Luigi Speranza -- Grice e Colonna: la ragione
conversazionale e l’implicatura conversazionale – scuola di Roma – filosofia
romana – filosofia lazia -- filosofia italiana – Luigi Speranza (Roma). Filosofo romano. Filosofo lazio.Filosofo italiano. Roma,
Lazio. There is already an entry for this; in Italian it is ‘Egidio Colonna’
-- giles di roma, Rome, original name, a
member of the order of the Hermits of St. Augustine, he studied arts at
Augustinian house and theology at the varsity in Paris but was censured by the
theology faculty and denied a license to teach as tutor. Owing to the
intervention of Pope Honorius IV, he later returned from Italy to Paris to
teach theology, was appointed general of his order, and became archbishop of
Bourges. Colonna both defends and criticizes views of Aquinas. He held that
essence and existence are really distinct in creatures, but described them as
“things”; that prime matter cannot exist without some substantial form; and,
early in his career, that an eternally created world is possible. He defended
only one substantial form in composites, including man. Grice adds: “Colonna
supported Pope Boniface VIII in his quarrel with Philip IV of Franc eand that
was a bad choice.” The Latin is EGIDIVS COLUMNA. The “Corriere” has an article
as his book being a bestseller of the Low Middle Ages!” Cosnisder the claims
here: ‘essence and existence are really distinct in creatures – and each is a
thing – prime matter cannot exist without substantial forml – eternal and
created world is not a contradiction – there is only ONE substantial form in
compostes, including man. Grice:
“Must say I LOVE Colonna, or COLVMNA as the printing goes – of course the
“Corriere della Sera” hastens to add that he wassn’t one! In any case, my
favourite of his tracts is of course the one on Aristotle!”. Egidio Romano, O.E.S.A. arcivescovo della Chiesa
cattolica Filip4 Gilles de RomeEgidio Romano e Filippo il Bello (miniatura di
un codice medievale). Incarichi ricopertiArcivescovo di Bourges
Nato Roma Nominato arcivescovo Roma. Manuale Egidio Romano, latinizzato
come Ægidius Romanus. Dopo la sua morte, gli furono tributati i titoli
onorifici di Doctor fundatissimus e Theologorum princeps. Discepolo d'Aquino.
Insegna filosofia. Fu inoltre il tutore di Filippo il Bello al quale dedica il
saggio “De regimine principum”, sostenendo l'efficacia della monarchia come
forma di governo. Considerato tra i più autorevoli filosofi di ispirazione
agostiniana, attivo anche nella vita intellettuale e politica in un contesto
culturale ed istituzionale travagliato da frequenti ed aspre polemiche sul
problema del rapporto tra potere temporale e potere spirituale. Generalmente
ricordato, insieme al prediletto allievo Giacomo da Viterbo, per il contributo
nella redazione della celebre bolla Unam Sanctam di Papa Bonifacio VIII e per il
ruolo significativo che assunse il Mæstro degli Eremitani di Sant'Agostino
quale autore del De Ecclesiastica potestate e, dunque, quale teorico famoso e
autorevole della plenitudo potestatis pontificia. In Colonna rileviamo subito
una compresenza del duplice atteggiamento dottrinale e politico. Infatti è
possibile rintracciare, fra le opere giovanili, il “De regimine principum”,
saggio dedicato a Filippo il Bello e di ispirazione aristotelico-tomista inerente
alla naturalità dello stato, erigendola a difensore della potestas regale. Nel “De
Ecclesiastica potestate”, invece, afferma la superiorità del “sacerdotium” rispetto
al “rex” o “regnum”, distinguendosi quale rappresentante della teocrazia
papale. In seguito alle condanne di Tempier, difende la tesi d’Aquino, per
la sua qualifica di Baccalaureus formatus, ma, proprio a causa delle condanne
stesse, viene sospeso dall'insegnamento. Gli avversari del papato trovano in Aristotele
gli strumenti per svolgere un'analisi politica che metta in discussione la
sacralità del potere. Dall'altra parte troviamo l'influenza della corrente
speculativa dell'agostinismo politico (ossia quel fenomeno, tipicamente medioevale,
di compenetrazione fra stato e chiesa, all'interno del quale Agostino viene a
giocare un ruolo fondamentale dal momento che l'apporto teorico del suo “De
Civitate Dei” conduce a confusioni inevitabili fra il piano spirituale della “Civitas
Dei Cælestis” e il piano temporale della vita terrena che è “Civitas Peregrina”),
che ripropone la teoria delle “due città” e riafferma la superiorità del
sacerdotium rispetto al rex e regnum, costituendo un vero e proprio “partito
del Papa”. Rivendica la plenitudo potestatis come proprietà costitutiva
dell'auctoritas del Papa in quanto “homo spiritualis”. Sostituisce al concetto
agostiniano di “ecclesia” quello di “regnum” al fine di estendere gli ambiti
del potere del sovrano ecclesiastico. Il sovrano ecclesiastico, il Papa, dove
esercitare la sua sovranità anche sul potere temporale al fine di garantire
l'ordine mediante una forma di “dominium” che coincide con la sua stessa
missione spirituale. Atre opere: L'edizione critica dell'opera omnia è
stata intrapresa, per Olschki (Aegidii Romani opera omnia, collana Corpus
Philosophorum Medii AeviTesti e Studi), da Punta. “Quaestio de gradibus
formarum” Ottaviano Scoto, Boneto Locatello. “In secundum librum sententiarum
quaestiones” Francesco Ziletti); Opere, Antonio Blado; “In libros De physico
auditu Aristotelis commentaria”; Ottaviano Scoto; Boneto Locatello, “De materia
coeli” Girolamo Duranti, “Quodlibeta”. Silvia
Donati, Studi per una cronologia delle opere di Egidio Romano, “Le opere
prima”; “I commenti aristotelici”, "Documenti e studi sulla tradizione
filosofica medievale", Dizionario biografico degli italiani. DEL GOVERNO
DI SÈ. Del sommo bene. Quale è la maniera di parlare nella scienza de're e de'
principi. Quale è l'ordinanza delle cose che si debbono dire in questo libro. Come
grande utilitate ei re e' principi ånno in udire e in intendere e in sapere
questo libro. Quante maniere sono di vivare e come l'uomo die méttare il
sovrano bene di questa mortal vita in queste maniere di vivere. Com'è grande
utilità e a' re ed ai principi che ellino conoscano il loro fine e'l loro
sovrano bene di questa vita mortale. I re ne i principi, non debbano mettere il
loro sovrano bene in diletto corporale. I re ne i principi non debbono mettere il loro
sovrano bene in avere ricchezze. I re ne
i principi non debbono mettere il loro sovrano bene in avere onori. I re ne i
principi non debbono mettere il loro sovrano bene in avere gloria o gran rinomo
di bontà. Nè i re né i principi non debbono méttare il loro sovrano bene in avere
forza di gente. I re ne i principi debbono méttare el loro sovrano bene nelle
uopere della prudenzia cioé del senno. Come ei re e' principi debbono méttare
el loro sovrano bene nelle opere della prudenza e del. Il prezzo e'l guidardone
dei re e dei principi bene governanti il loro popolo, secondo legge e ragione,
è molto grande. senno. Della virtù. Quante potenze à l’anima e in quali potenze
e la virtù di una buona opera. Come la virtù di una buona opera e divisa nella
volontà e nell’intendimento dell'uomo. Quante virtù di buone opere sono, come
l'uomo die préndare il numero di esse. Delle buone disposizioni che l'uomo à,
alcune sono virtů, alcune sono più degne che virtù, alcune altre sono
apparigliate a virtù. Alcune virtú sono più degne d'alcune altre e più principali.
Che cosa è la virtù dell’uomo ch'è chiamato senno, over prudenza, over sapere.
Ai re ed ai prenzi conviene es sere savi. Quanto e quali cose conviene ai re e
ai prenzi avere acciò che ellino siano savi. Come și re e i prenzi possano fare
loro medesimi savi. Quante maniere sono di drittura ed in che cosa è drittura e
come drittura è divisata dalie altre virtú. Senza drittura e senza iustizia ei
reami non possono durare, nè nulla signoria di città. I re e i prenzi debbono
intendere diligentemente acciò che essi siano dirilturieri e che drittura sia
guardata nelle loro terre. La forza di coraggio e. e quali cose ella die essere,
e come ei re e i prenzi le. possono avere. Quante maniere sono di forza e secondo
la quale ei re e i prenzi debbono essere forti. Che cosa è la virtù che l'uomo
chiama temperanza e in quali cose quella virtù die essere, quante parti a la
temperanza, come noi la potemo acquistare. Ched elli é più disconvenevole cosa
che l’uomo sia distemperato in seguire LI DILETTI DEL CORPO che in essere
paurioso. Il principe debbe essere temperato nel diletto di suo corpo. La virtù
che l'uomo chiama larghezza e'n quale cose cotale virtù de' essere, e come noi
la potemo acquistare. Che a pena può essere el re o'l prenze folle largo e come
è troppo sconvenevole' cosa che essi sieno avari e ch'ellino debbono essere
larghi e liberali. Che cosa è una virtù che l’uomo cjiama magnificenzia e'n
quali cose quella virtù die essere, e come noi potemo avere quella virtù. Come
è cosa isconvenevole che i re e i prenzi sieno di piccola dispesa e di poco
affare, e che maggiormente s'avviene a loro essere di grande spese e di grande
affare. Che condizioni à l'uomo che è di grande spesa e di grande affare, e che
conviene maggior mente averle ai re ed ai prenzi. Che cosa è una virtù che
l'uomo chiama magnanimità, cioè a dire virtù di grand'animo e in quali cose
quella virtù di essere e come noi potemo essere di gran cuore. Quante
condizioni à l'uomo che è di gran cuore, e che maggiormente si conviene ai
prenzi d'averle. Come ei re e i prenzi debbono amare onore, o quale è la virtù
che l'uomo chiama virtù d'amare opore. 68 Cap. XXV. Ca insegna che amare onore
ed èssare umile possono essere insieme e che quelli che è di gran cuore e di
grande animo non può essere senza umiltà. Che cosa é umiltà de la quale il
filosafo parla e in quali cose ella die essere e che maggiormente conviene ai re
ed ai prenzi essere umili. Che cosa è la virtù che l'uomo chiama dibuonairetà,
ed in che cose la buonairetà die essere e che conviene ai re ed a i prenzi
essere dibonarie. Che cosa è una virtù che l'uomo chiama piacevolezza, cioè di
sapere CONVERSARE PIACEVOLMENTE e in che cose la detta virtù die essere e che
si conviene che i re e i preozi sieno piacevoli. Che cosa è verità e in che
cosa ella die essere usata e come si conviene al principe ch'esse sia veritiero
o sincero. Che cosa è una virtù che l'uomo chiama sollazzevole, quasi dica di
sapere sollazzare, e di essere allegro e gioioso, là ' ve si conviene, e per la
quale' l'uomo si sa avvenevolmente rallegrare nei sollazzi, come ei re e i
prenzi debbono essere allegri e sollazze voli. Conviene al principe avere tutte
le virtù, perciò che perfettamente l’uomo non ne può avere una senza le altre.
Quante maniere sono di buoni e adi malvagi uomini e quale maniera di bontà ei
re e i prenzi debbono avere. Delle passione. Quanti movimenti d'animo sono e
donde essi vengono. Quali movimenti d'animo sono principali che gli altri e
come essi sono ordinate. Come il principe debbe amare e quali cose debbe amare.
Come il principle debbe desiderare e che cosa debbe desiderare. Come ei re e i
prenzi si debbono portare ayvenevolmente in isperare e in disperare. Come
avvenevolmente ei re si debbono portare in avere ardimento. Che differenza elli
à intra corruccio e odio, e come ei te e i prenzi si debbono avvene volmente
contenere nei corrucci e ne le di bonarietà. Come ei re e i prenzi si deb bono
ayvenevolmente avere nei diletti. Come alcuni movimenti d'animo sono mantenuti
e ritornano ad alcuni altri movimenti. Ched ei movimenti dell'animo alcuni sono
da biasmare ed alcuni sono da lodare e come ei re e i prenzi si debbono
conferire nei movimenti detti dinanzi. Della costume. Quale costume e quale
maniere de giovani uomini fanno da lodare, e come il principe debbe avere essa
costume ed essa maniera. Quali costumi e quali maniere dei giovani uomini fanno
da biasmare, e come ei.re e i prenzi debbono ischiſare cotali maniere e cotali
co stumi. Quali costumi e quali maniere dei uomini fanno da biasmare, come ei
re e i prenzi ei debbono ischifare. Quali costumi e quali maniere dei uomini
fanno da lodare. Che costume e che maniera ha il gentile uomo, e come il
principe debbe avere. Che costumi e che maniere anno l’uomo ricco e come ei re
e i prenzi ei debbono. Che modi e che maniere ánno coloro che sono possenti ed
anno signorie, e come li re e li principi si debbono avere in verso la gente
convenevolmente. Avere. DEL GOVERNO DELLA FAMIGLIA. Della moglie. L'uomo die
naturalmente vivare in compagnia, e che i re i prenzi il debbono sapere. Che,
acciò che la casa sia perfetta, si vi conviene avere quattro maniere di
persone, e come e' conviene questo secondo libro divisare in tre parti. Quella
casa è perfetta ove v'à assembramento di un uomo e di una femmina, un
figliuolo, e servi. L'uomo naturalmente si die ammogliare e che quelli che non
vogliono vivare in matrimonio, o elli posono bestia, o ellino sono migliori che
l’uomo. Ciascuno uomo e ciascuna femmina, e medesimamente ei re e i prenzi che
sono ammogliati, si debbono tenere in matrimonio senza partirsi o senza
divídarsi. A ciascun uomo die bastare una femmina, e che i re e i prenzi e
ciascun altro uomo si die tenere appagato a una femmina. Un uomo die bastare a
una femmina, e che una femmina si die chiamare contenta d'un uomo. L’uomo non
die prendare moglie la quale sia troppo presso a lui di parentato o di
lignaggio. Come le moglie dei re e dei prenzi e di ciascuno altro uomo debbono
avere abbondanza di beni temporali. Come nè i re né i prenzi, nė cia scuno
altro uomo non debbe chiėdare solamente ei beni temporali delle loro mogli ma
anco ei beni del CORPO e quelli dell'anima, e ciò e il bello e il casto. L’uomo
non die governare nė tenere la moglie nella maniera ch'elli die tenere e
governare il suo figliuolo. L’uomo non die tenere nė governare la moglie nella
manera che l'uomo die tenere e governare e fanti. Che elli non si conviene nė
ai re nè ai prenzi ned a nessuno altro uomo, ch'ellino usino il matrimonio in
troppo giovano tempo. L’uomo die piuttosto fare l'opera del matrimonio nel
verno che nella state. Come alcune cose sono nelle femmine che sono da
biasmare. Come ei re e i prenzi e ciascuno altro uomo die avvenevolmente
governare e addrizzare la moglie. Come gli uomini si debbono portare con le
loro mogli. Come la femmina maritata deb bono convenevolmente adornare il loro
corpo. Né I re ne i prenzi, nė li altri uomini, non debbano essere troppo
gelosi delle loro mogli. Che cosa è ' l consiglio della femmina, e che 'l suo
consiglio l'uomo non die credere se non in alcun tempo. Com’l’uomo non debbe
dire il suo secreto alla sua moglie. Dei figli. Il padre die essere curioso di
guardare il suo figliuolo. Che ciò s'avviene maggiormente ai re ed ai prenzi,
cioè ch'ellino sieno guardatori e curiosi dei loro figliuoli. Il padre governa
il suo figliuolo per L’AMORE ch'elli à in lui. L’AMORE NATURALE il quale die
essere da padre a figliuolo prova sufficientemente che il padre debbe governare
i suo figliuolo e il figliuolo debbe ubbidire il padre. Nel quale dice che i re
e i prenzi e ciascuno altro uomo debbono da gioventudine insegnare la fede ai
loro figliuoli. I re e i prenzi e ciascuno altro uomo debbono da gioventudine
insegnare ed appréndare ei buoni costumi e le buone maniere ai loro figliuoli.
Il figliuolo del gentile uomo debbe apprendere le scienze della chericia, ciò
sono, morali, naturali e matematice. Quale arte il figliuolo di un gentile
uomini debbe apprendere. Quale die ėssare il tutore del figliuolo di un gentile
uomo. Il padre die insegnare al suo fanciullo a parlare e a vedere ed a udire. In
quante maniere l'uomo puó peccare in mangiare e come il garzone si debbe
contenere. Come il padre die insegnare al suo fanciullo acciò che si sappiano
portar avvenevolmente nel bere e ne' diletto della femmina. Come il garzone si
debbe contenere nel diletto del corpo. Come in giovanezza l'uomo die schifare
le malvagie compagnie. Che guardia l’uomo die avere de' figliuoli da che sono
nati, insino a’ sette anni. Che guardia l'uomo die avere de' fanciulli da sette
anni fino a quattordici. Che guardia l'uomo die avere del figliuolo da
quattordici anni innanzi. Che il padre non die insegnare al figliuolo uno
medesimo travaglio di corpo. Della casa e dei servi. L'uomo die diterminare e
parlare delle cose donde la vita umana può esser sostenuta, volendo governare
la sua famiglia e la sua casa. Il casino della villa del’uomo, die esser fatto
sottilmente ed in buon áire. Il casamento dei re e dei prenzi, e di ciascuno
altro uomo, die esser fatto in luogo dove abbia abbondanza di buona acqua e di
chiara. Naturalmente l’uomo die avere possessione in alcun modo e che quellino
che rifiutano le possessioni, non vivono come uomini, anzi sono migliori che
uomo. Elli è grande utilità alla vita umana, che l'uomo possa vivare della sua
propria ricchezza. Come l'uomo die usare dei beni temporali, e quale maniera di
vivare è buona e onesta. Nel quale dice che ciascuno uomo, e medesimamente ei
re ei prenzi, non debbono desiderare troppo grande abbondanza di ricchezze ne
di possessioni. Quante maniere elli sono di vendere e di comperare e perchè ei
denari fuoro prima mente fatti e trovati. L'usura è generalmente malvagia, e
ch'ei re ed i prenzi la debbono difendare ch’ella non sia fatta nella loro
terra. Nel quale dice ch’ei sono diverse maniere di guadagnare denari e che
alcuna di queste maniere è avve nevole ai re ed ai prenzi. Alcuna gente è serva
per natura e ch'elli è loro utilità ch'ellino sieno suggetti ad altrui. Nel
quale dice che alcune genti che sono servi per natura e per legge. Nel quale
dice ch’ellino sono alcune genti le quali sono serve per prezzo ed alcuna gente
che servono per l’amore ch’elli ánno ai suo signore. L'uomo die dare gli ufici
ai suoi fanti nelle case dei re e dei prenzi. Come ei re e i prenzi debbono
provvedere ai loro sergenti robe e vestimento. Che cosa é cortesia e ched e'
conviene ai fanti dei re e dei prenzi ched ellino sia cortese Nel quale dice
come ei re e i prenzi si debbono contenere inverso ei loro sergenti. Che quelli
che servono e quelli che mangiano alla tavola dei re e dei prenzi, e
generalmente che il gentile uomo non debbe molto favellare. DEL GOVERNO CIVILE.
Detti dei filosofi nel governamento delle città. Nel quale dice che la villa e
ordinata e stabilita per alcuno bene. Fu grande utilità alla vita umana che
colla comunità della villa e delle città, li uomini ordinassero la comunità del
reame. Nel quale dice ceme Platone e Socrate dissero che l’uomo dovea ordinare
e governare le città. Nel quale insegna che i re e i prenzi debbono sapere che
tutte le cose non debbono essere COMUNE siccome Platone e Socrate dissero. Nel
quale dice quanti mali avverrebbero se il figliouolo fusse comune. Nel quale
dice come la possessione debbe essere proprie, e come debbono essere comuni,
secondo l'utilità delle ville e delle città. I re ei prenzi non debbono
sofferire che una medesima gente duri sempre in una medesima signoria. Nel
quale dice che l'uomo non die cosi ordinare la città come Socrate disse, che
dovieno essere ordinate. Come l'uomo può trarre a buono intendimento le parole
che Socrate disse, al governa mento delle città. Come un filósafo, ch'ebbe nome
Fal lea, disse, che l'uomo dovea ordinare le città. Le possessioni non debbono
essere eguali, siccome disse Fallea. Come quelli che signoreggia alcuna città,
elli die più principalmente intendare a cessare le malvagie volontà e i malvagi
desideri e convoitigine, ched elli non die intendere a cessare la
disuguaglianza delle possessiono. Nel quale dice, come un filósafo ch'ebbe nome
Ippodamo, disse che l’uomo dovea ordinare le città. Nel quale dice quali cose
sono da riprendare in quello che Ippodamo disse del governamento della
comunità. Della migliore maniera di governare le città. Il quale insegna come
l’uomo die governare le città in tempo di pace, e quante cose l’uomo die guardare
in cotale governamento. Quante maniere sono di signorie e quali sono buone e
quali sono rie. Ched o' val meglio che le città e ' rea mi sieno governati e
retti per un solo uomo che per molti e che quest' è la migliore signoria che
sia quando un solo uomo signoreggia ed elli intende il bene comune. Nel quale
dice per quali ragioni alcuna gente volsero provare ched e’ valeva meglio che
le terre e le città fossero governale per molti uomini che per un solo e dice
in questo capitolo ciò che si die rispóndare a cotali ragioni. Ched e' val
meglio che le terre e le signorie e' reami vadano per redità per successione
DEL FIGLIOUOLO che per elezione. Nel quale dice quali sono le cose ne le quali
il re die sormontare gli altri, e che diversità elli à intra'l re 'e'l tiranno.
Nel quale dice che la signoria del tiranno è la peggiore signoria che sia e che
i re ei prenzi si debbono molto guardare ch'ellino non sieno tiranni. Quale dia
esser l'ufficio dei re e dei prenzi, e com’essi si debbono contenere in
governare le loro città e i loro reami. Quali sono le cose che’ l buono re die
fare, le quali il tiranno mostra di fare ma non le fa nèmica. Nel quale dice
per quante cautele il tiranno si sforza di guardare sė ne la sua signoria. Ched
elli è molto isconvenevole cosa ai re ed ai prenzi ched ellino sieno tiranni,
perciò che tutte le malizie che sono nell’altre malvagie signorie, sono ne là
signoria del tiranno. Nel quale dice che i re e i prenzi debbono molto ischifare
la compagnia del tiranno, perciò che per molte cose ei soggetti aguaitano ed
assaliscono il loro signore quand’elli é tiranno. Nel quale dice quali cose
guardano e salvano la signoria del re e ched e'conviene fare al re sed e' si
vuole guardare ne la sua signoria e nel suo reame. Quali cose fanno a
consigliare e di quali l'uomo die avere consiglio. Nel quale dice che cosa è
consiglio, e come l'uomo die fare ei consigli. Nel quale dice che consiglieri
ei re e i preozi debbono avere ai loro consigli. Nel quale dice quante cose
conviene sapere a quellino che consigliano ei re e i prenzi e in quali cose l’uomo
die préndare consiglio. Nel quale dice che tutte le cose donde l’uomo giudica, l'uomo
die giudicare secondo le leggi e che l’uomo die fare pochi giudicamenti e dare
poche sentenze per arbitrio o per credenza. Nel quale dice come l’uomo dic fare
ei giudicamenti: e ch’e giudici debbono vetare che li uomini che piateggiano
non dicano parole dinanzi al giudice che’l possa muovere ad amore nè ad odio
contra ad alcuna de le parti. Nel quale dice quante cose conviene avere
a’giudicatori a ciò ch’ellino giudichino bene e drittamente. Nel quale dice quante
e quali cose conviene riguardare al giudice, acciò ch’elli perdoni e sia più di
buonarie che crudele. Nel quale dice ched e’ sono diverse maniere di leggi e
diverse maniere di giustizia e che al dritto natu rale ed al diritto iscritto
tutti gli altri dritti sono ridotti e ramenali. Quali debbono esser le leggi
umane e ched elli fu grande utilità ai reami ed a le città a fare cotali leggi.
Nel quale dice che ciascuno non die némica istabilire nė ordinare le leggi; e
ched e' conviene che le leggi sieno publicate é fạtte sapere acciò
ch’ell’abbiano forza d’obbligare le genti. Quante opere e quali le leggi ch'ei
re e i prenzi istabiliscono ed ordinano, debbono contenere. Nel quale dice
quale vale meglio o che le città o i reami sieno governati per un buono re o
per una buona legge. Nel quale dice che co la legge naturale e co la legge
iscritta e' conviene che l’uomo abbia la legge di Dio e la legge del Vangelo. Come
l’uomo può, si die guardare le leggi del paese e ch'elli non è utile ch'elle si
rimutino ispesso. Nel quale dice che cosa è città e che cosa è reame e chénte
die essere il popolo ch’è ne le città e ne' reami. Nel quale dice che allora è
la città e’l reame trasbuono e 'l popolo trasbuono, quand’elli v’à molte di mezzane
persone. Nel quale dice ched elli é grande utilità al popolo di portare grande riverenza
al prenze ed al signore e ched ellino guardino diligentemente le leggi che i re
e i prenzi ánno ordinate. Come il popolo e generalmente tutti quelli che
dimorano nel reame, si debbono mante nere saviamente, acciò che’l re o’l prenze
non abbia corruccio nė odio contra loro. Come ei re ei prenzi si deb bono
mantenere, acciò ch'ellino sieno amati e temuti dal lor popolo. Ed insegna
questo capitolo che tutto debbiano ei re ei prenzi esser amati e temuti dal lor
popolo, ellino debbono maggiormente volere essere amati che temuti. Del governo
in tempo di guerra. Che cosa è cavalleria e da ch'ella é ordinate. Nel quale
insegna in quale terra sono e’migliori combattieri e quali l’uomo die iscegliere
per combattere dell’uomini che debbono andare a la battaglia. In quale tempo
l'uomo die acco stumare il fanciullo all' opere dela battaglia e per quali
segni l'uomo può conosciare ei migliori battaglieri. Nel quale insegna quante
cose e quali e' conviene avere a' buoni battaglieri, acciò ch'ellino si
combattano bene e giustamente. Nel quale insegna quali sono migliori
battaglieri o i gentili uomini, oi villani, o quellino che nel campo dimorano,
ciò sono ei lavoratori. Nel quale insegna ch’elli è grande utilità ai baltaglieri
chedellino sieno bene esercitati all'arme; e che l’uomo die ei battallieri
apprendare a correre ed a saltare ed andare ordinatamente. Nel quate insegna
ched e’si conviene appréndare ai battaglieri molte altre cose che quelle che
sono dette, cioè a córrare ed assaltare ed andare ordinatamente. Nel quale
insegna che l’uomo die fare nell’oste fossati e castelli. Ed insegna questo
capitolo come l’uomo die fare ei castelli e quante cose l’uomo die guardare in
farli. Nel quale dice quante cose l’uomo die guardare quand’elli vuole o die
imprèndare battaglia comune. Nel quale dice ch’elli è grande utilità ne le
battaglie di portare bandiere e gonfaloni: e che l’uomo die ordinare capitano e
maggiore a ciascuna ischiera. E so - nemici migliantemente questo capitolo
insegna quali debbono essere e banderari e i capitani di quelli a piè e di
quelli a cavallo. Nel quale dice che avvedimenti die avere e che die fare il
signore dell’oste acciò che la sua gente non possa essere gravata dai nemici
per la via. Nelquale dice come l’uomo die ordinare le schiere e le battaglie,
quando l’uomo si die combattere contra I Nel quale insegna che l'uomo die
ferire il suo nemico nello battaglia di puntone e non di ramata. Nel quale dice
quante cose fanno gli avversari più forte che quelli dell’oste é come l’uomo
die assalire ei suoi nemici. Nel quale insegna come ei battallieri si debbono
tenere quando vogliono ferire ei loro nemici, e com’ellino ei debbono inchinare
e come l'uomo si die trarre in drieto quando la battaglia non porta utilità. Nel
quale insegna quante maniere ei sono di battaglie; e in quanti modi l’uomo può
prendare le città e le castella ed in che tempo l’uomo le die assediare. Come
quelli dell'oste si debbono fornire e come l'uomo può vénciare le castella per
cava. Come per l’ingegni del legno che l'uomo può menare al muro del castello,
l’uomo lo può prendare. Come l’uomo può e die edificare le castella acciò
ch'elle non sieno leggermente prese ně come l'uomo può e die guérnire le
castella acciò ch'elle non possano esser prese. Nel quale dice come quelli che
sono nel castello assiso possono e debbonsi difendersi da la cava e dai tra
bocchi e dalli altri ingegni che quellino dell'oste vi fanno. Come l'uomo die
fare le navi, e come l'uomo si die combattere nell'acqua o nel mare, da che
cosa tutte le battaglie debbono essere ordinate assediate. Che cosa è una virtù
che l’uomo chia ma piacevolezza, cioè di sapere CONVERSARE piacevolmente con le
genti, e in che cose la detta virtù die essere, e che si conviene che i re e i
prenzi sieno piacevoli. Appresso ciò che noi avemo detto che cosa è debonarietà,
noi diremo d’un'altra virtù, che l’uomo chiama piacevolezza. E dovemo sapere che
le opere e le parole dell'uomo sono ordinate a tre cose, si come ad avere
piacevolezza e verità, ed avere diletti e giuochi nei solazzi e nelle
allegrezze. LA PRIMA RAGIONE: E la piacevolezza si è, in SAPERE BENE CONVERSARE,
unde quelli che sa onorare e riverire gli uomini convene volmente e secondo
ragione, si à la virtù della piacevolezza. La SECONDA ragione si è, che le
opere e le parole dell’uomo sono ordinate sie a verità che, per le opere e per
le parole dell'uomo può l'altro uomo conosciare chi egli è (“Conversation
maketh the man”). Donde, verità non è altro se non che l'uomo non sia vantatore
e che nè per parole nè per fatti elli non dimostri maggior cosa in lui che vi
sia, nè che l'uomo non si faccia ispiacevole nè per parole nè per fatti oltre
quello che ragione insegna, perchè elli sia gabbato ne dispregiato. La TERZA
RAGIONE a che l'opere e le parole dell'uomo sono ordinate, si è, acciò che
l'uomo sia sollazzevole convenevolmente, e si sappia bene portare nei giochi, e
nelle allegrezze e nei sollazzi. Donde, se l'uomo vuole CONVENEVOMENTE
CONVERSARE e' die essere giochevole e piace vole e veritiere. E di queste tre
virtù noi diremo partitamente, ma prima diremo della piacevolezza. E dovemo sapere
che, NEL CONVERSARE, alcuni si mostrano troppo piacevoli, si come sono e
lusinghieri, e quelli che’n ogne cosa vogliono piacere altrui, che acciò che
piacciano altrui, si lo dano tutti ei fatti è tutti ei detti di ciascuno uomo. E
alcuni sono, che anno troppo gran difalta NEL CONVERSARE co le genti, si come
sono ei malvagi e quellino che sono battaglieri, e tenzonieri; e questi fanno
contra a ragione. Chè neuno die volere essere si piacevole nè si compagnevole,
ch’elli ne do venti o ne sia lusinghieri, e piacere a tutti gli uomini, nė
neuno die essere si pieno di contenzione e di noia, che li con venga cessare
della compagnia delli uomini, ma quelli è da lodare che si sa mezzanamente
portare e secondo ragione, nel CONVERSARE. Donde la virtù che l’uomo chiama
piacevolezza cessa la contenzione dell'uomo e tempera il lusingare, e quello
per lo quale l'uomo vuole a tutti gli uomini piacere. E perciò che l'uomo è per
natura compagnevole, si come dice il filosafo, si conviene dare una virtù per
la quale ne le parole e nei fatti sappia CONVERSARE COOPERATIVAMENTE E
convenevolmente e secondo ragione. E questa virtù che l'uomo chiama
piacevolezza, tutto sie cosa che, tutti quelli che vogliono essere piacevoli e
vivare in cooperazione, compagnia ed in comunità con l’altro, conviene ch'elli
abbiano, acciò che siamo cortesi e piacevoli, non perciò debbiamo essere si
cortesi ne si piacevoli ad uno come un altro: chè la dritta ragione insegna,
che, secondo la diversità dei due conversatori, l'uomo si die portare in
maniera appropriata con l’altro. E perciò che troppa amistà e troppa gran
compagnia mostrare ad ogni uomo fa l’uomo ispiacevole e vile; il gentile uomo
si debbe più alteramente contenere che l’altro, acció che l'uomo lor porti più
onore e più reverenza, e che la dignità de la loro grandezza non sia abbassata
nè avvilata. Donde il filosafo dice che i re e i prenzi debbono mostrare
ch’ellino sieno persone degne d’onore e di reverenza. Chè si come noi vedemo
che alcuna vianda fuôra soperchio a uno infermo che non basterebbe ad uno sano,
cosi è nell'essere piacevole e cortese, che alcuna piacevolezza s’aviene a’re
secondo ragione, che non s’aviene cosi ad un’altra persona comune. L’Enciclopedia
italiana cura l’edizione critica del “Il regime del principe”, testimoniato da nove manoscritti, tra cui il
codice della Biblioteca di Firenze (sig, che si distingue sia per motivi
cronologici (nell’explicit reca la data) sia per la veste linguistica, in
prevalenza senese, verosimilmente molto vicina a quella dell’originale, ciò che
lo rende un documento di lingua privilegiato rispetto alle coeve attestazioni
di varietà toscane non fiorentine tra fine Due- e inizio Trecento. L’opera
discende dal “Il regime del principe”, composto da Colonna filosofo tra i più
autorevoli della sua epoca, nato a Roma. Dedicato a un principe, di cui Colonna
fu tutore e ispirato alla Retorica, la Etica, e la Politica di Aristotele, esuddiviso
in tre libri concernenti la “morale», ossia l’etica (disciplina dell’individuo),
l’oeconomia (della casa), e la politica (della città o reame o villa) - è il
più corposo trattato basso-medievale sul regime del ‘gentile uomo’ ed ebbe non
solo una straordinaria fortuna in Italia fino a tutto il XV secolo come elogio
della cavalleria. Esercita una notevole influenza sul Convivio, sul “De vulgari
eloquentia” e sulla “Monarchia” di Alighieri. “E lasciando lo figurato che di
questo diverso processo dell’etadi tiene Virgilio nello Eneida, e lasciando
stare quello che Egidio eremita [il filosofo appartenne all’Ordine degli
Eremitani di Sant’Agostino ne dice nella prima parte dello Regime del Gentile
Uomo. L’ampia Introduzione, oltre a tracciare il profilo biografico di Egidio
illustrando contenuto, fonti e storia della ricezione del suo capolavoro,
esamina nei dettagli il debito di Alighieri, la fortuna figurative o
iconografica del trattato (l’affresco giottesco della Cappella degli Scrovegni
di Padova, precisamente nella Virtù; l’Allegoria ed Effetti del Buono Governo
realizzata da Lorenzetti a Siena, specie nella particolare raffigurazione della
giustizia commutativa e la giustizia distributiva alla sinistra dell’affresco
-- i rapporti tra il De regime e il Livre dou gouvernement (una drastica
riduzione non sempre perspicua, di cui sono noti trentasei manoscritti) e tra
questo e il Livro del governamento, la prima traduzione, pur parziale, di opere
che solo successivamente furono volgarizzate nella loro interezza, ad opera di
un anonimo senese, come avevano già ipotizzato, tra gli altri, Segre e
Castellani. Inoltre si auspica - e intanto s’imposta in modo acuto e pregnante
- un commento dedicato alle fonti del “Regime”, ormai indispensabile alla luce
della ri-valutazione della filosofia nel vernacolare tra Medioevo e
Rinascimento portata avanti dalla bibliografia più recente. Grazie infatti agli
studi degli ultimi due decenni, siamo oggi più informati sui modi in cui la
cultura vernacolare interagì con quella antica, bolognese, tradizionalmente
ritenuta ‘più alta’, e sul diverso pubblico, dichiarato o reale, cui si
indirizzava la trattatistica filosofica dei secoli dal XIII-XIV in avanti. Infine,
si passano in rassegna le altre versioni del De regimine (quella senese è bensì
la più antica, ma non l’unica: se ne conoscono almeno altre cinque).
Nella parte prima della Nota al testo si dà conto della tradizione manoscritta
dei testimoni completi e dei testimoni parziali (descrizione esterna,
descrizione interna, bibliografia), offrendo dati preziosi sulla tradizione a
stampa del De regimine e sulle edizioni del Governamento. Nella parte seconda
si indicano i criterî di edizione e gli usi del copista. L’appendice
prima alla Nota al testo raccoglie le aggiunte inter-lineari e marginali al
Governamento del manoscrito fiorentino, mentre in una seconda appendice si
riportano alcune annotazioni sulle relazioni fra i testimoni del Governamento.
La prima e fondamentale caratteristica della tradizione è che tutti i mss.
paiono al tempo stesso testimoni molto vicini tra loro tanto che è dimostrabile
la presenza di un archetipo a monte della tradizione, ma non per questo
facilmente classificabili nei loro rapporti reciproci, principalmente perché
spesso contaminati dal ricorso alla versione nella lingua antica. Il secondo
volume è interamente dedicato allo spoglio linguistico sistematico sull’intero
testo, tendente per quanto possibile «all’esaustività delle allegazioni per
ciascuna forma»: grafia, fonetica, morfologia, sintassi. Chiudono il
volume un ricco repertorio bibliografico e gl’indici onomastico, toponomastico,
dei nomi e dei manoscritti. Grice: “Poor Ockham is known as Ockham – god knows,
but he is not telling, what his surname was, if any! On the other hand, the
rather pompous Romans have Egidio as a ‘Colonna,’ even if, as the Treccani notes, ‘the links with the
Roman family are unclear’!” -- Romano: Egidio Romano,
arcivescovo della Chiesa cattolica Filip4 Gilles de RomeEgidio Romano e
Filippo il Bello (miniatura di un codice medievale). Template-Archbishop.svg Incarichi
ricopertiArcivescovo di Bourges Roma Nominato arcivescovo25 aprile 1295
Deceduto22 dicembre 1316, Roma. C., latinizzato come C., indicato anche come C.
(Roma), filosofo. Generale dell'Ordine di Sant'Agostino. Dopo la sua morte, gli
sono tributati i titoli onorifici di Doctor fundatissimus e Theologorum
princeps. È discepolo d’Aquino a Parigi, dove insegna, prima di diventare
generale degl’agostiniani e arcivescovo di Bourges. È inoltre il precettore di
Filippo il Bello per il quale scrive il trattato De regimine principum,
sostenendo l'efficacia della monarchia come forma di governo. -- è considerato tra i più autorevoli filosofi
di ispirazione agostiniana, attivo anche nella vita intellettuale e politica in
un contesto culturale ed istituzionale travagliato da frequenti ed aspre
polemiche sul problema del rapporto tra potere temporale e potere spirituale.
Questo filosofo è generalmente ricordato, insieme al prediletto allievo VITERBO
(si veda), per il contributo nella redazione della celebre bolla Unam Sanctam
di Bonifacio e per il ruolo significativo che assunse il maestro degl’eremitani
d’Agostino quale autore del De Ecclesiastica potestate e, dunque, quale teorico
famoso e autorevole della plenitudo potestatis pontificia. In C. rileviamo
subito una compresenza del duplice atteggiamento dottrinale e politico. Infatti
è possibile rintracciare il De regimine principum, scritto per Filippo il Bello
e di ispirazione aristotelico-tomista (AQUINO (si veda)) inerente alla
naturalità dello stato italiano, erigendola a difensore della potestas regale.
Nel De Ecclesiastica potestate, invece, C. afferma la superiorità del
sacerdotium rispetto al REGNVM, distinguendosi quale rappresentante della
teocrazia papale. La riscoperta del LIZIO e l'agostinismo politico In seguito
alle condanne di Tempier. C. difende la tesi d’AQUINO, per la sua qualifica di bacca-laureus
BACCA-LAVREVS -- formatus, ma, proprio a causa delle condanne stesse, viene
sospeso dall'insegnamento. Gl’avversari del papato trovano nel pensiero del
LIZIO gli strumenti per svolgere un'analisi politica che mette in discussione
la sacralità del potere. Dall'altra parte troviamo l'influenza della corrente
speculativa dell'agostinismo politico (ossia quel fenomeno di compenetrazione
fra stato italiano e Chiesa, all'interno del quale Agostino viene a giocare un
ruolo fondamentale dal momento che l'apporto teorico del suo De Civitate Dei
conduce a confusioni inevitabili fra il piano spirituale della Civitas Dei Cælestis
e il piano temporale della vita terrena che è ROMA CIVITAS PEREGRINA), che
ripropone la teoria delle due città e riafferma la superiorità del sacerdotium
rispetto al REGNVM, costituendo un vero e proprio partito del Papa. C. rivendica
la plenitudo potestatis come proprietà costitutiva dell'auctoritas del papa in
quanto homo spiritualis. C. sostituisce al concetto agostiniano di ecclesia,
quello di REGNVM al fine di estendere gl’ambiti del potere del SOVRANO
ecclesiastico. Il SOVRANO ecclesiastico, il papa, dove esercitare la sua
sovranità anche sul POTERE TEMPORALE al fine di garantire l'ordine mediante una
forma di DOMINIVM che coincida con la sua stessa missione spirituale.
Opere: Frontespizio delle In secundum librum sententiarum quaestiones
L'edizione critica dell'opera omnia è stata intrapresa, per Leo S. Olschki,
(Aegidii Romani opera omnia, collana Corpus Philosophorum Medii AeviTesti e
Studi), dal gruppo di ricerca di Francesco Del Punta. Quaestio de gradibus
formarum, Ottaviano Scoto (eredi), Boneto Locatello, In secundum librum
sententiarum quaestiones, 1, Francesco
Ziletti. In secundum librum sententiarum quaestiones, Ziletti, Opere, Antonio Blado, In libros De
physico auditu Aristotelis commentaria, Ottaviano Scoto (eredi), Boneto
Locatello, De materia coeli, Girolamo Duranti, Quodlibeta, Domenico de Lapi. TreccaniEnciclopedie on line,
Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Lambertini, Giles of Rome, Zalta, Stanford
Encyclopedia of Philosophy, Center for the Study of Language and Information
(CSLI), Stanford,. Briggs e Eardley,
A Companion to C., Leiden, Brill,. Silvia Donati, Studi per una cronologia
delle opere di Egidio Romano: I. Le opere prima: I commenti aristotelici.
"Documenti e studi sulla tradizione filosofica medievale", Gian Carlo
Garfagnini, Egidio Romano, in Il contributo italiano alla storia del Pensiero:
Filosofia, Istituto dell'Enciclopedia Italiana,. Francesco Del Punta-S.
Donati-C. Luna, C., in Dizionario biografico degli italiani, Roma, Istituto
dell'Enciclopedia Italiana. Filippo Cancelli, Egidio Romano, in Enciclopedia
dantesca, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, Papa Bonifacio VIII Teocrazia C.
su Treccani Enciclopedie on line, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Ugo Mariani, C., in Enciclopedia Italiana,
Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Egidio Romano, su Enciclopedia Britannica,
Encyclopædia Britannica, Inc. su ALCUIN, Ratisbona. Opere di Egidio Romano, su openMLOL, Horizons
Unlimited srl. su Egidio Romano, su Les Archives de littérature du Moyen Âge. C.,
in Catholic Encyclopedia, Robert Appleton Company. Cheney, Egidio Romano, in Catholic
Hierarchy. Lambertini, Giles of Rome, in Edward N. Zalta, Stanford Encyclopedia
of Philosophy, Center for the Study of Language and Information, Stanford. Biografia a cura dell'associazione storico-culturale
S. Agostino, su cassiciaco. Predecessore Arcivescovo metropolita di
BourgesSuccessoreArchbishopPallium PioM.svg Simone di Beaulie Raynaud de La
Porte. NUMISMATIC
NOTES AND MONOGRAPHS. ITALIAN ORDERS OF CHIVALRY AND MEDALS OF
HONOUR GILLINGHAM THE NUMISMATIC SOCIETY Wonr nl PUBLICATIONS
The Journal of Numismatics. With many plates, illustrations, maps and
tables. Less than a dozen complete sets of the Journal remain on hand.
Prices on application. The numbers necessary to complete broken
sets may in most cases be obtained. An index to the first fifty volumes
has been issued as part of Volume LI. It may also be purchased
separately. The American Numismatic Society. Catalogue of
the International Exhibition of Contemporary Medals. March. New and
revised edition. The Numismatic Society. Exhibition of Colonial
Coins. NUMISMATIC NOTES et MONOGRAPHS Numismatic
Notes and Monographs is devoted to essays and treatises on subjects
relating to coins, paper money, medals and decorations, and is
uniform with Hispanic Notes and Monographs published by The Hispanic
Society of America, and with Indian Notes and Monographs issued by
the Museum of the American Indian Heye Foundation. Publication
Committee Baldwin Brett, Chairman Russell Drowne Reilly,
Jr. Editorial Staff Noe, Editor Wood, Associate
Editor Earle, Assistant . Italy (savoy) Order of the Most Sacred
Annunciation Plaque ITALIAN ORDERS OF CHIVALRY AND MEDALS
OF HONOUR. GILLINGHAM. THE NUMISMATIC SOCIETY Press of The Lent et Graff
Co. ITALIAN ORDERS OF CHIVALRY AND MEDALS OF HONOUR Gillingham. Students
have always found the coinage of Italy of more than passing interest,
and the country of the early Romans is still a far from exhausted
field of numismatic research. Few sections of Europe have had such a
varied history. Few have been more ought over. Greeks, Romans,
Vandals, Goths, Franks, Germans, Normans, Spaniards, Austrians and the
Papal Authorities have had a hand in the mismanagement of
the country’s affairs, and all have left traces of their influence,
but nowhere more definitely than in the field of numismatics. The changing
coinage has always been interesting, and the publication of the
Corpus Nummorum Italicorum, undertaken by His Majesty, Victor Emmanuel
III, is a magnificent demonstration of the value of numismatic research.
In the time of OTTAVIANO, Italia is divided into sections. In the
feudal period many of these had been governed for centuries by
members of the same family. It is a normal condition for these clans
to wage war one upon the other, and this state of affairs exists
almost uninterruptedly until the middle of the Nineteenth
Century. The destinies of Italy were decided in the cabinets and on
the battle-fields of Northern Europe—a Bourbon at Versailles, a
Haps- burg at Vienna or a thick-lipped Lorrainer, with the stroke
of his pen, wrote off province against province, regarding not the
population who had bled for him or thrown themselves upon his mercy.” Through
it all, the Papacy has exerted a powerful influence. In the early
period such a shifting of control was not to the best interests of the
inhabitants. The Kingdom of Italy, as we know it today, did
not exist, of course, until 1870. With the fall of the French Empire
under Napoleon III, the assistance of France was no longer
available, and Rome came under the dominion of Victor Emmanuel. All
of that gieat mountainous peninsula was united and free. For over
seventy years the country has been governed by a Prince of the
House of Savoy. Its population has prospered more during that period than for
many preceding centuries. These changing conditions were not
without effect upon the organisations which we class as Orders of
Knighthood. Many of the Orders of Chivalry founded by the Ducal or
Princely rulers of Italy were named for their patron saints. It has
seemed expedient in this article to treat of the Orders and Decorations
of all of these changing principalities separately. Insofar as is
possible, any repetition which this course involves has been
avoided. Lucca, the most northern province of Tuscany, lies between
the Apennines and the Mediterranean Sea. Its principal city, Lucca,
on the River Sarchio, is famous for a remarkable bridge which is said to
have been built about 1000 A.D. From the time of the Narses, in the
Sixth Century, Lucca was an important city. Here and at Pisa, the
earliest Italian school of painting flourished in the Twelfth and
Thirteenth Centuries. Lucca became an autonomous commune from the
death of Matilda (1115). In 1314 Uguccione della Faggiola seized the
reins of Government, but later he was superseded by the powerful
Castruccio Castracani. Louis of Bavaria, after having occupied it
by his troops, sold it to a Genoese banker, Gherardo Spinola; it was
seized by John, King of Bohemia, pawned by him to the Rossi of
Parma, sold to Florence, relinquished to Pisa, nominally liberated by
Charles IV (Emperor of Germany, 1346- 1^78) and governed by his vicar.
Lucca, MEDALS OF HONOUR 5 subjected to endless
vicissitudes, managed first as a democracy and after 1628 as an
oligarchy, to maintain its independence, alongside of Venice and Genoa,
and painted the word “Libertas” on its banner until the French
Revolution. In 1805, Napoleon I gave Lucca to his sister Eliza, who
had married Bacciochi. It was occupied by the Neapolitans in 1814,
and from 1816 to 1847 it was the Duchy of Maria Louisa of Parma
(who married her cousin, Charles IV of Spain), and was ruled by her son,
Charles Louis. It later formed one of the provinces of Tuscany.
Under the rule of the Lombard Dukes, Lucca possessed a coinage of its
own. MILITARY ORDER OF SAINT GEORGE OF LUCCA. Duke Charles
Louis Ferdinand, a Spanish Bourbon, founded this Order on June 1, 1833.
It was called Or dine di San Giorgio per il Merito Militare, and
was awarded for military services to the Duchy. It was also issued to
officers and privates whose service exceeded three years. The
Decoration is a Maltese cross, enam¬ elled white. It is edged with gold
for the first class, with silver for the second, while for the third
class it is silver without the enamel. In the centre is a white
medallion, upon which there is a gold figure of St. George slaying
the dragon, surrounded by the words AL MERITO MI LI TARE on a green
band. The reverse shows the initials of the founder, C.L., crowned, and
the date 183J. The ribbon is bright red with a white stripe.
ORDER OF SAINT LOUIS. Founded on December 22, 1836, by Duke
Charles Louis, and awarded for civil merit. It was reorganized in
1849 by his son, Charles III, Duke of Parma, a Bourbon, for Civil
and Military service; it is, therefore, classed with the Orders of
Parma also. See page 19. The badge of the first class is a
white- enamelled cross, with heavy gold lines and with a large
fleur-de-lis at the tip of each cross-arm. The obverse bears a shield
upon which is an effigy of Saint Louis in golden armour; the
reverse has a shield bearing the Bourbon crest of three lilies. The
second class cross is of silver and white enamel, NUMISMATIC
NOTES ITALIAN DECORATIONS Pl. 1
Parma Order of Saint Louis while the third is all
silver but without the crown. The ribbon is blue with a yellow
stripe on either side. MEDAL FOR MILITARY SERVICE. Created on
June i, 1833, for officers who had served over thirty years, and called
the Medaglia di Anzianita. The obverse bears a gilt Maltese cross
with the initials C.L. and a crown above; on the reverse are the
Roman figures XXX, denoting the years of service. The ribbon is
blue, with yellow stripes— four of the former and three of the
latter. CIVIL MEDAL OF MERIT. This Dec¬ oration was also
instituted by Duke Charles Louis. It is of silver and bronze. The
initials of the founder, C.L. intertwined, ap¬ pear on the obverse, and
the reverse has inscribed thereon the words, AI BEN EME¬ RITI DELLA
SALUTE PUBBLICA. NUMISMATIC NOTES MEDALS OF HONOUR. Mutina, as Modena
was then called, was a Roman colony. For more than twelve centuries
there were constantly changing rulers. In 1288 A.D. Obizzo II
(1240-1293), of the princely house of Este, received the lordship of
Modena. The Este family was one of the oldest of Northern Italy, dating
back to about 917 A.D. Through the marriage of an heiress of the
house of Welf, of Bavaria, with a younger son of the house of Este, this
family became connected with the houses of Brunswick and Hanover,
from which are descended the Sovereigns of England, through the house
of Guelph. At various periods, the Estensi received the
sovereignties of Ferrara, Modena and Reggio. The male branch of the
family lost the duchies of Modena and Reggio on the death of
Hercules Rinaldo, who died in 1803. His only daughter, Maria,
married Ferdinand of Austria, son of Francis I and Maria Theresa.
Their son, Francis IV, in 1816 became the first Hapsburg duke of
AND MONOGRAPHS ITALIAN ORDERS Modena. He died in 1846,
and when his son Francis V died in 1875, the male line of the
Austrian Estensi became extinct and the title passed to Francis, son of
Archduke Charles Louis. Members of the Este family and their
descendants had held the Duchy of Modena almost continuously from 1288
until i860. In that year the territory by a plebescite was declared part
of the King¬ dom of Italy. ORDER OF THE EAGLE OF ESTE.
Founded by Francis V on December 27, 1855, and awarded for military and
civil merit. The number of the members of the Order was limited to
20 for the Grand Cross, 40 for the Commander Class and 120 for the
Class of the Knights. The decoration was surrendered on the death of the
Knight. The insignia is a gold Maltese cross with gold knobs at the
points, white-enamelled and edged with blue. Between the arms of
the cross are gold scrolls, and the letters E.S.T.E. are distributed in
the angles. On the blue medallion is the white-crowned eagle of the
house of Este, surrounded by a NUMISMATIC NOTES
ITALIAN DECORATIONS Pl. J L
Modena Order of the Eagle of Este
white-enamelled band, inscribed PROXIMA SOLI MDCCCLV. The reverse centre
of white enamel bears the figure of Saint Con- tardo holding a cross.
It is surrounded by a blue-enamelled band bearing three stars and
inscribed S. CON TARDUS ATESTI - NUS. The ribbon is white, edged with
blue stripes. When awarded for military merit, the cross is
surmounted by a trophy of arms; for civil merit, by an oak wreath.
MILITARY MEDAL FOR LOYALTY. Francis IV, the first Hapsburg duke of
Mo¬ dena (1816-1846), caused a medal to be struck and awarded to
those of his troops who re mained faithful during the riot of
February 4, 1831. This disturbance was organized by Ciro
Menotti, and forced Francis IV to flee from his capital. It was thought
by some that the Duke was in league with Menotti, but as the Duke
caused Menotti to be put to death when the Revolution was
suppressed, this is doubtful. The silver medal given to his supporting
troops bears the inscription FIDELI MILIT 1 MDCCCXXXI. Within a
wreath of laurel, NUMISMATIC NOTES MEDALS OF HONOUR 1
3 and below are two crossed swords. The reverse is inscribed
FRA NCI SC US IV DUX MUTINAE. The ribbon has three stripes, equal in
width; the middle one white, the side ones blue. CROSS FOR
SERVICE. Authorized by Francis V, May 16, 1852. This medal was
awarded to officers who had served 25 years under the banner of the house
of Este. It is a silver cross with a gilt edge. In the centre is
the white eagle of Este, surmounted by a crown and the letters F. V. The
reverse bears the Roma n figures XX V. The cross is surmounted
by the ducal crown, and the ribbon is white, edged with blue.
MILITARY MEDAL OF MERIT. This decoration was created in 1852 for
the junior officers and privates. It is silver. On the obverse
appears a bust of the duke facing left, and the legend FRANCESCO V
DUCA Dl MODENA EC. EC. ARCIDUCA D’AUS¬ TRIA ESTE EC. EC. On the
reverse, within a laurel wreath, PEL MERITO MI LI TARE. The ribbon
is blue, edged with white. AND MONOGRAPHS MEDAL OF FIDELITY.
Francis V ap¬ pears to have been in a struggle with his subjects
during most of the thirteen years of his reign. He was compelled to
seek refuge in Austria in 1849, but he returned to Modena after the
battle of Novara on March 24th of the same year. Ten years later he
was again forced to flee. In i860 Modena became part of United Italy. To
reward those of his subjects who had remained faithful to him
during his exile, he created the Medal of Fidelity in 1863. It is
bronze, 32mm. in diameter. On the obverse it bears the effigy of
the duke and the inscription FRANCESCO V AUST. ATESTENUS DUX MUT 1
NAE ; on the reverse, the words FI DELI TATI ET CONSTANTIAE IN
ADVERSIS MDCCCLXIIL surrounded by a wreath of oak leaves. The ribbon is
of blue and white horizontal stripes, edged with blue and
white. PARMA. Parma was the Eastern section of
Gallia Cispadane at the time of Constantine. It lies in the Lombard
plain, north of the Apennines, south of the River Po and west of
Modena. For the first fifteen centuries of the Christian era, the many
rulers of Parma were of various nationalities. The duchy came into
the possession of the Far- nese family during the early part of the
Six¬ teenth Century. Eight dukes of that family ruled over the
destinies of its people. From Antonio, who died childless in 1731,
the duchy passed to Charles of Bourbon (Don Carlos), Infante of
Spain, who became King of Naples in 1735. Both Austria and Spain
governed it at various times. At the Con¬ gress of Vienna in 1815, the
duchy was granted to Marie-Louise (daughter of Fran¬ cis I of
Austria), second wife of Napoleon I. She died in 1847. Spanish and
Austrian rulers again came into possession. Charles III, a Bourbon
and the grandson of Victor Emmanuel I of Sardinia, reigned until his
assassination. During the regency of his son Robert, Parma was
incorporated in the Kingdom of Italy. ORDER OF CONSTANTINE.
Authori¬ ties differ with regard to the date of the insti¬ tution
of this Order. It has been said that it was founded by Constantine the
Great about the year 313 A.D. Others give credit to thle Byzantine
Emperor Isaac II (Isaac Angelus Comnenus), and fix the year as
1190. This seems the more probable date. The Order is also called the
Order of Saint Angelus, the Order of the Golden Chevaliers, and the
Military Order of Constantine of Saint George, it being under the
patronage of that Saint and Martyr. Late in the Seventeenth Century
its control appears to have been sold to Francis I (Francis of
Farnese), Duke of Parma, who became the Grand Master. The Order came into
high repute because of the rules he observed in its distribution,
and also because of the large domains he conferred upon it, including
the church of the Madonna della Steccata at Par¬ ma. Clark
attributes its revival to Charles V. In 1734 or 1735, after the
extinction of the male line of the Farnese family, the heir to the
Duchy of Parma, Infante Don Carlos (son of Philip V of Spain and
Elizabeth Far¬ nese), became the Grand Master. He trans¬ ferred the
Order to Naples when he ascended that throne. It was abolished in
Naples by Joseph Bonaparte in 1806 but continued in Sicily. Revived
in 1814, it remained in existence until the unification of Italy.
Owing to its transfer to Sicily, it is fre¬ quently classed among the
Orders of the Two Sicilies. The members of the Order consist of
Senators, Commanders, Knights, Serving- brothers and Squires.
On August 8, 1922, the Count d’Caserta of the Austrian line of
Bourbons, and a dis¬ tant cousin of the King of Italy through the
female line, honoured one Michael Cangiano, the official Interpreter of
the Superior Court of Cambridge, Massachusetts. Signor Can¬ giano
was made a Knight of the Order of Constantine of Saint George of Parma
and of Sicily. This indicates that the Order has been continued as
a Family Order by the old rulers of those Duchies Pl. Ill
Parma Order of Constantine MEDALS
OF HONOUR 19 The insignia is a red-enamelled gold
cross, fleurv. On the arms are the letters I.H.S. V. (In hoc signo
vinces). In the centre is the Labarum, or Standard. Greek letters X
and P crossed,and A (Alpha) and et (Omega). Harold Bayley, in his book
entitled Lost Language of Symbolism, London, 1913, writes,—“The
Latin P has the same form as the Greek letter named Rho. One of the
most famous emblems of early Christianity— known as the Labarum,
the seal of Con¬ stantine, or the Chi-Rho monogram—is the letter X
surmounted by a P. The two letters Chi and Rho are assumed to read Chr,
a contraction for the name Christ, but the symbol was in use long
ages prior to Chris¬ tianity.” The first class members of the Order
wear a gold figure of Saint George slaying the dragon, suspended from
the cross. The ribbon is light blue moire. ORDER OF SAINT L
OUIS. Charles III, Duke of Parma, revived this order at Parma,
August 11, 1849, as an award of merit. His father Charles Louis (or
Charles II) had originated the order in Lucca in 1836. There
are five classes and the insignia is a cross, composed of four
fleurs-de-lis, bound together by their leaves. On the centre of the
obverse in a blue-enamelled shield are three gold lilies. On the reverse
is a figure of St. Louis, surrounded by the motto DEUS ET DIES (God
and light). The Grand Cross and that for Commanders and Cava¬ liers
of the first class have a gold figure of St. Louis surmounted by a gold
crown. The cross for the second class Cavaliers has a silver figure
with a silver crown, and the fifth class is of enamelled silver without
a crown. The ribbon is light blue and yellow. MEDAL OF MERIT.
Founded during the reign of Marie Louise. Marie Louise was the
mother of the Little King of Rome who, fortunately for Italy, never
reigned. The medal is silver, 20 mm., and bears on the obverse, AI
BENEMER- ENTI DEL PRINCIPE E DELLO STATO. On the reverse is the
head of Marie Louise and the inscription, M. LOUIS ARCID. D. D. AUSTRIA
DUCA DI PARMA PIAZ. E. GUAST. The ribbon is light blue and light
red. NUMISMATIC NOTES MEDALS OF
HONOUR # 21 SAN MARINO. When
Marinus, the Dalmatian monk, and his companions settled in the
Eastern Apennines, in the third century, they little thought they
were establishing a community with such a future. For a long time
San Marino was something like a buffer state, between hostile
Italian dynasties in that vicinity. In 1631, the Independence of
San Marino was acknowledged by the States of the Church. Napoleon I
preserved its sep¬ arate existence in 1797, and Napoleon III
protected it from the designs of Pope Pius IX in 1854. At the unification
of Italy, 1859-1860, San Marino was still allowed its independence,
and today it is the smallest Republic in Europe. ORDER OF
CHIVALRY OF SAN MA¬ RINO. Sometimes called the Equestrian Order of
San Marino, created on August 13, 1859, by the Council of the Republic,
in commemoration of the fifteenth century of its foundation. The
purpose of its founda- AND MONOGRAPHS ITALIAN
DECORATIONS f Pl. IV San Marino
Order of Chivalry of San Marino MEDALS OF
HONOUR tion was to reward those who were promi¬ nent in the welfare
of the country and its people. There are five grades: Grand
Crosses, Grand Officers, Commanders, Offi¬ cers and Chevaliers. The badge
or cross, which is surmounted by a gold crown, is a gold-edged,
white-enamelled cross moline with a gold ball at the end of each arm.
Be¬ tween the arms are four gold towers. The obverse centre bears
the effigy of Saint Marino to left, surrounded by a blue band,
inscribed SAN MARINO PROTETTORE. The reverse bears on a gold shield, in
the cen¬ tre, the arms of the country—the three towers. The shield
is surrounded by a blue band bearing the words MERITO CIVILE E MI
LI TARE. The ribbon is of seven equal stripes, four of blue and three of
white. The writer has four specimens of this cross. Two have
full-faced busts of San Marino, with white hair and beard. One has
a younger face to the left, with black beard and hair, while the
fourth has a bust in gold, facing to the left, but on a
white-enamelled field. Two of the specimens bear on the reverse
MERITO CIVILE. Elvin and AND MONOGRAPHS ITALIAN ORDERS
AND Lawrence-Archer give the inscription as “Merito
Militare,” while the Catalogue Musee de VArmte has it “Merito
Civile.” Cappelletti and Puca, the Italian authori¬ ties, give the
former wording, and the figure of San Marino facing to the left; and
this, no doubt, is correct. MEDAL OF MERIT. Instituted
on March 22, i860. This is octagonal in form and of gold, silver
and bronze, according to the importance of its award. In the centre
of the obverse is the Arms of the Republic, the three towers, within an
oak and laurel wreath, below which is the word LIBERT AS; around
this is, REPUBBLICA Dl SAN MARINO. On the reverse, within an oak
wreath, is the word ANZIANITA if the pur¬ pose of the reward is military,
or MERITO, if for civil award. The ribbon is light blue, edged with
red. NUMISMATIC NOTES MEDALS OF HONOUR 25
SARDINIA, SAVOY AND THE KINGDOM OF ITALY. Sardinia, one
of the islands of the King¬ dom of Italy, is known to have been settled
by the Carthaginians in 512 B.C. Thence¬ forward Romans, Vandals, Goths,
Saracens, and the Genoese ruled the island. In the year 1325 A.D,
the king of Aragon took pos¬ session. From that time until 1403
Sardinia was an Aragonese province. After the union of Aragon and
Castile, it became Spanish and so remained until 1713, when it was
ceded to Austria by the treaty of Utrecht. In 1720 it w r as given to
Victor Amadeus II (1666-1732), Duke of Savoy, in exchange for the
island of Sicily, and he became King of Sardinia; the title of King of
Savoy was con¬ ferred upon him the same year. This title of King of
Sardinia and Savoy continued until the unification of Italy in
1859-1860. MEDAL OF VALOUR. Created in 1793 by Victor Amadeus
III (1727-1796), King of Sardinia. It is of gold and silver, 38 mm.
AND MONOGRAPHS ITALIAN ORDERS in diameter, and bears
on the obverse a bust of the king facing to right and VITTORIO-AM ADEJJS
III. The reverse has a wreath of oak leaves, within which is a tro¬
phy of arms and flags, and the words AL V A LORE. The ribbon is dark
blue. About 1404 Amadeus VIII, (the first Duke of Savoy),
extended his provinces. The teriitory over which he later reigned
extend¬ ed from the Lake of Geneva to the Mediterranean Sea, and from the
River Saone (in France) to,the River Sesia in Italy. The Duchy of
Savoy also included Nice. This section remained almost continually
in the possession of the house of Savoy until i860. It is
said that Napoleon III had a secret treaty with Count Cavour, the Italian
states¬ man, before the French army went to assist the Sardinians
to drive the Austrians from Northern Italy. At the Peace table,
Savoy, the cradle of the house of that name, as well as Nice,
was given to France. Of this set¬ tlement, Garibaldi is reported to have
said, “That man (Cavour) has made me a foreigner in my own
house.” Inasmuch as the Kingdom of Italy has
NUMISMATIC NOTES MEDALS OF HONOUR 27 been ruled by
princes of the house of Savoy, it seems proper to describe, in the
subsequent pages, the decorations generally known as Italian Orders
of Chivalry and Medals of Distinction. ORDER OF THE MOST
SACRED ANNUNCIATION. This Order is the high¬ est in rank and most
important of all the Italian Decorations. It ranks with the Golden
Fleece of Spain and the Garter of England. Authorities differ as to its
origin, though many of them give the year 1362 as the date of its
foundation. In that year, the Order of the Neck Chain 01 Order of
the Collar of Savoy was founded by Amadeus VI, Count Verde of Savoy.
His grandfather, Amadeus V, called the Great, assisted the Knights
of the Order of Saint John of Jerusalem at Rhodes, and compelled
the Turks, under Mahomet II, to abandon their siege of that island in
1310 or, as some state, in 1315. For this service Amadeus V was
presented with a collar, bearing the let¬ ters F.E.R.T. Fortitudo ejus
Rhodum tenuit (By his bravery Rhodes was held). He was also granted
for his Arms, the use of the white cross of the Crusaders, which
later became the Cross of Savoy (H. W. Finch- am’s “Order of St.
John of Jerusalem in England”). Although authorities differ as to
the exact meaning of these letters F.E.R.T., the above is the more
generally accepted explanation, and is that given by Bernardo
Giustinian, the Italian authority, in 1692. In 1518, new statutes were
formu¬ lated for the Order by Charles III, Count of Savoy. At that
time the name was changed to the Order of the Most Sacred Annuncia¬
tion. Several changes in the Order have been made by various Counts of
Savoy since that time, among whom were Victor Emman¬ uel II in 1869
and Humbert I in 1889. There is but one class of Members—Chevaliers
or Knights, whose number, exclusive of the Sovereign and Church
Dignitaries and Princes, is limited. They must also be of the Roman
Catholic faith. The insignia consists of a gold medallion on which is
a representation of the Annunciation, above which is a dove,
symbolising the Holy Spirit. This is surrounded by a group of symbolic
NUMISMATIC NOTES ITALIAN DECORATIONS Pl. Italy
(savoy) Order of the Most Sacred Annunciation 30
ITALIAN ORDERS knots of ribbon (lacs d’amour), on which
are numerous roses, a possible reference to the Mystic Rose. The
whole is suspended from a gold chain, composed of alternate knots
of ribbon and roses, with the letters F.E.R.T. interwoven. The
plaque, or star, is similar to the badge, surrounded by eight rays
of flame, with the letters F.E.R.T. on the sides. The ribbon is blue
moire. (Frontispiece.) ORDER OF SAINT MAURICE AND SAINT
LAZARUS. The Order of St. Mau¬ rice was instituted in 1434, at
Ripaille, near the lake of Geneva, by Amadeus VIII (13^3-1450),
Count and first Duke of Savoy. The Order took its name from the
patron saint of Savoy. Amadeus VIII conferred this Order on ten of
his courtiers when they accompanied him to his retreat at the
priory of Ripaille. He was elected Pope in 1439, taking the name of
Felix V, but he resigned in 1448 and retired to the solitude of
Ripaille, where he died in 1450. He is buried at Lausanne. Shortly
after his death, the Or¬ der became dormant. It was revived in
NUMISMATIC NOTES ITALIAN DECORATIONS Pl. Italy
(savoy) Order of St. Maurice and St. Lazarus
1572 by Duke Emmanuel Philibert of Savoy, to encourage the
Catholics to resist the Cal- vinistic reforms attempted in Savoy.
The Dukes of Savoy were Grand Masters. The Order of Saint
Lazarus was gen¬ erally supposed to have been founded about the
year 1060, during the earlier crusades, although there was a Fraternity
of Ecclesias¬ tical Knights who as early as 366 A.D. founded a
hospital at Jerusalem to care for the lepers. These were known as
the Knights of St. Lazarus. Elias Ashmole, in his “History of the
most noble Order of the Garter,” London, 1715, writes—“At length,
through the incursion of the Barba¬ rians, and Injury of Time, it (the
order) lay extinguished, but was revived when the Latin Princes
joyned in a Holy League to recover the Holy Land. . . . For in that
Time the Monks of this Order added Martial Discipline to their Skill in
Physick; and for their Services against the Infidels, begat a great
Esteem from Baldwin II, King of Jerusalem, and some of his
Successors.” The Order was inactive for a long period.
NUMISMATIC NOTES MEDALS OF HONOUR 33 In 1490 it
was united with the Hospitallers of St. John at Rhodes, but in 1565 Pope
Pius IV restored it and granted additional privi¬ leges. In September,
1572, Pope Gregory XIII, at the request of Emmanuel Philibert, Duke
of Savoy, restored the Order of Saint Maurice and united it with that of
St. Lazarus, under the title of the ORDER OF SAINT MAURICE AND SAINT
LAZARUS. Pope Gregory XIII also appointed the Dukes of Savoy
Hereditaries and Masters, and as Ashmole writes—“oblig’d them to
furnish out two Gallies for the Service of the Papal See, to be
employ’d against Pyrates.” There have been many changes in the
Or¬ der by the various sovereigns, but at present there are five
grades: Knights of the Grand Cross, Grand Officers, Commanders,
Officers and Chevaliers. The number of the last grade is unlimited.
Many foreigners have been decorated with this grade. The pres¬ ent
form of decoration was established by Duke Charles Emmanuel I (1562-1630).
The badge consists of a white-enamelled cross, treflee, of St.
Maurice, conjoined at the * AND angles with the green
Maltese cross of St. Lazarus, which is ball-tipped at the points.
The badges of the four higher grades are sur¬ mounted by a Royal crown,
the size of the cross and of the crown indicating the par¬ ticular
grade. It is suspended by a bright green watered ribbon. The eight-rayed
star of the Order is silver. In the centre is a reproduction of the
badge or cross, without the crown. MEDAL OF SAINT MAURICE.
Insti¬ tuted for Military services by King Charles Albert, 1 King
of Sardinia, on July 19, 1839. It was intended as further recognition
of those officials who had received the cross of the Order of St.
Maurice and St. Lazarus, and who had served under the flag 11 per
la durati di died lustri” (lustri meaning a five year enlistment,
and died lustri, therefore, fifty years). The Medal is gold, bearing
on the obverse the equestrian figure of the pa¬ tron saint of Savoy,
St. Maurice, holding the flag of the Order in his right hand.
Around this are the words S. MAURIZIO PRO- NUMISMATIC
NOTES MEDALS OF HONOUR TETTORE DELLE NOSTRE ARMI. The reverse
is inscribed as below, AL C A V A LI ERE MAU RIZIA
NO PER DIECI LUSTRI NELLA CARRIERA MI LI
TARE BENEM ERITO space being reserved for the name of
the recipient. There are two sizes of the medal. The larger, 55 mm.
in diameter, is for Gen¬ erals or Admirals who had received the
higher decoration of the Order of St. Maurice and St. Lazarus, and the
smaller, 39 mm., for officers who had received the lower grades of
the same Order. The ribbon is green, the same as for the Order.
ROYAL MILITARY ORDER OF SAVOY. Founded at Genoa, on August 14,
1815, by Victor Emmanuel I (1759-1824). Its pur¬ pose was to reward
acts of valour and magnanimity. The Order was modified on September
28, 1855, by Victor Emmanuel II, later king of Italy, who also changed
the decoration to the present form. There are five classes:
Knights of the Grand Cross, Grand Officers, Commanders, Officers
and Chevaliers. The cross, which is white- enamelled with
curvilinear tips, is edged with gold. It rests upon a wreath of
laurel leaves. On the red background of the medal¬ lion is the
white cross of Savoy, around which on a circular band are the words
AL M ER 1 TO MI LI T A RE. The reverse medal¬ lion of red enamel
has two crossed swords, points up, above which is the date 1855,
and on either side, the initials V. E. The cross of the first three
classes is surmounted by a Royal crown, that of the fourth class by
a trophy of flags and arms, while the fifth class cross has but the
suspension ring. The ribbon is blue moire, with a red band in the centre.
The star, which is of silver, has eight rays; in the centre is a
duplication of the obverse of the decoration, without the crown.
Prior to 1855, the star or plaque bore the motto AL MERITO ED AL
VALORE. CIVIL ORDER OF SAVOY. Founded at Turin, on October
29, 1831, by Charles Pl. VII Italy
(savoy) Military Order of Savoy 38 ITALIAN
ORDERS Albert (1798-1849), King of Sardinia and Savoy.
During most of his reign of eighteen years, he was at war with Austria.
Follow¬ ing the revolution of 1848 in France, he began war for the
Independence of Italy but was compelled to abdicate in 1849 after
his defeat by the Austrians at Novara. The object of the Order was to
rewaid ‘those of other professions, not less useful than that of
the army, who have become through long and profound study the ornaments
of the State to which they have rendered important service.’
There is but one class to the Order, known as Knights, and it is
seldom conferred on foreigners. The decoration is a light blue
Savoy cross edged with gold. The medallion on the obverse is white with a
gold rim; in the centre are the intials of the founder, C. A.
The reverse has AL MERITO CIVILE 1831, in gold lettering on a white
field, on the centre medallion. The moire ribbon is of three equal
stripes—light blue with white either side. ORDER OF THE CROWN
OF ITALY. Created on February 20, 1868, by Victor Pl.
VIII Italy (savoy) Civil Order of Savoy ITALIAN
ORDERS Emmanuel II (1820-1878), the first King of United
Italy, to commemorate the annexa¬ tion of Venice to that kingdom. This
is sometimes called the Order of the Iron Crown. Doubtless the
origin of the name arose from the fact that at the coronation of
Agilif, King of the Lombards (592-615), a crown was used, composed of
gold and precious stones, inset with a band of iron which was said
to have been forged from a nail of the true Cross. Tradition says
that this crown was kept in the Cathedral of Monza and removed to
Mantua in 1859. When Napoleon I became King of Italy in 1805, it is
said he was crowned with this crown. The Order of the Iron Crown of
Italy, founded by Napoleon I in 1805, was abolished in 1814, although
revived in Austria in 1816 by Francis I as the Austrian Order of
the Iron Crown. The first distribution of the Order of the
Crown of Italy, as founded by King Victor Emmanuel II, occurred on
April 22, 1868, when the heir-apparent, Humbert, married Princess
Marguerite of Savoy. There are five classes of the Order—Grand
Pl. IX Italy Order of the Crown of
Italy Cordons, Grand Officers, Commanders,
Officers and Knights. The grade of Knight or Chevalier is frequently
conferred on foreigners. The insignia is a white-enam¬ elled
cross-pattee edged with gold, and convex, with knots of gold cord
connecting the arms. In the blue-enamelled medallion is a gold
crown. On the reverse medallion is the crowned eagle of Savoy. On
its breast is a red shield, bearing the white cross of Savoy. The
ribbon is of red with a white stripe in the centre. The star of the
order, for the highest grade, is of eight silver rays, on the
centre of which is a gold crown on blue field, encircled by a white band,
in¬ scribed VICTORIUS EMMANUEL II REX I TALI A E MDCCCLXVI. This
device is surmounted by a crowned eagle bearing the Arms of Savoy
on its breast. The star of the Grand Officer is an eight-pointed silver
star, on which is a reproduction of the Cross. ORDER OF
INDUSTRY. By a decree of May 9, 1901, Victor Emmanuel III created a
Decoration called the “Cavalieri del Lavoro” (Knights of Industry). It
is awarded to those prominent or proficient in the
Industrial, Commercial or Agricultural work of the Kingdom or of its
Colonies. The decoration consists of a green-enamelled Savoy cross,
edged with gold. On the obverse is a white medallion, bearing the
words AL MERITO/DEL/LAVORO/1901 The reverse medallion bears the initials
of the founder, V. E., in gold on a white field. The rib¬ bon is
dark green with a red stripe in the cen¬ tre. There is but one class to
this order, and its award carries with it no particular privileges.
COLONIAL ORDER OF THE STAR OF ITALY. Founded in 1911 by King
Victor Emmanuel III. Its purpose was to reward those deserving of
especial recognition who were prominent in the work of the
Colonies. There are five classes to the Order: Knights of the Grand
Cross, Grand Officers, Com¬ manders, Officers and Chevaliers. The
decoration consists of a white-enamelled star of five points, edged with
gold and ball- tipped. On the obverse medallion of red, is the gold
monogram (V. E.) of the founder, with crown above. A green-enamelled
circle AND MONOGRAPHS ITALIAN ORDERS has at the
bottom of it 1911. On the reverse red medallion are the words AL/ ;
MERI TO /COLO NI ALE in gold letters. The ribbon is red, with narrow
white and green bands on either side. All grades of the star have a
crown above, except that of Chevalier, which is plain. The plaque,
j which is worn by the first and second classes only, consists of
thirty-five silver rays, on which is the uncrowned star described
above. MILITARY CROSS FOR SERVICE. On November 8, 1900,
Victor Emmanuel III authorized a cross for long and faithful
service, called the “Croce per anzianita di servizio Militare.” It is of
gold for Officers, and of silver for the troops. The decoration is
a Maltese cross; on the obverse, a medallion bearing the Royal cipher V E
crowned, and on the reverse Roman characters, denoting years of
service —XXV for the Officers and XVI for the troops. If the officers
have served forty years and the troops twenty-five years, the Roman
characters vary accordingly, and the cross has a crown above. The ribbon
is green, with a wide white stripe in the centre. NUMISMATIC
NOTES ITALIAN DECORATIONS Pl. X
Italy Colonial Order of the Star of Italy
46 ITALIAN ORDERS MILITARY MEDAL OF VALOUR. As
early as 1793, during the war between Pied¬ mont and France, Victor
Amadeus III, King of Sardinia (1727-1796), created a Medal of
Valour. This was awarded for individual acts of bravery, and was
struck in gold and in silver. Victor Emmanuel I revived the award
in 1815, at the time of the downfall of Napoleon I, but abolished it
in August of that year when he created the Military Order of Savoy.
