Grice e Figliucci: la ragione conversazionale e l’implicatura
conversazionale di Giove e Ganimede – scuola di Siena – filosofia toscana -- filosofia
italiana – Luigi Speranza (Siena).
Filosofo sienese. Filosofo toscano. Filosofo italiano. Siena, Toscana. Grice:
“Of course I love Figliucci, who doeesn’t? Of course, there is Figliucci and [Vincenzo]
Figliucci, both moralists at Siena; what I love about Figliucci is that he
championed the big ones: Plato’s Fedro – with the charismatic metaphor of the
winged warrior; and then Fedro is an interesting character for maieutica; and
Aristotle’s ethical ‘books,’ which we hope he instilled on Alexander!” – Studia
a Padova. Dopo aver vissuto le piacevolezze mondane
della corte, entrò nel convento domenicano di Firenze. Altre opere: “Del bello”
(Roma); “Ficino” (Venezia); “Le undici Filippiche di Demostene con una Lettera
di Filippo agli Ateniesi. Dichiarate in lingua Toscana” (Roma, Appresso Vincenzo
Valgrisi); “Della Filosofia morale d'Aristotile” (Roma); “Della Politica,
ovvero Scienza civile secondo la dottrina d'Aristotile, libri VIII scritti in
modo di dialogo” (Venezia, Somascho); “Catechismo, cioè istruzione secondo il
decreto del Concilio di Trento”; Treccani Enciclopedie on line, Istituto
dell'Enciclopedia Italiana, Dizionario biografico degli italiani, Istituto
dell'Enciclopedia Italiana. FIGLIUCCI, “IL FEDRO O VERO IL DIALOGO
DEL Bello di Platone, tradotto in lìngua toscanà per Felice Figliucci
Sense. IN ROMA Con priuilegio del Sommo
Ponstefice per anni X.IL FEDRO. Ó VERO il D/4iWa id Bello di Telatone. TRADOTTO
in lingua Tofcana» Perfone del Dialogo, SOCRATE, ET FEDRO. O Fedro mio
caro,doue uai tu,ac Soc. donde uieni ^ F E D. Socratc,io uego da cafa di Lifia
figliuolo di Cefalo,flC hora me ne uh un poco à fpafTo fuor della città: per
ciò che buona peza feco à ragionar fedendo, da quefta mattina per tempo, per
fino à hora fon dimorato. Et hora,c(rendo à ciò ftato perfuafo,da Acumeno tuo
amico, fiC mio,fò caminando efTercitio: il qual modo di efTercitarfi, egli
affai più facile, CC molto più gjoueuole giu:sdica, che laftaticarfi nel
correre, come molti fanirsno. SOCR. Certamente Fedro mio, eh* egli ti configlia
bene^ma fecondo il tuo dirc,Lifu dee elTere nella città, è uero. FED, Ve^sro, fi£
alloggia infieme con Epicrate nella cafa di Morico,uicino al Tempio di Gioue Olimpiót
SOCR. rimali di gratia,clie faceuate uoi quiui f Inuitouui forfè Lifia al parto
delle fuc orationii' FED. Tu lo fapra!,par clic tu babbi tempo di uenire i(ifieme
coumeco^fin che io te l habbia narrato. SOCR. Che dici tu.^ Hor Don penfi tu,
che io proponga à ogni mia facen <ìa (come di^Te Pindaro) il ragionamento di
Li:s fia,fl£iltuo? FED, Seguitami adunque SOCR. Di pure. FED. Et fappi Socra;^
tc.che quella difputa, che nacque fra Lifia^a ine.è {lata à punto degna delle
tue orecchie. Per ciò che il parlare,che Ci\ ùilto,(ìx in un cers; to modo
tutto intorno alle cofe d'AMORE; pcr ciò che Lifia haueua fcritto una oratioue
doftiG:: fima, fi£ eIegantiflima, manoDÌn fauore d'uno AMANTE, anzi pier quello
era artificiofa.fi: Icggias: dra,che egli in quella prouaua,che più toftofi dee
far ccfa grata à chi non ama, che à chi ama» SOCR. O huomo certamente
digniffuno; uo:s lefTe lddio,che egli haueffe fcritto,che fi hauefe fe à fave
bene più tofto à unpoueio.che à un ricco, ftàunuecchio, che à un giouane,aà
moltialtrijiquali in molte altre cofe fono mal condotti, come me: per ciò che
fe tale fufTe fta^ ta la fua oratione.all' bora fi poteua degnametc ^nc ce
piaccuole.a utile. Non di meno anchora che ella non fia (lata cefi, egli m'è
foptags giunta una fi gran uogliad' udirla, che (e tu cdis minando te ne
andaflj perfino à Mcgara,flC fc (comeècoftume di Hcrodico ) tofto che alle mura
della città fiifli giunto.indietro te ne tornaflì,io per queflo fon difpofto di
non ti aK? bandonarmai. FED, Che dici tu Socrate^' Penfi turche io giouane
inefperto poffa hora narrarti, flC ramentarti quelle cofe,chc Lifia moi te più
dotto di quanti Sìcrittori hoggi fi troua:^ no, in molto tempo à fua commodità
compofe/ Sappi,che io fono affai lontano da quello ti uoglio dire,chc iouorrei
più prefto fimil cofa faper fare, che effer d' infinite riccheze poffeffo? re.
SOCR. Fedro cparrebbe.cheip non fi conofcefL, non fai tu, che tanto à me
farebbe il non fapere chi tu fei, quanto lo fcordarmi di me medefimo.^ Delle
quali^ofe neffuna è uera: per ciò che io fo beniflimo,che tu non udirti una
uolta fola quefta Oratione di Lina, ma te U facefli replicare affai uolte. Et
Lifia fo io, che uo lentieri ti ubidiua: ne quefto anchora ti fu affair ma
fattoti al fine dare m mano il libro. doue eri fcritta, confiderafti ineffo
tutte quelle cofe,U quali maggiormente defideraui fapere: il che come hauedi
fatto, fianco di hauere in quel Iugo fi fungamciife fedufo,(i partifti per
andare tene a fpafTo. Et io giiiraréi,che bora tela mefe teui alla memoria, fé
gii non fufTeftata troppo lunga, te neandaui fuor della città^perconi fiderare
date ftefloà quello, che haueui letto» Ma poi che tu ti fei abbatuto ì un'huomo
pazo di udire fimili ragjonamèti,come fono io,toflo che iMiaiucduto, ti fei
oltra modo rallegrato, quafi che tu fufli certo di hauerc uno, che dei
niederimo,che tu,tecori hauefli à rallfgrare,flc fare feft^,flC cofi mi bai
commefTo.che io uenea teco. Quindi pregato da me defiderofiflimo di ud/rti, che
à dir cominciaflj, bai finto ciò efTerti difficile, come fe tu non hauefli
bauto uoglia di raccontarmi quefta cofa: flC io fon certo, che. al fine, quando
alcuno qui non fuffe ftato,che ti haueffe per fe fteflo uoluto udire, tu haueui
tan ta uoglia di dire quello, che haueui udito, che tu cri per sforzare
qualunque fi fuffe. à udirti à fuo mal grado. Et però Fedro mio caro, non tt
fare pregare à mia fòdisfatione di fare queU lo, che eri ogni modo per fare
fenza che alcuno te ne ricercaffe. FED. Sarà adunque me;s gbo dirti quefla
cofa, come jo faprò,purcbc io la dica; per ciò che e mi pare, che tu non fia
per abbandonarmi mai, fin che non Thabbia fentita. <^ Sccr. I o SOCR.
Certamcnfe che tu hai^buon credtere. FED. Cofi adunque faro: ma per dirti il
uero Socrate, io non ho imparate le parole tutte à mente, ma io mi ricordo bene
quafi di tutte le ragioni, flC argomenti: per li quali egli dimcftra un'amante
efferdifTimile da chi no ama, fiC cofirdì fon deliberato nan-artele tutte
ordinatamen:? te. SOC Moftrami di gratia prima quel, che tu hai nella man
fiftiftra fotto il mantello, che à dirti il uero, io dubito che tu non habbia
quel libro proprio: il che fe è uero, pen(à che io ti ftimo afTai; non di meno
fe io poffo udire jLifia, non uoglio ftarc à udir te. Ma che fai tu, che ncn
me' 1 moftrif FED • Deh fta fermo: tu
m'hai leuato d'una grande fperanza o Socrais te, che io haueua di efercitait
hoggi il mio ingc^ gno con teco: ma poi che io non poffo farlo, po niamcd à
federe, per leggere doue più fi piace • SOCR. Aridiamocene, prima che à
leggere. cominciamo, dj U dal fìume Iliffo, ftquiui ci porremo à federe, doue
più ci parrà FED. A tempo mi truouo difcalzo,ma fu non uai mai altrimenti: et però
ci farà ageuole paiTare quefta piccola acqua, ne anchora ci douerà difpiaccre,
tnaflimamente in quefta ftagionc,&à quefta hcra. SOCR. Va uia adunque, ft
in tanto confiderà, doue po(&amo federe » F £ Vedi tu quel Platano cofi
alto SOCR. Si ueggo. FED. Qoiui è una piaceuolc ombra, •fiC un uentolino fcaue.
flC l'herba tenera in ogni parte: fi che pofTjamo porci à federe,© à giacere,
doue più ci piacerà. SOCR. Va Ij^adaquc. FED, Dimmi un pooc Socrate, non fi
dice egli, che già in quefto luogo Borea rapì Oriss fhia,uicinoaI fiume
Iliffoi' SOCR, Col; fi dice» FED. Non ti pare egh, che qui fi uegga una
acquetta grata, pura, fiC chiara, nella quale commodatamcte pofTano le
fanciulle fcher zarci' SOCR. Non é quefto il luogo, ma po co più di fotto,
lontano due ò uero tre ftadi,do:s ue habbiamo trouato il Tempio di Diana, flc
in quel medefimo luogo è un certo altare fatto ad honore di Borea. FED. Io non
fq bene quc ftacofa. Ma dimmi per tua fe Socrate, penfi tu che quefta fauola
fia ftata uera t SOCR. Se -io non penfafli^che fuffc uera, come fanno an^s
chora tutte le perfone fauie non per quefto farei da elTere ftimato fcioccho:
ma non uolendola in tutto negare, potrei fingermi quefta cofa, fiC dire, che il
uento Borea ulcito da quefte pietre ui:s cine à (chcrzare.flC foUazarfi con
Farmacia, fi ina; contro in Onthia, cCla fecegrauemente à terra cadere, della
qual cola ella ne. mori: OC di qui hanno finto, che ella fò rapita da Borea,
non già da qiiefto luogo, ma dallo Ariopago.doue bora fi giudicano le caufe:
per ciò che è /ama affai da quefta diuerfa^che ella non fu rapita da quello^.
ma da quel luogo. Hora io Fedro mio, giudico certamente quelle cofe molto
diletteuoli, ma da huomini troppo curiofi, et folkcjti di quello» che poco
importa, fiC da perfone anzi poco fortunate, che non: le quali fe per altro non
hauefs fimo à chiamare infelici, quefta però farebbe cagione giuftf/Tima^che
eglino tégono cofa neceffarla, che bifogni interpretale la forma de i Centauri,
delle Chimere, flC di molte altre fintioni inutili. Et non folo fi truouano
quefte fi fatte figure, ma à chi fi intrica in fimili cofe.gli pio^ uonoà
doffo.k turbe de i Serpenti, delle Gorgoni,fiC la bugia del cauallo
Pegafo,& di moU te altre forme contrafatte; onde fe alcuno di quefti cofi
diligenti non crederà, che quefte co^ fe fienò flate nel modo, che fi narrano,
ma uorrà Qgni cofa ridurre alla fua allegoria, et al fenfo più, fecondo
lui,conuenienfe,coftui certo bara otio d'auanzo, flf fi fiderà di elTér
ricordato per uia d'una fcientia roza,flc di poco memento» Maio,à dirti il
uero, non ho tempo à cercare (i^ mili ccfe; perche non anchora pc/To ccnofcerc
me fl:e(ro,ri come ci infegna clie dobbiamo fare 1 oracolo Delfico. Et per
qnefto à me pare cofa da ridere, il uoler cercare di fapere le cofe d altri,'
Don conofcendblhcTìora quelle, che à me fi ap35 partengono,flf che fono in me
ftefTo. Per il che laiciate andar quefte cofe.ft crededo paramene» te à quello,
che credono gli altri intorno à qucfto,non perdo il tempo nella cqnfidcrafione
Io ro,malo metto à confiderare me {lefTo. ft^cofi ^ taì'hora fra me dico. Sono
io una beftia più (u^ riofa, flC più rabbiofa,che non fu il gigante det^ to
Tifone,© pure (come è uero ) fono nato ani^ m^ile più placabile, fiC humano,fiC
più femplice; participc per natura della mente diu{na,fiC nato per godere al
fine uno ftafo.ft una forte felicif^s fimar Ma non è egli quefl:o,al quale
ragionado, fiamoarriuati, quello albero, doue tu mimenas ui^ FED, Quefto é d
elfo. SOCR. Cerato che quefto è flato un viaggio degno: per ciò che quefto
Platano hai rami larghifTimi.fiC è molto alto,£(la alteza di qpcllo Agnol
cafto; infieme con l'ombra che fa, è bella oltra modo,' ficpiaceuole: fichoraè
il tempo, nel quale più che mai,fiorifce: per il che il luogo tutto intorbi noe
ripieno di foauiflìmo odore. Oltra ciò, è quefto fonte,che fotlo il Platano la
terra riganjs s ^ do. (io bagna, cliiariflìmo, CC di acqua frefca puc
afrai,comeripaoconofcerenel metterci dren^ to un piede. Et le fanciullesche
quiui fcolpitc j] ueggono &lealfre belle imagini.dimoftra:? no chiaramente,
che il fonte c ftatofagratoak le Ninfe.&ad Acheloo. Non ti accorgi olfra di
quefto, quanto gioconda, écfoanefia Taura^ (che quiui fpjrar fi lente r Oltra
ciò/i ode una moifitu'crine di cicale: ìe quali, fecondo il temrs po cantando,
ne fanno fentiie un concento non fo come fcaue.fiC piaceiiole. ma più dbgni
altra 'Cofa,mj pare degna deffcr lodata quefta tenera herbetta,Iaquale.4
mirarla, pare che ella beni: s griamenteafpetfi, che altri ripofiil capo fopra
4/ lei perriceuerlo.tìcfoftenerlo commodiffima mente. Per il che Fedro mio
caro, fu mi hai me nato hcggi qui, doue io fono come foreftiero, per farmia
ftare più uolenfierijl che hai fatto prudentemente. FED. Chi ti.fentifre.crede:^
rebbe che tu fufli huomo da pochiTIimo: flC cer:s tamente a quel. che tu dici,
tu pari più prefto un foreftiero.che uno del paefe: talmente di^ moftn non
hauer mai pafTato i noftri confini, ne effer mai ufcito delle noftre porte,
SOCR. Perdonamf Fedro mio da bene,|) ciò che io, coxnc (u fai^foiamente
defidero imparare:& fu bea falche gli alberi, fiele unie,& li campì,
non ttìì pofTono ifegnare cofa alcuna, ma fi bene gli huo >mini, che
habitano la città. Ma tu, fecondo me> hai truouato un modo da allettarmi
all'ufcircì qualche uolta: per ciò che fi come coloro, che à *gli animali
moftrano frondi,ac porgono frutti, li menano doue uogliono: cofi tii,moftrando5
mi queftolibro,mi menareftiper tuttq il contar no d' Atene, doue tu uoleffj.
Hora poi che fias mo giunti qui, mi pare di pormi à federe: fiC tu acconciatoti
in quel n(iodo,che più commodo ti parrà, comincerai à leggere, F E D * Odi
adunque» • In questo (lato certamente fi trubuano le cofe mie: flC quefto comc
fai,p0:s co fì intefo da me,penfo che m' babbi à gioua:^ re affai. Hora io
uoglio che fappi, che io ftimp, ce giudico, fecoia alcuna io ti domanderò, dos:
uerla da te per quefta cagione impetrare, per ciò che io non fon prefo del tuo
amore • Et che ciò Ca il aero, tu fai che gl'amanti, come prima han no la lor
libidine fatiata,fi pentono de i benefiis cii,che ti hanno mai fatti: ma
quelli, che dall'ai mor legati non fono, non fi pentono per tempo alcuno, la
ragione è quefta, Che eglino fanno li bcneficii per fe fteflì penfatamente, fiC
fecondo che pofTono.fif che le facalfà loro compocifanot et non fono à ciò
sforzati, còme gli amanti. Ob tra cib,gli amanti alle uolte tra fe ftcflj
penfand quanto negligentemente dall'amore impediti J habbino le lor faccende
condotte à fine, ft quaa li beneficii habbino con troppo danno loro à gli amati
fatto.flC quanti affanni,» quante fati^ che habbino fofferto: fif per quefta
cagione mai hanno da gli amati bene alcuno,tengonù per certo non glie n'effere
obligati.mahauera gliene per J'addietro dato degno guiderdone Ma coloro, che
dall'amore non fi truouanoinii ' - gannafi,nonfi lamentano di effere ftati pccd
accorti nelle faccende lóro: non gli duol delle paffate' fatiche, non fi
rammaricano, per cagion deiramato,hauer con li parenti fatte grauiHime nimicitie,come
fpeffe uolte fuol auuenire. Onai k de tolti uia tanti mali, che à gli amati
fòlamenie interuengono, refta folo,che quelli, che non amano, come fo io. fieno
fempre pronti,» para tiffimi à fare tutte quelle cofe,che penfano potergli arrecare
giouamento. Sono molti che dicono,che per quefta cagione fi douerebbond affai
gli amanti appiezare: per ciò che grandif^ fima è la carità, che uerfo gli
amati loro hanno « tutte le bore, flC che fempre apparecchiati fi truo «ano à
ubbidire air amato, ec a fargli cofagri!* fa ce con le parole, et con le opere,
anchora che perqucfto ceruffimi fuffcro, doucre offendere pgni altra perfona.
il qual parere di qui faciU xncnfe fi può confidcrare non edcr uero.chè Ic^s
uafa alle uoltc la beneuolentia da uno,* in ua^ litro portala, affai più confo
de i nuoui amanti 0inno,chc di quelli, che prima haucuano: fiC che pm,fequefti
amanti più frcfchi gli el com mette/fero, diuentarieno c^udeh/Tjmi inimici de
Ipaffati. Etin qual modo pofTjamo noi dirc^ CHE NEGL’AMANTI SIA COSI ARDENTE
AMORE, efTenj: do à quella infelicità, et calamità fottopofii, dals: la quale
perfona alcuna quantunque fauia,& acs: corta, mai potrebbe rimuouerhV Et
quefto è, che codoro ccnfeffano per loro fleffi effere anzi fuor di loro, che
non^ft dicono conofcere la loro fcioccheza, a: pazia,ft non di meno non poa»
tjfrfene rifenere,o i;ifliuouerc. Et pero gli huoismini faui, come potranno
approuare, et giudicar hiioai i configli,fiC i pareri di perfone da tal
mancamento macchiate.'' Olfra CIO, fe tu uorrai fciogliere un'huomo in ogni
parte perfetto tra gli amanti, bifognerà che tu faccia quella fcelfà tra pochi,
che pochi fono quelli, che amantifi poffano dircma fe tu uorrai procacciarti
ungami tò.ì)totnpagfio, recòr)(5ofl Mi^ctio tuo,^acl t^nicofa
atto;&accommodato^tra quelli, chè non amano Jo potrai più fàcilmente fare: pct
tiòchc tra molte petfone ti ùd toncefTo fctrglict lo:^ più debbi fpcrare di
bauere un buono ami co tra molti, cHc tra pochi, à trotianc- Et fe al fi ne tu
temi,» fuggi, come debbi fjre,l'in6mf* publica.i8C il biafimo unuierfale, quale
per òrdi ration delle leggi fi può ffTet dato.ti et bifos^ gno ramf n(arti,che
gli amanti\li quali per quel la cagione uoriebbono tfTer^ amati ^ per \m quale
amanoilogliono poi che al defiderato fint fi ueggono giunti, gloriarfi, OC
uantarfi alla fco3f perta,che eglino non hanno m uano ncHorol «more confumato
il tempo. Ma quelli, che noft tìmano, con ciò fvache facilmente pofTano taccsi
re,a: tenerfi di due quel, che hanno fatto, han^a no coftume di cercar più
toilo quel, che penfa^j no eflérottim.o per loro.fiì per lamico^che Tefa fer
dalla moUitudine, fiC dal nolgo ricordati,^! portati per bocca. Aggiugnc
anchora à que^s fto.che acccrgendofi la plebe, che un'aman: te fegua un'
amatorie afliduaménte in ogni cofa Mclcntierrgli ubbidifca,^< fimilmente gif
compiace a, fubito entra in fofpùlto^ che tr* loro non fu flato, o nori fia
càttiuo defidcdQ^ ma non ha già ardire di bafitnarc le amicitie dr coloro, che
non amano: per ciò che ben fa, che à gli huomini fa di bifogno ben fpelfo
infieme ritroiiarfi.ò uero per cagione di amicitia,ò uera per qualche
lorocommodità. Etfe forfè tu teis fnefTì di quelli, che non amano, fic
penfaffi, che fuffecofa diffìcile, che con quei tali Tamicitia durafTe, anzi
nata qualche guerra, ò nimicitia, du^jitafTe che ne ne fu(Te per uenire danno
deU r uno, ài deir altro: CC (e poi tu, concedendo i un, che non t'ama, quello
che più d'ogni altra Éofa apprezi,ne uenifli per quello non poco ofss fefo,fiC
faccfTì non piccola perdita, facendo cofa grata à chi poco, ò niente ti
appreza, ti dico che per quefta cagione barai maggiormente da te^s mere GL’AMANTI
per ciò che molte cofe fon quel le, che gli offendono, CC fenipre penfano che
ciò the fi fa, per danno loro fia fatto» Et per quefto uietano à gli amanti
loro il conuerfare tra gli aU fri, temendo fempre che quel l'i, che di loro più
ricchi fono, non li fuperino de benefici!, ò uero che gli huomini dotti non li
uincano di fape: re. Et in fomma fe perfona conofcono. che in fc babbi cofa
alcuna di buono, quàto più poffono, fi sforzano da coftui rimuouere gli amici,
flC cofi perfuadendoli, che da fimil pratiche fi guardi^ no. no,à poco à poco
li prfuanó di tutti gli amfciv^ ^ Hora le tu penlerai bene à te, « a
quelJo,chc>i fi conuiene,flC Te farai miglior deliberafione di loro, non fi
appiglierai al parer loro, ma te ne difcofterai quanto potrai. AlT incontro
coloro^ che del tuo amore non fon preri,ma fanno quei le cofe,che ueggonoefTer
conuenienti,& fi fcr^ uono ne i bifogni,folo per operare uirtuofameij
te,(5f efortati à ciò da una mrtù,a: bontà d'ani:? mo, non ti haranno
inuidia,fe ti ucdranno prassticar con altrui, ma piu tofto quelli harani>ojp
odio, che à te non fi uor ranno accoftare,penfando (come è uero ) che coftoro
li fprczino,£Ì gli amici ti giuouino,à; aiutino: flC per qucftp^ molto maggiore
fperanzafi dee hauerc,che da quefta praticane uengano amicitic,che inimù
citie.Aqueftecofe fi può aggiugnere,che la maggior parte de gli aitanti, prima
defiderano pofrcdere,flC godere il corpo dell amato.che hab biano conofciuti li
coftumi fuoi,ò l'altre cofe che debbono in un'amato ritrouarfi. Et di quì
uiene.che fi dubita,fe latiatala uoglia loro,dei bano nella amicitia
perleuerare. Ma traquelli^^ che non amano, li quali efTcndo per T addietro
flati amici, non laceuano quelle fimihcofe in bf neficio dell' amico, per che
eglino fuffero trop:? po afFcttionatl urrfo Ai hì^t cofa ragicneuolc, che l
amieitia fia minore: ima bifogna ben cons; fefEire,chc i beneficii, che
Tannargli facciano, accio che per quel mezo habbiano à efier iicor:s ciati
daqnelli,che dopo loro iierranno,doue gli amanti ad altro, che al prefente, no
attendono. ©Ifra di quefto(credi à nfie)diuenterai affai nusj gliore,fc
afcolterai un che non ti ama, che fe à un amante prederai le orecchie: per ciò
che gli amanti con lodi infinite inalzano oltra modo tutte le cofe,che fu fai,
odici: parte per che te:J tnono,fecendo altrimenti di non ti offendere: parte
per che dallo ardente defiderio loroacce:^ catione! giudicare fi ingannano: per
ciò che la^ more fa, che coloro, che ne i cafi d'amore poco fortunati Ci
ritruouano, fono sforzati à giudicare quelle cofe trjfte.ft infelici, chea gli
altri non darebbono moleflia alcuna ^ Et per il contrario quelli^che hanno
buona fortuna^flf che dtll'as worlofo fi godono, a mal ior grado fonconrx dotti
a lodar quelle co(è, come fauoieuoli.fiC gioconde, che non meritano, ne poffono
fare ftar contento huomo alcuno: ££ però più toflo farebbe di b/fogno di quelli
tali hauer compaf? fione. che fegui tarli. Hora fe tu uorrai credere. alle ter
alle mie parole, io primieramente uoglio effe* tuo amico,ac darti apprcfro,non
per il piac^re^t che di te al prefente potrei haiiere, ma per la utf lifà,che
la mia amicitja per Io auuenire ti potrà dare. Et non farò quefto, legato,
òuinto.ò fog^ gietto all' amore, ma uorrò effer patrone di mcs ftefTo: a non
douerai temere, che io per cagiost ne alcuna, ben che leggiera, habbia fra noi
à (xt nafcerc grauiffime nimicifie,anzi fc pure alle- uolfe mi altererò
alquanto, non lo farò fenza grandiflìma cagione. Et non di menoqnclli er:s rori
che inauuertentemente mi uetran fatti, al fine liconofcerò: ft quelh,nelii
quali uolontariamente incorrerò, mi sforzerò emendare, AC»- fchifare.flCquefli
fono ucri fegni d'unaami^ dtia,che habbia lungamente à durare. Etfe for fé tu
pcnfi,che non pofla truouarfi una ueia^CC ' durabile amfcitia,fe dall'amore non
è cagtona^. fa, debbi confiderare,che per quefta medefinia cagione noi non
appiezeremo gli figliuoli, ne ameremo li padri, ne terremo cari, flC fedeli
co:s, loro.che per buoni ufficii,a: beneficii fattici, d fuffero diuentati
amici, fe da quefto ardore amo rofo non haueflcro hauto principio Potrecs ftr
dirmi. Si dee fempre fare bene à queU li huomini^ che ne hanno più di bifogno;
ft però è cofa conucnientc.non cercar di giouars rcàglihuonnini,chepcr fe
fteflì hanno, mai quelli, che fono più bifognofi: per ciò che co:^ ftoro^fe da
me ne i maggior bifogni loro farani; no aiutati, mi renderanno Tempre infinite
gra:^ tie. Aqueftofi rifpondo che fe ciò fuffe uero, nelle fpefe che
priuatamcte facciamo,fiC ne i do ©eftici conuiti, non haremo à inai tare gli
amis; Ci.ma più torto gli affamati, fiC li mendichi: per che coftoro molto più
apprezeranno un tal bcis,neficio,ti feguiteranno,ti corteggieranno, ti fanno
fefl:a,ti ringratieranno infinitamente, fiC pregherano iddio per te. Onde tu
puoi uedere, che fi conuiene non compiacere à i bifognofi principalmente, ma fi
bene à quelli, che ti pof:^ fono riftorare. Et per quefto non à GL’AMANTI comeà
bifognofi, ma à quelli, che mentano, debbi far piacere: et non debbi fodisfare
à quei lische della tua belleza fi delettano,maà queU lische anchora quando
farai uccchio,ti fono per dare utile: ft non debbi giouare à quelli, i quali
hauendo il defideno loro adempiuto, fcoperta^: mente fe ne uanteranno^ ma a
quelli, che uer:^ gognofi taceranno. Et non debbi far cofa gra^s ta à coloro,
che per ifpafio di breue tempo ti ho BorerAoao.ma a quelli^che tutto il tempo
dell* uifa tua ugualmente ti ameranno: 6C non debb accarezare coloro,! quali,
fpeto l'ardore del loro sfrenato defiderio, cercherano Tempre cagioni di far
nafcere nimicitie^ma quelli,! quali (anchora che la belleza manchi ) Tempre
moftrano la fcrj: meza^flCla conftantialoro. Ricorderatì aduns: que di quelle
cofe, che io ti ho dette, flC penfej: rai che gli amanti fono da i loro amici
riprefi,fiC accufati,per chc.ramoreècofa brutta, OC inde^ gna,ma nenuno
uitupera,ò biafima quelle, che non ama, dicendogli, che egli fi gouerni male,
come fi può dire à gl'amanti. Foife mi domane: derai.fe io fi
uoglioconfegliare.che tu debbia ubidire à tutti quelli, che non tramano. Al che
io ti rifpondo,di nò: perciò che io focerto^chc iimilmentc UN TUO AMANTE con ti
comandereb be.chc tu à un medefimo modo amafli tutti quelli che ti amanorper
ciò che quelli, che han no da hauere gli benefici! da te, non meritano tutti
ugualmete.nc à te farebbe cofa facile coms: piacere à tutti, fe uolefll che uno
non s'accorgef fi dell'altro;&bifogna che di quefto feruirc nonne uenga
danno alcuno, ma fi bene/che r uno a l'altro ne cauì qualche utilità. Hora io
penfo hauer detto à baftanza: fe à te pare, che io ci debbi aggiugnere qualche
coU,Aor.uujgi da,ch^ io ti fodisfarò. Cloe ti pare di quefla Ora fione Socrate
r' Non é ella fiC nelle altre cofe,& nelle parole comporta mirabilmen ter
SOCR. Ella è tanto maravigliosa, che mi ha fatto ft(i:s pire,fif tutto, per tua
cagione Fedro mio, mi (os no fentito commouere, mentre che io guardauj gli
attrae i gefti,chc nel leggere quefta Oratio: ne faceui. Et però penfando che
tu meglio, che io, conofca^flC intenda fimili cofe,ho hautoad ufcir di me per
troppa allegreza infieme con tes: co^ FED. Inqueftomodo mi uuoi burss lare? S O
C R. Adunque parti, che io ti burhf' Non penfi tu,ch'io dica da aero/ FED., Non
certo: Ma dimmi un poco per tua fe^penss fi tn,che altro Greco intorno à fimil
materia po fede dire più cofe,« pia d9ttes* SOCR, Pen fiamonoi.chcfia da effer
lodato uno Scrittore folamente per che gh babbi detto quelle cofe, che fono
ftate necefTarier'òpure diremo, che meriti lode, per che egli babbia tutte le
fue paroledifpcfl:e,£(ordniate chiaramente, numeroiamen te, a elcgantementes'
Se à te pare, che bifogni lodare Lifia per la inuentione, IO per farti piacere,
tei concederò ma io per la mia fciocche^: za,(S(ignorantia,non Tho in luì
conofciuta.pcr ciò che folamente ho attefo alla eloquentia dei pariate: al che
poter perfettamente fare, io non penfo che Ljfia fteffo hc'^bbia penfato d'
efier fla fo bafteuole. Et cerfainenfe à irìeè parfo(fé già '^tu non uolefh
dire il contrario) che egli habbia leph'cato dne,flC tre uolte le medefime
cofe.co^ me fe gli fufTe fnacata copta di faper dire diuerfe cofe fopra una
mcdefima materia.ò uero uoglia^ 'imo dire, che egli no babbi hauto Ibcchio à
quc fto. A me certo, fe tu uuoi,cheio ti dica la mia cpintone,è parfo che egli
habbia uolufo parere •^di faper moftrare elegantemente in ogni modo, *cKe à lui
pareua quella cofa,che fi metteua à dl^ chiarare, dicendola bora in uno,&
hora in un' al tro modo. FED. Socrate tu no dici niente: per ciò che quella
Oratione ha in fe quefto,chc neffuna cofa ha lafciato in dietro di quelle, che
intorno à tal fuggietto accomodar fi poteuano: "onde io giudico, che
neffuno poffa di quefto me defimo più cofe dire.tt phi uerifimili di quelle,
che egli ha dette. SOCR. Quefta cofa non 'fi poffo io hormai più concedere, per
ciò che gì' huomini raui,chc ne tempi paffafi furono, flC le donne, che di
queflo hanno parfato.ficfcritto mi riprenderebbono,* mi arguirebbono con:?
