Grice e Fassò: la
ragione conversazionale e l’implicatura conversazionale -- Igitur est RES
PVBLICA RES POPVLI – l’implicatura di Bruto – scuola di Bologna – filosofia
bolognese – filofosia emiliana -- filosofia italiana – Luigi Speranza (Bologna). Filosofo
bolognese. Filosofo emiliano. Filosofo italiano. Bologna, Emilia. Grice: “I
like Fassò; for one,
he was, like my friend H. L. A. Hart, a philosophical lawyer! But unlike Hart,
Fassò, being a Roman, knew what he was talking about!” “My favourite is his
explication of Bruto’s reaction when being brought the corpses of his two
sons!” Fassò, mi viene a conforto col suo ottimo
lavoro, che dà una diligentissima ed acuta interpretazione ed esposizione del
corso non già logico ma storico, o per meglio dire, psicologico della
formazione della Scienza nuova; esposizione che è utile possedere e che si
segue con curiosità. Con pari bravura è condotta la ricerca di quel che VICO
attinse o credette di attingere ai quattro suoi autori. Croce, Illusione degli
autori sui “loro” autori,). Figlio di Ernesto, generale dell'esercito, e
Caterina Barbieri, discendente dalle famiglie Barbieri (il di lei nonno è
Lodovico Barbieri) e Dallolio (Maria Sofia, moglie di Lodovico, era sorella di
Alberto e Alfredo Dallolio), trascorre i suoi primi anni, fino all'adolescenza,
fra il Piemonte (Mondovì), l'Emilia-Romagna (Parma) e la Lombardia (Mantova).
Temperamento religioso, ereditato dall'educazione famigliare e dalla
frequentazione con un anziano sacerdote, si caratterizza sempre per il rigore
negli studi (perciò Mazzetti, suo compagno di gioventù, poté definirlo schivo
degli incontri e quasi della società, teso in un impegno di chiarezza mentale,
di serietà e finezza di sentire. Conseguita la maturità classica al Virgilio di
Mantova, si laurea a Bologna, sotto Borsi con “L'elemento demografico nelle
provvidenze assistenziali a favore dei lavoratori: la legislazione del lavoro”.
Dopo aver rinunciato ad impiegarsi come funzionario nell'unione industriale, ottiene
anche la laurea in Filosofia, sotto SAITTA (si veda), con “Vico e Michelet”. Confide
poi al suo allievo,Pattaro, che la scelta della filosofia, lungi dall'essere
redditizia, è un matrimonio con «madonna povertà», cui egli, tuttavia, non
volle sottrarsi, non essendo versato, come rivelò a Nicolini, nella
«professione forense. Svolse, quindi, l'attività di docente di storia e
filosofia, inizialmente come supplente al "Galvani" di Bologna, poi a
Forlì e, infine, al Liceo Righi di Bologna. Il suo saggio, dedicato a Vico nel
pensiero del suo primo traduttore francese, che, però, a causa
dell'indisponibilità degli editori, sarebbe stato pubblicato, grazie
all'intervento di Saitta come memoria dell'Accademia delle scienze
dell'Istituto di Bologna. Vicino al Partito Liberale Italiano, a guerra
conclusa accetta di candidarsi, per il medesimo partito, alle elezioni comunali
bolognesi. Divenuto assistente volontario di Filosofia del diritto
nell'Ateneo felsineo, fu convinto da Felice Battaglia a concorrere per la
libera docenza, che ottenne. Nel medesimo anno, al Parma, gli viene quindi
assegnato l'incarico in Filosofia del diritto. Aggiudicatosi l'ordinariato, si
trasferì successivamente a Bologna, dove insegnò filosofia giuridica, presso la
Facoltà di Giurisprudenza, e Storia delle dottrine politiche, nella Facoltà di
Lettere e Filosofia. Si occupa di studi vichiani (della cui validità
scientifica è testimonianza una epistola di Solari, in cui si apprende che
l'interpretazione giuridica della Scienza nuova proposta da F. supera la
visione Croce-Nicolini, ponendosi al livello qualitativo di quelle di Fubini e
di Donati) e groziani, della cura e traduzione dei Prolegomeni al diritto della
guerra e della pace di Grozio e scrisse VICO (si veda) e Grozio, nonché, la
Storia della filosofia del diritto in tre volumi, giudicata da Bobbio come la
storia della filosofia del diritto più completa» esistente sulla faccia della
terra. Oltre Croce, F. criticò anche GENTILE (si veda), autore di una
concezione speculativa indubbiamente grandiosa, che si risolveva, però, in vana
retorica, negante, entro la dialettica dello spirito, la realtà del fenomeno
giuridico. Fra le altre opere, La democrazia in Grecia; Il diritto naturale;
dello stesso anno è La legge della ragione, considerata una «tra le opere
migliori di filosofia del diritto uscite in Italia» al tempo, e consistente in
una «appassionata rivalutazione» del diritto naturale; Società, legge e
ragione, apparso nell'anno della morte (i due ultimi volumi citati, tuttavia,
ripropongono scritti precedenti). Le pubblicazioni in cui si esprime con più
chiarezza l'ispirazione teoretica di F. sono, invece, La storia come esperienza
giuridica (in cui, ha commentato BOBBIO
(si veda) si dimostra che tutti i rapporti che l'uomo ha con gli altri uomini,
contengono un germe di organizzazione, e quindi sono istituzioni giuridiche») e
Cristianesimo e società, che susciterà un vivace dibattito nell'ambiente
cattolico, incontrando financo il favore di Prezzolini. Il suo testament disponeva
funerali semplici, «senza fiori e senza seguito di estranei. In un codicillo,
inoltre, soggiungeva che, se si trovassero miei scritti incompiuti, manoscritti
o dattilografati, non si stampino, perché non possono essere stati riveduti
come avrei ritenuto necessario», congiuntamente all'invito a non raccogliere
«in volume opuscoli sparsi o scritti minori, operazione che non dovrebbe mai
esser fatta se non dall'autore». Alla memoria di F., oltre che a quella di
Gaudenzi, è intitolato il Centro Interdipartimentale di Ricerca in Storia del
Diritto, Filosofia e Sociologia del Diritto e Informatica Giuridica a Bologna,.
Benché F. abbia apprezzato il Romano sostenitore della concezione non
normativistica del diritto, egli non poté tacerne il limite, consistente
nell'assenza di una «definizione esauriente» dell'istituzione, dovuto alla
volontà di Romano di tenersi «fuori dal campo della filosofia». Il più limpido
storico del giusnaturalismo». Formatosi filosoficamente nella temperie
culturale neoidealistica, Fassò se ne distaccò, rifiutandone soprattutto
l'immanentismo, con La storia come esperienza giuridica, opera ispirata dalle
suggestioni istituzionalistiche di Romano (ma di questi deplorerà, nella
successiva Storia della filosofia del diritto, il circolo vizioso, per cui una
istituzione è giuridica solo quando è giuridica. A Croce, che faceva coincidere
storia e filosofia, F. replica con l'identificazione di storia e giuridicità,
estendendo il concetto di istituzione — contrariamente a quanto aveva fatto
Romano, e risolvendone così il circolo vizioso — a tutti gli aspetti della vita
sociale, cioè della vita dell'uomo nella storia, che è sempre vita dell'uomo in
società. L'elisione dell'identità fra realtà storica e razionalità filosofica
non implica la rimozione dell'Assoluto, ma egli ne negava ogni possibilità
conoscitiva, ricadendo la «concreta unità del reale» (sotto l'aspetto
gnoseologico) nell'ambito del privo di senso, sebbene restasse attingibile in
uno slancio mistico, descritto, in una pagina de La legge della ragione, come
partecipazione dell'«uomo al valore divino, ma solo quando si faccia anch'egli
Dio per unirsi a lui, trascendendo la propria umanità, la propria soggettività
empirica, storica». È importante tener fermo come Fassò, quantunque abbia
legato l'Assoluto a uno slancio mistico, non si sia fatto teorico di un irrazionalismo
misticheggiante, ma — giusta l'osservazione di Vallauri — abbia formulato un
«dittico» in cui si afferma, da un lato, la «sopragiuridicità dell'etica intesa
come esperienza religiosa» e, dall'altro, «la funzione essenziale della ragione
giuridica nel mondo. Proprio il riconoscimento della centralità della ragione
giuridica nel governo della «concreta molteplicità del reale» costituì, per F.,
un ulteriore motivo critico nei confronti dell'anti-gius-naturalismo crociano,
da cui, dopo l'approfondimento della storia del giusnaturalismo, prese più
convintamente le distanze. La concezione giusnaturalistica fassoiana, infatti,
cerca di non cadere nell'errore proprio della tradizione precedente (errore che
nella Storia della filosofia del diritto, non esitò a indicare quale «difetto
capitale» della scuola del diritto naturale, consistente nell'astrattismo e nel
conseguente antistoricismo), intendendo il diritto naturale quale ordine che
nasce dalla storia, e nel quale l'uomo non può non essere inserito proprio per
la sua dimensione storica, che è la sua dimensione essenziale. Medaglia d'oro
ai benemeriti della scuola della cultura e dell'artenastrino per uniforme
ordinaria Medaglia d'oro ai benemeriti della scuola della cultura e dell'arte. Croce,
Illusione degli autori sui “loro” autori, su Quaderni della Critica, Laterza, Ora
