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Tuesday, February 4, 2025

LUIGI SPERANZA -- GRICE ITALO A-Z D DA

 

Luigi Speranza -- Grice e Dalmasso: la ragione conversazionale e l’implicatura conversazionale della giustizia nel discorso – scuola di Milano – filosofia milanese – filosofia lombarda -- filosofia italiana – Luigi Speranza (Milano). Filosofo milanese. Filoofo lombardo. Filosofo italiano. Milano, Lombardia. Grice: “Dalmasso is what at Oxford we call a ‘derivative’ philosopher, and at Cambridge a ‘Derrideian’! But he’s written some original work too, mostly as editor, as in “La passione della ragione” – he has also explored ‘discourse’ in terms of ‘rationality’ and ‘fairness’ – In my model, both conversationalists are symmetrical, so questions of unfairness do not apply! I took the inspiration from Chomsky!” – Si laurea a Milano. Insegna a Calabria, Roma, Pisa, e Bergamo. Membro della Societa Italiana di Filosofia Teoretica. Studia Derrida, ha commentato “La voix et le phénomène” e “De la grammatologie (Jaca Book). Comments on “L’offerta obliqua” e “Passioni” --Dai problemi del soggetto del discorso e della genesi del segno nel dibattito sul nichilismo i suoi interessi si sono rivolti alla ragione in rapporto all'etica e Hegel. Pubbllica in Oltrecorrente, di Magazzino di Filosofia. Altre opere: Hegel, probabilmente. Il movimento del vero (Milano: Jaca).Hegel e l'Aufhebung del segno, Chi dice io. Chi dice noi (duale). L’implicatura del noi duale. Razionalità e nichilismo, Jaca, Milano, La passione della ragione. Il pensiero in gabbia. La politica dell’imaginario, la verita in effetti. La sovranita in legame. Etica e ontologia: fatto, valore, soggetto, l’interosoggetivo. Il tra noi. Di-segno – la giustizia nel discorso. Hegel e l’Aufhebung del SEGNO. L'implicatura del noi duale. L’in­trec­cio fra sa­pe­re e ra­gio­ne Il tema della filosofia di D. ri­guar­da la do­man­da ori­gi­na­ria. Do­man­da e ori­gi­ne sono pro­ble­mi del pen­sie­ro che, fin dal­l’i­ni­zio della fi­lo­so­fia, non co­sti­tui­sco­no un ap­proc­cio di con­trol­lo e di do­mi­nio del­l’e­si­sten­za, quan­to piut­to­sto un ri­pie­ga­men­to su sé stes­si che si in­ter­ro­ga sulla pro­pria ge­ne­si. In ter­mi­ni meno esi­sten­zia­li e più an­ti­chi tale que­stio­ne oc­cu­pa il posto del­l’a­ni­ma. Dalla con­sa­pe­vo­lez­za del­l’in­com­be­re della morte nel primo sta­si­mo del­l’An­ti­go­ne al co­sti­tuir­si, per così dire, di un’interiorità nella so­fi­sti­ca e in Pla­to­ne, l’a­ni­ma (animatum) ha fun­zio­na­to come prin­ci­pio ori­gi­na­rio in una forma di­ver­sa che il do­mi­nio. Prin­ci­pio che an­no­da e che ma­ni­fe­sta, se­con­do vie non solo im­me­dia­te e spe­cu­la­ri, il logos (la ragione), il noein come co­no­scen­za e mi­su­ra di un or­di­ne. Quan­do il nous, at­tra­ver­so Ari­sto­te­le, ac­qui­sta tutto il suo svi­lup­po con­cet­tua­le e stra­te­gi­co, nel pen­sie­ro tardo-​an­ti­co, a par­ti­re da Plo­ti­no, l’ anima ri­ma­ne ed è ri­ba­di­ta come il luogo e il ve­ni­re a co­scien­za del rap­por­to con lo stes­so “nous,” cioè con il for­mu­lar­si del­l’o­ri­gi­na­rio (uno, bene o atto che sia).  Grice e D. scel­gono di leg­ge­re Bradley e Hegel. Scel­ta mo­ti­va­ta da loro in­te­res­si di ri­cer­ca, ma anche, più am­pia­men­te, dall’attualità di un lin­guag­gio che è in grado di ri­for­mu­la­re que­stio­ni sul­l’as­set­to mo­der­no del sa­pe­re e sul sog­get­to – e l’intersoggetivo -- di tale sa­pe­re. Su un ‘noi’ duale, che, nella espli­ci­ta stra­te­gia he­ge­lia­na, ar­ti­co­la e rad­dop­pia il ruolo di due anime. Sa­pe­re su di un noi duale è co­mun­que per Hegel un sa­pe­re sulle strut­tu­re di un noi duale chi, che sono in grado di for­mu­la­re una do­man­da ori­gi­na­ria.  Il testo, di cui Bradley propone al­cu­ne note es­sen­zia­li di com­men­to, ri­guar­da i pa­ra­gra­fi dalla “Psi­co­lo­gia razionale”della Fi­lo­so­fia dello Spi­ri­to con­te­nu­ta nella edi­zio­ne dell’En­ci­clo­pe­dia. A dif­fe­ren­za dell’“an­tro­po­lo­gia”, in cui due a­ni­me sono con­si­de­ra­te come l’a­spet­to im­me­dia­to della vita dello spi­ri­to (le due anime con­si­de­ra­te come il sonno dello spi­ri­to, pro­ble­mi del rap­por­to del­le due anime con I due corpori, que­stio­ni del sonno, della ve­glia, delle sen­sa­zio­ni ecc.) la Psi­co­lo­gia non è scien­za delle due a­ni­ma, ma scien­za del sa­pe­re in­tor­no al­le due a­ni­me, cioè scien­za ve­ra­men­te tale, nella sua por­ta­ta con­cet­tua­le. Per Bradley e Hegel, ‘scien­za’, Wis­sen­schaft, ogni scien­za, e so­prat­tut­to quel­la scien­za mas­si­ma­men­te ri­go­ro­sa che è la fi­lo­so­fia (‘regina scientiarum) è scien­za sem­pre di se­con­do grado: scien­za che con­trol­la e che ha come og­get­to la sua stes­sa ge­ne­si. La filosofia e la regina scientiarum, la scien­za che mi­su­ra il ne­ga­ti­vo ri­spet­to al suo as­sun­to e al suo stes­so me­to­do, scien­za che è in grado di smar­car­si dal piano del suo stes­so sa­pe­re e di com­pren­de­re il rap­por­to di­na­mi­co, ge­ne­ra­ti­vo e mai astrat­ta­men­te “spe­cu­la­re” o reflessivo delle due anime, in cui la inter-co­no­scen­za si co­sti­tui­sce. Così, nel caso del testo com­men­ta­to da Bradley, i con­te­nu­ti della psi­co­lo­gia sono cu­rio­sa­men­te tutti di­ver­si da quel­li che nel­l’as­set­to della fine del­l’Ot­to­cen­to e del primo No­ve­cen­to ci si aspet­te­reb­be da una psi­co­lo­gia del tipo elaborato a Oxford dai Wilde lecturer in ‘mental philosophy”: Stout, -- cf. Prichard – cit. da Grice, “Intention and dispositions”. La psi­co­lo­gia filosofica o razionale non è scien­za delle leggi delle anime o psi­chai, ma del mo­vi­men­to ge­ne­ra­ti­vo delle leggi delle anime o delle psi­chai.  I testi che sono og­get­to del com­men­to di Bradley sono, come Bradley nota, estre­ma­men­te dif­fi­ci­li. Prima di co­min­cia­re Bradley fa qual­che ri­lie­vo sul pro­ble­ma della difficoltà in ge­ne­ra­le nella let­tu­ra del testo di Hegel. La que­stio­ne si pone se­con­do tre punti di vista. In­nan­zi tutto come que­stio­ne della na­tu­ra e della de­sti­na­zio­ne del testo. Ad esem­pio l’ “En­ci­clo­pe­dia delle scien­ze fi­lo­so­fi­che”, nel no­stro caso, è pen­sa­ta come un rias­sun­to delle le­zio­ni per i ‘tuttee’. In se­con­do luogo il pro­ble­ma del si­gni­fi­ca­to espres­so, del voler dire del di­scor­so he­ge­lia­no. In terzo luogo, che è quel­lo de­ci­si­vo, la que­stio­ne del me­to­do di com­po­si­zio­ne del testo di Hegel, me­to­do che ri­guar­da, d’un colpo solo, due anime: mittente e recipiente. Que­stio­ni, dette al­tri­men­ti, di sin­to­niz­zar­si con il testo che, per quan­to ri­guar­da il me­to­do filosofico di Hegel, non può es­se­re altro che ri­per­cor­re­re l’e­le­men­to ge­ne­ra­ti­vo del si­gni­fi­ca­to di ciò che Hegel explicitamente communica. Senza di que­sto in­ces­san­te ri­per­cor­ri­men­to a li­vel­lo della ge­ne­si del testo, il suo ‘segnato’ posse appare in­com­pren­si­bi­le o ap­piat­ti­to. Ap­piat­ti­to come su di una su­per­fi­cie, in modo che il gioco delle in­ter­pre­ta­zio­ni del tutee, anche nel caso si trat­ti di stu­dio­so molto qua­li­fi­ca­to, tende spes­so a sbiz­zar­rir­si in gro­vi­gli di ipo­te­si fi­lo­lo­gi­che o di ca­rat­te­re ideo­lo­gi­co-​me­ta­fi­si­co. Il mi­ni­mo comun de­no­mi­na­to­re è la per­di­ta del nesso fra il segnato di ciò che è detto nel testo con li mo­vi­men­to ge­ne­ra­ti­vo di tale segnato. Così si può se­pa­ra­re per­fi­no il con­cet­to di ne­ga­ti­vo dal con­cet­to di ge­ne­ra­zio­ne so­vrap­po­nen­do l’uno sul­l’al­tro e ren­den­do in­com­pren­si­bi­li en­tram­bi. Que­stio­ne che si pone in modo non in­fre­quen­te, anzi ma­les­se­re spes­so dif­fu­so anche nel com­men­to di Bradley. Ini­zia­mo la let­tu­ra par­ten­do dalle prime righe.  Lo spi­ri­to si è de­ter­mi­na­to di­ve­nen­do la verità del­l’a­ni­ma e della co­scien­za, cioè la verità di quel­la totalità sem­pli­ce e im­me­dia­ta e di que­sto sa­pe­re. Ades­so il sa­pe­re, in quan­to forma in­fi­ni­ta, non è più li­mi­ta­to da quel con­te­nu­to, non sta in rap­por­to con esso come con un og­get­to, ma è sa­pe­re della totalità so­stan­zia­le, né sog­get­ti­va né og­get­ti­va, ma intersoggetiva. ll pro­ble­ma del rap­por­to fra il sa­pe­re e la ra­gio­ne inau­gu­ra qui il di­bat­ti­to sulla scien­za della psi­che. L’in­trec­cio fra sa­pe­re e ra­gio­ne ini­zia a di­pa­nar­si nel pa­ra­gra­fo se­guen­te:  L’a­ni­ma è fi­ni­ta nella mi­su­ra in cui è de­ter­mi­na­ta im­me­dia­ta­men­te, cioè de­ter­mi­na­ta per na­tu­ra.  La co­scien­za è fi­ni­ta nella mi­su­ra in cui ha un og­get­to.  Lo spi­ri­to è in­ve­ce fi­ni­to, “in­so­fern ist end­lich,” nella mi­su­ra in cui esso, nel suo sa­pe­re (in sei­nem Wis­sen) non ha più un og­get­to, ma una de­ter­mi­na­tez­za, nel senso che è fi­ni­to per via della sua im­me­dia­tez­za e — che è la stes­sa cosa — perché è sog­get­ti­vo, è cioè come il Con­cet­to. Lo spi­ri­to è fi­ni­to nella mi­su­ra in cui esso, nel suo sa­pe­re, non ha più un og­get­to, ma una de­ter­mi­na­tez­za. Lo spi­ri­to sem­bra es­se­re quell’attività in grado di con­te­ne­re e con­trol­la­re l’in­trec­cio fra la ra­gio­ne e il sa­pe­re, anche se ora solo nella forma del­l’im­me­dia­tez­za. L’in­trec­cio si or­ga­niz­za su due poli: la ra­gio­ne e il sa­pe­re. Essi si im­pli­ca­no re­ci­pro­ca­men­te. A se­con­da che si con­si­de­ri come con­cet­to la ra­gio­ne o il sa­pe­re.  Qui è in­dif­fe­ren­te ciò che viene de­ter­mi­na­to come con­cet­to dello spi­ri­to e ciò che viene in­ve­ce de­ter­mi­na­to come realità o “Realität” di que­sto con­cet­to. Se in­fat­ti la ra­gio­ne as­so­lu­ta­men­te in­fi­ni­ta, og­get­ti­va, viene posta come con­cet­to dello spi­ri­to, al­lo­ra la realità è il sa­pe­re, cioè l’in­tel­li­gen­za; se in­ve­ce è il sa­pe­re a es­se­re con­si­de­ra­to come il con­cet­to, al­lo­ra la realità del con­cet­to è que­sta ra­gio­ne e la rea­liz­za­zio­ne (Rea­li­sie­rung) del sa­pe­re con­si­ste nel­l’ap­pro­priar­si della ra­gio­ne.  La fi­ni­tez­za dello spi­ri­to per­tan­to con­si­ste in ciò: il sa­pe­re non com­pren­de l’Es­se­re in-​sé-​e-​per-​sé della sua ra­gio­ne. In altri ter­mi­ni: la ra­gio­ne non si è ma­ni­fe­sta­ta pie­na­men­te nel sa­pe­re.  C’è un di­sli­vel­lo dun­que strut­tu­ra­le con la ra­gio­ne che fun­zio­na nel sa­pe­re. Di­sli­vel­lo strut­tu­ra­le che per i greci era in­ve­ce co­sti­tui­to dal rap­por­to fra il sa­pe­re e la verità. Co­mun­que la realtà, con­si­de­ra­ta come realtà del sa­pe­re o come realtà della ra­gio­ne, si co­sti­tui­sce e fun­zio­na per Hegel come un farsi che è un in­trec­cio ine­stri­ca­bi­le. Una purità e verginità del­l’o­ri­gi­ne è in­tro­va­bi­le.  La que­stio­ne di un sa­pe­re dello/sullo spi­ri­to si ar­ti­co­la ul­te­rior­men­te nel pa­ra­gra­fo. Il pro­ce­de­re dello spi­ri­to è svi­lup­po (“Ent­wic­klung”) nella mi­su­ra in cui la sua esi­sten­za, il sa­pe­re, ha entro se stes­sa l’es­se­re — de­ter­mi­na­to in sé e per sé, cioè ha per con­te­nu­to, “Ge­hal­te,” e per fine, “Zweck” il ra­zio­na­le, “Ver­nunf­ti­ge.” L’attività di tra­spo­si­zio­ne è dun­que pu­ra­men­te e sol­tan­to il pas­sag­gio for­ma­le nella ma­ni­fe­sta­zio­ne e, in que­sta, è ri­tor­no entro sé, “Rückkehr in sich.” Nella mi­su­ra in cui il sa­pe­re, af­fet­to dalla sua prima de­ter­mi­na­tez­za, è sol­tan­to astrat­to, cioè for­ma­le, la meta dello spi­ri­to è quel­la di pro­dur­re il ri-em­pi­men­to og­get­ti­vo, “die ob­jec­ti­ve Erfüllung her­vor­zu­brin­gen,” e quin­di, a un tempo, la libertà del suo sa­pe­re. In que­sto testo il mo­vi­men­to del sa­pe­re e il suo sa­per­ne si ar­ti­co­la come que­stio­ne della co­no­scen­za del­l’o­ri­gi­na­rio. Tale que­stio­ne, che ha la forma del ri­tor­no, è pen­sa­bi­le come libertà. L’av­ven­tu­ra dello spi­ri­to che è sem­pre un ap­pro­priar­si, un far pro­prio, qui, e se­con­do la radicalità della sua strut­tu­ra, fun­zio­na come ap­pro­priar­si del sa­pe­re e coin­ci­de con l’av­ven­tu­ra della libertà.  Il cam­mi­no dello spi­ri­to con­si­ste per­tan­to nel­l’es­se­re spi­ri­to teo­re­ti­co, cioè nel­l’a­ve­re a che fare con il ra­zio­na­le nella sua de­ter­mi­na­tez­za im­me­dia­ta, e di porlo ades­so come il suo. Il cam­mi­no con­si­ste in­nan­zi tutto nel li­be­ra­re il sa­pe­re dal pre­sup­po­sto e, con ciò, dalla sua astra­zio­ne, e ren­de­re sog­get­ti­va la de­ter­mi­na­tez­za. Poiché in tal modo il sa­pe­re è in sé e per sé de­ter­mi­na­to come sa­pe­re entro sé, e poiché la de­ter­mi­na­tez­za è posta come la sua, quin­di come in­tel­li­gen­za li­be­ra, il sa­pe­re è  volontà, spi­ri­to pra­ti­co, il quale in­nan­zi tutto è an­ch’es­so for­ma­le. Il sapere a un con­te­nu­to che è sol­tan­to il suo. Esso vuole im­me­dia­ta­men­te, e ades­so li­be­ra la sua de­ter­mi­na­zio­ne di volontà dalla soggettività e l’intersoggetivita che la con­di­zio­na­ come forma uni­la­te­ra­le del pro­prio con­te­nu­to. In tal modo gli spi­ri­ti  di­vie­neno come spi­ri­ti li­be­ri, nel quale è ri­mos­sa quel­la dop­pia unilateralità. Lo scor­cio teo­ri­co for­ni­to in que­sto pa­ra­gra­fo me­ri­ta una pun­tua­liz­za­zio­ne. Ab­bia­mo in pre­ce­den­za ac­cen­na­to alla cor­ni­ce della psi­co­lo­gia filosofica o razionale come pro­get­to scien­ti­fi­co: scien­za delle anime che si pone come scien­za dei fat­to­ri ge­ne­ra­ti­vi delle anime.  Il per­cor­so dei spi­ri­ti che si sfor­zano di co­no­sce­re se stes­si, che tentano di com­pren­de­re l’e­spe­rien­za della lor libertà, che nella Fe­no­me­no­lo­gia dello spi­ri­to pren­de la via della mo­ra­le come sto­ria, in que­ste pa­gi­ne pren­de la via della psi­co­lo­gia come scien­za della libertà. Che il sa­pe­re possa af­fer­ra­re se stes­so, possa ap­pro­priar­si di sé. La stra­te­gia he­ge­lia­na im­pli­ca che l’o­ri­gi­na­rio, per i sog­get­ti (l’intersoggetivo) e per il sa­pe­re, fun­zio­ni e sia co­no­sci­bi­le come ef­fet­to di que­sto ap­pro­priar­si che è etico, pra­ti­co.  Se non si pensa il si­gni­fi­ca­to del sa­pe­re e di suoi sog­get­ti come etico, pra­ti­co, i sog­get­ti del sa­pe­re si di­bat­teno «in una bi-lateralità»: la rap­pre­sen­ta­zio­ne che i sog­get­ti fano di sé come suoi e l’im­me­dia­tez­za di tale rap­pre­sen­ta­zio­ne. Le libertà dell’anime è pen­sa­bi­le come lo spiaz­za­men­to in cui i sog­get­ti del sa­pe­re co­no­sceno il loro es­se­re fatto, no­no­stan­te e at­tra­ver­so il loro co-fare (co-operare) im­pos­si­bi­li­ta­to a co­glie­re l’identità fra sé e le loro im­ma­gi­ni. Que­sta di­vi­sio­ne e di­sli­vel­lo in­ter­no che è l’impossibilità di co­glie­re l’o­ri­gi­ne del pro­prio co­sti­tuir­si è per Hegel l’In­tel­li­gen­za (cf. H. L. A. Hart, su Holloway, “Language and Intelligence” – Signs). Nel mon­tag­gio lin­gui­sti­co di que­sto testo tale di­vi­sio­ne e tale di­sli­vel­lo vanno ad oc­cu­pa­re il posto della clas­si­ca op­po­si­zio­ne fra il den­tro e il fuori.  L’in­tel­li­gen­za, in quan­to è que­sta unità con­cre­ta dei due mo­men­ti — vale a dire, im­me­dia­ta­men­te, di es­se­re ri­cor­da­ta entro sé in que­sto ma­te­ria­le este­rior­men­te es­sen­te, e di es­se­re im­mer­sa nel­l’es­se­re fuori-​di-​sé men­tre entro sé si in­te­rio­riz­za col pro­prio ri­cor­do —, è in­tui­zio­ne. Il cam­mi­no del­l’In­tel­li­gen­za sta pro­prio nel bat­te­re in brec­cia l’op­po­si­zio­ne fra il den­tro e il fuori.  Le in­tel­li­gen­za, quan­do ri­cor­dano ini­zial­men­te l’in­tui­zio­ne, poneno il con­te­nu­to del sen­ti­men­to nella pro­pria interiorità, nel loro pro­prio spa­zio e nel loro pro­prio tempo. In tal modo il con­te­nu­to è im­ma­gi­ne, li­be­ra­ta dalla sua prima im­me­dia­tez­za e dalla dualità astrat­ta ri­spet­to all’altro soggetto, in quan­to essa è ac­col­ta nella dualità del­ noi. Que­sto bat­te­re in brec­cia, visto dal punto di vista del­l’in­tel­li­gen­za, è l’im­ma­gi­ne. L’in­tel­li­gen­za pos­sie­de dun­que le im­ma­gi­ni. L’in­tel­li­gen­za è il Quan­do e il Dove del­l’im­ma­gi­ne.  L’im­ma­gi­ne è per sé “tran­s-eun­te”,  nomade, da una anima ad altra anima, e l’in­tel­li­gen­za stes­sa, in quan­to at­ten­zio­ne, è il tempo e anche lo spa­zio, il Quan­do e il Dove, del­l’im­ma­gi­ne.  L’in­tel­li­gen­za però non è sol­tan­to la co-­scien­za e l’es­ser­ci delle pro­prie de­ter­mi­na­zio­ni, bensì, in quan­to tale, ne è anche i sog­get­ti e l’In-​sé. Ri­cor­da­ta nel­l’in­tel­li­gen­za, perciò, l’im­ma­gi­ne non è più esi­sten­te, ma è con­ser­va­ta in­con­scia­men­te. Nell’An­mer­kung dello stes­so pa­ra­gra­fo Hegel inau­gu­ra la me­ta­fo­ra del pozzo not­tur­no per de­fi­ni­re il fun­zio­na­men­to del­l’in­tel­li­gen­za come un luogo in cui sono con­ser­va­te im­ma­gi­ni e rap­pre­sen­ta­zio­ni che l’in­tel­li­gen­za stes­sa non co­no­sce. Hegel pro­se­gue la sua in­da­gi­ne at­tra­ver­so una sorta di tiro in­cro­cia­to fra in­tui­zio­ne ed im­ma­gi­ne, met­ten­do in azio­ne uno stile ago­sti­nia­no alla “De ma­gi­stro” d’AGOSTINO. Anche la no­zio­ne, clas­si­ca, di “re-­praesentatum,” il rappresentato, entra, ri­com­pre­sa e ri­pen­sa­ta, come dal­l’in­ter­no, nel mo­vi­men­to pro­dut­ti­vo del­l’in­tel­li­gen­za.  La no­zio­ne di “me­mo­ria,” come stato temporario totale, è an­ch’es­sa ri­per­cor­sa, nella sua strut­tu­ra clas­si­ca, come mo­vi­men­to at­ti­vo e im­pren­di­bi­le, fun­zio­nan­te nel­l’in­tel­li­gen­za e pro­dut­ti­va di essa, in una svol­ta de­ci­si­va del pa­ra­gra­fo. L’in­tel­li­gen­za è la po­ten­za che do­mi­na sulla ri­ser­va di im­ma­gi­ni e IL RAPPRESENTATO che le ap­par­ten­go­no. Essa è quin­di con­giun­zio­ne e sus­sun­zio­ne li­be­ra di que­sta ri­ser­va sotto il con­te­nu­to pe­cu­lia­re. L’in­tel­li­gen­za si ri­cor­da ed in­te­rio­riz­za in modo de­ter­mi­na­to entro quel­la ri­ser­va, e la pla­sma im­ma­gi­na­ti­va­men­te se­con­do que­sto suo con­te­nu­to. Essa è quin­di fan­ta­sia, im­ma­gi­na­zio­ne SIMBOLIZZANTE, al­le­go­riz­zan­te o poe­tan­te.  Que­sta for­ma­zio­ne im­ma­gi­na­ti­va più o meno con­cre­te, più o meno in­di­vi­dua­liz­za­te, e an­co­ra delle sin­te­si nella mi­su­ra in cui il ma­te­ria­le, in cui il con­te­nu­to inter-sog­get­ti­vo con­fe­ri­sce un es­ser­ci a IL RAPPRESENTATO, pro­vie­ne dal tro­va­to, “dem Ge­fun­de­nen,” del­l’in­tui­zio­ne. Passività, evi­den­za, sor­pre­sa di fonte al darsi ori­gi­na­rio delle cose ri­guar­da perciò per Hegel un mo­vi­men­to che ha come suo ele­men­to lo sce­na­rio dell’inte-rsoggetività. Il tro­va­to del­l’in­tui­zio­ne, in­con­tro, evi­den­za, ac­co­glien­za della realtà è pen­sa­bi­le in un re­gi­stro che è già una tra­du­zio­ne, un ‘trans-latum.” È nel re­gi­stro di una tra­du­zio­ne (“trans-latum”) che nel per­cor­so di que­sto testo di Hegel, di una tra­du­zio­ne (trans-latum) del fuori nel den­tro e vi­ce­ver­sa, che si può av­vi­sta­re ciò in fi­lo­so­fia si chia­ma realtà.  Quan­do l’in­tel­li­gen­za, in quan­to ra­gio­ne, parte dal­l’ap­pro­pria­zio­ne del­l’im­me­dia­tez­za tro­va­ta entro sé, cioè la de­ter­mi­na come un “universale”, ecco al­lo­ra che la sua attività ra­zio­na­le pro­ce­de dal punto at­tua­le, “dem nun­meh­ri­gen Punk­te,” a de­ter­mi­na­re come es­sen­te ciò che in essa si è svi­lup­pa­to in au­to-in­tui­zio­ne con­cre­ta, pro­ce­de cioè a ren­de­re se stes­sa es­se­re, cosa, il reale. L’in­tel­li­gen­za stes­sa così si fa es­sen­te, si fa cosa, si fa il reale. Quan­do è at­ti­va in que­sta de­ter­mi­na­zio­ne, l’in­tel­li­gen­za si estrin­se­ca, “aus­sernd,” pro­du­ce, “pro­du­zie­rend,” in­tui­zio­ne. E fan­ta­sia che si espri­me in un “SEGNO” -- “ZIECHEN ma­chen­de Phan­ta­sie,” token-making fantasy – fantasia che fa SEGNO, fantasia che SEGNA.—L’intelligenza e fantasia che SIGNI-fica. L’in­tel­li­gen­za esi­ste in quan­to fan­ta­si. Tesi non im­me­dia­ta­men­te pre­ve­di­bi­le nel di­spo­si­ti­vo, in­tri­ca­to, di que­sto per­cor­so he­ge­lia­no. Tesi cui pure spin­ge, con ri­go­ro­sa necessità, que­sta ana­li­si scien­ti­fi­ca delle anime. Una anima, A, SEGNA, l’altra, B, passivamente CAPISCE.  Que­sto testo di Hegel in­ne­sca con­sa­pe­vol­men­te una po­le­mi­ca ed anche una ri-­for­mu­la­zio­ne me­to­do­lo­gi­ca ra­di­ca­le nei con­fron­ti della tra­di­zio­ne em­pi­ri­sta, dei sen­si­sti, di Con­dil­lac e degli ideo­lo­gues. At­tra­ver­so le scor­ri­ban­de del­l’in­tel­li­gen­za fra sa­pe­re e “SEGNO” (ZEICHEN – inglese ‘TOKEN’ --, la fantasia che fa SEGNO, la fantasia che SEGNA –SIGNI-FICA), scien­za e realtà, at­tra­ver­so e al di là della dia­let­ti­ca fra il po­si­ti­vo e il ne­ga­ti­vo, fra i sog­get­ti e la verità ecc, Hegel af­fer­ma che l’in­tel­li­gen­za è il suo atto. Esi­ste­re non è l’im­me­dia­tez­za di un che ri­spet­to a se stes­si, ma è l’at­to in cui, in un con­te­nu­to de­ter­mi­na­to, l’in­tel­li­gen­za si rap­por­ta a se stes­sa.  La fan­ta­sia è il punto cen­tra­le in cui l’u­ni­ver­sa­le e l’es­se­re, il pro­prio e il tro­va­to, l’in­ter­no e l’ester­no – cf. Bradley, relazione interna, relazione esterna -- sono per­fet­ta­men­te uni­fi­ca­ti. Le sin­te­si pre­ce­den­ti del­l’in­tui­zio­ne, del ri­cor­do ecc., sono uni­fi­ca­zio­ni del me­de­si­mo mo­men­to, tut­ta­via si trat­ta pur sem­pre di sin­te­si. Solo nella fan­ta­sia l’in­tel­li­gen­za non è più come il POZZO in­de­ter­mi­na­to e come l’u­ni­ver­sa­le, bensì è come sin­go­la­re, cioè come inter-soggettività CONCRETA nella quale l’­re­la­zio­ne è de­ter­mi­na­ta sia come es­se­re sia come universale.L’in­tel­li­gen­za è inte-rsoggettività con­cre­ta solo nella fan­ta­sia con-divisa. Tale que­stio­ne è chia­ri­ta dal se­gui­to della stes­sa An­mer­kung. Tutti ri­co­no­sco­no che le im­ma­gi­ni della fan­ta­sia co­sti­tui­sco­no tali uni­fi­ca­zio­ni del pro­prio e del­l’in­ter­no dello spi­ri­to con l’e­le­men­to in­tui­ti­vo. Il loro con­te­nu­to ul­te­rior­men­te de­ter­mi­na­to ap­par­tie­ne ad altri am­bi­ti, men­tre qui que­sta fu­ci­na in­ter­na va in­te­sa sol­tan­to se­con­do quel mo­men­to astrat­to. In quan­to attività di que­sta unio­ne, la fan­ta­sia è ra­gio­ne, ma è ra­gio­ne for­ma­le, solo nella mi­su­ra in cui il con­te­nu­to in quan­to tale della fan­ta­sia è in­dif­fe­ren­te. La ra­gio­ne in quan­to tale, in­ve­ce, de­ter­mina a verità anche il con­te­nu­to. Nell’ “An­mer­kung” suc­ces­si­va nello stes­so pa­ra­gra­fo Hegel opera la svol­ta de­ci­si­va nel per­cor­so che qui ci in­te­res­sa:  In par­ti­co­la­re bi­so­gna an­co­ra ri­le­va­re que­sto fatto. Poiché la fan­ta­sia porta il con­te­nu­to in­ter­no a im­ma­gi­ne e a in­tui­zio­ne, e ciò viene espres­so di­cen­do che essa lo de­ter­mi­na come es­sen­te, non deve sem­bra­re sor­pren­den­te l’e­spres­sio­ne se­con­do cui l’in­tel­li­gen­za si fa­ es­sen­te, si fa­ cosa, si fa il reale. Il con­te­nu­to del­l’in­tel­li­gen­za, in­fat­ti, è l’in­tel­li­gen­za stes­sa, e lo è al­tret­tan­to la de­ter­mi­na­zio­ne che essa gli con­fe­ri­sce. L’im­ma­gi­ne pro­dot­ta dalla fan­ta­sia è inter-sog­get­ti­va­men­te in­tui­ti­va, men­tre è NEL SEGNO (ZEICHEN, inglese‘token’) che la fan­ta­sia ag­giun­ge a ciò l’au­ten­ti­ca intuibilità – “ei­gen­tli­che An­schau­li­ch­keit.” Nella me­mo­ria mec­ca­ni­ca, poi essa com­ple­ta in sé que­sta forma del­l’es­se­re.  L’im­ma­gi­ne solo nel “SEGNO” (Zeichen, token) è au­ten­ti­ca intuibilità di ciò che è. L’es­sen­te è co­gli­bi­le come “SEGNO” (Zeichen, token), non come dato, come dono. Dato e dono non sono pen­sa­bi­li. Ma nep­pu­re spe­ri­men­ta­bi­li nella forma della pre­sen­za, cioè in un darsi -- che, in ter­mi­ni he­ge­lia­ni, è la ma­te­ria del­l’in­tui­zio­ne. Essi sono già tra­scrit­ti nel con­te­nu­to in­ter­no del­l’in­tel­li­gen­za, cioè come un SEGNO (Zeichen, token). L’e­le­men­to im­pren­di­bi­le, enig­ma­ti­co della co­no­scen­za è IL SEGNO (Zeichen, token) e non il dato, il dono. Nella strut­tu­ra di que­sto testo Hegel af­fer­ma che il non pro­prio, il non nostro so­vra­sta e spiaz­za nella forma di IL SEGNO (Zeichen, token), non nella forma del dono.  In que­sta unità, pro­ce­den­te dal­l’in­tel­li­gen­za, di una RA-PRESENTAZIONE -- rap­pre­sen­ta­zio­ne au­to­no­ma -- “selb-ständiger Vor­stel­lung,” e di una in­tui­zio­ne, la ma­te­ria del­l’in­tui­zio­ne è certo in­nan­zi­tut­to un qual­co­sa di ac­col­to, di im­me­dia­to e di dato – “ein auf­ge­nom­me­nes, etwas un­mit­tel­ba­res oder ge­ge­be­nes” -- per esem­pio il co­lo­re della coc­car­da e af­fi­ni. In que­sta identità però l’in­tui­zio­ne non ha il va­lo­re di RA-PRESENTARE -- rap­pre­sen­ta­re po­si­ti­va­men­te e di rap­pre­sen­ta­re se stes­sa, bensì di rap­pre­sen­ta­re qual­co­s’al­tro. Essa è un’IMMAGINE che ha ri­ce­vu­to entro sé una RA-PRESENTAZIONE -- rap­pre­sen­ta­zio­ne au­to­no­ma del­l’in­tel­li­gen­za come anima, che ha ri­ce­vu­to, cioè, IL SUO SEGNATO. Que­sta in­tui­zio­ne è il SEGNO (Zeichen, token). L’in­tui­zio­ne, rap­por­ta­ta scien­ti­fi­ca­men­te alla sua ori­gi­ne, ha la forma del SEGNO (Zeichen, token). Tale forma ha una strut­tu­ra che coin­vol­ge i ter­mi­ne stes­si del­l’in­tel­li­gen­za. L’in­tel­li­gen­za sem­bra fun­zio­na­re in una de­ri­va di cui IL SEGNO (Zeichen, token) co­sti­tui­sce una sorta di cer­nie­ra, snodo in cui l’in­tel­li­gen­za stes­sa è tolta-​con­ser­va­ta.  L’in­tui­zio­ne che im­me­dia­ta­men­te e ini­zial­men­te è qual­co­sa di dato e di spa­zia­le -- “ge­ge­be­nes und raum­li­ches” -- una volta IMPIEGATA COME SEGNO (Zeichen, token) ri­ce­ve la de­ter­mi­na­zio­ne es­sen­zia­le di es­se­re sol­tan­to come in­tui­zio­ne ri­mos­sa. Que­sta sua negatività è l’in­tel­li­gen­za. Perciò la fi­gu­ra più au­ten­ti­ca del­l’in­tui­zio­ne, che è un SEGNO (Zeichen, token), è di es­se­re un es­ser­ci nel tempo: un di­le­gua­re -- “Ver­sch­win­den” -- del­l’es­ser­ci men­tre l’es­ser­ ci è.  