When Charles Albert was King of Sardinia and Savoy, he reinstituted
the medal in 1833, for acts of valour not sufficiently important to
war¬ rant the M ilitary Order of Savoy. From the time of its
inception to 1887, it was always awarded in gold or silver, but in that
year Humbert I decreed that a bronze medal should be given for acts
of valour of a lesser degree. This medal ranks in Italy almost as
highly as does the Victoria Cross in Great Britain or the Medal of Honour
in this country. It is frequently called the Sar¬ dinian Medal of
Valour. The earliest model was 38 mm. in diameter, having on the
obverse the bust of the king facing to the NUMISMATIC NOTES
ITALIAN DECORATIONS Pl. Italy (savoy)
Military Medal of Valour ITALI AN ORDERS AND right and the
words VITTORIO AMADEUS III. The reverse had a wreath of oak leaves,
within this is a trophy of arms and flags and the words AL V A
LORE. About the time of the Crimean war, the design was changed.
The size was reduced to 33 mm. The obverse has the Arms of Savoy,
surmounted by a crown in an oval. Below are a palm and laurel
branch, tied at base with a ribbon; and around the whole, the words
AL V A LO¬ RE MI LI TARE. The reverse has two laurel branches tied
with a ribbon, with a space in the centre for the recipient’s name.
The name of his campaign is placed on the outer edge. The ribbon
has always been a dark blue moire. Victor Emmanuel II caused a
number of these medals, in both gold and silver, to be given to the
British and French troops who took part in the Crimean war. Two of
these are in my collection, and have been awarded to Frenchmen. The
reverse has the name and title of the recipient en¬ graved at the
centre, while around the outer edge of one are the words SPEDIZIONE
D’ORIENTE 1855-1856, in relief. The second specimen has the same words
en- NUMISMATIC NOTES MEDALS OF HONOUR
49 graved. The Musee de VArm'ee of Paris has a medal
with the recipient’s name engraved and GUERRE DTTALIE 1859 in
relief. This was for the war with Austria. Another has in relief
CAMP A GNA DELLA BASS A ITALIA 1860-1861 . Mr. C. S. Gifford, of
Boston, has in his collection a variant of this Medal of Valour. It is
but 25 mm. in diameter. The reverse has around the edge, outside
the wreath, in relief, the words GUERRA CONTRA VIMPERO D’AUS¬
TRIA. Many of these medals have been awarded to the men of
other countries who have assisted Italy in her campaigns. It was a
Military Medal of Valour, of gold, which General Diaz placed upon the
grave of the un¬ known American soldier at Arlington on Nov¬ ember
11,1921, by order of the King of Italy. CIVIL MEDAL OF VALOUR.
Au¬ thorized by King Victor Emmanuel II on April 3, 1851. It was
given in gold, silver and bronze. Under a decree of April 29, 1888,
Humbert I authorized a bronze medal also. These are awarded to civilians
for per- AND MONOGRAPHS ITALIAN ORDERS AND sonal
acts of courage and valour, such as rescues at fires and at sea. The
medal is 34 mm. in diameter, bearing on the obverse the Arms of
Savoy in an escutcheon, with a Royal crown above. Around this at
the top are the words AL VALORE CIVILE. The r everse has a
wreath of oak leaves, with space in the centre for the recipient’s
name. The writer’s medal is engraved D’ONOFRIO GIO. ANTONIO
CERVINARA (AVEL- LINO) 22 XBRE. 1868. The ribbon for this medal is
of the Italian National colours. Three equal stripes—red, white and
green. NAVAL MEDAL OF VALOUR. Insti¬ tuted in March, 1836;
modified in 1847, and again by Victor Emmanuel II in i860, to
reward the men of the Navy for heroism. In 1888, Humbert I established
three grades, gold, silver and bronze, according to the character
of the award. The obverse bears the Arms of Savoy on a shield, with a
crown above, and encircled by a palm and laurel branch tied at the
bottom; and round the outer edge is the motto AL VALORE DI MARINA.
On the reverse is an oak NUMISMATIC NOTES MEDALS OF
HONOUR wreath (less full than that of the Military medal of Valour)
with a reserve in the centre for the name of recipient and mention
of the act for which the medal is awarded. The ribbon is dark blue moire,
with one wide and one narrow white stripe at each side. MEDAL
OF MERIT FOR PUBLIC SAFETY. This decoration was first insti¬ tuted
on September 13, 1854, by Victor Emmanuel II and was called “La
Medaglia di Benemerenza per i Benemeriti della salute pubblica” Its
purpose was to reward the services of volunteers in epidemics of
contagious diseases and those who took part in other ways beneficial to
the health and safety of the public. It is given in gold,
silver and bronze. On the obverse is a bust of the King to left,
around which is inscribed UMBERTO I RE D'IT ALIA. On the reverse are
oak and laurel branches, surrounded by the words SALUTIS PUBLICAE
BENEMERENTI- BUS. A reserve at the centre is left for the name of
the recipient. On the earlier models the bust and title of Victor
Emmanuel AND MONOGRAPHS II appeared on the obverse, and the
reverse motto read AI BEN EMERITI DELLA SALUTE PUBBLICA . The
ribbon is light blue, edged with black. MEDAL FOR VETERANS
GUARDING THE TOMB OF THE KINGS. This medal was authorized on July
14, 1879, and altered on January 1, 1880. It was established to
honour the veterans of the war of 1848-1849 who guarded the tomb of
Victor Emmanuel II. It is 30 mm. in diameter and of silver. The
ribbon is blue with a white stripe in the centre, with one edge green and
the other red. The first model has on the obverse a wreath of
laurel with a superimposed, five- pointed star bearing at the centre the
bust of the King and the words UMBERTO 1° RE D’lTALIA; on the reverse,
VETERAN! 1848-49 / GUARDI A D’ONORE / ALLA
TOMB A DEL RE / VITTORIO EMA- NUELEII. After the death of Humbert I, Victor Emmanuel
III altered the medal. The obverse bore his own bust and title, and
the reverse read / AI/VETERA Nl 1848-1870 /GUARDIA D’ONORE / ALLE TOMBE
NUMISMATIC NOTES ITALIAN DECORATIONS
Pl. XII Italy Veteran Guard of the Tomb
of the Kings 54 ITALIAN ORDERS
DI RE / VIT TO RIO EM AN UELE II / E UMBERTO I. A specimen of this
design is in my collection. LIFE SAVING MEDAL. Authorized
by Royal Decree on March 8, 1888 . This decoration is awarded to
those, not in the Navy, who have risked their lives to save others
from drowning, or shipwreck, or for other forms ot personal valour at
sea. It is issued by the Ministry of the Marine. The medal is in
silver and in bronze only and is not to be worn on the person. The
obverse bears the effigy of the King, facing left, and the
inscription VITTORIO EMANUELE III RE D J IT ALIA. The reverse has two
circles, one within the other; in the outer circle occur the words
MIN1STERO DELLA MARIN A, while the inner one is left blank for the
name of the recipient, the date and the statement regarding the occasion
of the award. MEDAL OF MERIT. Authorized by a Decree of
May 6, 1909. This medal was awarded to all persons, including many
NUMISMATIC NOTES ITALIAN DECORATIONS
Pl. XIII Italy Medal of Merit
56 ITALIAN ORDERS AND foreigners, who from
philanthropic or charitable motives went to the relief of the
inhabitants of Sicily and Southern Calabria at the time of the earthquake
of December 28, 1908. It is 34 mm. in diameter, and was issued in
gold, silver and bronze. The obverse bears the effigy of the King,
facing left, and the words VITTORIO EMA- NUELE III. On the reverse,
the inscription TERREMOTO / 28 DICEMBRE 1908 /IN CALABRIA / E IN
SICILIA, sur¬ rounded by a wreath of oak leaves. The ribbon is
green with a white stripe on either side. A variation of this medal was
issued, bearing on the obverse the bust of the king surrounded by
the inscription VITTORIO EMANUELE III RE D’I TALI A. The reverse
reads MEDAGLIA/COMMEMO- RA TI V A / TERREMOTO / C ALABRO SICULO/28
DICEMBRE /1908. The ribbon for this has 5 stripes, alternately
white and green. The writer possesses an interesting medal,
for the official issuance of which no authority has been found. It is of
silver, 33 mm. in diameter. The obverse bears the head of
NUMISMATIC NOTES MEDALS OF HONOUR
57 the King of Sardinia and Savoy, facing left, with A CARLO
ALBERTO at the sides. Under the bust, the letters S.J. (probably
standing for Stephano Johnson). The
reverse reads I VETERANI/ITALIANI /IN/PELLEGRINAGGIO /ALLA SUA TOMB
A /A SUP ERG A . The ribbon is
dark blue with a yellow stripe each side. It is believed that these
medals were given to the veteran soldiers of Charles Albert who
made the pilgrimage to his last resting place. The Abbey of Superga
was founded by Victor Amadeus III near Turin. In its church rest
the remains of the Princes of Savoy. Charles Albert (1789-1849) died at
Oporto in 1849. His body was buried on the heights of Superga.
Italy later recognized his devotion, and pilgrims still journey to his
tomb. CRI MEAN M EDAL. Italy was not back¬ ward in awarding
what are commonly known as Campaign or Service Medals but which the
Italian authorities style “Medaglie Commemorative.” That for the Crimean
war was the first. It was authorized on October 22, 1856, and was
issued to the Piedmont AND MONOGRAPHS ITALIAN ORDERS
AND troops serving during that campaign under General La
Marmora. The medal is of silver, 35 mm. in diameter. On the obverse
appears the effigy of the King, facing left, and the inscription VITTORIO
EM AN U ELE II. The reverse has in large letters, in relief,
CRIMEA/1855-1856. The ribbon is light blue with a narrow gold edge.
Some authorities assign a ribbon of the Italian National
colours—red, white and green. MEDAL FOR THE LIBERATION OF
SICILY. This medal was issued to com¬ memorate the dethronement of
Ferdinand II and the union of the ancient Kingdom of Sicily with
the Kingdom of Italy. As a result of that insurrection, Garibaldi with
his thousand troops landed at Marsala, and in three weeks was master of
Messina. The medal (30 mm.) is of silver and bronze. On the obverse
is the bust of the king and the words VITTORIO EM AN U ELE; below
the bust, the initials S.J., probably standing for Stephano Johnson, the
maker. The re¬ verse is inscribed IT ALIA
/ E CASA DI SA VOIA / LIBERAZIONE DI / SICILIA NUMISMATIC
NOTES MEDALS OF HONOUR. The ribbon is red, with one white and one green edge.
STAR OF THE THOUSAND. Here might appropriately be mentioned a
unique dec¬ oration. On January 9, 1861, General Turr went to the
island of Caprera to carry to that great Italian patriot, General
Giuseppe Garibaldi (1807-1882), the Star of Honour which his famous
thousand companions had offered him. It is a gold star of seven points,
loosely set with diamonds. In the centre on a blue-enamelled field in
letters of gold is ARTURO (a star which is said to protect any one
with an ideal). On this is super¬ imposed a gold Trinacria, the emblem
of Sicily. This is surrounded by an enamelled band of white, green
and red, inscribed in letters of gold I MILLE AL LORO DUCE (The
thousand to their chief). This was the only decoration which that
great General consented to wear; and after his death at Caprera on
June 2, 1882, the star was given by his sons to the Quirinal Museum
in Rome where it may now be seen. AND MONOGRAPHS ITALIAN
ORDERS MEDAL OF THE THOUSAND, or MARSALA MEDAL. Issued by
the city of Palermo, and authorized by the Italian government in
1865. It was presented to the troops of Garibaldi who entered the
City in i860, and is called LA MEDAGLIA DEI MILLE. The obverse has
in the centre an eagle with raised wings, standing on a fillet
inscribed S. P. Q. R. Around this are the words AI PRODI CUI FU DUCE GARI¬
BALDI (To the brave men who were led by Garibaldi). On the reverse within
a wreath of laurel is IL MUNICIPIO/PALERMI- TANO / RI VENDICA TO /
MDCCCLX. Around this, outside the wreath are the words MARSALA
CALATAFIMI PALERMO. The medal was issued in silver and in bronze. The
ribbon is bright red, with a gold stripe each side, and on the face of
the ribbon is fastened a silver Trinacria, the emblem of Sicily.
MEDAL OF ITALIAN INDEPENDENCE. This decoration was authorized in
1862. It is of silver, and 32 mm. in diameter. On the obverse is
the head of the king, to left, NUMISMATIC NOTES
ITALIAN DECORATIONS Pl. XIV
Italy Medal of the Thousand 62
ITALIAN ORDERS around which are the words VITTORIO
EMANUELE II RE D’I TALI A The reverse depicts a standing female
figure, symbolizing Italy, holding in her right hand a spear, and
in the left, a shield with the Arms of Savoy. Around the whole is
in¬ scribed GUERRE PER LTNDIPENDENZA E V UNIT A D’IT ALIA. The
ribbon is composed of six narrow stripes of the National
colours—green, white and red. Bars or barrets are issued in silver to
be attached to the ribbon, as follows: 1848- 1849 (war with
Austria), 1855-1856 (Cri¬ mean War), 1859 (war with Austria), 1860-
1861 (Garibaldi’s expedition in Sicily and the Campaign in central
Italy), 1866 (war with Austria), 1867 (Campaign against Rome), and
1870 (Capture of Rome). MEDAL FOR UNITED ITALY. This medal
was authorized in 1883. It is 32 mm. in size, and of silver and bronze.
On the obverse is the effigy of the King and the words UMBERTO I RE
D’lTALIA. On the reverse, within a laurel wreath the in¬ scription
UNITA/D’ITALI A/1848-1870. NUMISMATIC NOTES ITALIAN DECORATIONS
Pl. XV Italy Medal of Italian
Independence ITALIAN DECORATIONS Pl. XVI
Italy Medal for United Italy
MEDALS OF HONOUR 65 The ribbon has a
broad green stripe with a white and a red stripe on both sides.
Unlike the British campaign medals, few of the Italian medals are
inscribed on the edges. The writer has a group of three medals,
inscribed PHILIP FIGYELMESY COM ANDANTE USSERI UNGHERESI. These are
for the Campaign of United Italy, Liberation of Sicily, and for Italian
Inde¬ pendence. MEDAL FOR AFRICA. Created on November
3, 1894; sometimes called the “Medal for Abyssinia.” It was awarded
to the forces of the Army and Navy which took part in the
operations in Abyssinia, especially in that portion bordering on the Red
Sea, called Eritrea. This included the campaign of 1887-1897
against Menelik II, who was the Negus of Abyssinia. The medal was
issued in bronze, 32 mm., and bears on the obverse the crowned head of
King Humbert I, facing right. On the reverse, within a laurel
wreath, are the words CAMPAGNE D } AFRICA. The ribbon is red with
blue borders. Silver bars, suitably inscribed, AND
MONOGRAPHS 66 ITALIAN
ORDERS were issued to the troops taking part in the
following expeditions, viz: Campagna 1887- 1888, Saati, Dogali Saganeiti,
Keren, Asmara, Adua, Agordat (1890), Halat, Serobeti, Agordat
(1893), Kassala, Halai, Coatit, Campagna 1895-1896 and Cam¬ pagna
1897. MEDAL FOR THE FAR EAST. Au¬ thorized on June 23, 1901,
and also known as the “Medal for China/’ or the “Medal for the
Boxer Uprising.” At the time of that unfortunate affair, when so many
of the Nations went to the relief of their lega¬ tions at Pekin,
Italy was among the first. To all those taking part in this
expedition, and to those who remained as guardians of the territory
until the end of the year 1901, this medal was given. It is of
bronze, 32 mm., and bears on the obverse the effigy of the King
facing left and the words VIT- TORIO EMANUELE III RE D’lTALIA; on
the reverse, within a wreath of laurel, CINA 1900 - 1901 . The ribbon is
yellow, with four dark blue stripes. Another medal for China is
exactly like the above, excepting NUMISMATIC NOTES ITALIAN
DECORATIONS Pl. XVII Italy Medal
for Africa ITALIAN ORDERS that the reverse bears the word
CINA only. This was given to the troops and sailors who served in
China from December 31, 1901 to April 1, 1908. The ribbon is
similar. MEDAL FOR THE TURKISH WAR OF 1911 - 1912 . But a few
years ago Italy and Turkey were fighting desperately for the control
of Tripoli, a section of Northern Africa which had been under Turkish
rule for several centuries. It was at this time that Germany all
but precipitated a Euro¬ pean war by insisting upon certain methods
of settlement. Fortunately conflict was averted by the treaty of
Lausanne. To commemorate the triumph over Turkey and to honor those
engaged there, a silver medal of 32 mm. was authorized on November
21, 1912. The medal was issued to all men of the Army and Navy who
took part in the operations against the Ottoman Empire, whether in
Africa or in Turkish territory. On the obverse of the medal is the head
of the King, facing right, and the inscription, VITTORIO EM A N V
ELE. III. RE NUMISMATIC NOTES Pl. XVI 11
Italy War Cross ITALIAN ORDERS D* I TALI A. On
the reverse, within a wreath of laurel, the words GUERRA /
ITALO-TURCA,/ 1911 - 1912 . The ribbon is of six narrow blue and five
narrow red stripes of equal width. MEDAL FOR THE WAR IN
LIBYA. The treaty of Lausanne did not stop all war operations on
the part of Italy. The tribes of the newly acquired Colonial
possessions continued to make trouble. To reward the troops taking
part in such campaigns, a silver medal of 32 mm. was authorized on
September 6, 1913. This was identical with the Turkish war medal, except
that the re¬ verse bears the words GUERRA/IN LIBIA. The ribbon is
of the same design and colour. WAR CROSS OF ITALY. Authorized
in 1918. It was awarded to those worthy of official recognition
during the World War, but whose service was not of sufficient im¬
portance to warrant the Medal of Military Valour. The Decoration is of
bronze, 38 mm., in the form of the Savoy Cross. On the obverse is
inscribed MER 1 T 0 Dl NUMISMATIC NOTES ITALIAN
DECORATIONS Pl. XIX Italy Medal for
the World War 72 ITALIAN ORDERS GUERRA,
above which is the King’s crowned monogram, V. E. and III. On the
lower arm of the cross is an upright sword entwined with a branch of oak.
The reverse has a. star in the centre surrounded by rays. The
ribbon is dark blue with two white stripes. MEDAL FOR THE
WORLD WAR. Created on July 29, 1920 and made from captured Austrian
cannon. It is bronze, 32 mm. On the obverse appears the hel- meted
bust of the King, encircled by the inscription, GUERRA PER V UNIT A
D' I TALI A 1915-1918 and three branches of oak leaves. The reverse has
an allegorical figure of Victory, standing on a support borne by
two helmeted soldiers, and the inscription CONIT A NEL BRONZE N E-
MICO (Coined from enemy bronze). The ribbon has eighteen narrow stripes
of green, white and red—six of each colour. Bars were issued to be
worn on the ribbon to designate the years of service in the war.
These bear the dates of 1915, 1916,1917 and 1918 . NUMIS M
ATIC NOTES ITALIAN DECORATIONS Pl. Italy Medal of
National Gratitude 74 ITALIAN
ORDERS VICTORY MEDAL. Created on De¬ cember 16, 1920, but
not issued until 1922. The medal is bronze, 36 mm. As with the
Victory medals of the other allies, the winged Victory is the dominant
feature. This figure stands facing on a triumphal chariot drawn by
four lions. The reverse shows a tripod above which two doves of peace are
to be seen. At top the inscription GRANDE- G VERRA-PER-LA-Cl VILTA
. In field, at each side of tripod MCMXIV-MCMXVIII, below, in two
lines, AI COMBATTENTI BELLE NAZIONI/ALLEA TE ED ASSO¬ CIATE. The
badge is suspended by the rainbow ribbon as are all the Victory
medals. MEDAL OF NATIONAL GRATITUDE. This medal is awarded to
mothers who lost sons in the World War. The obverse shows an
allegorical figure presenting a wreath to a fallen warrior. Standing
alongside is another female in an attitude of grief. The reverse
has an inscription in eight lines IL FIGLIO / CHE TI NACQUE / DAL
DOLORE / TI RINASCE “0 BEAT A” / NUMISMATIC
NOTES ITALIAN DECORATIONS Pl. Italy Victory Medal ITALIAN
ORDERS AND NELLA GLORIA / E IL VIVO EROE / “PIENA DI GRAZIA”
/ E PECO. The ribbon
is grey with center composed of narrow green, white and red
stripes. MEDAL FOR WAR ORPHANS. This medal has also been
authorized but no information has been received concerning it.
ITALIAN UNITY MEDAL. This medal has not as yet been distributed
and details concerning it are lacking. It is to be sold and the
money received is to go to the widows and mothers of those killed in the
war. MEDAL FOR WAR VOLUNTEERS, Notice has been received that
a medal will be issued shortly to those who volunteered in the
World War. CROWN OF MERIT. At this writing, and before any
confirmation could be secured, advices have come that the Councils
of Ministers have proposed a decoration to be awarded to clerks and
workingmen who have remained faithful to their employers for
NUMISMATIC NOTES MEDALS OF HONOUR twenty-five years or more.
Presumably this medal is intended to stimulate a spirit of co¬
operation between the employed and em¬ ployer. No decision as to the
design has been announced. Several of the municipalities of
Northern Italy issued medals to honor those who aided in the
efforts to free that country during the strenuous days of 1848-1849. None
of these medals of the cities are official medals, and consequently
few if any of the authori¬ ties mention them. They are inserted
here in order that the numismatist may have some facts relating to
them. Como had a medal inscribed on the
ob¬ verse, COMO LIBERATA NELLE GLORI- OSE GIORNATE 18-22 MARZO 1848
. The reverse bears
the Arms of the city and the words AL VALORE DEL CITTADINO. Bologna issued a medal inscribed VIT¬ TORIO
BOLOGNA 8 ./ 8 . 1848 . On the re¬ verse, QUANDA IL POPOLO SI DESTA
DIO SI PONE ALLA SUA TESTA. Livorno’s medal bears on the
obverse AI V A LOROSI DIFENSORI DI LIVORNO 10 E 11/5 18 49. The reverse bears the
AND MONOGRAPHS 78 ITALIAN
ORDERS AND Arms of the State and the words MUNICI- PIO DI
LIVORNO. The ribbons for the above medals are red and white.
Milano likewise had a medal to show her appreciation of the efforts
of her citizens for freedom. It bears on the obverse a figure of
Victory and the dome of the Cathedral. The reverse has the Arms of the
State and the inscription COMMUNE DI MILANO. The ribbon is red and
yellow. Cadore, Vicenza and Brescia are also said to have
issued medals, but a dependable description has not been
obtainable. During the war of 1848-1849 against Austria, and
the several Principalities of which Italy is now composed, Rome,
too, became involved. At the time of the Insurrection of 1848, Pope
Pius IX fled to Gaeta, where he remained until 1850. On February 9,
1849, Rome was declared a Republic. To those who took part in the
Insurrection, and who aided in the formation of the short-lived Republic,
as well as for connection with subsequent events, Rome awarded
several medals. As with the others, authentic information is difficult to
obtain. NUMISMATIC NOTES MEDALS OF HONOUR
79 MEDAL OF MERIT. Issued for the battle of Vicenza on
June io, 1848. This medal was of both silver and bronze, and 30 mm.
in diameter. On the obverse within a wreath of oak leaves, the Arms of
the city of Rome—a crowned shield, bearing the letters S. P. Q. R.
(Senatus Populus que jRoman us —The Senate and the people of Rome).
Around this device is the inscription ALMAE VRBIS COSS BENEMERENTI.
On a plain reverse is the motto, P VGNA STRENVE / AD VICETIAM/PVGNA
TA / IV.EIDVS VINIAS / M.DCCC. XL VIII. The ribbon is of equal
stripes of magenta and yellow—the colours of Rome. MEDAL OF
MERIT (Rome). Issued in silver and bronze. The obverse has in the
centre, the she-wolf with Romulus and Remus. Around this is
BENEMERITO DELLA PATRIA, with an oak and olive branch beneath. The
reverse has in the centre a group of flags and a trophy of arms,
surrounded by the inscription INDIPEN- DENZA ITALIAN A 1848 . The ribbon
is similar to the preceding. AND MONOGRAPHS ITALIAN
ORDERS MEDAL OF MERIT. Struck in silver and bronze, and is
said to have been issued by the Republic of Rome to those who dis¬
tinguished themselves during the Insurrec¬ tion of 1848. It is 30 mm.,
and has on the obverse the she-wolf with Romulus and Remus,
standing on a pedestal, bearing the letteisS. P. Q. R . The reverse reads
AL MERITO, surrounded by an oak wreath. The ribbon is magenta and
yellow. Another medal is described by one au¬ thority as a
reward to the combatants of 1848. It is 23 mm., bronze, and bears
on the obverse an allegorical female figure, holding a spear in her
right hand and a cornucopia in her left. At her feet is a globe
surmounted by an eagle. Above is a rayed .star. On the edge is
inscribed REPUBLIC A ROM AN A. On the reverse is the motto ALLA
VIRTU CITTADINA within an oak wreath. This is surrounded by the
inscription LA P ATRIA RICONO- SCENTE. No ribbon is described.
According to Padiglione still another Medal of Merit was issued in
commemora¬ tion of September 20, 1870, when Rome was
NUMISMATIC NOTES ITALIAN DECORATIONS Pl. XXII
Rome. Battle of Vicenza Rome. Medal of Merit 82
ITALIAN ORDERS AND admitted into the Kingdom of Italy.
Scul- fort, a French writer, says this medal was given to
commemorate the proclamation of the Republic of Rome in 1848;
although preference is here given to the Italian authority’s
version. The medal was issued in silver and bronze, 30 mm. in
diameter. On the obverse is a shield bearing the Arms of the City,
surmounted by the she-wolf with Romulus and Remus. This device
rests upon two crossed battle axes and an oak wreath. The reverse bears
within an oak wreath ROMA /RIVENDICA TA,/AI SUOI/LIBERATORI,
surmounted by a star. The ribbon has narrow alternating stripes of
magenta and yellow. Some rib¬ bons have nineteen stripes; others
have eleven. NUMISMATIC NOTES MEDALS OF HONOUR THE
TWO SICILIES Even more so than with Italy proper, Sicily has
been a battle-ground from the earliest times. And this condition, as
is usually the case, has made the numismatics of Sicily of great
importance. Before the period of coinage, the Sikels dwelt in the
land. Later the Carthaginians disputed with the Greeks for its control,
both yielding ultimately to the Romans. In addition to the
struggles between the Normans and the Spaniards for its possession, it
had to with¬ stand the onslaught of the Saracens. Sicily,
especially in the mediaeval period, has shared the fate of the kingdom
of Naples, or, as they came to be known, the Kingdom of the two
Sicilies—a title which in itself is a commentary of the relative
importance of Naples. After the Lombard rule in the nth century, the
Normans,under Count Roger, brought about a consolidation of Naples
and Sicily. The conquest dates from 1130 A.D., when he assumed the
title AND MONOGRAPHS ITALIAN ORDERS AND of King
of Naples and Sicily. There were two periods of separation—1282 to
1442 and 1458 to 1504, but after the last-named year the two
kingdoms remained under one crown until the unification of Italy in
1861. It is unnecessary here to dwell upon the constantly
changing rule for the two king¬ doms more than to mention the
conflict between the House of Anjou and of Aragon through the 14th
and 15th centuries. Under Charles VIII (from 1494), the French
ruled, while between 1504 and 1707 the Spanish were in control.
They were followed by the Austrians (until 1720). After that date
Spanish Bourbons held possession. The Napoleonic rule on the
mainland dates from 1805, while Ferdinand IV con¬ trolled the
island of Sicily. The downfall of Napoleon at Waterloo saw the two
kingdoms again united under the Bourbons. The wars for the independence
of Italy, and the efforts of Garibaldi in 1859 and i860, finally
brought both sections into the Kingdom of Italy and under the rule of
the house of Savoy. NUMISMATIC NOTES
M EDALS OF HONOUR 85 ORDER OF THE SHIP. In 1269,
St. Louis founded in France the Order of the Ship or of the Double
Crescent. Upon his death in 1270, his brother, Charles d’Anjou,
established this order in the Kingdom of Naples. Owing to the design of
the collar, this order is sometimes given a third name— The Order
of the Sea Shell. The insignia was a gold collar of scallop shells,
alternating with double crescents. From this was suspended a medal
with a ship as its design. The motto is NON CREDO TEMPORI. Clark, an
Eng¬ lish writer, describes an order founded in 1382 by Charles
III, King of Naples, called the “Order of St. Nicholas,” while Elias
Ashmole styles it “The Order of the Argonauts of St. Nicholas.”
Both give the motto as NON CREDO TEMPORE Apparently, therefore,
this is a survival or a later form of the Order of the Double
Crescent. ORDER OF THE CRESCENT. Favine states that this
order was founded in An- giers, France, in 1464, by Rene, Duke of
Anjou, King of Jerusalem and Sicily. Ashmole quotes St. Marthes as giving
1448 AND MONOGRAPHS ITALIAN ORDERS AND as the
date for its foundation. Rene was unable to hold his island kingdom very
long. The order was not popular, and those honoured with it were
afraid to wear the badge. The insignia consisted of three gold
chains from which is suspended a gold crescent, bearing three letters in
red, L.O.Z., which signify, according to Favine, L’oz en croissant
(Praise by increasing). To the crescent were attached gold tags
indicating the battles and feats of honour in which the knights had
been engaged. 2 Aragon controlled the Island Kingdom of
Sicily from 1282 to 1442. In 1351 Louis I, King of Sicily, founded the
ORDER OF THE STAR to replace that of the CRESCENT MOON. This
insignia was a Maltese cross, in the centre of which is an eight-
pointed star. This Order seems to have been discontinued in 1394.
Giustinian, the Italian writer in 1692, gives a list of eighteen
Grand Masters of the Order of the Crescent Moon and of the Star from 1268
to 1667. This would seem to indicate that the Orders described
above were connected or continued by the several rulers under different
titles. NUMISMATIC NOTES MEDALS OF HONOUR
OO ^4 ORDER OF THE SPUR. Founded in 1266 by
Charles d’Anjou, King of Naples and Sicily, to commemorate his triumph
over Manfred near Benevento. The insignia is a white-enamelled
cross, each of the arms having double points. A spur is attached at
the base. The Order was shortlived. ORDER OF THE KNOT OF
NAPLES. Created in 1351 by Louis of Taranto when he married the
Queen of Naples. This was also termed the “Order of the Holy Spirit
of the Right Desire.” It ceased to exist after the death of the founder.
The insignia is a knot of cord entwined with i gold thread.
ORDER OF THE REEL AND LIONESS (Naples). This Order, of short
duration, was instituted by partisans of the house of Anjou, during
the troubles of 1386-1390. The insignia is a yarn reel and a lioness,
the significance of which is difficult to learn. Clark, writing in
1784, states that the followers of Louis II, Duke of Anjou, were
divided into two factions, one of which wore AND
MONOGRAPHS ITALIAN ORDERS AND on its arms an embroidered
reel as a sign of contempt for Queen Margaret, widow of Charles
III, who desired to hold the reins of government. This faction took the
name of “Knights of the Reel.” The other, the Knights of the
Lioness, wore on its breast the figure of a lioness with feet tied,
indi¬ cating that it looked upon Queen Margaret as one tied by the
leg. ORDER OF THE ERMINE (Naples). Founded in 1463, by
Ferdinand I (1423- 1494) Aragon, King of Naples, at the end of the
war which he had been waging against John of Anjou, Duke of Calabria. He
was led into this war by his brother-in-law, Marinus Marcianus,
Duke of Sesso, who conspired to murder Ferdinand. Marinus Was not
only pardoned for his treachery but was admitted into this Order. The
motto was MALO MORI QUAM FOEDARI (Death is preferable to dishonor),
and the patron was St. Basil. The badge is a gold ermine suspended
from a gold chain. Au¬ thorities differ as to the exact date of
both the creating and discontinuance of this Order.
NUMISMATIC NOTES MEDALS OF HONOUR 89 ORDER OF THE
GRIFFIN (Naples). Attributed to Alphonse by Perrot and by De
Genouillac. The date of its founding is given as 1489. As Alphonse died
in 1458 and was succeeded by his son, Ferdinand I, who reigned
until 1494, it may, therefore, have been instituted by Ferdinand. No
description of the insignia can be found. ORDER OF SAINT MICHAEL
(Naples). This Order is likewise attributed to Ferdi¬ nand I, and
the insignia is described by Ashmole as an oval, bearing the word
DECORUM . No other record has been found. ORDER OF SAINT
JANUARIUS (of the Two Sicilies). Founded on July 6, 1738, by King
Charles of Sicily (1716-1788), to cele¬ brate his marriage with Princess
Amelia, daughter of Augustus III of Poland. Charles was of the
Spanish Bourbons, and second son of Philip V. His army had
conquered Sicily, and he became its King in 1735 at the age of
eighteen, having previously borne the titles of Duke of Parma and
Grand-Duke AND MONOGRAPHS ITALIAN ORDERS of
Tuscany. In 1759 he became Charles III of Spain, at which time he
resigned his Neapolitan and Sicilian Kingdom in favor of his son,
Ferdinand. Charles formed the Noble Order of the Immaculate
Conception of the Virgin Mary, often also called “The Order of
Charles III of Spain.” It was he who, as King of Spain, joined France
in sending assistance to the American Colonies in their war of
Independence. At the Peace Treaty following that conflict, he
recovered Florida for Spain from England, to whom it had been ceded
in 1763. Saint Januarius (San Genaro), for whom this Order is
named, was the Patron Saint of Naples. Relics of this Saint, to
whom miraculous cures are attributed, are pre¬ served in the cathedral
named for him in that city. When the French invaded Naples in 1806,
the Order was abolished in that country, though it continued in
Sicily, whither Ferdinand had fled. It was revived after 1814. At
the present time it is classed among the non-active Orders of
Italy. There are two classes: Knights and Honor¬ ary Knights. The
badge of the Order is a NUMISMATIC NOTES ITALIAN
DECORATIONS Pl. Two Sicilies Order of Saint Januarius
ITALIAN ORDERS AND gold Maltese cross, enamelled red
with white edges; gold Bourbon lilies in the angles. The obverse
centre has a figure of the patron saint, San Genaro, clad in a red
robe and hat, with an open book in the left hand. The reverse shows an
open book and two receptacles partly filled with the mirac¬ ulous
blood of this martyr. The ribbon is bright red. The plaque is of silver,
the same design as the cross, and bears the words IN SANGUINE
FOEDUS (the Covenant in Blood). ROYAL MILITARY ORDER OF
SAINT CHARLES. Instituted by Royal Decree of October 22, 1738, by
King Charles, its purpose was to reward citizens and members of the
army and navy who had shown exceptional zeal and fidelity to the
crown. This Order supposedly never received the Apostolic confirmation
of the Pope, and according to an Italian writer, Ruo, was
shortlived, all record of its existence having been lost when Charles,
its founder, assumed the throne of Spain in 1759. The
decoration is a fou r-armed cross, each NUMISMATIC MEDALS OF
HONOUR 93 arm terminating in the form of a lily,
and the whole surmounted by a royal crown. The centre medallion
bears the image of Saint Charles. No description of the reverse is
given. The ribbon is violet. ORDER OF SAINT FERDINAND and OF
MERIT. Founded on April i, 1800 by Ferdinand IV, King of Naples (also
Ferdi¬ nand III of Sicily and I of the Two Sicilies). It was
instituted in commemoration of his having been restored to his Kingdom
after the defeat of the French by the united forces of England,
Austria, Russia and I Turkey. The object of the Order was to
reward the Neapolitans who had remained faithful to the King and his
monarchy. Lord Nelson, Duke of Bronte, was one of the first
foreigners to have this Order bestowed upon him. He was made a
Knight of the Grand Cross. Like the Order of Saint Januarius, this was
suppressed in Naples when the French under Joseph Bonaparte
controlled that country. It was continued in Sicily until 1814 but is
said to have been definitely abolished in i860. AND MONOGRAPHS ITALIAN
ORDERS There were three classes: Knights of the Grand Cross,
Commanders and Chevaliers. The cross of this Order is a gold star of
six branches, in the form of rays. In the angles are Bourbon
lilies. The whole is surmounted by a crown of gold. The
gold-centred medallion bears a figure of St. Ferdinand in Royal
robes and crowned, holding a laurel wreath in the left and a sword in
his right hand. The encircling blue-enamelled band is inscribed FI
DEI ET MERITO. The reverse centre of gold is inscribed FERD. IV.
INST. ANNO 1800 . The plaque of the Order is similar to the obverse of
the cross, without the crown. A dark blue ribbon with red edges is
used for suspension of the cross. MEDAL OF HONOUR. By a decree
of July 25, 1810, Ferdinand IV added a gold and silver Medal of
Honour. This was 33 mm. in diameter, with the obverse similar to
the cross. The reverse was inscribed FI DEI ET MERITO. This was worn
with a similar ribbon. Officers and privates of the Army and Navy
were awarded this medal for distinguished services.
NUMISMATIC NOTES ITALIAN DECORATIONS Pl. XXIV
Two Sicilies Medal of Honour 96 ITALIAN
ORDERS AND MEDAL OF MERIT FOR LOMBARDY. Ferdinand IV
instituted a medal of silver for the Neapolitan troops who assisted
him in the campaign in Lombardy against the French in 1796. This
was 38 mm., bearing on the obverse the helmeted effigy of the king
and the title, FERDIN. IV UTRI
SICILIAE REX P.F.A. ( P-Pio, devout, F-Forte, brave, A-Augusto,
august). On the
reverse, within a laurel wreath, FI DEI/ REGIAE DOM US / PA TRIAE /
PROPUG- NA TORI /OB / EG REGIA FACTA . In the exergue, E.
V.A/MDCCXC VI. MEDAL OF MERIT FOR SIENA. This medal was of
gold and awarded by Ferdi¬ nand IV to the troops who distinguished
themselves in the Siena campaign in 1797. On the obverse is the helmeted
effigy of the king and his title FERDIN AN DUS IV UTRIUSQ. SICILIAE
REX P.F.A. On the obverse is an allegorical figure of a woman
crowning a soldier with a laurel wreath. Surrounding this, an
inscription reads MI LI TIB US BENE DE REGE AC PATRIA MERIT 1 S. In
the exergue is NUMISMATIC NOTES MEDALS OF HONOUR E.
V.A./MDCCXC VII. The ribbon is blue and white, edged with narrower
stripes of blue (Sculfort, p. 176). MEDAL OF HONOUR FOR THE SIEGE
OF GAETA. When Napoleon I sent his brother Joseph Bonaparte to rule over
the kingdom of Sicily, Ferdinand IV fled to Gaeta. This fortress
was gallantly de¬ fended in 1806 against the French under Marechal
Massena, but was finally forced to capitulate, and Ferdinand fled to the
island of Sicily. To reward those who valiantly assisted him to
hold his kingdom, Ferdinand IV instituted this Medal of Honour. It is
35 mm., and was struck in both gold and silver, and is suspended
from a deep red ribbon. The obverse of the medal has a bust of the
king facing to right, the head wearing a helmet, laurel wreathed and
surmounted by a dragon. The inscription is FERDI- NANDUS IV. D.G.
SICILIARUM REX. The reverse has in the centre a view of the
fortress of Gaeta, surrounded by the motto, MERITO ET FI DEI CAJETAE
DEFENSORM AND MONOGRAPHS ITALIAN ORDERS AND ROYAL ORDER OF
THE TWO SICI¬ LIES. Created on February 24, 1808, by Joseph
Napoleon, when King > of Naples It was issued in three classes: Grand
Officers, Commanders and Chevaliers. Joachim Mu¬ rat, when ruler,
modified the Order in 1811; its purpose was to reward those who had
assisted in the conquest of the country. The decoration is a
red-enamelled star of five points, ball tipped and with gold edges.
Above this is the Imperial eagle surmounted by a crown. In the centre
medallion is the Arms of Sicily, a Trinacria or Triquetra, having a
face in the centre. This me¬ dallion is surrounded by the title, JOS.
NA- POLEO SICIL. REX INST 1 TUIT. The reverse medallion bears a
prancing horse, the Arms of Naples, encircled by a blue- enamelled
band inscribed PRO RENO V A TA PATRIA. The ribbon is dark blue with
a red stripe in centre. Following the death of Murat on
October 13, 1815, the Kingdom was restored to Ferdinand IV, who
changed the design of the above decoration. The star was at¬ tached
to the surmounting crown by a lily N U M I S M ATIC NOTES MEDALS
OF HONOUR 99 (replacing the eagle). The obverse
medal¬ lion contained the Arms of Sicily and of Naples, surrounded
by the inscription FERDINANDUS BORBONIUS UTRI- USQUE SICILIAE REX
P.F.A. (Pio Forte Augusta). The reverse medallion had in the centre
a Bourbon lily and the motto FELICITATE RESTITUTA X. KAL.JUN. 1815
. The ribbon was changed to azure blue with a red stripe in the centre.
This Order was finally abolished in 1819 and replaced by the “Order
of Saint George of the Reunion.” MEDAL OF HONOUR FOR THE PRO¬
VINCIAL LEGION. On March 29, 1809, Joachim Murat, instituted this medal
for the Provincial Legion. It is of silver and bronze, and bears on
the obverse the effigy of the King, facing to left, encircled by
the words GIOACCHINO NAPOL. RE DELLA DUE SICIL. On the reverse is a
group of fourteen flags and a royal crown, the outer flags bearing,
respectively, the words SICUREZZA/INTERNA. Around this device is
the inscription ALLE LEGIONI AND MONOGRAPHS ITALIAN ORDERS
AND PROVINCIALI 26 MARZO 1809 . The ribbon is light blue
moire. Ruo, the Italian writer, states that the inscription on the
obverse is Gioacchino Napoleone, but the previous description is taken
from a medal and various French authorities. MEDAL OF HONOUR
FOR NAPLES. Murat authorized another Medal of Honour on November i,
1814, to reward the guard of Naples for its devotion to his cause. It
is of gold and silver, in the form of a wreath of oak and laurel
leaves, tied with a ribbon and surmounted by a crown. Superimposed
on the wreath are two crossed flags, enam¬ elled in the colours of the
kingdom. On the obverse centre medallion of white is the bust of
the king, facing to left, and the title GIOACCHINO NAPOLEONE (or
GIO¬ ACCHINO RE DI NAPOLI ). On the re¬ verse medallion are the
words ONORE ET FEDELTA. The ribbon is magenta. The Medal for Civil
Merit is similar to the above, except that the reverse is inscribed
ONORE ET MERITO. NUMISMATIC NOTES MEDALS OF
HONOUR IOI MEDAL OF HONOUR. After the death of
Murat at Pizzo, a medal of 38 mm. was authorized by Ferdinand IV. It was
issued in gold and silver, and worn with a bright red ribbon. On
the obverse is a crowned effigy of the restored king, facing to
left, and the inscription FERDINANDUS IV UTRI USQUE SICILIA E REX
P.F.A. The reverse has in the centre a large Bourbon lily,
surrounded by the inscription OB EGREGIAM URBIS PITH FIDELITA- TEM.
In the exergue, POSTRIDIE NO¬ NAS OCTOBRIS/ANNI R. S./MDCCCXV.
MEDAL OF HONOUR (Sicily). By de¬ crees of August 9 and 30, 1816,
bronze medals were authorized and awarded to soldiers and sailors
who were faithful to the cause of Ferdinand IV. This is a green-
enamelled Maltese cross with gold Bourbon lilies in each angle. The
centre medallion bears the effigy of the king to right, and the
words FERDINANDO IV INSTITUI 1816 . The reverse has in the centre a lily
and the inscription CONSTANTE ATTACCA- MENTO. This was worn with a
red ribbon. AND MONOGRAPHS ITALIAN ORDERS SECURITY
GUARD MEDAL. Created on May 30, 1816, and issued in gold and silver;
it was worn with a Bourbon red rib¬ bon. The medal is surrounded by a
wreath of oak leaves and surmounted by a crown, attached by laurel
branches. On the obverse is the effigy of the king surrounded by
the title FERDINANDO IV RE DELLE DUE SI Cl LIE P.F.A. The reverse
bears a lily and the motto ALLA GUARDI A Dl SICUREZZA. In the
exergue, PER LA GIORNATA DE 22 MAGGIO 1815 . ROYAL MILITARY
ORDER OF SAINT GEORGE OF THE REUNION. This order was created on
January 1, 1819, by Ferdinand IV. It commemorated the reunion of
Naples and Sicily, and was awarded for valour, military distinction
and loyalty. There are four classes: Knights of the Grand Cross,
Commanders, Officers and Chevaliers, the decoration varying in size
according to the grade. This Order was discontinued in i860, with the
formation of the present Kingdom of Italy. The insignia is a
red-enamelled cross, fleuree, with i NUMISMATIC NOTES ITALIAN
DECORATIONS Pl. XXV Two Sicilies
Order of Saint George of the Reunion ITALIAN ORDERS AND
concave arms. Two gold swords cross at the angles, and a wreath of
green-enamelled laurel connects the arms of the cross and the
swords. The medallion bears a figure of Saint George slaying the dragon;
around this is a blue-enamelled band inscribed IN HOC SIGNO VINCES.
The reverse is the same, with the word VIRTUTI above. The ribbon is
light blue moire. The decora¬ tion of the Knights of the Grand Cross
is distinguished from the other grades by a gold pendant of St.
George and the dragon. The Chevalier’s cross has no such pendant;
and on the reverse is the word MERITO. MEDAL OF ST. GEORGE. In
addition to the “Order of Saint George of the Re¬ union,” gold
medals were awarded for heroism in war, and in silver for continued
service. These are 28 mm., bearing in the centre the figure of St. George
slaying the dragon, encircled by a wreath and the words VIRTUTI or
MERITO according to the purpose of the award. The obverse and
reverse are the same. The ribbon is blue with yellow edges.
NUMISMATIC NOTES MEDALS OF HONOUR ORDER OF CONSTANTINE,
(described on page 18). Instituted in Naples and Sicily by Don
Carlos in 1734. Joseph Bonaparte abolished it in 1808, although it
continued in the island of Sicily. Upon the return of Ferdinand IV to
Naples in 1814, it was restored in both Kingdoms. ROYAL
ORDER OF FRANCIS I. Francis I, upon the death of his father,
Ferdinand IV, became King of the Two Sicilies on January 4, 1825. He was
of the Neapolitan branch of the Bourbon family. On September 28,
1829, he founded the Royal Order of Francis I. Though usually
conferred as a reward for Civil Merit, the army was not debarred from its
honours. There are five classes: Grand Cross, Com¬ manders,
Officers, Knights and Chevaliers. The fourth and fifth classes receive,
re¬ spectively, the gold and silver medals, described later. This
Order was discon¬ tinued in i860 when the Kingdom of the Two
Sicilies became part of Italy, though, as a family Order, it was continued
for a while longer. The decoration is a four-armed, AND
MONOGRAPHS ITALIAN ORDERS AND double-pointed cross of white
enamel with gold edges, surmounted by a gold crown. Bourbon lilies
of gold are in each angle. The medallion is larger than in most of
the other Orders. In the centre, on a field of gold, appear the
initials of the founder, F.I., with crown above. These are
surrounded by a laurel wreath of enamel. On the blue encircling
band are the words, DE REGE OP TIME MERITO. The reverse bears the
inscription FRANCISCUS PRIMUS IN- STITUIT MDCCCXXIX, within a green
wreath. The ribbon is bright red with blue edges. The star or plaque of
the order is a silver cross without the crown, and with the same
centre medallion. The gold and silver medals, worn by the
fourth and fifth classes, are 36 mm. in diam¬ eter, bearing on the
obverse the portrait of the founder, within a laurel wreath, and
the inscription FRANCISCUS I.D.G.UTRIUSQUE SICIL. ETHIER. REX. The
reverse has three Bourbon lilies in the centre within a wreath, and
the motto DE REGE OPTIME MERITO 1829 . The ribbon is dark red with
blue edges; not as wide as that for the Cross. NUMISMATIC
NOTES ITALIAN DECORATIONS Pl. XXVI Two
Sicilies Order of Francis I io8 ITALIAN ORDERS
AND MEDAL OF CIVIL MERIT. Authorized by royal decree of
December 17, 1727. It is of gold and silver and worn with a red
ribbon. The obverse bears an effigy of the king, and the title FRANCISCUS
I.D.G. REGNI UTRIUSQUE SICIL. ET HIER. REX. On the plain reverse is
engraved the name, date and cause of award. A medal similar to this
was awarded during the reign of Ferdinand II and may be found with
either of the following inscriptions: FERDI- N AN DUS II REGNI UTRIUSQUE
SI CI¬ LIA E ET HIERUS. or FERDINANDO II RE DEL REGNO DELLE DUE
SICILIE. Another MEDAL OF CIVIL MERIT was issued, 44 mm. in
size. On the obverse are busts of Francis I and Queen Maria
Isabella, facing to right, surrounded by branches of laurel. On the
reverse is a Bourbon lily, crowned. MEDAL FOR MESSINA.
Francis I was succeeded in 1830 by his son, Ferdinand II, who died
in 1859. Ferdinand II instituted the Medal for Messina for troops
faithful to him, in that city, during the Revolution
NUMISMATIC NOTES MEDALS OF HONOUR 109 of 1847. It
is of bronze, and 30 mm. On the obverse, within a wreath of oak and
laurel leaves, is the word FEDELTA with one Bourbon lily. The reverse
reads, MESSINA 1 SEPTEMBRE 1847 . The ribbon is light blue and
white. A variant of this medal has on the obverse the effigy of the
king and the words FERDINANDO II RE DEL REGNO DELLE DUE SICILIE;
and on the reverse the word FEDELTA. LONG SERVICE MEDAL.
Ferdinand II also created a bronze medal for Long Service. It is 38
mm. and bears on the obverse the king’s bust on a pedestal,
surrounded by implements of war and flags. Above is FERDIN ANDO II. The reverse reads
LODEVOLE SERVIZIO MI LI TARE DI 25 ANNI. The ribbon is red. MEDAL FOR THE SIEGE OF
MES¬ SINA. After the long siege of the citadel of Messina in 1848
by Ferdinand II which resulted in his reconquest of Sicily, a com¬
memorative medal was authorized by the king. This was to reward the
troops who AND MONOGRAPHS no ITALIAN ORDERS
had taken part in the campaign. The medal for the senior officers
was of gold and enamel, 35 mm. in diameter. On the obverse within a
green-enamelled laurel wreath, is a pentagonal fort; in the corners
are five bombs, the flames of which rest upon the wreath. In the centre
is the fleur-de-lis of the Bourbons, in relief. The reverse is
similar, except that in the centre of the pentagon is the legend,
ASSEDIOJ DELLA 1 CITTADELLA / DI MESSINA / 18 ^ 8 . The ribbon is
red. For the junior officers and soldiers the medal was of bronze
and of the same size, without enamel. Obverse and reverse are identical,
and the medal was worn with a red ribbon. A variant of this medal
has a plain reverse, no fort, or bombs, but with the same inscription in
relief. MEDAL FOR SICILY. Created for the troops who, under
the leadership of Filan- gieri, suppressed the Insurrection of
1848- 1849. This is of bronze-gilt, and displays the effigy of
Ferdinand II facing to right within a wreath of oak leaves. Outside,
the wreath are two draped flags, the whole is NUMISMATIC
NOTES ITALIAN DECORATIONS Pl. Two
Sicilies Siege of Messina Long Service Medal, Ferdinand
II 112 ITALIAN ORDERS surmounted by a
Bourbon lily. The plain reverse has CAMPAGNA DI SICILIA 18 J/. 9,
in relief. The ribbon has three equal stripes of light blue and
white. MEDAL FOR CAMPAIGN OF 1860 . Francis II came to the
throne of Sicily in 1859, about the time of the Garibaldi campaign
for the Independence of Italy. His reign was short. The Medal for
the Campaign of 1860 was created by him for those troops who were
loyal to him and opposed to Garibaldi. It is bronze, 37 mm., and
bears on the obverse the effigy of the king, facing to left, within a
wreath of oak leaves. Surrounding this is FRANCESCO II RE DELLE DUE
SI Cl LIE. The reverse bears the words, TRIFRISCO, CAIAZZO,
S.MARIA,S. ANGELO, GARIGLIANO, sur¬ mounted by three Bourbon lilies.
Around this inscription appear the words, CAM¬ PAGN A DI SETT. OTT.
1860 . The ribbon is red with a blue stripe in the centre.
CAMPAIGN OF EASTERN SICILY. Authorized in i860. It bears on the
obverse NUMISMATIC NOTES ITALIAN DECORATIONS Pl. XXVJ1I
Two Sicilies Medal for Sicily, Ferdinand II
the effigy of Francis II facing to right, and the words SICILIA
OCCIDENT ALE/ APRILE E MAGGIO/1860. On the reverse, within a wreath
of laurel, the words AL V A LORE. This is bronze, and 27 mm.
in diameter. A variant of this medal was issued without the
likeness of the king on the obverse. MEDAL FOR THE DEFENSE
OF CATANIA. The obverse bears the effigy of Francis II, a trophy of
arms, and the words CATANIA 31 MAGGIO 1860; the reverse, within a
wreath of laurel, the words AL V A LORE. MEDAL FOR
GAETA. Issued to the refugees who fled to Gaeta with the Royal
family in 1860-61 when Garibaldi entered Naples. The medal is silver, 36
mm., having on the obverse the jugated busts of the King and Queen
Maria Sophia of Bavaria and the words FRANCESCO II—MARIA SOFIA. The
reverse shows a view of the city of Gaeta, with GAETA 1860-1861 in
the exergue. A variation of this medal has NUMISMATIC NOTES
ITALIAN DECORATIONS Pl.Two Sicilies Medal for Gaeta, Francis
II on the reverse the fortress of Gaeta only,
with the same inscription in the exergue. After the Garibaldi
campaign of 1860- 1861 for the freedom of Sicily, and after the
Royal family had given up the Kingdom of Sicily, Francis II by a decree
dated March 12, 1861, authorized medals for all his soldiers who
took part in the second siege of Messina. It appears that dies were
made but only one medal is known to have been struck. That rests in
the famous Ricciardi collection in Naples. The writer is in¬ debted
to Sig. Guido de’Mayo’s article in the May-June 1922 issue of
Miscellanea Numismatica, which describes this medal. It is
silver, 35 mm., and bears on the obverse the jugated busts of the King
and Queen, facing to left (similar to the Gaeta Medal), and the
titles, FRANCESCO II— MARIA SOFIA. The reverse has a design of the
pentagonal fortress of Messina; in the corners of the pentagon are five
bombs, the flames of which rest on the wreath which surrounds the
fort. In the centre is the Bourbon fleur-de-lis. The exergue reads
CITTADELLA DI MESSINA. The ribbon is given as red with blue
stripes. MEDAL FOR SICILY. This is said to have been awarded
to those who took part in the uprising against Ferdinand II in
1848, in the movement for a United Italy, but the purpose of this
award cannot be verified from the several authorities consulted. It
was issued in silver and bronze, 30 mm., and suspended from a ribbon of
the Italian National colours—three equal stripes of green, white
and red. On the obverse is an allegorical figure of Sicily, armed with
a sword; at her feet is a shield with the Arms of Sicily, while in
the sky, a brilliant sun bears the Arms of Savoy. In the distance is
Mt. Aetna in eruption. The reverse has in the centre SICILIA/1848.
Around this is the inscription, INIZIO DEL RISORGIMBNTO
D’lTALIA. AND MONOGRAPHS ITALIAN ORDERS AND
TUSCANY Tuscany, the ancient Etruria, lies south of the
Apennines. On the east it was bounded by the districts of Umbria and
the Marches, while to the south lay the section known in Classical
times as Latium, but which later, with the rise of the Church, was
usually known as the Papal States. None of these provinces had boundaries
that were fixed for any great length of time, and their
geographical history is very com¬ plicated. Between the ioth
and 16th Centuries, Tuscany was composed of several self- governed
communes or Republics, the most important of which were Lucca,
Pisa, Florence and Siena. The Medici family was a dominant factor
in the government for a long period. In 1735 the country came under
Austrian rule. Francis, Duke of Lorraine and afterwards Emperor of
Aus¬ tria (1708-1765), became Grand Duke of Tuscany. He succeeded
John Gaston, the last of his line, and thus the Duchy passed
NUMISMATIC NOTES MEDALS OF HONOUR from the control of the Medici and
into that of the Hapsburg family. This had been arranged by
treaty. The Hapsburgs continued in control until the entrance
of the French in 1799 under Napoleon I, though the battle of
Waterloo in 1815 brought back once more their rule in the domain.
Ferdinand III (1769-1824) was succeeded by his son, Leopold II, who
lost the Duchy of Tuscany when the constit¬ uent Assembly voted for its
inclusion in the Kingdom of Italy on August 16, i860. From that
time all the Orders of Tuscany have been discontinued. ORDER
OF SAINT STEPHEN. This Order was founded at Pisa in 1561 or 1562,
by Cosimo I de’ Medici, Duke of Florence, afterwards the first duke of
Tuscany, to commemorate his victory over the French at Siena. The
battle took place on St. Stephen’s day, August 2, 1554 (or August 6
accord¬ ing to some historians). The inhabitants of the city and
the troops under Henry II, after withstanding a siege of fifteen months,
finally capitulated. In 1567, Pope Pius V AND
MONOGRAPHS ITALIAN ORDERS granted Cosimo the title of the
first Grand Duke of Tuscany. The Order was named in honour of
Stephen IX, Pope and martyr, once bishop of Florence, on whose
festival Cosimo de’ Medici gained his victory. It is said to have
been discontinued in 1565, but Elias Ashmole states that new
statutes were approved in 1590. He also lists it as one of the
Orders extant in 1715; though Hugh Clark informs us that the Order was
“revived in 1764 and put on a respectable footing.” Whatever its status
in the interval may have been, the Order was reorganized in 1817 by
Ferdinand III, Grand Duke of Tuscany (1769-1824), and its
regulations were altered by him at that time. The insignia is a
red-enamelled, gold- edged cross, similar to that of the Knights of
Malta. In the angles are golden fleurs- de-lis and above the cross is a
ducal crown of gold. The ribbon is bright red. ORDER OF SAINT
JOSEPH. Founded by Ferdinand III on March 19, 1807, when as Grand
Duke of Wurtzburg he was ad¬ mitted to the Confederation of the
Rhine. NUMISMATIC NOTES ITALIAN
DECORATIONS Pl. XXX Tuscany Order
of Saint Stephen Upon the downfall of the Napoleonic control
of Tuscany in 1814, Ferdinand restored the Order in Tuscany when he again
assumed control of the Duchy. The Order was for meritorious service
and was awarded to civilians, ecclesiastics and the military,
whether native or foreign. Generally the honour was confined to those of
the Roman Catholic faith. There are three classes: Grand Cross,
Commanders and Knights. The Decoration of the first class is
silver, a double-pointed, six-armed cross, with rays between the
arms. An oval medallion in the centre bears the figure of St. Joseph;
around this on the band, likewise of silver, is the motto UBIQUE SI MI
LIS (Everywhere the same), with a branch of laurel and oak. In the
lower centre of the band is the letter F. The cross of the second class
is gold, and similar to the star of the first class, though
smaller. It has white-enamelled arms, and the rays and the medallion
band are of red enamel. It is surmounted by a gold crown and a
suspension ring for the ribbon, which is bright red, with a white
stripe at each edge. The reverse medallion NUMISMATIC
NOTES ITALIAN DECORATIONS Pl. Tuscany Order of
Saint Joseph AND has in the centre S.J.F .1807
(SanctoJosepho Ferdinando —Dedicated by Ferdinand to Saint Joseph).
The third class cross is smaller and worn with a narrower ribbon.
ORDER OF THE WHITE CROSS. Instituted by Grand Duke Ferdinand
III in 1814. This was a decoration solely for the military faithful
to him. It is sometimes called the “Cross of Loyalty.” A MEDAL OF
HONOUR was also founded in 1816 for those who had distinguished
themselves in the Duchy. No description of these two insignia is
obtainable from the several authorities consulted. MILITARY
MEDAL. Authorized in 1815 for distinguished service. It was awarded
only to junior officers and soldiers. This medal is silver, bearing on
the obverse a bust of the founder facing to right, and the title
FERDINANDO III.A.D.A.GRAND. DI
TOSCANA. The reverse has in relief AI PRODI E FED ELI TOSCANI 1815
. (To the brave and
faithful Tuscans.) The ribbon is half red and half white.
LONG SERVICE MEDAL. Founded in 1816 and issued to junior officers and
sol¬ diers. It is bronze, 37 mm., and bears on the obverse two
crossed swords, with a shield bearing the letter F superimposed.
Above this device is a crown, and below is 1816, the date of its
creation. The reverse reads, in relief, AL LUNGO E FED EL SERVIZIO.
The ribbon is half red and half white. MEDAL OF MILITARY
MERIT. This was founded by Leopold II on May 19, 1841, and bears
the effigy of the Duke and the words LEOPOLDO II GRANDUCA DI
TOSCANA. The reverse has in relief FI DELTA E V A LORE. The ribbon
is half red and half black. ORDER OF MILITARY MERIT.
In¬ stituted on December 19, 1853, by Leopold II. The decoration is
a five-armed white- enamelled cross of gold on a gold laurel
wreath, which is surmounted by a gold crown. The obverse medallion is
inscribed L II. surrounded by the words MERITO AND MONOGRAPHS ITALIAN
ORDERS MILITARE. On the reverse medallion, 1853 records the
date of its creation. The ribbon is of red and black in equal
stripes. MEDAL OF 1848 . Founded by Leopold II for the war of
Italian Independence. This was a service medal for his troops
taking part in that campaign. It is bronze- gilt, and bears on the
obverse the effigy of the Grand-duke and title LEOPOLDO II GRANDUCA
DI TOSCANA. On the re¬ verse within a laurel wreath is the
inscription GUERRA/DELLA/INDIPENDENZA / ITALIANA/18^8. The loop for
the ribbon is a wide bar-like affair, similar to that for many of
the Italian medals. The ribbon is blue, bordered with two red
stripes. MEDAL OF MERIT. Attributed by but one authority to
Ferdinand IV. Issued in five classes; gold, of 40 mm. and 30 mm.; silver,
of 49 mm. and 30 mm., and bronze, 45 mm. in diameter, according to the
impor¬ tance of the award. On the obverse is a bust of the
Grand-duke and FERDINANDO IV GRANDUCA DI TOSCANA. The re-
NUMISMATIC NOTES ITALIAN DECORATIONS Pl. Tuscany
Order of Military Merit, Leopold II verse bears the
inscription AL MER1T0 within a wreath. The ribbon is dark blue with
black stripes at the sides. LONG SERVICE MEDAL. Instituted by
Leopold II in December, 1850, for officers of the Army who had served at
least thirty years. It is 36 mm., a gilt Maltese cross, having in
the centre medallion of silver the head of Leopold II to left, encircled
by LEOPOLD II G. D. DI TO SC. On the reverse medallion is the word
ANZIANITA, with a crown above. No information concerning the ribbon
is obtainable. NUMISMATIC NOTES ITALIAN DECORATIONS Plate Venice.
Defence of Venice Tuscany. Long Service Medal. At the time of Augustus, there
was no city of Venice, and Padua was the chief city of the district
which has since come to be known as Venetia. This district occupied
the Northeastern section of that country from the Alps on the North and
East to the Adriatic Sea, and to the River Po on the West. From the
Sixth and Seventh Cen¬ turies, after the foundation and the growth
of Venice, it developed a considerable com¬ merce with its island domains
and became a great maritime power. For many centuries an
independent Republic was maintained, governed by a Senate and a Doge,
elected by the people; his authority, however, was limited.
Constant wars with neighboring peoples and with the Turks did not
exhaust the wealth of Venice; and until the Eight¬ eenth Century
Venice wielded great in¬ fluence in European politics. The Republic
was unable to withstand the French army, however, and on October 17,
1797, was divided—one half of the territory going to
NUMISMATIC Austria and the other half to the Cisalpine Republic. The
Ionian Islands go to France. For years the Venetian Republic
maintains its independence, and exhibits a form of government which
commands universal admiration. GIUSTINIANO (si veda) states
that Leoni was the first Grand Master of the Ordine di San
Marco. He also lists a number of the Grand Masters from that date
to 1688, and gives several authorities. Other writers fix the date
of its origin as 828, when the remains of Saint Mark were taken
from Alexandria to Venice. No exact information is obtainable as to
the discontinuance of the Order, though Ashmole indicates its
existence in 1672, as does Clark in 1784. The insignia is a
gold chain to be worn around the neck. From this a gold medal¬ lion
is suspended. On the obverse is the Arms of Venice —the winged lion of
St. Mark, seated with a sword in the right paw, and with the
left paw resting on an open book, on which is the motto PAX TIBI
MARCE EVANGELISTA MEUS (Peace to thee, Mark, my Evangelist). The
reverse is believed to have been plain, although Ashmole asserts
that it had the name of the Doge then living as well as a portrait—if
that is what may be understood by his words “a particular impress.” This
Order was conferred by the Senate or by the Doge, and later was
called the Order of the Doge of Venice. On late forms, the insignia was
changed to a blue-enamelled cross, on the centre of which was a medallion
with the above described Arms. The reverse bore the effigy of the
reigning Doge, sometimes represented as on his knees receiving a
standard from the hands of St. Mark. All recipients of this Order had to
show records of noble birth and were known as the Knights of Saint
Mark. MEDAL FOR THE DEFENCE OF VENICE. This medal was issued
in 1849, during the second year of the short-lived Republic of Saint Mark —as
Venice was at that time called. It was of silver and bronze, 27
mm., bearing on the obverse the Arms of the Republic. Around this
are the words INDIPENDENZA ITALIAN A. On the reverse is the cross
of St. Maurice surrounded by VESSILLO DI VIT TORI A 18^8. The
ribbon is crimson with a narrow gold stripe at each side. (PI.
XXXIII.) MEDAL FOR BRAVERY. Also issued in 1849. It was of
silver and bronze, but 32 mm. in diameter. The obverse has the lion
of St. Mark and GOVERNO PROVISORIO. On the reverse, within an oak
wreath, are the words DI FEN SORE DI VENEZIA. The ribbon is red
with gold stripes at the sides. MEDAL FOR THE CIVIL
GUARD. Authorized. It was silver and bronze gilt, oval in form, 40
mm. by 34 mm. On the obverse appear two crossed flags and the words
GUARDI A Cl VIC A VENETA. The reverse reads VV/ VI TALIA. The
ribbon is yellow. OBSOLETE ORDERS The following Orders listed by the
several authorities consulted, as having been formed in Italy, have
long been discontinued. Order of the Golden Star of Venice, date not
given. Order of the Golden Stole, date not given. Order of the
Royal Crown of Mantua, was, according to Genouillac, created by
Prince Louis of Gonzaga (son of Witikind, King of Saxony), in honour of
his marriage with Adalgise of Lombardy, daughter of Gisulf, due de
Frioul. Order of the Eagle of Italy. Created February 15,941,
by Hugo II of Gonzaga, to perpetuate the memory of his marriage
with Princess Elizabeth of Gonzaga and Lombardy. New statutes were formed
for the Order in 968. Order of Holy Mary, Mother of
God. Founded in Italy in 1233. Its creation is attributed to
Bartholomew, Bishop of Vincenza. The purpose of its foundation was
to quell the discords which arose NUMISMATIC NOTES MEDALS OF
HONOUR between the Guelphs and the Ghibellines and also to defend
and support the Roman Catholic religion. It was approved by Pope
Martin IV, who placed the knights under the protection of St. Augustin.
It was called by some the “Order of the Brothers of the
Jubilation,” later the “Order of St. Mary of the Tower,” and the “Order
of the Chevaliers of the Mother of God.” Towards the end of the
Sixteenth Century the Order had entirely disappeared. Order
of the Black Swan of Italy, founded in 1350 by Amadeus VI and other
Italian Princes, for the purpose of preventing feuds, then so
prevalent. Order of St. George of Genoa. Founded by Frederick
III of Germany. It was to reward the Genoese for the reception he
received during his journey to Rome, where he received the Imperial
Crown. The Order was short-lived. The badge is a plain red cross
suspended from a gold chain. This Order is not to be confused with
the Order of St. George of Austria, founded by the Emperor
Frederick. and monographs Order of St. George of Ravenna. Founded
in 1534 by Alexander of Farnese (then Pope Paul III). Its award was
confined to those who defended the city and its vicinity from the
attack of the Moslems or Corsairs. On the death of its founder it
ceased to exist. Cappelletti says it was suppressed by Gregory. The
insignia was a red-enamelled star of eight points, over which was a
gold ducal crown. Order of the Lily. Founded in 1546 by
Alexander of Farnese. Order of the Lamb of God of Tuscany.
Founded in 1568 by John III. Order of the Redeemer or of the
Precious Blood of our Saviour. Founded by Vincent Gonzaga, Duke of
Mantua. It was in honour of the marriage of his son Francis
with the Princess Marguerite, the daughter of Charles Emmanuel I, Duke
of Savoy. The Order survived about a century and lapsed in 1708 on
the death of Ferdinando Gonzaga, Duke of Mantua. An attempt was
made to revive it but without success. The insignia was an oval
medallion, in the centre of which were two angels in adoration.
Around this was the motto NIHIL HOC TRISTE RECEPTO. Order of
the Conception. Instituted on September 8, 1617, by Ferdinand 1 of
Gonzaga, Duke of Mantua, in honour of the conception of the Virgin and
placed under the protection of St. Michael the Archangel. Like many
other Orders founded about this time, the members swore allegiance to the
Church and agreed to fight against the infidels. Order of the
Virgin or the Order of the Virgin Mary the Glorious. Created in
Italy by three gentlemen of Spella, named Peter, John the Baptist,
and Bernard, surnamed Petrignani. The Order was approved by Pope
Paul V in 1618, and placed under the protection of the holy Virgin. The
members agreed to defend and uphold the Roman Catholic religion and make
war on the in¬ fidels. No record has been found of the discontinuance
of the order. Order of Saint Rosalie of Palermo. Founded by
Alderon de Carreto. Charles Albert was of the line of
Savoy-Carignano which was founded by Thomas Francis, son of Charles
Emmanuel the Great. Carignano, a town in the province of Turin, was
in 1630 bestowed by Charles Emmanuel I upon his son Thomas Francis, who
was known as the Prince of Carignano. The present reigning king of Italy
is of this house. Ency. Brit. At this Crescent was fastened as many'
small Pieces of Gold fashion’d like Columns and enamell’d with Red,
as the Knights had been engag’d in Battels and Sieges; for none could be
adopted into this Order unless he had well trod the Paths of
Honour.” Ashmole, E., Hist, of Order of the Garter. Ashmole. ‘‘It was
approved and confirmed by Pope Urban, and the Rule of St. Dominick
prescribed to the Knights.” Armani,
E. Insegne Cavaileresche e Meda- glie del Regno d'ltalia. Rome, Ashmole, Elias. The
Institution, Laws and Ceremonies of the Most Noble Order of the
Garter. London. Ashmole, Elias. The History of the Most
Noble Order of the Garter. London NUMISMATIC NOTES MEDALS OF
HONOUR Burke, Sir Bernard. The Book of Orders of Knighthood and
Decorations of Honor. London
Cappelletti, Licurgo. Ordini Cavalle- reschi. Livorno 1904.
Cibrario, Luigi. Descrizione e Storica degli Ordini Cavallereschi. 2 vols. Torino Clark, Hugh A.
A Concise History of Knighthood. London.
Cuomo, Raffaele. Ordini Cavallereschi antichi e moderni. 2 vols.
Naples 1894. Elvin, C. N.
Handbook of the Orders of Chivalry. London 1893. Favine,
Andrew. The Theatre of Honour and Knighthood. London.—Translated
from a French Edition of Genouillac, H. Gourdon de. Diction- naire historique
des ordres de Chevalerie. Paris. Genouillac, H. Gourdon de.
Nouveau Dictionnaire des ordres de Chevalerie. Paris Giorgio, Florindo
de. Dellc cerimonie Pubbliche della
onorificenze della nobilta e de'Titoli e degli Ordini Cavallereschi net
Regno delle Due Sicilie. Naples Giustinian, Bernardo. Historic degli Ordini militari, etc.
Venezia. AND MONOGRAPHS ITALIAN ORDERS AND J. S. The History
of Monastical Conventions and Military Institutions, etc. London.
Lawrence-Archer, Major J. H. The Orders of Chivalry. London. Mennenii,
Francisci. Deliciae Eqyestrivm sive Militarivm Ordinvm et Eorundem
Origines, etc. Coloniae Agrippinae Perrot, A.-M. Collection J Historique
des Ordres de Chevalerie. Paris.
Puca, Antonio. Gli ordini cavallereschi del Regno dTtalia.
Naples. Ricciardi, Eduardo. Medaglie delle due Sicilie.
Naples 1910 and 1913. Ruo, Raffaele. Ordini Cavallereschi instituti
nel regno delle Due Sicilie. Naples. Saint Joachim. An accurate historical
account of all the Orders of Knighthood, by an Officer of the
Chancery of the Order of Saint Joachim. London 1802. (Said to be by Sir
L. Hamon). Sculfort, Lieut. V. Catalogue; Decorations et Medailles
du Musee de VArmee. Paris Trost, L. J. Die Ritter- und Verdienst Or den,
Ehrenziechen und Medaillen aller Sou- ver'dne und Staaten. Wien et Leipzig
1910. NUMISMATIC NOTES MEDALS OF HONOUR
Lucca Civil Medal of Merit. 8 Military Service Medal.
8 St. George, Order of. 5 St. Louis, Order of. 6
Modena Cross for Service. 13 Eagle of Este, Order
of. Fidelity Medal. Military Medal for Loyalty.Military Medal of Merit.
13 Parma Constantine, Order of. 16 Medal of
Merit. 20 St. Louis, Order of. San Marino Medal of Merit.
24 Order of Chivalry. 21 Sardinia, Savoy and Kingdom of
Italy Africa, Medal for. 65 Boxer Uprising, Medal for
(Medal for Far East). 66 China, Medal for (Medal for
Far East). AND MONOGRAPHS Civil Medal of Valour. Civil Order of Savoy. Colonial
Order of the Star of Italy. Crimean Medal. Crown of Merit. Crown of
Italy, Order of. Far East, Medal for. Industry, Order of. Italian
Independence Medal. 60 Italian Unity
Medal. Liberation of Sicily, Medal for. Life Saving
Medal. Marsala Medal (Medal of the Thousand). Medal of
Merit. Medal of Merit (Battle of Vicenza). Medal of Merit
(Rome). Medal of Merit (“S.P.Q.R.”). Medal of the Thousand. Military
Cross for Service. Military Medal of Valour. Most Sacred
Annunciation, Order of. National Gratitude, Medal of. Naval Medal of
Valour. Public Safety, Medal of Merit. Royal Military Order of
Savoy. St. Maurice, Medal of. St. Maurice and St. Lazarus, Order of.
Star of the Thousand. NUMISMATIC NOT E S MEDALS OF
HONOUR Turkish War of 1911-1912. 68 United Italy,
Medal for. 62 Valour Medal. Veterans Guarding Tomb of the
Kings Medal. Victory Medal. War Cross of Italy. War in Lybia Medal.
War Orphans Medal. 7War Volunteers Medal. World War Medal. 72 See
also Obsolete Orders. 134 The Two Sicilies Campaign of
1860. 112 Civil Merit, Medal of. 108 Constantine, Order
of. Crescent, Order of the. Defence of Catania, Medal for the. Double Crescent
(Order of the Ship). Eastern Sicily, Campaign of. Ermine (Naples), Order of
the. 88 Francis I, Royal Order of. 105 Gaeta Medal.
Griffin (Naples), Order of the. Holy Spirit of the Right Desire (Order of
the Knot). 8 7 Knot (Naples), Order of. Lombardy, Medal of
Merit for. 96 AND MONOGRAPHS Long Service Medal. 109
Medal of Honour. 94 Medal of Honour Medal of Honour (Sicily).
Messina, Medal for. 108 Naples, Medal of Honour for. Provincial
Legion, Medal of Honour for the 99 Reel and Lioness, Order of.
87 St. Charles, Royal Military Order of. St. Ferdinand, Order of,
and Order of Merit. 93 St. George, Medal of. 104
St. George of the Reunion, Royal Military Order of. St.
Januarius, Order of. St. Michael
(Naples), Order of. 89 Security Guard Medal. Ship, Order of the.
Sicily, Medal for (Ferd. II.). no Sicily, Medal for (Nationalist). Siege
of Gaeta, Medal of Honour for the. . 97 Siege of Messina, Medal for
the. Siena, Medal of Merit for. 96 Spur, Order of the. Two
Sicilies, Royal Order of the. 98 Tuscany Long Service
Medal. ^5 Long Service Medal (Leopold II). NUMISMATIC NOTES
Medal of 1848. 126 Medal of Merit. 126 Military Medal.
Military Merit, Medal of. 125 Military Merit, Order of. 125
St. Joseph, Order of. 120 St. Stephen, Order of. White Cross,
Order of the (Cross of Loyalty). See also Obsolete Orders.
Venice Bravery, Medal for. 133 Civil Guard, Medal for
the. 133 Defence of Venice of 1848, Medal for the. . 132 St.
Mark, Order of. 131 Obsolete Orders Black Swan of
Italy, Order of the. 135 Conception, Order of the. 137
Eagle of Italy, Order of the. 134 Golden Star of Venice,
Order of the. 134 Golden Stole, Order of the. Holy Mary, Mother of
God, Order of the. . 134 Lamb of God of Tuscany, Order of the. Lily,
Order of. 136 Precious Blood of Our Saviour (See Order
of the Redeemer). 13b Redeemer, Order of the. AND MONOGRAPHS
146 ITALIAN ORDERS Royal Crown of Mantua, Order of
the. St. George of Genoa, Order of. St. George of Ravenna, Order of.
136 St. Rosalie of Palermo, Order of. 137 Virgin, Order
of the. NUMISMATIC NOTES Numismatic Notes and Monographs Noe. Coin
Hoards. plates. Newell. Octobols of Histiaea, plates. Newell. Alexander
Hoards Introduction and Kyparissia Hoard. 1921. 21 pages. 2
plates. 50c. 4. Howland Wood. The Revolutionary Coinage plates. Westervelt.
The Jenny Lind Medals and Tokens. plates. Baldwin. Five Roman Gold
Medallions. plates. Sydney P. Noe. Medallic Work of A. A.
Weinman. plates. Gilbert S. Perez. The Mint of the Philippine Islands. pages. 4
plates. 50c. 9. David Eugene Smith, LL.D. Computing
Jetons. plates. Newell. The First Seleucid Coinage of Tyre.
plates. Numismatic Notes and Monographs (Continued) 11.
Harrold E. Gillingham. French Orders and Decorations. 1922. no
pages. 35 plates. $2.00. 12. Howland Wood. Gold Dollars plates.
