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Thursday, January 2, 2025

Grice e Fassò

 

 

Grice e Fassò: la ragione conversazionale e l’implicatura conversazionale -- Igitur est RES PVBLICA RES POPVLI – l’implicatura di Bruto – scuola di Bologna – filosofia bolognese – filofosia emiliana -- filosofia italiana – Luigi Speranza (Bologna). Filosofo bolognese. Filosofo emiliano. Filosofo italiano. Bologna, Emilia. Grice: “I like Fassò; for one, he was, like my friend H. L. A. Hart, a philosophical lawyer! But unlike Hart, Fassò, being a Roman, knew what he was talking about!” “My favourite is his explication of Bruto’s reaction when being brought the corpses of his two sons!” Fassò, mi viene a conforto col suo ottimo lavoro, che dà una diligentissima ed acuta interpretazione ed esposizione del corso non già logico ma storico, o per meglio dire, psicologico della formazione della Scienza nuova; esposizione che è utile possedere e che si segue con curiosità. Con pari bravura è condotta la ricerca di quel che VICO attinse o credette di attingere ai quattro suoi autori. Croce, Illusione degli autori sui “loro” autori,). Figlio di Ernesto, generale dell'esercito, e Caterina Barbieri, discendente dalle famiglie Barbieri (il di lei nonno è Lodovico Barbieri) e Dallolio (Maria Sofia, moglie di Lodovico, era sorella di Alberto e Alfredo Dallolio), trascorre i suoi primi anni, fino all'adolescenza, fra il Piemonte (Mondovì), l'Emilia-Romagna (Parma) e la Lombardia (Mantova). Temperamento religioso, ereditato dall'educazione famigliare e dalla frequentazione con un anziano sacerdote, si caratterizza sempre per il rigore negli studi (perciò Mazzetti, suo compagno di gioventù, poté definirlo schivo degli incontri e quasi della società, teso in un impegno di chiarezza mentale, di serietà e finezza di sentire. Conseguita la maturità classica al Virgilio di Mantova, si laurea a Bologna, sotto Borsi con “L'elemento demografico nelle provvidenze assistenziali a favore dei lavoratori: la legislazione del lavoro”. Dopo aver rinunciato ad impiegarsi come funzionario nell'unione industriale, ottiene anche la laurea in Filosofia, sotto SAITTA (si veda), con “Vico e Michelet”. Confide poi al suo allievo,Pattaro, che la scelta della filosofia, lungi dall'essere redditizia, è un matrimonio con «madonna povertà», cui egli, tuttavia, non volle sottrarsi, non essendo versato, come rivelò a Nicolini, nella «professione forense. Svolse, quindi, l'attività di docente di storia e filosofia, inizialmente come supplente al "Galvani" di Bologna, poi a Forlì e, infine, al Liceo Righi di Bologna. Il suo saggio, dedicato a Vico nel pensiero del suo primo traduttore francese, che, però, a causa dell'indisponibilità degli editori, sarebbe stato pubblicato, grazie all'intervento di Saitta come memoria dell'Accademia delle scienze dell'Istituto di Bologna. Vicino al Partito Liberale Italiano, a guerra conclusa accetta di candidarsi, per il medesimo partito, alle elezioni comunali bolognesi.  Divenuto assistente volontario di Filosofia del diritto nell'Ateneo felsineo, fu convinto da Felice Battaglia a concorrere per la libera docenza, che ottenne. Nel medesimo anno, al Parma, gli viene quindi assegnato l'incarico in Filosofia del diritto. Aggiudicatosi l'ordinariato, si trasferì successivamente a Bologna, dove insegnò filosofia giuridica, presso la Facoltà di Giurisprudenza, e Storia delle dottrine politiche, nella Facoltà di Lettere e Filosofia.  Si occupa di studi vichiani (della cui validità scientifica è testimonianza una epistola di Solari, in cui si apprende che l'interpretazione giuridica della Scienza nuova proposta da F. supera la visione Croce-Nicolini, ponendosi al livello qualitativo di quelle di Fubini e di Donati) e groziani, della cura e traduzione dei Prolegomeni al diritto della guerra e della pace di Grozio e scrisse VICO (si veda) e Grozio, nonché, la Storia della filosofia del diritto in tre volumi, giudicata da Bobbio come la storia della filosofia del diritto più completa» esistente sulla faccia della terra. Oltre Croce, F. criticò anche GENTILE (si veda), autore di una concezione speculativa indubbiamente grandiosa, che si risolveva, però, in vana retorica, negante, entro la dialettica dello spirito, la realtà del fenomeno giuridico. Fra le altre opere, La democrazia in Grecia; Il diritto naturale; dello stesso anno è La legge della ragione, considerata una «tra le opere migliori di filosofia del diritto uscite in Italia» al tempo, e consistente in una «appassionata rivalutazione» del diritto naturale; Società, legge e ragione, apparso nell'anno della morte (i due ultimi volumi citati, tuttavia, ripropongono scritti precedenti). Le pubblicazioni in cui si esprime con più chiarezza l'ispirazione teoretica di F. sono, invece, La storia come esperienza giuridica  (in cui, ha commentato BOBBIO (si veda) si dimostra che tutti i rapporti che l'uomo ha con gli altri uomini, contengono un germe di organizzazione, e quindi sono istituzioni giuridiche») e Cristianesimo e società, che susciterà un vivace dibattito nell'ambiente cattolico, incontrando financo il favore di Prezzolini. Il suo testament disponeva funerali semplici, «senza fiori e senza seguito di estranei. In un codicillo, inoltre, soggiungeva che, se si trovassero miei scritti incompiuti, manoscritti o dattilografati, non si stampino, perché non possono essere stati riveduti come avrei ritenuto necessario», congiuntamente all'invito a non raccogliere «in volume opuscoli sparsi o scritti minori, operazione che non dovrebbe mai esser fatta se non dall'autore». Alla memoria di F., oltre che a quella di Gaudenzi, è intitolato il Centro Interdipartimentale di Ricerca in Storia del Diritto, Filosofia e Sociologia del Diritto e Informatica Giuridica a Bologna,. Benché F. abbia apprezzato il Romano sostenitore della concezione non normativistica del diritto, egli non poté tacerne il limite, consistente nell'assenza di una «definizione esauriente» dell'istituzione, dovuto alla volontà di Romano di tenersi «fuori dal campo della filosofia». Il più limpido storico del giusnaturalismo». Formatosi filosoficamente nella temperie culturale neoidealistica, Fassò se ne distaccò, rifiutandone soprattutto l'immanentismo, con La storia come esperienza giuridica, opera ispirata dalle suggestioni istituzionalistiche di Romano (ma di questi deplorerà, nella successiva Storia della filosofia del diritto, il circolo vizioso, per cui una istituzione è giuridica solo quando è giuridica. A Croce, che faceva coincidere storia e filosofia, F. replica con l'identificazione di storia e giuridicità, estendendo il concetto di istituzione — contrariamente a quanto aveva fatto Romano, e risolvendone così il circolo vizioso — a tutti gli aspetti della vita sociale, cioè della vita dell'uomo nella storia, che è sempre vita dell'uomo in società. L'elisione dell'identità fra realtà storica e razionalità filosofica non implica la rimozione dell'Assoluto, ma egli ne negava ogni possibilità conoscitiva, ricadendo la «concreta unità del reale» (sotto l'aspetto gnoseologico) nell'ambito del privo di senso, sebbene restasse attingibile in uno slancio mistico, descritto, in una pagina de La legge della ragione, come partecipazione dell'«uomo al valore divino, ma solo quando si faccia anch'egli Dio per unirsi a lui, trascendendo la propria umanità, la propria soggettività empirica, storica». È importante tener fermo come Fassò, quantunque abbia legato l'Assoluto a uno slancio mistico, non si sia fatto teorico di un irrazionalismo misticheggiante, ma — giusta l'osservazione di Vallauri — abbia formulato un «dittico» in cui si afferma, da un lato, la «sopragiuridicità dell'etica intesa come esperienza religiosa» e, dall'altro, «la funzione essenziale della ragione giuridica nel mondo. Proprio il riconoscimento della centralità della ragione giuridica nel governo della «concreta molteplicità del reale» costituì, per F., un ulteriore motivo critico nei confronti dell'anti-gius-naturalismo crociano, da cui, dopo l'approfondimento della storia del giusnaturalismo, prese più convintamente le distanze. La concezione giusnaturalistica fassoiana, infatti, cerca di non cadere nell'errore proprio della tradizione precedente (errore che nella Storia della filosofia del diritto, non esitò a indicare quale «difetto capitale» della scuola del diritto naturale, consistente nell'astrattismo e nel conseguente antistoricismo), intendendo il diritto naturale quale ordine che nasce dalla storia, e nel quale l'uomo non può non essere inserito proprio per la sua dimensione storica, che è la sua dimensione essenziale. Medaglia d'oro ai benemeriti della scuola della cultura e dell'artenastrino per uniforme ordinaria Medaglia d'oro ai benemeriti della scuola della cultura e dell'arte. Croce, Illusione degli autori sui “loro” autori, su Quaderni della Critica, Laterza, Ora anche in Id., Indagini su Hegel e schiarimenti filosofici, Savorelli, Napoli, Bibliopolis, Cfr. Garin, Cronache di filosofia italiana, Bari, Laterza. La sua ricerca di Saitta, anche storica, sembra inscindibile da una polemica e da una protesta. Polemica e protesta che attraversano ugualmente l'attività così di Calogero come dello Spirito, annoverati talora col Saitta fra gli esponenti della sinistra gentiliana, e come lui accusati a volte, e non certo benevolmente, di crocianesimo». Pattaro, Sull'Assoluto. Contributo allo studio del pensiero di F.. F. segue con particolare attenzione i corsi di Saitta, che gli suggerì di approfondire Michelet, che lo avrebbe condotto a Vico.  