Inol­tre, se­con­do la sua ul­te­rio­re de­ter­mi­na­tez­za este­rio­re, psi­chi­ca, la fi­gu­ra più vera del­l’in­tui­zio­ne è un es­se­re-​posta dal­l’in­tel­li­gen­za, esser-​posta che viene fuori dalla naturalità pro­pria, an­tro­po­lo­gi­ca, del­l’in­tel­li­gen­za stes­sa: è il tono, “Ton,” cioè l’e­strin­se­ca­zio­ne riem­pi­ta dell’interiorità an­nun­cian­te­si. Il “tono” che si ar­ti­co­la ul­te­rior­men­te in vista del rap­pre­sen­tato de­ter­mi­na­te è il di­s-cor­so –dis-cursus – general principles of rational discourse -- e un si­ste­ma del di­scor­so è la communicazione – CO-MUNIO. In que­sto am­bi­to il “tono” con­fe­ri­sce a una sen­sa­zio­ne, una in­tui­zio­ne e un rap­pre­sen­ta­to  un *se­con­do* (duale) es­ser­ci, più ele­va­to del­l’es­ser­ci im­me­dia­to. In ge­ne­ra­le con­fe­ri­sce loro un’e­si­sten­za che ha va­lo­re nel regno dell’attività rap­pre­sen­ta­ti­va – che RA-PRESENTA. Que­sto pro­get­to he­ge­lia­no di una scien­za della psi­che tenta qui un ul­te­rio­re ra­di­ca­le ap­proc­cio alla ge­ne­si del­l’in­tel­li­gen­za. L’in­tui­zio­ne, in quan­to fun­zio­nan­te come SEGNO (Zeichen, token), ri­ce­ve la de­ter­mi­na­zio­ne es­sen­zia­le di es­se­re sol­tan­to come in­tui­zio­ne ri­mos­sa – “ZU EINEM ZEICHEN GEBRAUCHT WIRD, DIE WESENTLICHE BESTIMMUNG NUR ALS AUF-GEHOBENE ZU ZEIN. In que­sto esser ri­mos­so, tolto-​con­ser­va­to del­l’in­tui­zio­ne sta l’o­ri­gi­ne del­l’in­tel­li­gen­za. La negatività di cui essa è fatta si in­trec­cia strut­tu­ral­men­te alla no­zio­ne di tempo. L’in­tui­zio­ne non è do­mi­na­bi­le da due sog­get­ti se non nella forma del dopo, un di­le­gua­re del­l’es­ser­ci men­tre es­ser­ci è. Quel­l’al­tro in­trec­cio che co­sti­tui­sce l’in­tui­zio­ne, l’in­trec­cio fra il den­tro e il fuori si espri­me nel “tono,” suono ar­ti­co­la­to. Il tono, visto in rap­por­to ad una rap­pre­sen­ta­zio­ne de­ter­mi­na­ta, è il di­scor­so --“Rede”, inglese ‘Read’ -- e il si­ste­ma del di­scor­so è la lin­gua -- Spra­che, inglese ‘Speak’ -- e la communicazione – COM-MUNIO. A que­sto punto del suo per­cor­so la stra­te­gia di Hegel si in­con­tra con il pri­vi­le­gio greco e pla­to­ni­co ac­cor­da­to all’espressione, IL VERBUM – LA LOQUENZA -- la pa­ro­la, al logos in quan­to vi­ven­te pro­nun­cia­to, DETTO -- dictum – cf. indice, segnalato, segnato. Come nel “Cratilo” di Pla­to­ne, anche in Hegel l’espressione come SEGNO è cen­tra­le nella vita del­l’in­tel­li­gen­za, ma di una centralità che oc­cu­pa il luogo di un mo­vi­men­to ori­gi­na­rio ed im­pren­di­bi­le. Per un com­men­to cri­ti­co ed espli­ca­ti­vo dei pa­ra­gra­fi della «Psi­co­lo­gia» nella se­zio­ne sullo «Spi­ri­to sog­get­ti­vo», anche per ciò che con­cer­ne le fonti di Hegel e la sag­gi­sti­ca re­la­ti­va, cfr. La «magia dello spi­ri­to» e il «gioco del con­cet­to». Con­si­de­ra­zio­ni sulla fi­lo­so­fia dello spi­ri­to sog­get­ti­vo nel­l’En­ci­clo­pe­dia di Hegel, Mi­la­no, Gue­ri­ni e As­so­cia­ti. Uso la re­cen­te tra­du­zio­ne di Ci­ce­ro (En­ci­clo­pe­dia delle scien­ze fi­lo­so­fi­che in com­pen­dio, Mi­la­no, Ru­sco­ni) che ri­ten­go pun­tua­le ed av­ver­ti­ta delle que­stio­ni poste dal testo, no­no­stan­te la discutibilità di al­cu­ne so­lu­zio­ni su cui per altro pesa in certa mi­su­ra la re­si­sten­za ad ab­ban­do­na­re tra­du­zio­ni fa­mi­lia­ri e con­so­li­da­te. “Hegel e l’Aufhebung del segno.” L’in­trec­cio fra sa­pe­re e ra­gio­ne Il tema di que­sto col­lo­quio ri­guar­da la do­man­da ori­gi­na­ria. Do­man­da e ori­gi­ne sono pro­ble­mi del pen­sie­ro che, fin dal­l’i­ni­zio della fi­lo­so­fia, non co­sti­tui­sco­no un ap­proc­cio di con­trol­lo e di do­mi­nio del­l’e­si­sten­za, quan­to piut­to­sto un ri­pie­ga­men­to su sé stes­si che si in­ter­ro­ga sulla pro­pria ge­ne­si. In ter­mi­ni meno esi­sten­zia­li e più an­ti­chi tale que­stio­ne oc­cu­pa il posto del­l’a­ni­ma. Dalla con­sa­pe­vo­lez­za del­l’in­com­be­re della morte nel primo sta­si­mo del­l’An­ti­go­ne al co­sti­tuir­si, per così dire, di un’«interiorità» nella So­fi­sti­ca e in Pla­to­ne, l’a­ni­ma ha fun­zio­na­to come prin­ci­pio ori­gi­na­rio in una forma di­ver­sa che il do­mi­nio. Prin­ci­pio che an­no­da e che ma­ni­fe­sta, se­con­do vie non solo im­me­dia­te e spe­cu­la­ri, il logos, il noein come co­no­scen­za e mi­su­ra di un or­di­ne. Quan­do il nous, at­tra­ver­so Ari­sto­te­le, ac­qui­sta tutto il suo svi­lup­po con­cet­tua­le e stra­te­gi­co, nel pen­sie­ro tardo-​an­ti­co, a par­ti­re da Plo­ti­no, l’ anima ri­ma­ne ed è ri­ba­di­ta come il luogo e il ve­ni­re a co­scien­za del rap­por­to con lo stes­so nous, cioè con il for­mu­lar­si del­l’o­ri­gi­na­rio (Uno, Bene o Atto che sia). Scel­go di leg­ge­re Hegel. Scel­ta mo­ti­va­ta da miei in­te­res­si at­tua­li di ri­cer­ca, ma anche, più am­pia­men­te, dall’attualità di un lin­guag­gio che è in grado di ri­for­mu­la­re que­stio­ni sul­l’as­set­to mo­der­no del sa­pe­re e sul sog­get­to di tale sa­pe­re. Su un io, che, nella espli­ci­ta stra­te­gia he­ge­lia­na, ar­ti­co­la e rad­dop­pia il ruolo del­l’a­ni­ma. Sa­pe­re su di un io è co­mun­que per Hegel un sa­pe­re sulle strut­tu­re di un chi, che è in grado di for­mu­la­re una do­man­da ori­gi­na­ria. Il testo, di cui in­ten­do pro­por­re al­cu­ne note es­sen­zia­li di com­men­to, ri­guar­da i pa­ra­gra­fi della “Psi­co­lo­gia”, se­zio­ne della “Fi­lo­so­fia dello Spi­ri­to” con­te­nu­ta nella edi­zio­ne dell’ “En­ci­clo­pe­dia.” A dif­fe­ren­za dell’ “An­tro­po­lo­gia”, in cui l’a­ni­ma è con­si­de­ra­ta come l’a­spet­to im­me­dia­to della vita dello spi­ri­to (anima con­si­de­ra­ta come il sonno dello spi­ri­to, pro­ble­mi del rap­por­to del­l’a­ni­ma con il corpo, que­stio­ni del sonno, della ve­glia, delle sen­sa­zio­ni ecc.), la Psi­co­lo­gia non è scien­za del­l’a­ni­ma, ma scien­za del sa­pe­re in­tor­no al­l’a­ni­ma, cioè scien­za ve­ra­men­te tale, nella sua por­ta­ta con­cet­tua­le. Per Hegel scien­za – “Wis­sen­schaft” -- ogni scien­za, e so­prat­tut­to quel­la scien­za mas­si­ma­men­te ri­go­ro­sa che è la fi­lo­so­fia, è scien­za sem­pre di se­con­do grado: scien­za che con­trol­la e che ha come og­get­to la sua stes­sa ge­ne­si. Scien­za che mi­su­ra il ne­ga­ti­vo ri­spet­to al suo as­sun­to e al suo stes­so me­to­do, scien­za che è in grado di smar­car­si dal piano del suo stes­so sa­pe­re e di com­pren­de­re il rap­por­to di­na­mi­co, ge­ne­ra­ti­vo e mai astrat­ta­men­te spe­cu­la­re, in cui la co­no­scen­za si co­sti­tui­sce. Così, nel caso del testo che stia­mo per com­men­ta­re, i con­te­nu­ti della psi­co­lo­gia he­ge­lia­na sono cu­rio­sa­men­te tutti di­ver­si da quel­li che nel­l’as­set­to della fine del­l’Ot­to­cen­to e del primo No­ve­cen­to ci si aspet­te­reb­be da una psi­co­lo­gia in senso mo­der­no e scien­ti­fi­co. La psi­co­lo­gia non è scien­za delle leggi della psi­che, ma del mo­vi­men­to ge­ne­ra­ti­vo delle leggi della psi­che.  I testi che sono og­get­to del mio com­men­to sono, come è noto, estre­ma­men­te dif­fi­ci­li. Prima di co­min­cia­re vor­rei fare qual­che ri­lie­vo sul pro­ble­ma della difficoltà in ge­ne­ra­le nella let­tu­ra del testo di Hegel. La que­stio­ne si pone se­con­do tre punti di vista. In­nan­zi tutto come que­stio­ne della na­tu­ra e della de­sti­na­zio­ne del testo. Ad esem­pio l’ “En­ci­clo­pe­dia delle scien­ze fi­lo­so­fi­che”, nel no­stro caso, è pen­sa­ta come un rias­sun­to delle le­zio­ni per gli stu­den­ti. In se­con­do luogo il pro­ble­ma del si­gni­fi­ca­to espres­so, del voler dire del di­scor­so he­ge­lia­no. In terzo luogo, che è quel­lo de­ci­si­vo, la que­stio­ne del me­to­do di com­po­si­zio­ne del testo di Hegel, me­to­do che ri­guar­da, d’un colpo solo, au­to­re e let­to­re. Que­stio­ni, dette al­tri­men­ti, di sin­to­niz­zar­si con il testo che, per quan­to ri­guar­da il me­to­do di la­vo­ro di Hegel, non può es­se­re altro che ri­per­cor­re­re l’e­le­men­to ge­ne­ra­ti­vo del si­gni­fi­ca­to di ciò che Hegel dice. Senza di que­sto in­ces­san­te ri­per­cor­ri­men­to a li­vel­lo della ge­ne­si del testo, il suo si­gni­fi­ca­to ri­sul­ta ine­vi­ta­bil­men­te in­com­pren­si­bi­le o ap­piat­ti­to. Ap­piat­ti­to come su di una su­per­fi­cie, in modo che il gioco delle in­ter­pre­ta­zio­ni del let­to­re, anche nel caso si trat­ti di stu­dio­so molto qua­li­fi­ca­to, tende spes­so a sbiz­zar­rir­si in gro­vi­gli di ipo­te­si fi­lo­lo­gi­che o di ca­rat­te­re ideo­lo­gi­co-​me­ta­fi­si­co. Il mi­ni­mo comun de­no­mi­na­to­re è la per­di­ta del nesso fra il si­gni­fi­ca­to di ciò che è detto nel testo con li mo­vi­men­to ge­ne­ra­ti­vo di tale si­gni­fi­ca­to.. Così si può se­pa­ra­re per­fi­no il con­cet­to di ne­ga­ti­vo dal con­cet­to di ge­ne­ra­zio­ne so­vrap­po­nen­do l’uno sul­l’al­tro e ren­den­do in­com­pren­si­bi­li en­tram­bi. Que­stio­ne che si pone in modo non in­fre­quen­te, anzi ma­les­se­re spes­so dif­fu­so anche nei com­men­ti «pro­fes­sio­na­li».  Ini­zia­mo la let­tu­ra par­ten­do dalle prime righe del par. 440. Lo spi­ri­to si è de­ter­mi­na­to di­ve­nen­do la verità del­l’a­ni­ma e della co­scien­za, cioè la verità di quel­la totalità sem­pli­ce e im­me­dia­ta e di que­sto sa­pe­re. Ades­so il sa­pe­re, in quan­to forma in­fi­ni­ta, non è più li­mi­ta­to da quel con­te­nu­to, non sta in rap­por­to con esso come con un og­get­to, ma è sa­pe­re della totalità so­stan­zia­le, né sog­get­ti­va né og­get­ti­va. ll pro­ble­ma del rap­por­to fra il sa­pe­re e la ra­gio­ne inau­gu­ra qui il di­bat­ti­to sulla scien­za della psi­che. L’in­trec­cio fra sa­pe­re e ra­gio­ne ini­zia a di­pa­nar­si nel pa­ra­gra­fo se­guen­te:  L’a­ni­ma è fi­ni­ta nella mi­su­ra in cui è de­ter­mi­na­ta im­me­dia­ta­men­te, cioè de­ter­mi­na­ta per na­tu­ra.  La co­scien­za è fi­ni­ta nella mi­su­ra in cui ha un og­get­to.  Lo spi­ri­to è in­ve­ce fi­ni­to (in­so­fern ist end­lich) nella mi­su­ra in cui esso, nel suo sa­pe­re (in sei­nem Wis­sen) non ha più un og­get­to, ma una de­ter­mi­na­tez­za, nel senso che è fi­ni­to per via della sua im­me­dia­tez­za e, che è la stes­sa cosa, perché è sog­get­ti­vo, è cioè come il Con­cet­to. Lo spi­ri­to è fi­ni­to nella mi­su­ra in cui esso, nel suo sa­pe­re, non ha più un og­get­to, ma una de­ter­mi­na­tez­za. Lo spi­ri­to sem­bra es­se­re quell’attività in grado di con­te­ne­re e con­trol­la­re l’in­trec­cio fra la ra­gio­ne e il sa­pe­re, anche se ora solo nella forma del­l’im­me­dia­tez­za. L’in­trec­cio si or­ga­niz­za su due poli: la ra­gio­ne e il sa­pe­re. Essi si im­pli­ca­no re­ci­pro­ca­men­te . A se­con­da che si con­si­de­ri come con­cet­to la ra­gio­ne o il sa­pe­re.  Qui è in­dif­fe­ren­te ciò che viene de­ter­mi­na­to come con­cet­to dello spi­ri­to e ciò che viene in­ve­ce de­ter­mi­na­to come realità – “Realität” -- di que­sto con­cet­to. Se in­fat­ti la ra­gio­ne as­so­lu­ta­men­te in­fi­ni­ta, og­get­ti­va, viene posta come con­cet­to dello spi­ri­to, al­lo­ra la realità è il sa­pe­re, cioè l’in­tel­li­gen­za; se in­ve­ce è il sa­pe­re a es­se­re con­si­de­ra­to come il con­cet­to, al­lo­ra la realità del con­cet­to è que­sta ra­gio­ne e la rea­liz­za­zio­ne (Rea­li­sie­rung) del sa­pe­re con­si­ste nel­l’ap­pro­priar­si della ra­gio­ne.  La fi­ni­tez­za dello spi­ri­to per­tan­to con­si­ste in ciò: il sa­pe­re non com­pren­de l’Es­se­re in-​sé-​e-​per-​sé della sua ra­gio­ne. In altri ter­mi­ni: la ra­gio­ne non si è ma­ni­fe­sta­ta pie­na­men­te nel sa­pe­re. C’è un di­sli­vel­lo dun­que strut­tu­ra­le con la ra­gio­ne che fun­zio­na nel sa­pe­re. Di­sli­vel­lo strut­tu­ra­le che per i greci è in­ve­ce co­sti­tui­to dal rap­por­to fra il sa­pe­re e la verità. Co­mun­que la realtà, con­si­de­ra­ta come realtà del sa­pe­re o come realtà della ra­gio­ne, si co­sti­tui­sce e fun­zio­na per Hegel come un farsi che è un in­trec­cio ine­stri­ca­bi­le. Una purità e verginità del­l’o­ri­gi­ne è in­tro­va­bi­le. La que­stio­ne di un sa­pe­re dello/sullo spi­ri­to si ar­ti­co­la ul­te­rior­men­te nel pa­ra­gra­fo. Il pro­ce­de­re dello spi­ri­to è svi­lup­po – “Ent­wic­klung” -- nella mi­su­ra in cui la sua esi­sten­za, il sa­pe­re, ha entro se stes­sa l’es­se­re, de­ter­mi­na­to in sé e per sé, cioè ha per con­te­nu­to, “Ge­hal­te”, e per fine, “Zweck -- il ra­zio­na­le.  “Ver­nunf­ti­ge.” L’attività di tra­spo­si­zio­ne è dun­que pu­ra­men­te e sol­tan­to il pas­sag­gio for­ma­le nella ma­ni­fe­sta­zio­ne e, in que­sta, è ri­tor­no entro sé – “Rückkehr in sich.”  Nella mi­su­ra in cui il sa­pe­re, af­fet­to dalla sua prima de­ter­mi­na­tez­za, è sol­tan­to astrat­to, cioè for­ma­le, la meta dello spi­ri­to è quel­la di pro­dur­re il riem­pi­men­to og­get­ti­vo – “die ob­jec­ti­ve Erfüllung her­vor­zu­brin­gen” -- e quin­di, a un tempo, la libertà del suo sa­pe­re. La via della psi­co­lo­gia come scien­za della libertà In que­sto testo il mo­vi­men­to del sa­pe­re e il suo sa­per­ne si ar­ti­co­la come que­stio­ne della co­no­scen­za del­l’o­ri­gi­na­rio. Tale que­stio­ne, che ha la forma del ri­tor­no, è pen­sa­bi­le come libertà. L’av­ven­tu­ra dello spi­ri­to che, he­ge­lia­na­men­te, è sem­pre un ap­pro­priar­si, un far pro­prio, qui, e se­con­do la radicalità della sua strut­tu­ra, fun­zio­na come ap­pro­priar­si del sa­pe­re e coin­ci­de con l’av­ven­tu­ra della libertà.  Il cam­mi­no dello spi­ri­to con­si­ste per­tan­to:  nel­l’es­se­re spi­ri­to teo­re­ti­co, cioè nel­l’a­ve­re a che fare con il Ra­zio­na­le nella sua de­ter­mi­na­tez­za im­me­dia­ta, e di porlo ades­so come il Suo; in altre pa­ro­le: il cam­mi­no con­si­ste in­nan­zi tutto nel li­be­ra­re il sa­pe­re dal pre­sup­po­sto e, con ciò, dalla sua astra­zio­ne, e ren­de­re sog­get­ti­va la de­ter­mi­na­tez­za. Poiché in tal modo il sa­pe­re è in sé e per sé de­ter­mi­na­to come sa­pe­re entro sé, e poiché la de­ter­mi­na­tez­za è posta come la sua, quin­di come in­tel­li­gen­za li­be­ra, il sa­pe­re è  volontà, spi­ri­to pra­ti­co, il quale in­nan­zi tutto è an­ch’es­so for­ma­le: ha un con­te­nu­to che è sol­tan­to il suo: esso vuole im­me­dia­ta­men­te, e ades­so li­be­ra la sua de­ter­mi­na­zio­ne di volontà dalla soggettività che la con­di­zio­na­va come forma uni­la­te­ra­le del pro­prio con­te­nu­to. In tal modo lo spi­ri­to  di­vie­ne come spi­ri­to li­be­ro, nel quale è ri­mos­sa quel­la dop­pia unilateralità.6  Lo scor­cio teo­ri­co for­ni­to in que­sto pa­ra­gra­fo me­ri­ta una pun­tua­liz­za­zio­ne. Ab­bia­mo in pre­ce­den­za ac­cen­na­to alla cor­ni­ce della Psi­co­lo­gia he­ge­lia­na come pro­get­to scien­ti­fi­co: scien­za della psi­che che si pone come scien­za dei fat­to­ri ge­ne­ra­ti­vi della psi­che.  Il per­cor­so dello spi­ri­to che si sfor­za di co­no­sce­re se stes­so, che tenta di com­pren­de­re l’e­spe­rien­za della sua libertà, che nella Fe­no­me­no­lo­gia dello spi­ri­to pren­de la via della mo­ra­le come sto­ria, in que­ste pa­gi­ne pren­de la via della psi­co­lo­gia come scien­za della libertà Che il sa­pe­re possa af­fer­ra­re se stes­so, possa ap­pro­priar­si di sé: la stra­te­gia he­ge­lia­na im­pli­ca che l’o­ri­gi­na­rio, per il sog­get­to e per il sa­pe­re, fun­zio­ni e sia co­no­sci­bi­le come ef­fet­to di que­sto ap­pro­priar­si che è etico, pra­ti­co.  Se non si pensa il si­gni­fi­ca­to del sa­pe­re e del suo sog­get­to come etico, pra­ti­co, il sog­get­to del sa­pe­re si di­bat­te «in una dop­pia unilateralità»: la rap­pre­sen­ta­zio­ne che il sog­get­to fa di sé come suo e l’im­me­dia­tez­za di tale rap­pre­sen­ta­zio­ne.  An­ti­ci­pia­mo. La libertà è pen­sa­bi­le come lo spiaz­za­men­to in cui il sog­get­to del sa­pe­re co­no­sce il suo es­se­re fatto, no­no­stan­te e at­tra­ver­so il suo fare, im­pos­si­bi­li­ta­to a co­glie­re l’identità fra sé e la sua im­ma­gi­ne. Que­sta di­vi­sio­ne e di­sli­vel­lo in­ter­no che è l’impossibilità di co­glie­re l’o­ri­gi­ne del pro­prio co­sti­tuir­si è per Hegel l’In­tel­li­gen­za.  Nel mon­tag­gio lin­gui­sti­co di que­sto testo tale di­vi­sio­ne e tale di­sli­vel­lo vanno ad oc­cu­pa­re il posto della clas­si­ca op­po­si­zio­ne fra il den­tro e il fuori.  L’in­tel­li­gen­za, in quan­to è que­sta unità con­cre­ta dei due mo­men­ti — vale a dire, im­me­dia­ta­men­te, di es­se­re ri­cor­da­ta entro sé in que­sto ma­te­ria­le este­rior­men­te es­sen­te, e di es­se­re im­mer­sa nel­l’es­se­re fuori-​di-​sé men­tre entro sé si in­te­rio­riz­za col pro­prio ri­cor­do —, è in­tui­zio­ne. La centralità della pa­ro­la nella vita del­l’in­tel­li­gen­za Il cam­mi­no del­l’In­tel­li­gen­za sta pro­prio nel bat­te­re in brec­cia l’op­po­si­zio­ne fra il den­tro e il fuori.  L’in­tel­li­gen­za, quan­do ri­cor­da ini­zial­men­te l’in­tui­zio­ne, pone il con­te­nu­to del sen­ti­men­to nella pro­pria interiorità, nel suo pro­prio spa­zio e nel suo pro­prio tempo In tal modo il con­te­nu­to è im­ma­gi­ne, li­be­ra­ta dalla sua prima im­me­dia­tez­za e dalla singolarità astrat­ta ri­spet­to ad altro, in quan­to essa è ac­col­ta nella singolarità del­l’Io in ge­ne­ra­le. Que­sto bat­te­re in brec­cia, visto dal punto di vista del­l’in­tel­li­gen­za, è ll’im­ma­gi­ne. L’in­tel­li­gen­za pos­sie­de dun­que le im­ma­gi­ni. L’in­tel­li­gen­za, dice Hegel, è il Quan­do e il Dove del­l’im­ma­gi­ne.  L’im­ma­gi­ne è per sé tran­seun­te, e l’in­tel­li­gen­za stes­sa, in quan­to at­ten­zio­ne, è il tempo e anche lo spa­zio — il Quan­do e il Dove — del­l’im­ma­gi­ne.  L’in­tel­li­gen­za però non è sol­tan­to la co­scien­za e l’Es­ser­ci delle pro­prie de­ter­mi­na­zio­ni, bensì, in quan­to tale, ne è anche il sog­get­to e l’In-​sé. Ri­cor­da­ta nel­l’in­tel­li­gen­za, perciò, l’im­ma­gi­ne non è più esi­sten­te, ma è con­ser­va­ta in­con­scia­men­te. Nell’An­mer­kung dello stes­so pa­ra­gra­fo Hegel inau­gu­ra la me­ta­fo­ra del POZZO not­tur­no per de­fi­ni­re il fun­zio­na­men­to del­l’in­tel­li­gen­za come un luogo in cui sono con­ser­va­te im­ma­gi­ni e rap­pre­sen­ta­zio­ni che l’in­tel­li­gen­za stes­sa non co­no­sce. Hegel pro­se­gue la sua in­da­gi­ne at­tra­ver­so una sorta di tiro in­cro­cia­to fra in­tui­zio­ne ed im­ma­gi­ne, met­ten­do in azio­ne uno stile ago­sti­nia­no alla “De ma­gi­stro”. Anche la no­zio­ne, clas­si­ca, di rap­pre­sen­ta­zio­ne entra, ri­com­pre­sa e ri­pen­sa­ta, come dal­l’in­ter­no, nel mo­vi­men­to pro­dut­ti­vo del­l’in­tel­li­gen­za.  La no­zio­ne di me­mo­ria è an­ch’es­sa ri­per­cor­sa, nella sua strut­tu­ra clas­si­ca, come mo­vi­men­to at­ti­vo e im­pren­di­bi­le, fun­zio­nan­te nel­l’in­tel­li­gen­za e pro­dut­ti­va di essa, in una svol­ta de­ci­si­va del pa­ra­gra­fo 456.  L’in­tel­li­gen­za è la po­ten­za che do­mi­na sulla ri­ser­va di im­ma­gi­ni e rap­pre­sen­ta­zio­ni che le ap­par­ten­go­no; essa è quin­di con­giun­zio­ne e sus­sun­zio­ne li­be­ra di que­sta ri­ser­va sotto il con­te­nu­to pe­cu­lia­re. L’in­tel­li­gen­za si ri­cor­da ed in­te­rio­riz­za in modo de­ter­mi­na­to entro quel­la ri­ser­va, e la pla­sma im­ma­gi­na­ti­va­men­te se­con­do que­sto suo con­te­nu­to: essa è quin­di fan­ta­sia, im­ma­gi­na­zio­ne sim­bo­liz­zan­te, al­le­go­riz­zan­te o poe­tan­te.  Que­sta for­ma­zio­ni im­ma­gi­na­ti­ve più o meno con­cre­te, più o meno in­di­vi­dua­liz­za­te, sono an­co­ra delle sin­te­si nella mi­su­ra in cui il ma­te­ria­le, in cui il con­te­nu­to sog­get­ti­vo con­fe­ri­sce un Es­ser­ci alla rap­pre­sen­ta­zio­ne, pro­vie­ne dal Tro­va­to (dem Ge­fun­de­nen) del­l’in­tui­zio­ne.Passività, evi­den­za, sor­pre­sa di fonte al darsi ori­gi­na­rio delle cose ri­guar­da perciò per Hegel un mo­vi­men­to che ha come suo ele­men­to lo sce­na­rio dell’interiorità. Il tro­va­to del­l’in­tui­zio­ne, in­con­tro, evi­den­za, ac­co­glien­za della realtà è pen­sa­bi­le in un re­gi­stro che è già una tra­du­zio­ne. È nel re­gi­stro di una tra­du­zio­ne che nel per­cor­so di que­sto testo di Hegel, di una tra­du­zio­ne del fuorinel den­tro e vi­ce­ver­sa, che si può av­vi­sta­re ciò in fi­lo­so­fia si chia­ma realtà.  Quan­do l’in­tel­li­gen­za, in quan­to ra­gio­ne, parte dal­l’ap­pro­pria­zio­ne del­l’im­me­dia­tez­za tro­va­ta entro sé, cioè la de­ter­mi­na come Uni­ver­sa­le, ecco al­lo­ra che la sua attività ra­zio­na­le pro­ce­de dal punto at­tua­le (dem nun­meh­ri­gen Punk­te) a de­ter­mi­na­re come es­sen­te ciò che in essa si è svi­lup­pa­to in au­toin­tui­zio­ne con­cre­ta, pro­ce­de cioè a ren­de­re se stes­sa Es­se­re, Cosa. L’in­tel­li­gen­za stes­sa così si fa es­sen­te, si fa Cosa.  Quan­do è at­ti­va in que­sta de­ter­mi­na­zio­ne, l’in­tel­li­gen­za si estrin­se­ca (aus­sernd), pro­du­ce (pro­du­zie­rend) in­tui­zio­ne: è fan­ta­sia che si espri­me in segni (Zei­chen ma­chen­de Phan­ta­sie). L’in­tel­li­gen­za esi­ste in quan­to fan­ta­sia… Tesi non im­me­dia­ta­men­te pre­ve­di­bi­le nel di­spo­si­ti­vo, in­tri­ca­to, di que­sto per­cor­so he­ge­lia­no. Tesi cui pure spin­ge, con ri­go­ro­sa necessità, que­sta ana­li­si «scien­ti­fi­ca» della psi­che. Que­sto testo di Hegel in­ne­sca con­sa­pe­vol­men­te una po­le­mi­ca ed anche una ri­for­mu­la­zio­ne me­to­do­lo­gi­ca ra­di­ca­le nei con­fron­ti della tra­di­zio­ne em­pi­ri­sta, dei sen­si­sti, di Con­dil­lac e degli ideo­lo­gues.  At­tra­ver­so le scor­ri­ban­de del­l’in­tel­li­gen­za fra sa­pe­re e segno, scien­za e realtà, at­tra­ver­so e al di là della dia­let­ti­ca fra il po­si­ti­vo e il ne­ga­ti­vo, fra il sog­get­to e la verità ecc, Hegel af­fer­ma che l’in­tel­li­gen­za è il suo atto. Esi­ste­re non è l’im­me­dia­tez­za di un che ri­spet­to a se stes­si, ma è l’at­to in cui, in un con­te­nu­to de­ter­mi­na­to, l’in­tel­li­gen­za si rap­por­ta a se stes­sa.  La fan­ta­sia è il punto cen­tra­le in cui l’U­ni­ver­sa­le e l’Es­se­re, il Pro­prio e il Tro­va­to, l’In­ter­no e l’E­ster­no, sono per­fet­ta­men­te uni­fi­ca­ti. Le sin­te­si pre­ce­den­ti del­l’in­tui­zio­ne, del ri­cor­do ecc., sono uni­fi­ca­zio­ni del me­de­si­mo mo­men­to, tut­ta­via si trat­ta pur sem­pre di sin­te­si. Solo nella fan­ta­sia l’in­tel­li­gen­za non è più come il pozzo in­de­ter­mi­na­to e come l’U­ni­ver­sa­le, bensì è come Sin­go­la­re, cioè come soggettività con­cre­ta nella quale l’au­to­re­la­zio­ne è de­ter­mi­na­ta sia come Es­se­re sia come Universalità. L’in­tel­li­gen­za è in­tel­li­gen­za di un in­di­vi­duo, di un sin­go­lo, è soggettività con­cre­ta solo nella fan­ta­sia. Tale que­stio­ne è chia­ri­ta dal se­gui­to della stes­sa An­mer­kung:  Tutti ri­co­no­sco­no che le im­ma­gi­ni della fan­ta­sia co­sti­tui­sco­no tali uni­fi­ca­zio­ni del Pro­prio e del­l’In­ter­no dello spi­ri­to con l’e­le­men­to in­tui­ti­vo. Il loro con­te­nu­to ul­te­rior­men­te de­ter­mi­na­to ap­par­tie­ne ad altri am­bi­ti, men­tre qui que­sta fu­ci­na in­ter­na va in­te­sa sol­tan­to se­con­do quel mo­men­to astrat­to.  In quan­to attività di que­sta unio­ne, la fan­ta­sia è ra­gio­ne, ma è ra­gio­ne for­ma­le, solo nella mi­su­ra in cui il con­te­nu­to in quan­to tale della fan­ta­sia è in­dif­fe­ren­te. La ra­gio­ne in quan­to tale, in­ve­ce, de­ter­mia a verità anche il con­te­nu­to. Nell’An­mer­kung suc­ces­si­va nello stes­so pa­ra­gra­fo Hegel opera la svol­ta de­ci­si­va nel breve per­cor­so che qui ci in­te­res­sa:  In par­ti­co­la­re bi­so­gna an­co­ra ri­le­va­re que­sto fatto. Poiché la fan­ta­sia porta il con­te­nu­to in­ter­no a im­ma­gi­ne e a in­tui­zio­ne — e ciò viene espres­so di­cen­do che essa lo de­ter­mi­na come es­sen­te, non deve sem­bra­re sor­pren­den­te l’e­spres­sio­ne se­con­do cui l’in­tel­li­gen­za si fa­reb­be es­sen­te, si fa­reb­be Cosa. Il con­te­nu­to del­l’in­tel­li­gen­za, in­fat­ti, è l’in­tel­li­gen­za stes­sa, e lo è al­tret­tan­to la de­ter­mi­na­zio­ne che essa gli con­fe­ri­sce.  L’im­ma­gi­ne pro­dot­ta dalla fan­ta­sia è solo sog­get­ti­va­men­te in­tui­ti­va, men­tre è nel segno che la fan­ta­sia ag­giun­ge a ciò l’au­ten­ti­ca intuibilità (ei­gen­tli­che An­schau­li­ch­keit); nella me­mo­ria mec­ca­ni­ca, poi essa com­ple­ta in sé que­sta forma del­l’Es­se­re.  L’im­ma­gi­ne solo nel segno è au­ten­ti­ca intuibilità di ciò che è. L’es­sen­te è co­gli­bi­le come segno, non come dato, come dono. Dato e dono non sono pen­sa­bi­li, ma nep­pu­re spe­ri­men­ta­bi­li nella forma della pre­sen­za, cioè in un darsi (che, in ter­mi­ni he­ge­lia­ni, è la ma­te­ria del­l’in­tui­zio­ne). Essi sono già tra­scrit­ti nel con­te­nu­to in­ter­no del­l’in­tel­li­gen­za, cioè come segni.  L’e­le­men­to im­pren­di­bi­le, enig­ma­ti­co della co­no­scen­za è il segno e non il dato, il dono. Nella strut­tu­ra di que­sto testo Hegel af­fer­ma che il non pro­prio, il non mio so­vra­sta e spiaz­za nella forma del segno, non nella forma del dono.  In que­sta unità, pro­ce­den­te dal­l’in­tel­li­gen­za, di una rap­pre­sen­ta­zio­ne au­to­no­ma (selbständiger Vor­stel­lung) e di una in­tui­zio­ne, la ma­te­ria del­l’in­tui­zio­ne è certo in­nan­zi­tut­to un qual­co­sa di ac­col­to, di im­me­dia­to e di dato (ein auf­ge­nom­me­nes, etwas un­mit­tel­ba­res oder ge­ge­be­nes) (per esem­pio il co­lo­re della coc­car­da e af­fi­ni).  In que­sta identità però l’in­tui­zio­ne non ha il va­lo­re di rap­pre­sen­ta­re po­si­ti­va­men­te e di rap­pre­sen­ta­re se stes­sa, bensì di rap­pre­sen­ta­re qual­co­s’al­tro. Essa è un’im­ma­gi­ne che ha ri­ce­vu­to entro sé una rap­pre­sen­ta­zio­ne au­to­no­ma del­l’in­tel­li­gen­za come anima, che ha ri­ce­vu­to, cioè, il suo si­gni­fi­ca­to. Que­sta in­tui­zio­ne è il segno. L’in­tui­zio­ne, rap­por­ta­ta scien­ti­fi­ca­men­te alla sua ori­gi­ne, ha la forma del SEGNO. Tale forma ha una strut­tu­ra che coin­vol­ge i ter­mi­ne stes­si del­l’in­tel­li­gen­za. L’in­tel­li­gen­za sem­bra fun­zio­na­re in una de­ri­va di cui il segno co­sti­tui­sce una sorta di cer­nie­ra, snodo in cui l’in­tel­li­gen­za stes­sa è tolta-​con­ser­va­ta. L’in­tui­zio­ne che im­me­dia­ta­men­te e ini­zial­men­te è qual­co­sa di dato e di spa­zia­le (ge­ge­be­nes und raum­li­ches) una volta im­pie­ga­ta come segno ri­ce­ve la de­ter­mi­na­zio­ne es­sen­zia­le di es­se­re sol­tan­to come in­tui­zio­ne ri­mos­sa. Que­sta sua negatività è l’in­tel­li­gen­za. Perciò la fi­gu­ra più au­ten­ti­ca del­l’in­tui­zio­ne, che è un SEGNO, è di es­se­re un Es­ser­ci nel tempo: un di­le­gua­re (Ver­sch­win­den) del­l’Es­ser­ci men­tre l’es­ser­ci è.  Inol­tre, se­con­do la sua ul­te­rio­re de­ter­mi­na­tez­za este­rio­re, psi­chi­ca, la fi­gu­ra più vera del­l’in­tui­zio­ne è un es­se­re-​posta dal­l’in­tel­li­gen­za, esser-​posta che viene fuori dalla naturalità pro­pria (an­tro­po­lo­gi­ca) del­l’in­tel­li­gen­za stes­sa: è il tono (Ton), cioè l’e­strin­se­ca­zio­ne riem­pi­ta dell’interiorità an­nun­cian­te­si.  Il tono che si ar­ti­co­la ul­te­rior­men­te in vista della RAPPRESENTAZIONE de­ter­mi­na­ta è il di­scor­so, e il si­ste­ma del di­scor­so è la lin­gua. In que­sto am­bi­to il tono con­fe­ri­sce a sen­sa­zio­ni, in­tui­zio­ni e rap­pre­sen­ta­zio­ni un se­con­do Es­ser­ci, più ele­va­to del­l’Es­ser­ci im­me­dia­to: in ge­ne­ra­le con­fe­ri­sce loro un’e­si­sten­za che ha va­lo­re nel regno dell’attività rap­pre­sen­ta­ti­va. Que­sto pro­get­to he­ge­lia­no di una scien­za della psi­che tenta qui un ul­te­rio­re ra­di­ca­le ap­proc­cio alla ge­ne­si del­l’in­tel­li­gen­za. L’in­tui­zio­ne, in quan­to fun­zio­nan­te come segno, «ri­ce­ve la de­ter­mi­na­zio­ne es­sen­zia­le di es­se­re sol­tan­to come in­tui­zio­ne ri­mos­sa (zu einem Zei­chen ge­brau­cht wird, die we­sen­tli­che Be­stim­mung nur als auf­ge­ho­be­ne zu sein). In que­sto esser ri­mos­so, tolto-​con­ser­va­to del­l’in­tui­zio­ne sta l’o­ri­gi­ne del­l’in­tel­li­gen­za. La negatività di cui essa è fatta si in­trec­cia strut­tu­ral­men­te alla no­zio­ne di tempo. L’in­tui­zio­ne non è do­mi­na­bi­le da un sog­get­to se non nella forma del dopo: «un di­le­gua­re del­l’Es­ser­ci men­tre Es­ser­ci è».  Quel­l’al­tro in­trec­cio che co­sti­tui­sce l’in­tui­zio­ne, l’in­trec­cio fra il den­tro e il fuori si espri­me nel tono, suono ar­ti­co­la­to, “Ton”. Il tono, visto in rap­por­to ad una rap­pre­sen­ta­zio­ne de­ter­mi­na­ta, è il di­scor­so (Rede) e il si­ste­ma del di­scor­so è la lin­gua (Spra­che).  A que­sto punto del suo per­cor­so la stra­te­gia di Hegel si in­con­tra con il pri­vi­le­gio greco e pla­to­ni­co ac­cor­da­to alla pa­ro­la, al logosin quan­to vi­ven­te pro­nun­cia­to, detto. Come in Pla­to­ne, anche in Hegel la pa­ro­la è cen­tra­le nella vita del­l’in­tel­li­gen­za, ma di una centralità che oc­cu­pa il luogo di un mo­vi­men­to ori­gi­na­rio ed im­pren­di­bi­le.  Per un com­men­to cri­ti­co ed espli­ca­ti­vo dei pa­ra­gra­fi della psi­co­lo­gia nella se­zio­ne sullo spi­ri­to sog­get­ti­vo, anche per ciò che con­cer­ne le fonti di Hegel e la sag­gi­sti­ca re­la­ti­va, cfr. Ros­sel­la Bo­ni­to Oliva, La «magia dello spi­ri­to» e il «gioco del con­cet­to». Con­si­de­ra­zio­ni sulla fi­lo­so­fia dello spi­ri­to sog­get­ti­vo nel­l’En­ci­clo­pe­dia di Hegel, Mi­la­no, Gue­ri­ni e As­so­cia­ti. Uso la re­cen­te tra­du­zio­ne di Vin­cen­zo Ci­ce­ro (En­ci­clo­pe­dia delle scien­ze fi­lo­so­fi­che in com­pen­dio, ed. 1830, Mi­la­no, Ru­sco­ni) che ri­ten­go pun­tua­le ed av­ver­ti­ta delle que­stio­ni poste dal testo, no­no­stan­te la discutibilità di al­cu­ne so­lu­zio­ni su cui per altro pesa in certa mi­su­ra la re­si­sten­za ad ab­ban­do­na­re tra­du­zio­ni fa­mi­lia­ri e con­so­li­da­te. An­mer­kung. An­mer­kung. Grice: “There’s something otiose about the ‘faciendi signum’ of the Romans, why not just ‘signare’?” – Who or what ‘makes’ the sign of a dark cloud (=> rain)?” “While it seems natural enough to say that a dark cloud is a sign of rain,it  or better, that a dark cloud signs *that* it may rain, I wouldn’t say that the cloud “MAKES” anything --. Grice: “It’s sad that Hegel’s Latin wasn’t that good – the Romans used ‘signare’ (Italian ‘segnare’) much more than they did use ‘significare’. “With all my love and kisses” “You used to sign your letters ‘with all my love and kisses” – Sam Browne --. Horatio Nicholls – aka as something else. Gianfranco Dalmasso. Keywords: la giustizia nel discorso, sign-make, fare segno, fare segno a se – zeichen Machen, to sign versus to signify -- Bradley, Hegel, io, noi, intersoggetivo, Hegel on Zeichen, zeichen-machende fantasie” – zeichen-interpretand fantasie” -- “l’implicatura del noi duale” “il tra noi” – la prossimita del tra noi -- Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Dalmasso”, per il gruppo di gioco di H. P. Grice, The Swimming-Pool Library, Villa Speranza. Dalmasso.

 

