Luigi Speranza -- Grice e Camilla: la
ragione conversazionale e l'literae Humaniores – in literabus humanioris -- dell’huomo
– opp. Lit. div. – scuola di Genova – filosofia gnovese – filosofia ligure -- filosofia
italiana – Luigi Speranza, pel Gruppo di Gioco di H. P. Grice, The
Swimming-Pool Library (Genova). Filosofo
genovese. Filosofo ligure. Filosofo italiano. Genova, Liguria. Grice: “You
gotta love Camilla; I mean, if his name were not Camilla, I would call him
Grice: he philosophised on all that I’m into: mainly ‘uomo’ (since he was an
ancient Italian, he used the mute ‘h’ (dell’huomo’): his anima, the concetti
dell’animma that he ‘dichara’ in il suo palare – la bellezza is without equal
--.” De'
misterii e maravigliose cause della compositione del mondo Giovanni Camilla
(scritto anche Camilli o Camillo) (Genova), filosofo. Opere Giovanni Camilla, De' misterii e
maravigliose cause della compositione del mondo, In Vinegia, Gabriele Giolito
de Ferrari, 1564. Note Camilla, Giovanni
CERL cnp Filosofia Matematica Matematica
Categorie: Medici italianiFilosofi italiani ProfessoreXVI Genova. Ma che dirassi
parlar del della lingua e diverso parlare cosi pronunciato distintamente,
beneficio de i denti e delle labra, il quale cosi bene DICHIARA I CONCETTI
DELL’ANIMA? CAM. Pensate che se piu l'huomo andasse considerando le cose maravigliose
del divino, tanto piu se gli infiammerebbe l'animo di riconoscerne altre e
contemplarne, e quanto piu sta involto e privo delle scienze e cognitione di
tai cose tanto manco ne prende maraviglia, e se ne in fiamma. Liv. Avanza,
l'uomo tutti gl’altri animali di sottigliezza di sangue, di memoria, bellezza
di corpo, e larghezza di spalle. cresce sino a XXII anni. Hora che veggiamo al
trissino da piccioli atti e quasi instrutti benissiino in diverse scienze oarti,
è cosa manifesta. Onde quel Mercurio gran filosofo Mercurio Trimegisto chiama
l'huomo Tremigi - un grande miracolo. Oltre poi, che con l'intelletto sto.
intende, capisce e discorre sopra ogni cosa, e chiamato un picciol mondo; e
tantage, cosi bella dignità di eso ON Elle 80 E. =.. 0. cica. la conoscevano
benissimo quegli ans huomo viene tutta dall'anima. E questo ui basti qudra to
alla dichiaratione di quelle cose, che sono chiamate naturali, veniamo hora
alle Mathematiche. CAM; Se io debbia hauere queſto a caro, laſciolo confiderda
re a uoi: essendo, che tai ragionamenti sopra tante ecoſi belle coſe, miſaranno
aſſai facile uia ad intendea re poi eſſe scienze. -- diverso parlare cosi
pronunciato distintamente beneficio de i denti e della labra, il quale cosi
benedichiara i concetti dell'anima? AVO PRIMO, OVERO Proemio. a carte; Della
virtù; Dell'amicitia; Dell'amore; Del Cielo e delle Stelle; De gl’elementi; Di
quelle cose che fi generano nell'aere; Dell'anima; Dell'anima dell'huomo; Delle
Piante; De gli animali sensitiui, e prima di quelli, che non hanno ſangue; Di
quelli Animali, che hanno sangue primieramente de pesci; De gli uccelli; De gl’animali
quadrupedi; Dell’uomo; Della Arithmetica, e fue parti; Della Muſica; Della
Geometria, e ſue parti; Della Coſmografia; Dell'arte del nauigare, e de'
precetti, chi fi debbono ofleruare a intender quella; Della fPerſpectiua, et inſiemedella
Symetria dell'uomo; Dell'Aſtronomia; Della Metafisica. DELLA PERSPESTTIVA, ET insieme
della Simetria dell'huomo; Sole pche Holl Utre, Duit 3 bel A PERSPETTIVA dunque,
Perspetti - stando nel mezo della Geometria 4a,. Aſtronomia, proua neceſſaridal
incnte molte coſe, che in eſſe ſi ri = * trouano. Onde che'l Sole illumini pru
dela metà della terra, e che lucendo non ſi poſſa illumini no ueder le stelle,
lo proua il Perſpettivo: dicendo,'piu della che ogni corpo luminoſosferico
illumina una piu pica metà della ciola sfera piu dela metà. Nella Geometria
etiandio queſto è manifefto, come nell'arte di rileuo, ſecondo*; ſi vedono in
Romaalcủne statue, con tanto artificio store fatte, che quantunque una ſia piu
grande dell'altra, @unapoſta in alto, l'altra a baſſo, paiono nondia 1: meno
tutte diunamedeſima groſſezza e grandezza. Effetti del la perſpect e cio come
ſi faccid', diſſe il Perſpettiuo', la comprena tiua, en fione della quantità
della coſa urſibile proceder dalla din comprenſione della piramideralioſa, e
dalla compaa ratione dellabafi alla quantità dell'angulo,o alla lun= ghezza
della diſtanza. Perla medeſima hanno detto gli Aſtrologile stelle effer corpi sferici'e
tondi: pera cioche daejja uien- lor"detto i corpi sferici da lunge ofind
pri parere piani; l'eſempio ſia di uno ouo: oltre di ciò Le ſtelle le stelle
nell'Orizonte apparere piu grandi, etiano, a ell'Ori dio l'iſteſſo Orizonte
alla terra contingente, e piu: zones apo lontano di qual ſi uoglia altro punto
aßegnato nel ciez iori, per lo. L'iſteſſo fàil naturale, il quale afferma, che
l'oca chio non baſterebbe a comprender la grandezza delle coſe,s'eglinon fuſſe
tondo. et etiandio ſenza luce 1. non uederſi niente. Per queſta ſi ſono
ritrouati gli fpecchi: imperoche il raggio dell'occhio cadente pera
pendicularmenteſopra delloſpecchio, ritorna adietro, e coſi fa, che l'imagine
èueduta. Si danno ancora le cagioni, perche nella piu parte de gli ſpecchiſi
ueda stig als t'imagine dalla banda dilà di ello ſpecchio, &in alcue ni
dinanzi: o oltre di ciò coſi diſcoſta e lontana dallo specchio, quanto é
l'occhio lontano da eſo, e di molte altre. si sà ancora la diuerſa
compofitioneloro, coa me de' tondi, concaui, colonnari, piramidalize triana
Pianeri og ifcintilla. gulari. Laſcioper hora, chela reuerberatione de nocome
raggi faccia le stelle fille ſcintillare: imperoche i pia = le ftefle
fiłnetinon ſcintillano. Proua ultimamente, perche nela l'acqua le coſe paiano
piu grandi, e fuori dal ſuo luos Perche le coſepaia. 80;imperochenon ſipuò
diſcernere e giudicare la no mag. grandezza di una coſa per raggio rotto: e per
ciò le giori nel ſtelle nell'orizonte appaiono piu uicine a noi, che nel
l'acqua. Meridiano. Si danno inſieme congnitioni di Iride, e molte altre; la
enumeratione delle quali troppo longa ſarebbe a dirle. CAM. Veramente tutte le
ſcienze ſono di talforte tra loro ordinate, che’n loro a punto ſi uede fe. COM
Iron chat lan ED fi uede una ciclopedia. Liv. Tal dunque è la pera ſpettiua, la
cui conſideratione e di raggio retto, rea feffo, erotto. nella quale non ui
marauigliate che ſi ueggiano coſi eccellenti e buoni Scultori: eſſendo che
scultura ciò ſiuedafacilmente nella Chimica,Ectypoſi, Celaa parci d tura,
Plaſtica, Proplaſtica, Paradigmatica, Tomia fa. ca., Colaptica, le quali
ſonotutte parti della Scultuz ra, o hanno della ſua cognitione bisogno. Hora di
queſte non voglio io parlare, eccetto ſe a voi pareſſe della simetria
dell'huomo; dcció da eſſa comprendiate ogn’hora piu le marauiglioſe opere di
Dio. Cam. Queſto miſarebbe di grandißimo contento, è maßime che per la
intelligenza loro ſi potrebbono etiandio conſiderar le parti de gli animali
ſenza ragione.Liv. Queſta miſura dunque, la quale Simetria chiamiamo, Simetria
duenga che'n tutte le coſe create da Dio ſia maraui: dell'huog glioſa, è però
di marauiglia e stupore grandißimo mo. nell'huomo. imperoche miſurate tutte le
parti effatta = mente, dalle quali è compoſto, iui non ſi uede altro, che ogni
coſa piena di harmonia e perfettißima in tuta ti i numeri. E perciò hanno
diuiſo il corpo dell'huomo in noue parti, le quali tutte ſi prendonodalla
faccid;. hauendola coſi poſta diſopra Iddio grandißimo,aca ciò tutte le altre
pigliaſſero la miſura da eſſa, come contenuta da tutto il corpo noue uolte:
s'intende però queſto degli huominifatti, e non de' fanciulli, i quaa li non
ſono eccetto quattro. La proportion poi de membri tra loroquanta fia, è coſa di
grande contemplatione. Quanto é dalle ciglia ſino alla fine del nära ſo, tanto
dal mento fino alla gola quanto dal labro di fopra ſino alla punta del naſo,
tanto é la larghezza del naſo di ſotto, è la concauità de gl'occhi, quanto
dalla cima del fronte fino alle ciglia, tanto ſino alla punta del naſo, o
etiandio fino al mento. Hora che tanto ſia la faccia, quant'è la mano, e dalle
congiunz ture di eſa fi ueggiano le proportioninella faccia,¿ coſa aſſai ben
chiara. Della larghezza, che ne dires di eſſo al naſo, tanto la larghezza della
bocca, quanto la longhezza del naſo, tanto é la larghezza delle anche, quanto
ſono due faccie inſieme. L'altezza poi, cioè quello, che uolge e circonda
all'intorno, e mard uigliosa. uolge la teſta, e in quella parte del fronte tre
faccie, il petto cinque, il uentre, paſſato però l'ombilico, quattro. Laſcio
ultimamente, che con tenga l'huomo la figura circolare, e quadrata, e che da
eſſo ſia cauata la proportione e miſura di far caſei, Fabriche Rocche, Caſtelli,
e Chieſe. Hauete hora viſto la dir moſtrate uifione del corpo del'huomo, quanto
ſia artificioſa, e dalla fime. tria del di quanta armonia e contemplatione. E
di qui conſie l'huomo. deriate qual Geometria,qual Muſico debbia eſſer l'aua
tore e fattore di tutto queſto, CA M. Veramente da tutte le coſe da D1o create
ſiamobenißimoinſegnati uiuer bene: imperoche hauendo ogni noſtra parte del
corpo con tal proportione diſpoſta, e fatta, ci mom che 3 stra, 1 C,. stra, che
ordiniamo i coſtuminoſtri; acciò in ſi bel corpo poſſa eſſere una bella anima.
Liv. E queſto ulbaſti in queſti ragionamenti, et andiamo alla Aſtro. nomia. Cam. Come a uoi pare. His “Enthusiasm” has a brief section on ‘parlare
humano’, parabolize – wondering how men can ‘express’ the ‘conceptions’ of
their ‘souls’ – via this ‘parlare’ – also philosophised on symmetry, which is
like K. O. Apel’s reciprocity. Literae humaniores, nicknamed classics, is
an undergraduate course focused on classics (Ancient Rome, Latin, and philosophy)
at Oxford. The name means literally "more human literature" and is in
contrast to the other main field of study when the Oxford began, i.e. res
divinae, or literae divine, “Lit. div.”. “Lit. Hum.” is concerned with *human*
learning; “Lit. div.” with learning treating of the divine. “Lit. Hum.”
originally encompassed mathematics and natural sciences as well. It is an
archetypal humanities course. Oxford's classics course, also known as
greats, is divided into two parts, lasting V terms and VII terms respectively,
the whole lasting IV years in total, which is one year more than most arts
degrees. The course of studies leads to a B. A. Lit. Hum. degree.
Throughout, there is a strong emphasis on first-hand study of primary sources
in Latin. In the first part -- honour moderations, “mods” – the pupil
concentrates on Latin; in the second part the pupil must choose VIII essays from
philosophy. The teaching style consists of a weekly tutorial in each of the two
main subjects chosen, supplemented by this or that lecture. The main teaching
mechanism is the weekly essay -- one on each of the two main chosen subjects,
to be read out at a 1-to-1 tutorial. This affords the pupil plenty of practice
at writing a short, clear, and well-researched essay. The emphasis is on the
study of an original text in Latin, assessed by gobbet, a short commentary on
an assigned primary source. In a typical ‘text’ essay, the pupil must comment
on an paragraph in Latin selected by the examiner -- from the set books. Marks
are awarded for recognising the context and the significance of the paragraph. The
course of moderation, – the exam
conducted by a moderator) runs for the initial V terms of the course. The aim
is for the pupil to develop an ability to read in Latin. Virgil is compulsory.
Other paragraphs are chosen from a given list. There are also unseen
translations from Latin, and compulsory translation into prose. The tutorial
fellow in philosophy is free to concentrate on teaching philosophy, not Latin.
The mods examination has a reputation as something of an ordeal.XII three-hour essays
across seven consecutive days. Pupils for Lit. Hum. mods face a much larger
number of exams than undergraduates reading for any other degrees at Oxford sit
for their mods, prelims or even, in many cases, finals. A pupil who
successfully passes his mods may then go on to study the full greats course in his
remaining VII terms. The traditional greats course consists of philosophy. The
philosophy includes Plato and Aristotle, and also modern philosophy, both logic
and ethics, with a critical reading of standard texts -- from Plato's Republic
and Aristotle's Nicomachean Ethics to more modern philosophers, such as Kant. The
regulations governing the combinations of essays are moderately simple. The
pupil must take at least four essays based on the study of ancient texts in the
original Latin. It is compulsory also to offer essays in unprepared translation
from Latin; these essays counted "below the line" — the pupil is
required to pass them, but they do not otherwise affect the overall class of
the degree. G. E. M. Anscombe, British analytic philosopher H. H. Asquith,
former Prime Minister of the United Kingdom J. L. Austin, philosopher of
language A. J. Ayer, British analytic philosopher Isaiah Berlin, historian of
ideas, Oxonian professor George Curzon, 1st Marquess Curzon of Kedleston,
Viceroy of India and Foreign Secretary Emma Dench, British ancient historian,
McLean Professor of Ancient and Modern History at Harvard University Peter Geach,
British analytic philosopher John Murray Gibbon, Canadian writer Barbara
Hammond, English social historian, first woman to take a double first R. M.
Hare, English moral philosopher, Oxonian professor H. L. A. Hart, British legal
philosopher Denis Healey, Labour politician Gerard Manley Hopkins, English poet
Alfred Edward Housman, English classical scholar and poet (failed in finals)
Boris Johnson, Prime Minister of the United Kingdom Knox, Catholic priest,
theologian, writer and apologist Anthony Leggett, theoretical physicist and
winner of Nobel Prize in Physics C. S. Lewis, novelist, poet, academic,
medievalist, literary critic, essayist, lay theologian, and Christian apologist
Harold Macmillan, Prime Minister of the United Kingdom, read mods (Latin and
Greek), the first half of the four-year Oxford greats course, at Balliol from
1912 to 1914, interrupted by service in the First World War Reginald Maudling,
Conservative politician Iris Murdoch DBE, novelist and philosopher Charles
Prestwich Scott, editor of the Manchester Guardian daily newspaper (now The
Guardian) Peter Snow CBE, British television and radio presenter, historian
Reginald Edward Stubbs, British colonial governor Ronald Syme, New Zealand-born
historian and classicist Oscar Wilde, Irish writer and poet, attained a double
first Bernard Williams, British moral philosopher, attained a double first with
formal congratulations in the second part Emily Wilson, British classicist,
first woman to publish a translation of Homer's Odyssey into English. N. T.
Wright, British Anglican bishop and academic Yang Xianyi, translator of Dream
of the Red Chamber into English See also Edit History
portal University of Oxford portal Philosophy, politics and economics
Quadrivium Trivium References: Standen, Naomi. "HIS 1023 Encounters: What
is a gobbet?" artsweb.bham.ac.uk. Retrieved 14 July 2018. External links
Edit Brown, Peter (2003). "Tempora mutantur". Oxford Today.. Cook.
Latin types. The Guardian. "The Classics Faculty at Oxford". The
Philosophy Faculty at Oxford".
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Greece and Ancient Rome; Honour Moderatons; Classical Tripos -- Degree course
at the University of Cambridge. Giovanni Camillo. Giovanni Camilli.
Giovanni Camilla. Keywords: dell’huomo. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e
Camilla” – The Swimming-Pool Library.
Luigi
Speranza -- Grice e Camillo – scuola di Portogruaro – filosofia veneziana –
filosofia veneta – filosofia italiana -- Luigi Speranza (Portogruaro).
Filosofo veneziano. Filosofo veneto. Filosofo italiano. Portogruaro, Venezia,
Veneto. Giulio Camillo. Giulio Camillo Delminio.
Giulio Camillo detto Delminio, m. Milano. è stato un umanista e filosofo
italiano. Letterato, erudito e insegnante, è famoso per il suo trattato
sull'imitazione nell'arte e per il vagheggiato progetto utopistico del Teatro
della Memoria o Teatro della Sapienza, edificio ligneo costruito secondo il
modello vitruviano in cui avrebbe dovuto essere archiviato, tramite un sistema
di associazioni mnemoniche per immagini, l'intero scibile umano, un progetto
culturale precursore delle moderne enciclopedie. Le fonti sulla sua vita
sono due biografie scritte da Altan e Liruti. È possibile che il suo nome
di battesimo fosse, in realtà, Bernardino, mentre Giulio Camillo sarebbe uno
pseudonimo di sapore latineggiante, adottato secondo il costume degli umanisti
dell'epoca. Studia a Padova e si dedica quindi all'insegnamento di
eloquenza e logica. Fonda con altri, a Pordenone, l'Accademia Liviana. Trasferitosi
a Venezia, conobbe tra gli altri Pietro Bembo, Pietro Aretino e Tiziano, e
strinse amicizia con Erasmo da Rotterdam, che lo ricorda nella sua opera
Dialogus Ciceronianus, attribuendogli eccellenti doti di oratore. Si trova
a Udine, quale maestro d'umanità. Qui tenta di ottenere l'officio di cancelliere
della comunità. Dedicatosi allo studio della lingua ebraica e delle
lingue orientali, della cabala, del pitagorismo e della filosofia neo-platonica
dell’ACCADEMIA, in occasione di un viaggio a Roma, ha probabilmente occasione
di confrontarsi con il cardinale Egidio da Viterbo, uno dei massimi cabalisti
cristiani. Il Teatro della memoria Lo stesso argomento in
dettaglio: Teatro della Memoria. C. anda sviluppando l'idea di rappresentare la
conoscenza come un teatro dove, a differenza del teatro tradizionale, in cui lo
spettatore si siede in platea e lo spettacolo si svolge sul palco, egli stesso
si trova al centro del palco e lo spettacolo gli si dispiega intorno. Dal
palco, infatti, si dipartivano sette gradini, ognuno dei quali era
contrassegnato con una diversa immagine (Primo grado, Convivio, Antro, Gorgoni,
Pasifae, Prometeo) e ciascuno era suddiviso in sette parti, corrispondenti ai
sette pianeti (Luna, Mercurio, Marte, Giove, Sole, Saturno, Venere). Ognuna
delle quarantanove intersezioni che risultavano è contrassegnata da un'altra
immagine mnemonica desunta dalla mitologia, immagine come simboli, che
rappresentava una parte dello scibile umano. In pratica, il suo Teatro era un
edificio della memoria, rappresentante l'ordine della verità eterna e i diversi
stadi della creazione, un'enciclopedia del sapere e insieme l'immagine del
cosmo. In questo progetto si avvertono la tensione tipicamente rinascimentale
verso il sapere universale e la conoscenza del creato, nonché gli influssi
della filosofia ermetica e cabalistica iniziata da Pico della Mirandola.
Il trattato sull'Idea del Theatro C. espone le sue teorie nel trattato Idea del
Theatro (Venezia) e nell'apologetico Discorso di C. in materia del suo theatro
(dedicato a Trifone Gabriel). Queste trovarono un sostenitore e mecenate nel
sovrano francese Francesco I, che il Delminio incontrò a Milano. È comunque
improbabile che un prototipo di tale teatro sia stato veramente costruito. La
sua figura non convenzionale e le sue idee particolarissime gli attirarono
l'ammirazione di molti ma anche l'ostilità di altri, ed egli venne definito sia
un genio sia un ciarlatano. La sua stessa persona era circondata da un alone di
mistero, e anche la morte avvenne in circostanze poco chiare. Opere
Discorso in materia del suo Theatro; Lettera del rivolgimento dell'huomo a Dio;
La Idea del Theatro; Trattato delle materie; Trattato dell’Imitatione; Due
orationi; Rime, et lettere diverse; La Topica, overo dell’Elocutione; Discorso
sopra l'Idee d’Hermogene; La grammatica; Espositione sopra'l primo et secondo
Sonetto del Petrarca. Yates, L'arte della memoria, Einaudi, Stabile, C., Dizionario
biografico degli italiani, Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, C.,
L'idea del theatro con L'idea dell'eloquenza, il De Transmutatione e altri
testi inediti, a cura di Lina Bolzoni, Adelphi, Milano Corrado Bologna, El
teatro de la Mente. De Giulio Camillo a Aby Warburg, Siruela, Madrid, Turello,
Anima artificiale. Il teatro magico di C., Aviani, Voci correlate Anfiteatro
della Memoria. C. Treccani.it – Enciclopedie on line, Istituto
dell'Enciclopedia Italiana. Modifica su Bindo Chiurlo, C., Enciclopedia
Italiana, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, Giulio Camillo Delminio, in
Dizionario biografico dei friulani. Nuovo Liruti online, Istituto Pio Paschini
per la storia della Chiesa in Friuli. Modifica su Wikidata Opere di Giulio
Camillo Delminio, su Liber Liber. Opere di C. (altra versione), su MLOL,
Horizons Unlimited. Opere di C. Open Library, Internet Archive. Opere
riguardanti Giulio Camillo Delminio, su Open Library, Internet Archive. C., su
Goodreads. Frammento di orazione italiana in lode delle scienze in APUG
Archivio Storico della Pontificia Università Gregoriana Dell'imitazione
Archiviato il 27 agosto 2006 in Internet Archive., trattato sull'imitazione
nell'arte di Giulio Camillo detto Delminio Franco Pignatti, L'imitazione e la
retorica in Giulio Camillo, da Italica.RAI.it Floriana Calitti, Giulio Camillo
Delminio, L'idea del teatro, da Italica.RAI.it (IT, EN) Giulio Camillo e il
Teatro della Memoria da INFN.it Testo de L'idea del Theatro, su fluido.tv.
Giulio Camillo Delminio. Un'avventura intellettuale nel '500 europeo, su
delminio.info. URL consultato il 2 giugno 2019 (archiviato dall'url originale
il 17 maggio 2014). Portale Biografie Portale Filosofia
Portale Letteratura Categorie: Umanisti italiani Filosofi italiani Nati a
Portogruaro Morti a Milano [altre]. Giulio Camillo. Camillo. Keywords:
implicatura, chiave universale, deutero-esperanto, memoria ed identita
personale. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Camillo.” Camillo.
Luigi Speranza -- Grice e Cammarata:
all’isola – FILOSOFO SICILIANO, NON ITALIANO -- la ragione conversazionale e l’implicatura
conversazionale del giusto – giussum giustum – giure – iure – giudico –
giudicare -- la giustizia – scuola di Catania – filosofia siciliana -- filosofia
italiana – Luigi Speranza, pel Gruppo di Gioco di H. P. Grce, The Swimming-Pool
Library (Catania).
Filosofo siciliano. Filosofo italiano. Caania,
Sicilia. Grice: “You gotta love Cammarata; for one, like Austin, he goes by
initials, and indeed like me, A. E. – he is the Italian Hart – he thinks
legality comes first, justice second – and he is possibly right – his example
is Oreste’s murder and the institution of justice in Athens – However, that’s
because of his Magna Grecia background – Speranza tells me that at Rome, things
are different, since it’s all Brutus and the beginning of the republic – ‘il
ratto di Lucrezia,’ as he puts it.” -- Fu uno dei più conosciuti rettori
dell'Trieste per la difesa della quale ricevette la medaglia d'oro della
Cultura e dell'Arte, mentre all'Ateneo fu conferita nel 1962 la medaglia d'oro
al valor civile. Biografia Nel corso
della sua carriera insegnò filosofia del diritto e altre materie giuridiche
nelle Messina, Macerata, Trieste, Napoli e Roma. Allievo di Giovanni Gentile,
aderì all'idealismo immanentista. Gli scritti principali di filosofia del
diritto sono inseriti, in massima parte, in Formalismo e sapere giuridico,
Giuffrè 1963. Buona parte degli scritti riguardanti invece la "questione
di Trieste" sono pubblicati in Fra la teoria del diritto e la questione di
TriesteScritti inediti e rari, Eut, Trieste. Fu anche un notevole fotografo,
come documentano le due mostre (Trieste Gorizia ) a lui dedicate. Cammarata, Angelo Ermanno, in Dizionario di
filosofia, Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, Opere di Angelo Ermanno Cammarata,. Filosofia
Università Università Filosofo Avvocati
italiani Insegnanti italiani Professore Catania RomaFilosofi del diritto. Il
secondo giorno sostenne tutto il contrario; onde gridano all'immoralità,
all’audacia e alla sfacciataggine del filosofo, che non si vergognò di
difendere contraddizione si anorme. Anche non tenendo conto che, se si
applicasse questo criterio, tutta la filosofia dei accademici sarebbe un'
immoralità, perchè il loro metodo e di difendere in ogni quistione le soluziori
opposte. Idue discorsi (tesi ed antitesi, positio e contra-positio, posizione e
contra-posizione), tenuti in giorni successivi, abbiano un'unità perfetta (la
sintesi, o com-posizione) e si propongano il medesimo fine: mostrare la falsità
della dottrina della tesi di Diogene intorno al giurato; e siccome costoro in
questa parte della filosofia, molto più che in altre, sono dipendenti da Platone
e da Aristotele, bisogna prendere le mosse da questi. Leggiamo in Lattanzio.
Carneades autem, ut Aristotelem refelleret ac Platonem, justitiae patronos,
prima illa disputatione collegit ea omnia, quae pro justitia dicebantur, ut
posset illa, sicut fecit, evertere. Carneades, quoniam erant infirma, quæ a
philosophis adserebantur, sumsit audaciam refellendi, quia refelli posse
intellexit (Lattanzio, Instit. div.). E al trove. Nec immerito extitit
Carneades, homo summo ingenio et acumine, qui refelleret istorum (Platone e
Aristotele ) orationem et iustitiam, quæ fundamentum stabile non habebat,
everteret, non quia vituperandam esse iustitiam sentiebat, sed ut illos
defensores eius ostenderet nihil certi, nihil firmi de iustitia disputare
(Epit. 55, 5-8). Di qui è evidente che la prima orazione non era che un
esordio, un'introduzione, uno sguardo storico alla questione, un'esposizione
delle idee accettate da Diogene, che Carneade s'appresta a confutare nel
vegnente giorno (Cic., de rep.); confutazione, la quale non aveva per iscopo di
vituperare la giustizia in sé, ma di colpire i filosofi avversari, o almeno la
loro teoria dommatica – il domma.Non è la virtù stoica, che Carneade demole, ma
il sapere. Su questo si dovrà tornare più innanzi. E caso a noi pervennero
frammenti solamente della seconda orazione. Questa sola offriva una filosofia
nuova, dava una scossa inaspettata e forte all'intelligenza dei romani. Perciò
eam disputationem, qua iustitia evertitur, apud Ciceronem L. Furius recordatur
(Lattanzio, Instit. dio.). E noi ora possiamo tentare di ricostruire questo
singolare di scorso nelle sue linee generali. Per Carneade, non esiste una
giustizia (giurato – iusiurato) naturale nè verso due uomini. Se esso esistesse
le medesimecose sarebbero giurate (iusiurata) giuste o ingiuste, buone o
cattive, morali o immorali, per ogni uomo, come le cose calde e le fredde, le
dolci e le amare. Invece chi conosce il mondo e la storia, sa che regna una
grandissima diversità di apprezzamenti morali e giuridici, di consuetudini tra
il popolo romano e il popolo sabino, da Roma a Sabinia, dal Tevere al
Trastevere, da tempo a tempo. I cretesi e gli etoli reputano cosa onesta il
brigantaggio. I Lacedemoni dichiarano loro proprietà tutti i campi che potevano
toccare col giavellotto. Gli Ateniesi solevano annunciare pubblicamente che
loro apparteneva ogni terra che producesse olive e biade. I barbari galli
stimano disonorevole cosa procurarsi il frumento col lavoro, invece che colle
armi. I romani vietano ai Transalpini la coltivazione dell'ulivo e della vite,
per impedire la concorrenza ai loro prodotti e dar a questi un valore più
elevato. Gli semitici egiziani, che hanno una storia di moltissimi secoli,
adorano come divinità il bue e belve di ogni genere. I semitici Persiani, disprezzano
gli dei dell'Ellade, ne incendiarono i tempii, persuasi essere cosa illecita
che gli dei, i quali hanno per abitazione tutto il mondo, fossero rinchiusi tra
pareti. Filippo il Macedone idea e Alessandro manda ad esecuzione la guerra
contro i greci per punire quei numi. I Tauri, gli Egiziani, i barbari galli
(“Norma”) e i Fenici credeno che tornassero assai accetti alle loro deità il
sacrifizio umano. Si dice: E dovere dell'uomo che fa il giurato (iusiuratum)
ubbidire alla legge. Quale legge? A la legge di ieri, o alla legge di oggi? A
quelle fatte in questo lato del Tevere, o nel Trastevere? Se una un imperativo
o una legge suprema, universale, trascendente, kantiana, costante s'impone alla
coscienza dell’uomo, come pretende Diogene, coteste variazioni non sarebbero
possibili. Perciò non esiste un diritto naturale, nè un uomo che per natura
arriva al giurato (iusiuratum). Il diritto (ius) è una invenzione dell’uomo a
scopo di utilità e didifesa; come prova anche il fatto che non raramente la
legge, le quale e fatta dal sesso maschile, assicura a questo sesso un
particolare vantaggio a danno di quello femminile. Nessuna ‘legislazione’,
attentamente esaminata, appare l'espressione di un imperative o principio
fisso, naturale, vero, immutabile, divino. Invece al profondo osservatore non
isfugge che ogni disposizione legale move da ragione di utile e viene cambiata
appena non risponde più ai bisogni e agl'interessi di coloro che hanno nelle
mani il potere. Ogni nazione cerca di provvedere al proprio bene e considera,
per istinto di natura, gli animali e le altre nazione come istrumenti della
propria conservazione e felicità (Cic., de rep.). La storia insegna che ogni
popolo che diventa grande, potente, ricco, non pensa ai vantaggi altrui, ma
unicamente ai proprii. Voi stessi o Romani, disse Carneade parlando a un
Scipione Emiliano, il futuro distruttore di Cartagine e di Numanzia, a Lelio il
saggio, al letterato Furio Filo, a Scevola il futuro giureconsult, all'erudito
Sulpicio Gallo, algrande oratore Galba, al vecchio Catone, l'implacabile nemico
di Cartagine, al fiore di tutta la cittadinanza e alla presenza dei colti
ostaggi achei trasportati in Italia, tra i quali il grande storico e generale
Polibio. Voi stessi, o Romani, non vi siete impadroniti del mondo colla
giustizia. Se volete essere giusti, restituite le cose tolte agli altri,
ritornate alle vostre capanne a vivere nella povertà e nella miseria. Il
criterio direttivo della vostra vita non e il
giurato (iusiuratum), bensi l'utilità, che invano cercate di mascherara;
poichè voi, coll'intimare la guerra per mezzo di araldi, col recare *in-giurie*
sotto un pretesto di legalità, col desiderare l'altrui, col rubire, siete per
venuti al possesso di tutto il mondo. Ma per temperare il cattivo effetto, che avesse
potuto produrre negli animi dei Romani questa audace analisi dei fattori della
loro grandezza politica, l'avveduto ambasciatore ateniese ricorda altri esempi,
che sono celebri e lodati in tutto il mondo. Rammenta la ben nota risposta data
dal pirata catturato ad Alessandro il grande. Io infesto breve tratto di mare
con una sola fusta, con quel medesiino diritto, col quale tu, o Alessandro,
infesti tutto il mondo con grande esercito e flotta. Il patriottismo, questa
virtù somma e perfetta, che suole essere portata fino al cielo colle lodi, è la
negazione del giurato (iusiuratum), perchè si alimenta della discordia seminata
tra gli uomini e consiste nell'aumentare la prosperità del proprio paese,
naturalmente a danno di un altro, coll’nvadere violentemente il territorio
altrui, estendere il dominio, aumentare le gabelle. Patriotta è colui che
acquista dei beni alla patria colla distruzione di altre città e nazioni, colma
l'erario di denaro, rese più ricchi i concittadini. E, quel che è peggio, non
solo il popolo e la classe incolta, ma eziandio i filosofi esortano e
incoraggiano a commettere cotali atti ingiusti. Cosicchè alla malvagità non
manca neppure l'autorità della scienza. Ovunque regnano inganno e ingiustizia,
che invano si tentano di nascondere e legittimare. Tutti quelli che hanno
diritto di vita e di morte sul popolo sono tiranni. Ma essi preferiscono
chiamarsire per volontà divina. Quando alcuni, o per ricchezze, o per
ischiatta, o per potenza, hanno nelle mani l'amministrazione di una città,
costituiscono una setta. Ma i membri prendono il nome di “ottimato”. Se il
popolo ha il sopravvento nel maneggio dei pubblici affari, la forma di governo
si chiama libertà; ma è licenza. Ma poichè gli uomini si temono l'un l'altro, e
una classe ha paura dell'altra, interviene una specie di *patto* o contratto
fra popolo e potenti e si costituisce una forma mista di governo, dove la
giustizia è un effetto non di natura o di volontà, ma di debolezza. Ed è
naturale che cosi avvenga. Se l'uomo deve scegliere tra le seguenti condizioni:
recare *in-giuria* e non riceverne; e farne e riceverne; nè farne, nè
riceverne, egli repute ottima la prima, perchè soddisfa meglio i suoi istinti.
Poscia la terza, che dona quiete e sicurezza; ultima e più infelice la
condizione di chi sia costretto ad essere continuamente in armi, sia perchè
faccia, sia perché riceva *in-giurie”. Adunque alla Hobbes lo stato naturale
dei rapporti tra uomo e uomo è la lotta (uomo uominis lupo), la guerra, la
discordia, la rapina, la violenza, l'inganno, in una parola, la negazione del
giurato (giusgiurato). La giustizia è una virtù che si esercita per effetto di
debolezza e per proprio tornaconio. Ma Diogene, come vedemmo, considera il
giurato (iusiuratum) verso gli uomini. Carneade dove notare che l’istituzione
del tempio esiste solamente nel l'immaginazione de' suoi avversari e dei
filosofi, dai quali essi attinsero i loro principii. Non si acquista, non si
allarga potere, non si fonda regno senza le armi, le guerre, le vittorie; le
quali alla loro volta in generale presuppongono la presa e la distruzione di
città. E dalle distruzioni non vanno immuni le oggetti addorati nei tempi, ne
dalle stragi si sottragge il sacerdote del tempio; né dalle rapine
i tesori e gli arredi sacri. Quanti trofei di divinità nemiche,
quante sacre immagini, quante spoglie di tempii resero splendidi i trionfi dei
generali romani! E non sono cotesti sacrilegi? Non sono atti di somma
ingiustizia? No, innanzi al giudizio del popolo, all'opinione della gente
colta, degli storici, dei letterati, questa è gloria, è patriottismo, è
prudenza, sapienza, giustizia. Dunque la giustizia non solamente non viene
osservata in pratica, ma non esiste nep pure in fondo alla coscienza generale
dell’uomo. Anch'essa viene subordinata all'utile. Ma non s'arresta qui la
critica di Carneade. Con un esame sottile e profondo dell'antinomia esistente
tra i due concetti del ‘scitum’ e del ‘giurato’ e della natura morale dell'uomo
quale in realtà è, e quale egli si crede e vorrebbe essere, Carneade ha
chiarito un contrasto del cuore (ragione pratica) e della mente (ragione
teorica) umana, che tuttavia rimane e che ha servito di fondamento alle teorie
utilitaristiche inglesi di tempi a noi vicini. Lo ‘scitum’ – la sapienza
politica comanda al Cittadino di accrescere la potenza e la ricchezza della
patria, estenderne i confini e il dominio, renderne più intensa la vita con
nuove sorgenti di guadagni e di piaceri; e tutto questo non si può compiere
senza danno di altre genti. Il giurato (iusiuratum) invece comanda di
risparmiare tutti, di beneficare i propri simili indistintamente, restituire a
ciascuno il suo, non toccare i beni, non turbare i possedimenti altrui, non
sminuire la felicità d'alcuno. Ma se un uomo di stato vuole essere giusto, non
ha mai l'approvazione de' suoi amministrati, non gloria, non onori, i quali il
popolo attribuisce non al giusto (che promueve il giurato) e onesto e inetto;
bensì al sapiente, al prudente, all'accorto. Non per il giurato, ma per il
‘scitum’ i generali di ROMA hanno il soprannome di grandi. La violenza, la
forza, la negazione del giurato, hanno dato potere e consistenza agli stati. Ma
per nascondere la propria origine e fuggire la taccia de negare il giurato
(iusiuratum), il popolo, fatto grande e divenuto dominatore, va immaginando
delle favole da sostituire alla storia vera, come il mercante arricchito agogna
un titolo di nobiltà. Le stesse qualità, e solamente le stesse, mantengono gli
stati liberi o forti. Non ha nazione tanto stolta, la quale non preferisce il
comandare con la negazione del giurato, all'ubbidire con la promozione del
giurato (iusiuratum). La ragione di stato e la salvezza pubblica vincono e
soffocano il sentiment *dis-interessato*. Uno stato vuole vivere a prezzo di
qualsiasi negazione del giurato (iusiuratum), perchè sa che alla vittoria, con
qualunque mezzo acquistata, tien dietro la gloria. Nel concetto degli antichi,
la fine della propria nazione non sembra avvenimento naturale, come la morte di
un individuo, pel quale questa non solo è necessaria, ma talvolta anche
desiderabile. L'estinzione della patria era per essi in certo qual modo
l'estinzione di tutto il mondo. Dato questo concetto e un sentimento della
gloria diverso e molto più intenso che non sia in noi moderni, doveno in certa
guisa parere *giustificati* (giusti-ficati – fatto giurato – iusiuratum --
anche gli atti di violenza e di frode, che avevano per I scopo la conservazione
e la potenza del proprio stato; o, per meglio dire, il popolo e gl'individui
non hanno coscienza di un principio o imperativo che governa la propria vita.
Credeno, i Romani pei primi, di promovere il giurato (iusiuratum) e invece
sommamente negano il giurato (iusiuratum). Carneade fu il primo a chiarire
questa opposizione tra fatto e idea, tra sapienza machiavelica politica e il
giurato (iusiuratum) (Cic., de fin.). Il medesimo conflitto tra il giurato e il
‘scitum’ dimostra egli esistere nella vita privata, intendendo per sapiente
l'uomo che sa difendere il proprio interesse; e giusto colui che non lede
quello degli altri. Sono suoi i seguenti esempi, tolti dalla vita giornaliera e
assai chiari e appropriati alla vita romana affogata negli affari. Un tale
vuole vendere uno schiavo, che ha l'abitudine di fuggire, o una casa insalubre.
Egli solo conosce questi difetti. Ne rende avvisato il compratore? Se si,
s'acquista fama di uomo onesto, perchè
non inganna, maeziandio di stolto, per che vende a piccolo prezzo, o non vende
affatto; se no, sarà reputato sapiente, perchè fa il proprio interesse, ma
malvagio, perchè inganna. Parimenti, se egli s'incontra in uno che vende oro
per oricalco, o argento per piombo, tace per comperare a buon prezzo, o indica
al venditore lo sbaglio e sborsa di più per l'acquisto? Solamente lo stolto vorrà
pagare a maggior prezzo la merce. Se un tale, la cui morte a te recherebbe
vantaggio, sta per porsi a sedere in luogo, dove si nasconde serpe velenoso, e
tu il sai, dovrai avvertirlo del pericolo, o tacere? Se taci, sarai improbo, ma
accorto; se parli, sarai probo, ma stolto (Cic., de rep.). Dunque qui pure si
presenta la contraddizione: chi è giusto, è stolto; chi è sapiente, è ingiusto.
Ma in questi casi si tratta di una quantità maggiore o minore di denaro e di
vantaggi più o meno rilevanti, e v'ha chi potrebbe essere contento e felice della
povertà. Ma quando andasse di mezzo la vita, il conflitto diventerebbe più
spiccato. Un tale in un naufragio, mentre è poco lontano dall'affogare, vede un
altro più debole di lui mettersi in salvo appoggiandosi a una tavola, che vale
a sostenere uno solo. Nessuno testimonio è presente. Si fa sua la tavola e si
pone in salvo, lasciundo che l'altro perisca. Oppure, se, dopo che i suoi
furono sconfitti, incontra nella fuga un ferito a cavallo, che va sottraendosi
al ferro dei nemici inseguenti, lo getterà a terra per porre se stesso in
sella, o si lasce raggiungere e uccidere. Se egli è uomo sapiente, si salva a
qualunque costo. Ma se poi antepone il morire al far morire, sarà giusto, ma
stolto. Tale è il giudizio che intorno al suo operato porteranno il uomo. Cosicchè il giure naturale, la giustizia
naturale è stoltezza. Il giure civile è sapienza politica. Tutto è lotta
d'interessi. Si ha ragione di credere che Carneade nel suo discorso *contro* il
giurato civile tocca anche la questione della schiavitù, dicendo essere un
fatto che nega il giurato (iusiudicatum) naturale, che uomo servisse a uomo --
principio che, riconosciuto vero, puo essere assai valido per far conoscere
quanto esteso fosse il dominio della negazione del giurato e dare alla sua tesi
una grande forza. E ciò si induce a credere dal vedere che in più frammenti il
difensore del giurato, ossia il suo contraddittore, viene svolgendo la tesi
opposta, perchè la schiavitù, rettamente conservata, torna a utilità del stesso
schiavo, il quale sotto un governo buono e forte vive in maggiore sicurezza e
viene meglio educato che allo stato di libertà; e come Dio comanda all'uomo,
l'anima al corpo, la ragione alle parti appetitive dell'anima, cosi il
conquistatore tiene a freno il conquistato, il quale diventa tali appunto
perchè e peggiore di quello. Un tenue indizio ci sarebbe anche per farci
credere che egli risolve il rimorso nella paura della pena, negando che fosse
un sentimento più profondo e disinteressato. Diogene obbietta che in questa
ipotesi il malvagio sarebbe semplicemente un incauto e il buono uno scaltro
(Cic. de leg.). In conclusione: per Diogene, fondamento della morale e del
diritto è l'inclinazione ad amare gli uomini e a rispettare la divinità,
inclinazione che ha radice nella natura, la quale sola offre la norma per
distinguere il giurato dalla sua assenza, il bene dal male. Per Carneade,
generatrice del diritto è l'utilità, e l'utilità sola, e ogni giudizio morale e
altrettanta opinione, la quale non deriva da un imperativo kantiano, o un
principio naturale fisso, come provano la loro varietà e il dissenso degli
uomini (Cic., de leg.). Alla teoria giuridica di Carneade non si deve
attribuire un significato di domma o dommatico, che sarebbe in cotraddizione
colle premesse teoretiche della sua filosofia. L'egoismo e l'utilitarismo
proclamato da Carneade in opposizione all'idealismo morale di Diogene, non è
una dottrina *precettiva*, alla Kant (il sollen) ma l'investigazione e
l'esposizione di un fatto psicologico e sociale – come il principio cooperativo
di Grice. Carneade non pare credere all'effetto pratico della morale normativa
e si limita ad analizzare il cuore dell’uomo, la ragione pratica, saggezza,
prudential, il quale, per la sua tendenza nativa, è assai lontano dal
realizzare il precetto dommatico stoico. Ma da filosofo prudente s'astiene dal
proporne del proprio precetto (idiosincrazia). Nota il fatto che si presenta
all'osservazione quotidiana con tutti i caratteri della verosimiglianza più
alta e sforzano a credere o ad operare; ma nè costruisce una teoria assoluta,
ne formula un domma. iusiuro: swear to a binding formula.Wundt. Wundt
Zeitungsausschnitte 100. Wundt. Wundt. Estate Wundt Brief von Luigi Credaro an
Wilhelm Wundt. Grice: “Excellent philosopher, comparable with Hart –
only not Jewish and thus friendly with the Fascists!” A student of Gentile,
more of an idealist than a positivist, but still. Angelo Ermanno
Cammarata. Keywords: la giustizia, H. L. A. Hart, il giusto, -- giusto – la
persecuzione dei Cristiana fatta da Nerone e giusta in accordo con la legge
romana – Tacito – Suetonio – Claudio – I Cristiani e I giudei di Trastevere
confessano il deilitto dell’incendio di
Roma. Cfr. la rivincita del paganesimo, I giudei erano esclusi dalla prattiche
religiose romane, ma la setta Cristiana no. montanismo, moiaismo. I Cristiani si refusano ad assistir al rituale religioso romano. Tacito
giudica al Cristiano enemico del genero
umano. Giustizia divina, giusto legale –
giusto morale – la persecuzione dei eretici dalla chiesa, l’inquisizione, la
contra-riforma, l’inizio della filosofia romana come una ‘woke’ da parte
dall’elite romana dei scipione sulla relativita del concetto del giusto. Il
primo discorso di Carneade e un cliché deliberativo. Fu il secondo discorso di
Carneade che dimostra ai romani il potere dell’argumentazione – questo culto
all’argumentazione dialettica fino al lit. hum. Oxon e la Unione di Parla –
l’argumentazione scolastica – tesi, responsio, objection, ad p, contra p.
tractatus – il dialogo filosofico, eirenico, diagoge, epagoge. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Cammarata” –
The Swimming-Pool Library.
Luigi Speranza -- Grice e Campa: la
ragioen conversazionale e l’implicatura conversazionale dell’elogio della
stoltizia – scuola di Presicce – filosofia pugliese -- filosofia italiana –
Luigi Speranza, pel Gruppo di Gioco di H. P. Grice, The Swimming-Pool Library (Presicce).
Filosofo pugliese. Filosofo italiano. Presicce, Lecce,
Puglia. Grice: “You gotta love Campa; he has a gift for unusual metaphors: la
fantasmagoria della parola, -- my favourite has to be his conjunct, ‘stupidity
and unfaithfulness!’ -- Grice:
“Philosophy runs out of names: there are British philosophers G. R. Grice and H.
P. Grice, and Itallian philosophers R. Campa, and R. Campa.” Riccardo Campa Nota disambigua.svg DisambiguazioneSe stai
cercando il sociologo, vedi Riccardo Campa (sociologo). Riccardo Campa
con il premio Nobel Eugenio Montale, Riccardo Campa (Presicce), filosofo. Storico
della filosofia italiano, la cui indagine teorica si è incentrata sulla
relazione fra la cultura umanistica e la cultura scientifica, delineando il
percorso storico della cultura occidentale, in particolare nell'ambito europeo-latinoamericano.
Negli anni sessanta e settanta ha diretto la Biblioteca delle idee, sotto
la presidenza scientifica del premio Nobel Eugenio Montale e contemporaneamente
è stato condirettore responsabile del periodico Nuova Antologia, nel quale
ha pubblicato saggi di letteratura e filosofia sul pensiero del Novecento; vi
ha inoltre tradotto e pubblicato testi di Borges, Uscătescu, Segre, Chastel,
Kaufmann, Gasset. C.con Borges a Roma. )
«doctor honoris causa en las ciudades de Atenas y Nueva York, alfa y omega del
conocimiento de lo que constituye Occidente [...] Asombra en su obra la
recopilacion enciclopedica del pensamiento europeo, cimentada en la razon que
la describe.» «C. ha ricevuto dottorati honoris causa nelle città di
Atene e New York, l'alfa e l'omega della conoscenza di ciò che costituisce
l'Occidente Sorprende nella sua opera la raccolta enciclopedica del pensiero
europeo, fondata sulla ragione che lo descrive.» (Domingo Barbolla
Camarero, Prologo, in Riccardo Campa La razon instrumental. El mesianismo
nostalgico de la contemporaneidad, Madrid, Biblioteca Nueva, ) Ha partecipato,
a seguito di regolare concorso a livello internazionale, al Forum Europeo di
Alpbach, al Collège de France, e all'Universidad Internacional Menéndez Pelayo,
e ha insegnato presso diverse università italiane e straniere (Bologna,
Università degli Studi di Napoli Federico II, Università per stranieri di
Siena, Universidad de Morón), tenendo corsi di storia delle dottrine politiche,
storia della filosofia,,storia delle Americhe e diritto politico. C.
all'Università per Stranieri di Siena. Ha diretto l'Istituto Italiano di
Cultura di Buenos Aires e successivamente ha coordinato in Italia e
nell'America Latina le attività celebrative del V Centenario dell'America, per
disposizione del Ministero degli Affari Esteri.. Vicepresidente della
Commissione Nazionale per la promozione della cultura italiana all'estero. Quale
ormai consolidata personalità-ponte fra i due mondi, geograficamente separati
ma culturalmente legati dalle comuni radici, svolge le funzioni di Direttore
del Centro Studi, Documentazione e Biblioteca dell'Istituto Italo-Latino
Americano di Roma. Contemporaneamente è stato Vicedirettore della Società
Alighieri. Ha presieduto il Forum Internazionale sulla Società Contemporanea di
Madeira e, alla scadenza di questo mandato, è stato eletto a Roma presidente
della Federazione Internazionale di Studi sull'America Latina e i Caraibi.
In questo ambito, con il suo operato, ha garantito l'interscambio delle figure
intellettuali più significative fra la cultura latinoamericana e quella
europea, favorendone la reciproca conoscenza. Riceve la nomina di
Director Emeritus del Vico Chair of Italian Studies en Dowling, Nueva York nel.
Studioso di diverse discipline: dalla linguistica teorica alla filosofia del
linguaggio, dalla filologia all'analisi letteraria alla storia della lingua;
dalla filosofia teoretica alla filosofia della scienza, nella gestione della
complessa realtà istituzionale, ha assunto l'incarico di Direttore del Centro
di Eccellenza della Ricerca dell'Siena. Già Ordinario del S.S.D SPS/2
(Storie delle dottrine politiche) presso la Facoltà di Lingua e Cultura
Italiana dell'Università per Stranieri di Siena, gli è stato conferito il
titolo di "Professore emerito". Opere: Appartengono, fra gli
altri, alla produzione classica: Il potere politico nell'America Latina,
Edizioni di Comunità, Milano; Il riformismo rivoluzionario cileno, Marsilio,
Padova; Appunti per una storia del pensiero politico latino-americano, Lugano,
Pantarei; L'universo politico omogeneo, Istituto Editoriale Internazionale,
Milano; Las nuevas herejias, Biblioteca de Estudios Criticos, Madrid, Ediciones
Istmo; La visione e la prassi: profilo di Bolìvar (pref. diPignatti, intr. di
R. Medina Elorga, postfaz. di L. C. Camacho Leyva), Istituto Italo
Latino-Americano, Roma; A reta e a curvaReflexōes sobre nosso tempo
(Riflessioni con Oscar Niemeyer), São Paulo, Max Limonad, 1986; El estupor de
EpicuroEnsayo sobre Erwin Schrödinger, Buenos Aires-Madrid, Alianza; La
emocion: la filosofia de la infidelidad (prol. di R. H. Castagnino), Editorial
Sudamericana, Buenos Aires, La escritura y la etimologia del mundo (con un
saggio di Roland Barthes), Buenos Aires, Editorial Sudamericana; La malinconia
di EpicuroRiflessioni in penombra con Borges, Buenos Aires, Editorial
SudamericanaFondazione Internazionale Jorge Luis Borges, 1990; La primeva
unità: saggio sulla storia, Le Monnier, Firenze; La practica del dictamen: del
ius a la humanitas, Grupo Editor Latinoamericano, Buenos Aires, 1990; El sondeo
de la apariencia: el libro y la imagen, Gedisa, Buenos Aires; La trama del
tiempo: ensayo sobre Italo Calvino, Grupo Editor Latinoamericano, Buenos Aires,
L'avventura e la nostalgia: Omaggio al Portogallo, Presidenza dei Consiglio dei
Ministri, Roma 1994 La metarrealidad, Buenos Aires, Biblios, 1995; Le daimôn de
la persuasion, Toulouse Cedex, Éditions Universitaires du Sud; The Renaissance
and the invention of method, New York, Dowling College; La metafora
dell'irrealtà: saggio su "Le avventure di Pinocchio", M. Pacini
Fazzi, Lucca, 1999, L'esilio saggi di letteratura Latinoamericana, Il Mulino,
Bologna, 2000; Il sortilegio e la vanità: saggio su Louis-Ferdinand Céline,
Welland Ontario, Soleil; Caratterizzano la produzione più recente:
L'immediatezza e l'estemporaneità, New York, Dowling College PressBinghamton
University, 2000; L'età delle ombre, New York, Binghamton University, 2001;
Dismisura, Bologna, il Mulino; Le vestigia di Orfeo. Meditazioni in penombra
con Jorge Luis Borges, Bologna, Il Mulino, 2003; A modernidade, Lisboa, Fim de
século, 2005; Della comprensioneCompendio di mitografia contemporanea, Bologna,
il Mulino; Ontem. L'elegia del Brasile, Bologna, il Mulino; Vicinanze abissali.
L'approssimazione nell'epoca della scienza, Bologna, il Mulino, 2009; Langage
et stratégie de communication, Paris, L'Harmattan; El Inca Garcilaso de la
Vega, Madrid, Binghamton University, Ediciones ClasicasEdiciones del Orto,; I
Trattatisti spagnoli del diritto delle genti, Bologna, Il Mulino,; La place et
la pratique plébiscitaire, Paris, L'Harmattan,; El sortilegio de la palabra,
Madrid, Biblioteca Nueva,; Elegy. Essays on the Word
and the Desert, University Press Of The South,; L'America Latina. Un profilo,
Bologna, Il Mulino,; La filosofia de la crisis. Epicureismo y Estoicismo, Editorial Sindéresis, Madrid,; El tiempo de la
inedia. El invierno de Gunter, AntropiQa 2.0, Badajoz,; La eventualidad y la
inexorabilidad. El invierno de Gunter, Editorial Sindéresis, Madrid,; La
Destreza y el engano. Ensayo sobre Don Quijote de Miguel de Cervantes Saavedra,
Ediciones Clasicas, Madrid,; L'America Latina. Un compendio, Bologna, Il
Mulino,; Octavio Paz. El desconcierto de la modernidad, Ediciones Clasicas,
Madrid,; La parola, Bologna, Il Mulino,; Cervantes. La linea del
horizonte, Valencia, Albatros,, L'elegia del Nuovo Mondo, Bologna, Il Mulino,.
La mundializacion, Valencia, Albatros,. Il convivio linguisttico. Riflessioni
sul ruolo dell'italiano nel mondo contemporaneo, Roma, Carocci, Note
Anno di conseguimento del titolo di Professore. Ne ha diretto l'Istituto Storico-politico
della Facoltà di Scienze Politiche. Con
decreto del Ministro dell'Istruzione, dell'Università e della Ricerca, vi è
stato nominato Professore Emerito di Storia delle dottrine politiche. Dopo averne curato, il XII Congresso
Internazionale, designato dall'Accademia delle Scienze di Russia ed eletto
dall'Osaka. Luigi Trenti, Il viaggio
delle parole: scritti in onore di C., Perugia, Guerra, Antonio Requeni, Nueva
vision de la literatura argentina, "Les Andes", 16 settembre 1984, 3°
Seccion pag.1. Antonio Requeni, Presencia cultural de Italia en la Argentina,
"La Prensa"; Requeni, Los intelectuales del mundo: hoy, Riccardo
Campa: la Argentina, en el laberinto de Borges, "La Nacion", 20 Jesus
Francisco Sanchez, Crisis del neocapitalismo podria hacer renacer ideas del
socialismo y la izquierda: Ricardo Campa, "El Sol de Durango", 6/A Citazionio
su Riccardo Campa Collabora a Wikimedia Commons Wikimedia Commons contiene
immagini o altri file su Riccardo Campa Filosofia LetteraturaLetteratura Filosofo
del XX secoloFilosofi italiani del XXI secoloStorici della filosofia italiani; PresicceProfessori
dell'Università degli Studi di Napoli Federico II. De oxgin^natalibns et patria
Jlultitia. StultitiamN dturd cffe atnicam et humantgeneris per co\
inuos mulieru partm coferuatricein. Pueritia fdelem ejfe affeclam.
i vNec mn. Adolescentia. Omni homini ejfs nccejfariam. Senibmmaximofo
Utio. Uec agrauibits& cordatisvi' malienam. vt 1 1 .
ttiam commenthiis Gentilium deaftrufamiliarem. ix. Inea
fouenda muliehem maximefexttmoccHpari.. %, Eandem amoris et amicitia effe conciliatricem luu Con
; ugia et conctltare et fouere. Onmihominttm atati &ordi~
} ttifuccurrere. Ammum homhvbi»addere. x i v» i n b: llis mx» n-m
vim habere. ' Vti A B6VMET,
ytietiamtn regendis Rebm pu~ hllLU,. Et commodifmum
etfe ' tam conferuandaquam recuptra,- di, iibertatu
remedium. xvi i. Gloria 6 bonoris inflrumen- tum. xvi
n.Wferiarum vitahuman opti» tnumcondtmentum x i x. Fontem.UtitU ac
bUaritatu ap. L Duicem et dmakikm ejfe de qu4 msagimiu
stultittam. 1 1. Faettsfimiltarem. uu Nu
nonlttstrarum&morum Miagiftris. i v. Maxtm^TadagogU.
j v. ltew<L Grammatick Vulgatibus. vi.
LibrorumScriptoribm. vi i . Aftrologis. VI 1 1
Magis-KccromAnticis et Diui- natofibus. ix. tuforibus,
x. Htigantibus x i Chymic sjeu Akbymiftis. 1*4; A'rg vment Capit. Venatoribus. Attcupibus. Pifcatmbus. labricAntibus. Ambitiofo rvM. antibus. Amantibus Hofientibus.Vriuilegiatts.
iiiam Safritn Erasmo in Italia, Erasmo da Rotterdam. Riccardo Campa. Campa.
Keywords. la stoltizia. Stoltus, stoltizia, stolto, stolto per Christo, pazzia,
moria, enkoniom moirae ovvero laus stoltitiae. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e
Campa” – The Swimming-Pool Library.
Luigi Speranza -- Grice e Campa: la
ragione conversazionale e l’implicatura conversazionale della rivincita del
paganesimo romano – filosofia romana – scuola di Mantova – filosofia mantovana
– filosofia lombarda -- filosofia italiana – Luigi Speranza, pel Gruppo di
Gioco di H. P. Grice, The Swimming-Pool Library (Mantova). Filosofo mantovano. Filosofo lombardo. Filosofo italiano. Mantova,
Lombardia. Grice: “You gotta love Campa – he is right that ‘artificial species’
is an oxymoron – as is ‘transhuman’ – but his philosophising about the
heathens, which is how Nero found the Christians, is very relevant!” Conosciuto soprattutto per i suoi studi
nel campo dell'etica della scienza e del transumanesimo e, precisamente, per la
sua difesa dell'idea di evoluzione autodiretta. Svolge ricerche sia nella veste
di Professore associato di Sociologia della scienza e della tecnica
all'Università Jagellonica di Cracovia, sia nella veste di Presidente
dell'Associazione Italiana Transumanisti, della quale è fondatore. Si laurea a Bologna. Ha conseguito il titolo
di Giornalista professionista presso l'Ordine dei giornalisti di Roma, il
dottorato in Epistemologia all'Università Copernicus di Torun e l'abilitazione
in Sociologia all'Università Jagellonica di Cracovia. Nell'ambito della
sociologia della scienza, è annoverato tra gli allievi di Merton, fondatore di
questa disciplina. A differenza di alcuni continuatori della scuola
costruttivista, Merton ha sempre mostrato un atteggiamento positivo nei
confronti delle scienze, e C. è rimasto fedele a questa impostazione. A tal
proposito, il filosofo argentino-canadese Bunge ha rimarcato il fatto che
«Campa è uno degli ultimi esemplari rimasti di una specie in estinzione: lo
studioso pro-scienza della comunità scientifica». I suoi studi hanno ricevuto una certa
attenzione da parte dei media dopo che Fukuyama, all'epoca consigliere per la
bioetica del presidente statunitense Bush, ha definito il transumanesimo
«l'idea più pericolosa del mondo». Secondo Fukuyama il transumanesimo è una
nuova forma di biopolitica che, pur essendo liberale e non coercitiva, rischia
di minare il concetto di uguaglianza tra gli uomini. Simili posizioni critiche
hanno assunto, in Italia, Veneziani, Ferrara, Rossi, e diversi opinionisti del
quotidiano cattolico Avvenire, che hanno criticato le idee di C. e di altri
filosofi e scienziati transumanisti (tra i quali, Bostrom, Hughes, Stock, e More),
stimolando un dibattito ad ampio raggio sulle prospettive aperte dalle nuove
tecnologie. Campa ha difeso le idee transumaniste in numerose pubblicazioni,
interviste e dibattiti pubblici, apparendo talvolta anche in televisione, e
sostenendo che le tecnologie emergenti e convergenti GRIN (un acronimo per
Genetica, Robotica, Informatica e Nanotecnologia) non rappresentano un rischio
inutile, come lasciano intendere i critici, ma un'opportunità di sviluppo in
linea con l'atteggiamento prometeico che caratterizza la storia della civiltà
occidentale. Le sue valutazioni, sull'opportunità di allungare la vita media e
potenziare le facoltà mentali e fisiche dell'uomo, sono soprattutto di ordine
etico e sociale. È autore di numerosi articoli e saggi, tra i quali spiccano
sette libri monografici. Il filosofo è nudo (Marszalek) Etica della scienza
pura (Sestante) Mutare o perire. La sfida del transumanesimo (Sestante) Le armi
robotizzate del futuro. Il problema etico (CEMISS) Trattato di filosofia
futurista (Avanguardia 21 Edizioni, ) La specie artificiale. Saggio di bioetica
evolutiva (D) La rivincita del paganesimo. Una teoria della modernità (D)
Creatori e Creature. Anatomia dei movimenti pro e contro gli OGM (D Editore, )
La società degli automi. Studi sulla disoccupazione tecnologica e sul reddito
di cittadinanza (D) Credere nel futuro: Il lato mistico del transumanesimo
(Orbis Idearum Press, ) È inoltre curatore della serie "Divenire. Rassegna
di studi interdisciplinari sulla tecnica e il postumano". Cerimonia di
abilitazione all'Cracovia C. Cipolla, Manuale di sociologia della salute,
Angeli, C., Epistemological Dimensions of Robert K. Merton's Sociology,
Copernicus University Press, quarta di copertina. Fukuyama, “Transhumanism: The
World's Most Dangerous Idea”, Foreign Policy, La versione italiana è apparsa
sul Corriere della Sera con il titolo “Biotecnologie: la fine dell'uomo”,. M. Veneziani, “Attenti l'uomo è fuori moda.
La scienza prepara “l'oltreuomo”, Libero, G. Ferrara, “Mettere in dubbio il dubbio”, Il
Foglio, Rossi, Speranze, Il Mulino,
Bologna A. Galli, “Nietzsche, profeta
dell'eugenetica”, Avvenire, Rassegna
stampa degli articoli pro e contro il transumanesimo. “Nascita del superuomo”, documentario di RAI
3, Archiviato in.; “Futuro in pillole”, puntata de Le
Invasioni Barbariche condotta da Daria Bignardi, LA7;“Musica maestro”, servizio
biografico di RAI 1, Sito della rivista Divenire, Mazzotti, Il Prof che suonava
il rock, Gazzetta di Mantova, Guerra, Futurismo per la nuova umanità, Armando,
Roma. Il transumanismo. Cronaca di una
rivoluzione annunciata, Lampi di Stampa, Milano C. biografia e nel sito "transumanisti". RIVINCERE.
Di nuovo vincere. Lat. De nuo vincere. G. V. II, 1. E l'uno gli rubello Alamagoa,
el'altro la Spagna, poi le rivinselor oper forza. Dant. Conv. 127. e
questo senso non si acconcia cogli esempi di cassa riversala, nè digente
riversata. Conveniva adunque portare la dichiarazione così: Riversatoda
Riversare SII; nel qual paragrafo Riversare sta per Voltare a rovescio o sotto sopra.
E inquesto significato dee si prendere la cassa riversata di Landolfo. Riversalo
poi vale Resupino, Colla faccia volta all'insù nell'esempio d’ALIGHIERI, e
richiede paragrafo separato. 414 OsseRVAZIONE Che Riversato venga da riversare siamo
d'accordo. Ma il senso genuino di riversare è Versar di Nilovo, notato di
Giudice non è metafora alcuna. Ei parla del terreno preparato per ricevere i
denti del dragone da cui dovevano germogliare i guerrieri. E terreno
rivesciato, cioè rivoltato, aralo è parlar proprio, non metaforico. Nè VIRGILIO
parla figurało allorchè disse: Georg. I, 64. Pingue solum fortes inverlant
tauri; Vomere terras invertere. esempio sopra RIVERSATO.Add. da Riversare. BOCCACCIO
(si veda) nov.14,10. Che riversata, per forza Landolfo andò sotto l'onde.
ALIGHIERI, Inf.: Noi passamm'oltre là'velagelata Ruvida mente un'altra gente
fascia, Non volta in giù, ma tutta riversata. RIVESCIARE. S1. Permetaf. Guid. G.
Il campo dunque è rivesciato; Iasone ardito, e tosiano al dragone si dirizza.
OSSERVAZIONE Nell'. Per lunga riposanza in laoghi scuri, e freddi, e con
affreddare lo corpo dell'occhio con acqua chiara, rivinsi la virtù disgregata,
che tornai nel primo buono stato della vista. Sust, verbal. Il rivincere. Lat .
Recuperatio. Introd. Virt. Della rivinta delle terre di quà da mare, che fa la
fede cristiana. Osservazione — Non avendo noi il positivo Vivare, il composto
Rivivare o è scorretta lezione in luogo di Ravvivare, o è voce pessimamente
creata e indegna di starsi nella famiglia delle buone. E che bisogno n'ha ella
la nostra lingua possedendo già Ravvivare? Almeno la Crusca l'avesse data per
v. A. RIVOCARE. Richiamare, Far ritornare. s Per Mutare, Slornare, e Annullare
il falto. AGGIUNTA, Rivocare in forse per Mettere in dubbio. Car. ENEIDE VIII, 620.
E ti con questi preghi cessa di rivocar la possa inforse cel tuo volere.VIRGILIO.
Ib.v.403. Absiste precando Viribus indubitare tuis. m OSSERVAZIONE Se gl’accademici
avessero fatta magogiore attenzione agli esempi che ponevano sotto il verbo “rivincere”,
si sarebbero accorti che nell'ano e nell'altro propriamente esso valeRicuperare,2
non già Vinceredi nuovo, in lat. Denuo vincere. Quindi non sarebbero an dati
nella contraddizione di spiegare il sostantivo verbale Rivinta, e l'esempio che
gli corrisponde, col latino Recuperatio, dandogli origine dal verbo Rivincere
(in lat. recuperare) in un senso dal Vocabolario non accettato. Milano,
Ibrjglii e Segati: Torino, E. Loesclier: Paris, A. Fontennoing).
L'opuscolo che qui ripresento agli studiosi ha suscitato dappertutto
discussioni vivaci, ed era naturale che le suscitasse. Era naturale,
infatti, che molti facessero discendere la questione in un terreno scabro
ed irto di passioni; e pur gli altri, avvezzi per abito della mente e per
austera severità di propositi, a non mirare se non alle ragioni
obbiettive, era naturale che molto s' interessassero dell' argomento,
vedendo qui posti quesiti altissimi non di storia soltanto, ma altresì di
psicologia popolare, e tentatane, come meglio si è potuto, la soluzione.
Ora, dopo si lungo dibatter di ragioni avversarie, è tempo che riprenda
la parola io. La mia tesi si fonda sopra alcune contingenze di
fatti, la cui evidenza non può sfuggire ad un esame impregiudicato. Si
riassumano, di grazia, le ragioni delle due parti tra le quali pende 1'
accusa dell' incendio di Roma. Se da una parte troviamo un uomo,
scelleratissimo quanto si vuole, dall'altra troviamo una comunità
segreta, della quale alcuni membri sono dediti al delitto per testimonianza
degli scrittori pagani, Questa prefazione fu pubblicata dinanzi alla
seconda edizione (Torino 1900), e dinanzi alla edizione francese (Paris). L’incendio
di roma e I PRIMI CRISTIANI e dagli stessi apostoli son dichiarati
indegni di predicare Cristo. Ma quell' uomo quando seppe che la sua casa
bruciava, torna a ROMA, tenta arrestare le fiamm e, si mescolò in
mezzo al popolo, girò di qua e di là senza guardie prese tutti i provvedimenti consigliati
dalla immanità del disastro ; e, mentr'ei cercava porre riparo, scoppiò
novello incendio; degli altri si sa che di tanto in tanto prorompevano
alla rivolta, che predicavano la conflagrazione del mondo, cui doveva
seguire il regno della giustizia; che tal regno essi aspettavano dopo quello
dell'Anticristo, che per essi l'Anti-Cristo è NERONE, che credevano, durante la
loro vita, essere riserbati al nuovo regno di luce e di bene; che a
ROMA augurarono ancora, pel corso di lunghi secoli, distruzione e
sterminio, che dopo la rovina della potenza romana aspettavano il loro
trionfo; qual meraviglia che tutto questo complesso di aspettazioni
e speranze abbia eccitato le menti incolte e fanatiche degli schiavi
miserrimi e li abbia spinti all' atto forsennato? Si aggiunga a tutto questo,
che gli arrestati furon confessi, secondochè mi pare avere ora
novellamente dimostrato. In ogni movimento di rivendicazione sociale che si
determina nelle masse, vediamo tosto scindersi due partiti: quello dei
più esaltati, pronti all' azione immediata, e quello delle menti
più calme, che mal giungono a tenere a freno i primi. Quei generosi
che, scorti dal raggio della loro fede, vennero a dare alle plebi la
coscienza dei diritti umani, mal poterono con tutti i loro consigli di
temperanza, reprimerne le turbolenze impetuose. Qual nuova concezione
sarebbe mai questa, che la plebe romana, la cui vita, da secoli, era
stata tutto un seguito di convulsioni e di fremiti, di sedizioni e rivolte,
proprio all' epoca di NERONE fosse diventata di tanti agnellini,
quando più ributtante era lo spettacolo delle umane ineguaglianze, e più
turbinavano nel suo seno le nuove correnti rivendicatrici! Tutt' altro!
Anche in quella moltitudine erano i falsi dottori, dei quali parla la
cosiddetta Secunda Petri, i quali promettendo agli altri la libertà erano
però essi stessi servi della corruzione, i quali dopo esser fuggiti dalle
contaminazioni del mondo per la conoscenza di Gesù., si erano di nuovo in
quelle avviluppati; e, secondo le brutali immagini che ivi troviamo,
erano come cani tornati al vomito loro, come porche lavate che di nuovo
si voltolano nel fango. Quando certi stati di aspettazione angosciosa si determinano
nelle masse, basta una scintilla per spingerle ad eccessi inopinati.
L'aununzio della distruzione ignea decretata da Dio per la loro
generazione, la credenza che il regno di Dio non verrebbe, se non fosse
distrutta la romana potenza, fu la scintilla delle fiamme che divamparono
sterminatrici. Essi credevano compire la volontà divina, essere gli
esecutori della divina vendetta. Vano è parlare qui di significati
allegorici. Quando pur si potesse provare che le allegorie che or si
vogliono vedere sotto l' idea del fuoco, si scorgessero pure dai primi
proseliti, e come tali si spiegassero (il che non è affatto), tutto
ciò sarebbe vano lo stesso. Il popolo interpreta le parole nel loro senso
materiale, e quando sente fuoco, intende fuoco e nuli' altro. Un'
obbiezione, a prima giunta grave, mi fu fatta da un chiaro critico: come
mai ninno degli scrittori, anche pagani, accusa di tale scempio i
cristiani ? Pure, la ragione di ciò credo poterla indicare. Il nodo
della questione credo che stia in ciò, che gii esecutori materiali furono
veramente i servi di NERONE, e che questi interrogati perchè scagliassero
le faci, dicevano di agire per istigazione altrui. La credenza nella
colpevolezza di NERONE si radicò quindi nelle coscienze, ed ancor più
crebbe dopo la morte di lui. Suole infatti avvenire che a quelli che si
rendono tristamente famosi per le turpitudini loro, tutte il popolo attribuisca
le altre scelleraggini, delle quali suoni incerta e dubbiosa la fama. E
l' accusa o il sospetto dovè nascere nel popolo per naturale reazione di pietà
verso i condannati, qualche tempo dopo il disastro e il processo; che
altrimenti non si spiegherebbe come Nerone non fosse stato ucciso dall' ira
popolare, quando si mescolò senza guardie in mezzo al popolo. E
dovè afforzarsi, quando Nerone o gli adulatori suoi espressero l'
intenzione di chiamar dal suo nome la rifatta città: che allora
l'ambizione parve al popolo sufficiente motivo, a spiegar lo sterminio. E
poiché NERONE dall'incendio di ROMA, che egli aveva visto, prese poi r
ispirazione per iscrivere il carme sulla rovina di Troia, carme che forse
cantò sul teatro della rinnovata sua casa, nacque più tardi in mezzo al popolo,
la fama che egli avesse cantato sulle rovine della patria. Del
resto, che vi fossero scrittori che esplicitamente accusassero i cristiani, non
credo sia da revocare in dubbio. Tacito stesso, direttamente o indirettamente,
deve averne usufruito qualcuno, come mi pare possa dimostrarsi. Perchè
tali scrittori non sieno stati conservati, è vano chiedere. Durò per
secoli la distruzione sistematica di tutto ciò che fosse avverso al
Cristianesimo. Gli scritti contro la nuova religione sono periti; le
accuse che al Cristianesimo si facevano, le conosciamo, salvo pochi
accenni qua e là, solo per bocca dei difensori. Or questi scritti
apologetici sono di alcuni secoli posteriori a Nerone e ciascuno di
essi parla delle dottrine e dei costumi dei cristiani del tempo suo;
non potremmo dunque aspettarci di trovare in essi alcun tentativo di difesa
contro un' accusa che ninno più muoveva, essendo ormai invalsa
anche tra i pagani 1' opinione che accusava Nerone. Ma se del fatto
determinato, e cioè dell' incendio Neroniano non si fa più parola, si fa
per contro parola molto spesso delle tendenze rivoluzionarie e
distruggitrici. Tali tendenze erano forse una di quelle scelleraggini
inerenti alla setta (flagitia cohaerentìa nomini), alle quali accenna PLINIO
(si veda), a proposito dei cristiani di Bitinia. L'accusatore dei
cristiani nell’Octavius di Minucio Felice narra che essi, raccolta
dalla peggior feccia i più ignoranti e le credule femminette, naturalmente
deboli per la debolezza del loro sesso, istituiscono una plebe di
sacrilega congiura; e più giù che essi alla terra e perfino all'universo
e alle stelle minacciano incendio (e cioè la conflagrazione cosmica), e
macchinano rovina. Ottavio ne li difende, e la sua difesa è pur
molto istruttiva per noi. E, secondo lui, un volgare errore il
credere che non possa venire improvviso l' incendio punitore; i saggi
stessi dell'antichità, egli dice, e i poeti han parlato della
conflagrazione cosmica, del fiume di fuoco e della Stigia palude, a
punizione dei perversi. Ma niuno, ei soggiunge che non sia
sacrilego, delibera che sieno puniti con tali tormenti, per quanto
meritati, coloro che non riconoscono Dio, come gli empii e gì' ingiusti.
Ahimè, mite filosofo antico, la storia posteriore ti ha dato torto! Non
è questa una risposta alle accuse e ai timori, che si nutrivano a
riguardo dei cristiani ? Se dunque dell' accusa particolare, quella riguardante
l' incendio neroniano, non si fa più motito, per le ragioni sopradette,
non si può dire che- ogni eco dell' accusa generica sia spenta per
sempre. Altra obbiezione mi fu fatta, circa il criterio informatore
di queste ricerche. Voi, mi si è detto, state al giudizio degli scrittori
pagani, per quanto riguarda la moralità dei primi cristiani. Ora per
lunghi secoli continuarono le accuse contro i cristiani, e furono
fra le più atroci e terribili. Gl’apologisti cristiani opposere ad esse
recise smentite. Perchè non si deve credere che sieno calunnie pur le accuse
scagliate contro i cristiani dei primi tempi? Senouchè, a proposito
di queste ultime, le accuse non partono solo da scrittori pagani, ma altresì da
cristiani, in passi dei quali r interpretazione non può esser dubbia. Ma
tal giudizio non riguarda tutta intera la comunità. Ohi nega che in
questa fossero spiriti superiori, ardenti dell' amore divino del bene ? Ma le
novità, e novità tali, quali eran quelle che nelF ordine sociale
annunziava il Cristianesimo, sogliono attrarre gli spiriti più
turbolenti, e più esaltati, cui non par vero di coprire con la nobiltà di
un vessillo la licenza degli atti proprii. E, se guardiani bene, pure
tutte quelle orrende accuse fatte in seguito ai cristiani, i riti dell'
uccisione del fanciullo, della Venere promiscua dopo la cena ed
altri simili, hanno tale spiegazione. Anche gli scrittori cattolici
riconoscono che tali calunnie si debbano a tutte quelle sette di
Carpocraziani, Nicolaiti, Gnostici, che tali orrendi riti praticavano, e
si arrogavano il nome di cristiani. Che la chiesa abbia potuto respingere
dal proprio seno questi sciagurati, e si sia andata man mano epurando, torna
certo ad alta sua gloria. Ma ciò stesso ne induce ad andar molto
cauti, quando vogliam negare a priori che nei primi tempi Si è
sostenuto da alcuni che la critica moderna riferisca a quistioui di dogma e di
gerarcliia i noti passi di Paolo, nei quali esorta i Cristiani di Roma
all' obbedienza e alla mansuetudine; e si è citato in proposito Renan. Ma Renan dice di quei passi (Saint Pani). Il semble qu'à l'epoque
où il écrivait cette épitre aux Romains diverses eglises, surtout
l'Église de Rome comptaient dans leur sein soit des disciples de Juda le
Gaulonite, qui niaient la légitimité de l'impot et préchaient la róvolte contre
l'autorité romaine, soit des ébionites qui opposaient absolument i'un à
l'autre le régne de Satan et le régne du Messie, et identificient le monde
présent avec l'empire du Démon {Epiph. haer., XXX, 16; Honiél.
pseudo-clém.). ldella
chiesa potesse esservi ima moltitudine di facinorosi, pronti ad interpretare a
lor modo le nuove dottrine e a trascendere ad ogni eccesso. E la
lettera di PLINIO si osserva, non è testimonio dell' innocenza cristiana?
Migriamo pure, se cosi vuoisi, da Roma in Bitiuia, dai tempi di NERONE
a quelli di Traiano. La lettera domanda all' imperatore se debba punirsi la
setta come tale o i delitti ad essa connessi, e riferisce che degli
interrogati alcuni dichiararono repiicatamente esser cristiani, e, senza
voler sapere che cosa ciò significasse, PLINIO, per la loro ostinazione,
li mandò al supplizio; altri negavano essere stati mai cristiani; altri
affermarono essere, e poi il negarono, dicendo essere stati, or più non
esserlo; tutti questi maledicevano Cristo, e veneravano l' immagine dell'
imperatore. Pur nel tempo in cui erano cristiani asserivano altro non
aver fatto se non raccogliersi, venerare Cristo come se fosse un Dio,
ed obbligarsi con giuramento non a commettere delitti, ma anzi a
non commetterne. Due ancelle messe ai tormenti, non rivelarono se non una
superstitio prava, ìmmodica. Se questi infelici erano così invasi
dalla paura, da indursi a sconfessare la loro fede e maledire Cristo, si
potrebbe mai aspettare da essi che rivelassero alcuna cosa che potesse
danneggiarli? Ma sieno stati pure innocentissimi i Cristiani di
Bitinia al tempo di Traiano; che cosa prova ciò per alcune fazioni
dei cristiani di Roma al tempo di Nerone? Questo credemmo opportuno
avvertire, circa le ragioni generali e di metodo. Alle osservazioni sui
singoli punti si risponderà nelle note o anche nel testo. Non era
possibile confutare partitamente ciascuno degli scritti venuti in luce. Quest'
opuscolo sarebbe diventato un volume, con poco frutto dei lettori e degli
studii. Ne del resto era decente sottoporre alla considerazione dei lettori,
scritti, nella maggior parte dei quali la forma irosa mal si dibatte fra
le scabrosità della materia, e dalle ambagi del ragionamento guizza
ed erompe il vituperio. I fatti e le ragioni apportate io ho tenuto in
conto; dei vituperii non mi curo, né di essi conservo rancore. Mi
conforta il consentimento pressoché unanime a me venuto da coloro che
rappresentano il più bel vanto degli studii italiani. In mezzo alle loro
voci o alle voci di quelli che, pur discordi, seppero tener la misura, suonò un
coro stridulo di voci insolenti. Persone rese fanatiche da
religioso ardore si scagliarono contro di me, a contaminare la
purità delle intenzioui mie. In tale impresa l' ignoranza e la malafede fecero
l'estrema lor possa. Io non perderò la calma per le intemperanze altrui.
Quel medesimo coro ha accompagnato sempre ogni opera di verità e di luce.
Mentre la procella batteva alla mia porta, io ripensavo mestamente che
cosa mai potesse suscitare in tanti animi impeti cosi vivaci contro
di me. Era là, in quei cuori angosciati, tutto lo schianto come di
una cara visione che si dilegui, come di una zona luminosa sulla quale
inopinatamente si effondano tenebre. Povere anime desolate, ebbre di
radiose speranze, io non ho offeso la vostra fede. Potreste voi mai
sostenere che, pur quando gran parte del mondo fu conquistata alla luce e
all'amore della vostra idea, il fanatismo e l'errore sieno tosto
dispariti dalla terra, e cieche cupidigie e biechi livori non abbiano
ancora agitato gli spiriti? Perchè dovrebbe dunque ripugnare alla
vostra fede, l'ammettere che ciò sia avvenuto pure agl'inizii della nuova
era umana, in mezzo a gente nei cui animi era 1' eredità di secolari
rancori ? Il primo quesito che si presenti alla mente di chi esamini
i racconti degli storici snll' incendio neroniano, è questo: l'incendio fu
ordinato da Nerone? Degli scrittori più antichi lo affermano Suetonio e
Dione Cassio, i quali ci hanno pure esposto le ragioni di tal loro
convinzione: sicché la notizia da essi data ha solo valore in quanto
possano averlo tali ragioni: di che tosto vedremo. Tacito si avvale di
fonti diverse, né sembra aver fatto studio per rendere coerente il
racconto suo; sicché prendendo or dall'uno autore or dall'altro, riesce ad
indurre nel lettore ora 1' una convinzione or l'altra. Si mostra in principio
esitante tra due autorità di fonti: quelle che attribuivano il
disastro al caso e quelle che lo attribuivano a Nerone; ma Si potrebbe obbiettare che uno
storico può narrar cosa vera, ma poi sbagliare nell' assegnare lo cause.
E ciò è appunto quello che penso io, e che dichiaro pure più sotto; le
particolarità dell'incendio, narrate dagli storici non sono certo
inventate da essi, e sono, secondo ogni legittima presunzione, vere; la
causa dell'incendio, cioè l'ordine di Nerone, dobbiamo giudicarla
alla stregua delle ragioni che essi apportano di tal loro
convinzione. Giacche 1' attribuire l' incendio o al caso o all' ordine
dell' uno dell'altro, è convinzione o apprezzamento, non è fatto.
Lo afierma anche PLINIO (si veda) il Veccbio; e il suo accenno. N. II.: ad
Neronis principis incendia, quihus cremava Urbem), prova che pochi anni dopo
l'incendio, l'opinione era già invalsa. Verisimilmente la medesima
convinzione espri ll' ipotesi del caso doveva cadere per lui, che
poco dopo narra come certo il fatto che nessuno osò opporsi alla
violenza del fuoco, poiché uomini minacciosi vietavano di estinguere le
fiamme, anzi le ravvivavano, dicendo di agire per consiglio altrui. E
bensì vero che Tacito aggiunge essere incerto se ciò facessero, per
potere senza freno abbandonarsi alle rapine o per vero comando: ma è
evidente che la prima ragione non regge. Giacché se essi giungevano a
imporsi tanto con le minacele da impedire ogni tentativo di estinzione,
potevano pure senz' altro esercitare liberamente il saccheggio. E
del resto il ripetersi della cosa, con i medesimi particolari, per tutta
Roma, non significa 1' obbedienza ad una parola d' ordine? Questa esclude
il caso. E lo esclude pure il fatto che, tosto allo spegnersi del
primo, si riaccese un secondo incendio, che proruppe dagli meva PLINIO
nelie Storie civili che furono fonte a Tacito. La narrazione di Sulpicio
Severo (II, 29) è presa interamente da Tacito, di cui riproduce molte
frasi. Quella di Orosio è derivata, con qualche esagerazione di notizia, da
Suetonio. L'iscrizione in C. I. L., VI, 826 ha qvando vrbs per
novem DIES — ARSIT NERONIANIS TKMPORIBVS. Importanti
monumenti sono pure le are site in ciascuna regione della città, sulle
quali nei tempi successivi si celebravano il 23 Agosto i sagritìzi incendiorum
arcendorum causa; alcune di tali are sono conservate; cfr. Lanciani,
Bull. com.; Hùlsen, Rom. Mitt.; Richter,
Top.j- Una minaccia d' incendio è attribuita a Nerone dall' autore dell'
Ottavia, v. 882, Stazio nella Silva dedicata alla vedova di Lucano ha
infandos domini nocentis ignes. In tutta la letteratura di opposizione a
Nerone l'accusa dovè essere accolta con fervore. Alcune di versità di
particolari dalla narrazione tacitiana sono nella corrispondenza apocrifa di
Seneca e S. Paolo (v. Ramorino, Vox Urbis). Tra i moderni, oltre Aubè,
Schiller ed altri, lo Herstlet negò con buone ragioni, l'attribuzione a Nerone
(Treppenwitz der Weltg.). Molti l'attribuiscono al caso (ad es. AUard,
Marucchi). I particolari dell' incendio sono contrari a tale ipotesi: per
ammetterla, bisognerebbe ritenere falsi tutti i particolari narrati dagli
antichi. orti di Tigellino e devastò un' altra parte della città.
Del resto Tacito sembra nou aver ridotto ad unità di pensiero questa
parte dell' opera sua: e aver piuttosto abbozzato appunti da fonti
discordi: vedremo infatti essere molto probabile che una delle sue fonti
accusasse esplicitamente i cristiani. Suetonio accusa Nerone. E l'accusa egli
fonda sopra tre fatti. In un banchetto, avrebbe un convitato detto
in greco: quando io sia morto, si mescoli la terra col fuoco, e
Nerone avrebbe soggiunto; auzi quando io sia vivo; di più, parecchi
consolari sorpresero nei loro possedimenti i servi imperiali, con stoppa
e faci; e per paura, neppur li molestarono; infine Nerone, de
'-> Altro indizio che Tacito non abbia riassunto in una concezione
unica il fatto storico, ma abbia solo unito notizie discordi da fonti diverse,
si trae anche da questo. Ei riferisce la voce che Nerone al tempo del
disastro cantasse l'incendio di Troia sul teatro domestico. Ma qual
teatro? Quando ei 'tornò da Anzio il palazzo imperiale bruciava ! Altra
contraddizione. Debbo notare a tal proposito come a me abbia prodotto ingrata
meraviglia, che del mio giudizio su Tacito altri abbia menato scalpore,
come di giudizio a bella posta indotto per iscemare l'autorità di lui ed
infirmarne la fede. Dopo tanti studii perseguiti da tanti anni, sul
materiale storico di Tacito, sul suo fosco vedere, sulle sinistre
interpretazioni sue, sulla sua costante avversione per alcuni personaggi,
si avrebbe il diritto di pretendere che tanta mole di lavoro non fosse
stata fatta invano. Il Fabia, Le sources de Tacite, osserva, contro
L. Von Ranke, che Tacito si astiene dall' accusare o dall' assolvere
Nerone, adoperando frasi come pervaserat rumor, videbatur, crederetnr. Ma
a me paiono giuste le seguenti considerazioni del Von Ranke,
Weltgeschichte, Leipzig: Es ware nun unsinnig zu denken, dass Nero, der
sich bei dern Brande wurdig betragen batte, jetzt, um eia durchaus
falsches Geriicht niederzuschlagen, zur Verfolgung \inschuldiger Lente
geschritten wàre. Man kann nicht anders als annehmen dass diese
Stelle aus des zweiten Nero anklagenden Ueberlieferung stammt.
Die Nichtswiirdigkeit des Kaisers liegt eben darin, dass er den
Brand selbst angelegt hat und auf anderen die Schuid schiebt. So die
zwejte Ueberlieferung.] siderando sul Palatino l'area di alcuni granai
costruiti con pietra, li fece prima abbattere e poi fece ad essi
appiccare il fuoco. Anche Cassio Dione è esplicito, e (juasi a riprova
della sua accusa apporta due fatti: die cioè Nerone aveva fatto voto di
vedere la distruzione di Roma e che egli chiamò felice Priamo, perchè
aveva visto perire la patria sua. [Or veramente, se questi sono i
fondamenti della secolare accusa, lo storico spassionato dovrà
rimanere ben perplesso prima di confermarla. Certo fu uomo di si
efferate nefandezze Nerone, che non è a temere gli si gravi troppo la
soma dei delitti con un altro misfatto; pure, giudicando senza
prevenzioni, è facile scorgere quanta sia la vacuità delle ragioni che
gli antichi apportano per incolparlo anche di questo. Quanto ai
servi di lui, sorpresi ad incendiare, il fatto ha ogni verosimiglianza,
ma ha ben altra spiegazione, come si dirà in seguito. Quanto ai granai
del Palatino, è naturale che, quando tutto intorno era distrutto, visti
superstiti quegl' informi ruderi, ei li facesse abbattere e incendiare, volendo
liberare l' area per la futura sontuosa sua casa. Quanto all'
aneddoto, raccontato da Dione Cassio, eh' egli avesse fatto voto di
veder distrutta la città, esso è infirmato dal fatto che, .saputo appena
che il fuoco s' approssimava al pa- [Questo passo di Suetonio (Ner.) ha
fatto uscire di careggiata non pochi. L'abbattimento e l'incendio dei
granai Suetonio lo apporta, perchè serve a dimostrare, secondo lui,
che Nerone non fece mistero dell' ordine d' incendiare {incendit
urbem tam palam ut bellicis machinis lahefactata atqiie
infiammata sint, ecc.). E chiaro che 1' argomentazione non è valida. Se
Nerone dette senza mistero 1' ordine di abbattere quei granai, dovè
dunque darlo quando tornò da Anzio; e allora tutto intorno era già
divorato dalle fiamme.] lazzo imperiale, egli rientrò in Roma, eppure non
si potè impedire (dice Tacito) che il Palatino e la reggia e tutti
i luoghi intorno fossero preda alle fiamme. Rimangono altri due aneddoti, e
quello di Priamo e quello del banchetto. E non è improbabile che
Nerone paragonasse sé stesso a Priamo, cui toccò di veder distrutta
la patria sua, e si chiamasse, ammettiamo pure, fortunato di veder cosa
unica al mondo: ma ciò non si può apportare qual prova a confermare
che l'ordine partisse da lui. Ne tale deduzione si può trarre dai motti
di spirito, che secondo Suetonio riferisce, avrebbe egli scambiato con un suo
convitato in un banchetto. Che anzi, chi ben guardi, l'interpretazione di
qu3Ì motti è ben altra. Giacché se il convitato disse: Ivj.oò Savóvro?
Y^ia at/Gr^uo ttd.oi egli voleva evidentemente significare: purché io sia morto, si mescoli la
terra col fuoco, e cioè, a un dipresso: purché io non abbia più a
correrne pericolo, caschi pure il mondo!