Scheda senatore Dallolio, su Scheda senator Dallolio, su senato. Le parole di Mazzetti sono riportate in Faralli, Il maestro e lo studioso, in Rivista di filosofia del diritto, Bologna, Il Mulino, Elenco dei laureati e diplomati nell'Anno Scolastico, in Annuario dell'Anno Accademico, Bologna, Società Tipografica già Compositori,Elenco dei laureati e diplomati nell'Anno Scolastico, in Annuario dell'Anno Accademico. Bologna, Tipografia Compositori, Pattaro, Alcuni ricordi personali e cenni sulla gnoseologia, ontologia e concezione della filosofia di F., in Rivista di filosofia del diritto, Bologna, Il Mulino. “Mi disse che ci sarebbe stato un concorso per assistente ordinario alla cattedra e mi chiese se fossi interessato a partecipare. Ma mi prevenne con due avvertimenti sui quali avrei dovuto meditare prima di dargli una risposta. Essi sono: "chi fa filosofia del diritto in una facoltà di Giurisprudenza sposa madonna povertà e nell'università occorre sapere ingoiare amaro e sputare dolce perché l'intelligenza degli accademici è di regola superiore a quella dei comuni mortali, e ciò implica che essi siano capaci di cattiverie più raffinate e perfide di quelle di cui sono capaci i comuni mortali. La citazione è tratta dal carteggio Fassò-Nicolini, richiamato da E. Pattaro, nel suo Sull'Assoluto. Contributo allo studio del pensiero di F., premesso. In altre lettere allo stesso Nicolini, scrive di non sentire nessuna vocazione per la professione forense. Curriculum vitae di Andrea Fassò, Consiglio Nazionale del Notariato.. Gli studi vichiani di F., in Bollettino del Centro Studi Vichiani, Napoli, Guida, Ha ultimato VICO nel pensiero del suo primo traduttore francese nel ma causa la difficoltà di trovare un editore — non gli fu possibile pubblicarlo allora: soltanto poté presentarlo all'Accademia delle scienze di Bologna per il tramite di Saitta. Pattaro, Sull'Assoluto. Contributo allo studio del pensiero di F., in F., Scritti di filosofia del diritto,  Pattaro, Faralli, Zucchini, Milano, Giuffrè.  Dopo i disagi della guerra, aveva ripreso le proprie ricerche incoraggiato da Battaglia, che lo convinse ad affrontare l'esame di libera docenza in filosofia del diritto. Conseguita la libera docenza in filosofia del diritto, F. ebbe il suo primo incarico in questa materia, a Parma. Dizionario biografico degli italiani, Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, Battaglia,  F.: in memoria, in Rivista di filosofia del diritto [giunse] alla libera docenza, e nello stesso anno lo abilitarono a tenere l'incarico della filosofia del diritto nella Parma, ove divenne professore della materia. Passa all'Bologna, dove rimase titolare della disciplina, tenuta con alto prestigio e qualificata dignità fino alla morte che ne chiuse la laboriosa giornata».  Pattaro, Gli studi vichiani di F., in Bollettino del Centro Studi Vichiani, Napoli, Guida. Tra le carte personali di F. ho trovato una cartolina postale, vergata fitta fitta da Solari. In essa, tra le altre cose, è scritto: ‘Da tempo ero convinto della verità della interpretazione giuridica della Scienza Nuova: ma Lei ne ha dato ampia, profonda, persuasiva dimostrazione. La cautela con cui è sostenuta è frutto della Sua modestia, e della Sua serietà di studioso. Il suo saggio sui quattro autori può stare a paro cogli scritti vichiani di Donati e Fubini e supera la visione Croce-Nicolini che sul punto della genesi giuridica della scienza nuova stanno ancora sulle generali. Finalmente esiste in Italia (dico in Italia, ma potrei dire sulla faccia della terra) una storia della filosofia del diritto, non angustamente scolastica, non puramente nozionistica e per di più complete. Così Bobbio saluta la Storia della filosofia del diritto. In tutta la filosofia del Gentile si ha una concezione speculativa indubbiamente grandiosa, ma che si risolve in vana retorica, negante l'esperienza della realtà effettuale. Non è tuttavia dalla negazione della molteplicità dei soggetti che discende la negazione della realtà del diritto nella filosofia gentiliana. Come in quella del Croce, essa è compiuta in relazione alla dialettica dello spirito, cioè del soggetto assoluto. È importante, infine, sottolineare il valore di impegno civile che il filosofo bolognese riconosceva al testo e che ad esso venne riconosciuto dalla traduzione greca. Thessalonike, Poseidonas], all'epoca della dittatura militare in Grecia».  Bobbio, Giusnaturalismo e positivismo giuridico, prefazione di Ferrajoli, Roma-Bari, Laterza,  Bobbio, La filosofia del diritto in Italia, in Jus, Milano,  Faralli, I momenti della riflessione critica su F., Prezzolini chiosa Cristianesimo e società sia in un articolo su Il resto del carlino sia nel libro Cristo e/o Machiavelli. Conservo la prima edizione di Cristianesimo e società, egli scrive. La volli come compagna perché dovevo moltissimo a quel libro, cioè non dirò l'apertura, ma la conferma dotta, serena, eppure appassionata di un punto di vista importante. Prezzolini ritiene di aver trovato in Fassò, argomentate con un'alta filologia, sempre al corrente della produzione critica e accompagnata dalla conoscenza dei testi filosofici, quelle stesse idee che anch'egli aveva manifestato ‘lanciate piuttosto da un intuito che da un sapere storico Annuario, Bologna, Tipografia Compositori, Pattaro, Ricordo, in Rivista trimestrale di diritto e procedura civile, Centro Interdipartimentale di Ricerca in Storia del Diritto, Filosofia e Sociologia del Diritto e Informatica Giuridica, sStoria della filosofia del diritto, edizione aggiornata Faralli,  Roma-Bari, Laterza. Romano si tiene deliberatamente fuori dal campo della filosofia, non sfruttando neppure quegli indirizzi di essa, primo fra tutti quello del Croce, che potevano valere a suffragar la sua tesi. Questa è sostenuta unicamente sul terreno della considerazione empirica del diritto, e non vuole avere né premesse né conclusioni che stiano al di fuori o al di sopra di essa. Neppure il Romano dà del concetto di istituzione una definizione esauriente».  Marini, Il giusnaturalismo nella cultura filosofica italiana del Novecento, in Storicità del diritto e dignità dell'uomo, Napoli, Morano, Cfr. Matteucci, recensione a F., Cristianesimo e società, Giuffrè, Milano, in Il Mulino,  «L'esigenza filosofica fondamentale che si palesa nei lavori del F. è quella di uscire dallo storicismo immanentistico dei Croce e dei Gentile che vedeva nella storia la manifestazione di un principio assoluto (lo Spirito, l'Atto. Cfr. Pattaro, In che senso la storia è esperienza giuridica: l'istituzionalismo trascendentale, in appendice a F., La storia come esperienza giuridica, Faralli, Soveria Mannelli, Rubbettino. L'esperienza che Fassò aveva avuto della filosofia idealistica egemone in Italia nella prima metà del secolo, la quale all'interno dei suoi precedenti studi vichiani, condotti in chiave di storia della filosofia, non necessariamente costituiva un'ipoteca con cui dover fare conti precisi, in sede teoretica, sia pure di filosofia del diritto, venne chiamata ad un inevitabile redde rationem. F., Storia della filosofia del diritto, Faralli, Roma-Bari, Laterza, Il giudizio, tuttavia, è già presente in F., La storia come esperienza giuridica. È proprio questo, del resto, il punto debole della dottrina del Romano, che fu subito rilevato dai suoi critici: il circolo vizioso in cui egli si aggira, presupponendo la giuridicità di quella istituzione che poi identifica con il diritto. In altre parole, Romano afferma che sono istituzione, ossia ordinamento giuridico, ossia diritto, quegli enti o corpi sociali che hanno carattere giuridico. Croce, Logica come scienza del concetto puro, Farnetti, con una nota al testo di Sasso, Napoli, Bibliopolis, Croce, La storia come pensiero e come azione, Conforti, con una nota al testo di Sasso, Napoli, Bibliopolis, «Si può dire che, con la critica storica della filosofia trascendente, la filosofia stessa, nella sua autonomia, sia morta, perché la sua pretesa di autonomia era fondata appunto nel carattere suo di metafisica. Quella che ne ha preso il luogo, non è più filosofia, ma storia, o, che viene a dire il medesimo, filosofia in quanto storia e storia in quanto filosofia: la filosofia-storia, che ha per suo principio l'identità di universale ed individuale, d'intelletto e intuizione, e dichiara arbitrario o illegittimo ogni distacco dei due elementi, i quali realmente sono un solo. La storia come esperienza giuridica. L'esperienza giuridica non è altro che l'esperienza umana nella sua totalità, la storia stessa insomma dell'uomo. In che senso la storia è esperienza giuridica: l'istituzionalismo trascendentale di F., «La concreta unità del reale, l'universale concreto, è un residuato della grandiosa retorica metafisica idealistica. F., con l'onore delle armi, lo colloca nella dimensione che gli compete, ossia dell'inconoscibile, indicibile, incomunicabile per definizione: dell'indiscutibile che è tale non perché sia vero o certo di là da ogni ragionevole dubbio, bensì perché non è possibile oggetto di discorso, non è suscettibile di ragionamento, sfugge ad ogni comprensione e