Whitehead. Pre-Mohammedan Coinage of N. W. India. plates.
$2.00. 14. George F. Hill. Attambelos I of Characene.
1922. 12 pages. 3 plates. Vlasto. Taras Oikistes (A Con¬
tribution to Tarentine Numismatics). 1922. 234 pages. 13 plates.
$3.50. 16. Howland Wood. Commemorative Coin¬ age of
United States. 1922. 63
pages. 7 plates. $1.50. 17. Agnes Baldwin. Six Roman
Bronze Medallions. 1923. 39 pages. 6 plates. $1.50. 18.
Howland Wood. Tegucigalpa Coinage plates. Newell. Alexander Hoards—
II. Demanhur Hoard. 1923.
162 pages. 8 plates. $2.50. Egidio Romano. Egidio Colonna. Colonna.
Keywords: conversazione cortese, conversazione gentile, padre/figlio, amore
naturale, principe, cavalleria, cavaliere, cavalier attitude, cavalier
implicature. Refs.: Luigi Speranza,
“Grice e Colonna” – The Swimming-Pool Library. Colonna.
Luigi Speranza -- Grice e Colonnello: la ragione
conversazionale e l’implicatura conversazionale della voce di Boezio – vox
significativa – voce che e segno – parola usata metaforicamente – nome, voce
che e segno – significativa – scuola di Benevento – filosofia campanese -- filosofia
italiana – Luigi Speranza (Benevento).
Filosofo
campanese. Filosofo italiano. Benevento, Campania. Grice: “I like Colonnello;
as a typical Italian philosopher, he has philosophised about ‘all,’ from,
first, of course, Croce, to the ‘tedesci’! – But also about ‘guilt,’ and my
favourite, the ‘transcendentale,’ which in Italian, for lack of ‘n’ becomes ‘trascendentale’
– how many? Colonnello thinks more than one, if the plural is of any
guide!” Insegna a Callabria. Privilegia l'arco tra criticismo
trascendentale e fenomenologia, esistenza, ermeneutica di Pareyson, storicismo
di Croce, Nicol, Dussel. La sua proposta è verificare l'interazione, in chiave
storico-critica, del kantismo, della fenomenologia e la filosofia
dell'esistenza. Altre opere:
“Esistenzialismo kantiano” (Studio Editoriale di Cultura, Genova); “Croce e i
vociani” (Studio Editoriale di Cultura, Genova); “Tempo e necessità” (Japadre,
L'Aquila-Roma); “Tra fenomenologia e filosofia dell'esistenza” (Morano,
Napoli); “Ermeneutica esistenzialista del concetto di ‘colpa” (Loffredo,
Napoli); “Percorsi di confine: esistenza e libertà” (Luciano, Napoli); Croce
(Bibliopolis, Napoli); “Ragione e rivelazione” (Borla, Roma); “Melanconia ed
esistenza” (Luciano, Napoli); “Storia esistenza liberta. Rileggendo Croce,
Armando, Roma); Martin Heidegger e
Hannah Arendt, Guida, Napoli); “Orizzonte del trascendente e dell’immanente,
Mimesis, Milano); “Inter-soggettivita riflessiva” L’itinerario dei corpi”
(Mimesis, Milano). Corpo, mondo, Fenomenologia (Mimesis, Milano); Fenomenologia
e patografia del ricordo, Mimesis, Milano Udine). Primum oportet
constituere, quid nomen et quid verbum, postea quid est negatio et adfirmatio
et enuntiatio et oratio. sunt ergo ea quae sunt in voce earum quae sunt in
anima passionum NOTAE et ea quae scribuntur eorum quae sunt in voce. et
quemadmodum nec litterae omnibus eaedem, sic nec voces eaedem. quorum autem
haec primorum NOTAE, eaedem omnibus passiones animae et quorum hae
similitudines, res etiam eaedem.de his quidem dictum est in his quae sunt dicta
de anima, alterius est enim negotii. est autem, quemadmodum in anima
aliquotiens quidem intellectus sine vero vel falso, aliquotiens autem cui iam
necesse est horum alterum inesse, sic etiam in voce; circa conpositionem enim
et divisionem est falsitas veritasque. Nomina igitur ipsa et.verba consimilia
sunt sine conpositione vel divisione intellectui, ut homo vel album, quando non
additur aliquid; neque Titulus ex nisi quod de gr. in lat.
om. hic, hahet in suhscriptione. enim adhuc verum aut falsum est. huius autem
SIGNUM hoc est: hircocervus enim significat aliquid, sed nondum verum vel
falsum, si non vel esse vel non esse addatur, vel simpliciter vel secundum
tempus. Nomen ergo est vox significativa secundum placitum sine tempore, cuius
nulla pars est significativa separata. in nomine enim quod est equiferus ferus
nihil per se significat, quemadmodum in oratione quae est equus ferus. at vero
non quemadmodum in simplicibus nominibus, sic se habet etiam in conpositis. in
illis enim nullo modo pars significativa est, in his autem vult quidem, sed
nullius separati, ut in equiferus ferus. secundum placitum vero, quoniam
naturaliter nominum nihil est, sed quando fit nota. nam designant et iuhtterati
soni, ut ferarum quorum nihil est nomen. Non homo vero non est nomen. at vero
nec positum est nomen, quo illud oporteat appellari. neque enim oratio aut
negation est, sed sit nomen infinitum. Catonis autem vel Catoni et quaecumque
talia sunt non sunt nomina, sed casus nominis. ratio autem eius est in aliis
quidem eadem, sed diifert quoniam cum est vel fut vel erit iunctum neque verum
neque falsum est, nomen vero semper; ut Catonis est vel non est, nondum enim
neque verum dicit neque mentitur. Verbum autem est quod consignificat tempus
cuius pars nihil extra significat, et est semper eorum quae de altero dicuntur
nota. dico autem quoniam consignificat tempus, ut cursus quidem nomen est
currit vero verbum, consignificat enim nunc esse. et semper eorum quae de
altero dicuntur nota est, ut eorum quae de subiecto vel in subiecto. Non currit
vero et non laborat non verbum dico. consignificat quidem tempus et semper de
aliquo est, differentiae autem huic nomen non est positum; sed sit in
finitum verbu, quoniam similiter in quolibet c.est, vel quod est vel quod non
est. similiter autem vel curret vel currebat non verbum est, sed casus verbi.
differt autem a verbo, quod hoc quidem praesens consignificat tempus, illa vero
quod conplectitur. Ipsa quidem secundum se dicta verba nomina sunt et significant aliquid.
constituit enim qui dicit intellectum et qui audit quiescit. sed si est vel non
est, nondum significat; neque enim esse signum est rei vel non esse, nec
si hoc ipsum est purum dixeris. ipsum quidem nihil est, consignificat autem
quandam conpositionem, quam sine conpositis non est intelleger. Oratio autem
est vox significativa; cuius partium aliquid significativum est separatum, ut
dictio, non ut adfirmatio. dico autem, ut homo significat aliquid, sed non
quoniam est aut non est, sed erit adfirmatio vel negatio, si quid addatur. sed
non una hominis syllaba. nec in eo quod est sorex rex significat, sed vox est
nunc sola. in duplicibus vero significat quidem, sed non secundum se,
quemadmodum dictum est. Est autem oratio omnis quidem significativa non sicut
instrumentum, sed, quemadmodum dictum est, secundum placitum. enuntiativa vero
non omnis, sed in qua verum vel falsum inest. non autem in omnibus, ut
deprecatio oratio quidem est, sed neque vera neque falsa.et ceterae quidem
relinquantur; rhetoricae enim vel poeticae convenientior consideratio est;
enuntiativa vero praesentis est speculationis. Est autem una prima oratio
enuntiativa adfirmatio, deinde negatio; aliae veroconiunctione unae. necesse
est autem omnem orationem enuntiativam ex verbo esse vel casu. etenim hominis
ratio, si non aut est aut erit aut fuit aut aliquid huiusmodi addatur, nondum
est oratio enuntiativa. quare autem unum quiddam est et non multa animal
gressibile bipes neque enim eo quod propinquedicunt ur ununi erit, est alterius
hotractare negotii. est autem una c. oratio enuntiativa quae unum significat vel
coniunctione una, plures autem quae plura et non unum vel inconiunctae. nomen
ergo et verbum dictio sit sola, quoniam non est dicere sic aliquid
significantem voce enuntiare, vel aliquo interrogante vel non, sed ipsum
proferentem. harum autem haec quidem simplex est enuntiatio, ut aliquid de
aliquo vel aliquid ab aliquo, haec autem ex his coniuncta velut oratio quaedam
iam conposita. est autem simplex enuntiatio vox significativa de eo quod est
aliquid vel non est, quemadmodum tempora divisa sunt. Adfirmatio vero est
enuntiatio alicuiusde aliquo, negatio vero enuntiatio alicuius ab aliquo.
quoniam autem est enuntiare et quod est non esse et quod non est esse et quod
est esse et quod non est non esse et circa ea quae sunt extra praesens tempora
similiter omne contingit quod quis adfirmaverit negare et quod quis negaverit
adfirmare: quare manifestum est, quoniam omni adfirmationi est negatio opposita
et omni negationi adfirmatio. et sit hoc contradictio, adfirmatio et negatio
oppositae. dico autem opponi eiusdem de eodem, non autem aequivoce et
quaecumque cetera talium determinamus contra sophisticas inportunitates.
Quoniam autem sunt haec quidem rerum universalia, illa vero singillatim; dico
autem universale quod in pluribus natum est praedicari, singulare vero quod
non, ut homo quidem universale, Plato vero eorum quae suntsingularia: necesse
est autem enuntiare quoniam ines aliquid aut non aliquotiens quidemeorum
alicui quae sunt universalia, aliquotiens autem eorum quae sunt singularia. si
ergo universaliter enuntiet in universali quoniam est aut non, erunt contrariae
enuntiationes. dico autem in universali enuntiationem universalem, ut omnis
homo albus est, nullus homo albus est. quando autem in universalibus non
universaliter, non sunt contrariae, quae autem significantur est esse
contraria. dico autem non universaliter enuntiare in his quae sunt universalia,
ut est albus homo non est albus homo. cum enim universale sit homo, non
universaliter utitur enuntiatione. omnis namque non universale, sed quoniam universaliter
consignificat. in eo vero, quod praedicatur universale, universale praedicare
universaliter non est verum; nulla enim adfirmatio erit in qua de universali
praedicato universale praedicetur, ut omnis homo omne animal est. opponi autem
adfirmationem negationi dico contradictorie, quae universale significat eidem,
quoniam non universaliter, ut omnis homo albus est, non omnis homo albus est
nullus homo albus est, est quidam homo albus; contrarie vero universalem
adfirmationem et universal negationem, ut omnis homo iustus est, nullus homo
iustus est. quocirca has quidem inpossible est simul veras essehis vero
oppositas contingit in eodem, ut non omnis homo albus est est quidam homo
albus. quaecumque igitur contradictiones universalium sunt universaliter,
necesse est alteram veram esse vel falsam et quaecumque in singularibus sunt ut
est Socrates albus, non est Socrates albus; quaecumque autem in universalibus
non universaliter, non semper haec vera est, illa vero falsa. simul enim verum
est dicere quoniam est homo albus et non est homo albus, et est homo pulcher
(probus) et non est homo pulcher (probus). si enim foedus (turpis, et non
pulcher (probus); etfit aliquid, et non est. videbitur autem subito
inconveniens esse idcirco quoniam videtur significare non est homo albus simul
etiam quoniam ut om. esfet est © (xat habent Arist. codices praeter duos) pro
v.aX6q et cctaxQos in editione prima posuit pulcher et foedus, in editione
secunda probus et turpis jiemo homo albus. hoc autem neque idem significat neque
simul necessario. Manifestum est autem quoniam una negatio unius adfirmationis
est; hoc enim idem oportet negare negationem, quod adfirmavit adfirmatio, et de
eodem, vel de aliquo singularium vel de aliquo universalium, vel universaliter
vel non universaliter. dico autem ut est Socrates albus, non est Socrates
albus. si autem aliud aliquid vel de alio idem, non opposita, sed erit ab ea
diversa. huic vero quae est omnis homo albus est illa quae est non omnis
homo albus est, illi vero quae est aliqui homo albus est illa quae est nullus
homo albus est, illi autem quae est est homo albus illa quae est non est homo
albus. Quoniam ergo uni negationi una adfirmati opposita est
contradictorie et quae sint hae dictum est et quoniam aliae sunt contrariæ et
quae sint hæ et quoniam non omnis vera vel falsa contradictio et quare et
quando vera vel falsa. Una autem est ADFIRMATIO et negatio quæ unum de uno
SIGNIFICAT vel cum sit universale universaliter vel non similiter, ut ‘OMNIS
HOMO ALBVS EST’ – Grice: (x) all --, ‘NON EST OMNIS HOMO ALBVS,’ ‘EST HOMO
ALBVS,’ ‘NON EST HOMO ALBVS’, ‘NVLLVS HOMO ALBVS EST, ‘EST QUIDAM HOMO ALBVS’ –
Grice : Ex: some (at least one) --, si album (‘shaggy’) unum SIGNIFICAT.
sin vero duobus unum Vel—singularium om. postremum vel om. T aliquis MT est
homo albus ed. II. Ar.: h. a. est codices (hæ) Mc locus in paucis admodum
codicibus exstat; habent lianc falsam versionem ex BOEZIO expositione
natam: Manifestum ergo quoniam una negatio uuius affirmationis est. quoniam
aliae sunt contrariae, aliae contradictoriae et quae sint hae dictum est.
duplicem versioncm et superiorem veram et lianc falsamexhibent solam veram D,
falsam omisso initio: Manifestum — aff. est. E, veram in marg. Xsint edictum et
om. BE uel quoniam uel quando E est homp a. non est h. a. om. nomen est
positum, ex quibus non est unum, non est una adfirmatio, ut si quis ponat nomen
tunica homini et equo, est tunica alba haec non est una adfirmatio nec negatio
una. nihil enim hoc differt dicere quam est equus et homo albus. hoc
autem nihil differt quam dicere est equus albus et est homo albus.
si ergo hae multa significant et sunt phires, manifestum est quoniam et prima
multa vel nihil significat; neque enim est aliquis homo equus. quare nec in his
necesse est hanc quidem contradictionem veram esse, illam vero falsam. In his
ergo quae sunt et facta sunt necesse est adfirmationem vel negationem veram vel
falsam esse, in universalibus quidem universaliter semper hanc quidem veram,
illam vero falsam, et in his quae sunt singularia, quemadmodum dictum est; in
his vero, quae in universalibus non universaliter dicuntur, non est necesse;
dictum autem est et de his. in singularibus vero et futuris non similiter. nam
si omnis adfirmatio vel negatio vera vel falsa est, et omne necesse est vel
esse vel non esse. nam si hic quidem dicat futurum aliquid, ille vero non dicat
hoc idem ipsum, manifestum estquoniam necesse est verum dicere alterum ipsorum,
si omnis adfirmatio vera vel falsa. utraque enim non erunt simul in talibus.
nam si verum est dicere quoniam album vel non album est, necesse est esse album
vel non album, et si est album vel non album verum est vel adfirmare vel
negare; et si non est, mentitur, et si mentitur, non est. quare necesse est aut
adfirmationem aut negationem veram esse. nihil igitur neque est neque fit nec a
casu nec utrumlibet nec erit nec non erit, sed ex necessitate nomen
quod(quod est M) affirm. una una neg. differre et om. E dicere equus est MT est
autem MT6 veram esse vel falsam D Ar. omnia et non utrumlibet. aut enim qui
dicit verus est aut qui negat. similiter enim vel fieret vel non fieret;
utrumlibet enim nibii magis sic vel non sic se habet aut habebit. amplius si
est album nunc, verum erat dicere primo quoniam erit album, quare semper verum
fuit dicere quodlibet eorum quae facta sunt, quoniam erit. quod si semper verum
est dicere quoniam est vel erit, non potest hoc non esse nec non futurum esse. quod
autem non potest non fieri, inpossibile est non fieri; quod autem inpossibile
est non fieri, necesse est fieri. omnia ergo qua futura sunt necesse est fieri.
niliil igitur utrumlibet neque a casu erit; nam sia casu, non ex necessitate.
at vero nec quoniam neutrum verum est contingit dicere ut quoniam neque erit
neque non erit. primum enim cusit adfirmatio falsa, erit negatio non vera et
haec cum sit falsa, contingit adfirmationem esse non veram. ad haec si verum
est dicere quoniam album est et magnum, oportet utraque esse; sin vero erit
cras esse cras; si autem neque erit neque non erit cras, non erit utrumlibe, ut
navale bellum; oportebit enim neque fieri navale bellum neque non fieri
navale bellum. Quae ergo contingunt inconvenientia haec sunt et huiusmodi
alia, si omnis adfirmationis et negationis vel in his quae in universalibus
dicuntur universaliter vel in his quae sunt singularia necesse est oppositarum
hanc esse veram, illam vero falsam, nihil autem utrumlibet esse in his quae
fiunt, sed omnia esse vel fieri ex necessitate. quare non oportebit neque
consiliari neque negotiari, quoniam si hoc facimus, erit hoc, si veroho, non
erit.nihil enim prohibet in millensimum annum hunc quidem dicere hoc et quod
hnp. 1et cum liaec oportet esse cras ut est oportet E aHa om. affirmatio et
negatio oppositarumj oppositionem eorum quidem futurum esse hunc vero non
dicere. quare ex necessitate erit quodlibet eorum verum erat dicere tunc. at
vero nec hoc differt, si aliqui dixerunt contradictionem vel non dixerunt; manifestum
est enim, quod sic se habent res, et si non hic quidem adfirmaverit, ille vero
negaverit; non enim propter negare vel adfirmare erit vel non erit nec in
millensimum annum magis quam in quantolibet tempore. quare si in omni tempore
sic se habebat, ut unum vere diceretur, necesse esset hoc fieri et unumquodque
eorum quae fiunt sic se haberet, ut ex necessitate fieret. quando enim vere
dicit quis, quoniam erit, non potest non fieri et quod factum est verum erat
dicer semper, quoniam erit. Quod si haec non sunt possibilia: videmus
enim esse principium futurorum et ab eo quod consiliamur atque agimus aliquid
et quoniam est omnino in his quae non semper actu sunt esse possibile et non,
in quibus utrumque contingit et esse et non esse, quare et fieri et non
fier. et multa nobis manifesta sunt sic se habentia, ut quoniam hanc vestem
possibile est incidi et non incidetur, sed prius exteretur. similiter autem et
non incidi possibile est. non enim esset eam prius exteri, nisi esset possibile
non incidi. quare et in ahis facturis, quaecumque secundum potentiam dicuntur
huiusmodi: manifestum est, quoniam non omnia ex necessitate vel sunt vel fiunt,
sed alia quidem utrumlibet et non magis vel adfirmatio vel negatio, alia quare
quod quare quoniam praedicere habeat habeanfc E et si non ego: etiamsi non b:
uel si (om. non) codices neg. ille vero aff. G alt. in om. E habeatest erat
habere et in quibus sese ©Tincidetur — exteretur b: inciditur — exteritur
codices facturisque {om.cumque futuris quaecumque negatio uera est Tvero magis
quidem et in pluribus alterum, sed contingitfieri et alterum, alterum vero
minime. Igitur esse quod est, quand es, et non esse quod non est, quando non
est, necesse est; sed non quod est omne necesse est esse nec quod non est
necesse est non esse. non enim idem est omne quod est esse necessario, quando
est, et simpliciter esse ex necessitate. similiter autem et in eo quod non
est.et in contradictione eadem ratio. Esse quidem vel non esse omne necesse est
et futurum esse vel non; non tamen dividentem dicere alterum necessario. dico
autem ut necesse est quidem futurum esse bellum navale cras vel non esse
futurum, sed non futurum esse cras bellum navale necesse est vei non futurum
esse futurum autem esse vel non esse necesse est. quare quoniam similiter
orationes verae sunt quemadmodum et res, manifestum est quoniam quaecumque sic
se babent, ut utrumlibet sint et contraria ipsorum contingent necesse est
similiter se habere et contradictionem. quod contingit in his, quae non semper
sunt et non semper non sunt. borum enim necesse est quidem alteram partem
contradictionis veram esse vel falsam, non tamen hoc aut illud, sed utrumlibet
et magis quidem veram alteram, non tamen iam veram vel falsam. quare manifestum
est, quoniam non est necesse omnis adfirmationis vel negationis oppositarum
banc quidem veram, illam vero falsam esse. neque enim quemadmodum in bis quae
sunt, sic se habet etiam in his quae non sunt, possibilibus tamen esse aut non
esse, sed quemadmodum dictum est. Quoniam autem est de aliquo adfirmatio
signifi- ut add. b: om. codices necesse est post cras MT futurum quidem eorum A
omnes adfirmationes uel negationes codices et b (Arist.) oppositionum esse post
quidem illam autem hic ficans aliquid, hoc autem est vel nomen vel in nomine,
unum autem oportet esse et de uno hoc quod est in adfirmatione (nomen autem
dictum est et in nomine prius; non homo enim nomen quidem non dico, sed
infinitum nomen; unum enim quodammodo significat infinitum, quemadmodum et non
currit non verbum, sed infinitum verbum), erit omnis adfirmatio vel ex nomine
et verbo vel ex infinito nomine et verbo. praeter verbum autem nulla adfirmatio
vel negatio. est enim vel erit vel fuit vel fit, vel quaecumque alia huiusmodi,
verba ex his sunt quae sunt posita; consignificant enim tempus. quare prima
adfirmatio et negatio est homo, non est homo, deinde est non homo,
non est non homo; rursus est omnis homo, non est omnis homo; est omnis non
homo, non est omnis non homo. et in extrinsecus temporibus eadem ratio est. quando
autem est tertium adiacens praedicatur, dupliciter dicuntur oppositiones. dico
autem ut est iustus homo; est tertium dico adiacere nomen vel verbum in
adfirmatione. quare idcirco quattuor istae erunt, quarum duae quidem ad
adfirmationem et negationem sese habebunt secundum consequentiam ut
privationes, duae vero minime. dico autem quoniam est aut iusto adiacebit
aut non iusto, quare etiam negatio. quattuor ergo erunt. intellegimus vero quod
diciturex his quae subscripta sunt. est iustus homo, huius negatio non est iustus
homo; est non iustus homo, huius negatio non est non iustus homo. est enim hoe
loco et non est iusto et non iusto adiacet. haec igitur, quemadmodum in
resolutoriis dictum est, sic sunt innomine ego ex ed. II: in nominat Qm vel
innominabile codices item quodammodo significat et (ut add. S) non uerbum est
inf. nom. et uerbo erit MTES vel fit om.cons.—tempus om.consignificat T) ergo
erunt] enim sunt huius disposita. similiter autem se habet et si universalis
nominis sit adfirmatio, ut omnis est homo iustus, non omnis est homo iustus;
omnis est homo non iustus, non omnis est homo non iustus. sed non similiter
angulares contingit veras esse.contingit autem aliquando hae igitur duae
oppositae sunt, aliae autem ad non homo ut subiectum aliquid addito, ut est
iustus non homo, non est iustus non homo; est non iustus non homo, non est non
iustus non homo. magis plures autem his non erunt oppositiones. hae autem extra
illas ipsae secundum se erunt ut nomine utentes non homo. in his vero in quibus
est non convenit, ut in eo quod est currere vel ambulare, idem faciunt sic
posita ac si est adderetur, ut est currit omnis homo, non currit omnis homo;
currit omnis non homo, non currit omnis non homo. Non enim dicendum est non
omnis homo sed non negationem ad homo addendum est. omnis enim non universale
significat, sed quoniam universaliter. manifestum est autem ex eo quod est
currit homo, non currit homo; currit non homo non currit non homo.
haec enim ab illis difiPerunt eo quod non universaliter sunt. quare omnis vel nullus
nihil aliud consignificat nisi quoniam universaliter de nomine veladfirmat vel
negat. ergo cetera eadem oportet adponi. Quoniam vero contraria est negatio ei
quae est omne est animal iustum illa quae significat quoniam nullum est
animal iustum, hae quidem manifestum est quoniam numquam erunt neque verae
simul neque in eodem ipso, his vero oppositae erunt aliquando ut non omne
animal iustum est et est aliquod animal affirmatio sithaec ac uero non om. non
ullus T ergo et opponi apponi E ut E, om. ceteri et om. quoddam et est iustum
om.B c. iustum. sequuntur vero hae: lianc quidem quae est nullus est homo
iustus illa quae est omnis est homo non iustus illam vero quae est est aliqui
iustus homo opposita quoniam non omnis est homo non iustus. necesse est enim
esse aliquem. manifestum est autem, quoniam etiam in singularibus, si est verum
interrogatum negare quoniam et adfirmare verum est, ut putasne Socrates
sapiens est? non; quoniam Socrates igitur non sapiens est. in universalibus
vero non est vera quae similiter dicitur, vera autem negatio, ut lO putasne
omnis homo sapiens? non. omnis igitur homo non sapiens. hoc enim falsum est.
sed non omnis igitur homo sapiens vera est; haec autem est opposita, illa vero
contraria. Πρῶτον δεῖ θέσθαι τί ὄνομακαὶ τί ῥῆμα, ἔπειτα τί ἐστιν ἀπόφασιςκαὶ κατάφασις καὶ ἀπόφανσις καὶ λόγος. Primum oportet constituere quid sit NOMEN et quid
verbum, postea quid est negatio et ADFIRMATIO et ENVNITIATIO et ORATIO. First we must define the
terms 'NOMEN' and 'VERBVM, then the terms 'NEGATIO' and 'AD-FIRMATIO', then ‘ENVNTIATIO'
and 'ORATIO'. Ἔστι μὲν οὖν τὰ ἐν τῇ φωνῇ τῶν ἐν τῇ ψυχῇ παθημάτων σύμβολα, καὶ τὰ γραφόμενα τῶν ἐν τῇ φωνῇ καὶ ὥσπερ οὐδὲ γράμματα πᾶσι τὰ αὐτά, οὐδὲ φωναὶ αἱ αὐταί• ὧν μέντοι ταῦτα σημεῖα πρώτων, ταὐτὰ πᾶσι παθήματα τῆς ψυχῆς, καὶ ὧν ταῦτα ὁμοιώματα πράγματα ἤδη ταὐτά. Sunt ergo ea quæ sunt in voce earum quæ sunt in anima PASSIONVM NOTÆ,
et ea quæ scribuntur eorum quæ sunt in voce. Et quem admodum nec litteræ
omnibus eædem, sic nec eædem voces. Quorum autem hae primorum notæ, eædem
omnibus PASSIONES ANIMÆ sunt, et quorum hæ SIMILITVDINES, res etiam eædem. A spoken
word is the SYMBOL of a mental experience and a written word is the symbol of a
spoken word. Just as all men have NOT the same writing, so all men have NOT the
same speech sounds. The mental experiences, however, which these directly
symbolize, are THE SAME for all, as also are those THINGS (res – Locke, way of
things) of which our experience is the image. περὶ μὲν οὖν τούτων εἴρηται ἐν τοῖς περὶ ψυχῆς, ἄλλης γὰρ πραγματείας De his quidemdictum est in
his quæ sunt dicta de anima -- alterius est enim negotii. This matter has,
however, been discussed in the essay about the soul, for it belongs to an
investigation distinct from that which lies before us. ἔστι δέ, ὥσπερ ἐν τῇ ψυχῇ ↵ ὁτὲ μὲν νόημα ἄνευ τοῦ ἀληθεύειν ἢ ψεύδεσθαι ὁτὲ δὲ ἤδη ᾧ ἀνάγκη τούτων ὑπάρχειν θάτερον, οὕτω καὶ ἐν τῇ φωνῇ περὶ γὰρ σύνθεσιν καὶ διαίρεσίν ἐστι τὸ ψεῦδός τε καὶ τὸ ἀληθές. Est autem, quemadmodum in anima aliquotiens quidem intellectus sine
vero vel falso, aliquotiens autem cum iam necesse est horum alterum inesse, sic
etiam in voce; circa compositionem enim et divisionem est falsitas
veritasque.As there are in the mind thoughts which do not involve truth or
falsity, and also those which must be either true or false, so it is in speech.
For truth and falsity imply combination and separation. τὰ μὲν οὖν ὀνόματα αὐτὰ καὶ τὰ ῥήματα ἔοικε τῷ ἄνευ συνθέσεως καὶ διαιρέσεως νοήματι, οἷον τὸ ἄνθρω↵πος ἢ λευκόν, ὅταν μὴ προστεθῇ τι• οὔτε γὰρ ψεῦδος οὔτε ἀληθές πω. σημεῖον δ’ ἐστὶ τοῦδε• καὶ γὰρ ὁ τραγέλαφοςσημαίνει μέν τι, οὔπω δὲ ἀληθὲς ἢ ψεῦδος, ἐὰν μὴ τὸ εἶναι ἢ μὴ εἶναι προστεθῇ ἢ ἁπλῶς ἢ κατὰ χρόνον.Nomina igitur ipsa et verba consimilia sunt sine compositione vel
divisione ↵intellectui, ut
'homo' vel 'album', quando non additur aliquid; neque enim adhuc verum aut
falsum est. Huius autem signum: 'hircocervus' enim significat aliquid sed
nondum verum vel falsum, si non vel 'esse' vel 'non esse' addatur vel
simpliciter vel secundum tempus.Nouns and verbs, provided nothing is added, are
like thoughts without combination or separation; 'man' and 'white', as isolated
terms, are not yet either true or false. In proof of this, consider the word
'goat-stag.' It has significance, but there is no truth or falsity about it,
unless 'is' or 'is not' is added, either in the present or in some other tense.
Ὄνομα μὲν οὖν ἐστὶ φωνὴ σημαντικὴ κατὰ συνθήκην ↵ ἄνευ χρόνου, ἧς μηδὲν μέρος ἐστὶ σημαντικὸν κεχωρι- σμένον• ἐν γὰρ τῷ Κάλλιππος τὸ ιππος οὐδὲν καθ’ αὑτὸ σημαίνει, ὥσπερ ἐν τῷ λόγῳ τῷ καλὸς ἵππος .Nomen ergo est vox significativa secundum placitum ↵sine tempore, cuius nulla
pars est significativa separata; in 'equiferus' enim 'ferus' nihil per se
significat, quemadmodum in oratione quae est 'equus ferus'.Chapter 2 By a noun
we mean a sound significant by convention, which has no reference to time, and
of which no part is significant apart from the rest. In the noun 'Fairsteed,'
the part 'steed' has no significance in and by itself, as in the phrase 'fair
steed.' οὐ μὴν οὐδ’ ὥσπερ ἐν τοῖς ἁπλοῖς ὀνόμασιν, οὕτως ἔχει καὶ ἐν τοῖς πεπλεγμένοις• ἐν ἐκείνοις μὲν γὰρ οὐδαμῶς τὸ μέρος ση↵μαντικόν, ἐν δὲ τούτοις βούλεται μέν, ἀλλ’ οὐδενὸς κεχωρισμένον, οἷον ἐν τῷ ἐπακτροκέλης τὸ κελης.At vero nonquemadmodum in simplicibus nominibus, sic se habet et in
compositis; in illis enim nullo modo pars significativa est↵, in his autem vult quidem
sed nullius separati, ut in 'EQVIFERVS' <'FERVS'>.Yet there is a
difference between simple and composite nouns; for in the former the part is in
no way significant, in the latter it contributes to the meaning of the whole,
although it has not an independent meaning. Thus in the word 'pirate-boat' the
word 'boat' has no meaning except as part of the whole word. ↵τὸ δὲ κατὰ συνθήκην, ὅτι φύσει τῶν ὀνομάτων οὐδέν ἐστιν, ἀλλ’ ὅταν γένηται σύμβολον• ἐπεὶ δηλοῦσί γέ τι καὶ οἱ ἀγράμ- ματοι ψόφοι, οἷον θηρίων, ὧν οὐδέν ἐστιν ὄνομα."Secundum
placitum" vero, quoniam naturaliter nominum nihil est sed quando fit nota;
nam designant et inlitterati soni, ut ferarum, quorum nihil est nomen.The
limitation 'by convention' was introduced because nothing is by nature a noun
or name-it is only so when it becomes a symbol; inarticulate sounds, such as
those which brutes produce, are significant, yet none of these constitutes a
noun. τὸ ↵ δ’ οὐκ ἄνθρωπος οὐκ ὄνομα• οὐ μὴν οὐδὲ κεῖται ὄνομα ὅ τι δεῖ καλεῖν αὐτό, —οὔτε γὰρ λόγος οὔτε ἀπόφασίς ἐστιν ἀλλ’ ἔστω ὄνομα ἀόριστον.↵ 'Non homo' vero non est
nomen; at vero nec positum est nomen quod illud oporteat appellari -- neque
enim oratio aut negatio est -- sed sit nomen infinitum.The expression 'not-man'
is not a noun. There is indeed no recognized term by which we may denote such
an expression, for it is not a sentence or a denial. Let it then be called an
indefinite noun. ↵τὸ δὲ Φίλωνος ἢ Φίλωνι καὶ ὅσα (16b.) τοιαῦτα οὐκ ὀνόματα ἀλλὰ πτώσεις ὀνόματος.'Catonis' autem vel 'Catoni'
et quaecumque talia sunt non sunt nomina sed casus nominis.The expressions 'of
Philo', 'to Philo', and so on, constitute not nouns, but cases of a noun. λόγος δέ ἐστιν αὐτοῦ τὰ μὲν ἄλλα κατὰ τὰ αὐτά, ὅτι δὲ μετὰ τοῦ ἔστιν ἢ ἦν ἢ ἔσται οὐκ ἀληθεύει ἢ ψεύδεται, —τὸ δ’ ὄνομα ἀεί,— οἷον Φίλωνός ἐστιν ἢ οὐκ ἔστιν• οὐδὲν γάρ πω οὔτε ἀλη↵θεύει οὔτε ψεύδεται.Ratio autem eius est in aliis quidem eadem sed
differt quoniam, cum 'est' vel 'fuit' vel 'erit' adiunctum, neque verum neque
falsum est, nomen vero semper; ut 'Catonis est' vel 'non est' -- nondum enim
aliquid neque rerum dicit neque mentitur.The definition of these cases of a
noun is in other respects the same as that of the noun proper, but, when
coupled with 'is', 'was', or will be', they do not, as they are, form a
proposition either true or false, and this the noun proper always does, under
these conditions. Take the words 'of Philo is' or 'of or 'of Philo is not';
these words do not, as they stand, form either a true or a false proposition. ↵Ῥῆμα δέ ἐστι τὸ προσσημαῖνον χρόνον, οὗ μέρος οὐδὲν σημαίνει χωρίς• ἔστι δὲ τῶν καθ’ ἑτέρου λεγομένων σημεῖον. VERBVM AVTEM EST QVOD
CONSIGNIFICAT TEMPVS cuius pars nihil extra significat. Et est semper eorum quæ
de altero prædicantur nota. A verb is that which, in addition to its proper
meaning, carries with it the notion of time. No part of it has any independent
meaning, and it is UN SEGNO of something said of something else. λέγω δ’ ὅτι προσσημαίνει χρόνον, οἷον ὑγίεια μὲν ὄνομα, τὸ δ’ ὑγιαίνει ῥῆμα• προσσημαίνει γὰρ τὸ νῦν ὑπάρχειν. καὶ ἀεὶ ↵ τῶν ὑπαρχόντων σημεῖόν ἐστιν, οἷον τῶν καθ’ ὑποκειμένου. Dico autem quoniam consignificat tempus, ut ‘cursus’
quidem NOMEN est, 'currit' vero VERBVM -- consignificat enim nunc esse -- ; et
semper eorum quæ de altero dicuntur nota est, ut eorum quae de subiecto vel in
subiecto. I will explain what I mean by saying that it carries with it the
notion of time. 'CVRSVS' is a noun, but 'is ‘CVRRIT' is a verb. For, besides
its proper meaning, it indicates the PRESENT existence of the state in
question. Moreover, a verb is always a sign of something said of something
else, i.e.,of something either predicable of or present in some other thing. τὸ δὲ οὐχ ὑγιαίνει καὶ τὸ οὐ κάμνει οὐ ῥῆμα λέγω προσσημαίνει μὲν γὰρ χρόνον καὶ ἀεὶ κατά τινος ὑπάρχει, τῇ διαφορᾷ δὲ ὄνομα οὐ κεῖται• ἀλλ’ ἔστω ἀόριστον ῥῆμα, ὅτι ὁμοίως ἐφ’ ὁτουοῦν ὑπάρχει καὶ ὄντος καὶ μὴ ὄντος. 'Non CVRRIT' vero et 'non LABORAT'
non verbum dico. Consignificat quidem tempus et semper de aliquo est,
differentiæ autem huic nomen non est positum. Sed sit infinitum verbum, quoniam
similiter in quolibet est vel quod est vel quod non est. Such expressions as 'NON
CVRRIT', 'NON LABORAT', I do *not* describe as verbs. For,though they carry the
additional note of time, and always form a predicate, there is no specified
name for this variety [cf. Grice, UN-PUBLICATION]; but let each be called an indefinite
verb, since it applies equally well to that which exists and to that which does
not. ὁμοίως δὲ καὶ τὸ ὑγίανεν ἢ τὸ ὑγιανεῖ οὐ ῥῆμα, ἀλλὰ πτῶσις ῥήματος• διαφέρει δὲ τοῦ ῥήματος, ὅτι τὸ μὲν τὸν παρόντα προσσημαίνει χρόνον, τὰ δὲ τὸν πέριξ. Similiter autem vel 'CVRRET' vel
'CVRREBAT' non verbum est sed *casus* verbi. Differt autem a verbo quoniam hoc quidem præsens SIGNIFICAT
TEMPVS, illa vero quod complectitur. Similarly 'CURRET' or 'CVRREBAT' is not a verb,
but a *case* of a verb. The difference lies in the fact that the verb indicates
present time. The CASVS of the verb indicates a different time which lies
outside the present. αὐτὰ μὲν οὖν καθ’ αὑτὰ λεγόμενα τὰ ῥήματα ὀνόματά ↵ἐστι καὶ σημαίνει τι, ἵστησι γὰρ ὁ λέγων τὴν διάνοιαν, καὶ ὁ ἀκούσας ἠρέμησεν, ἀλλ’ εἰ ἔστιν ἢ μή οὔπω σημαίνει• οὐ γὰρ τὸ εἶναι ἢ μὴ εἶναι σημεῖόν ἐστι τοῦ πράγματος, οὐδ’ ἐὰν τὸ ὂν εἴπῃς ψιλόν αὐτὸ μὲν γὰρ οὐδέν ἐστιν, προσσημαίνει δὲ σύνθεσίν τινα, ἣν ἄνευ τῶν συγκειμένων οὐκ ἔστι νοῆσαι. Ipsa quidem secundum
se dicta verba NOMINA sunt et SIGNIFICANDI aliquid -- constituit enim qui dicit
[Grice, UTTERER] intellectum, et qui audit [Grice, RECIPIENT] quiescit -- sed
si est vel non est non dum significat. Neque enim 'esse' SIGNVM est rei vel
'non esse', nec si hoc ipsum 'est' purum dixeris. Ipsum quidem nihil est, CONSIGNICANT
autem quandam compositionem quam sine compositis non est intellegere. A verb, in and by itself, is
substantival and has significance, for he who utters such an expression arrests
his addressee's mind, and fixes his attention. But iy does not, as it stands,
express any judgement, either affirmative or negative. For neither is 'ESSE' or
'NON ESSE' the participle 'EST' significant of any fact, unless something is
added. For it does not itself indicates anything, but IMPLIES a copulation, of
which we cannot form a conception apart from the things coupled. Λόγος δέ ἐστι φωνὴ σημαντική ἧς τῶν μερῶν τι σημαντικόν ἐστι κεχωρισμένον ὡς φάσις ἀλλ’οὐχ ὡς κατάφασις. ORATIO autem est vox SIGNIFICATIVA cuius partium aliquid
significativum est separatum -- ut dictio, non ut affirmatio. A sentence is a
significant voice, some parts of which have an independent meaning, that is to
say, as an utterance, though not as the expression of an affirmation. λέγω δέ οἷον ἄνθρωπος σημαίνει τι, ἀλλ’οὐχ ὅτι ἔστιν ἢ οὐκ ἔστιν ἀλλ’ ἔσται κατάφασις ἢ ἀπό↵φασις ἐάν τι προστεθῇ ἀλλ’οὐχ ἡ τοῦ ἀνθρώπου συλλαβὴ μία οὐδὲ γὰρ ἐν τῷ μῦς τὸ υς σημαντικόν, ἀλλὰ φωνή ἐστι νῦν μόνον. Dico autem ut 'HOMO'
significat aliquid -- sed non quoniam est aut non est; sed erit affirmatio vel
negatio, si quid addatur -- sed non una ‘HOMO’ -- 'HOMINIS' syllaba. Nec in hoc
quod est 'SOREX' 'REX' SIGNIFICAT sed
vox est nunc sola. Let me explain.
The word 'HOMO' [cf. Grice, ‘shaggy’] *has* meaning, but does not constitute a
proposition, either affirmative or negative. It is only when aother word is added
that the whole forms an affirmation or denial. But, if we separate one syllable
of the word 'HOMO' from the other – HO HO HO – Santa Claus – You called her a
prostitute three times --, it has no meaning. Similarly in the word 'SOREX',
the part 'REX' has no meaning in itself, but is merely a sound – cf. PIROT. – or the fart of a voice, as Occam prefers –
vocis flatus. ἐν δὲ τοῖς διπλοῖς σημαίνει μέν, ἀλλ’οὐ καθ’ αὑτό ὥσπερ εἴρηται. In duplicibus vero significat quidem sed non
secundum se, quem admodum dictum est. In composite words, indeed, the parts
contribute to the meaning of the whole. Yet, as has been pointed out, each part
has not an independent meaning. ἔστι δὲ λόγος ἅπας μὲν σημαντικός οὐχ ὡς ὄργανον δέ, ἀλλ’ὥσπερ εἴρηται κατὰ συνθήκην ἀποφαντικὸς δὲ οὐ πᾶς ἀλλ’ἐν ᾧ τὸ ἀληθεύειν ἢ ψεύδεσθαι ὑπάρχει οὐκ ἐν ἅπασι δὲ ὑπάρχει οἷον ἡ εὐχὴ λόγος μέν ἀλλ’οὔτ’ἀληθὴς οὔτε ψευδής. Est autem ORATIO omnis quidem
significativa non sicut instrumentum sed (quem admodum dictum est) secundum
placitum. Enuntiativa vero non omnis sed in qua
verum vel falsum inest. Non autem in
omnibus, ut deprecatio oratio quidem est sed neque vera neque falsa. Every
sentence has meaning, not as being the natural means by which a physical
faculty is realised, but, as we have said, by convention. Yet, every sentence
is not an enunciative sentence. Only such is a proposition as has in it either
truth or falsity. Thus, a prayer is a sentence, but is neither true nor false. οἱ μὲν οὖν ἄλλοι ἀφείσθωσαν, ῥητορικῆς γὰρ ἢ ποιητικῆς οἰκειοτέρα ἡ σκέψις, ὁ δὲ ἀποφαντικὸς τῆς νῦν θεωρίας. Et cæteræ quidem relinquantur
(rhetoricæ enim vel poeticæ convenientior consideratio est. ENUNTIATIVA vero præsentis
considerationis est. Let us therefore dismiss all other types of sentence but
the enuntiative sentence, for this last concerns our present inquiry, whereas
the investigation of the others belongs rather to the study of, not dialectics,
but rhetoric or of poetry. Ἔστι δὲ εἷς πρῶτος λόγος ἀποφαντικὸς κατάφασις, εἶτα ἀπόφασις οἱ δὲ ἄλλοι συνδέσμῳ εἷς. Est autem una prima ORATIO ENUNTIATIVA
AFFIRMATIO, deinde negatio; aliæ vero coniunctione unæ. The first class of simple
propositions is the simple affirmation, the next, the simple denial. All others
are only one by conjunction. ἀνάγκη δὲ ↵πάντα λόγον ἀποφαντικὸν ἐκ ῥήματος εἶναι ἢ πτώσεως καὶ γὰρ ὁ τοῦ ἀνθρώπου λόγος, ἐὰν μὴ τὸ ἔστιν ἢ ἔσται ἢ ἦν ἤ τι τοιοῦτο προστεθῇ οὔπω λόγος ἀποφαντικός διότι δὲ ἕν τί ἐστιν ἀλλ’ οὐ πολλὰ τὸ ζῷον πεζὸν δίπουν, οὐ γὰρ δὴ τῷ σύνεγγυς εἰρῆσθαι εἷς ἔσται, ἔστι δὲ ἄλλης τοῦτο πραγματείας εἰπεῖν.Necesse est autem omnem
orationem enuntiativam ex verbo esse vel casu. Et enim, HOMO hominis rationi si
non aut 'EST' aut 'ERIT' aut 'FVIT' aut aliquid huiusmodi addatur, nondum est
oratio enuntiativa. Quare autem unum quiddam est et non multa 'ANIMAL RESSIBILE
BIPES -- neque enim eo quod propinque dicuntur unum erit -- est alterius hoc
tractare negotii. Every proposition
must contain a verb or the tense of a verb. The phrase which defines the
species 'HOMO', if no verb in past (FVIT), present (EST), or future (ERIT) time
be added, is not a proposition. It may be asked how the expression 'a risible animal
with two feet' can be called single; for it is not the circumstance that the
words follow in unbroken succession that effects the unity. This inquiry,
however, finds its place in an investigation foreign to that before us. ἔστι δὲ εἷς λόγος ἀποφαντικὸς ἢ ὁ ἓν δηλῶν ἢ ὁ συνδέσμῳ εἷς, πολλοὶ δὲ οἱ πολλὰ καὶ μὴ ἓν ἢ οἱ ἀσύνδετοι. Est autem una oratio enuntiativa quae unum SIGNIFICAT
vel coniunctione una, plures autem quæ plura et non unum vel inconiunctæ. We
call those propositions single [ATOMIC] which indicate a single fact, or the
conjunction of the parts of which results in unity. Such a proposition, on the
other hand, is separate and comprises many an atomic proposition in number,
which indicate more than one fact, or many facts, or whose parts have no
conjunction. τὸ μὲν οὖν ὄνομα καὶ τὸ ῥῆμα φάσις ἔστω μόνον ἐπεὶ οὐκ ἔστιν εἰπεῖν οὕτω δηλοῦντά τι τῇ φωνῇ ὥστ’ἀποφαίνεσθαι, ἢ ἐρωτῶντός τινος, ἢ μὴ ἀλλ’αὐτὸν ↵προαιρούμενον. Nomen
ergo et verbum DICTIO sit sola, quoniam non est DICERE sic aliquid SIGNIFICANTEM
voce ENUNTIARE, vel aliquo INTERROGANTE [Grice: ?p] vel non sed ipsum
proferentem. Let us, moreover,
consent to call a noun or a verb an expression only, and not a proposition,
since it is not possible for a man to speak in this way when he is expressing
something, in such a way as to make a statement, whether his utterance is an
answer [?q] to a QUESTION [?p] or an act
of his own initiation. τούτων δ’ ἡ μὲν ἁπλῆ ἐστὶν ἀπόφανσις, οἷον τὶ κατὰ τινὸς ἢ τὶ ἀπὸ τινός, ἡ δ’ ἐκ τούτων συγκειμένη, οἷον λόγος τις ἤδη σύνθετος. Harum autem haæ quidem
simplex est ENVNTIATIO, ut aliquid de aliquo vel aliquid ab aliquo, hæc autem
ex his coniuncta, velut oratio quædam iam composita. To return: of propositions
one kind is simple, i.e. that which asserts or denies something (“shaggy”) of
something (“Fido”), the other composite [MOLECULAR], i.e. that which is
compounded of simple propositions. Ἔστι δ’ ἡ μὲν ἁπλῆ ἀπόφανσις φωνὴ σημαντικὴ περὶ τοῦ εἰ ὑπάρχει τι ἢ μὴ ὑπάρχει, ὡς οἱ χρόνοι διῄρηνται. Est autem simplex ENUNTIATIO
(“Fido is shaggy”) vox significativa de eo quod est aliquid vel non est,
quemadmodum tempora divisa sunt. A simple proposition (“Fido is shaggy”) is a
statement, with meaning, as to the presence of something (shagginess) in a
subject -- or its absence or privation --, in the past, present, or future,
according to the divisions of time. Κατάφασις δέ ἐστιν ἀπόφανσις τινὸς κατὰ τινός, ἀπόφασις δέ ἐστιν ἀπόφανσις τινὸς ἀπὸ τινός. Affirmatio vero est enuntiatio alicuius
de aliquo, negatio vero enuntiatio alicuius ab aliquo. An affirmation is a
positive assertion of something about something, a denial a negative assertion
(“It is not green” – Grice, “Negation”). ἐπεὶ δὲ ἔστι καὶ τὸ ὑπάρχον ἀποφαίνεσθαι
ὡς μὴ ὑπάρχον καὶ τὸ μὴ ὑπάρχον ὡς ὑπάρχον καὶ τὸ ὑπάρχον ὡς ὑπάρχον καὶ τὸ μὴ ὑπάρχον
ὡς μὴ ὑπάρχον, καὶ περὶ τοὺς ἐκτὸς δὲ ↵τοῦ
νῦν χρόνους ὡσαύτως ἅπαν ἂν ἐνδέχοιτο καὶ ὃ κατέφησέ τις ἀποφῆσαι καὶ ὃ ἀπέφησε
καταφῆσαι ὥστε δῆλον ὅτι πάσῃ καταφάσει ἐστὶν ἀπόφασις ἀντικειμένη καὶ πάσῃ ἀποφάσει
κατάφασις. Quoniam autem est
enuntiare et quod est non esse et quod non est esse et quod est esse et quod
non est non esse, et circa ea extrinsecus præsentis temporis similiter omne
contingit quod quis affirmaverit negare et quod quis negaverit affirmare; quare
manifestum est quoniam omni affirmationi est negatio opposita et omni negationi
affirmatio. Now it is
possible both to affirm and to deny the presence of something which is present
or of something which is not, and since these same affirmations and denials are
possible with reference to those times which lie outside the present, it is possible
to contradict any affirmation or denial. Thus, it is plain that every
affirmation has an opposite denial.Similarly, every denial has an opposite
affirmation. καὶ ἔστω ἀντίφασις τοῦτο, κατάφασις καὶ ἀπόφασις αἱ ἀντικείμεναι λέγω δὲ ἀντικεῖσθαι τὴν τοῦ αὐτοῦ κατὰ τοῦ αὐτοῦ, μὴ ὁμωνύμως δέ, καὶ ὅσα ἄλλα τῶν τοιούτων προσδιοριζόμεθα πρὸς τὰς σοφιστικὰς ἐνοχλήσεις. Et sit hoc contradiction (~p –
Grice, “Lectures on negation”), affirmatio et negatio oppositæ. Dico autem opponi eiusdem de
eodem, non autem æquivoce et quæcum quecætera talium determinamus contra
sophisticas importunitates. We will call such a pair of propositions a pair of
contradictories. An affirmative proposition and a negative proposition are said
to be contradictory which have the same subject (Fido) and predicate (‘shaggy’).
The identity of subject and of predicate must *not* be equivocal (He is in a
grip of a vice, but he is not in the grip of a vice). Indeed there are
definitive qualifications besides this, which we make to meet the casuistries
of sophists. Ἐπεὶ δέ ἐστι τὰ μὲν καθόλου τῶν πραγμάτων τὰ δὲ καθ’ ἕκαστον, λέγω δὲ καθόλου μὲν ὃ ἐπὶ πλειόνων πέφυκε ↵κατηγορεῖσθαι, καθ’ ἕκαστον δὲ ὃ μή, οἷον ἄνθρωπος μὲν τῶν καθόλου Καλλίας δὲ τῶν καθ’ ἕκαστον, ἀνάγκη δ’ἀποφαίνεσθαι ὡς ὑπάρχει τι ἢ μή ὁτὲ μὲν τῶν καθόλου τινί ὁτὲ δὲ τῶν καθ’ἕκαστον. Quoniam autem sunt hæc quidem rerum universalia,
illa vero singillatim (dico autem universale quod in pluribus natum est prædicari,
singulare vero quod non, ut 'HOMO' quidem universale, 'PEGASVS' vero eorum quae
sunt singularia, necesse est autem enuntiare quoniam inest aliquid aut non,
aliquotiens quidem eorum alicui quæ sunt universalia, aliquotiens vero eorum quæ
sunt singularia. Some things are universal, others individual. By universal I
mean that which is of such a nature as to be predicated of many subjects, by
individual that which is not thus predicated. Thus 'HOMO' is a universal, 'CICERO'
or ‘PEGASVS’ an individual. Our proposition necessarily sometimes concern a
universal subject, sometimes an individual. ἐὰν μὲν οὖν καθόλου ἀποφαίνηται ἐπὶ τοῦ καθόλου ὅτι ὑπάρχει ἢ μή, ἔσονται ἐναντίαι ↵ἀποφάνσεις, λέγω δὲ ἐπὶ τοῦ καθόλου ἀποφαίνεσθαι καθόλου οἷον πᾶς ἄνθρωπος λευκός, οὐδεὶς ἄνθρωπος λευκός ὅταν δὲ ἐπὶ τῶν καθόλου μέν, μὴ καθόλου δέ, οὐκ εἰσὶν ἐναντίαι, τὰ μέντοι δηλούμενα ἔστιν εἶναι ἐναντία, λέγω δὲ τὸ μὴ καθόλου ἀποφαίνεσθαι ἐπὶ τῶν καθόλου, οἷον ἔστι λευκὸς ἄνθρωπος, οὐκ ἔστι λευκὸς ἄνθρωπος καθόλου γὰρ ὄντος τοῦ ἄνθρωπος οὐχ ὡς καθόλου χρῆται τῇ ἀποφάνσει τὸ ↵γὰρ πᾶς οὐ τὸ καθόλου σημαίνει ἀλλ’ὅτι καθόλου. Si ergo universaliter enuntiet
in universali quoniam est aut non, erunt contrariæ enuntiationes (dico autem in
universali enuntiationem universalem ut 'OMNIS HOMO ALBVS EST', 'NVLLVS HOMO
ALBVS EST’). Quando autem in universalibus non universaliter, non sunt contrariæ,
quæ autem SIGNIFICANTVR est esse contraria (dico autem non universaliter
enuntiare in his quæ sunt universalia, ut 'EST ALBVS HOMO', 'NON EST ALBVS
HOMO’. Cum enim universale sit homo, non universaliter utitur enuntiatione; 'OMNIS'
namque non universale sed quoniam universaliter CONSIGNIFICAT. If, then, a man
states an affirmative and a negative proposition of universal character with
regard to a universal, these two propositions are contrary. By a proposition of
universal character with regard to a universal, such a proposition as 'OMNIS
HOMO ALBVS EST', 'NVLLVS HOMO ALBVS EST' are meant. When, on the other hand,
the affirmative proposition and the negative proposition, though they have
regard to a universal, are yet not of universal character, they will *not* be
contrary, albeit the meaning intended is sometimes contrary. As an instance of such
a proposition made with regard to a universal, but not of universal character,
we may take the proposition 'EST ALBVS HOMO', 'NON EST ALBVS HOMO'. 'HOMO' is a
universal, but the proposition is not made as of universal character. The word
'OMNIS' does not make the *subject* a universal, but, rather, gives the
proposition a universal character. ἐπὶ δὲ τοῦ κατηγορουμένου τὸ καθόλου κατηγορεῖν καθόλου οὐκ ἔστιν ἀληθές• οὐδεμία γὰρ κατάφασις ἔσται ἐν ᾗ τοῦ κατηγορουμένου καθόλου τὸ καθόλου κατηγορηθήσεται, οἷον ἔστι πᾶς ἄνθρωπος πᾶν ζῷον. In eo vero quod prædicatur universaliter universale
prædicare universaliter non est verum. Nulla enim affirmatio erit, in qua de
universaliter prædicato universale praedicetur, ut 'OMNIS HOMO OMNE ANIMAL'. If, however, both predicate
and subject are distributed, the proposition thus constituted is contrary to
truth. No affirmation is, under such circumstances, true. The proposition 'OMNIS
HOMO OMNE ANIMAL EST' is an example of this type. Ἀντικεῖσθαι μὲν οὖν κατάφασιν ἀποφάσει λέγω ἀντιφατικῶς τὴν τὸ καθόλου σημαίνουσαν τῷ αὐτῷ ὅτι οὐ καθόλου, οἷον πᾶς ἄνθρωπος λευκός—οὐ πᾶς ἄνθρωπος λευκός, οὐδεὶς ἄνθρωπος λευκός ἔστι τις ἄνθρω↵πος λευκός• ἐναντίως δὲ τὴν τοῦ καθόλου κατάφασιν καὶ τὴν τοῦ καθόλου ἀπόφασιν, οἷον πᾶς ἄνθρωπος δίκαιος οὐδεὶς ἄνθρωπος δίκαιος. Opponi autem affirmationem
negationi dico contradictorie quæ universal SIGNIFICAT eidem quoniam non
universaliter, ut 'OMNIS HOMO ALBVS EST', 'NON OMNIS HOMO ALBVS EST' – Grice:
“(x), all” --, 'NULLVS HOMO ALBVS EST,' 'QUIDAM HOMO ALBVS EST' – Grice: “(Ex),
some (at least one)” -- ; contrarie vero universalem affirmationem et
universalem negationem, ut ‘OMNIS HOMO IVSTVS EST,’ ‘NVLLVS HOMO IVSTVS EST.’ ;An
affirmation is opposed to a denial in the sense which I denote by the term
contradictory, when, while the subject remains the same, the affirmation is of
universal character and the denial is not. The affirmation 'OMNIS HOMO ALBVS
EST' is the contradictory of the denial 'NON OMNIS HOMO ALBV EST, or again, the
proposition 'NVLLVS HOMO ALBVS EST' is the contradictory of the proposition 'QUIDAM
HOMO ALBVS EST'. But two propositions are opposed as contraries when both the
affirmation and the denial are universal, as in the sentences 'OMNIS HOMO ALBVS
EST', 'NVLLS HOMO ALBVS EST', 'OMNIS HOMO IVSTS EST’, ‘NVLLVS HOMO IVSTVS EST. Grice: “I used ‘body’ informally in my
‘Personal identity’, where I suggested, that “I fell down the stairs” could be
replaced by “MY body fell down the stairs” – there is yet an essential
indexical. Different if two wrestlers unison say, ‘Both our bodies are oiled” –
where again the dual “both our” is used. We have not the second person but the
FIRST PERSON dual. “Our bodies” “Both our bodies”. Pio Colonnello. Colonnello. Keywords:
la voce, rivista La Voce, Croce e i vociani, patografia, German for ‘body’
Lieb, cognate with ‘life’ so that ‘Das Leib ohne Leben’ would be odd. The
Anglo-Normans solved the problem with ‘corpse’, corpus, vita, corpore, vita,
vivere, German ‘leben’, ‘live’ meaning with ‘remain’, creature construction,
thing, living thing, living body, personal human living being. Bodily movement. Method in philosophical psychology,
manifestation in behaviour, bodily behaviour, brain state, different from
bodily movement, voce, ‘vox significativa’ ‘voce significativa’, voce che e
segno di… la voce dei animali, uso metaforico di ‘voce’ – the voice of Alighieri,
la voce di, la voce di Mussolini, la voce di, voice, etimologia di voce. phone,
phonic, suono – voce e suono – immagine acustica del suono, riconoscimento
della voce, voce come sinonimo di parola, o espressione – una ‘voce toscana’ --
‘la voce umana’ – ‘sine voce’ – the
voiceless – voce come schema distintivo – voiced and voiceless – nome come
voce, verbo come voce, predicamento. Voce come SIMBOLO dell’afezione
dell’animo, ma SCRITTURA come SEGNO della voce --. Refs.: Luigi Speranza,
“Grice e Colonnello” – The Swimming-Pool Library. Colonnello.
Luigi Speranza -- Grice e Colorni: la
ragione conversazionale e l’implicatura conversazionale della diadologia – scuola
di Milano – filosofia milanese – filosofia lombarda -- filosofia italiana –
Luigi Speranza (Milano). Filosofo milanese.
Filosofo lombardo. Filosofo italiano. Milano, Lombardia. Grice: “To understand
the passion in Italian philosophy, as the pasdsion I experienced with Austin in
the postwar and with Hardie on the golfcourse in the good old days, one has to
understand Colorni – he was a socialist, and thus an empiriociritic! He found
opposition in the Gentileians. Oddly, Colroni’s main interest is the ‘monad,’
but he also explored what we would at Oxford call ‘science’ – rather than
philosophy. Lay the blame on his tutor at Milano!”. Promotore del federalismo
europeo. Mentre
era confinato a Ventotene, su saggio, “Manifesto per un’Europa libera e unita”.
Figlio di Alberto Colorni, di Mantova, e Clara Pontecorvo, milanese di famiglia
pisana (zia di Pontecorvo, del regista Gillo, del genetista Guido e del
giurista Tullio Ascarelli). Studia al ginnasio
di Milano. Si appassiona al Breviario di estetica di Croce. La sua formazione
adolescenziale, come raccontò egli stesso nella “Malattia filosofica”, fu
influenzata dal rapporto intrattenuto con i cugini Enrico, Enzo ed Emilio
Sereni, tutti più grandi di lui. Fu Enzo, che era un convinto socialista ad esercitare su di lui una forte influenza
ideale. Studia sotto Borgese e Martinetti. Si laurea sotto Martinetti con “Il
concetto di individuo”. Strinse amicizia con Guido Piovene, che però verrà
interrotta per via di certi articoli anti-semitici scritti da Piovene su
L'Ambrosiano. Partecipa nel gruppo goliardico
per la libertà di Basso e Morandi. Saggio sull'estetica d’Ardigò. Si
accosta alla divisione milanese del “Giustizia e Libertà”. Collabora in seguito
col nucleo giellista torinese, che fece capo prima a Ginzburg e poi a
Foa. Incontra Croce, con il quale conversa a lungo. Saggi per Il
Convegno, La Cultura, Civiltà Moderna, Solaria e la Rivista di filosofia di Martinetti,
e presso la società editrice "La Cultura" di Milano, uno studio
critico su L'estetica di Croce. Saggio sulla monada e la diada, vinse il
concorso per l'insegnamento di storia e filosofia nei licei. Dopo una prima
assegnazione al liceo Grattoni di Voghera, ottenne la cattedra di filosofia a
Trieste. Qui conobbe e frequentò, fra gli altri, Saba (ritratto poi in Un
poeta) ed anche Gambini, Pincherle ed Curiel. Nella collana scolastica
che Giovanni Gentile diresse per Sansoni, pubblica “Diadologia”. La diadologia lo
costrinse ad affrontare studi di logica e semantica. Riparte da Kant e dalla
problematica kantiana, e medita sulle conseguenze che la fisica quantica e la
psicanalisi potevano avere per la dissoluzione di impostazioni filosofiche
tradizionali. Quando, come si legge in Un poeta,Saba gli domanderà, ‘Perché fa filosofia?’,
Colorni concluse che da quel giorno, ‘io non faccio più filosofia’. Non e la
filosofia che rifiuta, ma un orientamento legato a quell'idealismo di cui erano
seguaci Croce come Gentile e Martinetti. In occasione di un congresso di
filosofia a Parigi, incontra Rosselli eTasca. In quanto ebreo e rinchiuso a Varese.
I giornali pubblicarono la notizia con gran risalto, sottolineando che egli “di
razza ebraica, manteneva rapporti di natura politica con altri ebrei residenti
in Italia e all'estero”. La
sottolineatura sul “complotto ebraico” serviva a giustificare la legislazione
anti-semita appena varata in Italia dal regime, per potersi così allineare alla
linea politica seguita dagli alleati nazisti. Confinato a Ventotene, dove
prosegue i suoi studi filosofici, e conversa intensamente con gli altri
compagni confinati, Rossi, Doria e Spinelli. Un'eco fedele di quelle discussioni
si ritrova in “Conversazioni di Commodo”. Risale a questo periodo la sua
adesione alle idee federaliste europee, stesurando il Manifesto per un’Europa
libera e unita. Saggio: Problemi della Federazione Europea, che raccoglieva il
Manifesto ed altri scritti sul tema. Nella sua "Prefazione" al
Manifesto, auspicò la nascita di una politica federalista europea di respiro “universalista”,
come scenario democraticamente praticabile dopo la catastrofe della guerra. In
tale ottica, la creazione di una federazione di stati europei era da lui
considerata come condizione indispensabile per un profondo rinnovamento sociale,
anche per iniziativa popolare, che partendo dagli enti territoriali avrebbe
coinvolto tutta l’Italia e, quindi, l’intera Europa. Circa le dinamiche
che portarono alla stesura del Manifesto, è generalmente ricondotto ai soli
Spinelli e Rossi il contributo maggioritario del testo, sebbene, alcuni recenti
studi storiografici, abbiano seriamente rivalutato il suo ruolo. Di trinità si
tratta, e lo spirito santo della situazione è lui, che partecipa alle
discussioni preparatorie alla stesura del Manifesto assieme a poche altre
persone, ed ebbe una parte di rilievo, soprattutto nella funzione di stimolo e
di critica, dal suo punto di vista di socialista autonomista, verso i due
autori del documento, fino al suo trasferimento a Melfi, benché comunque i
contatti non cessassero del tutto. Grazie anche all'intervento di Gentile,
riusce ad essere trasferito a Melfi, in provincia di Potenza, dove, nonostante
lo stretto controllo della polizia, riusce ad avere contatti con alcuni degli
anti-fascisti locali. Assieme con Geymonat, elabora il progetto di una
rivista di metodologia scientifica. Riuscì a fuggire da Melfi,
rifugiandosi a Roma, dove visse da latitante. Dopo la capitolazione di Mussolini
si dedica all'organizzazione del Partito Socialista Italiano di Unità
Proletaria, nato dalla fusione del PSI col gruppo del Movimento di Unità
Proletaria. Partecipò, assieme a Spinelli, Rossi, Doria, Braccialarghe e
Foa, in casa di Rollier a Milano, alla riunione che diede vita al Movimento
Federalista Europeo. Il movimento adottò come proprio programma il
"Manifesto di Ventotene". Svolse nella capitale un'intensissima
attività nelle file della Resistenza. Prese parte alla direzione del PSIUP e
s'impegna a fondo nella ricostruzione della Federazione Socialista Italiana e
nella formazione partigiana della prima brigata Matteotti. “Io ero da
poco stato nominato segretario della Federazione Socialista per suggerimento e
per decisione di Pertini, che era membro della segreteria del partito in
quell'epoca. Avevamo organizzato una chiamiamola brigata, anche se era un
gruppo armato che era comandato da Colorni che poi è assassinata alla vigilia della liberazione di
Roma. Fu redattore capo dell'Avanti! Clandestine. Così Pertini ricorda il suo
impegno per la stampa del giornale socialista: «Ricordare l'Avanti!
clandestino di Roma vuol dire ricordare prima di tutto due nostri compagni che
a forte ingegno unevano una fede purissima, entrambi caduti sotto il piombo
fascista: C. e Fioretti. Ricordo come C., mio indimenticabile fratello
d'elezione, si prodiga per far sì che l'Avanti! uscisse regolarmente. Egli in
persona, correndo rischi di ogni sorta, non solo scrive gli articoli
principali, ma ne cura la stampa e la distribuzione, aiutato in questo da Fioretti,
anima ardente e generoso apostolo del socialismo. A questo compito cui si sente
particolarmente portato per la preparazione e la capacità della sua mente, C. dedica
tutto se stesso, senza tuttavia tralasciare anche i più modesti incarichi
nell'organizzazione politica e militare del nostro partito. Amava profondamente
il giornale e sogna di dirigerne la redazione nostra a Liberazione avvenuta e
se non fosse stato strappato dalla ferocia fascista, sarebbe stato il primo
redattore capo dell'Avanti! in Roma liberata e oggi ne sarebbe il suo
direttore, sorretto in questo suo compito non solo dal suo forte ingegno e
dalla sua vasta cultura filosofica, ma anche dalla sua profonda onestà e da
quel senso del giusto che ha sempre guidato le sue azioni. Per opera sua e di Fioretti,
l'Avanti! era tra i giornali clandestini quello che aveva più mordente e che
sapeva porre con più chiarezza i problemi riguardanti le masse lavoratrici. La
sua pubblicazione veniva attesa con ansia e non solo da noi, ma da molti
appartenenti ad altri partiti, i quali nell'Avanti! vedevano meglio interpretati
i loro interessi. Nella Roma occupata dalle forze naziste, in una tipografia
nascosta di Monte Mario, fece stampare 500 copie di un libriccino di 125 pagine
intitolato Problemi della Federazione Europea, contenente il "Manifesto di
Ventotene". Pochi giorni prima della liberazione della capitale,
venne fermato in via Livorno da una pattuglia di militi fascisti della
famigerata banda Koch. Tenta di fuggire, ma fu raggiunto e ferito gravemente da
tre colpi di pistola. Trasportato all'Ospedale San Giovanni, muore sotto l’identità
di ‘Franco Tanzi’. Indomito assertore della libertà, confinato durante la
dominazione fascista, evadeva audacemente dedicandosi quindi a rischiose
attività cospirative. Durante la lotta antinazista, organizzato il centro
militare del Partito Socialista Italiano, dirigeva animosamente partecipandovi,
primo fra i primi, una intensa, continua e micidiale azione di guerriglia e di
sabotaggio. Scoperto e circondato da nazisti li affrontò da solo, combattendo
con estremo ardimento, finché travolto dal numero, cadde nell'impari gloriosa lotta.
Tre lapidi esistenti, una, posta dalla III Circoscrizione del Comune di Roma è
semilleggibile perché scurita dal tempo, un'altra, posta dal Partito Socialista
Italiano, è spaccata in due e un'ultima, posta sempre dalla III Circoscrizione
del Comune di Roma, contiene un errore. Foto delle tre lapidi. Altre opere: “Scritti, Norberto Bobbio, la
Nuova Italia, Firenze); “Il coraggio dell'innocenza, Luca Meldolesi, La Città
del Sole (Istituto Italiano per gli Studi Filosofici), Napoli); “Un poeta” (Il
Melangolo, Genova); “La malattia della metafisica” (Einaudi, Torino).
Dizionario Biografico degli Italiani. L'itinerario politico di C., in Id., Il
socialismo riformista tra politica e cultura, Il socialismo federalista di
Eugenio Colorni, tesi di laurea, Università degli studi di Firenze, Anno
Accademico, Gaetano Arfé, Eugenio Colorni, l'antifascista, l'europeista, in,
Matteotti, Buozzi, Colorni. Perché vissero, perché vivono, Franco Angeli,
Milano, Sandro Gerbi, Tempi di malafede. Una storia italiana tra fascismo e
dopoguerra. Piovene e C., Einaudi, Torino e Hoepli, Milano,. Geri Cerchiai,
L'itinerario filosofico di Eugenio Colorni, in «Rivista di Storia della
Filosofia», Stefano Miccolis, C. e Croce”. Talvolta non si distingue debitamente
fra l’emergere originario di un testo nell’opera di un filosofo e il suo
riemergere, o diffondersi, in altri tempi o contesti. In tal modo, proprio la
tragedia del Novecento ha spostato spesso, rispetto alla composizione, la
diffusione di scritti intrisi di attualità. Poche volte, come nel Novecento, è
stato così vistoso il fenomeno delle letture differite. Ora, e al di là della
nota di polemica che affiora da un montaggio tendenzioso fino al limite delle
falsificazione – questo è quanto è all’incirca avvenuto per Colorni: scoperti
(o riscoperti), dopo la morte dell’autore, in quel particolare contesto del
quale si sono nutrite le due stesse riviste, “Analisi” e “Sigma” – che, insieme
con «Aretusa», li hanno per prime pubblicati, a tale contesto sono rimasti
giocoforza legati, venendo così ad essere proiettati all’interno di una
tradizione e di un dialogo almeno parzialmente diverso dal loro, condotto in un
altro linguaggio. Si è parlato, a proposito di tale linguaggio, dello spirito
del ’45, e sovente si è visto in esso, da parte degli stessi animatori, una
vera e propria prosecuzione, in campo culturale, delle istanze portate avanti
dalla Liberazione. Alla “dittatura dell’idealismo”– il cui [Razionalismo e
prassi a Milano: La cultura milanese vive profondamente quello “spirito del
’45” fatto anche di semplificazione e di attivismo, di fiducia ingenua
nell’anno zero, nella svolta politico-sociale in corso, ma soprattutto di un
nesso inscindibile con la liberazione e la Resistenza. La dittatura dell’idealismo
è il titolo dato da Cantoni ad un articolo apparso sul Politecnico di Vittorini.
Espressione di un comune sfondo sociale e di una comune struttura economica, le
filosofie di Croce e Gentile si sarebbero unite, nella prospettiva di Cantoni,
in una sorta di convergenza sociologica con il regime, riuscendo così a
rimediare una posizione di singolare monopolio per la cultura idealista.
Certamente, e una grossolanità speculativa e un errore storico identificare il
destini del fascismo col destino dell’idealismo, anche se questa identificazione
di fatto si verifica nella persona del maggior rappresentante filosofico dell’idealismo
italiano, Gentile. In realtà, molti idealisti, dal Croce al De Ruggiero,
staccarono, prima o dopo, le loro sorti da quelle del regime. Eppure, al di
sotto della dichiarata e sincera avversione, un filo, inconscio spesso ma
tenace, lega tra loro gli avversari e ne permetteva una, sia pure scomoda,
convivenza. Questo filo era costituito dal loro comune, e inconfessato carattere
*conservatore*. Lo spiritualismo idealista agì come una dittatura logica. Avendo
in mano cattedre e riviste, gli idealisti facevano il bello e il cattivo tempo
nella filosofia, facendo decadere al piano della non-filosofia gli avversari
positivisti ed logico-empiristi. Alcune opinioni sul crocianesimo che, oltre ad
essere meno drastiche, risultano per certi aspetti accostabili ad analoghi
spunti della critica colorniana. Vale la pena di rimettersi a una revisione
intelligente dell'idealismo italiano, rimanendo idealisti] filosofia viene
assimilata alla sorte del regime – si è così tentato di opporre una filosofia
più aperta al dibattito contemporaneo ed internazionale, fosse esso
identificabile con le correnti fenomenologico-esistenziali o con quelle più
strettamente epistemologiche ispirate al positivismo o empirismo logico del
Circolo di Vienna. Quest’ultimo, d’altro canto, viene in Italia presentato da
Geymonat con parole quanto mai indicative del clima che ne accoglieva i
principi. L’indirizzo filosofico, che qui viene esposto difeso e sviluppato è e
vuole essere un vero e proprio razionalismo, sebbene non attribuisca alla
ragione un valore assoluto e dogmatico come gli antichi indirizzi che vantano
il medesimo nome. Gli è che il razionalismo deve essere ben più agguerrito e
penetrante di quelli che caratterizzarono i secoli passati. Deve essere:
critico, ossia capace di tenere nel dovuto conto le obiezioni mosse contro la
pura ragione dalla filosofia mistica e decadente; costruttivo, cioè in grado di
soddisfare le esigenze di ri-costruzione e di logicità caratteristiche della
nuova epoca; aperto, cioè capace di affrontare i problemi sempre nuovi che la
scienza e la prassi pongono innanzi allo spirito umano. Gli Studi per un nuovo
razionalismo, che raccoglievano le ricerche di un intero ventennio (il testo
più datato, Le idee direttive del neo-empirismo, era stato pubblica Ciò che si
può apprezzare in Croce, da questo punto di vista, è il suo tentativo di
sciogliere il pensiero dai legami colla filosofia metafisica per avvicinarsi a
una filosofia intesa come chiarificazione dell’esperienza, intesa cioè come
trapasso dalla metafisica alla metodologia. Croce si sarebbe in tal modo
inserito nella corrente più viva della filosofia, non riuscendo tuttavia (e in
questo consisterebbe il suo maggior limite) a rompere completamente i ponti con
la metafisica specuativa. Croce non ha quindi tanto combattuto la metafisica
speculativa quanto sostituito alla metafisica trascendente la metafisica
immanente. Per una ricostruzione più esaustiva delle diverse posizioni di
Cantoni su Croce, si rimanda a R. Franchini, Remo Cantoni critico di Croce, in
C. Montaleone e C. Sini (a cura di), Remo Cantoni, filosofia a misura della
vita, Milano, Guerini, Cfr. Bobbio, Introduzione, in C., Scritti, Firenze, La
Nuova Italia. Avviene la crisi dell’idealismo, cui segue la ricerca di nuove
vie, proprio ad opera della generazione di C. le vie battute per uscire dalla
crisi sono soprattutto due: quella che passa attraverso una riflessione sulle
trasformazioni avvenute in seno al sapere scientifico e che dà origine a una
filosofia scientifica, risolutamente anti-metafisica, qual è il positivismo
logico, cui aprono la strada gli studi di Geymonat; e quella che passa
attraverso l’esistenzialismo (Abbagnano, il primo Luporini)». Geymonat, Studi
per un nuovo razionalismo, Torino, Chiantore. Come ha fatto notare Mario Dal
Pra, e a conferma di quanto si scriveva di sopra, l’accostamento in questo
passaggio dei termini “ricostruzione” e “logicità” sembra diretto a far pensare
che «l’avversione alla metafisica del neoempirismo e l’avversione alla
dittatura fascista da parte del movimento di liberazione abbiano per Geymonat
una comune radice» (M. Dal Pra, Il razionalismo critico, in Bausola, Bedeschi
et al., La filosofia italiana dal dopoguerra a oggi, Roma-Bari, Laterza. Geri
Cerchiai 4 to per la prima volta con il titolo Nuovi indirizzi della filosofia
austriaca), fu significativamente fatto uscire con la medesima data di stampa
del giorno della Liberazione di Milano; e in quello stesso mese di aprile
apparve il primo numero della rivista «Analisi» che, come si è accennato,
contribuì fra le prime, con la pubblicazione del frammento intitolato Filosofia
e scienza, alla diffusione dell’epistemologia colorniana9. Ed è proprio da una
lettura di «Analisi» e «Sigma» che è possibile sommariamente inquadrare il
contorno di quel periodo storico al quale si deve la prima scoperta
dell’epistemologia colorniana. Voluta da Fachini, «Analisi» fu stampata per
cinque numeri, mutando il nome, nel corso delle pubblicazioni, in quello di
«Analysis». L’«esperienza personale che io avevo fatto», racconta Fachini circa
la nascita della rivista, mi aveva convinto della necessità di una piattaforma
di incontro interdisciplinare. Allora in Italia mancava qualcosa di simile. La
guerra spezzò agli inizi i miei tentativi. Gli eventi bellico-politici stessi,
per conto loro, mi portarono a profonda solidarietà mentale con Gratton. Nasce così
l’idea di «Analysis»: con ambizioni editoriali infantilmente dissonanti col
momento. Trovammo poi nel Buzzati-Traverso un biologo “fisicalista” ma aperto
ad ogni esperienza. Tra i filosofi professionali (a formazione cioè
tradizionalmente filosofico-letteraria) Banfi, cui mi ero rivolto, mi indica
l’allievo suo Preti, come fornito di interessi e preparazione
fisico-matematica, allora rara nel filosofo. Per inciso, ricordo i miei
contatti con un altro filosofo con preparazione e interessi analoghi: C. I temi
portati avanti dalla rivista furono sostanzialmente due: l’interesse per la
metodologia delle scienze – attraverso la quale indagare la possibilità di un
fondamento comune alle diverse discipline – e la volontà di mantenersi
all’interno di un’impostazione strettamente antimetafisica. La collaborazione
fra 8 In «Rivista di filosofia». Cfr. C., Filosofia e scienza, in «Analisi». D’ora
innanzi si indicheranno gli scritti raccolti in questa edizione col solo titolo
seguito dal numero di pagina. Di «Analisi» e «Sigma», con specifico riferimento
alla figura di C., si è occupato M. Quaranta, La scoperta di C. nelle riviste
del secondo dopoguerra. Gli scritti sulla relatività, in Cerchiai e Rota (cur.),
C. e la cultura italiana fra le due guerre, Manduria-Bari-Roma, Lacaita.
“Analysis”: testimonianza di Fachini, in Analisi. Milano, riletta da Quaranta,
con testimonianze di Fachini, Ceccato, Geymonat, Gratton, Poli, Bologna, Forni.
