di filosofia medioevale, cit.,151-161.
Cfr. inoltre le indicazioni bibl. generali in GeyER,757-758; DE
Brie, nn. 6798-6818; De Wutr, II,220-222. DUO on >
Boezio di Dacia Opere: Commenti alle opere aristoteliche;
De modis significandi; De summo bono; De somno et vigilia; De mundi
aeternitate. Edizioni: Die Op. De summo bono sive De vita
philosophi und De sompniis des Boetius von Dacien, a cura di M. GraBmann,
Arch. hist. doctr. litt. m.-à., 1932; 2 ed. in
Mittelalterliches Geistesleben, Il, cit., 200-224; G. Sayo, Un traité récemment
découvert de Boèce de Dacie De mundi acternitate Texte inédite, avec une
introduction critique et en appendice un texte inédit de Siger de
Brabant: Super VI Metaphysicaey Budapest, GeyER, p. 758; De Brie; nn.
3601, 4831, 7352, 7415; De Wutr, Il,221-222. In particolare
v.: P. Doncoeur, Notes sur les averroistes latins: Boèce de Dace, Rev.
scien. philos. théol., 1910. M.
Grapmann, Neu aufgefundene Werke des S. v. Br. und Boetius v. Dacien, Sitz.ber.
Bayer. Akad. d. Wissens. Philos-Hist. KI., II, 1924. P. ManponnetT, Note complémentaire sur Boèce de Dace, Rev.
sc. philos. théol., 1933. F. Van STEENBERGHEN, in DHGE, IX,
381-389. M. Grasmann, Textes des Martinus von Dacien und Boetius
von Dacien zur Frage nach dem Unterschied von essentia und existentia, Miscell.
Gredt, 1938. A. Maurer,
Boetius of Dacia and the Double Truth, Med. Stud., 1955, 014
Bibliografia F. Sassen, Boéthius van Dacie en de theorie van de
dubbele Waarheid, Stud. cath., 1955. A. Hurnacet, Zum Lehre
von der doppelten Wahrheit, Theol. Quart., 1956. Capitolo
ottavo Roberto Grossatesta Opere: a) propedeutiche:
De arzibus liberalibus; De generatione sono rum; b) astronomiche: De
sphaera; De generatione stellarum; De cometis; c) cosmologiche: De luce
seu de incoatione formarum; Quod homo sit minor mundo; ottiche: De lineis
angulis et figuris, seu de fractionibus et reflexionibus radiorum; De
natura locorum; De iride; De colore; e) fisiche: De calore solis; De
differentiis localibus; De impressione elementorum; De motu corporali; De
motu supercaelestium; De finitate motus et temporis; De impressionibus
aèris, seu de prognosticatione; f) metafisiche: De unica forma omnium; De
intelligentiis; De statu causarum; De potentia et actu; De veritate; De
veritate et propositionibus; De scientia Dei; De ordine enucleandi causatorum a
Deo; g) psicologiche: De libero arbitrio. Opere
dubbie: De anima. Opere non autentiche: Summa philosophiae;
Commento alla Consolatio boeziana. Commenti autentici: agli
Analytici posteriori; alla Physica di ArisTOTELE; agli Elenchi sofistici;
In Hexaemeron. Traduzioni: Ethica Nicomachea, con i commenti di
Eustrazio per il Il. I e VI, di anonimo per i Il. II, V, VII, di Michele
di Efeso per i Il. V, IX, X e di Aspasio per il l. VIII; De virtute et
vitiis; De lineis indivisibilibus; De coelo et mundo (solo un terzo del
c. 1 del 1. III); De passionibus dello Pseupo Anpronico; le Opere dello
Pseupo Dionici € di Giovanni Damasceno (con il Commento al De Mystica
theologia). Edizioni: L. Baur, Die philosophischen Werke des Robert
Grosseteste, (£Beitrage, IX), Miinster, 1912; il Commento agli Analityci
nell’ed. di Venezia, 1514, quello al De Mystica theologia, a cura di U. GamBa,
Milano, 1942; per quello all’Hexaemeron v. J. T. MuckLe, The Hexaemeron
of R. G., in Med. Stud., 1944; le Epistolae, ed. H. R.
Luarp, Londra. V. inoltre: S. H. THomson, The Notule of Grosseteste on
the Nichomachean Ethics, Londra, 1934; D. A. CaLLus, The Summa theologiae
0} Robert Grosseteste, Studies in med. History presented to F. M.
Powicke, Oxford, 1948. Tr. del De luce a cura di C. C. RiepL, Robert
Grosseteste on the Light, Milwaukee, 1942, Bibliografia: La
bibl. generale in GEvER,731-732; De Brie, nn. 54365450; De Wutr, II,102-103,
615 Bibliografia In particolare cfr.:
F. S. Stevenson, Robert Grosseteste Bishop of Lincoln, Londra,
1899. P. Dunem, Le svstème du monde, cit., II,277-288;
410-413; IV, 13-15, 49-52; V,295-297, 340-345, 348-359; VI,112-119; VII,
176-177, VIII,67-68, 257-258; IX,31-36. L. Baur, Die Philosophie
des Robert Grosseteste (Beitrige, XVIII, 4-6), Munster, 1917.
F. Perster, Zwei unbekannte Traktate des Robert Grosseteste, Schol.,
1926. S. H. TuÙomson, The De anima of Robert Grosseteste, N.
Schol., 1933. IpeM, The Text of Grosseteste's de
cometis, Isis 1933. Ipem, The Summa in VIII libros Physicorum of
Grosseteste, Ibidem, 1934. E. FrancescHINI, /ntorno
ad alcune opere di Roberto Grossatesta, vescovo di Lincoln, Aevum,
1934. S. H. Tuomson, The Writings of Robert
Grosseteste, Bishop of Lincoln, Cambridge, 1940. L. E. LyxcH,
The doctrine of Divine Ideas and Illumination in Robert Grosseteste, Med.
Stud. 1941. D. A. CaLcus, Philip the Chancelor and the De anima
ascribed to Robert Grosseteste, Med. Stud., 1941-43. IpeM,
The Summa Duacensis and the Pseudo Grosseteste's De Anima, Rech. théol.
anc. méd., 1946. lInoeMm, The Oxford Career of Robert Grosseteste, Oxoniensia,
1949. ). C. Russet, Phases of Grosseteste’s intellectual life, The
Harvard Theol. Rev., 1950. Ipem, Some Notes upon the Career
of Robert Grosseteste, ibidem, 1955. E.
FrancescHINI, Un inedito di Roberto Grossatesta: la Quaestio de accessu
et recessu maris, Riv. filos. neosc., 1952. Ipem, Sulla presunta
datazione del De impressionibus aèris di Roberto Grossatesta, ibidem,
1952. V. Miano, La teoria della conoscenza in Roberto Grossatesta, Gior.
Met., 1954. S. Girsen, Le potenze naturali dell'anima secondo
alcuni testi inediti di Roberto Grossatesta, in L'homme et son destin...
cit.,437-443. Cfr. inoltre nella sua attività di traduttore:
F. M. PowickE, Robert Grosseteste and Nicomachean Ethics, The
Proceed. of Arist. Acad., 1930. S. H.
THÒomson, A note on Grosseteste's Work of Translation, Jour. of theol.
Stud., 1933. E. FrancescHINI, Grosseteste's Translation of the Prologus
and the Scholia of Maximus to the Writings of the Pseudo-Dionysius
Arcopagita, Jour. theol. stud., 1933. Ipem,
Roberto Grossatesta vescovo di Lincoln e le sue traduzioni latine, Atti
Ist. Ven., 1933-1934, 616 Bibliografia
Ipem, Una nuova testimonianza su Roberto Grossatesta traduttore dell’Etica
Nicomachea, Aevum, 1953. Sul
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magic and experimental Science, Il, cit., 436-353. D. E. SHiarp,
Franciscan philosophy at Oxford in XIII th. Century, Oxford, 1930. i
al A. C. CromBie, Robert Grosseteste and the Origins of Experimental
Science. Oxford, 1953. F. M. PowicxkE, Robert Grosseteste, Bull. J.
Rylands Libr., 1953. D. A. Catrus, Robert Grosseteste's Place in the
History of Philoscphy, Actes du XI Congrès int. d. Philos., XII,
Amsterdam-Lovanio, 1953. P.
MicHauD-QuantIN, La rnotion de loi naturelle chez Robert Grosseteste,
ibidem. A. C. CromBie, Robert Grosseteste on the
Logic of Science, ibidem. Robert Grosseteste Scholar and Bishop. Essays
in Commemoration of the Seventh Century of his Death, ed. D.
A. Callus - F. M. Powicke, Oxford. 1955. F. Atessio, Studi e
richerche su Roberto di Lincoln (Grossatesta), Riv. crit. stor. filos.,
1957. IpeM, Storia e teoria nel pensiero scientifico di Roberto
Grossatesta, Riv. crit. stor. filos., 1957. S. H. THomson,
Grosseteste's Quaestio de calore De cometis and De operacionibus Solis, Medievalia
et Humanistica, 1957. R. C. Daces, Robert Grosseteste's Commentarius in
Octo libros Physicorum Aristotelis ibidem, 1957. C. M. TuRBAYNE,
Grosseteste and an ancient optical principle, Isis 1959. Adamo di
Marsh Opere: Numerose composizioni di carattere teologico ed
esegetico ancora inedite: Le Epistolae (247) in Monumenta franciscana
historica, I, Londra, 1858,77-489 (ed. J. S. BrEWER).
Bibliografia: Cfr. Gever, p. 738; De Brie, n. 3633; DE WuLF, II, p.
103. Cfr. inoltre: A. De SéRENT, in DHGE, I, 482
H. Fetper, Storia degli studi scientifici nell'Ordine francescano (tr.
it.), Siena, 1911,285-31I. G.
Contini, Adamus de Marsico O.F.M. auctor spiritualis, Ant., 1948.
R. W. Hunt, Chapter headings of Augustine De Trinitate ascribed to
Adam Marsh, The Bodleian Library Record, 1957. 617
Bibliografia Riccardo di Cornovaglia
Bibliografia: Cfr. GevEr, p. 733; De Brie, nn. 5425, 7333, 7458-7462;
De Wucr, II,103-104. In
particclare cfr.: A. G. LirtLe, Franciscan School at Oxford, Arch.
franc. hist., 1926. F.
Pelster, Neue Schriften des englischen Franziskaners Richardus Rufus von
Cornwal, Schol., 1933, 1934. F. M. HenquineT, Autour des écrits
d’Alexandre de Halès et de Richard Rufus, Ant., 1936. F.
PerstEr, Die dlteste Abkiirzung u. Kritik vom Sentenzenkommentar des hl. Bonaventura
im Werk des Ricardo Rufus de Cornubia, Greg., 1936. D. A. CaLLus, Two Early Oxford Master on the Problem
of Plurality of Forms Adam of Buckfield, Richard Rufus of Cornwall, Rev.
néosc. philos., 1939. F. Pelster, Richardus Rufus Anglicus,
cin Vorliufer des Duns Skotus in der Lehre von der Wirkung der
priesterlichen Lossprechung, Schol., 1950. G. Gar, Comment.
in Metaphys. Aristotelis cod. Vat. lat. 4538 fons doctrinae Richardi Rufi, Arch.
franc. hist., 1950. Ipem, Viae ad existentiam Dei probandam in
doctrina Richardi Rufi, Franz. Stud., 1956.
Tomaso di York Opere: Manus quae contra Omnipotentem
tenditur; Sapientiale; Comparatio sensibilium. Alcune pagine del Sapientiale
sono state edite da E. Loncpré in Arch. Hist.
doctr. litt. m. à., 1926. Bibliografia: M. Grasmann, Die
metaphysik des Thomas von York (Beitrige, Suppl. I), Miinster,
1913. F. PeLstEer, Thomas von York o.f.m. als Verfasser des
Traktats Manus..., Arch. franc. hist., 1922. E. Loncpré, Fr. T. d'York. La première somme métaphysique
du XIII° s., ibidem, 1926. Ipem, Thomas d’York et Matthieu
d'Acquasparta (Textes inédits sur le problème de la Création) Arch. Hist. doctr. litt. m. 4. 1926. F. Treserra,
Entorn del Sapientiale de Thomas de York, Criterion, 1929. IpeM, De doctrinis metaphysicis fr. Thomae de Eboraco,
Anal. Sacra Tarrac., 1929. D. E. SWÙiarp, Franciscan
philosophy at Oxford, Oxford, 1930,49-112. E. Amann, in DThC, XV,
781-787. G. BonarepE, Il pensiero francescano nel sec. XIII,
Palermo, 1952. J. P. ReiLLy, Thomas de York on the efficacy of
secondary causes, Med. Stud., 1953. La
bibliografia generale in GevEr, p. 738; DE Wutr Bacone Opere: Opus
Maius; Opus minus; Opus tertium; Compendium studii philosophiae; De
secretis operibus artis et naturac et de nullitate magiae; Compendium
studii theologiae; Moralis philosophia; inoltre un cospicuo numero di
opere minori, commenti aristotelici, opuscoli, ecc., tra i quali
ricordiamo particolarmente i Communia mathematica e il Liber communium
naturalium. Edizioni: Opus Majus, ed. S. JeBB, Londra, 1733 (rist.
Venezia, 1750); ed. J. H. Bripces, Oxford, 1897-1900; tr. ingl. di R. B.
Burke, Filadelfia, 1928; Opus minus et Opus tertium, a cura di J. S.
BreweR (R. Bacon, opera quaedam hactenus inedita Rerum Britannicarum M.
A. Scriptores). Londra, 1859. (Nuovi frammenti dell'Opus Tertium sono editi da
P. DuneM, Un frag. inédit de l'opus tertium de R. B., Firenze, 1909; e da
A. G. LirtLE, Part of the Opus Tertium of R. B.
including a fragment, Aberdeen, 1912); la lettera di dedica dell'Opus
maius a cura di F. A. Gasquer, An unpublished fragment of a Work of Roger
Bacon, Engl. Hist. Rev. 1897; Compendium studii
philosophiae e De Secretis operibus artis et naturae et de nullitate magiae, in
ediz. BrewER (cit.). (Il De Secretis ecc., è tradotto in italiano,
a cura di G. DEE, collez. I tesw classici dell’esoterismo tradizionale e
del simbolismo religioso, Milano, 1945); The Greek Grammar of R. B. and a
Fragment of his Hebrew Grammar, a cura di E. NoLan e S. HirscH, Cambridge,
1902; Compendium studii theologiae, a cura di H. RasHpatt, Aberdeen, Le
opere già inedite in: Opera hactenus inedita R. Baconi, a cura di
LirtLE e R. STEELE, Oxford, 1905 sgg.; Rog. Baconi Moralis Philosophia, a
cura di F. M. DeLorME-E. Massa, Zurigo-Verona, La bibl. generale in
GeveR,760-761; De Brie, nn. 4622, 4971, 5688-5709, 7388; De Wutr, II,302-304.