spiegazione razionale. Lo colloca nella dimensione del privo di senso. Pattaro, In che senso la storia è esperienza giuridica: l'istituzionalismo trascendentale. Resti chiaro, peraltro, che F. rinvia sì al piano mistico l'unità del reale, l'assoluto, l'universale concreto, ecc., ma che, non per questo, egli professa una filosofia mistica intuizionistica. Il giudizio di Vallauri è espresso nel suo Amicizia, carità, diritto, Giuffrè, Milano. Considerata nel suo arco complessivo, forma un dittico, che da un lato ribadisce rigorosamente la sopragiuridicità della esperienza cristiana giunta al suo culmine (identificato nella carità), e dall'altro lato riconosce la funzione preziosa della ragione giuridica nel mondo, dove ogni individuo limita e contraddice l'altro e dove una norma di coesistenza è indispensabile’») e accolto in F., Società, legge e ragione, Milano, Comunità, Pattaro, In che senso la storia è esperienza giuridica: l'istituzionalismo trascendentale di F., La concreta molteplicità del reale, il flusso eracliteo dei particolari concrerti, l'eterogeneo continuum di cui parla richiamando Ross, è la realtà empirica, fenomenica: molteplicità infinita di eventi originali e irripetibili, non essendovi nello spazio, e più ancora nel tempo, due fenomeni perfettamente identici. Sulla posizione crociana rispetto al giusnaturalismo cfr., per esempio, Croce, Filosofia della pratica. Economica ed etica, Tarantino, con una nota al testo di Sasso, Napoli, Bibliopolis. Contraddittorio è altresì il concetto di un codice eterno, di una legislazione-limite o modello, di un diritto universale, razionale o naturale, o come altro lo si è venuto variamente intitolando. Il diritto naturale, la legislazione universale, il codice eterno, che pretende fissare il transeunte, urta contro il principio della mutevolezza delle leggi, che è conseguenza necessaria del carattere contingente e storico del loro contenuto. Se al diritto naturale si lasciasse fare quel che esso annunzia, se Dio permettesse che gli affari della Realtà fossero amministrati secondo le astratte idee degli scrittori e dei professori, si vedrebbe, con la formazione e applicazione del Codice eterno, arrestarsi di colpo lo svolgimento, concludersi la Storia, morire la vita, disfarsi la realtà. Sulla presa esplicita di distanza di F. da Croce, cfr. Società, legge e ragione. Ho continuato a ripetere la stessa cosa. Il diritto nasce dalla natura umana, la quale è natura storica e natura sociale. Ho rifiutato dapprima, sotto la suggestione dell'anti-gius-naturalismo del tempo in cui ero cresciuto, di chiamare naturale un siffatto diritto. Più tardi, dopo avere approfondito la conoscenza storica del gius-naturalismo ed essermi meglio chiarito la parte che esso ha avuto nella difesa della libertà contro l'assolutismo politico, mi sono deciso a designare con quell'aggettivo in realtà equivoco il diritto che la ragione trova nella natura della società. Laddove, invece, si è riscontrata coincidenza cronologica, si è preferito seguire l'ordine alfabetico. Altre saggi: “I quattro auttori del Vico: saggio sulla genesi della Scienza nuova” (Milano, Giuffre); “La storia come esperienza giuridica, Faralli, Soveria Mannelli, Rubbettino); “Cristianesimo e società” (Milano, Giuffrè); “La democrazia in Grecia, Faralli, Pattaro e Zucchini (Milano, Giuffrè); “Il diritto naturale” (Torino, ERI, “La legge della ragione, Faralli, Pattaro e Zucchini (Milano, Giuffrè); “Storia della filosofia del diritto, Roma-Bari, Laterza); “VICO e Grozio” (Napoli, Guida);  “Società, legge e ragione” (Milano, Edizioni di Comunità); “La flosofia del diritto” (Milano, Giuffrè); Diritto della guerra” (Napoli, Morano). Dizionario biografico degli italiani, Gli studi vichiani di F., Centro Studi Vichiani,  Napoli, Guida), “Sull'Assoluto. Contributo allo studio del pensiero di F.”, “In che senso la storia è esperienza giuridica: l'istituzionalismo trascendentale di F.”, “Lo storicismo di F.”, “Sulla annosa e ricorrente disputa tra positivisti e giusnaturalisti”, “Un itinerario filosofico tra diritto e natura umana”.  L'iniziativa di raccogliere gli scritti di filosofia del diritto di F. è altamente opportuna e meritoria. Gli studiosi ne debbono essere grati ai curatori: Pattaro (che al Maestro è succeduto sulla cattedra bolognese), Faralli, Zucchini. Con questi tre ricchi volumi diviene facilmente accessibile una produzione, altri- menti sparsa in riviste e in atti occasionali, che sta a testimoniare il cammino limpido e coerente di una tra le personalità intellettualmente più vive ed oneste della nostra cultura del secondo dopoguerra, purtroppo strappata anzi tempo agli studi. I curatori avvertono che del- l'opera di F. rimangono escluse da questa pur ampia raccolta le opere pubblicate quali volumi separati, articoli occasionali che sono parsi non riconducibili alla filosofia del diritto, e scritti di letteratura e di critica cinematografica. Si può convenire sull’opportunità di preservare la purezza e omogeneità scientifica della raccolta, escludendo gli scritti delle due ultime categorie menzionate; giudicheranno i curatori, o altri studiosi interessati, se non sia opportuna la pubblicazione separata degli scritti minori ora esclusi, per dare un’immagine completa della cultura e dell’evoluzione di F., ovvero di uno studioso che, alieno quant’altri mai da digressioni e dilettantismi, mostra però in ogni pagina la vastità e classicità delle proprie conoscenze. Evidente è invece la necessità di escludere le opere apparse quali volumi separati. Tra esse sono opere a tutti note, che hanno saldamente stabilito il prestigio scientifico di F. Basti ricordare gli studi vichiani e groziani (da I (( quattro auttori D del VICO. Saggio sulla genesi della Scienza nuova, alla cura e traduzione dei Prolegomeni al diritto della guerra e della pace di Grozio, dello stesso anno, a Vico e Grozio, e la fondamentale STORIA DELLA FILOSOFIA DEL DIRITTO – DA CICERONE A CICERONE. Sono anche da ricordare: La democrazia in Grecia; Il diritto naturale; La legge della ragione, dello stesso anno; Società, legge e ragione, apparso nell’anno della morte (ma i due ultimi volumi raccolgono e rifondono scritti precedenti, che si trovano in questa stessa raccolta). Ricordiamo per ultimi, non per caso, i due scritti in cui è documentata la fisionomia teoretica di F., il quale, se fu grande storico del pensiero, ebbe anche un’impronta filosofica originalissima, e una chiarezza ideale che diede senso unitario ai molti interventi su problemi teoretici, oggi raccolti nei presenti volumi. Ci riferiamo alle opere L a storia come esperienza giuridica, e Cristianesimo e società. Oltre agli scritti di F., la raccolta contiene: una Nota dei curatori, che spiega i criteri seguiti;un’ampia Introduzione di Pattaro, dal titolo Sull’assoluto. Contributo allo studio del pensiero di F.; na Bibliografia degli scritti filosofico- giuridici di F., a cura di Zucchini; uno studio di Faralli dal titolo I momenti della riflessione critica su F.. Di modo che questi volumi offrono una base per chiunque si accosti criticamente all’opera e al pensiero di F.: lo status quaestionis è chiaramente delineato. È ancora da dire che gli scritti di F. sono ripartiti in tre categorie: saggi e articoli,  voci di enciclopedia, e recensioni. Saggie articoli occupano la maggior parte dei volumi, notevole è però anche la mole delle voci di enciclopedia: un genere che F. coltiva con assiduità, e che era particolarmente congeniale alla sua mente storica, e alla chiarezza concettuale alla quale egli era sempre solito congiungere rigorosamente la ricostruzione storica: poche pagine sono in grado, in queste voci, di dare le linee maestre di Milano un tema, o dell’opera di un autore (esemplari ci sembrano, tra le voci su temi teoretici, Democrazia,e Giusnaturalisrno;tra le voci su temi storici, quelle sui due autori di F. per eccellenza, Groot, e VICO Non molte sono invece le recensioni in chi pure e studioso di larghissime letture. Se si tolgono le recensioni legate agli esordi scientifici e ai loro temi, rimangono pochi interventi; tra questi dobbiamo ricordare, per l’interesse oggettivo e per la luce che portano sulla personalità di Fassò, le recensioni dedicate ad autori coi quali egli fu in singolare vicinanza spirituale: come le recensioni a volumi di BOBBIO su temi filosofico-giuridici, o al volume di PIOVANI, Giusnaturalismo ed etica moderna -- la recensione. Peraltro, per valutare la presenza attiva, insieme critica e costruttiva, di F. nella filosofia italiana, si deve pensare alle molte discussioni che egli costantemente e con passione sollevava su temi storici e teoretici: più della recensione, lo attraeva la discussione ampia che ruotasse intorno a un problema a lui congeniale. Si pensi alle osservazioni che egli svolse su due saggi di COTTA, ancora uno studioso col quale egli fu in profondo dialogo: i libri di questo su AQUINO e su AGOSTINO sollecitarono la meditazione di F. in due articoli: AQUINO giurista laico? e Agostino e il giusnaturalismo.Inoltre, tutta l’attività di . fu segnata dalla polemica, spesso anche dura o sarcastica, che egli rivolgeva ad autori grandi e piccoli, lontani e vicini. Polemizza su temi filologici ed eruditi, riprendendo e correggendo; polemizzava su problemi teoretici, dove non trovasse chiarezza di pensiero, egli che era scrittore