Luigi Speranza -- Grice e Dandolo: la ragione conversazionale e ’implicatura conversazionale della Roma pagana, filosofia romana – Carneade e compagnia – scuola di Varese – filosofia varesese – filosofia lombarda -- filosofia italiana – Luigi Speranza (Varese). Filosofo varesese. Filosofo lombardo. Filosofo italiano. Varese, Lombardia. Grice: “I love Dandolo; you know why? Because he was an amateur, not a professional; I mean, he was a country gentleman and an earl, so if he philosophised it wasn’t for the colour of the money! Plus, he owned a lovely ‘palazzo,’ which I would call ‘villa’! Neoguelfo. Figlio dal conte Vincenzo e Mariana Grossi. Il padre era esponente della Municipalità di Venezia, ma dopo il trattato di Campoformio, con il quale si sancì la fine della Repubblica, dovette esulare in Francia. Venne in seguito nominato da Napoleone senatore del Regno italico e conte. Fu anche governatore civile della Dalmazia. Passa quindi un'infanzia assai agitata; fu cresciuto da una "cameriera disattenta" e poi sballottato per vari collegi. Si laurea a Pavia. Passa alcuni anni girando per l'Europa e conducendo una vita mondana. In questo periodo venne a contatto con illustri personalità culturali politiche dell'epoca. Venne sospettato dal governo austriaco di aver partecipato alle congiure degli anni precedenti, e per questo fatto rientrare in modo coatto in Italia (senza tuttavia essere perseguitato). In Italia, si dedica ampiamente alla filosofia, e sposa la sorella di Bargnani; uno dei cospiratori mazziniani. Morta la sposa affida ad un amico i figli. Sposa la contessa Ermellina Maselli, da cui ebbe altri due figli. I primi due figli presero parte alle Cinque giornate e ad altre operazioni belliche e lo stesso Tullio fu uno dei principali autori della rivoluzione e capo della rivolta varesina (scoppiata in concomitanza con quella di Milano), ma a Roma, durante la difesa della repubblica di Mazzini, Su figlio muore e l’altro rimase gravemente ferito. Questo evento tocca molto Tullio che tuttavia, pur dovendosi prendere cure molto onerose del superstite, continua comunque i suoi studi di filosofia. Sui due figli raccolse un gran numero di documenti, memorie e storie pubblicati in “Lo spirito della imitazione di Gesù Cristo esposto e raccomandato da un padre ai suoi figli adolescent: corrispondenze di lettere famigliari: riicordi biografici dell'adolescenza d'Enrico e d'Emilio D., Milano). Un filosofo che fece delle critiche alla sua attività fu Tommaseo, ma risultò essere piuttosto duro ed aspro, tanto da scrivere. “Fin da giovane scarabocchiò librettucci compilati o piuttosto arruffati. Né di quelli che scrisse dal venticinque al cinquantacinque sapresti quale sia il più decrepito e il più puerile. Ma fece due opere buone, un figliolo che morì valentemente in Roma assediata da Galli vendicatori delle oche; e un altro figliolo che scrisse la storia, e direi quasi la vita della Legione Lombarda capitanata da Manara, libro di senno virile e d'affetto pio.” I suoi saggi trattano gli argomenti più vari: dalla pedagogia all'autobiografia, da quelli di carattere storico a quelli religiosi. Molti di essi sono schizzi letterari e filosofici o riguardano descrizioni di viaggi, città e munomenti. Inoltre, scrisse molto intorno alla storia romana antica, alla nascita del Cristianesimo, al Medioevo e al Rinascimento, pubblicando anche molti discorsi e documenti inediti. Più che ad un contributo critico, mira a dare un'informazione non faziosa per una migliore conoscenza del passato. Questi suoi scritti storici sono molto diversi fra di loro. In alcuni predilige uno stile aulico, mentre in altri un tono popolare e facile; trattando ora gli argomenti con approssimazione ed ora dando al racconto la coinvolgenza di un romanzo. Altre opere: “Roma”; “Napoli” (Milano); “Firenze”; “Torino”; “La Svizzera”; “Il Cantone de' Grigioni” (Milano); “Prospetto della Svizzera, ossia ragionamenti da servire d'introduzione alle lettere sulla Svizzera); “La Svizzera considerata nelle sue vaghezze pittoresche, nella storia, nelle leggi e ne' costume”; “Venezia”; “Il secolo di Pericle”; “Schizzi di costume”, “Il secolo d'Augusto”; “Semplicità” (o rapidi cenni sulla letteratura e sulle arti”; “Album storico poetico morale, compilato per cura di V. de Castro” (Padova); “Reminiscenze e fantasie. Schizzi letterari, Peregrinazioni. Schizzi artistici e filosofici (Torino); Roma e l'Impero sino a Marco Aurelio” (Milano); “Firenze sino alla caduta della Repubblica”; “Il Medio Evo elvetico”; “Racconti e leggende”; “La Svizzera pittoresca, o corse per le Alpi e pel Jura a commentario del Medio Evo elvetico; “I secoli dei due sommi italiani Dante e Colombo; “Il Settentrione dell'Europa e dell'America nel secolo passato; “L'Italia nel secolo passato; Il Cristianesimo nascente; La Signora di Monza. Le streghe del Tirolo. Processi famosi del secolo decimosettimo per la prima volta cavati dalle filze originali (rist. anast., Milano); Il pensiero pagano ai giorni dell'Impero. Studii, Il pensiero cristiano ai giorni dell'Impero. Studii; Il pensiero pagano e cristiano ai giorni dell'Impero. Studii; “Monachesimo e leggende. Saggi storici; “Roma e i papi. Studi storici, filosofici, letterari ed artistici, Il secolo di Leone Decimo. Studii, Lo spirito della imitazione di Gesù Cristo esposto e raccomandato da un padre ai suoi figli adolescenti (corrispondenza di lettere famigliari). Ricordi biografici dell'adolescenza d'Enrico e d'Emilio Dandolo, Milano); “La Francia nel secolo passato, “Corse estive nel Golfo della Spezia; Il secolo decimosettimo, Ragionamenti preliminari ed indici ragionati degli studi del conte Tullio Dandolo su Roma pagana e Roma cristiana pubblicati ad annunzio e prospetto dell'opera, Assisi  (estr. da Stella dell'Umbria); “Ricordi di D.”; “Lettera a D. Sensi. Indice della materia, Assisi); “Ricordi”; “Ricordi inediti di G. Morone gran cancelliere dell'ultimo duca di Milano, a cura di D., Milano; Alcuni brani delle storie patrie di Giuseppe Ripamonti per la prima volta tradotti dall'originale latino dal conte T. Dandolo, Il potere politico cristiano. Discorsi pronunciati dal Ventura di RaulicaR. P., a cura di Dandolo, Milano); “Vicende memorabili narrate da Alessandro Verri precedute da una vita del medesimo di Maggi, a cura di D., A. F. Roselly de Lorgues. Ricordi, primo e secondo periodo, Assisi. di Guerri, direttore delle Civiche raccolte storiche di Milano.  Colloqui col Manzoni, T. Lodi (Firenze). Treccani, Dizionario biografico degli italiani, Istituto dell'Enciclopedia Italiano. LA FILOSOFIA ROMANA. Nei primi secoli della repubblica i romani non diedersi pensiero di filosofia. Appena ne conobbero il nome. Intenti da principio a difendersi, poi a consolidare la loro dominazione sui popoli vicini, la loro saviezza fu figlia della sperienza e d'un ammirabile buon senso affinato dalle difficoltà esteriori in mezzo a cui si trovarono collocati, e dal godimento di un'interiore libertà, le cui procelle incessanti valevano ad elevare ed afforzare gli animi. Volle taluno che le instituzioni del re Numa non andassero digiune di pitagorismo. Gli è da credere piuttosto, avuto riguardo all'ordine cronologico, che Pitagora attignesse nelle dottrine sacerdotali del secondo re di Roma qualcuna delle sue teoriche intorno la religione. Allorchè i romani strinsero i primi legami co' greci delle colonie italiche e siciliane, non credettero di ravvisare che leggerezza mollezza e corruzione in que' popoli i quali a ricambio qualificarono i romani di barbari. Sul finire della prima guerra punica fu resa nota ai vincitori la letteratura drammatica de greci; e vedemmo Livio Andronico ha per primo tradotto tragedie, le quali cacciarono di scanno i versi fescennini, i giuochi scenici etruschi e le informi atellane. Ennio, oltre ai componimenti poetici di cui facemmo menzione, voltò in latino la storia sacra di Evemero, scritto ardito, inteso a dimostrare che gli dei della Grecia altro non erano che antichi uomini dalla superstizione divinizzati. I romani non videro nelle ipotesi del filosofo che un oggetto di mera curiosità. Non erano ombrosi come gl’ateniesi, non avevano peranco sperimentato qualc’azione efficace la filosofia esercitar potesse sulla religione. Accolsero del pari con indifferenza la sposizione poetica che del sistema dell’ORTO loro presenta LUCREZIO. Germi sono questi gettati in terreno non preparato ancora à riceverli. La conquista non tardò a dischiudere colla Grecia più facili mezzi di comunicazione. I conquistatori trasportarono in patria schiavi tra’ quali vi avevano non filosofi, ma retori e grammatici; e loro fidarono l'educazione de' proprii figli. L'introduzione degli studii filosofici in Roma risale alla celebre ambasceria di Carneade accademico, Critolao peripatetico, Diogene stoico. Avidi di brillare e lusingati dall'ammirazione che destavano in un popolo non avvezzo a sottili investigazioni, quei tre fecero pompa di tutta la profondità e desterità della loro dialettica ad abbagliare la romana gioventù che loro s'affoltava intorno, incantata di scovrire usi dianzi ignorati della parola. I magistrati s'adombrarono di cotesto subitano commovimento. I vecchi Se. natori armaronsi di tutta l'autorità delle prische costumanze per respingere studi speculativi, che teme vano come pericolosi e disprezzavano come futili. CATONE il censore ottenne che si allontanassero tosto dalla romana gioventù i retori che davano opera a distruggere le più venerate tradizioni e a smovere le fondamenta della morale. I sofismi di Carneade, il quale faceva pompa della spregevole arte di sostenere a piacimento le opinioni più contraddittorie, forne a Catone plausibili argomenti di vituperarlo. Sicchè i primordi della filosofia furono contrassegnati in Roma da sfavorevoli apparenze. Il rigido censore non prevede che, un secolo dopo, quella filosofia che aveva voluto proscrivere, meglio approfondita e meglio conosciuta, sarebbe il solo rifugio del suo pronipote contro le ingiurie della fortuna e la clemenza di GIULIO CESARE. Non possiamo trattenerci dal simpatizzare con que’ vecchioni, i quali opponevano al torrente da che avvisavano minacciata la patria lor capegli canuti e la loro antica esperienza, evocando a respignere pericolose novatrici dottrine la religione del passato e le  tradizioni di seicent anni di vittorie di libertà divirtù. Ma se a codesto spontaneo sentimento tien  dietro la riflessione, saremo costretti di riconoscere  che a rintuzzare il progresso della filosofia ed anco de sofismi di Grecia, il senato mal si appose con quel suo violento procedere. Tutto ciò che è pericoloso racchiude in sè un principio falso che è sempre facil cosa scovrire. Affermare il contrario sarebbe muovere accusa al divino, quasi ch'ella con innestare il male nella conoscenza del vero avesse teso un laccio all’umana intelligenza. Convien dunque adoperarsi  a dimostrare la falsità delle opinioni perniziose, non  proscriverle alla cieca, quasi rifuggendo esaminarle  conscii dell'impossibilità di confurtarle. Sì ardua impresa rispondere agli ateniesi sofisti? o sì difficile dimostrare che quelle loro argomentazioni pro e contra lo stesso principio di morale erano assurde? O sì temerario lo appellarsene, ne' cuori romani, a’sentimenti innati del vero e del giusto, il risvegliare in  quelle anime ancor nuove sdegno e disprezzo per teoriche, le quali, consistendo tutte in equivoci, dovevano vituperosamente cadere dinanzi la più semplice analisi? Catone anda altero dell'ottenuta vittoria. Gli ambasciadori ateniesi furono tosto rimandati. Per un secolo ancora severi editti, frequentemente rinnovati, lottarono contro ogni nuova dottrina. Ma l'impulso è dato, nè poteva fermarsi. I romani conservarono impresse nella memoria le dottrine dei sofisti. Era poi e riguardarono la dialettica di Carneade non tanto come un sistema che conveniva esaminare, quanto come una proprietà che stava bene difendere. Giunti ad età provetta nel bivio d'abbandonare ogni speculazione filosofica o di disobbedire alle leggi, sono tratti a disobbedire dalla loro inclinazione per le lettere, passione la quale, dacchè è nata, va crescendo ogni dì, siccome quella che ha riposte in sè medesima le proprie soddisfazioni. Gl’uni tennero dietro alla filosofia nel suo esiglio ad Atene. Altri mandarono colà i loro figli. I capitani degl’eserciti sono i primi a lasciarsi vincere apertamente da questa tendenza generale degli spiriti. L'accademico Antioco è compagno di Lucullo. Catone il censore cede egli stesso, a malgrado delle sue declamazioni, alla seduzione dell'esempio, ed assistè alle lezioni del peripatetico Nearco. SILLA fa trasportare in Roma la biblioteca d'Apellico di Teo. CATONE d'Utica allorch'è tribuno militare in Macedonia peregrino in Asia a solo oggetto d'ottenere che  Atenodoro, filosofo del Portico, abbandonasse il suo ritiro di Pergamo e si conducesse a dimorare con lui. Pure gl’spiriti che con siffatto entusiasmo s'abbandonarono alle filosofiche investigazioni non trovavansi da studii anteriori preparati ad astratte speculazioni. Ne avvenne che la filosofia penetra in coteste menti dico come in massa e nel suo insieme. Ma non s'indentifica col rimanente delle loro opinione. La sua efficacia è nel tempo stesso più gagliarda e mento continua che in Grecia. Più gagliarda nelle circostanze importanti nelle quali l'uomo trascinato fuori del circolo delle sue abitudini cerca appoggi, motivi d'agire, conforti straordinarii. Meno continua perchè, se niun evento tnrbava l'ordine abituale, ella ridiventava pe’ romani una scienza, piuttostochè una regola di condotta applicata a tutti i casi della vita sociale. Che se non iscorgiamo in Roma individui che a somiglianza dei sapienti della Grecia consacrassero alla filosofia esclusivamente il loro tempo. Non ci appare nè anche, ad eccezione di Socrate, che i greci abbiano saputo trarre dalla filosofia quegli efficaci soccorsi che invigorivano gli illustri cittadini di Roma in mezzo ai campi, nelle guerre civili, tra le proscrizioni, allora suprema.  I romani si divisero in sette. Effetto della maniera d'insegnamento di cui i retori greci usavano con essi. Per la maggior parte schiavi od affrancati, dovevano costoro, qualunque fosse il loro convincimento o la loro preferenza per queste o quelle dottrine, studiarsi di piacere a' padroni; ond'è che chiaritisi come una tale ipotesi respignesse colla sua severità o stancasse colla sua sottigliezza, affrettavansi di sostituirne altra più accetta. Tali sono i risultamenti della dipendenza. L’amore stesso del vero non basta ad affrancare l'uomo dal giogo. S’egli non abjura le sue opinioni, ne cangia le forme; se non rinnega i suoi principii, li sfigura. Allorchè a questi retori schiavi succedettero i retori stipendiati, le dottrine diventarono derrata di cui itanto per greci trafficarono, e della quale per conseguenza lasciarono la scelta a' compratori. Le varie sette non trovarono in Roma uguale favore. L'epicureismo benchè in bei versi esposto ed insegnato da Lucrezio, vi fu dapprima respinto, non la sua morale di cui bene non si conoscevano ancora i corollarii, quanto per la raccomandazione che faceva d'attenersi ad una vita speculativa e ritirata, aliena non meno da fatiche che da pericoli. Gli è questo difatti il principale rimprovero che fa Cicerone alla filosofia epicurea. I cittadini d'uno stato libero non sanno concepire la possibilità di porre in dimenticanza la patria, perciocchè ne posseggono una; e considerano come colpevole debolezza quell'allontanamento da ogni carriera attiva, che sotto il dispotismo diventa bisogno è virtù di tulli gli uomini integri e generosi. L'epicureismo ebbesi per altro un illustre seguace; nè qui vo' accennare d'Atlico, che senza principii senza opinioni fu bensì amico caldo e fedele, ma cittadino indifferente e di funesto esempio, avvegnachè sotto forme eleganti insegnò alla moltitudine ancora indecisa e vacillante come chicchessia può accortamente isolarsi e tradire con decenza i proprii doveri verso la patria. Il romano di cui intendo parlare è Cassio che fino dall'infanzia si consacrò alla causa della libertà, e rinunziando ai piaceri alle dolcezze della vita, non ebbe che un pensiero un interesse una passione, la patria. Fu centro della cospirazione contro Cesare; e dolendosi di non potere sperare in un'altra vita, muore dopo avere corso un arringo continuamente in contraddizione colle sue dottrine. Le sette di Pitagora, di Aristotile, e di Pirrone incontrarono a Roma ostacoli d'altra maniera. La prima, per una naturale conseguenza del segreto in cui si avvolse fino dal suo nascere, contrasse affinità con estranie superstizioni; perciocchè uno degli inconvenienti del mistero, anche quando n'è pura l'intenzione primitiva, è di fornire all' impostura facile mezzo d'impadronirsene. Nigido Figulo è il solo pitagorico di qualche grido che abbia fiorito in Roma. L'oscurità aristotelica ebbe poche attrattive per menti più curiose che meditative. L'esagerazione pirronista per ultimo ripugna alla retta ragione de’ romani. Il platonismo che ancor non era ciò che di. venne due secoli dopo per opera de' novelli platonici. Lo scetticismo moderato della seconda accademia, e lo stoicismo furono i sistemi adottati in Roma. Lucullo, Bruto, Varrone sono platonici. Cicerone, a cui piacque porre a riscontro tutte le varie dottrine, inclina per l'indecisione accademica. Lo stoicismo solo fu caro alla grand'anima di Catone Uticense. “Non  possum legere librum Ciceronis de Se. nectute, de Amicitia, de Officiis, de Tusculanis Quæstionibus, quin aliquoties exosculer codicem, ac venerer sanctum illud pectus aflatum celesti Qumine. ERASM. in Conviv --. M. Tullio adotta egli per convinzione i sistemi filosofici della nuova accademia, o diè loro la preferenza perchè più propizii all’oratore in fornirgli arme con cui combattere i proprii avversarii! Corse grand' intervallo tra un Cicerone ambizioso, e un Cicerone disingannato. Ciò che pel primo era oggetto subordinato a speranze a divisamenti avvenire, diventa pel secondo un bisogno del cuore, un'intensa occupazione della mente. Ei pose affetto alle dottrine del platonismo riformato; e a quelle parti della morale in esse contenuta di cui si tenne men soddisfatto, altre ne sostituì fornitegli dallo stoicism. E propriamente ecclettico, od amatore del vero e del buono ovunque lo riscontrava. Ad imitazione di Platone pose in dialoghi i suoi scritti filosofici. Per eleganza di stile ed elevatezza di concetti non cede al modello. Per chiarezza e per ordine lo vince. Ne cinque libri, De finibus, intorno la natura del bene e del male si propose una meta sublime; la ricerca cioè del bene supremo; in che cosa consista; come si consegna; ove dimori. Tu cerchi però inutil mente in quelle pagine da cui traluce tanta sapienza plausibile soluzione del quesito. Gli antichi ingolfandosi in cotali disamine faceano ricerca di ciò che trovare non potevano; chè gli è impossibile che il bene supremo rinvengasi in ordine di cose che necessariamente è imperfetto.Verità che il Vangelo ci rese ovvia insegnandoci come la felicità sognata dai gentili pel loro saggio non sia fatta per uomo mortale, essondechè stanza le è riserbata imperibile sublime. In che cosa consiste il sommo bene? Ecco di che venivano continuamente richiesti i filosofi. Epicuro ed Aristippo rispondevano, nel piacere; Jeronimo, nell'assenza del dolore; Platone, nella comprensione del vero, e nella virtù che ne è conseguenza; Aristotile, nel vivere conformemente alla natura. Cicerone associa le sentenze di Platone e d'Aristotile, e si appose meglio di quanti nell'arduo arringo l'avevano preceduto. Dalle più elevate astrazioni sceso ad argomenti che si collegano co' bisogni e co' vantaggi dell'uomo, M. Tullio si propose nelle Tusculane di cercare i mezzi adducenti alla felicità. Cinque ne noverò; il dispregio della morte; la pazienza ne' dolori; la fermezza nelle varie prove; l'abitudine di combaltere le passioni, e finalmente la persuasione che la virtù dee unicamente cercare premio in sè stessa: e la dimostrazione di cotesti assiomi si fa vaga, sotto la penna del filosofo, di tutte le grazie dell'eloquenza. All'Anima, egli scrive, tu cercheresti inutilmente un'origine terrestre, perocchè nulla in sè accoglie di misto e concreto; non un atomo d'aria d'acqua di fuoco. In cotesti elementi sapresti tu scorgere forza di memoria d'intelligenza di pensiero, valevole a ricordare il passato a provvedere al futuro ad abbracciare il presente? Prerogative divine sono queste, nè troveresti mai da chi sieno state agli uomini largite, se non 'da Dio. È l'anima pertanto informata di certa quale sua singolar forza e natura ben diverse da quelle che reggono i corpi tutti a noi noti. Checchè dunque in noi sia che sente intende vuole vive; divina cosa certo è cotesta; eterna quindi necessariamente esser deve. Nè la divinità stessa, quale ce la figuriamo, comprenderla in altra guisa possiamo, che come libera intelligenza scevra d'ogni mortale contatto, che tutto sente e muove, d’eterno moto ella stessa fornita. L’anima umana per genere e per natura somiglia a Dio. “Dubiterai tu, a veder le meraviglie dell'universo, che tal opera stupenda non abbiasi (se dal nulla fu tratta, come afferma Platone) un creatore; o se creata non fu, come pensa Aristotile, che ad alcun possente moderatore non sia data in custodia? Tu Dio non vedi; pur le opere sue tel rivelano: così ti si fa palese dell'anima, comechè non vista, la divina vigoria, nelle operazioni della memoria nel raziocinio nel santo amore della virtù.” I discepoli d'Epicuro, commentando, esagerando ciò che vi avea d'incerto d'oscuro nei principii del loro maestro. l'universo nato dal caso affermarono, negarono la provvidenza, piegarono all'ateismo. Tullio si fa a combatterli nel suo libro Della natura degli Dei. Le lettere antiche non inspiraronsi mai di più sublime eloquenza. Vedi primamente la terra, collocata nel centro del mondo, solida, rotonda, in sè stessa da ogni parte per interior forza ristrella; di fiori d'erbe d'arbori di messi ammantarsi. Mira la perenne freschezza delle fonti, le trasparenti acque de' fiumi, il verdeggiare vivacissimo delle rive, la profondità delle cave spelonche, delle rupi l'asperità, delle strapiombanti vette l’elevazione, delle pianure l'immensità, e quelle recon. dite vene d'oro e d'argento, e quell' infinita possa di marmi. Quante svariate maniere d'animali! quale aleggiare e gorgheggiar d'uccelli e pascere d'armenti, ed inselvarsi di belve! E che cosa degli uomini dirò, che della terra costituiti cultori non consentono alla ferina immanità di toruarla selvaggia, all’animalesca stupidità di devastarla, sicchè per opera loro campi isole lidi mostransi vaghi di case, popolati di città! Le quali cose se a quella guisa colla mente comprendere potessimo, come le veggiamo cogli occhi; niune in gettare uno sguardo sulla terra potrebbe dubitar più oltre che esista ia provvidenza divina. “Ed infatti, come vago è il mare! come gioconda dell'universo la faccia! Qual moltitudine e varietà d'isole é amenità di piani, e disparità d'animali, sommersi gli uni nei gorghi, gnizzanti gli altri alla superficie, nati questi a rapido moto, quelli all’imobi, lità delle loro conchiglie! E l'acre che col mare con: fina qua diffuso e lieve s'innalza, là si condensa e accoglie in nugoli, e la terra colle piove feconda; e ad ora ad ora pegli spazii trascorrendo ingencra i vento ti, e fa che le stagioni subiscano dal freddo al caldo loro consuete mutazioni, e le penne de' volatori sostiene, e gli animali mantien vivi.” 5 Giace ultimo l'etere dalle nostre dimore disco. stissimo, che il cielo e tutte cose ricigne, remoto confine del mondo; per entro al quale ignei corpi con maravigliosa regolarità compiono il loro corso. Il sole, uno d'essi, che per mole vince di gran volte la terra, intorno a questa s'aggira, col sorgere e il tramontare segnando i confini del giorno e della notte; coll'avvicinarsi e il discostarsi quelli delle stagioni; sicchè la terra, allorehè il benefico astro s'allontana, da certa qual tristezza è conquisa; pare che invece insieme col ciclo ši allegri allorchè torna. La luna, che a dire de matemateci, è più che una mezza terra, trascorre pe' medesimi spazii del sole, ed ora facendoglisi incontro; ora dipartendosi, que' raggi che da lui riceve a noi trasmette; ed avvengonle mutazioni di luce; perciocchè talora postasi innanzi al sole lo splendore ne oscura; talora nell'ombra della terra s'immerge e d'improvviso scompare. Per quegli spazii medesimi le stelle che denominiamo vaganti girano intorno a noi e sorgono e tramontano ad uno stessso modo; il moto delle quali ora è affrettato ora s'allenta ora  cessa; spettacolo di cui altro avere non vi può più ammirando e più bello. Tiene dietro la moltitudine delle non vaganti stelle, delle quali sì precisa è la reciproca giacitura, che si poterono ad esse applicar nomi di determinate figure. “E tanta magnificenza d'astri, tanta pompa di cielo, qual sano intelletto mai potrà figurarsele surte dal raccozzarsi di corpi qua e là fortuitamente? Chi potrà credere che forze d' intelligenza e di- ragione sprovvedute fossero state capaci di dar compimento a tali opere delle quali, senza somma intelligenza e robusta ragione, ci sforzeremmo inutilmente di comprendere, non dirò come si sieno fatte, ma solo quali veramente sieno?” Dopo d'avere additato virtù e religione siccome scaturigini del bene, maestre di felicità, dopo d'avere spaziato pegli immensi campi d'un'alta e confortevole metafisica, dopo di avere falto tesoro negli insegnamenti della greca filosofia di ciò ch'essa mise in luce di più puro e sublime intorno l'anima e Dio; argomento degno della gran mente di Cicerone era la felicità, non più studiata e ricercata pegli individui, ma per le nazioni; ed a sì nobile soggetto consacrò i suoi trattati, in gran parte perduti, Della repubblica e Delle leggi. Nei frammenti che ce ne restano scorgiamo essersi il filosofo serbato fedele al suo assioma favorito: - nella giustizia divina contenersi l'unica sanzione dell'umana giustizia.  u Fondamento primo d'ogni legislazione, egli scrive,  sia un generale convincimento che gli Dei sono di tutto arbitri, di tutto moderatori; che benefattori del. l'uman genere scrutano che cosa è in sè stesso ogni uomo, che cosa fa, che cosa pensa, con quale spirito pratica il culto; sicchè i buoni sanno discernere dagli empii. Ecco di che gli animi voglionsi compene. trati, onde abbiano la coscienza dell' utile e del vero.” Ma se M. Tullio della virtù della felicità delle leggi ravvisava nella religione le scaturiggini, la religione voleva che santa e pura fosse, onninamente sgombra dalle supestizioni dalle credulità, da che vituperata miravala. A tal uopo dettò l'aureo trattato De divinatione, nel quale usò d'un argomentare nel tempo stesso seyero e faceto, con abbandonarsi in isferzare la credulità e la sciocchezza a'voli più opposti della sua proteiforme eloquenza.  Capolavoro di Cicerone è il libro Degli Officii, ossia de' doveri morali degli uomini in qualunque condizione si trovino essi collocati. I Greci ebbero costume di spaziare troppo ne' campi delle filosofiche astrazioni; le loro dottrine trovarono meno facile applicazione a' casi pratici della vita, perchè sovraccaricate di vane disputazioni, oppurtune più spesso a trastullare l'imaginazione, che ad illuminare l'intelletto. Tullio grande e saggio anche in questo volle spoglia la sua filosofia di quell' ingombro, e ricondussela alla più semplice e precisa espressione degli inculcati doveri. 