Come indicazioni bibliografiche sommarie
‘cfr.: E. CÙartes, Rog. Baon, sa vie, ses oeuvres, ses doctrines,
Parigi, 1861. H. HorrMmans, La synthèse doctrinale de Rog. Bac., Archiv.
f. Gesch. d. Phil., 1907 (vedi anche in Rev. néosc. philos., 1906, 1908,
1909). P. ManponneT, Rog. Bac. et le Speculum astronomiae e Rog.
Bac. et la composition des trois Opus,} Rev. néosc. philos., 1910,
1913. H. Héover, Rog. Bacons Hylomorphismus als
Grundlage seiner philosophischen Anschauung, )ahrb. Philos. u. spek. Theol.,
1911. A. G. LirtLEe, Roger Bacon. Essays contributed by various
Writers, Oxford, 1914. P.
Dunem, Le système du monde . BaeuMKER, Rog. Bac. Naturphilosophie, Franz.
Stud., 1916. R. Carton, L'expérience physique chez Rog. Bac.
Contribution è l'étude de la méthode et de la science expérimentale au
XIII° siècle, Parigi, 1924. IpeM, L'expérience mystique de
l'illumination intérieure chez Rog. Bacon, Parigi, 1924.
IpEM, La synthèse doctrinale de Rog. Bac., Parigi, 1924. R.
Wacz, Das Verhiltnis von Glauben und Wissen bei Roger Bac., Friburgo,
1928. CH. VanpervaLLe, Rog. Bacon dans l'histoire de la philologie,
Parigi, 1929. F. PeLstER, Rog. Bacons Compendium studii theologiae
und der Sentenzenkommentar des Richard Rufus, Schol., 1929. H.
LiesescHUTz, Der Sinn des Wissens bei Rog. Bac., Bibl. Warburg,
1930-1931. W. Sincer. Alchemical Writings of Rog. Bacon, Spec.,
1932. S. Vanni-RovicHI, L'immortalità dell'anima nei maestri
francescani del se colo XIII, Milano, 1936. . W. Wooprurr, Rog. Bacon. A Biography, Londra,
1936. . Loncpré, La Summula Dialectica de Roger Bacon, Arch. franc.
hist., 1938. . WuxitscH, Roger Bacon, an Educator,
Washington, 1945. . CrowLEYv, Roger Bacon's Aristotelian and
Pseudoaristotelian Commen taries and the Problem of the Soul in the XIII'h
Century, Lovanio, 1950. IpeM, Roger Bacon: the problem of
universals in his philosophical commentaries, Bull. I. Rylands Library,
1952. Ipem, Roger Bacon and Avicenna, Philos. Stud.; 1952.
S. C. Easton, Roger Bacon and his Search for a Universal Science,
New York, 1952. E. Wesracort, Roger Bacon in Life and Legend,
New York, 1953. E. Massa, Ruggero Bacone e la
poetica di Aristotele, Gior. crit. filos. ital., 1953. Ipem,
Ruggero Bacone, etica e poetica nella storia dell'Opus maius, Roma, 1955.
4 C. Vasoti, Il programma riformatore di Ruggero Bacone, Riv.
Filos., 1956. F. ALessto, Mito e scienza in Ruggero Bacone,
Milano, 1957. E. Heck, Roger Bacon. Ein mittelal. Versuch e.
histor. u. systemat. Religionswissens., Bonn, 1957. HM tia
620 Bibliografia Riccardo Fishacre
Opere: Commento alle Sentenze (prima del 1245). Bibliografia: Cfr.
Gever, p. 739; De Wutr, II, p. 140. In particolare: F.
PeLsTER, Das Leben u. die Schriften des Oxforder Dominikaners Richard Fishacre,
Zeitschr. kath. Theol., 1930. D. Skarp, The
Philosophy of Richard Fishacre, N. Schol., 1933. M. Grasmann, Die
theologische Erkenntnis und Einleitungslehre des hl. Thomas von Aquin,
Friburgo, 1948,205-15; 217 sgg.; 220 L. Sweeney - C. ]. ErmantINcER,
Divine infinity according to Richard Fishacre, Mod. School., 1957-1958.
Roberto Kilwardby Opere: a) commenti: all’'Isagoge; a vari
testi dell’Organon, alla Physica, al De coelo et mundo; al De generatione
et corruptione; ai Matercologica; al De anima; alla Metaphysica, e ad
alcuni testi boeziani; b) trattati: Commento alle Sentenze; De
unitate formarum; De ortu et divisione scientiarum; De tempore; De
conscientia; De spiritu imaginativo. Edizioni: Estratti dal De
orsu et divisione philosophiae, in B. Haurfau, Notices et extraits, V; la
lettera a Pietro di Conflans in E. Enrte, Der Augustinismus und der
Avristotelismus in der Scholastik gegen Ende des 13 Jhts., Arch. f. Lett.
u. Kirchengesch. d. Mittelalt., 1889. Il prologo del Commento: De natura
Theologiae, ed. F. StecmuLLER, in Opuscula et textus, S. schol., 17,
Miinster, il De Imagine et vestigio Trinitatis, in Arch. Hist. doctr. litt. m. à.,” 1935-36; Tabulae super
originalia Patrum (ed. D. A. CaLLus), Bruges, 1948.
Bibliografia: Cfr. Gevyer, p. 764; De Brie, nn. 7463-7474; De WuLFe, II,237-238.
In particolare: A.
BirkENMAJER, Der Brief R. Kilwardby's an Peter von Konflans und die
Streitschrift des Aegidius von Lessines (Beitràge, XX, 5), Miinster,
1922. M. D. CÙenu, Le De spiritu imaginativo de
Robert Kilwardby, Rev. sc. philos. théol., 1926. IpeM, Le De
coscientia de Robert Kilwardby, ibidem, 1927. IpeM, Les réponses de
St. Thomas et de Kilwardby è la consultation de Jean de Verceil, 1271, Mél.
Mandonnet, 1930. Ipem, Le traité De tempore de Robert Kilwardby, in
Aus der Geisteswelt des Mittelalters, F. StEGMULLER, Robert
Kilwardby O. P. Ueber die Mòglichkeit der natiirlichen Gottesliebe, Div. Th.,
(F), 1935. 621 Bibliograjii
D. E. SHarp, The De ortu scientiarum of Robert Kilwardby, N. Schol.,*
1934. IpeM, The 1277 condemnation by Kilwardby, Ibidem, 1934.
IpeM, Further philosophical Doctrines of Kilwardby, ibidem, 1935.
A. Donpamne, Le De tempore de Robert
Kilwardby, Rech. théol. anc. méd.,
1936. E. M. F. Sommer-SEcKENDORFF, Studies in the Life of Robert
Kilwardby, Roma, 1937. IpeM, Robert Kilwardby und seine
philosophische Einleitung De ortu scientiarum, Hist. Jahrb. Gitton, L'amour naturel de Dieu d'après Robert
Kilwardby, Ang. 1952. G. Gar, Robert
Kilwarby's questions on the Metaphysics and Physics of Aristotele, Franc.
Stud. Peckam Tra le numerose opere teologiche, filosofiche
scientifiche ricordiamo particolarmente: Quaestiones tractantes de anima; Summa
de esse et essentia; Quodlibet romanum; Tractatus de anima; Perspectiva
communis; Tractatus sphaerae; Teorica planetarum; Mathematicae
rudimenta. Edizioni: Registrum epistularum f. ]. Peckam, ed. C. T.
MartIn, Londra, 1882-1885. Quaestiones de anima, ed. H. SpettMANN (Beitrige,
XIX, 5-6), Miinster, 1918; Summa de esse et essentia, ed. F. M. DeLORME,
Firenze, 1928; Quodlibet romanum, ed. F. M. DeLORME, Roma, 1938;
Tractatus de anima, ed. G. Mrtani, Firenze, 1948; Canticum pauperis, ed.
G. MELANI, Quaracchi, 1949. Bibliografia: Cfr. Gever, p.
762; De Brie, nn. 5710-5712; De Wutr, II,268-269. In
particolare cfr.: F. Exrte, /. Peckam, tiber den Kampf des
Augustinismus u. Aristotelismus, Zeitschr. f. kathol. Theol., 1889.
IpeM, L'agostinismo e l'aristotelismo nella Scolastica del sec. XIII, Roma,
1925. H. SpettMan, Quellenkritisches zur Biographie
des ]. Peckam, Franz. Stud., 1915, Ipem, Die Psychologie des
]. Peckam (Beitrige, XX, 6), Miinster,
1919. IpeM, Der Ethikkommentar des ]. Peckam (Beitràgey Suppl.,
II), Miinster, 1923. IpeM,
Der Sentenzenkommentar des Franz. Erzbischrofs ]. Peckam, Div. Th. (F.);
1927. A. CacceBaut, /. Peckam et l'augustinisme, Arch. franc.
hist., 1925. A. TeeraerT, in DThC, XIII, 100-140.
622 Biblogra fia V. Doucet, Notulae bibliographicae
de quibusdam operibus fr. ]. Peckash, Ant.,
1933. J. H. SmirH, The Attitude of ]. Peckam toward Monastic Houses
under his jurisdiction, Washington, 1949. F. PeLster, Neue
Textausgaben von Werken des St. Thomas, des |. Peckam, und Vitalis de Furno, Greg.
1950. T. CrowLey, /. Peckam, archbishop of Canterbury, versus the
new Aristotelianism, Bull. John Rylands Libr., THoRNDIKE, A. }. Peckam's
Manuscript, Arch. franc. hist., 1952. G.
BonarEpe, Il pensiero francescano nel sec. XIII, D. L. Dowie, Archbishop
Peckam, Oxford, 1952. Capitolo nono Ubertino da Casale
Opere: Arbor vitae crucifixae Jesu; scritti in difesa dell’Olieu e
della povertà francescana. : Edizioni: Arbor..., Venezia,
1485; le opere di polemica francescana edite da F. Ente, in Arch. Lit. u.
Kirchengesch. d. Mittelalt. Berlino, 1886, 1887; e da A. Heysse, in Arch.
franc. hist., 1917. Inoltre cfr. la Responsio f. Ubertini circa
quaestionem de paupertate Christi nella Miscellanea sacra di E. BaLuze-M.Mansi,
Lucca, 1761; il Frazicelli cuiusdam decalogus evangelicae paupertatis,
ed. M. Bir, Arch. franc. hist., 1939 ed F.
M. DeLorME, Notice ei extraits d'un manuscrit franciscain..., Collect.
franc., 1945, Bibliografia: J. CH. Hucx, Ubertin von
Casale und dessen Ideenkreis, Friburgo, 1903. F. CaLLary,
L'idéalisme franciscain spirituel au XIV* siècle... Lovanio, 1911.
IpeM, L'influence et la diffusion de Arbor vitae crucifixae de
Ubertino, Rev. hist. éccl., 1921. P. Goperroy, in DThC, Arras
Opere: Quaestiones disputatae; Quaestiones quodlibetales; Sermoni.
Edizioni: Cfr. De humanae cognitionis ratione anedocta quaedam, Quaracchi,
Gever, p. 762; De Brie, n. 6694; De Wutr, IGrorieux, Fr. E. d’Arras, France
franc., Lanoorar, Zum Schriften des Frater E. von Arras, Collect. franc. Doucet,
Quaestiones centum ad scholam franciscanam spectantes, Arch. franc.
hist.,Bonarepe, /l pensiero francescano, Gualtiero di Bruges
Opere: Quaestiones disputatae; Commento alle Sentenze. Edizioni:
Le Quaestiones, ed. E. Loncpré, Lovanio, 1928; del Commento, saggi del Loncpré
in Arch. Hist. doctr. litt. m. à., 1933. x
Bibliografia: cfr. Gever, p. 762; De Brie, 6694; De Wute, Il, p.
268. E. Loncpré, Gauthier de Bruges, O.F.M. et l'augustinisme
franciscain au XII siècle, Miscell. Ehrle, I, Roma, 1924.
IpeM, Le commentaire sur les Sentences du B. Gauthier de Bruges, Pubbl.
Inst. étud. méd. d’Ottawa, 1932. A. PeLzer, Le Commentaire de
Gauthier de Bruges sur le IV L. des. Sentences, Rech. théol. anc méd.,
1930. S. BeLmonp, La preuve de l'existence en théodicée d'après
Gauthier de Bru ges, Riv. filos. neosc., 1933. O. Lottin, La
liberté selon Gauthier, Rech. théol. anc. méd., 1935. R. Hormann, Die Gewissenslehre des Walters v. Briigge
und die EntwicKlung der Gewissenslehre in der Hochscholastik (Beitrige,
XXXVI, 5-6), Miinster, 1941. G. Bonarepe, Il pensiero
francescano, J. BeumER, Die vier Ursachen der Theologie nach dem
unedierten Sentenzenkommentar des Walter von Briigge, Franz. Stud.,
1958. Matteo d'Acquasparta Opere: Tra la numerosa
produzione teologica e filosofica dell’Acquasparta (cfr. Enc. Catt., s.v.)
ricordiamo particolarmente le Quaestiones disputatac. Edizioni:
Antologia in De humanae cognitionis ratione, Quaracchi, 1883; Quaestiones
disputatae selectae, 2 voll., ibidem, 1903-1914, 19572; Quaestiones
disputatae de gratia con intr. e note di V. Doucer, ibid., 1935. De productione
rerum et de providentia, a cura di G. Gar, ibidem, 1956; Quaestibnes disputatae
de anima separata, de anima beata, de icunio et de legibus, Quaracchi, 1959.
Estratti dal Comm. alle Sentenze a cura di A. DanieLs, in (Beitrige, VIII,
1-2), Miinster, 1909; in E. Loncpré, Thomas d'York et M. d'Acquasparta. Textes inédits sur le problème de la création, Arch.
Hist. doctr. litt. m. à., 1926-1927, e da S. Vanni-RovicHI, R. ZaVALLONI, cfr.
bibl. 624 Bibliografia Bibliografia:
cfr. GeveR,761-762; De Brie, nn. 6794-6797; DE WuLF, II, p. 269. E. Loncpré, in DThC, X, 375-389. M. Grasmann,
Die philos. und theol. Erkenntnislehre des Kard. M. v.