Aggiunge Fachini, a proposito della sua formazione, che l’impulso a uno sforzo
collettivo interdisciplinare era sorto in me dai primi contatti con l’ambiente
mentale del neopositivismo logico», ma che la soluzione positivista, verso cui
ero in un primo tempo quasi costretto, mi si rivelò presto insoddisfacente per
l’irrigidimento formale, verso cui stava avviandosi. Il «periodico», si
affermava nel Programma pubblicato sul primo numero, era «inteso ad offrire un
luogo di libera discussione a quanti abbiano interesse ai problemi di
metodologia e di critica della scienza, nello sforzo di purificare ed
universalizzare il linguaggio Cinque scritti metodologici di C. 5
scienziati e filosofi fu uno degli aspetti qualificanti della pubblicazione, ma
fu anche d’impedimento ad un’armonica composizione delle sue diverse anime,
concorrendo in definitiva alla conclusione dell’esperienza. L’incontro con i
fondatori e la rivista, racconta a questo proposito Ceccato, avvenne per
chiamata gentile. Io mi trovavo in parabola positivistica o logico-empiristica
discendente. Il filone che comincia ad interessarmi era ormai piuttosto quello
di Bridgman e Dingler, comunque un filone operativo. Questo difficilmente
avrebbe permesso una intesa con i filosofi del gruppo, Geymonat e Preti. Una
collisione non poteva tardare anche con il più aperto filosofo ufficiale, Banfi,
più storico, più umanista. Un certo divario di lavoro si venne a creare anche
con gli scienziati in quanto per lo scienziato di discipline assestate e
floride, come la fisica, la biologia, l’anatomo-fisiologia, etc., la
metodologia si può aggiungere come ornamento, come divertimento. Ma non per me.
Così terminate le pubblicazioni di «Analisi», la sua eredità venne raccolta, in
quello stesso anno, dalla rivista romana «Sigma», fondata da Somenzi e Giuseppe
Vaccarino. Il periodico – che riporta il sottotitolo di «Conoscenza unitaria» –
si propone di riunire, come si legge nella seconda di copertina, una limitata
quantità di elementi atti a determinare una concezione unica della conoscenza. La
nota di presentazione della rivista precisava poi i confini all’interno dei
quali si intendevano muovere i curatori: «si va facendo evidente che esaurire
la scienza nel tecnicismo dello specialista è dannoso – non solo ai fini della
costituzione di un sistema unitario della conoscenza scientifica, ma anche nei riguardi
degli stessi progressi tecnici nei singoli settori. Da qui specialistico verso
una comune impostazione dei modi fondamentali, pur essi comuni, con cui si
edifica e modifica il sapere scientifico». Unico limite, in tal senso, era
quello di non «travalicare di là dalla metodologia in una sistematica della
scienza [per] fare della metafisica insaputa e inutile» (Il programma, in «Analisi»).
“Analysis”: testimonianza di Ceccato, in Analisi. Milano. In una lettera a
Vaccarino, Somenzi rilegge la storia di «Sigma»: “Sigma” è nata con la modesta
intenzione di pubblicare il vecchio materiale tuo, di C. e Cotone, mio. E di
esaurirlo coi primi numeri. Poi si è visto che, se non altro dato il costo
della carta e stampa, conveniva pubblicare un tentativo di sintesi organica,
sia pure provvisoria, del tuo – e limitare quello dei due C. e mio a ciò che può
avere ancora interesse dal punto di vista filosofico. Infine è sorta l’idea,
con la crisi di “Analisi”, di prenderne il posto con il programma serio di
Metodo. Già l’impostazione dei primi due numeri ci alienerà le simpatie dei
Castelli, Blanc, Fantappié ecc., ma anche dei Filiasi e Geymonat
(l’interessamento di quest’ultimo è condizionato alla possibilità di una nostra
conversione al materialismo dialettico/razionalista tipo “La Pensée”).
Attualmente spero solo nei Servadio e magari Spirito, Savinio e stop»
(“Sapienza” Università di Roma, Biblioteca del dipartimento di Fisica, Fondo
Somenzi, Attività professionale, Carte di lavoro non organizzate,
Collaborazione con Vaccarino, b. 1, Vaccarino. Da ora in avanti, il Fondo sarà
abbreviato con la sigla “FS”, seguita dall’indicazione dei riferimenti completi
d’inventario. La conoscenza unitaria, in «Sigma». Scriveva Vaccarino a Somenzi
riguardo a questa nota. Rileggendo la tua edizione riveduta della conoscenza
unitaria penso che possa andare come presentazione anonima, specie se sarà
da Geri Cerchiai 6 avrebbe anche dovuto discendere il ruolo della ricerca
metodologica, che – comprendendo un discorso più largamente critico-filosofico
– avrebbe dovuto fissare le norme dirette ad unificare in sistema le scienze
particolari o la conoscenza in genere. Come «Analisi», anche «Sigma» ha però
vita breve, e dopo sei numeri una nota editoriale ne annunciava la confluenza
nella rivista «Methodos». Questo fu dunque lo sfondo culturale che vide nascere
l’interesse per la filosofia colorniana, un interesse che, attraverso la
pubblicazione di alcuni testi del filosofo milanese, richiamava alla
ricostruzione della filosofia empiristica italiana (come la proposta del
ebraico-britannico Ayer a Oxford) come tradizione anti-metafisica e
anti-idealistica e capace di attuare un profondo rinnovamento negli orientamenti
teoretici nazionali. D’altra parte, che il pensiero di Colorni fosse in certa
misura vicino alle posizioni espresse da «Analisi» e «Sigma» è testimoniato,
oltre che dalle singole scelte di politica editoriale delle due riviste, da
quanto raccontato dagli stessi protagonisti: «Ricordo con precisione», ha
scritto ad esempio Fachini sul secondo numero di «Analisi», le conversazioni di
quell’epoca: credo di poter affermare, per esperienza personale, che C. sia
stato tra i primi italiani di preparazione filosofica a tentare di accogliere e
di comprendere, in modo serio, le nuove affermazioni epistemologiche. La più
gran parte dei suoi saggi sono inediti: molte pregevoli cose egli ha lasciato:
e forse potrebbe indicarci vie nuove. Gli amici di «Analisi» auspicano di poter
far conoscere in cerchio vasto il suo lavoro, a vantaggio della ricerca
metodologica e in omaggio alla sua memoria Somenzi, a sua volta, scrivendo a
Vaccarino della pubblicazione degli scritti colorniani su «Sigma», afferma: Per
Sigma convinciti che i nostri scritti, incomprensibili per virtù proprie dalla
maggioranza dei competenti, l’hanno irrimediabilmente “condannata” e che quelli
di C. sono ancora i migliori che potessimo o possiamo esibire, oltre che i più
vicini al nostro ordine di idee. “Fisica teorica e filosofia” di Colornimerita
senz’altro la pubblicazione sul numero che spero di riuscire a dedicare a
questo argomento. Rievocando poi il Progetto di una rivista di metodologia
scientifica – da C. discusso fra gli altri con Geymonat durante gli anni della
guerra – ante ulteriormente ampliata. Effettivamente rileggendo il mo testo
subito dopo averlo scritto non avevo avuto una buona impressione. Ma ora mi è
piaciuto» (FS, sez. 5, Corrispondenza, gen. 28, serie 1, Corrispondenza
scientifica, gen. 28, 135, Vaccarino. La conoscenza unitaria. Cambi, Razionalismo
e prassi a Milano, G. Fachini, C., in «Analisi». Si tratta di C., Critica
filosofia e fisica teorica. Lettera di Somenzi a Vaccarino. Alcuni inediti
riconducibili a tale progetto sono presentati in M. Quaranta, La scoperta di C.,
cit., cfr. in part. le pp. 126-130. Per i testi di FS destinati alla rivista
metodologica. Saggi metodologici di C. 7
cora Somenzi ha sottolineato come esso corrispondesse «nella sostanza a molte
realizzazioni degli ultimi quarant’anni, da riviste come “Analysis” a collane
di volumi di filosofia della scienza e di storia della scienza quali quelle
impostate a Milano e Torino dallo stesso Geymonat e da Rossi. A partire da
queste premesse, appare evidente come la storia della riscoperta colorniana nel
dopoguerra possa concorrere a gettare luce su alcuni fondamentali aspetti dello
stesso pensiero dell’autore; essa ne evidenzia difatti la novità di prospettiva
e la conseguente, connaturata disposizione a dialogare coi più avanzati
ambienti filosofico-culturali del nostro Paese. Ciò che tuttavia rende affatto
esemplare la filosofia colorniana, concorrendo a fare di essa un importante
«contributo alla comprensione del travaglio della filosofia italiana al momento
del declino della preponderanza idealistica, non è soltanto la particolare
modalità della sua ricezione, ma anche la complessiva parabola intellettuale
seguita dal giovane studioso per giungere alle posizioni metodologiche degli
ultimi anni. C. è allievo di Borgese e Martinetti a Milano. Nel raccontare
della formazione universitaria di c., Tagliacozzo scrive. Va ricordata
l’influenza che sui suoi studenti ha allora una personalità come quella di
Borgese, che C. e compagni chiamano
scherzosamente G.A. Era uno di quei pochi professori che non disdegnano allora
di soffermarsi a discutere dopo la lezione con i propri studenti. Altra
influenza determinante per i suoi studenti quella dell’austero Martinetti che
spiega Kant alle otto del mattino. Martinetti avvia gli studenti al rigorismo
dell’etica kantiana, mentre il brillante G.A., più alla mano, discute di
estetica e letteratura comparata. I debiti con l’insegnamento di Borgese,
d’altro canto, sono resi espliciti dallo stesso C., che in un suo curriculum
universitario afferma: Durante i miei studi mi sono occupato specialmente di
problemi filosofici ed estetici e, sotto la direzione del Borgese, ho redatto
lavori su L’estetica d’Ardigò. 21 V.
Somenzi, C. filosofo della scienza, in «Filosofia e società», Bobbio, Introduzione, cit., p. VI. 23
Tagliacozzo, L’uomo C., in «Tempo presente». Prosegue poi Tagliacozzo nella
pagina seguente: «Martinetti indusse [Eugenio] ad approfondire Kant, amò
Spinoza dopo la prima infatuazione per l’idealismo italiano. E chi in quegli
anni non lesse Croce e Gentile, ma specie Croce? Eugenio conobbe Hegel, ma non è
mai hegeliano. Studiò dal punto di vista filosofico Marx, ma non fu mai
marxista. Dopo un’esercitazione sul positivismo – e si noti l’influenza
borgesiana nell’approfondimento dei problemi estetici – si indirizzò verso
Leibniz» (ivi, p. 54). Geri Cerchiai 8 gò e del positivismo italiano,
L’estetica bergsoniana e L’estetica di Croce. Quest’ultimo studio è stato
pubblicato più tardi a Milano dalla casa editrice “La Cultura”24. Più
complesso, e forse maggiormente studiato, è il rapporto di C. con Martinetti,
col quale l’autore si laurea su Sviluppo e significato dell’individualismo
leibniziano. Il primo, fondamentale impulso all’approfondimento di Leibniz;
l’introduzione alla filosofia di Kant; il rifiuto del metodo dialettico;
l’urgenza di rinvenire una nuova, diversa organizzazione del nesso fra
individuale ed universale, sono elementi che stringono C. al magistero
martinettiano e che risultano fondamentali per la più generale formazione del
filosofo milanese. Al di sotto di tutti è poi presente l’esigenza di
individuare il corretto rapporto fra l’analisi della realtà e la sua
organizzazione sistematica, esigenza il cui movimento e la cui parabola
all’interno della propria maturazione intellettuale sono così descritte, ne La
malattia filosofica, dallo stesso protagonista: 24 Curriculum vitae di Colorni,
s.d., in Archivio Hirschmann, Roma, citato in Gerbi, Tempi di Malafede. Guido
Piovene e C.. Una storia italiana tra fascismo e dopoguerra, nuova edizione
Milano, Hoepli. Cfr.: C., L’estetica di Croce. Studio critico, Milano, La
Cultura; Id., Ardigò, in «Pietre», firmato con lo pseudonimo di Carlo
Rosemberg; per una storia di questa pubblicazione rinvio ad Vigorelli,
Antifascismo: il caso di “Pietre”, in Eugenio C. e la cultura italiana, a cura
di G. Cerchiai e G. Rota); lo scritto sul bergsonismo è tuttora inedito. È lo
stesso C., ne La malattia filosofica, a raccontare come si svolgevano, durante
le lezioni di Borgese, le esercitazioni dalle quali è nato ad esempio lo studio
su Croce. All’università si dà continuamente battaglia contro Croce. Ogni
settimana, uno studente sale sulla cattedra per discutere coi compagni e col
professore. Salire anche lui su quella pedana, gli piacerebbe tanto: ma per che
dire? Tenterà, ad ogni modo» (C., La malattia filosofica). Sul rapporto fra C.
e Borgese rimando a Riosa, Borgese e C. tra letteratura e politica, in Cerchiai e Rota,
C. e la cultura italiana. Nello stesso periodo nel quale si laurea C., altri
due allievi di Martinetti, Barié e Gadda, venivano indirizzati dal maestro allo
studio del filosofo di Lipsia. Si veda, a mero titolo di esempio, quanto lo
stesso Martinetti scrive a Gadda: «Se fra tre o quattro anni Ella potesse
uscire con una bella esposizione di Leibniz (non tema d’avere concorrenti in
questo argomento!) la via dell’università (per storia della filosofia) Le
sarebbe aperta» (Lettera di Martinetti a Gadda; in Martinetti, Lettere a Gadda,
a cura di Lucchini, in «I quaderni dell’ingegnere. Testi e studi gaddiani», Cfr.
anche: Cerchiai, Due inediti di Emanuele su Leibniz, in «Rivista di storia
della filosofia»; C. lettore di Leibniz, in C. e la filosofia italiana. Si veda
la testimonianza di Tagliacozzo riportata poco sopra. Per il clima nel quale
poteva essere riletto Kant durante le lezioni martinettiane (con particolare
riferimento alle vicende relative a C.), si rimanda a S. Gerbi, Tempi di
malafede, cit., p. 39. 27 Una delle poche citazione dirette di C. presenti nel
libro sull’estetica crociana rinvia proprio allo scritto di Martinetti
intitolato Il metodo dialettico,Rivista di filosofia, là dove C. scrive:
«perché, per quale forza o per quale principio questa implicazione dei contrari
debba presentarsi quasi come una generazione dell’uno da parte dell’altro, è
difficile a intendersi. Perché si deve dire che il Non-io, il quale è, per la
sua stessa definizione, inseparabile dall’Io, sgorga, si svolge, si origina da
esso? Che il particolare nasce dall’universale?» (C., L’estetica di Croce).
Cinque scritti metodologici di C.. Il problema che lo occupa è sempre il posto,
la collocazione delle facoltà nel mondo dello spirito. A un certo punto, gli
balena la possibilità che questi elementi di cui cercava con tanto accanimento
l’ordine e la collocazione, non patiscano alcun ordine: possano vivere così, separati,
paralleli, autonomi. L’idea lo entusiasma. Gli sembra di avere ora fatto
veramente un passo innanzi. E non pensa più tanto a definire e a ordinare,
quanto a descrivere. Ma questo procedere dovrà pure avere una sua
giustificazione teorica, dovrà pure inquadrarsi in una visione del mondo, avere
un suo nome che termina in -ismo. Pierino [alter ego di C.] si butta sui
pluralisti, sugli empiriocriticisti: studia Mach e Avenarius, si addentra nel
labirinto di Leibniz. Su queste basi, si può dire che quello che altrove ho
definito il “problema dell’ordine” divenga, talvolta anche solo per contrasto,
uno dei fili conduttori dell’intera riflessione colorniana: impostato fin da
L’estetica di Benedetto Croce, esso cercherà una prima, instabile sistemazione
nella filosofia di Leibniz, per trovare poi nella rilettura metodologica ed
epistemologica del criticismo kantiano una soluzione – o, come potrebbe dirsi:
dissoluzione – affatto originale. Al fine di seguire il movimento del pensiero
di Colorni da questo punto di vista, può essere utile rileggere le parole
dell’autore stesso. C., La malattia filosofica; cfr. anche ibidem, n. 19 del
curatore. Di Leibniz dirò in seguito, in questo stesso paragrafo. Per quanto
riguarda l’accenno agli empiriocriticisti, si rimanda a quanto scritto da
Guzzardi, il quale, esaminando precisamente la radice dei riferimenti
colorniani a Mach, Avenarius e Schuppe, ne ha riconosciuto l’origine proprio
nell’insegnamento di Martinetti. C., spiega Guzzardi, trova una valutazione
positiva di questo pluralismo, nonché delle filosofie dell’esperienza di
Schuppe, Avenarius e Mach, nell’Introduzione alla metafisica di Martinetti.
D’altra parte, M. indirizza allo studio di Mach, Avenarius e Schuppe, un allievo,
Pelazza. Tali circostanze, secondo Guzzardi, fanno ritenere», insieme con altre
che dovrebbero essere approfondite, che l’interesse originario di C. per
l’empirio-criticismo sia da collegare a Martinetti e Pelazza (Guzzardi, Lo
specchio della natura. C. e la cultura del suo tempo, in C. e la cultura
italiana, a cura di Cerchiai e Rota). Prosegue Guzzardi. Non solo Schuppe e
Avenarius vengono citati da C. nella recensione all’Introduzione alla
metafisica. Qui si trova pure accennato fra i meriti di Martinetti quel
concetto di esperienza pura e obiettiva che egli sembra indicare come via di
uscita dalle difficoltà in cui il pensiero moderno si trova impigliato” – e
l’esperienza pura [reine Erfahrung], attorno a cui Pelazza ha costruito la
propria presentazione dell’empirio-criticismo, aveva costituito il punto
d’approdo della filosofia di Avenarius. La recensione Sull’“Introduzione alla
metafisica” di Piero Martinetti si trova nell’edizione Einaudi degli scritti
colorniani. A tutto ciò si può aggiungere che C. accostò all’empirio-criticismo
anche la filosofia di Croce. L’individualismo del Croce non è necessariamente
in contrasto col suo idealismo: risolve piuttosto il principio dell’auto-coscienza
– che è essenziale all’idealismo – in una coscienza del pensiero nella
effettualità del suo pensare; identifica il punto di partenza soggettivo col
suo necessario correlato oggettivo, l’universale col particolare. In questo
senso si avvicina piuttosto a forme di contingentismo e di empirio-criticismo;
e in questo senso appunto è giustificabile il suo tenersi al dato e partire da
esso: in quanto questo dato non può essere inteso che come uno stato d’animo,
un’esperienza che debba essere vissuta intensamente, e da cui si debba trarre a
volta a volta l’assoluto. C., L’estetica di Croce. Cfr. Cerchiai, L’itinerario filosofico di C.,
in «Rivista di storia della filosofia, Cerchiai. Nel libretto su Croce, il
problema dell’ordine è inquadrato a partire dalla questione del rapporto fra la
«soprastruttura» 30 dialettica del sistema e l’effettivo valore delle singole
osservazioni: «Ciò che sta sotto l’organizzazione esteriore», scrive C., è nel
crocianesimo il vero sistema, non ancora chiaro e formulato, ma agile e ricco
di molteplici possibilità. Ricercare tale ricchezza sotto un’impalcatura in
gran parte insoddisfacente è il compito che s’impone a chiunque viva quel
pensiero come un’esperienza della propria vita. E seguirne la possibilità di
sviluppo anche di là dalla forma che ha dato a se stessa, ci pare il miglior
omaggio che si possa rendere a una filosofia31. Se il “metodo individualistico”
così identificato nella filosofia di Croce conduce C. a liberare le singole
osservazioni «dall’interpretazione che Croce stesso ne ha data allo scopo di
adattarle ad un suo schema presupposto di organizzazione», per cercare di
«renderle di nuovo pure» e «ravvisare» di conseguenza «in esse» un sistema «non
imposto in precedenza, ma derivante e identico coi dati stessi forniti»32, non
può stupire l’interesse teorico nutrito dal filosofo milanese per il secondo
dei suoi “auttori”, ossia per il pensiero di Leibniz. Quest’ultimo, infatti,
pare offrire precisamente la possibilità di chiudere in un circolo coerente
l’analisi empirica del particolare e l’organizzazione sistematica del tutto.
Scrive C. Leibniz non parte mai con l’intento esplicito di costruire un
sistema. La sua attività filosofica si presenta a tutta prima come una grande
raccolta di prese di posizione particolari. Eppure il sistema non manca in
esse: è anzi continuamente presente. I singoli problemi si mostrano a poco a poco
connessi l’uno all’altro; le soluzioni convergono, si giustificano e confermano
a vicenda. Il sistema non è una pura esteriorità, un concordanza sopravvenuta;
è anzi l’anima di ciascuno osservazione, attraverso cui tutto si spiega e si
giustifica33. Per tali motivi, Leibniz rappresenta quasi il contraltare dello
storicismo crociano o, meglio ancora, il rimedio alle sue lacune; «Leibniz»,
infatti, «differisce [proprio] in questo da altri pensatori, apparentemente più
coerenti e organizzati, ma la cui ricchezza va cercata al di là del sistema,
nelle varie formulazioni particolari: vi differisce cioè per il fatto che, come
si è visto, il suo sistema si C., L’estetica di CROCE (si veda), cit. Scrive
ancora C.: «chi parta dal mondo stesso e, rendendo eterno e universale ciascun
dato di questo, voglia costruire una scienza delle forme possibili di questa universalizzazione
e di qui giungere ad una visione complessiva dei modi eterni della realtà e
delle loro reazioni reciproche, non pone il sistema all’inizio, come premessa
della sua ricerca; ma ad esso giungerà al termine ideale del suo cammino. C.,
Nota bio-bibliografica, in G. W. von Leibniz, La monadologia, preceduta da una
esposizione antologica del sistema leibniziano, a cura di C., Firenze, Sansoni.
Il riferimento sembra rinviare precisamente alla critica della filosofia
crociana. Cinque scritti metodologici di C.11 sviluppa spontaneamente dalle
singole osservazioni e l’insieme si mostra nella sua completezza attraverso il
complesso dei suoi aspetti. E tuttavia, lo scacco della prospettiva leibniziana
giungerà a sua volta quando, muovendo da simili presupposti, Colorni dovrà
constatare il carattere prettamente soggettivo del tentativo di
sistematizzazione da quella realizzato: Leibniz, spiega così C. nel suo ultimo
scritto sull’argomento, applica all’ordine spirituale quella continuità, quel
passaggio ininterrotto, quel procedere da ogni legge ad una legge più vasta,
che egli crede di scorgere come l’essenza più profonda del mondo naturale. Che
questa stessa continuità e questo allargarsi sia, più che una legge della
natura, un’esigenza dello spirito nella considerazione della natura stessa,
egli non sospetta36. L’insuccesso del punto di vista leibniziano consentirà
però anche a C. di schiudere un più libero sguardo, sciolto ormai dai
condizionamenti delle diverse scuole filosofiche, sul criticismo kantiano e
sugli strumenti da questo forniti per lo studio dei meccanismi di funzionamento
del pensiero. C. aveva anticipa le due linee – leibniziana e kantiana – della
propria filosofia, là dove aveva scritto, in Di alcune relazioni fra conoscenza
e volontà, che la monade di Leibniz avrebbe dovuto completarsi con la dottrina
kantiana, di modo che l’«universalità della monade, intesa come realtà cosciente,
puo coincidere con la trascendentalità del conoscere, inteso come conoscenza
reale»37. L’effettivo passaggio ad un più maturo kantismo segna tuttavia per
Colorni un punto di svolta fondamentale o, come afferma l’autore stesso, una
vera e propria «operazione di cataratta»38, capace di conquistare una diversa
prospettiva sul mondo: esso, infatti, consente al giovane studioso di voltare
le spalle alla “conoscenza filosofica” e di approdare infine a quella
particolare metodica ch’egli presenta come conoscenza prettamente scientifica,
intesa cioè come padronanza di un processo. La domanda impossibile (senza
senso) della filosofia, spiega così Colorni, pur nella loro rigida formulazione
teoretica, sono sempre espressione di qualche tendenza, di qualche profonda
esigenza dell’animo. La risposta si dà dunque divenendo padroni del meccanismo
psicologico mediante cui la domanda viene posta; essendo capaci di riprodurlo,
di seguirlo nelle sue fasi, di variarlo all’infinto. Al problema della realtà,
si risponde fabbricando animi per cui l’expressione “realtà” non ha senso. Alla
domanda se esiste un mondo in sé in cui la somma degli angoli di un triangolo
non sia uguale a due angoli retti, si risponde costruendo una geometria in cui
tale somma sia effettivamente maggiore o minore di due retti, e mostrando che
tale geometria non è né più né meno vera di quell’altra; ma è, rispetto
all’altra, essenzialmente nuova C., Libero arbitrio e grazia nel pensiero di
Leibniz, C., Di alcune relazioni fra conoscenza e volontà. C., Critica filosofia
e fisica teorica, C., Filosofia e scienza. C., Critica filosofia e fisica
teorica; Cerchiai 12 È in questo contesto, all’interno del quale Colorni
ritiene di essere definitivamente guarito dalla sua «malattia filosofica»41,
che vanno collocati i titoli di seguito trascritti e conservati presso la
“Sapienza” Università di Roma, Biblioteca del dipartimento di Fisica, Fondo
Vittorio Somenzi. Di tali scritti, e degli altri pubblicati dalle riviste
«Aretusa», «Analisi» e «Sigma», è lo stesso Somenzi a raccontare la storia nel
già citato testo su C. filosofo della scienza. 3. La metodologia colorniana
negli scritti del Fondo Somenzi «Nel 1945», scrive difatti Somenzi, comparve
sulla rivista «Aretusa» un Ricordo di C. scritto dall’amico Guido
Morpurgo-Tagliabue, accompagnato da due inediti stimolanti: Il bisogno
dell’unità e Sul complesso di Edipo. Altri inediti mi pervennero attraverso la
rivista «Analisi» […], e di questi una parte venne pubblicata su «Analisi» e sulla
rivista romana «Sigma» che ad essa si affiancò per iniziativa di Giuseppe
Vaccarino e mia. Dal carteggio fra Vaccarino e Somenzi emergono altre
importanti informazioni sui dattiloscritti conservati in FS, che con ogni
evidenza i due fondatori di «Sigma» si inviavano in reciproca lettura. Di
quanto scriveva Somenzi a Vaccarino nel maggio del ’47 si è già reso conto nel
§ 1. Il 27 gennaio di quel medesimo anno, è Vaccarino a dire a Somenzi di
sperare «tra qualche giorno di inviar[gli] i C.»; il giorno appresso, e quello
successivo ancora, Vaccarino aggiunge poi quanto segue: Spero domani di
inviarti i Colorni. Molto interessanti e brillanti. Comincerei con i dialoghi
di “Commodo”, combinandoli in modo che abbiano tra di loro un certo legame.
Ieri sera ho riletto i C., che ti rimando tranne l’ultimo, che ti invierò tra
qualche giorno. “I dialoghi” si potrebbero pubblicare in 3 puntate – (La
seconda notevolmente più lunga delle altre 2) – Vi è una quarta puntata
sull’economia, che mi piace meno. Nel testo ho cambiato qualche parola a matita
(in modo che tu possa eventualmente ricorreggere). Ho creduto anche opportuno
evitare il “dialogo nel dialogo” nel primo n°, introducendo invece del “fisico
ribelle” il “Curiosus” del secondo n°. L’Apologo ed il Ritorno alla natura
vanno anche benissimo. Forse si potrebbero pubblicare unitamente al terzo
dialogo, che è molto breve. Le idee di Colorni mi sembrano meglio espresse nei
dialoghi che nel capitolo sulla fisica, data la forma brillante 41 La malattia
filosofica è per l’appunto il titolo che C. diede alla sua più completa
biografia intellettuale, già qui ricordata nelle pagine precedenti. Somenzi. Prosegue
poi Somenzi citando di fatto alcuni dei titoli dei quali si sta qui discutendo:
«La rivista doveva contenere articoli di fondo dedicati a problemi come: il
concetto di esperienza, costanti universali e unità di misura, l’illusione
finalistica nella fisica e nella biologia, l’illusione realistica nella fisica,
geometria ed esperienza, l’assiomatica dei principi della meccanica,
l’assiomatica della teoria della relatività e quella della meccanica
quantistica, fisica puntuale e fisica di campo, il concetto di istinto, la
polemica tra meccanicismo e vitalismo, la costruzione di una economia
indipendente da premesse psicologiche. dell’espressione. In quanto alle
opinioni espresse (l’io, la storia, l’amore, ecc.) non c’è coincidenza con la
metaconoscenza, anzi piena opposizione43. Su «Analisi», uscì Filosofia e
scienza44, mentre un più consistente numero di titoli apparve su «Sigma»; si
trattava, in particolare, dei testi seguenti: Apologo su quattro modi di
filosofare; Della lettura dei filosofi; Del finalismo nelle scienze; Dell’antropomorfismo
nelle scienze; Sugli idoli della scienza fisica; Critica filosofica e fisica
teorica; Il ritorno alla natura; Filosofi a congresso45. Oltre a questi – e
presumibilmente appartenenti al medesimo gruppo di testi del quale Somenzi
afferma di aver pubblicato solo una parte – in FS sono conservati altri
dattiloscritti, di cui sono qui trascritti quelli maggiormente compiuti46. I
primi tre scritti appartengono con ogni evidenza al gruppo di testi destinati
dall’autore alla rivista di metodologia scientifica progettata con GEYMONAT (si
veda). Questa, oltre a note di varietà, rassegne e recensioni, avrebbe infatti
dovuto ospitare una sezione dedicata ad «Articoli e saggi», fra i cui titoli C.
indica per l’appunto Geometria ed esperienza e Assiomatica delle leggi della
meccanica. Il testo intitolato II: Relatività generale è, come mostrato dalla
numerazione romana, il secondo paragrafo di Sull’assiomatica della teoria della
relatività (anch’esso menzionato nel Progetto di una rivista di metodologia
scientifica), il quale comincia proprio con l’indicazione di un paragrafo (I)
La relatività ristretta. Tutti e tre i testi fanno riferimento al discorso
intorno all’idea di esperienza che per C. discende dalla scoperta del carattere
relativo delle categorie: «la coscienza che abbiamo acquistato della nostra
possibilità di modificare [i] dati elementari»48 della conoscenza, infatti,
costringe secondo C. sia a riformare i concetti di a priori e di a posteriori,
sia a rivedere coerentemente la nozione di esperienza. «A priori», spiega così
C., «non significa più della ragione. A posteriori non significa più dei sensi.
Sia i dati della ragione, sia i dati dei sensi, ap43 Lettere rispettivamente
del 28 e del 29 gennaio 1947; quest’ultima è scritta di seguito all’epistola
del giorno precedente, sul medesimo foglio. Il 17 gennaio 1947, Vaccarino aveva
informato Somenzi del suo scritto sulla metaconoscenza, col quale confronta qui
gli scritti colorniani: «Avevo preparato uno scritto sui rapporti tra la
conoscenza e la religione, il quale in definitiva risultò troppo lungo ed
infarcito di considerazioni metagnosologiche. Ho pensato perciò che è meglio
direttamente attaccare la questione della metaconoscenza». Tutte le lettere
sono in FS, sez. 5, Corrispondenza, gen. 28, serie 1, Corrispondenza
scientifica, Vaccarino Giuseppe. Il “fisico ribelle” è probabilmente il Fisico
che Colorni inserisce quale interlocutore (appunto: quasi come dialogo nel
dialogo) in Del finalismo nelle scienze, e che nella stampa definitiva su
«Sigma» non viene poi effettivamente sostituito dal Curiosus interlocutore di
Dell’antropomorfismo nelle scienze. Il testo comprende parzialmente anche: Sul
concetto di esperienza e Intorno al principio di identità. Cfr. infra, la Nota del curatore. C.,
Filosofia e scienza. Cerchiai 14 paiono come elementi in cui il fattore
soggettivo e quello oggettivo si presentano mescolati, ma di cui è in nostro
potere, mediante un procedimento logico e psicologico insieme, modificare la
struttura»49. L’esperienza, a sua volta, «anziché rivelare leggi naturali»,
dovrà suggerire, secondo le contingenti necessità degli studiosi, «determinate
forme di definizione e di misura», utili a proseguire nel lavoro di ricerca
scientifica51. Siamo qui di fronte a quel progetto di “liberazione” della
fisica «dalle premesse realistiche-finalistiche» che deve per Colorni
rappresentare non solo «uno degli scopi essenziali della rivista»52, ma anche
il fine ultimo della sua stessa critica epistemologica. Di tale progetto il più
lungo e strutturato Programma contribuisce a tracciare ulteriormente i contorni
teorici. Il nucleo dello scritto ruota intorno alla considerazione secondo la quale
la «filosofia odierna dovrebbe anzitutto esaminare le chiavi che abbiamo in
mano, cioè i criteri di ricerca, i metodi d’indagine. Criteri che, ormai ciò è
chiaro a tutti, trasformano radicalmente la realtà, operando una scelta che ci
fa scorgere solo ciò che da essi può essere afferrato». La constatazione del
carattere condizionato della realtà diviene in tal modo, e nuovamente, il punto
di partenza – tutto kantiano – della metodologia di C.. Il criticismo
trascendentale, aggiunge però l’autore, «ha messo tutti sul chi vive», sì che
«la curiosità di vedere al di là del velo di Maja delle categorie si è fatta
sempre più intensa»; sarà tuttavia soltanto la capacità della conoscenza
scientifica di disubbidire all’«ammonimento di Kant» per trascurare «i limiti»
da questo imposti che consentirà, ancora una volta, di compiere il secondo,
decisivo passo lungo la strada già intrapresa dalla Critica della ragione pura:
«La domanda da porsi», chiarisce Colorni in un passo cruciale di Critica
filosofica e fisica teorica, Non [è]: “È il mondo del nostro pensiero, o non è,
quello reale?”; bensì: “Come potrebbe essere conformato un mondo di pensiero
diverso dal nostro?”. La prima domanda parte da quella esigenza di sicurezza e
stabilità che è sempre collegata col pensiero del reale [e che appartiene
all’atteggiamento filosofico]. La risposta che essa cerca è una risposta che
assicuri tale sicurezza e stabilità in un modo qualsiasi; nel reale, o in qualche
cosa che lo sostituisca. La seconda domanda [propria dell’atteggiamento
scientifico] muove invece da una esigenza di novità […]. Si tratta qui del
secondo passo della rivoluzione copernicana. Il primo era consistito
nell’accorgersi che le leggi della realtà non sono che forme del nostro
intelletto. Il secondo consiste nel domandarsi se queste forme siano proprio
necessarie ed immutabili e irresolubili. Anzi, non 49 Ibid. A priori diviene
perciò il «nostro potere di modificazione che si riferisce sia agli oggetti
della nostra ragione, sia a quelli dei nostri sensi. Mentre poi «la geometria
definisce gli oggetti su cui opera mediante i suoi assiomi, la fisica definisce
quei medesimi oggetti mediante definizioni reali, cioè facendoli corrispondere
a determinati fenomeni naturali. Mentre dunque la prima gode di una completa
libertà nella scelta degli assiomi, la seconda è legata alle conseguenze
implicite nella scelta di quelle particolari definizioni; libera però di mutare
le definizioni, qualora le conseguenze non la soddisfacessero. C., Sul concetto
di esperienza. Cinque scritti metodologici di C. 15 nel domandarsi se siano
irresolubili (domanda che presuppone l’uso di quelle forme stesse) ma nel
tentare senz’altro di scioglierle53. In tal modo, spiega C. al termine di
Programma, è la conoscenza scientifica a raggiungere quell’“al di là” che alla
prospettiva kantiana era negato, ma l’“al di là” al quale essa perviene «non è
una negazione del “di qua”, non è un assoluto privo di categoria. È un mondo di
nuove categorie», un mondo al quale si viene portati, in primo luogo, dalla
consapevolezza che la «legge essenziale della natura è la ragione, e la ragione
è pure la legge essenziale del mondo esterno, in quanto l’uomo non fa che
proiettare fuori di sé l’essenza della propria natura»54. L’ultimo testo qui
trascritto, Commodo a Ritroso, appartiene ad un gruppo di dialoghi, noto come
Dialoghi di Commodo, stesi a più mani durante il periodo del confino a
Ventotene55. Commodo, come ha spiegato la moglie Ursula Hirschmann in occasione
dei primi tentativi di pubblicazione integrale dei frammenti colorniani, è lo
stesso Colorni; Ritroso è Ernesto Rossi56. Lo scritto prende spunto da
argomenti economici per chiarire alcune questioni che, venendo a teorizzare una
sorta di “dilettantismo metodologico”, rendono conto della stessa natura
dell’indagine colorniana. L’«appartenenza professionale», dice C. all’amico
Ritroso/Rossi in uno dei dialoghi già [C., Critica filosofica e fisica teorica.
55 Racconta Altiero Spinelli nella sua autobiografia, ben descrivendo non solo
la genesi dei Dialoghi di Commodo, ma anche l’atteggiamento di Colorni nelle
discussioni: «Parlavamo ogni giorno delle cose più varie, di politica, di
geometria non euclidea, di nostri compagni di confino, delle nostre letture,
delle nostre storie personali, dei grandi della storia, ma sentivo che
[Eugenio] stava sempre attento a scoprire un qualche mio coperto punto malato,
che egli avrebbe messo in luce, curato e guarito – poiché la vocazione del
guaritore d’anime l’aveva proprio nel sangue. Mi affascinava la precisione
quasi infallibile con la quale scopriva il punto errato di un ragionamento, il
punto equivoco di un atteggiamento, il momento retorico di un’espressione.
Talvolta uno di noi, ripensando la sera alle parole scambiate durante il
giorno, le proseguiva scrivendo un dialogo nel quale diceva la sua e immaginava
quel che l’altro avrebbe risposto. Talvolta il dialogo aveva un seguito,
scritto dall’altro, prima di terminare a voce» (A. Spinelli, Come ho tentato di
diventare saggio, Il Bologna, Mulino). 56 Gli pseudonimi principali utilizzati
negli altri dialoghi sono i seguenti: Severo è Altiero Spinelli, Manlio
Rossi-Doria è Modesto, Ursula Hirschmann è Ulpia. Così scrive Landi a Hirschmann.
Penso che i tempi stiano maturando per
un’edizione in volume degli scritti lasciati da C.: come sono maturati, dopo
tanti decenni, per la ripresentazione ai lettori italiani di quelli diVailati,
che fu studioso per tanti versi affine ad Eugenio e che, rimasto quasi sepolto
fin da prima della Prima Guerra Mondiale, ricomparirà ora presso Laterza e
presso Einaudi su mia iniziativa». RossiLandi faceva poi riferimento alle
pubblicazioni di «Analisi» e «Sigma». Ho potuto prendere visione della
corrispondenza relativa ai diversi tentativi di pubblicazione degli scritti
filosofici di C. (prima presso l’editore Laterza e poi per la Feltrinelli)
grazie alla cortesia di Renata C., che ancora conserva una parte del carteggio
e che qui debbo ringraziare per la sua disponibilità. 57 Esso va dunque letto
insieme a Dello psicologismo in economia, pubblicato nella ed. Einaudi alle pp.
322-342. Per una più precisa contestualizzazione dei frammenti economici
colorniani cfr infra, la Nota del curatore. Cerchiai 16 pubblicati da
«Sigma» nell’immediato dopoguerra, «comporta un legame così stretto con la
scienza e un interesse così diretto ai vari problemi particolari in cui la
ricerca si articola momento per momento, che è difficile avere la possibilità
di riprendere in esame i problemi iniziali e i principi fondamentali da cui si
è partiti»58; proprio per questo, secondo Colorni, i «dilettanti e gli
outsider», sono forse maggiormente in grado, attraverso l’esercizio di un
«tranquillo, pacato, spregiudicato esame dei punti di partenza e delle
definizioni iniziali»59, di «sconvolgere dalle fondamenta tutto l’edificio del
proprio sapere»60. Certo, dovendo rispondere all’accusa di «presumere di
rivedere i principî di tutte le scienze, senza averle mai praticate»61, lo
stesso C. – che alla scienza è giunto passando per la filosofia – parla in
qualche modo pro domo sua. E tuttavia, egli va anche a puntualizzare, in tal
modo, il «arattere pragmatistico del proprio pensiero, il quale deve giocoforza
confrontarsi con le più differenti discipline scientifiche. In Commodo a
Ritroso, C. riprende questi medesimi argomenti, insistendo però con maggior
vigore su quello spirito d’indipendenza – indispensabile ad un proficuo
sviluppo dell’opera scientifica e filosofica – il cui significato teorico è già
stato indagato in Programma. Scrive C.: «Anziché accostarmi a grossi trattati
con fare accogliente e passivo, io parto con la lancia in resta, pieno di idee
sbagliate e confuse, sfondando porte aperte ad ogni passo, desideroso di
scontri e di battaglie». Emerge qui, accanto alla consapevolezza di un metodo
teorico ormai chiaramente precisato, una componente particolare del carattere
del giovane filosofo: quella irrequietezza, ironicamente descritta ne La
malattia filosofica, che contribuisce a rendere conto della stessa, febbrile
attività politica colorniana. Essa rivela una vivacità intellettuale che si
mostrò sempre incapace di fermarsi ai risultati volta per volta raggiunti e
che, trascorrendo dai primi studi storico-filosofici a quelli metodologici
degli ultimi anni, viene a costituire l’anima, per così dire, anche dei
dattiloscritti colorniani conservati nel Fondo Somenzi. C.,
Dell’antropomorfismo nelle scienze. Com’è noto, e a dispetto della sua
formazione umanistica (lit. hum.), Colorni si cimenta direttamente nella
ricerca fisica, con particolare attenzione alla teoria della relatività. Cfr.
nello specifico i titoli seguenti: Unités de misure et relativité; Le
trasformazioni di Lorentz come caso particolare e Deduzione del campo
elettromagnetico di una carica in movimento rettilineo e uniforme. 63 E.
Colorni, Dell’antropomorfismo nelle scienze. Nota del curatore I testi di
Colorni in FS – tutti dattiloscritti – sono per lo più approntati per la
composizione a stampa, spesso con indicazione del corpo e della impaginazione
da utilizzarsi. Alcune correzioni e integrazioni, la segnalazione «a penna»
talvolta riferita ai titoli o alla firma, i commenti a margine sulla
opportunità o meno della pubblicazione, fanno supporre che ci si trovi per lo
più di fronte a trascrizioni battute a macchina dagli originali. Salvo che dove
diversamente segnalato (come ad esempio – per i motivi lì esposti a pié di
pagina – in Programma), ci si è generalmente attenuti al criterio di integrare
le eventuali sviste od errori ortografici direttamente nel testo, senza
ulteriore indicazione. Ugualmente ci si è comportati per le correzioni e gli
interventi a penna o a macchina. Il dattiloscritto di Programma presente in FS
conserva la conclusione, che risulta invece assente nelle precedenti edizioni
in volume. Oltre ai titoli qui riportati, e a quanto si dirà qui appresso, in
FS sono conservati anche i testi seguenti: Il bisogno dell’unità; Sul complesso
di Edipo; I primitivi e le categorie dello spirito; Filosofi a congresso; Sul
concetto di esperienza; Costanti universali e unità di misura; Sull’assiomatica
della teoria della relatività. I. Relatività ristretta, tutti già raccolti
nelle diverse edizioni dei frammenti colorniani. A partire da Sul concetto di
esperienza, le pagine sono numerate, a mano o a macchina, in sequenza, sì da
creare un complesso unico comprendente anche: II. Relatività generale (da
inserirsi dopo Relatività ristretta), e di seguito: Sull’assiomatica delle
leggi della meccanica e Geometria ed esperienza. In FS sono inoltre presenti
due ulteriori scritti di argomento economico: Batti, ma ascolta! e Ritroso a
Commodo: meno compiuti degli altri, essi saranno da me trascritti in un volume
di prossima uscita. Già nella nota introduttiva a Dello psicologismo in
economia, pubblicato nella edizione Einaudi alle pp. 322-342, si ricostruiva,
anche grazie agli elenchi dei titoli stesi da Ursula Hirschmann per Rossi-Landi,
la genesi degli scritti economici colorniani, che qui ci si limiterà dunque ad
integrare con quanto emerge dai titoli presenti in FS. Dello psicologismo in
economia risulta composto da tre blocchi. Il primo, intitolato È possibile
costruire una scienza economica indipendente da premesse psicologiche e
sociologiche?, è citato anche nel Progetto di una rivista di metodologia
scientifica fra i possibili «Articoli e saggi», e prosegue dall’inizio del
dialogo fino al terzo capoverso: sarebbe una differenza di grado e non di
natura. Del secondo (Robbins considera), che comincia subito dopo il primo e
termina in ivi, E m’invita a prendere tutto l’argomento non troppo sul serio»),
è conservato in FS il solo ultimo foglio, del quale così scriveva Silvio
Ceccato a Somenzi il 5 febbraio del 1943: «Ho guardato fra le carte di Colorni.
Spaiato trovo un foglio, numero 5, che mi sembra appartenere al dialogo fra
Commodo e Severo [che in effetti è l’interlocutore di quella parte del
dialogo]. Se vuoi te lo mando, o lo do a Vaccarino. Altro non c’è, mi sembra,
che possa interessarti. Stampa pure. Quando hai ben deciso, fammelo però sapere,
che, per cortesia, ne avvisi la sorella» (FS, sez. 3, Attività professionale,
1929-2003, serie 2, Carte di lavoro non organizzate, 5, Riviste, enciclopedie e
progetti editoriali, 1, Sigma Analysis, b. 5, Analysis Methodos (Ceccato). Il
terzo blocco, Vedo che riprendi (cfr. C., Dello psicologismo in economia),
rappresenta il nucleo centrale e la con- Geri Cerchiai 18 clusione del dialogo.
Per quanto riguarda i titoli di FS: Ritroso a Commodo – come si evince dai
numerosi riferimenti a Vedo che riprendi – prosegue il dialogo già iniziato in
quest’ultima parte di Dello psicologismo in economia; Commodo a ritroso è la
risposta a Vedo che riprendi; Batti ma ascolta è l’«accluso foglietto»
menzionato in Commodo a Ritroso. Le note in calce ai testi sono tutte del
curatore. Desidero Ringraziare Giovanni Battimelli, Responsabile del Fondo
Vittorio Somenzi, e Libutti, Direttrice della Biblioteca del Dipartimento di
Fisica (“Sapienza” Università di Roma), per la disponibilità e cortesia che mi
hanno dimostrato durante la consultazione dell’Archivio. G. C. Cinque scritti
metodologici 19 II. Relatività generale1 Se vogliamo estendere quanto si è
detto per la relatività ristretta3 al caso di sistemi in movimento qualsiasi4,
il problema della relatività generale diverrà quello di determinare le misure
spazio-temporali per un osservatore in movimento qualsiasi rispetto ad un
sistema inerziale nel quale valga la geometria euclidea. La determinazione di
tali misure sarà fatta di nuovo assumendo come fissa la distanza fra due punti5,
e come costante la velocità della luce. In linea generale risulterà che la
geometria tridimensionale del sistema in questione non sarà euclidea. Viceversa
dovrebbe essere dimostrabile che se le misure assunte da un osservatore col
metodo di cui sopra, danno luogo ad una geometria non euclidea, si potrà sempre
trovare un sistema i cui punti siano mossi rispetto all’osservatore in
questione in modo tale che la sua geometria sia euclidea. In tale sistema non
vi sarà alcun campo gravitazionale. Una tale impostazione del problema
differisce un poco da quella classica della relatività generale. Non si tratta
qui di trovare una formulazione delle leggi di natura che sia invariante
rispetto a trasformazioni qualsiasi, e quindi di attribuire ad ogni sistema la
geometria richiesta dal campo gravitazionale in esso vigente, ma piuttosto di
trovare le trasformazioni che permettono di passare da un sistema ad un altro
qualsiasi6, avendo assunte per tutti i sistemi determinate convenzioni7
riguardo alle misure spazio-temporali; e questo senza fare alcuna ipotesi
riguardo alla forma delle leggi naturali. 1 FS, sez. 3, Attività professionale,
serie 2, Carte di lavoro non organizzate, 5, Riviste, enciclopedie e progetti
editoriali, Sigma Analysis, b. 6, Articoli, Il titolo è cancellato nel
dattiloscritto, così come è barrata la numerazione “5” (a penna) della pagina,
numerazione che, insieme con quella romana, segnava il foglio come seguito di C.,
Sull’assiomatica della teoria della relatività. I. Relatività ristretta (cfr.
la Nota del curatore), del quale lo scritto è il secondo paragrafo. 2
All’inizio del dattiloscritto sono inserite a penna delle virgolette basse
(chiuse al termine del terzo capoverso), che spiegano l’intervento del quale si
rende conto infra, n. 4. 3 Il riferimento è a Sull’assiomatica della teoria
della relatività, che infatti è numerato: La relatività ristretta. A penna è
stato qui aggiunto: «prosegue C.». 5 Cfr. E. Colorni, Sull’assiomatica della teoria
della relatività. Anziché assumere come unità di misura fondamentali una
lunghezza o un intervallo di tempo per poi dedurne le altre grandezze
cinematiche, si potrebbe assumere come unità primitive la distanza fra due
punti dati e la velocità di propagazione di un dato fenomeno». 6 Si tratta qui
precisamente dell’idea di revisione del concetto di esperienza in relazione a
quello di definizione che costituisce uno dei nuclei del programma metodologico
colorniano. 7 Sono molti i riferimenti di Colorni al carattere convenzionale
della scienza e delle sue definizioni. Riporto, per il suo carattere
“generale”, quanto affermato nella Postilla al programma della rivista di
metodologia scientifica (in M. Quaranta, La “scoperta” di C.): «Si tratta, in
breve, di partire da una concezione “convenzionalistica” o “idoenistica” della
scienza; non limitandola però, come fa in sostanza la scuola di Vienna o anche
il Gonseth, alla interpretazione filosofica dei fatti scientifici; applicandola
invece ai concetti basilari su cui poggia l’edificio della scienza, e mostrando
come un chiarimento rigoroso delle ipotesi che sono implicite nell’assunzione
di tali concetti possa trasformare effettivamente e rendere più chiare molte
formulazioni scientifiche, e forse risolvere alcuni dei problemi più scottanti
della scienza moderna». C. 20 Formulando in questo modo il problema, si
giungerebbe probabilmente alle medesime conclusioni della relatività generale
riguardo alla gravitazione; ma la nuova impostazione permetterebbe forse di
aggredire in maniera diversa da quella consueta altri problemi (in particolare
quello dell’elettromagnetismo). Non si tratterebbe più in questo caso di
formulare le leggi del campo elettromagnetico in forma invariante rispetto a
trasformazioni qualsiasi, ma di rendersi ragione della loro struttura,
studiando sistematicamente il comportamento di cariche in movimento, mediante
“Transformation auf Ruhe”. Questo saggio si riferisce a studi ancora in corso e
ben lungi dalla conclusione8 ). 8 L’ultimo capoverso è barrato a penna nel
dattiloscritto. L’inciso fra parentesi riprende quello analogo – non riportato
nelle edizioni dei testi colorniani, ma presente nei dattiloscritti di FS –
posto al termine di Sull’assiomatica della teoria della relatività. I.-
Relatività ristretta, il quale recita nel modo seguente: «Questo saggio si
riferisce ad un lavoro già terminato, in cui lo sviluppo qui descritto viene
eseguito» (FS, sez. 3, Attività professionale, serie 1, Carte organizzate da
Vittorio Somenzi, Scatole grigie, 1, C. e Cotone, b. 3, C.). Sull’assiomatica
delle leggi della meccanica. Il principio d’inerzia è notoriamente una
definizione camuffata. Esso definisce come non soggetto ad alcuna forza il
corpo dotato di movimento uniforme; quindi come soggetto ad una forza il corpo
dotato di movimento non uniforme. È possibile considerare i principi della
conservazione della quantità di movimento e dell’energia come delle estensioni
del principio d’inerzia, cioè anch’essi come delle implicite definizioni della
forza? Crediamo di sì. Consideriamo infatti un sistema di due corpi. Diremo che
il sistema non è stato sottoposto all’azione di alcuna forza, non solo quando i
due corpi proseguono nel loro moto rettilineo ed uniforme, ma anche quando
hanno modificato tale loro moto dopo essersi urtati. Ciò che dovrà essere
rimasto immutato nel sistema non sarà dunque più il moto dei due corpi, ma una
funzione di tale moto; funzione che si tratta di determinare, ponendole delle
condizioni derivanti da esigenze plausibili. Anzitutto si può richiedere che il
mutamento provocato dall’urto nello stato di moto di uno dei due corpi sia
misurato dal mutamento provocato dal medesimo urto nell’altro corpo: cioè che
ciò che rimane costante nel sistema sia la somma delle funzioni in questione
riferite a ciascun corpo. Individuato poi ciascun corpo mediante una costante
caratteristica di esso (la sua “massa”), si può richiedere che il cambiamento
provocato in un corpo successivamente da due altri corpi di uguale massa e
uguale velocità, sia identico al cambiamento provocato da un corpo di massa
doppia e di uguale velocità: il che equivale a dire che la nostra funzione
dovrà essere della forma mf(v). Si potrà poi osservare che la funzione in
questione deve poter esprimere sia un mutamento nel valore assoluto della
velocità di ciascun corpo, sia un mutamento nella sola direzione: le funzioni
in questione devono cioè essere due, l’una vettoriale, l’altra scalare. Infine
si osserverà che, poiché due corpi in movimento uniforme rispetto ad un sistema
inerziale lo sono pure rispetto a qualsiasi altro sistema inerziale, la
costanza delle nostre funzioni deve essere invariante rispetto a trasformazioni
di Lorentz. Tutte queste condizioni limitano la scelta delle nostre funzioni in
modo da determinarle univocamente; e ne risultano le espressioni relativistiche
della quantità di movimento e dell’energia. Ciò è stato mostrato da Langevin2,
il quale parte però da premesse un po’ diverse. Gli sviluppi precedenti possono
avere un’importanza per il seguente motivo: la teoria della relatività giunge alle
sue espressioni dell’energia e della quantità di movimento, partendo dalle
equazioni di Maxwell, che suppone assicurate dall’esperienza. Ma il controllo
sperimentale di tali equazioni suppone che si 1 FS, sez. 3, Attività
professionale, serie 1, Carte organizzate da Somenzi, 2, Scatole grigie, 1, C. e
Cotone, Nel dattiloscritto, le pagine riportano la numerazione, a penna in
rosso, da 6 a 7 (cfr. supra, II. Relatività generale, n. 1, e la Nota del
curatore). Langevin e un fisico francese che, non diversamente da Eddington –
altro autore colorniano e griceiano – fu abile divulgatore scientifico. disponga
di una definizione dell’energia e della quantità di moto. Inoltre, quando si
siano definiti i principi fondamentali della meccanica indipendentemente
dall’elettromagnetismo, rimane aperta la possibilità di dedurre le leggi stesse
dell’elettromagnetismo servendosi di alcuni risultati della relatività, e
raggiungendo così una più profonda comprensione di quelle leggi. (Anche questo
articolo si riferisce a studi in corso, di cui la prima parte, riguardante la
relatività ristretta e l’elettromagnetismo, è terminata; ma avrebbe carattere
troppo tecnico per la rivista4.) 3 Assente nel testo. 4 Per un’analisi degli
scritti colorniani sulla teoria della relatività, si rinvia a M. Quaranta, La
“scoperta” di C. sulla teoria della relatività. Per l’inciso fra parentesi,
cfr. supra, II. Relatività generale. La rivista è la progettata rivista di
metodologia scientifica, sulla quale si rimanda ancora a quanto scritto supra,
§ 3. Cinque scritti metodologici 23 Geometria ed esperienza1 Gli assiomi della
geometria sono delle definizioni implicite, o meglio rappresentano delle
limitazioni imposte alla nostra libertà di definire gli oggetti ai quali essi
si riferiscono. Tali oggetti però possono essere di due tipi: o sono tali che
per ottenerne una rappresentazione concreta è necessario immaginarli realizzati
da un fenomeno fisico (p. es. la linea retta realizzata dalla traiettoria di un
raggio luminoso nel vuoto); in tal caso la definizione implicita negli assiomi
è una definizione “reale” (Zuordnungsdefinition2 ), e gli assiomi limitano il
numero degli oggetti o dei fenomeni che possono essere assunti per realizzare
fisicamente quel determinato ente geometrico. Oppure l’ente geometrico in
questione è tale da poter essere definito mediante un’opportuna combinazione di
altri enti precedentemente definiti (p. es. l’angolo uguale ad un angolo dato
può essere definito senza ricorrere ad alcuna sovrapposizione, quando sia stata
definita precedentemente la distanza fra due punti); e allora gli assiomi
limitano il numero degli accorgimenti che noi possiamo usare per definire quel
determinato ente geometrico. Agli scopi della costruzione fisica di un sistema
galileiano, è opportuno distinguere questi due tipi di definizione; e può
essere utile studiare da questo punto di vista le “Grundlagen” di Hilbert3. Non
è detto che si possa sempre trovare un insieme di fenomeni fisici capaci di
realizzare contemporaneamente tutti gli assiomi di una geometria. Per esempio,
se si vuol realizzare la geometria mediante raggi luminosi assunti co1 FS, sez.
3, Attività professionale, serie 1, Carte organizzate da Somenzi, 2, Scatole
grigie,1, C. e Italo Cotone, b. 3, C., . Numerato a penna 8 (cfr. supra, II.
Relatività generale, n. 1, e Nota del curatore). Il titolo è anch’esso
sottolineato a penna con l’indicazione: a mano. A margine, scritto a matita in
rosso e cancellato, alcune segnalazioni per il tipografo: «Corpo 10/10 tondo //
Giustezza 27». Scrive Colorni in Filosofia e scienza. Ora, mentre la geometria
definisce implicitamente gli oggetti di cui tratta, mediante gli assiomi, la
fisica li definisce direttamente, mediante definizioni reali
(Zuordnungsdefinitionen). Con queste parole, C. richiama il concetto
reichenbachiano di Zuordnungsdefinition, per cui cfr. H. Reichenbach, Axiomatik
der Raum-Zeit-Lehre, Braunschweig, Vieweg et Sohn Akt.-Ges.,; Id., Philosophie
der Raum-Zeit-Lehre, Berlin- Leipzig, W. de Gruyter et Co. In una lettera
firmata da Hirschmann (ma in realtà scritta da Colorni) e indirizzata a GEYMONAT
(si veda) per il tramite della moglie Virginia, l’autore afferma di possedere
il primo dei due titoli, e a questo rinvia per la comprensione del proprio
pensiero. Noi abbiamo qui l’importante saggio di Reichenbach, “Axiomatik der relativistischen
Raum-Zeit-Lehre”, che mette le cose da un punto di vista molto affine a quello
che Eugenio vorrebbe sviluppare. La lettera, conservata nel Fondo Geymonat
presso la Biblioteca del Museo civico di storia naturale di Milano, è citata da
M. Quaranta (La scoperta di Eugenio Colorni), il quale commenta: «Ora, se è
rintracciabile in Kant una nozione rigida dell’a priori, letture kantiane
sviluppate in quegli anni da Cassirer e Reichenbach, in Italia da Preti, vanno
nella direzione di accogliere la fecondità del “metodo trascendentale”; le
indagini epistemologiche di Colorni si inseriscono in questa linea di ricerca. Questo
capoverso, da Agli scopi fino a Hilbert, è cancellato a penna nel testo
dattiloscritto. Il riferimento è ai Grundlagen der Geometrie (Fondamenti della
geometria) di Hilbert. me rettilinei e di velocità di propagazione uniforme,
non è detto che risulti verificato l’assioma di Euclide; e questo assioma, se è
verificato per il sistema costruito da un determinato osservatore,
necessariamente non è verificato per il sistema costruito da un altro
osservatore, dotato rispetto al primo di movimento non uniforme. Cinque scritti
metodologici Programma1 Supponiamo che l’uomo viva in un palazzo le cui porte
sono tutte chiuse. Egli non ha le chiavi. Cioè egli ne possiede un mazzetto, ma
non sa se esse si adattino alla serratura, né quale chiave a quale serratura.
Prova, riprova, si costruisce nuove chiavi nella continua speranza di potere un
giorno abitare tutto il palazzo. Lo scienziato è un uomo al quale è riuscito di
aprire una porta. Una chiave, per sua fortuna, o per sua abilità, ha girato
nella toppa. Egli apre, e trova nella camera immensi tesori, li utilizza3, li
mette a disposizione degli altri uomini che lo ringraziano ammirati. Da quel
momento4 la camera è accessibile a tutti. Entusiasmato, lo scienziato vorrebbe
aprire tutte le porte comincia ad acquistare manie di grandezza. Vorrebbe
aprire tutte le porte5. La chiave comincia a diventare uno strumento pericoloso
nelle sue mani. Egli la vuole usare dappertutto. Il risultato è che sfonda le
serrature. Ci vorrà6 poi una gran fatica per accomodarle e per trovare o
costruire una nuova chiave che permetta di aprirle (Fuor di metafora: p. es. la
medicina è stata rovinata per secoli dall’ossessione del metodo meccanicistico,
che aveva fatto meraviglie nel campo della fisica. E si è voluto risolvere
tutto a base di anatomia, di rapporti e di modificazioni di tessuti. Nella
maggioranza dei casi non si è cavato un ragno dal buco). Il filosofo, invece, cosa
fa? Egli non ha avuto la fortuna o l’abilità di aprire una porta, ma anche lui
è preso dall’ossessione di aprirle tutte. Con la chiave9 dello scienziato o con
un’altra di sua fattura. La sua ossessione è forte, meno pericolosa10 che
quella dello scien1 FS, sez. 3, Attività professionale, serie 1, Carte
organizzate da Vittorio Somenzi, 1929- 2000, 2, Scatole grigie, 1, C. e Italo Cotone,
b. 3, Colorni. Nel dattiloscritto un primo titolo, barrato, recita come segue:
«SCIENZA E MATERIALISMO // È un caso che tutti gli scienziati tendano ad essere
materialisti? // PROGRAMMA». A margine, scritto a penna, il titolo è fissato
così: «SCIENZA E REALISMO». Un asterisco rimanda alla seguente nota manoscritta:
«(V[edi]. l’“Apologo su quattro modi di filosofare”, altro inedito di C., in
Sigma. Sempre a margine, si ha l’indicazione di stampa, a penna: «Corpo 10
tondo 11 // giustezza – 10 su 12. Poiché lo scritto si discosta spesso – nella
forma, mai nella sostanza – dalle precedenti edizioni (nelle quali esso risulta
per altro incompiuto), è parso utile indicare in nota le differenze fra le
diverse versioni. Per questo stesso motivo ho talvolta esplicitato le
correzioni e gli interventi sul dattiloscritto. La sigla FS rimanda al testo
presente fra le carte di Somenzi; la sigla E a quello dell’edizione Einaudi.
Benché sia barrato, e per consentire una più chiara identificazione, si è
preferito mantenere il titolo Programma. 2 per sua fortuna, o per sua abilità
FS: per sua fortuna o per sua abilità E. 3 immensi tesori, li utilizza FS: immensi
tesori. Li utilizza Di seguito nel testo di E. 5 lo scienziato vorrebbe aprire
tutte le porte comincia ad acquistare manie di grandezza. Vorrebbe aprire tutte
le porte FS: lo scienziato vorrebbe aprire tutte le porte E. 6 le serrature. Ci
vorrà FS: le serrature, ma ci vorrà E. 7 (Fuor di metafora FS: di aprirle.
(Fuor di metafora E 8 Il filosofo, invece, FS: Il filosofo invece, E aprirle
tutte. Con la chiave FS: aprirla con la chiave E. 10 è forte, meno pericolosa
FS: è forse meno pericolosa E. Eugenio Colorni ziato, ma più intensa. Per lo
scienziato essa è necessaria accessoria11. Il massimo sforzo è già stato
compiuto12 nel trovare la chiave. Il tentativo di allargamento è spesso solo
abbozzato. Il filosofo, invece, è tutto fatto di questo bisogno. Egli è
abbastanza accorto per avvedersi che il correre da una parte13 all’altra con la
medesima chiave si risolve in un danno e in un disordine. Egli vuole soddisfare
alla sua esigenza in un modo sistematico, che non lasci residui. La sua
ossessione è che il palazzo sia completamente abitabile, aperto in tutte le
camere, dai saloni ai ripostigli. Che cosa fa per soddisfarsi? Si costruisce un
palazzo a suo uso e consumo, simile il più possibile a quello vero, in cui
tutte le serrature siano apribili con una sola chiave, o con le varie chiavi
che ha a sua disposizione. Lì si rinchiude; lì15 gli sembra di vivere
tranquillo. Ma il palazzo è di cartapesta. In poco tempo crolla. Le camere sono
identiche a quelle dell’altro palazzo, ma sono vuote. Il poterle aprire non dà
all’uomo maggior ricchezza e maggior17 potenza. A volte avviene che nel lavoro
di costruire, al filosofo venga fatto di scoprire o inventare una chiave nuova,
che gli altri uomini possono usare, e provare nelle varie serrature. In questo
caso egli sarà ammirato e studiato solo per questa invenzione fortuita o
strumentale, che nelle sue intenzioni non doveva essere che un dettaglio del
grande edificio. E il grande edificio scompare. Dopo un secolo nessuno ci crede
più, nessuno può più abitarvi dentro. Lo si considera come un bel rudero, come
l’interessante documento di un’epoca; lo si apprezza per un certo impulso che
indirettamente, nei coi suoi contorni, ha dato alle lotte e alle ricerche
dell’umanità. Gli storici, gli esegeti, cominciano a scuoterlo per vedere se,
non potendosene più servire in blocco, non si trovi del buono fra il materiale
della costruzione. E cominciano a distinguere “ciò che è vivo e ciò che è
morto” e a manipolare il sistema ai propri fini. Ne risulta che ogni pensatore
viene, di regola, apprezzato dai posteri per motivi che egli non avrebbe
immaginato e che sono estranei alle sue intenzioni fondamentali. Quello che
egli aveva creduto il suo vero apporto alla cultura e alla civiltà viene
considerato inutile. Il dispendio di energie è enorme. Vediamo gli uomini più
intelligenti dell’umanità dirigere tutti i loro sforzi per raggiungere mete che
andranno poi completamente perdute; e 11 necessaria accessoria. FS: accessoria,
sopraggiunta. E. già stato compiuto FS:
già compiuto E. parte FS: porta E. 14
sola chiave, o con FS: sola chiave o con E. 15 Lì si rinchiude; lì FS: Là si
rinchiude, là E. 16 di cartapesta. In poco tempo crolla. Le FS: di cartapesta,
non di mattoni veri. In poco tempo crolla, si disfa. Le E. 17 ricchezza e
maggior FS: ricchezza o maggior E. scoprire o inventare FS: trovare E. 19
possono usare, e provare nelle varie FS: possono usare nelle varie E. 20 rudero
FS: rudere E. 21 nei coi suoi FS: nei suoi E.
scuoterlo FS: smontarlo E. ogni pensatore viene, di regola, apprezzato
FS: ogni pensatore (come spesso anche ogni poeta) viene di regola apprezzato E.
24 immaginato e che FS: immaginato, e che E. Cinque scritti metodologici: 27
siamo costretti a racimolare con fatica alcuni residui del loro lavoro. Nella25
scienza le cose sembrano andar meglio. Siamo per lo meno nel palazzo vero, dove
le camere sono piene di ricchezze; e là dove la chiave ha aperto la porta, la
potenza dell’umanità ne è stata infinitamente aumentata. Ma se la porta non si
apre? Dai Greci al Rinascimento, per duemila anni, gli uomini si sono
affaccendati a costruir26 chiavi di tutti i generi e magnifici palazzi di
cartapesta. Ma nessuna porta dell’edificio vero si è aperta ai loro sforzi. Da
Galilei e Bacone27 in poi, alcune sembrano cedere. Una, quella28 del
meccanicismo fisico si è addirittura spalancata. Ma quante restano ancora
chiuse[!]?29 Quale sarà per esse la chiave giusta? L’abbiamo già in mano o
dobbiamo ancora costruircela? E come sfuggire alla continua tentazione di usare
per ogni porta quella che ha fatto una volta buona prova, col rischio di
rovinare tutto? La filosofia odierna, anziché costruire bei palazzi di
cartapesta, dovrebbe proporsi il compito di affacciarsi a questi problemi, e
tentare di mettere un certo ordine, allo scopo di evitare sforzi inutili e
raggiungere risultati il più possibile concreti. Dovrebbe anzitutto esaminare
le chiavi che abbiamo in mano, cioè i criteri di ricerca, i metodi d’indagine coi
quali noi affrontiamo il reale e cerchiamo di renderlo utile ai nostri usi.
Criteri che, ormai ciò è chiaro a tutti, trasformano31 radicalmente la realtà,
operando una scelta che ci fa scorgere solo ciò che da essi può essere
afferrato. Ciò che noi chiamiamo realtà è evidentemente condizionato non solo
dai nostri sensi, ma da tutto l’insieme delle forme, delle categorie, dei
criteri associativi e interpretativi senza dei quali non ci è possibile di
pensare e di percepire alcunché. Criteri che noi potremo studiare, scomporre,
modificare; senza però poter mai uscire dal campo di un’attività del soggetto
costitutiva della realtà stessa. Noi34 non possediamo, allo stato attuale delle
nostre conoscenze, alcun nesso mezzo per eliminare il sole lato35 soggettivo
della nostra nozione della realtà; anzi abbiamo seri elementi per propendere a
ritenere che la nozione di una realtà oggettiva, da noi indipendente,36 sia
un’ipostasi della nostra mente,37 do25 A capo in E. costruir FS: costruire E. Da
Galilei e Bacone FS: Da Galileo a Bacone E. Una, quella FS: Quella E. 29
Chiuse[!]? FS: chiuse! E. 30 d’indagine a penna nel testo FS: ermeneutici E. che,
ormai ciò è chiaro a tutti, trasformano FS: che – ormai ciò è chiaro a tutti –
trasformano E. Queste righe, e quelle
immediatamente successive, rappresentano una sorta di compendio della filosofia
colorniana, ossia del ruolo essenzialmente critico-metodologioco che, muovendo
«dalla grande scoperta kantiana» (E. Colorni, Filosofia e scienza, p. 240),
essa dovrebbe svolgere. A capo in E.Di seguito in E. alcun nesso mezzo per
eliminare il sole lato a mano nel testo FS: alcun mezzo per eliminare il polo
E. 36 oggettiva, da noi indipendente, FS: oggettiva da noi indipendente E. 37
mente, FS: mente E. C. vuta ad un nostro
fondamentale bisogno di contrapporre alcunché a noi stessi, di urtarci contro
qualche cosa, di polarizzare il contenuto della nostra coscienza in un passivo
ed un attivo. Vedi Fichte (Trascendenza interna)38. Ciò che chiamiamo realtà
non è dunque né l’oggetto né il soggetto39, ma alcunché nella costituzione del
quale il soggetto, con i suoi criteri e le sue categorie, ha una gran parte e41
che noi, per comodità di studio, consideriamo per un istante come dato di
fronte a noi, coscienti che con ciò noi poniamo di fronte a noi qualche cosa
cui partecipiamo noi stessi. Ora questo “qualche cosa” gli uomini si sforzano
di manipolarlo ai loro usi, di penetrare nella sua costituzione, di prevedere
il suo divenire, di costruire in base alle previsioni. A seconda che si accentui
il carattere oggettivo o soggettivo di questo lavoro, lo consideriamo un
“penetrare nelle leggi della natura” oppure un estrarre dalla natura un certo
numero di elementi regolari per usarli a loro vantaggio, un cedere alla natura”
o un “farle violenza”, e si chiamano positivisti o pragmatisti. Ma questa
distinzione riguarda il significato metafisico dell’attività umana, non la sua
conformazione, i suoi procedimenti, il suo fine: che è ciò che c’interessa qui
di indagare per contribuire al progresso dell’umanità46. Lo scienziato non
conosce concretamente un problema del carattere pratico e teorico47 della sua
attività. Egli non si domanda mai, seriamente, se ciò che lo spinge alla
ricerca sia il “bisogno di sapere” inteso come fine a sé stesso, o la speranza
che gli uomini possano ricavare un utile dalla sua scoperta. Egli si dedicherà
secondo la sua attitudine ad un campo più vicino alla ricerca pura o più vicino
alle applicazioni. Ma nella sua mente ricerca e applicazione costituiscono un
tutto unico di cui solo per comodità di studio e per la necessità della
divisione del lavoro egli scinde a volte le parti. La scoperta si considera
come la naturale, evidente premessa dell’invenzione:51 l’invenzione come la
conseguenza della scoperta. L’antitesi positivismo-pragmatismo non ha senso per
lo scienziato, e non moVedi Fichte (Trascendenza interna) FS: (Vedi Fichte,
Trascendenza interna) E. Su questo aspetto della metodologia colorniana, si
legga quanto affermato da Ferruccio RossiLandi, che rileva fra l’altro, negli
scritti colorniani, la presenza di «quel disimpegno dalla visione realistica
del mond che è merito della migliore critica idealistica, soprattutto negli
sviluppi dell’attualismo» (Su i saggi di C., in «Rivista critica di storia
della filosofa né l’oggetto né il soggetto FS: né il soggetto né l’oggetto il soggetto, a mano nel testo FS: l’uomo parte
e FS: parte; e E. A capo in E. un estrarre dalla natura un certo numero di
elementi regolari per usarli a loro vantaggio, FS: un “estrarre dalla natura un
certo numero di elementi, regolarli per usarli a loro vantaggio”; E. 44 “un
cedere FS: un “cedere E. 45 violenza”, e FS: violenza”. E E. 46 per contribuire
al progresso dell’umanità FS: per raggiungere risultati utili e teorico FS: o
teoretico sé FS: se E. 49 dedicherà secondo la sua attitudine ad FS: dedicherà,
secondo le sue attitudini, ad E. Ma nella sua mente ricerca FS: Ma, nella sua
mente, ricerca dell’invenzione:
dell’invenzione; E. Cinque scritti metodologici: difica in nulla il suo agire.
Lo scienziato lavora insomma su qualche cosa che egli ha di fronte a sé e della
quale sono elementi costituenti alcune “forme” e “categorie” che provengono
dalla sua mente, incorniciano la realtà e gliela rendono comprensibile e
afferrabile. Di queste forme o categorie egli ne considera alcune come
appartenenti alla realtà, esistenti assolutamente al di fuori di sé. Quali sono?
Sono quelle cui egli si sente necessariamente legato, di cui non può in alcun
modo fare a meno, senza le quali gli sarebbe impossibile vedere e pensare. Kant
ne ha elencato5 alcune: spazio, tempo, causalità, numero ecc. Egli ha
riconosciuto sì che esse vengono imposte alle cose dallo spirito dell’uomo; ma
col dare ad esse un carattere necessario ed a priori, ha ammonito gli uomini
sulla impossibilità di uscire da esse. Infatti gli uomini comuni, senza
preoccuparsi della loro provenienza e accontentandosi del fatto che di quelle
categorie non si può fare a meno, le attribuiscono senz’altro alla realtà. Ma
l’osservazione di Kant ha messo tutti sul chi vive; e la curiosità di vedere al
di là del “velo di Maja” delle categorie si è fatta sempre più intensa. Si può
dire che la filosofia si sia scissa a questo proposito in due opposte
direzioni, a seconda che l’ammonimento di Kant sia stato seguito o no. Fra
quelli che l’hanno seguito, gli scienziati60 hanno continuato a considerare le
categorie come reali, e a lavorare in un mondo costruito sulla base di queste
categorie, contentandosi a volte di mantenere nello sfondo l’ombra di un
inconoscibile (Spencer, positivisti), oppure62 di acquisire coscienza della
relatività dei loro sforzi, limitando63 il compito della scienza alla
costruzione di ipotesi semplici e maneggevoli (Poincaré, pragmatisti). Su
questa via essi hanno continuato ad ottenere un buon numero di successi,
proseguendo quell’indagine e quello sfruttamento della natura che era cominciato
con Galilei e Newton, e che consisteva nell’uso sistematico di quelle categorie
che poi Kant elencò. Ma si ha già da qualche tempo l’impressione che il campo
stia per esaurirsi e che non restino da fare in questa direzione se non
scoperte particolari di importanza ristretta. I filosofi invece, insofferenti
di qualsiasi dualismo o relativismo, e preoccupati di saldare l’unità del reale,
preferiscono eliminare la tentazione del52 A capo in A capo in E. 54
impossibile FS: assolutamente impossibile E. elencato FS: elencate E. spazio FS: Spazio E. numero
ecc. FS: numero, ecc. E. A capo in E. filosofico FS: filosofico scientifico E.