anche in Id., Indagini su Hegel e schiarimenti filosofici, Savorelli, Napoli,
Bibliopolis, Cfr. Garin, Cronache di filosofia italiana, Bari, Laterza. La sua
ricerca di Saitta, anche storica, sembra inscindibile da una polemica e da una
protesta. Polemica e protesta che attraversano ugualmente l'attività così di
Calogero come dello Spirito, annoverati talora col Saitta fra gli esponenti
della sinistra gentiliana, e come lui accusati a volte, e non certo
benevolmente, di crocianesimo». Pattaro, Sull'Assoluto. Contributo allo studio
del pensiero di F.. F. segue con particolare attenzione i corsi di Saitta, che
gli suggerì di approfondire Michelet, che lo avrebbe condotto a Vico. Scheda senatore Dallolio, su Scheda senator
Dallolio, su senato. Le parole di Mazzetti sono riportate in Faralli, Il
maestro e lo studioso, in Rivista di filosofia del diritto, Bologna, Il Mulino,
Elenco dei laureati e diplomati nell'Anno Scolastico, in Annuario dell'Anno
Accademico, Bologna, Società Tipografica già Compositori,Elenco dei laureati e
diplomati nell'Anno Scolastico, in Annuario dell'Anno Accademico. Bologna,
Tipografia Compositori, Pattaro, Alcuni ricordi personali e cenni sulla
gnoseologia, ontologia e concezione della filosofia di F., in Rivista di
filosofia del diritto, Bologna, Il Mulino. “Mi disse che ci sarebbe stato un
concorso per assistente ordinario alla cattedra e mi chiese se fossi
interessato a partecipare. Ma mi prevenne con due avvertimenti sui quali avrei
dovuto meditare prima di dargli una risposta. Essi sono: "chi fa filosofia
del diritto in una facoltà di Giurisprudenza sposa madonna povertà e nell'università
occorre sapere ingoiare amaro e sputare dolce perché l'intelligenza degli
accademici è di regola superiore a quella dei comuni mortali, e ciò implica che
essi siano capaci di cattiverie più raffinate e perfide di quelle di cui sono
capaci i comuni mortali. La citazione è tratta dal carteggio Fassò-Nicolini,
richiamato da E. Pattaro, nel suo Sull'Assoluto. Contributo allo studio del
pensiero di F., premesso. In altre lettere allo stesso Nicolini, scrive di non
sentire nessuna vocazione per la professione forense. Curriculum vitae di
Andrea Fassò, Consiglio Nazionale del Notariato.. Gli studi vichiani di F., in
Bollettino del Centro Studi Vichiani, Napoli, Guida, Ha ultimato VICO nel
pensiero del suo primo traduttore francese nel ma causa la difficoltà di
trovare un editore — non gli fu possibile pubblicarlo allora: soltanto poté
presentarlo all'Accademia delle scienze di Bologna per il tramite di Saitta. Pattaro,
Sull'Assoluto. Contributo allo studio del pensiero di F., in F., Scritti di
filosofia del diritto, Pattaro, Faralli,
Zucchini, Milano, Giuffrè. Dopo i disagi della guerra, aveva ripreso le
proprie ricerche incoraggiato da Battaglia, che lo convinse ad affrontare
l'esame di libera docenza in filosofia del diritto. Conseguita la libera
docenza in filosofia del diritto, F. ebbe il suo primo incarico in questa
materia, a Parma. Dizionario biografico degli italiani, Roma, Istituto
dell'Enciclopedia Italiana, Battaglia, F.:
in memoria, in Rivista di filosofia del diritto [giunse] alla libera docenza, e
nello stesso anno lo abilitarono a tenere l'incarico della filosofia del
diritto nella Parma, ove divenne professore della materia. Passa all'Bologna,
dove rimase titolare della disciplina, tenuta con alto prestigio e qualificata
dignità fino alla morte che ne chiuse la laboriosa giornata». Pattaro, Gli studi vichiani di F., in
Bollettino del Centro Studi Vichiani, Napoli, Guida. Tra le carte personali di
F. ho trovato una cartolina postale, vergata fitta fitta da Solari. In essa,
tra le altre cose, è scritto: ‘Da tempo ero convinto della verità della interpretazione
giuridica della Scienza Nuova: ma Lei ne ha dato ampia, profonda, persuasiva
dimostrazione. La cautela con cui è sostenuta è frutto della Sua modestia, e
della Sua serietà di studioso. Il suo saggio sui quattro autori può stare a
paro cogli scritti vichiani di Donati e Fubini e supera la visione
Croce-Nicolini che sul punto della genesi giuridica della scienza nuova stanno
ancora sulle generali. Finalmente esiste in Italia (dico in Italia, ma potrei
dire sulla faccia della terra) una storia della filosofia del diritto, non
angustamente scolastica, non puramente nozionistica e per di più complete. Così
Bobbio saluta la Storia della filosofia del diritto. In tutta la filosofia del
Gentile si ha una concezione speculativa indubbiamente grandiosa, ma che si
risolve in vana retorica, negante l'esperienza della realtà effettuale. Non è
tuttavia dalla negazione della molteplicità dei soggetti che discende la
negazione della realtà del diritto nella filosofia gentiliana. Come in quella
del Croce, essa è compiuta in relazione alla dialettica dello spirito, cioè del
soggetto assoluto. È importante, infine, sottolineare il valore di impegno
civile che il filosofo bolognese riconosceva al testo e che ad esso venne
riconosciuto dalla traduzione greca. Thessalonike, Poseidonas], all'epoca della
dittatura militare in Grecia». Bobbio,
Giusnaturalismo e positivismo giuridico, prefazione di Ferrajoli, Roma-Bari,
Laterza, Bobbio, La filosofia del
diritto in Italia, in Jus, Milano, Faralli,
I momenti della riflessione critica su F., Prezzolini chiosa Cristianesimo e
società sia in un articolo su Il resto del carlino sia nel libro Cristo e/o
Machiavelli. Conservo la prima edizione di Cristianesimo e società, egli scrive.
La volli come compagna perché dovevo moltissimo a quel libro, cioè non dirò
l'apertura, ma la conferma dotta, serena, eppure appassionata di un punto di
vista importante. Prezzolini ritiene di aver trovato in Fassò, argomentate con
un'alta filologia, sempre al corrente della produzione critica e accompagnata
dalla conoscenza dei testi filosofici, quelle stesse idee che anch'egli aveva
manifestato ‘lanciate piuttosto da un intuito che da un sapere storico Annuario,
Bologna, Tipografia Compositori, Pattaro, Ricordo, in Rivista trimestrale di
diritto e procedura civile, Centro Interdipartimentale di Ricerca in Storia del
Diritto, Filosofia e Sociologia del Diritto e Informatica Giuridica, sStoria
della filosofia del diritto, edizione aggiornata Faralli, Roma-Bari, Laterza. Romano si tiene
deliberatamente fuori dal campo della filosofia, non sfruttando neppure quegli
indirizzi di essa, primo fra tutti quello del Croce, che potevano valere a
suffragar la sua tesi. Questa è sostenuta unicamente sul terreno della
considerazione empirica del diritto, e non vuole avere né premesse né
conclusioni che stiano al di fuori o al di sopra di essa. Neppure il Romano dà
del concetto di istituzione una definizione esauriente». Marini, Il giusnaturalismo nella cultura
filosofica italiana del Novecento, in Storicità del diritto e dignità dell'uomo,
Napoli, Morano, Cfr. Matteucci, recensione a F., Cristianesimo e società,
Giuffrè, Milano, in Il Mulino, «L'esigenza filosofica fondamentale che si palesa
nei lavori del F. è quella di uscire dallo storicismo immanentistico dei Croce
e dei Gentile che vedeva nella storia la manifestazione di un principio assoluto
(lo Spirito, l'Atto. Cfr. Pattaro, In che senso la storia è esperienza
giuridica: l'istituzionalismo trascendentale, in appendice a F., La storia come
esperienza giuridica, Faralli, Soveria Mannelli, Rubbettino. L'esperienza che
Fassò aveva avuto della filosofia idealistica egemone in Italia nella prima
metà del secolo, la quale all'interno dei suoi precedenti studi vichiani,
condotti in chiave di storia della filosofia, non necessariamente costituiva
un'ipoteca con cui dover fare conti precisi, in sede teoretica, sia pure di
filosofia del diritto, venne chiamata ad un inevitabile redde rationem. F.,
Storia della filosofia del diritto, Faralli, Roma-Bari, Laterza, Il giudizio,
tuttavia, è già presente in F., La storia come esperienza giuridica. È proprio
questo, del resto, il punto debole della dottrina del Romano, che fu subito
rilevato dai suoi critici: il circolo vizioso in cui egli si aggira,
presupponendo la giuridicità di quella istituzione che poi identifica con il
diritto. In altre parole, Romano afferma che sono istituzione, ossia
ordinamento giuridico, ossia diritto, quegli enti o corpi sociali che hanno
carattere giuridico. Croce, Logica come scienza del concetto puro, Farnetti,
con una nota al testo di Sasso, Napoli, Bibliopolis, Croce, La storia come
pensiero e come azione, Conforti, con una nota al testo di Sasso, Napoli,
Bibliopolis, «Si può dire che, con la critica storica della filosofia
trascendente, la filosofia stessa, nella sua autonomia, sia morta, perché la
sua pretesa di autonomia era fondata appunto nel carattere suo di metafisica.