Acquasparta, Vienna, 1906. . Vanni-RovicHi, L'immortalità dell'anima nei
maestri francescani del sec. XIII,
Milano, 1936. . Doucet, L'enseignement parisien de Mathieu d’Acquasparta
(1278-1275), Arch. franc. hist., 1935. . CHioccHETTI,
La cognizione dell'individuale. Matteo d'Acquasparta e Duns Scoto, Riv.
filos. neoscol., 1940, . BonarepE, I! problema del lumen nel pensiero di
Matteo d'Acquasparta, Riv. rosminiana, 1937. . Bertoni, Rapporti
dottrinali tra Matteo d'Acquasparta e Duns Scoto, Stud. franc.,
1943. . Prezioso, L'attività del soggetto pensante nella gnoseologia di
Matteo d'Acquasparta e di Ruggero Marston, Ant., 1950. . Zavatroni, Richard de Mediavilla et la controverse sur la
pluralité des formes. Textes inédits et
étude critique, Lovanio, 1951. . C. Pecis, M. of Acquasparta and the
cognition of Non-Being, Schol. BonarFEDE, Il pensiero
francescano, IpeM, Matteo d'Acquasparta, Italia franc. 1952. A. J.
Gonpras, Les Quaestiones de anima VI, manuscrit de le Bibl. com. d'Assise
n. 159 attributes è M. d’Acquasparta, (con testo), Arch. Hist. doctr. litt. m. à., O pP_pO_OTI HU OoOO0{, Hi Lacarpe,
Marsile de Padoue ou le premier théoricien de l'état laique,
Saint-Paul-Trois Chateaux, 1934; Parigi, 19422. Inem, Marsile de
Padoue et Guillaume d’Ockham, Rev. sc. relig., 1937. H. KuscH.
Friede als Ausgangspunkt der Staatstheorie des M. von Padua zu
Arsstotelesreception im Mittelalter., Das Altertum, 1955. Marsilio
da Padova. Studi raccolti nel VI centenario della morte, a cura di A.
Ceccuini e N. Bossio, Padova, 1942. G. Mico, Questioni marsiliane, Riv.
filos. neosc., 1946. H. Otto, Marsilius von Padua und der Defensor
Pacis, Hist. Jahrb., 1925. A. Passerin D'Entaèves, The
Medieval Contribution to the political Thought, Oxford, 1930,44-87.
Inem, Rileggendo il Defensor Pacis, Riv. stor. ital. 1934. G.
Pirovano, Il Defensor Pacis di Marsilio Patavino, La Scuola catt.,
1922. C. W. Previté-Orton, Marsilius of Padua,
Doctrines, Engl. Hist. Rev., 1923. Inpem, Marsilius of Padua,
Proceed. of Brit. Acad., 1935. J. Rivière, Marsile de Padoue, in
DThC, X, 153-177. R. Scmorz, Marsilius von Padua und die Idee der
Demoksatie, Zeitschr. f. Politik, 1907. Inem, Unbekannte
Kirchenpolitische Streitschriften aus der Zeit Ludwigs des Bayern, Roma,
1911-1914. Inem, Zur Datierung und Uberlieferung des Defensor
Pacis) N. Arch. Gesell. f. alt. deutsch. Geschichtskunden, 1927.
IneMm, Marsilius of Padua und Genesis des modernen
Staatsbewusstsein, Hist. Zeitschr., 1936. H. Secar, Der
Defensor Pacis des Marsilius von Padua. Grundfragen und Interpretation,
Wisbaden, 1959 (con bibl.). J. SuLcivan, Marsilio of Padua and
William of Ockham, American Hist. Rev., 1896-1897,
P. Viruari, Marsilio da Padova e il Defensor Pacis) in Storia, politica
e istruzione, Milano, 1914,3 P. Zampetti, Considerazioni sul
concetto di giuridicità nel Defensor Pacis, Riv. ital. filos. dir.,
1954. Avversari di Dante e
di Marsilio Bibliografia: N. Junc, Un franciscain théologien
du pouvoir pontifical au XIV siècle, Alvaro Pelayo, évéque et pénitencier
de Jean XXII, Paris, 1931. U. Martani, Un
avversario di Marsilio da Padova: Guglielmo Amidani da Cremona, Giornale
Dantesco, 1935. N. IsacH, Leben und Schriften des Konrad
von Megenburg, Berlino, 1938. 644
Bibliografia N. MATTEI, /) più antico compositore politico
di Dante: Guido Vernani da Rimini. Testo critico del De reprobatione
Monarchiae, Padova, 1958. Sulla crisi storica tra la fine del XIII e
l’inizio del XIV secolo cfr. inoltre in particolare gli studi di G.
De Lacarpe, La naissance de Pesprit laique au déclin du M.À,, Sugli
Spirituali cfr. soprattutto: F. Exte, Die Spiritualen, ihr
Verhiltnis zum Franziskevenorden und zu den Fraticellen, in Arch. f.
Litt. u. Kirchengeschichte, 1886. F. Caccary, L'idéalisme franciscain spirituel du XIV
siècle, K. BattHasar, Geschichte des Armutsstreites in Franziskanenorden
bis zum Konzil von Vienne, Miinster, 1911. Capitolo
secondo Giovanni Duns Scoto Opere: L'elenco
definitivo delle opere autentiche sarà possibile stenderlo solo quando
sarà compiuta l’ed. critica in preparazione e di cui sono apparsi solo i primi
volumi (Opera omnia, studio et cura Commissionis scotisticae ad fidem
codicum edita, Città del Vaticano, 1950 sgg.) che reca .nel I vol. una
Disquisitio critica di particolare valore. Tra le opere già contenute
nell’ed. Vivès si possono però considerare autentiche sicuramente le
seguenti: Quaestiones super universalia; Super praedicamenta; Super Ì. I
Periermencias, In Il librum Periermencias; Secundi operis Periermeneias;
Super libros Elenchorum Aristotelis; Super l. I Priorum; Super l. II Priorum;
Super l I Posteriorum; Super l. Il Posteriorum; Quaestiones in libros
Aristotelis de anima; De primo principio; Collationes Oxonienses;
Collationes parisienses; Quaestiones subtilissimae in Metaphysicam Aristotelis;
Opus Oxoniense (Ordinatio o Liber Scoti); Reportata Parisiensia;
Quaestiones quodlibetales XXI. È in discussione l'autenticità del
Tracsazus imperfectus de cognitione Dei, del De perfectione statuum e dei
Theoremata. Sono stati inoltre scoperti recentemente altri scritti
contenenti ampi resoconti dei corsi scolastici tenuti dallo Scoto a
Oxford, a Cambridge e a Parigi; i più importanti sono noti col nome di
Lectura Oxroniensis o Lectura prima e di Reportatio magna.
Edizioni: Opera omnia, a cura di L. Wapprnc, 12 voll., Lione, 1639; Opera
omnia, a cura di Vivès, 26 voll., Parigi, 1891-1895; Opera omnia, a cura
della Commissione scotista, presieduta dal P. C. BaLiz, Roma, 1950 segg. (e cfr. del Bari&, Zur Kritische Edition der Werke ].
Duns Skotus, Scriptorium, 1954, e Au sujet de l'édition critique des
oeuvres de ]. Duns Scot, in L'homme et son destin... cit.,229-239). Opus
Oxoniense, a cura di M. FernAnpez Garcfa, Quaracchi (Firenze), 1912,
1914; I. D. Scoti doctrina 645 Bibliografia
philosophica et theologica quo ad res praecipuas, Quaracchi, 1908,
1930?; Quaestiones et Collationes, inediti, a cura di C. R. S. Harris,
1927; Tractatus de primo principio, a cura di M. MitLER, Friburgo, 1941
(ed. crit.); DEODAT De Basty, Capitalia opera collecta (I. Praeparatio
philosophica; I. Synthesis theologica), Le Havre, 1908-1911 (vedi anche
Scozus docens, Le Havre, 1934). È in corso (Madrid, 1960
sgg.) un'edizione bilingue spagnola. Si cfr. anche con trad. it. a
fronte, l'antologia a cura di P. D. Scaramuzzi: Duns Scoro, Summula
(scelta di scritto coordinati in dottrina). Firenze, 1932 e l'antologia a
cura di P. Minces, Joh. Duns Scoti doctrina philosophica et theologica
quoad res praecipuas proposita et exposita, Quaracchi (Firenze).
Bibliografia: Per la bibl. generale cfr. P. Minces, Die skotische Lite ratur
des 20 Jhts, Franz. Stud., 1917. A. PeLzer, 4 propos de Jean Duns Scot et des études
scotistes, Rev. néoscol. philos., 1923. S. Stmonis, De vita
et operibus B. Duns Scoti iuxta litteraturam ultimi decennii, Ant., 1928.
V. Comte-Lime, Bibliographie scotiste de langue frangaise (1900-1934) Cong.
des lecteurs francisc., Lione, 1934. M. Grayewsxi, Skotistic
Bibliography of the Last Decade (1929-1939), Franc. Stud., 1941.
U. Smetts, Lineamenta bibliogr. Scotisticae, Roma, 1942. E.
Bertoni, Vent'anni di studi scotistici (1920-1940), Milano, 1943.
O. ScHaErER, Bibl. de vita, operibus et doctrina ]. Duns Scoti... saec. XIXXX, Roma, 1954. C.
O. HuattacHam, On recent Studies of the Opening Question in Ss Ordinatio Franc.
Stud., 1955. Per il lessico scotista cfr. F. FERNANDEZ
Garcfa, Lexicon scholasticum philosophico-theologicum, in quo
termini... philosophiam... spectantes a B. |. Duns Scoto
exponuntur, Quaracchi, 1910. Tra gli studi generali e tra i pid
recenti ci limitiamo a segnalare: P. Minces, Der Gottesbegriff des
Duns Skotus, Vienna, 1906. Ipem, Verhélinis von Glauben und
Wissen..., nach D. Skotus, Paderborn, KLEIN, Der Gottesbegriff des J. Duns
Scotus, Paderborn, 1913. M. Hreccer, Kasegorien- und
Bedeutungslehre des Duns Scotus, Tubinga, 1916. A. Bertoni, Le B. Duns Scosr. Sa vie, sa doctrine et ses
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influssi di Duns Scoto sul pensiero scientifico cfr. soprattutto:
P. DuHEMm, Le système du monde Marr, Zwei Grundprobleme..., cit.,30 sgg.,
50 sgg., 61 Ipem, An der Grenze von Scholastik, cit.,105 sgg., 164 sgg.,
229 Cfr. inoltre: C. BaLiè, Giovanni Duns Scoto, in Grande Antologia Fi losofica,
IV,1335-54 (testi in tr. it.1355-1409) e O. ScHaEFER, John. D. Scot, fasc. 22 dei Bibliographische Einfiihrungen in
das Studium der Philosophie, Berna, 1953. E v. GEyER, p. 765-768;
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Wutr, II,371-377. Sulla scuola scotista in generale:
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1888. F. GranninI, Studi sulla scuola francescana, Siena,
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Mezzogiorno d'Italia, Roma, 1927. E. Girson, Jean Duns Scot,
Francesco di Meyronnes Esposizione sulle Categorie di Aristotele,
Comment. in Physic., Commentario alle Sentenze, Quodlibeta: De primo
princi pio, De univocatione entis, De esse essentiae et existentiae,
Explanationes divinorum terminorum. Infondata l'attribuzione di un
Tractatus de formalitatibus. Edizioni: Una collezione pubblicata a
Venezia nel 1517 contiene: le Sentenze, i Quodlibeta, De primo principio,
Explanationes divinorum terminorum, Tractatus de formalitatibus.
Bibliografia: cfr. Gever, p. 787; De Brie, nn. 7359, 7363; DE WuLE, II,
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super Sententias; 2) Quodlibeta I-IV (discussa l'autenticità di V-X); 3)
Quaestiones disputatae; 4) Commento In librum periermencias; 5) Quaestiones
de praedicamentis; De cognitione primi principii; 7) De secundis intentionibus;
8) Scritti polemici contro Jacopo di Metz, Durando di St. Pourgain,
Enrico di Gand. Edizioni: 1) Venezia, 1505; Parigi, 1647; 2)
Venezia, 1486; 3) Venezia, 1513; 4, 5, 6, 7,) Parigi, 1489; Venezia,
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Durando di St. Pourgain Opere: 1) Commento alle Sentenze (in we
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de ha ditibus; 5) Quaestiones de libero arbitrio; 6) Additiones al I delle
Sentenze. Edizioni: 1) numerose edd. della III red. dal 1508 in poi; 2)
la Quae stio de natura cognitionis, ed. J.
KocH, in Op. et Tex., VI, Miinster, 1929, 1935; 4) (Quaestio IV)
ibidem, VIII, Miinster, 1930. Bibliografia: cfr. Gever,768-769; De
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particolare vedi: J. KocH, D. de S. Porciano, O. P., Forschungen
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1927. 3. SturLEr, Bemerkungen zur Konkurslehre des Durand von St.
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système du monde, cit., VII,27-30, 107-108, 492-493, 498-500; VIII,265-266.
Pietro Aureolo Opere: Tractatus de principiis
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Petrus Aureulus (Beitrige, XI, 6), Miinster, 1913. B. Lannry, Pierre d’Auréole. Sa doctrine et son réle, Rev.