1ra,fe io per la tua fodisfàttionc tei concedeffi ^ FED. Chi fono eglino quefti
huomini, flC qiicftc donne Et douchai tu udite migliori cofc diqueftes' SOCR.
Al prcfente io non me ne ricordo cofi bene, ma fappia cerfo,che io non fo in
che luogo ho letto,flC udito quel, che io ti dico, et potrebbe efTere.che fufTe
ò nelle opere della^èlla Saffo. buero ne libri del fa:5 aio Anacreonte,ò uero
d'altri Scrittori: fiC faps; pi, che non per altra cagione fo ioquefta coniet
4ura,cheper fentirmi pieno d'altri argomenti non forfè peggiori de fuoi,che
intorno à ciò fi potrebbonp addurre, Et per che io conofco be^ ni/Timo la mia
ignoranza, fiC confcfTo che io non fo cofa alcuna, fenon per hauerla ueduta in
aU tri^fiCnonperhauerla imparata da me, hi fogna che io confeffi di hauere
attinte quefte cofe daU le fonti d'altrui à guifa di un uafo: ma per U piia
rQizeza,mi fono fcordato da chi io le habbù.iaiparate,flCinche modo. FED. O
Socrate da bene, tu fai bene à dir cofi.ne uoglio che tu,dica anchor che io
te'l.comanda(ri. dachi,fi(eoa?.me babbi quefte cofe apprefe: ma uaglio benc^
che tu mi moftri (come confeffi di poter fare.).quelle ragioni, che dici, che
fai più efficaci, OC più dì quelle che Lifia intorno a ciò fcriffe.ll che fe
farai, non dicendo le cofe, che diffe Lifu^ ti prometto confegrare in Delfo una
ftatuadcl mcdefimo pefo,chc fci tu j1 che fcgliono fare i none noftri
Magiflrati, come fai» SOCR* Tu mi uuoi Fedro caro un gran bene,& fei uc^^
ramente d'oro,fe tupenfi che io poffa dirti, che Lifia habbia errato, ftche fi
pofTano fcriuerc cofe migliori di quelle, che egli ha fcritto. Io uo glio che
tu fappia,che io non direi, che ciò po:5 tefTe accadere à un uiliflTimo
Scrittore, non che i lui. Ma per dirti anchora quelle cofe,che io fo, non già
per riprendere lui, primieramente parlando folo di quello. che fi appartiene à
quc ftonoftro ragionamento, penfi tu che colui, che uorra prouarc.che fi habbia
più tofto à fare pia:^ cere à chi non ama, che à chi ama.fe prima^nbh
prouerà,chechi non ama,fia fauio,flf pruden:? te,ft l'amante infano, flC fe
quello non loderà, flC queflo non biafimerà (le Squali cofe fenza dù bio
alcuno, ne uengono di neceffità ) poffi nel proceder fuo dir cofa alcuna, che
alle prime fia corrifpondente (Non di meno io giudico, che quefte fimili cofe,
che di neceflìtà ne fegucno, fi habbiano à rimettere nella uolòta de gli Scrit
tori,ficfe non le dicono, gli fi pofTa perdonare: per ciò che di queftj tali
non fi dee lodare la in:^ uentione,man bene la difpofitfone.Ma di quel le
cofe,che neceffanamente non fi concedono, flCcIie difficilmente
firitruouano,non foìo pèfì55 fo io, che fi babbi à lodare la difpofitione niala
muentione anchora. FED. Ti concedo che fu uero quello, che tu dici: per che mi
pare, che tu habbia detto apprcfTo che bene, OC ioanchora intendo non indugiare
k fare quefto.che hai detto: « però ti concedo^che tu prefupponga, che un'
amante fia peggio trattato, che uno che Jima. Hora fe tu nelle altre cofe,che
dirai, mi fass rai fentire p/u dotte ragioni, flC più degne parole che egli nò
fece, ti prometto, che ti farò una ftass tua d'oro nella Olimpia apprcfTo alle
ftatue de gli fucceffori diCipfelo. SOCR. Tu liai Fedro forfè hauto per male,
eh' io habbia ripres: fo un'huomo tantoàtecaro,ma io mi burlaua teco. E penfi
forfè tu, che io fia per pigliare(la:i fciamo andar le baic)un imprefa di
hauere à di^ recofa alcuna più elegantemente di Iui,che.c fauifrimo, C£dottiffimor
FÈD. Tu fei ritornato Socrate mio in un medeftmo, dicendo que fte parole. Tu
hai da dire in ogni modo quel, che tu fai;ft eoe potrai: flcfopra tutto
auuertifct^ che in quefto noftro ragionamento non ci con:» uenga fare quel, che
fanno coloro, che recitano le Comedie.ciÒTè rifponderci troppo fpeiTo T un 1
altro; il che é.fccondo me.mokftjflimo. E non far fi, che io fja sforzato à
dire, come tiJ,pòco fi dicefti. Se ici no fapefli chi fufle Socrate, potrei
dire dj non conofcere anchora me ftefTotperchc certamente fo,che tu hai
defidcrio di fodisfarmi: ma tu uuoi fingere, che quefta cofa ti fia difficii
k,'Et per dirtela, finalmente tu hai da penfare, che tu non Tei per partirti di
qui ^ prima che tu non mi habbi dette tutte quelle cofe,che tu dirs ceui fapere
migliori di quelle, che hai udite: pei! ciò che tu uedi,che nei fiamo foli,(3C
in luogo re moto.fiC regreto,fiC io fon più giouane, (!f più ga gliardo di te.
Si che per quefte cofe tu puoi ìn^ tendere per difcrctione quel, che io uoglia
infes? rire: ne uoler più tofto hauere i ragionare sfor^> zatOjChe di tua
uolontà.. SOCR. Io lo fo mal uolentieri.-perche io conorco,chc io farò degno
delTer beffato, fe io, che fon rozo flC fciòc co al poflibIle,uorrò coptcdere
con uno cofi per fetto Scrittore, flC fe io uorròalla fprouifta difpu tare di
quel mcdefimo,di che eglipenfafamentc ha ragionato. F E D, Sai tu f^gmc la co(a
ua^ Lafcia andar quefte cofe meco: per che io credo quafi hauer trouato una
uia,|) la quale io ti con durrò.flC sforzerò à dir quel, ch'io defidero, Soc.
Non mei dire di gratia. Fed.Come no mei diref anzi Io uoglio dire, io mi
uolterò alli giurameff^ poi che alfro non mi naie. Io ti giuro per qatW iddio
clie tu uuoi, flC anchora,fe ti pare, per quc fto Platano, che fe tu non dici
quel, che tu fai al la fua prefentia,fiC fotto quefta fua ombra, io da qui
innanzi non ti moftrerò.ne ti manifefterò mai più oratìone di perfona alcuna.
SOCR. OfceIerato,chehaitudettor'Ocomc bene hai ritrouato il modo di sforzare
un'huomo defide» rofo di udire orationi,come fono io,à fare queU lo,che ti
fuffe in piacere, FED. Hora fe tu ne fei, come dici,cori defiderofo,che indugi
tu più? S O C R. Io nonindugierò più lunga^ mente, poi che tu4iai fatto un
fimil giuramen:? to: per che come potrei io uiuere.fe io fuffe pri uo di cofi
dolce cibo? FED. Hor dì aduns: que. SOCR, Saituqucl, cheiouogliofa5: re? FED. Che
cofa t' SOCR. Io dirò quel,che io intendo dire, col uolto.fiCcol capo coperto,
per dire più pretto: per che fe io mirafs fi a te, farei impedito dalla
uergogna. FEDi Pur che tu dica, fa quello, che fi piace. SOCR; Hor fu dunque ò
Mufe dolci, il qual cognome ui fi dà perii modo del uóftro cantare, ò uero per la
dolceza della Mufica uoftra, la quale fi dolcemente fuona,fauoritc ui
prego,& aiutate quello mio ragionamento, il quale mi sforzai éitt quefto
huòino da bene: accio che poi che mi harà udito^giudichi anchora molto più pru^
dente il fuo caro amico Lina, che prima cefi uìó gli pareua* T V haicla
fapere,chefik già un fanciullo^anzi pure un giouane di gen:i
tiliflìmoafpetto:coftui haueua molti amanti^ tra li quali un'huomo certamente
allato gli diede ad intendere, che non Tamaua^nc per ciò punto meno de gli
altri il fencua caro, fif gli uo leuabenc.Hora auucnne.che un giorno egli lo
pregò, che al fuo defideno compiacer doucli fe,flC per impetrare quello, che
egli domanda» ' ua,gliprouò che maggiormente fi doueuafare cofa grata à colui,
che non ama, che à COLUI CHE AMA. Et per farglielo intendere, gliCi moflrò con
quefte ragioni » In tutte le còfe fall v^>^^> ciuUo mio à coloro, che
confultar bene,ò difpuf-^'^-^\ tar uorranno,fa di bifogno hauere un folo.qjìj
roedefimo principio, quale è il conofcere,flC insK ^tendere che cofa fu quella,
intorno alla quale fl'^;: o' confulta, ce difputa: altrimenti è neceffario in
tutto errare» E fonomolti,chenonfi accorga:» no di non conofcere, ne fapcre la
fuftantia della cofa, della quale ragionano; fif cofi come fc egli»
nolafapeffero^nel principio della difputaloro ' altrimenti non la dichiarano:
tal chenel lor pioi^ cedere ne feguc,come è hccefTario che inferuerii: ga.che
eglino dicano cofe fuor del loro propos: fito^adagli altri male intefe. Adunque
acciò che ne à me, ne à tc interiienga quei, che in al:: ^rui biaCimiamo,pofcia
che egli è hora differctiìi tra noi, Te fi dee più tofto pigliare Tamicitiadi
colui, che non ama, che di colui, che ama, farà buono che uediamo, che cofa fia
amore, et che forza egli habbia, dandogli qualche difFinifio^ ne, alla quale
l'uno, fif l altro di noi acconfenta» tt cofi dipoi, hauendo fcmpre 1 occhio,
flC ogni. fìoftio argomento drizandoà quella dijffinitio:: ne, confideraremo fé
egli dannoso utile near^ reca. E adunque ccfa manifefta a ciafcuno, CHE L’AMORE
ALTRO NON È, CHE UN CERTO DESIDERIO. Sappiamo anchora che fimilmente queni che
non ainano, hanno queflo defiderio di cofe belle, fiC buone. Per intendere
aduBque in che fia diffe^ rente l'amante da quel, che non ama, tu dei fa:5
pere, che in ogni perfona fono due idee, le quali ci fignoreggiano, ó: doue più
li piacerci uolta^ no Je quali noi fumo à feguitare sforzati ouunis que elle ci
conducono. Vna delle quali infiemc con noi è nata.fiCqucftaè j1 defiderio de i
piacer ri, L altra T-habbiamodopo il nafcimento noftro acquiftata; fiC quella è
quella opinionc,che ne gli ììiiomfni (5el fonimo Wne fi ut je,per fa qn* ic
tanto afìetfuofamc'jntc lò defider/arho. Qaeftft: alle uoltefono in noi fra
loro amiche, alle uoltèi' in difcordia fi truouano, et bora quefla uince^ feor
fupera quella Quando adunque quella opf fìione del fortìmo bene, cÌ>e
difopra hò detto^ dalla ragione guidafa,à qrfel'lo ciie è nero b^nc^; •ci
conduce, uincendo il defideriode i.piacen\ quefto'nTodo di uiirere fi domanda
femperanfiaS ma quando quello sfrenato defiderio, lontano al tutto dalla
ragione, ci fpingc.flf sforza à feguià tare ipiaceri,& amai grado noftro fi
fa di nof ^padrone, quello fuo imperio fi domanda libidi^si w: ài efTcndo h
libidine di moìu fòrti, £(ha^j uendo molte parti, anchorà è nominata in molss
li modi. Et di quelle molte forti di libidine, chfi io dico, quella cbe più
ch'altra T alc'unb fi ritrud ua,dj à colui quel nome,col quale ella é chiais
mata me può à coloro, li quali ella fignoregà già, nome alcun dare bonefto,ò
buono- per chè quel defiderio, che intorno alli cibi uince &Ia ragione, fiC
ogni altra uoglia,fi domanda golo^s fità: 8C colui;che ha in fe quefto alt pigi
ian:^ do il.nome medcfimo, fi chiama golo(o, Anà chora quel deficlcno, che
intorno al bere,d'ù'à no fi impadronifcc^è co(a chiara, flC maiiifefta^donic fi
douerà chiamare, fiC anchora che nome liauerà colui, che da tal noglia fi
lafcerà uincere: àfimilmentc pofTono cfTer chiarina manifefti. ì nomtde gli
altri defiderii congiunti à quefti. Hora io penfo,che quafi fia fcoperto.perqual
ca gionc 10 ti habbia dette quefte cofc, ma uoglio io tacerlo. òuoglio dirlo.''
Io lo dirò pure, per elle più fi intende una cofa à dirla, che à non dirla. Et
pero dicp,che quel defiderio priuo di ragione, il qual fupera,&: uince
quella opinion: ne, che è Tempre al giufto,fiC all' honefto indirirs zata,a ci
rapifce à cercare il piacer della belles: za, quindi col moftrarci quei
diletti, che dalìa bellezadiun corpo fi cauano, pigliando non piccole forze.
fiC rinfrancandofi, ci uincealtutrs to>flC ^^^p^t^aquel defiderio, dico é
detto ^§cù9» ciòèamore,daf 6J/^K?,che uuol dire gagliardia. Parti egli, tedio
mio caro,comc ì me, eh' io habbia détto diuinamente T FED » Certamente ò
Socrate che fuor del tuo folito,ti fei non fo co:5 me più ampiamente allargato.
SOCR. Taci adunque,^ odimi; per ciò che qucfto luogo è certamente diuino,flC
pero non ti marauigliare, fe nel parlare farò dalle Ninfe di quefto luogo
iafpirato à dire cofe diuinc: fif tu puoi hauer co fiofciuto,chequci]o,che
iopocofa,diceua,non fono Tono (late molto difllmili da i uerfi Ditirambi ' che
fogliono dire le facerdoti di Bacco all'horaj^, che dal loro iddio fono ripiene
di diuinità. FED. Tudiciiluero. SOCR. Di que? (le cofe ne fei cagion tu fenza
dubio alcunormk odi quelle cofe, che reftano, accio che io non nji fcordi di
quello, che hora me fouuenuto,al che fo certo io che iddio mi aiuterà, ft no mi
ufciran no di mente. Et pero ritorniamo, feguitando il ragionamcto noftro,al
fanciullo,col quale. diao zi parlaua.Hora fanciullo mio, noi habbiamo detto flC
dichiarato che cofa fia quella, della quacs le noi ragioniamo. Adunque hauendo
feraprc- I occhio à quefto confideriamo.lora quel, che nercftaà dire,flCquefto
è,Chegiouamento,Ó: che danno fia per uenirc per cagion di un aman te,ò di un
che non ami,à colui, che gli ubidirà. E adunque neceffario.chc un' huomo uinto
dal la libidine, Sedato alli piaceri, cerchi femprc con ogni fuo sforzo, che
ramato più che altra cofa,gli babbi da piacere. Sai àhchora che ad uno che é
infermo,gli piacciono, flC gli fon gra^ te tutte quelle cofe, che alla uolontà
fua non repugnano, f5C quelle gli fonomo(efte,fi£ difpia^ ceuoli^che fono di
lui migliori, ò feno migliori, ugualmente buone /£t pero efTendo T amante
\t)fcmo,fìon potrà mai pafifc,clìe uno amato jpaà lui uguale, ò da pia, anzi
cercherà femprc- ^^uanto potrà, fìflo da manco di lui.a più bifors ' ^^nofo. Et
per che tu fai, che un ignorante è d:a^ manco che un dct(o,8C d'un forte
un'timìdo,* 'id'un oratore,© olequente uno inelegante. fi(po^ co atto adire,
d'uno acuto, «uiuo ingegna kinofcmplice,er fcioccho.fe qaefti,»: molti ali. |ri
mancamenti dell' animose per natura conofcè; Ìitfóuar(ì,ò per ufo in un'amato
efTcr nati, ali Thora godeva fi rallegra lamantetS: non gli bi ìftando quello,
fi sforza anchor de gli altii pro^:^ cacciargliene; altrimenti non gli pare
poter ca^ Ilare dell'AMOR fuo piacer alcuno. E adunque- HeccfTario, che un
amante habbia Tempre inui* ^laall'amato et rimoucndolo da ogni amicitia, ite da
ogni efercitio per il quale "pò te (Te diuenà tare eccellente, bifogna che
grandemente glii inuoca; a k non gli nocelle per altro, per quei, fio al meno
gli è dannofc,che lo prfua di queli |a co6, che ne fa prudentflimr. Per cièche
la di iiina fìlofofia è quella.per la quale ueniamo pru^ "déntiffimi'dalla
ì]*tiafc lamanfe e sforzato rfmua ll^rc quanto può ì' amato, temendo Tempre di'
•pon effcre'fprezato da lui, fé pm prudente chft; V?li nQO è.diuentaiTe,.CC in
fomnia fi sforza f?r« ogni cofa,'pèr la qaale egli al fu((o ignorate dh uenga.&fimaraiiigli
folo di quelle parti, che ramante pofTiede. Qriando adunque farà tale la
niato,airhora farà ali amante carilIìmo,ma dans: nofiffimo a fe ftefTo: fiC
cofi puoi uedere,che in torno à quelle cofc,che al fapere fi appartengo:?. no,è
lamicitia con un'amante nocina. Debbia^ mo bora confiderare in che modo colui,
che c sforzato à anteporre il dilefteuole al buono, hab bia da hauer cura di
quel corpo, che egli ama,ca fo che a lui fuffe una tal cura commefTa. Certas:
mente che egli defiderà che quel corpo non fia fchietto, fiC duro, ma delicato.
et molle, non nus:, trito.aauuezo al Sole nelle fatiche, ma fottò - l'ombra
nelle dchcateze. Vorrà che fiaalleuato lontano da futri Ij pericoli, fatiche,
che non habbia mai prouato fudore,» lo farà uiuere con cibi feminili.ac
delicati. Lo auezerà à crnarfi di colorila fàccia,» di stranieri,fiC nuoui
ucftimeti la perfona,» à fimili altre cofe,le quali tutte eù fendo dishonefte,»
brutte à raccontare pia lun gamente,perpafrare ad altro le lafciercmo an:?
dare. Vn corpo adunque fi fattamente allcuato^ nelle guerre,» in ogni altra
pericolofa necefll^ ta,incmicì ficuramente uincono; onde li faci AMICI,» gl’AMANTI
hanno femprc più paura, che à coftui qualche male n5 interuenga^che ad *ltri:
ma qiicftacofa.efTcndo per fc fteffa cliias ra.lapoflTiamolafciarc andare. Hora
habbiama da dire che dannoso che giouamcnto nelle co^ fesche di fuor
uengonojaamicitia.flC laguar^: dia D’UN AMANTE ci arrechi, Qnefto adunque è
chiaro à tutti, flC nnafiime à un amante, che egli ' defidera.che il fuo amato
fia priuato di tutte quelle cofe.che egli pofTjcdeJe quali amiciflì^
lfte»gratiffime,tì:peift:ttiffimegli fono: perciò che egli defidera, che gh
fieno tolti li parenti,, Ce gl’AMICI, penfan do che quelli gli dieno gran df
impedimento à goder la dolceza della ami^ citia dell'amato, Ol tra ciò
penfa,che un fanciul lo ricco dbro.o di qual fi uogli altra cofa,non poffi cofi
facilmente effere prefo d'amore: flC fe pure è prefo.uede che troppo lungamente
in quello amore non può durare. Et pero bifogna che un'amantecomejnuidiofo,fi
dolga della felicità dell' amato, flC fi rallegri della miferia del medefimo,
Defidera anchora,che lungo tempo uiua fenw moglie, fenza figliuoh\OC fenza
cala^ bramando goderfi quel pucere,che quando co:^ (Ifi ritruouano, foIamente
e/fj fentono. Sono ^^n(;hora molti altri mali in quefto amore, ma nel ia
maggior parte di quefti mali, come prima (i comincia i amar qualche fpirita
diuino,mefco5i. la fubifo un certo piacere, come ha fatto à uno adulatore, il
quale è certamente una dannofifljs: ma fiera, fiC una grandifljma calamità: non
di meno la natura ha mefcolato con quefta adulai tione un non foche di piacere
non al tutto da fprezare. Oltra di quefto farà alcuno, che biafi:s mera le
meretrici, come cofa noceuole^fiC altri fimili animali, ò uero fi fatti ftudi,
quali foglio:? no al prefente deiettarci, douc 1 amante non fo^ lamente è
noceuole^ma anchora nel praticarlo c moleftifTimo. Per ciò che tu fai, che il
prouerbio antico è. Che li pari facilmente con li pari s*a^ nifconorper ciò che
la ugualità dei tempo, della età di due(con ciòfiache per lalomiglian za de gli
anni conduca gh huomini à delet tarfi de i medefimi piacerijpartorifce
facilmente 1 amicitia.Ma ne gli amanti la età non pure non genera amicitia.ma
arreca un faftidio troppo grande: per che la neceflìtà in ogni cofa à cia^.
fcuno è mole{la,la quale più che ogni altra cofa è in uno amante uerfo T amato,
accompagnata dalla difTomiglianza de gli anni, Et che fia il uc ro,tu fai, che
amando una perfona attempata qualche giouane,mai ne il dì, ne la notte per fc
ftcffo da Uh partir fi uorrebbe,ma è coftretto dal la necefljtà.à; dalla
pafFionc amorofa^tt è fcm^prc dalle carcze de i piaceri allctfato lc quali nel
ucdcre, l'amato gufta, ft pruoua nell' udirlo, ne! toccarlo. fiC in fomma nel
goderlo con qual fi uogli fciitimento: tale che con grandifTimo fuo piacere
fempre fi ftudia compiacergli. Ma r amato da qual forte di piacere, ò da qual
follai zo potrà effer trattenuto, che in ogni modo egli non fu da grandilTima
molcftia oppreiTo. Eflcn do fempre sforzato mirare una feccia d' un huos ino di
tempo, flCbrutto.<5C molte altre cofe.che Don folo à colui fono molcfte.à
chi elle intera ncngono,maanchoraà chi l'ode.tiouatc folo per una certa
neceflità.che ha l'amante di farfi r amato bèneuolo: flC qucfto è l'effer
fempre disf lìgentemcnte guardato quanti pafll faccia, l'udì re ogn' hora
quelle faftidiofe lodi.tt quelle ima portune riprcnfioni, delle quali fempre
gl'aman* ti abbondano, flC con le quali ogni giorno li ma ' Iettano: le quali
cofe accafcandoà uno, che fia padron di fe.fono però intollerabili: ma à uno,
the è fuor di fe,come uno amante, non folo fos no intollerabili.ma anchora per
la troppa licerla tia,chefj pigliano di dire apertamente quel, che- gli' pare,
fono brutttffime. Oltra di quefto men» tre che uno ama, è fempre dannofo.flC
importa* no: ina quando poi ha l'aujor fine.diuenta perI auuenirc contra dj
quello poco fedele, quale.,.con molti giuramenti, flc preghi, et promcflc ^
pena potè condurre. che egli dalla fpeme di pre mioàciòperfuafo.fidifponcflj à
Apportare la moIeftafuaamicitia.Ai fine quandòpur glie concelTo ritornare in
fe.fi rifolucà pigliare un nuouo padrone,ac ubidire ad altro fignore: £C cofi
in uece dell'amore.a: della pazia.feguita lo intcllctto.a la ragione.* la
temperanza; onde ùtto un altro,cerca fempre dall' amato fuggire, <f
afcondcrfi. All'hora l'amato ricordandofi del le cofc die tra loro fi fono
dette flC fatte, de i dati beneficii la mercede domanda, penfando che la mate
habbia feco à ufar le mcdefime parole,chc prima ufaua. Ma l'uno per la ucrgogna
non artifce confe/Tare d'elTer mutato,ne fa tronarc in ' che modo egli
fodis6cci alli giuramenti, A pro:^ mefle,che mentre fotto la crudel fignoria
d'amo refi ffouaua.inconfideratamenfc fece: « teme, «flendo già diuentato
temperato. et nhidictc alli ragione, facendo le medefime cofe che prima.di non
diuétare il medefimo.che dianzi era. £t di qui nafce.che colui. che poco fa.
amaua, bora ua da fuggcndo.ac fchifando l'amato.ft mutatofi di fantafu.fi
allontani da lui.come fe un di coloro |u|fc,a cui il gittato uafo fw cafcato à
contrailo. tome ben fai.clic nel giuoco infcrutène, elici noftri fanciulli
foglion fare. L altro all'incontro è sforzato à feguifare T amante. flC
parendogli pur mal ageuclc cfler lafciato/j uolta al fine alle ma* le parole.
Ne ciò gli accade contra ragione.per ciò che nel principio quefto tale no
fapeuaquan tomai fi conuenifle, ce quanto poco lecito.» honefto fufTe à
un'amante far cofa grata. quale è di neceffità fuor di mente.» quanto ben fatto
fu (Te compiacere à un'huomo dall'amor libero, che fuor di fe non fi ritrouaffe.