Quella che ne ha preso il luogo, non è più filosofia, ma storia, o, che viene a
dire il medesimo, filosofia in quanto storia e storia in quanto filosofia:
la filosofia-storia, che ha per suo principio l'identità di universale ed
individuale, d'intelletto e intuizione, e dichiara arbitrario o illegittimo
ogni distacco dei due elementi, i quali realmente sono un solo. La storia
come esperienza giuridica. L'esperienza giuridica non è altro che l'esperienza
umana nella sua totalità, la storia stessa insomma dell'uomo. In che senso la
storia è esperienza giuridica: l'istituzionalismo trascendentale di F., «La
concreta unità del reale, l'universale concreto, è un residuato della grandiosa
retorica metafisica idealistica. F., con l'onore delle armi, lo colloca nella
dimensione che gli compete, ossia dell'inconoscibile, indicibile,
incomunicabile per definizione: dell'indiscutibile che è tale non perché sia
vero o certo di là da ogni ragionevole dubbio, bensì perché non è possibile
oggetto di discorso, non è suscettibile di ragionamento, sfugge ad ogni comprensione
e spiegazione razionale. Lo colloca nella dimensione del privo di senso. Pattaro,
In che senso la storia è esperienza giuridica: l'istituzionalismo
trascendentale. Resti chiaro, peraltro, che F. rinvia sì al piano mistico
l'unità del reale, l'assoluto, l'universale concreto, ecc., ma che, non per
questo, egli professa una filosofia mistica intuizionistica. Il giudizio di Vallauri
è espresso nel suo Amicizia, carità, diritto, Giuffrè, Milano. Considerata nel
suo arco complessivo, forma un dittico, che da un lato ribadisce rigorosamente
la sopragiuridicità della esperienza cristiana giunta al suo culmine
(identificato nella carità), e dall'altro lato riconosce la funzione preziosa
della ragione giuridica nel mondo, dove ogni individuo limita e contraddice
l'altro e dove una norma di coesistenza è indispensabile’») e accolto in F.,
Società, legge e ragione, Milano, Comunità, Pattaro, In che senso la storia è
esperienza giuridica: l'istituzionalismo trascendentale di F., La concreta
molteplicità del reale, il flusso eracliteo dei particolari concrerti, l'eterogeneo
continuum di cui parla richiamando Ross, è la realtà empirica, fenomenica:
molteplicità infinita di eventi originali e irripetibili, non essendovi nello
spazio, e più ancora nel tempo, due fenomeni perfettamente identici. Sulla
posizione crociana rispetto al giusnaturalismo cfr., per esempio, Croce,
Filosofia della pratica. Economica ed etica, Tarantino, con una nota al testo
di Sasso, Napoli, Bibliopolis. Contraddittorio è altresì il concetto di un
codice eterno, di una legislazione-limite o modello, di un diritto universale,
razionale o naturale, o come altro lo si è venuto variamente intitolando. Il
diritto naturale, la legislazione universale, il codice eterno, che pretende
fissare il transeunte, urta contro il principio della mutevolezza delle leggi,
che è conseguenza necessaria del carattere contingente e storico del loro
contenuto. Se al diritto naturale si lasciasse fare quel che esso annunzia, se
Dio permettesse che gli affari della Realtà fossero amministrati secondo le
astratte idee degli scrittori e dei professori, si vedrebbe, con la formazione
e applicazione del Codice eterno, arrestarsi di colpo lo svolgimento, concludersi
la Storia, morire la vita, disfarsi la realtà. Sulla presa esplicita di
distanza di F. da Croce, cfr. Società, legge e ragione. Ho continuato a ripetere
la stessa cosa. Il diritto nasce dalla natura umana, la quale è natura storica
e natura sociale. Ho rifiutato dapprima, sotto la suggestione dell'anti-gius-naturalismo
del tempo in cui ero cresciuto, di chiamare naturale un siffatto diritto. Più
tardi, dopo avere approfondito la conoscenza storica del gius-naturalismo ed
essermi meglio chiarito la parte che esso ha avuto nella difesa della libertà
contro l'assolutismo politico, mi sono deciso a designare con quell'aggettivo
in realtà equivoco il diritto che la ragione trova nella natura della società. Laddove,
invece, si è riscontrata coincidenza cronologica, si è preferito seguire
l'ordine alfabetico. Altre saggi: “I quattro auttori del Vico: saggio
sulla genesi della Scienza nuova” (Milano, Giuffre); “La storia come esperienza
giuridica, Faralli, Soveria Mannelli, Rubbettino); “Cristianesimo e società” (Milano,
Giuffrè); “La democrazia in Grecia, Faralli, Pattaro e Zucchini (Milano, Giuffrè);
“Il diritto naturale” (Torino, ERI, “La legge della ragione, Faralli, Pattaro e
Zucchini (Milano, Giuffrè); “Storia della filosofia del diritto, Roma-Bari,
Laterza); “VICO e Grozio” (Napoli, Guida); “Società, legge e ragione” (Milano, Edizioni
di Comunità); “La flosofia del diritto” (Milano, Giuffrè); Diritto della
guerra” (Napoli, Morano). Dizionario biografico degli italiani, Gli studi
vichiani di F., Centro Studi Vichiani,
Napoli, Guida), “Sull'Assoluto. Contributo allo studio del pensiero di F.”,
“In che senso la storia è esperienza giuridica: l'istituzionalismo
trascendentale di F.”, “Lo storicismo di F.”, “Sulla annosa e ricorrente
disputa tra positivisti e giusnaturalisti”, “Un itinerario filosofico tra
diritto e natura umana”. L'iniziativa di raccogliere gli scritti di
filosofia del diritto di F. è altamente opportuna e meritoria. Gli studiosi ne
debbono essere grati ai curatori: Pattaro (che al Maestro è succeduto sulla
cattedra bolognese), Faralli, Zucchini. Con questi tre ricchi volumi diviene
facilmente accessibile una produzione, altri- menti sparsa in riviste e in atti
occasionali, che sta a testimoniare il cammino limpido e coerente di una tra le
personalità intellettualmente più vive ed oneste della nostra cultura del
secondo dopoguerra, purtroppo strappata anzi tempo agli studi. I curatori
avvertono che del- l'opera di F. rimangono escluse da questa pur ampia raccolta
le opere pubblicate quali volumi separati, articoli occasionali che sono parsi
non riconducibili alla filosofia del diritto, e scritti di letteratura e di
critica cinematografica. Si può convenire sull’opportunità di preservare la
purezza e omogeneità scientifica della raccolta, escludendo gli scritti delle
due ultime categorie menzionate; giudicheranno i curatori, o altri studiosi
interessati, se non sia opportuna la pubblicazione separata degli scritti
minori ora esclusi, per dare un’immagine completa della cultura e
dell’evoluzione di F., ovvero di uno studioso che, alieno quant’altri mai da
digressioni e dilettantismi, mostra però in ogni pagina la vastità e classicità
delle proprie conoscenze. Evidente è invece la necessità di escludere le opere
apparse quali volumi separati. Tra esse sono opere a tutti note, che hanno saldamente
stabilito il prestigio scientifico di F. Basti ricordare gli studi vichiani e
groziani (da I (( quattro auttori D del VICO. Saggio sulla genesi della Scienza
nuova, alla cura e traduzione dei Prolegomeni al diritto della guerra e della
pace di Grozio, dello stesso anno, a Vico e Grozio, e la fondamentale STORIA
DELLA FILOSOFIA DEL DIRITTO – DA CICERONE A CICERONE. Sono anche da ricordare:
La democrazia in Grecia; Il diritto naturale; La legge della ragione, dello
stesso anno; Società, legge e ragione, apparso nell’anno della morte (ma i due
ultimi volumi raccolgono e rifondono scritti precedenti, che si trovano in
questa stessa raccolta). Ricordiamo per ultimi, non per caso, i due scritti in
cui è documentata la fisionomia teoretica di F., il quale, se fu grande storico
del pensiero, ebbe anche un’impronta filosofica originalissima, e una chiarezza
ideale che diede senso unitario ai molti interventi su problemi teoretici, oggi
raccolti nei presenti volumi. Ci riferiamo alle opere L a storia come esperienza
giuridica, e Cristianesimo e società. Oltre agli scritti di F., la raccolta
contiene: una Nota dei curatori, che spiega i criteri seguiti;un’ampia
Introduzione di Pattaro, dal titolo Sull’assoluto. Contributo allo studio del
pensiero di F.; na Bibliografia degli scritti filosofico- giuridici di F., a
cura di Zucchini; uno studio di Faralli dal titolo I momenti della riflessione
critica su F.. Di modo che questi volumi offrono una base per chiunque si
accosti criticamente all’opera e al pensiero di F.: lo status quaestionis è
chiaramente delineato. È ancora da dire che gli scritti di F. sono ripartiti in
tre categorie: saggi e articoli, voci di
enciclopedia, e recensioni. Saggie articoli occupano la maggior parte dei
volumi, notevole è però anche la mole delle voci di enciclopedia: un genere che
F. coltiva con assiduità, e che era particolarmente congeniale alla sua mente
storica, e alla chiarezza concettuale alla quale egli era sempre solito
congiungere rigorosamente la ricostruzione storica: poche pagine sono in grado,
in queste voci, di dare le linee maestre di Milano un tema, o dell’opera
di un autore (esemplari ci sembrano, tra le voci su temi teoretici,
Democrazia,e Giusnaturalisrno;tra le voci su temi storici, quelle sui due
autori di F. per eccellenza, Groot, e VICO Non molte sono invece le recensioni
in chi pure e studioso di larghissime letture. Se si tolgono le recensioni
legate agli esordi scientifici e ai loro temi, rimangono pochi interventi; tra
questi dobbiamo ricordare, per l’interesse oggettivo e per la luce che portano
sulla personalità di Fassò, le recensioni dedicate ad autori coi quali egli fu
in singolare vicinanza spirituale: come le recensioni a volumi di BOBBIO su
temi filosofico-giuridici, o al volume di PIOVANI, Giusnaturalismo ed etica
moderna -- la recensione. Peraltro, per valutare la presenza attiva, insieme
critica e costruttiva, di F. nella filosofia italiana, si deve pensare alle
molte discussioni che egli costantemente e con passione sollevava su temi
storici e teoretici: più della recensione, lo attraeva la discussione ampia che
ruotasse intorno a un problema a lui congeniale. Si pensi alle osservazioni che
egli svolse su due saggi di COTTA, ancora uno studioso col quale egli fu in
profondo dialogo: i libri di questo su AQUINO e su AGOSTINO sollecitarono la
meditazione di F. in due articoli: AQUINO giurista laico? e Agostino e il
giusnaturalismo.Inoltre, tutta l’attività di . fu segnata dalla polemica,
spesso anche dura o sarcastica, che egli rivolgeva ad autori grandi e piccoli,