60 no. Fra quelli che l’hanno seguito, gli scienziati FS: no. (I) Fra quelli
che l’hanno seguito gli scienziati E. categorie, contentandosi FS: categorie;
contentandosi positivisti), oppure FS:
positivisti); oppure E. sforzi, limitando FS: sforzi; limitando E. 64 Newton, e
FS: Newton e di FS:, di I filosofi invece, FS: (b) I filosofi, invece,
C. 30 la “cosa in sé” col negarne addirittura l’esistenza; e attribuire realtà
assoluta al pensiero nella sua forma universale68. In tal modo essi
soddisfecero contemporaneamente all’esigenza Kantiana69 di non uscire dalle
leggi del pensiero e al bisogno tipicamente filosofico di risolvere senza
residui il problema della realtà; incuranti d’altronde se questo loro sistema
li conducesse o no a un qualsiasi risultato apprezzabile che non si limitasse
alla soddisfazione del loro bisogno di completezza. Coloro invece71 che “hanno
disubbidito” sembrano a tutta prima disprezzare l’ammonimento di Kant e
trascurare i limiti da lui posti: ma in realtà sono essi suoi figli molto più
che gli ubbidienti. Quel limite, quella barriera appunto li ha eccitati ad
andare al di là: ha indicato loro la direzione verso cui rivolgersi
Cominciamo74 questa volta dai filosofi. a) - Il filosofo vuol gustare il frutto
proibito. Ma egli sa oramai che non potrà mai raggiungerlo con le categorie,
con75 le quali Kant gli ha indicato così chiaramente i limiti. Egli abbandona
per sempre le illusioni della metafisica e della teologia, cioè i tentativi di
afferrare la realtà assoluta con gli strumenti della ragione; ed76 è alla
continua ricerca di un altro strumento che gli permetta di raggiungere il suo
scopo. Volontà, fede, intuizione, ispirazione: in una parola l’irrazionale è
ciò cui egli si affida. Ad esso egli attribuisce tutte le possibilità che
mancano alle categorie della ragione. Con esso egli afferma di poter aprire tutte
le porte del palazzo. Ma che garanzie gli dà la nuova chiave? Semplicemente di
non essere79 la vecchia. Ogni interpretazione irrazionalistica del mondo, là
dove non consista in esplosioni di entusiasmo, è una polemica contro
l’impotenza della ragione. Polemica spesso acuta e giusta, ma che non
costituisce un motivo bastante per accettare come criterio definitivo tutto ciò
che ragione non è. Le80 esplosioni d’entusiasmo81, invece, sono a volte più
interessanti e fruttifere. Esse ci permettono di penetrare, sia pure in modo
confuso, nella costituzione interna di queste attività irrazionali; di
conoscere un po’ meglio quali siano i loro procedimenti. Ciò che ha paralizzato
però tale indagine e non le ha permesso di dare finora se non scar e FS: ed E. Evidente
riferimento all’idealismo nei suoi diversi modelli. 69 Kantiana FS: kantiana E.
70 se FS: che E. 71 Coloro invece FS: (2) Coloro, invece, E. disubbidito” FS:
disubbidito”, E. appunto FS: appunto, E. 74 Di seguito in E. 75 categorie, con
FS: categorie delle E. 76 teologia, cioè i tentativi di afferrare la realtà
assoluta con gli strumenti della ragione; ed FS: teologia – cioè i tentativi di
afferrare la realtà assoluta con gli strumenti della ragione – ed E. 77 parola
FS: parola, E. 78 A capo in E. essere FS:
esser E. A capo in E. d’entusiasmo FS: di entusiasmo E. Cinque scritti
metodologici: 31 sissimi risultati,82 è che tali attività sono sempre state
descritte appunto col presupposto e con l’esigenza di attribuire ad esse un
valore assoluto, molto superiore a quello della ragione. Preconcetto il quale
ha naturalmente deformato la descrizione ed ha impedito qualsiasi seria
indagine sull’uso che di questi atteggiamenti si potrebbe eventualmente fare.
Anche qui la fretta di chiudere il circolo e il bisogno filosofico di
rinchiudersi in un edificio abitabile in tutte le sue parti ha impedito di
compiere qualsiasi vero progresso. E le interpretazioni irrazionalistiche della
realtà si sono succedute l’una all’altra senza condurre l’umanità ad alcuna
conquista stabile. È questo un fenomeno che si ripete da secoli; ché la
constatazione delle insufficienze della ragione e il tentativo di affidarsi ad
attività irrazionali non data da Kant, ma è vecchio, si può dire, quanto la
nostra civiltà. E la massa di esperienze che si è venuta raccogliendo è83, se non
ordinata, pure imponente; e dà l’impressione di una grande miniera inesplorata85
in cui il materiale prezioso è unito con le scorie. Siamo qui ad uno stadio di
evoluzione e di sfruttamento molto meno sviluppato che nel campo della ragione.
Il materiale della ragione è stato esplorato a fondo, inventariato, ordinato
dal pensiero greco e dalla scolastica. Con Galilei e Newton ha trovato il campo
cui applicarsi, conducendo ai vastissimi risultati che conosciamo. Kant
infine88 ne ha tracciato i limiti segnando insieme (forse un po’ in anticipo)
l’esaurirsi della miniera dal89 quale esso traeva ricchezze. Il campo
dell’irrazionale probabilmente comprende regioni infinitamente più vaste che
quelle della ragione, contenenti materiale dal carattere più eterogeneo, atto
agli usi più disparati. Il fatto solo che siamo abituati a classificarlo
secondo la rubrica negativa del “non rientrare nella ragione” ci mostra lo
stato disordinato delle nostre conoscenze al proposito. Ordinare questo mondo
in modo che ci possa servire, analizzarlo con mente tranquilla e senza
preconcetti entusiasmi od avversioni, liberarlo dal continuo incubo del
confronto con la ragione ed infine tentare se alcuni dei dati così ottenuti ci
possono90 servire come criterio per risolvere qualche problema, come chiave per
aprire qualche porta: ecco il compito che s’impone oggi alla nostra indagine91.
Va92 da sé che i metodi da usarsi non saranno i medesimi che si sono usati per
il mondo razionale: e che l’ordine ottenuto non assomiglierà neppure da lontano
a quello che noi conosciamo nel campo logico-matematico. La parola 82 risultati,
FS: risultati E. raccogliendo è, FS: raccogliendo, è, E. 84 imponente; FS:
imponente: E. 85 inesplorata FS: inesplorata, E. 86 unito FS: misto E. 87 A
capo in E. 88 Kant infine FS: Kant, infine, E. dal FS: dalla possono FS:
possano Nietzsche», afferma C. in Critica filosofica e fisica teorica aveva
indicato, con acredine iconoclasta, il cammino. Ci fu chi lo seguì col pacato
distacco dell’indagatore, ove il riferimento è chiaramente al metodo
psicoanalitico. Di seguito in E. Eugenio Colorni stessa “ordine” non vuole
avere qui che un significato analogico. Si tratterà di attingere nel mondo
stesso dell’irrazionale per trovare in esso dei punti intorno a cui quella
materia possa coagularsi e offrirci dei punti di appiglio per essere da noi
usata. Sarebbe assurdo e avventato dare qui direttive e indicazioni. La
riuscita di questo lavoro dipenderà dalla fantasia e dal fiuto di chi lo compie,
dalla sua capacità di servirsi liberamente di esperienze fatte in altri campi
senza lasciarsene suggestionare, dalla mobilità e ricchezza della sua facoltà
di combinazione. Il risultato massimo sarà di mettere l’umanità in possesso di
una o più nuove chiavi capaci di scoprire nuove leggi del reale o, se
preferite, di costruire nuovi sistemi di concordanze che si offrano al nostro
uso e ci permettano di soddisfare alcuni nostri bisogni. b) - Lo scienziato che
dalla messa a punto kantiana ha ricevuto l’impulso ad andare al di là delle
categorie, non s’indugia però nella ricerca dell’irrazionale, che non offre,
finora, alcuna presa ai suoi metodi. La sua mentalità è ancora imperniata
completamente sul razionalismo logico-matematico, che ha permesso ai secoli
scorsi di compiere le grandi scoperte di cui vive la nostra civiltà. Ed il
superamento che egli vuol compiere non98 è un superamento di principio,
trasportandosi di un salto in un mondo completamente diverso, ma graduale,
volta a volta seguendo le esperienze che non sono giustificabili mediante le
leggi finora conosciute. Egli non si domanda quale sia la realtà assoluta che
si cela agli occhi degli uomini dietro il velo delle categorie; ma piuttosto
come sia possibile apprendere e organizzare il materiale secondo categorie che
siano diverse da quelle finora usate. In questo senso egli è molto meno
realista che il del filosofo idealista o mistico o che lo dello scienziato
positivista. E in questo senso si può quasi dire che egli porti una conferma
sperimentale, se non alla necessità a priori delle categorie kantiane, almeno
alla dottrina kantiana delle categorie. Lo scienziato di regola non ha letto
Kant. dei FS: quei E. campi senza FS:
campi, senza E. concordanze FS: concordanza E. E. logico-matematico, che FS:
logico-matematico che compiere non FS: compiere, non E. di un FS: d’un E. e FS: ed E. che il del FS:
che il E. 102 che lo dello FS: che lo E. Proprio in questo comune punto di
arrivo», scrive Colorni in Critica filosofica e fisica teorica trattando delle
diverse forme della filosofia e della epistemologia postkantiane, «in questa
medesima esigenza, in questa eguale preoccupazione di raggiungere una base
stabile cui si possa attribuire un valore obbiettivo, tali diversi modi di
procedere riconoscono forse tra di sé quella parentela di premesse e di fini
che permette loro di attribuirsi il nome comune di filosofia. La scienza, al
contrario, e precisamente perché figlia della rivoluzione kantiana, rifiuterà
al contrario di operare secondo il criterio delle affermazioni di verità per
muoversi attraverso un procedimento di composizione e scomposizione della
propria materia. sperimentale, se FS: sperimentale se E. 105 Kantiane FS:
kantiane E. Kantiana FS: kantiana E. Cinque scritti metodologici. Ma
l’atmosfera diffusa del Kantismo e la nozione stessa della categoricità del
reale gli suggeriscono di porsi, di fronte ad una nuova esperienza
inspiegabile, nell’atteggiamento di colui che attribuisce tale inesplicabilità
alla violenza che le categorie tradizionali operano sulla ricerca organizzando
ogni dato secondo le loro forme. Dal quale atteggiamento deriva direttamente il
tentativo di modificare le categorie e provarle di nuovo, così modificate, sul
metro della interpretazione scientifica. Modificare, ho detto, non abolire. Qui
si mostra la modestia dello scienziato, il suo voler provare una dopo l’altra
le chiavi, il suo volontario limitare il proprio orizzonte. Da quando egli si è
accorto di usare delle categorie nella formulazione delle sue leggi, è
continuamente tentato di provare che cosa avverrebbe se queste categorie
fossero fatte altrimenti. Come si comporterebbero i fenomeni in uno spazio che
non sia quello euclideo? Materia, energia, sostanza, causalità. Che aspetto
avrebbe un mondo in cui queste categorie si presentassero con caratteri diversi
da quelli che hanno finora avuto? L’elemento a priori del reale, divenuto
cosciente nell’uomo, comincia ad eseguire un gioco di spostamenti, di
retrocessioni, di modificazioni tale da trasformare completamente l’immagine
della realtà sulla quale gli uomini lavorano: come un obbiettivo che abbia imparato
ad aprirsi e a chiudersi, a mettersi a fuoco a seconda delle esigenze
dell’oggetto da ritrarsi. E se da un lato si può dire che questo accomodamento
delle categorie viene imposta dalle modalità della ricerca scientifica, cioè
dalle esperienze e dalle osservazioni che non è possibile far rientrare nelle
categorie finora usate (cioè quelle dell’universo newtoniano), d’altro lato è
avvenuto forse che gli scienziati, tratti dalla vaga sensazione di essere sul
punto di crearsi nuovi strumenti per l’apprensione del reale, fossero attratti
appunto da quelle esperienze che dei nuovi strumenti potessero aver bisogno.
L’esperienza non è mai evidentemente qualche cosa di puramente passivo, e vi è
sempre un motivo perché lo sperimentatore raccolga la sua attenzione su di un
fatto piuttosto che su di un altro108. Comunque se la conformazione delle
singole categorie è stata fortemente modificata dalla scienza moderna, non è
stata modificata, anzi è stata rafforzata la coscienza della categoricità del
reale. Il filosofo può giungere con ragione alla conclusione che le nuove
teorie fisiche non hanno intaccato la concezione Kantiana del mondo. Noi
diremmo che esse hanno tratto da quella concezione le uniche conseguenze che
aprono alla mente umana nuove indefinite prospettive di ricerca. Le quali non
consistono in una vaga e problematica evasione dalle categorie, ma in una
tranquilla accettazione del fatto che non è possibile prescindere da una
“categoricità”. Accettazione che permetta però la continua revisione delle esistenti.
Kantismo e la nozione stessa FS: kantismo e la nozione stessa E. Da questo
punto comincia la conclusione assente nelle precedenti edizioni del testo.
Sulla revisione colorniana del concetto di esperienza, cfr. supra § 3. 109 C.
non si astiene mai dal sottolineare, nei suoi scritti metodologici, «quanto
vantaggio derivi alla scienza stessa dall’eliminazione del suo substrato
metafisico-finalistico» (C., Del finalismo nelle scienze. Cfr. p.e. Id.,
Critica filosofica e fisica teorica. Non c’è miglior propaganda per un nuovo
atteggiamento intellettuale e morale che il fatto che esso si dimostri una
chiave capace di aprire molte porte nel campo della scienza e della
conoscenza». C. 34 categorie; cioè di quelle categorie dalle quali la mente
umana al suo stato attuale non può prescindere. Non è forse inutile precisare
che tale revisione non ha nulla a che fare con quelle discussioni sulle
classificazioni delle categorie di cui i filosofi così spesso si dilettano. Non
si tratta affatto di discutere se le categorie siano dodici o dieci, o quattro
o una. Se il “finalismo” costituisca una categoria a sé o rientri in un’altra.
Se l’“economico” e l’“estetico” siano modi autonomi o meno di considerare le
cose. Non si tratta di organizzare le forme conosciute del pensiero, e
accordarsi su quali si debbano considerare originarie, quali derivate. Il
lavoro da compiersi è molto più profondo e creativo. Si tratta di dare allo
spirito umano la possibilità di vedere le cose in modo completamente diverso da
quello usato finora; di fornirlo di un nuovo senso, mediante il quale egli
possa scoprire cose finora sconosciute, risolvere problemi finora insolubili.
L’atteggiamento “critico” in senso kantiano si mostra così come l’ultima fase
di tutta un’epoca e di un modo di prendere contatto col reale. La scienza messa
nella possibilità di prendere piena coscienza non solo dei propri metodi, ma
delle premesse necessarie di ogni sua costruzione, riceve da ciò l’impulso a
superare tale necessità ed a crearsi premesse nuove. Il lavoro che qui compie
lo spirito non ha solo i caratteri di una ricerca intellettuale. Ne fanno parte
alcuni atteggiamenti che possiamo raccogliere sotto il nome generico di morale.
Si tratta di uno sforzo violento contro un modo di considerare le cose cui
tutto ci tiene legati, di tendenze alla liberazione, di salti fuori dal mondo
cui si apparteneva. Si cerca di rifarsi una “nuova mentalità”, di vedere le
cose con occhi diversi, di ritornare semplici, di rifiutare le costruzioni già
fatte. Ci si affida alla fantasia, all’invenzione, all’intuizione, per
immaginarsi mondi diversi da quello che siamo abituati a vedere. Tutti questi
movimenti di conversione dello spirito, che siamo abituati [ad] attribuire al
mistico o all’uomo desideroso di purificazioni o di visio. È questo il tema
affrontato fra l’altro nel dialogo di Commodo dedicato a Dell’antropomorfismo
nelle scienze, là dove C., stabilendo la necessità di rovesciare l’umana
tendenza a ricreare una natura fatta a propria immagine e somiglianza,
distingue due differenti forme di antropomorfismo, a seconda che si sia o meno
consapevoli – e si sappia quindi controllarne i risultati – della nostra
impossibilità di prescindere dalla “categoricità del reale”: il primo
antropomorfismo è «una constatazione, o meglio una necessità, dalla quale non
siamo riusciti a uscire, l’altro è invece una esigenza. Ora io odio le
esigenze. Non ho nemmeno alcun motivo di amare le necessità, ma da queste non
vedo alcun modo per liberarci, se non illusoriamente. Evidente riferimento allo
storicismo crociano, su cui Si mostra qui, in tutta la sua originalità, il
senso più profondo che Colorni attribuisce al kantismo all’interno della storia
del pensiero filosofico e scientifico della modernità. C., Critica filosofica e
fisica teorica, ove si sottolinea il carattere essenzialmente morale che
caratterizza il primo impulso alla scoperta scientifica: «alla base di ogni
grande scoperta, di ogni rivoluzione nel campo della scienza, c’è una conquista
morale; l’abbattimento di un idolo saldamente insediato e abbarbicato fra le
pieghe della nostra anima, di cui è estremamente difficile accorgersi,
estremamente doloroso liberarsi; idolo fatto per lo più di un cieco ed
infantile amore per noi stessi, di un bisogno di sentirsi circondati da forze a
noi congeniali, di veder ripetuto nell’universo, nella realtà oggettiva, ciò
che sperimentiamo nel nostro intimo». Cinque scritti metodologici: 35 ni, non
devono essere stati estranei a chi si è sforzato per il primo di immaginare la
terra rotonda anziché piana, o il sole immobile e non la terra in mezzo ai
pianeti, o lo spazio a quattro e non a tre dimensioni. Solamente che mentre il
mistico suole descrivere molto accuratamente il processo della conversione, ma
si ferma solo ad esso e non ci dà alcuna garanzia quando comincia a parlare di
ciò che egli trova “al di là”, lo scienziato invece compie la conversione
silenziosamente, spesso quasi inconsciamente; ma giunto al di à, cioè al nuovo
punto di vista, è sollecito ad occuparsi solo di ciò che sia non dico vero in
senso assoluto, ma usabile, cioè organizzabile in un ordine, in una legge. E
per giungere a ciò escogita esperimenti e controlli che gli diano la garanzia
di camminare su un terreno sicuro, sul quale sia possibile ai suoi strumenti di
far presa. L’“al di là” non è affatto una negazione del di qua, non è un
assoluto privo di categoria. È un mondo di nuove categorie che pretendono di
essere più vaste, di comprendere in sé anche le vecchie. Rotondo anziché piano,
meccanismo anziché finalismo, probabilità statistica anziché determinazione
causale. La validità delle nuove chiavi è determinata dal loro uso, cioè dalla
maggiore o minore possibilità che esse offrano di spiegare fenomeni, di risolvere
problemi, di formulare leggi. La maggiore difficoltà consiste nell’abituarsi al
nuovo modo di vedere. Non esiste neppure un vocabolario che permetta di
esprimere le cose nei termini delle nuove categorie, e si è comunemente
costretti a ricorrere a metafore tratte dal mondo vecchio. Gran parte del
lavoro, nei primi tempi, consiste nell’escogitare una formula di trasformazione
che permetta di passare agevolmente dai termini delle vecchie categorie a
quelli delle nuove. Come le leggi della prospettiva mi permettono di
rappresentare su un piano ciò che ha un volume nello spazio, così le
“trasformazioni di Lorentz” mi permettono di usare gli strumenti a mia
disposizione (calcolo, misura, ecc.) nello spazio normale, per il nuovo spazio
einsteniano; analogamente la psicanalisi tenta di tra Il dominio della natura è
divenuto così il prezzo dell’incredulità. È come se la grazia venisse a toccare
proprio colui che ha cessato di sperarla. Il coraggio di riconoscersi
abbandonato da Dio, di rinunciare ad essere il centro e lo scopo dell’universo,
apre immediatamente l’occhio agli uomini, li arricchisce d’un immenso
patrimonio. A bella posta abbiamo espresso queste cose in un linguaggio
mistico. Quando Kant parla di rivoluzioni dovute all’ardimento di un sol uomo,
di illuminazioni subitanee, di vie improvvisamente aperte a chi brancolava alla
cieca, c’è in lui sicuramente la coscienza che una vera grande conquista
conoscitiva è sempre frutto – più che di uno sforzo logico o di uno sviluppo
dialettico – di un capovolgimento affettivo e morale; di una inversione di valori,
di una vittoria conquistata contro se stessi e contro ciò cui con più profondi
e tenaci ed inconsci vincoli siamo legati. Chi compie per primo un
capovolgimento deve anzitutto combattere nel suo intimo una lotta non molto
diversa da quella che combatte l’uomo che voglia raggiungere lo stato di
perfetta passività ed umiltà di fronte al suo dio. Molinos diceva che non
bisogna chiedere nulla a Dio, neppure la propria salvazione. Lo scienziato deve
pure rinunziare all’idolo di una natura che parli il suo medesimo linguaggio,
di un mondo organizzato in vista dei suoi bisogni e dei suoi organi. Solo
questa assoluta vuotezza e purità, questa mancanza di anticipazione gli
permetterà di aprire gli occhi su se stesso e sul mondo». L’osservazione
rientra pienamente nell’antirealismo della metodologia colorniana. D’altra
parte, risulta di particolare interesse il tentativo di delineare le
caratteristiche che dovrebbero assumere le nuove categorie rispetto a quelle
che volta per volta si vanno ad abbandonare. Eugenio Colorni sformare in
termini della coscienza ciò che è inconscio. Mediante tali trasformazioni si
aiutano anche gli altri uomini a trasportarsi sul nuovo piano; si forniscono
loro, per così dire, gli occhiali che permettono di vedere con la nuova
illuminazione, finché non si sarà tanto avvezzi da poter fare a meno di occhiali,
ed usare un linguaggio diretto. Ma il linguaggio appunto serba sempre le tracce
di ciò, e le etimologie documentano spesso tali mutamenti di registro. Tale è,
presso a poco, lo stato delle cose attualmente. Si veda, fra i riferimenti
colorniani alla psicoanalisi e a mero titolo di esempio, quanto è dall’autore
affermato nel dialogo intitolato Della lettura dei filosofi. La psicanalisi è
una scienza ad uno stadio che corrisponde circa a quello dell’astronomia prima
di Copernico, e dell’alchimia prima della chimica. Ha individuato in modo vago,
mitico, pieno di pregiudizi e di troppo rapide generalizzazioni, delle relazioni
e dei rapporti finora inosservati. Ha abbozzato una parvenza di metodo di
ricerca: metodo talmente incerto e malsicuro che il più delle volte conduce a
risultati opposti a quelli che si volevano ottenere. Ma insomma, si muove in un
campo completamente sconosciuto, e il materiale che sta portando alla luce è di
un tale interesse, che il rifiutarlo solo perché non è stato ancora capace di
organizzarsi secondo gli aurei schemi del metodo scientifico mi sembra il colmo
del filisteismo professorale». L’accenno alla possibilità di una condurre una
vera e propria analisi categoriale attraverso lo studio del linguaggio è forse
uno degli aspetti più interessanti ed originali di queste pagine Cinque scritti
metodologici Commodo a Ritroso Vedo che non sei sazio di facili vittorie. Se il
tuo scopo era di dimostrare che tu sai l’economia e io no, l’hai raggiunto
pienamente, a tua perenne gloria e soddisfazione. Ma se io volessi ritorcere le
tue intimazioni sulla mia abilità nelle scienze di cui mi occupo, ti direi che,
con tutta la tua bravura, non sei stato neppure capace di chiarire il mio
dubbio. Non te lo dico, perché sono sicuro che ci saresti riuscito facilmente,
solo che ti fossi occupato di capire attraverso gli sbagli e le imprecisioni,
quello che ho cercato di dire, anziché limitarti a sfogare a tua rabbia. Se un
dilettante o un principiante di teoria della scienza mi viene a parlare di
corpo rigido in un senso errato e diverso da quello usato dai fisici, io cerco
di capire quale concetto egli cerchi di adombrare dietro al termine improprio;
e mi guardo dal cedere alla meschina soddisfazione di prenderlo in castagna ad
ogni parola. Il fare così, con tua buona pace, si chiama in italiano pignoleria.
Io non voglio prendere sul serio questo tuo modo di discutere che è
probabilmente solo una reazione alla mia aggressività, e il riflesso di
arrabbiature prese non in questa ma in altre discussioni. E non ho ancora perso
la speranza di trovare in te un esperto ed aperto iniziatore ai problemi
dell’economia, anziché un geloso e gretto sacerdote del tempio della scienza.
Questo metodo, hai ragione, è supremamente irritante e presuntuoso; ma a me è
molto utile, perché mi permette, fra l’altro, di appropriarmi i concetti
fondamentali con maggiore consapevolezza, senza subirli, e mantenendo rispetto
alle scienze quel certo distacco che è pur necessario al critico e al
metodologo. Una nozione si forma molto più salda nella mia mente, quando ha
resistito vittoriosamente ai miei ripetuti attacchi, che quando l’ho dovuta
imparare dalle pagine di un manuale. 1 FS, sez. 1, Carte personali, serie 2,
Documenti diversi, b. 3, Inediti di C. Per la storia di questo scritto in
relazione agli altri dialoghi economici colorniani, si rinvia alla Nota del
curatore. Così si rivolge Commodo a Ritroso in C., Dell’antropomorfismo nelle
scienze. Mi pare che tu sia un po’ troppo attaccato, o Ritroso, alle
prerogative professionali. Sei proprio sicuro che l’aver frequentato una scuola
ufficiale e aver letto molti trattati, e avere una lunga consuetudine coi ferri
del mestiere, sia una condizione assolutamente necessaria per capire qualche
cosa dei principî fondamentali di una scienza? Non vi è mai capitato di dover
dire a una persona una di quelle cose scottanti, dopo le quali non si ha più il
coraggio di guardarsi negli occhi? Ebbene, se voi scegliete il partito di
prenderlo in disparte con tono mansueto e fraterno, mostrandogli comprensione
ed affetto, e lo consolerete, e cercherete di addolcirgli in tutti i modi la
pillola; se farete questo, siete dei volgari istrioni, innamorati di voi
stessi, infatuati della vostra funzione, incapaci di comprendere e di amare
l’amico. Voi vorreste assestargli il colpo che darà inizio per lui a una
dolorosa lotta contro se medesimo, e in più avere la sua gratitudine, la sua
ammirazione. Vorreste, nel momento in cui egli si sente basso e spregevole,
apparirgli voi come l’arcangelo liberatore, il puro, il disinteressato,
l’immacolato. Se vi prende a calci, è il meno che possa fare. Ditegli invece le
medesime cose in un accesso di rabbia, in una lite violenta, in cui voi avrete
almeno altrettanto torto quanto lui. Buttategli in faccia queste verità come
veleno che schizzi dalla vostra lingua; dategli un appiglio per difendersi,
un’occasione di odiarvi, di considerare tutto ciò che gli dite come falso e
malvagio. Il vostro C. Non so se questo possa servire agli occhi tuoi da
giustificazione. Non credere che questo metodo sia in me qualche cosa di
cosciente e di voluto. Me ne accorgo oggi per la prima volta, cercando di
analizzare perché le tue accuse mi colpiscono e insieme non mi colpiscono.
Delle tue osservazioni incasso senz’altro la lezione sulla matematica; io non
avevo avuto altra intenzione che di riinventare per conto mio quell’ombrello; e
naturalmente l’ho inventato più brutto, più goffo e confuso di quello che c’è
già. Il solo punto che non mi è ancora chiaro è quello indicato nell’accluso
foglietto. Mi basta che tu risponda a monosillabi e credo che non ci perderai
più di un quarto d’ora. Da principio mi sono preso una solenne arrabbiatura, e
ti avevo già risposto una lettera piena d’insolenze. Poi, nel rileggere tutto
insieme a mente più calma, ho visto che in fin dei conti hai tutte le ragioni.
Ma, poiché le tue accuse mi toccano solo in un certo speciale modo, vorrei
spiegarti quanto segue a puro titolo di chiarimento personale: Da uno che si
avvicina ad una scienza che non conosce è giusto di pretendere che lo faccia
“con le ginocchia della mente inchine” pronto ad apprendere anziché a
criticare. Gli s’impone, e ben a ragione, un lungo e silenzioso noviziato, solo
finito il quale gli si potrà accordare voce in capitolo. Tutto questo è giusto
(e lo dico senza la minima ironia). Ma il risultato è che un uomo, di solito,
di questi noviziati ne fa uno solo, e vi resta legato per tutta la vita. Si
specializza in una materia, e da essa non esce, salvo che per excursus curiosi
e dilettanteschi. Ora a me questo non è concesso, giacché i miei interessi più
specifici si rivolgono alla metodologia delle scienze. E dato che mi farebbe
schifo risolvere il mio problema dall’alto, escogitando un paio di criteri
filosofici e applicandoli poi come chiavi capaci di aprire tutte le porte6;
sono costretto ad avvicinarmi a insegnamento allora penetrerà nel suo cuore in
modo umano, lieve, benefico. Egli sarà libero di accoglierlo come cosa sua, e
avrà modo di stimare se stesso per non avervi serbato rancore. Nella sua
accettazione ci sarà il senso di fare una conquista, di costruire qualche cosa.
Non vi temerà. Che sia questo il senso del mito di Nereo, l’indovino col quale
bisognava azzuffarsi perché si decidesse a profetare?». Su questa immagine del
mito di Nereo, rinvio ad A. Cavaglion, «Il mio poeta». Colorni, Saba e la
psicoanalisi, in G. Cerchiai e G. Rota, C. e la cultura italiana fra le due
guerre, Cfr. quanto spiegato nella Nota del curatore. Citazione a senso da
Vergine bella, che di sol vestita, dal Canzoniere di Petrarca. E. C.,
Giustificazione, Colorni disprezza coloro che chiamano filosofia l’aver trovato
una formula per interpretare il mondo. La metafora della chiave è spesso
utilizzata da Colorni per indicare precisamente l’errore di scambiare la
ricerca filosofico-scientifica con la scoperta di un criterio esplicativo unico
ed onnicomprensivo. Su tale metafora cfr. anche Programma. ciascuna scienza,
non per esserne genericamente informato, ma con l’impegno di osservarne con
occhio critico gli interni meccanismi e cavarne conclusioni non genericamente
filosofiche, ma che possono aiutare il procedere della scienza stessa. Se
voglio far questo è chiaro che non posso pretendere di sfuggire al noviziato
più severo, in ciascuna delle scienze cui mi avvicino. E non mi sogno di
sfuggirvi. Posso però cercare di rendermelo più piacevole. Il metodo che,
inconsciamente, ho trovato, è questo: Anziché accostarmi a grossi trattati con
fare accogliente e passivo, pronto ad imparare e ad adagiarmi nell’ordine della
loro esposizione, io parto con la lancia in resta, pieno di idee sballate e
confuse, sfondando porte aperte ad ogni passo, ed inventando ombrelli,
desideroso di scontri e di battaglie. Da ogni scontro esco ammaccato e contuso
(come da questo con te) ma con un’idea più chiara. Ogni knoch out subito mi fa
fare un passo avanti nella comprensione della scienza. Così non evito
naturalmente, lo studio; e della lettura dei trattati non posso certo fare a
meno: ma mi riesce più piacevole leggerli come appassionati combattenti,
piuttosto che come amorosi pedagoghi. A patto, s’intende, di non impuntarsi
mai, e di essere pronto a riconoscere la sconfitta. Laboratorio dell’ISPF. Geri
Cerchiai ISPF-CNR, Milano. Laboratorio dell’ISPF. Saggi di Colorni conservati
presso la “Sapienza” Università di Roma, Biblioteca del dipartimento di Fisica,
Fondo Somenzi. In essi Colorni espone alcuni dei punti chiave della propria
metodologia, delineando una proposta epistemologica destinata ad essere
riscoperta e apprezzata dopo la caduta del regime fascista, nel secondo
dopoguerra. Carlo Rosenberg. ‘G.
Rosenberg’. ‘Agostini’. ‘Franco Tanzi’. Oggettivismo e armonia. - L a filosofia
leibniziana ha ai suoi inizi un carattere nettamente oggettivistico.
Intendiamo 'lire con questo che non si trova al cent ro di essa alcun
problema che riguardi la maggiore o minor validità della nostra conoscenza
delmondo esterno, nè in genere che tratti dei rapporti fra conoscente e
conosciuto. 11 relativismo che deriva al sofista dall’osservazione che «
l’uomo è misura di tutte le cose » è estraneo a Leibniz: egli studia il
reale in sè stesso, nella sua essenza divina od umana, secondo le sue
leggi razionali o empn iene. Egli parte dal dato di fatto del mondo in tutti i
suoi aspetti, che vuole scrutare, comprendere, ridurre a unità, a
formule semplici e facilmente apprendibili, trasportando nel campo
filosofico e metafisico l’atteggiamento onde i suoi grandi predecessori o
contemporanei, Copernico, Galileo, Newton, ave\uno improntato la loro indagine
del mondo fìsico: un tentativo di visione complessiva, armonica, coerente di
tutti i latti presi a studiare; una ricerca di ipotesi che diano
una spiegazione del tutto, quanto più omogenea e lineare possibile.
A un tale atteggiamento egli si avvicina, piuttosto che a quello di
Cartesio, il quale vuole dedurre il mondo con le sue leggi da un solo
principio posto inizialmente come unico valido. . me ! ltre con la
filosofia cartesiana molti saranno i rapporti di Leibniz nella
formulazione e nello sviluppo dei vari proficui 1, egli se ne differenzia però
fondamentalmente per la sua concezione essenziale del mondo come un
complesso a sè stante, di cui si debba ricercare un principio
unificatore, e non come qualche cosa di inizialmente problematico, la cui
esistenza e le cui leggi debbano venir dimostrate e dedotte. Se in
quest'ultimo atteggiamento si vuol far consistere la linea direttrice del
moderno gnoseologismo e in genere della filosofia moderna, bisognerà dire che
da tale direzione Leibniz si discosta, tenendosi piuttosto per questo
riguardo sulla linea del pensiero greco, in un atteggiamento che potremmo
avvicinare a quello di Aristotele. La filosofia (sapientia)
consiste essenzialmente nella conoscenza perfettissima della natura. E da che
cosa, se non dalla filosofia, sono dimostrate con tanta evidenza
non solo l'essenza e le funzioni della natura, ma la cura speciale che
essa ha per ogni singola cosa, e il fatto che essa non si è limitata a
creare ima volta le cose dal nulla, ma continuamente le crea e risuscita
? Devo dire che, quando ebbi compreso tutta la forza di questi
ragionamenti, esultai e mi rallegrai per la filosofìa, la quale sembra
finalmente volersi l’appacificare con la religione; con la quale,
non per sua colpa, ma per le opinioni e i giudizi temerari degli uomini,
o anche a causa di espressioni e termini mal scelti, sembrava male
conciliarsi. Cessino dunque gli uomini pii e accesi dallo zelo della
gloria divina, di aver timore della ragione; basta che si studino di
raggiungere la ragione retta.... E i filosofi, dal canto loro, tralascino
di riferire tutto all' immaginazione e a figure, e di accusare come
vanità o impostura tutto ciò che si oppone a quelle nozioni crasse e
materiali, nelle quali taluni credono di poter circoscrivere tutta la
natura. (Dialogo Pacidius Philalelhi). Questo studio
oggettivo della natura nelle sue leggi, e questo sforzo di una visione
unitaria del tutto, conduce Leibniz a complessi e armonici panorami, in
cui fede e ragione, mondo divino e mondo umano, scienze naturali e
scienze metafisiche si organizzano in un ordine omogeneo. L'arniomo è ciò
cui egli tende con tutte le sue forze di scienziato e di pensatore.
Fin dai suoi anni giovanili, il miraggio di un'armonia universale è al centro
dei suoi pensieri. L fisici dei nostri tempi, ricercando le cause
materiali delle cose, trascurano quelle razionali. E invece la
sapienza dell Autore supremo riluce principalmente nell’aver così
costruito I orologio del mondo, che tutto ne derivasse come per
necessità, per la suprema armonia dell’ universo. Vi è dunque bisogno li
filosofi naturali che non introducano soltanto la geometria nel campo
delle scienze fisiche (dato che la geometria manca di cause finali) ma
rendano anche manifesta nelle scienze naturali un’organizzazione,
per così dire, civile. 11 mondo è infatti come una grande repubblica in
cui gli spiriti corrispondono agli uomini liberi (cittadini o nemici) le
altre creature agli schiavi. (Lettera al Thomasius). In
questa su prema armonia tutte le scienze, tutti i modi di considerazione
del mondo si conciliano ed unificano. Risolvere inizialmente il labirinto
del continuo e del movimento, che avvolge nelle sue complicazioni tutti
gli ingegni, è impresa di grande importanza per stabilire i
fondamenti delle scienze e rintuzzare la vanagloria degli scettici ; per
dare una solida base alla geometria degli indivisibili e alla aritmetica degli
infiniti, generatrici di tanti e così importanti teoremi; per elaborare
un" ipotesi fisica di coerenza universale; infine, e questo è
l'essenziale, per arrivare a dimostrazioni assolutamente geometriche,
e finora mai raggiunte, sull intima essenza del pensiero e sull
eternità dello spirito (1) e sulla causa prima. Di qui sgorgano le fonti
della bontà e dell’equità, del diritto e delle leggi, così chiare e
limpide, così piccole d’estensione e insieme profonde di contenuto, da
poter valere come grandi volumi, e da poter bastare alla soluzione di
qualsiasi problema, con una compendiosita stupefacente per []. CON
LA PAROLA ‘SPIRITO’ TRADURREMO IL TERMINO LATINO “MENS”] chi ne faccia uso, e di
cui il volgo, io erodo, non ha neppure 1’ idea (1).
(Hgpothesis phyaica nova, T /noria motus abstracti, pref.). A quest’
idea della coincidenza di ogni forma di realtà e di ogni metodo d’
indagine nella suprema armonia e coerenza della natura, si riallacciano i
progetti, perseguiti da Leibniz lungo tutta la sua carriera, di
un’organizzazione sistematica delle scienze, di un’ Enciclopedia in cui
di tutto il sapere si desse una visione complessiva, concordante e
concaten antesi in tutte lo sue parti; progetti, questi, che richiamano
alla Pansofia eomoniana e per realizzare i quali Leibniz si fece
promotore di società scientifiche e fondatore di accademie.
Quest'armonia, però, come si è visto, non deriva in alcun modo da
un concepire tutte le scienze come prodotto dello spirito umano, quindi
soggette alle leggi di esso; essa è l’espressione di una realtà divina
oggettiva, a sè stante, con le sue leggi concordanti e armoniche. La
scienza scopre questa unità noi mondo, attraverso lo leggi dello spirito,
che corrispondono, in virtù dell armonia stessa, alle leggi del
mondo. Verità di ragione e di fatto. - Questa realtà
oggettiva può presentarsi sotto due aspetti : come verità di ragione
« verità di fallo ; anno questi i due modi di essere del reale,
retto ciascuno da leggi proprie, ciascuno con proprie
inconfondibili caratteristiche, cui corrispondono poi anche i due diversi
modi di apprensi one del reale: razionale e sensibile. Ecco due definizioni
di questi due tipi di verità, prese da due opere distantissime per data e per
argomento: Le verità di ragione sono necessarie, quelle di
fatto sono contingenti. Le verità primitive di ragione sono
(1) Quale sia il significato (lei termini .j ni adoperati (continuità,
indivisibile, infinito, pensiero, ecc.), si vedrà in seguito. Comenio,
noto principalmente nel campo della pedagogia per la Bua Dì*ìar.tica
Magne r, concepì il sapere come un'organizzazione di ogni elemento della
conoscenza secondo leggi universali (Pansofia), trasformando il concetto
di enciclopedia da quello di una semplice raccolta di dati, a quello di
una sistemazione unitaria dei dati stessi. Leibniz conobbe ed apprezzò
grandemente le sue opero. quelle che io chiamo con nome generale
identiche, poiché sembra che esse non facciano che ripetere la
medesima cosa, senza insegnarci nulla. Esse sono affermative o negative.
Le affermative sono sul tipo delle seguenti: Ogni casa è ciò che è. e in
qualsivoglia esempio A è A, lì è B; io sarò quel che sarò; ho scritto
quel che ho scritto. Le proposizioni copulative, le disgiuntive, e altre,
sono pure suscettibili di tale identità; e io considero affermativa anche
la seguente: Non-A è nou-A; e l'ipotetica: se A è non-B, ne segue che A è
non-B. Similmente se non-A è BC, ne segue che non-A è BC. Vengo ora a
parlare delle identiche negative che sono rette o dal 'principio di con
trad izione (1) o da quello dei disparati. Il principio di contradizione
è in generale il seguente: una proposizio-ne è vera o falsa. Il che
contiene due enunciazioni vere: l una che il vero e il falso non
sono compatibili nella medesima proposizione, ovvero che una
proposizione non può esser vera e falsa contemporaneamente ; l'altra che
l’opposto o la negazione del vero e del falso non sono compatibili,
ovvero che non vi è via di mezzo fra il vero e il falso; o, in altri
termini, che non è possibile che una proposizione non sia nè vera nè falsa (2).
Óra. tutto ciò è vero anche in tutte le proposizioni particolari
immaginabili, come: ciò che è A non potrebbe essere non-A,...
Quanto ai disparati, sono quelle proposizioni che dicono che I oggetto di
un’ idea non è l’oggetto di un’ altra idea; per esempio, che il calore
non è la medesima cosa che il colare, oppure che uomo e animale non sono
la medesima cosa, per quanto ogni uomo sia mi animale. Tutto questo si
può stabilire indipendentemente da qualsiasi Leibniz, come molti altri,
chiama « principio rii contradizionc >; quello che dovrebbe essere
chiamato più esattamente « principio di non contradizionc ». È questo il
principio che si suole chiamare del «terzo escluso», prova o dalla
riduzione all' assurdo o al principio di contradizione, quando tali idee siano
abbastanza evidenti da non aver bisogno di analisi: ma in caso contrario
c’è pericolo d’ ingannarsi: infatti, dicendo che triangolo e trilatero non sono
la medesima rosa, si cadrebbe in errore: perchè, a ben considerare, si
vede che i tre lati e i tre angoli vanno sempre insieme. Dicendo che il
rettangolo quadrilatero e il rettangolo non son la medesima cosa,
si sbaglierebbe ancora, perchè solo il poligono a quattro lati può
avere tutti gli angoli retti. Tuttavia si può sempre dire in astratto che
il triangolo non è il trilatero, o che le ragioni formali del triangolo e
del trilatero non sono le medesime, per dirla coi filosofi. Sono
espressioni diverse della medesima cosa. Taluno, dopo aver
ascoltato con pazienza ciò che abbiamo detto finora, la perderà infine, e dirà
che noi ci divertiamo a fare frivole enunciazioni, e che tutte le
verità identiche non servono a nulla. Ma un tale giudizio dipeli derrebbe
dal non aver abbastanza meditato su queste materie. Le dimostrazioni di logica,
per esempio, procedono dai principi dell - identità : e i geometri hanno
bisogno del principio di contradizione nello loro dimostrazioni per
assurdo. Contentiamoci qui di mostrare l’uso delle proposizioni identiche nelle
dimostrazioni degli sviluppi di ragionamento. Segue lo
sviluppo di queste tesi e altre considerazioni sulI applicazione del principio
di contradizione ai procedimenti logici. Ciò mostra che anche
le pili pine e apparentemente inutili fra le proposizioni identiche, sono
di grande utilità TI tonnine è scolastico-aristotelico, come del resto
tutti i concetti logici di cui si parla in questo brano. nei
procedimenti astratti e generali: e ci può insegnare che non si deve
disprezzare nessuna verità. Quanto alle verità primitive di fatto, sono le
esperienze immediate interne di una immediatezza di sentimento.
(Nuovi saggi). Bisogna avvertire che tutta l'arte
combinatoria si rivolge a teoremi, o proposizioni di verità eterna,
che hanno validità non per arbitrio di Dio, ma per loro propria
natura. Quanto alle proposizioni singolari e per cosi dire storiche, come
p. es. « Augusto fu imperatoredei Romani ». o alle osservazioni cioè alle
proposizioni clic sono sì universali, ma la cui verità non si fonda
sull’essenza ma sull’ esistenza, e che sono vere quasi per caso, cioè per
arbitrio di Dio. come p. es. « tutti gli uomini adulti in Europa hanno
cognizione di Dio»; di tali proposizioni non si dà dimostrazione, ma induzione,
salvo il caso in cui sia possibile dedurre un’osservazione da
un'altra osservazione attraverso un teorema. A tali osservazioni si riferiscono
tutte le proposizioni particolari che non siano inverse o subalterne di
una universale (2). È chiaro da ciò in qual senso si soglia dire che
dell’ individuale non si dà dimostrazione, e per qual ragione il profondissimo
Aristotele abbia collocato nella Topica i luoghi degli altri argomenti in
cui le proposizioni sono contingenti e le ragioni probabili, mentre il
luogo delle dimostrazioni è uno solo: la definizione (3). Ma quando di
una cosa si deve dire ciò che non si desume dalle sue stesse
viscere, I/artc combinatoria, cui questo passo si riferisce, verrà presa
in considerazione in seguito. Inverse o subalterno di una universale
sarebbero per esempio le prò posizioni particolari dei sillogismi, le
quali hanno sempre carattere analitico. (3) Aristotele tratta nei
libri Topici dei «luoghi » (TÓ7tot)o aspetti sotto i quali ciascuna cosa
può venir considerata. Ivi tiene anche conto dei criteri di probabilità, di
induzione; mentre la dimostrazione e il sillogismo venzono trattati nei
due Analitici. p. es. che
Cristo è nato a Betlemme, nessuuo potrà arrivare a tali proposizioni attraverso
le definizioni, ma la materia sarà fornita dalla storia, e i testi
sovverranno alla memoria. (Ars Combinatoria). Lo verità di
ragione si fondano dunque su puri principi logici ; quelle di fatto invece
sull’esperienza. Le une riguardano 1 'essenza, le altre V esistenza-,
quelle il necessario, queste il contingente. Le verità di ragione
sono analitiche. Esse non tanno ohe sviluppare ciò che è già contenuto nelle viscere
di ciascun concetto, non aggiungono cioè nulla alla nostra conoscenza
delle cose; costituiscono la base del ragionamento deduttivo. Le
scienze che da esse derivano sono le logiche e matematiche; i principi su
cui si fondano sono quelli di non còntradizione, del terzo escluso, che
poi si riducono tutti al principio di identità. Le verità di fatto
sono empiriche. Nelle proposizioni che da esse derivano il predicato non
è, come in quelle di ragione, già contenuto nel soggetto: vi si aggiunge
come qualche cosa di nuovo, che lo aumenta ed arricchisce, ma che non gli
appartiene necessariamente per la sua stessa essenza; la cui presenza
deve invece essere concretamente constatata, sperimentata volta per volta. Ad
esse si applica 1’ induzione ; di esse si occupano le scienze naturali, quello
storiche, tutte le indagini che partono dal dato concreto e contingente.
Si reggono, queste verità, sul principio di causalità odi ragion sufficiente.
(Ofr. p. 17 ss.). LE VERITÀ di ragione come possibili. Le v erità di
ragione hanno dunque su quelle di fatto il vantaggio della assoluta certezza e
necessità, o dell’ impossibilità del contrario; esse costituiscono una
incrollabile base su cui tutta la realtà poggia, un punto di riferimento
assoluto e infallibile. D’altra parte, però, hanno una staticità che non
permette loro alcuno sviluppo nè variazione: rimangono immobili nella
loro fissità. Le verità di fatto, invece, sono bensì casuali,
contingenti; non dipendono da nessuna legge a priori ; ma appunto questo
carattere di non poter venir dedotte da principi già conosciuti, quindi
di non essere mai dimostrabili, ma solamente percepibili attraverso i sensi, fa
di esse lo portatrici di ciò che è nuovo, imprevisto, mutevole; le pone
come l’espressione della realtà del mondo nel suo concreto divenire. Si
potrebbe dire che le verità di ragione costituiscono l’ordine necessario
di relazioni, di rapporti entro cui tutte le cose avvengono, quasi
la cornice, la forma della realtà: e le verità di fatto il contenuto, la realtà
stessa in tutti i suoi particolari. E infatti, le verità di ragione
vengono da Leibniz concepite piuttosto come relazioni che come cose-, il
che egli esprime col dire che le verità di ragione, necessarie, ci dànno la
sola 'possibilità delle cose, che non implica ancora affatto la loro
realtà effettiva. Infatti, se ogni possibile, e tutto ciò che ci si
può immaginare (anche se assolutamente biasimevole) dovesse avvenire un giorno,
se ogni favola o finzione fosse stata o dovesse divenire storia
effettiva, in tal caso non vi sarebbe nuli’ altro che la necessità e non
vi sarebbe nè scelta nè provvidenza. (Polemica pubblicata nel
Journal de# Savants). Questo mondo delle possibilità, datoci dalle verità
di ragione, può assumere infiniti aspetti, conformarsi in infinite guise,
che rappresentano tutte le forme in cui potrebbe manifestarsi la
realtà; la quale poi concretamente si manifesta in una sola di esse. Ciò
che noi vediamo e sperimentiamo è la realtà d[ fatto, che si svolge e
manifesta entro l’ambito segnatole dai principi della ragione (infatti
qualsiasi fatto concreto non potrebbe derogare al principio di non
contradizione). Tali principi però potrebbero inquadrare infinite altre
forme di realtà, diverse da quella di questo mondo, concretamente
esistente. È questo il principio dell’ infinità < lei mondi possibili,
cioè dell’ infinità delle possibilità che sono racchiuse nelle verità di
ragione, schemi logici necessari entro cui si svolge ogni e qualsiasi
realtà. Quando dico che vi è un’ infinità di mondi possibili, intendo che
non implichino contradizione, così come si possono fare romanzi che non si
effettueranno mai e che sono tuttavia possibili. Per essere possibile
basta che una cosa sia intelligibile. (Lettera al Bourguet).
È chiaro quale sia un’ idea vera e quale falsa. Vera è un’ idea,
quando la nozione ne è possibile, falsa quando implica contradizione. La
]x>ssibilità di una cosa. poi. la conosciamo a priori o a posteriori. A
priori, quando risolviamo una nozione nei suoi elementi, cioè in altre
nozioni di riconosciuta possibilità e sappiamo che in esse nulla vi
è di contradi ttorio...; a posteriori quando sperimentiamo attualmente
resistenza della cosa: infatti ciò che esiste o è esistito attualmente, è
senz'altro possibile (I). E ogni qualvolta si ha una conoscenza adeguata, si ha
la conoscenza della possibilità a priori; condotta poi l'analisi a
termine, se non si manifesta alcuna contradizione, la nozione è
certamente possibile. (i Meditai iones de Cogitinone, Ventate et
'de in, 1684, G. IV, 425). Alle verità di ragione c di fatto
corrispondono anche i due modi di conoscenza razionale e sensibile. Ma
quelle verità appartengono anzitutto - all'ordine oggettivo del reale. In
questo senso si deve intendere l’opposizione di Leibniz alle idee
chiare e distinte poste da Cartesio come criterio delle verità di
ragione. Tale criterio non consiste per lui in una qualsiasi
evidenza conoscitiva, ma nella possibilità e non contradizione.
Egli [Cartesio] aveva posto come criterio della verità la nostra
percezione chiara e distinta. Cioè, la verità del fatto che il circolo
sia la figura di massima area con dato perimetro non sarebbe secondo lui
altrimenti riconoscibile se non attraverso la chiara e distinta percezione
che noi abbiamo ili tale sua proprietà. E se Dio avesse conformato la
nostra natura in modo che noi avessimo chiara e distinta percezione del
contrario, il contrario sarebbe vero. Questa è la sua opinione, che io
non approvo punto. E non è assolutamente vero quel suo principio
metafìsico universale, che di tutte le cose che pensiamo o di cui
ragioniamo sia necessariamente in noi l' idea, p. es. del po li)
Oiòsignilìca che resistenti) deve rientrare nelle leggi della possibilità,
ma cho queste leggi possono anche andare molto al ili fuori dal campo
dell’attualmente esistente. ligono di mille lati o dell'ente sommamente
perfetto: principio col quale, come armato dello scudo di Achille, egli
disprezzo non senza arroganza tutti coloro che dubitarono delle sue
dimostrazioni dell'esistenza di Dio. Con tale argomento, egli avrebbe certo
potuto facilmente far sì che in noi fosse anche 1' idea di cose
impossibili, p. es. del movimento sommamente veloce; fra le quali cose
impossibili, coloro che vogliono opporsi alle sue dimostrazioni porranno
anche l'ente sommamente perfetto, lo so, per parte mia. clic altro
è l'ente sommamente perfetto e altro il movimento sommamente veloce:
ritengo però che i ragionamenti di Cartesio siano imperfetti, e che chi
li voglia condurre a compimento, vi debba aggiungere molto di suo.
(Frammento). Dio e i,e verità di ragione e di fatto. - Con
queste affermazioni, Leibniz sottomette de idee chiare, e distinte al criterio
oggettivo della pos sila 1 ita logica, o «non cont ra dizio ne ». E a
questo criterio sottomette anche il concetto dell’ente sommamente
perfetto, sul quale si fonda la cartesiana prova ontologica dell
esistenza di Dio (2). L' idea dell’ente sommamente perfetto, egli dice,
potrebbe essere contradittoria, come quella della velocità massima o del
numero più grande di tutti (iflee contradittorie, queste, perchè sarà
sempre possibile concepire una velocità o un numero maggiori di una
qualsiasi altra velocità o numero presi a piacere: quindi non si
potrà mai giungere al massimo) v J)eirente perfettissimo, dunque,
non basta aver l’idea: bisogna anche dimostrarne la possibilità,
dimostrare cioè che esso non appartiene solo al mondo delle nostre
rappresentazioni, ma anche al mondo delle verità eterne di
ragione. Questa data mi 6 stata gentilmente comunicata dal prof.
Ritter, direttore della Commissione leibniziana dell'Aceademia delle
Scienze di Berlino. (2) La prova ontologica, clic Cartesio ha
ripreso da Anseimo d'Aosta (1033-1109), afferma che Tessere sommamente
perfetto deve contenere, fra le sue perfezioni, anche resistenza: quindi
esiste. Tale prova considera quindi l’esistenza come un attributo
dell'essenza dell’essere perfettissimo.
L'obiezione di Leibniz contro la prova ontologica si ferma
generalmente a questa dichiarazione di incompletezza; e non mancano poi
in lui le affermazioni che l'ente sommamente perfetto sia effettivamente
possila le e implichi la propria esistenza. Tuttavia in lui già è chiaro il
concetto che le verità di ragione e quelle di fatto appartengono a due
sfere diverse e - per cosi dire - incommensurabili, sì che non sia
possibile far rientrare l’una nel campo dell’altra. Ma in
generale non si può dire che Leibniz si preoccupi troppo di provare
resistenza di Dio. Abbiamo già visto che il suo problema non è tanto di
dimostrare e dedurre i concetti fondamentali del suo sistema, quanto di
organizzarli in unità armonica. Dio è una premessa dalla quale Leibniz
parte, non una conclusione cui egli arrivi. Quale ora il
rapporto fra Dio e le verità di ragione c di fatto ( Anche a questo
proposito la posizione di Leibniz si contrappone a quella di Cartesio ; il
(piale, dedotta a priori l'esistenza di Dio, fa poi discendere da Dio,
per un atto libero della sua volontà, tutto il mondo delle verità, sia di
ragione, sia di fatto (1). A questa dipendenza delle verità di ragione
dall'arbitrio divino, Leibniz si oppone recisamente. Per lui sono
rappresentato, in queste verità, relazioni assolute regolatrici dell’
univorso, tali ohe in esso si devono inquadrare perfino i decreti della
volontà divina. Si è già visto che le verità di ragione valgono «non per
l'ar bitrio divin o ma per loro propria natura»; e tale opinione circola
in tutti gli scritti di Leibniz, fin dalla sua prima giovinezza.
È necessario che tutto si rifaccia ad una qualche ragione, nè ci si deve
fermare finché non si arrivi alla prima. C'fr. per esempio, Meditazioni
metafisiche, Risposte alle seste obbiezioni,!). U: «...lo dico che è impossi
bile che una tale idea [del bene o del vero] abbia preceduto la
determinazione della volontà di Dio.... in modo che questa idea del bene abbia
portato Dio a scegliere l'una cosa piuttosto che l’altra. Por esempio,
non per aver visto cho era meglio che il mondo fosse creato nel tempo
piuttosto cho dall’eternità, egli ha voluto crearlo nel tempo; o non ha
voluto cho i tre angoli di un triangolo fossero uguali a due retti per
aver visto cho non poteva essere altrimenti, etc. Ma all'opposto: per il
fatto che egli ha voluto creare il mondo nel temilo, per questo ò meglio
così che se fosse stato creato dall'eternità; e solo perchè egli ha
voluto che i tre angoli di un triangolo fossero necessariamente uguali a due
retti, ciò è ora vero o non può essere altrimenti; e così di tutte le
altre cose». E iiuale. è dunque
l’ultima ragione della volontà divina? L’ intelletto divino. Quale la
ragione dell' intelletto divino? L’armonia delle cose. Quale dell'armonia
delle cose ? Nulla. Per esempio, della proposizione 2:4=4 : 8 non si
può dare alcuna ragione, neppure attraverso la stessa volontà
divina. Quella verità dipende dall'essenza stessa o idea delle cose.
i (Frammento De resurrectione corporum). L’ intelletto divino
è insomm a determinato dalle verità di ragione, e la volontà divina non
può agire se non nell’ambito segnato da esse. La volontà divina, ora, si
esplica nelle verità di /atto. Esse, ed esse sole, sono create da Dio per
un atto libero della sua volontà. Dio è la ragione prima delle cose
: poiché quelle che sono limitate, come tutto ciò che noi vediamo e
sperimentiamo. sono contingenti e non hanno nulla in sé che renda la loro
esistenza necessaria; essendo chiaro che il tempo, lo spazio e la materia,
uniti e uniformi in sé stessi, e indifferenti a tutto, avrebbero potuto
ricevere movimenti e figure totalmente diversi e in tutt' altro ordine.
Bisogna dunque cercare la ragione dell esistenza del mondo, che è
tutto l'insieme delle cose contingenti: e bisogna cercarla nella sostanza
che contiene la ragione della sua esistenza in se stessa (1), e che, per
conseguenza, è necessaria ed eterna. Bisogna pure che tale causa sia
intelligente: poiché dato che questo mondo che esiste è contingente, essendo egualmente
possibili ed egualmente pretendenti all'esistenza per così dire al pari di esso
una infinità di altri mondi, bisogna che la causa del mondo abbia
avuto rapporto e riguardo a tutti questi mondi possibili, por
determinarne uno. E questo riguardo o rapporto di una Tale sostanza è Dio.
Cfr. la prima definizione dell’ FI tea di Spinoza: Per caiuiam e ui
intelligo id, cujus esse alia invaivi t existenliam; vive id, cujus
natura non potest concipi, nini existensv. sostanza esistente con semplici
possibilità, non può essere altro che 1‘ intelletto che ne ha le idee; e
a determinarne una non può essere altro che l'atto della mhmtà che
sceglie. Ed è la potenza di questa sostanza che ne rende la volontà
efficace. La potenza tende all'essere, la saggezza o l' intelletto al vero, la
volontà al bene. E questa causa intelligente deve essere infinita in tutti i
modi, e assolutamente perfetta quanto a potenza, saggezza e bontà, poiché
essa tende a tutto ciò che è possibile. E siccome tutto è connesso. non
vi è ragione di ammetterne più di una. 11 suo intelletto è la fonte delle
essenze, la sua volontà è l'origine delle esistenze. Ecco in poche parole la
prova di un Dio unico con le sue perfezioni e, per suo mezzo,
l'origine delle cose. (Teodicea). Le verità di
ragione sono dunque il contenuto fieli intelletto di Dio, le verità di f
atto il prodotto della sua volontà, fra le infinite possibilità che
potrebbero realizzarsi entro gli schemi del principio di non
contradizione, Dio ne sceglie una, e la pone in atto. Anche in questo,
Leibniz si oppoue a Cartesio, il quale ritiene che la materia assuma
tutte le forme possibili. Egli cita, per confutarlo, questo passo dei
Princip { rii Filosofia (parte III, art. 47): a Poiché la materia assume
successivamente tutti' le forme di cui è capace, se consideriamo ordinatamente
queste forme, giungeremo infine a quella che appartiene a questo nostro mondo,
in modo che non sia da temere alcun errore per colpa di una eventuale
falsa i potesì. Leibniz risponde: Non credo che si possa
enunciare una proposizione più pericolosa di questa. Poiché, se la
materia riceve successivamente tutte le forme possibili, ne deriva che non
si Cartesio ò costretto alla concezione che tutti i mondi possibili
siano effettivamente esistenti, dal suo impegno di dedurre il mondo dalle
sole idee chiare e distinte o di ragione. Leibniz, col suo principio di
una netta separazione Ira la possibilità c l’esistenza, può esimersi da
questo passaggio per tutte le forme della possibilità, e risolvere il
problema dell origine del mondo sensibile con un diretto ricorso al
principio delle verità di fatto. VERITÀ DI RAGIONE E DI FATTO possa
immaginare nulla di tanto assurdo nè di tanto bizzarro e contrario a quello che
noi chiamiamo giustizia, che non sia accaduto o che non debba accadere un
giorno.... È questo, a mio avviso, il 7rpwxov tpeòSoq (primo inganno) e il
fondamento della filosofia atea, la quale non tralascia mai, in
apparenza, di dire belle cose di Dio. Ma la vera filosofia deve darci ben
altra nozione della perfezione di Dio, che possa servirci tanto nella fisica,
quanto nella morale. (Lotterà al Philippi). Il
principio di ragion sufficiente. La realtà contingente posta in atto da Dio è
il mondo sensibile che noi sperimentiamo. Per la giustificazione di esso, le
immutabili leggi della logica non sono sufficienti. TI mondo, la realtà
di fatto è, ma potrebbe anche non esserci, o essere diverso da quello
che è. Esso non deriva da nessuna verità assoluta. 11 principio logico
clic si dovrà applicare per rendersi conto di esso, non è il principio di
non conti-a dizione, ma quello di ragion sufficiente, quel principio cioè per
cui da un dato di fottìi si risale alla sua causa, e da essa di nuovo
alla causa, e cosi fino alla causa jprima, cioè Dio. 11
principio universale nihil esse sine catione (1) risolve quasi tutte le
discussioni metafìsiche.... Is’ulla avviene, del cui esser stato prodotto
piuttosto che non essere stato (cur factum sit polius quam non sii) Dio,
se voglia, non possa render ragione. (Frammento sulla
Selenita Media). È il principio di ragion sulKcicnle. Non bisogna far
confusione fra questo, che Leibniz chiama a volte anche semplicemente -
principio di ragione », e le verità di ragione. 11 pri n c imo d i rag ione è
la forma generalo che regola lo verità di fatto. Le verità di ragione si
contrappongono invece a queste ultimo, e si fondano sul principio di non
contradizione. La somiglianza di due termini dal significato così differente e
quasi opposto, deriva ila un diverso uso del termino « ragione ». Nella
locuzione principio di ragione » osso equivale a « motivo, causa ». Ora bisogna
elevarsi alla metafisica, servendoci del gran principio, comunemente poco
impiegato, il quale afferma che nulla si verifica senza una ragione
sufficiente, cioè che nulla accade senza che sia possibile a colui che
conosca sufficientemente le cose, di dare una ragione che basti a
determinare perchè è così e non altrimenti. Posto questo principio, la
prima domanda che si avrà il diritto di porre, sarà : Perchè ri è qualche
cosa piuttosto che nulla ? poiché il nulla è più semplice e più facile
che il qualche cosa. Inoltre. supposto che cose debbano esistere, bisogna che
si possa rendere ragione del perchè esse debbano esistere così, e
non altrimenti. Ora questa ragione sufficiente dell esistenza dell
universo non si può trovare nell' ordine delle cose contingenti,
cioè dei corpi e delle loro rappresentazioni nelle anime : poiché,
essendo la materia indifferente in sè stessa al movimento e al riposo e a
questo movimento o ad un altro, non si può trovare in essa la ragione del
movimento e ancor meno di questo movimento. E. benché il movimento
attuale che è nella materia derivi dal precedente, e questo ancora da un
precedente, non si avanzerà affatto, per quanto lontani si possa andare:
poiché resterà sempre la medesima domanda. Così bisogna che quella
ragione sufficiente che non ha più bisogno di un'altra ragione, sia fuori
di questo ordme di cose contingenti, e si trovi in una sostanza che ne
sia la causa o che sia un essere necessario il quale porti con sè la ragione
della sua esistenza : altrimenti non si avrebbe mai una ragione
sufficiente, alla quale arrestare il processo. E questa ultima ragione
delle cose è chiamata Dio. ( Principe# de la nature et de la
grane). La causa FINALE E il « mkiliore ». Dio è dunque la
causa o ragion sufficiente rii tutte le verità di fatto, cioè del
mondo sensibile. Ma con quale criterio ha egli scelto, nella sua creazione,
fra le infinite possibilità che gli si offrivano, proprio questa e non un
altra? Che cosa lo ha guidato nella scelta? Nulla avviene senza un
perchè sufficiente, o senza una ragione determinante. In virtù di questo
principio, che ci conduce oltre i limiti raggiunti dai nostri
predecessori, Dio non cambia mai volontà e operazione senza averne
qualche valida ragione. E quando la cosa di cui si tratta è di natura
uniforme e semplice, siamo in condizione di giudicare (per quanto povere
creature si sia) se vi può essere una ragione o no. Quando la volontà di
Dio è impiegata da sola, senza che nella natura delle creature vi sia la
ragione di questa volontà, nè il modo del suo operare, si tratta di un puro
miracolo : criterio poco opportuno in filosofia, come se Dio volesse (per
esempio) che i pianeti si muovessero in linea curva senza essere
spinti da altri corpi Ogni volta che noi conosciamo qual che cosa
delle opere di Dio, vi troviamo dell' ordine. (Lettera allo
Hartaoekcr). II principio della ragion sufficiente, dunque, come
vale per risalire attraverso le cause dai dati esistenti lino a Dio,
cosi lieve essere applicato a Dio stesso, il quale, creando questo
mondo, non ha agito arbitrariamente, ma è stato guidato da un criterio
della sua azione. Non ha agito, neppur lui, senza una ragione del suo
agire; e questa ragione che. determina la sua volontà, è i l criterio del
massimo be ne, della massima perfezione. A q uest o criterio
Dio si è ispirato nel creare il mondo, e a questo criterio si deve
ricorrere dunque come alla ultima ragione di tutta la creazione. Il bene e la
perfezione come motivo dell esistenza delle cose, viene chiamato A n '\{
è±. Io ritengo che, ben lungi dal dover escludere le cause
finali dalla considerazione fisica, come pretende Descartes nei Principi
di Filosofia, parte 1, art. 28, sia piuttosto per mezzo di esse che tutto
si debba determinare, poiché la causa efficiente delle cose è
intelligente, avendo una volontà e perciò tendendo al bene.
(Lettera al Philipp!, 1080, 0. IV, 281). Dio mette in opera,
dunque, uno solo degli infiniti mondi possibili ; ma è retto da un
criterio in tale creazione. Questo criterio fa sì che il mondo da luf
scelto sia il migliore fra i mondi possibili. Questa infinita
saggezza, unita ad una bontà non meno infinita, non ha potuto fare a meno
di scegliere il migliore; poiché, come im male minore è, in certo senso,
un bene, cosi mi minor bene è, in certo senso, un male, se fa
ostacolo ad un bene più grande: e vi sarebbe qualche cosa da correggere
nelle azioni di Dio, se vi fosse modo di far meglio. E come in
matematica, quando non vi è nè massimo nè minimo e nulla, insomma, di
distinto, tutto avviene ugualmente, o, quando ciò è impossibile,
non avviene addirittura nulla ; si può dire lo stesso a proposito
della perfetta saggezza, la quale non è mono regolata che la matematica :
che, se non ci fosse stato il migliore (optimum) fra tutti i mondi possibili,
Dio non ne avrebbe prodotto nessuno. Chiamo mondo tutta la serie e tutto 1
insieme di tutte le cose esistenti, affinchè non si dica che più mondi
hanno potuto esistere in differenti tempi e in differenti luoghi. Giacché
bisognerebbe considerarli tutti insieme come un solo mondo, o se volete,
come un universo. E quando si riempissero tutti i tempi e tutti i
luoghi, resta pur sempre vero che si sarebbero potuti riempire in
una infinità di maniere, e che vi è ima infinità di mondi possibili, di
cui Dio deve aver scelto il migliore, perchè egli non fa nulla senza
agire secondo la suprema ragione. (Teodicea). Dio
dunque non scoglie arbitrariamente. Anche qui egli si ispira ad un
principio - il principio del migliore - che regola la sua azione nel
metterò in opera la realtà del mondo. In che cosa consiste questo
principio? Che cos’è il «migliore», questa causa finale deile verità di
fatto? Un criterio di massima realizzazione, di massima perfezione, di massima
felicità, bontà, etc. : insomma di armonia, che tende a che nei
limiti della possibilità venga realizzato il massimo di esistenza possibile.
Discende dalla perfezione suprema di Dio che, producendo T universo, egli
abbia scelto il miglior piano possibile, nel quale vi è la massima varietà, col
massimo ordine; il terreno, il luogo, il tempo meglio organati; il
massimo effetto prodotto coi mezzi più semplici; il massimo di potenza, il
massimo di conoscenza, il massimo di felicità e di bontà nelle creature,
ammissibile nell' universo. Infatti, dato che tutti i possibili
pretendono all'esistenza nell intelletto di Dio in proporzione delle loro
perfezioni, il risultato di tutte queste pretensioni deve essere il
mondo attuale, il più perfetto che sia possibile. Altrimenti non
sarebbe possibile rendere ragione del perchè le cose siano andate così
piuttosto che in altro modo. (Pricipes de la Nature et de la
(brace). È un mio principio, che tutto ciò che può esistere
ed è conciliabile con le altre cose, esista. Poiché la ratio exiatendi a
preferenza di tutti gli altri possibili, non deve essere limitata da
altra ragione, se non da quella che non tutte le cose sono conciliabili
fra di loro. L' unica ragione determinante è dunque ut exislant / totiora,
quae plurimum involvant realitatis. (Ii'rammonto del 1070, C.
530). Vi è una ragione in natura per cui esiste qualche cosa
piuttosto che nulla. Ciò è una conseguenza del grande principio che nulla
avviene senza una ragione, così come deve esservi anche una ragione per
cui esista una cosa piuttosto che un' altra. Tale ragione deve essere in
qualche ente reale o causa. Infatti la causa non è altro che una realis
ratio, e le verità di possibilità e di necessità (cioè di cui viene
negata la possibilità del contrario) non produrrebbero nulla se le
possibilità non si fondassero su qualche cosa di attualmente esistente.
Questo ente poi dovrà essere necessario: altrimenti si dovrebbe
ricercare di nuovo (contro l' ipotesi), di là da esso, una causa per cui
esso esista piuttosto che no. Quell'ente è insomma l'ultima ragione delle cose,
e in una parola lo si suole chiamare Dio. Vi è dunque una
ragione per cui 1 esistenza debba prevalere sulla non-esistenza. e cioè Ens
necessarium est existentificans. Ma quella causa che fa sì che
qualche cosa esista, cioè che la possibilità esiga l'esistenza, fa anche
sì che ogni possibile abbia una tendenza all'esistenza; poiché non si può
trovare in generale una ragione di restrizione all esistenza dei
possibili. Così si può dire che ogni jmsibile è un inizio di esistenza (
I ) in quanto si fonda su di un ente necessario attualmente esistente,
senza il quale non vi sarebbe alcuna via per la quale potesse
possibilmente giungere ad attuarsi. Ma da questo non deriva che tutti i
possibili esistano: ciò avverrebbe sì se tutti i possibili fossero
compossibili. Ma poiché vi sono alcune cose che sono
incompatibili con altre, ne segue che alcuni possibili non giungano
all'esistenza. E le cose possono essere incompatibili non solo
relativamente al medesimo tempo, ma anche universalmente parlando, perchè nelle
cose presenti sono implicite le future. Intanto però, dal conflitto
di tutti i possibili che pretendono all' esistenza, deriva questo almeno, che
esista (1) Traduciamo così il termine existilurire.
quella serie di cose per la quale
giunge all'esistenza il massimo numero di cose, cioè la serie massima di
tutti i possibili. E questa serie unica è determinata, così come
tra le linee è determinata la retta, tra gli angoli l'angolo retto, tra le
figure e i solidi quelle di massima capacità, cioè il circolo e la sfera.
E come vediamo che i liquidi si raccolgono spontaneamente in gocce
sferiche, così nell' universo esiste la serie di massima capacità.
Esiste dunque la massima perfezione; e non consiste se non nella
quantità di realtà. Inoltre la perfezione non si deve soltanto
ravvisare nella materia, cioè in ciò che riempie il tempo e lo spazio,
la cui quantità sarebbe sempre costante in qualsiasi modo, ma nella
forma o varietà. Ne consegue che la materia non è ovunque simile a
sè stessa, ma viene resa dissimile dalle forme; altrimenti non
otterrebbe tanta varietà quanta . le è possibile.... Ne consegue
anche che ha prevalso quella serie dalla quale derivava il massimo di
pensabilità distinta. E la pensabilità distinta dà ordine alla cosa
e bellezza a chi pensa. L 'ordine, non è altro infatti che relalio
plurium dislinctiva, e confusione si ha quando sono presenti bensì più
cose, ma non vi è un criterio por distinguere l una dall'altra.
Cade così il concetto eli atomo e in generale di qualsiasi corpo in cui
non vi sia un criterio di distinzione di una parte dall'altra.
E ne deriva universalmente che il mondo è un y.óapoc. un organismo
armonico, cioè fatto in modo da soddisfare massimamente chi
comprenda. Il piacere di chi comprende (voluptas intelligentis )
non è altro infatti che la percezione della bellezza, dell' ordine,
della perfezione; e ogni dolore contiene qualche cosa di disordinato, ma
solo riguardo a chi lo percepisce, perchè, assolutamente parlando, tutto
è ordinato. Così, quando alcunché ci dispiace nella serie delle
cose, ciò deriva da un difetto di comprensione. Infatti non è
possibile che ciascuno spirito comprenda tutto distintamente; e a chi osservi
solamente alcune parti piuttosto che altre, 1’ armonia non può apparire nel
suo complesso. Consegue da ciò che nell'universo è osservata anche
la giustizia, non essendo la giustizia altro che un ordine o
perfezione riguardo agli spiriti. (Frammento).
Necessità e libertà. - Anche questo criterio di perfezione, di
bontà, di armonia è, aqalogamente alle verità di ragione, assoluto,
oggettivo, a sè stante, indipendente dalla volontà di Dio, imposto dalla
necessità delle cose. Dio sceglie il migliore: ma non avrebbe potuto
scegliere altrimenti. Siamo qui in presenza della celebre questione della
conciliazione fra necessità e libertà-, la quale riguarda solo da lato il
nostro argomento, e rientra piuttosto nel problema della Teodicea. Anche
a questo proposito Leibniz si oppone a Cartesio. Contro coloro che
sostengono che non vi è bontà nelle opere di Dio o che le regole della
bontà e della bellezza sono arbitrarie. Io sono molto lontano
dall'opinione di coloro che sostengona che non vi siano affatto regole di bontà
e di perfezione nella natura delle cose, o nelle idee che Dio ne
ha; e che le opere di Dio non siano buone se non por la ragione formale
che Dio le ha fatte. Poiché, se ciò fosse, Dio, sapendo che egli ne è
l'autore, non avrebbe avuto ragione di guardarle in seguito e trovarle
buone, come testimonia la Sacra Scrittura (1), la quale non pare si sia
servita di questo linguaggio umano, se non per mostrarci che la
loro eccellenza si riconosce a guardarle in se stesse, anche se non
si fanno riflessioni su questa semplice denominazione esteriore, che le riattacca
alla loro causa. E ciò è Leibniz allude qui al racconto del Co p. I della
Genesi, in cui a ciascun atto della creazione seeue la frase: «E Dio vide che
ciò era buono». tanto più vero, in quanto proprio attraverso la
considerazione delle opere si può valutare chi le ha operate. Bisogna dunque
che queste opere portino in sè il suo carattere. Confesso che l'opinione
contraria mi sembra estremamente pericolosa e molto vicina a quella degli
ultimi novatori (1), i quali ritengono che la bellezza dell' universo e
la bontà che noi attribuiamo alle opere di Dio non siano se non
chimere degli uomini che concepiscono Dio a modo loro. Cosi, dicendo che
le cose non sono buone per nessuna regola di bontà, ma per la sola
volontà di Dio, si distrugge, mi semina, senza pensarci, tutto l'amore di
Dio e la sua gloria. Infatti, perchè lodarlo di ciò che egli ha fatto,
se egli sarebbe ugualmente lodevole facendo tutto il contrario? Dove sarà
dunque la sua giustizia e la sua saggezza, se non rimane che un certo potere
dispotico, se la volontà tiene il posto della ragione e se, secondo la
definizione dei tiranni, ciò che piace al più potente è, appunto per ciò,
giusto? Inoltre sembra che ogni volontà supponga qualche ragione di
volere, e che questa ragione sia naturalmente anteriore alla volontà. È
per questo che io trovo anche molto strana l’espressione di altri
filosofi, i quali dicono che le verità eterne della metafisica e
della geometria, e conseguentemente anche le regole della bontà,
della giustizia e della perfezione non sono che effetti della volontà di
Dio, mentre mi sembra che esse non siano che conseguenze del suo
intelletto, il quale non dipende affatto dalla sua volontà, così come non
ne dipende la sua essenza. Contro coloro che credono che Dio
avrebbe potuto far meglio. Non posso neppure approvare l’ opinione
di alcuni moderni (’.i) i quali sostengono arditamente che quello che
Dio Allude agli spinozisti (cfr. l’ed. cit. del Ijestibnnk). I/opinione
che Lei lini/, ha della dottrina di Spinoza, è per molti aspetti errata e
turbata da preconcetti. Cartesio (cfr. ibid.). Gli scolastici
del suo tempo (efr. ibid.). fa. non è l’assoluta perfezione, e che egli
avrebbe potuto agire assai meglio. Poiché mi semina che le
conseguenze eli questa concezione siano assolutamente contrarie
alla gloria di Dio. Ufi minus malum habet ratiouem boni, ita mimi*
bomttn habet rationem mali. E si chiama agire imperfettamente, agire con minor
perfezione di quello che si sarebbe potuto. E trovare a ridire sull'
opera di un architetto il mostrare che egli avrebbe potuto farla meglio. Questi
moderni credono anche di provvedere così alla libertà di Dio; come se non
fosse la piìi alta libertà quolla di agire in perfezione seguendo la
ragione sovrana. Poiché credere che Dio agisca in qualche cosa senza aver
alcuna ragione della sua volontà, oltre che apparire impossibile, è
opinione poco conforme alla sua gloria. Per esempio, supponiamo che Dio scelga
fra A e li. e che egli prenda A senza avere alcuna ragione di preferirlo
a B: io dico che questa azione di Dio, per lo meno, non sarebbe affatto
lodevole; poiché ogni lode deve essere fondata su qualche ragione
che non si trovi già ex hypothesi . Ritengo invece che Dio non faccia
nulla per cui non meriti di essere glorificato. (Discours de
métaphysique). I l criterio della, bontà e del «migliore», non è
dunque conseguenza della volontà divina: è piuttosto la volontà divina
che si ispira a questo criterio, il «piale ha una validità oggettiva a sé
stante, altrettanto come le verità di ragione. L'azione di Dio è da un
lato circoscritta dai limiti della possibilitòj dati dal principio di non
contradizione, nell’ambito del «piale essa si devo svolgere: dall’altro
lato è determinata da epiesto finalismo, da questo principio del «
migliore », della bontà, che costituisce l’oggetto necessario della sua
scelta. D'ambo i lati dunque, essa si trova determinata: e questa
determinazione costituisce la legge stessa «Iella sua perfezione.