Ne tonofccns dofimilmente.che fidandofi di un'amante.G fida d'un huomo fttano inuidiofo,
moleflo, dannofo.a inutile, prima alla roba. «poi ai corpo.ma molto più
noceuole alla fcientia dell'aoimo.della quale nefTuna cofa è certamente. pia
oenerabile a appreffo Dio,» apprelTo gii huomini. Qucfte cofe adunque douiamo
fans ciullo mio confiderare.CC oltra di quefto fi ha da luuertirc.chc
l'aroicitia d' uno amante da bene» uolcntia alcuna non nafce, ma da una certa
aui» diùdi faturfi.comc gli a ffamati: et però ben diffe colui in quelli uet6,
fe^omeillupo l'agnello. Cefi un giouin l' amante ardendo brama. Qiiefte fono ò
Fedro quelle cofc.che io h Uf ua promcffo narrarti: flC però non uoglio pa bora
dire altro, ma farò fine al mio ragionamens: to,anchòra che io penfaua d efTer
folamcff giun toalmezodcl mio parlare, flC ci reflaffe à dire altrettanto di
quelle, che non ama,&piouarc che più torto fi haiièffi ad ubbidire i un
tale: oltra di quefto penfaua hauere i raccontare di quanti beni, flC di quante
utilità uno, che non ama,fia ripieno, F E D, Perche adunque fi reftii' SOCR.
Non hai tu confiderato,chc io non fo più quei uerfi Ditirambi, che dianzi
m'ufciuano di bocca, quantuque il mio ragiona:? meto fin qui fia flato nel
uituperarei* Hoia le io feguitado uolefli lodare quel, che n6ama, quan
tohobiafimato l'amante, che penfi turche io dice/Iìf' Non ti accorgi tu, che io
fono aiutato,, flC ripieno di fpirito dalle Ninfe di quefto iuos^ go,fiCper
tuagratia,fiC per aiuto diurno l'Per la qualcofaio concluderò breuemente,che
tanti beni fono in quello, che non ama, quanti mali ti ho moftrato truouarfi in
un'amante; ft però iion ci bifogna far più lungo ragionamento, ha:? uendo già
dell' uno, fiC deiTaltrò a bailaiiza ra^ gionato. Et pare à me, che la noftra
fauola hab^ bla hauto quel fine, che era conuenientc et pcs " ròpaffando d
fiunic^mi uoglio partire, prima D i i i the fu mi %(orz\ atìirc quatcKc altra
cofa piuvfm portante, FED. Non ti partire anchora So^ crate, prima che il caldo
non fe ne uada:n6 uedi tu,chehoraè à punto il mezo giorno, nel qual tempo è il
caldo grandiflimoi^Et peròafpettani: <Joqui^ 6C ragionando infieme delle
cofe, che habbiamo dette, come prima il caldo farà mcinrs cato, ci partiremo.
SOCR. Certamente Fe^ dro, che nelle tue parole tu (ci diuino,fiC uerais mente
mirabile: flC però io penfo certo^che dcU JeOrationi.qualialtuoìtempo fonoftafe
fatte, nefTuno ne habbia dato più cagione, che tu,flC neiTuno altro à più
Thabbi potuto pcrfuadere.ò aero conletue efoifationii quello conducenrs
|Cloli,ò uero in qualche altro modo sforzandoli. Et certamente m
quefto(cauatonc SimiaTebac no)tu auanzi tutti gli altrirJC bora 'fecondo me) tu
folo fei (lato cagione, che io habbia à dire di nuouo,non fo checofe,che nella
mente mi fo^ no fopraggiunte. Il che facendo tu, pollo dire, che tu mi facci
una guerra. FED. Etinche modo ti fo io guerra flC che cofe fon quefte.chc tu mi
uuoi.dire. SOCR. In quel, che io uo leua paffare il fiume, quel mio fpìnto
fohto,chc tu faì,paiuc che mi faccffe lufato cenno: il che ogni uol tacche mi
accade^ nò è uietato fare quel lo.cJic fogia farpeniaua,Quindi mi paruc udi:^
re una uocejaquafe mi liietana il partire. prima che io non lùuefTe placato gli
dei,cofl:ie fe con^: fradiIoroIiaueflìconiiiìe(To qualche errore. Io adunque
fono fcnza dubio hoggi indouino, fiC flC fe io non fono cofi de buoni, fono al
meno di forte^che forfè à me farà affai, come battano, anchora le poche lettere
a coloro, che male le hanno apprefe, Lt però Fedro mio, hormai ip chiammente
concfco il mio fallo: per ciò che c,mi pare hauer neiranimo un no fo che, che
mi indouini r erfor,che,^ ho fatto. Et quefta cofa dianzi,mentre che
ioragionaua,mi turbò tnt^ to: per il che io cominciai in un certo modo à temere
di non acquiftarmi gloria apprefFo gli huomini del mcndo^all'hora che io contra
gli iddìi grauemente erraua (fecondo che già dilTe Ibico nella fua opera )flc
bora al fine conofco, come t'ho detto T error mjp. FED, Qnale er^ rorc è
quefto/ SOCR, Ò Fedro.un trillo ragionamento.un tritio ragionamento edro hai
hoggi mcfTo in carapo.fic sforzatomi i ragiona|C ne. FED. In che modqj' SOCR. E
(lata cofa ftoIta.dC empia, della quale che fi può egli più tpfto.a: noccuolc
ritrouarcs' FED. N is cnte.fc tu dici iJ uero. SOCR. Ohimè, non fai tu quel,
che fia amore i Non è egli fi^ gliuolodi Venerei Non penfi tu,che^gli fu uno
iddio 1 FED. Cofi fi tiene per certo. SOCR. Et non di meno Lifia non ha detto.quefto^nc
manco il tuo ragionamento, il quale non io, ma tu hai fatto: per ciò che tu me
T hai à forza canato di bocca, come per incanto, Hora fc [amore è Dio, come e
certamente, ò uero qual che cofa diuina.non può efler cattiuo,& non di meno
noi habbiamo parlato di lui, come fe fuÉ: fe cattiuo. In quefta cofa adunque
habbiamo peccato contra amore. Et certamente quefte no ftre qùeflioni fono moho
fuor di propofito,an^ chora che forfè paiano piaceuoli: le quali non ritenendo
in fe cofa alcuna di fincero,ò di uero, nondi meno fc per cafo faranno
approuate da qualche huomiciuolo di poco fapere, quelli, che le fanno, fe ne
gloriano, come fe fulTero di granrs de importanza. Hcraàme fa di bifcgno per
quefto errore, placare gli iddii: et hai da fapere che a quelli, che nel
ragionare, ò nello fcriuerc errano,è ordinato un certo modo di placare gli
iddii antico, il quale Homeronon feppe cono^ fcert.mafi bene Steficoro: per ciò
che efTendo (lato priuato de gli occhi, per che haueua uituis perata Helena,
conobbe come huomo amico del le Mufe.pfrqual cagione cieco fu/Te diuentafo, il
che non fece Homero; per il che fubito fece quei uerfi,>^Non fu uer quel
parlarne in l'alfe naui Fuggendo, andafle alle troiane mura. Et cofi fatto
un'altro poema di nuouo al conai trario di quello, che prima comporto haueua,fu
bitoglifurendutoil uedere.Ma io in quefto farò più fauio d'ambe due loro, per
ciò che innanzi che male alcuno mi interuenga per il hh fimo, che all'amore ho
dato, mi sforzerò dire il contrario di quello, che tu hai udito r il che
facendo mi uogli fcoprire il capo, flC non uoglio tenerlo per uergogna
afcofo,come ho fatto nel mio primo ragionamento. FED. Tu non mi puoi fare ò
Socrate il maggior piacer di ques fto. SOCR. Telcredo, perchetu tidebbi
ricordare con quanta poca uergogna habbiamo letto quelle cofe.che il libretto
di Lifu contess "^Tieua,fiC quanto anchora fciocchamente io hab^ bia
ragionato di amore. Per che fe qualche huo mo di generofo animo, modello, che
al pre:s fente ama(Te qualche fuo uguale, ò uero per lo addietro l'hauede
amato, ci haueffe fentito dire, che gli amanti fanno per Iteui cagioni nafcerc
grandiiTime nimicitie^flc che fono huomini in^ niàìofi^a noccuolia gli amati,
certo clic egli harebbc pcnfato udire tanti huomini auuezi fo Io,flCalIeuati
dentro alle naui,liquali nonco:s nobbero mai un uero,fiC gentile ancore: CC
unaperfonafauia non ci concederà in modo alcuno, che quelle cofe fieno Licre,
che in biafmio d'sts: more habbiamo ritrouate. FED. Certo che,io crcdo^chc tu
dicail ueio per mia fe. SOCR. Et però temendo, che qualche huomo cofi fat^i lo,
non rhabbia à fapcre, fichauendo anchorz paura d' amore, defidero lauare^fli
nettarela mea tc.ÓL le orecchie noftrc di quello amaro, flC no^, ceuole
ragionamento, cbe habbiamo fatto, con qualche altro più foaue parlare, et al
gufto no:2 ^ftro più giocondo. Lo fo anchora pergiouare à lifia,perfuadèdogli
che cglifubito debbia fcri:^ ucre.che più toftofi habbia da fodisfarc à
unoamante,che à uno che non ama, quando l'amor re è tra li fimili. FED. Sappi
certo, che egli lo farà, per ciò che dipoi che ti barò fenti to lo;:.dare
l'amante, farà necefrario,che io lo sforzi à criuereanch egliii medefimo. SOCR.
So certo, che ti uerrà 6tto fin che durerai dVfferc co mefei alprefente, FED.
Hor dì adunque arditamente. SOCR. Hor fu; douc è egli quel fanciullo, col quale
dianzi ragionaua,ac:s ito clic egh oofi ancìiora cfue^o mio nuouo pire lare,
che fe forfè non infendelTe altro cIa me^ cercarcbbe anch' egli lemerariamente
fare pia:: éere a.chi non Tama, FED. QLieftofaticiulis lohauendotelo finto,tì è
femprcappreflo: gni uolti^che louuoif SOGR. Fa aduns: quc conto fanciullo mio
gentilesche il mio pr^ mo ragionamento Cu flato detto dà Fedro Mirjs
rinefe,figh(ioIo di Pitoclc,ÒC queflo che hora di ro^da Steficoro.figkuolo di
Eufemio,fauomo degno d' eiTere daciaiciino amato.il qual ragio namcnto in
quefto modo cominceifemo. Quel ragionamento non è uero,ìneI ^uale fi è detto,
che per edere l'anì^inte pieno di fiiWc^À quello, che non ama da tal furore
lifae^s ro,fi debba mjggriormente fare cofa grata m pri feotia d^i un'amante, à
chi non ama, che per iì contrario: per ciò che fe fuflè in tutto uero^che il
furoretuifecattiuo,haremo per certo ragioncj» uolmente parlato. Ma io ti uoglio
dife,,ch^mol tì.ac grandiffimi beni ci intcraengonoper mcjs zo del furore,
concefTo certamente folo iptxbt^ neficiodiuino.Etchcfia il uero^ucdiche pri-?
ma quella Sacerdote, che in Delfo predice il futuro, fiC qudla altra apprefTo
Gioae Dodosc nco. fono cefliflimamente ripiène di furóre^non di meno hanno
Tempre date molte, C(gran diflimc commodità i gli huomini di Grecia flC
priuataniente, flf publicamcnte: ma mentre che da tal furore fon libererei
fanno o poco, ouero nefTuno giouamento. Et fc io uoleflì horara^s gionare delle
Sibille, &dituttiquegli altri^chc hanno per uirtù diuina indouinato il
futuro, flC feiotiuolefli dire cjuanfo eglino predicendo molte cofe da
uenirc,habbino giouafo, troppo farei nel mio parlare lungo, ol tra che io direi
co fa chiara à ciafcuno. Non di meno par cofagiu^ (la dimofl:rare,che li noftri
antichi, li quali pos: fcròi nomi alle cofc.uiddero.fif conobbero, che il
furore non era cofa brutta, o uituperofa che fc gli haue(Tero altrimenti
penfato,non harebbo:^ ^ noqucfta arte perfettiflima^con la quale il fu:s turo
fi conofce, chiamata ^àyiKHv » che tanto uuol dire, quanto furore diurno: per
eie che il furore uiene à gli huomini peruolontà diuina, et pero parendo k
coftoro,chc fufle come è quers. fto furore, un gran bene,à quefta fi honcfta
arte uolfero mettere un fi honorato norhe. Ma hogs gi quefti pia moderni
interponendo i quella uoce un poco confideratamentc hanno qn erto furore
chiamato fuy-v7JH«f, che uuot ^ire arte di ifadouinare.d: non furore. Et hai da
fapcrc,chc il modo dello indoufnarc il /ufuro^' che hanno gli huomini priui di
quel furore dis aino,pcr uiadegh uccelh^flf delle conietturc, parendo à
efli,chc procedere da difcorfo huma^ nojl domandarono oÌovohsìkh: ma quelli,
che fon uenuti dipoi, mutando Io piccolo nel Io6)grande,]' hanno con più
honefta uocc chiamato oiqvisihm Et pero quanto è più perfetto,a: più nobile lo
indouinare per uirtù dinina,chc per coieffure,flC per uccelli, tt qiun fo il
nome diuino,chc è /xocvmK?, c più de^ gnocheThumano^cheè fMy^Kug, ftpiuun
opera, che l'altra perfetta, tanto i noftri antichi hanno detto, che il furore,
che uiene dal ciclopc più degno, che la prudentia^flC l'arte humana. Tu debhi
purfapere,che già per riparare alle grandi infirmiti. che ueniuano,flC per
liberarci da qualche auuerfità troppo grande, che alle uolte per gli antichi
errori li popoli minacciai uano,ueniua à una certaforted'huominique^ (lo furore
diuino non fo donde. Et da quellconfigliati,queirimedii ritrouauano,che erano
alla falute loro neceffarii^facendoli quel furore ricorrere alli uoti.&
alli preghi, al raccoman^ darfi à Dio: per quefla uia impetrando mife^ f
icordia/i rendeuano da ogni infirmità.dCpe^ rìccio fahii CT per quel te nripo,*
pcrquc1To,chc haueua da uenifc: K cofi acquiftauano.fiC rice:^ iieuancpfrmczodi
qucfto furore dal' cielo la sflblutione del II errori loro, pur che di furore
de gno,&: buono fuffeflo ripieni. Il terzo furore è quello,che uien? dalie
Mufe, il quale rapifcc.J'i^nima altrui, anchor dafimile forza non più of fefa,a
cefi la fjfiieglia.flC k infpira. Per il che è per uu di cantico facccdo
qualche t^pbile poe fia, ornando con Ufuoi numeri, fiffcriucndouirs finiti ùtti
òc gli antichi, per tal uiainfegnaà colorii, che dopo Ihì uerranno. #Jf quello,
che fenzail furc^l delle Muk ha ardire di accoftarfi pure alla porta delb
poefia,fidajndofi per quaU che fuaingfgnofà arte haiieicà diuentar buoi^
poeta^ti d'jco,che qiicfto tale 4 fine farà tenu:^ to fciocco: a lapoefia di
un'hUdmoda que:s furore hbero, «i^fce finalmente uana, fit, fenza fugo alcuno,
i couipararione d/ quella^ che da un' huorao funofo è ritruouata. Tut:^ quefli,
a molti altri' nobilj/Timi effetti del. furor djuifìo tipofloio raccontare: per
la qual cofà noi non hsbbiamo hoimai più da temersi rè ua furiofo.Ne
aTgomento-^ò neramente ra:?- gioac alQU<w.CJllM da fpau. Gntarc^moftrandoci
clìepiu foflo fi Iiabbfa ad eleggere un'amico prudente, et fano,che uno
incitato, flC furiofo. Ma lafciamo andare quefto.jMoftiimi coIlui,fc può, flC
in quefto uincami, che i' ancore non fia da Dio (lato truouato per utilità
dell' aman^s le.flC dell'amato. Doae io hora per il contrae rìogli
uog!iomoflTare,chequcflo tal furore e flato dato da Dio à gli huomini per una
gran^ difllma (cìicità.LsL qual mia dimoflratione à quelli, chehtigiofi fono,
et che ogni cofa tropss po minutamente uogliono' fapere,tt che ogni cofa
uituperano,fiCà ogni cofa appongofièf. fàà rà forfè incredibile: ma afii faui
farà il con^ frario. Ma prima che à quefto ucnga,ci fa di bifogno, confiderando
bene le operationi,fiC gli affetti dell'anima humana, fiC diuina, troitare la
uerità di quello, che intorno à lei fi può ra^ gionare,flC difputarc. Sari
adunque il princi:? pio di queda mia dimoftratione cofi fatto. OGNI anima c
immortale, per ciò che quella cofa, che fcmpre da fe fi muoue^queU. la douiamo
direefTere immortale: ma quella co^ fa,che altri muouc,tì: da altro è mofra,con
ciò fia che ilfuomoto fia terminato, ha anchora il termine, 6: il fine della
fua uita. Et pe:sr rò folamente quella cofa^ che fe (leda muoue/ per ciò che
mai non fi abbanclona.nonfi rcfta mai di muouere^anzi quella e fonte, ££
principi pio del moto di tutte le altre cofe.che fi muos: iiono.Ettufai,cheil
principio è fenzanakis: mento alcuno; per ciò che egli è neceffario, che tutte
le cofe^che fi generano, nafchino da un principio, flC quel pnncipio non ha
altro prin^s cipio: per ciò che sci principio nafceffe da qual che altra cofa,
non potrebbe gii nafceredaun principio, cfTendo il principio egli Ma cfTendo il
principio fenza nafcimento.è necffTario che;inchorafia fenza mancamento, o fine
alcuno; per ciò che fe il principio mancaffe,© morilTc^ non potrebbe più ne
egli nafcere da un'altro,, tie un'altro rifufcitare da lui, con ciò fia che fu
neceffario, che tutte le cofe nafchino da un pria cipio. Se adunque il
principio è un moto,chc inuoue fe ftefro,queflo principio non può ne mancarcene
nafcere da un'altro* et fe altrimenti fuffe, farebbe neceffario, che tutto il
cielo man:s caffè, a fi diftruggeffe,flC ogni altra cofa creata» ^oltra di
quello non fi potrebbe mai fapere on^ de quefte cofe nafchino, et da chi fieno moffe^
Adunque effendo chiaro, che quella cpfa^che fc flefla muoue^è immortale, non
harà da temere di due il falfo.chi affermerà che la fuftantia del l'anima è
cofi fatta;Ia ragione è quefi:a,chc ogiiìi corpo, che ha il nìoto da altri,è
corpo inanima:^ to. Ma quel corpo, che ha il moto in fe ileffo^. et per (e fi
miioue, quello è animato: fimilc» adunque puoi penfare,che fia la natura
dell'ara nima. Et però (e gli è uero.che altra cofa non fi truoui,che in fe
fle/Tafi muoua, fuor che Tanis: ma,di neceflìta ne fegue, che I anima Tia fenzi
principio, fiC immortale. Dell' immortahtà dela l'anima habbiamo detto affai.
Voglio bora u:: gionare della fua ideà;ò aero della fua forma,» ìmagine in
quefta guifa. Se io uolefli narrarti tutte le Tue qnalità, CJ particularità, bifognareb:à
becheio (i\([ì un'huomo diuino, fiC poi farei troppo lungo. Ma può bene
un'huomo motà tale,comcfonio, defcriuere una certa fimilitua dine,flC figura di
quefta anima, flC quella porre dauanti à gli occhi; et à far quefto,fari cofa
pia breue,che à entrare nelle altre diffic ulta, che nel ragionar di lei fi
ritruouano. Et però diremo per bora cofi, Facciamola per quefta uolta fimi^i le
à un carro alato, che habbia il fuo rettore: la qua! figura ci è affai nota,
flf (a intendiamo be:s nifijmo. Hai adunque dafapere.che tutti li cast:Ualh\flC
li rettori de i carri de^li iddii fon buo^ ni,tt nati df buoni •De gli
altri^che non fona fddii, parte fono buoni, et parte non. Primierajf. mente
colui, che dell'anima. della mente norx j ftra tiene il gouerno, raffrena,
guida, flf corrfg:^ geli duecaualli, cbe il carro noftro tirano con. le briglie
in mano.Oltra diquefl:o,un di quefti duecaualliè buono.fiC bello,flC nato di
ftmilfó Taltro è il contrario, et nato di contrarii. Per ii che accade, che
quefta noftra moderatione,flf reggimento di caualli fia di ncceflifà difficile.
Hora mi uoglio sforzare moftrarti breuementc. perqual cagione fia detto
un'animale mortale, 6: uno immortale, Ogni anima ha cura di tuts?: i to il
corpo inanimato, flc difcorre per tutto il cielo bora pigliando una forma, bora
un' aU fra; fiC mentre che ella è anchora perfetta, « riaij tiene le fue ale
intere inalza in alto,fiC gouer:P na air bora tutto il mondo. Ma quella anima,
alla quale fieno per qualche cafo, come ti dirò^ cafcatc le 3lc,rouiDa al bado,
ne mai fi ferma, fin che non fi intoppi in qualche corpo fohdo,clic la ritenga.
Quando poi quella anima ha trouas^ to doue habitare,* ha per fua ftanza prefo qual
che corpo (errenp (il qual corpo fabitp che ha, in fe quefta anima, par che
comincia à muo^^ ucrfi,macpera lapotentia della anima, che lomuoue} muoue) ali
'bora tatto qucfto fi chiama ani? male: et qucfta anima unita infieme con un
cor po terreno, come ho detto, U un'animale.il quale fi domanda mortale. Ma il
corpo immorj: tale fi conofce non per ragione alcuna per ora' didifcorfo
ritruouafa.ma quel, che fi dices'd fingono gli huomini da fe ftefli; perciò che
quefto corpo non lo habbiamo mai ueduto. ne à baftanza ci è maj flato dato ad
intendere, Ids dio adunque è un certo animale immortale il quale fenzadubioha
ranima.flcfimilmentc il corpo, flCquefte due cole fono liate per natura in
fempiterno infieme congiunte. Ma queflc cofé bifogna dire che fieno, come piace
i Id* dio, a ragionandone, à lui bifogna' riferirfcne. Hora ci rcfta à dire per
qual cagione le ale caa (chino all'anima. Tu ha» da fapere,che la nas tura.ef
il proprio delle ale di quefta anima.é il- leuare il graue in alto uerfo quella
parte del'cics lo, la doue habilano gli iddiU Sappi anchos ra, che di tutte le
cofe.chc in un corpo fi nst truouano, ranima,piu d'ogni altra cofa.della diurna
cognitione è participe. Qiiefta diuinità tengo io che fi pofli dire, che fia
cofa bella.iaa uia, bHona,flC ciò che i tali cofe c fimilc.Da quc* (lo adunque
prindpaimclìfc fc ale dell'anima fono nutrite,* per quefto più che per altro
crc:s fcono,flC mchora per le cofe brutte, flC trifte>ac per le altre à
quelle'contrarie, che di fopra ti ho dette, mancano, fl£ uengono à niente.
Oltra di quefto hai da intendere, che in cielo è un gran Principe^il quale fi
chiama Gioue. Coftui pd^ mo à tutti gli altri, guida con uelocità un fuo carro
alato, ornando, fiC affettando ciafcuna cofa,. ce con fomma diHgentia al tutto
procurandoé Dopo coftui feguita lefercito de gli altri iddiì^ femidei,fiC
fpiriti diuini, diuifo, flC ordinato in undici parti, 6C folamènte nella cafa
de gli iddii f cfta la Dea Vesta. Ma gli altri iddii (dico fola^ mente quelli,
li quali fono poftì nel numero de j dodici ) fe ne uanno ordinatamente, fecondò
che fono difpofti,& ordinati. Et hai da fapere^ che dentro al cielo fono
molti fpettacoli,fiC mol ti uiaggi,difcorrendo Intorno fi fanno diuinifTì^
mi,& beatifTjmi: alli quali i beati iddii femprc ftanno intenti, et ciafcuno
fa quello ufficiosa! quale è fl:ato pofto,CC che gli fi conuiene. fiC cofi ua
feguitando ciafcuno iddio fempre potendo ugualmente, uolendo: per ciò che dal
diuin choro è femprc ogni inuidia, ogni maleuolen tia lontana, Quando poi fe ne
uanno al celeftc cofluifo, ce à guflarc le diuinc uiuande, all'ho:: ra
inalzate, et già in alfo afcendendo caminano per la circunfèrentiade i cieli.
Li carri delli do5 dici iddìi bene accónci, flC aflettati, con le briglie de i
caualli uguali, flf parimente da ogni banda pefando, fàcilmente caminano. Ma
gli altri carri che cofì no fi truouano.à fatica fi poflono muo uere: per
cicche quel caualio trifto è dalli uitii aggrauato,6C cofi uerfo la terra fi
p^^ga, et feco il carro, et il rettore à forza tira.fiC quefto à quelsj li
rettori interuiene,che j1 caualio non buono, hanno troppo ingraflato,fiC
alThora patifcono le anime una fatica eftrema^fic fono in un graridifs fimo
combattimento. Per ciò che quelle anime; che fon chiamate immortali, ciò è
quelle, che no fono dal trifto caualio sforzate, quando allafom miti giunte
fono,allontanatefi dalle altre, fi fer mano nel dorfo del cielo, fiC quiui
pofatc,fono dalla circunferentia attorno rotate: ft quefte fos: no quelle
anime, che ueggono quelle cofe,chc fuor del cielo fono pofte, Et quel diuino
luogo (opra tutti li cieli non è anchorada alcuno dei noftri Poeti flato fin
qui lodato: ne alcuno fi tro uerà,che mai quanta egli menta, lodar lo pofla.
Quefto luogo è fatto in un tal modc(& mi met^: to i dire quefto; per che
parlando della uerità, pofTo tiene hiuctt ardire di dire il acro ) è adun que
fcnza colore, fenza figtira alcuna. non fi può toccare.è una cfTcntia; la quale
fola fi può dire.chc ucramcntc fiaft qucfta effentia fola» mente li Icrue dello
intelletto, guida, flf gouer^ Inadore dell'anima, il quale intelletto femprc
fta in continoua contemplatione del (omwo bello^Etla uera fcientia, flCil
perfetto fapere altro luogo non ha, che quello, che c pofto ins: torno i quefta
effentia ucra,£c nella fuacognfc ttònc. Come adunque il penficro^a: la contems
plationc diuina è poftafolo intornò i un'ina tellettopuro, fiCà una fcicntia
immaculata, cefi il penfiero, flc la contemplatione d'ogni ani^: ' ìna,che
habbia i pigliare che corpo, ò forma fi uoglia (pur che à lei fia conuenientc )
rifguarp dando per qualche tempo in quella efienfia, che io dico, che fola fi
può dire che fia contea!? ta della contemplatione della uerità,di quella fi
nutrifcc,a: di quella fi con tenta, fin che un'aia: tra uolta la circa
nfercntia aggirandola, non la ritorni in quclmedefimo luogo.Et in quefto fuo
aggiramento uede la giuftitia, con tempia la temperanza, fcorgc la fciehtia, K
non uedc (jueftc uirlù come generate/flCpoftein uno,ò^in un'alfrc (Ti comé
potiamo dire ) che fiend quelle. che noi qua giù confiderandaci paio^
nouirtù,ft cofi le chiamiamo, ma uede quella iiera fcientia, che è in colui,
che folamcntcfi può dire che fia.-flCinquefto medefimo mo:s do ucde, flC
contempla tutte le altre uirtù,chc fono uirtù ueranente. Quindi di quefti cibi
nutrita, a fatia. ritornando di nuouo dentro al cielo, fc ne ritorna à cafa,
dalla quale dianzi fi parti: flC dipoi che è ritornata, il Rettore mets: fendo li
cauallr nella ftalla à ripofarc.gli da:per cibo T Ambrofia. (JC gli fa bere il
Nettati:rc,fif quefta è la uità de gli iddii/te altre ani^.-jne poi, alcuna che
dirittamente ha gli iddìi feguitato,6tta che è à lorofimile, fa tanto, che:4inchora
ella inalza il capo del fuo Rettore à ^uedere quel bellifllmo luogo, che
iotihodet^: oefTer fopra li cieli rftcofi ancho ellainfies» me con gli iddii è
dalla circunferentia de i cicjs li aggirata, a portata, ma à T ultimo dalli
cauals: li e trafportata fuor della uia: talmente che à grandiflìma fatica può
mirare quelle cofe, che in quelli Iuoghj,di uentà piene fi ritruouais no*
Alcuna altra anima hora il capo del Ret^ Jore in alto leua^tt hora la abbafTa:
onde daU £ ini Ifcaiialli sforzata, parfe ucde quel bcne,flf parte non. Et le
altre anime tutte ugualmente defiderando ftar di fopra feguitano quefte tutte
ins, fj fiemc confufamente: a non potendo in alto le:: I uarfi,premendofi tra
loro, fono à torno portate: ! fCcalcandofi^ficrunaialtra fpingendo,ft ciafcu i:na
quanto più può di pafTare innanzi sfor7an5; dofi, fanno tra loro grandiffima
contefa:.onde j ne nafce un romore,un. combattimento, una fafica grandiffjma:
nella qual con(éfa,per uitio, ce difetto de i rettori, molte fi azoppano, molte
delle altre rompono le penne delle ale,a al fin tutte dopo un;i lunga, flC gran
fatica, fen za p 0:5 ter pur uedcre quella effentia diuina.che io di:^, co, che
è ueramente,fi partono, flC dopo quefta lor partita fi pafcono folo d'opinione,
non potendo quel fommo bene per altra uia conofcerc: a ciafcuna fi sforza,
quanto può, di poter haue:5 re quefto cibo,defiderando conofcere doue fia il
bel campo della uerità. Per ciò che di quefto prato la natura dell'anima per fe
fteffa ottima, xaua conucniente cibo,Cf di quefto fi nutrifcc la natura delle
ale,con le quali in alto fi leua^ La potentia diuina poi (la qual non può in
al:^ <un modo fallire ) tiene quefta regola, che cia:^ felina animaja quale
mentre che gli iddii ac:$compagnaua.C6mpagnaua,puotc ucdèrc qualche fcintiTIa
del la uerità, quefta tale dico, uuolc che per fin che un'altra uolta non fia
dalla circunferentia aggi^ rata (come ho detto difopra ) fia fuor del perb xólo
di perder le ale, òdi riceuere danno alcu» no:fiC fe Tempre potefle girando
quella uerità uc •dere,non farebbe mai in parte alcuna offefa,Ma fe non
potendogli iddii Seguitare, non fi fuffc potuta condurre i uedere quel fommo
bene,flC per qualche cafo contrario ripiena d' ebliuione, ce di malignità fuffe
dalli uitii al baffo aggraua:^ ta,flC in queftoabbaffarfi.a deprimcrfi rompete
fi le ale, fiC cefi rouinando in terra cafcafre,al2s rhora la diuina legge
uieta,che quefta tale anb ma la prima uolta, che qua giù à forma alcuna -s
accoda, fi uada ad accompagnare con la natus ra di beftia alcuna fenza ragione,
ma uuolc, che •quella anima, che molte cole fa in cielo habbia uedute^uadaà
trouare lageneratione d'un huo tno,che habbia da effer Filofofo,ò uero defiders
rofo di belleza,ò uero Mufico, ò uero d' un huo modato alle ccfe d'AMORE.