Ed è naturale quindi che Nerone rispondesse: anzi, purché io continui a vivere (immo inquit, i'j.o'j Cwvioc). Ci siamo
indugiati in siffatti particolari aneddotici, non per conchiudere da essi
soli, che fu ingiusta l'accusa, ma solo per affermare che non ci è
dato indagare la verità da siffatte fonti. Questi scrittori hanno poco
discernimento critico. Quando raccolgono fatti, ci offrono materiale
prezioso: quando li interpretano e ne tra^ggono deduzioni, scoprono tutto
il debole dell'arte loro. Noi dunque dobbiamo battere altra via. Dobbiamo
esaminare le par- [Ed era la casa sontuosa, eh' egli stesso aveva fatto
smisuratamente ingrandire, sicché comprendeva ormai tutta l'area dal
Palatino all'Esquilino. Il nome di Domus Transitoria (Suet. Nei') trasse
in uno strano errore il Renan, il quale credette vedere in quello
l'intenzione di Nerone di far, poi, una casa definitiva. Ma transitoria
significa solo che quella casa metteva in comunicazione, come dice Tacito
{Ann.) il Palatium con gli orti di Mecenate ! Pascal] ticolarità
tutte del disastro ìq relazione al carattere ed ai fatti di Nerone.
Dobbiamo vedere quale poteva essere per lui il movente ad emanare
l'ordine sciagurato, quali i mezzi per attuare l' immane disegno. La
capacità a delinquere di Nerone è fuori di ogni discussione; e veramente,
se solo ad essa noi dovessimo aver ricorso, la questione non sussisterebbe
più. Ma vi ha tempre e caratteri diversi di delinquenza: alcuni
sono nati alle audacie più forsennate, alle più temerarie scelleraggini:
altri praticano il delitto per coperte insidie e per nascosti raggiri.
Nerone, quale cÀ risulta da tutti gli atti della sua vita, fu insidioso e
vile; sospettoso di tutto e di tutti, sempre premuroso d' ingraziarsi il
popolo con feste e largizioni; assalito alcuna volta da crisi convulse, e
trepidante per divina vendetta, superstizioso come un fanciullo. Quando
scoppiò l' incendio, egli era ad Anzio. Scoppiò per ordine suo? Ma allora
il suo tristo segreto fu affidato non ad uno o due dei più intimi,
ma a centinaia, forse a migliaia di servi e pretoriani!" Giacché per
tutta Roma furono dissemi- [Mi si è mosso rimprovero che tali
particolarità io desuma da quegli stessi scrittori, dei quali ho cercato
infirmare la fede. Ma le dichiarazioni che qui precedono sono esplicite; i fatti non sono certo inventati dagli
scrittori: le deduzioni che essi ne traggono sono erronee. In tutte
le scelleratezze di Nerone si vede manifesto lo studio di coprire nel
segreto dei pochi fidati il misfatto. Il mandare l'ordine da Anzio a Roma a
centinaia di servi e soldati, e il tornare poi in mezzo al popolo,
suppone un coraggio che non possiamo davvero attribuirgli. Né è dato supporre
che Nerone abbia confidato l'ordine solo a qualche intimo. Questi non
avrebbe potuto fare se non trasmettere gli ordini imperiali; e Nerone capiva
che 1' ordine sarebbe stato quindi annunziato ai servi o soldati solo
come ordine suo. lnati coloro che impedivano ogni tentativo di estinzione,
ed erano come riferisce Dione Cassio, anche vigili e soldati che
ravvivavano il fuoco. E si supponga pure che costoro nell' ebbrezza forsennata
di quelle notti infernali, obbedissero, senza esitanza, ad un
ordine che si diceva lor mandato dall' imperatore lontano: ma quando poi
l'imperatore tornò, e tentò arrestare le fiamme, (Tac. Ann.), a chi
obbedivano coloro che dagli orti di Tigellino fecero prorompere novello
incendio? E, se avesse dato l' ordine, sarebbe tornato Nerone? Un ordine,
diffuso fra tanti servi e soldati, non poteva rimanere un segreto per il
popolo: avrebbe Si potrebbe osservare: Perchè dovevano essere centinaia ?
Non bastavano forse anche pochi per appiccare l'incendio, se questo cominciò
dalle bofteghe ripiene di merci accensibili, e fu alimentato dal vento?
Sennonché supposto pure che pochi abbiano appiccato l' incendio, moltissimi
dovevano pure essere quelli che ordirono il complotto. Ed infatti per
tutta Roma erano sparsi coloro che impedivano ogni tentativo di
estinzione. Questi dovevano essere a parte del segreto, e per essere
sparsi in tutta Roma dovevano essere moltissimi. La qual notizia della
impedita estinzione non può essere revocata in dubbio.- Se non v'era
forte mano organizzata ad impedire 1' estinzione, molto prima dei nove
giorni si sarebbero sedate le fiamme. Non potevano certo obbedire a
Nerone, poiché da lui ricevevano ormai l'ordine di arrestare le fiamme, non di
riaccenderle. Si è sospettato potesse essere una finzione di Nerone il
tentativo di arrestare le fiamme. Ma ad ogni modo questa finzione non poteva
avere efletto se non con opere di estinzione. E non è consentaneo al
carattere di Nerone che egli in mezzo alla disperazione del popolo si
fosse esposto al pericolo di rinnovare l'ordine incendiario. E Tigellino non
avrebbe fatto incominciare dalla casa sua, lasciando intatto il
Trastevere. Si può pensare: col non tornare, avrebbe accresciuto i
sospetti. Ma questi apprezzamenti e calcoli di mente fredda disdicono al
carattere di Nerone. Si esamini, di grazia, il suo contegno dopo 1'
uccisione della madre (Tac. Ann.). E cosi quando gli fu annunziata la defezione
degli eserciti, non osò presentarsi in pubblico, temendo esser fatto a
brani (Suet. Ner.). egli affrontato la plebe, pazza d' ira e di
terrore? E perchè l' avrebbe dato, quest' ordine ? Perchè, si risponde, non
soffriva le vie tortuose e irregolari, con le loro pestifere esalazioni,
e voleva il vanto d'essere chiamato fondatore di Roma; ojDpure, perchè
voleva godere lo spettacolo delle fiamme e cantare l'incendio. Ed
altri ancora risponde: dette l' ordine in un accesso di pazzia.
Or veramente, quanto alle vie tortuose e strette, la ragione non
regge. L' incendio fu appiccato a tutte le regioni più nobili e suntuose
di Roma; perirono i templi vetusti, i bagni, le passeggiate, i luoghi di
delizia, le case più ricche. Le regioni dei poveri, rot>curo
Trastevere, il centro della comunità giudaica e cristiana, furono rispettati.
Eppure anche nel Trastevere aveva Nerone i suoi orti Domiziani e il suo
circo, che poteva desiderare di vedere sgombri dalle casupole e dalle
viuzze che li circondavano. Voleva godere lo spettacolo delle fiamme? Ma
si sarebbe subito mosso da Anzio; il ritardo poteva togliergli l'occasione di
goderlo! Rimane dunque che egli avesse ordinato l' incendio in un accesso
di pazzia. Ma quando egli tornò a Roma, e, come riferisce Tacito {Ann.
XV, 39\ cercò di opporsi al fuoco, ed aprì per ristoro al popolo il campo
di Marte, i portici e le terme di Agrippa, Che Nerone sin dalla prima
notte del suo ritorno si aggirasse senza guardie per la città, è afìermato da
Tacito stesso, quando narra che Subrio Flavio aveva già prima della
congiura Pisoniana fatto il disegno di uccidere Nerone cum ardente
domo per noctem huc Ulne cursaret incustoditus! (Ann.) '' Non poteva
regolare, si può dire, la direzione delle fiamme. Ma certamente, se il suo
scopo era quello di togliere le viuzze stretto e le case luride non
sarebbe ricorso alle fiamme. Bastava che il suo disegno d' abbellire Roma
egli enunciasse, per essere esaltato da tutto il popolo, e avere il
concorso di tutti i cittadini. E quando anche alle fiamme avesse voluto
ricorrere, avrebbe cominciato dai quartieri luridi, non da quelli nobili
e sontuosi.] gli orti suoi, e fece costrnire provvisorie capanne, e
diminuì il prezzo del frumento, era certamente nel possesso delle facoltà
sue: e allora chi rinnovò l' incendio negli orti di Tigellino? Ed ancora, si ponga mente ad altre
osservazioni. Nerone voleva salvare la casa sua, ed infatti vi si adoperò,
tornato a Roma: avrebbe egli ordinato che si cominciasse ad
appiccare il fuoco proprio a quella parte del circo. che era contigua al
Palatino? Nerone amava credersi e farsi credere artista fine e di greco gusto.
Non avrebbe egli fatto mettere al sicuro le più belle opere di
scultura, i monumenti dei più chiari ingegni, i capilavori dell'arte greca?
Anche questi perirono tutti, e Nerone mandò gli emissarii suoi, per
l'Asia e per la Grecia, a depredarne dei nuovi. Quanto più si consideri
l'accusa fatta a Nerone, tanto più essa risulta incoerente e contradditoria.
Ma dunque, chi ordinò l'incendio? Quali furono gì' incendiarii? Quale
scopo ebbero? Chi incolpò i Cristiani? E quali erano i Cristiani
allora? Dobbiamo, per l' esposizione nostra, cominciare dall'ultimo
quesito, e poi a mano a mano, attraverso gli altri, giungere sino al
primo. Sulla prima comunità cristiana in Roma abbiamo E
opportuno pnre notare che J racconto riguardante Nerone, che sulle rovine
ii Roma canta i' incendio di Troia è ritenuto, per buone ragioni, una
leggenda. Y. Renan, JJ Aniichrist che prese probabilmente i suoi
argomenti dalla nota del Fabricio a Cassio Dione. Non vale il dire:
ricevuto il comando, non si badò più a nulla. Sta pur sempre, che se il
primo incendio cominciò dalla casa di Nerone, e il secondo dalla casa di
Tigellino, le fiaiume forono appiccate da nomini che erano nemici di tatto
l'ordine sociale, che era rappresentato da quei di; e. scarsissimi
documenti: pure ci viene da essi qualche lume. Chi immagina i Cristiani
al tempo di Nerone, e anche prima, tutti intenti a bizantineggiare su
questioni di dogma, non può spiegare l' aggregarsi di sempre nuovi
proseliti alla parola evangelica. Se Tacito dice che i cristiani erano
allora una immensa moltitudine,
ninna ragione v' ha per iscemare il valore a siffatta testimonianza. Ora
una immensa moltitudine non si poteva commuovere per controversie
riguardanti solo il, dogma giudaico. Ci vuole altro per muovere le turbe.
Se soltanto tali quesiti avessero formato oggetto della predicazione
evangelica, i gentili avrebbero probabilmente risposto come il proconsole
Corinzio rispose ai Giudei che accusavano Paolo: sono questioni di parole: pensateci voi.
Il cristianesimo dovè invece assumere ben presto in Roma un contenuto
sociale ed economico. Quel che importava era il complesso delle
aspirazioni e delle rivendicazioni messianiche, era la parola dolce,
che per prima affermava 1' eguaglianza umana, e prometteva lo sterminio
degli empii, e prossimo il regno della giustizia. Ora questa sete ardente
di rivendicazioni umane era comune tanto al giudaismo quanto al
cristianesimo. La differenza era in ciò, che per il cristianesimo il Messia era
già venuto, ma doveva tosto tornare a disperdere le potenze maleJBche
sulla terra; il giudaismo non sapeva accomodarsi all'idea di un
Messia, che non avesse levato sugli empi la sua spada di fuoco, e
assicurato la supremazia al suo popolo La testimonianza di Tacito è
i-insaldata da quella di Clem. Rom. Ad, Cor., I, 6 (nokò t:).YjOoc;), e
da quella dell' ^joocalisse, VII, 9 {o/'koc, t:oXù<;) e da quella di S.
Paolo che ai Filippesi dice, parlando dei cristiani di Roma: Molti dei miei fratelli nel Signore. Contro
siffatte testimonianze non v'è una sola prova di fatto. Nulla trovo in
proposito nel lavoro dell' Harnach, GescJdchte der Verbreitung des
Christenthuvis, in Sitzunysb. d. Akad. d. Wiss. zu Berlin. leletto
e feimato l' impero nella divina Gerusalemme, bella d'oro, di cipresso e
di cedro. Ma in sostanza r una aspettazione e l' altra di un prossimo rinnovamento
umano aveva un contenuto sociale; e a guardar l'una e l'altra dal di
fuori, era facile confonderle. Quindi è che Giuseppe Flavio e Giusto di
Tiberiade non distinguono i cristiani dai giudei; e Tacito in un
passo (Bist.) confonde gli uni e gli altri; cosi Suetonio, quando dice
{Claud.) Jndaeos imimlsore Chresto assidne tumultuantes Roma expnUf,
intende evidentemente (per quanto stranamente sia stato interpretato questo
passo) per Judaei i Cristiani, immaginando Cristo ancor vivo ai tempi di
Claudio,v anzi eccitatore dei Giudei nei loro tentativi di riscossa. Che
poi la coscienza umana si sia spostata non verso il giudaismo, ma verso
il cristianesimo, la ragione è manife Impulsore non può voler dire a cagione
bensi per eccitamento. È da
mettere a riscontro questo passo di Suetonio con un passo degli Atti degli
Apostoli, nel quale si ha questa notizia < [Paolo ^ trovato un certo
Giudeo, per nome Aquila, di nazione Pontico, da poco venuto in
Italia, insieme con Priscilla sua moglie (perciocché Claudio aveva
comandato che tutti i Giudei si partissero di Roma), si accostò a loro; e
poiché egli era della medesima arte, dimorava in casa loro. Ora è
importante il fatto che Aquila e Priscilla erano appunto cristiani: cfr.
Rom.; Corint.; Tim.; Ada, E che il fossero anche prima d'incontrarsi con
Paolo si può con qualche probabilità dedurre dal fatto che appunto in
casa loro andò ad abitare Paolo a Corinto. Paolo, Eom., li chiama
suoi cooperatori. Cfr. De Rossi Bnll.
ardi, crisi; Allard, Hist. des persécut.. E probabile dunque che Claudio
scacciasse dalla città i Giudei cristiani, non tutti i Giudei: tanto piìi
che dei Giudei Cassio Dione dice che Claudio ritenendo pericoloso a
cagione del loro numero scacciarli dalla città, si limitò a interdirne
le adunanze. E che 1' espulsione ordinata da Claudio non riguardasse
propriamente i Giudei viene indirettamente provato dal fatto che Giuseppe
Flavio, solitamente cosi bene informato di tutto ciò che riguardai suoi
compatrioti, non menziona di Claudio se non atti di favore per essi {Ant,
Ind.). sta. L'uno infatti rimaneva chiuso nel suo rigido particolarismo di
razza, l'altro abbracciava nell'amor suo l'universo. L'uno esaltava il
popolo eletto dal Signore e destinato al trionfo; l'altro predicando
l'eguaglianza umana volse la propaganda sua tra i Gentili. Di più
ancora, gli uni spostavano indefinitamente i termini della dolce
promessa, gli altri annunciando imminente il desiderato ritorno, parevano
soddisfare la impazienza di rinnovamento umano, che è cosi caratteristica
della società romana del primo secolo. È facile immaginare quanto
larga e immediata diffusione avesse il cristianesimo tra gli schiavi, i
quali sentivano più che mai prepotente la brama di rivendicazioni e da
secoli prorompevano di tratto in tratto alla rivolta. D' altra parte,
come avviene in tutti i movimenti umani, si aggregava alle idee nuove
quel sostrato tenebroso della società che spunta fuori solo nei
giorni più torbidi, giungendo ad ogni eccesso cui spingano le bieche
passioni e i rancori lungamente soffocati. Tali uomini gettavano fosca
luce su tutta intera la chiesa. Tacito dice: odiati pei loro delitti i
Cristiani, e meritevoli di ogni pena più
esemplare (Ann.); e Suetonio parla di essi come di gente malefica
(Ner.). Tacito e Suetonio hanno delle virtù e delle colpe umane
gli stessi concetti che ne abbiamo noi. Quando essi parlano di delitti e
malefizi, non è possibile assumere tali parole in significato men tristo
dell'usuale. La castità, la temperanza, la rinuncia ai piaceri, l'odio
per le turpitudini, erano pure per essi tali pregi, che ne avrebbero
commosso di ammirazione reverente l'animo. Si potrebbe pensare a calunnie
sparse ad arte nel popolo. Ma è pur l'incendio di eoma e r primi cristiani
vero che nelle stesse fonti cristiane abbiamo la prova che molti nelle
varie chiese fossero indegni di predicare la croce di Cristo. Paolo stesso,
nella lettera scritta da Roma ai Filippesi, così parla di alcuni, che
si erano aggregati alla nuova fede:
Molti dei fratelli nel Signore, rassicurati per i miei legami,
hanno preso vie maggiore ardire di proporre la parola di Dio senza
paura. Vero è che ve ne sono alcuni che predicano Cristo anche per
invidia e per contesa, ma pure anche altri che lo predicano per buona
affezione. Quelli certo annunziano Cristo per contesa, non puramente,
pensando aggiungere afflizione ai miei legami; ma questi lo fanno per
carità, sapendo ch'io son posto per la difesa dell' evangelo. A
quante interpretazioni han dato luogo queste parole! Eppure a
dichiarazione di esse mi pare che possano servire quelle che Paolo
aggiunge poco dopo:Siate miei imitatori, o fratelli, e considerate coloro
che camminano cosi Perciocché molti camminano, dei quali molte volte vi
ho detto, e ancora al presente vi dico piangendo, che sono i nemici della
croce di Cristo; il cui fine è perdizione, il cui Dio è il ventre, la
cui gloria è nella confusione loro; i quali hanno il pensiero e l'affetto
nelle cose terrene. Noi viviamo nei cieli, come nella città nostra, onde
ancora aspettiamo il Salvatore. E più giù: La vostra mansuetudine Tali parole
scritte ai Filippesi liHiiiio riscontro con quelle della lettera ai
Romani lo vi esorto, fratelli, che
vi guardiate da coloro che commettono dissensi e scandali, contro la dottrina
che avete imparato e vi ritragghiate da essi. Perciocché essi non servono
al nostro Signore Gesù Cristo, ma al proprio ventre, e con dolce e
lusinghevole parlare seducono il cuore dei semplici. Dunque quelli che non servono a Dio, ma al proprio ventre,
non si trovavano solo a Filippi, ma anche a Roma. Ingiusto è quindi l'appunto
mossomi dal sig. Fr. Cauer, in Beri, philol. Wock. Sulla recensione
del Cauer v. anche App. II, nota 1. Circa le varie questioni riguardanti la
lettera ai Filippesi, e propriamente la sua genuil' incendio di roma e i primi
cristiani sia nota a tutti gii uomini, il Signore è vicino. Non
siate con ansietà solleciti di cosa alcuna. Il Signore è vicino! Dunque,
egli dice, siate mansueti, e cioè non vi abbandonate a moti incomposti,
aspettate con calma e fiducia. Il seme gettato aveva fruttificato
dovunque; era seme di amore e fruttificò la rivolta. Ed in Roma quali
erano coloro che predicavano Cristo per invidia e contesa? Erano quelli
che avevano l'animo alle cose terrene, che avevano invidia dei beni
altrui, e prorompevano in contese e sommosse: questi, sì, aggiungevano
afflizione ai legami di Paolo. Egli infatti doveva essere giudicato da
Cesare e aveva tutto l'interesse che non apparisse perturbatrice
dello Stato la sua dottrina; sul puro campo religioso l'assoluzione era
sicura, giacche Roma in religione non conobbe mai l' intolleranza. La
nascente chiesa cristiana era già fin d' allora scissa in fazioni. AH' infuori
delle dispute dommatiche che tanto travagliarono a Paolo la nobile vita, era
vivo nel primitivo cristianesimo il dissenso tra quelli che cercavano
inculcare l'aspettazione fidente della divina giustizia, e quelli che
volgevano le nuove dottrine a scopi di immediate rivendicazioni
materiali. Dagli scrittori moderni è stato ampiamente studiato in che cosa
consi- nità e l'unicità della sua composizione, v. gli autori citati
presso Clemen, Proleqom. z. Chron. der Paulinischen Briefe,
Halle, Qualche scrittore ha accennato che tutti questi passi si
riferiscano a scismi e divisioni interne della nascente Chiesa, per
questioni di dogmi e di gerarchia. Quale relazione abbiano il dogma e la
gerarchia col ve>itre, di cui parla Paolo, col pensiero e V affetto volto ai
beni terreni, non so vedere. Che se poi invece si vuol parlare di scismi
e divisioni riguardanti veramente l'attaccamento ai beni terreni, si vuol
supporre cioè che avessero assunto il nome di Cristiani, uomini avidi ed
invidiosi dei beni altrui, allora siamo pienamente d'accordo; ed io
posso anche nutrire non vana speranza che i miei contraddittori
siano per venire nell' avviso mio. l stessero i dissensi
dommatici; ma non per questo dobbiamo noi credere che solo ad essi si
riducessero le divisioni della prima chiesa. Anzi, chi ben guardi,
a riprovare il partito delle rivendicazioni sociali si trovavan concordi
pur quelli che nel dogma eran dissenzienti; e se da una parte Paolo protesta
esservi nella Chiesa alcuni che sono nemici della croce di Cristo,
perchè il loro Dio è il ventre, il loro affetto è alle cose terrene,
Pietro parla a lungo di quelli tra i Cristiani che sono schiavi di lor
lascivia, che come animali senza ragione vanno dietro all' impeto della natura,
destinati a perire nella loro corruzione, essi che reputano tutto il loro
piacere consistere nelle giornaliere delizie, e non restano giammai di peccare,
adescando le anime deboli, ed avendo il cuore esercitato all'
avarizia (II Petrij 2). E, come Paolo, anche Pietro, nella P'' epistola
(la cui attribuzione è sicura) esorta i Cristiani alla soggezione verso
le autorità terrene, i sovrani e i governatori, e a ritenerli come inviati da
Dio stesso, per punire i malfattori e premiare quelli che fanno bene.
L'esortazione prova appunto che tra i Cristiani fosse una fazione turbolenta
(cfr.Tim.). È dato pensare col Eénan {Saint Paul) a quelle sette
cristiane che negavano la legittimità dell' imposta, che predicavano la rivolta
contro l' impero, e identificavano anzi l' impero al regno di Satana.
La maggior parte della prima chiesa sarà stata di persone invase
dall'amor del bene e da fraterna carità; ma la turbolenza fremeva in
quella massa disforme, e la parola apostolica mal giungeva a frenarla. Or
qui è da richiamare quel che abbiam sopra visto, riferito da
Suetonio, che cioè sotto Claudio i Cristiani tumultuassero e fossero espulsi da
Roma. Anche quel passo è stato soggetto a tante interpretazioni! Pure a
conferma della nostra, basta rammentare il passo di Tacito [Ann.) quella perniciosa superstizione soffocata per
il momento, prorompeva di nuovo, il quale passo ci lascia anche
comprendere che più d' uno dovettero essere i tentativi di soffocare il
cristianesimo nascente. -' Perchè soffocarlo, se non fosse stata in
esso una fazione rivoluzionaria? In Roma tutti i culti vivevano alla luce
del sole. E che tal fazione avesse in Roma il Cristianesimo, si deduce
dalia lettera stessa di Paolo ai Romani. Vi s' industria in ogni maniera
di incutere il rispetto all' autorità, tenta perfino di far credere
divina la potestà terrena: Ogni persona
sia sottoposta alle potestà superiori, perciocché non vi è potestà
se non da Dio; e le potestà che sono, sono da Dio ordinate. Talché chi
resiste alla podestà, resiste all'ordine di Dio, e quelli che vi
resistono riceveranno giudizio sopra di loro ecc. (7?o?., 13). Indi pure si spiega
perchè ai cristiani si facesse accusa di professare l'odio del genere
umano. Tacito anzi dice che 1' accusa fu provata (Ann.) odio humanis
generis conoictì sunt Si è tentato
d' interpretare il passo, adducendo Pih d" uno, ho detto.^Le parole
di Tacito sono: Auctor nominis eius Christus, Tiberio iviperitante, jyer
procuratorem P. Pilatum sujypiicio adfectus fuerat; represscique in
praesens exitiabilis superstitio rursum erumpebnt. Se Tacito avesse
voluto dire che la repressione fu una sola, avrebbe detto eruperat;
invece eruinpebat è imperfetto iteratiro, in relazione con quelV in praesens. E
il significato è: ogni volta che era
repressa erompeva di nuovo. I provvedimenti repressivi presi in Roma
contro certi culti e cerimonie fui-ono determinati da ragioni di moralità
e di quiete pubblica; cfr. Aubé, Histoìre des pemécutionfs; De
Marchi, Rendiconti Istituto Lomb.; Ferrini, Esposizione storica e
dottrinale del diritto penale romano, Milano, Se il Cristianesimo avesse avuto
un solo carattere religioso sarebbe stato tollerato, come era tollerato
anzi qualche volta (Joseph. Ant. jud.), anche favorito il giudaismo, che
pur pretendeva all'esclusiva verità del suo unico Dio, e pure aveva
contrario il sentimento pubblico Di simili accuse parlano spesso più
tardi gli apologisti, Tertulliano, Apol.; hostes maluistis rocare generis
humani; sicché a me sembra vano il tentativo d'inla rinuncia, che i cristiani
professavano, ai beni e ai piaceri della vita. Vani sforzi! Il mondo
classico aveva visto in tal genere le aberrazioni estreme della
scuola cinica, la quale tuttora vigeva (A)tn.); ed aveva ancora,
fiorente nel suo seno, l'ideale della virtù stoica. Gli è elle ogni
rivendicazione di una classe sociale contro l'altra, diventa
necessariamente lotta e quindi odio di classe. Strana sorte! Cristo e i
suoi apostoli insegnavano 1' amore; gettata la loro parola nelle
moltitudini, era seme che fruttava 1' odio umano. Fra quelle turbe,
inasprite da secolari dolori, avide della agognata riscossa, passò la
figura dolce e confortatrice di Paolo. Persegui tenacemente e con fervore
divino, l'opera sua; diresse con la mansuetudine quei cuori tempestosi,
convertì quanti più potè tra i Pretoriani ed i servi di Nerone (Ai
Filipp.). Finito poi, con l'assoluzione, il processo a suo carico,
non è certo che egli sia rimasto in Roma. L' ajino seguente, proruppe
l'incendio. Il Signore è vicino ! aveva annunziato Paolo, e tutta la
letteratura evangelica contiene questo grido angoscioso di aspettazione: Io vi dico in verità che alcuni di
quelli che sono qui presenti, non proveranno la morte, primachè non
abbiano veduto il Figliuolo dell' uomo venire nel suo regno. Io vi dico
che terpretare: d' essere odiati dal genere umano. Come può essere
per alcuno un capo di accusa l'odio alti-ui? E si poteva asserir
seriamente che tutto il genere umano si unisse ad odiare quella Chiesa
segreta ed ignota? E ad ogni modo quando pur si volesse sforzare la frase
sino a tal senso, ci si guadagnerebbe ben poco. V. però su tutta la
cronologia di Paolo, Harnack A., Die Chronologie des altchristlichen
Litteratur. questa generazione non perirà, prima che tutto questo
avvenga. Cielo e terra periranno, ma non periranno le mie parole. Così
concordemente gli evangeli di Matteo, di Marco e di Luca. E la lettera di
Jacopo. Siate pazienti, fortificate i cuori vostri, la venuta del
Signore è vicina. E la lettera agli Ebrei. Ancora un breve tempo e
colui che deve venire, verrà e non tarderà. E Paolo stesso ai Romani. La notte è avanzata,
e il giorno è vicino. È noto che il dogma posteriore spostò
indefinitamente la speranza di questo avvento divino ma i cristiani di allora
l'aspettavano per la loro generazione. Paolo nella prima ai Tessalonicesi così
dice: Noi viventi siamo riserbati sino alla venuta del Signore. E gli
oppressi, i conculcati, i disprezzati, si estasiavano al prossimo
adempimento della dolce promessa. Ma quando, quando tornerà il liberatore, a
sollevare gli umili, a punire gli empi ?
Quando avrete veduto l'abbominio della desolazione, detta dal
profeta Daniele, posta dove non si conviene rispondevano gli evangelii {Marc.). In quei giorni vi sarà afflizione tale, qual
mai non fu dal principio della creazione delle cose finora, ed anche mai
non sarà! E se il Signore non avesse abbreviati quei giorni, ninna carne
scamperebbe; ma per gli eletti suoi, il Signore li ha abbreviati
Allora se alcuno vi dice: Ecco qua Cristo, ovvero: Eccolo là, noi
crediate Ma in quei giorni, dopo quell'afflizione, il sole
oscurerà, la luna non darà più il suo splendore. E le stelle dal cielo
cadranno, e le potenze nei cieli saranno scrollate. E allora gii uomini
vedranno il Figliuolo dell'uomo venir dalle nuvole, con gran potenza e
gloria. Così l'idea del prossimo ritorno di Cristo era congiunta con quella
della fine del mondo, cui doveva far seguito la rinnovazione delle
cose, e la rigenerata umanità. Cristo stesso indicando i superbi palagi
di Gerusalemme aveva detto: Vedi
tu questi grandi edifici ? Ei non sarà lasciata pietra sopra pietra. E
Griovanni aveva annunziato :. Figliuoli è l'ultima ora, (Giov.), e Pietro: È prossima la fine delle cose. È
prossima? ma non era r età di Nerone 1' abbominio della desolazione di
cui aveva parlato il profeta ? ^° E non aveva promesso il Signore,
che sarebbero brevi quei giorni, perchè altrimenti niuno si salverebbe ? E dopo
la distruzione, il rinnovamento: dopo le ingiustizie secolari, 1'
eguaglianza e la pace ! E il recente convertito trovava nel fondo oscuro
della sua coscienza le reliquie del paganesimo, che vi persistevano tenaci: dunque,
pensava, lo stoicismo non s'ingannava, e pure attraverso il mondo
nostro era penetrato un raggio del vero: era penetrato per gli oracoli
delle Sibille, per le predizioni etrusche, per le dottrine degli stoici: tutti
annunziavano la fine delle cose e la novella progenie umana; tutti
annunziavano il prossimo regno del Sole, cioè del fuoco, che
rigenererebbe l' universo, e Vergilio stesso lo aveva cantato {Ed.). Ma
sopratutto lo stoicismo pareva dare a queste anime turbate il cupo
consiglio, lo stoicismo, che essi sostanzialmente non distinguevano dal
Cristianesimo per il suo contenuto morale, e che come contenuto sociale
aveva le stesse aspettazioni di rinnovamento umano. Or lo stoicismo predicava
l'ecp^ros/V, combustione cosmica, come fine del mondo, e principio della
nuova era umana. Per alcuni stoici questa combustione cosmica do- Nerone
era veramente per i cristiani l'Anticristo, la bestia nera {-o OY,piov lo
chiama V Apocalisse), l'uomo del peccato, il figliuolo della perdizione,
di cui parla la II di Paolo ai Tessalonicesi. Il suo regno era dunque annunzio
dell' imminente regno di Dio (v. la citata lettera di Paolo, cap. II);
cfr. Renan, S. Paul, L' àvOpiD-o; T-r,v àv&[j.[a; è
personificazione della potenza mondana, che deve rivelarsi con impeto
prima della fine del mondo; cfr. Ferrar, The Life and Work of St. Paul, Sulla
genuinità della Seconda ai Tessalonicesi, V. Weizsàcker, Zeilschr. f. iciss.
TlievL; Briickner, Chronol. Reihenfolge, veva essere preceduta dal
diluvio, secondo l'idea antica di Eraclito (v. il framm. presso Clemente,
Strom.). Tale è pure l' idea di Seneca, nel quale è così ardente il
desiderio di rinnovamento, che alcune parole di lui sembrano uscite dalla
bocca di un apostolo [Nat. Qw.). Anch' egli cupamente anìiunzia: Non tarderà molto la distruzione !
E come il vecchio Eraclito, e dietro di Ini le scuole
stoiche, simboleggiando nel fuoco l'anima divina dell' universo, aveva detto
(presso Ippolito): il fuoco tutto
assalendo giudicherà ed invaderà, così nel dogma cristiano si assegnò
all'incendio del mondo l'ufficio di purificazione e giudizio finale. Gli
antichi profeti d'Israele erano t\itti pieni di fremiti sdegnosi, di
ansiose aspettazioni dell' ora punitrice. Neil' anima di Isaia pare
accogliersi tutta la protesta dei miseri, l'onta per la dominazione
assira, l'odio per chi procurava la rovina al popolo. Egli scatta e
minaccia: Voi sarete come una
quercia di cui son cascate le foglie, come un giardino senz' acqua. Il
forte diventerà stoppa, l'opera sua favilla; l'una e l'altra saranno arse
insieme: non vi sarà niuno che spenga il fuoco (I). Questi fremiti sdegnosi si
risentiranno più tardi nell'Apocalisse cristiana. E l'idea della combustione
del mondo fu pur congiunta, nel dogma cristiano, a quella del secondo avvento
di Cristo: I cieli e la terra del
tempo presente per la medesima parola son riposti, giacché sono riserbati
al fuoco, nel giorno del giudizio e della perdizione degli empi. Or
quest'unica cosa non vi sia celata, diletti, che per il Signore un giorno
è come mille anni, e mille anni come un giorno. Il Signore non ritarda,
come alcuni reputano, la sua promessa, anzi è paziente verso di noi, non
volendo che alcuni periscano, ma che tutti vengano a penitenza. E il
giorno del Signore verrà come un ladro di notte; in quello i cieli
passeranno rapidamente, gli elementi divampati si dissolveranno; la terra
e le opere che sono in essa, saranno arse. Poiché tutte queste cose hanno da
dissolversi, quali vi conviene essere in sante conversazioni e pietà,
aspettando e affrettandovi all' av venirti ento del giorno di Dio, nel
quale i cieli infuocati si dissolveranno, gli elementi infiammati si
distruggeranno ! (Così la così detta Petri, V. anche Cai-m. sibyll.).E
certamente, questi apostoli della dottrina avranno fatto ogni sforzo
per provare che il fuoco era divino, non umano, e per esortare alla calma
e all'aspettazione fidente di Dio. Questo risulta dalle parole che
abbiamo citato, anzi risulta da tutta intera la letteratura apostolica,
che è piena di consigli miti. Ma risulta altresì l'impazienza di
alcuni. Gettate una dottrina come questa, dell'imminente fuoco,
punitore di tutti i gaudenti della terra, in mezzo ad una turba di
schiavi, di gladiatori, di oppressi; e voi vedrete a tale annunzio in
diversa guisa manifestarsi r animo di ognuno, altri raccogliersi nelle
trepidanze angosciose, altri, i più violenti, i tristi per natura,
correre a sfogare le ultime agognate vendette. Rotti i vincoli e i freni
umani, erompe l'animo dei tristi a soddisfare con facile ardire le passioni
prima represse o celate. Le vendette, le violenze e il saccheggio sono
le forme consuete cui irrompono, in tal condizione di spiriti, le turbe
forsennate. Altri forse, illusi o fanatici, avranno creduto trovare
giustificazione nella stessa parola divina. Cristo stesso aveva detto: io sono venuto a portare il fuoco sopra
la terra (Luca), Essi credevano essere
gli esecutori della divina vendetta, essi dovevano iniziare l'opera
redentrice. Le masse esaltate dal fanatismo sprezzano i consigli della
moderazione e della calma. Fermentano allora in quelle coscienze
commosse tutte le ire e tutti i rancori; perduti ritegni e timori umani e
divini, gli animi si spingono ad ogni eccesso. e Pasotil. 14r; l'lu
quale altra comunità romana in quel tempo potevano essere così vivaci gl'impulsi
all'atto forsennato? Certo, anche gii Ebrei auguravano a Roma
stermioio; ma non aspettavano fiamme vendicatrici per la loro
generazione; nella Corte di Nerone erano bene accetti; in lui non
vedevano l'Anticristo, il mostro, l'uomo del peccato, annunzio del
prossimo regno di Dio. Solo dunque 1' ultimo strato sociale, cui si era
portata la parola dell' eguaglianza e dell'amore, poteva erompere
all' opera distruttrice. QuelT ultimo strato sociale era abbeverato di
odio contro tutto 1' ordine presente. Gli apostoli davano bensì consigli
di obbedienza ai loro padroni; ma dalle loro stesse parole risulta che
alcuni andavan predicando dottrine ben diverse. Si ascolti Paolo a
Timoteo. Tutti i servi che sono sotto il giogo reputino i loro signori
degni di ogni onore, perchè non sieno bestemmiati il nome di Dio e
la dottrina. E quelli che hanno signori fedeli non manchino ai proprii
doveri verso di essi, perchè son fratelli; anzi molto più li servano,
perchè son fedeli diletti e che partecipano del benefiziG^. Insegna
queste cose ed inculcale. /Se alcuno insegna/ diversa dottrina, e
non si attiene alle sane parole del signore Gesù Cristo, e alla dottrina
che è secondo pietà, esso si gonfia senza saper nulla, vaneggiando tra
dispute e logomachie, onde sorgono odi, contese, bestemmie, tristi
sospyetti, conjiitti di uomini viziati di mente e alieni dal vero, che
credono la pietà abbia ad essere un guadagno. Come scruta addentro
nelle latebre dell'anima lo sguardo profondo di Paolo! L' amore
universale, che egli aveva annunziato diventava naturalmente per il popolo
pretesa di rivendicazione: la pietà diventava guadagno. E non pure v'
erano quelli che agitavano la questione dello scuotere il giogo
secolare, come indubbiamente risulta dalle parole or citate di Paolo; ma
contro tutta la compagine e l'organizzazione sociale e l' imjjero stesso si
appuntavano gli odii loro. Anzi nel primitivo dogma era che allora
avverrebbe l' incendio del mondo e quindi il regno della giustizia,
(luaiido avvenisse la fine dell' impero. Certo, in tale forma noi
troviamo più tardi il dogma in Tertulliano.
Noi preghiamo, egli dice {Apolog.), per 1' impero e per lo stato romano,
noi i quali ben sappiamo che la massima rovina che sovrasta all'universo
intero, il chiudersi dell' èra nostra, che ci minaccia orrende
sciagure, di tanto sarà ritardata di quanto si prolungherà il romano
impero (così pure nel liher ad Scap
ulani). Qui 1' appressarsi del fato estremo è cagione di
trepidanza, come nel mille; nell'epoca neroniana era aspettata con
fervore di desiderio e si accusava Dio della ritardata promessa {Petri).
Molti passi della letteratura apostolica attestano il fermento
degli spiriti e la loro desiosa aspettazione dell'ora finale. A più
eccitarli si facevano perfino correre false apocalissi [li Tessal.). Si spiega
quindi come solo all' epoca neroniana, potè erompere l' impazienza all'
atto forsennato. E che anche nell'epoca neroniana si unissero i due
concetti della fine del mondo e della fine dell' impero, si deduce da
quel che sopra abbiamo visto, che il regno di Dio doveva esser preceduto
dal regno del mostro (11 Tessal.); il mostro era Nerone. Se
dunque la distruzione dell' impero, rauuientaraento dell'Anticristo era il
principio della divina giustizia, si richiederà, credo, una volontà ben salda
per negare ancora che questi poveri fanatici, forse indotti da
eccitamenti malvagi, abbiali voluto farla finita con r impero e con Roma.
11 fuoco, il fuoco devastatore avrebbe posto fine all'abbominio e
rigenerata l'umanità neir innocenza. Come la potenza della luce era
preceduta da quella delle tenebre, e il regno di Dio da quello del
mostro, cosi il fuoco divino doveva esser preceduto dal fuoco umano, che
avrebbe annientata la sede stessa dell' impero." Ed ora, dopo
aver esaminato quali passioni fremevano nel cuore, quali dottrine esaltavano le
menti di una parte di questa comunità cristiana, torniamo alla
narrazione dell'incendio. Di tante centinaia di soldati e servi incendiari, è
possibile che nessuno fosse riconosciuto ? Non è possibile, che anzi si
sapeva che erano i servi del cubicolo imperiese e i soldati del pretorio.
E quando furono riconosciuti ed arrestati, perchè non avrebbero addotto
1' ordine di Nerone ? E Nerone si sarebbe messo, dinanzi al popolo, allo
sbaraglio di questa terribile prova ? Invece i primi arrestati
confessarono. S' iniziò il processo
primamente, dice Tacito {Ann.), contro i rei confessi; dipoi moltissimi altri,
per denunzia di essi, non furono tanto convinti di avere appiccato il
fuoco, quanto di odiare il genere umano (o secondo altri: di essere
odiati !). Non come prova, ma come elemento di fatto che può avere
relazione col nostro argomento, crediamo far menzione di una curiosa
scoperta fatta a Pompei. Sopra una muraglia, tracciate col carbone, si
scopersero alcune lettere. Il Kiessling {Bull. Ist. corr. ardi.) che
primo, col Miuervini e col Fiorelli vide il documento, credette poter
leggere ignì gavdb CHRISTIANE. Le lettere al contatto dell' aria si
dileguarono. Due anni dopo il De Rossi non ne vide più nulla e dovette
contentarsi di un fac-simile tracciato dal Minervini. Sul fac-simile
credette dover leggere: avdi cukistianos; e con altri residui di lettere
sparsi qua e là per le muraglie, tentò tutta una ricostruzione, a dir vero un
po' romantica, contro la quale qualche buona osservazione fece i' Aubé, lILst.
des pers. I, pag. 418. •'Nell'interpretazione di questo passo
troppe volte la passione ha fatto velo all'intelligenza. Riportiamo tutto il
passo, ed esaminiamo le singole espressioni, avvalendoci, in parte,
delle prove già apportate da H. Schiller, in Commentationes in honorem
Th. Mommseni, per quanto noi non vogliamo giungere alle esagerate sue conclusioni. La
reità dunque fu provata solo in parte per la prima accusa; j)er tutti fu
provata la seconda accusa, quella Ergo, aholrndo rumori Nero subdidit
reos et quaesitiftsimis poenis affecit quos per flagitia invisos, vulgus
christianos appellabat. Auctor noìinnis e'ms Christus, ecc. Igitur
primiim. correpti qui fatebantur; deinde indicio eorum mnltitudo
ingens, haud perinde in crimine incenda quam odio humani generis
convicti sunt. Il subdidit reos si
vori-ebbe spiegare sostituì al vero
colpevole i falsi. Rimandiamo, per il valore della frase, all' app. Ili
di qnesto studio. Passiamo al primum correpti qui fatebantur. Corripere denota
l' inizio della procedura penale: cfr. Ann. II, ; III, , ; IV, , ; VI,
40; XII, 42. Se la procedura penale fu iniziata, dovè iniziarsi per il delitto
di cui si tratta, il crimen incenda; non potè essere per una causa
di religione, che del resto si sarebbe dovuto svolgere dinanzi al
Senato (cfr. Tac. Ann.; Suet. Tib.: Dione; Suet. Claudio). Nerone era
scelleratissimo, ma non era sciocco; e
una sciocchezza sarebbe stato accusare per il delitto d' incendio, e fare un
processo di religione. Pretendere che Nerone abbia fatto questo,
significa supporre senza prove che egli abbia introdotto nella legislazione
penale un delitto nuovo; e ciò proprio all'indomani dell'assoluzione di
Paolo, il quale aveva potuto per due anni predicare Cristo con ogni
franchezza e senza divieto {Atti upost.).
Furono dunque primamente processati d'incendio quelli che via via
confessavano. Confessavano che cosa ?
Quando fatevi o confiteri sono adoperati assolutamente in relazione a un
processo significano: dichiararsi reo di quello per cui si è accusati; cfr. Ili, 67; XI, 1; XI, 35; Cic.: Mil.
15; Lig. 10. Si vuole invece supplire se Christianos esse. Ma per tal
significato il verbo di Tacito sarebbe stato profiteri; cfr. Ilist, III, 51;
III, ; IV, ; IV, . Ann. I, 81; II, 10, 42. K dovendo giudicare dell'
incendio era assurdo il chiedere la confessione di altra colpa, dì cui
era competente a decidere solo il Senato. Altra colpa ? Si può proprio
seriamente affermare che si ritenesse allora dai Romani colpa il
professare una religione qualsiasi ? In ogni altro caso, trattandosi di
una accusa determinata, quella dell' incendio, a niuno mai sarebbe venuto
in mente che la confessione degli accusati potesse intendersi di altro
che di incendio; e il pre sentare tale ipotesi sarebbe parsa tale
enormità, qual sarebbe quella ad esempio di colui che nel passo di
Cicerone, Mil. 15 ni,si vidisset
posse absolvi eum. qui fateretur volesse
intendere il fateretur in un significato diverso da quello di essere reo confesso di omicidio. Ma la
passione spiega qualsiasi aberrazione. — Segue indicio eorum. Indicium è
la denuncia se più generica. E cioè: i primi, gli esecutori
materiali, confessarono e denunciarono i compagni (indicio
eorum): greta o la rivelazione fatta da accusati o da colpevoli contro
altri colpevoli (Ann.). E poiché l'accusa qui è delV incendio, anche indicium
si riferisce a tale accusa. Nella lettera di Plinio, X, 96 1' accusa
è invece deire.<fser cristiani; e index quindi significa denunziatore dei Cristiani e per questo anche nella medesima
lettera cuìifitentes vale quelli
che si confessavano cristiani : l'accusa era proprio questa! Si è
obiettato che i Cristiani non potevano denunziare i loro fratelli. Il che può
significare che questi non erano veri Cristiani, che erano povero volgo
ignai-o, aggregatosi al partito delle novità per ispirito di rivolta; ma
non ci potrà indurre a sostituire una interpretazione falsa ad una
vera. Anche i Cristiani di Bitinia, interrogati da Plinio, non potevano
maledire Cristo, sconfessare la fede e venerare l'immagine di Traiano; eppure omnes et imaginem. tiiam deorumque mnulacra
venerati suni et Christo male dixenmt
(Plinio). — Segue: haud, jìprinde
in crimine incenda quam odio Immani generis convicti sunt*. Haud perinde
quam, {haud proinde quam), non perinde quam significano: non tanto..., quanto; cfr. Ann. La seconda cosa si afferma dunque in
proporzioni maggiori della prima, ma tutte e due si affermano. E cioè,
nel caso nostro, la prova della partecipazione all' incendio si ebbe solo
per alcuni; tutti furono provati rei {convicti sunt) deW odio Immani
generis. Provati rei, da chi? mi si è detto. Dai ministri di Nerone. Non è
questo il significato del convicti sunt, che non denota la dichiarazione di
reità fatta da un giudice, bensi la prova inconfutabile e che non può
essere disconosciuta dallo stesso accusato. Qualcuno ha suggerito invece
del convicti coniuncti del Mediceo. Il coniuncti è stato forse indotto ilal
copista a cagione di quell' in crimine, che pareva non convenirsi alla
costruzione del convicti. E ad ogni modo non potrebbe significare se non: furono congiunti non tanto nell'accusa
d'incendio quanto. Il che tornerebbe a quel che dico io, indicherebbe cioè che
1' accusa di incendio non fu abbandonata: ma poiché non tutti furono trovati colpevoli
d' incendio, furono tutti coinvolti nell'accusa di odio contro il genere
umano. Debbo pure avvertire che le parole di Tacito [im): miseratio
oriebatur, tamquam non utilitate pnblica sed in saevifiam unius
absumerentur non significano già che Tacito credesse innocenti i Cristiani, e
non sono quindi in contraddizione con tutto ciò che precede Tacito non
dice nam, absumebantur; dice: nasceva compassione nel popolo quasiché
{tamquam) i Cristiani si facessero perire non per utilità pubblica, ma per
sod allora non si volle sapere altro, si fece l'arresto in
massa dei cristiani, e ninno di essi smenti la sua fede; solo questi
ultimi- dichiararono non aver preso parte all'incendio, come i primi; ma
era lo stesso, erano tutti rei di queir odio umano che aveva armato le
mani di fiaccole: furono tutti condannati. Come si vede.
Tacito prese questi particolari da una terza fonte, e credette doverli
registrare come fatti accertati, pure cercando di smorzare le tinte e
adoperare espressioni un poco oscure, per non nuocere all'intento suo di
gettare qualche sospetto su Nerone. Il che si rivela pure dalle
parole seguenti: nasceva compassione
(per i Cristiani condannati ai supplidisfare la crudeltà di un solo, il che si
riferisce alle voci che correvano nel popolo accusafcrici di Nerone.
Quando il popolo vide tra i condannati i servi di Nerone e i soldati del
pretorio, non potè non sospettare che essi avessero agito per ordine
dell'Imperatore. Tacito parla dei Cristiani come colpevoli, o convinti o
confessi, ma distinguendo evidentemente gli esecutori materiali da colui
che poteva aver dato 1' ordine, riferisce non senza qualche compiacimento
le voci popolari accusatrici di Nerone. Cosi in Ann.,gli fa volgere da
Subrio Flavio l'accusa di incendiai'iìis. In principio, egli presenta due
sole ipotesi: forte an dolo principis, parole alle quali si è attribuito
il senso che Tacito stesso escludesse ogni sospetto a riguardo dei Cristiani.
Ciò non è esatto. Bisogna distinguere gli esecutori materiali da colui
che poteva aver dato l' ordine. Quanto ai primi egli non ha alcun dubbio,
poiché li chiama sontes et novissima exempla meì'itos, parole che mal s'
intenderebbero, se non si riferissero ad un determinato ed unico delitto.
Quanto al secondo, egli esprime la convinzione che 1' ordine partisse da
Nerone. Convinzione che egli derivò forse dalle Storie Cimlt di Plinio, e
che ebbe del resto origine dal fatto che tra gli esecutori materiali
furono veramente gli schiavi di Nerone: ma appunto tra questi schiavi
erano numerosi i cristiani. Tacito riferisce pur l'ipotesi del caso: ma
la sua narrazione esclude l'ipotesi. Non altrimenti, ad esempio, ei
dichiara non potersi incolpare Tiberio per la morte di Druso, eppur getta su
lui anche per questo qualche ombra. Non vuol pronunziarsi se
Agricola sia morto di veleno per opera di Domiziano, ed ogni tanto
l' insinua. zii), benché si trattasse di uomini colpevoli e
meritevoli di ogni più inaudita pena esemplare. Ma perchè avrebbero confessato i primi
cristiani? Perchè avrebbero denunciato i compagni ? E qui,
oltre che può tornare in campo la ragione già detta del necessario
riconoscimento di alcuni, si può volgere la mente anche ad altro.
Neil' ardore del fanatismo, essi avranno creduto immediato il
miracolo. Iddio, Iddio ora tornerebbe, egli che aveva promesso di tornare
dopo la desolazione estrema: non finirebbe la loro vita prima che Iddio
tornasse. E confessavano, gloriosi, e denunciavano, per far partecipi alla
gloria. Immaginate questi esaltati a spiegare l'opera loro, la fede loro: l'eguaglianza
dei diritti umani voluta da Dio, la distruzione di tutto, necessaria per
1' avvento suo. I Romani primamente allora s' accorsero che quella fede aveva
un contenuto sociale, ed era un pericolo per lo Stato. E la
qualificarono dottrina di odio contro il genere umano. Era invece la
rivendicazione degli oppressi e degli schiavi: ma questi con erano
uomini. Ma c'è ancora di più: anche dopo, i cristiani non cessarono
di sperare ancora quelle fiamme vendicatrici, e di auspicarne il ritorno.
Alcuni anni dopo, il bagliore sinistro di quelle fiamme accende la
fantasia allo scrittore deìV Apocalisse. Si riconosce oramai da tutti,
anche dagli scrittori cattolici, che in questa, sotto il nome di
Babilonia, si cela quello di Roma, Ora ascoltate il grido di maledizione
e di vendetta su Roma, baccanale di Ripugna il pensiero che i livori
delle fazioni nella nascente chiesa, quei livori dei quali abbiamo visto
muovere lagnanza Paolo, li spingessero alle reciproche accuse. Clemente
Rom. (ad Cor.) dice che le sciagure dei Cristiani furono effetto della
gelosia (St^/ Cr,)vOv). Anche l'Arnold, Die neronische
Christenverfolgung, Leipz. crede che le denunzie contro i Cristiani sieno
state fatte da Cristiani dissidenti. Ogni turpitudine, che scaglia
il profeta dell' Apocalisse: Poi udii un' altra voce che diceva: uscite da
essa, o popolo, mio, acciocché non siate partecipi dei suoi peccati, e
non riceviate delle sue piaghe. I suoi peccati sono giunti l'uno dietro
all'altro insiuo al cielo, e Iddio si è ricordato delle sue iniquità.
Rendetele il cambio di quello che essa vi ha fatto; anzi rendetele
secondo le sue opere, al doppio: nella coppa nella quale ella ha
mesciuto a voi, mescetele il doppio. Quanto ella si è glorificata ed. ha
lu.<suriato, tanto datele tormento e cordoglio: perciocché ella dice
nel cuor suo: io seggo regina e non sono vedova, e non vedrò giaminai
duolo. Perciò in uno stesso giorno verranno le sue piaghe; morte e cordoglio e fame: e sarà arsa col
fuoco; perciocché possente è il Signore Iddio, il quale la giudicherà. E i re
della terra, i quali fornicavano e lussuriavano con lei, la piangeranno, o
faranno cordoglio di lei, quando vedranno il fumo del suo incendio e
così di seguito che è un sol fremito di protesta, un sol grido di
vendetta contro la meretrice ebbra
del sangue dei santi e del sangue dei martiri di Gesù. E nel capitolo
seguente si pregusta con voluttà frenetica la gioia della sua
rovina; Allelluia! la salute e la
potenza e la gloria e 1' onore al Signore Iddio nostro. Perciocché veraci e
giusti sono i suoi giudizii; e infatti egli ha giudicato la gran
meretrice che ha corrotto la terra con la sua fornicazione, e ha
vendicato il sangue dei servi suoi, dalla mano di lei.... Alleluia! e il,
fumo di essa sale nei secoli dei secoli. Come si vede, appena pochi
anni dopo l'incendio, si tornava ai folli eccitamenti. Ed il sogno di
Roma divenuta preda alle fiamme turbò anche in seguito le menti
cristiane. In quella strana e lugubre miscela di fantasie
giudaico-cristiane, non senza qualche elemento pagano, che é conosciuta
sotto il nome di Oracoli sil' incendio
di roma e i primi cristiani billini
esso ritorna con cupa insistenza: VII, 113-114; Vili, 37-47; XII,
32-40. Verrà dall'alto anche su
te, superba Roma, la celeste sciagura: tu piegherai prima la
cervice, tu sarai distrutta, il fuoco ti consumerà tutta, piegata sulle
fondamenta; la tua ricchezza perirà; il tuo suolo sarà occupato dai lupi
e dalle volpi; sarai allora tutta deserta, come se giammai fossi stata.
Dove sarà allora il tuo Palladio? Qual Dio ti salverà ? Un
Dio d'oro, di pietra o di bronzo? Dove saranno allora i decreti del
tuo Senato? Dove quelli di Rea o di Crono? E la schiatta di Giove e di
tutti gli Dei che tu adoravi? Per quanto la punizione qui sia immaginata
come celeste, non è possibile non sentirvi la voce di una umana vendetta. Quando potrò io vedere tal giorno? dice poco dopo il poeta. E pure il più
antico dei poeti latini cristiani, il pio Commodiano, ha il medesimo voto
{i'arm. ap.). Dov'è più la dottrina della mansuetudine e del perdono? La
disposizione d'animo dei primi cristiani era ben altra. Il loro grido di
vendetta sembra, come si vede dagli esempii apportati, quasi echeggiare
pure in tempi più lontani. A noi
basterebbe, dice Tertulliauo {Apol. 37), se volessimo vendicarci, una sola
notte e qualche fiaccola. E poi tosto soggiunge: Ma non sia che con umano fuoco si
vendichi la divina setta. Infine, notiamo che attribuendo a queste prime
turbe cristiane, fanatiche ed avide delle loro rivendi Non vorrei che tali
parole venissero tratte da critici benigni a peggior sentenza eh' io non
tenni. Nelle parole di Tertulliano echeggia un grido di vendetta, cui tosto
segue un consiglio di moderazione, non di perdono. La vendetta, la
punizione si aspetta ancora, si aspetta dal fuoco divino. Che cosa sia
questo fuoco divino, spiegano a lungo gli apologisti, ad- cazioni, l'
incendio, le particolarità di esso si spiegano tutte, che invece abbiamo
mostrato inesplicabili, secondo la tradizione comune. Anzi dalle notizie che
abbiamo, ci è dato discernere perfino il piano della sciagurata impresa.
Anzitutto, si proiittò della lontananza di Nerone da Roma; la vigilanza
era allora diminuita; i principali cittadini, le cui case erano sacrate
al fuoco devastatore, avevano seguito la corte imperiale. Tra i
pretoriani ed i servi di Cesare erano numerosi i cristiani (Paolo, Ai FilijJ.):
si stabilì che fossero questi ad appiccare 1' incendio e ad
impedire l'estinzione: così tutti avrebbero creduto trattarsi di
ordini imperiali e ninno avrebbe osato opporsi. Richiesti perchè scagliassero
le faci, risponderebbero che agivano per istigazione altrui, senza dir di
chi (Tacesse sihi mictorem vociferahantur); tutti avrebbero interpretato che essi
avevano il comando da Cesare e il divieto di nominarlo. Tutti i portici,
le passeggiate, le opere d'arte, che avevano allietatogli czii dei
potenti, i templi ove si adoravano gì' idoli della corruzione e
della menzogna, tutti andrebbero distrutti. Il Trastevere, ove era stata
primamente accolta l' idea redentrice, le case dell' umile plebe, sarebbero
salve. Si comincerebbe dai magazzini di materie infiammabili presso
il Palatino: la prima a bruciare sarebbe la casa del mostro. Questo fu il
piano attuato e riuscito. Finito il primo incendio, si doveva riappiccare
l'incendio alla casa del secondo mostro dell'impero, il ministro delle
turpitudini imperiali, Tigellino. E di là nuovamente proruppero le fiamme
devastatrici. Per questi fanatici illusi, Nerone, nel
parossismo della ferocia, escogitò incredibili tormenti. Li fé'
ero- ducendo i fulmini e i vulcani (Miuucio; Tertul. Apol.): ina la
distinzione sarà stata fatta sempre, o meglio ancora, sarà stata fatta
mai dalle infime turbe ? cifiggere, o sbranare dai cani, o dannare alle
fiamme. Grli orti suoi furono illuminati da quelle fiaccole umane,
in mezzo alle grida selvagge della turba briaca e plaudente. Ma da quelle
fiaccole spirò più gagliardo il soffio della idea cristiana. D' allora in
poi quella idea, inoculata nel sangue della umanità, ne resse le sorti.
Tutta la trama della storia umana si svolse intorno ad essa. Quella
idea fu gloria e bassezza, eroismo e viltà, amore e ferocia. Per essa
quanto altro sangue fu sparso, quante altre volte le turbe furono
trascinate ad impeti forsennati! Pure, una volta, tornò a risuonare tra gli
uomini la parola buona, ed aleggiò sugli spiriti l'amore, e sorrise alle
genti affaticate la pietà del Francescano. Quella volta Cristo re^nò
sulla terra. Ludis quos prò aeternitate imperii susceptos appellavi
Maxiinos voluìt ex utroqiie ordine et sexit plerique ludicras partes
sustinuerunt. Nntissimus eques romanus elephanto supersedens per
catadromum decucurrit. Inducta est et Afranii togata qiiae Incendium
inscribitur: concessumque ut scenici ardentis domus suppellectilem
diriperentj ac sihi haberent. Sparsa et popido missilla omnium
rerum per omnes dies; singida (/uot/die millia avium cuiusque generis^
multiplex 2)(^nus^ tesstrae frmnentarlae^ vestis, auruvi, argentum,
gemmae, mn.rgaritae. tabulae pictae mancipia, iumenta, atque etiam
maìistietae ferae; novissime naves, insulae, agri. Hos ludos
spectavit e proscenii fastigio. Così Snetonio in Nero. In quale
occasione celebra Nerone questi ludi Maximiì Suetouio in questa parte
dell' opera sua enumera disordinatamente gli spettacoli dati da Nerone.
Quello qui accennato è stato identificato con quello di cui fa menzione
Cassio Dione, o meglio il suo compendi atore Xifilino, in LXI, 17 e
18. La somiglianza infatti è grande: i nobili romani che si prestarono a far da
attori e giocatori, 1' elefante funambolo che portava sul dorso un
uomo; i doni gettati al popolo. Di più Cassio Dione rammenta le commedie
e tragedie rappresentate. Chiama la festa |j.£7'.atT| 1 TtrAnizlzozc/.rq:
ma l'unione dei due aggettivi parmi che mostri che [j.sYiatYj è una
semplice qualifica data dall' autore alla festa, non è il nome
proprio di essa, e non risponde perciò al Maximos di Suetonio. Così pure
gli altri punti di simiglianza noii souo co^i caratteristici clie ci
facciano concludere alla identità delle due feste. Elefanti camminanti
sulla fune {per catadromum) si vedevano in tali feste (cfr.
Siiet. Galb.); senatori e cavalieri lottanti nell' arena se ne
videro spesso sotto Nerone (cfr. Suet. Kero^ ); donazioni al popolo Nerone ne
fece immense, ne fece, secondo Tacito {Hist.) per più di due miliardi di
sesterzi. Se dunque le somiglianze sono grandi, non sono tali che ci
obblighino a credere all' identità tra i giuochi rammentati nel passo di
Suetonio e quelli rammentati nel passo di Dione. Il passo di Dione parla
di festività celebrate in onore della madre. Corrispondono queste ai
circensi, rammentati da Tacito, in Ann. E possibile che a tali
circensi alluda Suetonio nelle parole immediatamente precedenti a quelle da noi
riportate: circensihus loca equitl secreta a ceteris trihuit; di essi
infatti dice Tacito che furono liaud promiscuo speciacido. Noi crediamo
che il passo di Suetonio riguardi i ludi celebrati dopo V incendio 1 e
cioè, probabilmente, celebrati dopo È pur da notare che Cassio Dione
parlando dei giuoclii detti Neronéi, li dice istituiti da Nerone per la
incolumità e diuturnità del suo regno. Ma probabilmente confonde tali
giuochi con quelli prò aeternitate impern, secondocliè già da gran tempo
fu riconosciuto (Pauly, lì. Encycì. s. v. Nero). I giuochi Neronéi furono gare
quinquennali di arte e di foiza, istituite sul modello dei giuochi greci;
cfr. Tac. Ann.; Suetonio, Nero. che Roma era stata già in gran parte
riedificata, per propiziarla agli dei. Saetonio dice che Nerone volle
si chiamassero ludi maximi, e cioè, parmi, volle sostituire al
positivo magni il superlativo maxìmi. Ora i ludi magni si celebravano in
occasione di grandi [jericoli, da cui Roma fosse salva; in occasione cioè
di guerre rischiose (Liv.) o di tumulti (LIVIO). Si potrebbe pensare che
1' adulazione avesse suggerito tale idea, adulazione a Nerone, che si
diceva scampato dalle trame di Agrippina. Ma i ludi, menzionati da
Suetonio, furono 2^'''^ aeternitate imperii; e mi par che questo ci porti
ben lontano dall' ipotesi che si volesse alludere al preteso pericolo, da
cui Nerone era scampato; e i ludi menzionati da Dione neppur furono per
lo scampato pericolo di Nerone, ma anzi furono in onore della madre. Qual
sarà dunque il fatto, durante il regno di Nerone, che metta in dubbio l'
esistenza stessa dell' impero? Io credo che sia 1' incendio; e ciò
crederei pure, quando non fosse molto suggestiva quella rappresentazione
della togata di Afranio intitolata Incendinm. Che in questi ludi
solenni, destinati ad auspicare, dopo la riedificazione di Roma,
l'eternità dell'impero, sieno stati celebrati alcuni degli spettacoli che
avevano più stupito i romani durante i giuochi circensi fatti dopo
la morte di Agri])pina, quale ad esempio quello dell' elefante funambolo,
non può, credo, far meraviglia ad alcuno. Qualche altro indizio che
andremo ora raccogliendo conferma la nostra ipotesi circa l'occasione e
lo scopo di questi ludi maxìmi. Nerone, verista in arte, volle riprodurre
sul teatro la scena deli' incendio: la casa rappresentata in mezzo alle fiamme
(Suet. ardentis domiis) era probabilmente la casa sua, la domus
transitoria che era bruciata (cfr. Tac., ardente domo). Egli volle che la
scena dell' incendio fosse intera, che gli antori depredassero la casa e si
tenessero la preda: ut scenici ardentis doinus stopellectilem diripeI
ì^eiit ac sihi habevent; cfr. Tao. Ann. ut raptus licentiiis exercerent.
Se il carattere stesso dei ludi maximi deve connetterli con una grande pubblica
calamità, se la rappresentazione dell' Incendium è così suggestiva per
noi, ci si consenta ora di fermarci brevemente su quel che Suetonio
dice, che i ludi furono sUscepti prò aeternitate imiperii. Nella
ricostruzione, che noi tentammo, del processo, noi ponemmo che, dopo i primi
confessi, arrestati in massa i Cristiani, quando s' indagò più addentro la loro
dottrina, e si seppe che essi aspettavano la fine dell'impero e
l'imminente regno di Dio, la dottrina stessa dovè essere qualificata di odio contro il genere umano. Questa
parte della propaganda era stata certamente svolta solo nelle
predicazioni segrete: quindi il modo misterioso, e per noi
incomprensibile, con cui parla dell' Anticristo e del prossimo regno
di Dio Paolo ai Tessalonicesi, (Tess.). Fin da quando Caligola, con
sacrilega follia aveva voluto essere adorato come Dio, era cominciato il
fermento delle comunità cristiane che vedevano nell' imperatore
divinizzato l' immagine vera dell'Anticristo, ed aspettavano quindi
imminente la fine dell' impero ed il trionfo loro. A calmare tale
fermento è appunto diretta quella parte della lettera di Paolo. E la
dottrina sopravvisse pure all' eccidio; giacche ancora in Tertulliano {Apolog.;
Ad Scap.) coincidono i due termini; la fine dell'impero e l'inizio
del nuovo regno nel mondo. Se tal dottrina sentivano spiegare da quei
fanatici i Romani, è naturale che la qualificassero dottrina di odio
contro il genere umano, e cioè contro la civiltà romana, contro l' impero
romano, ' ed è pur naturale che, riedificata Roma, auspicassero l'eternità
dell'impero. Mi si consenta un' altra osservazione. Non fra
le sole turbe impazienti e insoddisfatte era 1' aspettazione della
prossima fine dell' impero. Era altresì negli alti gradi sociali, fra i
filosofi, specialmente stoici, fra gli aristocratici di antica tempra. La
congiura pisoniana mosse anzi, secondo Tacito, da questo principio:
(Ann. XV, 50) cium scelera princlpis et tìnem adesse imperii
deligendumque qui fessis rebus succurreret inter se aut inter amicos
iaciunt. Dopo tal congiura gran parte della città doveva essere già
riedificata; ed è naturale quindi che allora si celebrassero i ludi
maximi. E poiché i due gravi avvenimenti ultimi avevan dato la prova
di tante volontà decise ad aspettar la fine dell'impero, era
naturale pure che all' eternità dell' impero si dedicassero i ludi. Il racconto
dei quali doveva quindi cadere in una delle parti perdute di Tacito, dopo
il cap. 35 del lib. XVI degli Annali. Tutto questo, si dirà, è una
ricostruzione ipotetica. Ma v' è pure un documento che può dare a tale
ricostruzione non lieve conferma, documento che, ben Tac. Ann. odio Immani
generis. Genus humanian in Tacito ed in altri scrittori vfvle egli
abitanti dell'impero; cfr. Coen, Persecuz. neron. pag. 69 dell' estr. Un
mio illustre maestro, il prof. A. Ohiappelli {in Atti della R. Accademia
di Scienze Morali e Politiche di Napoli) sostiene che odiiim humani
generis debba essere interpretato per
misantropia. Che questo sia il significato della frase, quando sia
adoperato in senso filosofico, niuno nega. Ma il nostro caso è diverso.
La rinunzia ai piaceri, la vita ritirata e sdegnosa, la misantropia
insomma, o fosse cristiana, come forse per Pomponia Grecina (Ami.), o fosse
stoica, come per Rubellio Plauto {Ann.), Trasea Peto {Ann.) e tanti
altri, desta l'ammirazione di Tacito, gli commuove di reverenza il
C. Pascal. 11 che non riguardi i ludi maccimi, riguarda però cerimonie pur
dedicate all' eternità dell' impero. Questo documento è un frammento degli Atti
degli Arvali, che si riferisce all'anno 66 d. Cr. [Corp. Inscr. Lat.). Vi
si notano i sagrifizii stabiliti dagli Arvaii ob detecta nefariorum
Consilia, e tra gli altri quello aeternitati ìinperii (Un. 6). Così pure
alla linea 21: reddito sacrificio, quod fratves Arvcdes
voverant oh detecta nefariorum Consilia. Quali erano questi nefariorum
Consilia? Qu&Ui dei congiurati di Pisone, giacché anch' essi, come
abbiamo visto, aspettavano la fine dell' impero; ma pure quelli degl'
incendiarli; giacché il nesso tra le cerimonie dedicate all' eternità dell'
impero e l' incendio è stabilita dal fatto, che durante quelle cerimonie
si rappresentò la fabula Incendium. ' Né bisogna dimenticare un altro
fatto. Rimangono gli Atti degli Arvali del regno di Nerone, dall' anno 55 in
poi (C. I. L.); salvo quelli dell' anno 64, l' anno dell' incendio, e del
seguente. Ora gli Atti del 66 sono i primi nei quali alla serie di tutti
gli altri voti, fatti alle altre divinità si aggiungono quelli all'
Aeternitas imiMrii. Claudite rivos. Spero di non occuparmi più né
dell' incendio né di Nerone. Non fu forse vana questa lizza d' ingegni,
che ebbe origine, su tale speciale que petto, non è da lui
quaUficata fìagitmm, uon odium hìimoni generis. Non si possono dunque
spiegare né i fìagitia ne V odùim con ia misantropia. Neil' un caso e
nell'altro deve trattarsi, credo io, di ben altro. > È qui
importante il notare che per Nerone sono distinti i vota prò aeternìtate
imperii dai vota prò salute principis, che sono menzionati altrove (C. I.
L., lin. 2, 3 e 8: Tac. Ann. XVI, 22; Suet. NerOy 46). Per Domisciano
invece le cestione, dal romanzo del Sienkiewiecz; lizza nella quale
spiegarono armi poderose di critica e di dottrina uomini quali il Negri, il
Coen, il Ramorino, il Chiappelli, il Semeria, il Boissier; né dovrò tacere i
lavori, cosi corretti nella forma polemica, del Mapelli, dell' Abbatescianni
e del Profumo; ne quello, per più rispetti notevole, del Ferrara. *
Impulsi non nobili e ambizioncelle presuntuosette e piccine trassero
altri, impreparati, a scritture o invereconde o insensate, ma in una
questione siffatta, nella quale sembra esser così facile l' erudizione,
era naturale aspettarselo. rimonie si congiunsero (C /. L.).
Cosi pure per Settimio Severo (C /. L. II). V. De Ruggiero, Diz. epigraf.. A
Domiziano dunque allude Plinio il Giovane quando dice a Traiano
{Fanegyr.): Nuncupare vota et prò aetei'nitate impeni et prò salute
civium, immo prò salute principum ac pì'oj)ter illos prò aetermtate
imperii solebamus. Haec prò imperio nostro in qiiae sint verba suscepta,
ojjerae pretium est adnotare: si bene rem ]}ublicavi, et ex utilitate
omnium rexeris: digna vota quae semper suscìpiantur semperque solvantur.
Diversa naturalnjente àdiW aeternitas imperii è V aeternitas Augusta, titolo
che prima fu attribuito solo agli Augusti morti e consacrati (Boutkowski,
Dici), e poi anche agli Augusti viventi; cfr. Eckhel, Doctr.; Aeternitas
imperii non si trova, ch'io sappia, prima di Nerone, anzi prima dell'anno 66.
Si trova poi più tardi, per Domiziano. Settimio Severo, sulle monete di
Caracalla, di Geta, ecc.: cfr. Eckhel. Non lavori speciali, ma riassunti
o giudizii pubblicarono il Vaglieri, il Borsari, A. Avancini, D.
Avancini, il Ricci (Corrado), Thomas, Toatain, MARTINAZZOLI (vedasi), Dufourcq,
GRASSO (vedasi), FABIA (vedasi), Bouvier, Reville, Andresen, ed altri
moltissimi. Molti altri articoli ed opuscoli sbocciarono qua e là in
confutazione del mio: nella maggior parte il fervore dell'intenzione non
corrispose al valore. Chi ne vorrà sapere qualche cosa, potrà leggere i
miei articoli in Vox Urbis; in Cultura, e in Bollett. Filai, class,. Ma,
pur dopo, gli scritti continuarono; e vi fu perfino chi nascondendosi
sotto il nome di Vindex pubblicò un impudente volume. Fortunatamente si tratta
di cosa destituita di ogni valore; e disdice quindi alla dignità
della scienza farne parola. Coen pubblica nell’ “Atene e Roma” un
lungo studio sulla persecuzione neroniana. Crediamo opportuno informare i
lettori della parte che riguarda le obbiezioni mosse alla mia tesi;
e fare infine qualche breve osservazione circa l'ipotesi presentata dal
chiaro autore. Che l'una o l'altra delle opinioni che io mi
provai ad avvalorare di argomenti nel mio opuscolo. L' incendio di Roma e
i Cristiani e stata già addotta da altri, è cosa rimproveratami da più
d'uno. Ma, a dir vero, i lettori del mio opuscolo debbono
riconoscere che io esamino e discuto le sole fonti antiche, da ciascuna
delle quali cerco trarre qualche elemento, che mi giovi poi a
ricostituire in una concezione unica il fatto storico. Il fare una
rassegna, sia pur fugace, delle opinioni e interpretazioni moderne su
ciascun passo, mi pareva lavoro arido, lungo e pressoché vano, e
per giunta, di necessità monco e incompiuto (ad es., il Coen stesso
non fa menzione dello Cliirac, che va molto al di là dell' Havet, Rev.
Socialiste). Fondamento principale alla mia tesi io posi
nella credenza diffusa tra i cristiani del primo secolo, che fosse
imminente l'incendio del mondo decretato da Dio, che dopo tale incendio
verrebbe il regno della giustizia, che la distruzione del mondo presente
coinciderebbe con la distruzione dell' impero romano. Tutta la
letteratura apostolica mostra l'impazienza di alcune fazioni cristiane nell'
aspettare il regno divino. Se c'è ipotesi che esca alla luce fornita di
tutti i numeri delia probabilità, panni proprio questa, che tale
impazienza abbia trascinato le turbe al fanatismo. Di tutto ciò non fanno
quasi parola i miei contraddittori. Xel citare le antiche scritture cristiane,
nelle quali tali dottrine sono contenute, io non ho preteso che
proprio quelle i Cristiani di Roma leggessero. Ho addotto quei passi per
dichiarare qual fosse il dogma dei Cristiani del j^rimo secolo, dogma che
sarà stato spiegato principalmente mediante la predicazione orale,
come del lesfco il Coen stesso riconosce. Altra obbiezione mi muove il chiaro
autore: onde io sappia che, prima del 64, Nerone fosse per i Cristiani r
Anticristo. La seconda di Paolo ai Tessalonicesi, egli argomenta, è scritta,
secondo la data più discreta, nel primo anno dell' impero di Nerone, o
anche prima; dunque i contemporanei non potevano vedere allusione a lui nelle
parole dell'Apostolo. Senonchè nel mio opuscolo io non sostengo che
contro l'imperatore coìne persona si appuntassero gli odii di
alcune fazioni cristiane; bensì come imperatore e adorato con divini onori
(Tessal.). L'imperatore rappresenta l’ordine costituito, che era per
quelle fazioni il regno di Satana; come Roma rappresentava la forza
e la potenza centrale di tal regno. Che ninno degli scrittori pagani (all'
infuori di Tacito Ann.) parli dei Cristiani come colpevoli dell'incendio,
malgrado tutte le accuse volte contro di essi in seguito, io spiegai con
l'ipotesi che r accusa contro Nerone nascesse tra i Pagani stessi,
al vedere tra gì' incendiarli i servi di lui. Il Coen mi obietta: Non consta che l'opinione la quale
faceva Nerone autore dell' incendio sia invalsa in maniera così
definitiva da far cadere in oblìo ogni altra versione. Consta anzi, egli dice,
il contrario, se cinquant' anni dopo Tacito pone ancora l'ipotesi del
caso. Che r opinione prevalesse in modo definitivo, solo dopo molti
anni, credo probabile; ciò non è infirmato dall' accenno che Tacito fa al
caso. Tutta la narrazione che egli fa esclude 1' ipotesi del caso. Tacito
però 1' ha registrata, perchè, com' egli dice, 1' ha trovata in una delle sue
fonti. Ma nessuna fonte poteva contenere tale versione, obietta ancora il
Coen, se fosse vera la ricostruzione eh' io faccio degli avvenimenti.
Perchè nessuna f Una fonte trascurata o non informata di tutti i
particolari narrati da Tacito,^ Suetonio e Dione. Ed ora, il numero dei primi Cristiani in
Roma. Tacito, Clemente Romano e l'Apocalisse affermano che erano una gran
moltitudine o numero. I primi due, si dice, hanno esagerato; quanta all'
Apocalisse si elevano dubbii di natura diversa. Esagerato? E perchè?
Perchè altra volta Tacito esagera. E sarà vero; ma qual prova v' è che abbia
esagerato questa volta ì E perchè avrebbe esagerato anche Clemente
Romano? Sia lecito del resto rammentare che Paolo (^h* Filii), dice dei
cristiani di Roma: MOLTI dei
fratelli nel Signore e concludere
quindi ancora una volta che ad infirmare 1' autorità di tali fonti
non ?;'è una sola prova di fatto. Quanto ai Jìagitia, posso
dispensarmi per ora dal discutere i singoli passi, se l'Autore stesso
dichiara: flagitium contiene ordinariamente il duplice concetto di azione
turpe e colpevole ad un tempo y. Non sarà dunque errata nell' uso
italiano la parola delitto. E che nei due paesi di Tacito (XV, 44) e
di Plinio (X, 96) si tratti di veri e propri delitti, io confermo per la
seguente ragione: che nell'uno seguono le parole: colpevoli e meritevoli di ogni maggior pena, e nell' altro i flagitia son da mettere in
relazione con gli scelera, dei quali Plinio parla dopo (v. qui
appr. App. IH). Circa al fatebaiitur, io aspetterò dai miei
contraddittori la prova, che esso, detto a proposito di uà processo, possa
significare altro che la confessione di un reato. Per ora, rimangono le
prove opposte. Mi sia lecito ora fare qualche breve motto, anche
sull'ultima parte dell'articolo di Coen. Questa parte tende a ricercare la
ragione, per la quale gli occhi di Nerone si appuntarono sui
Cristiani. L'indicazione gli sarebbe dunque venuta non dagli Ebrei, ma
dal popolo stesso, che vedeva i Cristiani rifiutarsi alle cerimonie
propiziatorie, e concepì su di essi il tristo sospetto. Con ciò 1' A., nella
sua cauta riserva, rinunzia ad esprimere il suo avviso sugli autori veri
dell' incendio. Lascia cioè sussistere ancora le due ipotesi: o il caso o
l'ordine di Nerone. Io oso credere tuttora, che 1' una ipotesi e 1' altra
non resistano all'esame di tutti i particolari dell'incendio,
tramandatici dagli scrittori. Tale esame mi sono adoperato a fare nel mio
opuscolo; né credo sarebbe opportuno ripeterlo qui. Mi basti solo accennare:
per attribuire l'incendio o al caso o a Nerone bisognerebbe ritener falsi
tutti i fatti narratici dagli antichi: che 1' ipotesi del caso non
ispiega come mai vi fossero scagliatori notturni di faci; e l'ipotesi
dell'ordine nerouiano non ispiega (a tacer di altre ragioni minori) come
mai l' incendio prorompesse proprio accanto al palazzo imperiale; e come
mai, quando Nerone tornò a Roma, e cercò arrestare il fuoco, e prese
tutti i provvedimenti atti a lenire il disastro, le fiamme di nuovo
si rinnovassero dagli orti di Tigellino, il secondo mostro dell' impero. Nuovo
ordine anche questo? Tutto si può supporre; ma si può proprio credere
che si sarebbero fatte abbruciare le regioni più belle e più nobili
di Roma, lasciando intatto il lurido Trastevere, il ceutro della comunità
giudaica e cristiana? Si può proprio credere che un uomo, dopo sei
giorni d' incendio, mentre con tutte le sue forze si adopera a dar
ric^to e pane alla plebe furibonda, possa cimentarsi, in mezzo alla
disperazione del popolo, a rinnovare un ordine simile? Un uomo vile, e che
dinanzi all' ira popolare fuggiva tremebondo, come Nerone? Le due
ipotesi quindi, il caso e 1' ordine di Nerone, non possono, a mio parere,
sussistere. Tacito le enuncia, ma perchè utriimque auctores prodidere; ma la
narrazione stessa che egli fa, esclude 1' una ipotesi e l'altra. Egli evidentemente
distingue gli esecutori matericdi dell' incendio, da colui che poteva
aver dato 1' ordine; che i primi fossero i Cristiani non ha alcun
dubbio, giacché parla di essi come confessi; solo è in dubbio chi
fosse qiieìV auctor che essi dicevano averli incitati; e riferisce la
voce popolare che 1' auctor fosse Nerone. E perciò appunto alla fine del
cap. 44 aggiunge che i Cristiani benché colpevoli, e meritevoli delle
maggiori pene, muovevano a pietà, quasiché perissero non pel pubblico
bene, ma per la soddisfazione della crudeltà di un solo (in saevitiam unius), e
cioè per averne eseguito gli ordini crudeli, secondochè mi pare che
si debba interpretare questo passo. Ad ogni modo, l'ipotesi che il
Coen oppone alla mia, che cioè l'indicazione dei Cristiani venisse
fatta a Nerone dal popolo, sdegnato che essi si negassero di
partecipare alle cerimonie di espiazione, non urta, se ben veggo, contro
l' ipotesi mia. Per qualunque ragione tale indicazione sia stata fatta,
quel che importa è di vedere se 1' indicazione fu giusta o no. Io penso
pur sempre che l' indicazione fu fatta per il necessario riconoscimento
di molti. Non è jjossibile che non fossero riconosciuti, giacche anzi si
sapeva che erano stati i pretoriani ed i servi di Nerone. Li dovettero,
ad esempio, riconoscere quegli uomini consolari, i quali, come riferisce
Suetonio, li sorpresero nei loro fondi ad appiccar l'incendio; e certamente
anche molti altri. Riconosciuti, fu giuocoforza che essi confessassero, e che
quindi contro di loro s'iniziasse il processo (Tac. carrepti qui fatebantur). E
logico il supporre che nel furore di repressione che invase gli animi a tale
scoperta non si badasse più che tanto; non si distinguessero i
Cristiani innocenti dai colpevoli, i calmi e pii dai fanatici e dagli esaltati;
è logico, perchè è umano; e in ogni repressione violenta avviene sempre
cosi; si supponga dunque pure che, oltre al necessario riconoscimento di alcuni
veri colpevoli, e alle denunzie di questi, molte indicazioni di Cristiani venissero
fatte per la ragione supposta dal Coen; che cosa proverebbe ciò
contro l' ipotesi mia? Senonchè la congettura del Coen si fonda
sopra un presupposto, a proposito del quale pur mi tocca la mala
ventura di non trovarmi d' accordo con lui. Su questo presupposto, cioè,
che in momenti di furore, il popolo potesse aver tanta calma da ragionare
così: gli ebrei sono nel loro diritto, di non partecipare alle
nostre funzioni; i gentili noi sono. Sarebbero stati, credo io, ebrei e
cristiani coinvolti insieme nella medesima accusa; né i Cristiani erano allora
considerati altrimenti che come fazione dei giudei. Esce fuori dei
limiti della mia ricerca la seducente congettuì-a del Coen, sulle Banaidi
menzionate da Clemente Romano, e sulla probabile relazione che è tra il
passo di Clemente {ad Cor. I, 6) e il passo di Tacito: profittata lurio per matronas^ prhnum in
Capitolio, deinde apud proximum mare, vnde hausta aqua temphim et simulacrum
deae perspersiìm est. Poiché le cerimonie qui descritte sono, come il
Coen ben nota, singolari, mi piace richiamare a proposito di quella
lustrazione apud proximum mare, alcuni versi oraziani: Vel nos in inare
proximum Gemmas et lapides aurum et inutile, Summi materiem
mali, Mittamus, scelerum si bene paenitet. {Carm.). La cerimonia apud
proximum mare era adunque rituale per espiazione di delitti? Anche
Boissier ha voluto volgere al nostro argomento la sagacia del suo ingegno; e
gli studiosi saran certo grati al grande scrittore ed erudito francese
dello studio pubblicato nel Journal des Savants, Dopo una esposizione sommaria
della questione e della tesi da me sostenuta, il Boissier così dice: Assurément, tout cela n'est pas impossible:
quelques insensés, quelques anarchistes se seraient glissés parmi les
premiers disciples du Maitre, qu'il n'en faudrait pas étre trop surpris,
ni en l'endre le christianisme responsable. Remarquons pourtant qua la société paienne n'avait pas encore manifeste sa
baine implacable pour les chrétiens, et n'ayant pas eu encore l'occasion
de leur étre trop sevère, leur devait étre moins odieuse. C est plus
tard, quand'ils furent poursuivis sans miséricorde qu'on rn'> s'
étonnerait de trouver chez eux des fanatiques capables de tous les excés.
Or, nous voyons qn'à ce moment; méme, où ils sont si durement traités par
l'autorifcè et par le peuple, ils se vantent d'étre des sujets soumis,
irreprochables, d'accepter Jes persécutions sans ré volte, de prier pour
les princes qui les envoient au supplice, et de ne répondre que par le
bien au mal qu'on leur faisait: il serait dono assez surprenant qu'ils
eussent mis le feu à Rome lorsqa'ils avaient moins à se venger
d'elle. Se
non m'inganno, questo che il Boissier ha notato, è il corso fatale di
ogni setta, è la condizione stessa del suo vivere. Ogni setta cioè
comincia per essere rivoluzionaria, e, messa allo sbaraglio delle dure
prove, delle persecuzioni, dei tentativi di soppressione di ogni sorta,
va perdendo a poco a poco il suo carattere di opposizione e d' intransigenza,
cerca accomodarsi ai tempi, vivere nei suoi tempi, diventare, come oggi
si dice, legalitaria. È un processo naturale ed umano: che meraviglia è
che il vediamo riprodotta qui nella storia del cristianesimo? Non vediamo
noi un fatto che a prima giunta può parere più straordinario ancora: che
cioè quando le persecuzioni cessarono e il cristianesimo si fu affermato
vittorioso, allora appunto esso cominciò più tenacemente ad abbattere
istituzioni, monumenti, templi, cui gli editti imperiali mal giungevano a
salvare da quelle furie devastatrici? Non potrebbe qui pure il Boissier
domandarsi: perchè abbattere tutto, se ormai non avevano più da
odiare o da temere nulla, essi, i vittoriosi? li vero è che durante le
repressioni violente non scattano gl'impeti sovversivi; scattano prima,
quando ogni furia sembra ministra di giustizia contro un ordine di cose
odiato; scattano dopo, nell'irruenza dell'agognata vittoria: e
scattano nei più impulsivi e più fanatici, pur contro i consigli di
moderazione e di calma dei prudenti. Il Boissier continua: Tout ce qu'on
peut dire c'est que M. Pascal s'est fort habilement servi de son hj'^pothèse
pour expliquer les iacidents dont il vient d'étre question dans le récit
de Suétone et de Tacite. Si l'on crut recounaìtre, dans le gens qui
jetaient sur les maisons des étoupes eiiflamraées, des serviteurs de
l'empereur, c'est qu'en effet il y avait des chrétiens dans le palais de
Néron; saint Paul nous le dit, et M. Pascal pense que ce sout ceux-là qui
ont allume l'inceudie. Les consulaires, qui avaient l'occasion de les
reuconIrer souvent au Palatin, ne s'y sont pas trompés et l'on comprend
que, saisis de frayeur à leur aspect, et croyant qu'ils agissaient par
l'ordre du prince, ils les aient laissés faire. L'hypothèse est
ingénieuse, mais ce n'est qu'uue hypothèse; pour voir si elle est
d'accord avec les faits, reprenons le récit de Tacite. E qui il
Boissier si fa ad esaminare il famoso passo di Tacito, di che è discorso
nel nostro studio nella nota 27 e qui appresso in app. III. Egli
riconferma la sua opinione, già altre volte espressa, sopra il gran
numero dei cristiani di Roma; ed in ciò ho la fortuna di trovarmi d'
accordo con lui. Ma tal fortuna non mi tocca per 1' interpretazione del
fatehantur tacitiano. Se il processo era d' incendio, avevo detto io, la
confessione dei cristiani non può intendersi se non per il delitto
d'incendio. E Boissier mi oppone:
La nouvelle a dù s'en repandre partout; si elle était aussi
sùre, aussi evidente que le texte de Tacite, interprete de cette manière,
semble le dire, Néron avait tout intérét àia propager; il est impossible
qu'il n'ait pas profité avec empressement de cet aveu, qu'il travaillait
à obtenir, pour se giustifier lui-méme. Quelque détesté qu'il pùt étre, il u'j'
avait pas moyen qu'on persistàt à l'accuser d'un crime dont
d'autres se reconnaissaient les auteurs. Comment se fait-il donc
que Tacite, presque au moment méme où il nous rapporte cet aveu, ait pu dire
qu'on ne sait s'il faut attribuer l'incendie au hasard ou à la
malveillance? Et Suétone, si bien informe d'ordinaire, comment
n'a-t-il rien su de cette procedure, qui, pourtaiit, dufc étre rendue
publique? Comment le peuple, qui perdait tout à ce désasfcre, a-t-il été touché
de pitie pcur des gens, qui en étaient la cause et a-t-il crii qu'on les
sacrifìait uniquement à la cruauté d'un homme? M. Coen fait remarquer
avec beaucoup de force qu'il est aussi fort étrange que dans la suite,
lorsqu'on poursuivait avec tant d'acharnement les chrétiens et pour
tant de crimes imaginaires, aucune allusion n' ait été faite à
celui dont ils ne pouvaient pas se défendre puisqu'ils l'avaient avoué. Ora a
ciascuna di queste ragioni le risposte furono da me qua e là date: e mi
converrà ripeterle ora, poiché quelle ragioni, messe cosi tutte insieme in fila
serrata, sembrano invitto manipolo. Nerone, dice il Boissier, aveva il
maggiore interesse a divulgare la confessione. Certo, ed anzi appunto per
questo forse egli diede la maggiore pubblicità alle pene nefande! —
Secondo quesito: se Tacito pone il
dubbio che l'incendio fosse dovuto al caso, come può parlare di rei
confessi d'incendio? A mia volta domanderò: se Tacito pone il dubbio che l'incendio fosse
dovuto al caso, come può dire che vi erano coloro che impedivano
ogni tentativo d'estinzione, aggiungendo l'ipotesi che ciò
facessero per comando altrui? Gli è che Tacito non sempre è conseguente;
prende da una fonte la ipotesi del caso, ma la sua narrazione tutta
esclude tale ipotesi. Terzo quesito: Suetonio – SVETONIO (vedasi), sì
bene informato, come non ha saputo niente di questo processo, che pur
dovette essere pubblico? O chi dice che non abbia saputo niente? Suetonio
accusa Nerone di avere ordinato l'incendio, non di averlo
appiccato: dice che gli esecutori materiali furono i servi di Nerone; e
del processo non fa menzione, forse appunto perchè si trattava di uomini
di infima condizione, che egli supponeva esecutori di ordini imperiali.