Necessità nelle verità di ragione, dunque, poiché i principi di
esse sono inderogabili, tali che non potrebbero venir concepiti diversi da
«piel che sono; necessità anche nelle verità di fatto, in quanto la loro
ragion sufficiente non può non essere il principio della suprema
perfezione e bontà. Ma queste due forine «li necessità onde consta l'
intelletto e la volontà divina, quindi tutte le cose del mondo, non sono
identiche fra di loro: se lo fossero, cesserebbe, si può dire, ogni
distinzione fra verità di ragione e di fatto, e le une discenderebbero
dai medesimi principi che le altre, si baserebbero sulle medesime
leggi. La necessità di fatto ha invece caratteristiche sue proprie. Essa
non implica quella impossibilità «lei contrario che è essenziale caratteristica
della necessità di ragione. La necessità morale. - La necessità di
ragione è una legge regolativa dell’ intelletto divino. La necessità di
fatto e la ragion sufficiente che determina la volontà di Dio: e
questa ragione è necessitante sì, ma non in modo che il contrario
sarebbe impossibile. Questo secondo tipo di necessità, Leibniz lo
distingue a volte dalla necessità di ragione col chiamarlo motivo
inclinante (contrapposto a necessitante), necessità inorale.
Bisogna distinguere tra necessità assoluta e necessità ipotetica. Bisogna
pure distinguere fra una necessità che ha luogo perchè l’opposto implica
contradizione, e che vien chiamata logica, metafisica, o matematica, ed
una necessità olio è morale, che fa sì che il saggio scelga il migliore,
e che ogni spirito segua l' inclinazione più grande. La necessità
ipotetica è quella che viene imposta ai futuri contingenti dalla
supposizione o ipotesi della previsione e preordinazione da parte di Dio.11
bene, sia vero sia apparente, in una parola il motivo, inclina senza necessitare,
senza imporre cioè una necessità assoluta. Infatti, quando Dio, per
esempio, sceglie il migliore, ciò che egli non sceglie e che è inferiore quanto
a perfezione, non cessa di essere possibile. Ma se ciò che Dio
sceglie fosse necessario, ogni altra scelta sarebbe impossibile, contro T
ipotesi; poiché Dio sceglie tra i possibili, cioè fra vari partiti, dei quali
nessuno implica contradizione. Ma dire che Dio non può scegliere se
non il migliore, e volerne inferire che ciò che egli non sceglie è
impossibile, è confondere i termini, la potenza e la volontà, la necessità
metafisica e la necessità morale, le essenze e le esistenze. Giacché ciò che è
necessario, lo è per la sua essenza, poiché l'opposto implica
contradizione; ma il contingente che esiste deve la sua esistenza al principio
del migliore, ragione sufficiente delle cose. Ed è per questo che
io dico che i motivi inclinano senza necessitare; e che vi è ima certezza
e ima infallibilità, ma non una necessità assoluta nelle cose contingenti.
Ed ho mostrato a sufficienza nella mia Teodicea che questa
necessità morale è felice, conforme alla perfezione divina, conforme al
gran principio delle esistenze, che è quello del bisogno di una ragione
sufficiente; mentre la necessità assoluta e metafisica dipende dall'
altro grande principio dei nostri ragionamenti, che è quello delle
essenze, cioè quello dell’ identità o della contradizione; poiché quello
che è assolutamente necessario è l’unico possibile fra i vari partiti, e
il suo contrario implica contradizione. (Polemica con Clarke).
Bisogna distinguere tra il necessario e il contingente, quantunque
determinato. E non solo le verità contingenti non sono punto necessarie,
ma anche i loro legami non sono sempre di necessità assoluta, poiché
bisogna riconoscere che vi è differenza, nel modo di determinare, fra le
conseguenze che hanno luogo in materia necessaria e quelle che hanno
luogo in materia contingente. Le conseguenze geometriche e metafìsiche
necessitano, ma le conseguenze fìsiche e morali inclinano senza
necessitare; avendo il fisico stesso in sé qualche cosa di morale e di
volontario rispetto a Dio, poiché le leggi del movimento non hanno
altra necèssità che quella del migliore. Ora Dio sceglie liberamente, benché
egli sia determinato a scegliere il meglio. E, poiché i corpi stessi non
scelgono (avendo Dio scelto per essi), 1’ uso ha voluto che fossero
chiamati agenti necessari ; denominazione cui non mi oppongo, purché
non si confonda il necessario col determinato, e non si vada ad
immaginare che gli esseri liberi agiscano in una maniera indeterminata: errore,
questo, che ha prevalso in alcuni spiriti e che distrugge le più importanti
verità, ed anche l'assioma fondamentale che nulla accade senza ragione;
assioma senza il quale nè l' esistenza di Dio, nè altre grandi verità
potrebbero essere ben dimostrate. (Nuovi Saggi). Su questo argomento
della necessità e libertà, come su moltissimi altri con questo comiessi
(origine del male e sua giustificazione nel mondo, libero arbitrio,
responsabilità etc.) si imperniano molteplici problemi, riguardanti un
altro aspetto del pensiero leibniziano, che non dobbiamo qui
esaminare: ([nello della Teodicea. Verità di ragione e di fatto sono
dunque ciò di cui è costituita là realtà. Le une assolute, necessarie, imi
versali, ma di una universalità astratta, che ha luogo solo nel mondo
ideale delle possibilità, delle essenze. Le altre concrete, tangibili,
esistenti, ma insieme contingenti, individuali, tali che la loro esistenza
non può venire ilimostrata a priori, nè discendere matematicamente da
alcuna forma inerente alla costituzione del reale. La necessità morale,
basata sul principio ili ragione e finalistico, non elimina, come si è
visto, la contingenza: non dà quella assoluta certezza clic appartiene
alle verità di ragione e deriva dall’ impossibilità del contrario.
Il problema di Leibniz è ora la ricerca di una universalità anche
nel campo del contingente; o, in altri termini, la riduzione del principio di
ragion sufficiente a una linea altrettanto fissa e immutabile che quella
del principio di non contradizione. La sostanza individuale sarà la soluzione
di questo problema: e con essa Leibniz raggiungerà a suo modo, e sempre
nell’ambito della sua concezione oggettivistica della realtà, una sintesi
di universale e individuale. La carattkkistica. - Miraggio di Leibniz è
ili ottenere una certezza matematica in tutte le cose conosciute, in modo
ila eliminare tutto ciò che si fonila sull'opinione, e di ridurre ogni
ragionamento a un calcolo. È questo il fondamento di quella Scienza
generale, Caratteristica, Ars inveniendi di cui egli vagheggia 1 idea, a
partire dal suo saggio sull’Arte Combinatoria, fino alla fine della sua
vita. Posso dire senza vanità che, tra i miei contemporanei, sono
uno di quelli che pili ha approfondito la scienza matematica; ed ho scoperto
metodi e procedimenti completamente nuovi, che portano questa scienza di là dai
limiti che le erano stati prescritti. 1 saggi che ne ho dati hanno avuto
successo in Francia ed in Inghilterra: e mi sarebbe facile darne ancora
molti altri ; ma io non faccio gran caso delle scoperte
particolari, e ciò che desidero maggiormente è di perfezionare
l’arte d’ inventare in generale, e di dare piuttosto metodi che
soluzioni di problemi; poiché un solo metodo comprende un’ infinità di
soluzioni. E poiché ho avuto la fortuna di perfezionare considerevolmente
l'arte d' inventare o analisi dei matematici, ho cominciato ad avere
certe concezioni nuovissime, per ridurre tutti i ragionamenti umani ad una
specie di calcolo che servirebbe a scoprire la verità, nei limiti ili ciò
che è possibile ex datis, posto cioè quel che ci è dato o
conosciuto. E quando le conoscenze date non bastano a risolvere la
questione proposta, questo metodo servirebbe, come nelle matematiche, ad
accostarsi il più possibile alla soluzione e a determinare esattamente
ciò che è pili probabile. Un tale calcolo generale formerebbe nello
stesso tempo una specie di scrittura universale che avrebbe i
medesimi vantaggi che quella dei cinesi, perchè ciascuno la
potrebbe intendere nella sua lingua. Ma supererebbe infinitamente
la cinese in quanto la si potrebbe imparare in poche settimane, avendo essa
caratteri ben collegati secondo 1 ordine e la connessione delle cose; mentre i
cinesi hanno una infinità di caratteri secondo la varietà delle cose,
e occorre la vita di un uomo per imparar tiene la loro scrittura. I
caratteri cinesi si avvicinerebbero, secondo Leibniz, a quelli della sua
caratteristica, in quanto rappresentano, così come i geroglifici
egiziani, non le lettere di cui ciascuna parola ó forniate, ma l'oggetto
stesso che essa Questa scrittura o LINGUA (se si rendessero enunciabili
i caratteri) puo essere presto accolta nel mondo, perchè la si puo
imparare in poche settimane, e fornirebbe un mezzo generale di comunicazione:
il che sarebbe di glande importanza per la diffusione della fede e
per 1 istruzione dei popoli lontani. Ma questo sarebbe il minore dei
suoi vantaggi; giacche questa medesima scrittura sarebbe una specie di
algebra geneiale, e darebbe modo di ragionare calcolando, sicché,
invece di discutere, si potrebbe dire: contiamo. E si troverebbe che gli errori
di ragionamento non sono che errori di calcolo, riconoscibili mediante
prove, come nell’ aritmetica. Gli uomini avrebbero così un giudice delle
controversie veramente infallibile. Poiché potrebbero sempre sapere
se è possibile decidere la questione j>er mezzo delle conoscenze
che essi posseggono già, e quando non fosse possibile soddisfarsi
intieramente, potrebbero sempre determinare ciò che è più
verosimile. J ci giungere dunque a questa scrittura o
caratteristica, che contiene un calcolo così sorprendente, bisogna
cercare le definizioni esatte dei concetti. Poiché infatti le
nostre parole sono assai oscure e non ci dà imo spesso che nozioni
confuse, si è obbligati a sostituire ad esse altri caratteri, la cui
nozione sia precisa e determinata; ora le definizioni non sono se non
un'espressione distinta dell’ idea della cosa. E avendo io
studiato con cura non solamente la storia e le matematiche, ma anche la
teologia naturale, la giurisprudenza e la filosofia, ho portato molto avanti
questo progetto, e mi sono fatto una quantità di definizioni.
Per rappresenta. Differiscono però dai geroglifici inquanto «sono forse
più filone;. e sembrano fondati su considerazioni più intellettuali, come
quelle chedànno i numeri, l’ordine, le relazioni ». (Lettera inedita citata in J. Bakuzi, Leibniz et l' organisation
reXigieuse de la terre, Paris). esempio la definizione della
giustizia per me è la seguente : La giustizia è la carità del saggio, o
una carità conforme alla saggezza. La carità non è altro clxe la
benevolenza generale; la saggezza è la scienza della felicità, la felicità
è lo stato di gioia durevole, la gioia è un sentimento di perfezione, la
perfezione è il grado di realtà. Penso di poter dare definizioni
analoghe di tutte le passioni. virtù, vizi e azioni umane, quanto ve ne è
bisogno. E con questo mezzo si potrà parlare e ragionare con esattezza. E
siccome i nuovi caratteri comprenderanno sempre le definizioni delle
cose, ne segue che essi ci daranno modo di ragionare calcolando, come ho
appunto detto sopra. Ma per portare a termine un progetto di tanta
importanza. il quale fornirebbe al genere umano una specie di strumento
così adatto a perfezionare la vista dello spirito come gli occhiali
servono a quella del corpo, occorrerà molta meditazione ed un poco di
assistenza. (Lettera al Duca <li Hannover, 1 ti86 ( I ), il.
Vii, 25-27). È principalmente per attuare questo vastissimo
progetto che Leibniz propugnò durante tutta la sua vita la
fondazione di società di scienziati ed accademie. Il progetto rimase
sempre inattuato. Ma è interessante lo sviluppo che gli studi compiuti per esso
dettero al pensiero di Leibniz. 11 metodo per raggiungere quegli elementi
semplici o « caratteri " dalla cui composizione derivano tutti gli
oggetti della conoscenza umana, è un metodo di scomposizione delle idee che
troviamo di fronte a noi già composte, partendo dalle loro
definizioni. Data comunicatami da Ritter. Ecco la primitiva
formulazione di questo metodo nell’Arte Combinatoria: i L'analisi
avviene nel modo seguente: Dato un qualsiasi termine, lo si risolva nei suoi
elementi formali, cioè se ne ponea la definizione; questi clementi si
risolvano di nuovo in elementi, cioè si ponga la definizione dei termini
della definizione stessa, fino agli elementi semplici o termini
indefinibili; poiché „ non di tutte lo cose si deve ricercare la
definizione. E questi ultimi In greco nel testo: citazione da
Aristotele. Con tale metodo sarà possibile qualsiasi dimostrazione.
Conosciuta, infatti, 1 intima costituzione di ciascun concetto, si potrà
sempre stabilire in qualsiasi proposizione se il predicato rientri nel
soggetto, abbia cioè con esso in comune i suoi elementi costitutivi.
Di qualsiasi cosa, nulla ci può essere dimostrato, neppure da un angelo,
finché noi non conosciamo i termini costitutivi (requisita) di essa.
Infatti in ogni verità tutti i termini costitutivi del predicato sono
compresi fra i termini costitutivi del soggetto, e i termini dell’effetto ricercato
comprendono i mezzi che sono stati necessari per produrlo.
(Initia et specimina scientiae generali). termini non si
comprendono più per definizione, ma per analogia. Trovati tutti questi primi
termini, si pongano in una classe, e si indichino con segni qualsiasi; il
più comodo sarà numerarli. Fra i termini primi si pongano non solo lo cose ma
anche i modi o rapporti (**•). Poiché i termini composti variano in
distanza dai termini primi, a seconda del numero di termini primi di cui
si compongono - cioè a seconda dell’esponente della combinazione, - si
facciano tante classi, quanti sono gli esponenti, e in ciascuna classe si
pongano i termini che constano di un ugual numero di termini primi. I termini
sorti da una combinazione di due non si potranno indicare altrimenti che
scrivendo i termini primi di cui si compongono; c poiché i termini primi
sono indicati da numeri, si scrivano due numeri che indichino i due
termini. Ma i termini derivati da una combinazione di tre o anche da una
combinazione di maggior esponente - cioè quelli che sono nella classe
terza e seguenti - si possono indicare ciascuno in tanti modi diversi
quanto sono le combinazioni che compongono il suo esponente, considerato non
più come esponente, ma come numero Per esempio, siano alcuni
termini primi indicati dai numeri 3, 6, 7, 9; sia un termine composto della
classe terza, cioè formato da una combinazione di tre, p. es. dai tre
termini semplici 3, 6, 9; e siano nella seconda classe le seguenti
combinazioni: I.°) 3.6; 2.<>) 3.7; 3.°) 3.9; 4.°) 6.7; 5.®) 6.9; fi»)
7.9. Pico che quel dato termine della classe terza si può scrivere o cosi
: 3. 0. 9, Per analogia Leibniz e Grice intendeno un modo di apprensione
più immediato e diretto che non sia il processo logico definitorio; per esempio
un’ immagine sensibile. Altrove egli dice che i termini semplici si apprendono
coi sensi. Questo significa che i termini semplici non si devono
intendere solamente come dati concreti, di fatto, sensibili, ma comprendono
anche dati astratti, relazioni ecc. Quale sia la vera natura di questi
termini semplici o molto poco chiaro, o Leibniz si ò espresso in
proposito sempre in modo vago e impreciso. Criterio della
verità è dunque che il predicato rientri nell'ambito del soggetto; e questo
rientrare è perfettamente calcolabile. Ma tale criterio vale solamente
per le verità di ragione ohe sono analitiche. In esse sole il predicato è già
contenuto nel soggetto, poiché solo in esse tutto ciò che si afferma
(predica) a proposito di una cosa deve essere già nella cosa stessa. Se io
dico che gli angoli di un triangolo sono uguali a due retti, non
faccio altro che mettere in rilievo, nel concetto di triangolo, una
qualità già implicita in esso. Il predicato (essere uguali a duo retti)
fa parte già a priori del soggetto (angoli di un triangolo). Ma posso io
affermare che nel concetto di GIULIO (si veda) Cesare, per esempio, sia
già contenuta, a priori, l’azione di PASSARE IL RUBICONE? La proposizione:
Cesare passò il Rubicone—GIULIO CESARE PASSA IL RUBICONE – (Grice, Actions and
Evnts) non è analitica, il suo predicato cioè non è già compreso nel
sog esprimendo tutti i suoi termini semplici; oppure esprimendo un
semplice o, in luogo degli altri duo semplici, la loro combinazione, p.
es. così ; 1 /2 -9 oppure 8/2 . 6, oppure 5 / 2 .3..Ogni qualvolta un tonnine
composto viene usato fuori della sua classe, lo si scrive sotto forma di
una frazione il cui numero superiore o numeratore è il numero d’ordine
nella classe, e quello inferiore o denominatore il numero della classe. È
più comodo, nell’ indicare i termini oomposti, di non scrivere tutti i termini
primi, ma gli intermedi, per diminuirne il gran numero, e fra questi
intermedi di scegliere quelli che più facilmente vengono in mente a chi
consideri quella determinata cosa. Ma sarebbe più rigoroso scrivere tutti
i termini primi. Stabiliti questi principi, si possono trovare tutti i
soggetti 0 i predicati, sia affermativi sia negutivi, sia universali sia
particolari. I predicati di un soggetto dato sono infatti 1 suoi termini
primi; così pure tutti i termini composti più vicini di esso ai primi, i
termini primi dei quali sono compresi nel soggetto dato. Se dunque il
termino dato che viene considerato come soggetto è scritto in funzione
dei suoi termini primi, sarà facile trovare quei primi che di esso si
predicano, o si potranno anche trovare i composti che di esso si
predicano, se si conserverà l’ordine nel formare le combinazioni. Se invece il
termine dato è indicato corno una composizione di composti, o in parte di
composti, in parte di semplici, tutto ciò che si può predicare dei
composti che lo compongono si può predicare anche del termine dato In tal
modo sara facile indagare per mezzo del calcolo tutto ciò che si può predicare
di qualsiasi soggetto dato. ARS COMBINATORIA). P. es. 5/2 . 3
significa la combinazione del termine semplice 3 col termine composto che ha il
quinto posto nella seconda classe; e cioò, secondo la lista indicata
sopra, con 6.9. La notazione 5 /2 - 3 indica dunque il termine composto
3.6.9. Questo ò, in sostanza, lo schema dol procedimento sillogistico, in
cui iò che si predica del termine più generale si può predicare anche del
particolare in esso contenuto. getto, ma vi viene aggiunto per esperienza
diretta, contingente. Questa proposizione appartiene alle verità di
fatto. Ora, è possibile una dimostrazione rigoros.a in questo campo,
se ogni dimostrazione è, come si è visto, un semplice calcolo per
stabilire che i termini componenti il predicato fanno parte del complesso
dei termini componenti il soggetto? Leibniz dice a volte che la dimo
strazione, quanto alle proposizioni di fatto, da solo IìT PROBABILITÀ e non la certezza
– cf. Grice, “Probability, Desirability, and Mode Operators”. Ma egli
tenta anche di fondare in modo più rigoroso la sistemazione logica di
queste verità, e di far rientrare anche esse nella regola del predicato
contenuto nel soggetto. A tale scopo egli si serve del principio di
causalità, cui sottostanno tutte le verità di fatto. I termini dell’effetto
ricercato - si è visto comprendono i mezzi necessari a produrlo. L'effetto
(measles), cioè, comprende già nella sua nozione tutte le cause (those spots) che
1’hanno determinato. E, reciprocamente, potremo dire che la nozione della
causa racchiude in sè già implicitamente tutti gl’effetti – cf. Grice,
CONSEQUENTIA -- cui da luogo. Ora, poiché ogni dato di fatto appartiene
alla serie delle cause e degl’effetti, ed è insieme effetto e causa,
si può affermare che ogni nozione individuale contiene in se le nozioni
delle cause che 1’hanno prodotta e degl’effetti cui da luogo. Questa
causa e questi effetti a loro volta conterranno le loro cause e i loro effetti,
e così via, fino alla causa prima del tutto e causa di sè, cioè il divino.
Sicché ciascun singolo dato e collegato, attraverso tali rapporti causali,
con tutto l’universo. La conoscenza di tutti questi infiniti nessi
causali è superiore alle forzi dell ingegno umano, il quale perciò
si contenta di ricorrere all’esperienza del dato di fatto, rinunciando a
dedurlo dalle sue cause. È però, in linea di principio,
possibile. Le proposizioni certe per sè stesse sono di due tipi; le
ime hanno la loro validità nella ragione, e cioè nel contenuto dei loro termini
e io le chiamo note per sè stesse o anche identiche. L’altre sono di f'atdoT e
ci sì manifestano attraverso esperienze indubitabili. Tali sono anche le
testimonianze immediate della coscienza. Anche le proposizioni di fatto hanno
le loro ragioni, e perciò potrebbero essere risolte nella propria costituzione.
Ma noi non potremmo conoscerle a priori attraverso le loro cause, se non
conoscendo la totalità dell'universo – COGNITA TOTA SERIE RENIVI -- il che
supera la forza dell' intelletto umano. Perciò le apprendiamo a
posteriori, sperimentalmente. Ma poiché spesso dobbiamo agire riguardo a
cose per le quali manchiamo di una sicura scienza, è preferibile che
almeno sappiamo di sicuro che una certa proposizione è PROBABILE. Præ-cognita
<id Encyclopatdiam). L’apprensione per via sperimentale e il metodo
della PROBABILITÀ derivano dalla imperfezione della conoscenza umana. In linea
di principio, anche di qualsiasi verità di fatto si può avere una nozione
ANALITICA A PRIORI tale che contenga in sè già sviluppati tutti i
predicati, cioè tutti gl’effetti e le cause. Il segno d’una conoscenza
perfetta si ha quando non c'è nulla della cosa trattata di cui non si
possa render ragione, e non vi sia nessun avvenimento di cui non si
possa predile l'avverarsi. Frammento De la Hagense). Ora, tale
conoscenza a priori dei contingenti, se è impossibile alla mente umana, non è
impossibile a Dio che li ha scelti e li ha messi in atto. Di
qualsiasi verità si può rendere ragione. Infatti, la connessione del
predicato col soggetto o è evidente eli per sè, come nelle proposizioni
identiche (“Grice = Grice, relative to time t), oppure si deve spiegare, il che
avviene con la scomposizione dei termini. E l'unico c massimo criterio
della verità, beninteso nelle proposizioni astratte e non derivanti dall'
esperienza, è di risolversi nell’identità – VT SIT REI IDENTICA VEL AD
IDENTICAS REVOCABILIA. Di qui si possono dedurre gl’elementi della eterna
verità e il metodo in ogni problema, purché si sap Oioè potrebbero essere
considerate come analitiche. pia procedere in modo altrettanto
dimostrativo che nella geometria. Così, tutto viene compreso da Dio a
priori e al modo delle verità eterne; poiché egli non ha bisogno di
esperienza, ed ogni cosa viene conosciuta da lui in modo adeguato, mentre
da parte nostra quasi nessuna cosa è conosciuta adeguatamente, poche a
priori, e le più per via sperimentale. E per quest'ultimo modo di
conoscenza si devono usare altri principi ed altri criteri. (Ve Synthesi
et Analysi universali). Qualsiasi cosa creata, dunque, nella sua
considerazione a priori, così come è nella mente di Dio, contiene in sè
come predicati tutti gl’altri contingenti che sono stati o saranno
in una qualsiasi connessione causale con essa. In una parola, tutto il suo
passato e tutto il suo avvenire. Ciò che sono i termini semplici nella
costituzione dei concetti di ragione, sono, nelle verità di fatto, questa
serie di cause e di effetti. Intesa ciascuna verità di fatto in questo
modo, come soggetto di infiniti predicati, Leibniz la chiama sostanza
individuale. Essa racchiude in sè, quando sia intesa in tutta la sua
comprensione, con gl’infiniti suoi collegamenti, tutto l'universo. Per
distinguere l’azioni di Dio e delle creature, viene spiegato in che
consista il concetto di sostanza individuale. Poiché l’azioni e le
passioni appartengono propriamente alle sostanze individuali (actiones sunt
mppositorum), è necessario spiegare che cosa sia u mutale sostanza. E
pur vero che quando si attribuiscono piìi PREDICATI ad un medesimo soggetto, e
questo soggetto non si attribuisce come predicato a nessun altro, lo si chiama
sostanza individuale. Ma ciò non è sufficiente, ed una tale spiegazione
non è che nominale. Bisogna dunque considerare che cosa significa l'essere
attribuito veramente ad un certo soggetto. Ora è evidente che ogni
vera predicazione ha qualche fondamento nella natura delle cose, e quando
una proposizione non è identica, quando cioè il predicato non è compreso
espressamente nel soggetto, Insogna che vi sia compreso virtualmente: ed
è ciò che i filosofi chiamano in-esse, dicendo che il predicato è nel
soggetto. Così occorre che il termine del soggetto comprenda sempre
quello del predicato, in modo che colui che intende perfettamente la nozione
del soggetto, giudicherebbe anche che il predicato gli
appartiene. Posto ciò, possiamo dire che la natura di una sostanza
individuale o di un essere completo è che la sua nozione è così compiuta,
da bastare a comprendere e a farne dedurre ogni predicato del soggetto
cui questa nozione si attribuisce. Mentre l’accidente è un essere la cui
nozione non comprende affatto tutto ciò che si può attiibuire al soggetto (GRICE
– HAZZING AND IZZING) al quale si attribuisce questa nozione. Così la
qualità di re che appartiene ad Alessandro Magno – o GIULIO (vedasi) CESARE, o
meglior, ROMOLO, facendo astrazione dal soggetto, non è abbastanza
determinata ad un individuo, e non comprende affatto le altre qualità del
medesimo soggetto, nè tutto ciò che è compreso nella nozione di quel principe o
dittatore. Mentre Dio, vedendo la nozione individuale o /«eccetto* d’Alessandro
o GIULIO (vedasi) CESARE, o meglior ROMOLO (vedasi) vi vede nello stesso
tempo il fondamento e la ragione di ogni predicato che gli si possono veramente
attribuire, come per esempio che egli vince Dario e Poro – o ch’è
assassinato da suo proprio figlio – o ch'assassina a suo proprio fratello --,
fino a conoscervi a priori, e non per esperienza, se egli è morto di
morte naturale o per veleno o coltello – o come sacrifizio dai sequaci di Numa;
cose che noi non possiamo sapere se non dalla storia della ROMA ANTICA.
Inoltre, quando si consideri bene la connessione delle cose, si può dire
che vi sono d’ogni tempo nell’anima d’Alessandro o GIULIO CESARE o ROMOLO
resti di tutto ciò che gli e Cioè, nelle proposizioni identiche
(analitiche) il predicato è contenuto nel soggetto per la conformazione
del soggetto stesso (espressamente). Nelle proposizioni di fatto, invoee il
predicato è contenuto nel soggetto in quanto collegato ad esso da una
relazione di causa ad effetto (virtualmente)] accaduto, e segni di tutto ciò
che gli accadrà, perfino tracce di tutto ciò che accade nell’universo;
benché non appartenga che a Dio di riconoscerle tutte (Discours de
métaphysiqtu:,-- hence ‘God knows’ – cf. Kenny, The god of the philosophers,
the Wilde Oxford lectures on natural religion). A questa stregua
possiamo dire che l’atto di PASSARE IL RUBICONE – essempio di Grice, “ACTIONS
AND EVENTS” -- non si aggiunge alla nozione di GIULIO (vedasi) Cesare come
qualche cosa di nuovo, di contingente, d’imprevisto. GIULIO (vedasi) Cesare,
per chi intenda questa nozione in tutti i suoi collegamenti, contiene
in sè già a priori tutto lo sviluppo della sua personalità, COMPRESSO
L’ATTO DI PASSARE IL RUBICONE -- il quale, quando si attuerà, non è che la
CONSEQUENZA (Grice, CONSEQUENTIA) necessaria delle cause che 1’hanno
prodotto, quindi lo sviluppo ili ciò che è già contenuto in
esse. Libertà e causalità. Sorge qui di nuovo, analogamente a ciò che
si è visto poc’anzi a proposito della determinazione di Dio a scegliere il
migliore, il problema della libertà – cf. Grice on FREE FALL in “Actions and
Events”. Se ogni fatto contingento È presente nella mente di Dio,
non cessa esso di essere contingente? Non è per ciò stesso necessario,
pre-determinato? E non cade così anche qualsiasi libertà nell azione dell’uomo,
la quale si svolge nel campo delle verità di fatto? E insieme con essa,
ogni responsabilità umana nel biute e nel male? Anche a proposito di
questo problema, strettamente collegato con l'altro citato, Leibniz fa
una distinzione fra connessione necessaria e inclinante. Poiché la
nozione individuale d’ogni persona comprende una volta per tutte ciò che
mai le accade, si redono in essa le prove a priori dell’avverarsi di
ciascun avvenimento, o le ragioni per cui è avvenuta una cosa piuttosto
che un’altra. Ina queste verità, benché sicure, nondimeno sono
contingenti, in quanto fondate sul LIBERO ARBITRIO di Dio o delle CREATURE –
cf. Grice/Pears/Thomson, Freedom of the will, the Oxford seminars --, la cui
scelta dipetuie sempre da ragioni che inclinano senza necessitare. Bisogna
cercare di risolvere una grave difficoltà che può nascere dai fondamenti
che abbiamo fissato qui sopra. Abbiamo detto che la nozione di una
sostanza individuale comprende una volta per tutte tutto ciò che le può
mai accadere, e che, considerando tale nozione, vi si può vedere tutto ciò che
si potrà veramente enunciare di essa, come possiamo vedere nella natura
del circolo tutte le proprietà che se ne possono dedurre. Ma semi ira che venga
con ciò distrutta la differenza fra le verità contingenti e le necessarie,
che non vi sia più alcuna libertà umana, e che una fatalità assoluta
venga a regnare su tutte le nostre azioni come su tutto il resto degli
avvenimenti del mondo. Al che io rispondo che bisogna fare distinzione
fra ciò che è certo e ciò che è necessario: tutti sono d'accordo che
i futuri contingenti sono assicurati, poiché Dio li prevede; ma non
si riconosce, dicendo ciò, che siano necessari. Ma, si dirà, se qualche
conclusione si può dedurre infallibilmente da una definizione o nozione, essa
sarà necessaria. Ora. dato che noi sosteniamo che tutto ciò che deve
accadere a qualsiasi persona è già compreso virtualmente nella sua natura
o nozione, così come nella definizione del circolo sono comprese le sue
proprietà, la difficoltà sussiste ancora. Per risolverla in modo
plausibile, dico che la connessione o consecuzione è di due specie : l’ una è
assolutamente necessaria, e il suo contrario implica contradizione (e
questo modo di deduzione ha luogo per le verità eterne, come quelle di
geometria). L’altra non è necessaria che ex hypothesi e, per così dire,
accidentalmente, ma in sè stessa è contingente: e ha luogo quando il
contrario non implica contradizione. E questa connessione è fondata non
sulle pure idee e sul semplice intelletto di Dio, ma anche sui suoi
liberi decreti e sull'ordine dell’universo. Veniamo ad un esempio:
poiché Giulio Cesare diverrà dittatore perpetuo e capo della repubblica,
e rovescerà la libertà dei Romani, tale azione è compresa nella sua
nozione, poiché noi supponiamo che la natura di una tale nozione perfetta
di un soggetto sia di comprendere tutto, affinché il predicato vi sia
compreso, ut possit inesse subjecto. Si potrebbe dire che non è in virtù di
questa nozione o idea che egli deve commettere questa azione, poiché essa
non gli conviene se non perchè Dio sa tutto. Ma si insisterà che la sua
natura o forma risponde a questa nozione, e poiché Dio gli ha imposto
questa parte, gli è ormai necessario sostenerla. Io potrei rispondere
invocando l’analogia dei futuri contingenti, i quali non hanno ancor
nulla di reale se non nell’ intelletto e nella volontà di Dio, e poiché
Dio ha dato loro inizialmente questa forma, bisognerà in ogni modo che vi
rispondano. Ma preferisco risolvere le difficoltà che giustificarle
con l’esempio di altre difficoltà simili; e ciò che dirò, servirà a
chiarire sia l una sia l'altra. È dunque ora il momento di applicare la
distinzione fra le connessioni; ed io dico che ciò che accade
conformemente a questi precedenti è sicuro, ma non necessario: e se
qualcheduno facesse il contrario, non farebbe nulla d’
impossibile in sé, quantunque sia impossibile (ex hypothesi) che ciò accada.
Poiché, se qualche uomo fosse capace di portare a termine tutta la
dimostrazione in virtù della quale potrebbe provare questa connessione del
soggetto che è Cesare col predicato che è la sua fortunata impresa,
mostrerebbe effettivamente che la dittatura futura di Cesare ha il suo
fondamento nella sua nozione o natura: che vi si vede una ragione per cui
egli ha deciso di passare il Rubicone piuttosto che di arrestarvisi, e
per cui egli ha vinto piuttosto che perso la giornata di Farsaglia, e si vede
pure che era ragionevole e perciò sicuro che ciò sarebbe accaduto, ma non
che ciò fosse necessario in sé stesso, nè che il contrario implicasse
contradizione. Press’ a poco come è ragionevole e sicuro che Dio farà sempre il
migliore, benché ciò che è meno perfetto non implichi affatto
contradizione. Infatti si troverebbe che tale dimostrazione di
questo predicato di Cesare non è altrettanto assoluta che quella dei
numeri o della geometria, ma che essa presuppone l’ordine delle cose che
Dio ha scelto liberamente, e che è fondato sul primo Ubero decreto di Dio
- il quale comporta di fare sempre tutto ciò ohe è più perfetto - e
sui decreto che Dio ha fatto (in seguito al primo) riguardo alla natura
umana, cioè che l’uomo farà sempre (per quanto liberamente) ciò che
parrà il migliore. Ora ogni verità che sia fondata su questa specie di
decreti è contingente, benché sia certa; poiché questi decreti non
cambiano affatto la possibilità delle cose e, come ho già detto, benché
Dio scelga sempre sicuramente il migliore, ciò non impedisce che ciò che
è meno perfetto non sia e non resti possibile in sé stesso, sebbene non
accadrà ; perchè non è la sua impossibilità, ma la sua imperfezione che
lo fa respingere. Ora nulla è necessario, di cui sia possibile
l’opposto. Si sarà dunque in condizione di risolvere queste
specie di difficoltà, per quanto grandi appaiano (ed infatti esse
non sono mono impellenti a questo riguardo che tutte le altre che si sono
mai riferite a tale materia), purché si consideri bene che tutte le
proposizioni contingenti hanno ragioni per essere piuttosto così che
altrimenti, oppure (ciò che è lo stesso) che esse hanno delle prove a
priori della loro verità, le quali le rendono certe e mostrano che
la connessione del soggetto e del predicato di queste proposizioni ha il suo
fondamento nella natura dell’ imo e dell'altro: ma che esse non hanno dimostrazioni
di necessità, poiché queste ragioni non sono fondate che sul principio
della contingenza o dell'esistenza delle cose, cioè su ciò che sembra il
migliore fra varie cose ugualmente possibili : mentre le verità necessarie sono
fondate sul principio di contradizione e sulla possibilità o
impossibilità delle essenze stesse, senza riguardo, in ciò, alla volontà
libera di Dio o delle creature. ( Discour « de métti
physique). D’altra parte, Leibniz usa anche altri argomenti per
salvare la libertà e la responsabilità in questa connessione causale
universale. Libertà non è sempre necessariamente un contrapposto di
determinazione causale. Quanto al libero arbitrio, sono dell'
opinione dei tomisti (1) e di altri filosofi, i quali credono che tutto
sia predeterminato: e non vedo ragione di dubitarne. Ciò però non
impedisce che noi abbiamo ima libertà esente non solo dalla costrizione,
ma anche dalla necessità: ed in ciò la nostra situazione è analoga a
quella di Dio stesso, il quale è pure sempre determinato nelle sue
azioni, poiché non potrebbe fare a meno di scegliere il migliore. Ma
se egli non avesse da scegliere, e se ciò che egli la, fosse 1
unico possibile, egli sarebbe sottomesso alla necessità. Piu si è
perfetti, più si è determinati al bene, ed anche più liberi nello stesso
tempo. Poiché si ha una facoltà e conoscenza tanto pili estesa ed una
volontà tanto più rinchiusa nei limiti della perfetta ragione.
(Lettera al Bayle). Quantunque tutti i fatti dell’universo siano
ora certi in rapporto a Dio. o (ciò che è poi lo stesso) determinati
in sé stessi ed anche legati fra di loro, non ne viene di conseguenza che
il loro legame sia sempre di una vera necessità. cioè che la verità la quale
stabilisce che un fatto è conseguenza dell altro, sia necessaria. Ed è
questo principio che bisogna applicare particolarmente alle azioni
volontarie. Quando ci si propone una scelta, per esempio di
uscire o di non uscire, il problema è se, con tutte le circostanze
interne od esterne, motivi, percezioni, disposizioni, impressioni. passioni,
inclinazioni prese insieme, io sia ancora in istato di contingenza, o se
io sia necessitato a scegliere, per esempio, di uscire. Cioè è da
domandare se la proposizione vera ed effettivamente determinata: « in tutte
queste circostanze prese insieme io sceglierò di uscire », sia
con- Il principio ohe il mondo sensibile sia retto dalla leggo di
causalità appartiene alla tradizione ari»toteliea, ricevuta da Leibniz
attraverso la scolastica. tingente o necessaria. A ciò io rispondo
che è contingente; perchè nè io nè alcun altro spirito più illuminato di
me potrebbe dimostrare che l'opposto di questa verità implichi
contradizione. E supposto che per libertà il' indifferenza et intenda una
libertà opposta alla necessità (come ho or ora spiegato), io accetto tale
concetto della libertà. Poiché sono effettivamente d'opinione che la
nostra libertà, così come quella di Dio e degli spiriti beati, è esente
non solo da coazione, ma anche da una necessità assoluta; benché
essa non possa essere esente dalla determinazione e dalla certezza.
Ma io penso che in questo argomento sia necessaria una grande
precauzione, per non cadere in una concezione chimerica che urta contro i
principi del buon senso: la quale sarebbe ciò che io chiamo indifferenza
assoluta o di equilibrio: concetto che taluni introducono nella libertà, e
che io ritengo chimerico. Bisogna dunque considerare che questo legame di
cui ho parlato, assolutamente parlando non è punto necessario, ma che non
jier questo è men vero; e che in generale, ogni volta che. in tutte le
circostanze prese insieme, la bilancia della deliberazione è piìi
carica da una parte che dall’altra, è certo e immancabile che questo
partito vincerà. Dio, o il saggio perfetto, sceglieranno sempre il migliore
conosciuto, e se un partito non fosse migliore dell'altro, essi non
sceglierebbero nè l'uno nè l’altro. Nelle altre sostanze intelligenti, le
passioni spesso terranno luogo di ragione, e si potrà semine dire,
riguardo alla volontà in generale, che la scelta segue la jiiù grande
inclinazione-, nella quale io comprendo sia le passioni, sia le ragioni
vere o apparenti. So bensì che qualcuno immagina che ci si
determini qualche volta per il partito meno carico di ragioni, che
Dio scelga qualche volta, tutto considerato, il minor bene, e che l’ uomo
scelga a volte senza motivo e contro tutte le sue ragioni, disposizioni e
passioni; insomma che si scelga a volte senza che vi sia alcuna ragione
che determini la scelta. Ma ciò, io lo ritengo falso e assurdo, poiché è
uno dei massimi principi del buon senso che nulla accada senza
causa o ragione determinante. Così, quando Dio sceglie, lo fa
secondo il criterio del migliore; quando l'uomo sceglie, sceglierà il partito
che l'avrà colpito maggiormente. E se scegliesse ciò che vede meno
utile e meno piacevole, sarà magari perchè gli è divenuto piacevole per
capriccio, per spirito di contradizione, o per analoghe ragioni di gusto
depravato; le quali però non per questo saranno meno determinanti, anche
quando non fossero concludenti. E non si troverà mai un esempio contrario
a ciò. Così, quantunque noi abbiamo una libertà di
indifferenza che ci salva dalla necessità, non abbiamo mai una
indifferenza di equilibrio che ci esima dalle ragioni determinanti. C’è sempre
qualche cosa che ci inclina e ci la scegliere, ma senza che ci possa
necessitare. E come Dio e sempre portato infallibilmente al migliore, per
quanto non vi sia portato necessariamente (se non per mia necessità
morale), noi siamo sempre portati infallibilmente a ciò che ci colpisce
di più, ma non necessariamente. Poiché il contrario non implicava alcuna
contradizione, non era punto necessario nè essenziale che Dio creasse
alcunché nè che creasse particolarmente questo mondo: benché la sua
saggezza e la sua bontà ve lo abbiano indotto. (Lettera al Coste,
1707, 6. Ili, 400-102). Previsione e predeterminazione. - Posto
ciò, è possib ile pensare che la previsione dei predicati contingenti da
partedi Dio non contraddica alla libertà. P reveder e non significa
predeterminare. Dio sceglie fra i possibili una serie nella quale
soiuTdpaT contenute determinate azioni col carattere di libertà. Nello
sceglierle, egli non le crea nè le determina: non fa che metterle in
azione, attualizzare la loro possibilità. Nel farlo, egli vede tutta la
serie, ne prevedo gli sviluppi: con ciò non ha però determinato quelle
azioni, le quali mantengono, nella serie attuale come in quella
possibile, la loro caratteristica di libertà. Dio inclina la
nostra anima senza necessitarla ; non si ha il diritto di lamentarsi, e
non si deve domandare perchè Giuda pecchi, ma solamente perchè il
peccatore Giuda sia ammesso all' esistenza a preferenza di altre persone possibili.
Imperfezione originale prima del peccato e gradi della grazia.
Quanto all’azione di Dio sulla volontà umana, vi sono moltissime
considerazioni assai difficili, che sarebbe lungo esporre qui. Ciò
nonostante, ecco che cosa si può dire all' ingrosso: Dio, concorrendo
ordinariamente alle nostre azioni, non fa che seguire le leggi che egli
ha stabilite; egli conserva, cioè, e produce continuamente il nostro
essere, in modo che i pensieri ci arrivino spontaneamente o liberamente
nell'ordine determinato dalla nozione della nostra sostanza individuale,
nella quale essi si potevano prevedere fin dall’eternità. In più, in
virtù del suo decreto secondo cui la volontà tende sempre al bene
apparente, esprimendo o imitando la volontà di Dio sotto certi
aspetti particolari, riguardo ai quali questo bene apparente ha
sempre qualche cosa di reale, egli determina la nostra alla scelta di ciò
che sembra il migliore, senza però necessitarla. Poiché, assolutamente
parlando, essa è nell’ indifferenza, in quanto la si oppone alla necessità, ed
ha il potere di fare altrimenti o anche di sospendere affatto la
propria azione; l'uno e l'altro partito essendo e rimanendo possibili.
Dipende dunque dall'anima di premunirsi contro le sorprese
dell’apparenza, attraverso una ferma volontà di fare riflessioni, e di
non agire nè giudicare in determinate occasioni, se non dopo aver maturamente
deliberato, fi vero però, ed anche è assicurato da tutta f eternità, che
qualche anima non si servirà affatto di questo potere in una
tale circostanza. Ma chi ne ha colpa? può essa lagnarsi d'altri che
di sè stessa ? Poiché tutte queste lagnanze post factum sono ingiuste,
quando sarebbero state ingiuste ante factum. Ora quest’anima, un poco
prima di peccare, avrebbe motivo di lagnarsi di Dio come se egli la
determinasse al peccato? Essendo le determinazioni di Dio in questa
materia imprevedibili, d’onde sa essa di essere determinata a peccare, se
non quando essa pecca già effettivamente? Non si tratta che di non
volere; e Dio non potrebbe proporre condizione più agevole e piii giusta; così
tutti i giudici, senza cercare le ragioni che hanno disposto un
uomo ad avere una cattiva volontà, si fermano a considerare soltanto quanto
questa volontà sia cattiva. Ma forse è fissato da tutta l’eternità che io
peccherò? Rispondete voi stessi: forse no. E senza pensare a ciò che voi
non potete conoscere e che non può darvi alcun lume, agite seguendo
il vostro dovere, che conoscete. Ma qualche altro dirà : D onde
consegue che quest'uomo commetterà sicuramente questo peccato ? La
risposta è facile: è che altrimenti non sarebbe quest’ uomo. Poiché
Dio vede dall’eternità che vi sarà un certo Giuda la cui nozione o idea
posseduta da Dio contiene questa azione futura libera. Non resta dunque
se non questo problema: perchè un tal Giuda, traditore, che non è se non
possibile nell’ idea di Dio, esista attualmente. Ma a tale domanda
non è da aspettare risposta quaggiù, se non che in generale si deve dire che,
poiché Dio ha trovato giusto che Giuda esistesse nonostante il peccato
che egli prevedeva, bisogna che questo male si compensi ad usura nell -
universo, che Dio ne tragga un bene maggiore, e che insomma
questo ordine di cose, nel quale l'esistenza di tale peccatore è
compresa, sia il più perfetto fra tutti gli altri ordini possibili. Questo
concetto del male come parte integrante e necessaria dell’armnnia universale,
sarà il tenia fondamentale della Tendiceli. Ma spiegare sempre l'
ammirevole economia di questa scelta, non si può, durante il nostro
passaggio su questo mondo; e basti saperlo, senza comprenderlo. Questo è
il momento di riconoscere altitudinem divitiarum, la profondità e
l’abisso della saggezza divina, senza voler sviluppare problemi di
dettaglio, che implicano considerazioni infinite. Si vede però bene
che Dio non è la causa del male. Poiché non soltanto dopo la perdita
dell’ innocenza degli uomini il peccato originale si è impossessato dell'
anima, ma ancor prima vi era una limitazione o imperfezione
originale connaturale a tutte le creature, che le rendeva soggette al
peccato e capaci di errare. Così non vi è maggior difficoltà riguardo ai
supralapsari (1) che riguardo agli altri. Ed a ciò, a mio avviso, si deve
ridurre l'opinione di S. Agostino e di altri autori, che l’ orìgine del
male sia nel nulla; cioè nella privazione o limitazione delle creature,
alla quale Dio rimedia graziosamente col grado di perfezione che gli
piace di dare. Questa grazia di Dio, sia ordinaria o straordinaria, ha i
suoi gradi e le sue misure, è sempre efficace in sé stessa a produrre un
certo effetto proporzionato; ed inoltre essa è sempre sufficiente,
non solo a preservarci dal peccato, ma anche a condurci alla
salvazione, supponendo che l’uomo si unisca ad essa per quanto dipende da
lui. Ma essa non è sempre sufficiente a superare le inclinazioni dell'
uomo, perchè altrimenti egli non terrebbe più a nulla; e ciò è riservato
alla sola grazia assolutamente efficace, che è sempre vittoriosa; o che
lo sia per sè stessa, o per l'accordo delle circostanze.
(Discount de mélaphysiqne). L supralapsari sostenevano, contro gli
infialapsari, che la predeterminazione divina si esercitasse anche prima del
peccato originale (sujrra lapsum, prima della caduta) e che quindi il
fallo di Adamo non fosse stato compiuto per un atto di libera volontà.
Leibniz, con questu sua conciliazione di predeterminazione e contingenza o
libertà, rende ozioso il problema, Leibniz, La monadologia. Ma a parto
questi problemi di necessità, libortà, previsione predeterminazione, che
rientrano piuttosto nell’ambito della Teodicea, il punto essenziale
toccato qui è V universalità della sostanza indimdmle che, con lo
infinite connessioni che racchiude in sè, diviene l’universo stesso visto da un
particolare punto di vista. Essa comprende il proprio passato e il
proprio avvenire, e insieme il passato e l’avvenire di tutto
l'universo; raggiunge cioè il massimo del l'universalità: è una visione
totale, complessiva del tutto. E d'altra parte conserva tutta la
sua individualità. 11 punto di partenza è sempre il singolo dato di
tatto, specifico, particolare, contingente. Esso non scompare nel tutto: rimane
ben chiaro e visibile come capo dell’ immenso filo svolgentesi alI'
infinito, al seguito di tutte le connessioni causali. Rimane e garantisce
un punto di appoggio, una possibilità di percorrere ordinatamente tutto 1’
interminabile cammino. E d’altra parte ammette la possibilità di infiniti
altri punti di partenza. Le sostanze individuali sono tante quanti sono i
dati di fatto, cioè infinite. E ciascuna è tutto l’imiverso. Ma ciascuna
da un diverso punto di vista, con diverso punto di partenza. L’universo è
uno: ciascun particolare è una infinitesima parte di esso: ma da ciascun
particolare si ha la possibilità di risalire alla totalità nel suo
complesso. In questa unione di particolare e universale nella sostanza
individuale, sta la prima grande scoperta di Leibniz, il nu cleo fon
damentale del concetto di monade. Un altro campo del! attività di
pensiero loibniziana è la filosofia della natura; campo ben distinto da quello
che si è visto fin ora, e trattato con strumenti e metodi di tutt’altro
genere. I problemi qui analizzati hanno particolare affinità con
quelli dello scienze fisiche: c ostituzione della m ateria, esistenza o
meno degli atomi, del vuoto, origine e funzione del movimento,
dell’energia, etc. Leibniz non fa discendere la soluzione di questi
problemi dai principi generali della sua filosofia metafisica: li tratta
per sè stessi, secondo una tecnica ad essi propria, seguendo in questo il
suo uso di entrare sempre nel vivo di ogni ricerca e di appropriarsi le
caratteristiche particolari di ogni scienza. In seguito poi, una volta
giunto a determinate soluzioni e ad atteggiamenti definitivi, li metterà
in rapporto con le soluzioni ottenute negli altri campi, giungendo così
a sintesi sempre più ricche e comprensive. La continuità e la
materia. - Le idee di Leibniz nella filosofia fisica subiscono una
profonda evoluzione, dalla giovanile Hypothesis physica nova, alle concezioni
più mature. E nel corso di questa evoluzione si formano i suoi concetti
fondamentali in questo campo. Egli comincia come atomista, al seguito del
Gasa elidi, il quale rinnovava le dottrine di Epicuro e di Democrito, e concepiva
la materia in tutti i suoi aspetti come formata dalla varia combinazione
degli atomi nel vuoto. Ben presto però Leibniz abbandona questa
teoria, la quale è inconciliabile col suo principio di continuità. È
questo uno dei fondamenti del suo pensiero, e si applica non solo alla
considerazione della materia, ma anche a molti altri aspetti della sua
speculazione. Per esso non esistono arresti, interruzioni, distacchi
nello sviluppo delle cose. Per esso natura non facil saltus. Applicato alla
considerazione logica del mondo sensibile, questo principio è il
fondamento del passaggio ininterrotto dalla causa all’effetto e dall’effetto
alla causa, senza ammettere posto una volta il miracolo iniziale della
creazione nuove creazioni ex novo, nuovi miracoli. Per questo principio tutto
il mondo è comiesso in tutte le sue parti; sì che dalì’una si può, attraverso
un procedimento ininterrotto, passare a qualsiasi altra.
Nulla avviene ad un tratto. Una delle mie grandi massime, e delle più
ricche di applicaziomi, è che la natura non fa mai salti : 1' ho chiamata
legge della continuità; e l’uso di questa legge è molto importante nella
fisica: essa stabilisce che si passi sempre dal piccolo al grande e
viceversa, attraverso il medio, nei gradi come nelle parti, e che mai mi
movimento nasca immediatamente dal riposo, nè vi giunga se non attraverso un
movimento più piccolo; che non si possa mai finire di percorrere
alcuna linea o lunghezza prima d’aver percorso una linea più
piccola; quantunque coloro che hanno formulato finora le leggi del
movimento, non abhiano affatto osservato questa legge, credendo che un
corpo possa ricevere in mi istante un movimento contrario al precedente.
Tutto ciò permette di stabilire che anche le percezioni evidenti^derivano
per gradi da quelle che sono troppo piccole per essere osservate.
Giudicare altrimenti significa non conoscere a sufficienza 1’ i mm ensa
sottigliezza delle cose, che implica sempre e ovunque un infinito
attuale. (Nuovi Saggi, Prefazione). Applicato alla
considerazione del mondo materiale, il principio di continuità stabilisce
che la materia è divisibile all’ infinito, e che non è possibile
concepire un arresto in questa divisibilità, o pensare un elemento che
sia indivisibile e possa rappresentare un punto ili partenza per la
costituzione dei corpi. Viene così a cadere la dottrina dell’ atomo (1)
come elemento primo e semplice, dalla cui composizione derivino i diversi
aspetti della materia. Qualsiasi elemento materiale, sia pur piccolissimo,
è concepito come composto di parti. Poiché il continuo è
divisibile all'infinito, qualsiasi atomo sarà, in certo modo, come un
mondo di infinite specie, e vi saramio mundi in mundis in
infinitum. ( Hypothesis pkyeica nova, Theoria molli e
concreti). Tutta la natura è piena di corpi organizzati, cioè
animali e piante o altre specie ancora, e non vi è atomo che non
contenga un mondo di creatine, poiché tutto è diviso attualmente all'
infinito. (lettera a Burnott). Il movimento. La
materia, dunque, non è formata di atomi: è divisibile all’infinito,
continua, omogenea, tale che mai si potrà arrivare all’elemento più
piccolo di essa. D’altro lato, essa non è riducibile a pura estensione,
come voleva Cartesio. Tale concezione, che terrebbe conto nella materia dei
soli elementi geometrici e la considererebbe solo in funzione dello
spazio che occupa, non è sufficiente per Leibniz. La materia è per lui qualche
cosa di più: è anzitutto compattezza, movimento, inerzia. È ciò che
oppone resistenza. Che la natura normale della sostanza corporea sia
costituita dall’estensione, mi pare sia affermato da molti con grande
sicurezza, ma da nessuno dimostrato; certamente, non derivano dal
l’estensione nè il movimento o azione, nè la resistenza o passione; e
neppure le leggi della natura che regolano il movimento e l’urto dei
corpi. E veramente il concetto dell'estensione non è primitivo, ma
risolubile ATOfioq significa appunto indivisibile. (2)
Ricordiamo che Cartesio, nella sua deduzione del mondo da Lio, prende
come punto di partenza le due sostanze: ree cogitane (principio spirituale) e
ree exietcne (principio della materia). in altri. Infatti, da ciò che è
esteso si richiede che sia un tutto continuo in cui coesistano vari
elementi. E, per dir tutto, all estensione, il cui concetto è relativo, è
necessario qualche cosa che si estenda o sia continuo, così come
nel latte la bianchezza, nel corpo ciò stesso che ne costituisce
l’essenza. La ripetizione di questo quid (qualunque esso sia) è l’estensione.
E io sono pienamente d'accordo con lo Huygens ( I ) (del quale ho grande
stima in questioni naturali e matematiche), cho spazio vuoto e pura
estensione siano un solo e medesimo concetto: nè, a mio giudizio, la mobilità o
la dcvriTUTtla (2) possono spiegarsi con la pura estensione, ma solo con
un soggetto dell’ estensione il qualo non solo determini, ma riempia
anche uno spazio. (Animadvtraionee in pariem generabili Prinoipiorum
eurtesianorvm, prima del 1692, G. IV, I)a che cosa derivano,
ora, queste qualità della materia? Questa azione, questa resistenza etc.,
in cui consiste l’essenziale di essa? Nei suoi primi studi, Leibniz fa derivare
tutte le qualità della materia dal movimento. La materia
prima è la massa stessa, nella quale non è nuli altro che estensione e
àvTiTtmta, ovvero impenetrabilità: ('estensione le deriva dallo spazio che
riempie; ma la vera natura della materia consiste nell'essere alcunché di
denso (crassum) e impenetrabile, e in conseguenza tale che, incontrandosi
con qualche cosa d'altro, si muova (dato che l’uno dei due deve cedere).
Questa massa continua che riempie il mondo mentre tutte le sue parti ri
ti) Cristiano Huvobns grande scenziato olandese, autore della teoria
ondulatoria della luco e primo applicatole del principio del pendolo alla
costruzione degli orologi, 6 uno di coloro ohe hanno maggiormente
influito sullo sviluppo dello idee scientifiche di Leibniz. La loro amicizia c
corrispondenza dura da iranno della loro conoscenza a Parigi finn alla morte
della Huygens. E fin dal 1669, Leibniz aveva tratto dalle leggi di
Huygens sugli urti lo spanto per alcune sue idee sulla costituzione della
materia. (2) Antitypia è il termine usato da Leibniz por indicare
la compattezza e impenetrabilità della materia. mangono in
quiete, è la materia prima, dalla quale ogni cosa deriva attraverso il
movimento, e nella quale tutto si dissolve attraverso la quiete. In essa
non vi sarebbe’ infatti nessuna diversità, ma una pura omogeneità,
se non vi fosse il movimento.... Dalla materia passiamo ora
alla forma. Se supponiamo che la forma non sia altro che figura,
troveremo di nuovo una mirabile concordanza. Infatti, poiché la figura è
il limite ( terminus ) del corpo, per formare le figure della
materia sarà necessario un limite. E per far sorgere vari limiti nella
materia, bisogna ricoiTere alla discontinuità delle parti, dato che
(piando le parti sono discontinue, ciascuna di esse ha termini separati
(infatti Aristotele definisce i continui come quelli il cui limite è uno (1));
ma la discontinuità, in quella massa inizialmente continua, può
essere prodotta in duplice modo : o togliendole insieme anche la contiguità, il
che ha luogo quando avviene una separazione fra le parti, in modo che si produca
un vuoto; oppure conservando la contiguità, come quando le parti,
pur rimanendo accoste, si muovono tuttavia in direzioni diverse: così per
esempio due sfere, comprese l una nell'altra, possono muoversi in direzioni
diverse e tuttavia rimanere contigue cessando di essere continue. Di qui
è chiaro che se la massa è stata creata inizialmente discontinua o
interrotta da vuoti, alcune forme devono esser state create
contemporaneamente alla materia; se invece la massa è inizialmente
continua, è necessario che le forme sorgano dal movimento perchè dal
movimento deriva la divisione, dalla divisione il limite delle
parti, dai limiti delle parti le loro figure, dalle figure le forme,
quindi dal movimento derivano le forme. È chiaro da ciò che ogni
tendenza alla forma è movimento: e questa è la soluzione della contrastata
questione sull’origine delle forme lu greco nel tosto: uv Tà cacata sv.
Ci resta da occuparci dei mutamenti. Come mutamenti si enumerano
volgarmente (e giustamente) i seguenti: generazione, corruzione, aumento, diminuzione,
alterazione, e mutamento di luogo o movimento. I moderni ritengono
che tutti questi mutamenti si possano spiegare attraverso il solo
mutamento di luogo. E la cosa è chiara quanto all’ aumento e alla
diminuzione : infatti mutamento di quantità avviene, in un tutto, quando una
parte muta di luogo e si aggiunge o viene tolta. Resta da spiegare
attraverso il movimento la generazione e la corruzione e l’
alterazione.... E tanto la generazione e la corruzione quanto
l’alterazione possono spiegarsi attraverso mi sottile movimento delle parti:
per esempio, poiché è bianco ciò che riflette molta luce e nero ciò che
ne riflette poca, saranno bianche le cose le cui superficie contengono
molti piccoli specchi; e questa è la ragione per cui la spuma
dell’acqua è bianca, constando di innumerevoli bollicine che sono
altrettanti specchi.... E chiaro da ciò che i colori derivano dal
semplice mutamento di figura e di situazione nella superficie ;
altrettanto potremmo facilmente spiegare, se ne avessimo lo spazio, della
luce, del calore e di tutte le qualità. E invero, se le qualità mutano a causa
del solo movimento, per ciò stesso muterà anche la sostanza: mutati
infatti tutti gli elementi (perciò anche alcuni di essi) si elimina la
cosa stessa; per esempio, se elimini o la luce o il calore, avrai
eliminato il fuoco. (Lettera al Thomasius). Tutto
dunque deriva, nella materia, dal movimento; e senza il movimento, quando
cioè sia in quiete, essa perde ogni sua solidità e consistenza, quindi
ogni sua caratteristica di materia. Leibniz afferma ripetutamente «
nullam esse cohaesionem seu consistenliam quiescentis. Devo
dire che Cartesio ha tutt’ altra opinione, sembrando a lui che alla
stabilità della coesione nei corpi non necessiti altro elemento collegante (
gluten ) che la quiete. Io sono di opinione contraria : questo glutine è
il movimento. Ciò che è in quiete è spazio vuoto. (Lettera
ali’Oldenburg, Ale.). Bisogna spiegare la causa della connessione
maggiore o minore e quindi della eterogeneità nei corpi. Si domanda
perchè i corpi abbiano le parti più o meno coerenti: affermo che non si deve
cercare altra causa di ciò se non nel fatto che queste parti stanno o si
muovono insieme. Si muovono insieme perchè in una così grande varietà
di movimenti generali in tutta la massa complessiva era in ogni
modo necessario che alcune parti si allontanassero di molto dalle loro
vicine, altre poco in paragone. E la medesima causa che ha fatto sì che
queste parti poco o nulla si allontanassero dalle loro vicine, fa anche
sì che esse tendano a perseverare nel medesimo stato, perchè la
causa permane. La causa è la combinazione stessa dei movimenti generali : e i
movimenti generali permangono sempre. Li turba dunque chi muti improvvisamente
un qualsiasi effetto da essi prodotto e stabilito, e nel quale tutta la
natura consente. Ne deriva chiaramente che la pressione esterna è la causa
prima della solidità, e che la quiete o il movimento cospirante delle
parti ne è la causa prossima, ma soltanto quando deriva da una causa
esterna permanente. Così dunque come la concomitanza, cioè la
quiete o il movimento cospirante costituiscono il corpo solido,
analogamente il movimento vario delle parti costituisce il liquido. E questo è
il principio della diversità specifica nei corpi, e del fatto che alcuni sono
più densi degli altri, cioè più solidi o composti di parti solide più
grandi. Questa tesi è anche confermata dall’esperienza. (Lettera a
zFabri, FABRI (vedasi). li. «conatcs». — Il concetto di materia dun que si
dissolve in quello di movimerfto. Ma "come avviene, ora, tale
creazione di materialità'? Qual^dl punto di partenza dell'azione del
movimento ? K su che cosa si svolge, inizialmente, tale azione? Leibniz
non può ricorrere agli atomi, come elementi primi, avendoli già negati in
nome del principio di continuità. Egli modifica il suo punto di partenza,
rendendolo privo di estensione: considerandolo non più come la particella più
piccola di materia (la quale sarebbe pur sempre materiale, estesa),
ma come un limite o un inizio, qualche cosa quindi di inesteso. In tale
principio, che egli chiama, riprendendo un termine dello Hobbes, comtus, fa
coincidere l’ inizio della materialità e l’ inizio
derTìTTTvtrnrnto. Vi sono degli indivisibili o inestesi, altrimenti
non sarebbe concepibile nè l’inizio nè la fine del movimento corporeo. Ecco la
dimostrazione di ciò : Si vuol trovare 1’ inizio o la fine di uno spazio, di un
corpo, di un movimento 0 di un tempo qualsiasi: sia, ciò di cui si
vuol cercare 1 inizio, indicato da una linea ab il cui punto
mediano sia c, e il mediano fra a e c sia d, e quello fra a e d sia
e, e così via. Si cerchi 1‘ inizio della parte sinistra, verso il
lato a. Dico che ac non è 1‘ inizio, perchè gli si può togliere de senza
toccare I' inizio; nè lo è ad, perchè gli si può togliere ed, e così via;
non si può mai dunque considerare come inizio ciò a cui si può togliere
qualche cosa dalla parte destra. Ciò a cui non si può togliere
alcuna estensione, è inesteso; dunque 1’ inizio del corpo, o dello
spazio, o del movimento, o del tempo, (cioè il punto, il conatus, I
istante) o è nullo, il che è assurdo, oppure è inesteso, il che era da
dimostrarsi. Il /muto non è ciò che non ha parti, e neppure ciò di cui
non si considerano le parti; ma ciò la cui estensione è nulla, cioè ciò
le cui parti non hanno distanza fra di loro, la cui grandezza non è
da considerarsi, è inassegnabile, è minore di qualsiasi grandezza die possa avere
un rapporto non infinito con una altra grandezza sensibile ; minore di
una qualsiasi assegna Iòle:
e ciò è il fondamento del metodo di Cavalieri (1) e dimostra in modo
chiaro, la verità di quel suo principio per il quale si concepiscono dei
rudimenti, per così dire, o inizi delle linee e delle figure, minori di
qualsiasi assegnabile 11 conatus sta al movimento come il punto allo
spazio, cioè come l’unità all' infinito; è cioè 1’ inizio o la fine
del movimento. Perciò tutto ciò che si muove, sia pur debolmente, sia
pure urtando contro qualsiasi ostacolo, propagherà il conatus all ’ infinito
per tutto ciò che gli si oppone nella materia, e perciò imprimerà il suo
conatus a tutte le altre cose : nè si può negare che, quando anche
cessi di procedere, tuttavia abbia un conatus; e perciò tenda ( conetur ), o —
che è lo stesso imprima un inizio di movimento a tutto ciò che gli si
oppone, anche se venga superato da questi ostacoli. Così in ciascun corpo vi
possono essere contemporaneamente più conati contrari. Nel tempo di una
spinta, di un urto, di un incontro, i due estremi dei corpi, o pimti, si
penetrano, ovvero sono nel medesimo punto dello sjxtzio : infatti quando,
di due corpi che s incontrano, l'uno tende a penetrare nel luogo
dell altro, comincerà ad essere in esso, cioè comincerà a penetrare in
esso, a unirsi con esso. Infatti il conatus è inizio, penetrazione,
unione; quei due corpi sono perciò all inizio dell unione, cioè i loro
estremi si uniscono: dunque i corpi che si premono o spingono, hanno
coesione. Infatti i loro estremi sono uno, poiché le cose i cui termini
sono uno (2), sono continue o coerenti, anche pel li) Bona vkstuka
Cavai.ihri, autore della Geometria indivisihiliurn. ebbe, eoi suo concetto di
indivisibile, «rande influenza sul pensiero matematico di Leibniz. T3«!i
può essere considerato forse come il principale precursore della scoperta
del calcolo infinitesimale, dovuta al Leibniz e al Newton.
(2) In greco nel testo. Cfr. sopra, p. 55. definizione di .Aristotele;
e se due cose sono in un solo luogo, l’una non può essere spinta senza
l’altra. (Hypothe.sis phyatea nova, Theoria molun abftraeti).
Corpo e spirito. il conatus è dunque, per così dire, l' inizialo punto di
contattoTra “materia e movimento: l'atto in cui il movimento,
applicandosi 'ad un punto" spaziale, segna I' inizio del corpo. Ma
che cos’ò il movimento rispetto alla materia, se non un principio
spirituale? La lisica tratta della materia e della unica
affezione risultante dalla sua combinazione con altre cause, cioè
del movimento. Lo spirito (mena) infatti, per ottenere una figura e
situazione delle cose buona e a lui gradita, fornisce alla materia il
movimento. Infatti la materia di per sè è priva di movimento. Principio
di ogni movimento è lo spirito. (Lotterà al
Thouiasius). Così Leibniz, in una formulazione ancora immatura: e,
giunto al concetto di conattie . in esso egli fa consistere il
principio dello spirito. L'estendersi e svilupparsi del conati ts nello
spazio, dà luogo alla materia; l’estendersi nel tempo (sotto forma
di memoria) dà luogo allo spirito. TI corpo sta così allo spirito
come l’ istante sta al tempo; lo spirito al corpo come il punto allo
spazio. Nessun conato senza movimento dura più di un istante,
se non negli spiriti (in mentibus). Infatti ciò che nell'istante è il
conato, quello è nel tempo il movimento del corpo: qui si apre la porta a
chi vorrà proseguire verso la vera distinzione di corpo e spirito, che
non è ancora stata spiegata da alcuno : Dinne enirn corpus est mens
momentanea, seu carena recordalione, poiché non ritiene per piìi di un
istante insieme il proprio conato e un altro contrario ; due elementi,
infatti, sono necessari alla sensazione e al piacere o al dolore, senza i
quali non vi è sensazione alcuna: l'azione e la reazione, cioè la
comparazione e quindi Y armonia ; perciò il corpo manca di memoria, manca del
senso delle azioni e delle passioni, manca di pensiero
(cogitatio). (llypothesis physica nova, Theoria motus abxtracli.
Come le azioni del corpo consistono nel movimento, così consistono
le azioni dello spirito nel conatun o, per così dire, nel minimo
movimento o punto; infatti anche lo spirito stesso consiste propriamente
soltanto in un punto dello spazio, mentre il corpo comprende spazio, li
questo, per parlare popolarmente, lo dimostro dal fatto che lo
spirito dev'essere nel luogo d : incontro di tutti i movimenti che ci vengono
impressi dagli oggetti dei sensi. Dato che, quando voglio stabilire che
un dato corpo è oro, prendo insieme la sua lucentezza, il suo suono, il
suo peso, e ne conchiudo che è oro, bisogna dunque che lo spirito
sia in un luogo in cui tutte le linee della vista, dell’udito e del tatto
si incontrano, cioè in un punto. Se noi dessimo allo spirito uno spazio
maggiore che un punto, esso sarebbe già un corpo e sarebbe divisibile in parti;
e perciò non sarebbe sempre intimamente presente a sè stesso e così
non potrebbe anche riflettersi su tutti i suoi elementi e le sue azioni.
Eppure in ciò consiste proprio l’essenza dello spirito. Posto dunque che
lo spirito consista in un punto, è indivisibile e indistruttibile. Da
questi principi e da altri ancora, ho dimostrato molte cose meravigliose
riguardo alle caratteristiche dell'anima umana e in generale di tutti
gli spiriti intelligenti; cose alle quali nessuno finora aveva pensato,
benché da esse sgorghi in modo finora mai visto la verità della
religione, della provvidenza divina, dell immortalità della nostra anima e la
possibilità di molti sublimi misteri (come quello della giustizia divina,
della predestinazione e della presenza nel sacramento). Ed io spero
una volta di poter mostrare tutto ciò nel modo più chiaro possibile, e di
acquistarmi così qualche benemerenza presso tutti gli uomini intelligenti,
ehe odiano l’ateismo oggi invadente e si preoccupano dell’
eternità.(Lettera al duca ili Hannover). Da questo contatto fra
sostanza spirituale e materiale nel conatus, Leibniz trao le sue prime
conclusioni verso la funzione della spiritualità nel mondo fisico, e 1 importanza
dello spirito in rapporto a qualsiasi elemento corporeo e
materiale. Sono capace di dimostrare dalla natura del
movimento nel campo fisico, da me scoperta, che il movimento non
può esistere nei corpi presi per sè, se non vi si aggiunga lo
spirito;.... che lo spirito è incorporeo; che lo spirito agisce su sè
stesso, che nessuna azione su sè stesso può essere movimento, che
l'azione ilei corpo non è se non il movimento, e che quindi lo spirito non
è corpo. Che lo spirito consiste in un punto o centro, e che perciò è
indivisibile, incorruttibile, immortale. Come nel centro concorrono tutti i
raggi, così concorrono insieme nello spirito tutte le impressioni
sensibili attraverso i nervi; e dunque lo spirito è un piccolo mondo
concepito in un punto, il quale consiste delle proprie idee così come il
centro consiste degli angoli, poiché l’angolo è mia parte del centro,
nonostante che il centro sia indivisibile. Così può essere spiegata
geometricamente tutta la natura dello spirito. (Lettera al duca di
Hannover, 1071, U. 1, (il). La conservazione della forza. Queste sono le
teorie fisiche del giovane Leibniz. Ha una nuova scoperta fa sì che
egli abbandoni il suo concetto del movimento come essenza dei corpi, e lo
sostituisca con quello di forza. Cartesio aveva affermato la immutabilità
e costanza della quantità di movimento nell’universo; cioè, ehe quanto
movimento viene perduto da un corpo, tanto viene acquistato da un altro,
sì ehe la somma complessiva neH ! universo sia sempre costante:
intendendo per quantità di movimento il prodotto della massa per la
velocità. Leibniz dimostra che tale principio nou è esatto, e che ciò la cui
somma rimane costante non è la quantità di movimento, ma la quantità di
forza viva 0 ! azione motrice, che è eguale al prodotto della massa
per il quadrato della velocità. Quale sia la portata di
questa scoperta nel campo fisico, non è il caso qui di notare. Per
intendere l'uso che Leibniz ne farà in questioni filosofiche e
metafisiche bisogna osservare che I azione motrice non rappresenta più
come la quantità di movimento - la semplice traslazione di un corpo da un
luogo ad un altro, ma la possibilità di produrre un determinato effetto,
per esempio, di sollevare un corpo ad una determinata altezza. Questa
azione motrice di Leibniz è quella che oggi si chiama energia.
In generale la forza assoluta deve essere stimata per 1
effetto violento che essa può produrre. Chiamo effetto violento ciò che
consuma la forza dell'agente, come, per esempio, imprimere una certa
velocità ad un corpo dato, elevare un corpo determinato ad ima
determinata altezza, etc. E si può giudicare comodamente la forza di un
corpo pesante, attraverso il prodotto della massa o della pesantezza per
1 altezza alla quale il corpo potrebbe salire in virtù del suo
movimento.... Quando un corpo pesante ha progredito discendendo
liberamente, ed ha acquistato impeto o forza' viva, le altezze a cui questo
corpo potrebbe allora arrivare non sono affatto proporzionali alle
velocità, ma al quadrato delle velocità. Ed è per questo che nel
caso della forza viva le forze non sono affatto come le quantità di
movimento, o come i prodotti delle masse per le velocità. Si verifica per
via di ragione e di esperienza, che è la forza viva assoluta - quella
determinata dall'effetto violento che può produrre - che si conserva, e
non già la quantità di movimento. Poiché se questa forza viva potesse mai
aumentare, si avrebbe un effetto più potente che la causa, oppure si
avrebbe il moto perpetuo meccanico, cioè mi movimento che potrebbe
riprodurre la sua causa e qualche cosa di più ; il che è assurdo. Ma se la
forza potesse diminuire, essa perirebbe alla line completamente perchè,
non potendo mai aumentare, e potendo però diminuire, andrebbe via via
decadendo : il che è senza dubbio contrario all'ordine delle cose. Anche
l’esperienza lo conferma. Adesso mi piace di guardare la questione da un
altro punto di vista, e di mostrare anche la conservazione di
qualche cosa di più prossimo alla quantità del movimento, cioè la
conservazione dell'azione motrice. Ecco dunque la regola generale che io
stabilisco. Qualunque cambiamento possa accadere tra corpi concorrenti,
qualunque sia il loro numero, bisogna che vi sia sempre nei corpi
concorrenti in un sistema chiuso la medesima quantità di azione motrice
nel medesimo intervallo di tempo. Per esempio, v i deve essere durante
questa ora tanta azione motrice nelT universo o in dati corpi che agiscono fra
di loro in un sistema chiuso, quanta ve ne sarà durante un'altra
ora qualsiasi. Per comprendere questa regola, bisogna
spiegare la valutazione deh' azione motrice, tutta diversa da quella
della quantità di movimento, intesa la quantità di movimento
secondo l’uso che si è spiegato sopra. Ora, affinché 1 azione motrice
possa essere valutata, bisogna prima valutare 1 effetto formale del movimento.
Tale effetto formale o essenziale al movimento consiste in ciò che è cambiato
dal movimento, cioè nella quantità della massa trasportata, e nello spazio
o nella lunghezza attraverso cui questa massa è trasportata. È questo
l'effetto essenziale del movimento, o il cambiamento che esso determina:
poiché il tal corpo era lì, ora è qui: il corpo è tanto grande e la
distanza è tanta. Bisogna ben distinguere quello che io chiamo 1
effetto formale o essenziale al movimento, da ciò che ho chiamato
più sopra l' effetto violento. Poiché 1 effetto violento consuma la forza e si
esercita su qualche cosa di fuori; ma l'effetto formale consiste nel corpo
in movimento preso in sè stesso, e non consuma affatto forza, anzi la
conserva: poiché la medesima traslazione della medesima massa si
deve sempre continuare, se nulla dal di fuori non F impedisce. È questa la
ragione per cui le forze assolute sono come gli effetti violenti che le
consumano, ma non già come gli effetti formali. Ora sarà più
facile d' intendere che cosa sia F azione motrice: bisogna diuique stimarla non
solo per l’effetto formale che essa produce, ma anche per il vigore e la
velocità con la quale essa lo produce. Si vogliono far trasportare
100 libbre alla distanza di un miglio; questo è l’effetto formale che si
domanda. Uno lo vuol compiere in un’ora, un'altro in due; io dico che
Fazione del primo è doppia di quella del secondo, essendo doppiamente
rapida, su ili un medesimo effetto. Questa definizione dell azione
motrice si giustifica abbastanza a priori, perchè è chiaro che in un' azione
puramente formale presa in sè stessa, come è qui quella di un corpo in
movimento considerato a sè, vi sono due punti da esaminare: l’effetto
formale o ciò che è cambiato, e la rapidità del cambiamento; poiché è ben
chiaro che colui che produce il medesimo effetto formale in minor
tempo, agisce di più. (Enfiai/ de Dynamique
sur lei laix dii mouvemenl, M. VI, 218-21). La forza come
attività. La forza, l’energia, è
dunque sostituita al movimento. Dalla' semplice e obbiettiva traslazione
dei corpi HaTun luogo all’altro, Leibniz sposta il centro della
attenzione su ciò che della traslazione è la causa, su ciò che contiene
già in sè - per così dire - il movimento allo stato potenziale, e lo
produce. Il movimento perde così realtà a favore della forza. La forza
viene considerata come assoluta e il movimento come relativo.
Bisogna sapore anzitutto che la forza è qualche cosa di
assolutamente reale, anche nelle sostanze create: ma che lo spazio, il
tempo e il movimento hanno qualche cosa dell’ente di ragione, e non sono
veri e reali per sè stessi, ma solo in quanto attributi divini involventi
1* immensità, l’ eternità, l'azione o la forza delle sostanze create. Ise
consegue che non esiste un vuoto nello spazio nè nel tempo, che il
movimento separato dalla forza, cioè quando non si considerino in esso se
non le caratteristiche geometriche, cioè la grandezza, la figura o i loro
mutamenti, non è altro che un mutamento di luogo; e che perciò il
movimento, rispetto ai fenomeni, consiste in una semplice relazione-, il che fu
anche riconosciuto da Cartesio, quando definì il movimento come una traslazione
dalle vicinanze di un corpo alle vicinanze di un altro corpo. Ma nel
trarne le conseguenze, dimenticò la sua definizione, e stabili le
regole del movimento come se il movimento fosse qualche cosa di reale e
assoluto. Bisogna dunque ritenere che, quando più corpi qualsiasi sono in
movimento, non è possibile dedurre, dal loro aspetto esteriore, in quali di
essi sia un determinato movimento assoluto oppure la quiete; ma
ciascuno di essi a piacere può essere considerato in quiete, pur restando
uguali le manifestazioni esteriori. (Specimen Dynamicum).