C^ell'altra, che non ^quanto la prima habbia ueduto, ma nel fecon:5 do luogo fu
pofta, comanda quefta legge, che difcendainuncorpo, che habbia da effereRc per
legge, fiC ragioneuolmete ò uero in un bua iao dato alle guerre, flC atto ad
efferc Impera^s <lore,ò Capitano Quelle poi, che nel terzo Iuoj: go fi
fruouano.ordjna che fi mettino jn un huomo.chc habbia da efTere gouernatore
d'una Rcpubhca^òuero in uno, che debba difpenfa^ re,ft diftribuire la robba.ft
hauer cura della fajs miglia, ò in uno,chefia dato al guadagno. Quel
k.chcpiugiu tengono il quarto luogo, fe ne uarino in un huov(}o,Ql}€ hsihbìà da
durar ùth.ca,òaeroin uno, che fi habbia daefercitare in^: torno alla Medicina,
fif alla cura de i corpi.Quel Ic,che più di foltonel quinto luogo fon pofte, é
s'accoftanoà coloro, che debbono fare l'arte di indouinarc,òuero di augurare
per uia di facrb jficii,ò d'altri mifteri, Quelle, che la fefta fede
tengono,defcendono in un'huomo,che hab:s bia da diuentare pQeta,ò ucro in uno
di coloro, che fono nati ad imitare altrui. Quelle, che fono le feftime dalle
prime, uanno;fn uno.che habs biada efTere òartefii^e^ò agricoltore. Le ottauc
in un fofifta,òucro in una perfona plebea.flC iiile. Quelle finalmente, che nel
nono, flfultis: mo luogo fi ritruouano.fc ne uanno a diuentare uno, che debbia efTer
tiranno. Et in tutti quefli •fiati di Ulta qualunque giuftamente haràmes».
-fiato i giorni fuoi.dopo la morte harà miglior forte, clic quelli, che
friftamcnte fono uirtuH: flf quelli, che ingiufti fono flafi,uannOÌ pcg:^ |fóré
fl'a(o,che colore), che fono ftafi buòni: pei d'oche non ritoma Tiinimatn quel
medefimo luogo,dcnde prima fi partì. più preflo che ih fpatio di dieci hhirlia
anni.Per ciò che auanti i queftofpatiodifefnponon può racquiflare le àie, fuor
che l'anima di coluj,che uitiendo hà fenzauitio alcuno atfefo alla Filofofia, òuer«5:
mcnfeha amato la helleza^fiC infieme grande^ ifnente defiderafo la fapienfia:
per ciò che quei ftefali arfime/enza dubio alcuno, dipoi che ^treuolte fono
paiTate mille anni (purché efs Icno^ uoglino dopo la prima morte, tre uolte
tornare in quefta uita ) all' bora hauendo rac» quiftate le ale dopo tre milia
anni,al cicl uo^ landò fi partono. MoHé altre aniine, morte che fono, la prima
uolta fono da Iddio gJu^ dicate, a dannate r ttcofi giudicate, altre an^- dando
fh^un'iù'ògo,il qaaTé ne! cèntro dcU la terra è porta per punit»one delle anime
cgitti tiue.quiui patono del fallir loro meritcnoli pe:» he. Altre pòi dal
giudicio dìuino innalzai te, in certo luogo del cielo forio in quel modo
trattate, che fi hannoqnagiu in terra uiucns do meritato: flf poi tra mille
anni qucfte due- forti d'anime, ritornando al mondo fi eleggono una feconda
uita,ec ciafcuna può pigli^rfi queU la forma, che uuole. Quindi uienc, che
l'anima humaha pafTa alla uita d'una beftia^flC dipoi dunabeftiadiuenta di
nuouo huomo,pur che quella anima fia (lata un'altra iiolta in un'huo mo. Per
ciò che quella anima, che non harà mai ucdutaìa uerità, òpoco,b a(rai,non potrà
mai pigliare la humana figura: per che bifogna che quello, che l'huomo mtende,
l'intenda per me:s zo delle fpetie delle cofe,che dauanti gli ii ap:5
prefentano.a quefte fpetie per uia di molte, ÒC uarie cognitioni nella mente
noftra raccolte, fo^ ijoalfine con difcorfo infieme pofte,eCc9m5s prefe. Et
quefta cofa altro non è, che la rimems: branza di quelle cofe,che già Y anima
noftra in C4elouidde,air bora che infieme con iddio era perfetta.-a quando ella
fprezaua quelle cofe,che noi fcioccamente diciamo che fono,riuolta fola:? mente
allcontemplatione di colui, che è uera mente. Per la qual cofa l'anima folo del
Filofoss fo meritamente racquifta le ale.per ciòchequan to p-r un'huomo è
poflibile,fempre con la mera móna fi riflringe,flC fi accofta à quelle
cofe^allc quali accoftandofi,(5f riftrfngendofi iddio, è di^ uino» Colui
adunque, che farà quefta confide^, ratione din'ttamenfe, et ragioneuoImente,flC
cefe cherà fempre di nempirfi la mente di qucfti cofi pcrfet(i,fi£ fanti
mifteri, quefto folo diucnterà perfetto. Et cefi diiiifo dalli ftu di, che
fanno gli altri huomini,flf accoftandofi alla diuinità,è th prcfo,flC morfo dal
uolgo,comc fe egli fufle ufci to di fe. Ma egli ripieno, flC ebbro della contem
plationc di Dio, non fi lafcia cònofcere alla mol titudine. Per quefto adunque
ho fatto io qùc^ fto mio ragionamento, il quale è porto intorno alla quarta
forte di furore-peri! qual furore quan do alle uolte uno di quefti tali nel
uederequa giù qualche belleza, fi ricorda di quella uera, che gii uìde in
cielo,rimettc fubito ralc,fiC cofi rimelTe che V ha, fi sforza,quanto
puo,uolando al cielo inalzarfi. Ma non potendo ciò fare^coje me gli uccelli
po(rono,guarda,flC confiderà pur uerfo il cielo, fprezando qucfte cofe bade
«onde ne è biafimato fiC ne riporta uergogna,dicendo:j gli ciafcuno,che egli è
poco fauio,flC ripieno di furore. Per la qual cofa quefta diuina separatio: ne
dell'anima dal corpo è fopra tutte le altre, che interuehire ne poffano
migliori, Et da ca:^ gioni ottime nata,d: non folo è gioueuole à chi in
tuttolapo(riede,ma à chi qualche poco ne participa. Et coiui,che di quefto
iurore fanto.tt |>uotio è ripiano, con ciò fia clic egli afmrla bel:?
ilcxa.quefìo ueramente fi può dire arhantc. Per ciò che, fi come ho difbpra
detto.ogni anis ma huroana già ha iieduto quelle cofe, che ue^ ramente fono:
per ciò che fe non le haueffe uc jàiite, non farebbe difcefa in quefto animale
hu mano: et non, è f^c^le i tutte le anime ricor:i darfidclfecòfedilàfù.per
uedere quelle/cbc qui fono. Et prima lo poflono mal fare quelle; che per breue
fpatto di tempo fù in ciclo gli fu conceffo uederic: dipoi non è conccfTo
anchora quelle, che nel mondo uenendofono fiate ina felici, ce Ila nno hauto
mala fortuna: di modo che corrotte da alcuni coftumi cattiui.che qui
pjgliano/ifccrdano in tutto di molte cofe (st^ gre,©: buone, nelle quali in
cielo erano gii ammacftrate. Perii che poche anime fi ritruor? uano,che
àbaflan2a delle cofe celefti fi ricors dino. Ma quelle poche quando tal'hora
qua giù- scorgono qualche iomiglianza di quelle cofe che in cielo gii urdderò,
fi ftupifcono, ftquafi cfcono di fe. Et non di meno non fanno don^ de quefto
lor mouimcnto proceda; per ciò che non conofcono in tutto la uerità.ne a
baftanza fe ne ricordano. Ne pct/amonoi fcorgere,menp tKchcqyagiàftiaDoioin
quelle fi^ure, imaa gini,fplrndòrucro alcuno di giuflitia, di tfmp< ranza,
fiC delle altre uirtù,che gl'animi npftji J)<^ norano.flC amano. Ma per
certi inftruirenti,fiC fxìczi imperfetti ofcuri à pena pochiflimi huomini
accoftandofi pure alle imagi ni> di iq^cl le uirtùcelefti,che nel mondo fi
ritruQuano, tifguardanoin qaelle imagini quella forte, di uirtù,che fimile
imagine gli. rapprefej?ta. ali' hora ci era lecitc,<X conceffo uedere una
chi^ riflima^flC pmiflìma belleza, quando con quel beato choro fegiutando noi
quella felice uìGq:» ne, 6: quella fanti/Tjma contemplatione. della quale
dianzi fi ragionai, noi infiemc conGio:^ ut,& ìt aìttc 2nitrìc inficmecon
qualche altro iddio, fecodo che era ordinato, pQtcmo con teni:^ piare la
diuiniti: flC quando à quelli miftcri,fl£ cofc fagre dauamo opera, li quali
potiamo ragio iicuolmentc dire efTer più di tutti gli altri miftc ri fagri,flC
beati, alli quali all'hora noi poteuamq attendere, quando anchora immaculati.
flC nò of fefi da mille mali efauamo,che poi habbianio in quefto modo
prouati.Onde confiderando all'ho ra quelli celeftì fpcttacoli cafti,femplici,durabi
li^tt beafi^poteuamo beniflìmoà tal fanto efcr^l tic fcruirc ftado noiin una
luce pura pun^ttfen M machia alcuaa,Iib^ri,&fciolti da c^uedo^chcWtor
chiamiamo <;orpo,il qiul crbifogna ì torno portarci noftro mal grado,
efTendo à quello le:5 gati,6f in quello rinchmfi à guifa d'oftnchej ce quefte
cofc non fi fanno, feno per uia di mc^: nicria,per che noi ci ueniamo à
ricordare delle cofe padatecdallaqual ricordaza hora io fon fpin to: ce
efortato perii defiderio) che ho di quelle xofe.che già ho altre uolteuedute,
ti ho fàtto queflo ragionamento, Hora la belleza(come ti ho detto ) quando già
erano le anime in cielo,^ Infieme con loro caminando rifplcndeua,fiC di poi,
chequi fumouenuti.rhahbiamo riconos fciuta, per ciò che ella chiariffimamente
rifplen:? de,& fi moftraà quel fenfo dellj noftri,che più •di tutii gli
altri ha in noi forza, flC quefto é il feri fo del uedere: per ciò che quello é
il più acuto di tutti gl'altri noftri fenfi^che permezo del tòVpo fon
cagionati, col qual corpo, flC con li quali fenfi non fi può cognofcere.nc
uedcria fapientia: per ciò che ella farebbe nafcere in noi ìun'ardentiffimp
amore di po(rcderla,fe un qual chcfimulachro, òimagine di ki dauanti à gli
occhi manjfefìamcnte ci fi pofgefTe: fiC il medefi mò potiamo dire di tutte
l'altre cofe,che fono degne de/Tere amate. Non dimenolabellezsi fok ha jpiu
dellaltre haute quella preminentfa^^ che ella più;d- ogni altra ci fi fa
uederc,& piu che ogni altra cofa ad amarla ci muoue. Et però colui, che
dianzi non atteie à quelli fagri miftc;? ri, ch'io ti difli,anzi più tofto e,
dando qua gm^ corrotto da quefte cofe bafle^non cofi preftofi inuoue,fiC leua
ranimo all' amor di quella bels: Ieza,anchor che qui uegga una certa fc^iglian
za di quella, che da quella eterna il nome pi:^ ghando pur belleza fi chiama.
£t per quello nel uederla non l'ha in ueneratione, flC non l'ha nora,maà guifa
d' una beftia.dato folamente al piacere, uorrebbe pure à quella belleza acco:5
ftarfi, flC generare, et produrre figliuoli: fiC cofi importunamente
afTaltandola, non teme punto fargli difpiacere.ne.fi ucrgogna dandofi in prc:?
dai quel fuo difordinato appetito, pafTar gli or^s dini della natura, Ma colui,
che alli detti mifte;^ ri poco fa diede opera, fiC che già in ciclo con^
tempio, molte cofe degne, flC (ante, quando egli uede un uolto ben fatto,ft di
belleza diuina ot^ nato, il quale perfettamente quella diuina, et uc ra belleza
rapprefenta,ò uero quando contems? pia nò pure il uolto, ma qualche altra parte
ben fatta del corpo, primieramente fi empie dihorrs rore,fiC tofto teme di lui,
come fe fufleunacofa (ckfte già dalui pa altri tempi u^duta: quindi più
minutamente rifguarclandolò come Iddio lifaonora.flC fé egli non temefTc di
edere accuiaj«; to per matto, ti dico che egli non altrimenti aUj L’AMATO SUO facrifìcarebbe^chc
farebbe à una fta^r tua di iddio. Et mentre che egli pure il contem
pla/ifentequcU'hprrore. del quale era pieno, in fudore,fl(in ardore conuertire,
dal quale in brcuc tempo tutto fi truoua occupato. Per ciqr che air hora,che
egli per gli occhi beue quclU bcllcia Cubito tutto dentro fi riicalda: dal qual
caldo la natura delle penne della lua anima é co me matfiata,a dipoi che egli è
bene infuocai^ to,fi intcncnkono quelle parti delle ale,clic pullular
doueuano.ac che dalla dureza riftrctte, metano alle penne il poter
gernpogliare. Qjiianp do poi per gli occhi e ben penetrato il nutrìs; nicnto di
queftc alenali' hora il germoghar delle penne, che prima comincia dalla radice
i ingrof (àfC,ìmpetuo{amente per tutta 1 anima moftrarfi (i sterza per ciò che
Tcinima era già tutta dalle pcnne copcita.fif da quelle io alto foftenuta}
tak^^ in quello tempo ci anima tutta in grao dèiiìmo leiuore^tt uonebbe pure
inaizarii: flC non aitranrti che làccino ifanciuUt. quali allW u che pruni
mcttoiìo i depti^t^no da on certo iociOiC iMfitfi, aiiiciué dà un dolore delie
gicQ gfc moleftatì.cofi l anima iicl meffere le penne tutta fi commuoucflffi
riempie in un tempo dj piacere,» di moleftia. Per il che mentre che eia la uede
un giouane bello, beucndo per gli ocs chi quel piacere, «quel defiderio chc da
lu|'t uiene,airhora inaflìata.come ho detto, fi rifcalr da,flC all'hora nó fi
duole. ma fi rallegra cifra mo do. Ma quando poi egli s allontana.flC che
quefcl li meati fi rifeccano.per li quali l'ala uoleua ufcir fuon.allliora andi
fif riftretti.uiefano il gcrmoa gliare delleale: di modo che quefta ala
infieme2i con quello amorofo defiderio, parendogli elTcr dentro rinchiufa,
uolendo pur' "faltar fuori dai (e flcfTa, richiude quei meati.donde ufcìr
po* trcbbe fif fa che di nuouo ne nafce ali anirra nó poco dolore. Et pe^quéfto
è tutta l'anima da ogni banda oii'efa,fiC grandemente dimoiata, mal trattata Ma
ricordandofi poi di nuouo del? la ueduta belleza,in quello fi diletta.» di quel
Io folo fi rallegra. Et cofi da ambe due queftc paffioni infiemc mefcolate.ciò
è da quello sfor* zamento.ec impeto di rimettere le ale. et dalU maraiiiglia
della piacciuta belleza è in un fems po moleftata.Onde piena di
anfietà,<urio(à d/» licnfa flCè daqucftofuror in tal modo condotta, che ne
la notfc può dormire, ne il giorno in lue go alcuno fermarfi, ma quinci, 6f
quindi fi ags gira,fiC fi fbatte,mofra pure dal defidcrio di riue dcre quella
bcUeza, la quale di nuououedcn^ tìo,& beuendoquel defiderioamorofo per gli
occhi, CQmc ti ho detto, all' hora di nuouo apre, et ageuola quelle parti delle
fue penne, che prtp ma erano infieme riftrette.fic chiù fé: fiC cefi àh poiché
ella ha cominciato à rifpirare,fiCriha2: uerfi,à poco à poco fi hbera da quelli
ftimoli'i ft da quelli dolori, dalli quali prùr^a era offef^é Tale che da
quefto foaui/Tjmo piacere 6nto è in quei tempo uinta,che mai per fe da quelli
allet^: tamenti non fi partirebbe, ne altra perfona più appreza,chc l'amato, ma
fi fcorda del padre, CC della madre, de i fratelli, fif di tutti gli amici
fuoirttfe tal' bora (come interuiene ) manda in quefto amoremale.ft confuma il
fuo,non fe ne cura punto. Oltra di quefto fpreza tutte le '.amicitie,flC
dignità, che haueua fuo padre, delle quali gli fi farebbe tra gli altri
gloriato,^ fole fi contenta di feruire^fiC diefler foggietto àogni ''«olontà
dell' amato, pur cbe egli pofTa efferaps: prefTo al fuo fuoco. Per ciò che non
folo honoi^ ra,ficha in ueneratione quefto b^llo, chc tgli ama^ma anchora Io
truoua ottimo medico d' gni fiu grauifTima paflionc. Quefto afFetto adun
qac,2(quefl:o mouimento,b giouane gentile, gìihuomini l'hanno chiamafc ef^SiDC
cioè amore. Et fe io ti dicelTe in che modo quefto amore è chiamato fu in cielo
dalli dei, certamen te,che per cfTer tu giouane, harefli ragione di ridere. Et
che fi^il uero, certi imitatori d' Hos: fnero compofero già due iierfi fopra
quefto amo re.cauati (come penfo ) dalli fecreti.flC mifteri diuini,delliquali
unoèin uenti affai goffo,flC poco elega n te, flC dicono cofi, Chiamano amor
uolatore i mortali. Li dei alato, per che à forza uola., ^ A quefti uerfi in
^arte fi può credere, in parte non: ma fia come (ì uoglia,un tratto quefta^ che
io di fopra ho detta, è la aera cagione damo rc,fiC lo affetto, flC la paffione
de gli amanti; Ci però tutti quelli, che ameranno, h quali già fe^ guitarono
Gioue,po(fono più fauiaméte,fiC più conftanfemente portare il pefodi quello
alato, che io ti ho detto. Ma coloro, che già honoraro^ no MARTE, Ce fu in
cielo infieme con lui andoro^ no intorno, poi che dall' amore allacciati fi
truo^ uano,fe mai penfano di riceuere dall' amato in^ giuria alcuna, facilmente
corrono à far dei ma^ lc,fi£ à uccidere; cefi furiofamente ò fe ftefli, è gTi
amati loro priuano uifa/SimìImfnfc eia fcuno honoraquel roedefimo iddio, col
quale già andò in fchicra: flC quello cerca fcmprc quan to più può, in Ulta fua
di imitare, fin che egli non fi lafda da i uifii corrompere. et in quefto modo
mena i giorni della prima fua uita,t3C cofi fafto a gli amati fuoi^flC à gli
altri Tempre fi mos: ftra, Et però cfaicu nò, fecondo i coltumi fuci.fi elegge
à amare uno, che à lui paia bello. Qujns: di,comc fé quello fufTe il fuo iddio,
fe ne labri^ ca una imagine.fiC quellaorna et fa bella in quel modp,che fe à
quclla,flC non ad altro idolo ha:? uedeà dare honcri,flCà facrificare» Onde
co:5 loro.che di GiòUe furono feguaci,flf che quello honorarono, cercano
d'amare uno. che Simiù mente habbia T animo giouiale: fiC per quefto /
confiderano, prima che l'amino, molto bc5: nc,fe quefto tale è atto per
naturatila FìIoì: fofia, òueramente al regnare, alle quali cofe Gioue inclina.
Et poi che conofcmto(o,fiC ri:^ truouatolo tale, lo amano, fi sforzano con ogni
ftudiodi farlo diuentare fimile al fuo iddio. Et fe forfè eglino non fapeffero
per loro quel, che à gli altri uogliono inregnare, airhora ol:? tra modo fi
sforzano, flC cercano di imparar fem:5 pre qualche co(à per qualunque uia gli è
con:s cef?o: flf coli infiemtf con gli amati à queftrf coli honcfta.flclodeuole
opera fi mettono, (alt che diligentemente ricercando, fif in fc fteffi inue^
ftjgando la natura di quello iddiojl quale ad honorarc fono inclinati tanto
fanno. che al fu: re pur uengono a capo di quefto loro honc;^ ftodcfiderio.
Etnon'c ciòmarauiglia,per ciò che eglino fono dall' angore sforzati à dirizarc
la mente, ftconfiderare con intentione gran^ dilTjnia à quel fuo iddio: di modo
che pur al fine ricordandofene, fono fubito di undiuino fpiiito ripieni: il
quale fpirito fa, che eglino pt^.glino coftumi, fif ftudi tali, che in brcuc
tem^s pofi fanno participi della cognitione di Dio, tanto però, quanto à
un'huomo è lecito. Et per che di tutte quefte cofe fanno che ne è cas: gione
l'amato, ogni giorno più ardentemente nel fuo amore fi accendono. Et fe cclloro
th ceuono quefta diuinità da Giove (come anchoss ra le Sacerdoti di
Baccho,cheda lui di furor fono ripiene ) infondendola tutta ncir animo
dell'amante, in breuefpatio di tempo, quanto poffono. à Gioue lor proprio
iddio, fimilifTimo Io rendono. Tutti quelli poi, che già in cielo feguitarono
Giunone, cercano per amato loro un giouane d'animo regio: ilqual poi che han^
ìfìo frbuato.dfucntano Cmili à *q!iclli\che di fos prati ho detto.fiC uerfo di
quello operano in quel mcdefimo modo» Oltra di quefto, quelli, che honorano
Apollo, ò qualunque altro iddio, ciafcuno il fuo proprio iddio, imitando,
cercano ' tutti un giouanc.che per natura habbi il medcsi fimoanimq^chc loro:
il quale poi che hanno trouato, prima il lor proprio iddio imitando, poi alli
giouani pcrfuadendo,che li medehmo faccino,flC moderandogli in ogni loro
cperatio:? ne, fecondo il lor fine, quanto le forze loro com portano, di
condurlo fi sforzano alla imitatione del proprio loro iddio, fiC alle loro
fimili operai troni «Non portano coftoro alli fuoi giouani ìnis
uidia,òmaleuolentia alcuna, ma con ogniftu^ dio fi sforzano di conformarli alla
loro perfetta Ulta, ùmilmente a quella di quello iddio^ che ambe due
naturalmente honorano. La cura ' adunque, et il fine di quelli, che ueramente
fo5 no amanti (pur che eglino fi conducano à poÉs federe quel,che io ti ho
detto, che defidcrano ) fenza dubio alcuno altra non è, che qucftachc io ti ho
defcritta. Et è quefto fine per cagion del Tamtete per amor furiofo in ultimo
all'amato lodeuole, 2C feliciflìmo.fe quefto amato farifi^ inamente prefo
d'amore, £t per che tu fappu irCome un amafo fi conofce dallamor uinto.te Io;:dirò.
In quefto inodo adunque qualunque ama ^(ofarà d'amor prelo, fi conolceri. Nel
prii ci pio di quefta noftr^. fintione diuidemmo ogni anima in tre parti,
flfdimoftrammo li caualli di;due lorti.ò: cofi ppncmo^fpiDjC due parti dell'ai
fili ma, li Rettore fu poi la terza parte. Quefte me;defime cofe ci fa di
bifogno cònfiderare al pre:? rfente,Già tu fai, che di quelli caualli uno ne è
buono, flc uno trjrto; ma qual.uirtù habbia quel ivjibuon cauallo,fi(qual fia
la malignità del trifto non Thabbiamo ar)chor detto^flf però bora deb biamo
dirlo. Il caual buono è di perfonapiu ^ j.grande,(Sf più ben formato, ben
compofto,flCà »^artei parte tutto ben fatto, con la tefta alta, le narici affai
bene aperte, come quelle dell' Aqui^ 'la, di color bianchifTimo.coJi gli occhi
negri,. defiderofo folamente di honore, fiC ripieno di temperantia,fiC di
uergcgna, et amiciffimo del { aero; non ha bifogno di ftimulc^òdifprone al:»
ccuno^ma folamente fi regge, fl£ guida con l' efor.Catione, et con la ragione.