lontani e vicini. Polemizza su temi filologici ed eruditi, riprendendo e
correggendo; polemizzava su problemi teoretici, dove non trovasse chiarezza di
pensiero, egli che era scrittore limpido e rifuggiva da qualsiasi ambiguità o
da compiacenti silenzi. Talvolta colpisce, ancor oggi, la durezza della
polemica; ed egli ne era certo consapevole, e scrisse una volta queste parole,
che valgono a spiegare un tratto della sua personalità: nella sua connaturata
avversione ai radicatissimi luoghi comuni nella ricerca scientifica come nei
modi del pensare politico, egli replica sempre con vigore, e talora con troppo
vigore, e metteva in luce componenti opposte a quelle Comunemente accettate,
Seri- veva: (Forse, nel cercare di metterle in luce, ho calcato troppo sulla
loro importanza? Se questo è avvenuto, è stato (per ricorrere ancora una volta
a Grozio e prendere a prestito da lui l’immagine di cui si serve a proposito di
Erasmo con l’intenzione con cui si piegano in senso opposto gli oggetti
incurvatisi, per cercare di farli tornare nella posizione giusta D. In
quell’occasione, egli parlava delle convinzioni diffuse sulle componenti
originarie dell’etica laica, di solito vista derivare dal protestantesimo e dai
suoi moti preparatori; mentre egli vedeva componenti più ampie, e radici che
egli individua per gran parte proprio in AQUINO (si veda).. Egli era quindi in
uno dei campi prediletti della sua indagine; ma quell‘intenzione lì dichiarata
e illustrata, con l’immagine degl’oggetti incurvatisi vale a farci comprendere
la intransigente vena polemica, strumento per riportare alla posizione giusta, che nel suo caso era la
posizione della verità scientifica e del rigore metodologico. Di quella vena
polemica, gran parte degli scritti qui pubblicati sono testimonianza, talora
vivacissima. C’e in F. tutta la serietà intellettuale di chi conosce la fatica
della paziente ricerca quotidiana. Non solo la storia del pensiero propriamente
detta, con le sue regole filologiche; anche la filosofia aveva i suoi canoni e
le sue conoscenze tecniche. Nel corso di una polemica, su uno dei temi che più
gli stettero a cuore, quello del rapporto fra cristianesimo e società, egli
scrisse, sulla dignità della filosofia, parole di sapore hegeliano, che hanno
la loro permanente e ritornante validità. Allora, ammoniva disinvolti ((
giuristi cristiani a starsene nei propri confini di giuristi; il cristianesimo
era altra cosa, e scrive. E strano, ma mentre tutti fanno a gara a dire che LA
FILOSOFIA è cosa astrusa, non v’è
nessuno che non si senta legittimato a discuterne senza alcuna preparazione:
ciò che non si sognerebbe di fare riguardo a qualsiasi altro argomento
scientifico o tecnico. Perché egli, che era in senso proprio e fino in fondo FILOSOFO
del diritto, ha chiara la dimensione filosofica e CONCETTUALE della propria
ricerca, e non intese mai che la propria controversa disciplina fosse
riducibile a riflessione o generalizzazione di giuristi dotati di vocazione,
temperamento, sia pure cultura, Opportunamente, gli scritti di F. sono
riprodotti in ordine cronologico -- all’interno delle tre categorie citate
sopra: saggi e articoli; voci di enciclopedia; recensioni. Se si tengono
presenti anche i saggi pubblicati come volumi a parte, e sopra ricordati, ne
viene la possibilità di giungere ad una periodizzazione. Pattaro, nel suo
studio intro- duttivo, suggerisce la quadripartizione seguente: il periodo
dedicato alla STORIA della filosofia, in particolare a VICO. Il periodo che
comprende La stovia come esfierienza giuridica e Cristianesimo e società, caratterizzato
precipuamente dalla tematica, che potrebbe dargli il nome, ‘Assoluto e storia e
il periodo culminante nei volumi primo e secondo della Storia della filosofia
del divitto che potrebbe intitolarsi a ‘ I1 diritto naturale, il periodo nel
quale si conclude la grande opera storiografica, che potrebbe di converso
intitolarsi a ‘il diritto positivo.’ Così Pattaro, e con buone ragioni. Ma egli
stesso ricorda che il Maestro (( riconobbe valida in uno dei suoi ultimi
scritti la distinzione-periodizzazione suggerita da Vallauri, il quale
vedittico affermante - così riferiva F. consentendo intesa come esperienza
religiosa, e dall’altro la funzione essenziale della ragione giuridica nel
mondo. Società, legge e vagione. Vallauri formula quel suggerimento deva nella
sua opera come un da un lato la sopragiuridicità dell’eticità in Amicizia,
carità, diritto, Milano. Tenendo presenti i punti di vista espressi dai due
studiosi, saremmo propensi a vedere una tri-partizione, che è insieme una
partizione temporale e tematica, una periodizzazione e una distinzione di
interessi scientifici; dove i periodi si collegano l’un l’altro per affinità e
per approfondimenti in- terni. Il primo periodo vede nascere gli studi su VICO e
su Grozio, e che è segnato dalla presenza di motivi neo-idealistici e
dall’emergere dell’originale storicismo di F. Il secondo periodo vede apparire
il dittico di cui parla Vallauri, quel dittico a cui Pattaro dà il nome di assoluto
e storia. In questo, è enunciata la filosofia di F.; gli anni successivi
approfondiranno e talora ritoccheranno, ma i pilastri sono già posti
saldamente. Dove la periodizzazione di Pattaro sembra meno giustificata, perché
forse c’è soltanto accentuazione all’interno di un’unità, è in una cesura che
pone. Sembra di poter dire che tutta l’attività e che muove, come Pattaro
ricorda, dall’articolo ‘AQUINO, giurista laico?’, è dedicata alla meditazione
integrale, per estensione dia-cronica e sin-cronica, del problema della ragione
giuridica nel mondo storico-sociale: è ripercorso tutto il pensiero
occidentale; si ha la progressiva accettazione di un diritto di ragione, il
quale ha una sua autonomia di fronte al diritto tradotto in leggi. Anche la
riflessione politica di F. e più, certamente, dopo gli sconvolgimenti, rientra
in quella visione di una ragione che opera nella storia con i suoi equilibri e
meccanismi. Gli scritti raccolti in questi volumi consentono di ritrovare gli
aspetti salienti della meditazione di F., di ripercorrerla nelle singole tappe
del suo maturarsi, di seguire, come in una fuga a più voci, l’accedere di nuovi
motivi a quelli di datazione più antica. In questo senso, come s’è già detto
all’inizio, grande è l’utilità di questa raccolta per chi studi l’opera di F.;
non solo, ma per chi si dedichi a ricostruire la vita intellettuale e morale,
la cultura politica di quegli anni, I n questa occasione, a chi scrive
interessa porre in luce alcuni essenziali aspetti teoretici di quella
riflessione. Ma ciò non intende certo sminuire il rilievo che si deve
riconoscere a F. storico delle idee. Lo studioso di VICO e di Grozio, del
diritto naturale classico, cristiano e moderno, è tale che ogni suo contributo
è degno di attento studio vuoi per l’oggetto trattato, vuoi per ricostruire in
modo più adeguato l’evoluzione dello stile di ricerca storiografica del suo autore,
vuoi infine per gli apporti d’ordine teoretico che esso fornisce. In
quest’ultimo senso, quello che qui interessa maggiormente, molti studi storici
apportano argomenti per la visione della storia e della sua organizzazione
giuridico-politica. Ma per fermarsi al solo rilievo storiografico, si deve
ricordare che in questi volumi tornano studi su molti temi tipici e prediletti
dell’attività di F.. Si vedano i vari ritorni su VICO: Vico nel pensiero del
suo primo traduttore francese (dedicato al rapporto Vico-Michelet); al quale si
ricollega, ventun anni dopo, U n presunto discepolo di Vico. Michelet; e
inoltre vari interventi critici sulla Scienza Nuova e su temi vichiani, a
cominciare dalla Genesi storica e genesi logica della filosofia della Scienza
nuova, per finire con lo Il problema del
diritto e l’origine storica della Scienza Nuova. Si vedano anche gli scritti
vari su Grozio: Grozio tra medioevo ed età moderna, e il saggio, assai
significativo per l’evoluzione personale di F., Ragione e storia nella dottrina
di Grozio. Accanto a tali studi dovrebbero esserne menzionati molti altri, a
cominciare da quello su Sociologia e diritto nella filosofia civile di
ROMAGNOSI, fino ai molti studi su temi storici, sulla laicità immanente in
pensatori cristiani, o sull’evoluzione del pensiero giuridico in senso più
stretto, come nel saggio postumo, scritto per la Storia delle idee politiche,
economiche e sociali diretta da FIRPO, dal titolo La scienza e la filosofia del
diritto: ricostruzione storica ammirevole nella sua lucida sinteticità, frutto
maturo di una mente storica che aveva già prodotto le sue opere maggiori. Né si
devono dimenticare i ritornanti interessi per il mondo greco, e per la forma
democratica che in esso si realizzò: valga l’esempio dello studio dLa
democrazia nell’antica Grecia e la riforma agraria. Si può dire che non manchi,
in questa raccolta, nessuno dei grandi temi storiografici di Fassò: VICO e
Grozio, il pensiero cristiano, l’affermarsi della ragione giuridica, la
grecità. Chi voglia ricostruire l’itinerario scientifico di F. storico delle
idee, avrà ora a disposizione un materiale imponente, qui riunito dalle varie
sedi in cui egli usava pubblicare i suoi saggi e articoli, e che erano quasi
sempre riviste giuridiche: singolare e significativa predilezione in un autore
che non ridusse mai la filosofia del diritto a teoria generale del diritto, ne
volle preservata la filosoficità, ma volle anche mostrare come non si potesse
prescindere dalla cono- scenza dei problemi scientifici del diritto. In questo
senso si può esser certi che F. ebbe profonda e genuina dimestichezza con i
problemi dei giuristi. Anche lo stile del suo pensiero e il suo stesso modo di
esprimersi, serio e sobrio, tutto attento alle prove e ai nessi concettuali,
risentiva beneficamente della formazione giuridica e degli interessi giuridici,
anche se questi non furono peculiari ad un ramo specifico del diritto, ma si
rivolsero piuttosto alla teoria generale, e semmai ai modi procedurali del
divenire del diritto - si pensi all’interesse per il problema del giudice -
come a quelli in cui meglio si scorge l’originalità della ragione giuridica nel
suo affermarsi. Si può anche dire che la cultura giuridica di F. influì