In altro luogo però pone tra le cose lodevoli del regno di Nerone i
supplizii inflitti ai Cristiani. — Quarto quesito: come il popolo, che
perdeva tanto, fu mosso da pietà per questi uomini, e credette che essi
fossero immolati alla crudeltà di un solo? Tacito dice che il popolo fu mosso a
pietà per l'inaudita crudeltà delle pene,
òeuchè si trattasse dì uomini colpevoli, e meritevoli delle lìinggiori
pene; si può esser più chiari? ed aggiunge; come se essi fossero immolati non al bene
pubblico, ma alla crudeltà di un solo, di quel solo cioè, che,
secondo egli presume, aveva ad essi dato 1' ordine. Erano poveri
schiavi esecutori di ordini: erano colpevoli, si, ma vittime della
crudeltà di chi aveva dato 1' ordine: questo il pensiero di Tacito. Ma
come potè spargersi la fama di quest' ordine dato da Nerone ? A me non
par difficile ravvisarlo. Dice Tacito, che durante l' incendio, gì'
incendiarli interrogati rispondevano agir per ordine. Probabilmente lo
stesso risposero al processo, né discoprirono il loro tristo
consigliere. E poiché tra quelli colti in flagrante e processati erano
pure i servi di Nerone, l' ordine fu interpretato da molti come ordine
dell' imperatore. Si potè credere che essi non volessero nominarlo
per paura di peggio, o jDerchè ne sperassero le ultime grazie. Ad
ogni modo, nato nel popolo il sospetto della colpa di Nerone, non era
possibile che si dileguasse: ne si dileguò. Ultimo quesito: ma come mai, dopo, furono accusati i
cristiani di tutti i delitti, ma non di questo? È facile rispondere : i
pagani stessi accusarono Nerone; la persecuzione contro i cristiani fu
messa come cosa affatto indipendente dall'incendio, e come tale è già in
Suetouio; chi più pensava che il fanatismo religioso fosse stato impulso
all'incendio ? Il popolo aveva ormai formato la leggenda sua: l'ordine
dato da Nerone ai propri! servi, per loro stessa confessione : chi
distingueva tra quei servi i cristiani dai non cristiani? I due fatti,
incendio e persecuzione, furono interamente disgiunti; e la leggenda di
Nerone incendiario tenne il campo incontrastato. Boissier aggiunge
due considerazioni d' indole filologica. Affinchè la frase famosa di
Tacito correpti qui fatebanhir, avesse il significato eh' io le
attribuisco, egli crede che dovrebbe suonare cosi: qui c07-repti erant
confessi sunt. Ma coìtìjjìo non ha il significato di arrestare, bensì quello di iniziare il procedimento penale; cfr.
nota 27 ; dunque corì-epti qui fatebantur ha precisamente il significato
di: si processarono quelli che erano rei confessi, e cioè di volta
in volta che alcuno confessava, veniva sottoposto a processo. Egli aggiunge che
nel significato da me voluto, si sarebbe aspettato confiteri, non
fatevi, trattandosi di delitto, e cita Cicerone, Pro Caecina^ IX:
ita libenter confitelur ut non solum fatevi sed etiam projìtevi videatur.
Faccio osservare prima di tutto che, secondo la ipotesi mia, i cristiani
confessi non dovevano pentirsi o vergognarsi di quel che avevano fatto ; e
poi, che, quando pure le norme dello stile ciceroniano potessero valere
per Tacito, questa che qui si j)one, non è costante neppure per Cicerone:
giacche Cicerone stesso adoperava /aferi per la confessione di omicidio
(Mil.). Ma, aggiunge Boissier, se Tacito avesse voluto dire
Cauer cosi sentenzia {Beri, philolog. Woch.): Tacitus
sagt: Die Gestàndigen wurden verhattet, nicht: die zuerst Verhafteten
waren gestilndig. Das
Gesttlndnis ging also der Verhaftung vorheri-. Ma covrepti non designa la
cattura, bensì il processo; ed è naturale clie la confessione fosse
anteriore al processo. Bene dunque hanno fatto il Gerber e il Greef nel
loro Lexikon 2'aciteum, col sottintendere al fatebantur del nostro passo .se
incendisse urbeni. che i priini cristiani si vantavano nel confessare
l'incendio, si sarebbe servito di yrofiteri. O donde mai questa regola? Si
vuole un esempio di Tacito in qwì fatevi^ denota un delitto confessato e
di cui il colpevole si gloria? Eccolo qui: Ann.: praecipuum auctorem
Asiaticum interficiendi C. Caesaris non extimuisse in contiene populi Romani
fateri gloriamque facinoris ulfcro petere. Infine circa il capo di accusa
contro i Cristiani, la conclusione cui giunge Boissier è la seguente: L'expression
non tam in crimine incendii qtiam odio generis Immani coniunctì siint
(cosi egli legge), semble bien indiquer qua l'accusation d'incendie ne
fut pas abandonnée, mais que, comme ou n'esperait guère la faire
accepter du public, on la dissimula suos celle à^odium generis immani,
qu'on étendit à tout le monde. Il che mi
pare corrisponda all' opinione mia, che ho scritto apj)Uuto: i primi, gii esecutori materiali,
confessarono e denunciarono i compagni (indicio eorum) : allora non si
volle sapere altro, si fece 1' arresto in massa dei ci'istiani, e ninno
di essi smentì la sua fede; solo questi ultimi dichiararono non aver
preso parte all'incendio, come i primi; ma era lo stesso, erano tutti rei
di queir odio umano che aveva armato le mani di fiaccole : furono tutti
condannati. Ed aggiungerò che la pena stessa del vivicomburio è un
indizio che l'accusa d'incendio rimase; giacché tal pena è appunto quella
che fino dal tempo delle XII Tavole era comminata per gì' incendi dolosi
(cfr. Ferrini, ESPOSIZIONE STORICA E DOTTRINALE DEL DIRITTO PENALE ROMANO). Osservazioni
sul passo di Tacito riguardante l'accusa contro i Cristiani. (Uallfi
Rivista di Filologia). Una delle molte qne.stioni scaturite dalla
trattazione di una tési, che è stata in questi ultimi tempi in vario
senso discussa, e che tuttora è oggetto di discussioni non poche, si è quella
relativa al significato della voce jlagitium. Può Jlagitiuvi equivalere
a delitto scelleraggine, oppur sempre si deve limitarne il
significato, si che esso designi un' azione che sia solo ignominiosa
o vergognosa? Affinchè tal
questione non sembri peccare di sottigliezza soverchia, e si ravvisi anzi
subito qual vantaggio ridondi dalla soluzione di essa all'intelligenza di
alcuni passi, ci si consenta richiamare qui il ricordo di quei
luoghi, dalla cui controversa interpretazione questo nostro piccolo
quesito si può dire sbocciato. Tacito in Ann. chiama i Cristiani jper fiagitia
invisos. Così PLINIO (vedasi) il Giovane, nella famosa lettera a Traiano
sui Cristiani di Bitinia parla, a proposito di essi, di fiagitia
cohaerentia nomini. Che cosa è dunque che si imputa ai e. l'ancal.
12 Cristiani con la -pavola, Jlagitia? Quelli che ne vogliono
limitare il significato entro i termini più angusti, rammentano come alla mente
dei pagani dovessero sembrare vergognosi i severi disdegni dei Cristiani
per tutto ciò che fosse piacere ed ambizione terrena; e come tutto
insomma il contegno loro di rinunzia e di avversione al mondo si avesse
tal taccia. Ma non pochi scrittori e traduttori vedono in quei Jiagitia
dei veri delitti, che i pagani, a
ragione o torto, attribuivano alla nascente sètta cristiana. Non istarò, per
ora, ad esaminare se sia giusto il concetto, che, agli occhi di
scrittori, quali Tacito e Plinio, potesse sembrar vergognoso il contegno
austero di rinunzia e di spregio per tutti i piaceri mondani, che si
suole attribuire ai Cristiani; scrittori i quali, anzi, pare che allora
solo si commuovano di ammirazione reverente, quando si trovino a
discorrere di uomini nei quali sia invitta l'energia del carattere, non
cedevole a lusinghe di ambizione e di potenza o a blandizie ed
allettamenti terreni. Keppur domanderò, se, qualora di semplice
rinunzia al mondo si voglia parlare, trovino spiegazione le persecuzioni
feroci delle quali PLINIO (vedasi) stesso si rese colpevole, condannando, senza
processo, i Cristiani; e trovi spiegazione la domanda che egli fa a
Traiano, quando, sgomento dal continuar la persecuzione, si ferma a
porre il quesito, se la sètta cristiana in sé stessa o i Jiagitia ad essa
inerenti egli debba imnire; era dunque passibile di pena, per un Plinio,
pure la rinunzia ai mondo? Gioverà però, all' infuori di tali
questioni, trattare l'argomento nostro; ed esaminati altri esempli
ed indagato il significato di fiagìtium in essi, tornare poi, col
risultato ottenuto, al quesito onde prendemmo le mosse.
L'opinione che il significato di Jlagitiuin debba restringersi in più
angusti confini rispetto a quello di malejìcium, scehis, e simili, trova
qualche consenso negli scrittori di siuouimie. Così Schmaifed,
Lateìnisclie Syìionymik: Flagitiwn heisst eine den, der sie
ausfiihrt, e n teli rende Haudluug, Schandthat und b) oft geradezu
Schande, infamia, dedecus, e il passo apportato a suffragare tal
significazione è quello noto della Germania di Tacito, 12: tamquam scelera estendi oporteat dum
puniuutur, fiagitia abscondi, passo nel quale la parola flagltia si
riferisce alle colpe degl' ignavi et imhelles. Con lo stesso esempio
tacitiano prova lo Schultz, Sinon. latini, trad. Germano-Serafini, la sua definizione: Flagitium
bruttura, è un delitto contro sé stesso, una violazione di sé stesso, non
già con azioni violente, ma con azioni moralmente turpi e vergognose.
Con lo stesso esempio infine il Coen, La persecuzione neroniana dei
Cristiani, pag. 13 dell' esbr., conferma che '^fiagitia significhi azioni
turpi piuttostochè crinunose »; e sulla scorta anche di altri passi,
determina il suo concetto cesi:
ftagitium contiene ordinariamente il duplice concetto di azione
turile e colpevole ad un tempo; però quello della turpitudine primeggia;
e primeggia tanto che qualche volta l'altro manca. Ora in quel passo di
Tacito, e in altri passi affini, è evidente che fagitium è adoperato in
significato ben ristretto. Ma quando tal significato si vuol porre
come costante in Jlagitium, ed applicarlo in tutti i casi, a me
pare che si vada troppo oltre. Un utile riscontro può esser dato dalla
nostra parola vergogna ». Certo se vergogna » è adoperato da solo, in
opposizione a parole di significato più grave, quali scelleratezze o delitti, ciascuno intenderà trattarsi, di
azioni moralmente, non penalmente condannabili. Ma una famiglia coperta di vergogna » si dirà
pur quella, nella Nulla trovo nello Schmidt, Handbuch des Lat. u.
Griech, Synonymik, Leipzig, quale il figlio sia ladro o la moglie
adultera; e del figlio, ad es., di un assassino si dirà che egli sente il
peso delle familiari vergogne. Gli è che tali parole hanno duplice
significato: l'uno specifico e l'altro generico; e per questo secondo significato
si trovano ad essere applicate a quelle medesime azioni, a denotare
le quali si richiederebbero nomi specifici ben più gravi. Ne segue che a
determinare di volta in volta il significato di tali parole, occorra anzi
tutto vedere a quali fatti si accenni, dei quali sia nei singoli
passi discorso. Non altrimenti io credo sia il caso per jlagitium. Credo
cioè che, quando jlagltnim sia adoperato in senso specifico, denoti
azione turpe e sol moralmente condannabile; ma che in senso più lato, e con
riferimenti a fatti concreti, possa applicarsi ad azioni ben più gravi, a
vere scelleratezze. A conferma del qual significato, ne sia lecito
apportare qualche esempio, che io sceglierò esclusivamente da Tacito:
Hist, an si ad moenia urbis Germani Gallique duxerint, avvia patriae
inferetisì horret animus tanti flagitiì imagine. Trattandosi qui del
portare le armi contro la patria, credo non si reputerà adatta a rendere
quel Jiagitium qualche parola come
turpitudine o bruttura; qui
si tratterà invece di vera e propria
scelleratezza o infamia o delitto; si tratta insou^ma di uno
scelìis; e scelus è infatti, immediatamente dopo, chiamata una tale azione:
quis deinde t^celeris exitus, cwn Romanae legiones se cantra derexerint)
» La medesima identità tv a Jiagitium e scelus si scorge pure
nel capitolo precedente, a proposito del giuramento fatto dai soldati romani
allo straniero. Ivi infatti si legge: {Hist.)
ut, flagitium incognitum Romani exercitus, in externa verba
iurarent, pignusquò tanti sceleris nece aut vinculis legatorum daretur ».
Pure utile al nostro intento è 1' altro passo {Ann.) leviore flagitio legatnm ìnterficietis, qnam
ab imperatore descìscitis », e 1' altro (Ann.) nel quale il liberto
Aerato, inviato nella Grecia e nell'Asia a commettere sacrilegi nei
templi, è chiamato
cuicum-queflagitioiyvomptus », e l'altro ancora (i4?in.), nel
quale si dice che Nerone imputava ad Agrippina tutti i flagìtia di
Claudio, ^a^tYm dai quali quindi non si potrebbero logicamente escludere le
uccisioni di Silano e di Statilio Tauro e delle ricche matrone e dei
molti cavalieri, procurate da Agrippina, dopo il matrimonio con Claudio. Non
sarebbe difficile addurre altri esempii: quelli addotti mi paiono per ora
sufficienti a provare questo: che fiagitium sia parola di
significato molto vario circa la gravità del fatto che con esso si
imputa; tanto vario, che da semplice azione
scandalosa » può di grado in grado discendere fino a denotare vera
e propria azione delittuosa e scellerata; ed essere, come abbiamo già
visto, sinonimo di scelns. Il che tanto più deve valere, se la parola è
adoperata in senso giudiziario: scelas, peccatnm, Jlagitùcm,
maleficium, ^jrohriim, facinus si usano, dice il Ferrini, [Esposizione
storica e dottrinale del diritto penale romano P^g- 18j, promiscuamente
nelle fonti medesime, per indicare gli stessi reati. Vuol dire che, a
determinare la gravità della colpa indicata da fiagitium, converrà
esaminare nei singoli passi a quali fatti esso alluda. E poiché nel
passo di Tacito, Ann. per fiagitia invisos » si tratta di tali tatti, per
i quali l'A. ritiene evideatemente non disdicevole ai Cristiani 1' accusa
di incendiarli, quell'accusa cioè per la
quale egli dice poco dopo i Cristiani colpevoli e meritevoli delle
maggiori pene; e poiché nel passo di PLINIO (vedasi) fiagitia
cohaerentia nomini non può esser dubbio che i fiagitia sieno gli scelera
dei quali l'A. parla poco dopo {/urta, latrocinia ecc.), deve rimaner
ferma la conclusione che anche in questi due -pàssi fiagitia denoti vere
e proprie scelleratezze o delitti. È stata oggetto di controversia la
frase sitbdere reum, che si ritrova tre volte adoperata da Tacito.
I passi sono i seguenti: Ann. metuens ne reus suhderetuv.
Ann.: mos vulgo esf quamvis falsis reum suhdere. Ann.
abolendo rumori Nero stihdidit reos qiios. La maggior battaglia si è
veramente addensata sul terzo passo, quello riguardante i Cristiani.
Che cosa vuol dire Tacito? Che Nerone accusò falsamente i
Cristiani? Che li sostituì a se quali colpevoli dello incendio? O
semplicemente che, per isviar la voci pubbliche che lo accusavano, fece
iniziare il processo contro di loro? Sull'opinione di molti ha avuto
certamente efficacia non poca la frase sìibdere testamentum far comparire un
altro testamento e cioè, evidentemente, falso), che si ritrova in Tacito
stesso, Ann.: Ma questo verbo siibdere ha sì svariati significati, che,
se dovesse valere questa ragione analogica, si potrebbe, con pari
diritto, giungere alle più avventate conclusioni. E per limitarci a
Tacito solo, si vegga di grazia quanti sono gli usi e i significati
diversi che può presentare tal verbo. Pugionem capiti subdere in Hist. è
certamente « nascondere il pugnale sotto al guanciale » ; facem subdere
in Hist. e Ann., 4 è accostar di sotto la face » ; amphitheatro
fundamenta subdere in Ann. e animalia aratro subdere in Aìdi. è sottoporre;
imj)erio aliquem subdere in Ann. è « assoggettare all' imperio » ; rumor
eni subdere in Hist. e Ann. è far circolare la voce; subditis qui
accusatorum nomina sustinerent m Ann. è « avendo subornato alcuni a
sostenere le parti di accusatori » e « subornare » è pure nel testo. Una
espressione poi che si accosta molto alla nostra è quella degli Ann. ne
qìds necessarionim iuvaret j^ericUtantem^ maiestatis crìmina suhdehantur.
Qui si tratterà probabilmente dell'» imbastire processi di maestà ». Che
sia pur questo il significato della frase subdere reos? Al passo nostro
Ann. « abolendo rumori Nero subdidit reos quos tal significato non
disconverrebbe. Da tutto il passo risulta anzi che il processo contro i
Cristiani fu raffazzonato o imbastito alla peggio; tanto è vero, che non
solo i rei confessi d' incendio furono condannati, ma altresì tutti
gli altri che essi denunciarono quali aggregati alla loro sètta, e che
quindi furono convinti delVodium humani generis. Ma v' è un altro passo
cui tal significato non s' attaglia ed è Ann. I, 39, 6 « utcjue mas vìdgo
qìiamvis falsis reum .subdere ». Qui evidentemente Tacito vuol dire che
il volgo suole delle sue disavventure incolpare sempre qualcuno, anche se colpa
in realtà non esista. Saremmo dunque qui a un semplice incolpare o
attribuir la colpa, ma è da notare che reus è qui adoperato in un senso
traslato, non nel senso giudiziario; negli altri due passi invece nei quali si
ritrova presso Tacito 1' espressione subdere reiim, si tratta di
vero e proprio processo, e reus ha quindi il suo significato proprio di
accusato. Qual sarà dunque in questi due passi il significato della frase? A me
pare che l'uno di essi sia molto chiaro, e ci dia pur modo di
scorgere il significato di quello cosi controverso. Questo uno è il passo
Ann., che narra della uccisione di Agrippa Postumo. Tacito dice probabile
che Tiberio e Livia abbian procurato la morte di quel giovane sospetto ed
odiato. Ma quando il centurione anda ad annunziare a Tiberio essere stato
eseguito l'ordine, Tiberio rispose non aver nulla ordinato, e che se ne doveva rendere
ragione al Senato, Allora comincia a temere Sallustio Crispo, il quale era
a parte del segreto, ed aveva mandato al tribuno il biglietto con l’ordine
della uccisione. Comincia a temere che non ci andasse di mezzo lui,
che non fosse incolpato lui, semplice mandabario: mefuens ne reus subderetnr.
Si tratta dunque qui di un mandante che rimane nell' ombra, e di un
mandatario, il quale agisce per ordine suo, e si compromette, e può essere
incolpato lui di tutto. Il caso del processo contro i Cristiani è
identico a questo. Tacito cioè fa capire ogni tanto che Nerone possa
essere il mandante quegli che ha dato 1' ordine (cfr. dolo jprincipis'.
mssum incendium): ma non ha dubbio che i Cristiani sieno gli esecutori^
giacché anzi li dice confessi; ^ quando dunque dice che Nerone suhdidit
reos i Cristiani, egli vuol solo dire che li mise sotto processo;
benché egli come mandante avesse la colpa maggiore. Questo il
pensiero di Tacito: altra questione è poi se sia attendibile la notizia, oppur
solo il sospetto, che l'ordine partisse realmente da Nerone. Intanto mi
preme ram- mentare come questa frase del suhdidit reos sia stata
addotta da moltissimi come lo scoglio contro cui sa- rebbe sempre andata
a infrangersi l' interpretazione ohe di tutto il passo Ann. XV, 44
presentai nell' opuscolo. L'incendio di Roma e i primi Cristiani ».
Questi rei erano dunque subditicii! si è detto. Sì, subditicìij a 2
Tac. Ann.: correpti qui fatehantur. Fatevi adope- rato assolutamente a
proposito di un processo può riguardare solo la confessione di quello
appunto, che forma materia di ac- cusa. V. V ine. di Roma, nota 27, in
questa ediz. Qui si tratta di un processo d'incendio; dunque la
confessione è d'incendio. Nella lettera di Plinio X, 96 [97J l' accusa è
« di esser cri- stiani » ; e confitentes sottintende se Christianos
esse. Tacito stima più colpevole chi ordina il male che chi lo
eseguisce per ordine. Cfr. An7i. XIV, 14 « et eius
flagitium est, qui jìecuniam oh delieta.... dedit » ; e poco
dopo : < merces ab eo qui iubere potest vim necessifatis
affert. quello stesso modo che era subditìcius Sallustio Crispo, che
per comando di Tiberio aveva fatto uccidere Postumo! Nell'uno caso e nell'altro
il maggior colpevole per Tacito è chi ha dato l’ordine, non chi 1'
eseguisce. Questo passo, non che dunque infirmi, conferma anzi tutta l'
interpretazione mia; la quale fu, sempre, appunto questa: che, nella mente di
Tacito, i colpevoli di avere appiccato le fiamme fossero i Cristiani, il
colpevole di averlo ordinato fosse Nerone. Riccardo Campa. Keywords: il
concetto di rivincita – rivincita -- la
rivincita del paganesimo romano, filosofia romana. Refs.: Luigi Speranza,
“Grice e Campa” – The Swimming-Pool Library.
Luigi Speranza -- Grice e Campailla:
all’isola -- la ragione conversazionale e l’implicatura conversazionale del concetto
di estassi – implicatura estasica – a room in Bloomsbury – scuola di Modica –
scuola di Ragusa – filosofia siciliana -- filosofia italiana – Luigi Speranza,
pel Gruppo di Gioco di H. P. Grice, The Swimming-Pool Library (Modica). Filosofo sicliano. Filosofo italiano. Modica, Ragusa, Sicilia. Grice:
“You have to love Campailla; when I philosophised on ‘be orderly,’ I was
drawing from Campailla: “Order is the first – ‘ordinato discorso dell’uomo;’
Campailla flouts the maxim: he allows that a man in ecstasi, in mutual
contemplation of beauty, say, may lose the order – Oddly, Campailla dedicates
more than a section to, then, ‘del disordinato discorso dell’uomo,’ or men, as
we’d prefer!” Grice: “You’ve gotta love
Campailla – I would have preferred he chose the Graeco-Roman mythology, but he
chose “Adamo,” and he provides, in verse, all I ever philosophised on – human
discourse – discorso umano – on top, he considers ‘amore’ as a ‘passione dell’anima,’
and speaks of ‘self-love’ (amore proprio) and even virility and testicles – a
Renaissance man!” Nasce
sotto la rupe del Castello dei Conti. C., incisione dall'Adamo (Roma-Palermo)
Mostrò le sue migliori doti d'ingegno in età matura, giacché, in gioventù, per
la sua gracile costituzione, il padre preferì educarlo in campagna affinché si
irrobustisse all'aria aperta, piuttosto che indirizzarlo agli studi. Si trasfere
a Catania per studiarvi giurisprudenza, ma l'improvvisa morte del padre, che lo
lasciava erede di un discreto patrimonio, lo costrinse a ritornare nella città
natale, la sua cara Modica, in cui rimase fino alla morte, senza mai muoversi
da essa. Lì, poté dedicarsi interamente agli amati studi, prevalentemente
da autodidatta, coltivando con passione ed abnegazione, fra le tante
discipline, l'astronomia, le lettere e la filosofia. Sempre da autodidatta,
studiò Aristotele e i classici, per poi dedicarsi alla fisica, forse spinto
dall'onda emotiva suscitata dal terribile sisma che distrusse Modica e tutto il
Val di Noto. Morì per un colpo apoplettico.. Il suo corpo fu sepolto
sotto l'altare maggiore del duomo di San Giorgio in Modica, del quale una
lapide, deposta alla sinistra dell'ingresso principale, lo ricorda. C.,
filosofo e poeta Studioso di Cartesio, che vuole conciliare con la filosofia
scolastica, ne applicò i principi alle sue indagini conoscitive, fatte di
osservazione ed esperimenti, divenendo, insieme col filosofo trapanese
Michelangelo Fardella, uno dei principali divulgatori delle teorie cartesiane
in Sicilia. Poeta raffinato, fu accademico degli Assorditi di Urbino, dei
Geniali di Palermo, e della più celebre Accademia degli Arcadi di Roma;
restaurò quindi l'Accademia degli Infocati nella sua città natale. Da alle
stampe i primi sei canti (ispirati ai moduli letterari lucreziani) del poema
filosofico, in due parti, L'Adamo, ovvero il Mondo Creato, successivamente
dedicato, nella sua stesura completa (in XX canti) a Carlo VI d'Austria,
Imperatore e Re di Sicilia. Il poema, che conobbe una discreta fortuna e che è
stato recentemente ristampato, rappresenta una summa delle idee teologiche,
cosmologiche, fisiche e filosofiche dell'autore, alla luce del
cartesianesimo. All'inizio del Settecento, la fama del C., tra l'altro in
corrispondenza epistolare con importanti personalità fra i quali Ludovico
Antonio Muratori (bibliotecario del Duca di Modena), si diffuse anche
all'estero, toccando Lipsia, Parigi, Londra, tanto che il filosofo Berkeley
volle conoscerlo personalmente e, poiché C. non si muoveva mai dalla sua città
natale (come Kant), fu lo stesso Berkeley a recarsi in Sicilia a trovarlo,
informandolo fra l'altro delle nuove teorie newtoniane, le quali verranno poi
usate dal C. nelle sue successive opere. Il Muratori si fece
intermediario persino per una cattedra all'Padova da assegnargli, invito che
venne pure da Londra, ma il suo ostinato rifiuto a viaggiare e lasciare la sua
Modica (in ciò, ancora simile a Kant) lo portò a declinare tali prestigiose ed
onorevoli proposte. Per lo stesso motivo, invitato ad assistere all'incoronazione
a Re di Sicilia, nella Cattedrale di Palermo, del Duca Vittorio Amedeo II di
Savoia, disdisse gentilmente la visita. Pubblica, rimanendo però
incompiuto, il poema sacro L'Apocalisse di San Paolo, in cui, oltre ad
affrontare i temi della grazia e della virtù attiva, fornì pure una personale
confutazione delle teorie di Miguel Molinos, fondatore del
"Quietismo", un'eresia che aspirava all'unificazione con Dio. Infine,
nello stesso periodo, iniziò a scrivere il primo volume di un'opera sistematica
intitolata Opuscoli filosofici, di cui uscì solo il primo volume (in dialoghi)
intitolato Considerazioni sopra la fisica di Newton, contemporaneamente alla
stesura di un trattato, in due volumi, di fisica cartesiana, pubblicato postumo
sotto il titolo Filosofia per principi e cavalieri. La cura della
sifilide con le botti di C. Pur non essendo medico di professione, C. riuscì
tuttavia a promuovere, nella Contea di Modica, gli studi di medicina. Infatti,
il suo impegno, quasi umanitario, lo portò a sperimentare le sue famose
"botti" (dette poi botti del C.) per la cura non solo della sifilide
(considerata, allora, il male del secolo, e ritenuta dalla Chiesa come un
castigo di Dio per i peccati degli uomini), ma anche dei reumatismi e, in
genere, di qualunque forma di artrosi. La "botte", in realtà, è
una stufa mercuriale con all'interno uno sgabello, sul quale il paziente veniva
fatto sedere, in attesa della cura. Questa consisteva nel versare, in un
braciere che si trovava pure all'interno della stufa, la relativa dose di
cinabro, da cui, per sublimazione, esalavano dei vapori di mercurio, che erano
poi assorbiti dal corpo del paziente in piena sudorazione. La novità introdotta
dal C. consistette nell'aggiunta di incenso all'interno della botte, in una
dose che consentiva, ai vapori sprigionati, di essere più
"respirabili" per un certo lasso di tempo, variabile dai 10 ai 20
minuti circa, a seconda dalle condizioni soggettive del paziente. Il
contributo del Campailla consentì pure di modificare la forma della botte,
rispetto alle altre già esistenti in Italia ed in Europa, le quali avevano un
foro in alto da cui fuoriusciva la testa del paziente che, in tal modo, non
poteva respirare i vapori di mercurio medicamentosi. Tuttavia, questi vapori,
così esalati, erano curativi solamente per i sifilomi che infestavano la cute,
i quali regredivano sì ma senza remissione del morbo (che solo con l'avvento
della penicillina si debellerà), con i germi patogeni che continuavano ad agire
e moltiplicarsi nel sangue dei soggetti infetti. Invece, grazie
all'innovazione del C., i pazienti, completamente all'interno della botte,
potevano ora respirare la miscela di mercurio e incenso, la quale, agendo così
in modo sottocutaneo, uccideva i germi diminuendone la carica patogena; spesso,
si ottenevano delle guarigioni, a volte anche definitive, che, all'epoca, venivano
considerate quasi miracolose. Infatti, un rapporto medico dell'epoca riferisce
che " [...] Dopo la cura mercuriale col metodo C., si può assistere
a delle rinascite complete di individui ridotti in condizioni impressionanti di
cachessia o con lesioni tali da rendersi impossibile qualsiasi intervento
curativo per via percutanea o ipodermica". I risultati furono
talmente soddisfacenti che Modica acquisì notorietà in tutta Europa proprio per
le botti del Campailla, ancor oggi esistenti all'interno dell'antico Ospedale
di S. Maria della Pietà e visitabili all'interno di un percorso museale
appositamente dedicato. Negli anni a venire, le botti del C. furono, ma
con scarsi risultati, imitate altrove, sia in Italia che all'estero: ad
esempio, sorse a Palermo, per volere del prof. Mannino della locale facoltà di
Medicina, un Sanatorio C. Fu poi
costruita, a Roma, una cosiddetta Botte di Modica; a Milano, ancora negli anni
'50, furono costruite botti di vetro sul modello di quelle del C.; mentre, a
Parigi, furono fondati istituti a imitazione del Sifilocomio C.palermitano, per
la cura delle malattie reumatiche e nevralgiche. Teatro La
rappresentazione Cygnus, atto unico scritto da Nausica Zocco, prende spunto
dalla vita e dalle opere di Tommaso Campailla, ed è stato portato in scena l'8
maggio a Modica, per la regia di Tiziana
Spadaro. Note L'esatta data di
nascita è riscontrabile, come quella di morte, negli appositi registri
dell'Archivio Parrocchiale della Chiesa Madre di San Giorgio in Modica. Taluni, sulla base di nessuna fonte storica
attendibile, hanno diffuso l'infondata notizia secondo cui C. stesso sia stato
vittima della sifilide, contrariamente al fatto che lo studioso modicano
costruì comunque le sue botti, per il trattamento di questa infezione quando
aveva solo 30 anni, ma morì a 72 anni, età veneranda e considerevole, per quei
tempi, in cui la vita media di un individuo di sesso maschile era di 55-58
anni, per non tener conto poi del fatto che, nel Settecento (e così, fino
all'avvento degli antibiotici nel Novecento), un sifilitico aveva comunque
delle bassissime aspettative di vita dopo il manifestarsi della malattia,
dell'ordine di pochissimi anni. Ad ogni modo, le botti del C. raccolsero, per
molti decenni, un gran numero di pareri positivi a favore di un loro benefico
influsso contro il morbo. C., "L'Adamo" ovvero "Il mondo
creato" poema filosofico, Volume unico, Messina, Chiaramonte e Provenzano,
treccani/enciclopedia Cfr. D. Scinà,
Prospetto della storia letteraria di Sicilia nel secolo decimottavo, Tipografia
Lorenzo Dato, Palermo, Tratto dalla Rassegna di Clinica, Terapia e Scienze
Affini, Secondio Sinesio, Vita del celebre filosofo, e poeta Signor D. C.,
Patrizio modicano, Siracusa, 1783; ristampa Modica. Guccione, C. ed il suo
museo in Modica, Leggio et Diquattro, Ragusa, Ottaviano, Tommaso Campailla.
Contributo all'interpretazione e alla storia del cartesianesimo in Italia,
introduzione e note Domenico D'Orsi, MILANI, Padova, Criscione, C. Un poeta e
filosofo modicano, Idealprint, Modica, Guccione, C. il suo museo, la scuola
medica modicana, Comune di Modica, Modica, C. e la Scuola Medica Modicana, Ed.
Ingegni Cultura Modica, Modica. C., su Treccani Enciclopedie, Istituto
dell'Enciclopedia Italiana. C., in Dizionario biografico degli italiani,
Istituto dell'Enciclopedia Italiana.
Opere di C., su openMLOL, Horizons Unlimited srl. Sotto il titolo
“Disordinato discorso dell’uomo” sono raccolti due saggi pioneristici del
filosofo modicano sul ruolo della mente nei sogni, nel delirio, nell’estasi e
nella follia. L'estasi (dal greco ἔκστασις, composto di ἐκ o ἐξ + στάσις,
ex-stasis,[1] «essere fuori») è uno stato psichico di sospensione ed elevazione
mistica della mente, che viene percepita a volte come estraniata dal corpo: da
qui la sua etimologia, a indicare un «uscire fuori di sé». Nonostante la
diversità delle religioni, culture e popoli in cui l'estasi è stata
sperimentata, le descrizioni circa il modo in cui essa viene raggiunta
risultano straordinariamente simili. Si afferma di provare in questi momenti
una sorta di annullamento di sé, e di identificazione con Dio o con
l'"Anima del mondo". Descrizione ed effetti. Manifestazioni
dell'estasi nell'antichità. Il corteo dionisiaco 2.2 L'estasi oracolare 2.2.1 Figure
oracolari 3 L'estasi nelle filosofie orientali 4L'estasi in Plotino 5L'estasi
cristiana 6L'estasi paradisiaca in Dante 7Il Rinascimento 8L'Ottocento e il
Romanticismo. Descrizione ed effetti Psichicamente è caratterizzata dalla
cessazione di ogni attività da parte dell'emisfero cerebrale sinistro (noto
anche come emisfero dominante o della "razionalità discorsiva"),
consentendo così all'emisfero destro (quello recessivo o passivo, detto anche
"emotivo") di attivarsi. È uno stato di estrema concentrazione simile
per certi versi all'ipnosi, quando ad esempio la mente rimane attonita nel
fissare un punto o un oggetto, dimentica di ogni altro pensiero. Generalmente
produce uno stato di notevole beatitudine e benessere interiore. Manifestazioni
dell'estasi nell'antichità Una simile condizione mentale era nota sin
dall'antichità ed era considerata manifestazione diretta della
divinità.[4] Il corteo dionisiaco Nell'antica Grecia erano famose le
menadi (o Baccanti), donne greche che partecipavano a riti non ufficiali. Si
trattava di culti misterici e iniziatici che si svolgevano al di fuori delle
mura della città ed erano aperti agli emarginati della società, quali appunto
le donne, gli schiavi e i meteci. I protagonisti di questi culti (detti anche
Misteri, connessi sia ai riti dionisiaci che a quelli orfici sorti intorno al
VII secolo a.C.), presi in uno stato di trance o estasi ballavano sfrenatamente
e uccidevano a mani nude degli animali. Si trattava di elementi legati
all'aspetto esoterico della religione greca, che convivevano sotterraneamente
con l'exoterismo della religiosità tradizionale.[6] L'estasi oracolare
L'estasi era ciò che rendeva possibili gli Oracoli, essendo vissuta come
momento di tramite fra la dimensione terrena e quella ultramondana. A volte lo
stato di estasi veniva raggiunto artificialmente mediante l'uso di sostanze
psicotrope; la persona coinvolta era portata così a compiere gesti o azioni
insoliti. Figure oracolari Figure emblematiche e famose per le loro estasi
collegate al dono della profezia erano le Sibille, donne laiche che gravitavano
presso un tempio di Apollo proprio per la loro capacità di connettersi col
divino, che proferivano i loro responsi restando nell'ombra, non mostrandosi
facilmente agli umani che le avessero consultate ed interrogate; oppure poi la
Pizia vera e propria sacerdotessa di Apollo che dimorava nel famoso santuario
apollineo di Delfi, la quale si mostrava ai fedeli e proferiva gli oracoli dopo
appositi riti e sacrifici. La Pizia raggiungeva uno stato di estasi indotto dai
vapori inebrianti che uscivano da una spaccatura del suolo, durante il quale
proferiva gli oracoli. In Magna Grecia era invece famosa la Sibilla di Cuma,
antica città greca situata nei Campi Flegrei. I responsi delle Sibille tuttavia
erano spesso oscuri e non facilmente interpretabili, venendo compresi ora in un
senso, ora in un altro.[9] L'estasi nelle filosofie orientali Nelle
religioni asiatiche, come l'induismo, il taoismo, e soprattutto il buddismo,
l'estasi è il momento sacro in cui avviene l'illuminazione, ed è il pieno
sviluppo delle potenzialità e delle qualità naturali presenti nell'individuo. Questo
stato è anche chiamato onniscienza oppure saggezza suprema e perfetta, dal sanscrito
anuttarā-samyak-saṃbodhi, comunemente detta semplicemente Bodhi, e corrisponde
all'illuminazione del Buddha; è lo stato in cui la mente diventa illimitata e
non più separata dal resto del mondo, il punto in cui il microcosmo della
persona si fonde con il macrocosmo dell'universo. Diventa così possibile una
condizione di nirvana, alla quale ci si allena sotto la guida di un maestro
tramite la meditazione, cioè la concentrazione su di sé e la consapevolezza
della propria energia. L'estasi in Plotino Secondo Plotino (filosofo
ellenistico neoplatonico), l'estasi è il culmine delle possibilità umane, che
avviene dopo aver compiuto a ritroso il processo di emanazione da Dio: essa è
un'autocoscienza, ed è la meta naturale della ragione umana, la quale, desiderando
ricongiungersi col Principio da cui emana, riesce a coglierlo non possedendolo,
ma lasciandosene possedere. Il pensiero cioè deve rinunciare ad ogni pretesa di
oggettività abbandonando il dinamismo discorsivo della razionalità, ovvero
negando se stesso. Tramite un severo percorso di ascesi, che si serve del
metodo della teologia negativa e della catarsi dalle passioni, la ragione
riesce così a uscire dai propri limiti, superando il dualismo soggetto/oggetto
e compenetrandosi con l'Uno. Quello di Plotino non è tuttavia un semplice
panteismo naturalistico, poiché per lui l'estasi è essenzialmente un percorso
in salita verso la trascendenza. Il circolo nella filosofia di Plotino:
dalla processione all'anima umana, e dalla contemplazione all'estasi. Essendo
l'Uno non descrivibile, perché descriverlo significherebbe sdoppiarlo in un
soggetto descrivente e un oggetto descritto (e quindi non sarebbe più Uno, ma
due), anche l'estasi è di conseguenza uno stato psichico non descrivibile a
parole, dato che l'estasi è la condizione stessa dell'Uno che si
auto-contempla. Intuirla è possibile solo per via di negazione: tramite il suo
contrario, prendendo coscienza di ciò che l'Uno non è, cioè del molteplice.
L'Uno stesso, in quanto autocoscienza del pensiero, per intuirsi deve pertanto
uscire fuori di sé, diventando molteplice. L'estasi è appunto l'atto con cui
l'Uno genera il molteplice: essa è un cogliere tutt'insieme l'uno e i molti, in
un circolo che dalla processione ritorna alla contemplazione. Cusano, teologo
cristiano del Quattrocento, dirà in maniera simile che l'universo è
l'esplicatio dell'Essere, ovvero il fuoriuscire di sé da parte di Dio. A
differenza del Cristianesimo però, secondo Plotino l'estasi non è un dono della
divinità, ma una possibilità naturale dell'anima. Essa tuttavia si manifesta
non per una propria volontà deliberata, ma da sé, in un momento fuori della
portata del tempo. Plotino stesso raggiunse l'estasi solo tre o quattro volte
nella sua esistenza. Viverla è infatti dato a pochissimi, in rari momenti della
loro vita. L'estasi inoltre non serve ad uno scopo pratico; essendo
contemplazione fine a se stessa, in questo mondo non c'è nulla di più inutile. È
solo nell'estasi però che l'essere umano ha la rivelazione della sua condizione
più vera e autentica. Per il resto la via indicata da Plotino verso la saggezza
consisteva in una vita retta, oppure nella ricerca di espressioni artistiche
come la musica. L'estasi cristiana Santa Teresa d'Avila La
filosofia plotiniana diede quindi avvio a una lunga tradizione neoplatonica,
che concepiva l'universo animato da un eros o tensione amorosa mirante a
ricongiungersi a Dio tramite l'estasi. La teologia di Plotino fu ripresa in
particolare da quella cristiana, e rivisitata però alla luce dell'aspetto
personale della Trinità. L'estasi venne intesa in un senso più ampio: per il
cristianesimo essa non è più soltanto una contemplazione fine a se stessa, ma è
funzionale all'azione; deve tendere cioè non solo verso Dio, ma anche verso il
mondo. Tale mutamento di prospettiva venne introdotto affiancando all'amore
greco di tipo ascensivo, corrispondente al concetto di eros, un amore
discensivo corrispondente al concetto evangelico di àgape. L'esperienza
estatica cristiana consiste così in una comunione, una sorta di abbraccio col
mondo e l'umanità in esso dispersa con lo scopo di alleviarne le sofferenze e
ricongiungerla al Padre. Essa avviene tramite un'illuminazione operata
direttamente da Dio. Questi fuoriesce nel mondo non per un atto involontario (com'era
nel plotinismo), ma perché ama le sue creature. Identificarsi con la sua estasi
divina è, secondo Agostino, la meta naturale della ragione umana, la quale può
riuscirci non per una deliberata volontà individuale, ma per una rivelazione da
parte di Dio stesso che si rende presente alla nostra mente; l'estasi è dunque
essenzialmente un dono, reso possibile per intercessione dello Spirito Santo,
grazie a cui l'essere umano trascende i propri limiti e si rende strumento di
Dio nel mondo.A differenza di altre religioni la persona coinvolta non perde
comunque la propria individualità, pur compenetrandosi in Lui.Per i mistici
medioevali, come San Bernardo, o i neoplatonici tedeschi come Meister Eckhart,
l'estasi è una visione beatifica che avviene quando l'anima è rapita in Dio, e
l'essere si annulla in un Pensiero senza più limiti né contenuto: Dio infatti
non può essere oggettivato, perché non è oggetto, ma Soggetto. Si tratta di una
comunione mistica accesa da un fuoco d'amore, un'esperienza di beatitudine suprema
simile a quelle che saranno riferite in seguito anche da Santa Teresa d'Avila, figura
di riferimento della Controriforma. Un'altra testimonianza sull'estasi in tal
senso è quella medioevale del beato Jacopone da Todi nella lauda O iubelo de
core. L'estasi paradisiaca in Dante Nel Trecento Dante Alighieri, nel
Paradiso della Divina Commedia, di fronte alla visione beatifica di Dio, negli
ultimi versi della cantica prova così a descrivere l'estasi, conscio della sua
ineffabilità, dell'impossibilità di riferirla a parole in maniera
oggettiva: Dante contempla l'Empireo, incisione colorata
dell'originale di Doré «Qual è 'l geomètra che tutto s'affige per misurar lo
cerchio, e non ritrova, pensando, quel principio ond' elli indige, tal era io a
quella vista nova: veder voleva come si convenne l'imago al cerchio e come vi
s'indova; ma non eran da ciò le proprie penne: se non che la mia mente fu
percossa da un fulgore in che sua voglia venne. A l'alta fantasia qui
mancò possa; ma già volgeva il mio disio e 'l velle, sì come rota ch'igualmente
è mossa, l'amor che move il sole e l'altre stelle]» (Paradiso) Il
Rinascimento Il desiderio di estasiarsi godette quindi di una notevole fortuna
durante il Rinascimento. Al di là del significato religioso l'estasi assunse
allora principalmente una valenza artistica o estetica. Il bello era visto sia
dai filosofi rinascimentali che dagli idealisti romantici come la via
privilegiata per ricongiungersi a Dio. Bruno paragonò l'estasi a un eroico
furore: non un'attività pacifica che spegnesse i sensi e la memoria, ma al
contrario li acuisse, simile a un impeto razionale. A una rivalutazione
dell'estasi nell'Ottocento contribuirono sia la Critica del giudizio di Kant,
sia l'idealismo di Fichte e Schelling. Kant vedeva nel giudizio estetico un
sentimento universale di partecipazione con l'Assoluto, nel quale la ragione
non è più vincolata da un'attività conoscitiva soggetta alla necessità delle
relazioni causa-effetto, ma è libera nel formulare i propri legami associativi.
Per Fichte l'estasi è intuizione intellettuale, l'atto immediato con cui l'Io,
nel diventare autocosciente, può intuire se stesso solo in rapporto a un
non-io; così nel porre se stesso l'Io pone al contempo anche il molteplice al
di fuori di sé. Parimenti Schelling vedeva nell'estasi un'attività infinita con
cui Dio crea il mondo. L'uomo può riviverla nell'estasi artistica, che è la
manifestazione più tangibile dell'Assoluto, nel quale l'aspetto attivo e
passivo, il lato conscio e quello inconscio della mente, non sono più in
conflitto tra loro, ma si fondono in una sintesi armonica di comunione cosmica
con la Natura. Mantegazza, Le estasi umane, Marzocco, Firenze; La Civiltà
Cattolica; Legislative Reference Bureau, Roma; Enciclopedia Treccani alla voce «estasi»,
di Marco Margnelli e Enrico Comba, Giovetti, Dizionario del mistero; Mediterranee,
Atlante illustrato della mitologia del mondo; Giunti; Bianchi, A. Motte e
AA.VV., Trattato di antropologia del sacro, Jaca Book, Milano; Diana Tedoldi,
L'Albero della musica: tamburo, stati altri di coscienza; Anima Srl; Burkert,
La religione greca di epoca arcaica e classica; Jaca, Messina, Riflessioni e verità; Edizioni
del Faro; Aa.vv., Dizionario della Sapienza Orientale: Buddhismo, Induismo,
Taoismo, Zen; Mediterranee; Kerouac, Il libro del risveglio, a cura di T.
Pincio, Mondadori; Evola, Oriente e Occidente; Mediterranee; «La scienza è
ragione discorsiva e questa è molteplicità: perciò, una volta caduta nel numero
e nella molteplicità, essa perde l'Uno. È necessario dunque trascendere la
scienza e non allontanarsi mai dal nostro essere unitario, ma abbandonare la
scienza. Perciò si dice che Egli è ineffabile e indescivibile» (Plotino,
Enneadi, VI, 9, 4, trad. di Faggin). Faggin, in La presenza divina; D'Anna editrice,
Messina-Firenze; Severino, La filosofia dai Greci al nostro tempo; Il circolo
nella filosofia di Plotino, Milano, Rizzoli; Faggin, Mazza, La liminalità come
dinamica di passaggio: la rivelazione come struttura osmotico-performativa
dell'"inter-esse" trinitario; Gregorian Biblical BookShop; Sulla
differenza terminologica tra agape ed eros, cfr. E. Stauffer, Agapao, in G.
Kittel-G. Fridrich, Grande lessico del Nuovo Testamento, vol. I, Paideia,
Brescia; Bonetti, Matrimonio in Cristo è matrimonio nello Spirito, p. 63, Città
Nuova; Julien Ries, Communio, p. 88, Jaca; Come una piccola goccia d'acqua che
cada in una grande quantità di vino sembra diluirsi e sparire per assumere il
sapore e il colore del vino; così ogni affetto umano, nei santi, deve fondersi
e liquefarsi per identificarsi alla volontà divina. Come infatti Dio potrebbe
essere tutto in tutto, se nell'uomo restasse qualcosa di umano? Senza dubbio,
la sostanza rimane, ma sotto un'altra forma, un'altra potenza, un'altra gloria»
(Bernardo di Chiaravalle, De diligendo Deo, 10, trad. di G. Faggin). ^ Santa
Teresa d'Avila descrive l'estasi come un momento di "assenza" nel
quale afferma di aver percepito tutto il dolore provato da Cristo durante la
Passione, ma anche una così grande gioia interiore da coprire il dolore (cfr.
Autobiografia). ^ Nella descrizione di Dante si tratta di quella condizione
paradossale di «estasi per cui la mente esce di sé e perviene a un
potenziamento di sé» (T. Di Salvo, Paradiso, Zanichelli). ^ Reinhard Brandt,
Filosofia nella pittura: da Giorgione a Magritte, p. 432, Pearson Italia S.p.a.;
«Una delle qualità necessarie al
sapiente, cioè a colui che intende spingere l'ascesi conoscitiva fino
all'estasi e all'indiamento (farsi Dio), è un livello erocio di amore per la
bellezza, un furore divino nella terminologia di Ficino» (Ubaldo Nicola,
Atlante illustrato di filosofia, p. 238, Giunti). ^ Ubaldo Nicola, Atlante
illustrato; Pozzolo, La fede tra estetica, etica ed estatica, p. 64, Gregorian
Biblical BookShop, 2011. ^ S. Mati Novalis, Del poeta regno sia il mondo.
Attraversamenti negli appunti filosofici, p. 81, Pendragon, Franco, Essere e
senso: filosofia, religione, ermeneutica, p. 170, Guida; Cfr. anche Luigi
Pareyson, Lo stupore della ragione in Schelling, in AA.VV., Romanticismo,
esistenzialismo, ontologia della libertà, Mursia, Milano; Carlo Landini,
Psicologia dell'estasi, Franco Angeli, Milano 1983 Ioan Petru Culianu,
Esperienze dell'estasi dall'ellenismo al Medioevo, Laterza, Bari; Eliade, Lo
sciamanismo e le tecniche dell'estasi, ed. Mediterranee, Razzano, L'estasi del
bello nella sofiologia di S. N. Bulgakov, Città Nuova, Merlin, F. Vettori,
Un'estetica estatica, edizioni Cleup, Padova; Beatitudine Esperienza
extracorporea Illuminazione (Buddhismo) Illuminazione (cristianesimo)
Indiamento Misticismo Sofianismo Trance (psicologia) Transverberazione «estasi»
Estasi, su Enciclopedia Britannica, Encyclopædia Britannica, Inc. Stati di
coscienza; Filosofia Portale Filosofia Psicologia Portale Psicologia Religione
Portale Religione Categorie: Concetti e principi filosoficiEmozioni e
sentimentiFilosofia della menteMisticaTeologia Comie ſi genera; Nima
Ragionevole, come di Anima, come sà, che, fuor del ſuo ſcorre nel Corpo
Organico. St.1. Corpofieno, altre Coſe Corporee.27. Obbietti Senſibili terminan
le Idee Per le Idee degli Obbietti,nel Senſo nel Senſo Comune. St. 2. Comune
rappreſentatele. Corpi Striati, e loro ſtruttura, 3. Cometalora s'inganna.
Fornice, e ſua teſtura; Delirio nell'Ubriachezza; Setto Lucido, e ſua fabrica.
5. Vino or fà dormire,or vegliare. 32. Corpo Calloſo, e ſua anatomia. 6. Come
alle volte porta il ſonno. 33 Senſo Comune ne 'Corpi Striati. 7. Come talora induce
vigilia. 34. Da quali paſſano tutti gli Spiriti Ubriaco, perche Delira. 35.
Motivi, e i Senſitivi. 8. Mania, eſuo Delirio. Anima,in quanto ſente,riſiede
ne’ Corpi Striati. 9. Siſpiega in particolare. 40. Fantaſia ſi eſercita nel
Fornice. Io. Morficati dal Can rabbioſo, e lor Memoria riſiede nel Corpo Callofo.1.1.
Delirio. 43. Imaginativa, come ſérve al Di Come prendon proprietà Canine. 44.
ſcorrere.. E credono, eller Cani. 45. Facoltà Motiva,coni'è eccitata. 13. Core
procede tal Trasformazione.46. lilee Senſibili,coine ſi formano,e 's' Delirio
Febrile, ò Frene fiu. 48. imprimono nel Cerebro. 14. Come faffi. 49. Spiriti
Animali, fimilialla Luce.15. Come ſi dà Febre ſenza Delirio, e Paragone fra
queſta, e quelli. 16. Delirio ſenza Febre. Spiriti Animali, comeformano le
Cerebro deſtinato agli uficj Anima Idee. 17. li, e il Cerebello à i Vitali. FI.
Idee non ſono, che una pittura, in Anatomia del Cerebello. protata nelle pieghe
del Cerebro.19. Nervi, che naſcono dalCerebello. 53. Sterienza. · 20. La Mente
non bà dominio ſul Cea Idee, come laſciano la loro inpronta rebello. 54. nuel
Corpo Calloſo. 22. Comunicazioni fra il Cerebro, e il inima, come ſi rigorda.
24. Cerebello ſcambievoli. 55. Guajti gli organi del Diſcorrere, Impreſſioni
del Cerebro,come ſi par iguafla il Diſcorſo Umano. 26. tecipano al Cerebello, e
quelle 50. 52. del 227 84. del Cerebello al Cerebro. 58. Come ſi genera. 79.
Agitazione Febrile, cagionata al Delirio dellº Incubo, come ſi forma.81.
Cerebello, partecipanıloj al Ce Maliæconia Ipocondriaca. rebro, induce il
Delirio. 59. SueCagioniantecedenti. 85. Non comunicandoſi, no’l produce.62.
Suoi triſti effetti. 86. Delirio de ' Sognanti. 63. Come induce ilDelirj. 89.
Sonno, come ſi fa. 64. Per gli efluvj degli Umori, corrotti Cbefia 68. nelle
Viſcere, 90. Sogni, come ſi formano. 69. | Rimedj, che riducono allo ſtato di
Sogni, perchè ſi formano,à miſura Sanità gli Organi, guariſcono, degli Appetiti,
e delle Paffioni dal Delirio. 91. attuali, 74. Diſcorſo depravato per erroriLoa
Incubo. 77. gici, e ſuoi rimedja IXIETAS2140S147 Μ Α Ν Ω. ARGOMENTO. 27482
A82FATIRAF ETAFARAYAX 2X1% XKAYARANJE D E l'ordinato pria Diſcorſo Umano
Dichiara la Meccanica ragione il dotto Serafin, poi de l’ Inſano Le falſe Idee,
l Opere prave eſpone: Qual ne i Senni, anche Savj, il ſogno vana Le incongrue
fantaſie finge, e compone; Qual la Ragion prevarica, e travia L ' Ipocondriaca,
à l' Uom, Malinconia. STATE 1 sãto, 2.Su queſte Midollar due fondamenta Del
Corpo inilerabile, c mortale La propria mole anteriore appoggia Compreſo lò dal
tuo dir, cô doglia,e pianto, Il Fornice, che il Cerebro ſoftenta, Lo ſtato
lagrimevole, e fatale, Ed in Corpo Calloſo ad alto poggia. Seguì à parlar, per
conſolarmialquanto, Sul Midollo allungato ei, dietro, afſenta De l'Anima si
nobile, c Immortale; Due pic poſterior, di Volta in foggia: Coin'ella, in
queſta fua Corporca mole, Del Palagio cosi de l'Alma intero Intende, idea,
membra, diſcorre, e vuole. L'uno, e l'altro loftien doppio Emisfero. 5 E il
Serafin: Dopo che invia l'Obbietto Mà del Fornice al tetto interiore, Il
Carattere fuo nel Sento eſterno, Qual Zona, un Setto lucido li appende; Per il
canal de Nervi, ei và diretto Che, in mezo, da la parte anteriore, Sè ad
improntar nel comun Senfo interno. A la poſterior, curvo, diſcende. Queſto è il
luogo del Cerebro, ch'eletto A i lati fuoi, con ſempre ugual tcnore E de moti
ſenſibili al governo. Di quà, di là ſerie di ſtrie, ſi ſtende, Qual van le
linee al centro, in lui convienli, Che tutte in lui riguardano egualmente,
Ch’entrin tutte le Idee de gli altri Senſi. Il qual, di Vetro in guiſa, è
traſparente. 3. 6. Pria,che il Cervello i ſuoi due faſci accoppi L'ampio Corpo
Calloſo è ſovrapoſto In Midollo allungato, e poi Spinale, Al Fornice, e sù quel
li ammaſſa, e annette, Da quai ſpuntano pofcia, ad ordin doppi E con ordin
mirabile è compoſto Tutti i Nervi del Senſo univerſale, D'inteſti filamenti à
retinette, Di Cannei Midollar compon due groppi, Di cui l'immenſo numero
diſpoſto Conici, e curvi, in forma lunga ovale In fuperficie vien piane
perfette, Che, perchè ſono à lunghe ſtrie ſolcati, Molli così, che ammettono, à
l'azzione ' i detti laran Corpi ftriati. De gli Spirti, ogni minima
impreffione. Entro de i Midollar Corpi Striati, E de gli eſterni Obbietti lor
là dove La reſidenza il Comun Senſo ottiene, Hà la Malizia, d la Bontà compreſa,
C'hà de le proprie Glandole irrigati I principj de i Nervi apre, e vi piove Le
cavità, di Spiriti ripiene, Copia di Spirti, ove ella vuole, inteſa: Atti ad
eſſere impreſli, e conformati I Muſcoli ritira, e i membri move In ogni Idea,che
a lor da i Senſi viene, Al'ampleſſo, à la fuga, à la difeſa; Azili, e fnelli, à
figlirarſi eſpoſti E quando poi di quei reſta ſicura D'infiniti, in cui fian,
modi, diſpoſti. Più Spiriti non manda, e i Nervi ottura 14. I Nervi in lor
degli Organi Senſori Spiegami meglio (aggiūge Adam )traslata, Tutti invian de
gli Spiriti i refulli: Come i'ldea nel Comun Senſo ha forma: E quei, da lor, de
gli Orgeni Motori Come dal Settolucido paſſata, Spontanei tutti han degli
Spirti i fluſſi: Entro il Corpo Calloſo imprime l'orma: Cid, che vien dentro
ammeſio, ch'eſce fuori E come poi, che in quel reſta improntata, Di Senſitivi,
o di Motivi in Auſli, Entro la Fantafia la Copia forma, Del Cerebro, ove l'Alma
à regnar ſtarfi, Simile a quella Idea, che pria l'affiſſe: Per queſta regia
Via, convien, che palli Cosi ei richiede: E così Quei gli diffe 9. 15. In
queſti l'Alma Umana, in quanto ſente, Benchè vario fra loro il naſcimento Corpi
Striati aſſiſte, e ognor riſiede: Han la Luce, e gli Spiriti Aninali:
Quilegata, à gli Spirti intimamente, Che quella dal ſottil Primo Elemento, La
sè, incorporea, à i Corpi aggir concede: Queſti portan dal Terzo i lor natali,
Qui l'occhio Spirital ſempr’hàprefente: Ne la velocità, nel movimento, Qui
tocca, guſta, odora, afcolta, e vede: Nel Terbar riflettendo angoli eguali Qul
le potenze Senſitive hà immote, De l'incidenza à l'angolo, ſembianti Qui non
ſentir ciò, che s'idea,non puote. Fra lor ſon inolto, c in eſſere rifranti. 16.
La Fantaſia, del Fornice nel Setto Tra gli ſpazi de GloboliCeleſti Lucido,
fuole eſercitarli, cui Ruota in centro la Luce, à vorticetti: Come pervio, e
diafano perfetto Girano in centro ancor mobili queſti Per ogni parte han via
gli Spirti ſui, Sottilmente formatl in Globoletti: Qui le Idee rappreſentano
l'aſpetto, Son de la Luce i Corpi agili, e preſti, Che dal Senſo Comun paſſano
in lui: Atti à modificarli in vari aſpetti; Le mira in queſto Specchio, e le
contempla Queſti da Corpi,onde ſon mai rifelli, L'Alma, e in sè Spirital l'Idee
n'eſempla. Tornano poi modificati anch'eſſi. 17. La Idea, dal Setto lucido,
leggiera Quale il Lume de i Corpi, onde riflette Entro il Corpo Calloſo alfin
trapaſſa, Ovunque dirizzarſi abbia permeſſo, E ne le tele ſue l'Iminago intera,
Di quei le colorate Immagginette Imprime, e il ſuo Carattere vi laffa.
Modificate al par porta in sè ſteſſo: S'impronta in lor, come Sugello in cera,
Ne gli ſpirti de l'Ottiche fibrette Nè per tempo sì facile fi caffa. Quelle
dipinge, entro de l'Occhio ammeſlo: Altre Idee in altre fibre impreffe poi
Laſciando in quegli Spiriti i modelli Serbano à la Memoria i teſor fuoi. Che ne
la fuperficie ebb’ei di quelli. 12. 18. Se diſcorrer talor la Mente hà brame
Tal gli Spirti Senſor modificati Sù quelle Idee, che il Comun Senſo invia Da
gli obbietti, onde füro indietro ſpinti; Uop'è, che le trafcorſe Idee richiame
Nel Comun Senſo portano traslati, Dala Mémoria à la fua Fantaſia.
Quegl'Idoletti Mobili diſtinti, Ponle nel Setto lucido ad elame, Che nela
Fantafia rapprefentati, Le rigette, o le approva, odia, ò defia, Ne la Memoria
alfin reftan dipinti, A miſura, che trae da loro effenze Con quello ſteſſo
colorato aſpetto, Utili, a infaufte à sè le conſeguenze. Che in ſuperficie å
vea l'efferno Obbietto. L'Adamo del CampaiHas Mmm L'ldos ro. IL DISCORSO UMANO.
L'idea, che ne le fibre interiori In queſta forma, Adam, l'Umana Mente; Del
Caitofo Midol poi fi figura, Mêtre informa il ſuo Corpo,e leſuc Membra) Per
mezo de'caratteri impreſſori Da i fantaſmi di quello è dipendente: Non è,
ch'una verilima pittura, Con queſti ſente, immagina, e rimembra: Per via
dipinca in lor, non di colori, Mà in sè diſcorre, e vuol liberardente, Mà per
mutazion de la teſtura, E ciò clegge, che buon, che bel le ſembra: Chenegli
Spiīti !!! tal rifleſſo induce, Pur, de gli Enti Corporei, uop'e, che penſi,
Quale iColor riñettono la Luce. Per via d'Idee material di Senſi. 26. Non ſono
i Color tutti altro in sè ſterfi, Mà perd, che del Corpo i Morbi fono Che
ſuperficie, tal.configurata, Per l'intima union, Morbi de l'Alma, Sù cui
rifranti i raggi, e infiem rifleſſi, Perdendo il Corpo il natural ſuo tuono,
Han si la rifleſſion modificata, Se inferma è mai la fua Corporea Calma, Che
imprimono ne l'Occhio i color Ateli. La Mente, che nel Cerebro ha il ſuo trono
Con cui la ſuperficie è colorata: Tra gli Spirti animai non reſta in calma;
Cosi Criſtal diafano hà coſtume Perchè di lor difregolato il corſo, Sol culorir
per Refrazzione, il Lume. La perturbata Idea turba il Diſcorſo. 21. 27., Si
diffé il Serafino, e tenue Stile Che ſien fuori de l'Anima in Natura Che di
piun colore affatto intinſe, Corpi reali, e fisici, eſiſtenti, Sù quella, che
il veſtia, tela ſottile La Mente entro il ſuo carcere procura Scolpi la
fuperficie, e la dipinfe, Da i canvelli ſcoprir de'Sentimenti, E à colorata
Immagine fimile, Sol per mezo de'Senſi ella è ſicura, Immago in lei, fenza
color, diſinfc, Che fieno quelli al Corpo ſuo preſenti. Che in quel fcolpito
Lin con par tenora Nel Comun Senfo, à l'obbiettiva effenza, Il Lume riticttea,
qual fa il Colore. De le coſe attual så l'Efiſtenza. 28. Cosi (poi fegue à dir
) la ſola azzione. Sc al Comun Senſo fuo fi rappreſenta De lo Spirto animal rr
odifica to, Idea, che altronde ella avvenir ti avvcda, Få nel Corpo calloſo
impreſione, L'Obbietto, far non può, che allor non ſenta, Con renderlo, in
riflettervi', improntato. E ſentirlo non può, che non lo creda. Tanto, ver'fua
natia coſtituzione, Così à l'Occhio ſe alcun ti ſi preſenta, E' quel Midollo
tenero formato Tu già mai far potrai, che non lo veda: A''Idea Spiritofa in lei
rifleffa Così se ne lo Specchio Immigo eſpreſſa, Ccde la superficie, e reſta
impreſa. Noncrederla non puoi da Obbietto impreſa.?? 29. De l'Occhio in modo
tal sù la Retina, Or qualvolta à la Mente Idea ſi porta Che ancor 'efla
Soſtanza è Midollare, Entro il Senſo Comun per altra via, Se talun filo 1
riguardar ſi oſtina Che per la regia, ed ordinata porta, Illuminofo in Ciel
Corpo Solarc, Onde al Senſo Comun l'Idea s'invia, Per molto tempo,ancor, che il
guardo inchina, Mà lo Spirto retrograda la porta Del Sol P'linmago lucida gli
appare; Da la Memoria, • da la Fantasia, Elabbagliato acume ovunque gira, Per
la ſtrada de'Senfi allor la crede Quell'infocato lampo ognor rimira. Da
Obbietto eſterno impreſa, e le dà fede. 24. 30. Mà fe di ricordarti unqua defia
E Fede tal, che giudica, e diſcorre, La Mente poi di un traſandato Obbietto,
Qual ſe agiffe, nel senſo eſterno Obbietto; Al Calloſo Midot, placido, invia E
a miſura ingannata amalo, dabborre, Di Spiriti animali un rivoletto, Cheprova
in sè ſvegliar gioja, è diſpetto; Che in quell'Idea incontrandoſi per via,
Agita i membri, e à un operar traſcorre Torna modificato in Idoletto:
Corriſpondente à l'eccitato affetto: Dal Tipo Midollar la forina prende,
Depravato cosi delira infano E de l'antica Idea (imil ſi rende. Per morboſa
cagion Diſcorſo Umano. A turbar giunge un Senno, anche prudente, Per fimile
cagion, ſe non la ſteſſa, De l'afforbito Vin le copia enorme: Mania provien,
d'onde Ebrietà provenne Che l'eſaltato Spirito la Mente, Perchè la delirante
Ebrezza eſpreſſa Or forza à delirar con vane forme, Di breve tempo è una Mania
ſolenne, Or gli Spirti gli ottenebra talmente, E la Mania, nel Senno Umano
impreffa, Che n'è ſopito ogni fuo Senſo, e dorme. Di lungo tempo è un'Ebrietà
perenne, In diverſi Soggetti hà varj eventi, Furiola Mania, cui fon ſoggetti
Ch'or furiofi rende, or fonnolenti. Gli acuti più talor favj Intelletti. 38. Il
come ad indagar, contrari, vate, Il Sangue de Maniàci è con ecceffo Effetti à
partorir ne gli Ebri il Vino, Tal di Sulfurei ſpiriti impregnato Rifletci, che
nel latice vitale Che col reſpir per i Polmoni in eſſo Del Sangue è un doppio
fpirito falino: Il Nitro aereo ſpirto infinuato, L'un,che diſciolto entro il
fuo Siero è un Sale Spira nel vicendevole congreſſo Urinoſo volatile Alcalino:
Indomitaura, ed alito sfrenato, L'altro dentro del Sangue infinuato, Ch'eſalta
in movimenti univerfali Con l'Aria, e i Cibi, è un fpirito Nitrato, Pria gli
Spirti vitai, poi gli animali, 334 39. In quei,che la purpurea,in copie,han
piena, Che concorrendo ai Cerebro, accreſciuta Mafia Sanguigna, di Alcali
urinofo, Di moto, e quantità, rapiſcon tutti Lo ſpirito delVin ſi meſce appena,
Gl’Idoletti Ideal, che contenuti Che genera un coagolo vifcolo. Trovan nel
Setto lucido, e ridutti, La Linfa ingroffa, e i vitai Spirti affrena, O fien da
la Memoria, ivi venuti, E concilia un ſonnifero ripoſo. O ne la ſteſſa Fantaſia
coftrutti, Tal Miſto, fi condenfa in gelatina, E invianli al Comun Senſo, e de
la Mente Lo ſpirito di Vino à quel di Urina, Ingannano colà l'occhio preſente.
34. 40. Mà in quell'Uomo,in cui trovafi eccedente Qui dice Adam: D'un operar al
ſcempio Il Sal Nitroſo entro il Sanguigno Umore, De PUman miſerabile Intelletto
Mifta appena del Vino è l'Acquardente, Tal che può farlo e furiofo, ed empio,
Che à gli Spirti vitai creſce il fervore, Di prudente, che ſia, ſano Soggetto,
Spirando un'aura Elaſtica potente, Deh dona à me, mio Precettor, l'eſempio Che
gli Spirti animai move à furore. Per farne più diſtinto alcun concetto, Tai
lpiran, mitti, un'alito focolo Cosi lo prega, e il Serafin verace Del Viu la
Ipirto., e l'Acido Nitroſo, Il di lui bel deſio cosi compiace. Quindi de gii
Ebri à i Midollar cannelli Il Sangue del Maniaco un tal fervore Lo Spirito con
impeto s'invia: Nel ſuo Corpo talor riſveglia, e crea, Seco il caratter trae,
che ne ſuggelli, Che il capo punge, o il petto, e di un dolore Trova de la
Memoria, e il porta via, Intenſo à lui fà lovvenir l'Idea, L'aſporta feco al
Comun Senſo, e quelli, Quando di un ſuo Nemico oftil furore Che trova, anco
tener la Fantafia, Ferillo, e tutto il fatto allor s'idea: Ne i Corpi
introducendoli Striati, Poi da la Fantaſia per falla porta Per retrograda frada
ivi traşlati. Al fuo Senſo Comun l'Idea fi afporta. 42. Quella Idea crede allor
l'Umana Mente E da la vaua Idea l’Alma ingannata, Introdotta per via di eſterni
Senfi Che rappreſenta il ſuo fucceſſo antico, Da Obbietto, che fia à l'Organo
preſente, Stima ver ciò, che vede, e che aſsaltata Che quei moti Sengbili
difpenfi. Sia, già preſente à lui., dal ſuo Nemico. Onde ingannata, avvien, che
follemente Si accinge a la difeſa, ed opra irata De la ſtesſa maniera operi, e
penſi, Cotr'Uoin, che gli ſi incotra,ancor che amico, Comc fe quell'Obbietto
aveffe avante, Che, preoccupata da l'Idea mentita, Di qui la vana Idea forta il
ſembiante, Nemico il crede, e contro lyi s'irrita. Mà mirabil vieppiù, più
portentoſo Che da quei Solfi indomiti inveſtiti Loſtravoito penſiero è del
Diſcorſo Di periferia al centro in mille forme, Di chi dal dente mai del Can
rabbioſo Syolgon de Simulacri, ivi ſcolpiti, Prova in un di fue meinbra il fero
morſo, L'Idee de la Memoria, à varie torme; Che infetto già dal ſuo velen
bavoſo, E ne la Fantaſia poi male uniti E dopo ancor, che lungo tempo è ſcorſo,
Soa gi'iacaagruiFantaſmi in ſtuol deforme: Fra mille altri ſintomi alfin
riinane, Alfio nel Comua Senſo entran ſovente, Col creder sè già trasformato in
Cane. Adingannare, à ſpaventar la Mente. 44. 50. Nè ſolo al par del Canc
addenta, e morde, Febricitando il Sangue, uopè, che fpici E ſimile anche al
Cane ei latrar s'ode Del Cerebro più Spirti à le latebre: Ma con fame Canina, e
voglie ingorde Delicando gli Spirti, uop'è, che giri Prono diyora į cibi, e
l'olla rode; Il Sangue in pollazion celeri, e crebre: E con oprar col ſuo
penſier concorde Or come Febre è mai lenza Deliri? Le qualità Caninç affettar
gode; Come delirj fon mai fenza Febre? Lungi chi vien sà preſentir, dotato
Adamo al Serafin cosi propoſe: Di acuto, e ſottiliffimo Odorato. E si ad Adamo
il Serafin riſpoſę. 45. Premetto, per ſpiegar, d'onde contratto Per dichiarar
Fenoineno si bello, Concetto Uom poſſa aver cotanto ſtrano, Che interamente jo
ſviluprar prometto, Che allor, che vien de l'unione à l'atto Dopo gli uſi, che
detti hò del Cervello, Il corpo fral con l'Animo ſovrano, Deggio gli uſi anche
dir del Cervelletto: Gl'imprime de'luoi Spiriti il contatto Cheagli uficj
Animali eletto è quello, L'ldea di eſſer congiunto à Corpo Umano, A gli uli
Naturali è queſto eletto: La qual conſiſte in ’ n Caratter tale, Må pria di
eſaminar la ſua Natura. Ch'ngli Spirit, Umani è fpeciale, Sentine l'anatomica
Struttura. Del rabbioſo Velen taptu inaligna Nel Cranio è, dietro il Cerebro,
ripoſto Hà corrottiya attività la Forma, Il picciolo Cervello, e ſegregato, Che
gli Spiro animali, ov'egli alligna, In forina quaſi sferica diſpoſto, Ajo: o à
poco in sè inuta, e trusforına, E da le due Meningi andò ammantato: In rio
Venen l'Aura animal traligna, Di Cannellini hà il ſuo Midol compoko i E di
Canin Carattere s'inforina: E il cortice di Glandole am maffato, Cool ne le
Materie, oy'i gli ha loco, In cui con Meccaniſmi, al grande eguali, Muta, e
trasforma il tutto in foco il Foco. Si prepurun gliSpiriti aniinali. 47. S3
Sentendo aggir quell'Anima infelice Dal Cervelletto fol naſcon produtti
Impreſſion di Spiriti Cunini, Quei Nervei tronchi, e quei lor rami varj; La di
cui f.colta immaginatrice Che daii gli Spirti à i Muſcoli, coſtrutti Hà
depravuti affatto i retti fini, Al miniſter de’moti involontarj. Tradita ancor
da quei Fantalmi, elice Da lui movong i Vaſi, e gli Umor tutti, Da ſe Brutali
affetti, atti Ferini, Ch'a l'uficio vital ſon neceffari, Adam, nel tuo fullir
quanto hai perduto ! Cor, Vene, Arterie, Glandole, Fermenti, Sei ſoggetto ad un
Mal,che di Vom fà Bruto. Polmon, Linfa; Inteſtin, Chilo, Alimenti. 48. 54. Dal
già detto finor molto evidente Giuridizion ſul Cerebel la Mente Argomentar fi
può, come fi dia Punto non tien, nè i ſuoi eſercizi hà noti, Il Diſcorſo de
l'Uomo incoerente Non sà, chiuſa entro il Cerebro, nè fente, Nel Delirio Febril,
ch'è Freneſia: Come il Chil ſi amminiſtri, e il Sangue ruoti. Che allor, che
bolle il Sangue in Febre ardête, Di quel, che dal Cervello è indipendente, S
fulfurea falina hà diſcraſia, Fermar non puote, è regolarne i moti. Gi Spiriti
nel Cerebro avanzati, Aſſoluti, e diftinti i lor Governi In copia, c mobiltà
fon gencrati. Commercio hap fol per ſei Proceſſi alternt. Manda Manda al
Cervello il Cervelletto pria E per la via retrograda, ch'è dietro, Doppia
Protuberanza orbicolare, Paffa nel Setto lucido il torrente: Più baſſo due
proceſſi indi gl'invia Quelle Idee, che vi trova ei ſpinge addietro Per la
Protuberanza altra anulare, Verſo i Corpi Striati obliquamente; Due altri
alfine imprendono la via E al corſo natural turbando il metro, Da ſuoi due
Gambi al Calcc midollare L'offre per falfa porta ivi à Ja Mente E di Spiriti
alterni han participi. Che venute credendole da i Senli, De’Nervi il pajo
ottavov'hà principja. Vopè, che follemente operi, e penſi. 56. 62. Per l'uno, e
l'altro orbicolar Ricetto Se però nel ſol Cerebro è riſtretto Son gli Spirci
animai partecipati De'Spirti il moto, e de'fantafmi erranti, Da gli Striati
Corpi al Cervelletto, E à trapaſſar non và nel Cervelletto, E daqueſto anco à i
Corpi fuoi Striatia Senza febricitar fà deliranti: Per le altre quattro vie con
corſo retto Perchè fol ne ſuoi Spiriti è il ſoggetto, Vengono, e ven gli
Spiriti mandati, Che fà le Arterie, e il Cor febricitanti; Pe'l calce midollare,
ove inſeriſce E quello Spirto, onde il ſuo moto prende Le ſue due braccia il
Fornice, e li uniſcea L'Arteria, e il Cor, dal Cerebel diſcende a 57. 63. Sol
queſte ſon le occulte vie, per cui Maggior ſoggiunſe Adam ) inêtre a dormea Ciò,
che ſuccede in lor di ben, di male, Stupore, è il Delirar di fan penſiero,
Mandanſi internamente infra lor dui Che di vani fantaſmi, e incongrue forme Il
vital Miniſtero, e l'animale, Ad un ſtuol dona fe si menzogniero, La Potenza
animal gli affetti ſui I qual, non ſolo al Ver non è conforme I moti fuoi la
Facoltà vitale, Mà par, ch'è falſo, e credefi per vero: Secondo, in Pro comune,
à lor conviene, In modo tal, che un Senno, anche prudente, Opporſi al Mele, o
farfi incontro al Bene. Di creder gl'impoſſibili conſente. 58. 64; E quinci
avvien, che al ſol penſier ſovente Come inganni la Mente à dichiararti Nel
Cerebro, o di Gioja, d di Timore, De i Sogni l'incredibile Bugia, Moffo è il
Polmone, e il Cor placidamente (Replica Raffael) d'uopo è ſpiegarti, Soſpira il
Petto, e batte fpeſſo il Core. Come il Sonno produceſi, e che ſia: Quete, è
ſvolte le Viſcere, hà la Mente Mà pienamente, Adam, rammemorarti L'idea de la
Salute, ò del Malore: La teſtura del Cerebro dei pria: Intelligenza, e
auſiliario impegno Che la foſtanza ſua, teſfuta á velli Paſſa così tra le
Provincie, e'l Regno. Di cavi coſta, e sferici Cannelli. 59. 65. Or mentre la
febrilc agitazione Che à i lati de'ſuoi concavi Canali Nel Sangue, e ne
le.Viſcere ſi avanza, Triangolar fon gl'interſtizj inteſti: Gli efAlvj.al
Cervelletto, e la mozione Che in quei ſcorron gli Spiriti animali, Mandar per
via de Nervi hà ben poſſariza: E che diſcorre ilSugo nerveo in queſti, Quefto
annuncia al Cervel la impreſſione Fatti gli uni di Spiriti vitali, Per doppia
orbicolar Protuberanza, L'altro di Umor linfatici digefti: Entro i Corpi
Striati, onde la Mente Che ſtan fra lor, quei di elater dotati, Di quel calor
febril l'affanno ſente. Queſto di fode fibre, equilibrati. 60. 66. Mà ſe gli
effuvi, ei moti ſuoi ſon tali, Mentre gli Spirti à tal ſon rarefatti Che al
Cerebel traſceudono le ſponde, Che tengan quei cannelli intumiditi, Nel Cerebro
i ſuoi Spiriti animali O'quefti cosi reſtino diſtratti Per l'anular
Protuberanza infonde: Da ariditi, ò durezza irrigiditi, Poi da i poſterior
recti canali O'il nervco Umor pien di fali acri, ed atti Del calce Midollare
alfin trasfonde, Le fibre à ſtimolar, gli Spirti irriti, Del Fornice gli Spirti
à le due braccia Sta tempre aperto il Cerebro, e produce E in quel gli eſtranj
effuvj infinua, e caccia. Spirti continui, e la Vigilia induce. L'Adamo del
Campailla. Nina Per poco influſſo, ò per diſpendj immenfi, Nel tempo del
Dormire al Cervelletto Se al minorar fi vien lo Spirto in effi, Copia inaggior
di Spirti il Sangue infonde O’i ſuoi interſtiz; il nervco Umor più eféli Che
oſtrutto allora il Cerebro, e riſtretco, i; Tien, con più copia, e i cannellin
compreffi, Quei,che nõ manda à queſto, à quel trasfondo Queſti già reli vuoti,
e non più tenſi Maggior moto pertanto, e più perfetto Chiudonfi, molli, e
calcano in sè ſteſſi. Del Torace han le viſcere profonde, Continuar nel Cerebro
non porno E quelle de l'Addome, allor, che appieno Gli ſpiriti l'influſſo: e
faffi il Sonno. Immerfo è il Corpo Uman del Sonno in feno. 68. 74. Il Sonno è
un feriar di Senſi, e Moti, Mà perchè (dice Adam ) ſpelo, à miſura Mà Senli
eſterni, e Moti volontarj. Di noſtra Paſſion ſi formi il Sogno? Gli Spirti del
Cervel ſtan quafi immoti, Perchè m'idea, dormendo, e mi figura Chiuſe le vie de
Senſitivi Affari: Quell'Obbietto,che temo,ò quel,che agogno? Solo i ſuoi membri
proſſimi, e i remoti Qualor per breve, in queſta notte oſcura Tutti mantiene in
eſercizi varj, Michiuſe al Sonno i rai natio biſogno, (Perchè infuſſo di Spiriti
interdetto Vidi nel Sonno il Cherubino armato, Non hà ) la Region del
Cervelletto. Che mi avventava in fen brando infocato, 69. 75. Or così ſtando il
Cerebro.in quiete, L'Angiol riſpoſe: Il già commeſſo errore In una, in tutto
oſcurità diffuſa, Nel ſonno anche ti affigge, e ti tormentas Si occultan le fue
Immagini inquiete, Ti ſtringe il Cor, l'anguſtiato Core Ogni altra Idea de i
Senti eſterni eſcluſa, L'imprellione al Cercbel preſenta, In folche folitudini
fecrete Che pe'i Procelli orbicolar và fuore, La Mente è tutta in sè raccolta,
e chiuſa; E al tuo Senſo comun i rappreſenta: E del Cervello il diſcoriivo
Mondo Poi ne la Fantaſia forma i'alpetto Dorme in ſilenzio altitlimo, e
profondo. Del Cherubin, qual ſe ti apriſſe il petto, 76. Ed ecco, che per cieca
obliqua via, Altro ruſcel di Spirti al modo fteffo Di Larvette ideali erranti
ſquadre Dal Cervelletto al Cerebro diſcorre; Nel Coinun Senio, o ne la Fantaila
E per la via de l'anular Proceſſo Vagan leggicie or fpaventole, ed'adre, Lc
radici del Fornice traſcorre. Or veſtite di ainabije bugia, De Cherubin l'idea,
che trova in eſſo, Pingon bei Spettri, e Fantafie leggiadre; Seco rapiíce, e
ullin valia: deporre E van col Fallo, in naſchera di Vero, Nel Senſorio Comuo:
l’Alma, che'l vede De l'Anima à ingannar l'occhio, e’i penſiero. E lente il
duolo al Cor, ferito il crede. Tal ſe in Teatro cinbroſo il Popol liede,
Anch'io diſs’Eva) in quel notturo orrore, Niirando chiare aprir comiche Scene,
Mentre più gli occhi mici pianger nő ponno, E da Mimi larvati aſculta, e vede
Viep; iù per lo ſpavento, e pul timore, Tragiche finzion, menzogne amene: Che
per quieto oblio, mentre che a !Tonno, Quali del Ver fcordato, ii Falſo crede
Strangolate le fauci, oppreſſo il Core E da’luoi Seun italicdotto viene, Sento
da un Moftro, infra vigilia, e ſonno: Chefveglia ii Finto in lui, verace
intanto Volea gridar, volea fuggir, volea Odio, ) Amer,Picea, d Sdegno,c Rilo,o
Piáto. Scuoţer dal ſen la Belva, e non potea. 28. Chile fopite Immagini
alCervello Queſto č l'Incubo, Adamo (à dir riprende Svegli, i luoi Spisti in
renderne eccitati, A lui rivolto, ii Filico Divino ) Facile è di aſſignar, dal
Cerebello, Paroliſino terribile, che apprende Che fieno effiuvi, • Spiriti
ſcappati, L'Uoin, mentre che talor dorineſupino. Per quei fentier, che ſon, tra
queſto,e quello, Il Petto, e il Core ilmoto ſuo ſoſpende, Ne i Proceſi
ſcambievoii, incavati E fofpende ancu i Sangue il ſuo camino; De le
Protuberüize orbicolari, Che riſtagnando entro i polmoni in petto E de i terzi Proceſli,
ed anulari, Fà un breve si, mà aſſai moleſto effetto. Cio, che il Sonno al
Cervel coſtituiſce, Del Morbo Malinconico cagioni Vien l’Incubo à produr nel
Cerebello Son, ipaventoſi, e ſubiti tercori Qual, groſſo il nerveoLiquido,
impediſce Affetti violenti, e pailioni, Degli Spirti animali il corſo in quello,
Ipocondriaci, e Iſterici Malori: Tal di queſto il medemo anche oltruiſce In
queſte inordinate ripreſſioni Ogni talor ſuo midollar Canuello, Si guaſtano le
Viſcere, e gli Umori: Qualvolta amplia foverchio, in modi vari, Onde mandati al
Cerebro, ed eſtratti Di queſto pur le Strie triangolari. Spirti ne fono, à gli
uſi lor malatti. 80. 86. Come, al Cervel gli Spiriti impediti, Mal fan l’uſo
adempir più principale, Fermanſi gli uſi à gli Organi animali, Ch'è: coʻlor
moti armonici, adequata Così, gli Spirti al Cercbel fopiti, Tener de l'Uomo à
l'Anima immortale Ceffan quei de le Viſcere vitali, Quella, che al ſommo Ben
tendēza hà innata, Il Sengue, e gli altri Liquidi irretiti Mentre in queſto ſuo
carcere mortale Ne i polmoni, e lor vafi arteriali. Vive ad un Corpo organico
ligata: Ciò nel dornir ſupin ſuccede ſpeſſo: Che priva di lor Tolita Armonia,
Che il Cercbel dal Cerebro è compreffo, Sente una interior Malinconia, 81. 87.
Prefa daʼNervi impreffion si rea Scemi di loro elaftica potenza, Al Cerebro
s'invia dal Cervelletto Debil tai Spirti à ſpanderſi han vigore, La Mente un
Moſtro in fantaſia s'idea, E di contrari Agenti à la prelenza Qual ſe l'affoghi,
e le comprima il petto: Producon, contraendoſi, il Tiinore. Poi tratta al Comun
Senſo è quell’ldea, Grolli, oltre del dover, ne l'aderenza Con un corſo
retrogrado indiretto Portan le loro Idee forina maggiore: La Idea ne vede, e la
impreſſion ne ſente; Onde di quel,ch'è in sè, ſempre più immenfo Or che ſtupor,
fe'l crede ver la Mente? Rapprefentan l'Obbietto al Comun Senfo. 82. 88. Miquel
dal Setto lucido repiſce Anzi, però clie indebite miſture Spirto le klee
ne'Corpi ſuoi Striati? Di eſtrani effluvj in lor glaſtan le forme Del Cerebel
non già, che non fluiſce Appajono d'infolite figure Spirito in lui, chii
Cannellin turati. I lor Fantaſmi, e di feinbianza informe: Si parla Adaino: E
Raffacl fupplilce Tenebroſe le lınmagini, ed oſcure Del Cerebel gli Spiriti
privati, Non terbano à gli Obbietti Idea conforme: Per doppia orbicolar
Protuberaliza, Quindi de i Malinconici eſſer dee u Cerebro, che n’hà minor
inancanza. Piena la Fantalia d'incongrue Idee. 83. 89. De le vitali ſu Vilcere
à l'uſo Inino il M.lincolico à tal ſegno, Tutti gli Spirti il Cercbel riparte;
Solo in penſier fantaſtici ſi aggira: Il Cercbro non già, che benchè chiuſo,
Pregna hila Fantatia, colmo l'ingegno, Ne reſts pieno, e altrui non ne fi
partc. D'incoerenti Idee; ma non deli. a: Reſtande elauſto quel, da queſto
infuſo Chc, benchè erranti, in sè ſenza ritegno, Hà lo Spirto animal per quella
parte, Le involontarie Immagini riinira, Che dal Corpo Callofo, ove diſcende,
Pur ben fi avvede, e noto há ben, che ſia A gli Striati, ivi le Idee diſtende.
Sol tutto l'Effer loro in Fantaſia. 84. 90. 11 Sogno paſſaggiera è una Pazizia,
Mà ſe da le ſuc viſcere eſalato, Ma la Pazzia poi Sogro è permanente, Per i
Nervi, Par vago, e intercoſtale, La Ipocur driaca in cui Malinconia Morbofo
effuvio, al Cervelletto alzato, Riduce PUomo à delirar fovente. Per il di
dietro al Fornice poi fale, Contraria de Maniaci à la Follia, Ogni incongruo
Fantafina, ivi formato, Ch'è cir:Je !, furioia, audace, ardente, Che ne la
Fantuſia difpiega l'ale, Quefiriè timida, e imbelle, e'l penſier volto Nel
Senforio Comun con feco tira: Hà follecito al Plen, itupido al Molto. L'Alma
allor Ver lo giudica, e delira. Del IL DISCORSO UMANO, Del nobile cosi Diſcorſo
Umano, De'tanti ancor traccò Logici errori E de'ſuoi varj organici difetti Che
al diſcorſo depravauo i Giudici, Filoſofo l'Arcangelo ſovrano, E qual di Verità
gli alti ſplendori Con ſottili penfieri, e chiari detti. Oſcurano à la Mente i
Pregiudicj: Indi ſpiego i Rimedj, ond'egl’inſano Come la Dialettica riſtori,
Reſo, à cagion de gli Organi imperfetti, Con norme, i falli in lei,
regolatrici; Poffi à i retti tornar ſuoi Sentimenti, E al fine il giuſto Metodo
glieſpone, Con medicarne i gu'aſti ſuoi Stromenti. L'ulo à bene adoptas di fua
Ragionc. Estasi di santa Teresa d'Avila scultura di Gianlorenzo Bernini
Lingua Segui Modifica Nota disambigua.svg Disambiguazione – Se stai cercando
altri significati, vedi Estasi di santa Teresa d'Avila (disambigua). Estasi di
santa Teresa d'Avila Ecstasy of St. Teresa HDR.jpg Autore Bernini Materiale marmo
e bronzo dorato per i raggi divini Altezza350cmUbicazione Chiesa di Santa Maria
della Vittoria, Roma Coordinate L'Estasi
di santa Teresa d'Avila è una scultura in marmo e bronzo dorato di Bernini,
rcollocata nella cappella Cornaro, presso la chiesa di Santa Maria della
Vittoria, a Roma. La scena raffigurata nell'opera è, per la precisione, una
transverberazione e non un'estasi, quindi la scultura è talvolta chiamata anche
"Transverberazione di santa Teresa d'Avila". Storia Modifica
Nel 1645 - in un periodo in cui, con il pontificato di Innocenzo X, la
straordinaria carriera artistica di Bernini stava conoscendo qualche
appannamento - il cardinale Federico Cornaro affidò alle sue qualità di
architetto e di scultore la realizzazione della cappella della propria
famiglia, nel transetto sinistro della chiesa di Santa Maria della Vittoria, a
Roma. Bernini, nell'eseguire la commissione, cercò una sua rivincita
professionale verso l'atteggiamento tiepido che il nuovo pontefice mostrava nei
suoi confronti e chiamò, per così dire, a raccolta tutta la sua inventiva di
architetto e di scultore sino a giungere a realizzare uno degli esempi più
elevati di arte barocca. L'Estasi di santa Teresa d'Avila, eseguita, una volta
portata a compimento piacque immensamente al Bernini, che con una certa
modestia la definì come la sua «men cattiva opera» (dunque la migliore delle
sue realizzazioni). Lo stesso Filippo Baldinucci, nella biografia dell'artista,
riporta che: «il Bernino medesimo era solito dire essere stata la più
bell'opera che uscisse dalla sua mano» Descrizione Modifica Visuale
della cappella Cornaro: al centro troviamo santa Teresa e il cherubino e, ai
lati, si scorgono i vari membri della famiglia Cornaro che si affacciano dai
finti balconcini Una delle cifre per intendere l'arte barocca è, come noto, il
gusto per la "teatralità": la rappresentazione spettacolare e
talvolta anche enfatica degli eventi. In quest'opera Bernini, mettendo a frutto
la sua esperienza diretta di organizzatore di spettacoli teatrali, trasforma,
in senso non metaforico ma letterale, lo spazio della cappella in teatro.
Per far ciò egli amplia innanzitutto la profondità del transetto; poi, aprendo
sulla parete di fondo una finestra con i vetri gialli, pensata per rimanere
nascosta dal timpano dell'altare, si procura una fonte di luce che agisce
dall'alto, come un riflettore e che conferisce un senso realistico alla
irruzione sulla scena di un fascio di raggi in bronzo dorato, così la luce che
scende sul gruppo, attraverso i raggi, sembra momentanea, transitoria e
instabile in modo da rafforzare la sensazione di provvisorietà dell'evento.Si
può facilmente immaginare quanto tale effetto, nella penombra della chiesa,
dovesse apparire a quel tempo suggestivo. Anche la freccia originaria retta
dall'angelo, ora sostituita da un semplice dardo, venne realizzata con dei
raggi che scaturivano dalla sua punta, a rappresentarne il fuoco del «grande
amore di Dio», come santa Teresa stessa ebbe a dire nella sua
autobiografia. L'elegante edicola barocca, realizzata con marmi
policromi, nella quale Bernini colloca la scena dell'Estasi di santa Teresa,
funge da boccascena del teatro: essa mostra la figura della santa semidistesa
su una vaporosa nuvola che la trasporta – come se fosse operante una macchina
da teatro nascosta – verso il cielo. La trasformazione della cappella in teatro
diventa letterale con la realizzazione, ai due lati del palcoscenico-altare, di
«palchetti» sui quali sono raffigurati – ritratti a mezzobusto – i vari
personaggi della famiglia Cornaro. L'evento privatissimo dell'estasi della
santa diviene in questo modo evento pubblico, al quale i nobili spettatori
paiono assistere non già con trepido stupore e con vivo trasporto devozionale,
ma con staccato disincanto; li vediamo anzi - come avviene spesso a teatro -
intenti a scambiarsi i loro commenti. Il palchetto sinistro, con i membri
della famiglia Cornaro in veste di testimoni attivi dell'evento mistico Ma non
è per la famiglia committente, bensì per l'ideale platea dei fedeli che si
accostano all'altare – palcoscenico della cappella che Bernini mette in scena
l'estasi della santa. Egli dimostra qui tutta la sua maestria di scultore, capace
di lavorare il marmo come fosse cera, con estrema attenzione ai particolari. La
veste ampia e vaporosa della santa, lasciata cadere in modo disordinato sul
corpo, è un capolavoro di virtuosismo tecnico, per effetto del quale il marmo
perde ogni rigidezza e la scultura sembra voler contendere alla pittura il
primato nella rappresentazione del movimento. Commenta a questo riguardo Ernst
Gombrich: «Perfino il trattamento del drappeggio è, in Bernini,
interamente nuovo. Invece di farlo ricadere con le pieghe dignitose della
maniera classica, egli le fa contorte e vorticose per accentuare l'effetto
drammatico e dinamico dell'insieme. Ben presto tutta l'Europa lo imitò.»