L'altro poi è torto, uario,CC malifTimo fatto, di una oftinata "oglia, }{b
col collo bado, ha il modaccio fpàanato,^^ fchiaciato di color fuko,cò gl'occhi
brutti,flC di color fanguigno macchiatile garofo^bcftiale, con le orecchie pelofe
OC forde^flf à pena ubedi> fcc alle battiture, fiCalli ftimoli. Oliando
adun^ quc il Rettore uede un uolfo degno defTer ama to.fiC infiamma tutta I
anima del piacere, che ne fente,è fubito da una certa allegreza commofc fo, flC
da certi ftimoli di defiderio. all'hora quel cauallo, che delìi due è al
rettore ubedienfe,co me è fuo coftume, dalla uergogna raffrenato da fe fte/To
indietro fi ritin per non andar' ali amac (oàd doflo. Ma l'altro non fi può far
reftare ne con gli ftimoli.ne con le battiture, anzi auanti fi fcaglia,ft per
forza il cauailo,che è feco con^s giunto, ac il rettore infiemc
rcompigIia,flCà/cit mal grado li tira à uoler fentire il piacere, che da Venere
fi caua. Ma quelli due nel principio no l'ubidifcono,fdegnati che dal rio
cauallo à cofc indegne et ingiufte fieno à forza tratti.finalmefc lìoncefTando
quello importuno diùxcil peg^: g/o, che j può, sforzati purfilafciano portare,
flC cofi gli cedono, et Io contentano di fare quello^ che à lui piace; (ale che
in qucfto modo fi ucn^i gono ad accodare al piaciuto bello, flC uaghegs.giano
tutti infiemc il charo afpetto di quella, Ilqualpoiche ha bene il
Rettorconfiderato, a poco à poco della uera natura di quella bclleza Ti uien
ricordando^& cofi un' altra uolta^come già in del fece, col pènderò
riiiede.mà u^clc quella nera dalla temper^ntia accompagnata, fiC ftabilita nel
fermo fondamenfo della caftjia: però parendogli pur iiedcre quella uera,&
diui na t'elfeza, comincia di lei riucrentcmente à tc^r mere; flc
dairhonoiT.che gli porta uintojn tcx^ ra hufnilmente fi lalcia andare.-fiC
facèdo qucfto, c sforzato di tal forfè tirare le briglie delli due ca ual!(,che
bifogna che k forra dieno dellegropsc pe in ferrala uno di quelli per fe
flelfc,ptf ciò che non fa ali' incontro sforzo alcuno, ft l' altro, che è
tiif(o,fiC bestiale,C! na al tatto contrafua fcogliartì ariojifanandod poi da
quella belleza^ iìV dì quelli per la uergogna,d marauiglia grafi che
hahauta,tuttaranifnadi fudor lafcial^a gnatafiC laltro libero da quel' dolore,
di che il tia rar del freno,5C il cafcar in terra Thaiiea ripieno,i fatica può
tr^it il fiato.-ma poi eli e tn fe r itornaK)', tutto da fdtgno comoffo il
Rettore, et il cauallo feco congiunto riprede, che per paura, fiC da po^ cagine
di là fi fieno pattiti, doue egli tirati gl'ha ue i. Quindi non uolcdo però
eglino ritornargli, di nuouo sforzadcglf,pur al fine à fatica gli con cede, che
con preghi da lui impetrino, che per fino all'altro giorno fi indugi à
ntornare!il quale ordinato tempo'uentndo, fingono di non (e nt ricordare;.ma
egli con tutto cicgh el rammcna ta,ftdi nuouo sforzandoli, 2f gridandoli, flf
df nuouo à forza feco tiradoli, pur li conduce à uo Icr dire all'amato le
medefime parole, che hieri gli differo. Ma dipoi che più appre/Tati fi fono,
egli torcendofi.flCabbafTandofi (tendendo la co da,ftringeil freno, flCcofi
furiofamcntc feco li tira. Ma il Rettore. che l'altra uolta affai mags
giormentehaueua lemedefimc forze fofFerto. pur in altra parìe uoltandofi, molto
più forte,. che dianzi, le briglie ritirala: cofi sforza la dura bocca del
triftocaiiallo, flC bagnandoli in que^s fto modo la brutta linguacce le
mafcelle di fan^i gue,lo butta al fuo difpetto di nuouo à ferra, fiC còfi del
fuo errore gli fa patir le pene, il che poi the più uolte hail trifto cauallo
fofFerto,lafcia pur al fine la fua pazia, fif cofi horamai diuenu:^ to
piaceuoIe,ubidifce alla prouidentia del Ret^ tore.flCinfiemecon lui, quando
l'amato bello rifguarda, tutto per la paura trema: di modo che affai
fpeffoauuienc, che egli feguiti le pe:^ date dell'amante con reuerentia, flC
honorc.flC quelle dell'amato con timore. L amato aduns que connfcendo efTer
dall'amante fuo, come fe à iddio fufTc uguale, ubbedito, flCofreruatò,fl£
ucdendo che egli no finge, ma è à ciò fare dalla inore sfor2ato(ac maffime che
ogni perfona ho^ fiorata, per natura pare che fia amica di colui,' che r honora
) al fine fi diTpone hauer la mcdc^ fima uoiontà,che l'amante. Et ben che
pnipai tt dalli amici fuoi,CC da quelli, che infieme feco ftudiauano,flC da gli
altri, forfè per dargli biafis ino,fufli flato ingannato, elTendcgli da quei
tali detto efTercofa brutta, che un giouane appreffo al fuo amante fia ueduto,
fl£ per quefto forfè habbia già l'amante da fe fcacciato,non di me^ no air
ultimo per fpatio di tempo &' la età, fiC r ordine debito delia natura del
fuo amante lo rendono amico: per ciò che non fi trouò mai, che un trifto non
fufTe amico d' un trifto,flC un buono d' un buono. Et però poi che un giouane
comincia à praticare col fuo amante, et afcoU ta i fuoi ragionamenti, airhora
facendo lamanar te ogni giorno più il fuo amore conofcere,sfor:j za ramato à
marauigliarfenc nel confiderare: che fe la beneuolentia de i parenti, flC di
tutti gli altri amici à paragon fi metterà di quella di un' amante ripieno di
furore, a di fpirito diui:? no, farà per certo di pochifTimo,© di nefTuno
momento. Et fe quello huomo di più età, che (ara amante, feguiterà in
queftaguifa per quaU che tempora: fempre « nelle fchuole,ft in fijs miìi altri
luoghi apprefTo all' amato cercherà ri^ frcnaifi,alI*hora il fonte di quel
liquore f quale già Giove, quando dall’AMOR di GANIMEDE è preso, dicono che
chiamò inf]ufroa rDororo)qua le nell amante dall'amato belìo. più abbondanti
temente, che nell'amafo è infufo, parte nelTarJ mante fi uùz^Ct parte di fuor
traboccndo fi fpar ge.flC cofi in quel modo,che fapiamo fare laerc. ^ flC
quella ucce,ché chiamiamo Eccho,qua!e da qualche corpo c)heue, òfòIfdo
percoda/tn quel luogo, donde prjma fi partì, ritorna: cofi quello influffo
amcrcfo ritornando per uia de gli rechi i in quel bello. donde già fi lcuò,p€r
li quah egli hacoftume di penetrare alTanima noftra,di tali) forte
inaffia,& bagna i meati delle penne della anima delTamafo/che facilmente
po/Tono.fiC co minciano à germcgliare: flc cofi T amante lanist model fuo amato
ikmpie d'un corntpondentc ^ amore. Et di qui uiene, che egli ama, ma non fa
certo quel,che egli ami, ne conofce quefta fua paflicne.ne la può, ò (a dire.
Ma;ion altrimenti che fe perlagiiaLdafLU-i d'uno, che hauc/Tegli cechi mal
fàni, fi fei] ti ffe hmiimcnte gli occhi fuoiguafti, cofi non fa.dire ia
cagione di quella Uia infirmiti, ne fi accorge, che egli uede.a ua4 gbeggia fe
ftcfTo nell'amante. come in uno fpec «hia*Oi:ide cientre.che gli ci amante
prcfente^ fcnfc anch' egli mancare il dolore: fic quan dog, poi r ha lontano,
in quel modo, che egli é defi^ dèrato, altrui defidera: flC cofi in fe haiiendo
unt ìmaginfe ucra d' un cortifpon dente amore, non- più amore, ma amicitia la
chiama, flc cofi penfa^ chefia* Defidera adunque quafi quanto Ta mante (hen che
alquanto più moderatamente) uederlo, goder (empre deirefTer con lui,fiC
femprechegli è concelTo» cerca, flcfj sforza di farlo. Per jl che durando
quella pratica tra co:$ ftoro,iI cauallo trifto dell'amante al Rettore riuolto,
domanda per tante fue fatiche un breue, flCinhonefto piacere. Il cauallo
all'incontro del giouane non fa quello,che fi habbia à dire, ma tutto anfio^fiC
nell'amor commoflo,ama raman te tanto,quanto egli é amato.à: fi gode di luti
uer uno ritruouato^che tanto lo ami,£C di qucU io con lui fa fefta,&fi
rallegra. Et ftando iti quefta conuerfatione.è paratiiTimo quanto à lui è
poiTibile à ogni defideno dell' amante fcdif^ fare: ma l'altro cauallo col
Rettore inficroe.dalis la uergogna,à: dalla ragione ammaefiirati/ems pre in
fimili cofe gli tono contrani. Per la qual cofa fe coftoro, fecondo un
giuftomodo di uiuerc, fi: fecondo li ftudi della Filofofia fi empieranno di
buom^belii^ft Unti pcijiien^^.meneranno la uita loro feliciffima, flcbeata^con
concordia grandiffima.di loro fteflì padronf;^K in ogni loro affare modefti.
Hauendo quella parte foggiogata, OC uinta, nella quale fta tutto il ultio dell
anima noftra,a: per il contrario quel là altra libera, alla quale la
prudentia,& la bon^ tà fi appartiene. Et cofi al fine di quefla uita ha^s
'^uejidogià le ale racquifl.ate,ueloci al cielo uo^ landò fe n'anderanno, con
ciò fia che habbino uinto un combattimento delli tre, nelli quali fi fono
ri{rouatì,come hai innanzi udito, quale bc ne fi può dire efTere della maniera,
che fon quel li, che olimpici fi domandano; del quale bene nefTuno più degno
può à gli huomini arrecare l'humana temperantia,ò uero quel diuino furo^
re,chehabbiamo detto. MafeqMeftì tali fegui^; fcranno nell'amor loro una uita
brutta. fiC in tut lo di Filofofia priua,& non di meno piena d am
bitione,gli potrà auuenire,che li intemperati cauallj asfalteranno le poco
auucrtite anime lo^: ro,nnientre che ò à qualche difordinato defideno
fodisfaranno,ò mentre che in qualche altra ma:: -niera licentiolamente
perderanno tempo:& con ^ducendoli pure à delettarfi di quelli piaceri^ nel
liquali gli hanno troaati (ommerfi^lj sforzerano ri fejguitare qudk forte di
follazo^chc è dal uoU go perfettifTimo giudicato. Tale che poi femprc fi
daranno inuol(i,flf occupati nella fantafia fodjsfare à quel trifto defidcrio.
Ma haranno quefta fodisfattione, che cercano di rado: per ciò che il penfiero
deir animo non confente tutto à far qucfto, et però quefti fimili amici anchora
f ben che manco amicitia fia la loro che quella, che di fopra ho detto) fiC
mentre che 1 AMOR loro bolle, fiC poi che egli è eftinto infieme amrche^
uolmente uiuono; per ciò che tengono per cer^j to di hauerfi lun 1 altro data
una ftabiliffima ks de: flC però giudicano eder cpfa ingiufta quel^ la fede
rompere, flc doue già erano amici, inimiss ci diuenìre. Finalmente quando poi
alla natura cedono, fiC dal mondo fi partono, non hauendo anchor mefTe le ale,
ma folo hauendo cominciai to à mettere le penne, non riportano poco pre^t.mio
del loro amorofo furore. P^r, ciò. che la diui^ na legge non uuole,che coloro,
che già haueua no cominciato à caminare per quel uiaggio,chc al ciel può
condurre,difcendino nelle tenebre fottola terra.Ma quelli, che qualche lodeuolc
uita fanno, mentre che infiemc uiuono amore^ uolmente, ac infieme rimettono le
ale.comanda (}ue(U legge che fieno beati: di queflo ne c folo cagione amoVe.
Tante adunquc^fl: fi fatte utilità giouancmio gentile, dall' amicitia d'u^» fio
AMANTE, come da cofa diuina ti faranno dars t2,Ma la compagnia di coluiche non
ama,con:s / giunta folamente con la temperantia del mons: do,fiC non con la
diuina, come è lamicitia d uno amante, et data in tutto ad atti,ft operationi
mortali, fiC uili, genererà nell'animo del fuo ami co quella licentia di
parlare, che pare al uolgo uirtù:fiC farà fi che dopo la fua morte preftamens:
teanderànoue miliaanni intorno allaterra,fiC fotto aggirandon et errando.
Quefta nuoua can zona, ò amatiflimo amore, flc contraria in tutto à quella, che
prima detta haueua. quanto più dottamente, fif in quel migliore modo, che ho U
puto, con paroIe, flC figure poetiche, pereforta:/ (ione di Fedro in tuo honore
ho cantato; per il che perdona à quelle parole,che prima diffu, Etqqefte cofc
afcoltan do, dette da me con gra^s to ànimo^ benigno, flcfauoreuole mi ti
moftra^ fiC non mi priuare per qualche fdegno dell' arte damare, la quale già
m'hai conceffa, ne manco punto fcemar la uogli.anzi più tofto fammi gra tia,che
per Tauuenire io fia per que(la cofa più apprezato^chc per 1 adictro ftato non
fono.oUra eli qucflo fe io.ò Fedro co/à alcuna foco degna del tue bel nome
habbiamo det(o,accofa di ciò lifia.il quale fu primo autore del noftro ragios
namento.acfa.che egli per lo auueiiire più di fimili cofc non patii: JC
riuoltalo alla Filorofia, ' ^ome il fuo fratello Polemarco.acciò che Fes
dro.chcfommamentc io ama, non habbia da tenere bora una opinione, fic bora un'
altra, co* me fino à hoggi ha fatfo,ma più torto nello ftu dio dell'amore. et della
Filofofia meni / giorni della Ulta fua. FED. Io anchora.fe gh è il •meglio,
prego Iddio, che ciò mi conceda. Ma io ti dico benejl uero. che io flupifco del
ragios Bar, che hai fatto, ucdendo di quanto babbiauanzato quel di piima: tale
che io comincio à dubitare.che il parlare di Xifia non mi babbi à parer
ba(ro,«humile.fe forfè un nuouo ragios mmento facendo, à qucfto tuo lo uorrà
aiToes oiigliare, Et uoglio che tu fappi,che pochiffB mi giorni fono, che un
certo noftro cittadino lo uituperò grandemente, folamente per qucs fto fuo
fcriuere.* in tutu la fua accufationc lo chiamaua, per largii ingiuria.
Scrittore d'oratio ili. Tale che per qucfto potrebbe forfe,fe egli c punto
defidcrqib di. hpnore.per lo aiuenire fteocriidircriucrc, SOCR. Fedro que» Ha
tua opinione c degna certamente di rifo, ficfarcftimolto lontano dalla
fàn(afia, et dals la mente di Lifia.fe tu pcnfafli. chc eglifufs fc cofi timido.
Ma forfè che tu credi, che quel fuo accufatore dicefli il nero in tutte
quelleco* fe;checon(raLifiadiflc. FED. Certamente Socrate che à me parue cofi ne
anchora à te è oc culto, che gl'huomini grandi, flC nobili delia no (Ira
Republica temono, fiC fi guardano di coms porre orationi.flC no uogliono.chc
fieno uedutc fcritte,per non moftrarc à quelli, che uerranno, dcÀTcr flati
fofifti.effcndocofa facile lo fcriuerc ttnaOratione. SOCR. A quefto modo ò
Fedro tu non intendi il prouerbio del gombito dolce, ilqual prouerbioc tratto
dal lungo, fiC trifto gombito del Nilo.flC debbi pen fare, che ^, dicendofi
dolce, fia facile, come pare che tu cress da, anchora che il fare Orationi fia
di poca fiti* ca.eiTtndo però di grandi (Ti ma. Et ne folamens te iiò fai
quefta cofa.ma anchora penfo che non ti fia noto.che quelli cittadini. li quali
per pruss dcntia fono eccellenti, attendono grandemente à fcriuerc Orationi.CC
à fare che quelli, che uers ranno,le po/Tino uedere. Etqueftì tali di mo* do
amano quelle perfone, che lodano le compo iitioni loro,che la prima cofa di
quelli fanno mentione.meutione.che hano ufanza dir bene delli fcrifs ti
daltrui.douc 11 truouano. FED. Come dici tu queftoJ'Io non ti intendo a mio
modo •r. SOCR, Non fai tu,chc nel principio d'un libro, che da qualche
huomociuile fia corapo^ fto.fi fa fempre mentione di colui, che l'ha lo^ dato?
FED. Inchcmodof. SOCR La primacofa,che,dicono,cquefta. La opinione
noftra,òuerolanofl:rafcrittura fu appruouafa dal Senato, ò dal popolo, ò da
ambe duerquindi con una certa ambitiofa ricordatone di loro ftef fi, mettono
per ordine tutte quelle parole, che quei tali in fauor loro hanno dette, fempre
dando colui, à cui è il lor parere piaciuto.Dopo quefto dicono quello, che
intendono di fcriucj^ re; fempre faccendo moftra del lor faperc à cos^ loro,
che li lodano, flC quefto lo fanno affai uol^s te: ce non folo nel principio,
ma anchora dipoi che una lunghiffima Orationc haranno detta. Parti egli quefto
altro, che uno fcriuerc Oratici ni? FED. Ccrtamentcnon. SOCR. Ho rafe queftò
dir loro è approuato,fubitOj d' allc:s greza ripieni, fi partono dal
Senato,comc fareb bc un Poeta dal Teatro, fe la fua Comedia fuffe piaciuta. Ma
fe per forte fuffe riprouato,ò rifiu^s Wo^ac il lor configlio non fuffe
ammeffo, ne ri:s pìlfafo dfgfiò di cffere fcritfò con gTi àlfrf /non foJofi
cnvpfono di triftitìaqufi tali, ma li loro amici anchora. FED. Sitrattnftano
certa: in rn te non pòco. SOCR. In queflo mo^ do adunque dimcftrànò,chc eglino
non fanno poco conto di qnefto efercitio di fcriuerc, anzi diapprczirloafTai.
FED. Grandemente cer toloftimano. SOCR. Dimmi un poco, Se qualche grande
Oratore, ò ucro uu Re/i haueCs feacquiftata t^nta facultà,a: tanta fcientia nel
dire, che come Ligurgo, Solonc.o Dario, pote& fe degnamente nella fna città
efTer tenuto Scritii tore perfettifllmo^flC immortale, non gli parria f/Tcre,
mentre che anchor qua giù uinefTe quafl fimile^ò uguale à Iddio / Et quelli,
che dopo luiuengono,conriderandoIeccfe,che egli ha lafciato Tcritto, non hanno
di lui quel medefi^ mocrcderer' FED. CertifTimo. SOCR. Pcnfi tu adunque, che
alcuno (fia pur quanto fi lioglia trillo, ft inuidicfo) Uituperi quefto flu dio
dì fcriuerc? FED. Per quelle core,chc tu hai dette, non par conucniente: per
che eia:» {cuno,pare à me,uituperarcbbc quelle cofe,del le quah egli fi
diletta. SOCR. Etperòque^ fto può efferc à ciafcuno chiaro, che alcuno non c
daelTerc uituperato folamentc per che egli i • fciiua. fcriua. FED. Per che
adunque f SOCR. Ma quello c bene, come io penfo, brutto, par:^ lare, a fcriuere
cofe brutte, ftcattìuc. FED. Quefto è ccrtiflimo. SOCR., Qual farà adun qtie la
ragione dj fciiuerc benc,tt male f Non penfi tu Fedro, che ci facci di bifogno
di firoili cofe domandarne Lifia^ò qualunque altri, che ò nero habbia à qualche
tempo fcritto qualche cofa.ò uerohabbiada fcriueie ò qualche fatto publico d
una citta, ò qualche faccéda priuata, quefto lo facci in uerfi, come Pceia,ò
uero in profa come perfona priuata FED. Mi doman di fe io penfo,chc facci di
bifogno domandare, et cercar di fapere quefla Cofaf' Dimmi un pocd, nó fono
alcuni, che uiucndo ad altri piaceri non, attcdono,che à quelli di domandare K
di uoler da ciafcuno fapere la ragioe delle cofef Et quefti tali come faui, nò
attendono nella loruitaà quel li piaceri,]^ quali di ncceflltà hanno prima quaU
chedifpiacere,altrimeti il piacere no fi potrebbe godere.il quale effetto
interuiene quafi à tutti li piaceri del corpciflfp quello ragioneuolmetc fo no
chiamati piaceri uili H di poco momcio. Soc. Noi habbiamo tepo ÓC cfio aliai,
et ancora mi par ueder,che quefte cicaie,<:he fopr'il Capo noftro,.cantano^com'è
ufan«Joio:ncl caJdo,att^ndar^o à quefta noftra difputa. Se adunque elleno ci
uedefTcro addormentati, come fpeffo molti altri fanno, li quali nel mezo giorno
non difputan:: do, ma più prefto dormendo, fono al fonno per poca anuertenza
loro da quelle allettati, merita^ mente fi potrebbono ridere di noi,confideran2:
do,fl£uedendo che dal fonno uinti fuffimo. Ma fe elleno ci uedranno
difputare,fiC conofce^: tanno, che noi non fiamo flati uinti dà loro(co:5 me
fono alcuni dalle Serene, per il che non pof fono pigliar porto ) forfè che
uolentieri ci donc fanno quel premio, del quale per gratia de gli iddii poffono
à gli huomini fare dono. F E Chedonoèquefto? A me non pare hauerlo mai intefo.
SOCR. Non fi conuiene,che uno huomoftudiofo,flC amico delle Mufe, come fci tu,
non fappi una fimil cqfa. Si narra che quc^: (le cicale inanzi che fuffero le
mufe, crono huo mini: ma nate che furono le Mufe,fiC poi che il canto hebbero
moftrafo,fi dice che ad alcuni di quelli tanto quel canto piacque, che per
cantare non fi curauano di mangiare, ne di bere: £C cofi imprudentemente fi
lafciarono mancare la uita: delti quali nacque la fpetie delle cicale, le quali
hanno dalle Mufe quefta gratia,che non han bi fogno di nutrimento alcuno.ma
mentre che ui iooà uono, foci lO'lOOf IfìOt Sì nono, ftmprc cantando fi
mantengono fcnza mangiare, flC fenza bere, Dipoi finiti i lor gior^ ni, (e ne
uanno à trouar le U iife per dargli no^ titia,fl: informare quali fieno quegli
huoniini^ che qua giù amano più una Mufa,che un'altra» Per il che dimoftrando.
à^.Tcrficore quelli, che ^iu che in altro, ne i canti, flC nelle fefte femprc
fi ritruouano, gliela rendono propitia, OC fauo^ reuole, A Erato poi moftrano
tutti coloro, che ne i càfi amorofi Vitrouandofi, hanno il fuo ftu:: dio&ìmitato,6Chonorato.Et
cofi fimilraentc fanno con le altre Mufe,flC gli mettono in gratia coloro, che
più che h altri lamano.Rapportano anchoraà Calliope, OC à Vrania,che
fippreflogli ua,la uita.flC i fitti di coh)ro,che nella Filofofia fi efercitano;fiC
honorano la loro fcientia.Lc qua li oltra tutte le altre Mufe*hanno cura della
cojs - gnitione del cielo, ficfi efercitano in ragionai menti cofi diuini, come
humani con uocifoa^ uiflime* Et però per molte cagioni dobbiamo dir qualche
cofa,ne in modo alcuno habbiamo nel mezo dì a dormire. FED, Habbiamo à dire per
certo. S.O C R. E adunque hormai tempo di dichiarare quello, di che poco fa
ordisi nammo di difputare,ciò è in che modo un'huo inofcriua,ò parli bene, fiC
non bene, £ £ Qocfto c propfo quello, fopra il qnalf ha da eù: fere il noflro
ragionamento. SOCR. Non pcnfi turche fia neceffario^chc colui, che habx^ fcia
da dire qualche cofa/e ne uorrà ragionare a pieno, fiC bene,
habbiapiena^flCuera cognitio:: ne^flCintelIigcntia di quella coia, della quale
pirlaf' FED. Io c Socrate, ho udito dire, che a uno, che debbi diuentare
Oratore, non e nes: ceflario il fapcre quali fieno quelle cofe che ue^s ramentc
fieno giufte, ma debba folamente quel le conofcerc,che al giudicio del uolgo
parran:: no cofi: ne manco debba fapere quelle cofe^ che ueramente fono buone,
« hcnefte,nia quel Ie,chc compaiono. Perciò che dicono quefti tali, che per uia
di quefte cofe non uere^fi può più facilmente perfuadere.che ccn la uerità, SOCR.
Mai òf fdromio,non fi hanno da iprezare li detti de gli huomini faui,anzi fi
deedil/gentemente considerare quel, che fignifichi:?:iio. Et però à me non pare
di iafciar pacare quel le parole,che hai poco fa dette, FED. Tu parli bene, S o
C R. Confideriamo adunque quefta cola in quefte modo. FED. Cowtf SOCR. Cefi, Se
io per cafo fi uolefFi perfuasi dcre,che tu fuffiper uinceregli tuoi inimici.;quando
tu haueffi un buon cauallo,nc alcuno Ai noi f^ipein che coA Me quefto
cauallo,m4'tb fohtfìtnìt tkpm:chc kù ndtì fai gii come uh tJiaalfo fia fatto,
ma che tu penfi,ch'C egli fià ti*» ànimale domefì/co con gì Wcxhi gridi. FED. v
Sequeftofu/fe/ceftameinte farebbe cofa da rr* <ìere. SOCR, N òn ^t^u cfto
non bafta. Ma quando io con ogni sforzo nìi?ngegfìaffi di pet fuaderti (non
f^pendo nt tu^nfc io àltfC ) chè quello anÌTTidefurti^ un cauàlJo/a per quefto
iò liaue^S compóflÀ nna Òrationeìn lode dell'Afiis no, chiamando quello anrm^lè
càuàilo, afferà mando efTere animale pérfètdfTinìo, utile per ca fa, perle
facccnde/tSc prontiiTimo/fiiore aib battaglia, atto à p citar fome.'fiC à molte
altre cofe tommodiffiiT>o> FED. CJi^^efto fi /che farebì be fuòrd^*
pfopofitóalpònTjble. SOCR. Kon è egli meglio, che un'amico fia ficetó,fit
piaceuò!e,5Cche faccia ridere, che ftrano,ttdi malanimof F '£ O.Cofi par à me.
SOCR. Qnan do adunque un oratore ignorate del male,tt deì bene perfuade i una
città fimilmenre ignoranti non con una oratione compofta in lodxr d'uno Afino,
penfando che fia un Caudillo, ma ragion Dando. flC difputado del male, cr€dedo
che quel lo fia bcnetflC cofi tirando à Tua diiiotionc le opf n oni del uolgo,
metta in quella citta tìn'ufanzà dì far male in cambio dì b'efie,che ricolta
pcnfi tu che un fimile oratore facci della fua (cmtiìUi FED. Non troppo buona.
SOCR. Non confeffihoratu,chc noi habbiamo uitupcrato l'arte dell'orare un. poco
più fcioccamcnte.chc non fi conueniuai' Et fc per cafo ella ci haucfle fentifo,
flf bora fiuoltafTc à noi, «ci dicertr* Seteuoiimpazati Socrate, fiC Fedro mici
cari^ 10 n5 sforzo alcuno à orare, che prima non hab bia cognitione del uero:
ma fé gli huomini fa;? ranno à mio modo,airhora mi imparerano quan do la ueriti
haranno cpnofciufa.fiC io ui pofTo af fermare quefto con uerifà (il che è
certamente gran co(à)che anchor fenza l'aiuto mio, pur che uno fappi render
ragione delle cofe.flC le cono:? fca,harà in fe ogni modo l'arte del perfuadcre
5, Se coftei dicerte cofi,non harebbe ella ragione. FED. Io te'lconfertb^purche
molte ragion ni, che io ho intefo, faccino teftimonio,che il fa per folamente
fia arte; per che è mi pare hauer^ udito certe ragioni, che prouano^che l'arte
del dfre fenza il fapere dicendo d'eflèr l'arte, nò dice 11 uero: per cièche
altro non è, che un' ufo fen za arte. Et Lacone difre,che la uera arte del dire
fenza la uerità trouar non fi può, ne mai fi tro^s uerà. Qtjefte ragioni ò
Socrate fanno hor di bi? fogno, flC però adducendole moftrami un po^
coqucl,checoftoro dicano, flCin qual modot^ SOCR, Soccorrlnmi adunque, ft
ucngano -in mio faiiore tutti gli animali generofi. fiC pcrsx iiiadinoà Fedro,
che fc egli non attenderà alla Filofofia non faperà mai di cofa alcuna à
baftanza ragionare, flC Fedro mi rifponda ogniuolta, che io lo domanderò. FED.
Domandami adunque SOCR. Dimmi un poco,la Ret^ torica non diremo noi, che (la
una arte, che per mezo delle parole alletti gli animi de gli huos mini^ Et
queflo lo fa non folamcnte dauanti al li giudici, flC nelk altre publiche
raunate di huo mini.maanchoraquefta medefima arte difpu^.terà nelli priuati
ragionamenti Mi ciafcunacofa cofi d'importantia,comc non. Per ciò che nien^ te
è più honoreuoie,ò più degno il parlare con arte nelle materie grandi,che fia
nelle piccole* Hai tu mai udito dire quefto.^ FED. Non io certamente,anzi ho
intefo,che quefta arte fola^ mente (ì efercita nelli giudicii,flC nelle
Orationi al populo,ne ho mai udito, che ella fi di^lenda più in la. SOCR • Hai
tu mai intefo ragion tiare della grande arte del dire, che Neftore,fiC VlifTe
efercitauano, mentre che erano à Troia? Hai intefo quella di Palamede 1* FED.
Non io,fe gii tu nò uoleffe dire che Gorgia fuffe Nes ilore,£C Kimilmente che
Trafimaco^ Teodoro fttfléio \Wc. SOCR. forfè che io !o pos»rei dire. Ma Ufciamo
andate ccfloro.fiC rifpon» aiini à quefto, ISe i gindicii gliauuerfani^cb*
liàtaftcìoi «gUno r Non cercheranno feinprc dt cònfradire à tutto quello ^che
dice la parfc confrariac Puoi tu dire,che.faccino altro;' F FED. Quefto
ianno.ft non altro. SOCR. Non contendono, et djfputano fempre cjual fia il giù
ftoi,« qua! fu k) iingiiifto f FED. Cofi è, j^ SOCR. Colui.che faprà fare
quefta cofa con jirtc,i.ion potrà fare anchora che a quelli mede» fin^i pai»
uni cola ficflahora giufta.fthora in;s giufta,.^ fEI>. lo potrà fare per
certa» / SOCR.. Ijtfuwlmeute egli orerà in pu*» l>ljco,potrà fàre,cheaHi fuoi
cittadini le medes fitBCCQf? parranno Upra buone, <SC hora triftc;* FED.,
Cerfaaiente. SOCR. Et quefta nonèsnarauigliofo.perchc noi habbiamo rn*
tefo.ehe.i^aUiBede Eleaf€,eol fuo artificio del dire era fclito far fi che à
chi,!f)..udÀua.pareflero ie noe defw«.<pfe bora fimili.Sf bofa'diuerfe,ho ta
una c.o{a,iibU,ft hor» wp] te-, bora che ogni cq. fafufreiaiwobile.&hora
che i'ufliuerfa fcms: pre fteffe i,n moto, FED. l' ho intefo ans ^' io pei
certQ. SOCR, Adunque quefta jppteftUa, di confradiKiik fiofe d^tte innanzi^.
non folo è porta nélli giud/di, ft nelle pubfi^' che radunate, ma anchora^come
ti ho moflratoj fi truoua in ogni ragionamenfo,che fi fa: per ciò che dò che fi
dice tutto è un'arte, con la qui le ciafcuno potrà fingere, flc dare ad
intendere à ogni perfona, che tutte le cofe fieno fimih'^ac faperi trouare i
nìodi di moftrare quefta cofa,fl(intenderà come habbia a fare, chiare quefte.
fo:*. miglianze. FED. In che modouuoi tu,' che fi facci quefto.^ SOCR. In
quefto* Dimmi un poco,rngannanfi gii huomini in quelle cofe, che fono tra loró
molto differenti, ò in quelle. che fono poco? FED. Inquelle^ che poco fono
diffimili, SOCR, Bene ha( rifpofto. Hora fe tua poco i poco pafferaida un
fimile all' altro, più facilmente potrai inganni naregli auditori,che fe in un
tratto dfalterai FED. Chi dubita di queftof' SOCR. Adunquc bifogna.che
ogniuno,che uorrà ingannare un* altro, facci prima in modo, che no fia
ingannata egli. Et però farà necefrario,'che conofca beijiJ(fi ino le
fomigliaze flf le diffomigllanze delle cofe. FED, Quefto è neceffario, SOCR.