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Inpem, An der Grenze von Scholastik..., cit.,70 P. Dunem, Le
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Terrena Opera: Commento alle Sentenze (framm.); Quodlibeta;
Quaestiones ordinariae; Quaestiones disputatae; Commenti al De anima,
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O. Carm., 1925. % Ipem, Guiu Terrana carmelita de
Perpinyà, Barcellona Occam Commentarii (sive Quaestiones) in IV
sententiarum libros; 2) De sacramento altaris; 3) Quodlibeta VII; 4)
Tractatus de praedestinatione et praescientia Dei; 5) Expositio aurea
super «eriem veterem; 6) Summa totius logicae; 7) Summulae in libros
physicales; 8) Tractatus super libros elenchorum; 9) De relatione; 10)
Quaestiones in libros physicorum; 11) De quantitate. b)
teologico- politiche: 1) Allegaziones religiosorum virorum; 2) Opus
nonaginta dierum; 3) Dialogus inter magistrum et discipulum de potestate
papae et imperatoris; 4) Epistula ad fratres minores in capitulo apud Assisium
congregatos; 5) De dogmatibus ]ohannis XXII papae; 6) Tractatus contra
Johannem XXII; 7) Tractatus contra Benedictum XII; 8) Com pendium errorum
papae Johannis XXII; 9) Allegationes de potestate imperiali; 10) An rex
Angliae; 11) Brevilogium de principatu tyrannico (dubbio); 12) Octo quaestiones
Tractatus de jurisdictione imperatoris in causis matrimonialibus; 14) De
imperatoris et pontificum potestate; De clectione Caroli IV. c)
attribuito di scuola: 1) Cenziloqguium theologicum (molto dubbio); 2)
Tractatus de successivis; 3) De puncto et negatione; 4) De principiis theologiae;
5) Compendium logicae; 6) Quaestio de universali; 7) Quaestio de
selatione; 8) Breviloquium de potestate papae. Edizioni: critiche:
a, 1): Quaestio I principalis; ed. PH. BoHNER, Paderborn, 1939 e I dist. II, 8
in The new Schol., 1942; I dist. III, 9, 14-15, in Traditio, 1943; «, 2)
a cura di B. BrrcH, Burlington (Iowa), 1930; 2, 4) «ed. PH. BòHNER, S.
Bonaventure (N. Y.), 1945; 4, 5) PH. BOHNER, Perihergeneias, in Traditio, 1946;
«, 6) a cura di PH. B6HNER, S. Bonaventure (New York), 1951-1954 (I vol.
rist. 1957); è, 2) ed. E. R. BENNET e J. G. SikEs, in GuiLeLmi De OckHam,
Opera politica, I, Manchester, 1940 (cc. I-VI); 5, 4) ed. L. Baupry, in Rev.
hist. francis, 1926; ed. C. K. BrampPtoNn, Oxford, 1929; ed. H. S.
OrrLER, in Opera politica, III, Manchester, 1956; 5, 6), ed. H. S.
OrrLER, in Opera politica, III,(estratti e analisi in R. ScHoLz,
Unbekannte kirchenpolitische Streitschriften aus der Zeit Ludwigs des
Bayern, Roma, 1914,403-417); è, 7) ed. H. S. OrrLER, in Opera poditica, III,(analisi
ed estratti in R. ScHotz, op. cit.,403-417; è, 9) (estratti in R. ScHoLz,
op. cit.,417-431); 5, 10) ed. H. S. OFFLER, in Opera politica, I,(estratti
in R. ScHoLz, op. cit.,432-453); 5, 11), ed R. ScHotz, Lipsia, 1944; è,
12) ed. J. Sikes, in Opera politica, I, cit.; è, 13) ed. H. S. OrrLER, in
Opera politica, I, cit.; è, 14) R. ScHoLz, op. cit.,453480; ed. C. K. Brampron, Oxford, 1027; ed. W. Mutper, in Arch.
franc. Hist., XVI-XVII; 5, 15) ed. K. MiLLer, Traktat gegen Unterwer656
Bibliografia fungsformel..., Giessen, 1888; R. ScHoLz,
Conradus de Megenberg. Traktatus contra Wilhelmum Occam, in op. cit., 11,347-363;
c, 2) ed. Pu. BoHNER, S. Bonaventure (N. Y.),
1944; c, 4) L. Baupry, Le Tractatus de principiis theologiae attribut è
Guillaume d'Ockham, Parigi, 1936; c, 6) M. GraBMANN, Quaestio de
universali secundum viam et docirinam Guillelmi de Ockam (Op. et Tex., X)
Miinster, 1930; c, 7) G. E. MoHan, The Quaestio de relatione attributed
to William Ockam, in Franc. Stud., 1951; c, 8) L.
Baupry, Parigi, 1937. Inoltre F. Corvino ha pubblicato: Sette questioni inedite
di Ockham sul concetto, in Riv. crit. st. filos., 1955; Questioni di
Ockham sul tempo, ibidem, 1956; Questioni inedite sul continuo, ibidem,
1958. Altre edizioni: a, 1) Lione, 1495; a, 2) Parigi s.d., Parigi
s.d., Parigi, 1490, Strasburgo, 1491, Venezia, 1504, 1516; a, 3) Parigi,
1487, Oudendlich, s.d., Parigi s.d., Parigi 1488; Strasburgo, 1491 (rist.
anast. Lovanio, 1961); 4, 4) Bologna, 1496 (insieme ad @, 5) Bologna
1946; «, 6) Parigi, 1488, Bologna, 1498, Venezia, 1508, 1522, 1591,
Oxford, 1665; «, 7) Bologna, 1494, Venezia Roma, 1637; è, 1) BaLuze-Mansi,
Miscellanea, III,315-325; EuBEL, Bullarium franciscanum, V,388-396; è, 2)
Lovanio, 1481, Lione, 1495, in M. Gotpast, Monarchia Romani imperii,
Amsterdam, 1631, Il, Francoforte, 1668, III; è, 3) Parigi Lione, 1494, in
GoLpast, op. cit.; in R. ScHoLz, op. cit., la parte finale assente nel
Goldast (l’ed. GoLpast è ora stata ristampata fotostaticamente a cura di
L. Firpo, Torino, 1959); 6, 5) Parigi, 1476, Lione, 1495; GoLpast, op.
cit.; b, 8) Parigi, 1476, Lovanio, 1481, Lione, 1495; GoLpast, op. cit.; è, 12)
Lione, 1496; Gopast, op. cit.; b, 13) in M. FrEHER, /mperatoris Ludowici
III... sententia dispensationis, Heidelberg, 1598; GoLpast, op. cit.; c, 1)
Lione, 1495 (insieme al Commento alle Sentenze). Utile l'antologia a cura di PH. BoHNER (Ockham,
Philosophical Writings, a selection edited and translated by Pu. Bonner),
Edimburgo, 1957. Bibliografia: Ricche bibliografie generali in V.
HevncH, in Franz. Stud., 1950,164-183;
L. Baupry, Guillaume d’Ockham, Parigi, 1950, 273-294. Per il lessico
occamista v.: L. Baupry, Lerigue philosophique de Guillaume d'Ockham. Etude
des notions fondamentales, Parigi, 1958. Cfr.
inoltre Gever,781-782; De Brie, nn. 7237, 7290-7330, 7496, 7507, 7542,
7566; De Wutr, III,4951. In particolare vedi: F.
BruckMmùLLER, Die Gotteslehre W. v. Ockham, Monaco, 1911. J. Horer, Biographische Studien iiber W. von Ockham, Arch.
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W. von Ockham, Breslau, 1913. P. Doncoeur, Le nominalisme de G. d'Oc. La théorie de la
relation in Rev. néos. philos., 1921 e Le mouvement, temps et lieux
d'après Oc., Rev. philos., A. Perzer, Les 51 articles de G. Oc. censurés
en Avignon en 1326, Rev. hist. ecclés., 1922. F. FepERHOFER,
Fin Beitrag zur Bibliographie und Biographie des W. von Ockham, Philos.
Jahrb., 1925. Inem, Die philosophie des W. von Oc. in Rahmen seiner
Zeit, Franz. Stud., 1925. Ipem, Die Psychologie und die
psychologischen Grundlagen der Erkenntnislehre des W. Oc., Philos. Jour.,
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Canpau, Los principios bésicos de la etica en el ockamismo y en la via
moderna de los siglos XIV y XV, Verdad y Vita, 1960. H. KLocHer, Ockham and efficient causality, Thomist, Chojnack1,
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critique d'Occam et de Nicolas d'Autrecouri, in L'homme et son destin...,
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1960. Gualtiero Chatton Opere:
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indivisibilibus (perduto). Bibliografia: Cfr. Gever, p.
783; De WuLr, Loncpré, Gualtiero di Chatton, un maestro francescano di
Oxford, Studi franc., 1923. L. Baupry, G. de Chatton et son Commentaire des
Sentences, Arch. Hist. doctr. litt. m. &., Burleigh
Opere: 1) De vita et moribus philosophorum; De materia et forma; 3)
Commenti ad Aristotele (Etica, Logica, Fsica); 4) Summa totius logitae; 5)
Questiones metaphysicales et defensiones Thomae Aquinatis; 6) In Isagogen
Porphyrii; 7) De intentione et remissione formarum; 8) Super libros
politicorum; 9) De substantia orbis; 10) De intellectu agente; 11) In
Sent. ll. IV; 12) De Caelo et mundo; 13) In Aristotelem de Anima; De
puritate artis logicae. Colonia; ed. crit., Tubinga, 1886; 2) Oxford,
1500; 4) Venezia, 1508; 5) Venezia, 1494; 6) Venezia, 1481; 7) Venezia,
1496; 14) ed. Pu. BéHnER, S.
Bonaventure (New York), 1951. Bibliografia: Cfr. Gever, p.
788; De Wutr, III, p. 168. In particolare v.: P. Dunem,
Études sur Léonard de Vinci, Parigi, 1906-1913, II,414 K. MicÙarski, Les
courants philosophique è Oxford et à Paris pendant le XIV siecle, Bull.
Acad. Polonaise Sc. Lett., 1920. IpeM, Les courants critiques et
sceptiques dans la philosophie du XIV° siècle (Bull. Acad. Polonaise Sc.
Lett., Cracovia, 1927). IpeMm, La physique nouvelle et les
différents courants philosophiques Baupry, Les rapports de Guillaume d'Ockham
et Walter Burleigh, Riv. bist. francis. 1934. A. Marer, Zu W.
Burleighs Politik-Kommentar, Rech. théol. anc. méd., npem, Die Vorlàufer
Galileis..., cit.,98 sg., 257 sg. Ipem,
Zwei Grundprobleme..., cit.,66 sgg., 232 Ipem, An der Grenze von
Scholastik TuÒomson, Unnoticed Questiones of Walter Burley on the
Physics, Mitt. Inst. oesterreich. Geschichtforsch., 1954. P.
DuHem, Le systòme du monde SricaLr, The manuscript tradition of De vita et
moribus philoso phorum® of Walter Burley, Medievalia et Humanistica,
1957. È PERO i Adamo Woodham (o Goddam) Opere:
Commento alle Sentenze; Quaestiones; Commenti ad Aristotele.
Edizioni: Il Commento, abbreviato per magistrum Henricum de Hoyta, Parigi
GeveRr,782-783; DE Wutr, III, p. 91. G. LirtLe, Tra Grey Friars in Oxford, Oxford, 1892,172
F. EÒÙrte, Das Sentenzenkommentar Peters von Candia..., cit.,96-103.
K. MicHaLSsKI, Le criticisme et le scepticisme dans la philosophie du
XIV* siècle,ii Roberto Holkot Opere:
Quaestiones super IV libros Sententiarum; Quodlibeta; Commenti
scritturali. Edizioni: Quaestiones super IV
ll. Sent., Lione, 1947, 1505, 1518; Utrum theologia sit scientia a
quodlibet question, ed. J. T. Mucxie, Med.
Stud., GevER, p. 783. In particolare: P. Dunem, Études sur Léonard
de Vinci, cit., II, 399-403. K. MickÒats€i, Les courants
philosophiques è Oxford et è Paris pendant le XIV? siècle, Inem, La
physique nouvelle et les différents courants philosophiques en XIV°
siècle, Ipem, Le problème de la volonté è Oxford et à Paris au XIV®
siècle, in Commentariorum Societatis philos. Polon. t. II,233-265,
Leopoli, GLomeux, La litterature quodlibétique, cit, II,258-261.
A. Meissner, Gotteserkenntnis und Gotteslehre nach dem englischen Dominikanertheologen
R. Holkot, Limburgo-Lahn, 1953. P.
DuHEM, Le système du monde, THorwnpike, A new Work by R. Holkot, Arch. int. Hist. sc. Buckingham Opere: Quaestiones
sulle Sentenze; Quaestiones disputatae; Tractatus de infinito. MicHaLski,
Les courants philosophiques è Oxford et è Paris pendant le XIV siècle,
Inem, Le problème de la volonté è Oxford et è Paris au XIV® siècle,
M.-D. CHenu, Les Quaestiones de Thomas de Buchingam, Stud. med. in
honorem R. I. Martin, Bruges, Bradwardine De causa Dei contra Pelagium et
de virtute causarum; 2) Arithmetica speculativa; 3) Geometria
speculativa; 4) Tractatus de proportione motuum; Incerta l’esistenza di un
Commento alle Sentenze. ed. E. Savire, Londra, 1618; 2) Parigi, 1495,
1530; 3) Parigi, 1495, 1516; 4) Parigi, 1495, Venezia, 1505, Vienna,
1505; e in H. L. Crosry, 'Th. of Bradwardine. His tractatus de proportionibus. Its significance
for the development of mathematical physics, University of Wisconsin,
1955. Bibliografia: Cfr. Gever, p. 788; De Brie,
n. 7252-7253; De Wutr, III, p. 168. In particolare v.:
S. Haxn, TA. Bradwardinus und
seine Lehre von der menschlichen Willensfreiheit (*Beitrige, V, 2), Miinster,
1905. P. DuHem, Études sur Léonard de Vinci, MicHats€i, Les
courants philosophiques è Oxford et è Paris..., Inpem, Le problème de la
volonté è Oxford et è Paris au XIV siècle, F. Laun, TA. von Bradwardin,
der Schiiler Augustins und Lehrer Wiclifs, Zeitschr. f. Kirchengesch.,
1928. Inpem, Recherches sur Th. Bradwardine, précurseur de Wicliff,
Rev. hist. philos. relig., 1929. Inem, Die Praedestination
bei Wicliff und Bradwardine, in Imago Dei, Giessen, 1932. B.
M. Xiserta, Fragments d'una qiiestio inédita de T. Bradwardine, in Aus
der Geisteswelt des Mittelalters, cit.,1169-1180. 662
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1936. A. Marr, Die Vorliufer Galileis..., cit.,88 InpeM, An
der Grenze von Scholastik Dunem, Le système du monde, cLerr, TA. Bradwardine's De causa Dei) Jour. eccl. hist.,
1956. H. A. Osermann, Archbishop Th. Bradwardine. A fourtheenth
Century augustinian. A study of his theology in its historical context,
Utrecht, 1957. H. A. Osermann]. A. WeISHEIPL, The Sermo
epicinus ascribed to Th. Bradwardine (con testo), Arch.