La raffigurazione delle estasi mistiche dei santi e delle loro visioni del divino,
rappresenta uno dei temi più cari all'arte barocca: i santi «con gli occhi al
cielo aiutano» – seguendo le raccomandazioni dei gesuitisulle funzioni
pedagogiche dell'arte sacra – a sentire emozionalmente, con il sangue e con la
carne, cosa significhi l'afflato mistico che porta alla comunicazione con
Cristo e che è prerogativa della devozione più profonda. Anche sotto questo
aspetto, della raffigurazione dell'estasi, l'opera realizzata da Bernini nella
cappella Cornaro, sarà destinata a far scuola e ad essere presa a modello
innumerevoli volte nella storia dell'arte sacra. Sul piano iconografico
l'Estasi di santa Teresa, che trova il suo prototipo nell'Apparizione di Cristo
a Santa Margherita da Cortona di Giovanni Lanfranco (1622),[6] è direttamente
ispirata a un celebre passo degli scritti della santa, in cui ella descrive una
delle sue numerose esperienze di rapimento celeste: «Un giorno mi apparve
un angelo bello oltre ogni misura. Vidi nella sua mano una lunga lancia alla
cui estremità sembrava esserci una punta di fuoco. Questa parve colpirmi più
volte nel cuore, tanto da penetrare dentro di me. II dolore era così reale che
gemetti più volte ad alta voce, però era tanto dolce che non potevo desiderare
di esserne liberata. Nessuna gioia terrena può dare un simile appagamento.
Quando l'angelo estrasse la sua lancia, rimasi con un grande amore per
Dio.» (Santa Teresa d'Avila, Autobiografia, XXIX, 13) Il resoconto che la
santa ci offre è raffigurato quasi alla lettera da Bernini nella sua
composizione marmorea, con il corpo completamente esanime e abbandonato della
santa, il suo volto dolcissimo con gli occhi socchiusi rivolti al cielo e le
labbra che si aprono per emettere un gemito, mentre un cherubino dall'aspetto
di fanciullo giocoso, con in mano un dardo, simbolo dell'Amore di Dio, ne
scosta le vesti per colpirla nel cuore. Notevole è il contrasto tra l'incarnato
liscio e delicato dell'angelo (che fa pensare più a un Eros della mitologia
greca che a un'entità spirituale cristiana) e le vesti scomposte della Santa. Il
volto della Santa e dell'angelo Interpretazione psicoanalitica Modifica
L'interpretazione che studiosi della psicoanalisi come Marie Bonaparte hanno
dato (proprio a partire dai resoconti di transverberazione lasciatici da santa
Teresa) all'esperienza dell'estasi mistica in termini di pulsione erotica che
si esprime sublimandosi nel deliquio dell'afflato spirituale, ha condotto la
critica a sottolineare in quest'opera di Bernini la bellezza sensuale e ambigua
dei protagonisti, avvalorando così la possibilità di una sua lettura in termini
psicoanalitici. Lo psicologo italiano Enzo Bonaventura fa riferimento a Cupido,
evidenziando, a livello simbolico, un nesso tra la figurazione greca e la
trasfigurazione religiosa nell'arte cristiana[7]. Per provarne la legittimità,
occorre solo richiamare la parola di Renan in viaggio a Roma, davanti a questo
stesso gruppo statuario: «Si c'est cela l'extase mystique, je connais bien des
femmes qui l'ont éprouvée. Si potrebbe comunque ulteriormente citare il conte
de Brosses[9], il Marchese de Sade[10] o lo scrittore Veuillot. Collateralmente
a quest'interpretazione che considera l'esperienza di Teresa, e la scultura che
la ritrae, nei termini di quello che (per usare un'espressione di Georges
Bataille) potremmo chiamare «erotismo sacro», si deve tuttavia osservare che
l'approfondimento della biografia dell'artista napoletano ha recentemente messo
nella giusta luce la sua religiosità; una religiosità che in quel periodo della
sua vita (quando aveva circa cinquant'anni) si era rafforzata attraverso la
pratica degli esercizi spirituali di Ignazio di Loyola, eseguiti sotto la guida
dei padri gesuiti che egli frequentava. Verosimilmente la lettura della vita di
santa Teresa non dovette essere un fatto occasionale, limitato a singoli passi,
segnalati magari dal committente. Al contrario, alcuni studiosi hanno letto
nell'Estasi di santa Teresa anche l'eco del racconto di altre esperienze
mistiche, come quella della santa genovese Caterina Fieschi Adorno. La
straordinaria qualità estetica e l'intensa drammaticità del gruppo marmoreo è
dunque da collegare alla personale ricerca spirituale di Bernini, al suo
impegno a scoprire per sé stesso, per poi mostrare a tutta la comunità dei
fedeli il senso di quell'amore espresso oltre ogni misura verso il Redentore,
che trova esempio nella vita dei santi. L'influenza dell'opera di Bernini
fu enorme non solo sui contemporanei, ma anche su molti artisti dei secoli
successivi. Il famoso compositore Pietro Mascagni, ad esempio, nel 1923 compose
una visione lirica per orchestra dal titolo Contemplando la santa Teresa del
Bernini, un brano della breve durata di appena quattro minuti. Marder, Bernini
and the art of architecture, New York; Marder riferisce a Irving Lavin, Bernini
and the Unity of the Visual Arts, New York; e a Barcham, Some New Documents on Cornaro's
Chapels in Rome, in: Burlinton Magazine, Cricco, Francesco Di Teodoro, Il
Cricco Di Teodoro, Itinerario nell’arte, Dal Barocco al Postimpressionismo,
Versione gialla, Bologna, Zanichelli; Cocchi, Cappella Cornaro ed estasi di
Santa Teresa, su geometriefluide.com. URL consultato il 30 novembre 2016. ^
Oreste Ferrari, Bernini, in Art dossier, Giunti; Gombrich, La storia dell'arte,
Milano, Leonardo Arte; Lollobrigida, A. Mosca, Biografia, in Lanfranco a Roma,
Milano, Electa; Bonaventura, La psicoanalisi, Arnoldo Mondadori Editore, Milano
Traduzione libera: «Se questa è un'estasi mistica, conosco molte donne
che l'hanno vissuta» ^ Cfr. de Brosses: «Se questo è amore divino,
io lo conosco bene!» ^ Cfr. Marchese de Sade: «Si stenta a credere
che si tratti di una santa» ^ Cfr. Veuillot: «[Bisogna] espellere
l'opera dal tempio... venderla... o farne calcina!» ^ Jean-Louis Bruguès,
Dizionario di morale cattolica, Edizioni Studio Domenicano; Bataille: «E
la sensibilità religiosa che unisce strettamente desiderio e paura, piacere
intenso e angoscia» ^ Bernini - Estasi di Santa Teresa, su
scultura-italiana.com, La Scultura Italiana; Don Michael Randel, The Harvard
Biographical Dictionary of Music, Harvard; Bernini Santa Teresa d'Avila Estasi
di santa Teresa d'Avila L'Estasi di Santa Teresa d'Avila di Gian Lorenzo
Bernini raccontata da Caterina Napoleone, su raiplayradio.it. Portale
Architettura Portale Cattolicesimo Portale Scultura
Ultima modifica 6 mesi fa di eBot Chiesa di Santa Maria della Vittoria (Roma)
edificio religioso di Roma. Transverberazione Estasi. Opera. Bernini. Le
e&Usi dell’amore di patria. La niftscliera di Mazzini. Patria, e
religione^ eroi della patria e santi. Meglio il i'Jtammiisme che
rignonui^a dell'amor di iwitria, Diverse funoe dell'escisi dell"
amor di patria, — 11 ritorno in Italia dell' autore reduce dair TnfUa. Estasi
BoUtarie dei ^andi amatori della patria. Gli eroi della storia e gli eroi
aiiouijiii, Estasi epidemiche. Incendii delle foreste e iiiceudii
del euore namonale d'uu populu, Eafliroiiti e ecmsiderazìoiii. Nel
mio Mu^eo d'a^ntropologiu di Firenze, in uuo degli armadii consacrati
alle grandi ìndiviilnalitì\ della apecie umana, vi ha la teista di un
uomo^ che ferraa V attenzione del piii frettoloso e .superficiale^
osservatore. Quando devo far da cicerone di mala voja^lia a qualche
importuno, lo aspetto a quell'ar- madìo, per consolarmi della lunga noia
di ripe- tere davanti alle stosjie vetrine le sten^^e parole. K VX
il visitatore sì ferma e dice; quella te«ta t) fonte qudìa di un
mniof Siete un buon osservatore, quella testa è di un santo e
fu formata sul cadavere. E che santo è quello? Si
chiama Giuseppe MazsEiui. Si potrebbe scrivere un volume su
quelFincon- scia rivelazione dei più voI*(ari osservatori, che
dinanzi alla raaafìhora di Mas^^^ini, domandano so quello sìa un santo. La
fìsonomia a#icetìca è nna delle jiiù CJiratte- riaticlie, ma anche ana
delle piìi iiidefiuiV>ìli, E il Miizriui Taveva, o morto pareva
ad<Urìttiira "n santo j?iù jflorifìcato ool piiradiso
cristiano. In quella domanda, che prorompe spontanea dal
labbro dei visitatori del mio Museo, vi è tutta la biografia di un uomo,
che amò la patria con fer- vore mistico e fece della sna polìtica una
reli- gione. E^fli stesso del resto si era asse|?Dato il suo po.sto
nella storia del pensiero italiano, scri- vendo sulla sua bandiera, Dio e
popolo^ due par role una pih miiitica deiraltra e che messe vicino
non sono che nn f^rido ilei onore lantùato neirin- finita» poetico
deindealita politica. L'amor di patria è uno degli aftotti più alti,
ma più indistinti e la cui analisi psicologica esi^e- rel>be
nn volume. È sentimento di lasso, perchè molti nomini d' alta e di
bas.^ gerarchia non lo sentono e perchè si dirige, più che ad un
lembo di terra, ad un mito corai)osto di materia e di idealiti\ e
che muta forma e muta confini a s^ condadeì tempi e di conto altre
influenze esteriori* l sentimenti ili lusso, non hanno che
raramente la intensa energia degli affetti ut^oessariij ma per la
loro indeterminateaza o h\ sconfinata po.-^Mibi- lltà dei loro movimenti
possono imi facilmente portarci all'estasi. Por V uomo
selvaggio, sia poi tale perchè non veste il proprio corpo, o perchè uou
vet^ite il pro- prio pensiero; la patria è poco più che il nido per
r uccello o la tana per le fiero. È la casa iu cui è nato, è V albero
sotto cui ha dormito, è il fiume iu cui sì è tuffato, il bosco dove ha
cac- ciato, è la terra dove tutti gh uouiini ras.'^omi- ^liano a
Ini j parlano come lui, come lui odiano l'altra geuto che sta al di là
dal monte o «lai mare, L^t patria, circondata o no dal luare^ è
sempre un'isola; e chi si isola divien parcnttì di tutti co- loro
che stanno nella stessa carcere. La patria non h che una famiglia più
grande di quella che sì chiude sotto il tetto domestico, non è che
una casa più vasta di quella che alberga una stoasHi famiglia.
2Jon amare la patria ò una vilti\ del cuore ^ è un cretinismo del
sentimento j quando non sia la previsione di tempi lontani e migliori,
nei quali la patria dell- uomo sarà tutto il nostro pianeta, e
stranieri soltanto si chiameranno gli aiutanti tlegli altri mondi coi
quali di certo un giorno parleremo, e forse per farci la guerra. JJ
amor di patria- è figliale e mistico in nna Tolta sola; è tenero e
ascetico, l^^igliale perchè la patria è la madre universale di tutti
quelli che parlano la stessa lingua, pensano lo stesso Dio e
Bparf^ono insieme lo stesso sangue. Mistico, perchè la patria non si può
baoiarej né abbracciarej e i suoi confini son segnati sopra una carta,
che non è negli atlanti geografici, ma nel cuore amano. La
patria è uno «lei circoli del paradiso dan- tesoOj dove da un piccolo
cerchio irradiano aonc piti larghe, come cerchio d'acqua smossa dal
ca- dere di nna pietra. Dal villagjrio adorato dove ci hanno
battezzato e dove speriamo di esser sepolti^ alla provincia, al regno,
all'impero, alle colonitv nostre lontane, la patria si allarga, si
allarga sem- pre, portando seco le tenere oscillaaioni del no- stro
cuore, dei nostri afifetti, della gloria nazionale* Quel palmo di
stoffa che si chiama la nostra bandiera j che un colpo di sole, uno scroscio
di pioggia pnò impallidire, quella stoffa che costa poche lire e
che una vampa di fiamma può ri- durre in un pizzico di cenere^ è il
simbolo di tutti iJamqr di patria 93 quelli affetti che .si
condensano sotto nno stesso nome, e là dove sì pianta quella bandiera ivi
è la patria^ ivi i ricordi comuni e le tiomuni svimture e le glorie
eomuDi oliiamati a raccolta da im voce sola^ che le incarua e le
personi&ca. Chi analizza un sentimento t^oUa segreta spe- ranza
o colla malignità palese di distruggo rio, compie opera vana. Se lo fa
per Bè non diatnijE^ge che ciò che non è mai esistito ; se lo fa per
altri, predica nel dea erto ; dacché nessaun ragionamento ha mai
fatto diminuire d' un palpito un grande amore. La doìina che
tu ami è una die creatura, fa amata rfrt ceiito uomini ptlmn che tu In
aìì^rnssi,,., U ohe importa f lo Vmno, Il Dio che tu adori non
è mai cswUto. Moto mo- siruoso in cui V antropofagia deW uomo quaternario
ti trova insieme alla industria delle simonie^ alle pag- gio Uologiche,.,
Mmpio^ tu non sai qneìh che dwL 11 mio Dio esista ed io VaàoTù.
Lo 8tes30 sarebbe tcntR^r di strappar con vani ragiimumenti a un
uomo l'amor di patria^ quando ej^Iì lo senti.^ palpitare nel più caldo e
nel pia profondo delle vi scerò, quando e^li ne ha fatto una
religione, a cui è pronto a darò tutto quanta ha, tutto il sanane delle
sue vene* L'amor di figlio, r ani or dì madre, l'amore per la donna amata
fiirono In o^cni tempo «jloriosi olocausti di anime elette futti
8ul l'alta re della patria. E poi andate a dire a quei martiri che la
patria è il mondo eh' easa non ha altri contini che lo spazio
interijlanetarel Finche lo nazioni esiatono, fìnc^hè le lingue umano
wi contano a luigUaiaj fìnehè metà del ge- nere umano non può intender
Taltra mete, finché ffBt nonio e uomo vi sono maggiori differenze
psichiche che fì*a un oane e nn lupo; l'amor di pntria non hi discute^ ma
sì 8entt% e nn iiopolo è tanto pili grande, quanto è pia vivo e calilo
e universale in lui questo sentimento. Benedetto conto volte il più
folle ehmwmismej maledetto il cinismo dì chi domanda ridendo: 1} che cosa
è hi patHa? La patria è la terra ^ in cui in ogni 8olco vi
è l'amor di patria 05 Il uà gocdola dì f^tangne o ili sudore
dei padri do- stri in ogni pugno d'arena vi è della ceneri^ dei
nostri avi; la patria è la terra in cai dorim» in nostra madre e
dormiranno i nostri figlinoli; è la storia di tutto il passato, la storia
di tanti secoli ili glorie e di sventare vissuti da coloro che ci hanno
data la vita; la patria è la madre di tutti quelli clie parlano e sentono
come noi ; è quo 11 a t-erra^ il cui nome solo udit(j pronunziare in
terra lontana ci fa battere il cuore, ci fa baciare un giornale. È
quella parola, che solleva onde di po- poli a un gritlo rli guerra, cUc
fa escire da ogni capanna nn uomo armato e ad ogni finestra fa
affaciìiarc una testa di donna ijiangente- La pit- tria è una parola
magica che può convertire ogni uomo in un soldato e ogni donna in nna
martire, che fa* piangere i fanciulli disperati di non esser ancor
uomini e fa pian^^ere i vecchi perchè non posftom» più imbraudire nn
fucile. La patria è tiuella santa parola, che lUstacca Toperaio
dall'of- iìcintìi, il contatlino dal cami>f>, V uomo di
lettere dal libro, il banchiere dallo scrigno; che strappa daltc
braccia della fanciulla il giovane innamo- rato; e tutti riunisce in
nn^mìca schiera e sotto uno stesso vessillo, in cui tutti guardano Assi
con occliio d'eroe e amore <\i martire. Quar altro altare ha
tanti adoratori? QuNUaltra religiane ha tante idolatrie?
QuaVè Tara su cui si portino altrettante vittime ^ che corrono
chia- mate o non ohi amate, ma sorridii^nti e calde d^eu- tnsia^mo?
QuaValtra parola ha tanta onnipotenza, q 11 al' al tra estasi può
superare co deista di sentirsi in uD^ora sola (livennti trenta milioni di
fratelli, che amano lo stesso amore, che sentono lo stesso otlio,
che so cenano lo stesso sogno di vendetta o di sdegno?
Le estasi più oomuni dell'amor di patria sono qaelle che si provano
nel rivedere la terra nativa dopo mesi e anni di lontananza e le altre
che si godono nelle grandi feste, che salutano un grande trionfo
nazionale: solitarie lo prime j associate le seconde ; grandi entrambe e
capaci di voluttà senza nome. La. nostalgia è nei trattati di
patologia una mar latti a che si classifica fra le alien azioni
mentali. Beati coloro che possono esser pazai in questo modo;
infelici coloro che per grettezza di cuore o per esser nati venti o trenta
secoli prima del loro tempo non sono capaci dei rapimenti del
rivederti ]fh patrìft dopo lunghe assenze. Io che ho vissnto
molti anni neir altro emisfero e che ho attraver- sato l'Oceano per otto
volte ho provato quest* e- stasi in tutti ì suoi gradi e in tutte le sue
forme. Mai l'ho goduta eosì intensa e così profonda come dopo il
mio ultimo viagfi^o nelP India. L'amor della patria, ai rovescio
degli altri amori, cresce cogli aonì^ e quando io 'ttopo alcuni
mesi di assenza al mio ritorno dall' Tiidia soppi che al-
l^indomani avrei riveduto l'Italia, sentii eho il cuore batteva forte
forte, come dinanzi al sorriso della donna amata. Io non
vedeva ancora la mia terra, ma la sen- tivo. Sentivo che essa mi aspettava
come ci aspetta la nostra donna in un ritrovo d' amore limi^iimente
desiderato» La mia patria, Tltalia mia non poteva esser lontana.. L'onda
più azzurra, il cielo più sereno me lo dicevano ad alta voce ; me
lo diceva il profumo dei fiori d'arancio che mi invia- Tano gli orti
benedetti della Calabria e della Si- cilia, Ed io guardava fisso davanti
a me neir o- rizzonte lontano j che la mia nave andava conqui-
Esta^i umam, stando ad ogni moto deir elice. La nebbia sfumava,
Topaie diventttvii oltremare, e fra le nebliie lon- tane vedeva un mondo,
nuovo e antico per me, la patria dei miei avi. La nebbia diveniva
terrai e cielo; terra e cielo T Italia. — Fra poche ore avrei
baciato quella terra e sul mio capo si sarebbe disteso l'azzurro ohe mi
aveva veduto nascere. Non sarei più morto in terra straniera e i
miei cari avrebbero potuto piangere inginocchiati so- pra la mia
terra, sopra la terra che aveva gene- rato me e i miei cari.
E la terra nebbiosa e oscura si disegnava in coste e in golfi, in
monti e in piani ; e in qaei monti e fra quei seni apparivano poco a
pooo oasuccie bianche incorniciate di pampini ver<li e
riposavano fra boschi di agrumi neri come il bronzo. In quelle case
dormivano uomini che par- lavano la mia lingua e quella terra mi
mandava come un saluto del cuore i profumi del mio orto, i profumi
della mia giovinezza e tlella mia poeaia. Là io era amato, là il mio nome
non era parob ignota: qualcuno mi aspettava. Vi erano braccia
aperte impazienti di stringermi al onoro, vi erano labbra di donna e di
fanciulla pronte, impazienti di baciar le mie labbra. Profumi di fiori e
baci ohe mi chiamavano ad alta voce, con sospiri d' amore, Come
aveva potuto io per così lunghi mesi star lontano (la quegli alberi
benedetti, da qneWe brae- cift innanioTìtte, da quella terra che
ora. la mia, la terra della mia culla e della mia iom^ f Nod avevo
io commosso una colpa j che avrei rerlenta fra poche ore ? Come avevo io
potuto sopportare tanto dolore ? B la nave camminnva ; e la
nave correva e a destra il continente d'ItalÌM, a sinistra la pììi; ^ande
delle isole d' Italia si avvicinavano a me^ lontaise e vicine, come due
braccia aperte all'am- plesso I — To mi smentivo abbracciato da
quelle braccia gigantesche, mi sentivo inebbriato da quei profumi ;
udiva il mormorio delle voci del- l'uomo, che dalla riva giungevano fino
a me; voci d'uomo e voci d- Italiani. Perfino Je vele delle piccole
barche che sfì lavano lungo la costa mi pa- revano pili bianche, più gaie,
più snelle d' ogni altra vela di mare. S^on eran forse vele italiane
ì E r Etna gigante fumava dair alto e il -calca- gno d'
Italia poggiava anir onda azzurra quasi volesse spiccare il salto alla
conquista del mondo. Avrei voluto gettarmi in quel] ^ onda per
sen- tirmi bagnato dal mare d* Italia, avrei volato lan- ci armi
per giungere più presto a toccare- quella terra santa, quella terra
tlivina, madre di tre civiltà e aon ancora stanca ; quella terra d' eroi
e di fljartiri, in cui tante genti avevano bevuto le prime fonti
tìol pensiero, avevano imi>aruto i primi canti (Iella poesia. Quanto
or^oglio^ quanto amore e quanta irapazienza di ridare a qnella
terra il bacio di madre ehc mi «fetta va lontano; dai suoi orti
fioriti, dalle 6U© città illuminate dalla gloria, dalle vette dei suoi
monti pittoreschi, dai campi così fecondi dì vita. Se qnella
non era un' estasi e che cosa è dunque l'estasi 1 Se quello non era un
rapimento dei seasi, del cuore, dell' amore, del passato che si
strìn- geva col presente; se quella non era una santa ebbrezza; e
che cos'è dunque il rapimento; che cos'è r ebbrezza! [ miei occhi eran
gonfi di laf^rimCj ma sorride vauo ; il mio labbro era muto, ma sorrideva
tremando, come davanti a un bacio ohe dovesse uecìdermi come uomo per
trasfor- marmi in un Dio. Estasi solitarie d' amor di patria devono
pro- vare quei pochij eletti che nascono per dar libertà o
grandezza alla patria e sognano prima e me>li- tauo poi l'opera grande
che si prefiggono a scopo della loro vita. Gran parte ili questi amori
solitarii e profondi si eouauma nell^ opera del pensiero, nelle
lun^^^he lotte di prepAvazìon^ ; ma tra le ansie di olii aspetta e
sperando teme ad of^i istante di per- dere il frutto di tanti sacrifici,
di tanti sudori, e forse di tanti martirii ; vi devono esr^ere
istanti in cui alla mente riscaldata da tanto entusiasmo appare V
alba della vittoria in nn orizzonte lon- t-ano e la speranza del premio
fa batter forte il cuore. Quanti^ visioni sublimi devono esser ap*
parse a MAZZINI (si veda), al Cavour, al Garibaldi, quando neir esilio o
nelgabinetto di ministro o sul campo di battaglia sognavano di far libera,
grande ed una la nostra patria e sentiviìuo «li poter essere
artefici primi in quest' opera grande ; sogno di tanti secolij miraggio
di tante generazioni. Le imprese degli eroi riuiangono scritte in
tavole di bronzo o in monumenti di marmo, scritte co[ ferro e col fuoco,
colle torture dell* ergastolo o le lunghe angoseie notturne del pensiero
che non dorme j ma ciò che non rimane scritto è Pestasi che prepara
quelle imprese e che le prevede in anticipazione. Ogni frutto
si feiionda neir amplesso dei petali profumati e fulgenti di bellezza e
ogni figlio di creatura viva nasce dall' anelito di un grande
amore. Cosi le opere magnanime che salvano un popolo o che Io glorificano,
clie rompono le catene dell' oppressione o allargano le frontiere della
patria non 80D0 mai uragani di violenti e o subitanee divinazioni del
geuio ; ma si preparano lentamente e lentamente maturano nei sautiiiirì
del cuore e del pensiero, là dove i ^ermi celati preparano r albero
fntnro ohe darà ombra a un' intiera nazione. La poetala sprezzata solo dal
volgo dei faccendieri, perchè non sono capaci d' intenderla, è la madre
d*ogni opera grande e non e- è grande soldato o grande uomo di Htato
ehe non fosse anche e soprattutto poeta. Poeta nel sognare imprese che ai
più apparivano come pazae utopie ; poeta uel fan taa ti e are e neir
osare ; poeta uel deliziarsi nelle sante visioni dell'avvenire;
poeta nelle estasi <imorose che mostra^io al eredente premio
lontano di grandi vittorie. Xon invano i Greci hanno detto che il poeta è
un creatore. Né le sante estasi dell' amor di patria anno concesse
soltanto agli eroi, ai semidei della storia. Tutti coloro che hanno
fortemente amato la patria, tutti quelli che hanno dato ad essa il pensiero o
il sangne, che hanno cospirato jirìiua e studiato poi per darle grandezza
e pot**iiaa, pouno nella loro vita aver provato rapioientì
delizioM. OgDuno pia che sé stesso non può dare all' altare d' na
grande affetto e nelle rivoluzioni e nelle gfaerrej come nelle grandi
lotte poli ti <; he gli amanti della patria possono contarsi a legioni
e la storia li dimenticfi, appunto perchè son troppi. T^a storia ha
fretta e personifica iu nn tipo i martiri minori. Pellico è il martire
delle cospirazioni, Mazzini è V apostolo della religione della x^atria »
Garibaldi 1' eroe, la Cairoli è la martire delle niadri Cavour fe
il pensiero in azione, e così via> Per ogni forma del sagrifìzio y per
ogni opera della mente, per Ogni travaglio dei cuori, la storia segna un
individuo che divien statua, ìdolo e tipo, e dimentica le molte figure
anonime, che si raggruppano intorno a quei tipi e fanno loro lieta
ghii'landa. Né questi negletti della storia lamentano l'in^ustìzia : al
monumento, alle corone, all' arco di trionfo essi non hanno pensato mai.
Essi hanno amato la patria e per essa hanno pianto o sono morti :
la loro missione è compiuta e sono felici come lo furono PeUioo,
Garibaldi e CAVOUR (si veda), Anch' essi hanno provato le sante estasi della
speranza e della vittoria^ e la patria li ha l)enedetti e glorificati nel
silenzio delle loro case, nel nido delle loro famiglia o dei loro a rio
ri. La patria è grande percliè ebbe dì tali figli e attraverso le
vene e i nervi clic congiunto uo le generazioni scorre V omla deir
entusiasmo fe palpita la voluttà del sacrifizio. Che cosa sarebbe il
Cristo aonzii gli ApostoU; che cosa avrebbe fatto GarlbaLtU »euza
la coorte dei Mille, e Cavoar senza i precursori del 31 ? No (lo
voglio ripetere per la centesima volta), la iiatnra non è così irtginsta
come appare alle esigenze dei più. Le gioie maggiori della vita non
si misurano col metro del ^enio o snlla bilancia della ricchezza. Tutti,
innanzi morire, possono essere baciati dalle labbra innamorate d'una
donna; tutti posisono render quel Via ciò alle labbra d'una Agli a.
Nessuno è così povero da non poter fare aagrifìzto dì se alla patria,
nessuno così infelice da non provare le estasi dell- affetto e della
poesia. Pel sole che dair alto illumina tutte le creature della terra, nessuno
è grande, nessuno piccolissimo e i suoi rag^ì entrano beatificando e
consolando nelle ftbre d' ogni cuore, nella porta iV ogni tugurio. I
piccoli numeri di ventano grossi se som muti iDsieme. Così i piccoU
affetti ponno divenire nra* gani se i cuori battono insieme. CIic! co.sa
è una gocciola? Eppure i* oceano è fatto tii gocciole, Kessim
affetto forse quanto Tamor di jiatria può per la isna natura
moltiplicarsi con grossi numeri e allora V entusiasmo degli individui
diviene onda che alla^^a le contrade e rapisce nella sua corrente case e
villaggi, città e popoli intieri. È questo un punto ancora oscuro della
psicologia umana e che pare dovrebbe formare una delle baai tetragone di
ciò che suol chiamarsi la fllosofla della atoria. Come 3i sommano
due affetti analoghi o eguali ? Di certo non colla regola aritmetica che
1 + 1^2, E oome si moltiplica un entusiasmo, quando si ripete
cento, mille, centomila volte nello stesso tempo in cento, in mille, in
centoraila cuori? Anche qui la regola matematica non serve a spiegare r
allargarsi e il diffondersi del fenomeno ripercosso in tante coscienze umane.
Vi sono epidemie per il sentimento come pei morbi popolari» e
il difibiifieriii degli entusiasmi presenta gli sttsa misteri^ gli
stessi salti bizzarri^ gli stesai prodigi nome V allargarsi ^elle grandi
epidemie. L' incendio dei cuori per influsso d' nna gloria
nazioDale è uno degli spettacoli più grandiosi e commoventi del mondo
utnauo, ed io compiangd tnttì coloro, cbe nel corso della loro vita
non hanno 'potuto assistere ad una tli queste grandi feste, nelle
quali tutto un popolo canta Tinno della gioia e lo accompaguauo gli
squilli elettri^zauti della vittoria e la fanfara del tumulto popolare e
l'ebbrezza di tanti cuorij che sentono tiel tempo s^tesso la stessa gioia,
clie ardono deHii stessa febbre, dello stesso delirio. Kon invano io
ho rassomigliato ad un inceufiio questi rapimenti nazionali: nessuna
immagine potrebbe rii|»presentare più fedelmente lo svolgerai di questo
fenomeno umano. Ma non ha ad esser? incendio di pagliaio ^ che le società
di assiearazioni registrano con dolore, o fi ara me di cucina, che
pompieri benemeriti spengono in un* ora colle loro pompe. Ci vuole
nno di quelli incendi delle vergini foreste e della pampa ci eli* America
meridionale^ che ho le tante volte veduto e ammirato nei nùei
viaggi. La fìatniua è venutu claU* alto o dal Im^^o, da na ftilinlue
o dal focolaio d' un viaggiatore : non importa. É fiamma che non riguarda
le socktà d^ mmìirazlomf né chiama a i?*è i pompieri. È fuoco Glie
s'allarga a destra e a sinistra^ che sale ìii alto lim^o le scale delle
liane sugli alberi alti come torri e che rade le erbe del basso come
rasoio ardente. Erbe e cespuglìj alberi e arbusti, piante di mille
anni e florclUai sboceiati ieri, tutto è invaso dalla stessa fiamma, che tutto
divora e eonsama/ Nessuno resiste a quel fuoco, non U cacto gonfio di
succhi, non le foglie verdi, non i tronchi secolari; nessuna pianta, nessuna
erba, nessun insetto che viva su quelle erbe, nessun rettile che
strisci, nesdun piccolo rosicante o armadillo che s'accovacoi nelle tane,
ne^ssuna belva del bosco, nessun mammifero della pianarti. Dinanzi a
riuel faoco tutti sono eguali e tutte lo creature hanno ad ardere
fiammeggiando, scoppiettando e detonando* Vola la fiamma in colonne, striscia
come onda, divampa come nembo, e non appena il fumo porta nel
fresco del verde il segno preoarsore della distruzìane^ il famo divien
calore e il calore diviea ìucendio, E riiicendio cammina;
prima incerto, poi siouro; prima trotta, poi galoppa, vola; esaltandosi
nel delirio d' uo' opera gigante di distrazione e di livellazione* I
piccioli innalzano il loro fuoco nelle regioni degli alti; e gli alti
precipitano turbinando e rovesciando i tiazoni incandesoenti nel
piano delle creature minori. E volano le sointiUe e serpeggiano le
fiamme, uè alcuno al mondo saprebbe dire chi dia maggior alimento a
quelle vampe. mag;2fior calore in quella voragine j in quella faCina
gigantesca. Screpolano, adoppiano, gemono i rami succoienti e rovinano i
colossi della foresta^ portando lontano lontano T inno di una
grande rivoluzione^ fluchè fra cielo e terra non si distin* guono
più né erbe ne arbusti^ né alberi, né animali; ma una cosa sola si vede,
una cosa sola si sente, il fuoco trionfatore d'una fiamma invadente e tiranna.
È la festa del fuoco, è V orgia della distruzione; è la morte di un mondo
vecchio che prepara il terreno a un mondo nuovo. Cosi sono le feste
nazionali, non imposte da decreti di prìncipi o da grida di ministri, ma
sorte spontanee per Tirrompere di un sentimento caldo, elle
infiamma tutti 1 cuori, che riscalda tutte le coscienze. E le anime
fredde sono ravvolte dall' incendio comune, e gli egoisti, volenti o
nolenti, si riscaldano allo stesso fuoco e i timidi non trovan Bcami>o
alla fuga. On^ni creatura che abbia in petto un e nere di uomo deve
ardere p consumarsi nella stessa fiamma. Padri e figli e ignoti si
abbracciano insieme e in una volta sola, e il riso e il pianto che si
confondono in un turbine solo fanno ridda e alzano al cielo un grido solo
; che è r entusiasmo ; s' inebbri ano dello stesso licore che è r affetto
di patria. Anche il marmo si riscalda, se ravvolto dalle fiamme, e anche
il ghiaccio si discioglie e si consuma fra le vampe d'un incendio.
Saltano le più robuste serrature chiuse tlalla mano gelosa tleir avarizia,
sì spezzano le catene più robuste saldate dair egoismo e dalla
paura. Ogni "cuore umano ha ad ardere. dello stesso fuoco; e il
ferro robusto e il piombo vileJianno a fondere per una volta almeno in
uuo ft tesso croglaolo, formando una lega che bMì le le^^i
della cliìmica e le analisi della scienza. E 1111 popolo ebbro dì gioia',
che non conta pia nelle sue flohiere né poveri né ricchi, né gio
vani ne vecchi; raa canta con una voce sola, somma dì tutti i vafiitì, di
tntte le poesie, dì tutti gli urli umani : canta V inno della redenzione
o della vittoria. Chi ha avuto la fortuna di essere già uomo
nel 48 e nel 5^ rammenta questi incendi fìei onori italiani e per le
membra forse già intirizzite tW freddo dolla vec<3liiaia risente
ancora il caldo di quel fuoco. E rammenta ancora alcuni momenti di
estasi sante, di ineffabili rapimenti^ nei quali ogni altro sentimento
taceva o si eclissava davanti al divampare subitaneo e irresistibile di
un unico sentimento, V amor di patria. l'amoe di
patria 111ir Coa\ come <lair incendio delle foreste
ver«:iiii nello strato dì cenere clie rimane si prepara una terra
feconda per nuove creature a venire ; così
tietlp grandi estasi e nelle sante eìylirezze di mi popolo trionfante, si prepara un nuovo
terreno in cui sarà scrìtta una nuova
f^toria, È per questa via che lo guerre
diventano ri generatrici di nn popolo
stanco; e quando per due o tre i^enerazioni
non di rampa uno di questi incendi rigeneratori, i fanghi, le mutfe e i
bacterii invadono ogni tronco d' albero
e ogni seme di pianta, e dalla lenta putrefazione dei cadaveri, s' innalza un miasma omicida, elle
soffoca i bambini nella culla, .sommerge
i giovani nella palude deirozìo e della noia, e uccide i non nati nel ventre
delle madri. In tutte le lìngue dei popoli civili voi trovate scritto che vi è
un amore platonico, e se si è sentito da tutti il bisogno del vocabolo,
vorrebbe dire che la cosa esiste, o nella natura o nel pensiero degli uomini.
Noi non ci fermiamo abbastanza sopra i rapporti delle parole colle cose, e
ammettiamo si esso e volentieri che
tra i molti
suoi capricci l'uomo
abbia anche codesto,
di fabbricare parole
per cose che
non esistono. Eppure ciò non è
vero o almeno non è vero che in parte.
Se fabbrichiamo una parola per un
essere immaginario, è
però vero che
questo essere fu
immaginato da noi
e quindi esìste
o è esistito nel nostro cervello. Il guaio vero
che si trova nello studio delle parole come
vestito delle cose
è questo, che
non tutti gli
uomini applicano lo
stesso vocabolo alla
cosa stessa, soprattutto
quando si tratta
dì fenomeni psicologici. Di qui
confasione, anarchia; torrenti
d'inchiostro e spreco
infinito di fiato per
spiegarci, per intenderci
e pur troppo, ahimè, per creare
nuove contese e nuove logomachie. Sappiamo tutti che cosa sia un coltello, una
mano, un occhio e a queste cose tutti applicano la stessa parola. Andiamo pure
quasi sempre d'accordo nel battezzare il
piacere, il dolore, l'odio, la collera e molti altri fatti del mondo psichico,
che hanno per tutte le coscienze lo stesso significato e che
trovano nel dizionario
la loro rispettiva
veste. Ma ben
altro avviene, quando
si tratta di
fenomeni fugaci e confasi o di
momenti impercettibili di
un'emozione o di un
intreccio di molteplici elementi. Allora la
parola non è
che un'approssimazione grossolana
o uno sbaglio completo,
e noi significhiamo
con uno stesso
vocabolo le cose
più diverse, facendo
come colui che volesse
per forza far entrare il
proprio corpo in un
vestito che non
fu fatto per
lui. Questo accade,
per esempio, per l' aiwìre
piatomeo. Tutti adoperano
questa parola per
ischerzo o sul
serio, per ludibrio
o per difesa, per
ipocrisia o per convinzione,
ma le idee
che si rivestono
con questa stessa
parola son così diverse,
come il sì e
il no, come
il vizio e
la virtù, come
l'ipocrisia e l'idealità.
Proviamoci a interrogare,
facciamo un'inchiesta,
muoviamo un processo alla parola,
chiamando al tribunale
come giurati gli
uomini del volgo
e i filosofi;
gli uomini di
buon senso e
le donne oneste; chiamiamo pure
anche gli scettici
e i credenti;
i materialisti e
gli idealisti. Che cosa
è l'amore platonico?
L'amore platonico è
un paradosso, è
un'utopia; non è mai
esistita e non
esisterà mai. L'amore
platonico è una
ipocrisia che copre
ben altra merce. L'amore platonico
è un lasciapassare
per salvare il
contrabbando. L'amore
platonico è una
falsa chiave o un
grimaldello per poter penetrare in casa d'altri senz'esser veduti. L'amore
platonico è un
travestimento dell' impotenza.
L' amore platonico è una maschera
ad uso dei
ladri e dei
malfattori. L'amore platonico
è la quadratura
del circolo. L'amore platonico
è la centesima
versione della favola della
volpe, che trovava
acerba l' ava che
non poteva arrivare.
L' amore platonico è l' amicizia fra un nomo
e nna donna.
L'amore platonico è
amore vero e proprio,
ma senza la colpa. L' amore platonico
è l’ amore con
tutte le reticenze imposte dalla
religione, dalla morale
o dalla necessità.
L'amore platonico è
il voglio e
non posso. L'amore platonico
è l'amore senza
il desiderio. L'amore platonico è
una fraternità delle
anime, senza il
possesso dei corpi.
L'amore platonico è l' ammirazione senza
il desiderio. L'amore
platonico è tutto
l'amore, meno il
possesso. L'amore platonico
è tutto l'amore spogliato dell'animalità. L'amore
platonico è una
doppia menzogna a cui
non crede nessuno
dei due mentitori.
L'amore platonico è
il primo stadio
dei grandi amori
e l'ultima fase
dei piccoli amori.
L'amore platonico è
un patto giurato
da due che
spergiureranno domani. L'amore
platonico ò un
giuramento di marinaro fatto
durante la procella.
L'amore platonico è una
concessione fatta oggi
da ano dei
due contendenti colla
speranza o la
sicnrezza di aver
Taltra parte domani
o posdomani. L'amore
platonico può essere
una finta battaglia
fra due che
non sanno battersi
o hanno paura
del sangue. L'amore
platonico è un vescovato
in partibus infidelium
concesso a chi
non si può dare
una curia. L'amore
platonico è la
metafisica dell'amore. L'amore
platonico è la più sciocca
parodia della più bella, della più grande, della più
ardente delle umane passioni. L'amore platonico è
un leone di
gesso, è una tigre di carta
pesta, spauracchi da bambini o ninnoli di fanciulli. L'amore platonico è la più
alta espressione dell'amore ideale. L'amore
platonico è il
trionfo dell'uomo sulla
bestia, è l'amore
reso eterno dall'idealità
delle aspirazioni. L'amore
platonico è la speranza;
l'amore vero è
la fede. Estasi
umane, Vili Sono trenta
definizioni molto diverse
tra di loro,
alcune anzi opposte
alle altre, ma
rappresentano a un
dipresso tutte le
possibili. Lasciando da
parte quelle che,
definendo la cosa,
la negano, mettendo
in disparte le
altre che sono
ironie o malignità, possiam dire,
che tutte hanno
una parte di
vero, per cui
forse, mettendole insieme
in un buon
mortaio di agata,
che la nobiltà
della materia esige
tanta nobiltà di
strumento, e porfirizzando il tutto
con pazienza di
chimico e sensualità di
farmacista, potremmo forse
sperare di avere
la quintessenza della
definizione, la vera e
unica e infallibile definizione dell'amor
platonico. Io mi
son provato in
buona fede a questa operazione chimico-farmaceutica e confesso
dì averne ottenuto
un polifarmaco arabico-bizantino che mi richiamava
alla mente i preparati più
bizzarri del medio
evo. Ho buttato
via dunque il mio pasticcio, e facendo appello
al senso comune,
che anche nei
più astrusi problemi
della psicologia spesso li
risolve meglio d'ogni
altro senso, ebbi
questa risposta. L'amore
platonico è il
aentimmto che unisce
un uomo e
una donna, che
pur desiderandosi, rinunziano
volontariamente all'intreccio
del corpi, maritando
le anime. Fin
dove arrivi quest'amore,
fino a quando possa
vivere, io non
so. Ho scritto
un libro (Le
Tre Oraaie) per
dimostrare la possibilità
di quest'amore, ma
una gentile e
dotta scrittrice inglese
scrisse argutamente neWAcademy
che io avevo
tagliato il nodo
gordiano, ma non
l'aveva sciolto. Consultai
molti inglesi, intenditori
profondi delle ipocrisie
dell'amore, chiedendo loro
che cosa fosse
la flirtaUon, quali
i confini entro
i quali si
muovesse questa intraducibilissima fra
le intraducibili parole e
ne ebbi così
svariate risposte, le
une metafisiche, le altre
ciniche, da scoraggiarmi
e da fJEurmi desistere
da ogni ulteriore
ricerca in proposito.
Dunque? Dunque io,
aspettando da altri
più profondi conoscitori
del cuore umano,
definizione più precìsa, più scientifica, conservo la
mia, bastandomi per
ora di affermarvi
che io credo fermamente nell'esistenza dell'amore
platonico, che credo nella
sua rarità, nella
sua altissima idealità,
e che lo riconosco per uno dei fiori
più belli e
più fragranti che
fioriscono nel cuore umano.
É capace di rapimenti
ineffabili, di estasi
degne di vivere all'altezza dell'estasi religiosa
e dell'affetto materno. Non
ammetto amore platonico
fra dae vecchi,
fra due brutti, fra
due creature che
non possono desiderarsi.
Si dice da tutti,
ma falsamente, che
le anime non
invecchiano, ma invece
le anime invecchiano come i corpi, e
le anime che
si uniscono nel
santo vincolo dell'amore
platonico, hanno ad
essere giovani e bèlle. Questo sentimento
sublime non è
possibile che a rare
creature elette, che
sanno compiere il
miracolo di spogliare le
anime da ogni
veste corporea, che sanno spogliare
la passione da
ogni desiderio della
carne, e contemplandosi si
ammirano e si amano. Anche
le anime come
i corpi hanno
un sesso, e nell'amor
platonico stanno faccia
a faccia e
guardandosi eternamente si
rimandano senza toccarsi,
torrenti di luce e di calore.
Due astri che
girano nella stessa
orbita, che non
si toccanmai; che
sorgono insieme con
una stessa alba, che
collo stesso tramonto
svaniscono e sfumano
nella grande voragine
dell'infinito. Sempre in
moto, ma sempre
distanti Vnn dal*
l'altro, attratti allo
stesso centro e respinti
dagli stessi poli; in relazione
tra di loro
soltanto per fasci
di luce e oitde di calore. L'anima dell'aomo
fatta di forza e di
azione, l'anima della
donna è fatta
di grazia e
di bontà; e
queste dne natnre
umane che sommate
insieme formano l'uomo
completo si attraggono eternamente, ma non si
fondono insieme, arrestate
dal dovere, che
permette loro di
amarsi, ma proibisce
loro di toccarsi
e di fondersi.
La massima delle attrazioni
diventita immobilità, la
massima delle forze
divenuta ammirazione, contemplazione, estasi divina. Nessun attrito, nessuna resistenza, nessuna
trasformazione di energia; nessuna cenere
perchè non vi
è fiamma; ma
luce; nessuna stanchezza, perchè non
vi è lavoro;
nessuna morte perchè
la vita è
arrestata dal miracolo
sublime che faceva
arrestare il sole nel cielo
nei tempi della
Bibbia. Nessun bisogno
di mutamento, perchè
solo la stanchezza
o la noia (che
non è altro
che una forma
di stanchezza) può
dar desiderio d' incostanza. L'amore platonico
deve essere puro
da ogni voluttà terrena; è
questa la sua
grandezza, è questa
l'acqua lustrale che
lo battezza e
lo santifica. Quelle
due immense forze che
si attraggono senza
toccarsi e senza
confondersi, rimangono immobili e
fìsse; ma se una delle
due vacilla, diminuisce d'un battito solo
la propria energia,
la più debole
è subito attratta dall'altra e
l'urto è irresistibile. Schizza una
scintilla o divampa
una fiamma ; ma
l'amore platonico è
distrutto. Più volte i
due astri vengono
così vicini l'uno
all'altro che ne
oorrusoan lampi. Son
due . creature che nello
spazio si son
toccate appena con
un fremito di
ali spasimanti, ma
l'ala deve fuggire
con santo e
rapido pudore dal
contatto dell'ala. Guai
a chi crede
o sogna che
due grandi amori possano
vivere della vita celeste
delle cose eterne,
dopo una carézza
o dopo un
bacio. Molti, anzi
i più degli
amori platonici, muoiono in
questa maniera, perchè
le due anime
innamorate sognano questo sogno,
che si possa
fermarsi a metà
strada sulla china
di certi pendii;
ohe li' credono o sperano
che Torlo di
certi precipizi possa
essere pietoso. Non
un bacio, non
una carezza, non fosse
che qaella delle
ali. Anche le
ali sono materia
e materia viva e calda.
Quando due labbra
si son toccate, ahimè, l'amor platonico
è ferito e per lo
più a morte.
Le anime sole
possono amarsi platonicamente e la materia
è sempre dotata
di gravità; fosse
pnre piuma d'ala,
vello di cotone o
massa di piombo.
Il precipitare di
essa sarà lento
o veloce secondo la
diversa densità della
materia: i venti pietosi
delle reticenze, delle
difese, delle foghe
faranno volare per
l'aria Iqngamente il
filo di seta e
il fiocco di
cotone, ma fatalmente,
ma inesorabilmente avranno
a cadere. O
tutto o nulla
è in amore un assioma
di quasi matematica
precisione, e le donne, sempre
più sapienti di
noi in questa
materia, lo sanno
e lo ripetono
sempre all'orecchio degli impazienti. Esse sono
le vestali dell'amore platonico, le
custodi del pudore, e
quando esse vengon
meno per le
prime ai giuramenti
dell'amore platonico, non
v'ha quasi uomo
su questa terra,
che le aiuti
a salire. La
caduta è fatale,
è irresistibile! Al
contrario di quanto si
crede volgarmente, non
sono i piccoli
aniQri, ma i
f^frandi che soli
sono capaci di
salire alle altezze dell’estasi platonica, di subire quella
sublime transustanziazione, che
arresta il desiderio
alla soglia del
tempio, che trasforma
la più ardente
delle passioni in una
luce di luna,
che illumina, ma
non riscalda. I
piccoli amori son
pruriti animaleschi, che
si soddisfano grattandoci
o applicandovi dei pannolini
bagnati nell’acqua fredda.
Essi non possono
salire le alte
cime, perchè son
deboli, molto meno
poi possono attraversare
lo spazio, perchè sono
senz'ali. Molte false
virtù non sono che
piccoli amori domati
coi fomenti freddi
e quando li
vedo innalzati ai supremi onori del sagrificio e
dell'eroismo mi vien voglia di
ridere. I grandi amori
invece non si
domano che colla
morte o con un
miracolo. Questo miracolo
è Vamoi e
platonico. II credente,
pieno di fede,
di speranza e
soprattutto d'amore è venuto
al tempio, per
pregare ed amare.
È venuto da
lontano: almeno per
venti, forse per
trent'anni ha viaggiato
e sudato per
monti e per valli,
attratto alla Mecca
dall'amore. Nel lungo
pellegrinaggio ha sudato
e ha pianto,
ha patito la
fame e la
sete, ma è
giunto vivo alle
porte del tempio.
I minareti dorati scintillano
al sole e dalle
porte aperte escono
profumi di mirra e di rose.
I grandi amori
sono religione o
idolatria, e il
pellegrino s' inginocchia e
prega prima di
essere ammesso all'adorazione del
Dio. Ed egli
lo vede, ed
egli lo sente
vicino. Nella luce rosea del
tempio egli ha veduto
il gran Dio,
che dispensa la
vita e la
morte: ai suoi
occhi lampeggianti d'impazienza
e di, ardore hanno
risposto altri due
occhi, lampeggianti e
ardenti come i
suoi. Egli ama e
sarà amato; ancora
una preghiera e san
consacrato li in fondo
al santuario del
Sancta sanctorum, dove
il fumo degli
incensi gli nasconde
la voluttuosa visione,
dove un coro
di angeli gli
cela i sospiri,
di chi come
lui aspetta e
desidera. Un istante
ancora, ancora una
preghiera, e tu
avrai il premio
del lungo pellegrinaggio, dei
lunghi dolori patiti.
Sei nato e hai
vissuto venti, trent'anni
per cogliere quel fiore, che
anch'esso non sbocciò
che dopo altri
venti o trent'
anni vissuti da
un' altra creatura
che nacque e
visse per te.
Oh perchè quelli
istanti non diventan
secoli e quei
secoli Vili non ardono
in un istante
sulUara del desiderio
e dell' amore?
Una voce vi
ha chiamato, vi
chiama. Voi siete
esauditi; voi siete ammessi
nel tempio. La
creatura sognata per tanti
anni, intraveduta fra
le nuvole della
fantasia e le
iridi del desiderio,
è là, vivente,
calda, giovane, davanti
a voi e
vi sorride. Anch' essa
aveva sognato, desiderato,
aspettato: se 1'
asceta ha bisogno
di un Dio,
anche Dio ha bisogno dell'adoratore, e
voi siete la
creatura sognata e
aspettata da lei.
Ogni vostro sguardo
diventa una carezza,
ogni vostra carezza un desiderio di
carezze nuove, e
i baci aleggiano
per l'aria facendo
intorno a voi
un nembo di
petali di rose.
I desiderii son
divenuti benedizioni: due
primavere, due vite,
due amori aspettano
di fondersi fra
un istante in
un solo paradiso
di fiori, di
profumi e di
voluttà. Venga pure
la morte; avrete
vissuto abbastanza, il mare
vi sommerga pure,
il fuoco vi
incenerisca, la terra
vi ingoi; al
di là dell'infinito
non v' ha
altro pensabile; al
di là del
tutto, che cosa
desiderare ancora? Amate
e morite! Ma
ecco che fra
voi e lei
un angelo o
un demonio, il fato o
il dovere ha
messo una spada
di fuoco. Voi
vi amate e vi amerete
fino all' ultimo
respiro, ma voi
non vi toccherete.
Non una carezza,
non un bacio;
neppure i flati
confonderanno i tepori delle anime.
Io afiretto colla
penna impaziente ciò
che in natura
avviene lentamente, più
spesso per una
serie non interrotta
di uragani. Senza
lotta, senza agonia,
senza l'orto di
Getsemani non avviene
quella trasformazione che
muta due desiderii
in una rassegnazione, due
passioni in un'estasi,
due soli nell'astro della
notte. Nulla si
perde di quanto
vive o si
muove, non la
materia, non la
forza che non
è altro che
l'atteggiamento della
materia, e anche
ì cataclismi della
terra e del
cielo, anche i
cicloni che sconvolgon
la terra e
rovesciano le città
sono trasformazioni di forze, sono
equazioni matematiche nelle
quali il prima
e il poi si dimostrano
come quantità eguali. Così
avviene anche negli
uragani del cuore.
Due amori dovevano
confondersi insieme per riaccendere
la fiaccola della
vita, due baci
dovevano salire al cielo confusi
in una sola
benedizione della vita
trionfatrìce. E invece,
passata la procella,
vin rasserenato il
cielo, noi vediamo
il pellegrino venuto da lontano al
tempio d'amore ancora
sulla soglia, ancora
prosternato e in
atto di rassegnata
e serena adorazione.
E^ nel tempio,
là in fondo,
fra le nuvole
degli incensi e
il coro degli
angeli, immoto il
Dio,che guarda il pellegrino con
tenerezza serena; e là
rimarranno entrambi Dio
e creatura, idolo e sacerdote
fino all' ultimo
respiro. L'amore che
feconda è divenuto
l'amore che ammira; l'amore che
ama è divenuto
l'amore che adora;
il sole che
tutto colorisce e
riscalda si è
trasformato nella luna,
che fa fantasticare
e sospirare. Se
avete letto la
mia Filologia del
dolore, dovete ricordare le
pagine, nelle quali
ho tentato di
studiare la psicologia
della malinconia. Fra questo
caro fiore del
giardino del cuore
e l'amore platonico
vi sono grandissimi
rapporti di somiglianza.
L'amore platonico è
una grande e
soave malinconia e chi
l'ha potuto e
saputo godere, non
rimpiange la gioia,
perchè quel sentimento
ha bellezze più alte,
ha misteri più
delicati, segreti più
riposti e sublimi.
Dei vulcani, dei
terremoti, degli uragani
che sono vita
quotidiana dell'amore nulla
è rimasto :
delle battaglie combattute
nessun cadavere, nessun
membro divelto; il terreno l'amob platonico lacerato dalle
bombe, solcato dalle artiglierie,
madido di sangue umano,
è ritornato all'aratro;
e le spighe
fioriscono, dove corsero
i gemiti dei
moribondi e gli urli dei feroci.
Una croce di legno piantata sull'orlo del campo
vi ricorda però
la storia del
dolore e spande
all'intorno un'aria malinconica. Non
invano io ho
invocato il tempio
ad esprimere e contenere
i misteri dell'amore
platonico, perchè questo
ha forme mistiche
e le sue
estasi presentano molti
caratteri del rapimento
religioso. Soffocato e
spento il desiderio,
inutile la lotta,
che cosa rimane
fuorché l'adorazione? E
questa adorazione che
prima è consagrata
all' idolo, si
affina sempre più,
man mano andiamo perdendo
la memoria delle
battaglie combattute e la
figura che adoriamo
perde ogni giorno
più la propria
personalit\ per prendere
forma di mito
o di simbolo. La
donna che adoriamo
d'amore platonico non è più
per noi Laura
o Beatrice, ma
è la donna,
la donna unica
e sola che
per noi personifica
tutte le bellezze,
tutte le grazie,
tutti gli incanti
di Venere e
di Eva. La
donna amata ha
occhi che ci
incantano, membra che le mani
accarezzano, chiome entro
le quali si smarriscono
i desiderii come in
un labirinto incantato. La
donna amata d' amore
platonico non ha
occhi, non membra,
non chiome, e
perchè le avrebbe
se noi non
possiamo baciarli e
possederli ? Dio
ha forse occhi,
membra e chiome
f Noi amiamo
platonicamente, ma amando
adoriamo; e l'adorazione
è l'estetica divenuta
affetto o l'affetto divenuto estetica,
o direi meglio
è un sentimento che aleggia eternamente
fra l'ammirazione di una
bellezza assoluta e un
amore infinito per
questa bellezza, a
cui non osiamo
dar forma, perchè
anche questa ci
sembra una profanazione. L' amore abbraccia sempre
qualche cosa, colle
mani o colle braccia, colle
labbra o col
cuore; l'amore platonico
non abbraccia, perchè
l'infinito non si
stringe; l'amore platonico,
contempla, ammira, adora.
Siamo in
piena estasi e
in estasi permanente:
nessun carattere del
rapimento gli manca,
non la fissazione, non
lo sprofondarsi di
tutte le sensazioni in
una sensazione sola,
non la immobilità
per tensione di
tutti i muscoli
antagonisti, non la
catalessi, non la insensibilità
per eccesso di
sensazione. E le estasi son
due: due come
le creature che
mutuamente si contemplano
e si adorano;
due come le forze,
che campate nello
spazio e sempre
lontane si invocano
e si attraggono
e eternamente rimangono
fìsse, senza avvicinarsi
di nna lìnea
né toccarsi mai.
In cielo fra
gli astri avvengono
questi fenomeni che gli astronomi
studiano; nel cuore
umano avvengono gli
stessi fenomeni con
leggi eguali, con
eguale miracolo di
potenza e di
bellezza. Se l'amore platonico
per la sua
alta idealità si
avvicina ai rapimenti
mistici dell'asceta, ha
per altri suoi
caratteri le profonde
sensualità del-l'avarizia. L'avaro
e l'amor platonico hanno
questo di comune: possedere un tesoro
che contemplano, che
adorano, ma che
non spendono. Quella
donna che voi adorate,
è d' altri
o di nessuno
in apparenza, ma
nessuno l'ama come voi,
per nessuno è
bella quanto lo
è per vói. I vostri
sguardi, le vostre
aspirazioni, i vostri
pensieri sempre rivolti
a lei la
circondano d' un’aureola, che
la isola dal
mondo. Essa è
chiusa in uno
scrigno invisibile, ma
non meno inviolabile;
in uno scrigno
d'oro e di
gemme di cui
voi solo avete
la chiave. E
anch'essa, voi lo
sapete, non ama
che voi. È
il possesso potenziale,
è la proprietà
ideale. Gosì appunto
è dell'avaro: egli
contempla quei fasci di
biglietti miracolosi che
possono a un
cenno trasformarsi in
gioie, in lusso,
in ogni ben di
Dio. E per
volontà nostra quella
donna è intangibile,
quel denaro non
si muove, ma
quella donna è
nostra, quel tesoro
è nostro. L'amore
platonico, ricco com' è di
rapimenti, ci presenta
allucinazioni di trascendente
bellezza. Nessuno più
abile sarto per
vestire i corpi
nudi, nessuno più
ardito per spogliare i
corpi vestiti. Nelle visioni
dell' asceta Dio
appare (come vedremo più
innanzi) in aspetti
svariati, ma sempre
bellissimo; e l'adorazione
che crea l'immagine
si raddoppia neir estasi
d'ammirazione di quelle
bellezze. E così è noli' amore
platonico, in cui
tutte le forze del
pensiero, tutte le
energie del sentimento, concentrandosi in
un punto solo,
danno tali ali
alla fantasia e tale energia
al suo pennello da trasformare l'uomo
in un poeta
e in un
pittore in una
volta sola. Poeta
che abbellisce e idealizza
tutto ciò che
tocca; pittore che
della sua tavolozza
fa una verga
magica che tntto
riveste di un'iride afiascinante. La
donna adorata e
non posseduta è
sempre Venere per noi; Venere
Afrodite quando la
fantasia la spoglia, Venere
Urania quando la fantasia la ravvolge
nei densi veli della
nostra gelosia e del
nostro rispetto. Nuda o vestita è sempre una Dea
per noi, e
noi ne siamo
i sacerdoti. Anche
le sante vedono
Dio nudo nelle
loro visioni, né quella nudità
è meno casta
o meno pudica.
L'amore platonico è tutto
un pudore, perchè
il pudore è
la riverenza dell'amore,
è la santificazione del desiderio.
Oh quante volte
nei sileuzii della
notte le tenebre si illuminano per
noi alla luce
mistica della fantasia
e dall'onda azzurra
d'un mare tranquillo
sorge per incanto al
fremito impercettibile d'una
brezza che vien
dal profondo una visione di
donna. E noi
assistiamo al mistico
nascere della Dea
d'amore, assistiamo al
nascer della vita. Estasi
umane, vili E
sorge dall'onda Spumeggiante
pregna degli inebbrianti
e salsi aromi
del mare la
visione della creatura amata,
della sola donna
che per noi
è donna, e
che nuda e
casta come una
statua di Fidia,
lucente dell' onda
che cade in
mille perle su
quella perla sola
che è il
corpo di lei,
s'innalza fremente e
flessuosa, come una palma
umana; e sorge
e s'innalza sulle sue
colonne di marmo
pario, inghirlandata dalle
chiome fluenti, che
fanno piovere una
pioggia di perle
sui morbidissimi flanchi intomo a lei
bolle e freme
l'onda, quasi ebbra
dei contatti voluttuosi della
Dea, e guizzano
nereidi e naiadi
a farle corona
di bellezze minori,
mentre angioletti rosei
svolazzano all'intorno di
lei, impazienti di accarezzarla
colle ali convulse.
E nessuna lascivia scuote le
nostre membra e
nessun desiderio osa
turbare Testasi di quella
contemplazione. Voi siete sempre
in ginocchio, col
corpo o col
pensiero, davanti alla
divina immagine che
adorate. E altre
volte Venere non
esce dal mare,
umida e calda
delle sue feconde aspergini,
ma in un
bosco di allori sotto il
cielo ellenico, scende
dal tempio e passeggia
sorvolando sull'erba, quasi statua
che ubbidisce all'evocazione del
suo creatore e
ritoma alla vita. E
gli inni dei
poeti e le
corde d'oro delle
arpe eolie cantano
e suonano le
loro armonie, facendo
coro di ammirazione
e osanna di
adorazione alla dea della bellezza,
alla madre di
tutti ì viventi.
E noi prostesi
al suolo baciamo l'orma
profumata, che il
piede divino lascia
sui muschi vellutati
e fra l'erbe
odorose. Ma terra e
mare non bastano
più a fare
cornice alla nostra visione
trascendente e noi
vediamo la nostra Dea farsi
creatura alata e spiccare
il volo nelle
alte regioni del
cielo. Non più
carni rosee o
colonne di marmo
parlo, ma la
carne dive-vni nuto opale
e le membra
trasformate in ali.
E vìa per Paria e gli
spazi infiniti del
vuoto, un aleggiar
robusto e un
ondeggiar di chiome,
or dorate dai
raggi del sole,
or argentine al
chiaror della luna,
or buie come
le tenebre degli
abissi. E un
fiammeggiar degli astri, che anch'essi
nell'eterna pace dei
secoli, fremono alla vista
di quella divina
bellezza e scintillano più
caldi e più
splendidi, salutando colle ebbrezze
della luce una
creatura deUa terra.
E noi dietro
a quella visione,
convertiti da creature mortali in un
sospiro di desiderio
che vola e
insegue la donna
alata. La via
lattea ci è guida
al nostro volo
audace e tra
la polvere degli
astri che non
abbiam tempo di
ammirare e fra
gli abissi dell'infinito
e le meteore
deUo spazio cogli
occhi fissi a
quella creatura che
è cosa nostra
e di cui
sentiamo nel vuoto infinito il
batter dell'ali, Siam rapiti
in estasi e
speriamo di confonderci e sparire in
quella donna, che
non è più
donna, ma angelo;
che non è
più angelo, ma
Dio; un Dio creato
dalla nostra fantasia
e dal nostro
amore. Sparire per
sempre e con
lei, come dicesi
che le comete
attratte dal sole
si consumino in
un bacio ardente
come loro, ciclopico
come lo spazio.
Sparire e confondersi, non ritrovar
più il nostro Io,
non distinguere più
qua! differenza passi tra noi
e lei, fra
l'amare e Tessere,
fra l'uno e
il due; non
ricordarsi della terra,
del nascere e
del morire, della gioia e
del dolore; non
pensare altro pensiero
che il pensiero
di lei, perdere
tutta la coscienza
e tutta la memoria,
per sommergerle nel
grande oceano di
una sensazione sola,
l'estasi; spogliarsi di
tutte le passioni,
dimenticarle tutte, per
non ardere che
d'una sola passione,
l'amore. L'uomo e
la donna disgiunti sulla terra,
ricongiunti nel cielo e
per sempre con
un bacio che
non ha domani,
con un amplesso
che trasforma le anime
nella carezza di
quattro ali. L’estasi dell'amore
platonico non sono
tutte di adorazione,
ma possono presentarci
le forme della
devozione, del sagrifizio
spinto fino al
martirio. Allora noi abbiamo i
rapimenti già descritti
nell'amore materno, nell'amor
figliale e negli
altri affetti minori.
Inutile ripetizione sarebbe
quella di ritrarre
i lineamenti di
questi quadri sublimi,
che tanto si
rassomigliano. L'ionico
carattere che distingue
tutte queste forme
svariate è quello
di essere accompagnato
dall'ardore della più calda
delle passioni, di
esser tutto imbevuto di
quell'amore che fu
chiamato con questo
nome senza aggiunta
di alcun aggettivo, quasi prototipo
di tutti gli
altri amori. L'amore
platonico può essere
potente e fecondo
di estasi, anche
quando non è diviso da
un'altra creatura. Anche
quando vibra in
un solo cuore,
anche quando contraddice, rarissima eccezione, il
verso famoso del
poeta. Amor ch'a nullo
amato amar perdona,
può durare tutta
la vita, può
essere il palpito
di ogni ora,
il sogno d'ogni
notte, la religione
mistica di un solo cuore. In
questi casi soltanto
vi ha di
diverso e di
caratteristico una soave
malinconia, forse confortata da una speranza
lontana che il
nostro amore, pur
rimanendo sempre pia*
tonico, 8iia diviso
da un' altr'
anima. Xie estasi
dell' amicizia. Rapimenti dell'amor fraterno.
Anche senza il
fascino del sesso,
anche senza i
vincoli del sangue
l'nomo può amar
l'uomo di quel
sentimento che si
chiama amicizia. Ho
gii\ parlato troppe
volte e a
lungo nella mia
fisiologia del piacere e in altri
miei libri più
recenti dell'amicizia, né
starò a ripetermi.
Qui non dobbiamo occuparci che di
quelle rarissime forme
di questo sentimento
che possono portarci
fino all'estasi. L'amicizia
è possibile fra
uomini e uomini,
fra uomini e
donne, fra donne
e donne; ma
il sesso è
tale un elemento
perturbatore d'ogni altro
affetto, che non
sia amore, da
rendere 1' amicizia
assai rara fra ue
persone di sesso
diverso, e anche
quando i sensi
non parlano e
nessun desiderio accompagna l'amicizia,
questa è però
modificata profondamente da quella
tenerezza irresistibile che
l'uomo ha per
la donna, di
quel bisogno di
protezione che la
donna sente dinanzi
all'uomo. Ecco perchè
preferirei separare dal
gruppo delle Estasi
umane. L’ amicizie vere
quella che Tuomo
e la donna
possono intrecciare tra di loro,
ravvicinando queste alla
famiglia degli amori
platonici. V amicizia
è un sentimento
di lusso e
noi lo vediamo
mancare affatto o
presentarci forme atrofiche negli uomini di
bassa gerarchia psichica.
Le sue energie
sono deboli, talché
cedono subito il
campo ad altri
sentimenti più imperiosi
e che hanno
una grande missione
nel ciclo della
vita. È anche
per questo che
le donne ci
presentano più raramente
esempio di calde
e tenere amicizie.
In esse l' amore e
la maternità occupano
tanta parte del
cuore da non
lasciare il posto
per altri sentimenti
minori, e d'altronde
la galanteria virile
fa delle donne
altrettanti rivali e
semina la gelosia e
inviperisce le vanità
e solletica la
malizia e la
maldicenza; per cui
V amicizia fra
donne è pianta
rara, che vive
per lo più
vita breve e
fra le pareti
di una stufa
ben calda e
custodita. Che l'amicizia
sia una pianta
di lusso lo
prova il vederla
fiorire nell' età
delle massime energie
affettive, cioè nella
giovinezza. Col primo aocenno di
capelli bianchi, col
primo chinar della
curva vitale, le
amicizie nuove sono
molto rare e
le antiche si conservano
spesso per abitudine,
per riconoscenza, ma son
fiacche e messe
quasi sempre nel secondo giro
degli affetti. Se
r amicizia è
sentimento raro, è
tanto più delicato
e si muove
in una sfera
di altissima idealità. Intendo sempre
parlare della vera,
della sublime amicizia, di
quel sentimento che
fa di due
nomini un nomo
solo, che li
unisce mano con
mano, cuore con
cuore, anima con
anima. Per lo
più fra la massa del
volgo si chiamano
con quésto nome
simpatie fugaci, associazioni
d'interessi, consuetudini
d'occasione ed altre
cose ancor più
volgari e più basse. Per
questa via di
certo nessun rapimento
è possibile. Ciò
che dà il
marchio di nobiltà all'amicizia è V eleziùne che ne
è il midollo
e lo scheletro,
chene è il
motivo informatore. Non
è soltanto negli
ordini politici che
relezione sostituita all'eredità
o alla forza
segna un gigantesco
progresso: anche nel
campò degli affetti
l'elezione è il
battesimo che li
consacra ad una
vita gloriosa, che
li tra-sporta dai bassi
fondi delle necessità
organiche nel cielo
dell' idealità. Neil'
amore, nell' affetto
di patria, nella
maternità, in tutti
i potenti affbtti
che stringono l'uomo
coi vincoli della
famiglia, vi è un
vigore irresistibile, vi
è una forza
trascendente, ma nello stesso
tempo noi ci
sentiamo rapiti dal fato, dalla
necessità:. Siamo ben
felici di questa
cara necessità, Ina V
Io, sempre superbo,
sente qualcosa più
forte di lui
e riverente s' inchina e
ubbidisce alle leggi
della natura. Nell'amicizia invece
nulla di tutto
questo: nessun fato, nessuna
necessità, nessuna tirannia
d'uomini, di cose o di
tempi. Due anime
umane si incontrano
nel viavai della
folla, si contemplano
e s'intendono. Un
riso sorriso in
due, una lagrima
pianta in due,
un grido d'
entusiasmo escito prorompente, irresistibile in uno stesso momento da
due petti umani, avvicina i cuori e stringe le destre. Son due note musicali,
che partito da due strumenti lontani si sono incontrate pell’aria, formando un
accordo d'armonia. E quello stringersi delle mani rivela nella sua espressione
semplicissima tutta la psicologia più fine e più profonda dell'amicizia. In
amore son le labbra che tendon l’arco e
si cercano. In amore son le viscere che s’intrecciano e si fecondano. Nell’amicizia
son le mani, che si cercano e si stringono; gl’istrumenti del pensiero e
dell'azione. Sentire insieme
e sentire egualmente,
ammirare le stesse
cose e disprezzare gli
stessi uomini, parlare commossi cogli
stessi i)oeti e
benedire con una voce
sola lo stesso
sole, ci fa
parenti nelle anime,
come in amore
le simpatie fanno
di due sangui
un sangae solo, DI
DUE DESIDERII UN DESIDERIO SOLO – Grice, CO-OPERATIVE PRINCIPLE -- , e colla
fiisione intima di due esistenze, creano una terza vita. L'amicizia
è una parentela
d'elezione, è un
amore delle anime,
è un sentire
il proprio pensiero sommato a un
altro; i proprii
sentimenti, le proprie
simpatie, le proprie
aspirazioni ripercossi sempre
dall'eco affettuosa di
un'altra simpatia, di un'altra
natura umana, che
risponde alla nostra.
Dolcezze ineffabili, voluttìi
di altissima sfera,
che fanno l'uomo
superbo d'esser uomo. Questo consenso non cercato
ma trovato, questo combaciarsi intero
e completo di
due anime, questo
libero matrimonio di
due nature umane può
bastare a rapirci in estasi;
quando soprattutto ci
rifugiamo in seno
all' amicizia per
sfug;^ire dagli urli
del profanum vulgus;
quando siamo inseguiti
dal latrato dei
cani; quando ci
sentiamo asfissiati dal
lezzo del fango
in cui pur
troppo dobbiamo le tante
volte camminare e
sommergerci. È allora
che l'oasi dell'amicizia ci stende
la sue braccia
e ci involge
colle sue ombre
profumate, colle sue
brezze inebbrianti, e
proviamo la santa
gioia di chi
escito da una
cloaca immonda e
oscura, si trova
nell'aperto cielo in
mezzo alla luce,
all'aria pura; fors'anche fra
il profiimo dei
fiori e il
sorriso dei bambini. L'estasi
di due amici
che si comprendono,
che ^i stringon
le mani. che
si guardan negli
occhi, leggendovi riflessa
Pimmagine di so
stessi, è muta
come quasi tutti
i rapimenti della
vita. É muta
ed è profonda:
è serena eie
azzurra. Non si
sa eome incominci
e dove finisca;
appunto come noi
non sappiamo, guardando in
alto, dove il
cielo incominci e
dove esso finisca.
Tiriamo profondo profondo
il respiro, perchè vorremmo quasi ingrandirci di
dentro, come ci
sentiamo raddoppiati di
fuori; e il
nostro Io si
confonde, si sprofonda
con un'altra coscienza,
quasi due parti
di un'anima sola,
che separate dalla
violenza, incontratesi nello
spazio, ritornano ad
essere una cosa
sola. In quei
momenti beati ogni
confine ben definito
della coscienza si
ofiftisca e si sperde
: ci pare
di essere due,
perchè godiamo sentimenti,
bellezze, splendori el vero
o del buono
in due; ci
par di essere
uno, perchè sentiamo
vibrare due coscienze
in unacocienza sola;
perchè le due
anime si son abbraociate e strette
e confuse in
un'anima sola. Sante
e care e
dolci ebbrezze dell'amicizia, che
si elevano per
la loro purezza nelle
sfere più alte
dei sentimenti umani. Se sono
men calde di
quelle dell'amore, sono
però più durevoli
e serene; se
vi è meno
volutto, vi è
più pensiero; se
vi è meno
fuoco, vi è più
luce. Ma perchè questi
sterili e vani
confronti? Perchè
sagrificare anche noi
a quel maledetto
gallo d' Esculapio, che
costringe sempre l’uomo
a confrontare le cose
che studia e
descrive? Forse che
si pota risolvere il
problema la rosa sia
più bella del giglio, lo
zafiBro più splendido
del diamante, il cavallo più
bello del leone?
Lasciamo ogni bellezza
al suo posto
e non tormentiamo
le creature del nostro pianeta,
facendole passare sotto le forche caudine delle nostre gerarchie. La natura
feconda e generosa non ha mai scrìtto dei numeri sulle proprie creature:
nessuna prima, nessuna ultima, e il muschio microscopico che nasce e fiorisce
fra le fessure del tronco d'una palma
superba, è bello quanto l'albero maestoso che le offre l'ospitalità; e la stretta di mano
dell'amicizia è cara quanto lo stringersi insieme delle labbra innamorate.
Le estasi dell'amicizia
sono di varie
forme, ma quasi
tutte possono ridursi
a queste due:
estasi di simpatm
e estasi di
conforto. Delle prime
ho parlato fin
qui, riducendole ad
un'espressione sola. Le
altre sono più
facili e più.
comuni. Esse non
sono che estasi
di carità rese
più intense, più
cald, più poetiche, perchè
il sentimento che le
ispira è di
più alta natura.
Nella carità facciamo
il bene agli altri,
solo perchè uomini; all'amico diamo
tutto noi stessi,
per lui facciamo i
maggiori sagrifizii, perchè
uomo e perchè
amico. Dall'elemosina che ci umilia
e può anche
avvilirci, incomincia una scala
ascendente e che
ha mille gradini
e pei quali
si sale alle
forme più squisite
della beneficenza. Sulla
più alta cima
sta sempre 1'
amicizia, che conforta
e aiuta e
soccorre senza umiliare
e porge il
dono con tale
delicatezza, che mal
sapresti dire, se
sia più prezioso
il dono o
più caro il modo con
cui ti vien
presentato. ESTASI dell'amicizia Impiccolire
il sagrifizio fino a nasconderlo
affatto, mostrare che chi dà è
invece colui che
riceve, ohe il donatore
rimane debitore; nascondere
nella gioia di
dare l'orgoglio di
dare e soffocare
fin dal suo
nascere l' involontario rossore
di chi riceve,
sono altrettanti miracoli
che l’amicizia compie colla
massima agilità, colla
maggiore naturalezza di questo
mondo. Indovinare il
dolore anche senza il
pianto, presentire l'imbarazzo quando
nessuno lo sospetta,
prevedere la sventura
prima che arrivi,
il pericolo prima
che l'allarme sia
dato, non attender
mai che la
mano si stenda
a voi, ma
stendere la vostra
e nella stretta
di mano nascondere
il benefizio, sono
le prime lettere
dell' alfabeto dell'
amicizia; son problemi
elementari che il cuore
risolve di primo
acchito e senza
bisogno di studiare
la matematica. Davvero
che in questi
ca^i è diflBcile
dire chi più
goda dei due,
chi primo arrivi
al rapimento del
benefizio fatto o
della riconoscenza caldissima.
L'uno ha preveduto,
ha presentito, ha indovi-nato. L' amico
soffre ed io
posso far tacere
quel dolore. L'amico
ha bisogno di
soccorso, di conforto, ed
io sarò quei
fortunato che potrò
soccorrere e confortare. Il
cuore batte forte
forte in petto,
le mani tremano
per 1' emozione
e un sorriso involontario e angelico
corre sul nostro
volto. Tutti gli
artificii più astati
sono da noi
adoperati per far
sembrar facile ciò
che è difficile,
naturale ciò che
forse è per
noi un doloroso
sagrìflzio. Nessuna astuzia è più raffinata,
nessuna ipocrisia più
opaca, nessuna fantasia
più immaginosa di
quella che adopera
l'amico per occultare
il benefizio, per
giungere in tempo;
per abbellire la
carità collo splendore
della sorpresa. Il
dono dell'amico è
un fiore bello
e profumato che
ci presenta la
mano di un
bambino, innocente e giulivo
come la bontà
sempre aperta dell'uomo
generoso, rìdente come
tutte le primavere
della vita e
della natura. E
chi riceve ed
è costretto a
non vergognarsi di
ricevere e chi
indovina tutte le
sante astruserie e i fini
accorgimenti che accompagnano
V opera del
conforto e chi
misura tutta 1' altezza dell' anima
che corre soccorrevole
a noi, rimane
confuso e commosso
e dallo strazio
della disperazione è
portato di volo
alla beatitudine più
sicura e più
alta. L'amico ci
ha indovinato e
l'amico risponde con
un'onda di riconoscenza;
il sorriso di
chi fa il
bene è nobile
come il sorriso
di chi lo
riceve, e due estasi
si confondono in
un'estasi sola. Chi
più felice dei
due? Nessuno. Chi più grande?
Nessuno. Quale il debitore,
quale il creditore?
Nessuno dei due;
o entrambi creditori,
entrambi debitori. Chi più
bello del sole
che illumina o
della terra che è baciata
dal sole! Chi
più bello del
cielo che si
specchia nel mare o del mare
che si fa azzurro al
sorriso del cielo?
Chi più dà
e più riceve della
gloria dei grandi
o del riflesso
d' amicizia che le turbe
innalzate dal genio
rimandano al sole
del pensiero? Beata ignoranza
codesta, di non
poter distinguere due
bellezze che si
fondono in una bellezza sola;
due gioie che si
unificano ìa una voluttà sola;
due grandezze che
si sperdono e
si consumano in una sola
immensità. Non malediciamo
la vita, se
questa ci lascia
lo spazio e
il tempo per
essere uno di
questi amici o
per assistere ad
una di queste
scene del mondo
morale. Quante bassezze,
quante viltà, quanto
fango si devono trovare nei sentieri
pedestri della vita
por dimenticare uno
di quei quadri,
quante tenebre ci vorranno
per cancellare tanta
luce, quanto male
per far dimenticare
tanto bene! Nessun
fiume, per fangoso
che sia, ha
potuto togliere all'oceano
le sue trasparenze;
nessun sofiQo di
uomo ha potuto spegnere il
sole, nessun gelo
Tha mai potuto
raffreddare! L'affetto che
ravvicina i nati tVuno stesso
padre e d'una
stessa madre, esiste
abbozzato anche negli
animali. Gli uccellini
allevati in uno
stesso nido, spesso
anche quando Thanno
abbandonato, vivono assieme
e si amano:
spesso anche le
scimmie ed altri
mammiferi sentono di
essere fréitelli, ma
queste fratellanze son
pallide e di
piccola durata. I
colpi di fucile del cacciatore crudele, i
lunghi viaggi, i nuovi amori,
spezzano ben presto
i vincoli di fratellanza,
e dopo pochi
giorni, o poche
settimane, o pochi
mesi, secondo i
casi; ogni riconoscimento di uno stesso
sangue si dilegua
e scompare. I
fratelli possono intrecciare
un nuovo nido,
un incestuoso amore,
o possono farsi
la più spietata
guerra. Anche fra
gli uomini l'amore
fraterno è spesso
pallido e non
presenta che deboli
energie; i molti
cuculi deposti nel
nido d'una famiglia,
le antipatie e le
dissonanze dei caratteri troppo
frequenti ad onta
della comune genealogia,
le lotte d'interesse
opposto, le lunghe
e necessarie assenze
imposte dalle vicende
della vita, sono
altrettante cause l'amoe fraterno che
possono rallentare o
rompere le catene fraterne. Fra fratello e
fratello, fra sorella
e sorella si
aggiunge poi la
ruggine delle gare
di vanità e d’emulazione, e questa
ruggine corrode più
ohe la lima
di forti passioni.
Per tutte queste
ragioni i forti
amori fraterni son
rari, rarissime le
estasi affettive. Oserei però
dire che, meno
rare eccezioni, Tamore fraterno non ci
mostra scene commoventi
e sublimi, che
quando è rafforzato
dalla simpatia dei
sessi opposti. Earo
V affetto intenso
fra due fratelli,
forse più raro
ancora quello fra
due sorelle; più
comune invece il
sentimento che lega
il fratello alla
sorella. Quando fratello e
sorella si amano
davvero, si amano molto, il
sentimento che li
unisce è un'amicizia resa ancor più
calda dalla comunanza
del sangue e
può giungere a
tanta forza e
a tanta idealità
da avvicinarsi assai
all' amore platonico.
Son due creature
che non possono
amarsi d'amore, perchè
troppo rassomiglianti, perchè
esciti dalle stesse
viscere, perchè hanno
ricevuto il primo
bacio dalle stesse labbra, perchè hanno
succhiato dallo stesso
seno quel secondo
sangue che è
un secondo vincolo
di parentela. E
poi son cresciuti
insieme, hanno respirato
i)er tanti anni
l'aria dello stesso
nido, hanno dormito
tra le pareti della Stessa
casa, hanno pregato
sotto la vòlta
della stessa chiesa,
hanno pianto le
tante volte insieme; hanno diviso
i terrori infantili,
si sono inebbriati
insieme nelle feste
dell' infanzia e
insieme hanno subito
le procelle dell'adolescenza e
della prima giovinezza.
Come e perchè
non si amerebbero
quelle due creature,
che vedono a
vicenda rispecchiata tanta parte
di sé
stesso nel cuore
e nel pensiero
dell'altra? La comunanza delle
memorie è parentela
del cuori e
ad essa basta
un cenno, un
sorriso, una parola
per rifare quei
viaggi poetici e affascinanti nel
tempo che fu.
Quei due forse
hanno già passata
più che mezza la
vita insieme, fors'anche
hanno insieme composto
nella fossa il
loro babbo e
la loro mamma,
e in un
certo giorno dell'anno,
anche lontani e
senz'essersi chiamati, si trovano
insieme sopra una
stessa tomba. E
come e perchè
quelle due creature
non si amerebbero; non si
amerebbero molto; non
si amerebbero sempre? La
nostra sorella slam
noi stessi incarnati
in un sesso
diverso e quando
in essa noi
vediamo riprodotti i nostri lineamenti, rifatti
gli stessi gesti,
riprodotti gli stessi
gusti, le stesse antipatie; sor-ridiamo di compiacenza,
esclamando: s'io fossi
una donna, sarei
lei! E la
nostra sorella non
solo ci rassomiglia
nel volto, nei gesti,
ma desidera le
stesse cose, sorride degli stessi
scherzi, ha come
noi qnelle stesse
debolezze, delle quali
dobbiamo spesso arrossire. E
si ride insieme,
e si arrossisce
insieme, dicendoci nell'orecchio :
Anche tuf 8Ì
anch^io! E la
nostra sorellina (che
sorellina è sempre
ogni sorella, quando
è molto amata),
e la nostra
sorellina rassomiglia tanto alla
nostra mamma, che
la si direbbe
la mamma ringiovanita.
Essa ha per
noi tenerezze materne,
indulgenze materne; essa
ci può abbracciare
e baciare, benché
essa sia una donna. Quanto
è indulgente e
buona! Con lei
possiamo sfogare le
nostre bizze, confessare
i nostri rancori; con lei possiamo
dividere tutte le
amarezze dell' orgoglio
offeso, dell' ambizione
delusa, delle speranze
svanite. Essa non
e' invidia ma ci ama. Essa non
riderà di noi, né ci vorr.Y consolare coll’accusarci fattori della nostra
sventura. Essa è donna e con noi quasi madre; nessuna osservazione, nessun
rimprovero prima di averci medicati e guariti. Nessuna domanda importuna o
impertinente prima di averci fasciata la ferita. Possiamo essere più vecchi di
lei; essa ci tratterà sempre come bambini, sarà capace perfino di prenderci fra le sue braccia
e di farci
la ninna nanna.
E la sorella
si getta fra
le braccia del
fratello. come non può
fare colle braccia
di nessun altro
uomo. Del marito
ha suggezione, del
padre ha rispetto;
davanti al figlio
vuol essere infallibile.
Il fratello invece
non è né
marito, né padre,
né figlio, ma un po' di tutto questo. Egli è un uomo e la
sorella può appoggiarsi a lui come alla forza che protegge e difende. Egli é un
uomo, ma non sarà mai un giudice severo,
perchè anch' egli prima di gridare al peccatore, vorrà guarire il
peccato e risanare la ferita. La sorella è sicura che il fratello di lei
avrebbe peccato come lei, s'egli si fosse trovato nelle stesse circostanze ed
essa è sicura di trovare una grande
indulgenza, una misericordia
grande come quella del Cristo. Ma non occorre peccare per rifugiarsi fra le
braccia fraterne del figlio della nostra
mamma. Il fratello
ha piti ingegno
di noi, più
di noi ha studiato e
vissuto. Egli ci
darà la luce
per camminare nelle tenebre della
vita, egli ci
darà un braccio
poderoso per appoggiarsi,
egli sarà la nostra bussola nel gran
mare delle umane
dubbiezze. E che
faresti tu In
questo caso f
Come esciresii tu
da questo labirinto
f Dimmi se
io ho fatto
benet Dimmi vi
è ancora un
rimedio a tanto
male f „
E le domande
si succedono le
une alle altre,
senza attender risposta
e le risposte
diventan altrettante domande; ed
è un affollarsi confuso e prorompente di
parole, di sorrisi,
di lagrime: e
sono abbracci che
interrompono domande e
risposte e sono
baci che valgono
più d'un volume
di ragionamenti e
son singhiozzi che
taciono alla soavità
d'una carezza e son carezze che vogliono
esser rimproveri e
rimangono invece carezze
dolcissime e sono
due anime di
uomo e di
donna, che possono
vedersi nudi l'un
l'altro senza arrossire,
perchè non hanno
sesso e sono
come Adamo ed
Eva prima che
avessero bisogno di
coprirsi delle foglie
dell'albero mistico dell'Eden. n
questi casi e in altri consimili la commozione
può giungere fino
al rapimento, e
l'estasi si afferma con tutti i
suoi caratteri di
isolamento dal mondo
esterno e di
concentrazione di tutte
le forze del
sentimento e del pensiero
in un punto
solo del mondo
psicologico. Beati coloro
che l’hanno Estasi liman, provata, fosse
poi gioia che
prendeva il posto
d'un grande dolore
o gioia che si faceva
cento volte maggiore, perchè
si moltiplicava colla igioia
d' nn' anima
sorella. L'amore fraterno
è un sentimento
di lusso, tanto
è vero che
è appena abbozzato
e fuggevole negli
animali e così
pure è debole
nelle razze e
nelle nature inferiori.
I sentimenti di
lusso sono i
più indistinti, quelli
che hanno frontiere
meno sicure, per modo che si confondono facilmente
con altri affetti
di analoga natura.
L'amore fraterno confina coir iimore
platonico e coli' amicizia, e
tanto è vero
che spesso udiamo
escire dalle labbra
commosse di due
amici, che non
pensan punto a
far della psicologia,
questi gridi dell'anima:
Io il amo
più che un Fratello. Tu mi sei più
fraUllo che amico. La
nostra amicizia è
una vera fratellanza
delle anime. Noi non siamo amici
ma frnt4ilU! E d'
altra parte non
di raro due
fratelli esclamano alla lor
volta. Ma il nostro
affetto è una
santa amicizia. Ma anche
senza i lincoli
del sangue noi
saremmo due amici. Se mi fosse
permesso tentare di distinguere il caratt-ere proprio delle estasi
dell'amicizia e quello
dei rapimenti dell'affetto
fraterno, direi che
nel primo caso
vi è una
grande fratellanza nell'urnanità
che ci eleva
al disopra del
volgo e che
nel secondo la
voce del sangue
ci tiene più
vicini al nido
e quindi piti
caldi, più commossi,
più inteneriti. Nei rapimenti
dell'amicizia vi è più pensiero, in
quelli dell'affetto fraterno vi
è più
viscere.Nei primi la differenza
di sesso turba
l'estasi o la
porta in altre
regioni, nei secondi invece
questa differenza è quasi sempre necessaria e contribuisce assai ad accendere i
cuori, ad affinare, a intenerire, a commuovere gli animi che salgono insieme in
quest'Olimpo del sentimento. Descrivere
tutte le possibili
estasi umane s.irebbe
dar fondo all'universo
psicologico e nessuna
forza d'uomo vi
basterebbe. Io mi accontenterli accennare ad alcuni rapimenti
dell'affetto fratemo: altrettanti quadri
presi dal vero e
che potrebbero ispirare il poeta, il pittore, lo scultore.Due fratelli vivono
in paesi lontani Uun dall'altro e vengono a conoscere per via indiretta, che il
babbo si trova in grave imbarazzo di afifari commerciali. Accorrono non
chiamati, si incontrano sulla soglia della casa paterna. Si sorprendono,
si interrogano. Son venuti
per la stessa
ragione chiamati dalla
stessa voce interiore.
Hanno pensato la stessa cosa, lo stesso piano, gli stessi progetti per
salvare l'onore del padre. Lo possono fare e lo faranno. Esaltati, commossi, si
gettan nelle braccia l'un dell'altro e godono un soavissimo rapimento
dell'anima. Due fratelli che lavorano insieme, hanno pensato uno stesso libro,
senza scambiarsi una sola parola. Venuti a comunicarsi a vicenda i loro
progetti, si trova che essi si incontrano e si combaciano.Lo stupore diventa
ammirazione, l’ammirazione contentezza, beatitudine. Essi si abbraccino, si
inebbriano della gioia di aver fusi due pensieri in un solo pensiero. I
fratelli De Goncourt devono aver provato più volte quest'estasi deliziosa. Due
sorelle hanno perduto runico fratello, vedovoe padre di
numerosa famiglia. Sul cadavere del caro perduto
suggellano un bacio in due, che è conclusione
d'un giuramento fatto in silenzio, nello stesso momento. Esse
non prenderanno marito,esse daranno tutto il loro tempo, il loro dinaroai
nipotini che fanno loro figlinoli, che si stringono al seno in uno slancio di
carità generosa. Quelle due anime beate di aver pensato in uno stesso istante
la stessa cosa si abbracciano, si stringon forte forte cuore
contro cuore; confondono lagrime, singhiozzi, sorrisi e godono una
delle estasii fraterne più complesse e più alte che possa godere anima umana.