limpido e rifuggiva da qualsiasi ambiguità o da compiacenti silenzi. Talvolta colpisce, ancor oggi, la durezza della polemica; ed egli ne era certo consapevole, e scrisse una volta queste parole, che valgono a spiegare un tratto della sua personalità: nella sua connaturata avversione ai radicatissimi luoghi comuni nella ricerca scientifica come nei modi del pensare politico, egli replica sempre con vigore, e talora con troppo vigore, e metteva in luce componenti opposte a quelle Comunemente accettate, Seri- veva: (Forse, nel cercare di metterle in luce, ho calcato troppo sulla loro importanza? Se questo è avvenuto, è stato (per ricorrere ancora una volta a Grozio e prendere a prestito da lui l’immagine di cui si serve a proposito di Erasmo con l’intenzione con cui si piegano in senso opposto gli oggetti incurvatisi, per cercare di farli tornare nella posizione giusta D. In quell’occasione, egli parlava delle convinzioni diffuse sulle componenti originarie dell’etica laica, di solito vista derivare dal protestantesimo e dai suoi moti preparatori; mentre egli vedeva componenti più ampie, e radici che egli individua per gran parte proprio in AQUINO (si veda).. Egli era quindi in uno dei campi prediletti della sua indagine; ma quell‘intenzione lì dichiarata e illustrata, con l’immagine degl’oggetti incurvatisi vale a farci comprendere la intransigente vena polemica, strumento per riportare alla  posizione giusta, che nel suo caso era la posizione della verità scientifica e del rigore metodologico. Di quella vena polemica, gran parte degli scritti qui pubblicati sono testimonianza, talora vivacissima. C’e in F. tutta la serietà intellettuale di chi conosce la fatica della paziente ricerca quotidiana. Non solo la storia del pensiero propriamente detta, con le sue regole filologiche; anche la filosofia aveva i suoi canoni e le sue conoscenze tecniche. Nel corso di una polemica, su uno dei temi che più gli stettero a cuore, quello del rapporto fra cristianesimo e società, egli scrisse, sulla dignità della filosofia, parole di sapore hegeliano, che hanno la loro permanente e ritornante validità. Allora, ammoniva disinvolti (( giuristi cristiani a starsene nei propri confini di giuristi; il cristianesimo era altra cosa, e scrive. E strano, ma mentre tutti fanno a gara a dire che LA FILOSOFIA  è cosa astrusa, non v’è nessuno che non si senta legittimato a discuterne senza alcuna preparazione: ciò che non si sognerebbe di fare riguardo a qualsiasi altro argomento scientifico o tecnico. Perché egli, che era in senso proprio e fino in fondo FILOSOFO del diritto, ha chiara la dimensione filosofica e CONCETTUALE della propria ricerca, e non intese mai che la propria controversa disciplina fosse riducibile a riflessione o generalizzazione di giuristi dotati di vocazione, temperamento, sia pure cultura, Opportunamente, gli scritti di F. sono riprodotti in ordine cronologico -- all’interno delle tre categorie citate sopra: saggi e articoli; voci di enciclopedia; recensioni. Se si tengono presenti anche i saggi pubblicati come volumi a parte, e sopra ricordati, ne viene la possibilità di giungere ad una periodizzazione. Pattaro, nel suo studio intro- duttivo, suggerisce la quadripartizione seguente: il periodo dedicato alla STORIA della filosofia, in particolare a VICO. Il periodo che comprende La stovia come esfierienza giuridica e Cristianesimo e società, caratterizzato precipuamente dalla tematica, che potrebbe dargli il nome, ‘Assoluto e storia e il periodo culminante nei volumi primo e secondo della Storia della filosofia del divitto che potrebbe intitolarsi a ‘ I1 diritto naturale, il periodo nel quale si conclude la grande opera storiografica, che potrebbe di converso intitolarsi a ‘il diritto positivo.’ Così Pattaro, e con buone ragioni. Ma egli stesso ricorda che il Maestro (( riconobbe valida in uno dei suoi ultimi scritti la distinzione-periodizzazione suggerita da Vallauri, il quale vedittico affermante - così riferiva F. consentendo intesa come esperienza religiosa, e dall’altro la funzione essenziale della ragione giuridica nel mondo. Società, legge e vagione. Vallauri formula quel suggerimento deva nella sua opera come un da un lato la sopragiuridicità dell’eticità in Amicizia, carità, diritto, Milano. Tenendo presenti i punti di vista espressi dai due studiosi, saremmo propensi a vedere una tri-partizione, che è insieme una partizione temporale e tematica, una periodizzazione e una distinzione di interessi scientifici; dove i periodi si collegano l’un l’altro per affinità e per approfondimenti in- terni. Il primo periodo vede nascere gli studi su VICO e su Grozio, e che è segnato dalla presenza di motivi neo-idealistici e dall’emergere dell’originale storicismo di F. Il secondo periodo vede apparire il dittico di cui parla Vallauri, quel dittico a cui Pattaro dà il nome di assoluto e storia. In questo, è enunciata la filosofia di F.; gli anni successivi approfondiranno e talora ritoccheranno, ma i pilastri sono già posti saldamente. Dove la periodizzazione di Pattaro sembra meno giustificata, perché forse c’è soltanto accentuazione all’interno di un’unità, è in una cesura che pone. Sembra di poter dire che tutta l’attività e che muove, come Pattaro ricorda, dall’articolo ‘AQUINO, giurista laico?’, è dedicata alla meditazione integrale, per estensione dia-cronica e sin-cronica, del problema della ragione giuridica nel mondo storico-sociale: è ripercorso tutto il pensiero occidentale; si ha la progressiva accettazione di un diritto di ragione, il quale ha una sua autonomia di fronte al diritto tradotto in leggi. Anche la riflessione politica di F. e più, certamente, dopo gli sconvolgimenti, rientra in quella visione di una ragione che opera nella storia con i suoi equilibri e meccanismi. Gli scritti raccolti in questi volumi consentono di ritrovare gli aspetti salienti della meditazione di F., di ripercorrerla nelle singole tappe del suo maturarsi, di seguire, come in una fuga a più voci, l’accedere di nuovi motivi a quelli di datazione più antica. In questo senso, come s’è già detto all’inizio, grande è l’utilità di questa raccolta per chi studi l’opera di F.; non solo, ma per chi si dedichi a ricostruire la vita intellettuale e morale, la cultura politica di quegli anni, I n questa occasione, a chi scrive interessa porre in luce alcuni essenziali aspetti teoretici di quella riflessione. Ma ciò non intende certo sminuire il rilievo che si deve riconoscere a F. storico delle idee. Lo studioso di VICO e di Grozio, del diritto naturale classico, cristiano e moderno, è tale che ogni suo contributo è degno di attento studio vuoi per l’oggetto trattato, vuoi per ricostruire in modo più adeguato l’evoluzione dello stile di ricerca storiografica del suo autore, vuoi infine per gli apporti d’ordine teoretico che esso fornisce. In quest’ultimo senso, quello che qui interessa maggiormente, molti studi storici apportano argomenti per la visione della storia e della sua organizzazione giuridico-politica. Ma per fermarsi al solo rilievo storiografico, si deve ricordare che in questi volumi tornano studi su molti temi tipici e prediletti dell’attività di F.. Si vedano i vari ritorni su VICO: Vico nel pensiero del suo primo traduttore francese (dedicato al rapporto Vico-Michelet); al quale si ricollega, ventun anni dopo, U n presunto discepolo di Vico. Michelet; e inoltre vari interventi critici sulla Scienza Nuova e su temi vichiani, a cominciare dalla Genesi storica e genesi logica della filosofia della Scienza nuova, per finire con lo  Il problema del diritto e l’origine storica della Scienza Nuova. Si vedano anche gli scritti vari su Grozio: Grozio tra medioevo ed età moderna, e il saggio, assai significativo per l’evoluzione personale di F., Ragione e storia nella dottrina di Grozio. Accanto a tali studi dovrebbero esserne menzionati molti altri, a cominciare da quello su Sociologia e diritto nella filosofia civile di ROMAGNOSI, fino ai molti studi su temi storici, sulla laicità immanente in pensatori cristiani, o sull’evoluzione del pensiero giuridico in senso più stretto, come nel saggio postumo, scritto per la Storia delle idee politiche, economiche e sociali diretta da FIRPO, dal titolo La scienza e la filosofia del diritto: ricostruzione storica ammirevole nella sua lucida sinteticità, frutto maturo di una mente storica che aveva già prodotto le sue opere maggiori. Né si devono dimenticare i ritornanti interessi per il mondo greco, e per la forma democratica che in esso si realizzò: valga l’esempio dello studio dLa democrazia nell’antica Grecia e la riforma agraria. Si può dire che non manchi, in questa raccolta, nessuno dei grandi temi storiografici di Fassò: VICO e Grozio, il pensiero cristiano, l’affermarsi della ragione giuridica, la grecità. Chi voglia ricostruire l’itinerario scientifico di F. storico delle idee, avrà ora a disposizione un materiale imponente, qui riunito dalle varie sedi in cui egli usava pubblicare i suoi saggi e articoli, e che erano quasi sempre riviste giuridiche: singolare e significativa predilezione in un autore che non ridusse mai la filosofia del diritto a teoria generale del diritto, ne volle preservata la filosoficità, ma volle anche mostrare come non si potesse prescindere dalla cono- scenza dei problemi scientifici del diritto. In questo senso si può esser certi