sull’originale forma del suo storicismo, al quale, fino agli ultimi anni, egli
non venne mai meno, Gli scritti appartenenti al primo periodo mostrano F. che,
movendo dall’interno della prospettiva neoidealistica, ne esce con una propria
visione della realtà come storia, e della storia come struttura in sé
organizzata, razionale, scandita in istituzioni. Lo stori- cismo assoluto di
Croce (un autore che, pure, F. ha ben conosciuto) è estraneo a questa forma di
storicismo, tutto fatto di cose e di nessi reali, Vico e Grozio sono stati i
fondamenti filosofici di questa visione della storia, Pattaro pone bene in luce
come l'avversione di F. a un razionalismo astratto divenga visione storicistica
nei primi studi vichiani riferisce quanto F. stesso scriveva, sull’esser
vichiani per il fatto di avere una visione della storia come concreta
razionalità. Pattaro prosegue illustrando il passaggio di F. dagli studi
vichiani, condotti in quell'atmosfera speculativa (non necessariamente o
integralmente condivisa), alla personale visione storicistica del diritto. Qui
influirono le nuove correnti che si affacciavano in Italia. Le suggestioni del
neoempirismo che si affaccia nella nostra cultura trovarono un'accoglienza non
ostile in un F. convinto che, nella filosofia del diritto, molto spesso
l'empirismo non è lontano dallo storicismo, La specifica tematica
giuridico-filosofica, lo fa incontrare con le correnti sociologiche ed
istituzionalistiche, ma nel contempo lo induceva, per superarne 1’oggettivismo
naturalistico, ad adottare un'impostazione filosofica di fondo lato sensu
kantiana, così Pattaro. In queste parole è detto l'essenziale sulla visione
filosofica di F. I1 quale descrive egli stesso come vede la crisi dell'idealismo,
provocata da varie correnti di pensiero, che egli enumera: il marxismo,
l'esistenzialismo, lo spiritualismo cristiano, il neopositivismo. Empirismo e
storicismo, egli li accosta nelle parole prima citate, tratte dall'Introduzione
ai Prolegomeni di Grozio e nuovamente li accosta, parlando dell'opera di Levi,
quando ritene utile muovere, sia pur con misura e senso delle sfumature, dalla
constatazione delle affinità tra storicismo idealistico e sociologismo
positivistico. In quello stesso scritto su Levi, F. avverte un'analogia tra due
generazioni in crisi, quella di Levi, che usce dal positivismo, la sua, che usce
dall'idealismo: due generazioni accomunate da una posizione che conduce ad
apprezzare, non già i beati possessori della verità, ma coloro che sono andati
faticosamente fabbricandosene una, senza cieche fedeltà a dogmi e senza
chiudere gli occhi davanti alla storia in cammino. Quello scritto su Levi vede,
come altri scritti, lo sgretolarsi dell'idealismo per l'irruzione di nuove
tendenze di pensiero, più legate all'osservazione diretta dell'esperienza.
Rientrano in questo quadro anche le polemiche che F. conduce contro le facili
riesumazioni del diritto naturale, talora troppo coerenti, e inconsapevoli
nella loro professione di un diritto astorico, talora troppo incoerenti e
disinvolte nella loro combinazione di diritto naturale e storia. Lo storicismo
era così diffuso in quegli anni, e senza effettiva consapevolezza critica, che
si ebbero anche coloro che F. chiama i giusnatural-storicisti. Lo storicismo di
quegli anni, e specialmente all’interno della cultura filosofico-giuridica (una
cultura, in quel periodo, assai vivace, in ricambio con altri àmbiti filosofici
e culturali), è uno storicismo di origine, più che filosofica, empiristica, o
addirittura empirica: fu lo storicismo di chi era cresciuto nell’indagine delle
teorie giuridiche sociologiche e istituzionalistiche, e medita sul diritto e
sui modi del suo farsi.I1diritto come sistema storicamente progrediente,
avrebbe detto Savigny; e in modi affini pensano Romano, Gurvitch, Capograssi,
per fare soltanto pochissimi ma influenti nomi (per la valutazione
dell’influenza di Capograssi, si può qui vedere la recensione di F. alla
IntevFYetazione di Capograssi, pubblicata da Carnelutti). Anche lo storicismo
di F. si modellò in aspetti affini, pur nella indubbia sua penetrazione
filosofica. Ma quello storicismo, se aveva le sue basi in Vico e in Grozio, si
approfondì e dispiegò nella visione istituzionalistica del diritto. Tra gli
autori di . non è Hegel (né in sé né nelle scuole che a lui si richiamarono), e
non sono gli autori del moderno storicismo indivi- dualistico, da Dilthey in
poi, che tanta influenza avrebbero avuto su Piovani, pure affine a F. per più
interessi ed aspetti. Si può dire allora che lo storicismo professato da F. fu
di impronta giuridica. Ebbe tratti affini allo storicismo post-crociano da
molti condi- viso in quegli anni; ma non derivava tanto da precise correnti
filosofiche, quanto dai giuristi non strettamente positivisti: la scuola
storica del diritto in Germania; ma molto di più le correnti
istituzionalistiche; e infine la tradizione di common-law, da F. ammirata come
esem- plare organizzazione giuridica e politica e presidio del valore liberale
della dignità deli’individuo. La storia era, secondo il titolo dell’opera,
ESPERIENZA giuridica; e non era questo
un pensiero da poco, ma anzi una robusta e meditata posizione storicistica,
perché il diritto, come struttura razionalizzatrice e regolatrice della
convivenza, mo- strava la ragione immanente alla storia, che era anche l’unica
ragione accessibile all’uomo. Avverso al razionalismo omnicomprendente - fosse
la metafisica metastorica della tradizione o la metafisica della storia come
totalità (idealismo, materialismo storico) -, F. crede in una razionalità che
guida la convivenza, che nasce dall’interazione di individui e di gruppi, che è
garanzia di libertà per gli individui. I valori nltimi, invece, non sono
accessibili agli uomini per via razionale; la ragione non può che fermassi a
questo mondo terreno, e studiarlo nelle strutture che in esso si formano e
variano. Era una visione, se vogliamo parlar filosoficamente, neokantiana, nel
senso di tanto neokantismo diffuso nella filosofia del diritto e nelle scienze
sociali. Conoscibile razionalmente il mondo dei fenomeni come mondo storico;
non-conoscibile, ma soltanto sperimentabile emozionalmente, il mondo del
valore. Cade la fondazione pratica della morale; restava la inconoscibilità dei
valori ultimi. In questo senso, Radbruch o Weber non pensano diversamente. Quel
che ebbe F., a differenza di questi autori (ma non del neokantismo in genere),
è l’interesse per quel sopramondo che egli affermava non-conoscibile, e che
vede tradotto, nella forma più pura, nel cristianesimo, è questo l’altro
versante della filosofia di F., che si tradusse in Cristianesimo e società,
opera tra le più alte della nostra cultura recente. E forse interessante notare
quel che scrive F., recensendo Piovani sul giusnaturalismo. Piovani fa sua la
proposizione (la personalità stessa è l’assoluto), che d’altronde traeva da
Kierkegaard, e la svolgeva nel senso di un individualismo visto come unico
coerente sbocco dell’etica moderna. Scrive F. E qui si potrebbe, naturalmente,
discutere a lungo e del resto anche chi,
come me, davanti alle affermazioni di una presenza, che non sia totalmente
mistica, dell’assoluto nell’individuo, rimanga perplesso, e non veda come un
ipersoggettivismo quale quello professato da Piovani possa sfuggire al
relativismo, non può non apprezzarne il profondo significato morale: assai più
alto in ogni caso di quello delle etiche oggettivistiche, che, coprendosi della
retorica dei valori eterni, conducono all’alienazione dell’uomo, e lo privano
di ciò che costituisce la sua umana essenza morale. Tre affermazioni sono da
rilevare in questo passo: v’è il rifiuto della retorica dei valori eterni,
giudicata alienante e tale da privare l’uomo della sua essenza morale, che è,
evidentemente, collegata alla ricerca e all’irrequietezza; l’iper-soggettivismo
(ma tanto varrebbe dire soggettivismo) non può sfuggire al relativismo, sentito
da F. come pericolo. F. si dichiara perplesso davanti alle affermazioni di una
presenza dell’assoluto nell’individuo, ma con l’eccezione che si tratti di una
presenza a totalmente mistica B. Rifiutate un’etica oggettivistica e un’etica
soggettivistica, che cosa rimane nella visione morale di F.? Rimangono: la
razionalità formale del diritto come ragione vivente nella storia e
l’esperienza mistica come unica via di accesso all’assoluto. Questi due piani
sono privi di relazione; ma essi appaiono tali da produrre queste conseguenze:
è salvata l’irrequietezza che è condizione della morale; è evitato il pericolo
del relativismo; è consentito l’accesso all’assoluto. Il mondo dei valori
assoluti è accessibile soltanto all’esperienza mistico-religiosa. La carità,
intesa in senso teologico, ovvero come virtù teologale, è proprio questa
capacità di inserirsi nella vita divina, La simpatia di F. va agli spiriti capaci
di questa immedesimazione: da Paolo a Kierkegaard, va a coloro che hanno ben
chiara la distinzione tra mondo della terra, della legge, della ragione, e
mondo divino, della carità. Quella linea del cristianesimo aveva contrapposto
il mondo, regno del peccato e della legge, al regno della carità,
dell’immedesimazione in Dio quel mondo che non conosce diritto. Tra
cristiaizesimo e società v’è quindi un contrasto ineliminabile, come tra generi
diversi e inconciliabili, come tra santità e peccato, come tra l’assolutezza
dei valori e il mondo degli uomini comuni, I1 saggio in cui queste tesi erano
argomentate fu quello che sollevò le maggiori polemiche. Sul piano più
propriamente filosofico, BAGOLINI è il critico più attento - come PATTARO ricorda
a lucida analisi quella divisione netta tra la realtà e il valore, per
affermarne l’insostenibilità: gli appare inconseguente negare la conoscibilità
razionale del valore e allo stesso tempo parlarne. Ma si può dire - prosegue
Pattaro che F. (intenzionalmente rinvia tutti i valori che si pretende siano di
questo mondo nel cielo indefinito e indefinibile dell’assoluto). F. conobbe e
trattò il mondo imperfetto e relativo; non dimenticò - è la strada della
mistica - il mondo perfetto e assoluto del quale ci hanno dato testimonianza
grandi spiriti, e che noi stessi avvertiamo nel nostro desiderio di perfezione.