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Opere: Commento alle Sentenze; De usuris, ed altri numerosi scritti
inediti, Edizioni: Commento, Parigi, 1482, 1487, 1494, 1647,
Venezia, 1532; (rist. St. Bonaventure, Lovanio, Paderborn, 1955); De
wswuris, Rimini, Gever, p. 783; De Brie, nn. 7379, 7496; DE WuLF,
III, p. 102. In particolare v.: J. WirsoòrrEr, Erkennen
und Wissen nach G. von Rimini (Beitrige, XX, 1), Miinster, 1917.
P. Dunem, Études sur Lfonard de Vinci, cit.,
1I,385-390. P. Vicnaux, Justification et prédestinamon au XIV
siècle, Parigi, 1934. M. ScuùLer, Pridestination, Stinde und
Freiheit bei Gregor von Rimini, Forsch. z. Geistesgesch., III, Stoccarda,
1934. H. ELie, Le complexe significabile Parigi, Mar, Die Vorliufer
Galileis..., cit.,172 sgg., 176 sgg., 210-214. Inem, An der Grenze
von Scholastik..., cit.,112 P. DuHEem, Le système du monde Mirecourt
Opere: Comment. alle Sentenze; due Apologiac; Quaesiones. Edizioni:
Cfr. C. Du PLEssIS D'ARGENTRE, Collectio iudiciorum, 1, Parigi, DenirLe,
Chartularium Universitatis Pari siensis, II, Parigi, con il testo delle
proposizioni condannate nel 1347); Apologiae, ed. F. SrecmùLLER, in Rech.
théol. anc. méd., 1933; Giovanni di Mirecourt, Questioni inedite sulla
conoscenza, a cura di A. FranzineLLI, Riv. crit. st. filos.,Gever, p.
783; De Wutr, III, p. 117. In particolare v.: S. Haun, TA.
Bradwardinus und seine Lehre von der menschlichen Willensfreiheit, cit.,50
A. Birkenmayer, Ein Rechifertigungsschreiben ]. von Mirecourt (Beitrige,
XX, 5), Miinster, 1922. J. Horer,
Biographische Studien iiber Wilhelm von Ockham, cit., 230 K. MichHatski,
Les cowrants philosophiques è Oxford et è Paris... cit., 78-81.
IpeM, Les sources du criticisme et du scepticisme dans la philosophie
du XIV® siècle, in La Pologne au Congrès int. de Bruxelles, Cracovia,
1924. Ipem, Le criticisme et le scepticisme..., IpeM, Le
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Candia, Ceffons cfr.: D. Trapp, Peter Ceffons of Clairvaux, Rech. théol.
anc. méd., 1957. Nicola d'Autrecouri Opere: Commento
al I delle Sentenze; Commento alla Politica; Epi stole a Bernardo
d'Arezzo; Exigit ordo executionis. Edizioni:
Epistole in J. Lappe, N. von Autrecourt... (cfr. bibl.); Exigit
ordo executionis, in }. R. O°DonneL, Nicholas oj
Autrecourt... (cfr. bibl.). Bibliografia: Atti del processo in DENIFLE,
Chartularium, cit., II, 756-787. J. Lappe, N. von Autrecourt.
Sein Leben, seine Philosophie, seine Schriften (Beitrage, VI, 1), Miinster, Rasupatt,
N. de Ultricuria, a mediaeval Hume, Proceed. of the Aristotelian Soc., Manser,
Drei Zweifler am Kausalprinzip im XIV Jahrh., Jahrb. f. Philos. spekul. Theol., 1912. K. MicHatsri,
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filos. neosc., DuHEM, Le système du monde, La bibl. generale in GeyER, p. 783; De Brie,
nn. 7660-7661; De Wutr, III, Buridano Summulae o Compendium
Logicae Quaestiones in libros Politicorum Aristotelis Quaestiones super
octo physicorum libros; 4) Quaestiones in libros Politicorum Aristotelis;
5) Quaestiones in libros de gnima; 6) In metaphysicam Aristotelis
quaestiones; 7) In Ethicum quae stiones. Edizioni: 1) Parigi,
1487; 2) Parigi, 1500; 3) Parigi, 1509; 4) Parigi, 1516; 5) Parigi; il
Tractatus de suppositionibus a cura di M. E. Reina, in Riv. crit. st. filos., 1957. Bibliografia: cfr. Gever,783-784; De Brie, n. 7640; De
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éditions te le contenu de ses ocuvres, Arch. Hist. doctr. litt. m. 8.
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problema del linguaggio in Buridano, Riv. crit. st. filos.,
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1959. L. N. Roserts, A chimera is a chimera, a medieval tautology, Journ.
Hist. Ideas Odone varie Quaestiones in logicam, un Commentario în
libros decem Ethicorum, e un Commento alle Sentenze. Edizioni: Il
Commentario all’Ethica, Venezia, BartoLoMÉ, Fr. Ger. de Odon, Murcia,
1928. P. DuHem, Le système du monde, Marer, Die
Vorliufer Galileis..., cit.,161 sgg., 166. IpeM,
Zwei Grundprobleme..., cit.,69 Giovanni Marbres Opere:
Quaestiones sulla Fisica (1329-1342). Edizioni: Padova, 1475; Venezia,
1492, 1516, 1520. Bibliografia: L. Baupry, En lisant Jean le
Chanosne, Arch. hist. doctr. litt. m. 4. 1934. A. Marr, Die
Vorliufer Galileis. IpeMm, Zwei Grundprobleme..., cit.,69 sgg., 199
lpem, An der Grenze von Scholastik. DuHem, Le système du monde, cBonet
Opere: Commenti alla Metafisica, alla Fisica, alle Categorie, una Theologia
naturalis, Formalitates in via Scoti. Edizioni: Venezia BarceLonE,
N. Bonet Tourangeau, doctor proficuus, Etud. Franc., 1925. F.
O'Brian, in DHGE, Doucer, in Arch. franc. hist., 1933-1934. A.
Maier, Die Vorliufer Galileis..., cit.,177 sgg., 207 IpeMm, Zwei
Grundprobleme..., cit.,198 P. Dunem, Le système du monde Fitz Ralph
Opere: Commento alle Sentenze; Sermones; Summa contra Armenos.
Bibliografia: Cfr. De Wutr, III, p. 168. K. MicHALSRI, Le
criticisme et le scepticisme..., Ipem, Le problème de la volonté...,
A. Gwwnn, Richard Fitz Ralph, Archbishop of Armagh, Studies, Maier, Die
Vorldufer Galileis..., cit.,174 Giovanni Baconthorpe Opere:
Commento alle Sentenze; vari Commenti scritturali; Commenti al De anima,
alla Metaphysica, all'Ethica di AristorELE; Commenti al De trinitate e al
De civitate Dei di Acostino; Commento agli scritti di Anselmo di Aosta;
Quodlibeta; Sermoni spirituali. Edizioni: Il Commento alle
Sentenze nelle edizioni di Lione, 1484; Parigi Milano Venezia Cremona, 1618;
Madrid, 1754. I Quodlibeta nell'ed. di Cremona t. 2 inf. e Venezia GEvER,
p. 787. In particolare: B. Xiserta, De magistro |.
Baconthorpe, Anal. Ord. Carm., 1927. Ipem, Joan Baconthorpe
Averroista?, Criterion, 1927. Ipem, De scriptoribus scholasticis s.
XIV ex Ordine Carmelitarum, Lovanio Crisocone du Saint-SacraMENT, Maftre Jean
Baconthorpe, Rev. néosc. philos.,
1932. K. LyncHn, De distinctione intentionali apud |. Baconthorpe, Anal.
Ord. Carm., 1932. Nico di S. Brocarpo, I! profilo storico
di Giovanni Baconthorpe, Ephemerides Carmeliticae, 1948. A. Marer,
Zwei Grundprobleme.., cit.,57 sgg., 191 Anastasio di S. Paoro, in DHGE,
VI, 87-90. B. Smattey, /. Baconthorpe's postill on
St. Matthew, Med. Ren. Stud., 1958. Giovanni
di ]andun Opere: De laudibus Parisius; Commento all'Expositio
problematum Aristotelis di Pietro d’Abano; Commentari al De anima, De
coelo et mundo, Physica, Metaphysica di Aristotele e al De substantia
orbis di Averroà. Avrebbe inoltre scritto le seguenti opere di cui non è
rimasta traccia: Quaestiones de formatione foetus; Quaestiones de gradibus
et pluralitate formarum; Tractatus de specie intelligibili; Duo tractatus
de sensu agente. Edizioni: De anima, Venezia Physica, De Caelo
et mundo, ivi, 1501; Parva naturalia, ivi, 1505; Metaphysica, ivi, 1525;
tutte più volte ristampate; De substantia orbis, ivi, 1481; De laudibus
Parisius, ed. Le Roux pe Lincy e
TissERanT, in Paris et ses historiens au XIV® et XV* siècles, Parigi,
1868,1-79. Bibliografia: Cfr. Geyer, p. 786; De Wutr, IVators, Jean
de ]Jandun, in Histoire litt. de France, 33, Parigi, 1906, 528-623.
P. Dunem, Le système du monde, cit., IV,96-104; V,571-580;
VI,534-536, 543-575. E. Girson, É:udes de philosophie
médiévale, Parigi, 1921,51-75. J. Rivière, in DThC, VIII,
764-765. M. Grasmann, Mittelalterliches Geistesleben, cit.,
II. A. Marr, Die Vorliufer Galileis..., cit.,185 Ipem, An der
Grenze von Scholastik Dunem, Le système du monde Maurer, John of Jandun and the
Divine Causality, Med. Stud., THornpIKE, Jean de Jandun on
Gravitation, Jour. Hist. Ideas. GricnascHI, Il pensiero politico e
religioso di Giovanni di ]andun, Bull. Ist. stor. ital. m. e.,
1958. + PaccHi, Note sul Commento al De anima di Giovanni di
]andun, Riv. crit. st. filos. lac] > zrp Parma Commento
al De anima; due Quaestiones disputatae; Quaestio de augmento; Quaestio
de elementis; Expositio sulla Theorica planetarum di Cremona. Le Quaestiones
de anima di Parma, cur. Vanni-RovicHi, Milano, Brie, n. 7672; De Wutr, III, p.
175. In particolare v.: M. Grasmann, Mittelalt.
Geistesleben, Vanni-RovicHi, La psicologia averroistica di T. da P., Riv.
filos. neoscol., Marr, Ein Beitrag zur Gesch. des italienischen
Averroismus im XIV., Jahrh., Quellen und Forsch. aus ital. Arch. u.
Bibl., Ipem, Die Vorlaufer Galileis. Ipem, An der Grenze von Scholastik. Arezzo
Commento all'Isagoge; Commento alle Categorie Grasmann, Mittelalt.
Geistesleben, Gubbio Quaestiones; Commento alle Meteore; Quaestiones de
anima Piana, Contributo allo studio delle correnti dottrinali nell'Univ. di BOLOGNA
Ant. A. Marr, Die Vorlaufer Galileis. URBANO
da BOLOGNA Trattato sui Commenti averroistici alla Physica Venezia con
prefazione di Vernia. Wutr, SorsetLI, Storia dell'Università di BOLOGNA, Bologna,
Abano Conciliator differentiarum phylosophorum et praecipue medicorum;
Liber compilationis physonomiae; Expositio problematum Aristotelis; Lucidator
astronomiae, ed altre inedite. Edizioni: Conciliator, Venezia,
1476; Liber.., ivi, 1482; Expositio, Padova; Lucidator, frammenti in P. DuHEM,
Le système du monde, IV, Parigi, Gever, p. 786; De Brie; De WuLF, III, p.
175. S. FerrarI, / tempi, la vita, le dottrine di Pietro d’Abano,
Genova, 1900. Ipem, Per la biografia e per gli scritti d’Abano, Mem. R.
Accad. dei Lincei, Narpi, La teoria dell'anima e la generazione delle
forme secondo Abano, Riv. filos. neosc., DuHem, Le système du monde Narpi,
Intorno alle dottrine filosofiche d’Abano, N. Riv. stor. ALIGHIERI e ABANO,
Saggi di filosofia dantesca THÒornpikE, A History of magic and experimental
Science, con Bibl. completa degli scritti Gucon, Abano e l'averroismo padovano,
Atti XXVI riunione Soc. ital. progr. sc. Roma Troito, Averroismo e
aristotelismo padovano, Padova Inem, Per l'averroismo padovano o veneto, Atti
R..Ist. Veneto, Narpi, Studi sull’aristotelismo padovano dal secolo XIV al XVI,
Firenze, rivisti e rielaborati Ascoli L’Acerba; De principiis
astrologiae; De eccentricis et de epyciclis; Tractatus in sphaeram.
Edizioni: L’Acerba, a cura di P. Rosario, Lanciano; di A. Crespi,
Ascoli Piceno, 1927; De principiis..., ed. G. Borriro, Firenze, 1905; De
eccentricis..., ed. BorFITO Casretti, La vita e le opere di ASCOLI, Bologna PaoLETTI,
Ascoli, Bologna, Beccaria, I biografi di Cecco d'Ascoli e le fonti per la sua
storia e la sua leggenda, Mem. Acc. sc. di Torino, Eckhart Opere:
"Tra le mumerose opere in latino e in volgare citiamo: Reden der
Unterscheidung; Collatio in librum Sententiarum; Tractatus super Oratione
dominica; Quaestiones: Utrum in Deo, Utrum intelligere Angeli; Utrum laus Dei;
Quaestiones: Aliquem motum, Utrum in corpore Christi; Buch der gottlichen
Trostung; Sermone vom dem edlen Menschen; Opus tripartitum; Opus expositionum Prologi,
In Genesim; In Exodum; In Eccl. In Sapientiam, In Genesim I (II forma);
In Exodum (Il forma); In Genesim Il; Liber parabolarum Genesis, In
Johannem; Sermoni lat. e ted. Edizioni: Le Opere latine a cura del
DenirLE in Arch. f. Liter. und Kirchengesch. d. Mittelalter; le Opere
tedesche, già edite a cura di F. PreiFrFer (in Deutsche Mystiker des-XIV
Jahrh., II, Gottinga), sono ora edite insieme alle latine da W.
KoHLHAMMER, a cura di K. Werss, J. Kock, K. Christ, E. Benz, J. Quint,
Stoccarda-Berlino, Un’altra ed. delle op. latine a cura di G. THfry e di R.