che F. ebbe profonda e genuina dimestichezza con i problemi dei giuristi. Anche lo stile del suo pensiero e il suo stesso modo di esprimersi, serio e sobrio, tutto attento alle prove e ai nessi concettuali, risentiva beneficamente della formazione giuridica e degli interessi giuridici, anche se questi non furono peculiari ad un ramo specifico del diritto, ma si rivolsero piuttosto alla teoria generale, e semmai ai modi procedurali del divenire del diritto - si pensi all’interesse per il problema del giudice - come a quelli in cui meglio si scorge l’originalità della ragione giuridica nel suo affermarsi. Si può anche dire che la cultura giuridica di F. influì sull’originale forma del suo storicismo, al quale, fino agli ultimi anni, egli non venne mai meno, Gli scritti appartenenti al primo periodo mostrano F. che, movendo dall’interno della prospettiva neoidealistica, ne esce con una propria visione della realtà come storia, e della storia come struttura in sé organizzata, razionale, scandita in istituzioni. Lo stori- cismo assoluto di Croce (un autore che, pure, F. ha ben conosciuto) è estraneo a questa forma di storicismo, tutto fatto di cose e di nessi reali, Vico e Grozio sono stati i fondamenti filosofici di questa visione della storia, Pattaro pone bene in luce come l'avversione di F. a un razionalismo astratto divenga visione storicistica nei primi studi vichiani riferisce quanto F. stesso scriveva, sull’esser vichiani per il fatto di avere una visione della storia come concreta razionalità. Pattaro prosegue illustrando il passaggio di F. dagli studi vichiani, condotti in quell'atmosfera speculativa (non necessariamente o integralmente condivisa), alla personale visione storicistica del diritto. Qui influirono le nuove correnti che si affacciavano in Italia. Le suggestioni del neoempirismo che si affaccia nella nostra cultura trovarono un'accoglienza non ostile in un F. convinto che, nella filosofia del diritto, molto spesso l'empirismo non è lontano dallo storicismo, La specifica tematica giuridico-filosofica, lo fa incontrare con le correnti sociologiche ed istituzionalistiche, ma nel contempo lo induceva, per superarne 1’oggettivismo naturalistico, ad adottare un'impostazione filosofica di fondo lato sensu kantiana, così Pattaro. In queste parole è detto l'essenziale sulla visione filosofica di F. I1 quale descrive egli stesso come vede la crisi dell'idealismo, provocata da varie correnti di pensiero, che egli enumera: il marxismo, l'esistenzialismo, lo spiritualismo cristiano, il neopositivismo. Empirismo e storicismo, egli li accosta nelle parole prima citate, tratte dall'Introduzione ai Prolegomeni di Grozio e nuovamente li accosta, parlando dell'opera di Levi, quando ritene utile muovere, sia pur con misura e senso delle sfumature, dalla constatazione delle affinità tra storicismo idealistico e sociologismo positivistico. In quello stesso scritto su Levi, F. avverte un'analogia tra due generazioni in crisi, quella di Levi, che usce dal positivismo, la sua, che usce dall'idealismo: due generazioni accomunate da una posizione che conduce ad apprezzare, non già i beati possessori della verità, ma coloro che sono andati faticosamente fabbricandosene una, senza cieche fedeltà a dogmi e senza chiudere gli occhi davanti alla storia in cammino. Quello scritto su Levi vede, come altri scritti, lo sgretolarsi dell'idealismo per l'irruzione di nuove tendenze di pensiero, più legate all'osservazione diretta dell'esperienza. Rientrano in questo quadro anche le polemiche che F. conduce contro le facili riesumazioni del diritto naturale, talora troppo coerenti, e inconsapevoli nella loro professione di un diritto astorico, talora troppo incoerenti e disinvolte nella loro combinazione di diritto naturale e storia. Lo storicismo era così diffuso in quegli anni, e senza effettiva consapevolezza critica, che si ebbero anche coloro che F. chiama i giusnatural-storicisti. Lo storicismo di quegli anni, e specialmente all’interno della cultura filosofico-giuridica (una cultura, in quel periodo, assai vivace, in ricambio con altri àmbiti filosofici e culturali), è uno storicismo di origine, più che filosofica, empiristica, o addirittura empirica: fu lo storicismo di chi era cresciuto nell’indagine delle teorie giuridiche sociologiche e istituzionalistiche, e medita sul diritto e sui modi del suo farsi.I1diritto come sistema storicamente progrediente, avrebbe detto Savigny; e in modi affini pensano Romano, Gurvitch, Capograssi, per fare soltanto pochissimi ma influenti nomi (per la valutazione dell’influenza di Capograssi, si può qui vedere la recensione di F. alla IntevFYetazione di Capograssi, pubblicata da Carnelutti). Anche lo storicismo di F. si modellò in aspetti affini, pur nella indubbia sua penetrazione filosofica. Ma quello storicismo, se aveva le sue basi in Vico e in Grozio, si approfondì e dispiegò nella visione istituzionalistica del diritto. Tra gli autori di . non è Hegel (né in sé né nelle scuole che a lui si richiamarono), e non sono gli autori del moderno storicismo indivi- dualistico, da Dilthey in poi, che tanta influenza avrebbero avuto su Piovani, pure affine a F. per più interessi ed aspetti. Si può dire allora che lo storicismo professato da F. fu di impronta giuridica. Ebbe tratti affini allo storicismo post-crociano da molti condi- viso in quegli anni; ma non derivava tanto da precise correnti filosofiche, quanto dai giuristi non strettamente positivisti: la scuola storica del diritto in Germania; ma molto di più le correnti istituzionalistiche; e infine la tradizione di common-law, da F. ammirata come esem- plare organizzazione giuridica e politica e presidio del valore liberale della dignità deli’individuo. La storia era, secondo il titolo dell’opera, ESPERIENZA  giuridica; e non era questo un pensiero da poco, ma anzi una robusta e meditata posizione storicistica, perché il diritto, come struttura razionalizzatrice e regolatrice della convivenza, mo- strava la ragione immanente alla storia, che era anche l’unica ragione accessibile all’uomo. Avverso al razionalismo omnicomprendente - fosse la metafisica metastorica della tradizione o la metafisica della storia come totalità (idealismo, materialismo storico) -, F. crede in una razionalità che guida la convivenza, che nasce dall’interazione di individui e di gruppi, che è garanzia di libertà per gli individui. I valori nltimi, invece, non sono accessibili agli uomini per via razionale; la ragione non può che fermassi a questo mondo terreno, e studiarlo nelle strutture che in esso si formano e variano. Era una visione, se vogliamo parlar filosoficamente, neokantiana, nel senso di tanto neokantismo diffuso nella filosofia del diritto e nelle scienze sociali. Conoscibile razionalmente il mondo dei fenomeni come mondo storico; non-conoscibile, ma soltanto sperimentabile emozionalmente, il mondo del valore. Cade la fondazione pratica della morale; restava la inconoscibilità dei valori ultimi. In questo senso, Radbruch o Weber non pensano diversamente. Quel che ebbe F., a differenza di questi autori (ma non del neokantismo in genere), è l’interesse per quel sopramondo che egli affermava non-conoscibile, e che vede tradotto, nella forma più pura, nel cristianesimo, è questo l’altro versante della filosofia di F., che si tradusse in Cristianesimo e società, opera tra le più alte della nostra cultura recente. E forse interessante notare quel che scrive F., recensendo Piovani sul giusnaturalismo. Piovani fa sua la proposizione (la personalità stessa è l’assoluto), che d’altronde traeva da Kierkegaard, e la svolgeva nel senso di un individualismo visto come unico coerente sbocco dell’etica moderna. Scrive F. E qui si potrebbe, naturalmente, discutere a lungo  e del resto anche chi, come me, davanti alle affermazioni di una presenza, che non sia totalmente mistica, dell’assoluto nell’individuo, rimanga perplesso, e non veda come un ipersoggettivismo quale quello professato da Piovani possa sfuggire al relativismo, non può non apprezzarne il profondo significato morale: assai più alto in ogni caso di quello delle etiche oggettivistiche, che, coprendosi della retorica dei valori eterni, conducono all’alienazione dell’uomo, e lo privano di ciò che costituisce la sua umana essenza morale. Tre affermazioni sono da rilevare in questo passo: v’è il rifiuto della retorica dei valori eterni, giudicata alienante e tale da privare l’uomo della sua essenza morale, che è, evidentemente, collegata alla ricerca e all’irrequietezza; l’iper-soggettivismo (ma tanto varrebbe dire soggettivismo) non può sfuggire al relativismo, sentito da F. come pericolo. F. si dichiara perplesso davanti alle affermazioni di una presenza dell’assoluto nell’individuo, ma con l’eccezione che si tratti di una presenza a totalmente mistica B. Rifiutate un’etica oggettivistica e un’etica soggettivistica, che cosa rimane nella visione morale di F.? Rimangono: la razionalità formale del diritto come ragione vivente nella storia e l’esperienza mistica come unica via di accesso all’assoluto. Questi due piani sono privi di relazione; ma essi appaiono tali da produrre queste conseguenze: è salvata l’irrequietezza che è condizione della morale; è evitato il pericolo del relativismo; è consentito l’accesso all’assoluto. Il mondo dei valori assoluti è accessibile soltanto all’esperienza