Una donna è tradita, tradita nel santuario della famiglia, precipitando nella
disperazione dall'alto d'ana felicità senza nubi.Tutto si oscura, l’aria
diviengelo, la terra spine, il cielo un'uragano. Essa ha un fratello, le scrive
una parola sola: Vieni e mi salva! Ma il fratello ha saputo la sventura
piombata sul capo della sorella, prima ancora che la lettera fosse scritta.
Suona un campanello, si apre un uscio, vi si precipita un uomo. La sorella lo
guarda, non sa piangere e non può ridere. Gli porge la lettera ancora umida
dall'inchiostro ed egli legge quelle quattro parole e neppur lui può ridere o
piangere o parlare. Perchè quei due fortunati non cadrebbero in estasi in quel
momento? Due naufraghi iV una fiera procella della vita son rimasti soli nel mondo.
La donna in un mese ha perduto tuttii figliuoli uccisi dalla difterite, ruomo
era solo ed è divenuto cieco. Quei due non hanno più né padre, né
madre, né zii, né cugini, ma essi son fratello e sorella. Questi hanno
attraversato continenti e mari e si sono abbracciatiper non separarsi più mai.
Perché non cadrebberoessi in estasi? L'estasi è sempre uno stato eccezionale,
passeggero,e la più partedegli uomini non l'hanno mai provato.Taluni piìl rozzi
e incolti durano fatica anche a immaginarselo. La sua bella etimologia greca f
x-a radice, lo star fuori, esprime mirabilmente questo concetto. La parola di
estasi è dunque greca, e i greci pia poeti dei latini, dovettero conoscere
meglio di questi uno stato di trascendente idealità. I romani, gente positiva, patica,
popolo d'azione, non conobbero Vestasi, ma l'indicarono con perifrasi diverse :
mentis excessu, animi abalienatio. Tommaso Campailla. Keywords: oposcolo,
ecstasi, estasi, animis abalienation, mentis excessus. discorso disordinato,
discorso ordinato, discorso umano, uomo, vita. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e
Campailla” – The Swimming-Pool Library.
Luigi Speranza -- Grice e Campanella: la ragione
conversazionale e l’implicatura conversazionale del katùndi dialit -- utopia
italiana – scuola di Stilo – scuola di Rggio Calabria – filoofia calabrese -- filosofia
italiana – Luigi Speranza, pel Gruppo di Gioco di H. P. Grice (Stilo). Filosofo calabrese. Filosofo italiano. Stilo, Reggio
Calabria, Calabria. Grice: “One has to take Campanella seriously; admittedly,
an Oxonian will focus on More, but Campanella is closer to Plato! I especially
like that the walls of the city of “Sol” – it’s a proper name for the prince,
not the sun! – have all the semiotic elements of the semiotic systems by which
the ‘solari’ communicate – Campanella designs a very Griceian model based on
‘efficiency’ and LOVE! There’s ibenevolence everywhere – indeed, it is
Campanella’s Sol’s City that I was thinking when inventing the principle of
conversational benevolence to be spoken in the City of Eternal Truth!” -- one
of the most important of the Italian philosophers. H. P.
Grice enjoyed his philosophical poems. Sulla necessità di una lingua
artificiale capace di una maggiore esattezza espressiva rispetto alle lingue
naturali scrisse brevemente anche Tommaso Campanella quasi un secolo più tardi,
nel 1638:38 Tommaso Campanella nacque il
5 settembre 1568 a Stilo e morì il 22 maggio 1639 a Parigi. Frate dell'ordine
domenicano, si dedicò allo studio della filosofia e delle scienze. Durante gli
anni giovanili compose la Philosophia sensibus demonstrata e il Del senso delle
cose e della magia, opere di stampo sensistico, animistico e mistico, in linea con
gli scritti e i pensieri di altri studiosi di quegli anni. Accusato più volte
di eresia, fu prigioniero del governo spagnolo nei Castelli di Napoli per 27
anni. In questi anni l'attività scrittoria fu prolifica e portò a compimento
alcune tra le sue opere principali, tra cui la Philosophia rationalis. Egli è
maggiormente conosciuto per aver scritto La città del sole (1602).nell'
«Appendix de philosophicae linguae institutione», parte finale della terza
sezione dedicata alla grammatica filosofica del volume intitolato Philosophiae
Rationalis partes quinque.Videlicet: Grammatica, dialectica, retorica, poetica,
historiographia, iuxta propria principia egli recita le sue considerazioni in
forma di decalogo: 1 Siquis novam
linguam philosophice constituere vellet formare literas debet consimiles
instrumentis: et sufficientes absque variatione in copula vocalium cum
consonantibus ut in I. lib et in Poëtica docuimus. / 2 Imponere nomina ex rerum
natura et proprietatibus. / 3 Verba omnia ex nominibus derivare et unius
coniugationis omnia excepto substantivo: et omnia tempora omnibus tribuere, et
ordinare ea ex actibus essendi, existendi, operandi, agendi, et patiendi. / 4
Participia praeteriti, et praesentis, et futuri tam activa quam passiva, tam
actualia quam potentialia. / 5 Pronomina omnia iuxta omnes species suas: et non
dissidentia. / 6 Adverbia ex modis, locis, temporibus et circunstantiis actuum
addere. / 7 Adnomia vero ex circunstantiis et respectibus. / 8 Coniunctiones
temporales, locales, sociales, dissociales, continuativas, conditionales, et alias,
ut suo in loco dictum est. / 9 Casus omnes distinctos in fine, et articulos
ponet. / 10 AEquivoca, synonima, et metaphoras abolebit: cunctis rebus proprium
dabit vocabulum, ut tollat
confusionem.39TOMMASO CAMPANELLA, Philosophiae Rationalis partes
quinque. Videlicet: Grammatica, dialectica, rhetorica, poetica,
historiographia, iuxta propria principia, III, Parigi, presso luvannem
Dubray. Si noti che, rispetto al testo
originale, nel brano sopra riportato è stata sciolta l'abbreviazione & in
et e sono state distinte le u dalle v.
La traduzione in italiano è: «1 Se qualcuno vuole costruire
filosoficamente una lingua nuova, deve concepire le parole del tutto simili a
degli strumenti: e valide al di là della differenza nella composizione delle
vocali con le consonanti come abbiamo insegnato nel libro I e nella Poetica. /
2 Deve imporre i nomi conformemente alla natura e alle caratteristiche. / 3
Derivare tutti i verbi dai nomi e tutti di una coniugazione eccetto il verbo
essere. Assegnare tutti i tempi a tutti (i verbi) e ordinarli secondo le azioni
di essere, esistere, fare, agire, subire. / 4 I participi al passato, presente
e al futuro tanto alla forma attiva quanto passiva, tanto attuali quanto
potenziali. / 5 Tutti i pronomi in accordo con le loro specie: e non vi siano
opposizioni. / 6 Aggiungere gli avverbi secondo modi, luoghi, tempi e
circostanze delle azioni. / 7 Aggiungere gli aggettivi senza dubbio secondo le
circostanze e le considerazioni. / 8 Le congiunzioni temporali, locali,
sociali, dissociali, continuative, condizionali, e altre, come si dice
opportunamente. / 9 Porrà tutti i casi e
gli articoli distinti alla fine. / 10 Cancellerà le parole equivoche, i
sinonimi, e le metafore: darà un nome proprio a tutte le cose per eliminare il
disordine». Il lavoro di Campanella
appare una grammatica universale in germe che, pur non fornendo esempi pratici,
esemplifica chiaramente la forma che la potenziale lingua internazionale (si
suppone di base latina o di sua derivazione) dovrebbe avere. Thomas Frank
sintetizza così la proposta: «sopprimere le parole equivoche, i sinonimi, le
metafore; a tutte le cose darà un nome proprio per eliminare la confusione, che
sembra bella, mentre è una magagna che è andata crescendo; l...] assegnare i
nomi seconda la natura e la proprietà delle cose».*° 40 THOMAS FRANK, Segno e
significato. John Wilkins e la lingua filosofica, Napoli, Guida, 1979, p. 44.La
grammatica cosìcomposta diviene allora strumento della buona convivenza civile
e della corretta condivisione dei saperi.Tommaso
Campanella, al secolo chiamato Giovan Domenico C., noto anche con lo pseudonimo
di Settimontano Squilla (Stilo), filosofo, teologo, poeta e frate domenicano
italiano. Giovan Domenico Campanella nacque a Stilo, un piccolo borgo
della Calabria Ulteriore, al tempo parte del Regno di Napoli (attualmente in
provincia di Reggio Calabria) come egli stesso più volte afferma nei suoi
scritti e come dichiarò il 23 novembre del 1599 nel carcere di Castel Nuovo a
Napoli, al giudice Antonio Peri: «son di una terra chiamata Stilo in Calabria
Ultra, mio padre si domanda Geronimo C. e mia madre Caterina Basile». Fino al
1806 si conservava anche l'atto di battesimo nella parrocchia di San Biagio,
borgo di Stilo, così redatto: «Battezzato Giovan Domenico C. figlio di Geronimo
e Catarinella Martello, nato il giorno da me D. Terentio Romano, parroco di S.
Biaggio nel Borgo». Il padre era un ciabattino povero e analfabeta che non
poteva permettersi di mandare i figli a scuola e Giovan Domenico ascoltava
dalla finestra le lezioni del maestro del paese, segno precoce di quella voglia
di conoscenza che non l'abbandonò per tutta la vita. La famiglia si
trasferì nella vicina Stignano e il padre pensò di mandare il figlio presso un
fratello, a Napoli, perché vi studiasse diritto, ma il giovane Campanella, per
il desiderio di seguire corsi regolari di studi e abbandonare un destino di
miseria, più che per una reale vocazione religiosa, decise di entrare
nell'Ordine domenicano. Novizio nel convento della vicina Placanica, vi fece i
primi studi e pronunciò i voti a quindici anni nel convento di San Giorgio
Morgeto, assumendo il nome di Tommaso (in onore di san Tommaso d'Aquino),
continuando gli studi superiori a Nicastro e poi, a vent'anni, a Cosenza, dove
affrontò lo studio della teologia. L'istruzione ricevuta dai domenicani
non lo soddisfaceva e non gli era sufficiente: «essendo inquieto, perché mi
sembrava una verità non sincera, o piuttosto falsità in luogo della verità
rimanere nel Peripato, esaminai tutti i commentatori d'Aristotele, i greci, i
latini e gli arabi; e cominciai a dubitare ancor più dei loro dogmi, e perciò
volli indagare se le cose ch'essi dicevano fossero nella natura, che io avevo
imparato dalle dottrine dei sapienti essere il vero codice di Dio. E poiché i
miei maestri non potevano rispondere alle miei obiezioni contro i loro
insegnamenti, decisi di leggere da me tutti i libri di Platone, di Plinio, di
Galeno, degli stoici, dei seguaci di Democrito e principalmente i Telesiani, e
metterli a confronto con il primo codice del mondo per sapere, attraverso
l'originale e autografo, quanto le copie contenessero di vero o di
falso». Fu in particolare il De rerum natura iuxta propria principia di
Bernardino Telesio una rivelazione e una liberazione insieme: scoprì che non
esisteva soltanto la filosofia scolastica e che la natura poteva essere
osservata per quello che è, e poteva e doveva essere indagata con i mezzi
concreti posseduti dall'uomo, con i sensi e con la ragione, prima osservando e
poi ragionando, senza schemi precostituiti e senza mandare a memoria quanto
altri credevano di aver già scoperto e di conoscere su di essa. Era il 1588 e
Telesio, che da anni era tornato a vivere nella nativa Cosenza, vi moriva
ottantenne proprio in quei giorni. Il neofita frate entusiasta non poté
sottrarsi a deporre sulla bara, nel duomo, versi latini di ringraziamento
devoto. Quelle che dai suoi superiori furono considerate intemperanze gli
costarono il trasferimento nel piccolo convento di Altomonte, dove tuttavia il
C. non rimase inattivo: la segnalazione di alcuni amici, che gli mostrarono il
libro di un certo Jacopo Antonio Marta, napoletano, scritto contro l'amato
Telesio, lo spinse a replicare e concluse quella che è la sua prima opera, la
Philosophia sensibus demonstrata, pubblicata a Napoli due anni dopo. In
essa C. ribadì la sua adesione al naturalismo di Telesio, inquadrato però in
una cornice neoplatonica, di derivazione ficiniana, per la quale le leggi della
natura non mantengono più la loro autonomia, come in Telesio, ma sono spiegate
dall'azione creatrice di Dio, dal quale deriva anche l'ordine provvidenziale
che governa l'universo: «chi regola la natura è quel glorioso Iddio,
sapientissimo artefice, che ha provveduto in modo da non reprimere le forze
della natura, nella quale tuttavia agisce con misura». C. non poteva
rimanere a lungo ad Altomonte: abbandona il convento calabrese e se ne andò a
Napoli, ospite dei marchesi del Tufo. Nella capitale del viceregno, pur non
abbandonando l'abito di frate, fu tutto inteso ad approfondire i suoi interessi
neoplatonici e scientifici, che allora erano connessi strettamente con gli
studi alchemici e magici: «scrissi due opere, l'una del senso, l'altra della
investigazione delle cose. A scrivere il libro De sensu rerum mi spinse una
disputa avuta prima in pubblico, poi in privato con Porta, lo stesso che
scrisse la Fisiognomica, il quale sosteneva che della simpatia e dell'antipatia
non si può rendere ragione; disputa con lui avuta appunto quando esaminavamo
insieme il suo libro già stampato. Scrissi poi il De investigatione rerum,
perché mi pareva che i peripatetici ed i platonici portassero i giovani per una
via larga ma non diritta alla ricerca della verità». Il De sensu rerum et
magia, iniziato a scrivere in latino, fu completato e dedicato al granduca di
Toscana Ferdinando I de' Medici; sequestratogli il manoscritto a Bologna dal
Sant'Uffizio, fu riscritto in italiano, tradotto in latino e pubblicato finalmente a Francoforte. C. vi
persegue una sintesi di naturalismo telesiano e di platonismo: a Democrito e ai
materialisti rimprovera di voler far derivare l'ordine del mondo all'azione
degli atomi, che non hanno sensibilità, e agli aristotelici la mancata
iniziativa di Dio nella costituzione della natura. D'altra parte egli non
intende nemmeno sacrificare l'autonomia delle forze che agiscono nella natura,
pur se la spiegazione ultima delle cose va ricercata nella primitiva azione
divina. Secondo C., i tre principi, materia, caldo e freddo, di cui è
composta la natura, sono frutto della creazione divina: «Dio prima fece lo
spazio, composto pure di Potenza, Sapienza e Amore e dentro a quello pose la
materia, che è la mole corporea. Nella materia poi Dio seminò due principi
maschi, cioè attivi, il caldo e il freddo, perché la materia e lo spazio sono
femmine, principi passivi. E questi maschi, da codesta materia divisa,
combattendo, formano due elementi, cielo e terra, che combattendo tra loro,
dalla loro virtù fatta languida nascono i secondi enti, avendo per guida della
generazione le tre influenze, la Necessità, il Fato e l'Armonia, che portano
l'Idea». Le tre primalità (primalitates)che corrispondono alle tre nature
divinecostituiscono il triplice carattere di ogni essere: Dio «ha dato a tutte
le cose potenza di vivere, sapienza e amore quanto basti alla loro
conservazione. Dunque il calore può, sente e ama essere, e così ogni cosa, e
desidera eternarsi come Dio e attraverso Dio nessuna cosa muore ma si muta
soltanto, anche se ogni cosa pare morta all'altra e in verità è morta, così
come il fuoco pare cattivo al freddo ed è veramente cattivo per lui, ma per Dio
ogni cosa è viva e buona». Se si considera ogni cosa nel tutto ci si rende
conto che nulla muore veramente: «muore il pane e si fa chilo, questo muore e
si fa sangue, poi il sangue muore e si fa carne, nervi, ossa, spirito, seme e
patisce varie morti e vite, dolori e piaceri». Dalla Potenza le cose sono
solo perché possono essere e hanno una determinata natura; Dio attraverso
questa potenza dona la Necessità alle cose, la Sapienza permette alle cose di
conoscere il Fato, ossia il saper vedere la successione di causa-effetto nei
processi naturali e infine l'Amore permette l'Armonia fra gli esseri, perché
questi amano essere così e non diversamente: «tutti gli enti si compongono di
Potenza, Sapienza e Amore e ognuno è perché può essere, sa essere e ama essere,
combatte contro il non essere e, quando gli manca il potere o il sapere o
l'amore dell'essere, muore e si trasmuta in chi ne ha di più». Tutte le
cose hanno sensibilità: «Tanta sciocchezza è negare il senso alle cose perché
non hanno occhi, né bocca, né orecchie, quanto è negare il moto al vento perché
non ha gambe, e il mangiare al fuoco perché non ha denti, e il vedere a chi sta
in campagna perché non ha finestre da cui affacciarsi e all'aquila perché non
ha occhiali. La medesima sciocchezza indusse altri a credere che Dio abbia
certo corpo e occhi e mani». Inoltre C. ci parla anche delle primalità
del non-essere, presenti inevitabilmente nel mondo finito, che sono
l’Impotenza, l’Insipienza e l’Odio: solo in Dio, che è infinito, le primalità
dell'essere non sono contrastate dalle primalità del non-essere. A queste tre
primalità si contrappongono le potenze negative, che possono variamente
combinarsi alle primalità nell'ambito delle varie forme della magia, che è
l'insieme delle regole che vanno osservate per intervenire nella natura. Il
mago è il sapiente che scopre le relazioni esistenti tra le cose: «beato chi
legge nel libro della natura, e impara quello che le cose sono, da esso e non
dal proprio capriccio, e impara così l'arte e il governo divino, facendosi di
conseguenza, con la magia naturale, simile e unanime a Dio». La magia si
manifesta attraverso le sensazioni, che possono essere negative o positive:
sensazioni che l'uomo coglie, e che gli fanno capire di essere parte integrante
di un ordine universale; tuttavia, nonostante sia parte di questo ordine, può
opporsi a tale ordine, e se si oppone all'ordine universale la magia è
negativa, se invece si armonizza, ovvero cerca di seguire l'ordine universale,
allora la magia è positiva. La pubblicazione della Philosophia
sensibus demonstrata provocò scandalo nel convento di San Domenico: un
domenicano che non frequenta il convento e che rifiuta Aristotele e San Tommaso
per Telesio non può essere un buon cattolico. Anche se nessuna affermazione
eretica è contenuta nel libro, C. fu arrestato dalle guardie del nunzio apostolico
con l'accusa di pratiche demoniache. Non si conoscono gli atti del processo ma
è conservato il testo della sentenza, emessa in San Domenico, contro «frater C.
de Stilo provinciae Calabriae» dal padre provinciale di Napoli, fra Erasmo
Tizzano e da altri giudici domenicani. L'accusa di praticare con il demonio e
di aver pronunciato una frase irriverente contro l'uso delle scomuniche vengono
a cadere, ma resta quella di essere un telesiano, di non tener conto
dell'ortodossia filosofica d’AQUINO (si veda) e di essere stato per mesi «in
domibus saecolarium extra religionem»: dopo quasi un anno di carcere già
scontato, è allora sufficiente che reciti dei salmi e torni, entro otto giorni,
nel suo convento di Altomonte. C. si guardò bene dall'ubbidire all'ordine
del tribunale, che lo avrebbe costretto a rinunciare, a soli 24 anni, a un
mondo di cultura nel quale egli era convinto di poter offrire un contributo
fondamentale. Così, munito di una lusinghiera lettera di presentazione al
granduca di Toscana, rilasciatagli dall'amico ed estimatore, il padre
provinciale di Calabria fra Polistena, C.
partì da Napoli alla volta di Firenze, con il suo carico di libri e
manoscritti, contando su di un posto di insegnante a Pisa o a Siena. La
prudente diffidenza di Ferdinando I, che non mancò di chiedere informazioni sul
suo conto al cardinale Del Monte, ottenendo una risposta negativa, spinse il 16
ottobre Campanella a lasciare Firenze per Bologna, dove l'Inquisizione, che lo
sorvegliava, per mezzo di due falsi frati gli rubò gli scritti che si portava
appresso, per poterli esaminare in cerca di prove a suo danno. Ai primi
del 1593 Campanella fu a Padova, ospite del convento di Sant'Agostino. Qui, tre
giorni dopo il suo arrivo, il Padre generale del convento venne nottetempo
sodomizzato da alcuni frati, senza che egli potesse identificarli, e perciò,
fra i tanti sospettati del grave abuso, anche il C. fu messo sotto inchiesta.
Non si sa se dall'inchiesta si passò a un processo che abbia visto imputato,
tra gli altri frati, anche C.: in ogni caso egli ne uscì innocente.
Rimase a Padova, probabilmente con la speranza di trovarvi lavoro; vi incontrò
Galileo e conobbe il medico e filosofo veneziano Andrea Chiocco. Ma il
Sant'Uffizio lo teneva ormai sotto osservazione: fu nuovamente arrestato. Fu
accusato di: aver scritto l'opuscolo De tribus impostoribusMosè, Gesù e
Maomettodiretto contro le tre religioni monoteiste, un libro della cui
esistenza allora si favoleggiava, ma che nessuno aveva mai letto; sostenere le
opinioni atee di Democrito, evidentemente un'accusa tratta dall'esame del suo
scritto De sensu rerum et magia, rubatogli a Bologna; essere oppositore della
dottrina e dell'istituzione della Chiesa; essere eretico; aver disputato su
questioni di fede con un giudaizzante, forse condividendone le tesi, e di non
averlo comunque denunciato; aver scritto un sonetto contro Cristo, il cui
autore sarebbe stato però, secondo Campanella, Pietro Aretino; possedere un
libro di geomanzia, che in effetti gli fu sequestrato al momento dell'arresto.
A Padova, in un primo tempo gli furono contestate solo le ultime tre accuse:
per estorcere le confessioni, Campanella e due imputati presunti
«giudaizzanti», Ottavio Longo, originario di Barletta, e Giovanni Battista
Clario, di Udine, medico dell'arciduca Carlo d'Asburgo, furono sottoposti a
tortura. Nel frattempo, dall'esame del suo De sensu rerum, fatto a Roma,
dovettero trarsi nuove imputazioni, che richiesero lo spostamento del processo
da Padova a Roma, dove infatti Campanella fu condotto e rinchiuso nel carcere
dell'Inquisizione, Per difendersi dalle nuove accuse di essere oppositore della
Chiesa, Campanella scrisse già nel carcere padovano un De monarchia
Christianorum, perduto, e il De regimine ecclesiae, ai quali fece seguito, nel
1595, per contestare l'accusa di intelligenza con i protestanti, il Dialogum
contra haereticos nostri temporis et cuisque saeculi e, a difesa
dell'ortodossia di Telesio e dei suoi seguaci, la Defensio Telesianorum ad
Sanctum Officium. La tortura cui fu sottoposto nell'aprile del 1595 segnò la
pratica conclusione del processo: il 16 maggio C. abiurava nella chiesa di
Santa Maria sopra Minerva e veniva confinato nel convento domenicano di Santa
Sabina, sul colle Aventino. Le disavventure giudiziarie di Campanella non
finirono però qui. Il 31 dicembre 1596 era stato liberato dal confino di Santa
Sabina e assegnato al convento di Santa Maria sopra Minerva; intanto, a Napoli,
un concittadino di C., condannato a morte per reati comuni, Scipione
Prestinace, prima di essere giustiziato, forse per ritardare l'esecuzione,
denunciava diversi suoi conterranei e il Campanella in particolare, accusandolo
di essere eretico: così, il 5 marzo, Campanella fu nuovamente
arrestato.[25] Non si conoscono i precisi contenuti della deposizione del
Prestinace né i dettagli del nuovo processo, che si concluse: nella sentenza,
Campanella fu assolto dalle imputazioni e, diffidato dallo scrivere, liberato
«sub cautione iuratoria de se representando toties quoties», finché, consegnato
ai suoi superiori, questi lo confinino in qualche convento «senza pericolo e
scandalo». In tutto questo periodo di tempo, il Campanella non era
certamente rimasto inoperoso nemmeno sotto l'aspetto della produzione
speculativa e letteraria: oltre agli scritti difensivi del De monarchia, del
Dialogo contro i Luterani e del De regimine, e ai Discorsi ai prìncipi
d'Italia, che è un tentativo di captatio benevolentiae all'indirizzo della
Spagna, giustificato dalla difficile situazione giudiziaria, scrisse l'Epilogo
magno, destinato a essere integrato nella successiva Philosophia realis, con il
Prodromus philosophiae instaurandae, l'Arte metrica, dedicata al compagno di
sventura Clario, la Poetica, dedicata al cardinale Cinzio Aldobrandini, e i
perduti Consultazione della repubblica Veneta, Syntagma de rei equestris
praestantia, De modo sciendi e Physiologia. Ai primi del 1598
Campanella prese la via di Napoli, dove si fermò diversi mesi, dando lezioni di
geografia, scrivendo le perdute Cosmographia e Encyclopaedia facilis e
terminando l'Epilogo Magno. In luglio s'imbarcò per la Calabria: sbarcato a
Piana di Sant'Eufemia, raggiunse Nicastro e di qui, il 15 agosto, Stilo, ospite
del convento domenicano di Santa Maria di Gesù. Per poco tempo il
Campanella rimase tranquillo in convento, dove scrisse il piccolo trattato De
predestinatione et reprobatione et auxiliis divinae gratiae, nel quale affermò
la dottrina cattolica del libero arbitrio. In un abbozzo dei suoi Articuli
prophetales, appare già l'attesa del nuovo secolo che gli sembra annunciato da
fenomeni straordinari: inondazioni del Po e del Tevere, allagamenti e terremoti
in Calabria, il passaggio di una cometa, profezie e coincidenze astrologiche.
Un nuovo mondo sembra alle porte, a sostituire il vecchio che in Calabria, ma
non solo, vedeva «i soprusi dei nobili, la depravazione del clero, le violenze
d'ogni specie la Santa Sede sanciva i soprusi e proteggeva i prepotenti. Il
clero minore, corrottissimo nei costumi, abusava ogni giorno più delle immunità
ecclesiastiche, e profanava in ogni modo il suo ufficio. Fazioni avverse
contendevano talvolta aspramente tra loro, e non poche lotte erano coronate da
omicidi e delitti d'ogni specie. Gruppi di frati si davano alla campagna, e,
forniti di comitive armate, agivano come banditi, senza che il governo
riuscisse a colpirli. I nobili e le famiglie private, dilaniate da inimicizie
ereditarie, tenevano agitato il paese con combattimenti incessanti tra fazioni l'estrema
severità delle leggi, che comminavano la pena di morte per moltissimi delitti
anche minimi la frequenza delle liti e delle contese, aumentavano in maniera
preoccupante il numero dei banditi». In tale situazione di degrado e
nell'illusione di un rivolgimento già scritto nelle stelle, Campanella
progettò, senza preoccuparsi di valutare realisticamente le possibilità di
realizzazione, la costituzione in Calabria di una repubblica ideale, comunistica
e insieme teocratica. Era necessario per questo cacciare gli Spagnoli,
ricorrendo anche all'aiuto dei Turchi: cominciò a predicare dai primi mesi del
1599 l'imminente ed epocale rivolgimento, intessendo nell'estate una fitta
trama di contatti con le poche decine di congiurati che aderirono a quella
fantastica impresa. Le autorità ebbero ben presto sentore del tentativo di
insurrezione e in agosto truppe spagnole intervennero a rafforzare i presidi.
Il 17 agosto Campanella fuggì dal convento di Stilo, nascondendosi prima a
Stignano, poi nel convento di Santa Maria di Titi; infine, nascosto in casa di
un amico, progettò di imbarcarsi da Roccella, ma venne tradito e consegnato il
6 settembre agli spagnoli. Incarcerato a Castelvetere, il 10 settembre firmò
una confessione nella quale faceva i nomi dei principali congiurati, negando
ogni sua partecipazione all'impresa. Ma le testimonianze dei suoi complici
erano concordi nell'indicarlo come capo della cospirazione. Trasferito a
Napoli insieme ai suoi compagni di avventura, Campanella fu rinchiuso in Castel
Nuovo. Avvenne il riconoscimento formale dell'accusato, descritto come «giovane
con barba nera, vestito di abiti civili, con cappello nero, casacca nera,
calzoni di cuoio e mantello di lana». Il Santo Uffizio non ottenne
dall'autorità spagnola che i religiosi imputatiCampanella e altri sette frati
domenicanifossero trasferiti a Roma e papa Clemente VIII, l'11 gennaio 1600,
nominò il nunzio a Napoli, Jacopo Aldobrandini e don Pedro de Vera, che fu
fatto ecclesiastico per l'occasione, giudici nel processo che si sarebbe tenuto
a Napoli. Ad essi venne aggiunto il 19 aprile il domenicano Alberto
Tragagliolo, vescovo di Termoli, già consultore nel primo processo, scelto dal
papa per trattare in modo favorevole Campanella, poiché Clemente VIII era,
anche se prudentemente, antispagnolo. C. era passato sotto la
giurisdizione del Sant'Uffizio, che nessun tribunale statale poteva violare,
nemmeno nei casi di lesa maestà. Ciò permise di ritardare la prevedibile
condanna a morte del frate. Durante il processo presieduto dal vescovo
Benedetto Mandina, Campanella, sotto tortura, riconobbe le proprie eresie e, in
quanto relapso, diventò passibile della pena capitale. La sua strategia di
difesa, disperata e rischiosissima, fu quella di fingersi pazzo, poiché un
eretico insano di mente non poteva essere messo a morte dal Sant'Uffizio.
I giudici, dubbiosi, lo sottoposero il 18 luglio, per un'ora, al supplizio
della corda per fargli confessare la simulazione, ma egli resistette,
rispondendo alle domande cantando o dicendo cose senza senso. L'accettazione da
parte dei giudici della pazzia avvenne il 4 e 5 giugno 1601, durante una
terribile seduta di tortura denominata "la veglia", che consistette
in 40 ore di corda alternata al cavalletto, con tre brevi interruzioni. La
resistenza morale e fisica di Campanella gli permise di superare la prova,
anche se rimase poi tra la vita e la morte per sei mesi.
Frontespizio della Metaphysica Trascorse 27 anni in prigione a Napoli.
Durante la prigionia scrisse le sue opere più importanti: La Monarchia di
Spagna, Aforismi Politici (1601), Atheismus triumphatus, Quod reminiscetur,
Metaphysica, Theologia, e la sua opera più famosa, La città del Sole, in cui
vagheggiava l'instaurazione di una felice e pacifica repubblica universale
retta su principi di giustizia naturale. Egli addirittura intervenne sul
cosiddetto “primo processo a Galileo Galilei” con la sua coraggiosa Apologia di
Galileo. Fu infine scarcerato nel 1626, grazie a Maffeo Barberini,
arcivescovo di Nazareth a Barletta, poi papa col nome di Urbano VIII, che
personalmente intercedette presso Filippo IV di Spagna. Campanella fu portato a
Roma e tenuto per qualche tempo presso il Sant'Uffizio; fu liberato
definitivamente. Visse per V anni a Roma, dove e il consigliere di Urbano VIII
per le questioni astrologiche, avendo con successo, secondo il Papa, impedito
il verificarsi di profezie che preannunciavano la sua morte imminente in
occasione di due eclissi. Però, una nuova cospirazione in Calabria,
portata avanti da uno dei suoi seguaci, gli procurò nuovi problemi. Con l'aiuto
del cardinale Barberini e dell'ambasciatore francese de Noailles, fuggì in
Francia, dove e benevolmente ricevuto alla corte di Luigi XIII. Protetto da Richelieu
e finanziato dal re, vive al convento parigino di Saint-Honoré. Il suo saggio e
un poema che celebrava la nascita del futuro Luigi XIV (Ecloga in portentosam
Delphini nativitatem). Gli è stato dedicato un asteroide, 4653
Tommaso. Il pensiero di C. prende le mosse, in età giovanile, dalle
conclusioni cui era giunto Bernardino Telesio; egli si riallaccia quindi al
naturalismo telesiano, sostenendo che la natura vada conosciuta nei suoi propri
principi, che sono tre: caldo, freddo e materia. Essendo tutti gli esseri
formati da questi tre elementi, allora gli esseri della natura sono tutti
dotati di sensibilità, in quanto la struttura della natura è comune a tutti gli
enti; quindi mentre Telesio aveva affermato che anche i sassi possono
conoscere, Campanella porta all'esasperazione questo naturalismo, e sostiene
che anche i sassi conoscono, perché nei sassi noi ritroviamo questi tre principi,
ovvero caldo, freddo e massa corporea (materia). Il problema della
conoscenza (e la rivalutazione dell'uomo) Il naturalismo di Campanella, in
conseguenza di ciò, comporta una teoria della conoscenza essenzialmente
sensistica: egli sosteneva infatti che tutta la conoscenza è possibile solo
grazie all'azione diretta o indiretta dei sensi, e che Colombo aveva potuto
scoprire l'America perché si era rifatto alla sensazione, non di certo alla
razionalità. La razionalità deriva dalla sensazione: non esiste una conoscenza
razionale intellettiva che non derivi da quella sensitiva. Tuttavia C., a
differenza di Telesio, cerca di rivalutare l'uomo e pertanto afferma
l'esistenza di due tipi di conoscenze: una innata, una sorta di coscienza
interiore, e una conoscenza esteriore, che si avvale dei sensi. La prima è
definita ‘sensus inditus', che è la conoscenza di sé, la seconda ‘sensus
additus' che è la conoscenza del mondo esterno. La conoscenza del mondo esterno
appartiene a tutti, anche agli animali; la conoscenza di sé, invece, appartiene
solo all'uomo, ed è la coscienza di essere un essere pensante. Campanella si
rifà ad Agostino d'Ippona, poiché afferma che noi possiamo dubitare della
conoscenza del mondo esterno, mentre non possiamo dubitare della conoscenza di
sé. Questo ‘sensus inditus' sarà poi il punto essenziale della filosofia
cartesiana, che si basa sul ‘cogito': io penso quindi esisto (cogito ergo
sum). La religione e la politica In base a queste premesse, Campanella si
sofferma sulla religione che egli distingue in due tipologie: una religione
naturale e religioni positive. La religione naturale è una religione che
rispetta l'ordine universale dell'universo stesso; le religioni positive sono
invece religioni che vengono imposte dallo stato. Campanella afferma però che
il cristianesimo è l'unica religione positiva, poiché è imposto dallo stato, ma
al contempo coincide con l'ordine naturale (cui però aggiunge il valore della
rivelazione). Tuttavia anche questa teoria della religione razionale contrastava
con i dogmi della Chiesa della Controriforma. Egli sostenne, del resto, la
superiorità del potere temporale su quello spirituale, individuando poi il
potere supremo, di volta in volta, nella Spagna e poi nella Francia, a seconda
di convenienze politiche e personali. La città del Sole Magnifying glass
icon mgx2.svg La città del Sole. Civitas Solis Campanella fu autore anche
di un'importante opera di carattere utopico, ovvero La città del Sole. Nella
Città del Sole egli descrive una città ideale, utopica, governata dal
Metafisico, un re-sacerdote volto al culto del Dio Sole, un dio laico proprio
di una religione naturale, di cui C. stesso è sostenitore, pur presupponendo
razionalmente che coincida con la religione cristiana. Questo re-sacerdote si
avvale di tre assistenti, rappresentanti le tre primalità su cui si incentra la
metafisica campanelliana: Potenza, Sapienza e Amore. In questa città vige la
comunione dei beni e la comunione delle donne. Nel delineare la sua concezione
collettivista della società, Campanella si rifà a Platone (V secolo a.C.) e
all'Utopia di Moro. Fra gli antecedenti dell'utopismo campanelliano è da
annoverare anche La nuova Atlantide di Francesco Bacone. L'utopismo partiva dal
presupposto che, poiché non si poteva realizzare un modello di Stato che
rispecchiasse la giustizia e l'uguaglianza, allora questo Stato si ipotizzava,
come aveva fatto a suo tempo Platone. È però importante sottolineare che,
mentre Campanella tratta una realtà utopistica, Niccolò Machiavelli rappresenta
la realtà concretamente, e la sua concezione dello Stato non è affatto
utopistica, ma assume una valenza di metodo di governo, finalizzato ad ottenere
e mantenere stabilmente il potere. Interpretazioni storiografiche del
pensiero politico L'incertezza è già evidente nell'interpretazione della
critica idealistica, che, nei limiti di una conoscenza ancora incompleta
dell'opera, coglie nel pensiero campanelliano un deciso orientamento in
direzione del moderno immanentismo, contaminato tuttavia da residui del passato
e della tradizione cristiana e medioevale. Per Silvio Spaventa,
Campanella è il "filosofo della restaurazione cattolica", in quanto
la stessa proposizione che la ragione domina il mondo, è inficiata dalla
convinzione che essa risieda unicamente nel papato. Non molto dissimile la
lettura di Francesco de Sanctis: "Il quadro è vecchio, ma lo spirito è
nuovo. Perché Campanella è un riformatore, vuole il papa sovrano, ma vuole che
il sovrano sia ragione non solo di nome ma di fatto, perché la ragione governa
il mondo". È la ragione che determina e giustifica i mutamenti politici, e
questi ultimi "sono vani se non hanno per base l'istruzione e la felicità
delle classi più numerose". Tutto ciò conduce Campanella, secondo il
pensiero idealista, alla concezione di un moderno immanentismo. Opere
Aforismi politici, A. Cesaro, Guida, Napoli An monarchia Hispanorum sit in
augmento, vel in statu, vel in decremento, L. Amabile, Morano, Napoli
Antiveneti, L. Firpo, Olschki, Firenze; Apologeticum ad Bellarminum, G. Ernst,
in «Rivista di storia della filosofia», Apologeticus ad libellum ‘De siderali
fato vitando’, L. Amabile, Morano, Napoli
Apologeticus in controversia de concepitone beatae Virginis, A.
Langella, L'Epos, Palermo 2004 Apologia pro Galileo, Michel-Pierre Lerner.
Pisa, Scuola Normale Superiore, Apologia pro Scholis Piis, L. Volpicelli,
Giuntine-Sansoni, Firenze 1960 Articoli prophetales, G. Ernst, La Nuova Italia,
Firenze; Astrologicorum libri VII, Francofurti
L'ateismo trionfato, ovvero riconoscimento filosofico della religione
universale contra l'antichristianesimo macchiavellesco, G. Ernst, Edizioni
della Normale, Pisa; De aulichorum technis, G. Ernst, in «Bruniana e
Campanelliana» Avvertimento al re di
Francia, al re di Spagna e al sommo pontefice, L. Amabile, Morano, Napoli Calculus nativitatis domini Philiberti
Vernati, L. Firpo, in Atti della R. Accademia delle Scienze di Torino, 74,
1938-1939 Censure sopra il libro del Padre Mostro [Niccolò Riccardi]. Proemio e
Tavola delle censure, L. Amabile, Morano, Napoli; Censure sopra il libro del
Padre Mostro: «Ragionamenti sopra le litanie di nostra Signora», A. Terminelli,
Edizioni Monfortane, Roma Chiroscopia,
G. Ernst, in «Bruniana e Campanelliana», I,
La città del Sole, L. Firpo, Laterza, Roma-Bari Commentaria super
poematibus Urbani VIII, codd. Barb. Lat.; Biblioteca Vaticana Compendiolum
physiologiae tyronibus recitandum, cod. Barb. Lat. 217, Biblioteca Vaticana
Compendium de rerum natura o Prodromus philosophiae instaurandae,
FrancofurtiCompendium veritatis catholicae de praedestinatione, L. Firpo,
Olschki, Firenze 1951 Consultationes aphoristicae gerendae rei praesentis
temporis cum Austriacis ac Italis, L. Firpo, Olschki, Firenze 1951 Defensio
libri sui 'De sensu rerum', apud L. Boullanget, Parisiis 1636 Dialogo politico
contro Luterani, Calvinisti e altri eretici, D. Ciampoli, Carabba, Lanciano
1911 Dialogo politico tra un Veneziano, Spagnolo e Francese, L. Amabile,
Morano, Napoli Discorsi ai principi
d'Italia, L. Firpo, Chiantore, Torino 1945 Discorsi della libertà e della
felice soggezione allo Stato ecclesiastico, L. Firpo, s.e., Torino Discorsi
universali del governo ecclesiastico, L. Firpo, POMBA, Torino Disputatio contra
murmurantes in bullas ss. Pontificum adversus iudiciarios, apud T. Dubray,
Parisiis Disputatio in prologum instauratarum scientiarum, R. Amerio, SEI,
Torino 1953 Documenta ad Gallorum nationem, L. Firpo, Olschki, Firenze Epilogo
Magno, C. Ottaviano, R. Accademia d'Italia, Roma Expositio super cap. IX
epistulae sancti Pauli ad Romanos, apud T. Dubray, Parisiis 1636 Index
commentariorum Fr. T. Campanellae, L. Firpo, in «Rivista di storia della
filosofia», II, Lettere , G. Ernst,
Istituti Editoriali e Poligrafici Internazionali, Pisa-Roma; Lista dell'opere
di C. distinte in tomi nove, L. Firpo, in «Rivista di storia della filosofia»,
II, 1947 Medicinalium libri VII, ex officina I. Phillehotte, sumptibus I.
Caffinet F. Plaignard, Lugduni 1635 Metafisica, Giovanni Di Napoli, (brani
scelti del testo latino e traduzione italiana, 3 volumi), Bologna, Zanichelli
1967 Metafisica. Universalis philosophiae seu metaphysicarum rerum iuxta
propria dogmata. Liber 1ºPonzio, Levante, Bari
Metafisica. Universalis philosophiae seu metaphysicarum rerum iuxta
propria dogmata. Liber 14º, T. Rinaldi, Levante, Bari 2000 Monarchia Messiae,
L. Firpo, Bottega d'Erasmo, Torino 1960 Philosophia rationalis, apud I. Dubray,
Parisiis (comprende Logicorum libri
tres) Philosophia realis, ex typographia D. Houssaye, Parisiis 1637 Philosophia
sensibus demonstrata, L. De Franco, Vivarium, Napoli 1992 Le poesie, F.
Giancotti, Einaudi, Torino; Poetica, L. Firpo, Mondatori, Milano 1954 De
praecedentia, presertim religiosorum, M. Miele, in «Archivum Fratrum
Praedicatorum», LII, 1982 De praedestinatione et reprobatione et auxiliis
divinae gratiae cento Thomisticus, apud I. Dubray, Parisiis 1636 Quod
reminiscentur et convertentur ad Dominum universi fines terrae, R. Amerio, MILANI,
Padova (L. I-II), Olschki, Firenze; Del
senso delle cose e della magia, Rubbettino, Soveria Mannelli 2003 De libris
propriis et recta ratione. Studendi syntagma, A. Brissoni, Rubbettino, Soveria
Mannelli Theologia, L. , Libro Primo,
Edizione Romano Amerio, Vita e Pensiero, Milano, 1936. Scelta di alcune poesie
filosoficheChoix de quelques poésies philosophiques, Edizione Marco Albertazzi,
Traduzione francese di Franc Ducros, La Finestra editrice, Lavis Campanella nel cinema La città del sole,
regia di Gianni Ameliol A. Casadei, M. Santagati, Manuale di letteratura
italiana medievale e moderna, Laterza, Roma-Bari; Firpo, C. «Dizionario
biografico degli Italiani», Roma 1974: «Non hanno fondamento le asserzioni
ricorrenti, attizzate da un patetico campanilismo, che lo vorrebbero nato nel
vicino comune di Stignano». Nel Novecento nacque una disputa campanilistica tra
il comune di Stilo e quello di Stignano, che rivendica di aver dato i natali al
filosofo calabrese e indica nel proprio territorio la presunta casa natale di
Campanella In Luigi Firpo, I processi di
C., Roma; In Opere di Tommaso Campanella, Alessandro d'Ancona, Torino 185412.
Un decreto del 16 maggio 1968 ad opera del Ministero della Pubblica Istruzione
Caleffi fissa la casa natale di Tommaso Campanella nell'attuale Comune di
Stignano, al tempo casale del vastissimo territorio di Stilo, adducendo a prova
del fatto l'archivio provinciale di Napoli. La differente indicazione del
cognome della madre, Basile e Martello, fa ritenere che quest'ultimo sia un
soprannome Massimo Baldini,Nota
biobibliografica, in T. Campanella, La Città del Sole, Newton Compton, Roma; C.
Syntagma de libris propriis et recta ratione studendi, I Germana Ernst, Tommaso C.: The Book and the
Body of Nature; Springer Netherlands,.
Gli amici Giovanni Francesco Branca, medico di Castrovillari, e Rogliano
da Rogiano, entrambi telesiani, gli segnalarono il libro dell'aristotelico
Marta, il Propugnaculum Arìstotelis adversus principia B. Telesii, Roma; Philosophia
sensibus demonstrata, impressum Neapoli per Horativm Salvianum 1591 Il libro è andato perduto T. Campanella, Syntagma de libris propris14 John M. Headley, Tommaso Campanella and the
Transformation of the World, Princeton
University Press. T. C., De sensu rerum
et magia, II, 26 Pubblicata da
Spampanato in Vita di Giordano Bruno, Messina; Il cardinale rispose che
l'inquisitore fra Vincenzo da Montesanto gli aveva riferito che del Campanella
«si rivedono molti libri pieni di leggerezza e vanitade, e ancora non sono
chiari se vi sia cosa che appartenghi alla religione»; cfr: lettera del Del
Monte a Ferdinando I del 25 settembre 1592 in Archivio di Stato di Firenze,
Mediceo, f. 3759 La vicenda di questo
sequestro, simulato con il furto, è esaminata da Luigi Firpo, Appunti
campanelliani, in «Giornale critico della filosofia italiana Non vi sono documenti relativi a
quell'episodio, essendone unica fonte lo stesso Campanella in due sue tarde
lettere, a papa Paolo V e a Schoppe il
1º giugno dello stesso anno, nelle quali Campanella sottolinea la sua innocenza
senza entrare in dettagli. Campanella,
lettera a Kaspar Schoppe del 1º giugno 1607: «accusarunt me quod composuerim
librum de tribus impostoribus, qui tamen invenitur typis excusis annos triginta
ante ortum meum ex utero matri». Due
libri di simile contenuto furono scritti soltanto alla fine del Seicento e ai
primi del Settecento. Campanella, ivi:
«quod sentirem cum Democrito, quando ego iam contra Democritum libros
edideram». Ibidem: «quod de ecclesiae
republica et doctrina male sentirem».
Ibidem: «quod sim haereticus». C.,
lettera al papa: «Primo ex dicto unius judaizantis molestatus». Il giudaizzante
dovrebbe essere un certo Ottavio Longo da Barletta, anch'egli arrestato a
Padova e processato a Roma. Ibidem:
«secundo ob rythmum impium Aretini non meum».
«Lecta depositione Scipionis Prestinacis de Stylo, Squillacensis
Diocesis, facta in Curia archiepiscopali Neapolitana, Illustrissimi et
Reverendissimi Domini Cardinales generales Inquisitionis praefatae mandaverunt
dictum fratrem Thomam reduci ad carceres dictae Sanctae Inquisitionis», in L.
Firpo, I processi di Tommaso Campanella88
C. Dentice di Accadia, Tommaso Campanella, Opere Tommaso Campanella, Apologia pro
Galileo, Frankfurt am Main, Gottfried Tampach, 1622. Tommaso Campanella,
Metaphysica, 1, Paris, 1638. Tommaso
Campanella, Metaphysica, Paris. Tommaso
Campanella, Metaphysica, 3, Paris, . C.,
Poesie, Bari, Laterza; C., Medicinalium libri, Lugduni, ex officina Ioannis
Pillehotte: sumptibus Ioannis Caffin, et Francisci Plaignard, 1635. Delle virtù
e dei vizi in particolare, testo critico e traduzione Romano Amerio, Ed. Centro
internazionale di studi umanistici, Roma Studi Luigi Amabile, Fra Tommaso
Campanella, la sua congiura, i suoi processi e la sua pazzia, 3 voll., Morano,
Napoli (ristampa anastatica, Franco
Pancallo Editore, Locri 2009). ID., L'andata di Fra Tommaso Campanella a Roma
dopo la lunga prigionia di Napoli, Memoria letta all'Accademia Reale di Scienze
Morali e Politiche, Tipografia della Regia Università, Napoli (ristampa
anastatica, Franco Pancallo Editore, Locri). ID., Fra Tommaso Campanella ne'
castelli di Napoli, in Roma ed in Parigi, 2 voll., Morano, Napoli Giuliano F.
Commito, IUXTA PROPRIA PRINCIPIA Libertà e giustizia nell'assolutismo moderno.
Tra realismo e utopia, Aracne, Roma; Cunsolo, Tommaso Campanella nella storia e
nel pensiero moderno: la sua congiura giudicata dagli storici Pietro Giannone e
Carlo Botta, Officina F.lli Passerini e C., Prato . Rodolfo De Mattei, La
politica di Campanella, ARE, Roma 1928. ID., Studi campanelliani, Sansoni,
Firenze Francisco Elías de Tejada, Napoli spagnola, IV, cap. II, Tommaso Campanella astrologo e
filosofo, Controcorrente, Napoli. Luigi Firpo, Ricerche campanelliane, Sansoni,
Firenze I processi di C., Salerno, Roma
Antonio Corsano, C., Laterza, Bari 1961. Mario Squillace, Vita eroica di
Tommaso Campanella, Roma; Pizzarelli, C., Nuove Edizioni Barbaro, Delianuova.
Donato Sperduto, L'imitazione dell'eterno. Implicazioni etiche della concezione
del tempo immagine dell'eternità da Platone a Campanella, Schena, Fasano.
Nicola Badaloni, Germana Ernst, Tommaso Campanella, Istituto Poligrafico dello
Stato, Roma 1999. Silvia Zoppi Garampi, Tommaso Campanella. Il progetto del
sapere universale, Vivarium, Napoli 1999. Germana Ernst, Tommaso Campanella,
Laterza, Roma-Bari ID., Il carcere, il politico, il profeta. Saggi su Tommaso
Campanella, Istituti Editoriali e Poligrafici, Pisa-Roma . Antimo Cesaro, La
politica come scienza. Questioni di filosofia giuridica nel pensiero di Tommaso
Campanella, Franco Angeli, Milano. Vincenzo Rizzuto, L'avventura di Tommaso
campanella tra vecchio e nuovo mondo, Brenner, Cosenza 2004. Arnaldo Di
Benedetto, Notizie campanelliane: sul luogo di stampa della «Scelta d'alcune
Poesie filosofiche», in Poesia e comportamento. Da Lorenzo il Magnifico a C.,
Alessandria, Edizioni dell'Orso, 2005 (II edizione), . Germana Ernst e Caterina Fiorani,
Laboratorio C.: biografia, contesti, iniziative in corso, Roma, L'Erma di
Bretschneider. Ylenia Fiorenza, Quel folle d'un saggio, C., l'impeto di un filosofo poeta, Napoli,
Città del Sole; Gatti, Il gran libro del mondo nella filosofia di C., Roma,
Gregoriana et Biblical Press,. Sharo Gambino, Vita di C., Reggio Calabria,
Città del Sole Edizioni, Saverio Ricci, C. (Apocalisse e governo universale),
Roma, Salerno Editrice,. Luca Addante, C.. Il filosofo immaginato,
interpretato, falsato, Roma-Bari, Laterza,.
Metafisica (C.) C., su TreccaniEnciclopedie on line, Istituto
dell'Enciclopedia Italiana. Tommaso
Campanella, in Enciclopedia Italiana, Istituto dell'Enciclopedia Italiana.
Tommaso Campanella, su Enciclopedia Britannica, Encyclopædia Britannica, Inc. C.,
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italiani, Istituto dell'Enciclopedia Italiana.
Opere di Tommaso Campanella, su Liber Liber. Opere di Tommaso Campanella, su openMLOL,
Horizons Unlimited srl. Opere di Tommaso Campanella,. Opere di Tommaso
Campanella, su Progetto Gutenberg. Audiolibri di C., su LibriVox. di C., su Internet Speculative Fiction
Database, Al von Ruff. italiana di
Tommaso Campanella, su Catalogo Vegetti della letteratura fantastica,
Fantascienza.com. C., in Catholic Encyclopedia, Robert Appleton Company. Archivio Tommaso Campanella, su iliesi.cnr.
Le opere di Campanella, su bivio.filosofia.sns. Historiographiae liber unus
iuxta propria principia, su imagohistoriae.filosofia.sns. testo tratto da Tutte
le opere di C., Milano; Germana Ernst, C., in Edward N. Zalta, Stanford
Encyclopedia of Philosophy, Center for the Study of Language and Information
(CSLI), Stanford. Filosofia Letteratura
Letteratura Filosofo Teologi italiani Poeti italiani Professore Stilo
Parigi Domenicani italiani Letteratura utopica Accademia cosentina Vallata
dello Stilaro Ermetisti italianiAforisti italianiItaliani emigrati in Francia. C.
STYtL. ORD. PRED. PHILOSOPHI RATIONALIS PARTES V Videlicct: GRAMMATICA
DIALECTICA RHETORICA POETICA HISTORIOGRAPHIA iuxta propria principia. S V
ORVM OPERVM PARISIIS apud BRAY, via lacobHi, sub Spicis
Maturis. iZMtn Pmilfgh Rfgis. ILLVSTRISSIMO y /tAIOyB'
EXCELLENTISSIMO D FRANCISCO COMITI DE NOAILLES; vt nuf uc
Ordinis Rcgij £quici Torquato Rhutcnorum ac Supcrioris Anierhias trx^
fcdto, Regi/c]uc Chriftianifliuii, apud Summum Ponuticcm Oiatori. £
TI LLVSTRJSSJM0 C Ji EFERE2SSIMO V. CAR. DENOAILLES. EPISCOPO
SANFLORENSI; intcrioris Consilii Regii McflbrisFia^us. optinui, mci
fcxuatorjbus» S. P. £ natitudinif ita me liht dcmncit, Excellcnci|fimcComc,
vr ntm ftaihmeus, effi Jeieam 4tft€ velim, Et cum tumm era 'JidQtm
manitumm tiK ucQM€nfar€ necmejun uekm; hocmihireJldt (ptod pofpmt Muft yVtnuUis
temporibus teflimonium Vmutumac meritorum tuorum tdceatur-i fmllaque
obliuione dcleantur, Libertatem, honorem, vi- Mm tibideheo Cum enim
jynagd Potentium [non Deum neejuejusy nequefaSyVerentes yfed venantes
gratiam faljts ha- inisfatffijuevenabuHs a Catholico "Rege ypofquam
in pri^ maperfecutione mc innocentem perDf^cem Alb^t
declaraue- T/ttytanquam iterum :(elantes pro Regno ipfns, ijuo
poffcnt Regno ipfus longo tempore ad diuitias cjT* honores laruatos
comparandum ahuti ] perque Vim perque dolos, in partem frada inuidis falfs
etiam fratribus illeflis, dum moror in Ciuitatefan{}a y
conarentttrinnocentiftmumadnecem traherr Th (G cncf o(c Heros) mcy cjuem tota
fere Romayfum- mufq; Pontifex fcicnttjs et xirtuiibus cunitis nedum
iujhtid omatiffmusy innocentidCHftoSyfapieim amator diljif ejfent a
violentia infdijs pojfetueriy incolumem feruajli: ecum explorarenthoftes
me intuis edibus refugientemy tu illoruehi debas interea technaSjdum tuo
curru noflu fub altma veftc per 4tli} portam veilum y tuifji literls ad
Principes et Confules, obuios futuros commendatUy ad Chriftutnifiimii
\fqy Regem ifjnocentum Refugium, FILOSOFI ac piorum hominum
Tutelam,Mep:e Regis Regum brachium y nauis Pctri facra aochoram, me
tranfmitrerei. Mon fufticit Calamus animi. m robur,fagacitatem,
induftriam, c!T infignia in hoc euen eufaflay diaue describere. Jd illustrissimum
ac reverendissimum Eptfcopum Sanflorenfem ParifioSy te iubenteytan-
(femapplicui.Vtztctefttuus ideftfctizkct tUfuxta Gellij £thimologiam
natura legem, ideoprorfus \t tu mihi af- juit, J^m c ad te
Jemomeus^magnamme Carolejqui humani simere€fpifiimeperegririantm,refodH lajfum
et ft nedefunilwn ad vitam rtuocafh^ O* tandem inuiciifsim» Re^j
regijsfaumbuscwmldM&f meexhihmfiu Imem fAi ^iddefterate G allorum
hijlorici narrant ^ et Poetacanunt spes QhriJlianAreipuhlica
prafumitexfc[}atq\, Vmo ftutus a miftriss eSr fecurus a calumnijs, ratias Deo
ty lemenrifsimo Re^ ac Mmijlris heroicif, nempe fratribid nobuf imis
Noalhjs. Haud efude audco Antiptis fufsim DoBtfsmicmfofitosmof€sac Prafiamiamenarrare,
uam [drJkoma(Sr GdUiaadmrantur, et quos euulgauitlibros de I mpmo
iufli et de Triumpho Virtutts, eruditione ac fapicntia j?!enos, ')4?ijue
iffum lofige maps, ^i^mmtifarum pofftt Chtnms praJkcant. Cenerefi Comiiis
iam Mcerelaudes yereor^cumnecflylns Jicpar, ac perfein hijhrtis
commenden- tur; a fuperiortbusemmfecuiss prafulfere. Ncfie enimre'
censffigloria \/efiraJed ah,exarJio RegniFrancorif fflendebat. Jftabanno mmfimo
pofi Chriftum natum certa fcrie fofi guitrandum, qm primus cognommatus
efi de Noailles fijue ad nefira tenfora immmeri de Veftra frofapia cwh
4mnerantm htnes, fiorum alij cum Dom m j^uitania fr^dpue.tum forisin
ifiavna cum Ludouico Kege fan^o fugnando contra Saracenos fortiter
ohierunt i <Jr in Ita^ Md,in Anglia, Poloma^Thracia, totum queadeo
ftri Or. ftmtefTarnm^hononfieentifsimis legationtbus perui ati eaiu
JocistUis pro patria perfecere fuaicam ueRefflus (jollis 9Uh tmerunt opera
fidelem fed sdamjut, vr femfn' meruerint Ismdmahonii &akipfit^i^mmultisd
Jnterauoseminet magnus ille tuus jintonins fatuor Pegi^ ins acumAMli^M^
Cuitjs cor liurdcgfiLut 1 henefafla, tenet honorijicc: corpus
Noaillia, Omino que in bello TerraMartqy iidem pr^clara j^elJirut
OmictoQatba logum hcroum atque geflorum et dtgnitatum perpetua fcrie
Jpendentium fwniamtna modeflia alionim forjan inui. diamihimirificamnarr itionemahradere
iufsityc^uoniam for^ taJfenecUtidihtis augeri, nec ohtrcfldtlombns veflra
minui foteflgloria, renio ad te nohihfsime Comesxujus virtus helli'
caapud RHpcllamaduerfusJnglosenituit et in MonteaU bano dum oppugnatur
Virtute Regis, corufcauit; et qu4 apud Taurinos comtra Hispanos hofles
egerisy hifloria non tacet; trtres inclytifltj tui nuncimitantur.
Moxautem in legatione Romana tanta prudentia te gefsifli, Vf summo pontijici et
Romanis Principibus carus, ratufquc femper effes, ac ftmul Regi tuo
fidelifimus \?tihfsimufiji4e ; ^u^ duo Vix coife in Orator.bus cxteris
pojfe \ndtmt(f. Ex hoc jper prouidentiam Deifalusmeaaffulftt: et cum
feruator definls non defiturusy ConferuatorCarolus frater tuMme
Partfisrecepit. Ex hoc debitum perenniterlaudandi Voj, Praclarissimi
fratres, animi et corporis fuhHmitate antijuorum Oallorum
prdfluntiam redolentes, inmere fuhat: cumque non possim perenniter
cum fim/nortaitSy vos immortalitati erbi aterni committere flu-
deo, Sciefitiarii omnium reformatarum per meinergafluhsnu- tu Dei, qui est
FILOSOFIA RAZIONALE,J}>len- dor Rationis diuin^, tcfle Jugufl. \eflro
nomini confecro. Ef^ ' tn hoc volumine GRAMMATICA NON VULGARIS SED
PHILOSOPHICA, continens semina scientiarum et nationum sermocinia et modum
grammaticandi secundum naturam et artem. Hanc Jemanibus sophiflarum
nugacium liberatamytibi Liberatori t ue Orarm^r^flantifsimo^dedtco. jidiacetilh
Lo^ic non imehuntuYy dd dircSHonem cognoscima fictihans human£
inftdurata. Hmc dddidi Rhetoricam j et Poeticamyjuas in
froftilfulofueatascm/fiecittiSyi Mufas duxi, Tandem apponitur
JF/tftorioffraphia, atf Adulatonhus Qfmhus Lofjuacihs denigratdj nunc infmm
reJHtutd pmtaictniytfuEgode vefbm nmim diccn nonMli ui
fejuenturimelligantl^oalUos meos hacmethodo effe dicen" das. Sufcif
ttecrgoeo quo exhihentMrammQ ( Pr^ftantifsimi JDofmnf ) non ingratumfortc
namm nmit^atiferuiveflri, edijue, qua foletit me hcnendentia htmmsre s
inquo C. mea per totum Orhem veftram teftiftcetur henefiden^ tiam, inque
\eftram refonet mam yaktc. Pari/iis : Jic i;. Mairttj X Commiflicne RcuerendiiEini Pacris
Fracfis Nicolii Roduifij S. A- Magiftri» et tocuu Ocdinisnoflffi
dicacoium Vicaril Gcncralis Apodoiici » vidi Tomum primum opcium R. P. M.
N E iti€, noftn Ordinis, Complcdcntem Grammaticam, Logicam, Rhetoricam,
rocfmi. t?c Hirtoriographiam, nihil
. iii co concra Cacholicam Fidem miicni > imo omnia luo Aucore
digna, ic quamplurinia ad Theofogiam capcrtcndam cllc iudicaui.
Qpapto- - ptcfojanupropria merubrcripri iuc dic 7. Nouciob. iV.
Am^ninui CtUiuJ^ S, The^Ugtd MCPhiUfcphid Ze^«r,» mm«t CtU^ij 5. ntmuti
S, M, fimdentium Alfli ifler* imfrimMiurJi videhiitur Reucrendt^tw
/» M.S^ F^lMiijj, Iybcnttf Rcuer. P. Nicolao Riccardo» fac, Pal.
Apoll. Magiftro 'pcimum volumcnopcium R. P. Mag. C. Ord. . Prard.
Granimatica, Logica, Rcthotici,Pbl:i!>& Hiftoriographia co«.
cextam,non minorc diligencia quam volaprateperlcgt : nintlc]ue quod 1
Catholicam Iqdac Fidcm, aot Chri(Hanosoncndac mores occui nc; qjiare
pubiicis dignum typis conftanter aflcacro, qub duicifonaB^ htlius
Campanulæ minficus tinnitus r.homnium auribus lladioforum. i cxaudiacur.
In fidcm &'c. Datum Komx m Collcgioiandb Bon^:. ucncuixdic 10,
Augufti. frdTiciicHi Jlfitortiui n fanflc Seu. OrJ, A^in. Ccft, Celie^if
S^.Bonaneniurd in vrhe Regcm e^ l^elior. EG O Fr. Vinccntius
Bartolus et c» Thcolog. Magifter
Ord.Pr2d. Vifis fupradidlis atccftationibus,
conccdofacultatcmcvordine& commiflionc R^uercndiflimi P. F. Nicolai
RodiilHj nollri Ord. Gen. Magiftri, R.P. M- F. C., eiufdem Ordinis:
Vt librum atticulacuiii RAZIONALE FILOSOFIA partcscjuinque, typis mandare poflit. In
quorum fidem ins meo figillo munitls manum propciam apporm. Datum Romxin
Conucntu S. M. fupcr Mi^ n^am. Dic 14- Augufti i(»5o.' Locus
iigilli, fr. l^mimiBmtht^ ^mptfAmmn prepris^. 1 Ji^ R 1 M A T V Fr.
Ni^Uuu RitCArdins., facri. C. FILOSOFIA RAZIONALE GRAMMATICALIVM III PARIS
Apud BRAY, via lacobii; fub Spicis Maturis. M. DC. XXXVIII. Qm
Primlegio Regis. P^G.verp vltimo.tx iijtge.&c, Pdg.^o. verf. y
difbioncs diftin- giiitur, /<r^f> didbioiies noadiftmgauar. P4i.
91. vfr/l6.pcrci,/f^r, . pcc t», Pag. 6i.verf. 14.. ficu:. /f^^ lanc.
Va^. 5. ver/: 10. vccebimjc. P4. 51. w//: aires, /f; .ai rci. Z»-*. 89-
^'^f- vifi'»»"», amitiim /<x<r. amatu. P4g 60. pjlt t^^r/: u.
pm*tur. Noundum : quod potclUs impcrarijæftquudoloa iicurnuior, qua
maioccm, vc fdc atltros /.1- fidejs. Sei eadem vox clt ieprccatiuaicum
minoc ad maio;cm, vc fal- fium me fac Dem. Cumad xqaalcm, est confulciua
auc hortatiua, vf fugecrMest:r -4t. Et maior cnim induic voccmx qualis,
et miuoiisA- c conuccfo pcr accidcns. Correftio erratorum in
Logica. F.ig.i. verf. 31. faOum, legf fradum. Pag.. verf, 14. voccJi^^*
TOCCt. f>4g. 8. verf 4. quid/^^*quod. p4g. 11. verf 2. vt lege aut.
f-i^- 14. vfr/: 8. intcricdliouc, mtcrcaronits.-A-ff-"»' -
cxprcfTa, /f^r cxpretr.Ti. /« e»Jem verf. i3. fy nchailiegoricus, /',^f
ryncacheeor«mati(;us. P^p-. i^, wr/: 17. dcno^iijiaius^^^ djm^A4 4. VfT/.
II. vfr/i#, ouAas, lege gutcas. CorreHio Erratorttm in Toetica. 4 F4r.h. t/^r/:io.rerum./f^*
vcrum. pag.^o.verf. ij fimplici vc nutije^e fimpUci iccuiu.i. vuum. In
e^dem verf. ic^. fic^u coucca, lejre ficuci e concra. tmiUem verf. ^6.
profundit,/ pcrfundic. pag.ou »t/:}o.dcuncioncm,/tfr <Jcuocioncm.
f^j;. 4?. wr/. 5. fomctco, /rg:*- folo mctro, fdg, ^s.verf: 10.
quanciimquc, legt (^uam^um^quc. C/r<rr4 difcrettom LcP.orm
commmmuf.Se Grammatica iii commttni. Definicio Grammadcx.
GrammatiC4 efi ars inSirHmentaUs T^oluU hu^ mana congtHiy
rationahilitet fir/jplickcr ^ •* dic£ndi,atqtic confcqucnter
fcnhcndi^ . legendi ^mdcfuid animo "^ua^ CHnquc noHtia
pcrc€f>imus.IciTVR Ars infnmentalh t\ Tuo gencre^ica &Hino'riogr3phu,
quaroninesluntarics \ki}^ yjf^nicchanicæ,rcd fpcculatiusttai
inftrumcn. IX^-^. 4^^/ \{ taiej qiioniam non pcr fc, fcd proptcr
princi- palcs, et proprcraWud funt. Plato ir. Cratilo.dixit,
l^mtmeft infirmwtm mdi^ {uifioKti^ Xoucigo QranMika
1 ^rdmmitknUtiih in (lrumcntunicft, vt fuæ partcs. l>ici\.\xx^politit
huHiani^zi, differentiani proedi£lariimartium: nam Logicac (ltn(lrumcn«
tum Mctaphyfici : Rhctorica et Poctica sunt instrumcn- ca Leginjtoris. Grammatica
vero totius communitatis him injr. Siqa idem naturale cClcunclis animantibus in
societate viuentibus ci, qui concipiuncanimo, SIGNIFICARE conui. ifennbus, per mutua officia
copulatis sive propter bonum proprium, fiucahcnum, sive commune proptcrei
fadazfunc voces et orationes, htcrarque vocum particula?, ad exprimendum orc
vel scripto qujc proferri opuscrunt. Grammatica ergo naturalis est hominis, quatenus poeticus est,
anificiahs insuper quatenus voces et orationes ad tcdum vium
confidcrar. Dicitur grammatica esse ars dicendi. Dicimu«
cnrm {'^ ./ quidquid animo concipimus. Etquia illud idctu
fertbimTT5,-a<rcttrunf^ie5 qula legimus scriptum, ponendum est *ct
Atquoniam potest cfl"c grammaticus, qui ncfLit fcnbcrcncc legere, ut excus,
videtur Grammatic; i est c instrumentum dicendi per cflfentiam A
fcibcndi&le gcndiconfcq Mcntcr&ad vfimi. Dicitur congruf propter
concordiam partium orationis t 6c ratiinahiliter ad differentia sermonrs
ac brutorum rautu A f colloquentium naturaliter, iicmadd: £fcrcntiampcritui.
Gramaticorum i vulgari forma. Additur simplicitert iterum ad differentiam rhetorica
et poetica, qaa: ad humanam etiam politiam pertincni sed addunt
figurationcs sii per simplicem sermonem, S\}bdit\ir yqrridcjuid animo
quacumque NOTITIA VEL SIGNUM percepimf, ad difterentiam Hulorio graphite,
qiiac iupponit GrammaticS loquentem dcomnibus et habet proobiedo solum a^ia
et di^a notabiliVx^c natura fjiucpohtia Grammatica
vctp omnem fcrraoncm, sive famih'arem, fiuc epistolarum, sive historicum
jfiuc scientificum, rc(f\ificatad congruitaicm naturalem et artificialem, vt insii
patebit. Pritr jc ergo notiones vocabulis et oratione grammaticali notificant ut
: fcicn* tiasvcr6 Loeicafi deindc fcrmonctra«^lamus.la grammaatica ergo
cominentur semina scientiarum. \ o ; cnim aliqi;id taciunt lcirc vulgari modo
dc Cim£lis rc- % et cx his^qua: voce significanius ad scicntias altiorcs
cri- Dur. Qu^ippc qua omnes ex p jecxiftenri fjunt cogniiic vocalnilorum
in do oratiorinis; Icd in inventionc ex inspconibus, et kniauombiis cognoscentis
per senso iia ani* s : et notamis et exptimcDtis per lucras vocales,
insonantcs, tanquaoi per clcincntafira, res prxnbtatas coqtie dtcitutikamnuiica
Gi «ecl^MM litcr^m cdLati^ idc6 in-oaiinalibus cx iiiiip toruih
vocabiilofuni : clarationecxof diaiur; in inucmiufa vcr^ tt imponendo
mfcrutationc. xv,: pupicx Grammatica alia civilis, alia philosophica J
^Iuilis, pctiiiacft, non scientia Constat enim cx fli^totira* C^tc «fuque
clarorum scriptoruni. Hjhc sequitur Sciop« ius Tutocbtis Lyf fiusjqui
tunclcdt sputant^cin: CICERONE am VIRGILIO calknt § et vocv bu^a U. ph rafcs,
ple« anqgc naturaii f arlotaducrla.cji ptincipum.& vutgi vfu pc» i cptir
i tete pjfcia vctii rati^e CfiaftAtjA iamolet. Eft cni M%icfiigan^ntc Hcausdcnotamisim icftigata,
copulanrifque et dri^htntis rcs»prout in natura cpcriunrur» mcthodu 5. Notatcniroc(rcntias,
aftufqlic,&:hjt» )itiidincs, vt if.fj^ viJcbimiif.
Hanc Grammatici vulgares damnarf ut, fi dixcris, vir# «ofus,
ridcanr, qi.oniam CICERONE dicit, ftudiofi) s:5c cnm vo* :abulacx
rcbi]s,non cx autoribus dcccrpimus, exribil.inr. Sco« iim^findtm Thomam,
aliosque, qui mngiscx rci natura oquuntur damnant ifli, profc£t6 damnati
jgnorantix, et Wodicitatiscrgaflulo.Vndi 5 Grcg. maicftattmvcibi Oci fc
rcgults DONATO inclodctcnti^n dcbcrcdcclarauir. Quid
noii obloqiiutiircttmiiouascesifiucnimus vocabulis CICERONE in* 4
(jr.min.itic^lium dicibllcst proptcrcaq ic nou is voccs
cxcoc;iramu$ \ NobismJ uearavocabdla IijBC,prifiialKas, eH\:ntu,cLlcntiarc,matcriarc,
2cc. huturtnodi CICERONE ncti^uc d Upliccrcnc,liccc ignoca olim. Itcmquc
et ip(c ait : Beatituio et beattta^, vtrunqut ^nm ifeivfu m jlUctuU funt
vitUtbmU : cik vbi 'nuUcr^fi* -xpfS «iixic, effcntU. At^Caoli opbis lcgcs
pr«(icrtbaac: cr- go^5c (cieatum coardAnc, ciuam Cmraipfeampliairct,
(i occaCio et ftieatia oon dcfutHeac : U Houcius licecc dixie
iempjer. HmttJmiMi Sipajpsm tmideor cum Ungua Catonls OEnti Sermnem
ftstriitm ditdmritjCP* nond rernm Momina proiuUrir, Lkuii fempenfue
Itcchit Signatum frafente nota odticere noniciL. rUto
p(iinu»-dittr,idca: 5c Aristoteles. Eatiielechia: att noiicg O£rimaIitas,
&qiiiddiiasivi4e primam partem Mec* libr. I. D/jfercmia inter
CimUm Philosophicam. Dlffort Gratiimaricaduilis a Philosophica, in
vocibusi phraH. In vocibus iila fe atur auioritatem vfiim} k quo
adc6 dircedere tjmet vt nec novarum
rerum vocabula oott^i admicjcac. Vndi polunt dicere, bombardam, fed
tdr* meotumljetticumj quod nomen commune est omoibus machinis: errant ergo
primo trahcntcs proprium ad commune J Sccunvio vniuocamad j Eqiiiuocum:
wum cnim brodium non habcn vocabilum in Latino, rcJ dicitur ius, quod 6c
lcgC significat rconfanduc ergo rcnliim. philosophus vcio vocabulum iniicnict
proprium in sua Graautica. Quoniam il!i vocabu^aaifcdiuanon trahunt a
fubllantiuo, (icut oporter: Vtrcascotmcffuudit virtiiofum, hoc
nonTtuntur|fed{\udJo- fii:0 iicunt i qtifi, vo« longe abcft 4 signiticatione
vera, dc )3 im cileoti^ notacc voluot, dicuot Quod cft
quo iud crat cffc, Iiidicro quidem modo: cum vocabulum
quidditas, et e^Tcntia, fint significantiora brcuiora. Bcnibus^ ic dicat
Rcx Turcarum, dicit RcxTiaci^e, tam ridtculosc, juim superstitiose.
philolophica ergo fcdatur commoditatcm, 3c rationcmj vocabula
significant ex natura rei et non confuudanc cn fum metaphora x qui uocatione
analogia. Ncctcmpusn; ni6cationis fruAra cxpcndant(qu6d niaximum cft
dctrincntum:) ficuti faciunt Grammatici, descriptione pro vorabulo utentes. Differunt
etiam in phrasi: ciutlis cnim vtiturphraH accepta in foro et curia apud magnates
et plcrumqucdicit aliud i proprio sensu sed vfusfacir, ut sensum alienum
vediat oratio. Sic dicunt idem e dio tollcrc, prooccidcrc et pcrdcre. Id autem
in philosophia significat de mediocentro m pcri» hcriam trudcrc. Similitcr
aiunt, rcdigcrc iiiordincm, pro >riuarc Magislratu. Atin Philosophia significat
ex confuso nordinato, in ordinem tranfirc j ficuti cum Chaos tolUtui
naliquoncgotio, vclinmatcria rerum. Quaproptcr aos grammaticos nil
vcrebimus. Eoum enim est confcruarc vocabula ac declararc (Imilitcr et DratiorKs:Phik) philosophorum vcr6&
Anificu cft inucnirc et ordinarc. Proptcrca temcritas Pacdagogorum miranda est,
cum T hcologos cm€ndant, proptcrca quod Ciceronis vocabuli 5c
phrafi non vtuntuitcum potius laudarc dcbcrcnr jqiioniAi omnis Artifcx
(ux Artis vocabula inucnirc dcbci jfic clara, kpropria imponerc. Hoc autem
palam est, qupniam ex auiusdcfcdu acciditjvr idem vocabuluiri aliud significat
in v- naartc, et aliud iu altera. Unde, apud rusticos, “liber” significat ‘arboris corticem’.
Apud litcraios, “liber” SIGNIFICANT PER METAPHORAM ‘codicem.’ Apud
Politl- :os, libcriatc ffucntcmr; apud oratores, “liber” significant, per
metaonymiam, ‘filium.’ Similiter, “verbum,” apud grammaticos, est orationis
pars significans solum. Apud theologos, “verbum” significat u test ‘conceptus
animi, delaratus aut voce apud physicosacrisvctbcraiioncm notat, apud vulgus
locutionem, 6c aliquando omne vocabulum. Proptcrca notaui tx Yarronc» et Nonio,
&Fcftononcxtarcvoc:» bulum apud latinos quod plurcs significationcs non
habcar, quoniani 6 grammaticalium. /ucccnio Principuni, et rei publicæ
mutationcs, 5c f cmpora jpfairohunt voccsadnouas signirtcaiioacs. Philosophia
au-. fcm non (k*. ria?:crca, Grammntlca ciuilishabct ortatcm, in qua
vigcr: et illam amplcduntiir Grammaiici: dicunt enim sub Cicerone 6v
CcrUrcavlulram lingu^m: proprcrca non Plauti, ncc Ccci!ij»ca? tcrciumqiic
fcnprorum priscorum iermoncmac- ccprantjicurnccrcccntiorum quaiis
PliniuSj Ambrosius, Augunini; s, e AQUINO (si veda) At Philosophica
non agnorcit.rtarcm lingua:, sed raiionalitntcm: amplc^iturqiu:
vocabula bona omnium temporum. Proptcrca 3cnoiia fi£ta- quc vcrba
probcconucnicntia rebus diccndis compk^itur iuucnirquc: VI cnim Horat.
ait. Licuit /(mperqjuJic^I^ Signatnm prafente nota producere
nomenl Et f hrafim addcrc: pra:rcrtim cum impcrium rch^gfa,' et
artcs nou2 fucccdunt, et loqucndi modub.-voccs camt proptcrrcs,non rcs
proptcrvocc?. Vndc fon.m Eic;c(:.i« fticum vtitur vocabulishifcc,
canontzarc: {piriruali. ctlutura,6J: aliishuiiifmodi in sensu proprio non
L.itin( r»im pri- fcorum.idqucfi accufcs impcritus&rudis
cfiS.NwfwiCLSvnic authoriiaccm vocdbula fiiniunt. OVpCfftitiose colcns grammaticam
civilem, languct id j3pugna
fcrbpxumj crbacaptatjrcscfFugiunt quas præfcrtim ipfc fuis non infignit
notis, et notas alienoruin r con fatis notas colit &: vt Clemens
Alexandrinus i. Strom. 3. inquit . funt SophiOa: infcliccs, nugiscanoris
gariicntes,cum in nominum dcbita, et ccrta didionnm compositione et connexionc
tota vita laborent; cicadis apparcnt loquacioics: U allcgai coiuxa cos
rUtoncm, et alios Phi-£amj4ruIlA\ Lfherprmnf. r oibphos prleium
oloacm LcgiUtorcm, ita diccn« xm. Adlingtia afpicitis, dulcia verba
loquentes Quiltbet at vejirum vulpis veSligia Jigit. Cun^is efl
vobis petulans mens. 'ulpesquidem tnfimulatfone iapientja?»quamnonhabent»
Sr in latcocinio alienaf, (unt fyci^i vulpcs :cum enim de fno loo
habcanc^ nid vcftes, quicquiddixete philosophi mutata r^ene verboruni pro
fuo vcndunr. Mcns cnim pctulans vul- pium fui amorccmmfc
ipfamdccipit,putatquc fc plus fci- :c,quia fcit verba, quim qui ics
inucQigauit^nec nifi fua Grammaticavcftiantur,rc^la,&vcra, qu» dicit philosophus,
reputaf: hincaliena vcndit impudentcr profuis, \*r-' xsqiiia ornar fois.
Horum fcimo cfl calix Babylor.is (in-quit Oiigcncsj in qao errores ctiam pro
dodrina, nedum furra, tradunt bibcihia 5ophi(lar* Vakie caucodum eft
crgo Phtk>rophfs«oe tis Aia icriptacrcdanr, qui, (lcut
pcrdiX|io« jcne, qt^a^noapepeierunt. Honim iniidtasmillies expertui
:oquor. Cauendwineilctiam Philosopho, ncrpernat citti edl jQttinmat icam
>dum tameo rdHisconueniat rcitis.Con« remnitur enim d.tbtba petulaoti
quafi indoiElus: et pucfi fic^co equaceseorum quorumeft folum
grammattca ri»"ihc tjOtjcat», notanr fimplicitatcmfermonis: rcs
cnim noncurant, quilh|HS£ordctcnusmitcntur et optent pro
gnorantibuscoshabcnt,qui eorutii Grammaticam non (c* [^anrur.
«Sdpicnrespauci (unr, (\uItorum infinitusednumc* rus :hinc eucnit »vt
iiUablustaii^a, diMitiis ^dc do^ioa:ho« Qorc vacueniur* .De partibHs
Qrsmmatiea fSf ^^9^ m QVoniamGrammatica congruitatem
6t(ktonh (cri- prionis habct pio obj c^o di^io autcm iit cx vocabu s ^
ram matic Aliurn lis : vocabula cx fyllabis-.fyiUbacx
liicrisiidcopartcs Gram- inaticx putantr.r 6c dc litiiis i. dicunt
Crammatici om« JiCS. Ittera
^rima parte Grammatica. Litera est elementum primum, idcoque minimum
orationis. Dicitur litcra alituro, quafi cxaro, quohiam cxararur m
orcp^imiItuw««tatuLdlij fcflptura per manuamia, Grammatica Græc; Jicitur quafi
literatura, quoniatn dfuis elementis habet etymologiam. Poniturclcmcntum
loco gcncris. JEfcmcntum cnim cll id, cx quo aliqiiid primitus componitur.
Ponitur primum, ad differentiam syllaba, cx qna secondo componitur oratio.
Ponitur sermonis ad differentiam corpusculonmi atomorum,
qu.rcxiftimanturclc. xncnta rcrum. Additurminimiim, ad ciuficmrci
dcdarajioncm:li cracnim iiidiuiiibilis clh T^e numero
Utcrarum. SVnt autcm litcra: viginii trcs apud latinos A B C D E ^Sj^,i,K,l>m,
n, o, p, q, r, f, r, u, x, y, 2, quarum Latinæ non luntnifi dcccn)&
noucm,ctenim K,y,z,x,d Gratcisacccpcrunt : vtcbnniurcnim pro K, chjpro
y,vtcbamur,vjpro duplici s s i pro x,vubaniur,s c. * 'A;'Tandcm h, nonvidctur
cfTc iircra, fcd afpirarfonisnota, addensaliquid fupra vocalcs. Catulhis
cnim narrat Arrium foUrcpronuntiarc Hinlidiaccum h,pro lulidiæ.
ANDO: LibeffrimHsl. POflunt inucniri et alix licer t, vt •, parauna
« et nia. gnumMtcm duplex g:in vulgan cnim sermone
aJiter pronunciamus, gli, in vocabulo agli U in vocabulo mgli gentia.
Item non datur g, qua: faciat (bnumx qualcm cmn omnibus vocalibus. Non
cnim ita conronat g,^, (icurg,;, vndc Arabcs triplcx g, habcnt, iuxta
tripliccm pronuM^. tioncmhuius literæ. Pia^tcrca litcra r, alitcr fonat
cum a^ 5cciim ^, coniun£ta; proptcrtabcne fuitaddcrc k, &ad-
dcndacHec altcra litera, qi:a^aicdium fonum habct imer r> et K>vcin
vulgari fcrmonecxpcrimur. Pxxierci litctame- dia imcr dc;^, rcpcricndæi Tctia
litercnim pronuntiamus r, cumdicimiis^rtf/y, et cum dicimus gr^/i^ >
prxfertini in vulgari sermone. Nec fupplet ii;, pro /«nec 0
duplkem^^ji^, appoitas, vtia] ?pgti(ggi4eclarauimus: qua propter
dclinea. uimuschara^tcrem m€diumhac figura, Hi^ani vero fece. runt
cum cauda f Prarccrcsk indigemus dup'ici /, confi suntividcliccr» et
voca1i: quem ad modum Hirpani^&Heb.2c Arabcs vtuntur jproptcr cadiximus
;\longx figura? consonantem : qui Hcbra?is cft j/ vcrobrcuis vocalcrr. '^I
an- dcm duplici,vocali et consonanti indigemus, quemaJmo- dum
Hcbrj:is, et Arabibus rationabilitcr vfurpatur, alio- C]uin mu!ra
vocabula faiso pronunti.bnntL:r»vt vt^a. vbi nifi secundum altcra figura
sciibatui pionuniiaiio fallirni. Similircr et iuuenis^6i /V/;v//5cc. consonans
v, vocari dcbci vau^ et confonantcs ; Jcd^vcl /«^vt pra:fata lingua
admoncnt; Quaproptcr A Iphabctum nostrum erit quod sequitu|^n.
-^,^,f,k,rf^/,^,G,^^;V,/,w,»>^,f,r/,/ r,», v,sf, Lkerarum alU
^vocaUs^aliA confonantes. Vocales quiiiqiic a, e^i, o fU^Sc dicuntur vocales,
quoniam aiteda vocali sola, moUica vaticutc tnoduiationis, expiiiwuntur.
Cotsronaotcs ^uat yigititi i^d^fti^G^btj^mj^^f^rJ^ Dicumur consonantes
quofiiam cum vocalibus simul Ib* nant. Instrumenta enim vocis, que sunt
lingua, palatu noi» labia,^ gurguiio, vocem (quateit expirart æris per arteriam
vocalem ibnus) configurant: 6c cum illo dicuntttCCon£6narc non autem
perlbnare vt vocales. ConfonaniiLim alia: dupliccsvt j^jtf,/-, alix simplices»
vt oniacs i^iiqtt^^ 51H3C cnim vilCD» pco duabus; noa autcni Sunt apud
Hebræos dc Arabes duplices dmnesconrotian teSydum pun^o intermedio
notantur. Apud nos vcrb fol«ie x.^yt, ftfnt dupliccs abrque
pun&osquas autem vq« lumus duplicaie» duplici codemcharaærc noeannus.
« m Solem contmgi vocales non eiufdeni generls] con^itmrs, unam syllabam
longam qHamms per se ejfent brenes. Harum comun flio voci'
SHr Difhthongus. Sunt autem apui Latinos veteres Dipliihongl q
inqne ^,<r, tu^eUiCiy(cd in v ulgai i Tcl- uionc add Ci t u t to [ D
li ilio gf^qiiot sunt combinationes
vocalium inter se, prætcr quam in fine carminis po<^tici, vbi /ui,
tolui, voi, mie &c. pronuntiaiitui dissyllaba, qu alibi pronuntiantur
aiOnofylUba IQirguuntur litec coafonances iamutaS)&;fcmi-vo*
D Mut^ funtnouem. C D F G K P .ii. 7*.
Etdicuntur mut( I qupniam mutum habcnt fonum, quafiGom nuUa vo»
cali^vel vocalitatisaffiatu proBuncjat. Semi-vocales sunt VII. ^.ilf.iV.
R,s, j,ViSc dicuntuc semi-vocalcs quoniam habent partem soni vocalinm
.£t quidcni S. apud-^ucretium caJit Inftar vocalis:ait cnim. Sceftra
^tfku^tadem aliis fopitus quieu efim . I^ta diftin£lio fuit vcraapud
GrnscoSj Hcbrazos.Sc Arabcs: qui lircras pronuntianr quali diclioncs:
dicunt cnim pro J4.B.^lpba,Bita,S) CAkfh.Bct:h.i^Eliph,Bat. Scd ia
idiomatc Latioo pronuntiatui limplici sonodc truncatosi nevocjlibus, idco
omnes sunt routæ: licet non pofllnc pronuntiati fine vocali recunduninos:
tamen secundum nar tvfam. omnes intelliguntur fine vocali nobis qui et
vocalest etiapi truncat): proferimua. D'cLiiKUr liquidx L. H.
M. N. quoriini liqucfcunt m mctrc-.ira, vt fvliabai-n brcucni etiam producanr,
accommodantur que brevitati et produ^iomi dur Tunt qua: fcruant sonum et
tempus. Syllaba est Uterarum
vfurpatio ] ^nins fo^ ni, "vniufque modulatioms partialis
index. Quonia ex literis syllabx qii possunt esse pars
vocabuli propin c^iior:i moiiiatv^y 111 bi t n n nc iikcnd um; di £t
is iryliabano vcrbo Grx. Hoc est comprchcndo iqiionia Qi plcrumqucplurcs
literas comprchcndir. Profe^lb quo nos vti- niur literis, id valcnt jqua propter
usus fecit de litera syllabam, sed non absque raiione; alioquin de quacumquc
litera facerec syllabam. Facit autemdc sola vocali, quoniam sonum habet,
non de consonante, qua: non habcr. Aliquando fic ex duabus vocalibus j vt
diphihongum monosyllabam jali- qia Jo cx vna vocali, &vna
confonanrcjvr,^f,aliqi aJo cx vna vocali e duabus consonantibus vt J?er.
Aliquando cx vna vocali et tribijs conionantilnis, vt, //r./,3c
rizjjaliquanJo cx vna vocili 3 quaruor consonantibus, vt firum jaliquando
cx vna vocali q; iinquc consonantibus, vt j9/rp, Pluribus noa
viurur LATINII at Tcutonicis et Polonis vsurpatur. Vbi vidcs n6/oirc cx pluribus
vocalib. fi. rifyllaba, nifi abinuiccmabrorbcantur, Qcut in diphthongO i sed ex
una tanrum quoniam ipsa sonum pctfc<S^ um habcr. At ex pluribus consonantibus
.ficri unam syllabam vidimus, quoniam per se sonum noa liabent, nifi
vocalibus copulatx. Plurcs autcni ponuntur ai modifiationem illius
vocalis, tt quod purus lonus non SIGNIFICAT, (bni modulatfo SIGNIFICET vt in
Mctaph. doccmus, dc nominum impositione loquentes m Non reftfc Grammatici
dcfiniu DtSyUaba cft comprehensio literarom sub vna vpce& vno spiritu
indiftin* dbo prolaca. Nam syllaba qvando que constac ex una litter;: vc
prima Wmamo. Nec dicas, habct ordiocm ad comprehensionem subrcquentium. Etcnim
prscpofitio noti hjbct ordincm, ncc,vocatiuum, imo est aliquando litera, 5c
syllaba et DICTIO ET ORATIO. Igitur noa re£le dicirur syllaba comprehensio
literarum, sed potius diccnda crat particula vocabuli roni partcm pctfcctam facicns.
Et cnimiiulla cpnfonans potcft faccrc fyllabam, quoniam pcrfc sonum
(lonedic, niacum vocali. Vocalis autcm cdit. idc6 potcft; c(re syllaba.
DevocsMo] {.farte.^rammatks. Vecabulurne A fonm ort ani^alis frolatus
naturalfpus inflrumemis formam, d SIGNIFICANDVM aliquid fim^U^ mmie
conaftum. Ponitur /ijwif tanquam genus j Omnis cnira vox sonus est &noniconucrfo.
Dicitjar^/rv&rt/
w minutlr ad differentiam sonorttm, quQS ventus et tuba, et rcmi, aliæ.
queres, cdunt 5 qujc pro pric vocabula non facicnt. Pici- nii*
natuntlihus inHrumentis fomtafut » ad diffcrcntiam fonorum, quos anmul cdit AD
SIGNIFICANDUM, scd per instrumcnta artificialia j qualiafunt tympanum et tuba
6C campaia i quibus ab cxuinfcco im^onitur SIGNIFICATIO iattamcii Uit, conim
foni vocab-.ilanon funtiquoniam nec pcr natural/a inftrumcnra.ncc
naiuralitcr formantur j (cd pcr artificialia et anificialitcr. Additur,^^/ SIGNIFICANDUM dctcrmirutte
conceptum vjc?:tis, nd cxcludeJum voccs.qua; nihil dcicrminaii
ll5nificanr,aut cx naiura.ficuc intcricdioncsincq e ex im- pofi:ione,
ficui ncmina et vcrba. Scd irdcterminate v t^»/^ f.rf. Et prxtcrca ddhin
ial/.ptid fimjjlex mcnte conccpitm-^ quia i:-itcric£lioncs,pafl*ionc5,
&affc^ioncs, dcdarant coniplcxcpcr modum oraiionis, nonpcrmodum vocabuli.