6 Cicerone (scrive- a proposito del libro degli Officii un critico tedesco) fu dotato  di luminosa intelligenza di rello giudizio di gran. de altività, doti opportunissime a coltivare la ragione, a fornirle argomento d' incessanti meditazioni. Ma Cicerone non possede lo spirito speculativo che si richiede a poter ben addentrarsi ne' primi principii delle scienze: il tempo venivagli meno a minute indagini, la sua indole stessa fare non gliele poteva famigliari. Uomo di stato più che filosofo, le scienze morali lo interessavano per quel tanto che gli servivano a rischiarare le proprie idee intorno ad argomenti politici. Vissulo in mezzo a rivoluzioni, quali traversie non ebbe egli a sopportare ! Niun politico si trovò mai in situazione più propizia per fare tesoro d'osservazioni intorno l'indole della civile società, la diversità de' caratteri, l'influenza delle passioni. Pure cotesta situazione sua stessa era poco alla a fornirgli opportunità d’approfondire idec astralte o meditare sulla natura delle forze invisibili, i cui visibili risultamenti s'appalesano nell' umano consorzio.  La situazione politica in cui M. Tullio si trovò collocato improntò la sua morale d'un carattere speciale. Gli uomini dei quali ed a’ quali ragiona sono quasi sempre della classe a cui spetla d'amministrare la repubblica: talora, ma più di rado, rivolgesi agli studiosi delle lettere e delle scienze. Per la moltitudine de cittadini hannovi bensì qua e là precetti generali comuni applicabili agli uomini tutti; ma cercheresti inutilmente l'applicazione di que' precelli alle circostanze d'una vita oscura e modestà. Caso invero singolare! Mentre le forme del reggimento repubblicano raumiliavano l'orgoglio politico con dargli a base il favore popolare, i pregiudizii dell'antica società alimentavano l'orgoglio filosofico, con accordare il privilegio dell'istruzione unicamente a coloro che per nascita o per fortune erano destinati a governare i loro simili. In conseguenza di questo modo di vedere i precetti morali di Cicerone degenerarono sovente in politici insegnamenti.  Coi trattati “Dell' amicizia” e “Della vecchiezza” M. Tullio a confortevoli meditazioni ebbe ricorso onde ricreare la propria mente dalla tensione di più ardui studii e dagli insulti della fortuna. E veramente che cosa avere vi può sulla terra di più dolce e santo d'una fedele amicizia? Che cosa vi ha di più dignitoso e simpatico d'una vecchiezza onorata e felice? Cice, rone in descrivere quelle pure e nobili dilettazioni consulto il proprio cuore: beato chi trova in sè stesso l' inspirazione e la coscienza della virtù!” Ricerca Mitologia romana narrazioni mitologiche dell'antica Roma La mitologia romana riguarda le narrazioni mitologiche della civiltà legata all'antica Roma, e può essere suddivisa in tre parti:  Periodo repubblicano: nata nei primi anni della storia di Roma, si distingueva nettamente dalla tradizione greca ed etrusca, soprattutto per quanto riguarda le modalità dei riti. Periodo imperiale classico: spesso molto letteraria, consiste in estese adozioni della mitologia greca ed etrusca. Periodo tardo-imperiale: consiste nell'assunzione di molte divinità di origine orientale, tra le quali il Mitra persiano, sincretizzato nel culto del Sol Invictus.  Il mito di Romolo e Remo Natura dei primi miti romaniModifica È possibile affermare che i primi romani avessero miti. Detta in altro modo: finché i loro poeti non entrarono in contatto con gli antichi greci verso la fine della Repubblica, i romani non ebbero storie sulle loro divinità paragonabili al mito dei Titani o alla seduzione di Zeus da parte di Era, ma ebbero miti propri come quelli di Marte e di Fauno.  A quell'epoca i romani già avevano:  un sistema di rituali ed una gerarchia sacerdotale ben definiti; un insieme molto ricco di leggende storiche sulla fondazione e sviluppo della loro città che avevano per protagonisti degli umani ma vedevano anche interventi divini. Prima mitologia sulle divinitàModifica Il modello romano comportò un modo molto diverso di definire il concetto di divinità rispetto a quello greco che ci è noto. Per esempio se avessimo chiesto ad un antico greco chi fosse Demetra, avrebbe probabilmente risposto raccontando la famosa leggenda del suo folle dolore per il rapimento della figlia Persefone da parte di Ade. Al contrario un romano antico avrebbe risposto che Cerere aveva un sacerdote ufficiale chiamato flamine, che era più giovane dei flamini di Giove, Marte e Quirino (la Triade arcaica), ma più anziano dei flamini di Flora e Pomona. Avrebbe anche potuto dire che era inserita in una triade con altre due divinità agresti, Libero e Libera e avrebbe anche potuto elencare tutte le divinità minori con funzioni specifiche che la assistevano: Sarritor (il sarchiatore), Messor (il mietitore), Convector (il carrista), Conditor (il magazziniere), Insitor (il seminatore) e altri ancora. Così la mitologia romana arcaica, almeno per quello che riguardava gli dei, era costituita non da storie, ma piuttosto da complesse interrelazioni reciproche tra dei e uomini e all'interno della sfera umana, dall'una parte, e della sfera divina dall'altra.  La religione originaria dei primi romani venne modificata in periodi successivi dall'aggiunta di numerose e conflittuali credenze e dall'assimilazione di gran parte della mitologia greca. Quel poco che sappiamo della religione romana arcaica lo conosciamo non attraverso fonti contemporanee, ma grazie a scrittori tardi che cercarono di salvare le antiche tradizioni dall'abbandono in cui erano cadute, come lo studioso del I secolo a.C. Marco Terenzio Varrone. Altri scrittori classici, come il poeta Ovidio nei suoi Fasti, furono fortemente influenzati dai modelli ellenistici e nei loro lavori impiegarono spesso miti greci per riempire i vuoti della tradizione romana.  Prima mitologia sulla "storia" romanaModifica In contrasto con la scarsità di materiale narrativo arrivatoci sugli dei, i Romani avevano una ricca fornitura di leggende quasi storiche sulla fondazione e sulle prime fasi dello sviluppo della loro città. I primi re di Roma come Romolo e Numa avevano una natura quasi interamente mitica ed il materiale leggendario può estendersi fino ai racconti della prima repubblica. In aggiunta a queste tradizioni in gran parte indigene, fin dai tempi antichi materiale tratto da leggende eroiche greche venne inserito in questo blocco originario, facendo diventare, ad esempio, Enea un antenato di Romolo e Remo. L'Eneide e i primi libri di Livio sono le migliori fonti esistenti per questa mitologia umana.  Divinità romaneModifica Ulteriori informazioni Si propone di dividere questa pagina in due, creandone un'altra intitolata Divinità romane. Dèi greci e romaniModifica La pratica rituale romana dei sacerdoti ufficiali distingueva nettamente due classi di dèi, gli dèi indigeni (di indigetes) e i nuovi dèi (di novensiles).  Gli dei indigeni erano gli dèi originari dello stato romano e i loro nomi e la loro natura erano rivelati dai titoli degli antichi sacerdoti e dalle feste fissate sul calendario; trenta dèi di questo tipo erano onorati con feste speciali.  I nuovi dèi erano divinità più tardi i cui culti vennero introdotti nella città in periodi storici, di solito in una data conosciuta e in risposta a una specifica crisi o a una determinata necessità.  Le divinità romane arcaiche includevano, oltre agli dèi indigeni, un insieme di dèi cosiddetti specialisti i cui nomi venivano invocati nel corso di diverse attività, come la mietitura. Frammenti di antichi rituali che accompagnano tali azioni come l'aratura o la semina rivelano che in ogni fase delle operazioni veniva invocata una divinità specifica, il cui nome derivava sempre dal verbo che identificava l'operazione stessa. Tali divinità possono essere raggruppate sotto la definizione generale di dei assistenti o ausiliari, che venivano invocati a fianco delle divinità più grandi. Il culto romano arcaico, più che essere politeista, credeva a molte essenze di tipo divino: degli esseri invocati i fedeli non conoscevano molto più che il nome e le funzioni e il numen di questi esseri, ossia il loro potere, si manifestava in modi altamente specializzati.  Il carattere degli dèi indigeni e le loro feste mostrano che i Romani arcaici non solo erano membri di una comunità agreste, ma amavano anche combattere ed erano spesso impegnati in guerre. Gli dei rappresentavano chiaramente le necessità pratiche della vita quotidiana, secondo le esigenze della comunità romana a cui appartenevano. I loro riti venivano celebrati scrupolosamente con offerte ritenute adatte. Così Giano e Vesta custodivano la porta e il focolare, i Lari proteggevano i campi e la casa, Pale il pascolo, Saturno la semina, Cerere la crescita del grano, Pomona i frutti, Consus e Opi la mietitura. Tavola illustrata degli Acta Eruditorum raffigurante divinità romane Anche Giove supremo, il signore degli dèi, era onorato perché recasse assistenza alle fattorie e ai vigneti. In una accezione più vasta egli era considerato, grazie all'arma del fulmine, il direttore delle attività umane e, per mezzo del suo dominio incontrastato, il protettore dei Romani durante le campagne militari oltre i confini della loro comunità. Rilevanti nei tempi arcaici furono gli dei Marte e Quirino, che venivano spesso identificati. Marte era il dio dei giovani e specialmente dei soldati; veniva onorato a marzo e a ottobre. Gli studiosi moderni ritengono che Quirino fosse il protettore della comunità in armi.  A capo del pantheon originario vi era la triade composta da Giove, Marte e Quirino (i cui tre sacerdoti, o flamini, appartenevano all'ordine più elevato), insieme a Giano e Vesta. Questi dèi nei tempi arcaici avevano una individualità molto ridotta e le loro storie personali non conoscevano matrimoni e genealogie. Diversamente dagli dei Greci, si riteneva che non agissero come i mortali e così non esistono molti racconti sulle loro imprese. Questo culto arcaico era associato a Numa Pompilio, il secondo re di Roma, che si credeva avesse avuto come consorte e consigliera la dea romana delle fontane e del parto, Egeria, spesso considerata una ninfa nelle fonti letterarie successive.  Tuttavia, nuovi elementi vengono aggiunti in un periodo relativamente tardo. Alla casa reale dei Tarquini la leggenda ascrive l'introduzione della grande triade capitolina di Giove, Giunone e Minerva, che occupò il primo posto nella religione romana. Altre aggiunte furono il culto di Diana sull'Aventino e l'introduzione dei libri sibillini, profezie di storia mondiale, che, secondo la leggenda, vennero acquistate da Tarquinio alla fine del VI secolo a.C. dalla Sibilla cumana.  Divinità straniereModifica L'assorbimento degli dèi dei popoli vicini avvenne quando lo stato romano conquistò il territorio circostante. I Romani generalmente garantivano agli dèi locali dei territori conquistati gli stessi onori degli dèi caratteristici dello stato romano. In molti casi le divinità di recente acquisizione venivano formalmente invitate a trasferire la propria dimora nei nuovi santuari di Roma. L’oggetto di culto rappresentante Cibele venne trasferito da Pessinos in Frigia e accolto con le dovute cerimonie a Roma. Inoltre, lo sviluppo della città attraeva stranieri, a cui era consentito mantenere il culto dei propri dèi. In questo modo Mitra giunse a Roma e la sua popolarità tra le legioni ne fece diffondere il culto fino in Britannia. Oltre a Castore e Polluce, gli insediamenti greci in Italia, una volta conquistati, sembra che abbiano introdotto nel pantheon romano Diana, Minerva, Ercole, Venere e altre divinità di rango inferiore, alcune delle quali erano divinità italiche, altre derivavano originariamente dalla cultura della Magna Grecia. Le divinità romane importanti venivano alla fine identificate con gli dei e le dee greche che erano più antropomorfiche e assumevano molti dei loro attributi e miti.  Principali divinità romane Animali Lupo Picchio Sirena Strige Dèi e dee  Abbondanza: personificazione dell'abbondanza e della prosperità nonché la custode della cornucopia Abeona: protettrice delle partenze, dei figli che lasciano per la prima volta la casa dei genitori o che muovono i loro primi passi. Adeona: protettrice del ritorno, in particolare di quello dei figli verso casa dei genitori. Aequitas: l'origine, il principio ispiratore di matrice divina, del diritto. Aeracura: dea ctonia e della fertilità Aesculanus: divinità romana protettrice dei mercanti e preposta alla coniazione delle monete Aio Locuzio: dio dell'avvertimento misterioso, avvisò Roma dell'invasione dei Galli Alemonia: dea della fertilità per cui le si dedicavano dei sacrifici per avere figli, ma era anche responsabile della salute del bimbo nel ventre materno. Era infatti lei che si occupava del suo nutrimento mentre viveva nel corpo della madre, garantendo quindi altresì la salute del corpo della madre Alma: colei che portava la vita Angerona: dea del silenzio o dei piaceri, protettrice degli amori segreti, guaritrice dalle malattie cardiache, dal dolore e dalla tristezza Angizia: divinità ctonia adorata dai Marsi, dai Peligni e da altri popoli osco-umbri, associata al culto dei serpenti Anguana: una creatura legata all'acqua, dalle caratteristiche in parte simili a quelle di una ninfa Anna Perenna: dea che presiedeva il perpetuo rinnovarsi dell'anno Annona: un'antica dea italica, dea dell'abbondanza e degli approvvigionamenti Antevorta: dea del futuro, presiede alla nascita dei bambini quando sono in posizione cefalica Attis: paredro di Cibele, il servitore autoeviratosi, che guida il carro della dea. Aquilone: dio del vento del nord Aurora: dea dell'aurora Auster: dio del vento del sud Averna: una dea della morte Bacco: dio della follia, delle feste, del vino, dell'uva, dell'ebrezza e della vendemmia Barbatus: dio a cui si rivolgevano i ragazzi non solo perchè facesse crescere copiosa la barba, ma anche per non tagliarsi quando ci si liberava di essa con una lama piuttosto affilata Bellona: dea che incarna la guerra Bona Dea: antica divinità laziale, il cui nome non poteva essere pronunciato, dea della fertilità, della guarigione, della verginità e delle donne Bonus Eventus: una delle dodici divinità che presiedevano all'agricoltura e concetto di successo Bubona: dea protettrice dei buoi Candelifera: dea romana della nascita Caligine: dea della nebbiosa oscurità primordiale, generò dapprima Caos, poi, Notte, Giorno, Erebo ed Etere Caos: dio del caos primordiale Cardea: dea della salute, delle soglie e cardini della porta e delle maniglie, associata anche al vento Carmenta: dea protettrice della gravidanza e della nascita e patrona delle levatrici Carna: dea con il compito di proteggere gli organi interni, in particolare dei bambini, e più in generale di assicurare il benessere fisico all'uomo Cerere: divinità materna della terra, dell'agricoltura, del grano, della fertilità, dei raccolti e della carestia Cibele: dea della natura, degli animali e dei luoghi selvatici. Clementia: dea della clemenza e della giustizia Cloacina: dea protettrice della Cloaca Maxima, la parte più antica ed importante del sistema fognario di Roma Concordia: spirito dell'armonia della comunità Conso: divinità del seme del grano, dei depositi per la sua conservazione, dei granai e degli approvvigionamenti Cupido: dio dell'amore divino, del desiderio sessuale, dell'erotismo e della bellezza Cunina: dea della tenerezza, protettrice dei lattanti, che veniva supplicata a lungo quando il pargolo era insonne e non faceva dormire, o quando aveva la febbre, o male al pancino Cura: dea della vita e dell'umanità Dea Tacita: dea degli inferi che personifica il silenzio Devera: una delle tre divinità che insieme a Pilumnuse Intercidona proteggevano le ostetriche e le donne in travaglio Diana: dea della Luna, delle selve, degli animali selvatici, delle giovani fanciulle vergini e della caccia, custode delle fonti e dei torrenti Disciplina: personificazione della disciplina Discordia: dea della discordia, del caos e del male Dis Pater: dio del sottosuolo Domidicus: dio che guida la casa sposa Domizio: dio che installa la sposa Dria: dea che assicurava un buon flusso esente da dolori nelle mestruazioni Edulica: dea spesso invocata perché alla madre non mancasse il latte Edusa: dea che provvedeva a far provare al bambino il desiderio della semplice acqua Egeria: dea romana delle fontane e del parto Epona: dea dei cavalli e dei muli Ercole: dio del salvataggio Erebo: dio ancestrale dell'oscurità, le cui nebbie circondavano il centro della Terra Esculapio: dio della medicina Etere: dio dell'aria superiore che solo gli dei respirano Fabulinus: dio che insegna ai bambini a parlare Falacer: dio del Cermalus (un'altura del Palatino) Fama: personificazione della voce pubblica Fascinus: incarnazione del divino fallo Fauno: dio dei pascoli, delle selve, delle foreste, della natura, dei campi, dell'agricoltura, della campagna e della pastorizia Favonio: dio del vento dell'ovest Febo o Apollo: dio del Sole, delle arti, della musica, della profezia, della poesia, delle arti mediche, delle pestilenze e della scienza Fecunditas: dea della fertilità Felicitas: divinità dell'abbondanza, della ricchezza e del successo, presiedeva alla buona sorte Ferentina: dea dell'acqua e della fertilità Feronia: una dea romana della fertilità di origine italica, protettrice dei boschi e delle messi, celebrata dai malati e dagli schiavi riusciti a liberarsi Febris: dea della Febbre, associata alla guarigione dalla malaria Fides: personificazione della lealtà Flora: dea della primavera e dei fiori Fontus o Fons: dio delle fonti Fornace: dea del forno in cui si cuoce il pane Fortuna: dea del caso e del destino Furie: personificazioni femminili della vendetta Furrina: dea delle acque Giano: dio dei bivi, delle scelte, dell'inizio e della fine Giorno: dea del giorno Giove: re degli dei, dio del fulmine e del tuono Giunone: regina degli dei, dea della donne e del matrimonio Giustizia: personificazione della giustizia Giuturna: dea dei corsi d'acqua dolce del Lazio Insitor: dio della protezione della semina e degli innesti Inuus: dio del rapporto sessuale Iride: dea dell'arcobaleno e messaggera degli dei Iuventas: dea della giovinezza Jugatinus: dio che unisce la coppia in matrimonio Lari: spiriti protettori degli antenati defunti che, secondo le tradizioni romane, vegliavano sul buon andamento della famiglia, della proprietà o delle attività in generale Laverna: protettrice dei ladri e degli impostori Levana: dea protettrice dei neonati riconosciuti dal padre Libero (Liber): dio italico della fecondità, del vino e dei vizi Libertas: divinità romana della libertà Libitina: divinità arcaica romana, incaricata di badare ai doveri ed ai riti che si tributavano ai morti e che perciò presiedeva ai funerali Lua: dea a cui erano consacrate le armi dei nemici sconfitti Lucina: dea del parto, salvaguardava inoltre le donne nel lavoro Luna: personificazione della Luna Luperco: dio protettore della fertilità Lympha: dea che influenzava l'approvvigionamento idrico Maia: dea della fecondità e del risveglio della natura in primavera Mani: anime dei defunti. Esse talvolta venivano identificate con le divinità dell'oltretomba Manturna: dea che teneva la sposa a casa Marìca: divinità italica. Ninfa dell'acqua e delle paludi, era signora degli animali e protettrice dei neonati e della fecondità Marte: dio della guerra violenta Matres: divinità femminili dell'abbondanza e della fertilità Mefite: dea delle acque, invocata per la fertilità dei campi e per la fecondità femminile Mena (21°figlia di Giove): dea della fertilità e delle mestruazioni Mors: personificazione della morte Mercurio: messaggero degli dei, dio della velocità, dell'astuzia, delle strade, del commercio, dei messaggi, dei viaggiatori, dei ladri, dell'eloquenza, dell'atletica, delle trasformazioni di ogni tipo, della destrezza e della farmacia, protettore dei messaggeri, dei ladri e dei viaggiatori Minerva: dea dell'intelligenza, delle tattiche militari, della tessitura e delle arti casalinghe Mitra (Mithra): dio delle legioni e dei guerrieri Muse: 9 divinità delle arti Mutuno Tutuno: divinità matrimoniale fallica Nemesi: dea della vendetta, dell'equilibrio e del castigo Nettuno: dio del mare, dei terremoti, dei maremoti, delle piogge, del vento marino, delle tempeste e della siccità Notte: dea della notte Numeria: dea italica della matematica, preposta al conto dei mesi del parto Nundina: dea che si occupava della purificazione dei nuovi nati Opi: dea della terra e dispensatrice dell'abbondanza agraria Orco: dio degli Inferi Ore: dee delle ore Ossilao: dio che si doveva occupare che le ossa dei bambini crescessero sane e robuste Palatua: dea del Palatino Pale: dio degli allevatori e del bestiame Partula: dea del parto, che determina la durata di ogni gravidanza Pax: dea della pace Pavenzia: dea che si occupava di proteggere i bambini dagli spaventi improvvisi Pellonia: divinità che faceva scappare i nemici Penati: spiriti protettori di una famiglia e della sua casa ed anche dello Stato Pertuda: dea che consente la penetrazione sessuale Picumnus: dio della fertilità, dell'agricoltura, del matrimonio, dei neonati e dei bambini Pietas: dea del compimento del proprio dovere nei confronti dello Stato, delle divinità e della famiglia Pilunno: dio protettore dei neonati nelle case contro le malefatte di Silvano Plutone: dio della morte e degli inferi Pomona: dea dei frutti Potina: dea che si occupava di accompagnare il bimbo nello svezzamento Portuno: dio dei porti e delle porte Postvorta: dea del passato, presiede la nascita dei bambini quando essi sono in posizione podalica Prema: dea che tiene la sposa sul letto Priapo: dio della fertilità maschile Proserpina: dea dei fiori e della primavera Providentia: personificazione divina dell'abilità di prevedere il futuro Psiche: dea delle anime, personificazione dell'Anima gemella, ossia l'amore umano e protettrice delle fanciulle Pudicizia: dea romana della castità coniugale Quirino: dio delle curie e protettore delle pacifiche attività degli uomini liberi Robigus: dio romano della ruggine del grano Roma: dea della patria e della città di Roma Rumina: dea delle donne allattanti Salacia: dea dell'acqua salata e custode delle profondità dell'oceano Salus: personificazione dello stare bene, della salute e della prosperità Sanco: dio protettore dei giuramenti Saturno: titano del tempo e della fertilità Securitas: personificazione della sicurezza Silvano: dio dei boschi Senectus: dio della vecchiaia Sogno: dio dei sogni Sole: personificazione del Sole Sol Indiges: antica divinità solare Sol Invictus: antica divinità solare Somnus: dio del sonno e padre dei sogni Soranus: dio solare infero Speranza: dea della speranza Statano: divinità che aiutava i bimbi ad avere forza sulle gambe e quindi a camminare speditamente Statulino: dio che era accanto ai bambini nel muovere i primi passi perché non cadessero donandogli la stabilità Sterculo: dio inventore della concimazione dei campi e degli escrementi Stimula e Sentia: dee che, negli adolescenti, affinavano i sensi ed i ragionamenti, curandone l’intelligenza ed il raziocinio, li rendevano consapevoli e gli insegnavano da un lato l’indipendenza e dall'altro l'onere dei loro doveri Strenia: simbolo del nuovo anno, di prosperità e buona fortuna Subigus: dio che sottomette la sposa alla volontà del marito Summano: dio dei tuoni e dei fenomeni atmosferici notturni Terminus: dio dei confini dei poderi e delle pietre terminali Tellus: dea romana della Terra e protettrice della fecondità, dei morti e contro i terremoti Tiberino: dio delle sorgenti e del fiume Tevere Trivia: dea della magia, degli incroci, degli incantesimi, degli spettri e protettrice degli incroci di tre strade ed era la potente signora dell'oscurità, regnava sui demoni malvagi, sulla notte, sulla Luna, sui fantasmi e sui morti, associata anche ai cicli lunari rappresentava la Luna calante. Era invocata da chi praticava la magia nera e la necromanzia Uterina: assistente alla puerpera nel momento delle doglie che aiutava a superare il dolore delle doglie Vacuna: patrona del riposo dopo i lavori della campagna. Divinità di ampio utilizzo, ma soprattutto riconosciuta e invocata per la fertilità, legata alle fonti, alla caccia, e al riposo Vaticano: dio la cui funzione era assistere i neonati nel loro primo vagito Veiove: protettore dell'Asylum, il bosco sacro di rifugio che si trovava nella sella del Campidoglio Venere: dea della bellezza, dell'amore e del desiderio Verità: dea e personificazione della verità Vertumno: dio della nozione del mutamento di stagione e presiedeva alla maturazione dei frutti Vesta: dea del focolare, della casa e del cibo Vica Pota: dea della vittoria e della conquista Victoria: dea della vittoria e dei giochi Viduus: dio minore, deputato a separare l'anima dal corpo dopo la morte Virginiensis: dea che scioglie la cintura della sposa Viriplaca: dea romana che "placa la rabbia dell'uomo" Virtus: divinità del coraggio e della forza militare, la personificazione della virtus (virtù, valore) romana Volturno: dio del fiume Volturno e patrono del vento caldo di sud-est Volupta: personificazione del piacere sensuale Vulcano: dio del fuoco, della metallurgia e dei vulcani, protettore dei fabbri Festività Lo stesso argomento in dettaglio: Festività romane. Consualia Fontinalia Fornacalia Lupercalia Nettunalia Parentalia Saturnali Primavera sacra Floralia Località -- Averno (lat.Avernus) Campidoglio Cariddi Lete Palatino Stige (lat.Styx) Personaggi, eroi e demoniModifica Almone - eroe Anteo - eroe Ascanio - eroe Caca - demone Caco - demone Camene - demoni Camerte - eroe Caronte - demone Cidone e Clizio - eroi Clauso - eroe Clelia - eroe Curiazi - eroe Didone - personaggio Egeria - demone Enea - eroe Ercole - eroe Eurialo e Niso - eroi Evandro - eroe Fauna - demone Fauno - demone Feziali - eroe Flamini - personaggi Galatea - demone Lamiro e Lamo - eroi Laride e Timbro - eroi Lavinia - personaggio Lica - eroe Luca - eroe Marica - demone Messapo - eroe Murrano - eroe Numa Pompilio - eroe Orazi - eroi Pallante - eroe Pico - demone Pontefice massimo - personaggio Publio Cornelio Scipione Psiche - personaggio Ramnete - eroe Rea Silvia - personaggio Remo - eroe Reto - soldato Romolo e Remo - eroi Salii - personaggi Salio - eroe Serrano - eroe Sibilla - personaggio Tagete - demone Tarquito - eroe Terone - eroe Tirro - personaggio Turno - eroe Ufente - eroe Umbrone - eroe Venulo - eroe Vestali - personaggi Volcente - eroe PopoliModifica Aborigeni Equi Latini Marsi Messapi Rutuli Sabini Troiani Volsci. Ferro e Monteleone, Miti romani. Il racconto, Torino, Einaudi, 2010. Anna Ferrari, Dizionario di mitologia, Torino, Utet, Voci correlate Religione romana Sacerdozio (religione romana) Numen Mitologia Mitologia etrusca Mitologia greca Dodici dei (religione romana) Quirino (divinità). Portale Antica Roma   Portale Letteratura   Portale Mitologia Ultima modifica 5 ore fa di Pulciazzo PAGINE CORRELATE Lista di divinità lista di un progetto Dèi Consenti dodici dèi principali della mitologia romana  Triade arcaica Wikipedia Il Conte Tullio Dandolo. Tullio Dandolo. Dandolo. Keywords: storia della filosofia romana – ambasceria di Carneade – e tutto il resto! -- “Il secolo di Augusto”; “Roma e l’impero fino a Marc’Aurelio” “Corse estive nel Golfo della Spezia”; roma pagana “indici ragionati degli studi del conte Tullio Dandolo su Roma pagana” -- -- Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Dandolo” – The Swimming-Pool Library.