Potrà adunque uno che fia ignorate della uerftà di eia fcuna cofa dar giuditio
della fimilif udine ò gran de^ò piccola di quella cofa eh egli non cooofcc/
FED. Qnéftocimpofribile. SOCR. Et però c cofa chiara, che coloro, che hanno
qual^s che opinione fuor del naturale, ò credono il fal^ fó di qualunche 'cofa,
non per altra cagione fo^ no in quella fantafia, flCin quel falfo parere, che
per qualche finiilitudine,che gif ha ingan^ mti. FED. Cofi interuiene. SOCR.
Potrai tu dire adunque che alcuno, fé farà di quellocheuorriadifputare
ignorante, pofTa con con arte,flC aftutamente à poco à poco rimuoue^ re uno dal
uero,fiC fargli credere il falfo per uia di qualche firnilitudinej'ò crederai,
che quefto tale poffa fardi non cafcarc nell'errore, nel qua^? Ic'cerca gli
altri condurre FED. Certo che io noi crederò mai. SOCR. Et per quefta cagione
qùàlutìque perfona farà ignorante della uerità dolina cofa, et folo
dairopinione fi lafirie* rà guidare, coftui dimoftrerà di hauere un'arte di
dire fciocca.flC più da fare altrui ridere, che buona ad altro, FED. Cefi mi
pare certe. SOCR. V noi tu hora uedere, ft confiderare flC neiroratione di
Ljfia,che hai in mano,& nel feritire il mio ragionamento, douc fi parli
artifi^t. ciofamentc,a: doue fénza arte. FED. Que^i fto uorrei io più che altra
cofa. Per ciò che al prefcnU noi ragioniamo troppo feccamcnte.no potendo
pofendo dimoftrarc ercnopi chiari di quelle co* fc. che diciamo. SOCR. Si.ma
ionogho, che tu fappia.chc la maggior parte delle Orationi fon dette à
cafo.come è manifefto: le quaxs li ci moftrano chiaramente, che un' huomo.chc
appia bene.flc conofca la uerità delle cofe.men tre che egli con parole
fcherza, ec fenza punto penfarci.ragiona.conduce l'audifore à quello, che
uuole. Et io certamente Fedro, penfo che gliiddìi di quello luogo habbiano
hoggi cagio nato in me quefto effetto di perfuaderti.ft forfè potrei anchor
dire.che le cicale interpreti delle Mufe.le quali fopra di noi cantano,mi
habbias no fatto quefta gratia. per che in foma in me nó è arte alcuna di dire.
FED. Sia come tu uuoi. pur che tu mi moftri qucl.che mi hai promelfo. SOCR.
Leggi adunque il proemio dell' Os catione di Lifia. FED. In questo stato certamente
fi truouano le cofe mierflC quefto.come hai poco fa intefo da me, penfo che mi
babbi à gjouarc affai. Hcra io uoglio che fappia.chc io ftimo,a: giudico, fe
cofa alcuna io ti domanderò.doucrs la da te per quefta cagione impetrare: per
ciò che 10 nó fon prefo del tuo amore. Et che ciò fu iluero,tu fai che gli
amanti, come prima han*; 1)0 la !or libidine faflata/i pentono de i benefis
ci.che t'hanno mai fatti. SOCR. Non legge/ pili. Bifogna bora dire in che cofa
coftm erri.flC quel, che dica fenza artt. Nò ti par cofi:' FED. Certamente.
SOCR. Dimmi un poco, non è quefto chiaro à ciafcuno.che in molte cofe ne i
ragionamenti noftri tutti crediamo à un modo, fi(in molte altre non habbiamo il
medefimo ere derei? FED. Ben che mi paia intendere quel, che tu dici, però io
uorrei che lo diceffi più chia ro. SOCR. Quando unofa mentione del fer ro,ò
dell' argento, tutti fubito intendiamo una incdefima cofa. FED. Certo. SOCR.
Inter uiene egli cofi.quado fentiamo il nome del giù fto.ò del buono, nò crede
all' bora ciafcuno dis uerfamente? Et non pure non ci accordiamo con l'opinione
de gli altri.ma anchora fiamo in dubio della noflra. FED. Cofi ua. SOCR. tt
però in molte cofe acconfentiamo tutti à un inedefimo.flC in molte fiamo di
uarie opinioni. FED. Cofi è., SOCR. Doue potiamo noi più facilméte effere
ingannati. « in qual d,i que ftc cofe ha la Rettorica più forza:* FED. E cofa
chiara, che in. quelle. delle quali più dubis(iamo.piu ha forza l'arte del
dire. SOCR, Et per quefto fa di bifognoi colui, che uuolc ini. parare. jwirare,
R atrquiflare la Retorica, prima di uederc quefte cofe tutte ordinatamente, et feparare
Tuss na dair altra, et gli è neccflàrio ccnofcere di quaf forte fieno le cofe
tatte,intorno alle quali fi può. ragionare, ò uero della forte delle dubitò
pero delle certe:fiC fapere doue maggiormete il uolgo poffi elTere
ingannato,fiC doue nà, J^Jf. U. Ccf tamente Socrate che colui, che col penfiero
^ja^ piffe quefta cofa,che tu dici,harel)l>c una bella cognitione. SOCR.
Dipoi io penfo, che quc fto tale debbia fapere la natura diciafcunacofa, acciò
che dj quella quado gh' farà bifognOjpofFa render ragione: fiC uoglioche
ingegnofamente intenda di qual forte, fiC di che genere fia quella cofa,
intorno alla quale fi debba ragionare ò delle dùbie,Q delle certe. FED. Perche
noni SOCR. Diremo noi, che 1 amore fia poftq tra le cofe certe, ò tra le
dubiei' FED.Trale dùbiecertamente. SOC, Penfi tu ch'egli fi conceda.maliche tu
dica di lui quelle cofe, che poco, fa.hai dettecelo è eh egli fia noceuole all'
amato, flC ali amante Et dipoi ch'egli fia il maggior bene chefitruoui:'' FED,
Tu parli bene. SOC, (Ma dimmi un poco anchora quefta cofa, per cheÀdirti il
uerojo non mene ricordo troppo bene Ì>er effer ^ato io nel ragionamcto mioi
occupato a uinto da quella diuinifà,clic fu (af. Ho io nel principio della mia
difpufa difBnifo^chc cofa fia amore? FED. Si hai,flC beniflimo. SOCR quanto tu
dimoftri (dicendo che io fi bene rho diffinito ) che le Ninfe d' Acheloo.flC
Pan figliuolo di Mercurio, fono più ingegnofi al comporre Orationi, che no fu
Lifu,per ciò che quefti mi hanno fatto dire. Non ti pare egli, che iodica il
ueroi' Ma Lifiaanchora nel principio della sua orazione ci sforza ad intendere,
che la more (come egli vuole ) è un non fo che po fto fra le cofe dubbie, flC
incerte; flC cefi accomodando a quefta cofa tutto il feguente fuo ragionamento,
fini la fua Oratione • Vuoi tu, che un'altra uolta leggiamo il fuo principio.''
FED. Come tu uuoi,ben che quel, che tu cerchi, ih efTo non ci fia • SOCR. Leggi,
acciò che io loda. FED. I N Q^V E S T O flato certamente fi truouano le cofe
mie: ft quefto,come hai po:s co fa intefoda me^penfo che mi babbi à gioua^ re
affai. Hora io uoglio, che fappi,che io iiimo, ce giudico, fe cofa alcuna io ti
domanderò, do:s uerla da te per quefta cagione impetrarerper ciò che io non fon
prefo del tuo amore. Et che ciò fu il uero^tu fai che gì' amanti^come prima haa
DO la lor libidine fatiata, fì pentono de i bcnes: fìci, che ti hanno mai fatti.
SOCR. Egli c molto lontano, fecondo me, da quello, che noi cerchiamo r perciò
che egli pare, che fi sforza di ordinare il fuo ragionamento, non cominciando
dal principio, ma dal fine, con un certo modo à contrari0,ac fotto fopra» Et
che fu il ucro,uedi che comincia da quelle cofe,che l'amante rin^j fàccia al l'
amato, dipoi che T ancore è eftinto, "N 5 tifare egli.che 10 habbia detto
il uero FED. Senza dubio che quello, di che egli nel princirs pio ragiona,è.il
fine. SOCR. Che diremo noi delle altre cofer Non ti pare egli, che tutte le
parti di qiiefla Oratione fieno fparfe confufa:? mente Pcnfi tu che quello, ch^
egli nel fecon;? do luogo ha detto della fua Oratione, egli V hab bia congiunto
con la prima parte, conofcendo cheneceffariamentegli bifognaffefàrlor Et fi::
milmentc le altre cofe,che^egIi ha dette, credi tu, che le habbia con
ordinc,flC con modo difpo fte^ Per ciò chea me, che fono dbgp.i cofa igne
rante.pare che tutte le cofe, che da uno fcrittore fono dette, non debbano cfler
dette, flC ordinate fenza cagione. £ t però uedi, fe tu fapefli truo;? uare
qualche cagione nectffaria^per la quale noi potiamo.dirc,che egli fi fia mcflo
à ordinare,flC H ili djTporrc il fuo ragionamento nel moclo,chc hib biamo
ucdiifo. FED, Troppofareblfc ò So crafe,fe io cefi fcttilmente fapeffi dare
giudicio dellifcritti d'altrui SOCR. Io penfopu:^ rechebjTogneri,che al meno tu
dica,a:con5: fe/Tj quefio cbe tutta un'Orationc debbia ciictc come Ufi animale,
fiC debbia bauete il fuo corpo, i\ quale non fia fenza capone non gli manchi:^
no li piedi, ma che gli babb/a ciafcuna fua parJe conuemente,a: coirifpondente
al tutto. FED. Che uuoitu dire per qucfto?' SOCR. Cons: fiderà ti prego, fc
TOratione del tuo amico Ga fatta cofi,c) altrimcnte,truouerai che ella none
punto difterenfe da quello Epigramma Jl^ua^s le alcuni dicono,che fu fatto
(opra il fepolcro diMida Frigio. FED. Che Epigramma è ques fto,ftdicheforte/
SOCR, Odilo,egli di^ ccuacofi, Son fu' 1 fepolcro una Vergìn di Mida/ Fin
ch'andran T acque, et fien le piante ucrdi. Qui dando, ammonirò cialcun che
pafTj, Che nel mefto fepolcro Mida giace. tìora 10 penfo, che per te fteffo
beniffimo co nofca, che non importa qua! parte di quello •ponghi prima^flC qual
dopo. FED. A ques: fto modo ò Socrate^ tu bufimi, fi£ mordi la no^ ftra
Oràtiòìiè SOCR. Lafciamo adunque àhdare.acciòche tu non (i corrucci meco, ben
che in efTa fi potrebberotroirarcmolti efempi, li qaali confidcrati^ci uerrebbe
quefta utilità, che non imitafiTimofinrili modìdi dire. Ma pafe fiamo alle
Orationi di certi altri, le quali certa:^ irierife hanno in fe qualche ccfa
degna d' cfTerc offeruata da coloro, che di quefta arte fono fturs dioG. FED.
Che cofa è quella, che in que:s fte Orafionifj pnoofTeruarer SOCR. Queftc'
Oratfoni erano tra loro contrarie, per c òchc una irfFernnaua,cbe un giouane
aniato fi douefle ac:? coftare alTamante: <3C un'altra à uno, che non
amafTe. FED. Beniflimo certamefc. SOCR: Io penraua, chc tu rifpondeflj con più
uerità,flC che tu diceffi non bcniflimo^ma pazamente,flC furiofamenfe
certifTimo/non di meno quel, che 10 uoglio dire flC che io cercaua,che tu
diccffi nò può efTerc alfritnenti^come fi ixìoftrerò. Nò hab biamo noi detto
che lanDore abro non è, che un certo furerei' Ì FED.Cofl hàbbiam detto. Soc;
Horaio pogo due forti di furore J'una delle qua 11 èda mancamèto humano
cagionata, lai tra prò cede da una diuina alienatone dr menfe^per la quale è
l'huomo rapifoflC leuato d^lla fu a ordina Ila uita. FED. Cofi è per certo.
Soc. le parti adunque di qucfto furor diuino fon quattro, aU le quali anchora
quattro iddii fono propoftjrpcr dò che noi diciamo, che Apollo fia di quella
inrs fpiratione cagione, che à quelli Sacerdoti uiene, che poi indouinano quel,
che debbe efTere nel tempo auuenire, Dionifio della cognitione di quelli
mifteri,che fono più occulti, flC delle co^ fe, che s appartengono al culto
diuino. Le Mu fc della Poefia, Venere, et Amore dell'amorofo furore affai
migliore di tutti gli altri, £C io non fo in che modo,metre che dianzi uolfi
con imagi^ fìijflC fimilitudini moftrar l'effetto d' amore /orfc può cffcre che
io habbia detto qualche uerità,flC forfè anchora ho trapaffati li termini del
uero. Et perqueflo mefcolando cofi quelle cofe,chc hora ho dette, quel mio ragionamento,
il quale non fu al tutto da efler biafimato,tu fai, ch'io or dinai,flC compofi
quella mia fabulofa diceria, flC quafi fcherzando, fiC per giuoco, modeflamentc
lodai il tuo, ce mio Signore Amore, protettore de giouani gentil* et belli,
come fei tu, FED. Qiiefle cofc l'odo molto uolentieri. SOCR. Et però bora da
quella mia Oratione potremmo cauare, fiCfapereinchemodo la noftra difputa
uenifTe dal biafimo,onde la cominciamo, alle iodi* F E Etcomeuuoitu fare
queflof SÒCR, A mccertamchff pare, che fin qui habbiamo parlato per burla. Ma
fe farà alcuno, che artificiofamente conofca la forza delle due forti, flc
delli due modi di difpufare, nelle quali bora fiamo à cafo incorfi,coftui certo
harà fatto un'opera degna. et bella. FED. Che forti, fiC che modi di dire fono
qriefl:i,che tu dkii SOC La prima è qucfta. Che colui, che uuol
dirputare,facendofi nella mVnte un'idea di tutte le cofe,che uuol dire: et hauendo
à quel [a folamente l'occhio, metta infieme tutte le cose,che fono fparfe fif
diuife, acciò che uedendole tutte raccolte, dando poi la uera dìffinitione di
ciafcuna.quello facci chiaro,& manifeftp,intor:3 no al quale fi difputerà:
come al prefente hab:* biamo fatto noi, che habbiamo diffinito che cofa fia
amore, flC ò bene, ò male, che Thabbiamo fatto, hai pure hauuto la noftra
difputa,per quefta cagione una chiareza, flC una concordanza in tutte le
cofe,che dipoi fi fono dette. FED. Le altre forti di direnò modi, quali iiuoi
tu che Heno ò Socrate. SOCR. L altro modo é quc fto. Che come egli ha tutte le
cofe raunatein uno, di nuouo parte per parte, fecondo la natu^ ra loro, le
diuida,flC parta, flf non fpezi,ògua{|ti membro alcuno del fuo ragionamento,
come farhora li cuocKi mài pratichi fogliono farc,rna faccia quel medefimo.che
habbiamo fatto noi ne i ragionamenti pafTati; nelli quali habbiamo tntefo
quella mutati6e,ò alienatione della mtrte generalmente, ac con parola commane,
anchora che fia buona,& cattiua, Ma fi come in un cot^ po quelle membra,
che fono doppie, si chiama? nocol medefimo nome. ma uno é detto dcftro;
raltrofiniftro",ccfi qiicfta forma della aliena:: tione deliamente
noftra,la quale è dall'amor cagionata, è per natura fua in noi una foIa;flC
cefi babbiamo detto nel ragionamento noftro. Et pero quel pripio parlare,che
facemmo, diuij dendola parte finiftra di quella alienatione, ò mouimento della
mente, fiC di nuouo poi pars: fèndola,non fi reftò,fin che egli ritruouò unais
mor finiflro.il quale conofciuto come cofa non conueneuolfe, uìtuperò. L'altro
ragionamene: fo/he dipoi habbiamo fatto, ci con du (Te à co:s nofcere la deftra
parte di qucfto furore, doue un amor ritruouando inquanto al nome fimile al
fJrimo, inquanto à gh effetti diuinojo lodò, et ingrandì con parole, come
cagione di gran^s diffimi noftri beni. FED. Tu dici il uero. Si SÒCR. Io
certamente o Fedro fon molfo. imito di quefle dmifioni, fiC diquefti
raccogli:?* tendere quel, che io ucgl/o più facilmente; Ò[ meglio ne polfa
ragionare. Et fé mai io ueggo alcuno, che fo penfi^ che egh fia atto a confide
fare bene prima quella idea unfueifale,chc io fi ho detto, pei particolarmente
la moltrfudinc delle cofe fecondo la Datura tero di coftai io feguito le.
pedate, ftgli uo dietm mn altrias menti, che fi fuffe diuino: et colcrO;che tal
eoa: fa fono atti à fare, io gli cKiiimo Dialettici, fc io li chiamoo bene,o
male. Iddio lo fa lui.. Ho: ra dimmi tu di grafia in che modo secondo il parer
tuo, ò di Lifia, tu chiamavcfti coftoro. pare à te quefta q^iella'^arte del
dire, che ufb Trafi^ maco,'flC molti altri faui, li quali per il dir lo? ìfo
furono fenzadubio fiut,coiiìeho detto, flC anchora fecero gli altris"
Talmente che q^ielli^ che da loro impaiono, uorrehbero o'fterirgli do:? )i, come
fi fuol fare à grvndifTimi Re FED. t), Certamente che cometudici.qucUi tali
huo* mini fonodiqncllo honore meriteucli, chealli Re darfi uediamo,ma non per
qaeflo fon dotti in quelle cofe, delle quali hoxa tu domandi. Ma à me pare, che
qnefto fìuouo modo di ragiò nare,tt di difputare^che hai truccato, il quale tu
chiami Dialettica Jo chiami cofi r^ioneuob mcntc.manon per qucdo fappiamo
anchora;' ihccofafialaRettorica.ma fi bene la Dialets fica. SOCR. Come dici tu
quefto !" Penfi tu che cofa alcuna bella,ò ben detta pofli efTerc
giudicata, che quefti miei ordini non feguitf, quantunque con arte fi impari i
Hora per ciò che queftofolononbafta non uoglio che noi lafciamo à dietro
quello.che oltra ciò nella Ret torica faccia di bifogno. FED. Molte cofe ò
Socrate fonoftate lafciafe fcritte ne i libri, che dell'arte del dire fono
flati compofti. SOCR. Hai detto beniflimo, Pcnfo aduque.che il proc mio fi
debbi dire la prima parte della Oratione^ Non domandi tu quefte fimili cofe gli
orna* menti iieri di quefta arte. FED. Senza diibs tio. SOCR. Seguita nel
fecondo luogo la fiarrationé.flC infieme il produrre de i teftimos ni, nel terzo
ucngono le conietture.flC nel quar to gli argomenti, cauati da cofe uerifimili.
Et pa re à mecche un gran compofitor d'Orationi.chc fu da Bizantio,ci mettelTe
anchora le pruoue,CC le ragioni, che faceuanoper colui, chcoraua. FED; Tu uuoi
dire Teodoro, che fu fi eccels lente, è ucro;" SOCR. Si certamente. Coftui
anchora trojiò nella accufatione,fiC nella difens fione^i argomèti raddoppiati,
£t per che non faciamo fìoi ricordanza di Euano Parìo? il qùàfc prima à
tuffigli altri frouò le dichiarafioni: flC cifra di quefto fu inucntorc delle
Oratiohi.chc in lode d'altrui fi fanno, fiC non mancano molti che dicano, che
egli per meglio à memoria ntc^ nerlc,tramezaua le fuc Orationi con certe uifua
pcrationi fatte in uerfi. Et di ciò non è da mara^ uigliarfi^per che egli è un
huomo fauio.Lafcia^ mo pur andare Tifia,flC Gorgia, li quali propone gonoil
uerifiHiile al aero, flc con la forza delle Orationi fanno le cofe grandi parer
piccole, flC le piccole grandi, fimilmcnte che le cofe uec:s chic moftrino
effcr nuoue,& le nuouc uecchie, hanno trouato una breuità di parlare moza,
ft poi per il contrario una infinita lunghcza di parole. Le quali cofe gii
fentendomi raccontare Prodico,fe ne rife,a moftromi.chc egli folo ha: ucua
trouafo, quali parole à quella arte (àceffe; ro di bisogno; et mi difTe^chc
ella 'non haucua di bifogno di molte, ne di pochc^ma fi gouer^ naua in quel
mezo. FED. Sauiamentc difTcProdico. SO CR. Non fa di bifogno ricor^s dare
Hippia,per che io penfo,chc con lui s'accordi anchora il noftro hoftc Helienfe.
F E Non bifogna per certo. SOCR, Che dirc^ mo noi della confonante
concordanza.che ha rif rollato Toh? il q irate In qu arte introcìufjs le
repllcationi delle parole Je fent?tie,le com paratìoni Je fi m i li fri di ni,
et Tufo de i nomi con. elegantia in quel n5odo,che egli da Lidmnionc
l'apprefTe. FED. Dimmi un poco Socrate^ li (critti di Protcìgora non erano
quafi fimilià Èjuefti.^ SOCR. f^edro mio, il parlar di Pros rtagora è buono,
fif propio,££ nel luo ftilc fi truo uaJiomoltecofcnurauigliofe.tTia nel
niuouerc à pietà, fiC a milericordia^ccl ricorJfe41i iiecchie za^ò la pouerfà
lorafore di Calccdonia fù cccel:r Jente, et aiicliora ikH' incitare,fl£
mitigare l' ira ^cra potentifiìnio^fii non altrimenti placaua una.ifato^che fe
egli liane/Te adoperato li incanti: fa anchcra fopia tutti gl'altri nel
difendeifri, fif pur garfi dalle calumnie dateli, et nel darle ad aU tri ogni
uolta,che gli bilognaua. Ip forno al fi:? ne delloratione pare a mecche tutti s
accordino infieme^ma-ino^ti chiamano quello fìne, Repetitione, 5(molti Ju altro
modo. F FED. Voi tU che li fine fu il ridurre nella memoria alli audi:^
toribrtuemente tutte k cofe^che difopra fono fiate detter SOCR. Q^ieflo uoglio
che fia^, Ci fe tu inforno à ciò fapeifi qualche altra ccfa;
dillà,cheiouolentieri ti. afcolfo» FED. Io certamente non fo fenoa cofe di poco
moipens! to,ac non degne d'efTer rfcordafe. SOCR. le cofe di poca importanza
lafciamole andare;' flC pm predo attendiamo à dichiarare che forza habbia
qiiefta arte quando quefta arte fi pot ficonofccre. F E Grande certamente, fes;
condo me, è.la forza della oratoria apprefTo alla moltitudine, flf al uolgo,
SOCR. Grande per certo. Ma confiderà un poco di gratia,co^ me fo io, come
queftì Oratori, uanno con tutu quefta loroarte.non di meno male in ordine, flC
mefchinamente, FED. Dimmi un poco^ quefta cofacome uaf' SOCR. Stammià udì:: te,
Se fuffe unoxhe trouando il tuo amico Lifi:^ inaco,gli djccfli in quefto modo (o
uero a fuo padre Acumeno ) Io ui dico, che io fo beniffi;: 8ìo,flC conofco
quelle cofe, che accoftate à nn corposo uero da un corpo adoperate ufate,fa rò
chea mio fenno quel corpo fi rifcalderà^flC raffredderà.oltra di quefto io fo
prouocare il uo mito,fo fare reuacuatione,fo ordinare lepurga^. tioni,&
intedo molte altre cofe funili: per il che io fo profeffione di Medico, flC
dico di poter fare diuetare Medico ciafcuno che uprrà. Se uno gli parlalTi
cofi,che penfi tu che gli rifpondeffero Ped.Che uuoi tu ch'io dica altro, fenó
ch'eglino i'^auefferoà domadareje anco egli fa à quali per fonc.in che fempi.ft
fin quanto queftc tali co* fe.chc egli dice fapere.fic conofcere/i hauefles ro
à operare, fif ordinare. SOCR. Seaduns quc colui gli rifpondeflé.che egli di
qucfto nó (àpe/Tj render ragione. ma che faccfTc di bifos gno.che colui che
hauelTe imparato da lui quel le cofe che egli fa/apeffe per fe fteflo.fiC
potcfle fare il rcfto.fiC conofcefle i tempi, £t le perfonc, uerfo di chi.fic
quando fi haucfTerà à mandare à effetto. Se quefto tale gli dicelTe cofi.che
penfi tu.che eglino gli rifpondelTero.'FED. Cers tamente che altro non potrebbono
dire.fenon che quefto (al'huomo fiifTe fuor di fe, con ciò fia.che hauendo
folamente da qualche libro di Medicina udito una pocp cofa.ft elfendogli nel
leggere uenutoalle mani qualche modo di mes dicare, et non di meno non
intendendo di quel la arte cofa alcuna, penfi per quefto effere diuen tato
Medico. SOCR. Ma che diretti tu.fe fulfe uno, che.andaffe à dite a Sofocle, flf
à Èus ripide.che egli fa i -una piccola cofa fare un lungo parlamento, ec per
il contrario fopra una grande parlar breuemeute.'' Oltra di quefto che ogni
yolta.ehe uuole.fa commouerc gli audis tori à mifericordia; flC fimilmentc
all'ira.che è fua centuria, fa far nafcere horrore ec spauento/ fa minacciarci
fa fare fimili altre còfc, fiCchc fieli' infegnarle egli penia faper moftrare
Tartc, ce la Poefia Tragica. FED. Io penso che costoro similmcnte si
riderebbero di lui, uedendo che egli teneffe per fernìO,che la Tragedia folas
niente fi conteneffe nel far quelle cofc^chc egli dice fapere.CC non
peniaffe^chc la uera Tragedia uuole tutte quefte cofe bene infieme compo fte,a
ordinate, fic uuole hauere tutte le parti tra loro corrifpondenti.flC
conuenicnti alla materia, CCalfubiettodellacofa* SOCR. Etnopea fo io, che per
quefto eglino lo riprendeffero uiU lanefcamentc, ma farebbero come un Mufico,
che fi abbatteffe in un'huomo,che fi pcnfafTe d'efTer Mufico folo per fapere in
che modo le corde fi faccino fonare, hor bafre,hor alte.Que^ fto Mufico, che fi
deffe in coftui,non gli direb^: be con un mal uolto, O pouero \ te, tu impazi (iome
ogn' altro forfè farebbe ) ma come Mu^i fico. h quali fono tutti piaceuoli.cofi
più amo$ reuolmente lo ammonirebbe. O huomo da be^ ne,colui che debba effer
Mufico, bifogna che fappia quelle cofe, che fo io: £C colui, che fa deU la
Mufica quello^che fai tu/i può dire, che non ne fappia cofa alcuna: per ciò che
tu folamente conofci quelle cofe, che dauanti all'armonìa fof^ no nfceffaric^ma
della armonia ne fefignoranfc; FED, Beniflimo, S O C R. Similmcnfe potrebbe
Sofocle dire à colui, che gli fi facciTe incontro, come io ti ho detto, ciò è,
che egli più predo fapcfTe quelle cofe,che uanno innanzi alla Tragedia, che
eghconofceffe, che cofa fuflc Tragedia. Et fimilmente Acunieno Medico po trebbe
dire à quello altro, che egli fapcffe queU le cofe,che uanno innanzi alia
Medicina, ma che la Medicina non la intendere • FED Cofièper certo. SOCR, Ma fe
lo clegans: tifljmo Adraflo,flC Pericle udifTero quelle parole fcelte,
ftartificiofe, quelli parlari mozi, quelle fimilitudini,fi£ quelle altre
cofe,chepocol'arac contauamo, fiC narrandole giudicauamo effer da confiderare^
penfiamo noi, che eglino (come forfè faremo noi ) fi adiraffero con coloro, che
tal cofc infegnando,penfafrero infegnare l'arte ora^ toria,òpure uogliamo dire,
che eglino, come più faui di noi, in quefto modo dicendo ci ris: prendefferoi'O
Socrate, Fedro Je fonoalcu:? tti.che elTendo ignoranti dell' arte della dialettica
non pofrono,ne fanno diffinireche cofafia rettorica, con coftoro non dobbiamo
adirarci, ma più tofto hauergh compaflione, ££ perdos: nargli Et fono aUuni^chc
ftandofi in quella lo ro fgnorantia, mentre ch'eglino folamenfepof^s^^ggono, fiCfanno
gli amniacftramcnfi, che quel lecofe inlegnano, che uanno innanzi all'arte
della Rettorica,fi uantano,fiC gloriano di hauer troua(a,ec di faper
perfettanìente la Rettorica! ce infegnando folamente quelle cofe che fanno, pensano,tt
dicono di infegnare l'arte dell'orai fc perfettamente. Ma poi il modo di
teffeie in^j Cerne, 6f commettere tutte quelle cofe in un cor po,in tal modo,
che à chi rafcoIta,po(rano per:? fuadere, dicono che fa di bifogno,che lo
fcho;s lare fe lo guadagni, fiC per fe ftelTo Timpari^cois me le à ciò non fi
facelle di bifogno il maeftro, FED. Tale certamente, fecondo me, èquellaarte,
che coftoro in cambio di Rettorica infegna no,a: fcriuono; et mi pare, che tu
habbia detto il uero. Ma dirami un poco in che modo,flC per che uia potremmo
noi acquiftare l'arte d'uno Oratore.flCd'unperfuaforeuero SOCR. Egh è cofa
conueniente Fedro, et forfè neceffa^ ria, che fi come in ogni altra cofa,cori
in quefta un'huomochclauuole acquifl:are, fia in ogni parte perfetto. Per ciò
che fe la natura ti incih nera à effere oratore, fc poi ci aggiugnerai la dot
trina,a la efercitatione,diuenterai un'oratore ec celiente, Ma fe una di quelle
due cofe,prarte,ò la natura tì nianclicri.noii farai perfetto. Hora quanto
quefta arte fia grande, non fi puojecod do me, per quella uia fapere,chc
Gorgia.A Tra:s fimaco feguifarono.ma per altra. FED. Per qualef' SOCR, Non
fenza cagione Pericle è flato giudicato il più perfetto Oratore,che mai fufTe FED.