Vc- .liim cnim vcro quidquid mcntc apprchendimus, pcrfonuin imiranteTJ
iHud in configurationc litcrarum cxprimendo, vocabulum facimu
Vocabuiumautcm vocatur TERMINVS apud Logicos, quia lonos confufos 6c
indctcrminatc SIGNIFICANTES ad aliquam ngnificationcm,qua ita hanc rcm, et noa
aliijscoiifusc fimul intcllic^amus, contrahit. Diciturdidio apwd
Grammarieornu TrrctttrTiiuClXiim di£lio. ctiamvoca* curoiatio,ne dum
parscius, Tfot fnnt genera vocahHlorumyquot funtpaytes orationis
immediate. Oratiocnimcx vocabuHs componitur immcdiate, cx
litcris vcro et fy llabis rcmoie, et rcmotifiiræ. Quem admodum mundusimmcdiatcconftat
cxprimis corponbus, vocjtisclcmcntisjtanqiiamcx vocabulis: prima autcm
cor- poracx caufis matcrialibusadiuis, &idcaljbus, et formalibus
tanquam cx fyllabis. Caufa: autem mifta: cx propriis particulib tanquam ex
litcris. Vnde LUCREZIO corpuscula indiuidua literis comparar. Quapruprcr in
(cqucnti ariiculo tra- anntcs dc orationc,fimui omfiCS partcs
cius,acproindc voca- bula coDfidcrabinius, Liher primu^s,
J5 Gcncra eigo vocabulomtn feptctn sunt iquoniam partcs orationis per feasc
fum iioaiiiter reptem. etenim T)e ^HArta parfe Grammatiu, hoc i[l
dc oratione Caf. j. Axt. u Oratio vocabulorum compUxio, ordinata ad
mamfefiandum quidifuid animo comfUxe concifttur. QVomm vna
di&io fiu vocabiirum non (kch oratio^ lem^nifi rubauditis
pluribusdiSiombi Vt cum qnis •inttrrogantijV// fanmy retpondct . volo,
pcr vnicam diaio- Hcmiquxviriutc contipctpronon)cn,&
nomcn,^^;;m. Picptcrca diximus clTe orauonem complexionem vocatulo»
rum. Addimus fri//>7fi/<?raw : quoniam niii ordincntur vocabuIa, noii
fjciiintorationem. Vifidican :volo Pctrusfcrum,iguur,cun j&c.nihil SIGNIFICATVR
SIGNIFICATIO corationis. Dixi, ad manifefian dum quidquid concipitur
rnenti CQmplexc 5 quoniam^ prmsc Qncipimiis animp fimplices,4
dcinde vocabuiis manifeftanMisjQK^qnci tta vt,^tiQK nenn conceptusexprimant.
DemH^Nm^^imus res coiC ceptas,vti funt in natura,& facimusorationcm.VbcabuIær*
' go (ignificant restoratio complexiones rerum conceptarun9.i.,
pendix, diutfioqne orationls in confufam\ ^ diHm Ham. VpIcxquidcmc(loratiCi
aIia confura, aliadi(\in£la. Confi^ia fitabfquQ vocabulis, lcd folum
ligQisclIca tantibus animi pjflioncs, notioncs et afFedioncs. Vnde
i Grammaticis vocaturparsorationis 6c intcric^lic: quoniam aliis partibus
orationxs intcriicitur. Scdnonrcftc. iccnimctiam fola profertur
intcricdio vocata: et fignificac totum quod oratio, fcd confiise;vt ciira
ridcns cxprimir, ^h, ah.ah, Et admirans, P^tpe : 6c imprccans veh\^
plorans ehu, Quaproptcr non rcde pars orationis ponitur, cum fic oratio,
ficut cumdico idcm valcf,ac, cgo pioro &c. Oratio
autcmpcrfcdacft, quardillindc (ignificat et pcr partes qiiiJqiiid
mcnsapcrirc vult. De partibm oratioms dtllin£ia.Sunt
partes.JlTMioms Jl^e99^nomerf /verburril fartictfmm, fro nomen, ad nomen,
adverbium, conimctio. Probatlo et fufficientia. OMnis cnim
pars orationis aut SIGNIFICAT ciTcntiam rerum ficcHnomcn, didumquali
notamcnencnti^, vt homo. Aiit fignificat aclum clTcntia?, 5c hoc facit verbum,
vt: “amo” : didlum a vcrbcrjtoære, quoniama£lus prc- ccdir abcficntia
foras, icwx vox in ærcm. Aut fignificac a(flum fimiil cum cflcntia j et fic
cft participium, vt amans, quoni.mi partimaiflum dcnoiar. Aut fignificat
pcrfonam cllcnticr,& ficcft pronomcn, pofiium loco nominis.vt
cgo, et vos &c. Aut fignificat rcfpcdus intcr c(fcntias, et circun-
ftantiam,& modum^& fic cft adnomcn, fcu pia? nomcn, vt contra,
propicr, cbm et c.qiioniam nomini prarponitur SIGNIFICANTI ESSENTIAM. Aut SIGNIFICAT
moditicationcm et circumstaniiam adus. Sc ficponituraducrbium;fic
diftum,qi)oniam ftat iijxta verbum sigmificativum adus cuiulquc :vr
bcrc, foniicj^: intcridic: :dno Qicdc.: et SIGNIFICAT
:xpriniit|ii itur^cimilit > plofo
&c. cntiam rf- cftcitvW' afius prc
f bcrci. Liierprimus. mj forticer» heri.bis dec.
Auc coniuagit effentias inter/e aut adus incer fe auc efiencias cum aftibus, auc ipforum complexiones: et fic
vocatur ^oni un£tio, pars fept ima s vr, &tenini, igicor. De quibus
figillatim dicere opor. tebic. PArriumorationisapud
Latinos,alia:funt declinab les, vt, nonnen, verbum, participium, &:
pronomen AJia: indeclinabiles,vt pra:pofitio, aduerbi.um,8c con
uindio. Apudquafdamnaciones alicer. Declinari
dicnntur, qua: in fine variant fyllabam att irariaciottenr MODI
SIGNIFICANDI. Qua; non varianr modum, nec fiineiio vocis,dicuncur {nondedinari}
apco' VQcabulp, ex corporalibus fumpco. NOMEN est vocabulum,
pars Orationis declinabiiis vel particulal>ilis, significans ej OR*hciam.
cuiufcun« quereieximpofitiqiiie,. Quoniam de nomine, vi Oracionem
in^redimr, cia^ ^Aac Grammaticus: propterei definttor per hoc, quod
eft- vocahuhtm,! tanquam per genos : fed ad ^xpli- candum vfum
dicitur, quodeft pars orationis. Qupd ponitur loco declarati generis.
Deinde dicitur decli- mbjUs^^d diiFerentiamprasnoniiniSi6c
Aduerbij,6cCo£^ i $ Grammatlcalium Qtmpanellx]
ittndrlonis, qu^ non declinancur : qttoniam dicunt vnam modo
circun(bantiamvautre(pedum, aut modificatio. nem e0renciarttm, et adttumeoram.
Nttlium vero dicit essentiam quac plures refpe&us 8c circttnftantias
habet} vndeoportcat ipfum declinart IN LINGUA LATINA, et CASUS
admiteere in fine. In ahis aatem lingttisrhabet pro decH- natione articulosjhorum
cafuum notas, quod nuUibi Kabent Aduerbia, Adnomina» 5c Coniundiones^vt
mox aperinius. Propterea non eft de efientta vocabulorum
efledeclinabilevfed vel declinari,vt apud Latinos j vel arciciilari, vc
apud vt tlgarcb, et Hebrxosj vel vcrumque, vtarud Grxcos.
Dixi ^gni^canr. difFv^renciam confignificantium. Aduerbium cnim et prononien
et prienomen, &: Coniuncliio confignificant aliqua circa e{Ientiam.&
adus: nonautem fignihVanrnliquidrarum. Dixi (ffemUm. f\ A
diflPerctTtiam verl3i,5c participij quæ SIGNIFICANDUM, 2c efTcntiam cum
a<flu Itemque pronominis, quod mdiuiduaiitates& particuiaritateseircn-
tiæ (ignificat j et non efsendam immediace »nifi vc perfo.
nacanu Dixi tandem, '/iif^« >/fei>9 Quoniani Nomina CC ^erbaab
intellec1:u imponnntttr AD SIGNIFICANDUM, et non ab animi affecflione; quemadmodiim
interiediones, qu£ nulia incellefttts confiderattqne expe^kata»
foras promontttr« Vrimum (orolUnum correSfmtim dejini
QYiipropcer fallttntar Giainmatici, dicentes nun ej/e fJrtem 9Mtom$
dedlnaiitm ft^nijUdtuem fubfianiidm, autifnsUMBm pofrism vel eewimnMtm
emtt cafu. Non enim folam fabfbmtiam,aut qualitatem, SIGNIFICAT Nomen,
fed omnemefsennam jkilicct et quan- ucaceiu^ fotm.am;)&aAunij^
adionem,6c paiTiQuem, .,j,.i^'.d rimilitudinem A
difnmilitudiuem, Sc Relationem, et >^on-ens. Et enim ScNon.entis datur
crscntia ^faltcm •^iQt^llccflUj quamhocnomen, «//'i/KW^ fignificac. SIGNIFICARE
SUBSTANTIAM et quantitatem et qualitatem 6cinruperomnia alia pixdicamenra, est
essentiale nominis: sed QUOD SIGNIFICAT propriam. vel communem, eft accidcntalc-,
nec ponendum erat Grammaticis in fua definitione j cum nuUi fit vfm, ncque ad
noicendum nec ad diftincruendum. Simihteretiam SIGNIFICARE cum cafu, accidic
Nomim in aliqua lingua qualis est latina ScGrxca. In Hebrcxa enim, ITALICA
VULGARIS, 6t Hispanica 6c Gallica non dantur casus nommumi
fcdarticuliipforum cafuumloco ponuntur. Sicucetiam '&: Noinina Latina indecIinabilia,
et finccnfibus, vtceUe U coTnu\ \r\ fingubri. Ergo falluntur Grammaticnn
definitione et efscntia Nominis. uotrnodisl> JomenfignifimeJfentiam.
Orrb Nomina fignifican tomnia prjcdicamenta^qua- tenusfunt
cfsentia:,nonautcm vc a(^lus. Siquidem albefaaio cfsentiam a^ionis
dicirj& albatio paflionis; non autcm aftum,qui eft albcfncere,
albefcere Hoc cnim verborum eft Præterea Nominum aVuid efsentiam
puramdicit, vt Amor, 6c Homo aliud vr ad iunaamal- teriefsenti<j; vchumanum:aliud
vt conccrnit aclum in omni genere. Quod vel e fsentiam aa:ionis, fcu
a^lus, vc li^io ^amatio, au3itio, wc\ efsenciam patienci5-,f »r^,
treatura, amatura:vc\ essentiam instrumenti aausjvc amAtorium, anditoTinm
Jenforium, potef^atorium, qonu-o- tant. Aliud efscntiam, cum
poffibilirace aauiarvc y//- lefa Biuum: aliud cum pofiibilitace
poffibilicace paf- iiua:vt caJefafHhile : Mud fignificat efientiam
ordu natam ad a^am, exiftcntiamquc vel PRÆSENS, vc C ii
p “amans”, vcl prxteriram,
\iamattis, vel futuram : \Z'amX iur:4S,6c amandus. Aliud totum negotium
circa adus, ut nego aamenttintyteri Umentum arfvamentumyVvAgo Paf*
lamento: aliud totaai ncirotiationis 'aut entitatis com-
prelienfionem,vtfl«//<«/^*^», notamen examin ^ Yulg^> effame^
canamey gentame » et canaglia, rifri/agliaisMvid .xem cuni efficientia
istnetificum dolorifiatniyfrelificum.fic quxcunqueexfacio, &re,qux
fir,coponuntur; aliud cu plenirudine, roecanditate viamofofiKm vinofum vm» iro/ttmtilmd
Nomen eflentix comparationem infoper confignlficat}Vt vinofins^^ fottior\
aiiud fuperlatfonem vtviniflsfimus ^fortifiimnu Concernunt etlam
Nomina <](uanritatem cxprefsain )fedajMid Latinoi foliim dimi-
nutiontmwt i)»munculuty mMsufcuks, Atin vulgari lin- gua etiara
amplificant: dicimos entm “signore” “signorella,” “signora”; {X,o,Stgnorotte “signorino”
USggnorotu, Primum Itfnpl^v^.H^^jpTi^imimiii i 11 irllfiiTimpllfi
C4tj. quartum fiiblimati quintum mihuit ex parte abC
queaoie^lione. Patet autem > quod differcntia flexionis, et finitionii
vocabulorum indicant refpedlus addicos cfscnciis j vti mox. deriuando
confid Qrabinius. . Diuifionem fortiuntur Nomina ab cficotia
aquan- titate, anuniero, ab ordin e, a fexu, i formatione.
Diuifio /. ab efentia, feu eJI^MiaU^:Ominum Aibft^ff Pumin >
aliud^j^il^* dinum. Lihr ^ritaus NOMEN SUBSTANTIVUM est, quod per modum subsiftcntislper
se, significa c j ut, “homo”. Nomen adiectivum est, quod per modum adiacentis
jilceri significa c* vcalbus,d: ut “humanus”, et rifibilis.
ERgo duplexeft Adied^iuuiHyalcerumrubflantiale folaquevoce
adiediuum, vc i^ir/i^iM/f, et hBhta num animse idiacens j cum dico » Amma
raihnalis, vel humana. Aliud accidencale9 Voce2c re Adie£liuum.vc
maUgnum^ 8c d^flmn adiacent anima: vt cum dico» Ani- msi cfl maltgna vel
dofla i homo albm. DTuifioprimafumiturredcab efrenriaNomjnis^quas ;
est SIGNIFICATIO. Et quoniam res omnis aurefl: substantia,
(cueffentia,ricucAtf«ip2c rr/^w^if/a/jaucaccidens ;, fubAantix- feu efsencix.
vc albuSyhCli^eu$\ cum dico,' / homp eA albus : crianguluscft Ligncus*'-
propterea omne. Nomen auteftfubftanciuum, aucadiediuum £c !y Aib- ; ;
ftantiuum, idem qiipd eflentiale in hoc loco. Vnde al-*?h. ^ htdo eft
fubftantiinim, duoniam gnificac pcr modum fubfiftentis,
licccalbedil^^ift^c.res fubfiftcns in fc, fed ^ in fubiedo corpore.
GrammaBt!ti^innen refpicic modum fignificaiiai,nonrenifignificacam:ficut
Metaphy/!^ Aibusvero dicitnradie Aiuumsauiaper jfenon figniii. cat
fiibfiftens,fcd inhacrensacciænfbue^Iten. £c;pro« ptereætiamly sationalc
hpinini eftfftdicAiuum :n$m licet fitfubftantklcicciindumrem : tamcn
(ecundum 8e fignificandi modum videcur adicdiuum, vt accidensr. GRammatici
dixcrnnt, Nomen rubflantiuum efTe illud^quoddeclinaturpervnam vocem,
&; vnum articulum, vc/^/i:/>orV^«: vcl per duos articulos, 6:
vnam vocem,vc ^/r^c^/j^r^i^mo. Adiedliuum ver6, auodper tres
articulos, 6c vnam vocem : vc hic, hac^ hoc fsliK' vel per tres arc.&
tres voces : vr hacacerjjæacris, et hoc <rfrtf •velpertresarc. et duas
voces : vc/&i^, tatU^ n^Us^Schoc rationalei vcl pcr tre$ voces
:vc^pfl0;, jtf»^, bonum. Sed quoniam lingua latina non recipit articulos ficuc
Qfxca, deciaracio ipforum eftnulla. Vnde multiGrammatici non vtuntur
articulis indeclinandoi Vuigaris etiam Lingaa nonhabec-nifiduas voces^ vt
plu« nmum in adie(fbiuis : vc kidiUB ^tiL kUntai^in pluralii
hianchi hianc^iej^^saj^xxtx &: I lifpa ri i^ i^rab^s^fe Hebraci.
-PfxtereaHeclaraiio ipforum non d^i nacttca No«- imnam^feda (Igno
adiacence)& vftt; Vimjio 11. Nominum ex qtiantiMt. Arck
IXL. Nbminnnalittd commune) aliud propriom. NOMEN COMMUNE est, quoJ
plura Itmilin fimul significat, ut “homo”. NOMEN PROPRIUM est quod significat unum,
ut, “Roma”,5c /'<r/r«ij& giQptereaciiam vocatur particttlare, &pcrloiiaic.-
Hi£c<Uoifibdici Cttriqoanthate, qaoniam commo. 4idcttr
de. multis. N^m “Petrus ed “homo” “Paulus” c^hnmd Vrancifcns efi homo,
Propriu vnifoliconuenit vc “Roma”. Non cniin dicicur Roma nifi ciuitas
illa, in qua Papa regnat.F.t qua- uis alia; ciuiraces polTint vocari Roma
ificut&ali, ho- mines eciam vocancur Pecrus; camcn incellcdus
luiius Nominis, X<>w^,& “Petrus”, refpicitvnum »cuiusefl: proprium.
Sed profe(fl6 grammaticalicer omnia propna pofTunc ficri communia secundLim.
vocem, feupera: qui vocationcm fcciis
tucem fecundum rem ; vc in Logica docebimus. Reclc camen hanc diuifionem
quancitaci adfcripfimus } quoniam magnirudo et mulcitudo in (1- significacionc
ad quancicacem spedare videcur Nomina eciam a pronominibu fiunc communia,
&: parcicularia, et singularia i vcjw^w /;<»OT« altquii homo\^ hk
homo'S\' cutfuo inlocodocebimus. Tslominum,
am?ncro. Ominum aliud fingularc, vt homo : aliud plurale, vt
bomines* . T T^cdiuifionon refpiciccolleAionem,&vnitatem^
XjLficutiam di^la ifedfolum prolationem. Nam A#- m9, cft Nomen commune,& gens, et populus
; pluræ- nim significac, sed pcrmodum vnius colleftiu. Et propter ealicctfit
nomen communejnon tamcn est plurale, icd singulare: hominei autemnumeri est
pluralis, quiaplu» raiicer profertur. £ t hoc in omni lingua similiter. Nominum, ix ordine. Nominum
aliud primitivum, aliud derivativum. i4 ^ramm Atlcalium
PRimiciuumell, quodanulIoefi: gramaticaIicer,vt;55-- moy et mdns.
Derivativum, quoclab altero deriuajturivt “humanus” ^h^^oxrnnt : sic “montanus”
a “monte”. Semper autem deriuativum est adie(3:iuum,auc verbale: primitivum xionitenv.
REclediflindlionem hanc ab ordine fumpfimus. Oi'- do enim est, vbi datur
primum et secundum, 6c tertium feriatim a primo^ercro quia aliqua nomina sunt
primitus impofitaadaliquid significandum substantive: dicunturrc£kc pr
iiiii ordinis : qu x vero ab eis, dicuntur deriuaTT, ficutriuus a fonce.
Ecquidem datura deriuatione etiam deriuatio. Nam a Marco deriuatur
Marcel- lu5 ra MARCELLO MARCELLINUS Ec a lufto luftinas .drufli-.
no luflmianus. EtquidemJy luflus/umirurfubfiiantiu, quarcnusab
eodenuaturluftinus &Iuflimanu. Non tamen inuenies derivatiuum, quod non fic
adiecliuum, vel. verbale "i patreenimdehuacur paternus
Scpatrizarc. DAnturNominapofitiuajVt iu^us-H. conaparatmai vc
iufii6r-H fuperlatiua, vtjuffifiimtts SIGNIFICANTIA magis iustum et maximtiufi:
um, et hoc apud Latinos, non incundis linguis. Et quidem compararivum
derivatur a primo cafu. definenTeini.fi.n.itf/ fiaddmius ar, fit
iufiioribifort} Jortior. Ar superlativum regularirer deriuatur a pnmo
cafudefinente ini/, autinr,^. vtkiufiif; et fdftis 'iufiiJHmuf,
ftrtifsimus - et a miftr., miferrimus. EXCEPTIONES LATINORVM. Excipiuncur
hnitt,malus paraas ;;.v;^nflj: ex quibus noii deruiarur bomor bom^\mus^
5c walic) ^f.^ruior^ ma(^nior ^rnaUfr-nus ^faf^ifitmui ^waf^nipimu, lcd a
bona meitjr^ optimui ' a malo pcjor^fcfamui \ i paruo nntior^ mir,i-
mus : aaiagno, major^ maKimu!.F.xcipiuntur noniina desinentia in ificus y
ytmaj^ Tiifiius ^fiiakfcns hcncfccntue beneficus^ fimJia : 5c
quibusderiuanturw<i^«//ffr77//(;r, w^- gnt^cenn^imus :*nalif(€ntUr^
malcfcentifiimus : benefcen- tijlimes, et similiter in similibus.
Prsctereo excipiuntur qu^edamnominain desinentia vtfadliSyhL
humilts quselicec producant faciUof^ humlior it^n^en non ad-
iungunt^icem fafiltfiims kamiiifitmusikd fadUimus U humslUmus .^radiUmns.
Dicimas camen ab vtili vtiltfii'- iffffi.^pudPliiiium. In vulga naucem
lingaaperadiier bia gtadaadcur, vt fi^ Bonp i l piu h no : ntb
pnrfidiu ^o9i;/^m^i>9r^/jfim^ Gailic^ vetbYm 609*
qaoDiamtercio gradu dift^tfuperlat. apofic, ' Grammatici b an
c difti n^lionem vocant /peciei,vndc dicunc prnniciuam speciem, et deriuaciuamrfed
c^nn fpecies fitid quodfub fignato genere ponicurraut rei
apparentia : cum hanc diuifionem non ponant fub gene- reafHgnato vllo,non
rede fpecificam vocant. PofTenc cnim limilicerdiccrcipeciem fingularem
&cpluralem: 5C et deplinaCLoncs eciam fpecies nunciipare. Philofofhifma
Grammatkdtiqnis ad diriuationes. F DEriuare'6ft rluum de foncc ducere.
Fonscficntii rcrumeft, vndidacicarexiftentia et adasexiftcn di,
adtuaodii agetidi., fic natioulL Idcirc6 ex nomine, quod efrcnciam
fignificat^cleriuatur verbum. Nec potefl:inueniri verbum, quotInon fit a
nominervt cnima nominederiuatur« (?w/«<«r^,itaacaIore caltre^
caUface^ y^rafrigore rw/r/V/^^ i
ab amore amo :Avita viuo^ abho- mine homifico erenim vbi non extat verbum,oportec
illud fingere in GRAMMATICA FILOSOFICA; vt a remo-igare : a capite capitalare -
a manu manej^pare dicimus in vulgari idiomate, vt a patre fatri\\ars
icc.fpaU leiiare campegparey fefleggiate. Veruntamen vbi prius reruma
<flus, quameflentiain- notuit deriuauimus nomenA verbo non secundum
naturam sed secundum neceffic a^ex c/^; Theos i, vidco dici- tur5^£;5
Dr«;:&a lego dicitur lcFfor-i &:adiligegere dileUio. Essentia enim
diligcntis qua diligens est, nomen non haber, ficuti multa, quorumeire
eft adic- ctiuumnon fubfiftens. Quandp veux^ilVnm ctTmftro~a
e- xiflendijVel operandi,vel agendi,vel parrendi fimulfignu
ficatur,tunc ad vtrumque fignificandum fex nomina par-
ticipaliaderiuanrur. Duodicunt pocentiam adjndlum, \l\amafjilc Sc
ajnatiuum : fuFiihile et faBiunm, idefi: quod poteflifieri 6c quod potefb
facere : 5c duo significare frentiam cum adlu prxfenti, vt amam et amatum,
portans et porcatum : duo vero cum aclu futuro, vt amatnrum et amjmltirK ifiiFlurum Sc faændnm, ideft quod
facier 6c quodfiec. Duovero præteritum concemere aclu cuni cllcntia
debcrcnr,qux tamen IN LATINA LINGUA non reperi u n tu r -fed lY^wrf///'w
ampliaturad prxfens &prxterr- tum sicut et ly amans. PofTet autcm dlci Amatutam. et Amarans,
lcclntum et ledatans :porcatutum et porcatans. Qui ergo linguam perficere vult
confideret. Diciturtamen inaliquibuscacnatum,ideftquod cx- n:\uit,8c quod
cxnacum efl : fed confufa aclione cum paf. lioTie per inertiam vfus,cyranni fermonum : non
auteni rationis,qux Rex efl sermonum. Quando essentia non cum aAu, sed
cum virtute ad aclum dicirur, dexiuamus nomcnaliud in torvt Ai^ator, tr
«dificatoivideftqui arcem5c yim ardificaudi babct vci profefnoiicm. Rurrusqtiandoinftrcimen^m
vel a!iquid 4nftrtimen taleadillum adum, enunciacur deriuamus nomen aliud inoriam
tfinemy Viam dipnvm JotttMium exetutc^ fium^fcnforiumy potiftatorium appetiterittm.
Deriuamns in Mum &a^iuum, quando qiiod de gVr nere maceriali alicuius
eft prohunciamus, vcfa^itium, nouititium, commendaticium, {litlaticium&Tulg6
niOr uitizzo, compariccio, acquariccio, 7 Q^ndo mocium efTentia:
cum adu: in«r<<deriuamus, V t /^.r, genitura, creatura. Quando congeriem
elTenriaram et aAuum eiufdem generisin entum dcriuamus vocabulum, ut “firmamentum”,
documentum, et monumenium vulgo par» lamento facimenro, magiamento,fentimento. Item
cum pcrtineraliquid adefTedicimus, in ile &ale, deriuamus : vt/6m/^
ab hero, feruileaferuoiliumilcab humo, ouikab ouibus : b(aciiiaIeabraciiio
: exiciale ab exicio. Quando ipsu adu, vt cfTentia &q
m'ddita5.eft,Tel in ufl vel in ia vel aliter deriuamus vt Amorjlanguorjdoldr,
fa- pi£cia» do<?l rina, led io,amacio,iu fti tia, focutip, difFcritas.
. Quando efrentiam plenam adu, in entia, vt mdQlen^ tia patientia, conniæncia)
fomnolencia, pracfentia, clifw ferenti A^abrentia. Qua:dam dicnnt
eflenttam 6e curam uBlva^ in aHmm deiinatasTC Armencarius,
Cbriarius,Commiflarius,de« pdfitariasjlonuius^ 6c vulgo ftafiiero Caaaliero,
fi)mie« ro&c«^ Qusedam dicunt cflenti et a<ftusfimulmunus,
£c iii ifl»«deriuantur,vt “lanihcium”, “opificium”, “di/ridiuni”, puer.n.
perium, “pontificium”, “sacrificium”, “presbyterium”. Quxdam comparationem
dicuncadie< fliuorum, quiedaniiu perlationem m /«r, 6cinij7itai dehuaca,
vcio ftior, iufl:ifTimus, aiufl:o, &c, ii][u^dam dimiautionfim.
ia mkm et vxiUm lum, vtwi^z/i^^a/ai^ peclurculumj corculumj &mollicel- lum, marceilum
rcribillo, refocillo&c. Qu^c aucem iiKlinationem,cum adus
deleflarione in cfurn deri uauc ^st,amor9fu>Si fragoftis J carnorus,
vinofuj,, faftidiofus. Ac in lingua Latina non reperitur verbum
& nomeft has omnes derijuationesiiabens. Picimusenim, Amol\ aman
s, amatum^ amaturum amandum amati^um, “amabile”, amacanumtamatop, amaciflimuus,
amantior, sed deen: amacio, amamencufn^ amaficium, Amatura, Amanitia,
Amorofus. amaticium jamæile :qdxtamen aliisnon de funtvbcabuiis»
^ In vuigari linguadefimt dqriuationesiiiiiltx^fed alix Mifupcr
adduntur. Nam alfignpre dicinius signorone-,: signorazzo«figQoreito, signorino,
signonizzb, fignorclrr lo, “Pietro” “Petrone”, “Petrazzo”, “Pecrocco”, “Petrino”,
“Petrillo”, “Pietrazzo”. ^r^iriTfff iHdirmd^nii iiilinpni al ti
tudi- WMrfiprifaz^^o'^\^t\t\xA\n^modtcam dimi^. nutionem
(finorinj^fXus minuic 5c fegregat. Stqrjore/' h,zd ceoericudiiieiii
imbecillam traliic. St^oruz^yO ad minimura, Suinta nominum dimfio a
S^xUr^ Art. Nominum aiiud mafculinum /aliud farmininum, a* iiud
n^ucrum, alittd cc>mmunr,aliud omne y aiiad promifcudm
^aiiudincertumi; 'Otwenniafbulinumcft qwod mafculum in fexdi^- rum
fignificat: t4>jagta,& dbu*.. Et dcdiDatiir per arti culumbic. Latifiis,
vuigopeiri/. e"'Fxmininum.d[lquod ramiioam fignificar, vtfi: et alba
&mtt Uecd£. defignaaturper articalmiH i&^A Vulga per/tf.
Ncucrum,<iuod'^ecau^ f«minam fignifioar, iFtcleclinaturper
ai^iculuno vc ftudiuiti^^calbam» ][acionale. 4^eftiVi vulgarifennone
arcicttlusneurri. Commane quodfimutma fcuIumdC&rminani figoifi-cat:¬atur
perarticttlumJ^i^ et hai homo^ti adue* ni;&'ratidnalis» »
Omne eft quod fignificat mafCttlum, f^niinam, neucrum: 6c
declinatur pertres artijculos, vc i^ic &: /;/r<: Promircuum, quod
fub vna fcxus (ij^niflcacione Hgnificacvtriufquefcxusanimal, vc
hicPaffer,ha:caquila secundum vfum loquendi. Incercum quod nunc
mafculinc, nunc fxmininc pro- nunciacur Wi&4r^£uiis^.tamlacinc, quam
vulgariter, Qunnmisresomnc'in omni rpecie.iubeant-aliqua' indiuidua
fortia, vta<3fiaa in generatione aliqua imbedlla dcpaffiua in
generatipne^pr^fertimanimalitim Larinitamen vfumrermotitsprsd scientes jionragnofcunt
fexumn Lfiioanimalibur. Etex his cradiaxerAmcad plaiv ; icas. Pydiagorici aucem
(exum-ip x^undlis a g n ofcttnc r^r bu$ : ira vt agens fit mas, patiens
£emina, materiaque.: ammatici raiiien in omnfveliocoonagnofcences, dti-/;
fftpbj^run^ fettti1i>gc i^omen maribusr &mininutnffim alias
tranftute; nittt. Qiiaproprer Z)^»/ ^?te4ttt4iiafcul^, terri^
fx^ mininc: Sci^vis mafculinc, fa:mininc, quoniain bis adioin
ifli^.pa/Iiorelucrbat. At in rnultis (^enus non ponunt,ncque.'enim ftudium eft
mafculu.s aut fxmina, &rcdc. Sed rebus fxmintisaliquando danc
vtrumque nomen:Aqua enim dicitur />wy^ flrminine, lateK
mafculinc : et quidem aclus voluncatis vocatur-appetitus mafculinc,
auiditas fxminin^ : et defiderium neutrali ter., Scamnura etiaponjcurneutraliter.cum
potius Avminine idebeac ponii qttoniam ittbfiac^vc fæmina
fedencibuSft Di^itizecJ by Go Quapropcerdiftinguendficftde
feJtoPhyfico &c Grammaticali. Pliyficcenim non daturfexus nifi
mafculinus et fxmininuSjVt in viro 6c muliere:^ promifcuus, in
hermaphrodito, 6c in lymacibus, communis :nam motus vehemenriscft mafculeus,
debilis fxmineus. Neu- trum autc nil videmur dicere : non enim proptcrca
quod noncftmas nec fxmma eH: aliquod genus. Sed porius eftnullum
g;enusphyficum. Sed grammaticalirer dantur fexusplurimiiam di<fti;mafculeus,
fa!mineus,neutcr, communis,oranis, promifcuus, &inccrtus, fecundulo-
queadi vfum, qttinon semper nacurac correrpondenr/ed plerumque,in
Grammatica humana Grammacica aute Angelorum melias exprimic&per
cercasvoces cetcos fexus &veracicen Sexum Grammacici
vocanc genus, nbnredevi^on enim funcduogeneramasft &minat V^in
logicapate bic. Nomtniim ajbrmatione
Nominum apud est formxfimplids: aIiudcompo(i« cx : aliud de compolics. Nomen
simplex est unius vocis, compositi pnis ex- pers, ut “animus”. Compositum
nomen est quod ex pluribus nominibus, componitur j Vt “magnanimus” ex
magnus 6C animus. Decompofitum vcro eft quod ex compofito
deriuatur, non additainterdum compontioneaUa^vc Magnammi-
exmagnaninio. Onab re hanc distinctionem ex formatione voca-
accipimus. Cumenimres alix conllent ex NOni simplici forma,
llcut aqua. cuius oinnis pars est aqua ob ^lDriginalem homogeneam
formationem. Aljx conflcnc "{^tyi
comj)ofitaforma,ficuti pirum ex circulo Scangulo. Alix ex pluribus compositis,
Ilcut facies hominis ex forma oculi et nasi et genarum et mandibulx, 6>:
auris, et ceterarum partiumjita euenir coportet
vocabulis in fui formationious. Forma enim totius ex formis
partiuni; formx partium ex vnitatibus resultant simplicium formationum
ificuciin logicis declarabimus. Vocatur
ctiam figura a Grammaticis simplex composira iquos non fu- nius
imirari '/quoniam formatio propnus quam figura remhanc elucidac. '
Considerandum quod compositio alia fit cx nomme &nominevr
“magnanimus” ex “magno” ^canimo ta- ' •r^-La ex nomine et verbo, vc “magnificas”
ex “magno” et “facio”, j aliæx nomine& propositione, vt conferuus ex
cum fic seruo, 6ctranrpofirioextrans& pofitione: Aliæx aduerbio et verbo,
vcraaleficu5& male&:ficio :alia ex aduerbio 6: nomine vt beneficium. Accidentia
communia omnWus Nominihm. ACcidunc
nominibus declinatio6( cafuSjinllatina- Grammacica.;
C G Casus est mutatio noixiinis in fine Teu cadentia di."
dionis in eodemnumer 6,vc Pecxus Peai Pefro. DISTINCTIO CASVVM.
CAfaum aliuseft reftus, qui nomina dnu$'vbcatun quoniamonmis rei nominatio
primainipfo est. Alius obliquu^quianon adres fblam nominationem, sed
enn m ad aliquid circa rcm fpcdat, &: cfl quincuplex, videl
Gcniriuusdaciuus accuIaciuus, vocaciuus. 6v ablativus Quibus debet addi
aduatiuui, vocatuja GrammacLcis feptimus ca(ufi. Nominativus dicirurcaftis non quiacaclit
ab alicjuo, sed quia in finc aliam cadentiam habet quamahj et rcclus dicicur, quoniam
reda nominacio cfTencix per ipsum est. Alij dicuncur casus, quoniam a nommacivo
U, ledicudine sijgnificatiomscaduntj &nraulinfine mutant cadentiam. Dicitur
gcnitiuus a gignendo, vel quia primus gignitura redo vt quidam volunt, et hoc
minime. Nam poctac non magis ingcnitiuo quam in datiuo dicimus, dc- Patri
<i4i/i««i, vicmior eft pzter ^cminjtiuo, qu.im patris. Gettitiim Si
quiadditvnamlitteram fupervtrumque. Sed dicicur genitiuus A
gignendo.quoniam pactcmjip geni- stiuum poiumus cum nominamus fihum
morenij fibrum, 'Vt Pl^tfUsIoannis filius. Sed non solum patrem,)[fdpofr
u. ' fe(rorem,& fubieaum^^^ 5c aha?^luto|poDfe/ fxpe in^enitiifo^v
<}uon1am luri^ijf|if^jpfBkm i|« }$tn cum patfe faJtem
Grammw^em^" » nefcierunc vocabulum explicans omnia. -
ad adhunc cafum pcrtinentia et declararunt eum amaicri Dici
cur dativus a dpiiando, quoniam ille', ciH quid datur,
poniturintali.carttplerttmque»ticel i^itcrdum&tui aufertur
&, cuLtimetur56cc. Accufariuus dicitur abaccufando, cjuoniam patiens.
caufa quafi femper in ipfo ponitur ; accuiatiautem cft pa. ti.
Accufareaucemciletiam adnotare&fugillarc. Vocatiuus dicitur h
vocando; quoniani ciim quem. piam vocamus, in iioc ca(u oblnjuamusjnomen,
vt 6 Petre*' Ablatiuusabaufcrcndo,quoniamcum abaliquo quid auferimus,ponnnusillumin
tali cafu.led etiam caulaa- genspaiTiuaibi ponitur,6c inihumenta omnia,
quibus, operamur, vtquibusimplcmus &:vacuamus,vt.loquentes deverbisJ declarabimus.
A(fbuatiuus ab acluando^quan- do forma.inftrumentum et pars indTnmcncalis
adum concexnuncimmanencem,vtini. lib. docebuuus. Non fuiRciuncpracfacrcafus,
qubniam Poc Hiæftno. minatiui, vocatiui/& ablatiui. Poeriveif6 geniciiii,
datiui in fmorulariter et iterura nomin.i& VocaCiio plural.
ergo alij aidendi crant in cun^s declinationibus, vel ftandiitTt
in.articulis, vel addendi. Nam cum vulgb dicimus j//>^i/fi/o^/-non habetur
in latino mCifMfi^ fhtts, qui n on exprimic quod3ir^idnuit,pr«fertim
inan- tlionomafia. Declinatio est - variacio cafuum nomin.um gene^
jracimt Quando nominain
finccadunc, feu definunt aliter, cum dicunt efientiRs, 8c alitercum circa
elTentias aliquid de illis dicitur in lina;ua Latina et Grxca : in
no- flrænim vulgari noneft differenriacafuum,fi?dnumeri tantum:loco
aurem differentiarum pooimus articulos, quibuscarent Latmi et abundant
Graccij et in hifce cafi- basnonomnia eandem
normamferuanc^leddeclinaoc abeavariando pluribus modis apud Latinos jin
vulgari enimnomiifi duo funtmodi,6canomiQadaisagnofcun. tur non i
genitiais, vc in latina » Giammacici cradide runc declinationes
nominum. DE NVMERO DECLINATIONVM. Sunt^titem Vfeclinaciones nominum fex: prima
caiaa i. genitiuus (ingularisdefinitin, diphth6gum, vt Mufa^ Mufa^.
Secundacuiusgcnifiuus fingularisdefinirinijon- gum vt “dominus”, “domini”.
Terria cuiusgenitiuus fingu-, Jaris definit in is, correptum, vt pater
patris . Quartn, cuius gcnitiuus finguiaris definitm i^; producluni, vt
vi(u5, - vifus. Qmnra,cuius genitiuus fingularis definit V/, vtfi- des fidei et fpcciesfpeciei.
Sexra^ cuiu.sgenititt^ifingulaxis de fiuit m ^, vt cornu cornu,: J,cfuS)
lefu. Nominacioos non indicac declinationes cafuum»]
quoniamconcingic ipfittti tpl«i^bus moJis accipi i N omina imponencib us,
cum prxfercimd lingpa peTe" mBain kuinam accesfianciur, fed in
geniciuo ccncor4^ danc, Bc io^cieceristpropterea a genitiuo babenC;
diftinonem -fingular em, vc Poeta poecas » Anchifes Anchi/se» Eneas Eneæ,
Adam Adæ, Aminchas Amintb«. H^ep cfmnia n6mjaa fpe&ant ad primam
decIiaaciQneni, U tiberprimHs. coniieniunt in genitiuo 6i opponuntur nominativo,
Seci profedo Calliqpe est prima: dec]inationis, &: concordat cum aliisin genitivo,(}uifacit
CaI!iope5,propterea. dicendum quodnomina purtlatina
conueninnt,externa vero variant in eadcm^declinatione: idcm
videbi&in^»^ 5.&^uai' cai declinatione«&x|uinta&rcxta. In
prima Latinorum declinatione n omi hati uus definit in a, breoe, ablatiQus
(imiliter in, a, longumVocatiuus in a;breue : genitious 8c datiuus in
ar.diphthongum inxe videturvuIgQS latinofumeriraire iomnis
(snim ^e^bet ab omni et /ineulo difbingui, quKndo præfef^fhi
non adeftarticulu5diuingues,nequeprontxciatio.Tgitur non tt6th
dati0us,6c Genitiuusin ^ddtniSt. Loco Quorii vulgares
ponuntartlcuIos^W&«i/, vt,del poeta&jal poe. tas,
icrrbirur.tiecre^ amnormft renuerutponentes poeta in nominativo, vocatiuo,
et ablativo. Nam necvariatur quantitas in pronunciando nominatiuum et vocatiuurhi
necfi variaturin ablatiuoagnofcitur j cum folum penultimarum in latino agnoscatur
quantitas. Prasterea in plurali latinorum numero prmiac declinationis
nominativus vocativus qacdermunt in a:, dipbth6gum, genirivus
in4r«wdatiuus, 6c ablatiuusin, longum, aut inabus^ cumA masculino separamus
fa^mineum fexDm : sed profedo nonrecflt, quoniam confunduntorarione similitudinis
cafus : idcirco diftinguendi erant faltem per arti- ' culps. Feliciores
in hoc ^nt Grxci vulgares vtuntur . articulis:vt nominatiuo /i peeti -
Genitiuo delli poeti: accufatiuo&/«^/i ^vocatiuo k ppni^ ablatiuo
daUipoe- ii. Sed non refticonfiindantartiailum nominadui 8c
acca&tiui. Secunda declinatio
telatitiisrationdlite Rdicuntenim Nominatkio Dominas^ genititio
Domini,djiduo Domi. . no»acca&tiao Dominiim, vocattuo ADomiiie»
ablati«. finiiDmMQo: Yariantnominatiuum iDus^Dciminas: in ' VE
ij i€^rdmmAticalium C^mpanelU, cfjVcmagiller : fcamnum in hoc
genere neutro con- fundunt nominatiuum cum accufariuo, vocatiuo in
«m:- et in plurali fcribitur in ^,hi tres earusdermunt.
Incertiadeclinatione nominatiuus multiplicircrvaria- turin r/>f
ponitur,in iz.vtfiElix.mo7j,vt Artneon,in f«,vc nomen,inrff,vtlaciin es,
vt Aucrroes - in,^,vc omntf : ia ^ y vt epigrammii : in, is, vt nauis :
quas in gcni tiuis- coniieniunrin,,ff»datiui^ ivis\m accufatiuis in,
>fed neutraomnia, vt innominatiuo r vel in, /w, vt nauim :m
ablatiuo in^/,v«liii«^cumcon£uiu>nedaiiuiy&aliqUan'- donominatiui.
/ Quartacieclittattbin^ irihaber nomtoatiuiinr, &genr.
tiu^m &vocatjiiuftinngulares, quoseonfandit cunnno*
ininatiulsvocattuis ficaccuiatiiiis p tttraKbus.dact.ttU5lia^ ' bet
in, ui, accuCifr iifff,.aBlar.hiv«r. Quint»concordatinr»ominatijuis
in,«^deGnentibus fcmpcr Sc geniriuis in cuncbs.io.t ^ fiid t.<i«i
£tfhdit genr- tiuoscimrdatiuisin fingulari. Aceuf. in,>w, ablat.
in, #, fedvocatiuu5ftnguIaris6c nominatiuus&accur. 5c vo- cat.
pluralrs confunditurcum nominat fingulari. Genitivi rcdc fc haben* in corum
pluralicer ^fcd datiui cum ablativis in- confunduntur>- Sexta
declinatio non ponirura Grammariciriponcnc fa- quidem: NihH .n. commune
haber Nominanu{^Ar«y,. cum cxteris prxfertim cum quinrn,in quaab eisponitur.
Nominat. genir^^iccuf. vocat. ablat. faciunt, a, fcmpor- in fine. At
inpJurali nominatiuo vocariuo et accuf in ^ vt cornua»^nua, vcrua»
Prxeereii. feli datiui con- fufi cuip ablatiuirpluialis» nu^eri ii^ iini
copucniua«c i2ttin.<]uæ/untcjuinteti ^'. A ' ' ^ N.
Hogua^ Qrxca St cafus {^iif^ScuIi c^^ tiaruo»
nominatarfiadualitiaiiei^*ln tatina' foii tSLfkp vuljgari^ IlaIa,Franci^
«Hirpana, H^breaAi Af abica, hl ai;tiajii Droptcrfast <ji*mil5 acciientia
> i^Juna exa^ Liberprimus] v declinadcmemeileVfiomi Qibus*
Igtcur nec^cnr^c.cJ'!- iMttiocUndis quoque^Laiinis. PRononi^ ncdvocabuIiim
declinabile confignjficiia^ perfonas, velperfonalia eifentiarum. »r . .
r; ^ E E T id circ a d i citur
prononcien ^yjoniaiia ponicurloc proprijnomuii. Rgo femper repwrfJntat
efl&ti^run? exilfeiai^s:, Yelexidentiamprimq, dt
Inredorefieiitiimiii^ b]iquo> (ecnndarick Dlcitur
pranotnen vficalttlam jfars orationis drdU nahilis, ficut& nomen ex
fuo genere, qui conuenit 'Cumkliisdiaionibus,&ex difFer^tiaabindeclinabilibus.
Non additur vel art)culahilis, quoniam / articuiorum 'iiobeftarriculus, pronomina
autem varticulifunt. Dicitur cofippiifjcat ferfmas vtl pcrfonalU
effentiam ad differentiamNomfnis& verbi: quor^im. iliud %nificante£.
fentias,iftuda6i:us. Eft aute pcribna quod
perreaIiquodparticuIari2itu&' diftincl uab aliis>& indiuifuminfe,fonatWPf/f«/
UfiU»S' frimui Martini, Omnis eQimres in-iiiis caiifis
habercC» ientiampuram^iicuc i&«j^oite meaynoneiirmiftaniai.^
tcrisc nequ e qua n t i tati,neque qiialitacibus ^erum coext^ ficndum^
NMcftin cera^M^iie inUgho, iiequemmias E ig. 3& CjrammMicdmn
CampandUl longa, eqa.e curta, nequealba, nequenigra,ncque
graiT cilis, nec craiTa. Sed cum Tentc d^ mence meaxdein&n.
tia^ ided ad eiTendum extra cunc noneft am]>litts pura/ed liabet
fiiarri p.erfoiialtcaijem mixm asm,aUisidDus,non . ei^Hmdicttur .A.Sed
hxc.A.curta,nigra, gracilis, &c. Sic homo in mente Dei, vel in natura,Tion
eft hic Jiomo, nifi cum perfeeftextra cauias,^propriamhabet perfo-
mm 3c,dicicurhic homo, 6c petrus,&ille^j5c;ille, et ego,<£c meiis nofl:er& aliqnis.
Pronomen ergo n<jrj fignificatefTcntiam fed perfonam, vc ^•(^o ^/«vef
perfo- naliavc mcustuvs. Et quoniam porsona eft c^frentict subsistentia, anr
singulariras, propcerea rcnipcr pronomen signjficat cirenciara, fed personatam,
vei perfonam elTeh- tic-c Aliquando 5c perdonalia, Cume^itp dicoyf/««j
jdf- fentiam significo, fed cum dico, fjliusmeus, significoeC.
fenciam iiltj perronacafmidell hanc&dam £t propcerea» vc dicicur in
jiij ii nn rtii wlUi i i i ^ [ in mm i Tn i ftu loco no- minis;iq|j^pniam
perfona^nonjeft perfona nificflentix ad extflrentiiip ^eciufl^. £t in
fecundoc Qrollariodiximus, qttO(f sigmfica*c exiftencias efrentiarum; quidauidenim
In rerum mtterfitate eft, existentiam haber, feanon fiib* itftentiam, aut,
perr<Miacn^nin fic substantia: vcAibum habec exiftencidfii \ ttd non
fubfiftenciam, qooisianmon exiftit per fe, Ted in perfpnaal^cuiusiyvel in
indittjdæ a^- qiiocorpore. Perfena c|ttidem proprii diciturdeiatip
nabilibus creatiiris ^ indtttidiium, et nypoftafis de cttisms creaturisad
exifteritiam dedu(^is. In rcdo igitur ponicur existentia, in obliquo
faltem implicito,e{r^ntia:'cum dicojille “homo” id est illa perfona
hominis etc. Ego Petrus: homoenim fic Petrus fccun Jano ponuntur j
&aliquando exprefse in obliquo cafu vt aliquis hominum, v.elquippiam
falis. Dicitur quoniam prohdmcn non significat de se, nisi una cum nominee ex prefib
vel implicito : vc cgQ. Petrus qrahicperronaii Ucem ^ fc;
QVatnui* ncMnina fingill^'^,^V^(fift"rus et Fafckisdi^ cant
efFentiam perfonitjim, h jid tiinienrantpno- nomma : quoniam in
re£lo cfTcntiam dicAnt vt finguraris &non ponuntur locoalicuius
nominis fignificantis essentiam, fed de fe ipram significar. Licet connoratiuc
pronominent, cum nominant. Petrus enim est hic homo filius lonx et existentiam
crc^o clicar in obliquo : 6c SIGNIFICAT essentiamin rcdo. Vei existentiam,
vt quacdam non efrentia est, ac fub raiionc exiftcntix. Quoniam proprium
eflentiale est prpnominisfignificare personasyprima di/lin(%io prbnbminum erit.
a personis., Pronominutnafiud fignificic. personam primam, vc
egQ& nos, :41iucl secunda.m, vt ru, &: vos:aliud tertiaqi, vthjp, et ille
; i^liud vmnei personas vc qui, qua;, Recbcpomturel Tentialis divisio
pronominum a significatione perfonali, quoniamliic eft vfqs &eilctotia
prononiinij^.Tresiiimcpn{onzcancuin apud Gianu mancos« quontamperionarepradr
(rntat exiftentiam cum |irofeitur:qfii ergo proferCy Vel repra^fentar fe,
ficdi;'' cit. E^i iiKl.atiurhvquo^.cwnbquiturjdclkididC'?'»: it
iAtb oiiine vocatiuum sdiiien efl; ethim^fl^cm- dæ qaoniam fubaudicu^i»,
et Velatitfmici^imi dc quo eR&imokficdico,ltfr. Nos «ddimw personam
quar cam, ideft omnem, quoniam pronomen referconinespcrfonas, 5ciiiiif5eiVperrona:
quam rcfcrt, vtegoquijCu qui. illequi : vbi^«ieftprinui»&fecttnda,
et ccrna. 'Myftfrinfii/Tlieolpgicum eH;, cur non vkt^ ten^am perfonafn
(ertno prodiicicur. Neque enim ix^ eternicace func plur es p r i
malitaces, " Secunda dliiifiQ^abeJfenna. Pronbminum
aliud fubftanriuum, vt egoj, tu, nos, vos^fut liic ifte,ille,ipfe. Aliud
adie<5liuum, vt meus, tuus, fuus, nofter, vefter, quis,
aliquis^quis^quidem quif- piam^omnis. Dicitur pronomen substantiuum, qaod
fjgnificatexi stentiani seu personam, quasi per feexiftentem. Ec
itieo n on fo lum f 2;o, tu, nos, vos, et fui, ponuntur fub-
ftanciu«,quscper vocc^ pluresnon declinantunfedetiam
hic,tfl:e',illejpre,qu.x per vocestre5i& articulos pronunciantur, quoniam
dire£bc fH!;nificant perfonamjVt pcrfeexiftentem: et hic non valecregula
grammatico- rum,ex vocibus, &arciculis fubftantiam accidenta» liratem
vocabulornni decbrans, Sed in fpiciendum eft ad inodumv lignincandi.
Poluimus adiecliua pronomina, mcus, tuus,Yuus, nofter, et vefter, quomam non
fignifiqantperf^iiamdire^cnpcr feexiftentem, sed adiacen. terii, dicitur
enini equusmeus jquafir^Wf/:^w,feu«frA utt adiaccat equo. Scd curn dico,'ego,
&ille » demon- ftfandoadiacenciam 6c accidensperfonalenon
dico.Sefl^ perfooam ojPteplit^^ dicit perfonamiper, .
/^i^iij:^ ali^U f^idam dicec perlbnam la : U mnis dicet perfonas.
Sed ircitH adiacet* Eceoinifdi Mexpomcur^^iil* M.fis,
expooitur #wiKi iiW» ^nsnlaris 9C perfonjitns. Qnod fi ira non est, Ii^e
diftinccio non Aabeaclocum ifi protxoitii Deiicuthabqc in noauioc.
DiSmcJio tertia cx quantitate. ' PronbminufD aliud 7niuerfale, vc
quilibec^ 8( omni U qui€umque ^aliud paiticulare^TC aliauis
&qut« ilain, quifpiani;aiiudfingulare»vcego,ta,iue,iple,l ic;
iftc., Pronomen universale est
quod significat on^.ncsperfonas fiinul : vc omnis homo. Particuiare quod
fi- f^nificat aliquas perronas rancum: vt quidam homo,& aliqui
&homines,&: ahus homo: fingulare cfl quod significac vnicam
fingulareniperronam vc bic Jiomo,iiVe, 3le,aicer,ac vnus.,
G;R4[mmacicl nonlrede poAierunt intevnomina, dm nis et aiiquis, 6c
quidam :hacc enim nullanf effen* ttam 6gntficaac npbis : nec illis
fubftantiam aticqua- liratpm: vndeiogicinon vocant eot terminos
fignifto catinos, edconfignificatittos fyncache goregipacicos;
quoniam per fe non fignificani^fed habent tnoratione offieium defignandi
perfonas omncsaucquardam,qux in illiafiibinteUiguntur. Cum enimdjco,
omnishomo, non incelligicurcflenciabominis,fed omnis perfona
hnmana: veluticum dico,quidam lapis non inceliigicur efiencia
Iapidis,ied aliquod corpus indiuiduum lapideii, feu lapis dedudus ad
exjfietiam aliqnam.Etcum dico, hic homo, r.on fignifico fubiKTntiam
hominis,nifiiecundari6, icd perronam quam demonftrabomim$« i.
ETideo pronomtn non ftat loconominis coinmumri . fed proprij:cum
eninvdico^omnis bomo : ly §mni$' significac Pecrum Joannem^Fnincircttm et alias
personas humanas, CcWiott^hU km9 ngnificat Betrum (^uemi oilcndo.. ^ifiin£2io
(jiuartæxordme^ • Art. Vi. PRonominualiaprimitiua, vtEgo.tu^
nej^vcs ^fui^ille^. hii^ ijleyipfe^^ts^ ^uis, alius. Aliaderiuatiua, YtiWf«i><««MVlca
pronomina primitiaa habenr fiium deriotf»- .dunma genitiuo didum, vt ego,
mei, facic meus» mea,meum^tu,tui,taus,tua^uum. Sai,/uus,rua,/uum, . nos
producic>nofter^no{tras: vos >vefter et veAias. /I producitY/^i^iii
«liifi faocfit compofitum ear dmftfp, jitipfe^illeM<,^hSmtiffmk\^
produounc| de- riuatiuunn tf/HH t^tni^LcixjilunBifLeiUfr^^lufdHiS*
Ip&L: <juQ€)ue facic i///;iwf X iipud Blautam. Dti^fio uinta
ex numeroi. ' PRonomcn aliud fihgulaic,[vtcgp :aliud|difc5ale,j
Vtc- E|Rima,reciitida& cereiaperibniKAmt nua^rij^luralis
'rraiaciii i . Hoc camefi norafiifum qood in Jin«::iiaLatina et vulgari
leahcanoncorrerpondenr C\h'i pluraiis nin-ne- ru«caa<i fiQ|fbtari^iQ
prinil5 6c (ecunclisper^ooif- 'Ntim fcumdicb ^^^innngulan,
deber£dicere7^09^>ibpluraii: et ex /fr nngulari, /«ff/i in plifrali nos
AffiKEtprweSk^ iingaaTurcica'^lt<*f!^ habet -condicionem, qnoruam
proego, 6Cfi%l%\oihetlsM^t^'-- niy pro cu et vos,fundr fani^pato eciam
aliay lipguas yfoii- Iher fe habere. In rcrtiis perfonis rcdcfe haue^c^ iin-
gularceniincl\///f,i/rf,//i»<i:plurale//i/,A//<f,i^^^%)i^n£iio fextæxJexH.
Pronoininum aIiud mafcuhnum vc i7ii: aliud fa:mi' uinum,vc///i^}aliudneucrum,
vc//i«i/:aliud omnc, EA<Iem rationedeciaracur fexus pronominum
acquc nominum Sedpi onomina carentcommnui 8cpro- mifcuo,&:incerco.
Quoniam cum fignificanc perfonaj appoficas cflenciis^clarcfignificanc
rexumabfcjue com- municace «promififuii^ce 6c incerticudine.
V 1Diflm3ioJeptmAaFormatione. An. yilU 1 PRonominumaliud
simpIex,'vc//- et /y^^ralius com- pofitum vc idem U ifihic | conipomcur
is U dc^' Grammalicalium Qim^aneSie, NOn diflfert dedaratio figurar
fimplicts U cdmjK>- Cnx nominuin et pronon-Hnuni. VerumapudLad-
nosnon uiueniniuspronomcn dccompofitum. T^rofoftio de declmmonihm
fronommum. Declinationes pronominum fiinc quinque. Primac4i-
iusiingulans gcnitiuusdefimciai vcd^gtfginfi, tUytmii
/v/,carccenim/arinoiiiif)aciuo. Sccunda cuius gcriiciuus deflnit
\nius,vt iUfiUius^fCej iffi^s j i/icy ifim$^. aUus^alms : aUeralitrius,
Tertia cuiQS geni tiuus deHnit in i, vtmeas^me^f^ml^^
hcitmei^me^ymeijl^cJiSgwi, tui,tmf0iHi4 i^fintfyftti/a^^ ftiix, k vrfrv^
ve^n\ veftm^ vefirs : ipofier, 4w^em, nefiri^ ntffir^e nefff* Quarta
eft cuius geniciuus fingulans definicin//, vt ^nifiras nofiraiisivefiras
vefrasis. Ad^ nancreducunrur.pa- ' cronihiica mafcnlina, et ficminina,
qux rcperiuntur in prima 6c tercia declinat. nominunl : fed ron riim
nciid/ra vtputant Grammatici, fci] pronomini gciuilirui.
Qaintacuius genitiuus lingiilaris dciinitin h^ivzfre b^e^tOQC,
Facit ^«/«f/ : //, ect, iiljactt cius, Q^ i\ vcl,ju\ oi^ ifuod ifacii
cuius, et codcm modo fe habcnr compofirjv,. f w ^ '/*^^» eiufdtm - ^ ab
aliflftis a lii^ius, m Quoniam pronoiina flc<^ u n tur in
finc cum cadi t dU dio «haberc dicuntiSr pafas : 6c ex ipforum
variar^ CiOQe^vairialaittif declinaciones» et plerumqucagenidlio:
uaihqaam in pluriboi cafibus reperiacur vanccas cam in plurali) quim ip
fiegulari. Id quod:fiatcemiaa&'das XaXi^^s;c plures dedihatrones. Nihil
cnim commune hahct W,hxc.hoc,&iflhic, iftha: cjftoc, cuinis, ea,jd,&.quis
vei qiii,qUcT,q"od. Prxteroa dantur componta pronomina
quorumalia . fcruant pristinam declinationem in cafilnis,
prxfertini genitiuo, vt/f^d7Wf/,</>/^/?Jr/,/7/^Wif/
/«;7i^'/fcribirur, //1 demi^hicce^h/ccc(^hocce,huiufce hc\t. A Iia non
fcruanr,.Oam cx ecce et eccon^^\\c\nmseccum^ eccam^ eccum, non ra- men
eccihMtus : 5c ellum,eiia m, ellum, non cameii eJlius, prbecceilliiis
iquoniamlylfrrcfolum acctiratiitum ref-, picic. Sicuti fnoimi& tafipt^ fol
um abjbMii|Ql^ueniiiMli» O^inta pronomina naiiieraK^ bitbent incercas.
de- ciinaiFiones-* nain vffar/, tny^^,, f^it «^«1»/« Sed
reliqui nameri fqnt indeclinahiles. Scribiiur e cericra pronbmina
gentil icia, vtAquinas feruancanalogiarh^d!'- cimus
enim^f»i>^///,«9|fi'rf//i,cumponuntur non vt no- mina, fed loco
nominis. • •. ^nim^dtierfio de fatrQnimicis. ^ PAtronimica funt in
prima declinatione nominum : vt Eacidas Eacidx;& in v vtPriamides
Priamidis-.fic Priamis Priam idis fxminin^ d!cicur,quæquoniam ponu-
tur loco nominum funt pjronomina, 8c non nornira,vt Grasci puranr. Nam
nefaoquis fitPriamides nifi fubaa- diatur Paris: iicutnefcio
qaisiitillenilifubaudiafur Pa- ris,ve4 Pernis,verfaomo:pra*cerea palam
fpedant ad personalitatem : vt nuUi diibipi fit qi^in fint £rt>niDr.
iniiVi. I)iHin£lio pronominum ex ftgnatura\ Aliui
demonjiratiuum. Aliud pojfcfsimm: aliudgentilium, altud relativum. Pronominum
alia demonstrativa vt ego;tu.liic, ille ipfe, iflejis et Iy, quoniam quaridigico
perfonamde- monftranr. Alia (unc l^odcCCwiay Vtmcttstuus
/uus^ noffef^ve^^raiifnai, quomam poHidentcm circumfcribunt
perfonam. Alia gencilia vtnofiras ^ veflras yEneades cuias ^c [UO' niam
pacriam, Scjgentem, connotant. Prxtcreæxprædiftiyferrqtixdam
retatiua, quiarcm antelatam fiue ante didam refcrunt, vt ille^ ife
^hic^^jr is^ iiltwY' ^ quisqufCy quod. Dennr Dnflraciuaprononriina
reruiuntrenfacisdemon- ftrationibus perfonarum, vel cfTenciarum
pcrfona- tarum. Naminfenfu oflendi non pocefl: eHencia, ni-- fi
deducla ad exifl:enciam,feu perronaca. Sed relaciua non oflendunt ad
fenfum, fcd quafiad memoriam.Nam dici- musiPetrus eft dodus, ille qui j
vel ifte/qui legitin fcholis. Scd ly ille, ipfe, ifte » is, refert
antecedens de- monftrando, quamuisnon adfenfumfempcr exteriorem Sed
ly quselrefert memorando et particularizando. Addimus nocam demonftratiuam
ly ex Arabibu» quoniam logici acceptarunt eam ad dcmonflrandum du-
plicitcr.-valet enim vtecce 8c hoc fimul. Notandum cactera pronominaabfoluca vc
pofiefiiua <3c gentilitia per fe ..patenc!,quid oonfigniHcant in
vfii:ac relatiua declara- 'tione adhucindigenr. Definitiorelatiuorumptpnommuin^ V
plcx eft rciaciuum ^ aliud eilen tiac i aliu^ j ccideo- Definiiio reUtim
iJfcntiA.- £latiauine(rennaseft,>quoclnatu|am reirefcrt,de
monftratque, fiue>y tencem ^ {Tue^^r&exiftefit;^ 1 vt.
homo^quieft. GB.ammarici ^iuidont relatiuum» infubftantiar £daccidentis ^ 5c
dicrnitrel^duum Aibftanrix,quod re. fert nomen fubftantiunm:vt labor,
quemfofcipis, eft . durusjvbi ly queni rcferthocfubftantjuumi abpr.Scd
rc- iatiuumaccidentisreferradie^biuum. Nam etfialiquan- doadiediuum
eftfubftantialevtanimatus, et rationalis;. nihilominas {;rammaticaliter
fe habervraccidcns. Scd prote(flbnon femperitarebabct. Nam si dico Petrus
et nomoqualisestu, idem vaiec acquc Petrus cftrationalis qualisestU:&
ly homo est: substantivum et rationalis. adiecliuum, Qn.ipropter m
comparationibus rclatiuis non vtuncur logici relariuo accidcntis, fed
potius ad- uerbiofimilitudinis,ficut, &velut :vttu
e^liomo^/icuc- ego tquamuis ly Hcut omnes nocas compararionis fup.
j>leat in referendo. Propterea nos diximus relatiuum efTcntia! n^,nominibas
^gfammaticabbu5 potiU2»quaBi i xebius confuleremus
libtanttd: ile Utiwjamfubftaati» eftduplcxXidcnutis, 6wdiuer/I*^
Cti^mmaticalnm Cam^and Ut Relativum identitatis
refertidemomnino quodan- qtiien: aniniai fcntic, 6c.hdmo eft animal
dc idemfentiti vbi ly qui ^ ly idcM'^ referunt bominem omnino etin*
dem, ELitiuum diuerfuatis fubflantix rcferr diuei fr.m X V
anteccdenti : vtalius ^ vce^o vidco ''otrum 6c alios ^ o m i nes : vbi ly
aiios refcaiiomiues, vcdiucr lilicaiuur a -rrET^rx; Quid
Ocdiuerfic^tis^identitatisin Jogicis&metlia- pliyiicis declamitrdiicautem
Gimiturpro quacum quc fimilitudine, &x>ppofitipne« DE RELATIVO
ACCIDENTIS. Relatiuum accidentiscfl^qiiodrefertaliquid pcrci- neiis
adeiTentiam, vcperfonatam accidencibus. NVMERATIO Relauua accidentis funt
(eptem, quallsiquantu^^ quot^quotuStquoceQiyCuius» cuia(, cuium 5
cuias« GR.ammatici<!ieunt retatiuum accidentis referre
anteced^ns a diediuum,vc cu esnjger, qualis coruus: ' vbi
Tbily qualis refert ly niger, et non ly tu,diximusquod non omneadiecliuum
cft accidens in: iiilofoplna, (cd in grammacica, quxrcfpicit modum
lignificanditantuni. Sufficiencia rclatiuorum accidentis fumitur ex
hoc, quodomniseflentia vcniensad exiftentiaii\, re|^i6iicec-
ad^entia,ideoqueveAitur&perronatur qnalii^tie^guaii titate,numero,orjine
numerati, coUe^ione ordl^a^- . tum s in loco et t,empore et in numero
"i^ogterea dd tur <qpaHs t.qtUU3Ciis.qQOt,quocu5,
quotenus'}^quibq$ de&ec aiidi nuhc, tunc, qaando,iliic»vbi,0 ex his
po^Ten c apud ^ ' l^ifenosderiUaritiomina&pronoiniria.! v V j--
' .V £fta»cemquah'tasmodusreifiueaccid« fldLiitiaIiS)pTopcerea
refer^ ly qualis omnes exiftendi ^ndi moaos. jDicimus enim Petms ^ft atbus^
fprcisX manus, cationalis, dioes, Rex, velox ; red:tis,'$c. Qu] '
Iisestu:vbi lyqualis, et efTehtia:, et perfona!, 8£ fori na:, et operatiui,
&: pafliui, &voIiriui,<^- animi,6c corpo- ris, qualitates
refcrrepoteft: quoniam in '^mm pra:diQa- niento datur qualitas, vtin
logica probauimus. Quantitaseft menfura fubftanna:
perfonata::&pro- pterea dicimusPetrus eft alcus, magnus, crafllis,
longus, quancus cstu:vbi ly quantusrefert omnes dimenfiones
iundas,&fcorfum, fed non qualitates quantitatis:noa cnim dico, 5^
rectus figura quancus ego, fed qualis ego. vc milices Quot refertomnem
numerum fimpliciter funtduo, tres» quacaorsdecem^cettcnmimilie^&c.
quoc funtciues. Quociisomnls'ordinis nuAienisjVt tu es primus,{fe«
cunaiis, certius, decimus, centefim'ttS96cc.iD ichola,quo*-
tusfumegoinfenacu; . QuocenicoIle^bionemnDmefatonim fcriattild svtmo
fmcbi nmbuiant biol, terni, quini| deni, mi)leni, cencciii,
quoceniambulantmilites; Aliquando iungicurquotoscttmquifque,quandoC« gntficat
ttttm de ordinatis, vc deeimut quijqut ^fecimiBS £x his dedacuncttf
aditterbia> vc qneties,Jecief^m$lliis. jo Item
transferuntaradtetnpora ætates, vt qiiotennis» bienms,tnenms quoniahi tewpuisadVxiftenriamrpe-
^t:item,adnocum,vt primasfecundas &c. 5c fedct pri- inoveireennd6 :
et prius, ac pofteriu':, vltimus,6cc. lol cusenimadexiftentiam fpeclac,
vt in locrica. Prxccreaquoniamindiuidua. idefl perfonnta: e/Tentix, non
folum referuntur pcr prorfara^; cxiftenti.ilirares» fcd etiam expatria et
gence, 6c profeOione 6cfiidione: pro- prerea dantar^Ai^i
rcIaciuahorum,vid. Cuiuscuia,cuiij» tccm^s:vt ego fum Romanuscuias cs tu,
vbi ly cuiasrcfctt' ]y Romanus expacria. Icem Ciceronianus: Dominicanus;
cuiustu : Piatonicus cujas tu &c. At\^ cutas refertpoC. fe/Tioncm/vt
ttiiim^pntrum hU^ff^fuifi idebetetinin
-Jycujasreferrcpatronimicuihpronomen: vt Parjs eft Priamjdes,cajas eft
Hc^aoti quod Grammatici non cori- fideraruiu:, NGt^ndum quod omnia
prædkaaiet\ta, vt perfo- nancuradinnicem, fiuntpronom^na>
vtvero(unt^ Velexidunt.Ainnomina. i)erho. VErbum efl vocalnilum
declinabilr, fignificaps cx impoficione, rerum aclum^Hue eilendi,fiue
exi- ftendi/iue operandi,iiue agendi^ Hue patiendi EA rationequaindefinitionenominis
ponitur vHiU bulum orationis pars tanquamgenui gramatlcafe. A
dditar ieclinabiU, ad differentiani prxp o fitionis,ad:- iierbij,
coniuoaipnis 9 dicitur)%ii^^ Dber pritntii • jr gorematicorum.
L)icicur cum imfo^ttone y difFerentiam intcriedio- nis/' ' " '
Diciturrf5? aw,tanquamvItimadifFereniiacon(litucns verbum in elTe
verbali.fcperanrque a cscteris orationis partibus. Dicitur eff^rtci, vel
quoniam omne vcrbum /ignificateflentiar ac1umnone(rentiam:&: guia
a<flusvel 'cftlubflantialis vclaccidenraliSjvel medius .idcirco
di- ciiwraFiu if^^dlyvzbomoefiammdl^vhi lyr/J^fignificat ipfam
elFentiam vt erte{rcntia&: c6iungitnotiones,n6 res-.pro-
perea.-^tfmvocatur vcrbum fubflantiuii rede d Grammatici-i. Sed
perperam,dixerunt, verbum fignificare adio- nem vel palFioncm. Hfi enim
non significatac\ionem neque paflionem litemnequedifco fignificatadionem, sed
adumadionis rtf/^/jjaucem fignificataclionem, vteflen- tiamaliquam :
docere vero vt ndum. Quid auttmfitA- clusin Jogica declaramus& mctaph
Additur vel cxilhn- di : Nam cum jico : Peirus e/?^vd eflin platea : vel
exifiit^ non fignii-ico Petriaclum cflentialem, fcd cxiflentialem,
quod ./.eflextracaufaifuas: vel quiacA in alio 6c ad a- JiudiT >
-'< v- Additur/?.^<?^^r^W/, quoniamopcratio non tranfit in ixMwd
^homo amluUt :ZcS.iovQX<i tranfir,vt fjomo '^eriferat filium. Dicitur
etiam ao^cn^i vtPetrusdocec:&paticndivtP e tru s docetur.
Seddchisadlibusin Metaphyf. dicemuSjneqvi^' QuimQtami^atUiefinegoti/,
' Hlnc vides quantopere falluntur Grammatici,dicences", verbumcfje
farterjt ofationn declinabilem Ec deinde.non loquuntur amphusde
decJinationc, fedde coniugatione. Item dicunt, verbum efle
/?^«//fr<r/iafiiw aUioms et pafiionis : cum verba fubftantialia &neutrai ctiam
ipforum ceftimonio, non dicanc aclionem neque paflionem. fyncathe
^rdfMmMkAlmmCafnpanelU] Quod auteni addunc
Qrm\\\u\c\^verlumefipaTSord thnii decltnahiliiy quo Unm modi^foryyns
terfiporibusagen^ divelpatiendi fi^nificaUuumff} . non perriner ad
definitionem, ficucin logica decIararur.Non enim ex hoceft
ve,r-bum,quodhabeti'nodos& tempora. Sed exJioc quod adum fiuentem
abeffcntia et qui4ein verbamrubftan- tialcnon habetneque
fignificattempus:& multa verba. heterocUta :& tempow <?cicliteise»hoc,
quodaauiriott- fubieo fitvtalibi docemus. Pmerca in linguar Chhienfittm
&CocoocKinenfitiin verba non declinantur perfonis-, nec temporibus
«a* riantttr» fed^otuhs, vtAioihiocoapeiiemusiergoaccti.
dunthxcverboinoa^ei&ntiantvefbttm. Di^in^tio "verhomm
ejfemialis. Verborumaliud AibftantialejVt /Iwjraliud cxinren- thls,vt
rfuneo^exijlfi ahud opcratiuum /lueaclin- cum, vt Vfflffy
ambttltf.^audec. Ahud aihuum,\t ca^igo^ac- cufoyfacio : aliud
paiTiuum,vtca/?igor,verSerc} : Ahud ad. it Grammatici cbmmune, vc
cnmmr-^iid^ dcponcns,vtv/<;f,/wn - QVoniamfignificarea(flum rerum eft
v^erbo e/Fen- cialcexhuiufmodiacluum dyiin(flionc Ai mcdafuic
vcrhiorucfrentialis diftiyii!aiO.:-6c quoniaibcfientiaprocedit exifl^Qaab
exi{];^i;|aoperatib4 aboperatipneaak>» abadioæ pa (Tio: proptcrea
verbum reftc diftin g u itt)r in, euentiale exiftenttale ^ operatiuum, a^iuum,
&c jpafi» fiutun. '
£tMcdiftin^ioeft]l4^undttn)]»mVnask)fecmiduinVo:* cem fequif
vtdetur paffittum, quod tamcn eft fecundttm oremAdittttni.:
&propterea vocator deponens, 6c vafulo Liber priHim.
ridetur adiuum, quod tamen eft pa/TiUum. Aliudfbcun*.
dum vocemeftpafIiuum,fedfecundum remeft a^liuum &pariuum jVt
avipIcUor : et propterea a Grammaticis dicitur commune. Hoc apud latinos,
noiilinguisaliis: et recundum|r? aturamnondantiir veiborum
genera,Jijfi cx quinquc|a4ii>us. ACtiua&pafliua funt verba
inoijmiilingua, Atki Latina ex fmitionein o in or, diflinguuntur,
quodvemmeftin pinmbiis temporibus verbonim,præ^ terquam^ in prxtentis.
perfeAis et plufquam perfedisi o u^Tefoluunturin partxcipium €c verbum
fubftantiuuro: aicimus ekiim amdtns fumyel fui\ iccScsmanuir^miyel
fnerdm &c«inIi^naveroItalica, nondatur ylliilks tem-^ poris pa/Iiuum,,£drdfqlttituriniiibftantiut]m
vt fro ego 'amar^dicimmU/hnM^tPy tu feiamat^^queU^iamatQ. Ki -in
tertiis^perfbnis fupplec ly ftama^&fieamato &c. In adiuis
verofunt temporaomnia,exccpris prarreritisperfeciis, et plufquam perf cclis :
etenim pro amaui d^ama* utram^ dicimxLs h^amato ha vevo amaio,
Do c vment^v.m; ISta.duo veiba fam et h^leo funtbafes verbomm
om- niummam copulanrfubftantiuc, &: ndiccliuc. fiueac-
cidencalixci, flue iQtrinfecciiiæ extiniecc res omnes. r Verbaqi WBGramati«i«
vocanturneutra^jflonfunt a< dina nec paffiua propter &dc>quod
fignificanta^lu. e^ifteadi vt>?^: aut a<Ed^i,ve- ^wrMifiue
operandiyt ^orr»^ aut pot^di ^ic non potendi vt almhdu et iofi^*
Gommuniftautem 8ft<leponeniia pminent dd a^iua^ pafliua; deponenia
eiiaib neuti^ fuiit fec«n«l|iBi. Tem,vtut3r^^radi9ri Ccuti auxRior
^ nudicor^wi^t^^ duuafecundum rem. NOvttig6xtQLi neqtie
fecttn^fi* mn,neqæ leciiin& '
vocem^Grammaticidiftinguttntverbainadiuumj,: pafliugm, ncucrum, commune
6c dcponcns : etenimin adiuis funt qiurdam neutra, vt amifyrtdeojnteldgo:
qux aduMnceriores ScafFcdus notiones iminancntes fignificanc In
neutris vero ponuntpalliua inulca.vty^^ff ^exulo^ nia verba
pertinentia ad agriculruram faLso pofita in quarto ordine neutrorum.
Similitcr qux fpedant ad diuinas ac^iones natur^ aucons vc
nmy,t^tonj\^uce(ctt' Jndeponcntibus vero ponuntneutra fccundum rem, li-
cet voce pa (fi ua, v 1 1 ^cton ^r<f ^^|jf f r, jja f^^'^ fi»ma(hor,\
Miiior. Secun^um vocem autem omnia verba ex hoc
. quoddefinuncino, velinor : 5«wenim& fua compofita. '
folummodo neutra poni poiTent bc tunc faHa eflct ver^ ab eis cradica »
quod X, fiq^ipcat aUmm vef Dijlmilio verborum ex ferfonts.
Art. lU. Verborum aliud peribnale^atiud imperfonale,
aliud fcniilc.' descriptio: Verbum personaletrcs habct personas,
primam, secunda, lertiam pronominibus ck'leruicntes, vtr^p
amoyfuam^s^jlleamat, Impcrfonale nullas habctpcrfo-' nas^ucnumerpsfedfub
tcrtip^quafi ojxint^iytdmg amaiur Liher ^rimtii, te amatar, ai
illoamatur. Vulg^, fidnia^ Jau et ama-ddnoiiama. DeferJo^almmmmeroptimdumLatms,
Granmaticos . Perfonaliaverbaalia funt adiua,qu« definuftt inb,
&^ormant pa/fiuumin or: vtjamo, vnde fic anior per additionemr, alia
pa/Euaquac deiinuminor Klia bentadiuumio «,vtnmorexamo.
iAlianciitra, qiMedefinuntin'o, et non formant paC. v^iuuiinin or,
vt gaudco, careo : al ia communia, quie defi-» nunt in or, et non
fprmantur ab adiuo in 6, et aftiue ac pa(fiuc in orracione
conftruuotur^vt ego chmifiorfe,^ egochminor abste. iAlia deponentia,
quxdefinunt in or,& non formanrurper aftimlm o,necpofibnt
pafiiuc .conftrni > fed folom a^ui, ncgc feqnorvirintem V
. e impersonalium numero. Impersonalia alia acfliua secundum
soQ^vc\,yx.tcdct,ie^ cet^ intertf j alia pafiiuic vocis^ vt atnatur
curruur, kSi^ neutra. vUeæftMahff. DcfiruUtbus.
SErnilia verba funr : qu» iiilycjiSonalihUvad.Uta, funt ! m
perfonalia, vt ti de^et p^tere i petfonalilaus verd Vf^tcioaaii Aiy%tMMeSjf0nite»t
i4magere., Rofc& oimperfonaliralia exadiuis funt, vt deleflat,
. ^qua cum in finitiuo vcrbo funt imperfonaiia i fine ero,adiua. Alia
runt neurra ^ vr inttrcfi, f^? conænit\ pateiautquomamablatoiufimtiuo
funt perfonaiia, vt (jraiimiticalium CdmpMelU)
medicorum interfiint curationes. EtPecro conueniuttt TircureS' Sed
qux ncucro paffiua vocari pollcnc secundum Gramaticos^nuquamtiunt
perfonaliajVC/^i^i-/, wi. fcrit^plzet^ penitet^ racioaucem eft quoniam ad
afFeclio- » ncs refcruncur, quxopus adextranon rCifpiciunt^nec
perindeacboneoi. DifiinSio numero ferjonis. Numeri verborum
funtduo,fingularis vc drw<y, &pla ralis vcrf/7frfw»5.fimiliter
perlonas func tresm omni numero, in ilngulah ego amo, cu am4s\^ ilUamai;
inplu« ^i^samam9S^ wsamati$<tilkamanii V M g T iy N n V
. 1N omnibos rcbus re^eriun tur ift^ rre s per/biiac,& diio
Qumeri ex nacurarei>licec aiiquaadoincertisTerbis . non fincin fu^) 6c
in imperatiuis exnacorarei defiinc, 4c In intiniciiiis qux ad
imperfonalium cranfeuiic rationera. OecaJibusi0decUnmonibusverb<rrui^ ACcidit
verbis cafus.&i declinacioitlmni&j persona variac fitiem didionis,'ycam0^ai^|)^amat
: ficut ^ nomiciibos accidere nommos. JPr^cy^ deciinaciones verborum
vafiancarficfic&nominunv.S^ cognofcuncur. cx &cun(|a pei£>na|
ficut nom^mifecundo cafivite.nu' jijueinfirtitioo. Prima erg^o dccKnalii S^habec Tecunda inperfonamin^
4]icatiuimocii in ^;, 6c infi Ditumin^rr, vt<iWiii,&^ff2^«
Secunda, in ^i, 6c in,Iongum| V t ^o^^r^. Tertia in/i,&in breuem,
vt Itgis. et /r^w- Quarta in /j, 6c irr, longum, vtaudts Uaudhe.
SEd hxc fecundum antiquorum dida funcrationeni, ctenim poteftprima
declmatio conflituicx fecunda perfonain es, &: infinito
cdc^vt/um^inicrfurK^ acffum^pr/c- fum nefumyfubfum^profum^abfum^polJum^
et cxteracompo- fitæxverborubftantiali6cpr.xpofitionibus.
Secunda habetpcrfonam fecundamin frj,& infini- lunim erre,
stferojers^ferrc : ^ compofica.vt7e/tff<^,<«i- /er»,
offiro^petferOydefcrQ^ infero nffero^^ catera. Tcrtia autem fit prima
antiquorum, \x,dmas^rMfe% CVjarta illorum (ecunda, vt ^(^rQuin ta il
iorunt tcrtia^ vt le^ii, le^ete^ Sexta illorum quarca, vt
4i«ri/i,^ir^i>t.. Deanomalii. Dantur irregularia a prima ^
vi\veto ^ huo et iuu^re, qncxmpr^etcriti.. funtanomala. Dantur irregularia
d ter tia, V c gattdeo gaudere, qu« in pncceritis non fcr- uant'normam
tertix- Etaqiiartavt vii,&9/A!r>qua: in prasteiitisdc
infiniti$ exerrant. Eta quinta vt eo^isjre : quxin tuturis
extra vagantQV) " vtii^fjU compofita yufsnJc^^Ndijo^fcri^^iiLc.AQertio
dt tm^n&itsverhMm, Art. Proprium est verborum in temporibus signifcare )g
Crammaticalium QimfaneB^] Quoniam a<flus funt extenrionesfacultatum,necfi-
mul eflfe toti pofTnnr ^necefTc eft tempuseifdemin efle quod efl fucccfTio
rcrum, cx ente et noQ ente part&- cipancium > vc m Mecaphy Ldocuimus.
Detemforisdifferentiis^ TR.es funt temporum diflFerentix,
videlicetpracfens,. prxteritunV, et fututum. Etenim aut res eft
nunc tn a^flu, et facit prscfensjaut fuitin adu,& fic praeteritum^uc
eric et ilc eilfucura. TKiplextamen pra:teritum «aliud imperfe£lum,
vt ^nutSdm^^ivLd per&dum,' vtdmam, aiiud pl u fq uam
perfediini,ve MyrifiM^resenimaatedin ccanfictt,[attr nan(iui^.aix nMiIto
ante tianfiuit. NOn potefl: reperiri verbum, quod non habeat prac-
fens et pr.Trerirum et futurum» diftinda fecun- dum rem,]icet fecundiMn
vocem qusedam (intdcfe<ftiuai rtmemJni, odi^inquam, 6c cxtera, ex vfu
fic pronunciaia apud LacinosnonaMCeminahisoacionum linguis.
^etmfortm v^athne exfacuUatHHsl ET qnoniam omni^ a&ns aot
ind i ca tur per cognofci* thmm^auc tmperatur per poteflatxoom^aiitoptft-
tur per Yolitioam : propterea tempora verboromad tres facoltates
reducontor.f. ad|indicatio am imperatioam, pc optatioafi^
PRacterea quoniamactus fubiungieiiradiui,vcl
deterniinatcveljndcierminatc, propterea addmnur temporum dtt^ ^lia: radones .f.
fubiun6ltaa et infinitiua, qux rcgantur ab aliis verbi nononibtts. Est
quidem practcritum, pr«rens,dcfuti!rum tenipus, triplex,atquevt pars,
autvtdifferentia fucceflionis rernm, &quidcm contingit cxprimi secundum
tres primilitates Metaphysicas, pcrimpeniriuum,indicatiuum,
6cappetitiauni 5 qui vocaniurmodi fecundumGramma- ticos, (ed nirois
comraunrter : modus enim eft cuiufque rciqualitas propterea nos rcduximus
cosad primalita- tes. Sed fubiunAiuum.&infinitiuam^qaoiiiam ad
conipofitionem potius modorum fpcaant dctcrminati vel indercrminatc
fecandumpcrfoBas&flheperfonis, oro-pterea hofce modostanquai hap^ndiccsvcrbisa
ddcnh. dos putauimus: 6c non
ficut principalcs, queiI MUlinodum Grammaticis vfurpatur.
temforum nwnero i» vnaquaque
rafiine. DE INDICATIVO. Indicativa ratio habet omnia tcmpora vz. præsens,
ut ^atf)prqteritura,vt4m4 «r,futurumvt^w^^o:&itcrum Criplez
practeritum vz. imperfedum, perfeaum, 6c plulquam perfeAttm. Indicare.n.
eftadus cognofcit miprin. cipij. Cognioiaauteinrcfci: turadoxn|ija tcmpora.
Imperativum vero non haber nisi præsens nec futuruiTi, caretque preterito,
quoniam non poteft: imperariqiiotl tranfiuic, neque Deus pocefl; fa^ere
vr non fu^rnt, qtiia fl. bi contradicerec Itnperai^nus id [olum quod
nuAc-,auc poftea exir in a<f^um. Caretetiamlmpcrariuum
perfonis primis in fingul.ivi numcro ; quoniamfibiipfinemoimperare
potefl:,fedai- ten,nifi feipfum vtalcerumaccipiac,& tunc erit
quali fecunda perfona qui e(l prlma:(ic Peerus aic« quid agis
Pecre>& /'<frr^« Noncaretinplurali,quoniammu)n imperio
rautuoafliciuntur. DE OPTATIVO. 0?c.uiuum habet prxfcns,prxtertum,
et futurum : Jefidcrium .n- ad omnia fertur tcmpora ; dprainus
cccnim aliquidfaifTe, 6c elE%&: fore, habccque notas IIjo^ Subiunctivum
habet fimiliteromnia tempora, quoniiC poced/ ubtungiadquodcunquc verbuin
aliornm mo- d.orum,vt/?r ames^vel ver9mi/i^qu6 d amanerim^ itcm
eim' 4irHdremfufpifabMm .bccumamauero (ufpira Notandum quod SubiunAiuu
habcc pro noraly cnm- qu^orationem fufpendicdonecaliud verbum fibi
adiun- garpoftfe^velabfque ly nMirubittdgicuralceri Terbo»yt
%mwmefvtfatias^^ ti^\i<\vi^mnoX^xsk dor^m ia Logica. Lihcrpmmis.
6i Deinjimuuo Iniinidi sumeidamcria cem|idrahabec,
fed^ineperfb- nis, ciepcndent enim fcmpcrexfioico vcrbo : quod po^
teft multiplex efle et ad omnia teaipora r&Ferri', et quo Qiain
bxcrelacioeftindecerminatarum pcrronarumjOm- nibus enim peifonis copulacur,
propcerea infinidainio* di carenc diftindione perfooarum :-di|riti)us
enim tui^ te gtmofi \n$sama»ifit*ic iommmamttfifum ejjcibc quxli-
betpeifoDa cuiliberaddi poceft,veiAu%mulaniia f^mperiniiniciaaniexporcunc
poftfe^vtftiom (oco pacebic. De Gernndiis, parfia^iis, ^ fupims.
GErundia,participia et rupina non funt verborum modij/ed nominuin
[imul vcrborum 'participa- riones propcerea decis alia pars orationiseft
coniicien- da ^ necvexbis addcnda^ vcfececepriores-
r PRa:cerirapracfeAa,imperfe<fla,& plofqnam perf^^a'
nonfuntin 6peracims«f(ed'idem dmtria temporare- prxfcntac, quoniam fubratione voliti nbn inul
tiplicacur prxtericioviicutfub toionie in(ttpat4« V .Subiundiuum veir^^fatbetomnki
pra^ilta; quoniam cuhi cfmni verbo alrerius modrftibiundiondm^c&re
po- teft. . V
Grftfttmatici4)on tntellbfiere quodde/iderariuo,porius autem
fubiun<Jliuodeeftpars pracfenris cemporis, dici-' musenim vulgo/o
amadiat aynaretfctucaminafii^ \ovcr^ r^i r^fo: quxnon re(flcconfundunrur
apud Latinos, Sc vulgares etiam peccant quoniam ly <i/w;rf^/, nonad
defi, deratiuum,1fed ad fubiuncl:iuum verc fpedar^on enim^
pronunciatur,abfqucfubiun(n:oantc vrl poft:,(]qiiisergo>
iceromgrammacicarecur iioccoaiideraredeberec.
H iij. QVa:rituf aucem, cur pr^teritum multiplicatur, et non Fucuram &pra:rens ? refponcieo, quia
practc- ricum poreft non totaliterprartenfTe, et icerum tot.ili-
tcr6: tandemmultoante,potefl:diuidi Sed prxlcns ell nunc indiuifibiIe, quapropter
non potefi: diuuii. Sed quod imperte^fVinn cH: prxfens pertinec ad
ancecedens, veladfubfequenstempusugiturvnius tft tempons.Sed de
futuro non fic : aliud cnim eftmoxfttCuroni,aliud poft, aliud
longeporc.-SedGramadcinon acceperunc hanc^t- (tindionem : qoooiam vfas
loquendi apud vetereseioC- modiexpreifioncsnon habuir, (icocde
prxtericis^verun^ camenfociirum fubiundiui videcorefTe de fecuro præc^
titorficgfo enim idem eftlaciniqob^vulgariter hav^ fatH^ ApudHæbreostemporai^
cmag LSCQQfafa» ; Jiii^ifif^irjforum ex ordine. Erborum aliud
primiciuum, vcDo:aliud deriua^ tiuum^vcdono. D M
Iftin^io a]b ordiiie. eft fimilisei » qose licnomi. num.
DeriHatiuorum mulfiplidtas verhrum ex verbis. Apud latinos verboru
deriuatiuoru aliudeft inchoa- tiuum,vticaleofitr-<if/S:tf
jquafiincipio calefcere. Aiiud
medicacHium^vc acoei^o tmamU ænu^cur^qttai* (I
meditorcoenare. Aliud£reqoen€aci Qom)'VtalegoJi0i/^,ideft6eqttencec
lcgo :1 rogo rogito. . 6% paukrim diminutifcribo&c.