 

Luigi Speranza -- Grice e Daniele: la ragione conversazionale e l’implicatura conversazionale numismatica – scuola di San Clemente – filosofia rimenese – filosofia emiliana -- filosofia italiana – Luigi Speranza (San Clemente). Filosfo san-clementino. Filosofo riminiano. Filosofo emiliano. Filosofo italiano. San Clemente, Rimini, Emilia-Romagna. Grice: “Daniele is an interesting philosopher, if you are into numismatics, his pet topic!” Figlio di Domenico e Vittoria De Angelis, studia a Napoli, dove frequenta gli intellettuali della città. Entra in amicizia con vari studiosi tra cui Genovesi, Cirillo, ed Egizio. Cura un'edizione delle opere di A. Telesio, illustre filosofo cosentino, lavoro che gli procurò l'interesse di intellettuali di giornali letterari dell'epoca, specialmente per l’epistola dedicatoria e la vita del Telesio filosofo in purgato latino. Cura la pubblicazione le “Opuscoli” di Mondo, che era stato il suo primo maestro, premettendovi una dotta prefazione di tutte le veneri e la grazie pellegrine dell’idioma toscano, che merita gli elogi di Zanotti. Pubblica le nuove “Orazioni” latine di Vico, ch’erano state lette da quest’altissimo ingengno mentre filosofava sull’eloquenze e la colloquenza alla Regia Univerista. Publicca la l’aureo romanzo de Longo – que sembra dettato dall’amore, reso in volgare da Caro, con deliziosa e spontanea gracia, faciendo un dono preziossimimo agli ananti della toscana favella – corredandolo di una dotta prefazione escritta con ammirabile purita di lingua. A San Clemente cura le proprietà della famiglia. Si dedica al studio dell’antico e agli studi della classicità acquisendo documentazioni – collezione epigrafica -- e creando una collezione di oggetti antichi legati al territorio di San Clemente. Pubblica una critica ad alcuni studi sulle storia di Caserta (“Crescenzo Espersi Sacerdote Casertano al Signor Gennaro Ignazio Simeoni, un ufficiale di artiglieria napoletano”). Il marchese Domenico Caracciolo lo fa richiamare a Napoli dove entra nella segreteria di Stato. Riordina la raccolta delle leggi e dei diplomi dell'imperatore Federico II. E nominato "regio istoriografo", carica che era stata di VICO (si veda) e di Assemani. Alla carica era associato un sussidio economico. Pubblicò Le Forche Caudine illustrate (Napoli), lavoro che gli permise di entrare all'Accademia della Crusca. Ricoprì nella Reale Accademia di Scienze e Belle Lettere, creata da Ferdinando IV, la carica di censore per le memorie delle classi terza e quarta. Riceve l'incarico di sistemare la biblioteca della Collezione Farnese, in seguito confluita nella Biblioteca di Napoli. Divenne uno dei 15 soci dell'Accademia Ercolanese, dove cura la pubblicazione degli studi su Ercolano e Pompei. Suo malgrado anzi fu coinvolto, a causa della sua vicinanza con gli intellettuali vicini alla repubblica, nei fatti che successero dopo la caduta della Repubblica partenopea. Perse tutti gli incarichi e di conseguenza torna agli amati studi. Pubblicò un saggio di numismatica, Monete antiche di Capua, con la descrizione delle monete capuane di cui sei inedite. Sotto Bonaparte, riottenne le sue cariche e l'anno dopo divenne segretario perpetuo dell’Accademia di storia e di antichità e fu nominato direttore della Stamperia Reale. Fu anche socio dell'accademia Cosentina, della Plautina di Napoli, e dell'Accademia Etrusca di Cortona. Altre opere: “Antonii Thylesii Consentini Opera” (Napoli); “Crescenzo Esperti Sacerdote Casertano al Signor Gennaro Ignazio Simeoni” (Napoli) – una lettera sotto un falso nome in cui dimonstra la vera origine di Caserta --;  “Le Forche Caudine illustrate” (Caserta) – dove stabilisce il vero luogo ove furono piantati que’ gioghi sotto cui passarono le vite legion romane, provando con compoisoa e ben adattata erudizioone, chef u la Valle d’Arpaia, contro l’opinione di Cluvero, Olstenio, e di altri eruditi di chiaro nome --; “I Regali Sepolcri del duomo di Palermo riconosciuti et illustrate” (Napoli) – imprese anche ad illustrare le tombe de’ re di Sicilia. Rispende in questa la purita della lingua, e la ‘erudizione piu estesa, che possa desiderarse tanto nella patria storia degli antichi tempi,, quanto in quella del medio evo --  “Monete antiche di Capua” (Napoli)  dove interpreta le antiche monete di Capua gia pubblicate fino al numero di dodici, ne pubblica altre sei del tutto ignote agli eruditi; e nel fine dell’opera tratta in un erudite discourse del culto di Giove, di Diana, e di Ercole presso i Campani. Opera inedita: Ricerca storica, diplomatica, e legalle sulla condizione feudale di Caserta; Vita e Legislazione dell’Imperatore Federico II, “Codice Fridericiano” contenente tutta la legislazione di Federico. Propurca l’onoro di iiverine region storiografico, segretario perpetuo dell’accademia ercolanese e l’accademia della Crusca.– che le merita membro della Crusca – Vita ed opuscoli di Camilo Pellegrino il giovane; Topografia dell’antica Capua illustrate con antichi monumenti; Il Museo Casertano. “Cronologia della famiglia Caracciolo di Francesco de Pietri” (Napoli). Dizionario biografico degli italiani, Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Danilele epigrafista e l’epigrafe probabilmente sua per la Reggia di Caserta,La collezione epigrafica del Daniele a Caserta; Una pagina di storia dell’Anfiteatro Campano, Francesco Daniele: un itinerario emblematico, in classica a Napoli, La famiglia Daniele e i suoi due palazzi in San Clemente di Caserta: note genealogiche ed araldiche, descrizione degli edifici superstiti e ipotesi e proposte per la loro corretta attribuzione”; Daniele e lo studio del mondo antico” -- Lettere di Francesco Daniele al principe di Torremuzza”; “Lettera di Francesco Daniele a Giovanni Paolo Schultesius, Lettere di Francesco Daniele al dottor Giovanni Bianchi di Rimini” Pseudonym: ‘Crescenzo Esperti’.  Francesco Daniele. Keywords: filosofia antica, roma antica, filosofia romana, l’antico in Roma antica, l’antico, idea dell’antico, ercolano, pompei, collezione farnese, palazzo Daniele, San Clemente, Caserta. Opera di Mondo, A. Telesio. “Regio Istoriografo,” carica cheera state di Divo e di Assemani, Giove, Diana, Ercole, Campania, le vinte legion legion romane, l’origine di Caserta, A. Telesio, filosofo. Mondo, filosofo, opuscoli. Romanzo di Longo reso in volgare da Caro, vita di Talesio, orazioni sull’eloquenza di Vico, valle d’Arpaia, gioghi, re di Sicilia.  Numismatica romana studio della monetazione romana Lingua Segui Modifica Ulteriori informazioni A questa voce o sezione va aggiunto il template sinottico {{Coin image box 1 double}} La numismatica romana studia la monetazione romana, cioè l'insieme delle monete emesse da Romae dal suo Impero dalla prime emissioni di monete fuse, delle monete romano-campane sino alla fine dell'Impero Romano.  Articolazione della materiaModifica monetazione romana repubblicana monetazione imperatoriale monetazione imperiale monetazione provinciale La monetazione repubblicana comprende monete dalle prime emesse da Roma sino alla guerra civile.  La monetazione imperatoriale comprende monete emesse nel periodo delle guerre civili, dai vari generali in lotta in virtù dell'imperium posseduto. Alcuni studiosi non accettano questa categoria ed includono queste monete in quelle repubblicane.  La monetazione imperiale romana comprende monete emesse dalla nascita del principato fino alla fine dell'Impero romano.  La monetazione provinciale invece tratta di quelle monete che sono state emesse da colonie ed alleati di Roma. Si tratta principalmente di monete sussidiarie o di monete emesse dagli imperatori romani utilizzando tipi che fossero meglio compresi da popolazioni di lingua greca. Spesso queste monete sono indicate col termine di coloniali. Una volta erano anche chiamate Greche imperiali.  I punti più rilevanti nella monetazione romana sono l'emissione del denario nel III secolo a.C., l'emissione dell'antoniniano da parte di Caracalla nonché lo studio del sesterzio vero e proprio veicolo di propaganda dell'antichità.  Sono anche fondamentali le riforme monetarie di Augusto, Caracalla, Aureliano e Diocleziano.  Classificazione delle monete romane repubblicaneModifica  Antonia 1; Syd. Craw. 364/1b  Pompeia 1; Syd.; Craw. 235/1a Per le monete repubblicane uno dei riferimenti più usati è il testo di Babelon (Description historique et chronologique des monnaies de la république romaine vulgairement appelées monnaies consulaires) pubblicato in due volumi nel 1885-1886. Nel testo viene utilizzata la suddivisione proposta da Eckhel:   monete fuse monete romano-campane monete anonime, senza cioè l'indicazione del magistrato responsabile dell'emissione monete divise per gens. All'interno della gens le monete sono catalogate in ordine cronologico. Le monete vengono quindi indicate con l'indicazione delle gens ed un numero progressivo: ad es. Claudia 6, Pomponia 1. La Description di Babelon è stata ristampata.  Altri lavori più moderni sono quello di Sydenham e quello di Michael H. Crawford, che elencano le monete in ordine cronologico.  Il lavoro di Crawford è il più recente sulla monetazione repubblicana. Nell'elenco delle monete il primo numero indica il monetario mentre il secondo numero indica la singola moneta.  Sydenham, E.A.: Coinage of the Roman Republic Crawford, Roman Republican Coinage. Quest'ultimo lavoro è considerato il migliore attualmente esistente  Bisogna anche citare due studi particolari:  Campana, La monetazione degli insorti durante la guerra sociale, l'unico studio approfondito su questo tema, che riporta anche il corpus completo e lo studio dei coni. Thurlow, B. - Vecchi I.: Italian Aes Grave and Italian Aes Rude, Signatum, and the Aes Grave of Sicily, sulla monetazione fusa in Italia e Sicilia. Classificazione delle monete romane imperiatorialiModifica Non esistono pubblicazioni specifiche che classifichino le monete di questo periodo. Si usano sia testi sulle monete repubblicane che testi sulle monete imperiali.  Alcuni dei testi sono già stati analizzati per le monete repubblicane e sono:  Babelon, E.: Monnaies de la République Romaine, che usa la divisione per gens. Sydenham, E.A.: The Coinage of the Roman Republic, che usa una suddivisione cronologica e si ferma grosso modo al 36 a.C. Crawford, M. H.: Roman Republican Coinage. Altri testi, che riguardano anche la monetazione imperiale sono:  Cohen H. Déscription Historique, un testo che riguarda le monete dell'Impero Romano e che il più usato per classificare le monete imperiali Roman Imperial Coinage (a cura di Mattingly e Sydenham). Classificazione delle monete romane imperialiModifica I testi di riferimento per la monetazione imperiale sono i "Cohen" ed il RIC. Cohen: Déscription Historique des Monnaie frappées sous L'Empire Romain, comunemént appelées Médailles Imperiales. Riguarda le monete dell'Impero Romano e che il più usato per classificare le monete imperiali. Ovviamente ormai molte delle informazioni contenute sono diventate obsolete. Copre le monete emesse Le monete sono ordinate prima cronologicamente per Imperatore, poi per l'ordine alfabetico della scritta al rovescio. Questo ordine, certamente poco scientifico, comunque permette di identificare abbastanza rapidamente la moneta. Roman Imperial Coinage, Nove volumi a cura di Mattingly e Sydenham -- è lo standard di riferimento per le centinaia di libri e cataloghi di collezioni su questo periodo. Mommsen: Die Geschichte des römische Münzwesen - Berlin Tr. fr.: Histoire de la monnaie romain. Paris (Ristampa Graz  Ristampa Forni) Burnett: Coinage in the Roman World,London: Seaby, Sutherland,  Roman Coins Harl: Coinage in the Roman Economy Thomsen, Early Roman Coinage: a Study of the Chronology, 3 voll., Copenaghen, Repubblica Babelon, Description historique et chronologique des monnaies de la République Romaine vulgairement appelées monnaies consulaires, 2 voll., Paris, Rollin et Feuardent (ristampato da Forni). Alberto Banti, Corpus Nummorum Romanorum. Monetazione repubblicana, Firenze, Banti editore, Gian Guido Belloni, La moneta romana. Società, politica, cultura, Firenze, NIS, 1993. Gian Guido Belloni (a cura di), Le monete romane dell'età repubblicana. Catalogo delle raccolte numismatiche, Milano, Comune di Milano, Crawford, Roman Republican Coinage, London, Cambridge, Crawford, Roman Republican Coin Hoards, London, Royal Numismatic Society, Sydenham, The Coinage of the Roman Republic, New York (Durst). ImperoModifica Alberto Banti, I grandi bronzi imperiali, Firenze, Banti, Cohen, Description des Monnaies frappées sous l'Empire Romain, II ed. Paris,  H. Mattingly - E.A. Sydenham (et al.), Roman Imperial Coinage, Londra, Montenegro, Monete imperiali romane, Con valutazione e grado di rarità, Torino, Montenegro edizioni numismatiche, Seaby, Roman Silver Coins, Second edition, 4 voll., London, B.A. Seaby, 1967-71. David R. Sear, Roman Coins and their Values, Millennium edition, 3 voll., London, Spinx, Monetazione romana Monetazione romana Monetazione fusa Monetazione romano-campana Monetazione romana repubblicana Monetazione imperatoriale Monetazione imperiale Monetazione provinciale Monetazione bizantina Monetazione italiana antica Collegamenti esterniModifica Sito con le immagini delle monete repubblicane ed imperiali, su wildwinds.com. Introduction to Roman Coins by The Museum of Antiquities on the University of Saskatchewan, su usask.ca. Risorse numismatiche on line. Università di Bologna, su numismatica.unibo. Rassegna degli Strumenti Informatici per lo Studio dell'Antichità Classica: Fonti numismatiche, su rassegna.unibo.it.   Portale Antica Roma   Portale Numismatica Ultima modifica 2 anni fa di Messbot PAGINE CORRELATE Numismatica studio della moneta e della sua storia  Monetazione romana repubblicana monetazione di Roma repubblicana  Roman Imperial Coinage catalogo britannico delle monete romane di età imperiale  Wikipedia Il Daniele. Keywords: implicatura numismatica. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Daniele” – The Swimming-Pool Library.

 

Luigi Speranza -- Grice e Dati: la ragione conversazionale e l’implicatura conversazionale dell’ELEGANTIOLÆ – scuol di Siena – filosofia sienese – filosofia toscana -- filosofia italiana – Luigi Speranza (Siena). Filosofo sienese. Filosofo toscano. Filosofo italiano. Siena, Toscana. Grice: “Dati is a good one if you are into Ciceronian rhetoric as given a running commentary by an unknown philosopher from Siena! – But mind, he also wrote, like Shropshire, on the immortality of the soul!” Noto per il suo manuale di grammatica Elegantiolae. Erasmo lo loda come uno dei maestri italiani di eloquenza. Nato da una agiata famiglia senese, passò la maggior parte della sua vita a Siena. Studia con Filelfo. Dopo aver insegnato per qualche tempo a Urbino, torna in patria e insegna retorica. E nominato segretario di Siena. Altre opere: Elegantiolae. L'Isagogicus libellus pro conficiendis epistolis et orationibus fu stampato per la prima volta a Ferrara da Andrea Belfortis. Elegantiae minores; “Opusculum in elegantiarum precepta cum Jodoci Clicthovei Neoportunensis et Jodoci Badii Ascensii commentariis; “Ascensii in epistolarum compositionem compendium”; “Sulpitii de epistolis componendis opusculum”; “Tabule in Augustino Datto contentorum index”; “Francisci Nigri elegantie regularum elucidatio”; “Magistratum Romanorum nominum declaratio”; “Ortographie regularum Ascensiana traditio. De grecis dictionibus apex ex Tortellio depromptus.” “Augustini Datii Senensis opera (Siena) – include diciassetteopusculi: I piu importanti sono: “Oratium libri septem”, “Fragmenta senensium historiarium libris tribus; “Isagogicus libellus pro conficiendis epistolis et orationibus” ristampato “Elegantiarum libellus”. Le Elegantiolae, ristampato ocon cari titoli, era considerato "il manuale par excellence". Sirve da base per i “Rudimenta grammatices” di Perotti. Dizionario biografico degli italiani, Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, “Plumbinensis Historia”, Firenze, Sismel Edizioni del Galluzzo. Vedi Bandiera, “De laudibus eloquentiae”. BOpSTr . JULLgi  I et o=w zxt ri (yauM^ -zn j  r  J *  cm    (jflV<3 VSTINI DttTI Senensis Ifagogi?  cus libellus in ELOQUENTIAE PRECEPTA ab JPvnbrea b«=  mini ctyriftof eri filium f eliciter incipit/ 8  Rebimu giam bufeumaplcnfcKviiris i etiam bifertiflimis perfuafiitum be- v ', t v tvr,  mum artem quepiam in bicebo non . ^«,'<$•/ J nuliam abipifcu y fi veteru fectatu vef 6  tigia/optia fibi quifcp feper ab imita  bum propofueriFTNecj^ eni qui biutius I.M» CICERONE lectione veriatus fit,n5 m bicebo/et ornatus et copiosus esse poterit. Na et fjorribiora cre= i,•.»>>brius cofectati l ipfi qucqp anbi ieiuni et inculti fi  ant neceffe eft. 4j Lectitati igitur micfyi CICERONE volumina Cque ELOQUENTE parentem appellaueri) - j pauca anotatioe bigna vifa fut. iquibus fi vtemur 41   vulctanufermoneaipernati/ab eloquetiamrroxi i s i mius.accebemus/ v  PRECEPTVM I varietati/comutati onio vt ftubeamus/ t   d Seb cu ib i primis quirc| abmouebus fiti quob  rfyetor ille biligetittimus et inlignis abmobu orator sabius Quitilianus be oronis partibus bicere cofueuit.J Meq; eni leges fut oratoru / quaba velu- .   tiiniu.atihj Kceflitdtecoltitute; ncc roaaiignibus < L -v* GI-NEVIEVM; vt i&cm bicebat)plebifl ve fcitis.Tancta [vt ifta PRECEPTA. feb vti in ftatuis picturis pozmatibus ccte=  rif^ita quocgin exornaba viri eloquentis oratione  plurimum feper roboris ac vcnuftatis r;abuit varietas . &tc$Cquob bici ibfet) tenenbu cauenbucj illub est antc omni ainears vlla bicebi u fieri poteft fTe vibeatur. Hec igitur lex prima fit comutafionis varietatiTaj/qua erubitoru aures nobiffi  cile iubicet. ilHoc iajtar iacto fubaireto /per  pauca beitfps fcritan C 7>vnorea amicc fuauilhme  qae et fi ron femper^ vt plurimi m tamen l; is rationitus titi feruar.ba erunt t fcb iam nofiri ialti'  tuti ita nafcetur exorbium.  (JBecunbum preceptum be fitu fuppofiti/ verbi  etappctti i oratione;   ^Jplcrua; enim qui oratorie artis fforibussc  faleratis. Vtaiu Ove ibis ftufccntkotratnu  vulgataci gramaticorum confuetubinem bamna=  tcsi quob in calce abiolute orationis locari cofue uitiib illi potms coaptantinicioi quob oir.ne tibi  exemplo erit manifeftms. £cis plena orationer a  conltaretribus partitus. qucb SUPPOSITVMCvteorum ipforum vocabulis vtar)quob verbu/ quob APPOSITVM vocant. Diciit igitur nramatici {SCIPIONE afiicanus telcu A l.aitf; £gin«ri, ciwticrie vcro L  r   h   1 r   l eloquii bemines couerfo potius vtuntur orbine. Al-*— a  liarttjacune lcipio africanus &eleuft.illi.'M/r. CICERONE (si veda) vtitur famuiariter. p4cntulo.no8 vero.'p«le^ *f'**T  tulo. CICERONE farmliarir vtitur. Quib? tf^'J*t-r  me exeplis patere arbitror appofitum prirnu 1 owr^V^ * > tione/fuppofitu mebiul nouiflmuiverolocu ver^^  bu tenere.([Seb et u quib Cpro graraaticor5 «•*. A;  re)poft appofitu fitum eriti ib iitio oratioms poi^J^ L-Scncr^^. ras. Ligurgus conbibit fancttflimas legcs lacebc* *~i awu^yfc.  monis. Lacebemonis fanctillimasIecreB ligursr..^*- <*, e ~3  aus conbibit.mulfag; cofimili ratione* ~pao„tfi^c,  i !*.l.*-«*«_i k  igitur pieruncj principioappomturi hppoiitutnf^/ mebiojline vei bum.vtanopagu folon. fclammuBf™  primu coftituit vbi granwtici bicut j fol5 primus,  coltituitanopasum. {[Ceterum biueriis orttmcv  feus i et iocis tollocabe fut partes pro aunum iu*r7 " a ^ fW  do j quob quibem folo vfu coparatur ^ a*A  PERCEPTUM III be abuerbioru fitu |*r^ lam vero be abuerbiisC que funt veluti abiecjjftc verb?rum)5id poteft pauW vbi uia lpci A effeivfei bemu aptius congruere vifa tuerint«mos  bo in principioJmobo in finelmobo intenecta m<  ter vti ucg.qua in re biligeti vtenbuin est conhho  Seb prope verfcum frequetius per venuftam rebbunt oratione. vt fabius maximus ante alios fortiter atcj animofe pugnauit.C.lehus fcipioe fami  hanfume vtebatur. Qementiflimus ceiar l?umiti=  teHcjngfcebat. Nunc vero ab rehqua .  {jQuartu preceptum be prepofitionu/et  integrarum pferumaj orationuiteriectioet  inter NOMEN SUBSTANTIVVM et abiectiuum; PROPOSITIONES pcrpulcf;rc intcr fobftafiua at  q abiectiua nomina interiiciutur.vt feraci in agro  ornatiflimo in loco.maximas ab res.fyanc ob caufam. iuftis be caufis . aliacji l;uiufmobi complura Ncc prcpofitionea folum (kb alia pretcrea eiufc»  mobi nuncfumemus eyempla. Maxima i rep. biligentia. magna in parentes pietas increbibilis m  omnes ciues obferuantw.fummain l;oftes hbera   PRECEPTVM V be fmedecticne genis   fiuora iter buos nominatiuos/et ecotra.  7Ktq etiarn pulcf;crriinu i iter buos cafus / puta nominatiuo e buos/ahquib cotmue pomtur. Vt om  »ia reip.iura coftates miljtum ammi.macma fces  <  i»   f  m leratorum fyominum flagitiaf Bcouerfo etia cofti   tuta ac trafpolita oratio piurimu exornah Vtl?u   ius daritubo viri.fyuius qmrites auctoritate locif   Ci VI PRECEPTU beabiectiuorufituf Venufte etiam pieruqj precebit abiectiuum nome   fubft4tiuum. Vt tua bigmtas«optimavirtus»biui   »u igemuin.exquifitaboctrina*Magni ehirefert/   quo ioco quecg bictio iita fit. quob teftatur BOEZIO (si veda) in iis comontariis l quos in ariftotelis librum   cofcripfit.vbi et CICERONE et VIRGILIO (si veda) ponit exepla  BOEZIO autem ipsius fyec verba fut  Sfenim c£tum   ab copositionem orationis fpectaf/ maximum bif f ert l quo VERBA ET NOMINA predicationis sue ordine proferantur. Multum enim itereft in eo quob f* A ait CICERONE^bb9ncteamctiamnaturapeperit-'volutas exercuit/fortuna fcruauit ita bixiffe vt biz J ;   ctum eft/an lta ab Ijanc te amentjam peperit naf u +4 £ j ^   raiexercuitvoluntasiieruauitfortuna* jSicei'im>>'  »   minor elt fetentie magnitubo. minuf^ in ealucet _^.^ v   ib quob fi fic coponatur emmet i et fefe vel nolentib«s i^ominum aunbus/aifqj patefacit « Rurius   quoqi bicit Virgduis pactqj iponere moremipo^   iuilfet feruaffe metrum li ita bixifiet l moreq? imponere paciifeb elt bebilior fonus* nec eo lctu ver   fus ta preclare vt uhc compojitue oiceretur* quod ibera non eft apub byalcticos . ljcc BOEZIO . Nuc   aorciiqua;   <J Septimu preceptu bc fitu ncgatiue bictionisf   Negatiua bictioapte i calceoratioms ponitur» Vt   preitanticrem te vibi nemi :em. Scipicne clario=   re m bellicis laubibus iuenies nemincm.Tua er=   ga me BENEVOLENTIA tuo in me aimo gratius e ni= cbil.gui tearoenti js amet.' fyabes nemine (jfpctauu preceptu be pouellcns ante pof= fefnonem fitu/   S8D et polleffor ate poifeffione. Vt opti viri bi uitie. preftantis viri virtus.prubetifumi fyominis   confilium;   dHonu prcceptu bc vlu gerunbiuorum   nominu pro gerunbus;  CXVIQ vero pull?i-ms.'§ £i pro gerunbiis que   appellant vtamur gerubiuis nominibus. 7Kc trjs  tu e prifciani exempiu . Veni ca amabi virtutem/ vcni amabe virtutis caufa.gra gerebi bella t geren=  borum bellorum gratia.ab amplexaba virtute ma  gis.qi ab amplexabum virtute. Que vna preceps  tio optima eft.crebraq? cius apub.M.T.aLolqj cloquetes viros tuit cbleruatio;  {fPecimu preceptu be congruentia nominis relatiui $kruq, cum consequente/. Nunc aatem mu!ta confkiam. quc li biligeter ab uertensmb pavu ornatus ktino cobucent elo=   quio.Seb ib micfci imprjmis aniabuertenbu vibe   tur,'vtquom tna luerint^antccebesJ cofeques/ et   eorum mebiu relatiuu nomeifr fitib confequens/ vel l?ominis / vel rci cuiulpiam propriu nome.' re  LATINV cofequeti femper cogruat.ftlioquin no LATINA ORATIO fit ( fcb a boctiUimorum fyominu consuetubine longe ahena, frhas poteft cum aiterutro   conuenire fi ncn con cquatur propi ium ncmen. Qua rem facile exempla beclaratiet prifcoru auctoritafes coplures. CICERONE primo TVSCVLANARV quefhonum.btubio fapietie que pl ia bicitur. Et   fexto be rep. contilia - cetuigj fycmmu mre fcciati; que dujtates appellantur. Mq lteru i cx illis lem=   piternis ignibus/ que vcsfytera etfteliasnucus   ett.s.Saluftii quoq; llluo tritum cft, Eftiocus in   carcere quob tullianu appellatur/inuncrabilia h   netufiis cobicibus ib genus iucnias.Hcc ib e ara=   maticeartis vitiumiquobquibam Ljnari littcraru   arbitrantur.Seb et nos ahquio exemplorum af fe ramus predarum est CICERONE opus(qui cato ma   ior bicitur.nam quob CATONE MAGGIORE bicitur /non ia=   tinc profertur. Confiiniliter vrbis vifcenbus con   ilcr.bu eft i qui iut ciucs. pcrbiti vin cx vrbibus  pellenbi funt /que eft ciuitatum pernities fentina  Sebecoris. Plerunq* igitur relatiuum nomen cura  eo concors eft quob fequitur/  CjVnbccimu preceptum be cogruentia in cafu   ex trib^/eoru buoru que proximius iugutur^  Illub quoqj fpectabum efttNam cum tria exiftant  qaorum vnum relatiuum lit nome;frequetihime  coram buo in eiufbem cafus exitu conuemut/ na  vt exempli caula bicam aliquib Si quis l?unc fer  monem protulerit l liber in quo be virtutc agitur preclarus eft .rectius atqj ornatiusbicitur;in quo  hbro be virtute agitur/predarus eft. Concorfcant  nantj eobem cafu ex tnbus buo llla que maion vi  cinitatc iuncta funti ahub lterum exemplum ^u^  iulcemobi fit* Qaias mifif*i htteras ab mc locubc  f jerunt. Sermoce queaubifas no eftmeust Qua  exiftirras bemoftI;eIs orationem /cfcJ^ms elt. atq  Ijuius fermonis crebru muenii e potens apub vetercs vfum.M.T.officioru pricnoi quorum autcm offinorum precepta trabutur  ea quancy p«  tincant ab finem bonoriu Virgihus Maro m ene  ibc/ vrbcm quam ftatuo veftra elu Terentius in i  bna/poltl^ac quas faciet be integro comebi.s fpec  tanbc an exigenbe funt vobis prius.Ibem.populo vt placcrcnt quag f ecilfet fabulas* Ibem, quaa  t  r   creois cffc \)islno funt vere nuptie. $tcj eiufrao   bi fermo plurimum exornat;  (JDuobcc.mu preieplum t e auxefi potxti ucrum cum per;  3D c.ucxj oigmlfimu cft annotatu. vt quom pofi=  tiud€<auger^ velimus normnaivtnsper prepofi  f um aecebdt.Gcero m cpjftola ab cunonemkui z  cai us eque fisiet teriocunbus . Ibcm be oratore  p r;m o.perboati quite frater ilhviben folet.Tere.  in eunucr;o. perpulc^ra irebo bona fyaub nof tns fi  miha.nam pergratum vaibegratum fignifrcatM  in cratione Jepibe p crfonat;  (jTrebecimu PRECEPTVM XIII be fuperJatmis cum multo/longe/et §;  PST fupcrlatiuis /inulto/ioge/et qj abuerbia pre  ponimus ibqj fepenumero pei pulcl;ru viberi fo^  let. Vt longe amatilfnnus veftri.mulfo ommu  foituanllmus-St acjo tibi q-maxias gratias  (JJDerimumquai tum preceptum be com parati uis cum multo / aut longc . GOMPAratmis vero vel multo vel fonge p  poni Jblet. Vt mfticia multo predarior eft ceteris  vir tutibus.8t  Socrates loge aliis pfyis fapientioi }  (jDecimuquitu preceptu be quibufba noibus  quc agrecis prpfecta/bccfinatiorie mutant,  ({ILLVD nequacp omifc;'imus,'q> quom nomina  quepiam funt profccta a grecis tertie fiex.onis d  obiiquos cafus fjabentia qui rectum bperanttf»  tini oratores rrequentifume calibus ac.uf tiuis il=  lorum quibufbam immutatis fmgunt ahamm be  dinationum nomina et genus feruant . qualiafut poematum EMTYMEMANTVM o ELIPSIIM elegantus ctlampaba^aue a plerifg?tertia flettione pro  ferutur poema ENTYMEMA /beipbin/ ELIPSIS as lapas . fyanc tu obleruationem biligenter manba memorie/ (TDecimu fextu preceptu vteleganferoftebemus   quippam nobis eife/iocubu/ vtilc/ vell) Onestus et   ettevaibgenus;  JXuo aut volumus oftebere nobis aliquiD jocti  bu/^oneftum/vtile eftei batiuis cil verbo vtimur  fum/es/elt fubltatiuoru/ quoru illa abiectiua fut  Mi(ne ab exeplis bilceba^quib aiiub iignif icat l?