Perches SOCR. Tutte le arti granxij hanno di bifogno della efercitatione nella
Dialettica, et della contemplatione delle cofe celefti,fiC della cognitione
della natura del le cofe: per ciò che quella alfeza^che nella men te noftra fi
uede,flC quella efficace forza di po: tereciafcunaimprefa cominciata condurre à
ne, pare che nafchi in noi per Io ftimolo^chc quefte cofe baffe^fiC terrene ci
danno, il che Pe^^ ride congiunfe con la fottiglieza del fuo inge^ gno: per ciò
che fidatofi nella domefticheza,CC amicitia di AnafCigora ritrouafore di fimili
cofe, n de in tutto alla contemplatione,tt cofi com^ prefe^^ imparò la natura
della mente noflra^flC anchora del mancamento di quella, il quale •Anaffagora
copiofamente dichiarò,flC di quiui ca uò tutto quello, che à lui parue,che fuffe
al prp porito,flC utile per l'arte della Rettorica. FED. Come andò queftacofa SOCR.
'Tu fai, <he il modo di medicafe^flC di orare è quafi il medefimo»
Hiedefimo. FED. Ìnchcmodo SÒCR. In ambe due ijfticftc arti fcifogha diuidcrc la
na tura, ma in una fi parte la naturi del corpo, nek l'altra quella della
anima. Pur che non fole per uia di efercitio^flC di far buona, e moderata ui^
fa.maanchora con Tarte habbia un Medico à dare à un corpo et medicine, ÓCcibi,
di forte che Io faccia fano, ac rcbufto diuentare.Et fimik niente, pur che fi
habbia à metteré in una anà ma la urrtii.flf la perfùafione per ragioni, flC
per giufte,fiC legittime ordinatiorri. FED. Cofi ò Socrate fi dee credere che
fia. SOCR. Uo^ ra penfi tn,chefi pòfll conofcere la natura di djuefta stnitn^t
bafteuolmente, fenza là cognitiòij ne di tutto quefto noftro compofto.il quald
chiamiamo huomor FED. Se fi debba crcs^ dcre a Hippocratc fucceffore di
AfcIepo,non fo lamenfe diremo che non fi pofla conofcere la n* turi! della
a'tìima fenza quella cognittónc,che ta dici,maalnchorache non fi poffa fapcre
queib del corpo. SOCR. Dottamente parlò Hip:^ pocrate. Hòra è bifògria^
eòrifiderare,fe quefta cofa,ché io t'ho detto, fa al propofito della no^
ftradifputa. FED. Faccificome tu uuoi. SOCR. Attendi adunque qitello,che non
iblo Hipjpocrate^i^ia anchora la uera ragione di^cario di qucftainucftfgationc
della na(uta,cli€ IO t'ho detto. Cofi adunque la natura di ciafcurs nacofa fi
ha da confiderare* Principalmentehabbiamo da uederc.fe quella cora,,della quale
noi uorremmo fapere 1 attera: ad altri ifegnarla, èYcn)plice,flC d'una loia
natura, ò pure di molte forti. Dipoi cafo che fia fempUce,fi ha da confi
derare, che natura fia la Tua neiradoperarri, ac nel fare, conìe anchora
nell'effere adcperata, fiC nel patire.Mafequefta cola harà più capi,diui
dendoh* prima tutti;& raccontandoh ordinata^ mente, in ciafcuno habbiamo à
cercare particors larmcnte quella fua natura, et intorno al farc,flC intorno al
patire. FED. Cofi pare, che s'hab bia da fare. SOCR. Et fenza far quefto fasi
fi il procedere di colui, come il caminó d' un cieco. Ma colui, che qualche
cofa tratta con ar^, non fi harà adafTomigliare à un decorò à un Tordo, anzi
bifognerà dire, che qualunque farà, che con arte parli à un altro, prima
cercherà chia ramente moftrarc la natura di colui, al quale parlerà, flC quefto
altro no è che lanima. FED. Senza dubbio. SOCR. Dimmi un poco, Vno che parli ccaarte ad un' altro, non fi
sforss za egli fopra ogni altra cofa perfuadergli tutto ^ fluello,che auolei. FED.
Certamente, SOCR. Et péro c cola chiara.che Trafimaco.Cf qualuns que altro
attende à infegnare la Reftorica, prima donerà con (omnia dilic;entia
defcriuere. ìBC di^ chiarare fe l'anima è per natura Tua una cofi fo^
la^ficfimile tutta afe fl:e(Ta,òuero fe à fimilitu^ dine del corpo, fia di pia
forti. Per ciò che qtian do 10 dico, che fi debba moftrare la natura della
anima, non uogiio intendere altro, che quefto# FED. Cofi douerà fare
certamente. SOCR. Patto che farà quello, bifognerà che egli dimo^: ftri che
potentia fia la fua,fiCuerfo che cofc la polTi ufare,C(à che paffioni ella fia
fottopofta. FED. Certamente. SOCR. Dipoi ha:^ ucndo già diftinte,CC diuife
tutte le forti degli affetti dell'animala de li difcorfi, et ragionai menti
fuoi,gli farà di bifogno raccontare tutte le cagioni, per le quali tali
affretti in lei nafcono, accommodando fempre le cagioni a gli affetti
fuoi,& infegnando le qualità dell'anima, Cf che difcorfi fiano I
fuoi,fiCper che cagione qucfta ftia fcmprcin confideratione,flC in nioto,flC
quel la mal à contemplatione alcuna ne fi leui,flC fem pre fi ftia ferma. FED. Quefta
farebbe una cofa ingegnofiHima. SOC. Et perciò ti dico, che no fi potrìmai
dire, che uno fratti, ò ragioni bene di cofa alcuna, non pur di quefta, di che
t'ho ragio mtòjc alfrimcti procccJèrà.Ma li fcritfbri Ai qut fta arte de i
noftri tepidi quali tu anchora puoi haucre uditi, fono aftuti.flC conofccndo
beniffi^: mo quefta natura deiranima,chc io dico, non di meno ce la afcondono, flC
non ce la uoglionomoftrare. Et io ti dico, che fé eglino non parler
ranno^flCnon fcriueranno feguitando il modo mio, non dirò maliche con arte, ò
bene fcriua no. FED. Qual modo dici tu. SOCR.
Io non ti potrei cofi facilmente dire le parole, che ci uanno,ma in che modo ci
bifognaffe feri ucre,fe l'hauefTemo à fare,te'l dichiareiò in quel miglior
modo, che mi farà poffibile. FED. Dillódì grafia, SOCR. Poi che noi hab:s biamo
ueduto^che la fcientia del dire altro non è, che un tirare à fegP animi, flC un
dikttarfi,bi^ fogna che colui, che debba effere Oratore, cono^j (ca quante
parti habbia quefto animo. Hora quc fte fono affai, flC di molte, flC uarie
qualità, fiC forti,per le quali gli huomini uengono anch' efli diucrfi.ft di
molte qualità. Confiderate quefte cofCiCjpuiamo dire, che fieno tante forti di
Oras: ' tioni,fl(di parlari, di quante forti fono le qua:: liti delle anime noftre.Etperò quelli animi,
che peir le qualità loro fono à qualche lor parti:? «olar dcfiderio
difpofti/fàcilmente con quellimodi di dire fi perfuadono, che alla natura loro
fieno fimili: doue che fe tu in un modo parler rai,a; 1 anime di chi ti ode,
fia altrimenti difpo:? fto,non lo perfuaderai mai. Et però à colui, che harà
bene quefte cofc confiderato,poi che hariueduto,flf conofciuto la natura d'uno,
flC le ope:: re,fif le attioni comprefe farà di bisogno potere in un fubito nel
Tuo ragionamento a{regnare,flC dimoftrare ijuefte Tue attieni, flc dimeftrare
di conofcerle: ft fe altrimenti farà, potrà dire di no Tapere altro che quelle
core,che già dalli maeftri gli furono infegnafe. Ma colui, che può con uc rità
dire,flCconofcecon qual forte di parole fi può ciafcuno huomo perruadere, flC
ingegnofamente auuertifce, che colui, che gli è dauanti,c di quello ingegno,
flc di quella natura, della qua le egli ha dimoftrato,flC fapendo fimilmentc,
che un tale huomo ha bifogno di parole tali^ quale egli è ^per uolerlo condurre
à far quelle co fe,alle quali egli è dalla fua natura inchnato^co^ ftui dico,
che cefi farà ammae (Irato, all' hora po trà u erame n te affermare di
poffedere qneftaarte del dire. Quando aggiugneràà quefte cofe,che
iotihodettedifopra,ilfapere quando fi habs bia à tacere, ce quando à parlare,
quando fi habsj bia à effer breue nel direna quando non^Oltca di qucfto quando
conofccrà, quando fi haràda -uCire una Commiseratione, e qciando una uehe
mcntia di parlare più afpra, quando s'habbia da fare una Amplificaticnc,flC
qtiando in fomma fa, prà in quefto fimil modo uiarc tutte le altre par ti della
Oratione,che fono dalli maeftn (late in:5 degnate: flf prima che tal cofa non
fappia^non potrà in modo alcuno e(Ter detto Oratore. flC co^ lui^al quale una
di quelle cofe.qual fi fia^mans; cheràònel dire,ò nello rcriucrè.òhello infe:?
gnare,flC non di meno affermerà parlare con ar:? tc.airiioraquel tale, che
tenia eller perfuafo fi partirà da lui, fi potrà dire uincitore. Ma forfè qualcuno
di queftì Sciittoridi Rcttorica ci potrebbe direnò Socrate, et Fedro. peniate
uoi che l'arte del dire fi habbiaa imparare in quefto mo do.flC non in altroi'
FED. Socrate à me pare impoffibiìe/he fi pcffi intendere altiimcnti, quantunque
quefta dimodri eflere una opera, et una fatica gianiffima, SOCR. Tu dici il
acro, per ciò che ella è, come tu dici.dilfi:: Cile. bifogna parlando, et ri£arlando
di quefta. cala più uolte,ceicare,tt confiderare fe forfè po teffjmo ntrouare
una uia,che più facilmente, fl£ in più breue tempo iui ci pofc/Ie menare, acciò
che noi noli ^iidiaaio inconfideratamente er;i rando ' ranJo per ufa lunga, d:
difficile, pofendo noi ca minare per una piana, et breue: per il che fé a
qucfta cofa tu mi pcteffi dare qualche aiuto coiji quelle cofe^che hai ò da
Iifia,ò da altri imparai te,uedi di ricordartene, e dichiaramele» F ED. Potrei
forre, per prnnare k mi riufcifle/arquci; che tu dici, ma non in queflo tempo.
SOCR. Vuoi adunque,che io ti racconti un ragionai irento^che io gii non fo
quando, udì intorno a queftacofaf FÉD. Di
gratia. SOCR. E fi dice.che egh ègiufto iddio quello, che uno ha neir animo,
come coloro, che pagano quelli danari alla fiatuii di Lupo, come (ai, FED. Cefi
uoglio che ^cci, SOCR. Dicono ^diin qne coftoro,clie non fa di bilbgno tanfo
con pa role inalzare (e cofe,che un dice, ne con lunga Oratione ingrandirle,
come fare fi fuole: perciò che uogliono quefti tali (come habbiamo det^s to nel
pnijcipio del ncftfo ragionamento che à uno,che habbia da eHere Oratori, non
faccia di bifogno ccncfcere la uerifà delle ccfe giufte, et buone A dicendo
quefto, intendono cofi/dcl le cofe,come de gli hucmini òper naturalo pcf ufo
giudi. Et allegganoquefla ragione à prora uare che non bifognjfapere,che cofa
Ca il gitH &o: per che ueJii gmcUcu h Oiatori nò fogliono hauer cura
dimoftrarc la uerità,ma pia prefto at fendono à pcrfuaderc l'opinioni Io. C£
pero dico. Ilo, che è cofa uerifimile à credere che ia perfuac iìone fola fia
quella, alla quale debba indrizar la mete colui, che con arte uorrà faper dire.
Et che» fii il ucro, dicono cofloro che nefTuna cofa fi ere àttì mai che fia
(lata fatta, fé prima non farà mo ftrato effer cofa probabile fiC
aerifimile,che pcfTì <ffercaccaduta. Ma pure uogliono coftoro,chc -jpiu
tofto fi habbino à addurre le cofe uerifimili neiraccufare.che nel difendere:
flC cofi affermano, che un' Oratore fa poco conto della uerità, et che folo
feguita il uerifimile^flC uogliono che fe quello loro Oratore feruerà in tutte
le fue Ora tioni quefto ordine di moftrare il uerifimile, fi pofli dire, che
egli moftri di faperc l' arte oratoria beniflimo. FED. Socrate tu hai raccon^
fato quelle cofe, che fogliono dire coloro, che fanno profeffione di infegnare
la Rettorica.Et io mi ricordo.che nel ragionamento nostro poco fa toccammo un
poco di quella cosa e quel, che haidetto, foche debba parere cofa troppo grande
à coloro, che in quella arte fi efercitano. Ma io ti fo dire, che tu hai dato
una buona ba^ donata à Tifia. SOCR. Poi che tu mi hai ticordatoTifia^uorrei che
egli mi dice/Te, fe e pcnfa.chcii probabile, flC il ucrifimilc fia alfro;^ che
quello, che pare al uolgo. FED, Che uuoi fu che riaaltrof*. SOCR. Trono olxra
di quefto, fecondo me, Tifia qucfta altra cofabeU la,& degna di lui, et la
fcrifle anchora. Et que:* fto è, che fé per cafo un'huomo debole, ma au^
dace.che hauc/Te battuto, flC fpogiiatouD'huoi^ mo forte, flC timido^fafTe
menato in giudicio,, uiiole TiTia che nefTuno dicoftoro habbia à con fefTare il
uero,ma uuole che il timido dica.chc egli non è (lato battuto folamente
dall'audace, et 1 audace l'ha à negare, moftrare d effer ft^ (0 folo,flC
pigliare quefto argomento. Come uo^ leteuoi,chcio,chefon debole, habbia
aflalita coftni,che è gagliardo. Ma quel timido no coraj fefTerà per quefto la
fua timidità, ma penfando, ritruouando qualche falfità,cercherà di accu^ fare
Tanuerfario, Et cofi fimilmcntc in molte altre cofe accafcono fimili cafi,
nclli quali(dicc^ ua Tifia ) bisogna haucrc quella arte. Non ti p;i re egli
cofi FedroJ' FED, Cosi certo. SOCR. quanto aftutamente dimoftra
TifiadihauejCieritruouata un'arte afcofa,* diffìcile, ò ueroqua^ lunche altro
(ìa (lato, che habbia tenuta quefta Tua opinione, ft habbia nonfe^comc £i
uoglU»! Ma uuoi tu, ch'io dica quefta coiàio od^ JF £ p« '
Chccofaèqucfla.clicfu uuofdìre^ SOCR. 'Io uoglio parlare un pcco con Tifia.O
Tifia ih» «anzi che tu ueniffi con quefta tua atte, noi tes ncuamo per certo,
che quefto probabile,fiC ucris fimile.nonfipotefii al uolgo per altro iTiodo mostrare
che con la fomiglianza della ucrità.fiC pcnfauamo.che quelle fomiglianie del
uero fos lo da colui potefTero cfTer trouate,chc peifettas niente la uerif a
ccnofceffi. Per il che fé tu cidi'raiintorno àqiicfta arte qualche altra cosa volentieri
ti afcol faremo: ma Te non dirai altro, noi ci ftarenso à quello, che poco fa
habbiamo defcs to.ft^ 9 crederemo. Et questo è che se uno non conosce bene gli ingegni delli audfe
tori.ft fe quelli l'un da l'ahro non. diftinguerà, a fe non diuiderà le cofe.di
che egli ha da pars lare nelle fue parti fe quindi di tutte un'idea fola
facendo, in quel modo non le comprendes rà auefto tale nó potri mai acqui{lar*e
quella ars te del dire. che può hauere un'huonrto. Etques > fta cofa non la
può imparare fenza,un lungo uu, dio. Nella qua! cofa un' huomo prudente nófo
lamentc fi affaticherà per poter dùe.a orare in modo, che piaccia a gi'huomini,
ma anchora ut cherà di poter djre.a tare quelle cofc chc habs jj^j^jano da
e(ftr gxate a Dio. Per cièche io uoglioche tu fappia Tifia/he quelli Iiuomini, chc
fors no flati più faui di noi, bino detto che un'huo mo fauio non debba
follmente penfare di (om^ piacere à tutte le bore à quelli, che feco fono fa un
niedefimo fcruitio, ma fi ha da cercar di ubi dire à buoni Signori. Per il che
non ti maraui^: gliarc.fe io ufoquefta lunghcza di parole, per ciò che gh è
neceffario che io fia lungo efTcndo le cofc,che io tratto, di importanza, il
che forfè tu non credi.Etfappi,che (come fi fuol dire ) che dalle cofe buone ne
nafcono le buone, cofi anchor dalle uere pofTono uenirne le uerifimili. FED.
Qyefta cofa pare à me che fia beniffimo detta. SOCR. Egli è certo difficile, ma
egl'è anchora cofa hoaorata,flf degna lo sforzaifi (em predi aitiuare air
acquifto di cofe eccellenti, fl(degnerà patire tutti quelli difagi,che in tale
sforzo ne interuengcno. FED. Tu hai ragio ne. SOCR, Habbiamo horaà baftanza ra^
gionato della arte j ce del trifto modo del comrs porre Orationi. FED. A
baftanza per certo. SOCR. Ci refla bora à ragionare intorno alla bclleza dello
fcnuere^flC à dire onde nafca labru teza dell'orare, FED. Quefto ci refla. SOC.
Sai tu in che modo ò ragionandolo orando lì f offa nelle parole piacere a Iddio
FED, Non ccrfo^ft tu? Spc. Io ho udito dire no fo che cog. fc, le quali già
furono infegnate dalli noflri anti chiamala uerità di qucfta cofa la fanno
cffi^fif ilo io. Hora fe noi ritrouaffemo modo di piacer nel parlate a iddio,
pefi tu che ci bifognafTe più haucre cura di quello,che gl'hucmini intorno a
ciò fciocamente pcnfanor FED. Qnefla tua do ìiiada è da ridere. Ma raccontami
un poco quellecofe^chc tu dici hauere udite. SOCR lo ho udito, che là prefTo al
Naucrato di Egitto; fu già un certo iddio de gli antichi. al quale e dedicato
quello uccello, che chiamano Ibin^flC quefto iddio é detto Theute. Quefto
dicono, che fu il primo^che trouòii numerosa la com:? putatione,flf raccpglimento
de i numeri, non folo uogliono che fuffi ritrouatore di quefta co::^ fa, ma
anchora della Geometria, et della Aftrono miarritrouò anchora- fecondo loro,
Tufo de i das di.fiCil mododi fare le forti, flC finalmente fu inuenfore delle
lettere. Era in quel tempo Re di tutto r Egitto Tamo,2C ftaua in quella granr:
di/Tima, CL nobilifTima Città, che chiamano li Greci Thebe di'Egitto; flC
queftì popoli hannp po(]:o nome à Iddio Ammone. A quello Reue nendo Theute, gli
moflrb le fue arti, flf gli diC^ (e.che farebbe flato buono, che egli à poco à
pp co le diftribuifcc à tuffi li popoli dì Egitto. Ma egli domandò a Thcute,che
utilità ciafcuna di quelle arti à gli huomini apportai » Il che di^ chiarandoli
Thcute,Tamo approuaua quello,) che gli pareua ben detto: quello poi, che non
gli piaceua. lo biafimaua. fiC all' hora fi dice che Tamo dichiarò^a moftrò à
Theute intorno à eia fcuna arte molte cofe,flC per una parte^ et per la altra;
le quali fe io tutte uolcffi nan-arti/arei trop po lungo. Ma poi che uennero al
ragionar dcU le lettere^ di/Te Theute, Sappi Re. Che quefta difciphnafaràdiuentar
egli Egitfii più faui^flC di maggior memoria: per ciò che ella è ftata tro:j
uata per rimedio della sapientia^ft della memo: riamai che egli rifpofe,
Aftutiflimo Theute uo:s glio che (àppia,che fono alcuni^che fono atti k ^
fabricare gli inftrumentijchc per una arte fono neceflarii,ac buoni; alcuni
altri faranno poi più pronti à giudicare che dannoso che utile quelli arte
debba an:ecare. Matu,chefci padre delle lettere, forfè perla troppa
bcneuoIcntia, che gli porti, haidimofl:ratodi conofcer poco la forza loro, hauendo
affermato che elle cagionano in noi quello efFetto, del quale niente é
uero,anzi fanno il contrario. Per ciò che T ufo delle lettere facendo che noi
poco ci curiamo di tenere à me moria co(aa!cuna, pàrtoriTcfnciram eli chi fe
impara obliaionc di ciascuna cosa. Et qiìefto ne auuicne,pcr db che confidati
nelli fcritti dal tri,non uogliamo cercare di rauuoUarci troppo ncir animo le
cofe: per il che tu non puoi dire d'haucr troiiato il rimedio della memoria,
tna più tofto d' un rammentarfi delle cofe già fapuis (e.Oltra di quefto à me
pare, che tu più preda infegni alli tuoi scholari una opinioe della Icien ha,
che la uerità: per ciò che hauendo quelli fen za la dottrina del maeftro lette,
flC imparate mol: te cofe parràal uolgo.anchor che fieno ignors ranfi,che non
di meno molte cofe fappiano,oU fra di queflo diueterànno nel praticarli più
mos: lefti,flcfafl; idiofi, ne ciòauuerrà senza cagione: per ciò che efFi non
pofTederanno la ucra fapien tiajfhapiutofto feranno ripieni d' un"
opiniors ne di hauerla. FED. O Socrate, tu con poca fatica fingi, che li
Egittii parlano, ft qualunis que altro più ti piace, pur che ti uenga bene. SOC.
Qaefta non è gran cofa, per che ancora quelli, che ftanno nel Tempio di Giove
Dodoneo, affermano che le prime parole del fufuro indouine, che effi udirtera, ufcirono
d'una Querele: li che à quelli popoli del tempo anti^ co (per CIÒ che eghno non
erano cofi faui.co^ SOC fetc uot del dì d'^hoggi ) baftaua pci fr disfare alla
loro fcioccheza udire ie^.pktrf ^i) k Qucrcie.pur che elle gli diceflero il
uero* Ma (i5 peni! che importi qualche cofa chi fia.ò d'onde lia qucllo, ckc
parlj. Et ciò ti auuiene, pcr >ch^ tu non confideri folo fe qucUo.che parla,
dice il uero,ò non, ma uuoi udire parlare i p^erfone à tuo modo, FED.
Ragion^uolmcntc finii h«ii riprefo fif à me certamente pare, che nelle letiP
tere interaenga quello, che fecondo il tuo dire, diceua Tama; chc à coloro
accadeua.chc U (ape tiano. SOCR. Et pero qualunque perfona penfa fcriuendo
intorno à quefta arte, 6 quelle cofc imparando. che da gli altri di lei fono
itatc fcritte, per queftoche dalli fuoi fcritti fi habs» bla certeza alcuna i
cauare.ò uero per il fuo im^ parare,douer faper cofa ucra.coftui certamente c
fciocco, a: di poco cervello.flc fi può dire, che egli fia in tutto ignorante
dello Oraculo di Gìq ue Ammonio, con ciò fia che egli pensi che le Orationi
fcritte pifi poffuio,che non potrà uno chcdafe fteffo fappia quelle cole, delle
quali Quelle Orationi ragionano. F £ BeùiSì^, tno. SOC. Queftoo Fedro ha la
fcnttura piena di grauità,& dignità, che ella è fimihdl^ ina alla pittura:
per ciò cIk ie^opere della pittUiP ra pare clic fìcno ufue^ma fc tu gli
domanderai qualche cofa, uergognofam ente fi taceranno. Hon altrinienti delle
Orationi potrai dire,fif ti parrà, che elleno intendendo qualche cola, U
polfano anchora dire,ft moftrarc. Ma fe poi for^ (e di laperdefiderofo, gli
domanderai di quaU che fuo detto la cagione femprc ti diranno una cosa, e
^<^»^pre ti lignificheranno il medefimo: <3CogniOratione,comeellaè
feritta una uolta, Tempre. flf in ogni luogo la medéfima lì ritruo^ ua,fiC
moftra le cofe fue à quelli, che fanno, à gh' altri,'alli quali forfè niente
importa, flC non faella,o puo dire à chi bifogni manifeftarfi, 6 àchi
nonb]fogni,2(fe mai gh è ingiulla:^ mente fatto ingiuria,© detto mal di
lei,femprc ha bifogno dell'aiuto di fuo padre, ciò è di chi rha fcritta,per ciò
che ella al.nemico non rcpu? gna,ne à fe fteffa può dare aiuto. FED.Quc Ite
còfc anchora pare à me, che fieno ueriffimc,. SOCR. Ma che dirai tu à quello?
Credi tu, che fi polU uedere un'altra forte di parlare fras: tello di i^ueftof
Et che fi polfa concfcere come quello, che io ti dico,fia legittimo, fiC quello
del quale habbumo ragionato badando, et quanto migliore, flC più potente
nafcai' FED. Che parlare è queltof CC come uuoi tu che fi facciaf^ tu' ' Soc. SOCR.
Qucfto parlare è queIIo,chc fi kwt ncir animo di chi impara per mezo della
fcipnjs tia,flC è migliore, per che quefto può aiutare à fc flefro,fif conofce
co qua] forte di p<rfonc fi bia a parlare., flC con quale à tacere. FED. Xji
uuoi dire il parlare d' un dotto, che fia uiuo,flC che habbia fpirito,deI quale
una Oratione fcri(» ta ragioneuolmente potremo chiamare un fimu^s lacro. SOCR.
Quefto dico fenza dubbio. Ma dimmi anchora quefta altra cofa, Vno agr(^
culflcre che fia fauio^ credi tu che uorrà fpargerc^ ft gettare nel tempo della
ftate quelli femi.chc egli bara più cari.ft delti quali egli afpetta con
defiderioil frutto, ne gli horti d'Adone, cor» ogni ftudio,fiC
diligentia,acciòche perfpatio di otto giorni ne pQ)[fi uedcre i fiorii (comelai^chc
miracolofamenfe in quel terreno ìnteruiene) ò nero dirai, che fe egli pure il
farà, Io farà per pat fac tempo in qualche giorno di fefta.fif per darfi
piacere, fiC no per cauarne utile alcuno^Ma quan do egli farà da uero, ce che
uorrà "attendere alla agricuItura,non li feminerà in quelli horti,ma in
terreni conueneuoli,flC gli parrà hauere affair fc con interuallo di otto meli,
flC non d otto gior ni la fuafementafi maturerà. FED. Certamente Socrate, che
come tu dici, quel tale femi;? fi^^è gfi WrH (!• AcJdftc pft btirla.ft per foU
lazt),^ nel terreno buono da uero. SOCR. t>^jf nfaremo noi, che un^huomo.
ch^ (appia xke toù'fu il giudo, Ce il buono, ft« rhonefl-o, fi^ iiello
fj^argere la fua fementa pia fciocco d u fio-agricultorer FED. In nessuno modo.