Deeft Launisinigiii. ficatitium^ dicimas enim vuigo da beuo
ibeoacciliare: da fiiro ftiraccfalare ftancbeggiare* Dermafia
njerborumtxnommbus. D£riuatio verborum ex nominibus iterimi
mulri- piexjalia a fimilitudine: vt a patre oritur/5*^r/y/i
fiuc/^iimXtfj^^liaabadurei fiueexiftenris^fiue mutacionc fubeuntis.vca
(londcftcndfftff > a lapide iapiderG<>, a calorecakfco^ Quoniam
verbum fignifrcat a^um : coiarcumqæ autem rei eA adus : igicur a
quocamque nomine semiignificanrepoce/lderiuariverbum. HMc
regttla valet apud Grxcos et italos QlgareSj fedLatininon
vfqueadeoipravfirunc. Lulliusta- meneUciceamexquocumque nomine
:namqueaitJio- mo, homificare homificc^tio^ homificahiie. Sed hdc ex
com- pofitione fit non ex deriuationc pertinct ad aclum agendj. Sed
detioatiopura e^ft ex formnli, vt lapiJef^
COy?fjetalIcficJiq^nefco/enefc» ^ifr'tre/(Oyfioreo^t< f!ofefro a flo.
re..Sedabhominenon dicitur^iwfo.ncca lupo lupefco,. 6<:tamenrecundum
naturam fieri dcbet:vnde vul^niiter a campo dicicur compeci^ijre^ a fen
^O^rz.fefje^r^f^Jarjr-Jei- ladonnain donnar/i ^Cicut L^tin t diciCOx
mafiMlifie/e ir^irf»m<f ri,4 mafcuio, et £emena. Qi^ autem
nooas.artes^cudir, ppt^faceredj^riaario«> nes verbales ex quocumque
nomipe, ejr oiTini enim re . «l^reditur a^us exiftendi, veloperandi, vel
imi^di Accu. Quid juid Grammaticiio boc minusiapiant; DsdcrmatlQnc
tanpomm extempoabus erhorum Derivanturetiam cempora verborum fuc^edentia
ex pra: cedentibuseiu(dem fpecif i, vt omria præterita ex primo
practetito profcftp » ex amaui enim cafcitur VF.rc dcriuanrur ex
prseterita ex pnrteriro pcrfc- non auceni cx imperfedo, quoj ennn
iiiiper- fecluni cll, gencraie non porefl: fibi fmiile, irem
fucuruni luhmnctiui deriuaturex prxtcrico, quoniani dicit futuru.n fub
rarione prxteriti, idem enim iti^a%er§ DermanoexfraJenU:
DEriuanturomnia ptacftntia tcmpora exprjerenrifn. dicaciuo^vcab amp,
amaiamare^tf.amem^UamarfJSc -ab amot^amareiOmafirf^ffiir^amarijVtilego,
''%^J<fg^ rem^ Derluatioex futuro., EX fiituro auccm
invlicatiui . non videnturoriri alia fucura. Non enim ex amabo dcnuatur
amato, &c amem, 6camauero, &:. amacurum elTe, fecundum
voccm licccderiuantur fecundum rem,quapropter in Iiiscon- fulendus
eft; vfus: ac forfan 6c quancicas /^llabarum primjirum.
Va formsttone verhriim\ VErboruni aliudfimplex vt Ugo: aiiud
compoficiiinV vc iramtego : aUud decompofinim > yt
nmtth" EAderarationedec Iaraturcompofitiorimphcitafqæ verb Grumacnominum.
Decompofitumautem non ex compofitis, fed cx «ompofito et dcriuatiuo,
^Utanfr «ri^i/i^ ex trans et fchbo : ex quo erat (chbiUo., COmpoficio
verborum aliacft exduobusfeuplaribus verbis vtaii^tf^#»ex caleo et facio,alia
eft ex verbo et aduerbio vtmabfMio,fatisfati9^ alia ex yerbo U
prarpofiwoiie^vt f/j^r/^ f*«jfiRf^,qua6extta iacio^vtcum alio facio: alia
ex verbo et mminefrtfmSififo^maffttfgf,
idejifaaofru^umt&f^idomagna. OMniscompofitio ex
nominc&: verbofignificat a- dionem alicuius rci, vcl padionem, vt
fractifico& confru^cor^arefaciOy^careno^Sclxcifico. Omnis composition
ex verbo et aduerbio fignificac qualtficacione m aaioDis,reuaduS|fiUe
aftiai|fiac ^ fti^mtVtfatiifdd Ot^Jdiu^^Omms compofieio et verbo 6r verbo
fignificit adiis; edmonem,vt/r/^<f/r<7,(^uomam&adl;tts
frigQris,fita*. i mefldacah F ADditam^ftinhacregalaj?/^^ datur ^
quoniam non videcur ex duobus vcrbis fieri compofirio^ quoniam duo
adus coirenon poflunt,fedfialcerabaU terofir,habebirurvnus
vteflTentiaai^us, alcervcailujfcu. ackio ficpaHjo eius Jicucpatec
mftiic^fi ^ cd^P.^ Omniic ompofitio ex verbo
&pr^pofirione,lfgoifrcat adum cum relaciooe et refpe^ ad aliquaro
efien- tiam,adi}uam,veldeqna, vel cum qua » velinqua» vel' proptet
quanr,j vel per.aoam., vcl fuper qoam, vdi
&bqj;ii^3ieleirca<|ittm,m eiuQs giatia»)edittir|!^An9W QuorfiintpracpoYiriones
rocrunt verbonim expraii- pofitionibus conipofiriones fecundum
naturani,. 'Scd (ocundum vocemadcertastantum reftfinguntur. £xemplade verbifubftantiuicompofitjonibu$'.
Verbum fubftantiuum babet compofiriones odo;^. Diciturenim dyifw,adfum^
ideftad aliud fum^quafi prac- fens. Et;^^/iw»ideftabaiioiom, quafidiftanSs&dirgi^
ibs abeo..Ixmdefum quafideorrom&m^&reparatum; Infum, Quafi in
alip fumi ve) jficas fum ^pricpofifiæiiifni fep^umynria jfine qoando
yenit in co mirrjftHirquali incra aliquod iutn, vt procfeDs, vel
can «qttamtuuans aifcnecefnirium. lcem 9ifim^ quafi ob aliud
rum,6caduerrumJScconixai fignificac euim ly eh oppofitionem quamcShque,
et qoamuis ngnificec cflecaufalc
finaleincerdum,tamenia compofictoneponitur vc cau&opponicar effeAui
falcem relanui. Pr^fam, quafi pro alio fum, vel pf
opceraliudjidcft illud iuvan£:/>f4r/»/»,ideft fuprafum jvnde
prseefledicicur,qui imperac, 8cqui anteic. Suhfuyn qiiafi lub
alio fum. Poffum quafi poHieirc fum. Qujenim poteft, poft eft, potcntia
.n. ex cilentia manac, vcdeclaratum efl: in Metaphyf. Sclioc dico
exvicompo- fitionis.Datur &y»;'^r/«iii. comjfofimnihus
verborum non /ubflanr tialmmcumfrdpoftiombus. In verbisaliislongeplures
funcconipontioneszdicimus enime^eje^r/ff, abticio,& adiiciosqubnim
piimum Heni^ iScac f^aracionem per iadUm, lecundiim ver6 addi
tipnem Sicex ml/i«amicco,£cadmitco, quamuis^i/in ad- .4!^cco referacur ad
perfonam miccencem : in adiiclo v|r&
fti^eamyadquamficia^us^ficuc&appono. . Coniicio Sceoinniicco : Hmul
iacio.& firaul mi tco. Sed perdifcurfionemly coniicioctiam idem eft
atque con- lidero jquia qui multa fimul iacit intelledu,
fyllogizac: et committo quafi aken crado, quo cum mitto quid
faciendum,& fimilitercommicco fignificatfaciojfimulcum,
inftrumentisvel aliisrebusaliquid. Dacureciam circum- iicio,&
circumpono, qu^i^do (^rcjat^mljij^uiii xei quid ponimus,veI operamur,
Demitco&c dmiirfo,deiicio»& dffiiciohabcmus^ demiccereepim est quafi
deorfum miccefevVeLdealiomic- *cerc,fimiliter& deiicere&deponere.
Dimitccrcveroeft quafidiuifim miccerej et pocios ad ^verbalem facic
cdpo^ poIitionem,vnde dicimu? dimitcere quafi libcrare &:
par- cere,quoniam a vinculo &:obli2;a;ione dillbciamus miccendo. Dicmiusdifponere
quafidiuifimponere, sed cuni ordine, difiicere quafi diuilim iadare, et fincordine
j6c . hoceftdeftruerejquafi deflruclurafeparare. Emicto, eiicio,expono,CAiello,
dicuntur quafi extra. micto, extra iacio, 6cexcra pono. Vn Je
diciniusexponc- re &quafideclarare quid cxcrarci niiplicatiooem
&contexcaai, vbi res eft confuHLf poaimus eius renrum. Prtereainiici Oyiminicto,
impono; dicimusqaafiintus iacio, intromitto, incus pono velinponitur
qunfi Contraimmicco Xinaliummicco^iniicio in aliud iacio.
Dicimusetiamintermicco, incerponO) incerficio» incerii. cio$quoniam incra
aliquid miccimil$ aliquid,, quodfiil' Ittd aliquideftcempus vel adio,
cunc incermicco, eft paufo»fimilicerincerpono, quafinitranegocium pono
diT' feparans iHttd.Sediat £rfin'n rft i nmpumre i Hiquod in ter
aliad;vnde 'qiian3o eft homo vel anjmal fignificat id» quod
occido&macto, quienim ponic ferrium aut nlmd diuidens,intraanimal,reparat
ipfumac proindeoccidic dicimusetiam intcrmitto &: mtrofpicio, quando
non vi- dentur quippiam incroducimus ; nuc faltem intclleclun^^
licdidum,qaiaintus legic, incrofpicit. Diciturimpofens quafi valde potens
quoniam impccuofe potefb, dicitur iillicgatiui,,qnoniam ly tion fiKflum
eft o;7, tSc de inde in ficut oUi tranfi in /. Sedraro aut nunqunm fiicit
cum verboficcompofitionem, fed cum participio
verbi,dicitttreniminnocensid cftnonnocens. non tamcninnoceo: iuauditus,
8c cranficaCttSynon tamenin audio necinucoc: infedus/ed non inficio,nifi
fubalcero fignificacu. Icem didmns obiicio,oppoao,ofFero :
quafi^concra ia^ cio, concrapobo,coocrafero » ecenim ly conna dicic op-
poficionem contrariam; &: dioeriam et priuaciuam) et To^. calem, ^ed
oim dicimas Qmitto, idem eft qua£re* linquo^quoniani^qttt concra nii
dionem eft non mttcic,fed definit mitteife : ^'dqai coiitiiiji
|)6mcaliqa&l &ciCCOD»^ trsmcflf dnmp riaatia)&.
Trem proiicio procul iacio (ignificar. SeJ propono pro aIiopono:5c
non procul dicinnis fccundum vfum.Pro- micco autc dicitur quafi pro alio
mitco,»S: pro re facienda mitco vcrbum pollicitans,vel procul mitto,
vndedicimus promifTam barbam ideft prolixam, dicitur etiam
permitcoideftperaliudmitto vt fiarjyenim pcr caula- licatemdenunciar,
percipioperaliudcapio, vcl valdc ca- pio,quoniam caufalitasnotitiam
inluflrat.Dicimus pra:- micco,ideft ance mitto, 6c pr^pono
ideftantepono pofl:pono,8c poftlial^oinon tamcn poftmitco^quoniam
non eft iii.vlu,& non quia non poceft fieri fecundunx nacuram.
Icemreiicio,repono remitto jquafi iacio,rctropono ideftpoft pnmam vicem,
et rcmitto, 6c refcnbo, et hoc verum, quandoly,re, breuis efl: fyllaba
^fed quando eft longa,dicitur,arcs, vc referc, ideft res fert : &:
vtilitAs fert. Amplius dicimu.s fnbiicio ^fubmitto j quafi
fubjacio, pono rub,mitto fub. B. enim fit.p.ecf, exfono (equen-
tiSjVCfuppono,& fufFero. 5"ed bonus Grammaricuso-J riginem
retmebir. 1 icimus etiam fepono, femoueoj' quafifeorfumpono,8cfcorfum
moueo,fimiliccr feparo,. jk. fegrego, feorfum paro et feo-^um a grege.
Itcm fuf-- vpicio, q ua fi fuffum afpicio. Jcem fuperpono,&
fuper-^ >Jedeo, 5c fupcr, quorum erhymologiapatct. «Amplius
traduco,traiicio,tranrpono,tranfmitto,tranC' lego, cxtrans
&:ducoi& iacio&c.H^catculimusexempla,vcinaliisidem ^cx:^^
fncere" et dtclamare, dicimusenim exdo das, abdo, addo,, condo,
dedo,edo, indo, obdo, prodo,fubdo, reddo, tra.do. Similiterexeo,is,habes,adeo,
comeo,ineo, obea, pro eo,prareo, tranfeo. Quprum fii^nificata
ccfiabori- pnaliclongcncur, camenalToriginalihabent VIM SIGNIFICATIVAM ftrto
cnim fignificacperaIiudeo, ficucfumus5 Imperativum vero non habet nin
præssens et futdriim, caretque pr^tcriio,quoninm non poteft imperari
qiiod tran(M]it, Deqæ Deuspoteft fa^ere vt non Fucrit, quia fi- bi
contradiceret Imperafnus id folum quod nuhc^auc ' poftei exitinadum;
Caretetiaralmperatiuum perfonis primis in fingutari numero ;quoniam fibi
ipfi nemo imperare potest, sed alteri,nifi ieipfiim vtalterumaccipiat, et tuiic
erit quafi fectinda perfonaqui eft prima?fic Petrus air, quKl
agi^ Petre>& fjc Peire, Non caretin plarali, quoniam muici
imperio mutuoaiiiciuntur. Optativum habet prxfcns^prxrer tcm, .S:
furiiruni : Jefi Jerium .n-ad omnia fcrtur rcmjiora i npt.Tinus
ecenim ali quidfuiire, 6c eir.', 6c fore, habctque nocas fua^ Subiunctivum
liabct fimiiiteromnia tempora^qaoniiC' poceft fubiungi ad quodcunqæ
verbum alibram moi- d|or um, V t// c ames^vil xffnm #if,qu6d amatferim, i
tem nini'4imaremfit?piraidm^tCei^ mamdU€ro fuffirah* NotandumquodS^ubiani^niu
habetpro noraly e&m^ qu^orationem farpcndicdonecairud veiTDum fibi
adian« gacpoftfe,vei^fque ly «Mfiibiudgituralteri verbo^vt
iMtmefivtfæias^ petaliqoam notam co£ujatioonim di^ ^r^m taliogicai. Liherpri/fUis. 6i Dcinjkmtiuo* INiinitiQum etiiani tria tempdra habec,
fed fine perfo- nis, dependentenim fcmpcrexfinito verbo: quod poced
mulciplex efTe et ad omnia tempor;! r&Ferri, quo» piam
bxcrclatioeftindeterminararum pcrfonarumjom- nibus enim pedbnis copulatur,
progcsrea infinitiui modi Garent diuindione perfonarum rHijc^us enim tred^
te Mmdtt iwsamatiiJU • et h^nnmaii^Mum^ effcibL quxli- betperfbna
cuilibetaddt pote(t,veff«fFamulantia fem' pcrinfioiciuum expofcunc
poftfe^tiuiftn locopatebit. t)e Cermdiis, parna^iis,
^fupims. Gerundia, participia et supina non sunt verborum modij sed
nominuin simul 5c verborum 'participa- tiones ^ proprerea de cis alia
nars oracionis eft conlicien- da ; nec verbi$ addcnda, vc tecece
priore^. PIlxccritaprsefie£b,imperfe<f):a,& pluTqpam
perf^Aa' non funtin dperatittis^ fed idem omtfifl tempora re« præientac quoniam fubxatione V6]iti
nonmultiplicacur' prxteritio; ucut fub Aftibiv
indicati, Subiuni^iuuni veirdhftbetpmnia pr^i^td^^ qubniimi cuhi
dmtii verboalceriusmodifiibittndioh^ fikcere po- Granmiacicioon
inteltexei!^ qiioddeftderattuo^potius «utetn (ubiuo^liuodeeftpars
prsefentis rempori, did mus enim vulgo/o amafli .h amaret fftti
caminafii, iovcr^ r^ir^fo : quxnon re^lecuiUundunnir apud latinos et vulgares
etiam peccant quoniam \) amafei non ad uc<u deraciuum, fred ad
(ubiundiuum verc /pedar.non enim pronunciatur, abrqærubiun<5toanre vel
pofl^nquiscrgO' iterumgramn^acicare^ur boc coQilderare
debere{:. QVxrituf autem, cur pweritum multiplicamr, et non fucurum 5cprrerens ? refpondeo, quia
praccc- ricum porefb non cotalicerprxteriflre, et iterum totaliter et tandem
mulcoance,poteftcliuidi Sed prarfens ell nunc indiuifibiIe,quapropter non
potefl diuidi. Sed quod
imperfedum eft prxfens pertinet ad antecedens, vel ad fubfequens tempusi
igitur vnius tft temporis . Sed de futuro non ficraliud enim eflmoxfuturum,aliud
poft, aliud longc poft SedGramaticinon acceperunt hanc di-
ftinclionem : quoniam vfus loquendi apud vetereseiuf^ modi expreffioncs
non habuit, ficut de prxteritis,verun- tamenfuturumfubiundiui videturefTe
defuturo prxte- Tito-fecero enim idcm eftlatincquod vulgariter
haver\ fatt9. Apud Hxbreos tempora ficut magis confufa
l^ikttfiovefborum ex ordine. Efborum aliud primitiuum, vtDo. -aliud
deriua- tiuum, vcdono. Dlftinclio ab ordine eft fimilisci, qujc fit
nominum. Deri Hamorum muUipUcitas verborum ex verbis. APUD
LATINOS verboru deriuatiuoru aliud est inchoativum, vt a caleo ^xtcalefco,
quafi inci ijio calefcere. Aliud meditatiuum,vt acocno canaturio
dcriuatur, qua- fimeditorcocnare. Aliud £requentatiuum, vt alego
lemp, ideft frequenter lcgo :i rogo rogito.
AUuddiminutiuum^Yt ajiri/^,/tfrW/*,a fcriip/criiilU 6$
pauktim, &diminutcfcribo&:c. Deefl: Latinis ma?!;ni. ficatiuujn,dicimusenim
vulgoda beuofbeuacciiiare: da Aico (bracchiare francheggiare. Derivatio
verborum ex nomiaibus irerum mulci- plex jalia a similitudine: vc i pacre
onwpmiftff^ fiue pMtfix^YMizkhtjQi^ rei fioe exi(lenns,fiue
mui^cioD^ fubeopcis » vt ifronde fhnltfco,a lapide lapidefco, i ca^
lonecalefco.. regvlA. QVoniam'verbum fignificat
a<?lum ; cuiufcumque autem rei efl adus : igitur a quocumque
nominc rem iignifican tepocejd dcnuari rerb um. HJ£c rcgula
valecapiid Grxcos, et Italos vuIgaTCSi TedLaiininon vf^oeadebipraviirunc.
Lulliusta men eliciceam exquocumque nomine : namqueaic,ho- TCio
^hQmificauhdmlficaHo^homificabile. Sedlidcex
compositione fir non ex deriuatione,di: pertinetad adum agendj. Sed
detioatioptoi ^flr ex.forman, stUpUef: t^^metallefio^U^nefco^fenefco^pt.
treJc4tj^W9jbcfloreUo a flo. re.f Sed ab homine non dicicur hoimeo^ntc d
I-upo lupefco,. et caroen ft cundum nacnf ficri deBcc : vnde vu I gaiiter
\ icampo ^^Cit^t9mpe(i<jiare^'2ihvit^xi^f U dmnaii^ lioiuutff ^
ficoc Latini dicitur mafculeftire &: «jlf^WfMri. dfnafculo, &:
fa;mena. Qoiatitem nouasartescudir potcftf.iccre deriuatio-
Hes verbales ex quocumquc nomine, ex omni enimre egreditur aclus
exiftendi, vcl operandi, vel imicandi Ucu. X^uid^uid Ciraminaciciinhoc
minusfapianc. T)i dcritiatione temporum ex temporibus ^erharum,
Derivantur etiam tempora verborum fucceclentia ex praecedentibus eiufdcm
fpcciei^vt omniapfscterita ex primo prxtetito profeAo, ex amaui enim
oafcitur affMuc/jw^ amauiJ^e^i^mduerim^'^ Mmatierc^ amautje': VErc
dcriuanrur ex prxtcrita cx prxtcrito perfc- non autem cx imperf-edo, quod
enim iniper- feLlium eil, gencrarc non potcll: fibi fimile, irem
fufurum lubiundiui deriuaturcx prxtc.rKo, quoniam Micit futurum fub
r.uione pr.vrerici, idem emm^^,/*^/* dc iii m ^ m m h a h
x^^' DerMatio ex pujintii DEriuantaromnia ptasfentia tempora
exprxfenti Iti. dicaciuo,vt ab amo ^amaytmanm^mim^hLamaniSc ab
amoryamare^ amafeffiimeriamarifVt Silc^o, Deriuatioexfuturo. Ex futuro
aurem indicatiui, non videnturoriri alia futura. Non enim ex amabo deriuatur
amato,6C amem,&amauero,& amaturum cfTe, fecundum vocem
licetderiuantur fecundum rem,quaproprer in Iiiscon- fulendus efl: vfus •
ac for(an et quanpus iyllabaibm primjarum. ! formatione virloriym$
Arc VU. . Verboruinaliudfiniplex YcAs#:aiittd compofiniinV t
iramligf : ^nd decompofitimi > yc ttmttU^ 'EAdem ratione
dcclaratur compoficio simplicitasque verborum ac nominum. Decompofitumautem
non ex comporitisjed cxcompofitoacdcnuatiuo, vClfrfK/- erMU ex
crans et rcribo : ex quo erac fcribilio. Compositio vcrborum alia
est ex duobusfeuplun- bos erbxs vtmUfaw^cx caleo acfaciQ,alia eftez
verbo et aduerbio vtmakfatth/aOsfiiekj alia ex verbo U prxpofitione,
vt</^i^^ «»jB<^,qi> afiexira fado »ncum alio facio : alia ex wbo
et nomine, iftfa»iitj!(o^magnif €0, OMniscompofitio ex nominee et verbofignificat
a- (^ionem alicuius rei, vel paflionem,vt fruajiico &-
con^dificor > arefacio^Sc areno, £c Ixcifico. Omnis compoficio ex verbo
et aduerbio fignificat qualificationem adioni$,reuadus»fiUe
aditti|fiue "fzS baxiftfaiiifst UjtcJail^p fiLWk Afi^.
OMoMCompoficio eif yerbo 6t verbo figotficdtft Afi» editionem, vt/r/^<f><7,(juoniam
ficadus fhgoriSift ta^ menda tHh ADditum-edin hac reg^ala f tamen
datuf j quonianv non videtur e"x duobus verbis fiefi
compoficio^ quoniam duo adus coirenon poflunt, fed, fi alcer ab al-
tero fitjiabebitur vnus vteficntiaaiaus, alcer vcadujfeu- ftibo& paffio
eiusjicutpatec mfiigefipt^ntltfit.^ Omnis compofitio ex verbo
&pr^poficionc;( fgDifrcatradum cam relatione et refpeduad
aliquamefieo^ tiam,^qiiaib, vel deqna, vel cnm qua, velin qna, ver
Sptft qnamr.,j'vel per.qttam, vel fpper quam ^^veU
q)!lt>meircaqi]am» v«l enins gcatui^ jeditiirs^&it^^
QVotruntprxpoilnone.srotrunt vcrbornm exprjc;- pofitionibiis
conipofitiones fecundnm naturam.. Sed focundum vocemad
cern^jjipi^iiR-reftringun^ur.''': Exemplade verbirubftannur compofitionibusi Verbum rubftanriuum babet compoCriones
o£tb^ Dicitnr enim i/«w,adrum, id^^daliud fum^quafi prx- fens. £r^4/to,ideflabaii^^.quafidi
fiis abicHH^ v;,^,. ^i^-',r:v: ixcmdtfim, quafideorfiim fum-
et feparatntiH^ ; Infim^ qttafiitt altp fum; Wl incns fttni .pcazpQfittæfiltfii.
%|4|^u§u^^ quaodo venit in com£ofitionf m« iinir/im > quafi intra aliquod fum,
vt præfens j vtl tan . tjuamiuu.ins .nirnccefrnrium.
Item oSfim^ quafi ob aliud rum,&ftdtterruo).8cconcm iignificac
enim ly eh oppofitionem quamictfnque, Sc qaamuis ngnificec eflc caufale
finaleinccrdum^ tamenia compoficioneponitur vccaufaopponitureffeftai
iaitem relatiue. /^r^?/»»!, quafi pro alio fum, vel
propteraKudjideft illud iuvans:/?r^/«^,!defl: fuprafum jvnde præefledicicur,qui
imperat, &qui aLiceic. Sul^frvn ciuSiCifwb a\\o Cmvi. /'f^wz
quafi pofteflefum. Qaj enim poteft, port: cft, potentia .n. exeflencia
manat, vt declaratum efl in Metaphyf. ^hocdico ex vicpmpo-
iitionis. Datur Sc/^/^^r/ni». De compofinontln^s verborum non
jubSlofh ttaliHmcHm^rdfofitiomhm. IN verbisaliis longe
pluresfunc compofitiones:dicimas enimexjr^«:i0,
abucioy&adiicio^quorum primum fignir ficac feparationem
peria^um,-fecundam ver6 addi* tionem Sic ex ffiil#/^amitto,6c admiccp,
quamuis ^dva ad- miccoreferacur ad peribnam miccencem ; in adiido
v^& ftd ean^/^JmiamfiK iaftus ^ ficut 8c appono.
ConitoolwefKKiM^^ iacio,& fiiu perdifcurfionemly
c^mcioetiam idem est arque con- fidero ;quia quimulta /imui lacic
intelledu, ryliogizat: ^ commicto quafi alteri trado, quo cum mitco quid
fa- ciendum,6c fimiliter committo fignificatfa/ ciojfimulcum. inftrumentisvelaliisrebusaiiquid.
Daturcciam circqnv iicio, et circumpono, quando <j4rca;amljii|um rd
qqid poiiimusyvcloperamur, ' Vf,. Demicco6c dimitto,deiicio,&
df6jdQhaBcm.us*,<ie- mictereepifn qft quafi deorfum
micce^revVeLdealiomit- *cere,fimilitcr6c deiicere et deponere.Dimitterevero
eft quafidiuifiin mittere. et potins ad .Terbalein.fikcit
c6po. Ttemproiicio prociiliacio {igniticir. ^cJ proponopio
aIiopono:5c non proculdicinnis rccuiuiuin vruni.Pro-
mitcoauccdicirurquafiproalio mitco,iS: pro re facicnd.i mitto verbuai
pollicitans.vel procul mitco,vndedici- mas prpmiflam barham id^ prohxam,
dicitur etiam jpermitt6ideftperaiiudmiitb'^Vc fiat,lyenrmf pcr
caufa- fitatemdenunciatjpercipioperaliuclcapio, vclvaldc ca^
piOyquoniam cauraiicasnociciaminludrat.Dicipnis prx mitto,ideft ante
micco pr^pdno ideftantepono poftpono,6c Doft lial^oinon tamcn
poftmitto^cjuoniam non eft in.viu,^ npn quia non potcft^eii
fecundan^ naturam. Icemreiicio,repono remitto ^quaff
latio.rctropono ideftpoft primam vicem, 5c remicto, 6c refcnbo,
iScboc verum, quandoly,rc, brcuis cfl lyllaba : fcLl quando cd
longa, dicitur,arcs, vc rcferc, ideft res krt v ^ vciiicAs fert.
Amplius dicmui5 fubiicio, /ubmirro j quafi fubjacia, pono fub, mitto fub.
B. enim fic.p.etf, exfono fequen- tis,vt fuppono fufFero. ^Vcd bonus
Grammacicus originem recmebic. . r icimus etiam fepono, femoueo^ quari
feorfumponb^&reorrum moæo,fimiiitcr /eparo^,4^f«(gfflgo, feorrum paro-^
&feo-njm.a grcge. Iiem fiiH picio, q uafi ru#fiEin| afpicio. Item fu
per pono et fuper- iedeo, rupcr,quorumcthymo!ogiapatet^\>5^^-:^
lego, ex traris-I^Bfii^ti&i^^^^,5&S^' H/£cattuIimusexempIa,
vtin aliisidem k\:\s facere et dtclamare, di c mms en im ex do das, a b d
o, add d,, condo, dedo, f do, indo, obdo, prodo, fubdo, reddo, trado.
Smiditercxeo,i5,liabes,adeo, comco,ineo, obeo,, pro eo,prxeo, tranfeo.
Quorum fii^nificata etfiabori- ginaliciongcntur,caiiienaboriginaiihabent
vim figni- ficatiaam ^fn^ Cfutn.fijgpificatpcr aUudeo,(icucfttmu8i
\ I «i per adrem', 6c aqua perbinum, compenecrando j
quod nim per ic, didbciatur ab eo, p er quod it, vnde e tiam cUar
incerlre :quomam difToIurio atomarum euncium in .
atiasreSyCompoficamdeftruic. Vnde perire& interireeft •proprium
compoficorum diffipabiiium £c friabilium, sdem concipe deperdo,
8cc, "DeTarMif to. PARTICIPIUM est vocabulum, pars
orationis declinabilisj fignificans effenriam fimul cum fuo adu, veladum cum
eflentia^ cuius eilactus^ D E-Gi-A A T ra IN hac definitidne
ponitur ^fcaMam fdfs oratiotjis detUnaiilis eadccum declaratione, quain
nominis,fic yerbiy&pronominis tradatione vfi fumus. Dicit
urfizni^ fe4m4ffeiu^tmmfi^a9u\ VfdtBmmmeffmiafimuttZd differencia
pro Qominis» qaod perfonam^ non efleiM^m dicict&nominisquod
fignificaceflentiam/en remabr> queadafuo i6cverbi,qaod
fignificata^lum.fednoncam eflentiafen re. Quapropter cum dico
;2df/l:m,figrtifico rem, qux nafcicur,yet aclum nafcendi cum re, aduara
ta- li aclu. Et ideo quot funcaclus,totidem funt participia .f. substantialia,
cxiftenrialia » operatiua, adiua, pafliua, Deutraiu,communia,&:
deponencia. Dlcicuf propcerea oarticipium, qoia capi t parcem fi-
gnificationis verDi, et partemnominis, vel pronominis, id eftadas 6crei.
Vndedicicur eciamnomen verbaie vel verbum nominale propter idem.
JUberfrimitsl 7/ Grammatici dicunt, quia pdriem eapit a
nomine^ p.tr- tremkverbo partem ab vtroque: a nominc .f. genera &;
carus -,averbo tempora&figmficA4ione!i«ab vcro» ^ue namecam £c
figurani- Pere^Mr^iiitelligiint kxnmrfet'ea/um vahecatem^ indidionts
fine. Sed bsecvarietas eriam eflin verbo» fednonitaatqueinnomine.
Ibi enimtTe. scafusfingula- riter funt, in nomine fex et pluralirer etiam
fex, ncc mu- ' tant prefonam ficuc in veroo. Vet tempora
intelligunt pra?fens,prieceritum &futurumjqua: aclumconcernunr. Sed
nomen figmficat tempus, vt ens eft, fcd non cum temporevt verbum, Per
fignififationem incelligic adio* nem vcl pafiionem,&:inhocfaIIuntur
Grammatici:non enim afoloveibo habet partictpium fignificationem,
alioquin (igniHcaret folummodo adum Sed quia figni« > ficat efientiam
cum adu.nonhenedixerujDr, quod aver* bo (0lohabet6gnificQtionem:tquod
autemaddunt n$> .m^rnm ^l%«r4fiil*idefl: formationem fhnplicem com*
poncamab vtroquehabere non mal^ addant. Sed non* efthsBcnarticipkmifn
rario propria^fedinmodo fignifc . candiftbi vtrumque parcicipar, fbrfan
etiam pronomenr ^veirbiiniparricipat, omnisenim eflTentia indota fuun».
didum eft perfbnara,^ adu^ eftperfohahs, proprere^ dicendam efl^quod
pirticipatpronomen &verbam,ver forfan quia nomcn efilnrinm
fignificans habetaclnm ^flrcndifiibflanculiter.poceft concedi quod parrcm
capit a nomine,'cum reueraplusd pronomme capiac-' adu?; e* nim
exiften Ji,agendi,operandi,pr^tiendi fnnr potius per. fonarumqu.im
effenuaium, ijifi, vc pcrfouaurum. Sicdi liocinMetafii,. 72
gratnmaticAltutn CampaælU, Participt» oriuntur ex verbis, 6c
terminantur inmo^ ' mina, vc ^Xitmabmm&tamam, mucata verbaliin
rfii/ noiiunalem. Confimilitcrm vulgari lingua.
DeriHaihfarticiftorum. DEfmuntparticipia in am et ia rus,
vc^hians&ama^ curus : et in tas 5c in ^«/,vt^inatusdc amandus
Addemus, in ^i/ii,&iirffi^vtainabiUs et ainatittiiS) Vtt
iat*Ukrovidebimus. Participium ui
a4iii/oiiiuj:u4^aprimaperronapra:ceri ti iiupcrfedi .murata <fwin, v;,
vcamabam, amanb facir, in w, in /1»^,formacur a fupino pafliuo.vtamatu
fa- cic amatns, prout addic, r#/, auc in,formacur a ge- ninuo
parcicipij in am^ mucatO|fi/^a ^/t/yVt amantu facic anundus.
INiingua^atina itarehabentderluationes paucisex^ cepcionibus
additis. Sednon in otniaiidiomatedan-- tur participia nifi vbi breuitas
Srfiicus attcodiior. Poccx tamen noftratesvti ceperuntjdicuiltlHiim/Siitoi^
faH9, faBihili fucJiaoyfaBufo et facignd^.quod poftremum cft
mumsvfitatum. Atquidcm deriuationesomnespoC funrfiericx imperatiuo per
adiedionem,& ex fecunda perfonaindicatiui, fi
enim<*«i^,accipiat,»j facitamans, f\ tus^ amacus, fi, ndas araandus,
fi tums, amaturus. Tut vertitur intns eftin xa/,vcvifus amplexus, proutfupin^i
jEjjrunr. Etideo redc (^ranuuirici funina refpuunc. <'Duo func
parcicipuex parce edcntisai^umkhabentia» .Camaoa Ly
Gc Ltberfrimtis, 7i amans et amaturus, alterum
prxrentis, alcerum fucuri temporis.' Duo funcerinmex
pj:rterecipientis aclum .f. amatus et amandu5,pertincntiaad prxtentum 6c
fucurum. Duofuncex partepocenria:,vt amatinns <5c amabite,
cfpa^poiruiH: muLtiplicari adkiue 5^pa(riuc per omnia cem. pbra, vc
dixitnufi de oomine loquences. Tfofofihodetemfortyus^ TRia
enind runttemporaparcicipiorum, pricfens,pr3p- tencum &futurum, quar
multiplicancurinadliua^ pafliua .f faciencia et recipicntia: excepto
prxterito» quod non poteft elTe adiuum.nifiin verbis communibus, ic
deponcntibus, vt (equens /equutus, fecuturus, lar- giens,Iarc;itus,5c
largicurus,atque infuper quibufdam vocariN neutns paHlnis, vc gaudens,
gauifu.s, et gauifurus, tido ctiam, ca:no,prandco, iuro,placeo, foleo,
audeo* af- 'fuefGO, quieko,titubo,lnuboi fierienim pa/fiua
triplicf- teifdeberencyciiens fadtts&fiendus,iedndn eft auistfi
Vlb. ' Etquiaqubd eft in potenria eft fucumm.fittnrilma-
tittum et amdbile^adiuttm tcpaffiuttmin potencia&pof?* ieat
triplicari. ' : . QViECumque carent fupino verba,carcnt etiam par-
ticipio,in cus&in rus, vc<iircO| ftudeo yCompefco apudLacl
cafus exigentia. PArticipia exigurlt cafus {ttbrum verbonmi, ficot
fiio in lotodocebtmlis, quando non fiimuntur penitus nominditer.
J)oH»i enim p^t^ft.efle nomen, ver^i De fextu. Prasterea participia
habent sexum masculinum,vc foemeninum,vt^» 7<i^/,8camanda,
neucram vt amatum j commune, tamantcm,omne^VC<iwww>tiici- tur
eaim Jiic» 6c hazc^ £^ hoc amans^ > OMniaparticipia
iai«ffi& vsihtk futittertixrieclinatioms nominam, in ntSt ia /«r in ifti et
inijiffj funcftcundas&primaSf ficutboaus.bona, bonttm,icaa-
maturusjomacura, amaturum dcc.- lyejorma. c
DAntur'fimpIicia,&comporita&'decompofira, vc- iegenSy
perlegens, &per leduriens, flcuc m ver- bis. £t
babent compoficionemilmihcer cu m nomine,cum; terbo^cum aduer bio,cum
propoficione^iicuc declarauL-mus loquendo de yerbis. De frttpojltione feu
adn omine. PKxpontio eft V ocabulum indicb nabile, confignifi'.
cans rerum feu elTeniiarum cum iuisadibusrcfpe-
aus&circunftantias. Ideoque nominf adhasrec figoificanci
efl!enciara. Uberfrmuil 7/ Dictc Qr
1^4«&tff^f»!/) ficoc decæteris. DimviViniitlHiatlbi ad differentkun
decliii&biliam ooniinuiTi,verborurn, participiocunr8cp Fon6niiattm.
Dicitur conf$gntficans nfpecfui ^ circnnfiantias epentKt"
ruminfatsafitbrts : quoniamperfe non fignificat, nifi ad^ datur
nominibus: et non nifiper adum eflendi 6icxi- ftendi 6: ag;endi 6c
patiendi U. operandi pofliint res ad inuicem rcferri.
jDicicur cfseniiaram^ ad differentiam aduerbiorum qu« adtum
refpcAus et circunftantias dicunt, non rerum, 6c idcirco aduerbium
coniungitur verbo j pra^pofitio vcro tiomini,vnde re^ns vocaretur
Adnomium» quam prs- ponno:pnepomenimeftornnium rerum, qux antcce*.
dilnr iiue in nacttra /lue ia ^vocabuiis : fed^omini . præpioni eft
proprium huius partis orationis } quam ex %oz pra^fitionem vocamus Meliorem
ergo adær* biuni nomenclaturam«Præponicttreciam pronominiiSc
^rticipio, quatenus aiiquo pado fuht nomina etia»' ipfi.
jijfirno comfaratiM. Slcutiaduerbium fehabetad
verbom^itaprxpofitio ad nomen:hoc vno demptO|qubd non fimiliter
qualificac,necquantificat. Dlcitaduerbiumcircniiftantias &refpe< fbu$a<fluum;
&infttperqualitates, et guantitates, teroporalitates, iocaiitates«&aUamttiia
pracdicai Æntaha* Adno- miumautemreu prxpofitio ^olum rc^pecbus dicit
eiTcn- tiarum et circunftantias. Qvi:\lirate$ enim qunntiratef. que,
ciEteraque pric^V-mentalia indicanturabadiedi- uis nominibuj circa frJ
»flantiua, rii;nificantia efTentias, verba autem adiccHiuia non vniuntur
fubftantiuis nifi, participiaiiterfumpra. Dicimus enim igo
fnmiuryem^vsk esanuQSyVoseftis icribentes^&c. Omnis entmadusre-
foluirarin eiTeatiftni, et idei^ ner effeotiale yerbum expri-
muntorinnomine participiaU,6cciini<licimus cufnrie^ tftoMefiy
fttmitucl/carrere^motteri nominaliter iqu^ tencis,
ad\useflqoaRkmres,&aoii vt egreffiortjfe, De numero
prApo/itionHm certos cafu$ exigentium. Prepositionum
an« trahunjLDxmifitt Ai^afomaccu- fatmtmi,vt aiJ, “apud”, “ante”, “aduefros”,
“cis”, “citra” jCir- ca^ circitcr, “contra”,erga,extra, “inte”^, “intra”,
“infra”,iuxra, “ob”,'pone, penes, “pcr”, prope,propter, “pofl”:,pra:ter;,
fecun- dum,fupra, verfus, vltra. AIix vcro adablariuum, vra^ ab,
abs,abl'que,cum, coram, clam, dec,ex,pro pra;^ palam.-fine. Alia:
adnccufatiuum &ablatiuum, vrjn,. fiib, fuper^fubter. Alixa^ geniriuam,vt
inftar gratia. Aiia: genitiuo, &abIatiuo, vttenus, quodpoftpof]tum.
" nomim(ingulahferiHcabIatiuovt capuiotenus^ pluralii
veri,g;eniciua, vccrunim cenus« Ratia honun exiogica) et ex ^idisin
capJde nomine confbit DiJlinSfio frApopionum exJ^nijicatiQne.
hiu in. PHarppfitionumalias flguificant refpe^um,alije
cumltaaciaiiio ALke sigmficanc r^rpedttm principijac! termlfium» qua
prioci[>i; xyt i^ex : principij jid termimim S Aliæ fignificar
refpedun^ caufæ a.d effe(^um,&c ' contra,<)uarum ALix (ignificantrerpedum cauialem caufx
agentis vcab>a,ab5> fecttficlum ; vti peo fadum eftfe*
eulum.&ib. Anxcatt& materialis^vt i&^^,-nde Juto ^dus
eft . homot&exelementtselementacum*
'Alise.caii&idealh^vtinftaf.. U >; A liz caufæfindis
6c perfedionalis^ vc propcery Ugra- Alix omnium
caufarum,vcp€r,pra:jcipue aucem ui> ftrumeiiulis. Slgnificantium
circunftanrias,alix rignificantcircniiu. itantias
\oc^\^s\stsfnd^c\s^citra^vlsra,cnmm^tlnf^ fropK imxta^hiira^)^tfa^veffus,
fnpra^infra, in. Alix ctrcunflantias ordini s fetf difpofitionis,
&ficil3f yrtante^f^fypra M^fupr^ fifher^ tenmr yfn^iitter»
lias ojppofitronem vt « Aliapcmunftantkm fccimtis '«IBnmta&'v«tsegac&
^tit^^pUiabfgue^fratcrrCoratn^{dUnt^afiU^
Dijiin&io ex fomatione. . Arc. IV-
PRxporinonum aliæ fiinplicesvt^^jaliieconipofiia:,
vtaduirfit$. Diiiin&io ex Qtdine. ITem alias primitiua:
siprofe, et i-//r.z'-, alix deriuatiux vc propui&cUiriut, formancur
enim comparatiua, 6c faperlaciua nominæx prxpo{icionibus »dc umuladuer
v; Proprium est pr^pofitionum compbfitionem
fiicere cum verbis: non camcn omnium vc^ipitraft^tli dc
verbiJi compercumtuiL IDe ad$ieriiio. Adverbium eft vocabulnm
ii^dec Unabile configni' ficanscircc inftantias pr^dicamenbjes,
&affedEi<^ nes,,modificad Qne/quea6lus. Ideui^ue lernjiqjr verbo adbicret, significanciadunL,D^dume(lpiili9^q,U9d
aduerbium dicitur quia flac
tttU3fc.mb»int|:cemnam9difiGationesadt]s,fignifi- ^ ti^verb j(»,dfcl4ratK7.
» DiciCMr^oyv &par5ordinis icKieclinabilis, ex rop gene* .
yg re,i&: clifferentiadcclinabiliiim. T)\c\z\xr
confiniificdns circun(hiLttat (sr Tnotlificittkne^ fi^ IhS'^
qaoniamomne prxdicamentiim denominansa^ flmn percinecadadus circunftantiam.qualificans
veroad modunir . DecircurjjlantthHs
actum. Circumstantatium: tempus, locus, eventus, magnitudo, numerus, ordo, similitudo,
ficanimi excen-. fiones. Dlcitur
circunAare quidauid non pertinct ad tC fentiam re, fed pertinetad eius
exiftentiam ; omnes enim res diuerfbrum prxdicamencorum
circunftanr, quac Ain t eiufdem prxdicamenri, non circunftan t/ed
ef. fentiant, vt in Metaph. probatum eft. Et quoniam alia funt
eflfentiaiia,alia exiftentialia rquar pertinent ad exi-
ftentiammagisdicuntur circunftare,vtfunrrempus,lo« cus, correlatiua,5c cocxiftencia.
De adHerbtorHmyfpecfantiumad circmflan' • tias^varietate.
PRopterea aliafunt aduerbiatempprjs vt quande:, ho~ die heri^
cras^pidUyfoQridie^ quandiu,mod9,\olim^quen-:^ darn^ nupefynunquam^ mox^fdttUfper^pereniie^c*
Aiia funtaduerbia localiafignificantjaa^flum in loco vt ybi 5
hic^iHic^ iftif^ intusJorit Mfqttd,nttlMii vtro^ique^ fUutr^biqtte. A lia
ad localem ly^oxione^^vtqno^httC^ilkCyi^ttCi intro^ fora ^ttoieis^quocttnque
vtro^ue^nentrpqttu_, ^ /o Aiia moto de loco, vc vndeJjinc^ilUiu^i^inc:
vndijue^/i^ ferni^infcrne indtdcm.vtrinque, A\i3Lipetlocum ^\t^ttaJ?ac,
ttIac^ifiac^ qttaoisqUa!iie^e4'' demvtraque. Dancur vcrfus
locum, viquoffiim, iUorfum^ dextrsr- fim inextrorfuni, Daacur 6c vr<|ue ^d locttin, Jtt^^nc^ffm, iUft^^
vfpi^ qu^ufqu9^hdcienii$. Alia fuDt euennis, vc/i^r/^ tf^nuna
J^nmtu, cmingen*, terSniceffario, Aiia sunt ad.ttCFbia
niagniradini$» vt/^ir/ki»,^ir«riiA»»»t faruum^ minianm % fherimum,
fumwmm^ atis^nimii^ntul- eumyaii ^uanfuium:m:tgiSyampli MSymintts.
Aliarunt aduerbianumeralia fignificantiavicesaduum, vt quoties,
totuiy ((mei^bts^ ter, quater^ dectes^ eenfes ^mtilies^ &c. ex
pronominibus numeralibus deduda. Alia func aduerbiaordinis, v^^rrw»
yfecand^^^ytertio ^c» deinceps^dehi h\pofiremo^dentqtte
tandemydemum, Alia ordmis,&dirpofitionisfimul,
quoniama<ftusauc 'congregancaucreparanc. Congregandifunr, (imul^ fotrim^ ceniunHe,
generatimyturmæim^ vnluersh Separan. di faqt ^fiurfum^ ei^em Uimt friuatim,
ffeciatim^ figulatim^ ' hfariamytr^ar Um>,fitatri/h^ ymultifariamidtt^ltiteF^
triflieiter. SpeOanciaadlimilitttdinem funt, tanquam ^feu ^pcuti^
puktignitvt qitomedu^ iimaim ^Jkmm De fpcHanfibHS ad anim^ etctenfioms^ Ækierbiapercinentia
ad animsc circunftantiamrunc multiplicia. Nam vei anmia alfirmat vei
negac eilefeu adum, vel dubitat, vel incerrogac,ve! vocat,vel
rdpondec: vel optat,vellK>reacur, vei eligit vel proliibec,
^exoftintbuslitrceanima: extcnfibnifcusad obie(fla,naf. canrur adnerbia» (icirca
verbumftaat: v^l fide re-|faQt inlceric^ionis, qu^ eqtrin^entoraf ibni. Affimandiadilerbia
9m^fo,mi, etiami{rofc0i qtappc^ umfu Negandi aduerbia func,
nov>haudimimm^ne^Hac[iianif j^a^d^uaijuam neutiquan),
Dubitandi funt, fGrs.forfan>forfitan ^fortafsii I fortajfr ',
Interrogandi (un r, r, quayt^quam^h im,^muU npnm^ vtfnm^nunquifit^
quidnam, qutdne^ ^i/idita, . lurandifanc, p^l, edeftil» eea^erthercU^
meierclf»nuintt^ .Vocandi fanc «i^fir/t^cea einquefiinc rerponde jidiin.
tecduinadtterbia. Demonstrandi ((int, eccc^ tn^
eccnmjMleet^viddieet. Interrogandi vcf Wandiendi,vt/tfJ^ji Optandi func,
0,Z'//»*Jw/V/,%*<^*w. "Hortandifunc,w^,rfgf,</ 'E\\2,Gndi
p/*tttts/utit4s,p0Hfiimumiimd^^ttin. Pfolnben4i,«^,f<iar. K Duerbia
aiianjim f^rcunftant verbo tanmiam tt> gni6Ccaotia, qaodaifi Miiiniicejepr^d
^ledqoaF lifi^antaiEciancqueadaiil*<^alifici Mio,veleÆxparrea^m
^deQtis, vel f^fd^ pieort5jyel'«xparceinfiui?ni ecdus. Aduerbia
.qualitans ex parte agentis, funt puUre, doRe^ fortitif, ^.'ne.male,
Gr^c^^Latjue^CUeraniane- dcp\cTum* que ex omni nomine adifcliuo
qualificante cHentiam dcriuatur aduerbium quali4cansadujii;igitur
(juotad^ iecliuatot aduerbia. r- RE^e didum ePcex omniadieBiu^
firiadtieriim>iio* mina enim fubilantiua) tunc &mt aduerbia
cum, adiediuantuTj vccxCicerooefirCioeropianus a&exhoc n fammaticaJium
CampanelU] Ciceronianc liciit enim adiecliuuui qualificacrem,
ita aduerbium aclus rcj. Dantur aducrbia qiianticatis,
qualiracifque poficivia, vtdofl^^^ U comparatiuai vc doiiius, vc
fuperlaciuaj vc De aducrbits affeiiionis ipfius a^us\
ADuerbu qualicads ex parte a&ttvpertioentad a£. fe<2ionein eiufdem,feualteracionem» Alikfiint
inten/iud, vtnutp$,m»Mimh^lt Mm^4imdum^ ferqu4m,ma^nopefeyVehementer
^frorfuh fenUMf>mmuttb^ nmium/tnngCylate. imfens^. AIia fu
II t re mi fliua, q ux min u u n t a^lram, v : /2- nfinf.Pa Litim ^vix,
agrh pene Jeri yferm^i : fedentm \ a foco afoco fianfiatto. SiLcvnlgaiitcr.
;7a D Nax A T L a. Sciendufn» quodadie(f); iuanomina pertinentad
e/Ien ciam,quanticacem,formam, fpeciemjvc humaniis,
rongus^quacrangttlaris albu ideo aduerbiort|maIiud quanttficat
adttm^aiittdqualificac, aiiud format;fl/jud fpecificat » ic hasc omma
fttb racione affe^^ionis; di^a funt!6c qualifcationis. Qualitasenim eft
non foluns fub* ftantiæ, (cd etrani quantrcatis,'& formse, et adus,&^onnte^
.aiuro prædicamencorum,vtin iogicadeclaratumeft. Icem intenfio, reaiifiiQ
percinent. ad qualicacis3&. magoitudinis adus. De Qrdineaduerhiofum. liaaduerbiafttD€pfimiciuA>ytti^i-aiia
denvati- aa|Vtfi!^i^& Liberfrimusl ^ Sj iJtf
formanone Adu4%biorum Itcmaliafiinplic
UjVt Ja^^^alia cornpona-, vtfM«* y^^^ lalia de compofica, vc^tf^m
d^Hifiimh Confi Jerandum, quodalia adiuerbia com^onont cum aduerbio
; vcfxjfr>(^v/i,'fic ficaci:ali*cam npmine^ vc maUftcuiy^W^cmk
pronomine vrMf ^fr^/r^ltacttm verbo, sifMiifuciOf maUfaciOt malo- ideft
niagis volo. •GRammaticulicunt fex cfreprxpofitiones.qux 1.0«
nifiiacompoficionercperiuucur, videlicet ''ditdn^ re> fet itf«^r«»,
Veruncamen videncur ex parceerrare, nam ^ ai^eon^ fit prarpontio veniens
eum tnmen\'^dis ori- carexdifiundim t Scdi, exdiuifisaduerbiisi/^eic
feorfum^ r^exf#^« saduerbio ordinis.,veipra:gofidone ;aa forfiui
CXantefrapofiUue^ OMne aduerbiumaffedionem aclusintrinfecam, aut
circun (lanccm,figDihcat,tam m compoficionCjCum verbo quam cum nomLne«Noa
enim nominiiungicur ni« ii per fubaudicum ver^un. DtcwimShnefcjftimM
ar^aionisfsrte^ Comundio eft vocabulum indeclinabile con/igni- iicans
copoiam ellenciarani^inter ierciatarum ad Sdf Cj
rammaticaUum Ca mp.i ne lU, num aduni) aut rerum et ficnul .acluam
earumi»* terfe,6c propcereainorationecboii|ngic c^teras partes
orationis& fententias, vcPecru^&Ioannes fuiit noroi'neSy item
Petru»currit> et loannes» POoiturvocabuIum
fariapithnhittJeilin^i^&fex ge^ nere6e<)iflerentiacomii)ums, ficut
in^efioi^nonc ad. Uerbij &pra:pofitionis. Dichiir
con,^^nI(7cjn s coPf$ldm cfftntirram inffr fe reltt.f fumadvnum achim, a
J ditlcrcnciam prarporition 11111,- ».^ua- rum aliqua flgnilicant
coniunclioncm, vt cfl refpc(Jius nonvcadadum aliquem coniun^:^iintur j vt
Petrui ctnn Jodnnetji^ vbi ly cum^ folam relanonem Ibci^cacis indi-
cac. Scd 9etrui& loannet funt hornineSy]^ et coniungit Petrjimicum
loaiiiictll a2tUL enenJi,8c quidem lyorm gua. Cenusfiini adu coniungit
fpedac ad cohiundionemj^ua* tenuscafiimregit,adpra:()oficionem, Dicitur
vel tevMm fimi/l^ et afhm earttm\ quonfatp pbC fnnt coniungi invndaAfi,
Vel in duabus: vt Petm eurrit, ^ /pamtes Uge» vbi ly, t^Petrqm currentem
6clpad- nem legentem coputat, 6c propterea Grammatici lii* cunt, qupd
coniUngit parte^orationis et fententia*s,vti&a* mo ti* ajtnuf funt
animal ^ et bomo eft racjonaljs vjcar^ito ijrationalis. Et ideo non
poteftreperlri coniun^ioin oratione fimplici vnius pr^dicati*5c vfiius
fiibiei3:i fimpbciter ft* vt homo est animal,tnqua nulla coniuoAio
eft/Oifibo- nms. cimaisim$di» fed verb^Us». S\ econimclionis
f^ccJantibtis COniun^tionumaliacopuIatinD^aliadifluncliua nlia
aducrfatiua, alia conditionalis, alia comparatiua,
aIiarationalis,aliaillatiua, aliaoppx)ntiua, aliæxcepti- oa, aIiatemporaliS5
alialocalis. . DefinitiocopHlanti^, COpulatlua
coniuncliojeft quar prorfirs conlunDT res in vno aclu vel res
adufque.Sunt autem copula- tiuic, ^yat^ffe^ac, (juem^etiam^^uoque
^nccnon^ vt^cumi fubiun^fliuifque feruientes omncs.
GOniungere et copulare funt idem, et quoniam c&- pulatiuaprorfusconiungitjhaberpomen
fui gene- 'Tis, per antanomafiam. i. Sed alix particulic non corriungunt nifi cum
aliqua di- wiiiifione interpofita. Cttmy&ut ^qu&nia?» fubtunchuo
de- £cruiunt, funtcopulatiua:,y7w///7rf C^^oci/Definitio
difiun^lim^ Dlfiundiua efl qux copulat vocahula et non
rcs,vel copulatfecundum vocem, et di/Tbciat fccunduni rem.
Suntqueiftx.^a^VirAv/jfisrr /^tf,vt tuaur^chomo,
autbeftiarvelfcribis^vellegis. Et, velego rummaius; vcltues malus. Grmm^ticalmm
QimfamlU] Defimtiuo aducrfatiud^ numerus. Adversatiua eftj quijconiungic-rcsvelaaus/cd
cil di- M^rCKn^^^^itueihonus Sednonintmmhus Pctrtis effc cio AusfitIoanesiniiodus.
Sucaclueriatiuac, fcd,at^«aiwc, tamen,verum,autem, vero aQ:, cxterum, atquejverunca-
men, nihilominus,Iicet,5cIicet, ecri,quamquani .qudm. fiis^tameifi.
Quaccunque coniunguncado criando. la vuI^Ari lin^ua ly^nij roium
"aduerfatur, Kunc addunc ^crcJ, (lenliter. ' ' De
conditionali. COnditionalisexqua: eft fuppofitione Facitcomun Aionem,ex
fi fol efl: lUoer terrani dies eft, ^uac con-diaioaaleiS/^Atf jwij^j »
\x\i,mxi\,\A^, if/iUbK c De comparativa. I Oniun^io
comparacittæfl:cua:per aflimilacloiieim res fimpliciter,velcum
a^libus fim.ul interfecon-. iunaic .rquando,vel excedcndp, vt ficuc
Petruseftdi^- dus jta Francifcus eft ignarus,vel Pecrus cfi: doc1:us
ficut eftbonu?, cam dodus quim bonu5 : vei magis dodus quam
bonusjvcl quam Pccrus. Sunt comparaciu^ fi^ut, uj, veht, veht:,vtr,
vt^tan»^ Omparatib ^quans eft quarqualiracem fapic incet
V^rescomparatas > vc (icuc Pecrus eftalbus, ica loannes <eft niger:
vel vm tii es Piialorophtts quam Poifca, alia ponit io^qualicate«,vttU
esma^lM>nttsqttamef tPe* Ltbevfrimus.
Nominaomniacomparatiua &: fuperkuitia ^qitoniam .inclirdancly
magjs» £cly mdiiimk fttnc coqiuo^iua oractb- Biim^ didionum. rationalL
* • RAtionalis coniunflio efl: qucX disflum cum ratione didifeu
caufa dicUconiuugip^vc/ff e$ dfUMS ^quia^ JluduifiiCiceroni,
SuQcradonales coniun(^ione$,f »^r^f «Af,
tmim^fu^w^mtUsUi^iJideo^Ttftefia^uotUami^iU^ dem^fyMidem.
DeiUafmaconiUn&kW. Illativa est, auq^contungic anfecedens cum
conre- qnfncididoaircrumexalteromferendo,vt Petrusefl- fendus, ergo
carusDco, runtillariu^ ^g^tur yergoy.ita" ^eexpofitimsi
EXpofiitiua quac rei non clarx coniungft clarifi* cationem, vt homo
.fKibilis^.idel^ pacens ridexe^ ^andtii Uber. Di
exceftiuis^,. EXceptiua eft,quæ excipiendoaliquicTex
didaconi. iungirexpcetumei, vncfe excipitur^vt^?^?// homoed mtndax,
prater lejum Chi^Hm. Ec quadraguica accepi^, ynaminns, -Sunc
excepciu^niji^i juræc ef, xcepcoi^niii^ De tem^oralk
npEmporaliscouiundio cfl:,qi]arcomiingi'c resatqne A aAds per
cempons fimultateni, vc quando magi- ftec
legic/ffiiif^difcipuliaudiiinCs&poflquamveneriSjda-. . botibi libnim.
Sunc temporales, aMond^yfoftquam^tunci QVamuis temporales coniunctiones
(inc nduerbia, quatenusafficiunc.adum temporalitate: nihilomi- nus
quatenus coniungunt parres ora[ionis 6c oratiua- £uias,perciæatadcomudionem.
Idcm dic delpcaii. Dt buUb^l ' LOcalis eft, quie aut res
fignificat, vt lUnftas loco, vel iungiclocalitcT, vc v:n tt
inuent<f^ihite ludico» Suntautem locaIesf<^^ vnde,ijuo
^qua^^uor/utn^qu^* j<y^«^i6c aiix dum comuugere poflunc, Vnt
alix coniuncUones primiciuas vc<2/ialixdenua. 0 s
DipmHio ex diffofitiine^ ' Itemaliacdir ponuncunn
primolocooratioiiiSiVtifr,^Aliæ so AWx pon:ponuntur, voci»cuia cliunguntar,vt^tt;ti^;/4,
Alix vtnijue loco dL^unitir, igilur^equidcw ffahiw^ Ex
formatione^ ITem quandam funt (implices*, n tamen^fttadani.ccm*
fofitiC^atfamn, C^u^flio dc nnmcYO ^aniHm orationis. QVxricuran
fiiicplures oracionis pnrces? no viucntur enim omnesfignifiaitinnrs per
parces prarfacas e- uacuari : fiqiudem articulusadliuc defidcratur, qui
ap- pofitus demonflrat non (oluni fexum, fcd criam quod
perantonomafiam,autpercflrentiam,autper proprieta- xm ed tale* 3ed hoc
verumeAinlinguaGrxca&vuU Sariltalica,cum enim dico P ietra ttno
^Qfnzh&co (iib. antiam Petri: cum dico P///r0//^0jr9,proprietatem
Pc- triper excelienriam declaro *. dc cum dicimus Chrifio ed^
gnelh^b ^giia di Dh : nihil excdiens dcimtis,tiec propriiL Sed dicendo
Cirifi^ k tAfftetto^ o ilfiglio di Dto^ prpf e- rimusquidfpeciale
decantatum,aut quod vere autper effentiam eik,6cnon per fimilitudinem
(oiam v.tChryf. adnotapic/edlatinicarent liac particula.
Videnid?tamiaicerii eflc in hoc, quod Gerundium et fi.ipinumitadiftinguuncura
nomine^Sc verbo, vc par- ticipium fpccialem habcncmodum figniiicandi ;
idcirc4 inccr parces ordinis numerari debercnt. Scd forlan ad
participia reducuntur» veiex verbo &participio com- ponuntur.
Amandoenim amandi,^amandum, parti- cipiafunt in Dus. Sedtamcn verbalircr
nia^^is fignificac quam participia. Sed cafus luabent et formationema
' participiis. Similicer amatum» 6l amatu participio paf^ uuo refpondent
'a&uique prxterieiy vt cocnatami $c pranfum adliue fonanc j
&:auxtliatuin zamattts w6 paf- vndefitper decnincasioneni
amaittm M . De Oratme confufaM^^ de Imerieclionc.
Oratio confusa est indicatio quæ in didiones diftfn- guitur, rediniperfedisvocibus,&
minusbenearn cttlaci> I iignificacaniiiii paffiones, ootiones, et affiediones
« JN hac definitione
ponitur sndicatio, quoniam aliquid pftendic vcprxfens omnisconfufa
oratio. Quar (ubiunguntur, ponunturaddifFerentiam
oratio iiisdiiU0L£ti£* — Dicicur figmfitatpaf$Unc$^ n^$bms, et affeBionei
\ quo- hia ift« funt extenfioncs animx crga obie<Sla extcndcncis
(e pcr poteftatiuum,autper cognorcitiuum,aucpcrvo* iitiuum: et ciuidem
omncf cxtcnfionespcr hanc orationem, vocatam i Qrammaticis
IntmeaionmyAthmnt cxprimi,&defaclbcxprimuniur. Sed non inomirf^ Iingua
habemusvoculas itgnificantes carum^ncquceardcm;. fedinains
ali.ismchufcul'e, autdeteriufcule. LIcetpa<riones,noriones8c
afFeclioncs fint exdemin- omni hnci;ua,& exprcflioipfarqm in corporis
commotioneeadem'^?non^amen expreffiopervocujas^ledalibi Aliar,
SVntqurdjEfm^animas extenit0ne9eardcm, quoniamtb
einfdem^ci^iaiiimabtts i>maia.hoinisiiua corpora tiher primusl
pt informantur, & eirdemobiedis paricer mouentur.Sed
.expreflio notionis animæ reprsefenracurincorpore 6c in exprefloærejinillo
fimiliter,in hoc diflimilirer, vnde afre(5tusdeliderantislacinc
exprimicur p:r voculum, vtinam; Italiccper vde^ediQ, Hilpaniccpcr tfx^/J,
Gra:cc perci. OMnis vox de fe folam anirai cxccnfionem exprimen s
dicicar compofica oracio : qux aucem cuid alii partibus oracionis»
nequaqMam* De exfrefsionibHspafsifinum - In lingua latina
pa/noncspotefl-atiuifuntpauc^Etalir quidem hortantis, vc ^j./, age,
agitc, A Ji^e prohibentis/ necautfroh, Aiixirafcentis^vcto/ffit^iv.
Ahaztimentis, VC ha^ bei : Alfa: animaduertentis » vc apagefis.
Defunc fperantis vocula:, bc irruentis, et imperancis, 6c
impocentis,(clonganimicaiiS|&audencis>6c;Cimenci$&Qi
\ TDeexprepiombHsnotionunt. Notiones cognofcitiui iiTlingua Ladfia^aliac
fiincaf- ferencis,vc :alia:negancis jvc»#a,/&<fip</. Ali«
dttbicancis vtfifrfitnfcrfaan^ fprtafiU^oftaffe. A lix incer-
roeancis>vCAvr,f«i//8^ffli. AJisevocancis^vc^Mi, Aliac relpondencis,vc
«• Alias admirancis, vc pafe^ hem. hWx demonftrancis, vc en^tece-
Defunt auteminteriedioncs memorantis,difcurrenti$> imaginantis,
cogitantis, incclligentis, &: declarancis. M ij
rammMicalium CampamlU^. De exfrimentibus a^eHionum l
.. AFfeftionis fignificatur per tiotas confimiles, alix* enim
func defiderantis » vt vthuim^i, /T. Alia: gau- dentis, vtr//.'t%
h\\^\M^tm\svihau/heUy€h\. Alix dolentis, wzheujjti.ah. k\\xv'\dentis\tah
.,ah^eh. Alix
blandientisj.vt.^*;. Alix iniprccantis, irimalMm, ^ veh, c\\.\x etiam
enrexclamantis. Dcfunchisinteriediones aduerfantif ^qua: poceft
effe '^pagffif, &miferercentis-, quxapud Virgilium exprmii-
turperwi/I?/tfw, <S: xmukn:is5c muidentis,quas non in- uenimus apud
Latinos.Icem approbantis £cxeprobantis,haoc volgjaricer expnmimuspenfii^) qux
Latina non eft« t_,0..QVcimquam pofuerimus viiaam.ojjeus^^forfan.nwil-
tafque aliasextenfionum notioftrs inter aduerbiai hoc camen verum eft,
vbi verbo adharrcntad modificandum afluni. Sed vc folummodo animi
exprimuncafFe- ^iones,percinenc ad forationem confufam.Nihil iuceni
prohibet,vc idemficin dluerfis fii;noriim ordinibus, vbi i
jbueiiasiuibeciationes, vt pacecin Logica» QVJT> CONT INETVB^-
in lihro fecundo. Oftquam parres Grammatica! dixi-J rnus,6c
orationis enumcrauimus par— liculas,. tam perfe(fla:, quam confu-
fa: :reliquumeft defcribere conftru- (f^ionem orationis ex fuis partibus,
6c quomodo cohafrent declarare. Ec qooniam partes orationis
habentca. /bsjfexus, numeros, perfonafque,illa: quac declinantur,
qua rarionedifponendx funt fecundum diCtas ipfaruniJK
afFe<5liones,operæpretiumeft dicere fpeciarim :nam in- declinabiles
particula: folam difpo/itionem requirunt CiJ.
Meiurmodieoncordantiis. De concordantia innationHmlwguis]\^qu^ denuo
inflitm pojfunt, Qucmadmodum in lingua Hebraica Itala,
Arabua, Hilpana, 6c Gallicana non dantur cafus nommum, fed loco
ipfarum ponuncur articuli^ficeciam mlingua Concmcinorum,
Scaliarumoriencalium non danturde- clinationes verborum aptanda:
perfonis, neque te/npo- rumvarietates,nequevarietatcsverborum
aptandxcem. poribus : &: ideo omne verbum eft inflar imperfonalis
vei infiniciui. Diftinclioaucc ficperaduerbia cemporalia, vc a
dicercm, nHc ^mo^tmpoftefum^^ tmo^ante amo Sicin perfo.
w\%^'\nnt\ez^oam9tuamo^Pietroamo^ '\l^c\v\od non dantur concordantio:
temporum nec perfonarum,nequc cafuum fed parciculx aducrbiales,
&agnominales totam orarip- nem conftruunc, 8c didinguunt mirifica
breuitate ac dicendi facilitate. Quapropterqui nouam linguaminue-
nireftudec.hxc notabit ^&quxdida funt, dumdepar-
cibusoracionisloquereipur. T>e cancorda ntia partium in Latind
orationis firuiiura. Arc. I. XNoracione diftinda semper
declaratur aliquis acSlus de aliqua elTentia, fi ueadus ille fic
elTendi^fiue exiften- di, fiue operandij/iue quiuis
alius. §luar€omnis res^ cuius efi affus^ponitur in nominatiuo.
F.sfme cflencia^dequa dicitur ac1:us jetiamfi paf- fiuus,poniturin
noininatmocafu,qucm vocamus re£lum,quoniam cx ipfoflexionescafuum
incipiunt,6c a<n:usexipfoegreditur,veitanquam egredieas cxprimi-tur.
Quareverbumcum nominatiuo concordah SEmper concordat adus cnm co,
cuius eft adlus secundum naturam altoquin non|efiet c i ii s adus:pr6«
pterea nominatittus cum verbo dicente adum, concordari? debent ih numero 6c
perfona,' vtijr# am% i tu ama$, Petnis amat^nos amamus^vosamatiSyiui
amant:&c facie». in
reli^is tempotibus verBortim in omni lingua^ EXcipiuntur verba
imperfonalia,& infinitiua,in qui- bus non ponirurres, feu eius
notamen in nominati- \\o, nec concordat ergo verhum cum nomine fcm
per. Dicimus cniai me f(Kniif^emrum;iAardf$i : et fao,tc
cffedodum,. EX textu reclc patet, quare verbum concorddtcunj:
nomincin pcrlona 5cnumero:quoniamafhiS'eftrer, Sed in vcrbi.s
imperfonahbns^vbi poftponitur infinitiuii •vcTbr.mnon verbi loco, fed
nominis,adiicitur,& tcrti^ femper perfonx fingularis quoniam
fi^^nificat aclum mo- renommi.s quali rem, propterca vidctur quod
verbum Bonconcordarcum nomine, 5c ramcn orationeconcor- dat. Cum
enim dico, mihi difplicct viuere, bc me deie- datfcribcre,&Petri
intereft legere ly viufte fcrihre^z. le^retmt loco nominis pofiri
innommatiuo et ideni fitntac vitayfififth, lecho, et concordant cum
verbo. Patetenim <)uomam fidico, petriinterefdeFiio.benedico,
jaonaucem, CiptrimtirifikSims^ murfmjfic^ "iiS GrdmmdticalMm
QnmpamlU] falluntur Grammatici purantes efle imperfonalepro^
pterinfinitum \y irjtereftSc deUFfat. In ralærgoimperronaIiumquintaaIiter/ebabet,cuiv;
6\co^petrumtedctviLt, !y enim t^edee cum nullo concordat nomine. eftrque verc
imperfonaie. Sed ramen scien- <ium,quoddeberet concordare cum iy vita,
ficuci in vtt!ganrerinone«&in dliis linguis accidit. Sed Latini
appofuerunt geDiciaum prononiinaciuo^velquiainteiU ligitur aliquid,
vtcumclico,aliquidbooi,6cnonboniiiny vel aclus, idefV^adus vitse.
Sedinfecundo imperfbnalium palBuorum ordineTes obfcurior
eft,dicimus cnim a mf/atisft titi. Sed fiquis confideret quod z&us
fatisfaciendi sl me egreditur, Sc qu6dcanfaadiuainablatiuoponitur quando
non vta- gens confideratur, redvcid, vadeegreduuracbio,ftatim
ceflabic dubitatio, In infiniriuisquoaiainC^iwpera
v^rbotiniriuo concor- dante cum fuo nomine regunrur, facile intellj{^imus,
quando non ponuntur, vt edens actum, fcd vt obicdum: proptereaque in
accufatiuo, vxCcio ego,teefse dofiBm^vbi lyte efse doiittm^tdobiediuin
fcientiarmea:, et propterea omniainfiniriuaaccufatiuæxigunc,&cum
dicimus,'ego fii9 fcri^ere^ly fcribere b^bet vc^ Domenindicans
obie* dnmadttsiændi. Quapropterin concuflæftreguk,qu6did,cniu$eft
aduspropric, veicui attribuiturvt proprium /|in nomi- natiuo ponendum
eft, concordandumque cam propdo a&u : ergo nomen cum verboconcordat
in numero et perfona^alioquin non eilet
adus illius, fed alterius,& cumdico,//^r^/<far0»f, refpicioplurale
inclufum in illo fingulari /«r^rf fecundum rcm, licet nonfecundum
vocc. De <^on€ordaMM sdieHm cnm Ju^fiantiuo* NOn modo
ac^iisconcordatcumeojCuiuscfladus, redeciam quaiicas, 6c
quancius.&^i^uidquid dbi .adluerec»yei inefty vel
eftipfum. Qu^rein omni lingua adkBiuum coneordat
fuhfiantim. Quapi^opter nomen adiediuuni cum fublUnriuo
concordacin oninilingua^qaoniamaccidens ScprO' /priecasei,cmuseft accidens
proprietafqiie.» conuenit» cordacque,(i ems eft. Jn quibus
concordat adiediuum cum Mfiantiuo^ Concordacaiitem in
fexu « numero, 6c csfuJUferh' na» dlcimtts, ez,o vir&mtSytu malier
bona, manci-:^ Aium bonnm, nobis boms^ vosmulieres bon^e, mancipia
4>ona. X fe ratio pacec h n i u s concordantiaB. Sed
aduerceiK dum,quod. apttdG5ammaticos ttonponicurconcor«
dannainperrona,quoniamparantadie<fliuæ/re perfbr naramterciantm. Nosattcempu
camttsnttiliusefTe perfbnac,fedeius, cttiadhxrentfubftattnuo <»vel loco
/ub- ftancitti.pronominis^perfbnam' fufcipere. Q^apropcerin wi//»vf,
ly bonus eft perlonjc primse, voi mali maU • i-' eft,fecundaj, -
PRa^erea etiam nomuuvidentur non habereperfo, nam, fcd a pronominibus eam
fortiri, trahique in ipforum ordinem. Quoniam fecundum Mctaphyficam
effentia non agit nifi quatcnus habetexiftentiam Sc eil: pcrfonara:cr^o
adum habet ex perfonalitarc . propterque a pronomme, perfonam
fignificantc,contrahuntur ad personam. Igitur Petrur eft prima» /n i^^/rr
eftfecunda, Pctmi autem abrolucceftcerda> qiioniamno fiiiiclui£
perfonam. Y) econcordiardai'mi ctm antccedcnte,quocl
ufert^ Qubniameandemrem contingit pluresliabereadin
qu6>,dum referc intelledus, non poceft eandem rem replicare,ne
fatietasfiat fedrefertipiam pernotamj, quamvocant Grammatici
relatiuum^nec æeftvVtre'- latitfum concordet cum relato antecedenci^
quoniarar idemfunc. Concordant autem in fexu, numcro perfona,
non autem incafUjquoniamrelatum non (^r-iiales habct a- dus/ed
alium eUcndi^alium agendi, aliuni patiendi ^DH fexu numero eadem eft dedaratio.
Sed de^per^- Ibna filuerunc Grammatici»ficutin adiediuoiub-
ftantiQb-^verumtamen eadem rationeconfnrantur cum enimdico. tfo qui
fnmbMs^ Hmf Demn : ly qoi SclybHmi fiint perfona: primaf,quoniam aAus
funt perfonarum, vt dicluni.cft, Non concordancautera in cafu,
quoniaui. Hf, 99 111 vna pfBpofitipinp pnt-ffl- pflV
j»/>us enef?cli,&inaliapa«- tiendi: adus autem paneo^conpord.it cum
agcntc, qttan^o adiU£pronunciatiit^^l|H^ noD palliu^ve in
quo-Quapropter ciicimusci&«j^,^i^^^ ydo* fhs efiyvhi ly ^tiim cfk
pacien>^um eviiicationis» 6c hcma faabens eft a6tum exiftendi dck^q^,
vnde iloo poflunt in eodemcafuponiremper^nifi qiiiDdi^Bltfta^sftuj^
-conditionis, vt cum dico, Petrus qui eft Gramm«iicus, erit diucs, vel
quando fignificanturdealiquoadus, eo- ilem fii>nihLandimodoiVt: cum
dico.Pctrus aui eftGrammaticus,dicabitur, vcl doccbirdifcipulos, vbi
^l/^ir/di- citaclum, vtinhqrenrcm Petro, ^^«ftfr^ acium^vc m Pc-
tro operante : idcirco quam.quar « alcer pafTiuus, iilter- adiuus,tamen
concordantcum actu exili?njii • 6cjGraji>»,niaticein modo
fignificAndi. OMnerelatiuamiacicontcioiiemdupIicem,'8ceftfi«
ciic cbniandjo nominalis oncionum, nec poceft reperiri oracio fimpleXi in
quamxelaciuum ingredicur De construdlione orationis. Ba; reruM
comuniiione difiunQhnefier aHumoftameJfeconSiruSi^m oratifinis. Quoniameirentia
Breriimperie (ttntimpermi%: pe»-' mifcentur aacem per proprios a^fttts,
jlttmalieniin ^teram extendicur» £citenim ipfarttm finiplicitas^lM;
mulripIicirAs,ab intellcdu concipitur,per aclus inteU leclus permiicetur
£C vnitur,ill3 per mtclledium facia jnultiplicitas; propteica ad
declarandum res cumluis- adibus et per Adus coniundas 6c difiundas eft
oratio^, cuius miiidplicitas exaduum niuicipiicitate couftabic. mt
funt gmera aSuum tot $jfe regulas fit^ ordines CQn[lrmndan*m
oranonHm. Cumque fitalius aclus eiTendi,alias cxiflcndi^aliuS'
opcrandi, aliusagendi,aliuspatiendi,alius mixtusj proptereafuntfepcem
ve^rborum ordines : dequibus re-. gulæ fepcem laciend^ fanc iecundum
redam philofO'^ phiam^qajimquam Girammacici alicer reotianc.
Deregula verbarii^eJfentxalium^imHmor^^dincmcomirHcliomsQrationum
duceme. Art. Prmium ordinem con ru d 1 o n i s orarionum
effici u n r - verba (ubllanciua : qua: exigunt ante fe et pofl fc
nominatiuum proptcrea » quod prx-dicatum fubflantiale nonlequituradadura eflcndi
sed continctnrin illojvc b&m9efi4mmaUvh'iK\\xoT\myi ly ammjl eftic^cm
qnoJ ho- ma,aAus eiFendi nqn facit differentiam mccr id quod:.'
jnr«Lcedic& qaodfequicar ad verbumr^/ eandemconBruffiortem verbumej fentialir,.
quandofrddicataUnm acadcnukm ' permod$meJfendL
PR3rtejrea.quidquid pr^dicacur, vtfubftantiale vel per- m^ttsR
iuib{bDciali$» licec noa fii, nifi feconduia roccm^pomtiiretianii
innominatiuo, vt homoeftalbus, lycnjiTi ^fi^af /hacret homioi
accidentaliter.ec non cft idem quod homo. Sedtamcn pracdicatnrquafi
cnsidem: qaoniam eft idem in perfona,licetnonin fubftantia, vc
inMccaphy. declaracLii. Sandem
conilruBimem facere "verba accidentalia qHando aBus non e(fentiales
per modum efsenhaiu connotant. O-Mnia verba ctiam non fiibflantialiaquarenus
irn- plicanc adVum eiTcndi, quanmis pcrtineant per fe.prim6 ad
exiftenciam, velaclrionem vel pafTionem, etiamexii^unc ante&.poft
nominatiuum,vtPetrusma- æt martusjlcoincedit grauis,
Mulicrextatp/ompia:; anti^uiladabattcur nudi. Vnumefseverb Hmfub^MnHum]
On vidcrur verba fubflantiua feu efTentialia, i\c di-
_<n:aquoniam adumefTcndi rubHantialitcr aut ac-
cidentaliterexprimunc^cflepiura vno,vz./' «^^^'SoV declinationeshabecod Grattfknacjfcis^etcnim
ly viuo^\^o mamviuereeftefle,non {bmper fubftantial? eft.vtliic, tu
viuisbom^^ Sedincerdum accidentale, vt in viaisfccUxy
tuvithvitamUn^af^amy hoc cft habcs^veledis vitam lon- gxuamutem
quoniamdenominanturTesab his quac ha- bcnt extra fc, et non mbdo ab his,
qux funt, vt dicimusy Tetrus eff NeaptUtamtt ^t^ pilcatus, eft fortanatus
: propterea ly habeg^ dieic/flw, et ly fiim hahu per
commuta-tionemfignificationisi ricucenjmooihabetarmadicitur armatus,ita
qui eft homo dicitur haberehumanicarcm habcreefrerationale, cum'vcrcfitranonalis6cnonba-
bcns ratiojaale i hinc Gxammaticj ponunc# loco haz,. here.vtmihi
funr pccani^: 6c tu cs mihifaflidio^cum vno^' et cumduobus daciuis,
&iioc cum pronunciacur eflec«- xtftemialicer. Qupd enim exiftic in
alcero efl,$c alcerHni. h^recreu incn:: namcum proounciatureilenciaciuepo-
ntcurinrede ^viejfi fum ftamio/u^^^ic cuesmeumiaiti* diam«
Cur fHbBmtkium dicit ^opcfsionem^ ITemlyefldicicexhac radice
poflc/noncm, notatquej quoniam connotachabcre, vzlibethic ejl Peiri^xqua.
ualecenim l.uic,Petrus hahcc hunc hbruni feu cpcur*
jnuni|6cPecrusc(tcocurnacu$« .
Decompo/ttiuaftsm. CQ>m»o(itSLirfitm, vcadAim^abfum » defiim
itiifam pra^ni, profum.fubfum, regunt cafus prxpofitionis componentis
com/«w,prxter adfum, quq datiuum .rei^it quomam xquiualec accufauup cum
ad,6cmutaac ^llecum exiflere. Omnia "uerb^ redm ad
ffihjlantimt^; OM n ia^erba refoftuntar in fabftantiuam,
fam,es,f/?^ quoniam qaidquid facic aut habet mz patitur, ed:
idipfum S, faciens,habens,autpatiens, idem crgo valer, cgocurro,
quodegofum currens,proptcr caufas dictsts; inMetapk.p.i. GH.ammaci ciincipiuntfegalas.con{lru(H:ionis
a pri« ma a^iupram, et falluncur, Prias enim eft effe fe-
condttmnacaram,6c deinde exiftere, 8c deindeager^» iQoamobrem verbum
eiTeaciale pr«cedit« . Yo ItemTecundum dodrfnam. Prius enim
eft nomina- tiuus cafus quam dccnfatiuus} et (impIiGior eft ontio,
in qua nominatmus pr^cedit &rubfequirur;quam in qua fequitQra6bus:a
finiplicioribus autem et prioribu sinci. piendumeft. Z)< regula
verhorum exi^entialium \fecmh Aimordinem conft^ru^ ignis
ducente. Secundum ordinera conflrudkionis efEcmnt*yerba(f^
g.uficantia ajftum exiftendi : quij ante fe exigunt nominatiuum rei
exiftentis.poft fe vero ablatiuum cum prxpofitianein ^pmneenim
«juod exiftit^jextrafe exilUt inalio.. Qut>t
modiexiftendi. D Tcunturresexiflereinalioproprie,ficutinioccxex-
cepnuo efTentia: deduc^las ad exiftentiam extrn cau- "IjEtttfuam,vt
munhse^ tnfpafio\ ex hocextenla eftcxi- "'^nti ia { in temporc, vt
Perrvi e9 m hocauno^ ad in.. . iubieao, vKalbedo %n parictc,ad in caufa,yf
fBntiW' lyeo^ et leui in lun^his Abr^.hac : ad/« cfeUu\ vtneuseft
in' mindo Ad m roro,vt inTn^hnro jr/r/''; ^#//aiawr^,auesinære.
- /Mhes hi modi eflendi indicant principaliterairt 'connotatiui
exift^ndamyextepto^ effe in^caufa, 8c in effiedu, vbifaltem fecundum loqændi
modom coiii- notant. o o4 (jrammancaUum Camyanelu^ Dewrbigexi^entialibus
fnncifaliter. VErba exiftentialia funt exifto, exto, irifiim,
priBl cipalitcr. Ac cunda verba conccrneiuia aduivi -exiftendi
dcducunturad ifthxc. Qiiapropterinanco, fedeo, moror, dormio,
iaceo,ca- ftra mecor,6c cxtera huiu/modi,exigunc poftre,abIa-<: jCiuum
cum pnepofiaoue Ux. Deconnotantihm exifienti^ m^ I^H^ceFeaomneverbunfi
figoificans dSendi aAiim agendi.Scpatiendi, quacenusdmul exiftenciam con-
cernunc,exigunceofclem cafuSjdicitur enim homo pati in
anipna,agercin foro,gAuderein ccckii i ; 2c intelligere in Deo, loqu: in rapienda^^ira.q.uodiiuiluiii
eft verbum, xjuod non poflTt poft fe babcrc abUitiuum et in: quonum
.omnis aclaseciamcxiftit et poceftrignificari, vcens^dc Vjc .exiftefls.
GrammatkaUter dumtaxat exiSicn- SVnt verba qux foluin
GrAmanricaliter connotanc exiftentiam . vthomo eft rationaiis in anima,
Seo eftiufticia&inanimaii renfitiuam. Secundum rem jenim non
eftiufticia io Deo, fed Dea^eftiufticiatneque rationa|e in anima. 6^d
^niaia eftrationalis^prouc ixk Mecaphy^ docuimus. %^egula vcr
borum a^uatiuorum, tcrtium ordinem n Hru^ionis
fercns. Ertiumordinem efficiunr verba fignificaociaadunci operandi
immanencem, qttt proprijbvecacnra^us» l ' roi & verbæiusa(fluatiun,
^ exi^untantefenominatiuum, et poft fc ablatum abique pri pofifione
fignificantc aftuationem eflenra: nominata;, vc ego aiuo aaiore^tu
moueris niotione arbor virec virore. Qyamqtiam operatio ex prima
impofitione indicee adumtranfeuntem in opus& operatum extcriusj
tamcn et aTbcologis et Metaphyficis folet lumiproa- Auimmanente: qui non
cMuiæxteriorisreiacquirL-n- vcl penicnda:, vcl quociiibec operam-ia::
Iioc cnim pertinetadadionem. Sed proprin: enticacisconferuatio- ne
ac manifcflatione: 2c propcerca proprie vocarura- ^lus-.&eius verbum
efl acltiarc: iJcirco verbaha:c ccr- tii ordmis acluatiua dici poilunt,
etiaxnfi firammatici hoc voc^ibulocarcanr. uomodo omms diSio
figntficms auf conno^ tans a^lum^ aut.per modum adns fe ba^.
tens.ponitHrinahlarmo GAu(a!formaIis,quonianf eft a^tts.materlx,
&a£tus (brma:, eius imnuMiens opus eft, et inftru- mentum,quonilm
modtficat iaidlionem ficuti a(5lus, &: omneopus et res fis^nificans
modum et aduationem6c i)arcem,ponitur inatilatiuo i maxime autcm fi
exvcrbo cftjautverbum defe formar, vc i^/r^//cr^. Ahlatiuum
autem hoc vercnonefl fedvocaridebec a<?\:uatiuus cafiis quem feptimum
dicunt Grammatici lioc olfa.cie.aces^ non enim aufcrc, fed dat
forinalicer. Tcimus in ablatiuo quidquidadum figDificac:quor
iiiam a^snonrecipitiir 19 iU{9>iedeitis«ft yquod aduatur \
6c ideo' nullam exigit pr.-Epoficionem refcreii- tem ad aliud coexidens.
Ncque vuit nominaciuum, qttoniamnonefl:icl,quodaci:iiatur,red efl vel
formavet "perniodum formxeiusiidcuco ricutcaufa formalis
po« niturin ablatiuo feu porius acluatiuo dum fuam caiu fationem
exprimimus,ita& aclus. Similiter inftrumen tumin ablatiuopontCttr «quon^am
modifTcac a^ionem 5caftuacadcertum modum operandi ivtloquorlingtta,
fodio ligone,' Ecquoniam verbum fignificat a^um cum . ponicttira^^us
nominaIiter»ablatiuumcxigit»vt€um dicimus viret virore,agicaclione,gattdct
gaudio ^idcircc^ (X\\\m\is^^\c(l cxverbo. Diximus, auc verhum de fe fQtmat, vt nonien formac
nomino i et amor amo. • Prxccrea omiiispars qux aclum cdic,cum tribuitur
' adus coti,ponicLirin ahlariuo: vc homo intellip^ic animo^
Chriftus pacicur carnc, cjaandofe habent ad fimilicudi- nem formx.vei
organi,cam coniuncli quam feparati. OMne noihen fecundum natutam
per MetaplivfT- cumformat de feverbum^quoniam omnis effei>-
tialiabetj)roprittm a&tim^licct Grammaticaliter tion
fit!nvf«,vtabhomine oritur hojnifico, &^ calorec:». leo,ec
calefacio,&aausacforraa> vndeformatur.po.. rjicurin abLuiuo
;&principium,quo ngicur/ . RArio cu V ic hocaflTertum^etemm
homo-op^ran» fecundum qupd homp didcurA^ww in fe, rn^carc, alcerum
calor calctacere, &rcalerei 8ciudex iuw ' dicare^&Rexregcre^
ScUgonligonizare, &.ocuIusoeu- hzare : verunl fi nomcn pure ciTentiam
dicic, non vc ope- . rance, formatur exadu fme efFcclu ad excenora,vt
Petrus C^&pWp^^^ corpptf^Qum.autem ad esLterioia pof- *
icj^ rigicur adus, vel per moauni tranfeuntis elicitur in obieduni,
a idi tur verbum facio, quoniam princeps adio num significant bre(l^vthomifacio^caIefacio,!a:r!^cc\pe-
. trifico; AAioefgoquateRuseftadusagcntisvt ngenns, ctiamponiturln
acluaniio vtcalefa^n^ioncignis caicfacic formactiaraqna ap^it,
vtigniscalore calehicit, vcl cali- dirate, item piincipium agcndi vt
effentialitasi dicjtur cnin^annna iuielligeremtelicc1:u, et mtellcdione 2cm '
" ' telIecbip.o,(S: intelligibili fpecie,qua: fe habet per
rno- u*arn informantis 6c inflrumenti, 6c comprincipijadiQ-
telligendum Hint LogicidiAinguuncagcntem, v/f»^i ' Verbafrimo aSuannia
efsetriflicis ordinis^ V£rborumaftttaQtium,quiedamrpe<£!btitad
potefta- tiuu, vrpoffiim,valeo,viuo, vigeo polleo, queo,ne- queo, caleofrigeo,
morior,pereo,intereo, areo,vjreo,la,
pidefco,horrefco,tremeo,ruOiCrefco,decrerco, cumeo, audeo, abundo,egeo.
Quardam ad cognofcitiuum, vtintelIigo,fcio,ncfcio, icrnoro» reminifcor,ratiocinor,imaginor,
nofco,intucor, Yidco,audio,odorory gudo^ fapio,deiipio, obiiui[cor,
jt^cordor Qu^edam advolitiuum»vtvolo, nolo, amo odi, cupio,
opto>lxtor»graculor 9m^reo>trifl:or, doleo, gaudeo,fruor,
vcor4iocor, iucundor» afBcior, cruci Qr, ri<Ieo,lacrymo/ur« piro»
inhio, et qjox ex his detiiu|ntttr,& componun* cnr, Qvoniama ftuseliciunrurexprineipiis^principiaau-
. tcm ex primalitatibus trious > idcirco func triplicis ordinis,
&cum pronunciantur per modumaclus, j ..adluaciuum poftulant,non foium
dengnantemacluum, sed^ obieilorura ^ vndc occafipæni trabic aftus. ics
GrammaticaUum (ampanelld, citnus enimego gaudeo gaudiomagno
;5^egogaildeo dodriuis, Scarbor virefcitvirorey&virercic
aqua:6cin« telHgo iflCeiieauSc intdleAione,6c fpecie intelligibilij
videovifuvifione& visibili. Sedcum.ifl:iaausreferuntur ad obieda non per
modum adlus, fedper modum a- Aionistuncfiuntacliuaverba,de
quibusdicemusquod exiguntaccufatiunm, vfec^o video vifit-^ilcmrcm.