Ma quella divisione così recisamente affermata provocò le polemiche più accese
al di fuori del campo propriamente filosofico, e se è discussa e rispettata da
teologi e da uomini di fede e di chiesa (questa raccolta ne reca più tracce:
dai giudizii Lener fino a quelli espressi nel colloquio di Strasburgo, dedicato
proprio al tema tipico di F.: L a révélation chrétienne et le droit), è
trattata invece con non altrettanta serietà e consapevolezza da giuristi, e da
coloro che, professandosi i giuristi cristiani o, o (( giuristi cattolici)), si
fondano proprio sulla tesi opposta a quella sostenuta da F. nel suo libro. Sono
due tesi teologiche a confronto, dov’era conoscenza dei problemi; ma F. ha buon
gioco a spiegare ai suoi interolcutori giuristi che la carità e la giustizia di
cui parla il Vangelo riguardano il rapporto con Dio, rispetto al quale tutto il
resto vien dato per soprappiù, e non il rapporto con gli uomini, che è soltanto
una conseguenza del vivere in Dio. Se carità e mondo sono in un tale contrasto,
non si può parlare, senza cadere in contraddizione, di diritto cristiano, di
giuristi cristiani, di politica cristiana, di cristianesimo sociale.
Ripetutamente F. polemizza con i giuristi cristiani, innanzi a tutti con CARNELUTTI;
e ricorda che carità non è filantropia, e che la giustizia, nel vangelo, sta a indicare
una situazione d’ordine esclusivamente religioso, l’elezione, la perfezione, la
santità – cf. H. P. Grice on J. O. Urmson, eroi e santi --, e non è la virtù
sociale pur teorizzata da teologi e filosofi morali cristiani, e che AQUINO
definisce IVSTITIA METAPHORICE DICTA. Rispondendo a Carnelutti è lo stesso
scritto nel quale deplora, con parole prima ricordate, che tutti si sentissero
autorizzati a parlar di filosofia), F. precisa: Ciò di cui non posso
ringraziare l’illustre maestro è d’aver pensato che a me non garberebbe
d’aggiungere al mio titolo di filosofo del diritto l’aggettivo cristiano il che
mi fa ritenere che anche a me, anzi soprattutto a me egli si rivolga, quando,
nell’intitolare il suo scritto garbatamente parodiando l’intitolazione del e
sottopose mio, parla di pericoli per i filosofi non cristiani Non vedo in
verità perché quell’aggettivo non dovrebbe garbarmi, né che cosa abbia potuto
far sospettare ciò al pur benigno lettore: forse perché ho criticato qualche giurista
cattolico il quale mostrava di non conoscere con troppa esattezza alcuni
termini usati nei testi cristiani? Quei concetti venivano organicamente
presentati, dal punto di vista storico e teorico, nel saggio “Giustizia, carità
e filantropia,” e sono anche inseriti negli scritti in onore di JEMOLO (si
veda), grande giurista storico e grande spirito religioso, uno degli spiriti
più congeniali a F., se non forse il più congeniale. La separazione di
cristianesimo e società era pure destinata a scontrarsi con l’opinione
dominante nel mondo religioso, e di coloro che, richiamandosi al cristianesimo,
intendevano tradurlo nella società. F. dissente in maniera totale dalle idee di
BALBO (si veda). Ritorna il sufposto cristianesimo sociale, e il titolo di una
nota polemica come pure, naturalmente, dalle idee di chi nutrisse progetti
politici meno radicali. Ribade che il cristianesimo è una religione, e che la
religione ha per oggetto Dio e soltanto Dio, e che la novità, e quindi
l’essenziale significato del cristianesimo rispetto alla filosofia ed alla
morale greca ed alla morale ebraica sta tutta in questa sua proiezione totale
verso Dio, che consuma e supera ogni interesse umano e mondano e perciò anche
sociale. Non nega certo un ideale di vita cristiano; nega che il cristianesimo
potesse tradursi in dettami politici. Facciamo cristiani noi stessi, dice; ma
guardiamoci dall’a immischiare Dio nei problemi di Cesare. E conclude quelle
pagine ammirando la scelta religiosa di Dossetti, che così commentava: a Questo
sì è il vero ideale cristiano; ed è bello vedere che c’è chi, riconosciutolo,
ha - o riceve - la forza di realizzarlo. 1 superficiali interpreteranno tutto ciò
come una rinuncia, come l’accettazione dolorosa di una sconfitta. Io penso che
sia una grande vittoria, la sola vera vittoria cristiana. Questa visione del
problema andava risoluta- mente, e con insofferenza dichiarata, contro la
sintesi politico-religiosa di Maritain, che tanto ha influenzato nel nostro
tempo il cristianesimo sociale (si vedano in proposito i vari cenni di F. E
anda contro le soluzioni e conciliazioni dello spiritualismo cattolico del
quale spesso si trova menzione in queste pagine), nel quale ultimo F. svelava
(( una grave contraddizione nello sforzo di assumere una posizione che sia ad
un tempo religiosa e razionalistica, trascendentistica e storicistica, salvando
in pari tempo, e connettendoli e conciliandoli, il valore (trascendente) e la
storia, la moralità e la giuridicità, la città di Dio e quella città terrena,
che è pur sempre, per chi senta davvero religiosamente, la città del demonio e
del peccato: soddisfacendo ecletticamente due istanze pienamente legittime e
valide, certo, ma irriducibili fra di loro. Tutto un periodo della vita di F. -
quello che sopra si è detto il secondo - gravita intorno a questi pensieri; ma
è il periodo in ogni senso centrale della vita di F.. Quel che vale per il
problema religioso vale per L’ÀMBITO FILOSOFICO generale, Di qui anche
l’avversione di F. alle facili combinazioni di diritto naturale e storia, e ai
teorici di un diritto naturale razionalmente deducibile e perciò anche
applicabile (si vedano le ripetute e dure critiche a Strauss, e particolarmente
lo scritto Diritto naturale e storicismo, appunto in polemica con questo).
L’assoluto non è conoscibile; conoscibile è soltanto il mondo della storia, e
ad essa, come a mondo pervaso da strutture e istituzioni che si formano, volge
lo sguardo lo studioso del fenomeno giuridico, La storia, aveva scritto F.
nell’opera è esperienza giuridica; e su quella visione egli avrebbe fondato
negli anni le sue riflessioni, le sue ricerche storiche, i suoi interventi sui
prblemi politici e culturali. Di lì nascevano la sua concezione del diritto e
la sua concezione della vita associata. La storia del pensiero giuridico
occidentale conduceva a una visione razionalistica, che poteva ben dirsi laica e
liberale. Questi due attributi sono usati da Pattaro, e si può esser d’accordo
con quella definizione; naturalmente non dimenticando tutto quel che s’è detto
finora sulla com- plessità e ricchezza del pensiero di F.: nel senso, in ogni
modo, nel quale se ne potrebbe parlare per JEMOLO (si veda), ma anche per
studiosi prima menzionati, e a lui in quel tempo vicini per affinità di sentire
su molti temi, come BOBBIO (si veda), PIOVANI (si veda), COTTA (si veda). In
questo senso può dirsi che la meditazione di F. sia tutta rivolta alla inve-
stigazione storiografica e teoretica di quella visione razionalistica, laica e
liberale della storia, I1 diritto diviene, allora, la ragione conoscibile agli
uomini, la ragione che salva la convivenza degli individui. L’assoluto può
essere attinto da invididui eccezionali o in momenti eccezionali, è un dono
concesso e non una strada consentita alla ragione; ma il mondo della storia ha
una sua dimensione razionale proprio nel diritto, che assicura istituzioni in
grado di garantire gli individui nel loro vivere in comune, Se Cristianesimo e
società insegna che non si può mescolare Dio a Cesare, le opere, insistendo
sull’indagine del mondo storico-giuridico, già avviata nell’opera, insegnano
che neppure si può, né si deve, trasformare Cesare in Dio, e vedere nella
storia valori e significati immanenti. Questa etica e questa visione politica
si chiariscono e arricchiscono via via nella ricerca di F.. I1 problema si
intreccia con quello del rispetto della legge, e quindi con la valutazione del
positivismo giuridico. F. si domandava, e concludeva senza risposte perentorie:
Dobbiamo insegnare l’obbedienza assoluta alla legge. È il problema del
fondamento della convivenza e del fondamento dell’obbligatorietà della legge.