«e  res raicfy locunbitati eft JcJ bec res eft micfy iocubVlbemc$ l lpfe micfyitue littete fuerut gaubioquob elt ab gaubium vel gau&iu micfyi attulerut.  Predara vrbis ebificiaciuibusbecorifunt. Vitia  bsbecon ful viris Jibeft bebecus pariut viris beq   ceteris colimriiratione; ([Decimufeptun preceptu be af ricio et af Fiaor»  <l   k.   m  «#"» Vevbum aftido Jet pulcfyru eft/et late patet.nam  afficio te voluptate ibciit tibi voluptate affero. M  i icio te fyonore lbeft facio tibi Ijonoi em et te fycno  ro.aff <cio te laubibus l&efi tc laubo. affkio te pro  bro lbelt vitupero te . afficio te comobis lbeit tibi  ccnioba facio.afficio cabauera fepuftura lbcft caba  uera icpelio.T^if icio inimicos miuria tbeft facio i  iunam mimicis, 7\tq fimihter affiaor bolore lbe  boleo.af ficior gaubio ibeft gaubeo. aificior vere?  cubia ibelt verecunbor. Latiilimacj eftlmius ver=  bi vlurpatio.Nec tum lateat tc/af f icerc bifponere  ficjmficare.Hinc eft plauti iflub/ viua vos magis  arficit.Neq} cnim fme optimis caufis ta l&ta / tao;  bilfula fit eius verbi SIGNIFICATIO feb be i?oc latis; Cj PRECEPTVM be tum vel   et «jeminatis . (jxviii > Non eit aute ignoranbu cp i\ ouo/ aut plura buotus Cquob perraro vfu velt)paritcr fe l;abuennt.'  vtri<$ tum bictiomm prepcnemus.Qoicb Iiqueat  exemplo.Par eftin.C. lelioboctrina/ ac virtus.  qitacj dt eius viri pvobitasitata quoc| ett eius fci=  entia, tunc lf lenbibe / ac rccte bixcrim . C. lcfius  vir tum boitus e/t/ tum probus •Itibemcji magna  ineit.M.C.ieiiotum virtus/ tum etiam boctrina   C« ivltus p..uMnu tu iaute/tu reru icietia valet OTub iterum exemplum» tfyemiftocks tum confilio polletin vrbams rebus/tui beliicss negociis  viribus atcg animi magnitubine f ioret . Stc eni tatum oftebit in rebus vrbatiis effe cofiiium cjtj in  beilicis magoif ubinem animi <$ tum geminatum  pofitu eft*Seb eanbem quoqj vim fyabet .jeminata  et coiuctiua Virgiliusi eneibe.MuItum xlle et ter  tis iactatus et alto. ibe profecto fignat.'eneas t tum  pelagi /tum terrarum labores perpeffus eft.7?vfri  canus fuit figularis et vir et imper.ator l lbem Qy>  vult« africanus magnus extitit tum vir tuntfmpe  i-ator ; (J Preceptu be cu et tu  (JxixQi fi buo contra nequaty paria futi (eb aheru mi=  bus complechtur /alteru vero magisiita etficiens  bum eft* vt quob leuius exiftit locemue pnus/at=  cj ei cum bictione preponamus.quob aute grauius valibmf$.'ib pofterius politum/ tu bictio pre=  cebat.Qoiob patefaciemus exemplis Gielius amat SCIPIONE propterea <$ eu boctum cognouit  fyominem/et fempzr virum optimum/ quob poItremu vefyemSter ab amorem impellit. quare ita  oratio eft inftituenba« G. lelius amat lcipionem tu  ob boctrina eius tu propter virtute. ita virtus in  fyac bemuoletia pius mometi fyabet. JPvtqj ibem lta  ubixerim.Gu oes. fortunati funj qui bene. viuwt» -I     tum perbeati qui omnia befetfit / et virtute iblaui  coplectuntur, Ijos na<$ pofteriores multo beatio=  res elfe conltat.Si quis fuperius mo aliatam preccptiorem intellexerit.l;ec. M. Ciccro lmpnmis  i requeter vfurpat.£x quo iiiub.'cum cmnibus co  fulenbum eft/tum lllis qui armis politis ab lmpe  ratoris fibem conf ugiunt. SIGNIFICAT enim fumctibus ab lmperatores/et lefe bebetibus multo ma=  gis confulenbum elle.$ttc| m catone maiorc nura  ti fele aicbat Iceuola. CATONE MAGGIORE cum ceteraru re=  rum perfectam fapientiam/tum q> nug> fuerit jlli  feneaus gra uis . kb be f,flc re faiia/  (JVtquapia laubari aut vituperari oporteat, xx  lam vcro explicanbum clt qua ratione quapiam  perfonam/ autlaubari/ aut vituperan oporteati  quob ab bccorem iermoms pertineat .riam it trj=  f anam polfe f icri coperimus ex monumehs litte-'rarum.li cnim velim oftenbere.M.catonem fjabe remagnamvirtutemicum verbofum/es/elti ita  comobiflime f iet,Marcus cato vir eft magna virtu  te, M.cato vir eft magne virtutis.M.cato vir cft  magnua virtute»popuio pfyilofoptus fuit preftas  igemo/vel preftatis igemi.'vel preftanti ingenio.  mulier eclara morib^/claroru moru. 1 claris mori   b^wregregiojaiibc egregie, iaufys egrcgia laube  Se* iliub prius magig poetaru eft. poftremu ve~  ro fplenbibiffimum et perpolitum,ffiriltoteUs clt  fcietie copia pbiio Coplug^exquifita boctrinai vir a  ctrimo isenio ! Quob qu.beCvt bifertfcus pri  fcianus inquit )hcjmficatariftotele fcbentem facntie copiam* ac qui l?abeat esqaifitam ooctrmam  cetcra cj confimiii ratione. Cluob quibcm ttulus  qelius confcntirc vibetur in noc, ac, bft erura vjf  fut befectio quebam ifeb ca ttifa / vforpat** ab elo  quentiffimis viris/ac darilhmis oratonbui. qut  et vobis quocg vtenbum fit ;  fTDc accufatiuis etablatmis participioru locum tenentibus infimtim verbi. <[xxi.  flT& VI participioru cum accufatim calus ie«  pe tum ablatiuilocum tenet mfmitiui verbi. J?wt  feluftianum illub, nam et priufc* iopias colulfott vbi coolulueris mature facto opus elt.bt tere»  tianu Mius gliceriumalioqueflamicam pamptjui  lam iam inquit muentum tibi curabo 1 ec abOujs* tumtoumpamlpilum.Omnian5c|iUay colulto/;  facto inventuiabbuctu cofulcreyfactre/ luemre/   aooucere befignat. veru frequeter l?is ratiombus  abltluoru cafibus vtutur l accuktiorum perraro?  4jDe ijoc nomie opus cu variis cafibus. .xxiiv   %quomam*eMa»ne quo>eft©ou8 •«»»«, i •   v  metione iiteHigen&um elt / opus eft micfyi ^ac re i  fignif icare me egere Ijac re.feb ib variis caubus m  cu folet Nam etiam opus cft micfy tua opera/nominabi cafu«'et tue opere/et tuam operam/ et tua  operaJeb ljoc poftrcmu ornatius eft 'z totum ora  torium.Cetens rationbus poete pctius / fyyftcris  •grap^icj vtuntur,tloa autem queca precip imus  vt cocrncfcamus a veteribus vfurpata eifoecg vtamur.quecam veroM cognofcamus lolum.i^am  rpus eft miclpi l;anc rcm/ nun§ oraior oicit i feb   fcacre?   (Jpe comutafione abitctiui tt fubftantiuj'   in vqcc geuere et calu. ijxxiiii O uib illub.^ncne puldjerrirr.u cTt .' vt quom fcuo  ncrowa alterum abiectiuum /alterii lubftatiuu co  bem cafus cxitu proferri cebenf)vtfrpe crcberrimccfCquocarno tertia abiecfiui nominis voce que  cli neutra i vim iubitaf j'ui trafferamus/et fubftan  tiuu iliub prius cafu collccemus geitiuo.quob vt  Irequts e ciubitis atqs bifertis vir;s. ita quog erit  excmplo manileitiuB. Mam quom muitam vir lu  tem bicturus fum i li «nultcm virtufis loco eius 9  taiionis pofuero / multo protukrim vcouftius»  «Multu pecunie eni fignificatmulta pccunia.pl ummi &nm t f limmas vra»quife anmi tltt  qiiis aimus quib rei que res quib cause. que causa. ftlia quocp lta permulta. Seb amabuertenbum  efl/q, fi genitiuus ille casus singularis fuerit.toti  itera orationem fiogulariter exponere bebemus, Bi pluralisipmraliter. Naqi (exempli caufa)mul  tu pecunie ibcft multa pecunia / fingulari numero  atconfcramultum pecuniarum figmfieat multas  pecuuias. Similis <* eft ct aliorum ratio. vt muls  tum roboris/fingularem^plurimum virium/plu  rale quocj fabet fignif ication€. Et abverbia quoc$  nonnulla eanbem vim retinenfc  prefertim vero  buo l?ec/parum et fatis.Nam paru fepientie lbeft  parua fapiifia.fatis virium ibett fufficietes vires,  8t nifyil quog fiue nomen/ fiue abuerbium ht . m  canbem fepe obferuantiam eabit, Hec igitur ^ac^   Vt gemioanbum eft epitl?eton fequentibus.  substtantivis aut econtra» <£ Quonia aute figula fyc fere iueftigamusiib quoa oignum cognitione ctti vt cum buo meminen=  nius nomina fubftantiua/ quorum vtrio; ibem epitfyeton abicienbum efU vt abiectiuum ipfum pri  cipiocollocemus<et fequentibue fubftantiuis / vel  tumgeminatum/velbuplicatum^tpreponamus   Bxempli vero caufa ef i erantur» CICERONE verba. $fricanus singularis *t vir ct imperatori quob eft  afrixanus ficujlaris vir z figularis iperafor .ppter  magoa el boctoris auctoritatem/et vrbis/ eft pro  pter magnam auctorif ate ooctoris et propf er ma=  gna auctontafena vrbis^predarus/etrailesyet ci=  uis iliuftns/tu vir/tu pfyus optimus/tum pafrie  foefefor/tum gubernatcr/iuftus/etrex/ etiubex»  Coniumliacj eobcnmobo fe fyabeot. Seb et fepe=  numcro contra co&em orbine vni fubftatiuo pre ;  pcfito buo aoiectiua/aut plura beferuiunt.8xcm=  pia funt que nunc conftituam. Vir tum bonus fu  temperatus.imperator et callibus etfortis, iubex  etiteger et foflers. owamefa ciuifafis tum mulfa  tum predara. alia fu ipfe coniecta. Non nungj» ef  buo lubftitiua ita fe r^bent vt alterum vim fuam  vbi$feruef actueaf ur/ alferum quafi qugbam ofc  tineat abiectiui nommis iocu/ ef eiusfugafur of=  ficio.&uale eft illub VIRGILIANOprimo eney, mo  lemqi et montes infuper altos impofuit. ac fi bicat  molem montuoiam impofuit. Cauenbum eftne  ab fyoneftate naturacj oilcebamus.' ac ii bixerit ca   uenbum ne a naturali Ijoneftate bifcebamus. Scb  tibi f)ec fatig finf/   (jpe extremis fupinis/pro gerubiis  accyfafjui eafus, xxv.  -.^iSzb m qotfi i;iftonam texens biceborum fenem  nectami lta quecg patefecerim vtlefemicfy forte  quabam obtulennt. Ceterum no ignoranbum effe  vibetur,vt ipfc arbitror>xtrema fupina pleruncj  ornate/ac peruenuite fignif icare gerunbia accufatiui cafus ao bictione prepofita, Vt res biii icilis  crebitu ibeft ab crebenbum. miferabilis vifuibeft  ab vibenbum. iocunba aubitu ibeft ab aubienbum  fuauis guftu ibeft ab guftanbum .permulta fimili/  ac pari ratione fe fyabent/ {£ De exafperatione orationis permutationem  fuperlatiui cum abiectione abuerbii fuperiafcjui ab  mobum / vel in primis» (fNec ib te amice lateatM quomfuerit fuperlas  tiuum quobpiamburius/afperiufcj et fuperiatiue  fignificanbum fit l vt pro fuperlatiuo poutiuum   afferamus.' et ei aptum abuerbiuro fuperlatiuum  apponamus.Nam maxime memorabiie hciausi  eft memorabiliffimufacinus» Maxime rarum genus fyoimieft ranflimu genus fyominum» Seb ab  mobum/et in primis / poiitiuis abiucta vi fermc  eabem retinet. Vt abmobu memorabile facinusi vel inprimis rarum genus ^ominum i  ^Txxvii . vt quepiam mebiocritet «ut   vetyementcr ia ubabimus/ I  Jb aute nequaqj filetio preterierim. Vt fi que qui  virtutcro fyabeat v lim mebiocriter faubare i bica  (exempli caufe) perides virtute preftas princeps  erat atfyenisfvelmulta predara gelferat. Trjcmisftocles rebus geftisfloruit. Sin velim vefycmenttr  ac plurimu iaubare abiiuam gloria fiue faubem^z  caufam laubatiois calu genitiuo coftituta Perides  (Vtibem exemplu aga)virtutis gloria preftans a=  tfyenis daruit.'tl)emiftodes geftarum rerum laube  emicuit. £ict{. M .antoniuS preffabat ELOQUENTIA mebiocriter huoatur ac fere exditer. L . Craflus  efoquetijgforia excelluit ve^emetiffime laubatur  Seb tu pro tui ingenii bcnitate oebucitof  (C Luotiens SINGULARIS ET PLURALIS numes  rus connedutur* viciniori relpobebu i ibecj Ht   jn oiueriis generibus;   QuotiesCquob ipfe quot| teftatur gramaticus fer  uius")Ggularis etpfuralis numerus ccnnectutur/  refponbemus viciniori. Virgi.primo cnei,'r;ic il  lius arma V>ic currus fuit.no aute fuerut.Teren.  in anbria J amatiu ire amoris reintegratio e.xeno=  pfyotis belitie mee fut.fyoftes eorucj exercitus pro  perabit.atcg ita frequlius obferuat*.ibe f it I biuer  fis gencribj.na fiue niafculinu"/ fiuc f eininu e. vici  no refpoDgmus. vt vir atcy mlier optia ab me venit   Intelligitur naq? optimu effe viru et optima mut  here que vemnt. Verum fi plurali numero ve.'i=  mus vtiteb mafculinu trifire nece fe eft. vt vit et  mulier leti properant.T^vlexaber et olipias clari es   Ittterunt? TxxixToperepretium eft.   Opereptetiu eftCquob peruenuftum eJft)ficmif icat   mo vtile efteimobo neceflanuimo locubu i mobo   laubabile.i^tq* is SIGNIFICATIONIBVS NOMINIS veteres vlurpant/   {J»xx.v.frui.  Frui quapiam reieft fructu/ fme vtilitate veJ vc^  luptatem percipere ex ea. vt cum bixerit quis ocio  fruor,  pre fe f erre.  JPre f e f erre ahquib eft verbis *ut ibiciif quibufba  ib oftenbere/et quobamobo confiteri/vt. M. cato  pre fe f art gramatica.lelius pre le f ert hberalitate  fyz vuit oftenbere <$ i f fe fit iiberalis;  Rat.one fyabere.  tiaticncm babere eft refpectu fyabere. feb(vt planius xpona)fyabere rationem alicuius rei eft rem  conliberare. vt fyabeo ratione temporum loci per  fonaru eftea ratione oia coplecti / et conhberve/  {JjTxxiii .Complector anuno»  t Hanc r em animo mcnteej complectcr l ibeft tflat  rem conhbero et voluof   n animo esse.  In animo est / SIGNIFICAT IN ANIMO IjabeQ.a aimus  mictyeft/ibeftvolojj  . CeKtum micfyi efti  Certum eltmicf)i libelt beliberat»m ct oecrefum/  v«I bejjberaui et becreui. Profequor?  Profequor te fyonore ioeft te fconero» Profequbr  te laube ibeft te laubo • profequor te probro ibeff  vifupero f e.profequor te amore ifceff amo te/  Benemereri;  Eenemerltus [um be rep, ibeft beneficium i illam  confuli.benemereribearoicifl/eft cpnferrein arai  cos beneficia* «^sxxviu.eque»  Eque pro ita.'ac pro vel/afc| pro vf vel quafi orni  tilfime ponutur.exemplum cft eque te laubo ac ci  ceronemj   ^xxxix .Haub lecus   Haub pro non/ fecu9 pro aliter venufte in eabem  oratione continue fe Ijabet vt feaub fecus fetio atcj  f u ibeft fentio ita ficut tu/   (l*h9* coparatioo Igcp pofitiui  MdnficJ et pulcljre coparatiui prb pofitiuis ponu  tur. Vtalexanber macebo corpus babebat imbes  cilliusiquob imbeciliufismficat. Satiriinlcele»  vefyemetius inuefyuntuWquob eft vefyemeter., Dar e rem vitio / vel laubi .  Do tibi fyanc rem vitio lbeft vitupero te be bac re.  bo laubi ibcft laubo. bo crimini ibelt crimmor;  De fubiuctiuo loco inbicatiui.'et  illiua pro l)uius temporibus;  Seb nec illub quibem negligenbu elUfubiuctiuus  mobus pro inbicauuoiz ujius tempora pro i?uius  temponbus interbu l?aub illepibe ponutur. vt ve  Jim fepe pro volo.et gercrem pro gerebam bilexe  rim pro bilexi.feciuem pro feceram. fuerit gratu  pro gratum erit.feccris pro facies.Ib oim multo  ornatiffimui li cportunis locisagatur . quob vbi  factitanbum fit. 7 peritorum aures facile ceiebunt.  Quaobrem exercitatio abfybeba e non mebiocris  que omniu magiftroru precepta fuperat.Quob fi quis nouerit grecas litterasiei quob mobo explis  cauimus non bif f icile perfuabetur ;  (fxliii . Partim l>ominu et eius  abuerbii geminatione/  partim ^oruinu venerant perfepe bicitur.Et.^v.  gelio tefte eft ibem quob pars Ijominu ibeft quib» Ijomincs^nampartiminfyocloco abuerbiunj elt  neqj indinatur cafus fine.St cum partim fyominu  bici poteft lbeft cunVquifcuiba fyomimbus et quafi  cum quabam parte fyominu.Seb l?oc tame cft fple  bibiuskum in oratione iterum fuerit abbitum vt  eft illub.M, T.in epiftolis.nam qui iftinc veniut  pirtim te fuperbum effe bicunt/quob nicfyl refpo  teas/partim cotumehcfuyqj malerefponbeas. 8t  qui ciuitatibus perfunt partim nobiles funt/par^  tim populares.quob elt aliqui nobilesfunt aliqui   populares]> ^TxJiiii. Decimus quifc|;  (f Xb ett optimum eognitu/ g» becimufquifcj} eft  vnus ex numero benario . ficut millefimufquifqs  elt vnus ex numero millenario.fyinc cft illub cefa  ris in commentariis eognofcit no becimuquec| ee  reliquu militem fine vulncre.quo exeplo vti per=  pulcljru eft vt vix becimufquifc$ remafit fme vul  neremtaliconfjictuf  ifxl v. Quotu fquifqj ;  Q.uorufcquifqf I;omo eft ibelt quot fyomines.  Quotufquifcg rrnleB ibeft quot milites;   /Txlvi.PercJ cu positivo  Per§ vna bictio bumtaxat puleljerrime pottiuis  abiucutur nominib^ vt percj> boctus pr/ilofopfyus  \t   p  per $ bonus amicuS/   ^Jxlvii^lias geminatu locom tcnet  mobo abuerbii» Cuibillub. nunquiblepibiffime vfurpamus/vt i  oratione eabem iterum alias vfurpatum /locu ops  tmeat mobo abuerbii.Quale pffet fi quis Dicat oes  l^omines eobem ferme nati fut ingenio alias qui  bem ribet/alias vero lacrimatur. omes item riues  alias boni alias mali.nuq» eifbe fut monbuaf   {fxlviiulnire caftra.  M. Tfaitrjonius iuit i caftra multifariam bicitur.'  M.Tfatfyonius caftra petiuit in caftra profecrus  thik ab caftra cotulit . fe in caftra recepitife ao ca«  ftra perbuxit»   4jxftx7Vim'nti annos natus. Hic fyabet viginti annos. quob veteru cofuetubine  bicitur cotra pebagogam opinionem/aliiftg rationibus bicitur.J;ic vixefimu anu attigit.agit /bec^it  vicefimu anu etatis. vigiti anos natus eft.3? ^oc  poftremu magis oratori couemtf   {Q  £loquetia laborare CICERONE laborat eloquentia. CICERONE (si veda) in eloquentia tera  pus cofumit. tempus in eloquentia coterit. in eloquentia operam pomt. ba^eloquentie operam. etate  in eloquentia cdiumit. In ftubiu incubit eloquetie.  £t> alia oe&uc pro tuo iuUciof   {TIi«Habeo/teneo I?anc rem memoria.  Habeo ^anc rem memoria non minus vfit ate bici  tur ' q> fyabeofiue teneo Ijancrem memorie.teneo  ^ac re memoria /f;uius rei memoria fyabeo;   fljii . Voluptatis me capit obliuio.  Obliuiff or voluptatis vel cuiufcun^ alterius rei»  vcluptatis me capit oMiuio.St ibem verbu cu ceteris iunctu nommibus fignificat biuerfa/cofimis  h orbine vt capit me facietas ciuitatis ibeft capit  tne Jjoim obiu vel tebium;   dJui. Contineo me ruri/vel in vybe^  VIRGILIO (si veda) incolit ciuitate l)cc perpulct)re bicitutcum teneo/ vel etiam cum cotineo verbo«vt virgjtuxtfc continet. Virgi.tenet fefe in vrbe;  41 liiii. Prefer et pre venufte oftentaf  aliquam rcm aliam anfeceifere.  Si quis velit offefare aliqua rem alia antecellere/  «t vltra illa valerc i venufte ib bicitur / vei per actufatim prepofita preter / vel cu pre ablatiuo prc=  polita. Vt cefar preter ceteros rebus bellicis polje  bat» vel pre cetcns pollebat;   IjIvXelius efacili igenig vcl facilff  mis moribus natus. Lejios ftabs faciles mmsj ; vd f acilcm naf uram/   I  ornatius bicitur Jelius eftleui ingenio natus ( vel  faciiimusnatusmoribus . Scipio natus eftt rifti  ingenio. Stbereliquiscofimiiitcr;   iTIvi. Valeo/polleo cu ablatiuis. Valeo et polleo verba et fplenbiba fut.' et latiffime  patcnti x ablatiuo iuguntur.fyoc pacto, ; 7>vureliu&  auguftinus plurimuingenio valuit. ijypocrateai  ingenii bonitate poUebat.Mitnbates memoria cb  ruit vel poUuit.M.cato in ciuitate plurimu aucto   ntate pollebat;   (jlvii.Clareofpolfum. Clareo et poffum verba eabe ferme r atione fe gabent. cHgo apub bominum cefarem multum (iue  poffum fiue clareotomate et IplenbiOe bicitur^ apub bominum ceferem plurimum mea ciaret auctoritas.fyortenfius rhultum poteftin senatu ornatius multum fyortenfii in fenatu poteit aurtori  tas .que potj{fimu jGgmficat eam opimonem que  eftapub ijomines be alicuius viri preftantia . que  vulgo et trita cofuetubine reputatio nuncupatur* Sum batiuo iunctfi tyabere SIGNIFICAT et quobamo poffibere;  Geterum ib perbelium eft.Sft rnidji apub te fibea  ibeft tu abfyibes micfyi fibem. quob eft accuratius  abuertenbum.nam plerumtj foiet fum es e verbil batiuo iuctu/u SIGNIFICARErjabere.' et quobammobo  pollibere. Vt e micfyi pecun/aiett cefari rnagna po  teltas liue pietas^ilJub befignatme pecuniam i^a=  bere.fyoc rjabere cefare magna poteftate. Cuius cq.  Ititutiois crebra apub prifcos et bilertos viros ct«   leruatio cit. Recorbor fyanc rera.fyec  res micbi in mentem venit.  Ejo recorbor r;ac rem potius § l)uius rei bicitur.  Jst ibem bicitur ljuius rei me fubit recorbatio.fyec  res micr;i ln mentem venit lbeft micr;i occurrit i  vel mict)i fuccurrit/quobpoltteinum minus vfi=  tatebicitur? {T Ix.Prefto antecelio aliquabo cu accu?  fatiuo aliquanbo cum ablatiuo.'  Prefto et anf ecelloCque venuftefonant verba>li=  quabo batiuo aliquabo acculatiuo perpulcfyre iun  guntur cum acceflione ablatiuoru eius rei cuius e  preftatia. Vt ego prefto tibi ingenii acumine.flo.  preceilit petru acumine ingenii.equus preltat afi=  no velocitate curfus? flhi. De frequetatiuis verbis  loco primitiuorum/  £>cpe numero f requetatiua verba que appellaf ur  pnijuuuorw verboru a quibus traxerunt origine" SIGNIFICATIONE retinet.prefertim fi prima illa afpe*riora f uerit. vt coiecto pro conutio.mafo pro maaeo.imperito proimpero . amplexor proamplector. ct alia itcm pcnc inumcrabilia fi quabo etia  verbi arpcritas vlla cotingat,'quob erubitorum iu  bicio nunc berelinquimus?  De et bis mutant»  Dc jttepofitio verbis abiccta pcrfepe cofraria mu<=  tat fignificationem vt prccor ct beprecor cotrana  lut^ortor ct befyortor, Nonuno) lbcm bie eff icit  vt fuabeo biffuabeo Quauis in iifoem vtfbto nonu^ auget perpotius cj vim coinutetj   flixiii . Gx ct be aplificatSx ct 6e vejjementer ampiiticat, Vt exoro .' quob  ab ex ct oro bebuctu fignif uat ipetro ? Tere.in a%  gnatavtbetoro/vixc|ibexaro . iQxiiii.Suaoco perfuabeotfacio perficio,  Sic et fuabco fignificat oratoris off icium quob I  benebico,atc* perfuabco bencbixiffc fignif icat quii  cft oratoris f inis,ibeft impeteo atc$ obtineo, vnbe  et crebro non folum fuabeo/ feb etiam perfuabeo£  beb i acio etperficio explorata funt;   {fixv.De abuerfatiua bictionePfurimuetiam fermonem ac oratione exornat ab  uerfatiua bictio quag? ibicatiuo iucta, duob vbicj  CICERONE feruauit aliiqs fcocfiffimi* feb I; uwe cx  cmplum fit.Qua§ tc ante I;ac tiJigeba.' nuc tame  cbfmgnkrem vir^ufem veI;emiterabmiror. J\)a  tha funt que quobam fibi orbine luicem iugutur.  quoru prius ac leuius e biligere i pcftremum ab^  mkotlqixob ve!?en.es^ac precipuuiet eoru mebiu  ofcleruo quoi> cft vencror /et colo . cx quo obfer uanfiam et reuerentiam fignificat.Seb itcrum ali  u5 exemplu quancp miclji fint omniu amicoru io  cunbe iittreitue tame iocubiflime fuerut.Seb ct  pro Umen polt §uis raro collocamus. Vt qu*n§  micfji anfe ^ac carus eras,'feb ct nuc pi ofecto a riffimus^es;   {jJxvuHonfolum y febetia* verurnetia/  verumquoq?»  7Kb fjec jll* buo orationem pcruenufta rebbut fibi  inuiccm correfponfcentia.quoi n alteru eft non fo  lum/Cucnon mobo /fiue nontantu l alteru efebetiam/ vel veruetia/vel loco etia pofito quoqj/ et  aliquibusintenectis.quoru ommu exempla fub=  necta* fyec miciji res n^n folum grafa eft kb etiam  iocubatMtAntonjus non rrtobo ciceronis crat ini  micus/vcruetiam Ijoftis patne*M Catoncn folu ingenio pollebatifeb etiam vurtute florcbat pluri  mu ftlexanber no foium reliqua vrbem iubegiti is veruquo? ipf u romanii iperiu cogitabat attigere. Tametcji.  £t fic etiam tam et $ fibi correfponbe-f . vt tam cara micfy patria efMcj tibi iocuba vita ( ieb facile ttt   te boc mteUijes r   (Jlxviii.cgoipfe pro erjomet? Pro eoautem <$ ceteri exprimere cofueuere pros  nominibu» abbentes vclteveimet fyllabicasaoicctiones. CICERONE potius lbem eiiicitljoc pionomine ipfe/ipfa/ipfum; quob illarum fcre abiectionu locu optinet. Vt egoipfe magis q> egomet.tf  Ieipfe 1 nosipfiivt nucp lecus fenSbo U,  {Jlxix.De mccum et mc cumf  K\i* <ft abiectio puldjra. Vt m?cum ipfe cogitafc  fem.etfyoc vt mecum fit vna bictio. Item me cum  ipfeviccre.quombuefuntbictunes. Vt familiarinte couerlatione et (imiiw   ornateexprimemns;  Seb fi tibibicebu «rt tu micfy familians es.'orna  tius oicit ego te vtor f aiiianter,Tu rnify amicus  es .ego te amico vtor. Tu micty es magifter iorna  tius ego te vtor magiltro, 830 tecu f requeter ver  for.frequeT mify tecu e cofuetubo.que fepe couer=  fatione SIGNIFICAT Tecu magna amicitia ljabeo . magnamicfy tecu est amicitia, 8t ita aiia per murta.Vtfit inicfyi cu oib malis viris iimicitie.na recti=  us bixcrimus iimicitic pluraii numero/cp ficjfari.   (Jjxxi .£3id)iJ cii cdparatiuis.  Seb neutra vox nid;il ac potiffimii in comparati =  uis nominibus tu femim rebbit oratione.tu ma=  lcuiina. Vt nici;il cft J>oc fyomie melius/f ere ibi |  vt nulius jtjomo eit l;oc fyomine melior. Kityii l;ac virgine eft formofius .' quaft nulla virgo fyec virgi  ne e formoficr,£t i ceteris aliquabo confimiliter;  iflxxii, Munus pro officio/et coumiliter partes;  Munus pro officio ornatiffime bicitur, V t l?oc e  nmici munua ibdtamici officiu,Funa;or boni viri  munere^ferme ibi cft facio boni vin offjciu.Seb  et partes plurali numero confimilem l;abet SIGNIFICATIONEM, vt mee partes lut lbeft officiu me  vel perf inet ib rae;   (flxxiii»Caueo cum ablatiuo fignificaf pro   uibeo»cu accusativo vito ac f ugio.  Caueo verbff etfi fepe fignifccat prouibeo. vt  tu eft lege perornate accuiatiuo iuctu pro vitol  fugio vfurpant eloquentes viri, vt turpis viri/ m  genui cauent mores/  "% Memini cu accufatiuo/  fttqui et memini rectius ac vfitatius iugitur accu  fatiuo § gcuitiuo vt inenani plaiocis fapiectiant» Virffi.inbuc. Stnumerosmemi fimeteverbainer«m . nec miru f. in iis que funt potius folute  orationis. Vir.ma.ois aff eram teftimonium que"  non folum poetam egregie erubitum* ieb et rfceto  hce artis vbic| obferuat.ffimu f mffe conftat.  Penitet ibeft parum vioetur.  Penitet me qmcquib f igmf icet notif umu" «f t l feb  et paru vibetur vfarpat auctores et t reftates boc=   trina vin» t ^,, .. Vaco cum batiuo/attenbo cu ablatiuo  vacuumeffe.( Scb ibem perfepe verbum vanis coftructiombus  cofitum/baub eabem retinet SIGNIFICATIONIS vrau  Vaco buic rei.'eft attenbo l?uic tei.vaco r,ac re.'eft  W re fum vacuus I et ornatilfimu eft, vt bom vin  4nt opera vt perturbatiombus vaceut ibeft Iiberi   et vacui fintr. Deaiabuerto etaiabuerfio.   flmiabuerto ibeft fore vibeo/et quobamobo mtelIicto Ht aiabuerto coftructu cu acculatiuo m presofita/ibemfibi vult <$ punio.Vt pleutippus ai=  abuertit in feruum platonis lbeft pumt platoms  (cruum.cix quo aiabuerfio pumtione quabam no   nuq> llii: p c x<i fa Q c ^ oa tiuo et accufatie  n  cm   mebiante ab.   7Ktc$ iterfi ref ero tibi l)ac rem ibfft narro tibi fyac  rem.feb refero ab fenatum/ refero ab popula Jtjac  rem ibeft pono f?anc rcm confultationem populi  vel fenatus.Qui vfus verbi eius apub fyyftoriaru  fcriptores frequctiffime eft. Dare litteras tibi/vel ab te.  