1 1 movimento è relativo: la forza sola è assoluta. E il concetto
di forza ha, molto più che quello di movimento, una chiara impronta di
attività. Pare che in esso il conatus degli scritti giovanili abbia
trovato il suo completamento e la sua realizzazione. Abbiamo
altrove avvertito che negli esseri corporei vi è qualche cosa al di là
dell'estensione, anzi prima dell’estensione : la forza della natura, riposta
ovunque dall’autore supremo, la quale non consiste soltanto in una
semplice facoltà, come si contentavano di dire gli scolastici, ma anche in un
conatus o sforzo, il quale avrà il suo effetto pieno se non sia impedito
da un conatus contrario. Questo sforzo si mostra da ogni parte ai nostri
sensi; e, a mio parere, può essere dimostrato per via razionale ovunque nella
materia, anche là dove non è evidente ai sensi. Che se questa forza non si deve
attribuire a Dio come un miracolo, bisogna certamente che sia immessa da
lui nei corpi, in modo da costituirne 1' intima natura; poiché l'agire è
il carattere essenziale delle sostanze, e l’estensione, lungi dal
determinare la sostanza stessa, non indica altro che la continuazione o
diffusione di una sostanza già data, la quale tenda e si opponga, cioè
resista. Nè importa che ciascuna azione corporea derivi dal movimento, e
il movimento non derivi se non da mi altro movimento esistente già da
prima in quel corpo o impressogli dal di fuori. Infatti il movimento (così come
il tempo) non esiste mai, a considerare la cosa rigorosamente; giacché
non esiste mai tutto, non avendo parti coesistenti. E nulla vi è in esso di
reale, se non quel quid istantaneo che consiste nella forza tendente al
mutamento. A ciò dimque si riduce tutto ciò che è nella natura corporea
al di fuori dell’oggetto della geometria, cioè al di fuori
deH’estensione. (Speri intra Jji/namicum). 11 corpo, la
materia, contiene dunque in se una t’i*s adiva clic supera, la materialità
ed ha carattere spirituale. Tò Su o ii.ty.óv, la potenza, 1 è
duplice nel corpo: passiva e attiva. La forza passiva costituisce
propriamente la materia o massa, quella attiva la entelechia o forma. La
forza passiva è la resistenza stessà^per la quale il corpo resiste non soltanto
alla penetrazione, ma anche al mo li) Entelechia, da èvreXé? (compiuto) e
exetv (avere) ò il termine usato da Aristotele per indicare la lorma
pienamente realizzata. Leibniz lo riprende per definire l’aspetto attivo
della sostanza e della monade. Questo termine 6 anche usato spesso da lui
come sinonimo ili monade. Cfr. Monadologia vimento. e per la quale avviene che
un altro corpo non possa subentrare al suo posto senza che esso ceda: d
altra parte, esso non cede se non ritardando alquanto il movimento del
corpo che lo spinge, e così tende a perseverare nel proprio stato anteriore, in
modo non soltanto da non scostarsene spontaneamente, ma anche da
resistere a ciò che tende a mutarlo. Così vi sono due resistenze o
masse: la prima, quella che chiamano antitypia o impenetrabilità; la seconda,
quella che Keplero chiama inerzia naturale dei corpi e che Cartesio in
qualche luogo del suo epistolario riconobbe dal fatto che per essa i
corpi non accolgono un nuovo movimento se non per forza, e perciò
resistono al corpo che li preme e ne indeboliscono la forza. J1 che non
avverrebbe, se nel corpo, oltre all'estensione, non vi fosse tò Su jo gtxó,
cioè il principio delle leggi del movimento, per il quale avviene che la
quantità delle forze non può essere aumentata, e che un corpo non
può essere spinto da un altro corpo se non diminuendo la forza di
quello/ La forza attiva, che si suole anche dire senz altro
forza, non è da concepirsi come la semplice potenza volgare della
scuola, cioè come ima recettività di azione, ma implica un conatus, cioè
mia tendenza all'azione, cosicché, se non vi sia impedimento, ne derivi
l'azionepE in ciò propriamente consiste l'entelechia, mal compresa dalla
scuola: una tale potenza infatti comprende 1 atto, nè permane una
semplice facoltà, benché non sempre proceda direttamente all'azione cui
tende; a volte infatti vi si oppone un impedimento.! In secondo luogo, la forza
attiva è duplice, primitiva'? derivativa, cioè sostanziale o accidentale.
La forza attiva primitiva, che vien chiamata da Aristotele la prima
entelechia (è'.veXé/ev/ •?) 7tpoVr/;) e nel linguaggio comune forma della
sostanza, è il secondo principio naturale che, insieme con la materia o forza
passiva, costituisce la sostanza corporea; la quale è in sè un unità, cioè
non un semplice aggregato di più sostanze: come per esempio vi è grande
differenza tra un animale e un gregge di animali. E perciò questa
entelechia è o un'anima, o qualche cosa di analogo all'anima, e sempre
attua naturalmente qualche corpo organico, il quale, quando fosse preso
separatamente in sè stesso, cioè toltane o allontanatane l’anima, non sarebbe
un'unica sostanza, ma un aggregato di molti, insomma un artificio della
natura.... La forza derivativa è ciò che alcuni chiamano impetus,
cioè conatus, o la tendenza, per così dire, ad un qualche movimento
determinato, attraverso il quale la forza primitiva o principio dell'azione
viene modificato. Quanto a questa forza, ho mostrato che non si mantiene
sempre la medesima nel medesimo corpo, ma che, comunque sia distribuita
in piìi corpi, rimane sempre nella medesima quantità complessiva, e
differisce dal movimento stesso, la cui quantità non si
conserva..,. A stabilire una forza attiva nei corpi ci inducono
molte ragioni, e principalmente l'esperienza stessa, la quale mostra che
nella materia vi sono movimenti i quali devono bensì essere attribuiti
originariamente alla causa universale delle cose, cioè a Dio; ma immediatamente
e specificamente devono essere spiegati attraverso la forza posta da Dio
nelle cose^'infatti, dire che Dio nella creazione ha dato ai corpi una
legge di aziono, non è altro se non dire che ha dato ad essi qualche cosa
in virtù di cui quella legge sia osservata; altrimenti dovrebbe sempre
egli stesso procurare continuamente per via straordinaria
l'osservanza di quella legge; mentre è piuttosto la sua legge stessa
che ha efficacia, ed egli ha reso i corpi attivi, cioè ha dato ad
essi ima forza insita} Bisogna inoltre considerare che la forza
derivativa e l'azione sono qualche cosa di modale, perchè sono soggetti a
mutamento. E ogni modo consiste in qualche modificazione di alcunché di
pexsistente, o meglio di assoluto. Come la figura è in certo modo una
limitazione o modificazione della forza passiva o massa estesa, così la
forza derivativa e l'azione motrice è in certo modo una modificazione non
già di qualche cosa di puramente passivo (altrimenti la modificazione o
limite conterrebbe più realtà di ciò stesso cho è limitato), ma di qualche
cosa di attivo, cioè dell' entelechia primitiva. Onde la forza derivativa
e accidentale o mutevole sarà una qualche modificazione della
vìrtus primitiva essenziale che perdura in qualsiasi sostanza corporea.
Perciò i cartesiani, non riconoscendo alcun principio attivo sostanziale
modificabile nel corpo, furono costretti a negare ad esso qualsiasi azione ed a
trasferire l'azione nel solo Dio: un Deus ex machina, principio tutt'
altro che filosofico. ( Frammento). Valore metafisico
della forza. Questa entelechia, questa forza di qui è formata la materia, che
ne costituisce anzi la piii intima essenza, è qualche cosa di analogo
all'anima. La materia ha essenzialmente in sè il principio del
movimento, ma secondo me ciò non si deve intendere se non nel senso che
vi sono delle anime nella materia, le quali sono indivisibili e
indistruttibili (Lettera a Burnett, G.). E questo principio
delTanimazione della materia che spinge Leibniz ad una considerazione del
mondo corporeo diversa da quella puramente meccanica: che gli fa vedere
in esso, attraverso il principio spirituale, un elemento finalistico e,
attraverso questo, la mano di Dio. Devo dichiarare inizialmente che
a mio parere tutto avviene meccanicamente nella natura e che, per
rendere una ragione esatta e compiuta di qualsiasi fenomeno particolare
(come per esempio della pesantezza o della elasticità), bastano le nozioni di
figura e ili movimento. Ma i principi stessi della meccanica e le leggi
del movimento sorgono a mio parere da alcunché di superiore, che
dipende piuttosto dalla metafisica che dalla geometria e che non si
può raggiungere con 1 immaginazione, benché lo spirito lo possa molto ben
concepire. Così io penso che nella natura, oltre alla nozione di estensione,
convenga impiegare quella di forza, che rende la materia capace di agire
e di resistere. E per forza o potenza non intendo il potere o la
semplice facoltà; che non è se non una possibilità prossima di agire e che,
essendo come morta, non produce neppur mai un'azione senza essere
eccitata dal di fuori Ma intendo qualche cosa di mezzo fra il poterete
l’azione che implica imo sforzo, un atto, un’entelechia, poiché la
forza passa per sua virtù all" azione finché nulla ne la impedisce.
Questa è la ragione per cui io la considero come 1 elemento costitutivo
della sostanza, essendo essa il principio dell azione che della sostanza
è il carattere essenziale(^l) Così io vedo che la causa
efficiente delle azioni fisiche deriva dalla metafisica; nella quale
opinione sono molto lontano da coloro che non riconoscono nella natura
se non ciò che è materiale o esteso, e che perciò si rendono
sospetti con qualche ragione presso le persone pie. Ritengo pure che il
concetto del bene o della causa finale, I>er quanto contenga in sé
alcunché di morale, si possa anche impiegare utilmente nella spiegazione
dei fenomeni naturali; poiché l'autore della natura agisce secondo
il principio dell ordine e della perfezione, con una saggezza alla
quale nulla si può aggiungere: e ho mostrato altrove, a proposito della
legge generale dell" irraggiamento della luce, come il principio
della causa finale basti spesso a scoprire i segreti della natura, finché
non se ne sia trovata la causa prossima efficiente, che é più difficile a
scoprirsi. Tì) (Système novi eon jkivr erpliqvtr la nature des
subitanee», primo abbozzo, 1(395, G. IV, 472). La vera scienza
tìsica deve essere tratta dalle sorgenti ilelle perfezioni divine. Dio
infatti è l' ultima ragione delle cose, e la conoscenza di Dio è il
principio delle scienze, così come la sua essenza e la sua volontà sono i
principi delle cose. Quanto piii si è versati nelle profondità
della filosofia, tanto più facilmente si riconosce ciò. Ma pochi
finora sono riusciti a dedurre, dalla considerazione delle proprietà
divine, verità di qualche importanza nella scienza. Vi sono forse alcuni
che potranno essere spinti da questi esempi. La filosofia si santifica
così coll’ immissione in essa delle correnti sgorgate dalle sacre sorgenti
della teologia naturale. E così lontana dal vero è la tesi che si debbano
rifiutare le cause finali e la considerazione di uno spirito
sapientissimo che agisce secondo bontà (onde la bontà e la bellezza
diverrebbero arbitrarie o soltanto relative a noi e non attribuibili a Dio:
opinione quella, di Cartesio, questa di Spinoza ( 1 ), che invece, dalla
considerazione dello spirito, si possono dedurre principi essenziali
della fisica. (Principium quoddam generale, M. VI, 134).
In questa organizzazione divina del mondo noi vediamo la forza
pervadere e permeare tutta la natura. Non più atomi corporei: qualche
cosa di altrettanto unitario e indivisibile, ma privo di qualsiasi
materialità. Queste unità sostanziali stanno al confine fra materia e
spirito, potendosi sviluppare in ambedue le direzioni ; e racchiudono in
sé una forza che permette loro una spontaneità di sviluppo verso
l’universale. In tale spontaneità e attività consiste il carattere
spirituale degli elementi della sostanza corporea, ciò che li avvicina
all’ anima e all’ io. Poiché è necessario che vi sieno nella natura
corporea delle vere unità, senza le quali non vi sarebbe affatto
(1) Cartesio fa derivare, secondo Leibniz, le regole della bontà e dell’armonia
dall’arbitrio di Dio (Cfr. sojira, p. 13). Per Spinoza invece la bontà è
un rapporto della creatura individuale alla Sostanza assoluta, cioè Dio.
Tri molteplicità uè aggregati, bisogna che ciò che
costituisce la sostanza corporea sia alcunché di rispondente a ciò
che si suol chiamare io in noi, che è indivisibile e tuttavia
agente; poiché questo io, essendo indivisibile e senza parti, non potrà
essere un essere composto, ma, essendo agente, sarà qualche cosa di
sostanziale. (Syitcmc un uveali, primo abbozzo, I 695, G. IV,
47ii). Costituzione e funzione della monade. - Si sono studiati nei
capitoli precedenti due principi fondamentali della filosofia leibniziana:
l’universalità della sostanza individuale, e il principio spirituale
della f orza n el mondo materiale. Il primo, derivato dalla elaborazione
dT” concetti logici; il secondo dal rigoroso pensamento di teoremi
fisici. L’unione e la fusione di questi due principi, dà luogo alla
mònade (1). Ciò ebe essi hanno in comune è il fatto di racchiudere
ambedue in sè, allo stato potenziale, un infinita possibilità di
sviluppo: la sostanza individuale, punto di partenza di una catena di
causo e di effetti che racchiude nelle sue maglie il passato e
l’avvenire di tutto 1 universo; l'unità animata del mondo corporeo,
forza capace di svilupparsi in movimento e, pur col suo carattere
spirituale, di dar luogo ad una formazione di materialità. Dei due
elementi, l’uno è universale ma astratto, puramente logico; l’altro concreto,
reale, spirituale, ma ancora privo di universalità. Nella loro fusione l’uno
fornisce ciò che all’altro manca: e la monade sarà un principio
spirituale e universale insieme, ma pur concreto, tale che di esso consti
effettivamente il mondo esistente. La monade è « l’atomo della natura e 1
elemento delle cose ». Ad essa vengono dati da Leibniz nomi diversi:
entelechia, anima, sostanza, etc., a seconda delle varie occasioni in cui
ne parla. Monade ò parola greca ebe significa unità. ]| termine è stato
usato anche da Giordano Bruno per indicare gli elementi primi delle cose.
Non è però sicuro ohe Leibniz abbia derivato da lui questa
denominazione. L : atomo di Epicuro, benché fornito di parti, è ima
cosa unita nel suo interno, mentre l'anima, quantunque senza parti,
racchiude in sé un gran numero, o meglio un numero infinito di varietà,
per la molteplicità delle rappresentazioni di cose esterne, o piuttosto per la
rappresentazione dell'universo che il Creatore vi ha posto. (
Osservazioni al dizionario del Bayle). Le monadi sono i principi
primi c più semplici onde è costituito il mondo: non sono materiali, ma
da esse deriva tutta la materia: sono individuali, molteplici (in quanto
sono sempre punti di vista particolari presi sull’universo, e i
punti di vista possono essere infiniti); e d’altra parte ciascuna
racchiude in sè una visione del tutto. L’unità sostanziale richiede
un essere compiuto, indivisibile e indistruttibile per natura, poiché la sua
nozione involve tutto ciò che gli deve accadere; e ciò non si potrebbe
trovare nè nella figura nè nel movimento, che implicano anzi entrambi alcunché
d’ immaginario - come potrei dimostrare —, ma bensì in un’anima o forma
sostanziale, sull’esempio di ciò che si suol chiamare io. Sono questi i
soli veri esseri compiuti, come avevano riconosciuto gli antichi e soprattutto
Platone, il quale ha ben chiaramente mostrato che la sola materia non è
in sè sufficiente a formare una sostanza. Ora 1’ io sopraddetto, o
ciò che gli risponde in ciascuna sostanza individuale, non può essere nè
fatto nè disfatto dall'avvicinamento o dall'allontanamento delle parti,
procedimento puramente esteriore a ciò che è la sostanza. Non saprei dire
precisamente se vi siano altre sostanze corporee effettive, oltre quelle
che sono animate, ma almeno le animo servono a darci qualche conoscenza
delle altre per analogia. (Lotterà ad Arnauld). Non so
se sia possibile spiegare la costituzione dell' anima meglio che dicendo:
l.° che è una sostanza semplice, ovvero ciò eli e io chiamo una vera unità; 2.°
che tale unità esprime tuttavia la molteplicità, cioè i corpi, e che
li esprime il meglio possibile secondo il suo punto di vista o il
suo rapporto ; 3.° che così essa è espressiva dei fenomeni secondo le
leggi metafisico-matematiche della natura, cioè secondo 1 ordine più
conforme alla intelligenza e alla ragione. i\e deriva inline, 4.° che 1"
anima è una imitazione di Dio, nel massimo grado possibile alle creature,
che essa è come lui semplice eppure anche infinita, e avvolge tutto
attraverso percezioni confuse; ma che, riguardo a quelle distinte, essa e
limitata. Invece tutto è distinto nella sostanza sovrana, dalla quale tutto
emana, e che è la causa ilcll esistenza e dell ordine e, in una parola,
l'ultima ragione delle cose. Dio contiene 1 universo eminentemente, e
l'anima o l'unità lo contiene virtualmente, essendo imo specchio
centrale, ma, per così dire, attivo e vitale. Si può anche dire ohe ogni
anima è un mondo a parte, ma che tutti questi mondi si accordano e sono
rappresentativi dei medesimi fenomeni, secondo rapporti differenti; e che
questa è la maniera più perfetta di moltiplicare gli esseri quanto
è jiossibile, ed il meglio possibile. (Lettera a) Bayle, 1702, G.
Ili, 72). Il concetto di sostanza individuale è stato formulato
da Leibniz por la prima volta nel Dìscours de Méta physìque del
1686. La parola monade è introdotta da lui nel 1696. Verso il mezzo della
sua vita, cioè, egli è giunto in possesso dell’elemento fondamentale onde per
lui è costituito il mondo. Trovato questo, il problema che gli si pone è di
spiegare, attraverso tale elemento, la costituzione del mondo stesso.
Come nell arte combinatoria' si dovevano trovare, per mezzo della
scomposizione dei concetti, i termini semplici di cui consta il pensiero
umano, e poi, attraverso la varia combinazione di essi, formare di nuovo
ogni possibile concetto, così ora un’ indagine analitica nel campo logico,
fisico, metafisico, ha condotto alla nozione di monade come sostanza
semplice, costituente il mondo. Si tratta ora di mostrare concretamente
come il mondo consti di monadi, come ogni aspetto, ogni fenomeno di
esso sia spiegabile attraverso le combinazioni, le modificazioni, i
diversi aspetti delle monadi. Inizio e fine della monade. - Donde
nasce la monade? Che cosa 1’ ha prodotta? Qnal’è la sua origino?
Noijl è possibile concepirla come derivata da ini qualsiasi ente
naturale: essere prodotta significa sempre in qualche modo essere causala
; c, poiché essa comprende già in sé tutta la serie infinita delle causo
e degli effetti, non si può attribuirle una causa al di fuori di sé
stessa: qualsiasi sua causa sarebbe sempre compresa nel suo interno.
Analogamente, non è concepibile neH’ordine naturale la fine della monade;
implicando tale fine un interruzione nella serie delle cause e degli
effetti, che è invece continua e infinita. L’origine e la fine delle
monadi deve essere dunque ricercata fuori deU’ordino causale dell'
universo; o piuttosto si può dire che le monadi non hanno origine: sono nate
insieme con l’universo stesso, sono concreate ad esso; e il creatore di
esse è il medesimo creatore deH'universo: Dio. Quanto all' inizio
e alla fine di queste forme, anime, o principi sostanziali, bisogna dire
che esse non possono avere origine se non dalla creazione, e non possono
aver fine se non da un annullamento compiuto espressamente dalla
potenza suprema di Dio.... Così queste forme non cominciano nè finiscono
naturalmente. E perchè non avrebbero esse il medesimo privi egio degli
atomi, i quali, secondo i seguaci di Gassendi, devono sempre conservarsi?
Tale privilegio bisogna accordarlo a tutto ciò che è veramente una
sostanza; perchè la vera unità è assolutamente indissolubile. Dato ciò, bisogna
credere che queste sostanze sono state inizialmente create insieme col
mondo. (Syslème noiweau, primo abbozzo). Così (eccezion fatta
per le anime che Dio vuole ancora creare espressamente) fui obbligato a
riconoscere che le forme costitutive delle sostanze sono state create insieme
col mondo e che sussistono in eterno. (Syntènu nouveau, seconda
stesura, 1095, G. IV, 479). Individualità e universalità della
monade. - Lo monadi hanno in se stesse il doppio carattere di essere
ciascuna un elemento costitutivo del mondo, e insieme di implicare
ciascuna, in se, 1 assoluta totalità di sviluppo del mondo stesso. 11
mondo è composto di monadi: ma ciascuna monade è, da un certo punto di
vista, il mondo stesso. Da va certo punto di vista : questo è il criterio
che permette di conservare e conciliare quelle due caratteristiche. Ciascuna
monade mantiene la sua individualità* e la sua distinzione dalle altre,
in quanto implica e rappresenta il medesimo tutto, ma da un diverso
punto di vista. E i punti di vista sono infiniti; così sono infinite le monadi.
L individualità della monade si concilia in tal modo con la sua
universalità. Benché ciò possa parere paradossale, è impossibile a
noi di avere conoscenza degli individui e di trovare il mezzo per
determinare esattamente l'individualità di qualsiasi cosa.se non prendendo
la cosa stessa: infatti tutte le circostanze possono ripetersi; le piti
piccole differenze ci sono insensibili; il luogo e il tempo, lungi dal
determinare, hanno anzi bisogno di essere essi stessi determinati dalle
cose che contengono. Ciò che vi è di più notevole in questo
principio, è che Y individualità involve l'infinito; e solamente colui che è
capace di comprendere ciò, può aver conoscenza del principio di
individuazione di questa o di quella cosa: principio il quale deriva
dall" influenza rettamente intesa di tutte le cose dell' universo le une
sulle altre. E vero che non sarebbe punto così, se il mondo fosse
composto di atomi, come vuole Democrito; ma in tal caso non vi sarebbe
pure alcuna differenza tra due individui differenti aventi la medesima figura e
la medesima grandezza. [Nuovi Saggi. Proprio Inaili
versali tà della monade è ciò che garantisce la sua individualità. Due
atomi di ugual forma e grandezza, con le medesime caratteristiche
esteriori, sarebbero indistinguibili 1 uno dall altro. Due monadi non
possono invece essere indistinguibili e perfettamente 'identiche. II fatto di
essere due, implica che esse rappresentano il mondo da due punti di
vista: e ciascun punto di vista comporta legami e rapporti all’ infinito
che necessariamente saranno diversi da quelli di ciascun altro punto di
vista. Due monadi perfettamente identiche in tutto il complesso dei
rapporti implicati, non sono concepibili: sarebbero una sola e medesima monade.
È questo il principio che Leibniz chiama della identità degli indiscernibili.
Per esso ogni monade ha garantita la sua individualità e inconfondibilità
fra tutte le altre. K eli grande importanza in tutta la filosofia e
anche nella teologia il principio che non esistono denominazioni
puramente estrinseche; e questo a causa della connessione delle cose tra
di loro. Due cose non possono diff erir e solo locabnente o
temporalmente, ma è sempre necessario che interceda tra di esse qualche
altra differenza interna. Così non è possibile che vi siano due atomi
simili per forma e uguali per grandezza : per esempio due cubi uguali.
Queste sono nozioni matematiche, cioè astratte, non reali. Tutto
ciò che è differente deve distinguersi per qualche cosa; e la sola
posizione non basta a differenziare le cose reali. Per questo principio
si sconvolge tutta la filosofia puramente atomistica. In primo luogo, non è
possibile che vi siano atomi, altrimenti vi sarebbero due cose che non
differirebbero se non dall’esterno. In secondo luogo, se la sola
posizione presa per sè non costituisce un mutamento, ne deriva che non vi
è alcun mutamento che sia puramente di luogo. E, in generale, il luogo, la
posizione, la quantità (come p. es. il numero), la proporzione, non
sono se non relazioni che risultano da altre cose che costituiscono per
sè stesse il mutamento. Così, essere in un determinato luogo,
astrattamente parlando, non sembra indicare altro che una posizione. Ma
effettivamente bisogna che ciò che è in un determinato luogo, esprima in
sè quel luogo stesso; cosicché la distanza e il grado di distanza
implica anche un modo di esprimere in sè la cosa distante, di agire su di
essa, e di essere da essa affetto. Ed effettivamente la posizione implica un
grado di espressione. Tutte le cose da noi qui esposte derivano dal
principio fondamentale che il predicato è contenuto nel soggetto;
principio che colpì l’Arnauld(l) quando una volta gliene feci cenno: - j’
en ay esté frappe - mi scrisse. (Frammento).
Rappresentazione e appetito. - Proseguiamo nel caratterizzare la struttura
della monade. Essa contiene in sè tutto il proprio sviluppo futuro,
insieme con lo sviluppo del mondo. Ma quello che determina la sua
particolarità e il suo valore, è di contenerlo non esplicito ed esteso
nel tempo e nello spazio, ma implicito, in modo pregnante, allo stato
potenziale. Se noi volessimo immaginare in ciascuna monade,
attualmente sviluppato, tutto il suo svolgimento completo,
perderemmo, per così dire, il vantaggio essenziale della monade:
avremmo di fronte a noi il mondo stesso in tutta la sua immensa e
inafferrabile molteplicità. Il vantaggio consiste proprio nel raccogliere la
molteplicità del mondo nella individualità; di contenere allo stato implicito
ciò che allo stato esplicito sarebbe Superiore ad ogni facoltà di
percezione o di apprensione. Ora, come si svolge e quale aspetto
assume concretamente, nella monade, tale implicazione della totalità ?
Assume l’aspetto di forza o appetito da un lato, di rappresentazione
dall'altro. Ciascuna monade ha una rappresentazione di tutti gli
stati futuri che essa contiene in sè, e contemporaneamente ha un
impulso, una tendenza che la spinge a passare a questi futuri, dal
presente in cui si trova. In tali due forme si svolge, nelI - individuo, il
passaggio all'universale. (1) Antonio Arnauld (1012-1604), teologo
e filosofo francese di scuola cartesiana e giansenistica, intrattenne una
lunga e importantissima corrispondenza col Leibniz. Lo stato dell'anima,
come quello dell'atomo, è imo stato di cambiamento, una tendenza: l'atomo
tende a cambiare di luogo, l'anima a cambiare di pensiero; l'uno e
l’altro cambiano nel modo piìi semplice e più uniforme che il loro
stato permetta. Come mai allora (mi si domanderà) c'è tanta semplicità
nel cambiamento dell'atomo e tanta varietà nei cambiamenti dell'anima? Il fatto
è che l'atomo (così come lo si i mm agina, benché veramente non
esista in natura), quantunque sia composto di parti, non ha nulla
che determini varietà nel suo tendere, poiché si suppone che queste parti non
mutino i loro rapporti reciproci ; mentre l'anima, per quanto
indivisibile, contiene una tendenza composta, cioè una molteplicità di pensieri
presenti dei quali ciascuno tende a un particolare cambiamento, a
seconda di ciò che esso contiene; e questi pensieri si trovano tutti insieme
nell'anima, in virtù del suo rapporto essenziale con tutte le altre cose
del mondo. E anzi, è fra 1 altro la mancanza di tale rapporto che rende
impossibili in natura gli atomi di Epicuro. Infatti ogni cosa o parte
dell' universo deve rappresentare tutte le altre; Sicilie 1 anima, quanto alla
varietà delle sue modificazioni, non deve paragonarsi all'atomo
materiale, ma piuttosto all universo, che essa rapprasenta dal suo punto
di vista, e anche in qualche maniera a Dio, di cui essa rappresenta
in modo finito 1 infinità (a causa della sua percezione confusa e imperfetta
dell' infinito). 11 sentimento del piacere, per esempio, sembra
semplice, ma non lo è; e chi lo volesse notomizzare troverebbe che
esso implica tutto ciò che ci circonda e conseguentemente tutto ciò cir conila
ciò che ci circonda. E la ragione del cambiamento dei pensieri nell'anima
è la medesima ragione del cambiamento delle cose nell’ universo che
essa rappresenta. Infatti i rapporti meccanici che sono sviluppati nei
corpi, sono riuniti e, per cosi dire, concentrati nelle anime o entelechie, ed
hanno anzi in esse 0. — Leibniz, La monadologia. la loro origine. È vero che non tutte le
entelechie sono, come la nostra anima, immagini di Dio, poiché non
tutte sono fatte per essere membri di una società o di uno stato di
cui egli sia il capo; ma esse sono sempre immagini dell'universo. Sono mondi in
compendio, a modo loro: semplicità feconde ; unità di sostanze ; ma
virtualmente infinite, por la molteplicità delle loro modificazioni;
centri che esprimono una circonferenza infinita. (Polemica
col Bayle). Non potrebbe Dio forse dare inizialmente alla
sostanza una natura o forza interna che le faccia produrre ordinatamente
(come in un automa spirituale o formale, ma libero, in quanto gli è
attribuita la ragione) tutto ciò che le accadrà, cioè tutte le
impressioni o espressioni che essa avrà ; e ciò senza 0 soccorso di
alcun' altra creatura ? Tanto più che la natura della sostanza richiede
necessariamente e implica essenzialmente im progresso o un cambiamento, senza
il quale essa non avrebbe la forza di agire. E poiché questa natura
dell'anima è rappresentativa dell" universo in modo esattissimo
(benché più o meno distinto), la serie delle rappresentazioni che l'anima
produce in sé risponderà naturalmente alla serie dei cambiamenti
dell’universo stesso. (Syxtème nouveau, lt>95, G. IV,
IS.">). Una monade, in sé stessa e in un istante, non può
essere distinta da un'altra, se non per le sue qualità e azioni
interne, le quali non possono essere altro che le sue percezioni (cioè le
rappresentazioni del composto o di ciò che sta al di fuori, nel
semplice), e le sue appetizioni (cioè il suo tendere da una percezione all'altra)
che sono i principi del cambiamento. Infatti la semplicità della sostanza
non impedisce la molteplicità delle modificazioni che si devono trovare
insieme in questa medesima sostanza semplico; e tali modificazioni consistono
nella varietà dei rapporti rispetto alle cose che stanno al di fuori. Così in
un centro o punto, per quanto semplice, si trova un' infinità di
angoli formati dalle linee che ad esso concorrono. ( Principe « de
la Mature et de la Grace). Tn tal modo si viene anche a configurare
il concetto di rappresentazione e in generale di conoscenza, come Leibniz
lo tratta dal punto di vista gnoseologico. Percezione è espressione
delia molteplicità nell’unità; e, d’altro lato, è azione. 11
pensiero, essendo l’azione di una cosa su sè medesima, non ha luogo nella
figura e nel movimento, i quali non possono mostrare il principio d ima
azione veramente interna: d’altronde è necessario che vi sieno esseri
semplici, altrimenti non vi sarebbero esseri composti o esseri per
aggregazione, i quali sono piuttosto fenomeni che sostanze, ed esistono
piuttosto \óp<p che (potrei (cioè piuttosto moralmente o razionalmente che
fisicamente) per parlare con Democrito. E se non vi fosse
cambiamento nelle cose semplici, non ve ne sarebbe neppure nelle
composte, tutta la realtà delle quali non consiste se non nella realtà
delle cose semplici. Ora i cambiamenti interni nelle cose semplici sono
analoghi a ciò che noi concepiamo nel pensiero, e si può dire che in generale
la percezione è V espressione della molteplicità nell' unità. Ella non ha
bisogno, Signore (1), di questi schiarimenti sulla immaterialità del pensiero
di cui Ella ha parlato in modo ammirevole in molti luoghi. Tuttavia, unendo
queste considerazioni con la mia ipotesi particolare, mi pare che l'una
serva a dar luce alle altre. (Lotterà ni Bayle). (1)
Piotro Bayle (1647-1706), cui Leibniz qui si rivolge, b il principale
rappresentante della lilosofia scettica in quel tempo. Fondatore delle 1 Voltvelles
de la republique des lettres, autore del Dictionnaire historique et
crilique, ebbe col Leibniz lunghe od interessantissime polemiche su vari
argomenti, quali l’ipotesi dell’armonia prestabilita, e il problema della
conciliazione fra fede o ragione. I pensieri sono azioni; e le
conoscenze o verità, in quanto sono in noi, anche quando non vi si pensa,
sono abitudini o disposizioni; e noi sappiamo molte cose alle quali
non pensiamo punto. ( Nuovi Saggi, 1701 segg. I, I, § 26, G. V.,
79). Mi meraviglio, Signore, che Ella insista nel volgere le
mie opinioni in modo completamente diverso da ciò che io intendo.
Ella pretende che, secondo me, noi non facciamo altro che accorgerci di
ciò che avviene dentro di noi. Non so d onde Ella abbia ricavato quest’ idea;
io ritengo invece che noi facciamo tutto ciò che avviene in noi.
(Lettera al Jaquelot). II pensiero come unità della
molteplicità e come azione: ecco due concetti che saranno propri della
filosofia idealistica postkantiana, cui Leibniz giunge già qui con l’
approfondi mento del concetto di monade come spirito. Le
piccole percezioni. - Da tale concetto Leibniz trae anche argomenti per
affermare l’ innatismo, contro la negazione del Locke, il quale nel suo *
Saggio sull’ intelletio umano, si era opposto al razionalismo cartesiano
affermando che tutto viene aU’anima esclusivamente dai sensi, cioè dal di
fuori, come segni che si imprimano su di una tabula rasa. I Nuovi
saggi sull’ intelletto umano di Leibniz sono tutti destinati ad una presa
di posizione di fronte alle tesi del Locke. Di essi verrà trattato in un
volume a parte. Qui ci interessa solo notare come raifermazione dell’ innatismo
in Leibniz non si fondi soltanto, come in Cartesio, su motivi
razionalistici. Ciò che è innato allo spirito, non deriva per lui unicamente
dalle idee di ragiono. È innato anche tutto ciò che è contenuto
nell’anima, intesa come monade, cioè tutta la serie dei rapporti di
causa e di effetto di cui essa ha rappresentazione. Tutto ciò costituisce
il contenuto dell’anima, e non viene ad essa dal di fuori ma fa parte di
essa già fin dalla sua creazione; tutto 1 universo, insomma, è già insito a
priori nell’anima. Ma l’anima non ha nozione attuale di tutto
questo suo contenuto. Il campo della sua conoscenza è limitato e si
estende LA MONADE solo a ciò che le è pili immediatamente a contatto.
Come si concilia questo con la sua universalità e con l’innatismo?
Leibniz ricorre a* questo proposito alle piccole percezioni o percezioni
insensibili, le quali non cessano di influire sull’anima, pur senza
giungere alla sua coscienza. Esse appartengono bensì dia rappresentazione
deH’anima: l’anima però non ne ha consapevolezza. In tal modo si viene a far
concordare l’assoluto innatismo di ogni verità, sia necessaria sia
contingente, sia di ragione sia di fatto, con la limitazione attuale
delle nostre conoscenze. Le piccole percezioni permettono a Leibniz di
concepire la monade limitata insieme e universale. La questione
dell’origine delle nostre idee e dei nostri principi non è preliminare
nella filosofia, e bisogna esser molto avanzati per risolverla bene.
Credo tuttavia di poter dire che le nostre idee, anche quelle delle cose
sensibili vengono dal nostro proprio intimo.... Non sono affatto
favorevole alla tabula rasa di Aristotele; e vi è del giusto in ciò che
Platone chiamava reminiscenza. Vi è anzi di piii, giacché noi non abbiamo
soltanto una reminiscenza di tutti i nostri pensieri passati, ma anche un
presentimento di tutti i nostri pensieri futuri. È vero che ciò avviene
in modo confuso e senza distinguere questi pensieri, press’ a poco
come quando io odo il rumore del mare: odo allora il rumore di tutte le
onde particolari che compongono il rumore totale, pur senza distinguere
un'onda dall'altra. Così è vero, in un certo senso, ciò die ho spiegato :
cioè die non solo le nostre idee, ma anche le nostre sensazioni
(sentiments) nascono dal nostro fondo, e che l'anima è più indipendente
di quanto non si pensi; benché resti pur vero che nulla avviene in essa
che non sia determinato, e che nulla è nelle creature, che non sia
continuamente creato da Dio. (Suri' Essay de l'entendement
liutnain de Momùur Loci. dc.j o il ]( f-3, G.Y, l(i). Si tratta di
sapere se l' anima in se stessa sia compietamente vuota, come delle tavolette
in cui non si sia ancora scritto nulla (tabula rasa), secondo l'opinione
di Aristotele e dell'autore del Saggio, e se tutto ciò che vi è
tracciato derivi unicamente dai sensi e dall'esperienza: oppure se
l'anima contenga originariamente i principi di varie nozioni e dottrine
che gli oggetti esterni risvegliano soltanto nelle varie occasioni, come
credo io, d’accordo con Platone e anche con la Scuola e con tutti coloro
che prendono in questo significato il passo di S. Paolo (Rom. 2,15),
dove egli dice che la legge di Dio è scritta nei cuori....
Possiamo noi negare che vi sia molto d’ iimato nel nostro spirito,
dal momento che siamo innati - per così dire - a noi stessi, e in noi
stessi vi sono l’essere, l'unità, la sostanza, la durata, il cambiamento,
l'azione, la perfezione, il piacere e mille altri oggetti delle nostre
idee intellettuali? Ed essendo questi oggetti immediati al nostro
intelletto e sempre presenti (benché non possano esser sempre percepiti a
causa delle nostre distrazioni e dei nostri bisogni), perchè
meravigliarsi se noi diciamo che queste idee ci sono innate con tutto ciò
che ne dipende? Mi sono servito anche del paragone di una pietra di
marmo che abbia delle venature, anziché essere tutta unita come le
tavolette vuote o ciò che i filosofi chiamano tabula rasa. Poiché, se
l'anima somigliasse a queste tavolette vuote, le verità sarebbero in noi
come la figura d' Ercole è in un marmo, quando questo marmo è
completamente indifferente a ricevere questa figura o qualche altra.
Ma se vi fossero delle vene in quella pietra, elio indicassero la
figura di Ercole a preferenza di altre figure, questa pietra sarebbe piii
determinata, e Ercole vi sarebbe come innato in qualche maniera ;
quantunque sarebbe necessario un certo lavoro per scoprile queste vene e
polirle, eliminando ciò che impedisce loro di apparire. E in questa guisa
le idee e le verità ci sono innate come inclinazioni, disposizioni,
abitudini o virtualità naturali, e non come azioni; benché queste
virtualità siano sempre accompanate da qualche azione, spesso insensibile, ad
esse rispondente.... D'altronde, vi sono mille segni i quali mostrano che
in ogni istante vi è in noi un' infinità di percezioni, prive però di
appercezione e di riflessione, cioè cambiamenti nell’anima stessa, di cui noi
non ci accorgiamo perchè le impressioni sono troppo piccole o troppo
numerose o troppo unite fra di loro in modo da non aver nulla che lo
distingua partitamente ; ma, unito ad altre, non mancano di produrre il
loro effetto e di farsi sentire per lo meno confusamente nell’ insieme.
Così l'abitudine fa sì che noi non ci accorgiamo del movimento di im
mulino o di una cascata, quando vi abbiamo abitato vicino per
qualche tempo. Ciò non significa che tali movimenti non continuino a
colpire i nostri organi, e che non avvenga anche nell’anima qualche cosa
che vi risponda ...., ma queste inpressioni che sono nell’anima e nel corpo,
prive dell'attrattiva della novità, non sono abbastanza forti per attirare
la nostra attenzione e la nostra memoria, le quali sono rivolte ad
oggetti più interessanti. Giacché ogni attenzione richiede memoria, e
spesso, quando non siamo per così dire ammoniti ed avvertiti di prestare
attenzione a talune delle nostre percezioni presenti, le lasciamo passare
senza riflessione e senza neppur notarle; ma se qualcuno ce ne avverte subito
dopo, e ci fa osservare per esempio un qualsiasi suono che si sia appena
inteso, ce ne ricordiamo, e ci accorgiamo di averne avuto poco fa una sensazione. Così
si trattava di percezioni di cui non ci eravamo accorti immediatamente,
derivando in questo caso l'appercezione solo dall' avvertimento venuto dopo un
intervallo sia pur minimo. Non si dorme mai tanto profondamente da non
aver qualche sensazione debole e confusa, e non si sarebbe mai
svegliati neppure dal più grande rumore del mondo, so Appercezione »
significa percezione cosciente (A j>ercevoir: accorgersi) Cfr.
Monadologia non si avesse una qualche percezione del suo inizio, che è piccolo;
cosi come, neppure col più grande sforzo del mondo, non si romperebbe mai
una corda so essa non fosse tesa e allungata un poco attraverso sforzi
minori; per quanto questa piccola estensione da essi prodotta, non
appaia. (Nuovi .Saggi, Prelazione). Do Ila rappresentazione e
percezione si parlerà più a lungo nel volume che tratterà dei Nuovi
Saggi. Qui è interessante notale come lo sviluppo del concetto di monade
influisca direttamente anche su tutti i problemi gnoseologici. La monade
assume sempre più le caratteristiche dello spirito. Universale, priva di
estensione, eterna, indistruttibile, dotata di rappresentazione e azione,
essa diviene come la pietra con cui l’edificio deH’universo è stato
costruito. Essa è spirito; ma tutto, anche la materia, consta di monadi;
sia, il mondo materiale sia il mondo spirituale la devono assumere come
punto di partenza. Da questa concezione della monade come elemento
costitutivo del mondo, e dall’ impegno di giustificare tutto attraverso
essa, sorgono nuovi sviluppi. Non si tratta più ora di studiare questo
principio sostanziale nella sua. intima costituzione: si tratta di
vederlo agire nel mondo. I problemi che si pongono a questo
proposito si possono ridurre a tre: quello dei rapporti della monade con
la suprema sostanza spirituale, cioè Dio; quello dei rapporti delle
varie monadi tra loro; e quello della giustificazione di una natura
corporea. Vedremo corno questi problemi siano vicendevolmente collegati.
Le monadi e dio; accordo tra le monadi. - La rappresentazione di tutto
l'universo e la tendenza alla propria realizzazione che ciascuna monade
tiene in sè, sono analoghe alla tendenza e alla rappresentazione che
caratterizzano la divinità. Per questo riguardo la monade non è diversa
da Dio. L) altro lato essa è una creatimi di Dio; e il suo aspetto
di creatura consiste proprio nel punto di vista particolare da
cui essa agisce e si rappresenta il mondo. In tale rappresentazione
ciascuna monade è completa in sè stessa, nè è possibile che alcunché
provenga ad essa dal di fuori: tutte lo sue affezioni, passate, presenti
e future, sono già contenute in ossa. La sua rappresentazione del mondo è
già chiusa in sè: il suo contenuto corrispondo al contenuto delle altre monadi,
allo stosso modo che due panorami di una città da punti di vista diversi
si corrispondono senza influenzarsi a vicenda. Questa completezza della
monade chiusa in sè stessa, è espressa da Leibniz con due detti celebri:
il primo, che le monadi non hanno finestre', il secondo, che basta
all’esistenza e universalità della monade, che ci sia Dio ed essa sola al
mondo. Dio produce diverse sostanze, a seconda delle visioni
differenti che egli ha dell' universo -, e, attraverso V intervento di
Dio, la natura propria di ciascuna sostanza fa sì che ciò che accade all'
una, corrisponda a ciò che accade a tutte le altre, senza però che l’una
agisca immediatamente sull’ altra. È in primo luogo
chiarissimo che le sostanze create dipendono da Dio, il quale le conserva, anzi
le produce continuamente per ima specie di emanazione, così come noi
produciamo i nostri pensieri. Infatti, dato che Dio volge, per così dire,
da tutte le parti e in tutte la maniere il sistema generale dei fenomeni
ch’egli crede bene di produrre per manifestare la sua gloria, e guarda
tutti gli aspetti del mondo in tutti i modi possibili (poiché nessun
rapporto sfugge alla sua onniscienza); ne consegue che il risultato di ciascuna
visione dell’universo da un determinato punto di vista, è una sostanza che
esprime l’universo in modo conforme a tale visione, se Dio crede bene di
rendere il suo pensiero effettivo e di produrre tale sostanza. E
poiché la visione di Dio è sempre veritiera, lo sono altresì le nostre
percezioni : ma ciò che ci inganna sono i nostri giudizi, che dipendono
da noi. Ora noi abbiamo detto sopra, e discende dalle nostre ultime
affermazioni, che ciascima sostanza è come un mondo a parte,
indipendentemente da qualsiasi altra cosa all’ infuori di Dio. Così tutti
i nostri fenomeni, cioè tutto ciò che ci potrà mai accadere, non è che
una conseguenza del nostro essere. E poiché questi fenomeni conservano un
certo ordine conforme alla nostra natura, o. per così dire, al mondo elio
è in noi - onde possiamo fare osservazioni utili a regolare la nostra
condotta e giustificate dall' avverarsi dei fenomeni futuri, e possiamo
spesso arguire senza errare 1’ avvenire dal passato . basterebbe questo
per dire che tali fenomeni sono veri, senza preoccuparsi se essi
siano fuori di noi e se anche gli altri li percepiscano. Tuttavia è
pur vero che le percezioni o espressioni di tutte le sostanze si rispondono
vicendevolmente, in modo che ciascuno, seguendo accuratamente certe ragioni o
leggi che ha osservate, s’ incontra con l' altro che fa altrettanto ;
così come, quando più persone si sono accordate di trovarsi insieme
in un determinato luogo e in un determinato giorno, lo possono fare
effettivamente se vogliono. Ora. nonostante che tutti esprimano i medesimi
fenomeni, non per questo le loro espressioni sono perfettamente
simili, ma basta che siano proporzionali: così come vari spettatori
credono di vedere la medesima cosa, e infatti si intendono vicendevolmente, per
quanto ciascuno veda e parli secondo la misura della sua vista.
Ora solamente Dio (dal quale emanano continuamente tutti gli
individui, e il quale vede l'universo non solo come lo vedono essi, ma
anche in modo completamente diverso) è causa di tale corrispondenza dei
loro fenomeni, e fa sì che ciò che è specifico di uno sia comune a
tutti; altrimenti non vi sarebbe alcun legame. Si potrebbe dunque dire —
in certo modo e in senso esatto, per quanto lontano dall'uso comune che
una sostanza particolare non agisce mai su di un'altra sostanza particolare
nè è affetta da essa, se si considera che ciò che accade a ciascuna non è
che una conseguenza della sola sua idea o nozione completa ; poiché tale
idea contiene già tutti i predicati o eventi, ed esprime tutto l’universo.
Infatti, niente ci può toccare se non pensieri e percezioni, e
tutti i nostri pensieri e le nostre percezioni future non sono che
conseguenze (sia pur contingenti) dei nostri pensieri e percezioni
precedenti; in modo che, se io fossi capace di considerare distintamente
tutto ciò che mi accade o mi appare in questo istante, vi potrei vedere
tutto ciò che mi accadrà o mi apparirà in eterno; e ciò non verrebbe a
manóare e mi accadrebbe pur sempre, se anche tutto ciò che è fuori di me
fosse distrutto, purché non rimanesse se non Dio e io stesso. (Discovra de
métaphysique). La differenza fra la monade e Dio consisto dunque in
ciò, die la monade è rappresentazione del mondo da un solo punt o
di vista; mentre Dio li raccoglie e riassume tutti in sé. E <|uesto è
anche il fondamento dell’accordo delle monadi fra di loro, pur mantenendo
ciascuna la sua autonomia e indipendenza. Le percezioni confuse e l’azione
reciproca delle monadi. - Ma anche per un altro lato si distingue la monade
da Dio: perla minor chiarezza e precisione della sua rappresentazione.
Con le percezioni confuse Leibniz riprende il concetto delle piccole
percezioni. Ma mentre quelle servivano a dimostrare in ogni anima la presenza -
sia pure incosciente e indistinta - di tutto il contenuto del mondo, queste
fanno ravvisare in tale incoscienza e confusione la causa della
imperfezione propria di ciascuna monade. Nella rappresentazione delle monadi
sono contenuti bensì tutti i legami di causa ed effetto che costituiscono
l’universo: ma non come percezione chiara, distinta, perfettamente
sviluppata. Man mano che ci si allontana dal punto di partenza che
costituisce 1 individualità essenziale di ciascuna monade, tale
percezione si fa indistinta e confusa. E la deficienza deriva dalla
imperfezione che è propria delle creature. In Dio, che è il luogo, per
così dire, di tutte le monadi e raccoglie in sé gli infiniti punti di
vista, la rappresentazione dell’universo nella sua totalità è sempre
perfettamente chiara e distinta. Le percezioni dei nostri sensi, quand'
anche sono chiare, devono necessariamente contenere una qualche
sensazione confusa; poiché, dato che tutti i corpi dell'universo
simpatizzano, il nostro riceve 1’ impressione di tutti gli altri : e
quantunque i nostri sensi siano in rapporto col tutto, non è possibile
che la nostra anima possa por mente a tutto particolareggiatamente.
Questa è la ragione onde le nostre sensazioni confuse sono il risultato
di una varietà di percezione assolutamente infinita. Così il mormorio
confuso che vien udito da chi si avvicini alla riva del maro deriva dalla
riunione delle risonanze di imvumerevoli onde. Ora, se fra varie
percezioni (che non s'accordano affatto a costituirne mia complessiva)
non ve n’è alcuna che eccella al di sopra delle altre, e se esse producono
press’ a poco impressioni di uguale intensità o ugualmente capaci
di determinare l'attenzione dell'anima, l'anima non può accorgersene se
non confusamente. ( Discoltra de mélaphysique). La
differenziazione nella chiarezza della percezione è dunque ciò che
costituisce l'individualità di ciascuna monade e ciò che differenzia le
monadi una dall’altra. E anche spiega, in certo qual modo, come si possa
parlare - impropriamente però di azione, di una monade sull’altra.
Poiché noi attribuiamo ad altre cose, come a cause che agiscano su
di noi, ciò che percepiamo in un certo modo, bisogna considerare il
fondamento di questa opinione e ciò che vi è in essa di vero.
L'azione di una sostanza finita sull’altra no>i consiste se non
nell’accrescimento del grado della sua espressione, unito alla diminuzione di
quello dell'altra, in quanto Dio le obbliga ad accordarsi. Ma senza
entrare in una lunga discussione, basta ora, per conciliare il linguaggio
metafisico con la pratica, osservare che noi attribuiamo a noi stessi, e con
ragione, piuttosto i fenomeni che esprimiamo più perfettamente; e
clie attribuiamo alle altre sostanze ciò che ciascuna di esse esprime
meglio. Così ciascuna sostanza, clie è di estensione infinita in quanto esprime
tutto, diviene limitata per il modo della sua espressione più o meno
perfetta. In tal modo dunque si può concepire che le sostanze si
impediscano e limitino vicendevolmente; e quindi si può dire in questo
senso che esse agiscono l’ima sull'altra e sono obbligate, per così
esprimersi, a adattarsi l una all'altra. Giacché può avvenire che un
cambiamento che aumenti l’espressione dell - una, diminuisca quella
dell'altra. Ora la virtù di mia sostanza particolare è di bene esprimere
la gloria di Dio; ed è questo l'aspetto onde ossa è meno limitata. E
qualsiasi cosa, quando esercita la sua virtù o potenza, cioè quando
agisce, cambia in meglio e si sviluppa, in quanto agisce. E dunque, quando
avviene un cambiamento da cui più sostanze sono affette (e effettivamente
ogni cambiamento le tocca tutte), credo che si possa due che quella che
per questo cambiamento passa immediatamente ad un maggior grado di
perfezione o ad una espressione più perfetta, esercita la sua potenza
e agisce; e quella che passa ad un grado minore di perfezione, mostra la
sua debolezza e 'patisce. Ritengo inoltre che ogni azione della sostanza
che abbia una qualche percezione, comporti un qualche 'piacere ; e ogni
passione un qualche dolore, e viceversa. Ma può tuttavia accadere
che un vantaggio presente sia distrutto da un male maggiore in
seguito. D’onde deriva che si può peccare pur nell' agire o nell’
esercitare la propria potenza e provando piacere. (Discovra de
méiuphysique). Le percezioni confuse come corpo. - Percezione
distinta è dunque nella monade l’elemento attivo; percezione
confusa l’elemento passivo. Ora noiT si e già visto, a proposito
delle leggi della forza e del movimento, che Leibniz definisce
l’azione come il principio spirituale, e la passione (o passività) come
quello materiale? Le percezioni confuse, in quanto passive, rappresentano
nella monade il principio corporeo. Ho già detto che da un punto di
vista rigorosamente metafisico, considerando come azione ciò che a va-
iene alla sostanza spontaneamente e dal suo stesso fondo, tutto ciò
che è propriamente una sostanza non fa (thè agire, poiché tutto le proviene da
sé stessa dopo che da Dio, e non è possibile che una sostanza creata
abbia influenza sull’altra. Ma, considerando come azione un esercizio di
perfezione, e passione il contrario, non vi è azione nelle vere sostanze
se non quando la loro percezione (e io attribuisco percezione a tutte) si
sviluppa e diviene più distinta; e non vi è jxissione se non quando
diviene più confusa. Di modo che nelle sostanze capaci di piacere e di
dolore, ogni azione è un avviamento al piacere, e ogni passione al
dolore. ( Nuovi Saggi). Le ideo e verità innate non
possono essere cancellate; ma sono oscurate in tutti gli uomini (al loro
stato attuale) dalla loro tendenza verso i bisogni del corpo, e spesso
ancor pili dalle cattive abitudini sopravvenute. Tali caratteri di
illuminazione interna sarebbero sempre splendenti nell" intelletto e
darebbero calore alla volontà, se le percezioni confuse dei nostri sensi
non si impossessassero della nostra attenzione. È questa la lotta di cui parla
la Sacra Scrittura e anche la filosofia antica e la moderna. ( Nuovi
Saggi). Si ha ragione di chiamare, coi filosofi antichi,
perturbazione o passione ciò che consiste nei pensieri confusi, in cui vi
è dell' involontario e dello sconosciuto ; ed è ciò che nel linguaggio
comune si attribuisce non ingiustamente alla lotta fra corpo e spirito,
poiché i nostri pensieri confusi rappresentano il corpo o la carne, e
costituiscono la nostra imperfezione. (Polemica eoi Bayle).
D’altro lato, è interessante notare elio Leibniz, proprio
contemporaneamente alla definizione delle percezioni confuse come
provenienti dalla natura corporea, riafferma che esse non hanno nulla di
essenziale che no distingua la natura da quella delle percezioni
distinte; che è come dire che la natura corporea non differisce
essenzialmente dalla natura spirituali'. Si concepiscono
generalmente i pensieri confusi come di un genere completamente diverso
dai pensieri distinti, e il nostro autore (1) giudica die lo spirito sia
più unito al corpo attraverso i pensieri confusi che attraverso
quelli distinti. Ciò non è senza fondamento, poiché i pensieri
confusi indicano la nostra imperfezione, le nostre passioni, la nostra
dipendenza dall' insieme delle cose esteriori o dalla materia, mentre la
perfezione, forza, dominio, libertà e azione dell’anima consistono
principalmente nei nostri pensieri distinti. Tuttavia non è men vero che,
in fondo, i pensieri confusi non sono altro che ima molteplicità di
pensieri in sé stessi uguali ai distinti, ma tanto piccoli che ciascuno
separatamente non eccita la nostra attenzione e non è
distinguibile. Si può dire anzi che nelle nostre sensazioni ve ne è compresa
insieme una quantità veramente infinita. E in ciò consiste proprio la
grande differenza fra i pensieri confusi e quelli distinti....
. Così non bisogna punto concepire le sensazioni contuse come
qualche cosa di primitivo e di inesplicabile ; altrimenti le si mettono press’
a poco a pari con le antiche qualità di alcuni filosofi scolastici, (2) alle
quali non si farebbe (1) Il benedettino Francesco Lami, autore di
una Connotane de soy, nènie ( Parici, 1«99), con cui Leibniz è qui in
polemica. (2) Leibniz allude qui alla concezione scolastica
Becondocuiognisensa. zinne deriva da differenti « qualità sensibili » che
si muovono dai corpi esterni che sostituire queste sensazioni se si
volesse sostenere tale differenza essenziale; e ciò non sarei) he che
spostare la difficolta. E, quantunque sia vero che la loro
spiegazione completa superi le nostre forze a causa della troppo
grande molteplicità che esse implicano, non si cessa tuttavia di
penetrarvi sempre più, per mezzo di esperienze che fanno scoprire in esse
i fondamenti dei pensieri distinti. La luce e i colori ci forniscono
esempi di ciò. Queste sensazioni confuse, non sono neppur esse
arbitrarie; e io non sono d’accordo con l'opinione accettata oggi dai più
e seguita dal nostro autore, che non vi sia somiglianza o rapporto
fra le nostre sensazioni e le loro tracce corporee. Direi piuttosto che
le nostre sensazioni rappresentano ed esprimono perfettamente tali tracce.
Taluno dirà forse che la sensazione del calore non assomiglia al movimento:
sì. senza dubbio, non assomiglia a un movimento sensibile quale
quello della ruota di una carrozza; ma assomiglia all' insieme dei
piccoli movimenti del fuoco e degli organi che ne sono la causa; o
piuttosto non è se non la loro rappresentazione. Così la bianchezza non
assomiglia a uno specchio sferico convesso, e tuttavia non è che 1'
insieme di una quantità di piccoli specchi convessi quali si vedono
nella schiuma, guardandola da vicino. E se noi potessimo sempre scoprire con la
medesima facilità la causa delle nostre sensazioni, troveremmo che essa
si riduce sempre a qualche cosa del genere. (Addition à
l'Explication du systeme nouteau). Corporeità nella monade.
Immortalità. - Si è giunti dunque a concepire il corpo come un semplice
aspetto dello spirito: o meglio, corpo e spirito come due diversi aspetti
della per penetrare in noi. Tale concezione faceva di ogni
sensazione alcunché di primitivo, originario, irresolubile. Le varie
sensazioni derivano invece per Leibniz dal differente comportarsi di
un’unica sostanza, e la differenza fra confuso e distinte — cioè fra
anima e corpo - è differenza di grado, non essenziale. I.kihniz, La
monadologia. sostanza semplice originaria, o monade; la quale non è
in sè corporea, ma può, anzi deve svilupparsi in quanto aumenti o
diminuisca il suo grado di perfezione - come spirito o come corpo. Le
percezioni possono infatti divenire da confuse distinte, e viceversa.
Oltre alle percezioni di cui l'anima ha ricordo, essa ne ha una
quantità infinita di confuse, di cui non viene in chiaro; e attraverso
queste, essa rappresenta i corpi esterni, e giunge a pensieri distinti
diversi dai precedenti : perchè i corpi che essa rappresenta sono passati
d’ un tratto a qualche cosa che colpisce fortemente il suo. Cosi l’ anima
passa qualche volta dal bianco al nero o dal sì al no, senza sapere come,
o almeno in modo involontario. Poiché ciò che i suoi pensieri confusi e
le sue sensazioni producono in essa, si attribuisce al corpo. E non
Insogna dunque meravigliarsi se un uomo che mangia un dolce, e si
trova punto da un qualche animale, passa immediatamente, suo
malgrado, dal piacere al dolore. Intatti l animale era già in relazione
col corpo dell'uomo avvicinandosi ad esso prima di pungerlo, e la
rappresentazione di ciò colpiva già la sua anima, ma insensibilmente.
Tuttavia a poco a poco F insensibile passa al sensibile, nell' anima come
nel corpo ; e così l’anima si modifica da sè anche contro la sua
volontà; poiché essa è schiava, attraverso le sensazioni e i pensieri
confusi che si formano secondo gli stati del suo corpo e degli altri
corpi in rapporto al suo. Ecco dunque per quale meccanismo i piaceri si
interrompono, e a volte succedono i dolori senza che l'anima ne sia
sempre avvertita o vi sia preparata; come per esempio nel caso che
l'animale il quale pungerà si avvicini senza rumore; oppure, se fosse per
esempio una vespa, quando una distrazione ci impedisce di fare attenzione al
ronzio della vespa che si avvicina. Così non bisogna punto dire che
non è avvenuto nulla di nuovo nella sostanza di questa anima, per cui
essa passi alla sensazione della puntura: sono i presentimenti confusi o,
per meglio dire, le disposizioni insensibili dell'anima che rappresentavano la disposizione
alla puntura nel corpo. Osservazioni al Dizionario del Bayle, G.).
Discende anche necessariamente da tutto ciò che ogni monade, e perciò
ogni anima, sia fornita di un corpo. E, poiché ogni monade è eterna e ind
istrutt ibile, non solo l'anima è immortale, ma è anche indistruttibile
il corpo; e di morte, a ligoie, nella natura, non si può parlare, ma solo
di una composizione e scomposizione di vari elementi semplici tra loro.
Io ritengo non solo che queste anime o entelechie abbiano tutte con sè un
qualche corpo organico proporzionato alle loro percezioni; ma anche che Io
avi-anno sempre e lo hanno sempre avuto da quando esistono: così
non solo l'anima, ma anche l'animale stesso (o ciò che è analogo all
anima e all animale, per non fare questioni di parole) permane, e la
generazione e la morte non possono essere se non sviluppi e involuzioni
di cui la natura ci mostra visibilmente alcuni saggi, secondo il suo uso,
per aiutarci a indovinare ciò che nasconde. E quindi nè il terrò,
ne il fuoco, ne tutte le altre violenze della natura, qualunque rovina
portino nel corpo di un animale, non possono impedire all'anima di conservare
un qualche corpo organico, in quanto l'organismo, cioè l'ordine e
l'artificio, è qualche cosa di essenziale alla materia prodotta e
organizzata dalla sovrana saggezza: poiché la produzione deve sempre
conservare traccia del suo autore. Questo mi fa pensare anche che non vi
sia alcuno spirito separato Quanto è qui affermato contraddice solo in
parte all' ipotesi dell’armonia prostabilita, secondo la quale corpo e spirito
sono due sistemi separati, privi di influenze reciproche. Le percezioni confuse
dell’anima sono qui intese non come veraracute corporee, ma come
rappresentatrici nell'anima di ciò ohe avviene nel corpo. È innegabile però
clic Leibniz a volte attribuisce invece alle percezioni confuse un
carattere nettamente corporeo. completamente dalla materia, salvo l'essere
primo e sovrano. (Lettera a Mnsham). In natura e
secondo un rigore metafisico, non vi è nè generazione nè morte, ma solo
sviluppo e involuzione di un medesimo animale. Altrimenti vi sarebbe un
salto eccessivo, e la natura uscirebbe troppo dal suo carattere di
uniformità per un cambiamento essenziale inesplicabile. L’esperienza
conferma tali trasformazioni in alcuni animali, nei quali la natura
stessa ci ha mostrato un piccolo saggio di ciò che essa nasconde altrove.
L' osservazione anche permette ai più accorti osservatori di notare che
la generazione degli animali non è altro che un accrescimento aggiunto alla
trasformazione; il che consente di giungere alla conclusione che la morte
non può essere se non il contrario; consistendo la differenza solamente nel
fatto che in un caso il cambiamento si produce a poco a poco, e
nell’altro d’ un tratto e come violentemente. D'altronde, l'esperienza
mostra anche che un numero troppo grande di piccole percezioni poco
distinte, come quelle che vengono quando si è ricevuto un colpo alla testa, ci
stoidisce: e che in un deliquio avviene che noi ricordiamo - e dobbiamo
ricordare così poco di tali percezioni,
come se non ne avessimo avute affatto. Dunque la regola delT uniformità
ci deve permettere di non giudicare diversamente anche della morte degli
animali, secondo l'ordine naturale; poiché la cosa è facile a spiegarsi
in tale maniera già conosciuta e sperimentata, ed è inesplicabile in
qualsiasi altra maniera. Non è intatti possibile concepire come cominci o
termini 1 esistenza o 1 azione del principio percettivo, nè la sua
disgregazione. (Lettera alla regina Sofia Carlotta di
Prussia). (1) Cioè Dio, in uni non esistono percezioni oscure, nò
passività, e in cui tutto ò realizzato. Gerarchia delle monadi. -
La concezione delle percezioni distinte e confuse come criteri di perfezione
o imperfezione, dà a Leibniz il modo di stabilire una graduazione tra le
varie monadi. Le percezioni più elevate e complesse saranno segni
distintivi delle monadi più elevate. Si forma così una vera e propria
gerarchia, i cui gradi inferiori rappresentano gli infimi staili della
vita vegetativa, i superiori le più alte vette della spiritualità. La
monade dell’uomo sta al culmine di questa ascesa; e ciò che le
attribuisce tale titolo di nobiltà sono le percezioni riflesse, onde essa
giunge alle idee astratte, all’autocoscienza, alla memoria di sè che le
garantisce la conservazione dellasua personalità individuale. AI di sopra
di tutto poi, come percezione sommamente distinta e completa, e oggetto
pure di ogni percezione particolare da parte delle monadi, è
Dio. Ogni monade, con un corpo particolare, costituisce una sostanza
vivente. Così non vi è solamente vita dappertutto, imita alle membra o organi,
ma questa vita si mostra in un' infinità di gradi nelle monadi, dominando
le une più o meno sulle altre. Ma quando la monade ha organi così
bene adattati, che per loro mezzo vi sia rilievo e distinzione nell'
impressione che essi ricevono, e quindi nelle percezioni che
rappresentano tali impressioni (come per esempio quando, per la conformazione
degli umori degli occhi, i raggi della luce sono concentrati e agiscono
con maggior forza), allora ciò può giungere fino al sentimento, che
è una percezione accompagnata da memoria, della quale cioè resta a lungo
una certa eco, per farsi sentire occasionalmente. E un tale essere
vivente è chiamato animale, così come la sua monade è chiamata anima. E
quando quest’anima s’ innalza fino alla ragione, essa è qualche cosa di
più sublime, e la si annovera fra gli spiriti, come spiegheremo or ora. È
vero che gli animali sono a volte nello stato di semplici esseri viventi
e le loro anime Questo termine (sentiment) è stato da noi a volte anche
tradotto con la parola « sensazione ». nello stato di semplici monadi:
quando cioè le loro percezioni non sono abbastanza distinte perchè ci se ne
possa ricordare, come nel caso di un sonno profondo senza sogni, o
di uno svenimento. Ma le percezioni divenute interamente confuse si devono
sviluppare di nuovo negli animali.... Così è bene far distinzione fra la
percezione, che è lo stato interiore della monade che rappresenta le
cose esterne, e la appercezione, che è la coscienza o conoscenza
riflessiva di quello stato interiore, e non è data a tutte le anime, nè
sempre alla medesima anima. Vi è nelle percezioni degli animali un legame che
ha qualche somiglianza con la ragione, ma non è fondato che sulla
memoria dei fatti o effetti, e non sulla conoscenza delle cause. Così un cane
fugge il bastone da cui è stato colpito, perchè la memoria gli
rappresenta il dolore che questo bastone gli ha prodotto. E gli uomini,
in quanto empirici, cioè nei tre quarti delle loro azioni, non
agiscono che come bestie: per esempio, prevediamo che domani farà giorno
perchè si è sempre fatta una tale esperienza: ma solo l'astronomo lo prevede
per via di ragione. E anche questa previsione fallirà una volta, quando
la causa del giorno, che non è eterna, cesserà. Ma il vero
ragionamento dipende dalle verità necessarie o eterne,come quelle della
logica, dei numeri, della geometria, che costituiscono la connessione
indubitabile delle idee e le conseguenze immancabili. Gli animali nei quali
tali conseguenze non si osservano, sono eliiamati bestie. Ma quelli che
conoscono queste verità necessarie, sono propriamente quelli che si
chiamano animali ragionevoli, e le loro anime sono chiamate spiriti.
Queste anime sono capaci di compiere atti riflessivi, e di considerare
ciò che si chiama io, sostanza, anima, spirito, insomma le cose e le verità
immateriali. Ed è questa facoltà che ci rende partecipi delle scienze o
dello conoscenze dimostrative. ( Principe* (Iti la nature et de la
yrucel). Differenza fra gli spiriti e le altre sostanze, anime o
forme sostanziali ; e dimostrazione che V immortalità di cui si vuol
sostenere l’esistenza, implica la memoria. Supposto che i
corpi che costituiscono unum per se, come l'uomo, siano sostanze e
abbiano fonile sostanziali, e che le bestie abbiano anima, bisogna
riconoscere elio tali anime e forme sostanziali non possono perire
completamente, non meno che gli atomi o le ultimo parti della materia,
secondo l’opinione degli altri filosofi; giacché nessuna sostanza perisce, per
quanto possa mutarsi. Esse esprimono tutto l’universo, benché più
imperfettamente che gli spiriti. Ma la principale differenza consiste nel
fatto che esse non conoscono ciò che sono, nè ciò che fanno, e quindi,
non potendo fare riflessioni, non possono scoprire verità necessarie e
universali. La mancanza di riflessione su sé stesse è pure la ragione per
cui esse non posseggono alcuna qualità morale : ne deriva che,
passando esse per mille trasformazioni - press’a poco come un bruco
si muta in farfalla - ciò equivale per la morale o pratica a dire che esse
periscono. Si può anzi dirlo, da un punto di vista fisico, così come
diciamo che i corpi periscono per corruzione. Ma l' anima intelligente,
conoscendo ciò che essa è, e potendo dire quella parola io che ha un così
profondo significato, non solo permane e sussiste metafisicamente anche piii
delle altre, ma rimane la medesima anche moralmente, e costituisce il
medesimo personaggio. Giacché è il ricordo o la conoscenza di quell’ io che la
rende passibile di castigo o di ricompensa. Così 1’ immortalità
ciie si richiede nella morale e nella religione non consiste nella sola
sussistenza perpetua che appartiene a tutte le sostanze; poiché, senza il
ricordo di ciò che si è stati, non (1) Morale, ha per Leibniz e
per tutti i filosofi del suo tempo anche il significato di pratico,
contingente, empirico. Si ò già visto (p. 27 ss.) come la nooessità
morale si applichi alle verità di fatto e si contrapponga alla necessità di
ragione, che dà l’assoluta cortezza, l’impossibilità del contrario.
avrebbe nulla di desiderabile. Supponiamo che un privato qualsiasi debba
divenire ad un tratto re della Cina, ma a condizione di dimenticare ciò
ch'egli è stato, come se nascesse di nuovo. Ebbene, in pratica e quanto
agli effetti di cui ci si può accorgere, non è forse come se egli dovesse
essere annientato, e dovesse venir creato nel medesimo istante al suo posto un
re della Cina? Cosa che questo privato non ha alcuna ragione di
desiderare. Eccellenza degli spiriti, che Dio considera a
preferenza delle altre creature. Oli spiriti esprimono piuttosto Dio che il
mondo, ma le altre sostanze esprimono piuttosto il mondo che Dio.
Ma, per permettere di giudicare attraverso ragioni naturali che Dio
conserverà sempre non soltanto la nostra sostanza, ma anche la nostra persona,
cioè il ricordo e la conoscenza di ciò che noi siamo (benché la conoscenza distinta
ne sia a volte sospesa nel sonno e negli svenimenti), bisogna unire la
morale alla metafisica: cioè non bisogna soltanto considerare Dio come il
principio e la causa di tutte le sostanze e di tutti gh esseri, ma anche come
il capo di tutte le persone o sostanze intelligenti, e come il monarca
assoluto della più perfetta città o repubblica, quale è quella dell'
universo, composta di tutti gli spiriti insieme; essendo Dio stesso
insieme il più completo di tutti gli spiriti e il massimo di tutti gli
esseri. Sicuramente infatti gli spiriti sono le sostanze pili perfette e
che esprimono meglio la divinità. Ed essendo la natura, il fine, la virtù
e la funziono delle sostanze nuli’ altro che di esprimere Dio e l’universo
(come è già stato spiegato a sufficienza) non vi è ragione di dubitare
che le sostanze che lo esprimono con conoscenza di ciò che esse fanno, e
che sono capaci di conoscere grandi verità riguardo a Dio e all'
universo, non lo esprimano incomparabilmente meglio che quelle
nature che sono o brute e incapaci di conoscere le verità, o
completamente prive di sentimento e di conoscenza: e la differenza fra lo
sostanze intelligenti e quelle che non lo sono è così grande come quella
che c’è fra lo specchio e colui che vede. E poiché Dio stesso
è il piii grande e il più saggio degli spiriti, è facile comprendere che
gli esseri coi quali egli può, per così dire, entrare in conversazione e
perfino in società comunicando ad essi i suoi sentimenti e le sue
volontà in modo particolare e in guisa che essi possano conoscere ed
amare il loro benefattore, lo devono interessare infinitamente pi fi che il
resto delle cose, le quali non possono essere considerate se non come
strumenti degli spiriti: così come noi vediamo che tutte le persone
sagge hanno molto maggior stima dell'uomo che di qualsiasi altra
cosa, sia pur preziosissima. E la pili grande soddisfazione che possa
avere un’anima, per altri riguardi contenta, è di vedersi amata dagli
altri. Vi è tuttavia, riguardo a Dio, questa differenza: chela sua gloria
e il nostro culto non possono aggiungere nulla alla sua soddisfazione; non
essendo la conoscenza delle creatine se non una conseguenza della
sua sovrana e perfetta felicità, ben lungi dal contribuirvi o dall’esseme
in parte la causa. Tuttavia, ciò che è buono e ragionevole negli spiriti
finiti, si trova eminentemente in lui. E come noi loderemmo un re che
preferisse conservare la vita di un uomo che quella del più prezioso e
più raro fra i suoi animali, così non dobbiamo affatto dubitare che
il più illuminato e il più giusto di tutti i monarchi non abbia il
medesimo sentimento. Dio è il monarca delta più perfetta repubblica
composta di tutti gli spirili-, e il suo principale intento è la felicità
di questa città di THo. Effettivamente gli spiriti sono le
sostanze massimamente sus*cettibili di perfezione. E le loro perfezioni
hanno questo di particolare: che non si intralciano a vicenda, anzi
si aiutano; poiché soltanto i piti virtuosi potranno essere i più
perfetti amici. Ne segue chiaramente che Dio. il quale tende sempre alla
massima perfezione universale, avrà più cura degli spiriti e darà ad essi
non soltanto in generale ma anche a ciascuno in particolare, il massimo
di perfezione permesso dall'armonia universale. Si può anzi dire
che Dio. in quanto è uno spirito, è l'origine delle esistenze;
altrimenti, se gli mancasse la volontà per scegliere il migliore, non vi
sarebbe alcuna ragione affinchè esistesse un possibile a preferenza di
altri. Così la qualità posseduta da Dio, di essere egli stesso uno
spirito, precede tutte le altre considerazioni che egli può avere
riguardo alle creature: solo gli spiriti sono fatti a sua immagine,
appartengono quasi alla sua razza e sono come i figli della casa, perchè
essi soli possono servirlo li fieramente e agire coscientemente ad
imitazione della natura divina: un solo spùito vale tutto un mondo,
perchè non solo lo esprime, ma lo conosce pure, e vi si comporta al
modo di Dio. Così sembra che, quantunque ogni sostanza esprima tutto
l'universo, pine le altre sostanze esprimono piuttosto il mondo che Dio, ma gli
spiriti esprimono piuttosto Dio che il mondo. E tale natura così
nobile degli spiriti, ohe li avvicina alla divinità quanto è possibile a
semplici creatine, fa sì che Dio tragga da essi gloria infinitamente
maggiore che dagli altri esseri : o piuttosto gli altri esseri non fanno
che dare agli spiriti argomenti per glorificare Dio. Questa è
la ragione per cui quella qualità morale di Dio che lo rende signore o
monarca degli spiriti, lo tocca, per così dire, personalmente in modo
affatto smgolare. È in ciò ch'egli si umanizza, ch'egli soffre rapporti
umani, eh' egli entra in società con noi, come un principe con i
suoi sudditi; e tale rapporto gli è così caro, che lo stato felice e
fiorente del suo impero, consistente nella massima felicità possibile dei
suoi abitanti, diviene la suprema delle sue leggi. Poiché la felicità è
per le persone ciò che la perfezione è per gli esseri. E se il primo principio
dell'esistenza del mondo fisico è il decreto di dargli il massimo di perfezione
possibile, il primo disegno del mondo morale o della città di Dio, clie è
la parte pili nobile dell'universo, sarà di diffondervi il massimo di felicità
possibile. Non bisogna dunque affatto dubitare che Dio non
abbia ordinato il tutto in modo che gli spiriti non solo possano
vivere sempre, il che è inevitabile, ma anche ch'essi conservino sempre la loro
qualità morale, affinchè la sua città non perda alcuna persona, così come
il mondo non perde alcuna sostanza. E quindi gli spiriti saranno
sempre ciò che sono, altrimenti non sarebbero suscettibili di ricompensa
nè di castigo: il che d'altra parte appartiene all'essenza di qualsiasi
repubblica, ma sopratutto della più perfetta, nella quale nulla può
essere negletto. Ingomma, essendo Dio contemporaneamente il più
giusto e il più benevolo dei monarchi, e non richiedendo se non la
buona volontà, purché sia sincera e seria, i suoi sudditi non potrebbero
desiderare una condizione migliore. E, per renderli perfettamente felici,
egli vuole soltanto che lo amino. Gesù Cristo Ita scoperto
agli uomini, il mistero e le leggi ammirevoli del regno dei cieli e la
grandezza della suprema felicità che Dio prepara a coloro che lo
amano. I filosofi antichi non hanno abbastanza conosciuto queste
importanti verità: Gesù Cristo solo le ha espresse divinamente bene, o in modo
così chiaro e famigliare, che gli spiriti più grossolani le hanno potute
concepire. Così il suo Evangelo ha cambiato completamente la faccia
delle cose umane: egli ci ha mostrato il regno dei cieli, o quella
perfetta repubblica degli spiriti che merita il titolo di città di Dio,
di cui ci ha scoperto le leggi ammirevoli: egli solo ha mostrato come Dio
ci ami, e con quale esattezza abbia provveduto a tutto ciò die ci
riguarda; che. preoccupandosi dei passerotti, non trascurerà le creature
ragionevoli che gli sono infinitamente più care; che tutti i capelli della
nostra testa sono contati; che cadranno il cielo e la terra, prima che
sia cambiata la parola di Dio e ciò che riguarda l'economia della nostra
salvezza; che Dio ha più riguardo alla minima anima intelligente, che a
tutta la macchina del mondo; che noi non dobbiamo temere ciò che
può distruggere il corpo ma non può nuocere all' anima, perchè solo Dio
può rendere l'anima febee od infebee; che le anime dei giusti sono nella
sua mano al coperto da tutte le rivoluzioni dell'universo, e nulla può agire
su di esse se non Dio solo; che nessuna delle nostre azioni viene
dimenticata; che tutto viene messo in conto, anche lo parole oziose, anche un
cucchiaio d’acqua ben impiegato: infine, che tutto deve riuscire per il
maggior bene dei buoni; che i giusti saranno come dei soli, e che nè i
nostri sensi nè il nostro spirito non hanno mai gustato nulla che
si avvicini aUa febeità che Dio prepara a coloro che lo amano.