KLIBANSKI, Lipsia si è fermata al f. III. Tra le tradd. it. ricordiamo:
Prediche e trattati, a cura di G. C. con intr. di E. Buonaruti, Bologna, e
l’ant. La nascita eterna (con testi a fronte) a cura di G. Faccin,
Firenze. Per altre edizioni particolari di testi e documenti cfr.:
G. Tufry, Édition critique des pièces relatives au procès d'Eckhart, Arch.
Hist. doctr. litt. m. à.,; Le Commentaire de
M. E. sur le livre de la Sagesse Loncpré, Questions inédites de M. E., Rev.
Néoscol. Philos. Neuaufgefundene Pariser Questionen M. E. und ihre Stellung in
seinem geistigen Entwicklungsgange, a cura di E. LoncpPré e di M.
GRABMANN, Abhandl. Bayer. Akad. Philos. Kl., Monaco GevER, Quaestiones et
sermo parisienses, Bonn. Per l’amplissima bibl. cfr. Gever; De BRIE Wutr, Cfr.
anche G. Faccin, M. E. e la mistica preprotestante, Milano. Ci limitiamo
qui a citare: F. Jostes, M. Eckhart und seine Jiinger, Lipsia, Hornsrein,
Les grands mystiques allemands du XIV siècle, Lucerna, LeHMmann, Meist. Eckhart,
Jena Karrer, Meist. Eckhart, Monaco, VOLPE, Il misticismo speculativo di
Maestro Eckhart nei suoî rapporti storici, Bologna Seeserc, Meister
Eckhart, Tubinga, OLtManns, M. Eckhart, Francoforte, Peters, Gottesbegriff M.
Eckharts, Amburgo, Dempe, Meist. Eckhart. Eine Einfiihrung in sein Werk,
Lipsia, 1n. e. Friburgo Laurent, Autour du procès de Maître Eckhart. Les documents des Archives Vaticanes, Div.
Th." (P.) BoLza, Meister Eckhart als Mystiker, Monaco DaLcmann, Die
Anthropologie Meister Eckharts, Tubinga MiLLer-THyn, On the University of Being
in Meister Eckhart, New York, EseLinc, Meister Eckharts Mystik.
Studien zu der Geisterkampfen um die Wende des 13 Jahrh.,
Stoccarda, CLark, The Great German Mystics, Eckhart, Tauler, Suso, Oxford. Spann,
M. Eckharts mystische Philosophie, Vienna, Licxer, M. Eckhart und die Devotio
Moderna," Leida DenirtLe, Die deutschen mystiker des 14. Jahrhunderts. Beitrige
zur Deutung ihrer Lehre, nuova ediz. a cura di O. Spiess, Friburgo,
Detta Votpe, Eckhart o della filosofia mistica, Roma, H. Hor, Scintilla animae.
Eine Studie zu einem Grundbegriff in Meister Eckharss Philosophie...,
Lund-Bonn, Tu. StemBucHEL, Mensch und Gott in Frimmigheit und Ethos der
deutschen mistik, Diisseldorf BinpsHepLERr, Meister Eckharts Lehre von
der Gerechtigheit, Stud. Philos. ScHmoLpt, Die deutsche Begriffssprache
Meister Eckharts Studien zur philos. Terminologie des
Mittelhochdeutschen, Heidelberg SrePHENSON, Gortheit und Gott in der
speculativen Mystik Meister Eckharts, Bonn Kopper, Die Metaphysik Meister
Eckharts, Saarbriicken AnceLET-HusracHe, Maftre Eckhart et la mystique rhénane,
Parigi LueseNn, Die Geburt des Geistes. Dus
Zeugnis M. Eckharts, Berlino Wilmersdorf Or.rmanns, M. Eckhart,
Francoforte sul Meno, KeLLec, M. Eckharts doctrine of divine subjectivity, Downs.
Rev., Kertz, M. Eckhart's teaching on the birth of the divine Word in the
soul, Traditio FiscHEr, Die theologischen Werke M. Eckharts, Schol. Benz,
Mystik als Seinserfiillung bei M. Eckharts in Sinn und Sein, cin philos. Symposion F. S. von Rintelen gewidmet, Tubinga, Lossxy,
TAéologie négative et connaissance de Dieu chez M. Eckhart, Parigi Eckhart
der Prediger. Festschrift 2. Eckhart-Gedenkjahr. Hrsg. von M. Nix u. R.
OecxHstin, Friburgo, Basilea, Vienna, Héoi, Metaphysik u. Mistik im Denken des
M. Eckhart, Zeitschr. f. kathol. Theol. GPKHEV. M
Tauler Opere: Sermoni: edd.: Lipsia, Augusta; Basilea, Colonia; in
ted. moderno, Francoforte s. M., trad. lat.: Colonia, Trad. it.: Sermoni,
a cura di R. Spaini Pisaneschi, Firenze; Prediche, Milano, Trad. franc.:
Parigi, Gever De Brie Naumann, Untersuchungen zu ]. Taulers deutschen
Predigten, Halle MùtLer, Luther und Tauler auf ihren Zusammenhang
untersucht, Berna Hucueny, Le doctrine mystique de Tauler, Rev. sc.
philos. théol., THéry, Esquisse d’une vie de Tauler, Suppl. de la Vie
Spirituelle, WentzLarr-EccesErT, Studien zur Lebenslehre Taulers, Berlino, PourraTt,
Le spiritualité Chrétienne, II, Parigi, DThC LieFrrInck, De middelnederlandsche
Taulerhandschriften, Groninga, Ganpitac, De Johann Tauler à Heinrich
Seuse. Leur doctrine spirituelle, Étud. GermaniquesValeur
du temps dans la pédagogie spirituelle de Jean Tauler, Conférence Albert le
Grand, Montréal TERMENÉN SoLfs, Trascendencia del conoscimiento racionale en
Tauler, in L'homme et son destin. Scuse Btichlein der Wahrheit;
Biichlein der ewigen Weisheit; Leztere; Epistole; L'Exemplar (correzione delle
copie inesatte dei suoi scritti); Horologium Sapientiae. Opera
ed. crit. di K. BreHLMEyER, Stoccarda; dell’Exemplar in ted. mod. a cura di H.
DenirLe, Monaco; nuova ed. dello Horologium, Torino, tr. fr. Oeuvres mystiques du b. Henri Suse, di G. THirioT,
Parigi, tr. it. Diglogo della Verità, a cura di A. LEvASTI, Lanciano;
Scritti scelti, a cura di R. Sparni-PisanEscHI, Torino; Il libro della
saggezza eterna, Milano. Cfr. inoltre: Pranzer, Der Textgeschichte und
Textkritik des Horologium Sapientiae des sel. Heinrich Seuse, Div. Th.
(F.) Faccin, Meister Eckhart e la mistica tedesca preprotestante E cfr. Geyer; De Brie, nn. ; De Wutr,
Til. In particolare: S. HaHn, H.
Susos Bedeutung als Philosoph, Beitrige, Suppl. 1, Miinster. X. De Hornstern, Les grands
mystiques allemands Le b. Henri Suse, Rev. tom., Levasti, Enrico Seuse, Riv.
filos. neosc. ScHwarz, Das Christusbild des deutsch. mystikers H. Suso,
Bamberga Wermann, Die Seusesche Mystik und ihre Wirkung auf die bildende
Kunst, Berlino Gròser, Der Mystiker Hein. Seuse, Friburgo. J.
AnceLET-HusracHe, Le 5. H. Suse, Parigi Bizet, Henry Suso et le déclin de la
Scholastique, Parigi Ganpittac, De Johann Tauler è Heinrich Sceuse..., cit., Étud.
Germaniques, Cfr. inoltre: J. H. NicoLas, Études sur Susé, Rev. thom. Ruysbroeck Trattati
in dialetto fiammingo tra i quali particolarmente importanti: Il regno degli
amanti di Dio; Le nozze spirituali; Lo specchio della salute eterna; Il
libro della più alta verità; Il libro dei dodici beghini.
Edizioni: Werken, ed. compl., Anversa tr. it. Lo specchio dell'eterna
salute, in F. Fori, Vita e dottrina del b. Giovanni Ruysbroeck, Roma L'ornamento
delle nozze spirituali, tr. D. GruLiorti, Lanciano, ; Pagine scelte, tr.
di G. Mariani, Milano; Gradi dell'amore spirituale (col titolo Vita e dottrina
del b. G. Ruisbrochio), tr. F. N., Torino;
tr. franc.: Oeuvres de Ruysbroeck l’Admirable, Bruxelles, Ruysbroeck. Leven,
Werken, Malines-Amsterdam; cfr. GEYER Dr Brie De Wutr Cfr. inoltre:
G. DoLezicH, Die Mystik J. v. Ruysbroeck de: Wunderbaren, Breslauer
Stud. z. hist. Theol., Voorne, Ruusbroec en de geest der mystick, Anversa, Bricuf,
in DHhC,Comes, Essai sur la critique de Ruysbroeck par Gerson, Parigi Ampe,
Kernproblemen uit de leer van Ruysbroeck, Tielt. P. Henry, La
mistique trinitaire du Bienheureux Jean Ruusbroec, Rech. sc.
relig. Per Gerardo di Groot vedasi: Gerardi Magni Epistolae, a cura di W.
MurLper, Anversa, Chronica Montis Sanctae Agnesis, a cura di M. J. Pont,
Opere di Tommaso da Kempis, VII, Friburgo, Post, De Moderne
Devotie, Geert Groote en zijne stithtingen, Amsterdam. Per il
Francofortese o Deutsche Theologie cfr. l’ed. Un, Berlino a. c. Prezzolini). La
bibl., in Faccin, Giovanni Eckhart e la mistica preprotestante. V., La Teologia
tedesca Riv. crit. st. Filos Wycliff De ideis; Tractatus de logica; Summa
de ente; De dominio divino; De civili dominio; De veritate Scripturae; De
Ecclesia; De officio regis De potestate Papae De ordine christiano De apostasia
De eucharestia Trialogus ed altri scritti minori filosofici e
teologico-politici. La Opera a cura della Wycliff Society di Londra; il
Trialogus anche nell’ed. LecHLER, Oxford; la Summa de ente (L. 1, tr.
1-2), Londra, Sul significato e l’opera storica di W. cfr. soprattutto Mannino,
Cambridge medieval History Cambridge e ampia bibl. Poore, Wicliff and the
movements for Reform, Londra GarronER, Lollardy and the Reformation in England,
Londra LosertH, Wiclif und der Wiclifismus, Realencycl. f. prot. Theol. u. Kirche con ampia bibl. Workman, /. Wiclif.
A Study of the English medieval Church, Oxford. S. H.
TÒÙomson, A /ost chapter of Wiclif Summa de ente Cambridge, The
philosophical basis of Wiclif theology, Jour. of relig. STEIN, Another lost
chapter of Wiclif Summa de ente Spec. Baupry,
A propos de Guillaume d'Ockham et de Wiclif, Arch. Hist. doctr. litt. m.-.Cristiani, in DThC.
W. Lanc, Glauben und Wissen bei Pecok und Wicliff, Diesdorf, Mc Fartane,
Wiclif and the Beginnings of English nonconformity, Londra Huss Opera
Omnia, ed. FLAsJHANS - M. KominskovA, Praga v. anche: /. Hus et Hieronimi
Pragensis martyrum Christi historia et monumenta, a cura di FLacio
ILLiRIco, Norimberga, KruMmmEL, Geschichte der bbemischer Reformation, Gotha LoserTH,
Hus und Wicliff zur Genesis des husitisch. Lehre, Praga, Monaco, LecHier,
Johannes Huss, Halle Lirzow, Life and times of master J. Huss ScHarr, /. Huss.
His Life, Teaching and Death after five hundred years, New York Haucx,
Srudien zu J. Huss, Lipsia EurLE, Der Sentenzekommentar Peters von Candia MoncetLe,
in DThC Srrunz, /. Hus, sein leben und sein Werk, Monaco, 1927. H.
ZarscHEK, Studien z. Gesch. der Prager Universitàt, Mitt. des Vereins f.
Gesch. deutsch. Sudetenlinders Trapp, Clem. Unchiristened Nominalism and
Wycliffite realism at Prague um 1381, Rech. théol. anc. méd. Oresme Commento alle Sentenze (perduto, tranne il De
communicatione idiomatum Quaestiones su Euclide; Tractatus de configurationibus
formarum; Parafrasi francesi di Politica, Economica, Etica di AristotELE;
Livre du ciel et du monde; Traicté de la prémière invention de la monnaie Traicté
de la sphère Commentaire aux livres du ciel et du monde; 8) Commenti alla
Physica ed ai Metereologica. Parigi Politica ed Economica Parigi
Etica; della parafrasi all’Etica cfr. ed. A.
D. MenuT, New York e dell’Economica l’ed. A. D. MEnUT, Filadelfia, ed. A. D.
MenUT - A. J. DenoMy, in Med. Stud., ed.Wotowsxi, Parigi ed. Jonnson,
Edimburgo Parigi La bibl. generale in GEveR, p. 784; De Brie; De Wuctr Bripey,
N. Oresme. La théorie de la monnaie au XIV siècle, Parigi Dunem, Études sur
Léonard Le système du monde WiecertNnEr, N. Oresme und die graphische
Darstellung der Spàtscholastik, Natur u. Kultur DincLer, Ueber die Stellung von
N.s Oresme in der Geschichte der Wissenschaften, Philos. Jahrb. THorNDIKE, History of magic and experimental
Science, III, New York. BorcHerRT, Die Lehre von der Bewegung bei N.
Oresme (Beitrige), Miinster THoRrNDIKE, Celestinus, Summary of Nicols Oresme, Osiris
Kaiser, Before Copernicus, Nicolaus of Oresme, America BocHERT, in (Beitrige,y XXXV, 4-5), Miinster con
led. del De communicatione idiomatum). A. Mar, Die Vorliufer
Galileis IneMm, Zwei Grundprobleme An der Grenze von Scholastik Metaphys.
Hintergriinde der spatscholastischen Naturphilosophie, Roma, THoRrNpIKE, Oresme
and commentaries on Metereologica, Isis PepersEN, Nicole Oresme og hans
naturfilosofiste system, Copenhagen, MarzHIEU, dd la recherche du De
Anima de Nic. Oresme, Arch. Hist. doct. litt. m. à. Zousov,
Sur un écrit faussement attribué a N. Oresme, [De instantibus)ì, Arch. Hist.
doctr. litt. m. à. L'inter omnes impressiones de Nicole d'Oresme, (con testo) Arch.
Hist. doct. litt. m. d., ore mm ce Alberto di Sassonia Tractatus
logicace; Quaestiones in logicam Guill. Occam; Sophismata; Tractatus
proportionum; Tractatus de quadratura circuli; Quaestio de proportione
diametri quadrati ad costam ciusdem; Post. Analyticos; Quaestiones super
octo ll. Physicorum; In libros de coelo et mundo; De generatione et corruptione;
Ezxpositio super decem ll. Ethicorum Aristotelis; De sensu et de sensato.