Quib varii quoq? cafus /eibem verbo fepe coniun=  tii/nom magnam aclonge biuerfam vim f>abeV  Quale eft bo bibaculo ab cefarem litteras . Nam  bantur bibaculo beferenti / vt cefari rebbatab que  mittuntur littere.Sas igitur leQtt CeIar.Bibaca=  fus quibem velut tat Ilarius befert. Na qui fert  Iras/confueuit tabellarius appellari.Verum ne  quib buius nunc ignores bare lras fignifkat fcri=  feerefeu mittere Jitteras/   <X Jx*x. Vuas/binas/trinas/Iras/pro vna   buabus t tribus ve epiftolis bicim us/  Nec tef ugiat q> pro epiftola bicimus litteras plus  rali numero.Necobftatpoetarum cofuetubo £t  pro vna epiftola bidmus vnas litteras.Na ib no=  me vnus.a.u -cu iis que pluralit' folu Iflectuntnr  plurale" quo<# retiet natura* Vt vne nuptie vne bi  geivaa menia .8tCvtabpropofitu rebea)pro bua  bf epiltolis bicitnus ite binas littcras ino aut buas  pro tribus cpiftolis ternas i non autem trcs. pro  quatuor quaternas. £t que beinceps funt rehqua  cofimili ratione proferentur; (JJxkk i . inf mitiua oratio pro conc   iunctiua peruenufte ponitur.   Inf initiua oratio pro coiunctiua pergjpulcfyra eft,   V t volo te ab me Icribere.cupio te atfyeuas proh   cilci . £t ib teretianu quib facere te in fyac re velim   ficmif icat eni quib velim quob tu in f;ac re facias. velim ciues omes vnanimes efle ibclt q> vnanimes   fint et cocorbes.Seb fjoc tibi fit cocinnius vt nullum fit ambigui iermonis bifcrimen, neq? eni omnino rcctum iit/fi quis oicatvoio te me amare « g>   uis pleruqi lb fuppofitionis lccum r;abcat l quob 1   i lmtiuum veibu mimebiatius precellent. vt puto   pyrrfyu romanos vmcere poffe ibilt crebo cp roma   ni poffot vincere pyrrfjum, kb ib pro viribus ca=   ueat orator.St quob mobo prcceptum eratbe coniuctiua atcg mf initiua oratione precipue in abfola   tis verbis<vel vbi alteri calui i uerit abiecta propositio feruanbum fit. vt vofo te amari a ine;   {£ l.\xxn.£x vel £ pro a vel ab.  Ex vel e propofitiones pro a vei ab/et fepe et pers  ©rnate ponutur. vt aubiui ex maionbj nris pro i  maiqnb$ nris.accepi ex patre tuo vel e patre tuo  Cluero ex te et a te.'quob eft te confulo/et te intsr   rogo. Quob abuerteiet vlui trabe. De pro/Ioco in et fecunbujm Pro ornate ponitur loco in et fecunbii . Vt pro ro   ftris .ibeft in roftris.pro tribunali ibelt in tribuna   h. et alia . pro viribus tuis ib eft fecunbum tuas   vires.pro tui ingenii bonitate.pro virili tua. et similia/ Sub ia compofitione aut  dam/aut biminute fignificat/  Sub copofita aut clam aut biminute fignif icat vt  fubrnouit me permeno ibeftdam et occulte.fubi^  rafcor tibi quob eft pauiulum irafcor. Mor emgererc complacere obfequi SIGNIFICAT.  Moremgerere perornatum verbum complacere  fignificat/atqj obfequi vnbe moriger a.um. quob  a morofo quob bif Lcilem fignificat i et a mojrato  quob inftitutu fignificat plurimu biff ert?  Confequor pro exprimoj  Confequor pro exprimo pulcfyemmum eft.Non  poflu ego verbia cofequi ibeft exprimere . Iitferis  cofequi ibeft per lras explicare. Metuo timeo multis cafibu3 coniunguntur. "V* Metuoettimeo verba aliquanbo tnultis cafibus  ab.unguntur, Metuit CICERONE a.p.dobio fibi extre  mu periculum,Tim«omicl?iabfternortem Ncn  nun$ abfolute ponutur folo batiuo liicta . vt me=  tui papl?iIo- papfyili vite timeo, kb fyc eft poUus   poeticus^fus/   {]Txxxviii.8uabo pro fio/et efficior.  Suabo pro fio et ef i icior ornatum vfitatumcp eft,  Vt dcero euafit eloqu€tiffimus.ftriftoteles euafit fumus pf;ilofopr;uB, cefar vero euafit inciitua  imperator.St bz ahis quogj fimiliterf. Fore futurum cffe.  Fore f utura femper l?abet fignificationem . et eft  ibem <$ futurum ee.M.G. be eratore tertiolibro  loquensbe fyortenfio, Que quibem eortfioo omis  bus iftia laubibusi quas tuaorationecomplexup  es excelletiore fore. 8tcraffusforebicisinquit/  ego vero effe iam mbico;   {£xc Quib Iter bimibiu z bimibiatu itereft  Quib inter bimibium et inter bimibiatum inter  fit nofce perutile e.Cum enim bimibiatu fit quafi  in partes buas biuifumi nifiaiiquibbiuiuim fit/  bimibiatum non poteftbici.&imibiu veroappella  tur no q> ipfu biuifu fit/feb q ex bimibiato pars al  tera eft .Hd jgitur recte bixerit quis pco fetentta/ VARRONE Cvtait.ft.gelius I noc.ae)bimibiulJ  fcrum Iegi.bioiibiam fabulam aubiui. feb bimibia  tu libru i bimibiata fabula recte quis bixerit. quia  &imi:<iatumCex caufa)bigitum appellamus. feb al  terufram parte bimibiu.Quob eft accurate bilige^  tercg afpicietibum. Interfum et prefum quib bifferut;  Plurimii aute cobucit vcbis itelligcre que fut no=  minu bif feretie/ac verborum bilcrimma 8a quoq res miru imobu oratione exornabat. Vt fi quis  nouent quib bifferut prefum/et ir terfum interfe  verba.'puJcfjerrime bicet.M.C.publicis negociis  «on interf uit folum .'fcb pref uit . quoru illub figni  ficat comitem effe alicuius rei.fjoc vero buce>   ^[xcii.Confiteor profiteor gratulor gaubio Egonon folum cofiteor/quob eft per vimifeb tti  am profiteor quob qmbe eft fpote.St apub Mar.  Tulliu peifepe tibi gratulor micfyi gaubeo. gau  bemus nobis* gratulamur aliis cj> abepti funtali  qua bona/;   -4jxcui*#vgo ref ero fyabeo bebeo;  Bt tibi ago gratia quob quibem eft verbis.Refero  gratias quob eft re et factis. Habeo gratiam quob  efti animo. Debeo gratia'vbialiqua obligationis  vis ceroitur.Etite alias opiniones Jjis fimries?  -rf  {Jxciiii«Hec res mi\)i cobucit.bono tc i;ac re.  Optimu cft non ignorare nominu bii i erentias vt  ct vberior et ornatiot nra rebbatur oratio. l?cc res  micfji conbucit* elt lbcrn q> mic^i rcs fyec vtiiis eft  St quob ceten pleruqj bicunt/ bono tibi f>ac temi  pulcfyrius bicitur ac Iplebibius bono tc I>ac re* Vt  miles nauali corona bonatus e!t«Sabinos romani  ciuitatebomuerut/quobeftciuesfecerunt quob  ite bicut labinos romani I ciuitate acceperuntf  {£xcv* Prepofitio que iolet abiungi  nomini pulcfyrius vcrboabiungiturJnterbu vcro prepofitio/que nominj ac cafui pre==  ponitur l pulc^rius venuftiuicg vcrbu preceltent  in quibufba verbis. Ooiale cTt Ii quis bicat co ab  Ul vt bicat potius abeo te. etloquor ab te/ potius  afioquqr te.Cebit bc vita.'becebit vita. ccbit ex Iju   manisrebus' excebit rebus fyumanis£t in aliis  quibulbi cofimihter. Minus abuerbium.  Minus abuerbium quaq» fepc iiapii icat nonnu^  tame cu pofitiuo iunctu cotrane SIGNIFICATIONIS comparatiuu bemostrat. Vt Teretianu lllub p^ebria^  nemo fuitirinus incptus'pto prubentior. etne^  aio elt tc minus formoius lbeft beformior 4 et fic  be alus coitmilibus;  2 o  ^JxcviuQoiib inter becem annos et becem annis intereft  Quotiens multos aut bies autannos bicimus per accufatiuuiitelligimusiuge teporis curriculu efife  £ere cotinuu Seb per ablatiuu SIGNIFICATVR annoru fiuebieruiteriectio intermifiioi. Quare( vt  ait marcellus^optates rectms acculatio vtibebent  fiquibem ab fecuba fortuna attineat, In fereft jgitur ita li quis bixmtJbece anos i re militari verfa  tus (uia ltaibece annis bebi opera rebus bdlicis ;   4jxcviii»Corbi eft,  Corbi l?cmo etia flexibiliteir corbi l;ominu(vt pri  fcianus Iquit, Dgificat iocubus fci.bo ficut et fru=  gi.Seb iatiusUnca fetetia; Marcellus dpinatus e.  Dicit eni corbi eft ibeft animo febet* Nam fyec res  mid^i corbi eft ibeft placet* Teren.in abria ^n ti  bi l?e nuptie fut corbi CICERONE be perfecto oratore flumealiis verboru voiubihtas corbi eft . £t LUCILIO  probe beclarat cu iquit.St quob tibi ma  gnopere corbi eft* y micl?i vefyemeter bifplicet^  {[xcix.De Tatifpei:.  Tantifper qucb quafi eft tambiu Qrnaf e poft  febepofcitbum» quobfermeeftfconec Vtillub  Terentianum in ^eauto.Tantiiper meum bici te  yolo.'bum qucbtebignumefaqias.  i 8gotantiIper magna voluptate afficior/ bu apub   te viuo? {jC.quib Iter Delecto et oblecto itercft.  Tu micl?i earus es.ego te amo.tu mil?i iocunbus  es.ego te bclecto.feb belecto ct oblecto non fimilis  ter ffruuntur» Nam bicimus belect.it me rjec res.  feb oblecto me ac re. belectabat Socrate vite intes  gritas. Pitfyicus fefe virtute et loctnna obiecta=   baUego me oblecio ruri/ JGuFero banc re facuVmobefte moberate/equo animo  Fero fyacre pacietor feu patienti animo/fplebibiusr  bicitur .'ego f>ac ref acilepafior .et mobefte fero/z moberate/ct equo almo.Ecotra SIGNIFICANTIA abuer  bia grauiter/acerbe/egre/molefte/et iiquoaimo.  Ijec micfyi iocuba rcs e.fyec res placet micl;i,et que  molefta eft/bifplicet;   <£C.ii.be Affero.et bolef micfjiffero comunilTimu verbu ilet quo mulfis locig  vti poffumus.Secuba fortuna affert micf» vofup  tate ibcft mc bclectat. Tsbuerfa f ortuna af f ert mi=  cf;i bolore ibeft bolet mitfyu Nabicimus z fyec res  milji bolet ibeft boleo fyac re.feb rebeo vnbe bigref  fus fu. liftere tue afferut micip abmiraeione lbeff  eftitiut vt abmirer. affcrsteftioniu ibeft teftifica=  ris z ita bifperfa e z vaga fjuius verbi fignif icatio/Ciiibe perinbe cu afcg vel ac poftpofitaPennbe omatiffime poftuiat poit fe ac / vel atqj  ct totu fimul perinbeae vei atqp fyabet eabem vnn  quam vt tanquam, vt CamiJlus perinbeatcp oim  fapietiffimus.et cfjerea perinbeac foret eunuci^us  et be l?ac re fatis r;ec bicta fint fyactenusf   {7Ciiii.be Coco»  Coeo nonlolum abfofutum cft/ feb nonnuqj per=  uenufte cafu fyabet accufatiuu . Coeo focietate tecu  Et ijinc cft lilub» 7K* gelii in noc aube pitagora/  beqf cius conforte ♦ quobouifcg familie pecunieq?  Ijabebat / in mebium babant i et coibatur focietas  infepatabilts, Sebeobem cicero pacto aiiquanbo  eft eo verbo vfust. De Mille fyoim in finguiari numero  NiHe fyominum fingulari numcro SIGNIFICAT mifc  le fyomines.mille militu interiit fyoc eft mille milites interierunt» mille militu vulneratum eft ib  cft millc vuinerati funt milites.ibcg ornatu/vfita=   tumqj eft}L_-Primis»  Primas SIGNIFICAT etia ordinem quob nome sequitur secundus et tertius .et beinceps alia eiufbem or  binis nomma.tame multociens fignificat pricipa  le . vt fyic eft noftre ciuitatis vnus omniu primus     li  t  per fe fignif icat optimu.,feb ib poftrenjij in caro e  vfuora torum. De interbicoInterbico fibi I?ac re; et non fjanc rem»vt int«-bi=  co tibi aqua et igni*plinius fecunbus in epiftolis  caret rcge iure'quibus aqua et igni iterbictu eft/   {1 GviihCXue noia ornate fincopanturHunc vero ab reliqua neq; eni iuitus omiferim q  que nomina ab numeru fpectat in eoru plurahbs  genitiuis lincopa efficiunt«ibqj cum vfitatum eft/  tum ab exornabam pertinet oronem»vt mille numum potius <$ mille numoru*mille benariu mille aureum*et totmilia argentu . et ita be reliquia  et in ijenitruis omnium nom mu fecunbe beclmatj  on>s frequenter eff iciunt IjGixyCitra cgtenariu ef poft vigemriugi  minor numerus maiorem eleganter  precebit/mebiante coniunctionef  Ssb prokm fcribentes /et foluta orone in nomini  fcus lolu numeru et mefura [ignificanhbus l atqj  in numeroru nominibus eam plerunq; feruarnus  cofuetubinem et citra cetenarrum numeru  ii qua  bo poft vigenariu buo numeri comemoranbi fut/  vt eoru minor precebat et maior fequatur vt i)ic  e vnu et virjinti annos natus»buos et tricjit^ anos  iz  viximus. tres et quabraginta anos nauigaui . qua  tuor et quiquagmta annoru confurrfi etatem, ieb  vltra ccntenariu/et citra vigenarium tritu ac vul  garem Jeruamus morem et SERMONEM. 4jGuob  aute ficut buo be viginti nonnuqj» bicimus/ et buo  be triginta.'ita et buobeuigefimo > et buobetrigefi=  n;o nunif citu eit, feb no quibem eft in frequenti  oratorum vlu/  Inbies et inoiem .  Quib inbiss i none pulcfyerrimus fermo eV ac fig  nificat per lingulos bies/et quotibie i feb cu quo=  bam incremento, vt tua inbies accrefcit virtus.in=  bies fyomines fapiunt.ftultorum fjominum mbies  accrelcit mfamiatfeb Qum bicitur inbiem eft termi  nus beputatus/   {Mpxi . Vt in ve* bis actione aut PASSIONE SIGNIFICAT ib^ vanetati ftubenbum.  In vet bis tam actior.em q> PASSIONE figmficatibus  confiberare bcbemus varias vocum lnflectioncs /  atcjj exitus . et mcbo fyns mo illis vti pro auriu iu  bicio.vt fuere pro fuerut.amaruntproamauerut  vibere pro viberiit.norim pro nouenm.triupfya=  rantpro triupfyauerant.et be aliis quocj! eobemo,  3eb ne quib fiat cotra gramatice artis preceptioes  fyac via prpwbcnbum eit; .oe Cluin. auin particula quomo increpet/ vel exortetur i  quom5 item confirmet et quomobo interroget iib  fatis exploratum eft . feb nos ea pulcfarrirne vtimur.'cum bi cimus.'nonpoffu quin gcftia.no pof  fum quin boleam.no poffum quin abmirer. figni  f icat enim f ere me non pofle continere* g> non &>  leam,et ita be cetens confimiliter.   rftxiii.be Locus eft vel Multum  aut nicljil loci eft ljuic rei .  Quib inWnone preelarum eft vfu.locus eft l?uic  rei.multum loci eft gaubio. plurimu loci eft trifc  quillitati.et terencianus bauus.nicfyl loci e fegni  cie.'fignificant eni fyec omniai vel oportere nos le  tari/vel tranfqutflos effe* vel voluptatibus afficii  vel oo negligetes ac fegnes ee« et fic in i aliis fyuiulmobi<JOdiu.be Magnopere et fimmbus.  NonnucJ verobuo nominaCfiue prepofitione ab=  bita/fiue non>nius abuerbii vim retinet.vt mag  nopere pro valbe. maximopere pro plurimu.miorem lmobupromaximcmiruinmobu promi  rabiliter.etjtem mirabu inmobum.   ^Jpxv .be In primis et fimilibus.  Seb ablatiui cafus / fme cum comercio prepofitio  nis fiue (tne eo vim Ijabent abuerbii  vt in primis fignificat zm precipue ac prefertim.et ib^vi gr cci  bicut)ibuerbiu ipfum(fi lta appellabu eft) perornate nomimbufiugitur.vf in primis fapiens.ipri  «ijs erubitus.Seb nc a propolito bifgrebiar^pau<is mterbu pro paucu/multis pro multumt Veru  J^ccaliojoco pportunius illoijCxvLbe ©ent cu noie magiffratus fiuc iperii  Ilic etiam rnobus optimus eft+vt li quis bicturus  dt qucmpia homine aliqucm ^abcrc magiftratunj  vcJ i?qnore/feu ipcriu vt ex noie l;onoris eiufmoi et gero geris verbo pulcljerrima coftituat ordne. ^oc pactoi^ic eft rome cSfuLrome cofulem gerit.  ita cofimiliter imperatorem gerif . principem gewt.pKetorem gerit et alia cofimiliter ab ijofcc eni  viros remm cura et abminiftratio pertinet.  Cxviitbz intcrlcg«nbumyet fimilibus.  Vfitata et perpulcijra eft fermois oratio/vt geru^  bioruaccufatiuis prcpofita lterfignificct tempus  imperfectuinbicatiui vcl fubiunctiui mobi vel al  terius ct bu particulam vt interabuianbu ^oftes  offenbi.'J?oc eltbum ambulaKcm interlcgcnbum  vibebas t ibeft bu legeres . £t fic pro varictate per [onarum ita cxponenbum cft vti mobo explicaui mus.fcSicferuius in buc. vir. Interagenbum ib rft  bum agis.l;onefta locutip fi bicamus intercenabu \)oc fum locutus ib eft bum cenare Ijoc locutus fu. 4jCxviii.De in pro erga vef cotra.  In pro erga ct c5tra pulcfyerrima e accufatio pree  pofita. Vt meusinte animus.mea mte beniuol.n  tia.vbicj enim fignificat erga . luucnalis muefyt  in bomicianum. CICERONE ljabuit orationcm in CATILINA ibi eni contra SIGNIFICAT. Deappnme.?7ypprime pro valbe recte apponitur noibus.que?  abmobum be imprimis fupenus bictum eft.vt  VIRGILIO .apprime nobiha res.appnme vtilis.St ita   beaiusfimilibus. 4j_QiKf Vt res apte coi ungitur  abiectiuis polielliuis.  Rec nomen latum / bif i ufumc| eft. feb eo pulcijer  rimcvtimur cum abiectiuis poffefliuis nomini'  biis/ et prefertim J?uiufmobi. vt cu bicitur res bel  Iica, res bomeftica.refpublica. res familiaris. re«  nwlitaris.Et be fimilibus paritct. De preftolor. Vt aliq veluti fignanba mftituam preftolor vei" bum plerumcj poete accufatiuo iungunt. CICERONE connectit batiuo. Vt quem preftolariB.'* preftoior   iol?anni^. J^vffentior,tio . Impartior .tio . 2V Multa funt verba quibus per eaoem SIGNIFICANTIA et pafliua vtimur voce et actiua,et(vt omittam p e  nc innumerabilia; ciceio frequeter m r;is buobus  mobo actiua mobo paffiua voccm vFurpat. s£,enti  or et affentioi vbicg eabem coftructicnis forma. et  impartior /et Ipartio.in ceteria autem ifc fii mult©  unus. Vfu venif. Vfu venit ornatiff ime pro contingit ponitur. VSVRPATIO ET VSVRPARE. VSVRPATIO ET VSVRPARE VSVRPATIO ET VSVRPARE non lta intelligi bebentifis  cut mrifcofuJti vtunfur. fe6  VSVRPATIONEM orato?  rcs frequetem usum nominat/ et VSVRPARE in frequenti usu fyabere. Deficit cum accufatiuo.  Hec res me befirit ib eft beeft micr;i Ijec res» vi bc=  f icit me bies. vita cpprimum mortales beficit f ep  beficio bac re magis poetarum eft.  Omnis pro omnes.  Nunc aute ne ea que perutilia funty i ornatiffima  omittamus. intellicjenbu eft quoque nominatertie  bcclinationiB ta nominatiuu q> genitivu singulare fyabet fimiies i prefertim Ji gewtiuus pluralis in  ium esiuerit ecru frequtter accufatiuus pluralis  in is terminari folet raro in es . vt grnnis pro oes mortalis promortaks.manispromancs, fimifc  terCvt ipe quog? teftatur priftianus Ji es et is ternu  nantiareperiuntur. vt f ortis et i ortes partiset  partes pontis et pontes. io rebquis rarius ib fit que est poetaru veniaf. De pofrnbie.  CXucbam abucrbia funt que epiftolis maxime con  ctruut.ficut propebiem/ cjprimu/cito/cofeftim/  et poftribie. quob multi ignari htttram / et grammatice artis expartes exponut poft tres bies . ieb  tuCnc eobcm bucaris errore)crebe poftribie fignis  fkare poftero bie/eteopacto. M.C.accepitto alii crubitiffimi virij. Primu /beinbe / prctcr a£   ab /1)oc /poftrcmum fttfi quis multa referre velit.'pro prima rt ponai  erimu vcl primowtiuuj eni in vfu eft, profecute  oeinbe velfecunbo loco.protcrtia/ preterea. vel  pro tcrtio loco.pro quarto Cquob perraro accibit)  ab hoc vr prcterea vcl quarto loco.in calceipoltre  mo/ vd poftrcmu/ vel bemum.at igitur l?uiurce=   mobi exemplu. tria fut que magna micin af i erut  voluctate.primuenicf optimuamicu nartuslu  beibe aute cj> finguiare tua crga mefepe tefohcans  beiuoletia poftremu vero /q> tc icolume mteliexir. be orbine fyaru coniu n=  ctionumeni autem/vero»  &ua in re ib quocg abuertenou eft/g> fres inueni=  nras coiuctiones recto atcp vfiiato orbine.que funt  eni/aute/et vero. feb tuipfe tyec oia ac multo plu=  ra raule cogncueris.^fi CICERONE Lriptai et in primis eius epiftolas lect»tabis. Mcmorie pro s ifum eft.  Memone prohtu ficmat fcnptu eft. multa enita=  lia ornatiffime vfurpantur vanis cu fignificatus,  vt memorie trabere.mabare fcriptis.mabare litteraru monumetis.quoru fermc omniueabe vis eft  feb manbare memorie aliub fibi vibetur velle. Falht me bcc rcs.  Fallo verbu tritu eft apub CICERONE f aliit mc r;ec  rcs bicimus.fallit te fpes.quob e fruftratur et beci  p it. Miflu f acerc .  Miffu facere ib e bimitterc venuftu et ornatu eft,  nam miffam Ijanc rem f acio fignif icat bimitto xl=  lam rem. Hc quibem»  $bf;uc et in eabem oratione buc f;ee particule/ne  et quibem/pulcfyerrjme futifi quis f uerit ilhs rec  te vfus. nam cum ponuntur femper aut aliquib  bictum cit( aut mentc ib concipitur  vt ne aubmi cT  quibem.fignificat euira Q exempli caufa) non folu  non vibi feb neqj ctiam aubiui . Item aliub exemplum pfylofopijie  ftubia bemocritus n5 mobo n5  intermittit ;Ieb ne remittit quibem.reaiittere na<|  pfyiam cft remiffius pfyilofopfyari? .be orbine pluriu fine coiunctioc Scb ea quoq? abljibeba biligetia elt q> li quabo plura ponimus preferti finecopulatioeCqui articuius   eft et fi ibi vibeatur fignificare quob vefyemetius   fonat magis coilocetur i calce.vttua virtus lauba   ba probaba e.na probaba eft rnagis q> fit ai mbicio   Magitratus biligere/amare/colere oebemus. pro   bau3mios virosomnesf; omines verentur./ obseruat abmiratur quc turpia / obfcena i tetra ; f cba   fut.'ea fugere et afpernari bebemua. virtutis offi=   cju fuma laus efr.na l?abet officiu accelfione actio   nis. (JSeb i l?iis quoq? orbo quibe fpectanbus eft q> fi tria quoru buo parte aliqua ugnificenti tercis   um lit communius^ib prof ecto plcrumoj bebet in   f ine collocariinili fe fyabuerit qucbam generis mo   bo.tunc enim ecotra fit quob nunc liquibo ac pers   fpicuo patcf accre exemp{is«ac prioris quibe excm   plu cft.oms in abipifcenba virtute cura/opera/bi- iigentiaiponenba e. eft eni cura confilium animi, opera corporis i bihgentia vtrumqjcomplectitur. Item inrepublica plurimum i&uftrie/laboris/ te  poris ponen&u eft,#smicos confilio I viribus opera abiuuare bebemue. Cylterius nof a exemplafut l ion lunt per fc rcs comobe ex eten&e bjuicie/tjo  norcs/voluptates comobum eni generislocum  beiinct cuius fpecies funt multe.puta quas mobo  nuirerauimus. Atg item animalia queqjV fyoines  Ieones;equi/bcnu vibetur appetere . feb vUamc|  resfele fyabeat. Ii multa fint,' quobpluriseft/ bc=  bet poni m finc.iam ab alia prccebamus. Qanfquis,' vtvt i vbiubi,  Multocicns gcminatio in quibulbam tam verbis  infinitis q> abucrbiis tanti valet quati i& nome fel'  ct cuncg. vt quilquis pro quicuncg, quotquot prQ  quotcug. quatufquatus pro quantulcucj» qualif=  qualis pro quaiifcuqj. vtut pro vtcuqj, vbiubi pro  vbicunq?. ct ib abucrte biligenter/  vi . ^vcccbit.  ^ccebit proabbitur/§ vfitatum cfttam pulcfyer=  rimum vibcri bcbet. vnbe et acceffio abbitioncm  fignat. vf ab meas miferias mictji acccbit bolor ib  eft abbitur. Conf ibo, Cofibo non ficut quiba arbitraf ur( nefcio quo pac  to)ftruit J,13 iugitur aiias catio ahas ablatio cafui  n et in fyiis potiffimu verfatur que ab animum fpertant. vt confibotua virtute/ tuafyumanuatef tuo  confilio. et lbem be aliis fyuiufmobi. Crebo pro cornitto. Crebo quocg pro comirto ornatiffimum eft. vt crc  bo tibi confiLa mea. crebo tibi granbem pecumam et fic be aliisr/  C^rahbismaior vel minornaftu   0ranbe abiectiuu nomen pvoh vel etati conuemt vel pecunie. pecunie exepla fupra pofuimus. leb   l?ic grabior neftorc vibetur ib § vibetur qi ncltore vincat etate et atecebat. r;ic tit graoisnatu/ajrabife   fimus natu SIGNIFICATIO geuu fjonine / atcj atmo--bu fene.St quia be natu facta meeioi maior natu   otnatifiie ficmif lcat feniore ficut mior natu ib eft, be Parentfyefi. {J. iuniore/ Infuper^aubi Hepiba fit interposita nonnuncp in  oratione /atcpinteriecta parentljefis . vtbebifti ab  meCque mea eft fumma voluptas fuam fimas lits  teras. omnes amicos (nifi ialloOpJurimum abmi  ror.fcire velim exte (ea nacg eftamicorum cofuetubo) quib nuperin caufa.M. Tfaitoniiegeris et iti bemum (repostulante) noftraram Jjuiufmobi  oratione interpositionibus alpergatrtus. be Incrcbuit,   Hecres apub me lerebuit/et fere %nif icat ab au  res perueit^et REI NOTITIA SIGNAT. Vt nos nefcire quib feicemus»  Nefcio t)ac re.ignoro/ preferif me  f ugif me. la=  tet me. fyuius rei nefcius fum.ignarus fu.jpec res  fcietiam meam f ugitf. Reliquu eft^pro reff at.  Hoc refiquu e i& eft reftaf /perpulcfyre / et magno  euornatu lbem fignificaf /exemplu eft.omnia tibi  ctnatura et fortuna tribuitreliquii eff t vt bene et  iaubabmter viu?S/. Vulgo ib e vbiql   Rumor e vulgo/ibeft vbiql et comunifer&icifur  et ornatus fermo eftf   {J^Cxlv.^vccipere pro au&ire et cognofcere  ccipere pro au&ire et cognofcere peruenufte bititur. Vtacccpirumoribus quor uel certus auctor  acccpi ljolm fama/ que certoauctore cotietur.acce  pi nuciis it enuciatioibus.quos nutios z qui mit  ti affert.accepi litterisquas plerucj abaicis accipi  mus.et I aliis cofimilibus lodsf   (ffjxlvuHike Ijofce })*keProno% articularib| bemoftratis cofucuerut ora  tores abbere ce a&jectione i iis cafib^ qui i f.bcfiuut  tupljonie ca\vtl?iice fyofce tafce pro jjis fycs feas/ mn V-' CfCxlviibe tranftatione fyuius pi-epofitiomscum cp* PREPOSITIO que preponi fofet / poftponitur  ecum fi fi jnif icantia eabem manet . et in quibufc  bam juibem femper. que funt mecum tecu fecum  nobifcum vobilcum . in quibufbam qupqj non feper, vt qui cum/quo cumV quibus cu/ te proptet  ac etiam propter te lbem fignificant. et fic quibus  cum « t cun quibus • et in iis potiffimum ea prepofmonum tnnflatio fit que wb enumeramus. Clam prepolitio  potius cp abuerbium»  Clam plerumq? prepofitio eft.et nonnuncj abuerbium* (eboratores PREPOSITIONEM potius accipiunt ;fiue iugatur ablatiuo vt prifcianusfetiti i;ue  accufatiuo/ quobopinatur bonatus* vtclamme  prcfectus eft ib dt me nelciente/   iJjCxlix.Cora et prepofitio et abuerbium»  Coram cum accetu in prima lillaba prepofttio eft  et quib fignif lcet nemo eft qui nclciat.cum accetu  vero in vltima fillaba abuerbium pulcfyerrimum  eft SIGNIFICAT vt ita bicam)prefentialiter. quo frequentiflime viriboctivtuntur – vt apud CICERONE .cupio tecum coram iocari ib eit prefentiali  ter.etiam coram tecum loquor. De abuerbusin. I. et. V.befinetib. Multa abuerbia in.I.exiftetia etiam I ipfis epifto   lis pulefyerrima funt.feb i;ec imprimis ruri vefpe ri/bomiybelli. Multaitem ino fero/ Icrio/ conlulto poftremo/falfo/merito.precario. Cetera vero  in eobem exitu beunentia ljaub in frequenti funt   vfu oratoru» i n v vero non multa funt biuicuius  SIGNIFICATIO MANIFESTA EST. Ioterbiu/quob eft quafi   infra mebii bid temcus.£t noctu pto nocte.quob   magis nome e. Vnbe biu noctucg bicimus;   (jXluNullus pro nom   Hullus «li.um.n6nu§ pro non.prefertim fum /es cft verbo abiuncto.vt nullus fum.ibefi interii. ref   pu.nulla eft (quau non eft lbeft extmcta eft. Ibc|   ornatiffimu f uerit.  Preftofum.ib e affum vel appareo. Preftomm SIGNIFICAT affum. et f ere appareo . et   Dc ibem abuerbiuj eiufbem verbi moois omnibus ac temponbus peruenufte conuectitur i m eabem   qua mobo pofuimus SIGNIFICANTIA vt prefto micfyi   fuit feruus tuus vrbe ingrebienti / lb eft affuit.   ([Cliii.Licet micfyi bono vito   efleivel bonum viriun.   Licet micfyi bonu virum effe et licet micfy bono vi   ro elfe vtrumcj latine atcj vf ltate bicitur. Seb   goftering magis oratoriu est. Pcirpetuu et Iperpetuu aouerbia?  Perpetuu et imperpetuum abuerbia pro eobe po s  niitur ' et eis f requeter vtimur. Deuindo proobligo»  Deuincio verbum cum pulcfyerrimum e.tum pre  cipue eplis congruit SIGNIFICAT et beuincio oblis  go / et bevinctus obligatus / ficut et fepe obnos   xius quobnonloiumtritomore SIGNIFICAT tquoo  notu eft. febetiam beuincturm. Collocare apub aliqui beneficiu.  Collocare apub alique benef irium eft alicui benefi  cium facere, vt apub gratos viros beneficium col  iocafti   (IClvii.Gratificor»  <5ratif icor libi fyanc rem predare vfurpaf ur / prp  gratumfacjo»   ([Clviii.De "inbulgeo et ignofco.  