Diventa anche il problema se fosse razionalmente deducibile la democrazia, F.
nega, e con chiarezza in uno scritto, LETTURE, che fra diritto naturale e
democrazia ci fosse nesso necessario, contraddicendo in tal modo diffuse
concezioni. Conveniva invece su di un fondamento morale della forma democratica
(che per la cristal- lina mente di F. volle sempre dire forma
democratico-liberale) della convivenza. È un diritto che puo magari esser detto
naturale, ma ricordando la storicità della natura umana: il diritto naturale
sul quale la libertà e la democrazia possono fondarsi non può essere un
astratto dogma esterno alla storia dell’uomo: esso non può consistere che
nell’idea di giustizia che l’uomo ritrova nella propria coscienza morale, il
cui valore è sì certamente assoluto, ma il cui con- tenuto può essere soltanto
quello che lo sviluppo storico di questa coscienza comporta. La limpida
relazione su Stato di diritto e stato di gizlstizia, rivendicava il valore
dello stato liberale di diritto, che non ha fra i suoi scopi – F. conclude con
i versi di Holderlin - di far dello stato il paradiso dell’uomo, col risultato
di farne un inferno, Si richiamava all’esperienza costituzionale inglese, che
avrebbe ribadita come modello di sviluppo giuridico, civile e politico nella prolusione
bolognese, La legge della ragione. In quell’occasione, contemporanea al saggio
dallo stesso titolo, F. afferma che non possiamo, oggi, rifiutare il
giusnaturalismo, quando il giusnaturalismo si propone come appello alla legge
della ragione. È un modo di affermare, più che un diritto naturale, il diritto
di giudicare le circostanze storiche al lume della ragione; al modo seguito dai
giuristi inglesi di common law. Le leggi, il diritto positivo, avevano il loro
valore, e si doveva loro obbedienza, ma la ragione giuridica non si limita a
sistemare i loro dettami, in un modo che sarebbe anch’esso astratto, pur se in
modo opposto a quello tenuto dal giucnaturalismo meta-storico ma se continuiamo
a rifiutare - obietta F. a SCARPELLI (si veda) come abbiamo sempre rifiutato,
l’idea di un diritto naturale extra-storico, immutabile ed eterno, dobbiamo per
questo abbracciare il culto di un diritto positivo altrettanto extrastorico e
astratto?. Sta avvenendo in F. un passaggio dal rifiuto dell’espressione diritto
naturale ove non fosse coerentemente inserita in una metafisica soprastorica,
ad un’accettazione della medesima espressione in un senso più lato, come
diritto di una natura dell’uomo che è ragione operante nella storia. In questo
senso si poteva anche affermare un diritto naturale, che giudicasse
razionalmente, in modo storico, fatti, istituzioni, leggi, ma senza
sistemazioni assolute. Era il sistema pragmatico, empirico, storico, anche
antiilluministico, seguito dalla civiltà giuridica anglosas- sone, la quale,
non a caso, era anche quella che aveva dato il più duraturo esempio di stato
democratico-liberale. Su questa base, scientifica e politico-morale, si sarebbe
espresso F. negli ultimi anni della sua vita, durante i sussulti e degli anni
seguenti, durante quegli avvenimenti e quelle teorizzazioni che tanto avrebbero
influito sulla [Giuffrè, Milano] nostra ultima storia, e che da lui furono
giudicati senza le incertezze, le ambiguità, i silenzi, le fragili adesioni, di
cui molti si resero responsabili. In verità, tutta la formazione culturale,
oltreché l’intransigenza morale, garantiva F. di fronte alla crisi di quegli
anni. Era stato sempre convinto che il diritto è il momento razionalizzatore
nella storia, e che è esso stesso fenomeno storico. I1 riferimento
all’esperienza anglosassone gli permetteva di criticare con misura il
positivismo giuridico-legalistico si veda Il positivismo giuvidico, contestato;
ma lo faceva anche accorto, sul piano politico, del valore irrinunciabile dello
stato democratico-liberale, coi suoi valori di tutela della libertà
individilale attraverso metri comuni a tutti gli individui e attraverso misure
inevitabilmente repressive. Contro la riduzione del diritto a politica, egli
non cedette alle nuove idee che si diffondevano tra giuristi e magistrati, e
che pretendevano di richiamarsi a una democrazia sostanziale; seppe subito
additare le fonti teoriche di quelle idee, e le rintraccia in Schmitt, nelle
parole, certo, di un insigne giurista; il giurista più insigne del Terzo Reich.
Puo parlare, per quelle correnti, di nazismo giuridico, e dovendo scegliere tra
Positivismo e nazismo giuvidico, egli potè richiamarsi tranquillamente ai suoi
autori, e a quella ragione artificiale di cui aveva parlato Coke. Si tratta,
come egli intitolava un saggio, di vedere in modo razionale e insieme storico
il rapporto tra giudice e legge (si veda Il giudice e l’adeguamento del diritto
alla realtà storico-sociale, ampia indagine teorica e storica del problema).
Vede i pericoli insiti nel rifiuto del principio di legalità; rifiutava che si
potesse parlare del diritto di resistenza nella società democratico-liberale, e
vedeva nella contestazione di quegli anni non il riferimento a una ragione
diversa per stabilire un ordine più giusto, ma la negazione di qualsiasi
ordine, di qualsiasi istituzione repressiva, della stessa ragione, in nome di
un atteggiamento che definiva anarchico e religioso; ripeteva che diritto è
necessariamente repressione, e che si trattava soltanto di fare in modo che
quella repressione fosse frutto della ragione (si veda, Società, diritto e
repressione. Da questi stessi principi e preoccupazioni era ispirato l’ampio
saggio postumo già menzionato su La sciefiza e la filosofia del diritto, viste
nel loro sviluppo storico. Questa indagine, come d’altronde tutta la Stovia
della filosofia del divitto, ribadiva la visione del diritto come F. era venuto
maturandola negli anni della sua coerente meditazione. In queste occasioni, di
fronte ai problemi più gravi dei tempi, Fassò poteva richiamarsi a quanto aveva
pensato, sul rapporto fra cristianesimo e storia, nel suo periodo teoretico. Nella
società che non è società, e neppure comunità, ma comunione dei santi, come si
è liberi dal diritto, così lo si è dalla ragione. Siccome invece purtroppo non
siamo guidati dallo spirito, siamo, come ci ricorda San Paolo, sotto la legge;
e l’unica cosa che possiam fare per non sentirne troppo la repressione è
cercare che essa sia conforme alla RAGIONE. Ma è riduttivo vedere l’ultimo
periodo della riflessione di F. nella luce di queste polemiche contro idee
effimere; anche se si dove ricordarle per rendere onore alla coerenza e alla
rettitudine dello studioso. In realtà, alla base di quelle polemiche è la
meditazione di tutta una vita, nella quale è sempre stato operante l’amore per
la distinzione: distinzione tra Dio e GIULIO (si veda) CESARE, tra esperienza
religiosa ed ESPERIENZA GIURIDICA, tra assoluto e STORIA. Ricerca Lucio Giunio
Bruto politico romano Lingua Segui Modifica Lucio Giunio Bruto Project Rome
logo Clear. png Console della Repubblica romana Capitoline Brutus Musei
Capitolini MC1183. jpg Busto di Bruto, nei Musei Capitolini in Roma. Nome
originale Lucius Iunius Brutus Nascita Roma Morte Roma GensIunia Consolato Lucio
Giunio Bruto è stato il fondatore della Repubblica romana e secondo la
tradizione uno dei due primi consoli. Il nome di Bruto è legato alla
leggendaria cacciata dell'ultimo re di Roma, Tarquinio il Superbo.
Secondo la narrazione di Livio, rafforzata da Ovidio, Bruto aveva molti motivi
di ostilità contro il re, di cui era nipote in quanto figlio di una sorella:
nel corso degli eccidi familiari che spesso accompagnano la presa di potere di
un despota, Tarquinio aveva disposto fra l'altro l'omicidio del fratello di
Bruto, il senatore Marco Giunio. Bruto, temendo di subire la stessa sorte,
allora si mimetizzò nella famiglia di Tarquinio, impersonando la parte dello
sciocco (in latino brutus significa sciocco). Lui accompagnò i figli di Tarquinio,
Tito ed Arrunte, in un viaggio all'oracolo di Delfi. I figli chiesero
all'oracolo chi sarebbe stato il successivo sovrano a Roma e l'oracolo rispose
che la prossima persona che avesse baciato sua madre sarebbe diventato re. Bruto
interpretò la parola "madre" nel significato di "Terra"
così, al ritorno a Roma, finse di inciampare e baciò il suolo. In seguito Bruto
dovette combattere in una delle tante guerre di Roma contro le tribù vicine e
tornò in città solo quando venne a sapere della morte di Lucrezia.
Lucio Giunio Bruto da giovane Il giuramento di Bruto,
Jacques-Antoine Beaufort, I littori portano a Bruto i corpi dei due figli,
Jacques-Louis David. Secondo la leggenda, la cacciata dell'ultimo re da Roma
ebbe inizio con il suicidio di Lucrezia, moglie di Collatino e parente di
Bruto, perché costretta a cedere con le minacce alle richieste amorose di Sesto
Tarquinio, figlio del re Tarquinio il Superbo. Livio racconta che, suicidatasi
davanti ai suoi occhi, del marito Collatino e del padre di lei Spurio Lucrezio,
Bruto estrasse il coltello dalla ferita e disse: «Su questo sangue,
purissimo prima che il principe Sesto Tarquinio lo contaminasse, giuro e vi
chiamo testimoni, o dei, che da ora in poi perseguiterò Lucio Tarquinio il
Superbo e la sua scellerata moglie, insieme a tutta la sua stirpe, col ferro e
con il fuoco e ogni mezzo mi sarà possibile, che non lascerò che né loro, né
alcun altro possano regnare a Roma.» (Tito Livio, Ab Urbe condita libri)
Bruto, il padre ed il marito di Lucrezia giurarono di vendicarne la morte.