( JJiecours de mélaphysique. Così termina il Discours de
métaphysique : nel quale, dal principio della differente chiarezza di
percezione nelle varie monadi, si giunge ad una gerarchia degli esseri, e
alla definizione deU’anima o della personalità umana in sè e nei suoi
rapporti con la natura divina. Tale costruzione permette a Leibniz uno di
quegli sguardi armonici e complessivi su tutto ("universo, in cui
fenomeni tìsici, concetti scientifici o filosofici, principi morali, dogmi
religiosi coincidono in una suprema armonia. La materia come
aggregato. - Si è studiata finora la natura del corpo come elemento
essenziale della monade, inseparabile. dall'anima. Ma c’è per Leibniz un modo
rii considerare il mondo materiale da un altro punto di vista. La materia
può essere vista anello altrimenti che come forza passiva, appartenente a
ciascuna delle sostanze fondamentali onde consta il mondo, o come ciò che
vi è di confuso e indistinto nella percezione della monade. Materia è,
pili concretamente, tutto ciò che ci sta intorno; tutto ciò che, nei suoi
vari aspetti, cade sotto i nostri sensi. Ora, questa materia, a volerla
analizzare più a fondo, consterebbe anch essa di unità sostanziali,
di monadi: pur tuttavia ci si presenta, così composita, senza caratteri
di attività o di spiritualità. La sua materialità non dipende dalle unità
che la costituiscono (e sappiamo che non esistono unità che siano
puramente materiali), ma dal fatto stesso di non essere un’unità, ma un
gruppo di unità: un <kj gregaio. Quanto alle forme sostanziali o
entelechie primitive..., io non le approvo se non quando le si considera
sostanze semplici, capaci di percezione e di appetito, insomma
anime, o qualche cosa che abbia analogia con l’anima, e che si
potrebbe chiamare principio di vita: e ritengo infatti che tutta la
natura sia piena di corpi organici viventi. Così non ritengo in verità
che una pietra sia essa stessa una sostanza corporea animata o dotata di
un principio di Ilo unità o di vita; ma ritengo che in essa
vi siano dappertutto di tali principi; e che non vi sia alcuna parte di materia
nella quale non si trovi un animale o una pianta o qualche altro corpo
organico vivente (quantunque di organico vivente noi non conosciamo che
le piante e gli animali). Così una massa di materia non è
propriamente ciò che io chiamo una sostanza corporea, ma un'ammasso
e una risultante ( aggregatovi ) di una infinità di tali sostanze, come lo è un
gregge di pecore o un mucchio di vermi. ( Éclaircissement sur
les natures plastiques, G. VI, 550). Non dirò, come mi si accusa,
che ci sia una sola sostanza di tutte le cose e che questa sostanza sia
lo spirito. Vi sono invece tante sostanze distinte quante sono le
monadi, e tutte le monadi non sono spiriti. E queste monadi non
compongono affatto un tutto effettivamente unitario. Questo tutto, se esse lo
componessero, non sarebbe in nulla uno spirito. Mi guardo pure dal dire
che la materia sia un'ombra o un nulla. Sono espressioni esagerate. Essa
è un ammasso, non substantia seti substa ntiatum, cosi come sarebbe
un esercito, un gregge; e in quanto la si consideri come componente una
cosa unica, è un fenomeno; fenomeno ben reale effettivamente, ma la cui unità è
determinata dal nostro concepirla. (Frammento, G.). L
aggregato come eenomeno. - La materia, intesa in questo modo, non viene ad
avere nulla di reale. La sua essenza consiste appunto nel fatto di essere
una riunione di sostanze reali: in sé stessa, essa è dunque qualche cosa
di costruito, (li artificiale. Quando viene osservata a fondo, si
dissolve necessariamente nei suoi componenti. Leibniz esprime ciò col
dire che essa ha natura fenomenica { 1). (1) Fenomenico (da
«palvopai, appaio), è termine usato fin da Platone per indicare ciò che
non ha realtà assoluta, ma è una apparenza. Sembra che a rigore i corpi
non meritino affatto il nome di sostanze; e questa pare esser già stata
l’opinione di Platone, il quale ha osservato che essi sono esseri
transeunti, i quali non sussistono mai più di un istante. Ma questo è un
punto che richiede più ampia discussione; e io ho altre ragioni
importanti che mi conducono a rifiutare ai corpi il titolo e il nome di
sostanze, metafisicamente parlando. Perchè, per dirla in una parola, il
corpo non ha affatto una vera unità; non è che un aggregato, che la scuola
chiama puro accidente ; un insieme, come mi gregge. La sua unità deriva
dalla nostra perfezione. È un essere di ragione o piuttosto di
immaginazione, un fenomeno. (Evlretien de Philarète et d’
Ariste, G. VI, 58(>). I corpi non possono essere sostanze
propriamente dette, poiché sono sempre solamente delle unioni, risultanti
di sostanze semplici o vere monadi, le quali non sono estese e
perciò non sono veri corpi. Onde i corpi presuppongono sostanze
immateriali. ( Lettera a Masham). II continuo e il
discreto. — Di qui Leibniz trae nuovi argomenti per dimostrare 1 irrealtà
della natura corporea in generale e la necessità di ricorrere, di là da
essa, a qualche cosa che sia fornito di più solida validità. Acquista
anche nuova forza la sua negazione del concetto di estensione. La
monade in sè non è estesa; non è considerabile se non come un « punto
metafìsico ». L'*estcnsione non può derivare che da una molteplicità, una
ripetizione: in questo senso essa è puramente fenomenica, così come lo è
l’aggregato. La differenza consiste nel fatto che la materia come
aggregato è discreta, cioè composta di un ammasso di unità indivi si biìn e
Féstensione invece è continua, cioè divisibile all" infinito. A maggior
ragione essa non sarà nulla di reale, ma un semplice ordine di
rapporti spaziali, così come il tempo è un ordine di rapporti
successivi. Non vi sono se non gli atomi di sostanza, cioè le unità
reali e assolutamente prive di parti, che siano le origini
delle azioni e i primi principi assoluti della composizione delle
cose, e come gli ultimi elementi dell’analisi delle cose sostanziali. Si
potrebbe chiamarli punti metafìsici : hanno alcunché di vitale e una
specie di percezione, e i punti matematici sono i loro punti di vista per
esprimere l'universo. Ma (piando le sostanze corporee sono ristrette
insieme, tutti i loro organi non costituiscono se non un punto fisico
riguardo a noi. Così i punti fìsici non sono indivisibili se non in
apparenza: i punti matematici sono esatti, ma non sono che modalità; e
solo i punti metafisici o sostanziali (costituiti dalle forme o anime) sono
esatti e reali. E senza di essi non vi sarebbe nulla di reale, poiché
senza le vere unità non vi sarebbe alcuna molteplicità.
(Syslème noureau). Benché la materia consista in un ammasso
di sostanze semplici innumerevoli, e la durata delle creature, così
come il movimento attuale, consista in un ammasso di stati
momentanei, tuttavia bisogna dire che lo spazio non è affatto composto di punti
nè il tempo di istanti, nè il movimento matematico di momenti, nè la tensione
di gradi estremi. Il fatto è che la materia, lo scorrere delle
cose, e insomma ciascun composto attuale, è ima quantità discreta,
ma che lo spazio, il tempo, il movimento matematico, la tensione e l’
accrescimento continuo nella velocità e in altre qualità, e insomma tutto ciò
la cui valutazione appartiene al campo delle possibilità, è una quantità
continuata e indeterminata in sé stessa, o indifferente alle parti che vi
si possono prendere e che vi si prendono attualmente in natura. La massa
dei corpi è divisa attualmente in modo determinato, e nulla non vi è
esattamente continuato; ma lo spazio o la continuità perfetta che è
nell' idea, non indica se non una possibilità indeterminata di dividere
come si vuole. Nella materia e nelle realta attuali, il tutto è un risultato
di parti: ma nelle idee e nei possibili (che comprendono non solamente
questo imiverso, ma anche qualsiasi altro che possa essere concepito e
che T intelletto divino si rappresenti effettivamente), il tutto
indeterminato è anteriore alle ilivisioni, come la nozione dell' intero è più
semplice che quella delle frazioni, e la precede.... Per
meglio concepire la divisione attuale della materia all' infinito e
l'esclusione che vi è in essa di ogni continuità esatta e indeterminata,
bisogna considerare che Dio vi ha giti prodotto tanto ordine e tanta
varietà, quanto era possibile di introdurvi finora, e che così nulla vi
è rimasto di indeterminato, mentre 1' indeterminazione è l'essenza della
continuità. Questo apprende il nostro spirito dalla perfezione divina; e
l'esperienza lo conferma attraverso i sensi. Non vi è goccia d'acqua così pura,
che non vi si possa osservare qualche varietà, guardandola bene. Un
pezzo di pietra è composto di determinati granuli, e al microscopio
questi granuli appaiono come rocce nelle quali vi sieno mille giochi di
natura. Se la forza della nostra vista aumentasse continuamente,
troverebbe sempre campo per esercitarsi. Dappertutto vi sono varietà
attuali, e mai una perfetta miiforinità. Nè vi sono due parti di
materia completamente simili l ima all’altra, sia nel grande, sia
nel piccolo. (Lotterà alla elettrioe Sofia di Hannover).
Materia trema e seconda. - Il continuo è dunque spazialità (o temporalità
eco.) astratta; il discreto è aggregato, o materia. E della materia
Leibniz ha due concezioni diverse: da un lato quella che abbiamo vista al
Capitolo 111, come potenza passiva primitiva, come quel substrato di
resistenza, densità, « anti tip' a», al quale si applica la forza,
trasformandola in attività, entelechia; d’altro lato questo concetto di
aggregato, composizione, costruzione artificiale posteriore alla monade, non
avente in sè una vera e propria sostanzialità. Per distinguere tali due
modi diversi di considerare la materia, Leibniz usa i due termini di
materia prima e materia seconda. Leibniz, La mvnailoloi/ia. Nei
corpi io distinguo la sostanza corporea dalla materia, e distinguo la materia
prima dalla seconda. La materia seconda c un aggregato o composto di varie
sostanze corporee, come un gregge è composto di vari animali. Ma
ogni animale e ogni pianta, dal canto suo, è una sostanza corporea, la
quale ha in sè il principio dell' unità che fa sì die sia veramente una
sostanza e non un aggregato. E questo principio di unità è ciò che si
chiama anima, oppure qualche cosa che ha analogia con l'anima. Ma
oltre al principio dell’ unità, la sostanza corporea ha la sua
massa e la sua materia seconda, che è ancora un aggregato di altre sostanze
corporee più piccole, tino all' infinito. Tuttavia la materia primitiva o presa
in sè stessa, è ciò che si concepisce nei corpi mettendo da parte
tutti i principi dell' unità, è cioè ciò che vi è in essa di
passivo. Di qui derivano due qualità: resistenti a et restitantia
vel inertia. Cioè, un corpo non può essere penetrato, e cede
piuttosto a un altro corpo, ma non cede senza difficoltà e senza
diminuire il movimento complessivo di quello che lo spinge. Così si può
dire che la materia, in sè stessa, involve, oltre l'estensione, ima
potenza passiva primitiva. Ma il principio dell’unità contiene la potenza
attiva primitiva, o la forza primitiva, la quale non si perde mai e
persevera sempre in un ordine esatto delle sue modificazioni interne che
rappresentano quelle esterne. (Lettera a Burnett).
L’anima e il corpo. Attraverso il concetto di aggregato, Leibniz
spiega anche la costituzione dei .corpi organici e degli animali. TI loro
corpo, egli dice, è un aggregato, con una monade, per così dire, dominante e
ordinatrice, di natura sujieriore. Tale monade è l’anima e costituisce
l’elemento permanente di ciascun individuo. Definisco 1’organismo,
o macchina naturale, come una macchina, ciascuna parte della quale sia
una macchina a sua volta (1). Perciò la sottigliezza del suo artificio
va all ? infinito, poiché nulla è tanto piccolo da poter essere
trascurato; mentre le parti delle nostre macchine artificiali non sono a
loro volta macchine. Questa è la differenza essenziale fra la natura e
forte, che i nostri moderni non hanno ancora considerato
abbastanza. (Lettera a Lady Magliari), G. Ili, 356). lo
distinguo: fentelechia primitiva o anima. La materia prima o potenza
passiva primitiva. La monade, composta di queste due. La massa, o materia
seconda, o macchina organica, a formare la quale concorrono innumerevoli
monadi subordinate. 5.°) L'animale o sostanza corporea, la cui unità è
determinata dalla monade dominante nella macchina. (Lettera al Le
Volder). E attraverso i due concetti di materia prima c seconda, si
formano pine duo concetti differenti di anima. Il primo, come principio
attivo insito nella monade, inseparabile dalla sua passività ; l’altro, come
quella monade a carattere più strettamente spirituale, che permane in
ciascun individuo, mentre le monadi formanti la massa del suo corpo
variano e si trasformano. La materia, senza le anime e forme o
entelechie, non è che passiva, e le anime senza materia non sarebbero
che attive: poiché la sostanza corporea completa veramente una,
chiamata dalla scuola unum per se (opposta all'essere per aggregazione),
deve risultare del principio dell' unità, che è attivo, e della massa che
costituisce la molteplicità e che sarebbe solamente passiva se essa non
contenesse se non la materia prima. Invece la materia seconda o
massa, che costituisce il nostro corpo, è tutta composta di parti che
sono in sé sostanze complete quando sono Con la parola macchina Leibniz
intende qui, come già altrove, un organismo composito, cioè formato di
parti eterogenee. altri animali o sostanze organiche animate o attuate
a parte. Ma l'ammasso di queste sostanze corporee organizzate che
costituisce il nostro corpo, non è imito alla nostra anima se non per
quel rapporto che deriva dall'ordine dei fenomeni naturali rispetto a
ciascuna sostanza particolare. £ tutto ciò mostra come si possa dire da
un lato che l' anima e il corpo sono indipendenti l'uno dall'altro,
dall'altro che limo è incompleto senza l'altro, poiché in natura
l'uno non è mai privo dell'altro. ( Additimi il l’explication
<lu lyslèine noiueau, U. JY, 572-3). Le lecci del mondo materiale e del
mondo spirituale. In qualunque modo la si intenda, sia come materia prima
o potenza passiva, sia come materia seconda o aggregato, la natura
corporea ha dunque qualche cosa di irreale. Nel primo caso essa è
un’astrazione, anteriore, |>er così dire, alla monade; qualche cosa
che senza la forza attiva di essa non è ancor nulla: semplice aspetto
inizialmente passivo di quella che sarà un’attiva unità. Nell'altro caso
è pure un'astrazione; posteriore, questa volta, alla monade: una riunione, un
aggruppamento che rimanda però sempre alla monade come al suo elemento
costitutivo essenziale. D’altro lato, però, la materia non è
eliminabile dalla monade. Essa le si accompagna sempre, come un momento,
quasi, della sua natura. Momento astratto sì, ma essenziale; attraverso
il quale necessariamente si deve passare per raggiungere la vera
concretezza dell’entelechia, o perfectihabies, nella traduzione di BARBARO (si
veda). Questa materia che, analizzata nel fondo della sua costituzione,
si dissolve e perde ogni realtà, puro ha ima parte fondamentale nel mondo
concreto, naturale e umano, come se lo rappresenta Leibniz. La monade è
immateriale, si è visto, eppure ritiene un suo aspetto materiale; così non vi è
anima senza corpo. Affermato questo, Leibniz va più in là, dimenticando
quasi le sue premesse che fanno della materia qualche cosa solo in
funzione dell’anima; e cerca leggi autonome e proprie del mondo
materiale, ben distinte da quelle del mondo spirituale. Egli ritorna
quasi alla concezione cartesiana, che aveva sempre combattuto, dell'anima
e del corpo come due sostanze separate. E, per giudtifìcare la distinzione,
attribidsce al corpo la legge meccanica sella causa efficiente, all'anima
la legge vitale della finalità. Questo due leggi, che abbiamo viste unite là
dove il principio della ragion sufficiente, nelle verità di fatto,
rimandava direttamente a Dio (1), ora sono applicate separatamente
all’anima e al corpo. Ciò è giustificabile anche, in parte,
con la natura della monade. Essa, si è visto, contiene in sè tutto lo
sviluppo futuro dell’universo allo stato di implicazione causale: l’effetto,
cioè, è già contenuto nelle cause che dovranno necessariamente
produrlo. E questa connessione causale puramente meccanica e
deterministica, ha carattere materiale. Per tale aspetto, la monade è
materia: è cioè un punto dell’universo perfettamente e necessariamente
determinato dalle cause da cui discende. D altro lato però,
l’universalità si esplica nella monade come rappresentazione e appetito. La
totalità dei rapporti è contenuta in essa allo stato di implicazione
pregnante, cosciente e attiva. In questa percezione e appetito, che
Leibniz immagina tendente al bene e retta dalla causa, finale del v
migliore », egli fa consistere l’anima. Leibniz fa anche coincidere questa
nuova distinzione di anima-corpo, con l’altra in cui si concepisce il
corpo come percezione confusa e l’anima come percezione
distinta. Tutto nei corpi avviene meccanicamente, cioè attraverso le
qualità intelligibili dei corpi, quali la grandezza, la figura, e il
movimento; e tutto nelle anime deve essere spiegato vitalmente, cioè
attraverso le qualità intelligibili dell anima, quali la percezione e
l’appetito. E nei corpi animati noi vediamo esservi una mirabile armonia
tra vitalità e meccanismo, se ciò che avviene nel corpo meccanicamente
viene rappresentato vitalmente nell’anima; e ciò che viene percepito
esattamente nell’anima, nel corpo ottiene la sua completa
esecuzione. Ne deriva che, conosciute le qualità del corpo,
possiamo curare le malattie dell’anima e, conosciute lo qualità
dell’anima, curare le malattie del corpo. È infatti a volte più facile
sapere ciò che avviene nell’ anima che ciò che avviene nel corpo; a volte
viceversa. E ogni volta che noi usiamo delle indicazioni dell’ anima per
essere d aiuto al corpo, possiamo parlare di una medicina vitale :
metodo questo che ha più ampia estensione di quanto non si creda
comunemente, perchè il corpo non soltanto risponde al1 anima nei movimenti che
vengono chiamati volontari, ma anche in tutti gli altri; quantunque, per
l'abitudine che ne abbiamo, noi non ci accorgiamo che l’anima viene
influenzata o consente coi movimenti del corpo, o che questi
corrispondono alle percezioni e agli appetiti dell' anima. Infatti le
percezioni del corpo sono confuse, in modo che la corrispondenza non
appare così facilmente. E l'anima comanda al corpo in quanto abbia
percezioni distinte, gli obbedisce in quanto abbia percezioni confuse. Ma
pure, chiunque abbia una qualsiasi percezione nell’anima, può
essere certo di avere un qualche effetto di essa nel corpo e
viceversa.... E le cose avvengono in modo tale, che a volte anche nei
fatti naturali noi ricerchiamo la verità attraverso le cause finali, quando non
si può giungere facilmente ad essa attraverso le cause efficienti.
(Frammento). Separazione dei due mondi. Ora, formulata questa distinzione, Leibniz
rinuncia, in certo senso, a proseguire per quella via che, attraverso la
concezione del rapporto di causa ed effetto come un rapporto di soggetto
c predicato, lo aveva condotto alla sostanza individuale e gli aveva
permesso la risoluzione dei concetti di corpo e spirito l’uno all’
altro. Qui egli accentua invece la distinzione: corpo e spirito divengono
due mondi separati, due entità parallele ma prive di rapporti fra di loro. La
loro situazione viene ad essere analoga a quella di due monadi distinte:
il contenuto di ciascuna cori ispoude a quello dell altra, senza che perciò si
possa dire che I una influisce sull altra. Così, ciò che avviene
meccanicamonte nel corpo, corrisponde a ciò che è nella rappresentazione
dello spirito: ma non per influenza dell'uno sull’altro o per una
qualsiasi unificazione. 1 rapporti dovranno essere stabiliti attraverso
un intervento della divinità. Cfr. sopra, p. 89 ss. Noi
sperimentiamo che i corpi agiscono fra di loro secondo leggi meccaniche, e che
le anime producono in sè stesse azioni interne. E non vediamo alcun modo
di concepire l'azione dell'anima sulla materia o della materia sull’
anima, nè alcunché di analogo, poiché non è affatto spiegabile attraverso
un qualsiasi artificio che lo variazioni materiali, cioè le leggi
meccaniche, facciano nascere una percezione; nè che dalla percezione
possa derivare un cambiamento di velocità o di direzione negli spiriti animali
e negli altri corpi, siano essi sottili o grossi a piacere. Così,
sia l' inconcepibilità di un'altra ipotesi, sia il buon ordine della
natura uniforme in sè stessa (per non parlare qui di altre
considerazioni), mi hanno portato alla conclusione die l'anima e il corpo
seguano perfettamente la loro legge, ciascuno la sua separatamente, senza
che le leggi corporee siano turbate dalle azioni dell'anima, nè che i
corpi trovino finestre per far penetrare il loro influsso nelle anime. Si
domanderà dunque: D'onde viene questo accordo delf anima col corpo?
(Lettera a Masharn). L’armonia prestabilita. - 11 problema
che sorge ora è quello di questa corrispondenza del mondo corporeo
con quello spirituale. Ma una così netta distinzione dei due mondi
non era necessaria alla dottrina della monade. Leibniz fu forse indotto
ad accentuarla, dal fatto di trovarsi in polemica col Malebranche e con gli
occasionalisti (1) e di aver trovato un’ ipotesi più plausibile per
risolvere il loro medesimo problema. 11 desiderio di correggere 1'
ipotesi occasionalistica e di applicare la propria, gli fece forse
formulare il problema negli stessi termini che i suoi interlocutori, più
di quanto non Malebranche autore della Recherete de la viri té h il
rappresentante principale dell'occasionalismo, dottrina che spiegava la
corrispondenza tra l'ordine corporeo e l’ordine spirituale attraverso un
intervento continuo di Dio. In occasione di ciascun fatto avvenuto nel
mondo corporeo, Dio, secondo questa dottrina, suscita la corrispondente
rappresentazione nello spirito, e viceversa. Questo problema presuppone
naturalmente una netta separazione fra l'ordine corporeo e l’ordine
spirituale: separazione di marca prettamente cartesiana. Avessero
riohiesto i precedenti della sua dottrina. L’ ipotesi di cui parliamo è
quella famosa dell’ armonia prestabilita, di cui riportiamo qui alcune
fra lo molte esposizioni lasciatene dal Leibniz. I mmaginate
due orologi che si accordino perfettamente. l 'iò può avvenire in tre
maniere : la prima consiste nella mutua influenza di un orologio
sull’altro: la seconda nella cura di mi uomo che vi provveda: la terza
nella loro propria esattezza. La prima maniera è quella dell’ influenza. La
seconda maniera di far sempre accordare due orologi anche cattivi,
potrebbe essere di farvi sempre provvedere da un abile operaio che li
accordi ad ogni istante: e questa è quella che io chiamo la maniera dell’
assistenza. Infine la terza mainerà sarà di fare da principio
queste due pendolo con tanta arte e giustezza, da potersi assiemare il
loro accordo per il futuro. E questa è la via dell’accordo prestabilito. Mettete
ora l'anima e il corpo al posto di questi due orologi: il loro accordo o
simpatia avverrà pure in una di queste tre maniere. La maniera dell'
influenza è quella della filosofia volgare; ma poiché non si possono
concepire particelle materiali, nè specie o qualità immateriali che
possano passare dall’ima di queste sostanze nell’altra, si è obbligati ad
abbandonare questa opinione. La maniera dell assistenza è quella del
sistema delle cause occasionali: ma ritengo che ciò significhi introdurre
un Deus ex machina ili un fatto naturale e ordinario, nel quale, secondo
ragione, egli uon deve intervenire se non nolla medesima maniera
nella quale concorre a tutti gli altri fatti della natura. Così non resta
che la mia ipotesi, cioè la maniera dell'armonia prestabilita attraverso un
artificio divino preventivo, il quale, fin da principio, abbia formato queste
sostanze in un modo cosi perfetto e regolato con tanta esattezza che, non
seguendo se non le sue proprie leggi ricevute insieme col proprio essere,
ciascuna si accordi tuttavia con l’altra: proprio come se vi fosse una
mutua influenza o come se Dio vi mettesse continuamente la mano,
oltre il suo concorso generale. (Tetterà). Vi è ordine
e connessione nei pensieri, come ve ne è nei movimenti; poiché l’uno risponde
perfettamente all'altro, quantunque la determinazione nei movimenti sia
bruta, e sia invece libera o con scelta nell’ essere che pensa, il
quale non è se non inclinato ma non costretto dal bene e dal male.
Infatti l’anima, rappresentando il corpo, conserva le sue perfezioni; e,
benché essa dipenda dal corpo (se ben si guardi) nelle azioni
involontarie, ne è indipendente e fa dipendere il corpo da se stessa
nelle altre. Ma questa dipendenza non è se non metafisica, e
consiste nel riguardo che Dio ha per l’uno regolando l'altro, o più per
1’ uno che per l’ altro, a seconda delle perfezioni originali di ciascun
individuo; mentre la dipendenza fisica consisterebbe in un’ influenza
immediata che l’imo riceverebbe dall’altro, dal quale dipenderebbe.
(Nuovi Saggi). L'armonia prestabilita fa sì che al cane entri
il dolore nell' anima, quando il suo corpo è colpito. E se il cane
non dovesse essere colpito ora, Dio non avrebbe dato fin dall’ inizio
alla sua anima una costituzione tale da produrre attualmente tale doloro
in esso, e la rappresentazione o percezione che risponde al colpo del
bastone. Ma se (cosa impossibile) Dio si pentisse e, senza mutare la
natura dell’anima e il corso naturale dello sue modificazioni, mutasse il
corso delle nature corporee in modo tale che il colpo Abbiamo già visto
come in ragione delle sue percezioni più distinte o più confuse, ciascuna
monade partecipi più dello spirito o del corpo, abbi» cioù maggiore o
minore perfezione. Cfr. sopra, p. 94 ss. non arrivasse, ramina
sentirebbe ciò che corrisponde a questo colpo, mentre il suo corpo non lo
riceverebbe affatto. Ma - dirà il signor Bayle - io comprendo le ragioni
per le quali il corpo del cane è colpito dal bastone, ma non comprendo affatto
come mai l'anima del cane che prova piacere mentre mangia con appetito,
passi così subitamente al dolore senza che il bastone ne sia la causa
(come vorrebbe la tesi scolastica), nè ne sia causa Dio in particolare
(come vorrebbero gli ocxasionalisti). Ma il signor Bayle non comprende
neppure come mai il bastone possa influire sull’ anima, nè come possa
avvenire l'operazione miracolosa attraverso la quale Dio accorda continuamente
l'anima ai corpi. Invece io ho cercato di spiegare come tale accordo
avvenga naturalmente, col supporre che ogni anima sia uno specchio
vivente rappresentante l' universo secondo il suo punto di vista, ed
eminentemente in rapporto col suo corpo. Così le cause che fanno agire il
bastone (cioè l’uomo posto dietro al cane, preparato a colpirlo
mentre esso mangia, e tutto ciò che nell'ordine corporeo contribuisce a
disporre quell’uomo a quell'azione) sono anche rappresentate fin da
principio nell'anima del cane in modo esatto sì, ma debole, per mezzo di
percezioni piccole e confuse e senza appercezione, cioè senza che il cane
se ne accorga; perchè anche il corpo del cane non ne è influenzato se non
impercettibilmente. E come, nell’ordine delle nature corporee, queste
disposizioni conducono finalmente al colpo ben assestato sul corpo del
cane, analogamente le rappresentazioni di queste disposizioni conducono
nell'anima del cane alla rappresentazione del colpo di bastono:
rappresentazione la quale, essendo distinta e forte (come non lo erano le
rappresentazioni delle predisposizioni. poiché le predisposizioni influenzavano
solo debolmente anche il corpo del cane), il cane se ne accorge ben
distintamente: ed è questo che determina il suo dolore. Così non si deve
affatto immaginare che l'anima del cane, in questo caso, passi dal piacere
al dolore senza alcuno sviluppo e senza alcuna ragione interna.
(Osservazioni al Dizionario del Bayle) Nel corpo tutto avviene
meccanicamente secondo le leggi del movimento, e nell'anima tutto avviene
moralmente o secondo le apparenze del bene e del male: in modo che,
anche (piando si tratta dei nostri istinti o delle azioni involontarie alle
quali sembra partecipare solamente il corpo, vi è nell'anima un appetito
di bene o una fuga dal male che la spinge; benché la nostra riflessione
non possa ben districarne la confusione. Ma se l'anima e il corpo
seguono così ciascuno separatamente le sue proprie leggi, come si
incontrano essi e come avviene che il corpo obbedisca all' anima, e che l'anima
risenta del corpo? Per spiegare questo mistero naturale bisogna ben
ricorrere a Dio, così come quando si tratta di dare la ragione
primordiale dell’ordine e dell'armonia nelle cose. Ma questo ricorso non
avviene che una volta per tutte, e non come se Dio turbasse le leggi dei corpi
per farli corrispondere alle anime, e viceversa. Egli ha invece fatto fin
da principio i corpi in modo tale che, seguendo le loro leggi e le
tendenze naturali dei movimenti, essi verranno a fare ciò che l'anima
chiederà quando ne verrà il momento; e d'altra parte ha fatto le anime
tali che. seguendo le tendenze naturali del loro appetito, giungeranno
anche sempre alle rappresentazioni degli stati del corpo. Giacché, come il
movimento conduce la materia di figura in figura, così l’appetito conduce
l'anima di immagine in immagine. E così l’anima è inizialmente dominante
ed obbedita dal corpo nella misura in cui il suo appetito è accompagnato da
percezioni distinte che la fanno pensare ai mezzi adatti quando
essa vuole qualche cosa; ma è soggetta al corpo, pure fin dal1’ inizio,
in misura delle sue percezioni confuse. Noi sperimentiamo infatti che tutte le
cose tendono al cambiamento; i corpi per la forza movente, e l’anima per 1
appetito che la conduce a percezioni distinte o confuse, secondo la
sua maggiore o minore perfezione. E non bisogna affatto meravigliarsi di
quest’accordo primordiale delle anime e dei corpi, essendo tutti i corpi
organizzati secondo le intenzioni di uno spirito universale, ed essendo tutte
le anime essenzialmente rappresentazioni o specchi viventi dell universo,
secondo la portata e il punto di vista di ciascuna, essendo essi perciò
altrettanto durevoli che il mondo stesso. È come se Dio avesse variato 1
universo tante volte quanto sono le anime, o come se egli avesse creato
tanti universi in compendio, accordantisi nel fondo o differenziati
nell'apparenza. Non vi è nulla di così ricco come questa semplicità uniforme,
accompagnata da un ordine perfetto. E si può ben pensare come ciascuna
anima in sè stessa debba essere perfettamente disposta, essendo ciascuna
ima particolare espressione dell'universo e come un universo concentrato; e ciò
risulta anche dal latto che ciascun corpo, e quindi il nostro pure, è
affetto in qualche modo da tutti gli altri, ed anche l'anima dunque vi
partecipa. Ecco in poche parole tutta la mia filosofia.
(Lettera alla regina Sofia Carlotta di Prussia). Tale ò l'
ipotesi dell'armonia prestabilita; la quale termina e corona il sistema
di Leibniz, ma non si può dire che aggiunga molto di essenziale alla
dottrina della monade. TI principio qui introdotto è quello medesimo onde
viene dimostrata la corrispondenza del contenuto di ciascuna monade con
quello di tutte, pur senza un’ influenza reciproca. Ma l’applicarlo
ai rapporti fra anima e corpo, obbliga ad una distinzione e separazione
fra l’ordine corporeo e l’ordine spirituale; mentre proprio nel
superamento di tale separazione e nella sintesi dei due ordini abbiamo
ravvisato il valore piu specifico del concetto di monade. Ma questa
separazione è posteriore idealmente a quel concetto. Nell’ applicare i principi
trovati, nel far agire la sua monade come elemento costituente del mondo,
Leibniz ricade a volte in posizioni da lui già inizialmente superate, e
mal interpreta sè stesso. Ciò che rimane essenziale in quanto si è visto
ilei suo pensiero è la struttura interna del concetto di monade : questa
sintesi di universale e individuale, di materia e spirito, ili attività e
passività, che è un punto di arrivo e un punto di partenza nella storia
della filosofia. /La monade, di cui parleremo qui, non è altro che ima
sostanza semplice che entra nei composti; semplice, cioè senza
parti. 2. ° E bisogna che vi siano sostanze semplici, dato
che vi sono composti; poiché il composto non è altro che un ammasso
o aggrega tum di semplici. •1." ^ h-a. dove non vi sono parti,
non vi è nè estensione, nè figura, nè divisibilità possibili (2). E
queste monadi sono i veri atomi della natura; in una parola gli
elementi delle cose. 4.° Non vi è neppure alcuna dissoluzione
da temere, e non vi è alcuna maniera concepibile nella quale una
sostanza semplice possa perire naturalmente. ó.° Per la medesima
ragione, non v'è alcun motivo per il quale una sostanza semplice possa
aver principio naturalmente; poiché essa non può essere formata per
composizione. 1 m ricerca (logli eleuiyuti semplici, (la cui cleri vano
per composizione tutte le altro cose, è una dello idee fondamentali di
Leibniz. Applicato al campo logico, questo concetto dà luogo ai progetti
di arte combinatoria, carattcristica, scienza generale, lingua universale ecc.
Cfr. p. 33 s. Sul concetto di aggregato, cfr. p. 100 s. Si toglie così
olla monade ogni carattere di materialità. Atomi immateriali, metafisici;
non naturalmente le particelle materiali indivisibili di cui parlano gli
atomisti, e che Leibniz combatteva. Così si può dire che le monadi non
possono aver principio nè fine se non d un tratto; cioè esse non possono
aver principio se non per creazione, ne fine se non per annullamento;
mentre ciò che è composto comincia o finisce per parti (1). 7»
Neppure c'è modo di spiegare come una monade possa essere alterata o cambiata
nel suo interno da qualche altra creatura; poiché in essa non e
possibile trasposizione, nè è concepibile movimento interno che vi
possa essere eccitato, diretto, aumentato o diminuito, ciò invece è
possibile nei composti, dove si danno cambiamenti fra le parti. Le monadi non
hanno finestre pei le quali qualche cosa vi possa entrare o uscire. Gli
accidenti non possono staccarsi nè passeggiare fuori delle sostanze. come facevano
una volta le specie sensibili deg scolastici. Così nè sostanza, nè
accidente, non possono entrare dall’ esterno in ima monade (2). 8°
Tuttavia occorre che le monadi abbiano qualche qualità; altrimenti non
sarebbero neppure degli esseri. E se le sostanze semplici non
differissero affatto per le loro qualità, non si avrebbe modo di
accorgersi d. alcun cambiamento nelle cose, poiché ciò che è nel composto
non può venne se non dagli ingredienti semplici; e se le monadi
fossero prive di qualità, sarebbero indistinguibili una dall'altra. giacché
esse non differiscono neppure nella quantità: e quindi, ammesso il pieno,
ciascun luogo non riceverebbe mai, nel movimento, se non l'equivalente (lei
movimento che aveva già avuto : e uno stato di cose sarebbe y
indiscernibile dall altro. deducono dall’ immaterialità delle
monadi la imposeibilUtà r ^ C,t (2) a N°elS monade,
soggetto eomprendentegt arnese può dire cl/e £ de™ da, di lucri,
se tutto quanto le avviene è già compreso m essa. Occorre inoltre che
ciascuna, monade sia differente da ogni altra. Poiché non vi sono in
natura due esseri che siano perfettamente uguali, e nei quali non sia
possibile trovare una differenza interna o fondata su di una
denominazione intrinseca. Considero inoltre come ammesso, che ogni essere
creato, e quindi ogni monade creata, sia soggetta a mutamento: e anzi che
questo mutamento sia continuo in ognuna. Da quanto abbiamo detto,
consegue che i mutamenti naturali delle monadi derivano da mi j)rinci]iio
interno, dato che ima causa esteriore non potrebbe influire sul loro
interno. Ma occorre pure che, oltre il principio del mutamento, vi sia un
dettaglio (3) di ciò che muta-, il quale determini, per così dire, la specificazione
e la varietà delle sostanze semplici. Tale dettaglio deve implicare una
molteplicità nell'unità o nel semplice. Infatti, poiché ogni cambiamento
naturale avviene per gradi, qualche cosa cambia e qualche cosa resta; e
quindi bisogna che nella sostanza semplice vi sia una pluralità di
affezioni e di rapporti, benché essa non abbia parti. Lo stato
transitorio che implica e rappresenta una molteplicità nell’unità o nella
sostanza semplice, non (1) Nei §3 8-9 è affermata la
differenziazione fra le varie monadi; In quale deve fondarsi su alcunché
di qualitativo, interno alla monade stessa, riguardante la sua intima
costituzione, e non le sue relazioni esteriori. Questo principio intorno
di ditTerenziazione è costituito dal diverso punto di vista, secondo cui
ciascuna monade rappresenta l’universo. Sul principio dell’ identità degli
indiscernibili, Il mutamento nolla monade consiste nello sviluppo c nella
realizzazione di quanto è già implicito in essa. In questo sviluppo essa
manifesta la sua facoltà attiva o quella conoscitiva: percezione c
appetito. Traduciamo cosi, non trovando vocabolo migliore, la parola
ilétail, che altri traduce con a particolarità » o in modo affine. Essa
vuole indicare uno sviluppo completo, disteso e particolareggiato in
tutti i suoi dettagli. è altro che ciò che si chiama percezione, da
distinguersi y dalla appercezione o dalla coscienza, come si vedrà in
seguito. A cpiesto proposito i cartesiani hanno gravemente errato, non
avendo tenuto conto delle percezioni di cui non ci si accorge (2). E ciò
puro li ha indotti a ritenere che i soli spiriti fossero monadi e che non
vi fossero affatto anime di bestie nè altre entelechie; ed a confondere,
come fa il volgo, un lungo stordimento con la morto propriamente detta:
il che li ha fatti anche cadere nel pregiudizio scolastico delle anime
interamente separate, ed ha pure confermato gli spiriti mal disposti
nell'opinione della mortalità dell'anima. L’azione del principio interno che
determina il mutamento o il passaggio da ima percezione ad un
altra, può chiamarsi appetizione ; è vero che l’appetito non sempre può
giungere completamente all’ intera percezione cui tende; ma ne ottiene
pur sempre qualche cosa, e giunge a percezioni nuove. Noi stessi
sperimentiamo una molteplicità nella sostanza semplice, quando troviamo
che il minimo pensiero La percezione, questo fatto dolio spirito, permetto
dunque la sintesi dell’uno e del molteplice, necessaria a conciliare
l’unità e immaterialità della monade oon la varietà e mutevolezza del suo
contenuto. Percepire è cogliere una molteplicità e riferirla ad un unico
soggetto. 11 contenuto, diremmo noi. è molteplice, la forma ò una. Cosi è
nella monade; e ciò spiega conio la varietà e mutevolezza in essa venga concepita
da Leibniz in termini di percezione. Accorgersi « traduce il francese
aptrCLVoir. Appercezione (aptreeptiev) significa dunque l’accorgersi,
cioè il percepire coscientemente, contrapposto al percepire senza
accorgersene, come nel caso delle piccole percezioni. Cartesio, che considera
ogni attività conoscitiva come razionale, quindi cosciente, non può
attribuire tale attività se non all’uomo, e la tiene nettamente separata
da tutto ciò che è corporeo. Pi qui gli inconvenienti sopra elencati, cui
Leibniz vuole ovviare col suo concetto di una percezione di cui non ci si
accorge, e priva di ragione (la piccola percezione), che sia quindi
attribuibile anche agli animali e che segni come un punto di contatto fra la
materia e lo spirito. L’appetito ò l’altra attività della monade, secondo cui
essa può passare dall’uno al molteplice. Cfr. p. 80 ss. di cui ci
accorgiamo, implica una varietà nell'oggetto. Così tutti coloro che
riconoscono che l’ anima è una sostanza semplice, devono riconoscere questa
molteplicità nella monade; e il Bayle non avrebbe dovuto trovarvi
difficoltà, come ha fatto nel suo dizionario, all'articolo Borariua. Peraltro bisogna pur riconoscere che la
percezione e ciò che ne dipende, è inesplicabile mediante ragioni
meccaniche, cioè mediante ligure e movimenti. E supposto che vi sia una
macchina la cui struttura faccia pensare, sentire, aver percezione, si
potrà concepirla ingrandita, conservando le medesime proporzioni, in modo
che vi si possa entrare, come in un mulino. E posto ciò, non si troverà,
visitandola al! interno, se non pezzi spingentisi vicendevolmente, ma nulla di
che spiegare una percezione. E dunque nella sostanza semplice e non nel
composto o nella macchina bisogna cercare la percezione. Anzi, non
vi è se non questo che si possa trovare nella sostanza semplice:
percezioni e i loro cambiamenti. E solo in ciò possono consistere tutte
le azioni interne delle sostanze semplici. Si potrebbe dare il nome
di entelechie a tutte le sostanze semplici o monadi create, poiché esse
hanno in sè stesse una certa perfezione (l/oum tò è tsXéc); vi è
una autosufficienza (afiràpxet*) che le rende fonti delle loro azioni
interne, e, per così dire, automi incorporei. l‘J.° Se vogliamo
chiamare anima tutto ciò che ha percezioni e appetiti nel senso generale
che ho spiegato or ora. tutte le sostanze semplici o monadi create
potrebbero essere chiamate anime; ma siccome il sentimento è
qualche Nell’artieolo Korarius dei suo Dizionario, Bayle discute l’ipotesi leibniziana
dell'anuouia prestabilita; e a questo proposito trova contradjttoria la. tesi
cho una sostanza semplice e priva di parti sia soggetta a
cambiamento. Ragioni meccaniche, lìgura, movimento sono caratteristiche
della pura in viaria. Leibniz le contrappone alle cause finali, che sono
proprie del mondo immateriale e spirituale. Cfr. p. 116 ss. cosa di
più che ima semplice percezione, io acconsento a che il nome generale di
monadi e entelechie basti per le sostanze semplici che non hanno se non
la pura percezione: e che si chiamino anime solamente quelle la cui
percezione è più distinta e accompagnata da memoria. Infatti noi sperimentiamo
in noi stessi uno stato in cui non ci ricordiamo di nulla e non abbiamo
alcuna percezione distinta; come quando cadiamo in deliquio o
quando siamo immersi in un sonno profondo senza sogni. In questo stato,
l'anima non differisce sensibilmente da ima semplice monade; ma siccome
questo stato non è durevole, e l’anima se ne Ubera, essa è qualche cosa di
più. E non ne consegue punto che in tale stato la sostanza semphee
sia priva di percezione; ciò non è anzi possibile, per le ragioni
suddette; poiché essa non può perire. nè può sussistere senza qualche
affezione, che non è poi altro che la sua perceziome. Ma quando vi è una
grande moltitudine di piccole percezioni, nelle quali non vi è
nulla di distinto, si è storditi; al modo che quando si gira
continuamente nello stesso senso per più volte di seguito si è presi da
una vertigine che può farci svenire e che non ci permette di distinguere
nulla. E la morte può determinare questo stato per un certo tempo negh
animali. 22. ° E, poiché ogni stato presente di una sostanza
semplice è naturalmente conseguenza del suo stato precedente, sicché il presente
in essa è gravido dell’avvenire; dunque, poiché, appena desti dallo
stordimento, ci si accorge delle proprie percezioni, bisogna pure che
se (1) La percezione pura e semplico, incosciente o priva di
appercezione tasta a costituire la monade; ma le monadi più complesse c
perfette si distinguono appunto per una percezione più perfezionata, dotata di
coscienza, di memoria eoe. Leibniz introduce qui incidentalmente un suo
principio fondamentale: il principio di causalità o di ragion
sufficiente. Ogni stalo della monade deriva da cause e produce effetti, c
se si segue tale connessione causale in tutto il suo sviluppo, si va all’
infinito e si comprende tutto l’universo passato e avvenire. ne siano avute
immediatamente prima, quantunque non ce ne siamo accorti ; poiché una
percezione non può venire in natura se non da un'altra percezione, come
un movimento non può venire in natura se non da un movimento. Si vede da ciò.
che se noi non avessimo nulla di distinto e, per dir così, in rilievo e
di un più forte sapore nelle nostre percezioni, saremmo sempre in uno
stato di stordimento. E questo è lo stato delle monadi pure e
semplici. Così noi vediamo che la natura ha dato percezioni in rilievo agli
animali, dalla cura che essa si è presa di fornirli di organi che
raccolgono più raggi di luce o pili vibrazioni di aria per aumentarne
l'efficacia con l’unione. E vi è qualche cosa di simile nell'odorato, nel
gusto e nel tatto, e forse in una quantità di altri sensi che ci
sono sconosciuti. E spiegherò fra poco come ciò che avviene nell’anima
rappresenti ciò che avviene negli organi. La memoria fornisce alle anime
una specie di concatenazioM che imita la ragione, ma che deve
esserne distinta. Noi vediamo che gli animali, quando hanno percezione di
qualche cosa che li colpisce e di cui hanno già avuto anteriormente una
percezione simile, si attendono, per la rappresentazione della loro
memoria, a ciò che vi era unito in quella percezione precedente, e sono
portati a sentimenti simili a quelli che avevano provati allora.
Per esempio, quando si mostra il bastone ai cani, essi si rammentano del
dolore che esso ha loro causato, e abbaiano e fuggono. Si riferisce
qui al principio di continuità, secondo il quale natura non facil
saliti)). Leibniz stabilisce, in questi paragrafi e nei seguenti, i tre gradi
della gerarchia: lo monadi pure c semplici fornite di sole percezioni
incoscienti; quelle fornite di momoria, o animali, quelle fornite anche
di ragione, o spiriti. E la forte immaginazione che li colpisce e li commuove,
deriva o dall’ intensità o dal numero delle percezioni precedenti. Poiché
spesso un' impressione forte produce d’un sol tratto l’ effetto di una lunga
abitudine o di molte percezioni mediocri ripetute. Gli uomini
agiscono come le bestie, in quanto la concatenazione delle loro
percezioni non avviene se non per il principio della memoria;
assomigliano, per questo riguardo, ai medici empirici che hanno una
semplice pratica senza teoria; e noi non siamo che empirici nei tre quarti
delle nostre azioni. Per esempio, quando ci si attende che domani faccia
giorno, si fa ciò empiricamente, perchè finora è sempre avvenuto così.
Soltanto l’ astronomo giudica ciò per Ada di ragione. Ma la conoscenza delle
verità necessarie ed eterne è ciò che ci distingue dai semplici animali e
ci dà la ragione e le scienze, elevandoci alla conoscenza di noi stessi e
di Dio. E ciò si chiama in noi anima ragionevole o spirito. Inoltre,
mediante la conoscenza delle verità necessarie e delle loro astrazioni, noi
siamo elevati agli atti riflessivi che ci fanno pensare a ciò che si
chiama io, o considerare che questo o quel contenuto è in noi ; ed è così
che, pensando a noi, noi pensiamo all’essere, alla sostanza, al semplice e al
composto, all' immateriale e a Dio stesso, col concepire che ciò che in
noi è limitato, è in lui senza limiti. E questi atti riflessivi
forniscono i principali oggetti dei nostri ragionamenti. I nostri
ragionamenti sono fondati su due grandi principi: quello delia
contradizione, in A T irtù del quale giudichiamo falso ciò che implica
contradizione, e vero ciò che è opposto o contradittorio al
falso; Passa ad altro argomento: le grandi forme costitutive della realtà,
c insieme i fondamentali principi logici: verità di ragione, rette dal
principio di non contradizione, verità di fatto, rette dal principio di
ragion suflìciente o di causalità. Cfr. p. (i ss., 17 s. e
quello della ragion sufficiente, in virtù del quale consideriamo clic
nessun fatto può esser vero o esistente, nessuna proposizione veritiera, se
non vi è una ragione sufficiente per cui sia così e non altrimenti; benché tali
ragioni il più delle volte non possano esserci note. Vi sono pure due specie di
verità: quelle di ragione e quello di fatto ; le verità di ragione sono
necessarie e il loro opposto è impossibile; quelle di fatto sono
contingenti e il loro opposto è possibile. Quando una verità è
necessaria, se ne può trovare la ragione per mezzo dell'analisi, risolvendola
in idee e in verità più semplici, finché si giunga alle primitive. Così nelle
matematiche i teoremi speculativi e i canoni pratici sono ridotti, per
mezzo dell’analisi, a definizioni, assiomi e 'postulati, Vi sono infine idee
semplici, di cui non si può dare la definizione; vi sono pure assiomi e
postulati o, in una parola, principi primitivi che non possono
essere dimostrati, e non ne hanno bisogno ; e sono le proposizioni
identiche, il cui opposto contiene un'espressa contradizione. Ma la ragion
sufficiente deve trovarsi anche nelle verità contingenti o di fatto, cioè
nell'ordine delle cose diffuse nell'universo delle creature ; nel quale la
risoluzione in ragioni particolari potrebbe procedere fino a un
frazionamento senza limiti, a causa della varietà immensa delle cose
della natura e della divisione dei corpi all' infinito. Vi è un"
infinità di figure e di movimenti presenti e passati, che entrano nella
causa efficiente della mia scrittura attuale; vi è un' infinità di piccole
inclinazioni e disposizioni della mia anima, presenti e passate, che
entrano nella causa finale. È questo il metodo ilollu « caratteristica» e
« combinatoria »; cfr. p. .'iUtss(2) La causa liliale, che Leibniz usa con
significati diversi secondo le occasioni, rappresenta qui, per cosi dire, una
causa efficiente rivolta verso l’avvenire. ICssa dà il fine, lo scopo,
l’intenzione secondo cui una determinata E siccome tutto questo dettaglio
non implica se non altri contingenti anteriori o più dettagliati,
ciascuno dei quali ha ancora bisogno di una simile analisi perchè
se ne possa rendere ragione, per questa via non si procede affatto; e
conviene che la ragion sufficiente od ultima sia fuori dell’ ordine o
seriett di questo dettaglio di contingenze, * per quanto infinito esso
possa essere. 38. ° E cosi la ragione ultima delle cose deve
consistere in una sostanza necessaria, nella quale il dettaglio dei
cambiamenti non si trovi se non in modo eminente, come in una fonte; e
tale sostanza noi la chiamiamo Dio. Ora, essendo tale sostanza ragion sufficiente
di tutto quel dettaglio, il quale inoltre è concatenato universalmente,
non vi è che un nolo Dio, e questo Dio è suflì-V dente. È da ritenere
inoltre che questa sostanza suprema, che è unica, universale e necessaria, non
avendo nulla fuori di sè che sia da essa indipendente, ed essendo
semplice conseguenza dell'essere possibile, debba essere incapace di limiti e
contenere la massima quantità possibile di realtà. Donde consegue
che Dio è assolutamente perfetto; non essendo la perfezione altro che la
grandezza della realtà positiva intesa precisamente, eliminando i limiti
o confini nelle cose che ne hanno. E là dove non vi sono confini,
cioè in Dio, la perfezione è assolutamente infinita. cosa è
avvenuta. Contribuisce quindi a determinare Je « ragioni della cosa
stessa e rientra cioè nella sua ragion sufficiente. Da causa tinaie serve a
Leibniz per indicare un aspetto più spontaneo, attivo, spirituale, morale del
principio di ragion sufficiente. Essa si contrappone in questo senso alla
causa efficiente, la quale indirà un rapporto puramente materiale e
meccanico. Cfr. pp. li) s., 1 lfi ss. (1) Questa
dimostrazione di Ilio è basata sul principio di rugion sufficiente. Dio è la
causa prima di tutta la serie delle cose del mondo, delle verità di fatto
empiriche e contingenti. Egli non può però appartenere all’ordine delle
cose contingenti, altrimenti dovrebbe avere una causa fuori rii sè, e non
sarebbe più causa prima. Appartiene quindi all’ordine delle essenze
necessario. Ne consegue pure che le creature ricevono le loro
perfezioni dall' influsso di Dio, ma che derivano le imperfezioni dalla loro
propria natura, incapace di essere senza limiti. Poiché in questo appunto
esso sono distinte da Dio. Tale imperfezione originaria delle creature,
si riscontra nelf inerzia naturale dei corpi. È anche vero che Dio è non
solo la fonte delle esistenze, ma anche quella delle essenze in quanto
reali, o di quanto vi è di reale nella possibilità. Infatti V intelletto
di Dio è la regione delle verità eterne, o delle idee da cui esse dipendono;
e senza di lui non vi sarebbe nulla di reale nelle possibilità, e non
solamente nulla vi sarebbe di esistente, ma neppure alcunché di
possibile. Infatti, se vi è mia realtà nelle essenze o possibilità, o
nelle verità eterne, bisogna pure che questa realtà si fondi su qualche
cosa di esistente e di attuale; si fondi quindi sull - esistenza
dell'essere necessario, in cui l’essenza implica l’esistenza, o cui basta
di essere possibile per essere attuale. Così Dio solo, ovvero
l'essere necessario, ha questo privilegio: che. se è possibile, bisogna
che esista. E siccome nulla può impedire la possibilità di ciò che
non implica alcun limite, alcuna negazione, quindi alcuna contradizione,
ciò solo basta per riconoscere a priori la esistenza di Dio. Noi
l’abbiamo anche dimostrata per Perfezione è per Leibniz il massimo di
realtà, di fatto compatibile eoi principi della possibilità, determinati
dalle verità di ragione. Cfr. p. 21 ss. Imperfezione è una limitazione di
realtà. L’intero complesso del mondo dunque, cosi come 6 messo in opera
da Dio, rappresenta il massimo di realtà possibile, ed è perfetto. Solo
le cose particolari sono imperfette, in ragione appunto della loro
particolarità. Questa concezione àia medesima die Leibniz svolge nella
Teodicea. Questa è la prova ontologica del resistenza di Ilio. Leibniz lui
aggiunto alla formulazione cartesiana di essa il criterio della
possibilità. Bisogna anzitutto, secondo lui, dimostrare che il concetto
dell’ente perfettissimo ò possibile, cioè noninvolve contradizione. Sia poiché
esso è effettivamente possibile, ne segue che esso contiene in sé anche
l'attributo dell’esistenza. Cfr. p. 13 ss. mezzo della realtà delle
verità eterne (1). Ma l'abbiamo dimostrata or ora anche a 'posteriori, poiché
esistono esseri contingenti, i quali non possono avere la loro ragione
ultima o sufficiente se non nell essere necessario che ha in aè stesso la
ragione della sua esistenza. Tuttavia non bisogna punto immaginarci,
come fa taluno, che le verità eterne, essendo dipendenti da Dio,
siano arbitrarie e derivino dalla sua volontà, come sembra aver inteso
Cartesio e dopo di lui Poiret. Ciò non è vero se non delle verità
contingenti, il cui principio è la convenienza o la scelta del migliore :
laddove le verità necessarie dipendono unicamente dal suo intelletto e ne
sono l'oggetto interno. Così Dio solo è f unità primitiva, o la
sostanza semplice originaria di cui tutte le monadi create o
derivate sono prodotti; e queste monadi nascono, per così dire, per
fulgurazioni continue della divinità, di momento in momento, limitate
dalla recettività della creatura, alla quale è essenziale di essere
limitata. \ i è in Dio la potenza, che è la sorgente di tutto, la
conoscenza che contiene il dettaglio delle idee, e la volontà che determina i
mutamenti o le produzioni secondo il principio del migliore (5). E ciò
corrisponde a quello che nelle monadi create costituisce il soggetto o
base, la facoltà percettiva, e la facoltà appetitiva. Ma in Dio questi
Teologo protestante. Questa affermazione correggo in parte quunto fc stato
attenuato ai SS 43 o 44. Le verità di ragione, clic danno la possibilità
delle cose, hanno pure una loro realtà di esseri possibili. Questa realtà
deriva loro da Dio. Ma la loro conformazione in quanto principi
regolativi dell’universo, ha una validità a sò stante, indipendente anche
dalla volontà di Dio. Solo le esistenze o realtà di fatto sono messe
esplicitamente in opera da lui, secondo il criterio del «migliore». L’intelletto
divino Ita come contenuto le verità di ragione; la sua volontà mette in
opera le realtà di fatto. attributi sono assolutamente infiniti e
perfetti; e invece nelle monadi create o entelechie (o PERFECTIHABIES,
secondo la traduzione di questa parola data da BARBARO (si veda)) essi
non sono se non imitazioni, in ragione della perfezione di
ciascuna. La creatina è detta agire verso l’ esterno in quanto essa
ha perfezione, e {Mire da parte di un’altra in quanto è imperfetta. Così
si attribuisce azione alla monade in quanto essa ha percezioni distinte,
e passione in quanto ha percezioni confuse. E ima creatura è più perfetta
di un'altra, in quanto si trova in essa ciò che serve a render ragione
a priori di ciò che avviene nell'altra; ed appunto per ciò si dice
che l una agisce sull’altra. 51. ° Ma nelle sostanze semplici non
si tratta che di un' influenza ideale di una monade sull’altra; influenza
che non può avere il suo effetto se non per 1" intervento di
Dio, in quanto, nelle idee di Dio, una monade pretende con ragione che
Dio, regolando le altre fin dal principio delle cose, abbia riguardo ad
essa. Infatti, giacché una monade creata non può avere influenza fisica
sull' interno dell'altra, solo per questa via può verificarsi una dipendenza
dell’ima dall’altra. Per questo appunto, fra le creature, le azioni
e passioni sono reciproche. Infatti Dio, paragonando due sostanze
semplici fra loro, trova in ciascuna ragioni che l’obbligano ad adattarvi
l'altra; e quindi ciò che è attivo per certi riguardi, è passivo da un
altro punto di vista; attivo in quanto ciò che in esso vien conosciuto
distintamente serve a render ragione di ciò che accade in un altro; e
passivo in quanto la ragione di ciò che accade Filologo e filosofo
italiano, tradusse in latino vario opere di Aristotele. Sulle
percezioni confuse, in esso si trova in ciò che vien conosciuto
distintamente in un altro. Ora, poiché vi è un' infinità di universi
possibili nelle idee di Dio, e invece non ne può esistere che uno solo,
bisogna che vi sia una ragione sufficiente della scelta di Dio, che lo
determini a scegliere uno piuttosto che l’altro. E questa ragione non può
trovarsi se non nella convenienza o nel grado di perfezione che
questi mondi contengono; poiché ogni possibile ha diritto di
pretendere all'esistenza, in ragione della perfezione che
racchiude. E ciò appunto è la causa dell’esistenza del mondo
migliore, che la saggezza fa conoscere a Dio, la sua bontà gli fa
scegliere e la sua potenza gli fa produrre. Ora questo legame o adattamento di
tutte le cose create a ciascuna singola, e di ciascuna a tutte le
altre, fa sì che ogni sostanza semplice contenga in sé rapporti Le
monadi, ohe sono senza Maestre, non possono agile l una sull’altra. Il
contenuto di ciascuna corrisponde a quello di tutte le altre, in quanto
ciascuna è un punto di vista preso sul medesimo universo. Ciascuna contiene nel
suo intimo tutto il proprio sviluppo; e tutto le viene dal suo intorno,
nulla dal di fuori. Solo in senso improprio c metaforico si può parlare
d’influenza di una monade sull’altra. 11 diverso punto di vista dal quale
l’ universo viene rappresentato, costituisce la particolare individualità
di ciascuna monade; esso viene indicato dalla diversa sfera delle percezioni
distinte che rappresentano, per così dije, la zona centrale di ogni
monade, mentre le confusene rappresentano la periferia. Questa varia
collocazione reciproca dei centri e delie periferie ò ciò che permette una
differenziazione fra le varie monadi. Ora, se si vuol chiamare attivo il
centro, incili si hanno percezioni distinte, e passiva la periferia che ha solo
percezioni confuse, si potrà parlare anche di una sfera di attività in
ciascuna monade, cui corrisponde una sfera di passività nelle altro;
insomma di una certa azione ideale dcH’una sull’altra. I mondi possibili,
cioè concepiti dall’ intelletto di Dio secondo i principi di ragione, sono
influiti. Dio sceglie fra di essi uno, il migliore, cioè il piò perfetto.
È più perfetto quello che, una volta attuato, cioè passato dalla pura
possibilità alla effettiva esistenza, contiene il massimo di realtà. Ogni
possibile, insomma, è tanto più perfetto, a quanta maggior quantità di
esistenza può dar luogo. clic esprimono tutte le altre, e sia per conseguenza
uno specchio vivente perpetuo dell'universo. E come una medesima
città, guardata da differenti punti, sembra diversa ed è come moltiplicata
in prospettiva, analogamente avviene che, per la molteplicità infinita di
sostanze semplici, vi sono come altrettanti universi differenti, i quali
non sono peraltro se non le prospettive di un universo solo, secondo i
differenti punti di vista di ciascuna monade. ò8.° È questo
il modo di ottenere il massimo di varietà possibile, ma con quanto pili ordine
si può; cioè il massimo di perfezione possibile. Dunque solo questa
ipotesi (che io oso dire dimostrata) esprime in modo adeguato la grandezza di
Dio. Ciò fu riconosciuto anche dal Bayle, quando, nel suo Dizionario (articolo
Rorarius), mosse ad essa obiezioni; fu anzi spinto a credere che io
attribuissi troppo a Dio, e più che non sia possibile. Ma egli non potè
addurre alcuna ragione che dimostrasse 1' impossibilità di questa
armonia universale, la quale fa sì che ogni sostanza esprima esattamente
tutte le altre per i rapporti che ha con esse. Si vedono fi altronde, in
ciò che ho esposto, le ragioni a priori per cui le cose non potrebbero
procedere diversamente. Dio infatti, regolando il tutto, ha avuto
riguardo a ciascuna parte, e particolarmente ad ogni monade; la cui natura
essendo rappresentativa, nulla la può limitare a non rappresentare se non
una parte delle cose; benché sia vero che questa rappresentazione non è
se non confusa nel dettaglio di tutto l'universo, e non può essere distinta che
per una piccola parte delle cose, per quelle cioè che sono o più vicine o
pili glandi rispetto ad ogni monade; altrimenti ogni monade sarebbe
una divinità. Non nell’oggetto, ma nella modificazione della conoscenza
dell'oggetto, le monadi sono li mitate. Esse tendono tutte confusamente
all’ infinito, al tutto; ma sono Limitate e differenziate secondo i
gradi delle percezioni distinte. E i composti in ciò corrispondono
ai semplici. Intatti, siccome tutto è pieno (il che fa sì che tutta
la materia sia concatenata), e siccome nel pieno ogni movimento opera
qualche effetto sopra i corpi distanti in ragione della distanza, di modo
ohe ogni corpo non solo è affetto da quelli che lo toccano e risente in
qualche modo di tutto ciò che accade ad essi, ma anche per mezzo
loro risente di quelli che toccano i primi da cui esso è toccato
immediatamente; ne consegue che questa comunicazione va a qualsiasi distanza. E
quindi ogni corpo risente di tutto ciò che avviene nell' universo; sì che
chi avesse la facoltà di veder tutto, potrebbe leggere in ciascun corpo
ciò che avviene ovunque, ed anche ciò che è avvenuto e avverrà;
osservando nel presente ciò che è lontano, sia secondo il tempo, sia
secondo lo spazio: ffup.7r.oia 7ràvTa, diceva lppocrate. Ma mi' anima
non può leggere in sè stessa se non ciò che vi è rappresentato
distintamente; essa non saprebbe svolgere in una sola volta tutte le sue
pieghe, perchè esse vanno all' infinito. Così, quantunque ogni monade
creata rappresenti tutto l'universo, essa rappresenta piii distintamente
il corpo che lo si riferisce particolarmente e di cui essa
costituisce l’entelechia: e siccome tale corpo esprime tutto
l'universo a causa della connessione di tutta la materia nel
pieno. Ciascuna monade, in quanto rappresentativa ili tutto l’universo,
è analoga alla divinità. Solo la minor foiza di questa rappresentazione
la rende imperfetta e la ditTerenzia dalla divinità e dalle altro monadi.
In Dio tutto è chiaro e distinto. Nella monade sono distinte solo le
percezioni più vicino al contro, come si è già visto. Leibniz non ammette
il vuoto, per il suo principio della continuità applicato alla
materia.Ecco un’altra formulazione della concatenazione universale secondo
il principio di causalità, considerato questa volta nel suo aspetto
fisico. i Tutto ù conspirante ». l’anima, nel rappresentare questo
corpo clie le appartiene in maniera particolare, rappresenta insieme
tutto runiverso. Il corpo appartenente ad una monade che ne è
l’entelechia o l’anima, costituisce con l’entelechia ciò che si può
chiamare un vivente, e coll'anima ciò che si può chiamare un animale. Ora
questo corpo di un vivente o di un animale è sempre organico; poiché,
essendo ogni monade a suo modo uno specchio dell’ imiverso, ed
essendo l'universo regolato in un ordine perfetto, bisogna pure che
vi sia un ordine nel rappresentante, cioè a dire nelle percezioni dell’ anima,
e per conseguenza nel corpo, secondo il quale l'universo è rappresentato
nell’anima. Così il corpo organico di ogni vivente è ima specie di
macchina divina o di automa naturale che supera infinitamente tutti gli automi
artificiali. Perchè una macchina fatta dall’arte dell' uomo non è
macchina in ciascuna delle suo parti. Per esempio, il dente di una ruota
di ottone ha parti o frammenti che non sono più per noi qualche
cosa di artificiale e non hanno più nulla con carattere di macchina
riguardo all'uso cui la ruota è destinata. Ma le macchine della natura,
cioè i corpi viventi, sono ancora macchine nelle loro più piccole parti,
all' infinito. Ciò determina la differenza fra la natura e l'arte, cioè fra
l’arte divina e la nostra. E 1 autore della natura ha potuto operare
questo artifìcio divino e infinitamente meraviglioso, perchè ogni
porzione di materia non solo è divisibile all’ infinito, come hanno già
riconosciuto gli antichi, ma è anche suddivisa attualmente senza fine,
ogni parte in parti, ognuna LI corpo - commenta il Boutroux, attraverso
lo infinite percezioni confuse relative all’univerBO che esso determina
ncll’auima, ò il nesso che riunisce l’anima al resto del mondo, che fa cioè
comunicare lo anime fra di loro. È questa un’altra applicazione del principio
di continuità alla materia. Lkiuniz, La monadologia. delle quali ha
qualche movimento proprio; altrimenti sarebbe impossibile che ogni porzione
della materia potesse esprimere tutto l’ universo. Donde si vede che
vi è un mondo di creatine, di viventi, di animali, di entelechie, di
anime anche nella minima particella di materia. Ogni porzione di materia
può essere concepita come un giardino pieno di piante, e come uno
stagno pieno di pesci. Ma ogni ramo della pianta, ogni membro dell'
animale, ogni goccia dei suoi umori, è ancora un giardino, uno stagno. E
quantunque la terra e l'aria interposta fra le piante del giardino, o l’acqua
interposta fra i pesci dello stagno, non siano punto pianta nè pesce,
esse ne contengono tuttavia ancora; ma per lo più di una piccolezza a noi
impercettibile. Cosi non vi è nulla di incolto, di sterile, di morto
nell'universo; e non vi è caos nè confusione se non in apparenza; press' a poco
come apparirebbe confusione in uno stagno, ad una distanza dalla quale si
vedesse un movimento confuso, un brulichio, per così dire, di pesci,
senza discernere i pesci stessi. Si vede da ciò che ogni corpo vivente ha
una entelechia dominante che è f anima nell'animale; ma le membra
di questo corpo vivente sono piene di altri viventi, piante, animali,
ciascuno dei quali ha ancora la sua entelechia, o la sua anima dominante. Ma
non bisogna immaginare, come fece taluno che aveva male inteso il mio
pensiero, che ogni anima abbia una massa o porzione di materia propria o
applicata ad essa per sempre, e che essa possieda quindi altri viventi
inferiori, destinati sempre al suo servizio. Poiché tutti i corpi sono in
un flusso perpetuo, come fiumi; e parti vi entrano e ne escono
continuamente. Così l’anima non cambia di corpo se non a poco a
poco, per gradi, di modo che essa non è mai spogliata ad un tratto di
tutti i suoi organi; e vi è spesso metamorfosi negli animali, ma non mai
metempsicosi nè trasmigrazione delle anime; non vi sono neppure anime
completamente separate, nè genii senza corpo. Dio solo è staccato
interamente dal corpo.Perciò anche non vi è nè generazione assoluta, nè
morte perfetta, intesa rigorosamente, come separazione dall’anima. E ciò
che noi chiamiamo generazione, è sviluppo e accrescimento; come ciò che
noi chiamiamo morte, è involuzione o diminuzione. I filosofi sono stati
molto imbarazzati sull’origine delle forme, entelechie, o anime; ma oggi
che ci si è accorti, per mezzo di ricerche esatte sulle piante, sugli insetti e
sugli animali, che i corpi organici della natura non sono mai prodotti da
caos o da putrefazione, ma sempre dai semi nei quali vi ora senza dubbio
qualche preformazione, si è ritenuto che, prima della concezione, vi
fosse già non solo il corpo organico, ma anche un’anima in questo corpo,
insomma l'animale stesso; e che per mezzo della concezione questo animale
sia stato solamente disposto ad una grande trasformazione per divenire un
animale di un'altra specie. Si vede pure qualche cosa di simile fuori del campo
della generazione; come quando i vermi divengono mosche e i bruchi
farfalle. La menade, elio ò assolutamente immateriale, non è però priva
di un suo aspetto di materialità. La materialità viene definita da
Leibniz in vari modi: come percezione confusa; come aggregato. Sempre
però come un modo di essere della monade, un suo particolare « fenomeno
». Posto ciò, e dato che la monade è eterna e indistruttibile non si può a
rigore parlare di morte neppure nella materia; si potrà parlare solo di
aggregazione e di disgregazione, di passaggio do uno stato all’altro.
Cosi non si può parlare di una materia clic sia pura materia, separata da
un’anima che sia pura anima. Le teorie biologiche del suo tempo servono
qui a Leibniz come sostegno e conferma delle sue concezioni
metafisiche. Leibniz, La monadologia. Gli animali dei quali alcuni
sono elevati al grado di animali più grandi per mezzo della concezione,
possono essere chiamati spermatici-, ma quelli fra di essi che rimangono
nella loro specie, cioè la maggior parte, nascono, si moltiplicano, e
vengono distrutti come i grandi animali, e non vi e che un piccolo numero
di eletti che passi ad un teatro più vasto. Ma questo non era che la metà
della verità; ho dunque ritenuto che se 1 animale non ha mai inizio
naturalmente, non avrà neppure fine naturale, e che non solo non vi sarà
generazione, ma neppure distruzione intera, nè morte rigorosamente
intesa. E questi ragionamenti fatti a posteriori e tratti dalle
esperienze si accordano perfettamente coi miei principi dedotti a priori qui
sopra. Così si può dire che non solamente l'anima (specchio di un universo
indistruttibile) è indistruttibile, ma che lo e anche 1 animale stesso,
benché la sua macchina perisca spesso in parte, e lasci o prenda spoglie
organiche. Questi principi mi hanno dato modo di spiegare
naturalmente l’ unione o conformità dell'anima e del corpo organico. L'
anima segue le sue proprie leggi, ed il corpo le sue; ed essi si
incontrano in virtù dell'armonia prestabilita fra tutte le sostanze, poiché le
sostanze sono tutte rappresentazioni di un medesimo imiverso. Le anime
agiscono secondo le leggi delle cause finali, per appetizioni, fini e
mezzi. 1 corpi agiscono secondo le leggi delle cause efficienti o dei
movimenti. E i due regni, quello delle cause efficienti e quello delle
cause finali, sono armonici fra di loro. Cartesio ha riconosciuto che le
anime non possono attribuire forza ai corpi, perchè vi è sempre la
medesima Questa teoria ha il suo corrispondente nella dottrina della
gerarchia delle monadi, secondo cui solo alcune di esse possono elevarsi
agli stadi superiori di animale o spirito ragionevole. Sui rapporti fra
le cause efficienti e le finali, cfr. la nota a] j; 3fi.quantità di forza nella
materia. Pur tuttavia egli lia creduto che l’anima potesse cambiare la
direzione dei corpi. Ma egli credeva ciò, perchè ai suoi tempi non si
conosceva la legge naturale che stabilisce anche la conservazione
della medesima direzione totale nella materia: se egli avesse
notato questa legge, sarebbe giunto al mio sistema dell’armonia prestabilita. Tale
sistema stabilisce che i corpi agiscono come se (ipotesi assurda) non vi
fossero anime; che le anime agiscono come se non vi fossero corpi; e che
entrambi agiscono come se l’uno influisse sull’altro. Quanto agli
sjnriti,o anime ragionevoli, benché io ritenga, come ho detto or ora, che
tutti i viventi e animali siano in fondo conformati ugualmente (cioè che
l’animale e l'anima comincino col mondo e non finiscano se non col
mondo stesso), vi è però di particolare negli animali ragionevoli, il
fatto che i loro piccoli animali spermatici, fino a che non sono che
tali, hanno soltanto anime cornimi o sensitive: ma appena quelli che sono
eletti, per così dire, pervengono per ima effettiva concezione alla
natura umana, le loro anime sensitive vengono elevate al grado della
ragione e alla prerogativa degli spiriti. Tra le differenze che
intercedono fra le anime comuni e gli spiriti, e di cui già ne ho notato
alcune, vi è anche questa: che le anime sono in generale specchi
Questo leggo tisica, secondo cui si oonserva anche la direzione totale
(o quantità di progrosso) - cioè a qualsiasi cambiamento di direzione, in
un sistema chiuso, deve corrispondere un altro cambiamento di direzione
eguale o contrario-, contribuisce a fare del mondo meccanico un sistema a
sè, chiuso a qualsiasi influenza elio provenga dall’esterno, por esempio
dnll’aninia. Cartesio credeva alla oonsorvazione della quantità di movimento
(cui Leibniz sostituisce la conservazione della forza viva); ma non
conosceva la conservaziono della direzione totale. Egli pensava cioè che
l'anima potesse mutare la dirozionedi un movimento, lasciando invariato il
sistema. Una tale influenza dell’anima è impossibile, posta la legge di
Leibniz. Anima e corpo rimangono due sistemi separati, privi di influenze
reciproche, cosi come lo sono le monadi fra di loro. E il loro accordo
dovrà essere stabilito attraverso l’armonia prestabilita. Sulle leggi
tìsiche leibniziane, viventi o immagini dell'universo delle creatine; ma che
gli spiriti sono anche immagini della divinità stessa, o dell’autore
stesso della natura; capaci di conoscere il sistema dell universo e di
imitarne alcunché, per mezzo di saggi architettonici; essendo ogni
spirito come una piccola divinità nel suo ambito. Appunto questo fa sì che
gli spiriti siano capaci ili entrare in una specie di società con Dio, e
che egli sia rispetto a loro non solo quello che un inventore è per
la sua macchina (ciò che Dio è rispetto alle altre creature), ma
altresì quel che mi principe è per i suoi sudditi, ed anzi un padre per i
suoi figli. Donde è facile concludere che l’insieme di tutti gli
spiriti deve compone la città di Dio, cioè il più perfetto stato possibile
sotto il più perfetto dei monarchi. 86. ° Questa città di Dio,
questa monarchia veramente universale, è un mondo morale nel mondo naturale,
è ciò che vi è di più di elevato e di più divino nelle opere di
Dio. E proprio in essa consiste la gloria di Dio; poiché non vi sarebbe
gloria, se la sua grandezza e la sua bontà non fossero conosciute ed
ammirate dagli spiriti; e anche solo in rapporto a questa città divina
egli è propriamente fornito di bontà, laddove la sua saggezza e la sua
potenza si mostrano ovunque. Come abbiamo stabi lito pili sopra una
perfetta armonia fra due regni naturali, l’uno delle cause
efficienti, 1 altro delle finali, dobbiamo notare qui anche un’altra
armonia fra il regno fisico della natura e il regno morale della grazia,
cioè fra Dio considerato come architetto della macchina dell universo, e
Dio considerato come monarca della città divina degli spiriti. Tale
armonia fa sì che le coso conducano alla grazia per le vie medesime della
natura, e che questo globo, per esempio, debba essere distrutto e riparato
per vie naturali, nel momento in cui il governo degli spiriti lo
richieda, per il castigo degli uni e la ricompensa degli altri. Si
può dire ancora che Dio, in quanto architetto, soddisfa in tutto a Dio in
quanto legislatore; e che così i peccati devono portare con sè la propria
pena per ordine di natura e hi virtù anche della strattura meccanica
delle cose; e che analogamente le belle azioni debbono attirare a
sè la propria ricompensa por vie meccaniche rispetto ai corpi; benché ciò
non possa e non debba avvenire sempre immediatamente. Insomma, sotto
questo governo perfetto, non vi sarebbe azione buona senza ricompensa, nè
cattiva senza castigo; e tutto deve risolversi nel bene dei buoni,
cioè di coloro che non sono malcontenti in questo grande stato, che
si fidano della Provvidenza dopo aver fatto il loro dovere, e che amano e
imitano come si conviene l’Autore di ogni bene, compiacendosi nella
considerazione delle sue perfezioni, secondo la natura del vero puro
amore veritiero, che fa prendere piacere alla felicità di colui che si
ama. E ciò fa sì che le persone sagge e virtuose lavorino a tutto ciò che
sembra conforme alla volontà divina presuntiva o antecedente, e si contentino,
d'altra parte, di ciò che Dio fa accadere effettivamente per mezzo della sua
volontà segreta, conseguente e decisiva; riconoscendo che, se noi
potessimo intendere a sufficienza bordine dell'universo, troveremmo che esso
supera tutti i desideri dei piii saggi, e che è impossibile renderlo
migliore di quello che è, non solo quanto al tutto in generale, ma
anche La volontà presuntiva o antecedente rappresenta ciò che
deriva dalla natura stessa di Dio, ohe ò connaturato con la sua essenza;
la volontà conseguente e decisiva rappresenta l’atto effettivo con cui Dio
ha messo in opera la realtà di fatto: atto non necessario, quindi non
prevedibile, « segreto ». Questa distinzione richiama quella fra le verità di
ragione, necessarie, e le verità di fatto, contingenti. quanto a noi stessi in
particolare, perchè ci teniamo legati, come è giusto, all'autore del tutto, non
solamente come all architetto e alla causa efficiente del nostro
essere, ma anche come al nostro signore e alla causa tinaie che
deve costituire tutto lo scopo della nostra volontà, e solo può
procurarci la felicità. E qui accennato al concetto fondamentale della
Teodicea, secondo cui tutto oiò che apparo come malo cessa di essere
tale, quando venga considerato in connessione con l'arinonia del tutto, nella
quale anche i lati oscuri hanno una loro funziono, e le ombreggiature
contribuiscono alla perfezione del quadro. Cfr. p. 4(5 ss. Eugenio
Colorni. Colorni. Parole chiave: diadologia, il concetto dell’individuo,
l’idealismo filosofico como malatia, indice alla malatia metafisica, scritti
filosofici curati da Bobbio, scienza unificata, ebreo-italiano,
ebreo-britannico Ayer, circolo di Vienna, Reichenbach, Hilbert, Eddington.
Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Colorni” – The Swimming-Pool Library. Colorni.
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