Jnbulgeo fane verbum eft aptiffimum et fplenbis  bi ornatus. quob et batiuo iungitur t et f erme \ignificat bo operam, at(j ita reponitur ♦ vt fyie nis  mio fomno inbulget. ib eft nimis bormit mmio d  bo inbulget / lb eft nimis comeoit . be aliis con fimili pacto. H Inbulgere quafi concebere eff  verbum luxurielam quanbam Mignans clemetia   tt in&uicjentem paretem appelfamus/ leniore er=  ga Iiberos mgenio.quare z ab ignofco piurimum  biffert.eft enim ignofco parco.ibeit bo venia.fme  excufatum fcbeo.ignofco tibiifiquibCexepu cauz  faJabmifens lceleris . inbulgeo vero i vt multa a=  cpre impune queas. quorum verbgrum bifcrime  i>il ^entifFime conliberabum eft/  TANTVS QVANTVS Tantus. ta.tum. et quantus eobemobo fefyas  bent in 01 atione vt raro alterum abfgaltero pona  tur. vt cor.cio l?ec tanta eftiquata ante^ac vn§ fu  it.tnbuis micl?i tantu quantum necagnofco / nec  postulo tdntum in te eft bocfrine quantum 1 boc=  tilfimo fo 7 et effe viro;   iI_Clx T a»a qualis?  Taliff et qualis alterutru creberrime ponitur* ra  ro vtrucj. vt teie iolemus fentire bonu viru/et fub  Bitelligimuf quale biximus.z ecotra.orator eilfu  ftris qualis alter nuilus reperitur. veru l?ec be f)is  htiBt ^LClxi. Vel pro eciam,  tVel pro etiam particula I multis locis rectiffime  congruit.vtfyambal fuit imperator velomnium   primus.tua eximia virtua vt tearoem velmaxie   impeliit. ([CytVfrforj  » Verfor verbfi ifl f requetiffio e vTtt veteru ac oifer   toiu foofni . perbif f nlaqj e eius verbi fignif icatia ac   beno variis poteftrationib? expoi.vt ego verfori   Iraru ftubio ib l bo opera lraru ftubio. virt us circa bifficile versatur ib e virtus i bifficiii cofiftit. ver famur in tenebris ib est f ere fumus ac viuimus et quasi stamus in tenebris etCquob est exemplis superioribus beciaratum) buos fibi plerumq? ac fre qnetius casus postulat. nam aut accusativo vingi tur/precoata circai aut ablatiuo in precebete. na cu acanatiuo vt ante f unbu verlari.ab porta ver=   fabatur pcrraro bicta funt. fcb queabmobu cetens   rebus oibus { ita buie f uma abfybenba e biiigetia, ^QQUiii . 8niuer o Sinaute HonnuS oue particule ornatiOime coiunguntur,  quarum eabem fit vtriul* f ignificatio. vt enmero  nam pro explenba SENTENTIA altera bumtaxat Juffi  cere poterat et similiter finautem cauia conplenbe fentencie. eo in loco aute patticula nullam omnino vim l?abet. 1m eni per le iignif icat feb h/   trClxiiii.&ttoab.  auoabypro quoufq;/et pro quabo/no minus ornate ponnur^ latine.vt volo in vrbe effe/ quoab  tu rebeasa . ita in plenfc* locis conlimihter accipi  poteft. Sufci pere.   Sufcipere no folum(quob tritug vulgatufcg vfus  fyabeOfignificat quob eft fuper fe accipere et quo=  bamobo abbucere aliquibi feb etiam perornate po=  fitum in epiftolis cemmenbatum Ipabere. vt fu£ci=  pit cicercnem cefar in fuis rebus abuerfis . que  vticj poftremaugnificatio /r/aub^quaqKfi quisin=  fpiciat accuratius)a priore illa afiena eft. Positivo abiucta negatio  cotrarii politiui pleruqj vim tenet.  Optima quocj ratio eft vt pofitio cuipiam abiun =  cta negatio cotrarii poifiui virn ac  SIGNIFICATIONEM twneat. feb non ita plene / tamen et accurate lilam  expleat.cuius rei exempla fubiciamus . r;ic vir eft  J;aut improbus. SIGNIFICAT enim i ere fyuc lpomine  prolum potius q> imprcbum effe jfyabenbum . et  pr;us ^aub igncbilis.r;iftrio non illepibus.miles  co inftrenuus.ciuis fjaub malus.Nam in iis/eo=  rumc| fimilibus rectius atcjj vlitatius bicitur qua  bo vis laubis cuiufbam eit. feb quafi biminute/ et  quafi btf raubate laubis. Peto r;anc rem a te CLuob gramatici bicunt peto te r; ac rem /ornatius  nec minus latir. e bici queat * peto banc rem a te et  ibplutimum ciceip m epiftoJis cofueuit.  ConHdoY pro pereo.  Conficior paffiua voce crebro vfitatu e pro eo f e=  re quoo e pereo.vt confectus fu ibeft columtus vt  vir lops ac mifer .'fame/fricjore/bolore coficitor.  fic anis etate et ftubio conficitur, ac merore Jbbo?  re/fenio cofectus.et be aliis fic per mulf is?  ^JOxix ftblatmi tu participioru tfl  alioru peruenuftam rebbut orationS  ftblatiui cafus no participioru folu/veruecia om  niu alioru in orone percodne ponutur.prcfet tjm  fi qua f uerit fignificatio teporis » et be participiis  quibe mariif eftu eft, vtregnante octauiano cefaref  parta eft vniuerfo orbi pax * quafi qua tempeftate  regnabat octauianus cefar et aliub bioniiio firas cufis tyranum gerente/grauifuma inficilia bella  fut gefta.ibeft jn quotepore fyracufanoru bionifc?  us tyranus erat* ([Beb eobe quocj rao alia que  bam fe babet nomitaa .maxime fi bignitatu ct 1)0noru extiterit. vtcornelio et galba cbilibus curilibp acte fut in tfyeatro f abule. Quiba abbut partid  pium exiftenubus.IeO nos profybemus l quob ab  vcnuftate oratiois n5 pertiet abbi oportere . et iU  fcipionc conlule peni beuicti funt. Icipione imperatore euerfa eft numantia . jpt reliqua eiufmobi   panter. (JCIxx.be geitiuis cu pofieffiuis pronoibus  Licetetia ta Ljramatice q> oratorie genitiuos quo  rumcuqt cafualm cu pcffeffiuis quocuq; cafu proJa  tis coiugere. qucb ct priftianus trabit . vf mea ca  venit/rt celeroru amicorum.meuagrum et mar  ci anfonii populati funt.tuo amico ac fratris gra=  •iificare.tuu.r; imperatorem fectare et coriolanum  p ncfter ac frains amice. fua ille confibit et ciuiu  pruoentia./C tqj lta figuratur conftrucfio in omnibus pdifeff:ui3.pinc terentianum illub meo prefi  bjoatq^ofp.ti. ^e nominatiuo poffeffiuo cu gemtiuo poffefibris.Ibq? penitus mfpidenbu fit/quaboqj etiam bifcre=.  tioms leu abubancie cuiufbam caufa folet abbicu  genitiao poffefforis et nominatiuus pofieffiuus  vt fuus eft.C.cefaris mcs ib tlt eius et no alterius  fuus ticiifilius fjeres teftamento conftitutus eft.  fuus( vt ipfe quocj pnftianus exponit>b bifcrctio  ne eius pertinet qui fecubum leges fuus non ciU  ib eft fub poteftate patris legittimi non eft . fuus  autem pro vnius cuiufq? proprie accipitur, quob  ipfum apub viros eloquentiffimos freques eft. Quibbiftatbie   quartoetbie.quatfa.  Qit quartaC vt nonius marcellus eciam teftis eft)  et bie quarto non ibem fignificant . feb mafculino  genere preter itu tempus befignatur f eminino f ututum . quob vef uftiffimi tamen aliter protuleriit  vt fic bit quarto pro eo e quob aliter nubiufqrtus  bicifur .'nubiuftertius.^et ltibe be aliis. Qm ib infere inter tua ca et tui ca feci»  Tua caufa fcci/et tui caufa feci ( ne pretei veteru  et boctorem cofuetubinem aliquib ef f iciamus ine  ter fefe fyaub mebiociiter bifcernutur . nam tui ca  bicimus/fiquib eiabquem fermonem vertimus  preftiterimus. vt tui caufa a& antonii caftra prof e  ctus quob eft tuenbi tui gratia. kb tua caufai cum  tuaQ vt ita bixerim) contemplatione aliquib alteri  preftiterimus vt tua ca»fratris tui caufa egi/  ^JXHxxiiii,be bif f erentia intcr gcnis  tiuos primitiui et pofieffiui .  £t quia aliquib be lis que ab poffeffionem fpectant  locuti lumus i fyaub ab re f uer it bif f erentia illam  ptof erre in mebium .que intcr genmuos priuKi=  ui eft ct poffelliui. vt mei tui fui noltri et veftri.  qua tibem pulcfyerrime pnfcianus exponit . vox  na<$ eft eabem .at vis ipfa longe biuerfa.cu genitP  uus pnmitiui fimplicem fignificat poffeifionem.  potfeffiui vero bupliccm» vt mci amicus ibe meu3 amicus . feb mei filii amicus bupjicem poifefiione  continet alteram meam in f ilio alteram filii i ami  co. quo cc fubiecimus/ne cum ornafum requiri=  mus4 verboru vim icjncremus ipfam/atq? in errorem quepiam iguorater incibamus feb nunc institutum prosequamur. C|xi.v. in mentem venit. Hcc res mic*?i in mttem venitbicitur. et cum ge=  nitiuo l;uius rei mid?i m mttem venit. nec micfyi  curc eft an j:ro nominatiuo geriitiuus pofitus eft,  vt uq; veto ncn iolum poete feb etiam. M. ricero  vfurpauit; fJClxxvi.be teporu c6mufatione t  Oratcr;s(f:cut et poete^perfepe prefentibus tepo  ribus vtuntur pro pretetitis . nonnucj et pro f u=  turis. veru lb quioe muitorarius . feD cotra fyaub  crebro fit.nifi forte incp verbum/ quob fufuri temporis eft / preteriti foco vel prefentis accipiamus.  Seb muita que fuper fyiis bici polfut/in aliub quo  9 tempus ieruamus;   4j0xxvii.>3imilis genitiuo et  plenus batiuo.  Similis et plenus nomina Cquorum prius batiuo  iugitur 4 postrerius etia ablatiuo)oratores vt pluri  mu/ac fere femper genitiuo iugunt. vtfimilis'es  !"uoru maioru.bignitatis et of ficii es plenus» no»  nuq» vero(feb perraro)pr«feruntur cu superioribus cafibusj. Vt fubiuctiuis imprdtiua verba iunguntur.  Sepenumero ctia maioris SIGNIFICANTIE causa vel ornatissime imperativis subiunctiua verba iugutur  quob CICERONE fepe ef ficere folebat. quale e iliuO cu =  va vt vir fis. et aliojoco fcrxbens ab f ilium eff ict  etiaboravtexcellas. Curri WcenatuWprabetur.   Decurritur fpaciu/cenatur rijombus l pranbetutultu Wcoftmilj aq? pulcf;errime bicuntur/   <£ixxx. Vt trafitiua verba  abfokte prof cruntur»  fltqf vt abfoluta iterbu vcrba obliquis cafibus iun  gutuWita trafitiua quocp iicet nonunqua non folu  pro gramaticoru more/feb etia pro oratoru cofue  tubie abfolute prof eratur .preferti vcro ili qua fu  passio cu ACTIONE IPSA SIGNIFICATVR qualia illa fat.  Lugeoinbeo metuo. que cum transitiva funt inunc  abolute proferutur. Dc terminatis m bunbus.  due I bubus excut noia ; no ta fimilitubine significat Cquob pleng arbitratur) § abubatia quabam  potius ac vefyemetius.vt gliabubus no ta cjioriati  fimilisiq» abunbe feie vefjementerqi ef feres.Qua  opinione eloquetiu ateji qSerubitifumoru fcominu  vbicg teftimoniis coprobata/tu quoqj firmiter ara  pfectere.na(vtalios omitta)7?vulus gelius auctor  probatiffimuf ex fnla quotj boctiffimi appoftinaris  letabu5us bicitur^qui logo atcg sbubati errore efu  et tu quocj eiftem vtere nominibus. De Fretus  Fretus.ta.ui.icerte originis ablatlo iuctu pultfyer  nmu eft.'et ugmficat fere confilu atej munitu. vt  vra fyuanitate f rcius . vra fapieuU J i:on mea vir tute  fretus. Certicrefacere Certiore facere vfitate atcj frequenter in epistolis  vsurpatur. na facio te be i$ac re certioremUb e tibi  figmfico l;ac re.et fepilfime velim me be tua vali tubine facias certiorem; Habeo. Habeo varia coftructione figuratu plurimu orna  tus Ipet.vt bene fyec res fc l)et.'qucb e fere vt ita bi  ca\'ftat bene fyec res.et ita bene fyeo me . et cu participiis bene me fyabes rebeo rure et cotrariu ab uerbiu similiter ei verbo iugitur quob eft maie; /plxxxv.be participiis f uturi temporis. Participia fepenumetQ i uturi temppris ornatiffime vfurpantur vt scripturus fum ab SCIPIONE (si veda)  litteraa. quoo eft fere bebeo scribere . etaliub.' tu ab  ebes cras iturus eslquafi ire bebes. CICERONE (si veda) e atfyeas  profecturus ib e bebet atfyenas proficifci. plautua  in ciprum traiecturus eft ( fere eftnauigarebcbet  in cipru.quob ibcirco ita expofuimus quoniam is  pi-opne nauigare / is tranfmittere t is folucre ei»  locum fignificat vnbe prof icifcimur is bemu tra=  iicere biciturl g> eubem befignat qui rate vebitur.  vt CICERONE (si veda) soluit atfjemsiet in afiam traiccitt(f/e=  ru ab propofitu rebeubum eft . illa igitur particis  pia quc a verbis manant palliuis et naffiue quoqj cxponi bebent vt cuius infons animus e/mulctaa bus non cft ib e mulctari et puniri non bebct . fon  tes accufanbi funt ib e accufari bebent.vir flagicio  fusefttrubebus incarccremibe coiicienbus jn vi  cula . 8t alia reliqua exponatur / vt fupra biximus{JjMec tame negauerim qui eorunbem participi  oru alia quoqj ratio fit feb ea nos mobo profequi  mur iprefetiaru/que venuftius eloquiu rebbant/ Repeto Qoiib repeto ^none perpulcfyre ponitur.fi quib ei  accefferikneq; batiuus foluscafus/feb etiam abla=  tinus.vt jepeto fjanc rem memoria/ quobnon te  neo memoria figaifieat. vt permulti extimat feb  *<  H  •podus meoria voluto^t rcmifcor /et quasi oblmi  oni trabitu rurlu lueftigo meoria»l;oc nos vii vei  bo ornatiffie poterimusiquonia ecbe z veteres eic  quetiffimi f requeter vfi iut* l;k illub be ORATORE CICERONE (si veda) libro. cogitanti mkl)i /ac memoria repete  ti et africanus a neuio accufatus / tnbuno plebis  <% ab antfyioctjo pccunia accepilfet / comcbiffimc  to verbo vsus rnemoria (mquit) quintes repeto ^unc bie fyobiernu effe*'quo Ijanibale penu iimitif  tmu fyuic imperio vici in africa l et perpetua pace  vobis/ac victoriam peperi infeparabile» veiu cap=  tus ingenti voluptate longius in af rica verbis re f erebis progrelfus furcuquaobrem «b veltru inititutura ref erat k oratiof. Promori; bieobireymorte oppe  tereet fimilia,' pro viaere aute vita agere/ be  gere ctatetn / etfimilia ornatebicimus/  Optimu factii fuerit l ne eifbe aut mobis oratiosis/aut verbis vtamur* eKquob inicio bicimus)  varia plurimu probat oratio et ti veluti quibufba  fiofculis afpergitur vt pro morivbie obire /mort«m oppcterc anima expirare / vitabecebere] ani  ma efflare/ vita befugi^ rebus fyumaqis excebere  ex vita migrare/res beferere fyuanas i exii e be vitalnwtc? pbireiextremum claubere bie; interire i  i occibere cdfimiliacg* et iteru pro viuere vitam age   re begereetatem/  Vtlu&oluou.Ticet   viuo vita &icimus et coniimilia»   St(ne figillatim cucta coplectar)illu& fcoc loco ani   mabuertenbum iitiq ficut fepe bicimus lubo lubu   pugno pugnaiferuio feraitutemiboleoy &olore^et   fimilia.' ita et inter&u viuo vitamVviuo miferam   feu felixe vitam, vt fi quis bixerit qui expe&ita fu«= erint virtuteconfecuti, / ii viuentbeatam/ etimor = talem vitam.et qui predaru certamen certaucrit/ a mphffimis bonabitur muueribus . £t quob &e va   riis bicimus orationis mobis l i& ipfu be fingulis   partibus intelligebu lit, vt pro oro rogo/ precor   obfecro/ pro quafi pene ferme.reliqua tuipe coiec   U} <JClxxxix, Ib genus, Ib genus pro eius generis C quo& fere simile nomen expnmiOpulcfyre et vfitate bicitur vt multa  funt ib genus monftra. be multis ib genus rebus  locutus eft.'quob e fimilibus.et ita in alns^ {JClxc, Sx fcntencia,  8x fentencia quafi fecunbum votuntaf em et prof=  perc • vt gefta rcs eft cx fcntentia . quob eft prout optabamus.et tibi i& vecit  sententiat et muftis  iuiocis confirniliter. “Inferre”. Inferre iiurii quali iniuria facere . manus iferre  alicui eft alique pulfare, impetu j quepia facere iit  quepia cu ipctu et quafi vi aboriniet jrruere. “Dare veniam. “Dare veniam” pulcfyerrimu efticrnofcerectlicetia  coneebere; 3°vt> 'nicio ctatis Ijabui te amicu.amicicia micr;i tc  cum eft a teneris annis/a paruulote primis ctatis  temporibue* a tenerisCvt greci bicut) vnguiculis  abincunabilisipfis.etijuiutmobi. {jQtuuei  etaspuicfyerrime abolefccnciam SIGNIFICAT. F«.rire f ebus.  Fcrire f ebus opfame atcp optimis caufis ex feriali  um cofuetubine fignificat f ebus coponere vt per=   fepe ictum fcu pcrcuffufcbus/eft conftitutum/ ct  compo fitum. Hft micbi nomc fcipioni £ft miclji nomefcipioni.fcipioni cognome africa=  no f uit.cui paojo troiano nome c ct lic be reliquig  batio cafu perulitate ac puldjerrime bicitur .que  eabe z aliis quoij mois bicutur.£ frequetius m6s  fueeriores apub eloquetiffimos et boctiffimos vi=  rosioucnies. ^iunt t f ertur bicitur. i»  Cum tritum vcrbu volumus ©ftenbere Aet quob  in ore populo e.' vtimur vel iperfonali fertur / vel  perfonali verbo aiunt Jet nonuncj biritur . et eis fi  gulis/ vt preponimus.' etraro ita.' feb interoii. q>  exempla fcuiufmobi lut . nam firenesCvt aiui)fur  bi bwbemus aure tranf ire. et item na ita f ertur vt  nulcfc tuta ut fibes. item fyaub turpe e( vt biutur)  tum ultuanbi be grabu beiici. Mebiam fuper noctem, onuq> ita bicimus nocte luper mebiam vigilaui  rous quob e vltra mebia nocte vigilauinius. ibcj z  f taias ipfeteftatuWetquorubam vetcrumpro=  fcut auctoritis. Tenbo. Contra sermone tuu tebo lb e reiponbeo tibi. y licut  et tenbo cotra iter iib e tibi occurro feb fyc fyaub i  frequenti vfu oratorum inuenies. Aacte.  Macte /magis aucte.et eft glorie et laubis fermo,'  et plerucj ablatio iiigitur.vt macte virtute elto.ib  9 et poete vfurpat/et fcriptores fyiftoriara* etbe=  mu oratores ipfi. qui lermo C vt multi erubitilu=  rai trabunt)a facris bebuctus elt. 7Kb expiicanbu locum tue genus  gentile ac patnum effingimus.  duoties alicuius explicaturi fuaius/iiue genus/  I sive locu/getuWc patriu nome effingimue. qucb  quifecuBeffccerit/fortaffelatine locutus fit;febil  lepibe penitus/atc| Ibecore. vt qui fuent a firacu=  fis oriubus/no be ciracufis bicebul J? firacufanus  no be atl;els<f? atfjemefis.et fic be aliis. atcj i gc=  nerifc^ /ac familiis nos no be cu abltio vtimur(vt  muiti l feb ibc nome effidmus vt no bc ftauris f$  luurus . r 6 ite be grecis fcb grccus non bc catufis  feb catulus.non be batis feb batus . Qua qmbe a  reib mento afferebu fitl quob pliniusipfeaiebat/  q> beriuationes no fyabet firmas regulas . fcb exeunt/tcrminaturc| vti ipfis autonbus placet fic a  tfyaurotfyauru/tfyaureu^ttfyaurinu bjcimus» et  quoe nos romanos bicimus^ bicut greci romeos»  guos nos cartfyaginefes ^iUi cartfyiboneos vocantt  &qb in enfis valatq as fi ab loca pertinent frequetiores terminationes sunt. vt albanenfis vero  nenfis dufiuua .' taretinus /lacebcmonus .'eiracutas  nus^arpinas.iftlii quoc| funt eorube nominu exitus.feb 11 frequetiori vfu celebratur.quob ibe ct in quibufba aliis fit«que mq a generis noibj fluxcre neqj loci vllius. vt tcrecianus cremes/ platoicuB  gigesifocraticus gorgias.queoia a propriis profecta lunt/atcj origine traxerc. feb que alia fyac bc  re^ici pQiTuUtuipe coQitatione coplectere. Conoi\  Conorrjanc rcm optimc ac peruenufte oirimuB,  prefertim fi bifficilior fit.'et arbua. quo pacto cice  ro fepe vtebatur. vt oe pcrfecto oratorci maguum  opus ct arbuum brute ccnamurf   {[ CCi«{3tubco»  Et ftubeo fi quib ftubiofius effecturi fumus coiam  accufatiuopulc^crrimc iuncjitur. “Defibero”. Dcfibero vcrbu pulcfyerrime pofitfi e . na cu befis  beriu fit abfetiu reru perfepc bicimuf befibcro amo  re tuu quafi tu no mc amas.bcfibcro tua prubetis  anWquafifis iiipies.et ltem bc alns;   ijCCiii . complector C5plcctor perbiff ufu e/atcj ornatu verbu.prefer=  ti vcro aiiquibus abiecus/ Jjac roe.vt te amore/at  q beiuof ecia coplector /pro te amo» cogitatione co  plecfcr .'qucb e cogito.z lb e aiificut facultatecofe  quor/eft rei ipfius; Degerubjuiflf  Illub ignoranbu non tltiq gcrubiuuar mobus ab  omni verbo fimili procratur / fi quanbo nobis fo  ret eo opus . vt cantanbo rumpitur anguia ib eft  bum cantatur l vt ait feruius et alio in loco acti^  uc bictum eft* cantanbo tu illum it> cit bum canis.  ib efficere atqj vfurpare oratores queunt/   (] CCv^be quarto p retoriet quartu pretor  Putat nonulli nicfjil itereifeiu quis bixent quarto pretor / ct quartum prefor / et (ic be aliis. feb  magna e certe bra/vt.M.varro teltis e.na quarto  pretor locu figmficat/et tres anteactos. quartum  vero befignat tpus .Caue igitur biligenter ne per=  pera fjifce vtaris ronibj.ne ofuib eotra veteru/ at  cp eloquetiu roore/cofuetubinecj faciamus. quare   terciu coful/ac tertio cdlulno ibefignificatt  {JCCvi.Kuri effe»   £eb ne plura iH f equar(na infinita pene «iu fmob   precipi poflut)ib tene memoria q? no irure effe/feb   ruri ee bicimus.quob cu f eftus popeius affirmat   tum terecius cdprobat.aif ei ruri fe cotinebat/   Quaobrem u qua reliqua fut.'paucis ex^ e^.amus Nam cu pro coficiebis epiJfoIis I)ee potissimu atligerimus si salutatioms formuia/ ac regula ibu   um nonaruqj obferuatione patef eceri .' iure l;uic   p aruo inftituto fine ac mobum ftatuerini/   4/C Cvii.Vale Salue»   Vale igitur ac falue verba pro VARRONE /et omnium boctiifimorum virorum (entencia ibem   fignif icare vibentur, Quibus nos alias in faluta0 aiias in execranbo vtimur ex quo terenciann iliuc» 2. valeant qui inter nos bifdbiu volut /ac cu=  piunt mortuis quoqj et qui mortaliu vita beccffes  runt^ quibus nullam fyuiufce Iucis optare lalu.e  polfumus,'nonuncj vale bicimus. CE?t veterea  quobam eifoe ibem verbu pro mori bicebat^quafi  nicfyil araplius viuentibus fibi cu mortuis futuru  elfet t et imperpetuu iam ab eoru afpectu bifcebes  rent.Nam neg? valet llli nec| falui effe polfunt ob  eabem rem abbut nonulii bene f eliciteng abuerbta  aut fi qua alia funt euumobi fiemihcatie. Veruta=  meninepiftolisipfisvaiein finebicere cofueuis  mus ab^ vlla abuerbii acceflione^ perinbe ac amicis vite falute ac f eligitate exoptemuf. Quib igitur  vale fibi querat.' quo ve illo pacto vtebu fit nofcef  Ct G Gviii.bico tibi lalute iubeo te faluere,  Pro falute aute piemc| nos bicimus falutem bico  et fi quefalutare cupimus 4 batiuo cafu aptifume  appofucnmus» vt vaie et cefari bic falutem . T^lia  quo(j erit faiutanbi ratio.vt iube fcipioncm faluere quob eft fcipionem faiuta . iSiam ille mobus vi quabam befiberii cotinet . ct pro antiquoru more  et confaetubine inf initiuus mobus in alium tranf  mutatur  vt iubeo te faluerc ib eft lalue . iubeo te  gaubere pro gaube;   ^JCCw.Meo noie vel meis vcrbis, t  {Tp ro mea ex paif e.  Quob vero alii ex mea parte bicuntl mulfo quibe  ornatius bicitur vel meo noie vel meis verbis/ calebis/nonis/et ibibus»  Quota aute cuiuicuqj mefis biem velimus mtellr  gereicalebis/ nonis/ibibus ve notamus.necj quib  illi fibi velitinuc expiicare cofiliii eft.feb quo pacto bicamus figulorum mefium bies.' et quomofco  ab eis nominatione fufcipiat . cpobrem intelligebu  elti primis/ primu cuiufqi mt fis biem/ calenbaru  appellatione vocari . fecunbu quas nonarum bies  coftituitur . ef in aliis quibe mefibus feptima luce  Marcio/Maio lulio/Octobri.in aliis autem qui»  ta/Ianuario/ Februario/yvpnli lunio / 7\ugus  fto/ Septembri/ nouebri /Decembri. J^tc| omne«  ii bies qui cdlenbas et nonas intercefferint*' nonarum cognominatione cefentur. vbi et numerum  meminenmus ac nonas ipfas.et ille ablatiuo con  ftruuntur. fjee accufatiuo. Seb internumeranbu  etprepoftero vtemur orbine^et nonarum biem conumerabimus .' atnonisexactis/ proximosocio  bies . ib quocjt in quolibet menfe ibuum umiitter  cognominatione fignincabimus* fcb pari rone tu  orbis/tu anumerationis.reliquos veroeius mefi»  (quotquot fuperf ueriObies calebaru appeliatione notabimus. que hxturiJacpYcximi fut mefisi neeg  orbinis/necp numeratiois roeimutate. 7>vt ib om  nc exeplo iiluftrabu iSitqf martius nobis exeplo.  cuius curriculu vno ac trigefimo bit coficitur .pri  tna ltaqj bies halenbe erut mahi.fecunba fexto no  nas marcii tercia quito nonas. quarta qnartono nas . quita ttrcio nonas . fe.\ta no bicitur fecunba  nonasifeb pribie nonas.et lta be lbibus at^ fcalcn  lsfeptima bieg none erunt marcii . octaua octavo ibus marcii .nona feptio ibus mattii becima fex  to ibus marcii.vnbecima quito lbus . ouobeum quarto ibus. tribecima terno ibus . quartabeciina  pribie ibus quitabecima ibus erunt marcii.febecia  bccimo leptimo halenbas aprihs. quoniam is me  fis proximum fequitar.beamafepnma beamofrx  to halenbas april.g. becima octava bccimcquinto  halerbas/becima nona becimo quarto halebas. vi  ccfuna becimotertio kalcbas. vicefimapt ia buobe*  cimo calenbas. vicefimaiecunba vnbecimo calebas  viceiimatertia becimo calenbas, vicefima quarta  nono calenbas vicefima quinta / octauo calenbas. Viceuma fexta feptimo caienbas . Vicefima fepn=  ma lexto cahnbas. Viceiima octaua quinto ca«  lenbas. Vicelima nona quarto calenbas . Trice  frnia tertio calebas. Tricefima prima et nouifiim/i   i  J  pribie fcalebas aprilis.In ceteris omibus eabefer 3  uaoa eit ratio bieru, Dieru autem numerus f;aub  fe lateatgui in propmtu eft cmnibus/  4jCCsi ♦ P^ibie kaienbas,'pribie,  nonas,'pribie ibus.  Pribie aute fcalenbas/pnbie nonas/pribie ibus et  «t fignificat quob vetuftiffimi bicebant biepriftini  pro abuei bio quob fignif icat bk priftino. et iic per  vetuitomore biecraf tini / et biequitiet biequinto  umiliter pto abuerbio, Veru nos prifcam nimis  et Ipombiore vetuftate vbicf f ugere ac vifere bebt  mus, #vc bene et preclare cefar preciperc Folebat/  ta§ fcopulu fic f ugienbu ee iaubitu /atq ifoles ver  fcum; <L Pro genitis aate ihenfiu rectius pof=  felfiua nomina finxerimus. vt pto ijalebis marcii  fic uenuftxus bixerimus halebas martiaf z ita apri  les/maias / lunias /iulias /ac quitiles auguffas feu  fextiks/ieptembrias, et itaianuarias/ fcbruarias  g> autem m haknbis/nonis ibibuiq abiatiuo cafu  iugimus.' jbcm poifimus in accufatiuu tranfferre  et ab preponer e feb ib iignificst tempus fere biu=  turnu, vt ab bccimu kalenbas februarii bebiiti ab  me litteras . ego vero ab ocfauu ibus lanuarias ao  te fcripferam^abet enim vim tejs»f»e*4^vel:;emen  twem fyocpofterjus; fc>  J  4 1 Operis peroratio.  Me «Sor pl«» fcribamdpc micfy Etic imprefen*  tiarum obtulerut ! quc anotatu bigniora vila funt{  nuc« tibi multo plus ferfafe conbucent ; cj eoru  preceptioncs i quieafbemetepiftohsetoratiQm;  bus tribuunt partes.quorum penitus enpient.ua  eb error .afa* ita fentienbui vti littens ipbs ab te  concinnc bilucibc^ perfcribamus .'ac noitram len»  tcntia afc» mente ^comobiffime apenamus . cj? cu  bec bili S cnter tenueiis < ck in£inito pene fcrum r«  La numcro;alia qucbam no mmus taaife vtt<  ha,'feb multa grauiora (ubnectam.auaobremCvt  facis ) cupibiwme ftubia htteraru complectere at  L ea queinbiesaffequerisabcxeraUttommawo   moba? IVale?   f/fluguftini bati fenenfis oratoris primaru liajjocjicus libellua octttioniB precepta finitf  oc Kt e^a rAficm ^•S. "atriftcr mM^urinxx^j^iit^Scnom^m  ttyAnne* ie fUmati* ^d{'   Llmulas kriwor frpi » Grice: “Dati is into ‘elegance’ but he is also into ‘regulae’, which are a bit like my maxims – my maxims can be exploited for ‘effect’ – and those are the types of rules that Dati is interested. Sadly, his philosophy has been interpreted as that of a mere linguist or grammarian prescribing on how to write letters! But he surely was a pre-Griceian who is looking for ‘rational’ pragmatic reasons to the effect of a most effective, yet ‘elegant,’ communication. Many examples can be philosophical: ‘women are women’, ‘war is war’. ‘Women are women’ is not meant as a substitutation for Parmenides’s law, x = x. Such an utterance would be, “Every thing is identical with itself.” “War is war” is different in that ‘war’ is uncountable, and we can keep the singular ‘is’ of Parmenides’s law, x = x. But why do we consider ‘War is war’ a tautology? Because it is the exemplification of ‘x = x” – Now, some philosophers claim that ‘war is war’ – or Parmenides law, for that matter, isn’t not a ‘patent tautology’, since it needs to be formalized in the predicate calculus, and the predicate calculus is not decidable, i.e. there is no algorithm for its interpretations which render its formulae tautologous. Augustinus Datus. Augustinus Dathus. Agostino Dati. Keywords: ELEGANTIOLÆ, retorica, grammatica. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Dati” – The Swimming Pool Library. Dati.

 

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