Edd. v. GEvER Gever Wutr, JuLLian, Un scolastique de la décadence, Albert de
Sore, Rev. August Dunem, Ezudes sur Léonard Le système du monde, Hripinesrerper,
Albert von S.; ein Lebensgang und sein Kommentar z. Nikom. Ethik Aristot.
(Beitrige), Miinster, MicHatski, Le criticisme et le scepticisme dans la
philosophie du XIV° stècle, IneM, La physique nouvelle et les
différents courants philosophiques.., cit. A. Mar,
Die Vorlaufer Galileis..., cit., passim. Inem, Zwei
Grundprobleme..., cit., passim. Inem, An der Grenze von Scholastik Per
gli scritti matematici: B. Boncompacni, Intorno al Tractatus
proportionum di Alberto di Sassonia, Bull. di bibl. stor. scienze nat. fis. Sutez, Der Tractatus de quadratura circuli des Albert d.
S., Zeitschr. f. Mathem. u. Phys. Die Quaestio de proportione diametri
quadrati ad costam eiusdem Inghen Textus dialectices de suppositionibus Expositio
super Analyt. post. Abbreviationes libri Physicorum Aristotelis Quaestiones
subtilissimae super VIII libros physicorum secundum nominalium viam; Quaestiones
de gencratione et corruptione; Quaestiones super IV. Il. Sententiarum Vienna
Venezia Lione Venezia sotto il nome di Duns Scoto, c quindi
inserite nella ed. delle sue opere Venezia Strasburgo Gever De BRIE Dunem,
Érudes sur Léonard Le système du monde MicHasri, Les courants philosophiques. Le
criticisme et le scepticisme EHnLE, Der Sentenzentommentar Peters von Candia,
cit., passim. G. Ritter, Studien 2. Spétscholastik, I. M. von
Inghen und die Okkam Schule in Deutschland, Vienna, Ma:ER, Die Vorlàufer
Galileis..., cit., passim. Iper, Zwei Grundprobleme An
der Grenze von Scholastik Hainbuch Opere: Fil. teol: De reductione
effectuum; De habitudine causarum; Contra astrologos; Commento alle
Sentenze; Commentario alla Genesi. Canonistiche:
Tractatus de contractibus emptionis et venditionis; Epistula de
contractibus emptionis et venditionis ad consules viennenses. Politico
religiose: Epistula pacis; Consilium pacis. Ascetiche: Speculum animae;
De contempu mundi. Edd., trad. v. GEYER Gever; DE Wes Harrwic, Leben und
Schriften des H. von Langestein AscHsacH, Geschichte der Wiener Universitàt,
Vienna Rorx, Zur Bibliographie des H. Hainbuch de Hassia dictus de
Langestein, Beihefte zum Zentralblatt fiir Bibliothekswesen Pruckner, Studien
zu den astrologischen Schriften des H. von Langestein, Lipsia, Maier, Zwei
Gundprobleme Dunem, Le système du monde Totting di Oyta Commentario alle
Sentenze Tractatus moralis de contractibus reddituum annuorum Quaestiones
logicae super Porphyrium; Tres libri philosophici de anima, o Magistrales
tractatus de anima et potentiis eius Parigi, la Quaestio de Sacra Scriptura
nell’ed. crit. di A. Lanc, Miinster AscHsacH, Geschichte d. Wiener
Universitàt, SoMMERFELDT, in Mitt. d. Institut f. Gsterreis. Geschichtsforsch.,
Dunem, Le système du monde MicHar.sKi, Le criticisme et le scepticisme EnrLE,
Der Sentenzenkommentar Peters von Candia, Lane, H. Totting von Oyta, (Beitrige Miinster. Rucker, Zum Problematik der Spatscholastik, Theol. Rev.
Decker, Ein fundamentaltheologischer Traktat des mittelalters CH. Totting
v. Oyta, Quaestiones super libros Sententiarum], Wiss. Weish La bibl.
generale, in GevER De Brie, Dv» Heytesbury Opere: Le
sue numerose opere di logica sono pubblicate sotto il titolo: Tractatus
Guillelmi Heutisberi de sensu, composito et diviso; Regulae ciusdem cum
sophismatibus (con una Declaratio e Expositio litteralis di Gaetano da
Tiene); Tractatus Heutisberi de veritate et falsitate propositionis, Venezia, PrantL,
Gesch. d. Logik. DuHem, Études sur Léonard Marr, Die Vorliufer Galileis. An der
Grenze von Scholastik Wison, W. Heitesbury..., Madison, DuHEMm, Le système du
monde, Swineshead i Opere: Commento alle Sentenze; De
insolubilibus; Obligationes; De motibus naturalibus; Calculationes Padova
DuHem, Études sur Léonard MicHaLsxki, Le criticisme et le scepticisme Maier,
Die Vorlaufer Galileis Zwei Grundprobleme. InpeM, An der Grenze von
Scholastik CLacett, R. Swineshead and late medieval physic, Osiris DuHEm, Le
système du monde Sui Calculatores di Merton GRICE cfr. inoltre sotto la bibl.
generale alla voce Scienze, in particolare il testo di A. C. CromBIE,
Augustine t0 Galileo THornpikE, A History of magic and experimental
science Pelacani Opere: Quaestiones de latitudinibus formarum;
Quaestio de tactu corporum durorum; Quaestiones sull’ottica. Padova Venezia
insieme alla Quaestio de modalibus di Bassano Potito; in F. Amopro,
Riproduzione delle Quaestiones de latitudinibus formarum, in Annali Ist. tecn.
G. B. Della Porta, Napoli Per le Quaestiones sull’ottica v.: Questioni
inedite di ottica di Biagio Pelacani a cura di F. ALessio, Riv. crit. st.
filos. Amopro, Appunti su Biagio Pelacani da Parma, in Atti del IV Congr.
dei Matematici, III, Roma THorNDIKE, A History of magic and experimental
science DuHem, Le système du monde Mater, Die Vorliufer Galileis. Zwei Grundprobleme An der Grenze von Scholastik Moopy-M.
CLacett, The mediaeval science of weights (Scientia de ponderibusì...,
cit. M. CLacett, The science of mechanics in the middle age,
cit. Feperici-VescoviNI, Problemi di fisica aristotelica in un maestro
del sec. XIV: Biagio Pelacani da Parma Riv. filos. Ailly Scrive opere
solo in parte edite. Alcune tra le minori sono state pubblicate da L.
DupPin nell’ed. delle Opera di Giovanni Gerson, e talune addirittura
attribuite allo stesso Gerson (Opera, Anversa); altre opere minori sono state
pubblicate da L. SaLeMBIER in Rev. des Scien. ecclés., 1889. Delle opere
scientifiche, filosofiche e religiose del d’Ailly alcune hanno avuto
numerose edd. (cfr. L. SaLEMBIER, Bibliographie des
Oeuvres du cardinal P. d'Ailly, évéque de Cambrai, Compiègne, 1909 e Les
oeuvres francaises du card. Pierre d’Ailly, Arras L’opera
filosofica più importante è costituita dalle Quaestiones super Sententiarum,
Bruxelles, Altri scritti di notevole interesse filosofico: De anima, De
legibus et sectis contra superstitiosos astronomos (in Gerson, Opera, ed.
cit., 1); Vigintiloquium de concordia astronomiae cum theologia (Venezia, 14%);
e l’Imago mundi (ed. E. Buron,
Gembloux-Parigi cfr. GeyER Brie; DE WuLF SaLEMBIER, Le Card. Pierre d'Ailly,
Mons-en-Barouel. Ipem, in DThC, DHGE. M. De Ganpittac,
Usage et valeurs des arguments probables chez Pierre d'Ailly, Arch. Hist. doctr. litt. m..Roserts, The theories of Ailly
concerning forms of government in Church and State, Bull. Inst. hist. research Ailly
and the Council of Constance: A study in Ockamiste theory and practice Trans.
R. Hist. Soc., McGowan, Pierre d'Ailly and the council of Constance, Washington
DuHEM, Le système du monde Candia Opera: Commento alle Sentenze
(inedito). Bibliografia: F. Exte, Der
Sentenzkommentar Peters von Candia, des Pisaner Papstes Alexander V, Franz.
Stud., Beiheft Maier, An der Grenze von Scholastik Dunem, Le système du monde Gerson Tra
le sue numerose opere ricordiamo qui particolarmente: Centiloquium de
conceptibus; Centiloquium de causa finali; De concor- dantia metaphysicae
cum logica (1426); De modis significandis; De parvulis ad Christum
trahendis; Lectiones duae contra vanam curiositatem; Super canticum
canticorum; Commento alle Sentenze Opera omnia, ed. E..Dupin,
Anversa, rist. L’Aja; le Notulae super quaedam verba Dionysi, in A. ComBes, ].
Gerson Commentateur dionysien, Parigi, 1940. È ora in corso l’ed. crit.
dell'Opera Omnia a cura di P. GLorieux, Parigi, 1961 sgg. Cfr. inoltre
l’ed. del De Mystica Theologia, sempre a cura del Comes, nel Tesaurus
mundi Gever, p. 791; De Brie WuLr, ScHwag, Johannes Gerson, Wiirzburg, .Masson,
Gerson, sa vie, son temps, ses ocuvres, STELZENBERGER, Die mystik des J.
Gerson, Breslavia SaLemBier, in DHhC, Connoiy, John Gerson, Reformator and
Mystic, Lovanio con ricca bibl. Dress, De theologia Gersoni, Giitersloh ScHnàrer,
Die Staatslehre, de Gerson, Colonia. A. Comes, Études Gersoniennes, “Arch.
Hist. doctr. litt. m. con particolare riferimento al Commento alle sentenze ScHnEMER,
Die Verpflichtung des menschliches Gesetzes nach Gerson, “Zeitschr. f.
kathol. Theol., VerEECKE, Droit et morale chez Jean
Gerson, Rev. hist. droit. frane. et étran., GLorieux, Autour de la liste
des ocuvres de Gerson, “Rech. théol. anc. méd. DuHem,
Le système du monde Sulla crisi della cultura medioevale alla fine del XIV
secolo cfr. inoltre particolarmente: E. Garin, La crisi del
pensiero medioevale, in Medioevo e Rinascimento. Studi e ricerche, Bari
Angelicum Antonianum Archivum Fratrum
Praedicatorum Archives d’Histoire doctrinale et littéraire du moyen
fge. Archivio di storia della filosofia. Augustiniana. Cîteaux
in de Nederlanden Collectanea franciscana Divus Thomas
(Friburgo) Divus Thomas (Piacenza) English Historical
Review Estudios ecclesiasticos France
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Studien Giornale critico della filosofia italiana Gregorianum
Historisches Jahrbuch Journal of theological Studies Italia
francescana Mediaeval and Renaissance Studies Mediaeval
Studies Miscellanea francescana The Modern Schoolman Neues
Archiv The new Scholasticism The Philosophical Review Recherches
de théologie ancienne et médiévale. Recherches de sciences
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orientali Scholastik Speculum Studi francescani The
theological Quarterly The theological Review Theologische
Zeitschrift Wissenschaft und Weisheit Zeitschrift fir katholische
Theologie Zeitschrift fir Kirchengeschichte. Cesare Vasoli. Vasoli.
Keywords: implicatura. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Vasoli,” pel Gruppo di
Gioco di H. P. Grice, The Swimming-Pool Library, Villa Speranza. Vasoli.
Luigi
Speranza -- Grice e Vatinio: la ragione conversazionale a Roma – l’implictaura
conversazionale della setta di Crotone -- filosofia italiana – By Luigi
Speranza, pel Gruppo di Gioco di H. P. Grice, The Swimming-Pool Library (Roma). Filosofo
italiano. A politician, supporter of GIULIO (vedi) CESARE and a friend of CICERONE,
who at different times, attacks and defends him. V. calls himself a
Pythagorean, but Cicerone questions V’s right to do so on account of his
dubious behaviour. Publio Vatinio. Keywords: Roma antica. Per H. P. Grice’s
Play-Group, The Swimming-Pool Library, Villa Speranza.
Luigi Speranza: Grice e Vattimo: la
ragione conversazionale e l’implicatura conversazionale dell’implicatvm o
impiegato come comunicatvm debole – la scuola di Torino – filosofia torinese –
filosofia piemontese -- filosofia italiana – Luigi Speranza, pel Gruppo di
Gioco di H. P. Grice, The Swimming-Pool Library (Torino). Filosofo torinese.
Filosofo piemontese. Filosofo italiano. Torino, Piemonte. Essential Italian
philosopher. Grice:
“It may be argued that what Vattimo means by ‘strong’ is what I mean by ‘weak’
and viceversa – With Popper, ‘I know’ is weaker than ‘I believe’ and ‘every x’
is weaker than ‘some (at least) one’ or ‘the’ – I have explored ‘the’ –
Keyword: massima della debolezza conversazionale; massima della forza
conversazionale” – Filosofo italiano. -- not one that provinicial Beaney would
include in his handbooks and dictionaries. Vattimo’s philosophy shares quite a
bit with Grice’s programme, as anyone familiar with both Vattimo and Grice may
testify. Vattimo has philosophised on Heidegger and Nietzsche, and one of his
essays is on the subject and the maskanother on reality. There is a
volume in his honour. Participante del Foro Internacional por la Emancipación y la Igualdad. Partito Comunista. In precedenza: DS PdCI IdV
Indipendente. Laurea in Filosofia. Torino. Filosofo, professore universitario. Tra
i massimi esponenti della corrente post-moderna, è teorizzatore della filosofia
debole. Il padre è un poliziotto calabrese, che muore quando V. ha I anno
e mezzo. La madre è una sarta. Ha una sorella di otto anni più grande. Durante
la guerra si trasferisce con la famiglia in Calabria, restandoci per II anni e
ritornando a Torino. Studente del liceo classico Gioberti è attivo nella
Gioventù Studentesca di Azione Cattolica, e collabora a Quartodora, rivista del
movimento diretta da Straniero. Si autodefine come un cattolico militante,
influenzato dalla lettura di Maritain, Mounier e dei racconti di Bernanos,
portato dalla fede ad un disinteresse per il razionalismo storico,
l'Illuminismo e le filosofie di Hegel e Marx. Allievo di PAREYSON (vedi)
assieme a ECO (vedi) con cui ha condiviso amicizia e interessi, si laurea in
filosofia a Torino. Lavora ai programmi culturali della Rai. Consegue la
specializzazione a Heidelberg, con Löwith e Gadamer, di cui ha introdotto la
filosofia in Italia. Professore incaricato e ordinario di estetica a Torino,
nella quale è stato preside, della facoltà di Lettere e Filosofia. Ordinario di
filosofia teoretica presso la stessa università. Professore emerito, titolo che
non gli precluse lo svolgimento d’eventuali attività didattiche presso la suddetta
università. Idea e condotto su Raitre il programma di divulgazione filosofica “La
clessidra.” Insegnato come visiting professor negli Stati Uniti e ha tenuto seminari
in diversi atenei del mondo. Direttore della Rivista di estetica, membro di
comitati scientifici di varie riviste, socio corrispondente dell'Accademia
delle Scienze di Torino, nonché editorialista per i quotidiani La Stampa e La
Repubblica e per il settimanale L'espresso. Dirige la rivista Tropos. Rivista
di ermeneutica e critica filosofica edita da Aracne Editrice. Per i suoi saggi
riceve lauree honoris causa dalle La Plata, Palermo, Madrid e Lima. È stato più
volte docente alle Vacances de l'Esprit. Svolge attività politica in diverse
formazioni: nel Partito Radicale, Alleanza per Torino, Democratici di Sinistra,
per i quali è stato parlamentare europeo, e nel Partito dei Comunisti Italiani.