mistico-religiosa. La carità, intesa in senso teologico, ovvero come virtù teologale, è proprio questa capacità di inserirsi nella vita divina, La simpatia di F. va agli spiriti capaci di questa immedesimazione: da Paolo a Kierkegaard, va a coloro che hanno ben chiara la distinzione tra mondo della terra, della legge, della ragione, e mondo divino, della carità. Quella linea del cristianesimo aveva contrapposto il mondo, regno del peccato e della legge, al regno della carità, dell’immedesimazione in Dio quel mondo che non conosce diritto. Tra cristiaizesimo e società v’è quindi un contrasto ineliminabile, come tra generi diversi e inconciliabili, come tra santità e peccato, come tra l’assolutezza dei valori e il mondo degli uomini comuni, I1 saggio in cui queste tesi erano argomentate fu quello che sollevò le maggiori polemiche. Sul piano più propriamente filosofico, BAGOLINI è il critico più attento - come PATTARO ricorda a lucida analisi quella divisione netta tra la realtà e il valore, per affermarne l’insostenibilità: gli appare inconseguente negare la conoscibilità razionale del valore e allo stesso tempo parlarne. Ma si può dire - prosegue Pattaro che F. (intenzionalmente rinvia tutti i valori che si pretende siano di questo mondo nel cielo indefinito e indefinibile dell’assoluto). F. conobbe e trattò il mondo imperfetto e relativo; non dimenticò - è la strada della mistica - il mondo perfetto e assoluto del quale ci hanno dato testimonianza grandi spiriti, e che noi stessi avvertiamo nel nostro desiderio di perfezione. Ma quella divisione così recisamente affermata provocò le polemiche più accese al di fuori del campo propriamente filosofico, e se è discussa e rispettata da teologi e da uomini di fede e di chiesa (questa raccolta ne reca più tracce: dai giudizii Lener fino a quelli espressi nel colloquio di Strasburgo, dedicato proprio al tema tipico di F.: L a révélation chrétienne et le droit), è trattata invece con non altrettanta serietà e consapevolezza da giuristi, e da coloro che, professandosi i giuristi cristiani o, o (( giuristi cattolici)), si fondano proprio sulla tesi opposta a quella sostenuta da F. nel suo libro. Sono due tesi teologiche a confronto, dov’era conoscenza dei problemi; ma F. ha buon gioco a spiegare ai suoi interolcutori giuristi che la carità e la giustizia di cui parla il Vangelo riguardano il rapporto con Dio, rispetto al quale tutto il resto vien dato per soprappiù, e non il rapporto con gli uomini, che è soltanto una conseguenza del vivere in Dio. Se carità e mondo sono in un tale contrasto, non si può parlare, senza cadere in contraddizione, di diritto cristiano, di giuristi cristiani, di politica cristiana, di cristianesimo sociale. Ripetutamente F. polemizza con i giuristi cristiani, innanzi a tutti con CARNELUTTI; e ricorda che carità non è filantropia, e che la giustizia, nel vangelo, sta a indicare una situazione d’ordine esclusivamente religioso, l’elezione, la perfezione, la santità – cf. H. P. Grice on J. O. Urmson, eroi e santi --, e non è la virtù sociale pur teorizzata da teologi e filosofi morali cristiani, e che AQUINO definisce IVSTITIA METAPHORICE DICTA. Rispondendo a Carnelutti è lo stesso scritto nel quale deplora, con parole prima ricordate, che tutti si sentissero autorizzati a parlar di filosofia), F. precisa: Ciò di cui non posso ringraziare l’illustre maestro è d’aver pensato che a me non garberebbe d’aggiungere al mio titolo di filosofo del diritto l’aggettivo cristiano il che mi fa ritenere che anche a me, anzi soprattutto a me egli si rivolga, quando, nell’intitolare il suo scritto garbatamente parodiando l’intitolazione del e sottopose mio, parla di pericoli per i filosofi non cristiani Non vedo in verità perché quell’aggettivo non dovrebbe garbarmi, né che cosa abbia potuto far sospettare ciò al pur benigno lettore: forse perché ho criticato qualche giurista cattolico il quale mostrava di non conoscere con troppa esattezza alcuni termini usati nei testi cristiani? Quei concetti venivano organicamente presentati, dal punto di vista storico e teorico, nel saggio “Giustizia, carità e filantropia,” e sono anche inseriti negli scritti in onore di JEMOLO (si veda), grande giurista storico e grande spirito religioso, uno degli spiriti più congeniali a F., se non forse il più congeniale. La separazione di cristianesimo e società era pure destinata a scontrarsi con l’opinione dominante nel mondo religioso, e di coloro che, richiamandosi al cristianesimo, intendevano tradurlo nella società. F. dissente in maniera totale dalle idee di BALBO (si veda). Ritorna il sufposto cristianesimo sociale, e il titolo di una nota polemica come pure, naturalmente, dalle idee di chi nutrisse progetti politici meno radicali. Ribade che il cristianesimo è una religione, e che la religione ha per oggetto Dio e soltanto Dio, e che la novità, e quindi l’essenziale significato del cristianesimo rispetto alla filosofia ed alla morale greca ed alla morale ebraica sta tutta in questa sua proiezione totale verso Dio, che consuma e supera ogni interesse umano e mondano e perciò anche sociale. Non nega certo un ideale di vita cristiano; nega che il cristianesimo potesse tradursi in dettami politici. Facciamo cristiani noi stessi, dice; ma guardiamoci dall’a immischiare Dio nei problemi di Cesare. E conclude quelle pagine ammirando la scelta religiosa di Dossetti, che così commentava: a Questo sì è il vero ideale cristiano; ed è bello vedere che c’è chi, riconosciutolo, ha - o riceve - la forza di realizzarlo. 1 superficiali interpreteranno tutto ciò come una rinuncia, come l’accettazione dolorosa di una sconfitta. Io penso che sia una grande vittoria, la sola vera vittoria cristiana. Questa visione del problema andava risoluta- mente, e con insofferenza dichiarata, contro la sintesi politico-religiosa di Maritain, che tanto ha influenzato nel nostro tempo il cristianesimo sociale (si vedano in proposito i vari cenni di F. E anda contro le soluzioni e conciliazioni dello spiritualismo cattolico del quale spesso si trova menzione in queste pagine), nel quale ultimo F. svelava (( una grave contraddizione nello sforzo di assumere una posizione che sia ad un tempo religiosa e razionalistica, trascendentistica e storicistica, salvando in pari tempo, e connettendoli e conciliandoli, il valore (trascendente) e la storia, la moralità e la giuridicità, la città di Dio e quella città terrena, che è pur sempre, per chi senta davvero religiosamente, la città del demonio e del peccato: soddisfacendo ecletticamente due istanze pienamente legittime e valide, certo, ma irriducibili fra di loro. Tutto un periodo della vita di F. - quello che sopra si è detto il secondo - gravita intorno a questi pensieri; ma è il periodo in ogni senso centrale della vita di F.. Quel che vale per il problema religioso vale per L’ÀMBITO FILOSOFICO generale, Di qui anche l’avversione di F. alle facili combinazioni di diritto naturale e storia, e ai teorici di un diritto naturale razionalmente deducibile e perciò anche applicabile (si vedano le ripetute e dure critiche a Strauss, e particolarmente lo scritto Diritto naturale e storicismo, appunto in polemica con questo). L’assoluto non è conoscibile; conoscibile è soltanto il mondo della storia, e ad essa, come a mondo pervaso da strutture e istituzioni che si formano, volge lo sguardo lo studioso del fenomeno giuridico, La storia, aveva scritto F. nell’opera è esperienza giuridica; e su quella visione egli avrebbe fondato negli anni le sue riflessioni, le sue ricerche storiche, i suoi interventi sui prblemi politici e culturali. Di lì nascevano la sua concezione del diritto e la sua concezione della vita associata. La storia del pensiero giuridico occidentale conduceva a una visione razionalistica, che poteva ben dirsi laica e liberale. Questi due attributi sono usati da Pattaro, e si può esser d’accordo con quella definizione; naturalmente non dimenticando tutto quel che s’è detto finora sulla com- plessità e ricchezza del pensiero di F.: nel senso, in ogni modo, nel quale se ne potrebbe parlare per JEMOLO (si veda), ma anche per studiosi prima menzionati, e a lui in quel tempo vicini per affinità di sentire su molti temi, come BOBBIO (si veda), PIOVANI (si veda), COTTA (si veda). In questo senso può dirsi che la meditazione di F. sia tutta rivolta alla inve- stigazione storiografica e teoretica di quella visione razionalistica, laica e liberale della storia, I1 diritto diviene, allora, la ragione conoscibile agli uomini, la ragione che salva la convivenza degli individui. L’assoluto può essere attinto da invididui eccezionali o in momenti eccezionali, è un dono concesso e non una strada consentita alla ragione; ma il mondo della storia ha una sua dimensione razionale proprio nel diritto, che assicura istituzioni in grado di garantire gli individui nel loro vivere in comune, Se Cristianesimo e società insegna che non si può mescolare Dio a Cesare, le opere, insistendo sull’indagine del mondo storico-giuridico, già avviata nell’opera, insegnano che neppure si può, né si deve, trasformare Cesare in Dio, e vedere nella storia valori e significati immanenti. Questa etica e questa visione politica si chiariscono e arricchiscono via via nella ricerca di F.. I1 problema si intreccia con quello del rispetto della legge, e quindi con la valutazione del