SOCR Ef pero egli no femmerà i (noi detti ftudiòfamente con la penna nell'acqua
negra, ^órtmietten doli alle fcritturc,fapendo egli che ft'mai poi portaflero
pericolo alcuno non gli po tra dare aiuto: flC conofcendo anchora^che con
lèfcriuere non fi può moftrare à pieno la ueri:? ti. FED. Certo ch^ il
feminarecome hai dctfe, è fuor di propofifo. SOCR. Certo, ma prahìerà beh
coilui gli horti delle lettere per darfi in quella follazo, fiC per pafTarc il
tempo/ ce in quelli feminerà^ftcofi fcriuerà qualche co Éi^t'Af pofcia che fi
uederà hauerc scritto, terrà qùéli fuoi (catti per mcmoria,&' gli harà
cari, come fe fu (fero tefori atti à fargli fcordaie gli afi^ tìnni/che gli ha
da arrecare la futura uecchieza. Etnonfelopenferà,chcgli habbino à cagioni
rtàrecjUefto in lui ma in tutti coloro che feguis teranno le fue pedate,
ecinfieme fi rallegrerà di tiedere già nati i fuoi teneri frutti: fif mentre
che Ili altri huomini uanno pur altri piaceri fegui» tando. tando, cclebràndo
conuit?,& fimili altri cU;:»*ti% egli lafciate quefte cofe folamcntc
attenderà a ui nere nclli piaceri^ che danno li piaceuolj, e dotti
ragionamenti* FED, Socrate tu mi nioftli un trattenimento molto più degno di
molti altri, cheà me paiono nili, narrandomi quei di co^ lui, che può Tempre
hauer piacere ne i ragionamenti, a disputare della giuftitia, «di quelle altre
cofe, che tu dici. SOCR. Cofièccrtamente Fedro mie caro, ma molto più degno
ftio c quello di quefti tali (fecondo me ) quando alcuno, poi che ha ritrouata
un animala quel locheegh intende infegnarli afta, ufaudo Tarlc della dialettica,
piantala: femina in quella ani; male fue parole con la scienfia: le quali parole
fono bafteuolià giouarà fe ftefre, et à colui, che le pianta: per ciò che non
folamentc portano fc co grandilTinìO frutto, ma anchoia il if me doa^s de nuoui
frutti pedano nalcetc.Onclt^ pafTando poi quefte paroÌe,6: quefte fcientie
<A]ixn hixf:^ mo in un' altro, mantengono qucftft.gtiecic dono immortale:
colui, che Ila in fe tal do:? no, pongono in qdello ftato di beatitudine, che è
^oflibile à un'huomo. FED, Qaxtlh è an^ chora molto più degno, et honoreuole* S
o Hormaio Fedro hauendg noi le cofe^ che Labe L un biamo dette diTopra
conceflc, potiamo beniflirs- ino confiderarc quelle cofe,che^tu fai. FED. Quali.
SOC. Qijelle, che per conofccrlc fin giù habbiamo ragionato, il qual ragionamen
tb non habbianìo per altro fatto, che per poter ^ confxderare il modo di
uitupcrare Lifia tuo in^ quanto all'arte dello fcriuere: non folamcte Liria,ma
anchora tutte quelle Orationi.che con arte.ò fenza arte fi fcriuono. Età me
pare, che già à baftanza habbiamo dichiarato, chi fia colui, cheartificiofofipofli
dire, ficchi quello, che fia priuo d' arte. FED. Cofi pare à me. SOCR. Et però
bisogna di nuouo ricor^ darfi,che alcuno non può perfettamente faperc l'arte
del dire,ò uoglila faperc per perfuaderc Viltrni,òper infegnarla (fi come le
ragioni di fo |)ra ci hanno dichiarato )fc prima non conors fcerà la uerità di
quelle cofe ch' egli dice, òfcri^: uc t ce fe non faprà diffinire tutta la
materia deU la cofa,che tratta: fl£ fatta qùeftà diffinitione,di nuouó diuidere
tutte le parti, tenendo alle co:s fc particolari, ftindiuidue,fl£cofi
contemplanti do,flC confiderando in quefto modo un'anima, alla quale habbia da
perfuadere qual si vogli cosa, ac haucdo quelle cofc ritrouate,che con ogni
forte di ingegni fi accompagnano, flC fono convenienti. 'ucjjJenti.cofi fopra
fu«o ordini^ fi: acconci il fuo parlare, che co un' anima uaria.fi: di diuerle
fantafie.accommodi parole, et modi di dire uas rii.flC di molte forti.flt con
una anima semplice, fi£ di un fol uolere ufi parole femplici.fl£ pure. FED.
Cofifièdetto. SOCR. Chedires mo hora noi di quella queftionc, che di fopra
habbiamo tocco. ciòè fe egli è cofa honefta. ò bratta il comporre Orationi. fi:
in che modo questo studio si possi ragioneuolmente uituperarc, a in che modo
non. Non ti pare egli,che le ragioni dette di fopra ci habbiano dichiarato ques
fto paHb i bastanza. FED. QjaaU ragioni? SOCR. Quefte.che fe Lifia.ò altri. Ccfiachi
uuole ignorante della verità fcyfTe mai.ò ucro fcnue al prefente.ò fcriuerà
cofa alcuna priuatas rmcnte.ò ucro che fi appartenga al publico.cos me
farebbeno certe ordinationi ciuili.ó fimili cofe,flC che coftui penfi.che di
quefti fuoi fcritti fe ne possa cauare una certeza. flC una fermiflima
ftabilità.quefta tal cofa T uno fcrittore fe fi ha da giudicare che fia^brutta.
Dichinlo le perfonc. ò noi dichino. chequefto imparta poco:| ciò che il non sapere,
che cosa sia il vero ne il falso intot no alle cofe giufte.fiC ingiufte, buone,
CCtriftc, (anchora che il uolgo tutto lodoiTe quefta igno.twifia}non può pero
effefc.che confidcrarK^o il uero non fu bruttiflima. FED. Bruftiflima pcrccrfo.
SOCR. Perii contrario poi. colui che penfa che fu neceflàrio qualche uolta per
trattenimento, fif per fcherzo fcriuere^at nó giù <ljca che Oratione alcuna
oin profa.o iq ucrfi mcrti^che fi perdi un gran tempo nel comporta '{come fanno
quelh. che fenza confidcratione al tuna.CC fcnza dottrina, folamentc per daxad
ins tendere una cola.fogliono alle uolte recitare ucr fi)ma terrà per certo.chc
li fcritti,che buoni fi poflono dirc.fieno flaticompofti folo à quelli,
chefanno.ma faprà che nelli ragionamenti, che fi &nno per cagione di
imparare.fif di infegnarc adaltri.fifchc jicrauientc fi fcriuono.fiCimpria: ^tnono
nell'animo d' uno.li quali trattano delle cofe gi"uftc, hcnefte. abuone,in
quelli folas mente è ia uera chiareza flC la pcrfettione. A quc ragionamenti
foli tiencche mcntino studio, ttquefti/olifuoi figliuoli legittimi chiama.dt di
queftl ragionamenti primieramente appr/za quello.chc m fe ftefTo efler
conofcc(pur che in fe h ntroui}dipoi tutti quelji,che di quel fuo parto.comc
%lmoli,Cf fratelli,© nel fuo ania wo.ó nell'altrui menti fono nati: fic. tutti
gl'als tri difpreza, a difcaccia, quefto tale, dico, pare 4 me mt telile fia
tale,qualc 3a noi fi potrcì fyé^8drK!*« rare. FED. lo acmi ò S cerate, efièr
conife t:olui,cIic ttì ilici di queflo ne priego Aìhàtas mente Iddio. SOCR. Ma
fia detto aflai^cl r^rte del dire per qaefta uolta^iiauendo noiparr lato più
per{ratteiiimtnto,-clTe per altra cagioine. E t però tu potrarf dire à Lifia,
ciré ncrtlTenfi do andati doue è il fonte delle Ninfe, ideile
Mufe,habi>iaino uditi certi ragion ameti, li cpali hanno comandato, che noi
dtcfatno A à itif (à tutti gli altri
Scrittori d' Orat foni: ol tra dì quefto à Honicro,ò;fe altri è (lato che c
qualche ftuda,CC bada Poefia babbi compofl:o,ó pùre or nata, fiC
niimerofa,ul{irnaoien(e à Solone/fiCi tutti gii altri^che delle ordinationi
tiiiili hanno fcritto,che fe eglino tali cose: onìpofero con faji peucli della
ue<ità,flC col difputarc, pofTono dì: difendere le cofe^cbe eglino hanno
trattato, SOC con ragioni fa^r fi,chc li fcritti dinioftrano c{{ctc dainanco,ft
pia uili delle parole loio,fif dclU noce uiua,fe quefto che io dico, faranno
Farei ine,<he habbiano à pigliare il nome ne da quel le cose,che con la
penna fcrifTero^twa pio prcftat da quello, che doftamete ccnfiderarono. FED.
Etchc cognome lata quefto, <££ in the modelli lo darai tui' SOC il gran
ccgncMM ài piente folo à iddio/ccondo me, fi conufener flC pero à qucfti tali
huomi ni, ch'io tlio difopradc^ fcritti,gli porrci più conucnicntemete il
cogno:: medi Filofofo,ò di qualche altra uoce fimile. FED, Certo che quefto no
fi difconuerrebbc. SOCR. Et pero dimmi un poco, chiamerai tu ragioneuolmcnte
Poeta, ò vero fcritfore d'Os: rationi.òdi leggi colui, che in fé cofa alcuna no
habbia migliore di quelle, che ha fcrittof' Et che lungo tempo rauuollendofi,
fiC aggirandofi il ceruelIo,con una affidua emendafione finalmen te habbia
fatto una compofitionef FED. Che uuoitudircperquefto? SOCR. Voglio di re, chetudica
tutte quefte cofe al tuoLifia. FED. Et tu non farai il medefimo col tua amico.
per che in uero non mi pare da lafciarlo andare. SOCR. Quale amico dici tu F E
Dico Tfocratcgiouanc perfetto. Che dirai tu à coftui Socrate Chi diremo noi,
che egli fia (SOCR. Ifocrate ò Fedro, è anchora giouanetto^ma io non uoglio
lafciarc di dire quek lo,cheioindouinodilui, FED. Che cofa f SOCR. A me pare, che
egli fia di migliore ingegno,chenon dimoftra d'eflcrLifia per li fuoi Sritti,
et oltra di quello di più gencrcfi cofiumi ornato» Per il che io non mi
marauigliarci punto. punto,fccrcfcendoinIuigIi anni, egli diuens tafTc più
eccellente nell’arte del dire, nella qua le hora si esercita di quànti mai à
quella si sono dati: flC credo, che egli non contento di queftc cofe per un
certoinftintodiuino,cheè in lui, fi inalzerà ad imprefe maggiori; per ciò che
io uo glio che fappi,che nel fuo ingegno è (lata daU la natura poftain un'
certo modo la Filofofia, Quefte cofe adunque, che da quefti iddìi hofa^
pute,manife(leròal mio amicilTimo irocrate,& tu dirai al tuo cariffimo
Lifia quelle altre cose. FED. Cofì farò. Ma partiamoci di qui,con ciò fia che
il caldo fu hormai calatto à fatto SOC« InnanziportajrCjò trarre feco, fen6colui,che
fia t» perato, Penfi tu che fi debba domandare altro ò Fedro A me par hauerc con preghi domandato
uclfo,cbefaceuadi fxifognó, F E Pieg afichoia,che quel trcdcfmio conccdinoa me:
pei ciò che tra gli amici cani cola è conh SOCR Partiamoci Adunque. Ricerca Ganimede (mitologia) personaggio della
mitologia greca, figlio di Troo, coppiere degli dei, Ganimede Ganymede eagle
Chiaramonti Inv1376. jpg Ganimede e l’aquila, Nome orig. Γανυμήδης Sesso Maschio
Luogo di nascita Dardania Professione dio dell'amore omosessuale e Principe dei
Troiani Ganimede (in greco antico: Γανυμήδης è un personaggio della mitologia
greca. Fu un principe dei Troiani. Omero lo descrive come il più bello di tutti
i mortali del suo tempo. «La vicenda mitologica di Ganimede servì da
emblema significante per la natura dell'amore tra uomini, un amore
filosoficamente più elevato rispetto a quello rivolto alle donne: la vicenda
dell'aquila divina si assicurò così un posto d'onore tra i riferimenti artistici
al desiderio omoerotico. In una versione del mito viene rapito da Zeus in forma
di aquila divina per poter servire come coppiere sull'Olimpo: la storia che lo
riguarda è stata un modello per il costume sociale della pederastia greca,
visto il rapporto, di natura anche erotica, istituzionalmente accettato tra un
uomo adulto e un ragazzo. La forma latina del nome era Catamitus, da cui deriva
il termine catamite, indicante un giovane che assume il ruolo di partner
sessuale passivo-ricettivo. Genealogia Figlio di Troo e di Calliroe (o di
Acallaride). Le varianti della sua ascendenza sono molte, Marco Tullio
Cicerone scrive che sia figlio di Laomedonte, Tzetzes che sia figlio di Ilo,
per Clemente Alessandrino è figlio di Dardano[9] e secondo Igino suo padre fu
Erittonio[10] oppure Assarco. Non risulta aver avuto spose o
progenie. Mitologia Bassorilievo di epoca romana raffigurante l'aquila,
Ganimede che indossa il suo berretto frigio e una terza figura, forse il padre
in lutto Il tema mitico fondante di Ganimede è costituito dalla sua bellezza,
di cui si invaghirono sia il re di CretaMinosse sia Tantalo ed Eos, come infine
il re degli dei Zeus, così come si racconta nelle varie versioni della stessa
leggenda. Nell'Iliade di Omero, Diomede racconta che il Signore degli
Dei, affascinato dalla sublime beltà rappresentata dal ragazzo, lo volle rapire
nei pressi di Troia in Frigia, offrendo in cambio al padre una coppia di
cavalli divini e un tralcio di vite d'oro: il padre si consola pensando che suo
figlio era ormai divenuto immortale e sarebbe stato d'ora in avanti il coppiere
degli dei, una posizione che era considerata di gran distinzione. Zeus
per sottrarre Ganimede alla vita terrena si sarebbe camuffato da enorme aquila;
sotto tale aspetto si avventò sul giovanetto mentre questi stava pascolando il
suo gregge sulle pendici del monte Ida, nelle vicinanze della città iliaca, se
lo porta quindi sull'Olimpo dove ne fa il suo amato. Per questo motivo nelle
opere d'arte antiche Ganimede è spesso raffigurato accanto a un'aquila,
abbracciato a essa, o in volo su di essa, e, in varie opere d'arte, è quindi
raffigurato con la coppa in mano. Burkert ha trovato un precedente riguardante
il mito di Ganimede in un sigillo in lingua accadicaraffigurante l'eroe-re
Etana di Kish volare verso il cielo a cavalcioni proprio di un'aquila. Da
alcuni viene anche associato con la genesi della sacra bevanda inebriante
dell'idromele, la cui origine tradizionale è proprio la terra di Frigia.
Tutti gli dei erano riempiti di gioia nel vedere il bel giovane in mezzo a
loro, con l'eccezione di Era; la consorte di Zeus considerava difatti Ganimede
come un rivale più che mai pericoloso nell'affetto del marito. Il padre degli
Dei ha successivamente messo Ganimede nel cielo come costellazione
dell'Acquariola quale è strettamente associata con quella dell'Aquila e da cui
deriva il segno zodiacaledell'Acquario. Busto di Ganimede, opera
romana d'epoca imperiale (Parigi, Museo del Louvre) Mito iniziatico Lo stesso
argomento in dettaglio: Pederastia § Origini iniziatiche. La coppia
Zeus-Ganimede costituisce il modello mitico del rapporto omoerotico tra maschio
adulto e giovinetto, relazione colorantesi spesso di un significato iniziatico
(vedi la pederastia cretese) in quanto finalizzata - anche attraverso il legame
sessuale - all'inserimento del giovane nella comunità dei maschi adulti. Questi
amori "paidici" di un adulto amante-erastès che rapiva simbolicamente
un giovinetto passivo-eromenos potevano venir praticati attraverso schemi
rituali imitanti i veri e propri rapporti matrimoniali e dove, in un luogo
appartato, avveniva la sua iniziazione sessuale. Zeus e Ganimede,
rappresentando la perfetta coppia di amanti maschili, sono stati come tali
cantati dai poeti. Il cosiddetto "tema di Ganimede" era adottato
durante il simposio a modello dell'amore efebico: se anche il Signore degli dei
fu incapace di resistere alle grazie di un fanciullo, come avrebbe potuto farlo
un mortale e poter rimanerne immune? Certamente nella mitologia greca si
riscontra la grande voglia di Zeus nel sedurre le Dee, ninfe, ecc.; per questo
a volte si considera il padre degli dei strettamente d'accordo
all'eterosessualità. Filosofia. Platone rappresenta l'aspetto pederastico del
mito attribuendo la sua origine a Creta e ponendo, quindi, il rapimento
sull'omonimo monte Ida dell'isola: la sua è una critica dell'usanza della
pederastia cretese che aveva oramai perduto quasi completamente la sua funzione
originaria, accusando quindi i Cretesi di essersi inventati il mito di Zeus e
Ganimede per giustificare i loro comportamenti. Nel dialogo platonico poi
Socrate nega che il bel giovane possa mai esser stato l'amante carnale del
padre degli Dei, proponendone, invece, un'interpretazione del tutto spirituale:
Zeus avrebbe amato l'anima e la mente o psiche del ragazzo, non certo il suo
corpo. Il neoplatonismo ci offre una rappresentazione mistica del
rapimento di Ganimede; esso sta a significare il rapimento dell'anima a Dio, e
in questo senso è stato usato, anche in opere d'arte funerarie e anche durante
il Neoclassicismo, sia nell'arte figurativa sia in letteratura. Si veda, per un
esempio, il Ganymed di Johann Wolfgang von Goethe. Mazza (attribuzione),
Ratto di Ganimede (National Gallery, Londra) Poesia In poesia Ganimede divenne un simbolo
dell'attrazione e del desiderio omosessuale rivolto verso la bellezza giovanile
dell'adolescenza. La leggenda fu menzionata per la prima volta da Teognide,
poeta del VI secolo a.C., anche se la tradizione potrebbe essere più antica; di
essa parla anche il poeta latino Ovidio nella sua opera Le metamorfosi, poi
Virgilio nell'Eneide all'interno del proemio, Apuleio e infine anche Nonno di
Panopoli nel suo poema epico intitolato Dionysiaca narrante la vita e le gesta
del dio Dioniso. Virgilio ritrae con pathos la scena del rapimento: il
ragazzo che lo accompagna tenta invano di trattenerlo con i piedi sulla terra,
mentre i suoi cani abbaiano inutilmente contro il cielo. I cani fedeli che
continuano a chiamarlo con latrati disperati anche dopo che il loro padrone è
sparito nell'alto dei cieli è un motivo frequente nelle rappresentazioni visive
e vi fa riferimento anche Stazio. Ma egli non è sempre raffigurato come
acquiescente: ne Le Argonautiche di Apollonio Rodio ad esempio Ganimede risulta
essere furibondo contro Eros per averlo truffato nel gioco d'azzardo con gli
astragali, Afrodite si trova così costretta a rimproverare il figlio di barare
come un principiante. Nell'opera Come vi pare di Shakespeare il
personaggio di Rosalind si traveste da uomo quando deve andare nella foresta di
Arden, scegliendo il nome di Ganimede: ciò ha portato ad approfondire lo studio
del rapporto che si era creato tra Rosalind e sua cugina Celia, il quale andava
ben oltre la semplice amicizia, avendo dei tratti molto simili all'amore, in
questo caso omosessuale. Statuina di Zeus-Aquila e Ganimede di epoca
paleocristiana Astronomia Per il rapporto esistente fra Giove e Ganimede, il
maggiore satellite naturale del pianeta Giove - il pianeta più grande del
sistema solare e per questo chiamato per omologia come la versione latina di
Zeus, ovvero Giove - è stato battezzato appunto Ganimede da Simon Marius. Gli è
inoltre stato dedicato l'asteroide Ganymed. Nelle arti Nella scultura una
delle immagini più famose di Ganimede è il gruppo scultoreo di Leocare (lo
stesso a cui viene attribuito anche l'Apollo del Belvedere) e tanto ammirato da
Plinio il Vecchio: Leocare ha realizzato un'aquila che trattiene con forza
Ganimede; innalza il fanciullo piantandogli gli artigli nella sua veste. Questo
particolare del rapimento tramite l'aquila è stato spesso elogiato anche in
seguito. Stratone di Sardi lo evoca in uno dei suoi epigrammi, così come fa
anche Marco Valerio Marziale. La leggenda di Ganimede ha ispirato anche un
gruppo in terracotta, probabilmente originario di Corinto e oggi conservato nel
Museo Archeologico di Olimpia: questo è uno dei pochi esempi di grande scultura
in terracotta, e una rappresentazione scultorea molto rara della coppia in cui
Zeus si mantiene in forma umana. Nella ceramica il tema di Ganimede si
ripete spesso, di solito raffigurato nei crateri, quei particolari grandi vasi
entro cui venivano mescolati acqua e vino durante i banchetti (o simposi) che
si svolgevano solo tra uomini, in cui gli ospiti gareggiavano in immaginazione
poetica e filosofica per celebrare i meriti dei loro rispettivi eromenos. Tra i
più famosi è incluso il craterea figure rosse che ritrae da un lato Zeus in
pieno esercizio, dall'altro Ganimede mentre sta giocando con un grande cerchio,
il simbolo della sua giovinezza: il ragazzo è completamente nudo, così come
vuole la tradizione antica sportiva di origine in parte pederastica (vedi
nudità atletica). Il ratto di Ganimede, di Sueur Il Rinascimento ha visto
riapparire innumerevoli rappresentazioni di questo mito, con artisti quali
Buonarroti, Cellini ed Allegri tra tutti. In questo periodo è anche uno dei
temi con più forte significato omoerotico, divenendo una sorta di icona gay
ante litteram almeno fino al XIX secolo inoltrato. Quando il
pittore-architetto Baldassarre Peruzziinclude un pannello riguardante il
rapimento di Ganimede in uno dei soffitti di Villa Farnesina a Roma, i lunghi
capelli biondi del ragazzo e l'aspetto effeminato contribuiscono a farlo
rendere identificabile a prima vista: si lascia difatti catturare verso l'alto
senza opporre la minima resistenza. Nel Ratto di Ganimede di Antonio
Allegri detto Il Correggio la sua figura e l'intera scena è più
contestualizzata intimamente. La versione del Ratto di Ganimede di Pieter Paul
Rubens ritrae invece un giovane uomo. Ma quando Rembrandt dipinse il suo Ratto
di Ganimede per un mecenate calvinista olandese, ecco che un'aquila scura porta
in alto un bambino paffuto in stile putto, che strilla e si fa la pipì addosso
per lo spavento. Ratto di Ganimede, di Gabbiani Gli esempi di
Ganimede in Francia sono stati studiati da Worley. L'immagine raffigurata era
invariabilmente quella di un adolescente ingenuo accompagnato da un'aquila,
mentre gli aspetti più omoerotici della leggenda sono stati raramente affrontati:
in realtà, la storia è stata spesso "eterosessualizzata". Inoltre,
l'interpretazione del mito data dal Neoplatonismo, così comune nel Rinascimento
italiano, in cui lo stupro di Ganimede ha rappresentato la salita alla condizione
di perfezione spirituale, sembrava non essere di alcun interesse per i filosofi
e i mitografi dell'Illuminismo. Pierre, Natoire, Guillaume II Coustou,
Julien, Regnault e altri hanno contribuito ad arricchire le immagini di
Ganimede nell'arte francese tra fine XVIII e inizio XIX secolo. La
scultura che ritrae Ganimede e l'aquila di Cubero, eseguita a Parigi, ha portato
all'immediato riconoscimento dell'artista spagnolo come uno degli scultori più
importanti del suo tempo. L'artista danese Thorvaldsen, di gran lunga il
più notevole degli scultori danesi, ha scolpito una scultura dedicata alla
scena di Ganimede e l'aquila. Particolare di una scultura della
seconda metà del II secolo d.C., da un modello tardo ellenistico a sua volta derivato
dall'ambito figurativo greco del IV secolo a.C. Conservato al Museo
archeologico nazionale di Napoli. AltroModifica Nel linguaggio corrente il nome
di Ganimede è passato a indicare un bellimbusto, un damerino o anche un giovane
amante omosessuale. Pittore di Berlino, Ganimede gioca con il cerchio,
tenendo in mano un gallo, dono di corteggiamento di Zeus. Cratere attico a
figure rosse (Parigi, museo del Louvre). Ganimede e Zeus, e Apollo
e Ciparisso, illustrazione di due miti a carattere omosessuale per le
Metamorfosi di Ovidio (Venezia) Illustrazione gli Emblemata di
Andrea Alciati Ganimede rappresenta allegoricamente l'anima che si
"rallegra" in Dio. Raffaello da Montelupo, Giove bacia
Ganimede Ashmolean Museum, Oxford Alberti, Copia rovesciata da originale di
Polidoro da Caravaggio, Giove bacia Ganimede (sec. XVII). La borsa di denaro in
mano al giovane allude alla prostituzione, in spregio al mito pagano.
Il Ganimede di Antonio Canova "Ganimede", di Cubero
Ganimede abbevera l'Aquila divina, di Thorvaldsen Albero genealogico Atlante Pleione
Scamandro Idea Elettra Zeus Teucro Dardano Batea Erittonio Ilo Troo Calliroe
Euridice Ilo Assarco Ieromnene Ganimede Laomedonte Strimo (o "Leukyppe")
Temiste Capi Priamo Ecuba Anchise Afrodite Latino Ettore Paride Creusa Enea Lavinia
Ascanio Silvio Silvius Enea Silvio Bruto di Troia Latino Silvio Alba Atys Capys
Capeto Tiberino Silvio Agrippa Romolo Silvio Aventino Proca Numitore Amulio
Marte Rea Silvia Ersilia Romolo Remo Età regia di Roma She-wolf suckles Romulus
and Remus. jpg Zanotti Il gay, dove si raccnta come è stata inventata
l'identità omosessuale Fazi editore Secondo l'AMHER ("The American
Heritage Dictionary of the English Language, catamite,
Apollodoro, Biblioteca, su theoi Omero, Iliade su theoi Diodoro Siculo,
Biblioteca Historica, su theoi Dionigi
di Alicarnasso, Antichità romane, su penelope. uchicago.edu. Cicerone,
Tusculanae disputationes, Tzetzes a Licofrone Clemente Alessandrino, su
theoi.com. Igino, Fabulae Igino, Fabulae Iliade, Burkert; Burkert fa
purtuttavia notare che non esiste un nesso diretto con l'iconografia.
Veckenstedt. Guidorizzi, Il mito greco Volume primo - Gli dèi Guidorizzi, Il
mito greco Volume primo Gli dèi Platone, Leggi, Platone, Fedro, Platone,
Simposio, Ovidio, Metamorfosi, 10,152. ^ Apuleio, L'asino d'oro, Virgilio, Eneide,
Stazio, Tebaide, Marius/Schlör, Mundus Iovialis, Worley, The Image of Ganymede
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Libau, Saslow, Ganymede in the Renaissance: Homosexuality in Art and Society,
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Gély (a cura di), Ganymède ou l'échanson. Rapt, ravissement et ivresse
poétique, Presses Universitaires de Paris; Guidorizzi, Il mito greco, 1 Gli dèi.
Particolare di Zeus accanto a Ganimede,
di Christian Griepenkerl Voci correlate Icona gay Mito di Etana Omoerotismo
Pederastia Re latini Re di Troia Temi LGBT nella mitologia Altri
progettiModifica Collabora a Wikimedia Commons Wikimedia Commons contiene
immagini o altri file su Ganimede The Androphile Project, The myth of Zeus and
Ganymede. Griffith, Visual arts: Gaymede. "Ganymed" (testo, in
tedesco e italiano). Circa 200 immagini di Ganimede nel Warburg Institute
Iconographic Database Archiviato in Internet Archive. Portale LGBT
Portale Mitologia greca Troo re di Troia nella mitologia greca, figlio di
Erittonio Leda personaggio della mitologia greca, figlia di Testio e
moglie di Tindaro Laomedonte re di Troia nella mitologia greca, figlio di
Ilo Grice: “While some Englishmen would use euphemysms when subtitling
Phaedrus, “a dialogue on love and beauty”, Figliucci contradicts Diogenes for
whom Phaidros is ‘peri ton erotes’ – and has it as ‘il fedro o vero dialogo del
bello’ – del bello is neuter in Italian (kalon), but also masculine – hence
Figliucci’s reference to Giove and Ganimede. Keywords: Giove e Ganimede, il
bello, bei, kalos, kaloi, kaloskagathos, kalon, eros, to kalon, to kalos, eros.
Refs.: Luigi Speranza, “Grice e
Figliucci” – The Swimming-Pool Library. Felice Figliucci. Figliucci.
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