Sunt aucem vcrh.i neurropaiiuia dida Grammaticisquxpaf^ lioiics^
afFcclionci iii;ivficant/edqua: notionesponun- tur interacliiia non
rcctc, oiiinis cnim ndus pcr moduUT aclusdebccdici ncutro paUuium in
iproriim dogmate: in noflro aurcmacluatiuum \non enim fola
pafTioinccr- nenir fcinpcr, fed cum notione, 6c afFedione
fxpiiiim^, Prrrrerca Grammatici refpiciunt liceraturam^vndenno-
rior «6c Lxtor, et lacrymor,fiint iliis deponcntia ; nobis autemacbuantia
non fecus ac vocara neucropadiua, fic adiua apud ilios ex a&u ;,gc
non ex a/lionj;,, Principa-* lia autem £wea{f9ffmn,Zftl9i ^ 'vqJo^cxict^
concerne Dtiov ftntliorum. PR.xirrca omne vcrbum ouatcnus
conflruitur cum forma aut inflramento^aur acflu, cxijzir al^Uuuum,
quaniuis Gcm principaliri2;nifiGatu rubllannuum,autexi- fle ntiale,aut
acliuum, aut pafliuum: diciiv. v. s cn i m fcr^bo pennadc fcriptione :
doceo libris, doclrina : tacio manu, fac1ionc,cruce, Paciorpallione,
cordej,crucc^iteni. aiHciorgaudio&aiiicio Uc. Regfda de a£tims
qtiartum ordinem coniir$t-,£tipmse J^cienUtim. ACtiuaverba funt,quac
figmficantacflum caufx tran' feuiuemmexc^riora obiecl3,propcerca^ue
VQca^ ^og^ min at^lionffm, 5c idco exieic norninntiiium Cdura^
nc;en- tis, &acculktiuum reifacl^Icupatieutis, vc fol calciacit
lerram» Slcut a&useileadi edefreQCialitacumieii
pHmalirafu adiatra^exifteQdiveroe^rttmdem adextra: aduandi- aucem
priQcipiorum egrediencium ex primalicacibus per refpeftum ad propriam
conferuacionem i ica a£lus agen« di eft prindpioltmi > ve excenforum
ad obiefta, ac proiiw dein caufacionem. JFundamennm
caufarHm. QVnproptcr fiunt fexcaurarum gcnern, vidclicet cu-
clnjLim^ pa/fiiuim, qnx egrediunrurcx poceflati- uo : ideale
&:Formale, quxex cognofciciuo principio jfi^ Hale £c
perfedionale,quflBexvonciQOr, tioexigmdicafusexcmfarumr^, ET
quoniamcaufa agens effi, qui aljquid facic, a quaaliquidfit ipa{huæfl, quasaliqW*
paticur, yeidc quaaliquidfic:ideali^s eft inrkarcuius
aliquidfic:forma« lis eft,.qtta aIiq]Liid fic : iinalis eft propter quam
aliquid ficr perfedionalis eft fecundum quam aiiquld perficicur,
vet benefic:inftrumencalis,*per quam aliquid fibocca» fionalis,
vndeincspicmoriuumcau &ad cau&odum.. TtAterea raiio de ca
p4 caufi, agentu. PRoptereadicimus, qupd caufaagens femper efi:
po' nenda in nominatiuo& in re(!iO)Cum a(flus cius in ip-
ia expriniitur: vc (oi calefacit cerram s ci^m veio inpao i\o . '
^ramr^^^iticai Hm CaffiparielUj tienceexprimitur,vcabageiue,poniturinablatiuo,cum
prxpoGcione vel rf^, vc a Sole calefic cellus. Secunda dc caufa ^aticnte.
^r^Mniscaufamaterialis&paniua, quando ex primiponicurm abhuiuo
cum pr.vpoHcione de, vc de ligno licianua 5c de argcnco phia- la '
quando vero exprimicur caufatio agentis in materiali &pa(rma, ponitur
hxc caufa patiens in noniinatiuo, v£ licTnumficianuaafabro^ &PetrusverberaruriFrancifco,
rargentum vertiturm aurum A nacura. Tertia de causa idcali, Mniscaufaidcalis.
quandoexprimicureiuscaufatio vc ipfa caufat jponicuxin &eniu.uo cum
pnvpoficio- ne inft?ir,vt LupHtn terraft injiaf dentis tn
animal/^vel cr.maclub eiiisiri/iccufaciuo cuin prcxpoficione
ad,vc/;<?- mo faUus eft adimaq^inmX'^'*' Aliquando eciam in
accu- faciuo cum praipofitione fecundum^vc/^^f omnia fecundum
exemplar, quodtibi monfir atum\e fi ^quxwt enim vt bina- rius ab vnicate,
exemplatum ab cxcmplari primo : &: hic
ortusperly/?^«»<i«wexprimitur. Quartadecaufaformali.
Mnis caufaformalis', quandocxprimitur in caufa-, ^ionc fuaponiturin
aduatiuoabfque prsepoficione, vt paries albedim fit /.Similitcr etiam
id,quod eft cau- faformxdum formalitcr exprimitur,ponituriin
ablati- xio i vc pariei calce (it aUus : 5c Francifcus cibo
repletur &aluus fcecu tumcfcicicuius fenfuseft, repleturjrepie-
tioneacibo,velcibi:8ccumefcic tumore a foctu;vt ho- mo intelligit
intelleaione intelleclus, et Chriftus pa-% titur carne,ideft palTione
carnisrquod in logica confide- r^iredebebamus. Libcr primtis.
iii ^Hinfa de canfa Jinali. Omnis causa finalis in sua causatione
poniturinnc- curatiuo cumprcTpofuionepropterrxgcrambulat
propterfanicatem,5cmedicus propter pecuniam medi- . catur: vel in
genitino ^ cum \s grcit^awz vidcndi tuigra- tiægohuc acccfii : 6c hxc
verafuntdc caufa finalicon- fummatiua A.tcaufi,cuius viui perfediuo
autcorrup-i tiuo a(flos deftinatur ;ponitur in datiuo: dicimus enim
e- C^oferuio Regi :hxc res placcrmihi :tu noces Fabio:au-
xiharisPetro. Etquidem qnoniam omnisadus ad al- teriusvfum potcftedi,idcirc6
omne vcrbum poteflha- beredatiuum: vt tibi emo gladiiim :tibi amo
vxorem; tibi doceo filium. Pctro occidi filiam. Semper ergo da-
tiuum aliquamfinahratem vfusindicat. Alicjuando finis connotnrus ponitur
cum prxpofitionc pro in ablatiuoi. vt
eo iVIc/Ianam pro li bris, et occidj pro rc tauruin, ^c. Ssxtade
cauja perftxliorjali' Causa pcrfe<Shionaliscbncurritcum
finali:5c propter-- ea poni foletin gcnitiuo cum ly gr^itu :
aliquando ?^cuformali, quoniamintroducla forma in materiaacce- •
tlit perfcclio • ?c proprcrca ponirur in abhitiuo, vc 'lorro perficiturdifcipiina,
6c caufadifciplina;, ^ augetur a:ta- rc : fons fcatctaquis^ligo
pohtui*v/u, aut rratia vfus, aut .'^Jvfum. Septimadeinjirumentaii'
OMneinftrumentum naturale &:arrificiale ponirur inablatiuo fine
prxpofitione, quando fumitur vc modificans acflum a^entis caufx, cuius
efl inflrumcntum vt cgo fcri bo manu vcl penna. Sed quando fumitur
etiam vt coagens : tunc ponitur in accufatiuo cum prxpofirio- ne
per ; vt Rex per mihus prxliatur. Nam 6i cauia agens
:GfdmmaticdiumCsmpAnelU; €tiam in accufj.ciL!o cum ly perMct
poni! maximeau- temfi non eft principalis. ApudHcbi\tosautem poni-
turin ablatiuo cum pra;po(jcione/;7,vc/«^<^fa/fl mo$ian* fui Urdanm,
quacenus m eo agcns agic. Ociaua de Qccafwnali cauja^
CAuHi occafionalis; qaoniameft moriuum aliarum caufarum ad
caufandiim, poniturin ablaciuocum prxpolkionc f V, vtf.v raptu Helenx
conflacuin eft bei- lumTroianum: ponitaraliquando^a^vc *ib ou<j ifcd
vt in- xluic racionem a^^encis. Principium quoque iuftaroc-
cnfionis,aqua nicipic caulatio ioler nmihter poni, vc cx nHhdici, cx
inuinis rixa, cx Lipidc via, 6c hot m^. talimhomm,^
6cexfonteaqua« ppi^MJiMdi fHHiijjionSteUmento. PRincipiærgo 5celementætiamin
ablauuo ponuni. tur cum ly ex^ vr ex dominico die feptimana : et ex
li> terisoratio. ex terra^c fole lapis lignum>&acs&c.
Eie men tum enim eft id, ex quo aliquid fir : 6c mateda
aliquandoponiturvt elementum. Principium yerd ell
id^exquoaliquidefl:.QVoniampnmaiitateseminentcrcontincntin fc ipfis cauias^l^incipia.
&elementa^omnes didlos caius recipiuntiti
rutsadibusmirificeQtiflinAis^ficuc in Metap« 4cclaratum eft, De
primoordtnea BiuorufH. POrrb fia(5liuum 'verbum cxigit nominatiiuiru
rfia- {(eocis,^ accuraciuum pacicntis » omaiafigniticantia
ft^ionem f Liberfrimus.
fu aftiooem tranreantem in patiens^ pertineb^uxvt ad
ph-" mamregulamaaiaorum, ^ iSedqaædam dircÆ funt in hac recTuIa
quoniam eram adionem dicunt, vc</^j,/</a<^,6c compofica
exeis,Ccc- (^uiuaicntia.De wrhs aSimis primiordinis. aclionem
pote^atiHiimportamibus. Sunt autem quidam adns dircdc poteftatiui et exe-
cuti ui : vt pra:rerd icla vi ii ; fico^occido/oluo, Iigo,incipio, finio
r,t:nero,pano,iuftcro, tcrreo, timeo,quero^ amitto capio,ceneo|iib£ro» reliQquO
(moueQ,|: ero,for.. mo, defVruo, iiipero, cogo iacio, pono, depono,
collo^ planco,ptit(;^ro,remiao, inrero»pinro,& quidquid peni-
netad rem >u(licam, et arcificum: ecenim alif a^Uones- func
naruralef,«liæartificiales .'iisaddefequori medicQr^ &criminor«
DVoniam aclio proprib efl: efFufio fimilicudinis a-
gentisin'patiens:fimilicudinum ver^ alianaturalis, vthomo
generatliominem, et calor calefacit ^aiia artifi- cialis vrhomo fcribit,
anc fodic,autd omi^'cat,facit n- do aliquid fimile fibifccundum ideam:
idcirco vtraque adtio fpedat ad primam regulam diredc, Vndeerranc
Grammatci ponentes in tfuarta peutror^m verba fignt-
ficantiaadiionesrafticanastcum verius fi!)ta<fiiua,qaam amo, et lego »
(c emo, &c. Simsliter indeponen tibus. Deadiuis primi ordinis
aCiionem. cognffcintU XX tv tmi r ia
verba pertinent ad adionem cognofc i ti ui,qux tunc vere.eft
adiocumad excenfiora progredicur Vc de c i r. r o . vi o c e o /cnl) o j
moneo ^ c «elo^re uelo^maoife Ao-, ligncreFero. QaaQdoauremnon progreditur
ad exteriora sed irn. manet, artamea)vcreiata exterius profertur tunc
fpe- Aancadadiuorum ordinem fecnndario I vtfcio .ignora»
memini}Video,audio, olfacio,gufto,intelligo,lego,caileo iapiOiCogito,
opinor,imaginor,credo, affirmo, nego, exi- fiimo, pendo,nofco, confiæro» Addemeditor|recordor» €ontempIor,tmitor^&:€.
', Dlfferenria eHinter aciionem tranreiinrem»& immn- ncntem
Qii3cenimtranfit vercadioeft, vcc{oceo,&: declaro:quænon trannc
componitur ex a^flu Sc paXsione BC a(flione. Si
qnidemhomoparicurivifibilidum vider, acfimula^lumedit, exfpecie
viriibliremobiedunofccs, &c quia ex. Anriii i>i i fprcfe bPictgS
ad obiedium exteriDs ferturiproptereavp caturaaio»^ verbum
adiuum,fefl nonDure,igiturfciQ^videOxexi(timo >&c. (untaftiua
fe-.- cun^ari3. 2>^ a^iuis ordims, aSlioncm voliiiui
imfortantibus^ ALia verbaadiurrpnmi orJmis
rpe^anr^advoiitittlS quardam prjiiuno a(flionem tranfeuntem
fignificantia,vcmanduco,nucrio,caco,futuo, mingo, appcco, ad
requor,declino, verfor^inrideo, quxdam (ecundario fignificanca Aionem.nam
perprius affec1ionem >vcamo, diiigo, fperno,voIo, cupioj(K{i.erurio, aueo,ambio>opco^,
<lieiUero>: Adde fiaoiilascorj triftoc,
&c Liberprlmut. EX praccecienti declararione rumiturhorum
vcrboru nocio : nquidem adus volitiui 5c cognofcitiui fpe-
clantpotiusadaduationcm quam ad adionem. 6ed quia referuticiH
adobie4!2a,iaduunc vlm a-diuoriun.ficquac pri- mo.rcferontuj, vt manduco,
bibo^fatuo,funtprimoa- ^Uiaprimi atfeclualis ordinii?: qiub flutseni
fecundo, fe- cundo^vtamo. Noænim amor ttktmr adexcranifi ^uia ^rimo
obie Aum mouecpoceftatiuum motio. neficmdiciumin
coenofdciuo^-Scl^^p^^e^userga ie^fcum in voliciuo j de quibus iri
Mccapffi^ DE SECVNDA S F,eci 0 a^HuorHmjictmdum Grdfnmktkos
reguU correHio. V£rba adi ua fecudi ordinis apttd Grjunmacicos
func qucx rpec1;ancadiudicium ancad commerciumope- iraciui
principij, et propcerea eziguncagencemperfonam mQominacitto» rem
paciencem in accuiacitto :addicur ^tte terdtts iafus ablathius, quando
nominanir prectum^ aur ciimen de quo ficittdicittmpauccominercium ; vc
ego accufote crimitie furri,&emo librum carolinp. Kun- quamatttem
pDnicurgenitiii9isnifi præ intelle&o abla^ ttaom|fe babencis
quafiinftrumencalicer. GRammatici faciuncTecundamadiiuorum fpeciem:
qua: exigarnominatiuum agentis rei, 6cacciirariuu
patientis,&genitiuumpro certio cafu^fignificante rem quaficadio^pafljo
ipforum. Sed reuerafaUuncur. Noa. enimaccufo,reprchcndo'^tfifimulo, moneo,voluncee--
nitiunm. Nam cttmdicO»accttfo€eiiirci;moneo tedo* Qrammaticalitim
CampanelU] loris intelligitur crimine fcu culpa furti, 6c
paflionc doloris:omnisenim adio edicain alteram habecinftru- mentum
aut modum quo fit. Dicebamus autem quod caufainflrumencalis
femperponicurinablnciuojfimilicer quidquid ad inflrumentationem aciionis
fpedac, et ideo dicimus.cmolibrijcaroleno, vendoprecio magnoprqciu-
enim nominacuSc inftrumentu,quoficempcio5c vendi- tio vulc abl. 6c cum
Grammatici ponunt non nomina- tum prctium m genitiuo^vt cmoma<iriiy
tarui,quanti^pIuTi\ . mmorii ^iuaritilibet^ &c. fubintelligitur ly
pretio^ inablati- uo,id efl: emo prctio tanti. vbi ly tanti ponitur
neutraliter 6c non adiec^liuc, alioquin diceremus tanto, vndc
Virgi- lius. Moc Jthjcttsvelit,^magno mercentur AtridiC, Ac quidcm
Grammatici dicunt magno hoceffc ptetio magrtl fonderiSjied w4<^«ocum
pro ly ^r///«:dicimusenim'mmori- pretio,maiori,paruo.magno^quanto,
quantocumque-vc peritis in lingua obviameflrSimilfW dicimus,magni
^fVi. ino,magni facio, floccifacio, floccipendo, pilipendo,
hoceftpretiomagni, pretioflocci&pili. Sed nondici- musx>/7/^a^^^,fed
Ti/ipendo; quoniam in neutrum non tranfit ly t/////j vt aliqua prctium
counotantia. P^crl^a iHdicialia, ^ commertium connotantia:
Verba SIGNIFICANTIA iudicium^funt accufo . pofiul^ accerfo,
defendo,rcprehendo.incrcpo, admoneo, punio, damno, broluo^ca{iigo,inflmulo,
arguo,conuinGo, incufo, muldo. Commercium vero, cmo, vendc^, venundo,
veneo jmejcor, et deriuata, compofitaquc exhi.v,. r BE T EI^T SPECIE
cafiopem,rigula^ €orre£ijo.. Verba rertix fpecici 'adiuorum
pofl: nominatiuum agen(is5caccuratiuumpaticntis, exiguntda-
tiuumreiillius, cuiusvfui applicatura cflusifcmpcrcnim fehabct vtifinis
vfualisadionisfiuein bonum,flue in ma- lumquidqLiidponiturindatiuOjVtcmo
tibi librunvido Petro diploidenn fcribo tibi epiftolam; • -CAufa ob qua
dathium exigititrinhacregula prima- - rio» efl: qukt finis^cui
applicatur^ vfiis acflion is 6c adVaPi lei, da.niiain «xigit: vt
dicebamu» loqu^ndo de caufi^, ^propterea verba iftapofriincvockri applicantia. Dcverhorumterti^
JpMeimtdnplmtatL.. Verborum fini adionem applicantium, quacdam funt poteflatiui
operantis,vt do,promitro, prxfi- cio, impero, fubiicio . mitto, impartio,
admoueo 3 &: fua compofita deriuatiua, vt arquipollentia.
Quxdam fpedantad cognofciciuum.vr decIaro, oCkcnrdo, monn:ro, fcribo, dico,
fero, arfirmo, nego, fuadeo, & fua xquipoUentia^c
compofuaScderiuatiua. Qtuedafn fpecfcanc ad volitiunm, vr commodo,
foluo,arrpgo,concilio,&ccnfimilia,apud auorcsnotanda. Exiguntverbapixfatætiam
ablatiuum cumpr^po*^ fitione pro, qoando mofatooni fi n al i caufa;
vfualis connoi»'" tatar^vtfi/i^» tdipiMUtmfrpUif^t et pane^
pro cibo, s Exigunt etiam accufatiaum cum præpofirione*^ ouando
applicario vfusadioniun longum trahituryvi y oeftino> fcribo&mittcoUtcras<«/iP^,nedumi<iM
. irs- . QVamquaniiflafint verba apud Grammaticos da- duiim
exigenda \ nihilominus omnia verba pofTunc datiuumliabcre quandoactionem
et aclum, &, paffio- nemcum applicatione confignificamus, vt cibi
eftpe- cunia,emo'tibi folium, doceo tibi filium Grammati- cam.
fpoliotibi aucm pennis: perfequor tibi inimicum. 'CVatulof tibi pro
magiflratu^&fimiliterly pro potefliii omni vcrboapponi cum motiuum
applicationis, vcl fi- militudinem circum loquimur ^vtmitto ad u p^o
lihis,6c habeodoJoremprQ voluptatef - DE Q^VJT^TA SPeciE a^iuorHm
JignifiuinhHmdufUcfter aSlioncm re^ula ^ correiiio, - • Verbaquartac
fpccieiadiuorum SIGNIFICATIONEM UNAM cumduplicipafllonepropterca exigunt
poft fe duos SLCCuiatinos-.wtego doceo fcGrammaticam. A<flio enimcaditin
te, &in Grammaticam :in te WmiiKUiuh in Grammaticam/flfAv»
H^cregula declaratione non indiget .fed animad- uerfione : quod proptcrea
accuiatiui duo fubfe- quuntur,quoniamad:ioin duo cxprimiturnn
receptiuum videUcet paflionis, et in id quod flui t in adione ab
agente inrccipientem. Hoc autem jn Metaph. meliusinlligi-- mus.
Adio cnim docentis fert Grammaticam,vt padens; et qui docetur accipit
eam, vt terminus huiufmoai lationis. V Ltherfrmkfl, VErba
ngnificanciahanc doplicemadiomsdifferca- ciara
Ajncdoceo,mon?o,poftriIo,orQ,confiilo c«'- lo,^c omnia compofita et «qui|?ollemia,&
diriuaciira iftormn, ^ vt4> lurimumad cognofcirioum
videntur^fpe- æ j fuDC etiam aliqutf/ qua5adl|ai>ir6m exrcriorcm
fpeaanr>vrye.ftia,: indo<S«uo f qu» volun t duos accura tiuds. :
Sedcum reii, qua v«ftfmus, fumicur inflrnmentalu ter^ponirarinablariuo,
6c fpcaantad quin^amfpeciem- . ytvefthfiiexuo tefannU, Etcum non
ponituranimatus accaratnius, vtpatiert. - tisrei/ ed vt cui applicatio
fic ponitur in datiuo»Yt'w«- D JS ^JN T A:S P E'€ Tb aSiuomm
/ignificanttutn a£iionem, ^ • falf^nem,^idquo fit a0m.
/-\Viinx fpeciei vcrba aftiiia fignificantaaionem itx,<WaIiquod..paxiens,
et fimul id, quo excrcerur aftio ic- pi^terea poniturablatiuum
poftaccufatiuum fine nre-. po itionc, vt ego Ippl^p tepannis
5.&,flnero JibriSi&jHvl jy ETiara infiacrcgula
(Jrahimaricorum pnTcorum aperitur r^tio, cur in ablariuo-ponitup iti, q u oci n
on, eft agens. peque patiens : quiaividelicec; inrfucit itti/^-,»ejnioftrumci?ti,&modi,
&foxm«. .l . Omnia verba, in quibuspoft'patieiHcmrem,adJunt i^o
(^rammaiicalium CampdnelU) velpa{nonis,pertinent ad quintam
fpecicm. QuapraT prer quxcumque pofita£uncinrecuiida fpecie^ ipedant
etiam ad qiiintam. Suntaucemyerba,!qviint«x principalicer^veftio et
fpo- \\Q,6tomnia acguipol^nria eorumiiccttiimpleo ^ceiia-
caocumruis arquipollencibus, ic-cm iuro,&i«do,6c ipsrorumiCqttipoIlencia.
S^miiiter augeo 6c minuo, cum fuis aireclis, purgo&inqaino «cttmruisconfimiiibtts.
Secundario aucem /pe^anc ftd banc reeutam pmnia verba cuiufcunquc
fpecieiScordinis^quando exprimunc modam vot fornfiam auttnllrunoencMm
actionts, vel paf- fionis, vt rcribolibrum penna iafficio te e;audio,planro
vincam palo : Munio et cxpugno vrbcm armis;.muigo ^ ir.riCQ te
verbis/ef^ionbigladioL,6cc» DE SEXTA SPECIE 4^iuorUfn ^rpgnijicannum
aSionem f- fionifque illanonem.mm p> ^napio^. ^ caHfa/unde
habetur^tanqHam j . inde habiiam.Erba fextæfpeciei ^gnifi<;ant
a^onem, et id^t|ao cau(a vel occafio» vel principium aftionis eft : et propcereapoftaccu(ariuum €xigitabla*im?m cum
pr«- pofitionei, vcl t/^,vei «"^vt ego audio ledionem '^ma^
Vbniam caufa ^rgens^excepro Dco, occafioncm, ^^velviTn fux
cadfationis ib*unde accipirtpropterea illud quod eft occafio(»'yel
principium» Vel caufa csu^a- tionis in a^i^ p^nietii' iin. abUtiuo
cum«ff^. Nota fan^ - pnnci'f»acioniSt vt dic^um
eftinregQlisi^ommunibp^cx MetajiliY ratibtt^ yt flifca QramfnacicSmi
rTiac'ftro;eft magiildF cauia il2dpii^<tblnan& f fi&tedainenT«»/e(l:
eiiimi Q - laberprimus. $zr 'enimliindam^iuni
principium :5c hatiiio dquamapii. tto :^u«tenas eft cau& cootentiua
aqiue» Sed vt etiam 4natem{t9,4iicimti«i^ ^iiPiUdfm^tri^ Sedvtetiam
ele- mentariS)dtcimtis etiain^ (Sc expuico, Sdneftoccafio-
nalisdicimus Agnmemndn bellom conHauir ex tiiftu • ; V^rba fextiH
fpcckL AD hanc fpeciemprincipftliter pertinenc omnia ver*
bafigmficantiapi^tcraAioiiem Ccpaffionem, id, a..qaQ
habemttsoccafionem,veI caufanonem,veI princi- piacionem ac^iioni^ \ vt
audio, intelligo, 6CGonumilias ^vtoblacio, guftp, lego, icem liaurio, wd,
moiieo, diui* 4o,pdlojrapii>vabdicO|faahpp,Hcapio,endo« Prxt^rea
fecundarib fnnt fauins regtflac omliiaverba,' in
qtiibusadiiciturpoftaAionis Sepamonisremætiatiirea eau^tionem conferens »
vndedicimus, nfft99 tthi mahni A^Tjr^nno, H emo Iibrum|dccato^Jibrario,
cupio^^/ h emoiumencu. ELemo.ueo libruma^ienramanibus»
Defiftima fpccie wrhrum exigentwm tnji'-
mifmumfr4>accufanuo^ SE ptimam regulam addUnt eornm verborum
>qua: lo- copaiientisliabetinfinitum verbum, vt fpero, cupio,
fcio, volojdebeo iieRomam » legereledionem : 6v hxc omnia
fignificantacVum animximmanentemaquo tran- fiensorituraliusacl:us; ?C
idcirco ponicurilleioco adus, iftelacoefie^us^^propterea omojeverbum
poteft ad hancregulam pertmere«qnoniara aAu5adumin%r|^«c Omnia
verbaadprimalitates Mctaphyf*cas {^e^bn- cia qux runtpocentia/apientia^
amor,iuntprima- riorpeccanciaaci hanc rcgulamjquoniatn ex
eisoriuntur a<flasincranei, &exhisextcnfiones ad obie<fla-qui
func cciam adus,vcvoloambuJare, vbi ly voU adum intcr- num amoris
dicic, dCdtmhfilare ^Aum cxternumcxillo. Prxterea omnia verba ad
obieda primalitatum spedantia,
fimilicerinfinitiuumhabcntproaccufatiuotfunt aurem ohxQckOiypafsihile
verun et l>pn»m^6L Aia ^quipollcn- tiaj vt polnbile eft, vcrum
eft,bonumeft ambulare, et fu oppoCitSiyVt
tmpostfalfumifrulum. Cxtcraautem vcrba po(funthabere infrnitum, vt
fa- cio te currere. Sed quatenus fimul et agencem rem ha- bent loco
patientis, vt doceo te fcriberc. De papiuorumverhrumreguU.
Art. OMnia verba hiibentia lireraturam et sensum a^^iuu; fiunt pa/fiux
literaturac per additioncm r, cuin» fuisdeclinationibus^&exigunt rem
p.itientem innomi- natiuo ^quoniam refcrturvthabens ac^umi et agentem
m ablatiuo cum pr.xpofitione, canram aftiuam, nQtante, qu^,eft
A,ab,abs,quoniamagens non vt agcns,(ed vc aquoemana! paflTo
repra:fentatur. Dlc^um eft prius, quod caufa pofi^ca in actuagendiV
nominatiuumexigit&reclum: quoniim hic figni-
:^ficateditionemadionis,adautem quod patitur, accufa- tiuumrquoniam
inipfum fercura<f^us Nunc autem dicimus,quod cum patiens ponitur vt recipiens
adum, exigitredum,agensver6quoniam tunc poniturvta quo eft adus,
ponicjr in ablatiuo cum A.vA^h, dcfipianti- buscaufalitacem. Etquidem
dicin-rtis omnia verbaaAi. 7»! ff cundu et vocem fieri pafiiua, vtamo,
accufo, do, do- iceo, audio, fpolio ; cxii s enim fit amor,
tiUrprimitT doilor,siUili^/fpolior,fperor. At qua: folum fcnfu
funt ^aanon fiuntpaffiua, vtfcquor.auxilior. et deponcn. tia TOcata latinis : tamcn in j^ng«M^ vernacula fiunt
vti- . i)uepaffioa^ Similiterquxvofie ijyMU adiua^fod vt gaudeo,
vapulo,abundo, feruio,&alia neutra vocata Giammatlcis, ooii fiant
pi|^Ef|a: ^i^mtts enim qood lit- ' texatofam, U jr^tatem ^ed^VKi^^m
vectuntur in paffiuam. donfiderano
de aliis c^hs-pajsitioru??^, VErba a^fliua verfa in pafTiua prxter
nominatiuum patiencis rei, 6c ablatiuum agcncis^quofcumque casus
recipiunt^jaoQ mutanc, fedretinent, vti quando exant aAiua,
ALiquando v«fba pafsiua ponont agentem rem in datiuo: vt PUmi jboc
do|nia poHtumeft, ideft d pUutit* AliqUandoinaccufaBUoapporita
prarpofitio- ne p<T,vt res, agituc per eofdem creditores. Sed in his
da- tlOttsponitorfokis.cnmagenscaoræft fimolilla) coint appHcatio.
Accufaciunmvcricom agensponitor iaii- qiiam mftrumenrum vtin prarfatis
patetexempli?. Ali« quandoponicurablaciuum fiiie ^fieporitionej
verbama- Ximcautempra:pu{Itio, verbo|adici(citur* De verbis
vocatis nemro pafssuss. SVQtqu.Tclim verba apud latinos vocata
neutro-paf- ua, quoniam habent literarurnm non paffiuam, vt
va- {>ulojexulo,Uceo,veneo, c]u« exigunt calus confiini- iom
pafsiuorom « ?t di/afitL v^tf$iani kmdg^^it.^it^ Secundum rert non fuftti
paffiaordm tHimeræxplo- dendayerbahacc,c|Bam vis pAf,iuam litmtoffam
noir habeant:nonenimvox facit pafsionem, fed fignificatio
Coniimiliaveneo&Iiceo, fuftcvendoF:rapulo v^r^ beror:
exttloyceleger.. FIo eciam dkitur neutropafsiuumapud
Grammatn" cos, qaoniam verc pafsiuum fccundum rem cfl,fi
minusjTecundum vocem. Adduncenam fido, confido, U nubo, au.lco . foleo
•qux potiusadionem vtaanmdefi» gnant : U exigunt cafus,applicationi, eo
refpcau reoui-. fKos. .-i Devtrbis^ voc4t$s mutrhi Arc. VI
11. Verba d jcu^turneutra^qu^ ^ec adionem ncc pafiicjw- nem
fignincantapudGrammatkos. Sednonprcb-' pcereaneucra dicendi erant,cum
&aaumcircndidcei- xillendi dicant, &finonagcndinec-patiendi5Vt/*»i,^
(jorreSio Grammaticorum. Verborum proprie neurra dici debent,qu.T aduni
acluatiuum modo figmficant» 6c funt pcrrinen- tiaadpoccfwriuum, ad
confcitiuum.&ad voIitiuum,de t^uibus diximus fupra. Quapropter pofTum,6cfcio,
& gaudeo cum fuisafledis jfiintvere «auaciua feuneutEtL
dequibusfupra. Pxinu reguia
Crammaticorumcleoemhsfpeaatafl . verL)a,e{rendine^iim Hgnificanria^
exiftcndi. Secunda, (\\)x cil, egeo.abundo.carco, perrinet ad
a. ^uatiua prophc. Tertiaqu(j eH:, reruio.profum. noceo.defum, &:
alia, qujeapplicacionem/lgnificJanraclusadalirjuid f^e<^anc adad
ionem fine paffione explicaram, fedcuni applica- tioneadilludin cuius
gratiam fit j vtferuio recrj^confido" tibi,noceofiliis,^c.
qua^verbaaAionem fi^^nTficanr Sc<.V nonfonnanr pafTinum^quoniam
nondicunt Kcxfcrui- turameifcd R:egiferuirur,quonfam tæeturpaiicns^ec-propterea,imperfonalirer
folum firpafsiuum. Quarcare^ulade. rebus peninentibus ad Agricuitu-
ramaclusexplicantia,func verc acfliua, quoniam eriam patiexisexponunCj&
propcerca fiuntpafsiua omnino vf aro,5caror. Quintaquai
tertiasperfonasIiaF>e'nt/ingularis, tantu propcerpa,quod foJus Dcuv
poteA illos edcre n(flus, po. tius ad Theologoj quam ad Grammaticos
fpedlansi non 'rite.deciaratur. Cum enim dico, Tonat, ningir, pluit
Iucefcic,grandinar,adverperafcir, non folum Deusin-' telhgicuri fed etiam
rempus, diluculac enim fole tem- pus : ad vcfperafcir rencbris rcmpus:
irem fubaudirur natura apud phiIofophos,irem necrec;ulæft ccrra
pro- pterhanc rationcm. Nam efl creare/blius Dei : nihilcy- rnmus
creohabet omnesperfonas: itcm rorareefl flcut pluere:m fcnpturisautem
dicitm, Rorare cceU Ærupn,^ mbespluantiulium^.^v^o reguUipforum
cflfallax. Sed^ vfus, et id,quod /ubauditur confulendi
funt. SextaregnlavbiafFc<fbionesanimi& corpornmcele- brancur
habens verba, gaudeo, doleo, virco, albeo, caleo, frigeo, tumeo, areo, conualeo,
a:groto', et c.Ttera huiufmodi.pertinciiradaauantium,fpeciem:de
quibus fupra. Dc vtrhisfigntjicantihm motum. Verba fignificantia
motam cxig«fit nominatiuu^ rci edencismotum.&poftrenuTlumcarum^
quan- do non paflionem fedrefpecius locales adducunc,fcii
pra^pofitioncs exigencescatum. Qjiot fknt figmficdntia motum et eiufmodi. OMnis motus cft ex
cermino aquo ad terminum ad quem per medium, idcwco triplicis fpeciei
Cunc ver- mociua, vt difcedo deforg, tranieo fer viam^venio in
tempUmitixc enim^gnificant motumdcloco,&motum per locum,& n\otum
ad locum. Quxcumquc verba iis adiunguntur, iunt ciuldem fignificationis,
item idem verbum poccfl: tres iftosadus connotare, vt, de vinca per
viridarium eo inciuitatem. Verbadeponentia func:
eiufdemgenerismotiuiphiri- ma,quxadhanc regulam pminent, vt
gradiar,trans- •gredior, proficifcor, &c. Quomodo omnia verha
reducHntur ad^ra^ fcntem regulam. PKxtcrcl omnia vcrta
quatcnus fignincant motum, polTunt cfle luiius regula?, dicimus enim
fcnbo ad rontificem,6cde Pontifice,& pcrdifcipulum ^quatenus
enim fi<2;nificant terminum ad qucm, autmedium,aut id, Jequoficadus,
fiue illud ficvcterminus, fiuc vt materia, <iequaqiioniam cerminia quo
eft connotatiua fimilitct ^xic;unt cafus cum prarpofirionibus
confimilibus, vc de albopf ries verricur in nigrum pcr atramentum
Qua- propcer 6c acliua^pafnua,&:omniaverbaad hanc re--Liherprimusi
ur gukmtrahantur per refpeiflus confeqneotes aAiinisTe plunroiini
aatem quæ oe fefignificaat muutioiiefn U - . motuni*
^cv€rbis,mcatiscommtmittis^ Art. IX. VOcatit
Grammadci verba commaiiiisfc, quas iitenr' toram habent paffiuam,&
poflunrfieri a Aiui et pa£- Sxti conftrofcum «afibt»» vt
laij^rsampledor^Teneforl cxperkWypmuotor,ofcttIoi^icriminor,,n^
Hxc ficapud btihos: n vfti uiath m idiomacibusalii Honitem.
Dedt^onenttl>us/verl)ii, .' ' Aft. 3C,'" Dlcontur apuJ
iWtinorum deponenria qnaK baBenr liceraturampaniuam Scfignificationem
adiuani^c proinde acliuc coDftruuntux^nec ta.men omnialigmfi.
cantadioneni, . I Sedc|uncdamaduationem, 5c propterea volunt poft
feahlaciuum, vcvcorjraor, pptior, vercor, 6cconrimjlia. z Cina:^-%niiicant
aftum cum re non de qua/cd . cuiusel'ta<flus, egrediens ab
inrelle<?lu,vtrecordor,ob]i- uifcor. rer.iini^^co. qiia: propterea
exiguncgenitiuum< \,3 Qoædain figniiicanc adum cumapplicanone, $cpro*
/pterea poft fedatiuum voiunt, viauxiljpryf».i^agQr:» me.
'diCOfjminorJrafcor. Quxdam fignificanr^i^ipipm, tc id q\iod patixur: «c
jwopterea exiguijt^)i?jndcacca6tiuw^ rw,c6ntiinifcor» loquor^
ptacftolor\ feteor, &cacteTam^ItP,qiK)rupiqij(E '
proptereaibUtiuttin exigQDr9'Vtlan:or«chltor, ftoma- chor»
vcreciindor, cxpergifcor^iiidignor^niorior: et silui, qu^e alios
carttsexigtinc. prottcadus r^fercttr > mxea regiu ia^ J it^s de
caiitesxMilMnr^6ttao(&^^ Qjrdaai quoniamfignlfiaantmotum ve!
pcrroodum IV. nus, exijunccafus cum.prcX^pddcionibiis connoranti-
ba^vl'.^ ioco ad locum per locum vel cum alio, vcl Con- .tra aliud, vcl
circaaliud^vtgriiiiv-YsP^^i^^^Jo^^i^Juc^or, apicor.nafcor, philofophor,
verfbr.ncgotior,hallucinor <auillor ^auguror, 2^ nmilia, qua: apud Grammaticos,
umcrantur :qux ex prxpoficigims.ftatMra.qups^earus
.exigunccoaii;noiiftran,c. ' 'iim^erJoriaUum^ * J^Mporfonah'um
acliuxvoci.*; primusbrdo confVrurc 'jLtntffe^^dr^^f^^fi^^^o^
infinitiuo,vc /V/r eCtvel .Jncereft,vel referticribere ad vos. Infininuum
vei^o re- 'gic cafumexpra^fcriptisre^ulisflbi debitum, Ratio
reg'ila; eft, c|uoniam verbafuncperfbnaliatfe fui ' >acara;; Sed cum
addicut Ibco perfon p',.patiehiis vel !ftg0n tis al i qu i s
adaspefv erbu m infinicittte facalcaci s, ideii, \t\it cermihatse
c^niiiQfticAns.eKpxeflus nec,effiiri&
iUcidaseftperG*n^ccerciac,&: propcereaotjnpia imperfo* ' nalt^
habere dicuiiair rc^orh tercias perfonas Idco omnium pcrfonarumv..M 1 n ifeflun
1 e<t: ert!rri'i|uod q uando pohTtor tfomifn 6c nonadiu p?r
verburtfitifiA}tum, fIunt personalia, dicimus eni^ Pctft tnfe^^f^tnflihrs
vcl nosPecn incerfumus: non ii*?^"^^ dicam, ^ef^rvnu^ ob aliam
cau.fam. «jC^uarea;jtentpo(luIeflc gemiiuttm, nonintelligic ni fi
' . quaii Digitized by GoogU Ltherprimus.
i fip xyii alium cafum rubintelligtc ex parte vei bi vcl
nominis. fiquidcm Refert idem ell ac Reifen: 6c proptereadicimus Pctri
rcfert fcribere, ideft, res Petri fert fchbere . iritere(f
veroidemfignificatac in rcen::& proptereadicimusPc- tri interefl:,
ideft» in re Peiri c(i fcnbere. Quj autern.lv ivter confiderant non in
fua originc, et accufatiuum ci adclunt,(ubinteiiigunc Petri inccrciyioc
cft iwerreiVe- Probatur aucem racio daraiquoniam cgo tu, fui,
nos» tc vos,6ccuiiis, non ponuntur in genitiuo.fed inablaciuo
fiBOiioinolingulari} vtmea,taa,(oa, noftra,veftra,& cuia refert >
feu iotereft, hoc eft i» fe meA cfi^ in tta eft^o^c, vel forfaA in
nominatitto cum Jff/ert\ vt me^ refert, ideft fef mafert xefmLJkn ^in
accu&tiuQ nentropluraii vt ' meaintereft, hoc^iff/^mf<f#)^w
Etproptereæft vultnominatittom neutrale vtmeoai eft»tuuræftfcribere»cum
pronomtnaprimitiuaponuii- turderiuadoi*, .T>efecundo ordinc
imferfqnalium. INfecundo ordinc ponuntur pertinet,
attinetJcfpc-. £l:at,cum accufatiuo et pr<Tpontione.c^i/&
infinitiuOf iqco nominatitti, vt ad meipedat fcribere : at fl
nomina» tittUmadeftfunt perfonalia,vtad mepertinentlibri-.vtin-
tellig?ttexiirfBnitiU(i>; quoniamindeterminatum fubiuit
£kittumeft,deponderc indetermlpationem petfbn«t& proptereafieti imperfonalia
Hase triaverbaadpoteftau tiuum tedncuntnr. Nam attinetex</M componitor
: pertinet exper acM^: quoniam pofleffiorei eft ad benim 8e perherum :
ifpeAatvero a fpicio, quando q uod alicuius eft ad ipfVim conoerfiooem
babet.nuc /ir per poteftatiuum, vc poiTefrio, fiui per
cognofGitiiium,vcad ipeftus» iiue per Toiifiuum^ vtajndcum,^ QUiieficumc
Ji 0 De tertioordinemfcrfonaliHm. TErtuis ordo fimilicer fir
imperfonalis ex infinitiuo fubiequence.-quoniam continetverba
quxfignifi- cacapplicationemaftusjn determinatir&proprereavulc
datiiium cum infinito ) vt mihi plicctleq^tre 5 et concingit mjhigauderc
^fed vbiadfunc nomina fiuncperfonalia, vc mthiplacenthhrt, d(3lentdences
et omne verbum significans appiicacionem vlus^cfthuius ordims; vd
rcducicur adhunc. quarto ordine
imperfonali$m. QVartUJordoimperfonaliumeft de primaadiuorum,,
r^xigit cnimaccufatiuum ciiminfiHicoioconomina- iiui^ vc deleffat
//«^ii-r^ dececfcribere, iuuatcurrere;- acfiapponas nominaciuum func
perfonalia, vtmedec. virtutts^iti cundis ergocumceademratio.
D^quintaorMneimperfonalium QVintps ordb con ftruicur cum accuaciuo
et infinico fimiliccr,vcpoenicet,puder, cxdec,miferec,oporcer:
ecenimfignificacpafiionem illaram ab obiec^lo^ quod /1 efta<^lus,nabet
fe loco noininarim, \tmettdct ftHderc-At ireft res, ponicur cum
genitiuo,vcw<f tadit fti^diiiSi qiudc - iiocgcniciuum regiturab aclu,
velabaliofub intelIc<n:o nomine,quando egodico,me pærtitctpeccciroru.rubau-.
dicurajfluspecatlT&me rcdet ftudiijubauditur exercitiu iludij,6cfnemiferer
mfirmorum, fubaudicur officioinfir. rnormii rJiVahqnam ennn ponitur
genitiuus, p.i& qiij^prjp intelligataripfius,vel vtfepfe probacum dl
in rcgulis- prioribas : vt videasomnia verba imperfonalia ciTepersonalia,&pertrneread
efTendum^vel aduandom,vela- g^juliinuf el gacicndum^touliil
vltra:Scquid^ad aftua Liherprtmus. n\ tionem affedionuin
rpcchanc verba quinti oYdiris .- ca tranfeuQCin nacuram adiuorum|,dnm
obieda coniide- raacar, quaceniisaificiunt faculcaces mouencque.
De imferfinalihus Pafsiuh^ Arc. II. \ IM perfocfMiai^flioac Vdcis
exiguhlf^atibum agcntis caofac ficoc ^asterar paffiua :£c poft fenoiiadduntnb-
m{natiaan[i,alioqfiiii nerenc perronaliiifcd quemcum- qu^aliumcafum,ddmmodo
paflionts non recepriuum, fed vfus, aut applicationis,auc
circunftantix, vc a me fer- ttitur i?^^i',icurin filuam :6c propterea
Hunt ex verbis a £tiuis,&: neutris appficatiuis et motiuis, 6c
exiflcnriali . bus, vt n 0 cet ttfyamb uUt nr Jta tuf ^xxon^wtQm
dicimus^</Rf- detvr^ ^ux.mctalle[cittif qiioniam iftorum palTionon
transit: neceftplenc paflio: fedmimanec,&eft quafi adus aduansverba
deponentialicf t fecundumrem po/Hncef^ ieiimperfonaliapa(I]ua,vcpacec
intuenci omneslinguas, tamen apad Lacinos non nanc ob vocis 6c iiceracor^
impcdiiiiencom. Deimferfonal^ineutrisL ' BEnefit
malefic,racisfic.diciittn3riniperronaUa ne«- cra^quoniam nec cum adiuis
nec com pafliois viden tnrnomerari apod Ladnos^fed com neucrit:&
tamen iecundam rem veri paflioa fonc, licet non fecundum vocem,&quoniam
applicacionem connotant,exigunc datiuu|ii,vc a me benefit egenis, racio
ex didis pacec: in alii$ omnia imperrouaVa fiunc paifiua non aucem ne
ucra. ij2 ^rammatUahHm QampanelUl De wrBisfirmhbHs^
SEruiliaautcmverba non funt perfonalia nec impef- fonalia, quoniara
induunt naruramcorum ^quious- addunturadinftniriuum : funt autem I acc,
incipio,dcfi- uojfoleojpoflum, debeo,dicimus eninv, tg^di^i^ psi^f^
tentiamdgeriili mt debetpanitert, Ratioeft quoniam TCr- bxtfb non
fignificaucadus pteaos, fed aUonim aftttmn aliquid » videlicer principium,
aut finem, auc mo^ rem ^ 6c propcerea illorum aAwim nattvam
fcquuiif. fur idicinKM enim : eeo incipia legere, qnoniam adiu^ qui
eft/p{m ati<|ttidefteios inceptio :6c propfertaad oa». totametoatiahit
ur. Seddeind e di^iT^y^^ jjP^/^f^* ttwug» ^dcjtaJittnim
a^om-fnotadus. Sedfi adosferuilis eft plenos non>cran/ir in
nnturam iaiini ti ; non en im dicimus, vuh t^^ere, fed ez4 v^U me
tadtrs^ diamus meporeftra^dere,'obimperfe6lioncma- ftuspotendirfed non
dicimus, me valett« dere,ob pleni^ tttdincmadtu^k VakQCis^qaj
nopaliejaacurdfci Dalium.i^- Deinfinitiuis. PR.opeereat QfinitioftTo!unt
anteft'areiiif3ttfiium,quoi niam regunturabalio verbo: cuiusadum
excipiunt tanquam cadentemin fe,vtin perfonam patientem,ct- iam fi
non fit p^ticns-yVt certumellmeanuire >vbiadusccr- Cirudinis^cadit
fupcrmeamancem; Quando verbum
aliquod carcr pra^terito vel futuro in^ fimco» refoluiturper
lyt;/,aut^flc?^i,in fubiudiuum.quo- fiiaQi^vccrqu^ alL modtts
comua&iis ciibos£umis in porttiHMtionibushic
detcrminate,iniinitus vero inde- tciminatc,vidiaumeftpriu$. . 'GErundia
reguntur anomine fubftantiuo, et fic funt gemtitii caftistauia
prarpofirione ^c/, ^ihicaccu- fatiui :aoti«,vel^r# v«iil#,^ficabiatiui,
per (eautcm nu htl fttfitiiifiparticipium verbi nomimrque,&
aliquando famttotBra(beaaQ^iii|iiando robftantiuc exiguntr^ue
dtfasfiipfum vcfbonwit&com.fe» pr a e ytf ti^ mus], Mib4/Mif#ir/i#&i;
pomn«r IfsnwiterinalibtiniaL SVpina edam funt participiorum rcs, fed
indetermi-- natoruni,niore infinitiui, et propterea reguutf t ab
a«- lio nomine et verbo ram adiuai Vt ##^jiu/w» }jqiiam •
Departtctpns.. SEit funt partfcipiaiecondtmi rem, tria paAiia.vra^
mabiiej amatQm^Sc a.maDduni, et tria adiua vtanu^ tioQmamans 6c
amatlirus. 'jtriuiSiU enim eft q uod poteftt Jim^ri refertur a d
ai|iariQonl e qubd pdteft amare. ^*. ffU/«» eft quod ado amator, 8c
refcrtur ad amans l^a. *4iM<raA^eft qQod^mabiror^aot debct ama £c
refert' :tQradaimaforQmgd eA;^de)imqM (i^cumqttealiterTeffrrtvfiifflrQi*.' Grammatici
non a^nofcunt amabile &amatiuum, xdificabile& aodificariuum
inter|^rticipia:& fal»- lunrurrh^c eoimparrem^apiunt a nomme^
partem^l* verbo : et res;u^nt cafus fuorunl verBorum : dicimos
eofte^ knif^misiUe ^ te Sedam^nttnm non dicitor con^accofi-
lus fapi t qiikile verbo.namtt* ly dmam cum fumitur
nominalicer exigi c genitivum, non accusativum i vt Petruseft^j?;??^!!!
tui^ fed etiam aliis par- 'tictpiisaccidit. Participium autem fucuri
pafMui tranfir, ingerundiumex pncporicionibus 6i fubftantiuo Aibfc-
quenre nomine. Hmcvidemusquod quaniam a reegreditur adusid- circo A
nominc e^^redicur verbum jOrtab^^JiM^-rjfcui^rJ^d pacre pacrizo,
deindeakvcrifquc participiwm, quaii. do res cum fuo adu concipitusfimul,
et a partkipiis ee^ runjia ^rupiiw^.infiaiiapiMBiiti et fucuri'; quidquia;
G/aj^wwWiJswaniimaduerteni)esiiliterdocedf Ji: QTArM E-N. CVnt
verbaneutropaffiuatriplifli aAkoparticipio in- ^\ip^it^ytetmmis^ci^t0Hii^C9nat^rw$i
et duobiis pafsiuis, vtftrwl«jSc«e»if»i«/,v Ddeapparetqu6d aaiuum
prarte-! ntnmdeeftplnnmisverbis/icutpafsiuum pr^^fens aliis multis.
„ Qja^auchornm paffiua Aoufiunt, pnm is cribus jRint
QQtiten^^pladens,pncims, dr^UcUurMf, folens, folU trtf,&
fclitarus.qiiomodo autem agnofcuntur ex nacurj* adus paf ionis,&
adionis, &^dqatfonis,& exifteniic no- iUerimus,vtfupra.Utiuorum.
Comparadua propijereæKiguntabI^tj9iinj,^Hodk4 ad quod
comparatqr^i^^Jb^xi^fl^^ forma, &iBenfani: vt tf^l^iilfgSift^^mySi
aoiemp^o. natur ly quam cttm no^i^tiuoiijftcs ^minam Pe^ truf,
fubintelligitur verbuihfubfliandale.viij^/rr^Ai^ SVpcrlaciua vero exigunc
genidunm pluralis numo-' ri^velreipluralicarem includentis, vc tæscUa^ims ' jjj rcfertur nifiad numenim.
Sed ii dical, forti/simut fuptr i2^«u;;«7j,tunc fuperlacionis adus bene
ex^rcetur bfer prxpoficionem CKcunilaneialera, vt diiaUin*'eft.Vcum
depraspQlicionibusageremus. ; DerationeparH^ tpiorumin/nmerfah
QuidquidGrammatici dicunt de nominibus parti-- ciuis et vniuerfalibus,
pertinet ad dddrinarh de pronommibus: omnia enim hxc fiint*pronomina
ioco propriorum nominum pofira. Smiilicer &parronimicaj
vcdi^bum cll: ihi/unc pronomina gentilitia, vc prLtmieies^ cefartanns,
dommicanus, quncaliquaDdo abfque substantiuo incclledol nominum racionem habenc
adiecliuo- rum.ficucfuoin locodiamneft. Ratio denominationis
iftorum ex Granimadcoroni vfu agnofcenda eft. Ratio, qiia gemciuum
aucablatiuum cum pf jef ofitio ne exiguht, patet cfr rfegults coratmunibus :
dicimus cnim * fmsye/fmm» tc^idsill T^ii/, quoniam de numero vnuili
vnDsfubaudimns. Flgurarum alia ConftfUifkionis,alia
verboram^alia fen-centiarum. ' De Figuris verbo funi Jc!rencenf1arum
diximusinpoa- tica.Rhecoricajad hasenim artespcrtinenc.
Fi^ura conftrucflionis propria GrammaciCorum eft cum A
commudicdnfui^tudine ioqp^ndi iratiohabfliter' difcedunc; -
^iiv^Sdj-i^ ^^r^P^ vods^fifrvt/ifrli^ww/^ic ^ffmMhiitQ MUrmt %ens
aWa : vt nefiU ^suimfenke tnhisniHatmnimlldmt In Iii)guavuf{;ari
pforiinacftli^c ' fiigiva,nam pro poiiitui v^fsc v^Proicpfi;
cttmtotuminpartibttspracfainicar,n^i7?i^ pulifiudinr. aliasphiiofephU^aliui
Grammaiifm.C ftudet. 5 Aotipcofis ponic ca.iuni pro cafu clegancer
vc chtm ^quemdeiifiinokit qitauurbai dcdit. Elegancius aut
prxponirur relatiuu vc, quem dedtfii eunucham^ quas tnrbas dedtt,
Ecquidem dumaduspafllonisrejpicicurplufquam adlionis ponitur in
acctifatiuo cocum nomen cum pro- n o m 1 n e . S\m\ zcr^uorum eqei Ith ro
rum^ ^i^t^ndkUi eoim egeadiplusad fe craliic quam dandi. 4
SUabifauis eft,quidam Gr/^coFu loquendi modas:(e4 cameaapud nos
fpaifieati^ dici poiTec et fic cum adie- itiuum prxdicaciVopalaturftbiedo
fubftantialiter^Cc / pr^dicati fubilaatiuum ponitnr in abkdoo vel
acCofiu Uuo.JtiBfsaligsdeniiti ViliiniiiMs «lioc eft bahes dinies
^tf«ia<Ujiiivel, ifff^«ijtffiytanquamin(bomentaIi, .ant forraali
prsedicato,fpecificat enim id qoo tu es tahs fi. liejormaliterfiuein ftrurnencalicer.iiiue
parcialicer : dici« mus enim acdrtffks enfem\decorattts Uteris^
drc. Evocatio ert cum pronomen cacetur, et eiuslocum /upplec nomen,
vc trots reytmuSyifxo nos iroes. Zeugma est cum
vnumverbumveladie<fbiuumrcruit i)Iuribus,vc P*em
d^Hamni^alcrudelisefl' vbi ly^-z^eciam y funt vicem gerit. Similicer et patet
fltj /stntdi^wk vbi ly digni tii^m ly ^igfliri,Iocum habei^ 7
Syllepfis eft» qoaiido fin^larisnumerus comprekesft- ditor iipiurali
tanquam k dignioh» vt Vux et miutetfr^ bdsitnr. veirexusmafculinus
comprehenditfacmininomy vt Ren et Regbsdinfiifinn. AltqaandQ etiam
nettcram,ve ienss et memeipiumfimetenli. Sed in Inanimatis neutmm
concipit maibalinttm, et fcminimim, vt ficus ficulnea, ic fyrumjuni iena
«^cimos et Uhr, ^ velnftds funt cerf^ riviilia/ide(ivtiles. Appositio
fic quando fubftantiuo vni aliud apponicur, vceius dcclaratiuum in
eodemcafu, \i yEffodiuntur opes^ irriumentamalorum, Quandoaucem
noneddeclaratiaui Xokcppmio g.eui€iuo,vc fuo in loco dcdarauvnus. «SSgH^SS?» -sg^^^it
_^!8g^j^2» iag0 Oftquam dclocutioneTocutifumuSideScri. pcione,CC
Leflione fermo debecur. Siquu dem Grammacica eft Ars red^
Ioquendi,5c fcribendi, et legendi. Triplex ergo illius a£kus,videhcet,dicere»rcribere,&:
legere: iic^t primum f\t folum per fc adus : fcribere enim 5c lc-
o-cre eiufdem accidcntia propria. Vefimtio fcnptionis^ Vldeturquidem
/5:r/W,e(Ielprum ///r^rr permanens: Jicere ^uiehi/in^ee tranfiens',Hoc
autcm ex rece- ptiuoinftrumentaH^nanautcmprincipali.accidit. Ani-
ma recipit principalicer orationcm,tenetque : fed per a<5-
rcm,6c cartam, vtpcrinftrumentaldicenris^ AcJt autcm^ cumfic
tenuis, figirrarque nonbabeac proprias, recipiaC'^ qæ facilealienas, non
retinec ob fui inftabiliraceni, pro - prerearertnoineoeftfcriptio
cranfiens. Nec nifi feniel audiensanimapercipere poteft. Vtautem
pluries,cercuf- que,& obliuioni non obnoxiusfermo
fieretjperlapidem, autlignum, autaliam
quancunquefolidam,conflantcrn« que molemjdeoquepotencem
feruarefermoncm^qui in acrecuanefcit',loqm ^gyptiusTheutli, fi Platonis Philebo
credimus,adinuenit : licct ruccenfeant lilijquod negligentixcaufam
ftudiofis dederit. Lucanus autem Phocnicibusidadfcribit. Philo £cIofeph
ancediluuittn» Enoch excogicafle induabus cohimniS| memocant.
Llcerxergo infolsdo auc inTimc^ vc charaÆresRo^ imnnrnrn
inrrfa r mir iininr TrTypn^jnphnmm notula^ferreir^saacranLnhacin pagina
excolonscetri» velrubrileneatx fucco. ' . Jiiimitatione rernm
in di^ionibHs (f fcriftiombus^ Art, IL
^^Esinnatutapofitac imitando idcas Diuini inteir, Jfe<fbusrunt
venu: ctenim,ait e§ fuiffkl^^ j^j fimtlitttdo, Inteliedushumanus
iniicandares,qoa9^ (ferciDit, ac proinde intcUigendo eas, ficuti func,
ve- ^xuseft. Concej^cus enim obie<aavvndcrconcipicur, eft
£millimtts«S^mo yocaiisimitacur canceptiones,feu no>
l4onesmeiici$ii|9a£^ inJPc^cicalacijlsd«^ jhonftramiis.. ^j^i^ caodem
fism voQjencK^ propcere aqvie^ramn4o,eas figuras imii^ri conuenitf
quasocg^Mndo menci^ oociones perinftnimenca vo^ ~ t;gucgtf «l^ngaam^ palac
um^ab Libertmius. in ittt fpirAto figuramus. Hinc Alphabetum
elcmentA vocis explanans inuentum eft. A t varium, atoue multi-
plex apud nationes mulcas ^ qupniam imiuri iæm variis
jnoduusinuenere. Jmitstio per cbaroBeres. ALij quidem vno
charadere fcribant vocabulum v- num i 6chocduphcitercontingit,vel
delmcatione imitando, ica'vc ver. gr. O, fignificet panem . et t^,
vmum. Sicut Chinenfibus vlurpatur jexquibus iliedodior.qui plures
charaderes fcic : quoniam plura vocabula 5c res* Afcenduntftutem
charaderesquailadodies mille. AUj verivtunturfigura confimili,vti€gypcij,vel
rym* bolicaiqueinadmodum Chaldaci Planecas, &iZodiact
/ignaiisnorancanimalium guris, qua in eircuii parti»
builocantur^aatillorumaliquid pingunt,TtproTauro corjiuaTauri» caudam
l^eonispro Leone»j6f<b. Sicut Aftronomi spfbrum hæredes adhuc Ytuncur;
queroad*^ modum i£gy pci j myflicelaibunt pro Deo^diaraÆiem
•^lis.qui Dei ftatua eft i pro vbertace comucopiam, Sce. parti^um
vocis indiuiduastvc^ebrxi, C£idti^||amv Gneci^vemntamen
charci^eresfcn. pferutitf enim,qux fola arteria
profeninta^Thltpii^Hiififcfa^^ quod camen inO,& /jfoliim
oUrct^Stliif^, redi^s pro vociilibuspundis, vtunturj corifonantes
autem figuris, quacfimiles funt inftrumentis,quibusformantur; vtAf^
quoniamlabiis compreflisfbrmatur, pingendum efTetfi-
gurareferentelabiaduo,C, ver6, quoniam sumiratelin- gua: tangenre dcntes
fiiperiores formatur,charadereid fingente delineandum : ficut in Poetica docuimus:.
vbi quomodo cxreri charaderes formaBdieiTent a lin
gttaruminftitttt9iibu»9<C^ui fignificaiiopt deferuirear,
cpi]ifidei^uimi»^ ij^ Ut cum fic cenuis, figurafque non babeac
proprias.recipiat- que facilcalienas, non retinet ob fui inftabilitaiem,
pro- ptereafermoineoeftfcriptio tranfiens. Nec nifi feniel
audiensanimapercipcre poteft.Vtautem pluriei,certaf. qæ|6c obliuioni non
obnoxiusfermo ficretjper lapidem, aut lignum, autaliam
quancttnquefoiidam,conftantemI qttemolem,idcoque potentem
fcniarcfcrmonem, qui in æreeuancfcit», loatti^gyptiusTheuth, fi Platonis
Philebo credimus. adinucnit: lic^t fuccenfeant illi,qu(>d
uegli^enriacattfaro ftudiofis dederit. Lucanus autem
Phderiicibusidadfirribit. Philo &Iofeph anrediluuiuiiv Enoch
excogicafle in duabus columnis, memorant LJcerxergo infolido aut infunt, vt
charadcresRoI - /manorum in cera^ a wt a wKmg ^-nrTypographorum
liotulx ferreas jaut funt, vtfaacin pagina cxcoloristctri» ycl rubri
leneatacfucco. Peimitatme rerum in di^tionihs fcriftionibus
Resionana apofitæimirando ideas Diuini intelle- Ausfuttt vene:
v/ri/^i etenim,ait Aug fuifffin- iipij fimtlitnd0: Intclle<fiushumanus
imitandores,qua» percioit, acproinde intcUigendo eas, ficuri funt,
veruseft. Conccptus enim obicao,vnde concipitur, eft fimillimus. Sermo
vocalis imitator conceptioncs, feuno-. lionesmentisivtinprimo libro, et in
Poetica Jatiiisde monstramus. Scripturi tandem sermoncin vocalem,
proptercaquc scribendo, eas figuras imii«iri conucnici quascxprjrændo rænttf
notioncs per instrumenta voim Lihertmius. inicre fpirAto figuramus. Hinc alphabetum
elementt vocis explanans inventum est. Acvarium, atciue multiplex apud
nationes multas j quoniam imitajri iæm
vanis modufisinuenere. Imitatio per characteres. ALij quidem
vnocharacflerefcribunt vocabulumr- num i et hoc dupliciter concingic, vel
delineatione imitando,*ita'^cver. gr. 0,fignificetpanem. et f^,vinum.
SicutChinenfibusvuirpatur jexquious illedodior, qui plures charaÆres fcic
: quoniam plura vocabula 2c res. AfcenduntAUtem charaderesquafiadodies
mille. AUj verovcunturfigura confimiIi,vt ./£gypcij,vel fyin bolicaj quemadmodum
Chaldxi Planecas, &iZodiaci flgnaiis norantanimalium figuris, qua in
circuli parti» buslocancur,autiIlorumaIiquidpingunt,vtproTauro cornuaTaurii
caudam Leonis pro Leone, &c. Sicur Aftronomi ipforum ha:redes adhuc
vtuntur; quemadmodum y£gyptij myfticc fcribuncpro Dco,charaftcrem
Solis,qui Dei ftatua eft j pro vbertate cornucopiam, &c. Alij
ijTiitantur particulas vocis indiuiduas: vc Hebrasi, Chaldi, Latini,
Grxci, veruncamcn charecflercs fcripferunc parum imicances. Vocales enim,quar
fola arceria proferuncur,fimplici lincafcribendæfiTent: quodcamen
inO,& /^foliim obfcruatur. Hebrarivero rediiis pro.
vociilibuspunclis, vtuntur jconfonantes autem figuris, quxfimiles func
inrt:rumencis,quibusformancur:vcAf, quoniamlabiis compreflis fbrmatur,
pingendum elTet fi- gura refercnce labia duo> C, ver6, quoniam
sumicate lin- gua: tangencc denccs fuperiores formacur, charadereid
lingence delincandum: ficuc in Poecica' docuimus: vbi quomodo cscreri
cbaraderes formandieficnt a lin- guanimin{licucoribus,5c^ui
fignificationi deferuirent, confidcrauimus. Dcnfimerofii Hramm,
I^expreffionem Jdeoque lid vi^ti oclo in primo Libro illosreduximas:quorum
viginri duocon fbnantes, ficdiAxJqaon.iam inftrumenrom verberancium ærcin
concurrurormmcur. Iiein quoniam coniunc^! non pod (unr,ni(i perv )cales-
vc Pbco m Sophifla^uiur. Anibesetiam vifTinci oda h.ibcnt omnes conlonanccs
pro corundcmronorum diffLTentiis exprmendis; inquoa- .
bund.inr/Trcs auccni vocales . quibu5 ramen vtuntur vcqninque, ficu,
orJincqLie vanantibus. Hvbrrt vigioci duas conronantes,fiquidem pro vocalibas,
punckis. vrn n ni r j Vjixh i Xj q i i i i Vf mmm 111h ' i 1 1 f i r m
fimplicibus, ' vtipfi purant^-tt^Spic-fl^d cOftmA^^rfi^ in^lar.
Nobtsaureminlcaiica fingtiahac ratione torefl fcntdiphchonc^i,ouot
vocalittmcopulstjVtplanum eft, Galii prunbiifdipnrhongisvtuntur. Grxci
vieintiqua ea6r habenfftedras qnarum fepcem funr vocales, quoi. niam
{),& Jf, ftrifti &lc;apud eo$, ncar& in aortra
Vulgarilingua, prbferancur/ Natfones excedenres hunc numerum viginci
o£bo, ftorfvidi, nifi Iaponenfes,qui quadraginta ocko Htteras habent i
quod cquidem inde eucnircpiito .'quoniam cotifonaTitesduas conflanc in
vn.im, qiicm adinoJum nos X, pro 5, 6c.C, vtimur. Sic . poirjmLU
hccerasifias duplicf*s (-acere: vr pro, Z, .fic character vniisraiiiis
pro i?, r^^\m:\s proP, ff, ^cSicwii . vci'niir^?^. (Sc rr/Ti. 9.
pro cnbiis fircensiacque i pro da.ibusi^c. obuia iunc /vlla^:vrnm
varietatcni peroeiidenci •• fiquidem, vtdiclum eltin primo libro.aliæ
lyllabxcondituunrur ex vocah vna . vr ahæaddunr
irocaliconronafitm^TC^^^ali^ dmr^v^ Ba\9i\\x trcs^ vt(^'SaIisquaruor;vc
^/«^aliacquinque>vc /f4n/,aha:fex, yc//r/^/.NaIfibiatttepltts
vcucvocaUiQtfiindiphtbongis, Lther tenias, /^t G ^riii-inoram
verS Sc Polonorui-ii lingn.i feptcni 5c oclo coiiloiiaQCevvnivoci^
.lih^Uiu Caius ranon^^in in Phy- fioio^ia ^iximus. iNfonreitU camen AriftoteJes
fyllabas poHe exfoliscon^bnancibusfieri docet}nulIumenim fo- nani
habene, aiCiexvocali «caiadiUncconfonanclo. Poflontenam literqper
pun<fH miilciplican.-vr Ara^ bes 6c Hebræi faciunt, vt P^c^m pundko
icruiat pro du- pltct P ^CivaAxttt et vocales : ynicuiqee ergo regula
eflr vfus: Philorophisautem ratio. vt
B.egiila{igurandarnmlU?rarumi DRhentin fe lirc^T
appiri^ntamhabcrc elegantcm, claram,diftin(flioncinab inuiccm pcrfpicuam.
lcem occLiparc mo hciini Ipanum, nec fe inuiccm impedire. Proptercn
vocaIc^punLlis,& ficu vtiliorcs,quam iiguris.
Formodcharaderes-A^abici, mirhieUpr.ptenn fpa- tium niiilrum
oc4?upant. Occurruncpun(fla htiic defe^ dui. Hebraici graucs fd non
adcodiftincl i,nec figu- racu faciles; Lirini diflincki,clan : arnonfatis
elegantes : Gr«ci,clari ^ forjiiofi> exigui, niodicuni pccupantes
.fedexpa.rte^coihplicati-. . Aliarumnationum Alphabefa
conrulancnr. T IcercTLacinrc pro liceri^ tancum valcnt^Grarc.T pro
^liceris et numeris i y^lpha enimdicic A, et vnum : Hc-
braica:proliceris,& numeris,6c vocabulis: Aleph enim figmiicat /t
^^vnmHyU princiffem, Bech n ^(^uo.dcd^mm &c.Propterea ex JitehsSLabbini philofophantu*aoi^ivi^AQagrammata
eliciunt, : '(jrdmmdticalium Cdmpdmlld]D^ra Mnefcribendiper
vfiratasHteras. Quoniam careinus Alphabeto mionali imitanw
prorfusinftrumenca 5 nec rperamtts illud nifi a nou^ lingua ccondicore^qui
vocibus res^& voces chara^leri- bttsadamuflimmncecur. Ynde
facilferebusinrpedis ip^ fisdifcerenrfiomines ducefimilicudine^ l^gere,
fcribe. reque!donecergo^liiigttam,& charafteres
proprios Plulofopbisedereiipndacur, vteodum conTuecis in scribendo.
Proquofcqucnccsdanturcanones. I Literas clarasa propnafigura non
defcifcenres deli- ' neabis, vna continuaca dimcnfione •,
ou{eiiU^pier> vndc fjcilius duci.poce(VprrroTaTft calamus. X
Literasmaiufcufas Scminufculas obferuabis in omni ' lingua,
qu.imuisHcbrxis id non vfurpetur. Maiufcuiis vteris in pnncipiis
orationis, 5c in omnis perio Ji principio, & nominum propriorum cxorjiis.
Dicimub propria Jndiuiduorum, prxfcrcimhumanorum, rcrum nomen
.curam fortiencinm indiuidualem vt
Perrus honio ytc Bi^ttneUns ^aais. Icera earum rerum, de quibus
fcrmo teexitur, quaccunque fint> eric maiufcula exordiens Bgura.
Cum enim trado de SoIe,autdc Aqua,attt d« tnde in'Phyfioiogia > dico
Sol, Aqua, Iris, in toto rra^ : &atu. Nomen aucem D ]g I tjRtiii|^^
pie^f^bendumdbcec. Omnesliceræ vnam diAionem (romponentes, nmnl ponantur
; nec incer eas pond:umtnec fpatium interttcni»- relicebic, ad retinendam
signo rei vnitacem. Onwæe nim cns necefTaric) vnum eft. Dantur in vulgan
linj^ua apudnos, et Arabeslicerarum copulaceiufdem vocabu-
liiatextrcmxfigurccprxc edentisextenfioadprincipiuni ponfef^uencis,non
inepu» (iperfpicuicacem iedionis uon i /4! intercurbat: alioquin
fuc;ienfln. RedeTypographiim- ittfmodicomplcxus omncs fuflulere. Si]uandoin
fine verfus non poceft rerminaridic^io Arabcspriccedencem excendunt. Si
poceft finalis rcci- pere excenfiones : (in mioLts>amplian(medias.
Alixve- r 6 nacionesapponuDcnoeulas, quibus abfoiucain non eC- ie
di^onem, fignanc, vc in noftra fbriptione apparec. Vbipraccerea nocabis,
qaod vna licera^qu^ eftin finj? ver- rusfpacittm non habec>in quo fc
ribatur, noti eft pohen do vck principio fequencis: fed vel coarftanda
cxcecis» vel incegra fyllaba, ficamen non eft vnias cliafa^eris,
afportandaad fcaitends verficali exordium, Francisca jnen concrariaseftvfus. Omnesdicliones^&fingulscreorfum
abaiiis,non per punfta incerpofica, fed perfpaciola
diftinguantur.necon- Fufiofenfuumfiac. SpaCioIa vcro incer liceras
ciuidem didionis finc n:q ualia : ne videancur didioncs dua:. Caufa
breuiracis folent,vbi duplicanda efi: eadem licera,apponerepundum Hebn-ci
medium in omnicon- fonanti nos titulum fuperponimus : fed foliimin
N-^tC Ji/,dapIicacionem exigente,6c folu fuper vocalem, aut Ciæfiiram
confonanti caufa breuitatis. ScdaUceralijipia Vtuocar.
Confulenduseftvfus. Nam,f>fr, fcribimusfic 9^fr^%^pf9 Similicer etiam
vfus eft in dickioni. bus feruandus. Nampro didione liceram
^liqaando faibimus. Siquidempro enim, fcribimus.«. pToautem, 4. vcrique
pundacam ; pro verA jv. confimiliter ali- qoando paacis liceris^pro
mulctSy vt pro vniærfidicer J&lr> pro,^0tf8lM,qm. £ft|eciamTfus Arabam,vtalifereamdemritera[fi>rm^t
in principio aliterinmedio, aliterinfine.Noftrate 5fblum
JW,infinedefledunr:nam pro w. vtunturi. sxlnquaz,-
% Obrcru<\ndum eftjneeadem abbreuiatio alicer alibi fignificec: fienim
confufionem paritr vnde rudicer qui. dam, locopfr,&/>r4',vcuncur/:
et fiquis nouamabbre «iaturam intrudit, perpctuo ea^Ttarur^femel ramen
ita fcribat clar^ ; vtin allis di&ionibusi Uaptimaicrijua
fitlumen» aneUnf. Ponende eciam fuoc noculx tonorum, qui dicun tor
ftccencas, vrpronunciadononaberrec. Suncaucemcres, actttus y qui
acuit, eleuacque ryllabam.:grrf«/i, qui depri- iTiit:
f/w;/?fxrt/,quicomponiturexacuto, et graui. Pki- ribusabudanc
Cocincinenlcs, quoniam hiis iuonofylla- ba, funtomniavocabula.&plura
iiguihcaiic,pro pluraii vanetaceaccencuum. Teflc P. Borro. fo
PonicuracccncusTuper vocalibus: quoniam vocales func lyllabarum lubflantia,
&: anima j conlonanrcs ma- teriaiicer fe habent^^ acadeatalicer
quodammodo yei tanquam corpus. T I Cum aliqua vocalis in fine
didionis -caditper (yna<'> ]a:pham«vtimurin lingualtalicaaccencu
furfum retorro« Græcisquoque v(iirpatur,l.at Lnisrar6»nifivbicadit
femiuocalisapud Lucretium) qui dixitp/^//7ii'; ^uhte:frj9 A^2^ndix ach.
Art. da^' X. CHalda:i> Arabcs, Hebrc-ei a dexcra parte
fcriptionem exarantad fi niflram Grxci, Lacini, 6cali) ccontra.
Contenditur vtrum redius. Antiquicas, auchoricafque facra: Iingu« fauet
illis : iftis vero Phyfis. Magis cnim fecundiim natttcam eftab
iniperfc<5lo Scfiniftro adperfe- ftum dexcrumque ire. Metaphyiis e
contra. Pxæcedic enim femper op timum perfeftiffimum | trahens
materia^ lia deimperfedoadpecfeftum. Slmundi poficionem fpeÆsPytha^oricoricu,qnem
nos ^diim fcribimus,noftra pofirione imitari debemus: Scriptio enim
qiiidam mocus, coclimotum imitans: dextrum efl: polus Borcus: finiflrum
Auftrinu?;. Etficnos, ad Occiæntem vultu (pe^Slantefcriberc oporter.
Ergo inciperemusahniflroaddcxtrumjimitancesmocum latitudinis, tanquam
fiex Auftraliplaga cocpiiTet huiufiiiodimocus-ficuii iuPiiyficisf ucabamus.
iQ^auccnipu- cac tat^ncepifle folumyerfusauftrum moueri
ab ini^o^vci . nunc viciffim mouetur 5 vtique a dexcro incipere fcriptionem
putat. Ac fi, quod Mofes in caftrarætatione observa c, obfeniemus idextrum eric
Occidens: Ariftoceli vero Oriens. Ecexhisimitacioaptamagls. Scriptor enim
loiv^itudinismotumvelocera potiufquclatiaidinis obferuac^niam Lunaris.
Propterea ficfcribeodo, et qoi vultumhabetad Auarumjcribicadextro nd
finiftrum, ideftaborcuino ccarum, inricu Græco et Latino. Ete contra in ntu Chaldaico. Qui ad Boream
fpedac, ab oc- cartt in Latino, abortumChald<jo. Aliiconfideranc
commoditacem lcribendi &facilita- tcm. Qu«meliorconftac a fmiftroad
dcxcrum : quoniam matlusa centro circunforentiam fcrtur,vbi muenit
fi- nem, Actamen poteftaddi tertius et quartus modus: vc
fifcribasabalto-acimumpagin^, vtin rolo 5. lohan. La- ter. Romæfaftamvidinuis.
Ecin verfibus fybillinisfic C contw. Hinc noua qu^ftio, et confimilisrefolotip. Defarmione
^ 'ferfficuitateperfun^4,lk neajkue ojienpi, Art.
IL IN ftrudttraorationisinteræniuntpunda:6c pun<fium cum
iineola adunca ; et lineola illa fol t taria, Hoc autc
ia<tefic,qiloniaojracio criplex : alia fimplex,vt ego fcribo:
aliacompofita,vtcgofcrLbo : dum cu diaas : aha decom-^ pofita vt
Epigrammt»& liias Homeri, oratio Ciceronis pro lege ManUia. Quammali»
trlbus,ali«m!ilti$>a pluribus «cplorlmis conftant periodis.
Oiatibfiropllci nullum patitur punaiJm, necdiftinaidncm, nifiyocabu-
lorumperintercapedincspania $:hacvtuntnrLogici,vt, €mnh homo eflanimai
tationdle, Omtio Compofita diuidir turin duas coniundas per copulatiuam
riotam*.vt £j# i^riwtfjd^^^w&^velperdi^^
vt^h^di^vel/gr^'* iMUVflmngit\vt\ per cowdk\ov\:i\Qm:vtJtvenerisadm(
daboiibiltbrumxwx^QT\ocAcvc\^vt,vbithef^turus, ibi cof : aac per
tcmporalem, vc,f maqtf.er le^tt.ciifcipv^ Uatidinnt aut pcr comparnniium
. vt, y^a//fl/ wrfr/, /rff/ 2^^;7// //2 - ; aiic pcr caufaleii-i : vc,
qMniamn^n fkit^, JhrtUfcttntcampi ;auc per rclatiuam i vc, mercaiores
lucrati sunt muhtimquitamenUborauerum., Erhofumficdifttn- dio
perlineascommaravocatas. Omio decompoifcA conftat cxperiodis plurimisipe-
nodusemm fir, cum ex finali Dunao. velexordioinfinem; oracionis
perfedxabfqiie ruipenfioneaudientis peruenimus. Ibi pttndum &cimus: omnesergo
periodi pund^is adftringuntur,vtinprima CICERONE Epiftola. Egoemni
•ffici9^ep4iih piefdte ergdte^Cdtefis fatisfacio emmbus i mihiipftnunqnam
fatisfacio ^ &c. Ac pcriodus diftinguitur percola&commataapud
Ciceroncm.Cola funcparteg. periodi maiorcs : quarum quxlibetquafi perficitoracio-
nem,&in dido exemplo terminatur in ly omnibttt, Et horum diftmcflionobisfic
per punda duo,auc perlineo- lam cum puncflo. Commaca vero func parces
mmores, cx quibils cola conficiuntur Ucetnon omnia femper, vt i
iodiAo exemplo. Vbi poftquam
dixttammofffcioySiddityacpoiiufpietdtey quod diAinguicur a prioriparte
periinea. Confideranda eftetiamiquod vbi diffidium maius eflincer
commaca,ap-- Sonendum efl pundum cnm lineoia: vbiminus,
lineoia': iie putido. Similiter in diui fionek compofitorum^ ali^.
quandopun&ocum linea^vt«^ ntdgWerlegit ^dtfcipvU^»Jiffis/:aliqnando duobus
punAis :yt^Rexcafiigauitml^ Iite$'qttifugeriimdepr4i0, Hinc eft, guod
antea^uer&ri- uamponuntur pun6i:adtto,(i nonett completa
periodus> in vno: Quando maximcaduer/acur, vt.Pctrus rfido^ui:
fedfilius eius ignoranS' Aliquando lincola, vc, Petrus c$ doHus
quidemjednonvalde, Similicerancc relaciuamcft lineola in
modicOjVCj/^f/rflJ, qtticurrit^moætur. In mulco,. iuncpunda.vcfupra.
Similiccrponicurlineola anteno- tas cogalaciuaA^quaado copuUs
i^.u^gitivVtt^^/Wfiffrir Mmi«^quado non mulcumy poofta,vt,/rr/r0ir eMrru
: fii propeM 9(eafum, AliquatiHo nihil, ii Yalidifsimc copulac, vc,
Petrus evnditus darui nohilis^ fed et Scc. idqiie magis,vSi deeft
copula,abefto 5c lincola. Ponitur eti.irn puntflum^vbi
didioeftnota; et ngnifi- cacpcrvnam literam ^vcM-T. CicerotiSc D. Francefco:
&vbi per plurcs vc Cic. pro CICERONE (vedasi): 6c Franc. pro Fran -
cifco. £ciahisv^lecconrenfusrcj:ibenciuxu,§crauo bre« uiecacis.
Ait. I. LEgereauccm,eftocuIis,qu fc npra.-crunt-^colligcreiit
mentc,ac mox per linguam colleda icerum pronunciare. kaque eft circulus, ex
dicere, pcr (crthere^^le^en ad tpfum dtcere, Ocuins fen(us lcdionis
ziauduus didio- flis. 1 Qui ergo iegic,prius difcaccharaderum
iignificationes et pronunciacionem. Quasdacninicum gutturc,vcvoca-
lia quxdam lingua, et paiaco, vt confonantes,fic femi- oocalcs ;&
quacdam labiis, vc mutx, pronunciancur. Si- militerquid valeanc
punda,&afDiraciones;doceadifunr, qui legeredifcuntfiuxta phmi iiori
pr^cepca. 2 Moxquemfonum, quacvocaIis,cumquaconfonan« ce,
faciat* Vinculum enini confonantiuin vocalis efl. Faciliatttemaddifcttnt,
ficonlbnanseundem fonum fer. uet cum omni vbcalf. Hincfic,vc, quoniam
carcmus altero, C «non poffint facili noftram nationis aiien^
linguam,addifcere. Alicerenimpronuncio, C,cumA, et alicer C, cum E,
fimiliccr,G, vt norum efl:. Vnde deri- uationcs verborum,&cafusnommum
fallunr.Cum au- differRegis itcluopi; filius,//g4^,
pronunciabac,/r^Aw, i (^rammaticalium £ampanelU]
dcriuationem falfam exofus. Ec pro C(£Co, ctUo diccbar^ vc C,
fecundum eflet primo fimilc. Nos aucem ha:c non cogitamus, vfu
dudi: 6c quia; pueri noftri nefciunt dubitare/ed authoricate
trahuncur. Prius quidem fimpHcibus ryllabis,vc^<^,deinde com-
pofiiis.vc j^r./, airuefcanr. 4 Tandem vc didiones cocas
pronuncient didindas, iK)n n>ixcascumalii$,proucin copuiando dicere,
aiTue- faciendi func. Mox enim vfus, vc celeriterlegant, pre-
ftabit : veluti Cithara:di, vbi primiim elemenca, et difcri- niinafonorum,
& confonantias calluerinc, in eifqueaf- fueucrinr. Item quomodo
pronuncianda interrogatio j quomo». (io admiracio, &quomodo
lcuisoratio. 6' Item inpcriodi finc paufindum. 7 Item
diftmguant legendo cola commata, illa ma- gis,ifl:a minus.vcfen fum aonco
Qfundant, necdifTocicnt:- Verumque enim ti 6'fu m . Quiautem
carminalegunt, carmincis pedibusqua/f incedant,nec fenfum obfcurent
mctriamore : qui pro fa5,,numeris,qui Philofophica grauiter. Item quar
abbreuiationesfinrin vfu, et quomodo ci notandar. Alia: enim
aliisnationjhus. Item quibus acccntibus lint pronunciandicr yllabap.
vltimc,& penultiniii: : 6c monofvllaba in vocalem deii- nentia : et hoc ad
quautitacem fy llabarum fpedac, ex Ar.:, temecrica, - Quxvoces quibus
verbis defcribendis func apcx^ ior;
Saecicaiuuenies. CVmirouamlinguam difcere legendo cupis :pone
feriacim vocabula noca cu^ linguj^, cor,quoc funt Ju
terxeiin^quamaddifcisiicavtprimxlicer^vocabuiorana Lihertertius.
laceant fecuhdum fcriem Alphabeti difcendi. Diclio- nesautemtux
lingux iiceris propriis priLis,dcindeaIie- nisalternadm exurabis. Tuncenimmirafacilitacein
vno dic.quibufquclegereaddifcet. Gognitaemmfttntiumi-
aaignoratorum. De eHfjtic^ iane ferfnonum Granmaticali TOn modo
GrammtticiTidetnr offidum,tradere' 1 A| rcLtionem rcAi loqucndi et fcribcHdi
et Icgepdii fed infnper declarandi fcrmoQCTO.fiUC di^kumfiucfcriptum a
quocunque autorc. 2 Hoc quidem verum, quoniam omnis- Autor Gram- niaticus
primo eft,& mox Philofophus Ivhetor,L ogicus, Poeta, Mathemacicus, Hirt:oricu5,Mcraphyficu\
Thcologus, 5<c. nemoenim fcribicin quacumquercientia^nifi Grvimmatico
5c congruo fermone. At plujr^ pr^Iumit Grammatica, Philpfophica^quam
ciuihsi 3 A t cum omnis fcientia-popriis quibufdam vtaiur vo« cabulis,quxapud
vuigusaliumfaciuntfcnfuni, res quoquede
quibus.traclaniigDOtacfUDrvu)go^inTheolo^; et Aftron. patet. PfopjCf rca non
puto Graciunatici efte .ciuilis.omnes fenitoncs enucleare,fcd tahnnn
vulgires familiarcs .quiin cpilloliti^l^Q^c^jbntineDtur. Adde
eciamin Po^tis et Oratoribus^^To|i(1Ck.i.deot^^ Ij em propius ad vulgi
inftrudionem adcedtmr. Nihil oniinus dicendum, quod exponere poetas 6d
oratorcsnonfitisvalent^nifiquiarcem poeticam &: 01 a- toriam etiam
didieere ; ergo noii pun Granamacici eil oratio ipfbrum. PlaroetiJin cracilodocet impofitiones vocabulorum
jTon efle Grammatici, fedfapientjflimi Dialedici, idjjft
Mecaphyficireriiinuentoris&fcicntiarum ordinaroris-, 6.
Pxiuseniaioportecicj^ Ctfeta&deiadc notpinarebut^ i$o U,
f ci t i s i ni p oncte : Gramma tic us ^tgo co n ferua c enu cl ea
t hon|inuenic ncc imponic. Inueutor bombardse dcdic hombardx nomen,
6c noui hemirphenj Amcncus Anie- ncam
dixic.&jlouispedifrequosplanetasvocac Galileus " Mediceos : non
quidem ex reinacura ifedpkcUo hum^ ino/xpeque cafu.
Nominaquidemdcbentabipfisrebus nooninatts ex« primii vt bombarda a bombo
ardente huius inftruroend» &lapisd ia:dendo pedem,&fol quia
roloslucecSed quo- niam rerum eflenciae latent, et proprietacesfcfnt inn Qmi-
natae»8cconfu&: &c philorophifenim
inueftigtitoresco gunturvuIgariTCt fermone. &Principesad
libitumfine arteimponuntnomina>& iie, dcab euentu,ra:p&:noa
potcflcercafcientiafieride iproruimpofitione nccfa<fta leruari
quamuisinhoc Hcbrari fint cxtens ccnaciores*Icem quoniam quotidie voces
corquencur,mucilancur, breuiantur^producuncurj^cransferuncur.vt iy,
loannes in Hcbraro, aicicur Ican Gallicc;, Ans Germanice, Gro. uanni
in Ecruria : lanniin Calabriai CianniParcenopeis: crefcitdifficulcas. Grammaticus
ergo non declarabicquiddicaces rcrum pervocabttlafignacarum^haccenim
pertinenc ad fcien* 'tiasillarum renim:fedtantummodo vocom
fignificationes, et ftrudttram orationis. Vnde Plato, profanosvo
catjGrammattcos, qmTOcabulaTheologorum declai»- repraefumunt, magisaatem
fificirridere.Idem S. Greg. f Propriaautem Gtammaticomm declaratio
eft ety* inologia, qua nonrefpicit quidditates « ad quas
nomina imponuncur^fed vnde imponuncur.Cicer.i. Acad •& qua decaufa, «Sca quibus&quando, fipocis
eft. 10 Ecquoniam vocabula apud alios Aucores aliarum fcienciarum
et apud vulgus aliis tempoiibus aliter SIGNIFICANDUM apud PLAUTUM aU erat jrcuU
Sc quafi ollay APUD VIRGILIO eih naxima xdm regiarum. Item
lusapudlu- rifpcritose(l/ifjtf,apud Oeconomos eWhoJiH ^wndc vulgo
feruis distributio quocidianadicitur/ii rim.Qujt Phy ficis eft
r7ifw>i.f,Lo£;icis/tr^f/mW;^//^, Soloni/rjc, itcm hypo^.t/jsMedico c
fl: fedimenf^m v rinq: G rcXci s e fl h(Iantia indiuidua Thcologis perfona
perronn auten:i Comicis e^laruabLC, Propterca Grammaticus iflharc onmia scire et
declarare deber, 5cquarealijalitervtunturi^confu- ffonem/ermonis tollere
qaantum poteft. n ItemfigttrasGrammadcales, etfi poteftedan^ Rhe^
thohcas&pocricas dicec«&cbnfl:ni^onem orationis. 6cvaTiof diceodi modos
rem eandemi et eiiocleandi de linguain Ungixam :id quod
dicitorinr^rpr^cacio; la Vcitor enim grammaticos etymologia:
interpretatione, dercriptione, 6cdefinitioneali (^ando, fioecircom' Locutione, quando
vocabulum ceriumnon habet vel res vocara, eftignota. Etymologia
docet;vnde vox imponiturV& quaratione. Addetquc! quas pafTa eft
mutationesapudmul- tos. Interpreratio de lingua in linguamfert notitias,
bL de proprietate ad metaphoras et ceconiierfo. Defcripno REM
SIGNIFICATAM PER VOCABULUM MONSTRAT ex effedibus et similitudine aliarum et quiburcumque
potefl adminicolis. Definitio per similitudinem, ic dissimilitudinem
proprias, est entialeiqnevr per genos et differentiam et circomlocutio pertni|Ica vocabula unum
deciarat. 1% 'Jteni notabit Grammatieos synonima, vnioo<sa, jtk
qoioocai;^ 6c denomination^s. Ad qoas redocitor dertnatto vocabi^bt»i»i$[ Vul^
et cafoom ex noroinaCt; cioo.6c temporom.ex priHnf^teritis et fotorit,vtnotar
jGcIliosnon femei» Icem'compofttione$,& parcico]as; emimqtievfQSyVtin i.lib.
notacom est. Item qua pars orationis eft quje libetdidio, qUem Iocum habet inuruura:
8cqucm cafum exigit, &c. Dccarminis et accentus notitia dicemus in poetica, quienccefTaria
eft Grammatico ad docendum pronunciationes. Item de figurisorationis in
Rhetorica esl: fermor quac necessaria rTunt ad fermones eorundem enucleandos.
De figuris vocabuloxam &, ftrudura et liocin; Ibco cJttac syntagOtta,;
j4ffendix dc phi UJophka lingua infiitutione. Slquis novam linguam philosophica
constituere vellet formare literas debec consimiles instrumentis et sufficiences
abfque variatione in copula vocalijum cum consonancibus, vcm r. lib et in
Poccica docuimus. Imponere nomma ex reram nacura et propriecacibu Verba omnia
ex nominibus deriuare et vnius cbniugationis omnia excepco substantivo et omnia
cempora onmibus cribuere et ordinare ea ex adibus essendi, existendi, operandi,
agendi, et patiendi. Parcicipia pra:cerici, et pnefencis, se fucuri cam
adiua quam paf Hua. caniaiSlu aliaqiuun pocencialia. Pronomina omnia iuxca omnes
species suas et non a dissidentia. Adverbia exmodi$, locis, temporibus
et circumstantiis a (3: cum addere. Adnomia vero ex circunstantiis et re spedibus. Coniunctiones
temporales, locales, sociales, difrocxale$,
continuativas, conditionales et alias ut
suo in loco dictum est. Casus omnes distindos in fine, et articulos
ponec æquivoca, synonima, et metaphoras ab olebic: cunitis rebus proprium dabic
vocabulum, ut tollat confussionem, quas videtur pulcracum sic vitium in oIitum:
hac omnia in libris hiscecribus liquido constanc, et ex Mc- altius
constant. Ars mensurandi versus in poetica posita est
syllabarum quantitate sufficic quod Grammatici feribu QC rationes autem a poetica
pecancur. Tommaso Campanella, al secolo chiamato Giovan Domenico Campanella,
noto anche con lo pseudonimo di Settimontano Squilla. Tommaso Campanella.
Settimoontano Squilla. Giovan Domenico Campanella. Campanella. Keywords: utopia
italiana, lingua artificiale, lingua perfetta, la lingua d’utopia, lingua
utopica, l’utopia di Campanella, il problema del linguaggio nella utopia di
Campanella, grammatica la prima parte della sua filosofia rationale, citato da
Vivan Salmon (Keble, Oxford) per il linguaggio inventato per megliorar il
linguaggio volgare. Grammaticalium libri tres, Parigi, vietnamita, armeno.
Deuteron-esperanto—Highway Code -- Italia. Campanelliana civitas solis CIVITAS SOLIS – Taprobane – Sri
Lanka -- -- Refs.: Luigi Speranza, "Grice e
Campanella," per Il Club Anglo-Italiano, The Swimming-Pool Library, Villa
Grice, Liguria, Italia.
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