positivismo giuridico. F. si domandava, e concludeva senza risposte perentorie: Dobbiamo insegnare l’obbedienza assoluta alla legge. È il problema del fondamento della convivenza e del fondamento dell’obbligatorietà della legge. Diventa anche il problema se fosse razionalmente deducibile la democrazia, F. nega, e con chiarezza in uno scritto, LETTURE, che fra diritto naturale e democrazia ci fosse nesso necessario, contraddicendo in tal modo diffuse concezioni. Conveniva invece su di un fondamento morale della forma democratica (che per la cristal- lina mente di F. volle sempre dire forma democratico-liberale) della convivenza. È un diritto che puo magari esser detto naturale, ma ricordando la storicità della natura umana: il diritto naturale sul quale la libertà e la democrazia possono fondarsi non può essere un astratto dogma esterno alla storia dell’uomo: esso non può consistere che nell’idea di giustizia che l’uomo ritrova nella propria coscienza morale, il cui valore è sì certamente assoluto, ma il cui con- tenuto può essere soltanto quello che lo sviluppo storico di questa coscienza comporta. La limpida relazione su Stato di diritto e stato di gizlstizia, rivendicava il valore dello stato liberale di diritto, che non ha fra i suoi scopi – F. conclude con i versi di Holderlin - di far dello stato il paradiso dell’uomo, col risultato di farne un inferno, Si richiamava all’esperienza costituzionale inglese, che avrebbe ribadita come modello di sviluppo giuridico, civile e politico nella prolusione bolognese, La legge della ragione. In quell’occasione, contemporanea al saggio dallo stesso titolo, F. afferma che non possiamo, oggi, rifiutare il giusnaturalismo, quando il giusnaturalismo si propone come appello alla legge della ragione. È un modo di affermare, più che un diritto naturale, il diritto di giudicare le circostanze storiche al lume della ragione; al modo seguito dai giuristi inglesi di common law. Le leggi, il diritto positivo, avevano il loro valore, e si doveva loro obbedienza, ma la ragione giuridica non si limita a sistemare i loro dettami, in un modo che sarebbe anch’esso astratto, pur se in modo opposto a quello tenuto dal giucnaturalismo meta-storico ma se continuiamo a rifiutare - obietta F. a SCARPELLI (si veda) come abbiamo sempre rifiutato, l’idea di un diritto naturale extra-storico, immutabile ed eterno, dobbiamo per questo abbracciare il culto di un diritto positivo altrettanto extrastorico e astratto?. Sta avvenendo in F. un passaggio dal rifiuto dell’espressione diritto naturale ove non fosse coerentemente inserita in una metafisica soprastorica, ad un’accettazione della medesima espressione in un senso più lato, come diritto di una natura dell’uomo che è ragione operante nella storia. In questo senso si poteva anche affermare un diritto naturale, che giudicasse razionalmente, in modo storico, fatti, istituzioni, leggi, ma senza sistemazioni assolute. Era il sistema pragmatico, empirico, storico, anche antiilluministico, seguito dalla civiltà giuridica anglosas- sone, la quale, non a caso, era anche quella che aveva dato il più duraturo esempio di stato democratico-liberale. Su questa base, scientifica e politico-morale, si sarebbe espresso F. negli ultimi anni della sua vita, durante i sussulti e degli anni seguenti, durante quegli avvenimenti e quelle teorizzazioni che tanto avrebbero influito sulla [Giuffrè, Milano] nostra ultima storia, e che da lui furono giudicati senza le incertezze, le ambiguità, i silenzi, le fragili adesioni, di cui molti si resero responsabili. In verità, tutta la formazione culturale, oltreché l’intransigenza morale, garantiva F. di fronte alla crisi di quegli anni. Era stato sempre convinto che il diritto è il momento razionalizzatore nella storia, e che è esso stesso fenomeno storico. I1 riferimento all’esperienza anglosassone gli permetteva di criticare con misura il positivismo giuridico-legalistico si veda Il positivismo giuvidico, contestato; ma lo faceva anche accorto, sul piano politico, del valore irrinunciabile dello stato democratico-liberale, coi suoi valori di tutela della libertà individilale attraverso metri comuni a tutti gli individui e attraverso misure inevitabilmente repressive. Contro la riduzione del diritto a politica, egli non cedette alle nuove idee che si diffondevano tra giuristi e magistrati, e che pretendevano di richiamarsi a una democrazia sostanziale; seppe subito additare le fonti teoriche di quelle idee, e le rintraccia in Schmitt, nelle parole, certo, di un insigne giurista; il giurista più insigne del Terzo Reich. Puo parlare, per quelle correnti, di nazismo giuridico, e dovendo scegliere tra Positivismo e nazismo giuvidico, egli potè richiamarsi tranquillamente ai suoi autori, e a quella ragione artificiale di cui aveva parlato Coke. Si tratta, come egli intitolava un saggio, di vedere in modo razionale e insieme storico il rapporto tra giudice e legge (si veda Il giudice e l’adeguamento del diritto alla realtà storico-sociale, ampia indagine teorica e storica del problema). Vede i pericoli insiti nel rifiuto del principio di legalità; rifiutava che si potesse parlare del diritto di resistenza nella società democratico-liberale, e vedeva nella contestazione di quegli anni non il riferimento a una ragione diversa per stabilire un ordine più giusto, ma la negazione di qualsiasi ordine, di qualsiasi istituzione repressiva, della stessa ragione, in nome di un atteggiamento che definiva anarchico e religioso; ripeteva che diritto è necessariamente repressione, e che si trattava soltanto di fare in modo che quella repressione fosse frutto della ragione (si veda, Società, diritto e repressione. Da questi stessi principi e preoccupazioni era ispirato l’ampio saggio postumo già menzionato su La sciefiza e la filosofia del diritto, viste nel loro sviluppo storico. Questa indagine, come d’altronde tutta la Stovia della filosofia del divitto, ribadiva la visione del diritto come F. era venuto maturandola negli anni della sua coerente meditazione. In queste occasioni, di fronte ai problemi più gravi dei tempi, Fassò poteva richiamarsi a quanto aveva pensato, sul rapporto fra cristianesimo e storia, nel suo periodo teoretico. Nella società che non è società, e neppure comunità, ma comunione dei santi, come si è liberi dal diritto, così lo si è dalla ragione. Siccome invece purtroppo non siamo guidati dallo spirito, siamo, come ci ricorda San Paolo, sotto la legge; e l’unica cosa che possiam fare per non sentirne troppo la repressione è cercare che essa sia conforme alla RAGIONE. Ma è riduttivo vedere l’ultimo periodo della riflessione di F. nella luce di queste polemiche contro idee effimere; anche se si dove ricordarle per rendere onore alla coerenza e alla rettitudine dello studioso. In realtà, alla base di quelle polemiche è la meditazione di tutta una vita, nella quale è sempre stato operante l’amore per la distinzione: distinzione tra Dio e GIULIO (si veda) CESARE, tra esperienza religiosa ed ESPERIENZA GIURIDICA, tra assoluto e STORIA. Ricerca Lucio Giunio Bruto politico romano Lingua Segui Modifica Lucio Giunio Bruto Project Rome logo Clear. png Console della Repubblica romana Capitoline Brutus Musei Capitolini MC1183. jpg Busto di Bruto, nei Musei Capitolini in Roma. Nome originale Lucius Iunius Brutus Nascita Roma Morte Roma GensIunia Consolato Lucio Giunio Bruto è stato il fondatore della Repubblica romana e secondo la tradizione uno dei due primi consoli. Il nome di Bruto è legato alla leggendaria cacciata dell'ultimo re di Roma, Tarquinio il Superbo.  Secondo la narrazione di Livio, rafforzata da Ovidio, Bruto aveva molti motivi di ostilità contro il re, di cui era nipote in quanto figlio di una sorella: nel corso degli eccidi familiari che spesso accompagnano la presa di potere di un despota, Tarquinio aveva disposto fra l'altro l'omicidio del fratello di Bruto, il senatore Marco Giunio. Bruto, temendo di subire la stessa sorte, allora si mimetizzò nella famiglia di Tarquinio, impersonando la parte dello sciocco (in latino brutus significa sciocco).  Lui accompagnò i figli di Tarquinio, Tito ed Arrunte, in un viaggio all'oracolo di Delfi. I figli chiesero all'oracolo chi sarebbe stato il successivo sovrano a Roma e l'oracolo rispose che la prossima persona che avesse baciato sua madre sarebbe diventato re. Bruto interpretò la parola "madre" nel significato di "Terra" così, al ritorno a Roma, finse di inciampare e baciò il suolo. In seguito Bruto dovette combattere in una delle tante guerre di Roma contro le tribù vicine e tornò in città solo quando venne a sapere della morte di Lucrezia.   Lucio Giunio Bruto da giovane  Il giuramento di Bruto, Jacques-Antoine Beaufort, I littori portano a Bruto i corpi dei due figli, Jacques-Louis David. Secondo la leggenda, la cacciata dell'ultimo re da Roma ebbe inizio con il suicidio di Lucrezia, moglie di Collatino e parente di Bruto, perché costretta a cedere con le minacce alle richieste amorose di Sesto Tarquinio, figlio del re Tarquinio il Superbo. Livio racconta che, suicidatasi davanti ai suoi occhi, del marito Collatino e del padre di lei Spurio Lucrezio, Bruto estrasse il coltello dalla ferita e disse:  «Su questo sangue, purissimo prima che il principe Sesto Tarquinio lo contaminasse, giuro e vi chiamo testimoni, o dei, che da ora in poi perseguiterò Lucio Tarquinio il Superbo e la sua scellerata moglie, insieme a tutta la sua stirpe, col ferro e con il fuoco e ogni mezzo mi sarà possibile, che non lascerò che né loro, né alcun altro possano regnare a Roma.»  (Tito Livio, Ab Urbe condita libri) Bruto, il padre ed il marito di Lucrezia giurarono di vendicarne la morte. Quindi trasportarono il corpo della donna nella piazza principale della città di Collatia, dove la donna si era suicidata, attirando l'attenzione della folla, che dopo aver saputo dell'accaduto si indignò per la protervia di Sesto Tarquinio.  Molti dei giovani lì presenti si offrirono volontari per condurre una guerra contro i Tarquini. Le truppe ora riunite riconobbero in Bruto il loro comandante, facendo rotta su Roma per conquistarne il potere. Giunti a Roma, Bruto si rivolse al popolo romano riunito nel Foro, raccontando della triste sorte toccata a Lucrezia.  Aggiunse quindi della superbia del re, Tarquinio, e della miseria della plebe romana, costretta dal tiranno a costruire ed a ripulire le fogne, invece che portata a combattere come era nella natura dei Romani. Ancora ricordò dell'indegna morte di re Servio Tullio, calpestato da sua figlia, moglie di Tarquinio, con un cocchio. Invocò infine gli dei vendicatori, infiammando gli animi del popolo romano alla rivolta contro il tiranno, tanto da trascinarlo ad abbattere l'autorità regale e a esiliare Lucio Tarquinio, insieme alla moglie ed i figli. Partì quindi per Ardea, dove il re era accampato, per ottenere che anche l'esercito si schierasse dalla sua parte, dopo aver lasciato il comando di Roma a Lucrezio (in precedenza nominato praefectus della città, da parte dello stesso Superbo). Frattanto, Tullia, moglie di Lucio Tarquinio riuscì a fuggire dalla città. Quando la notizia di questi avvenimenti arrivò ad Ardea, Tarquinio il Superbo, allarmato dal pericolo inatteso, partì per Roma per reprimere la rivolta. Bruto, allora, informato che il re si stava avvicinando, per evitare l'incontro, fece una breve diversione e raggiunse l'accampamento regio ad Ardea dove fu accolto con entusiasmo da tutti i soldati, i quali espulsero i figli del re, mentre a quest'ultimo venivano chiuse in faccia le porte di Roma e comunicata la condanna all'esilio. Due dei figli seguirono il padre in esilio a Cere(Cerveteri), Sesto Tarquinio invece, partito per Gabii, qui fu assassinato, da coloro che si vendicarono delle stragi e razzie da quello compiute.  In seguito a questi eventi, il prefetto della città di Roma convocò i comizi centuriati, che elessero i primi due consoli della città: Lucio Giunio Bruto e Lucio Tarquinio Collatino. Busto conservato al Museo archeologico nazionale di Napoli I primi provvedimenti di Bruto furono: evitare che il popolo, preso dalla novità di essere libero, potesse lasciarsi convincere dalle suppliche allettanti dei Tarquini, costringendolo a giurare che non avrebbe permesso più a nessuno di diventare re a Roma; rinforzare il senato ridotto ai minimi termini dalle continue esecuzioni dell'ultimo re, portandone il totale a trecento, nominando quali nuovi senatori i personaggi più in vista anche dell'ordine equestre. Da qui l'uso di convocare per le sedute del senato i padri (patres) ed i coscritti (dove è chiaro che con questo termine si alludeva agli ultimi eletti). Il provvedimento aiutò notevolmente l'armonia cittadina ed il riavvicinamento della plebe alla classe senatoriale. Durante il consolato i suoi figli, Tiberio e Giunio, complottarono con il deposto re Tarquinio il Superbo, per farlo tornare a Roma come re, ma furono scoperti grazie ad uno schiavo. Incatenati, chiesero pietà e il popolo, impietosito, ne chiedeva la loro liberazione. Ma Bruto fu irremovibile, e li fece uccidere, assistendo personalmente senza versare una lacrima per la loro morte.  In seguito alle dimissioni forzate del collega Lucio Tarquinio Collatino, Bruto chiese al popolo di nominare un altro console in sua sostituzione, così da non dare adito al sospetto che volesse governare sulla città come un monarca. Allora i cittadini riuniti elessero Publio Valerio Publicola. Il suo consolato terminò con la battaglia della Selva Arsia, combattuta contro gli Etruschi, che si erano alleati con i Tarquini, per restaurarne il potere. Durante la battaglia Bruto si scontrò con Arrunte Tarquinio, figlio di Tarquinio il Superbo e cugino di Bruto; i due, spronati i loro cavalli al galoppo, si trafissero vicendevolmente con le loro lance, perdendo la vita nello scontro.  Il console superstite, Valerio, dopo aver celebrato un trionfo per la vittoria, tenne un funerale di grande magnificenza per Bruto, che fu pianto dalle nobildonne per un anno.  Altro Servilio Ahala e Bruto in un denario di Marco Giunio Bruto. Marco Giunio Bruto, il cesaricida che si vantava di essere un discendente di Lucio Giunio Bruto, nel 54 a.C., dieci anni prima delle Idi di marzo quando Giulio Cesare rimase ucciso, emise un denario con al diritto la testa di Lucio Giunio Bruto, il fondatore della repubblica romana e la scritta BRVTVS ed al rovescio la testa di Gaio Servilio Strutto Ahala e la scritta AHALA. Secondo Crawford (Roman Repubblican Coinage) il denario fu emesso quando a Roma corse la voce che Pompeo volesse diventare dittatore.  Critica storica Il racconto proviene dall'Ab Urbe condita di Livio e tratta di un punto della storia di Roma che precede le annotazioni storicamente affidabili (praticamente tutte le annotazioni precedenti furono distrutte dai Galliquando saccheggiarono Roma) La figura di Bruto nell'arte Il busto di Bruto si trova nel palazzo dei Conservatoridi Roma. Proveniva dalla collezione privata del Cardinale Rodolfo Pio da Carpi, che la donò alla città nel XVII secolo. Trafugato da Napoleone che lo fece esporre al Louvre, fu riportato a Roma. ALIGHIERI (si veda) lo cita nel limbo, nell’Inferno, quando scrive. VIDI QUEL BRUTO CHE CACCIÒ TARQUINO (Alighieri, Divina Commedia, Inferno) Shakespeare, nella sua tragedia Giulio Cesare, fa un riferimento a Lucio Giunio, quando fa ricordare a Cassio che parlava a Bruto, l'altro cesaricida, lo spirito repubblicano dei propri antenati.  Lucio Giunio Bruto è uno dei personaggi principali de Il ratto di Lucrezia, un poema sempre di Shakespeare, e nella tragedia di Nathaniel Lee, Lucius Junius Brutus; Father of his Country.  A Giovan Francesco Maineri è attribuito un dipinto, databile tra il 1490 e il 1493, dal titolo Lucrezia, Bruto e Collatino.  Nel 1789, all'alba della rivoluzione francese, il pittore francese Jacques-Louis David realizzò il dipinto I littori riportano a Bruto i corpi dei suoi figli, oggi esposto al Louvre di Parigi. Il dipinto provocò grandi timori nelle autorità, poiché si temeva un paragone tra l'intransigenza del console Lucio Giunio Bruto, che non esitò a sacrificare i figli che cospiravano contro la Repubblica, e la debolezza di Luigi XVI rispetto al fratello conte d'Artois, favorevole alla repressione dei rappresentanti del Terzo Stato.  Giunio Bruto è anche un'opera seria musicata da CIMAROSA (si veda), libretto di ACANZIO (s veda) Matyszak, Eutropio, Breviarium ab Urbe condita Eutropio, Breviarium ab Urbe condita Livio, Ab Urbe condita libri Santillana e Dechend, Il mulino di Amleto, Adelphi Livio, Periochae ab Urbe condita libri, Livio, Ab Urbe condita libri, Livio, Ab Urbe condita libri Livio, Ab Urbe condita libri Livio, Periochae ab Urbe condita libri Dionigi di Alicarnasso, Antichità romane Livio, Ab Urbe condita libri Livio, Ab urbe condita libri Livio, Ab urbe condita libri Dionigi racconta che furono due i figli accusati ed uccisi da Bruto, Antichità romane, Libro VIII, 79. ^ Dionigi di Alicarnasso, Antichità romane Livio, Ab Urbe condita libri Iunia e Servilia; Sydenham; Crawford.Fonti primarie Livio, Ab Urbe condita. Fonti secondarie William Smith, Dictionary of Greek and Roman Biography and Mythology, Taylor, Walton and Maberly, London. Matyszak, Chronicle of the roman Republic, New York, Thames et Hudson. Carandini, Res publica: Come Bruto cacciò l'ultimo re di Roma, Milano, RCS Libri S.p.A. Voci correlate Bruto capitolino Consoli repubblicani romani Gens Iunia Lapis Satricanus Elenco degli oracoli di Delfi. Bruto, Lucio Giunio, in Dizionario di storia, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Lucio Giunio Bruto, su Enciclopedia Britannica, Encyclopædia Britannica, Inc. Lucio Giunio Bruto nel Dizionario delle antichità greco-romane di William Smith Portale Antica Roma   Portale Biografie PAGINE CORRELATE Tarquinio il Superbo settimo e ultimo re di Roma  Lucrezia (antica Roma) figlia di Spurio Lucrezio Tricipitino e moglie di Collatino  Lucio Tarquinio Collatino politico romano. Keywords: RES PVBLICA RES POPVLI, ius, Grice on Hart, Hart’s failure as a jurisprudentialist – “La filosofia romana” “La giurisprudenza romana” la genesi logica della scienza nuova di Vico, la genesi storica della scienza nova di vico, Michelet, filosofo uganotto discipolo di Vico, Croce su F., F. su Gentile, F. su Romano – iurisprudenza, ius-naturalismo – legge e raggione, legge raggione, societa – positivismo – storia come esperienza giuridica, l’assoluto giuridico – natura umana – grozio e vico – lo stato fascista di Gentile. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Fassò” – The Swimming-Pool Library. Guido Fassò. Fassò

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