Quindi trasportarono il corpo della donna nella piazza principale della città
di Collatia, dove la donna si era suicidata, attirando l'attenzione della
folla, che dopo aver saputo dell'accaduto si indignò per la protervia di Sesto
Tarquinio. Molti dei giovani lì presenti si offrirono volontari per
condurre una guerra contro i Tarquini. Le truppe ora riunite riconobbero in
Bruto il loro comandante, facendo rotta su Roma per conquistarne il potere.
Giunti a Roma, Bruto si rivolse al popolo romano riunito nel Foro, raccontando
della triste sorte toccata a Lucrezia. Aggiunse quindi della superbia del
re, Tarquinio, e della miseria della plebe romana, costretta dal tiranno a
costruire ed a ripulire le fogne, invece che portata a combattere come era
nella natura dei Romani. Ancora ricordò dell'indegna morte di re Servio Tullio,
calpestato da sua figlia, moglie di Tarquinio, con un cocchio. Invocò infine
gli dei vendicatori, infiammando gli animi del popolo romano alla rivolta contro
il tiranno, tanto da trascinarlo ad abbattere l'autorità regale e a esiliare
Lucio Tarquinio, insieme alla moglie ed i figli. Partì quindi per Ardea, dove
il re era accampato, per ottenere che anche l'esercito si schierasse dalla sua
parte, dopo aver lasciato il comando di Roma a Lucrezio (in precedenza nominato
praefectus della città, da parte dello stesso Superbo). Frattanto, Tullia,
moglie di Lucio Tarquinio riuscì a fuggire dalla città. Quando la notizia di
questi avvenimenti arrivò ad Ardea, Tarquinio il Superbo, allarmato dal
pericolo inatteso, partì per Roma per reprimere la rivolta. Bruto, allora,
informato che il re si stava avvicinando, per evitare l'incontro, fece una
breve diversione e raggiunse l'accampamento regio ad Ardea dove fu accolto con
entusiasmo da tutti i soldati, i quali espulsero i figli del re, mentre a
quest'ultimo venivano chiuse in faccia le porte di Roma e comunicata la
condanna all'esilio. Due dei figli seguirono il padre in esilio a
Cere(Cerveteri), Sesto Tarquinio invece, partito per Gabii, qui fu assassinato,
da coloro che si vendicarono delle stragi e razzie da quello compiute. In
seguito a questi eventi, il prefetto della città di Roma convocò i comizi
centuriati, che elessero i primi due consoli della città: Lucio Giunio Bruto e
Lucio Tarquinio Collatino. Busto conservato al Museo archeologico nazionale di
Napoli I primi provvedimenti di Bruto furono: evitare che il popolo, preso
dalla novità di essere libero, potesse lasciarsi convincere dalle suppliche
allettanti dei Tarquini, costringendolo a giurare che non avrebbe permesso più
a nessuno di diventare re a Roma; rinforzare il senato ridotto ai minimi
termini dalle continue esecuzioni dell'ultimo re, portandone il totale a
trecento, nominando quali nuovi senatori i personaggi più in vista anche
dell'ordine equestre. Da qui l'uso di convocare per le sedute del senato i
padri (patres) ed i coscritti (dove è chiaro che con questo termine si alludeva
agli ultimi eletti). Il provvedimento aiutò notevolmente l'armonia cittadina ed
il riavvicinamento della plebe alla classe senatoriale. Durante il consolato i
suoi figli, Tiberio e Giunio, complottarono con il deposto re Tarquinio il
Superbo, per farlo tornare a Roma come re, ma furono scoperti grazie ad uno
schiavo. Incatenati, chiesero pietà e il popolo, impietosito, ne chiedeva la
loro liberazione. Ma Bruto fu irremovibile, e li fece uccidere, assistendo
personalmente senza versare una lacrima per la loro morte. In seguito
alle dimissioni forzate del collega Lucio Tarquinio Collatino, Bruto chiese al
popolo di nominare un altro console in sua sostituzione, così da non dare adito
al sospetto che volesse governare sulla città come un monarca. Allora i
cittadini riuniti elessero Publio Valerio Publicola. Il suo consolato terminò
con la battaglia della Selva Arsia, combattuta contro gli Etruschi, che si
erano alleati con i Tarquini, per restaurarne il potere. Durante la battaglia
Bruto si scontrò con Arrunte Tarquinio, figlio di Tarquinio il Superbo e cugino
di Bruto; i due, spronati i loro cavalli al galoppo, si trafissero
vicendevolmente con le loro lance, perdendo la vita nello scontro. Il
console superstite, Valerio, dopo aver celebrato un trionfo per la vittoria,
tenne un funerale di grande magnificenza per Bruto, che fu pianto dalle
nobildonne per un anno. Altro Servilio Ahala e Bruto in un denario di
Marco Giunio Bruto. Marco Giunio Bruto, il cesaricida che si vantava di essere
un discendente di Lucio Giunio Bruto, nel 54 a.C., dieci anni prima delle Idi
di marzo quando Giulio Cesare rimase ucciso, emise un denario con al diritto la
testa di Lucio Giunio Bruto, il fondatore della repubblica romana e la scritta
BRVTVS ed al rovescio la testa di Gaio Servilio Strutto Ahala e la scritta
AHALA. Secondo Crawford (Roman Repubblican Coinage) il denario fu emesso quando
a Roma corse la voce che Pompeo volesse diventare dittatore. Critica
storica Il racconto proviene dall'Ab Urbe condita di Livio e tratta di un punto
della storia di Roma che precede le annotazioni storicamente affidabili
(praticamente tutte le annotazioni precedenti furono distrutte dai Galliquando
saccheggiarono Roma) La figura di Bruto nell'arte Il busto di Bruto si
trova nel palazzo dei Conservatoridi Roma. Proveniva dalla collezione privata
del Cardinale Rodolfo Pio da Carpi, che la donò alla città nel XVII secolo.
Trafugato da Napoleone che lo fece esporre al Louvre, fu riportato a Roma.
ALIGHIERI (si veda) lo cita nel limbo, nell’Inferno, quando scrive. VIDI QUEL
BRUTO CHE CACCIÒ TARQUINO (Alighieri, Divina Commedia, Inferno) Shakespeare,
nella sua tragedia Giulio Cesare, fa un riferimento a Lucio Giunio, quando fa
ricordare a Cassio che parlava a Bruto, l'altro cesaricida, lo spirito
repubblicano dei propri antenati. Lucio Giunio Bruto è uno dei personaggi
principali de Il ratto di Lucrezia, un poema sempre di Shakespeare, e nella
tragedia di Nathaniel Lee, Lucius Junius Brutus; Father of his Country. A
Giovan Francesco Maineri è attribuito un dipinto, databile tra il 1490 e il
1493, dal titolo Lucrezia, Bruto e Collatino. Nel 1789, all'alba della
rivoluzione francese, il pittore francese Jacques-Louis David realizzò il
dipinto I littori riportano a Bruto i corpi dei suoi figli, oggi esposto al
Louvre di Parigi. Il dipinto provocò grandi timori nelle autorità, poiché si
temeva un paragone tra l'intransigenza del console Lucio Giunio Bruto, che non
esitò a sacrificare i figli che cospiravano contro la Repubblica, e la
debolezza di Luigi XVI rispetto al fratello conte d'Artois, favorevole alla
repressione dei rappresentanti del Terzo Stato. Giunio Bruto è anche
un'opera seria musicata da CIMAROSA (si veda), libretto di ACANZIO (s veda) Matyszak,
Eutropio, Breviarium ab Urbe condita Eutropio, Breviarium ab Urbe condita Livio,
Ab Urbe condita libri Santillana e Dechend, Il mulino di Amleto, Adelphi Livio,
Periochae ab Urbe condita libri, Livio, Ab Urbe condita libri, Livio, Ab Urbe
condita libri Livio, Ab Urbe condita libri Livio, Periochae ab Urbe condita
libri Dionigi di Alicarnasso, Antichità romane Livio, Ab Urbe condita libri Livio,
Ab urbe condita libri Livio, Ab urbe condita libri Dionigi racconta che furono
due i figli accusati ed uccisi da Bruto, Antichità romane, Libro VIII, 79. ^
Dionigi di Alicarnasso, Antichità romane Livio, Ab Urbe condita libri Iunia e
Servilia; Sydenham; Crawford.Fonti primarie Livio, Ab Urbe condita. Fonti secondarie William
Smith, Dictionary of Greek and Roman Biography and Mythology, Taylor, Walton
and Maberly, London. Matyszak, Chronicle of the roman Republic, New York,
Thames et Hudson. Carandini, Res publica: Come Bruto cacciò
l'ultimo re di Roma, Milano, RCS Libri S.p.A. Voci correlate Bruto capitolino
Consoli repubblicani romani Gens Iunia Lapis Satricanus Elenco degli oracoli di
Delfi. Bruto, Lucio Giunio, in Dizionario di storia, Istituto dell'Enciclopedia
Italiana. Lucio Giunio Bruto, su Enciclopedia Britannica, Encyclopædia
Britannica, Inc. Lucio Giunio Bruto nel Dizionario delle antichità greco-romane
di William Smith Portale Antica Roma Portale Biografie PAGINE
CORRELATE Tarquinio il Superbo settimo e ultimo re di Roma Lucrezia
(antica Roma) figlia di Spurio Lucrezio Tricipitino e moglie di Collatino
Lucio Tarquinio Collatino politico romano. Keywords: RES PVBLICA RES POPVLI, ius,
Grice on Hart, Hart’s failure as a jurisprudentialist – “La filosofia romana”
“La giurisprudenza romana” la genesi logica della scienza nuova di Vico, la
genesi storica della scienza nova di vico, Michelet, filosofo uganotto
discipolo di Vico, Croce su F., F. su Gentile, F. su Romano – iurisprudenza,
ius-naturalismo – legge e raggione, legge raggione, societa – positivismo –
storia come esperienza giuridica, l’assoluto giuridico – natura umana – grozio
e vico – lo stato fascista di Gentile. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Fassò” –
The Swimming-Pool Library. Guido Fassò. Fassò
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