Candidato da una lista civica a sindaco di una cittadina calabrese, San
Giovanni in Fiore (Cs), per combattere la degenerazione intellettuale che
affligge quel paese, ma non è riuscito ad arrivare al secondo turno. Annunciato
la sua candidatura a parlamentare europeo nelle liste dell'Italia dei Valori di
Pietro, rivendicando tuttavia le proprie origini comuniste, venendo eletto
nella circoscrizione Nord-Ovest. Nel giorno dell'anniversario della
fondazione del PCd'I, annuncia la sua adesione al Partito Comunista. Il
suo ideale politico-religioso si riassume in una forma da lui definita
comunismo cristiano e comunismo ermeneutico, un' ideale anti-dogmatico di
comunismo debole nel pensiero e nell'essere, che si ispira alla vita
comunitaria delle prime comunità cristiane. Esso rinnega e si oppone alla violenza
delle industrializzazione pesante forzata e dello stalinismo in genere, così
come anche alle tesi di Lenin e del terrorismo, muovendo a favore di una
sinistra improntata al dialogo, alla dialettica e alla tolleranza. Accusato
di antisemitismo, a causa delle sue dichiarazioni sul controllo ebraico di
banche. "Ricordiamoci che la Federal Reserve è di proprietà di Rothschild.
Gattegna, presidente dell'Unione delle Comunità Ebraiche Italiane, lo accusa di
anti-semitismo, additando le sue dichiarazioni come "parole di odio che
non aggiungono nulla di nuovo e che sono accompagnate dalla riproposizione
squallida di stereotipi anti-semiti". Anche Aiello, primo rabbino donna in
Italia, corrobora queste accuse, tacciando V. di antisemitismo. Rilascia
un'intervista al Corriere in cui dichiara, riguardo a Israele
«bisognerebbe procurarsi missili più efficaci dei Qassam e portarli laggiù». La
dichiarazione, riferita ai missili Qassam con cui Hamas colpisce Israele, ha
suscitato molte polemiche. Il filosofo ha tuttavia chiarito che le sue prese di
posizione sono rivolte contro Israele e che non hanno nulla a che vedere con
l’anti-semitismo. In occasione dell'aggressione di Tartaglia a Berlusconi ha
espresso a Radio Radicale la convinzione che quell'aggressione fosse stata una
montatura. Afferma inoltre che se l'aggressore avesse voluto veramente fare del
male a Berlusconi era preferibile usare una pistola invece di una
statuetta. Si è occupato dell'ontologia ermeneutica, proponendone una
propria interpretazione, che chiama “debolita”, in contrapposizione con le
diverse forme di pensiero forte (fortitude) dell'hegelismo con la sua
dialettica, il marxismo, la fenomenologia, la psicanalisi, lo strutturalismo.
Ognuno di questi movimenti si è proposto come superamento delle posizioni
filosofiche precedenti e smascheramento dei loro errori. Ma ogni volta l'errore
consiste proprio in questo gesto teoretico. Non ci sono nuovi inizi, l'errore
consiste proprio nella volontà di rifondare fundamenta inconcussa che non vi possono
essere. Debolita è invece un atteggiamento della postmodernità che accetta il
peso dell'errore, ossia del caduco, dell'effimero, di tutto ciò che è storico e
umano. È la nozione di verità a doversi modellare sulla dimensione umana, non
viceversa. La debolita è la chiave per la democratizzazione della società,
la diminuzione della violenza e la diffusione del pluralismo e della
tolleranza. In questa maniera deve essere almeno segnalata la grande e decisiva
importanza che assume nella sua filosofia la nozione di nichilismo, che rimette
all'eredità di Nietzsche e Heidegger e si lega a vari temi vattimiani
(dall'etica, alla politica, dalla religione -- l'indebolimento del divino alla
teoria della comunicazione – implicatura come communicatum debole. Con i suoi saggi
come “Credere di credere” rivendica alla
proprio filosofia anche la qualifica di autentica filosofia cristiana per la
postmodernità. Avvalendosi infatti della visione cristiana del maestro PAREYSON
e di Quinzio, V. rifiuta l'identificazione del divino nell'essere razionale,
così come concepito dalla tradizione filosofica occidentale. Di PAREYSON e Quinzio, però, non condivide la visione
religiosa tragica. Suggestionato da Girard, V. legge la vicenda di Cristo come
rifiuto di ogni sacrificio, anzitutto umano ed esistenziale. La kénosis -- lett.
svuotamento -- divina è a vantaggio della libertà e della pace umana. Le posizioni
di V. rappresentano una svolta, sia nella sua impostazione filosofica
dell'interpretazione del presente, sia nel campo dell'attività politica. Abbandona
il partito dei Democratici di Sinistra e abbraccia il marxismo rivalutandone
positivamente l'autenticità e validità dei principi progettuali, auspicando un
ritorno al pensiero del filosofo di Treviri e a un comunismo epurato dagli
sviluppi delle distorte politiche pubbliche sovietiche da superare
dialetticamente. Per quanto la svolta possa apparire contraddittoria con le
precedenti posizioni, V. rivendica la continuità delle nuove scelte con il
processo di ricerca sul pensiero debole, pur ammettendo il cambiamento di
"molte delle sue idee". È lo stesso filosofo a parlare di un
"Marx indebolito", ovvero di una base ideologica capace di illustrare
la vera natura del comunismo e adatta nella pratica politica a superare ogni
tipo di pudore liberal. L'approdo al marxismo si configura quindi come una
tappa dello sviluppo del pensiero debole, arricchito nella prassi da una
prospettiva politica concreta. V. ha anche espresso posizioni
ambientaliste ed in particolare a favore dei diritti degli animali. In un'epoca
in cui l'umanità si vede sempre più minacciata nelle stesse elementari
possibilità di sopravvivenza -- la fame, la morte atomica, l'inquinamento -- la
nostra radicale fratellanza con gl’animali si presenta in una luce più
immediata ed evidente. Da parlamentare europeo si è battuto, tra l'altro,
contro la sperimentazione animale e contro il maltrattamento degli animali
negli allevamenti. Pubblicamente dichiara la sua omosessualità. Sviluppa
una concezione di Cristianesimo secolarizzato, il quale, conseguentemente, non
necessita di istituzioni ecclesiastiche, fondandosi sulla kénosis, ossia
sull'abbassamento e sull'indebolimento dell'idea di Dio. Per V. il non
riconoscimento di un "assoluto", inteso come una verità definitiva,
porterebbe ad una maggiore accettazione della diversità sociale e culturale.
Il compagno di V., Mamino, storico dell'architettura, malato di tumore ai
polmoni, muore nel bagno dell'aereo che lo portan nei Paesi Bassi per
effettuare un'eutanasia. Ad accompagnarlo c'era con lui sull'aereo lo stesso
V. Collabora con vari quotidiani (La Stampa, L'Unità, il manifesto, Il
Fatto Quotidiano), con editoriali e riflessioni critiche su vari temi di
attualità, politica e cultura. Saggi: “Il concetto di fare in Aristotele”
(Giappichelli, Torino); “Essere, storia e linguaggio in Heidegger” (Filosofia, Torino);
“Ipotesi su Nietzsche” (Giappichelli, Torino); “Poesia e ontologia” (Mursia,
Milano); “Schleiermacher, filosofo dell'interpretazione” (Mursia, Milano); “Introduzione
ad Heidegger” (Laterza, Roma); “Il soggetto e la maschera” (Bompiani, Milano);
“Le avventure della differenza” (Garzanti, Milano); “Al di là del soggetto” (Feltrinelli,
Milano); “Il pensiero debole” (Feltrinelli, Milano); Vattimo e Rovatti); “La
fine della modernità” (Garzanti, Milano); “Introduzione a Nietzsche (Laterza,
Roma); “La società trasparente” (Garzanti, Milano); “Etica
dell'interpretazione” (Rosenberg e Sellier, Torino); “Filosofia al presente”
(Garzanti, Milano); “Oltre l'interpretazione” (Laterza, Roma); “Credere di
credere” (Garzanti, Milano); “Vocazione e responsabilità del filosofo”
(Melangolo, Genova); “Dialogo con Nietzsche” (Garzanti, Milano); “Tecnica ed
esistenza: una mappa filosofica” (Mondadori, Milano); “Dopo la cristianità. Per
un cristianesimo non religioso” (Garzanti, Milano); “Nichilismo ed
emancipazione. Etica, politica e diritto, Zabala” (Garzanti, Milano); “Il
socialismo ossia l'Europa” (Trauben); “Il Futuro della Religione, S. Zabala,
Garzanti, Milano, “Verità o fede debole? Dialogo su cristianesimo e
relativismo, Antonello, Transeuropa Edizioni, Massa); “Non essere Dio.
Un'autobiografia a quattro mani, Aliberti editore, Reggio Emilia, “Ecce comu.
Come si ri-diventa ciò che si era, Fazi, Roma, “Addio alla Verità, Meltemi, Introduzione
all'estetica, ETS, Pisa, “Magnificat. Un'idea di montagna, Vivalda, “Della
realtà, Garzanti, Milano, Pubblica presso Laterza un annuario filosofico a
carattere monografico (Filosofia). La sezione Filosofia ha vinto il Premio
Brancati. V. a Lima, Perú. Pecoraro, "Dossier Vattimo",
Pecoraro, in: "Alceu". Rivista del Dip. di Comunicazione. Monaco, V..
Ontologia ermeneutica, cristianesimo e postmodernità, Ets, Pisa; Weiss, V..
Einführung. Vienna, Passagen Giovanni Giorgio, Il pensiero di V..
L'emancipazione della metafisica tra dialettica ed ermeneutica (Franco Angeli,
Milano); Numero della rivista A Parte Rei (Madrid), dedicato a V.. Pensare
l'attualità, cambiare il mondo, Chiurazzi, Mondadori, Milano); Redaelli, Il
nodo dei nodi. L'esercizio del pensiero in V., Vitiello, Sini, Ets, Pisa L'apertura del presente. Sull'ontologia
ermeneutica di V., L. Bagetto, Tropos. Rivista di ermeneutica e critica
filosofica. Kopić, V. Čitanka, V. Reader. Zagabria, Antibarbarus. Gutiérrez,
Leiro, Rivera. Fondazione verano centini/images/
allegati Movi100 Cent'anni di Movimento Studenti di Azione Cattolica, su
movi100.azione Gallo, V. Interview, su
public seminar.; V.: viva i giustizialisti. Corro con Tonino Di Pietro. Rizzo
con GRAMSCI alla Camera (il nipote omonimo) e il filosofo V., nuovi iscritti al
Partito Comunista. Comitato Centrale a Livorno, su Ilpartito comunista, Angus,
Interview with V.: “Only Weak Communism Can Save Us”, su MRANSA, Italian
philosopher politician slammed as anti-Semite, su la gazzetta delmezzogiorno. 'Shoot those bastard Zionists': Italian
scholar, su the local Corriere della Sera, Non acquistiamo i prodotti di lì, su
archivio storico.corriere. Repubblica -V.: "Non sono un antisemita. Solo
anti-israeliano", su torino repubblica. A Radio Radicale Il delirio di V.:
«Per fargli male doveva sparare» Il
Giornale, In questo senso Cfr, tra
molti, La fine della modernità e Nichilismo ed emancipazione. Etica, politica e
diritto, dello stesso V. e Niilismo e (Pós-Modernidade) dell'italo-brasiliano Pecoraro,
libro pubblicato a Rio de Janeiro e San Paolo. Da Animali quarto mondo, in, I diritti degl’animali,
Battaglia e Castignone, Centro di Bioetica, Genova. Dichiarazione scritta sul
riconoscimento dell'obiezione di coscienza alla sperimentazione animale
nell'UE, su gianni vattimo. Interrogazione scritta alla Commissione sul
benessere degli animali, su Gianni vattimo. 4Vattimo: accanimento sui gay, ma
io non bacio in pubblico, Corriere della Sera, su corriere. «Il mio compagno voleva farla finita Ma morì
in viaggio tra le mie braccia» Corriere della Sera, su corriere. Albo d'oro
premio Brancati, su comune. zafferana etnea.ct. Pensiero debole. Blog su Gianni
vattimo blog spot V., su BeWeb, Conferenza Episcopale Italiana. su open MLOL,
Horizons Unlimited srl. V. su europarl. europa.eu,
Parlamento europeo. Registrazioni su Radio
Radicale. Revista A parte rei, su personales. ya.com. Dicussion e sul Pensiero
Unico su mito11settembre. Lezione di congedo dall'Torino La verità e l’evento:
dal dialogo al conflitto, su teologiae liberazione. blogspot.com. Credere di
credere. Genesi e significato di una conversione debole Giornale di filosofia
della religione V. Un comunista postmoderno? (di Preve) RAI Filosofia, su
filosofia.rai. Gianteresio “Gianni” Vattimo. Gianteresio Vattimo Gianni
Vattimo. Vattimo. Keyword: debole/forte – implicatum come communicatum debole. Refs.: Luigi Speranza, "Grice e Vattimo,"
The Swimming-Pool Library, Villa Grice, Liguria, Italia. Vattimo.
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